They used to shout my name, now they whisper it

di LysandraBlack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Leave it all behind ***
Capitolo 2: *** Gold, slavers and promises. ***
Capitolo 3: *** Runs in the Family ***
Capitolo 4: *** Lurking shadows ***
Capitolo 5: *** Late night revelations ***
Capitolo 6: *** Qunari dealings ***
Capitolo 7: *** Ketojan ***
Capitolo 8: *** Blessed are the peacekeepers, the champions of the just. ***
Capitolo 9: *** The Bloody Deep Roads ***
Capitolo 10: *** Drink it off ***
Capitolo 11: *** The Grey Wardens ***
Capitolo 12: *** Resistance ***
Capitolo 13: *** Hard Knocks ***
Capitolo 14: *** Poison ***
Capitolo 15: *** Undisclosed desires ***
Capitolo 16: *** Demons ***
Capitolo 17: *** Little Talks ***
Capitolo 18: *** Truth or Dare? ***
Capitolo 19: *** Snakes among us ***
Capitolo 20: *** Blood and Thunder ***
Capitolo 21: *** Satinalia I ***
Capitolo 22: *** Satinalia II ***
Capitolo 23: *** Red water dreams ***
Capitolo 24: *** Doubts ***
Capitolo 25: *** Victim or executioner? ***
Capitolo 26: *** Loss ***
Capitolo 27: *** Beloved ***
Capitolo 28: *** Betrayal ***
Capitolo 29: *** Pressure building ***
Capitolo 30: *** Watch me fight like a warrior ***
Capitolo 31: *** Watch me rise up like a Champion ***
Capitolo 32: *** One step closer ***
Capitolo 33: *** Orzammar ***
Capitolo 34: *** Ostwick I ***
Capitolo 35: *** Ostwick II ***
Capitolo 36: *** Unrest ***
Capitolo 37: *** Heart to heart ***
Capitolo 38: *** Blood brothers ***
Capitolo 39: *** Echoes from the past ***
Capitolo 40: *** Chase ***
Capitolo 41: *** Hunt you down ***
Capitolo 42: *** Mirrors ***
Capitolo 43: *** Life is nothing like we pictured it ***
Capitolo 44: *** Rising wind ***
Capitolo 45: *** What's your plan for tomorrow? ***
Capitolo 46: *** Are you a leader or will you follow? ***
Capitolo 47: *** Are you a fighter or will you cower? ***
Capitolo 48: *** It's our time to take back the power ***
Capitolo 49: *** Let us all down ***
Capitolo 50: *** Straight for the castle ***
Capitolo 51: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Leave it all behind ***


CAPITOLO 1
Leave it all behind




 

«Marian!»

Roteò su se stessa, lo scudo sollevato a parare un colpo da un Prole Oscura alto due teste più di lei. La lama dell'avversario cozzò sul metallo con forza, facendole riverberare il braccio. Gemette di dolore, cercando di mantenere il controllo. L'armatura le impediva i movimenti, sempre più pesante e ammaccata in più punti, rendendole difficile persino respirare, figuriamoci mulinare la spada e reggere quel dannato scudo.

Il Prole Oscura emise un urlo lancinante, mentre una lama gli usciva dal petto, trapassandolo da parte a parte.

Carver, il volto contratto dalla fatica, si voltò nella sua direzione, estraendo la spada dal cadavere. «Tutto bene, sorella?»

Marian annuì, cercando di riprendere fiato. Si voltò verso i loro compagni, un arciere magrolino e un paio di altri soldati dell'avanguardia scampati al massacro, gli occhi scavati dalla fatica e dai terribili eventi degli ultimi giorni. «Sembra che per ora siamo al sicuro.»

Il fratello minore scrutò con sospetto le Selve attorno a loro. «Non mi fiderei di questo posto nemmeno se non fosse brulicante di Prole Oscura...»

Non poteva dargli torto. Erano cresciuti con le storie sulle maledette Selve Korkari, piene di mostri di ogni genere e streghe pronte a mangiarsi vivi i malaugurati viaggiatori, e ora si trovavano a rischiare la pelle proprio là dentro.

«Avremmo dovuto restare a casa...» Mugugnò Carver, sollevando la spada e appoggiandosela su una spalla, come faceva di solito. «Bethany e Garrett se ne staranno belli al calduccio con una buona zuppa bollente.»

«Sempre che l'Orda non sia già arrivata a Lothering.» Ribattè lei, rimettendosi in marcia. «Coraggio, abbiamo perso già abbastanza tempo.»

Si addentrarono tra la fitta boscaglia, attenti a non fare troppo rumore per non attirare altri mostri. Erano ormai passati cinque giorni dalla disfatta ad Ostagar. Le truppe di Teyrn Loghain non erano mai arrivate a salvarli. Marian ancora non riusciva a crederci.

Aveva visto Re Cailan, ad appena un centinaio di metri da lei, venire sollevato come una bambola di pezza dal gigantesco Ogre che lo aveva stritolato per poi gettarlo via. Non sapeva cosa ne fosse stato del corpo del Re, era stata troppo impegnata a salvare la propria pelle per pensare al altro. Un inferno di sangue, urla, denti, zanne, artigli, lame ricurve e scudi infranti, il fragore di quell'incubo che le risuonava ancora incessante nelle orecchie.

Persino il Capitano Rods era stato massacrato, e lei e il resto delle reclute erano rimaste senza una guida. Facili prede dei Prole Oscura.

“Trova Carver”, era stato il suo unico pensiero.

Scosse la testa, scacciando i sensi di colpa. Era scappata. La battaglia era ormai persa, certo, ma non era una scusa sufficiente per quello che aveva fatto. Aveva abbandonato i suoi compagni per cercare suo fratello. Ed il fatto che fosse arrivata giusto in tempo per evitare che un Hurlock gli staccasse la testa non era abbastanza. Prima o poi, avrebbe dovuto spiegare ad uno dei suoi superiori come lei, recluta assegnata all'avanguardia dell'esercito a fianco dei maghi che dovevano proteggere il Re in persona, fosse riuscita a scampare al massacro.

Non era certa di essere in grado di raccontare una bugia credibile. I caduti non lo meritavano.

“Creatore, perdonami. Non potevo abbandonare la mia famiglia.”

Un urlo alla sua destra la risvegliò dal torpore in cui era caduta, la stanchezza che le faceva mettere i piedi uno davanti all'altro in maniera meccanica. Scattò nella direzione da cui proveniva il trambusto, sentendo Carver e gli altri fare lo stesso.

Caricò di peso uno Shriek, i lunghi artigli affilati come rasoi che si chiusero stridendo contro il grande scudo di metallo, buttandolo a terra. L'arciere riuscì a colpirlo ad una gamba, rallentandolo abbastanza da permetterle di sollevare la spada e decapitarlo.

«Questo respira ancora!»

Si voltò di scatto.

Carver era accovacciato accanto ad un uomo, l'armatura riccamente decorata a segnalare una qualche nobile origine ora ammaccata in più punti e sporca di sangue. Si avvicinò al fratello, chinandosi sul ferito. Quello era a malapena cosciente, gli occhi semiaperti. Bofonchiò qualcosa di incomprensibile.

«Non possiamo portarcelo dietro, ci rallenterebbe.» Commentò l'arciere, facendo per andarsene. «Abbiamo già abbastanza problemi.»

Uno dei soldati si leccò i denti davanti, schioccando la lingua. «Quella spada sembra di buona fattura però...» Si chinò, allungando il braccio per prendere l'arma a terra.

Marian non gli diede il tempo di toccarla. Lo colpì tra le scapole col pomolo della propria spada, spedendolo a mangiare il fango. «Non toccarlo, cazzo. Carver, aiutami.» Legò la spada dell'uomo alla propria cintura, ammirandone per un secondo la buona fattura, per poi afferrarlo sotto le ascelle e sollevandolo da terra. Quello gemette debolmente.

«Marian, sei sicura?» Chiese il fratello, guardandola dubbioso.

Lei gli rivolse un'occhiataccia che non ammetteva repliche. «Non abbandoneremo più nessuno.»

Carver sospirò, avvicinandosi e passandosi un braccio dell'uomo attorno alle spalle. «Non potremo combattere così.» Osservò con aria critica, iniziando a camminare.

«E allora facciamo in modo di non incontrare altri problemi.» Ringhiò Marian, che già appesantita da scudo e armatura, con in più il peso dell'uomo, iniziava ad accusare parecchio la stanchezza. «Troviamo un posto dove accamparci per la notte, siamo tutti distrutti.»

«Non sarebbe meglio uscire dalle Selve il più in fretta possibile?» Squittì uno dei soldati, pallido in volto, una benda sporca di sangue attorno alla testa.

Marian sbuffò, irritata. «Se sai dove andare, certo. Ma con quelle nuvole non riesco ad orientarmi, e questa maledetta foresta sembra tutta uguale.»

Vagarono fino a tarda sera. Nessun luogo era abbastanza sicuro, e ovunque si fermassero ben presto venivano attaccati da qualche Prole Oscura o bestia selvatica.

Ad un certo punto, l'arciere individuò una traccia che sembrava umana.

«Questi sono dei Chasind.» Disse, indicando un insieme di rocce seminascoste tra le radici di un albero.

A Marian sembravano dei comunissimi sassi. Sollevò un sopracciglio, dubbiosa. Anche gli altri non erano convinti.

«Vi dico di fidarvi! Uno dei Chasind che era alla fortezza mi ha spiegato che quando trovi dei sassi come questi, sei vicino ad uno dei loro villaggi!» Insistette quello.

Fu Carver a rompere gli indugi. «Peggio di così non può andare, no?» Disse, allargando le braccia prima di chinarsi a sollevare di nuovo l'uomo ferito. «Facci strada, sapientone.»

Non restò altro da fare che seguire un sentiero che pareva assolutamente immaginario. Si inoltrarono nel folto delle Selve, proseguendo fino a notte fonda.

I morsi della fame erano lancinanti, la fatica li faceva barcollare e le ferite riportate prudevano e bruciavano sotto l'armatura che sfregava fastidiosamente sulla pelle.

Infine, distrutta, si appoggiò ad un albero, la corteccia bagnata che puzzava di marcio. «L'avevo detto che non c'era nulla da-»

Una freccia sibilò a pochi centimetri dal suo orecchio.

«Fermi dove siete, Fereldiani.»

Dall'oscurità, emersero una mezza dozzina di figure. Le spalle larghe erano coperte da armature leggere e pellicce, i volti dipinti con intricati disegni che li squadravano minacciosi.

«Per il Creatore... i Chasind!» Balbettò uno dei soldati.

«Avete seguito il sentiero sbagliato, intrusi.» Li apostrofò nuovamente il guerriero che aveva parlato prima, l'arco teso puntato contro Carver. «Ora, morite.»

«Fermo, Talitt.» Si intromise uno dei Chasind, sollevando un braccio. «Stanno trascinando un ferito. Devono venire da Ostagar.»

L'uomo chiamato Talitt sputò per terra. «Pure peggio, ne attireranno altri! E guardala, Vardr, la spada fiammeggiante. È una templare!»

Marian serrò la mascella, sentendosi chiamata in causa. «Non vogliamo guai. È dalla battaglia che non chiudiamo occhio, e quest'uomo è ferito-»

«Solo scuse!» Ringhiò Talitt. «I maledetti Fereldiani e le loro bugie! Uccidiamoli subito, Vardr, prima che la templare chiami tutti i suoi compagni.»

Vide Carver spostarsi impercettibilmente, pronto a lasciare andare il ferito e caricare il Chasind più vicino. Intercettò il suo sguardo, scuotendo il capo, pregando per una soluzione pacifica. «Vi prego, non abbiamo cattive intenzioni. So che avete tutti i buoni motivi per non fidarvi del mio Ordine, ma-»

«Certo che li abbiamo!» La interruppe furente il Chasind. «Il tuo Creatore non ti servirà ad un bel nulla, quando avremo finito con voi-»

«Ora basta, Talitt.» Lo redarguì Vardr, toccandogli il braccio. «Spetta al Capovillaggio decidere di loro, ma non rifiuteremo aiuto a chi ne ha bisogno. Non con un Flagello alle porte.» Si rivolse poi a loro, mentre il compagno abbassava l'arma controvoglia. «Seguitemi. Alun, Cadoc, trasportate il ferito.» Fece cenno ai due alla sua destra, che avanzarono e sollevarono Marian e Carver dal loro fardello. Erano entrambi muscolosi quanto Carver, e alti addirittura più di lui. Marian arrivava loro appena sotto le spalle.

Seguirono i Chasind per qualche centinaio di metri, finchè non iniziarono ad intravedere delle luci. Sulla sponda della palude, si innalzava un villaggio di case di legno costruite su alte palafitte, le lanterne pallide che si riflettevano sull'acqua stagnante.

Vardr fece loro strada verso un edificio più grande degli altri, circolare, l'ingresso segnalato da due grandi stendardi di stoffa rossa e marrone. Una volta entrati, li accolse un odore di cenere, spezie e fumo che proveniva da un grande focolare al centro della stanza. Le pareti erano coperte di pelli e stoffe per proteggere dal freddo e il mobilio era composto soprattutto da lunghe panche di legno e tavoli spartani, mentre su una piattaforma rialzata di due gradini era posto un trono di legno scuro e quelle che erano inconfondibilmente ossa.

Marian deglutì a vuoto, scambiandosi un'occhiata col fratello.

La figura seduta sullo scranno indossava un cappuccio di pelle d'orso, la grande testa ancora attaccata al resto che copriva il capo dell'uomo, le zanne poco sopra gli occhi scuri puntati sui visitatori. Alzò una mano, facendo tintinnare una fila di bracciali che salivano per tutto l'avambraccio. «Benvenuti.»

Marian chinò il capo in segno di rispetto, sperando che gli altri seguissero il suo esempio.

«I miei esploratori hanno parlato di una grande battaglia contro la Prole Oscura.» Proseguì l'uomo, alzandosi per osservarli meglio, lo sguardo che si posava su ognuno di loro. Non le sfuggì il bastone che aveva preso in mano, fatto di rami intrecciati che culminavano intorno ad un teschio di caprone, le grandi corna ricurve decorate con motivi intricati. Piume e perle d'osso pendevano da esse, tintinnando tra loro anche senza che lo muovesse. Chiaramente, un bastone magico. «Battaglia che, purtroppo, avete perso.»

La ragazza strinse i denti. Non avevano bisogno che glielo ricordasse.

Sentiva i suoi occhi puntati su di sé. «Non c'è amicizia tra il mio popolo e il tuo ordine, Templare, ma di fronte ad una minaccia più grande quale il Flagello, sono disposto a mettere tutto da parte, almeno per qualche tempo. Abbastanza da rimettervi in forze e ripartire, non un giorno di più. La Prole Oscura vaga incontrastata per le Selve e non c'è bisogno di ucciderci tra noi per rischiare la morte.»

Rilassò le spalle, sollevata. «Vi ringrazio molto...»

«Potete chiamarmi Capo Derwen. Nessuno oserà torcervi un capello finchè sarete nostri ospiti.» Si avvicinò all'uomo ferito, che i due Chasind che li avevano accompagnati lì avevano appoggiato a terra. «È stato fortunato, che siate arrivati fin qui in tempo. E ancora di più di non aver contratto la Corruzione. Ci sono buone possibilità che sopravviva.»



 

Trascorsero dai Chasind una settimana. All'alba dell'ottavo giorno, Marian, Carver e gli altri tre tornarono ad indossare le armature, ora più pulite e confortevoli, e si prepararono a partire.

«Siamo davvero sicuri di lasciare Lord Cousland a questi... insomma, a loro?» Sussurrò Carver, una dozzina di occhi inquisitori puntati su di loro mentre sfilavano per andarsene dal villaggio.

Marian sospirò. «Hai visto anche tu che non è assolutamente in condizioni di muoversi...»

«Sarà, ma è pur sempre il figlio di un Teyrn. Se la sua famiglia sapesse che lo abbiamo lasciato qui, potrebbero volere le nostre teste.»

«Se fossi in loro, ringrazierei che mio figlio sia qui al sicuro invece che a riaffrontare queste maledette Selve.» Commentò l'arciere, nervoso, l'arco già teso davanti a sé.

La ragazza scosse la testa. «Non cominciare. Sono almeno altri sei giorni per uscire da qui, sempre che sappiamo seguire le tracce.» Sfiorò la spalla del fratello, cercando di rassicurarlo. «Fergus Cousland se la caverà, vedrai. Avviseremo al Castello di Redcliffe di mandare un messo ad Altura Perenne, quando saremo arrivati.»

Carver annuì, la grande spada appoggiata sulla spalla.

Fortunatamente, avevano più o meno capito come seguire le tracce lasciate dai Chasind sui sentieri tra le paludi, e riuscirono ad uscire dalle Selve Korkari nel tempo previsto, evitando la maggior parte dei Prole Oscura. Sembrava che l'Orda si fosse spostata, e tutti avevano paura di dire quello che pensavano, per terrore che si realizzasse: il villaggio più vicino era proprio Lothering.

Si accamparono tra le rovine di una vecchia fattoria, non osando accendere il fuoco e mangiando la carne secca che i Chasind gli avevano regalato.

Nessuno riuscì a dormire, quella notte, mentre il silenzio innaturale delle Selve gravava pesante come una coperta di piombo, il freddo pungente che gli entrava nelle ossa. Aveva ricominciato a nevicare.

Marian si strinse nel giaciglio, la mente proiettata verso casa. Pregò che sua madre, Bethany e Garrett fossero abbastanza svegli da andarsene prima che l'Orda raggiungesse il villaggio.

Era quasi l'alba quando un rumore di rami spezzati la risvegliò dal torpore.

Si alzò di scatto, incrociando lo sguardo del soldato che era rimasto di guardia e che ora aveva sguainato la spada, puntandola verso un punto nella boscaglia.

«Marian, chi...?»

Fece segno al fratello di tacere, mentre due figure sbucavano dagli alberi, le braccia alte sopra la testa. «Siamo umani!»

Marian assottigliò lo sguardo, puntandolo sull'uomo che avanzava circospetto, una grande spada fiammeggiante dei Templari impressa sul pettorale dell'armatura. Lo riconobbe dopo qualche istante. «Ser Wesley!»

L'altro sembrava sorpreso quanto lei. «Hawke! Pensavo fossi... le altre reclute?»

Lei scosse la testa. «Non lo so. Era tutto confuso.» Evitò di dire come era fuggita dalla battaglia.

Anche il Templare sembrava nascondere qualcosa, o meglio, qualcuno. Si voltò verso la donna che lo seguiva, che indossava solamente un gilet di cuoio rigido e dei gambali con le insegne dell'esercito di Denerim.

«Lei è Aveline, mia moglie.» La presentò Ser Wesley.

La nuova arrivata era più alta di Marian di tutta la testa e sfoggiava dei capelli arancione carota, legati in una coda alta scompigliata. L'espressione sotto le numerose lentiggini era dura e provata dalla fatica, ma combattiva. «Mi fa piacere incontrare altri sopravvissuti.»

«Io sono Marian Hawke, e lui è mio fratello Carver.» Si presentò lei a sua volta. «Eravamo nell'avanguardia.»

«Anche io.» Rispose Aveline, sospirando. «Un vero miracolo essere usciti da quell'inferno...»

Annuì. «Siete in grado di viaggiare?»

I due risposero affermativamente. Il tempo di legare i giacigli sulle spalle ed erano di nuovo in viaggio, un pallido sole che sbucava dalle nuvole grige, la neve dei giorni prima che andava sciogliendosi.



 

 



 

Garrett si grattò la barba, osservando l'elfa minuta e il grosso Qunari di fronte a lui. Non sapeva se avesse effettivamente fatto bene a tirare fuori quell'assassino dalla gabbia in cui l'aveva rinchiuso la Venerata Madre, ma la sola idea di quanto la vecchiaccia avrebbe sbraitato alla notizia gli aveva fatto prudere le mani.

In fondo, quel Qunari gli aveva soltanto fatto un piacere. E qualsiasi cosa rischiasse di far partire un embolo alla Venerata Bigotta, era più che benvenuto.

«Beh, sembra che abbia compiuto la mia buona azione della giornata... ora me ne vado.» Scoccò un sorrisetto in direzione della Custode, che lo squadrava con un cipiglio sospettoso. «Buona fortuna nel salvare il mondo!»

«Lothering sarà presto invasa.» Lo avvertì lei. «Faresti meglio ad andartene, finchè sei in tempo.»

Le rivolse un cenno noncurante, cercando di apparire più sprezzante del pericolo di quanto in realtà fosse. «Tranquilla, me la caverò. Non è così semplice ammazzare noi Hawke.» Ammiccò nella sua direzione, stampandosi in faccia un sorriso smagliante prima di darle le spalle e allontanarsi verso casa, lasciando lì la Custode Grigia e il suo nuovo compagno Qunari.

Per un attimo, sperò che quello non impazzisse di nuovo, finendo per ammazzare anche quella che poteva benissimo essere l'ultima dei Custodi. In effetti sembrava piccolina ma, se era scampata ad Ostagar, doveva essere più forte di quanto apparisse...

Si passò una mano tra i capelli corti, spettinandoli ulteriormente.

Ostagar... Ancora non avevano ricevuto notizie di Marian e Carver. Erano passate due settimane. I sopravvissuti erano arrivati in massa a Lothering, scappando dall'Orda che si avvicinava sempre di più al villaggio, riempendo fin quasi al collasso ogni struttura che era stata fornita per prestare aiuto e soccorso ai feriti e agli sfollati. La Chiesa era ormai piena, così come ogni locanda, stalla, fienile, magazzino e casa. Mentre camminava tra le tende e i giacigli di fortuna organizzati intorno al limitare del villaggio, gettò l'ennesimo sguardo verso il ponte di pietra, principale accesso per chi proveniva dalle Selve. Dicevano che dei briganti avevano da giorni bloccato la strada, chiedendo pedaggi ai disperati e minacciando la sicurezza pubblica. In molti erano andati a lamentarsi con i Templari e i pochi soldati ancora in grado di combattere, ma la sicurezza in città era troppo precaria per allontanarsi. Marian e Carver se li sarebbero mangiati in insalata, quei briganti, una volta arrivati. “Se arriveranno in tempo.” Pensò tetro mentre varcava la soglia di casa.

«Notizie?» Lo accolse la madre, il volto segnato da rughe di preoccupazione. La mabari di famiglia, dal colore marrone scuro e una mascherina più chiara sul muso, scodinzolò contenta.

«Ciao Bu.» La salutò, grattandogli un orecchio.

Scosse la testa. «Ancora niente.» Cercò Bethany con lo sguardo, non trovandola.

«Se stai cercando tua sorella, è ancora chiusa in camera sua.»

«Con tutto quello che sta succedendo, uno penserebbe che abbia di meglio da fare che piangere su un mucchio di bigotti superstiziosi...» Borbottò Garrett, prendendo una ciotola dalla credenza e avvicinandosi al pentolone sul fuoco, dove una zuppa di carne e patate sobbolliva piano, il profumo che gli faceva venire l'acquolina in bocca.

«Garrett!» Lo redarguì Leandra, incrociando le braccia, il mestolo tenuto a mò di arma. «Non dire così. Sai che lei e Rosie erano grandi amiche.»

“Così tanto che il padre la stava usando per spiare Bethany...” pensò, versando un'abbondante porzione per sé e per la madre e prendendo un fiasco di vino. Ma non c'era bisogno di rovinare i bei ricordi della sorella, e ormai erano entrambi fuori pericolo. Leandra lo aiutò a finire di apparecchiare, lanciando un'altra occhiata in direzione della porta chiusa alla loro destra.

«Lascia stare, quando avrà fame uscirà.» Scrollò le spalle il ragazzo, iniziando a mangiare.

«Miriam è di nuovo a corto di erbe medicinali.» Ruppe il silenzio la madre dopo un po', prendendo un sorso di vino. «Le ho detto che magari saresti andato a raccogliere della radice elfica...»

Garrett dovette trattenersi dallo sputare la zuppa. «Sei impazzita?! L'unica radice rimasta nei dintorni sarà probabilmente nel terreno di quel vecchio pazzo di Barlin. Ed è pieno zeppo di trappole, Allison l'ha visto, ne avrà piazzate una trentina. Se non verremo distrutti dalla Prole Oscura, sarà proprio lui ad avvelenarci tutti con qualche fumo esplosivo...»

«Garrett!»

Si morse la lingua, zittendosi e impedendosi di ribattere. «Madre, non è un segreto che l'Orda si stia dirigendo qui. Mi sorprende che non siano già arrivati, in effetti.»

«Non è detto! Il Creatore ci protegga, potrebbero non arrivare mai, potrebbero venire fermati da-»

«Il Re e i Custodi sono morti, madre.» Tagliò corto lui, evitando di raccontarle come non tutti i Custodi fossero periti ad Ostagar. «Hai sentito i racconti di quelli che hanno combattuto. Non c'è speranza di salvare questo posto.»

Leandra sbattè il cucchiaio sul tavolo, rovesciando un po' di vino sulla tovaglia a quadri. «Garrett Hawke, se ti sentisse tuo padre-»

«Nemmeno a lui piaceva questo stupido villaggio, ci scommetto. E comunque, guarda quanto bene gli ha fatto cercare di proteggerlo.»

«Ora basta!» Sibilò la madre, lanciando uno sguardo allarmato alla porta chiusa. «Chiudiamo qui il discorso, Bethany non-»

Abbassò la voce ad un sussurro. «Prima o poi dovrai raccontare ai gemelli cosa è davvero successo, madre. Sono abbastanza grandi da avere diritto alla verità.»

«Vostro padre è morto in un tragico incidente, Garrett. E questo è quanto.» Sibilò lei in tono che non ammetteva repliche, tornando a concentrarsi sulla zuppa.

Non gli restò altro da fare che lasciar cadere l'argomento.

Finirono di mangiare in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Fuori, qualcuno urlava sciocchezze sulla fine del mondo, probabilmente uno dei tanti impazziti dalla paura.



 

«Il Qunari è scappato!»

«Ma no, hanno aperto la gabbia...»

«Traditori!»

«Quel Chasind aveva un'aria sospetta!»

Garrett sogghignò sotto i baffi, godendosi la vista di tutta la folla radunata attorno alla gabbia aperta. La Venerata Madre, una rabbiosa statua di rughe, aveva ciuffi di capelli bianchi che spuntavano dallo chignon solitamente perfetto.

«Troveremo chiunque abbia osato sfidare l'autorità della Chiesa, e sarà punito come merita!» Gracchiò adirata, sollevando platealmente le braccia davanti alla folla come in attesa che il colpevole venisse punito dall'alto in quello stesso momento.

Come era ovvio, non accadde un bel nulla.

Passarono alcuni attimi di silenzio, in cui ognuno si guardava attorno, sospettoso. Quelli maggiormente sotto accusa erano ovviamente i rifugiati, anche se non avrebbero avuto alcun buon motivo per fare una cosa del genere.

Poi, come a rispondere alla chiamata della Venerata Madre, un grido di assoluto terrore si propagò nell'aria, seguito da decine di altri.

Garrett sentì un brivido gelido lungo la schiena.

Da dietro una casa al limitare del villaggio, sbucò un uomo ricoperto di sangue. Barcollava, urlando, gli occhi spalancati di terrore.

Ma a far rizzare i capelli in testa a tutti i presenti, furono le creature che lo inseguivano.

Alte come un uomo, deformi, punte metalliche che uscivano dalle rozze armature che avevano addosso, si muovevano troppo veloci perché la loro preda potesse raggiungere la sicurezza.

Il rumore di ossa e carni strappate li raggiunse fin lì, nonostante la distanza e i ruggiti dei mostri.

Il tempo sembrò fermarsi. Di un centinaio di persone che si erano radunate, nessuna fiatò, sconvolti dalla realizzazione di ciò che stava per arrivare.

Poi, di colpo, si misero ad urlare all'unisono, scappando nella direzione opposta, inciampando gli uni sugli altri nel tentativo di essere più veloci del vicino, ignorando quelli che cadevano a terra, perdendosi tra parenti e amici, ognuno troppo terrorizzato per pensare ad altri che a sé stesso.

I tre Templari che erano accanto alla Venerata Madre sollevarono gli scudi, facendole da protezione, mentre altre quattro guardie si misero a protezione della folla, fronteggiando i Prole Oscura.

Le creature non attaccarono subito. Si avvicinarono lentamente, uscendo da dietro le case e dalla collina poco oltre, finchè non si schierarono in file disordinate ad una trentina di metri da loro.

Poi, come un solo essere, scattarono in avanti.

Garrett sembrò risvegliarsi di colpo.

Si ritrovò a correre verso casa, tra le mani nient'altro che un inutile pugnale. Un mostro grasso e tozzo gli si parò davanti, tagliandogli la strada, le zanne scoperte in un ringhio.

“Alla malora i Templari!” Pensò, sollevando una mano e raccogliendo il mana, sentendolo fluire ed evocando un dardo incantato, spedendo il mostro a parecchi metri di distanza. Senza rallentare il passo, svoltò l'angolo, trovando altri due Prole Oscura, più alti del primo, che stavano facendo a pezzi un elfo urlante. Quella che doveva essere la moglie era già a terra in una pozza di sangue.

Ignorando lo stomaco che si rivoltava, allargò le braccia, scagliandoli indietro con un incantesimo e superandoli, non poteva fare niente ormai, la sua priorità erano Bethany e la madre.

Un'esplosione annunciò che la sorella era al sicuro.

Arrivò giusto in tempo per vedersi crollare davanti tre Prole Oscura, arsi vivi dalle fiamme magiche evocate dalla maga. Bu gli si fece incontro, le orecchie basse.

«Ce ne hai messo di tempo, Garrett!» Lo salutò Bethany, il bastone magico stretto tra le mani, pronta ad attaccare di nuovo.

Inarcò un sopracciglio, sorridendo a sua volta, lieto di vedere spuntare la madre da dietro la porta di casa. «Ci voleva un Flagello per farci divertire un po', eh...» Corse all'interno, afferrando due sacche preparate giorni prima con tutto il necessario per la fuga e fissandosele sulle spalle. «Andiamo madre, non possiamo più aspettare.»

Leandra sembrava esitare ancora. «Magari non-»

«Madre, sono già ovunque, non abbiamo più tempo!» Le urlò Bethany, evocando un'altra palla di fuoco, l'esplosione che rimbombava per tutto il vicinato.

“Tanto,” pensò Garrett mentre stringeva il bastone magico che era stato del padre, così simile ad un arco da passare completamente inosservato ad un controllo poco attento “i Templari hanno problemi più grossi di noi maghi eretici, in questo momento.”

Mentre uscivano dal villaggio, si trovarono a dover vendere cara la pelle.

Non avevano mai combattuto così a lungo, e ben presto rimasero a corto di energie. Le sfere infuocate di Bethany si facevano sempre più piccole e meno potenti, mentre Garrett si ritrovò molto spesso a dover utilizzare frecce normali per risparmiare mana. Fortunatamente, aveva una mira eccellente.

Riuscirono ad allontanarsi scappando sulle colline, evitando per un soffio il grosso dell'Orda.

Quando ritennero di essere relativamente al sicuro, si fermarono un attimo a guardare la vallata sotto di loro.

Del fumo nero e denso si alzava da Lothering, le urla che risuonavano fin lassù.

«Abbiamo perso tutto.» Singhiozzò Leandra, appoggiata alla parete di roccia, il volto rigato dalle lacrime. «Carver e Marian...»

«Se sono sopravvissuti ad Ostagar, saranno abbastanza furbi da non venire da questa parte.» Sentenziò Garrett, tirandola per un braccio. «Forza, dobbiamo andare.»



 

Il sentiero tra le colline brulicava di Prole Oscura.

Bethany era ormai allo stremo delle forze e Garrett stava finendo le frecce.

Svoltarono attorno ad una roccia, circospetti, sentendo il rumore di uno scontro più avanti.

«Potrebbero non essere umani.» Sussurrò Bethany, il bastone puntato davanti a sé e l'aria determinata. «Teniamoci pronti a-»

Garrett stentava a credere ai propri occhi.

«Carver!»

Non riuscirono a trattenere la madre, che alzò la voce chiamando di nuovo il figlio.

Vide il fratello voltarsi un attimo, l'espressione provata che mutava in sollievo prima di roteare quella spada spropositatamente grande e staccare un braccio al suo assalitore, salutandoli poi con cenno del braccio libero. Due templari, poco più avanti, fronteggiavano un Prole Oscura con un grande elmo ornato di corna ricurve, le spade fiammeggianti ancora visibili sulle armature e gli scudi ammaccati. Quando uno di essi si voltò verso di loro, Garrett riconobbe immediatamente la sorella maggiore. Incoccò l'arco, infondendo una scarica elettrica nella freccia che andò a piantarsi nel cranio di un secondo Prole Oscura che stava per coglierla alle spalle. Quello venne sparato all'indietro, accasciandosi a terra con uno squarcio fumante al posto della faccia.

Bethany riuscì a indirizzare un'esplosione contro un piccolo gruppo di mostri alla loro sinistra, facendoli volare giù dal dirupo. In breve, tutti i Prole Oscura erano a terra.

«State lontani!» Urlò loro il secondo Templare, accasciandosi però con un gemito sul proprio scudo, usandolo come stampella. «Eretici...»

«Wesley, non agitarti, peggiorerai-» Cercò di calmarlo una donna alta dai capelli rossi, che si chinò preoccupata su di lui, sorreggendolo. Li squadrò con aria minacciosa, la spada puntata verso di loro.

«Ser Wesley, Aveline, sono i nostri fratelli!» Rivelò Marian, parandosi davanti a loro. «Non corriamo alcun pericolo, ve lo giuro.»

Bu corse verso la ragazza, abbaiando contenta e issandosi sulle zampe posteriori nel tentativo di leccarle la faccia.

«Sì, Bu, anche tu mi sei mancata...» La coccolò per un attimo Marian, con un sorriso.

«Tu... hai due fratelli eretici?» Balbettò il Templare, serrando la mascella.

«Proprio così...» Prese parola Garrett, avvicinandosi e gonfiando il petto. «E sembra che vi abbiamo pure salvato il didietro, Ser.»

L'altro sembrava essere ferito gravemente, perché gemette di nuovo, barcollando all'indietro.

«Non...»

«Wesley!» Lo redarguì di nuovo la donna, abbassando finalmente la spada. «Abbiamo bisogno di tutto l'aiuto necessario, per ora. Ci fidiamo del vostro giudizio, Marian.»

Bethany corse ad abbracciare Carver, stringendo il gemello finchè lui non si sentì troppo a disagio. «Credevamo... eravamo così preoccupati!»

Il ragazzo tossicchiò, imbarazzato, guardando la madre. «Siamo vivi per miracolo. La battaglia...»

«Lo sappiamo.» Tagliò corto Garrett, mentre Leandra andava ad abbracciare il figlio minore e Bethany salutava la sorella. «Ora, se il Templare riuscisse a mettere da parte gli insegnamenti del Creatore per un attimo e riuscissimo a collaborare...»

«Il Creatore ha del senso dell'umorismo, comunque.» Commentò Bethany, squadrando sospettosa il Templare ferito.

«Collaboreremo, per ora. Ci hanno salvato la vita, Wesley, il Creatore capirà.» Disse la donna dai capelli rossi. «Sono Aveline Vallen, e questo è mio marito.»

«Che carini, proprio una bella compagnia ci avete portato.» Li prese in giro Garrett, rivolto alla sorella. «Speriamo solo che i tuoi nuovi amici non decidano di ammazzarci una volta scampati all'Orda.»

Fu il Templare a rispondergli. «Mia moglie ha ragione. Finchè ci sarà un pericolo più grande, abbiamo un accordo.»

«Non vi permetterò di torcere loro un capello, Ser Wesley, anche se siete un mio superiore.» Lo minacciò Marian, prendendo le difese dei fratelli. «E non siete certo nelle condizioni di attaccare nessuno, figuriamoci due maghi contemporaneamente.»

Scese un silenzio teso, che fu Leandra a spezzare. Tossicchiò debolmente, indicando la strada davanti a loro. «Se abbiamo chiarito... dovremmo andare.»

Proseguirono.

Il Templare era ormai allo stremo delle forze, risultando completamente inutile in tutti gli scontri a seguire. Carver era ferito ad un fianco, mente Marian zoppicava leggermente ed Aveline doveva sorreggere il marito. I due maghi erano sempre più a corto di mana e Leandra accusava la stanchezza e l'età.

Quando il gigantesco Ogre si parò davanti a loro, Garrett trattenne il fiato.

Era alto quanto casa loro, due enormi corna affilatissime e zanne lunghe quanto il suo avambraccio, gli occhietti puntati su di loro mentre li caricava a testa bassa.

Fu un attimo.

Carver venne spazzato via da un colpo laterale, picchiando la testa contro il terreno.

Garrett cercò di fermare l'avanzata del mostro con una serie di saette magiche, ma non ottenne altro che rallentarlo un poco.

Marian, che era troppo lontana, non potè fare altro che urlare.

Quando l'Ogre era a mezzo metro da lui, Garrett chiuse gli occhi. “È finita.” Pensò, il cuore che sprofondava, aspettando di essere schiacciato dalla sua carica.

Un urlo gli fece riaprire gli occhi, sgranandoli dall'orrore.

Il mostro teneva Bethany tra gli artigli, scuotendola mentre lei si dimenava inutilmente. Garrett alzò il braccio che reggeva il bastone magico, incanalando quanto più mana gli era rimasto, le urla ovattate della madre e dei fratelli che rimbombavano nelle orecchie.

Prima che potesse scagliare l'incantesimo, il gigante sbattè Bethany contro il terreno.

Una fontana di sangue gli schizzò addosso, paralizzandolo sul posto.

Più e più volte il corpo ormai massacrato della sorella si schiantò sulle rocce, finchè l'Ogre non lo lanciò via, le fauci spalancate che grondavano bava chine su di lui.

Non riusciva a muoversi. Le gambe non volevano saperne di fare un passo, non si sentiva più le braccia, realizzò che il bastone magico gli era scivolato di mano.

Come in un incubo, sentiva il sangue della sorella sul volto, sui capelli, sui vestiti. Non riuscì a fare altro che guardare inerme l'Ogre sollevare nuovamente il braccio.

Qualcuno lo spinse di lato, buttandolo a terra.

Vide Carver e Marian scagliarsi sul gigante, aiutati da Aveline, persino il Templare cercava di fare la sua parte. Cercò con lo sguardo la madre, trovandola china sulla sorella minore, Bu al suo fianco.

L'Ogre caracollò al suolo, per poi essere ferito mortalmente al cuore da Marian, che affondò più e più volte la spada nel petto della creatura, urlando di rabbia.

Garrett rotolò su un fianco, cercando di rialzarsi.

Leandra era ancora accanto a Bethany, scuotendola, implorandole di svegliarsi, ignorando come non avesse quasi più un aspetto umano, le ossa frantumate, ormai irriconoscibile.

Marian e Carver corsero accanto alla madre.

La figlia maggiore le appoggiò una mano sulla spalla.

«Bethany...» Singhiozzò la madre, sollevando lo sguardo. «La mia piccola...»

Marian scosse la testa, stringendo la presa. Serrò gli occhi per un attimo. Carver era caduto in ginocchio, sbattendo un pugno sul terreno. Garrett si rialzò barcollando, passandosi una mano sul viso e trovandola zuppa di sangue. Sentì lo stomaco rivoltarsi, costringendolo a chinarsi e rimettere l'intero contenuto per terra. Quando rialzò lo sguardo, gli occhi di tutti erano puntati su di lui.

«Tu! Come hai potuto lasciare che-!» Lo accusò la madre, alzandosi in piedi e puntandogli contro l'indice, lo sguardo carico di rancore. «Dovevi proteggerla, è colpa tua!»

Non seppe come rispondere. Rimase lì, imbambolato, coperto del sangue della sorella, inutile come lo era stato poco prima mentre tutti e tre lo fissavano immobili.

Il primo a rompere il silenzio fu Carver.

«Se restiamo qui a piangere, i Prole Oscura avranno anche noi.» Disse asciutto, tirando su col naso e dando loro le spalle. Strinse tra le mani la sua grande spada, puntandola in direzione di altri mostri che si stavano arrampicando su per la collina. «Questi bastardi...»

Marian sembrò per un attimo voler dire qualcosa, ma distolse lo sguardo dal fratello, costringendo la madre a tirarsi in piedi. «Carver ha ragione. Facciamo in modo che Bethany non sia morta invano.»

«Cenere eravamo, e cenere torneremo.» Recitò il Templare, la voce rotta. «Creatore, accoglila al tuo fianco. Concedici conforto nella consapevolezza che ha trovato pace nell'eternità.»

Altri Prole Oscura erano arrivati fino a loro. Ben presto, furono circondati.

«Stai indietro o almeno evita di esserci d'intralcio.» Gli ringhiò contro Marian quando Garrett si affiancò a lei, l'arco sollevato.

Prima che potessero attaccare, però, una pioggia di fuoco calò sui Prole Oscura, arrostendoli e facendoli fuggire in preda al panico.

Un ruggito si propagò per tutte le colline, mentre un gigantesco drago planava sopra di loro, le ali membranose spiegate. Una volta toccato terra, però, venne avvolto da una luce accecante.

Quando riuscirono a riaprire gli occhi, davanti a loro c'era una donna, i capelli candidi come la neve raccolti a ricordare le corna del drago scomparso e le rughe sul volto che lasciavano intravedere più anni di quanti ne dimostrassero gli abiti di pelle borchiata e l'armatura leggera.

«Bene bene... cosa abbiamo qui?» Domandò, un sorriso che le inarcava l'angolo della bocca.

Fu Marian la prima a parlare. «Grazie per averci salvato.» Replicò, tuttavia la spada puntata davanti a sé diceva tutt'altro. Si parò davanti alla madre, proteggendola.

«Rilassati, ragazza, il tanfo di Prole Oscura non stuzzica l'appetito...» La prese in giro la donna. «Se volete scappare, sappiate che state andando dalla parte sbagliata.»

«E quale sarebbe la direzione giusta?» Ribattè Marian, senza abbassare la spada.

La donna scoppiò a ridere. «Mi chiedevo chi fosse riuscito ad abbattere quel gigantesco Ogre... non potevi che essere tu. Mi piaci, ragazza, hai un carattere forte.»

Garrett sentì lo sguardo della strega-drago puntato su di sé. Deglutì a vuoto, stringendo il bastone magico nella mano.

«E tu, ragazzo, sei parecchio silenzioso per essere un mago... Ditemi, come intendete scappare dallo stesso fato che ha colpito la tua sfortunata sorella?»

«Kirkwall.» Balbettò senza pensarci un attimo. Era quello il piano.

La strega sogghignò. «Interessante. È un bel viaggio, fin là...» I suoi occhi gialli si spostarono di nuovo su Marian, mentre li squadrava pensierosa. «È il destino, o la casualità? Non riesco mai a distinguerli...» Scosse la testa, come a scacciare un pensiero fastidioso. «Sembra che la fortuna oggi sia dalla vostra parte come dalla mia. Potremmo farci un favore a vicenda.»

«Qual è il prezzo?» Chiese subito Marian, sospettosa. «Siete una Strega delle Selve, vero?»

Sentì Carver e Leandra trasalire.

«Alcuni mi chiamano così, per altri sono “Flemeth”, “Asha'bellanar” o “una vecchia che parla troppo”.» Ridacchiò da sola. «Che importa, farò in modo che riusciate a superare la Prole Oscura e raggiungere la costa, in cambio di una consegna in un luogo vicino alla città di Kirkwall.»

«Accettiamo.» Rispose Garrett, precedendo la sorella.

Marian gli lanciò uno sguardo di fuoco. Lui sostenne la sfida. Non avevano molte altre scelte.

«E sia.» Capitolò la sorella. «Dicci cosa dobbiamo fare.»

La strega consegnò loro un medaglione, da portare ad un Clan di elfi Dalish che avrebbero soggiornato sui monti vicini a Kirkwall. Garrett lo prese in custodia, incuriosito. Avvertiva una forte energia magica, ma non sembravano esserci modi di aprirlo. Si ripromise di studiarlo meglio.

«Prima di portarvi da qualsiasi altra parte, però, c'è un'ultima faccenda da sistemare...» Disse Flemeth, avvicinandosi al Templare ferito, che era caduto a terra e non riusciva più a rialzarsi.

Quello sussultò mentre la moglie gli si parava davanti. «Stagli lontano.»

«La Corruzione si è già fatta strada nel suo corpo, non c'è modo di salvarlo.» Replicò la strega.

Sorprendendo tutti, fu proprio Ser Wesley a darle ragione. «La posso sentire dentro di me, Aveline.»

«Deve esserci qualcosa che possiamo fare...» Si intromise Marian, abbassando finalmente l'arma.

Flemeth scosse la testa. «L'unico modo che esiste, è diventare un Custode Grigio.»

«... e sono morti tutti ad Ostagar.» Concluse amaramente Aveline, abbassando il capo.

«Non tutti, ma gli ultimi rimasti sono fuori dalla vostra portata.» Commentò la strega, scoccando un'occhiata a Garrett, che rabbrividì. Come faceva a saperlo? «Non gli resta molto da vivere.»

Aveline si chinò sul marito. Si scambiarono qualche parola sommessa, poi lui annuì. Lei estrasse un coltello dalla cintura, mentre gli slacciava il pettorale dell'armatura. Esitò un attimo, prima di affondare l'elsa all'altezza del cuore. Ser Wesley sussultò, gli occhi vitrei che si spegnevano.

Marian si avvicinò lentamente alla donna, posandole una mano sulla spalla. «Mi dispiace.»

Aveline annuì. «Non c'era altro modo.» Chiuse gli occhi dell'uomo a terra, per poi alzarsi di scatto, sollevando lo scudo di lui e sostituendolo con il proprio. «Andiamo.»

«Senza una fine, non può esserci alcuna pace.» Commentò Flemeth. «Non sarà facile, e i vostri sforzi sono appena iniziati.» Si trasformò nuovamente in un drago, volgendo il grosso capo irto di corna verso di loro. Sembrava continuasse a sogghignare.

Mentre il terreno si allontanava sotto i loro piedi e il battito ritmico delle ali del drago li accompagnava fino a Gwaren, Garrett si voltò un'altra volta verso Lothering.

La colonna di fumo che si alzava fino alle nuvole era l'unica testimonianza di ciò che era accaduto.

Marian, accanto a lui, teneva lo sguardo puntato avanti a loro, sul volto un'espressione ostinata.
















Note dell'Autrice: ebbene sì, sono tornata! Non potevo non raccontare la mia versione degli eventi di Kirkwall. Marian e Garrett ne vedranno delle belle, spero che mi seguirete anche in questa avventura. Ogni commento è ben accetto, ovviamente. 
Al prossimo capitolo! :D 

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Capitolo 2
*** Gold, slavers and promises. ***


ATTO PRIMO



CAPITOLO 2

Gold, slavers and promises



 

Come da un anno a quella parte, aprì gli occhi sul soffitto polveroso della minuscola stanzetta sporca che divideva con il fratello e la madre. I ragni si erano dati da fare ultimamente e le ragnatele erano più maestose che mai.

Almeno una cosa in quel posto era fatta bene...

Si girò da un lato, la schiena indolenzita sul giaciglio che poggiava sul pavimento freddo. Quella notte era toccato a lui, la prossima avrebbe dormito sul materasso di paglia sfondato. “Che fortuna”, pensò, scostandosi le coperte di dosso e starnutendo per la polvere nel naso. Raggiunse il catino con l'acqua, quasi infilandoci dentro la testa nel tentativo di svegliarsi e farsi passare il mal di testa.

«Buongiorno, famiglia!» Annunciò spalancando la porta.

Come al solito, Carver grugnì una risposta assonnata, Leandra gli rivolse un sorriso stanco e Gamlen si limitò a bofonchiare qualcosa, il naso tra le pagine di qualche lettera.

«Altri debiti, zio?» Gli chiese beffardo, andando verso la cucina e prendendo un po' di pane e marmellata, dandone un pezzo anche a Bu, che sembrava l'unica davvero entusiasta di vederlo.

«Quali sono i piani di oggi, Garrett?» Gli chiese la madre, come tutti gli altri giorni.

Si strinse nelle spalle. «Cercare un qualche lavoro, farmi sputare in testa dai nobili e probabilmente finire sbronzo come una merda alla taverna.» Rispose infilandosi quasi metà del pane in bocca e masticando rumorosamente.

«Quando ti deciderai a mettere la testa a posto come tua sorella?» Lo rimproverò lei, incrociando le braccia. «Ieri sei tornato a notte fonda e puzzavi così tanto di alcol che credevo di ubriacarmi solo standoti vicino.»

«Beh, madre, ognuno ha le sue abitudini. Per esempio, tu è un anno che non fai altro che lamentarti, senza muovere un dito della tua nobile mano.» Ribattè piccato il mago, finendo il resto della colazione in due bocconi. «Non tutti possono essere dei cittadini esemplari come Marian.» Si voltò verso il fratello, che stava assistendo allo scambio con aria divertita. «Carver, vieni?»

«Sicuro!»

Si alzarono entrambi al volo, afferrando le rispettive armi e prendendo la porta.

Bu scodinzolò loro dietro, saltellando contenta.

«Credi che la smetterà di pressarci?» Gli chiese Carver quando furono abbastanza lontani.

Garrett si strinse nelle spalle. «Prima o poi se ne farà una ragione.» Stese le braccia, cercando di stiracchiarsi. «Merda, sto a pezzi.»

Il fratello si limitò a sogghignare. «Invidio seriamente Marian, nel suo comodo letto del dormitorio assieme alle altre reclute...»

«Le ho viste alcune reclute, non vorrei dormirci assieme nemmeno se non fossero templari.»

Scoppiarono a ridere, mentre salivano le scale che portavano al porto. Una coppia di elfi li guardò male, carichi com'erano di casse pesanti. Passarono davanti alla taverna dell'Impiccato, dove Garrett trascorreva la maggior parte delle sue serate.

«Sei per caso riuscito a lavorarti il nano?»

«Chi, Varric?» Chiese il maggiore, scuotendo il capo. «Suo fratello Bartrand è irremovibile... però abbiamo un piano, se riuscissimo a racimolare abbastanza soldi.»

«Se avessimo abbastanza soldi, non avremmo bisogno di un piano, ti pare?»

«Vero anche questo.»

Garrett sospirò, imboccando una vietta laterale che tagliava per il porto. Un bambino di circa sei anni corse loro incontro, tirandoli per una manica. Lo riconobbero subito.

«Hei, Jod. Che ci porti di bello oggi?»

Il bimbetto allungò a Garrett una lettera, chiusa con il sigillo di ceralacca. Lanciando al messaggero una moneta di rame cominciò a leggere, grattandosi la barba.

«Sembra che Athenril abbia qualcosa per noi... della merce rubata da riprendersi.»

«Chi è così scemo da rubare ad Athenril?» Chiese Carver, prendendogli di mano la lettera.

«Non è roba sua, infatti. Un contatto esterno.»

«Credi ne valga la pena?»

Garrett si strinse nelle spalle. «Andiamo a parlare con questo Anso e scopriamolo.»



 

Dopo qualche ora, erano di nuovo all'Impiccato.

La taverna era affollata come sempre, e per pranzo la cuoca aveva preparato una delle sue famigerate zuppe misteriose.

«Mh, ogni giorno ha un sapore diverso!»

Garrett scoppiò a ridere, mangiando di gusto e mandando giù tutto con della birra.

«Allora, questo nuovo lavoro?» Lo spronò il nano, incuriosito. «Non abbiamo molto tempo per racimolare i soldi che vi servono.»

Il mago sbuffò sonoramente. «Come se non lo sapessi...»

«Quello che ci ha assunti ha l'aria da incapace.» Rispose Carver per lui. «E la cosa mi puzza di trappola.»

Varric aggrottò le sopracciglia, fissandoli preoccupato. «Credete ci sia di mezzo la Coterie, o il Carta? Se è davvero lyrium quello che stanno trasportando...»

«Non ne abbiamo idea.» Lo fermò Garrett. «Ma ci pagherebbe bene, tre sovrane. Il che è meglio di qualunque cosa abbiamo incontrato finora. E per un lavoro di una serata.»

«Non lo so, Garrett, mi sembra strano.» Commentò il nano, accarezzando il manico della sua balestra. «Vengo con voi. Bianca potrebbe tornare utile, e a lei piace essere d'aiuto ai suoi amici.»

«Bianca è sempre la benvenuta!» Sogghignò il mago, brindando alla loro. «E anche tu, ovvio.»

«Eh, ci mancherebbe altro... piuttosto, ho buone notizie.» Varric abbassò il tono di voce fino a ridurlo ad un sussurro. «Per quelle mappe che ci servono, credo di avere una soluzione. Gira voce che ci sia un Custode Grigio in città.»

«Un-?» Per un attimo, Garrett ripensò all'elfa che aveva incontrato un anno prima a Lothering, prima che tutta la loro vita andasse allo sfacelo. Si diede dello stupido. L'Eroina del Ferelden era morta a Denerim ponendo fine al Flagello, non poteva essere lei. «Sei sicuro?»

L'altro bevve un altro sorso di birra. «Sono pettegolezzi, ma sì, abbastanza. Si dice che sia arrivato con un altro gruppo di rifugiati dal Ferelden qualche settimana fa. Lirene, una donna che gestisce gli aiuti ai nuovi arrivi in città bassa, potrebbe darci una mano. La conosco per sentito dire.»

«Un Custode Grigio... beh, questa sì che è fortuna!» Commentò Carver, sbattendo una mano sul tavolo. «Se trovassimo davvero un ingresso comodo per le Vie Profonde, possibilmente vicino ad uno dei Thaig... torneremmo in superficie ricchi sfondati in men che non si dica!»

Varric ridacchiò. «Frena l'entusiasmo, ragazzo, prima ci occorrono almeno altre cinquanta Sovrane.»

«Ci stiamo lavorando, fidati di noi.» Lo rassicurò Garrett, finendo la sua birra in lunghe sorsate.

Aspettarono la sera, perdendo tempo giocando a Grazia Malevola e bevendo qualcosa. Col favore delle tenebre, si avventurarono all'esterno, scendendo in città bassa fino al limitare del quartiere elfico, l'equivalente di un'Enclave. Il piccolo magazzino segnalato da Anso non era nemmeno sorvegliato. Garrett si scambiò uno sguardo carico di sospetto con gli altri due.

«Bianca, ci sarà del lavoro da fare...» Sussurrò Varric, acquattandosi contro la porta e scassinando rapidamente la serratura. Una volta aperta la porta, scivolarono silenziosamente all'interno.

La stanza era completamente vuota, le pareti spoglie e solo una torcia, spenta, sul muro. Il mago evocò una piccola fiammella, illuminando una porta di legno sulla parete opposta.

Fece segno agli altri di stare pronti, mentre con una sferzata dell'arco spalancava la porta, colpendo l'uomo immediatamente dietro con una potente scarica elettrica.

Il tafferuglio che seguì fu rapido e indolore, almeno per loro.

Carver, ripulendo la lama sporca di sangue sulla manica di uno degli uomini a terra, indicò l'unico forziere in vista. «Varric, è tutto tuo.»

Quando il nano spalancò il baule, la loro espressione trionfante mutò in delusione.

«Vuoto?!» Sbottò Garrett, colpendolo con un calcio. «Maledizione!»

«Era una trappola bella e buona.» Commentò Carver. «Se becco quell'Anso...»

«Magari è stato ingannato pure lui.» Suggerì Varric, ottimista come al solito. «Non ci resta che andare a chiedergli spiegazioni.»

Una volta usciti dall'edificio, però, non ebbero il tempo di rendersi conto di essere osservati che una dozzina di uomini calarono su di loro, le armi sguainate.

«Hei, non è l'elfo!» Urlò qualcuno, sorpreso.

Garrett ne approfittò per colpirlo dritto in faccia con l'arco, spedendolo a parecchi metri di distanza.

«Gli ordini erano di uccidere chiunque fosse uscito da quella casa!» Urlò una voce femminile che non ammetteva repliche.

Una freccia sibilò ad un soffio da Carver, che si acquattò dietro il muro della casa accanto. «Merda! Possibile che non troviamo mai un lavoro facile?»

«Alti i rischi, alta la ricompensa!» Gli gridò Garrett, spedendo una freccia dritta nel petto di uno degli assalitori. Quello crollò con un gemito, mentre il mago incoccava di nuovo.

Lo scontro fu più violento del precedente, ma ne uscirono ugualmente vincitori. Raccolsero velocemente ciò che poteva essere loro utile, nascondendo le tracce che potevano far risalire a loro.

Carver, con occhio critico, osservò uno squarcio fumante sulla tunica di uno dei cadaveri. «Fratello, dovresti imparare a controllarti...»

«Ops.» Ridacchiò Garett, afferrando una spada da terra e aprendo la ferita in modo che non si capisse più che fosse ad opera di un mago. Per la tunica, si limitò a calpestarla un poco, spegnendola, per poi strappargliela di dosso. «Ecco fatto, sistemato.»

Prima che Carver potesse ribattere, un uomo spuntò da dietro l'angolo. Era vestito con un'armatura a piastre, una grande spada tra le mani.

«E tu chi-»

«La domanda è chi siete voi, ma non importa.» Li interruppe quello. «Avete fatto uno sbaglio ad intromettervi, stupidi Fereldiani. Uomini, prendeteli!»

Nessuno rispose al suo ordine. Rimase lì, impettito, mentre la sua sicurezza svaniva mano mano che i secondi passavano. Lanciò uno sguardo alle proprie spalle, interdetto. «Uomini?»

«Urla quanto vuoi, i tuoi uomini sono tutti morti.»

Dal vicolo, comparve una figura dai capelli bianchi e scompigliati che arrivavano poco sotto un paio di orecchie a punta. L'elfo, vestito di cuoio scuro, trascinava un cadavere con un grosso squarcio sanguinante sul petto. Lanciò il corpo ai piedi dell'uomo, guardandolo truce. «La tua patetica trappola è fallita. Ti consiglio di strisciare dal tuo padrone, finchè puoi.»

La sua voce era profonda, la rabbia ben chiara.

L'altro, rimasto solo, esitò un attimo, ma sembrò riprendersi in fretta. Si voltò di scatto, allungando una mano come per afferrare l'elfo. «Non andrai da nessuna parte, schiavo!»

Quello tirò indietro il braccio, il pugno che si illuminava di una luce sinistra, per poi trapassare l'armatura e il petto dell'uomo senza alcuno sforzo. Il corpo senza vita cadde a tera in una pozza di sangue, il torace squarciato. L'elfo lo guardò con disgusto, ripulendosi dal sangue che saliva fino al gomito. «Non sono uno schiavo.»

Garrett, Carver e Varric rimasero per un attimo senza parole.

«Vi porgo le mie scuse.» Disse loro l'elfo, indicando i corpi a terra. «Quando ho chiesto ad Anso di procurarmi un diversivo per i cacciatori, non immaginavo sarebbero stati così... numerosi.»

«E io che speravo in un lavoretto facile...» Scosse la testa Garrett, indicando i cadaveri. «Ben ci sta, ad accettare un incarico che puzza di trappola lontano un miglio.»

«Se avevate dei sospetti... perché?»

Si strinse nelle spalle. «Sappiamo cavarcela.»

L'elfo annuì. «Già, lo vedo. Mi chiamo Fenris. Questi uomini non erano altro che cacciatori di taglie dell'Impero Tevinter, venuti qui per recuperare la proprietà di un magister, ovvero il sottoscritto.»

«Proprietà...?»

Garrett scoccò un'occhiata in tralice al fratello. «Nel senso di schiavo. È uno schiavo fuggito.»

«Ti causa problemi?» Lo sfidò Fenris, incrociando le braccia.

Il mago sollevò un sopracciglio. «Beh... visti gli sviluppi della serata, a quanto pare sì. Ma sono disposto a passarci sopra, dare un calcio in culo a qualche schiavista è sempre un piacere.»

L'espressione dura dell'elfo si rilassò un attimo, arricciandosi in un accenno di sorriso. Si spostò più vicino ad una fonte di luce, che gli illuminò una serie di tatuaggi chiari che correvano su tutta la pelle in vista.

Garrett li indicò con un cenno. «Immagino che quei tatuaggi siano uno dei motivi per cui manchi tanto a quel bastardo.»

Fenris annuì. «Non sono stati una mia scelta, ma mi hanno aiutato a riconquistarmi la libertà. Una curiosità... cosa c'era in quel baule all'interno del magazzino?»

«Uno scarafaggio morto.» Rispose Varric. «Gran bel bottino. Oh, e della polvere.»

L'elfo sembrò deluso. «Non potevo sperarci troppo... vorrei chiedervi un altro favore, però. Il mio vecchio padrone li ha accompagnati qui in città. Devo affrontarlo, prima che scappi.»

I tre si scambiarono un cenno d'intesa. «D'accordo.» Rispose Garrett.

Fenris corrugò la fronte. «Così? Senza chiedere nulla in cambio?»

Il mago sogghignò. «Oh, non farti strane idee. Ci aspettiamo di essere pagati per il disturbo, ovvio. Ma lo faremmo anche solo per una birra, è una giusta causa.»



 

L'edificio dove doveva nascondersi il padrone di Fenris, Danarius, era situato in città alta. Una volta entrati, vennero attaccati da Ombre e Demoni, ma del magister nessuna traccia. Ripulirono la casa da cima a fondo, ma Danarius, se mai era stato lì, era ormai lontano.

Fenris, appoggiato al muro che dava sul vicolo secondario, rivolse a Garrett un'occhiata carica di sospetto. «Sei un mago, non è vero?»

Lui non se la sentì di negarlo. Allungò il braccio, accendendo una minuscola scintilla sul palmo della mano destra. «Già.»

L'elfo sospirò. «La terra di magia oscura dalla quale sono fuggito non smette di perseguitarmi. È come un marchio, inciso nella mia carne e nel mio spirito. E ora, mi ritrovo in compagnia di un altro mago. In suo debito, addirittura. Dimmi, mago, cos'è che cerchi?»

Gli occhi verdi dell'elfo si piantarono nei suoi, accusatori. Garrett sostenne lo sguardo. «Soldi per uscire dalla lurida topaia dove vivo da un anno, una vita tranquilla, un buon boccale di birra e una zuppa fumante, in questo momento. Di sicuro, non ho un segreto piano malvagio per conquistare il mondo.» Rispose strafottente. «E per quanto riguarda il tuo debito con noi, pagaci e sei libero di andare per la tua strada.»

Carver si fece avanti, minaccioso. «Se racconti a qualcuno di mio fratello...»

Fenris alzò una mano, fermandolo. «Non voglio apparire un ingrato. In realtà, tutto il contrario. Sono... sorpreso. Non sei Danarius, questo è chiaro, sono disposto a concederti il beneficio del dubbio.»

«Che gentile...» Commentò ironico Varric.

L'elfo si frugò nelle tasche, estraendone cinque monete d'oro. «È tutto quello che ho, ma è più di quanto Anso vi avesse promesso. Per il disturbo.» Sembrò voler aggiungere qualcosa, ma si limitò a porgere loro il denaro, che Garrett afferrò entusiasta.

I tre si voltarono per andarsene, lasciandolo lì. Dopo qualche passo, il mago si fermò.

«Se hai bisogno di aiuto, chiama. Anche solo per fare due chiacchiere, sai, potresti scoprire che ci sono anche maghi simpatici.» Ammiccò, salutandolo con la mano. «Ci trovi all'Impiccato!»

Tornarono verso la città bassa, fermandosi davanti alla porta della taverna.

«Una strana serie di eventi, eh?» Commentò Varric, precedendoli all'interno.

Carver sembrava preoccupato mentre salivano al pian di sopra. «Credi che manterrà il segreto?»

«Non mi sembra nelle condizioni di denunciare nessuno... e poi, se dovesse farlo, canteremmo a nostra volta.» Riflettè Garrett. «No, credo possiamo fidarci.»

Il nano sogghignò, dandogli di gomito. «È un tipo interessante però, no?

«Un po' troppo... Drammatico.» Ridacchiò, facendo il verso all'elfo. «“La terra di magia oscura...”»

Risero tutti e tre.

«Chissà che non si rifaccia vivo, uno di questi giorni.»

«Fai un favore a tutti, Varric, tienilo d'occhio.» Ribattè il mago.

L'altro ridacchiò con l'aria di chi la sapeva lunga, mentre la cameriera arrivava con tre piatti di carne fumane e altrettanti boccali di birra scura.








 

Lanciò a Ser Thrask, il Templare a cui era stata temporaneamente affidata, uno sguardo interrogativo. Keran, Wilmod e Ruvena la chiamarono di nuovo.

«Vai pure, per oggi abbiamo finito.» Rispose quello, accennando un sorriso. Ma sii puntuale per il nostro incontro dopo cena.»

Marian ringraziò con un cenno del capo. Thrask le stava simpatico, era di ampie vedute rispetto alla maggior parte dei Templari lì a Kirkwall e le stava dando una mano a prepararsi per la sua Veglia. Nel giro di qualche mese, a detta della Comandante Meredith, sarebbe stata pronta.

“Ser Marian Hawke, dell'Ordine Templare.” Suonava bene.

Raggiunse le altre reclute, che la attendevano ridacchiando.

«Allora, come va con Thrask?» Chiese Wilmod, scoccando un'occhiata divertita al templare che si stava allontanando.

«È un ottimo insegnante.» Rispose prontamente Marian, scrollando le spalle. «Peccato che non gli interessi far carriera.»

Ruvena sollevò un sopracciglio, abbassando il tono di voce. «Davvero credi alle sue stronzate?»

«Sì, insomma, lo sanno tutti che non piace alla Comandante Meredith.» Aggiunse Keran.

«Lui e tutte i suoi discorsi sulla necessità di trattare i maghi come nostri pari...»

A disagio, Marian cercò di cambiare argomento. «Sì, beh, in ogni caso mancano solo pochi mesi e saremo Templari a tutti gli effetti anche noi, non dovrò sopportarmi i suoi farneticamenti ancora per molto.» Indicò con un cenno la scalinata che portava al cortile della Forca, sede dell'Ordine a Kirkwall. «Andiamo ad allenarci, o siete troppo stanchi a furia di spettegolare?»

Wilmod grugnì il proprio disappunto.

Ruvena gli diede una pacca di scherno sullo spallaccio. «Dillo che hai paura che Marian ti sbatta di nuovo col culo per terra!»

«Sì, ieri ha camminato storto tutto il giorno...» Rincarò la dose Keran, ridendo di gusto.

L'altra recluta borbottò qualcosa, offeso. «Vediamo se siete capaci di fare di meglio.»

Raggiunsero con calma il cortile di addestramento, a quell'ora poco frequentato. Era il momento migliore della giornata, poco dopo pranzo, quando il sole faceva capolino dalle due torri della Forca illuminando la strada sottostante.

Marian estrasse le due spade che portava alla cintura, una più lunga e l'altra più corta.

Lo stile di combattimento che aveva appreso negli anni era vario, degno di una recluta dell'Ordine. Aveva imparato a maneggiare i pesanti scudi a torre e le grosse spade a due mani, tirare con l'arco e muoversi sia in armatura pesante che schivare i colpi vestita solo di leggero cuoio. Lo stile che prediligeva, però, era quello del suo primo maestro, uno stravagante templare di origine Orlesiana: una spada corta per deviare gli affondi degli avversari e una più lunga per colpirli allo stesso tempo.

Keran, di fronte a lei, sembrava sicuro di sé. «Stavolta non mi freghi.» Disse, estraendo la grossa spada a due mani.

Marian sogghignò, invitandolo a farsi sotto.

Le lame cozzarono impetuosamente e il tempo sembrò volare. Smise di pensare, c'era soltanto l'avversario e la sua spada, i movimenti fluidi di attacco, difesa e contrattacco mentre piroettava su sé stessa, il respiro regolare nonostante il caldo sotto l'armatura.

Passarono così il resto del pomeriggio.

Mentre osservava Wilmod e Ruvena scambiarsi qualche affondo, non le sfuggì la figura che li osservava da una delle balaustre che si affacciavano sul cortile. Una donna in armatura pesante, le insegne del Comandante dell'Ordine che spiccavano come in fiamme sotto la luce del tramonto, lo sguardo duro e impassibile incorniciato da due ciocche di capelli biondi.

«La Comandante Meredith mi mette sempre in soggezione...» Commentò Keran, rabbrividendo.

Marian la guardò con la coda dell'occhio, annuendo. «Fa quell'effetto a tutti.»



 

Passarono tutto il pomeriggio nel cortile ad allenarsi e quando finalmente arrivò la sera tutte le reclute furono ben contente di ritirarsi nel dormitorio, spogliarsi dell'armatura e delle vesti sudate e, dopo una rinfrescata veloce, disperdersi tra i locali vivaci della città.

L'aria calda e fumosa dell'Impiccato portava con sé il profumo della zuppa del giorno, della birra spillata dalle grandi botti di legno e delle numerose persone al suo interno. L'argomento del giorno sembrava nuovamente essere il campo allestito al porto per contenere tutti quei Qunari che erano arrivati a Kirkwall. Il loro capo, chiamato Arishok, sosteneva che fossero naufragati e che avessero richiesto una nave per tornare a Par Vollen, la loro capitale, ma dopo due mesi erano parecchie le voci che circolavano sulle loro vere intenzioni.

Marian, liberatasi dei propri compagni con una scusa, era scivolata in città bassa alla ricerca dei fratelli minori. Avrebbe incontrato Thrask nel giro di un'ora, ma c'era abbastanza tempo per fare due chiacchiere. Inoltre, non vedeva i due Hawke più piccoli da un paio di settimane.

Li individuò in fondo al locale a conversare in toni accesi con il nano che avevano preso a frequentare in modo assiduo, un certo Varric Tethras, scrittore, mercante e probabilmente decine di altre cose meno lodevoli.

«Ah, sembrava che questo postaccio si fosse improvvisamente illuminato!» Esclamò Garrett, sollevando il boccale di birra verso di lei. «La Luce della Benedetta Andraste risplende finalmente su di noi, amici e compagni di malefatte!»

Marian scoppiò a ridere, spingendolo da parte e sedendoglisi accanto. «Se hai visto questo tugurio illuminarsi, Garrett, reggi meno di quanto vuoi far credere.» Gli strappò il boccale di mano, assaggiandone il contenuto prima di segnalare alla cameriera di portarne un altro. «Allora, novità?»

«Strano, ci degna della sua attenzione...» Sentì borbottare Carver, che nel frattempo l'aveva a malapena guardata, il naso nella ciotola di zuppa.

Ignorò il fastidio, cercando per una volta di non discutere nuovamente col fratello minore.

«Siamo un po' più vicini ai soldi che ci servono per la spedizione.» Annunciò Garrett, scoccando un'occhiata preoccupata ad entrambi.

Marian si lasciò sfuggire una smorfia. «Non c'è modo di farvi riconsiderare, vero?» L'idea di avere entrambi i fratelli persi nelle Vie Profonde a cercare chissà quale tesoro la riempiva di terrore. Non avrebbe potuto sopportare di perderne un altro per colpa della Prole Oscura. Il ricordo di Bethany era ancora vivido nella sua mente, così come il senso di vuoto e colpa che ne era seguito.

«Sappiamo badare a noi stessi.» Rispose asciutto Carver, sempre senza guardarla negli occhi.

«Vedrai Marian, non correremo rischi.» Si intromise Varric, cercando di rassicurarla. «C'è un periodo finestra, dopo un Flagello, in cui la Prole Oscura si ritira-»

«Sono solo teorie!» Sbottò lei, facendo sobbalzare la cameriera che arrivava con la sua cena. «Non potete esserne sicuri, e se per caso vi perdeste, o finiste dritti dritti nella tana di quei mostri...» Guardò Garrett, implorante. «Ci sono migliaia di modi per recuperare i soldi che ci servono per uscire dalla casa di Gamlen.»

«“Ci”, sorella?» rimbeccò Carver, piccato. «E io che pensavo che tu vivessi comodamente nei dormitori delle reclute...»

Fu il turno di Marian a quel punto di scattare. «Non mi pare tu ti sia ancora lamentato dei soldi che vi passo tutti i mesi, razza di-»

«Smettetela!» Sbottò Garrett, che per tutto il tempo era rimasto fuori dalla discussione.

Quando incontrò gli occhi blu del fratello, in cui avvamparono per un attimo piccolissime scintille di magia, il suo pensiero tornò a Bethany. A come l'avrebbe rattristata vederli discutere.

Discutevano di continuo, ultimamente. Dalla morte di loro padre le cose erano state difficili, e anche prima non era stato tutto rose e fiori, certo, ma da quando si erano imbarcati a Gwaren sulla nave che li aveva condotti a Kirkwall, la loro famiglia, o ciò che ne restava, era andata in pezzi.

E nessuno dei tre sembrava intenzionato a piegarsi per raccoglierli.

«Puoi tenerteli, quei soldi.» Disse Carver, secco. «Basta che passi una volta ogni tanto a salutare nostra madre.» Si alzò di scatto, lasciando la cena a metà e andandosene a passi larghi, sbattendo la porta d'ingresso.

Marian sospirò, guardandolo allontanarsi. Incrociò lo sguardo di Garrett, corrucciato quanto il proprio. «Dove sto sbagliando con lui?»

L'altro sollevò un sopracciglio. «Potresti provare a scendere dal tuo piedistallo, una volta ogni tanto. Getti una grossa ombra su tutti noialtri già di tuo.»

«Fottiti, Garrett.» Sbuffò, finendo la propria birra a lunghi sorsi. «Riconosco che dovrei passare più spesso a casa, però.»

«Se almeno quella topaia si potesse chiamare casa...»

«Credo sia una sofferenza persino per i topi che vivono sotto alla credenza.» Ridacchiò Varric, cercando di alleggerire la tensione. «E la cucina di vostra madre non aiuta.»

Marian scosse la testa, divertita. «Ancora non ti è andata giù la zuppa di verze eh?»

Il nano rabbrividì al ricordo. «Non nominarmela, ho ancora gli incubi. Ho sputato fuoco per giorni dai posti più improbabili. Non proprio una bella esperienza.»

«A proposito di sputare fuoco, ti ricordi quel favore?» Si illuminò Marian guardando il fratello. «Ho sentito di un Clan Dalish accampato nelle vicinanze della città, alle pendici del Monte Spezzato.»

«Saranno loro?»

Si strinse nelle spalle. «Quanti altri Dalish passeranno da qui?»

L'altro annuì. «Immagino dovrò andare io, te sei così impegnata ad allenarti ad uccidere pericolosi abomini e demoni di ogni sorta...»

«Hei.» Lo avvertì lei, irritata. «Non iniziare. Sai che lo faccio anche per tenervi al sicuro-»

«Nel caso qualcuno sospettasse qualcosa, sì, lo hai ripetuto mille volte.» La interruppe Garrett con un gesto della mano. «Non che tu non lo stia trovando divertente.»

“Divertente?” Pensò lei, la chiara immagine del cipiglio gelido della Comandante Meredith che le compariva davanti. «Non credo che sia tra i primi aggettivi che mi salterebbero in mente per descriverlo, ma sì, ha i suoi lati positivi, lo ammetto. E comunque manteniamo l'ordine e la sicurezza, è un lavoro importante.»

«Anche la Guardia Cittadina lo fa, ma non se ne vanno in giro a vantarsene ai vostri livelli.»

«Ma fammi il piacere.» Lo zittì lei, colpita nell'orgoglio. «Se dovessimo avere una crisi come quella del Circolo nel Ferelden, la Guardia Cittadina potrebbe fare ben poco. Sai che ho stima di Aveline e la considero un'ottima combattente e una persona ancora migliore, ma da lì a poter fare qualcosa contro un branco di Abomini fuori controllo...»

«Nel caso succedesse, sorellona, mi aspetto che tu provi quantomeno a fingere di verificare la presenza di un demone prima di rompermi il naso a pugni.»

«C'è ben poco da ridere, lo sai benissimo.»

«Al contrario, sai che ho solo un grande rispetto verso il vostro onoratissimo Ordine.»

Sbuffò sonoramente, scuotendo il capo. «Sei allucinante.» Finì rapidamente la zuppa, tornando poi a fissare i due compagni. «Mi accompagnate ad incontrare il mio superiore?»

«Cos'è, una festicciola segreta e vi serve una vittima sacrificale?»

«Garrett!»

Fu Varric a metterli entrambi a tacere, afferrando la balestra appoggiata alla sedia e sfoggiando uno dei suoi sorrisi accattivanti. «Ma certo. Non si dica che Varric Tethras rifiuta di aiutare una fanciulla.»

Marian alzò gli occhi verso il soffitto, divertita. «Allora muoviamoci.»

L'aria della sera portava con sé l'odore salmastro della baia, l'umidità che si attaccava alle vesti e alla pelle come una patina.

Raggiunsero il luogo dell'incontro in leggero ritardo, ma di Thrask neanche l'ombra.

«Forse ha deciso di fare la ronda per conto suo?» Suggerì Garrett, il colletto della giacca tirato su a proteggersi dal vento fastidioso. «Beh, peccato. Torniamo dentro.»

Marian lo bloccò per un braccio, un brutto presentimento a stringerle lo stomaco. «Non è da lui. Qualcosa non va.»

«Hei, guarda qua.»

Varric, chinatosi a raccogliere qualcosa da terra, le porse un foglietto. Su di esso, in quella che Marian riconobbe come la calligrafia di Thrask, c'era scritto soltanto un nome.

«“Samson?”» Lesse Garrett da sopra la sua spalla. «Amico tuo?»

Lei scosse la testa. «No, ma da quanto ho sentito, si finge amico di tutti ultimamente...» Si guardò attorno, incerta sul motivo per cui il templare le avesse lasciato quel biglietto. Aveva davvero avuto così tanta fretta di incontrare Samson, oppure era successo qualcosa di più grave? Non avevano tempo da perdere.

«Si tratta di un ex templare che, a quanto si dice in giro, aiuta i maghi fuori dal circolo a scappare dalla città.» Spiegò mentre scendevano le scale che portavano ai moli del porto. Thrask aveva accennato a Samson più di una volta, ma non sapeva di preciso dove stesse.

Girovagarono a vuoto per almeno un paio d'ore prima che Garrett intravedesse una figura seduta su un muretto, intento a guardare le luci delle barche riflettersi sull'acqua sporca del porto. «È lui?»

Marian aguzzò lo sguardo. Corrispondeva alle vaghe descrizioni che aveva dell'uomo.

Si avvicinarono di soppiatto, sperando di non metterlo in allarme.

«Ser Samson?» Lo chiamò, facendolo voltare.

L'uomo non tradì alcuna sorpresa. «Nessuno mi chiama così da qualche anno, ragazza. Solo Samson, almeno quando non trovano termini peggiori.»

«Io-»

«Ah, mi chiedevo cosa fossi, ma mi è già chiaro. Una recluta che prova a fare il colpaccio e impressionare quell'arpia di Meredith sbattendomi in cella e confermando le voci sul mio conto... Non avete alcuna prova, ragazza, perché nessuna di quelle stronzate ha un fondamento.» Le rivolse un sorriso storto sotto la barba sfatta, gli occhi incavati che brillavano divertiti nonostante le occhiaie profonde e quasi violacee, la voce roca.

Rabbrividì. “Così questo è quello che succede quando smettiamo di prendere il lyrium...” «Stiamo cercando Ser Thrask. So che è venuto a parlarvi, poco fa.»

«Può darsi.» Scrollò le spalle lui. «Non ricordo bene, sai, l'astinenza fa brutti scherzi.»

Garrett le si affiancò con fare minaccioso, ma lei lo ammonì con un cenno della mano. «Non vogliamo causarti problemi. Se quello che fai per i maghi è vero... beh, avrai le tue ragioni.» Si frugò nelle tasche, estraendone dieci monete d'argento. «Thrask. Vi torna in mente qualcosa?»

Samson gliele strappò lesto di mano, sorridendo di nuovo. «Mh, sì, mi pare di averci parlato più o meno un'ora fa. Gli ho detto dove andare ma... l'informazione vi costerà un po' di più. E vi conviene fare in fretta, quello sprovveduto non sa in cosa si sta cacciando.»

«Dimmi quanto.» Tagliò corto Marian, prima che Garrett cercasse di spedirlo in acqua con un fulmine e richiamasse l'attenzione di mezzo quartiere su di sé.

«Almeno il doppio.»

Strinse i denti, trattenendosi dalla voglia di spaccargli i denti giallognoli. Contò rapidamente le monete, mettendogliele in mano con astio. «Venti. Ora rispondi.»

«Preferivo quando mi chiamavi Ser Samson...» La sbeffeggiò l'uomo, ma indicò loro una via laterale che portava ai vecchi magazzini. «Il terzo dopo l'edificio con le tende blu e verdi, sulla destra. Non potete sbagliare, ha un ariete disegnato a lato della porta.»

L'alito puzzava di alcol scadente e i vestiti di salsedine, sporcizia generica e altro a cui Marian non voleva proprio pensare in quel momento. Si voltò in fretta, strattonando il fratello per una manica. «Andiamo, qui abbiamo finito.»

«Se mai ti faranno Templare, ragazza, ricordati di passare per un saluto!»

Si inoltrarono nel vicolo buio, sentendosi addosso lo sguardo dell'uomo per tutto il tempo.

«Avremmo potuto convincerlo senza-»

«Avremmo perso tempo e attirato attenzioni inutili.» Ribattè Marian, cercando febbrilmente la tenda blu e verde. «E cercava di apparire molto meno pericoloso di quanto in realtà fosse. Ho sentito che era un ottimo templare, prima di...»

«Ridursi ad un rottame?» Suggeri Varric con una smorfia. «Bah.»

Garrett non demordeva facilmente. «Sfrutta i maghi in fuga per pagarsi la sua dipendenza.»

«L'Ordine fa poco o nulla per aiutare i Templari distrutti dal lyrium, figuriamoci quelli cacciati.» Spiegò il nano. «Deve averla fatta grossa.»

Marian non seppe ribattere. Era vero.

Trovarono il magazzino dopo qualche minuto. La porta era aperta, segno che qualcuno, “Thrask?”, era appena passato di lì.

Scivolarono all'interno, stando attenti a non fare rumore. Una rampa di scale conduceva al piano inferiore, dove uno sciabordio segnalava che vi era un accesso diretto al mare. Delle voci concitate provenivano dal basso.

«Se lo uccidiamo, avremo l'intero ordine addosso!»

«Saremo già lontani, dopo questi due carichi.» Rispose una voce imperiosa, dal forte accento Tevintiano. «Sbarazzatevi del corpo, quando avete finito.»

«Thrask!» Sibilò allarmata Marian, sporgendosi dalle scale.

Il templare era immobilizzato da due scagnozzi per parte, l'armatura insanguinata e il volto tumefatto. Davanti a lui vi era un uomo alto dalla pelle olivastra, le ricche vesti da mago ricamate alla maniera dell'Impero Tevinter. Dava loro le spalle.

Stavano per intervenire, quando un movimento alla loro destra li fece sobbalzare.

Da una pila di casse, proprio dietro le scale, emerse una figura vestita di nero, i piedi scalzi che non facevano il minimo rumore sul legno marcio del magazzino.

Quando il mago si accorse del nuovo arrivato, era già troppo tardi.

Marian sussultò quando il pugno guantato della figura si fece strada nel petto del Tevintiano senza alcuna difficoltà, strappandone via il cuore con un risucchio sinistro e rumore di ossa spezzate.

Il corpo cadde a terra con un tonfo, mentre tra gli altri si scatenava il panico.

«E ti pareva!» Sentì Garrett esclamare, una delle frecce già in volo che si piantava dritto nell'orbita di uno degli uomini che trattenevano Thrask.

Lei scese le scale a balzi, entrambe le spade già estratte, disarmando rapidamente un avversario e scagliandosi contro il secondo.

Il Templare immobilizzato, sfruttando la sorpresa dei suoi aguzzini, si liberò con uno strattone e una testata, rubando una spada dalla cintura di uno di essi e trafiggendo il più vicino.

Dopo un breve scontro, tutti gli schiavisti erano a terra, immobili.

«Che coincidenza incontrarsi di nuovo, eh Fenris?»

L'elfo, il braccio destro ancora zuppo di sangue, emise un sospiro quasi teatrale. «Chissà perché non mi sorprende affatto.»

Garrett si limitò a ridacchiare, mentre Varric accarezzava la sua balestra, riponendosela sulle spalle. Marian li ignorò, avvicinandosi a Thrask che si era allontanato verso la banchina, chino su qualcosa. Quando la ragazza realizzò cos'era, un brivido le fece accapponare la pelle.

Ciò che restava di quel mago o maga era ormai lontano da qualsiasi forma umana: escrescenze e gobbe erano cresciute sulla pelle, trasformando il corpo in un mostro deforme, mentre il sangue scuro e denso che si insinuava tra le assi del pavimento fumava ancora leggermente.

«Ser...?»

Nessuna risposta.

Si schiarì la voce, il braccio bloccato a mezz'aria a pochi centimetri dallo spallaccio dell'uomo. «Ser Thrask?»

Quando il Templare si voltò finalmente verso di lei, il volto era tirato dal dolore. «Non ho fatto in tempo a salvarla.»

«Ser, con tutto il rispetto, non possiamo salvare ogni Apostata-» Si interruppe di scatto, realizzando finalmente che cosa era appena successo. «La conosceva, Ser?» Chiese dopo un poco, titubante.

L'altro annuì, abbassando lo sguardo. «Se solo non avessi agito come un folle, ma seguendo la Chiesa... Olivia sarebbe ancora viva. Mia figlia...»

Non seppe cosa rispondergli. Guardò di nuovo ciò che restava dell'Abominio a terra, maledicendosi perché erano arrivati troppo tardi. Se soltanto non avesse perso tempo all'Impiccato, forse avrebbero potuto aiutare Thrask e la figlia sarebbe stata portata al sicuro al Circolo... «Mi dispiace.»

L'uomo serrò la mascella. «Sono stato io ad ucciderla, con la mia debolezza. Ho lasciato che mi convincesse con le sue preghiere a non mandarla al Circolo. È soltanto colpa mia.» Si chinò nuovamente a raccogliere una piccola sacca di pelle, che appese alla cintura. «Grazie per essere intervenuti, Marian. Segnala alla Guardia Cittadina di ripulire questo disastro, io... sua madre deve saperlo.» Puntò gli occhi nei suoi, un dubbio che lo attanagliava. «Capirò se vorrai fare rapporto alla Comandante Meredith, ma preferirei-»

«Il suo segreto è al sicuro, Ser.» Lo interruppe Marian senza pensarci un attimo. «Non si preoccupi, non ne faremo parola con nessuno.»

L'altro annuì. «Ve ne sono grato. Metterò una buona parola con i miei superiori per accelerare la tua promozione, Marian, anche se non so quanto possa contare.»

Osservando il Templare che saliva le scale, le spalle curve e la testa bassa, Marian si chiese cosa avrebbe fatto se fosse venuto a sapere del suo segreto. Il suo sguardo si posò su Garrett, che stava scherzando su qualcosa con Varric e l'elfo dai capelli chiari. Il pensiero che anche suo fratello avrebbe potuto un giorno trasformarsi in un Abominio...

«State zitti un attimo.» Ordinò l'elfo agli altri due, le orecchie ritte a captare qualcosa. Si voltò verso una serie di casse abbastanza grandi da poter ospitare un uomo rannicchiato, picchiando con la mano sul legno.

«Mhpf!»

Allarmati, si precipitarono al suo fianco. Con qualche difficoltà, tolsero il coperchio inchiodato. Un ragazzino spaventatissimo fece capolino dall'interno, guardandoli con un paio di enormi occhi azzurri, la luce che si rifletteva in essi come quelli di un gatto.

«Non fatemi male, vi prego!» Li supplicò, sollevando le mani bloccate ai polsi da una sottile catena di ferro avvolta in più giri. «Mi hanno rapito, io volevo solo-»

«Sei un mago?» Tagliò corto senza troppi giri di parole Marian, incrociando le braccia e squadrandolo inquisitoria.

Dopo un attimo di incertezza, il ragazzino annuì. «Mia madre si è rivolta a quel templare, Thrask, vuole farmi rinchiudere nel Circolo... immagino che farete lo stesso.»

«Marian?»

Si voltò verso il fratello, che la fissava con un sopracciglio alzato. «Garrett, no.»

Lui allargò le braccia, avvicinandosi ulteriormente al prigioniero. «Sto solo dicendo che magari possiamo considerare altre ipotesi!»

«Mandatemi dagli elfi!» Pregò quello, gli occhi supplichevoli puntati su Garrett. «Loro non hanno Circoli e il Guardiano di un Clan può insegnarmi a controllare la mia magia, così da non essere un pericolo per nessuno! Vi prego, non rinchiudetemi nella Forca...»

Garrett sembrava aver già deciso. Varric alzò i palmi delle mani verso di lei, chiamandosene fuori.

«Assolutamente no!» Tuonò l'elfo, sbattendo un pugno sul legno della cassa e facendo sobbalzare tutti. «Questo ragazzino è un pericolo per tutti, anche se non se ne rende conto! E tu, che razza di Templare saresti, che-»

Non fece in tempo a fare un altro passo verso di lei che Garrett gli afferrò il braccio, una scintilla minacciosa negli occhi. «Non. Toccare. Mia. Sorella.»

L'elfo gli si rivoltò contro, strattonando a sua volta e liberandosi dalla presa, la mano che correva verso la grande spada fissata sulle spalle. «Non toccarmi!»

Prima che si potesse scatenare il putiferio, Marian si frappose tra i due estraendo in un attimo le proprie armi, la punta di ciascuna lama a pochi centimetri dal loro petto. «Calmatevi.» Non potè evitare di osservare incuriosita gli strani tatuaggi che correvano su tutto la pelle visibile dell'elfo, in risalto quasi quanto i capelli innaturalmente bianchi. «Decidiamo cosa fare come persone mature e non alla stregua di un branco di cani affamati.»

«Bu si sentirebbe offesa dal paragone.» Si intromise Varric, che aveva puntato la balestra sull'elfo.

«Non sei di aiuto.» Lo rimbeccò lei, abbassando le armi e scoccando un'occhiata gelida a tutti i presenti, che fecero altrettanto. Tornò a rivolgere l'attenzione sul ragazzino, che li fissava allarmato. «Perchè gli elfi dovrebbero prendere un umano tra loro?»

L'altro sostenne il suo sguardo. «Mia madre è un'elfa. Vive all'Enclave, si chiama Arianni, controllate pure. Solo perché non sembro un elfo, non significa che il mio sangue è del tutto umano.» Gli occhi brillarono di nuovo in quel modo strano, tipico degli elfi.

Sospirò. «Garrett, non avevi detto che volevi andare dai Dalish accampati qui vicino per quella commissione? Sembra che tu abbia anche un altro compito.»

Il mezzelfo si lasciò andare ad un'esclamazione incredula. «Davvero? Mi lasciate andare?»

«Ad una condizione.» Ribattè lei, frenando il suo entusiasmo ed ignorando le proteste irate di Fenris. «Se il Clan sul Monte Spezzato non ti vuole, tornerai con Garrett qui senza causare problemi a nessuno. Altrimenti ti verrò a cercare di persona con un manipolo di Templari armati fino ai denti.» Lo minacciò severa, cercando di evitare di incrociare lo sguardo divertito del fratello.















Note dell'Autrice: ed ecco che vediamo come se la stanno cavando i nostri Hawke a Kirkwall. Incantevole città, davvero, non so proprio perchè non la propongano nei pacchetti vacanze rilassati del Thedas, assieme alle terme di Orlais e le spiagge Antivane... 
Al prossimo capitolo c'è una sopresa, nel frattempo vi lascio con Marian. 
Dareth shiral!





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Capitolo 3
*** Runs in the Family ***


CAPITOLO 3
Runs in the Family


 

 

«Quindi... quelli sono i Dalish.»

Garrett appoggiò la mano sulla spalla del ragazzino chiamato Feynriel, che alla vista dei grandi drappi che sventolavano sopra l'accampamento degli elfi sembrava essersi improvvisamente fatto molto più piccolo. «Coraggio, ragazzo, non possono essere peggio di come li descrivono nelle storie!» Lo spinse avanti, sollevando il braccio in direzione di due sentinelle poste ai lati della strada, gli archi tesi verso di loro.

«Fermi dove siete, shemlen!»

Ignorando bellamente l'avvertimento, Garrett sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi. «Vengo in pace, da parte di una certa Strega delle Selve... come la chiamate voi... Asha Bellanar?»

Alla menzione della strega, entrambi gli elfi si immobilizzarono, a disagio. «Altri shem...» Dopo un breve scambio di sguardi, abbassarono gli archi, continuando però a fissarli astiosamente. «Procedete pure, allora. La Guardiana Marethari vi attende.»

«Visto? Già gli stiamo simpatici.» Commentò sarcastico il mago, superandoli e trascinandosi dietro Feynriel, che fissava i suoi possibili futuri compagni a bocca aperta.

L'accampamento era composto da qualche tenda e una mezza dozzina di costruzioni simili a barche di legno ma su ruote, le grandi vele rosse, oro e verdi che sventolavano illuminate dai raggi del sole.

«Altri shemlen?!» Esclamò irritato un elfo di mezz'età, incrociando le braccia e osservandoli critico. «Aspettate qui, la Guardiana è impegnata.»

«Ma-»

Senza lasciargli il tempo di ribattere, l'elfo li mollò di fronte ad una tenda chiusa, leggermente più grande delle altre. Ai due non restò altro che aspettare. Dopo almeno mezz'ora, nella quale erano stati attentamente evitati dall'intero Clan, il drappo all'ingresso venne spostato di lato, facendone uscire cinque figure.

La prima era un'elfa mingherlina, i capelli neri e un tatuaggio chiaro sul volto pallido. Stava piangendo a tal punto da non accorgersi di loro, finendo per urtarli uscendo dalla tenda. «Oh, scu-» Si immobilizzò alla vista dei nuovi arrivati, sgranando gli occhi verdi. «Oh, mi dispiace molto, non mi aspettavo...»

Il balbettio sorpreso venne coperto dal commento di un altro elfo, dal forte accento Antivano. «E io che pensavo non aveste molti contatti con gli shem...»

Dietro di lui, venivano due umani. Uno, dai lunghi capelli rossi raccolti in una serie di trecce e legati poi in uno chignon e una folta barba dello stesso colore, aggrottò le sopracciglia, scoccando un'occhiata inquisitoria all'elfa anziana accanto a lui. L'altro umano era leggermente più basso, i capelli scuri lunghi fino alle spalle tenuti sciolti e la barba corta.

«Sono sorpreso anch'io...» Commentò Garrett, facendosi da parte e osservando stranito quel singolare gruppo. Chinò leggermente il capo in direzione dell'elfa più vecchia, chiaramente la Guardiana del Clan. «Mi chiamo Garrett Hawke, sono venuto per conto di Asha Bellanar-»

Quella annuì. «Ah, capisco. Grazie per essere qui. Sono Marethari, Guardiana del Clan Sabrae.»

Fu l'uomo dai capelli rossi ad intromettersi, gli occhi blu che ricordarono a Garrett quelli della sorella. «Asha'bellanar? Anche chiamata Flemeth?»

Superata la sorpresa, si lasciò sfuggire un sorrisetto. «Se stiamo parlando della stessa strega ultracentenaria che vive nelle Selve Korkari e a volte si trasforma in un drago, sì, proprio lei.»

L'altro ridacchiò scuotendo il capo. «Le coincidenze...»

«Vi conoscete?» Chiese confusa l'elfa più giovane, lo sguardo che correva dall'uno all'altro.

«Non è che tutti gli umani si conoscono.» Rispose l'uomo dai capelli rossi, divertito. «Geralt.» Si presentò porgendogli la mano, che Garrett strinse titubante. Aveva una presa più forte di quanto desse a vedere. Indicò gli altri due con un cenno. «L'affascinante elfo alla mia sinistra è Zevran, mentre lui è il mio compagno, Jowan.» Nel presentare l'altro umano, gli sfiorò per un attimo la mano. L'altro arrossì leggermente, facendo un cenno col capo in direzione di Garrett.

«Garrett, posso vedere l'amuleto?» Chiese Marethari una volta che ebbero finito il giro di presentazioni, osservando poi l'oggetto sotto la luce. «Grazie per averlo portato fin qui, ma devo chiederti un altro favore. Un paio, a dire il vero.»

Il mago si strinse nelle spalle. «Nessun problema.»

L'altra fece un cenno all'elfa minuta, dandole l'amuleto. «Merrill, conosci le parole di rito. Spetta a te celebrarlo, ti accompagneranno fino alla vetta per assicurarsi che non ti succeda niente.»

La ragazza annuì, infilandosi l'oggetto in una piccola borsa di pelle legata alla cintura.

«Prima di andare però...» Si ricordò improvvisamente Garrett, rendendosi conto di aver completamente dimenticato il suo compagno di viaggio. «Si tratta di Feynriel. Sua madre è un'elfa, ma suo padre è umano. È venuto fin qui per chiedervi un favore...» Strizzò l'occhio in direzione del ragazzino, che inspirò profondamente, cercando di farsi coraggio prima di aprire finalmente bocca.

«Guardiana Marethari, mia madre è una Dalish come voi ma quando ha scoperto che possedevo la magia ha cercato di farmi rinchiudere nel Circolo degli umani. Vi prego, so che voi Dalish tenete molto in considerazione quelli nati con il dono della magia, fatemi restare qui.» Disse, quasi tutto di un fiato.

Marethari aspettò qualche secondo prima di rispondere, come soppesandolo, il capo chinato leggermente da un lato. «È una storia interessante, giovane Feynriel. Vieni, abbiamo tutto il tempo per farci una chiacchierata... posso offrirti una tazza di tè?» Spostò di nuovo il drappo della tenda, invitandolo ad entrare. «A più tardi, umani. Merrill, hai ancora tempo per cambiare idea, da'len.»

Mentre salivano il ripido sentiero che portava alla cima del Monte Spezzato, ebbero modo di scambiare qualche parola.

Geralt sembrava molto interessato all'arco di Garrett, e il mago non potè fare altro che lasciarglielo esaminare, sperando non sospettasse nulla. Le piccole sfere incastonate alle estremità metalliche dell'arco erano al momento inattive, e solo a volte si potevano osservare delle piccole scintille all'interno. A chiunque lo chiedesse, aveva sempre risposto che si trattasse di un arco incantato con rune magiche, che permettevano di canalizzare l'energia dalle pietre alla corda e, di conseguenza, alle frecce lanciate. L'occhio attento dell'uomo però lo metteva in soggezione.

«Uno splendido bastone da mago, i miei complimenti.» Gli disse infine, porgendoglielo indietro con un sogghigno. «Astuto, vivendo in una città brulicante di Templari come Kirkwall.»

Il cuore di Garrett quasi perse un colpo. «Mago...?»

«Rilassati, anche questi due sono eretici.» Si intromise l'elfo antivano, guardandolo di sottecchi.

«Zev! Volevo godermi un altro po' la scena!» Lo rimproverò Jowan, scuotendo il capo. «Al solito...»

«Oh, per una volta sai come ci si sente!» Rimbeccò Zevran ammiccando.

Garrett si sentiva come se gli stesse sfuggendo gran parte del discorso. Geralt ridacchiò, aprendo la mano ed evocando con noncuranza una minuscola fiammella cremisi. «Resti in minoranza, Zev.»

«Oh, e io che pensavo che tutti i maghi umani fossero rinchiusi nelle loro torri!» Esclamò ammirata Merrill, stringendo il proprio bastone magico di legno ritorto.

«Solo i peggiori.» Ribattè Geralt, chiudendo il pugno e facendo sparire la fiammella. «Allora, Garrett, com'è Kirkwall? Un covo di Templari assetati di sangue come si dice in giro?»

Nella mente di Garrett, comparvero due immagini, una di fianco all'altra. La prima era sua sorella, l'armatura da recluta sporca di terra e fango come l'aveva vista spesso dopo gli allenamenti, stanca ma sempre pronta a difendere lui o Bethany da qualunque pericolo. La seconda era la Comandante Meredith, lo sguardo di ghiaccio e le insegne templari ben lucidate, la grande spada sulle spalle e la voce carica di astio mentre rimproverava un mago che aveva avuto la pessima idea di attardarsi nella piazza della Forca fin quasi all'orario del coprifuoco.

«La tua espressione dice tutto.» Commentò cupo Geralt, scambiandosi un'occhiata con gli altri due. «Credo andremo a dare un'occhiata di persona.»

«Cerchiamo di non attirare troppo l'attenzione, d'accordo?»

«Jowan, se non sbaglio sei tu quello che ancora non riesce a mantenere la forma animale per più di un paio d'ore...»

«Provaci tu allora, Zev, se sei tanto bravo.» Ribattè piccato il moro. «Ah, giusto, non puoi.»

L'altro gli sorrise serafico. «Io però non sono ricercato.»

«Forma animale?» Chiese Garrett, incuriosito. «Siete mutaforma?»

«Abbiamo appreso le basi.» Rispose Geralt grattandosi la barba. «È una disciplina che richiede parecchio tempo e dedizione per ciascuna forma scelta.»

Garrett si illuminò. «Flemeth sa trasformarsi in un drago... pensi che sia lo stesso genere di magia?»

«Sicuro. Ho avuto per un po' il suo grimorio, quindi ne sono certo. Il problema è avere un drago da analizzare abbastanza a lungo da riuscire a replicarne l'aspetto, il comportamento e tutto il resto.»

Abbassò le spalle, deluso. «Ah. Peccato.»

«Hei, si chiama “Era del Drago” per un motivo, in giro qualche lucertolone sputafuoco lo troverai.»

«Non ne hai avuto abbastanza?» Gli chiese Zevran, scuotendo il capo. «Prima ad Haven, poi l'Arcidemone a Denerim...»

«Avete davvero incontrato un Alto Drago, oltre all'Arcidemone?» Trillò Merrill, esaltata all'idea. «E Aenor era-» Si interruppe bruscamente, mordendosi un labbro. «Voglio dire...»

Scese il silenzio.

Garrett fremeva per saperne di più. Alla fine, capitolò. «Avete combattuto a Denerim, coi Custodi?»

Zevran sogghignò, dando una gomitata a Geralt. «Questo qui ha accompagnato l'Eroina del Ferelden per quasi tutto il viaggio, fino in cima a Forte Drakon! L'ha vista uccidere l'Arcidemone. Ovviamente, anche noialtri eravamo a fare la nostra parte, come grandi amici della Custode.»

Sgranò gli occhi, ammirato. «Era davvero...?»

«Maledettamente grosso e pericoloso, sì.» Tagliò corto Geralt, rabbuiato. «Non mi va di parlarne.»

Merrill aveva di nuovo le lacrime agli occhi. Sentendosi osservata, si voltò dall'altra parte, avanzando più velocemente su per il sentiero. «Siamo quasi arrivati.»

Anche gli altri sembravano aver perso la voglia di chiacchierare.

Quando incontrarono una barriera magica che bloccava il passaggio, l'elfa estrasse un coltellino dalla cintura. Prima che Garrett potesse aprire bocca, senza esitare la ragazza si recise con un taglio netto il palmo della mano.

Attorno a lei si alzò un'aura rossastra, ampie volute di energia che l'elfa direzionò contro la barriera magica, mandandola in frantumi.

«Hai usato la magia del sangue!» Esclamò lui, sconvolto. «I demoni sono pericolosi, non-»

«Ma per piacere.» Lo interruppe Geralt, seccato. «Un mago dovrebbe essere di più larghe vedute.»

«Larghe vedute?!» Sibilò Garrett, sfidandolo a replicare. «Un mago dovrebbe avere più criterio e sapere che non ci si può fidare di un demone!»

«Ma ci ha aiutati, no?» Replicò Merrill, il bastone ben saldo a terra mentre si massaggiava la mano, la ferita che andava rimarginandosi. «So quello che faccio, credimi. Non sono una sciocca.»

Garrett inspirò dalle narici, forte. Per un attimo, sentì ribollirgli il sangue nelle vene, il ricordo di quella terribile sera impresso come il fuoco sulla pelle. Poi, così com'era arrivato, il momento passò. Si limitò a stringere la mascella, squadrandola con freddezza. «Se ne sei convinta.»

In silenzio, oltrepassarono una serie di tombe di pietra, talmente vecchie che le incisioni sopra di esse non erano quasi più visibili. Ad un'attenta analisi, riconobbe dei caratteri in elfico, quindi non ci avrebbe ugualmente capito nulla.

Poco prima di raggiungere il grande altare sulla cima, la terra sotto i loro piedi tremò e tutto attorno a loro si sollevarono delle ombre, piombandogli addosso.

«Orrore Arcano!» Sentì urlare, mentre una barriera di fuoco si alzava tutto attorno a loro, bloccando l'avanzata di una dozzina di scheletri, tra i quali uno fluttuava attorniato da un'aura magica e un altro era protetto da un'armatura scura.

«E un Guerriero d'Ombra!»

Estrasse il proprio bastone, ignorando una volta tanto le solite precauzioni. Lo fece roteare davanti a sé, frustando l'aria e producendo una serie di scariche elettriche che si andarono a schiantare con uno schiocco contro due scheletri, disintegrandoli sul posto.

Una freccia sibilò verso Merrill, rimbalzando sull'armatura di pietra che l'elfa aveva evocato attorno a sé. L'arciere rianimato venne poi fatto a pezzi da un pugno granitico che proseguì la sua corsa buttandone giù altri due.

Gli altri due maghi lavoravano in perfetta sincronia: Jowan immobilizzava i nemici imprigionandoli in uno spesso strato di ghiaccio che poi Geralt faceva esplodere in un inferno di fiamme.

In breve, rimasero soltanto il Guerriero d'Ombra, che stava duellando contro Zevran, e l'Orrore Arcano, che si era ritirato all'interno di una barriera protettiva.

Geralt, lo sguardo critico puntato verso l'elfo, sollevò un sopracciglio. «Quando hai finito di volteggiare...»

L'Antivano sospirò, facendo una mezza piroetta su sé stesso e oltrepassando la guardia dell'avversario, la lama del pugnale che si andava a conficcare nella fessura dell'elmo. Fece un salto indietro, appena in tempo per evitare lo scoppio che seguì, il Guerriero che si polverizzò ancora prima di toccare terra.

Si voltarono tutti verso l'Orrore Arcano, che cacciò uno strillo acuto, rabbioso.

«Sta un po' zitto.» Lo liquidò Geralt storcendo la bocca. Schioccò le dita, interrompendo bruscamente l'urlo della creatura in un'esplosione assordante.

Garrett si rese conto di starli fissando a bocca aperta. La richiuse, cercando di ricomporsi.

Jowan, incrociando il suo sguardo, scoppiò a ridere. «Qualcosa di utile il Circolo del Ferelden lo ha fatto.»

«Quindi venite da lì?»

L'altro annuì. «Io e Geralt ci conosciamo da quando eravamo bambini, siamo cresciuti a Kinloch Hold. Anche tu sei del Ferelden, giusto? Ne hai l'accento.»

«Lothering. Ho sentito che la torre era caduta in preda agli Abomini e ai maghi del sangue.»

L'altro sospirò. «Una serie di scelte sbagliate una dopo l'altra, da entrambe le parti. Sei fortunato a non essere mai stato rinchiuso in un Circolo.»

Garrett si strinse nelle spalle. «Già, mio padre era scappato da quello di Kirkwall per andare a Lothering con mia madre. Quando ha scoperto che avevo il dono, e poi anche Bethany-» scosse la testa, il ricordo della sorella faceva ancora male «è riuscito a tenere lontani i templari sia da me che da mia sorella.»

«Era di Kirkwall?» Si interessò Geralt. Mosse la mano sul proprio bastone, che rimpicciolì fino a diventare delle dimensioni di un pugnale, che il mago agganciò poi alla cintura.

Garrett annuì. «Sia lui che mia madre. Lei era una nobile, fu uno scandalo.»

L'altro scoppiò a ridere. «Immagino. Dovevano amarsi davvero.»

Merrill nel frattempo si era avvicinata al grande altare di pietra, recitando qualche parola in elfico mentre appoggiava il medaglione su di esso.

L'altare si illuminò con un flash abbagliante e come dal nulla comparve Flemeth, identica a come se la ricordava Garrett.

La donna guardò ciascuno di loro con i suoi occhi gialli, un sorriso appena accennato sulle labbra. «Ah, è un piacere scoprire qualcuno che mantiene ancora i patti. Quasi mi aspettavo di trovarmi su qualche bancarella.»

Garrett chinò leggermente il capo. «Ve lo dovevamo.»

La Strega delle Selve stiracchiò il collo, divertita. «Anche se si è rivelata una precauzione superflua, alla fine... la Custode si è rivelata molto più assennata di quanto desse a vedere.» Si soffermò su Geralt, che si era incupito di nuovo. «Non crucciarti per il passato e non lasciare che il rimpianto avveleni la tua anima. Quando verrà il tempo in cui ti sembrerà di soccombere ai tuoi rimorsi, ricordati delle mie parole.»

L'altro non rispose, sostenendo lo sguardo della donna, impassibile.

Lei sorrise di nuovo. «Il destino ci attende, miei cari ragazzi. Abbiamo molto da fare. Ma prima che me ne vada, vi darò un consiglio: ci troviamo sull'orlo del cambiamento. Il mondo teme l'inevitabile salto nell'abisso. E quando arriverà il momento... non esitate a saltare. Solo cadendo si può scoprire se si è davvero capaci di volare.»

Garrett rabbrividì istintivamente quando Flemeth tornò a fissarlo. «Per quanto riguarda te, giovane Hawke... cammina con attenzione. Nessuna strada è più buia di quella percorsa ad occhi chiusi.» Voltò loro le spalle, facendo qualche passo verso il burrone sotto di loro. «Avete la mia gratitudine, e la mia benedizione.»

In un attimo, un drago comparve dove poco prima c'era la figura di Flemeth, le grandi ali spiegate mentre si sollevava in aria fino a scomparire nelle nuvole basse sopra di loro.

«Come al solito, non ho capito nulla di quello che ha detto.» Commentò dopo poco Geralt, grattandosi la punta del naso puntato nella direzione dove era sparita la creatura.

Garrett sbuffò. «Non sei il solo... e sono sempre più invidioso di quel drago.»

Ridiscesero lentamente lungo il sentiero, ognuno perso nei propri pensieri. Quando tornarono all'accampamento degli elfi, era ormai pomeriggio inoltrato.

«Restate qui per la notte, la strada per la città non è sicura col buio.» Propose Marethari, Feynriel al fianco. Il mezzelfo era stato accettato dalla Guardiana, e sembrava per il momento entusiasta.

A quelle parole, un paio di elfi lanciarono occhiate cariche di astio in direzione di Merrill.

«Preferirei partire adesso, sempre che...» Balbettò la ragazza, guardando in direzione degli umani in cerca di aiuto.

Garrett si strinse nelle spalle. «Solo un folle rischierebbe il suicidio attaccandoci.»

Anche gli altri tre sembravano d'accordo.

«Grazie ancora, Geralt, Zevran, Jowan.» Disse loro Marethari, chinando la testa. Tra le mani, aveva un piccolo lupo di legno intagliato. «Significa molto, aver avuto sue notizie da qualcuno che è stato con lei fino all'ultimo. Sapere che... non è morta da sola.» Aveva gli occhi lucidi, mentre infilava il piccolo oggetto nella sacca di pelle che portava alla cintura.



 

Raggiunsero Kirkwall che era ormai notte fonda.

«Conosco un posto non troppo orribile per mangiare e bere qualcosa, se volete.» Propose Garrett agli altri quattro. Era certo di non essere l'unico con uno stomaco che brontolava dalla fame.

«Mi avevi a “conosco un posto”, amico.» Accettò volentieri Zevran, mettendogli un braccio attorno alle spalle.

Quando varcarono la soglia dell'Impiccato, una zaffata di pesce e uova annunciò che la cucina aveva sfornato la famosa torta salata della casa.

Merrill, che si guardava intorno come un cerbiatto spaventato, si strinse istintivamente contro di lui, gli occhi che saettavano da una parte all'altra della sala. Accortasi del suo sguardo, arrossì violentemente. «Non ho mai visto così tanta gente tutta assieme... ma come fanno a...?»

Garrett sorrise cercando di essere incoraggiante, facendosi strada tra la calca. «Ci farai l'abitudine, tranquilla.»

«Garrett, chi si rivede!» Esclamò Varric, facendo segno ad un paio di persone di alzarsi e levarsi di torno, liberando abbastanza posti da farli sedere tutti. «Chi sono i tuoi nuovi amici?»

Dopo un breve giro di presentazioni, il nano passò subito al sodo. «Ho indagato sul misterioso Custode Grigio del Ferelden, a quanto pare è un guaritore e passa il suo tempo in una clinica della Città Oscura ad assistere gratuitamente chiunque necessiti delle sue cure.»

«Un guaritore?» Si interessò Garrett tra un boccone e l'altro.

Varric abbassò la voce fin quasi ad un sussurro. «Che è un modo per dire... mago.»

«Un mago, Custode Grigio, del Ferelden?» Si intromise Geralt, sorseggiando il suo calice di vino.

«Lo conosci?»

Il rosso scosse la testa. «L'unico Custode ancora vivo che conosco è seduto sul trono di Denerim.»

Jowan incrociò le braccia con aria pensosa. «Di sicuro vale la pena di investigare, però... anche se non capisco a cosa vi serva trovarlo.»

«Stiamo organizzando una spedizione nelle Vie Profonde.» Rispose Varric.

«Scendere lì sotto, volontariamente?!» Esclamò Zevran, rischiando di farsi andare di traverso la birra. «Dovete essere folli o tremendamente disperati.»

«Se vedessi quella che sono costretto a chiamare casa, lo saresti anche tu, fidati.» Borbottò Garrett piccato. «Le Vie Profonde non possono essere peggio del tugurio di mio zio.»

Geralt inarcò un sopracciglio. «Pensavo avessi detto che tua madre era una nobile...?»

Prima di rispondere, si rituffò nella birra. «A quanto pare gli Amell sono caduti un po' in disgrazia, nell'ultimo periodo.»

Jowan quasi sputò un pezzo di torta salata. «Amell, hai detto?» Puntò lo sguardo sul compagno, incredulo. «Amell!»

L'altro aveva sgranato gli occhi, incredulo. «Sei... un Amell?»

Garrett li guardò senza capire. «Ed è una grande scoperta perché...?»

Geralt scoppiò a ridere, fragorosamente, talmente tanto che quelli del tavolo vicino finirono per voltarsi con aria confusa. «Siamo cugini, allora. Il mio nome completo è Geralt Amell. Anche se non ho mai conosciuto mia madre, so che si chiamava Revka Amell.»

«Non... mia madre ne saprà sicuramente qualcosa!» Esclamò Garrett. «Domani devi passare a trovarla, magari-»

«Frena un attimo e respira.» Lo fermò l'altro, divertito. «Non sono qui per una calorosa riunione familiare, anche se mi fa piacere sapere che almeno uno degli Amell non sia uno stronzo totale.»

«Ma-»

«Per il momento, finiamo qui e andiamo in quella clinica, mi interessa molto di più. E magari domani, dopo una bella nottata di sonno, potrei pure decidere di passare a salutare la... zia.» Concluse ridacchiando e finendo il vino. «Sempre che non si tratti di una grande cazzata.»

«Non sei contento di scoprire da dove vieni?» Gli chiese Merrill, che aveva avanzato quasi tutto il cibo e guardava con aria sospetta il contenuto del proprio boccale. «Insomma, è la tua famiglia.»

L'altro sbuffò. «Non siamo tutti come voi Dalish. E per quanto mi riguarda, la mia famiglia mi ha abbandonato in un orfanotrofio, che mi ha spedito direttamente al Circolo. Scusate se non salto dalla gioia alla sola idea.» Strinse il calice ormai vuoto con forza.

Jowan, al suo fianco, mise la mano su quella dell'altro, che allentò la presa con un sospiro. «Nessuno ti costringe a fare niente.» Avvicinò il volto al suo, i nasi che si sfioravano appena.

Garrett abbassò lo sguardo, imbarazzato.

Sentì Zevran, accanto a sé, ridacchiare. «Se ti metti a disagio per così poco, amico mio...»

Sentiva le guance avvampare. «Non è per quello.» Borbottò, cercando rifugio nella conversazione di Varric e Merrill sull'Enclave.

Finito di mangiare, si avviarono verso i bassifondi più malfamati della città.

La luce delle torce illuminava appena i vicoli bui, i mendicanti e gli ubriachi che dormivano agli angoli della strada che a malapena notavano il loro passaggio.

Un ragazzino che non doveva avere più di otto o nove anni ebbe la malaugurata idea di provare a derubarli, cozzando contro Merrill e sfilandole la borsa di pelle dalla cintura.

Nel giro di un attimo, una delle frecce di Varric che gli inchiodò l'orlo della giacca troppo grande al terreno, facendolo cadere di faccia.

«Almeno impara a scegliere vittime meno pericolose, piccoletto.» Lo redarguì severamente, riprendendosi la refurtiva e guardandolo dall'alto in basso. La lanciò poi all'elfa, che rischiò di farla cadere, ancora scossa. «Questa è la città che ti dà il benvenuto, Margheritina.»

«Ah! Grazie... credo?» Balbettò lei, confusa. «Sì è fatto male? Perché avrebbe dovuto...»

Zevran alzò gli occhi al cielo, prendendola sotto braccio. «Sei davvero sicura di andare a vivere nell'Enclave? Perchè non dureresti molto da quanto vedo...»

Sembrò offendersi, gonfiando un poco le guance e imporporendosi. «Non hai idea di quello che so fare, sai? Ho un compito, e intendo portarlo a termine. Non saranno un paio di... esuberanti benvenuti a fermarmi.»

L'elfo lanciò un'occhiata teatrale a Varric, che annuì con l'aria di chi la sapeva lunga.

«La terremo d'occhio, non c'è da preoccuparsi.»

L'ingresso alla clinica era nascosto dietro un pannello di legno, proprio come aveva raccontato l'informatrice di Varric.

«L'ho pagata bene, spero ne valga la pena...» Bofonchiò lui guardandosi attorno.

La stanza angusta era quasi deserta, fatta eccezione per una donna visibilmente incinta seduta sulla lunga panca di legno. Lo sguardo era puntato su una parete scorrevole, dietro la quale provenivano dei gemiti soffocati. Dopo qualche attimo, cessarono anche quelli.

Attesero pazientemente.

«Chi è il prossimo?»

Un uomo dall'aspetto stanco, gli occhi incavati e delle profonde occhiaie violacee, si sporse dall'interno, sbadigliando sonoramente. «Datemi solo un attimo per sistemare-» Si interruppe, gli occhi color nocciola puntati sui nuovi arrivati. «Non... Impossibile!»

«Anders?!»

«Vi conoscete?!» Esclamò Garrett, vedendo il guaritore, Geralt e Jowan abbracciarsi come vecchi amici. «Come...?»

«Ah, giusto.» Tossicchiò Geralt, allontanandosi e indicando gli altri. «Loro sono Zevran, Garrett, Varric e Merrill. Conosciamo Anders dai tempi del Circolo, nel Ferelden.»

«Prima che scappasse per l'ennesima volta.» Concluse Jowan, leggermente accusatorio.

«Hei, vi avevo proposto di venire con me, ma qualcuno aveva la testa da un'altra parte. In direzione della gonna di una certa Iniziata, se ben ricordo...» Replicò Anders sulla difensiva.

«Ma è storia vecchia!» Tagliò corto Geralt, tirando a sé Jowan per un fianco, un sorrisetto stupido sul viso. «Piuttosto, come ci sei finito qui? E un Custode Grigio?»

L'altro squadrò entrambi con aria confusa, prima di scuotere la testa e indicare la donna incinta. «È una storia lunga... lasciatemi un attimo per occuparmi dell'ultima paziente e sono da voi.»

Invitò la donna a seguirlo, chiudendosi la porta alle spalle.

«Speriamo abbia quelle mappe...» Commentò Varric guardandosi attorno.

Garrett annuì. «O almeno una buona memoria.»

Passò un po' di tempo, poi la porta si aprì di nuovo. La donna uscì, rincuorata, seguita da un uomo di mezz'età che si appoggiava ad una stampella, la gamba fasciata fino all'inguine.

«Prego, entrate pure...» Disse loro Anders, facendoli accomodare su delle sedie di legno. «Posso offrirvi al massimo un po' di vino o della birra, alle volte me ne portano un po' per ringraziarmi, la maggior parte non potrebbero permettersi altre cure...»

«Tranquillo, siamo a posto così...» Cercò di fermarlo Garrett, che si chiedeva come riuscisse a stare in piedi con una faccia del genere. Era chiaramente stravolto.

L'altro sembrò non aver sentito, affaccendato com'era tra gli scaffali alti fino al soffitto e pieni di cianfrusaglie, erbe secche e boccette strane. «Sì, ecco, i bicchieri...»

«Anders.»

Si voltò di scatto, fissando Geralt con aria stanca. «Ah, d'accordo. Scusate, sono in piedi da stamattina...» Si accasciò su una delle sedie, sospirando di sollievo. «Non mi sedevo da... ore.»

«Possiamo tornare domani, se vuoi...» Propose Jowan con aria preoccupata.

«No, no!» Lo fermò l'altro, allarmato. «Assolutamente, anzi, mi fa così piacere... è che non me l'aspettavo. Non sono esattamente nella mia forma migliore.»

«Potresti curare un minimo anche te stesso.» Ribattè Geralt con aria critica. «Sei uno straccio.»

Anders ridacchiò. «Non tutti possiamo sempre avere un bell'aspetto come il tuo.»

«Ah, qualcosa mi dice che condividiamo tutti una passione comune.» Commentò Zevran sibillino.

Merrill lo guardò confusa, mentre Varric scoppiava a ridere di gusto, mentre Jowan guardava l'elfo con disappunto.

«Allora, Custode Grigio...?» Lo spronò Geralt, mentre cercava qualcosa tra gli scaffali.

«Giusto... da dove comincio? Oh, sì. Dopo essermene andato dalla Torre -a proposito, è vero quello che si dice? Abomini e maghi del sangue? Immagino la faccia di quella vecchia prugna di Gregoir... - dicevo, mesi dopo mi sono ritrovato con i Templari alle calcagna, rinchiuso nella fortezza di Amaranthine. E per puro caso, proprio quando Re Alistair e la Regina Elissa l'avevano affidata ai Custodi Grigi. Se non fosse stato per il Comandante Adrien, a quest'ora sarei morto o un Adepto della Calma... in ogni caso, la scelta di diventare Custode Grigio era un po' forzata.»

«Ho sentito che Amaranthine è stata quasi completamente rasa al suolo da un esercito di Prole Oscura...»

«Con l'Arcidemone morto da mesi?» Si interessò Garrett, guardando confuso Varric. «È possibile?»

Anders sospirò, accettando grato il boccale pieno che gli porgeva Geralt. «A quanto pare ci sono un sacco di cose che nemmeno i Custodi Grigi sospettavano, sulla Prole Oscura. Comunque, una volta che il Comandante è tornato a Weisshaupt, il suo sostituto si è rivelato uno stronzo. Mi ha fatto dare via il mio gatto, e a quel punto me ne sono andato. Mi manca, Ser Pelosotto.»

«Ser... Pelosotto?» Garrett dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere.

L'altro aveva un'espressione tremendamente seria. «Un grande guerriero. Ha persino graffiato un Hurlock sul grugno, una volta. Ora è in pensione, a casa della sorella di un caro amico. Mi è dispiaciuto dovermene separare, però... Ho provato a vedere se lasciando fuori delle ciotole di latte attiravo qualche gatto, ma non ne ho visto nemmeno uno. Forse non ce ne sono.»

«O forse se li sono mangiati, visto il vicinato.» Commentò asciutto Geralt.

Il guaritore lo guardò sconvolto. «Dici che arriverebbero...?» Rabbrividì. «Preferisco non pensarci. Piuttosto, voi invece?»

«Abbiamo conosciuto anche noi un paio di Custodi Grigi.» Rispose l'amico, reclinandosi sullo sgabello storto. «Gli ultimi due rimasti in tutto il Ferelden, per la precisione. E abbiamo deciso di aiutarli a salvare il paese, sai, come le persone di buon cuore quali siamo.»

Anders scoppiò a ridere. «Sì, certo...»

«A sua difesa, magari non all'inizio, ma si è scoperto che un cuore sotto sotto ce l'ha anche lui.» Ridacchiò Jowan, correndo in difesa del compagno. «Molto nascosto.»

«Quindi, voi due adesso...?»

«Già.» Rispose vago Geralt, arricciandosi una ciocca di capelli su un dito.

Anders scosse il capo, incredulo. «Complimenti per la perseveranza. Sai, pensavo che sarebbe stato impossibile...»

«Sai che non ne aveva alcuna idea?» Ribattè Geralt, stuzzicando Jowan. «Persino un cieco se ne sarebbe accorto, ma non lui!»

«Hei!»

Lo baciò sulle labbra, interrompendo qualsiasi altra protesta.

Anders rimase a fissarli, un sorriso sul volto stanco. «E ditemi, gli altri? Niall, Surana...?»

Le espressioni dei due maghi cambiarono di colpo, mentre abbassavano gli occhi. «Sai già degli Abomini, quindi ti risparmio i dettagli. Non siamo sopravvissuti in molti.» Rispose Geralt.

L'altro annuì con aria grave. «Mi dispiace... non riesco a credere che per colpa della magia del sangue-» Scosse la testa, addolorato. «Almeno voi ce l'avete fatta.»

A Garrett non sfuggì l'occhiata di sottecchi che Zevran lanciò ad entrambi i compagni di viaggio. Si chiese cos'altro nascondessero quei due.

«Ah, ma vi stiamo escludendo.» Si rese conto Anders, portando la sua attenzione verso di lui.

«Non preoccuparti, avete parecchio di cui parlare.» Ribattè con un sorriso. «Possiamo anche tornare un'altra volta...»

«Hei, è questione di un attimo!» Lo fermò Varric, sporgendosi verso il guaritore. «Stiamo organizzando una spedizione nelle Vie Profonde, e ci servirebbe un buon ingresso.»

«Esistono diversi ingressi, ma non assocerei “buono” a niente che riguardi le Vie Profonde.» Rispose Anders, corrucciato. «Non vi consiglio di scendere là sotto.»

«Lo sappiamo, biondino, è un posto orribile, pericoloso e tutto quanto. Segnato. Ora, mica avresti delle mappe, o potresti segnalarci una galleria guardando-»

Il mago sospirò profondamente, alzandosi e prendendo qualcosa dal fondo di un cassetto. Lo appoggiò sul tavolino di fronte a loro, srotolando l'involucro di pelle e rivelando una serie di cartografie dall'aria vissuta. «Prendetevele pure, ma vi sconsiglio caldamente di andarci. Anche se so che non mi darete retta...»

Garrett si scambiò con Varric un'espressione vittoriosa. Un passo avanti verso la meta. Ora mancavano soltanto una quarantina di Sovrane...

«Grazie. E staremo attenti, promesso.» Cercò di rassicurare l'altro, ma l'ex Custode non sembrava affatto convinto. «Ora ce ne andiamo, così accompagniamo Merrill all'Enclave e vi lasciamo a parlare un po' senza impicciarci.»

«Mi ha fatto piacere conoscervi, Garrett.» Gli strinse la mano il guaritore, una ciocca di capelli biondo cenere scivolatagli sugli occhi. «Se avete bisogno di qualcosa, sapete dove trovarmi.»

Annuì, ricambiando la stretta con un sorriso.

Salutarono e uscirono, ripercorrendo le scale che portavano alla città inferiore e svoltando verso l'Enclave.

Arrivati di fronte al grande albero della piazza principale, l'elfa si guardò intorno spaesata.

«Magari preferisci tornarci di giorno? Intanto così ti sei fatta un'idea del posto, Margheritina. In caso dovessimo riaccompagnarti dai tuoi domani mattina.»

Merrill scosse la testa, cercando di assumere un'aria più decisa. «No, non sarà necessario. Devo... parlare con qualcuno, trovare una casa.»

Varric sospirò. «Ci ho provato. E va bene, hai vinto. Ma concedimi di farti stare all'Impiccato almeno per un paio di giorni, intanto che ti trovo una sistemazione accettabile in questo postaccio. Non vorrei finissi in una cassa entro l'alba.»

La ragazza si concesse un sorriso. «Grazie, Varric.»

«Figurati. Se non ci penso io... mica puoi chiedere a questo qui, visto dove vive.»

«Così mi ferisci. Il peggiore tugurio può sembrare una reggia, con l'affetto familiare.»

«Allora credo continueremo a vivere in una topaia per sempre, indipendentemente dall'esito della nostra spedizione.» Commentò ridacchiando Varric. «Piuttosto, domani mattina hai un lavoro che promette bene, Aveline ha passato un paio di informazioni a tuo fratello su un ricercato, sono promesse un paio di Sovrane.»

«Domani mattina speravo di dormire, in realtà... visto che ormai è quasi l'alba.»

Il nano sfoggiò uno dei suoi migliori ghigni. «Il mattino ha l'oro in bocca, serah!»






















Note dell'Autrice: eeee SORPRESA! Sì, dall'Epilogo di Dragged si poteva immaginare che uno degli Hawke avrebbe incontrato Geralt e co dai Dalish, e già che c'ero non potevo perdere l'occasione di farli andare da Anders tutti insieme. Questa reunion Fereldiana è parecchio dolceamara, considerando tutto quello che è successo e i grossi segreti che si stanno tenendo nascosti a vicenda. Già mi mancava scrivere del mio rosso preferito (e non sarà il solo a ricomparire :3)... 
Parlando degli altri, Merrill è deliziosa e va protetta, chissenefrega se prende il tè delle cinque coi demoni, è una delicata Margheritina, Varric ha ragione.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima! :D 

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Capitolo 4
*** Lurking shadows ***


CAPITOLO 4
Lurking Shadows




 

«Marian? Mi passi il sale? …Marian!»

Si riscosse dai propri pensieri, allarmata.

Garrett la guardava a braccia conserte, indicando con un cenno del capo la saliera. «Hai picchiato la testa sotto quel tuo elmo da templare?»

«Ah, no... Scusa.» Allungò il braccio, lo sguardo che tornava verso il loro ospite.

«Quindi, Geralt, dimmi... ti piace Kirkwall?» Chiese Leandra, versando di nuovo da bere all'uomo.

“Che razza di domanda è?” Pensò lei con una smorfia, nascondendosi dietro il boccale. Nessuno avrebbe potuto rispondere affermativamente con sincerità.

«Mi fa rimpiangere il fango del Ferelden.» Rispose asciutto l'altro, un sorriso forzato sul volto.

Sentì Garrett ridacchiare. Il fratello aveva fatto pressioni per un paio di settimane, ma alla fine erano riusciti ad organizzare quel pranzo.

Carver, dal lato opposto del tavolo, sembrava aver deciso di chiudersi in un astioso silenzio, che rivaleggiava soltanto con quello di Gamlen.

Leandra ridacchiò cortesemente. Era stata una pessima idea. Aveva provato a spiegare al fratello che probabilmente era meglio lasciar perdere, ma Garrett era stato irremovibile, e sembrava l'unico a volere che quella piccola riunione familiare funzionasse.

«E ti fermerai a lungo?» Chiese nuovamente Leandra, sbocconcellando il pasticcio di carne nel piatto con la punta della forchetta.

Geralt fece spallucce. «Per il momento non saprei, ho un po' di affari da sbrigare...»

«Ah, anche Marian è sempre così impegnata...» La madre si sporse a darle una carezza sul braccio, guardandola con affetto. «Ho parlato con Ser Thrask l'altro giorno, era di guardia di fronte all'ingresso del mercato, dice che per la tua Veglia è solo questione di settimane...»

Marian si mosse sulla sedia, a disagio. «Non si sa con esattezza, madre, spetta alla Comandante esaminare ogni recluta... potrebbero volerci anche mesi.»

«Sciocchezze, sei la migliore e lo sanno tutti.» Tagliò corto Leandra, mettendole nel piatto un'altra porzione di pasticcio. «Vedrai che presto sarai un membro dell'Ordine a tutti gli effetti.»

«Sì, chissà se ti ricorderai di guardare verso il basso qualche volta, sorella.» Commentò Carver, versandosi nuovamente da bere.

Gli scoccò un'occhiata di ammonimento, ma si morse la lingua per evitare di rispondere a tono.

«Almeno manderà qualche soldo in più a casa...» Disse Gamlen, che si era spazzolato tutto il piatto ed era almeno al quinto boccale. «Una su tre si rende utile...»

«Ah, che sbadata!» Esclamò Leandra, fingendo di ignorare il fratello. «Ho trovato una cosa, qualche giorno fa.» Si frugò nelle tasche, estraendone una grossa chiave di ferro arrugginito. «Carver, ti ricordi che mi avevi chiesto come entrare nella vecchia tenuta? Ecco, le vecchie chiavi della cantina! Gamlen ed io le usavamo per sgattaiolare fuori di casa senza essere visti... sapete, io andavo a trovare vostro padre.» Sorrise malinconica.

Carver le afferrò di scatto, un cipiglio determinato sul volto. «Così potremo andare a recuperare il vecchio testamento dei nonni...»

«Ve l'ho già detto, non troverete nulla che già non conoscete!» Gracchiò Gamlen, fissando con orrore la chiave. «Avranno buttato tutto, e in ogni caso non è rimasto più nulla del-»

«Ne parli come se fosse arrivata una tempesta a portare via tutto, zio.» Lo interruppe Garrett, ridacchiando. «E magari in quel caso avresti pure potuto recuperare qualcosa...»

Marian sbuffò, tornando a concentrarsi su Geralt, che aveva ignorato ogni genere di discorso, lo sguardo puntato verso la finestra, dove un ragno zampettava sul vetro.

«Se nel testamento troviamo qualcosa di utile, potremmo andare ad impugnarlo di fronte al Visconte.» Ragionò Leandra, pensierosa. «Sono certa che si dimostrerà ragionevole...»

«Ragionevole?» Ripetè Marian, incredula. «L'ho incrociato un paio di volte, non mi sembra il tipo.»

«Possibile che chiunque gestisca qualcosa in questa città sia un imbecille totale o un-»

«Garrett, per il tuo bene, non concludere questa frase.» Lo ammonì bonariamente. «Ah, non sapete l'ultima. Avete presente il Capitano delle Guardie?»

«Jeven?»

«Proprio lui. Aveline mi aveva chiesto di darle una mano con una pattuglia, io e un paio di altre reclute l'abbiamo accompagnata e... indovinate? È saltato fuori che è indebitato fino al collo con la Coterie. Quasi duecento Sovrane.»

Carver scosse la testa, ammirato. «Immagino la furia di Aveline...»

«E non hai ancora sentito il peggio. Mandava le sue guardie in pattuglia da sole, in modo da cadere preda di qualche imboscata organizzata dalla Coterie, che avrebbe ricevuto paghe e ordini del giorno, con tutte le informazioni utili sulle altre pattuglie, carichi di valore e altro.» Spiegò Marian, ancora disgustata dall'uomo. «E ha avuto la faccia tosta di provare a negare tutto. L'abbiamo trascinato di fronte al Siniscalco, ovviamente... credo che nel giro di un paio di mesi Aveline potrebbe essere il nuovo Capitano.»

«Seriamente?!»

Scoppiò a ridere alla vista dell'espressione estasiata di Garrett. «Non prenderlo come oro colato, non credo lascerà correre ogni vostro casino, fratellino.»

L'altro le rispose con una smorfia. «Ovviamente...»

«Roba da non crederci, però.» Si intromise Carver. «Siamo qui da poco più di un anno, e già diventa Capitano delle Guardie? Una Fereldiana, poi. Vorrei vedere la faccia delle guardie veterane...»

«Non saranno molto entusiaste, ma Aveline è una che prende molto seriamente il proprio lavoro.» Ribattè Marian, finendo la birra. «E a proposito di questo, devo lasciarvi. Tra un'ora sono di turno alla Forca e devo recuperare l'armatura al dormitorio.»

«Al primo segno di magia incontrollata, taglia tutte le teste incappucciate che vedi!»

«Garrett, quando ti accorgerai di non essere divertente?»

«Quando ti accorgerai di non esserlo neanche tu?» Le fece il verso lui con una linguaccia. «Noi andiamo a compiere un'effrazione, allora. Tanto, con tutto il casino che sta succedendo alla Guardia Cittadina, non ci faranno neanche caso. E alla peggio, siamo amici del futuro Capitano.»

Marian si limitò ad alzare gli occhi verso il soffitto, facendo appello al Creatore per avere un altro po' di pazienza. Alla peggio, forse un paio di notti in cella avrebbero restituito un po' di sale in zucca ad entrambi i fratelli minori.

«Non mettetevi nei guai...» Li pregò Leandra, ma non venne minimamente ascoltata.

Mentre sistemava i piatti nel secchiaio, Marian allungò un paio di scarti a Bu, che le scodinzolava attorno uggiolando. La mabari le leccò la mano, contenta.

«Lascia cara, faccio io.» Si offrì Leandra. «Hai già tanto da fare...»

«Madre non-» sospirò, lasciandole il posto. Geralt le allungò il proprio boccale, l'espressione indecifrabile. «Ah, grazie.» Lo appoggiò sul ripiano di legno, sistemandosi poi la giacca.

«Posso accompagnarti per un pezzo di strada?»

Annuì, a disagio. «Certo...»

Uscirono dopo aver salutato, percorrendo il primo tratto in silenzio. Superarono il mercato della città bassa, affollato come al solito, il mago che si guardava attorno con interesse.

Marian ripensò a quello che aveva detto Leandra sulla cugina, ovvero la madre dell'altro. Dopo che il primo figlio aveva dimostrato di avere talenti magici ed era stato mandato in un Circolo lontano da Kirkwall, era impazzita a tal punto che anche gli altri tre erano stati spediti in orfanotrofi separati. Geralt era il secondogenito, e a quanto diceva non aveva alcun ricordo di Revka Amell. Per tutto il racconto di Leandra, il mago non aveva mosso un muscolo, restando impassibile come se la donna gli stesse raccontando un pettegolezzo sentito al mercato.

«Come mai hai scelto di essere una Templare?» Le chiese ad un tratto.

Marian rimase un attimo impreparata, ma si riprese in fretta. «Mio padre era stato aiutato da un Templare a fuggire dal Circolo. Rubò e distrusse il suo filatterio, perfino.»

Non sembrava impressionato. «Le azioni di uno contro quelle dell'intero Ordine...»

«Sono d'accordo che molto spesso l'Ordine abusi del proprio potere, ma qualcuno deve proteggere i maghi da sé stessi, e il resto della popolazione dai pericoli della magia.» Ribattè decisa.

«E quindi, dato che due dei tuoi fratelli si sono rivelati eretici, hai pensato bene di dover essere tu quel qualcuno.»

Quelle parole la ferirono più di quanto teneva a dare a vedere. «Non è così. In realtà fino a cinque anni fa facevo parte dell'esercito reale. Come Carver ad Ostagar, soldato semplice. Poi...» Non se la sentì di raccontare cos'era accaduto quella sera, non ad un perfetto sconosciuto, seppur di famiglia.

«Capisco.»

«No, non capisci nulla.» Disse, tagliente. «Ma non importa. Subisco tutti i giorni da anni le battute e le frecciatine di mio fratello, non sarà il tuo sdegno da mago eretico appena arrivato a farmi rimpiangere la mia decisione. Ho fatto una scelta e ne risponderò solo a me stessa e al Creatore.»

Geralt si limitò a sbuffare. «Il Creatore... si vedrà, Marian Hawke. In ogni caso, spero per te di non incrociarti mai all'opera.»

Sostenne il suo sguardo, immobile. «Perchè sei venuto qui, Geralt?»

L'altro arricciò l'angolo della bocca in un sorrisetto. «Per portare notizie dell'Eroina del Ferelden al suo Clan. E fortuna vuole che abbia rincontrato la mia amorevole famiglia, non è meraviglioso? Sento proprio il caloroso affetto di questo ricongiungimento.»

Il sarcasmo che trasudava da ogni parola avrebbe fatto rabbrividire persino Garrett. «Sappi che se sei venuto a causare problemi, non ho intenzione di far finta di niente solo perché sei di famiglia.»

Sembrò divertito dalla minaccia. «Parli come una vera Templare...» Erano ormai in cima alle scale, la Forca che spuntava dietro un paio di edifici più bassi proiettava la sua ombra fin lì. « Buona pattuglia, cugina.»

«Marian!»

Sentendosi chiamare, si voltò un attimo. Hugh, una recluta dell'Ordine come lei, il braccio alzato in segno di saluto, la chiamò di nuovo, l'armatura lucida che rifletteva i raggi del sole. «Hai visto Keran? Doveva venire in pattuglia con me, ma non si è presentato stamattina.»

Marian scosse la testa. «No, era la mia mattina libera, rientro ora da...» Si voltò alla ricerca del mago, ma di Geralt non c'era traccia. Sospirò, temendo quello che poteva stare tramando il nuovo arrivato e sperando di non ritrovarselo come nemico. Se la metà delle cose che aveva raccontato di lui Garrett erano vere, sarebbe stato un problema persino per un Templare esperto. «Hai provato a chiedere a Wilmod? Quei due ultimamente sono inseparabili. Settimana scorsa sono scomparsi per due giorni... con tutto il tempo che passano alla Rosa Fiorita staranno sperperando almeno metà della paga del mese.»

Hugh non sembrava convinto. Si avvicinò ulteriormente a lei, abbassando la voce. «E se le voci sulle prove della Comandante fossero vere?»

Marian gli mise una mano sulla spalla, guardandolo dritto negli occhi. «Sai che sono solo stupidaggini, vero? Insomma, dai...»

«Non sarebbero le prime reclute a sparire per giorni!» Insistette l'altro, liberandosi dalla presa. «E alcune non sono mai tornate.»

«Non c'è alcuna prova. E trovo assurdo anche solo pensare che la Comandante possa uccidere le reclute dopo averle messe alla prova per... cosa, uccidere maghi innocenti?»

«Se non ci credi, come ti pare, ma almeno proviamo a cercarlo...»

Annuì con un sospiro. «E va bene. Ma se salta fuori che stanno solo perdendo tempo al bordello...»

Si stavano incamminando verso la Forca, quando incontrarono Ruvena. La recluta stava discutendo animatamente con una donna in abiti civili, qualche anno più anziana di loro.

«Ti ho già detto che non so dove sia!»

«Vi prego, se le voci sono vere...»

«Oh, per il Creatore...» Borbottò Marian, frapponendosi tra le due. «Qual è il problema? Ruvena?»

La recluta allargò le braccia, esasperata. «Non vuole sentirne, crede che ci sia qualche strano complotto per-»

«Mio fratello non manda notizie a casa da giorni!» Gridò l'altra, a voce così alta da far voltare alcuni passanti verso di loro. «Pretendo di sapere-»

«Siete la sorella di Keran, giusto?» La interruppe, cercando di calmarla. «Stiamo cercando di trovarlo, probabilmente si sarà imboscato da qualche parte. Appena lo troviamo, ve lo spediamo dritto a casa, va bene?»

La donna non sembrava molto rincuorata, ma non ebbe altra scelta che annuire, pregando loro e il Creatore che trovassero velocemente il fratello.

«E se fosse davvero sparito? Wilmod non si vede da...»

«Hugh, dacci un taglio.»

«Marian ha ragione.» Le diede corda Ruvena. «Wilmod è tornato stamattina, l'ho visto andarsene in pattuglia con il Capitano Cullen.»

«Cullen?» Aggrottò le sopracciglia Marian, incupendosi. «Non è certo famoso per il suo tatto... Dovremmo andare a prendere le parti di Wilmod, in caso lo stia strigliando per bene. E già che ci siamo, chiedergli se sa dov'è finito Keran.»

«La trovo una splendida idea!» Approvò l'altra, con un insolito entusiasmo.

Marian scoppiò a ridere. «Lo dici solo perché vuoi una scusa per parlare col Capitano.»

Ruvena si voltò dalla parte opposta, nascondendo il rossore sul viso. «Ma che dici...»

Hugh sbuffò sonoramente, scoccandole uno sguardo geloso. «Non capisco perché tutte andiate dietro a quello là, cosa ci troverete in quel Fereldiano... Ah, senza offesa ovviamente, Marian.»

Lei si limitò a scrollare le spalle. «Figurati. Il fascino del tormentato Capitano Cullen non è riuscito a colpirmi, purtroppo, sono dalla tua parte.»

Ruvena, all'improvviso, spinse tutti e due in avanti, rischiando di farli caracollare a terra. «Smettetela immediatamente!»

Ridacchiarono, ma decisero di lasciar perdere. La recluta sapeva farsi valere, soprattutto se infastidita sulla sua situazione sentimentale.



 

«Che Andraste mi sia da testimone, Wilmod, sputa fuori la verità o giuro che-»

Li raggiunsero appena in tempo per vedere il Capitano Cullen, furibondo, afferrare Wilmod per il pettorale dell'armatura, scuotendolo con forza.

La giovane recluta cercò di tirarsi indietro, ma l'altro era nettamente più forte. «Vi prego, non colpitemi!» Guaì inerme, le braccia alzate in segno di resa.

Per tutta risposta, il Templare più anziano gli rifilò una ginocchiata nello stomaco. Con un clangore metallico, la recluta cadde a terra contorcendosi su se stessa, implorando pietà quando si ritrovò la lama del suo superiore a pochi centimetri dal viso. «Parla. Ora!»

Cullen alzò nuovamente il braccio, pronto a calare la sua spada sull'inerme Wilmod.

Marian agì senza pensarci un attimo. Si parò davanti alla recluta, estraendo le proprie lame e facendole cozzare contro quella del Templare, incastrandola tra le due guardie. «Capitano Cullen!»

Quello sgranò gli occhi per la sorpresa, che lasciò rapidamente il posto all'indignazione. «Marian! Come osi, sono un tuo-»

Una risata che non aveva nulla di umano gli fece morire le parole in gola, lo sguardo che si spostava verso un punto dietro di lei.

Marian sentì un brivido gelido lungo la schiena. Con la coda dell'occhio, vide Wilmod rimettersi a sedere, sghignazzando come un folle.

«Questa è l'ultima volta che ti permetto di toccarmi, patetico umano...» gracchiò, sollevandosi da terra. Una luce violacea lo avvolse per un attimo, accecandola.

Prima che potesse voltarsi, il Capitano Cullen scartò in avanti, liberandosi delle sue lame e contemporaneamente spostandola di lato, salvandola appena in tempo dall'essere trafitta dagli artigli della creatura che aveva preso il posto di Wilmod.

Marian incespicò a terra, rotolando di lato e schivando un'ombra comparsa dal nulla. Si rialzò con un balzo, trafiggendo alle spalle la creatura che esplose in una nuvola di fumo scuro e nauseabondo.

Hugh e Ruvena nel frattempo si erano ripresi dalla sorpresa e avevano eliminato un altro paio di ombre, andando poi ad aiutare il Capitano.

Le unghie ricurve del mostro raschiarono sul grande scudo di Cullen, lasciando una strisciata sulla spada fiammeggiante impressa sul metallo. L'uomo sollevò il braccio, colpendo con forza la creatura e stordendola abbastanza da riuscire a decapitarla con un potente fendente. Quella crollò a terra, contorcendosi un paio di volte prima di diventare finalmente immobile.

«Maledizione...»

«Capitano, cosa-»

«Marian!» Ringhiò lui, la spada puntata verso di lei. «Avreste potuto...» Scosse la testa, abbassando l'arma. «Non farlo un'altra volta, recluta.»

«Mi dispiace molto, Capitano, perdonate la mia insubordinazione.» Chinò il capo lei, l'angoscia che la pervadeva. Indicò con un cenno il cadavere. «Era davvero un Abominio? Insomma, Wilmod...»

Cullen sospirò. «Ho sentito di maghi del sangue che riescono ad evocare demoni nei corpi di vittime ignare ma... speravo fossero solo dicerie.» Rinfoderò la spada, sistemandosi lo scudo sulle spalle. «State bene?»

Annuirono, ancora scossi.

«Mi dispiace per il vostro amico. Immaginavo ci fosse sotto qualcosa e speravo di spaventarlo abbastanza da farmi dire dove fossero le altre reclute...»

«Quindi ammettete che Keran è sparito, assieme agli altri!» Esclamò Hugh. «Siamo tutti in pericolo!»

Cullen gli scoccò un'occhiataccia. «Recluta, un po' di contegno. Siamo Templari, non ci facciamo spaventare da un solo Abominio.»

«Cosa sospettate stia accadendo, Capitano?» Chiese Ruvena avvicinandosi più del necessario.

«Wilmod non è mai stato del tutto convinto delle regole dell'Ordine, come sapete aveva degli amici tra i maghi del Circolo. Pensavo li stesse aiutando a fuggire dalla Forca.»

«Cosa c'è di male nell'avere degli amici nel Circolo?» Ribattè Marian, piccata. «Non sono tutti abomini e maghi del sangue, ma persone.»

Cullen serrò la mascella, un lampo negli occhi. «Ho visto cosa è successo a Kinloch Hold, nel Ferelden. Cosa ha portato essere amici dei maghi. Ho ancora gli incubi di quel posto. No, non possiamo fidarci di loro. Di nessuno di loro. Dovresti saperlo, ormai.»

Marian si morse la lingua, costringendosi ad abbassare lo sguardo. «Forse avete ragione, Capitano. Mi dispiace, di nuovo. Oggi non sono molto in me, girano voci preoccupanti.»

Il templare scosse la testa, tranquillizzandosi. «Voi reclute siete peggio di un branco di vecchie signore ad un circolo di cucito... Ho sentito quello che dite della Comandante, a proposito, e sono tutte fesserie.»

«Lo sapevo!» Esclamò Ruvena con fare trionfante, dando una gomitata a Hugh. «Visto?»

«Ma abbiamo una situazione molto più grave di qualche diceria fuori controllo, recluta, quindi non mi pare il caso di festeggiare.» La rimproverò Cullen guardandola storto. L'altra abbassò la testa, mortificata, mormorando delle scuse. «So che Wilmod e Keran frequentavano spesso la Rosa Fiorita, così come parecchie altre reclute. Per il momento è la nostra unica pista. Marian, voglio che te ne occupi personalmente.»

«Devo andarci da sola?»

Non le sfuggì l'improvviso rossore sulle guance del Capitano, mentre si grattava la nuca evitando i loro sguardi. «Ho già... provato a chiedere qualcosa alle signorine che lavorano lì, ma nessuna di loro è stata particolarmente collaborativa. Mi serve qualcuno che non sospettino faccia parte dell'Ordine, o comunque meno conosciuto di me.»

«Avranno avuto paura che foste lì per fargli chiudere i battenti, con tutti i soldi che guadagnano grazie a n- volevo dire, a qualche disgraziato dei nostri.» Si corresse appena in tempo Hugh, causando una serie di risatine da parte di Marian e Ruvena.

«Lasci fare a me Capitano, non sospetteranno di nulla e avremo notizie di Keran entro stanotte.» Gli assicurò Marian, sapendo già a chi chiedere.

«Se ci riuscite, dimenticherò completamente la vostra insubordinazione. Anzi, potrebbe pure scapparmi una nota di encomio con la Comandante Meredith.» Sorrise leggermente Cullen, per poi fare un cenno a Hugh. «Dammi una mano col cadavere.»



 

«Ci stai chiedendo di fare un giro al bordello, a tue spese?»

Marian incrociò le braccia, aspettando che i fratelli smettessero di ridere come due perfetti imbecilli. «Esatto, ma non ho alcuna intenzione di pagare le vostre scopate, dovete solo raccogliere informazioni su una recluta scomparsa.»

«E perché non lo fai da sola?» Ribattè Carver, inquisitorio. «Non mi dire che la Rosa ti mette a disagio...»

Alzò gli occhi al cielo, sbuffando. «No, zuccone, è che per il momento sono spariti solo uomini. E quindi, se andassi io, avrei meno probabilità di riuscire a scoprire cosa sta succedendo.» Spiegò seccata. «Ma non temete, vi accompagnerò.»

Improvvisamente, le espressioni divertite di Garrett e Carver si tramutarono in disagio. «Devi proprio...?»

Marian ghignò, facendo passare le braccia sulle spalle di entrambi e avvicinandoli a sé con forza. «Sarà una divertente gita di famiglia!»

Detto fatto, qualche altra lamentela e parecchi gradini più tardi, si ritrovarono all'interno del bordello più famoso di Kirkwall.

Marian, a proprio agio negli abiti leggeri di cuoio, si accomodò al bancone del bar, da dove riusciva ad avere una chiara vista del resto del locale.

Osservò Garrett e Carver, divertita.

Il primo sembrava più a proprio agio mentre scherzava con una delle ragazze, ma il fratello minore era impacciato e rigido come un palo.

«Sì, non ci ricordiamo il nome, ma Wilmod non fa altro che parlare di lei..» Sentì Garrett raccontare, chinandosi a sussurrare qualcosa nell'orecchio della ragazza, che ridacchiò graziosamente ammiccando in direzione di Carver.

Intercettando lo sguardo di Garrett, Marian si alzò lentamente dalla sedia, seguendo il fratello al piano di sopra e lasciando il più giovane degli Hawke alle prese con la ragazza che lo stava stuzzicando con fare civettuolo, mettendolo nell'imbarazzo più totale.

Garrett rallentò il passo salendo le scale per il piano superiore, per poi entrare in una delle stanze e lasciare la porta socchiusa.

Marian si guardò attorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno a prestarle attenzione e appoggiandosi con noncuranza al muro, le orecchie tese a sentire cosa accadesse all'interno.

«Idunna?» Sentì Garrett chiedere, ammiccante.

Una voce femminile, sensuale, rispose in tono affermativo.

«Wilmod mi ha parlato di te, sei davvero una “meraviglia dall'Est”?»

«Ah, Wilmod? Siete un suo compagno?»

«Siamo amici, sì...»

«E ditemi...»

Marian si dovette avvicinare ulteriormente alla porta, non riuscendo più a decifrare le parole della donna, spiando oltre la soglia. La donna, di spalle, era vicinissima al fratello. Le mani di lui tra le sue, Idunna lo spinse sul letto, facendolo sdraiare tra i cuscini prima di salire su di lui mentre con le dita andava a slacciare la giacca del ragazzo, muovendo i fianchi con maestria.

Garrett sembrava stregato. «Ah, non...»

Marian alzò gli occhi al cielo mentre il fratello si lasciava abbindolare come un pivello qualunque. “Per una volta che gli chiedo un favore...”

«Dimmi, adesso, chi ti manda veramente?» Chiese la donna, accarezzandogli il petto e avvicinando il volto al suo, fino a far sfiorare le loro labbra. Con la mano libera, andò ad armeggiare con la cintura che le stringeva il vestito scollato.

«Mia sorella è una recluta templare, mi ha chiesto di investigare.»

Marian si lasciò sfuggire un'imprecazione, fiondandosi all'interno della stanza e chiudendo la porta con un tonfo mentre estraeva il coltello che aveva nascosto nella giacca.

In un attimo Idunna le si rivoltò contro, il pugnale che fendette l'aria dove un momento prima c'era la sua testa. La templare riuscì a buttarla per terra, inchiodandola sul tappeto col proprio peso, disarmandola e rendendola innocua.

«Bel lavoro, Garrett.» Lo schernì con una smorfia, il coltello premuto sulla gola della prostituta.

Il fratello saltò in piedi, scuotendo la testa come rintronato. «Io... che?»

«Magia del sangue.» Ringhiò Marian. «Parla, maga, prima che ti stacchi la testa.»

Idunna tremava come una foglia. «Tarohne! È stata lei a mettermi a lavorare qui, così da mandarle le reclute templari alla città sotterranea!»

«Wilmod e Keran?»

«Li ho incantati giorni fa, non so poi cosa-»

«Dove li hai mandati?»

«Al vicolo delle tre lance! Vi prego, non uccidetemi, è stata tutta un'idea di Tarohne, ha detto che potevamo ricreare il vecchio Impero, che noi maghi potevamo governare su tutti come una volta!» Squittì la donna, lo sguardo terrorizzato fisso nel suo. «Dice che i Templari non potranno fermarci, se gli terremo testa insieme...»

«Questo covo. Ingressi, trappole, quanti altri maghi ci sono?» La interrogò di nuovo Marian, senza lasciarsi impietosire dai piagnucolii della maga del sangue. «Muoviti.»

«C'è un interruttore all'ingresso, nascosto dietro un pannello a sinistra della porta, che disattiva le trappole... è l'unico accesso ai sotterranei. Vanno e vengono, alle volte ci sono una dozzina di maghi, ma la maggior parte del tempo giusto una manciata.» Voltò la testa verso Garrett, che nel frattempo si era rivestito e osservava la scena con aria offesa. «Vi prego, serah...»

«Con te ho finito.» Sentenziò Marian, tagliandole la gola con un gesto rapido e rialzandosi mentre Idunna annaspava nel proprio sangue. Con disgusto, distolse lo sguardo. «Io ho da fare, avviserò qualcuno della guardia di venire a prendersi il cadavere. Chiudi la porta a chiave.»

«Marian.»

Sospirò, la mano sulla maniglia. «Era magia del sangue Garrett, non avevo altra scelta. Lo sai.» Uscì in fretta, senza aspettare la risposta del fratello. Scese le scale quasi di corsa, superando la maitresse e bloccando una guardia fuori dall'ingresso, spiegando in fretta l'accaduto e chiedendo che restasse più segreto possibile. Non voleva allertare i maghi del sangue, non quando la posta in gioco era così alta. L'intero Ordine era in pericolo.

Arrivò davanti alla Forca quasi di corsa, intercettando il Capitano Cullen e Ruvena che stavano discutendo proprio lì di fronte con una guardia cittadina.

«Marian!»

«Aveline?»

«Vi conoscete?» Chiese Cullen, guardandole confuso. «Oh, beh, immagino che siate arrivate nello stesso periodo...»

«Abbiamo combattuto insieme ad Ostagar, anche se in divisioni diverse.» Tagliò corto Marian. «Aveline, che ci fai qui?»

«Uno delle vostre reclute è impazzito proprio nel palazzo del Visconte. Sospettavamo avesse interferito con un'indagine su dei maghi fuggitivi, e quando lo abbiamo interrogato si è...»

«Trasformato in Abominio. Proprio come Wilmod.» Concluse per lei Cullen, scuotendo la testa. «Dobbiamo fare qualcosa prima che sia troppo tardi, chissà quante altre reclute sono state-» Si interruppe di colpo, fissando Ruvena e Marian con aria inquisitrice.

«Hei, siamo dalla stessa parte!» Si difese Marian, alzando le mani. «Altrimenti vi avremmo già attaccato con Wilmod, no?»

«Cosa avete scoperto alla Rosa Fiorita?» Domandò Cullen, restando sulle spine.

«Una prostituta era in realtà una maga del sangue. L'ho uccisa, ma prima mi ha svelato del loro covo e di un piano per far tornare i maghi al potere come in un secondo Tevinter.» Spiegò in breve lei. «Dobbiamo darci una mossa, so dove si trovano.»

«Allora vai.» Le disse Cullen, annuendo. «Noi due andiamo a radunare tutte le reclute nel cortile per sottoporle ad ispezione, voi – Aveline, posso chiedervi di assistere Marian in questo compito?»

Aveline si concesse un sorriso accennato. «Ma certamente, Capitano. Marian, andiamo.»

Dopo una breve deviazione per recuperare armi e armatura, si addentrarono nella città sotterranea. Trovarono il vicolo delle tre lance senza grandi problemi, individuando l'interruttore che disattivava le trappole e azionandolo. Stavano per entrare, quando un movimento alla loro destra le fece sobbalzare.

«Garrett!» Sibilò Marian, tirando un sospiro di sollievo e abbassando il braccio, già pronta a colpirlo. «Mi hai fatto prendere un colpo.»

«Abbiamo pensato di aiutare.» Spiegò il mago.

Carver, accanto a lui, non sembrava altrettanto entusiasta. La grande spada appoggiata su una spalla, squadrava con aria truce la porta del covo. «Maghi. Sempre a dare problemi.»

«Ti ho sentito, fratellino.»

«Bene.»

«Non ha tutti i torti...» Si intromise Aveline, che però sorrideva. «Mi fa piacere avere un paio di persone in più, comunque. Ben trovati.»

Marian ridacchiò, scuotendo il capo. «Coraggio, andiamo.»

Il gruppo si addentrò nell'oscurità, richiudendosi la porta alle spalle e avanzando quasi a tentoni, non osando illuminare troppo l'area attorno a loro. Garrett si limitò ad evocare una minuscola fiammella azzurra, quel tanto che bastava per vedere dove stavano andando.

Quando una freccia si piantò nello scudo di Aveline, che avanzava di fronte a loro, il mago infuse più energia nella fiammella, illuminando a giorno la stanza e accecando tutti i nemici.

O almeno, li avrebbe accecati se non fossero stati cadaveri rianimati, le orbite vuote nei crani scheletrici puntate verso di loro mentre si lanciavano all'attacco.

«Magia del sangue, sicuramente.» Commentò Marian dopo che se ne furono liberati. «Da questo posto non deve uscire nemmeno un mago, siamo intesi?»

«Ora, non andiamo ad ammazzare tutti indiscriminatamente...» Cercò di mediare Garrett, a disagio. «Magari non tutti-»

«La situazione è più grave di quanto tu riesca a concepire.» Sibilò Marian, che non aveva proprio voglia di stare a discutere. «Se davvero hanno infiltrato degli abomini tra i nostri ranghi, potrebbero far scoppiare un pandemonio nella Forca. Rischiamo un casino come quello successo nel Ferelden, e a quel punto Meredith non esiterebbe un attimo a richiedere il Diritto di Annullamento, sterminando chiunque nell'edificio. Maghi, templari, colpevoli e innocenti, tutti!» Fissò il fratello dritto negli occhi, sfidandolo a replicare. «È questo che vuoi? Vale la pena rischiare le vite di centinaia di maghi innocenti, per cercare di salvarne un paio ormai corrotte dai demoni?»

Senza aspettare una risposta, proseguì lungo il corridoio che si apriva di fronte a loro, all'erta. Da lontano, individuò qualcosa fluttuare in una gabbia dorata sospesa ad un paio di metri da terra. Con un brivido, realizzò che la persona all'interno era proprio Keran.

«Ma guardate... una volontaria!»

La maga che aveva parlato si fece strada verso di loro, altri quattro maghi al fianco. Marian alzò la guardia, Aveline al suo fianco. «Non ti muovere, maga del sangue.»

Quella scoppiò a ridere, schernendola. «Ma fammi il piacere! Cosa credi di poter fare, tu e questi tre imbecilli, siete finiti dritti dritti tra le mie grinfie... Oh, spero che un demone vi trovi di suo gusto, un'altra recluta templare e una guardia cittadina, deve essere il mio giorno fortunato.» Lanciò un'occhiata sprezzante verso Garrett e Carver, condendoli via con un gesto della mano. «Loro due non mi servono, uccideteli pure.»

Due dei maghi a fianco a lei annuirono, impugnando i propri bastoni magici e puntandoli verso di loro, lanciando una serie di dardi incantati che andarono a schiantarsi contro una barriera invisibile eretta appena in tempo da Garrett.

«Tsk, e io che credevo potessimo diventare grandi amici...» Commentò il mago scuotendo il capo.

«Non sembrano grandi compagni di bevute.» Commentò Marian, chiudendo gli occhi per un attimo. Quando li riaprì, entrambe le sue spade brillavano di una luce chiara, pura. Sorrise, feroce. «Fatevi sotto, bastardi. Vendicherò i miei amici.»

Due dei maghi cercarono di frapporsi tra lei e la maga in capo, ma Aveline e Carver riuscirono a fermarli abbastanza da permetterle di scavalcare un demone dell'Ira evocato in uno dei cadaveri a terra e farsi strada fino al suo obbiettivo. La barriera della maga andò in frantumi con un'esplosione, la spada lunga di Marian che cozzava contro il bastone metallico.

«Non riuscirete a fermarci, templare!» Ringhiò la maga, saltando indietro e lanciandole contro una pioggia di fiamme, costringendola a schivare buttandosi di lato. «Anche se mi uccidi, altri prenderanno il mio posto, molto più potenti di me!»

Marian si rimise in piedi, barcollando, intontita dalle esplosioni tutto attorno. «Non ve lo permetterò. Mai.» Fece appello nuovamente alle sue doti, inspirando, cercando di calmare il suo animo e rafforzare la mente, così come le avevano insegnato. Improvvisamente, un'aura antimagia annullò tutti gli incantesimi nella stanza. I maghi, spiazzati, si ritrovarono inermi.

«Ed è per questo che dovreste fare un po' di esercizio fisico, ogni tanto!» Sentì Garrett esclamare, mentre calava il proprio bastone sul naso di un mago incappucciato e incoccava una freccia, spedendola dritta nel ginocchio di un altro, che Carver decapitò sul posto. «Non si può mai sapere.»

Marian roteò le lame, disarmando la maga e, con un colpo rapido e preciso, amputandole un braccio sopra il gomito. Quella cadde a terra, dandole la possibilità di inchiodarla al suolo conficcandole il pugnale nello stomaco. «Parla. Chi altri avete preso?»

«Tarohne, no!» Urlò l'ultimo mago nemico ancora in piedi. Si contorse con uno schiocco, le ossa ce si rompevano mentre un demone iniziava a prendere possesso del suo corpo.

«Oh no che non lo fai!» Imprecò Aveline, colpendolo con forza con lo scudo e trafiggendolo da parte a parte, interrompendo la trasformazione. Il corpo cadde a terra, deforme e irriconoscibile.

La maga a terra strinse i denti, gli occhi che saettavano da Marian ai suoi compagni. «Non... non vi dirò nulla.» Fissò Garrett con odio, sputando un grumo di sangue. «Traditore... Ma non sono sola, tutto il vostro patetico Ordine Templare... siete già morti.»

Marian le diede un ceffone con la mano guantata, sentendo rompersi i denti. «I nomi!»

Tarohne strinse i pugni, gli occhi che ruotavano all'indietro finchè non mostrò solo il bianco, una risata folle mentre il corpo cominciava a tremare.

La templare ebbe appena il tempo di saltare all'indietro che una scarica elettrica si propagò tutt'attorno alla maga, carbonizzandone il corpo in un istante.

Quando riaprì gli occhi, la testa le doleva da impazzire, come se qualcuno la stesse strappando a metà. Guizzi luminosi comparivano ai lati del suo campo visivo, rintontendola ulteriormente.

Garrett, chino su di lei, le offrì il braccio per aiutarla a rialzarsi. «Appena in tempo.»

«Maledizione. Quella stronza...»

«Hei, anche Keran si sta riprendendo.» Li chiamò Aveline, accovacciata di fianco alla recluta.

Marian si costrinse a rimettersi in piedi con uno sforzo enorme, la nausea ad attanagliarle lo stomaco mentre si avvicinava all'amico. «Keran? Sei salvo, ora.»

Il ragazzo sbattè le palpebre più volte, confuso. «Marian? Oh, sia ringraziato il Creatore...» Aggrottò le sopracciglia, guardandosi attorno. «Dove siamo?»

«Non ricordi nulla?» Gli chiese, aiutandolo a mettersi seduto. «Dei maghi del sangue ti hanno catturato.»

«Io... ero alla Rosa e-» arrossì di colpo, imbarazzato. «Non ricordo altro, dopo.»

«Come facciamo ad essere sicuri che non sia posseduto?» Chiese Aveline, preoccupata.

Marian scosse la testa. «Intanto portiamolo dal Capitano e spieghiamogli l'accaduto. Il Primo Incantatore Orsino, o qualche altro mago alla Forca, saprà darci una risposta.»

Keran sgranò gli occhi, allarmato. «No, se lo dite al Capitano mi-»

«Dovevi pensarci prima di farti abbindolare da un bel paio di tette, Keran.» Rispose pragmatica lei, scuotendo il capo. «Metterò una buona parola per te, ma non possiamo rischiare l'intero Ordine per un paio di reclute. Ci sottoporranno tutti ad un mucchio di controlli, per colpa vostra...»

Carver, che per tutto il tempo era rimasto zitto, finì di pulire la propria spada, rinfoderandola. «Non ho mai capito perché tutti avessero così tanta paura della magia, non ci ho mai fatto troppo caso. Ma ora... Andraste non aveva tutti i torti a metterci in guardia dai maghi.»

Garrett gli rivolse uno sguardo piccato. «Sì, dovrebbero tutti essere rinchiusi solo perché qualcuno non sa dire di no alle lusinghe di un demone.»

«Non volevo dire questo e lo sai, fratello.»

«Voglio sperarci.»

Marian sospirò, massaggiandosi le tempie. «Prima ce ne andiamo da qui, meglio sarà per tutti. Per il Creatore, ho bisogno di una boccata di aria fresca... e una birra. Più di una.»



 

Il Capitano Cullen ascoltò tutta la storia con orrore crescente.

«Se quello che dite è vero... dovremmo mettere alla prova tutte le reclute che hanno frequentato il bordello. E forse metà dell'intero Ordine. Non- maledizione, la Comandante Meredith sarà furiosa.»

«E non è tutto. A quanto pare quella Tarohne non agiva da sola. C'è qualcuno, più in alto di lei, forse la vera mente del piano o un aiuto esterno.» Disse Marian, appoggiando il ghiaccio sul tavolo, la testa che ancora le girava. «Dobbiamo scoprire con chi lavorava.»

Cullen, il volto teso e le occhiaie sotto gli occhi, annuì. «Per il momento, non dobbiamo scatenare il panico. Se questa storia si venisse a sapere, l'intera città perderebbe la fiducia nei Templari, dando più opportunità a questi maghi del sangue di sterminarci tutti. Indagheremo su questa organizzazione e fermeremo il loro piano.»

Ruvena, seduta accanto a Marian, si torturava le mani, ansiosa. «Cosa ne sarà di Keran e gli altri?»

«Li terremo sotto stretto controllo. Il Primo Incantatore Orsino si sta occupando di loro, ma la Comandante Meredith non si fida granchè, i demoni possono ingannare anche i migliori. Se tra dieci anni non avranno ancora mostrato segni di possessione, diventeranno Cavalieri a tutti gli effetti. Per quanto riguarda tutti gli altri... la decisione spetta alla Comandante.»

Marian annuì, stancamente, la pancia che brontolò dalla fame. Si rese conto di non aver mangiato nulla dal pranzo di quel pomeriggio, ed era ormai notte fonda.

Cullen sembrò accorgersene, perché addolcì lo sguardo. «Sei stata brava, Marian, sono fiero di te. Potete andare, prendetevi due giorni liberi.»

«Grazie, Capitano. Ruvena, ci si vede in giro.»

La strada per l'Impiccato non le era mai sembrata così lunga. L'ora era così tarda che, quando entrò, soltanto un paio di tavoli erano ancora occupati. Una coppia di uomini in abiti da lavoro dormivano sommessamente su una panca, i boccali inclinati che gocciolavano ad ogni sussulto. Un uomo sedeva da solo al bancone, il boccale di fronte a lui ancora intatto.

Si accomodò ad un tavolino isolato, ordinando un po' di zuppa e una birra scura, appoggiando la fronte sul dorso della mano, sospirando. «Che giornata di merda.»

«Puoi dirlo forte.»

Sollevò lo sguardo. La prima cosa che notò, perché occupava la maggior parte del suo campo visivo, fu una generosa scollatura. La proprietaria del seno, una donna dalla pelle scura e i capelli corvini tenuti indietro da una bandana azzurra, le ammiccò divertita, sedendole di fronte.

«Ci conosciamo...?»

L'altra le porse la mano, afferrando la sua con una presa ferrea. «Isabela. Capitano Isabela, se avessi ancora una nave, ma purtroppo...» Richiamò l'attenzione della cameriera, che le portò al volo un bicchiere di rum pieno oltre la metà, guardandola storto. La donna ridacchiò, ringraziando con il suo forte accento di Rivain. «Allora, posso sapere il tuo nome?»

«Marian. Marian Hawke.» Rispose lei mentre la cameriera le portava la sua zuppa.

«Beh, Marian, brindiamo alla nostra giornata di merda allora!» Disse Isabela, alzando il bicchiere e scolandosene almeno un terzo in un sol colpo, schioccando la lingua.

Marian scoppiò a ridere, facendo altrettanto con la sua birra. «Proprio vero.»

«Posso chiederti perché sei zuppa di sangue, o non è carino?» Domandò l'altra, indicando la sua giacca macchiata.

La templare sospirò. «Lunga storia in breve, ho passato il pomeriggio nella città sotterranea.»

«Ah, non dire altro.» Annuì Isabela con l'aria di chi la sapeva lunga. «Beh, io sto per sventare l'ennesimo attacco alla mia persona...»

Lei, senza capire, corrugò la fronte. Un attimo dopo, l'uomo seduto al bancone si voltò di scatto, lanciando un coltello che sibilò tagliando l'aria e conficcandosi nel boccale di Marian, che Isabela aveva sollevato appena in tempo usandolo come scudo.

«Scusa un attimo.» Le disse la Rivaini, staccando il pugnale e lanciandolo alla propria destra.

Marian realizzò che i due uomini sulla panca non erano più seduti, bensì si stavano avvicinando verso di loro, armi in pugno. L'istinto prese il sopravvento, facendole sollevare il tavolo che fermò due coltelli da lancio, che vi si conficcarono con un tonfo sordo. «E 'fanculo alla mia serata tranquilla...» imprecò mentre estraeva la spada e saltava oltre una sedia, disarmando in breve tempo entrambi e colpendoli alla nuca con il pomolo delle lame. Si voltò verso Isabela, che nel frattempo aveva neutralizzato il primo assalitore e gli stava frugando nelle tasche. «Ah, eccoci!» Sventolò un foglietto nella sua direzione, un sorriso smagliante sul volto. «Che ne dici di aiutarmi a risolvere una faccenda, Marian?»

La templare la guardò incredula per un attimo. «Chiedimelo dopo una birra. A proposito, me ne devi una.»

L'altra sghignazzò, saltando agilmente dietro al bancone e versandosi da sola da bere, porgendole poi un boccale pieno. «Alla tua. E grazie.»

«Allora, sei sempre un pericolo pubblico o mi è andata particolarmente male?»

«Hei, non scherziamo. Non ti avrei mai tirato in mezzo se non avessi avuto l'aria di chi se la sa cavare...» Ribattè Isabela, scrollando le spalle. «Meno male che avevo ragione.»

Marian rise a sua volta, stranita. «Sei fuori di testa...» bevve l'intero contenuto del boccale, schioccando la lingua e apprezzando come sembrasse sopire il suo malessere. Ignorò la vocina del buonsenso che la avvisava di come avrebbe pagato il tutto la mattina seguente. «Allora, di che favore si tratta?»

«Ho organizzato un duello, con un tale che mi sta alle calcagna da un po'. Se vinco io, mi lascia stare.» Spiegò la Rivaini, accavallando le gambe, seduta sul bancone. “È un bene che Corff sia scappato sul retro, altrimenti impazzirebbe a vederla là sopra...” L'addetto agli alcolici non era famoso per mantenere la calma. «Ma non mi fido per niente, temo che possa portarsi dietro qualche amico e rovinarmi la festa privata.»

«E allora perché organizzare un duello?»

Isabela fece spallucce, assumendo un'aria innocente. «Mi piace duellare, che posso farci...»

«Condivido il tuo passatempo, sai?» Sogghignò Marian, appoggiando il boccale vuoto. «Andiamo.»

 

Isabela aveva avuto ragione. Hayder, l'uomo che avrebbe dovuto raccogliere il guanto di sfida in un duello singolo, si era portato dietro una mezza dozzina di scagnozzi. Purtroppo per loro, Marian e Isabela si erano rivelate avversarie formidabili, cavandosela soltanto con qualche graffio.

«Sono piacevolmente sorpresa, Marian.» Si congratulò la Rivaini, appoggiandosi contro il muro di un edificio in città alta, al sicuro da occhi indiscreti. «Sono stata fortunata ad incontrarti, me la sarei vista brutta senza un supporto.»

«Figurati. Da quanto ho visto, abbiamo appena fatto un favore alla società.»

L'altra ridacchiò, finendo di ripulire i pugnali dal sangue. «Tranne alla povera sguattera che domani, trovando i cadaveri sul pavimento della Chiesa, dovrà smacchiare tutti i tappeti.»

«A proposito di Chiesa... dovevi proprio organizzare un duello in un luogo sacro?» Ribattè Marian, lanciandole uno sguardo carico di disapprovazione. «Un qualunque vicolo sarebbe andato bene.»

«Ah, ma la teatralità del luogo dove la metti?» La squadrò di sottecchi, divertita. «Non dirmi che sei una fervente seguace del Creatore.»

Marian si morse il labbro. «Sono una Templare, in realtà.»

Isabela sgranò gli occhi, facendo due passi indietro, le mani che volavano di nuovo all'elsa dei pugnali. «Se è un tranello...»

Si affrettò ad alzare le braccia, cercando di rassicurarla. «Assolutamente no! Puoi stare tranquilla. Non...» Sospirò, sapendo di aver già rovinato tutto. «Non te l'ho detto proprio perché di solito questa è la reazione di tutti.»

L'altra ci mise qualche secondo a rispondere, ma alla fine rilassò la posa, le mani sui fianchi. «Avrei dovuto sospettarlo. Con quel fisico, in armatura starai una favola.»

Dopo un attimo di smarrimento, Marian scoppiò a ridere.

«Dico sul serio...»

«Quindi non è un problema?»

La Rivaini scrollò le spalle. «Se sei capace di staccare dal lavoro per qualche ora, no, non è un problema. Oltretutto, mi farebbe comodo un'amica ai piani alti. Sempre che tu voglia farti vedere in giro con un capitano pirata senza nave e dalla controversa reputazione.»

«Posso convivere con il disonore.» Ribattè Marian divertita. «Allora, questa reliquia di cui parlava Hayder... di che si tratta?»

Fu il turno di Isabela di essere evasiva. «L'ho rubata tempo fa, e poi l'ho persa. E Castillon, che è peggio di tutti loro, non mi lascerà in pace finchè non gliela porto, tutto qui.»

«Sembra un personaggio adorabile...»























Note dell'Autrice: una tranquilla giornata nella vita di un Templare a Kirkwall. Povera Marian, mai un attimo di pace... e finalmente entra in scena Isabela!
Alla prossima! :D 

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Capitolo 5
*** Late night revelations ***


CAPITOLO 5
Late night revelations





Era notte fonda quando qualcuno bussò piano alla porta.

Garrett, che era ancora seduto al tavolo, una pila di fogli scarabocchiati davanti a sé, alzò la testa, allarmato. Bu, svegliatasi di soprassalto, iniziò a ringhiare piano in direzione dell'ingresso, i denti scoperti e le orecchie all'indietro.

«Buona, Bu...» Sussurrò al mabari, afferrando il coltello alla cintura e preparandosi a richiamare il mana alla minima provocazione. Si avvicinò di soppiatto alla porta, spiando l'esterno.

«Anders?» Sussurrò, riconoscendo il mago eretico, un cappuccio tirato sopra la testa che nascondeva parzialmente il volto preoccupato.

Aprì la porta quel tanto che bastava ad uscire fuori, facendo segno a Bu di non fare rumore. La mabari, obbediente, smise di ringhiare, restando tuttavia in allerta.

«Cosa ci fai qua?» Chiese guardandosi attorno, quasi aspettandosi di trovare un branco di Templari appostati dietro l'angolo pronti ad attaccarli entrambi.

«Garrett, mi dispiace tantissimo, credimi, ma non so a chi rivolgermi.» Rispose l'altro, torturandosi le mani. Il volto angosciato non prediceva nulla di buono. «Ho bisogno di un favore.»

Il primo pensiero andò subito alla sua famiglia, che probabilmente dormiva assolutamente ignara di tutto all'interno. «Se qualcuno ti insegue, non-»

«No, no, niente di tutto questo!» Si affrettò a spiegare Anders, la voce ormai ridotta ad un sussurro. «C'è un posto dove possiamo andare?»

«Perchè tutta questa segretezza?» Domandò riluttante a seguirlo.

L'altro si guardò attorno con la coda dell'occhio. «Ti spiegherò tutto, ma non qui... potrebbero esserci orecchie indiscrete, rischieremmo di mettere in pericolo la tua famiglia...»

Garrett sospirò, sollevato che l'altro se ne preoccupasse. «D'accordo, fammi mettere qualcosa addosso.» Gli disse, rientrando in casa e prendere una giacca più pesante, afferrando l'arco prima di uscire di nuovo. «Seguimi.»

Lo condusse in un vicolo deserto, poco sopra l'accesso all'Enclave. Da lì, una serie di scale conducevano all'ultimo piano del palazzo, la terrazza che dava sulla strada abbastanza in alto perché nessuno li potesse sentire o scorgere.

«Bel posto.» Commentò Anders, rilassando per un attimo l'espressione travagliata.

Si appoggiò alla balaustra, la schiena contro la pietra fredda. «Quando si è costretti a condividere due stanze con madre, zio e fratellino... Allora, qual è il problema?»

L'altro rimase immobile, lo sguardo basso. «Se avessi avuto un altro modo, non ti avrei mai coinvolto in questa storia, ma non riesco a mettermi in contatto con Geralt e Jowan da qualche settimana e- devi capirmi, devo agire stanotte!»

“E dove sono spariti quei due?” Si chiese Garrett, curioso sui piani del cugino. Cercò di tranquillizzare Anders, annuendo. «Dimmi cosa posso fare.»

«Io... non sono stato onesto sul perché sono a Kirkwall.» Iniziò quello con un sospiro. «Per scappare dai Custodi Grigi e far perdere le mie tracce ai Templari, certo, ma non è stato un caso che sia venuto proprio qui. Un mio amico, un mago come noi, è rinchiuso alla Forca. Lo conosco dai tempi del Circolo di Kinloch Hold, ma poi è stato trasferito qua anni fa. Siamo rimasti in contatto sporadico e ho ideato un piano per farlo scappare. Ma i maledetti Templari sono riusciti in qualche modo a saperlo.» Lo guardò supplicante, gli occhi nocciola puntati nei suoi. «Mi serve aiuto per farlo uscire da lì, ma da solo non ho speranza di farcela.»

Garrett si massaggiò le tempie, a disagio. «Quanto sanno i Templari?»

Anders scosse il capo. «Non lo so. Tutti i nostri messaggi sono passati tramite una serva che lavora nelle cucine della Forca. Ad un certo punto, ha smesso di rispondere.»

Si prese del tempo per riflettere. Avvicinarsi alla Forca era già pericoloso così, ma addirittura cercare di liberare un mago rinchiuso all'interno, e probabilmente sorvegliato dai Templari... poteva quasi sentire le urla della sorella come una piccola coscienza che gli diceva quanto grossa era la stronzata che stava pensando di fare.

Anders si era reso conto della sua titubanza. «Tu non sai com'è il Circolo. I Templari che osservano ogni tua mossa, punendoti per ogni minimo errore, ogni sciocchezza che il loro maledetto Ordine può giudicare sovversiva! E la Forca è tra i Circoli peggiori, Karl mi ha scritto come i maghi vengano rinchiusi nelle loro stanze, resi Adepti della Calma al minimo sospetto. Non posso lasciarlo lì dentro, non posso. Devo tentare.» Il tono era ormai una supplica.

«Io...» Non sapeva cosa fare. Da un lato, Anders aveva ragione, non era mai stato rinchiuso in una torre solo perché aveva il Dono, e non aveva mai conosciuto la spietatezza dei Templari come la raccontavano quelli scappati dal Circolo del Ferelden. Dall'altro, andare dritto dritto nella bocca del drago equivaleva a buttare anni di prudenza alle ortiche.

Sospirò. «E va bene. Qual è il piano?»

«Davvero? Mi aiuterai?»

L'espressione di stupore mista a gratitudine dell'altro fece sparire qualsiasi esitazione gli fosse rimasta. Annuì, accennando un sorriso. «Sembra la cosa giusta da fare. E poi, ti devo un favore, per quelle mappe che ci hai dato.»

«Grazie, davvero. Ho già mandato un messaggio a Karl, dicendogli di farsi trovare nella Chiesa questa notte, poco dopo le tre.» Spiegò Anders. «Dovrebbe riuscire ad andarci, pregare è l'unica cosa che i maghi sono incoraggiati a fare, oltre a sopportare docilmente la prigionia. Col tuo aiuto, dovremmo riuscire a portarlo fuori da lì.»

«Sempre che non sia accompagnato...» Borbottò Garrett, chiedendosi se sarebbe riuscito ad affrontare un Templare o due.

«In caso, ce ne sbarazzeremo.» Replicò duramente l'altro, rigirandosi tra le mani il bastone magico, ancora soltanto un pezzo di metallo dall'aria innocua. «Non riusciranno a fermarci, stavolta.»

Mentre lo seguiva per le vie della città alta, non gli rimase che sperare che l'ex Custode Grigio fosse all'altezza del suo piano, altrimenti sarebbe stata una ben misera operazione di salvataggio.

Uno dei battenti del portone della Chiesa era stato lasciato aperto, così riuscirono ad intrufolarsi all'interno senza rumore. La grande sala era quasi completamente al buio, le uniche fonti di luci le candele di cera rossa poste sotto le grandi statue dorate delle varie rappresentazioni di Andraste e dei suoi seguaci. Un gigantesco simulacro della Profetessa dominava l'intera navata, il suo sguardo duro come l'armatura che indossava, splendente in tutta la sua potenza evocativa.

Una Sorella della Chiesa era china a sostituire le candele consumate, ma non si accorse di loro.

Salirono le scale che portavano ai piani superiori, attenti a qualsiasi rumore. Garrett stringeva spasmodicamente il proprio arco, il cuore che gli martellava in petto, sobbalzando al minimo fruscio. Finalmente, Anders svoltò a destra, percorrendo un corridoio fiocamente illuminato da una serie di torce sul muro.

Dopo aver aperto una porta socchiusa, si immobilizzò. «Karl?» Sussurrò, chiamando la persona all'interno, che dava loro le spalle.

L'uomo si girò, i capelli brizzolati e la barba tenuti corti, sul volto un'espressione pacifica, per nulla sorpreso di vederli. Inciso sulla fronte, vi era il simbolo della Chiesa Andrastiana.

«Anders.» Parlò Karl, riconoscendo il nuovo arrivato. «Sapevo che non ti saresti arreso, ti conosco fin troppo bene.» La voce era piatta, non tradiva alcuna emozione. Con sgomento, Garrett realizzò quello che gli avevano fatto: era un Adepto della Calma, privato di qualsiasi cosa che lo rendesse umano, nient'altro che un contenitore vuoto. «Ero troppo indisciplinato, i Templari hanno ritenuto di dovermi... rendere un esempio per gli altri.»

Anders avanzò di qualche passo verso di lui, sconvolto. «No... Karl...»

L'altro non battè ciglio, completamente inespressivo. «È l'unico modo per i maghi di controllarsi, Anders. Lo capirai anche tu, appena i Templari ti aiuteranno a-»

«Anders!» Chiamò Garrett, incoccando una freccia e puntandola su tre figure comparse dall'ombra, che si rivelarono essere Templari, le armature che riflettevano la luce delle torce.

«No!» Urlò il Guaritore, fuori di sé. Garrett avvertì soltanto un'intensa energia provenire da quella parte, un attimo prima che Anders cadesse in ginocchio. L'arco puntato verso il primo Templare, lo vide rialzarsi con la coda dell'occhio. Un brivido gli corse giù per la spina dorsale.

Una minacciosa aura azzurrognola circondava la figura del mago, gli occhi bianchi e posseduti da una luce della medesima provenienza. «Non toccherete più un altro mago!» Ringhiò, la voce profonda e terribile che non aveva quasi più nulla di umano.

Vide i Templari indietreggiare, presi alla sprovvista, rendendosi conto di aver fatto lo stesso.

L'aria stessa della stanza era cambiata. Realizzò che il Velo si era fatto più sottile, come se Anders l'avesse strappato.

Scoccò una freccia contro un Templare. Quello, che si stava rialzando dopo essere caduto a terra in seguito all'attacco di quella cosa -“Anders”- venne scagliato con violenza contro la parete, uno squarcio fumante nell'armatura. Non si rialzò.

Gli altri due sollevarono gli scudi, rimettendosi in piedi e scagliandosi contro di loro.

Garrett evocò una barriera attorno a sé, che venne presto annullata da uno dei due. Intravide un ghigno di vittoria sotto la visiera dell'avversario, poco prima che sollevasse lo scudo, pronto a colpirlo dritto dritto in faccia...

Raccolse le energie per lanciare un' onda mentale, rallentandolo e schivando da un lato, per poi sollevare l'arco di metallo e calarlo con quanta forza aveva in corpo sull'elmo del Templare, che rimbombò per l'impatto. Senza perdere tempo, approfittò dell'attimo di smarrimento per ruotargli attorno, arrivandogli alle spalle e conficcandogli una freccia nel coppino, sotto l'armatura pesante. Quello urlò di dolore, mentre il mago rilasciava l'incantesimo e indietreggiava con un salto.

Con uno schiocco assordante, il Templare esplose dall'interno, l'onda d'urto che spedì Garrett contro il muro, mozzandogli il respiro. Si accasciò a terra, inzaccherato dalla testa ai piedi di sangue e altre cose a cui non voleva nemmeno pensare, senza più forze.

Anders, o qualsiasi cosa fosse l'entità che ne occupava il corpo, aveva smesso di brillare dopo essersi liberato dell'altro Templare, avvicinandosi poi a Karl, che era crollato sul pavimento.

«Che... che è successo?» Chiese, guardandosi attorno confuso. Gli occhi si posarono su Anders, meravigliati. «Mi ero dimenticato cosa si provasse... è come se avessi portato qui una scintilla dell'Oblio, come...? Dentro di te, brucia come un sole.»

Anche Garrett era sconcertato, ma strinse l'arco tra le mani, all'erta. «Sì, Anders, come hai fatto?»

Quello si ritrasse un poco, come se volesse nascondersi da quelle domande. «È un discorso lungo, ma... Karl, come ti è successo?» Chiese preoccupato, cambiando argomento.

L'altro abbassò il capo. «I Templari qui sono molto più attenti che nel Ferelden... hanno trovato la nostra corrispondenza... non puoi neanche immaginare. È come se tutti i colori, tutta la musica del mondo, svanissero per sempre.» Rabbrividì, guardandosi le mani, le lacrime agli occhi. «Rinuncerei volentieri alla mia magia, se potessi, ma questo? Non sarò più io, mai più!»

Anders si chinò verso di lui, prendendogli le mani tra le sue. «Sarei dovuto arrivare prima...»

Karl lo guardò supplichevole, stringendolo. «Ti prego, lo sento, sta sfuggendo. Devi... uccidermi, prima che sparisca tutto di nuovo!» Gemette terrorizzato.

L'altro chinò il capo, serrando gli occhi. «Karl, no...»

«Anders. Ti scongiuro. Fammi morire da mago, piuttosto che vivere come una marionetta dei Templari.» Ebbe una sorta di spasmo, il volto che tornava per qualche istante ad essere una maschera priva di emozioni.

Garrett abbassò l'arco, avvicinandosi ai due. Incrociò lo sguardo angosciato di Anders. Non c'era nulla da dire, niente che potessero fare, solo concedergli una fine dignitosa, come desiderava.

«Mi dispiace. Sono arrivato troppo tardi...» Sussurrò Anders, estraendo un coltello dalla cintura. Circondò Karl con un braccio, stringendolo a sé per un attimo prima di conficcargli la lama nel petto. Quello gemette debolmente, accasciandosi contro di lui. «Mi dispiace...»

Morente, incrociò il suo sguardo, completamente inespressivo. «Perchè... mi guardi...» Un rivoletto di sangue gli scese dalle labbra, la testa che cadeva di lato.

Tremando, Anders lo appoggiò a terra, chiudendogli gli occhi. Si rialzò di scatto, dando le spalle a Garrett, i pugni stretti e il coltello insanguinato ancora in mano. «Dobbiamo andare. Tutti avranno sentito l'esplosione di prima.»

Corsero lungo il corridoio, trovando altri due Templari sulle scale.

Colti di sorpresa, non riuscirono quasi a difendersi dai loro attacchi, venendo scagliati di sotto e cadendo da parecchi piani di altezza.

Garrett tirò per un braccio l'altro, indicando la rampa che saliva alla loro sinistra. «Di qua.»

Corsero di sopra, sentendo i battenti di metallo della Chiesa spalancarsi e delle urla provenire dai piani di sotto. Presto, avrebbero avuto l'intero Ordine alle calcagna.

Si fiondarono in una stanza deserta, un balcone che Garrett sapeva dare su un'impalcatura di legno che stavano usando per ristrutturare il retro dell'edificio.

Nel buio, si arrampicarono giù per la costruzione.

Quando i suoi piedi toccarono finalmente terra, si schiacciò contro le pietre levigate della strada.

Un paio di guardie Templari erano appostate all'angolo della via, ma davano loro le spalle. Quatti quatti, scivolarono nel buio in un vicolo laterale, infilandosi tra gli stretti passaggi fra le case.

«Sai dove stiamo andando, almeno?» Gli sussurrò Anders, dopo che si furono fermati dietro una siepe in stato di abbandono, i ramoscelli un tempo potati ad arte ora incolti e irti di spine.

Garett gli fece segno di tacere, sporgendosi a guardare oltre le foglie. L'ingresso secondario dell'abitazione era sguarnito.

Pregando che nessuno lo notasse, estrasse due stecchetti metallici dalla tasca, lavorando febbrilmente sulla serratura. Dopo qualche secondo di tentativi, finalmente sentì scattare il meccanismo, aprendo la porta senza far rumore e tenendola aperta per il compagno.

Quando la richiuse alle loro spalle, appoggiandosi contro il legno freddo, si concesse finalmente un sospiro di sollievo.

«Ce la siamo vista brutta.»

Lanciò uno sguardo carico di astio ad Anders, che si ritrasse un poco. «Lo sapevo che sarebbe stata una trappola, proprio un cretino sono stato a darti retta!» Gli ringhiò contro, una serie di scintille che guizzavano tutt'attorno a loro. «E ti sei anche dimenticato di dirmi del tuo piccolo problema!»

«Non è come sembra, lo giuro!» Si difese l'altro, ormai contro il muro opposto. «Non sono un Abominio, anche se sembra così.»

«Farai meglio ad impegnarti di più, per una spiegazione.» Ribattè furioso. «So quello che ho visto.»

«Io...» Anders chinò il capo, passandosi una mano sulla fronte, l'aria sconfitta. «Quando ero ad Amaranthine, coi Custodi Grigi, ho incontrato uno Spirito di Giustizia intrappolato fuori dall'Oblio. Siamo diventati amici, e concordava con me sulle difficoltà e le ingiustizie che devono affrontare i maghi ogni giorno. Ma per continuare ad esistere nel nostro mondo, aveva bisogno di un tramite.»

Garrett non abbassò la mano di un millimetro, pronto ad attaccarlo in caso gli si fosse rivoltato contro. «È proprio quello che succede quando si diventa un Abominio.»

«Giustizia non è un demone!» Ribattè Anders, infervorandosi. «Per favore, lascia che ti spieghi... l'ho fatto per combattere le barbarie che tutti i maghi del Thedas devono subire, pensavamo che insieme avremmo potuto cambiare le cose, rendere giustizia a tutti i bambini strappati dalle loro madri per essere rinchiusi nel Circolo!» Scosse la testa, scivolando a terra e coprendosi gli occhi con la mano. «Avevo troppa rabbia dentro di me, è colpa mia. L'ho cambiato.»

«E ovviamente è irreversibile.» Vedendolo lì seduto sul pavimento, così vulnerabile soprattutto con tutto quanto successo quella sera, Garrett dovette stringere i denti e ricordarsi che cosa avesse di fronte per continuare a restare immobile. «Non cambia molto da una possessione, demone o spirito che sia, quando prende il sopravvento non puoi controllarlo.»

L'altro rialzò lo sguardo, puntandoglielo addosso.«Non è un demone. È uno spirito il cui solo scopo è salvare gli innocenti e punire i colpevoli.»

«Se quello spirito è stato corrotto dalla tua rabbia, sei davvero certo che riesca a distinguere i colpevoli dagli innocenti?» Gli chiese, secco.

«Da quando è successo, tutte quelle cose che prima mi facevano infuriare, ma non c'era niente che potessi fare... ora si impossessa di me, come una frenesia, perdo completamente il controllo. Scopro solo alla fine quello che ho fatto.» Ammise Anders, la voce ridotta ad un sussurro.

Garrett sospirò, abbassando l'arma e appoggiando il capo contro il muro. «Proprio un bel casino.»

Dopo qualche secondo, l'altro parlò di nuovo. «Mi dispiace averti trascinato nei miei problemi. Karl... sono stato uno sciocco a pensare di poter arrivare in tempo per salvarlo. E ho rischiato di farti fare la sua stessa fine, non me lo sarei mai perdonato, hai rischiato tutto per un perfetto sconosciuto. Ti sono debitore, anche se probabilmente non vorrai più vedermi.»

Garrett non rispose, fissando il soffitto polveroso, una ragnatela poco sopra di lui.

«Capirò, se non vorrai più avere niente a che fare con me.» Proseguì Anders a voce bassa. «Non chiederei a nessuno di sobbarcarsi i pericoli che comporta starmi vicino. Però, ti prego di non fare parola con nessuno di quello che è successo, di... questo. I maghi di Kirkwall hanno bisogno di me, così come la gente alla clinica.»

«Avranno bisogno di te fino al punto in cui li metterai in pericolo.» Disse, portando finalmente lo sguardo su di lui. «Non puoi controllarti, l'hai detto tu stesso.»

«Ma-»

«Le tue intenzioni erano buone, però.» Lo interruppe, avanzando verso di lui e squadrandolo dall'alto in basso. «Tutti fanno degli errori. Se mai riterrò che tu stia sbagliando, ti fermerò prima che tu faccia qualcosa di cui potresti pentirti.»

Anders sgranò gli occhi nocciola, confuso. «Intendi...?»

Garrett accennò un sorriso stanco. «Hai ragione su una cosa. Quello che hanno fatto a Karl è orribile, nessuno si merita una vita del genere. Hanno trovato qualcosa peggiore della morte con cui punirci per il solo fatto di essere nati così. Vanno cambiate le cose.» Gli tese la mano. «Li aiuteremo insieme, ma senza ammazzare innocenti. Tra le file opposte c'è anche brava gente.»

Anders esitò, guardandolo. «Devo ancora incontrare un Templare che conosca la pietà.» Afferrò la sua mano, tirandosi in piedi. «Ma grazie, per quello che hai fatto stasera e per... non essere scappato urlando. E non aver cercato di uccidermi.»

«Scherzi? Non ci tengo a morire giovane.» Ribattè Garrett, lasciando la presa qualche attimo più tardi. «E anche io ho qualcosa da dire, giusto per restare in tema di confessioni spiacevoli. Mia sorella è una di quei Templari che odi tanto.»

«Cosa?!»

«Già, e nello sfortunato caso in cui ti trovassi di fronte a lei, se inizi a brillare ti stendo senza pensarci un attimo, intesi? Mia sorella non si tocca, sarà anche una palla al piede e miss perfezione, ma è pur sempre la mia famiglia.» Minacciò serio.

L'altro annuì dopo qualche secondo, incerto. «Spero di non ritrovarmela mai come avversaria.»

Garrett sbuffò, un nodo allo stomaco. «Siamo in due.» Concordò tetro. «E adesso usciamo da qui, ho bisogno di darmi una lavata, non voglio manco pensare a cosa ho addosso, basta la puzza.»

Anders ridacchiò, dandogli ragione. «Come sapevi di questo posto?»

«Era la vecchia casa di mia madre.» Rispose lui, mentre scendevano verso le cantine. «Mio fratello ed io ci siamo introdotti qui qualche giorno fa per vedere se il testamento dei nonni era ancora qui dentro. Indovina un po', c'era, così come anche un'organizzazione di schiavisti che stava usando la nostra tenuta come base per i loro traffici. Ne abbiamo uccisi abbastanza da farli sloggiare dalla città, scoperto che nostro zio non aveva alcun diritto di vendere questo posto e ora è in ballo tutta una causa tra il Visconte e mia madre per riappropriarcene.» Spiegò in breve, spalancando la porta dei sotterranei che sapeva condurre ad un tunnel che portava fino alla città inferiore. «E finchè non si deciderà da una parte o dall'altra, resterà vuota. Mi sembrava la via di fuga perfetta.»

«Questi tunnel sono grandiosi.» Annuì l'altro, annusando l'aria attorno a loro. «Anche se puzzi un po' troppo per starti vicino in uno spazio così angusto.»

«È un po' troppo buio qua sotto, potresti accenderti e illuminare la strada?»



 

Dopo qualche tempo, riemersero tramite una botola in un vecchio magazzino nei paraggi del porto. La città era quasi tutta collegata da passaggi simili, che correvano per tutti i quartieri, dalla città alta alla città oscura, vecchi passaggi usati da contrabbandieri, schiavi fuggitivi, pirati e criminali di ogni sorta. Tutta gente che non voleva essere vista condurre i propri affari, esattamente come loro. Il porto era stranamente affollato per essere appena l'alba, e parecchie guardie pattugliavano la zona. Garrett individuò una coperta stesa che penzolava da una finestra qualche metro sopra di loro. Con un gesto della mano, evocò una piccola scintilla che spezzò la corda che la sosteneva, facendola cadere sopra di loro.

Afferratola al volo, se la avvolse intorno alle spalle, coprendo almeno un poco lo stato pietoso dei propri abiti. «Per ora, dovrebbe bastare.»

Quando Varric li vide arrampicarsi dalla finestra, inzaccherati e in pessimo stato com'erano, stentava a credere che ce l'avessero fatta.

«Ho sentito di un incidente alla Chiesa... e di qualche Templare morto?» Chiese il nano, facendoli accomodare. Arricciò il naso, lanciando a Garrett un'occhiata disgustata. «Non ti chiedo nemmeno come tu abbia fatto. Chiamo subito qualcuno per far portare dell'acqua...»

«Scusa, Varric, davvero. Non era mia intenzione trascinarti in questo casino, ma non avevo idea di dove altro andare. Se torno a casa così mi ammazzano.»

«Ah, lascia stare. Ho visto di peggio.» Lo rassicurò l'altro, aprendo la porta e scendendo di sotto. Dopo un po', salì accompagnato da due elfi carichi con un paio di secchi d'acqua calda ciascuno, che andarono a versare nella tinozza di legno al centro della piccola stanza da bagno. Garrett, appoggiato al davanzale della finestra e ancora avvolto nella coperta, li salutò con un cenno del capo, cercando di apparire più naturale possibile.

«Se vi serve qualcosa, sono a far colazione di sotto.» Annunciò Varric.

«Se passa mia sorella...»

Il nano scoppiò a ridere. «Sei stato tutto il tempo con qualche ragazza della Rosa e sei piombato qui ubriaco fradicio per l'alba. Ti copro le spalle, amico mio.»

«Grazie, Varric.»

«Figurati. Mi devi un giro di Grazia Malevola, però.»

«Col cavolo, l'altra volta sono uscito a malapena coi vestiti che avevo addosso...» Bofonchiò Garrett andando nell'altra stanza e iniziando a spogliarsi, ricordando come il nano l'avesse umiliato a carte. Si tolse la giacca di cuoio imbottita, constatando che non sarebbe mai riuscito a lavarla per bene. I pantaloni erano anch'essi in pessimo stato, e per la camicia non c'era nemmeno da parlarne... «Maledizione.»

Si sporse nel lavabo, chinando la testa e sciacquandosi per primi il volto e i capelli con i saponi profumati di Varric. Si immerse poi nell'acqua calda, chiudendo gli occhi per un momento. Aveva decisamente bisogno di bere qualcosa.

Quando riemerse dal bagno, finalmente pulito, l'asciugamano corto a misura di nano a coprirsi dai fianchi in giù, si rese conto di non avere nulla da mettersi. «Merda.»

«Il tuo amico ha portato su questi.» Gli disse Anders, allungandogli una camicia e un paio di pantaloni. Garrett, improvvisamente consapevole di essere completamente nudo, si sentì un poco osservato. E non nel modo in cui era abituato ad essere guardato da altri uomini nei bagni pubblici.

Tossicchiò, imbarazzato. «Grazie.»

«Ah, figurati.» L'altro spostò lo sguardo da lui al bagno, incerto. «Vi dispiace se...?»

Scrollò le spalle. «Fai pure...»

Controllò che Anders fosse sparito nell'altra stanza prima di rivestirsi velocemente, un po' a disagio. Che il suo grande amico Karl fosse stato qualcosa di più di un amico? Scosse la testa. Non erano affari suoi. “In fondo,” pensò mentre cercava inutilmente di dare una pulita agli stivali “pure Geralt e Jowan non ne hanno fatto un gran segreto...” Magari era una cosa tipica del Circolo del Ferelden.

Ridacchiò al pensiero, scompigliandosi i capelli ancora umidi.

Si sedette su una delle sedie, mettendosi comodo.

Doveva essersi addormentato, quando la voce di Anders lo risvegliò dal torpore. «Andiamo a mangiare qualcosa?»

Aprì gli occhi, mettendo a fuoco il mago di fronte a sé, appoggiato al tavolo, ciocche di capelli biondicci che ricadevano umide sulle spalle. Le occhiaie sul volto dell'altro non erano sparite, ma sembrava avere un colorito più sano. «Uh, sì, certo.»

Scesero al piano inferiore, individuando immediatamente Varric. Con sommo orrore, Garrett intercettò lo sguardo di disapprovazione del fratello minore, seduto di fianco a Merrill che sembrava beatamente ignara di tutto.

«Junior qui voleva sapere come stavi, sai, dopo tutto quell'alcol.» Lo stuzzicò il nano, facendo loro posto. «Gli ho detto della tragica fine dei tuoi vestiti, dovresti bere di meno, con lo stomaco sensibile che ti ritrovi.»

«Sarà qualcosa che ho mangiato...» Bofonchiò accomodandosi e afferrando un pezzo di pane, lo stomaco che brontolava affamato.

«Strano, non hai mai avuto problemi a bere e gozzovigliare.» Ribattè Carver da sopra la sua colazione di uova strapazzate. «Stai invecchiando.»

«Non sia mai!» Replicò, ingollando quasi senza masticare. «Io sono come il vino, fratellino, ricordatelo. Passano gli anni e miglioro.»

«Sì, ma farai la fine dell'aceto.»

Si finse offeso, dandogli le spalle. «Allora, Merrill, che mi racconti? Come va all'Enclave?»

L'elfa, che era rimasta a guardarli ridacchiando, sorrise imbarazzata. «Oh, benissimo! L'altro ieri, al mercato, hanno buttato giù la bancarella dove stavo comprando gli ingredienti per il pranzo. Le guardie stavano rincorrendo uno della Coterie ma non sono riuscite a prenderlo... è stato emozionante, l'hanno inseguito per tutto il quartiere!»

«Immagino!» Esclamò Varric dandole corda. «Junior, non dovresti lasciar andare in giro una margheritina deliziosa come questa tutta sola.»

Carver arrossì di colpo, nascondendosi dietro il boccale. «Se la sa cavare benissimo...»

«Oh, ma mi farebbe piacere se mi accompagnassi, qualche volta!» Trillò Merrill. «Mi perdo ancora spesso, sai? Tu conosci tutte le strade, riusciresti a portarmi a casa in un attimo!»

Il più giovane degli Hawke quasi si strozzò con la birra, mentre gli altri dovettero sforzarsi per trattenere le risate.

«Non hai mai avuto problemi con le guardie, Merrill?» Si intromise Anders, preoccupato.

L'elfa scosse la testa. «Sia la Guardia Cittadina che i Templari non mi degnano di un secondo sguardo, sapete? Sono soltanto un'altra dei tanti elfi dell'Enclave.»

«Tipico, guardare gli altri dall'alto in basso...»

Garrett lanciò all'altro mago uno sguardo perentorio, zittendolo. «Sono contento che tu ti sia ambientata. All'inizio deve essere stato difficile.»

Lei annuì. «Sì, se non ci foste stati voi... oh, ma quella è Marian?»

Il cuore di Garrett perse un paio di battiti vedendo entrare la sorella scortata da Aveline. «Merda.»

«Oh, questa non me la perdo.»

«Fottiti, Carver.» Si guardò attorno alla ricerca di una via di fuga, inutilmente. La sorella maggiore, individuatolo, si diresse a passo spedito verso di loro, scura in volto. Degnò appena gli altri di uno sguardo, prima di piombare su di lui. Lo afferrò per il bavero della giacca, quasi tirandolo su di peso. Garrett incespicò sulla panca, rischiando di finirle addosso.

«Muoviti.» Gli ordinò in tono che non ammetteva repliche. Lo trascinò sul retro, facendo segno allo sguattero delle cucine di lasciarli soli. Quello obbedì schizzando terrorizzato fuori dalla dispensa e lasciandoli soli. Garrett, a disagio, si grattò un orecchio, fissandosi intensamente i piedi senza osare guardarla.

«Sei un imbecille!» Lo schiaffo lo colpì in piena faccia, lasciandogli una guancia che pulsava dolorosamente. Prima che potesse mandarla a quel paese, però, si ritrovò stritolato in un abbraccio.

La sentì tirare su col naso. «Marian...»

«Maledetto stupido.» Singhiozzò, stringendolo ancora più forte, fino al punto che lui dovette cercare di fare un po' di resistenza per non finire senza fiato. «Se ti fosse successo qualcosa, se ti avessero preso-»

«Ma non è successo...»

«Non è una buona scusa!» Replicò adirata, staccandosi da lui, gli occhi lucidi. «Promettimi che non ti metterai più nei guai in quel modo, Garrett. Giuramelo. Un conto è essere un mago eretico, un altro è finire dritto dritto in una trappola che non era neanche per te!»

«Aspetta... sapevi cosa stavano facendo?!» La fermò lui. «Che erano lì per Anders, che Karl-»

«Non ti riguarda, Garrett!» Ribattè lei, scuotendo il capo. «Non puoi metterti a girare con un tipo del genere, ti causerà solo problemi.»

«Nessuno sa che eravamo coinvolti.» Sussurrò Garrett, abbassando la voce fino ad un sussurro. «E non so come tu l'abbia saputo-»

«Sanno che quell'Anders si nasconde da qualche parte in città, è solo questione di tempo prima che lo prendano. E tu, quando lo cattureranno, dovrai starne assolutamente lontano, non voglio che ti sottopongano al Rituale della Calma. O peggio.»

Lui rabbrividì, la voce piatta e lo sguardo vuoto di Karl impressi in testa. «Non c'è nulla di peggio del vostro maledetto Rituale. Piuttosto dovranno ammazzarmi.»

«Non-!» Sembrò che lo stesse per prendere a sberle di nuovo. Abbassò anche lei la voce, lanciando un'occhiata allarmata alla porta chiusa. «Non dirlo nemmeno per scherzo. Sai che farei di tutto per proteggerti, ma non sono nemmeno un Cavaliere a tutti gli effetti, non posso fare miracoli.»

«Non ho bisogno di essere protetto, non ho più dieci anni.»

La vide sollevare un sopracciglio, scettica. «Da quanto ho sentito di stasera, non ti hanno acciuffato per un soffio.»

«Ma non è successo!» Ripetè Garrett, stufo. «Ti preoccupi troppo, persino ora Anders-» Si morse il labbro, lo sguardo che saettava verso la porta.

«Oh, no che non l'hai fatto...» Sgranò gli occhi Marian, seguendolo. «Per il Creatore, Garrett! Sei serio? L'hai... è seduto lì con voi come se niente fosse?!»

Si strinse nelle spalle. «Se non l'hai riconosciuto nemmeno tu...»

«Se con me fosse venuto il Capitano Cullen l'avrebbe attaccato appena varcata la soglia!» Sibilò lei, allarmata. «Viene dal Ferelden, lo conosce benissimo! L'unico motivo per cui non stanno già affiggendo cartelli con la sua faccia anche nei cessi di questo posto è per la sua associazione con i Custodi Grigi. Cazzo, se almeno provassi ad usare il cervello prima di fare queste stronzate...»

«Mi ha chiesto un favore, non potevo rifiutare.»

«Certo che potevi!»

«Se fossi stato io a chiederti una cosa del genere, l'avresti fatto? Mi avresti aiutato?»

Rimase un attimo spiazzata dalla domanda. Aprì la bocca per rispondere, richiudendola un paio di volte. «È diverso. Noi siamo fratelli. Quello è un perfetto sconosciuto.»

«Dopo quello che ho visto ieri sera, potessi tornare indietro lo rifarei lo stesso.» Ribattè gelido. «L'hanno sottoposto al Rituale ingiustamente, solo per tendere una trappola ad un uomo che passa il suo tempo a curare i più bisognosi giù nei bassifondi, dove nemmeno le Guardie Cittadine si sognano di passare più del tempo strettamente necessario a fingere di aver fatto le loro ronde, e tutto senza chiedere un soldo! No Marian, sarà anche un perfetto sconosciuto, come dici tu, ma le sue ragioni per aiutare un amico erano più che valide. E non mi pento di aver impedito che i tuoi compari lo uccidessero, o peggio, gli facessero fare la stessa fine!»

La sorella scosse la testa, sospirando. «Non si può ragionare, con te.»

«Sei tu quella irragionevole.» Si ostinò lui, incrociando le braccia. «E ora, se abbiamo finito-»

«Non mi chiedi come ho saputo immediatamente che c'entravi tu?»

Rimase interdetto.

«Fenris mi si è presentato davanti appena sono scesa in città alta per la ronda.» Spiegò Marian. «Raccontandomi come stesse casualmente passeggiando nei dintorni ieri sera e abbia visto due uomini fare irruzione nella tenuta di fianco alla scalinata per il Palazzo. Tenuta che tu sapevi sarebbe stata vuota, di cui tu hai ancora le chiavi della cantina e conosci perfettamente il passaggio che conduce fino alla città bassa.»

Fu il turno di Garrett di rimanere senza parole. «Poteva essere chiunque.» Borbottò.

«Sì, come no.» Sbuffò lei. «Ti è andata bene che a quanto pare ti dovesse un favore e che passassi io di lì. Puzzava di vino, a dire il vero, quindi forse qualcun altro non lo avrebbe ritenuto un testimone molto affidabile, ma avrebbero comunque fatto partire un'indagine.»

«E va bene, grazie. Ora, possiamo uscire o vuoi sistemarmi anche l'altra guancia? Avrei ancora fame. Sempre che Fenris non ti abbia spifferato anche la mia dieta poco salutare.»

La vide roteare platealmente gli occhi al soffitto, prima di scostarsi e lasciare libero il passaggio. «Prima o poi mi stuferò di pararti costantemente il culo, fratellino.»

«Sarebbe anche ora.»

Tornati nella sala affollata, Marian squadrò Anders dall'alto in basso, assottigliando lo sguardo in un'occhiata di puro astio. «Tu. Sappi che se succede qualcosa a mio fratello, ti vengo a prendere. Custode Grigio o meno.» Si voltò poi verso Carver, che la fissava confuso. «Carver, non ho sentito ancora niente sul tuo conto, quindi continua pure così. Tieniti fuori dai guai.» Disse, girando i tacchi e marciando fuori dalla taverna. Aveline, un sorriso appena accennato sul volto, li salutò cordialmente, rinnovando però anche lei l'avvertimento a non combinare disastri.

«Tipico.» Grugnì il più piccolo degli Hawke, il naso nel boccale di birra. «Anche quando non è incazzata con me, trova comunque il modo per trattarmi come un bamboccio.»

Garrett gli lanciò un'occhiata incredula. «Ti lamenti? Tu? Dopo la ramanzina che mi ha fatto, non vedo l'ora di cacciarmi nelle Vie Profonde solo per non averla intorno per qualche settimana.»

«Ha... detto qualcosa su di me?» Volle sapere Anders, preoccupato.

«Hei. Non iniziare ad illuminarti.» Lo ammonì, infilzando un boccone di spezzatino e intingendolo nel sugo. «È incazzata nera per ieri, sa più o meno quello che è successo ma non ha intenzione di raccontarlo a nessuno. Almeno per ora sei in una botte di ferro.»

«Non sa... tutto tutto, vero?»

«Ovvio che no, non sono impazzito come qualcun altro.» Borbottò, evitando di guardarlo. “Hei, Marian, hai presente l'eretico che mi hai detto di non aiutare? Mi sono dimenticato di dirti che è anche un abominio posseduto da uno spirito di Giustizia vendicativo, non è un problema però, brilla al buio e può tornare utile in caso ti dimentichi una torcia!”

Sì, decisamente non ci sarebbero stati problemi...



















Note dell'Autrice: Garrett ha scoperto il piccolo segreto di Anders e vecchi traumi rischiano di salire a galla. Varric è come al solito il migliore amico del mondo e Marian si ritrova sempre più tra due fuochi. Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, vi lascio con il nostro Hawke e alla prossima! :D 

 





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Capitolo 6
*** Qunari dealings ***


CAPITOLO 6
Qunari dealings




 

«Fatemi passare!»

«Insistete pure quanto volete, ma il Visconte non riceverà nessuno in questo momento. Se avete notizie di suo figlio Seamus, potete parlare con me e gliele riferirò io stesso.»

Bu si mise a ringhiare, minacciosa.

Marian si sporse dalla soglia, osservando la scena. Una mercenaria di qualche compagnia poco raccomandabile stava assillando il siniscalco, che affrontava impettito come al solito le invettive della donna. Accarezzò la testa della mabari, cercando di calmarla. «Comportati bene, Bu.»

«Non le hanno nemmeno chiesto di lasciare le armi all'ingresso...» Osservò Aveline, scoccando un'occhiataccia di rimprovero alle guardie cittadine di fronte al portone principale. «Quei due mi sentiranno, dopo, non possiamo lasciare andare in giro teste calde come quella armate fino ai denti.»

La Templare annuì, schiarendosi la voce e avvicinandosi ai due. «Ci sono problemi?»

La mercenaria si girò come un serpente, digrignando i denti. «Nulla che vi riguardi, sono qui per il figlio scomparso del Visconte.» Lo sguardo si spostò sulla mabari. «Fereldiane.»

«Quindi pensate davvero sia stato rapito?» Chiese Marian al siniscalco, ignorando completamente la donna accanto a lei, mentre il mastino da guerra ricambiava la sfida scoprendo i denti. «Non potrebbe semplicemente essersi rintanato da qualche parte? È risaputo che non ami passare molto tempo a palazzo...»

L'altro si strinse nelle spalle. «Non torna da cinque giorni, il Visconte teme il peggio. È stato visto l'ultima volta sulla Costa Ferita con un Qunari... c'è una ricompensa per chiunque abbia qualche informazione, o lo riporti qui sano e salvo.» Calcò particolarmente il tono sulle ultime parole, guardando la mercenaria di sottecchi.

Anche Marian e Aveline si scambiarono uno sguardo preoccupato.

«Porterò un'intera compagnia con me sulla Costa, e ve lo riporteremo indietro.» Ringhiò la mercenaria gonfiando il petto. «Mi aspetto una bella ricompensa.»

«Così tanti uomini per un solo Qunari... mi pare eccessivo.» Commentò l'uomo senza battere ciglio.

L'altra fece una smorfia. «Potrebbe essere Tal-Vashoth. Gli Inverni non lasciano nulla al caso.» Lanciò un'occhiata beffarda a Marian ed Aveline, prima di voltarsi e andarsene, scura in volto.

Bu finalmente tornò a rilassarsi, strusciando il muso sulla sua gamba.

Aveline aveva ancora lo sguardo fisso sul portone d'ingresso. «Non mi piace.»

«Aveline ha ragione.» Concordò Marian con un sospiro, accarezzando il collo della mabari. «Ho paura che Seamus possa finire per farsi male, con una come quella.»

Il Siniscalco allargò le braccia. «Mi fiderei sicuramente più di voi due, se dovessi scegliere. Sempre che abbiate tempo da perdere in una ricerca forse inutile, magari avete ragione e Seamus si è semplicemente perso alla ricerca di qualche nuovo tipo di insetto.»

«La Costa Ferita non è un luogo sicuro nemmeno per un entomologo.» Commentò Aveline. «Andiamo a cercarlo oggi stesso, lasciateci il tempo di avvisare chi di dovere.»

“E addio al mio pomeriggio libero...” pensò Marian con una punta di amarezza. Sospirò, seguendo Aveline fino alle caserme e aspettando che avvisasse le altre guardie di dove stavano andando.

«Se non torniamo entro sera, i primi sospettati saranno da considerarsi Ginnis e i suoi Inverni.»

Mentre scendevano la scalinata della Città Alta diretti ai cancelli occidentali della città, Marian propose una piccola deviazione. «Se andiamo sulla Costa, conosco qualcuno che può rendersi utile. E un paio di mani in più ci faranno sicuramente comodo.»

«Chi hai in mente?» Le chiese l'altra, incuriosita.

Dovette trattenersi per non ridere, facendole strada fino all'Impiccato.

Isabela era esattamente dove si aspettava di trovarla, seduta ad uno dei tavolini malmessi della taverna, la camicia aperta sulla scollatura generosa, un mazzo di carte in mano e un bicchiere di rum nell'altra. Di fronte a lei, con sua grande sorpresa, sedeva Fenris, lo strano elfo tatuato, una bottiglia di vino semivuota accanto.

Bu abbaiò contenta, avvicinandosi ad Isabela in cerca di un boccone di cibo.

Quando la piratessa si accorse di lei, la salutò con un cenno della mano che reggeva il bicchiere, scolandoselo poi tutto d'un fiato. «Ti prego, dimmi che hai un'alternativa a questo noiosissimo pomeriggio. Come avversario non potevo scegliere di peggio.» Sorrise in direzione della mabari, allungandole un pezzo di pane avanzato sul tavolo.

«Stai vincendo solo perché hai barato fino adesso, Isabela.» Replicò l'elfo, che tuttavia non sembrava curarsene granché. Salutò le nuove arrivate con un cenno.

«Ah, tipico...» Ridacchiò Marian. «E ho proprio la soluzione per voi. Che ne dite di una gita avventurosa sulla Costa Ferita? C'è anche una ricompensa, Isabela, non preoccuparti, non ti farei mai fare una scarpinata di ore per un vecchio stivale.»

Quella si buttò dietro le spalle una ciocca di capelli corvini, alzandosi con grazia. «Quel forziere poteva benissimo contenere la reliquia, siamo solo state sfortunate.»

«Sicuro...» le diede di lungo lei, scuotendo la testa.

Anche Fenris si era alzato, recuperando la grande spada a due mani appoggiata sotto il tavolo. «Beh, verrò anche io. Non ho nulla di meglio da fare, in fondo.»

Aveline li squadrò interdetta. Marian, intercettandola, rispose con una smorfia.

«Sono molto meglio di quanto sembrano, fidati.»

«E invece lei sembra esattamente una Guardia Cittadina!» Replicò Isabela, offesa. «Finirai per rovinarmi la reputazione, Marian, nessuno vorrà più frequentarmi dopo avermi vista con templari e guardie, accidenti.»

«Potrai prenderti finalmente una pausa da tutti i tuoi impegni serali, quindi?» La sbeffeggiò lei mentre uscivano.

«Tsk, lo dici solo perché così speri di essere l'unica compagnia che mi rimanga...»

Marian ammiccò nella sua direzione, arricciando le labbra. «Ovviamente.»

Aveline sbuffò così sonoramente da sembrare una teiera, ma le due non ci fecero caso.



 

La Costa Ferita, con il suo susseguirsi di insenature pietrose e scogliere a picco sul mare, era uno spettacolo meraviglioso, almeno per le prime due o tre volte. Poi, superato l'iniziale stupore e iniziato a faticare per gli stretti e tortuosi sentieri che si snodavano tra le alture, diventava ben presto una gigantesca rottura di scatole.

Stavano appunto scalando una collina particolarmente dissestata quando un Qunari grande e grosso si sporse da una roccia poco sopra di loro, richiamando la loro attenzione.

I quattro portarono subito le mani alle armi, pronti ad attaccare, ma quello rimase immobile, l'enorme spada sulle spalle, fissandoli inespressivo. «Non procedete oltre, umani.»

Sentì il risolino di Isabela ancora prima che il Qunari finisse di parlare.

«E perché dovremmo darti ascolto, Qunari?» Ribattè Marian, la mano stretta attorno all'elsa della spada.

Quello scosse la testa. «Sono state anche le parole degli sprovveduti che vi hanno preceduto qualche minuto fa... Eppure se ne stanno pentendo, lo so per certo. Comunque, non sono Qunari, ma Tal-Vashoth, rinnegato dal Qun. E sulla cima di questa collina si sono stabiliti alcuni miei simili, rubando e uccidendo i viaggiatori abbastanza sprovveduti o sciocchi da non badare ai miei avvertimenti.»

«Cos'è, una trappola?» Chiese Isabela, incredula. «Non lo stai facendo bene.»

Il Tal-Vashoth corrugò la fronte. «Non sono come loro. Io vendo la mia spada per denaro, ma loro hanno scelto di condurre una vita di furti e omicidi, pur di non svendere la loro spada e la loro dignità. Io sono peggio, forse. In ogni caso, vi ho avvertiti.»

«Quelli... hai parlato di qualcuno che è passato di qui poco fa?» Lo interrogò Aveline, preoccupata. «Erano per caso dei mercenari?»

A Marian si gelò il sangue nelle vene. Se gli Inverni avevano trovato Seamus, e per malaugurato caso avevano preso quel sentiero...

«Sì, lo erano. Non tutti però, tra loro c'era un bas che non portava nemmeno un'arma.»

“Merda.”

Si scambiarono un rapido sguardo d'intesa. «Grazie per l'avvertimento.»

Con grande delusione del Tal-Vashoth, iniziarono a salire di gran carriera, le armi in pugno.

Superata una scarpata, i rumori dello scontro in corso fecero loro allungare il passo.

Arrivarono quasi correndo in cima alla collina, trovandosi però uno strano spettacolo. I mercenari che stavano combattendo contro una dozzina di Tal Vashoth non erano gli Inverni, bensì una scalcagnata masnada di gente che a malapena poteva dirsi in grado di reggere un'arma. A terra vi era ormai più di un cadavere, mentre i Tal-Vashoth sembravano non aver subito perdite.

«Possiamo anche andarcene...» Iniziò Isabela, ma Marian non sentì nemmeno il resto della frase, già correva verso il centro dello scontro, individuando un mago Tal-Vashoth e neutralizzandolo con un'aura antimagia. Colto di sorpresa, quello non fece in tempo a girarsi che si ritrovò entrambe le spade nel costato. Le liberò poi con uno strattone, schivando di lato per evitare la carica di un altro di quei giganti, l'ascia a due mani che fendeva l'aria con un sibilo.

Aveline, a qualche metro da lei, aveva già buttato a terra uno degli avversari, ingaggiandone un altro e dando il tempo a quegli incapaci mercenari di riprendere fiato.

Marian schivò di nuovo, il Tal-Vashoth di fronte a lei che faceva roteare l'arma sopra la testa per poi calarla su di lei con forza. Spostandosi di lato, lo ferì ad un fianco, venendo poi colpita da dietro da qualcosa, che le fece perdere l'equilibrio e caracollare in avanti.

L'avversario con l'ascia la sollevò di nuovo, cacciando poi un urlo di dolore, l'elsa di un pugnale conficcata nell'orbita destra.

«Centro!» Urlò Isabela, sfrecciandole affianco e volteggiando in aria per un attimo, prima di aggrapparsi alle corna del secondo Tal-Vashoth e piroettargli intorno. Quello cadde poi per terra, la gola recisa e un fiotto di sangue che ne fuoriusciva.

Marian si sbarazzò anche dell'altro, andando poi ad aiutare Fenris che ne stava tenendo a bada due contemporaneamente.

Qualche altro affondo e imprecazione più tardi, un po' ammaccati e doloranti, si fermarono a riprendere fiato, cadaveri tutt'attorno. Bu, fiera di sé stessa e illesa, le scodinzolò accanto, contenta.

«Brava cucciolona!» Si congratulò la padrona, grattandola dietro le orecchie.

«Cambiate mestiere, non fa per voi.» Suggerì Isabela ai mercenari che li guardavano sconvolti.

Marian poteva giurare che un paio di loro se la fossero fatta addosso, ma l'importante era che nessun altro ci fosse rimasto secco. E che lei e i suoi compagni non fossero rimasti feriti seriamente.

«State tutti bene?» Chiese Aveline, ripulendosi la guancia dal sangue, un taglio sotto lo zigomo. «Per il Creatore, cosa è venuto in mente a voialtri di arrampicarvi fin qui e farvi massacrare come imbecilli?!» Inveì contro gli uomini, che incurvarono le spalle, risentiti. Un paio lanciarono uno sguardo verso alcuni barili di legno.

Incuriosita, Marian fece lo stesso. «Oh.» Dietro di essi, era nascosto un nano, gli abiti da mercante ora inzaccherati di fango e sangue.

Scoperto, quello si alzò ripulendosi alla bell'e meglio, accennando un inchino. «Ah, siete arrivati proprio nel momento giusto. Questi deficienti non valgono la metà di quello che li ho pagati, davvero, avrei dovuto badare meno alle spese...» Si guardò attorno con aria soddisfatta. «Almeno questi Tal-Vashoth sono morti, sì? Una bella liberazione.»

«Cosa ci fate qui?» Lo apostrofò Aveline, basita.

Il nano si grattò la barba con una smorfia. «Sono Javaris Tintop, signora. Ho stretto un accordo con l'Arishok per far fuori qualcuno dei loro disertori, in cambio di una merce particolare e...» Si strinse nelle spalle. «Forse dovevo scegliere meglio, ecco.»

Aveline assottigliò lo sguardo. «Che merce, esattamente?»

«Ah...» il nano si grattò di nuovo la barba, evasivo. «Nulla di importante, ma in ogni caso, il piano è riuscito. Grazie anche a voi, ovviamente.» Si corresse subito. «Ottimo lavoro.»

«Veramente non sareste vivo senza di noi, altro che “anche”.» Ribatté Aveline. «E nonostante stessimo facendo solo il nostro lavoro, siete stato sciocco e avventato.»

«Sì, sì, lo so... non accadrà più.»

Aveline sbuffò, dando poi le spalle al nano che cercava di condirla via. «Andiamocene, stiamo perdendo tempo prezioso.»

Marian lanciò un ultimo sguardo al nano dall'aria sospetta, chiedendosi cosa diamine avesse contrattato con l'Arishok. Da quello che dicevano in giro, il Qunari non sembrava il tipo da assoldare incapaci del genere fuori dal Qun per... cosa, sbarazzarsi di qualche Tal-Vashoth? C'erano abbastanza Qunari a Kirkwall per occuparsene da soli, invece che andare a chiedere una mano in giro, soprattutto ad elementi come Javaris Tintop.

Scosse la testa, finendo di ripulire la lama della daga corta e rinfoderandola. «Spero vivamente che Seamus stia solo facendo un soggiorno in qualche grotta, ne ho già abbastanza di questi Qunari.»

«Preferivo annoiarmi all'Impiccato.» Rincarò la dose Isabela, sistemandosi i calzari.

«Io no, almeno ho smesso di perdere soldi.» Commentò Fenris. A Marian non sfuggì l'occhiata interessata dell'elfo, puntata verso la donna piegata in avanti.

Scendendo giù per la collina, incontrarono di nuovo il Tal-Vashot che li aveva avvertiti.

«È ora di trovarsi un altro passatempo!» Lo sbeffeggiò Isabela dopo che gli ebbero riferito che il sentiero era ormai libero. Quello, se era rimasto sorpreso, non lo diede a vedere.



 

Trovarono le tracce degli Inverni dopo nemmeno un'ora. Seguendole fino ad un'insenatura della baia, scoprirono un piccolo bivacco con una bella vista sulla scogliera, al riparo dal vento e dalla pioggia grazie ad una piccola grotta adiacente.

«Proprio un bel posto dove passare una serata...» Commentò Isabela, annusando l'aria salmastra portata dalla brezza fredda.

«Se ti piace svegliarti piena di lividi e con la schiena gelata...»

La piratessa ridacchiò, zittendosi subito dopo. Da dietro la parete rocciosa, spuntarono alcuni uomini armati di tutto punto, le insegne degli Inverni che spiccavano sugli spallacci. «Eccoli.»

Trascinavano un ragazzo dai capelli scuri, vestito in abiti eleganti, che riconobbero subito come Seamus, il figlio del Visconte Dumar. «Tu... vashedan!» Urlava, strattonando la donna che lo teneva in una morsa ferrea nel tentativo di liberarsi. «L'hai ucciso, era mio amico! Ashaad-»

Ginnis lo zittì con un manrovescio dritto sulla mascella. «E taci un attimo!» Ringhiò, buttandolo poi a terra. «A furia di fraternizzare con quelle bestie, usi pure le loro parole. È per questo che ti stiamo riportando a casa.» Scoppiò in una risata derisoria. «Forse hai fatto ben più che amicizia con quel coso... Che schifo.»

«Non parlare di Ashaad in quel modo, puttana basra!» Ribattè il ragazzo, cercando di rialzarsi.

La mercenaria lo sbattè di nuovo a terra, tenendolo fermo con un piede premuto sul petto. «Chiudi quella cazzo di bocca. Dovrei tagliarti la lingua e farmi pagare di più per averti riportato finalmente incapace di blaterare stronzate!»

«Ora basta!» Tuonò Aveline, facendosi strada verso di loro, le armi sguainate. «È il figlio del Visconte, quello, mostra un po' di rispetto!»

Le mani di Ginnis volarono verso le spade corte che portava alla cintura, i suoi uomini che scattavano sull'attenti. «Voi.» Ringhiò, riconoscendole. «Toglietevi di mezzo, la ricompensa è mia.» Fece un passo indietro, permettendo al ragazzo di mettersi a sedere.

«Seamus, cosa è successo?» Lo interrogò Marian, aiutandolo a rialzarsi.

Lui le strinse il braccio, lanciando un'occhiata carica d'odio verso gli Inverni. «Hanno ucciso il mio amico, Ashaad. Non lascerò che vengano pure pagati per quest'omicidio!»

Ginnis contrasse la mascella. «Non ci provate, quei soldi sono nostri.»

Marian si parò davanti al ragazzo, annuendo. «Non preoccuparti, Seamus. Lo vendicheremo.» Fece un cenno con la mano a Bu, che si scagliò con tutto il suo peso sulla mercenaria. Quella, presa alla sprovvista e inesperta a combattere contro un mastino da guerra addestrato, cadde a terra in preda al panico, senza riuscire ad estrarre le spade. Quando la templare le fu addosso, era ormai troppo tardi. La lama della spada lunga si infilò nell'apertura sul collo dell'armatura. Superandola con un salto, liberò la spada in un fiotto di sangue, colpendo il mercenario più vicino e bloccando la sua accetta con l'elsa della daga corta, oltrepassando la guardia dell'avversario e recidendogli l'arteria della gamba. Quello cadde a terra urlando.

Il resto degli Inverni fece la stessa fine della loro comandante, e dopo un acceso scontro si ritrovarono in un lago scarlatto.

«Ugh, non si laverà mai.» Si lamentò Isabela, guardandosi la camicia un tempo bianca. Lanciò uno sguardo a Fenris che, ricoperto di sangue dalla testa ai piedi, si stava fasciando un braccio ferito con un pezzo di stoffa. «Magari è la volta buona che impari a metterti le scarpe...» Suggerì, alludendo al macello per terra.

«Non ho chiesto consigli di stile, mi sembra.» Ribattè quello, stringendo tra i denti un lembo di stoffa e annodandoselo stretto.

Marian si premette una mano sul fianco, dove sapeva stava spuntando un grosso livido. L'armatura aveva attutito il colpo, ma le placche si erano ammaccate verso l'interno e ora le facevano più male che altro. Armeggiò con le fibbie, allargandole. «Almeno ce ne siamo liberati.»

«Hanno parlato di altri, in arrivo.» Li avvisò Seamus, la voce che tremava mentre cercava di non soffermarsi su tutti quei cadaveri. «Dovremmo...»

Aveline, zoppicante ma ancora stabile, gli strinse una spalla. «È ora di tornare a casa.»

«Facile a dirsi, per voi.» Disse il ragazzo, voltandosi e fissando un punto poco lontano da loro.

Marian lo seguì con lo sguardo. A terra, c'era il corpo di un Qunari, le corna e i capelli bianchissimi intrisi di sangue rappreso. Sospirò. «Ci dispiace essere arrivati tardi, Seamus.»

Quello scosse la testa. «Mio padre ha mandato dei selvaggi a fare il suo lavoro, solo perché non ha mai voluto prestarmi ascolto. Li credono delle bestie, ma sono-» Si morse un labbro, abbassando il capo. «Molto, molto diversi.»

«Possiamo seppellirlo, o...» propose Aveline, guardandosi attorno.

Sorprendentemente, fu Fenris a risponderle. «I Qunari non hanno un rituale per i morti. Un cadavere non è degno di attenzioni speciali.»

«Sì, non è più Ashaad.» Gli diede ragione Seamus, gli occhi che tradivano la sorpresa. «C'era molto che non riuscivo a comprendere, con lui, ma valeva la pena tentare.» Diede le spalle al corpo, allontanandosi di qualche passo. «Riportatemi da mio padre, devo provare a parlarci.»



 

Il siniscalco Bran le fissò soddisfatto. «Sapevo che potevamo contare su di voi.»

Marian chinò leggermente il capo.

«Abbiamo fatto solo il nostro dovere.» Replicò Aveline.

«Se potessimo parlare con il Visconte...»

«Ah, certo. Prego, da questa parte, vi sta aspettando.» L'uomo fece loro strada oltre la sala d'attesa, bussando sulla porta di legno e aprendola, facendosi poi da parte per lasciare entrare loro due e Seamus.

Quando il Visconte notò suo figlio, parve illuminarsi un poco, gli occhi che brillavano sul volto preoccupato. «Seamus! Stai bene? Pensavo di averti perso...»

«Sì padre.» Rispose secco il ragazzo, la postura rigida.

Bran si schiarì la voce, indicando con un cenno della mano le due donne. «Visconte, permettetemi di presentarvi Marian Hawke, dell'Ordine Templare, e Aveline Vallen.»

Dumar annuì. «Sì, ci siamo già visti un paio di volte, ma non ho mai avuto l'occasione di parlare con voi direttamente... non so come ringraziarmi, mi avete riportato mio figlio sano e salvo. Spero non vi abbia causato problemi.»

Marian spostò il peso da un piede all'altro, a disagio. «No, signore, non abbiamo riscontrato grosse difficoltà, almeno non come ci saremmo aspettati.»

«Che intendete dire, Ser Hawke?»

«Soltanto Hawke, signore, sono ancora una recluta.» Lanciò un'occhiata a Seamus. Inspirò. «In realtà, signore, non c'era alcun bisogno di un salvataggio. Ci siamo scontrati con la compagnia mercenaria degli Inverni, però, che avevano ucciso ingiustamente il Qunari che era con vostro figlio e minacciato poi la vita di Seamus stesso.»

Il Visconte sgranò gli occhi, incredulo. «È vero, quello che mi dite?» Si voltò verso il figlio, avvicinandosi a lui di qualche passo. «Sono contento che tu sia salvo, Seamus.»

Il ragazzo incrociò le braccia al petto, furente. «Gli Inverni hanno ucciso il mio amico, perché voi avete messo una taglia sulla sua testa!»

«Non essere sciocco, la ricompensa era per riportarti a casa, Seamus, non per uccidere il Qunari. E comunque, tutto dava a pensare che ti avesse catturato durante uno dei tuoi soliti giri sulla Costa.»

«Non era un rapimento.» Ribattè il figlio, furente. «Ero con Ashaad. Il Qunari. Non sono mostri da temere, e se mi avessi dato ascolto lo sapresti. E Ashaad sarebbe ancora vivo. Se solo provassi a capire, anche il resto della città potrebbe-»

«Meglio che ti abbiano creduto rapito che sotto la loro influenza!» Lo interruppe il padre, scuotendo la testa. «Il sospetto che possano arrivare fino alla nostra famiglia... no, non possiamo permetterlo.»

«Padre-»

«Basta così.» Il Visconte fece cenno al siniscalco di scortarle fuori.

Prima di varcare la soglia, la templare intercettò lo sguardo del ragazzo, quasi supplichevole. Si morse il labbro, fermandosi di colpo. «Signore. Se posso permettermi...» Poteva quasi sentire l'occhiataccia di fuoco di Aveline sulla nuca. «Seamus ha studiato la cultura dei Qunari e ci è entrato in contatto direttamente senza farsi influenzare dai pregiudizi. Forse potrebbe giovare dargli ascolto, per... favorire un clima migliore con l'Arishok e i suoi.»

Il Visconte la squadrò con disappunto. «Proprio una recluta dell'Ordine mi suggerisce di comprendere quegli eretici?»

Il siniscalco si frappose tra loro, allarmato. «Sono affari privati, non-»

«No, Bran, lasciatela parlare. Ha espresso il suo punto di vista, che ce lo spieghi.»

Marian deglutì, lo sguardo di tutti puntato su di lei. Seamus annuì un poco, lo sguardo teso. «In città hanno tutti paura, signore. Se si sparge la voce del rapimento del figlio del Visconte ad opera di un Qunari, daremo soltanto un altro motivo per odiarli, quando dovremmo fare di tutto per evitare uno scontro. È stato ucciso ingiustamente uno dei loro, oggi. Forse non dovremmo dichiararli rapitori di fronte all'intera Kirkwall.»

Marlowe Dumar non mosse un muscolo. Rimase a fissarla intensamente per qualche lungo istante, prima di parlare di nuovo. «E sia, parlerete voi stessa con l'Arishok, allora, informandolo di come è morto il suo... soldato. Ora andate.»

«Ashaad.» Lo corresse Seamus in un soffio. «Grazie, Ser Marian.»

Marian chinò rigidamente il capo, girando i tacchi e uscendo dall'ufficio. Il siniscalco le scoccò uno sguardo furente, ma le congedò senza aggiungere altro. Aveline, invece, sembrava avere qualcosa da dire e tutte le intenzioni di farlo.

«Non mi pare sia stata una buona idea.»

«Qualcuno doveva pur dirglielo. E Seamus-»

«Non è mai saggio intromettersi negli affari di famiglia altrui, Marian. Soprattutto se è qualcuno che può farci perdere la nostra posizione.»

«Da quando ti interessa della tua posizione?!» Ribattè Marian, arrabbiata.

«Cosa hai ottenuto?!» Le chiese Aveline, tenendole testa. «Soltanto che il Visconte ti affibbiasse l'incarico di parlare con l'Arishok, e prenderti possibilmente tutta la colpa della morte di quell'Ashaad. E se si spargesse la voce di uno scontro tra i Templari, la Guardia Cittadina e i Qunari...» Scosse la testa. «So che stavi cercando di fare la cosa giusta, e forse Seamus non ha tutti i torti. Però, i Qunari sono noti per cercare di convertire quanti più possono al loro Qun, e il Visconte non può permettersi di perderci la faccia. La sua situazione è troppo precaria già così.»

Marian strinse i denti. «E possiamo permetterci allora di perdere la città, nel caso qualcuno decidesse di cacciare i Qunari dal porto? La gente è spaventata, Aveline, e il Visconte e la Chiesa non stanno facendo nulla per placare gli animi.»

«Sono qui da mesi ormai, se ne andranno presto.»

Sospirò, mentre uscivano dal Palazzo e recuperavano Bu all'ingresso. «Lo spero.»



 

L'accampamento dei Qunari occupava una piccola area del porto, che comprendeva qualche magazzino e una piazza abbastanza grande per ricevere i pochi visitatori a cui era permesso entrare.

Marian si sorprese di vedere che non erano le sole.

«Javaris Tintop.» Lo riconobbe Aveline con un grugnito di disgusto.

Il nano che avevano salvato solo poche ore prima dai Tal-Vashoth era ora impegnato a discutere con l'imponente Qunari seduto sullo scranno in cima alla piccola scalinata sopra la piazzetta. O meglio, sembrava più che Javaris stesse cercando di convincere a suon di chiacchiere l'altro che, nel momento stesso in cui le due avevano varcato l'ingresso all'accampamento, aveva smesso di prestargli la benchè minima attenzione.

Notando di averlo perso, il nano si voltò indietro, un'espressione di trionfo a comparirgli sul volto. «Ah, ecco le mie colleghe! Prego, confermategli che ci siamo sbarazzati dei Tal-Vashoth...»

Marian sbuffò, superandolo senza degnarlo di un secondo sguardo. «I Tal-Vashoth sulla collina sono morti, ma di certo non per merito di questo qui. Si era cacciato in un guaio troppo grosso per lui.» Disse, accennando poi un inchino, incerta su come si dovesse approcciare al Qunari al comando. «Arishok, sono Marian Hawke, dell'Ordine Templare. Questa è Aveline Vallen, della Guardia Cittadina. Abbiamo una faccenda importante di cui parlarvi.»

Il Qunari le fissò inespressivo, alzandosi in piedi. «Se si tratta dei Tal-Vashoth, Marian Hawke, non ho intenzione di dare la ricetta del nostro Gaatlok a nessun bas.»

Marian scosse la testa. «No, si tratta di un... affare più delicato. E ufficiale, veniamo per conto d-»

«Ma i Tal-Vashoth sono morti!» Insistette Javaris, interrompendola. «Dovrà pur valere qualcosa, no? Pensate ai profitti che potrete ricavare una volta che-»

«Sono state queste due umane ad ucciderli, nano.» Lo sovrastò l'Arishok, pur mantenendo un tono di voce basso. «Non c'è onore nel far fare il lavoro sporco agli altri e prendersene il merito. Siete state ricompensate per avergli salvato la sua vita senza valore?» Chiese alle due.

Spiazzata, Marian fece segno di no. «Non ce n'è bisogno. Non l'abbiamo fatto per denaro, erano un pericolo per i viaggiatori e li abbiamo eliminati.»

L'Arishok annuì. «Forse c'è qualcuno con un briciolo di onore, in questo posto. Nano, sparisci dalla mia vista.» Ad un cenno del loro capo, un paio di Qunari armati di picca scortarono fuori Javaris, che imprecò qualcosa tra i denti. «Ditemi perché siete qui, Marian Hawke e Aveline Vallen.»

Si scambiarono uno sguardo di sottecchi. «Il figlio del Visconte Dumar, Seamus, negli ultimi tempi era spesso in compagnia di un vostro esploratore, Ashaad...»

«Ashaad è un titolo, ma so di chi parli. Gli era stato assegnato il compito di mappare la Costa Ferita e di riportare le sue scoperte.»

«Il Visconte, preoccupato per suo figlio, ha promesso una ricompensa a chi l'avrebbe portato a casa sano e salvo. Non immaginava che Seamus stesse trascorrendo del tempo con un amico, ha subito temuto il peggio. Purtroppo, la compagnia di mercenari che li ha scoperti ha ucciso Ashaad senza voler sentire ragioni.» Raccontò, attenta alla minima reazione dell'Arishok.

Ci fu un lungo silenzio, nel quale il Qunari non mosse un muscolo. Alla fine, sospirò profondamente. «Siete venute qui ad avvisarmi, quando potevate cercare di nascondere l'accaduto. Vi fa onore.» Disse, guardandole fisso. «Questi mercenari, hanno riportato il ragazzo in città?»

«No, Arishok. Li abbiamo uccisi quando abbiamo scoperto quanto accaduto. Seamus ha provato a vendicare Ashaad e sarebbe stato ferito anche lui se non fossimo arrivate in tempo a sbarazzarci degli Inverni.»

«Siete state oneste.» Replicò quello dopo un'altra lunga pausa. «Potete andare. Panahedan.»

Chinarono il capo un'ultima volta, impazienti di andarsene da quel posto.

«Credi che sia servito a qualcosa?» Le chiese Aveline, appena furono abbastanza lontane dall'accampamento.

«Non ne ho idea. Almeno è stato un gesto di rispetto, sembra non essergli dispiaciuto.»

«Strano. Ha la faccia di uno a cui dispiace qualsiasi cosa.»

Grugnì, stiracchiando sotto l'armatura che le doleva per i lividi e graffi accumulati in quella giornata. «Non vedo l'ora di togliermi di dosso tutta questa roba e di farmi un bagno caldo.»

«Concordo. Ho abbastanza polvere addosso che non rifiuterei nemmeno un tuffo in quell'acqua.» Ridacchiò Aveline, indicando il molo a qualche metro da loro. «O quasi. A domani, Marian.»

«A domani, Aveline.»

La scarpinata fino alla Forca sembrò più lunga e faticosa del solito.

Quando finalmente entrò negli alloggi delle reclute, raggiungendo il proprio letto, si dovette costringere a non crollarci sopra ancora vestita. Iniziò a spogliarsi, litigando con ogni singola fibbia. Dovette mordersi la lingua un paio di volte per non gemere dal dolore, ma dopo qualche minuto era vestita solo coi calzoni e la camicia leggeri.

Si esaminò il fianco con aria critica. L'armatura ammaccata aveva finito per lacerare la giacchetta di cuoio e la pelle sottostante. La camicia era macchiata di sangue rappreso e la ferita le prudeva terribilmente. Grugnì indispettita, ricoprendosi e afferrando un paio di asciugamani dal baule ai piedi del letto prima di dirigersi verso i bagni.

Le grandi vasche di acqua calda erano quasi deserte, essendo ormai ora di cena. Due donne stavano chiacchierando immerse fino alle spalle, e a malapena la degnarono di uno sguardo. Marian le riconobbe come Cavalieri e le salutò con un cenno del capo prima di immergersi a sua volta in una vasca libera, allungando una mano per prendere la saponaria e una pezzuola. Si sfregò delicatamente le spalle, ignorando i muscoli che le dolevano.

Il tempo sembrò essere trascorso in un attimo.

Si risvegliò dal torpore, scoprendo di essere rimasta sola. Sbadigliò sonoramente, finendo di sciacquarsi i capelli e avvolgerli nell'asciugamano più piccolo. Lo stomaco le ricordò rumorosamente che aveva saltato il pasto.

Si issò con fatica fuori dalla vasca, intontita dall'aver passato così tanto tempo nell'acqua fumante. Le vasche erano mantenute calde da un sistema di ricambio dell'acqua, che restata a temperatura grazie ad una serie di rune magiche, permettendo di fare un bagno più o meno a qualsiasi orario. La mattina e il tardo pomeriggio erano così affollati che a malapena ci si poteva stare il tempo strettamente necessario, ma almeno si riusciva a lavarsi di dosso il sudore e la polvere.

Rientrò ai dormitori femminili, trovando che la maggior parte delle reclute stavano già dormendo della grossa.

«Marian!» Esclamò Ruvena, appoggiando il libro che stava leggendo a lume di candela sul tavolino accanto. «Stai bene?»

Cercò di sorridere. «Sì, sono solo stanca, davvero.»

«Ho visto la tua armatura.»

«Non è stato un pomeriggio esattamente rilassante.» Ribattè evasiva. Il suo stomaco brontolò di nuovo mentre si infilava dei pantaloni e una maglia puliti. «Immagino che per la cena sia tardi?»

L'altra sbuffò. «È notte fonda, vedi tu...»

«Devo essermi addormentata nella vasca. Capita, a volte.» Afferrò la spazzola, cercando di domare i lunghi capelli corvini. «Farò comunque un salto in refettorio, magari gli è rimasto qualcosa.»

I corridoi erano praticamente deserti. Incrociò soltanto un templare di pattuglia, che la salutò cordialmente augurandole la buona notte.

I lunghi tavoli del refettorio erano stati ripuliti, la sala completamente sgombra. Prese quindi la strada per le cucine, scendendo al piano inferiore dalla scala di servizio. Un paio di elfi si stavano affaccendando a pulire ripiani e pavimenti, mentre uno dei cuochi rovistava in dispensa.

Marian si schiarì la voce, attirando la loro attenzione. «Scusate...?»

«Ah, prego, prego!» La salutò il cuoco senza nemmeno voltarsi. «Se avete fame, è rimasto un po' di montone, Luvi, Mei, provvedete.»

Le versarono una generosa porzione di carne sugosa, riempendo una ciotola intera. Ringraziò calorosamente i due elfi e il cuoco, risalendo al piano si sopra e accomodandosi ad uno dei tavoli. Dopo poco, però, il refettorio le sembrò troppo deprimente per mangiarvi da sola, le fiamme delle torce magiche alle pareti l'unica compagnia che sembrava viva.

Portò la ciotola all'esterno, ringraziando che non facesse troppo freddo per sedersi a cenare su una delle balconate dell'edificio che davano sul cortile.

Finito di mangiare, si appoggiò con la schiena al muro, ispirando profondamente l'aria frizzante della sera. Chiuse gli occhi.

«Se hai intenzione di affrontare la Veglia così, Marian, non hai molte speranze.»

Si risvegliò di scatto, allarmata, voltandosi verso il nuovo arrivato. «Capitano, io-»

Il Capitano Cullen accennò un sorriso sul volto tirato. «Non preoccuparti, era una battuta.»

“Da quando sa fare dello spirito?” Si chiese lei, tirandosi in piedi e soffocando un gemito. «Devo essermi addormentata dopo...»

«Sì, ho sentito che avete avuto una giornata movimentata.»

Si zittì immediatamente, temendo una ramanzina in arrivo.

Con sua grande sorpresa, il sorriso del Capitano si allargò ulteriormente. «Il Siniscalco Bran ci ha recapitato una lettera dal Visconte in persona. Hai fatto bene ad intervenire per riportare Seamus Dumar a casa sano e salvo. Solo...»

«Signore, per la faccenda dei Qunari-»

L'altro alzò una mano. «So che le tue intenzioni sono buone, Marian, ma per il momento la Comandante non desidera che ci immischiamo negli affari dei Qunari.»

«Lo so, ma signore... mi sembrava solo giusto spiegare l'accaduto all'Arishok, prima che incolpasse tutti per l'errore di pochi. C'è già abbastanza tensione in città.»

Cullen annuì. «Capisco, e hai fatto bene. Ma per il futuro, preferirei che non avessi altri contatti con i Qunari, e soprattutto che tenessi a freno la lingua in presenza del Visconte. O dei tuoi superiori.»

Marian abbassò la testa, sconfitta. «Sì, signore. Non accadrà più.»

«Ti sei meritata un'altra raccomandazione, recluta. Ormai è solo questione di settimane.»

Sorpresa, risollevò lo sguardo, non riuscendo a trattenere l'entusiasmo. «Davvero?»

Il Capitano ridacchiò sotto i baffi. «Ora vai, farò finta di non averti visto infrangere il coprifuoco. E vedi di metterti una benda su quella ferita, o finirà per infettarsi.» La congedò indicandole il fianco, dove una macchia di sangue era spuntata sulla camicia pulita.

Si trattenne dall'imprecare.




















Note dell'Autrice: ho sempre pensato che tra Ashaad e Seamus ci fosse non un'amicizia ma un rapporto romantico... povero Seamus, oltretutto con un padre così. Per il resto, Javaris Tintop è insopportabile e l'Arishok è sempre un raggio di sole, come hanno potuto scoprire Marian e Aveline. 
Comunque il lavoro dei sogni a Kirkwall è aprire una tintoria, con tutto il sangue che scorre ci si guadagna quasi quanto a contrabbandare lyrium.
Al prossimo capitolo! :D

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Capitolo 7
*** Ketojan ***


 CAPITOLO 7

Ketojan

 

 

 

«Invitala fuori, Carver.»

«Non ho idea di cosa tu stia parlando.»

Garrett ridacchiò, lanciandogli uno sguardo ammiccante. «Certo, come no... lo sai che parli nel sonno? E negli ultimi tempi mugoli, mi sembra pure di aver sentito il nome di una certa elfa, una volta o due... a notte.»

Il fratello arrossì violentemente, voltandosi dall'altra parte. «Sei un imbecille. E non è vero.»

Si scompigliò i capelli già spettinati, che cominciavano a cadergli sugli occhi. «Fidati del tuo fratellone, che ha esperienza in certe cose...»

«L'unica esperienza che hai è alla Rosa Fiorita!»

Garrett si esibì in un'espressione scioccata. «Non osare. Non pago per certe cose, io, mai. Sono troppo affascinante per cadere così in basso.» Gli fece l'occhiolino, godendosi il grugnito schifato dell'altro. «Seriamente, però, dovresti invitarla fuori. Magari per una passeggiata a guardare i fiori sulla costa, o a guardare il panorama dalla montagna-»

«Ti faccio presente che ogni volta che ci avventuriamo da qualsiasi parte per qualunque motivo, finiamo sempre per venire attaccati da briganti, pirati o qualche altro tipo di seccatura.»

«Mh. Effettivamente non hai tutti i torti.» Ammise lui. «Credi che lo facciano apposta? Insomma, non riesco a capire come tutte le volte siamo proprio noi a finire in qualche imboscata.»

«Parli troppo e chiunque dopo dieci secondi ha l'istinto di ucciderti.» Ribattè tagliente Carver.

«Non è vero, dico solo-»

Il fratello lo zittì alzando il braccio, appiattendosi contro il muro.

Garrett sbuffò, facendo lo stesso. «E dai, non è possibile, che c'è adesso...?»

Si sporsero da dietro l'angolo.

Quattro uomini avevano circondato una Sorella della Chiesa, ormai spalle al muro, e sghignazzavano malignamente.

«Sembra che sarai tu ad aiutarci, eh...» Commentò lascivo uno di essi, leccandosi i gli incisivi e schioccando la lingua. «Chissà cosa nascondi sotto tutti quei vestiti.»

«È questa la tua tecnica di abbordaggio migliore?» Si intromise Garrett, disgustato, l'arco già incoccato verso di loro. «Carver, ti ho appena rivalutato immensamente.»

«Non provare nemmeno a paragonarmi con questa feccia.» Grugnì l'altro offeso, la grande spada pronta a mietere vittime.

I quattro indietreggiarono, intimoriti.

«Ah, forse avete frainteso, non volevamo-»

«Ce ne andiamo, sì!»

Garrett assottigliò lo sguardo. «Come se vi avessimo dato una possibilità...» Lasciò andare la freccia, che si piantò nel petto del primo uomo all'altezza del cuore. «Morite e basta.»

Alla vista del compagno che cadeva a terra, uno girò i tacchi e cercò di scappare infilandosi nel vicolo più vicino, venendo comunque raggiunto da una freccia. Gli altri due caricarono i fratelli, estraendo dei coltellacci macchiati di sangue rappreso, urlando come disperati.

Carver falciò il primo senza difficoltà, aprendolo in due in una fontana di sangue. L'altro cercò di schivare, venendo colpito con un calcio e inchiodato a terra con un affondo dall'alto.

Garrett nel frattempo andò a recuperare la freccia che aveva fermato la fuga dell'ultimo, steso a terra. Quando si avvicinò, sussultava ancora, steso in una pozza di urina. «Disgustoso.» Commentò con una smorfia, finendolo. Si voltò verso Carver, che era corso dalla Sorella per assicurarsi che stesse bene.

«Grazie, sono... decisamente fuori dal mio solito ambiente.» Disse lei, la voce che tremava leggermente mentre distoglieva lo sguardo dai corpi sul selciato.

«Non è esattamente il posto né l'orario per una passeggiata da sola.» La rimproverò Garrett, scuotendo il capo. «Che vi è saltato in mente?»

La donna si passò una mano tra i corti capelli biondi, l'espressione che mutava in un cipiglio austero. «Sto cercando qualcuno che conosca la città bassa e i sotterranei come le proprie tasche, e che sia all'altezza di un compito pericoloso.» Li squadrò come a soppesarli. «Fate al caso mio?»

«Wow, siamo passati in fretta dai ringraziamenti alle offerte di lavoro...»

«Carver, lascia parlare la Sorella, stava giusto arrivando ai dettagli sul pagamento.» Ghignò Garrett, subito interessato. «Di che si tratta?»

«Verrete pagati bene per trasportare un carico fuori dalla città.» Ribattè lei, fredda. «Se siete interessati, venite domani a mezzanotte a questo indirizzo, vi aspetterò lì.» Gli allungò un biglietto scritto con inchiostro nero lucido in caratteri eleganti.

«Avete bisogno di un accompagnamento fino in città alta?» Le chiese Carver, afferrando il biglietto e mettendoselo in tasca.

«No, andrà bene così. Starò più attenta, in futuro.» Li salutò quella, incamminandosi.

I due rimasero a fissarla per qualche istante, circondati dai cadaveri dei quattro.

«Credi che domani avremo ancora un lavoro, o all'alba la ritroveranno a pezzi?» Chiese il maggiore.

«Spero di sì. Altrimenti avrò insozzato un'altra giacca per niente.» Commentò tetro l'altro.



 

«Tris di serpenti.» Appoggiò le carte sul tavolo, mostrando l'Angelo della Morte appena pescato e stendendosi all'indietro sulla sedia. Bevve due lunghi sorsi di birra scura, schioccando la lingua.

«Tsk, non ti rilassare troppo, pivello.» Ghignò Varric, mostrando due serpenti e tre canzoni.

Merrill si grattò il naso, i grandi occhi da elfa pieni di apprensione. Scoprì il suo mazzo, con una coppia di angeli.

«Margheritina, non è la tua giornata fortunata... Junior?»

Carver si concesse un sorriso di vittoria, mentre mostrava quattro cavalieri.

Isabela fischiò sorpresa. «Però, niente male!»

«Rivaini, ho vinto, non puoi avere un'altra-»

Fenris, che aveva solo una doppia coppia di canzoni e cavalieri, scosse il capo. «Non l'hai ancora capito che bara dall'inizio della partita?»

Isabela, i piedi sul tavolo e le gambe accavallate, gli rivolse un'occhiata ammiccante. «Quello che tu chiami “barare” io la chiamo abilità, carino. E ancora non avete prove.» Una per una, mise giù le proprie carte.

«Ah! Scala di pugnali!» Esclamò Merrill, battendo le mani. «Isabela, sei imbattibile!»

Carver mise il broncio, raccogliendo e rimettendosi a mischiare le carte. «Non è giusto.»

«La vita è ingiusta, Bocconcino, fattene una ragione.»

Varric alzò una mano in direzione della cameriera. «Norah! Portaci un altro giro!»

Mentre il fratellino iniziava a distribuire le carte, Garrett scosse la testa. «Io passo, ho già perso più di quello che potevamo permetterci.»

«Meno male che c'è Carver, altrimenti partireste tra sei anni per quella spedizione.» Lo prese in giro Isabela, contando la pila di monete di fronte a sé con un largo sorriso. «Mh, vediamo...»

Con una smorfia, Garrett si alzò dalla sedia, raggiungendo Anders alla scrivania. Il mago era rimasto per tutto il tempo chino su dei fogli, taciturno. «Che fai?» Gli chiese, sbirciando da sopra la sua spalla. Una serie di scritte febbrili, cancellate con foga e ripetute, brillavano sulla pergamena, l'inchiostro ancora fresco.

Anders sussultò, afferrando i fogli e nascondendoli al suo sguardo. «Niente, è solo... un progetto.»

«Mh, hai intenzione di arrampicarti fino alla balconata della Chiesa e appellarti all'intera città?» Lo prese in giro l'altro con un sorrisetto. «“Se il Creatore ha incolpato la magia per le azioni dei Magister nella Città Nera, allora perché ce ne fa dono?”» Ripetè le parole che aveva appena letto, con tono pomposo. «Non credo piacerà ai Templari.»

Il guaritore strinse ulteriormente i fogli che aveva in mano, fino a stropicciarli. «Non deve piacergli, infatti. Ho solo pensato che potrebbe essere una buona idea mettere al corrente la gente comune degli abusi che subiamo ogni giorno al Circolo.»

«Abusi, li chiama...» Li raggiunse la voce di Fenris, mentre puntava due monete d'argento sul tavolo. «Tu non conosci cosa significa quella parola, mago.»

«Hei, territorio neutrale, ricordate?!» Li ammonì Varric, spazientito. «Cinque d'argento o vai a casa, spilorcio, qui giocano i grandi.»

Sentì l'elfo ringhiare qualcosa e Isabela scoppiare a ridere.

«Non volevo offendere, scusa.» Disse Garett all'altro mago, appoggiandosi alla scrivania. «È solo che... un manifesto di propaganda? Mi sembra un po' troppo idealista.»

«Hai ragione, dovremmo passare direttamente all'azione e radunare un esercito di maghi sotto il vessillo della Ribellione.»

Per un attimo, temette che fosse serio, poi, forse in risposta al suo sguardo spiazzato, l'altro scoppiò a ridere. «Per ora mi concentro sullo scrivere. Anche se non sono bravo come il nostro nano preferito.»

Varric sogghignò, portandosi a casa la mano con una scala di angeli. «È un dono, Biondino.»

Quando Norah riaprì la porta degli appartamenti di Varric, il vassoio carico di boccali e bicchieri, ci fu un'esclamazione di giubilo generale.

«Cercate di non buttare giù il locale, questa volta.» Li rimproverò acida lei, le mani sui fianchi e lo sguardo minaccioso. «Finisce tutto sul tuo conto, Tethras.»

«Stasera andiamo a letto presto, Norah, parola di nano.» Giurò solennemente quello, il pugno sul petto, la camicia aperta che lasciava in mostra la peluria di cui andava molto fiero.

«Non ci credo neanche se lo vedo.» Grugnì lei, lanciando un'occhiata sospettosa all'intera stanza e scendendo poi al piano di sotto.

«Alle volte ho paura che ci stia sputando nella zuppa.» Commentò Carver.

«È uno dei tanti ingredienti segreti.»

«Non sarebbe molto gentile da parte sua...»

«Gattina, il mondo è pieno di sorprese, un po' come quando sei in ginocchio e-»

«Isabela!» Ruggì Carver, allarmato, dopo essersi rovesciato metà della birra addosso.

«Oh, Carver!» Esclamò Merrill, mortificata, afferrando un fazzoletto di stoffa e chinandosi su di lui. «Aspetta, lascia che ti dia una mano.»

Il ragazzo divenne rosso come un peperone, mentre l'elfa gli passava la pezzuola sulla giacca, scendendo verso la cintura, ignara di tutto.

«Gattina, mi pare ci sia una macchia anche più giù...»

«Isabela, per l'amor del Creatore!» Carver, in preda al panico, afferrò la mano di Merrill, iniziando ad asciugarsi da solo, nascondendosi alla vista delle due.

L'elfa li guardò perplessa, il braccio ancora a mezz'aria. Incrociò lo sguardo divertito di Fenris e Varric. «Mi sono persa qualcosa? Era qualcosa di sconcio, vero? Oh, non le capisco mai...»

Garrett ridacchiò. Tra i due, non sapeva chi fosse peggio. «Carver, potrebbe essere un buon momento per seguire i miei consigli.»

«Stai zitto, Garrett.»

Alzò le mani in segno di resa. «Fa' come vuoi, poi non lamentarti.»

Isabela gli strizzò l'occhio, provocante. «Dai retta a tuo fratello, Bocconcino, sa di che parla.»

Si concesse un sorrisetto a sua volta, brindando alla sua.

«Non dovremmo andare a sentire che voleva quella Sorella della Chiesa?» Li interruppe Anders. «È quasi mezzanotte.»

«Ah, giusto!» Se ne stava quasi dimenticando. «Non pensavo volessi venire, però. Da quando ti interessa la Chiesa?»

L'altro fece spallucce. «Se si tratta di soldi, ne avete bisogno per finanziare la spedizione...»

Poco convinto, Garrett finì la propria birra. «Gente, chi mi ama mi segua!»

Carver lo guardò disgustato. «Ora penso proprio che ti abbandonerò.»

«Così mi spezzi il cuore, fratellino mio.»

Isabela gli cinse le spalle, il seno morbido contro la sua schiena. «Un po' di azione per ravvivare questa serata... e chi se la perde.»

«Pensavo che preferissi altri tipi di passatempi, Rivaini.» La prese in giro Varric, afferrando Bianca dal suo supporto e accarezzandola per un attimo.

«La notte è ancora giovane, ragazzi.»



 

Alla fine, a incontrare la Sorella ci andarono tutti. “È solo perché non ho niente di meglio da fare”, aveva detto Fenris prima di seguirli, imbronciato come al solito.

«Sapete, forse è meglio che non ci veda proprio... tutti.» Commentò Varric prima di svoltare l'angolo per il magazzino segnato nell'indirizzo. «Non sembriamo esattamente furtivi.»

«Non ha mai parlato di furtività.» Ribattè Garrett, scrollando le spalle.

«Altrimenti non ti avrebbe mai assoldato.» Lo rimbeccò il nano, guardandolo dal basso in su con aria divertita. «Con quegli schiocchi che fai...»

«Non ti sei mai lamentato dei miei schiocchi, almeno finchè spediscono un assalitore a dieci metri di distanza.»

Varric scosse la testa. «Ci rinuncio. Fai come ti pare, Hawke.»

«Ha ragione.» Lo fermò Isabela, mettendogli una mano sul braccio. «Prendo i due elfi e il mago e li porto all'incrocio con i vecchi binari della miniera, è la strada più breve per uscire dalla città senza essere visti. Ci vediamo giù nelle gallerie.»

Carver si limitò a guardare con aria delusa Merrill che si allontanava.

«Se finiamo in fretta, domani puoi portarla al mare.» Gli suggerì di nuovo Garrett con una gomitata.

«Fratello, un altra parola su questa storia e ti decapito sul posto.»

«Junior, se non ascolti i consigli finirai a passare i tuoi giorni come Gamlen.» Lo avvertì Varric, bussando tre volte sulla porta del magazzino. Scoprendo che era aperta, la spalancò.

Un templare in armatura completa li accolse ad armi sguainate.

«Ser Varnell, va tutto bene, li stavo aspettando.»

Garrett, a cui per poco non veniva un infarto, abbassò l'arco con un sospiro di sollievo, riconoscendo la voce della Sorella della Chiesa. «Temevo aveste cambiato idea...»

La donna rimase impassibile. «Sono Sorella Petrice. Vi ringrazio per essere venuti. È una faccenda sensibile, e mi serviva qualcuno di abbastanza anonimo affinchè fosse impossibile risalire al mio coinvolgimento.»

«Quanta segretezza. Cos'è, dobbiamo uccidere qualcuno di importante?» Scherzò Garrett, pentendosi immediatamente di aver aperto bocca dopo l'occhiataccia assassina che gli lanciò il templare, che aveva abbassato la spada ma non l'aveva ancora rinfoderata.

«Nient'affatto, anzi, quello che dovete fare è l'esatto opposto.» Ribattè la sorella. «Dovrete scortare una persona sana e salva fuori dalla città. Ma converrete con me che è una situazione... unica.» Fece un cenno a qualcuno nascosto alla sua destra.

Da dietro l'angolo, spuntò fuori il Qunari più minuto che Garrett avesse mai visto. Gli arrivava appena alle spalle. Dopo un paio di secondi, realizzò che sotto l'enorme maschera dorata che le copriva tutto il volto e l'alto collare di metallo con pesanti catene che le impedivano i movimenti, doveva esserci una ragazzina. La punta delle corna era stata tagliata, e ai polsi portava due grandi manette di ferro. Fatta eccezione per degli spallacci di cuoio e una cintura alta a proteggerle il ventre, indossava soltanto stoffe leggere.

Garrett boccheggiò, spiazzato. «È lei che dobbiamo...?»

Petrice annuì. «Nemmeno un Templare ridurrebbe così un mago. La chiamo Ketojan, “un ponte tra i mondi”. È l'unica superstite di uno scontro con i Tal-Vashoth, i loro rinnegati. Il Visconte e gli altri ritengono che la pace inizi con la riconciliazione, e questa maga verrebbe rispedita al suo brutale popolo. Grazie a noi, invece, potrà avere uno scopo migliore. Voglio che sia libera, condotta fuori dalla città senza essere vista né dalla sua gente, né da qualcuno che possa associarla a me.»

Il mago studiò la ragazzina, che per tutto il tempo era rimasta immobile, la postura rigida.

«Quello che le hanno fatto...» Carver scosse la testa, impressionato.

«Accettiamo.» Concordò Garrett senza quasi pensarci. Era la cosa giusta da fare. Quali mostri potevano fare una cosa del genere a qualcuno, oltretutto a una poco più che bambina? «Però, cosa farà una volta là fuori?»

Petrice si strinse nelle spalle. «Non posso fare altro per lei, ma almeno avrà una possibilità in più rispetto al tornare da quei mostri.»

Garrett annuì. «Penseremo a qualcosa.» “Anders aveva parlato di una rete di maghi clandestina, forse sa a chi possiamo rivolgerci.”

La Sorella della Chiesa indicò una botola sul pavimento. «Quel passaggio conduce alla città sotterranea. Buona fortuna e che il Creatore ci assista.»

Il mago lanciò uno sguardo alla piccola Qunari incatenata. «Puoi fidarti di noi, Ketojan.»

Quella emise un basso ringhio ma li seguì obbediente giù per la scala che portava ad uno dei cunicoli sottoterra. Ben presto, raggiunsero le gallerie principali, raggiungendo il crocevia dei binari della vecchia miniera di carbone.

«Cosa. È. Quella. Cosa.» Scandì Isabela, allarmata, le mani che correvano ai pugnali alla cintura.

«Una Saarebas, Hawke? Davvero?»

«Non potevo rifiutare, Fenris, guardala!»

Anders si avvicinò alla Qunari, sconvolto. «L'hanno ridotta così soltanto perché ha il dono? Ma è una ragazzina!»

«Una ragazzina che potrebbe ucciderci tutti, se volesse.» Commentò Fenris tetro.

«Poverina, con quelle catene... devono pesare un sacco!» Disse preoccupata Merrill, che comunque si manteneva a debita distanza. «E come fa a vedere qualcosa con quella maschera? Oh, io sarei già caduta a terra una decina di volte.»

«Siamo chiusi nella zona peggiore di Kirkwall con una cosa cornuta e magica e tu ti preoccupi se ci vede bene?» La rimproverò Isabela, incredula. «Che situazione assurda.»

«Pensavo non ti tirassi mai indietro da una situazione assurda, Rivaini.»

«E io pensavo che non avrei mai accompagnato un Qunari, Varric.»

Garrett sbuffò, andando in testa al gruppo e estraendo l'arco già incoccato.

«Hai preso la decisione giusta, se posso permettermi.» Gli disse Anders, avvicinandosi. «Non riesco nemmeno ad immaginare cosa abbia passato questa poveretta.»

«Non possiamo lasciarla a sé stessa. Una volta fuori da qui, ha bisogno di qualcuno che le dia una mano. Non è che...»

Anders annuì. «La Resistenza può aiutarla. Ad averlo saputo prima, avrei potuto avvisarli per tempo, ora ci toccherà trovare un luogo sicuro sulla costa dove tenerla nascosta qualche giorno.»

«Si può fare, non ho impegni importanti.»

I tunnel si susseguivano tutti uguali.

Dopo l'ennesima svolta, si trovarono davanti una ventina di uomini in armatura leggera, che sobbalzarono alla loro vista.

Il capo, ricompostosi in fretta, assottigliò lo sguardo puntandolo sulla Qunari. «Ma guardate, sembra che abbiamo interrotto una gitarella di piacere.»

«Ugh, perché ogni volta dobbiamo incontrare gente del genere?» Si lagnò Carver. «Cadete a terra morti e fateci risparmiare tempo.»

«Sentitelo, questo signore dei cani. Cos'è, vi eccita tenere le vostre cagne al guinzaglio? Tra le varie perversioni, di questa non ne avevo mai sentito parlare...» I suoi scagnozzi risero sguaiatamente, estraendo le armi. «Chissà quanto varrà la vostra puttanella cornuta, dopo che vi avrò ammazzato!»

Ketojan ringhiò di nuovo, facendo un passo verso di loro.

Quelli risero più forte.

«Fatevi furbi e andate a farvi un giro altrove, non ho voglia di lavare la giacca, è nuova.» Consigliò loro Garrett, lanciando uno sguardo di sottecchi alla Qunari. «È un gran posto di merda dove morire, no?»

Il capo dei malviventi digrignò i denti, facendosi avanti. «Pensi di poter trattare noi dei Liberi Confini come ti pare, eh, signore dei cani? Comprarti tutti quello che vuoi e spedirci a vivere nelle fogne. Come se fossimo le tue puttanelle, legati come questa qui-»

Una scheggia di ghiaccio larga quanto uno spadone lo trafisse in pieno petto prima che potesse raggiungerlo con il coltello appena estratto, inchiodandolo sul posto e uccidendolo all'istante.

Garrett, allarmato, si volto verso Ketojan. La Qunari aveva il braccio ancora alzato, minuscoli cristalli multicolori che danzavano tra le dita affusolate. «Grazie...?»

Carver e Fenris erano già partiti alla carica. Un pugno di pietra scaraventò uno degli uomini a terra in un gran rumore di ossa e roccia frantumata, mentre Anders evocava una barriera attorno a loro.

Garrett mirò a quello che si stava avvicinando furtivamente alle spalle del fratello, fulminandolo con una delle sue frecce magiche, mentre Varric ne stendeva un altro.

La risata di Isabela riecheggiò per tutta la galleria, una volta che tutti i corpi a terra ebbero smesso di muoversi. «Come hanno potuto pensare fosse una buona idea mettersi contro di noi?» Finì di frugare nelle tasche di uno dei malviventi, estraendone una manciata di monete con un sogghigno.

Garrett si avvicinò alla Qunari, ancora immobile. «Grazie, Ketojan.»

Lei annuì impercettibilmente, riabbassando il braccio lungo il fianco.

Proseguirono, uscendo finalmente all'aria aperta dopo ore di cammino. Non era ancora l'alba, ma il cielo cominciava a schiarirsi.

«Isabela, conosci un buon posto dove tenerla nascosta?» Chiese Garrett alla donna, che dopo un breve attimo di riflessione rispose affermativamente.

«Anche se non mi sarei mai aspettata di usarlo per una Qunari fuggitiva.»

«Hei, abbiamo compagnia.» Li chiamò Fenris, accennando al sentiero poco più in basso.

«Oh, merda.»

Garrett dovette concordare con Varric. Un folto gruppo di Qunari, armati e imponenti, si dirigeva verso di loro a passo spedito. Il più alto e grosso di tutti, che portava un grande elmo sulla testa che gli copriva per gran parte il volto, alzò minacciosamente il braccio. «Fermi lì, basra vashedan. Sono l'Arvaarad e reclamo il possesso del Saarebas che vi portate dietro.»

Uno dei Qunari, che portava vistose fasciature sull'addome e sulla testa, fissava intensamente Ketojan. Garrett, con la coda dell'occhio, la vide spostare il peso da un piede all'altro.

Non sapendo come interpretarlo, si risolse ad impugnare l'arco, pronto a colpire. «Perchè dovremmo riconsegnarvela?»

«I membri del suo karataam sono stati quasi tutti uccisi dai Tal-Vashoth, ma fortunatamente uno di loro è sopravvissuto.» Accennò al Qunari ferito. «Siamo risaliti alle loro tracce fino a voi, e alla Saarebas.»

«Ma se siamo appena sbucati dalla collina dietro di noi!» Ribattè Garrett, indicando il sentiero che avevano appena percorso. «Dalla parte opposta. Qualunque traccia fosse, non era nostra.»

«Non ha importanza! Non so come tu abbia ottenuto il suo guinzaglio, bas, ma il Qun non ti concede alcun diritto. La Saarebas verrà restituita e i suoi crimini purificati.»

Garrett serrò la mascella, pronto a colpire. «E se lei non volesse tornare?»

Sorprendendo tutti, fu il Qunari ferito a farsi avanti, facendo un cenno a Ketojan. «Saarebas, dimostra che la tua volontà è ancora legata al Qun.» Il tono di voce non era aggressivo come quello dell'Arvaarad, ma quasi dolce. Guardandolo bene, sembrava giovane anche lui, anche se la corporatura robusta lo nascondeva, non doveva essere molto più grande di Ketojan.

Lei si inchinò al suo cospetto, inginocchiandosi di fronte a lui, obbediente.

L'Arvaarad parlò di nuovo, ostentando disprezzo verso gli umani e i loro compagni. «Vi ha seguiti soltanto perché voleva essere guidata. Non le è concesso altro scopo.»

«Ne parli come se fosse un oggetto.» Lo sfidò Garrett, per niente convinto di lasciarla tornare alla sua gente. «Li trattate peggio che delle bestie, torturandoli e-»

Il gigantesco Qunari li guardò senza muovere un muscolo. «Il potere che hanno i Saarebas deriva dal caos e dai demoni. Non hanno controllo su sé stessi.»

«Lo fate solo per paura?!» Si infervorò Anders, alzando la voce.

«Come molti altri...» Mormorò Merrill, affranta.

«La paura non giustifica quello che le avete fatto. Nè a lei, né a tutti gli altri.» Ringhiò Garrett, le nocche bianche dalla forza con cui stringeva l'arco. «È rivoltante, e quel che è peggio è che si sia arresa a tornare con dei mostri come voi.»

«Attento, basra, potrebbe essere la tua ultima parola.» Lo minacciò l'Arvaarad, sollevando la lancia e sbattendola per terra davanti a sé. «Saarebas, neehra aqun ebra kata Arvaarad!»

Ketojan si rialzò in piedi, il capo chino.

«Arvaarad!»

Il Qunari ferito si frappose tra i due, inginocchiandosi di fronte al capo. Sembrò chiedergli qualcosa in Qunlat, che Garrett non capì.

Arvaarad emise un ringhio furente. «Imesaar bas!»

Ketojan si mosse di scatto, protendendosi verso il Qunari ferito con un mugolio di preghiera.

L'altro sembrò non volerne sapere. Ripetè le stesse parole all'Arvaarad.

Quello sollevò di nuovo la lancia. «Saarebas ha corrotto la tua mente. Merevas, katara!»

Successe tutto in un attimo.

La punta di metallo trapassò da parte a parte il corpo del Qunari, che crollò a terra con un gemito soffocato. Ketojan proruppe in un ringhio terribile, un flash di luce che accecò tutti i presenti, seguito da un'esplosione che sembrò spaccare la terra in due.

Garrett venne sbalzato indietro, sbattendo la testa.

Quando riuscì a rimettere a fuoco la scena, vide Ketojan in piedi di fronte ai Qunari. Tutti quelli nel raggio di un paio di metri da lei erano stati imprigionati in una muraglia di ghiaccio alta almeno tre metri, mentre tutt'attorno vorticava un vento gelido.

L'Arvaarad, che aveva fatto appena in tempo ad evitare di rimanere bloccato completamente, calò violentemente l'asta della lancia sullo spesso strato di ghiaccio che gli inchiodava una gamba al terreno, cercando di romperlo. «Katara!»

Tutti i Qunari ancora in grado di muoversi si scagliarono su di loro.

Garrett si sentì avvolgere da un'energia benefica, che lo rinvigorì abbastanza da canalizzare il mana nelle due sfere magiche incastonate nell'arco, che brillarono minacciosamente. Il primo Qunari colpito incespicò, uno schiocco che lo spedì all'indietro, ma sembravano essere più resistenti ai suoi incantesimi elettrici che i soliti nemici a cui era abituato. Non demorse, incoccando di nuovo.

Fenris comparve al suo fianco, evitando che venisse colpito da un Qunari armato di picca, mentre Varric arrestava la corsa di un altro con una serie di frecce. Notò con sorpresa che sembravano congelare al contatto. “Anders?”

Un colpo granitico spedì lontano un altro Qunari, mentre Merrill si lasciava sfuggire un gridolino di vittoria, avanzando nella sua armatura di pietra. Caricò qualche altro pugno, che spedì contro la muraglia di ghiaccio mandandone parti in frantumi e uccidendo i Qunari all'interno. Carver, accanto a lei, si preoccupava che nessuno degli assalitori si avvicinasse troppo all'elfa.

«Io l'avevo detto che non dovevamo immischiarci coi Qunari...» Sentì lagnarsi Isabela mentre schivava un colpo, roteando intorno all'avversario e conficcandogli i suoi pugnali nelle reni.

Ketojan, nel mentre, si era avvicinata all'Arvaarad, che ora era quasi completamente imprigionato nel ghiaccio, fatta eccezione per la testa.

«Saarebas vashedan-!»

Quella ringhiò di nuovo, il ghiaccio che aumentava in spessore, la tempesta attorno a loro che si faceva sempre più intensa e violenta.

«Ketojan!» Provò a chiamarla Garrett, evitando per un soffio di restare intrappolato anche lui. «Ketojan, smettila! È finita, sono tutti-»

Il rumore del ghiaccio frantumato venne coperto dall'urlo di dolore dell'Arvaarad, mentre quello cadeva a terra in una pozza di sangue, il torace e gli arti piegati e perforati dalla pressione del ghiaccio. Ketojan si chinò a raccogliere una piccola barra metallica, che si illuminò al contatto.

«Tal... Vashoth...» rantolò il Qunari a terra, guardandola con odio.

Ketojan rimase per qualche secondo a fissarlo, immobile. Poi, voltandosi verso il Qunari che aveva parlato in suo favore ed era stato attaccato dall'Aarvarad, parlò. «Non dovevi ucciderlo.» Nonostante fosse soffocata e arrochita, era chiaramente la voce di una ragazzina. «Ora, muori.»

Evocò dal terreno un pilastro di ghiaccio, che trapassò senza sforzo il corpo dell'altro, sollevandolo da terra e impalandolo a mezz'aria.

Il ghiaccio tutt'attorno a loro si sgretolò e con esso i corpi dei Qunari rimasti ancora intrappolati.

Dopo essersi guardata attorno, Ketojan si inginocchiò accanto al corpo del Qunari fasciato, accarezzandogli la fronte. «Kadan?» Gli strinse il braccio, lasciando il segno.

Garrett incrociò lo sguardo di Anders. Il Guaritore si avvicinò cautamente a Ketojan, chiamandola per nome. «Posso provare ad aiutarlo, se me lo permetti.»

Il volto ancora coperto dalla maschera, Ketojan si girò verso di lui, annuendo.

Mentre Anders si sforzava di far rimarginare lo squarcio sul petto del Qunari, Ketojan rimase immobile, non lasciando il braccio del ferito per un attimo.

Quando sembrava che fosse tutto inutile, quello aprì gli occhi, tossendo un grumo di sangue.

«Kadan!»

Il ferito si guardò attorno, sgomento. «Tu...?»

«Ho perso il controllo. Pensavo ti avesse ucciso. Non dovevi andare contro l'Arvaarad.»

«Non... meritavi...»

Seguì un breve scambio nella loro lingua, che Garrett non riuscì a comprendere. Poi, il Qunari si rivolse direttamente a loro. «Basvaarad.» Emise un gemito di dolore, sputando altro sangue.

Ketojan si girò verso Anders, ma quello scosse il capo. «Non posso fare altro. Mi dispiace.»

«Panahedan, Kadan, Tal-Vashoth... Asit tal-eb.»

La Qunari rimase per tutto il tempo accanto al ferito, non lasciandogli il braccio finchè quello non esalò l'ultimo, tremolante respiro. Poi, quando quello ebbe cessato di muoversi, si rialzò in piedi, voltandosi verso di loro. Portò una mano dietro la testa, sganciandosi le catene che le tenevano la maschera sul volto e gettandola a terra.

Sbattè più volte gli occhi viola, inspirando a fondo.

Con orrore, Garrett notò che le avevano cucito la bocca, i resti dei lacci di cuoio congelati che ora pendevano spezzati dalle labbra.

Quando parlò di nuovo, la sua voce tremava. «Il Qun richiede la mia morte.»

«Il Qun ti ha trattata come una bestia!» Si oppose Anders, alzando la voce. «Sei libera, finalmente!»

Rimase a fissarlo per un lunghissimo tempo. «E cosa è per voi la libertà, bas Saarebas?»

«Non veder morire i nostri amici.» Rispose senza pensarci un attimo Garrett, intromettendosi. «Quello che gli hanno fatto, solo perché ti ha difeso, è ingiusto.»

«Giusto, ingiusto... non c'è un termine per questo, nel Qun. Cio che è, è. “Asit tal-eb.” Eppure...» Scosse la testa, guardandosi le mani. «Non volevo questa maledizione. Ma provo rabbia se penso al Qun, adesso. Questo fa di me una Tal-Vashoth.» Fece due passi in direzione di Anders, finchè non furono a pochi centimetri di distanza. «Dimmi, bas, cosa devo fare?»

Anders alzò le spalle. «La libertà sta proprio nel deciderlo da sola. Ma hai la possibilità di vivere una vita tua, perché gettarla via uccidendosi, dopo tutto quello che hanno fatto a te e al tuo amico? Sei arrabbiata, dici. Usa la tua rabbia per ribellarti.»

«La rabbia porta i demoni in questo mondo. Non posso controllarmi, come ho dimostrato.»

«Anders ha ragione.» Si intromise Merrill. «La magia non è pericolosa in sé, noi maghi possiamo scegliere se essere un pericolo per gli altri o meno. Imparerai a controllarti da sola, come tutti noi.»

«Guardati adesso, Ketojan.» Le disse Garrett, indicandola. «Pensa a quello che hai fatto. Hai attaccato solo per difendere il tuo amico, ma quando l'Arvaarad è morto, hai cessato la tempesta. E ora, hai il pieno controllo di te stessa, proprio come noialtri. Non ti serve un guinzaglio, ma un maestro che ti insegni ad usare il tuo dono.»

«Dono?» Si guardò di nuovo le mani, facendo apparire una serie di cristalli che svolazzarono intorno al suo palmo.

Garrett annuì. «Lo è. Puoi fare grandi cose, con le tue abilità. Non morire per niente.»

«Conosco delle persone che possono aiutarti ad ambientarti qua fuori.» Propose Anders. «Cari amici, maghi come te, che si sono ribellati ai nostri Arvaarad e lottano ogni giorno per la libertà dei maghi in tutto il Thedas. Possono insegnarti a proteggere te stessa e gli altri dai pericoli della magia e dei demoni, senza l'aiuto di nessuna catena o collare.»

Ci fu un'altra, lunghissima pausa, così lunga che Garrett temette che Ketojan stesse per rifiutare. Alla fine, però, la Qunari annuì. «Mi piacerebbe conoscere questi bas Saarebas liberi.» Poi, aggrottò le sopracciglia. «E non mi chiamo Ketojan. Quella bas non sapeva nulla di me.»

«Come preferiresti essere chiamata, allora?» Chiese Anders, accondiscendente.

«I Qunari non hanno un nome.» Spiegò lei, pensosa. «Prima ero Imekari, poi sono stata addestrata come Ben-Hassrath, ma mi sono rivelata Saarebas.»

Quella lunga fila di nomi non aveva alcun senso.

«Prima regola delle persone libere,» si intromise Isabela con un sorriso incoraggiante «puoi sceglierti un nome di cui andare fiera.»

Dopo lunghi minuti di riflessione, mentre si stavano dirigendo alla grotta sul mare segnalata da Isabela, la loro nuova protetta aprì finalmente bocca. «“Adaar”. Un'arma che maneggerò da sola.»



 

«Volete dirmi che ha fatto fuori da sola una decina di Qunari?» Chiese Geralt fissando Adaar, ammirato. «Complimenti, ragazzina.»

Lei lo squadrò imbronciata, ma non rispose. Da quando era comparso, lo osservava guardinga, soppesando ogni sua singola mossa e parola.

Il mago continuò ad analizzarla, girandole attorno. «Beh, direi che ci sono delle grosse potenzialità, datti un po' di tempo e non ci penserai nemmeno più ad avere paura del tuo dono.»

«Hei, non farle troppa pressione.» Lo ammonì Anders.

«Ma di che ti preoccupi...»

«Conosco la tua proverbiale mancanza di tatto, Geralt.»

«Potrei offendermi.»

Garrett incrociò lo sguardo impassibile di Adaar, accennando un sorriso. «Ti troverai bene, davvero. E saranno in grado di insegnarti tutto quello che ti serve.»

Lei annuì, giocherellando con una delle catene che ancora pendevano da quello che restava del collare. Le avevano proposto di toglierlo, ma aveva rifiutato. “Quando non avrò più bisogno di catene, me ne libererò da sola”, erano state le sue parole.

«Noi andiamo, allora. Garrett, Anders, se serve qualcosa alla Resistenza non esiteremo a contattarvi.»

«Sai che puoi contare su di me.» Rispose Anders. «E grazie.»

«Su di noi.» Lo corresse Garrett, gonfiando il petto. «Quello che state progettando farà del bene a tutti i maghi del Thedas meridionale, voglio fare anche io la mia parte.»

Geralt ridacchiò, annuendo. «Sono fiero di te, cugino. Faremo grandi cose.»

Anders annuì, lo sguardo colmo di gratitudine mentre si esibiva in uno dei suoi rari sorrisi sinceri, di quei pochi che arrivavano fino agli occhi. «Stiamo facendo la cosa giusta. Adaar, sono lieto di averti conosciuto.»

La maga reclinò un poco il capo di lato. «Vedremo se sarà stata una decisione assennata.» Soffermò lo sguardo sulle onde che si infrangevano violentemente sulla scogliera sotto di loro, meditabonda. «Per ora, è strano non avere uno scopo, un ruolo. Non essere. O poter essere altro che ancora non conosco. La libertà lascia un senso di vuoto.»

Si salutarono brevemente, prendendo strade diverse.

Tornati all'Impiccato per raccontare di come si era conclusa la vicenda, trovarono Carver furente che discuteva animatamente con Varric.

«Quella stronza ci ha teso una trappola!»

«Ma alla fine si è risolto per il meglio, Junior, e ora avete pure abbastanza soldi per finanziare la vostra parte della spedizione...» Sospirò il nano, pragmatico come sempre.

«Potremmo essere morti! Avremmo potuto davvero scatenare una guerra tra i Qunari e la popolazione, se ci avessero ucciso.»

«Fortuna che non è successo, eh?» Si intromise Garrett, sforzandosi di sorridere. «Fammi indovinare, sperava di poter incolpare tutti i Qunari per la morte di un gruppo di anime pie che scortavano una povera schiava maltrattata fuori dalle loro grinfie...»

«Esattamente.» Ringhiò Carver, sbattendo un pugno sul tavolo.

«Però ci ha pagati bene!» Ripetè Varric esibendosi in un ampio sorriso. «Qualche settimana per ultimare i preparativi e finalmente partiamo. Torneremo ricchi sfondati, ve lo dico io.»

«Siete davvero sicuri...?» Domandò Anders per l'ennesima volta, quasi supplicandoli. «Potreste investirli in qualcosa di più sicuro.»

«Dai, Biondino, ne abbiamo già parlato. Se non vuoi accompagnarci, non ce la prendiamo.»

Il guaritore corrugò la fronte, sospirando. «Non ci dormirei la notte, a sapervi lì sotto senza un Custode Grigio. Posso esservi utile, avvertire la Prole Oscura prima che ci piombi addosso.»

«Grazie, Anders.» Gli disse Garrett, poggiandogli una mano sulla spalla e sentendo le soffici piume del cappotto del mago sotto le dita. Sapeva quanto gli costasse scendere con loro sottoterra.

L'altro rispose con un sorriso mesto. «Te lo devo, dopo che hai rischiato la vita per Karl. E poi, siamo dalla stessa parte, no?»



















Note dell'Autrice: sorpresa! Ormai saprete che adoro fare collegamenti e introdurre come camei i personaggi che compariranno in futuro. Mi sembrava perfetto unire il background di Adaar alle vicende di Hawke, oltretutto darà un sacco di spunti interessanti per Inquisition l'avere un'Adaar che ha fatto parte della Resistenza Clandestina dei maghi liberi. E mi serviva qualcuno che la addestrasse per bene, non come i Qunari che a malapena istruiscono sulle basi, troppo fifoni dei demoni come sono, quindi chi meglio di Geralt e Jowan per questo compito? Chissà quanto durerà...
Tornando ai nostri eroi principali, c'è aria di romanticismo tra Carver e Merrill, peccato che quel pollo non si decida a fare il primo passo. 
Garrett e Anders si trovano bene a lavorare insieme, e meno male, un Custode Grigio nelle Vie Profonde può solo fare bene. 
Al prossimo capitolo, vi lascio con una mini Adaar! :D



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Capitolo 8
*** Blessed are the peacekeepers, the champions of the just. ***


CAPITOLO 8
Blessed are the peacekeepers, the champions of the just


 

 

Immobile di fronte alla porta di legno, presidiata da due Templari con l'elmo calato a coprire loro il volto, si rese conto di starsi mordicchiando il labbro inferiore. Smise immediatamente, cercando di darsi un contegno prima di bussare tre volte.

Le aprì il Capitano Cullen, facendosi da parte per lasciarla entrare. «Comandante Meredith, Marian Hawke, la recluta di cui vi ho parlato.»

Meredith Stannard, Comandante dell'Ordine Templare di Kirkwall, dava loro le spalle, lo sguardo puntato sul cortile, la luce che entrava dalla grande finestra che proiettava l'ombra della donna sul resto della stanza, i capelli biondi e l'armatura lucida che sembravano brillare di luce propria. Si girò lentamente, squadrandola in silenzio per alcuni secondi, poi, finalmente, parlò. «Marian. Ho sentito parecchie cose su di te, da quando sei arrivata dal Ferelden.» La voce era dura, di chi era abituato a farsi rispettare ed obbedire al minimo comando.

«Spero positive, Comandante.» Deglutì Marian, cercando di non dare a vedere il suo nervosismo. Quando Ruvena le aveva riferito dell'ordine del Capitano Cullen di raggiungerlo nell'ufficio della Comandante, le era quasi preso un colpo. Ora, pregava Andraste e il Creatore con tutte le sue forze che non si trattasse del piccolo segreto di famiglia.

«La maggior parte.» Ribattè fredda la donna, assottigliando gli occhi azzurri. «Il Capitano Cullen ha menzionato quanto hai fatto per l'Ordine scoprendo il piano dei maghi del sangue per corrompere i Templari dall'interno coi loro demoni. E non sono state le uniche lodi che ho sentito sul tuo conto, sia Ser Agatha che Ser Thrask sembrano rimasti colpiti. Non parlo solo del tuo addestramento, anche se ho avuto modo di vederti allenare nel cortile e devo ammettere che è ad un livello superiore alla maggior parte dei tuoi compagni.»

«Grazie, Comandante.»

«Uno stile versatile, il vostro. Maneggiate decentemente sia armi e scudi pesanti che arco e daghe corte, e la vostra tecnica di duello a due spade è notevole. Chi vi ha addestrato?»

«Ser Remille Artigue, era di origini orlesiane ma di stanza a Lothering, Comandante.»

«Un ottimo maestro, ad Orlais i duelli sono una vera e propria arte.» Commentò lei annuendo leggermente. Si chinò su una pergamena posata sulla scrivania, che sembrava essere stata scritta in tutta fretta. «Dimmi, Marian, ho sentito che sei sopravvissuta alla battaglia di Ostagar, all'inizio del Flagello che ha quasi distrutto il Ferelden. Non molti sono stati così bravi, o fortunati. Come hai fatto?» Puntò gli occhi nei suoi, inquisitoria.

Marian sostenne lo sguardo, il senso di colpa di quel giorno che tornava a strisciarle addosso, facendole contorcere lo stomaco. Le urla dei suoi compagni mentre venivano fatti a pezzi dai Prole Oscura. Ser Remille, le orbite bianche sul volto terreo e sporco di sangue, uno Shriek sopra di lui a lacerargli la gola con le zanne affilate, il Capitano Rods sollevato in aria da un Ogre e lanciato lontano come una bambola di pezza, le altre reclute che scappavano terrorizzate, massacrate come bestie al macello. Il Re a poche decine di metri da lei maciullato come un giunco, i maghi accanto a loro fatti a pezzi... Deglutì a vuoto. «Ero...» Scosse la testa, fermandosi. Non aveva senso mentire, aveva la sensazione che la Comandante sapesse già la verità. «Sono stata fortunata, sono riuscita a scappare. La battaglia era ormai persa, i miei superiori e compagni uccisi o peggio, ho giudicato la fuga l'unica via possibile, per combatterli un altro giorno.»

«Eppure sei fuggita a Kirkwall, non sei rimasta nel Ferelden.»

Fu peggio di una stilettata in pieno petto. Essere giudicata per la codarda che era. Ma aveva protetto la sua famiglia, mantenuto fede alla promessa fatta a loro padre. “No, non è vero. Non sono riuscita a fare nemmeno quello”, pensò, il corpo senza vita di Bethany impresso nella mente.

«Dimmi, ritieni di esserti comportata da Templare, allora?»

Abbassò lo sguardo, non potendo più sopportare quelle iridi azzurre e fredde come il ghiaccio puntate su di sé. «No Comandante. È stato disonorevole per una recluta dell'Ordine scappare in quel modo e abbandonare il mio paese. Ma dovevo salvare la mia famiglia, i miei fratelli e mia madre. Non mi pento di quello che ho fatto, anche se me ne vergogno.»

La sentì fare qualche passo. Sollevò lo sguardo quel tanto che bastava a vedere la donna di nuovo accanto alla finestra, tra le mani la pergamena stropicciata e lo sguardo diretto al cortile sotto di loro. «E dimmi, la tua famiglia ora è al sicuro?»

“No, vogliono cacciarsi nelle Vie Profonde perché sono due stupidi idioti, non contenti vanno pure in giro con eretici ricercati dall'intero Ordine.” «Sì Comandante. Siamo grati dell'ospitalità che ci ha dato questa città.»

«Ospitalità che ti sei guadagnata, recluta.» Ribattè fredda l'altra. «Non ti ho chiamata qui per accusarti delle tue azioni passate, Marian, bensì per darti una possibilità di redimerti e fare di meglio.» Si voltò nuovamente verso di lei. «Non sei la sola ad essere scappata da quella battaglia, lo so bene, i racconti dei sopravvissuti avrebbero fatto impallidire anche soldati con molto più anni di esperienza. Spero che la vergogna che ti porti dietro da quel giorno ti spinga adesso a dare tutto per l'Ordine Templare, qualsiasi cosa ti venga chiesta.»

«Sì Comandante. Ho giurato a me stessa di non allontanarmi mai più dal mio dovere.»

«Mi fa piacere sentirlo.» Per un attimo, l'espressione dura di Meredith sembrò alleviarsi un poco. Fu solo un barlume, però. «Hai una possibilità di guadagnarti il rango di Cavaliere Templare a tutti gli effetti, recluta.»

Le porse la pergamena, che Marian fece appena in tempo a sbirciare.

«Un pericoloso gruppo di maghi è scappato dalla custodia dei Templari a cui erano stati affidati durante il trasferimento dal Circolo di Starkhaven, che come sai è andato in fiamme qualche settimana fa. Hanno ucciso la maggior parte dei nostri e ferito gravemente gli altri, fortunatamente hanno fatto in tempo ad avvertirci che i maghi si sono rifugiati da qualche parte sulla Costa Ferita.» Proseguì la Comandante, una rabbia profonda celata sotto il tono freddo. «Ho incaricato Ser Karras di occuparsi personalmente di questi eretici e voglio che tu vada con lui.»

Il nome di Karras le era disgustosamente noto. Giravano voci su come provasse piacere a maltrattare ogni mago posto sotto la sua cura e persino qualche recluta ne aveva paura.

«Ser Karras giudicherà le tue azioni e le riferirà a me. Se avrete successo, potrai affrontare la tua veglia alla prossima luna nuova.»

Sgranò gli occhi. Era finalmente giunto il momento di diventare un Cavaliere, eppure quale sarebbe stato il costo di quella promozione? Ser Karras non era certo famoso per il suo approccio delicato, e oltretutto gli eretici di cui parlava Meredith dovevano essere molto pericolosi. Probabilmente maghi del sangue, per essere riusciti a liberarsi della loro scorta. Forse, in fin dei conti, avere dalla sua un Templare esperto e spietato come Karras poteva fare la differenza per uscire viva dallo scontro.

“Eppure...”

No, non poteva comunque rifiutare, pensò affrontando lo sguardo della Comandante Meredith.

«Vi ringrazio dell'opportunità, Comandante.»

«Non ringraziarmi ancora, sarà il tuo primo incarico così pericoloso, ma mi aspetto un successo. Dopotutto, non sono i primi maghi del sangue che affronti.» Le fece un cenno col capo, congedandola. «È tutto, recluta. Capitano.»

I due chinarono il capo, salutandola rispettosamente prima di uscire dalla stanza.

«Non preoccuparti, Karras è un ottimo guerriero e ha già ucciso parecchi maghi maghi del sangue e abomini nei suoi anni di servizio,» cercò di rassicurarla Cullen mentre percorrevano il corridoio diretti al cortile sottostante «e tutti gli uomini e donne con lui possono dire lo stesso. Metti in pratica il tuo addestramento e non riusciranno a sopraffarti.»

«Lo terrò a mente, Capitano.»

«Ti meriti di essere Cavaliere, Marian, lo sanno tutti qui dentro. Era solo una questione di tempo.»

«Grazie, Capitano.» Aveva la gola secca mentre scendevano le scale.

Karras, i capelli biondi e la barba curata quanto la sua armatura lucida, si girò a salutarli. «Ah, Capitano Cullen. E Marian, immagino, la recluta che la Comandante ci ha affidato.» La squadrò dall'alto in basso, il labbro leggermente arricciato in segno di scherno. «Spero tu sia più capace di quello che sembri, recluta, non vorrei dovermi accollare l'onere di riportare i tuoi pezzi fino alla Forca.»

Marian dovette trattenersi dal ribattere a tono. Aprì la bocca, ma Cullen la precedette.

«Marian è la recluta più promettente che abbia visto fin'ora qui a Kirkwall, e se la Comandante ha pensato di mandarla in una missione del genere immagino lo pensi anche lei.» Disse, sfidando l'altro a contraddirlo.

Karras assottigliò lo sguardo ma evitò altri commenti. «Vedremo. Muoviti, recluta, non c'è tempo da perdere: abbiamo dei fuggitivi da uccidere.» Fece segno ai suoi uomini, quattro arcieri e cinque guerrieri armati di spade e scudi in armatura pesante, di mettersi in marcia. Quelli si mossero come un sol uomo, seguendolo fuori dal cortile a passo sostenuto.

Marian fece appena in tempo a salutare Cullen con un cenno che dovette affrettarsi a mantenere il passo degli altri.



 

Trovarono un cadavere di un uomo in armatura poco oltre una collinetta, circondato da altri due in evidente stato di putrefazione.

«Magia del sangue.» Commentò Ser Karras, sputando per terra. Indicò delle tracce di sangue che portavano su un ripido sentiero sulla cresta della parete rocciosa, un ghigno feroce sulle labbra. «Se si sono rifugiati lì dentro, significa che hanno paura di noi. Sanno che stiamo arrivando, e saranno pronti. Ma li trucideremo lo stesso, che il Creatore e Andraste Benedetta ci diano la forza di vendicare i nostri compagni e liberare il mondo da questa feccia.»

Seguirono la pista fino all'ingresso di una caverna.

Tuttavia, non erano soli.

«Ser Thrask?» Si stupì Marian, riconoscendolo al volo. «Cosa ci fate qui?»

Ser Karras proruppe in una risata sprezzante. «Se pensate di poter esserci di aiuto, levatevi di torno, sareste solo di intralcio.» Gli disse. «Non abbiamo tempo per i vostri discorsi sulla dignità dei maghi, siamo stati incaricati dalla Comandante di sterminarli tutti.»

L'altro Templare resse il confronto, aggrottando la fronte con disappunto. «Conosco i vostri metodi, Ser Karras, e sapete bene che non li condivido. Tuttavia, sono anche consapevole che non ho speranza di chiedervi di usare clemenza e di risparmiare gli eventuali innocenti.»

«“Innocenti”?» Ripetè l'altro a denti stretti. «Stiamo parlando di eretici che hanno assassinato dei nostri compagni, Thrask. Ma forse vi sentite più vicino a loro che all'Ordine...»

Thrask lo ignorò, puntando lo sguardo dritto su Marian. «Sono stupito di vederti con loro. Condividi l'opinione secondo la quale ogni mago posto sotto le nostre cure debba essere ucciso, sottoposto al Rituale della Calma o seviziato in ogni modo possibile per rompere il suo spirito e punirlo di una colpa non sua?»

La ragazza deglutì. «Sono criminali e assassini, là dentro. Non maghi innocenti da proteggere, l'hanno dimostrato uccidendo i Templari che dovevano portarli alla Forca.»

La delusione dell'altro la ferì molto più di quanto avesse pensato. «Allora andate e fate quello che dovete. Non avete bisogno del mio aiuto, vedo, quindi non c'è necessità che io vi accompagni.»

«Codardo.» Sentì commentare uno degli arcieri, che rise di gusto passandogli accanto.

Marian, gli occhi puntati sul terreno sotto di sé, potè sentire lo sguardo di Thrask puntato sulla sua schiena finchè non si furono addentrati nella grotta buia abbastanza da non essere più raggiunti dalla luce che proveniva dall'ingresso.

Come dal nulla, una freccia sibilò verso di loro, rimbalzando sullo spallaccio di uno degli uomini in prima fila.

«Scudi!» Urlò Ser Karras, sollevando il proprio appena in tempo per deviare una seconda e terza freccia indirizzati alla sua testa.

Marian obbedì prontamente, la spada stretta in pugno. Dall'oscurità, emersero alcune ombre che corsero verso di loro, schiantandosi contro la loro difesa.

La puzza di carne in decomposizione li colpì con una zaffata nauseabonda, mentre i cadaveri rianimati li attaccavano senza pietà. Parò un colpo al fianco con lo scudo, facendo cozzare la lama della spada contro la sciabola arrugginita. Uno degli uomini gli staccò il braccio con cui reggeva l'arma, dandole la possibilità di abbatterlo con un fendente alla testa.

Dopo pochi secondi, l'aria sembrò farsi più pura. La barriera del mago si dissolse nel nulla, permettendo loro di colpire i cadaveri più facilmente.

Un urlo di rabbia si alzò alla loro destra, mentre Karras e un altro circondavano il mago del sangue che li aveva attaccati, ora impotente. Venne silenziato dal Templare, che lo buttò a terra per poi sollevare lo scudo e calarlo con forza.

Il rumore del cranio spaccato rimbombò sinistramente per tutta la galleria.

Gli altri eliminarono in fretta i cadaveri ancora in piedi.

«Ce ne saranno altri. Hanno i minuti contati.» Ringhiò feroce lui, lo scudo sporco di sangue e cervella sollevato innanzi a sé mentre li guidava senza paura verso il fondo della grotta.

Marian si concentrò sul proprio respiro, cercando di tenere a bada il cuore che batteva all'impazzata. Doveva in qualche modo dimostrare il proprio valore, in modo da convincere quel sadico a riferire a Meredith che sì, era pronta per la sua Veglia. Tremare come una foglia alla vista di qualche mago del sangue non rientrava nel piano.



 

Altri corpi rianimati li attaccarono più volte, ma dei maghi nessuna traccia. Ad un certo punto, la galleria si fece più stretta, costringendoli a procedere quasi in fila per uno.

La puzza di carne in decomposizione era sempre più forte, segno che dovevano esserci parecchi cadaveri nelle vicinanze.

Lentamente, avanzarono nell'oscurità, la galleria che si apriva in una grande caverna dal soffitto alto, stalattiti che pendevano da esso fin quasi a sfiorare le loro teste e stalagmiti che si innalzavano maestose, unendosi le une alle altre in massicce colonne calcaree. Le gocce d'acqua picchettavano al suolo rimbombando, l'eco che ne ripeteva il suono all'infinito.

Sarebbe stato uno spettacolo, senza il rumore sordo di denti che battevano freneticamente.

Una trentina di scheletri erano schierati attorno a loro, circondandoli a semicerchio, mentre tre maghi fuori dalla loro portata sopra una sporgenza rocciosa tenevano alti i loro bastoni illuminando di luce fredda la grotta.

«Sciocchi, siete caduti nella nostra trappola. Non uscirete più da qui!» Gridò uno di quelli, trionfante, facendo segno ai cadaveri di attaccare.

I corpi si mossero all'unisono, scagliandosi su di loro come furie impazzite.

Marian e gli altri mantennero la posizione, fermando la carica con gli scudi pesanti e dando la possibilità agli arcieri di stare alle loro spalle e bersagliarli di frecce, riuscendo a rallentarne alcuni.

«Non indietreggiate!» Ringhiò Ser Karras, decapitando con un sol colpo uno dei cadaveri e usando lo scudo per buttarne a terra un altro.

Uno degli uomini accanto a Marian si accasciò con un urlo di dolore, una freccia conficcata nel collo poco sopra l'armatura. Rimasta per un attimo scoperta, voltò lo scudo in quella direzione, ruotando verso destra e spostando il peso per tranciare di netto uno dei corpi rianimati che aveva approfittato del varco nella loro difesa. Quello crollò a terra, dandole tempo per riprendere terreno.

Una scarica elettrica li colse di sorpresa, e solo grazie alla prontezza di Ser Karras e di un altro riuscirono a contenere i danni.

Poteva sentire i capelli rizzarsi sulla testa per l'energia elettrostatica sprigionatasi, ma rimase illesa. Il templare accanto a lei falciò via tre cadaveri, creando un vuoto nella linea nemica.

Approfittandone, scattò in avanti correndo quanto glielo permettevano le ferite leggere e l'equipaggiamento pesante, fino a sgusciare in una delle strette gallerie laterali. Si morse il labbro, maledicendo il grosso scudo che le rallentava i movimenti incastrandosi di continuo tra la roccia.

Quando una freccia le sibilò accanto, rimbalzando sulla pietra, si accorse di essere stata seguita. Si voltò indietro, notando due cadaveri che strisciavano verso di lei, incuranti dei brandelli di carne e ossa che si lasciavano dietro, strappati via dagli spunzoni che sporgevano.

Sbuffò, alzando lo scudo dietro di sé e incastrandolo con forza in una fessura, chinandosi a carponi e infilandosi in un cunicolo. Si ritrovò a salire a tentoni, sperando di non incappare in altri mostri così vulnerabile.

Quando si ritrovò di fronte ad un bivio, girò a sinistra, poi proseguì diritto per qualche metro.

Finalmente, le pareti si fecero più alte, permettendole di ritornare comodamente in piedi: una parete di roccia si alzava davanti a lei, un fascio di luce ad illuminare debolmente la camera. Con un brivido, si sporse verso il pozzo alla propria destra, non riuscendone ad intravedere il fondo.

Strinse i denti, spostandosi il più a sinistra possibile e iniziando la scalata della parete, procedendo quasi a tentoni e pregando il Creatore che non franasse nulla.

Arrivata in cima, si issò faticosamente su una grossa roccia piatta.

Il corridoio alla propria sinistra era illuminato di una innaturale luce azzurra, tremolante, così simile a quella delle scintille che aveva visto evocare innumerevoli volte da suo fratello.

Ghignò, vittoriosa.

Percorse a passo felpato gli ultimi metri, sporgendosi oltre il varco.

I tre maghi le davano le spalle, concentrati sulla battaglia sotto di loro, lanciando incantesimi ogni tanto. Erano due uomini e una donna, i cappucci sulla testa e le vesti da mago strappate e polverose. Notò come quelle della donna fossero le uniche a non essere sporche di sangue.

Calcolò di avere sì e no una manciata di secondi, prima che l'aura antimagia si spezzasse e la facessero a pezzi.

Smise di mordicchiarsi il labbro inferiore, chiudendo gli occhi e concentrandosi, svuotando la mente, il battito del cuore regolare mentre avanzava lentamente.

Quando si accorsero che la loro magia veniva annullata, era ormai troppo tardi.

La lama trapassò il petto del primo uomo come se fosse burro, la silverite che brillava di sangue scarlatto quando la ritrasse, scontrandosi con il successivo, che alzò il bastone magico per proteggersi, cercando di evocare una barriera invisibile, inutilmente.

Il metallo del bastone cozzò contro quello della spada corta, incastrandosi nella guardia. Roteò il polso e il braccio, disarmandolo con uno strattone nel frattempo che si spostava di lato e affondava la lama più lunga nel ventre del mago.

Quello urlò di dolore, all'unisono con la maga rimasta.

Estrasse la spada con un gesto fluido, caricando il braccio e mozzando la testa dell'uomo in ginocchio, il corpo che si afflosciava come un sacco.

«Decimus!»

La donna cadde a terra al suo fianco, singhiozzando, una serie di scintille che si alzavano tutt'attorno a loro.

Marian indietreggiò di scatto, spaventata, sapendo di non riuscire ad annullare nuovamente un attacco magico, sentendosi vulnerabile senza il suo scudo, entrambe le lame alzate verso di lei.

Lo scontro sotto di loro continuava, ma senza l'assistenza magica i Templari avevano ormai la meglio.

Avanzò verso la maga, ancora a terra, portando la lama a contatto con la sua gola. «Non ti muovere.»

L'altra la degnò a malapena di uno sguardo. «Gli avevo detto di non ricorrere alla magia proibita, che lo avrebbero ucciso! Oh, Decimus...» Scosse il capo, asciugandosi la guancia con la manica della veste. «Fate quello che dovete fare, Templare. So bene che non ho speranza di uscirne viva.»

Marian esitò. Karras le avrebbe sicuramente tagliato la gola, per evitare che qualsiasi possibile mago del sangue entrasse nella Forca. Però non c'erano prove che la donna avesse fatto uso della magia proibita.

«Marian, no!»

Si voltò di soprassalto, la spada puntata verso una galleria secondaria che si snodava alla loro destra. Quando incrociò gli occhi del fratello e dell'eretico ex Custode Grigio, sentì montarle la rabbia. Dietro di loro, poteva vedere altri due maghi, seminascosti nell'oscurità. «Voi.»

Vide Garrett socchiudere la bocca, certa che stesse cercando un modo per convincerla a lasciare andare quegli eretici a suon di chiacchiere.

«Recluta, sei ancora viva?!» Urlò Ser Karras dalla sala sotto di loro. «Dennis, Gilia, Gerwin, salite a vedere cosa è successo.»

Con orrore, Marian li sentì iniziare a scalare la ventina di metri di parete che li separavano.

«Garrett. Lascia quei maghi e sparisci.» Sibilò furiosa, avvicinandosi minacciosamente al fratello.

«Lascia che li porti al sicuro!» Ribattè quello, stando attento a non alzare la voce. «Non sono maghi del sangue, questi, soltanto-»

«Marian!» Gridò di nuovo Karras, lanciando un paio di imprecazioni. «Rispondi maledizione, recluta!» Si sentì un rumore metallico, come se avesse gettato lo scudo per terra in un impeto di rabbia. «Non ho intenzione di sprecare il mio tempo a riportare i pezzi di quella fereldiana incosciente fino alla città...»

«Sto bene, tenente!» Gracchiò lei in preda al panico.

«Digli che non c'è nessun altro-»

«Sta' zitto Garrett! Fai come ti ho detto oppure qui ci ammazzano tutti!»

«Perchè non li lasci andare via-»

Sentiva i tre templari ormai vicinissimi.

Qualcosa le scattò dentro.

Lanciò una seconda aura antimagia, scagliandola in direzione del fratello e del suo scomodo alleato. Poi, afferrò la maga coperta di sangue per il colletto del vestito, trascinandosela dietro verso gli altri, gettandola a terra e puntandole nuovamente la spada alla gola. «Voi due, andatevene immediatamente o giuro su Andraste che ve ne faccio pentire, imbecilli!»

Con sua grande sorpresa, uno dei maghi schizzò in avanti, lasciando cadere il proprio bastone e gettandosi inerme ai suoi piedi. «Vi prego, signora, non uccidetemi! Portatemi solo al Circolo, non ho mai voluto scappare-»

«Alain, traditore-!»

«Marian!»

Terrorizzata, vide con la coda dell'occhio i tre templari spuntare dietro di sé.

Fece un cenno col capo a Garrett e gli altri due maghi di fianco a lui, che non se lo fecero ripetere due volte e fuggirono in uno dei cunicoli laterali.

«Recluta, tutto bene?!» Le chiese allarmata l'altra templare, raggiungendola con le armi sguainate, in allarme, lo sguardo puntato sulla donna e l'uomo a terra. Il mago chiamato Alain tremò di paura, e Marian per un momento temette che se la stesse per fare addosso.

«Vi prego, voglio soltanto tornare al Circolo...» Piagnucolò patetico, rannicchiandosi su se stesso.

«Come se-»

«Ser Dennis, si sono arresi.» Si affrettò ad interromperlo Marian, parandosi davanti ai due maghi. «Non hanno usato magia del sangue di fronte a me, quindi c'è una possibilità che siano innocenti.»

Gli altri tre apparivano molto poco convinti. «Non possiamo esserne sicuri.»

«La missione era di uccidere i maghi del sangue. L'abbiamo fatto. Siamo in troppi perché portare questi due alla Forca ci si ritorca contro, non corriamo più pericolo.» Cercò di convincerli lei.

Ser Gerwin annuì, abbassando anche se di poco l'arco. «Forse hai ragione. Almeno avremo qualcuno da interrogare.» Indietreggiò di qualche passo, sporgendosi dalla terrazza e chiamando Ser Karras e gli altri. «La recluta sta bene e abbiamo due prigionieri!»

«Prigionieri?» Lo sbeffeggiò il tenente dal basso, divertito. «E va bene, Gerwin, ma mica ti starai rammollendo?»

«No Signore!»

«Ci rivediamo all'uscita allora. Voialtri, perquisite questo posto da cima a fondo, potrebbero essercene altri nascosti. Sono come i ratti, questi maledetti...»

Marian pregò che il fratello fosse già lontano.

Legarono le mani dietro la schiena ai due prigionieri, usando manette di ferro intarsiate di rune che gli impedivano di lanciare altri incantesimi. La donna le rivolse uno sguardo carico d'odio.

Chinandosi su di lei, Marian le sfiorò l'orecchio. «Una parola di quello che è successo qui, e vi faccio sottoporre entrambi al Rituale della Calma in un attimo. Mi dovete la vita, entrambi.» Sussurrò, sperando che la minaccia avesse abbastanza effetto. Se avessero rivelato di come aveva fatto scappare gli altri tre... rabbrividì, mentre percorrevano lentamente i meandri bui della grotta fino a sbucare all'esterno, sotto l'abbagliante luce del sole.



 

Quasi sfondò la porta della clinica.

Vide il fratello indietreggiare sulla difensiva, mentre l'altro eretico stringeva tra le mani il proprio bastone magico, in allerta. Scoccò al secondo un'occhiata furiosa, non degnandosi nemmeno di estrarre l'arma. «Non ci provare nemmeno, pezzo di merda.»

«Marian, stai esagerando-»

«Io starei esagerando?!» Urlò fuori di sé dalla rabbia, colmando la distanza fra di loro e quasi buttandolo a terra. «Sei un deficiente! Un cretino, un coglione, un demente che crede di passarla sempre liscia immischiandosi in affari che non lo riguardano!»

«Non è successo nient-»

Lo spintonò con forza, facendolo barcollare anche se era più alto di lei di mezza testa. «Sono stufa di pararti il culo! Vuoi continuare a rischiare la morte, fa' come credi, ma se mi metti in una posizione del genere un'altra cazzo di volta giuro che ti lascio nella merda!»

Garrett si massaggiò una spalla, dolorante. «Non ti ho chiesto di proteggermi. Se ci avessi lasciato portare via i maghi ce ne saremmo andati subito senza-»

«Ah, quindi avrei dovuto lasciarti portare via un intero gruppo di possibili maghi del sangue, accusati di aver contribuito a distruggere il Circolo di Starkhaven?! Ma ti ascolti quanto parli?»

«Decimus e gli altri maghi del sangue erano già morti, potevi tranquillamente lasciare andare gli altri.» Ribattè il fratello, incrociando le braccia.

Marian stentava a credere alle proprie orecchie. «E chi mi garantisce che non lo siano pure loro?» Gli chiese, tagliente. «Tu? O il tuo amico eretico e disertore?»

«Non tirare in mezzo Anders, questa cosa è tra me e te.»

«No che non lo è!» Ringhiò lei, voltandosi verso il biondo. «Tu l'hai trascinato là dentro, ne sono certa. Vi avevo avvertiti di non invischiarvi ulteriormente negli affari dei Templari, ma no, avete quasi mandato a monte l'intera operazione e rischiato di farvi catturare.»

«L'unica colpa di quei maghi era aver cercato la libertà!» Ribattè Anders, furente a sua volta. «Non mi scuserò con una Templare per aver agito in nome della Giustizia!»

Marian indietreggiò d'istinto, mentre il Velo si faceva improvvisamente più sottile, l'energia magica che riempiva la stanza...

«Anders!» Gridò Garrett, sul volto un'espressione spaventata mentre afferrava l'altro per le spalle, stringendo con forza. «Non ci provare!»

Marian li guardò, disgustata. Scosse la testa. «Vuoi davvero attaccarmi, Anders? Fallo. Probabilmente riusciresti a farmi a pezzi senza sudare una goccia, non sono così scema. Hai fatto fuori templari molto più anziani di me. Attaccami, coraggio.»

«Sei impazzita?!» Le chiese il fratello, allarmato, senza mollare la presa sul mago. «Non farlo.»

Anders parve sussultare, serrando le palpebre per un attimo. Quando riaprì gli occhi, la sua espressione era forzatamente calma, come se gli costasse ogni fibra del suo essere per non ridurla in cenere in quello stesso istante. «Non istigarmi, Templare.»

«Non osare minacciarla, è mia sorella.»

«Hai visto cos'ha fatto a quei maghi!» Ringhiò il biondo, rivoltandoglisi contro. «Solo perché ti permette di vivere libero, non significa che non vedrebbe volentieri tutti noialtri rinchiusi in una gabbia! Sei così accecato dall'affetto da-»

Con un tonfo, Anders cadde a terra, Garrett che troneggiava sopra di lui, il braccio ancora alzato e una fredda furia negli occhi chiari. «Sta' zitto.»

Prima che potessero attaccarsi a vicenda, le loro abilità magiche vennero annullate. Si voltarono di scatto verso di lei, rabbia nell'espressione dell'ex Custode e confusione in quella del fratello.

Marian rispose loro con una calma glaciale. «Non ho intenzione di sopportarvi oltre. Garrett, ti ho avvertito più volte, ma sei evidentemente sordo o stupido. Quello che è successo oggi poteva rovinarci tutti: se avessero scoperto che ho un fratello eretico, avrei perso il posto, tu saresti stato rinchiuso o sottoposto al Rituale della Calma, Carver e nostra madre sarebbero finiti in cella o ad Aeonar. E tutto per salvare un paio di maledetti maghi del sangue aiutando quest'altro.» Scosse la testa, le spalle rigide. «Ho promesso a nostro padre che ti avrei tenuto d'occhio. Che ti avrei tenuto fuori dal Circolo, lontano dai Templari. Negli ultimi tempi mi chiedo se sia stata la decisione giusta.»

Garrett non rispose, limitandosi ad aggrottare le sopracciglia.

«Su una cosa hai ragione. Sei grande abbastanza da essere responsabile per le tue azioni.» “Mi dispiace, padre. Non ce la faccio più.” «Vuoi metterti in pericolo per niente? Fai pure. Vuoi passare il tuo tempo a gozzovigliare, buttando la tua vita nella spazzatura? Fallo. Ritieni di dover aiutare ogni singolo mago mettendoti contro l'intero Ordine Templare, seguendo un eretico ricercato e disertore dei Custodi Grigi?» Allargò le braccia, sconfitta. «Sono stufa. È la mia vita, non la voglio sprecare dietro a te. Se vuoi morire, scegli il modo che preferisci, ma non mi trascinerai con te. Tu e Carver siete la mia famiglia, e ho fatto cose di cui mi vergogno ogni singolo giorno per proteggervi, ma ora basta. Settimana prossima diventerò una Cavaliere Templare di Kirkwall, e il mio compitò sarà proteggere l'intera città, non solo voi due a dispetto del mondo intero.»

«Marian...»

«Vuoi andare nelle Vie Profonde? Vacci. Se Carver ritiene di dover seguire il tuo esempio invece del mio, faccia pure quello che crede, non mi interessa. Mi spiace solo per nostra madre che perderà altri due figli, ma non ho intenzione di sprecare altro tempo urlando al vento. Se mai uscirai da lì, prega di non incrociarmi più mentre sono in servizio.»

Garrett ricambiò il suo sguardo, ferito. «Mi stai davvero minacciando? Tuo fratello?»

«Hai finito di nasconderti dietro il nostro sangue in comune pur di farla franca. Dopo Bethany e papà, non ne hai più il diritto.»

Si sentì l'amaro in bocca subito dopo aver pronunciato quelle parole. Si voltò di scatto, quasi fuggendo verso la porta, mordendosi il labbro inferiore finchè non sentì il sapore metallico del sangue sulla lingua, l'armatura che cigolava mentre quasi correva su per le scale della città oscura.



 

Cinque giorni dopo, una lettera giaceva intatta sul suo letto, le firme dei fratelli chiare sulla pergamena giallognola.

«Tua madre è ancora fuori dai cancelli, Marian.»

Guardò Ruvena, sperando che non intravedesse l'angoscia dietro la maschera di indifferenza che aveva indossato da quando aveva litigato col fratello. «Mandatela a casa. È ora che se ne faccia una ragione, non può passare tutta la sua vita a lamentarsi con me.»

«Non potresti soltanto...»

Sbattè la mano sul materasso, con forza, facendo sobbalzare l'amica e altre due reclute lì vicino. «Solo per farti stare zitta, maledizione.» Si alzò di scatto, infilandosi la lettera in tasca e scendendo rigidamente le scale che portavano al cortile. Due templari più anziani la guardarono di sottecchi, divertiti. Poteva sentire fin lì la voce della madre chiamarla.

Quando la vide, i capelli grigi scarmigliati e il volto rigato di lacrime, l'unica cosa che provò fu un sommo fastidio, aumentato anche dall'imbarazzo che le stava procurando di fronte all'intera Forca.

«Cosa vuoi, madre?» Chiese fredda, le braccia conserte al petto. «Stai facendo una scenata.»

«Se solo tu fossi andata a parlarci, Marian! Sono i tuoi fratelli, potrebbero non tornare più, e io rimarrei sola, come fai a non interessarti-»

«Sono grandi abbastanza da prendere le proprie decisioni, madre. Non sono la loro balia.»

«Come puoi dire una cosa del genere?!» La sgridò la donna, alzando ancora la voce. «Non dopo quello che è successo a Bethany...»

Serrò la mascella. «Nominare mia sorella ogni volta che vuoi che venga fatto qualcosa a modo tuo è un colpo basso, madre, ma sta perdendo il suo effetto.»

«Marian!»

«Se non hai altro da dire, puoi tornartene a casa.»

L'espressione ferita e delusa sul volto di Leandra la fece per un attimo fermare, ma le diede comunque le spalle, allontanandosi a passi larghi dalla madre e tornando all'interno della Forca.

Salì le ripide scale che portavano alla terrazza superiore, arrampicandosi sulla balaustra e issandosi con le braccia sul tetto. Si sedette coi piedi a penzoloni sullo strapiombo, ancora furente.

Da lassù, poteva vedere tutta la città sotto di loro, un brulicare di formiche che si affaccendavano inutilmente nelle loro frenetiche vite.

Una delle due lune era appena visibile, mentre Satina era sparita.

La sua veglia sarebbe cominciata nel giro di un paio d'ore.

Strinse tra le mani la lettera ancora chiusa, ripensando alle parole di elogio della Comandante Meredith. Era rimasta contenta di come aveva gestito i maghi del sangue, e sorpresa da come fossero tornati con due prigionieri.

Nonostante l'iniziale scetticismo di Ser Karras, gli interrogatori della donna, Grace, e dell'altro mago, Alain, si erano rivelati utili: entrambi sostenevano che era stato proprio Decimus, il mago del sangue a capo della loro banda, ad aver appiccato l'incendio al Circolo di Starkhaven e ideato il piano di fuga, probabilmente con l'aiuto di qualche demone.

Entrambi erano ora sotto osservazione per scoprire se avessero usato o meno la magia proibita.

Marian inspirò profondamente, chiudendo gli occhi.

Doveva liberare la mente, sgombrarla da pensieri e preoccupazioni. Non poteva permettersi di distrarsi coi problemi della sua famiglia.

Si infilò nuovamente la lettera in tasca, accartocciandola nel pugno con foga.

Rimase fino all'ultimo sul tetto, ignorando la fame, cercando di calmarsi.

Quando fu il momento di scendere e andare nel salone con le altre Reclute, incrociò Ruvena, un'aria interrogativa sul volto.

«Problema risolto.»

«Lo vedo.» Rispose sarcastica l'altra, ma l'ingresso della Comandante Meredith troncò qualsiasi conversazione in atto.

Le quattro Reclute si irrigidirono, salutando la Comandante all'unisono. Quella li guardò uno per uno dall'alto della pedana da cui lei e gli ufficiali di alto grado appellavano di solito il resto dell'Ordine. «Questa notte, siete chiamati a riflettere sul significato dell'Ordine. Su cosa sia per ciascuno di voi essere un Templare. All'alba, sarete Cavalieri Templari, le spade del Creatore contro i Suoi nemici, lo scudo di Andraste a protezione dei Suoi fedeli.»

«Queste Verità ci ha rivelato il Creatore: esiste un solo mondo, una sola vita, una sola morte, un solo Dio, ed Egli è il nostro Creatore. Peccatori sono coloro che danno il loro amore ai falsi dei.» Le Reclute recitarono le parole del Cantico delle Trasfigurazioni a memoria, perfettamente in sincronia con la Comandante. «La magia esiste per servire l'uomo, mai per governarlo. Turpi e corrotti sono coloro che hanno ricevuto il Suo Dono per rivoltarlo contro le Sue creature. Verranno chiamati Maleficar, i maledetti. Non troveranno pace in questo mondo o nel prossimo.»

Vennero condotti fino alla Chiesa, dove presero posto distanti gli uni dagli altri, immersi nel silenzio e nella preghiera.

I pensieri di Marian finirono per vagare inesorabilmente alla sua famiglia, la lettera di Garrett e Carver ancora in tasca. Si dovette costringere a tenere le mani giunte, serrando le dita intrecciate.

Nel pieno della notte, un uomo si inginocchiò poco distante da lei, assorto in preghiera. Aveva i capelli color ruggine pettinati indietro poco sopra le spalle, l'armatura bianca che brillava alla luce delle torce.

Incrociò per un attimo gli occhi azzurri dell'altro, quando quello si alzò nuovamente per andarsene, trovandovi un tormento simile al proprio.

Il resto della notte passò tra i morsi della fame e lo sforzo per restare sveglia.

Le candele scarlatte ai piedi della statua di Hessarian si erano consumate quasi completamente quando le prime luci dell'alba entrarono attraverso la grande vetrata colorata sopra di lei, illuminando la sala in un caleidoscopio di luci.

Quando si ritrovarono sotto la grande statua dorata di Andraste al centro della Chiesa, Ruvena le fece appena un rigido saluto col capo, prima di voltarsi verso la Comandante Meredith e il Capitano Cullen. Quest'ultimo, ad un cenno della Comandante, si avvicinò loro con un piccolo scrigno di legno, aprendolo: all'interno, quattro boccette di vetro sigillate con un tappo di ceralacca contenenti un brillante liquido azzurro.
Marian ne afferrò una, stringendola delicatamente tra le dita mentre la apriva.
Notò Ruvena esitare, il vetro a pochi millimetri dalle labbra. Con un gesto deciso, Marian vuotò l'intero contenuto.
Il suo primo sorso di Liryum scese fresco giù per la gola, morbido al gusto, la mente che le si annebbiava per un attimo, come se venisse immersa in una pozza di schiuma frizzante. La testa le girava, il campo visivo che si riempiva di puntini azzurri e luminosi.

«Benedetti siano coloro che resistono di fronte ai corrotti e ai malvagi, senza vacillare.» Intonò la Comandante Meredith, e ben presto le altre voci si unirono alla sua. Marian strinse la boccetta ormai vuota nel pugno. «Benedetti siano coloro che mantengono la pace, campioni dei giusti. Benedetti siano i virtuosi, luce nell'oscurità. Nel loro sangue è scritto il volere del Creatore.»






















Note dell'Autrice: Eccomi di ritorno! Sono settimane un po' frenetiche e gli aggiornamenti saranno meno frequenti... Il divario tra i due fratelli si allarga sempre di più, e vedremo come le cose cambieranno ora che Marian è diventata una Cavaliere Templare a tutti gli effetti. Al prossimo capitolo! 

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Capitolo 9
*** The Bloody Deep Roads ***


 

CAPITOLO 9
The Bloody Deep Roads

 

 

Alle prime luci dell'alba il gruppo era pronto a partire: le vettovaglie caricate sui carretti, le armature lucide e le spade affilate, il morale alto.

Bartrand, salito sopra i gradini della grande piazza del quartiere nanico, sotto le enormi statue dei Campioni, si rivolse a tutti loro. «Abbiamo scelto uno degli ingressi segreti per le Vie Profonde. Quella parte dei tunnel è ancora vergine e aspetta solo di essere deflorata!»

Varric, al suo fianco, ridacchiò divertito. «Che bella immagine...»

Garrett scosse la testa, cercando di non immaginarselo in atteggiamenti compromettenti in uno dei cunicoli sotterranei. Fallì miseramente, dovendo trattenersi con una smorfia dallo scoppiare a ridere.

Bartrand continuò il suo discorso ignaro di tutto, spiegando che ci avrebbero messo una settimana a raggiungere i livelli inferiori e che ci sarebbero stati sicuramente alcuni Prole Oscura scampati al Flagello. «Grandi rischi, grandi ricompense!»

I due Hawke si scambiarono uno sguardo complice. «Siamo qui per questo.»

«Ecco lo spirito giusto!» Tuonò il nano, trionfante. Il ghigno venne però spento da qualcosa, o meglio qualcuno, appena arrivato. «Hei, chi ha invitato la vecchia?»

«Oh, no.» Si lasciò sfuggire Garrett, voltandosi.

Leandra, i capelli grigi legati in uno chignon sulla nuca, avanzava verso di loro con fare deciso, Bu che le trotterellava al fianco. «Vorrei prima scambiare due parole con i miei figli, ser nano.»

«Madre...»

«Come vi è venuto in mente?!» Li sgridò alzando la voce, fulminandoli con gli occhi. «Sgattaiolare via di casa senza avvertirmi, dopo avermi detto che sareste partiti tra tre giorni?!»

Carver cercò di afferrarla per una spalla, ma la donna si divincolò con uno strattone. «Non potete andare entrambi! E se vi succedesse qualcosa, io...»

«Madre, ne abbiamo già parlato.» La interruppe Garrett, cercando di calmarla. «Ci servono i soldi, e così ne avremo sicuramente una montagna investendo soltanto una cinquantina di Sovrane.»

«Se vuoi andare, fallo, ma non costringere tuo fratello a-»

«Non sono più un bambino, madre!» Sbottò Carver, furente, rosso fino alle orecchie. A Garrett non sfuggì l'occhiata di soppiatto che lanciò a Merrill. Condivideva le apprensioni del fratello, quella scenata li stava facendo vergognare di fronte all'intera spedizione. «Ho deciso di scendere nelle Vie Profonde con Garrett, e non certo perché mi ha convinto lui o qualcun altro!»

«Ma Carver...»

«Andrà tutto bene, madre, vedrete. Farete appena in tempo a realizzare di non averci intorno che saremo già di nuovo tra i piedi.» Cercò di scherzare lui, accennando un sorriso poco convinto.

«Sì, madre, non è così semplice liberarsi di noi!» Gli diede corda Garrett in una risata forzata. Nel momento stesso in cui Leandra puntò gli occhi nei suoi, si rese conto che sarebbe stato meglio tacere ed evitare battutine.

«È quello che hai detto anche a Lothering, e guarda com'è finita Bethany.» Gli rinfacciò la madre, furente. «Fai in modo che torni vivo, Garrett.»

Serrò la mascella. «Mi pare sia abbastanza grande da cavarsela da solo, madre, è ora che tu te ne renda conto, invece che stare sempre ad osannare solo e soltanto Marian, rinfacciando a me tutte le colpe per qualsiasi sciagura nel mondo.» Replicò tagliente.

Leandra sembrò voler aggiungere qualcosa, ma si limitò a scuotere la testa, salutando Carver un'ultima volta prima di girare i tacchi e tornarsene verso la città bassa.

Bu uggiolò in direzione dei due fratelli, il capo reclinato da un lato.

«Tienila d'occhio, Bu.» L'accarezzò Carver, grattandola dietro l'orecchio. «Ci vediamo presto.»

La mabari gli leccò la mano, spingendo la testa contro la sua gamba prima di salutare affettuosamente anche Garrett e scattare di corsa dietro a Leandra, che era ormai lontana.

Il loro sguardo vagò istintivamente verso la Forca, le alte torri che svettavano sul resto della città.

«Dici che avrà ricevuto la nostra lettera?» Chiese Carver, scuro in volto.

«Anche se fosse, non è qui.»

«Se abbiamo finito con i drammi familiari, sarebbe ora di andare!» Li schernì Bartrand, riprendendo il controllo della situazione e dando l'ordine di partire.

«Starà solo tenendo il broncio, vedrete.» Cercò di consolarli Merrill, avvicinandosi. Sfiorò per un attimo la mano di Carver, ma lui si ritrasse troppo velocemente per accorgersene.

«Bartrand ha ragione. Non possiamo trascinarci dietro le nostre beghe familiari, le Vie Profonde sono abbastanza pericolose già di loro.» Disse, sistemandosi la grande spada sulle spalle.

«Siamo ancora in tempo per abbandonare quest'idea stupida...» Suggerì Anders, stringendosi nel mantello e lanciandogli un'occhiata speranzosa.

Garrett si costrinse ad esibire un ghigno divertito. «Ti piacerebbe, ma troppo tardi. In marcia!» Superò i compagni a passo leggero, mettendosi in testa al gruppo, l'arco e le due faretre sulle spalle.

Dopo poco, Varric lo raggiunse di soppiatto, Bianca che scintillava sotto i raggi del sole. «Vedrai che andrà tutto bene. Se fossi nei Prole Oscura, me la starei già facendo sotto dalla paura.»

Accennò un sorriso. «Immagino, Ogre tremanti raggomitolati nei cunicoli più bui, farsi piccoli piccoli alla sola menzione di Bartrand. Nessuno dovrebbe essere costretto a sopportarlo.»

«Come darti torto...»



 

Cinque giorni dopo, si erano tutti già ampiamente stufati di quelle maledettissime Vie Profonde.

«E ti pareva che non trovavamo un tunnel crollato!» Si lamentò Anders scuotendo la testa affranto, mentre il resto dei nani e umani allestivano un accampamento nel mentre che i Tethras decidevano sul da farsi. «E dall'altra parte, una porta che non si apre. Per le mutande fiammeggianti di Andraste, odio questo posto, l'ho sempre detto.»

Merrill, che da quando erano scesi sottoterra si era fatta stranamente taciturna, gli diede ragione. «Quasi non si respira. Per non parlare del buio...»

«Una volta tornati, ti servirà una giornata all'aria aperta, magari un picnic sul Monte Spezzato, sono certo che Carver-» La gomitata del fratello nelle costole gli mozzò le parole in gola. Si accasciò sghignazzando, godendosi le guance paonazze del fratello e ignorando i suoi insulti.

«Oh, mi farebbe piacere!» Esclamò Merrill, illuminandosi. «Potremmo andarci tutti, conosco un posto molto bello dietro ad un boschetto, alle volte ci vanno le copp-» Chiuse la bocca di scatto, le orecchie che si imporporavano. «Volevo dire... Cioè... Ah, signor Bodahn!»

Il nano si avvicinò loro torcendosi le mani, angosciato. «Non vorrei aggiungere altri problemi, ma mio figlio, Sandal, è sparito. Deve essersi cacciato in qualche cunicolo e temo possa perdersi...»

Garrett aggrottò le sopracciglia. «Quando è successo?»

«Qualche minuto fa, credo... stavo finendo di passare le razioni al resto della compagnia, quando mi sono voltato e non c'era più. Vi prego, se Serah Varric vuole davvero tentare di esplorare una delle gallerie secondarie, potreste cercare anche il mio ragazzo?»

Sospirò. «Ma certo, Bodahn. Vedrete che non si sarà allontanato molto.»

Fece cenno agli altri di seguirlo, mentre raggiungevano Varric e suo fratello.

«Potrebbe essere già stato mangiato.» Commentò tetro Anders, sottovoce.

«Non sei d'aiuto.»

«Dico solo le cose come stanno.»

«Non fare così, Anders, sono certa che lo ritroveremo sano e salvo!» Lo incoraggiò Merrill, cercando di farlo sorridere e beccandosi invece un'occhiataccia torva.

«Non tutti possono risolvere i loro problemi con la magia del sangue, sai?»

Carver si spostò impercettibilmente tra i due, sulla difensiva. «Hei, lasciala in pace.»

«Dateci un taglio, voi tre.» Li ammonì Garrett, salutando Varric con un cenno. «Allora, il verdetto?»

Il nano per tutta risposta impugnò saldamente Bianca, un ghigno sicuro di sé sul volto. «Non ci faremo fermare da un semplice crollo come dei pivelli qualunque. Forza!»

Il crollo, però, si rivelò il minore dei loro problemi.

Si erano allontanati di appena qualche centinaio di metri dall'accampamento, quando Anders alzò il pugno, immobilizzandosi di colpo e stringendo il proprio bastone magico, che iniziò a brillare.

All'occhiata interrogativa di Garrett, rispose con un sussurro, alzando una barriera magica ad avvolgere il resto del gruppo. «Prole Oscura.»

«E ti pareva.» Ringhiò Carver a denti stretti, estraendo il grande spadone e ponendosi in testa al gruppo. Merrill evocò la sua armatura rocciosa, pronta a combattere, Varric imbracciò Bianca con un cipiglio determinato e Garrett si preparò a tempestare di fulmini qualsiasi cosa si parasse loro davanti. Per una volta, non c'erano templari nelle vicinanze che avrebbero potuto imprigionarlo.

Trovarono i Prole Oscura in una galleria dal soffitto basso. Riusciti a coglierli di sorpresa, li sconfissero senza troppe difficoltà, stando bene attenti a non farsi ferire dalle loro armi, denti o artigli carichi di Corruzione.

Osservando il fratello incedere a testa bassa, più cupo del solito, Garrett sapeva a cosa stava pensando. L'ultima volta che avevano affrontato quei mostri, la loro famiglia si era ridotta di un altro membro.

Strinse l'arco con forza.

Mentre scendevano una serie di scalinate mezze distrutte, avvertì un'energia diffusa nella zona, come non aveva mai sentito prima. Era come un ronzio nelle orecchie. Avvicinandosi alla parete rocciosa, sembrava che esso provenisse dalla pietra stessa, o più probabilmente sotto di essa.

«Hei, guardate lì!»

Varric indicò con un cenno la fine del cunicolo, illuminato debolmente da una flebile luce azzurra.

«Lyrium.» Lo precedette Anders, che non accennava a rilassare il volto corrucciato. «Siamo abbastanza in profondità da essere circondati da vene di lyrium, lo percepisco da ore ma qui è più forte, devono spuntare da qualche parte all'interno della galleria.»

«Ecco cos'era!» Annuì Garrett, allungando il passo incuriosito.

Svoltato l'angolo, li accolse uno spettacolo mozzafiato: ramificazioni larghe quanto un tronco d'albero si arrampicavano sulla pietra, di un blu azzurrato splendente, più intenso dove la vena era più larga. Più si avvicinava, più riusciva ad avvertirne l'energia magica sprigionata.

«Non toccate nulla, quella roba è pericolosa. E statene lontani.» Li avvertì Varric.

«È bellissimo...» sussurrò Merrill, il naso all'insù, gli occhi spalancati per la meraviglia.

«Già...» Carver le lanciò un occhiata di sottecchi, arrossendo di colpo e voltandosi nuovamente verso il lyrium, tossicchiando per dissimulare la sua reazione quando si accorse dello sguardo del fratello puntato su di sé.

Garrett ridacchiò, scuotendo la testa. Si fermò un attimo ad ascoltare quello che, da un semplice ronzio, era diventato una sorta di melodia mormorata. «È come se... cantasse.»

«Non hai mai ingerito del lyrium, ne deduco.» Commentò Anders, facendoglisi più vicino e tirandolo lontano dalla vena azzurra. «Sei fortunato. Non toccarlo per nessun motivo, moriresti immediatamente.»

«È vero che aumenta il mana e potenzia gli incantesimi?»

L'altro annuì. «A caro prezzo, però. Chi lo consuma è spesso vittima di incubi nell'Oblio, sogni coscienti, o inizia a sentire voci che non esistono. Il “canto del lyrium”, lo chiamano. E può portare a serie complicazioni fisiche, quindi anche i maghi più esperti ne fanno uso di rado e solo in caso di grande necessità.»

«Per non parlare del fatto che alle volte le vene di lyrium tendono ad esplodere senza motivo.» Commentò Varric, lanciando un'occhiataccia sospettosa alla roccia. «Andiamocene, su.»

Trovarono alcuni gruppi sparuti di Prole Oscura, ma nessuno di essi si rivelò un problema.

Man mano che procedevano, le venature di lyrium si facevano sempre più frequenti, tanto che un paio di volte dovettero procedere quasi a carponi attraverso alcuni cunicoli laterali per evitare di avvicinarcisi troppo.

Finalmente, sbucarono in una galleria più ampia delle precedenti, che dava su uno strapiombo alla loro sinistra e una grande porta sfondata a poche decine di metri da loro. La cosa più sorprendente, però, furono i corpi carbonizzati di parecchi Prole Oscura, e un grosso Ogre dalle corna grandi quanto un uomo, completamente pietrificato e cristallizzato nel bel mezzo della sua carica.

Tra essi, a proprio agio, stava un nano, che si girò verso di loro con un sorriso serafico sul volto.

«Sandal!» Esclamò Garrett, avvicinandosi circospetto al ragazzo. «Come diamine hai fatto?»

Il nano allargò ancora di più il sorriso, porgendogli un sasso scintillante sul quale vi era incisa una runa che brillava leggermente. «Boom.»

Varric fischiò, ammirato. «Questo lo vedo. E quello?» Chiese, indicando l'Ogre.

«No incantamento!»

Si strinsero nelle spalle, sapendo già che non avrebbero trovato un senso a quell'enigmatica risposta.

«Meno male stai bene. Vieni, stiamo cercando un modo di aggirare il crollo e proseguire.»

Sandal annuì, obbediente, restando tutto il tempo vicino a Merrill mentre procedevano verso il portone divelto.

Oltrepassatolo, trovarono di nuovo la pavimentazione delle Vie Profonde, segno che stavano tornando sulla via giusta.

Varric estrasse la propria copia delle mappe, esaminando la situazione. Dopo qualche minuto, annuì soddisfatto. «Dovremmo essere nella direzione giusta, alla nostra sinistra. Mentre alla nostra destra...» Indicò una galleria più piccola, che percorsero per almeno un'ora e passa fino a fermarsi di fronte ad una grande porta chiusa, che scassinarono con qualche difficoltà.

Dopo parecchi tentativi andati in fumo, sentirono finalmente uno scatto. Si appoggiarono tutti alla pietra, spingendola faticosamente sui cardini cigolanti.

«Ah, eccovi finalmente!»

«Bartrand, fratello mio, non te lo dico spesso ma sono contento di rivedere la tua faccia.» Ghignò Varric, dando una pacca sulla spalla al fratello. «Possiamo proseguire.»

«Avete ritrovato il mio Sandal!» Esclamò Bodahn, correndo ad abbracciare il figlio. «Grazie, serah, vi sono debitore, troverò il modo di ripagarvi, lo giuro sulla mia vita!»

Sandal ricambiò confusamente l'affetto del padre, sorridendo nel suo solito modo.

«Non è necessario, Bodahn, davvero. L'avrebbe fatto chiunque...» cercò di sminuire Garrett, pensando che non è che avessero fatto molto, oltre a scortare il ragazzo fino a lì, Sandal sembrava sapersela cavare egregiamente contro la Prole Oscura.

Il nano scosse la testa. «Insisto. Dico davvero, serah, troverò il modo di rendermi utile e ricambiare il favore.»

Garrett si strinse nelle spalle, arrendendosi di fronte alla testardaggine dell'altro.

 

 

Dopo altri tre giorni di cammino, procedendo per grandi gallerie di pietra che sembravano a stento state contaminate dalla Prole Oscura, raggiunsero il loro obbiettivo. Una grande incisione in una lingua sconosciuta anche ai nani spiccava sull'enorme colonna alla loro destra, mentre una serie di colonnati più piccoli riempivano l'intera sala, sorreggendo la volta. Tutto era illuminato da piccole lanterne di pietra, dentro le quali brillava una luce rossa e sinistra, e immense venature di quello che doveva essere lyrium ma era del medesimo colore scarlatto. Il ronzio che ormai Garrett percepiva quasi costantemente da giorni era diverso, più intenso, distorto.

«Che io sia dannato...» Sussurrò Varric, senza fiato.

«Non era quello che vi aspettavate?» Gli chiese Garrett, ammirando compiaciuto il luogo.

«Mi immaginavo un qualche thaig abbandonato, qualcosa di antico, ma... questo? Non so nemmeno cosa sia... i vecchi racconti dei razziatori dopo il Terzo Flagello parlavano di qualcosa ad una settimana dalla superficie, ma nessuno gli ha mai creduto.»

Bartrand scoppiò a ridere, soddisfatto. «Meglio per noi. Coraggio, montate il campo e iniziamo a dare un'occhiata in giro!»

Si misero subito all'opera, riposandosi lo stretto necessario per poi afferrare i propri zaini e mettersi ad esplorare la zona, la pancia piena e la testa piena di sogni di fama e ricchezze.

Trovarono presto una scalinata che scendeva più in profondità, la luce rosso sangue di quello strano lyrium che pareva più intensa.

«Non mi piace.» Commentò Anders, esitando.

«Non ti piace nulla qui sotto, non è una novità.» Rimbeccò Carver, che non parve scoraggiarsi.

Garrett lanciò un'occhiata a Varric, che era rimasto in silenzio, pensoso. «Non sembri molto affascinato da questo luogo, al contrario di Bartrand.»

Il nano sbuffò. «Non sono nato ad Orzammar, a differenza sua. Se non fosse per i profitti, non avrei mai nemmeno messo piede qua sotto. Non mi piace stare sottoterra, e questo posto mi mette i brividi. Spero solo che ne valga la pena.» Rispose tetro, iniziando a scendere.

«Lo spero anch'io...» Borbottò Garrett, seguendo i compagni giù per i gradini consumati dal tempo e dalle frane.

Qualche minuto e numerosi gradini dopo, Merrill, che nella fioca luce delle loro torce e delle venature di lyrium vedeva bene quanto Varric, indicò loro una grossa statua di pietra, alta poco più di due metri. «Guardate, magari ci può aiutare a capire chi abitava qui sotto!»

Varric la fermò per un braccio, scuotendo la testa. «Potrebbe non essere la mossa miglio-»

Con uno scricchiolio che rimbombò per tutta la galleria, la statua si mosse, facendo cadere a terra miriadi di sassolini mentre avanzava verso di loro, rune e venature di lyrium che brillavano su tutta la sua superficie.

«Merda!» Esclamò Anders, affrettandosi a sollevare una barriera attorno a loro, appena in tempo per fermare qualcosa alla loro destra, comparso dal nulla, che esplose in una nuvola di fumo.

«È davvero un Golem?!» Chiese Garrett, cercando inutilmente di fermare l'avanzata del costrutto con una serie di scariche elettriche, che rimbalzarono sulla roccia scalfendola a malapena.

«Risparmia l'entusiasmo per quando ce lo saremo tolto di turno!» Grugnì Varric, caricando Bianca e mirando ad una delle rune sul collo del Golem. Colpita, quella si frantumò con uno scoppio, il braccio della creatura che crollava a terra. «Concentrate il fuoco!»

Garrett stava per ricaricare l'arco quando si sentì spingere da parte da Anders, che lanciò un incantesimo che imprigionò temporaneamente il golem in uno spesso strato di ghiaccio. «Occupati delle Ombre, qui ci pensiamo noi!»

Interdetto, si voltò verso una creatura che sembrava fatta di fumo e polvere. Agitò l'arco verso di essa, colpendola con una serie di schiocchi fino a farla esplodere.

Carver, al suo fianco, ne trapassò un'altra, la lama della spada che brillava nel buio.

Il Golem cadde a terra con fragore, perdendo pezzi, le venature di lyrium ormai spente.

«Se là sotto non c'è qualcosa di valore...» ringhiò Varric, lasciando la frase in sospeso e caricando di nuovo Bianca, puntata verso il corridoio di pietra levigata che si apriva davanti a loro.

Superarono alcune statue di pietra vulcanica, nere e lucide, scolpite in forma vagamente nanica, alte abbastanza da sorreggere la volta. In fondo al corridoio vi era una porta, che si aprì cigolando verso l'interno.

Entrarono di soppiatto, aspettandosi un attacco.

La stanza era deserta, una scalinata portava verso una sorta di altare, numerose torce accese tutto intorno e una grande vetrata di lyrum rosso ad illuminare tutto. Sulla parete opposta notarono una porta piuttosto piccola.

Salirono le scale con cautela, avvicinandosi all'oggetto posto sull'altare: era una statuetta di cristallo brillante, raffigurante qualcuno di sembianze umane o elfiche paralizzata in un urlo di dolore e disperazione, abbracciata (o stritolata) da una figura scheletrica.

«È... lyrium?» Chiese Garrett.

«C'è sicuramente di mezzo della magia. E non quella buona.» Rispose Anders, corrugando la fronte.

Varric scosse il capo, ammirato. «Non assomiglia a niente che abbia mai visto prima.» Una serie di passi li fece sobbalzare, ma si rilassarono subito quando videro Bartrand varcare la soglia. «Guarda qui, Bartrand! Un idolo fatto interamente di lyrium, o almeno credo!»

Quello fischiò d'approvazione. «Potresti aver ragione, Varric. Ottima scoperta.»

Garrett allungò una mano verso l'idolo, titubante. Anche sotto la pelle degli spessi guanti che indossava, l'oggetto era stranamente tiepido per essere rimasto chiuso là sotto al buio per chissà quanti secoli. Lo allungò a Varric, che con un ampio sorriso di vittoria lo passò al fratello, che li aveva raggiunti. Bartrand lo prese, soppesandolo in mano con un ghigno avido, gli occhi che brillavano.

«Noi andiamo a vedere se troviamo qualcos'altro di valore, d'accordo?» Gli disse Varric, indicando la porta più piccola. «Magari c'è una cripta o qualcosa del genere...»

«Sì, sì, andate pure... Conto su di voi.» Li condì via Bartrand, scendendo le scale.

Il resto del gruppo si avvicinò alla porta, studiandone la serratura. «Sembra aperta, ma qualcosa la blocca.» Commentò Varric, appoggiandovi una spalla e spingendo. «Datemi una mano-»

Un fragore dietro di loro li fece sobbalzare. Tornarono di corsa all'ingresso.

«Bartrand!» Urlò Varric, cercando di farsi sentire dal fratello e sbattendo i pugni sulla parete di pietra. «Bartrand, mi senti? Ti si è chiusa dietro la porta!»

Gli rispose con una risatina di scherno. «Sei sempre stato un acuto osservatore, Varric.»

«Stai scherzando?! Mi stai tradendo per uno stupido idolo? Tuo fratello?!» Sbattè di nuovo i pugni sulla porta, furioso. «Apri la porta, Bartrand!»

«Puoi scordartelo. Non è solo l'idolo, questo intero Thaig vale una fortuna e non ho intenzione di dividerlo in tre parti. Tanti saluti, fratellino...»

Varric ricominciò a battere sulla porta come un folle, cercando di richiamare il fratello. «Bartrand! Bartrand, maledizione!»

“E tanti saluti all'amore fraterno...” Garrett lo tirò via dalla porta, cercando di calmarlo. «È inutile, sarà già lontano. Dobbiamo uscire da qui.»

«Questa maledetta cosa si apre solo dall'esterno!» Sbottò il nano, tirando un calcio alla pietra. «Maledizione, quando usciamo da qui troverò quel gran figlio di puttana -scusa, mamma- e lo ucciderò con le mie mani!»

«Potremmo provare con la magia?» Chiese Merrill, appoggiando una mano sulla parete.

Anders scosse la testa. «E rischiare che ci crolli in testa tutto?»

«Sono sicura che troveremo un'uscita...» Cercò di pensare positivo Merrill, che tuttavia si stava guardando intorno con aria molto poco fiduciosa. «Dobbiamo solo cercarla.»

Carver sospirò, scuotendo la testa. «Vorrei avere il tuo ottimismo.»

Garrett si scambiò un'occhiata preoccupata con Anders. «Mi sa che avevi ragione sulle Vie Profonde...» Gli sussurrò, restando un pochino indietro mentre Varric e Carver aprivano l'altra porta spingendola sui cardini arrugginiti.

L'altro mago sospirò affranto. «Di solito ne sarei contento, ma non hai idea di quanto mi sarei voluto sbagliare, questa volta.»

Carver fu il primo a varcare la soglia. «Coraggio, chissà questo tunnel dove ci porta.»

«Non vedo l'ora di fare il culo a quella faccia di merda di Bartrand...» Ringhiò Varric, seguendolo.



 

«Ora basta.»

«Per le tette di Andraste.» Boccheggiò Garrett, guardando l'enorme ammasso di pietre sollevarsi in aria, tentacoli di energia magica che tenevano insieme i pezzi. «Questo è ancora più grosso!»

«Scommetto che è quello che vorresti sentirti dire più spesso.» Lo punzecchiò Varric ridacchiando, tuttavia aveva imbracciato Bianca, puntandola sulla creatura che ora li guardava con un unico, brillante occhio giallo.

Carver, il piede ancora appoggiato sui resti della cosa rocciosa che li aveva attaccati qualche minuto prima, ricambiò lo sguardo della creatura con ferocia, sbuffando.

«Avete dimostrato il vostro valore. Non metterò ulteriormente a rischio queste creature senza che sia necessario.»

«Come se fossimo stati noi ad iniziare!» Ribattè Garrett, il bastone già alzato. «Volevamo solo farci una tranquilla passeggiata qui intorno, veniamo in pace.»

«Non vi attaccheranno più, allora. Non senza il mio permesso.»

«Ah, e immagino che, qualsiasi cosa tu sia, voglia qualcosa in cambio.»

«Cosa sono questi cosi?» Li interruppe Varric, osservando meglio la creatura. «Sembrano Wraith della pietra, ma...»

«Hanno fame.» Rispose quella. «I Sacrileghi abitano questo luogo da ere immemori, nutrendosi della pietra magica finchè non ricordano soltanto la fame.»

«Mangiano... il lyrium?» Domandò Garrett, lanciando un'occhiata alle molte venature di lyrium rosso che illuminavano la grotta. «E tu, invece?»

«Io non sono come loro. Sono... un visitatore.»

«Un demone, piuttosto. Diciamo le cose come stanno. Si nutre della loro fame.» Lo interruppe Anders, facendo un passo avanti, minaccioso. «Non dovremmo perdere tempo a parlarci.»

«Preferirei non dover rinunciare al mio banchetto.» Proseguì la creatura dopo qualche secondo. «Avverto il vostro desiderio... volete andarvene da qui, ma avete bisogno del mio aiuto.»

Garret si sentì stringere il braccio. «Non farlo.» Lo avvertì Anders. «I demoni finiscono sempre per tradirti, in un modo o nell'altro.»

«... e se fosse invece l'unico modo per uscire da qui?» Chiese Carver, incerto. «Le nostre provviste ci basteranno appena per una settimana, e stiamo già razionando al massimo.»

Merrill, d'altro canto, sembrava convinta del contrario. «Non c'è da aver paura. Possiamo sfruttare il suo aiuto, basta solo fare attenzione.»

Varric scosse la testa. «Beh, non è che abbiamo molte alternative...»

Garrett soppesò la situazione. Si grattò il mento, pensoso. «E come intendi aiutarci?» Poteva sentire lo sguardo di disapprovazione di Anders puntato sulla sua schiena.

Il demone rivolse il suo occhio spettrale su di lui. «C'è una porta che conduce alla superficie. È ciò che cercate. Ma è sigillata, vi servirà una chiave per aprirla. Io so dov'è quella chiave, fate come vi dico e potrete uscire da qui prima che le vostre scorte di cibo e acqua si esauriscano.»

Il mago incrociò le braccia. «E cosa dovremmo fare in cambio?»

«Cosa non ti è chiaro della parola “demone”?» Gli sibilò Anders all'orecchio, furente. Garrett gli fece cenno di tacere, spronando la creatura a rispondere.

«C'è una cripta, non lontano da qui. E un essere che mi ha infastidito troppo a lungo. Uccidetelo e avrete la possibilità di uscire.»

Garrett ridacchiò. «Beh, mi sembra che abbiamo appreso abbastanza. Merrill?»

«Con piacere!»

Prima che il Sacrilego potesse rendersene conto, un'ondata di magia lo travolse, colpendolo nel suo punto debole lasciato scoperto dalla roccia. La magia del sangue dell'elfa avvolse i tentacoli di energia che tenevano insieme i pezzi del demone, distruggendoli e assorbendoli, finchè di esso non restò altro che un ammasso di rocce e pietre che caddero a terra con un gran fracasso.

«Sai, dovresti darmi un po' più di fiducia, Anders.» Lo rimbeccò Garrett, il guaritore che lo fissava sorpreso.

Quello si riprese in fretta. «Non approvo comunque l'uso di magia del sangue, imparata da qualche demone, per combattere un altro demone.»

Garrett fece spallucce. «Finchè dice di sapere quello che fa... ci torna utile, in fondo. Coraggio, ho come l'impressione che la cosa nella cripta sia ben peggiore di questa.»

«Non mi sorprenderebbe...» Commentò Carver, per poi andare a complimentarsi con Merrill.

L'elfa arrossì fino alla punta delle orecchie, mormorando qualcosa.

Varric e Garrett si scambiarono un'occhiata complice.

«Vedi che finalmente il mio fratellino si da una mossa...»

«E meno male, povera Margheritina, non stavano andando da nessuna parte!»

I due in questione non li degnarono nemmeno di uno sguardo, restando in coda al gruppo, completamente ignari dei loro commenti.



 

Il gigantesco wraith della pietra crollò a terra con un fracasso da fargli male alle orecchie.

Garrett, ancora a terra per il colpo ricevuto, si guardò intorno rialzandosi dolorante. «State tutti bene?»

Incrociò lo sguardo di Varric, Bianca ancora carica, mentre spuntava dalla colonna dietro la quale si era rifugiato per prendere fiato. «Sai quando ho detto che i wraith della pietra erano solo leggende? Ecco, avrei dovuto chiudere la bocca, per una volta.»

Carver scoppiò a ridere. «Non avrei mai pensato di sentirtelo dire da solo.» Allungò la mano a tirare in piedi Merrill, che era crollata a terra senza più forze, il mana completamente prosciugato. «Stai bene? Grazie per aver preso quel colpo, se non ci fossi stata tu-»

L'elfa arrossì graziosamente. «Avevo la mia armatura di roccia, non mi ha fatto quasi nulla! E poi, tu mi hai evitato di finire a pezzi per colpa di quel raggio magico...»

Garrett squadrò Varric, ammiccando verso gli altri due. Il nano ridacchiò, scuotendo la testa. «E pensare che hanno aspettato di finire qua sotto per... bah, non avrei mai detto che le Vie Pronfonde potessero ispirare qualche romanticheria.»

Vide Anders esaminare i resti del wraith con aria critica. Fece per raggiungerlo, quando un giramento di testa lo costrinse ad appoggiarsi ad una delle colonne di pietra. Il guaritore, allarmato, lo raggiunse quasi di corsa. «Hei, come ti senti?»

«Un po' intontito. Credo non ci sia nulla di-» La vista gli si annebbiò per qualche istante, mentre la nausea gli attanagliava lo stomaco. «Ah, forse devo solo riposarmi un attimo.»

«Stenditi a terra.» Ordinò l'altro, costringendolo ad appoggiare la schiena sul terreno gelido e la testa su uno dei giacigli arrotolati. Fece comparire una piccola fiammella, chiedendogli di seguirla con lo sguardo.

Garrett chiuse gli occhi, infastidito. «Anders, sto bene-»

«No che non stai bene, hai preso un colpo in testa. Stai sanguinando, Garrett.»

«Oh.» “Ecco cos'era, quel viscido sul collo...” Pensò dandosi dello stupido.

«Ora stai fermo e tieni gli occhi chiusi.»

Le dita fresche dell'altro gli si posarono sulle tempie, mentre la magia cominciava a scorrere, dandogli la sensazione di venire immerso in una pozza di acqua fresca. La nuca cominciò a pizzicargli fastidiosamente, ma dopo qualche tempo si ridusse soltanto ad un formicolio.

Quando riaprì gli occhi, erano tutti chini su di lui a fissarlo.

«Come ti senti?» Gli chiese preoccupato il fratello.

«Mh, meglio, credo.» Guardò Anders con aria interrogativa. «Posso alzarmi, dottore?»

L'altro si lasciò sfuggire un sorrisetto. «Sì, ma fai piano. E niente più scontri con mostri di pietra.»

Si mise lentamente seduto, accettando di buon grado l'aiuto del guaritore per rimettersi in piedi. «Credimi, una volta usciti da qui punto ad avere la vita più noiosa che si possa mai avere a Kirkwall.»

Varric sbuffò. «Non prendi in giro nessuno, Garrett.»

«Hei, guardate lì!» Li chiamò Merrill, indicando una nicchia poco più avanti. Avvicinandosi, granarono gli occhi, ammirando la pila di oro, pietre preziose e oggetti dall'aria antica che scintillava alla debole luce delle fiammelle magiche.

«Signori, siamo ricchi.» Annunciò Varric con un fischio di approvazione. «Bartand e il suo stupido idolo moriranno di invidia. Prima di morire sul serio, intendo.»

Garrett ci pensò su. «Come ci portiamo dietro tutta questa roba?»

«Potremmo usare quello.» Propose Carver, indicando un grosso carrello da miniera, anch'esso pieno di oggetti. «Se gli sistemiamo sotto delle ruote e lo spingiamo a turno...»

«Potrebbe funzionare.» Concordò Anders. «Ma ci rallenterà.»

Varric sventolò loro davanti una grossa chiave di metallo ancora lucido. «Non se questa apre una qualche porta verso le Vie Profonde.»

Garrett annuì. «Se non ci sono scale, tanto vale rischiare. Caricate negli zaini quello che vi sembra valga di più e mettete il resto nel carrello, in caso di necessità lo abbandoneremo.»

Per loro fortuna, la chiave apriva una grande porta con una serie di serrature che scattarono una dopo l'altra, rivelando un accesso alle Vie Profonde. In alcuni punti dovettero usare le loro abilità magiche per far fluttuare il carrello su lunghe e ripide scalinate ma, a parte qualche sparuto gruppo di Prole Oscura, sembrava che stessero raggiungendo la superficie abbastanza in fretta da non finire le poche scorte di cibo che rimanevano nelle bisacce. Con loro grande sorpresa avevano scoperto una fontana intarsiata di rune dalla quale usciva acqua pulita e fresca, e ne avevano fatto scorta in abbondanza. Razionando per bene, non avrebbero avuto problemi.

Un'indicazione in caratteri nanici segnalò loro che erano sulla direzione giusta.

«Quanto, esattamente?» Azzardò a chiedere Merrill, che era sempre più pallida da tutti quei giorni passati sottoterra. «Non vedo l'ora di stare all'aria aperta...»

«Non ne ho idea, Margheritina. Ho a malapena capito che questa runa significa “sopra”, non chiedermi di più.» Si strinse nelle spalle Varric, guardandosi attorno. «L'aria sembra più pulita però, non credete? I filtri funzionano meglio, siamo vicini.»

Stavano procedendo spediti, quando Anders si immobilizzò di colpo.

Garrett, che gli era dietro, per poco non gli sbattè addosso. «Hei, che-»

Gli fece cenno di tacere, una mano premuta sulla bocca. «Prole Oscura. Parecchi. Sono vicini, probabilmente ad una galleria di distanza.»

«Riusciamo ad evitarli?» Sussurrò, allarmato. Erano stanchi e nessuno di loro voleva affrontare un'altra ondata di quei mostri.

Anders si spostò una ciocca di capelli dagli occhi, preoccupato. «Forse. Muoviamoci. Merrill, fai fluttuare il carro, ma fai attenzione che non sbatta o faccia rumore. Se ci sentono, ci piomberanno addosso in un attimo.»

L'elfa annuì, agitando il bastone in aria e facendo fluttuare il pesante carrello a mezzo metro da terra, pallida in volto.

Carver e Garrett aprivano la strada, mentre Varric chiudeva la fila, Bianca ben stretta fra le braccia.

Anders li fece cambiare strada un paio di volte, girando su sé stessi e cercando di evitare la Prole Oscura. Un paio di volte dovettero acquattarsi contro il muro, trattenendo il respiro e sperando che non si accorgessero di loro.

Sembrava che li avessero superati, quando un rumore sopra di loro li fece sobbalzare.

La volta della grande sala che stavano attraversando era piena di ragnatele, a tal punto da non riuscire ad intravedere il soffitto.

Una serie di schiocchi, stavolta più vicini, mentre le ragnatele sussultavano come mosse dal vento di una tempesta.

Quando i ragni calarono verso il pavimento, il gruppo stava già correndo all'impazzata verso l'uscita. Anders cercava di aiutare Merrill a tenere dritto il carrello, che nel frattempo sobbalzava e sferragliava rumorosamente, mentre Varric e Garrett tentavano di rallentare l'avanzata dei mostri, tempestandoli di frecce ed incantesimi.

Evocando faticosamente tutto il mana che aveva in corpo, Garrett innalzò una barriera di fuoco dietro di loro, infilandosi per ultimo all'interno di uno stretto passaggio laterale, le pareti larghe a malapena da far passare il carrello con dentro i loro sudatissimi guadagni.

Non riuscendo a controllare le fiamme fin dal momento in cui le aveva evocate, non gli restò che sperare che avessero fatto il loro dovere. «Muovetevi con quel coso, non ci-»

Trasalì, sentendo una voce familiare urlare di dolore.

«Carver!» Gridò, il panico che gli stringeva il petto mentre affrettava il passo, svoltando per lo stretto passaggio fino a raggiungere gli altri. Il fratello era crollato a terra, reggendosi il fianco. Poco distante da lui, il cadavere deforme e fumante di un prole oscura, il muso allungato e quattro zampe dotate di lunghi artigli. Il bastone di Merrill era a terra, la ragazza pietrificata dall'orrore.

Anders, chino sul ragazzo, era già all'opera, un'aura azzurra ad avvolgere il ferito. «Oh Creatore... è spuntato fuori dal nulla, non sono riuscito a percepirlo con gli altri così vicini.»

Garrett cadde in ginocchio accanto al fratello. «Carver, mi senti?!» L'armatura di cuoio e placche metalliche era ammaccata e insanguinata, strappata sul fianco. La ferita sembrava profonda, poco sopra l'anca.

L'altro mugolò dal dolore, stringendo i denti e imprecando.

Rivolse la sua attenzione su Anders. «Puoi salvarlo, vero?»

Il guaritore non incrociò il suo sguardo. «Non è quello che mi preoccupa.»

«Che stai dicendo, dimmi solo se-»

«È stato ferito da un Prole Oscura, Garrett!» Sbottò l'altro, senza mai lasciare andare l'incantesimo di cura. «La corruzione si sta già facendo strada nel suo corpo e non c'è nulla che possa fare contro quella!»

Garrett sbattè le palpebre, più volte, senza capire. Carver era pallido come un cencio, il volto contratto dal dolore. Si guardò le mani, intrise del sangue del fratello. Senza rendersene conto, afferrò Anders per le spalle, stringendolo con forza. «Deve esserci un modo. Sei un guaritore spirituale e un Custode Grigio, ci deve essere qualcosa che puoi fare!»

«Non-»

«Non mi interessa cosa devi fare, ma salvalo!»

Non poteva perdere un altro fratello.

«Garrett...» Carver tossì un grumo di sangue scuro, riaprendo gli occhi blu, identici a quelli delle sorelle. «Non c'è un modo. Morirò, come Wesley. Come...»

«No che non morirai!» Ringhiò Garrett, rifiutandosi di dargliela vinta. «Non puoi. Non dopo Bethany, non dopo papà. Non lascerò che muoia qualcun altro al posto mio.»

Si girò verso Merrill, che si era inginocchiata anche lei accanto al ragazzo. «Se Anders non vuole aiutarmi, forse la tua magia del sangue può.»

L'elfa si morse il labbro inferiore, torcendosi le mani. «Non lo so, non ho mai guarito nessuno... Forse, con abbastanza sangue, ma non credo possa funzionare...»

«Prendi il mio.» Le disse, senza pensarci un attimo. «Prendilo pure tutto, non mi interessa, se serve a farlo stare meglio-»

«Un modo ci sarebbe.»

Puntarono tutti lo sguardo su Anders, tesi.

«Se è solo un modo per non farle usare la magia del sangue-» Lo minacciò Garrett, ma venne subito zittito dall'altro.

«No, ma è un'alternativa. La magia del sangue non funziona per guarire qualcuno, puoi solo rubare la fora vitale per assorbirla, ma mai per donarla agli altri. Mentre il mio metodo... Forse non sopravvivrà comunque, ma c'è una possibilità. Carver è abbastanza forte.» Sembrava incerto. «So che ci sono dei Custodi Grigi, qui vicino. Li posso sentire, li abbiamo evitati ieri sera. Ho rubato le mappe ad uno di loro, a Kirkwall, pensavo stessero cercando me, invece avevano pianificato anche loro una spedizione nelle Vie Profonde.»

«I Custodi combattono la Prole Oscura ogni giorno, conosceranno una cura!» Si illuminò Merrill. «Quando Aenor ha contratto la Corruzione, la Guardiana l'ha affidata ai Custodi per salvarla.»

Anders esitò. «Non è una vera e propria cura. Ma può sopravvivere, se tutto va bene. Potrebbe diventare un Custode, ma l'Unione ha un caro prezzo da pagare, che non tutti sono disposti ad accettare. Non è una vita facile, ed è irreversibile.»

«Ma se è l'unico modo...» Garrett abbassò lo sguardo sul fratello, che non aveva aperto bocca. «Carver. È la tua vita, non posso decidere per te, anche se vorrei farlo.»

L'altro sospirò, cercando di mettersi a sedere, gli incantesimi di cura di Anders che cominciavano a fare effetto. «Diventare un Custode Grigio? Io?» Scosse la testa. «Non so nemmeno se mi prenderebbero, non sono un eroe.»

«Sei abile a maneggiare la spada, Carver, non sminuirti.» Lo interruppe Merrill. «Aenor era poco più di una ragazzina, ma Duncan la reclutò lo stesso, aveva visto del potenziale in lei. Tu... saresti un ottimo Custode Grigio.» Aveva le lacrime agli occhi. «E poi è l'unico modo per salvarti, no?»

Il minore degli Hawke puntò lo sguardo in quello del fratello. «Se non mi accettano, tocca a te uccidermi. Sono troppo debole per gettarmi sulla spada, ma non voglio impazzire come Ser Wesley. Promettimelo, Garrett.»

Lui tirò su col naso, annuendo, troppo scosso per parlare.

«Andiamo allora, prima che i Custodi se ne vadano. Datemi una mano ad alzarmi.»

Per trasportarlo, svuotarono in parte il carrello, usando tutti i loro giacigli per creare un morbido materasso su cui potesse viaggiare senza peggiorare la ferita. Anders guidava il gruppo, fermandosi spesso per controllare Carver e ripetere i suoi incantesimi, cercando come poteva di rallentare la corruzione. La ferita era nera, la pelle attorno ad essa cosparsa di venature violacee, il colorito pallido e malsano di un morto.

«Questi Custodi... come sono?» Chiese Garrett in un sussurro, attento a non farsi sentire dal fratello che fluttuava a pochi metri da lui.

Anders si strinse nel mantello, le piume dell'indumento che ondeggiavano seguendo i suoi movimenti. «Il Comandante Adrien è una brava persona, così come gli altri con cui ho combattuto ad Amaranthine... riconosceranno il valore di Carver, ne sono sicuro.»

«E... cercheranno di farti tornare con loro?»

Il guaritore non rispose subito, lo sguardo puntato davanti a sé, determinato. «Dipende tutto da chi troveremo. Possono provarci, comunque.»

























Note dell'Autrice: eccomi di ritorno! Questo capitolo ci ha messo un'eternità ad essere finito, tra impegni vari. Odio le maledette Vie Profonde, quasi quanto Varric. E proprio quando la ship tra Merrill e Carver stava per salpare... sigh. 
Al prossimo capitolo!  

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Capitolo 10
*** Drink it off ***


CAPITOLO 10
Drink it off


 

 

«Mi dispiace, non ce l'hanno fatta.»

Rimase a fissare il nano che aveva di fronte, rifiutandosi di accettare la notizia.

«Un crollo della sala, li ha seppelliti vivi. Non siamo riusciti nemmeno a tirarli fuori, avremmo solo rischiato di restare intrappolati anche noi. Una tragedia, non ho parole per descriverlo.» Bartrand Tethras si soffiò rumorosamente il naso nel fazzoletto di stoffa candida. «Credetemi, so come vi sentite. Ho perso anch'io un fratello, quel giorno. Se solo avessi potuto fare qualcosa... avrei dato la mia vita per la sua. Oh, il mio fratellino...»

Marian rimase a fissarlo, muta e immobile.

Com'era possibile?

Erano così sicuri di farcela, che sarebbero tornati ricchi sfondati nel giro di qualche settimana, e invece ora quel nano le aveva appena annunciato che era rimasta completamente sola. Che non avrebbe mai più rivisto Garrett e Carver, persi per sempre in qualche cunicolo delle Vie Profonde.

La realizzazione la colpì come una stilettata nello stomaco.

“Non li ho nemmeno salutati.”

Le lacrime della madre, quel giorno, quando l'aveva scongiurata di provare a fermarli. La freddezza con la quale l'aveva trattata. Le parole orribili che aveva detto a Garrett l'ultima volta che lo aveva visto, il veleno che aveva sputato, ingiustamente, solo perché imbottigliato per anni dentro di sé.

E ora, non avrebbe mai più avuto la possibilità di scusarsi. O di arrabbiarsi di nuovo. Nè di tirare di spada con Carver, o fare a gara di bevute con Garrett. Non avrebbero più rincorso Bu per le strade polverose, né sopportato le lamentele della madre tra occhiate di soppiatto e zuppe insipide.

Barcollò all'indietro, e sarebbe caduta se non ci fosse stata Aveline a sorreggerla.

«Grazie per avercelo detto, Serah Tethras.» Disse la donna al nano, congedandolo. Quello ricacciò il fazzoletto nella tasca, girando i tacchi e andandosene per la sua strada come se nulla fosse.

La fece sedere su una delle fredde panche di pietra della città alta, circondate dalle gigantesche statue degli Antenati che i nani avevano posto in tutti gli angoli del loro quartiere.

«Marian...» Le disse, dopo un po'. «Mi dispiace così tanto.»

Scosse il capo. «Non dovevo farli scendere là sotto. Non- avrei dovuto fare qualcosa.»

Le appoggiò una mano sulla spalla. «Non c'era niente che potessi fare. È stata una loro decisione.»

Sentiva gli occhi pizzicarle, ma le lacrime non si decidevano a scendere. Le mancava l'aria, la nausea che le attanagliava lo stomaco al punto da farla piegare in due. «Devo... devo dirlo a nostra madre. Deve saperlo da me, che-» le si mozzarono le parole in gola.

L'altra esitò un attimo, in imbarazzo, senza sapere bene cosa fare. Poi, improvvisamente, sorprese entrambe stringendola in un abbraccio ferreo. «Ti accompagnerò, se vuoi.»

Marian nascose il volto, la fronte premuta sulla placca di metallo dell'armatura dell'altra, lasciandosi finalmente andare ad un pianto disperato, scossa dai singhiozzi.

Rimasero così finchè non ebbe finito le lacrime, finchè l'unica cosa che sentiva era una desolante, terribile sensazione di vuoto.

Vuoto che non l'abbandonò quando dovette andare a riferire alla madre la notizia, nemmeno dopo che Leandra cadde a terra con un urlo d'angoscia, un fiume di lacrime a solcarle il volto straziato dal dolore, Bu che correva al suo fianco uggiolando e cercando inutilmente di consolarla. Incrociò lo sguardo di Gamlen, che chino sulla sorella la abbracciava in un impacciato tentativo di confortarla. Persino lo zio aveva gli occhi rossi, ma li nascose subito dietro il suo solito cipiglio.

«Và pure, torna alla Forca, ci penso io a tua madre.»

Non si ricordava nemmeno come era arrivata ai dormitori, solo che ad un certo punto era nel corridoio scarsamente illuminato che conduceva al piano superiore, e Aveline non era più al suo fianco. Raggiunse la camera che divideva con Ruvena e altre tre colleghe, senza nemmeno controllare se ci fosse qualcuno, buttandosi sul letto ancora in armatura.

Rimase a fissare il soffitto di legno sopra di sé.

Se mai uscirai da lì, prega di non incrociarmi più mentre sono in servizio.” Che razza di sorella poteva dire una cosa del genere?

Voleva piangere, ma le lacrime sembravano essersi prosciugate.



 

Un ragno tesseva la sua ragnatela in un angolo, poco sotto una delle torce appese al muro. Gli insetti, attirati dalla luce, restavano intrappolati nei fili e diventavano facile preda dell'aracnide. Ironicamente, scampavano alle fiamme solo per ritrovarsi in un fato forse peggiore.

Voltò lo sguardo verso il vassoio appoggiato sul tavolino di fianco al letto, la zuppa ancora intonsa, il pane appena sbocconcellato.

Ruvena l'aveva portato ore prima, in una vana speranza che mangiasse qualcosa.

Era passato anche il Capitano Cullen, l'aveva sentito oltre la porta chiedere alla templare informazioni su di lei.

Marian non aveva mosso un muscolo, ignorando entrambi. Non aveva la forza di alzarsi, lo stomaco le si era chiuso per la nausea e si sentiva stanca, a pezzi. Appena chiudeva gli occhi per dormire, gli incubi tornavano ad assalirla, quindi passava le ore a fissare il vuoto, le compagne di stanza che cercavano in tutti i modi di evitare di tornare lì e darle lo spazio necessario.

Persino Aveline aveva provato a farla uscire da lì, senza successo. Era tornata due volte in quei giorni, Marian non sapeva nemmeno più da quanto tempo si fosse rinchiusa là dentro, pregandola di prendere una boccata d'aria, di mangiare qualcosa.

Si girò da un lato, sospirando.

Qualcuno bussò alla porta, richiamandola alla realtà.

«Marian?»

Isabela.

«Marian, sappi che sto entrando.»

«Vai via.»

«Nemmeno se mi prendi a calci.»

«Isabela-»

Con uno schianto, la porta si aprì di scatto, facendo entrare la pirata, che si avvicinò al letto con aria critica. «Sei uno spettacolo pietoso.»

«Grazie.» Le diede le spalle, infastidita.

L'altra sbuffò. «Dico sul serio, Marian. Sono quattro giorni che fai la reclusa, chiaramente non sta funzionando. Quindi, cambiamo metodo.»

Sentendola rovistare tra le sue cose, si voltò a guardarla di soppiatto.

La pirata sollevò due camice davanti a sé, esaminandole e scegliendone una che buttò poi sul letto, seguita da un paio di pantaloni puliti di morbida pelle chiara e una giacca. Cogliendola a guardarla, le strizzò l'occhio. «Adesso ti dai una lavata e poi usciamo a bere l'inimmaginabile. Ti trovi un bel bocconcino, anche due o tre se ti va, e lasci perdere quel muso lungo. La vita va vissuta, amica mia, non puoi stare rinchiusa qui per sempre a piangerti addosso.»

«Non sono in vena di portarmi a letto nessuno, Bela. Come puoi immaginare.»

«Questo perché sei ancora schifosamente sobria, Marian.» Ribattè l'altra con l'aria di chi la sapeva lunga. «E poi, anche se non lo fai va bene lo stesso, almeno ci avrai bevuto su. Forza, in piedi.»

Senza darle il tempo di replicare, la prese per le spalle, sollevandola di forza e tirandola fuori dal letto. Le indicò la bacinella con l'acqua e le pezzuole pulite in fondo alla stanza, facendo poi per uscire. «Se entro qualche minuto non sei vestita e fuori da qui, ti trascino al porto così come sei. E fidati se ti dico che non ci faresti una bella figura.» Uscì sbattendo la porta, lasciandola a chiedersi come diamine fosse riuscita ad entrare.

Pensò per un attimo di bloccare la porta con una sedia e il tavolino e mandarla a cagare, ma l'idea di andare a bere non era male. Se non altro, con abbastanza alcol in corpo sarebbe crollata a dormire senza fare sogni o incubi.

Dopo essersi lavata e vestita, intrecciando i capelli in due crocchie alte per evitare si notasse che non erano propriamente puliti, si ritrovò ad esitare, la mano sulla maniglia. Lo sguardo saettò verso le sue armi, appoggiate alla rastrelliera accanto all'ingresso. Prese soltanto la sacchetta di pelle con dentro del denaro e un piccolo pugnale, che si infilò nella cintura.

Aprì la porta, trovandosi davanti Isabela con un sorriso soddisfatto stampato sul volto.



 

L'Impiccato era come al solito affollato, pieno di gente che beveva, gozzovigliava, mangiava, rideva sguaiatamente, scommetteva e giocava a dadi, in cerca di compagnia o di qualche facile guadagno in affari illeciti.

Il primo pensiero di Marian, appena varcata la soglia, fu che probabilmente non era stata una brillante idea, quella di seguire Isabela fin là.

Il suo secondo pensiero, alla vista della pinta di birra scura e del bicchiere di whisky con cui la pirata l'aveva corretta, fu che in fondo non le importava un accidenti.

Quelli successivi si persero nel fiume di alcol che seguì, accompagnato da una frittura di pesce che Isabela consigliava come cura per qualsiasi male e che puzzava quasi quanto l'avventore che avevano accanto, un nerboruto marinaio che stava intrattenendo alcuni dei commensali con una rocambolesca storia che spiegava come avesse perso la gamba contro una piovra gigante.

«Lo conosco quello lì, sai?» Le sussurrò ad un certo punto l'amica, sogghignando. «Una volta era così ubriaco che cadde da molo scendendo dalla barca, ecco come l'ha persa, la gamba. Altro che mostri marini...»

Marian si ritrovò a ridere più del dovuto. Lo sguardo le si posò per errore sulla scalinata che portava al piano superiore, dove era certa che la camera di Varric fosse ancora intonsa. Quante volte aveva visto scendere i fratelli da quelle scale, in cerca di qualche guaio per un paio di Sovrane?

Riportò il naso nel bicchiere di rum, scolandoselo tutto d'un fiato, la gola che le bruciava.

«Hei, chi abbiamo qui?» Le diede di gomito Isabela, indicandole un giovane uomo dai capelli rossi seduto in disparte in uno dei tavolini.

Marian, la memoria annebbiata dall'alcol, pensò che le sembrava di averlo già visto da qualche parte. Indossava un'armatura leggera, il metallo quasi bianco lucido e pulito all'inverosimile. Accanto a sé, appoggiati sotto la panca, un arco di legno chiaro e una faretra.

Lo sguardo imbronciato era puntato nel boccale ancora pieno, la mano stringeva il manico con tanta forza che Marian temeva potesse romperlo.

«Non sembra-» Si fermò, intercettando lo sguardo da predatrice con cui Isabela puntava l'uomo. «Bela...» La richiamò all'ordine, tentando di fermarla, ma l'altra era ormai partita alla carica.

La pirata si alzò ancheggiando, facendo voltare la metà dei clienti dell'Impiccato, una serie di occhi languidi ed espressioni che lasciavano poco ad immaginare cosa stesse accadendo nelle teste di ciascuno di loro. Perfettamente consapevole dell'effetto che aveva sugli altri, la Rivaini si sedette accanto all'uomo dai capelli rossi, chinandosi verso di lui e mostrando la scollatura provocante. «Quella birra non si berrà da solo, bocconcino.»

«Scusa, che hai det-» Chiese quello, alzando lo sguardo e arrossendo violentemente quando si ritrovò il seno della pirata all'altezza del naso. Cercò di dissimulare con pochi risultati, voltandosi a lato e tossendo rumorosamente. «Ahem, dicevo, avete bisogno di qualcosa?»

Il forte accento di Starkhaven, pensò Marian, non faceva che aumentarne il fascino.

Isabela gli rivolse un sorrisetto capace di perseguitare i sonni altrui per anni a venire. Si raccolse una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio, facendo tintinnare i grandi orecchini d'oro, per poi accarezzarsi il collo con la punta delle dita, scendendo verso la clavicola. «Ho notato che sei qui tutto solo. Sai, non si dovrebbe bere da soli, credo metta tristezza, non pensi anche tu?»

L'uomo, tirandosi indietro più che poteva, scosse la testa. «Credo mi abbiate frainteso, signorina. Non sono...» si guardò intorno, accennando alla gente che avevano intorno «non sono nel mio solito ambiente, per così dire.»

«Beh, è solo una questione di trovarsi a proprio agio...» Lo spronò allusivamente lei, ammiccando a Marian che nel frattempo la guardava ammirata. «La mia amica, qui, stasera è anche lei come un pesce fuor d'acqua. Non vorresti aiutarmi a tirarle su il morale?» Si mise a giocherellare coi lacci della camicetta, allusiva. «Ha sempre avuto una preferenza per i rossi...»

Marian si sentì arrossire leggermente, dando subito la colpa all'alcol.

Era davvero arrivata al punto di aver bisogno di Isabela per...? Scosse la testa. Non era in vena, ma ormai l'amica si era lanciata in una delle sue solite bravate e, come sempre, l'aveva tirata in mezzo. Certo, le sue intenzioni erano buone, ma avrebbe preferito che l'avesse semplicemente lasciata annegare i suoi dolori in un barile piuttosto che farle da maîtresse.

L'altro rivolse la sua attenzione su di lei, aggrottando le sopracciglia color rame. «Mi dispiace ma non sono la persona adatta con cui... cercare simili distrazioni.»

«Oh, invece mi sembri proprio perfetto, scommetto che sei rossiccio anche lì sotto.»

«Isabela!» Sbottò Marian, che a quel punto non ne poteva più. «Ora basta, non è interessato, non vedi? E io non ho alcuna intenzione di farmi vendere al primo belloccio che incontro!»

«Ah, allora ammetti che è un piacere per gli occhi!» La colse in flagrante l'amica, vittoriosa. «E guarda che sta per cedere, chi non vorrebbe fare un giro con noi due, in fondo?»

«Veramente, non-»

La pirata gli posò un dito sulle labbra, sussurrandogli qualcosa all'orecchio che lo fece arrossire ancora di più.

«Andraste benedetta!»

«Isabela, dacci un taglio.» Prima che potesse rendersene conto, aveva afferrato l'amica per una spalla, tirandola via dal poveretto che ormai non sapeva più come togliersela di torno. «Gli stai rovinando la serata, e già non sembrava essere una delle migliori.»

«Guarda che l'avevo quasi convinto!»

«Non mi pare.»

L'uomo tossicchiò, attirando la loro attenzione. «Vi assicuro che non è colpa vostra, siete entrambe molto belle ma... ho fatto voto di castità, quando sono entrato nella Chiesa.»

Marian si rese conto di starlo fissando a bocca aperta. La richiuse, riscuotendosi dalla sorpresa, per poi scoppiare a ridere per l'intera situazione.

Isabela scosse la testa, ridacchiando anche lei. «Che spreco! Con un faccino del genere, quegli occhioni blu e quell'accento, sono certa che mezza Rosa gli cadrebbe ai piedi senza nemmeno farsi pagare, e lui invece perde tempo tra statue e-» Si immobilizzò, indicandogli il basso ventre. «Ah. Avrei dovuto capirlo dalla faccia di Andraste sul pacco.»

Sulla fibbia della sua cintura, effettivamente, in oro massiccio e con tutta la sua aria di divina e giudicante superiorità, troneggiava il volto della Sposa del Creatore.

Isabela le diede di gomito. «Hei, stai fissando un po' troppo.»

Smise immediatamente di immaginare cosa ci fosse poco sotto. Afferrò la bottiglia mezza vuota di rum, scolandosela quasi tutta d'un fiato.

«Whoah, tesoro!» Esclamò Isabela, divertita. «Non esagerare, altrimenti non farò in tempo a trovarti qualcuno per tirarti su il morale. E tu, bello mio, quando cambi idea sulla tonaca sai dove trovarci, potrei pure chiudere un occhio sul tuo gusto negli accessori.» Gli strizzò l'occhio, andandosene ancheggiando verso il bancone in cerca di altro da bere.

Rimasti soli per un poco, Marian cercò di salvarsi la reputazione. «Mi dispiace, la mia amica è un po'... esuberante.»

L'uomo le fece cenno di non preoccuparsi. «La capisco, un poco. Un tempo ero solito condurre una vita sconsiderata come la sua, riempendone il vuoto con alcol e compagnie passeggere. Fortunatamente, ho trovato uno scopo migliore grazie alla Chiesa.» Indicò con un cenno la pirata, che nel frattempo aveva iniziato a discutere animatamente con un omaccione alto due volte lei. «È chiaro che ci tenga a voi, comunque.»

«Sì, mi ha praticamente dovuta trascinare fuori...» Sospirò, la testa che le girava furiosamente, sentendo il mondo sul punto di ricrollarle addosso. «Scusa, ho bisogno di prendere un po' d'aria.»

Si alzò traballante, dovendo appoggiarsi al tavolo per non cadere all'indietro. Lo stomaco rischiò di rivoltarsi violentemente, ma in qualche modo riuscì a tenere sotto controllo la situazione.

«Avete bisogno di aiuto?» Si alzò immediatamente l'altro, preoccupato, sorreggendola per le spalle. «Forse se mangiaste qualcosa-»

«Sto bene, grazie.» Lo scostò lei, bofonchiando e allontanandosi verso l'uscita. Le mancava l'aria.

Spalancò la porta a fatica, l'aria fresca della notte che le permise di respirare di nuovo.

Fece qualche passo incerto verso il vicolo sul retro del locale, cercando di schiarirsi la testa, inoltrandosi nelle viuzze e sedendosi poi su un barile di legno abbandonato, appoggiando la testa contro il muro della casa di pietra che stava costeggiando. Chiuse gli occhi, respirando a fondo, cercando di tenere giù tutto quello che aveva bevuto.

Sentiva delle risate in lontananza e, poco lontano, lo sciabordio delle onde del mare che si infrangevano sul molo. Doveva essere finita nelle vicinanze del porto.

Quando sembrò che il peggio fosse ormai passato, si tirò in piedi, facendo per tornare all'Impiccato. Si guardò intorno, incerta su quale fosse la strada giusta da prendere.

Un conato di nausea la sorprese dopo qualche metro, costringendola ad appoggiarsi al muro finchè non riuscì a riprendere il controllo del suo stomaco.

«'Fanculo. 'Fanculo tutti.»

Si infilò in un vicolo a caso, camminando senza meta fino a che non si ritrovò su una balconata che dava sul mare, il vento che le scompigliava i capelli che ormai sfuggivano disordinatamente dagli chignon che si era fatta.

Si appoggiò alla balaustra, a fissare le barche che ondeggiavano nell'oscurità.

«Questo sì che non si vede tutti i giorni.»

La voce la fece sobbalzare, risvegliandola dal torpore in cui era caduta. Portò istintivamente la mano alla cintura, alla ricerca delle spade, trovandovi solo un pugnale minuscolo. Maledisse la propria idiozia.

Dall'ombra della scalinata di pietra che scendeva verso il porto emerse un volto conosciuto.

«Samson.» Lo riconobbe al volo, contorcendosi in una smorfia. «Non sono in vena.»

L'ex templare stirò le labbra in un sorriso di scherno. «Non capita spesso che riesca a guardare uno di voi perfettini dall'alto in basso.»

Gli rivolse uno sguardo irritato. «Sto comunque più in alto di te.»

Samson scoppiò a ridere, una risata senza gioia che rimbalzò tra i vicoli deserti. Finì di salire le scale, accostandosi a lei con un sogghigno. La superava di tutta la testa. «E adesso?»

Marian si rese conto di quanto fosse vicina alla balaustra. Nelle sue attuali condizioni, non ci sarebbe voluto nulla a buttarla di sotto e a farlo sembrare un incidente. Sbuffò, trovando che non le importava affatto. «Ti semplifico il lavoro.» Si sedette sul muretto che dava sullo strapiombo, la schiena rivolta al mare, senza perdere di vista l'uomo.

Quello scosse la testa. «Nah, neanche io sono in vena, stasera.» Le si sedette accanto, tirando fuori una fiaschetta di metallo e portandosela alle labbra, bevendo avidamente qualche sorso. Storse la bocca, grugnendo schifato. «Che porcheria.»

Incuriosita, si voltò verso di lui. «Che roba è?»

«Niente che tu voglia bere, damerina, te lo assicuro.» Le rispose con l'ennesimo sorrisetto. «Liquore di licheni, l'ho comprato da un tizio del carta ieri sera. Dice che c'è dentro del lyrium, ma secondo me è solo un tentativo di avvelenarm-»

Marian gli sfilò la fiaschetta dalle mani. «Sono ancora troppo sobria per le tue stronzate.» Senza nemmeno pensarci, se ne versò il contenuto giù per la gola.

Sembrò di aver bevuto fuoco liquido.

Si piegò su se stessa, in preda ai colpi di tosse. Le bruciava tutto, dalla gola al cervello.

La risata di Samson echeggiò per tutto il vicinato, per una volta genuina. «Te l'avevo detto.»

«Per il culo secco del Creatore... Devo andare ad Orzammar prima o poi.» Biascicò Marian, restituendogli la fiaschetta. «Tremenda, ma funziona.»

Si sentì barcollare all'indietro, ma l'altro le afferrò una spalla, tenendola ferma.

«Forse è meglio non sedersi proprio qua.» Le disse facendola alzare e, reggendola per un braccio, conducendola sui gradini della scalinata. Si accomodarono entrambi in cima, prendendo poi un altro sorso di quella robaccia nanica.

«Cosa direbbe Cullen della sua recluta preferita, se ti vedesse ora?» La prese in giro, stuzzicandola.

Per tutta risposta, Marian dovette trattenere un fragoroso rutto, portandosi la mano alle labbra. «Può andare a farsi fottere. Lui e tutti gli altri, l'intera merdosissima città.»

«Guarda che con questo vocabolario la promozione non te la daranno mai.»

Fu il suo turno di rivolgergli un ghigno strafottente. «Non l'hai saputo? Non sono più una recluta.»

Samson sollevò le sopracciglia, fingendosi ammirato. «Ah, complimenti, Ser Marian. Avrei dovuto notarlo dal vostro comportamento così composto, degno di un Cavaliere dell'Ordine-»

Gli piantò una gomitata nelle costole, infastidita. «'Fanculo pure te. Non puoi prendermi in giro.»

«Ah no? Cos'è, una nuova regola che ha messo Meredith? Oppure sta scritto in qualche pezzo del Cantico della Luce del quale non sono a conoscenza?»

Con un grugnito, Marian riprese la fiaschetta, bevendone un altro sorso e quasi mozzandosi il fiato coi colpi di tosse. «Perchè, sai leggere?» Si stese all'indietro, appoggiando la testa sui gradini freddi, incurante di qualsiasi cosa. Le nuvole grige sopra di loro viaggiavano veloci, trasportate dal vento.

«Ringrazia che sei una ragazza e per di più ubriaca, Hawke...» La minacciò velatamente lui, portandole via l'alcol e bevendone un altro po'.

«Come no...»

Si accorse che la stava fissando, improvvisamente serio. «Che c'è?»

«Ho sentito della spedizione del nano...» Iniziò lui, incerto. «Mi dispiace.»

«No!» Lo fermò lei, cercando di zittirlo prima che potesse continuare. «No.» Ripetè, rendendosi conto di aver urlato. Scosse la testa. «Ora mi devi un altro sorso.»

Samson sollevò le spalle in segno di resa, cambiando subito argomento. «Sai, a proposito di debiti... questa roba mi è costata parecchio.»

Lei sbuffò, portando una mano alla cintura in cerca della sacca di pelle contenente le monete. “Merda.” Isabela doveva essersela portata via quando era partita alla ricerca di qualcos'altro da bere, perché non era lì. Oppure, peggio ancora, aveva perso metà della paga mensile in qualche vicolo.

Si tirò su di scatto, allarmata.

«Cazzo!»

Non c'erano solo soldi, ora che ci pensava, ma anche-

«Cerchi questa?»

Dovette strizzare gli occhi per mettere a fuoco l'oggetto azzurro brillante che Samson le stava facendo ballare sotto il naso. La piccola fialetta di vetro contenente il lyrium della settimana riluceva nel buio, riflettendosi negli occhi scuri dell'uomo, che la fissava divertito.

«Quella. È mia.» Fece per afferrarla, ma l'altro si scostò appena in tempo per evitarla, facendola restare con la mano a mezz'aria e uno sguardo da ebete sulla faccia.

«Chi trova, tiene, mia cara.» La sbeffeggiò divertito, stappandola e tracannandone metà. La mano gli tremò leggermente mentre la richiudeva e se la infilava in tasca, ignorando le sue flebili proteste. Schioccò le labbra, socchiudendo gli occhi, perso nell'estasi degli effetti del lyrium sulla sua dipendenza.

«Sei uno stronzo.»

«Me lo dicono spesso.»

«Puoi farti perdonare...»

Samson si girò a guardarla, incredulo.

Marian, notandolo, proruppe in una fragorosa risata, rischiando di scivolare di qualche gradino verso il basso. «Non in quel senso!» Cercò di ritornare seria, mentre l'ex templare la fissava offeso, scuotendo la testa e cercando di dissimulare i propri pensieri. Si sporse verso di lui, afferrando la fiaschetta di liquore che aveva appoggiato sul gradino, facendogli il verso mentre gliela sventolava sotto al naso come aveva fatto lui poco prima. «Maniaco...»

«Hawke, non ci avrei pensato nemmeno se fossi l'ultima donna in città.» Grugnì Samson guardandola litigare con il tappo. «E ne hai già bevuto abbastanza.» Si allungò verso di lei, stringendo la fiaschetta e facendo per strappargliela di mano.

Marian oppose resistenza, tirando a sua volta e sbilanciandolo, al che Samson cercò di liberarsi spingendola via. Lei si scostò di scatto, sghignazzando, facendo per alzarsi.

Un giramento di testa improvviso le fece perdere l'equilibrio.

L'uomo si sporse ad afferrarla, ma incespicò pure lui.

Si ritrovarono qualche metro più in basso, il fondoschiena dolorante dopo aver spazzato una dozzina di gradini consumati e scivolosi.

«Cosa ti ridi...» Grugnì Samson, massaggiandosi un fianco e cercando di ridarsi un contegno, trovandosela a pochi centimetri dal volto.

Marian poteva contare i nei sulla faccia dell'altro. Notando il suo disagio, smise di ridere, fissandolo dal basso all'alto inarcando un sopracciglio nella sua migliore smorfia strafottente. Non le sfuggì nemmeno il rigonfiamento nei pantaloni dell'ex templare, in quel momento premuto poco sopra il suo ginocchio. «Dicevi, riguardo all'ultima donna in città...?»

Gli occhi di lui erano puntati sulle sue labbra. Scosse la testa, inspirando forte. «Hawke. Sei ubriaca.»

«Sono uscita apposta...» Mosse un poco la gamba, lo sguardo allacciato al suo.

«E in lutto.»

Lo guardò male, scuotendo il capo. «Ti ho detto che non ne voglio parlare.»

Samson sospirò, rompendo il contatto visivo e tirandosi indietro. «Non ho intenzione di approfittarmi di te, Hawke. Abbiamo entrambi abbastanza problemi.»

Furente, Marian lo afferrò per il bavero della giacca. «Cazzo, fai sul serio?!» Gli inveì contro, tirandolo a sé. «Come cazzo ti permetti di-»

Fu un attimo.

Si liberò dalla sua presa senza alcuna difficoltà, bloccandole con una mano le braccia sopra la testa e tenendola ferma con il suo peso, schiacciandola sugli scalini freddi mentre le afferrava il viso costringendola a guardarlo mentre si avvicinava ad un soffio dalle sue labbra.

Marian cercò di divincolarsi, inutilmente.

«È questo che vuoi?!» Sibilò lui, gelido. «Che ti scopi su dei gradini luridi mentre sei completamente ubriaca? Pensi che domani ti sentirai meglio, che non penserai più ai tuoi fratelli morti in qualche dannato buco sottoterra?!» Le strinse i polsi con forza. «È questo che vuoi?!»

La ragazza emise un gemito dolorante, smettendo di divincolarsi. «Mi stai facendo male.»

«Potrei farti di peggio, idiota.»

Cercò di sputargli addosso, furente, con scarsi risultati. Aveva la bocca secca e impastata. Appoggiò la testa sul gradino sotto di lei. Gli occhi le pizzicavano. Tirò su col naso. «Stronzo.»

«Ora sì che ti riconosco...» Ribattè Samson divertito. La liberò dalla sua presa, alzandosi e tendendole una mano. «Andiamo, ti riporto alla Forca. Chissà mai che quel palo in culo di Cullen non mi veda fare una buona azione e metta una buona parola...»

La tirò in piedi a forza, sorreggendola mentre salivano i gradini verso la balconata.

«Sono uno schifo di Templare.» Bofonchiò Marian ad un tratto.

L'altro fece spallucce. «Non sarò certo io a giudicare...»

«E una sorella orribile...» continuò lei imperterrita, senza ascoltarlo. «Non avrei dovuto lasciarli... se solo mi fossi imposta... e ora-» Tirò su col naso, rendendosi conto di star piangendo come una cretina. «E ora ne sto parlando con te!»

«Potrei offendermi.» Replicò lui, sbuffando e fermandosi di nuovo. La guardò a disagio, senza sapere cosa fare. «No dai, non piangere. Non...» Grugnì il proprio disappunto, continuando a sorreggerla con un braccio e con l'altro porgendole una pezza di stoffa che teneva nelle tasche. «Datti un contegno, Hawke.»

Marian guardò sospettosa il fazzoletto, come se potesse morderla. Si risolse ad asciugarsi il volto, soffiandosi poi rumorosamente il naso. «Non sei orribile come sembri.»

«Ah, grazie. È il migliore complimento che ricevo da parecchio tempo, non contando quelli pagati.»

«Ed è la seconda volta che qualcuno si rifiuta di andare a letto con me, oggi.»

«Deve essere uno shock, per te.»

Lei annuì, barcollando. «Garrett dice che faccio paura.»

Samson scoppiò a ridere, la voce roca e impastata dall'alcol. «Non fai paura proprio a nessuno in questo momento, stai pur tranquilla.»

Appoggiò la testa sulla sua spalla, mentre procedevano a rilento. «Ho sonno.»

«Manca poco.»

«E fame.»

L'uomo sbuffò profondamente. «Forse dovrei riconsiderare l'offerta di prima.»

Marian lo guardò, tra l' ammiccante e l'assonnato, la testa che le girava. «Sei ancora in tempo...»

Le rivolse un ghigno divertito. «Ti addormenteresti ancora vestita.»

«Non serve spogliarsi del tutto...»

«Hawke, non so che idea hai di me, ma quando vado con una donna mi piace che sia partecipe, non mezza svenuta e per niente collaborativa.»

Fu il suo turno di sbuffare. «Come se avessi molte alternative, di solito...»

«Ouch.»

«Marian!»

«Oh, guarda, ti cercano.»

«Uh?» Riaprì gli occhi a fatica, mettendo lentamente a fuoco Isabela che le correva incontro. Dietro di lei, lasciandola sorpresa, c'era l'uomo di Starkhaven con il quale la pirata ci aveva provato all'Impiccato.

Isabela le volò addosso, abbracciandola. Si ritrovò stritolata contro il suo seno, faticando a respirare.

«Cosa ti è saltato in testa, uscire così senza avvertirmi!» La liberò dalla stretta, puntando un dito accusatorio contro Samson. «Lui chi è?»

L'uomo alzò le braccia. «L'ho solo tenuta al sicuro.»

«Sì, come no, uno come te non si fa scappare un'occasione del genere-»

«Bela...»

«Marian?»

«Ho sonno.»

«Sì, tesoro, lo vedo. Ma ti ha fatto qualcosa?» Le chiese preoccupata, dandole un buffetto sulla guancia per farla svegliare. «Lo faccio a pezzi, se ti ha anche solo toccata...»

«Oh, certo, perché no.» Commentò acido Samson, gesticolando. «Uno fa una buona azione e-»

«La gente come voi non fa buone azioni.» Lo interruppe l'uomo di Starkhaven. «Vuole sempre qualcosa in cambio.»

«E tu cosa c'entri, eh?» Rimbeccò l'ex templare, irritato. «Torna a lucidare la tua armatura nuova, damerino, non vorrei si sporcasse!»

«È una minaccia?!»

«Oi!» Alzò la voce Marian, barcollando tra i due. «Zitti. Ho mal di testa.» Si voltò verso Samson, traballando. «Grazie.»

«Figurati, il damerino qui ha ragione, alla fine ci ho guadagnato del blu...» Guardò Isabela, la sua solita espressione distaccata sul volto. «Riportatela dai suoi virtuosi colleghi, prima che possa farsi portare a letto da qualche losco figuro.» Diede loro le spalle, allontanandosi nella direzione opposta.

Marian rimase a fissarlo, confusa.

«Sai, tesoro, quando ho detto che una scopata ti avrebbe fatto tanto bene, credevo avessi standard più alti.» Commentò Isabela scuotendo il capo con disapprovazione.

L'altro annuì. «Poteva finire molto male, fortunatamente vi abbiamo trovato in tempo...»

La sorressero per le spalle, salendo faticosamente i gradini per la città alta con una lentezza esasperante.

«Mi ha rifiutata.» Bofonchiò dal nulla lei, dopo qualche tempo. «Nessuno mi vuole, stasera.»

«Non dire così, tesoro. Dovresti esserne contenta, dato il tipo. Vedrai che domani te ne renderai conto.»

«Appunto.» Calcò Marian, insistente. «Persino Samson

«Marian, se posso permettermi...» Tossicchiò l'uomo, in imbarazzo. «Non risolverete nulla, buttandovi sull'alcol e sul sesso. Anzi, rischiate di peggiorare la vostra situazione.»

«Hei, ti ho portato dietro per darmi una mano, non per farmela sentire peggio!» Lo sgridò Isabela. «Il mio metodo funziona, è solo stata una serata di merda in quanto ad incontri.»

«Non voglio criticare il vostro stile di vita, ma non mi sembra quello a cui dovrebbe aspirare una Templare-»

«E cosa dovrebbe fare, darsi alla castità come te? Ah! Quello sì che sarebbe triste!»

«Non c'è nulla di triste nell'abbracciare la luce del Creatore, Andraste stessa-»

«Non è la fottutissima Andraste, ha bisogno di una scopata!»

«Non mi pare il caso di bestemmiare...»

Marian barcollò in avanti, trascinandoli entrambi con sé e rischiando di farli cadere. «Smettetela...» mugugnò assonnata, la testa che le scoppiava. «Sembrate...» Non finì la frase, sospirando pesantemente e tirando su col naso. «Non importa.»

«Scusatemi. Non volevo farvi la predica.»

«Io non mi scuso. Avrebbe funzionato, se non fossi scappata via.» Ribattè Isabela, ostinata. Diede di gomito all'altro, ammiccando. «Non vedi che l'hai resa triste? Però potresti rimediare...»

«Creatore, dammi la forza...»

In qualche modo, mettendoci dieci volte il tempo che ci avrebbero impiegato normalmente, la riportarono alla Forca.

Quando le due reclute di guardia ai cancelli li squadrarono dall'alto in basso, chiedendo cosa ci facessero lì a quell'ora della notte, Marian riuscì a malapena a bofonchiare qualcosa sull'essere una Templare.

I due si guardarono interdetti.

«Posso capire che non sembri, ma vi assicuro che è stata appena promossa!» Cercò di convincerli Isabela. «Chiamate pure i suoi amici, se non ci credete.»

«Qualche nome?» Domandò uno dei due, fissandola scettico. «Non posso certo andare in giro a svegliare l'intero dormitorio solo perché un'ubriaca e una... prostituta me lo chiedono.»

«Prostituta?» Ripetè scioccata Isabela, portandosi platealmente una mano a coprirsi la bocca. «Oh, che linguaggio! Questo qui è un fratello della Chiesa, sapete, potrebbe denunciarvi alla somma sacerdotessa! » Tirò a sé l'altro, che le diede corda.

«Non mi sarei mai aspettato un trattamento del genere da due cavalieri dell'Ordine, davvero, non-»

«E va bene, va bene! Dateci un nome e andiamo a chiamarlo!» Li fermarono le due reclute, cercando di placare il fracasso che stavano facendo.

«Runeva. Ravena.» Isabela scosse la testa, sforzandosi di ricordarsi il nome giusto. «Qualcosa del genere?»

«Non sapete nemmeno-»

«Ruvena.» Bofonchiò Marian, sbadigliando. «Ruvena mi conosce.»

Dubbioso, uno dei due partì alla ricerca della Templare.

Tornò poco dopo, seguito da due figure.

«Oh, merda.»

Quando Marian realizzò chi si trovava davanti, era ormai troppo tardi.

Il Capitano Cullen la squadrava con disapprovazione, le braccia conserte sul pettorale dell'armatura lucida. «Che sia la prima e ultima volta, Marian. Date le circostanze, non farò rapporto.»

«Capitano-»

«Ringrazia i tuoi amici e fila nel dormitorio. Ruvena, accompagnala. Niente deviazioni e non una parola a nessun altro.» Tagliò corto l'altro.

Ruvena, dietro di lui, annuì rigidamente, correndo in aiuto di Marian che, senza il sostegno dei due, si reggeva traballante sulle gambe.

«Sapevo che non dovevo fidarmi della tua... amica.» Borbottò la templare, mentre salivano le scale per i dormitori. «Non è certo il modo per-» Sbuffò, scuotendo la testa. «Non importa. Almeno sei tornata qui, senza finire chissà dove a letto con chissà chi, come quella aveva proposto.»

Marian mugugnò indispettita. «Ci ho provato, ma senza successo.»

«Creatore, meno male!» Esclamò l'altra, aprendo la porta e portandola verso il letto.

Due delle compagne di stanza erano di ronda, mentre la terza le rivolse uno sguardo infastidito. «È un po' tardi. Ruvena era preoccupata.»

«Mentre a te non frega mai un cazzo di niente, Mina, lo sappiamo.» Ribattè piccata l'amica. «Tornatene pure a dormire.»

«Lo stavo facendo, prima di essere svegliata...» Sibilò l'altra, ma tornò ad infilarsi sotto le coperte, dando loro le spalle.

«Lei avrebbe proprio bisogno di una scopata.» Commentò Marian ad alta voce, facendo scoppiare a ridere Ruvena. «Più di me.» Bevve il bicchiere d'acqua che le porgeva l'altra, assetata. «Pensandoci, mi sento un po' meglio.»




























Note dell'Autrice: temevate stesse per succedere, eh? Fortunatamente per Marian, no, non ha dovuto aggiungerla alla lunga lista di sventure che le sono capitate tra capo e collo. Isabela prova a fare del suo meglio ma il fato è contro di lei, Sebastian non si capacita di come sia finito lì e Samson... è meno peggio di quanto si creda (sì Cullen, sto guardando te, sentiti in colpa).
Al prossimo capitolo! :D 

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Capitolo 11
*** The Grey Wardens ***


CAPITOLO 11
The Grey Wardens



 

 

Garrett lanciò ad Anders uno sguardo carico di sospetto. «Sei sicuro siano loro?»

Quello si strinse nelle spalle. «Loro, o un altro gruppo di Prole Oscura. Non posso esserne certo, circondati come siamo.»

Varric sbuffò sonoramente. «La prossima volta che mi metto in testa di scendere sottoterra, colpitemi prima che possa fare un'altra stronzata del genere.»

«Non è colpa tua, Varric!» Cercò di consolarlo Merrill, che non mollava per un attimo Carver.

Il ragazzo procedeva con cautela, appoggiato al carrello pieno di ricchezze, il volto terreo e coperto di sudore freddo.

«Dovresti riposarti.» Gli ripetè per l'ennesima volta il fratello, preoccupato.

«Mi rifiuto di incontrare i Custodi come un sacco di patate marce.» Ringhiò il minore degli Hawke, mettendo ostinatamente un piede davanti all'altro e procedendo solo grazie alla sua forza di volontà.

Percorsero un lungo corridoio che terminava con un arco su una grande sala piena di colonne, straordinariamente in buono stato. Un'imponente scalinata saliva verso l'alto, accanto ad essa notarono quelle che sembravano indicazioni rovinate dal tempo.

«Queste portano in superficie.» Lesse faticosamente il nano, sospirando. «Sempre che le provviste ci bastino, trovati i Custodi.»

«Non abbiamo molto tempo-» Anders si interruppe di colpo, voltandosi alla loro destra verso un altro corridoio immerso nel buio, il bastone magico puntato davanti a sé che iniziava a brillare.

Subito portarono tutti le mani alle armi, pronti ad affrontare altra Prole Oscura, quando dal corridoio cominciò ad intravedersi una flebile luce dorata.

Garrett vide il guaritore rilassarsi visibilmente, tuttavia senza abbassare il bastone.

«Sono loro.» Annunciò Anders, facendo qualche passo avanti.

Dopo poco, comparvero una mezza dozzina di persone, le insegne dei Custodi Grigi ben visibili nonostante fossero insozzate di sangue e terra. Un mago minuto illuminava la galleria con il suo bastone magico, accanto a quello che doveva essere il loro comandante.

La figura che procedeva in testa al gruppo, un uomo alto quasi due metri in armatura massiccia, si immobilizzò per la sorpresa. Appoggiò per terra il grosso scudo a torre e sollevò la visiera dell'elmo con le ali di grifone ai lati, rivelando una folta barba castana, capelli corti dello stesso colore e due brillanti occhi verdi. Non doveva avere più di trenta o trentacinque anni. «Che mi venga un colpo! Pensavo fosse altra Prole Oscura e invece...» esclamò con un forte accento Orlesiano «Anders!»

Quello accennò un sorriso incerto, aggiustandosi il bastone da mago sulle spalle. «Comandante.»

Uno dei Custodi, un nano dai capelli rossi, barba e baffi dello stesso colore, superò il Comandante a braccia aperte, esibendosi in un largo sorriso nonostante la minacciosa ascia bipenne fissata alla schiena. «Ah! Lo sapevo che eri un pazzo, mago!» Quando fu abbastanza vicino, storsero il naso per il forte olezzo di alcol e altre sostanze non meglio identificabili che gli aleggiava attorno.

«Oghren!» Lo salutò Anders, sorridendo a sua volta. «Ancora vivo e sempre in forma, vedo!»

L'altro scoppiò a ridere, dando un colpetto affettuoso alla grossa fiasca di pelle che portava alla cintura. «Conosci altri modi per sopportare le Vie Profonde?»

«Pensavo avessi lasciato perdere la Prole Oscura, cosa ci fai qua sotto?» Chiese l'Orlesiano, riportando l'attenzione su di sé. «Dovrei trascinarti con me se mi attenessi alle regole, lo sai.»

Il Guaritore deglutì vistosamente. «Sarebbe un pessimo tempismo iniziare proprio adesso a seguire le regole, no?» Cercò di scherzare. «Spero di essere stato fortunato ad incontrarvi, Comandante.» Si girò verso il resto del gruppo, lo sguardo che cadde infine su Carver. «Vi presento Adrien de Lancourt, Comandante dei Custodi Grigi del Ferelden e Arle di Amaranthine.»

«Non più, ora, a dir la verità...» Ridacchiò il Comandante, accennando un inchino. «Nathaniel era entusiasta di avere l'onore di riprendersi Amaranthine. Dovevi vedere la sua faccia quando la regina Elissa l'ha dichiarato nuovo Arle dopo che sono stato trasferito!» La risata si spense in un attimo quando i suoi occhi si posarono su Carver. Si fece immediatamente serio.«Ah.»

Anders intercettò il suo sguardo. «È il motivo per cui non vi ho evitati, Comandante... è stato ferito da uno Shriek tre giorni fa. Sono riuscito a rallentare la Corruzione, sperando di trovarvi in tempo.»

«Anders. Sai benissimo che l'Unione non è un atto di carità.»

«Non vi chiediamo di salvarlo per compassione!» Si intromise Garrett, non riuscendo a stare zitto, fronteggiando il Custode. «Carver è un ottimo combattente, solo un idiota non lo recluterebbe.»

Il labbro superiore del Comandante Adrien si arricciò in un sorrisetto divertito. «Insultarmi è una strategia azzardata... siete suo fratello, immagino, noto una certa somiglianza.»

Garrett si costrinse a reggere il suo sguardo, sfidandolo.

«Comandante, se posso.» Si intromise Anders, lanciando a Garrett un'occhiata di ammonimento. «Ora che il Flagello è concluso da un anno, voi Custodi non avete un grande afflusso di reclute. L'Ordine ha sempre bisogno di guerrieri capaci.»

«Soprattutto se le nuove reclute disertano dopo qualche mese...» Commentò l'Orlesiano, sollevando un sopracciglio allusivamente.

Anders incassò la frecciata abbassando un poco il capo. «Con Stroud abbiamo avuto delle... divergenze.»

«Sì, ho sentito delle storie bizzarre.» Il Comandante assottigliò gli occhi, inquisitorio. «Parecchio bizzarre. Ma la sua idea di accollarti una recluta fresca fresca di addestramento templare è stata una sciocchezza, ci si aspetterebbe che un Custode veterano dimostri più criterio.» Sospirò profondamente, rivolgendo di nuovo la sua attenzione su Carver. «Dimmi, ragazzo, vuoi davvero unirti ai Custodi? Potrebbe rivelarsi una sentenza di morte quanto la tua presente situazione.»

«Morirò comunque. Almeno così potrò portare qualcuno di quei bastardi giù con me.» Replicò Carver, impettito.

«Non è esattamente lo spirito nobile dei Custodi, ma è una delle motivazioni più comuni...» Commentò il Comandante Adrien, pensoso. «Ah, beh, vedremo come va.» Si avvicinò al minore degli Hawke, dandogli una pacca sulla spalla. «Spero tu sopravviva, ragazzo. Mi piaci. E poi, Anders mi ha praticamente riportato in vita dopo un brutto scontro, glielo devo.» Strizzò l'occhio all'ex-Custode, con fare complice. «Vedi di non farti trovare dagli altri, alcuni sono molto meno amichevoli di me, come puoi bene immaginare... E tieniti fuori dai guai.»

Il nano che puzzava di alcol proruppe in una fragorosa risata a crepapelle. «Quello coi guai ci va a braccetto!» Esclamò, sollevando la sua fiaschetta e bevendo in direzione del mago. «Lo conosci, Comandante, non può farne a meno.»

«Senti chi parla!» Finse di offendersi Anders, accennando un sorriso.

Il Comandante scosse la testa, divertito, per poi rivolgersi a Carver. «Forza ragazzo, saluta in fretta, non abbiamo molto tempo a giudicare dalla tua faccia.»

Il cuore di Garrett sprofondò un altro po'. Pensava di aver toccato già il fondo, ma vederlo effettivamente andarsene via coi Custodi, verso un futuro incerto...

«Garrett.» Lo salutò Carver, un po' impacciato. «Ti scriverò appena posso.»

«Non dimenticartene, altrimenti vengo a prenderti a calci.» Replicò, sforzandosi di sorridere. «Anzi, peggio, ti mando direttamente Marian.»

Il ragazzo fece una smorfia, ridacchiando nonostante il volto tirato. «Tra la Corruzione e la Prole Oscura, perché a farmi paura di più è sempre l'occhiata di disapprovazione di nostra sorella?»

Garrett sospirò, pensando a cosa avrebbe dovuto affrontare in superficie. «Sono certo che avrebbe voluto salutarti anche lei. Ti scriveremo entrambi. E anche nostra madre.»

«Saranno furiose che sono sceso con te. E sarai l'unico a sentirsi le loro scenate!»

Ridacchiò, anche se c'era ben poco da stare allegri. «Dici che sono ancora in tempo per candidarmi come seconda recluta?»

«Non ci provare. Finalmente mi libero di voi e mi vuoi seguire?»

Si sorrisero, tristi. «Prenditi cura di te, Carver. Davvero.»

«Anche tu. Evita di finire ammazzato o in qualche Circolo.»

«Tranquillo, lo terremo d'occhio.» Si intromise Varric, dando di gomito a Garrett.

Carver scosse la testa con disapprovazione. «Questo non mi rassicura per niente...»

Merrill, dietro di loro, aveva gli occhi colmi di lacrime. Garrett e Varric si scostarono leggermente, facendole spazio.

L'elfa si avvicinò titubante al ragazzo, per poi colmare la distanza tra di loro e stringerlo in un abbraccio, così minuta a confronto dell'altro. Gli sussurrò qualcosa che non riuscirono a sentire, il viso nascosto sulla spalla di Carver, che sorrise triste.

Dopo qualche secondo, Merrill si staccò da lui, voltandosi di schiena. Si asciugò gli occhi, cercando di nascondersi ai loro sguardi.

«Seguite quelle scale, la superficie è a tre giorni di cammino. Buona fortuna. Anders, evita di combinare guai a Kirkwall, ho sentito notizie preoccupanti sui templari, lì.»

Il Guaritore annuì, poco convinto, salutando un ultima volta il Comandante Adrien. Il nano lo costrinse ad abbassarsi per un abbraccio che avrebbe stritolato un genlock, per poi lasciarlo andare con una pacca sulla schiena e l'ennesima risata alticcia. «Attento a non stropicciarti la gonna!»

«È una veste!» Lo corresse esasperato Anders, che tuttavia stava sorridendo.

Uno dei Custodi Grigi passò un braccio attorno alle spalle di Carver, aiutandolo a camminare mentre si allontanavano verso il fondo della grande sala.

Merrill rimase immobile a fissarli. Improvvisamente, in un impeto di coraggio, corse loro dietro, parandosi davanti a Carver e posandogli un bacio leggero sulle labbra, sfiorandolo appena. «Dareth shiral, lethallin.» Gli disse, rossa in volto e fino alle orecchie, per poi scappare nuovamente verso il gruppo, lasciandolo sorpreso e imbarazzato.

Garrett non potè che sorridere, mordendosi la lingua e cercando di non piangere. Sollevò la mano, salutando per l'ultima volta il fratello e restando a guardare i Custodi che imboccavano un corridoio laterale, la luce dorata emanata dal bastone magico del'elfo minuto che era con loro che piano piano spariva alla vista.

Si sentì stringere delicatamente il braccio, trovandosi Anders accanto. «È ora di andare. Ci aspettano parecchi gradini, temo.»

Annuì. Non c'era nient'altro da fare per loro, lì sotto.



 

Uscirono da uno degli ingressi scartati all'inizio di quella maledetta spedizione, a qualche chilometro dalla città.

L'aria fresca del mattino e il profumo dei pini erano un piacevole cambiamento rispetto alle maleodoranti esalazioni e spifferi stantii delle Vie Profonde, ma nessuno riusciva ad apprezzarli davvero. Non dopo tutto quello che avevano dovuto affrontare.

Varric procedeva cupo, calciando ogni tanto qualche sassolino di fronte a sé.

Merrill si era chiusa da giorni in desolato silenzio, e a malapena aveva sorriso alla vista dell'uscita e del verde degli alberi che amava tanto.

Anders era visibilmente sollevato all'idea di essere di nuovo in superficie, ma anche lui non spiccicava quasi parola.

Garrett si sentiva sull'orlo di una crisi di nervi.

Affiancò Varric, quasi di corsa. «Non vedo l'ora di farmi un bagno e mangiare qualcosa di caldo.» Disse, giusto per riempire il silenzio che gravava da ore.

«E una birra. O due, ancora meglio.» Annuì il nano. Da lontano, riuscivano a scorgere le porte della città. «Credi che Bartrand sia già arrivato? Con un po' di fortuna...»

«Sarebbe una sorpresa, la fortuna, visto come ci è andata ultimamente.»

Varric sospirò profondamente. «Mi dispiace. Non mi fossi fatto fregare da Bartrand, a quest'ora... e tutta la faccenda di tuo fratello, davvero Garrett, non-»

Si fermò di colpo, mettendogli una mano sulla spalla e guardandolo dritto negli occhi. «Varric. Non è stata colpa tua.»

L'amico cercò di sfuggirgli, divincolandosi. «Ma avrei potuto evitarlo.»

«Se è colpa di qualcuno, è solo di Bartrand e di quei maledetti Prole Oscura.» Insistette Garrett, stringendo la presa. «Non tua. Non mia. Di nessun altro.» “Se contino a ripeterlo, magari finirò per crederci sul serio...”

«Vorrei esserne convinto quanto te, davvero.» Sospirò di nuovo, scuotendo la testa e sistemandosi Bianca sulle spalle. «Per la Prole Oscura, non so cosa farci, ma riguardo quel lurido verme... lo troverò, fosse l'ultima cosa che faccio.»

Garrett si sforzò di sorridere, temendo che il risultato fosse più simile ad un mal di denti. «Vediamo il lato positivo: stiamo tornando ricchi sfondati.»

La bocca di Varric si piegò in un ghigno soddisfatto. «Oh, sì.»

Rientrarono a Kirkwall nel tardo pomeriggio. Ogni singolo scalino verso la città bassa sembrò una tortura. Varric li salutò di fronte all'Impiccato, portando con sé le ricchezze che avevano saccheggiato nel Thaig abbandonato. Poco lontano dalla casa di Gamlen, anche Merrill si congedò brevemente per poi infilarsi in uno dei vicoli che portavano all'Enclave.

Rimasti soli, Anders e Garrett si scambiarono un'occhiata tesa.

«Vuoi... posso fare qualcosa?» Gli chiese l'ex Custode, preoccupato.

Scosse il capo. «Hai già fatto molto. Grazie, per Carver. Avresti rischiato la vita, non fosse stato il Comandante Adrien.»

«Te lo dovevo, dopo quello che hai fatto per Karl e gli altri maghi.»

Garrett annuì, facendo due passi in avanti verso la scalinata che conduceva alla porta di casa. Poteva quasi immaginarseli, Leandra china su qualche vecchio cimelio di famiglia intenta a pregare per il loro ritorno, Gamlen in qualche taverna o bordello per evitare la sorella, Bu accoccolata davanti alla porta in attesa che rientrassero a casa. Si voltò di nuovo verso Anders, accennando un sorriso stanco. «Se hai bisogno per la Resistenza, o qualsiasi cosa alla clinica... sai dove trovarmi.»

«Garrett-»

«Sei un buon amico, Anders, ma con questo non puoi aiutarmi.» Gli diede le spalle, salendo i pochi gradini. Inspirò profondamente, prima di bussare sul legno vecchio e consumato.

Sentì Bu scattare ad abbaiare e correre verso l'ingresso, grattando la porta.

«Bu, piantala, ti ho già detto che-»

Leandra si immobilizzò per la sorpresa, sgranando gli occhi, mentre sul volto tirato dalla preoccupazione si faceva strada un sorriso. «Siete tornati!» Spalancò la porta, lasciando che Bu gli corresse incontro, quasi travolgendolo e rischiando di buttarlo a terra mentre cercava di leccargli la faccia e gli saltava addosso.

«Madre.»

La donna lo abbracciò stretto, tremando appena. «Creatore, grazie, temevo-» Il sorriso della madre si raggelò all'istante quando, cercando oltre la spalla di Garrett, non vide il fratello minore. «Dove... dov'è Carver?»

Garrett sprofondò ancora più in basso. «Non è qui...»

Leandra sbattè più volte le palpebre, nel tentativo di capire. «Ma... tornerà, vero?»

Si sforzò di annuire. «Sì, credo di sì. Spero.»

Sull'orlo delle lacrime, Leandra gli appoggiò una mano sulla guancia, coperta da un'ispida barba troppo lunga. «Cosa è successo, Garrett?»

Si morse l'interno della guancia, stringendole delicatamente la mano. «Parecchie cose.»

Rientrarono in casa e, mentre Leandra gli porgeva una ciotola tiepida di zuppa stantia, Garrett iniziò a raccontare di come fossero stati traditi da Bartrand, dei pericoli che avevano dovuto affrontare per tornare in superficie, delle ricchezze che avevano portato con sé.

Arrivato al punto dell'imboscata dei Prole Oscura, Leandra sussultò a sentire come Carver aveva rischiato la vita, e alla fine del racconto sedeva in lacrime sull'orlo della sedia, sconvolta.

«Un Custode Grigio, il mio bambino...»

«Madre, Carver se la caverà. È sempre stato forte, lo sai, è un ottimo guerriero. Dovrebbero sentirsi onorati di averlo con loro.»

«Preferirei che non lo fossero, e di averlo ancora qui con me.» Ribattè lei, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto di stoffa. «Perchè non mi avete dato ascolto, Garrett? Potevi scendere solo tu e lasciarlo qui, come ti avevo chiesto...»

«Mi ha salvato la vita più di una volta, nelle scorse settimane. Sarei morto, senza di lui.»

Leandra non rispose, ma era chiaro dalla sua espressione che riteneva di aver comunque perso uno dei suoi figli.

Il dubbio, sempre presente, che a tornare fosse stato quello sbagliato gli attanagliava il cuore, grattando contro lo sterno con i suoi artigli affilati come rasoi.

La madre intercettò il suo sguardo ferito.

Con sua grande sorpresa, gli prese una mano tra le sue, stringendola e sforzandosi in un sorriso nonostante le lacrime che le rigavano le guance. «Sono contenta che tu sia tornato, Garrett. Davvero. Solo...» Inspirò profondamente, tirando su col naso «spero che Carver ci invii sue notizie presto. Chissà quando i Custodi Grigi lo lasceranno venire a trovarci.»

Garrett ricambiò la stretta della madre, sollevato. «In ogni caso, non dovrà tornare in questa topaia. Tra poco avremo abbastanza soldi da ricomprare la vecchia tenuta degli Amell e trasferirci lì in grande stile. Persino Gamlen, se vorrà.»

Leandra scosse la testa, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto. «Dubito che il suo orgoglio gli lascerà accettare una cosa del genere, ma sicuramente finirà per chiederti dei soldi.»

«Sì, come “ricompensa” per averci ospitato...»

Sorrisero entrambi, nonostante tutto, gli occhi lucidi di pianto.

«Prova ad andare alla Forca, qualcuno deve avvisare Marian...»

Garrett deglutì a vuoto. Se con la madre era andata meno peggio di quanto avesse temuto, non era certo che la sorella avrebbe reagito così bene.









 

 

La Chiesa era quasi vuota, a quell'ora. Erano da poco scoccate le sei di sera e persino le Sorelle e i Fratelli del clero si affrettavano a finire i loro compiti per riunirsi poi nel refettorio per la cena.

Marian, la schiena rigida dalle ore passate di guardia al palazzo del Visconte, si appoggiò alla balaustra di fronte alla grande statua dorata di Andraste, le mani giunte in una silenziosa preghiera al Creatore e alla Sua Sposa.

La vergogna degli eventi di qualche giorno prima la attanagliava ancora, ma almeno la nausea e il mal di testa che l'avevano tormentata erano finalmente cessati.

Aveva chiesto a Ruvena di aiutarla a nascondere il fatto che avesse perso la boccetta di lyrium della settimana, dividendo quella dell'amica. Per quanto riguardava la paga di due settimane, era stata probabilmente già spesa in alcol e lyrium di contrabbando, quindi non avrebbe avuto alcun senso avventurarsi in città bassa alla ricerca di Samson. Oltretutto, dopo quella sera, sarebbe stata felicissima di non incontrarlo mai più.

Non si ricordava proprio tutto ciò che era successo, ma era sicura di averci passato parecchio tempo assieme, più di quanto fosse accettabile per una templare dell'Ordine. Sperava ardentemente che Isabela avesse ragione sul fatto che nulla fosse accaduto tra lei e l'ex templare quella sera, ma non potendo esserne certa, aveva intenzione di evitarlo per il resto della vita.

Individuò la Somma Sacerdotessa Elthina parlare con un paio di Sorelle chine a sostituire le candele scarlatte ai piedi delle statue.

«Marian?»

Sentendosi chiamare, si girò verso il corridoio alla propria destra, sorpresa.

Riconobbe all'istante i capelli rossi e l'armatura candida dell'uomo che si avvicinava, sentendosi arrossire per l'imbarazzo. «Ah, buonasera...» Si rese conto che non aveva la minima idea di come si chiamasse l'uomo di Starkhaven.

L'altro sorrise, mostrando i denti bianchi a contrasto con la pelle abbronzata. «Non ci siamo ancora presentati ufficialmente, in effetti. Sebastian. Sebastian Vael.»

«Vael?» Corrugò la fronte, pensosa. L'aveva già sentito da qualche parte...

«La mia famiglia ha regnato sulla città di Starkhaven per generazioni.» Le corse in aiuto lui, appoggiandosi alla balaustra accanto a lei. «Fino a poco tempo fa.» Sembrava turbato.

«Dovrei ringraziarvi, per l'altra sera.» Ruppe il silenzio Marian dopo un poco.

«Figuratevi.» Accennò un sorriso, gli occhi di un azzurro intenso che si posarono per un breve attimo nei suoi, per poi tornare a guardare la statua di Andraste di fronte a loro. «Eravate in difficoltà, ho fatto il minimo.»

«Avreste potuto ignorarmi, soprattutto dopo...» “che la mia amica ha provato a molestarti all'Impiccato” «avervi infastidito in quel modo.»

Sebastian ridacchiò, scuotendo la mano. «Sono certo che la vostra amica volesse solo trovare il modo per risollevarvi il morale, anche se con un approccio... sfacciato.»

«È tipico di Isabela. E...» sospirò profondamente, torcendosi le dita «non ero esattamente al meglio di me, ho avuto recentemente un lutto in famiglia.» “Ultimamente, sembra di non avere altro.”

L'uomo riportò l'attenzione su di lei. «Ho saputo. Le mie condoglianze.»

Marian annuì, un nodo alla gola. Tornò a guardare la Somma Sacerdotessa, che ora conversava amabilmente con una delle Sorelle più anziane, sedute in una delle alcove della chiesa.

Anche Sebastian le stava osservando, lo sguardo cupo. «So come ci si sente. A perdere la propria famiglia, intendo.» Strinse la balaustra fino a sbiancarsi le nocche. «Ho detto che i Vael hanno governato Starkhaven fino a poco tempo fa... quello che intendevo, è che la settimana scorsa mi è giunta notizia di come siano stati assassinati quasi tutti.»

Marian lo guardò sorpresa. «Mi dispiace.»

«La cosa peggiore è non poter fare nulla. La Somma Sacerdotessa Elthina-» guardò la Sacerdotessa, scuotendo la testa. «Avevo affisso una ricompensa per chiunque fosse riuscito ad eliminare la compagnia mercenaria dei Flint, ma ha fatto rimuovere la pergamena più di una volta.»

«Non è molto nello stile della Chiesa, a meno che non si parli di una Santa Marcia.»

«Sono perfettamente consapevole che la Chiesa non perdona l'omicidio. E nemmeno io ci riesco, se per questo.» Inspirò profondamente, la luce tremula del grande cero tenuto dalla statua della Profetessa che si rifletteva sulla sua armatura lattea. «Voglio che quegli assassini sappiano che non c'è un singolo luogo sicuro in tutti i Liberi Confini dove nascondersi.»

«Volete vendicarvi.»

La guardò dritta negli occhi, l'espressione tormentata che era la stessa che vedeva allo specchio da giorni. «Non vorreste fare lo stesso? È davvero così sbagliato, cercare di dare pace ai morti, vendicare la mia famiglia e-» Strinse la mascella, abbassando la voce fino ad un sussurro. «Non mi importa dei voti che ho preso, i colpevoli devono essere puniti.»

Marian sospirò profondamente. Sebastian aveva ragione, se fosse stato possibile avrebbe sterminato tutti i Prole Oscura sopra e sotto la superficie dell'Intero Thedas, ma era impensabile. Una compagnia mercenaria, d'altro canto, era un obiettivo molto più a portata di mano. «Dovremmo scoprire chi li ha ingaggiati. Avete qualche sospetto, qualche nemico della vostra famiglia?»

L'espressione sorpresa dell'uomo la fece sorridere. «Volete... aiutarmi? Così, di punto in bianco?»

Si strinse nelle spalle. «Avete ragione, su tutto. Se potessi, mi vendicherei anch'io, ma contro Prole Oscura e tunnel franati non posso fare granché. Aiutarvi ad avere la vostra vendetta mi sembra un buon modo per ottenere almeno un po' di giustizia in questo mondo.»

«La Somma Sacerdotessa avrebbe da ridire.»

Arricciò il labbro in un sorrisetto. «Per questo lei è la sotto e noi stiamo complottando qua sopra.»

Lo vide esitare. «Mi sembra di tradire la sua fiducia, così. Ma se è l'unico modo...»

«Lo è. Certo, potete sempre dimenticarvi di tutta la faccenda, ma se qualcuno sta dando la caccia ai Vael, presto o tardi vi ritroverete un coltello nella schiena. Tanto vale colpire per primi.»

Sebastian ricambiò il sorriso. «Siete una donna interessante, Marian Hawke. Persino per una Templare. La penso esattamente come voi, ma da solo non avrei avuto molte speranze.»

«Fortuna che mi state simpatico, quindi. E che vi devo un favore, più o meno. Anzi, conosco un altro paio di persone che ci daranno una mano, così avremo più possibilità di scoprire il mandante.» Si fermò un attimo a riflettere, pensierosa. Isabela avrebbe voluto una ricompensa, Fenris forse si sarebbe aggregato volontariamente, per quanto riguardava Aveline, invece, Marian non aveva dubbi che l'amica si sarebbe scagliata contro i mercenari con tutta la forza che aveva solo perché era la cosa giusta da fare. «Avete parlato di una ricompensa, prima?»

Sebastian aggrottò le sopracciglia, ma sembrava divertito. «Tante belle parole e ora mi chiedete dei soldi, Ser Marian?»

Ridacchiò. «Io posso avere tutte le buone intenzioni del mondo, ma Isabela è fedele al suo codice da pirata. Non muove un dito se non c'è da ricavarci qualcosa. E a meno che non vogliate subire le sue molestie tutto il tempo, conviene darle un buon motivo per collaborare...» “Probabilmente lo infastidirà comunque, ma meno. Almeno spero.”

Sebastian annuì. «Mi fido di voi, se dite che la vostra amica può essere un'alleata preziosa, saprò ricompensarla per il suo aiuto. E anche voi, ovviamente.»

Marian alzò una mano, scuotendo la testa. «Figuratevi, non sarà necessario...»

«Eppure mi pareva di capire che avevate perso parcchio denaro, o meglio che ve l'avessero rubato

Sentì imporporarsi le guance. «Non importa, davvero.»

«Come volete. Siete sempre in tempo per cambiare idea, comunque.» Lanciò uno sguardo di sbieco alla Somma Sacerdotessa, che li stava fissando corrucciata, abbassando ulteriormente la voce. «So dove si nascondono i mercenari, hanno un covo giù al porto, in uno dei vecchi magazzini.»

«Possiamo attaccarli domani notte. Ho amici nella Guardia Cittadina, possono bloccare l'accesso al vicolo ed evitare che qualcuno dia l'allarme mentre noi ripuliamo il covo.» Riflettè Marian. «È meglio che l'Ordine non venga a sapere nulla, ma se trapela qualcosa posso sempre dire di essere accorsa dopo aver sentito le urla dello scontro.»

«Mi sembra perfetto. Grazie, davvero.» Le tese la mano, riconoscente.

Marian la afferrò, stringendola saldamente. «Vedrete, scopriremo chi è il mandante.»

Sebastian sembrò voler aggiungere qualcosa, quando vennero interrotti da dei passi alle loro spalle.

«Me ne vado per un po' e tu progetti massacri con perfetti sconosciuti?»

Il cuore della ragazza perse un battito.

Si voltò lentamente, non osando sperare di aver davvero riconosciuto il proprietario di quella voce.

Di fronte a lei, accanto alla torcia che gli illuminava il volto stanco e segnato, la barba lunga e i capelli più spettinati che mai, c'era suo fratello Garrett. «Hei, Marian.» Tentò di sorriderle, poco convinto, le mani strette attorno all'arco magico quasi ad aggrapparvicisi.

Rimase impalata a fissarlo come un'idiota, sbattendo le palpebre come ad assicurarsi che non fosse un'allucinazione.

«Dì qualcosa, ti prego.»

Aprì la bocca, ma non le uscì alcun suono.

Lui si grattò un orecchio, a disagio. «D'accordo, ti do' una mano... “Garrett, mi sei mancato”. Sì, Marian, anche tu mi sei-»

«Eri morto. Dovresti essere morto.» Riuscì a rantolare lei, incredula.

«Beh, non lo sono, grazie tante... Anche se il Creatore ci si è messo proprio d'impegno, stavolta.»

«Come... abbiamo sentito che eravate rimasti intrappolati sotto una frana, quel nano, come si chiama lui, ha detto-»

«Bartrand,» la interruppe lui serrando la mascella, furente «quel verme traditore ci ha chiusi in un Thaig apparentemente senza uscita per non dividere i profitti. Dovevamo immaginarlo, che avrebbe raccontato una triste storia per pararsi il culo...»

Le venne da ridere, mentre le scappava un singhiozzo sollevato. Cercò di darsi un contegno, asciugandosi una lacrima che le era sfuggita. «Non vorrei essere in lui quando gli metterete le mani addosso.»

«Varric è furioso. Ma alla fine faremo un sacco di soldi con quello che abbiamo recuperato, vedrai, nostra madre tornerà a vivere nella villa di famiglia e finalmente smetterà di darmi del buono a nulla, ti immagini, trasferirsi in città alta con tutti quei nobilotti, noi dei Ferelden-»

«Garrett?»

Il fratello interruppe il suo sproloquio nervoso, deglutendo a vuoto.

Marian si costrinse a fare la domanda che le ronzava in testa. «Dov'è Carver?»

Lo vide stringere con più forza l'arco, gli occhi che rifuggivano i suoi. «È stato... abbiamo incontrato dei Prole Oscura, nelle Vie Profonde. Avevi ragione, ce n'erano troppi per...»

Si sentì sprofondare fino alle viscere della terra. Chiuse gli occhi, concentrandosi sul proprio respiro. «È morto anche lui, quindi.» Il tono piatto con cui lo disse spaventò perfino sé stessa. Le mancava l'aria.

«No!» La contraddisse allarmato l'altro, facendola sussultare. «Fortunatamente abbiamo incontrato dei Custodi Grigi, che hanno accettato di reclutarlo. Ora è probabilmente a cavalcare grifoni e bearsi del fatto di non doverci più sopportare, hah, beato lui...» Cercò di buttarla sul ridere, come faceva sempre quando era a disagio.

La rivelazione la lasciò ancora più sorpresa che il saperlo morto. “Carver, un Custode Grigio?” Scosse la testa, il sollievo che le permetteva di respirare di nuovo. «Andraste, grazie.»

«È in buone mani, il Comandante Adrien è un Custode Grigio rinomato, Carver non avrà problemi con lui a farsi accettare dall'Ordine, e-»

Marian si ritrovò a stringerlo in un abbraccio, colmando la distanza tra di loro in due rapide falcate e stritolandolo contro la sua armatura. Nascose il viso nell'incavo del collo del fratello, aggrappandosi a lui quasi con disperazione, vergognandosi di sé stessa ma non riuscendo a costringersi a lasciarlo andare.

«Marian, mi stai strangolando...» Rantolò l'altro, prendendola in giro ma stringendola a sua volta.

«Stà zitto. Dovrei ucciderti, per avermi fatto preoccupare così tanto. Non hai idea-» si zittì, mordendosi il labbro inferiore e serrando le palpebre. «Non farlo mai più. Mai più

«Mi dispiace, avremmo dovuto darti retta...»

Annuì, ma non aveva la forza di sgridarlo di nuovo. Non dopo come si era ridotta nei giorni precedenti. «Anche a me. Per quello che ti ho detto. Non...» “Non volevo, sono una persona orribile e una sorella ancora peggiore, perdonami per essere quasi morto pensando che ti odiassi?” No, non sarebbe riuscita a dirlo. «Mi dispiace.» Sciolse l'abbraccio, allontanandosi un poco. «Nostra madre?» “Creatore, come l'avrà presa? Dopo Bethany...”

«Sono passato da lei come prima cosa. Ha... accettato la cosa. Più o meno.»

«Deve essere dura, per lei. I gemelli...» Lasciò la frase in sospeso, era inutile continuarla.

Garrett annuì. «Credimi, se potessi fare cambio-»

«Non è stata colpa tua.» Lo interruppe senza pensarci un attimo, lasciandolo sorpreso. «Carver è sceso là sotto con te perché ha sempre avuto la testardaggine di un mulo come tutti noi, e Bethany...» scosse la testa, abbassando lo sguardo sul pavimento, mortificata. «Non avrei dovuto dirti quelle cose, l'ultima volta.»

Lo sentì sospirare. «In parte, lo è. Avrei potuto costringere Carver a restare a casa con nostra madre. E quello che è successo a Beth...» Le mano destra del fratello si chiuse a pugno, le unghie premute contro il palmo, la mascella serrata. «Mi sono immobilizzato, e ho lasciato che la prendesse.»

Gli prese la mano, costringendolo ad aprirla, i segni impressi sulla pelle. «Era coraggiosa, si è frapposta tra te e quel coso senza pensarci un attimo. Sappiamo benissimo entrambi che se scoprisse che te ne ho fatto una colpa, mi sbraiterebbe addosso.»

Sorrisero entrambi.

«Ho esagerato. E mi dispiace.» Continuò lei. «Non addossarti la colpa anche di Carver.»

Garrett sembrò esitare, come a ponderare se parlare o meno. Alla fine, incrociò il suo sguardo, determinato. «Non è l'unica cosa che mi hai detto, quella volta, non l'ho dimenticato. E sappi che non torno indietro sulle mie decisioni.»

Marian sospirò, rassegnata. «Sei un maledetto stupido ostinato.»

«È tipico degli Hawke, no?»

Annuì. «Già.» Si ritrovò a giocherellare con le fibbie che legavano il fodero della spada lunga alla cintura. «Anche io resto della mia decisione. Non voglio sapere niente di quello che fai nel tuo tempo libero, e ho intenzione di adempiere al mio ruolo di Templare al meglio delle mie capacità, secondo ciò che ritengo giusto.» Sembrò che Garrett stesse per replicare, ma lo fermò prima che potesse interromperla. «Tuttavia,» calcò il tono, accennando un sorriso «sei pur sempre mio fratello, non ti trascinerò al macello. Solo, cerca di evitarmi il più possibile quando sono in servizio. Per il tuo amico, invece, non faccio promesse.»

Garrett si concesse una risatina divertita. «Ne prendo nota. Starò attento.»

Gli lanciò uno sguardo scettico. «Sono seria, Garrett.»

«Anche io. Cercherò di non litigare con i tuoi amichetti, lo prometto.»

«Lo sai che guardi sempre a sinistra prima di raccontare qualche palla?»

«Chi, io?! Mai!»

Roteò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. Qualche settimana prima gliele avrebbe suonate, ma dopo tutto quel casino... era quasi grata di averlo di nuovo lì a mettersi nei guai.

Quasi.












 

FINE PRIMO ATTO


















 

Note dell'Autrice: Adrien de Lancourt è il mio Custode Orlesiano. Mi spiace un po' non aver trattato gli eventi di Amaranthine, ma sono contenta di averlo inserito qui, al posto di StroudL'InutileCarneDaMacello. Oghren ricompare perchè non ha alcun senso che sia sparito per sempre dopo essesi unito ai Custodi, mentre Nathaniel è stato nominato Arle di Amaranthine assieme a sua sorella, lui come rappresentante dei Custodi e lei come erede degli Howe. Alla fine Elissa, che comunque conosceva gli Howe, non poteva accusare l'intera famiglia di tradimento e ucciderli tutti, quindi come ha scoperto che Nathaniel era vivo e si era pure unito ai Custodi, dopo la battaglia ha restituito almeno in parte la fortezza e le terre agli Howe. Quando non serviranno più ai Custodi come punto strategico, passerà completamente nelle mani di Delilah e Thomas (il figlio minore di Rendon, che ha attualmente quindici anni). 
Per quanto riguarda le scelte in Awekening: il Comandante Adrien non si è fidato dell'Artefice e l'ha ucciso, ha lasciato una guarnigione alla Fortezza che è riuscita a resistere grazie a restauri e miglioramenti delle difese e ha scelto di salvare la città e i suoi abitanti. 
Successivamente, ha saputo di Picco del Soldato da Levy Drynden, ha distrutto il demone con l'aspetto di Sophia e ordinato ad Avernus di tornare a lavorare su una cura utilizzando però metodi più etici. Picco del Soldato è ora saldamente in mano ai Custodi Grigi, che hanno così una base stabile nel Ferelden oltre ad Amaranthine (e per questo possono permettersi di lasciarla piano piano agli Howe). 
Chissà, magari lo rincontreremo in seguito.

Per quanto riguarda gli Hawke, invece, per una volta la famiglia è rimasta unita nella perdita di Carver, forse perchè non è morto, forse perchè hanno già sopportato tanto e sono anche ormai stanchi di addossarsi le colpe di tutto e poi rimpiangerlo qualche momento dopo. 
Le tensioni tra i due fratelli maggiori si sono un po' sopite ma non certo sparite, vedremo come si evolverano negli anni a venire... 
Al prossimo capitolo! 

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Capitolo 12
*** Resistance ***


ATTO SECONDO

 

CAPITOLO 12 - Resistance

 





Poteva sentire lo sguardo insistente della megera puntato sulla nuca. “Se il disprezzo del vicinato potesse uccidere”, pensò Garrett ridacchiando tra sé e sé, “sarei già un cumulo di cenere”.

Si voltò verso Lady Conrad, rivolgendole il sorriso più smagliante e strafottente che riuscisse a fare. «Bella giornata per impicciarsi dei fatti altrui, vero?»

Quella non provò nemmeno a discolparsi, assottigliando lo sguardo in una smorfia di disgusto malcelato.

«Se vede da qualche parte uno dei bruchi che mi stanno mangiando tutta la siepe, me lo faccia sapere, d'accordo?» La prese in giro, salutandola con la mano e incamminandosi verso la strada principale accompagnato dal borbottare inviperito dell'anziana nobile.

La città alta a quell'ora del mattino brulicava di gente.

I mercanti facevano a gara per promuovere la loro merce ai ricchi passanti, spenzolandosi dalle bancarelle e lanciandosi in doti sperticate su quanto fossero morbidi i tessuti, lucidi gli specchi e finemente intarsiate le suppellettili inutili (e pure pacchiane, a suo dire) che offrivano a chiunque gli capitasse a portata d'orecchio.

Tirò dritto fino al fornaio, dove una lunga fila di persone aspettava il proprio turno cercando di rubarsi il posto a vicenda, provocando litigi e tafferugli.

Sogghignò, passando sul retro e bussando alla pesante porta di legno massiccio.

Dopo pochi secondi, vi fece capolino un'elfa sulla ventina, i capelli legati sotto un buffo cappello e il grembiule azzurro a scacchi bianchi sporco di farina. «Ah, Serah Hawke!» Lo salutò a bassa voce, illuminandosi. «Siete riuscito a venire, per fortuna, temevo-» scosse la testa, sorridendo. «Siete di parola, come dicono tutti, non avrei dovuto dubitare di voi.»

Garrett scrollò le spalle. «Figurati, non preoccuparti, Merrill è un'amica e quando mi ha detto di vostra sorella...» Si frugò nella bisaccia che portava a tracolla, allungandole un pacchettino avvolto con cura in una stoffa beije. «Una al giorno, per almeno una settimana. Ordine del guaritore.»

Il sorriso dell'elfa si allargò ulteriormente, stringendo al petto il pacchetto. «Sia ringraziata Andraste per la vostra generosità, serah. Davvero non vi devo nulla?»

Stava per rifiutare, quando una zaffata di dolci appena sfornati gli fece venire l'acquolina in bocca.

L'elfa parve notarlo, perché gli chiese di attendere un attimo, sparendo all'interno del negozio e tornando dopo un paio di minuti con un cestino coperto da un panno a scacchi come il suo grembiule, da cui proveniva un profumo meraviglioso. «Appena fatti, Serah. La nostra specialità. Anche se è poco per tutto quello che fate per noi...»

Garrett allungò le mani, afferrando il cestino e annusandone il contenuto. «Se non ci foste tu e tua madre a lavorare qui, il vecchio Earl non avrebbe nemmeno la metà di quella gente fuori in coda, Elin.»

L'elfa arrossì fino alle orecchie, accennando un inchino. «Grazie ancora, Serah Hawke.»

Le strizzò l'occhio, salutandola e allontanandosi a passo spedito, tagliando per la piazza principale e iniziando a scendere le scale verso la città inferiore, quasi di corsa, il cestino stretto tra le mani. Un paio di lavoratori del porto provenienti dal Ferelden alzarono la testa dai dadi su cui stavano scommettendo, salutandolo con la mano e augurandogli buona giornata. Deviò poco prima del mercato, infilandosi in uno dei vicoli che portavano verso il porto. Gli parve di intravedere Gamlen discutere animatamente con un uomo di mezz'età, ma preferì non immischiarsi. Arrivato di fronte all'ingresso dei cunicoli per la città oscura, azionò l'argano che portava ai livelli inferiori della città.

Il tanfo di chiuso, sporcizia e umanità che si respirava là sotto lo accolse come uno schiaffo, ma ormai non ci faceva più tanto caso.

Un paio di ragazzini cenciosi giocavano con una palla di pezza, facendola rimbalzare contro il muro e contando i palleggi.

Un uomo pieno di cicatrici lo guardò con il suo unico occhio, piegando la bocca in un ghigno senza smettere di affilare il coltellaccio che teneva tra le mani. Garrett gli fece un cenno a sua volta, riconoscendolo come uno degli uomini della Cerchia.

Una donna gli tese la mano, tremante, mostrando il palmo. «Avete qualche moneta, serah? Per i bambini, muoiono di fame.» Nonostante i vestiti sporchi e il volto affaticato, la sua espressione era fiera, negli occhi qualcosa di più della solita disperazione che albergava nella maggior parte dei mendicanti che affollavano le vie della città oscura.

«Siete del Ferelden, vero?» Le chiese Garrett, frugandosi nelle tasche alla ricerca di qualche spiccio. «Riconosco l'accento.»

L'altra annuì. «Sono scappata qui durante il Flagello. Anche voi?»

«Nato e cresciuto a Lothering.» Rispose, porgendole cinque pezzi d'argento. «Sono passati ormai tre anni da quando hanno ucciso l'Arcidemone, non avete mai pensato di tornare?»

La donna lo squadrò di sottecchi, afferrando le monete e stringendole gelosamente. «Non tutti se la solo cavata bene come voi, messere. Non avremmo soldi per tornare nemmeno se ci fosse ancora qualcosa ad attenderci al di là del mare.»

Garrett sospirò. «Per questo si fa quel che si può per aiutarsi a vicenda. Se avete bisogno di qualunque cosa o cercate lavoro, il rifugio di Lirene è ancora attivo per i Fereldiani. »

«Grazie, messere.» Lo salutò asciutta lei.

Gli parve di avvertire qualcosa, ma non indagò oltre, avviandosi a passo leggero verso la clinica.

Superate le porte, sospirò di sollievo vedendo la sala d'attesa quasi vuota.

Un ragazzotto con un braccio fasciato legato al collo lo salutò allegramente, mentre la madre accennava un sorriso imbarazzato.

«Di nuovo qui, Lucas?»

Quello si esibì in una smorfia imbarazzata. «Stavolta è stato un incidente, davvero!»

La madre gli rifilò uno scappellotto sulla nuca, lo schiocco secco quanto il suo tono. «Fesserie! Lo sapevi che quelle casse erano troppo pesanti per te, e non ti sei fatto comunque aiutare. Ho cresciuto un imbecille, ecco cosa!»

Lucas accusò il colpo senza fare una piega. «Mi avrebbero pagato il doppio, se l'avessi fatto da solo.»

«E ora non ti pagano proprio, genio!» Rincarò la dose la madre. «Serah Hawke, non mi dà mai retta, cosa devo fare? Diteglielo voi, si metterà nei guai e-»

Prima che potesse rimanere invischiato nel loro dramma familiare, la porta scorrevole si aprì lasciando uscire una coppia di giovani elfe che Garrett poteva giurare di aver visto intorno all'Impiccato qualche sera prima.

«Dite ad Isabela che non c'è problema, mi pagherà lei anticipandomi i soldi alla prossima partita a Grazia Malevola.» Disse loro Anders, rifiutando le due monete che gli porgeva una delle ragazze. Notando Garrett, si aprì in un sorriso nonostante le occhiaie a cerchiargli gli occhi. «Garrett! E Lucas, ovviamente. Che hai combinato questa volta?»

La madre del ragazzo si lanciò in un'accurata descrizione di quanto fosse stato stupido e avventato il figlio, rintronando tutti di chiacchiere finchè il guaritore non sparì di nuovo all'interno della stanza portandosi dietro il ferito, chiudendo fuori la donna e bloccando Garrett a subirsi per l'ennesima volta le sue invettive accorate.

Nemmeno mezz'ora dopo, Lucas e sua madre si incamminarono verso casa, lui con una fasciatura più leggera attorno al braccio e lei finalmente in silenzio.

«Oggi c'è meno gente del solito.» Sorrise Garrett in direzione dell'altro e porgendogli il cestino ancora tiepido. «Ho pensato che probabilmente non avevi ancora fatto colazione.»

Anders lo afferrò raggiante, scostando il panno e guardando le frittelle alla crema come se non mangiasse da mesi. «E avevi ragione... muoio di fame!» Si lavò in fretta le mani, recuperando da qualche parte due tazze pulite e versando il tè per entrambi. «Elin sta bene?» Prese una frittella con delicatezza, mordendo la punta e gustandosi la crema e lo zucchero socchiudendo gli occhi.

«Sì, sembra che sia riuscita a non prendersi nulla... Per fortuna.» Fece altrettanto, cacciandosi però l'intero dolcetto in bocca e rischiando di strozzarcisi da quanto era buono. Tossì, bevendo qualche sorso di tè caldo.

Il guaritore scoppiò a ridere, versandogliene dell'altro. «Vacci piano!»

Garrett si leccò lo zucchero dalle labbra, imbarazzato. «Sono troppo buone.»

Anders distolse lo sguardo, divertito. «Concordo, ma sarebbe ben triste se uno degli uomini più chiacchierati e ambiti di Kirkwall morisse nella mia clinica per colpa di una frittella di troppo.»

«Sempre meglio che uscire di nuovo con la figlia dei Deghmont, stavo per tagliarmi le vene dalla noia.» Rabbrividì, agguantando un'altra frittella e ingollandola voracemente.

«Ah, sì, immagino che essere invitati a cena da uno dei più ricchi mercanti di Kirkwall debba essere una vera sofferenza, soprattutto se la fanciulla che ti offre in moglie è pure carina.»

Non gli sfuggì il tono particolarmente piccato nella voce dell'altro. «Come mai sei così informato sul bel visino di Margaret Deghmont?»

Anders fece spallucce, nascondendo il naso nella tazza da tè. «Si sentono un sacco di cose in giro.»

Garrett si lasciò sfuggire un sorrisetto. «Immagino non dicano dell'intrallazzo tra lei e l'elfo che cura il giardino...»

«No!» L'altro sgranò gli occhi dalla sorpresa. «Sul serio?»

Annuì. «Mi chiedevo come facessero ad avere delle siepi così belle, una volta mi è preso un colpo a passare lì vicino, erano potate tutte a forma di cavalli rampanti... tutte scuse per passare più tempo possibile con la giovane e innocente Margaret, immagino.»

Anders, che pareva visibilmente più rilassato, si allungò a prendere un'altra frittella. «Se si venisse a sapere, esploderebbero per lo scandalo.»

«Almeno smetterebbero di parlare di me e di come sto disturbando la quiete del vicinato.»

«Potresti smettere di organizzare una festa al mese, allora.»

«Che gusto c'è ad aver fatto un sacco di soldi se non me li posso godere?» Rimbeccò Garrett, stendendo le gambe e tirandosi indietro il ciuffo ribelle che gli era scivolato sugli occhi. «E poi, l'ultima volta volevo una cosa tra amici intimi, non è colpa mia se Isabela si è lasciata prendere la mano con gli inviti.»

«Ma se hai attirato persino i Templari!» Esclamò Anders, esasperato.

Probabilmente, pensò Garrett, era ancora arrabbiato per essersi preso un colpo ed aver dovuto sgattaiolare via usando il passaggio segreto nelle cantine. Rise, ripensando agli insulti che gli avevano lanciato Marian e il Capitano Cullen dopo aver scoperto che i fuochi artificiali erano opera di un nano particolarmente entusiasta e non di un gruppo di maghi eretici. «Miglior. Compleanno. Di sempre.» Scandì masticando.

«Sei-» Anders si sporse verso di lui, immobilizzandosi a mezz'aria e ritraendosi indietro velocemente, scuotendo la testa. «Hai della crema sul naso.»

«Oh, grazie.» Si ripulì con un dito, cacciandoselo poi in bocca sovrappensiero. In effetti, da due anni a quella parte la sua vita era migliorata drasticamente, al punto che a stento si riconosceva. Se pensava a quando doveva fare a turni con Carver per dormire sul paglione pieno di pulci in casa di Gamlen... Al pensiero, gli si strinse lo stomaco. Avevano ricevuto sue notizie dopo un mese che si erano salutati, e da lì i contatti erano stati sporadici, tuttavia il ragazzo sembrava aver trovato la sua strada, anche se per causa di una serie di sfortunati eventi. Il Comandante Adrien lo aveva preso sotto la sua ala e Carver stava rapidamente conquistando la fiducia e la stima dei suoi compagni, finalmente libero dall'ombra dei fratelli maggiori che, a detta sua, gli avevano sempre tarpato le ali. “A proposito di ali, chissà se i Custodi Grigi hanno ancora dei Grifoni...”

Lo sguardo di Anders puntato su di sé lo riportò alla realtà.

Accortosi di essere stato notato, l'altro si affrettò a rivolgere la sua attenzione verso la fila di boccette dietro il tavolo operatorio, facendo finta di nulla. «Comunque, capisco perché tu sia considerato 'persona poco gradita' dal vicinato.»

Si strinse nelle spalle. «Sopravviverò al dispiacere. Ah, a proposito di feste, Varric ha organizzato qualcosa all'impiccato stasera, per l'uscita del suo nuovo libro. Nulla di che, solo una cosetta tra amici, ma mi ha ripetuto tipo cinque volte di ricordarmi di invitarti. Abbiamo aspettato l'ultimo momento così non potevi inventarti qualche scusa.»

Il guaritore si mosse sulla sedia, a disagio. «Non so se sia il caso...»

«Non abbiamo invitato Templari o Custodi Grigi, promesso. Il massimo che può capitare è che Fenris ti guardi male per tutta la serata.»

«Lo so, ma con un sacco di sconosciuti in giro... e se la situazione sfuggisse di mano? E poi, qualcuno potrebbe avere bisogno di me qui alla clinica.»

«E dai, una sera soltanto.» Cercò di convincerlo Garrett, sporgendosi verso di lui con l'ultima frittella rimasta. «Fallo per tutte le colazioni che ti porto.» Calcando sulle ultime parole, si esibì in una replica degli occhioni da cucciolo smarrito che Merrill usava ogni volta che voleva ottenere qualcosa da loro.

Il risultato fu che Anders quasi si strozzò con il tè, dovendo appoggiare la tazza per non rovesciarla in preda alle risate, portandosi una mano davanti alla bocca e tossendo tra i singhiozzi. Garrett accorse ad aiutarlo, non sapendo bene che fare e restando lì con la frittella a mezz'aria in attesa che l'altro si ricomponesse.

Quando finalmente smise di ridere, le guance erano arrossate e gli occhi lucidi. «Non farlo più, ti prego. Vado dove ti pare, ma non-» scoppiò a ridacchiare di nuovo, scuotendo il capo. «Sei tremendo.»

Garrett si lasciò sfuggire un sogghigno vittorioso, che però sparì immediatamente quando Anders si sporse verso di lui e gli rubò la frittella di mano, cacciandosela in bocca tutta intera. «Hei!»

Il guaritore masticò lentamente, mugugnando compiaciuto e deglutendo rumorosamente. «Hm, meravigliosa, davvero. L'ultima è sempre la più buona.»

Contrariato, Garrett finì di bere il suo tè, guardandosi attorno. «È davvero una giornata tranquilla.»

«Siamo fortunati.» Annuì Anders, alzandosi in piedi e andando a lavarsi le mani. «Ah, quasi dimenticavo, sono riuscito a recuperare questo.» Aprì un cassetto della credenza, rovistando tra una pila di carte ed estraendone un libro dall'aspetto vissuto, la copertina un tempo blu scuro che cadeva ormai a pezzi. Glielo porse, sfiorandogli casualmente la mano. «Dagli un occhio, può tornare utile.»

«Pensavo avessimo deciso di passare alle lezioni pratiche e lasciare da parte i libri...» Bofonchiò Garrett, tuttavia prese il libro e iniziò a sfogliarlo velocemente. Sembrava un qualche trattato sulla magia elementale applicata.

«Lo so che non vedi l'ora di passare alle cose serie, ma quello che ti manca è un'istruzione tradizionale, non possiamo trascendere dai libri se vogliamo arrivare da qualche parte.»

Sbuffò sonoramente. «E va bene, ma ti ho portato la colazione, mi devi almeno un paio d'ore.»

L'altro gli lanciò un sorrisetto. «E va bene, ma solo perché erano dannatamente buone.»



 

Si rialzò da terra, dolorante. «Ho cambiato idea, preferisco studiare.»

Anders lo guardò con l'aria di chi la sapeva lunga.

Prima che potesse aprire bocca, Garrett lo zittì con un'occhiataccia. Si ripulì dalla terra sulla giacca e i pantaloni, constatando di essersi bruciacchiato in più punti. «Non provare a rifilarmi un “te l'avevo detto”, o-»

«O cosa, mh?» Lo prese in giro l'altro, a confronto fresco come una rosa. «Il punto è che non sei abbastanza bravo da prendermi.» Con nonchalance, mosse la mano a bloccare il misero tentativo di Garett di sbalzarlo via con una scarica di energia. «Puoi fare di meglio.»

Lui si appoggiò al muro dietro di sé, riprendendo fiato. Le pareti scrostate dei sotterranei della città erano coperte di muffa e sporcizia varia, l'aria puzzava di fogna. «Sto perdendo le speranze.»

Anders gli si avvicinò lentamente, mettendogli una mano sulla spalla. «Ho una teoria. Non stai attingendo al tuo intero potenziale, anche se non capisco perché.»

Gli rivolse uno sguardo confuso. «Che intendi?»

Il guaritore si grattò il mento, sospirando. «Cercherò di spiegarmi meglio, ma non sono un insegnante e non ho nemmeno idea se sto effettivamente dicendoti cose sensate. Credo che tu sia bloccato da qualcosa. È come se ti stessi risparmiando. Ogni volta che lanci un incantesimo, raccogli prima il mana e lo focalizzi in punto, no?»

Garrett annuì, cercando di seguirlo.

«Ecco, quello che noto è che ci metti più tempo del necessario. Stai troppo a pensarci su e il risultato è mediocre rispetto a quello che ottieni in situazioni in cui agisci d'istinto.»

«Di solito, quando agisco d'istinto mi impanico e non ottengo proprio un bel nulla...» borbottò risentito, abbassando lo sguardo. «Forse semplicemente non sono un gran mago, tutto qua.»

Anders scosse la testa, ostinato. «No, non ci credo. Lo avverto, ogni volta che provi a lanciare un incantesimo, è come se ti tirassi indietro. Credo sia un problema di focalizzazione.»

Garrett si trattenne dal rispondergli in modo molto volgare. «In ogni caso, sono sporco di terra, bruciacchiato, credo di essermi slogato una spalla e ho rischiato due volte di dare fuoco al corridoio, possiamo chiuderla qui per oggi.»

«Sei tu che hai insistito! Te l'avevo detto che-»

«Anders!»

Lo guardò in cagnesco, incrociando le braccia e dandogli poi le spalle, incamminandosi verso la scala a pioli che li avrebbe riportati alla città oscura. Prima che potesse fare qualche metro, però, si sentì afferrare di nuovo.

L'altro lo costrinse a voltarsi e guardarlo negli occhi. Cercò di evitare il suo sguardo inquisitorio, scostando il viso.

«C'è qualcosa che mi stai nascondendo.» Insistette Anders.

«Senti chi parla, mister abominio luminoso.» Sputò tra i denti, velenoso. «Non sto facendo alcun miglioramento, è ora di accettare il fatto che come mago faccio schifo.»

«Non fai schifo!» La presa sulle spalle si fece più forte. «Non voglio sentirtelo ripetere, sai che non è vero. E non mi importa quanto hai intenzione di insultarmi, ho detto che ti aiuterò e intendo farlo comunque, che ti piaccia o meno.»

«Puoi lasciarmi andare?»

«No.»

Rimasero a sfidarsi per qualche secondo, finchè fu Garrett a cedere. «Mi dispiace, ma non so cosa farci. Non riesco a focalizzare, o quello che è, non ci riesco. Ho paura di combinare un casino.»

«È per questo che siamo qui sotto.» Insistette Anders. «Anche nel peggiore dei casi, siamo lontani dalla città e non c'è nessuno a cui potresti fare del male.»

“Ci sei tu”, avrebbe voluto rispondergli, ma si morse la lingua, restando in silenzio.

Il guaritore sospirò, allentando la presa e lasciandogli semplicemente una mano sulla spalla. «Non so cosa ti sia successo, Garrett, e non voglio forzarti a fare niente, però se non superi la paura che hai di te stesso, non andrai da nessuna parte.»

«Stronzate. Non ho paura di me stesso.»

«E allora dimostralo. Coraggio. Usa tutto il tuo potenziale. Lo vedo che ti stai tirando indietro.»

Appoggiò la testa contro il muro, esausto. «Non so come fare, va bene? Ci penserò, promesso, ora usciamo da qui prima che ti vomiti addosso.» Lo spinse via in modo brusco, superandolo a passi larghi e andando verso l'uscita.

Percorse i cunicoli sotterranei a memoria, ormai li usava quasi tutti i giorni per muoversi più velocemente dalla città alta ai piani inferiori.

Quando arrivarono davanti al bivio, aspettò che Anders lo raggiungesse.

«Allora... ci vediamo stasera?» Gli chiese lui, incerto.

Ci mise un po' a rispondere. «Potresti passare da casa mia. Ho le copie del Manifesto, finite di stampare ieri notte. Mi ci è voluto un po', ma Varric aveva ragione, la sera dopo le otto non c'è mai nessuno a controllare.»

Anders sembrò restio all'idea di accompagnarlo. «Non credo sia una buona idea, e Leandra già sospetta-»

«Mia madre non ci sarà nemmeno, ultimamente è sempre fuori con le sue nuove vecchie amiche di infanzia, viene invitata a talmente tanti salottini di pettegole che mi stupisce abbia ancora voglia di parlare quando torna a casa.» Lo rassicurò lui.

«Allora d'accordo...»

Garrett cercò di nascondere il sorriso di vittoria spuntatogli sul volto. Anders era sempre stanco e si bistrattava troppo alla clinica tra malati e attaccabrighe, se riusciva a fargli fare una mezza giornata di vacanza ogni tanto era solo positivo. Inoltre, le condizioni igienico-sanitarie della città oscura erano da paura, e Garrett ancora si ricordava quanto era stato grato a Varric le volte in cui il nano gli aveva lasciato usare la sua vasca da bagno invece di quella comune nei quartieri bassi.

Se Anders non si curava di sé stesso, doveva pensarci qualcun altro.

“A questo servono gli amici, no?” Pensò, lanciandogli un'occhiata di sottecchi, soffermandosi sulle spalle magre e le dita affusolate dell'altro, il profilo del naso, i capelli raccolti poco sopra la nuca...

Distolse lo sguardo.

Camminarono in silenzio tra i cunicoli. Solo un paio di volte sentirono dei passi avvicinarsi, ma riuscirono ad evitare chiunque si nascondesse là sotto con facilità. In fondo, tutti quelli che usavano quei passaggi avevano ottimi motivi per farsi gli affari propri.

Sollevarono la botola, spuntando nelle cantine.

«Oh, per gli antenati-! Serah Hawke, mi farete prendere un accidente uno di questi giorni.» Bodahn Freddic, che aveva deciso di lavorare per lui come maggiordomo tuttofare per sdebitarsi di come Hawke aveva ritrovato Sandal nelle Vie Profonde, era quasi caduto a terra dalla paura. Si era portato una mano sul petto con fare teatrale, sospirando profondamente. «Non mi abituerò mai a questa vostra fissazione di spuntare dal pavimento...»

«Scusa, Bodahn. Mi sono dimenticato di bussare.» “Un'altra volta.” Doveva ammettere che, nonostante fosse una cosa abbastanza meschina, vederlo spaventarsi così tanto per un niente lo faceva divertire parecchio.

«Ah, non fa niente signore.» Disse il nano, ritornando a scrutare le bottiglie di vino con aria critica. «Vostra madre mi ha detto di far decantare un buon rosso per stasera, ma devo ammettere con rammarico che non ne capisco molto...»

Garrett scoppiò a ridere. «Ti svelo un segreto, Bodahn, nessuna delle amiche di mia madre ne capisce un accidenti, di vino, lei compresa. Prendine una a caso con almeno un dito di polvere sopra e vai sul sicuro, se l'hanno tenuto ad invecchiare va bene.»

Il nano gli rivolse un mezzo sorriso riconoscente, mettendosi a passare l'indice sulle bottiglie impilate minuziosamente.

«Sai, conosco un paio di persone che avrebbero da ridire su questa tua idea distorta sul vino.» Commentò Anders divertito. «Geralt ne resterebbe inorridito, per esempio.»

«Mi spiace, dal basso della mia vita da comune paesano che doveva faticare per guadagnarsi da vivere, non ho mai potuto apprezzare il dolce far niente con un buon calice di vino in mano, seduto tranquillamente su qualche divano morbido.» Replicò prendendolo in giro.

Gli parve che negli occhi color miele dell'altro passasse un lampo di luce, ma durò appena un battito di ciglia. «Non era tutto rose e fiori.»

«Sì, Anders, lo so. Me lo ripeti tutti i giorni, fino alla nausea.»

«Se avessi vissuto quello che ho vissuto io non ci scherzeresti sopra.»

Lo guardò dritto negli occhi, inarcando un sopracciglio. «Rispondimi sinceramente. Ti sembro una persona seria?»

Quello mise il broncio. «Sembri un idiota.»

«Esattamente.»

Bu corse loro incontro, fermandosi a distanza di naso con aria schifata e curiosa.

«Ciao, bella. Sì, puzziamo come pantegane.» La salutò Garrett.

La mabari parve decidere che non le importava granchè, perché gli saltellò attorno tutta contenta in cerca di coccole mentre salivano le scale verso la sua stanza.

Il grande letto a baldacchino era stato appena rifatto, nel caminetto scoppiettava un fuoco allegro e un cambio di vestiti pulito spiccava fresco di stiro sulle morbide coperte.

«Dicevi, riguardo alla vita tutta rose e fiori?» Lo canzonò Anders, togliendosi il mantello ornato piume e appendendolo all'attaccapanni di legno. Si avvicinò alla scrivania, incuriosito. «Questo cos'è?»

Voltandosi per vedere di cosa stava parlando, Garrett arrossì improvvisamente.

Tra le mani, il guaritore teneva un quadernetto di pergamena ruvida, le pagine piene di disegni in carboncino.

«Ah, niente, non-» Fece per riprenderselo, ma era ormai troppo tardi.

Anders si mise a sfogliarlo, il naso tra le pagine, soffermandosi qualche secondo su ogni foglio, il volto che si apriva in un sorriso ammirato. «Non sapevo avessi del talento!»

«Se lo dici così sembra un'offesa.» Si affrettò a strapparglielo di mano, imbarazzato. «Comunque non... è solo per passare il tempo.»

«Invece sei parecchio bravo. Per un comune paesano, s'intende.»

«Quanto hai intenzione di menarmela, ancora? Così mi preparo.» Replicò piccato, infilando il quaderno in uno dei cassetti sotto la scrivania. «Non sei divertente.»

«D'accordo, scusa. Sono belli davvero, però.»

«Grazie...» Non era solito farli vedere in giro. Se ne vergognava pure un po' a dirla tutta. Pregò che non avesse visto proprio tutto, aveva fatto anche qualche tentativo di ritratto dei propri amici e non tutti erano venuti granchè bene. Per altri, si era preso pure qualche licenza artistica... «Vado a prepararmi un bagno, se persino Bu ci ha pensato un attimo prima di correrci addosso, significa che siamo davvero infrequentabili.»

Anders si accasciò sulla sedia. «Un buon motivo per non andare alla festicciola di Varric...»

«Non se ne parla, gliel'ho promesso.» Aprì l'armadio, rovistando tra gli abiti appesi e lanciando uno sguardo pensoso all'amico. Ancora incerto, estrasse tre completi diversi, appoggiandoli sul letto. «Vedi quale ti sta meglio. Sei dimagrito ancora.»

Anders scosse le spalle. «Ho un sacco di lavoro da fare, non ho nemmeno tempo di mangiare.»

Garrett si morse il labbro, imponendosi di non rispondere e appuntandosi mentalmente di trovare più tempo libero per assicurarsi che l'altro non si lasciasse morire di fame per colpa di Giustizia e della sua ossessione per la clinica e la Resistenza. «Lo so. Sono qui apposta.»

Si infilò nel bagno, azionando il meccanismo del serbatoio che, tramite una serie di rune, teneva l'acqua immagazzinata ad una temperatura adeguata.

Immerso nell'acqua calda fino alle spalle, appoggiò la schiena alla vasca, ripensando a quello che gli aveva detto Anders quel pomeriggio. Era davvero sicuro lasciarsi andare del tutto alla magia che ancora non riusciva a controllare, proprio per comprenderla al meglio e imparare a dominarla?

Inspirò profondamente.

Come poteva fidarsi di sé stesso al punto da lasciare che tutta quell'energia fluisse senza controllo? E se avesse fatto del male a qualcuno, se...

Se succedesse la stessa cosa che è successa con papà?”

Malcolm Hawke non era morto in quel modo solo perché lui potesse ripetere le stesse idiozie.



 

L'Impiccato era pieno zeppo di gente.

Anders, chiaramente a disagio, gli rivolse un'occhiataccia risentita. «“Solo una cosetta tra amici?”»

Si strinse nelle spalle, scostandosi un poco per far passare la cameriera con un vassoio colmo di boccali di birra schiumosa. «Lo conosci. Ha un sacco di amici.»

Il guaritore scosse la testa, borbottando qualcosa che suonava tanto come un insulto.

«Garrett!»

Merrill, che sembrava ancora più minuta in mezzo a quella folla, gli corse in contro fin quasi ad abbracciarlo. Aveva le guance arrossate e un semplice vestito verde foglia che la faceva apparire ancora più carina del solito. «Isabela mi ha lasciata qui da sola e-»

«Gattina!»

La pirata sopraggiunse ancheggiando, attirando come al solito parecchi sguardi lascivi al suo passaggio. La scollatura della camicia era più profonda del solito e tra le mani stringeva due boccali colmi fino all'orlo. Notando i due uomini, scosse i capelli corvini con fare scocciato. «A sapere che sareste arrivati ora, avrei evitato di farmi offrire questi da un tizio con gli occhi da pesce e me li sarei fatti pagare direttamente da te...»

«La solita opportunista.» Fece per prenderne un sorso, ma la donna li allontanò lesta dalla sua portata. «Questi sono per me e la gattina, vai a fare gli occhi dolci al barista.»

Garrett ridacchiò. «Non credo di essere il suo tipo, troppa barba.»

Isabela piegò leggermente la testa di lato, guardandolo lasciva. «Peggio per lui...»

Improvvisamente faceva molto caldo. Afferrò Anders per un braccio, tirandolo verso il bancone. Il tempo di ordinare un paio di birre e tornare dalle due donne che la pirata stava già amabilmente chiacchierando con un paio di uomini ben piazzati, dei tatuaggi da marinaio che spuntavano sotto le camicie. Doveva essere una storia parecchio interessante, perché Merril li guardava rapita, le labbra leggermente socchiuse dalla meraviglia.

«Vi giuro, non ho mai visto un bestione così grosso!» Concluse uno dei due, prendendo qualche sorso dal proprio boccale. «Si è mangiato il mozzo tutto intero, senza nemmeno masticarlo.»

Garrett stava per raggiungerli, quando notò Varric sul fondo della sala. Il nano, che stava intrattenendo un pubblico di una decina di persone, fece loro un saluto entusiasta.

«Donnen Brennokovic ha conquistato i cuori dei lettori!» Esclamò entusiasta, fiero che il protagonista della sua nuova serie di racconti avesse riscosso un tale successo. «Il mio editore ne è entusiasta, la prima settimana di vendite è andata alla grande.»

«Allora posso continuare a farmi mettere la birra sul tuo conto!»

«Stasera sono così contento che potrei pure lasciartelo fare, sai?»

Garrett sogghignò. «Avete sentito, gente?» alzò la voce, facendo girare parecchie teste verso di sé, «Varric offre un altro giro! Brindate, signori e signore, al nostro scribacchino preferito!»

Il sorriso tronfio del nano si trasformò in una smorfia che presagiva vendetta, ma messo alle strette com'era, non potè far altro che annuire e confermare la propria generosità. «Questa me la paghi, Garrett...» Gli bisbigliò tirandolo per un braccio.

Gli rivolse un sorriso smagliante. «Questo è per avermi portato il bombarolo pazzo a casa... non ho ancora sostituito le tende, dopo che ha fatto partire i fuochi d'artificio nel salotto. Volevo solo ricambiare il favore.»

Quando l'editore di Varric si fece strada verso di loro, Garrett si affrettò ad allontanarsi, non volendo restare invischiato in qualche discorso di cui ci avrebbe capito ben poco. Si ritrovò come per caso a dover fare da giudice ad una gara di rutti tra due uomini della Cerchia e una nana dal volto rubizzo, decretando la vittoria di quest'ultima a furor di popolo.

Stava quasi per lasciarsi convincere da Isabela a giocare a Grazia Malevola, quando Merrill gli indicò un punto alle loro spalle.

Anders era appoggiato al muro, il boccale di birra ormai vuoto tra le mani, lo sguardo malinconico puntato sulla sala.

«Ti stai di nuovo autoescludendo.» Gli disse Garrett, avvicinandosi. «C'è posto per un altro giocatore, se vuoi farmi compagnia nel perdere tutta la poca dignità che mi rimane contro Isabela.»

Il guaritore scosse la testa. «Non mi pare il caso, la clinica e la Resistenza ne hanno più bisogno.»

Prese qualche altro sorso di birra. «“Solo lavoro e niente diletto, fan di Anders un infelice perfetto!”» Cantilenò guardandolo di sottecchi.

«Ora mi insulti con le filastrocche?»

«Funziona?»

«No, ma ti meriti un punto per l'originalità.»

Garrett sentì una cerca soddisfazione gonfiargli il petto, per essere riuscito a strappargli una risatina. «Mi accontenterò.» Si guardò attorno, per poi appoggiare il boccale ormai vuoto su un tavolo lì vicino. «Che ne dici se andiamo a prendere una boccata d'aria?»

Anders sospirò sollevato. «Non chiedo altro.»

Sgusciarono via tra la folla, senza essere visti, e si inoltrarono nei vicoletti bui arrivando fino al porto. Si sedettero su una delle balconate che davano sui moli, chiacchierando del più e del meno. Ad un certo punto, la quiete della sera venne disturbata da una serie di grida concitate, che fecero loro aguzzare lo sguardo sulle vie sotto di loro.

Da uno dei magazzini sbucò correndo a perdifiato una figura minuta, probabilmente un ragazzino, che stringeva un pacchetto tra le braccia, inseguito da una guardia grassoccia che urlava improperi da far arrossire anche i marinai più navigati. Il ladruncolo lo seminò senza sforzi, saltando agilmente su una pila di casse e spiccando un balzo sul canale, atterrando come un gatto sul molo opposto e sparendo nell'oscurità.

La guardia rimase a sacramentare per ancora qualche minuto, poi, decidendo che non era pagato abbastanza per rischiare un infarto con tutto quello sforzo, tornò da dove era venuto.

«Quelli della Cerchia si fanno sempre più intraprendenti.»

Anders non sembrava divertito. «Ultimamente mi ritrovo un sacco di ragazzini in clinica, la Cerchia li recluta e loro finiscono per farsi male in qualche stupido tentativo di dimostrarsi più bravi degli altri, e poi vengono da me a farsi rimettere a posto. E ovviamente, non importa a nessuno.»

Si strinse nelle spalle. «Almeno ci sei tu a dargli una mano.»

Lo sentì sospirare di nuovo. «Per ora. Non so quanto ci metteranno i Templari a decidere di fare irruzione nella Clinica, e se dovessero farlo, Giustizia...» Lasciò in sospeso la frase, rabbrividendo.

Garrett gli strinse il braccio con fermezza. «Ti ho promesso che ti avrei aiutato a tenerlo sotto controllo, no?»

«Stavo pensando,» riprese Anders cambiando argomento «per i manifesti, ci serve qualcosa d'impatto. Oltre alle parole, un modo per attirare la gente a prendere in mano un pezzo di carta e mettersi a leggerlo. E per raggiungere anche tutti quelli che non leggono, ovviamente.»

«Che hai in mente?»

«L'idea mi è venuta guardando i tuoi disegni, e la Cerchia...» Gli brillavano gli occhi per l'eccitazione. «Abbiamo bisogno di un simbolo. Noi della Resistenza, e tutti coloro che vogliono un Thedas libero dalla schiavitù e dagli abusi della Chiesa.»

Garrett si grattò la barba, a disagio. «Mi sa che ti stai lasciando un po' trascinare-»

«Ma non capisci? Sarebbe la svolta! Se iniziamo a tappezzare Kirkwall con il nostro simbolo, tutti inizieranno a chiedersi di cosa si tratta. I Templari inizieranno a farsela sotto dalla paura e noi potremmo aumentare la nostra rete di contatti.»

«Non li renderebbe ancora più cauti e paranoici?»

Anders aggrottò le sopracciglia. «Più di così? Non penso cambierebbe molto. Li vedi, gli Adepti della Calma, negli ultimi due anni sono aumentati a dismisura. Si mormora che la Comandante Meredith sia diventata così paranoica da interrogare settimanalmente i suoi subordinati, e che i Templari siano sempre più crudeli con i maghi. Bisogna fare qualcosa, e in fretta.»

«E pensi davvero che far cadere nel panico la città possa aiutarci?»

«Sanno già che siamo qui. Almeno, si renderanno conto che non siamo solo uno sparuto gruppo di rivoltosi, ma che ogni giorno i nostri ranghi aumentano. E non solo noi, ogni famiglia che hanno ferito, smembrato e terrorizzato. Ogni padre o madre strappati alla propria famiglia, ogni bambino portato via dal grembo della madre. Non siamo solo persone, ormai, ma un'idea. E un'idea è come un morbo, contagiosa e difficile da fermare una volta che l'epidemia è in atto. Se arrivasse voce anche agli altri Circoli, dopo la fuga di massa che è avvenuta alla torre di Starkhaven, che è in atto una ribellione su vasta scala, che i Templari non riescono più a fermarci tutti...»

Garrett lo osservava, ascoltandolo rapito mentre esponeva quelle idee tanto pericolose quanto affascinanti. Era sempre stato una persona tranquilla, focalizzata più sul campare alla giornata senza preoccuparsi delle grandi problematiche del mondo e dei giochi dei potenti, ma da quando aveva conosciuto Anders aveva realizzato che era anche suo dovere, di tutti in realtà, fare il possibile per cambiare la situazione in cui vertevano i meno fortunati di lui. I maghi chiusi nei Circoli, i rifugiati come lui che, per sfortuna o per altro, sopravvivevano a stento nei bassifondi, gli elfi che dovevano sopportare soprusi ogni giorno di fronte alla completa indifferenza di chiunque altro...

Faceva il possibile, aiutando la Resistenza a contrastare i Templari, e al contempo aveva trovato il modo di aiutare gli altri donando soldi alle associazioni come quella di Lirene e offrendo lavoro nella miniera che aveva acquisito e in altri piccoli investimenti (per i quali doveva ringraziare Varric e il suo naso fine per gli affari).

Ma Anders era di tutt'altra stoffa, sembrava instancabile, la sua sete di giustizia non poteva che essere alimentata dallo stesso spirito che lo possedeva.

Ci mise un attimo a rendersi conto di aver già deciso.

«Va bene. Lasciami un po' di tempo per inventarmi qualcosa, e tra qualche settimana Meredith non potrà nemmeno andare in bagno senza inciampare in uno dei nostri manifesti.»






















Note dell'Autrice: sono tornata! Non ho alcuna intenzione di abbandonare questa storia, ma tra impegni di lavoro e trasferimenti non ho trovato molto tempo per scrivere in questi mesi e ho preferito che la lunga pausa coincidesse con la fine del primo atto invece che abbandonare per mesi a metà di eventi importanti. La situazione è ora di nuovo sotto controllo, quindi gli aggiornamenti torneranno ad essere più o meno regolari, probabilmente ogni due settimane. 

Sono passati poco più di due anni da quando la spedizione è riemersa dalle Vie Profonde, la situazione economica e sociale degli Hawke-Amell è cambiata parecchio, ma alcune cose restano le stesse. Garrett è maturato molto da quando è arrivato a Kirkwall e si è reso conto che può fare molto per cambiare le cose, pur continuando ad assecondare la sua natura più giocosa tra feste e incontri notturni, si prende sempre più a cuore le sorti dei meno fortunati e cerca di fare la sua parte. 
Purtroppo, la quiete apparente che grava sulla città non durerà a lungo. 
A prestissimo! 

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Capitolo 13
*** Hard Knocks ***


 

CAPITOLO 13
Hard Knocks

 

 

Si asciugò il sudore dalla fronte, osservando soddisfatta le reclute combattere tra loro.

«Lucille, più alto quello scudo. E Martin, quella non è una margherita ma una spada lunga, per Andraste!»

I diretti interessati si affrettarono ad obbedire, arrossendo per l'imbarazzo. Marian sorrise. Per come stavano andando ultimamente le cose, avevano bisogno di nuove reclute che fossero competenti. Quando la Comandante Meredith le aveva assegnato l'addestramento degli uomini e donne a ridosso della promozione a cavalieri, si era sentita fiera di sé stessa come non mai. Lei, templare da poco più di tre anni, era tenuta in così alta considerazione.

Certo, non era tutto rose e fiori, i suoi nuovi compiti si sovrapponevano a quelli che già aveva, ma nonostante tornasse ai dormitori distrutta e si addormentasse appena toccato il cuscino, non le passava minimamente per la testa di lamentarsene. La stima della Comandante le avrebbe permesso di scalare i ranghi più velocemente. E quello significava poter dare di più all'Ordine e alla città che proteggevano, ma anche ai maghi sotto la loro responsabilità.

Notò Ruvena e Hugh entrale nel cortile. Li salutò con un cenno del capo, che loro ricambiarono stancamente.

Lo stomaco le ricordò che era quasi ora di pranzo.

Si schiarì la voce, richiamando le reclute sull'attenti. «Ottimo lavoro, tutti quanti. Miles, vai a farti controllare quel braccio in infermeria. Gli altri, potete andare a mangiare. A domani.»

Il sollievo sulle facce di tutti la fece sorridere. Avevano giusto un'ora per il pasto, poi si sarebbero divisi tra ronde e lezioni teoriche.

Raggiunse i due amici, che la stavano aspettando poco lontano.

«Fanno progressi.» Commentò Hugh, osservando i ragazzi e le ragazze che parlottavano animatamente mentre salivano le scale per il refettorio.

«Sanno che tra due settimane darò i risultati al Capitano per l'investitura.»

«Ah, sembra solo ieri che abbiamo superato la nostra Veglia!»

«Ma se hai dormito per la metà del tempo, Hugh...» lo prese in giro Ruvena, mentre si accodavano alle reclute, nascondendosi dal sole che picchiava sulle loro teste. Il caldo torrido dell'estate non dava loro tregua, costringendoli di continuo a cercare riparo all'ombra, soprattutto nelle ore centrali della giornata. «Per il Creatore, che caldo.»

«Ero in preghiera, te l'ho già detto mille volte!» Protestò l'uomo, offeso. «Comunque, almeno tu non hai dovuto stare ferma come un palo di fronte al Palazzo del Visconte per tutta la mattinata, la mia armatura era così calda che ci stavo cuocendo dentro.»

«Templare al cartoccio, una specialità!» Ridacchiò Marian. «Ti capisco, sembra che abbiano fatto apposta a mettere il quadrato di allenamento esattamente in mezzo al cortile, senza un dannato riparo da nessuna parte.»

«Avrei fatto volentieri a cambio con entrambi.» Si lamentò Ruvena. Era stata di nuovo assegnata a vigilare sul campo Qunari. «Quei maledetti bovini mi mettono un disagio addosso che non potete immaginare, non cambiano mai espressione quando ti parlano. Sempre se si degnano di rivolgerti la parola.»

Marian annuì, sovrappensiero. I Qunari erano lì da anni, e ancora non si era capito cosa li trattenesse dall'andarsene. Il Visconte, stufo della loro presenza e preoccupato delle conseguenze che portava l'avere un così folto gruppo di eretici nella propria città, si era addirittura offerto di mettere a disposizione delle navi per far tornare a Par Vollen l'Arishok e i suoi uomini, ma quello aveva rifiutato categoricamente.

Qualsiasi cosa stesse aspettando, non poteva essere nulla di buono.

Si sedettero ad uno dei lunghi tavoli, dopo aver preso un vassoio con il pranzo e qualcosa da bere. Mentre ascoltava Ruvena ciarlare su una cospirazione dei maghi separatisti, fece vagare lo sguardo sulla sala, godendosi il meritato momento di pausa. Le reclute stavano sghignazzando per qualcosa, lanciando occhiate ammiccanti verso uno dei templari più anziani, un certo Ser Luthor, che stava proclamando una sua personale versione del Cantico della Luce parecchio sconclusionata. Il Lyrium doveva avergli dato ormai completamente alla testa.

Sbocconcellò un pezzo di pane, annuendo ogni tanto per fingere di stare ascoltando l'amica. Non era la prima volta che si lanciava in qualche invettiva contro la Resistenza e i Separatisti, ormai poteva ripetere i suoi discorsi a memoria.

«E vi dico che ho trovato un altro di quei manifesti tra le pagine del “Miti e Leggende” di Genitivi. Se Meredith trova chi continua a nasconderli ovunque...» Ruvena fece un chiaro segno col pugno e la mano aperta. «Dannata Resistenza.»

Marian grugnì qualcosa, sperando bastasse come approvazione. Il leggero senso di colpa che sentiva, immaginando facilmente chi ci fosse dietro a tutti quei manifesti, non era comunque abbastanza da condividere le idee dell'amica.

Qualunque cosa stesse per rispondere Hugh, venne interrotta dall'arrivo del Capitano Cullen, che incedeva verso di loro facendosi strada tra i tavoli affollati.

«Marian, hai finito?»

Lei, che stava ancora masticando l'ultimo pezzo di pane, si affrettò ad ingollarlo, bevendo un altro po' d'acqua per mandarlo giù. «Sì Capitano.» Rispose alzandosi con un secco cenno del capo.

«Molto bene, seguimi, sei richiesta per assistere ad un Tormento.»

Il suo umore sprofondò immediatamente. Lanciò uno sguardo risentito agli altri due prima di allontanarsi con l'uomo.

Procedettero in silenzio verso gli uffici della Comandante Meredith e del Primo Incantatore Orsino.

Cullen bussò alla porta di quest'ultimo, entrando senza attendere risposta.

L'elfo era chino su una serie di pergamene scritte in una bella calligrafia ordinata. Affisse la sua firma su una di queste, prima di alzare lo sguardo su di loro. «Capitano Cullen, Ser Marian.»

«Primo Incantatore.» Lo salutò rigidamente il Capitano. «Gli Apprendisti sono pronti?»

Orsino annuì. «Il vostro collega è andato a chiamarli qualche minuto fa.» Posò la penna al suo posto, sospirando stancamente mentre si alzava dalla sedia. «Andiamo.»

La rampa di scale che conduceva alla sala del Tormento era fredda nonostante la temperatura nel resto dell'edificio, e Marian si chiese se fosse effettivamente così oppure lo sentisse soltanto lei.

Cullen, qualche gradino avanti, procedeva impettito come al solito, la mano posata sul pomolo della spada come ad aspettarsi che qualche abominio potesse spuntare fuori da una delle nicchie da un momento all'altro.

Erano mesi che il comandante era, se possibile, ulteriormente peggiorato nella sua fissazione coi maghi del sangue. Sobbalzava alla minima provocazione, si adirava per qualsiasi infrazione del coprifuoco o di regole minori da parte sia dei maghi che dei templari ed era addirittura arrivato a punire fisicamente una recluta per aver fraternizzato con uno dei giovani apprendisti. E il fatto che ormai da molti libri scivolassero fuori piccoli pezzi di pergamena inneggianti alla rivoluzione o trovassero sempre più simboli che qualcuno nella notte tracciava sui muri, non aiutavano nessuno, come neanche i gruppetti di maghi che zittivano i propri bisbiglii concitati appena uno di loro si avvicinava a portata di orecchio. Per non parlare di quello che stava succedendo in città: strani e macabri avvenimenti non erano più prerogativa dei bassifondi.

Marian temeva che la situazione potesse degenerare e che qualcuno combinasse qualche sciocchezza, come era successo nel Ferelden o a Starkhaven. Quanto ci sarebbe voluto per la Comandante e gente come Cullen, Mettin o Karras prima di invocare il Rito di Annullamento e prendere pieno controllo della città?

“Per non dimenticarci di Alrik e la sua disgustosa Soluzione di Tranquillità...” pensò con una smorfia mentre saliva gli ultimi gradini.

La pesante porta di ferro intarsiata di rune era spalancata, all'interno vi erano già quattro persone. Due Marian le conosceva bene: Karras le strizzò l'occhio in segno di intesa, mentre Thrask aveva un'espressione grave sul volto.

Quando lo sguardo si soffermò sui due apprendisti, pensò per un assurdo attimo di vederci doppio. I due elfi di fronte a lei erano assolutamente identici, come due gocce d'acqua. Aveva già visto quei capelli biondi per la biblioteca, o nel refettorio del Circolo, ma pensava si trattasse di una persona sola. I gemelli erano entrambi pallidissimi, ma mentre uno si era ritratto istintivamente non appena i nuovi arrivati avevano varcato la porta, l'altro si era impercettibilmente spinto tra loro e il fratello, come a proteggerlo.

«Soren, Jaran.» Li salutò Orsino, avvicinandosi ai due.

Cullen non diede loro tempo di rispondere. «La magia esiste per servire gli uomini, mai per governarli. Così ci insegnò la Profetessa Andraste, quando combatteva l'Impero Tevinter, governato da maghi che avevano portato il mondo sull'orlo della rovina. La vostra magia è una maledizione, poiché demoni dell'Oblio saranno sempre attirati da voi, e cercheranno di usarvi per entrare in questo mondo.»

Orsino gli lanciò un'occhiata di fuoco. «Non è soltanto una maledizione, ma anche un dono, come cerchiamo di insegnarvi ogni giorno. Ma su di voi grava la responsabilità di utilizzarlo con grande forza di volontà, resistendo alle tentazioni di potere e scelleratezza con le quali i demoni vi tenteranno per tutta la vita. Per questo esiste il Tormento.» Uno dei due apprendisti si fece ancora più piccolo, mentre il fratello irrigidì la schiena, gonfiando il petto.

«Il rituale vi manderà nell'Oblio, dove affronterete un demone armati solo della vostra forza d'animo.» Concluse Orsino.

«Siamo pronti, Primo Incantatore.» Rispose il più caparbio dei due. L'altro si limitò ad annuire.

Karras si esibì in un ghigno malevolo. «Dicono tutti così. Sapete quanti non ce l'hanno fatta e abbiamo dovuto fare a pezzi?»

«Ser Karras.» Si intromise Marian, che sentiva il sangue ribollirle nelle vene. «Dovremmo dare più fiducia ai giovani apprendisti, altrimenti significherebbe che l'addestramento del Circolo non vale niente. E sappiamo benissimo tutti quanti che i nostri Incantatori Anziani danno a ciascun apprendista tutti gli insegnamenti di cui hanno bisogno per affrontare il Tormento.» L'ultima frase la disse rivolta ai due ragazzi, che sembrarono ringraziarla con lo sguardo.

«Bah, vedremo.» La condì via Karras con un gesto della mano.

«Ser Marian ha ragione.» Disse Orsino, avvicinandosi al piedistallo al centro della stanza e versandoci una boccetta di lyrium. Il metallo si illuminò di luce azzurra, che si propagò per l'intera stanza.

Cullen indicò con un cenno del capo uno dei due gemelli, il più spavaldo. «Soren. Sei il primo.»

Marian strinse i denti. “Lo stanno facendo apposta. Se dovesse fallire, o metterci troppo tempo, il fratello andrebbe nel panico e cadrebbe facilmente preda di uno dei demoni dall'altra parte.” Lanciò uno sguardi di sottecchi ad Orsino, ma l'incantatore si nascondeva dietro una maschera impassibile. Thrask, d'altro canto, sembrava condividere i suoi sospetti.

L'elfo si avvicinò al piedistallo, allungando una mano. Appena le dita sfiorarono la sostanza, venne avvolto in un lampo di luce e cadde a terra come un sacco di patate.

Il gemello sussultò, suscitando uno sbuffo divertito da parte di Karras.

Passarono i minuti.

Le nocche della mano destra di Cullen erano bianche da quanto stava stringendo il pomolo dell'arma. Karras, invece, aveva sfoderato la sua spada lunga e giocherellava rigirandosi l'elsa tra le mani. Thrask stava impettito e pronto all'azione.

Marian poteva sentire ogni singolo battito del proprio cuore. Orsino, accanto a lei, manteneva una posa rilassata, anche solo per cercare di rassicurare l'altro apprendista, le cui ginocchia tremavano impercettibilmente. Sembrava stesse per svenire, o vomitare. Forse entrambe le cose.

«Beh, direi che la situazione è chiara.» Ruppe il silenzio Karras dopo un po', allargandosi in un sorriso cattivo e roteando la spada, il sibilo della lama affilatissima che tagliava l'aria. «Peccato, era lui quello promettente. Ah, beh, tanto prima o poi tutti loro-»

Prima che uno di loro potesse fermarlo, Soren aprì gli occhi con un sussulto.

Marian tirò un sospiro di sollievo. “Uno è andato...” Pensò, grata che il ragazzo ce l'avesse fatta.

Orsino si avvicinò di qualche passo, scostando Karras e chinandosi sull'elfo, la mano tesa davanti a sé, iniziando a lanciare l'incantesimo per verificare la presenza di un demone. Nel momento stesso in cui afferrò la spalla di Soren, però, il ragazzo fu scosso da un brivido.

La temperatura dell'aria si alzò improvvisamente, come se un soffio di aria bollente fosse entrato da una delle finestre chiuse.

Marian sentì i capelli rizzarsi in testa, mentre un'onda d'urto spediva sia Orsino che Karras dall'altra parte della sala.

Estrasse in fretta le spade, Cullen e Thrask già correvano contro l'Abominio.

Quello che era stato un elfo minuto ora fluttuava a qualche centimetro da terra, la pelle violacea, due corna spuntate lacerandogli il cranio, artigli ricurvi protesi verso di loro, una risata che echeggiava folle nella sala.

Lo scontro che seguì fu violento, anche se breve. Marian corse in aiuto di Thrask e Cullen, riuscendo a contrastare l'Abominio e circondarlo.

Quando la lama di Marian trapassò la creatura da parte a parte, essa girò il capo in maniera innaturale, come un gufo, fissandola con occhi neri come la pece. «Quando l'Immortale varcherà il Velo, risponderà alla chiamata del sangue.» Sibilò, afferrandole una spalla e conficcando gli artigli sotto le giunte dell'armatura.

Marian gemette per il dolore, lasciando andare la spada e traendosi indietro con uno scatto.

Il demone si guardò la mano sporca del suo sangue, lo sguardo fisso su di lei, ignorando Cullen che, alle sue spalle, gli assestava il colpo di grazia.

La testa cornuta volò a qualche metro dal corpo, che cadde a terra con un tonfo.

Si premette una mano sullo spallaccio, armeggiando con le cinghie mentre la spalla sembrava ardere dal dolore. Quando riuscì a rimuovere parte dell'armatura, si ritrovò zuppa di sangue. Trask corse in suo soccorso, aiutandola a premere sulla ferita mentre Orsino si rimetteva in piedi. Karras latrava maledizioni, arrivando al punto di dare un calcio al cadavere.

«Contieniti, Karras.» Lo richiamò all'ordine Cullen, che era preventivamente andato a controllare l'altro apprendista.

L'elfo era impietrito, gli occhi sgranati dal terrore puntati sul corpo di quello che era stato il fratello. Tremava come una foglia.

«Jaran.»

Sembrò non sentire neanche il Capitano.

«Jaran!» L'uomo lo scosse per una spalla, con poco garbo.

«Gli dia un attimo, Capitano.» Cercò di fermarlo Orsino, chino su Marian. La ragazza si sentì avvolgere da una luce chiara, mentre una fresca sensazione andava ad alleviarle il dolore man mano che l'incantesimo di guarigione faceva effetto. «Ecco, sei a posto.» Le disse il Primo Incantatore, per poi riportare l'attenzione su Cullen e Jaran. «Capitano, ritengo che il ragazzo abbia visto fin troppo, oggi. Possiamo rimandare il suo Tormento di qualche-»

«Assolutamente no, Orsino!» Si intromise Karras, furente. «Il Tormento è segreto, non possiamo farlo uscire da qui senza averlo affrontato.»

«Lo metteremo in isolamento fino a quando-»

«Primo Incantatore.» Lo fermò Cullen, in tono pacato ma deciso. «Sono le regole, lo sapete meglio di me. Nessuno esce da questa stanza aver superato la prova. O affronta il Tormento, o...» lasciò la frase in sospeso, ma tutti sapevano di cosa stesse parlando.

Quelle parole sembrarono risvegliare il ragazzo, che finalmente posò lo sguardo su di loro. «Non posso. Non... io non...»

Orsino lo prese per le spalle, cercando di dargli forza. «Devi calmarti. Calmati, Jaren. Sei un mago capace-»

«No!» Urlò quello, divincolandosi e cadendo in ginocchio, accartocciandosi su sé stesso. «Vi prego, lasciatemi andare, farò qualsiasi cosa, qualsiasi, non fatemi andare là, non voglio, non voglio finire come... come...» gli occhi dardeggiarono verso la testa mozzata dell'Abominio, solo per un attimo.

«Se non vuole sottoporsi al Tormento, resta solo la Calma.»

Marian rivolse uno sguardo carico d'odio a Karras. Il tono della voce dell'uomo era chiaro, non aspettava altro. Non aveva già sopportato abbastanza quel ragazzo? I Tormenti erano di solito affrontati da soli, anche per non terrorizzare i compagni. Essere spettatori di quanto era appena successo... Rabbrividì, ricordi di tanti anni prima che rischiavano di tornare a galla. «Capitano...»

«Karras ha ragione.» Tagliò corto Cullen. Si portò di fronte al giovane elfo, che lo guardò con aria terrorizzata dal basso. «O ti calmi in fretta e affronti la prova, o la risolviamo qui e subito.»

Jaran deglutì rumorosamente. «Se... se mi renderete un Adepto, non dovrò più incontrare un demone? Non entrerò più in uno di quegli incubi?»

Cullen annuì solennemente. «Lo facciamo per proteggervi.»

Marian si morse la lingua così forte da sentire il sapore ferroso del sangue. Karras aveva gli occhi che brillavano per l'aspettativa, Thrask sembrava rassegnato. Incrociò lo sguardo di Orsino, cercando una qualche maniera per risolvere la situazione. «Forse se diamo al ragazzo qualche minuto...»

«Fatelo.»

Le si seccò la gola.

«Fatelo. Non voglio più avere gli incubi ogni notte.» Ripetè il ragazzo, le lacrime che gli rigavano le guance. «Soren era migliore di me, in tutto. E senza di lui...» Tirò su col naso, guardando Cullen dritto negli occhi. «Non voglio vivere senza mio fratello.»

Il Capitano annuì.

Successe tutto in pochi minuti, Karras che accendeva il grande camino in fondo alla sala, avvicinandovi poi il ferro che terminava con il marchio della Chiesa Andrastiana. Qualche goccia di lyrium venne fatta cadere sul ferro rovente e mentre Thrask e Karras tenevano fermo l'elfo, Cullen procedette con le parole di rito. Orsino rimase in silenzio, il volto scuro di rabbia.



 

Il puzzo di pelle bruciata e gli occhi improvvisamente vitrei di Jaran la perseguitarono fino a sera.

Immersa nell'acqua fresca delle vasche, fissava il soffitto con aria assente.

Avrebbero potuto evitarlo.

Avrebbe dovuto fare qualcosa.

Continuava a chiedersi cosa l'avesse spinto a scegliere egli stesso il Rituale della Calma. Vedere il fratello morire in quel modo, o pensare di essere destinato alla stessa fine?

Scosse la testa.

Le parole del demone le tornarono improvvisamente alla mente. Cosa aveva voluto dire? Chi era “l'Immortale” e di quale chiamata stava parlando? Possibile che si fosse soltanto preso gioco di lei e delle sue debolezze, oppure c'era qualcosa in agguato, al di là del Velo?

Tutti i templari e i maghi anziani avevano convenuto che non avrebbe dovuto esserci un demone così potente ad aspettare l'apprendista. Di solito venivano attirati demoni minori, più facili da affrontare, ma un demone del genere... Sfortuna, o qualcosa di più?

Si grattò la spalla dov'era stata ferita, come per riflesso.

La campana che annunciava l'ora di cena la colse di sorpresa, risvegliandola dai suoi pensieri.

Si asciugò in fretta, tornando poi ai dormitori dove incontrò Ruvena, più alterata del solito.

«Mi hanno affibbiato di nuovo la guardia dei Qunari, ti rendi conto?!» Sbottò l'amica senza nemmeno alzare lo sguardo dalla propria armatura impolverata. «Credono che sia buona solo a fare il cane da guardia o cosa?» Gettò lo straccio oleoso per terra in un impeto di rabbia. «Si fottano, quei maledetti bovini!»

Marian si trattenne a stento dal sospirare. Non aveva la forza per subirsi l'ennesima tirata contro i Qunari della compagna. «Hai provato a parlarne con Mettin?»

«Ovviamente, e sai che mi ha risposto quello stronzo? Nulla. Si è limitato ad alzare appena gli occhi e fissarmi con sufficienza, come se fossi una bambina capricciosa! Ma ti rendi conto?!»

“Non ha tutti i torti...” pensò lei, ma annuì cercando di darle supporto.

«Perchè non ci mettono qualche stupida recluta a fare da guardia alle mucche? Con tutti i problemi che la Resistenza ci sta creando ultimamente, e il rischio di una congiura proprio tra i nostri ranghi, io perdo il mio tempo dietro a delle statue di sale che non fanno nulla tutto il giorno a parte...»

Marian smise di ascoltarla, annuendo ogni tanto in modo strategico mentre si infilava la camicia di lino leggera e un paio di pantaloni larghi. Si legò entrambe le spade alla cintura e, nel bel mezzo di una frase particolarmente concitata dell'amica, guadagnò l'uscita.

«Hai ragione, Ruvena, ma ora devo proprio andare!»

Fuggì per il corridoio senza attendere risposta, temendo che potesse inseguirla e continuare a tempestarla di lamentele per il resto della serata. Dopo quanto successo, era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.

L'aria del cortile era quasi fresca, e più si allontanava dalla Forca più il suo umore nero si alleggeriva. Percorse la strada fino alla città bassa, i capelli ancora umidi legati in una treccia frettolosa.

Giunta alla piazza del mercato, notò due guardie che, armate di secchi e pezze, stavano lavando un muro. Si avvicinò per indagare, temendo di sapere già di cosa si trattasse: una grande mano bianca troneggiava sui mattoni di pietra scura, una pennellata viola acceso che spiccava sopra di essa. Sotto, la scritta “Dono del Creatore”.

«Maledetti maghi...» Sentì commentare uno dei due uomini.

L'altro si strinse nelle spalle, continuando a pulire il muro con scarso entusiasmo. «Mio cugino l'hanno mandato ad Ostwick, non se n'è saputo più nulla...»

Marian decise che, per quella sera, ne aveva abbastanza. Tirò dritto verso la scalinata che portava al livello più basso, verso il porto.

Superò il folto gruppo di gente che beveva e chiacchierava fuori dall'Impiccato ed entrò nel locale: il calore e l'odore di umanità la fecero boccheggiare per un attimo, ma si riprese in fretta.

«Marian!» La pirata, appoggiata sensualmente sul bancone, strizzò l'occhio ad uno degli avventori e, dandogli un buffetto, si diresse verso di lei.

«Bela, sempre qui vedo.» La salutò a sua volta la templare, sforzandosi di sorridere.

«Che ti è successo, tesoro?» Si incupì l'amica, assottigliando lo sguardo. «Hai l'aria di chi avrebbe bisogno di un paio di bottiglie.»

«Giornata pesante.» Rispose evasiva lei. Sperava di dimenticarsi anche solo per qualche di quel pomeriggio, oltretutto sapeva che ad Isabela non interessavano minimamente le diatribe tra maghi e templari, purché i due gruppi non si immischiassero nella quotidianità della città.

La Rivaini annuì con l'aria di chi la sapeva lunga. «Saliamo su, qui non si respira. E poi ci mancava qualcuno che bilanciasse il gioco, Aveline fa pena a Grazia Malevola.»

«C'è anche Aveline?» Si sorprese Marian, seguendo l'amica su per le scale che portavano agli appartamenti di Varric. Il nano in quegli ultimi anni si era praticamente comprato l'intero locale e si era sistemato su gran parte del piano superiore, appropriandosi anche del terrazzo che dava su uno dei vicoli secondari, dal quale si poteva godere di una pessima vista compensata però dal vento che tirava dalla baia.

«Tris di serpenti. Vinco io, di nuovo.»

«Varric, ci stai prosciugando.»

«È solo una serata fortunata, Musone, non mettere il broncio.»

«Troppo tardi.» Ridacchiò Marian, prendendo un boccale di birra dal tavolo e avvicinando una sedia agli altri, prendendo posto tra Aveline e Fenris. Allungò una mano a prendere un cartoccio di pescetti fritti dal vassoio al centro della tavola. Erano ormai a temperatura ambiente, ma la frittura della rada era una delle poche cose davvero buone di quel posto.

«Non metto il broncio.» Si indispettì l'elfo, diventando ancora più scuro in volto e suscitando l'ilarità generale di tutto il gruppo. «E comunque, per stasera ho chiuso, il nano bara.»

«Marian, tutto bene?» Le chiese Aveline, mentre Varric mescolava di nuovo le carte.

Lei annuì. «Più o meno, non preoccuparti. Tu? Che ci fai qui?»

La rossa lanciò uno sguardo di fuoco ad Isabela. «Prova ad indovinare quante denunce per aggressione abbiamo ricevuto questa settimana.»

Marian scoppiò a ridere. «Di nuovo le tue ragazze, Bela?»

La pirata si strinse nelle spalle, lo sguardo sulle carte. «Sono certa che la maggior parte di quelle aggressioni fossero assolutamente giustificate.»

«Te l'ho già detto, non puoi risolverla da te, se qualcuna delle tue ragazze ha problemi dovete rivolgervi alla guardia cittadina, non-»

«Credi che alla guardia cittadina importi di qualche puttana dei bassifondi?» Rispose acida la Rivaini, schioccando la lingua disgustata. «A stento riesci a mandarli a pattugliare le vie principali, Aveline, non prendiamoci in giro. Finalmente le ragazze si stanno facendo valere, e tu vorresti che ritornassero a farsi tagliare a pezzi ed essere gettate come spazzatura nei canali.»

La rossa sbatté i pugni sul tavolo, facendo schizzare birra dai boccali. «Questo è troppo, sai benissimo che non è vero!»

«E allora cosa esattamente non ti va bene? Che qualche stronzo ubriacone sia finito a fare un bagno giù dal molo? Se sono venuti a lamentarsi con te significa che riuscivano a camminare fino in città alta, che è già più di quanto meritassero.»

Aveline sospirò, cercando di calmarsi. «Sedici. Sedici denunce in soli dieci giorni. Di cui cinque non venivano affatto da poveracci ubriaconi, altrochè. Serah Harvent sta scatenando un putiferio per quello che è successo al figlio.»

«Harvent? Il proprietario della compagnia di spedizioni?» Si interessò Marian, pescando due carte. Il simbolo dello squalo azzurro degli Harvent spiccava su molte delle vele giù al porto.

«Proprio lui.»

La risata di Isabela echeggiò per tutto il terrazzo, mentre calava due coppie vincenti. «Ah, quello sì che è stato un colpo di genio!» Spinse indietro la sedia, poggiando i piedi sul tavolo, godendosi l'attenzione di tutti puntata su di sé. «Sapete, il giovane Taddeus Harvent ha un debole per le ragazzine. Adora, o dovrei forse dire adorava, adescarle giù al porto per poi utilizzare uno dei magazzini del padre per legarle e appenderle ad uno degli argani, drogate, imbavagliate e alla sua completa mercé, fare i suoi porci comodi e poi abbandonarle al molo in stato di incoscienza. Un vero gentiluomo, non trovate?»

Marian pensò che, qualsiasi cosa fosse successa al rampollo degli Harvent, fosse più che meritata.

«Dunque, questo affascinante giovane ha una sera sbagliato la dose da somministrare ad una delle ragazze, che la mattina dopo si ricordava perfettamente chi fosse stato a riempirle la schiena di frustate, tra le altre cose. Mi ha mandato a chiamare e, mentre l'aiutavamo a raggiungere la clinica del biondino giù nei bassifondi, ci ha raccontato tutta la faccenda.» A Marian non sfuggì la smorfia di Fenris a sentir nominare il guaritore. Condivideva un po' il sentimento, ma doveva ammettere che nessun altro in quella città si prendeva cura dei più poveri e bisognosi senza prendere nulla in cambio. “E infatti, non fosse per Garrett sarebbe probabilmente già morto di fame.”

«E qui entra in gioco il mio genio!» Si vantò Isabela con un gran sorriso soddisfatto. «Aveline, il paparino ti ha raccontato tutti i dettagli?»

Il capitano delle guardie scosse la testa. «Solo che avete, cito testualmente, “deturpato irrimediabilmente il nome della famiglia Harvent”.»

«Oh, il nome non è stata l'unica cosa deturpata, te lo assicuro.» Ghignò la pirata. «Mi sono finta un'innocente fanciulla e gli ho riservato un trattamento speciale.»

«Doveva essere ben stupido per crederti un' innocente fanciulla...» Borbottò Fenris, scuotendo la testa divertito.

«So essere parecchio convincente...» Rimbeccò Isabela allusiva. «Insomma, il giorno dopo i lavoratori della Harvent Spedizioni sono entrati di buon'ora nel magazzino, ritrovandosi il rampollo del loro capo appeso per i piedi e legato come un salame in una corda da vela, con una grossa coda di tonno che gli usciva dal-»

Le risate coprirono il resto della spiegazione.

Aveline la guardava oltraggiata.

«Come avete fatto a...? Insomma, un'intera coda è difficile da...» Varric gesticolò divertito, scuotendo la testa. «Rivaini, sei un genio.»

Isabela gli strizzò l'occhio, scompigliandosi i capelli. «Lo so.»

«Sicuramente allo stronzetto sarà passata la voglia di prendersela con le ragazze.» Commentò Marian bevendo un po' di birra.

«Potevate denunciarlo alla guardia cittadina! Esistiamo per un motivo, sapete?» Sbottò Aveline, guardandola male. Probabilmente si aspettava almeno il suo supporto. «Saremmo andati a-»

«E dopo un'ora quello sarebbe tornato libero, le tasche di qualche giudice piene di Sovrane.» La interruppe Isabela, guardandola torva. «Sai come funziona questa città.»

«Beh, ora ho una denuncia contro un'ignota donna-demone che preda i poveri avventori della città.»

«Donna-demone, eh? Non male, ma avrei preferito qualcosa che non avesse le corna.»

«A proposito di demoni.» Prese la parola Fenris, improvvisamente scuro in volto. «Marian, si è capito cosa sia successo nella villa dei Mander?»

«Brutta storia quella... proprio brutta.» Commentò Varric, mischiando nuovamente il mazzo.

Marian sospirò, l'umore che sprofondava nuovamente. «L'indagine è ufficialmente ancora in corso, ma si è trattato sicuramente di un Abominio.»

«Nessuno dei Mander era un mago però, no?» Chiese Isabela, appoggiando le carte a faccia in giù sul tavolo e sbirciando la mano di Varric.

«Stiamo cercando dei legami con qualche eretico o membro della Resistenza, ma non abbiamo trovato nulla per ora.» Spiegò Marian, appoggiandosi allo schienale della sedia e scartando due carte. «La moglie di Luthor Mander risulta ancora dispersa, così come il terzogenito.»

«Possibile che fossero entrambi maghi e che il vecchio li stesse proteggendo?»

«Non lo so, Fenris, davvero. C'è qualcosa sotto, e non mi piace. Ultimamente stanno succedendo cose strane, e...» abbassò il tono di voce fino ad un sussurro, temendo che il vento potesse portare le loro voci fino ad orecchie indiscrete «Meredith è sempre più paranoica. I turni di ronda sono serrati, le reclute vengono promosse in tempi sorprendentemente brevi e siamo tutti sottoposti ad interrogatori costanti. La Comandante sta ampliando i ranghi, come se temesse un attacco da un momento all'altro. E l'incidente dei Mander è stato solo quello che ha suscitato più scalpore, ma non l'unico. Alla festa di inizio estate nella tenuta dei Chaney, qualcuno o qualcosa si è introdotto negli appartamenti dei servitori e ha fatto una strage, almeno otto morti e tre dispersi. Hanno messo tutto a tacere ovviamente, ma sospettiamo della magia del sangue. E c'erano talmente tanti invitati quella sera che non siamo nemmeno riusciti ad individuarne la metà, figuriamoci interrogarli tutti.»

«Maghi del sangue.» Digrignò i denti Fenris, fremendo di rabbia. «Siamo tutti costretti a guardarci le spalle da quei bastardi.»

Varric annuì, sovrappensiero. «Ho notato anche un bel picco nel traffico di lyrium clandestino, il Carta sta facendo un sacco di soldi ultimamente. E non guasta che siano ormai molto bene organizzati, da Orzammar alla superficie ormai è un fiume di Sovrane.»

«Potrebbero essere quelli della Resistenza?» Gli chiese Marian.

Il nano fece spallucce. «Sai che non posso dirti altro, Marian. Mi trovo tra la proverbiale incudine e il martello, qui.»

La templare sospirò. Sapeva che il nano stava probabilmente proteggendo Garrett e quelli della Resistenza, tra cui Anders, però voleva credere che se le cose si fossero davvero fatte pericolose, l'avrebbe messa in guardia prima che la situazione degenerasse. Inoltre, si potevano dire tante cose su suo fratello, ma non credeva che si sarebbe mai messo in combutta con maghi del sangue. «Capisco. Tieni le orecchie aperte però, nel caso non fossero solo quelli della Resistenza ad avere bisogno del lyrium.»

Varric annuì. «Da quanto non scambi quattro chiacchiere con tuo fratello?»

Marian si incupì. «Ho saltato qualche pranzo di famiglia, se è questo che intendi. Tanto è sempre ad organizzare feste in cui cerca di far esplodere la città, oppure a mettere i bastoni tra le ruote del mio lavoro. Lo so che c'entra qualcosa con quei manifesti e graffiti, ne sono certa.»

Varric si mosse a disagio sulla sedia, ridacchiando e affrettandosi a cambiare discorso. «Leandra vuole a tutti i costi cercargli moglie, sai?»

Quasi si strozzò con la birra, tossendo violentemente e faticando a riprendere fiato. «Moglie? Mio fratello?» L'idea era assurda quanto saperlo in lista per diventare la prossima Divina. «L'età deve averla resa pazza se crede di poter avere dei nipotini entro breve.»

«Oh, ti assicuro che le qualità non gli mancano, tesoro.»

Sgranò gli occhi, voltandosi lentamente verso Isabela, non riuscendo a formulare una frase di senso compiuto. «Eh?»

L'altra finì a lunghi sorsi il suo boccale, godendosi l'espressione sconvolta sul viso dell'amica. «Nessuno resiste a questo.» Rispose semplicemente, ammiccando ed accavallando le gambe.

Marian si lasciò sfuggire un'esclamazione di disgusto, riempendosi di nuovo il boccale nel disperato tentativo di scacciare di mente quella brutta immagine. «Non volevo saperlo.»

«C'è qualcuno che non ti sei portata ancora a letto?» Chiese tagliente Aveline, allontanandosi un poco da lei.

La pirata mosse la chioma corvina, fingendo di pensarci su un attimo. «Dei presenti, la maggior parte.»

Calò un imbarazzante silenzio, rotto solo dai colpi di tosse di Fenris.

«Dimmi una cosa, Rivaini, sei riuscita a togliergli quel broncio?» Parlò finalmente Varric, scatenando le risate generali e l'ennesimo commento offeso dell'elfo, che tuttavia non sembrava particolarmente infastidito. Non più del solito, almeno.

«Sono sempre pronta ad alzare la media, comunque.» Disse Isabela, appoggiando una mano sulla coscia di Marian e ammiccandole scherzosa.

Per tutta risposta, l'amica scoppiò di nuovo a ridere. «Se dovessi cambiare sponda, saresti la prima a saperlo, Bela.»

L'altra si esibì in un sospiro affranto. «Mi mancano i centimetri nel posto giusto, ahimè.» Aveline sbuffò il proprio disappunto, catturando l'attenzione della pirata. «E tu, ragazzona? Non ci tengo ad essere la tua prima volta, ma qualcuno è riuscito a toglierti l'armatura in tutto questo tempo a Kirkwall?»

«Anche se fosse, non ne parlerei con una che per comodità non porta mai i pantaloni.»

«Ah, quindi ancora nessuno, eh?»

Marian cercò di colpirla sotto il tavolo per farla zittire, ma Isabela era ormai partita a vele spiegate.

«Probabilmente hanno tutti una paura fottuta, guardandoti non li posso biasimare, eppure secondo me se ti togliessi quel palo dal culo e ci mettessi qualcos'altro-»

«Isabela!»

«Dovresti imparare a tenere chiusa almeno la bocca.» La minacciò velatamente Aveline, che tuttavia era arrossita leggermente sulle guance.

Prima che l'altra potesse replicare qualcosa, Marian decise che era il momento di andarsene. «Dobbiamo tornare in città alta, domani qualcuno di noi lavora anche, sapete?» Disse, tirandosi dietro Aveline e salutando tutti frettolosamente.

Gli altri tre le salutarono divertiti con la mano.

Uscirono dal locale, superando due ubriachi semi svenuti vicino all'ingresso.

«Non ci pensare, sai che Isabela straparla.»

Aveline non rispose, ancora scura in volto.

«Hei, davvero, non lo fa per cattiveria, è solo-»

«Pensi anche tu che abbiano tutti paura di me?»

La domanda la colse impreparata, causandole qualche attimo di smarrimento che l'altra interpretò male.

«Ecco, lo sapevo. Sono intimidatoria. La terrificante fereldiana a capo delle guardie.»

Si fermò, tirandola per un braccio. «Aveline, ma che stai dicendo?»

L'altra evitò il suo sguardo, puntandolo sui ciottoli sotto i loro piedi. «Che quella troia ha probabilmente ragione, nessuno mi guarda come una donna.»

«Aveline. Sono tutte stronzate, te ne rendi conto?» Stava per aggiungere qualcosa su quanto si divertisse Isabela a tormentarla, quando realizzò qualcosa. «Aspetta. C'è... qualcuno che vorresti ti notasse in quel modo, forse?»

L'altra era ormai arrossita come un pomodoro. «Non è... è una cosa stupida, non c'è bisogno di parlartene. E comunque non sarebbe professionale.»

«È una guardia quindi!» Esclamò Marian, illuminandosi. Da quando erano arrivate, Aveline era l'unica che non aveva ancora mostrato interesse per incontri romantici o di altro genere. Lei stessa aveva avuto qualche relazione occasionale, certo non era durata più di qualche settimana, ma l'amica era sempre sembrata ancora troppo presa dal ricordo del marito. Chi poteva essere stato a catturare la sua attenzione, distogliendola dallo scudo di Wesley appeso in bella mostra nel suo ufficio?

«Non c'è modo di lasciar perdere questa conversazione, vero?» Sospirò Aveline, imbarazzata.

«Assolutamente no.»

Sembrò soffrire per qualche secondo, per poi finalmente vuotare il sacco. «Si chiama Donnic.»

«Donnic Hendyr?» Riconobbe il nome dalla lista di testimoni che erano serviti a deporre il precedente capitano delle guardie. «Alto, capelli castani, naso un po' largo... ?»

«Proprio lui.» Ammise a disagio l'amica. «Non so cosa farci. Sono il suo Capitano, sarebbe assolutamente poco professionale approfittarne e poi non credo ricambi. Non mi sembra interessato e io non so... insomma, dopo Wesley non...»

Marian le mise una mano sulla spalla, annuendo con aria solenne. «Non preoccuparti, quando avremo finito con lui cascherà ai tuoi piedi cotto a puntino.»

Aveline si lasciò sfuggire un sorriso. «Grazie. Ma non coinvolgere nessun altro, d'accordo? Soprattuto non quella lì.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: e anche Marian fa il suo ritorno. Questi tre anni sono stati pesanti anche per l'Ordine, e nonostante Marian faccia del suo meglio per non lasciarsi trascinare nella spirale di paranoia e insofferenza che si sta insinuando sempre di più tra i ranghi e soprattutto tra i suoi superiori, oscuri presagi gravano sulla città. Per non parlare della missione più complessa che le si para davanti: cercare di rimediare ai disastrosi tentativi di corteggiamento di Aveline ed evitare che Isabela la prenda in giro per l'eternità. Parlando della nostra pirata preferita, ha preso sotto la sua ala tutte le ragazze dei bassifondi e non ha intenzione di perdonare nessuno, dal peggiore dei tagliagole al più ricco dei nobilastri. E nel frattempo ha sedotto metà della città, Garrett compreso, ma niente paura, non è stato altro che una sola notte di folleggiamenti ed alcol, con Fenris invece la cosa è ricorrente, hanno una bella chimica. ;) 

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Capitolo 14
*** Poison ***


CAPITOLO 14
Poison




 

«Sistemati quei capelli, Garrett. E mi raccomando.»

Gli occhi color ghiaccio della madre lo scrutarono severi, costringendolo ad obbedire e passarsi dell'altra cera tra i capelli nel vano tentativo di farli stare al proprio posto. «Tanto non gli frega niente dei miei capelli, non è per quello che ci hanno invitato a cena.» Commentò acido sistemandosi la giacca con le fibbie dorate.

«Garrett!» Lo rimproverò Leandra, incrociando le braccia e riservandogli lo stesso sguardo di quando da bambino tornava coperto di fango da capo a piedi dopo essersi azzuffato con qualche ragazzino del villaggio. «Frederick Selbrech e sua moglie sono dei cari amici di famiglia, e tu stasera ti comporterai come si conviene ad un Amell, siamo intesi?»

«Continui a dimenticarti che sono un Hawke, non un Amell.» Ribattè lui.

L'espressione della madre sembrò addolcirsi per un attimo. «Non potrei mai dimenticarlo. Nè dimenticare tuo padre o Bethany o Carver.» Allungò una mano a sfiorargli la guancia. «Ma loro non sono più qui, e noi se vogliamo vivere in questa città abbiamo bisogno di riallacciare i rapporti con vecchi amici e formarne di nuovi. I Selbrech sono brave persone, vedrai, e Myranda è una bellissima ragazza, intelligente, colta e a modo.»

Garrett si tirò indietro, scostandosi stizzito. «Sì, beh, non me ne può fregar di meno.»

«Pensi di poter gozzovigliare per tutta la vita, perdere il tuo tempo con ragazze di pessima fama, poco di buono che non fanno altro che distrarti dal tuo dovere?»

«E quale sarebbe esattamente il mio dovere, madre?» Replicò acido. «Perchè per ora ho fatto tutto io, ma sembra che non sia mai abbastanza.»

Quelle parole le rimbalzarono addosso come se niente fosse, per l'ennesima volta. «Sai benissimo che non è vero. Ti sono grata per aver ripreso la casa di famiglia, ma stai sperperando il denaro in inutili feste, per non parlare della gente con cui ti accompagni e della nomea che ti stai facendo nel vicinato. Sai quante volte mi sono vergognata a sentirmi raccontare le tue “imprese”? Passi il tuo tempo al porto, nella città oscura, addirittura-»

«E pensi che affibbiandomi una moglie cambierà qualcosa?» Afferrò la maniglia della porta con forza, aprendola.

«Affibbiarti? Non parlarmi così, sono tua madre!»

«Appunto!» Sbottò esasperato Garrett, sbattendo la porta con un tonfo e facendo sobbalzare Leandra. «Secondo te, aiutare i meno fortunati è sperperare denaro? Oppure dare lavoro a più persone di quante abbia effettivamente bisogno è inutile? E sia, tanto è il mio denaro, ho rischiato la mia pelle per ottenerlo, la mia e quella di Carver! E sono sicurissimo che se lui fosse qui ti direbbe la stessa identica cosa!» La guardò dritto negli occhi, interrompendola prima che potesse ribattere. «E se ti danno tanto fastidio le mie feste, o ti vergogni di me, continua pure a lamentartene con le tue care amiche pettegole, sai, quelle che fino a due anni fa non ti avrebbero offerto nemmeno un tozzi di pane.»

Varcò la soglia di casa come una furia, dando le spalle alla madre e ignorando i suoi richiami. Individuò oltre la siepe gli occhietti da ratto della vicina di casa, seminascosti tra i rami. «E vada a farsi una cazzo di vita, lei!» Le urlò dietro, facendola trasalire e scappare dentro casa di gran carriera in uno scalpiccio di foglie e terriccio.

I Selbrech non abitavano tanto lontano. Dopo qualche minuto di cammino, passato in un silenzio astioso, si trovarono di fronte al portone degli ospiti. Due servitori elfici scattarono a prendere le loro giacche e, tra ossequi ed inchini, li accompagnarono nell'atrio dove Marlein Selbrech li aspettava con un sorriso educato sul volto.

«Leandra, Garrett, benvenuti. Ci fa molto piacere avervi come ospiti questa sera.» Fece vagare lo sguardo dietro di loro, come alla ricerca di qualcuno.

«Purtroppo mia figlia Marian non ha potuto assentarsi dai suoi doveri di Templare, capite quanto siano importanti...» Spiegò Leandra, rispondendo alla tacita domanda dell'altra. «Ma manda i suoi più cari saluti a tutti.»

«Ah, che peccato, Rodney e suo padre ne saranno dispiaciuti.»

“La solita fortunata, riesce sempre in qualche modo a scampare a queste pagliacciate.” Pensò Garrett seguendo la padrona di casa e la madre nel salone.

I pochi ospiti di quella sera erano tutti già lì: Frederick Selbrech chiacchierava pigramente con il siniscalco Bran Cavin, mentre il figlio di quest'ultimo si faceva versare altro vino da un'elfa particolarmente carina, che dalla postura rigida avrebbe probabilmente preferito essere da qualsiasi altra parte. Myranda Selbrech, l'ultima proposta di sua madre, smise immediatamente di sistemarsi i capelli biondo cenere, lanciandogli uno sguardo malizioso da sotto le lunghe ciglia.

«Ah, benvenuti, benvenuti!» Li salutò entusiasta Frederick Selbrech, alzandosi e facendo segno di avvicinarsi. «Accomodatevi pure, la cena sarà servita a momenti...»

«Vedo che la graziosa Ser Marian non ce l'ha fatta ad essere qui con noi oggi.» Commentò Bran, lanciando uno sguardo di rimprovero al figlio, che smise immediatamente di importunare l'elfa.

«Sì, che peccato!» Esclamò quello in tono falsissimo, scolandosi il calice di vino in pochi lunghi sorsi e soffocando male un rutto.

Garrett rischiò di scoppiare a ridere, un po' immaginandosi la faccia della sorella all'essere definita “la graziosa Ser Marian”, un po' sapendo cosa avrebbe avuto da dire su Rodney Cavin.

Il siniscalco sembrò trattenersi a fatica dall'alzare gli occhi al cielo.

Quando il maggiordomo dei Selbrech annunciò che era pronta la cena, si spostarono nella sala da pranzo, addobbata con i soliti fronzoli pomposi che piacevano tanto ai nobili e che lui giudicava inutili e piuttosto pacchiani.

Leandra e Marlein fecero sedere Garrett e Myranda vicini. La ragazza aveva a malapena spiccicato parola, mentre lui non aveva ancora seppellito l'ascia di guerra con la madre e si limitava ad annuire e rispondere a monosillabi poco convinti ad ogni domanda che gli ponevano.

Si susseguì una serie di portate una più abbondante dell'altra, in una parata di sprechi che non fece altro che peggiorare il suo umore.

Frederick Selbrech fece cenno ad uno dei servitori di versare dell'altro vino agli ospiti. «Allora, Garrett, ho sentito che avete intenzione di acquisire parte della compagnia di spedizioni degli Harvent. Un buon investimento, a mio parere, soprattutto dopo che quasi la metà dei loro clienti hanno minacciato di andarsene.»

La moglie accennò un sorrisetto. «Dopo quello che è successo con il figlio, non mi stupisce. Taddeus è sempre stato un poco di buono, ma arrivare ad essere accusato di sequestro e aggressione... Se il vecchio Laurence non è arrivato a dover vendere l'intera compagnia per risarcire il danno d'immagine e contrastare la fuga di clienti, poco ci manca.»

«Sono rimasto sorpreso dall'indagine accurata che hanno svolto le guardie, piuttosto.» Commentò il siniscalco, sorseggiando il vino con fare pensoso. « Aveline Vallen si è rivelata un ottimo capitano, anche se forse stavolta ha esagerato.»

«Sì, insomma, gli Harvent hanno sempre avuto una certa influenza, avrebbe dovuto gestire la situazione con più... discrezione.» Gli diede ragione il padrone di casa.

«L'intero porto è venuto a conoscenza delle porcate di Taddeus Harvent nel giro di un'ora dall'accaduto, non sarebbero riusciti a zittire le voci nemmeno regalando il loro intero patrimonio.» Si intromise Garrett. «E meno male, è disgustoso quello che ha fatto per anni, le indagini parlano di decine di ragazze.»

«Dimenticavo che siete in buoni rapporti con il Capitano...» Ruppe il silenzio imbarazzato che si era creato Marlein, sbocconcellando un dolcetto al miele.

Rodney Cavin gli lanciò uno sguardo carico di disprezzo. «Discorso di uno che passa la maggior parte del suo tempo in quella bettola piena di pulci giù ai quartieri bassi. Chissà se ti sei pure servito degli avanzi di Taddeus, eh.» Scoppiò a ridere della sua stessa battuta, rovesciandosi un po' di vino addosso e sulla tovaglia, le guance arrossate distorte in un ghigno divertito.

Calò il gelo.

Garrett lo fissò dritto negli occhi, impassibile. «Almeno io non ho bisogno di ricorrere alla droga e al nome del paparino per passare una piacevole serata con una bella ragazza. Forse potrei darti qualche consiglio a riguardo.»

Rodney scattò in piedi, barcollando leggermente e dovendo reggersi al tavolo per non cadere. Aprì la bocca per rispondere, quando un'occhiataccia del padre lo inchiodò sul posto.

Il ragazzo spostò lo sguardo dal padre a Garrett un paio di volte, per poi zittirsi stizzito, strappando di mano la caraffa di vino all'elfo accanto a loro e versandosene un altro bicchiere pieno. «Vado a prendere un po' d'aria.» Annunciò andandosene traballante dalla sala.

Garrett gli avrebbe volentieri urlato dietro qualcosa, ma intercettò il silenzioso avvertimento di Leandra e decise che non era il caso di scatenare un'altra discussione. Si concesse un piccolo ghigno vittorioso, sorseggiando dell'altro vino mentre il siniscalco si scusava con i presenti.

«Gradite un dolce alle mandorle, Garrett?» Gli chiese gentilmente Myranda, cercando di attirare la sua attenzione e cambiare discorso. Sbattè le ciglia, speranzosa.

La ringraziò un po' a disagio, prendendone uno e stupendosi di quanto fosse buono. “Merrill ne andrebbe matta.” «Delizioso.»

«Sì, li abbiamo fatti prendere dalla forneria di Earl, quell'uomo è un genio culinario.» Rispose Marlein, prendendone uno a sua volta. «C'è una tale fila fuori certi giorni...»

«E il profumo certi giorni arriva fin quasi al Palazzo.» Disse il siniscalco, incerto su quale dolcetto scegliere. Ne prese infine uno alla cannella, che infilò in bocca tutto insieme.

«Sì, le frittelle alla crema sono le mie preferite.» Convenne Garrett.

«Ah, non riesco quasi mai a trovarle, vanno a ruba prima ancora di finire di cuocere!» Si lamentò Myranda. «Dovreste portarmene un po' la prossima volta.»

Le sorrise, annuendo. «Volentieri, sempre che riesco a trovarle, in effetti sono le più richieste.» Fece vagare lo sguardo sulla sala, annoiato, soffermandosi sullo scudo decorato sopra il caminetto spento. Portava il simbolo della famiglia Selbrech, un cervo rampante su sfondo verde e blu a quadri. Notò però che il cervo non aveva le corna.

«È una cerva, in realtà.» Rispose alla sua tacita domanda Marlein, intercettando il suo sguardo. «Tanti anni fa ho vinto un torneo per il quarantesimo compleanno dell'allora Visconte Perrin Threnhold. Ero parecchio brava.» Si concesse un sorrisetto fiero di sé, guardando affettuosa il trofeo appeso al muro.

«La migliore.» Le diede ragione il marito, annuendo vigorosamente e brindando nella sua direzione.

«Non lo sapevo, complimenti.»

«Ah, non preoccuparti, ormai ho appeso le armi al chiodo da un po' di tempo. Da quando è nata la mia Myranda, in effetti.»

«E tu, Garrett?» Si intromise Frederick, curioso. «Su quanto tua sorella sia brava a combattere si sentono tessere lodi in lungo e in largo.»

Garrett si trattenne dal rispondergli in malo modo. «Non sono famoso quanto Marian, ma con arco e frecce me la cavo.»

«Beh, si vede che ti tieni in allenamento... non è vero, Myranda?»

All'allusione della madre, la ragazza arrossì di colpo, accennando un sorriso. «Sì, madre.»

Dalla finestra aperta, si sentì un gran trambusto di gente che correva urlando.

Allarmato, Garrett scattò in piedi, affacciandosi per capire costa stesse succedendo, seguito a ruota dal siniscalco e da tutti gli altri.

Rodney irruppe nella sala di corsa, piegato in due dallo sforzo, cercando di riprendere fiato. «Veleno, giù... Il capitano-»

«Rodney, parla chiaro!» Gli intimò il padre, afferrandolo per una spalla e scuotendolo con forza.

«Il Capitano Aveline è corsa nella città bassa, dicono ci sia del veleno nell'aria, o qualcosa del genere!» Spiegò allarmato il ragazzo, improvvisamente sobrio. «L'ho incontrata qui fuori, mi ha detto di avvertire tutti di non uscire dalla città alta.»

«Ha detto esattamente dove stava andando?» Lo interrogò Garrett, già pronto ad uscire.

«Verso l'Enclave, ma non dovremmo-»

“Merrill” fu il suo primo pensiero, seguito da una serie di volti più o meno familiari di tutti gli elfi e gli abitanti del quartiere povero che vedeva tutti i giorni.

«Garrett, non penserai-» cercò di fermarlo la madre, ma lui stava già correndo verso la porta.

Non avendo nemmeno il tempo di prendere il suo arco, si scapicollò per i vicoli secondari, correndo giù per le scale talmente veloce da incespicare un paio di volte e rischiare di cadere. Non ebbe bisogno di chiedere indicazioni, il vociare concitato e la gente che scappava verso la città alta gli dava un'idea abbastanza precisa su dove andare.

«Ci sono i miei figli là dentro!»

Girò l'angolo, andando a sbattere contro una piccola folla fermata da un folto gruppo di guardie cittadine.

Uno degli uomini in armatura stava cercando di calmare i cittadini, con scarso successo. «Mi dispiace, nessuno deve attraversare il perimetro di sicurezza. Ci stiamo già occupando della situazione, non- hei! Hawke!»

Riconoscendolo, Garrett si avviò nella sua direzione. «Lucas, cosa sta succedendo?»

«Non lo sappiamo, dicono che improvvisamente l'aria ha cominciato a puzzare di uova marce e la gente ha iniziato a vomitare, o avere allucinazioni... abbiamo aiutato chi potevamo ad uscire, ma poi abbiamo dovuto chiudere l'area prima che potessero esserci altre vittime.»

“Altre?” Deglutì a vuoto lui, il cuore che batteva in gola. «Aveline è là dentro?»

Lucas annuì. «Con tua sorella. Ma non posso farti passare.»

«Non sto chiedendo il tuo permesso.»

«Hawke, non-»

Gli si avvicinò fin quasi a toccarlo. «Mia sorella è là dentro e potrebbe essere in pericolo. Spostati, o ti faccio spostare io.» Scandì, sfidandolo dall'alto in basso.

L'altro sembrò per un attimo incerto, ma poi annuì, scostandosi e facendo segno ai compagni di fare lo stesso. «Copriti naso e bocca e cerca di respirare il meno possibile.»

Per tutta risposta, Garrett estrasse un fazzoletto dalla tasca, legandoselo attorno al volto e incanalando un po' di mana in un incantesimo di protezione che gli aveva insegnato Anders. Sperò che funzionasse anche contro un veleno aereo.

Si inoltrò nei vicoli, scendendo le scale buie, l'odore di marciume che gli faceva pizzicare gli occhi. Man mano che procedeva, la testa iniziò a girargli leggermente. Si sporse da una balaustra di pietra, guardando il denso fumo verdastro che riempiva il cortile sottostante.

Sentì del trambusto arrivare dalla propria destra. Allarmato, si preparò a lanciare una scarica elettrica, quando da dietro l'angolo comparve Fenris.

«Garrett?!»

«Sì, che-» una serie di violenti colpi di tosse lo colsero impreparato.

L'elfo scosse la testa, portandosi una mano alla bocca e indicandogli con l'altra un barile sotto di loro. Garrett assottigliò gli occhi: sembrava che il fumo uscisse da lì, un oggetto metallico a tenere il coperchio di legno sollevato. Non osando colpirlo direttamente con la magia per paura potesse esplodere, cercò qualcosa da lanciare, maledicendo il fatto di non avere con sé il suo arco.

Fenris gli passò due piccoli coltelli da lancio.

Ne soppesò uno in mano, prendendo la mira.

Il gancio metallico saltò via con un colpo secco, mentre il coperchio del barile si richiudeva di scatto, cessando di rilasciare il veleno.

Delle urla li fecero affrettare verso l'Enclave, dove il fumo verdastro era quasi dissipato. Sulla strada incontrarono un altro barile, che chiusero allo stesso modo.

«Na abelas!» Esclamò una voce familiare. Dopo qualche attimo qualcosa, o meglio qualcuno, venne scaraventato da un enorme pugno di pietra contro uno dei muri dell'edificio accanto.

«Merrill!»

L'elfa si voltò sorpresa, il bastone magico che brillava stretto in mano. «Garrett! Fenris!»

«Ma è-»

«Pericoloso, sì, meglio non parlare troppo.» Lo fermò lei, scostandosi una treccina di capelli neri e finendo con un incantesimo l'ultimo degli assalitori. Gli uomini a terra indossavano delle armature di cuoio e metallo. “Mercenari? Ma assoldati da chi?”

«Aveline e Marian sono più avanti.» Si limitò a dire Fenris, lanciandole un'occhiata carica di disprezzo mentre li superava e si infilava in una stradina alla loro sinistra.

Garrett dovette due volte usare degli incantesimi di guarigione per contrastare gli effetti del veleno, rimpiangendo che Anders non fosse lì con loro e dandosi dell'incapace più volte.

All'improvviso, finirono in un vicolo cieco. Sotto di loro, in bilico sulla tettoia di un negozio, un'elfa minuta dava loro le spalle. Indossava un armatura troppo grossa per lei e stringeva una spada a due mani che aveva visto tempi migliori. Era affiancata da altri tre mercenari. Accanto a loro, due barili identici a quelli che sputavano veleno.

«Avete fatto un grosso sbaglio a venire qui.» Disse quella, rivolta a qualcuno che non riuscivano a vedere. «Ma buon per me, e per la causa. Se tutti penseranno che i Qunari hanno ammazzato il Capitano delle Guardie e una Templare, si rivolteranno contro quei bovini. Molto meglio voi che tutta questa povera gente, comunque.»

«È questo che volevi?!» Garrett riconobbe al volo la voce della sorella. Era furiosa. «Ammazzare centinaia di persone solo per far rivoltare la popolazione contro i Qunari?!»

«Centinaia? No, solo...» L'elfa in armatura strinse l'arma con più forza. «Non importa. Funzionerà.»

Vide Fenris scivolare nell'ombra, raggiungendo un balcone e appiattendosi contro il muro. Uno degli uomini accanto all'elfa si girò, insospettito, costringendoli a nascondersi di nuovo.

«Dobbiamo eliminarla prima che scappi.» Sussurrò Merrill, la voce appena udibile.

«Penso che Marian voglia farla confessare.»

La Dalish annuì, stringendo il suo bastone magico con forza. «In fretta, però.»

«Dimmi chi ti ha aiutato e uscirai viva da qui.» Sentì Marian insistere.

L'elfa scoppiò a ridere, deridendola. «Credi che mi importi? No, lo faccio per la mia gente. Non basta vivere come schiavi, scappano dai Qunari in cerca di una nuova vita, e così li perdiamo due volte. Maledetti.» Sputò per terra. «Ma qualcuno dei vostri è sveglio e sa cosa bisogna fare, così mi hanno dato una mano. Sarete voi a morire, stanotte. E presto, la città prenderà le armi.»

Fece un cenno ai suoi uomini, che si chinarono a prendere gli altri due barili di veleno.

Prima che potessero toccarli, Fenris si lanciò contro di loro, atterrando esattamente dietro ad uno e trapassandolo da parte a parte, la mano conficcata nel petto dell'uomo, i tatuaggi che brillavano sinistri. Ritrasse il braccio di scatto. Quello cadde a terra con un gemito.

Gli altri due vennero colpiti dagli incantesimi lanciati da Merrill e Garrett, che li fecero precipitare giù dalla tettoia con un urlo che si zittì in un tonfo.

L'elfa si girò di scatto, allarmata, in cerca di una via di fuga. Tentò di attaccare Fenris con la spada, ma era troppo grande e pesante per lei, rendendo i suoi movimenti lenti e goffi. L'elfo roteò la lama per buttarla a terra, nel tentativo, Garrett immaginò, di prenderla viva.

Quella incespicò all'indietro, ferita, per poi rivolgere loro uno sguardo folle e gettarsi di sotto con un salto.

Fenris allungò il braccio per afferrarla, mancandola di un soffio.

Il rumore di ossa spezzate li lasciò, sconfitti, con un cadavere inutile.

«Ottimo lavoro.» Commentò sarcastica Marian, rivoltando con la punta del piede il corpo senza vita dell'elfa, il collo spezzato in una forma irregolare. «Ora non sapremo mai chi l'ha aiutata.»

«Prego, Marian, non c'è di che, no, non è stato affatto un problema salvarti le chiappe.» Replicò acido il fratello, incrociando le braccia.

«Ce la stavamo cavando egregiamente molto prima che arrivassi tu. Piuttosto, non dovresti essere a cena dalla tua ragazza?»

«Quando avrò una ragazza, verrai invitata ad ogni singola cena a casa nostra.»

«Dovremmo controllare che non ci siano altri barili.» Li interruppe Fenris, guardandoli male.

Merrill annuì. «E portare alla Chiesa tutti gli intossicati, i maghi del Circolo avranno sicuramente un incantesimo per curarli.»

«Potrei chiedere ad-»

«Non tirare in mezzo il tuo amico, ci sta già creando abbastanza problemi.» Ringhiò Marian, frugando nelle tasche dell'elfa e non trovandovi nulla. «Maledizione.»

Aveline si schiarì la gola, finendo di esaminare un barile poco lontano. «Marian, ho mandato Maecon ad avvisare il resto degli uomini, passeranno di casa in casa a vedere se è rimasto qualcuno da portare ai guaritori. Dannazione, l'Arishok aveva torto e ragione allo stesso tempo, ma la situazione è più grave di quanto pensassimo.»

«L'Arishok?» Chiese incuriosito Garrett, rivolto alla sorella. «Che sta succedendo?»

Marian sospirò. «Ci ha avvisato del furto di un po' di saar-qamek, un gas velenoso... pensavamo che volessero riprodurlo per rivenderlo, non certo che si trattasse di una qualche cospirazione per far ricadere sui Qunari la colpa di un massacro.»

«E quel che è peggio, quell'elfa era solo un ingranaggio in un meccanismo ben più complesso.» Commentò amaramente Aveline. «Dobbiamo capire chi l'ha aiutata.»

«Ha detto “qualcuno dei vostri”...»

«Umani, quindi.»

«Guardie, forse. O Templari.» Riflettè Garrett.

Entrambe le donne rivolsero l'attenzione su di lui.

«Stai insinuando che l'Ordine potrebbe essere coinvolto in un attentato?» Gli chiese fredda Marian, gli occhi blu scuro puntati dritti nei suoi, intimidatori.

Anche Aveline aveva lo sguardo duro. «O la Guardia Cittadina?»

Garrett si sentì rabbrividire. «Forse. Non è da escludere.» L'incidente di anni prima con Sorella Petrice e il suo templare era ancora bene impresso nella sua memoria. La Chiesa e l'Ordine avevano già tentato di incastrare i Qunari con la faccenda di Adaar, potevano essere di nuovo loro.

«In ogni caso, non troveremo risposte stando qua a guardarci nelle palle degli occhi.» Tagliò corto Aveline. «Marian, vai a riferire al Capitano Cullen cosa è successo e poi-»

«Sarà il caso di avvertire i Qunari.» La interruppe la templare. «L'Arishok deve sapere cosa sta succedendo. Se anche solo una parte della popolazione insorge contro di loro, dobbiamo sperare vivamente che i Qunari non scelgano di massacrarli tutti e subito.»

«È una buona idea.» Convenne Fenris. «L'Arishok sembra apprezzare l'onestà con cui l'hai trattato finora. Speriamo che il Visconte Dumar e Meredith siano della stessa opinione.»

Marian annuì. «Voi due, intanto.» Disse, rivolta al fratello e a Merrill. «È meglio che spariate, questa zona sarà piena di guardie e templari nel giro di qualche minuto. Non è la serata giusta per cacciarsi nei guai.»

I due maghi si guardarono di sottecchi, non sapendo bene se provare a restare per dare una mano o obbedire. Alla fine, scelsero di non dare ulteriori motivi per litigare.

«Se ci sono problemi...»

«Arriverai subito, Garrett, come al solito. Che io lo voglia o meno.»



 

I problemi, come scoprirono nemmeno un'ora dopo, c'erano eccome.

La clinica di Anders era affollata come non mai. Umani, elfi e persino qualche nano erano accasciati per terra o si reggevano a stento contro le pareti, alcuni erano stati portati lì in stato di incoscienza da amici o parenti, altri si erano trascinati fino alla città oscura grazie a quella che sembrava una miracolosa forza di volontà. La gente era talmente tanta che riempiva tutto lo spiazzo di fronte all'entrata e persino le due scalinate pericolanti che portavano al livello superiore.

«Perchè non sono andati alla Chiesa?»

«Perchè la maggior parte di loro non si fida, né della Chiesa né dei suoi templari.» Rispose secco Anders, una scodella con del liquido scuro in mano. Gli porse un mestolo, sbrigativo. «Due sorsi ciascuno, fa che non li vomitino.» Prima che Garrett potesse chiedere come fare per evitarlo, il guaritore era già andato a discutere con Merrill sul quantitativo di radice elfica da mettere nell'intruglio che bolliva sul fuoco.

Garrett si affrettò ad obbedire, cominciando a distribuire la cura agli intossicati.

Un uomo di mezza età tossiva così tanto che dovettero tenerlo fermo in due per evitare i conati e per placare gli spasmi che la pozione gli aveva dato, scorrendo giù per la gola irritata. Quando l'uomo tentò di divincolarsi dalla presa del suo compagno e la benda sull'occhio gli scivolò di lato, rivelando un tatuaggio che correva fin dietro l'orecchio, Garrett lo riconobbe come un membro della Cerchia. “Eccome se non si fida ad andare dai maghi del circolo, questo qui ha una taglia sulla testa di venti sovrane!” Scosse il capo, sapeva bene che laggiù non importava a nessuno, la clinica di Anders era territorio neutrale dove ogni faida, vendetta o rancore venivano messe da parte: tutti avevano diritto a ricevere le cure di cui avevano bisogno.

Un bambino aveva il volto completamente coperto di bolle, il fratello più grande aveva una benda legata sopra gli occhi, l'impacco a base di erbe magiche che colava un poco da sotto la fasciatura.

Finì di distribuire l'intruglio, aiutando come poteva con il poco di magia curativa che conosceva. Merrill, che ne sapeva molto più di lui su erbe e pozioni di guarigione, si dava il cambio con Anders per prepararne altri.

A notte fonda, un piccolo gruppo di elfi e umani arrivò a portare vettovaglie per tutti. La Cerchia inviò una buona dose di erbe dalle loro scorte e persino il Carta, con lo stupore di tutti, mandò alla clinica un nano con una serie di intricati tatuaggi a forma di teschio sul volto e le braccia cariche di sacchetti di muschi, licheni e funghi che Anders apprezzò tantissimo.

Tre donne di mezza età erano rimaste ad aiutare per gran parte della notte, affiancate dalle due elfe sorelle che lavoravano alla forneria di Earl, Elin e Rasiel, che si erano date poi il cambio con due vicine di casa, anche loro provenienti dall'Enclave, che sembravano capirne abbastanza di erbe curative da riuscire a somministrare le dosi senza dover chiedere di continuo al guaritore. Un nano completamente calvo era rimasto ad aiutare a preparare intrugli e pozioni tutta la notte, con abilità e precisione sorprendenti, senza mai aprire bocca nemmeno una volta.


 

Anche se i raggi di sole avessero potuto arrivare fino ai sotterranei della città, per il tanto lavoro non si sarebbero comunque accorti dell'alba: fu solo quando tutti i pazienti vennero stabilizzati, e la maggior parte riportati a casa loro o comunque spostati in un luogo più sicuro, che i tre maghi si concessero un breve attimo di riposo.

«Mythal'enaste, non mi reggo più in piedi.» Esalò Merrill, accasciandosi contro la parete e restando accovacciata per terra, le ginocchia strette tra le braccia. «Così tante persone...»

Garrett annuì, seduto sul pavimento poco lontano, troppo stanco per parlare.

«Avete fatto un ottimo lavoro, tutti e due. Grazie.» Disse loro Anders, mentre finiva di infilare qualche boccetta di vetro ormai vuota in una scatola. Controllò l'impasto di funghi e licheni che si stava raffreddando su una pezzuola stesa, assicurandosi della sua consistenza. «E meno male che non abbiamo dovuto fare affidamento solo alle mie scorte, non sarebbero bastate per la metà di tutta questa gente.»

«Credete che il Carta vorrà qualcosa in cambio?» Chiese Garrett, preoccupato. «La Cerchia aveva parecchi dei suoi uomini coinvolti, ma i nani...»

«Se avessero voluto un pagamento, l'avrebbero chiesto prima di portarci tutta quella roba, credo.» Rispose Anders, sedendosi finalmente anche lui. Si appoggiò al muro di legno, chiudendo un attimo gli occhi cerchiati di ombre scure. «No, penso che questa faccenda abbia davvero risvegliato il meglio che questa città nasconde. Pure dai gruppi criminali.»

«Sapevo che c'era del buono in loro, ricordiamocelo la prossima volta che ci attaccano!» Cercò di scherzare Merrill, suscitando solo dei sorrisi stanchi negli altri due.

«Dici che su alla Chiesa ci saranno state anche più persone?»

Il guaritore annuì. «Sicuramente. I più colpiti erano quelli degli edifici attorno a dove erano stati piazzati i barili, ma il vento della baia ha trasportato quella roba per tutti i quartieri bassi. Domani- anzi oggi,» scosse la testa, correggendosi «ci sarà un bel po' di gente con tosse improvvisa e bruciore agli occhi. Ma credo che la maggior parte dei feriti siano stati ormai trattati, tutti gli altri andranno a farsi dare un'occhiata dai maghi del Circolo.»

«Dobbiamo scoprire chi c'è dietro. Potevano ammazzarne chissà quanti, se non fossero intervenute subito Marian ed Aveline.»

«Credi davvero ci possa essere Sorella Petrice dietro a tutto questo?» Gli chiese Anders.

Garrett si strinse nelle spalle. «O lei, o il suo cane da guardia.»

Anders sospirò, sciogliendosi i capelli che ormai gli cadevano spettinati da tutte le parti. Si sfregò la barba ispida, grattandosi il mento. «Penso che dovresti raccontarlo a tua sorella, allora. Se fiuta una traccia, quella è peggio di un mabari, andrà sicuramente in fondo alla faccenda.»

Accolse quelle parole come un pugno nello stomaco. «Stai dicendo che non dovrei immischiarmi?»

L'altro lo guardò stanco. «Abbiamo già abbastanza problemi, no? I Templari apriranno un'indagine ufficiale, le guardie cittadine anche...»

«Qualcuno nella Resistenza magari sa qualcosa. Se c'entra il suo templare, forse lo stanno tenendo d'occhio.» Provò a convincerlo. L'essere stato fregato ai tempi dalla Sorella della Chiesa gli faceva ancora rodere il fegato, ma l'idea che quella stessa serpe avesse cercato di uccidere mezza città in un nuovo piano per dare la colpa a tutto ai Qunari, quello lo mandava fuori di testa.

«Proveremo a chiedere, allora.» Cedette Anders. «Ma non aspettarti granchè.»

Si guardarono attorno, stravolti. Lo stomaco di Garret brontolò rumorosamente.

Merrill, riuscendo ad allungare un braccio verso il tavolo più vicino, afferrò il cesto del pane che qualcuno aveva portato qualche ora prima. Era rimasta una piccola pagnotta, che divisero equamente e che servì soltanto ad accrescere la loro fame.

«Forse dovremmo fare un pisolino.» Provò a proporre l'elfa. «Insomma, se ci diamo il cambio...»

Anders scosse la testa. «Non possiamo lasciare la clinica scoperta, se dovesse arrivare qualcun altro, o se le condizioni di quelli rimasti peggiorassero...»

«Sarà ormai primo pomeriggio. Non dormiamo da, non so nemmeno più quando, in questo stato non serviamo a nessuno.» Provò a convincerlo Garrett, sapendo comunque che l'altro non avrebbe mai e poi mai accettato di lasciare la clinica in un momento così delicato. «Uno di noi dovrebbe andare a prendere del cibo, gli altri due restano qui. Poi, dopo mangiato, a turno dormiremo qualche ora sull'unico materasso rimasto.»

«Sì ma se-»

«Se esplode qualcosa, Anders, sarai il primo a saperlo, promesso.» Sbadigliò Garrett.

Come un'apparizione della Profetessa Andraste in persona, un meraviglioso odore di pane appena sfornato entrò dalla porta principale.

Elin, il grembiule a scacchi bianco e azzurro sporco di farina e gli occhi rossi dal sonno, sorrideva nonostante la nottata in bianco e la mattina passata a lavorare, un grosso cesto di vimini tra le braccia. «Mi sono liberata appena ho potuto...» Sorrise a mo' di scuse, spostando con un braccio un po' di roba dal tavolo e riuscendo ad appoggiarvi sopra il cibo. «Ho recuperato anche del formaggio, persino il vecchio Earl vi manda i suoi saluti, la nipote gli ha raccontato cosa è successo stanotte, e io che credevo avesse un cuore di pietra...»

«Elin, sei una visione.» La ringraziò Garrett, alzandosi. L'avrebbe abbracciata, non fosse stato per il fatto che probabilmente non sarebbe riuscito ad alzare le braccia sopra l'altezza dei gomiti. E che l'elfa magari non avrebbe apprezzato essere stritolata da uno in quelle misere condizioni.

Quella sorrise, scrollando le spalle. «Per quello che fate per tutti noi, non è niente. Ho chiesto ad un paio di amiche, dovrebbero arrivare a momenti per dare una mano, magari voi volete schiacciare un pisolino per qualche ora... sembra tutto più tranquillo, adesso.»

Merrill sembrò illuminarsi, andando a scoprire il cesto e individuando un po' del formaggio morbido che era il suo preferito. «Ma serannas, Elin, stavamo crollando!» Ne prese un pezzo generoso e lo spalmò sul pane con un piccolo coltellino pulito, addentandolo con voracità. «È il pranzo più buono che abbia mai mangiato!»

Anche a Garrett sembrava tutto assolutamente delizioso, mentre si cacciava in bocca più cibo di quello che riuscisse a masticare. «Mhf, grazie Elin, è buonissimo!»

«Vedi di non soffocare, non vorrei dover salvare la vita anche a te.» Lo rimproverò Anders, che però stava anche lui mangiando di gusto.

Garrett tentò di sorridere nella sua direzione, rischiando di farsi andare di traverso il boccone. «Figurati, sono troppo bravo io.»

L'altro sollevò un sopracciglio, lanciandogli un'occhiata divertita, ma non commentò.

Finirono di mangiare in pochi minuti, tanta era la fame, lasciando solo le briciole. Nel mentre erano arrivate anche le tre amiche di Elin, di cui una aveva una piccola bancarella di spezie al mercato dell'Enclave. «Posso controllare io gli impacchi, se mi spieghi un po' di cosa sono fatti, così non vi disturbo per niente.» Assicurò ad Anders, che si mise ad illustrarle attentamente ogni singolo dettaglio. Merrill nel frattempo si era appisolata in un angolo. Garrett si alzò e, con un grandissimo sforzo, riuscì a sollevarla per metterla sul materasso di paglia rimasto libero. Recuperò una coperta leggera e gliela sistemò sopra. La ragazza, intontita, lo ringraziò bofonchiando qualcosa in elfico prima di tornare a dormire beatamente.

Elin annunciò che sarebbe andata a casa a riposare, e di mandarla a chiamare per qualsiasi necessità.

Passarono un'ora a ricontrollare le medicazioni dei pazienti ed un'altra a tagliuzzare, rimettere a bollire, mischiare e amalgamare gli ingredienti necessari per crearne altre. Le tre elfe si rivelarono al di sopra delle loro aspettative, erano sveglie e con delle buone basi di partenza.

Fecero un altro giro di tutti i pazienti, ricontrollando le medicazioni e constatando che la maggior parte erano migliorati molto nel giro di poche ore.

Ad un certo punto, arrivò un uomo a lamentarsi dei forti bruciori agli occhi, asserendo che vedeva tutto annebbiato. Anders trovò il modo di alleviare il dolore con la magia, mentre piano piano le bolle sul viso del paziente andavano a diminuire e la vista iniziava a migliorare.

Quando quello uscì dalla clinica, Mavi, una delle tre ragazze, provò a suggerire che i due maghi andassero un attimo a riposarsi.

«Anche solo un paio d'ore.» Le diede man forte Linette, finendo di impastare dei licheni con l'estratto di radice elfica. «Se succede qualsiasi cosa, veniamo a svegliarvi.»

Anders si strofinò gli occhi, incerto sul da farsi. Incrociò lo sguardo di Garrett, in cerca di supporto.

«Se dovesse arrivare gente pericolosa...»

Stava per rispondere che i Templari avevano probabilmente problemi più grossi in quel momento, quando Merrill riemerse dall'altra stanza, stiracchiandosi. «Vi do io il cambio, non preoccupatevi.»

«Sei sicura?» Le chiese il guaritore.

L'elfa annuì. «Ho tutto sotto controllo. Andate a dormire.»

Finalmente, Anders capitolò. «D'accordo, ma qualsiasi cosa...» Venne praticamente spinto verso la stanza adiacente, Garrett che lo seguiva a ruota.

La maggior parte dei pazienti lì dentro dormiva ancora, merito degli antidolorifici che causavano sonnolenza rendendo più facile la guarigione.

Scivolarono silenziosamente verso il materasso libero.

«Ce la giochiamo a dadi?» Scherzò Garrett, preparandosi a dormire per terra.

«Non se ne parla, ci dormi tu.» Lo bloccò Anders, risoluto.

Garrett lanciò un'occhiata critica al materasso. «Sono troppo stanco per discutere, secondo me ci siamo tutti e due, se non scalci come un cavallo.» Aveva dormito in posti peggiori, in fondo.

L'altro portò più volte lo sguardo da lui al saccone di paglia, in silenzio.

Decidendo che non aveva la forza di stare ad aspettare una sua decisione, Garrett si coricò su un lato, rivolto verso la parete e cercando di farsi più piccolo possibile nonostante non fosse esattamente minuto. «Fa' come vuoi, buonanotte.»

Avrebbe scommesso un giro di birre all'Impiccato che il guaritore si sarebbe messo a dormire per terra. E avrebbe perso.

Con un sospiro stanco, Anders si stese accanto a lui, dandogli le spalle. «Nessuno mi ha mai detto che scalcio, comunque.»

Garrett ridacchiò. «Carver mi ha detto che sono un orso abbraccione, una volta.»

«Sopporterò.»
























Note dell'Autrice: si inizia a muovere qualcosa! Mi piaceva l'idea che nonostante la città bassa sia prevalentemente abitata dai più poveri o da poco di buono, quando qualcosa del genere tocca l'intera comunità, tutti si mettano in gioco a dispetto delle varie fazioni e strati sociali.
Il prossimo capitolo arriverà tra tre settimane causa vacanze senza computer, buon agosto a tutti! :D 

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Capitolo 15
*** Undisclosed desires ***


CAPITOLO 15
Undisclosed desires



 

Il volto dell'Arishok era rimasto impassibile durante tutta la spiegazione di quello che era successo quella notte. Non che Marian si aspettasse diversamente, in effetti, ma cominciava a chiedersi se i Qunari potessero mostrare espressioni diverse dalla maschera di pietra che avevano di solito, da cui l'unica cosa che riusciva a trapelare era il disgusto.

«E così, mi sbagliavo sul furto del saar-qamek.» Commentò infine il Qunari, scuotendo il capo con le grossa corna e sospirando profondamente.

«Non avreste dovuto lasciare allo scoperto un gas velenoso alla mercè di un gruppo di ladri.» Sbottò Marian, pentendosene un attimo dopo. Era stanca, subito dopo aver fatto rapporto a Cullen era andata alla Chiesa a dare una mano a trattare gli intossicati che erano stati portati a centinaia per essere guariti dai maghi del Circolo. Avere tutti quei maghi fuori dalla Forca aveva comportato fare turni serrati per i Templari, che si erano divisi tra lo stare di guardia alla Chiesa e l'affiancare casa per casa le guardie cittadine alla ricerca di altri feriti. Avevano estratto una trentina di morti dai vicoli più colpiti, e Marian riteneva responsabili l'Arishok e la sua trappola per ladri quanto i terroristi che avevano rilasciato il gas.

«Non è stato il Qun ad avvelenare la vostra città, ma la debolezza dei suoi abitanti.» Ribattè freddo il Qunari. «Questa elfa era determinata a darci la colpa di tutto ciò. Egoismo, avidità, rancore... come potete permettere che tutto ciò continui?»

Marian dovette tenere a freno la lingua. “Mi parla di debolezza lui, che da tre anni se ne sta seduto sul suo scranno a giudicarci senza fare un accidente?!”

«Da quando sono arrivato, non ho visto altro che debolezza e putrefazione. Elfi, nani, uomini, nessun ordine. Nessun obiettivo. Tu, Marian Hawke, sei una dei pochi che ho incontrato finora ad avere una qualche capacità. Eppure, segui un Ordine debole, che non è capace di mettere a posto questo caos. Tu stessa vai contro la tua gente, ne sono a conoscenza.»

Rabbrividì quelle parole. Sapeva che Meredith e Cullen disapprovavano della sua visita al campo Qunari, così come il Visconte? «Il caos non è solo debolezza e distruzione,» si trovò a ribattere «è un'opportunità per far emergere anche il meglio di noi, assieme al peggio.» E Kirkwall aveva dimostrato proprio quello, nelle ultime ore. Dopo l'attentato, la città intera si era mobilitata per portare aiuto al quartiere basso, chi portando cibo, acqua, bende pulite e giacigli alla Chiesa, chi si era offerto di aiutare come poteva, chi aveva sfidato i vicoli che ancora puzzavano di gas per portare in salvo un parente, un amico, un vicino di casa o un semplice sconosciuto. «E per quanto riguarda il mio Ordine, faccio ogni giorno ciò che credo sia meglio per esso e per tutti coloro sotto la nostra protezione. Anche pensando con la mia testa.» Gonfiò il petto, orgogliosa.

L'Arishok l'ascoltò, impassibile, gli occhi puntati su di lei. «I Karasten sono soldati. Il Qun li ha resi tali. Non potranno mai deviare dalla strada assegnatagli. Ma sono liberi di scegliere all'interno del proprio ruolo. Di accettarlo e trionfare, o di rifiutarlo e morire. La gloria è chiara e definita. Puoi tu, può questa città, il tuo Ordine, beneficiare della stessa certezza, se i suoi soldati non seguono il proprio ruolo? Come saprai di aver fatto una vera differenza?»

«L'Ordine mi ha dato dei principi da seguire, e così la Chiesa.» Rispose Marian, alzando il mento. «Ma seguire ciecamente i comandi dall'alto, in nome di un obiettivo scelto arbitrariamente da una persona, non è avere delle certezze. È essere schiavi. Essere libero di obbedire non è libertà, è avere una catena al collo.» Portò lo sguardo su uno dei maghi Qunari, un Saarebas, la grande maschera di metallo che gli copriva il volto, le pesanti manette che gli incatenavano i polsi e le caviglie.

L'Arishok non dovette nemmeno girarsi per sapere a chi stava alludendo. «Ha scelto di essere. Come tutti noi. La vostra libertà è senza scopo.» Fece una breve pausa. «La tua gente potrà portarci a cambiare il nostro ruolo qui, se il Qun lo richiede.»

“È una minaccia?” «L'elfa era arrabbiata perché molti della sua gente si sono convertiti al Qun.»

«Noi abbiamo accolto coloro che hanno dimostrato di voler seguire il Qun. I deboli cercano naturalmente l'affiliazione ai più forti. Non è importante. Non siamo venuti qui per convertire la vostra gente. Mi trovo in questa città per un compito che non riusciresti a comprendere.»

«Siete qui da parecchio.» “E come fai ad adempiere a qualcosa, col tuo culo incollato là sopra?”, avrebbe voluto aggiungere. Aveline, accanto a lei, le lanciò uno sguardo ammonitore. L'amica la conosceva fin troppo bene.

«Ci fermeremo per tutto il tempo che ci vorrà. Nessuna nave è in arrivo per noi. Non si sfugge al dovere verso il Qun. Sono bloccato qui.»

«Non è quello che avete raccontato al Visconte.» Replicò a denti stretti Marian.

L'Arishok assottigliò lo sguardo, accigliandosi ulteriormente. «Che marcisca, con lui l'intera città. Della feccia ci ha derubati. Non adesso, non il saar-qamek. Anni fa. Sono vincolato da un misero atto di avidità. Par Vollen mi è negata finchè non riuscirò a recuperare ciò che è andato perduto sotto il mio comando!» Si alzò in piedi, troneggiando su di loro, furioso. «Per questo i vostri elfi non sono importanti. Per questo i vostri complotti non sono importanti. Questo è l'unico motivo per il quale non posso andarmene da questo letamaio!» La guardò dritto negli occhi, prima di indicare la città attorno a loro con un ampio gesto del braccio. «Sistemare il vostro caos non è una richiesta del Qun! E dovreste esserne grati!»

Marian fece istintivamente un passo indietro, impietrendosi, la mano che volava all'elsa della spada. Immobilizzò il braccio a mezz'aria. Non poteva mostrarsi debole. In quel momento, rappresentava l'intero Ordine, la città stessa. Sostenne lo sguardo dell'Arishok, nonostante il cuore che batteva a mille. “Se dà l'ordine di attaccare, siamo tutti morti.” Il suo secondo pensiero fu quanto si sarebbe infuriata Meredith nel caso lei avesse appena causato l'ultimo, fatale incidente diplomatico coi Qunari.

I due Karasten in piedi a lato dell'Arishok, qualche gradino più in basso rispetto a dove aveva piazzato lo scranno, rimasero impassibili allo scoppio d'ira del loro capo, le braccia conserte al petto e lo sguardo puntato nel vuoto.

L'Arishok sembrò calmarsi, inspirando profondamente e dando loro le spalle, per poi tornare a sedersi. «Grazie per i tuoi servigi, umana. Ora vattene.»

Marian non se lo fece ripetere due volte.

Superarono a grandi falcate il cancello della palizzata in legno, salendo i gradini a due a due tanta era la voglia di andarsene da quel posto.

«Sto cominciando a pensare che Ruvena non abbia poi tutti i torti.» Ringhiò una volta che furono abbastanza lontane, le parole di sfida e minaccia del Qunari che le ronzavano in testa.

Aveline l'afferrò per un braccio, costringendola a fermarsi. «Lo so che ti ha fatto arrabbiare, ma devi calmarti. Non puoi permetterti di perdere la testa pure tu.»

Marian si morse la lingua. «Lo so.» Ammise, dopo due o tre respiri profondi. «Con tutta questa tensione tra terroristi, Qunari, la Resistenza e questi strani omicidi...» scosse la testa. «Non so se sono la persona più indicata a gestire questo caos, forse l'Arishok non ha tutti i torti.»

«Preferiresti che fossero tutti come Cullen, pronti ad obbedire a qualsiasi ordine gli venga dato? Non saremmo diversi dai Qunari, allora. Tutto sarebbe meravigliosamente ordinato, al punto da farci decidere quando mangiare, cosa bere, quante volte respirare prima di aprire bocca e dire “sì signore”.» Aveline era rossa in volto, la mascella rigida. «Le regole sono fatte per essere rispettate, ma quelli al comando sono uomini come tutti gli altri, pieni di pregi e difetti. Se nessuno si prendesse mai la briga di pensare con la propria testa e andargli contro, quello sì che sarebbe un incubo. Siamo dotati di un cervello e abbiamo il dovere di usarlo.»

Marian la guardò, ammirata e sorpresa. «Grazie, Aveline.»

«Figurati. So che lo pensi anche tu. E comunque, hai fatto bene a tenergli testa, poco fa.»

Marian sbuffò. «Come no... spero almeno di non averlo definitivamente convinto a convertirci tutti. Per le chiappe fiammanti del Creatore, cosa dico a Cullen adesso?!»

Aveline si lasciò sfuggire una risatina. «Che hai riferito all'Arishok quanto è accaduto con i suoi barili ma che non sembrava interessargli molto. E che non ha intenzione di levare le sue corna di torno. Lascerei fuori la parte sul divino didietro del Creatore però, fossi in te.»



 

Il Capitano Cullen non la prese molto bene.

«Cos'è che li trattiene a Kirkwall?» Chiese per l'ennesima volta, massaggiandosi le tempie, i gomiti poggiati sulla scrivania di legno. «Dobbiamo scoprire che cos'è che gli hanno rubato, e perché pensa possa essere proprio qui. Se è l'unico modo per farli sloggiare...»

«Non credo vogliano che ci immischiamo nelle loro faccende...» Borbottò Marian. “E nemmeno io, se per questo.” «Mi preoccupano di più i fanatici che hanno cercato di scaricargli addosso la colpa dell'attentato. Già girano voci di come sia stata tutta una minaccia dei Qunari, che se non ci convertiremo tutti al Qun rilasceranno il gas sull'intera città.»

«Dici che ne sarebbero capaci?»

La domanda la lasciò spiazzata. Si strinse nelle spalle. «Non lo so. Non credo. Penso che siano più i tipi da farci a pezzi con le loro spade, è più onorevole.»

Cullen fece una smorfia. «Onore. I Qunari. Tsk. Sono eretici, nient'altro, e noi li stiamo ospitando da anni. È solo una questione di tempo prima che la situazione vada fuori controllo.»

La campana della torre ovest suonò i rintocchi del Mezzogiorno. Marian si rese conto di non aver mangiato dalla sera prima. Era stata sveglia tutta la notte e ora crollava a pezzi. Cullen sembrò rendersene conto. «Puoi andare a riposarti. Domani ti voglio ad investigare sul gruppo dietro all'elfa, dobbiamo fermarli.»

«Sì Capitano.» Chinò rigidamente il capo, per poi dargli le spalle.

«E, Marian?»

Si immobilizzò, la mano sulla maniglia, voltandosi. «Capitano?»

«So che fare da tramite con l'Arishok non è facile, ma hai avuto una buona idea. E nessun altro avrebbe saputo farlo meglio. L'Ordine ti ringrazia.» Accennò un sorriso stanco.

Marian si costrinse a fingere un sorriso. «Grazie, Capitano.»

Il refettorio era praticamente deserto. I pochi Templari che non erano di ronda o alla Chiesa se ne restavano in silenzio, stanchi e affamati, giusto il tempo per un pasto veloce, per poi tornare in servizio o andare a coricarsi.

Mangiò a fatica il pranzo, buttando giù a forza qualche pezzo di carne e due bicchieri d'acqua. Dopo l'ultimo Tormento, stare nella stessa stanza con Cullen la rendeva nervosa, per non parlare del voltastomaco che le dava il dover condividere lo spazio con Karras e i suoi.

Era questo che dava tanto fastidio all'Arishok e a quelli come lui. Che avesse una sua opinione. Che disapprovasse le azioni dei suoi superiori.

Eppure, a dispetto di tutti i suoi buoni propositi, non riusciva a cambiare le cose.

Si alzò dal tavolo come un burattino tirato da fili invisibili, troppo stanca e frastornata, andando a sciacquarsi velocemente e togliendosi l'armatura come per inerzia.

Stesa sul letto, si ritrovò a fissare le travi di legno del soffitto, il pensiero che volava a tutti quelli che erano rimasti feriti la notte prima. Se non avessero trovato i responsabili, se non fossero riusciti a fermarli, in quanti ancora avrebbero sofferto per l'incapacità dell'Ordine che avrebbe dovuto proteggerli? “E se l'Arishok, il Creatore non voglia, decidesse di porvi lui stesso rimedio?”

Chiuse gli occhi, serrando le palpebre. «Maledizione.»

Scivolò in un sonno agitato.

Bethany veniva incornata dall'Ogre, ma quando lei correva in soccorso della sorella, a troneggiare di fronte a lei non era più un gigantesco Prole Oscura, bensì l'Arishok. La tempesta infuriava tutto attorno a loro, fino a che il suo nemico non fu inghiottito dalla spessa coltre di nubi violacee. Un dolore alla spalla la fece urlare, lancinante, la spada che le sfuggiva di mano e precipitava nell'abisso che si era aperto sotto i suoi piedi.

«Colei che fu esiliata, vigila oltre la Soglia.»

Ruotò su sé stessa, cercando di capire da dove provenisse la voce. Il rombo dei tuoni nelle orecchie, o forse era la città stessa che crollava attorno a lei? Respirava a fatica, come immersa in una nebbia densa. Allungò il braccio davanti a sé, senza poterlo vedere.

«Sangue chiama Sangue.»

Un soffio di aria gelida le fece accapponare la pelle. Assottigliò gli occhi, e le parve di vedere una chioma ramata.

«Guardati le spalle!»

Si svegliò di soprassalto, il respiro accelerato, sudore gelido che le scendeva lungo la schiena. Strinse il lembo della coperta, cercando di calmarsi, gli occhi che dardeggiavano per la stanza come ad individuare un possibile assalto. La stanza era vuota, non c'era traccia delle sue compagne.

Dopo qualche minuto, il battito più regolare, si costrinse a tirarsi in piedi.

Guardò fuori dalla finestra, era ormai il crepuscolo, una luce rossastra filtrava dalle tende socchiuse.

Si sciacquò il viso con l'acqua fresca, fissando il suo riflesso nella tinozza all'angolo della stanza. Sentiva ancora gli artigli del demone conficcati nella spalla, la voce a metterla in guardia su qualunque cosa fosse in agguato dall'altra parte del Velo.

“Nemmeno un paio d'ore di sonno decenti, Marian, ottimo.” Pensò, sbuffando sonoramente e allacciandosi la camicia. Afferrò la cintura con le spade, legandosela stretta sui fianchi, lasciando l'armatura dov'era.

I corridoi della Forca erano quasi deserti, ma si sentiva parecchio trambusto provenire dal refettorio. Marian decise di passare per le cucine e convincere un paio di servitori a darle un paio di panini farciti, per poi affrettarsi ad uscire dalla Forca. Ne mangiò uno sulla strada verso la chiesa, riponendo l'altro nella piccola sacca di pelle che teneva alla cintura.

Nella piazza di fronte alla grande cattedrale erano stati allestiti una mezza dozzina di grandi tende da campo, ed a ognuna erano stati assegnati due maghi, quattro Templari, un paio di Guardie Cittadine e tre infermieri, per gestire l'ingente numero di intossicati che erano stati portati lì la notte precedente.

«Ser Marian!»

Alain, il mago di Starkhaven che Marian aveva salvato dalla furia omicida di Karras, la salutò con la mano, un sorriso stanco sul volto.

«Come sta andando?» Gli chiese, lo sguardo che posato su una giovane donna che tossiva debolmente, una pezza bagnata a coprirle gli occhi.

«Abbiamo stabilizzato la maggior parte di loro. Per grazia del Creatore, non ci sono state altre vittime.» Rispose il mago, sfregandosi la punta del naso e guardandosi attorno con aria tesa. Si chinò ulteriormente verso di lei, come se volesse dirle qualcosa, ma vennero interrotti dall'arrivo di un uomo alto e grosso, l'armatura scintillante da Templare lucida come uno specchio.

«Non sei qui per chiacchierare, mago.» Intimò Ser Alrik, facendo sobbalzare Alain. L'uomo gli allungò uno scappellotto sulla nuca, che risuonò come uno schiocco. Il mago rischiò di caracollare sulla sua paziente, il volto terreo.

«Ser Alrik, avevo semplicemente chiesto ad Alain un aggiornamento sulla situazione.» Prese le sue parti Marian, fredda.

Il collega le rivolse uno sguardo di scherno. «Sentito la ragazza, maghetto, chiede un aggiornamento. Forza, riferiscile come siamo rimasti qui tutti a fare il nostro lavoro mentre lei se ne andava a zonzo da quei bovini...» Strinse la spalla dell'altro con forza.

Alain tremava leggermente. «C- come ho detto, la situazione è sotto controllo, l'Ordine...»

Il Templare ghignò, non accennando a mollare la presa. «Tieni dritta quella schiena e parla più forte, non ti sento.»

Il mago le lanciò uno sguardo disperato, che venne intercettato però dall'uomo, che storse gli angoli della bocca in un sorriso cattivo.

Marian scoccò un'occhiata gelida ad Alrik, disgustata dal comportamento del collega. «È tutto a posto, Alain, tu e gli altri maghi state facendo un ottimo lavoro. Ser Alrik, se non avete nulla di meglio da fare che importunare i maghi a lavoro, ci sono ancora parecchi vicoli da ripulire, giù all'Enclave. Sono certa che siano all'altezza delle vostre capacità. Il Capitano Cullen apprezza la vostra iniziativa e generosità verso i meno fortunati.»

Il sorriso divertito di Alrik si spense improvvisamente. Aprì la bocca come per ribattere, ma sembrò ripensarci, lanciandole un'ultima occhiata velenosa prima di rispondere affermativamente tra i denti e andarsene verso la città bassa.

Marian strizzò l'occhio in direzione di Alain, che sospirò sollevato, prima di lasciare il mago ai suoi compiti. Fece a due a due i gradini che portavano alla chiesa, in cerca di un po' di quiete.

I grandi battenti del portone della cattedrale erano socchiusi, all'interno c'era un po' di fermento dato dall'andirivieni di fratelli e sorelle della Chiesa che stavano dando una mano a curare gli intossicati e dai fedeli che erano entrati per rivolgere le preghiere al Creatore e alla sua Sposa per la pronta guarigione di parenti e amici.

Marian salì ai piani superiori, appoggiandosi poi alla balaustra che si affacciava sulla grande statua dorata di Andraste. Ai piedi della Profetessa vi erano almeno un centinaio di ceri accesi, rossi e dorati, che due Sorelle custodivano attentamente portando via quelli ormai consumati. Il cuore pulsante della comunità di Kirkwall batteva in ognuna di quelle fiammelle, riflettendosi sulla superficie liscia del simulacro che le proiettava per tutto lo spazio.

«È bellissimo, vero?»

Senza voltarsi, annuì, sovrappensiero. Sentì Sebastian appoggiarsi anche lui al parapetto di legno e ferro battuto, le spalle che si sfioravano. «Si può quasi sentire il Suo sguardo su di noi.»

«Penso che per una volta non abbia nulla da obiettare.» Sorrise, girandosi a guardarlo. L'uomo aveva l'aria stanca, due occhiaie pesanti che facevano risaltare il blu profondo dei suoi occhi. Sembrava turbato, pensò Marian, ma chi in fondo non lo era, in quelle ore? «Sei stato sveglio fino adesso?»

«Elthina ha costretto a ritirarmi per un paio d'ore, ma ho a stento riposato.» Ridacchiò, come se si fosse ricordato improvvisamente di qualcosa. «Non ho nemmeno mangiato, ora che ci penso, il mio stomaco dev'essersi ormai rassegnato.»

Marian infilò la mano nella borsa, estraendone il panino accuratamente avvolto in una stoffa e porgendoglielo. «Fai pure.»

L'altro la guardò, combattuto. Alla fine, si risolse ad afferrarlo. «Grazie.»

«Non farti beccare dalla Somma Sacerdotessa a sgranocchiare qui, però.»

«Lasciamo perdere, ci ho appena avuto una discussione piuttosto accesa, non vorrei ritrovarmi di nuovo il suo cipiglio di disapprovazione puntato addosso...» Mugugnò Sebastian, prendendo un morso e masticando con voracità.

«Posso chiederti come mai?»

L'altro sospirò, incurvando la schiena, lo sguardo puntato sulla spada che la statua di Andraste stringeva nella sinistra. «Ho scoperto chi ha assoldato i mercenari di Flint per uccidere la mia famiglia.» Disse infine dopo qualche secondo. «Sono stati gli Harimann, una casata nobiliare presente qui a Kirkwall che credevo amica e alleata dei Vael.»

La notizia la lasciò spiazzata. «Mi dispiace, Sebastian.»

«Devo sapere perché. Ma Elthina teme che possa ucciderli tutti e deludere di nuovo il Creatore.» Strinse la presa sulla balaustra. «Non posso lasciare che gli assassini della mia famiglia restino impuniti.»

«Sai se avevano un movente?»

Scosse il capo. «Lady Harimann è sempre stata gelosa della mia famiglia, perché lei era solo una nobile e noi dei reali, ma non sarei mai arrivato ad immaginare che... insomma, per mera invidia? Non riesco a crederci.»

«C'è chi uccide per molto meno, Sebastian, credimi.» Commentò tetra.

«Lo so.» Sospirò profondamente, dando le spalle alla statua. «Ho saputo che tre anni fa Lord Harimann è stato assassinato, e sua figlia Johane è ora al comando della famiglia. Dicono che in società non la vedano molto spesso, di questi tempi.»

«Direi che dovremmo andare a farle visita, allora.»

Sebastian sgranò gli occhi, colpito. «Non vorrei trascinarti ulteriormente in questa faida, è un mio problema...»

Marian sorrise, dandogli un buffetto affettuoso sulla spalla. «Non ti lascerò certo andare da solo. È a questo che servono gli amici, no?»

Gli angoli della bocca dell'uomo si curvarono leggermente verso l'alto. «Amici. Non so se me lo merito.» Prese un altro boccone, pensoso, masticando lentamente. «Se vado apertamente contro gli Harimann, rischio di scatenare una guerra. Se non lo faccio... come posso dormire tranquillo, sapendo che la mia famiglia non troverà mai pace?»

«Meglio rischiare una guerra piuttosto che non fare nulla.» Replicò decisa lei, incrociando le braccia. «Almeno scoprirai cosa l'ha spinta in questa follia. E comunque, potrà sempre scegliere di consegnarsi alla giustizia e pagare per i suoi crimini in una cella, sarà una sua scelta, consegnarsi o...» Lasciò la frase in sospeso, facendo spallucce. «Ad azione, corrisponde reazione.»

«Sì, hai ragione. Solo, non... Promettimi che, se vengo accecato dall'odio e dalla vendetta, fermerai la mia mano. Non mi fido di me stesso, non questa volta. Ho paura di tornare il vecchio me stesso.»

Marian lo guardò sorpresa. Sebastian era solitamente molto fermo nelle sue decisioni, e raramente mostrava le sue debolezze in quel modo. «Puoi contare su di me.» Gli disse, facendoglisi più vicino. «Ma non credo ce ne sarà bisogno. Fino adesso, non ti ho mai visto agire in preda alla rabbia, nemmeno quando siamo andati a caccia dei Flint, gli hai sempre dato la possibilità di arrendersi.»

Lo vide serrare la mascella. «Non sai cosa si celasse nel mio cure, però.» Abbassò lo sguardo, pieno di vergogna. «Cantava di gioia, mentre li massacravamo. Ogni freccia che li abbatteva era musica per le mie orecchie, ogni zampillo di sangue un fuoco d'artificio. Non voglio sentirmi di nuovo così, non voglio gioire della morte altrui. Eppure, so che succederà di nuovo. Mi allontanerò un'altra volta dal Creatore e dagli insegnamenti della Profetessa, rivelandomi per l'ennesima volta indegno, infrangendo i miei voti...»

Marian agì d'istinto, posando la mano sua e stringendo la presa. «Guardami.» Disse, costringendolo ad alzare la testa. «Il Creatore sa che siamo esseri deboli. Seguiamo i nostri sentimenti, e cadiamo in tentazione, è ciò che ci rende umani. Ma tu riconosci quando sbagli, e ti metti sempre in discussione. Sei cambiato tantissimo rispetto alla persona che racconti di essere stato, e ti sforzi ogni giorno per essere la tua versione migliore. Non sminuirti così.»

«Come posso essere la mia versione migliore, se anelo alla vendetta?» Le domandò, quasi un sussurro, abbassando lo sguardo.

«La Profetessa si scagliò contro i suoi nemici con furia divina.» Indicò con un cenno del capo la grande spada che la statua sfoggiava. «Non si è limitata a sperare che la giustizia facesse il suo corso, ma ha preso in mano la situazione e se l'è fatta da sé, perché era così che doveva andare. E tu farai lo stesso, portando alla giustizia dei luridi assassini. Nient'altro. Elthina potrà anche non essere d'accordo, ma non è il Creatore in persona, e io non penso che Lui o Andraste possano davvero disapprovare.»

Sebastian sbuffò, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso. «Alcuni la considererebbero una bella bestemmia, ma vorrei credere che tu abbia ragione.»

«Alcuni si dimenticano che Sante Marce sono state indette per molto meno dell'omicidio di una famiglia reale.» Ribattè Marian. «La Chiesa ha come sue braccia armate i Templari e i Cercatori, due ordini non esattamente pacifici, e la sua storia è costellata di sangue e battaglie fin dalla sua stessa nascita. L'importante è non cadere nella violenza ingiustificata.»

L'uomo annuì. «Grazie. Ne avevo bisogno.»

«Figurati. Comunque, ci servirà una mano nel caso abbiano assoldato altri mercenari a fargli da guardia. E portandoci dietro Aveline, potremo trattare il tutto come un'indagine ufficiale...»

 

 

Alla fine, la sera dopo a bussare alla porta di Lady Harimann ci andarono in cinque.

Isabela, guardandosi attorno, diede di gomito a Fenris. «Vedi, dovresti farti dare qualche suggerimento su come tenere il giardino, hai le erbacce fin sotto le finestre.»

L'elfo fece una smorfia divertita. «Mi ricorderò di chiedere, prima di imbrattargli la tappezzeria di sangue e budella.»

«Devo ricordarvi che siamo qui per chiedere spiegazioni e preferibilmente consegnare alla giustizia i colpevoli, senza spargimenti di sangue?» Li redarguì aspra Aveline, che tuttavia stringeva l'elsa della spada con aria tesa.

«Devo ricordarti che raramente le nostre avventure si concludono pacificamente, ragazzona?» La prese in giro Isabela, scuotendo i capelli e osservando compiaciuta il suo riflesso nella lama lucidissima dei suoi pugnali. «Coraggio, qui abbiamo capito che non ci aprirà nessuno.» Si avvicinò alla porta ancheggiando, chinandosi in avanti e mostrando il fondoschiena mentre armeggiava con la serratura chiusa, facendo prontamente distogliere lo sguardo a Sebastian, imbarazzato. Dopo pochi secondi, si sentì uno scatto, e il battente si aprì silenziosamente verso l'interno. «Dopo di voi.» Disse la pirata con un sorriso arrogante sulle labbra, facendosi da parte.

Marian scosse la testa, evitando di commentare.

L'interno della villa era immerso nella penombra. Solo poche candele illuminavano fiocamente il salone, che sembrava deserto. Si scambiarono uno sguardo preoccupato, estraendo subito le armi.

«Questo non è dalla Lady Harimann che ricordo...» Commentò Sebastian, stringendo l'arco.

«Lady Harimann!» Tuonò Aveline, lo scudo alzato davanti a loro. «Sono il Capitano delle Guardie, uscite fuori e non vi faremo del male, cerchiamo solo delle risposte!»

Rispose solo il silenzio.

«Non mi piace. Dovrebbero esserci guardie, servitori...»

«Forse sono andati tutti in vacanza.»

Marian scoccò uno sguardo irritato ad Isabela, che scrollò le spalle.

«Dicevo per dire.» Si difese la donna.

La templare strinse i denti, superandola e mettendosi accanto ad Aveline, prima di procedere con cautela per il salone. «Coraggio, a quanto pare non ci renderanno le cose facili.»

Faceva innaturalmente freddo. Era piena estate, come poteva star tremando di freddo? Stavano setacciando le stanze deserte al primo piano, quando udirono una voce imperiosa dal piano di sotto. Armi in pugno, scesero le scale che portavano alla cantina dei vini.

«Versa più vino, o ti affogo in uno dei barili!»

La donna di fronte a loro aveva lunghi capelli corvini ed era vestita in abiti eleganti, anche se sporchi di vino in alcuni punti. Stava animatamente discutendo col nulla e barcollava parecchio.

«Mi ricorda alcune delle migliori serate all'Impiccato...» Commentò Isabela divertita, mentre muoveva una mano davanti agli occhi della donna. Quella sembrò non accorgersene nemmeno, ignorando tutte le loro domande e continuando a discutere con il barile più vicino, ormai vuoto, scuotendo energicamente il bicchiere che teneva in mano.

«Qui non caveremo un ragno dal buco.» Si risolse Marian, accigliata.

«Che cosa ci sarà in quel vino?» Chiese Isabela, curiosa.

«Niente che possa piacerti.» Le rispose tetro Fenris, spingendola via prima che potesse farsi venire qualche idea.

«C'è qualcosa di sinistro in questo posto. Senti qualcosa?» Chiese Sebastian a Marian, avvicinandosi a lei.

La templare annuì. «Non so esattamente cosa sia, ma sembra esserci qualche influenza magica all'opera. Stiamo in guardia.» Ammonì il gruppo, alzando la voce. «State pronti a tutto.»

«Maghi...» Ringhiò Fenris mentre indagavano nelle altre stanze.

Dopo qualche minuto, sentirono delle grida di paura. Corsero in quella direzione, trovando un'altra strana scena: un uomo riccamente vestito gettava un candeliere d'oro in un grande pentolone posto sul fuoco scoppiettante, accanto a lui, un elfo teneva in una presa ferrea un'altra elfa, un coltello puntato alla sua gola.

L'elfa fu l'unica a notare il loro ingresso. «Aiutatemi, per favore, non-»

«Non agitarti, sarai bellissima.» Disse l'uomo in tono piatto, lo sguardo vacuo mentre sollevava a mani nude il pentolone di oro bollente. Il puzzo di carne bruciata riempì l'aria, ma lui non ci fece nemmeno caso, avanzando verso la prigioniera. «Te lo verso addosso.»

Prima che potesse fare altri due passi, Aveline e Marian si scagliarono su di lui, strappandogli di mano il pentolone e stendendolo con un colpo alla testa. Quello si accasciò a terra come un sacco di patate. Marian posò il calderone bollente a terra, ringraziando per la prima volta in quell'estate caldissima di avere addosso i guanti dell'armatura.

Un secondo tonfo e anche l'elfo andò giù a terra, svenuto, Sebastian che cercava di tranquillizzare la giovane elfa. «Esci più in fretta che puoi e non raccontare niente a nessuno, sei al sicuro ora.»

«Grazie, serah, io... non so cosa gli sia successo, ero solo venuta a consegnare delle lettere...» Si asciugò le guance rigate di lacrime, tremante, prima di ringraziarli un'altra volta e scappare via.

«Dobbiamo far finire questa follia.» Digrignò i denti Sebastian, lanciando uno sguardo ai due svenuti a terra. «Prima Flora, ora Brett...»

Marian annuì. «È sicuramente opera di un demone.»

«Hei, guardate qui.» Li chiamò Isabela, sventolando delle carte. «Qua si parla di scavi sospetti sotto le cantine, tunnel per portare schiavi nel Tevinter... credo di aver attirato l'attenzione di tutti.»

«Per una volta, l'hai fatta giusta.» Si congratulò Aveline.

Si diressero quindi verso le cantine, ma la loro attenzione fu di nuovo catturata da qualcosa. Una serie di risatine maschili, seguite da mugolii di piacere. Marian appoggiò l'orecchio alla porta di legno accanto a loro, aggrottando le sopracciglia, facendosi un'idea di cosa stesse accadendo là dentro. «Uuuh, così, brava, esattamente!» Strinse la mano sulla maniglia, prima di spalancare la porta. All'interno, sdraiato con la schiena su un grande letto a baldacchino, c'era un uomo completamente nudo, la mano sinistra stretta intorno alle coperte e la destra che guidava i movimenti dell'elfa in abiti succinti inginocchiata tra le sue gambe.

«Usa la piuma, ora, ah-!» Il resto venne inghiottito dall'ennesimo gemito, mentre il corpo dell'uomo si inarcava in uno spasmo di pura estasi, l'elfa che gli stuzzicava il ventre con un piumino senza smettere di fare avanti e indietro con la testa.

La risata di Isabela echeggiò per i corridoi.

Marian raccolse tutte le forze per restare impassibile. Avanzò verso la coppia, che sembrava assolutamente ignara della loro presenza. Quando però incrociò lo sguardo di Aveline, che era diventata rossa come un pomodoro, e quello di Sebastian, che guardava ostinatamente il soffitto e si era irrigidito come un palo, non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere anche lei. Isabela seguì la sua occhiata e finì a sbellicarsi ancora più forte, e persino Fenris ghignava divertito.

«Se avete finito...!» Li redarguì Aveline, cercando di apparire seria.

«Sì, ecco, non è per niente da lui, insomma, Ruxton è sempre stato un puritano...» Balbettò Sebastian, tenendo lo sguardo fisso sopra di sè.

«Senti chi parla!» Lo canzonò Isabela, sganasciandosi a spese dell'uomo.

Marian cercò di ridarsi un contegno. Inspirò l'aria dal naso, trattenendo il fiato ed evocando immagini di cadaveri smembrati, vecchiette derubate e cuccioli di mabari affamati. Si voltò di nuovo verso Sebastian, annuendo. Stava per aprire bocca, quando Ruxton Harimann emise un prolungato urlo di piacere, lussuria pura. Ogni muscolo sul viso di Sebastian si tese come se stesse per esplodere, mentre la carnagione scura si tingeva di un colore violaceo e lui distoglieva rapidissimamente lo sguardo, scappando in direzione della porta.

«Fermeremo questa follia!» Esclamò, mentre già infilava il corridoio, Aveline alle calcagna.

«Và a chiamare anche tuo fratello, tesoro, voglio il bis!» Pregò Braxton, rivolto all'amante.

Un tonfo, e Isabela era contro la parete a spanciarsi dalle risate. Piangeva pure, tanta era l'ilarità. Fenris era scoppiato a ridere anche lui, una mano davanti alla bocca, scosso dai sussulti. Anche Marian non riuscì a stare seria, e ci mise parecchio a riprendersi. Nel frattempo, Harimann vagava per la stanza alla cieca, nudo come un verme, agitando il piumino che aveva in mano.

Quando Braxton sembrò decidere che non avrebbe aspettato il fantomatico fratello della ragazza per avere il secondo giro, i tre si assicurarono che la finestra fosse ben chiusa, trascinandosi poi ancora ridacchiando fuori dalla porta.

«Questo demone sa come divertirsi, datemi retta!» Singhiozzò Isabela, ammiccando.

Sebastian era ancora rosso in volto, Aveline del colore dei propri capelli. Li guardarono raggiungerli con somma disapprovazione. Con uno sbuffo, li precedettero verso le cantine, dove dovevano esserci i tunnel scavati recentemente per ordine di Lady Harimann.

La pirata le diede un colpetto sul braccio, accennando ai due davanti a loro. «Sai, tesoro, mi sa che togliergli quell'Andraste dal pacco sarà un'impresa impossibile.»

Marian si sentì arrossire. «Non essere stupida, è un Fratello della Chiesa.»

«Mh, sarà. Ma tu il voto di castità non l'hai certo fatto.»

«'Bela, hai una fervida immaginazione.»

«Continua a ripetertelo, tesoro.»

Scesi in cantina, vennero accolti da un'ondata di freddo gelido che li fece rabbrividire. Sarebbero stati presi di sorpresa da un demone del desiderio e altre tre ombre, se Marian non avesse lanciato un'aura antimagia giusto in tempo, rallentando le creature e permettendo loro di finirle prima ancora che quelle potessero scagliarglisi addosso.

«Demoni tentatori.» Indicò Sebastian, sopra il cadavere nudo e formoso del demone del desiderio appena abbattuto.

«Andiamo a vedere cosa stavano proteggendo.» Ringhiò Marian, il momento di ilarità passato da un pezzo. Ogni nervo del suo corpo era teso e pronto all'azione, il lyrium preso due ore prima che le cantava nelle orecchie, donandole tutta la forza di cui aveva bisogno.

Lady Harimann aveva fatto scavare un passaggio che dalle cantine conduceva ai sotterranei della città, incontrando quelle che parevano antiche rovine. Sorpassarono una serie di arcate, scendendo sempre più in profondità e incontrando un maggior numero di ombre e demoni minori man mano che si allontanavano dalla superficie, e persino qualche scheletro rianimato dalla magia oscura, le orbite vuote puntate su di loro e le armi arrugginite pronte a farli a pezzi.

Si ritrovarono in un'ampia caverna sotterranea, illuminata da una fioca luce verdognola data da delle piccole torce magiche attaccate alle pareti.

Un altare di un paio di metri di altezza si ergeva al centro, interamente decorato di teschi umani. Ai suoi piedi brillava una grossa candela scarlatta, posta in una tinozza piena di quello che pareva sangue. Marian sentì un brivido freddo lungo la schiena: dietro l'altare, troneggiava una gigantesca statua deforme, le gambe piegate i modo innaturale sotto il mento, il volto distorto in un ghigno malefico, la lingua forcuta che usciva dalla bocca e due corna ricurve sul capo.

Una voce umana si levò da una delle alcove ai lati della caverna. «Devi darmene di più. Starkhaven non si sottometterà mai. Ho messo sul trono quell'imbecille di Goran Vael, ma nessuno dei nobili gli presta orecchio. Gli farò sposare Flora, ma ho bisogno di più potere!» Quella che doveva essere Lady Johane Harimann sbattè il bastone da mago che stringeva in mano, che si illuminò nel buio.

«Te ne ho già dato molto. Il tuo desiderio è insaziabile.» Le rispose una voce suadente. Il demone del desiderio piegò leggermente il capo, lo sguardo fisso sulla donna mentre con una mano dagli artigli ricurvi si sfiorava un seno nudo, divertita. «Mi hai già dato tuo marito e i tuoi figli, cos'altro puoi offrirmi?»

Marian incanalò il potere datole dal lyrium, sprigionando un'aura antimagia abbastanza potente da far sobbalzare la maga e il demone stesso, che si voltò verso di loro come un serpente. «Una spada tra le budella è l'unica altra cosa che riceverai, maledetta!» Ringhiò la templare, prima di gettarsi all'attacco, seguita da Aveline e Fenris.

Si lanciarono sul demone, tenendolo impegnato, mentre Lady Harimann era ancora impossibilitata a lanciare i suoi incantesimi.

La creatura evocò altre ombre e demoni minori, circondando Marian e separandola dagli altri.

Sentì Isabela urlare, e mentre si girava per assicurarsi che l'amica stesse bene, vide il demone avvicinarsi a Sebastian. Fenris era accorso in aiuto della pirata, coprendole le spalle e fronteggiando una serie di scheletri che battevano i denti all'unisono.

L'aura antimagia si ruppe improvvisamente, schiacciata dal potere del demone, che contorse il volto in un ghigno vittorioso afferrando l'arco di Sebastian e strappandoglielo di mano. Lo schiocco del legno risuonò per tutta la caverna.

Lady Harimann, di nuovo in piedi ma ancora frastornata, raccolse il mana per attaccarli.

Marian si tolse di torno un demone minuto con una spallata, trapassandolo da parte a parte e correndo verso Sebastian, le due spade strette spasmodicamente.

Il demone, però, non sembrava volerlo uccidere subito.

Afferrò l'uomo per la gola, bloccandolo in una presa ferrea, la coda che si avvolgeva attorno al suo torace, gli artigli che graffiavano l'armatura candida.

Quando l'aura antimagia si riattivò di nuovo, gli scheletri rianimati caddero per terra in mille pezzi, le ombre che svanivano in uno sbuffo. Gli ultimi due demoni minori vennero distrutti da Aveline, che si parò poi di fronte a Lady Harimann, strappandole il bastone di mano e lanciandolo lontano, puntandole la spada alla gola e immobilizzandola a terra con un piede. «Siete in arresto.» Annunciò affannosamente, buttandola a terra e legandole i polsi con delle manette che le avrebbero impedito di lanciare altri incantesimi.

Il demone non sembrò scomporsi. Si chinò verso l'orecchio di Sebastian, ancora stretto nella sua presa. «Avverto il desiderio nel tuo cuore.» Parlò, affascinante. «Vuoi primeggiare sugli altri, avere il potere che ti è stato negato. E vendetta, verso chi ti ha ferito.» Gli fece voltare il capo verso Lady Harimann, sogghignando. «Uccidila, e avrai vendicato la morte dei tuoi cari. L'ha fatto per invidia, desiderio di rivalsa, vendendo i suoi stessi figli e suo marito per un briciolo di potere. Uccidila. È quello che vuoi. Riprenderti il trono da quel fantoccio, essere chi hai sempre sognato. Libero dalle regole che ti ha imposto tuo padre, libero dai tuoi voti. Libero di seguire i tuoi desideri.» Lo sguardo di Sebastian si spostò involontariamente su Marian, e la donna lo vide arrossire suo malgrado. Il ghigno del demone si allargò ulteriormente. «So cosa provi, nascosto sotto le catene che ti hanno imposto. Cosa si annida nel tuo petto ogni volta che incroci i suoi occhi, la lussuria che cerchi inutilmente di celare...»

Marian avvampò, la spada stretta in mano, non osando attaccare temendo che il demone potesse uccidere Sebastian prima che lei riuscisse a colpirlo.

«Sì, non c'è motivo per rinunciare al tuo piacere. Potrei aiutarti a riprendere il trono che ti spetta, e avere la donna che desideri al tuo fianco...» La mano del demone si spostò più in basso, fermandosi sulla fibbia d'avorio che raffigurava il volto di Andraste. «Cosa ti ferma? In fondo, l'amore del Creatore si riflette in quello che i suoi figli provano gli uni per gli altri...»

Nel momento stesso in cui la fibbia si staccò, cadendo sul terreno, Sebastian si contorse su sé stesso. Il demone urlò di dolore, un coltello conficcato in pieno petto. Lasciò andare l'uomo, che roteò il manico ancora più in profondità, dandogli poi un calcio che lo fece barcollare all'indietro.

Fenris, che nel frattempo si era spostato dietro di loro, non perse tempo, e con un fendente fluido decapitò la creatura.

Il cadavere senza testa si afflosciò a terra.

Marian era rimasta immobile, scioccata dalle parole del demone. Senza osar incrociare lo sguardo di Sebastian, si chinò ad afferrare Lady Harimann. La maga tentò di opporre resistenza, ma poco poteva contro di lei: dopo pochi minuti, veniva trascinata al piano superiore, le mani legate dietro la schiena e le rune incise sulle manette che brillavano nel buio.

L'intero gruppo procedette a ritroso in silenzio, fino a rientrare nelle cantine. Si assicurarono che i tre Harimann rimasti fossero ancora vivi, trovandoli svenuti ma incolumi dove li avevano lasciati.

Marian poteva sentire lo sguardo insistente di Isabela puntato sulla nuca, mentre camminavano a passo spedito verso le prigioni, poco distanti dal Palazzo del Visconte.

Aveline consegnò la prigioniera ai suoi uomini, mentre Marian ordinava a due templari posti di guardia lì vicino di scortare la donna alla sua cella e di non allontanarsi da lì. L'amica annunciò che ci sarebbero stati parecchi documenti da compilare per la cattura di Lady Harimann, e che sarebbe andata immediatamente nel suo ufficio a mettersi all'opera.

Fenris ed Isabela si offrirono di accompagnare le guardie incaricate di recuperare Ruxton, Flora e Brett Harimann e gli altri servitori che erano stati intrappolati nella villa, affinchè ricevessero le cure necessarie. Prima di andarsene, la pirata strizzò l'occhio nella direzione di Marian, che fece finta di non averla vista.

Rimasta sola con Sebastian sotto uno dei portici della città alta, si decise finalmente ad aprire bocca.

«Qualsiasi cosa abbia detto quel demone, non dovresti dargli peso.» Disse, stando accuratamente attenta a mantenere una certa distanza da lui e non incrociare il suo sguardo.

L'uomo era ostinatamente voltato dall'altra parte, tra le mani ciò che restava del suo arco.

«Insomma, l'ha detto per farti tentennare, lo fanno sempre. Non-»

«Aveva ragione.»

Deglutì a vuoto, il cuore che accelerava i battiti.

«Ha visto esattamente le mie debolezze, e i miei più grandi desideri. Quello che hai detto ieri, alla chiesa... non sono degno della tua amicizia, Marian. Sono un uomo debole, che non riesce a tenere fede ai suoi voti. Che si lascia sedurre da visioni di potere e lussuria. Credevo di essere cambiato, eppure-» Scagliò a terra i due pezzi di legno, furente. «Ti ho delusa.»

«Sebastian...» Non sapeva bene come ribattere, ma vederlo così turbato le faceva male.

«No, non capisci. Sono sempre stato geloso di mio fratello, volevo essere io un giorno a regnare su Starkhaven. Passavo il mio tempo tra feste, ragazze e distrazioni, insozzando la mia anima con rancore e desideri carnali. Non sono entrato di mia volontà nella Chiesa, mio padre mi ci ha costretto pensando che mi avrebbe riportato sulla retta via.» Scosse il capo, appoggiandosi al muro di pietra. «La mia famiglia è sempre stata molto devota, e ogni generazione ha un Fratello o una Sorella della Chiesa. Col tempo, ho abbandonato il sogno della corona, ma ora che è là e mi basterebbe soltanto allungare una mano per prendere ciò che ho sempre desiderato... Mi chiedo cosa dovrei fare. Se ho voluto vendicare la mia famiglia perché era la cosa giusta, o soltanto perché cercavo una scusa per venir meno ai miei voti. Se voglio sedermi sul trono perché è la cosa migliore per la città, o soltanto perché posso finalmente farlo. Mi tormenta pensare che...» Si voltò finalmente a guardarla, l'espressione tormentata. «Che potrei meno ai miei voti e tradire l'amicizia e la fiducia che mi hai dato, Marian, seguendo i più bassi istinti della carne.»

Lo stomaco di Marian fece una capriola. Aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente, sentendosi un'idiota. «Non dire stupidaggini.» Si sforzò di dire, nonostante tutto dentro di lei si opponesse alle parole che stava per pronunciare. «Quel demone ti ha incasinato la testa, come fanno di solito, ma non osare anche solo per un attimo pensare di non essere una brava persona, Sebastian.» L'altro la guardò sorpreso, ma non la interruppe. «Sei saldo nella tua Fede, e non basterà certo un maledetto demone del desiderio a riportarti indietro al ragazzino vanesio e scapestrato che eri, sei un uomo adesso. Hai dei principi solidi, una morale tua, e se decidessi di salire sul trono della tua famiglia, lo faresti perché è la cosa migliore che possa capitare alla tua città. Saresti un regnante giusto, onesto e puro di cuore, non lasciare che nessuno ti convinca del contrario.» Deglutì, mordendosi la lingua e cercando di restare impassibile. «E finora non hai mai tradito la mia fiducia, né credo tu possa farlo. E se hai fatto qualche stupido pensiero su di me, beh, siamo umani, no? Il Creatore ti perdonerà.»

Sebastian rimase a fissarla, interdetto. «Come puoi avere ancora una così buona considerazione di me, nonostante tutto quello che hai visto e sentito stanotte?»

«Hai risparmiato Lady Harimann, dopo tutto quello che ti ha fatto. Questo ti rende onore, e fa di te una brava persona. Per tutto il resto...» si sforzò di sorridere, ignorando il dolore al petto. «Se ritieni i voti che hai preso la cosa più importante per te, è giusto che tu li segua. È stato solo un passeggero attimo di debolezza.»

L'uomo restò in silenzio per qualche secondo, poi annuì. «Grazie, Marian. Temevo... avevo paura di perdere la tua stima, ma come sempre sei la torcia che spazza via l'oscurità dei miei dubbi.» Sorrise. «Scusami, per averti mancato di rispetto, e grazie. Per stasera, e per tutto quello che fai per me.»

La templare si sforzò di ricambiare, quando avrebbe voluto prendersi a sberle.

«Allora, buonanotte.» Le disse lui, sollevando la mano. «Ho molto su cui riflettere, e pregare.»

«Buonanotte, Sebastian.»



 

Qualche ora dopo, Isabela la trovò seduta da sola, in uno dei pochi tavolini di una lurida taverna senza nome giù al porto.

«Ne deduco che non sia andata come credevo.» Commentò la pirata, sedendole accanto.

Marian non la guardò nemmeno, afferrando la bottiglia ormai quasi vuota di fronte a sé e bevendo direttamente da essa. «No.»

«Tesoro, non sa quello che si perde e non ti merita.» Disse l'altra, sorseggiando il suo bicchiere.

La templare scosse la testa. «Non gliel'ho detto. Non era giusto. Ha... ha fatto un giuramento, e chi sono io per rovinargli la vita in quel modo?»

«Rovinargliela?!» Chiese allibita Isabela, facendo quasi cadere il bicchiere a terra. «Marian, cosa diamine gli hai detto?»

Le sfuggì un singhiozzo, che le riportò in bocca il sapore di tutto l'alcol che aveva in corpo. «Di seguire la sua vocazione, di non tradire i suoi ideali.» Rise, amaramente, prendendo un altro sorso.

Isabela le passò un braccio attorno alle spalle, appoggiando il capo vicino al suo, per una volta senza fare commenti ironici. «Tesoro, sei troppo buona per il tuo bene.»































Note dell'Autrice: eccomi di ritorno! Abbiamo visto come se l'è cavata la città alta dopo l'attentato, e le relazioni con i Qunari si fanno sempre più tese. Parlando di relazioni, Sebastian è un chierichetto del cavolo e Isabela ha ragione, è un caso disperato. Marian si è messa in una situazione che sembra senza sbocco, fortuna che c'è la pirata a darle una mano (si spera!), e Aveline a confortarla (e farla sentire meglio anche in ambito romantico, perchè peggio di lei nessuno mai...). Uno degli obiettivi di questa storia è rendere un po' più tridimensionale il personaggio di Sebastian, spero piano piano di starci riuscendo. Fatemi sapere cosa ne pensate.
Il prossimo capitolo sarà parecchio movimentato, a presto! 

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Capitolo 16
*** Demons ***


CAPITOLO 16
Demons



 

Era stata una serata tranquilla.

Avevano passato il tempo a giocare a Grazia Malevola, bevendo una speciale birra al miele che uno dei contatti di Varric gli aveva mandato da Orzammar per sigillare un affare dalle ottime prospettive economiche. Isabela e il nano si erano sfidati fino all'ultimo in una battaglia che aveva lasciato agli angoli Garrett, Anders e Merrill, i quali se ne stavano ora tornando a casa con il borsello molto più leggero di quando erano entrati all'Impiccato.

«Non credo capirò mai come funziona questo gioco...» Si lamentò l'elfa, sconsolata, la brezza fresca che le scuoteva i capelli corvini. «Un paio di volte ero sicura di stare per vincere, invece Isabela si è portata via tutto!»

«Perchè non sai nascondere la tua mano, Merrill.» Sospirò Garrett, cercando inutilmente di spiegarle l'arte di bluffare per l'ennesima volta.

«Come faccio a nascondere le mani, se devo tenere le carte sopra il tavolo?»

«Per le mutande del Creatore...» bofonchiò Anders, incredulo. «Potresti iniziare a non sorridere come una bambina davanti a delle caramelle quando hai una coppia di carte uguali, per esempio.»

«Non l'ho fatto!»

«Sì, come no...»

Garrett sbadigliò rumorosamente, stiracchiandosi la schiena. Erano ormai in vista del grande albero che troneggiava nella piazza principale dell'Enclave, le bandierine colorate che gli elfi avevano appeso ai rami per la festa di qualche giorno prima dondolavano dolcemente sopra di loro. Era stata una giornata piacevole, passata tra canti, balli e cibo cucinato in comunità da ciascuno degli abitanti del quartiere per festeggiare l'arrivo dell'autunno. Le lanterne che avevano illuminato il quartiere erano ormai state riportate nelle rispettive case, e le vie erano tornate alla solita semi oscurità che celava ogni genere di rischio e opportunità allo stesso tempo, ma erano rimaste qua e là tracce dei festeggiamenti appena passati. Superarono un fazzoletto di stoffa dimenticato sul terreno polveroso, il tessuto un tempo sgargiante ora macchiato di fango secco.

Facendo vagare lo sguardo sulla piazza deserta, Garrett individuò una figura poco distante dalla casa di Merrill, seminascosta nell'ombra. Facendo segno agli altri due, portò subito le mani ad afferrare l'arco dietro la schiena, pronto ad attaccare.

L'elfa, però, si fermò di colpo. «Guardiana?»

L'anziana Dalish si fece avanti abbastanza da permettere anche ai due umani di riconoscerla: nonostante fossero passati più di tre anni dall'ultima volta che si erano visti, sembrava molto più vecchia. Il volto era teso in un'espressione preoccupata mentre li salutava a bassa voce.

«Merrill, Garrett.» Lanciò uno sguardo indagatore verso Anders.

«Anders è un amico fidato, Guardiana.» La rassicurò Garrett, preoccupato. «Qualcosa non va?»

La Dalish annuì, indicando con un cenno del capo uno dei vicoli secondari che si allontanavano dalla piazza. «Non è sicuro parlarne qui, troppe orecchie indiscrete. Seguitemi.»

Fece loro strada fino ad un portone di legno vecchio, sul quale si poteva notare un disegno di foglie intrecciate ormai scrostato e quasi invisibile. Battè due volte sulla porta, che si aprì verso l'interno. Marethari entrò senza aspettarli. Merrill sembrò per un attimo considerare il da farsi, ma la seguì dopo qualche secondo.

Garrett e Anders si scambiarono uno sguardo inquieto, per poi entrare nella casa fiocamente illuminata.

«Li avete trovati, siano ringraziati i Creatori!» Li accolse una voce familiare.

La padrona di casa era un'elfa che avevano incontrato più volte: Arianni, la madre di Feynriel, il mezzelfo mago che Garrett aveva accompagnato a vivere dai Dalish anni prima. Nonostante la sua iniziale sfiducia verso la decisione presa dagli Hawke di far sfuggire il figlio dai Templari e dal Circolo, trovandogli rifugio presso gli elfi, spesso Garrett l'aveva incontrata durante il suo girovagare nell'Enclave, finendo per appianare le loro divergenze.

«C'è qualche problema con Feynriel?» Domandò Garrett alla vista dell'elfa.

Arianni annuì gravemente. «La Guardiana dice che è grave, che è sull'orlo tra la vita e la morte, intrappolato in uno dei suoi incubi.»

Garrett aggrottò le sopracciglia. «Che intendete dire?»

Fu Marethari a prendere la parola. «Feynriel è quello che nel Tevinter chiamano un Somniari: un mago capace di entrare a suo piacimento nell'Oblio senza l'aiuto del lyrium, e plasmarlo al suo volere. Possono addirittura entrare nei sogni altrui, o influenzare il mondo al di qua del Velo. È il primo di cui si ha notizia a sopravvivere, almeno da un paio di secoli, il loro grande potere è come una fiamma nell'oscurità, una preda che attrae irrimediabilmente i demoni. Fortunatamente, la maggior parte dei Sognatori possiede una mente troppo debole per resistere alla possessione, ma un Abominio Somniari avrebbe un potere distruttivo enorme.» Sospirò, mentre Arianni si mordeva il labbro, ad un passo dallo scoppiare in singhiozzi. «Feynriel è rimasto intrappolato nell'Oblio, ma ancora i demoni non sono riusciti ad impossessarsi di lui. È una corsa contro il tempo, tuttavia credo sia possibile riuscire a mandare qualcuno oltre il Velo e aiutarlo a liberarsi.»

«Mandare qualcuno nell'Oblio non è facile, e richiede parecchio Lyrium.»

Marethari annuì in direzione di Anders. «Hai ragione, ma gli antichi Dalish avevano grandi conoscenze sui Somniari e il loro potere, ed io sono riuscita a replicare come meglio posso uno dei loro rituali per entrare nell'Oblio.» Indicò con un cenno del capo un angolo della stanza, dove su una mensola di legno spiccavano parecchie figurine di legno intagliato, apparentemente giochi per bambini. «Useremo la casa d'infanzia di Feynriel per trovarlo oltre il Velo ed attirarlo indietro.»

«Mandando noi a recuperarlo, rischieremmo di perderci a nostra volta in uno degli incubi che i demoni stanno usando per intrappolare lui.» Comprese Garrett, tetro.

Marethari sospirò. «Io non posso farcela da sola, sono l'unica che sa compiere il rituale, ma mi serve qualcuno disposto ad andare a recuperare il ragazzo, qualcuno di cui lui si fidi.»

Garrett ricordava di come aveva spronato il mezzelfo a fidarsi della Guardiana, di come gli aveva assicurato che con l'aiuto dei Dalish sarebbe riuscito a controllare la sua magia. Poteva abbandonarlo così, dopo che Feynriel si era mostrato così simile a lui, così spaventato dai propri poteri? Incrociò lo sguardo di Anders e Merrill. Aveva già preso la sua decisione. «D'accordo.»

La Guardiana sembrò rincuorata. «Arianni, ci occorre concentrazione, potresti...?»

L'elfa comprese di essere di troppo. Si guardò attorno, tesa, lanciandogli un'ultima occhiata implorante prima di andarsene e chiudersi la porta alle spalle. «Vi ringrazio immensamente, Serah... riportatemi il mio bambino, vi prego.»

Rimasti soli con Marethari, gli altri tre maghi esitavano, a disagio.

«Cos'è che non ci state dicendo?» Domandò Merrill, diffidente.

La Guardiana sostenne la sua occhiataccia accusatoria. «Non potete permettere che Feynriel diventi un Abominio. Sarebbe inarrestabile, in grado di distruggere l'essenza dei maghi e dei non maghi direttamente dal mondo dell'Oblio. Se non riuscite a liberarlo dai demoni che lo hanno intrappolato, ucciderlo è l'unico modo per prevenire questa eventualità.»

«No!» Si oppose Anders, irato. «Uccidere qualcuno nell'Oblio equivale a-»

«A renderlo come uno dei vostri Adepti della Calma, lo so bene.» Lo interruppe Marethari. «Credetemi, non mi porterebbe alcuna gioia, ma risparmierebbe immense sofferenze a molti.»

«Era la cosa che temeva di più, quando è scappato dalle grinfie dei Templari.» Commentò Garrett, amaramente. «Non voglio essere io ad infliggergli un tale destino.»

L'anziana Dalish guardò entrambi, abbassando un poco il capo. «Non posso che affidarmi al tuo giudizio, Garrett, sperando prenderai la decisione giusta. Ricorda che non sempre è la più facile.»

«Non andrà da solo.» Si intromise Anders.

«Sei sicuro?» Gli chiese l'altro, preoccupato. «Non sai che effetti potrà avere su di te l'andare nell'Oblio...» Cosa ne avrebbe pensato Giustizia, come avrebbe reagito?

Il guaritore deglutì, sollevando il mento. «No, non lo so, eppure ti accompagno lo stesso.»

«Vengo anch'io.» Si offrì Merrill, stringendo tra le mani il suo bastone magico, ora poco più che una bacchetta di piccoli rami intrecciati. «Potreste aver bisogno del mio aiuto.»

«Non abbiamo alcuna intenzione di stringere patti coi demoni.» Ribattè acido Anders, guardandola storto. La Dalish ignorò il commento, spronando la Guardiana a cominciare il rituale.



 

Il vento gli scompigliò i capelli lunghi, costringendolo a scostarsi una ciocca dagli occhi. Socchiuse le palpebre, il Sole aveva fatto capolino tra le nuvole, accecandoli.

«La tana dovrebbe essere più avanti.»

Si voltò verso Andrew. Poco dietro di lui, il ragazzo stava indicando una collinetta boscosa alla loro sinistra. Gli occhi scuri dell'amico brillavano per l'eccitazione sotto la massa di capelli corvini e riccissimi. La mano sinistra era saldamente ferma sul pomolo della spada appartenuta allo zio, che il ragazzo sosteneva essere stato un grande eroe nella guerra di Liberazione. L'arma era ormai un po' rovinata dall'uso e dal passare degli anni, il fodero consumato e le incisioni sull'elsa divenute quasi illeggibili. L'accarezzò distrattamente, le labbra che si piegavano in un sorriso colmo di aspettativa. «Finalmente smetterò di combattere contro manichini di paglia...»

Garrett annuì, emozionato all'idea di trovare la loro preda ma al contempo preoccupato di quello che avrebbero potuto incontrare una volta allontanatisi dal sentiero battuto.

L'amico sembrò leggergli nel pensiero. «Sta' tranquillo, tra la mia spada e la tua magia, un semplice orso non sarà un problema per noi.» Disse spavaldo, per poi assottigliare lo sguardo, un'ombra scura sul volto. «E poi, vendicheremo il vecchio Charlie.»

Avevano trovato il povero mabari in una pozza di sangue rappreso, al di là del bosco che circondava il piccolo campo della famiglia di Andrew, alla periferia del villaggio. Attorno a lui, qualche piuma di gallina, che l'anziano animale aveva provato a difendere dall'attacco dell'orso. I due ragazzi avevano seguito le tracce del colpevole fino alla collina, pianificando per giorni sul da farsi finché si erano decisi a passare alle azioni.

Garrett strinse il bastone magico che gli aveva regalato il padre qualche mese prima: assomigliava ad una lancia, per passare inosservato ai templari, e soltanto una piccola sfera luminosa poco prima della punta ne denunciava la natura magica.

«Comunque, se eri così preoccupato potevamo sempre chiedere a tua sorella di darci una mano!» Lo prese in giro Andrew, superandolo e iniziando a salire su per la collina. «Lei non si farebbe intimidire da un grosso sacco di pelo.»

Il mago strinse i denti, offeso, e allungò il passo tornando ad affiancarlo. «Non ci serve mia sorella.» Marian era sempre la più brava, la più coraggiosa, la più intelligente. E l'ultima cosa che Garrett voleva era che per l'ennesima volta gli rubasse il momento di gloria. Digrignò i denti. «Quella palla di pelo e artigli la faccio fuori anche da solo.»

«Così ti voglio!» Scoppiò a ridere l'altro, dandogli una pacca sulla spalla.

Seguirono le tracce dell'orso fino ad una scarpata rocciosa. Trovarono i segni degli artigli sulla pietra levigata di un grande masso, ogni unghia distava dall'altra almeno quattro dita, i solchi erano profondi. Si scambiarono un'occhiata mentre Andrew sfoderava la spada.

Uno bruìto acuto li fece nascondere dietro un mucchio di massi caduti, trattenendo il fiato.

Si sporsero cautamente fuori dal loro rifugio.

Due piccoli orsi dal colore fulvo si rincorrevano sul terreno brullo, lottando tra loro. Uno si gettò contro l'altro, mordendogli un orecchio mentre lo buttava a terra. Quello girò su sé stesso, trascinando con sé il fratello e rotolando in una serie di ringhi giocosi.

Garrett sentì una morsa allo stomaco. L'orso - “orsa”, si corresse mentalmente – non doveva essere molto distante, eppure gli era passata completamente la voglia di trovarla. «Forse dovremmo andarcene.» Si ritrovò a dire, afferrando la manica della giacca dell'amico.

Andrew si liberò con uno strattone, guardandolo arrabbiato. «Stai scherzando? E Charlie?!»

Il mago si morse il labbro, aprendo la bocca per rispondere che certo non sarebbe tornato in vita anche se l'avessero vendicato, quando un ruggito dietro di loro gli fece gelare il sangue nelle vene.

Istintivamente, si lanciò sull'altro ragazzo, buttandolo a terra appena in tempo per evitare che l'enorme zampa dell'orsa li falciasse come spighe di grano maturo.

Strisciò sul terreno, stringendo il bastone e incanalando tutto il mana che riusciva a gestire, il cuore che batteva all'impazzata. Si immerse al di là del Velo, l'aria attorno a sé che iniziava a scoppiettare, elettrica.

L'orsa bruì di nuovo, furiosa, alzandosi sulle zampe posteriori. Con orrore, Garrett calcolò che dovesse essere alta quasi tre metri.

Rilasciò l'incantesimo, puntando davanti a sé il bastone che brillava come un faro. Il puzzo di pelo e carne bruciata che seguì, assieme al grido di dolore della bestia, segnalarono che la saetta aveva colpito il bersaglio. Accecato per un attimo dal lampo di luce, sentì che con un urlo il compagno si era gettato alla carica.

«Andrew, no-!»

L'orsa, il muso bruciacchiato attorno all'orbita fumante e un orecchio carbonizzato, era ricaduta sulle quattro zampe: cercò di buttare per terra il ragazzo armato di spada, che evitò per un soffio il colpo e riuscì a ferirla sul fianco.

La pelliccia color miele si tinse di rosso, mentre l'animale ululava di rabbia. Con un'altra zampata, si scagliò sull'assalitore, che questa volta non fu così rapido.

Impotente, Garrett vide l'amico venire scagliato di lato contro la parete rocciosa e accasciarsi con un gemito. Una macchia scarlatta si allargava sulla giacca di lana, la spada era volata lontano.

Con un grido di rabbia, tornò ad incanalare il mana, sentendo il potere riempirlo, i demoni allungare i loro artigli da oltre il Velo, il loro bisbigliare eccitato difficile da ignorare mentre raccoglieva le energie per scagliare una tempesta elettrica contro l'orsa.

Il tuono scosse la terra, mentre l'onda d'urto lo sbalzava all'indietro. Colpì la nuca contro qualcosa, la vista annebbiata.

Quando il fumo si diradò, intravide il cadavere carbonizzato dell'animale. L'odore gli dava il voltastomaco. Cercò di rimettersi in piedi, boccheggiando alla ricerca di aria, la testa che gli girava vorticosamente. Passandosi una mano tra i capelli, sentì qualcosa di viscido. La ritrasse sporca di sangue. «Merda,» imprecò, «stai bene, Andrew?»

Non sentendo risposta, col cuore in gola corse verso l'amico.

Il ragazzo giaceva rannicchiato a terra. Quando Garrett si chinò ad esaminare la ferita, quello gemette di dolore, cercando di allontanarlo.

«Sta' fermo, voglio solo-» sgranò gli occhi, le parole che gli morivano in gola. La carne del braccio era stata sfregiata al punto che non riusciva a distinguere dove iniziasse la pelle e finisse la lana della giacca, ma era il rigonfiamento sopra la spalla che lo preoccupava. Strappò i bottoni del colletto, ignorando l'urlo di dolore dell'altro e trovandovi quello che temeva: l'osso si era spezzato ed era fuoriuscito dalla sua sede, lacerando la carne. Il sangue fuoriusciva abbondante.

Si sentì svenire.

Facendo uno sforzo immane per restare lucido, si tolse a sua volta la giacca, tentando di bloccare l'emorragia. Non aveva idea di cosa dovesse fare in una situazione simile, sapeva solo che poteva morire se avesse perso troppo sangue. Aveva poco tempo, ma si sentiva inutile.

Cercò di ricordare cosa gli aveva detto il padre sugli incantesimi di guarigione. “Gli spiriti benevoli possono essere convinti ad aiutare, ma come?”

Andrew aveva ormai assunto un colorito terreo. «Morirò, vero?» Lo sentì dire in un filo di voce.

Scosse la testa, terrorizzato. «No, devo solo...»

Cosa fare? Si guardò attorno. Erano ad almeno due ore di strada da Lothering, anche correndo ci avrebbe messo quasi mezz'ora per andare ad avvisare qualcuno, tempo che Andrew non aveva.

Lascia che ti aiuti.

Rizzò le orecchie, un brivido freddo lungo la schiena.

Morirà, se non fai nulla.

La voce nella sua testa era suadente, carica di promesse. Sapeva che era un demone, non si faceva illusioni, eppure... Scosse il capo, digrignando i denti e cercando di scacciarla. “Se lancio un altro incantesimo, abbastanza grosso da attirare l'attenzione di qualcuno, arriveranno a salvarlo.” Sperò che il fulmine di prima avesse già destato l'allarme. Contro qualsiasi insegnamento e premura del padre, che gli aveva sempre ripetuto di essere discreto per non farsi scoprire da nessuno, si aprì all'Oblio per incanalare più potere.

I demoni urlarono di gioia, rischiando di fargli perdere la concentrazione mentre modellava il mana per caricare un'altra saetta, questa volta sopra di sé, il più visibile e sonora possibile.

Avvertì un cambiamento tutt'attorno, l'aria che scintillava, carica.

“Se non riescono a vederlo, morirà. Avrei dovuto dissuaderlo.”

Sei debole. Hai bisogno di noi.

Il velo tremava, sottilissimo, mentre le rocce sul terreno vibravano minacciosamente. Schiocchi risuonavano nelle sue orecchie, e Andrew tremava incontrollabilmente.

“Se solo avessi ucciso quell'orso al primo colpo...”

Lasciaci passare, ragazzo.

Con un sforzo immane, costrinse l'energia a piegarsi al suo volere, lasciando fluire più potere di quanto avesse mai provato a fare. Le urla nella sua testa erano sempre più alte, il corpo percorso da una fitta lancinante mentre cercava di contenere tutta quell'energia, senza riuscirci.

Perse il controllo.

Con un boato, il Velo si lacerò.

Un lampo di luce accecante, le orecchie che stridevano dolorosamente mentre si piegava sull'amico per proteggerlo dal colpo. Perse i sensi.

«Garrett!»

Alzò lo sguardo, cercando di mettere a fuoco la figura di fronte a lui, sbattendo le palpebre.

«Marian, attenta!»

Riconobbe la voce del padre, carica di paura.

Il volto della sorella entrò nel suo campo visivo. Le guance rosse dallo sforzo, il fiato corto, lo sguardo abbassato su Andrew che aveva perso conoscenza. «Garrett, che hai combinato?!»

«Io volevo solo-»

Si sentì scostare di peso, mentre Malcolm si chinava sul ragazzo a terra, allontanandolo. Il volto del padre era teso, gli occhi chiarissimi puntati sulla ferita. Vide l'amico venire avvolto da una luce chiara, azzurrina, mentre l'aria attorno a lui diventava fresca. Il sangue sembrò fermarsi, ma il padre aveva ancora un cipiglio preoccupato. Concentrato, strinse i denti, aumentando la potenza dell'incantesimo. Lo vide lanciare un'occhiata dietro di sé, inquieto.

L'osso fuoriuscito rientrò con uno schiocco, mentre la carne attorno si ricuciva con una lentezza estenuante.

Improvvisamente, uno schiocco sinistro li fece sobbalzare. Un'ondata gelida sembrò attraversarli da parte a parte.

Malcolm interruppe l'incantesimo, voltandosi verso la fonte del rumore.

Garrett non lo aveva mai visto così spaventato. Anche Marian, che era stata l'ultima ad accorgersi di cosa stava succedendo, sollevò la spada che teneva stretta in mano, tremante.

Con orrore, vide il cadavere dell'orsa sussultare e rialzarsi. La pelliccia non c'era quasi più, lasciando in evidenza la carne bruciata, grosse saette nere e spesse che ricoprivano la carcassa. Le orbite vuote erano puntate su di loro, una fiammella verdastra ad animarle. Il collo dell'animale si piegò in modo innaturale, la testa che scattava all'indietro, il corpo della creatura che si alzava su ciò che restava delle zampe posteriori, contorcendosi e spezzandosi in più punti, avvolto da un fumo gelido che ne distorceva le sembianze. La carne carbonizzata del dorso si lacerò e diversi spuntoni comparvero sulla schiena dell'orsa, che aprì le fauci scoperte emettendo uno strillo che faceva accapponare la pelle, gli artigli che si allungavano fino a raggiungere la lunghezza del suo avambraccio, così come i denti.

«Scappate.»

La voce del padre lo riscosse dal terrore. Malcolm stringeva di fronte a sé il proprio bastone magico, le due sfere di cristallo che brillavano di energia pura, un'espressione determinata mentre si alzava in piedi a fronteggiare la creatura.

Garrett avvertì il Velo piegarsi attorno a loro, mentre il padre lanciava su di loro una barriera protettiva. «No, non...» Vide la sorella fare due passi avanti verso l'uomo, pronta a combattere.

Quello si girò, adirato, colpendo il terreno col bastone. «Non c'è tempo per discutere, andatevene immediatamente!» Ringhiò, per poi riportare l'attenzione sul mostro. Il muso dell'orso si squarciò in un altro urlo, ancora più forte del precedente.

Il ragazzo poteva sentire la presenza corrotta che lo animava, il Velo sottilissimo che si frammentava attorno alla creatura, l'aria stessa che pulsava malsana. Avvertì la presenza dei Fearling prima ancora che si rendessero visibili. Una ventina di spettri luminescenti li circondarono, prendendo la forma di creature deformi che brulicavano e si agitavano scompostamente.

Strinse i denti, l'incantesimo non riuscito di prima l'aveva lasciato spossato, prosciugato delle sue energie, ma non poteva scappare così. «Possiamo combattere.»

Malcolm lanciò un'onda di pura energia contro l'Abominio, rallentandolo e investendo un paio dei demoni minori, che svanirono con un gemito. «Prendete Andrew e andate. Muovetevi!»

Ciò che restava dell'orsa si contorse, mentre quella che doveva essere una risata riecheggiava tutto attorno. Sciocco mago, credi di potermi fermare? Garrett si premette le mani sulle orecchie, mentre la voce raschiante rideva di nuovo. Ora che sono qui, non mi lascerò scappare le mie prede.

I Fearling urlarono tutti insieme, mentre come una sola entità si lanciavano contro di loro.

La barriera andò in frantumi.

Malcolm si lasciò sfuggire un'imprecazione, mentre con un rapido movimento del bastone lanciava un altro incantesimo contro le creature, sbalzandole all'indietro. «Ho detto di andarvene!» Alcuni spettri si dissolsero, mentre il demone maggiore gridava di rabbia.

Garrett si passò il braccio di Andrew attorno alla spalla, sollevandolo di peso con un grugnito. Rimase impalato, incerto sul da farsi.

Il ragazzo sarà un ottimo involucro per me, devo ringraziarlo per avermi aperto un varco.

Marian lanciò uno sguardo al fratello, e poi di nuovo a Malcolm, spaventata.

«Non lo toccherai, demone.» Ribattè deciso l'uomo, allargando entrambe le braccia. Venne pervaso di energia chiara, accecante, e il mostro venne schiacciato a terra da una forza sovrannaturale. La creatura oppose resistenza, mentre i Fearling si contorcevano su sé stessi. «Stà lontano dai miei figli.» Ringhiò, il sudore che scendeva dalla fronte. «Marian, portali via di qua.»

La sorella si morse il labbro, abbassando di poco la spada.

«Mi hai fatto una promessa, Marian!» Gridò Malcolm, sul volto un'espressione determinata, le orbite invase di luce mentre l'aria attorno a loro crepitava, il Velo che si tendeva di nuovo, vibrante, sottilissimo.

Garrett indietreggiò di qualche passo verso il crinale, il corpo dell'amico che lo rallentava. Vide Marian sussurrare qualcosa che non poté sentire, mentre dava le spalle all'uomo e si allontanava verso il fratello, aiutandolo a sorreggere Andrew ancora svenuto. Non riusciva a vederla in faccia.

Quando il demone si rialzò di scatto, rompendo l'incantesimo che lo intrappolava, Malcolm avanzò verso la creatura. I Fearling si lanciarono contro di lui.

La terra sotto i suoi piedi sembrò spaccarsi, mentre una colonna di luce si innalzava verso il cielo, prendendo la forma di una mano e stringendosi a pugno attorno al demone, stritolandolo in una morsa. L'urlo di dolore venne coperto dal boato che seguì.

Malcolm Hawke sparì alla vista.



 

Avresti dovuto fare la tua parte.

Garrett riaprì gli occhi. Non era più vicino alla tana dell'orso, ma qualche miglio più lontano da Lothering, il fumo del villaggio distrutto che si alzava in lontananza. Al posto del demone, un gigantesco Ogre si stagliava di fronte a loro, e il cadavere di Bethany giaceva a terra, maciullato.

Sei debole.

Emise un urlo di dolore mentre cadeva in ginocchio, le mani premute sulle tempie.

La voce rise, beffarda. Non negarlo. È evidente a tutti. Tuo padre è morto per colpa della tua incapacità. Hai invitato Terrore nel tuo mondo, e non sei stato in grado di fermarlo. Malcolm si è sacrificato per farvi scappare.

Ricordava ogni singolo istante di quel giorno. Come si erano risvegliati a terra, cercando il padre, trovando solo una carcassa fumante dove c'era stata l'orsa posseduta e il corpo del mago, sfigurato dall'esplosione che aveva scagliato per liberarsi dal demone. I Fearling erano spariti tutti. Marian piangeva, urlava, scuoteva Malcolm chiamandolo per nome.

L'avevano lasciato lì, coperto da qualche roccia, impotenti. L'unica cosa che restava di lui era il bastone magico che Garrett aveva raccolto, tremante.

Marian era rimasta in silenzio, dopo aver raccontato alla madre cos'era successo. Lacrime, pianti, accuse si erano susseguite senza sosta. Dopo, il nulla. Per mesi, la casa degli Hawke era caduta nel lutto, i gemelli all'oscuro di cosa era realmente capitato al padre, “destabilizzerebbe Bethany, è così fragile”, aveva detto Leandra, ordinando ai due figli maggiori di mantenere il segreto.

Andrew si era ripreso, gli avevano salvato la vita, ma qualcosa si era spezzato tra loro. Si trasferì dopo un mese, senza avvisarlo, di lui non ebbe più notizie.

E Bethany, povera, piccola Bethany... si è rotta come una bambola di porcellana, e tu non hai potuto fare nulla.

Il volto quasi irriconoscibile della sorella impresso in mente, Garrett si raggomitolò su sé stesso, cercando di zittire la voce nella sua testa.

Carver non avrebbe dovuto scendere con te là sotto. Se fossi stato in grado di cavartela da solo, ora non sarebbe condannato ad una vita di sacrifici. Morirà, tra qualche anno, lo sai.

«Lasciami in pace!» Urlò al nulla, l'oscurità delle Vie Profonde che lo avvolgeva.

E Marian lo seguirà a breve. La voce rise di gusto. Morirà anche lei, lasciandoti solo. Tua madre non sopravviverà ad un'altra perdita, è già spezzata.

«No... non...»

Non puoi opporti agli eventi. Guardati, sei patetico. Debole.

Sua sorella agonizzava in una pozza di sangue, un'ombra gigantesca china sopra di lei. Hai bisogno di me. Il corpo freddo della madre, mentre la stringeva tra le braccia. Non puoi farcela da solo. Lascia che ti aiuti. Ti darò tutto il potere di cui hai bisogno, basta solo che tu mi dia il ragazzo, il Somniari. Si fida di te. Consegnamelo, e io ti renderò in grado di salvare coloro che ami. Sarà così semplice, nessuno potrà fermarti. Non dovrai più avere paura dei Templari, saranno loro a temerti. I tuoi amici saranno al sicuro.

Anders. L'amico giaceva riverso a terra, l'elsa di una spada che gli usciva dal petto. Sputò un grumo di sangue, voltandosi verso di lui. Sai che prima o poi succederà.

Si piantò le unghie nei palmi delle mani, sentendo l'Oblio attorno a sé pulsare di energia pura, il mana che lo permeava entrargli dentro. Il potere scorreva come un fiume in piena, rischiando di travolgerlo, spazzarlo via mentre si sentiva boccheggiare, cercando disperatamente di dargli una forma, incanalarlo, scintille di elettricità che scoppiettavano indomabili...

Strinse i denti, modellando l'energia al suo volere, alzandosi in piedi a fronteggiare il demone.

«Lasciami stare!»

Un'esplosione rischiò di spaccargli i timpani, mentre la tempesta elettrica si scaricava attorno a lui, fulmini che squarciavano l'aria spazzando via qualsiasi cosa.



 

«Garrett Hawke.»

Aprì gli occhi.

Anders era chino su di lui, gli occhi che brillavano bianchi. Sopra di lui, isole di roccia galleggiavano nel cielo verdastro. Ancora più in alto, lontanissima, un'isola più grande delle altre gettava un'ombra malsana tutto attorno. La città dorata, sede del Creatore, ora corrotta da coloro che avevano osato profanarla. Era visibile ovunque, in quel regno.

Ricordò improvvisamente di essere nell'Oblio per una ragione, di come erano stati mandati lì per salvare Feynriel dai demoni che lo avevano intrappolato.

A quanto pareva, avevano attirato più attenzioni del previsto.

«Hai resistito a Paura che ti aveva preso prigioniero.» La voce dell'amico era distorta, più profonda, sbagliata.

«Giustizia?» Domandò, un senso di disagio ad incontrare lo spirito che possedeva il corpo del compagno.

L'altro lo aiutò a rialzarsi. «Non avrei mai immaginato di tornare in questo modo. È bello poter sentire di nuovo il respiro dell'Oblio.» Si guardò attorno, verso quelle che in lontananza sembravano antiche rovine. «Ho avvertito che eri intrappolato da qualche parte, ma non potevo raggiungerti. Seguimi. Colui che cerchiamo non è distante.»

Non gli restò altro che avviarsi dietro di lui.

Il grande edificio crollato si ergeva scheletrico davanti a loro, le guglie protese verso il cielo innaturale. Ricordava vagamente il palazzo del Visconte. Proseguirono verso una grande sala, illuminata da molteplici torce appese alle pareti, le fiamme azzurro brillante.

All'interno, erano radunati molti elfi. Tra loro, vi era la Guardiana Marethari, che stringeva calorosamente il giovane Feynriel.

«Lui è la nostra speranza. In questo ragazzo, scorre il sangue dei Dales, la sua magia ci farà tornare ai fasti perduti!» Declamò l'anziana elfa, sorridendo incoraggiante al mezzelfo. «Nonostante il suo aspetto umano lo nasconda, è in grado di utilizzare un potere che ha radici antiche quanto la nostra stessa storia. Solo lui può farlo!»

Il ragazzo sembrava confuso. Si guardava attorno, smarrito.

«Feynriel, non ascoltarla.» Prese parola Garrett, avvicinandosi a lui.

«Hawke?» Si sorprese il mezzelfo, sussultando. «Cosa ci fai qui?»

«Pensaci, Feynriel. Marethari ti ha sempre messo in guardia dall'usare poteri che non riesci a controllare.» Disse cautamente l'uomo, avvicinandosi di qualche passo.

La creatura con l'aspetto di Marethari si voltò verso il ragazzo, trattenendolo per un braccio. «No, Feynriel, non ascoltarlo. Tu sei potente, più di chiunque altro, e possiedi conoscenze perdute che solo tu puoi saper usare. Diverrai inarrestabile.»

Il mezzelfo aggrottò la fronte, cercando di indietreggiare. «No... mi avete detto che è una disciplina troppo pericolosa, che nemmeno i Dalish la utilizzano più, e per un buon motivo.»

«Credi davvero che gli elfi si fiderebbero di te così facilmente, con il tuo potere di forgiare sogni e realtà?» Domandò Garrett, pronto a scagliarsi contro il demone-Guardiana se le cose fossero sfuggite di mano. Giustizia, accanto a lui, era impassibile. «E tu, sei così sicuro di riuscire a controllare un potere che non conosci?»

«Non ascoltarlo! Vuole ostacolarti sulla via della grandezza!» Si intromise Marethari.

Feynriel si riscosse. «No, non è vero. Sta cercando di impedirmi di cadere in tentazione... come voi mi avete insegnato. Non siete la Guardiana,» fece un passo indietro, scosso, «state lontana da me!»

Prima che il demone potesse afferrarlo, il ragazzo svanì nel nulla.

Marethari ringhiò di rabbia, contorcendosi, finché in un lampo di luce al suo posto non comparve un mostro gigantesco, quattro corna ricurve su un corpo ricoperto di scaglie appuntite, i molti occhi scarlatti che lo guardavano furenti. «Con il mio potere giunto al suo, avremmo potuto cambiare il mondo! Pagherai per avermi sottratto la mia preda!» urlò il demone della superbia.

«Non voleva il potere, ma la sua libertà!» Ribattè Garrett, pronto a combattere. «E non è il solo.»

Il demone ghignò, scoprendo una chiostra di denti affilati. «Quelli che sono liberi di scegliere, preferiranno sempre il potere.»

Prima che potesse chiedere cosa intendesse dire, un pugno granitico si schiantò sulla barriera eretta appena in tempo da Giustizia, andando in mille pezzi.

Merrill, comparsa alle spalle del demone, lo guardava con espressione dura.

«Merrill?!» La chiamò Garrett, sentendosi tradito mentre l'altra sollevava di nuovo il bastone.

«Mi dispiace, Garrett, ma non posso mettere la nostra amicizia sopra il futuro della mia gente.»

Un altro schianto, e il pugno di pietra si distrusse contro la barriera magica, che riverberò sofferente.

«Qualsiasi cosa ti abbia offerto, è un trucco!» Cercò di farla ragionare lui. Non voleva combattere contro la sua amica.

Giustizia non sembrava farsi gli stessi problemi.

La barriera si infranse definitivamente, costringendo anche Garrett a contrattaccare per non essere ucciso.

Dopo uno scontro acceso, si chinò sul corpo minuto dell'elfa, mandando una silenziosa preghiera al Creatore, nell'eventualità che ci fosse e gli prestasse per una volta orecchio.

Tirò un sospiro di sollievo. Respirava. «Resisti, Merrill, sei salva.» Dopo qualche secondo, la figura minuta dell'elfa svanì.

«Ti ha tradito, eppure sprechi il tuo tempo a preoccuparti per lei.» Lo redarguì Giustizia.

«Anche io stavo per cedere. Non posso biasimarla.»

«No, tu non sei così debole.»

Prima che potesse ribattere, vennero avvolti da una luce chiara, mentre la sala attorno a loro spariva.


Si ritrovarono in una stanza dalle pareti riccamente decorate. Dalla finestra, un raggio di sole faceva capolino tra le tende di velluto rosso e illuminava la scrivania piena di carte. Feynriel, che sembrava più giovane di parecchi anni, poco più che un bambino, era chino su una pergamena scritta a caratteri fitti, una penna in mano. Un uomo sedeva accanto a lui, sorridendo soddisfatto.

«Hai imparato a scrivere così velocemente... se avessi saputo che eri un ragazzo così sveglio, avremmo lavorato insieme già da un pezzo!»

Il forte accento di Antiva, e una vaga somiglianza con il mezzelfo, gli fece pensare si trattasse di Vincento, il padre di Feynriel che a detta della madre non aveva mai voluto riconoscerlo.

«Quindi, potrò venire con voi ad Antiva, padre?» Chiese il ragazzino, eccitato. «Mamma ha detto che quest'anno forse mi lascerà andare...» Si voltò verso Garrett. «Vero, madre?»

Con sgomento, Garrett guardò il proprio riflesso nello specchio appeso alla parete di fronte a sé. Arianni, in un abito elegante rispetto a quelli in cui l'aveva vista di solito, ricambiò il suo sguardo confuso.

«Feynriel, non ti ricordi che tuo padre non ha mai nemmeno voluto incontrarti, nonostante spesso lavorasse a pochi isolati da casa nostra?» Domandò, cercando di stare al gioco del demone.

Il ragazzino si risentì, lanciando un'occhiata ferita al padre. «Mi state mentendo, allora?»

«Non ascoltarla, figliolo. Si è sempre vergognata di te. Voleva che sparissi, così da tornarsene dalla sua gente. Io sono l'unico che ti abbia mai amato...»

«Pensaci, Feynriel, quanti ricordi hai di lui?» Chiese Garrett, sperando che funzionasse.

Il mezzelfo abbassò lo sguardo. Quando lo riportò sul padre, aveva gli occhi lucidi. «Mamma ha ragione. Vi ho sempre aspettato, ma non siete mai venuto a prendermi. E lei ha rinunciato a vivere col suo Clan per me, ma non si è mai lamentata, mi ha sempre voluto bene! E voi non avete mai risposto alle lettere che vi mandava, me l'ha detto...» Sgranò gli occhi. «Io non ho mai incontrato mio padre. È stata mia madre a insegnarmi a leggere e scrivere, non tu! Chi sei?!»

Sparì un'altra volta, lasciandosi dietro solo il demone del desiderio, ora nella sua vera forma.

«Tu. Tu me l'hai portato via!» Lo maledisse quello, i tratti femminili del volto contorti dalla rabbia.

Garrett strinse il proprio bastone magico, fiducioso. «E ora, ti farò pentire di avergli teso una trappola.»



 

Trovarono Feynriel una volta usciti dalla stanza.

Attorno a loro, l'Enclave, i rami del grande Vhenadahl che facevano ombra sulla piazza.

«Non so se tutto questo è reale, o se sia un altro sogno. Se lo è, ti devo un'altra volta la vita.» Li salutò il mezzelfo, tornato sé stesso. Sorrise. «L'Oblio sembra diverso, ora. Vedo il filo e i punti che lo tengono insieme. Sento che potrei svegliarmi in qualsiasi momento, se lo volessi.»

«Hai un potere molto grande da imparare a controllare.»

Feynriel abbassò il capo. «Ho capito perché la Chiesa ci teme. I Magister del Tevinter lo usavano per distruggere i propri nemici nel sonno, sfruttando i loro stessi incubi. E hai ragione, devo imparare ad usarlo. Ma la Guardiana non può più insegnarmi nulla, purtroppo.»

L'uomo sospirò. «Voglio credere che tu sappia cosa stai facendo. Ti serviva solo un piccolo aiuto, per liberarti dai demoni. Tutti noi rischiamo di cadere in tentazione, ma hai la forza di resistere.» Ignorò Giustizia, accanto a lui, che guardava il ragazzo con malcelata diffidenza. «Cosa farai?»

«Cercherò qualcuno in grado di aiutarmi. Qualcuno come me.»

«Marethari ha detto che un potere come il tuo non compare da secoli.» Obiettò Garrett. «Sarà difficile.»

L'ombra di un sorriso comparve sul volto del mezzelfo. «I Dalish non sanno tutto. Ho incontrato qualcuno nei miei sogni, tempo fa. Credo di sapere come ritrovare la persona che può addestrarmi.» Sospirò. «Mia madre e la Guardiana tenterebbero di impedirmelo. Salutatele da parte mia.»

Garrett annuì, solenne. «Ti auguro buona fortuna, Feynriel.»

«Un giorno, forse, ci rincontreremo.» Lo salutò il ragazzo, voltandogli le spalle. «Vorrei poter ricambiare il favore.»

Il mezzelfo mosse la mano di fronte a sé, come a smuovere una tenda. «Arrivederci.»

Garrett si sentì trascinare fuori dall'Oblio.


Riaprì gli occhi, trovandosi sul pavimento freddo della casa.

Marethari, china su di lui, tirò un sospiro di sollievo. «Siete tornati.»

Arianni era in piedi poco distante, preoccupatissima. «Allora? Com'è andata?»

«Feynriel ha imparato ad usare i suoi poteri.» “Almeno, lo spero.” «Mi ha chiesto di salutarvi.»

La Guardiana lo scrutò, severa. Arianni trattenne il fiato. «Perchè mai dovrebbe...?»

«Non c'è nessuno in grado di aiutarlo, qui. Sta cercando qualcuno che sappia farlo.»

Marethari si rialzò, lo sguardo indecifrabile. «Il ragazzo ha ragione, non potevo fare di più.»

«No, devo parlargli prima che parta!» Esclamò Arianni, addolorata. «Guardiana, permettetemi di tornare con voi, possiamo seguirlo...»

«Sei la benvenuta tra noi, Arianni, come lo sei sempre stata. Ma se ha intenzione di non essere seguito, non credo riusciremo a trovarlo. Garrett, vi devo ringraziare di nuovo per il vostro aiuto.» Abbassò gli occhi su Merrill, che si stava lentamente riprendendo. «Non tutti hanno la forza di volontà per resistere alle lusinghe dei demoni.»

L'elfa minuta aprì i grandi occhi verdi. Carica di vergogna, sfuggì al suo sguardo, per poi alzarsi barcollando e, scusandosi, andarsene in fretta dalla stanza.

Garrett provò a fermarla, inutilmente. Gli dispiaceva vederla in quello stato, era pur sempre sua amica.

«Lasciala perdere, magari stavolta avrà imparato qualcosa.»

La voce di Anders lo fece sobbalzare. Si voltò verso il compagno, preoccupato. «Stai bene?»

L'altro annuì, massaggiandosi le tempie. «Un po' scosso, ma ho solo bisogno di una bella dormita.»

Garrett non osò chiedergli nulla, non di fronte alla Guardiana e ad Arianni. «Allora forse è meglio che ti riaccompagni alla Clinica.»

L'aria fresca della sera, una volta usciti dall'Enclave, sembrava un toccasana.

Anders si sedette sul muretto della terrazza che dava sulla baia, tremante. Garrett gli si avvicinò, senza sapere cosa dire. «Mi sono tenuto fuori dall'Oblio, da quando ci siamo uniti.» Parlò finalmente il guaritore, poco più che un sussurro. «Odio sentirmi un ospite nella mia stessa pelle. Forse è così che si sente Giustizia, tutti i giorni. Incatenato a me, ad ogni decisione che prendo. Non è diverso da una prigione.»

«Se posso aiutarti in qualche modo...» Si sentiva inutile.

Anders scosse il capo. «Non credo ci sia nulla che si possa fare, a questo punto.» Fissò il mare in lontananza, le vele delle barche ormeggiate al molo che ondeggiavano dolcemente. «Ti ho visto, intrappolato in quell'incubo.»

Garrett arrossì.

«Non so bene cosa sia successo, il demone teneva Giustizia lontano senza permettergli di interferire, ma abbiamo sentito che soffrivi. Temevo che...» Lo vide stringere il pugno. «Sono sollevato. Non so cosa avrei fatto se avessi perso anche te.»

Si costrinse a sorridere, nonostante la morsa allo stomaco che lo attanagliava al ricordo di quello che gli aveva mostrato il demone. «Tranquillo, non vado da nessuna parte.»

























Note dell'Autrice: chi si chiedeva cosa fosse successo a Malcolm Hawke? Mi sono presa qualche licenza artistica con questo Oblio, e Garrett è stato costretto a rivivere i suoi ricordi peggiori mentre il demone della paura cercava di convincerlo ad aiutarlo. Le visioni che gli ha mostrato gli resteranno in mente per un bel po'... Feynriel parte per l'avventura, chissà chi starà cercando, eheh.
Fatemi sapere cosa ne pensate, è stato un capitolo abbastanza difficile da scrivere e non so se la parte con Malcolm mi convince appieno, ero incerta se renderla più epica o lasciarla così, ma in fondo un padre che si sacrifica per i suoi figli è abbastanza eroico senza che sia necessario metterci in mezzo alti draghi o un'armata di Prole Oscura. 
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 17
*** Little Talks ***


CAPITOLO 17
 Little Talks



 

«E ti pareva che non sarebbe stata l'ennesima perdita di tempo!»

Marian, con un sospiro, dovette dare ragione a Ruvena. Avevano il pomeriggio a mettere a soqquadro l'intera villa Du Puis, dopo che Emeric aveva convinto la Comandante Meredith che il marchese Gascard fosse un pericoloso mago del sangue. Le avevano mandate ad investigare, ma non avevano trovato nulla che potesse lasciar intendere che Du Puis fosse un mago, men che meno che utilizzasse la magia proibita.

«Emeric è un completo imbecille» sputò Ruvena, facendo inavvertitamente cadere a terra un vaso di porcellana, che si infranse rumorosamente sul pavimento spargendo acqua e fiori recisi ovunque. «Ci sono dei veri maghi del sangue là fuori e noi sprechiamo risorse dietro i vaneggiamenti di quel-»

Marian guardò i frammenti di porcellana per terra, colpendole uno con la punta dello stivale. «Qui non abbiamo più niente da fare, comunque.»

«D'accordissimo. Coraggio, leviamo le tende.»

Il sole, all'esterno, stava già calando. La luce scarlatta del tramonto si rifletteva sulle pietre levigate della città alta, riverberando sulla foschia che si alzava dalla baia e che impregnava le vie.

«Andiamo a bere qualcosa?» le chiese l'amica con una scrollata di spalle «non ho tanta voglia di tornare alla Forca. E per fare rapporto su un buco nell'acqua, possiamo andarci anche dopo.»

Marian annuì. «Diamo un senso a questa giornata...»

Si stavano incamminando verso la città bassa, quando vennero fermate da Emeric, lo stesso templare che aveva fatto perdere loro l'intero pomeriggio per niente.

«Sei venuto a chiederci scusa?» lo salutò astiosamente Ruvena, incrociando le braccia.

Marian rimase in silenzio. Condivideva i sentimenti dell'amica, ma era comunque un templare anziano quello di fronte a loro e non era il caso di gettare completamente alle ortiche l'etichetta.

Emeric scosse la testa. «Davvero non avete trovato nulla?»

«Un mucchio di vestiti, più tazze di tè di quante una persona possa berne nell'intera vita e- oh!» Ruvena si battè una mano sulla fronte, platealmente «giusto, anche un pericolosissimo vaso di fiori. Fortuna che abbiamo neutralizzato il nemico appena in tempo per avere salva la vita.»

Marian dovette mordersi la lingua per non scoppiare a ridere. «Ruvena ha ragione, non c'era nulla di sospetto... Temo abbiate preso un granchio.»

Emeric non sembrava divertito. «Eppure...»

«Sentite, capita a tutti di sbagliare-»

«No, non capite. Ero certo... insomma, gli omicidi non si sono fermati, sono solo diventati meno frequenti, ma sono sicuro si tratti sempre della stessa persona!» puntò gli occhi dritti in quelli di Marian, supplichevole. «Ricordi anche tu quel sacco di ossa trovato alla fonderia, non mi sono immaginato tutto! Gascard conosceva due delle vittime e l'hanno visto fare domande sulle altre.»

«Emeric... era anni fa. Il colpevole può benissimo essere dall'altra parte del Thedas in questo momento» cercò di farlo ragionare lei. «E poi, la guardia cittadina aveva investigato la villa prima di noi, senza risultato. Avete insistito, e la Comandante Meredith l'ha fatta ricontrollare. Non c'è nulla dai Du Puis, lasciate perdere.»

Il templare serrò la mascella. «So che ho ragione. Me lo dice l'istinto.»

Marian roteò gli occhi al cielo. «E noi abbiamo le prove, per il Creatore. Il vostro istinto si sbaglia.»

Ruvena la prese per il braccio. «Lascia stare, è inutile discutere con i matti. Andiamo. E voi, state lontano da quella villa, sapete benissimo che la Comandante non vi grazierà di nuovo.»

Emeric lanciò loro un ultimo sguardo risentito, prima di voltarsi e andarsene furente.

«Che stupido» commentò Ruvena, scuotendo il capo, «non mi sorprendo che in tutti questi anni non abbia fatto carriera.»

Marian lo guardava allontanarsi, un nodo allo stomaco. «Sarà anche così, ma la sua ossessione di trovare quest'assassino è per il bene di tutti, non mi pare giusto prenderlo in giro gratuitamente...»

«Gratuitamente?! Due ore della nostra vita avrebbero potuto essere spese in maniera molto più proficua, come fissare la vernice asciugarsi sul muro!»

Scosse la testa. Non aveva senso continuare a discutere, Ruvena era cocciuta come un mulo.

«E comunque, non ci faranno mai tenenti se non risolviamo qualche grosso caso o alziamo il numero dei maghi catturati» si lagnò l'amica mentre scendevano le scalinate verso la città bassa.

Si diressero ad una taverna che si affacciava sul mercato, prendendo posto fuori. Sbocconcellando dei bocconcini di pesce fritto e accompagnandoli con della birra scura, restarono ad osservare i mercanti chiudere le varie bancarelle, parlando del più e del meno. Ruvena si lanciò in una delle sue accorate invettive contro i Qunari, cosa che fece venire a Marian un gran mal di testa. Il fracasso che animava la piazza andava piano piano a scemare.

Avevano ormai finito di mangiare da un pezzo, quando una voce familiare giunse alle loro orecchie.

«Vi ho già dato i miei uomini una settimana fa, e avete poi anche rifatto la perquisizione voi Templari, che altro volete da me?!»

«Oh, no... basta. Deve farsi una vita.»

Con una smorfia, videro Emeric che quasi rincorreva una stremata Aveline, che sembrava aver finito le idee sul come toglierselo di torno.

«Vi dico che sta nascondendo qualcosa!»

«Ora basta! Non voglio più-»

«Ma-»

«Vado a salvarla» decise Marian, alzandosi in piedi tra le risate della collega. Raggiunse i due quasi di corsa, temendo che Aveline potesse usare il grosso scudo che teneva sulla schiena per zittire una volta per tutte il templare. «Emeric, pensavo che la questione fosse chiusa.»

L'altro sgranò gli occhi, scoperto, e si affrettò a mettersi sulla difensiva. «Volevo solo...»

Marian incrociò le braccia, guardandolo male. «Avete già tempestato di lettere la guardia cittadina, coinvolto l'Ordine in un caso di omicidi ordinari... non credete di aver fatto abbastanza?»

Emeric si guardò i piedi. Sembrava stare per desistere, quando scosse la testa, rinvigorito. «No, lo devo a quelle donne! Ninette, Mahren... a nessuno sembra importare della loro morte!»

L'accusa la lasciò furente. «Questo non è vero.»

«E allora dimostratelo.»

Strinse i denti. «Non abbiamo trovato nulla, cos'è che vi fa pensare che una nuova perquisizione possa andare diversamente?»

«Ha sempre avuto del preavviso. Tempo per nascondere tutto ciò che potesse incriminarlo. Ma ora che si sarà rilassato, credendo di averla fatta franca, potremo scoprire cosa veramente nasconde!»

Marian si massaggiò le tempie. Si scambiò uno sguardo stanco con Aveline, che sembrava sul punto di prenderlo a pugni. «D'accordo» sospirò sconfitta, «ma questa è l'ultima volta. Se non troviamo nulla, vi rassegnerete. Giuratemelo. E la Comandante non ne deve sapere nulla, oltretutto, o saremo messi a pulire le latrine per il resto dell'anno.»

«Marian, stai davvero-»

«Aveline. Preferisci che continui ad assillarti all'infinito?»

«Gliela stai dando vinta solo perché ti stressa?»

Fece vagare lo sguardo dall'amica all'uomo, più volte. «Così sembra.»

Emeric si esibì in un sorriso tutto denti, vittorioso.

 

 

«Adoro quando ci introduciamo illegalmente nelle ville di qualche riccone» commentò Isabela con un sussurro, armeggiando con la serratura. «Potremmo organizzare un giorno del mese dedicato.»

Aveline le lanciò un'occhiataccia. «Sì, è esattamente quello che pensavo di fare quando mi hanno nominata Capitano delle Guardie. Se si spargesse la voce, il Visconte in persona mi stringerebbe la mano.»

«Ragazzona, gliela stritoleresti, quella mano» la serratura scattò con un click. «Prego, madamigelle, dopo di voi.»

«Mh, non sapevo mi fossero cresciute le tette.»

«È una battuta quella che sento, Fenris?» lo prese in giro Marian, scivolando all'interno.

L'altro ridacchiò. «Forse. Ma dovremmo controllare.»

La casa sembrava deserta. Dalla perquisizione del giorno prima, non era cambiato molto. I cocci del vaso però, notò Marian, erano stati rimossi. Al suo posto, era stato sistemato un vaso nuovo, dei meravigliosi gerani rosa facevano bella mostra di sé sul tavolo di mogano lucido.

«Tsk, Orlesiani

«Marian, contieni il tuo Ferelden.»

«Sai quanto sarebbe stato bello lasciare che Bu se la prendesse con l'arredamento?»

Persino Aveline dovette trattenersi dallo scoppiare a ridere. «Sai, a proposito di Bu, sta facendo un ottimo lavoro ad addestrare le reclute. Ne hanno tutte un sacrosanto terrore.»

Marian ghignò. «Ci credo.»

Uno sbuffo alla loro destra li fece trasalire, troncando ogni ilarità. Si girarono allarmati, guardando una decina di ombre comparire dal tappeto e prendere forma attorno a loro, scagliandosi all'attacco.

«Beh, forse quel templare paranoico non lo era così tanto!» ringhiò Fenris, decapitandone una sul posto e lanciandosi sulla seconda.

Marian chiuse gli occhi, concentrandosi e raccogliendo i propri poteri. L'onda antimagia colpì le ombre, lasciandole inebetite per qualche secondo e permettendo loro di eliminarle.

«Forse si è solo attrezzato per evitare il continuo viavai di guardie e templari alla porta.»

Fenris assottigliò gli occhi. «C'è chi assume semplici mercenari e chi ricorre alla magia del sangue.»

«Non credi che dovrebbe averci già scoperto?» Le domandò Aveline.

Marian si strinse nelle spalle. «Magari non è in casa. E poi, se ci attaccasse con un incantesimo...»

«Avremmo un mago in meno in città.» Concluse Fenris compiaciuto.

Salirono al piano di sopra. Una serie di librerie alte fino al soffitto occupavano l'intero corridoio. Isabela si mise distrattamente a scorrere le coste dei libri, estraendone alcuni a caso e gettandoli poi per terra quando li riteneva poco interessanti.

«Puoi smetterla?!» la redarguì Aveline, irritata.

Prima che la pirata potesse risponderle a tono, il silenzio fu rotto da uno stridìo metallico.

Restarono a bocca aperta, mentre uno degli scaffali spariva verso l'interno del muro, rivelando uno stretto corridoio e una stanzetta fiocamente illuminata sul fondo.

Marian estrasse le spade, il fiato sospeso, entrando per prima.

«Bel covo segreto...» sibilò un attimo dopo aver controllato che la stanza fosse vuota. Alle pareti, due torce gemelle rilucevano di un fuoco azzurrino. Una pila di grossi tomi dall'aspetto rovinato era poggiata ordinatamente su uno scrittoio, mentre altri scaffali pieni di libri troneggiavano sulle tre pareti restanti. Aprì l'unico cassetto del mobile, afferrando il mucchio di carte all'interno. «Ah, questo è interessante» esclamò, sfogliandole alla ricerca di informazioni «qui il Circolo di Starkhaven manda una piccata risposta a Gascard di farsi gli affaracci suoi. A quanto pare cercava un mago scomparso, ma loro hanno fatto finta di niente... che stesse cercando dei collaboratori?» scosse la testa, prendendo il foglio successivo «in ogni caso, era parecchio tempo fa, prima che andasse a fuoco tutto. E questa è una lettera di ringraziamento per aver spedito chissà cosa, e un avvertimento su-» le parole le morirono in gola. Fenris, da dietro la sua spalla, si sporse incuriosito.

Appoggiò sul tavolo la serie di appunti scritti a caratteri fittissimi, che illustravano quello che sembrava un rituale magico, mentre a bordo pagina erano scarabocchiate delle rune. I fogli successivi contenevano uno studio dettagliato di un circolo di evocazione. «Questo suo amico lo mette in guardia sulla difficoltà di tenere a bada le Ombre e gli fornisce gentilmente un artefatto e le istruzioni su come usarlo per evocarne alcune.»

«Abbiamo abbastanza prove per sbatterlo nella Forca, mi pare» commentò Fenris, scuro in volto.

Marian scosse la testa. «A questo punto temo troveremo ben più di un mago fuggiasco. Secondo Emeric, dovrebbe essere responsabile di una dozzina di omicidi.»

Aveline attirò la sua attenzione, indicando alcune boccette di vetro contenute in un piccolo scrigno di legno laccato. «Sangue.»

La templare assottigliò gli occhi, imboccando il corridoio, le spade strette in mano. Il fatto che Gascard du Puis si fosse preso gioco dell'intero Ordine, nascondendosi dietro belle parole e una rispettabile facciata di nobiltà orlesiana, la faceva imbufalire. Avrebbe pagato.

Isabela le afferrò un braccio, l'altra mano a portarsi un dito davanti alle labbra, indicando con un cenno del capo il soffitto. Marian dapprima non sentì nulla, poi, tendendo le orecchie, il tonfo soffocato proveniente dalla stanza sopra di loro si ripetè più forte.

Con attenzione salirono le scale in punta di piedi, le armi in pugno.

La camera padronale si affacciava sul terrazzo. Marian non ricordava altri accessi, ma dovevano considerare l'ipotesi che il mago del sangue avrebbe potuto fuggire gettandosi di sotto, in fondo due piani di altezza non erano un gran deterrente per un Maleficar.

Raccolse le energie per lanciare l'aura antimagia, prima di sfondare la porta con un calcio.

Gascard di Puis urlò di sorpresa, afferrando la donna accanto a lui e parandosela davanti come uno scudo umano, mentre arretrava verso il balcone.

Fenris e Aveline scattarono in avanti per affiancarlo, mentre Isabela fece roteare in aria uno dei suoi coltelli in segno di sfida. «Vogliamo vedere chi è più veloce?»

«No, voi non capite-!»

«Lasciala andare immediatamente, Maleficar, e non ti uccideremo seduta stante» lo minacciò Marian, avanzando lentamente. «Non hai scampo.»

La donna prigioniera cercò di divincolarsi, terrorizzata. «Aiutatemi, vi prego-»

«Sta' zitta!» urlò il mago, lanciando uno sguardo febbrile alla sua unica via di fuga. «Dovete ascoltarmi, l'ho tenuta qui per proteggerla, non le ho fatto nulla di male!»

«Abbiamo visto le fiale di sangue» ringhiò Marian, facendo un paio di passi in avanti. «Non negarlo, assassino.»

Il mago sbiancò ulteriormente. «Non... so che può sembrare tutto il contrario, ma io-» notò con sgomento che Fenris era ormai di fronte alla finestra, impedendogli di fuggire. Digrignò i denti, facendo comparire dalla manica un coltello e puntandolo verso la templare. «Non muovetevi o la uccido. Lasciatemi spiegare, almeno!»

«Prima lascia andare l'ostaggio, Maleficar!»

Lo vide iperventilare, cercando un modo per uscirne vivo. Alla fine, capitolò, allentando la presa sul collo della donna e lasciando che quella scappasse verso la porta, rifugiandosi dietro a Marian.

«Non dategli ascolto, voleva uccidermi, ha preso il mio sangue per... per...» balbettò, scossa.

La templare non staccò gli occhi dall'uomo. «Metti giù quel coltello. Se fai qualunque cosa di strano, ti abbatto sul posto.»

«Va bene, lasciatemi spiegare!» squittì il mago, lasciando cadere il coltello con un tonfo. «C'è un assassino a piede libero, volevo catturarlo! Lo so che voi templari sospettate di me, ma non sono io, ve lo giuro... so che sceglie come vittime donne di mezz'età, nobili e con pochi legami familiari» rivolse a Marian un'occhiata supplichevole «ha ucciso mia sorella. Non c'è nulla che desideri di più al mondo che vederlo morto.»

«Anche se fossi disposta a crederti... hai preso in ostaggio la prima nobildonna che hai trovato, mettendola in pericolo con la tua follia, e hai fatto ricorso alla magia del sangue.»

«No! No, Alessa era in pericolo!» si difese l'uomo. «Manda alle sue vittime un bouquet di gigli bianchi, prima di rapirle ed ucciderle. È successo con mia sorella e con le altre donne... Alessa sarebbe stata la prossima, l'ho protetta!»

«Oh, certo. Si vede.»

«L'ho rapita così l'assassino sarebbe venuto per forza da me, e io avrei potuto... ho dovuto usare la magia del sangue, per tenerla qui, e per ritrovarla nel caso fosse riuscito a portarla via: è un mago del sangue molto potente, utilizza le donne per un qualche rituale, non le uccide immediatamente» scosse la testa «Invece siete arrivati voi, e la mia trappola non ha funzionato.»

«Se sapete così tante cose sul suo modus operandi, perché non siete andato dalla guardia cittadina, o dai Templari?» Indagò Marian, furente. «Avremmo potuto salvare la vita di qualcuno e risparmiarci questa ridicola messinscena.»

Il mago ci mise qualche secondo a rispondere. «Non voglio che venga catturato. Lo voglio morto. E voglio essere io a guardarlo dissanguarsi sul pavimento, proprio come ha fatto con mia sorella.»

«È un mago del sangue, non ci si poteva aspettare diversamente» Marian potè vedere i tatuaggi di Fenris brillare minacciosamente mentre avanzava verso Gascard.

«L'Ordine esiste esattamente per evitare queste stronzate» disse, faticando a mantenere l'aura. Sapeva che se il mago del sangue avesse fatto ricorso alla magia proibita sarebbe servito a poco, ma sperava che Fenris nel caso lo avrebbe abbattuto prima che potesse scagliare il suo incantesimo. «Se l'assassino vi avesse ucciso, tutte queste informazioni sarebbero andate perdute, il tutto per un patetico desiderio di vendetta.»

«Mia sorella è morta per causa sua!» gridò il mago, perdendo le staffe.

Marian si irrigidì, pronta ad attaccare. Fenris, dietro il mago, le lanciò uno sguardo significativo. «In ogni caso, siete un mago del sangue. Troveremo il colpevole, ve lo prometto, ma dovete venire con noi. Metterò una buona parola con la Comandante per non farvi uccidere.»

«E sottopormi alla Calma?» sputò Gascard, indietreggiando di un passo. «Non credo proprio.» Sollevò il braccio, e solo allora Marian notò il bracciale appuntito che l'uomo portava al polso. Con esso, si tagliò l'interno del braccio opposto. Il Velo tremò, mentre il potere del sangue si sprigionava in una nube rossastra che andò ad avvolgerlo, ombre scure che si sollevavano dal terreno.

Con un lampo di luce azzurra, il pugno guantato di Fenris uscì dal petto dell'uomo.

Gascard abbassò il capo, incredulo, per poi afflosciarsi come un pupazzo mentre l'elfo ritirava la mano, il cuore pulsante stretto tra le dita. Lo lasciò cadere accanto al cadavere.

«Uno in meno» commentò piatto, pulendosi dal sangue sui pantaloni.

Marian aggrottò le sopracciglia, voltandosi poi verso la donna che sembrava sull'orlo di una crisi isterica «Andiamo, credo che per oggi abbiate visto abbastanza.»

«L'accompagno io» si offrì Aveline «e manderò qualcuno a recuperare le prove che abbiamo trovato... tu vai pure dalla Comandante.»

La templare sospirò. «Toccano sempre a me i compiti migliori.»

Isabela, che nel frattempo stava rovistando in un portagioie, le rivolse un sorriso smagliante. «Tesoro, te lo sei scelto tu il lavoro... quando ti sarai stufata, sappi che sulla mia nave c'è sempre posto per te» si infilò in tasca due manciate di gioielli, gli occhi che scandagliavano la stanza alla ricerca di altro.

Aveline incrociò le braccia, scrutandola con disappunto.

«Hei, non è che se ne faccia molto adesso, no?»



 

La mattina seguente, bussò alla porta dell'ufficio della Comandante.

Meredith ascoltò il resoconto della serata senza battere ciglio. «Ti devo fare i miei complimenti, Marian» disse, alzandosi dalla scrivania e avvicinandosi a lei «ancora una volta hai agito di testa tua, portando grande beneficio all'Ordine. Hai scovato un pericoloso mago del sangue e scoperto informazioni preziose per trovarne un altro.»

«Ho fatto solo il mio dovere, Comandante.»

«No» la contraddisse la donna «il tuo dovere sarebbe stato ignorare la fissazione di Emeric e tornare ai compiti che ti erano stati assegnati. Invece, hai seguito il tuo istinto e hai ottenuto dei grandi risultati. Da quando sei qui, hai sempre fatto un ottimo lavoro.»

Marian gonfiò il petto, orgogliosa, ignorando la vocina che sibilava che aveva seguito i sospetti di Emeric solo per far zittire una buona volta il templare più anziano.

«Ritengo sia il momento per una promozione.»

Sgranò gli occhi. Meredith sembrò accorgersene, perché le regalò uno dei rarissimi sorrisi di cui era capace la fredda Comandante, la donna che metteva paura alla città intera. «Ti sorprende?»

«Comandante, io...» non sapeva bene come rispondere. «Vi ringrazio.»

«Ringrazia te stessa, Tenente Marian Hawke. Mi aspetto grandi cose.» Con un cenno del capo, la congedò dall'ufficio. «E non temete, prenderemo questo Maleficar.»

Marian uscì dalla stanza quasi galleggiando. A metà del cortile della Forca, si rese conto di non aver sentito nemmeno una parola di encomio per Emeric, il quale era tecnicamente responsabile del suo successo. Si strinse nelle spalle, ci avrebbe parlato lei alla prossima occasione.

Lo stomaco le ricordò che non aveva ancora fatto colazione.

Si avviò verso l'Impiccato, nella remota ipotesi che Isabela fosse già sveglia (o ancora lì) per darle la buona notizia. “Probabilmente mi risponderà che sarà ancora più facile per lei farla franca con i suoi soliti intrallazzi...” pensò divertita mentre apriva la porta della locanda.


 

La sala era quasi deserta, fatta eccezione per un uomo gigantesco che russava sonoramente su una panca, la testa appoggiata sul tavolo e una serie di boccali vuoti tutto attorno a lui, e alcuni lavoratori della città bassa che facevano colazione.

«Il solito?» Chiese Corff da dietro il bancone.

Marian annuì, avvicinandosi al barista. «Isabela?»

L'uomo scoppiò a ridere. «A quest'ora? Improbabile. C'è tuo fratello, però» allo sguardo scioccato della donna, Corff indicò il tavolino in fondo alla sala, stringendosi nelle spalle «sono sorpreso quanto te, credimi. In più sta fissando quel boccale da più di un'ora senza prenderne nemmeno un sorso. Magari ha preso una qualche botta in testa...»

Senza ascoltare il resto della frase, si diresse verso Garrett, che sembrava non averla notata. “O forse mi sta ignorando”, pensò risentita.

«Garrett?»

L'uomo si riscosse con un sussulto, scattando sull'attenti. Notando che era solo lei, sembrò rilassarsi di nuovo. «Ah, Marian. Scusa, non ti avevo vista...» guardò dietro di lei, come a cercare qualcun altro. «Sei sola?»

Lei annuì. «Nottata movimentata.»

Lo vide abbozzare un sorriso stanco. «Non me ne parlare» si spostò di lato, facendola accomodare.

Rimasero in silenzio per un po', aspettando che Corff portasse un boccale di birra scura per Marian e una serie di fette di pane caldo. «Allora, inizio io o inizi tu?» Cercò di rompere il ghiaccio lei, afferrando il coltello del burro e iniziando a spalmarlo sul pane, lo stomaco che brontolava per la fame. Garrett fece spallucce.

«D'accordo...» diede un morso abbondante, gustandosi il sapore e divorando velocemente la prima fetta. «A quanto pare c'è un serial killer in circolazione, che oltretutto è un mago del sangue, il quale rapisce le donne e le usa per qualche rituale, per poi smembrarne i cadaveri e lasciarli in tanti piccoli sacchetti.»

«Mh, affascinante» commentò Garrett, prendendo a sua volta un po' di pane «e siete certi che sia un mago del sangue perché...?»

«Me l'ha raccontato un altro Maleficar proprio stanotte, dopo aver sequestrato una potenziale vittima per tendere una trappola al nostro assassino.»

«Un'idea brillante.»

«Già. E sono stata promossa a Tenente, proprio stamattina.»

«Complimenti. Devo preoccuparmi?»

«Garrett.»

«Sì, Marian?»

«Per quanto possa avere delle riserve sui tuoi passatempi sovversivi – e credimi, odio dover passare ogni giorno davanti ai tuoi graffiti – non arriverei mai a paragonarti ad un mago del sangue.»

Il fratello arricciò un angolo della bocca, divertito. «Ho fatto proprio un bel lavoro, vero?»

«Non cambiare discorso.»

Ridacchiò. «Lo so, scusa. Grazie per la fiducia. Comunque, se mai venissi a sapere qualcosa, correrò a dirtelo. Sei più brava di me a far fuori i maghi, sorellona.»

Marian non poté ignorare il tono amaro in cui lo disse. «Sai che non lo faccio a cuor leggero.»

«Sei una dei pochi.»

Non sapeva come rispondere. Imburrò un'altra fetta di pane, bevendo un po' di birra per mandarla giù. “Della marmellata ci sarebbe stata benissimo...” Lanciò uno sguardo di sottecchi al fratello. Non si vedevano più tanto spesso, e sembrava parecchio turbato. «Garrett...»

«Stavo pensando a papà.»

Le morirono le parole in gola. Ripose sul piatto la fetta di pane.

«Sono stato un idiota.»

Si morse il labbro inferiore. Nonostante gli anni, era una ferita ancora fresca. «Sì, lo sei stato» sospirò, stirando le gambe sotto il tavolo «ma chi a diciassette anni non si è mai comportato da idiota?»

Garrett sbuffò dal naso. «Idiota non è abbastanza, temo. Se non fossimo andati dietro a quell'orsa come due deficienti, a quest'ora...»

Marian gli afferrò il braccio. «Non rivangare questa storia. Ormai è andata, quel che è fatto è fatto. Non ha senso torturarsi.»

«Stavo solo pensando che Bethany...» continuò il fratello, lo sguardo fisso sul muro. «E anche lì, ero troppo debole per rendermi utile.»

«Nemmeno il più potente dei maghi sarebbe capace di riportare in vita i morti, Garrett, lasciali riposare dove stanno» strinse la presa, costringendolo a guardarla negli occhi. «Papà ha fatto quello che ogni genitore dovrebbe fare, si è sacrificato per noi. E Bethany...» inspirò profondamente «Bethany è stata fottutamente coraggiosa, caso chiuso.»

«Sì, lei lo è stata» si divincolò dalla presa, nascondendo il naso nel boccale di birra.

«Come mai stai rivangando i nostri peggiori fallimenti?»

«Nostri? Sono io quello che ogni volta sembra non essere capace di fare nulla. Guarda con Carver...»

«Garrett, mi stai spaventando.»

Il fratello non rispose.

«Garrett.»

«Sto solo dicendo... che la nostra famiglia sembra destinata a morirci tutt'attorno. Mi chiedevo chi sarà il prossimo.»

Solo dopo che metà dei commensali si voltarono a guardarla allarmati, Marian si rese conto di aver sbattuto il pugno sul tavolo, rovesciando un po' di birra. «Non dirlo nemmeno per scherzo» ribattè, furente. «Non morirà nessun altro.» Lo sguardo piatto che le rivolse Garrett la spaventò molto di più delle sue parole. «Cosa ti salta in mente oggi?!»

«Ho... avuto un incubo, diciamo così.»

«Allora dì a qualunque demone te lo abbia mostrato di levarsi di torno.»

L'altro ridacchiò, senza gioia. «Fosse così facile... alle volte vorrei essere come te, sai? Avere la certezza di poter prendere a pugni qualsiasi problema.»

«Pensi davvero questo di me?»

Si strinse nelle spalle. «Non ti ho mai vista vacillare di fronte a nulla, fossero demoni, banditi, Prole Oscura o maghi del sangue. Vorrei avere il tuo coraggio.»

«Mi pare che di coraggio tu ne abbia fin troppo, dati i casini in cui ti stai cacciando.»

Garrett rimase a fissarla per un po', indecifrabile. «Sto solo facendo il minimo.»

«Direi che è più che abbastanza. Meredith è furiosa, ha messo una taglia enorme su chiunque appartenga alla Resistenza.»

«Sai, mi fa piacere essere anche solo una minuscola spina nel fianco della tua cara Comandante.»

«Sta cercando di fare il suo lavoro, Garrett. Come tutti noi.»

«E lo fa egregiamente, direi. Ha un dono per rovinare la vita altrui.»

Marian strinse i denti. «Non dico che non abbia i suoi difetti, ma è una situazione difficile.»

«Lo so benissimo, ti ricordo che sono dall'altra parte della barricata, ogni giorno.»

«È questo che mi spaventa» si lasciò sfuggire lei in un sussurro.

Garrett le rivolse un sorriso stanco. «Non so se riuscirei a combattere contro di te, Marian. Non credo di poter perdere qualcun altro. Non per causa mia.»

«Smettila» lo zittì lei, un nodo alla gola. Non voleva nemmeno immaginare di arrivare a quel punto.

«Sai che potrebbe succedere.»

«Scordatelo. Ti trascinerei legato come un salame fuori dalla battaglia, a costo di falciare maghi e templari assieme pur di portarti al sicuro.»

Quelle parole sembrarono avere l'effetto di una doccia fredda per entrambi. Rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.

«Conoscendo papà, ci tirerebbe le orecchie.»

Marian scosse il capo, guardando il fratello sbocconcellare un'altra fetta di pane. «Probabile. Era sempre il primo a dirci che Templari e Maghi avrebbero dovuto collaborare...»

«Stiamo fallendo, vero?»

Sospirò pesantemente. «Sembra di sì.»

«Carver dovrebbe saperlo. L'idea che Bethany sia morta senza sapere cos'è veramente successo a papà...»

«Lo sa già.»

Garrett la guardò sorpreso.

«La notte prima della battaglia di Ostagar...» Prese un sorso di birra, i ricordi che le riaffiorano in mente «sono andata a cercarlo, nonostante fossimo in due accampamenti diversi. Volevo accertarmi che andasse tutto bene, che non avesse paura.» Scosse il capo, trattenendo una risata. «Mi ha dato della chioccia, dicendomi che non era per nulla nervoso e di tornare pure dai Templari, che se la sarebbe cavata egregiamente da solo. È la persona più permalosa che io conosca.»

Il fratello annuì, ridacchiando. «Sì, è proprio da Carver.»

«Ho insistito per cenare assieme. Non ti nascondo che io invece ero nervosa eccome, doveva essere la battaglia che avrebbe salvato il Ferelden, che avrebbe posto fine al Flagello ancora prima che iniziasse... avrei dovuto combattere accanto al Re in persona. Speravo mi avrebbero promossa e fatta finalmente Templare, dopo la vittoria.»

«Alla fine ti è andata bene comunque.»

«Sì, ma quella sera... ho ripensato a papà, alla promessa che gli avevo fatto, che vi avrei tenuti tutti e tre al sicuro. Mi sentivo responsabile per Carver, non avrei potuto proteggerlo essendo io tra l'avanguardia e lui nel grosso dell'esercito.» Finì la birra a lunghi sorsi, restando a fissare il fondo del boccale, passando il pollice su una tacca incisa nel legno «Alla fine, gli ho raccontato tutto.»

Garrett fece vagare lo sguardo per il locale semivuoto. «Come ha reagito?»

«... da Carver» rispose semplicemente lei, immersa nei ricordi «“avresti dovuto dirmelo prima”, mi disse soltanto. Voleva raccontare la verità anche a Bethany, una volta tornati a casa.» Ignorò il pizzicore agli occhi. «Non c'è stata occasione.»

«Mi manca. Sempre. Carver manda così poche lettere che a volte sembra che anche lui non ci sia più, e noi...»

«Prometto di venire a pranzo più spesso, se tu ti impegni a non sgattaiolare via per evitarmi.»

Garrett sorrise, tendendole la mano. «D'accordo, terreno neutrale.»

Marian la strinse, ricambiando. «Siamo già a due, qui e a casa. Facciamo progressi.»

«Magari la prossima volta farò uno sforzo per essere più allegro.»

«Sai che per qualsiasi cosa, sono qui» gli disse lei, seria. «Anche se non sembra. Posso essere una templare, ma prima di tutto sono tua sorella.»

Il fratello fece una smorfia. «Tendi a farmelo dimenticare, a volte, Tenente.»

«Perchè tu tendi ad essere un cretino, a volte, mago.»

«Hei, terreno neutrale, ricordi?»

Prima che potesse ribattere, una voce li salutò dalle scale che portavano al piano di sopra. Varric, la faccia assonnata, fece capolino dal pianerottolo. «Chi si vede a quest'ora... Scheggia e Zuccherino. Mi sorprende trovarvi così civili!»

«Siamo un po' sottotono oggi, hai ragione» rispose Marian con una smorfia infastidita, indicandogli la sedia di fronte a loro. Detestava quel soprannome.

«Beh la rissa di settimana scorsa ha lasciato i segni sia sul mobilio che sul portafoglio, quindi non posso che esserne contento» Il nano indicò un foro nel muro, dove uno dei coltelli di Isabela si era piantato fino all'elsa, a pochi centimetri dall'orecchio del furbastro che aveva osato importunare una delle sue protette qualche sera prima. «Allora, che si dice?»

«Marian mi ha appena detto che muore dalla voglia di essere invitata alla prossima festa.»

«Cos-» esclamò lei, tirando una gomitata al fratello, che scoppiò a ridere. «Non è vero! Però...» Ora che ci pensava, c'era ancora in ballo una questione irrisolta tra Aveline e una certa guardia. E avevano tutti bisogno di distrarsi un po'. «D'accordo, ci sto, ma ho bisogno del vostro aiuto...»

















Note dell'Autrice: il prossimo capitolo sarà molto più leggero, promesso. Marian e Garrett avevano proprio bisogno di parlarsi a cuore aperto (in senso figurato, ovviamente), la loro famiglia sta andando in scatafascio e devono cercare di salvare il salvabile. Mentre Meredith sembra aver preso Marian in simpatia... Alla prossima! :D  

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Capitolo 18
*** Truth or Dare? ***


CAPITOLO 18
Truth or Dare?



 

«Merrill?»

Bussò di nuovo alla porta, senza risultato. Si scambiò uno sguardo preoccupato con Varric, accanto a lui, che scosse la testa. «Te l'avevo detto che non ti avrebbe risposto.»

«Merrill, sappi che stiamo entrando. Con le buone o con le cattive!» Alzò la voce Garrett, prima di fare un cenno al compagno. «Non può marcire qui dentro per sempre.»

Il nano si lasciò sfuggire una risata nasale, estraendo i propri attrezzi da scasso. La serratura scattò con un “click!”, ma la porta rimase ostinatamente chiusa. «Mh, strano.» Si piegò ad esaminare la porta, battendo sul legno con le nocche. Stranamente, suonò appena. «Penso ti tocchi fare uno dei tuoi trucchetti scintillanti, Scheggia.»

«Non è prestidigitazione, Varric. E smettila di chiamami così.» Lo rimbeccò il mago, appoggiando entrambe le mani ed evocando un po' di mana. Ghignò, sentendo le miriadi di scintille rompere l'incantesimo di protezione che aveva messo Merrill. «Stiamo entrando!» Annunciò, spalancando la porta con poco garbo e illuminando l'ingresso angusto.

Una zaffata di erbe aromatiche gli invase le narici. Varric, accanto a lui, starnutì un paio di volte, cercando un fazzoletto nella tasca. «Santissima Madre dei formaggi alla muffa, sembra di stare dallo speziale su al mercato, come si fa a-» si interruppe di botto, mentre Merrill si affacciava sul corridoio.

«Pensavo che una porta chiusa mandasse un messaggio abbastanza chiaro,» borbottò incrociando le braccia, «a quanto pare mi sbagliavo sulle usanze degli umani.»

«Margheritina, ci stavamo preoccupando» La salutò Varic, esibendosi in uno dei suoi larghi sorrisi «non esci di casa da tre giorni, temevamo fossi tornata tra i boschi.»

Silenzio.

Garrett si schiarì la voce. «Merrill, senti...»

L'elfa sfuggì al suo sguardo, andando verso la credenza della piccola cucina. «Posso offrirvi qualcosa, un bicchiere d'acqua...?»

«Per politica personale l'acqua la bevo solo se costretto, ma grazie.» Rifiutò Varric, tentando di alleggerire la tensione.

«In effetti, speravamo di convincerti a venire all'Impiccato con noi.» Sputò il rospo Garrett, tutto d'un fiato. «Ci mettiamo una pietra sopra. Un boccale, meglio. O più di uno.»

Merrill sospirò, guardandolo finalmente in faccia. «Perché sei tu quello che sembra si stia scusando, dopo quello che ho combinato?»

L'uomo si strinse nelle spalle. «È acqua passata. Siamo amici, no, è quello che si fa.»

«Amici...» La vide appoggiarsi al mobile dietro di lei, lo sguardo assente. «Non ho mai avuto molti amici, ma non credo che mi avrebbero perdonato così facilmente, dopo aver stretto un patto con un demone.»

«Merrill, scusa la franchezza, ma... come se fosse la prima volta.»

Gli lanciò uno sguardo risentito. «Stavolta è diverso. Quel demone dell'Orgoglio... mi ha letto dentro. Non ho saputo dirgli di no, e me ne vergogno. Avrei potuto risvegliarmi come un Abominio, o non risvegliarmi affatto, se non mi aveste fermata.»

«Sono demoni, è il loro lavoro. Anche io stavo quasi per-»

«Ma non l'hai fatto.»

Annuì.

«Non mi chiedi nemmeno quale fosse la proposta?»

«Non vorrei impicciarmi. So che possono portare a galla ricordi... spiacevoli.» Le immagini che gli aveva mostrato il demone della Paura erano ancora impresse a fuoco nella sua mente.

Merrill sorrise, triste. «Mi ha ricordato gli amici che ho perso.» Chiuse gli occhi per un attimo, persa nei suoi pensieri. Dopo qualche attimo, si riscosse.

Fece loro cenno di seguirla nella camera adiacente, dove l'unico mobilio era composto da un semplice letto di legno, un comodino con una piccola candela a metà e una figurina di legno intagliata a rappresentare un halla e, cosa che attirò subito l'attenzione di Garrett, quello che sembrava un telaio di metallo fatto per reggere uno specchio. Nonostante fosse antico e sembrasse averne passate parecchie, era di squisita fattura, una serie di intricati rami in quello che pareva argento che si attorcigliavano tra loro abbracciando ciò che restava della superficie riflettente, che appariva rotta in più punti, opaca e inutilizzabile.

Merrill sfiorò con le dita uno dei rami prima di sedersi sul letto, le mani poggiate in grembo. «Tutti ricordano Aenor Mahariel come l'Eroina del Quinto Flagello, la coraggiosissima elfa dalish che ha unito il Ferelden e ha sconfitto quasi da sola l'Arcidemone... io ricordo un'amica che non sono riuscita ad aiutare.» Lanciò uno sguardo malinconico al piccolo halla di legno. «Il demone mi ha fatto rivivere quella terribile giornata, quando ho perso due dei miei più cari amici. Aenor e Tamlen trovarono questo specchio in fondo a delle rovine nella foresta di Brecilian, e spinti dalla curiosità si avvicinarono troppo: l'Eluvian li infettò con la sua Corruzione, la stessa che portano i Prole Oscura. Quando trovammo Aenor era troppo tardi, l'unica speranza di salvezza» scosse la testa, mordendosi un labbro «se così la possiamo chiamare, era che si unisse ai Custodi Grigi. E Tamlen... non riuscimmo a trovarlo da nessuna parte. Quel mago che è venuto a portarci notizie di Aenor ci disse che era stato trasformato in un ghoul, e che Aenor era stata costretta a-» tirò su col naso, gli occhi lucidi «nessuno dei due è sopravvissuto, alla fine.»

«Mi dispiace per i tuoi amici, Merrill.» Sussurrò lui, lanciando però uno sguardo preoccupato allo specchio. «Ma se questo... “Eluvian” è così pericoloso, perché l'hai portato qui?»

«Non è pericoloso. Almeno, non più. L'ho purificato, con l'aiuto della magia del sangue. È per quello che ho chiesto aiuto al demone, la prima volta.» Accennò un sorriso triste. «Anche se non riporterà in vita i miei amici, è un pezzo della storia perduta dei Dalish. Quello che è successo a loro non può essere accaduto per nulla, devo sistemarlo e farlo funzionare.»

«Ci sono modi più facili e meno pericolosi per procurarsi un buono specchio dove sistemarsi i capelli, Margheritina» commentò Varric con una smorfia «te ne regalo quanti ne vuoi.»

Merrill ridacchiò, scuotendo la testa. «No, Varric, non credo potresti regalarmene uno uguale. Ma grazie. Gli Eluvian... gli elfi antichi li usavano per comunicare in qualche modo, ma ogni conoscenza su questi artefatti è andata perduta. E io sono l'unica che sembra volerla riscoprire.»

«Il demone ti ha promesso di aiutarti a far funzionare l'Eluvian, quindi?»

L'elfa annuì. «Sono andati perduti con la caduta di Arlathan, è l'unico modo.»

Garrett rimase in silenzio per un po', cercando di analizzare quello che aveva appena scoperto. «Credi davvero che non ci sia un altro modo, oltre allo stringere patti coi demoni?»

Merrill si strinse nelle spalle. «Nulla che sia attualmente alla mia portata, no.»

Il mago sospirò, prendendo una decisione. «Se posso fare qualcosa per aiutarti a trovare un'alternativa meno pericolosa, sai che sono qui.»

I grandi occhi verdi dell'elfa si riempirono di incredulità. «Dopo quello che ti ho fatto, sei ancora disposto ad aiutarmi. Non merito questa fiducia.»

Le lanciò un sorrisetto divertito. «Ti perdono se esci da qui e vieni con noi all'Impiccato.»

«Non si chiama ricatto, questo?»

«Merrill, ci sono tante cose che devi ancora imparare sull'amicizia, questa è una di quelle.»



 

Un'ora dopo, erano tutti al piano di sopra dell'Impiccato, che era ormai diventato la casa di Varric. Salutò Marian con un cenno della mano, che la sorella ricambiò sorridendo. Bu lo salutò abbaiando fragorosamente, correndo da Merrill in cerca di coccole e biscotti. Accanto a lei, Aveline stava parlottando a bassa voce con Isabela, mentre Sebastian era impegnato ad analizzare tomo per tomo tutti gli scaffali della grossa libreria che troneggiava a lato della stanza. Anders e Fenris, ai lati opposti del tavolo, si ignoravano vicendevolmente. L'elfo aveva già in mano una bottiglia di vino.

«Gattina, era un po' che non ti vedevo!» Trillò Isabela, mollando Aveline a metà di una frase e attirando a sé l'elfa minuta, stritolandola in un abbraccio. La lasciò andare dopo qualche attimo, ammirandola nel suo semplice vestito di lana leggera, stretto in vita con una cintura di cuoio marrone che nascondeva le sue forme spigolose. «Garrett, dovresti farle un ritratto e mandarlo a tuo fratello per fargli vedere che si sta perdendo!»

Merrill arrossì come un peperone, balbettando una supplica al mago di non fare nulla del genere.

Varric si accomodò su una sedia accanto a Fenris, prendendo uno spiedino fumante dal vassoio e puntandolo contro la pirata. «Mettiti in coda con le commissioni, Rivaini, prima deve finire la copertina della ristampa di Duri nella Città Superiore.»

«Non mi avevi detto che te ne stavi occupando!» esclamò Anders, guardandolo sorpreso. «Non sapevo nemmeno che ci fosse già bisogno di una ristampa, in effetti...»

«Ne vanno tutti pazzi,» si vantò il nano prendendo un gran boccone «le vendite sono alle stelle, a differenza di quel flop colossale di Spade e Scudi... beh, è quello che mi merito per aver iniziato una serie di romanzi rosa.»

A Garrett non sfuggì l'occhiata divertita che Marian lanciò ad Aveline, la quale aveva nascosto il naso in un boccale di birra. Il mago prese posto accanto ad Anders e fu sorpreso di vedere la sorella accomodarsi di fianco a sè. Afferrò un boccale di birra scura e lo passò all'altra. «Si aprono scommesse su quanto durerà la pace, con tutti quanti qui.»

Marian rise di gusto, bevendo qualche sorso. «Se tu trattieni il mago sovversivo, io mi assicuro che l'elfo musone beva abbastanza da non saltargli alla gola.»

«Affare fatto.»

«Hei, hei, com'è si fanno affari senza di me?» Si intromise Isabela, sedendosi di fronte a Garrett. Con una mano andò ad aprire il primo laccio della camicetta, mentre con il braccio destro circondava le spalle di Fenris. Prima che l'elfo potesse replicare, gli sfilò di mano la bottiglia, prendendone un sorso e schioccando le labbra.

«Prego» borbottò Fenris, riprendendosela con una smorfia. Tuttavia, non sembrava particolarmente infastidito. Tracannò almeno un terzo di quello che restava, senza fare una piega.

La donna gli strizzò l'occhio, facendo brillare i grandi orecchini d'oro sotto la luce. «Hei, Sebastian, allungami una delle bottiglie buone del nano!»

L'uomo di Starkhaven inarcò un sopracciglio, aprendo poi con nonchalance l'armadietto degli alcolici e analizzando le bottiglie. «Single Malt di Mackay o un Collina dell'Ovest?» Soppesò il brandy e il whisky con aria pensosa, per poi portarli al tavolo entrambi con una scrollata di spalle. «Immagino non faccia molta differenza quale finiamo per primo.»

«Mi stai piacendo sempre di più. Certo, se solo ti togliessi Andraste dal pacco...» Sospirò sognante Isabela prendendolo in giro, allungandosi su Fenris per afferrare entrambe le bottiglie. Prese un bicchierino dal tavolo, versandosene fino all'orlo.

«Bela, vacci piano, la serata è lunga.» Cercò di avvisarla Marian.

La pirata, per tutta risposta, si piegò in avanti, appoggiando un gomito sul tavolo e guardando i fratelli con aria furba. «Proprio per questo bisogna iniziare per tempo!» esclamò, versando un po' di whisky nei loro boccali con un occhiolino complice. «Non ringraziatemi...»

Garrett si voltò verso Anders, accennando alla bottiglia.

«Non so, tanto non riesco ad ubriacarmi in ogni caso...»

“Vero, Giustizia non gli lascia salire l'alcol.” Si appuntò mentalmente Garrett, versandogliene un po' in ogni caso. «Meglio no, finirai per essere l'unico a gustarsi quello che sta bevendo, un'ora e noialtri saremo sul pavimento, viste le premesse.»

«Uh, posso provarlo anche io?» Si interessò Merrill, gli occhi le brillavano curiosi. «Non l'ho mai assaggiato... almeno credo.»

I quattro si scambiarono una serie di sguardi preoccupati.

«Certo!» La assecondò Isabela, facendosi passare il boccale di birra chiara e leggera e piegando la bottiglia. Mise un poco avanti il braccio, riuscendo a nascondere all'elfa il fatto che a malapena ci era finita dentro una goccia. «Ecco qui Gattina, ma fai piano, questo picchia in testa come un nano.»

«Non le avrai dato quella robaccia!» Saltò su Aveline, strappando di mano a Merrill il boccale e annusandolo come un mabari a caccia. Incrociò gli sguardi delle due amiche. «Uh, sì, hanno ragione. Bevi con moderazione. Sempre.» Mentre lo restituiva all'elfa, si sedette accanto a lei, Anders alla sua sinistra che tratteneva a stento una risata.

«Sai, ragazzona, dovresti rilassarti un po',» la prese in giro Isabela, scolandosi il bicchierino in un sorso, con l'aria di chi la sapeva lunga «dopotutto si vive una volta sola. E non vorrai restare con la tua armatura come unica compagnia per i prossimi vent'anni.»

«Non mi pare di aver chiesto il tuo parere.»

«Oh, ma ti potrei dare dei gran consigli, se solo tu ascoltassi...»

Aveline assottigliò gli occhi, sfidandola da sopra il proprio spiedino. «Tre anni che dici le stesse cose: so che hai la bocca larga per il tanto lavoro, ma dovresti cercare di chiuderla ogni tanto.»

Garrett non si trattenne, esplodendo in una risata come gran parte del tavolo. Persino Isabela sogghignò, cedendo il punto alla compagna con un cenno. Anders, accanto a lui, commentò sottovoce un “fosse solo la bocca da chiudere...”, che il Capitano purtroppo intercettò al volo.

«Perchè, è tornata a far visita alla clinica?» Chiese velenosa.

Il guaritore sollevò le spalle, nel tentativo di rimanere più inespressivo possibile, rifugiandosi nel whisky. «Non divulgo le informazioni private dei miei pazienti.»

«Ah! Così ammetti che è una tua paziente!»

Anders si concesse un piccolo ghigno divertito. «Prima o poi, ci passate tutti sotto le mie zampe.»

«Non ci sperare, mago.» Lo rimbeccò Fenris con un'occhiataccia.

L'altro si portò una mano all'orecchio, teatrale. «Mi pare che qualcuno si sia dimenticato di essere stato rimesso in piedi dopo la colossale sbronza presa qualche mese fa e la seguente rissa con almeno una dozzina di uomini della Cerchia...»

«Non te lo avevo mica chiesto.»

«Mi stavi morendo dissanguato davanti alla Clinica, sarebbe stata una pessima pubblicità.»

«Parlando di pubblicità!» Li interruppe Garrett, dando di gomito alla sorella. «Lo sai vero che nostra madre continua a decantare le tue lodi a destra e a manca, e che tra un po' ti manderà l'invito per il tuo stesso matrimonio con il caro Rodney?»

Marian si esibì in una smorfia disgustata. «Piuttosto mi faccio Sorella della Chiesa.»

Sebastian, accanto a lei, parve avere un attacco di tosse. Varric, per aiutarlo, gli tirò una pacca sulla spalla che per poco non gli fece sputare un polmone.

«Rodney? Rodney Cavin?» Ripetè Anders, incredulo. «Quel Rodney?»

La templare gli lanciò un'occhiata sospettosa. «Non mi dire che è un altro dei tuoi pazienti.»

«Uno dei più affezionati, direi. Mi ha fatto pensare che forse dovrei istituire una tessera punti, “ogni dieci cure, una pozione per le emorroidi in omaggio”, o qualcosa del genere.»

«Ti prego, dimmi che non ha le emorroidi.»

«Sono tenuto al segreto professionale, ma fidati, sceglieresti le emorroidi in un battito di ciglia.»

Con un gemito disperato, Marian finì ciò che restava della birra, mentre Isabela rideva a crepapelle.

«E comunque, anche il caro paparino si è fatto vedere più di una volta.»

Tutti si girarono all'unisono verso Anders, che si godeva la bomba appena lanciata ghignando come un furetto, la postura rilassata, mettendosi più comodo sulla sedia.

Aveline scosse la testa, incredula. «Più cose vengo a sapere dei nobili di qui, più penso che non siano tanto diversi dagli Orlesiani.»

«Almeno non indossano quelle stupide maschere e puoi insultarli faccia a faccia.»

«Come se potessimo farlo, Marian...»

«In ogni caso, sorellona, forse dovresti tenere un torneo in tuo onore. Almeno potresti trovare qualcuno che ti tenga testa, se mai ce ne fosse uno.»

«Sta' zitto, Garrett.»

Rise, alzandosi e riempendo i boccali di tutti dalle botti che Varric aveva fatto portare su.

«Oh, ma sarebbe così romantico!» Sospirò Merrill, che nel frattempo stava allungando a Bu metà del proprio spiedino. La mabari scodinzolava felice, sbavando sul tappeto e masticando di gusto.

Varric si grattò il mento, annuendo. «Sì, potrebbe essere un buono spunto per un romanzo... a proposito, che ne dite di un gioco?»

«Se si tratta di Diamondback o Grazia Malevola, ho perso abbastanza soldi questo mese. Per non parlare del fatto che ho dovuto rifornire di picconi quella maledetta miniera, cambiare i carrelli e aumentare il salario di tutti i lavoratori perché erano troppo spaventati per tornare alla Fossa.» Si lagnò Garrett. Quel postaccio si era rivelato un pessimo investimento: ogni volta ce n'era una, dall'infestazione di ragni giganti dell'inverno passato, alla pioggia che aveva allagato tutto in primavera, per culminare con gli scavi che avevano liberato una dozzina di dragonling qualche settimana prima. Aveva pensato di venderla, ma ci lavorava troppa gente per lasciarli tutti a casa. Anche se, a pensarci bene, forse era meglio restare disoccupati ma almeno vivi.

«Solo tu potevi pensare che comprare una miniera chiamata “La Fossa delle Ossa” potesse essere un buon investimento...» commentò Varric divertito «comunque no, niente che possa ledere alle vostre già sofferenti finanze – anche se con quello che spendi in giro non si direbbe, Garrett – pensavo di introdurre una novità, chissà mai che spunti qualche bella idea per un nuovo libro.»

Isabela sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia e guardandolo seria. «Varric, se è qualcosa di sconcio salgo a bordo in un attimo, lo sai, ma qui ci sono persone suscettibili che potrebbero riportare dei traumi a vita.»

Sebastian divenne del color scarlatto dei drappeggi sul muro, mentre Merrill sembrò non aver colto la frecciatina. Aveline, dal canto suo, le lanciò uno sguardo pungente. Garrett, ridacchiando, incrociò per un attimo lo sguardo di Anders, ma lui si affrettò a rivolgere la sua attenzione su Varric.

«Tranquilla, Rivaini, cercheremo di mantenere un contegno.» La rassicurò il nano, rigirandosi tra le mani il grosso anello che portava legato al collo. «Il gioco si chiama “Obbligo o Verità?”, le regole sono ovvie, a turno si decide se rispondere ad una domanda, o fare quello che viene richiesto. Semplice, no?»

«Chissà come mai, temo che la cosa potrebbe degenerare in fretta.» Commentò Sebastian, sospirando. «Però, se va bene a tutti... non ho nulla da nascondere.»

«Sì, come no...» Lo prese in giro Isabela, che tuttavia aveva un ghigno malvagio puntato su Aveline.

«Chi inizia?» Chiese Garrett, correggendo nuovamente la propria birra con del whisky.

Fenris brindò nella sua direzione. «Sembra abbiamo un volontario!»

Merrill battè le mani, eccitata all'idea di provare il nuovo gioco e probabilmente sollevata che non si trattasse delle solite carte o dadi, ai quali perdeva sempre miseramente. «Obbligo o verità?»

Il mago ci pensò su un attimo, poi si strinse nelle spalle. «Verità, mi fido di Merrill.»

«Gattina, non sprecare la domanda.»

«Allora, vediamo... come mai Varric ti chiama “Scheggia?”»

“Ugh, non ancora questa storia... forse avrei dovuto scegliere obbligo. Beh, poteva andare peggio.” Sospirò, bevendo un po' di birra per darsi un contegno. «Vi ricordate quando ho invitato mezza città superiore a casa, e Isabela e quello che si autodefinisce il mio migliore amico, qui» e lanciò uno sguardo piccato a Varric, che scoppiò a ridere «hanno imbucato quel nano pazzo che ci ha quasi fatto saltare in aria coi suoi fuochi d'artificio?»

«Come dimenticarmelo, ho passato una settimana a ricevere lettere di lamentele da mezza Kirkwall.» Commentò Aveline a denti stretti.

«E io un'intera giornata a spiegare a Cullen che tecnicamente quegli aggeggi non sono magia, anche se contengono più polvere di lyrium di quanto sarebbe saggio maneggiare in una vita.»

«Beh, comunque,» tagliò corto lui, cercando di evitare l'ennesima ramanzina, «quando ho visto arrivare loro due di gran carriera, furiose al punto che persino un Alto Drago se la sarebbe fatta sotto dalla paura, ho saggiamente ceduto il comando a Varric e mi sono infilato nel tunnel giù in cantina, dandomi alla macchia per i bassifondi per una settimana. E a quanto pare sono stato talmente veloce a sparire che mi sono meritato l'appellativo glorioso di Scheggia.» Concluse con una smorfia mentre gli altri scoppiavano a ridere. Marian, accanto a lui, rischiò di farsi uscire un po' di birra dal naso. «Comunque, mi è andata meglio di Zuccherino.»

L'ilarità della sorella svanì di colpo, trasformandosi in uno sguardo omicida.

«Visto? Non sentite la dolcezza emanare dalla sua persona?» La sbeffeggiò lui, evitando per un soffio un'altra gomitata nel costato.

«Si spera non sia una scheggia anche in altri ambiti...» Commentò Fenris, brindando alla sua.

Garrett finse di ridere, scoccandogli un'occhiata acida. «Originalissimo.» Accanto a sé, Anders ridacchiò piano. Si voltò verso l'amico scuotendo il capo e versandogli un altro po' da bere.

«Marian, tocca a te.» Disse Aveline, riportando l'attenzione al gioco.

«Obbligo.» Rispose prontamente quella, approfittando che fosse lei a porgerle la domanda.

«Ah, vi sta andando troppo bene!» Si lamentò Isabela, scuotendo il capo e bevendo un altro po'.

Aveline si aprì in un sorriso malizioso. «Ti sfido a scendere di sotto e cantarci qualcosa.»

Fu il turno di Garrett di ridere a crepapelle, guardando la faccia sconvolta di Marian tramutarsi in un cipiglio caparbio. «E va bene. Ma vi avverto, copritevi le orecchie.»

Scesero di sotto, portandosi dietro gli alcolici.

Isabela e Varric fecero allontanare le persone da un tavolino al centro del locale, mentre calava un silenzio curioso tra gli astanti. Il locale era affollatissimo, come sempre nel fine settimana.

Vide la sorella esitare, spostando il peso da un piede all'altro, prendendo tempo.

«Forza, Marian!» Le urlò divertito, beccandosi un insulto che avrebbe fatto impallidire la madre.

Ad un certo punto, qualcuno si mise a suonare il flauto, storpiando in modo orribile quelle che erano però inequivocabilmente le note del ritornello de “Il mabari di Andraste”.

«Molto originali, ragazzi, davvero. Il mabari per la Fereldiana...» grugnì Marian, per poi prendere fiato. «Il mabari di Andraste, non lascia il Suo fianco, e contro il Tevinter, non si tira indietro...»

Alcuni cominciarono a battere le mani, altri a fischiettare il motivetto, accompagnando la sua voce stonata. «Dicon che il Creatore l'ha reso speciale, leale, perché fosse il compagno giurato, per la Sua Sposa creato...»

Per la fine della canzone, quasi l'intero locale si era unito a lei, lanciandosi in un accoratissimo applauso quando anche l'ultima nota venne sbagliata dal pifferaio.

«Grazie, grazie, avete appena assistito ad un evento più unico che raro!» Urlò Marian, accettando di buon grado l'aiuto di Fenris e Sebastian per scendere dal tavolino pericolante. «Accetto prenotazioni per serenate in piena notte ai vostri peggiori nemici!»

«Sono commosso, sorellona, e pure un po' sordo.»

«Tesoro, persino Sebastian sembrava soffrire.»

Sentendosi preso in causa, quello arrossì un poco, scuotendo il capo. «Macchè, non era così male.»

«È la tecnica per liberare i bagni delle camerate», spiegò loro Aveline «quando non ci sono vasche libere, inizia a cantare e improvvisamente tutti si ricordano dei loro turni impellenti.»

«È bello sapere di essere apprezzata dai propri amici...»

Isabela passò un braccio attorno alle spalle di Marian, schioccandole un bacio sulla guancia «sappiamo tutti che hai altre qualità, tesoro. Ora, sotto a chi tocca...» il suo sguardo si posò su Aveline, che indietreggiò istintivamente. Il ghigno vittorioso della pirata non le lasciò scampo. Marian le diede di gomito, facendole il segnale concordato che era ora di mettere in moto il loro piano. Il gioco proposto da Varric cadeva a fagiolo con il compito che si erano preposti. «Ragazzona, è la tua serata. Obbligo o Verità?»

Aveline passò dal bianco pallido del terrore ad un verde malsano, per poi virare su un'accesa tonalità di rosa, finchè le lentiggini sul volto non vennero quasi offuscate. «Obbligo.»

Il sorriso della pirata si allargò ulteriormente, lo sguardo che si spostava verso qualcuno sul fondo della sala. «Ora andrai da quel tipo e gli offrirai da bere.»

Aveline seguì con gli occhi l'obiettivo, imporporandosi ulteriormente. «Assolutamente no. Verità.»

«Troppo tardi, Capitano, non si torna indietro.» Sogghignò Varric.

La donna puntò Marian, accusandola silenziosamente del tradimento. Garrett si sforzò di far finta di niente, come se tutto quanto non fosse stato pianificato quasi accuratamente.

Donnic Hendyr, membro della Guardia Cittadina e quella sera avventore ignaro della ragnatela che i quattro amici avevano tessuto intorno a lui e al suo Capitano, era in coda al bancone.

«Forza Aveline, o dovrai aspettare che beva tutto il primo boccale per poi offrirgli il secondo giro.» La spronò Marian, divertita.

«Questa me la paghi...» sibilò furente lei, per poi tracannare il proprio boccale in cerca di sostegno e afferrarne due nuovi da un vassoio di passaggio, sequestrato prontamente da Isabela ad una cameriera.

La videro avvicinarsi con passo incerto all'uomo, tendendogli la birra e bofonchiando qualcosa.

«Una bella serata... per... essere sera?» Lesse il labiale Isabela, storcendo la bocca incredula. «Per tutte le polene, è terribile.»

Marian rise di nuovo. «La sua idea di corteggiamento era di mandargli in anonimo una ciotola di rame con un motivo di calendule. Non fate domande.»

Garrett indicò la coppia con un cenno. «Per le chiappone di Andraste... salvatelo.»

Aveline era rigida e rossa come un pomodoro, mentre Donnic sembrava quasi preoccupato dall'apparentemente inspiegabile balbuzie delirante dell'altra. Videro l'amica chinare il capo, mormorando qualcosa, mentre l'uomo prendeva qualche sorso dal boccale che l'altra gli aveva porto, grattandosi la nuca a disagio. Sentendosi osservato, fece a Garrett un cenno di saluto, evidentemente sollevato, facendo per andare verso di loro. Aveline gli si parò davanti, cercando di fermarlo, ma Isabela fu troppo veloce: prontamente, scivolò lesta tra la folla di avventori, spuntando accanto ai due e ignorando gli sguardi furenti dell'amica.

Li osservarono tornare dalla loro parte.

«Donnic, come te la passi?» Chiese Garrett, trattenendosi dallo scoppiargli a ridere in faccia.

«Hei Garrett... Fenris, tutto bene?»

«Vi conoscete?»

«Sì, abbiamo fatto qualche partita a Diamondback assieme...» rispose evasivo Fenris, salutando il nuovo arrivato.

«L'elfo qui è modesto!» Esclamò la guardia, sorridendo. «Mi ha dato del filo da torcere.»

«Spero che almeno lì sappia perdere, a Grazia Malevola è pessimo, mette il broncio per ore.»

«Solo perché bari costantemente, Rivaini.»

«Dovreste invitarmi per qualche partita, alla caserma fanno tutti un po' pietà nel gioco.»

«Assolutamente no-!» Sbottò Aveline, prima di zittirsi a metà, imbarazzata. «Cioè, volevo dire, non ti conviene, con loro, Isabela non gioca onestamente.»

«Il bello sta anche nel barare senza essere beccati, no?» Le strizzò l'occhio Donnic, provando a fare una battuta che Aveline sembrò non cogliere.

Cadde il silenzio.

«Beh, insomma, allora... vi lascio soli, Capitano.» Disse dopo un poco l'uomo, imbarazzato, facendo per voltarsi.

Isabela e Marian fecero tanto d'occhi ad Aveline, in modo che lo fermasse.

«Ahem!» Si schiarì la voce lei, nel panico, fermandolo per un braccio. La guardia la fissò perplesso e al contempo sorpreso.

«Sì, Capitano?»

«Hum... volevo solo- cioè, sì insomma... Dormite bene, Donnic.»

«... grazie? Anche voi, Capitano.»

Lo guardarono andarsene, impotenti.

«Tesoro, il nostro piano è naufragato peggio di una scialuppa tra gli scogli, governata da scimmie ubriache in una tempesta.»

Garrett soffocò una risata, che venne spenta dall'occhiataccia di Aveline. «Voi. Voi- e tu! Mi fidavo di te, che non l'avresti detto a questi due!»

Vide la sorella alzare le mani in segno di resa, cercando di scusarsi. «Pensavo...»

«Pensavi male, come al solito!» Sbuffò irata lei. Sembrava sul punto di prenderli a pugni. Poi, con ultima serie di ingiurie, voltò loro le spalle, tornandosene al piano di sopra.

«Dannazione.»

«Ora ci toccherà farla bere abbastanza da guadagnarci il suo perdono.»

«Penso che ci vorrà più di qualche bicchiere di brandy per quello, tesoro.»

Affranti, risalirono le scale per gli appartamenti di Varric. Vide Marian strappare di mano ad Isabela la bottiglia di brandy che si era portata dietro, tracannarne parecchi sorsi e procedere sbilenca sui gradini, bofonchiando qualcosa. La risata della pirata echeggiò per il corridoio.

«Come avete potuto pensare che avrebbe funzionato?» Chiese Anders sottovoce, scuotendo il capo. «Poveraccia, mi ha fatto quasi pena.»

«Non pensavo fosse così tremenda a flirtare... sembrava un ragazzino imbranato!»

«Perchè tu invece sei un vero Antivano, eh Garrett?»

Guardò la pirata, offeso. «Non mi pare di aver mai avuto alcun problema da quel punto di vista, Bela. O che tu ti sia lamentata di qualcosa.»

Anders sgranò gli occhi, arrossendo. «Voi due...?»

Garrett scrollò le spalle. «Solo una volta. È troppo lavoro per me, la lascio volentieri a Fenris.»

L'elfo passò accanto a loro con un sogghigno compiaciuto, Isabela che scoccò un bacio nella sua direzione. Il guaritore sembrò rabbuiarsi, ma non commentò oltre. Garrett si sentì improvvisamente un nodo allo stomaco, anche se non ne capiva il motivo. Diede la colpa all'alcol.

Si riaccomodarono al tavolo, prendendo di nuovo da bere. Aveline sedeva rigidamente, il boccale stretto in pugno come se lo stesse per usare contro qualcuno come arma impropria, scura in volto.

«Beh, dove eravamo rimasti...» cercò di rompere la tensione Varric, facendo vagare lo sguardo sugli amici «Biondino! Forza, è il tuo turno.»

Anders, che stava fissando una venatura del tavolo alla sua sinistra, sembrò risvegliarsi dai suoi pensieri. «Che? Ah, d'accordo... Verità.»

«Nell'eventualità che ti trasformassi in un gatto, qui ed ora, cosa faresti per le prossime ventiquattr'ore?»

Garrett scoppiò a ridere, non riuscendo a trattenersi all'immagine che gli si era presentata in mente. «Andrebbe a fare pipì ovunque nell'ufficio di Meredith!»

«Hei, niente suggerimenti!» Lo sgridò il nano, sollevando un dito ammonitore.

Anders ci pensò su un attimo, grattandosi la punta del naso. «Probabilmente, troverei un letto morbido e passerei tutto il tempo a dormire.»

«Tanto sappiamo tutti quale letto sceglieresti in particolare...» commentò allusiva Isabela, accavallando le gambe e strizzando l'occhiolino a Garrett.

Lui si ritrovò a tossire un polmone, la birra che gli era andata dalla parte sbagliata. Aveva la netta impressione che la pirata stesse deragliando apposta la conversazione. E lui non era abbastanza ubriaco per tutto quello.

«Oh, posso provarlo anche io?» Trillò Merrill, inconsapevole come al solito.

La Rivaini le passò un braccio attorno alle spalle, dandole un buffetto sui capelli. «Non credo tu sia ancora pronta per queste cose, gattina.»

«Ma il mio letto è scomodissimo, sapete, mi mancano persino gli Aravel.» Spiegò in tono lamentoso l'elfa. «Garrett per esempio ha un letto enorme e pieno di cuscini, scommetto che ci schiaccia dei pisolini fantastici!»

«Non è l'unica cosa che schiaccia là sopra, te lo assicuro...» Commentò l'altra donna a bassa voce.

«Bela!»

«Sto solo dicendo...»

«Non voglio sentire certe cose su mio fratello!»

«Beh posso assicurarti che-»

«Tocca a me!» Urlò Garrett, qualsiasi cosa pur di interrompere la piega che stava prendendo quella discussione. Le sue prodezze (e sbandate) sessuali dopotutto non erano affaracci della sorella. «Isabela, scegli, obbligo o verità?»

Gli lanciò uno sguardo di superiorità, divertita. «Obbligo, Scheggia, fai del tuo meglio.»

Se l'era aspettato. «Ti obbligo a baciare chiunque, qui dentro inteso come nell'intero locale, che ti porteresti a letto ma ancora non l'hai fatto.»

«E voglio vedere se ti è rimasto qualcuno, tsk.» Commentò Aveline dall'altro lato del tavolo, assottigliando gli occhi.

Sebastian si ritrasse istintivamente quando la pirata si alzò dal tavolo facendo strisciare la sedia sul pavimento, godendosi l'attenzione e aumentando la suspense. Diede una carezza ai capelli di Merrill, per poi sorridere in direzione di Fenris, che sogghignava sorseggiando una nuova bottiglia di rosso antivano. Le dita della donna sfiorarono leggere lo schienale della sedia di Varric, lentamente, mentre superava il nano e si appoggiava ai braccioli delle sedute di Marian e Sebastian, guardando l'uomo come un drago avrebbe guardato un montone arrosto. Schiuse leggermente le labbra, perfettamente consapevole di avere otto paia di occhi puntati addosso.

Sebastian sembrava volesse fuggire da lì, facendosi piccolo piccolo contro lo schienale, quando Isabela gli diede improvvisamente le spalle.

Garrett dovette trattenere un verso a metà tra lo sgomento e qualcosa che non avrebbe mai e poi mai voluto provare, guardando la pirata tirare a sé Marian per il colletto della camicia e premere le labbra contro quelle dell'altra.

Al gemito di sorpresa della sorella ne seguì un secondo di tutt'altra natura, mentre Marian ricambiava il bacio sotto l'attonito sguardo dei presenti.

Garrett si costrinse a guardare da qualsiasi altra parte, incrociando l'espressione scioccata di Sebastian, che sembrava fosse sul punto di esplodere.

«Ragazze, se volete continuare dovrete spostarvi altrove, temo che altrimenti il Ragazzo del coro potrebbe riportare dei danni permanenti.»

La voce di Varricc sembrò riscuotere le due. Marian fu la prima a staccarsi con un sobbalzo, guardandosi attorno imbarazzata e confusa. «Ops!» Accennò una risatina, tornando a sedersi traballante e cercando di ridarsi un contegno.

Isabela scosse la chioma bruna, ammiccando. «Non essere così sorpresa, tesoro, chiunque qui mi darebbe ragione.» Tornò a posto ancheggiando, non prima di aver scoccato uno sguardo vittorioso a Garrett, che si stava maledicendo per la propria stupidità.

Aveline era diventata color dei propri capelli. Sbuffò sonoramente il proprio disappunto, versandosi di nuovo da bere.

Merrill spostava lo sguardo da Isabela a Marian, pensosa.

«Gattina, stavamo solo giocando.»

«Oh, non vi stavo giudicando!» Si affrettò a scusarsi l'elfa, arrossendo sotto il vallaslin. «Pensavo che è strano, siete così amiche, io non vorrei mai baciare un amico... Ma forse è normale quando si vuole davvero bene a qualcuno...?»

«Non darle retta, Margheritina, non ho alcuna intenzione di limonarmi Scheggia, e credo che lui la pensi allo stesso modo.»

Per sdrammatizzare la cosa, Garrett finse di soffiargli un bacio dall'altra parte del tavolo, scoppiando a ridere fragorosamente.

Sentì Anders muoversi a disagio sulla sedia. Il guaritore si alzò in piedi, andando a rovistare tra le bottiglie di Varric e tornando con una grappa aromatizzata. Se ne versò generosamente un bicchiere.

Ripresero il gioco. Fu il turno di Merrill, che sfidò Marian a darle un obbligo.

Osservò la sorella guardarsi attorno, posando poi lo sguardo su Bu, che scodinzolava contenta a lato del tavolo. Ghignò. «Prova a farla camminare sulle zampe posteriori. Senza darle del cibo.»

L'elfa si illuminò, saltando in piedi e avvicinandosi alla mabari, che alzò un orecchio guardinga.

«Ah, Bu odia i trucchetti.» Sussurrò Garrett ad Anders, osservando divertito l'amica che si metteva di fronte al mastino, un sorriso stampato in volto. La vide stendere il braccio, l'indice e il medio tesi puntati sul cane pian piano che sollevava la mano. Il muso della mabari si protese verso l'elfa, sollevando il testone ispido, le chiazze più chiare di pelliccia che aveva sopra gli occhi a dare l'impressione che stesse corrugando le sopracciglia. «Senza almeno un pezzo di carne non-»

Con sommo sgomento suo e della sorella, dopo aver annusato l'aria due volte, Bu non solo si tirò in piedi sulle zampe posteriori, ma seguì goffamente Merrill qualche passo più avanti, mentre la ragazza indietreggiava lentamente fino a toccare con la schiena la libreria. Quando si fermarono, la mabari ricadde sulle quattro zampe, sedendosi e scrutandoli come a dire “embè?”. Abbaiò una volta sola, scodinzolando.

Merrill si godette il momento, compiaciuta, per poi chinarsi a dare un buffetto affettuoso sul naso di Bu. «Da'rahn, non è stato difficile, vero ma'dharlin? Ora ti meriteresti proprio un premio, però, no?»

Poco dopo, la mabari gongolava ai piedi dell'elfa, sgranocchiando un grosso osso con ancora parecchia carne attaccata, gentile regalo della cucina, sotto lo sguardo ancora attonito degli Hawke.

«Forse avremmo dovuto farle addestrare Carver.» Commentò Garrett.

Marian fece una smorfia divertita. «La prossima volta che torna a salutare, proviamo a farlo camminare sulle mani. Tocca cambiare premio, però.»

Merrill arrossì un poco, scostandosi una treccina corvina dal volto. «Ha scritto che non sa quando potrà passare a fare un saluto...»

«Vi sentite spesso, gattina?» Si incuriosì Isabela.

L'altra si strinse nelle spalle. «Non è molto loquace per lettera, ma me ne scrive almeno una al mese. Si trova bene, coi Custodi. Ha detto...» si morse il labbro, abbozzando un sorriso triste «ha detto che è andato a Weisshaupt, e ha visto la statua in onore di Aenor da vicino. Scrive che l'hanno fatta sembrare più adulta.»

Successivamente, toccò a Sebastian scegliere la sua vittima. Si voltò verso Fenris, un sorriso divertito sul volto. «Obbligo o verità?»

L'elfo lo squadrò, molto meno musone del solito. «Verità.»

«D'accordo... il vino nella cantina di Danarius, è finito perché ve lo siete davvero bevuto tutto?»

Marian, accanto a lui, scoppiò a ridere di nuovo. «Non ci credo che tu te la sia presa così tanto!»

Sebastian fece una smorfia sostenuta. «Me l'avete decantato per settimane, e improvvisamente era sparito! Certo che me la sono presa, i veri amici non si tradiscono in questo modo.»

Fenris si scambiò un'occhiata con Marian ed Isabela, sospirando. Appoggiò la bottiglia sul tavolo, ormai vuota, e lo guardò dritto negli occhi. «No. L'ultima cassa ci siamo divertiti ad usarla per ridipingere le pareti.»

A quell'ammissione di colpevolezza, l'altro si esibì in un'espressione scioccata. «Lo sapevo che non poteva essere tutto sangue, quello! E c'era effettivamente una certa puzza di alcol, ma pensavo...» scosse la testa, guardandoli con disapprovazione. «Pessimi. E comunque, dovresti ridipingerla sul serio quella casa.»

«Il Creatore ci punirà severamente per i nostri crimini, lo sappiamo.» Lo prese in giro Isabela, annuendo greve. «Verremo tormentati con cento anni di sobrietà.»

«Mh, l'eternità è un filo più lunga di cento anni.»

«Tesoro, non farmici pensare, già due giorni mi sembrerebbero troppo.»

«A nostra discolpa, comunque, eravamo abbastanza alticci.» Concluse Fenris con un'alzata di spalle. «Niente di personale. E comunque, le chiazze di sangue schiavista sul muro mi rallegrano le giornate, sono un vero toccasana.»

«Sì, infatti ti vediamo sempre sorridente. Forza, elfo, verità.» Lo spronò Varric, trepidante.

L'altro ci pensò su un attimo. «Perchè non hai la barba? Me lo sono sempre chiesto, sei uno dei pochi nani che non la porta.»

Il nano si toccò il mento, sgranando gli occhi in un'espressione sorpresa. «Aspetta. Che significa che non ho la barba?» Si passò poi le mani sul petto, tastando la giacca come alla ricerca di qualcosa. «Oh, no. Oh no! Come farò a tornare ad Orzammar senza la mia spilla d'oro massiccio, segno della mia antica e nobile casata? Che disgrazia, ora per colpa tua cadrò in cielo e mi perderò per sempre!»

Il siparietto fece divertire tutti, persino Fenris, che arricciò il labbro superiore in una smorfia. «Magari l'hai persa tra i peli sul petto, cerca meglio.»

«Sebastian, corri ad allertare la vecchia su alla Chiesa, Andraste in persona ci ha benedetti: l'elfo oggi dispensa battute a tutto spiano!» Lo prese in giro Isabela.

«Per la cronaca, comunque, non tutti i nani devono per forza avere la barba. Mica come voi elfi, che vi ostinate ad andarvene in giro scalzi per tutta la città come se ci fosse una legge scritta a riguardo.» Sbuffò Varric, prendendo qualche sorso di birra.

«Non è vero, Garrett mi ha regalato delle scarpe molto comode l'anno scorso, le ho messe quasi sempre!» Si oppose Merrill, nascondendo il fatto che avesse al momento indosso soltanto i tipici calzari di pelle dalish, che pur essendo perfetti per muoversi nella boscaglia molto spesso non erano propriamente adatti alla vita in una città sporca e piena di pietre aguzze e scivolose come Kirkwall.

«Gattina, prima o poi ti presto i miei stivali.»

«Oh, penso che mi ci perderei dentro, sono alti quasi quanto me!»

«È proprio quello il bello. Sai quanti coltelli possono contenere?»

Merrill sembrò seriamente considerare l'ipotesi, ammirata.

Varric picchiettò le dita sul tavolo, guardandoli uno ad uno. «Manca solo il nostro biondino preferito!» Diede di gomito a Sebastian, accanto a sé. «Forza, santarellino, obbligo o verità?»

«Verità, sempre.» Rispose l'uomo accennando un sorriso beato.

Garrett notò Isabela contorcersi in un'espressione ridicola, cercando di restare il più seria possibile e al contempo lanciare un'occhiatina a Marian. Si chiese cosa sapessero quelle due di tanto divertente su Sebastian. “Personalmente, mi sembra parecchio noioso...”

Anders, che a malapena ci aveva scambiato due parole, sembrava in difficoltà. «Non so... ah, ecco, me lo chiedo da un po': perché hai Andraste proprio là sotto?»

Sebastian sospirò di nuovo. «Fa parte dell'armatura che mi ha regalato mio padre quando sono entrato nella Chiesa come Fratello.»

«Quindi tu, tutte le mattine, indossi quella cintura.»

«Esattamente. È molto comoda.»

Il biondo si fece pensoso. «Immagino come sia contento il Creatore, a vedere te che ogni mattina ti ficchi la testa della sua sposa tra le gambe.»

Lo scoppio di ilarità generale soppresse qualsiasi tentativo di risposta di Sebastian, che si limitò a guardarlo male e aspettare offeso che tutti smettessero di ridere di lui, sorseggiando un altro po' di brandy aromatizzato con aria di superiorità. «Se avete finito...»

Fecero un altro giro di obblighi e domande, finendo le bottiglie, e poi un altro.

Alla fine, Garrett si ritrovò svaccato sulla sedia, la testa che gli girava da matti. Il soffitto sembrava essere fatto di gelatina, le travi che si muovevano come tronchi sulla battigia. Aveline aveva dato forfeit ed era arrancata recuperare dell'acqua potabile, Merrill era collassata sulla sedia e, con grande divertimento di tutti, si era scoperto parlasse nel sonno. Bu russava sonoramente ai suoi piedi, le orecchie che vibravano e le zampe che avevano piccoli scatti, come se stesse sognando di inseguire qualcosa. Sebastian si era alzato a metà del secondo giro, annunciando che era tardi e avrebbe dovuto partecipare alla messa della mattina dopo poche ore, salutando tutti e andandosene traballante sulle gambe. Marian, preoccupata, si era offerta di accompagnarlo, ma lui aveva declinato l'offerta, augurando a tutti un buon proseguimento.

La sorella era allora andata a sedersi tra Isabela e Fenris, Varric si era spostato accanto a Garrett e ora bofonchiava qualcosa in direzione di Bianca, appoggiata sul suo supporto poco lontano.

«Credo che per stasera sia abbastanza.» Decretò Aveline, alzandosi in piedi sorreggendosi al tavolo.

«Sarà un miracolo se riusciamo a raggiungere la città alta... come faccio a presentarmi alla caserma, domani mattina?» Emise un grugnito disgustato, sfregandosi gli occhi. «Marian?»

L'amica le rivolse uno sguardo supplichevole. «Ma ci sono così tante scale...»

«Tesoro, il porto è proprio qui dietro e la mia ospitalità è leggendaria.»

«Non solo quella.» Rimbeccò Aveline. «Comunque, non sono fatti miei. Riporto a casa Merrill, allora, non la lascio andare in giro da sola a quest'ora.»

«Ti accompagno, rossa.» Decise Varric, distogliendo lo sguardo dalla balestra e portandolo sull'elfa, che sentendosi chiamare aveva riaperto titubante gli occhi. «Forza, Margheritina, un po' d'aria ti farà bene. A tutti, credo.» Si voltò verso Garrett, preoccupato. «Tu ce la fai a tornare fin su?»

Si costrinse a sfoggiare un sorriso sicuro di sé, anche se non era certo del risultato. «Ovviamente, per chi mi hai preso?» Fece per alzarsi, quando un giramento di testa lo sorprese facendolo quasi cadere in braccio ad Anders. «Oh, cazzo, scusa-»

L'altro ridacchiò, alzandosi a sua volta e aiutandolo a stare fermo. «Aspetta...»

Quando gli afferrò il volto, le dita fresche sulle tempie, Garrett lo guardò confuso, sbattendo le palpebre. Un formicolio lo pervase, facendogli prudere il naso e dissipando almeno un poco le nebbie dell'alcol.

L'amico gli sorrise incoraggiante. «Meglio?»

Annuì, sentendo le guance farsi più calde mentre l'altro ritirava le mani. «Vi accompagno all'Enclave, penso di aver bisogno di molta aria.»

Isabela gli si affiancò, trascinandosi dietro Marian per un braccio. «Te lo dico io di che hai bisogno...»

Fenris la interruppe prima che potesse finire la frase, spingendole entrambe fuori dalla porta con poca delicatezza. «Hai già detto più che abbastanza, Bela...»

La risata della pirata si fece sentire per tutte le scale, mentre i tre scendevano barcollanti.

Garrett scosse la testa, confuso. «Credo di non approvare pienamente tutto ciò.»

«Ah, lasciali divertire un po', Scheggia.» Lo condì via Varric, mentre Aveline si accollava Merrill quasi in braccio. L'elfa biascicò qualcosa, sbadigliando sonoramente.

«Hei, ce la fai a tornare alla Clinica o vieni da me?» Chiese Garrett ad Anders, che si stava già sistemando il mantello ornato di piume sulle spalle.

L'altro sobbalzò, voltandosi verso di lui. «Hum, no, tranquillo. Sto bene. Giustizia, ricordi? E poi alla Clinica potrebbero avere bisogno di me.»

«Lo sai che dovresti dormire ogni tanto, vero?»

Il guaritore si strinse nelle spalle. «Sarà colpa del letto scomodo, o forse è la compagnia giù in città oscura, ma ormai sono abituato alla mia insonnia. Non mi sentirei lo stesso, senza.»

Garrett sospirò, lasciando cadere per l'ennesima volta l'argomento. Fece segno a Bu di seguirlo: la mabari stirò la schiena, sbadigliando infastidita, per poi seguirli verso l'uscita.



 

La strada verso l'Enclave era praticamente deserta e non incontrarono nessuno scocciatore. Un paio di elfi che lavoravano per la compagnia di spedizioni di Garrett lo salutarono chinando il capo, seduti sul muretto che dava sul porto.

Misero Merrill a letto, rimboccandole persino le coperte mentre l'elfa bofonchiava qualcosa che assomigliava ad un ringraziamento. Varric, previdente, le mise sul comodino un bicchiere di acqua fresca, lanciando uno sguardo corrucciato al grande specchio nell'angolo.

«Lo so, non piace nemmeno a me.» Sospirò Garrett, lisciando la grande coperta di lana a quadrotti sul letto dell'amica, assicurandosi che non si scoprisse. Merrill era nota per i suoi raffreddori che duravano settimane intere, e le sere si facevano sempre più fresche man mano che l'autunno avanzava. Senza potersi chiudere la porta alle spalle, Garrett lanciò un piccolo incantesimo su di essa, per tenere lontano qualsiasi malintenzionato. «Non mi piace che stia in questo posto da sola...»

«Sì, ma credo che il vicinato l'abbia quasi adottata ormai. L'ultimo che ha cercato di derubarla, qualche mese fa, è stato costretto a porgerle le sue sentite scuse e rimborsarla per il disturbo.»

Aveline scosse la testa. «Se solo mettesse un po' di sale in zucca...»

Garrett si strinse nelle spalle. «Che ci vuoi fare, è un po' così.»

«Sapete, mi avete sorpreso, tutti quanti.» Se ne uscì Varric dal nulla, mentre tornavano verso l'Impiccato. «Non avrei scommesso un accidente che saremmo riusciti a passare una serata tranquilla, senza che nessuno tentasse di uccidere qualcun altro.»

La donna annuì, divertita. «Persino Fenris ed Anders si sono comportati bene.»

«Beh, il nostro musone preferito era tenuto a bada da Isabela.»

«E tua sorella.»

«Varric, non farmici pensare.»

«Anche il biondino sembrava abbastanza distratto, no?»

Garrett si grattò la barba. «Deve avere un po' di cose per la testa, come al solito.»

Varric, di fronte a lui, si bloccò di colpo, fronteggiandolo. «Dimmi che stai scherzando.»

Lo guardò confuso, fermandosi a sua volta. «Beh che ne so, non gli leggo mica nel pensiero!»

«Scheggia, non mi prendere per il culo. L'hai tenuto d'occhio tutta la sera.»

Aggrottò le sopracciglia, senza capire.

«Non fare il finto tonto. Avevi di fronte la Rivaini con tutte le grazie al vento, e non te la sei filata nemmeno di striscio, tanto eri preoccupato a controllare quell'altro.»

«Questo non è affatto vero.» Si affrettò a rispondere Garrett, cercando l'aiuto di Aveline.

Lei sollevò le mani, scuotendo la testa. «Non tiratemi in mezzo, sono troppo ubriaca e ancora mi girano per lo scherzo che mi avete tirato prima. Andiamo, Bu, lasciamogli risolvere questa grana da soli.» Fece segno alla mabari di seguirla, e quella le trottò dietro tutta contenta.

«Ma che state dicendo?!» Si spazientì Garrett, alzando il tono di voce. «Eravamo tutti insieme.»

«Garrett. Sono serio.» Lo rimproverò il nano, guardandolo dritto negli occhi. «Dovresti risolvere qualsiasi problema ti impedisca di ammetterlo.»

Lui sentì di nuovo un nodo allo stomaco, ma scosse la testa, ostinato. «Non ho idea-» L'occhiataccia del nano lo fece zittire di nuovo.

«Te lo dico come tuo migliore amico, Scheggia. Ora porti il tuo culo in quella clinica, e non te ne vai prima di aver risolto tutta questa tensione, perché, e adesso ti parlo anche come scrittore, è ormai palese al mondo che il biondino non aspetti altro.»

Garrett deglutì a vuoto un paio di volte. «Sì, ma io non so... insomma, non ho mai-»

«Adesso non venirmi a fare la figura del fanciullino pudico, non dopo aver sedotto metà delle belle ragazze di Kirkwall.»

«Appunto, erano ragazze.»

Varric incrociò le braccia al petto, squadrandolo dal basso, un sopracciglio inarcato. «E dimmi, a quante hai portato la colazione fin dall'altra parte della città? Per quante sei rimasto sveglio tutta notte ad aiutarle in qualche affare, rischiando la tua stessa pellaccia? E ti preoccupi che tutte loro mangino regolarmente, o che dormano almeno sei ore al giorno?» Garrett fece per interromperlo, ma l'amico non gli diede tregua. «Ti ho visto arrossire come uno stupido ogni volta che ti si avvicina con quegli occhioni da cucciolo. Non negarlo.»

«Siamo solo amici...» bofonchiò, tentando di andarsene per evitare che quella conversazione andasse oltre. Non gli piaceva come Varric si stesse impicciando dei fatti suoi.

«Amici un corno. Lui magari ormai ci avrà rinunciato, dopo tre anni, ma non ci credo che tu non te ne sia ancora accorto. O che non ci abbia mai fatto su un pensierino.»

Garrett si mordicchiò il labbro inferiore, a disagio. «Non funzionerebbe.»

«Provaci, no?»

Aprì la bocca per ribattere, ma non riuscì a trovare nulla da dire. “Da sobrio, non lo ammetterei mai...” «Lo sai che sei terribilmente irritante, a volte?»

«Dovresti ringraziarmi.»

«E se non so cosa fare?»

Varric scoppiò a ridere. «Ti ingegnerai in qualche modo.»

«E se non funziona? Insomma, magari non mi piace davvero in quel senso. Magari siamo davvero solo amici. E io sono davvero troppo ubriaco per distinguere le cose e mandarti a cagare, adesso.»

Il nano gli diede una pacca sul braccio, sogghignando. «Ecco, se non funziona dai la colpa all'alcol e fingi di svenire per terra. Ti va pure davvero bene, se già in una clinica.»

«Ma-»

Ridendo, l'amico lo lasciò solo, incerto sul da farsi.



 

Fece scivolare la porta scorrevole, impacciato e incerto sulle gambe. Anders si voltò allarmato, gli occhi per un attimo illuminati da Giustizia, prima di riconoscerlo. Si avvicinò a lui, confuso.

«Garrett, mi hai spaventato, tutto bene? Che-»

“'Fanculo, ora o mai più” pensò lui, afferrandolo goffamente e azzerando la distanza tra i loro volti, chiudendo gli occhi e premendo le labbra sulle sue.

L'altro si irrigidì per la sorpresa. Si lasciò sfuggire un gemito soffocato, prima di rispondere al bacio, schiudendo le labbra.

Era diverso dal baciare una ragazza. Più irruento, più... una scarica di energia gli pervase il corpo, azzerando qualsiasi pensiero lucido e lasciando spazio solo alla lingua dell'altro, alla mano che scendeva ad afferrargli il fianco. Gli passò una mano tra i capelli biondi, sciogliendo il nodo che li teneva legati, mentre lo spingeva contro una delle pareti.

Anders lo strinse ulteriormente a sé, portandogli una mano sulla nuca per fargli piegare il capo e avere maggiore accesso alle sue labbra.

Quando si staccarono per riprendere fiato, avevano entrambi le guance rosse, gli occhi lucidi. Il guaritore gli rivolse uno sguardo confuso. «Sei...? Insomma-»

A Garrett venne da ridere. «Non ho idea di quello che sto facendo, ma sì. Forse. Credo?» Si avvicinò di nuovo a lui, i nasi che si sfioravano senza però toccarsi.

Anders gli afferrò il mento tra l'indice e il pollice, costringendolo a guardarlo negli occhi. «Ormai credevo di dovermi rassegnare, che fosse tutto una mia allucinazione...»

Garrett lo baciò di nuovo, incerto sul da farsi ma deciso a continuare. Portò le mani ad accarezzare il petto spigoloso, così diverso da quelli a cui era abituato, ma che allo stesso tempo sembrava così perfetto sotto il suo tocco. Decise di esplorare ulteriormente, inebriato dalla novità, dall'alcol e dall'energia che sembrava ronzare tutto attorno a loro. Gli sbottonò la veste, litigando con ogni singola fibbia fino ad ammirare il torace nudo dell'altro, magro e quasi glabro. Sfiorò la clavicola con i polpastrelli, seguendo un'immaginaria linea a zig zag fino al suo ombelico, dove una striscia di peli più scuri si avventurava ancora più sotto. Sentì Anders trattenere il fiato. Alzò lo sguardo, trovandolo a fissarlo rapito, la bocca socchiusa per l'aspettativa. Le labbra sottili, eppure così invitanti, lo costrinsero a tornare a baciarlo, magnetiche.

Sentì le mani di Anders andare a sbottonargli la giacca, e lo aiutò a sfilarsela di dosso, lasciandola cadere per terra. La camicia fece ben presto la stessa fine.

Si rese conto di essere indietreggiato fino al tavolo solo quando sentì la schiena sbattere sul pomello d'ottone del cassetto. Si lasciò scappare un grugnito di dolore. L'altro si immobilizzò, come spaventato. Garrett sogghignò, afferrandolo per i fianchi e costringendolo a riavvicinarsi. Il guaritore scese a lasciare una scia di baci sul suo petto, spingendolo al contempo a divaricare le gambe. La frizione improvvisa gli mandò una nuova scarica elettrica al bassoventre, che gli fece quasi rizzare i capelli in testa.

Quando le mani dell'altro si insinuarono sotto la cintura, gli sfuggì un gemito. Anders rialzò il capo, un sorrisetto sul volto, andando a mordicchiargli il lobo dell'orecchio, le dita a stuzzicargli l'erezione senza però liberarla. «Ultima possibilità...»

Per tutta risposta, Garrett ribaltò le posizioni. Lo issò di peso sul tavolo, spostando in malo modo le poche cose che c'erano sopra, divorandogli le labbra e litigando con i lacci dei pantaloni del guaritore. Si risolse ad abbassarli a forza, calandoli fino alle caviglie e armeggiando con i propri.

In breve si ritrovarono nudi, l'uno perso nell'esplorare l'altro.

Ad un tratto, Anders lo fermò di nuovo, allungando una mano a prendere una boccetta di vetro e porgendogliela, evitando il suo sguardo. Garrett, dopo un attimo di esitazione, la stappò senza difficoltà, versandosi una quantità generosa di olio sulle mani, baciandolo di nuovo mentre si accingeva a prepararlo.

Quando entrò in lui, lentamente, con delicatezza, Anders lo strinse per le spalle, gemendo il suo nome come in preghiera. Garrett sentiva l'energia magica fluire, unirsi a quella del compagno in una tempesta in crescendo, che esplose lasciandoli entrambi stravolti, prosciugati.

Nascose il mento nell'incavo tra il collo e le clavicole dell'altro, strofinando il naso contro di lui, inspirando il suo odore, inebriato dall'alcol, dalla magia, dall'intimità fra loro.

Anders gli passò le dita tra i capelli, accarezzandogli la nuca in piccoli gesti concentrici. «Ti amo.»

Garrett sgranò gli occhi, grato che l'altro non potesse vedere come quelle parole avessero avuto l'effetto di una doccia fredda. Si irrigidì contro il corpo del compagno, stringendolo a sé meccanicamente.

Si costrinse a restare così, la mente che turbinava.




















Note dell'autrice: hum... a parte la scena finale, perchè non sono certa di riuscire a trattare questo genere (oltretutto, i rating di EFP chi li capisce è bravo), il resto del capitolo è stato uno dei più divertenti che abbia mai scritto. Farli interagire tutti insieme, divertendosi, scambiandosi battute e frecciatine... li adoro! Li rende vivi, come un vero gruppo di amici che ogni tanto (spesso, in realtà sono sempre all'Impiccato nel tempo libero, ho creato due protagonisti al limite dell'alcolismo, Natia sarebbe fiera di me) se ne vanno a passare del tempo assieme a sparare cazzate in libertà, senza preoccupazioni o doveri che incombono. 
Io avevo un' idea vaga di quello che doveva succedere in questo capitolo, poi i personaggi hanno preso il sopravvento e si sono un po' gestiti come gli pareva, ma sono molto, molto soddisfatta del risultato. Isabela, Marian e Fenris era una threesome burlona che non mi aspettavo spuntasse veramente ma oh, sono adulti, vaccinati (forse), consenzienti e amici che si sanno divertire, quindi perchè no. Sebastian è un pirla ma forse quello che gli serve era qualcosa che lo facesse ingelosire di brutto. Aveline è una frana e occorrerà più impegno del previsto per far funzionare le cose con Donnic, mentre mi dispiace così tanto che Merrill e Carver siano distanti che non vedo l'ora di farlo ricomparire, più adulto e sicuro di sè. Varric che fa la ramanzina a Garrett era un po' l'autrice stessa che gli diceva di darsi una svegliata, ma gli amici sono così, realizzano le cose molto prima che possiamo arrivarci noi. In questo caso, Garrett sarebbe stato in negazione per sempre, e invece... una gioia. Forse. Cosa lo turberà? Tutta la situazione di Anders è un bel casino.
Spero che questo capitolo vi abbia entusiasmato almeno la metà di quanto sia piaciuto a me. Alla prossima! :D 

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Capitolo 19
*** Snakes among us ***


CAPITOLO 19
Snakes among us



 

 

Qualcosa di morbido le sfiorò il braccio.

Mosse la mano, tastando un lenzuolo poco familiare. Il cuscino in cui affondava era molto più soffice di quello a cui era abituata. Mugugnò, non volendo aprire gli occhi e cercando di tornare a dormire. Dovunque fosse, la testa le girava troppo per preoccuparsene.

«Marian?»

Grugnì il proprio disappunto, dando le spalle al disturbatore.

«Tesoro, per quanto vorrei lasciarti dormire e smaltire tutto l'alcol che hai in corpo in santa pace, c'è qualcuno che ti sta cercando. E parecchio insistentemente, oserei dire.»

Aprì un occhio, poi anche l'altro. L'immagine di Isabela prese lentamente fuoco. Indossava una tunica cortissima e quasi trasparente, che lasciava all'immaginazione praticamente nulla.

«Buongiorno, raggio di sole.» La prese in giro l'amica, dandole un buffetto sulla fronte per poi saltare giù dal letto. Una risata maschile, conosciuta, le fece storcere la bocca. “Fenris?” Con uno sforzo immane, si mise seduta, accorgendosi di avere addosso solo la camicetta.

«Credevo non ci sarebbe riuscita.»

«Che ti dicevo, regge quasi quanto te.»

«Tutta questione di allenamento.»

Guardando l'elfo e la pirata ridere di gusto, le turbinarono in mente una serie di immagini confuse della notte prima. Labbra morbide, mani forti che la stringevano, respiri affannosi, lingue intrecciate, corpi che si fondevano in una danza confusa e irresistibile. Arrossì, ridacchiando anche lei. «Cosa diavolo è successo ieri sera?»

«Oh, tesoro, di tutto.» Ammiccò Isabela, facendo finta di sventolarsi con la mano. «La povera Leandra sarebbe disperata, se lo sapesse, sei ormai rovinata. Non troverai più un nobile marito con cui sfornare una decina di pargoletti illuminati della luce divina del Creatore.»

«Eppure credo che qualcuno in particolare possa essere abbastanza santo per entrambi...» Commentò Fenris, stiracchiandosi. Era a torso nudo, i tatuaggi chiari che spiccavano in un intricato disegno sulla pelle scura. Marian ricordava vagamente di averli tracciati con le dita, curiosa, esplorando fin dove si spingessero.

Si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi e inspirando. «Ho bisogno di bere.»

«Una vera campionessa!» Esclamò Isabela, raggiante. «Il miglior modo di superare una sbronza è continuare a bere, l'ho sempre detto...» fece per raggiungere una bottiglia mezza vuota, quando un'occhiataccia dell'amica la fermò a metà strada.

«Intendevo dell'acqua, Bela.» Grugnì lei, alzandosi traballante sulle gambe. «Per il Creatore...» Prese la borraccia che le offriva Fenris, ringraziandolo con un sorriso sofferente, arrancando alla ricerca dei propri vestiti. «Chi è che mi cercava?»

Il liquido fresco le scese lungo la gola riarsa, dandole un po' di sollievo. Schioccò la lingua.

«Un tipo, Hugh qualcosa, dice che è importante.» Rispose Isabela, porgendole da non si sapeva dove un paio di pantaloni. «Ecco tesoro, non puoi mica farti vedere in questo stato, al poveraccio verrebbe un colpo.»

Fenris si chinò a rovistare dietro la tenda, trovando la giacca di Marian. «Oh, l'ho visto entrare e uscire dalla Rosa molto più di quanto ci si aspetterebbe da un buon Templare, non ci conterei.»

Marian tentò di prendere al volo gli indumenti, fallendo miseramente e vestendosi impacciata mentre si chiedeva cosa diamine volesse Hugh da lei nel suo giorno libero.

«Beh, allora... io vado.» Non riusciva a capire se il groviglio allo stomaco fosse dato dall'imbarazzo su quanto si fosse spinta in là con la sua migliore amica e l'elfo che l'altra si portava a letto da un pezzo, oppure dalla quantità spropositata di alcol che aveva in corpo. “Probabilmente,” decise mentre usciva dai bagni dopo una breve sosta, “una letale accoppiata di entrambi”.

Hugh, appollaiato su uno dei pericolanti tavolini della locanda, la guardò come se avesse visto un demone della disperazione. Era pallido, i capelli di solito vaporosi ricadevano flosci ad incorniciare il viso dal colorito quasi verdognolo. «Marian.»

«Hei, scusa ma non mi aspettavo di ricevere visite, come-»

«Si tratta di Ruvena.»

«Che ha combinato?»

«Non lo so, ieri doveva scortare una delegazione Qunari dal Visconte e riportarli al loro campo, ma non sono mai arrivati al porto. Sembrano spariti nel nulla.»

Marian gli rivolse un'occhiata scettica. «Dubito che siano stati spazzati via dalla brezza.»

Hugh non sembrò affatto divertito. «Sai come la pensa Ruvena sui Qunari. E non è la sola...»

«Stai insinuando che li abbiano... cosa, rapiti? Trascinati in un vicolo e uccisi? Per piacere, è ridicolo solo il pensiero.» Scosse la mano come a scacciare una mosca, mentre si avviavano verso la scalinata che conduceva dal porto ai livelli superiori della città. «Ruvena non è così stupida da tentare qualcosa da sola, contro gli ordini di Meredith e del Visconte.»

Hugh la tirò per un braccio, fermandola. «Non era da sola, era con Varnell.»

«Ah.» Conosceva bene come la pensava Varnell sui Qunari, se Ruvena li detestava, Varnell li avrebbe messi al rogo in pubblica piazza uno dopo l'altro. «D'accordo, cos'altro sai?»

«Con loro c'erano altri quattro della Guardia Cittadina, che non sarà stato difficile convincere, chi non detesta quegli energumeni cornuti, dopotutto...»

Marian fissò un punto in lontananza, distratta dal dondolio delle barche nella baia. «Dovremo trovare queste Guardie Cittadine allora, o una pista su Ruvena.» Ci pensò su un attimo, dove poteva essere l'amica in quel momento?

«Ai dormitori non la vedono da ieri mattina, alla taverna del mercato non c'era e pure Keran non è riuscito a trovarla, nonostante avessero un Tormento stamattina. Karras ha dovuto sostituirla e non ne era affatto contento, ha passato un sacco dietro a Cullen a sbraitare sul promuovere gli incompetenti.»

Alla menzione dei due, Marian represse una smorfia di disgusto. «Hai chiesto ad Aveline di indagare tra le Guardie?»

Hugh scosse la testa. «Non c'era stamattina in caserma, quando sono passato. Strano, di solito arriva all'alba. Ho incontrato Hendir però, che ha detto che probabilmente sarebbe solo arrivata un po' più tardi... e ha aggiunto qualcosa sull'Impiccato, ma stavo già uscendo. Le ho lasciato un messaggio.»

“Creatore, fa che non si sparga la voce su ieri sera...” pregò silenziosamente Marian, mentre costeggiavano il pontile delle navi mercantili. «Allora, appena Aveline saprà qualcosa ce lo verrà a dire, nel frattempo propongo una colazione.»

«Un pranzo, vorrai dire.» La corresse l'altro, rabbuiandosi. «E non so se sia il caso.»

Marian mise le mani sui fianchi, sfidandolo a replicare. «Tanto non abbiamo piste senza Aveline, e io a stomaco vuoto non ho voglia di lavorare, per di più che sarebbe il mio giorno libero.»

Hugh capitolò.

Presero un cartoccio di pesce e verdure da una delle bancarelle vicino al porto, dove di solito pranzavano marinai e lavoratori, accomodandosi su un muretto.

Mangiarono in silenzio. Marian non riusciva a scollarsi di dosso la necessità di dover fare una doccia. Si sentiva ancora addosso le mani di Fenris, più grandi e ruvide di quello che si era aspettata da un elfo, e l'aria salmastra le ricordava il profumo dei capelli di Isabela. “Che cazzo, Marian, dovevi proprio?”

Si leccò le dita dall'unto, sovrappensiero, quando qualcuno li chiamò dal molo sotto di loro.

«Hei, damerini!»

«Oh no, ci mancava solo Samson.» Gemette Hugh, facendo per alzarsi e fuggire da lì.

Marian osservò l'uomo che li stava salutando, un ghigno stampato sul volto pallido, gli occhi arrossati cerchiati di viola. «Che vuoi, Samson, abbiamo già abbastanza problemi.»

«E io che pensavo di fare una buona azione e tirarvi fuori da questo pasticcio...»

La donna assottigliò gli occhi. Accanto a lei, anche Hugh si era fermato. «Che intendi?»

L'altro si godette l'attenzione per qualche istante di troppo, mentre saliva le scale e li raggiungeva con tutta calma. «Ieri sera avevo un certo languorino, e sono passato intorno all'Impiccato. Con tutta quella gente, speravo di ricavare qualche avanzo o boccale lasciato lì da qualche avventore incauto. Magari perfino qualche borsello incustodito...»

Marian fece una smorfia. «Vieni al punto, Samson.»

«Oh, ma stavo per arrivare alla tua meravigliosa performance canora, sono rimasto colpito sai? Non pensavo che i Templari potessero trovare nuovi strumenti di tortura, ma credo che tu abbia dato un nuovo significato alla parola “tormento”.»

Hugh si voltò verso di lei, interdetto. «Che...?»

«Sta' buono, tu, non è nulla che ti riguardi.» Lo fulminò lei con lo sguardo, puntandolo poi sull'uomo di fronte, che aveva un sorriso derisorio stampato in volto. «Se non hai nulla di utile da dirci, puoi anche andartene a f-»

«Ma che modi, Tenente!» La interruppe quello, divertendosi un mondo. «Comunque, oltre ad averne ricavato un gran mal di testa per colpa tua, Hawke, ho sentito un esponente della nostra esemplare guardia cittadina vantarsi con alcuni amici di aver ricevuto un bel gruzzoletto per un lavoro facile facile... indovina un po'?»

Marian incrociò le braccia al petto, guardandolo torva. «Questa storia va a parare da qualche parte o è solo un tentativo di irritarci finché non ti diamo degli spicci per levarti di torno?»

Samson si portò la mano al petto con un'espressione ferita. «Così mi offendi, Marian, davvero. E io che ero preoccupato per la tua amica...»

«Ruvena? Sai dov'è finita Ruvena?»

«Doveva per caso scortare un branco di Qunari avanti e indietro per la città?» Il ghigno di Samson si allargò ulteriormente. «Pare che il buon Varnell abbia deciso di pagare la Guardia Cittadina per levarsi di torno e lasciargli i cornuti.»

Marian quasi gli scoppiò a ridere in faccia. «Varnell non sarebbe in grado di portare al pascolo una capra, e mi stai dicendo che lui e Ruvena avrebbero rapito quattro Qunari, da soli?»

«Nonostante sia d'accordo con te sull'incapacità del tuo collega, sì, se i giganti in questione avevano le armi legate dietro la schiena, come aveva saggiamente consigliato il Siniscalco.»

I due templari si scambiarono un'occhiata preoccupata. Se Ruvena si era davvero cacciata in quella situazione, non sarebbe stato semplice tirarla fuori dai guai. “Sempre che i Qunari siano ancora vivi”, pensò rabbrividendo. Non voleva nemmeno immaginare come avrebbe reagito l'Arishok.

«Sai dove sono andati?»

Samson sorrise, gli occhi che brillavano di cupidigia. «Quanto vale questa informazione?»

Marian si staccò il borsello dalla cintura, lanciandoglielo contro. «Se mi stai raccontando stronzate, ti spacco la faccia.»

«E io che mi ricordavo ti piacesse, la mia faccia...» La prese in giro lui, aprendo la sacchetta di pelle e guardando soddisfatto il contenuto. «Città Oscura, giù nei tunnel.»

«Potrebbero essere ovunque.»

«La guardia stava parlando con qualche suo caro amico, che sembrava esaltato all'idea di andare ad un'esecuzione in grande stile di quelle bestie.» Continuò Samson, ficcando il borsello nella tasca della giacca. «Il magazzino della Cerchia vicino alle vecchie cisterne è vuoto da un pezzo, eppure un paio di conoscenti mi hanno confermato che oggi ci sarà un bel po' di movimento da quelle parti. Quei Qunari non se la stanno passando bene, ve lo assicuro. Probabilmente non avete molto tempo. Sempre che vogliate fare i bravi ragazzi, s'intende, altrimenti potete fare con calma e partecipare anche voi allo spettacolo.»

Marian serrò la mascella. «Grazie dell'informazione. Hugh, muoviamoci.» Senza degnarlo di un altro sguardo, voltò le spalle a Samson, dirigendosi di gran carriera verso la Città Superiore.

«Puoi sempre cantargli una canzone, Hawke!» Le urlò dietro l'uomo, sghignazzando.

«Questa maledetta città non riesce a stare un giorno senza problemi.» Ringhiò, salendo quasi di corsa le scale verso la Forca. «Vai a recuperare Aveline, a quest'ora si sarà svegliata, altrimenti vai a buttarla giù dal letto di persona. Ci vediamo qua tra mezz'ora esatta.» Ordinò a Hugh, spedendolo verso le caserme.

Entrò come una furia nei dormitori, scostando in malo modo due reclute che si erano irrigidite sull'attenti per salutarla, e indossò in fretta e furia l'armatura, appendendo le due spade alla cintura. Rovistò nel doppiofondo del cassetto, estraendone una fiaschetta di lyrium, il bagliore azzurro che sembrò risuonare con qualcosa dentro di lei. Si versò il contenuto giù per la gola, perdendo per qualche attimo la stabilità quando la sostanza entrò in circolo. Sbattè più volte le palpebre, riprendendo la padronanza di sé, la stanza tutt'attorno invasa da piccoli bagliori.

Si diresse infine verso l'ufficio di Cullen, sbattendo due volte il pugno chiuso contro la porta per poi entrare senza aspettare un invito.

Il Capitano era chino su una serie di fogli. Lo vide sobbalzare, alzando lo sguardo, gli occhi che mutavano dalla sorpresa al rimprovero. Non le sfuggì come la mano dell'uomo fosse istintivamente volata sul pomolo della grossa spada poggiata accanto a sé.

«Capitano, abbiamo un problema.» Iniziò senza convenevoli, chiudendosi la porta alle spalle. «Varnell ha in mente qualcosa coi Qunari, e Ruvena è sparita con lui. La delegazione non si vede da ieri sera e so per certo che vogliono farli fuori, li hanno portati giù nei tunnel in Città Oscura.»

Cullen sospirò. «Mi chiedevo dove fossero finiti quei due... Varnell ultimamente è ingestibile.»

«Ho intenzione di arrestarlo, se possibile, ma potrei essere costretta a ricorrere a metodi più drastici.»

L'uomo la fissò intensamente per un paio di secondi. «Mi stai chiedendo il permesso di uccidere uno dei nostri, Hawke?»

Marian assottigliò lo sguardo. «No, Signore. Non ho intenzione di chiedere il permesso per fare il mio dovere. Varnell ha abusato della sua carica per tradire l'Ordine, mettendo a rischio la città intera nel caso l'Arishok dovesse decidere per una rappresaglia.»

«Probabilmente, non è il solo ad aver disobbedito agli ordini. E Ruvera è tua amica, se non erro.»

Si morse il labbro inferiore. «Valuterò la situazione di conseguenza, Capitano, ma siamo di fronte ad un pericolo per tutta Kirkwall.»

Cullen intrecciò le dita, i gomiti appoggiati sul tavolo. «Mi fido del vostro giudizio, Ser Marian, ma qualsiasi cosa troviate là sotto, non voglio che circolino altre voci sui Qunari, in città. La tensione è già molto alta, non abbiamo bisogno di un altro incidente come quello del saar-qamek.»

«Sissignore.»

“Quindi, se trovo pezzi di Qunari sparsi per l'intero magazzino, non deve arrivarne una parola all'Arishok?” Si ritrovò a chiedersi, mentre proseguiva verso la piazza del mercato superiore, sperando di trovarvi già lì Hugh e Aveline.

Quando intravide la chioma rossa dell'amica, si rilassò un attimo. In tre avrebbero potuto fermare Varnell senza troppi problemi. “E convincere Ruvena a non peggiorare la propria situazione...” Sperò con tutte le sue forse che i Qunari sequestrati fossero ancora vivi.

«Marian.»

«Hei, Aveline. Scoperto chi fosse la guardia comprata?»

L'altra annuì, torva. «C'è di più. L'ho strapazzato un po', ed è spuntato fuori che il templare aveva un sigillo della Chiesa. Non so se l'avesse rubato, o qui ci sia in ballo qualcosa di ben più grave.»

«Un tradimento interno alla Chiesa?!» Esclamò Hugh, sconvolto. «Ser Aveline, non è possibile-»

«Ormai non mi stupisce più nulla.» Commentò torva Marian, una mano sulla spada.



 

Si appiattirono contro il muro, l'aria pesante, mentre la voce di Varnell echeggiava tutto attorno.

«I Qunari non hanno posto accanto al Creatore! E noi, i Suoi figli, abbiamo il dovere di purgare la città da questi eretici pericolosi, che non mirano ad altro che alla nostra distruzione!» Un boato rimbombò per il grande salone sotto di loro, mentre la folla urlava il proprio consenso. «L'unica certezza che il Qun offrirà loro, è di morire sotto i colpi dei Giusti!»

Marian si sporse quel che bastava per vedere il templare colpire con la mano guantata un Qunari in ginocchio, il volto coperto di sangue e un corno spezzato a terra. La folla applaudì di nuovo.

«Dobbiamo fermarlo.»

«Vedi Ruvena da qualche parte?»

Scosse la testa, facendo vagare lo sguardo sulle numerose persone raccolte attorno ai prigionieri: erano tutti armati, alcuni sporchi di sangue che non sembrava loro. I quattro Qunari erano stati legati e torturati, uno di loro giaceva a terra in una pozza scarlatta. Dell'amica non vi era traccia.

«Due di quelli sono miei uomini.» Riconobbe Aveline, il disgusto stampato in faccia. «Roba da non crederci...»

«Dobbiamo fermarli.»

Uscì allo scoperto, attirando l'attenzione di Varnell.

«Ah, Tenente Hawke, e anche il Capitano Vallen!» Le salutò lui con un ghigno feroce, sollevando entrambe le braccia come a dar loro il benvenuto. «Fedeli, i due pilastri a guardia della nostra amata città sono venuti a dare il loro sostegno! Il Creatore è dalla nostra parte, così come l'Ordine templare e la Guardia Cittadina!»

«Smettila con le stronzate, Varnell.» Ribattè aspra Marian, alzando la voce. «Nè l'Ordine, né tantomeno la Chiesa sono favorevoli al sequestro e alla tortura di una delegazione di pace, sia ben chiaro!»

«E nemmeno la Guardia Cittadina.» Aggiunse Aveline, furente. «Rowle, Corbitt, con voi farò i conti più tardi, deponete le armi e fate immediatamente ritorno in caserma.»

I due in questione si scambiarono sguardi allarmati, rivolgendosi poi a Varnell in attesa di un ordine. Il templare estrasse un rotolo dalla borsa, aprendo la pergamena e mostrandola a tutta la folla sotto di lui. «Menzogne! Ho qui un editto della Gran Sacerdotessa in persona, i Qunari sono eretici da sradicare, e voi siete chiamati ad adempiere al vostro dovere di fedeli! Il Creatore e la sua Sposa ci hanno benedetti in questa impresa.»

Marian estrasse di qualche centimetro la spada dal fodero, truce. «Te lo ripeto un'ultima volta, Varnell, desisti. L'Ordine non ha mai approvato una cosa del genere, e la Chiesa non tradirebbe gli insegnamenti del Creatore agendo nell'ombra, sequestrando e mentendo come avete fatto qui.»

Alcuni dei presenti si guardarono attorno, incerti.

«Fedeli!» Urlò di nuovo il templare, richiamandoli a sé. «Il Creatore ci mette davanti l'ennesima prova, abbattete i miscredenti e avrete la Sua eterna gratitudine!» Si voltò repentinamente, affondando la spada nel petto del Qunari dietro di lui, che si accasciò a terra.

Successe tutto molto velocemente.

Marian si gettò di lato, buttando a terra un uomo con un coltello e lanciandone un altro giù dalla balaustra mentre scendeva i pochi gradini che la separavano da Varnell. Una freccia le sibilò accanto, fischiandole le orecchie. Caricò una delle due guardie, che le si era buttato contro con lo scudo, spostandosi appena in tempo per evitare un fendente e, con il pugnale, ferendolo al braccio che reggeva lo scudo. L'uomo lo lasciò cadere con un urlo di dolore. Stava per finire di disarmarlo, quando una donna le si lanciò addosso urlando, un coltellaccio da cucina stretto nel pugno.

Si girò su se stessa, sentendo una freccia rimbalzare sullo spallaccio mentre evitava un altro colpo della donna. «Maledetti eretici!» Urlò quella, prima di venire colpita in piena faccia dal pomolo della spada della templare. Sentì il naso spezzarsi, ma non ebbe tempo di controllare dove fosse Varnell che altri tre l'avevano accerchiata. Una lama stridette sul metallo dell'armatura, mentre un'altra le mancava per un soffio la giuntura sulla spalla.

Uno dei tre venne scaraventato via da un colpo di scudo, dandole la possibilità di liberarsi degli altri due. Ritirando le lame sporche di sangue, ringraziò Hugh con un cenno del capo.

«Marian!»

Si voltò di scatto, riconoscendo la voce di Aveline che le indicava Varnell.

Il templare era in piedi sui corpi riversi degli ultimi due Qunari, e la squadrava con un ghigno vittorioso. «Non c'è posto per i sostenitori di queste bestie, nella nostra città!»

Con un grido di rabbia, Marian partì alla carica. Spazzò via con una spallata un nuovo assalitore, decapitandone un altro con un fendente e roteando su sé stessa per eliminarne altri due. Una freccia le si incastrò con precisione chirurgica sopra il gomito sinistro, infiltrandosi sotto la cotta di maglia. Ringhiò di dolore, strappandosela di dosso e continuando a correre, ignorando il sangue che le colava fino al gomito. «Varnell!» Il suo ruggito di rabbia venne coperto dal clangore metallico della sua spada che urtò lo scudo dell'uomo. Ricaricò il colpo, portando il peso a sinistra per girargli attorno, mentre riprovava a superare la sua guardia.

Varnell era un buon combattente, e il braccio le formicolava, sentiva il sangue colarle sotto la tunica e fino al guanto, rendendo la presa scivolosa.

Incrociarono le spade, ma di nuovo venne fermata dal grande scudo del templare. Il metallo stridette, mentre l'altro cercava di rompere la sua difesa: per un soffio, Marian riuscì a proteggersi il fianco con la guardia della daga corta. Restarono per il tempo di un respiro bloccati in stallo, per poi allontanarsi di scatto, girandosi attorno come lupi.

La baruffa infuriava ancora attorno a loro, ma chiamarla battaglia era un eufemismo. I fanatici venivano abbattuti quasi senza difficoltà, la loro unica forza era nel numero soverchiante.

“Almeno sembra abbiano finito le frecce” pensò lei, mentre sentiva il braccio perdere sempre più forza. «Varnell, è finita. Arrenditi e conserva un minimo di dignità.»

Quello contorse il volto in una smorfia folle. «Facciamo che ti ammazzo come la cagna fereldiana che sei, e poi faccio lo stesso coi tuoi amici... Non saranno i primi oggi.»

Marian sbiancò. «Che hai fatto a Ruvena?!»

Il ghigno di Varnell si allargò. «Non temere, la raggiungerai presto.»

Digrignando i denti dalla rabbia, gli si gettò di nuovo addosso. Spazzò via con un colpo di spada lo scudo, roteandogli attorno e frapponendo tra loro la spada lunga mentre gli conficcava la lama corta nel braccio. La estrasse con un mezzo giro, godendosi le urla di dolore dell'altro mentre con un calcio nelle reni lo spediva a terra.

La spada di Varnell scivolò sul terreno, troppo lontana perché potesse recuperarla. L'uomo cercò di strisciare avanti, trascinandosi col braccio sano lontano da lei, finalmente in panico. «Mi arrendo, mi arren-»

Le implorazioni si interruppero con un sussulto, trasformandosi in un gorgoglio di sangue quando Marian gli conficcò la spada tra le scapole, con tutta la forza che aveva ancora in corpo, trapassando cotta di maglia, cuoio, carne e ossa. «Troppo tardi, bastardo.»

Si voltò appena in tempo per vedere un uomo stempiato interrompere la folle corsa verso di lei, lo sguardo allucinato puntato verso il cadavere del templare. Con un gemito, lasciò cadere il pugnale arrugginito, cacciando un urlo terrorizzato e scappando nella direzione opposta. La sua corsa venne bruscamente interrotta da Hugh, che lo colpì con lo scudo in piena faccia. L'uomo caracollò a terra, il cranio spaccato in malo modo.

Gli ultimi tre superstiti mollarono le armi e si prostrarono a terra, pregando di essere risparmiati.

Marian ne sollevò di peso uno per il bavero, urlandogli in faccia. «L'altra templare, dov'è?!»

«Non lo so, stavano litigando prima, e poi sono andati di là e lui è tornato da solo...» Frignò quello, facendosela sotto per la paura. «Per favore, Ser, vi imploro, non-»

Lo scaraventò a terra, correndo verso la direzione che le aveva indicato, senza curarsi che i due compagni la seguissero. Il tunnel si rimpiccioliva fino a diventare uno dei canali di scolo delle fognature, le pareti scivolose dai liquami. «Ruvena?» Chiamò, ignorando il fetore dell'acqua che scorreva accanto alla stretta passerella. «Ruvena?!»

Il tunnel si biforcava. A destra, il canale di scolo, a sinistra una scalinata che proseguiva verso l'alto. Con orrore, individuò quello che era inequivocabilmente sangue sulla parete alla sua destra, poco sopra l'acqua. Maledicendo tutto e tutti, dovette calarsi nel rigagnolo fetido che le arrivava sopra le caviglie. «Ruvena, rispondimi cazzo!»

Il canale si ramificava a destra e sinistra ad intervalli regolari, ma le tracce di sangue, ora più consistenti, proseguivano lungo il tunnel principale. Incontrò altre due biforcazioni, quando finalmente individuò un corpo accasciato contro la parete, l'armatura dell'Ordine lurida e incrostata.

Ruvena giaceva immobile, pallida e fredda. Marian si chinò a cercarne il battito. “Creatore, grazie”, sospirò, scoprendola ancora viva. La ferita al fianco era profonda, ma non doveva aver coinvolto organi vitali. Eppure, là sotto, la setticemia poteva essere molto più pericolosa di una lama affilata.

Sentì uno scalpiccìo di passi dietro di sé.

«È viva?» Chiese Aveline, rovistando già in una sacca che portava sulle spalle.

Marian annuì, tremante. «Non so per quanto ancora.»

L'amica le allungò una boccetta di intruglio rossastro, che lei si affrettò a versare nella bocca dell'altra, sperando bastasse a farle affrontare il tragitto fino alla Forca. «Dobbiamo fermare il sangue...» Si strappò dalla cintura il drappo rosso con l'insegna dell'Ordine, premendolo sulla ferita per poi con l'aiuto di Aveline fare due giri attorno all'addome.

«Ti riportiamo a casa.» Sussurrò, passandosi un braccio dell'amica sopra le spalle, Aveline che faceva lo stesso. Ripercorsero il tragitto fino al magazzino della Cerchia, dove Hugh le aspettava coi tre superstiti, legati e immobilizzati contro una colonna.

«Ruvena!»

«È viva, Hugh, dacci una mano. Io vi precedo ad avvisare Cullen.»

Consegnata la ferita al compagno, lanciò un ultimo sguardo ai Qunari a terra, infine a Varnell. «Dobbiamo mandare qualcuno a ripulire questo posto e recuperare i prigionieri.»

«Cosa facciamo con l'Arishok?» Chiese Hugh, terreo.

«Ci darà la colpa in ogni caso.» Rispose Marian, rovistando tra le vesti di Varnell e trovando quello che cercava: la pergamena che aveva mostrato a tutti, e il sigillo della Chiesa con cui era stata firmata. «Tanto vale vuotare il sacco onestamente.»

Li lasciò indietro, correndo in direzione della Forca.



 

Quando Cullen la vide entrare, sporca di sangue e sul punto di sputare un polmone sul pavimento, saltò in piedi allarmato, correndole incontro. «Hawke, sei ferita...?»

Scosse la testa, cercando di riprendere fiato. «Nulla di grave. Ruvena è viva, Varnell ha cercato di ucciderla. Hugh e il Capitano Aveline la stanno portando qui. Ci serve un guaritore. È messa male.»

L'altro annuì. «Varnell e i Qunari?»

«Siamo arrivati tardi. Varnell li aveva torturati, li ha uccisi sotto gli occhi di un branco di fanatici assetati di sangue.»

«C'erano dei civili?»

«Civili, un paio di guardie, ho riconosciuto più di un paio di membri della Cerchia...» Si premette la mano sul fianco, che le doleva da morire. «Ne abbiamo catturati tre, gli altri hanno preferito combattere. Scelta stupida.»

Cullen sospirò pesantemente. «Ciò che mi dici non mi piace. Varnell... quel pazzo ci ha messi in una brutta situazione, aizzandoli contro la delegazione rischiamo che l'Arishok perda finalmente la pazienza. E non credo saremmo in grado di salvare la città intera, se decidesse di raderla al suolo.» Scosse la testa, grattandosi la nuca. «Ha agito da solo?»

«...» In un lampo, Marian decise di tacere sul dettaglio del sigillo. Voleva andare in fondo alla faccenda personalmente, e temeva che Cullen, o Meredith, potessero insabbiare il vero colpevole. Dubitava che potesse essere stata Elthina stessa a incitare un linciaggio di una delegazione di pace, ma sicuramente era qualcuno abbastanza influente da avere accesso al sigillo della Somma Sacerdotessa. «Non so, Capitano, non ho ancora una pista certa. Voglio sentire la versione di Ruvena, appena si sveglierà. Varnell credeva di averla uccisa, quindi immagino abbia cercato di fermarlo ad un certo punto. Magari sa chi altri è coinvolto.»

Cullen annuì. «Certo... anche se tutto lascia intendere che almeno inizialmente l'abbia seguito.»

«Era un templare più anziano, avrà pensato di seguire gli ordini.» Ribattè Marian. «Inoltre, con tutto il rispetto Capitano, in pochi a Kirkwall avrebbero difeso dei Qunari.»

«Ma tu l'hai fatto.»

Rimase in silenzio, limitandosi ad annuire.

«Per il momento puoi andare, Tenente. E fatti controllare quel braccio, prima di ributtarti nella mischia.» La congedò il Capitano, accennando a dove l'aveva colpita la freccia. «Manderò qualcuno a recuperare i corpi e ripulire il magazzino, e interrogheremo i prigionieri.»

«Sì Signore.» Stava per andarsene, quando si fermò sull'uscio, la mano sulla maniglia. «Capitano...»

«C'è altro?»

«Non credo dovremmo disfarci dei corpi dei Qunari, l'Arishok lo tratterebbe come un affronto alla sua autorità. Propongo di tenerli al sicuro finché l'indagine non sarà conclusa, e poi riconsegnarglieli con i nomi dei colpevoli.»

Cullen la squadrò, valutando le sue parole. «Mi fido del tuo giudizio, Tenente Marian. Per ora li avete gestiti bene, quindi faremo così.»

«Grazie, Capitano. Allora, vado.»

Chiuse la porta dietro di sé, incredula che l'uomo le avesse dato ascolto. Forse, far carriera lì dentro iniziava a dare i suoi frutti.

Quando provò a sollevare il braccio sinistro, che aveva ormai smesso di formicolare e ora era pervado da un doloroso pulsare ritmico, scoprì di non riuscire quasi più a muoverlo. «Merda.» Si risolse ad andare in cerca di un mago che la rimettesse in sesto, non aveva tempo da perdere.

«Hawke, ti sei dimenticata di lavare l'armatura?»

Sibilò un'imprecazione, mentre varcava la soglia del refettorio dei maghi. «Alrik, non è giornata.»

«Lo vedo... dovresti sceglierti meglio gli amici, sai? Queste cose non succederebbero se-»

Marian si voltò come un serpente, facendo due passi verso di lui e guardandolo dritto negli occhi. «Come ti ho già detto, Alrik, non sono in vena. Chiudi quel becco e lasciami in pace.» Sibilò furente. «E per te sono Tenente Hawke, vedi di ricordartelo.»

Quello assottigliò gli occhi, ma la loro conversazione aveva attirato l'attenzione di parecchi maghi e templari lì attorno. Sbuffò, facendosi da parte dopo averle lanciato un'ultima occhiata carica d'odio. «Agli ordini, Tenente Hawke.»

Marian aveva la netta sensazione che non sarebbe finita lì, ma in quel momento non le poteva fregare di meno. Coperta di sangue dalla testa ai piedi, dolorante ovunque e emanando un puzzo nauseabondo di interiora e fogna, il suo ultimo problema era l'ego ferito di quel coglione avariato.

Individuò il mago che le serviva, superando un paio di tavoli, gli occupanti che la seguivano con lo sguardo, attoniti e curiosi. «Alain, avrei bisogno del tuo aiuto.»

Quello scattò in piedi, sull'attenti, salutandola rigidamente. «Certo, Tenente.»

Si affrettarono lontano da sguardi indiscreti, dirigendosi verso l'infermeria. A parte un iniziato che dormiva profondamente, entrambe le braccia e il viso avvolti in morbide bende, non c'era nessuno.

«Ha avuto un incidente provando un incantesimo elementale...» spiegò Alain, arrossendo di colpo mentre lei iniziava a spogliarsi. «Tenente-»

«Meno convenevoli, Alain, e dammi una mano per favore. Non riesco a togliermi questa roba di dosso.» Lo riprese lei, litigando con una mano sola con le fibbie dell'armatura.

L'altro si affrettò a fare come gli veniva detto, blaterando delle svariate pericolosità sulla magia elementale e sul perché lui aveva sempre preferito quella curativa. Alla vista della ferita lasciata dalla freccia, però, si zittì di colpo. «Da quanto è lì?» Domandò, la voce improvvisamente fredda e professionale, le dita fresche che sfioravano la pelle scoperta.

«Meno di due ore, perché?»

«L'assalitore era della Cerchia?»

La domanda la lasciò spiazzata. «Forse, non l'ho visto in faccia...»

«È troppo calda, e la pelle tutto attorno ha una forte sfumatura violacea. Se fosse sul torace ve ne sareste accorta prima, ma era avvelenata. Forse avete avvertito un formicolio iniziale.»

Marian annuì. «Quanto è grave?»

Lo sentì sbuffare. «Siete in buone mani, Tenente, non preoccupatevi. Conosco bene questo tipo di veleni, entro stasera sarete come nuova.»

La fece stendere su una delle brande, iniziando a intonare una serie di incantesimi in una litania continua, causandole sonnolenza.

Si risvegliò intontita, qualcosa di morbido sulla schiena.

«Provate a muovere le dita.» Le suggerì Alain, sorridendole incoraggiante.

Marian stese la mano, obbediente, e poi cercò di muovere il braccio. A parte una lieve sensazione di fresco, come se qualcuno le avesse legato un panno pregno di acqua attorno, non sentiva altro. «Grazie, Alain, davvero.»

«Raccomanderei di evitare altri scontri per oggi, se possibile.»

Lei si tirò in piedi, avvolgendosi la coperta che le aveva dato il mago attorno alle spalle. La camicia inzuppata di sangue era a terra, ormai da buttare. Il resto dell'armatura era appoggiato in un angolo.

«Manderò una recluta a recuperarli e dargli una pulita, ma ho una cosa importante da fare. Ah, dovrebbero aver portato qui un'altra templare, Ruvena, chiedi dov'è e dalle un'occhiata. Sono sicura che sia stata affidata alle cure di qualche bravo mago, ma vorrei che le dessi un occhio anche tu.»

Alain annuì. «Ma certo, sarà fatto. Cercate di stare fuori dai guai.»

Marian gli sorrise, divertita. «Ci provo, ma non ho mai successo.»

«E niente alcol!» Le urlò quando era ormai quasi fuori portata.

 



Dopo una breve sosta a darsi una lavata e recuperare dei vestiti puliti, verso sera varcò il grande portone della Chiesa, incrociando i numerosi fedeli che uscivano dopo l'ultima messa del giorno.

Incrociò Sebastian, che stava sistemando le offerte sotto l'altare.

«Sei venuta a cercare perdono dopo la performance di ieri?» La salutò lui con un ampio sorriso, in braccio un cestino pieno di fiori di vari tipi e colori.

Marian avvampò di colpo, pensando che si riferisse al menage a trois con Isabela e Fenris, per poi ricordarsi che Sebastian era andato via prima che si compisse il fattaccio. “Però il bacio tra me e Bela l'ha visto comunque...”

«Marian, rilassati, intendevo la canzone.» Precisò lui, probabilmente interpretando la sua espressione imbarazzata. «Eravamo tutti un po' brilli, e tu sei una donna carismatica, intelligente e liberissima di divertirsi come le pare.»

Nonostante le sue parole, la sensazione che tra loro non fosse esattamente tutto a posto continuò ad aleggiare nella sua mente, però decise di ignorarla. «Veramente, sono qui perché sto cercando delle risposte. Possiamo andare in un posto più... riparato?»

Sebastian parve sorpreso, ma annuì. Appoggiò il cesto delle offerte su una delle panche vuote, facendole segno di seguirlo lungo la navata laterale, fino ad una delle piccole alcove in ombra.

«Di cosa hai bisogno?»

«Ieri sera sono stati sequestrati dei Qunari di una delegazione mandata dal Visconte. Varnell, uno dei nostri templari, ha radunato un piccolo gruppo di invasati per torturarli e ucciderli, sventolando a destra e a manca il benestare della Chiesa.» Spiegò, tirando fuori dalla giacca il sigillo e la pergamena di Varnell. «Quattro Qunari sono morti, e io devo dare una valida spiegazione sia ai miei superiori che all'Arishok, e non vorrei che fosse quella più palese.»

Sebastian aggrottò la fronte, esaminando attentamente il sigillo. «È autentico, su questo non ho dubbi, ma la Somma Sacerdotessa Elthina non approverebbe mai questo genere di...» Si voltò verso di lei, gli occhi blu che brillavano illuminati dalla piccola candela accanto a loro. «Varnell, hai detto?»

Marian annuì. «Sì, perché? Lo conosci?»

Sebastian abbassò ulteriormente la voce. «Era la guardia personale di Madre Petrice, prima che venisse promossa di grado. Poi sembra si siano allontanati per qualche motivo che ignoro, ma li ho visti confabulare qualche sera fa, dopo i vespri.»

«Confabulare...?»

«Petrice ha accesso a tutte le corrispondenze di Elthina, è una delle sue assistenti. Rubare uno dei sigilli non sarebbe difficile, per lei.»

«Andiamo a scambiare quattro chiacchiere con Madre Petrice, allora.» Sbottò Marian, impaziente come un mastino che ha fiutato la preda. «Ho avuto una giornata fin troppo lunga.»

«E meno male che eri di riposo...» Commentò Sebastian, mentre la accompagnava ai piani superiori.

«Questa città ha la brutta abitudine di andare in merda appena ci si rilassa un attimo.»

«Marian... il linguaggio.» La rimproverò bonariamente lui, ma poteva giurare di averlo visto ridacchiare sotto i baffi. «Ci siamo. Vado a chiamarla.»

Bussò ad una porta di legno massiccio, attendendo una risposta. Ne spuntò dopo qualche secondo una donna sulla trentina, i capelli biondi e lisci perfettamente pettinati, sul volto un'espressione scocciata. «Sì, cosa volete?»

«Mi dispiace disturbarla a quest'ora, Madre.» Prese parola Marian, scostandola da parte ed entrando senza chiedere permesso. Sebastian, dietro di lei, chiuse la porta alle loro spalle. «Sono il Tenente Marian Hawke. Mi è capitato di imbattermi nella sua precedente guardia del corpo, in una situazione... oserei dire delicata.»

La donna arricciò il naso, per niente intimidita. «Parlate chiaro, Tenente, a quest'ora della sera la mia pazienza è poca.»

«Verrò dritta al punto, allora. Ser Varnell ieri ha sequestrato una delegazione Qunari di ritorno dal palazzo del Visconte, portandoli in Città Oscura e, dopo averli barbaramente torturati sotto gli occhi di un branco di fanatici esultanti, li ha uccisi a sangue freddo.» Petrice fece per interromperla, ma Marian sollevò una mano. «Mi lasci finire. Ora, quello che poteva benissimo essere un membro dell'Ordine accecato dall'odio, in realtà era in possesso di un documento che portava il sigillo della Somma Sacerdotessa in persona.» Estrasse pergamena e sigillo, in modo che la donna potesse dargli una bella occhiata. «Li riconosce, per caso?»

Petrise contrasse la mascella, dilatando le narici e contorcendo il bel viso in una smorfia di disgusto. «Se pensate che io abbia qualcosa a che fare con dei Qunari uccisi...»

«Non lo penso, ne sono praticamente certa.» La interruppe Marian, intascando di nuovo sigillo e pergamena. «So che vi siete vista con Varnell qualche sera fa, e so anche che lui è stato la sua guardia del corpo per qualche anno. Facendo due conti, non è difficile immaginare come voi abbiate potuto sfruttarlo per creare un caso diplomatico con i Qunari, e forzare la mano al Visconte per cacciare gli eretici dalla città. E se per un attimo ho temuto che una mia cara amica, che certamente non nutre grande stima dei nostri peculiari ospiti, potesse aver seguito Varnell nel suo folle piano, il fatto che lui abbia cercato di eliminarla mi ha fatto pensare ad un'alternativa: la popolazione sarebbe certamente insorta, se avesse saputo che un branco di Qunari avevano assalito una giovane e promettente templare. Varnell avrebbe potuto raccontare di un emozionante combattimento, di un tentativo di salvare la collega, e di come i fedeli di Kirkwall avessero coraggiosamente debellato la minaccia dei pericolosi eretici.» Madre Petrice non mosse un muscolo, segno che tutto ciò non la sorprendeva particolarmente. «Con abbastanza supporto da parte della popolazione, la Somma Sacerdotessa avrebbe persino potuto inviare una richiesta a Val Royeaux per una Santa Marcia.»

Petrice sorrise, una smorfia che di dolce non aveva nulla. «Ma che brava, Ser Hawke, non sapevo che i Templari avessero tutta questa fantasia. Un piano congegnato alla perfezione, non fossero tutti vaneggiamenti di una templare ansiosa di mettersi in buona luce. Varnell ha avuto accesso in precedenza allo studio privato della Somma Sacerdotessa, e non è l'unico templare. Potrebbe aver recuperato quel sigillo mesi fa, e aver atteso il momento giusto per usarlo. L'altra sera, ammetto di averlo incontrato, ma l'unica cosa che voleva era tornare al mio servizio. Immagino che la paga di un templare non fosse sufficiente a saziare i suoi vari vizi. Ho rifiutato, ovviamente, non lo ritenevo più degno di fiducia da un pezzo.»

«Vaneggiamenti? Può darsi, vedremo cosa ne pensa la Somma Sacerdotessa Elthina delle mie storielle. In ogni caso, immagino terrà sotto maggiore controllo la propria corrispondenza, da questo momento. E terrò d'occhio personalmente i futuri problemi coi Qunari, Madre.»

«Ritengo che il dovere dell'Ordine sia proteggere i fedeli e le istituzioni della Chiesa, Tenente, non quegli eretici.» Petrice abbandonò il sorriso forzato per un'espressione dura. «Non credete che Elthina accetterà di buon grado il vostro cercare di scaricare la vergogna che Varnell ha portato al vostro ordine su un membro fidato della Chiesa, tenente. E ora andatevene, è tardi e non vorrei che si sapesse che ho ospiti a quest'ora della notte, non sarebbe appropriato.»

Marian uscì a grandi falcate, assicurandole che non sarebbe finita lì.

«La terrò d'occhio anch'io, se posso rendermi utile.» Le assicurò Sebastian, mentre andavano a mangiare qualcosa in una delle locande della città alta. «Come sta la tua amica?»

«L'hanno portata dai maghi ad essere curata, dovrebbe rimettersi.» Rispose lei, un nodo allo stomaco. La rabbia di aver scovato la colpevole ma non avere prove sufficienti per incastrarla le faceva ribollire il sangue nelle vene.

«Parlerò io stesso con Elthina, mi darà retta.»

«Grazie, Sebastian.» Si accasciò su una sedia, mentre si faceva portare dell'acqua e una zuppa calda.

Quando la cameriera propose loro della birra, che Marian rifiutò troppo velocemente, l'uomo scoppiò a ridere di gusto.

«Hei, ordini del medico.»

«Stai bene?» Si preoccupò Sebastian, facendo per afferrarle la mano ma bloccandosi a mezz'aria. Afferrò invece una fetta di pane, appoggiandola nel piatto. «Sei rimasta ferita?»

Marian scrollò le spalle. «Nulla di grave, Alain mi ha sistemata in un attimo. Fa miracoli, quel ragazzo, non è la prima volta che mi tira fuori dai guai.»

Lo vide fare una strana espressione, abbassando lo sguardo sui pezzi di verdura che galleggiavano nella ciotola. «Immagino... Beh, sono contento che tu stia bene, per un attimo ho temuto-»

Lei gli sorrise, sfrontata. «Sai che ci vuole ben altro per buttarmi giù.»

«Quindi sei prontissima per affrontare l'Arishok, domattina?»

Il suo umore sprofondò improvvisamente sotto le scarpe. «Non sei simpatico...»

Sebastian gongolò, gli occhi azzurri che brillavano divertiti puntati nei suoi.

Marian sentì di nuovo un nodo allo stomaco, stavolta di tutt'altra natura. Sospirò, affogando le sue disgrazie nella zuppa di montone.



 

«Ser Marian!»

Riconobbe quella voce all'istante. Cercò una via di fuga, ma il viavai di nobili, signorotti, guardie e servitori nell'atrio del palazzo le rendeva impossibile svicolare via. Reprimendo uno sbuffo, si voltò a fronteggiare il nuovo arrivato, stampandosi in faccia un sorriso di circostanza. «Serah Cavin.»

«Sapete bene che voi potete chiamarmi soltanto Rodney...» Ammiccò quello, dandole il voltastomaco. «Ho sentito che avete risolto brillantemente l'ennesima scocciatura con quei bovini, complimenti, il Visconte sarà grato che abbiate gestito voi l'Aritosk.»

«Arishok.» Lo corresse a denti stretti, il sorriso che si faceva sempre più tirato. «E vostro padre non mi è sembrato altrettanto entusiasta.»

Rodney Cavin le si fece più vicino, lanciando un'occhiata dietro di sé come se stesse per rivelarle un segreto importantissimo. «In molti considerano il Visconte... ormai non più nel fiore dei suoi anni. Seamus passa sempre più tempo con quei bestioni, e dopo l'incidente di qualche anno fa sul suo presunto rapimento, circolano certe voci...»

Marian lo fulminò con lo sguardo.

«In ogni caso, che siano vere o meno non importa, fortunatamente l'Ordine Templare è qui per vegliare su di noi, giusto? E chissà che presto non soffi una nuova brezza di cambiamento, qui a Palazzo.» Le fece l'occhiolino.

“Se le voci sul Siniscalco sono vere, e vuole davvero provare a sostituirsi a Seamus nel caso il Visconte dovesse lasciare la corona...” La sola idea di vedere quel cretino in linea di successione al trono di qualunque cosa che non fossero le latrine comuni le dava ai nervi. “Chiederei un trasferimento alle catacombe di Nevarra, piuttosto.”

«Credo abbiamo abbastanza problemi di cui occuparci, senza pensare agli spifferi.» Si limitò a rispondergli, trattenendosi dallo scoppiare a ridergli in faccia. «Ora, se volete scusarmi...»

Rodney sembrò ferito, ma si riprese in un attimo. «La mia famiglia ospiterà alcuni amici stretti per i Satinalia, sarebbe un vero onore avervi con noi... ovviamente vostra madre ha già confermato la sua presenza, così come la maggior parte de-»

«I miei doveri verso l'Ordine mi costringono spesso a rinunciare a queste frivolezze, Serah Cavin, ma vi assicuro che farò il possibile per presenziarvi. Buona giornata.» Tagliò corto Marian, lasciandolo lì a metà della frase e raggiungendo l'uscita il più velocemente possibile. Mancava più di un mese, e Rodney già iniziava a stressarla?! Nemmeno sua madre aveva ancora nominato i maledettissimi Satinalia.

Aveva passato la mattina ad andare avanti e indietro per la città, prima convocata dal Visconte per chiarire i fatti del giorno precedente, poi al campo Qunari giù al porto, dove l'Arishok aveva ascoltato sempre più scuro in volto il suo resoconto, compreso dell'ammissione di colpa dell'Ordine sul non avere intercettato prima i piani di Varnell e di come l'uomo avesse torturato i Qunari creando uno spettacolino per i suoi prima di ucciderli. Aveva saggiamente escluso il coinvolgimento della Chiesa, ma Sebastian le aveva assicurato che la Somma Sacerdotessa Elthina avrebbe tenuto strettamente d'occhio qualsiasi futura mossa di Petrice. L'Arishok l'aveva lasciata di sasso, dichiarando che di tutta quell'orribile città considerava Marian la sola degna di stima. Si era congedata in tutta fretta, ansiosa di andarsene prima che potesse cambiare idea.

Ruvena si era svegliata quella mattina, e non vedeva l'ora di scambiarci quattro chiacchiere in pace.

La stanza dove avevano messo l'amica a riposare era una di quelle adiacenti all'infermeria: conteneva solo due letti, un piccolo tavolino con due sedie e una serie di scaffali vuoti appoggiati alla parete, mentre uno spiraglio di luce entrava dalla piccola finestra con le grate.

«Ser Marian!»

Salutò il mago con un cenno della mano, accomodandosi sulla sedia di legno accanto al letto di Ruvena. «Buon pomeriggio Alain, come sta la nostra paziente?»

L'amica, la schiena rivolta alla porta, non diede segno di volersi girare.

«Le ferite esterne si sono quasi rimarginate, i tessuti muscolari ci metteranno un po' di più ma è completamente fuori pericolo.» Spiegò Alain in tono professionale, gonfiando il petto soddisfatto. «Abbiamo debellato qualsiasi infezione ci fosse in circolo, la temperatura si è abbassata e i battiti si sono regolarizzati.»

«Ne sono contenta, ottimo lavoro.» Sorrise, tamburellando le dita sul materasso. «Hugh e Keran erano preoccupatissimi, e persino Mina ha mostrato un briciolo di sollievo quando le ho detto che stavi meglio.» Nessuna risposta. «Per non parlare del Capitano Cullen-»

«Marian.»

«Quindi mi parli.» Sbuffò, incrociando le braccia. Alain guardò dalla sua parte, inarcando un sopracciglio. Con un cenno del capo, il ragazzo uscì dalla porta, lasciandole sole.

Finalmente, Ruvena si voltò a guardarla. «Non dovresti preoccuparti così per me. Non me lo merito, sono stata un'idiota.»

«Varnell aveva alle spalle anni di combattimento e ti ha colta di sorpresa, non-»

«No, non è per quello.» La interruppe l'altra, scuotendo il capo. «È che mi sono lasciata convincere dalle sue parole contro i Qunari come la zucca vuota che sono, alla stregua di tutti quei pazzi invasati che vi hanno attaccati.»

Marian si morse il labbro, non sapendo cosa rispondere. «Aveva il sigillo della Somma Sacerdotessa, magari...»

«Non gli è nemmeno servito mostrarmelo, Marian.» Rivelò lei, lo sguardo rivolto al soffitto, la mano destra che andava a sfiorare le bende che le fasciavano il torace, giocherellando coi lembi. «Quando mi ha rivelato di voler prendere in ostaggio la delegazione, approfittando che fossero disarmati, l'ho seguito subito. Volevo causare un incidente diplomatico, ho creduto che con il supporto della Chiesa li avremmo finalmente cacciati dalla nostra città.» Sospirò, chiudendo gli occhi. «Se la sua vittima scelta fosse stata qualcun altro, e fossi stata ancora al suo fianco... non so se gli avrei impedito di torturarli. O-» Lasciò cadere la frase in sospeso, le possibilità che fluttuavano sopra di loro. «Non mi merito la vostra apprensione, vi ho traditi tutti.»

Marian ci mise un po' a rispondere. «Senti, ogni tanto capita a tutti di sbagliare. So che detesti i Qunari, e Varnell l'ha sfruttato per convincerti a partecipare al suo piano. E sì, magari non lo avresti fermato, ma non sei l'unica alla Forca che verserebbe volentieri sangue Qunari, ci scommetto. Ma so anche che non avresti mai combattuto al suo fianco contro me e Hugh.»

Ruvena si voltò a guardarla, gli occhi lucidi.

«Saranno gli intrugli di Alain ad averti offuscato la mente, perché altrimenti non mi faresti un discorso simile.» Insistette Marian, decisa. «Siamo amiche da anni, ed entrambe a volte dobbiamo sbattere la testa da qualche parte per capire di aver sbagliato.»

«In ogni caso... ti devo un favore. Grazie.»

Sorrise, stringendole delicatamente il braccio. «Vedi di riprenderti.»


























Note dell'Autrice: Varnell è un verme schifoso, Petrice merita solo badilate in faccia e Ruvena avrà i suoi difetti ma si spera abbia capito la gravità di quanto successo. Certo, il giorno libero di Marian non è stato un granchè, ma almeno la sera prima se l'è goduta... Sebastian come al solito è un pollo, e Kirkwall non sa stare dieci minuti senza un complotto, qualche omicidio e almeno uno o due pazzi assassini a piede libero. 
Alla prossima! :D  

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Capitolo 20
*** Blood and Thunder ***


CAPITOLO 20
Blood and Thunder

 

 


Si trovavano nel salotto della villa occupata da Fenris, svegli nonostante fosse notte fonda.

Varric sedeva in silenzio da un po', lo sguardo corrucciato puntato su Bianca, che teneva in grembo. Era la quarta volta che la lucidava da cima a fondo, e ormai Garrett iniziava a temere che avrebbe continuato così per tutta la notte. Lanciò uno sguardo preoccupato all'amico, incrociando quello di Fenris dall'altra parte del salotto. L'elfo si strinse nelle spalle, facendogli segno di lasciar perdere.

Stava per seguire il consiglio e andarsene, quando uno schiocco lo fece sobbalzare. Un quadrello della balestra vibrava ancora, conficcatosi in profondità nel muro di pietra di fronte al nano.

«Fai pure come se fossi a casa tua.» Disse Fenris, sprofondando nella poltrona.

«Scusa. È che...» Il nano scosse la testa, appoggiando Bianca da un lato. «Merda.»

«Già.» Sussurrò Garrett, le immagini di quella sera impresse bene in mente.

Qualche ora prima, Varric era entrato a casa sua come una furia, esaltato riguardo all'ultima notizia dei suoi informatori: Bartrand era finalmente tornato in città, ed era il momento perfetto di fargliela pagare per averli intrappolati nelle Vie Profonde a morire di stenti. Anders, che aveva passato tutta la giornata a casa degli Hawke, era venuto con loro, e sulla strada avevano incontrato Fenris, che per amicizia con Varric si era offerto di dar loro una mano con gli scagnozzi che il fratello del nano aveva sicuramente assoldato per proteggersi le spalle.

Quello che non si sarebbero mai immaginati, era di trovare suddetti scagnozzi scannarsi per tutta la casa, attaccando chiunque si avvicinasse ma anche uccidendosi tra loro. Per non parlare dello spettacolo raccapricciante che li aveva accolti una volta trovato Bartrand, in una pozza di sangue e cadaveri mutilati.

«Dobbiamo scoprire a chi ha venduto l'idolo di lyrium.» Parlò di nuovo Varric, la voce roca. «Se... se quel'affare è la causa di tutto quello che abbiamo trovato là dentro...»

«Ha detto che l'aveva sentito cantare.» Riflettè Garrett, grattandosi il mento. «E che una volta venduto il Lyrium, non riusciva più a sentirlo come prima.»

«Quella che l'ha comprato a quanto pare “risplendeva come il Sole, ma il cuore era di ghiaccio”... Dannazione, Bartrand, perché devi sempre darmi problemi?!» Sbottò l'amico, alzandosi di scatto in piedi e andando a recuperare il quadrello alla parete, staccandolo con forza. Fissò l'asticella con astio. «Non so se abbiamo fatto la scelta giusta, se persino il biondino non è riuscito a mantenere l'incantesimo-»

«Magari non si risolverà grazie ad un mago.» Lo interruppe Fenris, brusco. «Forse ha solo bisogno di tempo, Varric. E qualcuno che lo tenga d'occhio.»

Garrett gli lanciò un'occhiataccia, ma tacque. Era solo grazie ad Anders che erano riusciti a parlare lucidamente per qualche istante con Bartrand, prima che quello ripiombasse nella follia che gli aveva fatto tagliare a pezzi i servitori per fargli sentire la canzone del lyrium e lo aveva spinto a costringere le guardie a ingerire quella stessa sostanza.

«Questo è certo...» il nano sbuffò, lasciando cadere il quadrello a terra e dandogli un calzio. Andò a recuperare Bianca, stringendola tra le mani. «Sarà ancora di più una seccatura.»

«E dove sarebbe la novità?» Tentò di sdrammatizzare Garrett, alzandosi dalla poltrona sfondata e stiracchiando la schiena. «Coraggio, è inutile stare su a discutere, siamo stanchi morti e il mistero del compratore ignoto non lo risolveremo certo stanotte.»

Varric annuì. «Hai ragione, stavolta. Ci si vede.»

Lo guardarono andarsene, sentendosi un po' impotenti.

«Credi che potrà riprendersi? Bartrand, intendo.» Gli chiese Fenris, una volta che l'amico se ne fu andato. «Con la magia o meno.»

Garrett si strinse nelle spalle. «Onestamente? Non ne ho idea, magari trovando l'idolo riusciremo a trovare una cura, non saprei. Mi dispiace solo per Varric.»

«Forse sarebbe stato meglio se l'avesse ucciso come aveva pianificato, continuando ad odiarlo.»

Non fu sorpreso da quel commento freddo. «Odio essere d'accordo con una cosa del genere, ma... forse sì. Eppure non sarebbe stato giusto.»

«Questo lo potremo sapere solo tra qualche tempo... buonanotte, Garrett.»

«Buonanotte, Fenris. E vedi di non ridipingere altre pareti, per stasera.»

Sentì sfuggirgli un grugnito imbronciato, mentre se ne andava un po' affranto verso l'uscita.

L'aria fredda della sera lo fece rabbrividire. Si avvicinavano ormai alla fine del Mese del Raccolto e alle celebrazioni dei Satinalia, come gli ricordava di continuo da un mese Leandra.

“Sarebbe il caso tu ti accompagnassi con qualche ragazza di buona famiglia, non credi?” Gli aveva detto qualche sera prima, dopo che era tornato all'alba stanco morto da una nottata insonne. Mentre il veleno del Varterral che avevano dovuto uccidere per conto della Guardiana Marethari gli faceva girare la testa come una trottola, aveva dovuto stringere i denti ed evitare di mandare la madre a stendere, rivelandole che no, non aveva alcuna intenzione di presentarsi a tutto l'altolocato vicinato con la figlia di qualche nobilotto al braccio, pur deliziosa che fosse. “Myranda Selbrech ha espresso più volte il suo interesse nei tuoi confronti, e non vedo perché tu non debba almeno concederle una serata...” Storse la bocca, infilando i vialetto di casa e controllando d'istinto che la vicina non fosse come suo solito affacciata tra i rami della siepe: a quanto pareva, era troppo tardi pure per la vecchia megera spiona. In effetti, l'intero quartiere dormiva beato.

Pensò che forse avrebbe dovuto raggiungere Anders giù in clinica, ma il pensiero di dover lanciare altri incantesimi, o di non poter riposare per altre venti ore, lo fecero desistere.

Aprì la porta con cautela, cercando di non svegliare Bu che dormiva in salotto, di fronte al caminetto acceso. La mabari mosse un orecchio, aprendo poi gli occhi sonnacchiosi e lanciandogli un'occhiata di disapprovazione. Si stiracchiò pigramente, avvicinandosi per permettergli di darle una grattatina dietro le orecchie. Non fece in tempo ad appendere la giacca, che lo stava già spingendo con poca delicatezza verso la sua stanza.

«Ah, te l'hanno chiusa eh?» Sussurrò Garrett divertito, girando la chiave nella serratura. Bodahn non approvava che Bu dormisse sul letto, quindi faceva di tutto per tenerla fuori. Ovviamente, suoi sforzi andavano in fumo non appena Garrett tornava a casa.

La mabari si accoccolò comodamente al centro del letto, e quando anche Garrett fu pronto per andare a dormire, dovette spostarla di peso per farsi spazio, ottenendo di dover condividere la coperta con il cane. «Viziata.» Le disse, dandole un colpettino sul fianco.

Per tutta risposta, Bu sembrò sbuffare. Dopo un po', si mise a russare sommessamente.



 

«Signore, c'è qualcuno per voi...»

Sentì Bodahn bussare di nuovo alla porta, e la madre urlargli qualcosa dal piano di sotto.

Allungò il braccio accanto a sé, ma Bu doveva essersi già alzata da un pezzo, perché non era più sul letto. Evidentemente l'aveva fatta uscire proprio Bodahn ore prima. Il nano fuori dalla camera picchiò di nuovo il pugno sul legno, questa volta con più forza.

Si costrinse ad alzarsi, scostando le coperte e rabbrividendo istintivamente quando si rese conto di essere a torso nudo. «Arrivo, arrivo...»

Udì dei passi salire le scale. La porta si spalancò di scatto, ma non era la testa del nano quella che si affacciò dall'uscio.

Anders si infilò all'interno, chiudendo la porta dietro di sé. «È metà pomeriggio, quanto puoi essere pigro?»

Garrett, per tutta risposta, si ributtò sul letto con un grugnito. «Se ci sono altri problemi, non voglio saperne nulla.»

Sentì l'altro avvicinarsi. «Lo so che sembra che ogni volta tutti ti chiedano aiuto...»

Gli lanciò uno sguardo scettico.

«E va bene, ho bisogno di una mano.»

«Lo sapevo.»

Anders lasciò cadere a terra la giacca, sdraiandosi accanto a lui. «Geralt mi ha mandato un messaggio stamattina, quando tu stavi dormendo bello beato.» Iniziò, la voce appena udibile. «Facciamo evadere Ella stasera.»

Garrett aggrottò le sopracciglia, puntellandosi su un gomito. «Non doveva essere tre due giorni?»

«Dice che hanno cambiato i turni di guardia, ci sarà Alrik.»

«Quindi vogliono farlo fuori oggi.»

Anders annuì. «A quanto pare. »

Sbuffò, mettendosi a sedere. «Se questa cosa della Soluzione della Calma è vera...»

«Spero vivamente che tua sorella non c'entri nulla con questa faccenda. Perchè ci sono sempre più Adepti, tra i quali gente che so per certo abbia passato il proprio Tormento.»

Gli lanciò un'occhiata furente. «Sai benissimo che non è così. Marian non approverebbe mai.»

Lo vide fare spallucce.

«Anders.»

«Garrett, è una templare. Non mi fido di nessuno di loro.»

«E io ti dimostrerò che ho ragione, come al solito.»

«Mh, ricordami quando è stata l'ultima volta che hai avuto ragione...?» Lo prese in giro l'altro, avvicinandosi un poco al suo viso.

Garrett lo spinse via, scendendo dal letto e andando verso l'armadio. «Vedrai.»

Sentiva lo sguardo di Anders puntato addosso.

«Per ora, vedo qualcos'altro che mi piace decisamente di più.»

Gli sfuggì una risata, mentre con grande disappunto dell'altro trovava una camicia. «Sono pigro ed è tardi, giusto? Quindi non abbiamo tempo.»

«Sei crudele.»

«Molto.» Prese l'arco e una faretra piena, fissandoseli sulle spalle. «Andiamo?»

Usciti dalla stanza, trovarono Leandra ad attenderli in salotto, le braccia conserte e un cipiglio severo in sul volto. «Garrett.»

«Madre.»

Si squadrarono per qualche attimo, sfidandosi silenziosamente prima che la donna prendesse la parola. «Ho confermato la nostra presenza dai Cavin, e se tu o tua sorella vi azzardate a non presenziare-»

«Marian ha accettato di venire dai Cavin?!» Chiese lui, sgomento. «Seriamente?»

«Oh, ha detto che sarà un vero piacere!» Confermò Leandra, annuendo convinta. «Sai, credo che Rodney possa migliorare con la sua presenza, ha solo bisogno di qualcuno che gli faccia mettere la testa a posto... e poi i Cavin sono una famiglia rispettabile.»

«L'unica cosa che Rodney può ottenere da Marian, madre, è un naso rotto.» Commentò Garrett, scettico sul fatto che la sorella si fosse davvero mostrata così entusiasta di partecipare a quella pagliacciata. “Almeno non sarò da solo...”

«Myranda Selbrech non ha ancora un cavaliere...»

Garrett sbuffò, a disagio. «Madre, ne abbiamo già parlato...»

«Non puoi presentarti ai Satinalia senza qualcuno!» Insistette la donna, impuntandosi.

«E tu non puoi continuare ad insistere sulla Selbrech!»

«Ma caro, pensavo ti piacessero le ragazze bionde, quella Lydia che frequentavi a Lothering-»

«Madre!» Urlò lui, esasperato, cercando di fermarla. «Non ho alcuna intenzione di sostenere questa conversazione! Stiamo uscendo.» Afferrò Anders per un braccio, ignorando gli spasmi di ilarità dell'altro e trascinandolo dietro di sé verso l'uscita a grandi falcate. Afferrò il mantello pesante, quello che già presentava qualche segno di usura, sapendo bene come sarebbe andata la serata.

«Quindi... ti piacciono le bionde.» Sussurrò Anders una volta fuori, scoppiando a ridere di gusto.

Garrett si sentì arrossire. Si grattò la barba, offeso. Un fruscio di foglie annunciò che la vicina era al lavoro, come al solito. Salutò la siepe, suscitando un borbottio irritato in risposta. «Allora, veniamo alle cose importanti: il punto è il solito?»

Anders annuì, facendosi improvvisamente serio. «Ci aspettano alla cisterna un'ora dopo il tramonto.»

«Bene, abbiamo tutto il tempo per fare colazione.»

«Intendi cena.»

Lo guardò con l'aria di chi stava per spiegare come ottenere l'acqua calda. «Qualsiasi pasto dopo essersi svegliati può essere considerato colazione.»

«Solo nel mondo di voi ricconi scansafatiche.» Rimbeccò l'altro, sistemandosi il mantello sulle spalle, l'aria fredda a sollevare qualche piuma. «Scommetto che Rodney sarebbe d'accordo con te.»

A Garrett venne di nuovo da ridere. «Ci pensi, Marian che presenzia ad una delle feste dei Cavin? Sarebbe come vedere un orso sedersi alla tavola imbandita e mangiare un muffin ai mirtilli.»

«Mi spiace di non poter assistere alla scena, ma scommetto che tu e Myranda vi divertirete un mondo.»

Nelle parole del compagno, notò più astio di quello che si aspettava di sentire. Si fermò a fronteggiarlo. «Hei. Lo sai che non ho alcuna intenzione di farci nulla, con la Selbrech o altre.»

Gli occhi di Anders erano freddi. «Eppure non hai ancora detto a nessuno il contrario.»

Deglutì a vuoto. «Solo perché...»

Il guaritore sbuffò, voltandogli le spalle e ricominciando a camminare. «Non fa niente, Garrett, me ne sono fatto una ragione ormai.»

Si morse la lingua, dandosi dell'imbecille. Non aveva tutti i torti. Anders lo faceva stare bene, passare il tempo in quel modo pure, e con l'altro aveva provato cose che nemmeno avrebbe sognato di fare, eppure... “Eppure, non vuoi dirglielo”, gli sussurrò una vocina dalla sua coscienza, che aveva vagamente il tono pungente e petulante di Isabela.

Si riscosse, allungando il passo e affiancandosi all'altro mentre procedevano in silenzio in cerca della cena. Passarono di fronte alla forneria di Elin e Rasiel, incrociando le ragazze che stavano ormai chiudendo il locale.

«Messere Hawke!» Lo salutò la prima, gettando un grosso sacco della spazzatura nel bidone del vicolo e facendo cenno alla sorella. «Serah Anders.»

Si scambiarono un paio di convenevoli, poi Rasiel, che delle due era quella più intraprendente, si lanciò in un'invettiva accorata contro il proprietario del forno, il vecchio Earl, che a quanto pare ne aveva combinata un'altra delle sue. «E se stavolta non salda i debiti, invece che spendere la metà dei guadagni alla Rosa, rischiamo di perdere tutto!»

«Coraggio, non può andare così male.»

«Abbiamo scoperto oggi che ha ipotecato il forno, Messere.» Spiegò Elin, affranta, sfilandosi il grembiule a scacchi e piegandolo accuratamente prima di infilarlo nella borsa che teneva a tracolla. «Se non salda i debiti con la banca entro la fine dell'anno, sarà costretto a chiudere.»

Garrett corrugò la fronte. «Ma almeno ha ricominciato a pagarvi, vero?»

Rasiel mise le mani sui fianchi, furente. «“Siamo in un periodo di magra, orecchie a punta, tutti dobbiamo fare dei sacrifici!” Quel bastardo si sta tenendo tre sovrane al mese, e sappiamo benissimo tra le gambe di chi vanno a finire!»

«Serendipity sarà entusiasta.» Commentò Anders, che aveva avuto più di una volta la prostituta nella sua clinica per un controllo.

«Sì, beh, è l'unica qua.» Ribattè tagliente Rasiel. «Quel-»

La sorella le diede una gomitata, facendole segno di abbassare la voce. Un gruppetto di ragazzotti ben vestiti si affrettò a distogliere gli sguardi, attirati dall'invettiva dell'elfa.

«Vi riaccompagnamo a casa?» Si offrì Garrett, preoccupato.

«Siete troppo gentile, come sempre Messere, ma non è necessario.» Rispose Elin, arrossendo lievemente. «Siamo invitate in città bassa per una cena.»

«Ah, capisco! Chi sono i fortunati?»

«Elvin e Varel, lavorano per voi alla compagnia di spedizioni!» Rispose prontamente Rasiel, che evidentemente non vedeva l'ora di vuotare il sacco.

Garrett annuì. Erano due elfi silenziosi ma affidabili, a cui aveva affidato la gestione del magazzino. Avevano una sorella che lavorava come sarta, sua madre commissionava spesso abiti da lei. «Allora buona serata. Divertitevi, vedrete che il vecchio Earl anche questa volta troverà il modo di tirarsi fuori dagli impicci.»

Le due li salutarono, un po' più sollevate.

«Hai intenzione di comprare il forno, vero?» Gli chiese Anders una volta che si furono accomodati ad uno dei tavolini fuori della Locanda della Pietra Grezza, nel quartiere nanico. «Conosco quel sorrisetto.»

Garrett scrollò le spalle. «È ora che qualcuno sollevi dall'incarico quel tizio, è un incapace. E ha campato per anni sulle spalle di quelle poverette, prendendosi tutta la gloria quando non fa altro che andare alla Rosa, spendendo e scommettendo più soldi di quelli che può guadagnare.»

«Come reagiranno quassù alla notizia che il forno più gettonato della Città Superiore è gestito interamente dagli orecchie a punta?»

Afferrò il boccale davanti a sé, prendendo qualche sorso di birra ambrata. Aveva un retrogusto di miele. «Se ne dovranno fare una ragione. In fondo, la qualità ha un prezzo.»

Lo sguardo di Anders era tra l'ammirato e il divertito. «Sei incredibile.»

«Sì, me lo dicono spesso.»



 

Due ore dopo, camminavano in un lungo tunnel di pietra, scavato in profondità sotto le fondamenta della Forca. Le pareti erano piene di muffa e muschio, l'aria fetida. Il bastone di Anders illuminava il corridoio quel tanto che bastava a vedere a distanza di tre o quattro metri, in modo da non dare troppo nell'occhio. Ogni tanto incappavano in strani funghi luminescenti, che crescevano attorno ai tubi delle vecchie cisterne dell'acqua.

«Mi chiedo come abbiano fatto a scoprire questi passaggi.» Disse Garrett, ammirando un fungo particolarmente grosso e chiedendosi se avesse qualche proprietà utile.

«Il Carta li usa regolarmente per far entrare e uscire carichi di lyrium raffinato.» Rispose Anders, girando a destra in un bivio senza indugi. «Certo, con Meredith devono stare più attenti, ma di certo non si lasciano intimidire da un paio di templari in più a guardia delle cantine.»

«Questo perché probabilmente saranno i loro migliori clienti.» Commentò Garrett, amaramente. Ultimamente, non solo si vedevano molti più Adepti della Calma nel cortile sotto la Forca, ma anche parecchi templari con i tipici sguardi vacui da chi aveva assunto il lyrium per troppi anni. E alcuni non erano nemmeno così vecchi. Si chiese, con un nodo alla gola, quanto ci avrebbe messo la sorella a mostrare i primi sintomi. Non voleva che diventasse come Samson, un giorno, o come quel poveretto che qualche settimana prima si era perso tra le grotte della costa ed era stato recuperato in fin di vita e in stato confusionale, giurando di aver seguito le orme di Andraste.

Il tunnel che stavano percorrendo si aprì in una grotta alta circa due volte loro, con altri tre cunicoli che si diramavano da lì nell'oscurità, seguendo i tubi arrugginiti che partivano dalla grossa cisterna ormai in disuso vicino a loro. Si fermarono ad aspettare.

«Sono in ritardo.» Sussurrò Anders a denti stretti.

«Non sono mai in ritardo.»

«Ben detto, cugino.» La voce conosciuta li fece sobbalzare.

Da un passaggio alla loro sinistra, comparvero tre figure. Geralt, i capelli rossi raccolti in uno chignon sulla sommità del capo che riflettevano la luce scarlatta emessa dal suo bastone magico, li salutò con un cenno del capo. «Vi siamo mancati?»

Jowan, dietro di lui, sorrise in segno di scuse. Aveva i capelli un po' più corti di come lo ricordava, e la barba curata. «Abbiamo portato rinforzi.» Indicò la terza persona dietro di loro: quando entrò nel cono di luce, i due sobbalzarono.

«Adaar?»

La qunari - “anzi, Tal-Vashoth” - che tre anni prima gli arrivava appena alle spalle, ora lo superava di tutta una testa. Le corna erano leggermente più lunghe e incurvate, e da metà sembravano completamente ricoperte di metallo. “Forse, sono solo di metallo”, pensò ricordandosi che i Qunari gliele avevano troncate. Gli occhi viola restarono impassibili, mentre arricciava le labbra in un sorriso appena accennato, le cicatrici nei punti dove gliele avevano cucite ancora chiaramente visibili. «Hawke. Anders.»

Avrebbe voluto chiederle un sacco di cose, ma Geralt lo precedette, interrompendo qualsiasi tentativo di chiacchiere. «Non abbiamo tempo da perdere. Ella dovrebbe essere già sulla strada, se ha seguito il piano.»

«Aspetta, non dovevamo-?»

«Andarla a recuperare noi stessi, su alla Forca?» Lo interruppe il cugino, sbuffando. «Certo che no, sarebbe stato un rischio inutile, nel caso quel cretino di Alrik o uno degli altri fosse riuscito a dare l'allarme ci saremmo ritrovati l'intero Ordine contro.» Li condusse in uno dei tunnel sulla destra, con sicurezza. «No, Ella scapperà da sola nel tunnel aperto da uno dei nostri amici del Carta, e quel fesso la seguirà poco dopo, cadendo dritto nella nostra trappola.»

«Cosa intendi con la seguirà”..?»

Il mago si girò, un ghigno sul volto. «Qualcuno l'ha gentilmente avvisato del tentativo di fuga della giovane maga. Non resisterà a gettarsi all'inseguimento. Quel porco non vede l'ora di avere una buona scusa per approfittare di una preda inerme e tremante, alla sua completa mercè.»

«Ma se la scovasse prima?!» Si infervorò Anders, afferrandogli il braccio. «Non era nei piani!»

Geralt si liberò dalla presa con uno strattone, stizzito. «I piani cambiano. Lo vuoi morto quanto noi, non fingere altrimenti.»

«Abbiamo fatto in modo che non venisse avvisato prima che Ella entrasse nella cantina.» Spiegò Jowan, lanciando un'occhiataccia al compagno. «Non corre alcun rischio.»

Lasciarono cadere la conversazione, ma Garrett sapeva che Anders non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere: una volta usciti da lì, gliene avrebbe dette quattro. Ultimamente la Resistenza si faceva sempre più intraprendente, anche a rischio degli stessi maghi che dovevano aiutare. “Per non parlare delle strane voci che circolano su alcuni di loro...”

Una voce acuta lo distolse dalle proprie elucubrazioni.

«No, vi prego, vi prego!» Il lamento terrorizzato della ragazza rimbombò nel cunicolo, facendogli accelerare il passo. «Volevo solo vedere mia madre, non volevo scappare!»

«“Non corre alcun rischio”, eh?!» Sibilò Garrett, furente.

Vide Jowan lanciare uno sguardo di rimprovero a Geralt, che non fece una piega ma strinse soltanto il bastone magico con più forza. Ormai mancavano pochi metri alla fine del tunnel, potevano vedere il meccanismo della porta nascosta riflettere la luce.

«Quindi oltre ad essere una fuggitiva, sei anche una piccola bugiarda.» La voce viscida di Alrik gli fece salire un brivido lungo la schiena. Il bastardo si stava godendo il momento.

«Vi prego, farò qualsiasi cosa, ma non fatemi diventare un'Adepta, vi scongiuro!»

«Oh, ma dopo che ti avrò sottoposta al Rituale, farai tutto quello che voglio...»

Una serie di risate sguaiate segnalarono che non era da solo.

Accanto a lui, vide Anders stringere i denti in una smorfia di dolore. Per un attimo, quasi impercettibile, avvertì Giustizia prendere il controllo del compagno. «Anders-»

Geralt, davanti a loro, azionò il meccanismo che apriva il passaggio segreto delle vecchie cisterne. «E tu farai quello che vogliamo noi, Alrik?» Chiese, il Velo che si piegava tutto attorno a lui, l'energia che vorticava già impetuosa.

Il templare si girò, allarmato. I suoi tre compari portarono le mani alle armi, mentre lanciavano un'ondata antimagia contro i maghi.

Geralt fu più veloce: la bomba infuocata spazzò via uno dei templari, arrostendolo vivo nell'armatura di metallo mentre quello urlava di dolore, cadendo a terra fumante.

Garrett ignorò l'improvvisa spossatezza che lo aveva colpito, lasciando andare la freccia già incoccata, che si piantò nel terreno di fronte alla maga fuggiasca. Ella saltò dietro una roccia, evitando per un soffio di essere afferrata da uno dei templari, una montagna di muscoli dalla folta barba e uno spadone a due mani, che ruggì e caricò rabbioso i maghi della Resistenza.

La seconda freccia di Garrett si incastrò al lato opposto della parete, mentre Adaar lo superava di corsa. Con sgomento, la vide sollevare quello che non poteva essere un bastone da mago, ma che sembrava più un maglio da guerra. Quando l'arma si schiantò violentemente contro il templare, interrompendo bruscamente la sua corsa in una cacofonia di ossa e metallo, non si aspettava certo il grosso spunzone di ghiaccio che comparve dal terreno, impalando a due metri da terra ciò che restava dell'uomo, per poi esplodere mandando tutti in pezzi.

Il terzo mirò alla tal-vashoth con un arco, ma la freccia rimbalzò sulla barriera protettiva innalzata da Jowan, che sbattè il bastone sul pavimento di pietra per poi puntarlo sull'arciere: un dardo luminoso si andò a schiantare contro la parete dietro di lui, il templare che si era gettato a terra all'ultimo secondo.

L'aura antimagia successiva non li colse impreparati.

Garett centrò il pavimento una terza volta. Alrik lo guardò vittorioso, tre metri appena che li separavano, sollevando la spada per colpirlo con un potente fendente alla testa...

Che venne bruscamente interrotto da una scarica, che lo rispedì indietro con uno schiocco da spaccargli i timpani, l'armatura che fumava, paralizzato ed intrappolato nella sua rete elettrica.

«Però, bel lavoro!» Commentò Geralt con un cenno del capo, mentre indirizzava una nuova pioggia di fuoco verso l'arciere templare. Le urla che seguirono e il puzzo segnalarono che l'aveva preso in pieno.

Garrett si girò alla ricerca di Anders, trovandolo inginocchiato accanto alla ragazza, Ella.

«Grazie, vi sono debitrice.» Sussurrò lei, rialzandosi in piedi tremante.

«Non avresti dovuto nemmeno incrociarli.» Disse il guaritore, lanciando uno sguardo furente a Geralt. «Se fossimo arrivati un istante più tardi-»

«Ma non è successo.» Lo condì via l'altro con un gesto della mano, gli occhi puntati su Alrik che brillavano maligni. «Purtroppo per te, vero?»

Il templare perdeva sangue da un orecchio, e i segni della scossa ricevuta correvano da un lato del volto fin sotto al collare dell'armatura. Biascicò qualcosa, sputando un grumo di sangue per terra. «Maledetti schifosi, me la pagherete-»

Jowan chinò il capo da un lato, pensoso. «No, non credo.» Tutto attorno al prigioniero l'aria si fece improvvisamente gelida, mentre una colonna di ghiaccio lo sollevava da terra quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi senza doversi chinare. «Allora, la tua Soluzione della Calma...»

Alrik scoppiò a ridere come un folle, gli occhi fuori dalle orbite. Garrett non potè evitare di notare che erano innaturalmente azzurri, lo stesso colore delle fialette di Lyrium che i templari ingerivano.

«Elthina non capisce un cazzo, e Meredith è una sciocca se pensa di non avere bisogno dei miei consigli, ma non importa...» Sputò di nuovo per terra, contorcendo il viso in una smorfia di dolore. «Val Royeaux mi darà ascolto.»

«Quindi, non hai avuto fortuna a convincere nessuno delle tue stronzate, eh Alrik?» Lo sbeffeggiò Geralt, facendoglisi più vicino. «Che peccato, e pensare che ora farai il lavoro sporco per noi...»

L'espressione del templare mutò in confusione.

«Geralt, che intendi-?»

«Sta' buono, Anders.» Lo zittì l'altro, mentre estraeva dalla tasca qualcosa.

Con suo grande orrore, Garrett lo vide avvicinare un piccolo coltello alla gola dell'uomo, incidendogli la pelle quanto bastava per fargli scendere delle piccole gocce scarlatte. Ritirò il pugnale solo dopo che la lama fu rossa di sangue, afferrandola con l'altra mano e stringendo.

Un'aura sinistra avvolse entrambi, mentre il Velo vibrava in modo innaturale, facendogli rizzare i capelli in testa. “Magia del sangue”, pensò, immobilizzandosi. Era diversa da quella che usava Merrill, e anche il luccichio negli occhi divertiti di Geralt era qualcosa di completamente nuovo.

Un urlo lo riscosse, attirando la sua attenzione.

Ella, terrorizzata, si divincolava dalla stretta ferrea di Adaar, che sembrava non essere minimamente coinvolta dalla situazione. «Lasciatemi, maghi del sangue, lasciatemi!» Urlava la ragazza.

«Adaar, falla tacere, ho bisogno di concentrarmi.» Disse con tono annoiato Geralt, senza interrompere il suo incantesimo. Il templare si stava agitando convulsamente, avviluppato da decine di tentacoli scarlatti e fumosi. Prima che la ragazza potesse rispondere, però, un'altra voce echeggiò nella caverna.

«Lasciala andare subito

“Cazzo, Giustizia.” Distratto dalla magia del sangue e da come il Velo si era piegato tutto attorno, non aveva notato la sua comparsa. Si voltò appena in tempo per vedere Anders, ormai completamente posseduto dallo spirito, gli occhi che brillavano di bianco e i lineamenti deformati dalla rabbia, scagliarsi contro Adaar, venendo fermato appena in tempo da una barriera luminescente.

Jowan, il bastone alzato davanti a sé, lo guardava sbigottito. «Anders...?»

Con un'esplosione, Giustizia si liberò della barriera, lanciandosi contro l'amico che non potè far altro che indietreggiare ed erigerne un'altra.

«Ma che cazzo fai?!» Urlò Geralt, furente, interrompendo qualsiasi cosa stesse facendo e scagliando una runa di paralisi contro il guaritore. La runa esplose subito dopo, riuscendo soltanto a rallentarlo.

Jowan venne scagliato all'indietro, la barriera che andava in frantumi mentre Giustizia sollevava la mano, pronto a colpire di nuovo.

Una palla di fuoco lo colpì in pieno petto, sbalzandolo via e facendolo cozzare contro la parete parecchi metri dietro di sé. Si accasciò per un attimo, per poi rimettersi in piedi barcollando, una luce azzurrina che lo avvolgeva completamente. «Traditori! Tutti voi!» Ringhiò, preparandosi a colpire di nuovo.

Geralt si fece avanti, la sfera sul bastone magico ora di una scurissima tonalità di rosso mentre veniva avvolto da una nube dello stesso colore. «Non sei nella posizione di giudicare nessuno, Abominio.» Ribattè gelido, tentacoli di magia che si innalzavano minacciosamente attorno ad Anders, circondandolo, pronti a colpirlo.

«Basta!» Gridò Garrett, frapponendosi tra i due prima che potessero attaccarsi sul serio. «Siamo dalla stessa parte, maledizione, calmatevi!»

Sentì l'ondata di magia di Giustizia colpirlo prima ancora delle sue parole. «Sei anche tu uno di loro?!» Venne sbattuto contro la parete, mentre la mano di Anders si stringeva attorno al suo collo, togliendogli il fiato. Cercò di dibattersi, ma non voleva fargli del male, concentrò il mana per colpirlo con una scarica di energia che si sprigionò tutto attorno a lui, costringendo Giustizia a ritirarsi con un urlo di rabbia, cadendo a terra.

Prima che potesse di nuovo colpirlo, però, Anders si fermò di botto, crollando in ginocchio con un gemito di dolore acuto. «No, non lui!» «Pagherà! Pagheranno tutti!» «NO!»

Un flash di luce, e il guaritore si afferrò il capo con le mani, scosso dai sussulti.

«Cosa cazzo era quello?!» Ringhiò Geralt, che non accennava a lasciar andare l'incantesimo, l'arma puntata ancora verso Anders.

Jowan, un taglio a lato del capo, era corso accanto al compagno. Gli mise una mano sul braccio per calmarlo, ma anche lui stringeva ancora la propria arma, guardingo. «Che sia una spiegazione convincente, Anders.»

Garrett arrancò verso l'amico a terra, per controllare che fosse di nuovo lui. Quando incontrò gli occhi color miele dell'altro, tirò un sospiro di sollievo.

«Ho chiesto cosa cazzo era quello.» Ripetè a denti stretti Geralt, che tuttavia aveva impercettibilmente abbassato il braccio.

«Potrei chiederti la stessa cosa.» Sibilò il guaritore, lanciandogli un'occhiata ferita. «Magia del sangue, Geralt, davvero? Cosa credevi di fare?!»

L'altro sbattè il bastone per terra in una pioggia di scintille, indicando il templare che ormai penzolava inerte, perdendo sangue dalle orbite vuote, dal naso e dalla bocca. «L'avresti saputo, se non mi avessi interrotto con- con che cosa, eh? Una nuova forma di abominio?»

Anders si alzò in piedi, barcollando in avanti per un attimo ma respingendo furente l'aiuto di Garrett. «Mi sono unito ad uno spirito di Giustizia, d'accordo, e quindi?! Tu sai tutto di abomini, vero?! Sono stati i maghi della Resistenza a compiere quelle stragi quest'estate, e voi con loro, non provare nemmeno a negarlo!» Urlò, fuori di sé dalla rabbia, puntandogli un dito contro. «La maga del sangue, Tarohne, quella che era riuscita ad infiltrare l'Ordine Templare anni fa... aveva detto di non agire da sola.»

Garrett, con orrore crescente, iniziava a fare due più due. Scosse la testa, non volendo crederci, posando lo sguardo sul cugino. La strage nella tenuta degli Chaney, il sanguinoso ritrovamento della famiglia Mander...

L'espressione furente di Geralt si tramutò in un sogghigno, mentre scoppiava in una risatina. «E così ci siete arrivati, complimenti, alla buon'ora.» Fece due passi avanti verso di loro, trovandosi faccia a faccia con Anders. «Sì, è vero. Tarohne non agiva da sola, dietro di lei c'era tutta una piccola cricca di maghi con grande inventiva, e hanno accettato entusiasti di contribuire alla causa. Credi che la Resistenza sia nata solo grazie a dei poveri maghi scappati dal Circolo, un gruppetto di pisciasotto che appena acquistata la libertà non vedono l'ora di fuggire al sicuro tra i boschi?» Scosse la testa, il ghigno di scherno che si allargava. «No, cari miei. I Templari hanno le loro armi, ci cacciano come delle bestie, non sono altro che mostri assetati di sangue. A loro non importa di cosa siamo colpevoli, se di orrendi crimini o di essere semplicemente nati. E allora, cosa importa? Se serve allo scopo, useremo tutte le armi a nostra disposizione.» Indicò il cadavere di Alrik con un cenno del capo. «La feccia come lui non vuole altro che vederci in ginocchio, imploranti, mentre ci privano della nostra umanità.»

«Come puoi parlare di umanità, quando-» Anders scosse la testa, guardandolo ferito. «Ho sentito come hanno trovato quei corpi, Geralt. Non erano nemmeno templari, soltanto sacrifici umani!»

«Sacrifici necessari, per la libertà di tutti i maghi del Thedas.»

«Parli come un Tevinter.»

Geralt rise di nuovo. «E se fosse? È davvero così male, puntare ad un mondo in cui invece che avere paura di esistere, sono gli altri che hanno paura di noi? Pensaci bene, Anders, stai difendendo gli stessi bastardi che ti hanno strappato Karl.»

«Sei tale e quale ad Uldred!»

Il mago assottigliò gli occhi. «Uldred era un imbecille, si è lasciato consumare dal suo potere ed è caduto in pasto ad uno stupido demone. Io ho imparato a servirmene per i miei scopi, per aiutare tutti noi. Mi rincresce che tu sia troppo cieco per vederlo.»

«La magia del sangue corrompe la mente di chi la usa, Geralt, dovresti averlo ormai capito.» Ribattè Anders, a muso duro. «E non ti azzardare neanche a tirare in ballo Karl, lascialo fuori dai tuoi vaneggiamenti da pazzo.»

Geralt lo squadrò dall'alto in basso, schioccando la lingua. «È evidente che non sei ancora pronto per la dura verità, amico mio. O noi, o loro. Ma ben presto te ne accorgerai. Tutti se ne accorgeranno, quando l'intero ordine prestabilito crollerà dalle fondamenta. E quando la polvere si poserà a terra, saranno le nostre azioni a decidere chi si solleverà dalle macerie.» Fece un cenno a Jowan, che per tutto quel tempo era rimasto alle spalle del compagno, pronto a difenderlo nel caso Anders fosse stato posseduto di nuovo o avessero deciso di attaccarli. «Andiamocene, qui ormai non abbiamo più nulla da fare.»

«La ragazza?» Chiese Jowan, lanciando uno sguardo ad Ella, che era svenuta tra le braccia di Adaar.

La tal-vashoth piegò leggermente il capo da un lato, in attesa di un ordine.

«Lasciagliela, non sembrava entusiasta di conoscerci.» Rispose Geralt con un cenno della mano.

Adaar annuì. Per un attimo, Garrett temette che avrebbe semplicemente lasciato cadere a terra la ragazza svenuta, ma la tal-vashoth si chinò lentamente, appoggiandola con delicatezza sul terreno.

«Garrett.»

Si voltò verso il cugino, ancora in preda ad un turbine di confusione, rabbia e impotenza.

«Vedi di decidere dove sta la tua lealtà.» Lo avvisò Geralt, dandogli le spalle. «Non ci sono amici o familiari, dall'altra parte della barricata.»



 

Tornarono in silenzio verso la clinica.

Ella, dopo essersi svegliata, aveva cacciato un urlo di terrore, intimando di starle lontani e scappando fuori dalla clinica. Garrett aveva dovuto inseguirla per almeno dirle come fare ad uscire dalla città, indirizzandola da un capitano della sua compagnia che aveva più volte trasportato maghi fuggiaschi negli ultimi mesi.

«Spero solo non si rimetta nei guai prima di dopodomani, le ho detto di starsene buona ai magazzini, ma temo non mi dia retta.» Lo sguardo perso nel vuoto di Anders lo fece zittire. Sospirò, sedendosi sulla branda accanto a lui. La clinica era stranamente deserta, fatta eccezione per due elfi della Cerchia, che dormivano profondamente dopo dosi massicce di antidolorifici.

«Non posso credere che me l'abbiano tenuto nascosto per tutto questo tempo.» Scosse il capo l'altro, torcendosi le mani. «E il pensiero che avrei potuto ucciderti...»

«Anders, hai perso il controllo solo per un attimo, non è così grave.»

«Non è così grave?!» Alzò la voce il compagno, voltandosi verso di lui, allucinato. Uno dei due elfi si mosse sotto la coperta di lana. Gli lanciò uno sguardo preoccupato, prima di abbassare il tono di voce. «Certo che è grave, come puoi difendermi?!»

«Con quello che quei due ci hanno combinato sotto il naso, non sono stupito che Giustizia si sia infuriato. Non è colpa tua.»

«Non capisci? Certo che è colpa mia, dovrei tenerlo sotto controllo, non-» si alzò in piedi, facendo avanti e indietro per la stanza un paio di volte, le mani tra i capelli. «Se non mi avessi fermato, mi avrebbe consumato. A volte non so nemmeno più riconoscere il mio amico spirito, ormai ciò che sembra essere rimasto è solo... Vendetta. Una cieca furia che ho dimostrato di non essere più in grado di sopire.»

«È stato solo un incidente.» Insistette Garrett, cercando di avvicinarsi a lui. «Anders. Guardami.»

L'altro, dopo un attimo di esitazione, obbedì.

Gli prese delicatamente le mani tra le sue, allacciando i loro sguardi. «Ho promesso che ti avrei aiutato, e intendo farlo.»

«Come puoi voler aiutare un Abominio?» Sussurrò Anders, gli occhi lucidi. «Non c'è niente che possa fare, lo sento dentro di me, lotta ogni giorno con più veemenza. Chiudo gli occhi la notte e non so distinguere il suo odio dalla mia angoscia, ho paura di svegliarmi un giorno con le mani grondanti di sangue e non sapere se è di un templare o di qualcuno che amo.» Deglutì a vuoto, posando il capo nell'incavo della sua spalla, scosso da un tremito. «Un giorno anche tu mi guarderai come se fossi un mostro.»

Lo strinse a sé con forza. «Questo mai.» Sussurrò, le dita che si intrecciavano nei capelli dell'altro.

Lo sentì tirare su col naso. «Sta tutto crollando a pezzi, e non credo di poter resistere a lungo.»

Gli accarezzò il capo, non accennando a lasciarlo andare. «Se iniziamo a cedere, l'intera Resistenza ne pagherà il prezzo. Abbiamo iniziato qualcosa di più grande di noi, qualcosa di troppo importante per mollare proprio ora.» Gli baciò la fronte, cercando di rassicurarlo. «Quando pensi di non farcela, ricordati di tutti quelli che sono vivi grazie a te. I tuoi pazienti, i maghi che abbiamo salvato dalla Forca, e anche tutti quelli che non ce l'hanno fatta, combattiamo ogni giorno anche per loro. Non ci serve vendetta, ma giustizia.»

Anders si aggrappò a lui con più forza. «Come possiamo dire di combattere per tutti loro, quando siamo l'esempio del peggior risultato che la libertà dei maghi può dare?» Scosse il capo, inspirando rumorosamente. «Maghi del sangue e abomini, e pretendiamo che le persone comuni si interessino alla nostra causa quando siamo i primi a-»

«A cosa, Anders?» Lo spronò Garrett, allontanandolo quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi. «A fare ciò che serve per tenerci in vita? A denunciare i soprusi che quelli come noi subiscono ogni singolo giorno, col benestare della Chiesa e dell'intera società? Sei stato tu a farmi aprire gli occhi, a farmi capire che dovevo fare qualcosa per loro, anche se non ho mai sperimentato sulla mia pelle quello che avete subito tu, Karl e tutti gli altri.»

Anders si ritrasse un poco. «Non è abbastanza. Quello che stiamo facendo, tutto quello che abbiamo ottenuto in questi anni, non...» Strinse il pugno, abbassando la voce fino ad un sussurro. «Forse Geralt e Jowan hanno ragione. Perché dovremmo farci scrupoli, quando dall'altra parte non esitano a trattarci come mostri? Forse, l'ultima cosa che dovremo sacrificare in questa lotta siamo noi stessi.»

Garrett non seppe cosa rispondere. La magia del sangue lo aveva sempre spaventato in passato, ma ogni volta che la vedeva usata da Merrill non sembrava altro che un modo diverso di attingere al potere che aveva anche dentro di sé. “Però Merrill non ha mai usato il sangue di qualcun altro...” Rabbrividì al ricordo del gelo che l'aveva pervaso quando Geralt aveva iniziato il suo sinistro incantesimo sul templare. «Cosa credi stessero facendo?»

«Quello che hanno già fatto.» Rispose Anders, sussurrando. «Si stanno infiltrando nell'Ordine Templare, e probabilmente l'idea è di estendersi anche tra le alte cariche della città, tra i nobili, i mercanti... L'hai sentito, quando ha detto di aver imparato a servirsi dei demoni. Tarohne era solo la punta dell'iceberg, hanno proseguito col suo piano.» Si passò una mano sulla fronte, sospirando. «Non dovrei essere così sorpreso del fatto che la Resistenza sia piena di maghi del sangue. Un mago alle strette finisce quasi sempre a chiedere aiuto ai demoni.»

«Nè Geralt né Jowan sembravano posseduti, però.»

Anders annuì. «Non so se sia un bene o un male, ho paura di quanto in là si possano spingere, e il fatto che lo stiano facendo di propria volontà... se dovessero fallire, l'intera città sarà assetata del sangue di ogni singolo mago, colpevole o innocente. Avremo solo dimostrato che hanno ragione a rinchiuderci come criminali pericolosi.»

Garrett fissò una crepa sul muro, in silenzio, seguendo come si arrampicava per tutta la parete, serpeggiando verso l'alto in una serie di curve, diramazioni e piccoli buchi nell'intonaco. «Prima o poi, succederà comunque. La Resistenza continua a lottare, i Templari a schiacciarci a terra, ma questa guerra sotterranea non resterà segreta per sempre.»

Anders posò la mano sulla sua, stringendola con delicatezza. «Pensi che abbiano dei templari sotto il loro controllo mentale per fargli compiere qualche crimine orrendo, e mettere sotto processo Meredith e gli altri?»

«L'unica cosa che so, è che ormai è tardi per fermarli. E forse non dovremmo nemmeno farlo, ma ho paura per Marian. E per tutta Kirkwall, in realtà, ma il mio primo pensiero è per lei.» Ricambiò la stretta, prendendo un bel respiro. «Sono contento che Carver non sia qui a dover decidere che parte prendere.»

«Non voglio credere che Geralt possa sceglierla come bersaglio. Siete pur sempre di famiglia.»

Scosse il capo. «L'ha detto anche lui: “non ci sono amici o familiari, dall'altra parte della barricata.”» Ripetè quelle parole, che gli rimbombavano nella mente. Se avesse scelto proprio Marian come prossima vittima? «Non so come proteggerla, se pensasse che c'è sotto qualcosa, alzerebbe un polverone pazzesco, metterei in pericolo l'intera Resistenza.»

«Li terremo d'occhio noi, allora.»

Lo guardò sorpreso.

«Non siamo ancora pronti per una guerra. Forse c'è ancora qualche speranza di risolvere la cosa pacificamente, e vale la pena provare.» Spiegò Anders, il volto teso e stanco. «Per ora abbiamo il sostegno di molti cittadini comuni, familiari o amici di maghi rinchiusi al circolo o in fuga, ma se dovessimo alienarci la popolazione, Meredith potrebbe ottenere senza troppe difficoltà una Soluzione della Calma, o peggio. Persino un Diritto di Annullamento, nel caso decidesse che l'intera Forca sia infestata di maghi del sangue e abomini.»























Note dell'Autrice: qualcosa si muove, verità sono venute a galla e in seno alla Resistenza cominciano le prime divergenze di intenti e opinioni. Geralt e Jowan si sono evoluti come personaggi da quando li abbiamo lasciati. Di questo lato spregiudicato di Geralt ne abbiamo avuto un assaggio quando si è vendicato sul Comandante Gregoir, e da lì sono passati altri tre anni e passa, in cui ha maturato sempre di più le sue convinzioni. Nel bene o nel male, potremo giudicare solo in futuro.
Garrett è sempre più tra due fuochi, ma forse non è ancora il momento di scegliere una fazione in maniera esclusiva. 
Come dice Flemeth, "men's hearts hold shadows darker than any tainted creature". 
Alla prossima! :D 

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Capitolo 21
*** Satinalia I ***


CAPITOLO 21
Satinalia - Parte prima


 

 

Era una bella giornata. Una di quelle rare, a Kirkwall, dove nonostante fosse ormai quasi inverno il sole splendeva in un cielo terso, l'azzurro che incontrava il blu profondo del mare sotto di loro. Il rumore delle onde che si infrangevano violentemente sulla scogliera a picco, i richiami dei gabbiani che volavano a pelo d'acqua innalzandosi verso le rocce dove andavano poi a posarsi, il vento freddo che soffiava impetuoso portando l'odore della salsedine, tutto si mescolava in una musica molto diversa dai soliti rumori cittadini.

Bu, il naso puntato verso l'alto, fissava intensamente gli uccelli.

Marian inspirò la libertà a pieni polmoni, godendosi per un attimo la tranquillità del luogo, chiudendo gli occhi. Avrebbe voluto restare lì sospesa fino al giorno seguente, quando sarebbe tornata felicemente alla Forca, senza alcuna scocciatura... L'espressione severa di Leandra Hawke le balenò davanti, così come la sua minaccia di trascinarla per un orecchio di fronte all'intero Ordine se non si fosse presentata al ballo in maschera dei Cavin quella sera. «Maledetti Satinalia.»

«Tesoro, se stai pensando di buttarti giù per evitarli, temo che tua madre possa recuperarti anche là sotto. Era piuttosto agguerrita.» Isabela le mise un braccio attorno alle spalle, sogghignando.

Sbuffò. «Lo so, purtroppo. Sarà una tortura.»

«Puoi sempre mangiare a sbafo, trangugiare l'intera cantina dei Cavin e prenderla come scusa per quando spaccherai la faccia a Rodney.» Si intromise Fenris. «Perchè sai che è inevitabile.»

Marian grugnì il proprio disappunto. «Se non tiene le mani a posto, lo farò.»

«Ragazzona, se una templare spacca la faccia al figlio del Siniscalco è reato?»

Aveline finse di pensarci su un attimo. «Date le circostanze, potremmo chiudere un occhio.»

Isabela battè le mani, soddisfatta. «Perfetto, puoi prenderlo a legnate col vassoio dei bignè.»

«Garrett lo adorerebbe.» Scoppiò a ridere Marian, alla ricerca di un posto dove fare colazione. Il cestino dei dolci che Aveline teneva in mano emanava un profumo celestiale, aveva l'acquolina in bocca da quando erano passati a prenderlo alla Forneria di Earl. “Ex Forneria di Earl”, pensò mentre si sedeva a terra, Isabela che prendeva posto accanto a lei e rubava il cestino dalle mani del capitano, causando l'ennesimo battibecco.

«Sono ancora più buone del solito, vero?» Commentò deliziata la pirata, masticando rumorosamente una frittella alla crema e ignorando l'occhiataccia di Aveline.

Fenris ne prese una alla marmellata, imbronciato. «Ho sentito che hanno avuto dei problemi, però... tre elfe che gestiscono un negozio loro, proprio in Città Superiore. Non poteva che causare lo sdegno del vicinato.»

«È lo stesso vicinato che si sopporta le festicciole di mio fratello, supereranno anche questa.»

Isabela proruppe in una risata fragorosa, dandole una spintarella. «Vero! Penso che Garrett sia la cosa peggiore, e al contempo migliore, che potesse capitare a quel branco di stronzi con la puzza sotto al naso: in tre anni ha disintegrato il buon nome del quartiere.»

«Non hanno tutti i torti però...» Sussurrò Aveline, appena udibile.

Marian non poteva che darle ragione per un certo verso, più di una volta erano intervenuti Guardia Cittadina e addirittura qualche Templare a calmare gli animi e le trovate del fratello e dei suoi invitati, ma l'idea che tutti i nobilotti di Kirkwall fossero costretti a convivere con il rumoroso, molesto Fereldiano arricchitosi così all'improvviso la riempiva d'orgoglio. «Comunque, magari i vecchi la pensano così, però ho visto un sacco dei loro rampolli gozzovigliare alle stesse feste.»

«E rampolle, aggiungerei.» Le strizzò l'occhio Isabela, che qualche mese prima era riuscita a portarsi a letto entrambi i cugini Reinhardts, Liara e Brandon.

«Bela, sei terribile.»

«Sai che il cuore è cacciatore.»

Aveline fece una smorfia. «Non è proprio il cuore, ma...»

«Sei solo gelosa, ragazzona. Piuttosto... come va con la tua situazione, a proposito di cuori?»

Il capitano diventò improvvisamente rossa fino alle orecchie. «Non ti riguarda.» Balbettò, rifugiandosi in un'altra frittella.

Marian si stiracchiò, portando le braccia verso l'alto e scrocchiando il collo, per poi adagiarsi sull'erba, lo sguardo verso le piccole nuvole bianche che solcavano il cielo. Un ringhio sommesso la fece sobbalzare. «Bu?»

«Maledetta bestia...» Dalla boscaglia uscì un uomo, in veste da mago, attorniato da una mezza dozzina di guardie. La mabari ringhiava, la chiostra di denti scoperta e le orecchie all'indietro, pronta a saltargli addosso. Il nuovo arrivato scosse stizzito il mantello di pelliccia, lanciando loro uno sguardo di superiorità. «Beh, non importa, alla malora l'effetto sorpresa. Siete in possesso di merce rubata, fatevi da parte e vi risparmieremo!» Annunciò, con un marcato accento del Tevinter. I suoi scagnozzi annuirono, sfoderando le armi.

Marian inarcò un sopracciglio. Fenris li aveva ormai puntati con sguardo omicida, Aveline era già pronta ad attaccare, Isabela stava ancora masticando una frittella, un angolo della bocca sporco di crema, lo sguardo annoiato.

«Non si può mai stare un minuto in pace qui, eh...» Commentò la pirata, finendo di mangiare con calma. «Tuttavia, siamo particolarmente di buon umore, quindi se preferite gettarvi direttamente dalla scogliera e facilitarvi il trapasso-»

«Sta' zitta, puttana, siamo qui per lo schiavo.» La interruppe rudemente il mago, puntando il bastone contro di loro.

Marian si alzò lentamente in piedi, spolverandosi i pantaloni con le mani per togliere l'erba. «Che vocabolario forbito, scommetto che hai molto successo con le donne.»

«Non lo ripeterò un'altra volta, allontanatevi dallo schiavo oppure-»

Prima che potesse finire le sue minacce, Bu, ad un cenno del capo di Marian, gli era già saltata addosso. Quello cercò di fermare la mabari, ma l'aura antimagia lo precedette.

L'urlo di dolore del mago coprì quello di Fenris, che si lanciò alla carica. Marian e Aveline fecero lo stesso: la templare sbalzò di peso uno dei mercenari, gettandolo contro un compagno e lasciando che Aveline trapassasse entrambi con la spada, mentre lei e Fenris si occupavano dei restanti quattro.

«No, aspetta, ferma!»

Lo squittio terrorizzato del Tev li fece voltare. Isabela, un largo ghigno sulle labbra, teneva fermamente un coltello premuto sulla gola del mago, l'altro infilato tra le scapole. Il bastone magico giaceva a terra, e l'uomo perdeva sangue dal naso. «Chiedimi scusa.»

«Scusa, scusa, scu-»

Fenris, i tatuaggi che rilucevano minacciosi, lo afferrò per la collottola, strappandolo dalla presa di Isabela e scaraventandolo a terra. Il mago gemette, il coltello nella schiena che gli impediva ormai di urlare, lasciandolo senza fiato. «Dov'è Danarius?!»

«Non lo so, vi giuro!» Rantolò quello, sangue che gli usciva copioso dalla bocca. «Hadriana... ci ha portato qui Hadriana, è in una grotta a nord, dove-»

«Dove tenevano gli schiavi pronti ad essere spediti, conosco quel posto.» Ringhiò Fenris, afferrandogli la testa e sbattendola violentemente sul terreno. Le ossa del cranio cedettero con uno schiocco sinistro, mentre l'erba si inzuppava di sangue. «Andiamo, quella dannata schifosa non deve vedere un altro tramonto.»

«Chi sarebbe esattamente questa tizia?» Chiese Marian, ripulendo le lame sui cadaveri dei mercenari morti e rinfoderandole.

«L'apprendista del mio vecchio padrone. Una bastarda arrivista che avrebbe venduto i suoi stessi figli pur di ottenere il favore di Danarius... l'ha mandata qui lui, dovevo immaginarlo che non mi avrebbero lasciato in pace. Non deve sfuggirci.»

Marian sospirò. “E addio alla mattinata tranquilla...” «E va bene, ma diamoci una mossa a farla fuori, che i Magister del Tevinter non saranno nulla a confronto della rabbia di mia madre se non mi presento in tempo per la festa.»

«Io comunque queste non le lascio raffreddare.» Borbottò la pirata, pulendosi le mani alla bell'e meglio e rovistando nel cestino alla ricerca di un'altra frittella.

Marian lanciò uno sguardo di sottecchi all'elfo davanti a loro, prima di imitare l'amica.



 

Il puzzo dolciastro e ferroso del sangue arrivò alle loro narici ben prima di vedere cosa si celava dietro la porta. Il cadavere di un elfo giaceva riverso a terra in una pozza scarlatta, numerosi tagli su tutto il corpo che segnalavano la causa di morte. Altri due, nello stesso stato, erano accatastati su un tavolo di pietra come stracci vecchi.

Marian trattenne a stento la rabbia. «Possibile che nel Tevinter sia legale una cosa simile?»

Fenris, impassibile, teneva lo sguardo puntato verso il sacrificio umano. «In una società dove governano i maghi, fanno in fretta a giustificare la propria brama di potere. E nessuno si preoccupa di dover uccidere un elfo o due, siamo solo oggetti rimpiazzabili, per loro.»

Gli scagnozzi successivi trovarono una morte rapida, mentre il gruppo avanzava in cerca di vendetta in quel labirinto pieno di trappole e porte segrete.

Quando sentirono un pianto sommesso dietro una brutta statua a forma di rapace, si prepararono ad attaccare temendo un tranello, ma scoprirono solo un'elfa terrorizzata, le guance rigate di lacrime.

«Hei, sta' tranquilla, sei al sicuro adesso.» Cercò di tranquillizzarla Isabela, chinandosi su di lei.

La ragazza tirò su col naso, scossa dai singhiozzi. «Hanno ucciso papà, e gli altri... tutti, tutti quanti... ma lei adorava la zuppa di papà, e noi abbiamo sempre fatto i bravi... sempre seguito gli ordini...» ripeteva dondolandosi sul posto, gli occhi spalancati. «Così tanto sangue...»

«Hadriana, ha capito che stavamo venendo a prenderla.» Commentò Fenris, la mascella serrata. «Pagherà anche per questo.»

«Ma andava tutto bene prima!» Insistette l'elfa, quasi urlando. «Abbiamo sempre fatto i bravi!»

«Nulla andava bene, ma non ve ne siete mai resi conto.» Sussurrò Fenris, dandole le spalle.

«Resta qui nascosta, torneremo a prenderti.» Cercò di rassicurarla Aveline, prima di proseguire verso il corridoio alla loro sinistra, dove delle macchie di sangue rappreso lasciavano presagire quello che avrebbero incontrato.

Il corridoio svoltava ad angolo retto, e in fondo vi era un'altra porta di pietra.

Fecero scattare il meccanismo, che si aprì con un cigolio che risuonò per tutta la sala.

«Hai fatto un grande sbaglio a pensare di poter venire qui a uccidermi, schiavo.» Li salutò una donna sulla quarantina, in eleganti vesti da maga. Tra le mani stringeva un bastone riccamente decorato, che puntò verso di loro con un ghigno vittorioso. «Avresti dovuto scappare.»

«E tu avresti dovuto farci il favore di venire di persona a prenderlo.» Ribattè Marian, avvertendo le Ombre che la maga stava evocando molto prima che comparissero. L'aura antimagia la colpì così forte che Hadriana si ritrovò a barcollare, dovendo ritrarsi dietro una colonna per evitare uno dei coltelli lanciati da Isabela, che rimbalzò sulla pietra con un clangore metallico.

Alcuni mercenari le si lanciarono contro, Marian sapeva di non avere molto tempo. Scartò di lato, evitando per un soffio la mazza chiodata di uno di loro, che le sibilò accanto all'orecchio mentre lo superava, lasciando che Bu si occupasse dell'uomo mentre lei caricava Hadriana, pronta a respingere altri incantesimi.

Un Ombra comparve tra lei e il suo obiettivo, segnalando che la maga poteva di nuovo combattere. Tranciò di netto un braccio deforme, mirando all'unico occhio opaco della creatura, che dopo altri due colpi esplose in uno sbuffo di fumo. Quando cercò di intercettare Hadriana, era ormai tardi: sentì il Velo strapparsi, come se qualcuno le avesse fatto esplodere qualcosa nella testa. Una nebbia rossastra si alzò tutto attorno a loro, mentre gli occhi dei cadaveri a terra si illuminavano dello stesso colore, gli arti che si protendevano nuovamente verso l'alto, rimettendosi in piedi barcollando. Si lanciarono contro di loro, incuranti delle loro lame.

Con un grugnito di dolore, ignorò il pugnale che la ferì di striscio sulla guancia, diede un calcio alla creatura e la decapitò con un colpo preciso, facendola crollare definitivamente a terra.

Si preparò a lanciare una nuova aura antimagia, ma Hadriana fu più veloce.

Si sentì strattonare una caviglia, e prima ancora che potesse abbassare lo sguardo, qualcosa la colpì con forza al fianco, scaraventandola contro la parete opposta. Sbattè la testa, intontita, minuscole scintille luminescenti ad offuscarle la vista.

«Marian!»

Un tentacolo di magia del sangue la sollevò da terra, stringendosi attorno alla sua gola.

«La feccia templare come te, dovrebbe conoscere il proprio posto.» La schernì la Magister con un ghigno folle. «Ora ridammi ciò che hai rubat-»

La spada di Fenris la passò da parte a parte, trafiggendole l'addome.

Hadriana cadde a terra, l'incantesimo che svaniva di colpo, lasciando andare Marian e facendole sbattere il fondoschiena sul pavimento di pietra. Si massaggiò la gola in cerca d'aria, tossendo.

L'elfo estrasse la lama, troneggiando su di lei, preparandosi a sferrare il colpo di grazia.

«Fermo! Non uccidermi, posso esserti utile...» Rantolò Hadriana, una mano premuta sul ventre, il sangue che usciva copioso dallo squarcio. Cercò di arginare l'emorragia con un incantesimo di guarigione, il palmo che si illuminava debolmente.

«L'unica cosa utile che puoi fare è morire.» Ribattè Fenris, sollevando la grossa spada a due mani.

La donna cercò di strisciare via. «Tua sorella... hai una sorella, è viva, io so dove si trova... lasciami andare e te lo dirò.» Aveva la bocca impastata di sangue, che colava sul collo e tra i capelli scuri fino a insozzare le vesti di stoffa pregiata.

L'elfo si chinò su di lei, puntando gli occhi verdi nei suoi. «Dimmelo.»

«Ho... ho la tua parola?»

Fenris annuì.

Hadriana tossì, sputando sangue. «Si chiama Varania, vive a Quarinus, serve un Magister di nome Ahriman...»

«“Serve”? Non è una schiava, dunque?»

La donna fece un cenno affermativo col capo, ormai allo stremo, gli occhi offuscati. «Non è una schiava. Vi prego, non riesco a-»

La mano dell'elfo si illuminò all'improvviso, prima che lui la affondasse in profondità nel petto di Hadriana, strappandole un ultimo grugnito di dolore e, in una fontana di sangue, estraesse il cuore ancora pulsante della donna. Lo guardò per un attimo, prima di scagliarlo contro il muro di fronte agli sguardi attoniti degli altri. «Andiamocene.» Senza aspettarli, girò i tacchi e infilò il corridoio.

Aveline allungò una mano verso Marian, che era ancora a terra, gli occhi sgranati puntati sul cuore spappolato a pochi passi da lei. Accettò l'aiuto dell'amica, massaggiandosi il collo.

«Resterà un bel livido.» Le disse Aveline. Pur cercando di restare impassibile, si vedeva che la scena l'aveva scossa. Lanciò uno sguardo ad Isabela, china sui cadaveri a frugare nelle tasche dei malcapitati. «Quando hai finito...»

La pirata finse di non sentirla, continuando a riempirsi il borsello.

«Una sorella... come l'avrà presa?» Chiese Marian con la voce roca, mentre ripercorrevano il tragitto all'inverso. Il fianco le faceva male, si sentiva il viso sporco di sangue dove era stata ferita e la gola le doleva ad ogni parola.

«Come prende la stragrande maggioranza delle cose che gli capitano: male.» Rispose Isabela facendo spallucce. «È fatto così, lo conosci.»

Recuperarono l'elfa dove l'avevano lasciata, ancora scossa. Isabela la tirò su di peso, annunciando che si sarebbe presa cura di lei finché non le avrebbero trovato un lavoro serio e pagato.

All'uscita delle caverne, trovarono Fenris ad aspettarle, in piedi davanti a due cadaveri.

«Ce n'erano sfuggiti un paio.» Grugnì come spiegazione, impassibile, mentre finiva di pulire la spada sulla giacca dei due.

Marian fece qualche passo incerto verso di lui. «Fen, se vuoi parlarne...»

«No che non voglio parlarne!» Sbottò l'elfo, dando loro le spalle. «Potrebbe essere una trappola, Danarius potrebbe aver mandato qui Hadriana solo per raccontarmi di questa “sorella”, e anche se non fosse così, cercarla sarebbe un suicidio! Quel bastardo sa benissimo della sua esistenza, dato che lo sapeva la sua accolita.» Scosse il capo, i pugni stretti e le braccia rigide lungo il corpo. «Non mi importa. Sono riuscito a schiacciare il cuore di quella troia, questo conta. Che possa marcire, lei e tutti gli altri maghi!» Diede un calcio ad un sasso, che schizzò giù per il sentiero.

Marian intercettò Isabela, che le fece segno di no con la testa. «Mi dispiace.»

Non si aspettava quello che seguì.

L'elfo si voltò a fronteggiarla, il volto trasfigurato dall'ira. «Ti dispiace?» Sputò velenoso, avanzando verso di lei. «Questo è quello che fanno i maghi, lasciati incustoditi. Tuo fratello, i maghi alla Forca, la Resistenza... tutti loro troveranno sempre un motivo, una scusante per compiere le loro atrocità e farla franca. Anche se trovassi mia sorella, chissà cosa le avranno fatto. Cos'è che la magia ha toccato senza corrompere?!» Alzò il braccio in un impeto di furia, ma si bloccò a mezz'aria, chinando il capo. «Non importa, tanto non lo capirai finchè non sarà troppo tardi.»

Rimase spiazzata, senza sapere cosa rispondere, guardandolo allontanarsi.

«È solo la foga del momento, non lo pensa davvero, lo sai...» Provò a dirle Isabela.

«So benissimo come la pensa, non prendiamoci in giro.» La interruppe Marian, allontanando la mano dell'amica. «E sapendo anche solo un decimo di quello che ha passato, non me la sento di incolparlo.» Si asciugò il sangue che le colava dalla guancia, osservando il cielo. Doveva essere primo pomeriggio. «Diamoci una mossa, o faremo tardi.»

«Marian...»

Aveline scosse il capo. «Lascia perdere, Isabela, non è il momento.»



 

Quando Bodahn le aprì la porta, vide il nano sgranare gli occhi. Dietro di lui, Leandra cacciò un urlo di esasperazione. Aveva dei fermagli in testa e una vestaglia da camera. «Marian, come accidenti ti sei conciata?!» Prima che potesse ribattere, fu trascinata all'interno, sotto lo sguardo di profonda disapprovazione della madre. «È sangue quello?»

«Ho solo bisogno di una sciacquata.» Rispose evasiva, strofinandosi la guancia.

La donna la costrinse a sedersi in salotto, mentre spariva nella stanza accanto. «Garrett, esci da quel bagno e dai una mano a tua sorella a togliersi quella roba di dosso!» Urlò a gran voce. Marian sentì un gran rimestare di oggetti vari, e dopo poco Leandra tornò da lei con una pezza imbevuta di una sostanza oleosa, con un vago sentore di frutti di bosco. Le tamponò la guancia, il taglio che bruciava fastidiosamente.

«Cosa c'è adesso?» Il fratello spuntò dalla porta, frizionandosi i capelli bagnati con un asciugamano, sgocciolando acqua sul tappeto. «Ah, sempre in forma vedo!»

«Vai a farti fottere.»

«Signorina!»

«Già fatto, sorellona, non credo ci sia il tempo per un bis.»

«Garrett!» Urlò Leandra, sconvolta. «Non abbiamo tempo da perdere con le vostre scempiaggini, vi voglio perfetti tra due ore esatte.» Lanciò ad entrambi uno sguardo omicida, prima di rassettarsi la vestaglia e controllare che i fermagli tra i capelli fossero a posto. «Guai a voi.»

Aspettarono che fosse andata via da qualche secondo prima di scoppiare a ridere fragorosamente.

«Credo che la stia prendendo un po' troppo sul serio.»

«Ci vede sposati entro la fine della serata, altroché.»

«Promettimi una cosa.» Gli disse, mentre armeggiava con le fibbie dell'armatura nel frattempo che si dirigevano verso la camera che Leandra aveva insistito per assegnarle, anche se non passava quasi mai il tempo lì dentro. «Se vedi che sto per uccidere Rodney, non fermarmi.»

«Figurati, sarò lì a fare il tifo per te.»

Si sganciò la corazza con un grugnito, scoprendosi un grosso livido viola sul fianco che proseguiva per tutta la schiena. Osservò corrucciata il suo riflesso allo specchio. Il taglio sulla guancia aveva smesso di sanguinare, ma restava comunque evidente. I segni sul collo, dove i tentacoli di magia del sangue avevano cercato di strangolarla, spiccavano violacei sulla pelle. «E questi come li copro?»

Garrett scrollò le spalle. «Metti qualcosa a collo alto.» Si buttò l'asciugamano su una spalla, indicandole la porta del bagno prima di uscire. «Affogare non sarà una scusa valida.»

Grugnì, andando ad aprire il rubinetto dell'acqua e aspettando che la vasca di rame si riempisse.

Ne uscì dopo un po', andando ad accomodarsi accanto al caminetto mentre aspettava che i capelli si asciugassero, pettinando le lunghe ciocche castane per districarne i nodi.

Sul letto, troneggiava l'abito che Leandra le aveva commissionato dalla sarta, un'elfa minuta che per tutto il tempo che le aveva preso le misure non aveva fatto altro che riempirla di complimenti. Marian sapeva di non avere esattamente il classico fisico da giovane donna della nobiltà. Le spalle larghe e le braccia muscolose avrebbero fatto invidia alla metà dei ragazzotti della città superiore, gli addominali erano pronunciati, le gambe asciutte e toniche. L'abito che indossava esaltava il seno sodo e mascherava le spalle ampie, nascondendo la mancanza di rotondità del suo corpo con l'uso di tessuti morbidi e sinuosi. Sorrise, osservandosi allo specchio: i colori ricordavano vagamente la sua armatura da templare, ma avrebbe scommesso venti sovrane che più della metà dei suoi colleghi avrebbero stentato a riconoscerla, quella sera.

«Posso entrare?» Chiese Leandra, bussando delicatamente alla porta. Dopo aver atteso il permesso, scivolò all'interno, già in abiti eleganti, i capelli gonfi e arricciati sotto una mezza cuffietta decorata con una catenella d'oro e piccole perle. Appoggiò sul tavolo la sua maschera smaltata di bianco e oro, semplice ma al contempo elegante.

Guardò il suo riflesso con affetto, avvicinandosi a sfiorarle la spalla. L'una accanto all'altra, di solito non potevano essere più diverse ma, notò Marian con un pizzico di stupore, quella sera si assomigliavano almeno un poco. Lo stesso naso, gli zigomi alti, le labbra carnose nonostante quelle della madre fossero ormai segnate da piccole rughe agli angoli della bocca. Gli occhi di Marian però, di quel blu profondo come quelli di Carver, erano tutti di suo padre.

«Sei bellissima.» Le disse Leandra, accarezzandole i capelli.

Non potè evitare di sorriderle, accondiscendente, mentre si sedeva e lasciava che la madre le acconciasse la chioma, creando quattro trecce che si univano sulla nuca in un piccolo chignon, lasciando poi il resto a cadere morbido sulla schiena. Due ciocche le incorniciavano il viso, i boccoli che riuscivano in parte a nascondere il taglio sulla guancia. Sorrise. «Grazie.»

«E sei ancora più bella quando sorridi.» Le afferrò delicatamente il viso tra le mani, stringendola per un attimo in un abbraccio. «La mia gioia più grande sarebbe vederti sorridere così sempre, figlia mia, lo sai. Voglio solo che tu sia felice.»

“E allora perché non capisci quello che voglio?” Avrebbe voluto chiederle, ma non se la sentiva di rovinare quel momento più unico che raro. Ricambiò la stretta, imbarazzata, un fastidioso nodo alla gola. «Lo so, madre, lo so.» Si mise infine un filo di trucco, tingendosi le labbra di un rosso granata e passandosi del kajal scuro lungo la rima cigliare superiore.

Trovarono Garrett in salotto, sprofondato in una delle poltrone. «Era ora...» Anche il fratello indossava una giacca elegante, delle piccole borchie ed intarsi a decorarla, ma era decisamente più sobrio di lei. O almeno, così pensava, fino a quando non lo vide agganciarsi su una spalla un mantello orlato di pelliccia, la fodera interna rossa scarlatta. «Ah, quasi dimenticavo!» Esclamò Garrett, allungandole una coppia di maschere.

Ne prese una, scoppiando subito a ridere. «Davvero?» Chiese, avvicinandosi la mezza testa di falco al volto e guardando il fratello fare lo stesso. Erano identiche ma speculari, il becco del rapace che poggiava sul naso, le penne bruno rossicce magistralmente modellate e smaltate a coprire metà del volto: Marian a destra, Garrett a sinistra. «La adoro.»

«Sapevo ti sarebbe piaciuta.» Rispose sornione lui. «E ora, famiglia Hawke-Amell, andiamo a fare una strage. Di cuori, si intende.» Si corresse immediatamente all'occhiataccia della madre.



 

Il giardino era addobbato a festa, le siepi potate in forme fantasiose che ricordavano animali esotici, i fiori talmente variopinti e perfetti da chiedersi se non fossero stati assemblati e dipinti petalo dopo petalo. Centinaia di lanterne illuminavano il vialetto d'ingresso che costeggiava la terrazza che dava sulla città superiore, ai lati vi erano posti ad intervalli regolari statue raffiguranti membri della famiglia Cavin e personaggi di spicco della Kirkwall del passato. La grande fontana al centro della terrazza era illuminata da luci colorate (avrebbe scommesso gentile regalo di qualche mago del Circolo), puntate sulla sontuosa rappresentazione di un serpente marino dalle spire sinuose, che sputava un getto vivace sulle rocce posizionate ad arte sotto di esso.

«Modesto.» Commentò Garrett, afferrando un calice di vino da un vassoio di passaggio.

«Serriamo le file e restiamo uniti, non devono-»

«Gli sfuggenti Hawke, quale piacere avervi con noi stasera!»

«Creatore, aiutaci.»

Frederick Selbrech, infiocchettato in un sontuoso farsetto che lo faceva sembrare un nug troppo cresciuto dal color verde muffa, trotterellò verso di loro con un ampio sorriso stampato sulla faccia. Portava una maschera dello stesso colore, a forma di muso di cervo, il segno della loro casata.

«Serah Selbrech, il piacere è nostro.» Rispose Garrett, abbozzando un inchino che all'occhio esperto di Marian equivaleva ad una grossa presa per il culo. «Stavamo ammirando il gusto per i dettagli del nostro ospite, impeccabile.»

«Margaret Deghmont è stata così gentile da consigliarci il loro giardiniere, è un vero mago con le piante.» Si intromise un giovane uomo con la maschera di un leone dalle fauci spalancate. Sulle spalle portava un ingombrante mantello di pelliccia bianca, e la giacca riluceva di intarsi dorati. Al fianco portava una spada sottile ed elegante, la guardia d'oro riccamente decorata. Sollevò la maschera sopra il capo, strizzandole l'occhio. «Ser Marian, siete incantevole stasera.»

Marian dovette trattenersi dal girare i tacchi e tornarsene di corsa alla Forca. «Serah Cavin...»

«Rodney per voi, vi prego.» Si avvicinò quel tanto che bastava a prenderle la mano tra le sue, facendo un inchino e sfiorando le labbra sul dorso. «Benvenuta nella nostra umile dimora.»

“Ora lo prendo a schiaffi e lo affogo nella fontana”, pensò per un secondo lei, irrigidendosi come un palo. Incrociò lo sguardo della madre, e poteva sentire Garrett trattenersi a stento dal contorcersi dalle risate. «Sono lieta di essere qui, Rodney, è un piacere.»

Il luccichio negli occhi dell'altro non le piacque per niente, ma ingoiò il rigurgito e si costrinse a sorridere, dovendo praticamente strappargli la mano dalla sua presa. «Dov'è vostro padre? Vorrei ringraziarlo per la sua ospitalità...»

«Ah, non preoccupatevi, ci sarà tutto il tempo per quello. Come al solito, è a fare salotto con alcuni noiosi politicanti come lui.» Rispose l'uomo, scostandosi il ciuffo di capelli ramati dagli occhi con fare che probabilmente riteneva suadente. «Prego, da questa parte, permettetemi di mostrarvi il resto del giardino, mio padre ha fatto piantare apposta delle meravigliose rose d'inverno.» Le scivolò al fianco, appoggiando delicatamente le dita sulla sua schiena per un attimo, abbastanza da farle salire un brivido di disgusto lungo la spina dorsale, ma non da risultare sconveniente. Quella sera, Rodney Cavin giocava per vincere. Rivolse a Leandra, Garrett e Selbrech un sorriso di circostanza, mentre fingeva di esitare per un attimo. «Se non è un problema per voi, ovviamente...?»

Leandra scosse il capo. «Assolutamente, andate pure, sono certa che Marian non veda l'ora di esaminare al meglio le rose, lei ama i fiori.»

Disperata, Marian lanciò uno sguardo al fratello.

Rodney sembrò intercettarla, perché si frappose tra lei e Garrett, un ghigno stampato in faccia. «Sono certo che vostro fratello possa cavarsela benissimo anche senza di voi, Ser Marian.»

Garrett provò a ribattere, ma ormai era tardi: venne trascinata via dall'uomo verso la fontana, costretta a sopportare il suo braccio saldamente ancorato al proprio. Incontrarono alcuni degli ospiti, che li salutarono cordialmente ma vennero allontanati in maniera melliflua da Rodney, che sembrava volerla tutta per sé.

“Io lo uccido”, pensò mentre lui la accompagnava a vedere l'ennesimo rododendro, i fiori rosa acceso “poi lo seppellisco sotto una siepe, almeno servirà da concime”.

«Posso chiedervi come vi siete fatta quel graffio?» Le domandò dopo un poco, fermandosi di fronte ad un cespuglio di rose bianche potato a forma di sfera. «Spero che il responsabile abbia pagato per aver rovinato il vostro bel viso.»

Camuffò un grugnito in una risatina imbarazzata. «Fa parte del mestiere.»

«Ah, sì, non ne dubito. Affrontare pericolosi maghi e abomini è all'ordine del giorno per voi Templari... siete coraggiosa, Marian.»

“Dov'è finito il Ser?” Si chiese fissando intensamente un punto tra le foglie. «Richiede tanto, è vero, ed è una grossa responsabilità, ma sono lieta di poter fare la mia parte.»

«Non ne dubito... tuttavia,» proseguì lui, chinandosi a prendere la rosa tra le mani e staccandola dalla pianta «deve essere piacevole poter togliersi quell'ingombrante armatura, una volta ogni tanto.» Le porse il fiore, che Marian afferrò titubante. «In fondo, una rosa è sempre meravigliosa, ma le spine sono d'intralcio ad apprezzarne appieno la bellezza.»

«Eppure senza spine non sarebbe tale, non credete?» Rispose, cercando disperatamente una via di fuga. Erano soli in mezzo alle siepi, nessuno nei dintorni, coperti alla vista.

Rodney le si fece più vicino, poteva sentire il suo profumo di legno stagionato e agrumi invaderle le narici, come se invece che limitarsi a qualche goccia sul collo se lo fosse versato sui vestiti. «Il divertimento è toglierle una...» le sfiorò la giacca, giocherellando per un attimo con la fibbia che la chiudeva all'altezza della clavicola, che si aprì al minimo contatto «ad una.»

Gli afferrò istintivamente la mano in una presa ferrea. «Serah, non credo sia il caso.»

Quello sobbalzò, ma si riprese in fretta. Fece un mezzo passo verso di lei, intrappolandola tra la siepe e il proprio corpo. Era alto quanto lei, ma era certa che avrebbe potuto sollevarlo di peso e scaraventare il cadavere oltre il rododendro. «Rodney, vi prego.»

«Non credo sia il caso di attardarci così tanto qui fuori, Rodney.» Scandì irritata, cercando in tutti i modi di calmarsi per non causare una scenata.

«Se avete freddo posso darvi il mio mantello... La vostra sola presenza è sufficiente a scaldarmi come il sole in piena estate.»

“Ugh, dove sono le imboscate di maghi del sangue e banditi quando servono?!” Lo fermò prima che potesse spogliarsi, stampandosi un sorriso tirato sul volto. «Lusingata, davvero, ma non è quello che intendevo. Si chiederanno dove siamo finiti, e... e ammetto di avere un poco fame.»

L'uomo si ritrasse, lasciandole spazio, sogghignando mentre si scostava di nuovo i capelli dal volto. «Come desiderate, Marian. Sono al vostro completo servizio



 

Il salone era affollato, ormai la maggior parte degli ospiti era entrata e si stava godendo il tepore, la musica allegra e il sontuoso banchetto. Cinque musicanti stavano intonando le note del ritornello di una famosa ballata dei Liberi Confini.

«Ah, la favorita di mio padre.» Commentò Rodney, scortandola all'interno e togliendole il mantello dalle spalle. «Possiamo contare quante volte la farà suonare.» Lo consegnò in maniera sgarbata assieme al proprio ad un servitore, un elfo dalla pelle scura e un tatuaggio a lato del volto. Per un attimo Marian incrociò il suo sguardo, e le sembrò che l'elfo le rivolgesse un sorrisetto divertito.

«Marian!» Individuò subito il fratello, attorniato da un nugolo di persone: riconobbe alcuni volti noti, come quello di Myranda Selbrech, entrambe le sorelle de Launcet, Fifi e Babette, Margaret Deghmont e il più giovane degli Harvent, un ragazzino sui quindici anni che sapeva chiamarsi Tobias. Indossavano maschere eleganti, riccamente decorate con pietre e intarsi coordinati agli abiti e, per le ragazze, ai gioielli che indossavano tra i capelli, al collo e sulle braccia. Si avvicinò a loro, chinando il capo in segno di saluto, Rodney sempre al suo fianco come una sanguisuga.

Tutte le ragazze la circondarono come un branco di lupi famelici.

«Ser Marian, è vero che avete trucidato un intero branco di Tal-Vashoth sulla Costa Ferita?» Le chiese Babette in tono velenoso, l'accento marcatamente orlesiano che scivolava sulle “r”.

«Ser Marian, dicono che i templari si allenino spaccando lastre di pietra a pugni.»

«Ser Marian, si dice in giro che frequentiate un pirata senza scrupoli.»

«Ma no, io ho sentito che è stata vista con un intrigante elfo che vive nella magione degli Aratus...»

«Ah, che scandalo è stato, quando si è trasferito lì!»

«La Guardia Cittadina sostiene che avesse tutti i permessi da Giulius Aratus in persona, ma io non ci credo, una persona del genere-»

«Se non ci credi, Babette, puoi andare a chiedere al Capitano Vallen, è proprio là.»

Marian si illuminò, trovando proprio l'amica in un angolo della sala, nella sua armatura da cerimonia lucidata di tutto punto, che parlava con altre tre guardie. Cercò di farle un cenno, ma Aveline non sembrò notarla.

«Margaret, sappiamo tutti che hai un punto debole per gli elfi, sarà per questo che sei ancora una zitella!»

«Senti chi parla, Fifi, non vedo da nessuna parte il fantomatico duca a cui saresti promessa!»

«Ah, io ho già puntato il mio bocconcino stasera, vi avviso.» Si pavoneggiò Babette de Launcet, arricciandosi un boccolo ramato sulla punta dell'indice, in attesa che si scatenassero le domande.

«Ma se non ti ha nemmeno salutata, Babette...» La prese in giro Myranda Selbrech, aggrappandosi al braccio di Garrett come se fosse un polpo, stroncando il misero tentativo di fuga di quest'ultimo.

Babette e Fifi le lanciarono uno sguardo di superiorità. «In ogni caso, il fascino del Principe non ha eguali.» Ribattè la prima con voce tagliente. «Non che ci sia nemmeno da confrontare, insomma, nel Ferelden le buone maniere gliele insegnano come possono, poverini.»

«Ovviamente, ad Orlais i soldi non contano quanto il nobile lignaggio, e le linee di sangue sono tenute pure, senza mischiarsi con la plebe.» Le diede man forte la sorella.

Il sorriso di circostanza di Garrett si aprì in un ghigno. «Immagino che voi ne sappiate qualcosa, essendo la vostra famiglia stata costretta a vivere fuori dai confini dell'Impero.»

Il colorito pallido di Fifi de Laucet virò ad un viola acceso, mentre balbettava una serie di suoni sconnessi, oltraggiata. Margaret e Tobias scoppiarono a ridere, mentre un uomo alto e biondo diede di gomito a Garrett, facendogli un applauso. Un ragazzotto dalle guance tonde, palesemente Orlesiano anche lui, scosse la testa, scioccato dalla faccia tosta del Fereldiano. Myranda guardava Garrett come se il Creatore in persona fosse sceso tra loro a dispensare verità ai suoi figli.

«Personalmente,» parlò Rodney, afferrando un bicchiere di vino da un vassoio tra le mani di un servitore elfico «ritengo che le linee di sangue in questo caso abbiano dato ottimi risultati.» Le lanciò uno sguardo viscido, allungandole il calice.

Marian lo prese tra le mani, impegnandosi con tutta sé stessa per non trangugiarlo seduta stante.

«Ma quello è il Capitano Cullen?» Chiese Margaret sbalordita, indicandole una figura che procedeva impettita al fianco di un altro templare, Dennis, uno di quelli che orbitavano attorno a Karras. Entrambi erano in abiti formali ma con la spada al fianco.

Marian sbattè più volte gli occhi di fronte a quell'inusuale vista, chiedendosi cosa diamine ci facesse il Capitano lì in mezzo a tutta quella gente. Si era parlato di mandare una scorta alla festa dei Cavin, ma non immaginava che sarebbe stato proprio il Capitano a subirsi tutti quei nobilotti vanesi.

«Sembra ancora più legnoso del solito, non credete?» Lo sbeffeggiò Babette, sbattendo però più volte le lunghe ciglia truccate in direzione del Templare. «Ser Marian, voi lo conoscete bene?»

«Hum, sì, abbastanza. Insomma, è un mio superiore, lo conosco come chiunque altro alla Forca.»

«Lui ha fatto voto di castità?» Chiese Fifi in tono di scherno. «Sembra sia la prima volta che lo tolgono da quell'armatura.» La guardò di sottecchi. «E non è l'unico.»

Reprimendo l'istinto Fereldiano di saltarle addosso e spaccarle la faccia da Orlesiana piena di sè, si spostò verso i canapè, ma Rodney la intercettò di nuovo, prendendo un piattino di porcellana decorata e riempendolo di tartine farcite con uova di pesce e gamberi, frutta secca al miele, formaggi dagli strani colori e, per ultimo, un involtino di carne dal contenuto non identificabile. «Prego, favorite pure.» Le sorrise ammiccante.

Ringraziò suo malgrado, afferrandone uno a caso e cacciandoselo in bocca solo per non rispondere all'ennesima domanda stupida di Babette, curiosa del voto di castità templare.

«Perché mi sorge spontaneo chiederlo, insomma capitemi, non riesco proprio ad immaginare come si possa conciliare l'avere un marito e una famiglia con il rischiare ogni giorno di...» indicò la guancia di Marian come a conferma di aver ragione.

«C'è chi aspira a qualcosa di più che dedicare il proprio tempo a seguire le ultime mode in fatto di trucco e capelli.» Rispose seccata, la pazienza che si stava assottigliando.

«Se posso permettermi, Ser Marian, voi avete dei capelli splendidi.» Commentò Margaret, accarezzandole una ciocca con la mano. Le fu quasi riconoscente.

Tobias annuì. «Non vi sono d'impaccio quando combattete?»

Scrollò le spalle. «Li tengo legati sotto l'elmo...»

Fifi fece una smorfia. «Ah, io non riesco nemmeno a mettere i cappelli, detesto come mi schiacciano tutte le radici... io cerco sempre il volume, sapete.»

Rodney afferrò un canapè al formaggio, cacciandoselo in bocca e masticando rumorosamente. «Il volume non sarà un problema.» Ridacchiò da solo, seguito dall'orlesiano in carne e da un altro paio di ragazzotti della stessa età.

Prima che potesse prenderlo a sberle, la spiacevole conversazione venne interrotta dal Siniscalco, che zittì la banda con un cenno per rivolgersi ai suoi ospiti.

«È un vero piacere avervi tutti qui.» Parlò Bran Cavin, aprendo le braccia come per salutarli tutti. «I Satinalia sono una delle feste più amate, e soprattutto in periodi difficili come questo ci aiutano a colmare i nostri spiriti di gioia, sollevandoci da pensieri più cupi. La mia speranza è che questa sera, in mezzo ad amici e persone care, i legami che rendono salda la nostra splendida città si rinforzino, e ne vengano creati di nuovi ponendo le basi per un radioso futuro.»

«Come no...» Sentì Garrett commentare sottovoce, e non potè che essere d'accordo.

«Innanzitutto, vorrei ringraziare il Visconte Dumar che, nonostante i numerosi doveri che lo hanno purtroppo tenuto a Palazzo questa sera, ci manda i suoi più sinceri auguri.»

«Beato lui.»

«Mica scemo.»

Rodney assottigliò le labbra, fingendo di non aver sentito lo scambio tra i due fratelli. Marian avvertì con un brivido di disgusto la sua mano posarsi sul fianco, e scendere impercettibilmente ad ogni parola successiva del Siniscalco.

Quello andò avanti a ringraziare quasi ogni singola figura di spicco presente, proseguendo poi a parlare di quanto la città avesse in quel momento più che mai bisogno di restare unita, e infine con un accorato appello all'élite della città lì riunita.

«Ma non è mia intenzione tediarvi ulteriormente,» concluse con un sorriso che non aveva nulla di genuino, «siete qui per divertirvi. Diamo inizio alle danze!»

Un allegro motivetto prese a risuonare per il salone, e ben presto la maggior parte degli ospiti si spostò al centro della sala per ballare.

I coniugi Selbrech furono i primi a lanciarsi con entusiasmo, Marlein nel suo voluminoso abito verde e blu, i colori della sua casata. Indossava una maschera di cerva, ed era così elegante e armoniosa nonostante l'età da compensare i passi più impacciati del marito.

I de Launcet si fecero strada tra gli invitati con la tipica altezzosità Orlesiana, mentre i coniugi Harvent ruotavano su sé stessi come in trance, seguendo un ritmo tutto loro.

«Il vecchio Laurence sembra un tricheco.» Li sbeffeggiò Rodney, incurante di avere Tobias proprio accanto. «Ridicoli, dopo quello che è successo con Taddeus non so con che coraggio mostrino ancora la propria faccia in società...»

«Forse perché la Compagnia Harvent-Hawke ha un fatturato a quattro zeri, quest'anno?» Chiese amabilmente Garrett, sorseggiando il vino speziato.

Rodney fece per ribattere, ma Myranda Selbrech cacciò un gridolino estasiato appena la banda cominciò a suonare un nuovo motivetto, puntando gli occhi verdi in quelli di Garrett, implorante.

Marian vide il fratello sospirare, finire il vino in due lunghi sorsi e chinarsi cavallerescamente a prendere la mano della ragazza, portandosela all'altezza del petto. Dopo poco, piroettavano al centro della pista con una grazia che, onestamente, non si sarebbe mai aspettata dal fratello.

«Ha preso lezioni di ballo, dite?» Sentì Fifi chiedere, tra le risate della sorella e dell'orlesiano.

«Una volta ho visto un cane ammaestrato danzare sulle zampe posteriori, tutto è possibile.» Rincarò la dose Babette, svuotando l'ennesimo calice di vino.

«Almeno lui non è qui a sputare sentenze.» Ribattè velenosa Marian, finendo il proprio calice.

Rodney le strinse il fianco, avvicinandosi al suo orecchio. «Non date retta a quelle due faine, Marian, sono solo gelose.» Sussurrò, il fiato caldo che le faceva rizzare i capelli. «Siete così gentile da concedermi un ballo?»

Marian rabbrividì fino alle ossa. Non sapeva ballare, almeno non qualcosa di diverso dalle canzonacce che intonavano gli sboccati avventori dell'Impiccato e simili, nelle quali Isabela la trascinava sempre ignorando le sue proteste. «Temo che la danza non sia tra le mie corde...» borbottò ritraendosi un poco. «Scusate, devo conferire urgentemente con il Capitano delle Guardie, mi è appena sorta in mente una questione importante.»

Prima che Rodney potesse ribattere, attuò una ritirata strategica infilandosi tra una coppia di ballerini incapaci quasi quanto lei, sparendo nella calca e virando in direzione di Aveline.

«Marian!» La salutò lei, sobbalzando sul posto e impettendosi. «Qualcosa non va?»

«Speravo me lo dicessi tu, onestamente.» Si lamentò lei raggiungendola. «Preferirei essere ricoperta di sangue e budella che passare altri due minuti con Rodney, se lo uccido devi aiutarmi a seppellirne il cadavere in giardino, sotto le azalee.»

«Ahem, sì, capisco...» Balbettò Aveline. Con stupore di Marian, aveva le guance rosse.

Accanto a lei, la guardia con cui stava parlando si irrigidì sul posto, salutandola con un sorriso imbarazzato. «Ser Marian.»

La realizzazione la colpì come uno scudo in piena faccia. «Oh. Serah Hendyr. Donnic, volevo dire. Uhm... niente, volevo solo, ecco, controllare che andasse tutto bene.»

«Siamo qui per questo, Ser Marian, la situazione è sotto controllo.» Rispose lui impacciato, sfregandosi il collo con una mano.

«Sì, ecco, allora...» Aveline puntò gli occhi nei suoi, facendole un cenno col capo come a farle capire che non era il momento. «Allora vado.» Fuggì via, senza una meta precisa, lasciando l'amica a chiacchierare in pace con la sua cotta. “Chi l'avrebbe mai detto che questa festa poteva portare a qualcosa di buono!” Ridacchiò tra sé e sé, vagando senza una meta ben precisa. Si ritrovò verso la balconata, decidendo di prendere un po' d'aria sperando che Rodney o qualche altro scocciatore non venisse ad importunarla. Inspirò l'aria fredda, rabbrividendo un pochino e maledicendo il fatto di non avere più il mantello. Cercò di chiudersi ulteriormente il colletto dell'abito, lo sguardo puntato sulle montagne davanti a lei. Una cosa doveva ammettere, quella villa era in una posizione perfetta. La musica dall'interno era ora più lenta, le danze continuavano.

Un movimento nel giardino sotto di lei catturò la sua attenzione. Due figure stavano trafficando nell'ombra, a prima vista pomiciando, quando una delle due cadde a terra con un fruscio sordo. L'altra sembrò riporre qualcosa nel mantello, e quando si voltò verso una delle lanterne, la luce illuminò una maschera di volpe.

«Vi ho cercato dappertutto, vi fate desiderare stasera.»

Roteò gli occhi al cielo, trattenendosi dall'imprecare. «Volevo solo prendere un po' d'aria.» Aggrottò le sopracciglia, non vedendo più la Volpe tra le siepi. La figura accasciata sembrava sparita anch'essa, forse si era rialzata?

Rodney le si fece più vicino, consapevole che l'attenzione di Marian fosse rivolta altrove. «Cosa ha catturato il vostro sguardo, se posso chiedere?»

La templare scosse la testa, voltandosi a fronteggiarlo e scostandosi un poco. «Nulla, ammiravo il giardino. Dall'alto si riescono ad apprezzare meglio le geometrie create dai giardinieri.»

«Oh, se volete possiamo tornare ad apprezzarlo più da vicino.» Ammiccò lui, l'alito che puzzava di vino mentre cercava maldestramente di intrappolarla contro la balaustra.

«Non vorrei mai mancare di rispetto ai vostri ospiti, traendovi in dispart-» un distinto sfrigolio nel Velo la avvisò che, nelle vicinanze, era all'opera qualcosa di magico. Si zittì di colpo, spingendo Rodney e voltandosi di nuovo a guardare il giardino, assottigliando gli occhi per cercare di vedere nella semi oscurità. «Scusatemi,» lo liquidò immediatamente, preoccupata «devo andare.»

Lo abbandonò sul balcone, alla ricerca del fratello.

Intercettò Myranda, che danzava leggiadra tra le braccia di un giovane uomo che doveva chiamarsi Selwyn, figlio di un ricco mercante della città. «Avete visto mio fratello Garrett?»

La ragazza assunse un cipiglio offeso. «Ha detto che doveva allontanarsi un attimo, ma è sparito quattro canzoni fa.»

«Non vi crucciate per lui, lady Selbrech...» La consolò l'altro, facendola piroettare su sé stessa e strappandole di nuovo un sorriso.

Proseguì alla sua ricerca, l'apprensione che iniziava ad annodarle lo stomaco. Istintivamente, portò una mano sull'elsa del pugnale che aveva nascosto sotto il vestito in caso di necessità. “L'avevo portato pensando a Rodney, ma vai a vedere che il verme sarà la cosa più innocua che potesse capitare stasera...” Una coppia danzante la urtò per sbaglio, facendole perdere l'equilibrio e appoggiarsi sulla donna. Una vistosa e ingombrante sirena dorata le copriva tutto il volto, e una folta chioma di capelli corvini spuntava sotto il velo blu notte che partiva dalla sommità della maschera.

«Hei, fai più attenzio-»

«Isabela?!» Esclamò scioccata riconoscendo la voce, strappandole poco cerimoniosamente la maschera dal volto e rivelando l'amica al di sotto.

«Hei Marian...» La salutò la pirata, ricomponendosi in fretta e sistemandosi i capelli, i grandi orecchini d'oro che scintillavano. Il suo accompagnatore, un giovane dai capelli biondi e la pelle color caramello, la guardò con aria adorante mentre le reggeva la maschera. «Ti presento Martyn Dewine. Martyn, Ser Marian Hawke.»

Marian spostò lo sguardo da Martyn ad Isabela, furente. Prese l'amica per un braccio. «Piacere mio, Serah, se non vi dispiace mi servirebbe di parlare con Isabela...» La trascinò in un angolo della sala, sparendo dietro una porta socchiusa.

«Hei, mi stavo divertendo!»

«Si può sapere che ci fai qui?!»

La pirata sbuffò sonoramente. «Sapevo che non avresti reagito bene, speravo proprio non te ne accorgessi...»

«Rispondi alla domanda, Bela!»

«Sono stata invitata, che altro vuoi sapere?»

Incrociò le braccia, per nulla convinta.

Isabela capitolò, scocciata. «E va bene, tenente. Un amico mi ha chiesto un favore, e sono qui per aiutarlo, se ci tieni a saperlo.» Puntò lo sguardo su un busto di marmo particolarmente pomposo, raffigurante un uomo barbuto di mezza età con dei baffoni spioventi. «Non certo per ammirare l'arredo, credimi, tuttavia ammetto che il vino è squisito.»

Marian la scrutò inquisitoria. «E questo favore, esattamente...?»

Isabela scosse la testa, i capelli che ondeggiavano sulle spalle. «Tesoro, dovresti rilassarti una buona volta. Gustati il banchetto, trova il tuo principe e chiedigli di ballare... insomma, goditi la vita.»

«Sebastian è qui?!» Esclamò con un tuffo al cuore. “Per fortuna che non ho ballato. L'umiliazione di aver cantato di fronte a tutti mi è bastata per la vita.”

L'amica sogghignò. «Esatto, quindi ora vai a cercarlo e non curarti delle mie scorribande.»

«Sai che non ho intenzione di lasciarti andare così.»

«D'accordo, senti. Sono qui per sollevare qualcuno da un peso di cui si è fatto inconsapevolmente carico. Mi ringrazierebbe, se lo sapesse, gli sto facendo un favore.»

«Bela...»

Prima che potesse cercare di estorcerle altre informazioni, un puntino rosso all'angolo del suo campo visivo la distrasse. Si voltò in quella direzione, ma sembrava sparito.

«Marian?»

«L'hai visto anche tu?»

L'amica la guardò, confusa e preoccupata. «Visto cosa?»

La sensazione che stesse per succedere qualcosa di spiacevole non accennava ad andarsene. «Vai a cercare Sebastian e Aveline, io devo trovare Garrett.» “E Cullen” «Ci rivediamo qui appena lo trovi. Qualsiasi cosa tu debba rubare può attendere.» Senza darle il tempo di replicare, tornò nel salone, decisa a scovare dove si fosse cacciato il fratello.

Afferrò Laurence Harvent, chiedendogli se lo avesse visto. L'uomo indicò confusamente la direzione del buffet. Dopo alcuni giri a vuoto, finalmente individuò Garrett intento a chiacchierare amabilmente con una coppia di giovani elfe, vestite da cameriere.

«Garrett!»










 

 


Note dell'Autrice: i tanto temuti Satinalia sono arrivati (e in tema con le festività di Halloween, aggiungerei). Si sono tutti agghindati a festa ma sembra che stiano andando in guerra, e forse un po' è così, Leandra sembra voler ottenere almeno un fidanzamento entro fine serata mentre i due fratelli non sanno se darsi al vino o all'omicidio. La piccola scena tra Marian e Leandra voleva mostrare che sotto sotto un cuore ce l'ha anche la vecchia, in fondo le restano solo due figli e mezzo (Carver ci manchi). Alla prossima!

Dalla wiki: In tempo dedicati all'antica Dea della Libertà, Zazikel - ma ora attribuiti alla seconda luna, Satina - i Satinalia sono celebrati il primo giorno del mese di Umbralis, all'inizio dell'inverno, con grandi festeggiamenti: si indossano maschere e si nomina lo scemo del villaggio regnante della città per un giorno. In Antiva, i festeggiamenti durano anche una settimana o più, seguiti da una settimana di digiuno. In regioni più devote, si celebra con grandi banchetti e lo scambio di regali. 

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Capitolo 22
*** Satinalia II ***


CAPITOLO 22
Satinalia - Parte seconda



 

La serata, a dispetto delle aspettative, stava passando in modo più o meno sopportabile.

Il vino d'annata scorreva a fiumi, il cibo era gustoso e la musica orecchiabile. “E pure Myranda si è tolta dai coglioni”, osservò soddisfatto azzannando uno spiedino di nug al miele e sgranocchiando con soddisfazione la crosta croccante e dolce ricoperta di scaglie di mandorle.

Certo, c'era parecchia gente che non si era aspettato di vedere: Aveline, per esempio, soprattutto intenta a flirtare con Donnic (seppur a modo suo), o quella piaga di Cullen, che si aggirava ai margini della sala come un mabari in un recinto, e poteva giurare di aver intravisto la chioma ramata di Sebastian parlare con il Siniscalco e altri due invitati vestiti in abiti pomposi, poco prima.

«Messere, gradisce altro vino?»

Un'elfa graziosa, i capelli color miele ricci sopra le orecchie a punta, lo guardò con i suoi grandi occhi castani da dietro una caraffa di vetro, appoggiata su un vassoio d'argento. Sorrise, allungando la mano e versandosene un po' nel calice. Avvicinandosi a lei, notò una piccola macchia rossa sull'orlo della manica. «Bella serata, vero?» Chiese, cercando di osservarla meglio.

La ragazza annuì, appoggiando il vassoio sul tavolo e stiracchiandosi un attimo. «Sì, Messere.» La raggiunse un'altra elfa, trafelata. «Vanya, Lucinde chiede quando possono portare il dolce.»

«Appena inizieranno a suonare la ballata di Corin e Neriah, Miri, lo sai bene.»

La nuova arrivata annuì, raccogliendo dei calici vuoti lasciati sul tavolo e altre cose da riportare in cucina, impilandoli ordinatamente su un largo vassoio.

«Ma ditemi, questo vino... da dove viene? Ha un retrogusto fruttato che non riesco ad identificare.»

L'elfa di nome Vanya lo guardò sorpresa, esitando un attimo. «Antiva, Messere. Le terre lì intorno sono famose per i rigogliosi vigneti... Messere Cavin si fa mandare il vino da una particolare cantina, dove lo fanno invecchiare in botti di legno di ciliegio.»

«Ah, meraviglioso. Dovrò chiedergli il nome di questo vigneto, dopo stasera non potrò farne a meno.» Si avvicinò casualmente a lei, osservando che anche sotto al colletto della camicetta vi erano alcune macchie rosse. “Vino, o sangue?” «Con cosa mi consigliereste di abbinarlo, dunque? Mi affido a voi, ammetto candidamente di non essere un esperto nel settore.»

L'elfa si morse il labbro inferiore, la punta delle orecchie che si mosse impercettibilmente. «Con la selvaggina esprime al meglio il suo bouquet, avete assaggiato il fagiano? Miri, porta a Messer Hawke del fagiano, veloce.»

«Ah, conoscete il mio nome?» Le chiese affabile, prendendo il piattino che l'altra elfa gli porgeva, dei bocconcini di fagiano speziati.

«Messer Hawke, siete piuttosto famoso.» Sorrise enigmatica Vanya.

«Sembra di sì...»

«Garrett!»

Sobbalzò, preso alla sprovvista, voltandosi in tempo per vedere arrivare Marian di gran carriera. «Hei, che sorpresa, pensavo Rodney ti avesse ormai rapita.»

«Non c'è tempo per gli scherzi, ti sto cercando da un sacco, è importante.» Tagliò corto la sorella. «Tutto bene?»

Si strinse nelle spalle, facendo finta di niente quando Vanya sembrò irrigidirsi. «Io sì, è il tuo Capitano che ha una faccia più costipata del solito.» Cercò, senza dare nell'occhio, di fare un piccolo cenno verso la camicia dell'elfa.

«Ah-ah, molto divertente...» La sorella seguì il suo sguardo, notando anche lei le macchie e il suo comportamento sospetto. «Beh, nostra madre ti stava cercando.»

«Allora andiamo, non vorrei mai farla aspettare.»

Si allontanarono dalle due, sentendo i loro occhi puntati contro la nuca. Quando furono al sicuro in una delle stanze laterali, Marian si guardò attorno, assicurandosi fossero soli. «Sangue?»

«Da come si è agitata, scommetterei tre Sovrane di sì.»

«Garrett, mi servi serio, ti prego.» Lo rimproverò lei. «Ho sentito chiaramente qualcuno lanciare un incantesimo-»

«Immagino non ti stia riferendo alle tanto decantati doti di Rodney con le donne...» Si zittì subito, alzando le mani in segno di resa. «E va bene, non è divertente, hai ragione. Scusa. Comunque, se c'è un mago con cattive intenzioni qui attorno, con tutte queste maschere sarà un incubo trovarlo.»

«Una volpe.»

Sbattè le palpebre, confuso. «Che?»

«Ho visto qualcuno giù in giardino... aveva una maschera a forma di muso di volpe.» Lo tirò per una manica verso la porta. «Dobbiamo controllare il giardino.»

Garrett sospirò. “E addio serata tranquilla, pare proprio che avessimo ragione...” «C'è qualcosa che non ti ho detto.»

Lo sguardo omicida della sorella gli fece ricordare perchè avesse taciuto quel piccolo dettaglio. «Ho... invitato Anders, per così dire.»

«Tu cosa?!»

Tossicchiò, temendo potesse rompergli il naso con un pugno. «Non ti scaldare, posso spiegarti-»

«Marian, Garrett, cosa sta succedendo?»

Con sua grande sorpresa, Isabela scivolò nella stanza, portandosi Sebastian appresso e chiudendo la porta dietro di loro. La pirata sfoggiava un vistoso abito blu notte tempestato di piccoli ricami di perle e oro, probabilmente dono del facoltoso nobile che aveva circuito per essere lì quella sera, mentre il principe indossava un farsetto candido con piccoli inserti dorati e un mantello elegante orlato di pelliccia chiara.

«E voi cosa ci fate qui?»

«Come se tu non avessi fatto imbucare un pericoloso eretico-»

«Anders non è pericoloso!» “Non sempre, almeno.”

«C'è anche Anders?» Trillò Isabela, scoppiando a ridere. «Questa sì che è una festa!»

Sebastian aggrottò la fronte. «Isabela, non mi pare il caso.»

La porta si spalancò di colpo, lasciando entrare un'Aveline furente che spinse all'interno Anders, vestito di tutto punto e quasi irriconoscibile, la maschera di un gatto color del grano ancora in mano. «Ora mi spiegate cosa sta succedendo?»

Il guaritore tossicchiò, a disagio. «'Sera...»

«Stiamo organizzando una festicciola privata.» Rispose immediatamente Garrett, serissimo.

«Che sfocerà presto in un rito orgiastico, quindi sei appena appena in tempo per tagliare la corda.» Gli diede corda Isabela, tirando una pacca sul culo a Sebastian, che arrossì come un peperone. A Garrett non sfuggì l'occhiata che aveva lanciato alla sorella, ma l'altra sembrò non notarla.

«Non mi sembra il momento di scherzare!» Si lamentò l'uomo di Starkhaven, imbarazzato.

Marian li richiamò all'ordine con un sibilo furente. «Smettetela subito.» Lanciò uno sguardo di puro odio ad Anders, fulminandolo sul posto. «Sei scemo o cosa, a venire qui?»

Garrett spostò il peso da un piede all'altro, infine capitolando. «Marian, possiamo spiegare.»

«Sarebbe anche ora.»

«Abbiamo ragione di credere che qualcuno possa essersi introdotto qui stasera per...» Iniziò a spiegare, non sapendo bene quanto rivelarle. «Insomma, ultimamente organizzare feste a Kirkwall è diventato assai pericoloso, no?»

Anders gli corse in aiuto. «Sì, e dopo quello che è successo ai Mander e dagli Chaney... abbiamo pensato che fosse meglio tenere d'occhio la situazione.»

La sorella scosse la testa, aprendo la bocca un paio di volte come a voler dire qualcosa. Li guardò basita, passandosi una mano sulla guancia, dove si era ferita. «Siete due imbecilli.»

«Hei!» Esclamò Garrett, offeso, ma l'altra lo interruppe.

«Pensate davvero che i Templari non abbiano preso misure di sicurezza? Non stiamo certo ad affidarci a due eretici allo sbaraglio...»

«Ah certo, è così che si ringrazia.»

«Te l'avevo detto che i Templari-»

«Non è il momento, Anders!»

«Ora basta!» Li zittì entrambi Marian, sbottando. «L'elfa che ti stava servendo prima era sospetta, e io ho visto qualcuno cadere, probabilmente ferito, in giardino. Isabela, Aveline, Sebastian, voi andate a controllare di sotto, sia il giardino che l'interno. Io trovo Cullen e lo avviso che sta succedendo qualcosa, mentre voi due» si rivolse ai due maghi, che aspettavano pazientemente la fine della sfuriata «vedete se riuscite a scoprire qualcosa dai servitori. Ma non fate nulla di avventato e soprattutto non attirate l'attenzione

“Che equivale a dire usate la magia e siete morti”, sbuffò Garrett, ma annuì. «Ricevuto.»

Si ritrovarono da soli, incerti sul da farsi.

«Come entriamo nelle cucine?» Gli chiese Anders.

Garrett ghignò. «Guarda e impara.»



 

La porta delle cucine si aprì di scatto e lui barcollò in avanti, rovesciando parte del vino a terra e su sé stesso mentre scuoteva la caraffa mezza vuota. «Oh, cavolo, questa non è la cantina!» Esclamò a voce alta, scoppiando a ridere sguaiatamente e appoggiandosi su uno scaffale, facendolo crollare dal suo sostegno e causando la caduta di tutto ciò che vi era posto sopra sollevando un fracasso infernale. «Ah, scusate, scusate, non volevo-» Indietreggiò, prendendo la mira esattamente contro una pila ben ordinata di bicchieri che si inclinò da un lato, prima di collassare rovinosamente al suolo. I quattro elfi all'interno lo guardarono con tanto d'occhi, atterriti. Si stampò in faccia un sorriso stupido. «Ops.»

«Garrett!» Lo chiamò Anders, raggiungendolo di corsa. «Ma che hai combinato?»

Scoppiò a ridere di nuovo, versando altro vino in giro mentre prendeva qualche sorso. «Non è la cantina!»

L'elfa di nome Miri scattò in avanti, prima che potesse inciampare e cadere sul tavolo dove era stata sistemata una gigantesca torta di crema a più piani, che troneggiava in un angolo della cucina. «Messere, devo chiedervi di uscire!»

Garrett piroettò su sé stesso, eludendo la presa dell'elfa e aggrappandosi ad un altro servitore, che cercò di scollarselo di dosso inutilmente. «Questo vino è il migliore che abbia mai bevuto!» Gli bofonchiò in un orecchio a punta, scoppiando poi a ridere. «Non è che me lo state nascondendo...?»

«Garrett, ti prego di non renderti ulteriormente ridicolo.» Si intromise Anders afferrandolo per le spalle, ma lui riuscì a liberarsi con uno strattone. Nella lotta, gli sfuggì di mano la caraffa, che si infranse sul pavimento di pietra esplodendo in mille pezzi.

Con precisione chirurgica, ci scivolò sopra, cacciando un urlo esagerato quando il vetro gli procurò parecchi tagli sui palmi e sulle braccia. Sollevò platealmente le mani, guardando sconvolto le schegge che gli spuntavano dalla pelle, il sangue che colava copioso sulle maniche grigio chiaro della camicia, impregnandone il tessuto.

«Creatore, aiuto!» Gridò agitandosi convulsamente «Morirò dissanguato. Che si sappia che il magnifico Garrett Hawke ha incontrato la sua fine, proprio qui, questa sera, e non ha nemmeno trovato le cantine!»

Anders sbiancò, afferrando Miri per un braccio e urlandole di fare qualcosa, per poi cadere in ginocchio e stringerlo drammaticamente a sé. «No, non lasciarmi così!»

«È troppo tardi per me, ma tu, tu puoi ancora trovare il vino!» Garrett sbirciò da dietro la spalla del compagno. Un elfo stava immobile dal terrore, altri due col grembiule da cuochi cercavano freneticamente delle pezze pulite, Miri esitava, pallida. «Ti prego...»

Anders si voltò verso di lei, afferrandole la mano come per supplicarla. «Per favore, servono delle bende pulite, bisogna fermare il sangue.»

«Sì, certo, ma...» L'elfa cercò l'aiuto dei due cuochi, ma quelli scossero la testa, gettando una pezza macchiata in terra.

«Non c'è niente di pulito qui dentro!» Le urlò una dei due, avvicinandosi e scrollandola per le spalle. «Portali nel dormitorio e chiedi a Pete della radice elfica, forza!»

«Ma Luci, Vanya ha detto che nessuno deve entrare nel-»

«Muoviti, ragazza, se il Siniscalco sa che uno dei suoi ospiti si è fatto male qui dentro, non sarà il mio culo a finire per strada, stanne pur certa!»

Con riluttanza, Miri fece come le veniva detto.

Dopo che Anders aveva strappato le maniche della camicia di Garrett per farne un bendaggio di fortuna, lo tirò su di peso, seguendo l'elfa dietro una porta e per un lungo corridoio, scendendo di un piano.

“Forse ho esagerato...” pensò confusamente Garrett, la testa che gli girava un poco. Anders doveva averlo notato, perché lo strinse a sé con più forza.

«Ecco, ci siamo...» Sentì dire a Miri, mentre lo faceva accomodare su una scomoda sedia di legno in quello che sembrava un piccolo magazzino. Diverse erbe aromatiche erano appese a seccare in grossi mazzi, e delle cataste di sacchi di juta e casse di legno erano accatastate contro due pareti, mentre l'altra era interamente coperta da uno scaffale di boccette, barattoli e scatoline chiuse. «Pete!» Urlò a pieni polmoni l'elfa, e dopo poco comparve un elfo anziano con un grembiule quasi interamente sporco di sangue rappreso.

Alla vista, Garrett e Anders dovevano essere sbiancati ulteriormente, perché il vecchio elfo scoppiò a ridere, indicando il grosso coltello da macellaio che portava alla cintura. «Tutta quella carne di sopra non si è mica affettata da sola, messeri!» Si avvicinò ai due, afferrando una pezza pulita e intingendola in una bacinella d'acqua, pulendocisi sopra le mani. «Allora, che avete combinato?»

Garrett si ricordò di essere ubriaco. Scoppiò in una risatina debole, sollevando le mani per permettere all'elfo di esaminarle. «Sono caduto.»

«Ah, vedo, vedo... Vetro. Dovremo togliere le schegge. Miri, ragazza, fammi un piacere e portami le pinze più piccole che trovi.» Si alzò a rovistare tra gli scaffali, aprendo una scatola abbastanza grossa e traendone fuori una boccetta di un liquido rosa intenso. «Ah, eccola qua, radice elfica e loto bianco!» Si chinò a recuperare una seconda scatola, che conteneva una serie di stoffe pulite, e la appoggiò sul tavolo accanto a Garrett, che nel frattempo si era messo a dondolare le gambe.

Pete si chinò a slacciare le maniche della camicia ormai zuppe di sangue. «Ora, messere, togliamo queste e-»

Garrett sobbalzò, gemendo ad alta voce. «Aiuto! L'elfo vuole approfittarsi di me!»

Il poveretto saltò indietro, alzando le mani. «Ma non- non è vero!»

Anders cercò di tenere fermo Garrett, che si era alzato fingendo di voler fuggire. L'idea avrebbe anche funzionato, se non fosse inciampato cadendo addosso a Miri, che proprio in quel momento rientrava con le pinzette. Finirono a terra entrambi, e questa volta l'urlo di dolore di Garrett fu assolutamente genuino.

«State fermo, maledizione, state peggiorando la situazione!» Sbottò esasperato Pete, inginocchiandosi su di lui e chiedendo ad Anders di aiutarlo a bloccarlo sul pavimento mentre estraeva le pinzette, che si erano conficcate nella sua coscia.

«Un attimo più in su e sarebbe stato un vero peccato...» Sentì Anders sussurrargli in un orecchio, con la scusa di tenerlo per le spalle. Scoppiò a ridere, nonostante il dolore e la testa che gli girava.

Aspettarono che Pete rimuovesse le varie schegge di vetro, per poi imbibire delle bende nell'intruglio curativo e fasciargli le ferite. «Ah, ecco fatto, vedete? Molto meglio.»

Garrett gli rivolse un sorriso confuso. «Posso avere del vino per festeggiare?»

«Credo tu ne abbia già bevuto abbastanza.» Ribattè Anders, dandogli un buffetto sulla guancia.

«Miri, credo che ora possiamo riportare i nostri ospiti nel salone...» suggerì Pete all'elfa, che sembrava non vederne l'ora.

«Ah, aspettate!» Esclamò Anders, afferrando l'elfo per una manica. «Ecco, insomma... non possiamo farlo andare in giro così, è un personaggio importante, capite? Cosa direbbero gli altri ospiti se si presentasse in mezzo alle danze coperto di sangue?»

Pete lo scrutò come ad annusare la balla. «Ah, sì giusto...» Si scambiò uno sguardo con l'altra, corrucciato. Con un sospiro, capitolò. «E va bene. Miri, vai a prendere una camicia pulita dalla lavanderia.» Riportò lo sguardo su di loro, scrutandoli torvo. «Resteremo ad aspettarti qui.»

Appena sentirono l'elfa allontanarsi, Anders afferrò Pete per le spalle, posandogli due dita sulla fronte. «Scusaci.» Una luce viola illuminò per un attimo la stanza, e l'elfo si afflosciò tra le sue braccia, profondamente addormentato.

«Bel lavoro, ora se puoi dare una mano anche a me...»

Appena l'incantesimo di Anders lo rimise in forze, chiudendogli completamente le ferite e rimpolpandolo del sangue perso, si scambiarono uno sguardo d'intesa. Fecero capolino nel corridoio, apparentemente deserto, per poi proseguire verso i dormitori della servitù.

Dopo qualche stanza vuota, incapparono in una porta chiusa da un grosso chiavistello di metallo pesante. Garrett rovistò nella giacca, alla ricerca degli attrezzi da scasso che Varric gli aveva regalato per il compleanno, e che a detta del nano “funzionavano come le dita di Andraste in persona”. Non potè che dargli ragione per l'ennesima volta, sentendo il meccanismo scattare. “Meno male che ho pensato di portarmeli dietro.”

Scivolarono all'interno, la zaffata di sangue fresco ad invadergli le narici.

«Avevamo ragione.» Commentò tetro Anders, indicando il cadavere

Garrett si chinò ad osservarli meglio. «Hei, guarda. Non è un elfo, doveva essere uno degli ospiti.» Indicò la camicia raffinata dell'uomo e la giacca ricamata in filigrana d'argento.

«Poveraccio. Lo riconosci?»

Scosse la testa. Richiuse la porta, proseguendo per il corridoio.

«Se Geralt e Jowan sono qua intorno...»

«Il loro obiettivo saranno Cullen e l'altro templare, probabilmente.» “E Marian.”

«Stiamo davvero salvando dei templari?»

Si strinse nelle spalle. «Così pare.»

Evitarono per un soffio due servitori che parlottavano tra loro, appiattendosi contro la parete.

«Vanya ha detto di non avvicinarsi alle cantine, no, non so il motivo e non voglio nemmeno chiedere, quella mi fa una paura...» sentirono uno dei due lamentarsi.

Aspettarono di essere di nuovo soli, andando poi alla ricerca delle cantine. La porta era bloccata da un altro lucchetto, che stavolta non sembrò cedere sotto il grimaldello di Varric.

Anders si appoggiò al legno, incanalando un po' di mana e rompendo il sigillo magico. «Andiamo.»

Un forte odore di carogna che saliva dal basso li colpì appena entrati.

«Per le chiappe di Andraste, che schifo!» Bofonchiò Garrett, storcendo il naso mentre scendevano i gradini. «Cos'hanno combinato qui dentro?»

«Normale martedì sera da maghi del sangue?» Tirò ad indovinare Anders, tirando dritto.

Le cantine erano umide e buie, l'aria fetida toglieva loro il respiro. Camminarono lungo un corridoio sul quale si affacciavano numerose grate con dietro varie botti di legno, finchè non sentirono dei passi nella direzione opposta dalla quale provenivano.

Si nascosero dietro una botte di vino, trattenendo il fiato.

«È tutto pronto?» Sentirono chiedere da una voce maschile. Garrett pensò fosse vagamente familiare, ma non riusciva a ricordarsi dove l'avesse sentita prima.

Rispose una voce di donna. “Vanya”, la riconobbe dopo poco. «Sì, stanno per portare il dolce, i nostri sono in posizione.»

«“Nostri”?» Ripetè Anders con un sussurro, guardandolo preoccupato.

«Ottimo.»

«Non appena avremo la pietra...»

«Shh, arriva qualcuno!»

Dei passi pesanti li sorpresero alle spalle, mentre almeno tre persone procedevano attraverso il corridoio da dove provenivano i due maghi. Garrett si schiacciò ulteriormente su Anders, pregando che i nuovi arrivati non li notassero. Non riuscirono a vedere chi fosse, ma sembravano tre umani di grossa stazza, probabilmente in armatura.

«Ah, siete voi.» Salutò la voce maschile. «Vi stavamo aspettando. È tutto pronto?» L'accento di Antiva non gli era affatto estraneo, ma non riusciva a collegare la voce a un volto noto. «Ottimo. Mi delicia, noi torniamo su.»

I passi però non si avvicinarono a loro, segno che doveva esserci un'uscita dall'altra parte della cantina. Si scambiarono uno sguardo incerto.

«Forse dovremmo aspettare gli altri...?»

«Non abbiamo tempo.»

«Non ho nemmeno il mio arco, Anders, sono quasi disarmato!» Sibilò furente.

L'altro gli lanciò uno sguardo di sfida. «E io che pensavo fossi un mago.»

Sbuffò, capitolando. «Se ci uccidono, giuro che ti ammazzo.»

«Non ha molto senso, lo sai, sì?»

Interruppero il loro bisticciare, uscendo allo scoperto.

Vanya si voltò verso di loro, non sembrava molto sorpresa. Chinò leggermente il capo da un lato, gli occhi che brillavano come quelli di un gatto nella penombra della stanza. «Ah, mi chiedevo quando sareste arrivati ad impicciarvi.»

Garrett evocò tutto il mana che riusciva a controllare senza il proprio arco ad aiutarlo, pronto ad attaccare. «Tagliamo corto e arriviamo al punto dove ci dici cosa avete in mente.»

L'elfa lo schernì con una risata. «Fosse per me, ti chiuderei quella bocca da shem seduta stante, ma ho ordini precisi di non torcervi un capello... peccato che non possa garantire per i miei animaletti.»

Non fecero in tempo a chiedersi cosa intendesse, che la temperatura della stanza crollò vertiginosamente, mentre una mezza dozzina di ombre sbucavano dal terreno, emettendo un lungo lamento pronunciato. Si gettarono contro di loro, mentre l'elfa innalzava una barriera magica su di sé e scattava di corsa verso l'uscita alle sue spalle.

«Merda!» Imprecò Garrett, abbattendo la prima ombra con una scarica elettrica. Evitò per un soffio gli artigli di un'altra, mentre Anders si liberava di una terza. Qualcosa lo colpì alle spalle, e se non fosse stato per la barriera protettiva del guaritore l'arto deforme gli avrebbe tranciato il costato. Le quattro rimanenti si allontanarono, accerchiandoli poi di nuovo, schivando all'ultimo momento, prendendosi gioco di loro.

Riuscirono ad eliminarle dopo un bel po', perdendo del tempo prezioso.

Piegato sulle ginocchia, cercò di riprendere fiato un secondo, per poi imboccare il corridoio dov'era sparita l'elfa. In una delle celle laterali, scoprirono una dozzina di cadaveri orrendamente mutilati, il sangue ormai secco incrostato nel pavimento. Dovevano essere lì da almeno un giorno. Notò incuriosito come fossero solo umani.

Proseguirono lungo una scala a chiocciola immersa nel buio, che terminava di fronte ad una porta sigillata. Provarono ad aprirla utilizzando lo stesso trucchetto della precedente, ma non ebbero alcun risultato.

«'Fanculo, spostati.» Ringhiò Garrett, facendo allontanare Anders a distanza di sicurezza e puntando entrambe le mani verso la porta. Richiamò il mana, sentendo i capelli rizzarglisi in testa, e rilasciò la scarica elettrica, che si schiantò sulla porta con un boato assordante, sparando pezzi di legno e schegge di roccia ovunque che rimbalzarono sulla barriera di Anders.

«Se non ci fossi io, finiresti per ammazzarti da solo.» Lo rimbeccò lui. «Comunque, con questo ci avrà sentito mezzo palazzo, musica permettendo.»

«Ottimo.»

Sbucarono in un piccolo corridoio che si affacciava su un soggiorno di dimensioni modeste rispetto al resto della villa. Da una parte vi era un piccolo studio con degli scaffali pieni di libri, dall'altra una porta di legno massiccio rinforzata con delle sbarre di ferro opaco, mentre il corridoio proseguiva voltando a destra.

Avvicinandosi, notarono che le tre grosse serrature a guardia della porta erano state rotte. Garrett si appoggiò al legno, dando una piccola spinta e facendo cigolare i cardini mentre il battente si apriva verso l'interno. Quasi inciampò sul cadavere per terra, il pavimento reso appiccicoso dal sangue. A differenza degli altri corpi che avevano trovato fin'ora, però, la ferita sul costato dell'uomo era pulita e precisa, proprio all'altezza del cuore. Corrugò la fronte, aveva qualcosa di familiare.

«Cosa credi stessero cercando?» Chiese Anders, rompendo il silenzio teso. Per tutta la stanza erano state sistemate decine e decine di piccole teche di vetro, alcune contenenti armi di delicata fattura, altre gioielli preziosi, altre ancora libri e rotoli di pergamena dall'aspetto antico.

«Non ne ho idea, ma chiunque fosse cercava qualcosa in particolare.» Rispose Garrett, indicando le poche teche rotte. A confermare la sua ipotesi, a terra vi erano alcuni gioielli, che dovevano essere caduti al ladro durante la razzia. Un orecchino con una grossa pietra rettangolare verde, incastonata da un motivo di viticci d'argento, attirò la sua attenzione. Si chiese dove fosse finito il gemello.

«Non mi piace.» Vide Anders esaminare i pezzi di vetro rotti, chiudendo gli occhi. Per un attimo Giustizia fece capolino, il Velo che scricchiolava. «Qui vi era contenuto qualcosa di magico.» Disse lo spirito, indicando una teca vuota con all'interno un cuscino di velluto bianco che portava ancora i segni di qualcosa che vi era stato poggiato sopra, voltandosi a guardarlo coi suoi brillanti occhi bianchi. Sbattè un paio di volte le palpebre, mentre il mago tornava in controllo. «Dobbiamo fermarli, qualsiasi cosa abbiano in mente.»

«Se dovessimo arrivare allo scontro...»

Il guaritore infilò la porta senza rispondere, la schiena rigida.

Trovarono due camere per gli ospiti, un altro studiolo e, in fondo, una scalinata in pietra che portava al piano di sotto, le voci della festa che salivano fin lì.

Mentre erano a metà della rampa, un boato assordante gli fece perdere l'equilibrio, costringendolo ad aggrapparsi al corrimano per non cadere dai gradini.






 

Marian aveva trovato Cullen, mettendolo a conoscenza dei suoi timori riguardo alla festa. Il Capitano aveva subito dato l'ordine a due delle guardie di Aveline, tra cui Donnic, di controllare il giardino, mentre lui sarebbe rimasto a guardia del salone principale con altri due templari, Klaus e Lia. A Marian era stata affibbiata Mina, con cui per anni aveva condiviso il dormitorio. Tra le due non correva particolarmente buon sangue, e l'altra alla vista della tenente tutta vestita in abiti da nobile non aveva fatto un grande sforzo per contenere una smorfia di scherno.

«Nel caso ci attaccassero, hai intenzione di far ruotare la gonna per distrarli?» Le chiese Mina, arricciando il naso.

Marian scostò lo strato superiore dell'abito, rivelando la daga corta che aveva nascosto sotto la stoffa. «La tua preoccupazione per me mi commuove, davvero.» Scandagliò la sala con lo sguardo, notando Sebastian ed Aveline che venivano verso di lei.

«Isabela?» Chiese, vedendoli soli.

Aveline scosse le spalle. «È sparita ad esaminare le stanze al piano di sotto.»

«Non le sarà successo nulla di male, Marian.» Cercò di rassicurarla Sebastian.

Lei aggrottò le sopracciglia. «Non è quello che mi preoccupa...» Sbuffò, non aveva tempo da perdere dietro alle distrazioni dell'amica. «Avete trovato qualcosa in giardino?»

Aveline annuì, tetra. «Sangue, parecchio, che portava sul retro verso i magazzini. Abbiamo seguito le tracce, qualcuno aveva trascinato un corpo fino ai magazzini sul retro e giù verso gli alloggi della servitù. Poi abbiamo incontrato della... resistenza.»

«Due elfi ci hanno attaccati a bruciapelo e hanno chiuso la porta che conduceva alle cantine, devono aver usato la magia perché non siamo riusciti né ad aprirla, né a sfondarla.» Concluse Sebastian.

Marian annuì. «Allora è certo. Garrett e quell'altro non sono ancora tornati, spero non gli sia successo nulla. Dobbiamo far evacuare tutti, ma senza scatenare il panico, altrimenti-» Si interruppe, qualcosa agli angoli del suo campo visivo che aveva colto la sua attenzione. Voltandosi, vide l'elfo tatuato che le aveva preso il mantello all'ingresso bisbigliare qualcosa all'orecchio di una delle guardie dei Cavin: l'uomo annuì, portando la mano sulla spada che teneva legata alla cintura. La banda si mise a suonare la ballata di Corin e Neriah, mentre alcuni servitori facevano spostare gli ospiti per l'ingresso trionfale di un'enorme torta alla crema, formata da cinque dischi di circonferenze diverse posti l'uno sull'altro dal più grande al più piccolo e decorata con panna, uccelli variopinti di marzapane, scaglie d'oro e fiori colorati.

La seconda guardia girò i tacchi e uscì dalla sala.

Non fece in tempo a formulare un pensiero compiuto, che il boato dell'esplosione le perforò i timpani. Sentì qualcuno buttarla a terra, e solo in un secondo momento notò Sebastian sopra di lei, un braccio alzato a proteggerla dai detriti, un rivolo di sangue a scendergli sulla fronte.

Lo vide aprire la bocca, ma non riuscì a sentire niente, un fischio insistente nelle orecchie.

C'era polvere ovunque, fiamme, gente che urlava e tentava la fuga, calpestando i corpi a terra in un cieco terrore. Sbattè le palpebre cercando Aveline, trovandola in ginocchio mentre già tentava di rialzarsi, il braccio premuto su naso e bocca.

Con l'aiuto di Sebastian, si rimise in piedi barcollante, rendendosi conto che Mina non era da nessuna parte. Una folla di gente in preda al panico sfrecciò loro accanto, urtandoli senza la minima cura tanta era la foga di allontanarsi dal centro della sala, dove aveva avuto origine l'esplosione. Le parve di intravedere le due sorelle de Launcet e Tobias Harvent, mentre sperava disperatamente che la madre non si trovasse tra i corpi a terra. “Non ho sentito nessuna magia... perché non ho sentito della magia prima che-?!” Le fiamme ruggivano, il fumo toglieva il respiro. Venne spintonata a lungo, finchè non rimasero in piedi solo loro tre, a terra una serie di cadaveri e feriti che si muovevano debolmente. La puzza di carne bruciata era rivoltante.

La nube di fumo e detriti si era un poco diradata, permettendo loro di vedere meglio l'epicentro dell'esplosione. Una grossa voragine, larga almeno sei metri di diametro, aveva squartato il pavimento, i bordi ancora roventi e fumanti. Una serie di corpi erano sparpagliati qua e là tutto attorno, e proprio in centro alla sala vi erano quattro figure in piedi. Una sembrava essere sorretta da altre due, mentre l'ultima stava più in disparte. Marian assottigliò gli occhi, mettendo a fuoco la maschera scarlatta di una volpe.

La figura sorretta dai due si rivelò essere il Siniscalco Bran, ma fu con un'esclamazione di orrore che Marian riconobbe gli altri: Mina e Klaus sostenevano l'uomo per un braccio ciascuno, l'altro che reggeva la spada puntata sul prigioniero. Lo vide balbettare qualcosa, del sangue che colava dal naso sul farsetto.

Un urlo attirò la sua attenzione. «Lasciatelo andare, subito!» Riconobbe la voce di Cullen, roca, doveva essere stato colpito più forte dall'esplosione dato che era più vicino di lei.

Lia e Dennis erano al suo fianco: la prima presentava una vistosa bruciatura sulla guancia, mentre il secondo perdeva sangue da un taglio sulla nuca, ma entrambi sembravano non curarsene.

Marian provò a raggiungerli, mentre il Capitano ordinava di nuovo ai due templari di liberare il Siniscalco. Quelli non gli diedero però ascolto, limitandosi a voltare impercettibilmente il capo verso l'uomo con la maschera di volpe, che reggeva ora un bastone da mago.

La volpe sbattè il bastone a terra, spegnendo le fiamme tutto attorno con facilità.

Una risata sprezzante riecheggiò per tutta la sala. «Bene bene, chi si rivede... Ti sono mancato, Rutherford?» L'uomo mascherato fece due passi verso il Capitano, sganciando la fibbia del mantello scuro che cadde ondeggiando sul pavimento. “Conosco questa voce”, pensò Marian, scavando disperatamente nella memoria.

Prima che Cullen potesse ribattere, Dennis sollevò la sua spada, colpendo il Capitano alla tempia con il pomolo. Lia, all'unisono, gli assestò un colpo con la lama dietro al ginocchio, costringendolo a carponi per terra e disarmandolo in due rapide mosse. Cullen urlò, sbattendo il mento per terra e rialzandosi sui gomiti, perdendo sangue da un angolo della bocca e dalla gamba. Gli altri due lo immobilizzarono, le braccia bloccate dietro la schiena in una presa dolorosa.

La volpe rise di nuovo, un suono che fece accapponare la pelle di Marian. Lo vide chinarsi quasi all'altezza del Capitano, sfiorandogli la guancia con la punta delle dita. «Ne hai fatta di strada, lo devo ammettere. Certo, per essere un patetico idiota.»

Cullen sgranò gli occhi, realizzando chi aveva di fronte. «... Amell?!»

Marian sbiancò, mentre il cugino schioccava la lingua sollevandosi di nuovo e, con calcolata lentezza, andava a slegarsi i lacci della maschera. La volpe cadde a terra.

Geralt Amell ghignò soddisfatto. Si voltò poi verso di lei, trafiggendola con lo sguardo e inchiodandola sul posto, un brivido freddo a scenderle lungo la spina dorsale. «Buonasera, cugina, gentile da parte tua unirti alla nostra piccola festicciola.»

Prima che potesse rendersene conto, una nube oscura circondò lei e i suoi compagni, tentacoli di magia del sangue che si avviluppavano intorno alle gambe, stringendole il busto, rendendole difficile persino respirare... lasciò andare la daga con un gemito di dolore, il braccio che schioccò all'indietro immobilizzato dolorosamente contro la schiena. Cadde a terra digrignando i denti.

Sentì Sebastian agitarsi dietro di lei. «Marian, no-!» Un tonfo, e l'uomo crollò sul pavimento, privo di sensi.

Aveline grugniva di dolore, cercando di liberarsi dalla presa, lottando inutilmente con tutte le sue forze finchè non venne sollevata da un incantesimo e lanciata contro una parete. Non si rialzò.

Dei passi alle sue spalle, una risata acuta. Una figura minuta entrò nel suo campo visivo: Vanya, l'elfa della quale avevano sospettato fin dall'inizio, la guardava deliziata, un bastone da maga stretto in una mano, l'altra tenuta col palmo verso l'alto, intrisa di sangue fino alle spalle. «Sinceramente, sono un po' delusa.» Commentò serafica, i grandi occhi puntati su di lei. «Mi aspettavo qualcosa di meglio da tua cugina...»

«È solo una templare, nulla di più.» Tagliò corto Geralt. «Gli altri?»

«Che carino, si preoccupa per noi.» Rispose una voce dall'accento pesantemente antivano: l'elfo tatuato avanzò fino ad affiancarsi alla maga del sangue, sfiorandole la schiena con una mano mentre nell'altra reggeva un oggetto grosso quanto un pugno, che emetteva una fioca luce cremisi. «Di sotto sono tutti pronti, i nostri amici troveranno una brutta sorpresa ad attenderli.»

«Non la passerete liscia, Amell, appena l'Ordine arriverà qui in forze-» Ringhiò Cullen, venendo zittito con un colpo del bastone di metallo di Geralt, che si illuminò minaccioso.

«Fa' silenzio, idiota.» Il mago si voltò quindi verso il Siniscalco, scuotendo il capo. «Peccato, speravo proprio di trovare il vostro Visconte stasera, pare che mi dovrò accontentare... in ogni caso, una strage ad opera dei templari è abbastanza grave da suscitare scalpore e indignazione fino a Val Royeaux, anche se la vittima più importante è un patetico ometto come te.» Si guardò attorno, soddisfatto. «Quella bomba ha fatto proprio un bel lavoro, per non essere magica.»

La testa di Bran Cavin ciondolò, l'uomo era appena cosciente e troppo intontito per capire cosa gli stessero dicendo. Borbottò qualcosa di incomprensibile.

«Comunque, dicevo, alla fine era tutto un modo per attirarvi qui allo scoperto.»

Dall'altro capo della sala, spuntarono altri due elfi vestiti da servitori e un umano dai capelli e barba scuri, che rivolse a Geralt un cenno d'intesa. Ordinò agli elfi di farsi da parte, lasciando intravedere le scale dietro di loro.

Represse un ringhio di rabbia vedendo Anders spuntare alle loro spalle, ma quando anche Garrett si unì a loro, non riuscì a trattenersi. Strattonò i tentacoli di magia, tentando in tutti i modi di liberarsi, il braccio e la spalla che le dolevano da impazzire, ma non le importava più, la furia di vederlo assieme a quei maledetti maghi del sangue era tale da farle dimenticare tutto il resto. “Non è possibile. Non Garrett.” Si rifiutò di crederci.

Il tentacolo si strinse ulteriormente attorno alla sua gola, impedendole di emettere alcun suono articolato.

L'elfo tatuato raggiunse Geralt, porgendogli l'oggetto che teneva in mano. Le labbra del mago si aprirono in un sorriso di trionfo, ammirando per un attimo la gemma scarlatta. Lo vide sussurrare qualcosa che non riuscì a sentire, Dennis e Lia che strinsero ulteriormente la presa su Cullen, il quale si agitava convulsamente, terrorizzato.

«Quello che ti hanno fatto sulla torre sembrerà uno scherzo da prestigiatore, a confronto.» Gli disse Geralt, godendosi ogni istante di quella tortura. «E quando ti costringerò ad attaccare i tuoi stessi commilitoni, e magari se siamo fortunati uccidere la tua adorata Comandante... Pregherai perché ti abbattano come un cane rabbioso, credimi. Ti costringeremo a fare lo stesso con altri Circoli, ci aiuterai a farli cadere uno dopo l'altro, finchè nessuno si fiderà più di un templare, e ogni mago rinchiuso in quelle gabbie potrà finalmente ammazzarvi come meritate.»

«Nessuno crederà alla vostra folle storia!» Ringhiò Cullen, dibattendosi inutilmente.

Geralt rise di nuovo. «Ma sarai proprio tu a raccontarla, idiota. Chi meglio del fidato Capitano di Kirkwall, sopravvissuto anche ai terribili eventi di Kinloch Hold? Crederanno ad ogni tua parola, e tu racconterai per filo e per segno come i tuoi compagni abbiano organizzato un colpo di stato, cercando di detronizzare il Visconte e il Siniscalco sotto ordine di Meredith, caduta preda della sua sete di potere. E con te ci sarà anche la mia cara cugina, che da quanto so è entrata in fretta nelle grazie della Comandante. Testimonierete come abbia tentato di convincervi ad aiutarla, ordinandovi di colpire proprio stasera, e di come la vostra coscienza ve lo abbia impedito.» Con la lama appuntita alla base del bastone, gli fece sollevare il capo, puntandola alla gola del templare. «Ricordi, sulla torre dicesti che non desideravi altro che tutti i maghi venissero spazzati via dalla faccia del Thedas. Ti risposi che avresti fatto la stessa fine.» Sorrise, folle, stillando qualche goccia di sangue. «Non si dica che non mantengo la parola data.»

Marian ascoltò terrificata quelle parole, la certezza che non sarebbe uscita da lì che si faceva strada nella sua mente. Lanciò uno sguardo implorante a Garrett, ma il fratello teneva gli occhi bassi, puntati a terra.

Vide l'umano complice di Geralt avvicinarsi al cugino, sfiorandogli la mano per un attimo prima di afferrare insieme la gemma.

Il salone venne avvolto dall'oscurità più cupa, l'unica fonte di luce era ormai la pietra, le fiamme al suo interno che divampavano, ruggenti, proiettando le loro lingue di fuoco tutto attorno ai due maghi. Cullen si irrigidì, teso come una corda in procinto di spezzarsi, gli occhi rivolti all'interno del cranio, il bianco dei bulbi a riflettere la luce scarlatta, la bocca distorta in un grido disumano da farle gelare il sangue nelle vene.

Marian strattonò disperatamente i tentacoli di magia oscura, i suoi sforzi inutili mentre assisteva impotente a quell'empio incantesimo.

Geralt chiuse gli occhi, mentre i templari che reggevano Cavin estraevano le proprie spade dal fodero. «Xebenkeck, ascolta la mia voce.» Lo sguardo vitreo, si due si portarono le lame alla gola, lacerando la pelle con un taglio netto. Lasciarono andare il Siniscalco, che si accasciò a terra come un sacco di stracci. «Xebenkeck, accetta la mia offerta.» I due templari caddero in ginocchio, il capo rovesciato all'indietro per facilitare la fuoriuscita del sangue, che sprizzò sulle armature e sul Siniscalco davanti a loro, scorrendo tra i solchi sul pavimento di marmo. «Xebenkeck, attraversa il varco!»

Improvvisamente, venne accecata da un lampo di luce ardente.

Qualcuno urlò. Rumore di colluttazione, altre grida, uno scoppio. Il Velo era ormai a brandelli, poteva quasi sentire i demoni scalpitare per attraversarlo.

«Fermo, o lo ammazzo!» In mezzo a tutto quel trambusto, riconobbe la voce di Garrett.

Il fratello teneva un coltello premuto contro la gola del mago umano dai capelli scuri, che aveva lasciato cadere il bastone a terra e cercava di fermare la mano dell'altro. La barriera attorno a lui sembrava essere stata infranta.

Geralt, la mano sinistra che riportava una grossa bruciatura sul palmo dove aveva stretto la pietra, ora rotolata per terra, aveva occhi solo per il compagno. Una nube sanguigna lo avvolse completamente, piccole fiamme che danzavano tutto attorno a lui mentre l'aria sembrava venire risucchiata in un vortice, rendendo difficile persino respirare. «Lascialo.» Il tono era privo di qualsiasi umanità, ne trapelava solo una fredda furia.

Garrett scosse il capo, resistendo coraggiosamente nonostante il colorito pallido e le ginocchia tremanti. Era avvolto da una sottilissima barriera azzurrognola, che sembrava troppo flebile per resistere all'attacco. «Non costringermi a farlo.»

I due elfi accanto ad Anders tenevano il guaritore sotto scacco, puntandogli contro i propri bastoni magici, in attesa di un ordine. Anders sussultava da capo a piedi, ma sembrava mantenere il controllo sulla barriera eretta attorno a Garrett. Marian pensò che ci fosse qualcosa di strano nel corpo del guaritore. “Un altro demone?”

Nel silenzio carico di tensione, arrivarono delle urla provenienti dal piano di sotto, rumore di scontro ad arma bianca, qualche altra piccola esplosione, non abbastanza da essere una palla di fuoco lanciata da qualche mago. “Hanno pensato a tutto, anche a come rallentare i rinforzi senza che restino prove dei loro incantesimi.”

Geralt sollevò il bastone, rendendosi conto anche lui di non avere molto tempo, tuttavia non osando scatenare la sua furia contro Garrett, non con il compagno di mezzo. «Non oseresti. Sei uno di noi.»

«L'hai detto tu stesso. “Non ci sono amici o familiari, dall'altra parte della barricata”, ricordi?» Ringhiò Garrett, stringendo ancora di più la presa ma stando attento a non stillare nemmeno una goccia di sangue dall'uomo sotto la sua lama. «Per quanto mi riguarda, dall'altra parte ci sei tu e chiunque altro faccia del male alla mia famiglia. Vattene, finché siete in tempo.»

Geralt sembrò esitare. Lanciò un rapido sguardo ad Anders, per poi tornare a guardare l'altro mago del sangue. Di sotto, lo scontro continuava feroce.

«Geralt...» Biascicò l'altro mago, pallido in volto, gli occhi vitrei. Marian notò un piccolo movimento del capo, come se stesse cercando di scacciare qualcuno o qualcosa, poi lo vide stringere i denti.

Il Velo sussultò un'altra volta, sempre più sottile. Conosceva quella sensazione, l'aveva sperimentata ogni volta che aveva visto un mago soccombere ai demoni che volevano possederlo.

Geralt capitolò. Gettò a terra il bastone magico, interrompendo l'incantesimo e sollevando i palmi delle mani verso Garrett. «D'accordo. Lascialo andare.» Fece due passi verso di loro.
Garrett rimase un altro lunghissimo secondo immobile, per poi allentare di colpo la presa e spingere il prigioniero verso il cugino.

Geralt lo prese tra le braccia, stringendolo con forza, sussurrandogli qualcosa. Quello tremava visibilmente, il Velo ancora troppo sottile perché il pericolo fosse passato. Lanciò uno sguardo di puro odio a Garrett, che era pronto a difendersi con un incantesimo, l'energia che sfrigolava, così vicino a spezzare completamente la fragile barriera che li separava dall'Oblio.

In uno sbuffo di fumo, il mago dai capelli scuri sparì e al suo posto comparve un corvo, che spiccò il volo verso il balcone sparendo alla vista.

Marian si ritrovò libera. Vanya lasciò andare la presa su di lei e affiancò l'elfo tatuato, voltandosi un'ultima volta verso Geralt con un cenno del capo. L'elfo raccolse la pietra da terra, prima di scattare di corsa verso le scale che portavano alle cucine, seguito a ruota dalla compagna.

Prima che potesse rialzarsi in piedi completamente, vide Geralt sollevare di nuovo il braccio, un ghigno a deformargli il viso. Schioccò le dita.

Il Velo esplose.

Lia, al fianco di Cullen, si piegò su sé stessa, emettendo un verso animalesco da farle accapponare la pelle. In un lampo di luce, gli arti iniziarono ad allungarsi terminando in artigli affilati, due corna arcuate a bucarle il cranio. Due ali da pipistrello, viola e luminescenti, spaccarono la corazza spuntandole dalla schiena come germogli deformi.

Il demone del desiderio si erse in tutta la sua forma, spalancando le ali, i resti dell'armatura della templare che cadevano a terra.

«Divertitevi.» Sibilò malevolo Geralt, prima di svanire anche lui in uno sbuffo scarlatto. Un'enorme aquila dal manto rossiccio volò via nella notte.

I due maghi elfi rimasti vennero spediti lontano da un'esplosione di luce accecante, bianca e pura. Sbigottita, guardò Anders rialzarsi da terra, un'aura di energia a circondarlo, vorticante, gli occhi bianchi puntati con furia verso il demone. “Un demone e un Abominio?”, pensò disperata, certa che non sarebbero sopravvissuti. Garrett, però, aveva raccolto da terra il bastone da mago di Geralt, e lo puntava ora contro il demone, ignorando completamente cos'era diventato il suo amico.

Il demone del desiderio lo guardò con occhi scuri come la pece. «Colei che fu esiliata, ha varcato il Velo.» Parlò, la voce che rimbombava per il salone. «Nel sangue, la chiamarono. Nel sangue, sancirono il patto.» Si voltò verso di lei, e improvvisamente Marian si ricordò dell'avvertimento ricevuto nei suoi sogni mesi prima, e del demone che aveva posseduto il giovane elfo, Soren, durante il suo Tormento. «Da un fiume di sangue, la grande Xebenkeck ritorna!»

Cercò disperatamente un'arma con cui difendersi, la daga che aveva le pareva a quel punto inutile, mentre Garrett scatenava un vortice di energia attorno al demone, intrappolandolo temporaneamente al suo interno.

Si sentì avvolgere da un incantesimo di guarigione e vide Anders, o qualunque cosa fosse diventato il mago, illuminato della stessa luce che circondava lei e i loro compagni a terra. Aveline, accasciata contro la parete, si rialzò lentamente, recuperando poi spada e scudo. Tese una mano a Sebastian, aiutandolo a rimettersi in piedi e individuando poi i cadaveri di due guardie a terra poco lontano da loro, una spada e scudo ciascuno.

Marian si chinò a recuperarli, stringendo con forza lo scudo e nascondendovisi dietro. «Sai usarli?»

L'altro annuì. «Non eccello, ma ho avuto un addestramento sufficiente a tenermi in vita. O almeno spero.» Rispose tetro. «Dobbiamo recuperare il Siniscalco.»

Marian individuò Cavin vicino al bordo della voragine, ancora sporco del sangue dei due templari che l'avevano catturato: a stento cosciente, si era spostato strisciando sul pavimento, cercando di allontanarsi dallo scontro. «Io e Aveline distrarremo il demone, tu portalo in salvo.»

«E dove, di grazia?» Ribattè l'uomo, facendo un cenno col capo verso la scalinata di marmo che portava all'ingresso principale, da dove provenivano urla disumane.

Non seppe cosa rispondergli. Avanzarono guardinghi, mentre l'incantesimo che intrappolava la creatura veniva spazzato via con un colpo delle grandi ali.

Xebenkeck si lanciò contro Garrett, il quale ebbe appena il tempo di spostarsi, gli artigli del demone che andarono a graffiare l'aria dove un attimo prima c'era la sua testa.

«Hei, tu!» Urlò Marian a pieni polmoni, cercando di attirare l'attenzione del nemico e distoglierla dal fratello.

Il demone lanciò un ringhio assordante, scagliando loro contro un cono di gelo che venne prontamente annullato dalle abilità della templare, che non perse tempo: si gettò con una forza che non pensava di avere ancora contro la creatura, gli artigli che graffiavano contro il metallo dello scudo, abbassandosi e mirando al fianco. Xebenkeck si scostò all'ultimo, e la lama andò a tranciare la membrana sottile di un'ala spettrale. Il colpo di coda che seguì fece sbilanciare Aveline, la quale non fosse stato per Anders sarebbe caduta a terra. Il guaritore eresse attorno a loro una nuova barriera, mentre Garrett colpiva con tre rune di paralisi il demone, intrappolandolo temporaneamente e permettendo alle due guerriere di mandare a segno i colpi successivi: Marian trafisse la creatura sulla schiena, strappandole completamente un'ala e rendendo l'altra un moncone inutilizzabile, mentre Aveline riuscì a ferirle un braccio, staccando tre artigli dalla mano deforme e procurandole un grosso squarcio fin quasi alla spalla.

Il demone urlò di nuovo. Combattendo l'istinto di piegarsi su sé stessa e coprirsi le orecchie, Marian strinse i denti, ringhiando a sua volta. Vide Sebastian trascinare al sicuro il Siniscalco, tenendolo dietro allo scudo.

Garrett roteò il bastone sopra la testa una, due, tre volte: ad ogni giro completo, l'aria attorno a Xebenkeck scoppiettava sempre di più, scintillava, facendo rizzare a tutti i presenti i capelli in testa. «Via!» Urlò il fratello, e le due si affrettarono ad obbedire, facendo tre balzi indietro e proteggendosi con gli scudi.

Un'esplosione, un lampo di luce accecante, puzza di bruciato, come se qualcuno avesse dato fuoco ad un cesto di frutta. Il demone cacciò un urlo più acuto dei precedenti, crollando a terra, il moncherino di ala che si dibatteva inutilizzabile, il sangue che scorreva copioso.

Si rialzò barcollando, avvicinandosi pericolosamente a Cullen, gli artigli protesi. Si lanciò d'istinto tra la creatura e il Capitano, resistendo ai colpi furiosi della creatura che si avvinghiò al suo scudo. Con uno strattone, il demone glielo strappò di mano, lanciandolo lontano mentre si preparava a colpirla di nuovo.

Marian sollevò la spada in posizione di difesa, ma qualcos'altro lo ferì alle spalle, facendolo caracollare in avanti mancandola di un soffio.

«Vi sono mancata?!»

Isabela, l'elsa dei pugnali che spuntava dalla schiena del demone, le lanciò un sorriso feroce, mentre ruotava le sue armi di mezzo giro prima di estrarle. Aveva i capelli ridotti ad un groviglio di rovi, un graffio lungo la coscia che spuntava dal vestito stappato sopra le ginocchia e un rivoletto di sangue a colarle da sotto la manica.

«Dove ti eri cacciata?!» Urlò Marian, sovrastando il ruggito di dolore Xebenkeck.

«Là sotto non è proprio una pacchia-» Il resto della risposta venne coperto da un'ondata di gelo che le travolse come una tempesta, minuscole schegge di ghiaccio taglienti come lame che le ferivano la pelle. Si protesse gli occhi con un braccio, indietreggiando un poco.

Una seconda scarica colpì il demone, questa volta spedendolo lontano da loro. Anders lanciò un altro incantesimo di cura, facendo evaporare il ghiaccio e ridonandole la forza necessaria per trascinare Cullen lontano da lì. Con la coda dell'occhio notò il corpo di Dennis, apparentemente svenuto, sollevarsi da terra, del fumo nero come la pece che lo avvolgeva, le carni che bruciavano dall'interno. Il demone della rabbia proruppe dal suo corpo con un lamento terribile.

Marian lasciò andare il Capitano, fronteggiando la creatura.

Quando affondò la lama nel corpo del demone, ignorando le fiamme che le lambirono il volto, lo vide tremare convulsamente, accartocciandosi poi su sé stesso.

Non fece in tempo a spostarsi del tutto.

Le sfuggì un grido di dolore, dovendosi gettare a terra per spegnere le lingue di fuoco che avevano attecchito sulla stoffa ormai a brandelli dell'abito. Rotolò su un fianco, guardandosi il braccio destro che le doleva da impazzire: la pelle era rossa e violacea, grosse bolle chiare che iniziavano a formarsi sulla superficie. Strinse i denti, lasciando cadere la spadae, con l'unico braccio sano, finì di trascinare Cullen al sicuro contro il muro. «Con questo mi devi un favore, stronzo.» Borbottò furente, recuperando la spada e reggendola con la sinistra.

Aveline, Isabela e Garrett avevano circondato Xebenkeck, ridotta ormai carponi sul pavimento, schiacciata sotto una gabbia elettrica creata dal mago. La puzza di frutta bruciata era aumentata, e il demone sembrava sul punto di cedere: il braccio mutilato non si muoveva quasi più, la coda era stata mozzata così come una delle corna, sulla schiena le profonde ferite inflitte da Isabela sanguinavano abbondantemente.

Venne affiancata da Sebastian, con cui si scambiò uno sguardo di assenso prima di unirsi ai compagni per sferrare l'attacco finale contro la creatura.

L'incantesimo di Garrett venne spezzato in un esplosione di ghiaccio, ma prima che la creatura potesse avventarsi sul mago ormai stremato, venne rallentata da Anders, dando il tempo ad Aveline di frapporsi tra i due colpendola alla testa con lo scudo e caricando un fendente con la spada, che si piantò tra il collo e la spalla incastrandosi nella clavicola. La guerriera strappò via l'arma con un calcio, liberandola in una fontana di sangue violaceo. Sebastian la colpì al fianco con forza, strappandole un ruggito tormentato.

Marian, da dietro, ignorò lo spasmo di dolore quando dovette sollevare la spada con entrambe le braccia, trafiggendo Xebenkeck nella schiena esattamente in mezzo alle ali, troncando la spina dorsale e gli organi interni, e conficcando la lama in profondità fino all'elsa.

La creatura emise un ultimo rantolio prima di crollare in avanti: dopo qualche spasmo, il cadavere prese fuoco, riducendosi ad un cumulo di cenere fumante in pochi secondi.

Marian cadde in ginocchio con un gemito, cercando di riprendere fiato e rischiando di perdere i sensi dal male. Non si accorse nemmeno di Isabela, che si chinò su di lei sfiorandole i capelli.

«Tesoro...?»

Strinse i denti, scuotendo la testa.

«Marian!» Garrett si precipitò da lei, preoccupato, afferrandole delicatamente il braccio. «Anders, torna in te, ci servi.»

Istintivamente, Marian si ritrasse al tocco, lanciando uno sguardo spaventato all'Abominio che ora sembrava tornato il mago di sempre.

Anders sembrò rendersi conto della situazione, perché si immobilizzò, alzando una mano verso di lei ma concentrando un poco di mana, poteva sentire il Velo fremere attorno al mago. «Giuro che non è come credi.»

«Marian, non mi pare il caso-»

«So cos'ho visto, era un Abominio.» Non si voltò nemmeno verso il fratello. «È un Abominio.»

«No invece, è solo...»

«Condivido il corpo con uno Spirito.» Li interruppe Anders, restando guardingo. «Ma vi ho aiutati contro di loro, quindi credo di meritarmi almeno il beneficio del dubbio, no?»

Marian inspirò a fondo, cercando di ignorare il dolore e pensare lucidamente. Aveva la nausea, la testa le girava, non aveva la forza nemmeno per alzarsi, figuriamoci affrontare un altro mago, per di più ex Custode Grigio e possibile Abominio. “E alla fine non ha tutti i torti, se non ci fosse stato lui, forse saremmo morti”, dovette ammettere controvoglia. Chiuse gli occhi, annuendo stancamente.

Sebastian ed Aveline spostarono lo sguardo da lei al mago, interdetti. Il frastuono dal piano di sotto sembrava affievolirsi. Se avesse deciso di attaccare Anders, probabilmente avrebbe avuto presto il supporto dei templari. D'altra parte... No, era troppo stanca. “E poi, Garrett impazzirebbe.” Non sarebbe stato giusto. Anders aveva ragione, li aveva aiutati.

«Marian, sei sicura sia la scelta giusta?» Le chiese Sebastian, la spada ancora in pugno.

Sospirò, guardando il fratello. «Garantisci?»

Lo vide annuire.

«Bene, per me può bastare.» L'odore di bruciato e di sangue le riempiva le narici. «Gettate i bastoni, vi copro io con gli altri.»

«Grazie.» Il fratello la aiutò ad alzarsi, barcollante. Si guardarono attorno, erano circondati da cadaveri: nobili, servitori, guardie, templari, di alcuni resti non avrebbe nemmeno saputo indovinare la provenienza. Non che volesse farlo. Incrociò il suo sguardo, e seppe che entrambi si stavano ponendo la stessa domanda.

Si morse un labbro.

«Leandra è al sicuro, l'ho vista prima, è uscita prima dell'esplosione.» Si intromise Isabela, afferrandole una spalla e guardandola dritta negli occhi. «Sta bene. Era coi Selbrech, sono usciti giusto prima che cominciasse lo scontro... sembravano tutti impazziti, Luthor Mander ha accoltellato uno dei ragazzi dei Reinhardts con uno spiedo, e da lì il racconto diventa ancora più assurdo.»

Sbiancò, immaginando il caos che doveva essere scoppiato tra la folla. «Ma sta bene, sei sicura?»

Isabela annuì. «Ne sono sicura, i Selbrech sembravano normali, e c'era un altro uomo che le faceva molto cavallerescamente da scudo, non ho idea di chi fosse ma aveva tutta l'aria di essere pronto a tutto per difenderla...» lasciò cadere il discorso, allungando una mano verso di lei a sfiorarle la guancia. «Avrai bisogno di una spuntatina, tesoro.»

Marian si passò le dita della mano sana tra i capelli: era vero, una grossa ciocca era bruciata quasi fino alle spalle, non era riuscita a spegnerla abbastanza in fretta.

«Hei, quelli ricrescono.» Cercò di consolarla Garrett, indicando poi il braccio. «Anders, potresti...?»

Il mago aggrottò le sopracciglia, incerto, cercando la sua autorizzazione. Appena Marian gli fece un cenno col capo, si sentì avvolgere da una sensazione di fresco, come se fosse immersa in una spuma dalla mano alla spalla. Lentamente, il dolore si trasformò in un formicolio, e quando l'incantesimo cessò la pelle era soltanto un poco arrossata e le bolle erano sparite. «Grazie.»

Il guaritore sbuffò. «Vediamo di tenerne conto assieme al resto, eh?»

Sentirono avvicinarsi dei passi, molti. Lo scontro al piano di sotto doveva essersi concluso in loro favore.


 

La prima guardia che si affacciò dall'uscio fu Donnic: vedendoli in piedi circondati da cadaveri, si fermò un secondo, impalato sul posto. Aveva l'armatura a brandelli, il braccio sinistro stretto al petto che perdeva sangue da sotto una fasciatura di fortuna. «Aveline! Cioè, intendevo... Capitano!» Esclamò correndo verso la donna, incurante di aver dimenticato il titolo. Dietro di lui, venivano alcuni templari e guardie cittadine, più una dozzina di nobili e gente comune che avevano preso le armi: tutti erano sporchi e feriti, la battaglia doveva essere stata feroce.

Aveline accennò un sorriso stanco, che si spense subito quando anche il suo sguardo vagò sul resto della sala.

Meredith e Karras fecero il loro ingresso nella sala, le armature graffiate e sporche di sangue, ma incolumi. Puntarono dritti verso Marian, china su Cullen a controllare che fosse vivo.

Ci misero un po' a spiegare cosa fosse successo: a quanto pareva, di sotto i superstiti avevano cominciato ad attaccarsi a vicenda, preda di qualche controllo mentale. Guardie, nobili, servitori e persino molti templari si erano gettati gli uni sugli altri, incuranti dei colpi che ricevevano, vittime di un'animalesca sete di sangue. Alcuni di loro, ma una minima parte, si era alla fine rivelata un Abominio, ma nessun demone potente quanto Xebenkeck era comparso, e comunque la maggioranza era solo assoggettata ad un controllo mentale. Marian giurò solennemente che là sopra non ci fosse più alcun mago, e anzi arrivò al punto di asserire che Garrett ed Anders avevano combattuto coraggiosamente al loro fianco, armati di spade e pugnali.

Il cadavere di Xebenkeck era ormai irriconoscibile, quindi nemmeno la Comandante ebbe da ridire.

Cullen era ancora svenuto, ma Marian era certa che non potesse ricordarsi nulla. In ogni caso, sarebbe stata attenta a qualsiasi cosa si sarebbe fatto sfuggire una volta sveglio. Il Siniscalco fu trasportato in tutta fretta verso la chiesa, dove un gruppo di maghi del circolo era già pronto ad accogliere i feriti, seguito dal Capitano.

«Dovremo esaminare ogni singolo templare alla Forca.» Commentò Meredith, massaggiandosi le tempie. «Pensavo che i nostri interrogatori avessero funzionato, ma temo dovrò fidarmi di Orsino per scoprire in quanti sono ancora posseduti...» Vedendo che Marian rispondeva solo con un cenno stanco del capo, il cipiglio della Comandante si distese un poco. «Vai a darti una rinfrescata, Tenente, e a metterti qualcosa addosso.» Le disse accennando al suo abito ormai a brandelli «Ti sei guadagnata un altro encomio, stasera. L'Ordine ti è riconoscente.»

Marian chinò il capo. Voleva solo controllare come stesse la madre, e far allontanare di lì il fratello. «Vi ringrazio, Comandante.»

«Sono io a doverti ringraziare, a nome dell'Ordine e della città.» Sospirò, notando come lo sguardo della più giovane fosse caduto sui cadaveri a terra. «Non possiamo salvarli tutti, ma hai fatto il tuo dovere. Sii fiera di te stessa, senza il vostro intervento non oso immaginare cosa sarebbe successo.»

Fece un cenno al fratello e al resto dei compagni, che la seguirono sollevati fuori dalla villa. I pochi superstiti ancora lì erano pallidi, alcuni presentavano leggere escoriazioni e bruciature, molti piangevano e cercavano di rientrare alla ricerca di familiari o amici.

Leandra, alla vista dei figli, strattonò un uomo della guardia cittadina che aveva provato a fermarla, sfuggendo alla sua presa e correndo verso i figli.

«Pensavo... Cretore, temevo...» Incespicò la madre, i capelli grigi arruffati liberi dalla cuffietta, le guance rigate di lacrime. «Grazie al cielo.»

Marian e Garrett la strinsero in un abbraccio, senza nemmeno pensarci. «Stiamo bene.» Le sussurrò lei, ripetendolo per il beneficio di tutti e tre. «Stiamo tutti bene.»

«Stavo parlando coi coniugi Selbrech quando abbiamo sentito... Tobias Harvent ha parlato di un'esplosione magica, ma Alphonse ha detto-» Leandra scosse la testa. «Non importa.»

Garrett le rivolse uno sguardo confuso. «Alphonse?»

«Oh, nessuno, è un amico dei Selbrech, meno male che c'era lui, ha evitato che Mirabelle Chaney ci saltasse addosso armata di attizzatoio... ha detto che l'esplosione non gli sembrava magica, ma prendiamo tutto con le pinze, di sicuro un'indagine dell'Ordine ci saprà dire di più, vero Marian?»

Annuì distrattamente, mentre camminavano verso la fontana del giardino.

«Lady Amell, sono lieto di sapervi sana e salva.» Si voltò, vedendo Sebastian raggiungerli.

Leandra, sorpresa, lo ringraziò. «Avete combattuto a fianco di mia figlia, vedo, Ser...?»

«Sebastian Vael, sono un amico di Marian. Devo ammettere che non è stata la prima volta che ci siamo ritrovati in una situazione difficile fianco a fianco, ma questa volta...» Sospirò, affranto, il capo chino. «Così tante morti. Che Andraste li accolga al fianco del Creatore.»

Leandra ripetè l'ultima frase, ma i suoi occhi chiari erano puntati sull'uomo. «Mia figlia si mette spesso nei guai, sono contenta che abbia amici fidati su cui contare.» Si limitò a rispondere, accennando un sorriso.

Marian sentì che c'era sotto qualcosa, ma non commentò. Vide il fratello allontanarsi un poco, e individuò Anders nascosto dietro una siepe.

«Ti avevo detto di andartene. Non è sicuro.» Sentì Garrett riprenderlo.

«Non starei tranquillo, a saperti qui da solo.»

Marian andò verso di loro, accostandosi al fratello. «Non è solo.»

Il guaritore indietreggiò istintivamente. «Volevo solo dire-»

«Lo so.» Gli tese la mano, in segno di pace. «Grazie.»

Il mago esitò per il tempo di un respiro, poi, riluttante, gliela strinse.

«Garrett, Marian!» Sentirono gridare, mentre Myranda Selbrech e Rodney Cavin si facevano strada verso di loro. Lei col vestito strappato e sporco, le guance rigate di lacrime e i capelli diventati un nido di rondini; lui con un bernoccolo sulla fronte ma per il resto incolume.

«Oh, siete vivi, meno male!» Esclamò la ragazza, avvinghiandosi al braccio di Garrett, troppo stanco per scollarsela di dosso.

Rodney le afferrò una mano tra le sue, portandosela al petto. «Marian, credetemi, avrei-»

Con uno strattone, si liberò della sua presa, lanciando un'occhiata di sdegno alla spada che l'altro portava al fianco, ancora nel fodero, intonsa. «Non state a tediarci con le vostre scuse, Rodney. Qualcuno che lascia che siano altri a proteggere la propria famiglia, sfoggiando armi che è troppo codardo per usare, non merita la mia attenzione né quella dei presenti.»

Quello si lasciò sfuggire un'esclamazione oltraggiata. «Come osate insinuare...?!» Gonfiò il petto come un pavone, paonazzo in volto. «Mi sono preoccupato della sicurezza dei nostri ospiti, ma non avrei indietreggiato nemmeno di fronte ad un esercito di-»

Marian lo affrontò a muso duro, zittendolo. «Siete un codardo, un montato, un laido, viscido, spregevole individuo che si fa grosso della posizione politica del padre e delle ricchezze di famiglia per circuire chiunque gli passi tra le grinfie. Ora andatevene prima che vi costringa io stessa, ne ho abbastanza di voi.»

Rodney Cavin deglutì, gli occhi improvvisamente lucidi mentre cercava un aiuto che non sarebbe arrivato, indietreggiando per poi sparire quasi di corsa tra le siepi. Marian lo seguì con lo sguardo, un sorriso che le compariva sulle labbra.

Garrett battè le mani. «Finalmente.»

«Non ne potevo più.»

Myranda Selbrech era rimasta ipnotizzata dalle parole di Marian, e ora la guardava come si farebbe con un animale esotico uscito dalla sua teca. «Se la sarà presa.»

«Sì, immagino di sì.»

«Myranda, a tal proposito...» iniziò Garrett, cercando di scollarsela di dosso ma venendo interrotti dall'arrivo di Leandra e Sebastian.

L'uomo le lanciò uno sguardo ammirato e divertito, un sorriso sghembo sul volto. Il suo stomaco fece una capriola. Arrossì.

«Marian, credevo di averti insegnato maniere migliori...» La rimproverò bonariamente la madre, ma contrariamente alle sue parole non sembrava arrabbiata.

«Qualcuno doveva insegnarle prima a lui.» Bofonchiò lei, incrociando le braccia al petto.

Leandra sospirò, guardando la giovane Selbrech. «Cara, i tuoi ti stanno cercando.»

Quella sembrò cogliere l'antifona, perché lasciò finalmente il braccio di Garrett e si allontanò.

La donna guardò entrambi i figli, e Marian si sentì sotto scrutinio. «Ho proprio sbagliato tutto con te, eh?» Sussurrò Leandra, scuotendo il capo. «Con entrambi, temo. A volte mi dimentico che ve la sapete cavare da soli.»

Marian sorrise a sua volta, sollevata che finalmente la madre sembrasse aver desistito dai suoi propositi di matrimonio. «Scuse accettate. Almeno non ho dovuto massacrare Rodney con un vassoio per fartelo capire.»

Leandra ridacchiò. «Per come gliele hai cantate, forse lo avrebbe preferito.»

«Ahem.» Si voltarono verso Garrett, che tossicchiò di nuovo per attirare la loro attenzione. «Anche io avrei un annuncio da fare, a tal proposito.»

Confusi, videro Garrett afferrare Anders, che sembrò sorpreso quanto i loro ignari spettatori. In una mossa fluida, si avvicinò a lui, soffocando l'esclamazione sorpresa dell'altro in un lungo bacio che non aveva proprio nulla di casto.

Marian fu la prima a distogliere lo sguardo, disgustata. «Per le palle del... trovatevi una stanza.»

Garrett, per tutta risposta, sollevò il pugno destro, mostrandole il dito medio.

Leandra si era trasformata in una statua di sale. Per un folle attimo, Marian temette potesse avere un infarto proprio lì, che quella sarebbe stata la ciliegina sulla terribile serata che andava a concludersi. Stava per controllare che fosse viva, quando Sebastian le fermò il braccio, tirandola un poco indietro verso la fontana.

Garrett ed Anders si staccarono, il primo con un cipiglio di sfida rivolto verso di loro, il secondo paonazzo con gli occhi puntati a terra. Vedendo che la madre non sembrava reagire, il fratello fece un passo verso di lei. Le mise una mano sulla spalla, chinandosi un poco per essere alla sua altezza. «Madre...?»

Leandra chiuse gli occhi, inspirando profondamente. Li riaprì dopo un paio di secondi, annuendo solennemente. «Dopo tutte quelle ragazze, questa non me l'aspettavo...» Sospirò, alzando lentamente una mano e appoggiandola sulla guancia del figlio. «Sembra che non ci siano nipotini all'orizzonte, nonostante i miei sforzi.»

Garrett ridacchiò, imbarazzato. «Però avevi ragione, mi piacciono le bionde.»

Anders, poco dietro di lui, si passò una mano tra i capelli, estremamente a disagio. «Potevi almeno avvisarmi...»

Quando Sebastian le rivolse un sorriso affettuoso, il cuore di Marian perse un battito. «Visto?»

Arrossì, afferrandosi una ciocca di capelli e voltandosi dalla parte opposta, sedendosi su una delle panchine di fronte alla testa del serpente marino nella fontana. «Uh, sì. Io lo sospettavo da un pezzo, per la cronaca.» Rabbrividì, rendendosi improvvisamente conto di avere freddo: l'adrenalina che aveva in corpo stava calando, lasciando spazio alla stanchezza.

L'altro sembrò notarlo, perché si tolse cavallerescamente il mantello orlato di pelliccia per metterlo attorno alle sue spalle, ignorando le sue flebili proteste e restando col semplice farsetto, sedendosi accanto a lei. «Sono imperdonabile, avrei dovuto farlo prima.»

Marian se lo strinse al corpo, ignorando come fosse strappato e bruciacchiato. «Figurati, grazie. Tu stai bene?»

L'uomo annuì. «Volevo anche dirti che quell'abito ti stava divinamente, ma ormai temo sia un po' tardi.»

Si sentì arrossire di nuovo, mentre le sfuggiva una risatina. «Per una volta che mi tolgo l'armatura...»

Sebastian le si avvicinò un poco, sfiorandole la mano. «Non importa cosa indossi, sei sempre b-»

«Hei, voi due!» Li interruppe Isabela, spuntando alle loro spalle e abbracciandola da dietro, stringendola in una morsa soffocante che le fece sfuggire un gemito tra il dolore e la frustrazione. «Che mi sono persa?»

Marian la fulminò con lo sguardo, ma ormai era tardi. Sebastian si era già scostato da lei, irrigidendosi sul posto e salutando la pirata con un sospiro. «Niente di che.»

«Marian, mi chiedevo, posso tornare a casa con voi?» Fece finta di niente Isabela, cercando di sistemarsi in qualche modo i capelli aggrovigliati. «Garrett ha una vasca da bagno meravigliosa, proprio quello che mi servirebbe in questo momento.»

Marian inspirò profondamente. «Non ho nemmeno la forza di chiederti perché sai com'è la vasca di mio fratello, Bela.»

«Ah, vedo che capisci al volo.»

“E tu proprio adesso scegli di non capire nulla?!” Voleva urlarle lei, ma lasciò correre. «Andiamo, allora, tanto devo trovare qualcosa da mettermi addosso.» Si voltò verso Sebastian, facendo per restituirgli il mantello, ma l'altro scosse la testa.

«Tienilo pure, ci vediamo domani.» Le disse, alzandosi e passandosi il dorso della mano sul taglio ormai quasi rimarginato sulla fronte. «Ho bisogno anche io di darmi una sistemata, e poi andrò ad aiutare il resto dei fratelli e sorelle con i feriti.»

«Allora ci vediamo lì tra qualche ora.» Rispose subito Marian, scattando in piedi anche lei.

L'altro sorrise. «Ti aspetto.»

Isabela scosse la testa, sbuffando. «Certo che siete proprio incredibili...»
































Note dell'Autrice: ebbene sì, il piano di Geralt e co era quasi andato in porto, e avrebbe forse funzionato se non ci fossero stati gli Hawke e amici a fermarli. Ma Xebenkeck comunque non è l'unico demone che ha attirato l'attenzione del nostro mago del sangue (chi ha orecchie per intendere intenda, gli altri in camper), vedremo in futuro cosa combinerà (e se si darà una regolata). Jowan ha rischiato di cedere al demone della disperazione che lo perseguita, e Zevran sembra aver trovato un'amica elfa maga del sangue con cui divertirsi. Proprio una bella compagnia, no? (Ho in mente di scrivere qualcosina tra la fine del secondo atto e l'inizio del terzo, per vedere come se la stanno passando i protagonisti di Dragged... vedremo cosa ne esce.)
Marian non ha dubitato manco per un attimo del fratello, e addirittura si è dovuta ricredere su Anders, pur scoprendo il suo segreto. Leandra si è messa il cuore in pace, vedendo sistemato almeno uno dei due figli (l'altra ahimè è ancora in alto mare) e Rodney Cavin finalmente si è levato di torno (per ora), mentre Aveline e Donnic hanno dovuto rischiare la pelle per combinare qualcosa.  Il teatrino di Garrett ed Anders nelle cucine mi ha divertito moltissimo mentre lo scrivevo, così come il bacio finale. 
Alla prossima! :D 

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Capitolo 23
*** Red water dreams ***


CAPITOLO 23
Red water dreams


 

 

Garrett non ricordava l'ultima volta che era entrato in una chiesa per assistere alla funzione. Forse a Lothering, quando ancora Leandra e Malcolm si preoccupavano che ciascuno dei loro figli mantenesse una facciata di rispettabilità agli occhi della piccola comunità che si riuniva ogni settimana per la messa.

Andraste sembrava non curarsi di loro, lo sguardo dell'enorme statua puntato verso il cielo, la fiamma tremula del cero nella sua mano che illuminava il volto impassibile. Nella sinistra reggeva l'enorme spada, pronta ad affrontare i nemici dei suoi fedeli.

Ma quali fossero gli amici, e quali i nemici, Garrett non lo sapeva.

Lanciò uno sguardo a Marian. Qualche fila più avanti, sulla destra, la Comandante Meredith fissava con un cipiglio feroce l'altare dal quale la Somma Sacerdotessa Elthina predicava il suo sermone, mentre al suo fianco il Capitano Cullen, pallido in volto e più scavato del solito, aveva lo sguardo perso nel vuoto, la mano salda sull'elsa della spada. Dall'altra parte, lo spallaccio dell'armatura nuova di zecca che sfiorava quello della Comandante, stava Marian, il capo chino sulle mani giunte in preghiera. Non poteva vedere chiaramente il suo viso con quella fioca luce, ma gli sembrava che la sorella avesse gli occhi chiusi. Tutto attorno ai fedeli riuniti vi erano sull'attenti templari e guardie cittadine: poteva vedere le loro armature luccicare nelle alcove, dietro le balaustre al piano superiore, accanto all'ingresso principale e alle uscite secondarie.

Leandra, accanto a lui, si soffiò piano il naso mentre Elthina cominciava ad elencare la lunga lista di caduti di quella terribile notte. Al nome di Laurence Harvent udirono un singhiozzo sommesso dalle tre persone in piedi nel banco di fronte al loro. Tobias, il più giovane dei figli, circondò con un braccio le spalle della madre mentre il maggiore, Taddeus, cercava di restare impassibile.

Alcuni erano nomi di persone che Garrett aveva incontrato spesso, altri invece di cui a stento ricordava il volto, molti infine erano sconosciuti. Tanti, troppi.

Notò con una punta di fastidio che erano stati elencati non in ordine alfabetico, come sarebbe stato logico per lui fare, ma di prestigio.

Vide Margaret Deghmont sussultare, il volto coperto da un velo nero, quando la voce della Somma Sacerdotessa chiamò i nomi del fratello minore e della madre, morta solo qualche ora prima dopo una lunga agonia, i maghi del Circolo non erano riusciti a fare nulla contro le ustioni riportate sul corpo della donna e del ragazzino, troppo vicini all'esplosione.

Lunette Dewine scoppiò a piangere sentendo il nome del fratello maggiore, Martyn, e si stinse alla madre e al fratellino in cerca di conforto.

La famiglia Reinhardts occupava due file complete, i volti rigati di lacrime per aver perso quattro dei suoi componenti. Due erano templari, ne ricordava vagamente uno tra i colleghi di Marian.

Myranda Selbrech stringeva la mano di James Selwyn, mentre la madre di quest'ultimo piangeva sommessamente accanto al marito la perdita del figlio maggiore, che aveva lasciato orfani due gemelli nati solo l'estate prima. Mancava la vedova, rimasta a casa ancora convalescente. I genitori di Myranda erano ad una fila di distanza dalla figlia, entrambi col capo chino.

Fifi e Babette de Launcet indossavano dei vestiti neri con delle decorazioni appariscenti, riuscendo anche in un momento di lutto come quello a risultare sconvenienti. Guillaume e Dulci de Launcet, i genitori delle due, erano al fianco dei fratelli De Varley, che avevano perso entrambi i genitori: Orson, il maggiore, stringeva la stampella di legno come se stesse per romperla, il moncone di gamba ancora avvolto nelle bende dove il cerusico aveva dovuto amputare, il volto pallido e malaticcio mentre cercava di darsi un contegno di fronte alle altre famiglie orlesiane.

Garrett riconobbe i coniugi Durand, che avevano perso due dei figli tra cui Antoine, il ragazzotto biondo che alla festa aveva riso sguaiatamente alle sue battute; le tre sorelle De Rosier, la maggiore delle quali sfoggiava una vistosa fasciatura alla testa e non doveva avere più di dodici o tredici anni, strette attorno al padre con gli occhi incavati e rossi di pianto a dare l'ultimo saluto alla madre; Pierre e Yvonne Beaumont, immobili come statue di sale, gli occhi puntati verso la statua di Andraste come se si aspettassero che restituisse loro il padre e il fratello maggiore, uno dei templari che erano stati uccisi nello scontro, mentre la madre non c'era, doveva essere ancora in bilico tra la vita e la morte.

Quella lunga lista di nomi altisonanti lasciò spazio a quelli che non avevano un blasone di famiglia, semplici guardie cittadine e templari, mercanti che si erano ritenuti fortunati ad aver ricevuto un invito, e ancora servitori, camerieri, giardinieri, facchini, cuochi, musicanti.

Garrett riconobbe alcuni nomi, era gente che conosceva dai tempi in cui viveva in città bassa, le loro famiglie erano in fondo alla chiesa, in piedi e accalcate per mancanza di spazio. Data l'ingente partecipazione, agli abitanti dell'Enclave era stato proibito l'accesso, ma gli enormi battenti della chiesa erano rimasti aperti e un gran numero di elfi si era radunato fuori dall'ingresso per affidare anche i propri cari al Creatore e alla sua sposa, che per prima dopo lunghi secoli di schiavitù li aveva riconosciuti come suoi pari.

Il Visconte Dumar era in prima fila, di fronte alla Somma Sacerdotessa, e per tutta quella lunga lista di nomi non rialzò mai il capo, chino sulle mani giunte in preghiera. Il figlio Seamus, accanto a lui, pareva distante, lo sguardo vacuo posato sui ceri spenti ai piedi del simulacro di Andraste. Il Siniscalco non c'era, segno che non si era ancora ripreso dalla brutta esperienza, ma al suo posto c'era Rodney, il petto gonfio nel suo farsetto nuovo: Garrett non si stupì notandolo poco coinvolto.

Elthina concluse il suo discorso con un accorato appello alla comunità di restare unita. Si chinò ad accendere un imponente cero bianco ai piedi della statua della Profetessa, e la dozzina di fratelli e sorelle della Chiesa in abiti candidi dietro di lei sciamarono verso l'altare, facendo altrettanto con le decine e decine di candele argentee poste in ricordo dei defunti. Sebastian era tra loro, scuro in volto e concentrato: Garrett lo vide sussurrare qualcosa, accendendo la prima candela.

«La Luce li guiderà al sicuro, attraverso questo mondo e verso il prossimo. Per coloro che hanno fede nel Creatore, il fuoco è la loro acqua. Come una falena vede il bagliore e vola verso la fiamma, così loro vedranno queste fiammelle e proseguiranno verso la Luce. Il Velo non avrà segreti per loro e non conosceranno paura della morte, poiché il Creatore e la sua Sposa saranno il loro faro e il loro scudo, le loro fondamenta e la loro spada.»

Terminata l'accensione dei ceri, la Somma Sacerdotessa tese la mano verso i suoi fedeli, invitandoli a seguirla: scese la scalinata verso la navata centrale, scortata da Meredith, Cullen e altri quattro templari tra cui Marian, e percorse il tragitto verso l'uscita. Dietro di lei venivano i fratelli e sorelle della chiesa, tutti vestiti di bianco: ciascuno di loro reggeva un cero pallido, la fiamma che guizzava lentamente seguendo i loro passi.

Garrett e Leandra si unirono al resto dei nobili, accodandosi. La folla di persone sul fondo della chiesa si aprì in due ali al loro passaggio, permettendo alla processione di uscire all'esterno, per poi seguirli. Anche gli elfi sull'ampia scalinata di fronte all'ingresso si spostarono ai lati, aggregandosi in fondo al folto gruppo.

Percorsero il lungo tragitto fino al porto, i toni rossi e caldi del tramonto invernale ad accompagnarli, intonando canti e preghiere al Creatore e ad Andraste fino ad arrivare al molo più grande della città, dove erano state allestite due grandi pire funebri galleggianti. Sotto lo sguardo dell'intera Kirkwall, due sorelle della Chiesa presero una torcia ciascuna e le avvicinarono ad un braciere posto a pelo dell'acqua, poi salirono su una coppia di piccole barchette di legno con tre rematori per una, che le trasportarono fino alle piattaforme. Depositarono le torce tra la legna e subito la fiamme attecchirono grazie all'olio e unguenti posti sui fasci di legname e sui corpi vestiti di bianco: ben presto, il fuoco ardeva brillante nella baia, il fumo che si alzava in una nube scura che si perdeva nel cielo ormai scuro. Le due lune assistevano impassibili a quell'ultimo addio.

Le pire sarebbero andate avanti a bruciare per ore, ma Garrett non era in vena di rimanere tutto quel tempo lì ad aspettare.

«Madre, torniamo a casa?»

Leandra annuì, anche lei era scossa e tremava sotto la brezza gelida della sera.

Allontanandosi, in molti lanciarono a Garrett cenni di ringraziamento, occhiate riconoscenti, parole di encomio per aver aiutato a difendere la città e i suoi abitanti.

Lui si limitava a chinare il capo, accondiscendente, un nodo alla gola e lo stomaco sul punto di rivoltarsi come un calzino. Non riusciva a smettere di pensare che, in parte, fosse colpa sua: aveva sottovalutato il pericolo, la follia che sembrava aver preso possesso di Geralt, Jowan e molti altri della Resistenza. Maghi con cui aveva collaborato per anni, alcuni dei quali aveva fatto uscire lui stesso dalla Forca, o aveva aiutato a scampare alla cattura dei templari.

Degli stessi templari che aveva scelto di proteggere, voltando le spalle ai compagni di lotta.

Ma era davvero quella l'unica soluzione? Uno schieramento o l'altro, senza possibilità di riconciliazione, di dialogo, di tregua?

Sospirò profondamente, mentre rientravano a casa. Bu gli si avvicinò uggiolando, sfregando il muso sui suoi pantaloni alla ricerca di coccole. Si chinò ad accarezzarle il dorso, abbracciandola stretta mentre la mabari cercava di leccargli la faccia.

Leandra si sedette nella poltrona comoda di fronte al caminetto acceso, un bicchiere di brandy aromatizzato stretto tra le mani. Accortasi che il figlio la stava guardando, gli sorrise stancamente. «Anche io ho bisogno di bere qualcosa, stasera.»

«Pensavo avessi smesso.»

La donna fece roteare lentamente il liquido ambrato nel bicchiere di cristallo. «Lo pensavo anch'io.»

Rimasero in silenzio per un po', lui coccolando Bu, lei seduta con lo sguardo perso tra le fiamme del camino, entrambi assorti nei propri pensieri.

«Perdonatemi... è arrivata una lettera per voi.»

La voce di Bodahn li riscosse con un sussulto. Bu scattò verso il nano, saltandogli addosso e cercando di rubargli il rotolo di pergamena piegato che reggeva in mano. Quello la schivò abilmente con un agilità nata dall'avere sempre a che fare con i dispetti della mabari, facendola caracollare sul tappeto e scattando in avanti per consegnare la lettera tra le mani di Garrett, che si era alzato per aiutarlo. «Eccola, Messere.»

Ebbe un piccolo tuffo al cuore, notando il sigillo di ceralacca argentata dei Custodi Grigi. Lo aprì con attenzione, avvicinandosi alla madre e sedendosi sul bracciolo della poltrona. «È di Carver.»

 

Cara madre, caro Garrett (e Marian, se anche lei si degnerà di leggere),

Come state? Spero che le cose vi vadano bene. L'inverno è arrivato presto a Weisshaupt, e le tempeste di sabbia si sono fatte più violente, tanto che quando il vento gelido si abbatte sulle finestre ululando nella notte, quasi mi ritrovo a rimpiangere il tempo in cui ci lamentavamo di dormire sul freddo pavimento del tugurio di Gamlen.

Ma non è del tempo che voglio parlarvi, anche se scommetto che il mio più caldo mantello di pelliccia non sia soffice nemmeno la metà di qualsiasi cosa tu ti metta addosso di questi tempi, fratello.

Il Comandante Adrien mi ha permesso di unirmi a lui per un viaggio nei Liberi Confini, e se tutto va per il meglio dovrei riuscire a venire a trovarvi entro la fine del mese di Umbralis. Cercate di non imbarcarvi in strane imprese prima del mio arrivo, non vorrei perdermi tutto il divertimento come al solito. E comunque, ho parecchio da raccontarvi anch'io, ormai sono un Custode Grigio a tutti gli effetti, alcuni aneddoti che ho in serbo farebbero impallidire persino i racconti da templare di Marian.

Salutate anche Gamlen da parte mia, se è ancora in giro.

Spero di vedervi presto,
Carver

Ps. Garrett, non ti azzardare a dire niente a Merrill, voglio che sia una sorpresa. Non che ci sia niente da nascondere, ovviamente, ma fatti gli affari tuoi.

 

Ridacchiò leggendo l'ultima riga, scuotendo la testa. L'elfa avrebbe saltellato dalla gioia a saperlo, ma non aveva intenzione di rovinare i piani del fratello, qualsiasi essi fossero.

Bu abbaiò, attirando la loro attenzione. Garrett lasciò la madre intenta a rileggere più volte quelle poche righe, mentre andava verso la cucina a cercare qualcosa da dare alla mabari. Lumia e Seth, i due elfi che aiutavano Bodahn a tenere in ordine la casa tra pulizie e cucina, avevano lasciato un paio di forme di pane caldo nel forno ormai spento. Ne tagliò qualche fetta, allungandone un paio a Bu che sgranocchiò la crosta croccante con soddisfazione.

Tornò dalla madre, trovandola dove l'aveva lasciata. «Pensavo di uscire, per cena. Seth ha lasciato dello stufato pronto, va solo scaldato, se hai fame. Altrimenti posso dire a Bodahn di preparare qualcosa al momento.»

Leandra scosse la testa. «Penso mangerò solo un pochino di pane con del latte, sono ancora un po' scossa. Marian non viene?»

«Ha da fare, l'hai vista. Credo che Meredith li stia mettendo parecchio sotto torchio.»

«Ah, già...» Sembrava distante.

«Allora io vado.»

La donna si limitò ad annuire, augurandogli buona serata. Garrett le lanciò un ultimo sguardo preoccupato, ma si strinse nelle spalle. Intercettò Bodahn, che stava portando due scodelle di stufato per sé e Sandal in camera loro. «Tienila d'occhio, non credo sia molto in sé.»

Il nano sorrise sotto la folta barba, cordiale. «Certo Messere, è in buone mani.»



 

L'impiccato era più vuoto del solito.

Entrando, venne accolto da un improvviso silenzio, mentre molte teste si voltavano verso di lui all'unisono. In molti gli lanciarono sguardi compiaciuti, salutandolo vivacemente e facendogli i complimenti per quello che aveva fatto, ma non gli sfuggirono anche le occhiate di diffidenza, addirittura astio che alcuni gli rivolsero prima di tornare ai propri boccali.

Filò dritto verso il piano di sopra, dove sapeva che Varric lo stava aspettando con la cena e, sperava, informazioni fresche di giornata.

«Ah, mi chiedevo quando saresti arrivato.» Lo salutò il nano con un cenno. Accanto a lui, Anders aveva uno sguardo più tormentato del solito, mentre Merrill dava loro le spalle, rivolta alla finestra.

«Mia madre non se la sta passando bene.» Rispose semplicemente, prendendo un boccale vuoto e riempendolo da uno dei piccoli fusti che l'amico teneva nella stanza. «L'ha scossa parecchio.»

Anders lo guardò preoccupato. «Spero non c'entri nulla il fatto che noi-»

Scosse il capo, spazzando via il pensiero con un gesto della mano, accomodandosi accanto al mago.

«I templari sono passati all'Enclave, stamattina.» Raccontò Merrill, voltandosi finalmente verso di lui. L'espressione era seria, sul volto giovanile di solito un po' svampito c'era solo una fredda determinazione. «Sono passati di casa in casa finchè non hanno trovato il ragazzino che stavano cercando, aveva appena dodici anni. L'hanno trascinato urlante fino alla Forca, li ho seguiti.»

«Non avresti dovuto, soprattutto in questi giorni.»

Lo guardò risentita. «La madre ha una bancarella di stoffe proprio vicino a casa mia, li salutavo ogni giorno. A stento potrebbe giudicarsi un mago, quel ragazzo, era in grado solo di accendere una fiammella. L'ho visto, una sera, è scoppiato a piangere dopo essersi scottato una mano.» Incrociò le braccia, appoggiandosi al muro.

«Non avrà vita facile, là dentro.» Commentò cupo Anders.

Garrett sospirò. «Non possiamo farci niente, è troppo pericoloso per il momento.»

«Quindi... è finita?» Gli chiese Merrill, una profonda tristezza nella voce, i grandi occhi verdi puntati su di lui.

«Non posso crederci che abbiano mandato tutto a puttane.» Ringhiò Anders sottovoce. «Per cosa, poi? Demoni e magia del sangue.»

A Garrett non sfuggì l'occhiata che rivolse all'elfa. «Non c'entra la magia del sangue, Geralt odia i templari addirittura più di Giustizia, forse. E noi non l'abbiamo fermato in tempo.»

«Forse non avremmo dovuto.»

Gli lanciò uno sguardo di sfida. «Cosa intendi dire?»

Anders non abbassò gli occhi. Poteva vedere un barlume di luce nelle iridi color miele, segno che Giustizia era in allerta. «Se l'Ordine fosse caduto nel caos, avremmo avuto l'occasione per fare irruzione alla Forca e liberare tutti.»

«Se l'Ordine fosse caduto, tre giorni fa, mia sorella sarebbe stata tra le vittime.»

Il guaritore non rispose, ma quel silenzio valeva più di mille parole.

Garrett inspirò, la mascella rigida. «Avrebbero dato la colpa a tutti i maghi, indistintamente.»

«Sarebbe stato troppo tardi.» Ribattè l'altro. «Sarebbero morti tutti molto prima.»

«E poi? Li avrebbero mandati a Val Royeaux, un branco di templari posseduti ad uccidere la Divina in persona?!» Sibilò furente, sbattendo il boccale sul tavolo e rovesciando della birra. «Non è la soluzione, lo sai benissimo.»

Sentì il Velo assottigliarsi, mentre Giustizia faceva capolino. «La soluzione non è nemmeno proteggere quei templari!» Ruggì lo spirito, alzandosi in piedi. «Hai visto cos'hanno fatto alla Forca, almeno una mezza dozzina di maghi sono stati sottoposti al Rituale solo perché sospettati di aver collaborato con la Resistenza! Accusati, senza prove, solo per il fatto di aver parlato contro i propri oppressori!»

«E altrettanti templari sono stati decapitati sul posto perché creduti posseduti, che fosse vero o meno!» Si rese conto di aver alzato la voce, e strinse i denti, cercando di contenersi. Se avesse perso la pazienza, Giustizia si sarebbe scaldato troppo, e nessuno voleva uno spirito incazzato in quella stanza. «Se Geralt non avesse portato avanti il suo folle piano-»

«Hei, vediamo di calmarci!» Si intromise Varric, stufo infine di quella discussione. «Maghi, templari, vi ho già detto che il primo che rompe di nuovo il tavolo finisce in strada con un quadrello nel culo, non mi importa chi abbia ragione e chi torto.»

Garrett inspirò un paio di volte, calmandosi. Rimase però in piedi finchè Giustizia non lasciò il posto ad Anders, che barcollò fino a sedersi di nuovo al suo posto, reggendosi il capo.

«Hai ragione, Varric, scusaci.»

«Contento di averti di nuovo tra noi, biondino. Scheggia, a cuccia, fa' il bravo.»

Obbedì risentito. «Ammetto che la situazione sia peggio di prima, ma non è certo colpa nostra.»

«Mi chiedo,» lo interruppe Merrill sedendosi al tavolo anche lei, le sopracciglia aggrottate «come facevano a controllare mentalmente tutte quelle persone? Insomma, il piano da quanto sappiamo era prendere controllo della maggior parte dell'Ordine, per farli sterminare tra loro e... cosa, farli andare fino ad Orlais per fare lo stesso con gli altri Circoli?»

Anders annuì. «Anche io sono confuso, non sono esperto come te nella magia del sangue, ovviamente, ma non ho mai sentito parlare di una forma di controllo mentale così vasta. Già ne avevano assoggettati molti, per essere comunque un esiguo numero di maghi, non ho idea di come avrebbero fatto a controllarne altri.»

«Credo gli servisse quella pietra, per farlo.» Parlò Garrett, grattandosi la barba e prendendo un sorso di birra scura. «Quel demone, Xebenkeck, avrebbero imbrigliato il suo potere per aiutarli a controllarli tutti, e uccidere Meredith inscenando il loro finto colpo di stato. Una volta in controllo della città avrebbero potuto andare a Val Royeaux, o in qualunque altro posto, a fare lo stesso, possedendo templari di alto rango nei vari circoli...»

«Fino a farli cadere tutti.» Concluse Anders.

Garrett dovette ammettere che era un piano ambizioso, ma avrebbe potuto funzionare. Se solo non li avessero fermati, avrebbero avuto un'ottima possibilità di riuscire a sovvertire l'intera organizzazione della Chiesa e del suo braccio armato, fino ad arrivare magari al manovrare persino i Cercatori e la Divina come marionette coi fili.

Per un attimo, uno solo, si soffermò a pensare cosa sarebbe potuto essere: una realtà in cui poter andare in giro senza paura, senza nascondersi, accettato come chiunque altro e non temuto come un mostro sempre sul punto di perdere il controllo.

Si riscosse, scuotendo il capo. “No, non così.”

Sapeva che Anders e Merrill stavano pensando la stessa cosa. Bevve un altro po' di birra, lo stomaco che brontolava. Varric sembrò notare la sua fame, perché si avvicinò ad un piccolo scomparto nel muro e, tirando una cordicella, ordinò di portare su la cena.

Dopo poco, arrivarono quattro piatti di carne fumante.

«In ogni caso, non so se la Resistenza potrà continuare.» Disse dopo un po' Garrett, rompendo il silenzio che gravava attorno al tavolo.

Anders strinse il coltello fino a sbiancarsi le nocche. «Non possiamo abbandonare tutti quei maghi a sé stessi. Non ora che i templari si scaglieranno contro di loro con ancora più forza.»

«Lo so, ma cosa possiamo fare?» Scosse la testa, sconfitto. «Abbiamo perso la maggior parte dei nostri, il Carta non ci appoggerà probabilmente più, e con questo casino ci siamo fottuti il poco di segretezza che ancora poteva avere il movimento. Ci braccheranno come mastini con la selvaggina, appena fiutato il nostro odore.»

«Abbiamo davvero perso il Carta?»

Varric sospirò, sollevando le spalle. «Per il momento, non ne abbiamo la certezza. Quello che so è che era il vostro amico ad averlo coinvolto in primo luogo, tagliato i ponti con lui, non ho idea se potremmo mantenere la collaborazione con i nani. Orzammar non ha fatto sapere ancora nulla.»

«Hanno investito parecchio nel piano di Geralt.» Ribattè Garrett, masticando rumorosamente. «Non avrei mai immaginato che avrebbero messo a disposizione uno dei loro esperti di esplosivi, finendo sotto i riflettori in quel modo. Sembra troppo... sfacciato, come comportamento.»

Il nano prese qualche sorso dal suo boccale, scuro in volto. «Fino a qualche anno fa, ti avrei dato ragione, ma dopo il Flagello qualcosa è cambiato, e non sto parlando solo del fatto che i profitti sono aumentati esponenzialmente.» Fece roteare la birra al suo interno, lo sguardo puntato sulla schiuma. «Non li ho mai visti tanto coesi. Di solito, i clan di superficie si tagliavano grosse fette di profitto, litigandosi le zone e i colpi come lupi attorno ad una carcassa, mentre ad Orzammar ogni scagnozzo con manie di grandezza cercava di tagliare la gola ai suoi superiori. Ora, i lupi si muovono in branco, e con un'organizzazione degna del migliore plotone di Chevalier Orlesiani, mentre nella capitale tutto fila liscio come l'olio. Non so perché abbiano puntato così tanto in quest'impresa, ma dovevano avere delle rassicurazioni belle grosse sui profitti che ne avrebbero ricavato.»

«Geralt aveva parlato di qualcuno in alto nel Carta.» Ricordò Garrett, guardando Anders in cerca di aiuto. «Abbastanza in alto da dargli così tanta fiducia?»

L'altro si strinse nelle spalle. «Non ho mai avuto occasione di parlarci a lungo, ma da quel poco che so, è stato ad Orzammar durante il Flagello. Ogni volta che si parla di quei mesi cambia subito argomento, ma è chiaro che debba essersi fatto amico qualche pezzo grosso, magari qualcuno che gli deve un favore, o qualcosa del genere.»

Merrill si rabbuiò subito, a sentir parlare del Flagello.

Varric scoppiò a ridere, amaramente. «Il Carta non funziona così, non esistono favori se non ne ricavano qualcosa. Il profitto è l'unica cosa che conta: “sangue o oro, il Carta ottiene sempre la sua parte”, si dice.»

«Ma avranno anche loro degli amici!» Si intromise Merrill, stupita.

«Non ci conterei, margheritina...»

Anders sospirò. «Riusciamo a metterci in contatto con Stök, capire che posizione prenderanno da ora? Se è rimasto qualcuno della Resistenza li riuniremo piano piano, non possono essere tutti dalla parte di Geralt, mi rifiuto di credere che siano rimasti solo maghi del sangue.»

Garrett fece una smorfia, ricordando l'ultima volta che il nano in questione gli aveva quasi fatto saltare in aria casa con i suoi fuochi d'artificio. «Quel bombarolo pazzo?»

Fu Varric a rispondere. «Non avrei mai creduto di dirlo, ma per ora è l'unico di cui mi fido che non ci riempia di stronzate sulle intenzioni del Carta, ha contatti diretti coi grandi capi giù ad Orzammar.» Finì la birra in pochi lunghi sorsi. «E terrò anche le orecchie aperte in caso qualcuno avvistasse una grossa Tal-Vashoth dal carattere di ghiaccio.»

Anders annuì. «Non avrebbe potuto intrufolarsi tra ospiti e servitori come hanno fatto loro, quindi è l'unica a non essere ricercata, al momento. Forse riusciremo a metterci in contatto con lei, almeno.»

«Sempre se vorrà ascoltarci...» Commentò tetro Garrett, ricordandosi come la Tal-Vashoth aveva seguito Geralt e Jowan senza fiatare quando avevano cercato di impiantare un demone nel corpo di Alrik. «Dopo tutti quei discorsi sui demoni e sul cadere preda di essi, non capisco come sia d'accordo anche lei all'uso magia del sangue.»

«Gliela abbiamo affidata noi. Su un fottuto piatto d'argento.» Anders vuotò la propria birra, scuro in volto.

«Non potevamo saperlo, Anders, non è colpa nostra.»

«Non lo è mai, vero Garrett?»

«Io farò qualche ricerca all'Enclave, invece.» Decise Merrill, interrompendoli prima che potessero iniziare di nuovo a battibeccare. «Scoprirò chi sia e con chi si era messa in contatto quella Vanya, è stato fin troppo facile per quegli elfi spacciarsi per servitori, qualcuno deve aver garantito per loro.»

«In ogni caso, per il momento è saggio tenere un basso profilo.» Concluse Varric, chiudendo la questione. «E parlo per tutti.» Lo sguardo del nano si puntò dritto su Anders, che si mosse sulla sedia a disagio. «Sono serio, biondino. I templari sono già passati più volte in città oscura, non occorre che ti butti addosso altra pece e ti dai fuoco in pubblica piazza.»

«Di nuovo?» Si preoccupò Garrett, volgendosi verso il compagno. «Non me l'avevi detto.»

«Non è una novità.» Ripose evasivo Anders, passandosi una mano tra i capelli. «Ma sì, in questi due giorni sono più del solito a pattugliare i bassifondi, con al fianco gli uomini di Aveline e parecchi... cittadini preoccupati. Un branco di invasati in cerca di qualche poveraccio indifeso da additare come mago e decapitare di fronte alla Forca, ne sono certo.»

«Aveline mi aveva assicurato che avrebbe fatto il necessario per tenerteli lontani.» Si infervorò Garrett, già pronto ad andare a dirne quattro all'amica.

Anders lo afferrò per un braccio, cercando di rassicurarlo. «Ed è quello che sta facendo, non si sono avvicinati molto alla clinica. C'era Donnic con loro, è un brav'uomo. Ma persino tra la Guardia c'è un po' di malcontento, e qualche testa calda che non vede l'ora di menare le mani senza un reale motivo. Aveline ha il suo bel daffare a tenerli buoni.»

Per tutto il resto della serata, Garrett non riuscì a scrollarsi di dosso l'idea che avrebbe dovuto fare qualcosa per proteggere i suoi amici.

Merrill aveva il sostegno dell'Enclave, ovviamente, e Varric aveva pagato abbastanza la Cerchia, il Carta e tutta una serie di altri personaggi da garantirle una certa sicurezza, ma non sapevano esattamente quanto potesse offrire l'altra fazione, o semplicemente se, con la paura dei maghi che sembrava serpeggiare sempre di più tra la popolazione, prima o poi non le si sarebbero rivoltati contro semplicemente per il gusto di farlo.

E Anders, che trascorreva il suo tempo nei peggiori bassifondi della città, avrebbe dovuto contare sul sostegno della peggiore feccia di Kirkwall per aiutarlo, in caso i templari avessero deciso di investigare con maggiore attenzione in quella clinica che offriva cure gratuite a chiunque, ignorando le parole del Capitano della guardia cittadina sul fatto che nessun mago fosse stato visto nei dintorni. Certo, il guaritore aveva più volte aiutato uomini, elfi e nani appartenenti alle varie organizzazioni criminali oltre che semplici cittadini, ma non potevano essere certi che quegli gli stessi pazienti sarebbero corsi in aiuto del loro salvatore, se ne fosse andato della propria vita. O che qualcuno non fosse disperato abbastanza da venderlo ai templari per qualche Sovrana, vista la taglia che c'era sui membri della Resistenza.

«Varric, ho notato una cosa prima, entrando...» prese parola, ricordandosi improvvisamente della strana sensazione che aveva avuto sotto gli sguardi di alcuni degli avventori al piano di sotto «non tutti sembravano entusiasti di vedermi, e non per vantarmi o altro, ma per me è nuova. Almeno, negli ultimi tempi. Mi è sembrato per un attimo di essere tornato un pezzente Fereldiano appena arrivato a rubargli il lavoro di mendicante.»

Il nano si lasciò sfuggire una risatina divertita. «Diciamo che non tutti sono contenti che tu abbia contribuito a salvare quei nobilotti, alla festa.» Rispose semplicemente, giocherellando con l'anello d'oro della sua collana. «In parecchi sono stufi del continuo sfruttamento che devono subire ogni giorno, e non gli dispiacerebbe vedere del sangue blu colare verso i bassifondi.»

«Ma io non-»

«Esattamente, tu ti sei sempre comportato in modo diverso, e non molto tempo fa eri uno di loro. Questo ti ha reso un po' un traditore ai loro occhi.»

Restò basito. «Avrebbero preferito lasciare che i maghi del sangue prendessero il comando della città?»

Varric scosse la testa. «Non capisci, pensi come qualcuno che è invischiato nella vostra lotta.» Si alzò dal tavolo, prendendo altra birra per tutti e allungandogli il boccale. «Alla maggior parte della gente non importa un accidente se i maghi sono nelle loro torri o morti stecchiti, né che Meredith vada in chiesa o tenti di soppiantare il Visconte, e nemmeno quante volte Dumar si faccia pulire il culo dal Siniscalco: tutto quello che interessa alla gente comune, è avere un pasto caldo e una birra schiumosa alla fine di una giornata di duro lavoro, del cibo per sfamare la famiglia, vestiti e un tetto caldo per tenere i figli al sicuro. E in questa topaia di città, con tutti quei ricconi impellicciati di ermellino che non esitano a schiacciare chi già striscia sui ciottoli per arrivare a sera, non sono comodità così scontate, lo sai bene: l'hai vissuto sulla tua pelle, anche se per poco.»

Garrett annuì, l'anno passato in servitù sotto Athenril non era stato certo una passeggiata.

«Vedo che non l'hai dimenticato.» Approvò Varric, sorseggiando la birra. «Ora, pensa vivere in questo modo da tutta una vita, così tuo padre prima di te, e sapere che i tuoi figli faranno lo stesso. Tutto perché il messere per cui ti spacchi la schiena tutti i giorni non si degna nemmeno di pagarti il giusto, solo perché ci sarà sempre qualcuno più disperato di te pronto ad accettare anche meno.» Inarcò un sopracciglio, fissandolo dritto negli occhi. «Se venissi a sapere che qualcuno ha ucciso un bel po' di quei bastardi, non ne trarresti una certa soddisfazione?»

«Ma sono morti anche tanti che non c'entravano niente...»

«In minima parte.» Lo interruppe l'amico, scuotendo il capo. «No, non saranno certo un paio di vittime accidentali a cambiare la loro opinione. E parecchie malelingue erano già all'opera un paio d'ore dopo l'accaduto, brindando in onore degli eroi che avevano “alzato la testa per far saltare in aria qualche ricco bastardo”, cito a memoria.»

«Come hanno fatto a saperlo così in fretta, se-» le parole gli morirono in gola ancora prima di finire di formulare la frase. «Faceva tutto parte del piano, per distogliere l'attenzione della città dal conflitto coi templari... fomentare una rivolta dal basso, addirittura.»

«Vedo che sei arrivato alle mie stesse conclusioni.» Approvò Varric, indirizzandogli un brindisi. «Te l'ho detto, il Carta si è fatto più furbo, e persino la Cerchia è coinvolta, ci scommetto la spilla di famiglia che hanno tirato in mezzo anche loro.»



 

Quando fu così tardi che Varric chiese loro se avessero intenzione di fermarsi a guardare l'alba dalla terrazza, Merrill, Garrett ed Anders salutarono l'amico, diretti a casa.

Dopo aver accompagnato l'elfa all'Enclave, Garrett provò a chiedere ai due se avessero bisogno di un posto più sicuro dove nascondersi, almeno temporaneamente.

«I templari non penseranno mai di venire ad investigare proprio a casa di una di loro.» Spiegò, cercando di convincerli. «Solo per qualche giorno.»

Merrill si fermò, lo sguardo rivolto al Vhenadahl, le foglie ormai quasi tutte cadute per l'inverno. «Sei gentile, ma devo rifiutare.» Sorrise con affetto, chinando un poco il capo. «Questa è la casa che mi sono scelta, non posso allontanarmi. C'è gente qui che ha bisogno di me. Poi credo che mi mancherebbero i ratti giganti se mi trasferissi. Su non ci sono, vero?»

«Merrill...»

«Ti prego di non insistere, Garrett. Ma grazie davvero, lo apprezzo.»

Sospirò, capitolando. «Sai che sei libera di cambiare idea in qualsiasi momento.»

L'amica annuì, aprendo la porta di casa e scivolando al suo interno. «Buonanotte.» L'incantesimo di protezione dell'elfa si attivò subito dopo che la serratura scattò a chiudersi, illuminandosi debolmente per un battito di ciglia prima di eliminare ogni traccia della sua presenza.

Anders si voltò a guardarlo, serio in volto, in silenzio.

«Almeno tu stai considerando la mia proposta?» Gli chiese Garrett mentre si incamminavano verso la città inferiore. «So che abbandonare la Clinica per te sarà difficile, ma si tratta solo di qualche giorno, settimane al massimo-»

«Avrei voluto che me lo chiedessi in maniera diversa.»

Rimase senza parole, guardandolo confuso. «In che senso?»

L'altro scosse la testa, corrucciato, allungando il passo. «Lascia perdere...» Lo vide fermarsi dopo poco, voltandosi verso di lui. «Anzi, no, parliamone. Qui ed ora.»

«Anders, cosa stai blaterando?»

«Pensavo volessi renderlo ufficiale, dopo quel bacio.» Lo interruppe l'altro, rosso in volto. «Che fossimo finalmente una coppia, che non ti vergognassi a far sapere a tutti che stai con un uomo e magari a vivere con me, e invece hai ricominciato a fare finta di nulla, come se non fosse accaduto niente! Forse hai anche detto a tua madre che era tutto uno scherzo, che avevi bevuto troppo, o che-»

«Ma sei impazzito?»

«E allora perché non è cambiato niente?! Ti vergogni, ammettilo!»

Lo afferrò per le spalle, ignorando il suo tentativo di divincolarsi. «Ma sei scemo?!» Sbottò, serrando la presa. «Non ho voluto sbandierarlo al mondo perché avrei attirato l'attenzione su di te, mettendoti in pericolo proprio ora che sono tutti così agitati. E scusa, se non ti ho dedicato tutto il mio tempo in questi tre giorni, Anders, ma se non te ne sei accorto abbiamo problemi ben più grossi di noi due.»

Lo sguardo ferito dell'altro fu come una stilettata in pieno petto. «Non m'importa se l'intera città mi mette sotto scrutinio, se è il prezzo da pagare per starti accanto. Ma tu non la pensi così, l'ho capito, è inutile girarci attorno e accampare scuse.»

Garrett aprì la bocca e la richiuse, senza trovare le parole che cercava disperatamente. Lasciò andare il compagno, il quale si liberò con uno strattone e quasi corse verso il vicolo che lo avrebbe portato in città oscura.

Rimase lì impalato, a guardare il mantello di Anders ondeggiare un'ultima volta prima di sparire dietro un edificio diroccato, le gambe che rifiutavano di muoversi, il cervello che vorticava furiosamente. Poi, all'improvviso, si ritrovò a corrergli dietro, incespicando sui ciottoli resi scivolosi dalla brina che si era creata col freddo della notte.

«Anders!» Lo chiamò urlando, vedendolo fermarsi, gli occhi rossi.

«Cosa-»

Gli afferrò il volto tra le mani, le dita che andavano a sciogliere ciò che restava della piccola coda di cavallo in cui li aveva legati. «Ti amo.»

Anders rimase di stucco, sgranando gli occhi.

«Ti amo, e mi sento un idiota a non avertelo detto prima, ma non sapevo come dirtelo, né come fare i conti con il fatto che non ho mai provato una cosa simile per nessuno, mai.» Proseguì Garrett, senza riuscire più a fermarsi. «E mi sono spaventato, perché tu sei stato così diretto la prima volta, e io ancora non sapevo bene cosa pensare, o come reagire, ma non volevo perderti, Creatore, non so cosa farei se dovessi perderti. Forse non sono pronto a salire sul tetto della chiesa e urlarlo al mondo, ma ti amo. E se venissi a vivere con me, te lo ripeterei tutti i giorni, non importa quante persone ci guarderebbero male, in quanti ci osteggerebbero. Nemmeno se Meredith in persona dovesse buttare giù la porta a calci per venirti a prendere.»

Anders lo strinse a sé, baciandolo con passione fino a togliergli il fiato. Nascose il volto tra la pelliccia del suo mantello. «Ti amo anche io. Mi dispiace di aver dubitato di te, solo...»

«Non importa.» Sussurrò, senza lasciarlo andare. «Dispiace anche a me.»

«Sono un pericolo per te, non voglio trascinarti nel baratro che mi si apre davanti.» Sentì Anders, la voce appena udibile. «Templari, maghi del sangue, ed io stesso... da quando mi hai conosciuto, non faccio altro che incasinarti la vita. E ora ti sto chiedendo per l'ennesima volta di metterti in mezzo ai miei problemi, ma non riesco a non essere egoista quando penso che potrei perderti.»

«Non sono solo i tuoi problemi.» Gli ricordò Garrett, allontanandosi quel poco che bastava per guardarlo in volto. «Siamo maghi entrambi, e ci siamo imbarcati in questo compito assieme. Voglio tenerti al sicuro, e posso farlo. Neanche io voglio perderti.»

Anders scosse il capo, chiudendo gli occhi. «Se dovesse succederti qualcosa... non importa quello che ho fatto per trattenermi fino ad ora, sommergerei entrambi nel sangue, e così l'intera città, se servisse a proteggerti.»

Si morse il labbro inferiore. «Non sarà necessario.»

«Non puoi saperlo.» Insistette l'altro «Un giorno, dovranno vederci come persone, non come maghi, mostri o schiavi da incatenare sotto stretto controllo. Verrà il giorno in cui due persone come noi potranno amarsi liberamente, senza alcun templare ad ostacolarli, ma dobbiamo combattere per quella libertà, per quel futuro.» Appoggiò la fronte contro la sua, i nasi che si sfioravano, cercando le sue labbra. «Voglio che quello sia il nostro futuro.»

«Lo voglio anch'io.» Sussurrò Garrett, baciandolo di nuovo.



 

Era mattina inoltrata quando Anders lo costrinse ad alzarsi, scostando le pesanti coperte e alzandosi ad aprire le tende, illuminando la stanza nonostante il cielo plumbeo che gravava sulla città. Ignorò le sue proteste e i suoi infidi tentativi di farlo tornare a letto, sfuggendo alla sua presa con un sorrisetto divertito e aprendo di scatto la porta.

Bu, appostata dietro di essa, si lanciò dentro entusiasta, per poi immobilizzarsi sul posto, gli occhi puntati su Anders.

«Te l'ho detto che le sue sopracciglia mi mettono in soggezione?» Gli chiese quello, spostando il peso da un piede all'altro sotto lo sguardo inquisitorio dell'animale. Le piccole macchie color caramello poco sopra gli occhi spiccavano sulla pelliccia scura, conferendole uno sguardo quasi umano. «Mi sento giudicato.»

«È la sua arma segreta.» Rispose Garrett ridacchiando, accovacciandosi accanto a Bu e grattandola dietro un orecchio. «Facci l'abitudine, bella...» La mabari gli leccò la faccia, scodinzolando. Incrociò lo sguardo disgustato del compagno.

«Fereldiani...» Commentò Anders, scuotendo la testa. «Voi e i vostri cani.»

«Hei, attento a come parli!» Finse di offendersi Garrett, dando una paca affettuosa sul fianco di Bu. «Tu sei bellissima, vero? Sì che lo sei, ma certo!» Lanciò un'occhiata maliziosa all'altro, concedendosi un piccolo ghigno. «Va' a fargli vedere quanto sei bella!»

La mabari si lanciò di peso contro Anders, buttandolo a terra e inchiodandolo sotto le grosse zampe anteriori mentre gli leccava la faccia, senza curarsi minimamente dei tentativi del mago di scollarsela di dosso. «No- no! Non la faccia, non- Garrett!»

Scoppiò a ridere, aspettando qualche secondo prima di richiamare Bu, che trottò al suo fianco soddisfatta. «Brava, bella.»

Anders si rimise in piedi barcollante, cercando di pulirsi la faccia e il collo con la manica della camicia, i capelli arruffati e un'espressione di assoluto ribrezzo stampata in faccia. «Mi manca Ser Pelosotto. Lui non sbavava.»

«La mia meravigliosa e nobile mabari non sbava.» Bu abbaiò una volta, affermativamente. «E poi i gatti non hanno sentimenti, lo sanno tutti.»

«Questo è perché tu hai bisogno di qualcuno che ti dimostri costantemente affetto.»

Sollevò un sopracciglio, incrociando le braccia, divertito dall'ironia della situazione.

Anders dovette rendersene conto, perché arrossì un poco mentre si sistemava i capelli. «Andiamo a fare colazione, su. Ho fame.»

Mentre scendevano le scale, Garrett gli passò un braccio attorno alle spalle, stampandogli un bacio sulla guancia per poi precederlo quasi di corsa verso la sala da pranzo, ridacchiando.

Leandra, intenta a sistemare dei fiori bianchi in un vaso di vetro decorato di rosso e foglia d'oro, li salutò con un sorriso. Garrett sentì un'ondata di affetto improvvisa verso la madre: anche se doveva essere ancora frastornata per l'inaspettata piega degli eventi che aveva preso la sua vita sentimentale, non lo dava a vedere. «Dormito bene?»

Rimasero a chiacchierare, mentre Seth portava in tavola una cesta di brioches della forneria di Elin e un po' di quel meraviglioso caffè che avevano ordinato da Antiva qualche mese prima, con un goccio di latte freddo da aggiungervi.

«Sai,» gli disse ad un certo punto Leandra, guardandolo da sopra la sua tazza di caffè fumante, «vederti così felice mi fa rimpiangere tuo padre... So che nessuno mai potrà prendere il suo posto, eppure mi manca avere qualcuno al mio fianco.»

Garrett inghiottì a fatica il boccone di brioche. «Perché questo discorso...?»

La madre sollevò le spalle. «Dico solo che potrei iniziare a frequentare qualcun altro, ormai tu e i tuoi fratelli siete grandi abbastanza da non prendervela.»

«Beh, penso di poter parlare anche a nome di Marian e Carver: se trovassi qualcuno che ti renda felice anche un quarto di come lo eri con papà, saremmo solo contenti per te, madre.» Si accigliò un attimo, incuriosito. «Hai conosciuto qualcuno?»

«Chissà...» Leandra sorrise, enigmatica, lasciando cadere la domanda nel vuoto.



















Note dell'Autrice: Kirkwall è rimasta parecchio scossa dagli eventi recenti, e altre nuvole tempestose si stanno ammassando all'orizzonte. Nel mentre, Garrett si è finalmente dichiarato come si deve e Anders può stare più tranquillo (per quanto sia possibile, parlando di Anders...). Rivedremo presto qualcuno, e conosceremo facce nuove. 
Alla prossima! :D 

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Capitolo 24
*** Doubts ***


 

CAPITOLO 24
Doubts


 

 

Marian si passò distrattamente una mano sotto le orecchie, cercando delle ciocche di capelli che non c'erano più. Si diede della stupida: eccola lì, durante una delle peggiori crisi che l'Ordine Templare potesse affrontare, a preoccuparsi della sua vanità.

Il riflesso sullo specchio appeso alla parete le restituì il suo volto stanco, le occhiaie profonde sotto gli occhi di chi non dormiva un sonno decente da giorni, i capelli corti che terminavano poco sotto il mento. Sospirò affranta, lasciando le armi e uscendo dal dormitorio, il borsello di pelle legato alla cintura che pesava più del solito.

Il vento freddo la aiutò a svegliarsi mentre scendeva in città bassa, dove Isabela la stava aspettando.

«Tesoro, sei uno straccio.»

«Buongiorno anche a te, Bela.» Grugnì infastidita. Si scrocchiò il collo, le spalle indolenzite. Quella notte non aveva fatto altro che rigirarsi insonne nel letto, e così anche le precedenti. Stava considerando l'idea di chiedere aiuto ad Alain per un sonnifero, solo per una volta, almeno avrebbe dormito per più di un'ora senza che i brutti ricordi tornassero a galla, la sensazione di terrore e impotenza provata quella sera che la attanagliava ogni volta che chiudeva gli occhi, come un demone della paura pronto a strapparle il cuore dal petto coi suoi lunghi artigli deformi.

Iniziarono a scendere verso il porto, meno frequentato rispetto al solito. L'alba era passata da poco, ma con quelle nuvole pesanti non c'era modo di calcolarlo con precisione.

«Dove sarebbe questo tuo contatto?» Le chiese l'amica, giocherellando annoiata con l'elsa dei suoi coltelli. «È troppo presto per chiunque.»

Marian si morse un labbro, incerta. «Credo che per lui non faccia alcuna differenza se sia pieno giorno o notte fonda.» Imboccarono uno dei vicoli che portavano ai moli, dove vi era la sede della compagnia di spedizioni del fratello. Con una stretta al cuore, ricordò il volto rigato di lacrime di Tobias Harvent, mentre accanto alla madre e al fratello dava l'ultimo saluto alla pira dove era stato posto il corpo del padre, uno dei tanti morti di quella sera. Si costrinse ad allontanare il pensiero, proseguendo verso uno dei grandi magazzini.

L'uomo che cercava era seduto per terra, la schiena contro un barile di legno e una fiaschetta di pelle ormai vuota nella mano destra. Sembrava profondamente addormentato, ma quando udì i loro passi fermarsi ad un paio di metri da lui, aprì gli occhi castani e sfoderò un ghigno divertito.

«Ma chi si rivede... Tenente Hawke.»

La zaffata di alcol le fece rivoltare lo stomaco, ma finse di non accorgersene. «Samson.»

«Fammi indovinare, Meredith è rimasta così a corto di templari da perdonarmi?»

Sbuffò sonoramente. «Certo, credici.»

Samson si concesse una risata rauca. «La speranza è l'ultima... Allora, perché sei qui? Sentivi la mia mancanza o vuoi un po' di questa?» Sventolò la fiaschetta nella sua direzione, rovesciandola a testa in giù senza che ne uscisse più niente. «Troppo tardi.»

Isabela gli lanciò uno sguardo disgustato. «Tesoro, sei sicura che questo rottame ci possa essere utile? Non mi fiderei delle sue parole nemmeno per una manciata di Sovrane.»

Marian si lasciò sfuggire una risatina soffocata. «Forse per una Sovrana o due no, ma posso offrirgli qualcosa di meglio.»

L'uomo si mise in piedi con un certo sforzo, avvicinandosi a lei e guardandola dall'alto in basso, divertito. «È la seconda volta che mi fai questa proposta, Hawke, stavolta sono tentato di accettare.»

Prima che potesse fare un altro mezzo passo, Isabela si frappose tra loro, la lama di uno dei suoi pugnali che brillava minacciosamente premuta poco sopra il cavallo dei pantaloni dell'altro. «Per quanto sia una paladina dell'amore libero, qui abbiamo degli standard da rispettare.»

Marian le afferrò delicatamente il polso, scuotendo la testa. «Bela...»

Samson non fece una piega, scoppiando a ridere e sollevando entrambe le mani in segno di resa. «Suscettibile la tua guardia del corpo, me la ricordavo meno aggressiva quando cercava di venderti al bel principino dall'accento strano. A proposito, com'è finita con quello? Vi ho visti qualche settimana fa, gironzolare come due-»

«Fatti un favore e chiudi la bocca, Samson.» Lo interruppe irritata Marian, strappandosi il borsello dalla cintura e aprendolo quel tanto che bastava perché il luccichio azzurro all'interno catturasse completamente la sua attenzione. Gli fece un cenno col capo, indicandogli di seguirla verso uno dei vicoli dietro il magazzino, apparentemente deserti.

«Allora, che vuoi sapere in cambio di tutto quel blu che ti porti dietro?» Gli chiese lui, leccandosi le labbra secche e spaccate in più punti, lo sguardo ancora puntato sulla piccola borsa di pelle.

«Immagino tu sappia quello che è successo la scorsa settimana dai Cavin.»

Samson annuì, scrollando le spalle. «È sulla bocca di tutti. Meredith sarà furiosa, eh...»

«Concentrati.» Lo redarguì Marian, avvicinandosi ulteriormente e abbassando la voce. «So che hai collaborato con la Resistenza, e comunque gli unici da cui puoi prendere il lyrium di contrabbando sono i nani del Carta, che lavorano con loro.»

«Piano con le accuse, Tenente, o inizierò a sospettare che tu voglia sbattermi in cella.» Rise di nuovo, accennando un sorriso sghembo. «È vero che quando posso mi procuro del blu dai nani, anche se coi loro prezzi lo rendono quasi più caro di quello della Chiesa.»

«Ah sì? E da dove li prendi i soldi necessari?»

Sogghignò. «Cittadini caritatevoli.»

Marian roteò gli occhi al cielo, sbuffando. «In questa fogna di città, di cittadini caritatevoli ce ne saranno una decina, e due di loro li conosco personalmente.»

«Se li conosci personalmente, Tenente, perché stai perdendo il tuo preziosissimo tempo ad interrogare me, invece che loro?» l'uomo si appoggiò al muro scrostato dietro di sé, sfidandola.

La donna schioccò la lingua, allungando una mano nel borsello di pelle. «Perchè io sono un'altra di quei cittadini caritatevoli, Samson, non lo sai?» chiese, estraendone una boccetta di lyrium e rigirandosela tra le dita. Lo sentì trattenere il fiato, lo sguardo ipnotizzato dai suoi movimenti. «La dipendenza è una brutta bestia, non oso immaginare cosa devi sopportare.» Si avvicinò a lui di un passo, tenendo la fiala all'altezza degli occhi. «Lo senti dentro, vero? La testa ti ronza incessantemente, il tuo corpo trema di continuo, non dormi la notte, a volte non distingui la realtà dalle allucinazioni...»

Samson digrignò i denti, il volto che veniva attraversato da uno spasmo mentre Marian scavava nella sua dipendenza. «Non serve che me lo racconti, Hawke, lo vivo ogni cazzo di giorno.» Ribattè astioso, la voce ridotta quasi ad un ringhio animalesco. «Cosa vuoi?»

Lei lo guardò dritto negli occhi, stappando la fialetta di lyrium apposta perché lui ne potesse sentire l'odore. «Aiutarti, se tu aiuterai me.»

Le pupille dell'ex templare si dilatarono, le labbra si schiusero mentre deglutiva a vuoto. Si riprese dopo un attimo, scuotendo il capo come a scacciare una mosca. «Se tiro in mezzo il Carta, quelli mi uccidono. E nemmeno una tonnellata di blu potrà riportarmi in vita.» Rispose, eppure la sua voce si era incrinata, i pugni serrati abbastanza da lasciare il segno delle unghie sui palmi.

Marian represse un sorriso di trionfo, avvicinandosi ulteriormente e premendogli la boccetta aperta sul petto proprio sotto il naso, ma tenendola abbastanza stretta perché non potesse strappargliela di mano. Lo guardò dal basso verso l'alto, piegando il capo da un lato. «Mi serve un nome, Samson, e tu potrai avere tutto questo lyrium per te. E non dovrai nemmeno metterti contro il Carta, non sono sulle tracce di qualche semplice contrabbandiere che potrà sparire nel nulla per essere sostituito da qualcun altro.» Fare leva sulla sua dipendenza era un colpo basso e si sentiva quasi sporca a farlo, ma le serviva una pista. Garrett e Varric sapevano sicuramente di più, ma non poteva mettere in mezzo il fratello, non con Meredith alle costole che la spronava a scoprire i responsabili.

Lo vide boccheggiare, il fiato corto, i muscoli tesi nel tentativo di restare immobile. «Chi stai cercando?»

«Qualcuno di interno all'Ordine stava passando alla Resistenza delle informazioni preziose. E non credo fossero tutti posseduti.»

Samson si lasciò sfuggire una risata roca. «E cosa te lo fa pensare?»

«Intuizione.» Spiegò lei. «La magia del sangue può trasformarci in tanti piccoli burattini sotto il loro controllo ma, seppur difficile da scoprire, un modo per individuarla c'è, soprattutto alla Forca. Sono tre anni che Meredith ci mette sotto torchio, eppure la Resistenza è riuscita comunque ad infiltrare i nostri ranghi. Qualcuno li ha aiutati, e di sua spontanea volontà.»

L'uomo rimase immobile, il sorriso che moriva sulle labbra. Dopo qualche secondo, annuì. «Non sto dicendo che hai ragione, ma è un'ipotesi sensata.»

«Solo un nome, Samson. Potresti addirittura riguadagnarti il tuo scudo.»

L'altro fece una smorfia. «Non raccontarmi cazzate, Hawke, se a Meredith arriva anche solo un sussurro su come hai avuto questa informazione, la mia testa finirà accanto alle altre su quelle dannate mura.»

«Lo so bene, ma dammi una mano e inizierò a mettere una buona parola per te.»

«Perché non sei andata a chiedere a tuo fratello, invece che importunare me? In fondo, lui nella Resistenza ci è dentro fino al collo, io lo faccio solo per avere un po' di blu.»

Lo guardò dritto negli occhi, serrando la mascella. «Lascia fuori mio fratello da questa storia.»

Con un movimento fulmineo, l'uomo afferrò la boccetta sopra la sua mano, un bagliore sinistro nelle iridi scure.

«Vuoi un nome? Thrask, ma dopo che la figlia è morta in quel modo pur di non lasciarsi rinchiudere nel Circolo, c'era da aspettarselo. Lynn, sua sorella è stata stuprata due anni fa da Alrik, resa Adepta della Calma e probabilmente stuprata di nuovo, finché il cavaliere non si è stufato di lei e l'ha sgozzata come un maiale dando la colpa al primo mago che capitava lì per caso, anche lui sottoposto poi al Rito. Gerwyn, dopo che quel bastardo di Karras gli ha ordinato di uccidere un ragazzino solo perché non voleva abbandonare la madre e le sorelline in lacrime. E infine, Kelsey, quella ragazzina promossa solo l'anno scorso, sua madre era una maga del circolo ma non saprebbe manco dire quale, dato che per colpa dei Templari non l'ha mai potuta conoscere.» La lunga lista di nomi la colpì come uno schiaffo, e per tutto il tempo lo sguardo dell'uomo non aveva lasciato il suo. «Allora? Sei ancora sicura di volerli denunciare alla tua Comandante?»

La presa di Samson era forte, la mano callosa e ruvida al tatto, e nonostante fosse più magro e scavato di come era stato un tempo, Marian non dubitava che avrebbe potuto darle del filo da torcere se fosse stato meno bendisposto nei suoi confronti. Lasciò che prendesse la boccetta e se la portasse alle labbra, inspirandone l'aroma per un attimo prima di tracannarne l'intero contenuto giù per la gola. Lo vide chiudere gli occhi in un'espressione di pura estasi mentre si appoggiava con la schiena al muro dietro di sé, prendendo respiri profondi, quasi ansimando. Quando riaprì le palpebre, aveva la vista offuscata, gli occhi lucidi. «Con che faccia tosta potrai guardarti allo specchio, con le mani sporche del loro sangue, proprio tu che proteggi un eretico da tutta la vita?»

Non voleva rispondergli.

Fece per dargli le spalle, quando lui la afferrò per un polso, stringendola in una morsa ferrea. «Credi che tuo fratello non sia invischiato in tutta questa faccenda?» Le chiese, abbassandosi fino a che non sentì il suo fiato caldo sul collo a farle venire la pelle d'oca, il puzzo di alcol e lyrium che le faceva pizzicare gli occhi. «Se li denunci a Meredith e al suo cane fedele, ci andrai di mezzo anche tu. E non solo, Garrett sarà soltanto un altro nome in una lunga lista di persone uccise per aver cercato di rettificare questo mondo di merda. E non saranno i maghi del sangue ad andarci di mezzo, anzi: quelli sono probabilmente già dall'altra parte del Thedas. Ma a Kirkwall è rimasto ancora qualcuno, e indovina chi per anni ha fatto scappare i maghi della Forca fuori dalla città, usando le sue belle navi piene di stoffe e spezie proprio sotto il naso della sorellona?» Le sfiorò una ciocca di capelli, vicinissimo all'orecchio, facendola rabbrividire. «A chi credi passassero tutte quelle informazioni, le tue talpe?»

Marian si irrigidì, strattonando il braccio per liberarsi dalla sua presa. «Non far finta che te ne importi qualcosa.»

Il ghigno di Samson si allargò ulteriormente. «Oh, ma a me non frega un cazzo. Sono solo un rottame, io, un drogato che non aspetta altro che la prossima dose di blu a distruggergli quel poco di dignità che gli resta. Ma tu, tu ci tieni eccome. Ed è per questo che so per certo che non farai nulla.»

Si morse il labbro, guardandolo furente. Se davvero Garrett era così coinvolto nella Resistenza, Samson aveva ragione, non avrebbe potuto andare a fondo nella sua indagine senza trascinarlo giù con gli altri e sé stessa. “Ma soprattutto, voglio davvero denunciarli?” si ritrovò a pensare. Ognuno dei suoi colleghi aveva aiutato i maghi per un ottimo motivo. Come aveva fatto lei.

L'uomo ricambiò il suo sguardo, negli occhi una strana luce. Poteva sentirlo vicino, troppo per i suoi gusti. Sapeva di alcol, salsedine, sudore e lyrium, e per un attimo rimasero così, immobili, vicinissimi, fino a che Marian non si tirò indietro di scatto, lasciandolo andare e arretrando un poco. Si staccò il borsello di pelle dalla cintura, allungando il braccio e ficcandoglielo in mano. «Non abituartici.» Gli diede le spalle, allontanandosi quasi di corsa e tornando verso Isabela. Si sentiva le guance in fiamme e un senso di colpa a divorarle le interiora, mozzandole il fiato.

«Ah, dimenticavo! Bel taglio di capelli, Hawke!» Sentì Samson urlarle.

Accelerò il passo. Riusciva sempre a trovare il modo di toccarle un nervo scoperto.

Isabela la guardò con l'aria di chi la sapeva lunga ma evitò di commentare, limitandosi ad una una scrollata di spalle. Marian gliene fu grata.



 

Passarono la mattinata a strapazzare qualche contatto di Isabela con la Cerchia, ricavandone esattamente quello che temevano: i maghi del sangue sembravano spariti nel nulla. Se i Templari traditori erano stati abbastanza facili da trovare, i loro collaboratori del Carta erano decisamente più sfuggenti. Alla fine, non riuscì nemmeno ad estorcere a qualcuno dove avessero recuperato l'ordigno che aveva fatto saltare in aria metà della sala, solo che a produrlo era stato un nano dalle straordinarie doti esplosive. Il Carta proteggeva i suoi uomini molto meglio di un templare reietto.

Quando verso l'ora di pranzo si diresse stancamente in città superiore, non si aspettava certo di incrociare Cullen che conduceva un manipolo di templari sconosciuti verso la Forca.

«Tenente, vi presento i nuovi arrivati.» La salutò il Capitano, indicando con un cenno la trentina di uomini e donne dietro di lui, le armature impolverate e gli stivali sporchi di terra e fango incrostato. Dovevano essere appena arrivati a Kirkwall. Nei loro sguardi, invece che la stanchezza che si sarebbe aspettata di trovare dopo un lungo viaggio, trovò soltanto una fredda determinazione.

Marian chinò meccanicamente il capo quel tanto che bastò a salutarli.

«La Comandante è entusiasta che Ostwick, Ansburg, Hasmal e Markham abbiano risposto così in fretta. E altri ancora sono pronti a raggiungerci, se avessimo bisogno.»

Non potè trattenersi dal guardare il gruppo con aria inquisitoria, chiedendosi in quanti fossero pronti a passare un mago a fil di spada solo per il gusto di farlo. «Sono lieta che abbiamo amici fidati negli altri Circoli, Capitano.»

Cullen annuì soddisfatto, per poi fare cenno a quelli di seguirlo all'interno della Forca.

Marian rimase ad osservarli sfilare, scuotendo il capo. “Problemi all'orizzonte...” si ritrovò a pensare. Nuovi arrivati a disturbare la delicata e già precaria situazione di equilibrio dell'Ordine a Kirkwall, pronti a sospettare e destare a propria volta domande tra le loro file. Era vero, avevano perso molti dei loro, ma l'idea che fossero stati mandati lì da tutti i Liberi Confini, portandosi dietro chissà quali esperienze, non la entusiasmava. “Non credo Meredith abbia richiesto templari particolarmente pacifici, oltretutto...”

Nel cortile incrociò lo sguardo di Karras, che aveva un'espressione di raggiante ferocia in volto. No, decisamente non sarebbe stato facile.

Entrò in refettorio, crollando sulla panca di legno accanto a Hugh e Ruvena.

«Hai visto in quanti sono arrivati?» Le chiese l'amica, masticando rumorosamente. «Quei maghi del sangue hanno i giorni contati, te lo dico io.»

Hugh non sembrava altrettanto entusiasta. «Almeno un quinto sono poco più che reclute fresche di promozione, non mi sembrano grandi combattenti.»

«Tsk, da che pulpito...»

Marian scosse la testa. «Non iniziate, vi prego.»

«Hai scoperto qualcosa?» Le chiese il collega, tamburellando senza accorgersene le dita sul tavolo.

«Sai che non posso rivelare nulla...»

«E dai, di noi puoi fidarti!» Protestò Hugh, ma non le sfuggì l'occhiata risentita che Ruvena lanciò al proprio piatto.

«Posso solo dirvi che per ora non ci sono svolte significative.» Rispose vaga. “Meredith non ne sarà contenta”, pensò mentre beveva qualche sorso di zuppa calda “e ancor meno se venisse a sapere da chi sto prendendo le poche informazioni che le sto nascondendo.” Le parole di Samson le rimbombarono in mente un'altra volta. Forse avrebbe dovuto parlare con Garrett, metterlo in guardia. “Non mi dà mai retta, ma se solo per qualche tempo volassero basso, lui e quell'altro...” Sbuffò, lasciando cadere il cucchiaio nella ciotola, senza più fame.

«E va bene, allora non ti dirò su che cosa sto indagando io.» Mise il broncio Hugh, incrociando le braccia.

Sollevò un sopracciglio, squadrandolo incuriosita. «Non pensavo ti avessero messo a capo di qualche indagine...»

«Non l'hanno fatto, ovviamente.» Rispose Ruvena, dando una gomitata sul braccio all'amico. «Questo stupido crede che qualcuno si sia intascato la scorta di lyrium di Mina.»

Marian cercò di non sbiancare, mordendosi la lingua. Sapeva benissimo dov'erano finite le quattro fialette, o meglio, a chi. «Dici?»

«Se c'è un ladro che si aggira negli alloggi, dovremmo scoprire chi è, no?»

«Sì, e sarai proprio tu col tuo intuito da fagiano a riuscirci!»

«Potresti essere tu la prossima vittima, e allora mi chiederai scusa.»

«Come no, hai più probabilità di incrociare un drago in cucina che di acciuffare il tuo fantomatico ladro di lyrium-»

«Tenente Hawke?»

Marian si voltò sorpresa, sentendosi chiamare. Tre ragazzi poco più giovani di lei la salutarono cerimoniosamente. Da com'erano ridotte le loro armature, dovevano essere tra i nuovi arrivati. Stava per rispondere al saluto, quando il sorriso di circostanza le si gelò sulle labbra. Gli occhi scuri di uno dei tre erano puntati nei suoi, trapassandola da parte a parte come lame affilate. Riconobbe con sgomento il giovane uomo di fronte a lei, come un fantasma dal passato riemerso direttamente dai suoi peggiori incubi. Deglutì a vuoto, ricomponendosi e alzandosi in piedi, dandosi un contegno. «E voi sareste?»

Uno di loro, che doveva essere il capo del gruppetto, si fece avanti con un sorriso disinvolto: era alto, portava i capelli castani sciolti sulle le spalle e l'armatura imponente non sembrava dargli noia mentre le allungava la mano dopo essersi tolto il guanto di pelle. «Macsen Trevelyan.» Gli occhi verdi del ragazzo brillarono divertiti mentre lei ricambiava la stretta. «Loro sono Jon Montrose e Andrew, veniamo dal Circolo di Ostwick.»

Un brivido freddo le scese lungo la spina dorsale, mentre Andrew le faceva un secco cenno col capo. Non c'erano dubbi fosse lo stesso ragazzo di Lothering, trasferitosi in tutta fretta assieme alla famiglia un mese dopo l'incidente che era costato la vita a Malcolm Hawke. Fecero entrambi finta di non conoscersi, nonostante sapessero esattamente chi fosse l'altro. E che cosa fosse Garrett.

L'amicizia che legava i due tanti anni prima poteva essere ancora così forte da convincere Andrew a mantenere il segreto del mago?

«È un piacere conoscervi.» Rispose Marian, sforzandosi di sorridere. «Mi cercavate per un motivo particolare?»

«Ho sentito che siete stata voi a sconfiggere quel mago del sangue, Amell, e i suoi compari.» Rispose il Trevelyan, il sorriso sghembo che non accennava a sbiadire. «Siete stata formidabile a sbarazzarvi del demone che avevano evocato, anche se alla fine i maghi vi sono sfuggiti.»

Calcò sull'ultima frase, provocandole un certo fastidio. «Ho dovuto scegliere tra l'impedire che quel demone massacrasse l'intera villa o inseguire un mutaforma dotato di ali. Ho fatto il mio dovere.» Rispose asciutta, assottigliando gli occhi. «Sono certa che anche voi avrete la vostra possibilità di farvi notare.»

Macsen sembrò divertito alla sola idea. «Oh, non aspettiamo altro.» Lanciò uno sguardo a Ruvena e Hugh, soppesandoli per un attimo prima di riportare la sua attenzione su Marian. «Ma vi lasciamo finire di mangiare in pace, ci sarà occasione per vedervi al lavoro spero, Tenente Hawke.» Le diede le spalle, facendo due passi verso l'uscita e voltandosi di nuovo verso di lei. «Vostra madre è un' Amell, vero? La vostra famiglia sta tornando ad essere piuttosto famosa, ultimamente...»

Jon Montrose scoppiò in una risata sprezzante.

Marian incrociò lo sguardo di Andrew, che non aveva mosso un muscolo. Poi, il ragazzo riportò gli occhi sul Trevelyan, seguendolo obbediente fuori dalla stanza.

«Simpatici.» Commentò sarcastica Ruvena, una volta che il trio fu fuori portata d'orecchio.

«Meglio che non ti sentano, Ru, quelli è meglio non farli incazzare.»

«Non dirmi che hai paura di qualche pallone gonfiato, Hugh.»

L'amico la guardò in tralice. «Credimi, due parole di troppo e Meredith potrebbe assegnarti alla pulizia delle latrine per il resto della tua vita. I Trevelyan hanno contatti ai piani alti, dalla Divina ai Cercatori, non si farebbero scrupoli a distruggerti solo per avergli tagliato la strada verso i bagni.»

Marian si mordicchiò un labbro. «Sai qualcosa in più su quel Macsen?»

Hugh scosse la testa. «No, non credo abbia fatto nulla di particolare finora... conosco però suo zio, Arthur, è uno dei pezzi grossi a Val Royeaux. Cullen gli ha scritto personalmente settimana scorsa a nome di Meredith per richiedere rinforzi qui alla Forca, e il supporto della Divina per qualsiasi azione che dovremo attuare. Deve averci affibbiato lui il nipote.» Hugh spesso gestiva la corrispondenza dei superiori, e per questo era uno dei più informati.

«E gli altri due?»

L'amico scrollò le spalle. «So qualcosa sui Montrose, la famiglia è una delle più importanti di Ostwick. Erano in lizza per diventare Teyrn, nell'Era Benedetta, ma si sono dovuti accontentare a restare secondi.»

«Se scopri qualcosa di più, anche sui suoi compari, vienimelo a dire.» Rispose lei, lo sguardo ancora fisso verso l'uscita. «Qualsiasi cosa.»

Doveva parlare da sola con Andrew, e scoprire cosa avesse in mente. Assicurarsi che tenesse la bocca chiusa, o la sua testa sarebbe stata la prima a saltare, assieme a quella del fratello. E nonostante i capelli corti, la sua testa le piaceva ancora troppo per separarsene così presto.



 

Nei giorni che seguirono, l'inquietudine cresceva nel mentre che cercava senza successo di intercettare faccia a faccia il giovane senza le interferenze del Trevelyan. Andrew sembrava seguirlo come un'ombra, e non si separava mai per più di qualche minuto dall'altro. Per un dispetto del caso, i tre erano stati affidati alla persona che Marian detestava di più in tutta la Forca, per “ambientarsi con la città e capire le dinamiche del nuovo Circolo”, come aveva spiegato Cullen rispondendo alle domande della donna. Così, Karras faceva di tutto per trascinarseli dietro, evitando che templari dalle idee troppo lassiste, così il collega chiamava tutti coloro che non condividevano i suoi ideali di drastico bigottismo, potessero influenzare il giudizio dei nuovi arrivati sulla pericolosa situazione dell'ordine della città.

Marian aveva più volte cercato di scambiare qualche parola con Andrew, pur con Macsen e Jon al fianco, ma Karras era sempre un passo dietro di loro, pronto ad interrompere la conversazione con le sue taglienti osservazioni e un sarcasmo pungente. Da quando era stata nominata Tenente ed era quindi diventata sua pari, l'uomo non le aveva lasciato un attimo di tregua, e non esitava nemmeno a prendersela con i suoi amici o chiunque scambiasse con lei qualche parola di troppo. Ruvena dopo la faccenda coi Qunari era una delle sue vittime preferite, e il tenente non lesinava mai una parola sgradevole o un commento sulla sua carriera fallimentare, ma non risparmiava neanche Hugh, giudicandolo un bamboccio senza spina dorsale e non facendone segreto con nessuno. Keran era trattato allo stesso modo, e gli venivano affibbiati spesso dei compiti patetici di cui persino una recluta con almeno qualche mese di servizio si sarebbe lamentata. Persino Alain, che dei quattro era quello che meno poteva fare contro le angherie di Karras, era vessato da continue richieste assurde, minacce per le infrazioni più ridicole e insulti gratuiti ogni volta che incrociava il cammino del templare, cosa che purtroppo per il giovane mago capitava sempre più spesso.

Marian era intervenuta un paio di volte in aiuto del ragazzo, chiedendo al collega se davvero non avesse nulla di meglio da fare che infastidire il mago nel suo lavoro, ma i suoi tentativi non avevano fatto altro che inasprire il comportamento di Karras, che semplicemente tornava a fare lo stesso appena lei gli voltava le spalle, con anzi più cattiveria di prima.

L'unica cosa che le era rimasto di fare era parlarne con Cullen, ma l'uomo non aveva fatto altro che scrollare le spalle e dire che alla prima occasione avrebbe chiesto a Karras di regolarsi nei modi, consigliandole freddamente di tenere la sua attenzione su problemi più importanti.

Nel frattempo, i trentasei templari appena arrivati erano andati ad infoltire le pattuglie che battevano notte e giorno l'intera città alla ricerca dei maghi eretici e dei loro collaboratori. Altri tre maghi erano stati scovati a nascondersi nei bassifondi della città, e due di loro non avevano nemmeno fatto in tempo a varcare la soglia della Forca che erano stati trascinati da Karras e Cullen nel salone principale e, sotto gli occhi di tutti, resi Adepti della Calma.

Marian provava ribrezzo verso il proprio ordine ogni volta che incrociava i loro sguardi vacui, e un odio cocente verso Karras e il Capitano. Sentimento che sapeva, purtroppo, condividevano in pochi.

Era una fredda mattina di fine Umbralis quando una giovane donna si presentò ai cancelli della Forca, vestita di stracci e tremante di freddo. Marian e Keran erano a guardia dell'ingresso quel giorno, imbacuccati e infreddoliti nelle loro armature lucide sotto la leggera nevicata che scendeva dalle nuvole grige. Si scambiarono uno sguardo perplesso prima di andare a chiedere quali fossero le sue intenzioni.

«Sono una maga.»

Marian impallidì, le mani che volavano ad estrarre la lama, Keran che faceva lo stesso.

«No, fermi!» Li implorò la donna, cadendo in ginocchio di fronte a loro sull'acciottolato ghiacciato, colpita dalle loro auree antimagia. «Sono qui di mia spontanea volontà, per tornare al Circolo! Vi prego, vengo in pace.» Aveva un forte accento del Ferelden.

«Perchè dovremmo crederti?!» Urlò Keran, la voce che tradiva il panico.

Vedendo che la donna non accennava a muoversi, il capo chino contro il selciato, Marian sfiorò il braccio del compagno, facendogli segno di mantenere la calma. «Alzati, lentamente.» Ordinò alla donna, avanzando di qualche passo verso di lei.

Quella si rimise in piedi, un poco instabile sulle gambe, tremando come una foglia. «Vi prego, voglio solo tornare al Circolo, così i miei bambini saranno al sicuro.»

Marian aggrottò la fronte, sospettosa, la spada puntata verso di lei. «Bambini?»

L'altra annuì, tirando su col naso. «Li ho salvati dalla Prole Oscura, anni fa. Ma con me non avranno mai un futuro, non posso costringerli a scappare per sempre dai templari...»

«Hai fatto la scelta giusta.» Le disse cauta, rinfoderando cautamente la spada senza scollarle gli occhi di dosso. «Ora, seguici dentro senza fare movimenti bruschi. Potrai raccontarci tutto una volta che sarai al caldo e al sicuro. Hai fatto bene a venire qui.» “Pazza, cosa ti è saltato in mente?” L'avrebbero interrogata, sicuramente, per scoprire se sapeva qualcosa sulla Resistenza. Magari era stata mandata lì apposta. Poteva essere una maga del sangue? Oppure diceva la verità, e credeva davvero che facendosi rinchiudere là dentro avrebbe dato un futuro migliore ad una banda di bambini cenciosi, che sarebbero probabilmente solo morti di fame senza l'unica persona al mondo che si curava ancora di loro?

La donna chinò il capo, accondiscendente. «Siete del Ferelden, come me.»

«Sì, sono arrivata qui durante il Flagello.»

«Siete scappata anche voi.» Incrociò gli occhi grigi della donna: non era un'accusa, bensì una semplice costatazione.

Annuì, deglutendo a vuoto a facendole strada verso la Forca, restando vigile.

Dal cortile interno erano sopraggiunti altri Templari, tra cui Karras, Trevelyan, Montrose ed Andrew. Non le sfuggì il cenno malevolo che Montrose indirizzò al templare più anziano, lo sguardo puntato sulla maga che stavano portando dentro. Gli altri due osservavano la scena impassibili, come se la cosa non li riguardasse minimamente, ma per un secondo Marian vide gli occhi di Andrew guizzare verso di lei per poi spostarsi verso l'alto, sui fiocchi di neve che avevano preso a scendere più abbondanti.

«Immobilizzatela e portatela nei sotterranei!» Ordinò Cullen, aprendo i pesanti battenti della Forca, la spada sguainata. Aveva ripreso un po' del suo solito colorito, ma la mano che reggeva l'arma tremava ancora leggermente. Fissò le mani della maga. «Perché non è in catene, tenente?»

«Si è consegnata volontariamente, Capitano.»

«E questo dovrebbe farci sentire meglio, Hawke?»

Represse l'istinto di rompergli il naso. «Ha almeno quattro aure antimagia addosso, Capitano, e siamo undici contro una, chiaramente in minoranza. Nemmeno Amell potrebbe farcela.» Si godette per un attimo il piccolo tic nervoso alla palpebra dell'altro a sentire quel nome, ma durò poco.

«Sottovalutare il nemico è un ottimo modo per essere uccisi.» La redarguì freddo Cullen. «E dare risposte insolenti non rimpiazza la prudenza.»

Si morse un labbro per non replicare, ingoiando l'orgoglio. «Scusate, Capitano.»

Karras fu più che entusiasta di utilizzare le manette che si portava sempre dietro, dei brutti pezzi di metallo che provocavano abrasioni profonde sulla pelle dei malcapitati a cui venivano imposte, le rune che brillavano a bloccare ogni possibile incantesimo. In ogni caso, quelle escoriazioni erano il male minore che di solito affrontavano.

Seguì Cullen e Karras verso i sotterranei, scortando la prigioniera. La trascinarono giù per i gradini resi scivolosi dal ghiaccio, fino ad arrivare in una cella angusta dove venne incatenata al pavimento.

La Comandante Meredith e il Primo Incantatore Orsino li raggiunsero poco dopo, seguiti da Alain.

«Come ti chiami, ragazza?» Chiese l'elfo mentre sollevava il bastone sopra la donna e iniziava a incanalare il mana.

«Evelina.» Rispose lei, titubante. «Ve lo giuro, non ho mai fatto male a nessuno...»

«Questo sta a noi deciderlo, eretica.» Replicò tagliente Meredith, gli occhi di ghiaccio puntati su di lei come a trafiggerla sul posto. «Come sei arrivata qui?»

Evelina aprì la bocca per rispondere, ma fu Cullen a prendere parola per primo. «Era a Kinloch Hold, ora la riconosco!» Gridò, spalancando gli occhi. «È una maga del sangue, Amell l'ha mandata qui per avere un'altra spia in mezzo a noi!»

La donna gemette, prostrandosi a terra. «Vi prego, non ho idea di cosa stiate parlando, lo faccio solo per i miei bambini...»

Marian guardò la prigioniera in lacrime, incerta se crederle o meno. Poteva essere una casualità, certo, ma quante possibilità c'erano che non fosse veramente in combutta con Geralt? «Eri nel Ferelden, però. Come sei uscita dalla Torre?»

Evelina riportò lo sguardo su di lei, guardandola dal basso. «Demoni, abomini ovunque... mi sono gettata da una finestra infranta, gli incantesimi che ci tenevano dentro erano stati spezzati. Mi sono aggrappata ad un pezzo di legno fino a che non sono arrivata a riva, mezza morta. Sono arrivata qui per scappare dalla Prole Oscura.»

«Non mentire, maleficar!» Tuonò Meredith, facendola rimpicciolire ulteriormente. «Dicci la verità e ti risparmieremo le torture che meriti.»

«Almeno la maggior parte...» Sentì Karras bisbigliare, un ghigno divertito sul volto.

«È la verità, ve lo giuro! Non ho mai usato la magia del sangue, credetemi.» Pigolò la donna a terra.

«Comandante, richiami i suoi uomini.» Suggerì freddo Orsino, sbattendo il bastone a terra. Un lampo di luce di propagò tutt'attorno, avvolgendo Evelina in una bolla di energia vorticante. La donna sembrò sul punto di urlare, raggomitolandosi su sé stessa per qualche secondo mentre l'incantesimo la sollevava di pochi centimetri da terra, la catena che la inchiodava al pavimento che si tirava. Poi, com'era comparsa, la luce svanì e lei ricadde pesantemente come un sacco di patate, scossa dai tremiti. Il Primo Incantatore troneggiava sopra di lei: nonostante fosse un elfo di statura minuta, sapeva imporsi come pochi altri. «Non è posseduta, su questo sono certo. Alain, controlla che non abbia ferite visibili da taglio.» Fece un cenno al ragazzo dietro di lui, che si affrettò ad obbedire.

Il giovane si chinò su Evelina, scoprendole le braccia e le gambe in cerca di qualcosa che la smascherasse come maga del sangue. Non trovando nulla a parte qualche livido o graffio superficiale, arrossì un poco mentre le toglieva la giacca e sollevava la camicia di lino leggera. Anche lì, oltre ad una cicatrice sulla spalla vecchia di anni, probabilmente data da un oggetto spuntato, non trovò nulla.

Marian dovette trattenersi dal ringhiare a Karras di contenersi, mentre l'uomo guardava la prigioniera come un mastino farebbe con una preda in trappola.

«È pulita.» Sentenziò Alain, sollevandosi in piedi e arretrando di nuovo lontano dalle occhiate furenti di Meredith e Cullen.

«Saremmo degli sciocchi a tenerla qui libera di farci fuori tutti.» Disse Cullen gonfiando il petto, le narici allargate. «Comandante, chiedo il permesso di andare a prendere i ferri.»

«Non serve, Capitano, ne abbiamo lasciato uno qui sotto proprio per casi come questo...» Si intromise Karras, sventolando con un sorriso malevolo uno degli stampi di ferro con il simbolo della Chiesa che venivano utilizzati nel Rito della Calma. «Ci mettiamo un attimo.»

Evelina sembrò realizzare improvvisamente in cosa si fosse cacciata. Strattonò la catena, cercando di allontanarsi freneticamente dall'uomo, gemendo di terrore.

«Comandante...!» Esclamò Marian, facendo istintivamente un passo avanti verso la prigioniera, frapponendosi tra lei e i due templari.

«Hawke, togliti di mezzo.» Ringhiò Karras, avanzando anche lui.

Orsino lanciò loro uno sguardo carico di disprezzo. «Comandante, non ci sono prove-»

«Silenzio.» Li zittì Meredith, facendoli immobilizzare sul posto. «Il Primo Incantatore ha ragione, non abbiamo prove della sua colpevolezza. Tuttavia, i nostri sospetti sono più che validi, quindi verrai tenuta sotto stretto controllo, e i primi mesi li passerai rinchiusa in una cella, senza contatti con i tuoi colleghi né con altri templari che non siano i qui presenti.»

Marian annuì. Era un buon compromesso, tutto sommato.

«Grazie, grazie mille!» Singhiozzò Evelina, buttandosi ai piedi della Comandante.

Meredith le rivolse un'ultima occhiata sprezzante prima di voltarsi e precederli fuori dalla porta. «Capitano Cullen, nel mio ufficio.»

L'uomo si affrettò ad obbedire. Karras li seguì a ruota, non prima di aver augurato un “a presto” alla maga che Marian non aveva gradito per nulla. Stava per andarsene anche lei, quando Evelina la chiamò di nuovo.

«Ser Hawke!»

Si voltò, incerta.

«I miei bambini, li ho lasciati nella città oscura. La Chiesa si occuperà di loro, vero?» Chiese supplichevole. «Sono bravi, non sono maghi come me. Senza qualcuno ce ne ne prenderà cura, verranno reclutati dalla Cerchia, o...»

Senza rifletterci, Marian annuì. «Ditemi i loro nomi e dove trovarli, mi assicurerò che stiano bene.»

Mentre risaliva la ripida scala a chiocciola che l'avrebbe riportata nel cortile, non era sicura che Evelina stesse raccontando loro tutta la verità, ma era certa che il sorriso sollevato della donna fosse, almeno quello, genuino.

Ne avrebbe parlato con Sebastian, lui sicuramente sapeva come far entrare quei bambini in uno degli orfanotrofi della Chiesa.



 

Il profumo dei ceri accesi le invase le narici, mentre percorreva la navata cercando di fare meno rumore possibile, per non disturbare i fedeli raccolti in preghiera. Si sfregò le mani intirizzite dal freddo nonostante i guanti, alitandoci sopra.

Individuò Madre Petrice conversare in tono accorato con una collega, e quando anche l'altra si accorse di lei le rivolse uno sguardo carico d'astio.

«Ancora non le va giù che Elthina l'abbia sollevata dall'incarico di assistente.» Sebastian le sorrise, e Marian improvvisamente si sentì molto più al caldo di prima.

«Chissà come mai, non riesco a dispiacermene.»

Salirono al piano di sopra, sedendosi poi su una delle piccole panche nell'alcova che dava sulla statua della Profetessa.

«Tutto bene? Non ti vedo da parecchio.»

Lei annuì. Erano passate due settimane, ma tra le sue indagini, il fiato di Meredith sul collo e la faccenda di Andrew, non aveva avuto molto tempo per passare a fare un saluto. «Sono solo preoccupata, stanno succedendo così tante cose che...» scosse il capo, non voleva tediarlo, eppure non sapeva con chi parlarne. Aveline stava affrontando problemi simili ai suoi, dovendo mantenere la sua posizione di Capitano e allo stesso tempo continuando a proteggere dei maghi eretici dalla legge, eppure non era la stessa cosa. Per non parlare del fatto che in quei giorni le poche volte che l'aveva vista di sfuggita fuori dal lavoro era sempre con Donnic, e non voleva togliere all'amica quel poco di pace che sembrava aver trovato. Mentre Isabela, Marian era certa che non avrebbe capito: le voleva bene, al punto da considerarla la sua migliore amica, eppure doveva ammettere che in quanto a sentimenti e sensi di colpa non era di certo la persona con cui condividere i propri timori. Bela le avrebbe rivolto una scrollata di spalle e, ridendoci su, l'avrebbe trascinata in una serata di baldorie, alcol e bei ragazzi (e ragazze, forse), ma per quanto l'idea di solito non le sarebbe dispiaciuta, non si sentiva proprio in vena.

«Hai paura per Garrett?»

Incontrò i suoi occhi azzurri, chiedendosi se fosse davvero così semplice da leggere. Annuì di nuovo. «Non so se potrò continuare a proteggerlo.»

«Stai facendo tutto il possibile, vedrai che sarà abbastanza.»

«Come fai ad esserne sicuro?» Gli chiese indispettita. «Il Creatore te l'ha detto di persona, o è solo una tua idea? Perchè nel primo caso, sarebbe bello se mandasse un segno anche a me, invece che continuare a buttarmi merda addosso.»

Sebastian la sorprese con una risatina. «Non sarebbe il Creatore se non ci mettesse tutti i giorni alla prova. E sì, è difficile, lo ammetto anche io, eppure ne vale la pena. Deve valerne, altrimenti che senso avrebbe stringere i denti ogni giorno per fare la cosa giusta?»

Marian scosse la testa. «Questo dovrei chiederlo io a te, sei tu l'esperto.»

«Temo di non essere l'esperto di niente.» Il tono amaro in cui pronunciò quelle parole la lasciò spiazzata. Sedeva rigido, torturandosi nervosamente le mani.

«Io non posso risolvere i miei grattacapi, per adesso, tu invece?» Gli chiese scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi e fissandola dietro l'orecchio.

Lui sospirò profondamente. «Quella sera, ai Satinalia... stavo parlando con alcuni nobili di Starkhaven, oltre che di Kirkwall. Sul trono della mia famiglia ora vi è mio cugino, ma Goran non ha idea di come si governi. Starkhaven è alla mercé dei capricci dei suoi nobili e mercanti, e facile preda per i nemici fuori e dentro le sue mura.»

«Stai avendo dei ripensamenti sui tuoi voti?»

Sebastian chinò il capo. «Elthina pensa che io sia troppo impulsivo.»

A Marian venne da ridere. «Tu? Impulsivo? Cosa direbbe di noialtri, allora...»

Riuscì a strappargli un sorrisetto. «Vero anche questo, ma forse non ha tutti i torti.» Rivolse lo sguardo alla statua di fronte a loro, assorto. «Il mio dovere dovrebbe essere prima di tutto verso la Chiesa e i miei voti, eppure se penso alla mia città lasciata nelle mani di un incompetente, non posso che provare rabbia e desiderio di rettificare quello che è accaduto. Ho discusso a lungo con Flora e Ruxton Harimann, nel tentativo di riallacciare un'alleanza tra le nostre famiglie, così come i Darrow e i Matheson, ma persino questi ultimi non hanno alcuna intenzione di appoggiare Goran. Vogliono qualcuno del primo ramo della famiglia, e sono l'unico rimasto.»

«Lo dici come se non fossi un'ottima opzione, Sebastian.»

«Perchè non credo di esserlo.» Sollevò una mano, fermandola prima che potesse protestare. «Sono stato accecato facilmente dall'odio verso i mercenari che hanno ucciso la mia famiglia, e li ho vendicati andando contro tutto ciò che mi suggeriva Elthina. Poi sono ritornato all'ovile, solo per riprendere in mano le armi una volta scoperto chi era il mandante. E di nuovo ora sono qui a chiedermi cosa devo fare, chi voglio essere. Starkhaven ha bisogno di un regnante saldo, non di un giunco che segue ogni folata di vento.»

Marian lo costrinse a guardarla. «Quello di cui ha bisogno Starkhaven – e qualsiasi altra città, a dirla tutta – è qualcuno che la governi con intelligenza, onestà, fermezza ma anche benevolenza. Che si preoccupi della politica ma anche del benessere dei suoi cittadini, di rendere sicure le sue mura ma allo stesso tempo di accogliere il prossimo. E sono tutte qualità che tu possiedi, che hai imparato a coltivare negli anni, e non le soffochi sotto la superbia o il menefreghismo tipico di chi è abituato al comando e all'obbedienza dei suoi concittadini. Ti paragoni al giunco?» Gli afferrò una mano, stringendola tra le proprie con delicatezza. «Una quercia sarà sempre più imponente e maestosa, certo, ma continua ad ergersi con arroganza anche sotto le tempeste più violente, che finiranno inevitabilmente per sradicarla. Mentre un giunco sa quando piegarsi, resistendo alle intemperie. Ti metti in discussione costantemente, ma non è un peccato, bensì un pregio: ti rendi conto quando sbagli, ascolti i consigli, accetti quelli che provengono magari da chi ne sa più di te, o che comunque possono offrirti un punto di vista che non avevi considerato prima. E se ti preoccupi tanto di essere o meno una brava persona, un bravo sovrano, allora sei molto meglio della maggior parte dei palloni gonfiati che si siedono tutti i giorni sui loro troni intarsiati. Saresti un ottimo principe, Sebastian.»

Era rimasto ad ascoltarla rapito, le labbra leggermente dischiuse, gli occhi spalancati di sorpresa nel sentirla affermare quelle frasi. «Vorrei poter condividere la tua sicurezza.» Fece scivolare la mano libera sulle sue, le dita a sfiorarle leggere il dorso. «Se rinuncio ai miei voti, sarà per l'ultima volta. Elthina sarà furiosa.»

Marian trattenne il respiro. «La Somma Sacerdotessa ti ama come un figlio. E probabilmente vuole solo che tu prenda una decisione di testa tua, seguendo quello che credi sia meglio. Nessuna madre vorrebbe vedere il figlio perdersi su una strada che non sente sua.»

Sembrò che l'uomo volesse aggiungere qualcosa, aprì la bocca ma la richiuse un attimo dopo. «È un passo importante. Da ragazzo sarei già corso a riprendermi la città, ma ora che potrei essere un buon sovrano, esito. Non so quale sia la mia strada.» Il suo sguardo vagò per la navata, le luci delle candele che illuminavano d'oro le statue e le alte colonne di pietra, le finestre dai vetri colorati che sembravano danzare. «Quando penso alla Chiesa, quando sono qui dentro... il mio cuore era solito essere in pace, ma ora la mia mente è piena di dubbi.»

Quando la sua mano le sfiorò il viso, Marian si sentì avvampare come una ragazzina. Era strano, ne aveva combinate di tutte le salse, ma il modo in cui la guardava Sebastian, la sua voce, il suo tocco, riuscivano sempre a destabilizzarla.

«Nemmeno il mio cuore è più in pace, da quando ti ho conosciuta.» Lo sentì sussurrare, e in quel momento avrebbe voluto mandare tutto all'aria e colmare quei pochi centimetri che li separavano, assaggiare quelle labbra invitanti, sentirlo gemere il suo nome con quell'accento che tanto le piaceva. Ma si tirò indietro, sapendo che entrambi si sarebbero odiati se l'avesse fatto.

«Non posso dirti cosa fare della tua vita, non è mio compito. E in fondo guardami, non so dove stia andando la mia. Però posso dirti che saresti un buon regnante.» Sorrise, mentre già sentiva Isabela urlarle dietro. «Sappi che qualsiasi decisione tu prenda, avrai sempre un'amica su cui contare.»

Sebastian reclinò un poco il capo, restituendole il sorriso. «Ti ringrazio. Anche io sarò sempre al tuo fianco, se ne avessi bisogno.»
























Note dell'Autrice: Verrà il giorno in cui Sebastian e Marian si daranno una svegliata, ma non è questo il giorno. Anche Macsen Trevelyan è arrivato nella meravigliosa città di Kirkwall, che ormai è più affollata di un bordello antivano. Vedremo come se la caveranno lui ed Andrew, e cosa ne penserà Marian. Samson resta sempre il mio preferito, comunque. Cheers! 

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Capitolo 25
*** Victim or executioner? ***


CAPITOLO 25
Victim or executioner?

 

 

«Junior dovrebbe arrivare a breve, no?» Gli chiese Varric mentre si addentravano tra le vie della città bassa, dove avevano fissato l'incontro con Cadash.

«Già... in realtà aveva detto a fine Umbralis, ma con tutte le bufere che ci sono ultimamente, non oso immaginare come sia il tempo più nell'entroterra.» Rispose Garrett di cattivo umore, stringendosi ulteriormente nel mantello. Il vento infuriava da giorni nella baia portando con sé neve e schegge di ghiaccio che tagliavano la pelle come lame affilate.

«E io che pensavo che ai Fereldiani piacesse, il freddo.»

«Non lo sai? Ho cercato infatti di tornarmene a casa, ma non mi hanno voluto riprendere proprio per questo.» Rabbrividì, aprendo la porta della taverna e accogliendo la zaffata di aria calda e fumosa con un sospiro di sollievo. «Cazzo, aveva ragione Bu a starsene a casa, stamattina.» Aveva provato in tutti i modi a portare fuori la mabari, ma dopo i primi minuti passati a fare lo stretto necessario, l'animale si era fiondato di nuovo all'interno, barricandosi in salotto e rifiutando categoricamente di allontanarsi per più di qualche metro dal camino acceso, accoccolata sul tappeto.

«In effetti anche io mi fiderei più del cane che del tuo giudizio, Scheggia.» Gli diede corda Varric sogghignando. I suoi occhi dardeggiarono ad analizzare la stanza da cima a fondo.

Garrett fece lo stesso: un bancone semplice rovinato dagli anni, alla cui sinistra un corridoio si perdeva nella penombra, una coppia di lunghi tavolacci di legno segnati da chissà quanti boccali e coltelli, una finestra malconcia con delle spesse grate di ferro all'esterno e una scala che portava al piano di sopra. Almeno una dozzina di commensali, la maggior parte nani dall'aspetto poco amichevole, si erano girati contemporaneamente a fissarli. Nessuno di loro sembrava essere particolarmente contento di vederli lì. «Bella giornata, vero?»

Il nano dietro il bancone, una massa di muscoli e una folta massa di capelli e barba neri come la pece, si girò a sputare un grumo di foglie rossicce in una zuppiera accanto a sé. «Salite le scale, spilungone, senza perdervi in chiacchiere.»

«Sempre un piacere rivederti, Otto...» Ribattè imperturbabile Varric, facendo strada a Garrett per il piano di sopra.

Le scale di legno erano più solide di quanto si sarebbe aspettato, le assi che scricchiolavano appena sotto il loro peso. Dal pianerottolo partiva un breve corridoio stretto, due porte per lato e una più grossa verso il fondo. Il nano si diresse senza esitazione verso l'ultima, fermandosi a circa un metro da essa e battendo tre volte col tacco dello stivale sul pavimento.

Garrett sentì scattare qualcosa, seguito da un cigolio: si accorse solo in quel momento di due piccole feritoie ai lati del soffitto, che si stavano ora chiudendo fino a scomparire alla vista.

La porta si spalancò e una figura conosciuta lì salutò con un sogghigno, arricciandosi i folti baffi biondi. «Avanti, non vi mangio mica.»

Stök Cadash non era particolarmente massiccio, e di certo non era alto (come tutti i nani, d'altronde), portava i capelli rasati ai lati e il ciuffo al centro lungo quanto un palmo di mano. La barba era tenuta corta e un bel paio di baffi incorniciava il sorriso che si apriva sui denti larghi, lasciando intravedere un incisivo d'oro. All'orecchio destro portava due spessi orecchini a sfiorargli la pelata. «Allora, spilungone, sei venuto a rimborsarci dell'oro perso per colpa del vostro improvviso cambio di rotta?»

«Non devo rimborsarvi un bel niente: non ne sapevo nulla, altrimenti vi avrei fermati prima.» Ribattè Garrett, incrociando le braccia. Intercettò lo sguardo di ammonimento di Varric. «Ma potremmo trovare un compromesso che vada bene ad entrambe le parti...»

Il sorriso del nano davanti a lui si allargò ulteriormente. «Ora sì che parli la mia lingua!» Gli diede una pacca sul braccio, facendoli entrare, la porta che si chiudeva dietro di loro. «Prego, favorite pure.» Disse loro indicando una bottiglia sul tavolo, il suo contenuto verde brillante.

Il mago si accomodò sulla sedia, trovandola un po' bassa per il suoi gusti ma sorvolando. Vide Varric versarsi una piccola quantità dello strano liquido, e fece lo stesso. Annusò il contenuto del bicchiere, sotto gli occhi divertiti di Stök. Odorava di menta, muschio e, tanto da fargli prudere il naso, alcol. Ne mandò giù un sorso, mozzandosi il respiro quando la sostanza scese a bruciargli la gola e lo stomaco. Tossì, cercando di riprendere fiato mentre il nano del Carta scoppiava a ridere di gusto. «Cosa cazzo...?»

«Non è veleno, ma non è nemmeno per i deboli di stomaco.» Sentenziò Stök, brindando alla loro salute e bevendo tre lunghi sorsi. Ruttò sonoramente. «Allora, qual è la proposta?»

«La Resistenza ha bisogno di voi. Geralt e i suoi si sono spinti troppo oltre causando decine di vittime innocenti, e come risultato i Templari ci stanno addosso peggio di prima. Nel Circolo è un incubo e i rastrellamenti casa per casa, soprattutto nell'Enclave e in città bassa, accadono quasi ogni notte. Stanno cercando chiunque sia rimasto in città, non possiamo voltare le spalle ai maghi in difficoltà a causa di una manciata di stronzi.»

Il sorrisetto divertito del nano di fronte a lui si era allargato man mano che parlava, al punto da scoppiare in una fragorosa risata alla fine. «Bravo, spilungone, che eloquenza!» Battè le mani tre volte, in una smorfia di finta ammirazione. Prese un altro sorso, schioccando le labbra. «Purtroppo, non sono le belle parole a muovere il mondo.» Si appoggiò allo schienale, arricciandosi i baffi con le dita della mano. «Il capo è furioso con voi, avete fatto un bel casino. Ma non siete gli unici, quindi – anche grazie alla nostra amicizia di lunga data, Varric – sono riuscito a convincere Orzammar che valeva la pena darvi un'altra possibilità.»

Varric annuì. «E te ne sono grato, Stök, davvero. Gli amici si aiutano a vicenda, no? Quindi, se ci dicessi in che modo potremmo darti una mano, saremmo felicissimi di provare quanto teniamo a questa collaborazione.»

Il nano del Carta smise di accarezzarsi i baffi, portando entrambi i gomiti sul tavolo e incrociando le dita all'altezza del volto. «Questo si vedrà.» Scrutò Garrett dritto negli occhi. Aveva finito di scherzare. «C'è un carico di lyrium che è partito due settimane fa dalla Bianca Spira, ma data la burrasca sono stati costretti ad attraccare al porto di Cumberland e proseguire via terra. Sono ad un giorno di cammino da qui, diretti di gran carriera verso Ostwik. Hanno fretta, e fanno bene, sapete perchè?»

Scossero la testa.

«Il loro capo ha avuto la presunzione di rifiutare la nostra protezione, tutto per difendere qualche briciola. Grosso errore, le strade di questi tempi non sono affatto sicure.»

Garrett si sentì sprofondare. Si trattava delle scorte dei templari, che sicuramente scortavano in gran numero la sostanza da cui dipendevano.

Cadash sembrò leggergli nel pensiero. «Oh, non preoccuparti spilungone, non vi lascerò andare da soli. Dopotutto, ci tengo che quest'affare vada liscio come marmo.»

Varric sbuffò divertito. «Non sottovalutarlo Stök, questo spilungone è più in gamba degli altri.»

«Vedremo. Per ora l'ho solo visto farsela sotto per un paio di fuochi d'artificio.» Ridacchiò il nano. «Non sono io quello che dovete convincere, comunque. Fatevi trovare tra un paio d'ore alla porta nord, nelle vostre migliori condizioni. E nel caso qualcuno abbia intenzione di farsela sotto alla vista di qualche bronto in armatura fiammeggiante, portatevi un cambio.»

Vennero congedati. Scesero al piano di sotto, dove il nano dietro al bancone lanciò loro un altro sguardo infastidito, continuando a masticare le foglie rossicce. Si avventurarono all'esterno, il vento infuriava senza pietà.

«Passo a casa ad avvisare mia madre, tu convinci Anders a starsene a Kirkwall. L'ultima cosa che ci serve è Giustizia che se ne esce con una delle sue in mezzo a Carta e Templari.»

«Ogni volta che occorre diplomazia sono io a dover intervenire, possibile che non sai mai gestirti da solo il tuo ragazzo e il suo luminoso amico?»



 

Quando rientrò a casa, Bu lo accolse con un'occhiata di rimprovero dopo che una folata particolarmente gelida era riuscita a farsi strada fino alla poltrona dove la mabari si era accoccolata, incurante delle lamentele di Bodahn.

«Ah, Serah Hawke!» Saltò su il nano, sventolando nella sua direzione una spessa fetta di prosciutto.

«Se stai cercando di corromperla a scendere da lì, ti servirà l'intera coscia...» Gli consigliò divertito, scuotendo la testa.

L'altro abbassò la mano, sconsolato, voltando le spalle all'animale e facendo per andare verso le cantine. Con un balzo fulmineo, Bu si gettò sul boccone, sfilandoglielo dalle dita ancora prima che Bodahn potesse accorgersene.

Il nano inveì nella sua lingua, agitando il pugno in aria e cercando il sostegno di Garrett, che si limitò a ridere come un matto. «Tanto ormai la poltrona è sua, lascia perdere.»

«Ma vostra madre...»

Si strinse nelle spalle. «Tanto non c'è neanche oggi, no?» Fece vagare lo sguardo in salotto, fermandosi su un bouquet di fiori bianchi e rossi fresco fresco. «Di nuovo quell'Alphonse?»

Bodahn annuì.

«Uno di questi giorni dovrò andare a conoscerlo, credo. Spero solo non sia il tipico Orlesiano con la puzza di formaggio sotto al naso, o rischierò di scatenarmi contro le ire di mia madre per averle rovinato la piazza.»

«Il vicinato sembra aver cambiato idea su di voi, ultimamente, Serah. Persino la siepe è poco frequentata.»

«Oppure fa così freddo che la vecchiaccia si è congelata tra il viburno...»

«In tal caso, le fioriture saranno meravigliose quest'anno!»

«E soprattutto ce le godremo in pace.» Annuì, salendo in camera e recuperando in fretta armi e bagagli. Mise un po' di provviste nello zaino, qualche intruglio curativo di cui avrebbero probabilmente avuto bisogno data l'assenza di Anders, ci cacciò dentro due corde per l'arco e vi agganciò il giaciglio per la notte, prendendo la faretra dal suo supporto sul muro. Per ultimo prese il bastone magico.

«Bu, fai la guardia alla poltrona, va bene? Non sia mai che Lumia decida di pulire il caminetto!»

L'elfa, il grembiule sporco di farina e il mattarello di legno in mano, si affacciò dalla cucina con un cipiglio feroce. «Può prendersi la poltrona quanto vuole, ma se riprova ad entrare in cucina mentre sto impastando, spargendo i suoi pelacci ovunque, la trasformo in un pellicciotto.»

«Sentito, bella? Fai la brava.» Fece due coccole sulla testa della mabari, che sbadigliò contenta, per nulla impressionata dalle minacce. «Starò via qualche giorno, se mi cerca qualcuno spargete la voce che sto andando a caccia di draghi!»



 

Quando arrivò all'appuntamento, trovò Varric che già lo aspettava.

«Ah, se ci siamo tutti direi di non perdere ulteriore tempo!» Lo salutò Stök, seguito da tre figure. Due erano nani, uno dei quali stava fumando la pipa, mentre la terza figura era qualcuno che Garrett conosceva bene.

«Adaar, quindi non sei sparita anche tu!» La salutò con allegria esagerata, sperando che la Tal-Vashoth non lo volesse morto quanto era probabile facessero i suoi due maestri.

Il volto della ragazza rimase impassibile, gli occhi viola che si puntarono nei suoi per un attimo prima di tornare a fissare davanti a sé, corrucciata. «Hawke.» Reggeva il pesante maglio da guerra apparentemente senza sforzo.

Stök saltò sul carro assieme al nano che fumava, il quale prese nella mano libera le briglie dei cavalli, aspettando l'ordine del capo.

«Varric, ti unisci a noi?»

Garrett incrociò lo sguardo di scuse che l'amico gli lanciò prima di arrampicarsi con qualche difficoltà nel carro, subito dietro a Stök. Spostò un paio di casse di legno impilandole su delle altre, facendosi posto per sedere. Garrett, Adaar e l'ultimo nano seguivano a piedi il carro, che aveva iniziato a muoversi lentamente sulla strada ghiacciata.

Camminarono fino a tarda notte, quando finalmente Stök diede l'ordine di montare il campo. Dopo ore passate a congelarsi le chiappe e numerosi tentativi di fare conversazione con i due che lo avevano affiancato per tutto il tempo, il profumo della carne che arrostiva sul fuoco e le risate sguaiate dei nani gli risollevarono notevolmente l'umore, anche se aveva sempre l'impressione che la metà delle battute fossero rivolte a lui.

«Come l'ha presa Anders?» chiese a Varric, mentre versava all'amico da bere.

«Tutto sommato bene, è Giustizia che mi è sembrato un po' contrariato... sai com'è fatto.»

Lo guardò preoccupato.

Varric fece un gesto con la mano come se stesse scacciando una mosca. «Non fare quella faccia, ha solo minacciato ogni templare e nano nel Thedas se non fossi tornato vivo. Tutto nella norma.»

«Pensavo sarebbe venuto anche lui.»

Garrett si girò sorpreso. Adaar si sedette accanto a loro, un boccale di birra in mano.

«Non potevamo lasciare la clinica scoperta... e se qualche mago avesse avuto bisogno di noi?»

«Se i templari fossero caduti, avremmo potuto prendere la città senza sforzo e liberare tutti i maghi. Nessuno di loro avrebbe più avuto bisogno di niente.»

L'uomo aggrottò le sopracciglia. «Credi davvero che uccidere tutta quella gente per salvarne altra fosse un buon compromesso?»

La Tal-Vashoth ci mise qualche attimo a rispondere. «Stai solo cercando di rallentare l'inevitabile. Siamo mostri ai loro occhi, e questo non cambierà mai.»

«Il tuo amico, Kadan, non era un mago, eppure ha dato la vita per te. Non ti considerava un mostro.» Si pentì immediatamente di aver parlato.

La ragazza scosse la testa, i capelli bianchi come la neve a caderle sulla fronte. «I sacrifici sono necessari per raggiungere un obiettivo. Sataareth kadan hass-toh, issala ebasit. Se non fossi disposta ad uccidere ed essere uccisa per portare avanti il mio ideale, il nostro ideale... non tornerò ad essere Saarebas nelle mani altrui, né permetterò che lo siano altri. Non infangherò il sacrificio di Kadan.»

«È questo che Geralt e gli altri sostengono? Che per avere la nostra libertà, dobbiamo uccidere tutti gli altri?»

Adaar puntò lo sguardo sul fuoco davanti a loro, senza degnarlo di una risposta, ma Garrett non voleva demordere. La Resistenza si era spaccata in due, ma erano troppo pochi per portare avanti due battaglie separate. Forse c'era ancora speranza di dialogo, di riconciliarsi e trovare una via di mezzo tra il massacro indiscriminato nel nome della propria salvezza e il chinare la testa agli abusi della Chiesa e dei Templari. «Saranno sempre più di noi, non puoi non vederlo. Se dovesse scoppiare la guerra che credi di volere, ci distruggerebbero. Migliaia di innocenti cadrebbero solo per essere finiti in mezzo allo scontro, e non rimarrebbe alcun posto sicuro per un mago, verremmo additati come colpevoli da tutti.»

«Solo quelli sotto la Chiesa e il Qun hanno paura dei maghi.»

«Stai dicendo che vorresti vivere nel Tevinter, tra maghi del sangue e demoni?»

La risposta fu secca. «La magia del sangue non è altro che magia, ma non è questo il punto.» Strinse il pugno, riaprendolo di scatto e facendo roteare nell'aria una scheggia di ghiaccio geometricamente perfetta a qualche centimetro dal palmo. «Siamo più forti di loro. Nel Tevinter solo una minoranza sono maghi, eppure comandano loro, senza alcun Arvaarad coi la frusta a tenerli sotto controllo.»

«Quindi vorresti diventare a tua volta una despota, no?» Ribattè Garrett, incredulo. «Sfruttare la tua magia per controllare gli altri, per stringerli in una morsa di paura e obbedienza solo perché alcuni di loro hanno fatto lo stesso con noi. Passeresti da vittima a carnefice, Adaar!»

Sentì il bruciore alla guancia prima ancora di vedere la mano della Tal-Vashoth abbassarsi, gli occhi viola colmi d'ira. Si passò due dita sul taglio provocato dal ghiaccio, asciugandosi il sangue.

«Non parlarmi di vittime, Hawke. Mi avrai anche aiutata ad uscire dal Qun, ma non mi hai salvato. Sono stata trattata come una bestia, torturata, mi hanno strappato la mia voce e il mio scopo nella vita solo perché avevano paura di quelli come me. Il Qun non può essere convinto a lasciare la libertà ai maghi, non funziona così. E anche la tua Chiesa ha sempre massacrato chiunque si sia mai opposto alle loro regole: dai maghi, agli elfi, agli eretici.» Si alzò in piedi, troneggiando su di lui. Per un attimo, Garrett sentì un brivido gelido scendergli lungo la spina dorsale, e non era dovuto alla leggera nevicata sopra le loro teste. «Avrai anche visto le sofferenze dei maghi, ma finché non le avrai provate sulla tua pelle, non venire a parlarmi di vittime e carnefici, Garrett Hawke.»

La guardò allontanarsi, andando a sedersi accanto al nano che fumava la pipa e al suo compagno, che nel frattempo stava tagliando la carne e dividendo le parti.

«Te le ha cantate, eh?»

«Ti prego Varric, abbi pietà.»

«Non so come pensi di riuscire a risolvere questo casino, amico. Sembra un'impresa impossibile.»

«Eppure, non siete gli unici a credere che questa guerra non debba ancora scoppiare.» Stök allungò loro dei piatti colmi di cibo, che i due afferrarono esitanti. «Il Carta non è un branco di sorelle della Chiesa che prendono a cuore i poveri sfortunati, alla maggior parte di noi dei maghi non gliene può fregare di meno. Soldi entrano, soldi escono, e nel lyrium ce ne sono parecchi. Quando si scatenerà la guerra, dovremo scegliere una fazione, e non credo che il capo voglia trovarsi in quella situazione, non ancora.»

«Che intendi?»

Stök si succhiò un dito unto di grasso, apparentemente concentrato sulla cena. «Riunire tutti i vari clan criminali non è stato facile, ma lo sarà ancora di più convincerli che scegliere lo schieramento che paga meno possa essere una mossa vincente. Non ce la farà.»

«Il Carta potrebbe smettere di appoggiare i maghi, senza preavviso?»

«Oh, il preavviso gliel'ha già dato, di questo sono certo.» Rispose enigmatico il nano, staccando un gran boccone e masticandolo rumorosamente. «Ma voi spilungoni siete troppo soggetti alle correnti d'aria, con la testa sempre così in alto, e faticate a prestare orecchio ai consigli.»

«Su questo devo darti ragione.» Concordò Varric. «E per quanto detesti ammetterlo, Scheggia, il Carta non si schiererà a favore dei maghi, se dall'altra parte ci sono Orlais e tutti gli altri ad aprire i forzieri reali e chiedere più lyrium di quanto sia mai uscito dal sottosuolo.»

“E questo spingerebbe i maghi a rivolgersi agli unici abbastanza ricchi da poter competere con la Chiesa...” pensò Garrett, l'umore sempre più nero mentre masticava la cena. Quanto ci avrebbero messo i maghi liberi a chiedere aiuto al Tevinter? E per quanto ancora sarebbero rimasti tali?



 

In tarda mattinata del giorno successivo, incapparono nelle tracce fresche della compagnia che stavano inseguendo. I solchi lasciati dalle ruote del carro erano impressi a fondo nella neve fresca che si era posata durante la notte, coprendo anche le fronde dei sempreverdi del bosco.

Il nano che fumava la pipa tirò fuori una mappa della zona, guidandoli poi su un ripido sentiero che avrebbe messo alla prova la maggior parte dei cavalli che Garrett conosceva. La coppia di animali invece trainava il carro con facilità, arrampicandosi agilmente su per il pendio che curvava verso est, aggirando il costone. Per un attimo, prima che venisse inghiottita dalla folta vegetazione, gli sembrò di vedere la carovana dei templari sotto di loro. Quando dopo un po' iniziarono a scendere, Garrett intuì che avevano tagliato per una scorciatoia, per poi ricongiungersi con la strada principale che invece si snodava per diverse miglia serpeggiando accanto alle rive di un fiumiciattolo che scorreva nella vallata.

«Posto perfetto per un'imboscata.» Sentì Varric commentare, indicando un restringimento della via maestra tra una frana di rocce semi coperte dalla neve, gli alberi strappati via che allungavano arti spettrali verso il cielo, e l'argine del corso d'acqua. Tutto attorno la vegetazione sembrava impenetrabile, e si sarebbe certamente rivelata una via di fuga quasi impossibile data la ripidità del pendio e il fitto sottobosco.

Stök, accanto a lui, annuì con un largo sorriso sulle labbra. Guidò i cavalli fino a portare il carro proprio accanto alla pila di sassi, facendo segno a tutti di scendere. Il nano con la pipa iniziò a scaricare alcune casse, aiutato dall'altro compagno.

«Signori.» Prese la parola Cadash, in piedi sul carro «gli ordini sono semplici: nessun superstite. Dobbiamo mandare un messaggio forte e chiaro.» Aprì una delle casse, tirandone fuori tre quadrelli di balestra e passandoli a Varric. «La tua mira è buona come sempre, spero.»

L'altro sogghignò. «Non deluderei mai la mia amata Bianca.»

Garrett incrociò lo sguardo di Adaar, ma la Tal-Vashoth distolse in fretta il proprio, impegnata a spostare alcuni dei massi più grossi. Garrett andò a darle una mano, ricevendo solo un'occhiataccia. Senza magia ci misero un po' di più di quanto avrebbe voluto, ma non potevano rischiare di allarmare i templari che dovevano essere al massimo ad un'ora da lì. I tre nani del Carta procedettero poi ad aprire le casse, rivelando diverse grosse otri di pelle, accuratamente avvolte in diversi stracci per evitare gli scossoni: alcune contenevano una sostanza blu scuro, altre una polvere nera come la pece, mentre le ultime due una serie di bocce di vetro grosse quanto un pugno, che Stök usò per unire con precisione i due componenti. Posero poi gli otri tra gli spazi creati nelle rocce, ricoprendoli di neve e sassi.

Quando fu soddisfatto del risultato, Cadash fece segno di allontanarsi.

«Voi due,» disse rivolto agli altri due compagni, «prendete il carro e portatelo più avanti. Adaar, vai con loro.» I tre annuirono, risalendo sul carro e proseguendo lungo la strada.

Stök si rivolse poi a lui e Varric, evidentemente pregustando quello che stava per accadere. «Speriamo che i nostri amici non tardino ad arrivare, non vedo l'ora di mostrargli un po' di calore.»

Si nascosero tra gli alberi, al riparo dietro un grosso masso, in attesa. Sotto di loro, la frana. Varric teneva Bianca stretta tra le mani, uno dei quadrelli di Cadash già incoccato, la balestra puntata verso una piccola conca dove avevano nascosto il grosso delle bocce di vetro.

La carovana templare avanzava con lentezza arrancando nella neve, i quattro cavalli che sbuffavano affaticati trascinando i due carri pesanti. Una delle ruote di quello che procedeva in testa stava cedendo, mentre tre uomini spingevano il carro di coda, che scricchiolava ad ogni buca del terreno.

Garrett contò velocemente gli avversari: sei nani procedevano armati fino ai denti in mezzo al gruppo, tre per lato, mentre cinque templari aprivano la fila e altri quattro la chiudevano. Tre di questi ultimi, quelli che spingevano il carro, sembravano reclute, poco più che ragazzini, il viso rosso per lo sforzo e i calzari infangati fin sopra le ginocchia.

Quello che doveva essere il capitano procedeva in testa alla carovana, l'armatura che brillava come ghiaccio, la spada fiammeggiante dell'Ordine sul petto e un grosso spadone a due mani al fianco. Da sotto il grande elmo usciva una treccia di capelli scuri.

Appena vide le impronte che avevano lasciato poco prima, il capitano si irrigidì, alzando il pugno in aria e ordinando a tutti di fermarsi, sguainando di poco la lama. Fece segno a due dei suoi compagni di controllare la strada di fronte a loro, ma dopo che ebbero seguito per qualche metro i solchi del carro dei nani del Carta, che proseguiva oltre la frana lungo la strada, sembrarono tranquillizzarsi, rimettendosi in cammino pur restando vigili.

Con il fiato sospeso, Garrett li osservò mentre avanzavano, arrivando all'altezza della frana sotto di loro e permettendogli di vedere le casse di metallo impilate nei carri spuntare al di sotto di un telo bianco sporco, recante anch'esso le insegne dei Templari.

Quando le ruote anteriori del trasporto di coda si incastrarono in una buca, il mago trattenne il fiato, un'imprecazione tra i denti. Stök, accanto a lui, si fregava le mani, gli occhi che brillavano. «Altri dieci metri, su da bravi...» lo sentì sussurrare, una mano sul braccio di Varric.

Vide l'amico scrocchiare il collo, chinandosi a prendere la mira.

I templari riuscirono a liberare la ruota, grugnendo di fatica nel sollevare il carro.

Quando i primi due cavalli ebbero superato il grosso della frana, Stök lasciò andare Varric.

Il quadrello sfrecciò silenzioso tra gli alberi, andando ad incastrarsi con precisione chirurgica nella fessura tra le rocce. Si coprirono le orecchie.

L'esplosione violacea che seguì portò una vampata di calore che li costrinse a gettarsi a terra, il rombo assordante che gli faceva fischiare i timpani, detriti, rami, rocce e terra sparati ovunque dall'onda d'urto. Le urla di dolore degli uomini e nani presi in pieno, il nitrito disperato di un cavallo, il rumore delle rocce e degli alberi che caracollavano verso il fondo della vallata. Stök era già in piedi, ad ammirare la sua opera con un cipiglio soddisfatto, le mani sui fianchi.

Garrett guardò disgustato un templare trascinarsi sui gomiti verso il fiume, lasciandosi dietro una strisciata di sangue dal moncone di gamba.

Il capitano si era riparato dietro uno dei carri, che ora giaceva riverso da un lato, mezzo in fiamme, le casse cadute tutt'attorno. Urlò qualcosa che non riuscirono a sentire, chiamando alle armi i compagni. Quattro dei suoi uomini non si muovevano più, uno doveva essere stato abbastanza vicino all'esplosione da venire tranciato in due, il torso in una pozza scarlatta, gli occhi bianchi rivoltati all'indietro. Uno dei nani era rimasto schiacciato, mentre un altro ringhiava bestemmie cercando di liberarsi da sotto il cadavere di un cavallo. Dei tre templari e due nani ancora in piedi, solo il Capitano, una recluta e un nano erano relativamente incolumi e in grado di combattere.

«Direi che è il caso di porre fine alle loro sofferenze.» Esordì Stök, incamminandosi verso di loro con aria serafica, dopo aver fatto cenno a Garrett e Varric di seguirlo. «Spilungone, a te l'onore.»

Prima che il Capitano potesse indirizzare contro di loro un'aura antimagia, il mago lanciò un dardo incantato verso di lui, mancandolo per un soffio quando quello si buttò da un lato e colpendo uno dei suoi uomini feriti, che crollò a terra con l'armatura infranta e fumante.

Garrett incoccò una freccia, l'attacco del templare a stringergli lo stomaco in una morsa di nausea e impossibilitandolo a lanciare altri incantesimi. Varric colpì uno dei nani sotto l'ascella, e Stök lanciò contro di loro una boccetta più piccola, che infrangendosi sprigionò una nube verde acido: le fiamme residue dell'esplosione si innalzarono vertiginosamente con un ruggito, bruciando le tossine e altri tre avversari, che urlarono di dolore contorcendosi nel fango mentre cercavano inutilmente di spegnersi.

Sentì il campo antimagia venire infranto mentre il capitano barcollava, tossendo. Lo vide togliersi l'elmo e gettarlo a terra, rivelandone l'aspetto: era una donna sulla cinquantina, il volto segnato da numerose rughe, gli occhi innaturalmente azzurri che trasudavano odio. Sputò un grumo di sangue per terra, colpendosi il petto con un pugno. Rialzò la testa, lo spadone puntato contro di lui. Al suo fianco solo la recluta, che tremava di terrore e stringeva la lama corta con l'aria di essere ad un soffio dal farsela addosso. L'ultimo dei nani soppesò la situazione, per poi voltarsi verso uno dei cavalli che nitriva disperato poco lontano, ancora legato al carro rovesciato. Scattò per raggiungerlo, ma a metà strada cadde a terra come un sacco di patate, le gambe imprigionate in una morsa di ghiaccio: Adaar e il nano con la pipa spuntarono da dietro la frana fumante, le armi in pugno.

La recluta templare non ce la faceva più. Ignorando gli ordini del capitano, si lanciò urlando contro Garrett, mulinando la spada davanti a sé come un pazzo.

Con un colpo secco del bastone, lo spedì a mangiare il fango con una saetta.

Il capitano, rimasta sola, strinse i denti guardandoli con disprezzo, mantenendo la posizione. «Fottuti bastardi.»

«Ah, coraggio, non dirmi che lo spettacolo non ti è piaciuto.» La prese in giro Stök, indicando con un cenno i detriti ancora fumanti. «Mi sono impegnato così tanto!»

Un altro colpo di tosse si mangiò la risposta della donna. Un rivolo di sangue le colava a lato della bocca, il braccio destro che tremava quasi incontrollabilmente, ma la stretta sulla spada rimaneva salda. «Il Carta sta lavorando per i maghi, ora?»

«Così mi offendi.» Sogghignò Cadash. «Questi due sono ai miei ordini, non certo il contrario. Mentre tu... hai solo fatto gli affari con i nani sbagliati, ecco tutto.» Sospirò teatralmente, arricciandosi i baffi. «In un'altra occasione, avreste potuto essere nostri ottimi clienti. Oh beh, peccato.» Indicò la templare, voltandosi verso Garrett. «Forza, che stai aspettando?»

La donna non accennava a muoversi, lo sguardo d'acciaio puntato nel suo. Annuì. Gettò a terra la spada, allargando le braccia, la mascella serrata, sfidandolo a procedere..

Era inerme.

Adaar, dietro di lei, lo fissava impassibile, il grande martello da guerra che brillava sinistro.

Aveva bisogno dell'aiuto del Carta, tutti i maghi di Kirkwall contavano su di lui. Incanalò il mana, sentendolo scorrere attraverso di lui fino alle due gemme incastonate nell'arco di Malcolm Hawke, puntandolo verso la templare disarmata.

La scarica elettrica la colpì in pieno, sollevando il corpo e sbalzandolo all'indietro di un paio di metri, la testa che sbatteva sul fondo del carro rovesciato, fumante.

«Vedi che le cose le sai fare, spilungone...» commentò Stök, dandogli una pacca sul braccio e procedendo verso i due carri per esaminarne il contenuto.

Il nano che era corso verso il cavallo era ancora vivo, e cercava disperatamente di liberarsi dal ghiaccio. Cadash lo raggiunse senza fretta, guardandolo dall'alto in basso con aria critica. «Se quei kalna imbecilli dei Ghest si fossero messi in riga e avessero pagato la loro percentuale, nulla di tutto ciò sarebbe successo.» Scosse la testa, dando un colpetto col piede ad un sassolino accanto alla testa del nano a terra. «Gliel'avevamo detto che poteva essere pericoloso, viaggiare in questo periodo dell'anno... Il capitano stava solo agendo responsabilmente quando vi ha fatti attraccare d'urgenza a Cumberland, immagino l'avrebbe fatto anche senza che glielo consigliassimo.»

L'altro ringhiò una serie di insulti in lingua corrente e nanica, sputando tra i denti.

Stök scoppiò a ridere, staccando dalla cintura l'ascia che portava al fianco e conficcandogliela con forza nel cranio.

Garrett distolse lo sguardo. Gli veniva da vomitare.

Il cadavere ebbe un paio di scossoni violenti, prima di accasciarsi immobile.

«Ottimo, ora recuperiamo il lyrium ancora intatto e leviamoci dalle palle, non vedo l'ora di farmi una bevuta alla faccia di Otto, che come al solito aveva dei dubbi sulle nuove dosi!»

Il nano con la pipa, il quale si era rimesso a fumare come se niente fosse, annuì interessato. «Eppure non aveva tutti i torti, mi è sembrata leggermente instabile...»

«Instabile era tua sorella dopo che avevo finito con lei, Oran!»

«Lascia stare Venna, Cadash, o il prossimo fuoco d'artificio che vedrai sarà su per il tuo culo.»

Continuarono a battibeccare scherzosamente come niente fosse, trasportando le casse con il lyrium ancora integro sul loro carro, che il compagno aveva riportato indietro. In breve tempo, riuscirono a caricarvi su tutti e diciannove i piccoli forzieri contenenti le boccette che erano sopravvissute all'esplosione.

Oran e l'altro nano legarono il cavallo superstite di fronte ai loro, poi montarono uno alla guida e uno tra le casse, aspettando di partire.

Stök si voltò verso Varric e Garrett, Adaar al fianco. «Metterò una buona parola per voi col capo. Quando torneremo con i profitti di questa roba, sarà più di buon umore e propensa ad ascoltare i vostri piagnistei sui poveri maghi maltrattati.»

«Grazie.» Rispose asciutto Garrett. «Sono contento che possiamo continuare a fare affari.»

Il nano sorrise sotto i baffi, sollevando una mano in cenno di saluto e montando anche lui sul carro accanto ad Oran, rubandogli la pipa di bocca e ignorando le sue proteste.

Adaar li fissò per qualche momento, seria. «Sono contenta anch'io.» Diede loro le spalle, allontanandosi a grandi falcate.

Avrebbe voluto urlarle di stare attenta, di non ascoltare le parole d'odio che Geralt sembrava star predicando all'intera Resistenza, ma si sentì un ipocrita, con il cadavere della templare a terra a pochi metri da lui.

«Torniamo a casa, Scheggia.» Lo spronò Varric, scuotendo il capo come se gli avesse letto nel pensiero.



 

Il viaggio di ritorno passò in un silenzio pesante, l'umore di entrambi grigio come le nuvole sopra di loro, i fiocchi di neve che si infilavano dappertutto facendoli congelare fin dentro alle ossa.

Quando giunsero alle porte della città era mattina presto, e un piccolo nugolo di persone era raccolto davanti a loro, rumoreggiando agitato.

«Che sta succedendo?» Si domandò Garrett, avanzando circospetto. Gli sembrò di intravedere un elmo alato in mezzo alla folla, ma fu solo quando un uomo dall'accento fereldiano urlò a tutti di togliersi dai coglioni senza mezze misure che la gente finalmente si disperse, permettendogli di vedere la manciata di uomini in armatura di fronte a loro. Erano in sette, gli elmi sottobraccio, le insegne dei Custodi Grigi ben visibili anche se inzaccherate di fango.

L'uomo che aveva alzato la voce si stava beccando un rimprovero bonario da parte di quello che Garrett riconobbe subito come il Comandante Adrien de Lancourt, ma fu il giovane accanto a loro che attirò la sua attenzione. Aveva i capelli un po' più lunghi di come li ricordava e un velo di barba sui lineamenti squadrati che si erano fatti più duri, ma il broncio che seguì immediatamente l'espressione sorpresa del fratello alla sua vista era lo stesso.

«Carver!» Gli corse incontro, sollevato. Si fermò con le mani a mezz'aria, incerto se abbracciarlo o meno.

Il minore degli Hawke si scansò appena in tempo per evitarlo, riuscendo a dargli una specie di buffetto sul braccio. «Ciao Garrett.»

L'uomo accanto a lui, un naso prominente e un arco legato dietro la schiena, diede di gomito ad una nana con il volto interamente tatuato, che scoppiò a ridere di gusto di fronte all'imbarazzo del compagno più giovane.

«Non sbilanciarti troppo, mi raccomando!»

«Ma se non vedeva l'ora di arrivare... ci ha tormentati più lui che le vesciche ai piedi.»

Garrett cercò di non unirsi a loro quando il fratello minore arrossì vistosamente, voltandosi dall'altra parte e bofonchiando offeso. «Ma smettetela...»

«Ti vedo bene, Junior!» Lo salutò entusiasta Varric, un largo sorriso sul volto. «Hai ammazzato qualche arcidemone, ultimamente?»

«Ah-ah, molto divertente...»

«Se avessi incontrato davvero un arcidemone, non ci scherzeresti su.»

Di nuovo il fereldiano. Doveva essere il più anziano del gruppo, aveva il volto solcato da piccole rughe, fili grigi tra i capelli sulle tempie, eppure non sembrava affaticato dagli anni né dalla vita da Custode Grigio.

«Loghain, sai sempre come rallegrare le conversazioni.» Lo canzonò un'elfa mingherlina, un bastone da maga sulle spalle e una zazzera di capelli scuri che sparavano dritti sulla testa.

«C'è poco da rallegrarsi, pensavo l'avessi capito ormai, Korva.»

Il Comandante Adrien sospirò profondamente. «Non ricominciate o vi rispedisco dai nani.»

«Creatore, no!» Alzò le mani l'elfa in segno di resa, reclinando all'indietro la testa.

Un nano dai capelli rossi, che Garrett ricordava di aver incontrato nelle Vie Profonde, scoppiò in un attacco di tosse rischiando di strozzarsi con qualsiasi cosa stesse bevendo da un otre di pelle. Riemerse pulendosi i baffi con il dorso della mano, ridacchiando.

«Sempre meglio che tornare ad Orlais...» Replicò il fereldiano incrociando le braccia. Intercettò lo sguardo sorpreso di Garrett, che ricambiò con un cipiglio ostile. «Sì, sono Loghain Mac Tyr, proprio lui. Se ho causato la morte di qualche tuo consanguineo, amico o animale domestico, mettiti in lista, c'è una lunga fila di persone prima di te che mi vogliono morto.»

«E se questo è l'atteggiamento con cui ti presenti, non può che aumentare.» Commentò l'arciere, scuotendo il capo.

«Perché invece tu fa sempre un'ottima impressione...» Lo punzecchiò la nana.

Il Comandante annuì. «Sì, devo dire che sono rimasto particolarmente impressionato quando ti sei intrufolato nella mia fortezza, cercando di derubarmi e poi insultandomi dopo che ti avevano ragionevolmente rinchiuso in una cella.»

Il nano dai capelli rossi sogghignò. «Sei rimasto colpito letteralmente, Comandante. Ti ha dato una testata sul naso.»

«Quello è stato un incidente.» Si difese l'arciere.

«Certo, come no...»

Garrett squadrò Loghain Mac Tir, l'uomo che aveva causato la disfatta di Ostagar e, in parte, la distruzione di Lothering. Si diceva in giro che avesse compiuto una serie di crimini e nefandezze durante il Flagello, tra le quali incolpare i Custodi della morte del re, avvelenare l'Arle di Redcliffe tramite un mago del sangue e aiutare l'Arle di Dererim a vendere gli elfi dell'enclave a degli schiavisti del Tevinter. Eppure, e su questo tutti erano d'accordo, l'uomo aveva combattuto con onore nella battaglia finale, come un vero Custode Grigio. In molti lamentavano comunque che non fosse morto lui, al posto dell'Eroina del Ferelden.

Loghain gli rivolse un'occhiata sprezzante, per poi incrociare le braccia e rivolgere lo sguardo altrove. Garrett lasciò perdere. Unirsi ai Custodi forniva una seconda possibilità a tutti, in fondo.

Riportò l'attenzione sul fratello. «Nostra madre sarà contenta di vederti, ti aspetta impaziente da un mese. Piangerà, preparati ad inzupparti.»

Carver si lasciò sfuggire un sorrisetto. «Sopporterò.» Si voltò verso il Comandante, come a chiedere il permesso di allontanarsi.

Adrien de Lancourt gli fece segno di andare. «Staremo qui per un paio di settimane almeno, non c'è fretta.»

«Comandante, io un po' di fretta gliela metterei! Pensa a quella povera ragazza...» Commentò il nano dai capelli rossi, scoppiando a ridere sguaiatamente.

«Stà zitto, Oghren!»

«Lasciami dare qualche consiglio al ragazzo, Howe. Non batterà mai chiodo altrimenti.»

Garrett si scambiò uno sguardo divertito con Varric, ma entrambi si trattennero dal commentare. «Non abbiamo detto una parola a Merrill, come promesso.» Assicurarono al ragazzo.

Carver sembrò soddisfatto.

Salirono verso la città superiore, i gradini scivolosi dal ghiaccio nonostante la sabbia che le guardie cittadine spargevano quasi ogni giorno per le strade. Passarono davanti ad una bancarella di fiori, che si fermarono per un attimo ad annusare.

«Se ti stai chiedendo quali sono i suoi preferiti, io direi di puntare sempre sulle margherite.» Lo prese in giro Varric.

Carver finse di non dargli retta, ma Garrett potè giurare di averlo visto guardare con particolare attenzione un bel mazzo di margherite bianche e grandi fiori rosa acceso.

Una volta svoltato l'angolo di fronte a casa loro, però, l'ilarità cessò di colpo.

Un templare era stazionato di fronte alla porta, mentre due guardie cittadine montavano la guardia all'ingresso del vialetto. Il cuore di Garrett perse un battito, il pensiero che volava immediatamente ad Anders. Era stato catturato? L'avevano scoperto?

La guardia che gli corse incontro, però, non aveva l'aria di starlo per arrestare: aveva gli occhi lucidi. Aprì la bocca un paio di volte, senza che ne uscisse un suono.

«Donnic, che è successo?» Si sforzò di chiedergli, il terrore che si faceva strada come un serpente lungo la schiena.

«Mi dispiace... Creatore, Garrett, non-»

«Vieni al punto, dannazione!» Gli urlò in faccia Carver. Non ottenendo risposta, lo scostò di lato e si fece strada verso l'ingresso, gli occhi sgranati.

I due templari fecero per fermarlo, quando la porta si aprì di scatto.

Ne emersero Aveline e Anders, entrambi con l'aria sconvolta e gli abiti sporchi di sangue.


































Note dell'Autrice: sono tornata! Mi scuso per essere scomparsa per un po', è stato un periodo un po' strano e la voglia di scrivere scarseggiava.
Stök Cadash (a proposito, il suo nome in Svedese significa "Caos") fa la sua comparsa in grande stile, ha un po' di Natia, non trovate? In fondo lavora per lei. Garrett si trova a fare una scelta difficile, che non è nè la prima, nè soprattutto l'ultima, mentre Adaar sembra ormai aver fatto la propria. Anche Carver è tornato a Kirkwall, giusto in tempo oltretutto, gli Hawke e le gioie... però mi era mancato. 
Sperando di tornare presto, atrast tunsha! 

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Capitolo 26
*** Loss ***


CAPITOLO 26
Loss



 

Portò le braccia dietro la schiena, tentando di stiracchiarsi le membra. Era tutto il giorno che seguiva la Comandante per la Forca e si stava iniziando a stufare di tenere addosso l'armatura. Meredith sembrò accorgersene, perché la redarguì con lo sguardo mentre finiva di berciare ordini alle tre giovanissime reclute nel cortile sotto di loro, che avevano osato cercare riparo sotto il portico invece che rimanere sotto la neve a farsi trasformare in statue di ghiaccio.

Uno di loro, un ragazzino un po' in carne che non doveva avere più di dodici o tredici anni, sembrava sul punto di scoppiare a piangere.

«Diventerete cavalieri dell'Ordine Templare, un giorno, e sia chiaro che non accetto alcun tipo di debolezza nei miei uomini!» Ringhiò la donna, rimarcando il concetto dando un pugno alla balaustra di pietra con la mano guantata. «Se non siete in grado di resistere ad un po' di freddo, cosa farete quando vi troverete davanti un mago del sangue, pronto a farvi a pezzi?!»

I tre annuirono, rossi in volto, lo sguardo basso e gli occhi lucidi. «Sì Comandante! Ha ragione, Comandante!»

«Paxley, falli rientrare, domani mattina dovranno stare a guardia del cortile dall'alba al tramonto.» Ordinò Meredith al templare accanto a lei, che si mise sull'attenti. Salutò impettito e si fece seguire dalle reclute, che erano ben contente di poter sgattaiolare via dallo sguardo severo della donna.

«Stanca, Tenente?» Le chiese fredda, volgendo l'attenzione su di lei. «Chiunque dei tuoi colleghi si sarebbe sentito onorato di potermi assistere per tutta la giornata nei miei compiti.»

Marian si sentì sprofondare. «Lo sono, Comandante. Grazie per l'opportunità.»

L'altra sollevò impercettibilmente un sopracciglio. «Seguimi.»

Tornarono nell'ufficio della Comandante. Dopo averle fatto chiudere la porta dietro di sé, Meredith si portò vicino alla finestra che dava sul cortile, lo sguardo corrucciato. Sulla scrivania una serie di carte che avevano analizzato nel tardo pomeriggio, rapporti sulla situazione dei maghi ribelli nelle altre città, una richiesta di trasferimento per alcune reclute proveniente dal circolo di Ostwick e una lettera dalla Divina in persona, che invitava a mantenere il controllo della Forca senza però ricorrere alle misure drastiche che sempre più persone richiedevano a gran voce. Le ultime due, il sigillo di ceralacca rosso che spiccava perfetto sulla pergamena arrotolata, erano due permessi per procedere con il Rituale della Calma, controfirmati dal Primo Incantatore Orsino. «Perché pensi che ti stia portando con me in questi giorni?»

“Per tenermi d'occhio”, avrebbe voluto rispondere, ma si morse la lingua. «Non saprei, Comandante.»

La interruppe con un gesto stizzito della mano. «Sei più intelligente di così, Marian, non aver timore di dar voce ai tuoi pensieri.»

«Sembra che mi stiate esaminando, Comandante.»

Finalmente, Meredith si voltò a guardarla. «E a quale scopo, ritieni?»

Marian si strinse nelle spalle.

La donna si avvicinò alla scrivania, sfiorando con le dita le carte sopra di essa. «Ti ho tenuta sotto osservazione per anni, Marian. Sei una donna interessante, oltre che una templare molto diversa da quelli che solitamente si uniscono al nostro Ordine. Non sei qui per la gloria, né perché volevi supportare economicamente la tua famiglia, e non ti interessa il potere che deriva dalla tua posizione. Non ho mai ricevuto una lamentela sul tuo comportamento da nessuno qui dentro, persino Karras, che come avrai capito non ti ama particolarmente, non ha mai avuto delle basi concrete per lagnarsi di te. La maggior parte dei tuoi colleghi, anche più anziani di te, ti vede come un punto di riferimento. E persino molti dei maghi sembrano approcciarti come un essere umano, a differenza di come si comportano di solito con i Templari che li sorvegliano.» Marian aprì la bocca per dire qualcosa, ma Meredith non la lasciò parlare. «La gente comune ti ammira e i nobili ti rispettano immensamente. Ispiri fiducia, e sai come guadagnartela, hai una mano ferma e non ti abbandoni mai all'eccesso: sono tutte qualità che fanno di te un ottimo leader.» Sollevò lo sguardo dal tavolo, puntandolo nel suo. «Anni fa ti chiesi di dare tutto per l'Ordine, per riscattarti dalla tua fuga ad Ostagar. Hai superato le mie aspettative, Marian.»

Non sapeva cosa rispondere. Se avesse saputo la verità, la sua testa sarebbe andata a decorare le mura della Forca in pompa magna, ne era sicura. «Vi ringrazio, Comandante.»

«Ora ti lascio andare, goditi la cena, Tenente.» La congedò Meredith, e per un secondo la sua espressione solitamente fredda sembrò addolcirsi. Qualcuno bussò alla porta, e la donna tornò immediatamente quella di sempre.

Il Capitano Cullen scivolò all'interno, salutandole rigidamente, per poi richiudere il battente. Aveva il volto teso, i capelli solitamente curati che ricadevano sugli occhi. «Ci sono novità, Comandante.»

«Parla pure, Capitano.»

Cullen spostò lo sguardo prima a lei e poi di nuovo sulla Comandante, ma annuì. «I sospetti di Karras su Gerwyn erano fondati, crediamo sia stato lui a permettere la corrispondenza dei maghi fuggiti dalla Forca con la Resistenza.»

«Crediamo, Capitano?» Ripetè Meredith, assottigliando le labbra. «Voglio delle certezze, non illazioni basate su sospetti e dicerie. La famiglia Dionne è abbastanza influente a Montsimmard, prima di giustiziare il nipote di Yves come traditore dobbiamo avere delle prove concrete. Interrogatelo di nuovo.»

Cullen stava visibilmente sudando freddo. «Sarà difficile, Comandante. Karras...»

Meredith gli lanciò un'occhiataccia che avrebbe fatto raggelare sul posto un altodrago. «Parla, Cullen.»

«Gerwyn è morto durante l'interrogatorio, Comandante.» Ammise il Capitano. «Ho chiamato immediatamente un mago, Alain, ma non è stato di alcun aiuto. Probabilmente ha ingerito del veleno per evitare di smascherare i suoi compagni.»

La mascella della donna era serrata, Marian poteva quasi sentire lo stridere dei denti. «Karras si era assunto la responsabilità dell'investigazione.» Si voltò verso di lei, facendole cenno di andare. «Marian, mandamelo qui immediatamente, dovrà rispondere della sua incompetenza.»

Non se lo fece ripetere due volte.

Trovò l'uomo che teneva banco in refettorio, attorniato da un piccolo gruppo di templari e reclute, tra i quali Marian non faticò ad individuare Andrew, Trevelyan e Montrose. Si fece strada senza troppi convenevoli, piazzandosi di fronte a lui mentre stava iniziando l'ennesima invettiva contro la Chiesa troppo permissiva.

«Serpi in seno, ecco cosa sono!» Abbaiò agitando un pugno in aria, mentre gli altri rumoreggiavano la loro approvazione. «E la Chiesa ci abbandona alla loro mercé, non possiamo difenderci. Appena volgiamo lo sguardo, ci uccidono, corrompono le nostre menti, ci rendono schiavi del loro volere tramite patti coi demoni! Datemi retta, l'unico modo è attaccare per primi, non lasciate che-»

«Karras, la Comandante Meredith ti vuole nel suo ufficio.»

«Ah, Tenente Hawke!» Esclamò sorpreso di vederla. «Stavo appunto-»

«Immediatamente, Karras, non è affatto contenta del vostro ultimo fallimento.»

Si godette l'occhiata furente che l'altro le lanciò, ma non poteva ribattere di fronte a tutta quella gente. L'uomo decide di battere in ritirata, dirigendosi a testa bassa nell'ufficio della Comantante seguito dalle risate di alcuni. Si sentì gli occhi di Trevelyan puntati addosso. Non era ancora riuscita a parlare da sola con Andrew, c'era sempre il compagno di mezzo.

Marian girò i tacchi e uscì dalla sala. Doveva togliersi l'armatura di dosso, mettersi qualcosa di umanamente accettabile, passare a prendere Aveline e raggiungere Isabela in città bassa per la cena, a quanto pareva la pirata aveva novità su quella maledettissima reliquia che Castillon voleva. Anche se non aveva grandi speranze che fosse la volta buona, in fondo erano anni che la inseguivano (e ancora l'amica non si era degnata di dirle di cosa si trattasse).

Recuperò una giubba di cuoio imbottito, infilandola sotto una giacca di lana pesante per essere pronta a qualsiasi evenienza. In fondo, con Bela non si sapeva mai dove avrebbe portato la serata. Le spade al fianco che tintinnavano ritmicamente mentre scendeva le scale della Forca, fece attenzione a dove metteva i piedi, i gradini resi scivolosi dal ghiaccio. La nevicata non aveva intenzione di smettere, e la città veniva pian piano coperta di bianco. Arrivata ad una delle terrazze che davano sulla baia, si fermò un attimo ad ammirare la vista: non avesse saputo cosa si celava al di sotto, Kirkwall sembrava quasi un luogo pacifico, i soliti rumori attutiti dalla coltre di neve, le luci degli edifici che baluginavano fioche tra le nuvole basse.

Stava attraversando la piazza del mercato superiore quando un abbaiare a pieni polmoni la fece voltare, riconoscendo Bu che le correva incontro, agitata. Dietro di lei veniva Aveline, i capelli rossi legati in una coda spettinata coperti di fiocchi di neve. Aveva il fiatone, quando la raggiunse.

«Aveline, stavo per-»

«Non troviamo Leandra.»

Le parole le morirono in gola. «In che senso?»

«Non è ancora rientrata a casa, Bodahn è venuto a chiamarmi alla caserma perché tuo zio dice che non si è presentata oggi pomeriggio alla sua solita visita settimanale.» Aveline scosse la testa, cercando di riprendere fiato. «Ho mandato Donnic a vedere se per caso è rimasta dai Selbrech, o se sanno qualcosa di dove sia. Bodahn dice che è probabilmente ancora con quell'Alphonse...»

Non riconobbe il nome. «Chi?»

L'altra sollevò le spalle. «Non lo so, dice che ultimamente frequenta quest'orlesiano, le manda dei fiori e la invita fuori a cena... è un amico dei Selbrech, credo.»

«Dove cazzo è mio fratello, che non si è accorto di nulla?»

«Bodahn ha detto che è via per lavoro.»

Un moto di fastidio la pervase, anche se sapeva che era infondato. Garrett aveva la sua vita, come lei la propria, ma possibile che doveva scegliere proprio quel momento per allontanarsi da Kirkwall? «E Anders? Ormai vive a casa nostra, avrà notato qualcosa.» Disse, mentre si avviavano quasi di corsa verso la villetta degli Hawke.

«Quando non c'è tuo fratello, trascorre tutto il suo tempo giù alla clinica.»

«Maledizione.»

La porta di casa era aperta, Gamlen e Bodahn le aspettavano sull'uscio.

«L'avete trovata?» Chiese speranzoso Gamlen.

La domanda stupida la irritò ulteriormente, già di solito non poteva sopportare lo zio, ma in quella situazione avrebbe voluto appenderlo al muro. Scosse la testa, facendosi strada all'interno della casa. «A che ora vi vedete, di solito?»

«Nel primo pomeriggio, ma-»

«E hai aspettato fino a sera per chiederti dove fosse?!» Gli chiese inviperita, fronteggiandolo.

Gamlen alzò le mani, indietreggiando. Aveva gli occhi lucidi e il colorito terreo. «Pensavo se ne fosse semplicemente dimenticata, ho aspettato per un po' di fronte al solito posto e poi sono tornato a casa. Credevo mi avrebbe mandato un biglietto.»

Marian inspirò profondamente, cercando di darsi una calmata. Si passò una mano tra i capelli, sgrullandoli dalla neve. «Raggiungo Donnic dai Selbrech, probabilmente è solo...» la sua attenzione si posò su un bel vaso decorato in foglia d'oro, il rosso del vetro soffiato in netto contrasto con i gigli bianchi all'interno, freschi di giornata. Sentì una morsa lancinante, come se qualcuno l'avesse colpita con un martello all'altezza del cuore.

Aveline dovette intercettare il suo sguardo, perché fece alcuni passi incerti verso il vaso, voltandosi poi verso Bodahn. «Questi. Quando sono arrivati?»

Marian percepì la domanda come ovattata, il cuore che pompava freneticamente il sangue al cervello, facendole girare la testa.

«Stamattina, è Alphonse che li manda, il bianco deve essere il suo colore preferito perché-»

«Dobbiamo trovarla. Ora.» Boccheggiò Marian, imponendosi di non perdere il controllo. «Aveline.» Fece per infilare la porta, ma Gamlen la afferrò per un braccio.

«Perché fai quella faccia? Cosa succede?»

Si liberò dalla presa con uno strattone. «Restate qui. Bu!»

La mabari schizzò ad affiancarla, precedendola poi verso l'uscita.

Corsero fino alla villa dei Selbrech, che fortunatamente distava solo pochi minuti. Donnic all'interno stava parlando fitto con Marlein Selbrech, mentre il marito della donna le accolse con un saluto angosciato. «L'avete trovata?»

«Ci serve l'indirizzo di questo Alphonse, sapete dove vive?» Tagliò corto Aveline.

«Ho già mandato a casa sua Lem e Calder, per vedere se è lì, non sono ancora tornati.» Rispose prontamente Donnic.

Marian serrò la mascella, la mano sull'elsa della daga corta. «Andiamo anche noi, non c'è tempo da perdere. Fai strada.»


 

La villa dell'orlesiano era situata dall'altra parte della città alta. Bu correva agilmente sull'acciottolato scivoloso, e i tre facevano del loro meglio per seguirla senza cadere. Arrivati di fronte all'ingresso, tagliarono per il piccolo cortile, calpestando l'erba curata.

La porta era socchiusa.

Marian la spalancò senza troppi complimenti. Un forte odore di sangue fresco le invase le narici, mandandole un'altra scarica di paura e adrenalina lungo la spina dorsale.

Un rivoletto scarlatto correva tra le piastrelle di marmo chiaro fino ai loro piedi. Uno stivale della guardia cittadina spuntava da dietro l'angolo, in una pozza di sangue.

Le armi già in pugno, avvertì uno spostamento d'aria alla loro destra. Un'ombra scura si sollevò dal tappeto, andando ad avvolgere in un turbinio il cadavere a terra, scuotendolo con forza.

La guardia aprì gli occhi, ora due tizzoni ardenti, mentre con uno schiocco di ossa frantumate si rialzava magicamente in aria, fissandoli con le fauci aperte che grondavano saliva scura.

Bu caricò ringhiando come una furia, Marian alle calcagna. Schivò un colpo del cadavere, artigli ricurvi che spuntavano dalle mani insanguinate, e scartò di lato mentre la mabari lo sbilanciava. Un urlo di rabbia le segnalò che anche Donnic e Aveline stavano venendo attaccati da qualcosa, ma sapeva che se la sarebbero cavata da soli. Con un colpo ben assestato, decapitò di netto la creatura, che si accasciò a terra con un gemito mentre lo spirito tornava nell'Oblio. Avvertì l'incantesimo diretto contro di lei ancora prima che il demone riuscisse a lanciarlo. Strinse i denti, schivando il dardo incantato e creando una aura attorno a sé che neutralizzasse i successivi.

Il demone del desiderio lanciò un urlo acuto, gettandosi contro di lei e costringendola a difendersi con entrambe le lame. Bu le venne nuovamente in aiuto, azzannando la creatura ad una gamba e distraendola quell'attimo necessario a Marian per trafiggerla in pieno petto.

Ruotò la daga corta, tirando un calcio all'avversario e scaraventandolo a terra per poi sovrastarlo e infilzare nuovamente entrambe le lame nel costato. Il demone strillò un'ultima volta, contorcendosi.

Un secondo grido stridulo e anche l'altro cadavere venne abbattuto dai compagni.

«Creatore, questo era Lem.» Sussurrò con un filo di voce Aveline, guardando i due corpi. «Deve averlo colto di sorpresa.» Il secondo apparteneva ad un elfo, dalle vesti probabilmente un servitore.

«Dobbiamo trovare mia madre.» Ripeté nuovamente Marian, liberando le armi dal cadavere e procedendo verso la stanza che avevano di fronte senza nemmeno darsi la pena di ripulirle dalla sostanza densa e scura che le ricopriva, che le colava fino all'orlo della manica. «È qui da qualche parte. Bu, cerca Leandra.»

La casa era stranamente fredda, asettica, come se ogni cosa fosse stata messa esattamente dove avrebbe dovuto essere, senza però avere uno scopo. Fiori bianchi di tutti i tipi e dimensioni erano posti in vasi di vetro soffiato semplici ma raffinati, i candelabri e lampadari d'argento alle pareti e sul soffitto erano lucidi e avevano candele accese nuove di pacca, tutte della stessa altezza e senza nemmeno una colata di cera ai lati. Nello studio, grandi scaffali di legno chiaro alle pareti contenevano file e file di libri accuratamente ordinati per argomento, senza alcun segno di usura sulle coste, mentre la penna d'oca accanto al calamaio pieno di inchiostro giaceva accuratamente riposta nel suo contenitore, un foglio di pergamena intonso sotto il candeliere spento. La sala da pranzo era decorata con gusto, semplice ma elegante, anch'essa dava l'aria di essere stata arredata ad arte seguendo uno stile impersonale, così come il salotto accanto, dove i due divani e le poltrone avevano l'aspetto di essere state usate assai di rado.

Tutta la casa era illuminata come se il proprietario stesse aspettando ospiti da un momento all'altro, tuttavia a parte il demone e i due cadaveri che avevano affrontato poco prima, sembrava assolutamente deserta. Controllarono ogni stanza, ma di Leandra o dell'orlesiano non vi era alcuna traccia.

Marian si affacciò dalla balaustra che dava sull'ingresso, stringendo spasmodicamente il corrimano. Bu annusava freneticamente ogni angolo, senza riuscire a trovare una traccia.

Sobbalzò quando la porta d'ingresso si aprì di scatto, pronta a combattere di nuovo, ma si fermò a metà della scalinata vedendo che si trattava di Isabela e Anders.

Anche Donnic e Aveline arrivarono di corsa, allarmati.

«Gamlen ci ha detto dove trovarvi.» Rispose asciutta la pirata, per una volta seria in volto.

Stava per aprire bocca, quando Bu si mise ad abbaiare, segnalando che aveva trovato qualcosa. Scattò verso il piano inferiore, infilandosi nelle cucine.

«Avrà davvero trovato qualcosa o-»

«Stà zitto Anders, ha una traccia.» Tagliò corto Marian, correndo dietro alla mabari ed esaminando la dispensa che aveva di fronte. Bu grattava contro una parete, le unghie che graffiavano il pavimento lucido. Tutto attorno a loro erano appese erbe a seccare, un paio di grossi insaccati, due trecce d'aglio, mentre alcuni barattoli di cibo sott'olio erano stati riposti in file ordinate su alcuni scaffali mezzi vuoti, non un granello di polvere su di essi.

Tastò con le mani alla ricerca di qualche fessura, sfregando i polpastrelli sulla pietra grezza, il cuore che batteva all'impazzata.

Si sentì spingere delicatamente da parte, mentre Isabela si sollevava sulla punta dei piedi per raggiungere un punto sul muro. Qualcosa scattò, perché la parete scivolò di lato, scomparendo parzialmente dietro ad uno dei mobili di legno e rivelando una scalinata di pietra che scendeva in profondità fino a dove l'occhio arrivata a vedere, fiocamente illuminata da una serie di torce che brillavano di una luce violacea, spettrale.

Bu guaì, annusando l'aria e sollevando la zampa anteriore.

«Donnic, vai ad avvisare la Forca.» Ordinò asciutta Aveline.

Il compagno annuì. «State attenti.» Sussurrò prima di andarsene.

Iniziarono a scendere per un tempo che sembrò infinito, sempre più in profondità, l'eco dei loro passi e il respiro pesante gli unici suoni ad accompagnarli. Il tanfo di aria viziata, muffa e umidità era ovunque, e si sarebbero sicuramente persi non fosse stato per l'olfatto della mabari, che soltanto un paio di volte si fermò incerta sulla direzione giusta.

Dopo parecchi minuti, fu Anders a rompere il silenzio, indicando uno dei numerosi tunnel che stavano oltrepassando. «Dobbiamo essere ai livelli più inferiori, forse sotto la città oscura.»

«È uno dei tunnel usati dai tuoi amici?» Chiese Isabela, i coltelli in pugno.

Vide il mago annuire. «Ci sono innumerevoli cunicoli sotterranei sparsi per tutta la città, che si diramano dalla Forca alla Costa, fino al Sundermount. I nani aiutarono a costruire la città per gli schiavisti, e i traffici nelle profondità continuarono indisturbati anche dopo che i Tevinter furono scacciati dalla rivolta. È quasi impossibile orientarsi qua sotto, anche conoscendo le poche mappe esistenti a memoria.»

Marian si trattenne dall'imprecare. Lo sapeva bene, molto spesso a lei o ai suoi colleghi era capitato di inseguire dei maghi fuggiaschi in uno di quei cunicoli, perdendoli quasi sempre. E ora, la persona che aveva rapito Leandra stava usando quegli stessi passaggi per sfuggirle di mano. Accelerò il passo, spronando Bu ad andare più veloce.

Si infilarono in tunnel dalle pareti alte e strette, che terminava in un vicolo cieco. Marian sentiva l'aria tutto attorno sfrigolare. Sfiorò la superficie stranamente libera dalla muffa, voltandosi verso Anders. Anche il mago doveva sentire la magia che celava probabilmente un ingresso, perché lo vide chiudere gli occhi, il velo che tremava attorno a loro.

L'uomo appoggiò la mano sulla pietra, spingendo leggermente.

Marian avvertì come una lastra di cristallo andare in frantumi senza alcun suono, e improvvisamente davanti a loro si aprì un passaggio, due coppie di candelabri d'argento, uguali a quelli nella villa, che illuminavano il corridoio.

Serrò la presa sulle armi, mentre precedeva gli altri, Bu al fianco che tirava indietro le orecchie, i denti scoperti.

Il corridoio si apriva su una sala dal soffitto alto, le pareti tappezzate di scaffali alti con una serie di libri dall'aspetto antico, consumati dagli anni e dalle mani che li avevano avidamente sfogliati. Alcuni erano appoggiati su una grossa scrivania di legno massiccio, aperti o impilati gli uni sugli altri in modo ordinato, accanto a carte scritte in una calligrafia fitta ma al contempo elegante.

Marian sentiva la presenza dei demoni lì in attesa. Sembrava stessero aspettando di farli entrare tutti nella stanza prima di attaccarli. Due cunicoli più piccoli si affacciavano sulla stanza, uno alla loro sinistra e uno di fronte, immersi nell'oscurità.

Come previsto, quando anche Aveline, che chiudeva la fila, si avvicinò al centro della stanza, una serie di rune sul pavimento si attivarono creando un campo elettrico tutto attorno a loro.

Marian chiuse gli occhi, rilasciando l'aura antimagia che aveva preparato, infrangendo le rune con uno sbuffo e troncando sul nascere almeno un paio delle molte ombre che erano comparse come dal nulla. Vide Anders barcollare, reggendosi al suo bastone magico, inerme per qualche istante.

Da uno dei passaggi bui si sentirono una serie di ringhi e gemiti avanzare velocemente verso di loro, il raspare di arti sul pavimento sconnesso. Un ammasso di corpi morti emerse dall'oscurità, le forme indistinguibili gli uni dagli altri finché non si lanciarono addosso al gruppo in maniera disordinata, cercando di ucciderli con lama affilate o a mani nude e denti marci. A ciascuno di essi mancava una parte, che fosse una mano, una gamba, un dito, gli occhi, nessuno era integro.

Mulinò la spada davanti a sé, spazzandone via uno mentre Aveline si frapponeva tra due ombre che stavano caricando Anders, dando tempo al mago di riprendersi. Dopo qualche istante, Marian avvertì che l'ex Custode poteva di nuovo lanciare incantesimi. Sentì Isabela mettersi dietro di lei, fronteggiando schiena contro schiena i mostri.

Un artiglio ricurvo le recise la manica, strappando un brandello di stoffa prima che lei potesse tranciare l'arto del cadavere, evitando per un soffio che un'ombra la colpisse al fianco. Ringraziò la giubba di cuoio, abbassandosi e permettendo ad Isabela di liberarsi dell'ombra mentre lei abbatteva con un calcio e un fendente preciso altri due corpi rianimati. Vide con la coda dell'occhio Aveline e Bu venire accerchiate da una mezza dozzina di quelle creature, ma i colpi dei mostri si infransero inutili su una barriera luccicante. Un attimo dopo, venivano spazzati via da un cono di ghiaccio, le schegge che riducevano a brandelli i cadaveri già malfermi sulle gambe. Bu ne abbattè un altro saltandogli addosso prima che potesse riprendersi, gettandolo a terra per poi essere decapitato da Aveline con il suo grosso scudo, passando subito al successivo. Le sembrò di sentire Isabela grugnire qualcosa, ma altre tre ombre erano comparse alla sua sinistra, costringendola a schivare e parare i colpi alla ricerca di un punto debole. Una venne colpita da un dardo incantato di Anders, che la fece svanire in uno sbuffo di fumo, le altre due caddero sotto le sue lame.

Un dolore lancinante al polpaccio la fece gemere di dolore: con un pestone si liberò dalla morsa del cadavere, che anche privo degli arti inferiori era strisciato fino a lei per morderla. Lo colpì di nuovo con lo stivale, forte, sentendo le ossa del cranio spaccarsi finchè le lunghe dita scheletriche non smisero di agitarsi come ragni brulicanti. La ferita bruciava come se fosse stata sopra dei tizzoni roventi, ma strinse i denti, ignorando il fastidio e gettandosi contro un'altra ombra, e poi un ennesimo cadavere, finché tutti e quattro non si fermarono a riprendere fiato, finalmente vittoriosi.

«Anders, credi di poter fare qualcosa?» Chiamò Isabela con un filo di voce.

Si girò allarmata, vedendola accasciarsi contro il tavolo al centro della stanza reggendosi il fianco, la giacca blu notte già inzuppata di sangue. Il mago corse subito al suo fianco, costringendola non senza qualche difficoltà a togliere la mano dalla ferita e sostituendola con la propria. Marian avvertì il flusso del mana avvolgere l'amica, mentre il guaritore la rimetteva in sesto. Aveva visto più di un paio di maghi curare qualcuno, ma nessuno di quelli che operavano per il Circolo sarebbe stato in grado di richiudere così velocemente un taglio come quello.

In pochi minuti, Isabela era di nuovo in piedi che cercava di ripulirsi il sangue dalle mani sfregandole sulle cosce. «Che schifo...»

Il mago si voltò verso Marian, indicando la sua gamba, guardingo. «Posso aiutare anche te, se me lo permetti.»

Annuì, tirando un sospiro di sollievo quando il bruciore che le arrivava ormai fino al ginocchio venne rapidamente sostituito da un formicolio, per poi svanire del tutto. «Grazie.»

Anders annuì, evitando di guardarla negli occhi. Per un attimo, le sembrò di vederlo fare un piccolo scatto con la testa, come a scacciare una mosca fastidiosa, il Velo che sussultava.

«Hei, guardate.»

La voce di Aveline la richiamò al presente. Si avvicinò all'amica, che stava osservando un quadro appeso alla parete, sotto il quale era stato sistemato una sorta di altare con candele e gigli bianchi. Osservando la donna ritratta, venne colta da un attacco di vertigini.

«È Leandra?» Chiese Isabela, con un sussurro.

Scosse la testa, anche se lei stessa doveva ammettere che le due donne, una accanto all'altra, si sarebbero assomigliate come gocce d'acqua. Sotto uno dei vasi di fiori, era poggiato un pezzo di pergamena, l'inchiostro fresco non doveva avere più di un paio di giorni.
 

Oggi è il nostro anniversario.

Avrei preferito aver portato a termine il mio lavoro per questo giorno, ma ho dovuto attendere il momento giusto per procurarmi l'ultimo tassello mancante. Ti rivedrò presto, mia adorata, e staremo per sempre insieme. Ti prego, aspetta ancora un po', non ho dimenticato la mia promessa.

Ti amo.

 

Inspirò profondamente, cercando di calmarsi. “L'ultimo tassello”, era per quello che aveva rapito sua madre? Un mago del sangue, sicuramente, ma tutti quei cadaveri... lo sguardo le cadde su uno di essi, a cui mancava una mano. Apparteneva ad una donna, probabilmente, visto com'era minuto lo scheletro. Si chinò ad esaminarlo meglio, ricacciando indietro il conato di vomito e confermando i propri sospetti: l'arto sembrava essere stato rimosso con precisione, l'osso tagliato con un seghetto da cerusico. «Necromanzia» rantolò. Bu le strofinò il muso contro la mano, tirandola per una manica verso uno dei due corridoi bui.

Si rialzò in piedi, facendo qualche passo verso la direzione indicata dalla mabari, malferma sulle gambe. «Trovala. Dobbiamo trovarla.» Chiuse gli occhi, serrandoli stretti, concentrandosi. Accanto a lei, sul tavolo, dei libri dall'aspetto particolarmente antico e oscuro giacevano in una pila ordinata. Uno di essi era aperto, una nota scritta a mano che fuoriusciva dalle pagine, ma fu un dettaglio a colpirla particolarmente. Estrasse il foglio, fissandolo senza capire. Dovette rileggerlo un paio di volte per rendersi conto di quello che vi era riportato sopra, tuttavia non riusciva a spiegarsi cosa ci facesse là sotto.


Amico mio,

Ti ho procurato i libri che mi avevi chiesto. Li lascerò nel solito posto, ti prego di recuperarli il più presto possibile. Non potrei sopportare di vederli cadere nelle mani sbagliate!

Sono rimasto assolutamente affascinato dalla tua ultima lettera, per l'ennesima volta mi hai dimostrato che avevo torto, sei riuscito a compiere l'impossibile. Non avrei dovuto dubitare della tua determinazione, né delle tue capacità. Spero che mi terrai aggiornato dei tuoi progressi.

Il tuo amico e collega,

O

 

Quante volte aveva visto quella “o” terminante con un piccolo svolazzo, le “r” spigolose, i puntini sulle “i” perfettamente tondi, centrati e tutti della stessa misura, le “p” e le “f” così simili tra loro? Le mancava l'aria. Intercettò lo sguardo confuso e inquisitorio degli altri, cacciando la pergamena nella tasca della giacca, conficcandosi le unghie nel palmo della mano. «Muoviamoci.»

Anders aveva l'aria di volerle chiedere qualcosa, ma Aveline lo spinse in avanti, costringendolo a proseguire.

Si inoltrarono nel corridoio che puzzava di sangue e carne in putrefazione, il bastone del mago l'unica fonte di luce finché il cunicolo non fece una curva a gomito, lasciando loro intravedere una stanza illuminata.

Marian quasi travolse Bu, quando la mabari si fermò ad annusare qualcosa, afferrandolo tra i denti. Si chinò a prendere l'oggetto, riconoscendolo subito al tatto. «È il suo medaglione.» Sussurrò, passando le dita sulle perle incastonate attorno al piccolo rubino, l'unico gioiello che sua madre aveva conservato fin dall'infanzia, tramandato di generazione in generazione dalle donne della famiglia Amell.

Lo strinse fino a farsi male, aprendo la piccola sacca di pelle che portava alla cintura e riponendolo con cura all'interno. Le dita si strinsero su una fialetta, il tappo di sughero e ceralacca che si aprì con facilità quando portò il lyrium alle labbra, bevendolo avidamente. Lasciò che la fialetta cadesse a terra andando in frantumi, mentre la sostanza entrava rapidamente in circolo.

Estrasse nuovamente le armi, mantenendo una guardia che le permettesse di attaccare ma anche di difendersi da colpi ravvicinati in uno spazio angusto, come le aveva insegnato il suo primo maestro d'armi. Cercò di calmare i battiti del proprio cuore avanzando verso il cono di luce, già sapendo quello che avrebbe trovato, la speranza che moriva flebile ad ogni passo.

Emersero in una stanza più piccola della precedente, un lungo tavolo spoglio chiazzato di sangue secco al centro, una fiammella che fluttuava sul soffitto e alle pareti due coppie di torce per lato. Due poltrone erano state sistemate l'una di fronte all'altra, tra esse un tavolino con un vaso alto e stretto contenente un singolo giglio bianco come la neve. Erano entrambe occupate.

L'uomo che sedeva guardandoli dritto negli occhi si alzò con un gesto misurato, afferrando il bastone da mago accanto a sé.

«Mi chiedevo quanto ci avresti messo ad arrivare.» Parlò con un forte accento orlesiano, le labbra arricciate in un sorriso appena accennato. Doveva essere sulla sessantina, un intrico di piccole rughe correva sui lineamenti nobili del volto, i capelli grigi che andavano stempiandosi. «Leandra era così sicura che i suoi figli sarebbero venuti a cercarla, parla sempre così bene di voi... soprattutto di te, Marian.» Accennò con la mano alla figura seduta di fronte a sé, di cui lei riusciva a vedere solo le spalle e la testa coperte da un velo bianco. «Peccato che tu ci abbia messo così tanto, vero? Alla fine, è rimasta molto delusa.»

Strinse la presa sull'elsa delle armi, l'angoscia che le stritolava le viscere. «Dov'è.»

«La buona educazione impone che io mi presenti, prima. Anche se non sono stato un vero gentiluomo, ahimè lo ammetto, ho mentito sulla mia vera identità.» Il calcato accento orlesiano lasciò spazio ad uno più genuino, dei liberi confini. «Alphonse mi perdonerebbe, sono sicuro, non lo avessi ucciso anni fa per prendere la sua identità... Era necessario, dopotutto, non potevo permettere che il mio dolce giglio rinascesse in un terreno sporco e indegno.»

«Dimmi dov'è mia madre!»

«Sei così ansiosa di vedere la mia opera?» La sbeffeggiò lui, facendo un passo verso i nuovi arrivati. Scosse la testa. «No, non capiresti. Voi templari, sempre a blaterare sui pericoli della magia, sul vostro Creatore, non riusciresti mai a comprendere la grandezza del mio risultato, la sua importanza...»

«Cos'hai fatto a mia madre?!» Urlò lei, perdendo la pazienza. Sarebbe saltata addosso al mago in quell'istante, se Aveline non l'avesse fermata.

Il sorriso dell'uomo si aprì ulteriormente, in una smorfia folle. «Ho compiuto l'impossibile, ho sfiorato il volto del Creatore e sono sopravvissuto, ho creato la vita dalla morte!» Era ormai di fronte alla figura ancora seduta. Allungò una mano verso di essa, che venne stretta da un braccio tremante, sottile e pallido come un osso. «L'ho cercata dappertutto, la mia adorata. Le mani delicate, le dita affusolate, i suoi fianchi morbidi, le gambe snelle, i suoi occhi... ma il volto, il suo volto, così perfetto che Andraste in persona si volterebbe per la vergogna, temevo di non poterlo trovare mai più. Eppure i miei sforzi sono stati premiati e quella sera l'ho vista, tra tutti quegli sciocchi che fuggivano. Pensavo che un demone mi stesse prendendo in giro, invece era lei.» La figura di spalle si alzò in piedi, incerta sulle gambe, appoggiandosi al mago. «Erano le sue guance che potevo sfiorare, le sue labbra che volevo assaporare. Ho atteso, per settimane, struggendomi per il momento giusto, per riuscire a fare quello che mai prima d'ora qualcuno era riuscito a fare. Ma avevo dalla mia qualcosa di più che libri e potere... Dimmi, Marian Hawke: qual è la forza più potente nel creato?»

Mise le mani sui fianchi della figura vestita di bianco, facendola ruotare lentamente verso di lei.

«L'amore

Qualcosa dentro di lei si ruppe, quando incrociò quegli occhi spenti che non riconosceva sul volto che amava, così simile al proprio, un velo da sposa sopra i capelli grigi che le ricadevano ai lati del viso pallido, il colletto del vestito bianco macchiato di sangue secco, la bocca aperta in un rantolo senza voce.

Non fosse stato per la barriera eretta da Anders, la fiammata l'avrebbe investita in pieno, carbonizzandola viva.

Rimase impietrita, le gambe che rifiutavano di muoversi, la mente che non voleva processare quello che aveva di fronte a sé, il calore tutto attorno che le bruciava la pelle e le faceva lacrimare gli occhi. Sentì il Velo lacerarsi, numerose Ombre sollevarsi dal nulla mentre i compagni si gettavano a combatterle. Isabela urlò il suo nome, due volte, Aveline cercò di raggungerla dietro al suo scudo, Anders faticava a reggere la barriera sotto i colpi feroci dei nemici.

Tutto ciò era come se stesse accadendo nella vita di qualcun altro.

Sentiva solo il pulsare del sangue nelle orecchie, le gambe che formicolavano, una fitta allo stomaco come se le avessero piantato un paletto nelle carni, il cuore stretto in una morsa d'acciaio.

Rabbia.

Il mago scoppiò a ridere, sollevando sopra di sé il bastone.

Incrociò il suo sguardo folle, i suoni della battaglia attorno a sé ovattati.

Furia.

Sentiva il lyrium urlarle nelle vene, un fischio nelle orecchie, una scarica di adrenalina a percorrerle il corpo.

Morte.

Come una bestia, si lanciò incurante del pericolo contro il mago, che si rese conto troppo tardi di non poter lanciare nuovamente il suo incantesimo. Si gettò di lato, lasciando andare la cosa che teneva ancora per un braccio, che si accasciò a terra come un sacco di stracci. Due ombre le si pararono davanti, ma vennero falciate via con facilità, la silverite che brillava sinistra nonostante il sangue corrotto che colava dalla lama, tranciando il fumo, le carni. Qualcosa le artigliò il braccio, ma non sentì dolore quando rischiò di perdere la presa sulla daga corta, mentre ruotava su sé stessa per liberarsi dalla presa del demone del desiderio e gli piantava la spada tra le corna ricurve, incastrando il metallo nel cranio. Recuperò l'equilibrio, la presa della mano sinistra sull'elsa ora scivolosa, liberando con uno strattone la spada dal corpo della creatura e inseguendo il mago, che stava cercando di allontanarsi. Un debole dardo incantato sfrigolò accanto alla sua testa, senza nemmeno farla rallentare nella sua furia cieca.

Altre tre ombre caddero, e lei continuò a trascinarsi inesorabile verso di lui.

Il mago urlò, le spalle al muro senza alcuna via di fuga, ma prima che potesse colpirlo, con uno schiocco il suo collo si piegò in avanti, le braccia tese davanti a sé per proteggersi si allungarono con uno strappo nauseabondo.

Il demone della disperazione cacciò un grido acuto, da far accapponare la pelle di chiunque.

Non la sua.

Con un urlo disumano, Marian si gettò sulla creatura, tranciandogli un braccio in una fontana di sangue, infrangendo in mille pezzi la debole barriera che aveva cercato di erigere attorno a sé. Sentì un dolore ovattato colpirle il braccio già debole, e la daga corta scivolarle di mano. Si gettò in avanti, incurante, parando il colpo successivo con il braccio ferito e sfruttandolo per inchiodare il demone al muro con la spada, affondandola nelle carni putride e nella parete di terra dietro di essa fino all'elsa, ruotandola finché la creatura non urlò disperata, folle, cercando di liberarsi e ottenendo solo che la lama allargasse ulteriormente lo squarcio, le vesti del mago pregne di sangue violaceo e fumante.

Marian strattonò la spada, non riuscendo a liberarla, poi colpì il demone con un pugno, mozzandogli l'urlo in gola, sentendo le ossa incrinarsi sotto i suoi colpi quando lo colpì di nuovo, e ancora, ancora, senza sosta, finchè la creatura non smise di contorcersi, finchè lei non riuscì più a sollevare le braccia.

Solo allora si rese conto che i rumori attorno a lei erano cessati. Solo un suono arrivava chiaro alle sue orecchie, un flebile sussurro, ma capace di riportarla indietro di anni.

«Ma... rian.»

Si voltò, lentamente, contro la sua volontà. Non voleva vederla, non così, no, perché si stava trascinando fino a quella cosa, quell'abominio, quel-

Incontrò quegli occhi estranei, e si dimenticò di respirare. O forse non voleva farlo, tanto che differenza poteva fare?

«Marian.» La voce, come poteva essere la sua?

Si sentì tirare per il braccio. Abbassò lo sguardo sulla carne martoriata, senza capire perché non riusciva a sentire nulla, quella era la sua mano o era di qualcun altro, come poteva dirlo se non percepiva il suo tocco? Era il suo sangue, o quello del demone, o forse quello dell'intera città?

«Sei qui.» Rantolò la cosa. «Sapevo saresti arrivata.»

Perché stava sorridendo, come si permetteva di avere il suo sorriso.

«Tuo fratello...»

“Garrett.” Quel nome la riportò alla realtà. “Garrett. Creatore, no.” Aprì la bocca per parlare, ma non riuscì ad emettere altro che un gemito strozzato.

«Digli che... vi voglio bene. Avrei dovuto... dirvelo più spesso.»

Marian si lasciò sfuggire un rantolo di dolore. Serrò gli occhi, rifiutandosi di guardarla.

«Bambina mia... Così forte.» La voce della madre era sempre più flebile, ormai quasi solo un sussurro. «Restate insieme, promettimelo. Carver tornerà. Io rivedrò Bethany e Malcolm, e voi...» Sembrò annaspare in cerca d'aria e Marian riaprì gli occhi, un velo di lacrime ad appannarle la vista. «Sono così fiera di voi.» Il capo di Leandra si chinò da un lato, appoggiato sul terreno lurido, le labbra ancora piegate in un sorriso dolce.

Si accorse solo in quel momento di Bu al suo fianco, che la guardava in silenzio.

Distolse lo sguardo, non riuscendo a sopportare quello scempio. Si alzò in piedi, rifiutando l'aiuto di Aveline che le sfiorò la spalla, raggiungendo una delle torce alla parete e staccandola dal suo supporto, sforzandosi di muovere le dita che rifiutavano di obbedire ai suoi ordini. Tenne la fiamma sollevata davanti a sé, sopra quell'insieme di corpi martoriati, per poi lasciar andare.

Il fuoco attecchì rapidamente sulla stoffa, e il puzzo di carne bruciata le arrivò fino alle narici, facendole voltare le spalle.

Non aspettò gli altri, ma fece segno a Bu di seguirla, ripercorrendo il corridoio. Il labirinto di gallerie che portava alla superficie sembrò durarle un'eternità, o un attimo, non ricordava quanto tempo prima erano scesi là sotto. Forse non le importava.

Ad un certo punto, incrociarono i templari che Donnic era andato a chiamare, ma non si diede pena di rispondere alle loro domande, e quelli smisero di rivolgerle la parola. Sbucarono nella villa del necromante, e poi uscirono all'aria gelida della notte, infine furono a casa.

Gamlen corse loro incontro, parandosi di fronte a lei e afferrandola per le spalle. «L'avete-» Non finì la domanda, non ce n'era bisogno. Spostò gli occhi da lei agli altri, liberandola, portandosi una mano alla bocca in un muto grido di orrore. Indietreggiò, scuotendo il capo, balbettando.

Marian non lo degnò di un secondo sguardo.

Superò lo zio e le due guardie di fronte all'ingresso. Bodahn trattenne il figlio per un braccio, mentre lei si trascinava a passi pesanti al piano di sopra.

La porta della sua stanza era aperta, il letto rifatto con le lenzuola pulite e i cuscini sprimacciati alla perfezione nonostante non dormisse da settimane in quella casa.

Si lasciò cadere a terra, accartocciandosi su sé stessa. Bu, accanto a lei, sfregò il muso sulla sua schiena, appoggiandole la testa sulle ginocchia.


 

Sentì dei passi salire le scale.

Non aveva la forza di girarsi per vedere chi fosse, né le interessava.

«Marian, dovremmo dare un'occhiata a quelle ferite.»

“Aveline” Non rispose.

«Se si infettano-»

Qualcosa la sfiorò sprigionandole una scarica elettrica per tutto il corpo. Si liberò con uno strattone, balzando in piedi e fronteggiando il mago, il braccio che ancora riusciva a muovere volato alla ricerca delle sue armi, senza trovarle. «Non toccarmi!» Ringhiò, e l'avrebbe attaccato se Aveline non si fosse messa in mezzo, parandosi davanti a lei e stringendola in una presa di acciaio. Cercò di divincolarsi furiosamente, senza riuscirci. «Non mi toccare!»

Gli occhi del mago sembrarono illuminarsi di una luce accecante, che la fece rabbrividire fin dentro alle ossa. Magia, pura, come se il Velo stesse per squarciarsi. Fu solo un attimo, poi l'uomo le voltò le spalle, uscendo quasi di corsa dalla stanza.





























Note dell'Autrice: questo capitolo mi ha fatto venire un'angoscia improbabile mentre lo scrivevo, però credo sia venuto come volevo. Leandra non era la migliore madre del Thedas, ma era pur sempre una madre. Almeno i tre fratelli sono insieme e potranno affrontare uniti anche questo lutto. 

 

I cannot see the path.
Perhaps there is only abyss.
Trembling, I step forward,
In darkness enveloped. 

Chant of Light: Canticle of Trials

 

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Capitolo 27
*** Beloved ***


CAPITOLO 27 
Beloved



 

Sollevò di nuovo il boccale, inclinandolo del tutto e trovandolo vuoto. Con un gesto stizzito, lo sgrullò facendo cadere le ultime gocce sulla barba sfatta, buttandolo sul tavolo in malo modo. Sollevò il braccio, richiamando l'attenzione del nano con un occhio solo dietro il bancone.

«Se mi vomiti per terra, ti sbatto a fare un bagno giù dal molo.» Ringhiò quello, uscendo comunque a versargli altra birra scura. Era di scarsa qualità, gli stava procurando un mal di testa allucinante ed era amara quanto la sua vita. “Spero più che altro di svenire, almeno avrei qualche ora di pace”.

Una luce penetrante illuminò improvvisamente l'angusto locale, entrando dalla porta aperta.

Si sfregò gli occhi arrossati con il dorso della mano, voltandosi dal lato opposto. «Cazzo, spegni quella roba, c'è qualcuno che sta cercando di sbronzarsi qui.»

«Non ho capito nulla nel tuo biascicare, Scheggia, ma direi che ti sei pianto addosso a sufficienza.»

Nascose il naso nel boccale di nuovo pieno. «Lasciami stare, sono appena arrivato.»

Ci fu un attimo di silenzio. «Sono quasi le tre del pomeriggio.»

«L'orario è solo una convenzione per organizzare i rapporti sociali, e dato che non sono interessato, posso ignorarne l'esistenza.»

Varric gli si avvicinò, arricciando il naso e fermandosi ad un paio di metri da lui. «È anche un modo per vedere quanto è passato dall'ultima volta che ti sei dato una lavata, puzzi come un mabari in salamoia.»

Garrett gli lanciò un'occhiataccia. Sollevò di poco il gomito, dando un'annusata all'ascella. L'odore acre gli fece strizzare le palpebre, ma scrollò le spalle come se nulla fosse. Bevve d'un fiato la metà della birra, ruttando sonoramente e trattenendosi dal rimettere tutti i liquidi che aveva nello stomaco.

«Garrett, per i dannatissimi Antenati e quel cerino di Andraste, non puoi continuare così.»

Fece per rispondergli, ma un nuovo conato gli mozzò le parole in gola. Si premette una mano sulla bocca, sollevando l'altra per fermare l'amico dal commentare. Deglutì un paio di volte, per poi bere qualche altro sorso per ricacciare giù la bile. «Devo dissentire.»

Varric sospirò profondamente. «D'accordo, le buone non funzionano.» Si voltò verso l'ingresso, sollevando la voce. «Junior!»

La porta si spalancò di nuovo, e la figura massiccia del fratello minore si stagliò sulla soglia. Fece una smorfia schifata quando il tanfo della lurida taverna gli entrò nelle narici, avanzando verso il fondo del locale. Lo guardò dall'alto in basso. «Sei patetico.»

«E tu sempre molto gentile.»

Senza nemmeno degnarsi di rispondergli, lo afferrò bruscamente, tirandolo su di peso con un grugnito di sforzo. «Appena sarai sobrio,» disse dopo aver storto il naso «questa me la paghi.»

Garrett voleva rispondergli a tono, ma l'unica cosa che gli uscì fu una via di mezzo tra un rutto, una risata e un gemito, accasciandosi contro di lui mentre la testa prendeva a girargli vorticosamente.

Confusamente, si ritrovò ad inciampare sull'acciottolato gelato del molo, il vento che soffiava impetuoso e la luce che gli feriva gli occhi. «È sempre così soleggiato qui?»

Carver borbottò una serie di ingiurie a denti stretti.

Faticosamente, un metro per volta, riuscirono ad arrivare all'Impiccato.

Norah, la cameriera, si parò loro davanti con le mani puntate sui fianchi. «Io a quello non gli servo altro, puzza come sterco in una distilleria.»

«Non preoccuparti, lo portiamo su da me e gli diamo una sistemata. In un paio d'ore sarà profumato come un baronetto orlesiano!» La rassicurò Varric, dando una mano come poteva a Carver per riuscire a trascinare Garrett sulla rampa di scale.

Lo adagiarono sul pavimento del bagno. Il vapore gli fece di nuovo girare la testa, e fu solo grazie ai riflessi pronti del fratello, che gli mise lesto un secchio tra le braccia, che non si vomitò addosso.

«Vai a chiamare quel mago, magari ha una soluzione più rapida per fargli passare la sbornia.»

«Prometti di non annegarlo nella vasca da bagno?» Scherzò Varric.

Carver annuì. «Solo per oggi.»

Un pensiero relativamente cosciente si fece strada nella sua testa. “Non voglio che Anders mi veda così.” Cercò di esprimerlo a parole, ma tutto quello che uscì fu altra birra mista a qualsiasi altra cosa si fosse bevuto in quei giorni.

«Creatore, dammi la forza.» Commentò schifato il fratello, allungandogli una pezza umida e ricordandogli tremendamente Marian.

L'idea che la sorella potesse venire a sapere in che stato si era ridotto lo fece ridere. Stavolta era stata lei a fallire, nessuno avrebbe potuto incolparlo, non avrebbe potuto farci nulla. La tanto perfetta Marian non era perfetta per un cazzo, aveva mandato tutto a puttane. E contro un mago, gran bella templare, sì. Una tenente modello.

Si sentì immediatamente male per averlo anche solo pensato, eppure una parte di lui godeva segretamente del fatto che quella volta era la sorella a doversi addossare il senso di colpa di non aver fatto abbastanza.

Un altro conato lo distolse da quelle cattiverie.

«Quanto cazzo hai bevuto?!» Lo insultò Carver, che nel frattempo stava trafficando con le leve che tiravano su l'acqua calda e fredda dalle cisterne al piano di sotto per riempire la vasca.

«Non abbastanza.»

«Potevi scegliere un modo più dignitoso di suicidarti. E meno lurido.»

Ridacchiò amaramente. «Ho pensato che non mi volessi a rubarti la scena coi tuoi nuovi amici.»

«Non potresti essere un Custode Grigio nemmeno se lo volessi.» Ribattè sprezzante l'altro, allungandogli una ciotola piena d'acqua per sciacquarsi la bocca.

La accettò di buon grado, sputando nel secchio maleodorante. «Forse hai ragione. Sono inutile.»

Il fratello non rispose, prendendogli il secchio di mano e andando a svuotarlo nella latrina. Quando sembrava che non avesse più nulla da rimettere, lo aiutò a svestirsi, sollevandolo di peso non senza ulteriori commenti disgustati e immergendolo nella vasca piena d'acqua.

«Non penso tu sia inutile.»

Sgranò gli occhi, voltandosi a guardarlo boccheggiando. Era forse una delle frasi più gentili che gli avesse mai rivolto.

«Ora arrangiati.» Tagliò corto Carver, per poi lanciargli due pezze e una saponetta e lasciarlo solo nella stanza.

Garrett appoggiò la testa sul bordo della vasca, lasciandosi sfuggire un gemito.

Lo svegliò un tocco fresco sulle tempie, mentre dita delicate gli districavano i capelli insaponati, massaggiandogli la cute in piccoli movimenti circolari.

Anders si immobilizzò, allontanando le mani. «Scusa, non volevo svegliarti.»

Tirò su col naso, in bocca un saporaccio amaro. «E io non volevo che mi vedessi così...»

Il guaritore gli versò un po' d'acqua sulla testa, passandogli le dita tra i capelli per sciacquarli dalla schiuma. «Ho affrontato di peggio.»

Non aveva il coraggio di guardarlo. L'aveva evitato per tutta la settimana, infognandosi nei postacci più luridi e malfamati che aveva trovato, cacciato da uno all'altro dopo aver provocato risse o essere svenuto al suolo nella sua stessa melma. Ad un certo punto si era bure beccato una secchiata d'acqua addosso da uno dei lavoratori del porto, che Garrett poteva giurare lavorasse per la sua compagnia di spedizioni, ma in quello stato l'uomo non l'aveva nemmeno riconosciuto. Per non parlare del fatto che non era nemmeno andato al funerale: si era fermato a metà strada, lo sguardo vacuo puntato sull'acciottolato innevato, e aveva girato i tacchi tornando in città bassa.

Ora la vergogna di tutto quanto gli stava gravando addosso come una rete di pesce marcio. Aveva pure lo stesso odore.

Anders rimase in silenzio, finendo di lavargli i capelli e intingendo una pezza di stoffa morbida in un po' d'acqua e sapone per poi passargliela sulle spalle e sulla schiena.

Si sentì arrossire. «Posso farlo da solo.» Bofonchiò.

L'altro accennò un sorriso. «Per una volta, posso prendermi io cura di te.» Rispose candidamente. Gli tastò un livido doloroso sullo zigomo, lanciando un piccolo incantesimo di guarigione sulla guancia. «Se non ti dà fastidio, ovviamente.»

Scosse il capo, ormai rosso fino alle orecchie. Chiuse gli occhi, lasciandolo fare, immergendosi nella sensazione delle mani dell'altro sulla sua pelle, del profumo di pulito che invadeva la stanza.



 

Il giorno dopo, era fermo nel vialetto di casa, cercando il coraggio di varcare la soglia.

Fece un respiro profondo, ricacciando indietro la voglia di tornare ad ubriacarsi o gettarsi a mare, o entrambe le cose, e aprì la porta.

Lumia, l'elfa minuta che li aiutava a tenere la casa, si affacciò dal salotto, un enorme cesto di frutta esotica tra le braccia. «Ah, Serah Hawke!» sbiancò, rischiando di farlo cadere e riacciuffandolo dal manico per un soffio. Lo appoggiò su un ripiano anch'esso strapieno di vasi di fiori, cesti di cibo e una grossa pila di lettere fermata da uno spago, chinando la testa al punto che i capelli le ricaddero sul volto, le orecchie appuntite che tendevano verso il basso. «Vi faccio le mie condoglianze, Serah, mi dispiace moltissimo.»

Il fratello, Seth, comparve dalla stanza accanto, salutandolo ossequiosamente. «Vostra madre mancherà a tutti noi, Serah. Se avete bisogno di qualsiasi cosa...»

«Grazie, a tutti e due.» Si sforzò di sorridere, quando l'unica cosa che voleva fare era dare loro una settimana di vacanza e dare fuoco all'intera casa, con tutti quei doni dentro. Ne afferrò uno a caso, un biglietto di condoglianze scritto in una calligrafia svolazzante. “I Selbrech. Mi chiedo se sappiano che è stata colpa loro se nostra madre ha incontrato quel maledetto bastardo.” Era un amico in comune, dopotutto, Leandra non aveva avuto motivo di diffidare dei suoi corteggiamenti. Nessuno sapeva che per anni sotto la maschera di Orlesiano in esilio si celava uno schifosissimo necromante, che aveva agito indisturbato uccidendo più di trenta persone per il suo folle piano.

«Incantamento?»

Si voltò verso Sandal, che lo guardava affranto. Chissà se capiva quello che era successo. «Se riuscissi a farne uno che rimetta le cose a posto, saresti più bravo del Creatore in persona.»

Il padre gli passò un braccio attorno alle spalle, conducendolo via. «Vieni, ragazzo mio, torniamo di là... Lasciamo un po' di spazio a Serah Hawke.»

Trovarono Varric nello studio, immerso nella lettura di alcune carte.

«Quando finisci quelle, giù di sotto ce n'è un altro pacco.»

Il nano sollevò lo sguardo, un piccolo oggetto di metallo tra le mani. «Dubito che qualsiasi scritto della carampana dietro la siepe sia interessante la metà di questo.» Gli sventolò una lettera sotto il naso, compiaciuto. «Il Carta ti ha confermato il suo supporto.»

Garrett lesse brevemente le poche righe, le frasi scarne e le lettere spigolose. Il Carta si impegnava a riallacciare i contatti con la Resistenza, fornendo mezzi, contatti e denaro per contrastare i templari nei Liberi Confini, a patto che lui raddoppiasse i loro carichi sulle sue navi.

“Se ci scotti un'altra volta, spilungone, sarai tu a rimetterci le chiappe. In modo permanente questa volta”, c'era scritto su una postilla in fondo alla lettera. Non aveva alcuna firma.

Varric gli mostrò soddisfatto un sigillo di ferro con l'effige dell'organizzazione criminale. «Come pegno della loro parola.»

Guardandolo meglio, si accorse del baffo scarlatto dipinto sopra di esso, simbolo della Resistenza.

«Lo appenderò in camera.» Scherzò debolmente, tuttavia era sollevato. Almeno quello era andato per il verso giusto. La sua vita era di nuovo andata in merda, ma avrebbe potuto ancora fare qualcosa di buono. Si rigirò il piccolo oggetto tra le dita, rimuginando e sedendosi sfinito accanto all'amico. «C'era tanta gente al suo funerale?» Sussurrò, la voce a malapena udibile.

Varric annuì, appoggiandogli una mano sulla spalla. «La Chiesa era piena zeppa di persone.»

«Non pensavo fosse così popolare.»

Il nano sospirò. «Non l'ho conosciuta abbastanza da dare un giudizio, Scheggia, ma la maggior parte di loro non erano lì per lei, né per le altre donne a cui è stato dato l'ultimo saluto. Sono venuti per voi. C'erano molti nobili, è vero, ma dai un'occhiata alle lettere al piano di sotto, troverai quasi tutti i tuoi impiegati del porto, quelli della miniera a cui hai salvato il culo innumerevoli volte, le ragazze della forneria, gli uomini di Aveline a cui offri sempre una birra dopo il loro turno. Persino le signorine della Rosa hanno mandato un grosso bouquet di fiori, per averle aiutate qualche mese fa a scacciare quella banda di coglioni che le stava minacciando. E altrettanti erano lì per tua sorella, gente che ha salvato o aiutato in questi anni, persone che sono rimaste colpite dal vostro coraggio ai Satinalia e dalle vostre azioni per tutta la città. Il Visconte era in prima fila, e persino il figlio Seamus era lì, nonostante si vociferi da un po' che non creda più nel Creatore, solo per il rispetto che portano alla vostra famiglia. Il Comandante Adrien ha passato la torcia a tuo fratello per accendere la pira funebre, e Meredith ha fatto lo stesso con Marian.»

Ascoltò sorpreso, stentando a credere di essere arrivato fin lì. Se pensava che solo quattro anni prima si era più o meno dovuto vendere in schiavitù per pagarsi l'ingresso in città e un pasto caldo al giorno per la sua famiglia... «Dovrei andare a trovare Marian.»

«Non si è fermata un attimo. Credo sia il suo modo per superare la cosa.»

Annuì. «Vado a cercarla.»

Rifiutò l'offerta di Varric di accompagnarlo.

Uscì di casa con una sensazione di sollievo, lo stare tra quelle mura gli toglieva il fiato come se fosse rinchiuso in una cella. Non aveva nemmeno percorso metà del tragitto fino alla Forca, che una mole di peso gli si gettò addosso guaendo, facendolo scivolare a terra. Si ritrovò Bu a leccargli la faccia, le grosse zampe della mabari, piene di fango, ad inzaccherargli la giacca pulita.

Abbracciò l'animale, stringendola a sé. «Ciao bella.»

Quella scodinzolò debolmente. Anche lei doveva essere triste. «Lo so, Bu, lo so.»

«Garrett.»

Alzò lo sguardo, trovando Aveline che accennava un sorriso verso di lui.

«Le mie condoglianze. Di nuovo.» Gli disse a disagio, tendendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi. «Leandra era una donna straordinaria, mancherà a tutti.»

Il sorriso che gli comparve sulle labbra fu facile da fingere. «No, non lo era.» Afferrò la sua mano, tirandosi in piedi e accarezzando Bu per un attimo. «Ma mi mancherà lo stesso.» Riportò lo sguardo sulla donna, che sembrava non sapere come reagire. «Grazie, Aveline. Per le belle parole, e per essere sempre stata vicino a Marian.»

«È mia amica, quasi di famiglia. Ci sarò sempre per lei. E per te, Garrett, se ne avessi bisogno.»

Annuì. «Sai dove...?»

«Se stai cercando tua sorella, è alla Chiesa. Ci passa tutto il suo tempo libero, anche se a dire la verità se ne concede molto poco in questi giorni.» Si battè una mano sulla coscia, richiamando l'attenzione della mabari, che drizzò le orecchie. «Vieni Bu, ti riporto a casa»

Seguì le indicazioni della donna, salendo i gradini che portavano alla Chiesa. I pesanti battenti decorati erano socchiusi, e scivolò all'interno senza quasi fare rumore. Il profumo di cera e incenso gli riempì le narici, mentre tra le navate echeggiavano le voci di un coro. Riconobbe alcuni versi, ma non era sicuro si trattasse del Cantico delle Esaltazioni o quello di Andraste.

Trovò la sorella affacciata da una delle balaustre, lo sguardo perso sui riflessi delle numerose candele scarlatte sulla statua dorata della Profetessa. Marian lo notò solo quando sentì i suoi passi rimbombare sul marmo, salutandolo con un cenno del capo.

Si appoggiò al corrimano accanto a lei, in silenzio, ascoltando le suppliche di Andraste al Creatore per concedere un'altra possibilità agli uomini. Gran bene che le aveva fatto, intercedere per loro.

La sentì tirare su col naso. Ebbe l'impulso di stringerle il braccio per confortarla, ma si bloccò a mezz'aria, afferrando invece il corrimano. Un odore strano gli pizzicava le narici, diverso dal solito sentore dolciastro della cera calda. «Marian...»

Si girò finalmente verso di lui. Aveva gli occhi lucidi e arrossati. «Avanti. Dillo. Senza fare troppi giri di parole, me lo merito.»

Rimase spiazzato, non sapendo bene cosa rispondere.

«Fallo.»

«Cosa stai-»

«È colpa mia.» Sputò fuori, serrando i pugni e abbassando lo sguardo. «Quei maledetti fiori. Se avessi passato più tempo a casa, se fossi andata a trovarvi più spesso, li avrei notati. Bodahn... mi ha detto che erano settimane che le mandava fiori bianchi, e io non-» un singhiozzo le troncò le parole in gola, mentre serrava la mascella e si sfregava gli occhi. «Avrei potuto impedirlo. Non faccio altro che pensarci, avrei potuto fare qualcosa.»

Garrett si immobilizzò sul posto. Non poteva dirle che non ci aveva pensato, che non l'avesse accusata di qualcosa, qualsiasi cosa pur di dare la colpa della morte della loro madre a qualcuno, rimuginando per ore su i “se” e sui “ma”.

«Per anni ti abbiamo trattato come se avessi ammazzato tu papà, e dopo Bethany...» tirò su violentemente col naso, coprendosi la bocca con una mano. «Creatore, ti ho detto cose terribili.»

Le prese una mano tra le sue, stringendola con forza. «Non importa. Ti sei già scusata. Non...»

Marian si divincolò dalla sua presa con uno strattone, spingendolo un passo indietro. «Dì qualcosa, cazzo! Urlami addosso, colpiscimi, incazzati! Almeno-»

Incrociò il suo sguardo, gli occhi blu più scuri dei propri, così simili a quelli di loro padre e di Carver, ora pieni di lacrime. Gli parve di vedervi un guizzo azzurro chiaro. Scosse la testa. «Non ce la faccio. Devo raccogliere le forze per alzarmi dal letto alla mattina e non andare ad affogarmi in un barile, non ne ho abbastanza per arrabbiarmi con te o con chiunque altro. Sono solo...» Si sforzò di dare un nome a quel senso di vuoto, quel silenzio orrendo che lo attanagliava e rischiava di trascinarlo giù ogni volta che si lasciava andare al dolore. Portò lo sguardo sulla torcia accanto a loro, la fiamma che baluginava arzilla. «Siamo rimasti solo noi tre. Non ce la faccio.»

«Se solo avessi trascorso più tempo a casa-»

«Avrei potuto anch'io tenerla d'occhio, andare a conoscere il fantomatico spasimante, fare qualche domanda. Ma ero troppo preso dalla mia vita e dal mio lavoro, e così anche tu. Non ha senso continuare a rinfacciarci tutto quello che avremmo potuto o dovuto fare.»

Marian estrasse dalla tasca un fazzoletto di stoffa, asciugandosi il volto e soffiandosi poi rumorosamente il naso. «Avrei preferito mi prendessi a pugni, e invece proprio ora mi diventi ragionevole.»

Si indicò lo zigomo, dove ancora spiccava un alone bluastro. «Ho già provato, credimi, non aiuta.»

Gli rivolse un sorriso triste. «E io avrei potuto dirti di evitare di affogarti in un barile, ma non me la sono sentita di dare lezioni di vita.» Vide la mano della sorella scivolare istintivamente sulla sacchetta di pelle che portava legata alla cintura. Improvvisamente, realizzò cos'era quello strano odore che le aleggiava attorno, quella luce sinistra negli occhi.

«Marian... hai aumentato le dosi di lyrium?» Le chiese a bruciapelo.

La sorella si irrigidì immediatamente, ritirando la mano e riportandola sulla balaustra, sfuggendo al suo sguardo inquisitorio. «Sono affari dell'Ordine, lo sai.»

«So anche che non dovresti puzzare in questo modo.»

La vide mordersi il labbro inferiore, alla ricerca di qualche scusa. «Tutti i Templari stanno aumentando le solite dosi, la Comandante-»

«Non posso credere che Meredith voglia spingervi tutti verso la fossa!»

«Non dire scemenze. Ci tiene ai suoi uomini.» Lo zittì lei con un sibilo. «Ma stiamo perdendo, Garrett. Quel necromante ne è la prova, ci sono maghi del sangue, assassini, traditori e fottuti stronzi dietro ogni angolo.» Sembrava volesse aggiungere qualcos'altro, aprì la bocca per parlare ma la richiuse dopo un attimo, serrando le palpebre. «Sto solo cercando di fare del mio meglio, ma sembra non sia mai abbastanza. Ne ho bisogno.»

Non era abituato a vederla così fragile. Le posò una mano sul polso, stringendo delicatamente. «Scusami. È che sono solo preoccupato per te.»

«E credi che io non lo sia? Lo sento, ogni volta che ne bevo un sorso, e ho visto come si riducono i miei colleghi più anziani. Cazzo, alcuni non sono anziani per niente.» Sospirò profondamente, ricacciandosi dietro un orecchio una ciocca di capelli castani che le era scivolata sul volto. «Un giorno mi sveglierò senza avere nemmeno idea di chi io sia. È inevitabile, a meno che qualcuno non mi ammazzi prima, quindi voglio lasciare qualcosa di buono prima di dimenticarmi il motivo per cui ho intrapreso questa strada.»

«Perché vuoi sempre addossarti il peso del mondo?»

Marian si lasciò sfuggire una risatina. «Sai, se me l'avessi chiesto qualche anno fa non mi sarei sorpresa affatto, ma ora... non è quello che stai facendo anche tu?»

«Io non mi sto dimezzando l'aspettativa di vita solo per immolarmi alla causa.» Rispose sulla difensiva, distogliendo lo sguardo e puntandolo sull'altare sotto di loro.

«Eppure, rischi tutti i giorni di essere ucciso, o peggio ancora di cadere preda di qualche demone o catturato dai Templari.» Abbassò ulteriormente la voce, per non farsi sentire da nessun altro. «Per combattere per qualcosa in cui credi, no?»

«È diverso. Io tra vent'anni potrei avere la gran botta di culo di essere ancora vivo, e tu a stento ti ricorderai chi sono.»

«Promettimi una cosa, allora.» Si voltò verso di lui, poggiando la schiena contro il parapetto, i riflessi dorati sulla grande statua ad incorniciarle la figura e metterle in ombra il viso. «Se dovessi dimenticarmi chi sono, e perché ho scelto di essere un Templare... Uccidimi.»

Rimase a fissarla, basito. «Ma sei scema?!» Esclamò, afferrandola per le spalle, l'eco di una richiesta simile, giù nelle gallerie persi chissà dove sottoterra, ancora impresso a fuoco nella mente. «Come ti viene in mente di chiedermi una cosa del genere?!»

Marian sostenne il suo sguardo, impassibile. «So benissimo cosa ti sto chiedendo. Ma lo faccio perché di te mi fido. Sei l'unica persona di cui mi fidi abbastanza per farlo.»

Scosse la testa. «È il lyrium che ti ha dato alla testa, stai straparlando.»

«Garrett...»

«No, “Garrett” un cazzo!» Sbottò, alzando la voce e facendo voltare parecchie teste nella loro direzione. Non se ne curò minimamente. «Perché in famiglia volete sempre che sia io ad uccidervi? Cosa sono, la vostra via di fuga?! Che cazzo di richiesta è ad un fratello, ti sembra normale?! Prima Carver, ora tu. No, scordatevelo, me ne tiro fuori. Mi rifiuto.»

Il cipiglio di Marian gli ricordò con una fitta al petto quello del padre, quando da bambini si lanciavano in qualche capriccio. «Non ti sto chiedendo di farlo adesso, scemo. Ma non voglio essere usata per compiere atti di cui nel pieno delle mie facoltà mentali non approverei mai. Preferisco morire mentre sono ancora me stessa. Carver è un Custode Grigio, credi che non voglia lo stesso?»

Al pensiero che li avrebbe inevitabilmente persi entrambi, un giorno, dovette mordersi l'interno della guancia per contenersi. Non voleva restare solo.

La sorella sembrò leggergli nel pensiero. «Hei, non ce ne andiamo domani. Con la sfiga che hai, ti starò col fiato sul collo ancora per parecchi anni, e Carver continuerà a ricordarti di quanto sei un grandissimo scansafatiche ubriacone, mentre sarà preso a salvare il mondo.»

Gli sfuggì una risatina, che si interruppe in un singhiozzo. «Sono pur sempre la pecora nera di questa famiglia, devo darvi qualcosa di cui lamentarvi.»

Marian sollevò una mano a scompigliargli i capelli, come faceva da bambina per dargli fastidio. «Andiamo, ti offro da bere. Se hai ancora un fegato.»

Lo stomaco di Garrett si risvegliò con un gorgoglio nauseato che echeggiò per la navata.

Lei scoppiò a ridere, mentre scendevano le scale della Chiesa diretti all'uscita. «Una bella tisana calda, mezza calzetta che non sei altro.»



 

Si ritrovarono all'Impiccato, ordinando con grande stupore e disappunto di Norah due teiere bollenti e sistemandosi in un angolo del locale, il cicaleccio vivace e l'odore di fumo, di alcol e della zuppa del giorno che riempivano l'aria.

Carver, che si trovava lì con due dei suoi compagni Custodi, li salutò con un cenno della mano. Rivolse qualche parola sottovoce al nano dai folti baffi rossi al suo fianco, che scoppiò in una fragorosa risata che quasi lo fece cadere all'indietro dalla sedia, e si congedò da gruppo venendo verso di loro.

«Cos'è quella, e cosa ne avete fatto dei miei fratelli?» Li prese in giro, accomodandosi al tavolo ed indicando la teiera.

«Sai, è un'invenzione straordinaria, si chiama “acqua calda”.» Rispose prontamente Garrett. «Praticamente, prendi questa sostanza liquida, assolutamente insapore, e la piazzi sul fuoco. Ha un sacco di usi, pure.»

Carver sbuffò divertito. «E questo l'hai scoperto giusto ieri nella vasca da bagno, immagino.»

«Spero proprio che questa roba abbia un sapore migliore.»

«Sarai il primo a testarlo, in ogni caso.» Decise Marian, versandogli della brodaglia nel boccale.

L'odore amaro che ne sprigionò gli fece storcere il naso. «Non sembra salutare.»

«Tarassaco. La migliore medicina dopo una sbronza.»

«A parte il prenderne subito un'altra.» Commentò Carver scuotendo il capo, ma porgendo il boccale vuoto alla sorella.

«E io che pensavo stessi facendo l'eroe in giro, invece te ne torni con questa saggezza da marinaio.»

«Penso di reggere molto più di te ormai.»

«Non ci contare, ho un sacco di allenamento.»

Carver gli lanciò un sorrisetto di sfida. «Eppure sono dovuto andare io a recuperarti ieri, non il contrario.» Sorseggiò la sua tisana, esibendosi in una serie di espressioni disgustate.

Garrett si sentì punto nell'orgoglio. «Non hai idea di quanto-»

«Dopo la birra speciale di Oghren, credimi, nulla reggerebbe il confronto.» Lo interruppe l'altro con l'aria di chi ha vissuto una serie di terribili peripezie, indicando il nano con cui stava cenando prima.

«Tsk, credi di essere l'unico ad aver provato i loro intrugli?» Gonfiò il petto, ricordandosi del distillato verdognolo di Stök Cadash, che gli aveva dato fuoco alle budella.

«Per le chiappe di Andraste, perché con voi deve sempre essere una competizione?!» Li zittì Marian, agitando minacciosamente il boccale e versando un po' di tisana bollente sul tavolo.

«Solo perché non puoi competere.» Ribattè Carver, impassibile.

Garrett sogghignò. «Non ci conterei, probabilmente Meredith prima di andare a letto mischia il lyrium al gaatlok qunari, solo per rilassarsi un po' e fare dei bei sogni.»

La sorella finse di pensarci su un attimo. «Più che altro, è Cullen che se lo infila nel culo ogni mattina, assieme a tutte le scope della Forca.»

Garrett scoppiò a ridere, bevendo un po' di quella robaccia. «Questo spiegherebbe un sacco di cose.»

«Persino Loghain è più rilassato di lui, e credetemi, vuol dire tanto.»

«A proposito, com'è combattere al fianco di uno degli uomini più discussi di tutto il Ferelden?» Gli chiese Marian, sorseggiando come se niente fosse la sua tisana.

Carver si grattò la barba corta che si stava facendo crescere. «Non saprei. Insomma, non siamo mai tornati nel Ferelden, quindi non so come stiano lì le cose, con Re Alistair e tutto, però nei Liberi Confini a stento sanno chi sia. Ad Orlais, però...» Ridacchiò da solo, prendendo un altro sorso. «Una volta ha pensato bene di guardare il Duca Prosper de Monfort dritto negli occhi e proclamare davanti ad una folla di nobili che un mabari ben addestrato un qualsiasi Fereldiano in grado di reggere una spada avrebbe fatto a fettine sottili “quella sua lucertola troppo cresciuta”, come ha chiamato la viverna da compagnia del Duca. Certo, uscito dalla bocca di qualcuno che ha affrontato un Arcidemone in prima linea, il Duca non ha potuto obiettare. E penso che il Comandante abbia rischiato di strozzarsi col vino pur di non scoppiargli a ridere in faccia.»

Gli altri due si ritrovarono a ridere con lui, immaginandosi la scena.

«Sembra una compagnia interessante.»

Carver annuì. «Mi trovo bene. Sembra assurdo, ma credo di aver trovato la mia strada.»

«Ne sono contento. Davvero. Nonostante tutto.»

Marian gli rifilò un'occhiata ammonitrice. «Quello che vogliamo dire, è che siamo fieri di te.»

Il fratello minore sbuffò, alzando platealmente gli occhi al cielo. «Non me ne può fregar di meno.»

«Anche Merrill sono sicuro che sia esaltatissima all'idea di avere un eroe nel suo letto.»

«Garrett!» Urlò l'altro, arrossendo di colpo e tirandogli un pugno sulla spalla, facendogli pure male. «Ahio!»

«Smettila di farti i cazzi altrui!»

«Ah, quindi stiamo parlando di cazzi? Davvero? E io che pensavo fossi un tipo a posto.»

«I grandi eroi dovrebbero prendersi più cura della purezza delle fanciulle che li bramano...» Gli diede man forte Marian.

Circondato, Carver si nascose dietro la sua tisana. «Siete due cretini. E comunque non è successo nulla, ovviamente, non dopo-» si interruppe, l'umore di tutti e tre che sprofondava improvvisamente.

«A nostra madre.» Ruppe il silenzio teso Marian, sollevando il boccale in aria.

«Sì, a nostra madre.» Ripetè Garrett, colpendolo con il proprio.

«Sarebbe contenta di vederci tutti e tre qui così.» Sussurrò Carver, unendosi a loro.

Bevvero qualche sorso, ormai arrivando al fondo pieno di erbe residue.

«Parlando di purezza...» Cambiò rapidamente discorso Garrett, lanciando un'occhiata divertita verso la sorella. «Quel bel principe non si è ancora tolto Andraste dalle mutande?»

«Cosa?»

«Ah, Carver, ti sei perso delle belle mentre eri impegnato a salvare il mondo.»

«Garrett, ti avverto.»

«Abbiamo trovato qualcuno in grado di resistere al fascino di nostra sorella, per anni oltretutto!»

«Non fare il cretino-»

«È il partito perfetto, il nostro caro Principe di Starkhaven: bello, aitante, ottimo arciere, un accento esotico e magnetici occhi color del cielo. Noioso come la vecchia Miriam, bisogna ammetterlo, ma nessuno è perfetto, no?»

Carver lo guardava attento, ridacchiando alle spese della sorella. «E come mai non si è ancora buttato ai tuoi piedi? Ha saltato la sponda come lui?» Chiese sardonico, indicando Garrett con un cenno del capo.

«Ah-ah, che ridere. No, comunque, si dia il caso che sia più grave dell'avere un po' di competizione in più. È un devoto Fratello della Chiesa.»

Il fratello minore sputò quello che restava della tisana sulla tavola. «Cosa?!» Scoppiò a ridere a crepapelle, mentre Marian si esibiva in un'espressione offesa.

«Coraggio, vedrai che gli saranno venute le palle così blu che è solo questione di tempo.» Cercò di consolarla Garrett.

Carver dovette riprendere fiato. «Sì, è proprio il tempo che sarà un problema una volta che si decideranno dopo anni di castit-» Venne interrotto da un lancio molto preciso di Marian, che lo colpì sulla zucca con il proprio boccale rovesciando per terra l'intruglio erboso.

«Guai a voi se ne fate parola!» Li sgridò entrambi, ma Garrett poteva giurare che stava cercando anche lei di non ridere, solo per principio. «E comunque siamo solo amici, siete voi che non pensate altro che al sesso.»

«Detto da quella che è finita a letto con la sua migliore amica...»

L'esclamazione di orrore misto a morbosa curiosità di Carver venne soffocato dal gemito di dolore di Garrett, colpito da uno scappellotto di Marian.

«Da che pulpito!»

«Anche tu?!» Sgranò gli occhi Carver, scioccato.

«Speri che voglia fare la tripletta, fratellino?»

«Merrill non ne sarebbe contenta...»

«O forse sì...»

«Lasciala fuori da questo discorso, pervertita!»

Garrett finì la sua tisana mentre i due continuavano a bisticciare, guardandoli di sottecchi e non potendo fare a meno di sorridere.

Erano insieme, per il momento, e tanto bastava.























Note dell'Autrice: l'alcolizzarsi sembra essere la prima risposta a tutti i problemi degli Hawke. Mi è piaciuto far interagire a cuore aperto i tre fratelli (persino quell'acidone di Carver), credo abbia fatto loro un gran bene ritrovare un po' quell'unità che avevano perso e prendersi un momento di pace per ricordare chi non c'è più e chi c'è ancora. 
Alla prossima! :) 

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Capitolo 28
*** Betrayal ***


 

CAPITOLO 28
Betrayal

 

 

Il cicaleccio costante del refettorio era particolarmente vivace, quella mattina.

Marian sedeva davanti al suo porridge, rimestando col cucchiaio la frutta secca all'interno della ciotola, e non si accorse del collega che le si sedette a fianco.

«Tenente Hawke.»

Ebbe un piccolo sussulto, che sperò di essere riuscita a dissimulare. «Martin, buongiorno.» Salutò il ragazzo, che era stato promosso solo di recente a rango di cavaliere.

«Ero di guardia al palazzo fino all'alba, tenente, e il figlio del Visconte mi ha chiesto di riferivi che vi attende nel cortile del palazzo, il prima possibile.» Sussurrò lui a voce bassissima, guardandosi attorno e controllando che non vi fossero orecchie attente.

Marian aggrottò la fronte. «Seamus? Ha detto cosa voleva?»

L'altro scosse la testa. «Solo che era una questione della massima urgenza, tenente.»

Sospirò, gettando un ultimo sguardo alla ciotola con la colazione, a malapena toccata. «D'accordo. Grazie per avermelo riferito.» Si alzò dalla tavola e tagliò verso la porta, passando accanto ad una fila di panche con altri templari che stavano mangiando. Non le sfuggì l'occhiata velenosa che le lanciarono Karras e Montrose, mentre Trevelyan sfoggiava un sorrisetto strafottente. Di Andrew, nessuna traccia. Non era ancora riuscita a parlarci abbastanza a lungo da essere sicura che non facesse la spia sul fratello, ma ormai era passato più di un mese, e se il ragazzo avesse parlato di certo ormai la sua testa sarebbe già stata rimossa dal collo. Sperava che fosse rimasto abbastanza dell'amicizia che legava lui e Garrett perché continuasse a mantenere il loro segreto. “E se proprio devo essere puntigliosa, ha pure un debito bello grosso nei miei confronti”, pensò acida mentre scendeva le scale verso i grandi cancelli della Forca.

Incrociò Cullen in cortile, intento a guardare con sospetto i piccoli maghi affacciati ad una delle finestre del secondo piano, che indicavano eccitati i grossi fiocchi di neve che vorticavano dolcemente fino a terra. Si costrinse a non commentare.

Il palazzo del visconte distava appena pochi minuti, e non ci mise molto a raggiungerlo. Salutò con nonchalance le quattro guardie all'ingresso, di cui due erano templari, e proseguì verso il corridoio che portava al cortile interno, dove Seamus l'aspettava.

Fu facile individuarlo.

A parte un solitario giardiniere che cercava di potare un grosso cespuglio di rose d'inverno, coperto di neve, il chiostro era deserto. Seamus era in piedi accanto alla piccola fontana al centro di esso, apparentemente incurante della neve che gli si posava sulle spalle del cappotto stranamente anonimo. Ad un'attenta analisi, sembrava pure due taglie più grande. Si chiede dove l'avesse recuperato, e soprattutto per quale motivo.

Marian gli si avvicinò da un lato, per non spaventarlo. Chinò il capo in segno di saluto.

«Ah, Marian!» Esclamò lui, visibilmente sollevato. «Ti stavo aspettando. Ho bisogno di te, sei l'unica di cui posso fidarmi in questo momento, almeno qui dentro.»

Iniziò a preoccuparsi. «Che intendi dire?»

«Seguimi, usciamo senza dare troppo nell'occhio e potremo parlarne liberamente.»

Attraversarono il cortile verso una porticina laterale, usata solo dai servitori, e una serie di corridoi angusti che li condissero fuori dal palazzo, in un vicolo poco trafficato. Seamus si tirò sul capo il cappuccio del cappotto, nascondendosi alla vista dei passanti, e le allungò un pesante mantello anonimo anch'esso, che lei indossò con preoccupazione maggiore. Iniziarono a scendere verso la città bassa, in silenzio, e Marian aveva sempre più la certezza che si fosse cacciato in qualche guaio.

Quando voltarono verso il porto, lo tirò per una manica. «Dimmi che qualunque cosa stia succedendo, non ci sono di mezzo i Qunari.»

Il ragazzo si esibì in un sorriso colpevole, colto in flagrante. «Ti dovrei mentire.»

Era da quello spiacevole incidente con Ashaad e la compagnia mercenaria degli Inverni anni prima, che si vociferava di come il figlio del Visconte fosse sempre più lontano dagli insegnamenti della Chiesa e si stesse invece avvicinando alla filosofia dei bestioni eretici che avevano ormai preso residenza nel quartiere vicino al porto. Nonostante i tentativi del padre, Seamus non andava quasi nemmeno più in Chiesa, e le volte in cui aveva partecipato alle funzioni si potevano contare sulle dita di una mano. Più precisamente, da quanto ricordava Marian, si era visto soltanto per due funerali, quello delle vittime dei Satinalia e, recentemente...

Distolse la mente da quei pensieri, la perdita ancora troppo recente. «Non farlo.»

Avevano parlato, in quegli anni. Non tanto, ma abbastanza perché avesse un'idea piuttosto chiara di quello che ronzava nella mente di Seamus. Lui, che non aveva mai avuto molti amici, che si era sempre sentito un estraneo nel suo stesso palazzo, che faticava a scambiare appena quattro parole con un padre che vedeva distante, freddo e disinteressato al suo benessere, si era confidato con Marian su quanto desiderasse avere uno scopo nella vita, un posto nel mondo. Era rimasto profondamente affascinato dalla filosofia Qunari, che prometteva una vita di certezze basata sul loro Qun, una strada lastricata e dritta a confronto del labirinto senza uscita che gli era sempre parsa la propria vita.

Seamus le strinse il braccio. Raramente l'aveva visto così tranquillo. Era abituata a vederlo cupo, scattoso, inquieto, mentre quella mattina negli occhi azzurri del ragazzo lesse solo una determinazione ferrea. «Ho preso la mia decisione, Marian. Ed è quella giusta, me lo sento dentro.»

Scosse la testa. «Lo sai che non si tratta solo di te, ne abbiamo parlato-»

«Ma si tratta di me, invece.» La interruppe lui. «Sono il figlio del Visconte, è vero, ma una volta che sarò Viddathari potrò essere solo me stesso, e vivere secondo il Qun. Un nuovo ruolo, un nuovo me, più autentico. Non sarò nemmeno più Seamus Dumar.»

Voleva capire perché lo stesse facendo, voleva davvero, ma l'idea di seguire ciecamente un ideale, una filosofia o un ordine non le era mai andata a genio, pur avendo avuto un'educazione militare non era un sentimento che poteva condividere. Eppure, se non era riuscita a convincerlo in tutti quei mesi, dubitava ci sarebbe riuscita ora, in un vicolo che puzzava di pesce lasciato a seccare.

«Tuo padre ne sarà distrutto.»

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Lo so. L'ho messo in conto. Ci ho pensato per anni, Marian, non credere che mi sia svegliato stamattina con una folle idea in testa. Ho ponderato i pro e i contro, so bene che potrebbero accusarlo di aver ceduto ai Qunari, o esserne influenzato lui stesso, ma sono certo che se solo capissero perché lo sto facendo...»

«I nobili gli salteranno immediatamente alla gola. La Chiesa potrebbe vederlo come un attacco alla sua sovranità a Kirkwall, e i cittadini...» Non voleva nemmeno pensare alla massa di persone che avrebbero potuto attaccare il campo dei Qunari, solo per essere falciate senza alcuna difficoltà dai suoi occupanti. «Sai benissimo come la pensano, non ne hanno fatto un segreto.»

Un'ombra di preoccupazione velò il volto di Seamus. «Credi che Meredith ed Elthina potrebbero indire una Santa Marcia?» Era evidente che non volesse che l'intera città ci andasse di mezzo, nonostante più volte si fosse lanciato in invettive accorate contro quei “maledetti fanatici” che avevano più volte cercato di far scoppiare un macello.

Marian ci pensò seriamente. «Non lo so. Sai che tra i Templari c'è... una forte opposizione ai Qunari, siamo il braccio armato della Chiesa dopotutto. Però non credo arriveranno a tanto, ci andrebbero di mezzo troppi innocenti.» Le si palesò in mente l'immagine di Meredith, Cullen e lei stessa piazzati davanti al campo Qunari, attorniati da una cinquantina di Templari e Guardie Cittadine, a pretendere la liberazione di Seamus di fronte ad un impassibile Arishok. Decisamente, non una prospettiva invitante.

«Meredith sembra tenerti in grande considerazione.» Ribattè Seamus, riprendendo a camminare. «Sono certo che potrai convincerla a mantenere una... posizione ragionevole.»

Ragionevole? Meredith?” Avrebbe fatto meno fatica a convincere Cullen a ballare il madrigale con un mago del sangue. «Mi dai fin troppo credito.»

«Conto su di te, comunque. Vedrai che funzionerà.» Le sorrise di nuovo, sereno.

La morsa che le stringeva lo stomaco faceva presagire tutto l'opposto.



 

L'Arishok ascoltò Seamus parlare, senza muovere un muscolo, gli occhi che di tanto in tanto si spostavano su Marian, impettita e nervosa accanto al ragazzo.

«Quindi, desideri essere istruito, kabethari.» Disse finalmente, chinandosi un poco dal suo enorme scranno.

«Sì, Arishok.» Rispose prontamente quello.

«Entrare nel Qun, bas, significa abbandonare ciò che sei ora.» Proseguì l'Arishok, la voce piatta. «Ma questo lo sai. Meravas, il Qun ti darà lo scopo che cerchi.»

Seamus lo guardò colmo di gratitudine. «È un onore, Arishok.»

«Asit tal-eb, Salit si occuperà della tua istruzione, viddathari.»

Il ragazzo si voltò verso di lei. «Grazie, Marian. So di averti messa in una posizione difficile, e mi dispiace, ma avevo bisogno di un' amica. Dì a mio padre di non preoccuparsi.»

Marian lanciò uno sguardo inquisitorio all'Arishok, cercando di sostenere quello dell'altro. «Ne avrebbe motivo, il Visconte, di preoccuparsi?»

Il qunari sembrò infastidito dalla domanda. «In quattro anni che siamo qui, non abbiamo mai costituito una minaccia per questa città, e molti fanatici ci hanno gettato contro il loro odio solo per colpa della nostra semplice esistenza. Ma nonostante la paura e le bugie sul nostro conto che serpeggiano in questa città, bas mi chiedono di conoscere il Qun, pregandomi affinchè esso dia loro le risposte che cercano disperatamente.» Scosse le enormi corna, appoggiandosi poi contro lo schienale. «Il viddathari ha fatto la sua scelta, Serah Hawke, non è mio prigioniero. I Bas faranno la propria, nel caos che voi chiamate libertà.»

La risposta sibillina, come aveva immaginato, non voleva dire granchè. Guardò Seamus, poi riportò la propria attenzione sull'Arishok e infine, capitolando, di nuovo sul ragazzo. «Se hai bisogno di un'amica, sai dove trovarmi. Ti auguro di trovare quello che cerchi.» E glielo augurava davvero, nonostante il putiferio politico che avevano appena scatenato.

«Panahedan, Hawke.»



 

La tempesta non tardò ad arrivare.

Il Palazzo del Visconte ronzava di bisbiglii come un alveare di vespe: nobili, servitori e guardie che sussurravano e si scambiavano commenti dietro ogni angolo, mentre la porta dello studio del Visconte restava ostinatamente chiusa. Solo il Siniscalco Cavin ne era uscito, verdognolo e teso come una corda di violino, ma si era rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda dei curiosi.

Il fatto che Seamus fosse sparito di nuovo non era una sorpresa per nessuno, per lo più che erano passati solo due giorni dall'ultima volta che era stato visto a palazzo, ma stavolta dalla reazione del genitore sembrava esserci sotto qualcosa di più grosso, e tutti volevano dire la propria a riguardo, come a vincere qualche scommessa.

Marian spostò il peso da un piede all'altro, a disagio, aspettando che Aveline finisse di distribuire i turni di guardia ai suoi uomini e la raggiungesse per la cena. Isabela le aveva dato buca, e Fenris, nella sua solita armatura leggera di pelle, si guardava attorno con aria infastidita.

«Ti ha detto nulla?» Le chiese, indicando con un cenno del capo il salone. «Da quanto ho capito, parlate parecchio.»

«Non così tanto. Ha pochi amici, più che altro.»

«I viddathari fanno presto ad averne di nuovi.»

Poteva giurare che sulle labbra di quel bastardo musone si celasse un sorrisetto divertito. Gli lanciò uno sguardo ammonitore, preoccupata che qualcuno potesse sentirli, ma nessuno sembrava fare caso a loro. «Spero sia così.»

Aveline uscì trafelata dalla caserma. «Una giornata da dimenticare, scusate se vi ho fatto attendere.»

Marian le diede un buffetto sulla spalla. «Figurati. Piuttosto, che si dice?» Chiese mentre iniziavano a scendere verso la taverna che si affacciava sulla terrazza dove solitamente cenavano.

«Il Visconte si è chiuso nel suo studio da due giorni, e nessuno sa con certezza dove sia finito Seamus, anche se più di una persona giura di averlo visto tra i Qunari giù al porto. E quel che è peggio, non sembrava un prigioniero.»

Deglutì a vuoto. «Beh, almeno non è stato rapito di nuovo.»

«Temo che il Visconte lo avrebbe di gran lunga preferito.»

Si scambiò un'occhiata preoccupata con Fenris. Lì dentro l'elfo era, probabilmente, l'unico che avrebbe capito perché avesse lasciato che Seamus seguisse i propri desideri, l'unico che conoscesse almeno un poco la filosofia dei Qunari. Gli altri non avrebbero mai potuto comprendere il fascino che essa costituiva per persone come Seamus o i meno fortunati che erano sciamati tra la sicurezza del Qun. Non era certa che l'Arishok non si sarebbe approfittato dell'importanza di avere il figlio del Visconte tra i suoi ranghi, tuttavia era disposta a correre il rischio, se significava aiutare Seamus a trovare un posto dove si sentisse a proprio agio. In fondo, era la sua vita.

«Per il resto?» Chiese all'amica cercando di sviare il discorso.

Aveline sospirò stancamente, massaggiandosi una spalla. «Due elfi sono entrati come delle furie ad accusare uno dei miei uomini di aver stuprato la loro sorella...»

Sgranò gli occhi, fermandosi a guardarla. «Ed è vero?»

L'altra scosse il capo. «Non lo so, onestamente. Conosco Devan, ha sempre fatto il suo lavoro, ma so anche che questo non lo scagiona per principio. E quei due non si sono messi esattamente in buona luce, entrando in quel modo in caserma e cercando di saltargli addosso.»

«Perché avrebbero dovuto mentire?»

«Magari sperano di ricavarci qualche soldo se tentiamo di fargli ritirare delle false accuse. Oppure, e sinceramente spero proprio non sia vero, Devan ha abusato della sicurezza della sua posizione ed è davvero colpevole. L'unica cosa che so, è che siamo già abbastanza sotto pressione da tutti i fronti, l'ultima cosa che ci mancava era che uno di loro finisse in una situazione del genere.»

Non avrebbe voluto essere nei panni dell'amica ma, a dirla tutta, manco nei propri.

«Spero tu intenda andare a fondo comunque.» Commentò lapidario Fenris, mentre si accomodavano ad uno dei tavolini sulla terrazza. «Nonostante le accuse provengano da due elfi.»

Aveline gli rivolse uno sguardo offeso. «Per chi mi hai preso?»

L'elfo non si scompose. «Ne ho viste abbastanza per dubitare di chiunque.»

Mangiarono in un silenzio teso e stanco, scambiandosi qualche preoccupazione e lamentela. Si sentiva la mancanza di Isabela, che riusciva sempre ad alleggerire la tensione, non importa cosa gravasse sulle loro spalle.

Quando si alzò per pagare il conto, un Fratello della Chiesa dalla stempiatura pronunciata e la pancia rotonda, che aveva già visto più volte, si parò davanti a lei, l'aria di chi aveva appena fatto una corsa nonostante la palese inettitudine all'esercizio fisico.

«Tenente Hawke?»

Corrugò la fronte, annuendo.

«Ho... un messaggio per voi, da un amico.» Disse, allungandole una pergamena.

Sul momento, il suo pensiero volò immediatamente a Sebastian, ma il sigillo scarlatto della città era quello del Visconte, che usava per le lettere ufficiali. Ebbe un tuffo al cuore.
 

Tenente Hawke,

Mi rincresce la parte che avete avuto nella decisione di mio figlio.
Sono riuscito a mettermi in contatto con Seamus, ed è mia intenzione fare di tutto per convincerlo a tornare a casa. 
Vi chiedo, anzi vi imploro, di aiutarmi a salvare la mia famiglia, e la città stessa.

Raggiungetemi questa sera alle dieci nella cappella reale della Chiesa, vi aspetto.

 

Non vi era alcuna firma, ma lasciava ben pochi dubbi su chi fosse il mittente. Con il cuore in gola, si chiese chi mai l'avesse riconosciuta, maledicendosi per non essere stata più attenta e per essersi lasciata coinvolgere in generale. “E ora cosa faccio?”, si chiese mentre allungava una moneta d'oro al taverniere e tornava verso il tavolo, i pensieri che vorticavano furiosamente. Avrebbe difeso Seamus, mettendosi contro il Visconte e rischiando la sua stessa posizione, oppure avrebbe dovuto voltare faccia al ragazzo che si era fidato di lei a tal punto?

«Devo fare una cosa.» Sussurrò con un filo di voce ai due amici.

«Sei pallida come un cencio, che ti è successo?» Chiese Aveline preoccupata, balzando in piedi.

Si mordicchiò il labbro inferiore. «Ho... ho forse combinato un casino. Mi dovete accompagnare alla Chiesa, ma devo chiedervi di restarne fuori.»

Fenris afferrò la bottiglia di vino, tracannando il fondo che restava e allacciandosi la grossa spada, che non abbandonava mai, sulle spalle. «Si tratta di Sebastian?»

Marian scosse la testa. «No, lui non c'entra.» “Ma sarà sicuramente molto deluso da me, in ogni caso.” Pensò con una punta di sconforto.

Con l'umore a terra, uscirono dalla taverna e percorsero il tragitto fino alla Chiesa. Il grande orologio nella piazza segnava quasi le dieci. Si congedò dai compagni, salendo la gradinata.

All'interno, non c'era quasi nessuno. Due sorelle stavano rassettando l'altare, cambiando le candele consumate e spolverando la base della statua di Andraste.

La piccola cappella destinata alla famiglia del Visconte, di solito chiusa e usata come sagrestia, si trovava accanto alle scale che portavano al piano superiore, in fondo alla navata laterale di sinistra. Scivolò all'interno.

Un oggetto metallico le si abbatté con violenza sulla testa, facendole perdere i sensi.



 

La prima cosa che percepì una volta ripresi i sensi, fu il sapore ferroso del sangue in bocca, che le colava da un lato del volto. Aveva le mani legate dietro la schiena e le avevano tolto l'armatura. Sbattè le palpebre, cercando di capire dove fosse, la vista annebbiata.

Mise a fuoco un volto conosciuto, un ghigno di vittoria stampato sulle labbra.

«Gentile da parte tua essere dei nostri, Hawke.» La derise Karras, dandole un buffetto sulla guancia con la mano guantata, per poi tirarle dolorosamente i capelli e costringendola ad alzare il capo. «Spero ti goda questa piccola festicciola, l'abbiamo organizzata apposta per te.»

Una risatina femminile risuonò per la piccola stanza di pietra, mentre Madre Petrice affiancava il templare, lo sguardo carico di disprezzo puntato su di lei. «Anche perché, sarà l'ultima.»

Dovette concentrarsi per riuscire a parlare, la testa che le pulsava dolorosamente. «Cosa cazzo significa tutto questo, Karras?»

Per tutta risposta, si beccò una ginocchiata in piena faccia, crollando a terra con un gemito di dolore. Prima che potesse chiamare aiuto, si ritrovò uno stivale premuto sulla gola, un passo dallo schiacciarla. Sopra di lei, Jon Montrose sfoggiava un'espressione divertita, i lunghi capelli biondi a ricadergli parzialmente sulla fronte mentre abbassava il capo verso di lei. «Prova ad arrivarci da sola, puttana.»

«Via, via, Montrose... si tratta pur sempre di una nostra superiore.» Lo redarguì ironicamente Karras, affiancandolo e mettendogli una mano sulla spalla.

L'altro ebbe un sussulto, come a volerselo scrollare di dosso, ma tenne gli occhi puntati su di lei, i bei lineamenti distorti in un ghigno. «Voglio vedere quanto sarà in vena di dare ordini, dopo che l'avrò in ginocchio di fronte a me a prendersi quello che merita.»

Un brivido freddo le scese lungo la schiena, ma si impose di non darlo a vedere, analizzando rapidamente la situazione alla ricerca di una via di fuga. Oltre ai due templari e a Petrice, nella stanza non parevano esserci altre persone. Solo Karras era in armatura. Forse, poteva farcela. Cercò di capire dove si trovasse, ma non era più nella cappella del Visconte. “Sottoterra?”, si chiese sempre più nel panico, vedendo come non ci fossero vetrate sulle due pareti che poteva scorgere. Sapeva che sotto la Chiesa correvano dei tunnel in grado di portare i fedeli al sicuro se ce ne fosse stato bisogno, era una vecchia usanza delle costruzioni religiose dell'era della Tempesta, a cui risaliva l'edificio. Poteva urlare quanto voleva, ma dubitava che sarebbe servito a qualcosa. Cercò di strattonare le funi che le bloccavano le mani, senza successo.

«Non affannarti troppo, è inutile.» Disse Karras, annoiato. «Non uscirai da qui sulle tue gambe, Hawke, meno ci fai perdere tempo e meglio sarà per tutti. Anzi, potrei pure facilitarti il trapasso. Alla fine, non ci servi necessariamente viva per quello che abbiamo in mente, e una morte pulita sarà sicuramente meglio di essere giustiziata di fronte alla città intera.»

«Giustiziata...?» Biascicò a fatica, non riuscendo a capire.

«È particolarmente stupida pure per una cagna fereldiana, oppure l'hai colpita troppo forte?» Chiese Montrose divertito.

«Se fosse stata intelligente, avrebbe capito dall'inizio da che parte tirava il vento.» Ribattè Petrice, incrociando le braccia al petto. «Il Creatore aiuta sempre i suoi figli più meritevoli.»

Il templare più giovane si chinò su di lei, ad un soffio dal suo viso. «Eppure sarebbe un peccato non sfruttare questo tempo insieme...»

«Io non lo farei, non hai idea con chi sia stata questa cagna.»

Petrice annuì. «Cerca pure di corrompere i Fratelli della Chiesa.»

Un'ondata d'odio la fece lottare contro le corde con più veemenza. Il solo pensiero che tirasse in mezzo Sebastian in qualsiasi cosa avessero architettato la mandava in bestia.

Karras scoppiò a ridere. «Mi sa che hai colpito un tasto dolente.» Si voltò poi verso il fondo della stanza, aggrottando le sopracciglia. «Dovrebbero essere già qui, no?»

L'altro non sembrò preoccuparsi. «Saranno qui a momenti, non temere.»

Se con quei tre aveva ben poche speranze di riuscire a scappare, calcolò mentalmente Marian, una volta che fossero arrivati gli altri non avrebbe avuto più alcuna possibilità. Smise di divincolarsi, per capire cosa avessero in mente. «Posso almeno sapere il perché?»

«Sei così impaziente?» La sbeffeggiò Montrose, tracciando con un dito il rivolo di sangue che le scendeva lungo il collo, oltre il colletto della giacca di cuoio.

«È un mio difetto.» Rispose acida. Quello si distrasse un attimo, permettendole di scattare con la testa e affondare i denti nella sua mano. Strinse con tutte le sue forze, sentendo l'osso sotto il guanto rompersi e il grido di dolore del ragazzo mentre ritraeva la mano, colpendola con un calcio che la prese fortunatamente sulla spalla, spedendola di nuovo con la faccia a terra. Sbatté dolorosamente il mento sulla pietra, ma notò con soddisfazione che il sangue sul pavimento ora non era solo il proprio.

La colpì di nuovo alle costole, una, due volte, costringendola a rannicchiarsi su se stessa con un urlo soffocato. «Puttana del cazzo!» La sollevò di nuovo per i capelli, la mano sanguinante davanti agli occhi. «Te li strappo quei denti e quando non potrai più mordere ti-» La porta si aprì di scatto, interrompendo quel turpiloquio di minacce. «Era ora, stronzi!»

Quattro paia di passi e uno strascichio, e la voce di Macsen Trevelyan, limpida e sicura di sé, riempì la stanza. «Hai iniziato a festeggiare senza di noi, Montrose?»

«Il primo turno con lei è mio.» Ribattè quello, assestandole un altro calcio prima di calpestarla dolorosamente e andargli incontro. «Allora, questo è il coglione che si è messo a dare il culo a quei bovini... e dire che dovrebbe essere uno di noi, ma di nobile non ha più un bel niente.»

Il cuore di Marian perse un battito. “Seamus.”

Riuscì a strisciare sul pavimento quel che bastava a vedere il gruppetto di nuovi arrivati: Gerwin, uno dei templari che orbitavano da anni attorno a Karras, l'altro era la recluta che le aveva portato il messaggio di Seamus qualche giorno prima, il terzo era uno degli uomini arrivato dal circolo caduto di Starkhaven. Andrew non era tra loro.

Gettarono Seamus accanto a lei, costringendolo in ginocchio. Aveva uno straccio tra i denti che gli impediva di urlare e le mani legate, ma incrociò il suo sguardo sorpreso, le lacrime agli occhi, urlando qualcosa che venne soffocato dalla stoffa.

«Lasciatelo andare!» Ringhiò Marian, sputando un grumo di sangue come meglio poteva e divincolandosi con maggiore forza. «Sono io quella che volete ammazzare, lui non c'entra.»

Karras rise e Petrice si unì a lui, facendo un passo verso di lei e guardandola dall'alto in basso. «Ed è qui che ti sbagli, Hawke. Questo eretico c'entra eccome. Purtroppo per voi il Creatore non perdona il tradimento e noi, i suoi figli più devoti, dobbiamo prenderci la responsabilità di rettificare i crimini commessi verso di Lui e la Sua sposa.»

«Io sarò anche nessuno, ma lui è il figlio del Visconte, se lo ammazzate-»

Il sorriso di Karras si allargò ulteriormente, mentre le mostrava l'arma che teneva stretta in mano. «Oh, ma noi non faremo un bel niente.» Marian la riconobbe immediatamente. Era la propria daga. «Sarai tu l'assassina che ha ucciso il giovane Seamus, venuto alla Chiesa per pentirsi di essersi allontanato dagli insegnamenti del Creatore. Tu, che l'hai convinto a tradire la sua famiglia e la Chiesa per andare da quei bovini eretici, i tuoi padroni.»

«Cosa... non-»

«Sarà facile, una volta che troveranno il sigillo del Visconte nella tua giacca e la tua spada piantata nel suo petto.» Spiegò Montrose, con un ghigno soddisfatto e gli occhi che dardeggiavano per un momento verso Trevelyan. «E nessuno oserà dubitare della nostra parola, dopotutto le nostre famiglie sono legate alla Divina in persona. Racconteremo di come l'hai attirato qui con un inganno, e del nostro vano tentativo di salvarlo. Povero ragazzo, così giovane e sciocco...»

Il compagno si limitò ad annuire, un sorrisetto sulle labbra.

«Siete pazzi, non-»

Karras la zittì con un altro colpo, andando a sollevare di peso Seamus, che aveva smesso di piangere e gli rivolgeva uno sguardo di sfida. «Ora ammazziamo questo patetico cretino, e poi potremo divertirci un po' con lei prima che-»

La porta si aprì nuovamente con uno scatto, e Seamus finì a terra con un gemito soffocato mentre Karras e i suoi compari puntavano le armi verso l'ingresso.

Una freccia si piantò nella spalla del templare più anziano, poco sotto la cinghia dell'armatura. Quello barcollò all'indietro, guardando l'impennaggio con espressione sorpresa.

«Marian!»

Aveline caricò di peso Gerwin, che venne sbattuto contro il muro in un clangore metallico, e attaccò Martin con un fendente alla testa, che il giovane parò prontamente. Fenris, mulinando con un po' di fatica il grosso spadone nello spazio angusto, si gettò contro il templare di Starkhaven. Dietro di loro, Sebastian scivolò rapido nella stanza, chinandosi su Marian.

«Stai bene?»

Annuì, indicando Seamus con lo sguardo, che nel frattempo stava strisciando lontano dallo scontro.

Sebastian le liberò rapidamente le mani, e lei si rimise in piedi barcollando, disarmata. Con un orribile rumore di risucchio, il templare che stava combattendo con Fenris si accasciò a terra, mentre l'elfo, abbandonata la spada troppo grossa per quello stanzino, si ripuliva sui pantaloni il pugno inzaccherato di sangue fino al gomito.

Stava per raggiungere Seamus, quando Karras le si parò davanti, costringendola a buttarsi di lato per evitare di essere decapitata. Sebastian corse in suo soccorso, ma il combattimento ravvicinato non era il suo forte e Marian sapeva che non avrebbe potuto tenere testa al templare. Individuò la propria daga, che doveva essere caduta nel trambusto, e si chinò con un gesto fluido a recuperarla, frapponendosi tra Karras e Sebastian. In due, riuscirono a tenerlo a bada, ma l'uomo combatteva come una furia.

Con uno scatto dato dall'adrenalina, scivolò di lato quando lui si sbilanciò troppo in un affondo, afferrandogli la spalla ferita e pugnalandolo al fianco, conficcandogli la daga tra le costole e facendolo andare a terra con un grido strozzato.

Ansimante, incrociò lo sguardo di Montrose, che le puntava contro la sciabola. Dietro di lui, Trevelyan stringeva la sua spada, mantenendo guardingo la posizione.

«Maledetta troia.» Sputò il primo, facendo un passo verso di lei e caricando il colpo.

Non fece in tempo a ribattere o sollevare la daga, che Montrose sussultò, aprendo la bocca in un urlo senza voce. Un rivolo di sangue gli colò sul mento mentre tossiva una bolla scarlatta, abbassando lo sguardo scioccato sulla lama che gli spuntava dal petto. Crollò in ginocchio, annaspando nel suo stesso sangue, cercando di afferrarla con le dita improvvisamente molli.

Macsen Trevelyan torreggiava su di lui con un'espressione disgustata. «Dovresti davvero sciacquarti quella lurida bocca.» Disse, strappandogli dalla schiena la propria arma e piegando un poco il capo da un lato. «E indossare un'armatura, ma anche per quello è ormai troppo tardi.»

«Tu...» Rantolò Montrose, ma aveva gli occhi velati. Si accasciò con un sussulto.

Marian strinse la daga, lo scontro attorno a loro ormai vinto.

Sebastian, accanto a lei, teneva l'ultimo templare sotto tiro.

Trevelyan ripulì alla bell'e meglio la spada, rinfoderandola con eleganza per poi sollevare i palmi verso di lei. «Mi scuso profondamente per quanto è successo. Tuttavia Tenente, se vorrete ascoltarmi...» Sfoderò un sorriso.

«Max!»

Con la coda dell'occhio, vide Andrew entrare nella stanza.

«Ah, eccoti.» Lo salutò Trevelyan con un cenno del capo, senza abbandonare il sorriso. «Il nostro amico in comune qui, Andrew, potrà confermare la mia versione.»

«Cosa cazzo stai facendo, Trevelyan?!» Gli urlò Karras da terra, ma Andrew gli puntò la spada alla gola, facendogli segno di tacere. Fenris si chinò a disarmarlo, immobilizzandolo.

«Trovo il modo di liberarmi di due grosse seccature.» Rispose serafico quello. «Madre Petrice, se ci facesse il favore di arrendersi, mi risparmierebbe lo spiacevole dovere di colpire una donna di Chiesa. Non che non lo troverei dannatamente appagante, ma so che mio padre non apprezzerebbe, nonostante tutto.»

La donna emise un grido di rabbia soffocato, come una teiera sul punto di esplodere, ma si trovava con le spalle al muro. «Il Creatore vi punirà per questo!»

«Sono pronto a correre il rischio.»

Aveline si avvicinò titubante alla donna per immobilizzarla, mentre Trevelyan si rivolgeva nuovamente a Marian. «Purtroppo mi serviva che foste all'oscuro di tutto, altrimenti avremmo rischiato si accorgessero della messa in scena e scegliessero di non agire.»

«Messinscena?!» Ripetè lei furente, sputando un altro grumo di sangue per terra. Le faceva male tutto, aveva probabilmente il naso rotto e sentiva una gran voglia di strappargli quel sorriso dalla faccia a mani nude. «Ti rendi conto di quello che hai fatto?!»

L'altro accennò un'aria di scuse. «Quello che dovevo.» Rispose semplicemente. «Karras voleva farvi fuori da un po', Madre Petrice non nutre molto amore nei vostri confronti, e questo verme...» diede un colpetto col piede al cadavere di Montrose, steso in una pozza di sangue «non vedeva l'ora di avanzare di grado sfruttando la storia che avrebbero raccontato, e diventare il nuovo eroe della Forca. Purtroppo se avessi trovato il modo di avvisarvi, Tenente, non credo sareste riuscita a reagire in modo credibile. Anche se mi dispiace per come vi hanno trattata.»

Aprì la bocca per ribattere, ma era così incazzata che non sapeva nemmeno da dove incominciare. «Avete messo in pericolo la vita di Seamus,» ringhiò, avanzando di un passo verso il ragazzo, «rischiato l'ennesimo scontro coi Qunari,» fece un altro passo «e sarebbe stato un disastro» ormai si trovava proprio di fronte a lui, poteva vedere il suo sorriso vacillare, «e a te dispiace per come mi hanno trattata?!» Gli tirò una ginocchiata nelle palle, godendosi il gemito di dolore che uscì dalle labbra del ragazzo, ora contratte in una smorfia. Lo afferrò poi per il bavero riccamente decorato della giacca, che spuntava da sotto l'armatura. «Dammi un solo cazzo di motivo per cui non dovrei spaccarti la faccia e forse, dico forse, ti lascerò uscire da qui senza strisciare sui gomiti.»

La smorfia si piegò nuovamente in un accenno di sorriso. «Perché eliminati i Montrose, i Trevelyan sono ora al comando di Ostwick e un passo più vicini alla Divina? Degli amici sono sempre comodi da avere, Tenente.»

«Sembro una a cui frega qualcosa della politica, Trevelyan?» Sputò il cognome come un insulto.

Non sembrò demordere. «Magari non adesso, ma potreste cambiare idea un giorno, quando diventerete Comandante.»

Strinse ulteriormente la presa su di lui.

«Non guardatemi così, ho visto come vi tratta Meredith. Vi sta addestrando al comando.»

«E tu vuoi una fetta, immagino.»

Scrollò le spalle. «Personalmente, vorrei una buona bottiglia di vino e una piacevole compagnia con cui trascorrere una settimana in tranquillità lontano da questa fogna di città. Ma la mia famiglia aveva bisogno di una spintarella, e Montrose era tra i piedi. Gli altri qui si sono semplicemente ritrovati in mezzo come provvidenziali pedine.»

Lo lasciò andare, disgustata. «Potevi semplicemente confessare del loro piano alla Comandante.»

Trevelyan si massaggiò il collo, tirandosi indietro un ciuffo di capelli con la mano. «Non sarebbe servito a molto, avrebbero negato tutto. Sono stati più furbi di quello che pensassi, devo ammetterlo, non avevo altra scelta che farli confessare davanti ad abbastanza testimoni.» Lanciò uno sguardo ad Andrew e ai compagni di Marian, che lo guardavano torvi. «Però l'ho mandato ad avvertire i vostri amici giusto in tempo.»

«Sì, giusto in tempo.» Ripetè Aveline, astiosa. «Se non fossimo stati già qui, saremmo arrivati troppo tardi.»

Marian si voltò verso Sebastian, che era rimasto stranamente silenzioso. L'uomo incrociò il suo sguardo, scuotendo il capo.

«Il Principe Vael capisce bene perché l'ho fatto, vero?» Lo incalzò Trevelyan.

Sebastian, tirato in mezzo, sembrava avesse appena morso un limone. «Lo capisco, ma non lo condivido.» Scosse il capo, lo sguardo sui cadaveri a terra. «Speravo di aver lasciato da parte la mia vecchia vita, ma intrighi e morte sembrano essere ovunque.»

Marian si passò la lingua sul labbro spaccato, il sapore dolciastro del sangue a darle la nausea, la testa che le girava e il fianco che le faceva un male tremendo ad ogni respiro. «Ne parlerai con la Comandante e il Visconte, Trevelyan. Mi rimetto al loro giudizio.» Fosse per lei, l'avrebbe infilzato come uno spiedino seduta stante, ma erano probabilmente la vergogna e la rabbia per essere finita in quel tranello come una pivella a parlare così.

Tornarono al piano di sopra. Fenris e Aveline trasportavano Karras, che non si reggeva in piedi, e Marian, che chiudeva la fila, teneva sott'occhio Petrice, facendola camminare davanti a lei. Tra loro, Andrew, Trevelyan e Seamus. Quest'ultimo tremava ancora un pochino, ma aveva riacquistato colore man mano che salivano le scale uscendo dagli angusti cunicoli sotterranei.

«Mi scuso di nuovo anche con voi, Seamus.» Gli disse Trevelyan, mettendogli una mano sulla spalla con fare cameratesco. «Spero mi perdonerete.»

L'altro gli rivolse uno sguardo un po' perso. «Non so cosa dica il Qun in questi casi...»

«Il vostro fascino per i Qunari è alquanto... pittoresco.» Commentò il templare, che pareva divertito.

Una volta che furono in vista della grande statua dorata di Andraste, vennero accolti dalla somma sacerdotessa e dal Visconte in persona.

«Cosa significa tutto questo?!» Esclamò Elthina, vedendoli spuntare dalla cappella.

«Seamus!»

«Padre!»

Sebastian scattò in avanti verso l'anziana donna, come per rassicurarla. «Possiamo spiegarvi tutto...»

Prima che potesse finire la frase, Marian si sentì mozzare il fiato, barcollando di lato. Con una gomitata nelle costole, Petrice era sfuggita alla sua presa, un baluginio nella mano sinistra. Allungò la mano per acciuffarla, ma la donna era già scattata in avanti, ghermendo Seamus per la manica e tirandolo a sé.

Tutti si girarono verso il ragazzo, che emise un rantolio, il manico di un minuscolo pugnale che gli spuntava dalla gola.

«No!» Urlò Marian, sconvolta, correndo ad afferrarlo prima che cadesse a terra.

Il ragazzo provò a parlare, ma l'unica cosa che uscì dalle sue labbra fu un gemito strozzato, il sangue che iniziava ad uscirgli dalla ferita, dalla bocca e dalle narici. «Ma...» Annaspò, le mani che cercavano di raggiungere il collo, artigliandole poi la giacca, «rian» tossì sbattendo le palpebre, guardandola implorante, ma non c'era nulla che lei potesse fare, solo guardarlo morire così, soffocato nel suo stesso sangue, impotente come al solito. Con un sussulto, rovesciò gli occhi all'indietro e si accasciò tra le sue braccia, immobile.

Quasi non si accorse del Visconte che crollava in ginocchio accanto a lei, ululando come un mabari ferito, afferrando il figlio e strappandoglielo dalla presa, ripetendo il suo nome come a richiamarlo dalla morte.

Il suo sguardo si spostò verso Petrice, che era strisciata contro la statua di Andraste, un sorriso folle sul volto mentre guardava la sua opera.

«Aveva ripudiato il Creatore!» Urlò lei, sollevando il minuscolo pugnale sopra la testa e agitandolo, cercando di tenere a bada le cinque persone armate che avanzavano verso di lei, gli occhi puntati su Elthina. «Verrò ricompensata con l'eternità, per questo!»

Non si rese nemmeno conto di essersi alzata, ma un attimo dopo sentì il suo pugno impattare contro qualcosa, e un sonoro “crack” nelle orecchie. Colpì di nuovo, e ancora, finchè qualcuno la tirò indietro di peso, allontanandola dalla donna ormai ridotta ad un ammasso tremante e sanguinolento.

«Marian! Marian!»

Sebastian la richiamò alla realtà, strappandola dalla sua furia. Si trovò ad ansimare, abbassando lo sguardo sulle mani inzuppate di sangue, il suo, quello di Seamus e quello di Petrice. Le venne da vomitare. «L'ha ucciso.» Rantolò. «L'ha ucciso!»

Sebastian le mise entrambe le mani sulle spalle, stringendola con forza. «E risponderà dei suoi crimini, ma non è questo il modo.»

Gli occhi di Marian dardeggiarono nuovamente verso la donna, carichi d'odio. «Se lo merita.»

«Già abbastanza sangue è stato versato!» Si impose Elthina, la voce tonante che rimbombò severa per la Chiesa, più acuta del normale. «E questo è un luogo di culto, insozzato dai nostri stessi devoti.» Guardò con disprezzo Petrice, raggomitolata contro la base della statua, avvicinandosi poi al Visconte che piangeva silenziosamente il figlio. «Verrà giudicata come decreta la legge. Capitano, scorti questa criminale in cella, sarà sottoposta a processo domani stesso.» Poggiò la mano sul capo del Visconte, addolorata. «Ci sono già stati troppi morti, questa sera.»



 

Due giorni dopo, Marian dovette cedere alle insistenze di Ruvena per farsi aiutare ad indossare l'armatura.

«Dovresti farti dare un occhio da Alain...» Le consigliò l'amica, ma lei si limitò a scrollare le spalle.

«Non è così grave.» Rispose, ben sapendo che la verità era un'altra. Non voleva farsi toccare da un mago, il solo pensiero le dava il voltastomaco, non dopo quello che era successo a sua madre.

Si ricacciò un ciuffo di capelli dietro all'orecchio, lanciando un'espressione irata contro la sua immagine pesta allo specchio, e uscì dalla stanza.

La piazza davanti alla Forca era piena di gente. Nobili, per lo più, ma anche mercanti e persone comuni attirate dalla rarità dell'evento.

Il piccolo palco di legno allestito nella notte era scarno e funzionale, un ceppo e un secchio sotto di esso gli unici oggetti in vista.

«Tenente.»

Salutò rigidamente la Comandante Meredith, il lyrium appena bevuto che le aveva arso la gola. Il Capitano Cullen era già sotto il palchetto, l'aria più arcigna del solito mentre scrutava sospettoso la piccola folla attorniato dai suoi uomini migliori. Tra essi, notò Marian con rabbia, spiccavano Macsen Trevelyan e Andrew. Il primo la salutò con un cenno del capo, il solito sorriso stampato in faccia. Decise di ignorarlo, salendo assieme alla Comandante i cinque gradini di legno del palco.

Due templari trascinarono Karras davanti a loro, in catene.

L'uomo era ridotto male, un occhio chiuso e gonfio e i capelli impiastricciati di sangue rappreso, le vesti appena più che stracci sporchi. Le lanciò uno sguardo di puro odio.

«Ser Karras, siete colpevole di aver cospirato contro la Chiesa, contro l'Ordine Templare e contro la famiglia del Visconte Dumar. Con le vostre azioni scellerate e traditrici, avete causato la morte di Seamus Dumar, e infangato l'onore dell'Ordine.» Declamò Meredith, le parole cariche di disgusto verso l'uomo in ginocchio di fronte a lei. «Avete cercato di trascinare nel fango una dei Templari più meritevoli della Forca, con l'aiuto dei vostri compari, che hanno già pagato con la loro vita. Per tutti questi motivi, come Comandante dell'Ordine Templare di Kirkwall, vi condanno a morte.»

Il cenno del capo della donna era quello che Marian aspettava da quando era uscita dalla Chiesa quella notte. Estrasse la spada che aveva al fianco, avanzando decisa verso l'uomo a terra.

Karras le lanciò uno sguardo spaventato, ora che aveva la morte davanti non sembrava tanto sicuro di sé. Marian si concesse un sorriso feroce, rispedendolo con un calcio sul ceppo mentre sollevava la spada. Quello tremò da capo a piedi, chiudendo gli occhi e voltandosi dal lato opposto al suo.

Il tonfo della testa che cadeva nel secchio fu immensamente liberatorio. Si immaginò una seconda testa accanto a quella, ma i Qunari sembravano aver preso la morte di uno di loro, seppur ultimo arrivato, come un affronto personale: Madre Petrice, di ritorno alla sua cella dopo il processo, era stata colpita al petto da una freccia solitaria, spuntata da chissà dove. L'impennaggio rosso e bianco, unito al motivo dei suoi crimini, poteva facilmente indirizzare verso i colpevoli, ma soltanto Marian aveva scorto il Qunari affacciato ad una delle terrazze della città alta, l'arco ancora sollevato nella loro direzione. Gli aveva rivolto un cenno di assenso, prima che quello sparisse nell'ombra così com'era comparso, lasciando le guardie che scortavano la prigioniera ad inseguire un fantasma.

Il Visconte non c'era, il lutto della perdita del figlio troppo grande per riuscire a mostrarsi in pubblico.

Marian rinfoderò la spada, scendendo dal palchetto e seguendo Meredith di ritorno alla Forca, le grida di approvazione della folla ad accompagnarle fino al cortile interno.

 

 














 






Note dell'Autrice: FINALMENTE Karras ci ha salutati. Montrose era uno schifoso bastardo, ma Karras erano anni che se le cercava, finalmente ha ottenuto quello che meritava. Manca poco alla resa dei conti coi Qunari, stay tuned! 

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Capitolo 29
*** Pressure building ***


CAPITOLO 29
Pressure building



 

«Anders, per favore, puoi per una volta fare quello che ti dico?»

«Non ti lascio con tre templari nel salotto, scordatelo!»

Guardò esasperato il compagno, non sapendo più come farglielo capire. «Non sto invitando Capitan Culo per un tè e biscotti, sono mia sorella e un amico. Andrà tutto bene.»

L'altro incrociò le braccia al petto, ostinato. «Allora fammi restare.»

“Templari e Giustizia, cosa potrebbe mai andare storto?” Pensò di scatenargli addosso Bu per costringerlo ad uscire di casa. «Se vedono Giustizia...»

«Posso tenerlo a bada.»

Resistette dallo scoppiargli a ridere in faccia. «Non mi pare proprio.»

Anders si offese, stringendo il pugno e inspirando forte dal naso. «Se è questo che pensi di me-»

Garrett era francamente stufo di discutere con lui come se fosse un bambino. Giustizia ultimamente era parecchio instabile, al punto da aver fatto capolino un paio di volte in situazioni dove davvero non avrebbe voluto averci a che fare (la sua idea di menage a trois era molto diversa), e se si fosse risvegliato di fronte ai templari sarebbe stata una strage. E non voleva mettere a rischio né Anders, né la sorella. E nemmeno Andrew e quell'altro, probabilmente, ma su di loro non era ancora certissimo di cosa pensare. In fondo avevano quasi fatto ammazzare Marian per nulla, qualche sera prima. «Se non ti levi dalle palle, amore mio, giuro che ti chiudo in cantina e chiedo a Sandal di mettere una runa di protezione sulla porta.»

«Non oseresti!»

Gli rivolse un'occhiata di sfida, sollevando un sopracciglio.

Rimasero per qualche istante a guardarsi in cagnesco, infine il guaritore capitolò.

«D'accordo, ma resto nei paraggi. Se sento del casino-»

«Va bene, se mai dovessi far esplodere qualche fuoco d'artificio, sarai più che benvenuto alla festa.»

Non senza lanciargli un'ultima smorfia arrabbiata, Anders recuperò il mantello dall'attaccapanni all'ingresso e uscì dalla porta, sbattendola dietro di sé.

Garrett si concesse un sospiro stanco, grattandosi la barba. Capiva perché Anders si preoccupasse tanto, ma avrebbe preferito che l'altro avesse un po' più di fiducia in sua sorella, o almeno in lui.

Bu, che aveva assistito a tutta la scena tenendo le orecchie basse e il muso triste, gli trotterellò al fianco mentre andava in cucina, nella speranza di ricevere qualche bocconcino.

Un profumo di dolci appena sfornati riempiva la stanza.

Lumia, coperta di farina dalle orecchie che spuntavano dalla cuffietta di stoffa fino al grembiule a scacchi, gli lanciò un sorriso orgoglioso. «Vi sfido a dire che ne avete assaggiati di migliori, Serah!»

Indicò un vassoio di pasticcini disposti accuratamente l'uno accanto all'altro a seconda del tipo: con dentro la marmellata di frutta, al miele e cannella, con la crema e i preferiti di Garrett, quelli con un sottile strato di glassa lucida e una ciliegia in cima. Ne afferrò uno, già con l'acquolina in bocca, mangiandoselo tutto in un sol boccone. L'amarognolo della scorza d'agrume nella pasta compensava il dolce della glassa, e il suo umore si risollevò in un attimo, l'ansia per quell'incontro passata almeno per un poco in secondo piano.

Chiuse gli occhi per un attimo, assaporando il dolcetto, estasiato. «Lumia, te lo devo dire: potresti farti assumere alla forneria di Elin e Rasiel, invece che stare qui a viziarmi.»

L'elfa minuta arrossì fino alla punta delle orecchie, che vibrarono impercettibilmente. «Non lo farei mai, Serah, siete stato così generoso ad assumere me e mio fratello!» Squittì, chinando il capo. «E poi, non potrei mai lasciarvi alla cucina di mastro Bodahn.» Aggiunse borbottando, lo sguardo imbarazzato verso il pavimento.

Garrett si passò una mano tra i capelli, ridacchiando. «No, non credo ce la farei a vivere tutti i giorni con le sue zuppe di nug.»

«Gli piacciono davvero tanto...» Lumia scosse la testa, affranta. I piccoli roditori rosa le facevano tenerezza, e tentava inutilmente di convincere il nano a cambiare la sua dieta, ma quello non sembrava avere alcuna intenzione di rinunciare al suo piatto preferito. «Comunque, la ricetta dei dolci è proprio Elin e Rasiel, fino a qualche anno fa le nostre famiglie abitavano vicine e usavamo la stessa cucina, condividendo i pasti.»

«Ah, ecco perché il sapore era così familiare! Sei un'ottima cuoca, davvero.»

Qualcuno bussò alla porta.

Il morso allo stomaco tornò prepotentemente, mentre drizzava il capo in allarme. «Sono arrivati. Metti pure su il tè, e poi...» lanciò un altro sguardo verso i dolcetti. «Se riesci, tienine un po' da parte per Anders, tornerà di cattivo umore.»

L'elfa annuì, indicando uno degli scaffali della credenza. «Ho già messo da parte un bel po' di quelli alla marmellata, sono i suoi preferiti.»

«Grazie, sei un tesoro.»

Quella sorrise di nuovo, imbarazzata, mentre lui usciva dalla cucina e andava verso l'ingresso. Fece un bel respiro profondo, e aprì la porta.

«Pensavo ti fossi chiuso nel forno!» Lo salutò Marian con una smorfia divertita. Sul viso spiccavano ancora dei lividi violacei, ma non sembrava farci caso. Era sempre stata tosta.

Poco dietro di lei, Andrew abbozzò un sorriso, la massa di capelli ricci più corta di come li portava da ragazzo. Il terzo templare l'aveva visto solo di sfuggita: era innegabilmente un bel ragazzo, poco più giovane di lui, gli occhi verdi e un'espressione sicura di sé stampata in faccia.

«Per vostra fortuna non ho passato più di cinque minuti in cucina, no.» Ribattè lui, facendosi da parte per farli entrare.

Una volta dentro, Adrew si guardò attorno, spostando il peso da un piede all'altro. «Grazie dell'invito, Garrett.» Disse infine, decidendosi a voltarsi verso di lui.

«Figurati, avrei dovuto invitarti prima!» “Se solo mia sorella si fosse degnata di avvisarmi, invece che ostinarsi a proteggermi come fa di solito...”

«È un piacere conoscervi, Serah Hawke. Sono Macsen Trevelyan, da Ostwick.» Il terzo templare gli strinse la mano in una presa entusiasta. «Ser Marian non ha voluto dirmi niente su di voi, quindi mi sono informato prestando un po' orecchio in giro... siete sulla bocca di tutti, devo ammette che non è stato molto difficile.»

Garrett cercò di sembrare rilassato. «Solo cose buone, spero!»

Trevelyan gli riservò un piccolo sogghigno, ma non gli rispose.

Marian lo spinse in avanti in modo ben poco cerimonioso, togliendosi il mantello pieno di neve e appendendolo all'ingresso. «Non ho ancora capito perché si sia ostinato a seguirci, ma non siamo riusciti a scollarcelo di dosso.»

Facendo finta di nulla, il ragazzo in questione si avventurò nel salotto, immobilizzandosi di colpo. «Quello... quello è il vostro mabari!» Esclamò eccitato, chinandosi a terra ed estendendo le mani in avanti per chiamare Bu, che se ne stava sull'attenti in mezzo alla stanza, come a far capire chi comandasse lì. «Vieni qui, bella! Dai!»

La mabari mosse un orecchio, guardando interrogativa i due Hawke. Ad un cenno di Garrett, si mosse verso i due nuovi arrivati, annusando cautamente le dita di Trevelyan per poi ignorarlo e proseguire verso Andrew, con grande scorno del primo. Ispezionò le scarpe e i pantaloni dell'uomo, che si era chinato leggermente verso di lei ad aspettare pazientemente il verdetto.

Sembrò andarle a genio, perché abbaiò una singola volta, scodinzolando, e gli leccò la mano.

«Mi ricorda un sacco Rufus, ha i suoi colori.» Disse Andrew, accarezzandole il fianco con un sorriso. «Anche se è più bella.»

«Ha preso anche la sua stazza...» Commentò divertito Garrett. Rufus era stato il primo mabari della famiglia, raccattato in fin di vita da cucciolo dai genitori poco dopo che erano arrivati nel Ferelden: era cresciuto a dismisura ma tutti i fratelli se lo ricordavano come il cane più buono del mondo.

Marian ridacchiò. «Mi ricordo quando avete provato a cavalcarlo e quello è partito di corsa verso uno scoiattolo, lanciandovi per aria.»

«Era stata un'idea sua.» Si difese immediatamente Garrett, puntando il dito sull'altro. «E comunque, non fosse stato per quello scoiattolo, avrebbe funzionato.»

«Mio zio Arthur ha un mabari, bello grosso anche quello.» Si inserì nel discorso Trevelyan, che evidentemente si sentiva escluso. «L'ha addestrato a combattere, ma con noi è sempre stato un tesoro. Si chiama Isaac.»

Marian fece una smorfia. «Tuo zio il Mastino di Ostwick?»

«Proprio lui.» Confermò Trevelyan, cercando di farsi notare da Bu, che lo squadrava con diffidenza. Dovette però intercettare le occhiate che i due Hawke si erano lanciati a sentire quel nome, perché si affrettò a ritrattare. «Nonostante il nome, posso giurarvi che è una brava persona, davvero!»

Fu Andrew a correre in suo soccorso, strappando ai due fratelli una risata. «Scommetto che erano indecisi tra “mastino” e “pasticcino”, e semplicemente hanno pescato il foglietto sbagliato.» Si era avvicinato al caminetto, sopra il quale vi era un ritratto della famiglia Amell, i nonni che non avevano mai conosciuto e due giovanissimi Leandra e Gamlen che si tenevano per mano. «Mi dispiace per Leandra.»

Garrett si mordicchiò l'interno della guancia, affiancandolo senza sapere bene cosa dire. Un tempo erano stati molto amici, ma ora non sapeva se avesse di fronte uno sconosciuto o la persona con cui era cresciuto, che tante volte era stato ospite nella loro cucina a subire gli insipidi pasti preparati da Leandra. «Grazie.» Rispose semplicemente.

Fu Lumia a distrarre l'attenzione da quei pensieri malinconici, arrivando con un vassoio con quattro tazze e una teiera fumante. Chinò il capo, salutando gli ospiti. «Buongiorno a tutti...»

Vide la sorella annusare l'aria alla stregua di un segugio. «Buongiorno a te. Ci sono per caso...?»

L'elfa si illuminò, un largo sorriso che si apriva sulle labbra. «Sì Ser, li ho appena sfornati!» Corse di nuovo in cucina, riemergendone con il vassoio di pasticcini. «I vostri preferiti, quelli alla cannella. Ne ho fatti un po' di più perché possiate portarvene via un pacchettino.»

A Marian luccicavano gli occhi mentre allungava una mano a prenderne uno e se lo portava alla bocca, masticandolo come in trance. «Lumia, ti adoro.»

La ragazza arrossì di nuovo, appoggiando il vassoio sul tavolino del salotto e inchinandosi di nuovo. «Se avete bisogno di qualsiasi cosa, io sono di là.» Sparì in un fruscio del grembiule, lasciandoli con il difficile compito di mangiare i pasticcini.

Andrew si lanciò subito su quelli alla marmellata, mentre Trevelyan li osservava pensoso, per poi decidersi a provarne uno alla crema.

«Sono buonissimi, devi farle i complimenti.» Si congratulò il primo, rivolto a Garrett. «Se ne avanzano, vorrei portarmene via un paio pure io.»

Marian annuì. «Il cibo della Forca non è male, ma non è certo all'altezza di quello con cui si fa viziare mio fratello.» Gli lanciò un'occhiata divertita, mentre si riempiva una tazza di tè bollente. «Pure questo ha un odore buonissimo...»

Trevelyan la seguì, versandosi un po' della miscela nella tazza e osservandone il colore intenso e ramato con l'aria da intenditore. «Frutta secca e legno, con un delicato retrogusto floreale.» Ne assaggiò un sorso o due, schioccando le labbra. «Di ottima qualità, posso chiedere da dove lo importate? Non se ne trovano molti nei Liberi Confini.»

Garrett si sentì colto impreparato. Non ne capiva molto, semplicemente ogni tanto provava delle miscele che la sua compagnia importava ed esportava dalle altre nazioni. «Penso venga da Nevarra, posso controllare sul registro di carico ma ora non ricordo con precisione.»

«Ve ne sarei grato, mio fratello è un'appassionato e il suo compleanno è tra un paio di mesi, di sicuro lo gradirebbe come regalo.»

«Avete un fratello?»

«Due, in realtà. Domhnall è il maggiore, poi c'è Quinn e infine io.» Spiegò mentre si mangiava un altro pasticcino alla crema. «Questi sono davvero buoni, comunque, ne ho assaggiati di simili in quella forneria... com'è che si chiama, Andrew?»

«Ah, quella gestita dalle due elfe, qui in città alta! “Ava” qualcosa...»

«Ava on'ala.» Corresse Garrett.

Andrew parve sorpreso. «Da quando parli l'elfico?»

Si strinse nelle spalle. «Conosco le due ragazze che lo gestiscono, le ho aiutate a rilevare il forno quando quello stronzo del proprietario precedente stava affogando nei debiti. Di elfico so quattro parole, ma un'amica in comune le ha aiutate con il nome. Significa “mangia il meglio”, piuttosto coraggioso per essere l'unico negozio di proprietà elfica in città alta, vero?» Era stata Merrill a proporlo, e Garrett le aveva convinte che era un'ottima idea, nonostante l'insicurezza di Elin e Rasiel su un significato così sfrontato e per di più in elfico. Dopo un'iniziale smarrimento della solita clientela, però, la scelta si era rivelata azzeccata, e grazie al fatto che i prodotti che vendevano soddisfavano appieno le alte aspettative che il nome poteva dare (anche grazie ad una scritta più piccola in lingua comune sotto la targa in elfico), il panificio era sempre pieno di gente.

«Hai sempre avuto amicizie strane.»

«Sono fatto così.»

Cadde di nuovo il silenzio, rotto soltanto dagli uggiolii di Bu che pregava le allungassero qualcosa.

«Mi dispiace di essere sparito nel nulla.» Disse finalmente Andrew dopo un po'. «Mio padre... non ha voluto sentire ragioni, e ci siamo trasferiti a Redcliffe. Non sono mai riuscito a scriverti, forse perché mi vergognavo di essermene andato così di punto in bianco, dopo quello che-» Si morse la lingua, non sapendo come continuare. «Dopo quello che avevate fatto per me.»

Garrett si sentì molto a disagio per la presenza di Trevelyan, che non permetteva loro di parlare liberamente. «Non posso dire di non esserci rimasto male. Avrei almeno gradito un saluto, o sapere che stavi bene.»

«Lo so, sono stato uno stronzo.»

Sospirò. «Da quanto siete qui?»

«Più di un mese. » Ammise l'altro, colpevole. «Sarei dovuto passare prima, ma Mar- voglio dire, la Tenente-»

«Abbiamo avuto parecchio per le mani, alla Forca.» Tagliò corto la donna, lanciando ad entrambi un'occhiataccia da sopra la tazza fumante. «E comunque tu puoi chiamarmi ancora Marian, almeno quando non siamo in servizio.»

Andrew si rifugiò in un pasticcino, concentrandovi tutta la sua attenzione. «Carver come sta?»

Garrett fece una smorfia. «Sembra si trovi bene coi Custodi... finalmente non gli stiamo più tra i piedi. Gli ho chiesto se volesse passare a salutare, ma ha detto che aveva da fare.» “All'Enclave con Merrill, ci scommetto, è diventato rosso come un peperone quando gliel'ho chiesto.”

«È sempre stato un po' scorbutico.»

«Era Bethany il raggio di sole.»

Sentì la sorella sospirare. «Già, alle volte mi chiedo come sia possibile che sian-, voglio dire, fossero, gemelli.»

L'amico prese un altro sorso di tè. «Com'è successo? Se posso chiedere.»

«Stavamo scappando da Lothering e un Ogre ci si è parato davanti. Non sarei qui, se non si fosse mezza in mezzo per salvarmi.» Il ricordo gli faceva ancora male.

«È stata... molto coraggiosa.»

Deglutì a vuoto. «Sì, lo è sempre stata.» Si sforzò di sorridere. «Per quanti Prole Oscura possa andare ad ammazzare Carver, non saranno mai abbastanza.»

«E voi, Garrett?» Si intromise Trevelyan, come a cercare di carpirgli qualche segreto. «Una Tenente dell'Ordine, un Custode Grigio... cosa ci nascondete?»

Cadde il silenzio. Un teso, spiacevole silenzio.

«Temo di essere quello noioso.»

«Stento a crederlo. In fondo, siete riuscito a racimolare un bel gruzzolo nelle Vie Profonde, avete fatto investimenti in metà delle attività di Kirkwall e avete pure riconquistato il vostro blasone» accennò allo stemma di famiglia sulla parete alla loro sinistra «non vi definirei certo una persona noiosa, Serah Hawke.»

Garrett si grattò la barba, a disagio. «No, davvero, cerco solo di fare il mio.»

Il sorriso del Trevelyan si accentuò, gli occhi verdi che brillavano divertiti. «Eppure, date molto nell'occhio... per essere un mago.»

Si irrigidì immediatamente, pronto ad attaccare se ce ne fosse bisogno. Accanto a lui, Marian sembrava indecisa se accoltellarlo col cucchiaino da tè o caricarlo come un toro, e Andrew aveva gli occhi sgranati puntati sull'amico, il pasticcino a mezz'aria.

«Mago? Chi, io?» Provò Garrett, scuotendo il capo e cercando di dissimulare.

«Trevelyan, che stai-»

Il sorrisetto del templare non accennò a svanire. «No? Allora errore mio, pensavo foste voi l'amico di cui mi ha parlato Andrew, ma evidentemente ha tutta una serie di cari amici d'infanzia, e voi non siete il mago in questione.»

«Max, sei un coglione.» Borbottò l'altro, accennando uno sguardo di scuse verso Garrett, che Trevelyan intercettò senza sforzo.

«Peccato, pensavo avessimo tante cose in comune Tenente... l'uniforme, la tendenza a non rispettare la gerarchia e un fratello mago.» Sventolò la mano con nonchalance nella direzione di Marian. «Oh beh, a tutti capita di sbagliare.»

Garrett registrò solo due parole dell'intero discorso. «Un... fratello mago?» Boccheggiò.

Macsen Trevelyan sembrava aver appena vinto ad un torneo di scherma di fronte all'intero Thedas, dall'espressione che gli si stampò in faccia. «Già. Non vi ho detto molto di Quinn, in effetti: vive al Circolo di Ostwick da quando ha dodici anni. Forse gli è andata bene che lo abbiano scoperto così tardi, ho visto un sacco di bambini piangere per anni la lontananza da casa.»

«Non avevo idea aveste un mago in famiglia.» Commentò Marian. Le tremava la voce, notò Garrett. Che Trevelyan volesse minacciarli, scoperta la verità? Cosa poteva volere da loro?

«Se si può chiamare mago... è abbastanza scarso, a dire la verità, ma per la Chiesa è comunque sufficientemente pericoloso da essere rinchiuso con tutti gli altri, sia mai che possa avvicinarsi troppo ai suoi amici spiriti, oltre che fargli accendere la luce per andare in bagno la notte.»

Garrett lo guardava tra il confuso e l'allarmato, senza riuscire ad emettere alcun suono.

«Max, vieni al punto.» Lo redarguì stancamente Andrew, che doveva essere fin troppo abituato all'amico.

Quello prese un altro pasticcino alla crema, come se niente fosse. «D'accordo, d'accordo... potete stare tranquilli, ve lo assicuro, non ho alcuna intenzione di rivelare il vostro segreto.» Ne prese un boccone, assaporandolo ad occhi chiusi, per poi puntare lo sguardo su Marian. «Ve l'ho detto, tenente, un amico in più è sempre comodo. E conto che diverremo grandi amici.» Sorrise, cercando probabilmente di sembrare genuino.

Marian non rispose, guardandolo con sospetto.

Trevelyan sospirò platealmente. «So che ce l'avete ancora con me, tenente, ma concedetemi almeno il beneficio del dubbio: non condivido le idee da fanatici che vanno tanto di moda nel nostro Ordine, e vi ho appena dimostrato che non ho nulla contro i maghi. Manterrò il vostro segreto senza chiedervi nulla in cambio, se non una seconda possibilità.»

«Perché te ne frega così tanto, della mia opinione?» Gli chiese Marian, diretta.

L'altro si strinse nelle spalle. «Non ci sono molti templari ragionevoli, da queste parti, e voi siete sicuramente la più in gamba. Andrew mi ha parlato di tutt'e due, e mi fido del suo giudizio. In più, la Comandante sembra avervi preso in simpatia, e se tutto dovesse filare liscio tra un anno o due potreste pure essere nominata Capitano, e a quel punto avreste bisogno di qualcuno come vostro secondo.» Sorrise di nuovo.

Dalla faccia della sorella, Marian avrebbe preferito scegliere un avventore a caso dell'Impiccato piuttosto che il ragazzo che aveva di fronte. «Sei fin troppo sicuro di te, Trevelyan.»

«E voi troppo poco, tenente.»

Si squadrarono per qualche istante, soppesandosi a vicenda.

«Vedremo cosa sei in grado di fare, per il momento hai solo fatto ammazzare un mio amico. E non è una cosa che dimentico facilmente.» Concluse fredda.

Andrew sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, ma la porta d'ingresso si spalancò con tonfo secco, e due figure irruppero nell'ingresso.





«Marian, ho bisogno di te!» Isabela, i capelli pieni di neve come il cappotto da capitano, si parò di fronte all'amica. Aveva il fiato grosso, come se avesse fatto di corsa tutti i gradini fin lì.

Aveline, subito dietro di lei, la spinse da parte. «Ora non è il momento per le tue scenate da prima donna!» Anche lei sembrava trafelata.

«Scendi dal tuo piedistallo, è un problema serio!»

«Non ne dubito: “cosa ordino stasera?” o “chi è il padre?”»

«Ora basta!» Le interruppe Marian, che era già balzata in piedi prima che la pirata potesse saltare alla gola dell'altra, perdendo la pazienza. Sentì i tre uomini accanto a lei fare altrettanto, in allerta. Fece segno ai due templari di non intervenire.

Le due si resero finalmente conto della compagnia, ma ciò non sembrò fermarle.

«L'Arishok sta dando asilo a due elfi “convertiti”, gli stessi che hanno accusato Devan, una delle mie guardie. Non hanno aspettato nemmeno che finissi l'indagine, gli hanno tagliato la gola mentre rientrava a casa, sono stati visti da un testimone. Quando siamo andati all'Enclave a prenderli, erano già scappati dai Qunari.» Spiegò Aveline tutto d'un fiato. «Devi aiutarmi a convincere l'Arishok a consegnarmeli. La situazione è già tesa dopo tutti i complotti contro i Qunari, e ormai quasi tutti sanno che Petrice è stata uccisa da uno di loro invece che processata. Se la città li vede calpestare le nostre leggi come nulla fosse... non ti servo io per ricordarti in quanti li vogliono morti.»

«Io invece rischio di morire!» Alzò la voce Isabela, le mani sui fianchi. «Ecco, questo sì che è un problema grave. Non uno stupratore che ha avuto quello che si meritava!»

Marian si morse il labbro inferiore, senza sapere che pesci pigliare. «D'accordo, Isabela, in cosa ti sei cacciata stavolta?»

Quella si concesse un piccolo gesto vittorioso. «Ricordi la dannata reliquia per la quale Castillon mi vuole morta? Ho appena scoperto che è in mano ad un tizio che si fa chiamare Sam Occhiospento, che per rivenderla ha contattato un tale che doveva un favore ad un marinaio che deve a me un paio di decine di Sovrane. E un mulo.» Scosse la testa, i grandi orecchini dorati che scintillavano. «Ma non è importante come sono venuta a saperlo, devi aiutarmi a riprendermela!»

«Sei la solita egoista!» Urlò Aveline. «Sto cercando di prevenire una carneficina, e tu non fai altro che pensare a salvare la tua pellaccia!»

«Si dia il caso che io ci tenga, alla mia pellaccia!» Ribattè Isabela, ormai gridando anche lei.

«Dateci un taglio!» Le zittì Marian, sbattendo un piede per terra. Bu, che già teneva le orecchie basse, emise un ringhio di avvertimento, nonostante conoscesse benissimo le due donne. «Bela, mi garantisci, mi giuri, che non mi stai facendo perdere tempo?»

Per la prima volta in anni che la conosceva, poté vedere un fremito di paura negli occhi della Rivaini, mentre annuiva. «La sta vendendo a dei maghi Tevinter. Non posso recuperarla da sola, ho bisogno di te. E...» esitò, come a nascondere qualcosa. «Dico solo che quel libro è importante, ecco tutto.»

«Libro?» La interrogò, aggrottando le sopracciglia. «Avevi detto che non sapevi cosa fosse.»

«So che è un libro, va bene?» Corse subito sulla difensiva l'altra. «È scritto in qualche strana lingua che non conosco, quindi non ho idea di cosa sia, però un sacco di gente lo vuole. E c'è la mia testa di mezzo, che preferirei restasse dov'è.»

Capitolò. «D'accordo, Bela, andiamo a riprenderci quel libro.»

Aveline non ne fu entusiasta. «Sei seria? Ti fidi così tanto di lei?»

La domanda le diede fastidio. Sapeva che tra le due non correva buon sangue, ma se davvero c'era in ballo la vita di Isabela, si sarebbe aspettata almeno un po' di esitazione nella voce del capitano. «Certo che mi fido di lei.»

Nessuno sembrò più sorpreso di quella affermazione di Isabela stessa, che sgranò gli occhi scuri, perdendo la parola per un attimo. «Io... grazie. Non so se me lo merito.»

Anche l'altra parve zittirsi. Tuttavia, la faccenda era seria.

«Aveline, credi di poter tenere a bada la situazione per un paio d'ore?»

L'amica annuì. «Ci provo. Chiamerò a raccolta le mie guardie-»

«Disponile nei punti strategici della città, se parte una rivolta, la sederanno prima che ci sfugga di mano. Trevelyan,» si voltò verso il ragazzo, che sembrava per una volta confuso «volevi renderti utile? Vai alla Forca e informa Cullen della situazione, magari può mandare qualcuno dei nostri a dare una mano alla Guardia Cittadina.»

Quello annuì, scambiandosi un cenno interrogativo con Andrew.

«Tenente-»

«Andrew, tu vieni con noi.» Tagliò corto lei, andando a recuperare le armi che avevano lasciato all'ingresso e legandosi alla vita le spade. «Non abbiamo tempo di recuperare le armature, e se ci sono davvero dei maghi del Tevinter, avrò bisogno di un altro templare.» “Uno di cui forse mi posso ancora fidare.”

«Vengo con voi.»

Si voltò verso Garrett, che stringeva il suo arco magico.

«Garrett...»

Il suo sguardo non ammetteva repliche. «Non si discute.»

Sapeva che a discutere avrebbe solo perso tempo. «D'accordo, allora muoviamoci. Aveline, ci vediamo tra due ore al massimo di fronte al campo Qunari, portati dietro Fenris, magari ci può aiutare a ragionare con l'Arishok. Bela, fai strada. Bu, vieni!»

La mabari li seguì obbediente fuori dalla porta, ed Isabela li condusse verso la città bassa, in uno dei magazzini dismessi sopra il porto.

Stavano svoltando un angolo, quando la pirata inchiodò di colpo, acquattandosi dietro una pila di reti da pesca e cordame. Marian e gli altri due fecero lo stesso, sporgendosi a guardare cosa ci fosse nel vicolo.

La risposta non la fece contenta.

«Bela...» Sibilò furente «cosa ci fanno dei Qunari davanti a quel magazzino?!»

L'amica indietreggiò istintivamente. «Potrei... aver omesso l'informazione principale riguardo al libro, ecco. L'ha scritto un Qunari, uno dei loro filosofi, Coslan o come si chiama, insomma, sicuramente lo rivogliono. Devono aver scoperto che ce l'ha Sam.»

I Qunari si stavano dirigendo verso un vicolo immerso nell'oscurità, allontanandosi da loro.

Afferrò Isabela per il colletto della giacca, scattando in avanti e avvicinando il volto al suo così tanto che poteva sentirne l'alito di rum. «Ora mi dici tutto ciò che sai su questa reliquia, Bela, o giuro su Andraste che-»

L'altra si tirò indietro, rischiando di cadere tra il cordame, sollevando i palmi delle mani verso di lei. «E va bene! Non volevo tirarti in mezzo, ma ho rubato quello stupido libro sotto il naso dei Qunari, e loro lo rivogliono indietro. Credo che non possano tornare a casa finché non lo recuperano.»

Si accorse a stento della mano che le tremava per la rabbia. Dovette trattenersi dal tirarle una testata. «Sei il motivo per cui si sono piazzati qui da quattro anni?!» Ringhiò, spingendola con rabbia contro il cumulo di rifiuti dietro di lei. «Porca puttana, Isabela!»

«Mi dispiace, va bene?!»

«Non me ne frega niente che ti dispiaccia, ti rendi conto di quante vite sono a rischio per una tua stronzata?!»

La vide rialzarsi in piedi, offesa. «Ora parli come Aveline!»

«Perché ha ragione!» La spintonò di nuovo, ma abbassò nuovamente la voce. Ucciderla in quel vicolo non la avrebbe portata da nessuna parte, in fondo. Strinse i pugni.

«Marian...»

«Marian un cazzo, Bela!» La superò con una spallata, seguendo i Qunari. «Recuperiamo quel maledetto libro e poi pensiamo ad una soluzione.»

Raggiunsero il magazzino appena in tempo per vedere un ometto pelato, dall'aria viscida e l'aspetto poco affidabile, avvicinarsi a cinque figure incappucciate, che portavano dei bastoni da mago sulle spalle. Strisciarono dietro la balaustra di legno marcio del piano superiore, attenti a non fare rumore, per avvicinarsi alle scale che portavano di sotto, dove stava avvenendo lo scambio. Non riuscirono a sentire il discorso, ma Marian vide Sam Occhiospento annuire e picchiettare con la mano su una borsa voluminosa che portava a tracolla.

Sentì Garrett incoccare una freccia, e Andrew estrarre lentamente la sua spada. Stava facendo altrettanto, preparandosi a lanciare un'aura antimagia sui maghi sotto di loro, che un gran trambusto alle loro spalle li colse di sorpresa, facendo voltare i Tevinter e Sam nella loro direzione.

«Il Tomo di Koslun non cadrà nelle mani dei Vint!»

Si ritrovarono in mezzo a due fronti: i Qunari da una parte, i maghi dall'altra. E nessuna delle due fazioni sembrava propensa al dialogo.

Marian non si fermò a verificare.

Colpì il primo Qunari, che aveva alzato un'enorme spada sopra di lei, con un fendente al petto, dandosi lo slancio dal basso verso l'alto e abbattendolo all'istante. Mentre Bu ne sbilanciava un altro, permettendo ad Andew di schivare un colpo, liberò la spada lunga con uno strattone, voltandosi su sé stessa ed evitando per un soffio una palla di fuoco.

Andrew rotolò di lato lontano, il Qunari che lo aveva attaccato ridotto ad un corpo in fiamme, e si rialzò barcollando, tuttavia riuscì comunque a neutralizzare gli incantesimi successivi.

Marian scivolò sotto la balaustra, lanciandosi di sotto e atterrando con un tonfo sordo, rotolando per attutire l'impatto. I lividi ricevuti da Karras e Montrose tornarono a farsi sentire con una serie di fitte lancinanti, ma si costrinse a rialzarsi. Una freccia colpì il mago alla sua sinistra, sbalzandolo via con un urto elettrico che fece scoppiare le vene e gli occhi dell'uomo con un una serie di schiocchi. Il cadavere fumante del mago crollò a terra, il puzzo ad invaderle le narici, ma si era già gettata sulla Tevinter alla sua destra, che aveva alzato il bastone pronta a colpire, per poi scoprire di non esserne in grado.

L'espressione atterrita sul volto della donna rimase la stessa anche dopo che la testa rotolò lontana sul pavimento coperto di polvere. Un'onda d'urto la colpì di striscio, gli ultimi tre maghi erano ricorsi alla magia del sangue: tentacoli scarlatti si alzavano attorno alle loro figure, mentre una cupa foschia li nascondeva parzialmente alla vista, vorticandogli attorno.

Due dei Qunari, che erano corsi giù dalle scale, vennero trafitti e caddero urlando, ma il terzo riuscì ad abbattere uno dei maghi prima che gli altri potessero fermarlo. Con uno schianto da far accapponare la pelle, il collo del bestione scattò all'indietro, inondando la stanza in un fiotto di sangue, la temperatura che si abbassava di colpo mentre ombre scure si sollevavano dal terreno.

Marian lanciò un'altra aura antimagia, sentendo le forze venirle meno ma stringendo i denti. Un tonfo dietro di lei, si voltò appena con la coda dell'occhio, l'ultimo Qunari aveva la spada di Andrew conficcata nel ventre. Il templare scese le scale, recuperando l'arma e fronteggiando i maghi fianco a fianco con lei. Si liberarono di uno dei due, anche grazie all'aiuto di Bu, e quando l'ultimo tevinter emise un gorgoglio strozzato e cadde a terra in preda agli spasmi, una freccia di Garrett piantata nel collo, Marian si concesse un sospiro di sollievo.

«Bela, sei riuscita a...?» Si voltò alla ricerca dell'amica ma della pirata, o dell'ometto, non c'era traccia. «Merda!»

Corse verso l'uscita principale, l'unica che i due potevano aver preso in mezzo a quello scontro, ritrovandosi all'esterno e inciampando su un cadavere proprio di fronte all'uscio. Sam Occhiospento ricambiò il suo sguardo furente con occhi vitrei, uno dei coltelli di Isabela ancora piantati nel petto.

Era andata così di corsa da non fermarsi neppure a recuperarlo.

Impotente, tenne lo sguardo sul cadavere, sentendo una furia cieca impossessarsi di lei.

L'aveva aiutata, si era fidata, e quella era scappata via con il maledetto libro lasciandoli tutti nella merda più totale.

Se mai fosse uscita da quel casino, l'avrebbe ammazzata con le sue stesse mani.

«L'hai trovata?»

Si voltò verso Andrew e Garrett, i pugni serrati al punto da lasciare il segno delle unghie sul palmo. «Se n'è andata.»

Inspirò una volta, poi di nuovo, cercando di pensare lucidamente. I Qunari non se ne sarebbero andati senza, ma forse poteva ancora ragionarci. L'Arishok sembrava averla sempre trattata con un po più di riguardo rispetto a come si rivolgeva solitamente a tutti gli abitanti della città. “Chi voglio prendere in giro, l'unico modo per farlo andare via sarebbe dargli ciò che vuole. Isabela e quel tomo del cazzo. E se scoprono che l'abbiamo protetta per tutto questo tempo...”

«Aveline ha bisogno di noi.» Riuscì a dire, riordinando le idee. «Garrett, trova Carver e i suoi Custodi, nel caso scoppiasse davvero un macello potranno farci comodo delle spade in più. Andrew, vai alla Forca e controlla che Trevelyan sia riuscito a convincere Cullen a mandarci degli uomini. In caso, pretendine il doppio, i maghi possono attendere. Bu, vai con Garrett.»

Il fratello la afferrò per un braccio. «Vuoi andare dai Qunari da sola?»

«No, ci saranno Aveline, Fenris e qualche guardia. Spiegherò all'Arishok la situazione e cercherò di mediare con Aveline, magari rimandando la questione alla fine dell'indagine. Se la guardia che hanno ucciso era davvero colpevole...»

«Aveline non cederà, lo sai. La legge è la legge.»

Si morse un labbro. «Se c'è qualcuno più cocciuto di lei, è un Qunari.»



 

Fenris e Aveline la stavano aspettando, ansiosi. L'elfo la salutò con un cenno rigido del capo, sembrava più di cattivo umore del solito, e la donna sembrava sul punto di esplodere.

«Dov'è...?»

«Se n'è andata. Dopo.» Tagliò corto Marian, scura in volto.

I due Qunari all'ingresso del campo le squadrarono con una punta di disgusto sui volti solitamente impassibili. «L'Arishok non riceve visite.»

«Temo dovrò insistere.» Ribattè Marian gelida, sostenendo i loro sguardi.

Quelli dovettero capire che non ci sarebbe stato modo di mandarli via, perché si fecero da parte per lasciarli passare. «Siete controllati, bas.»

La tensione si impossessò di lei, mentre percorrevano la via fino alla piccola piazza dove di solito l'Arishok teneva udienza dal suo scranno: i Qunari tutto attorno a loro reggevano le proprie armi, scrutandoli minacciosi, e sembrava che fossero tutti lì, in numero soverchiante, come non li aveva mai visti prima. Si sporgevano dalle balaustre degli edifici adiacenti alla strada, li seguivano con occhi torvi dagli scalini di pietra, battevano stizziti le grandi lance sul terreno al loro passaggio, mormorando parole incomprensibili in Qunlat.

«Non perdete la calma.» Sussurrò Fenris a voce bassissima.

«Non li ho mai visti così tesi.» Ribattè Marian, ma prima che l'elfo potesse risponderle, l'Arishok venne loro incontro di persona, spostando l'enorme ascia bipenne su una spalla.

«Shanedan.»

Marian ammirò il coraggio di Aveline nel pararsi di fronte a lui, gonfiando il petto e sostenendo lo sguardo del gigantesco Qunari.

«Arishokost. Maraas shokra.» Lo salutò Fenris nella sua lingua, e le due donne fecero lo stesso.

«Siamo qui per i due elfi fuggiaschi che hanno chiesto chiesto asilo qui.» Spiegò Aveline.

«Insignificante.» L'attenzione dell'Arishok si spostò su Marian, squadrandola dall'alto in basso. «Hawke, la reliquia mi è stata sottratta un'altra volta.»

Sentì un brivido freddo risalirle la spina dorsale. «So chi ce l'ha. Posso recuperarla, mi serve solo del tempo.» Non avrebbe permesso ad Isabela di farla franca, avesse pure dovuto chiedere un favore al Carta, ai maghi o ad Andraste in persona, avrebbe recuperato quel libro.

«È troppo tardi per questo.»

«Non siamo qui per parlare della reliquia o del ladro che ve l'ha sottratta, Arishok.» Si intromise Aveline, facendosi avanti. «Consegnateci i fuggitivi.»

Il Qunari la guardò come se fosse una mosca fastidiosa. «Gli elfi sono ora Viddathari. Hanno scelto di sottomettersi al Qun. Verranno protetti.»

«Hanno infranto la legge.» Ribattè Marian, correndo in aiuto dell'amica. «Credete anche voi nell'ordine, come possiamo far funzionare la città se i suoi cittadini non rispettano le leggi?»

«La vostra legge.» La corresse aspramente quello. «Ora fanno parte del Qun.»

Marian fece una smorfia. «Non vi è venuto in mente che si siano convertiti solo per scappare alla giustizia?»

«Hanno fatto la loro scelta. E non sono stati i primi, come sai. Il Qun non la nega a nessuno.»

Per un attimo, rivide Seamus accanto a sé, solo pochi giorni prima, e il sangue le ribollì nelle vene.

«Non hai mai nascosto i crimini dei vostri fanatici, né la corruzione della tua città. Hai accompagnato qui il viddathari e ne hai vendicato la morte, quando la vostra Chiesa l'ha ucciso con inganno e codardia. Tu sola tra i bas puoi capire quello che devo fare.» Fece un cenno dietro di sé, e due elfi comparvero dall'ombra. «Guardate i vostri pericolosi criminali. Parlate, viddathari: chi avete ucciso, e perché?»

Uno dei due prese la parola, sfidando Aveline. «Abbiamo provato a denunciare quella guardia, Capitano. Non ci avete voluto ascoltare.» Spostò poi lo sguardo su Marian, facendo un altro passo avanti e indicando le guardie. «Volevano proteggere quell'uomo, Ser Hawke! Con tutto quello che aveva fatto a nostra sorella, non ci hanno voluto ascoltare!»

Marian scosse la testa. «L'indagine è ancora in corso, avreste dovuto aspettare prima di prendere una decisione affrettata. Lui sarà anche colpevole, ma questo non giustifica l'omicidio.»

«Noi siamo brave persone!» Ribatté il secondo elfo. «Lavoriamo per Serah Hawke, vostro fratello! Chiedetegli pure, abbiamo sempre fatto il nostro dovere, siamo sempre stati bravi cittadini, ma quando abbiamo avuto bisogno nessuno ci ha voluti aiutare!»

«Questo non è comunque un motivo valido.» Che diritto aveva lei di dire quelle cose? Lei, che solo qualche notte prima avrebbe ucciso Petrice con le sue stesse mani, non l'avessero fermata in tempo? Se i ruoli fossero stati invertiti, e ci fosse stata lei al posto di quegli elfi, e qualcuno avesse ucciso Garrett o Carver, senza che a nessuno importasse abbastanza... Sapeva che avrebbe agito nello stesso modo, quando in ballo c'erano coloro che amava. «Devono essere processati.»

«Il loro crimine è solo un sintomo.» L'Arishok scosse la testa. «Non posso andarmene senza la reliquia, e non posso restare e rimanere legato a questa corruzione. Esiste solo una soluzione.»

Aveline cercò di fermarlo, la voce più acuta del normale. «Arishok, possiamo ancora-»

Il Qunari si limitò a sollevare la mano per zittirla. Si voltò dando loro le spalle e fece un cenno ai suoi. «Vinek kathas.»

Fu solo grazie a Fenris, che capì cosa l'Arishok avesse appena detto, che la lancia volata verso di lei si piantò nel terreno dove fino ad un attimo prima c'era il suo piede. L'elfo la spinse di lato, proprio nel momento in cui due delle guardie venivano trafitte sul posto. Aveline ne parò un'altra con il proprio scudo, e Marian si rese improvvisamente conto di essere senza armatura e senza armi pesanti. Un Qunari si gettò loro addosso, seguito da altri tre, e lei si abbassò per evitare un colpo di spada, ferendolo al costato con la daga corta e tranciandogli di netto il braccio con la spada lunga, per poi ucciderlo con un altro colpo. Fenris mulinava il suo spadone, ma altri stavano arrivando, circondandoli da ogni lato.

«Via!» Riuscì solo ad urlare Aveline, ma altre delle sue guardie erano cadute, e a loro non restò altro che darsi alla fuga per lo stretto vicolo che portava all'uscita, verso il porto. L'amica abbatté con lo scudo uno dei Qunari all'ingresso, mentre Fenris e Marian ne facevano fuori altri tre, e riuscirono così ad uscire. Delle guardie che si erano portati dietro, non era sopravvissuto nessuno.

Imboccarono di corsa le scale che portavano al distretto comune, temendo di essere inseguiti.

Quando si ritrovarono sotto un portico, che offriva un po' di protezione, Marian si fermò un attimo a tirare fiato. «Dobbiamo avvisare la Comandante e chiamare altre guardie, il Visconte-» si guardò attorno: era ormai buio, e il freddo di quei giorni teneva gran parte degli sfaccendati a casa, eppure la piazza del mercato era gremita di gente. Due guardie e un templare, vedendoli sconvolti, si avvicinarono loro con aria interrogativa.

«Tenente, Capitano, cosa-»

Delle urla di terrore dal quartiere sottostante segnalarono che la carneficina era iniziata.

«Non c'è tempo!» Urlò Marian, zittendo il templare e attirando tutta l'attenzione su di te. «Tornate a casa, tutti voi! Chiudetevi dentro, nessuno sulle strade! Voi, aiutate questa gente, i Qunari stanno attaccando. Vi manderemo rinforzi, proteggete i cittadini.»

I tre uomini sbiancarono, terrorizzati, gli sguardi che volavano alla scalinata in fondo alla piazza. «Tenente...» Il templare sembrava sul punto di farsela addosso.

Marian lo afferrò per una spalla, artigliandogli l'armatura leggera. «Siamo templari. Facciamo il nostro dovere, senza paura.» Ma il suo stesso cuore batteva all'impazzata, l'adrenalina a mille mentre cercava di infondere coraggio nell'uomo. Quello annuì, estraendo la spada e andando ad aiutare le due guardie che stavano facendo sfollare la popolazione.

«Io vado all'Enclave. Merrill potrà rendersi utile, per una volta.»

Si voltò verso Fenris. «Ci sono dei cunicoli per la città oscura. Fateli scendere tutti là sotto, se l'Enclave viene attaccato, non sono altro che catapecchie di fango e legna, non avranno possibilità.»

«Vi raggiungerò dopo.»

Scosse la testa. «No, resta con loro. È un ordine, Fenris. Noi ce la caveremo, ma loro verranno considerati sacrificabili. Hanno bisogno di te.»

L'elfo sembrava voler ribattere, ma dopo un attimo abbassò il capo. «State attente.»

Marian annuì. Ripresero a correre verso la città alta, decine di grida che echeggiavano nella notte.




























Note dell'Autrice: è finalmente iniziata, non vedevo l'ora. Il prossimo capitolo vedrà un bel po' di azione. Stay tuned! 

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Capitolo 30
*** Watch me fight like a warrior ***


CAPITOLO 30
Watch me fight like a warrior



 

Marian ed Aveline avevano raggiunto la Città Superiore, e mentre l'amica si era fiondata alla caserma a radunare quanti più uomini poteva, la templare era corsa verso la Forca ad avvisare la Comandante dell'ormai inevitabile disastro.

Prima ancora di arrivare a destinazione incrociò il Capitano Cullen, che la afferrò per un braccio, pallido in volto. «È vero quello che ci ha riferito Andrew?»

Marian si liberò dalla stretta. «Peggio, i Qunari ci stanno attaccando. Non aspettavano altro che una scusa, Capitano, la carneficina è già in corso giù al porto e probabilmente hanno ormai raggiunto il quartiere comune. Dobbiamo proteggere i cittadini.»

Fu uno dei templari più anziani, che sfoggiava un qualche cognome nobiliare, ad intromettersi. «Non possiamo lasciare la Città Superiore scoperta, e la Forca deve essere protetta...»

«La Forca sa difendersi da sola.» Ribattè secco Cullen. «Ma la Chiesa no, e le Guardie Cittadine non basteranno a proteggere sia la Somma Sacerdotessa che il Palazzo del Visconte. Dobbiamo dividerci e-»

«I Qunari attaccheranno anche la Forca, Capitano.» Lo corresse Marian, sperando che le desse ascolto. «Tra i loro obiettivi ci sarà uccidere qualsiasi mago della città, il loro culto parla chiaro. E non solo gli incantatori anziani che potrebbero riuscire a difendersi, ma anche apprendisti e bambini. Non possiamo abbandonarli.»

Dallo sguardo dell'uomo, si intuiva che non ne avrebbe particolarmente risentito, anzi, ma non poteva certo tirarsi indietro dal suo come Templare di prendersi cura del Circolo in modo così plateale, davanti a tutti i suoi uomini. «Avete ragione, Tenente. Lerner,» si rivolse al templare che aveva parlato prima «prendete dieci dei nostri e restate a guardia della Forca. Gli altri con me, alla Chiesa. Tenente Hawke, ho già mandato alcuni uomini al quartiere comune, parlate con Meredith per il resto. E indossate l'armatura, Marian.» Aggiunse, voltandole poi le spalle e ordinando ai suoi di darsi una mossa.

“Non sono così idiota” pensò risentita, ma riprese a correre verso gli alloggi. Incrociò nel cortile Ruvena, armata di tutto punto e coi nervi a fior di pelle.

«L'avevo detto che ci avrebbero attaccato!»

«Non è il momento, vieni a darmi una mano...» trascinò l'amica in camera, e con il suo aiuto in pochi minuti riuscì ad indossare l'armatura, prendendo il grande scudo pesante e due boccette di lyrium dal piccolo scrigno sul mobile. Ne aprì una, versandosene il contenuto giù per la gola e rabbrividendo all'ormai familiare scarica di adrenalina che le pervadeva le membra. Allungò l'altra a Ruvena, che dopo un attimo di esitazione fece lo stesso. Vedendola così spaventata, Marian le afferrò la mano che reggeva la boccetta. «Siamo state addestrate per cose peggiori che qualche cornuto del cazzo. Lo sai.»

L'amica annuì, ma non sembrava molto convinta. Stringeva l'arco di metallo come se stesse per spezzarlo, le nocche bianche. «Lo spero.»

Uscirono di nuovo in cortile, dove Meredith aveva ormai radunato tutti i templari rimasti e li stava smistando velocemente tramite i pochi tenenti presenti. Individuò Thrask a confabulare con il Primo Incantatore Orsino, il templare gesticolava animosamente mentre il mago sembrava teso ma in controllo della situazione. Lerner si unì a loro con i suoi uomini, iniziando a disporli per difendere la Forca e i suoi abitanti.

La Comandante mise a tacere un templare che doveva aver avuto da ridire su un ordine. «Mettin, al quartiere comune, immediatamente. Coordinerete anche le Guardie Cittadine laggiù. Ah, Tenente Hawke, eccovi finalmente.» Marian si mise sull'attenti, salutandola rigidamente. «Non c'è tempo da perdere, verrete con me al Palazzo. Orsino, prendi alcuni dei tuoi di cui possiamo fidarci, farete anche voi la vostra parte.»

Il Primo Incantatore le lanciò uno sguardo impenetrabile, ma Marian poté giurare di aver visto le orecchie dell'elfo vibrare impercettibilmente, tradendo il suo fastidio nell'essere comandato a bacchetta come un mabari.

Ruvena, accanto a lei, la seguì a ruota, e Hugh le raggiunse poco dopo, assieme ad Andrew e Trevelyan. Per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Macsen Trevelyan aveva abbandonato il suo solito sorrisetto per un'espressione tesa e cupa.

«Siete stata brava ad avvertirci in tempo, Tenente.» Si complimentò asciutta la Comandante, mentre uscivano dai cancelli. La battaglia sembrava avvicinarsi, e ormai il quartiere comune doveva essere stato invaso dai Qunari a giudicare dai fuochi che si alzavano dagli edifici in lontananza.

«Ho solo fatto il mio dovere, Comandante.» “Anche se Isabela è scappata con il tomo perché sono stata così idiota da fidarmi di lei, e ora chissà quante morti avrò sulla coscienza...” pensò mordendosi il labbro, mentre cercava di sistemarsi l'armatura in modo che non le premesse dolorosamente sul grosso livido violaceo che aveva sul fianco, gentile regalo di Montrose.

«Avresti dovuto farti dare un'occhiata...» le sussurò Hugh, che aveva notato la smorfia sul suo volto dopo una fitta particolarmente fastidiosa.

Gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Sto bene.»

Delle urla si alzarono più vicine, dalla piazza del mercato superiore. Meredith strinse i denti in una smorfia di disgusto. «Tenente, andate a controllare, poi raggiungeteci al Palazzo. Difendete la popolazione, nessuna pietà.»

«Non c'era bisogno di specificare...» Ringhiò Ruvena una volta che si furono staccati dal resto del gruppo, le armi in pugno, pronti a far piazza pulita di chiunque gli fosse capitato a tiro. Restarono loro due, Hugh, Andrew, Trevelyan e altri quattro tra cui Kelsey, promossa da appena un anno, che sembrava sul punto di svenire dalla paura, lo scudo quasi più grande di lei tenuto di fronte a sè.

Li sentirono arrivare prima ancora di vederli.

Un urlo di terrore si sollevò dall'edificio alla loro destra, mentre una figura sfocata veniva scaraventata giù dalla finestra, finendo con un tonfo sordo sull'acciottolato di pietra. La porta accanto si spalancò di colpo e ne emersero tre Qunari, ciascuno con un prigioniero sulle spalle. Le due donne gridavano, e una di loro cercò di colpire il suo assalitore con una gomitata sotto una delle corna. Riconobbe Lunette Dewine con la madre. Il fratellino si agitava furiosamente, e venne scaraventato a terra quando i bestioni si accorsero dell'arrivo dei templari.

Marian e i suoi non diedero loro tempo, caricandoli con gli scudi pesanti mentre Ruvena e un altro arciere andavano a salvare gli ostaggi, eliminando senza troppi problemi i tre Qunari.

Lunette, liberandosi dalla stretta di Ruvena, corse verso la figura che giaceva scomposta sulla strada, scossa dai singhiozzi. Marcel Dewine giaceva immobile, una spada a qualche metro da sé, sul volto ancora impressa la rabbia con la quale aveva provato a fermare i Qunari.

Marian fece qualche passo verso di lei, afferrandola saldamente per le spalle e costringendola ad alzarsi. Recuperò la spada a terra, mettendola in mano alla ragazza. «Mi dispiace, ma devi aiutare tua madre e tuo fratello, adesso. Vi accompagniamo verso la Chiesa, ma non posso promettervi che sarete al sicuro.»

Lunette si asciugò le lacrime col dorso della mano, e le restituì uno sguardo furente. «Gliela faremo pagare, Ser Marian. Non mi importa se dovrò trascinarli giù con me. Per mio padre.»

Annuì. «Andiamo allora!»

Incontrarono altri Qunari, che sembravano star radunando più ostaggi possibili per portarli da qualche parte. Salvarono ancora una dozzina di nobili, ma fu costeggiando il quartiere nanico che ebbero una piacevole sorpresa. Un paio di volte udirono delle violente esplosioni a qualche isolato di distanza, e si chiese spaventata se fosse l'esplosivo Gaatlok di cui aveva sentito parlare.

Girato un angolo, si trovarono circondati da cadaveri Qunari: uno degli sbocchi principali per la città superiore era lì accanto, e sembrava essere stato preso d'assalto dai bestioni, che tuttavia non avevano considerato una forza notevole che soggiornava per il momento a Kirkwall.

Con sgomento, Marian vide un enorme karasten, l'armatura imponente col simbolo dell'esercito impresso sui grandi spallacci, venire sbalzato via come un fuscello da un massiccio scudo a torre decorato con le ali di un grifone, alto più dell'uomo che lo impugnava.

«Loghain, respiri ancora?» Chiese il Comandante dei Custodi Grigi Adrien de Lancourt, mentre decapitava di netto un secondo Qunari apparentemente senza sforzo, troncando lo spesso collo in una fontana di sangue e lanciando uno sguardo ai compagni.

«Ci speri, eh, Orlesiano?!» Ribatté quello, finendo di liberare la propria spada dal cadavere di un Qunari e passando ad uccidere i successivi.

Una nana in armatura pesante lanciò un terribile grido di guerra, azzoppando con la sua ascia un paio di nemici alti due volte lei e finendoli con un colpo in pieno petto. Saltò giù da uno dei cadaveri, guardando i templari dalla fessura del suo elmo. «Guarda chi si vede! Hei voi, sono arrivati i rinforzi!»

Marian cercò di fare la sua parte, ma oltre ad un paio di frecce andate a segno e un Qunari già barcollante finito da Hugh, i Custodi Grigi sembravano non aver affatto bisogno di aiuto. Finito lo scontro, i cadaveri dei bestioni a terra erano almeno venti, e un'altra decina di civili corsero verso i templari, spuntando da dietro le statue dei Campioni nanici che gli abitanti del quartiere avevano fatto costruire per tutta la piazza.

Il Comandante Adrien sollevò la visiera dell'elmo. «Ah, Tenente Marian! Potete gentilmente portare queste persone al sicuro, mentre noi ci occupiamo di non far passare altri di quei bastardi?»

Annuì, ammirata. «Certamente, Comandante.» Notò con una punta di preoccupazione che Carver non era con loro.

La nana sembrò intercettare il suo sguardo, perché si tolse l'elmo per un attimo, il fiato corto, rivelando il volto interamente tatuato. «Non preoccupatevi, vostro fratello è con gli altri, Korva non permetterà che gli torcano un pelo della barba su quel suo bel visino corrucciato.»

«Sa cavarsela.» Ammise Marian, ma temeva che la situazione sotto di loro potesse essere molto peggio di quella là sopra. «Grazie, Custodi, la città vi deve un favore.»

Il Comandante Adrien fece per rispondere, ma Loghain lo precedette. «Bah, il fatto è che il nostro Comandante ha il cuore tenero, è stato lui ad insistere perché facessimo piazza pulita di questi bastardi. Dov'è finito il “non è compito dei Custodi immischiarsi nelle faccende altrui?”» Lanciò però uno sguardo soddisfatto ai cadaveri dei Qunari a terra. «Non che mi dispiaccia ci sia qualche bovino in meno, si intende.»

L'altro sospirò platealmente. «Non tutti possono essere di pietra come voi, Loghain Mac Tir.» Rispose con un accento orlesiano volutamente marcato. La sua espressione tornò poi immediatamente a farsi seria. «Andate, Tenente, qui ci pensiamo noi.»

Si posizionarono a proteggere i civili, che ormai erano diventati troppi perché potessero scortarli senza fatica. Inevitabilmente, finirono per procedere troppo lentamente, facile preda del successivo nutrito gruppo di Qunari che riuscì ad accerchiarli a solo un paio di isolati dalla Chiesa.

Si resero conto dei Saarebas vicini quando il Velo iniziò a tremare violentemente, mentre i Qunari forzavano l'energia magica a fluire con forza animalesca, priva della raffinatezza tipica dei maghi del sud, liberandola in un'esplosione che i templari riuscirono a disperdere senza sforzo. Il boato echeggiò in lontananza, innocuo, e numerosi Qunari spuntarono da dietro i palazzi che stavano costeggiando. Erano tanti, troppi per lo sparuto gruppo che Marian guidava.

«Basvaarad, non potete vincere.» Parlò loro un Qunari dalle lunga corna ricurve ricoperte di scaglie metalliche, la corazza e un grosso scettro di metallo dorato stretto in mano ad identificarlo come un Arvaarad. I quattro Saarebas erano immobili sotto le catene e i grandi elmi che gli imprigionavano il capo, in attesa di un suo ordine. «Deponete le armi e vi daremo una morte onorevole.»

Marian per tutta risposta sollevò lo scudo davanti a sé, lanciandogli un gesto di sfida e frapponendosi tra lui e i civili.

Quello non si scompose. Parlò di nuovo, questa volta in Qunlat, e tutti i Qunari si scagliarono contro il piccolo gruppo come un solo essere, in perfetta armonia.

Fu uno scontro violento.

Si lasciò sfuggire un ringhio di dolore quando una lancia le graffiò l'armatura, il metallo che sfregava contro la pelle già lesionata del fianco. Calò lo scudo con forza, rompendo il legno dell'arma nemica per poi rialzarlo con una spallata dal basso e cozzare violentemente contro il mento del Qunari che l'aveva attaccata, facendolo barcollare all'indietro e permettendole di trafiggerlo con la spada. Tornò subito a ripararsi con lo scudo, indietreggiando di un passo per evitare che un'altra lancia si infilasse oltre la sua guardia per colpire Ruvena, dietro di lei, che bersagliava con precisione tutti quelli che aveva a tiro.

Un grido strozzato la fece voltare giusto in tempo per vedere uno dei suoi uomini cadere a terra, la grande ascia di un Qunari piantata a fondo nel pettorale dell'armatura pesante come fosse stato di burro. Il bestione liberò l'arma con uno strattone, mulinandola contro due ragazzini che strillarono terrorizzati, scattando in avanti e rompendo ciò che restava della formazione che proteggeva il resto dei civili. Il Qunari sollevò l'ascia, mirando al più grande, e Marian si rese conto di essere troppo lontana. Una lancia si abbattè contro il suo scudo, costringendola ad occuparsi di due avversari che le erano ormai addosso.

Ne decapitò uno, per poi colpire al fianco l'altro e sollevare lo scudo, sentendo già entrare in azione l'energia magica del Saarebas più vicino. Si concentrò serrando i denti, rilasciando una nuova aura antimagia per evitare che venissero tutti spazzati via. Vide i due ragazzini venire abbattuti da un Qunari che non li degnò di un secondo sguardo, volgendo la sua attenzione ad una donna che urlava cercando di fuggire e allungando una mano per afferrarla.

L'arto cadde a terra con uno schizzo di sangue che imbrattò lo scudo del templare paratoglisi davanti. Trevelyan sollevò di nuovo la sua spada e la conficcò in profondità nel costato del Qunari, liberandola facendolo cadere con un colpo di scudo e fiondandosi a proteggere la donna da una lancia, che rimbalzò sul metallo con un clangore assordante. «Andrew!»

L'amico era subito dietro. Lo superò con uno scatto, caricando di peso l'Arvaarad e costringendolo ad indietreggiare. Uno dei due Saarebas superstiti si frappose tra loro, accusando il colpo al posto del suo comandante, e crollando a terra senza emettere un suono.

Andrew fu sbalzato all'indietro da un potente colpo di ascia, che gli spazzò via lo scudo e lo fece rotolare di un paio di metri sull'acciottolato ghiacciato. Trevelyan corse a proteggere l'amico dall'attacco successivo, ma non riuscì a far altro che tenere sollevato lo scudo sotto una raffica di colpi, il metallo che si incrinava sempre di più, incitando l'altro a rialzarsi.

Marian scattò in loro soccorso senza pensarci un attimo, sperando che Ruvena riuscisse a cavarsela da sola per qualche attimo. Colpì da dietro l'Arvaarad, dove l'armatura lasciava una fessura tra le scapole, infilzando il Qunari con tutta la forza che aveva in corpo.

Quello si voltò e cercò di colpirla a sua volta, ma ottenne solo di caracollare all'indietro, trascinandola con sé.

Liberò a fatica la spada e sollevò lo scudo per permettere ai due templari più giovani di rialzarsi. Altri due templari erano a terra, e Hugh zoppicava vistosamente, un rivolo di sangue che sbucava da dietro i gambali. Ruvena aveva il fiatone ma incoccava e tirava senza sosta, e riuscì finalmente ad uccidere l'ultimo Saarebas con tre frecce nell'addome, superando l'armatura leggera che indossava.

Kelsey, la giovane templare che l'aveva seguita, ormai riusciva a stento a reggere lo scudo, la spada che pendeva verso il basso, gli occhi sgranati dal terrore.

Dei civili, quattro erano per terra in una pozza di sangue, gli altri si erano schiacciati gli uni agli altri e tremavano incontrollabilmente, proteggendosi con le braccia alzate dai Qunari che stavano accerchiando il piccolo gruppo di templari rimasti. Lunette Dewine si ergeva di fronte a loro sul cadavere di un Qunari con una freccia piantata nella gamba e uno squarcio aperto nel ventre, la spada del padre stretta in mano grondante di sangue e un'espressione feroce sul volto che Marian non si sarebbe mai aspettata di vedere.

Marian, Andrew e Trevelyan si strinsero al resto del gruppo, le armi sollevate.

Restavano altri sette Qunari.

Stava per dare l'ordine di attaccarli, quando qualcuno sorprese i loro nemici alle spalle. Uno scalpiccio di stivali ferrati contro l'acciottolato, e un nutrito gruppo di Guardie Cittadine fece la sua comparsa, Aveline in testa.

I Qunari, presi alla sprovvista, caddero sotto il fuoco incrociato in breve tempo.

«Stai bene?» Le chiese l'amica, indicandole il fianco.

Marian annuì, passandosi una mano sull'armatura, ma con sgomento la ritirò appiccicosa. Si guardò le dita sporche di sangue, la corazza doveva aver ceduto sotto la lancia che credeva l'avesse solo sfiorata. Strinse i denti. «È solo un graffio.»

«Marian!»

Sebastian, l'armatura ammaccata ma apparentemente incolume, corse verso di lei guardandola preoccupato. «Stai sanguinando.»

«Non c'è tempo, portateli alla Chiesa.» Lo interruppe, indicando con un cenno del capo i civili dietro di lei. «Stanno radunando tutti quelli che riescono a prendere verso il Palazzo del Visconte. La Comandante dovrebbe essere già lì se non li hanno fermati, dobbiamo raggiungerla.»

L'uomo esitò un attimo. «Potrei aiutare.»

Scosse il capo. «Proteggi loro, ne hanno più bisogno.» Cercò di stamparsi in faccia un'espressione rassicurante, raddrizzandosi come meglio poteva nonostante il dolore pulsante che le attanagliava ora il fianco.

Sebastian sembrava voler ribattere, ma alla fine si limitò a frugare nella sacca che portava alla cintura, estraendone un barattolo di legno lucido. «Mettiti questa, fermerà l'emorragia.» La aprì rivelandone una pomata giallognola. Marian sganciò due lacci dell'armatura e sollevò la giacca inzuppata di sangue mentre lui si toglieva i guanti, permettendogli di aiutarla a spalmarle la pomata sulla ferita dopo averla ripulita alla bell'e meglio. Prima che potesse riallacciare la corazza, Sebastian vi premette contro un fazzoletto di stoffa chiara, incastrandolo sotto la giacca della donna in modo che lo sfregamento non portasse via tutto l'unguento.

Sapeva che non era il momento, ma si sentì arrossire. «Grazie.»

L'uomo annuì, serio. «Che il Creatore ti protegga. Tutti voi.» Aggiunse frettolosamente, distogliendo lo sguardo e seguendo Aveline e le sue Guardie Cittadine, che stavano già scortando i civili verso la Chiesa.

Marian lanciò un'occhiata verso i compagni a terra, per poi voltarsi in direzione del Palazzo del Visconte, che sbucava in lontananza dietro una decina di altri edifici costruiti più in basso.

Accanto a lei, i suoi uomini aspettavano solo il suo ordine.

«Andiamo.»




 

 

L'Enclave era nel caos.

Garrett incoccò un'altra freccia, sapendo che presto sarebbe rimasto a secco. Il Qunari, colpito proprio sotto il grosso palco di corna, accusò il colpo con un ruggito, volgendo la grossa testa contro di lui con uno sguardo omicida. Attinse al mana, richiamando a sé l'energia e sbalzandolo via di parecchi metri con una scarica elettrica che richiamò l'attenzione di almeno una mezza dozzina di altri bestioni.

«Bas saarebas!»

“Oh, merda.” Non fosse stato per un enorme pugno roccioso, che abbattè al suolo due di loro, e l'intervento di un Carver piuttosto incazzato, se la sarebbe vista brutta. Anche Bu dava una mano, seminando confusione tra i Qunari che non avevano mai visto un mastino da guerra fereldiano.

«Possibile che non ci sia un attimo di pace?!» Gli urlò il fratello mentre cercava di liberare a strattoni il suo spadone conficcato nel cranio cornuto di un Qunari.

Garrett rise, spendendo lontani altri due nemici proiettando davanti a sé un'onda elettrica.«A quanto pare, qualcuno non voleva farti finire il tuo appuntamento romantico!»

Vide il fratello arrossire nonostante la situazione, ma altri bestioni erano spuntati dalla cima delle scale calando su di loro urlando frasi nella loro lingua cruda, e così ogni conversazione venne troncata. Merrill, il volto corrucciato sotto il vallaslin, cercava di mettere al riparo più elfi possibile, tenendo lontani gli aggressori con una tenacia ferrea.

Garrett sentì un fremito nel Velo, rendendosi conto dell'arrivo di un altro mago. La palla di fuoco li avrebbe spazzati via, non fosse rimbalzata contro una barriera protettiva spuntata dal nulla.

«Sembra sia arrivato appena in tempo!»

Non era mai stato così felice di vedere Anders.

“Beh, d'accordo, magari un paio di volte sì...”, pensò ringraziando il mago con un sorriso riconoscente. «Temevi di perderti la festa, eh!»

Si voltarono a fronteggiare il mago Qunari e altri tre bestioni armati fino ai denti. Il Saarebas si teneva lontano dai loro colpi, e i pochi incantesimi che riuscivano a lanciargli contro rimbalzavano quasi senza effetto sulla sua barriera, ma riuscirono a liberarsi dei tre soldati.

Quando tutti e quattro si voltarono a fronteggiare il Saarebas, con l'idea di accerchiarlo, quello emise un sussulto, l'energia attorno ad esso che si dissipava in uno sbuffo.

«Non è decisamente la mia giornata.» Grugnì Fenris, ritraendo lo spadone dal petto del Qunari, che collassò a terra senza vita. Rivolse uno sguardo accigliato ad Anders, il quale ricambiò il sentimento abbassando tuttavia di poco il bastone. Per il momento, sembravano aver vinto.

«Non è mai la tua giornata, musone.» Ribattè Garrett, accovacciandosi a recuperare una freccia che gli sembrava ancora in buono stato. Il problema di usare la magia, era che di solito le frecce esplodevano con l'obbiettivo colpito. «Ne deduco che i negoziati di mia sorella siano andati male?»

«Perspicace.»

Sospirò. «Beh, era da un po' che speravo di fare il culo a qualcuno di questi stronzi. Certo, avrei preferito che non fossero loro a fare la prima mossa.» Non aveva dimenticato le parole di Adaar sul Qun, nè il fatto che tutti loro vedessero i maghi come niente più di bestie pericolose da assoggettare al loro controllo, facendo assomigliare persino i Templari più spiegati a degli agnellini.

«Dobbiamo raggiungere il Comandante.» Disse Carver, controllando che Merrill stesse bene. L'elfa non sembrava ferita, ma aveva il respiro corto. «I Custodi ci daranno una mano.»

L'elfa scosse la testa. «Io resto qui, devo proteggerli.»

«Merrill-»

«Carver, sono la mia gente. Non posso abbandonarli.» Lo fermò lei. «Scopriranno che ci sono ancora elfi in grado di tenergli testa.» Il tono era stranamente feroce e sicuro di sé. A Garrett non sfuggì il luccichio del pugnale che l'elfa teneva alla cintola.

Fenris le rivolse uno sguardo ostile, ma persino lui doveva rendersi conto che era il momento di collaborare. «Portiamo tutti nella Città Oscura, saranno più facili da proteggere.»

«La Coterie e il Carta controllano i bassifondi, non li lasceranno passare.» Annuì Anders, sciogliendosi i capelli per poi legarli meglio in un codino.

Garrett gli si avvicinò, consapevole di stargli per chiedere molto. «Dovresti andare con loro.»

«Sei matto?!» Il guaritore sgranò gli occhi, scuotendo il capo. «Non se ne parla, avete bisogno di-»

«C'è la Clinica di mezzo, e tutta quella gente ha bisogno di qualcuno che li tenga in vita. Merrill da sola non può farcela, lo sai anche tu.»

Anders ebbe un fremito. Gli afferrò la spalla, quasi artigliandogliela. «Non ho intenzione di lasciarti ad affrontare queste bestie da solo.»

Garrett posò una mano sulla guancia del compagno. «Sarò coi Custodi Grigi, non c'è nessuno più in gamba di loro. Lo sai.» Cercò di sorridere, ma il nodo alla gola sembrava strangolarlo.

Anders mise la mano sulla sua, stringendola. «Torna da me.» Gli diede un rapido bacio, e Garrett sentì subito gli effetti dell'incantesimo di cura a infondergli nuove forze.

Gli fece l'occhiolino. «Ovviamente.»

Incrociò lo sguardo di Carver, che sbuffò platealmente di fronte a quella dimostrazione di affetto nauseante. «Andiamo o no?»

«Sai, se fossi un po' più gentile forse-»

Non fece in tempo a finire la frase, che l'elfa si alzò sulle punte dei piedi, tirando Carver a sé e stampandogli un bacio sulle labbra. «Andruil ma ghilana, vhenan.» Gli rivolse un sorriso, prima di dargli le spalle e chiamare a sé gli elfi dell'Enclave, pronta a guidarli verso la sicurezza, seguita da Anders e Fenris che si tenevano a debita distanza l'uno dagli altri.

I due Hawke si diressero di corsa verso il quartiere comune dove speravano avrebbero trovato i Custodi, non senza un'occhiata di sottecchi di Garrett al fratello, che lo ignorò smaccatamente voltandosi dalla parte opposta. Alcuni edifici erano in fiamme e più volte vennero costretti a prendere una deviazione tra gli stretti vicoli labirintici. Il calore scioglieva la neve e il ghiaccio che coprivano la città, rendendo alcuni tratti di strada quasi impraticabili per via del fango e dei detriti.

Un'esplosione li fece appiattire contro un muro, mentre metà della piazza di fronte all'Impiccato esplodeva con violenza. Bu tirò le orecchie indietro, infastidita dal forte rumore.

Una risata conosciuta si levò sopra il fracasso, seguita da un fischio di approvazione.

Varric sventolò Bianca nella loro direzione, dietro di lui tre Custodi li salutarono con un cenno. «Scheggia, Junior, sapevo che ci voleva un po' più di qualche cornuto per farvi a fette!»

«Hai visto che bomba?!» Esclamò il nano Custode Grigio dai folti baffi rossi, dando una pacca di benvenuto a Carver.

«Oghren, non mi pare il momento di esaltarsi tanto.» Lo rimbeccò l'elfa minuta dai capelli corvini, spolverandosi l'armatura leggera e scrutando torva la piazza davanti a loro, il bastone magico stretto in pugno. «Ne arriveranno altri.»

«Il loro obiettivo è la Città Alta.» Commentò l'arciere dal naso adunco, corrucciato. «Il Comandante è lì, dobbiamo raggiungerlo.»

«E lasciamo scoperto l'intero distretto?»

«Korva...»

L'elfa sbattè il bastone sul terreno, provocando una pioggia di scintille. «Il Comandante è con Sigrun e Loghain, nemmeno i Qunari sono così stupidi da pensare di poterli far fuori.»

L'arciere provò a ribattere, ma un nutrito gruppo di Qunari spuntò da un vicolo alla loro sinistra. «Dobbiamo sperare che sia così...» Commentò cupo, incoccando una freccia.

L'elfa non rispose, ma mulinò il bastone sopra la testa. Con sgomento, Garrett sentì la terra sotto i loro piedi tremare e sollevarsi attorno a lei, fino a ricoprirla completamente e alzandola di un paio di metri da terra. Solo gli occhi si intravedevano sotto l'enorme costrutto alto almeno tre metri, e il volto di pietra si aprì in quello che assomigliava ad un sorriso feroce prima di caricare di peso i Qunari e spazzarli via come bambole di pezza.

«Ah, che caratterino...» Commentò il nano, prima di scattare di corsa anche lui sollevando la grande ascia sulla testa e piantarla con maestria nel ginocchio del Qunari più vicino.

Garrett si sentì di troppo. «Qui sembra che se la cavino. Carver, che vuoi fare?»

Il fratello esitò un attimo. «Resto qui, Korva ha ragione, il Comandante e gli altri tre non hanno bisogno del mio aiuto. E il quartiere comune è più scoperto della Città Superiore.»

Annuì. «Cerca di non morire.»

Carver gli rivolse un'occhiata annoiata. «Per noi Custodi, questo è solo un altro martedì.»

Stava per mandarlo affanculo, quando Varric gli diede una pacca sul braccio. «Andiamo Scheggia, lasciamo la gloria agli eroi.»

Salendo i gradini della grande scalinata che portava all'accesso principale della Città Alta, si resero conto che ormai le urla che provenivano da lassù erano tante quanto quelle che venivano dal basso.

Strinse i denti per la rabbia. «Sono ovunque.»

«Ma ci sono anche Templari, Guardie Cittadine e chissà, forse Meredith ha pure dato un'ora d'aria ai maghi per aiutarci in questo casino. È il quartiere più protetto.»

Un Qunari dall'altra parte della strada stava trascinando per una gamba una signora riccamente vestita, che urlava in preda al panico. Quando quella si attaccò ad una colonna del portico di pietra, il bestione la guardò come se fosse una grande scocciatura, strappandola di peso dall'appiglio e caricandosela su una spalla.

«Dicevi?» Commentò Garrett, incoccando una freccia e contando che gliene rimanevano appena una dozzina. Non era proprio giornata.

La sua freccia si piantò nella gamba del Qunari, che si voltò a guardarli lasciando cadere la donna a terra, che strisciò via e si rimise in piedi barcollando fuggendo poi in un vicolo laterale.

Prima che quello riuscisse a caricarli, però, venne sbalzato via da un incantesimo alle spalle, che lo sollevò da terra imprigionandolo in una colonna di ghiaccio, che andò poi in mille pezzi facendo fare lo stesso al corpo intrappolato al suo interno. Riconobbe la figura di Adaar che si avvicinava, lanciando uno sguardo carico di odio e disprezzo al cadavere prima di portarlo su di lui.

«Hawke.»

Altri Qunari comparvero alle loro spalle. Non gli sfuggì come molti di loro portassero dei prigionieri sulle spalle, che lasciarono cadere a terra nel momento in cui videro la Tal-Vashot troneggiare sul loro compagno caduto.

Quella si voltò verso di loro, impassibile, aspettando che entrassero nel suo raggio d'azione, il grande maglio da guerra che brillava minaccioso.

Vennero sbalzati via da una muraglia di ghiaccio, e subito dopo vi fu un'esplosione alle loro spalle, che scaraventò pezzi di corpi tutto attorno. Stök Cadash, il nano del Carta, parve spuntare dal nulla, accarezzandosi i baffi compiaciuto. «La nuova formula sembra funzionare bene... che ne pensi?»

Adaar scosse leggermente la testa. «Si può fare di meglio.»

Cadash sospirò affranto. «Sei un pubblico difficile.»

«Sei ancora lontano dal Gaatlok.»

«Ah, prima o poi ci arriverò!» Si voltò poi verso di loro, soppesandoli. «Questi bastardi cornuti, senza offesa amica mia, stanno radunando tutti quelli che riescono ad acciuffare per portarli nel Palazzo del Visconte.» Indicò con lo sguardo tre cadaveri a terra, le armature della Guardia Cittadina sporche si sangue ancora fresco. «Non ci metteranno molto a rastrellare la città.»

«Come mai siete qui sopra?» Chiese Garrett.

Cadash si strinse nelle spalle. «Chiedilo a lei.»

Gli occhi viola di Adaar brillavano, mentre si apriva in un accenno di sorriso, sembrando ancora più minacciosa. «Ho un conto da saldare.»

Si scambiò uno sguardo con Varric. «Beh, continua così. Ma stai attenta ai Templari.»

«I vostri Basvaarad non mi fanno paura.»

Lasciarono la strana coppia a fare piazza pulita di qualsiasi incauto Qunari gli finisse addosso, proseguendo verso il palazzo. Le strade erano deserte, fatta eccezione dei molti cadaveri a terra, alcune delle case erano in fiamme, tutte avevano i portoni divelti. Le urla erano ormai sporadiche.

Sentirono parecchi passi avvicinarsi nella loro direzione, e svoltarono dietro ad un edificio elegante, le finestre distrutte e la porta scardinata che giaceva nel vialetto d'ingresso. Un grido soffocato li colse di sorpresa, facendoli sobbalzare. Aguzzando lo sguardo, nella siepe, Garrett notò uno straccio infangato che doveva essere velluto rosso.

«Serah Hawke!»

Miranda Selbrech aveva il volto rigato di lacrime, il vestito strappato in più punti e sporco di terra. Aveva perso una scarpa, e le calze di lana erano strappate sopra la caviglia e zuppe di sangue.

Si chinò su di lei, facendole segno di tacere mentre esaminava la ferita della ragazza. Non sembrava grave, poteva probabilmente camminare anche se non correre.

Quella tirò su col naso e sgusciò faticosamente fuori dalla siepe, i rami che le graffiavano le braccia e le vesti, aggrappandosi poi a lui per non cadere. «James... l'hanno portato via, li ha affrontati per farmi scappare.» Singhiozzò, tremava come una foglia. «Lo uccideranno?»

«Sembra che per ora vogliano solo fare prigionieri.» Si limitò a rispondere con un sussurro. La verità era che probabilmente sarebbero morti tutti, o peggio, ma non voleva che scoppiasse a piangere attirando l'attenzione su di loro. «I tuoi? Erano coi Selwyn?»

La ragazza annuì. «Hanno preso tutti, i miei genitori, i suoi... persino le gemelle.»

«Andrò a recuperarli, ma ora è molto importante che tu non faccia rumore.» Si sporse oltre la siepe: una mezza dozzina di Qunari marciava lungo la strada principale, portando con sé altri prigionieri. Uno di essi provò a fuggire, ma non riuscì a fare che pochi metri prima di essere inchiodato al suolo da una delle lunghe lance. Aspettò che se ne andassero, maledicendo la propria impotenza. «Torna in casa e nasconditi, sono già passati di qui e non hanno motivo di tornare. Infilati in cantina e resta lì più a lungo che puoi, non uscire per nessun motivo. Ce la fai ad arrivarci?»

La ragazza esitò un attimo, poi si puntellò sulla gamba sana, facendo qualche passo zoppicante. «Sì, credo di sì.»

«Vai allora, ti copro le spalle.» Incoccò una freccia, mentre Varric al suo fianco faceva lo stesso. Bu era un fascio di nervi, ma come ogni mabari ben addestrato non emise nemmeno un suono.

Una volta che si fu assicurato che Myranda fosse al sicuro, osò ritornare sulla strada principale. Svoltarono a destra, proseguendo verso il palazzo del Visconte senza incontrare più anima viva, cercando di arrivare dal retro.

Davanti a loro, si sentivano delle deboli esplosioni. Poteva avvertire il Velo vibrare e pulsare.

Ne scoprì presto il motivo.

Un gruppetto di maghi, capitanato da un elfo anziano in abiti eleganti ora rovinati dalla battaglia, teneva testa ad un nutrito manipolo di Qunari in evidente difficoltà.

Garrett e Varric diedero una mano, bersagliandoli di frecce finché non restarono quasi a secco. Un bestione particolarmente grosso con un'armatura appariscente si si scagliò contro uno dei maghi e Garrett, che era lì vicino, non ci mise un attimo a decidere cosa fare: raccolse il mana attorno a sé e con una potente scarica elettrica lo spedì lontano, uno squarcio fumante nel costato.

«Serah Hawke?!» Gli chiese il ragazzo che aveva salvato, dopo che ebbero vinto lo scontro.

Annuì col capo, gli pareva di averlo già incontrato da qualche parte. «Già. Vi conosco?»

Quello si aprì in un sorriso stanco. «Conosco vostra sorella, Ser Marian! Io sono Alain, e questi-» Riconobbe finalmente il volto dell'altro, l'aveva incontrato anni prima in una grotta sulla costa, era tra i maghi fuggiaschi di Starkhaven che lui e Anders avevano provato a liberare...

«Garrett Hawke.» L'elfo anziano gli si avvicinò zittendo con una mano l'altro mago. «Non immaginavo che la Tenente nascondesse un tale segreto.»

Si sentì sprofondare.

«Eppure,» proseguì l'elfo «vi sono grato per aver salvato Alain. Io sono il Primo Incantatore Orsino.» Gli tese la mano, che Garrett afferrò senza esitare. Aveva una stretta forte, a dispetto della fragile apparenza, e molto risoluta.

«Dobbiamo entrare lì dentro.» Gli disse, indicando con un cenno il palazzo.

«Non sarà facile, ma sì. La Comandante Meredith sta tentando un approccio più... diretto alla porta principale, attirando la maggior parte dell'attenzione su di sé e i propri uomini. Immagino che vostra sorella sia con loro. Vi è un ingresso di servizio invece, proprio dietro quel muro.»

Non erano nemmeno a metà del vialetto, quando sentirono delle urla dietro di loro. Si voltarono per vedere altri Qunari mulinare le loro armi, tra essi anche qualche Saarebas.

«Non ci faranno prigionieri, combattete con tutto quello che avete!» Urlò Orsino, fronteggiando gli aggressori. «Hawke, andate avanti!»

Ruppe la porta con un incantesimo, la battaglia dietro di sè che infuriava violenta, e sgusciò dentro, ritrovandosi in una delle stanze adiacenti al chiostro.

Nell'edificio gravava un silenzio pesante, l'odore di cenere dell'esterno era più debole ma prevaleva quello dei cadaveri a terra, il sangue a macchiare la neve bianca e i pavimenti lucidi. Varric ricaricò di nuovo Bianca, facendogli cenno di proseguire con cautela.

Bu, accanto a sé, scoprì i denti. Era coperta di sangue nemico, aveva un orecchio che pendeva floscio e zoppicava leggermente, ma non sembrava grave. Si accovacciò ad accarezzarla per un attimo, controllandole le ferite. Avrebbe voluto essere in grado come Anders di curarla, anche solo un poco, ma dovette limitarsi a darle un buffetto affettuoso sul fianco.

Gli unici rumori provenivano dalla sala del trono, poteva vedere la vetrata che si affacciava sul chiostro, dritto di fronte a loro. Era stato qualche volta a palazzo, e ricordava ci fosse una scalinata laterale per il primo piano, non ci misero molto a trovarla.

Salirono cautamente i gradini, uno dopo l'altro, l'arco stretto in mano, solo tre frecce al suo interno. Dal clangore metallico che rimbombava in lontananza, qualcuno stava combattendo.

Percorse un corridoio, trovandosi di fronte due Qunari che gli davano le spalle: sembravano occupati a guardare qualcosa all'interno della sala. Immaginò fosse il combattimento in corso.

Incoccò una freccia, mirando ad una delle due guardie. Nel momento stesso in cui quello cadeva riverso, l'impennaggio a spuntargli dal collo, l'altro veniva colpito con precisione da Varric, crollando a terra senza emettere che un gorgoglio soffocato.

Lo scontro all'interno della sala doveva essere qualcosa di grosso, perché nessuno pareva essersi accorto di loro o dei due Qunari appena morti.




















Note dell'Autrice: questo capitolo è stato bello impegnativo da scrivere, ma credo di aver dato il giusto spazio a tutti nel caos in cui si è trasformata Kirkwall nel giro di pochi minuti. Lo scontro con l'Arishok è imminente! Bonus per Carver e Merrill che combinano finalmente cose (la frase che lei gli dice prima di salutarlo significa "che Anduril ti protegga, mio amore"). Alla prossima! :D 

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Capitolo 31
*** Watch me rise up like a Champion ***


CAPITOLO 31
Watch me rise up like a Champion



 

Quando raggiunsero finalmente la Comandante Meredith e il resto delle forze templari, trovarono la donna a discutere animatamente con il Primo Incantatore Orsino.

«Non possiamo perderci in chiacchiere, dobbiamo attaccare il Palazzo e trovare il Visconte.»

«Ho già perso la metà dei miei, Comandante, un attacco frontale non è l'unica soluzione.»

Meredith Stannard rivolse al mago uno sguardo di sufficienza misto ad un ben poco velato disprezzo, indicando i cadaveri di una mezza dozzina di maghi a terra poco lontano, circondati da un numero almeno triplo di Qunari e soltanto due templari. «Vi avevo detto di portare con voi i migliori. Hanno fatto la loro parte.»

Orsino resse il confronto limitandosi ad assottigliare le palpebre, ma Marian non lo aveva mai visto così arrabbiato in anni alla Forca. «Non mi preoccupa aiutare a salvare la nostra città, Comandante, ma seguire i vostri ordini dritti al macello!»

«Comandante, scusate il ritardo.» Si intromise prima che Meredith potesse rispondere al Primo Incantatore. «Abbiamo incontrato parecchia resistenza, ma siamo riusciti a portare alcuni civili sani e salvi alla Chiesa, la Guardia Cittadina ha il controllo dell'edificio. Immagino che il Capitano Cullen stia proteggendo la Somma Sacerdotessa di persona assieme ai suoi, perché non l'abbiamo visto.»

Non le sfuggirono i cinque cadaveri davanti al portone d'ingresso del Palazzo del Visconte: erano uomini di Aveline, uno era ancora tenuto inchiodato al muro dalla grossa lancia che l'aveva ucciso.

«Ottimo lavoro, Tenente. Sì, il Capitano ha ricevuto ordine di proteggere la Chiesa, non ho dubbi che questi bovini troveranno pane per i loro denti. Ma ora dobbiamo entrare nel Palazzo e salvare il Visconte, prima che sia troppo tardi.»

«Ripeto che potremmo provare un approccio meno-»

«Seguirete i miei ordini, Primo Incantatore, la questione è chiusa!» Sbraitò Meredith in tono che non ammetteva repliche.

L'elfo arricciò le labbra sottili, la punta delle orecchie che vibrava impercettibilmente. «Mi permetto di dissentire. So quali sono le capacità dei miei, e come sfruttarle al meglio. E non è-»

«Il Primo Incantatore non ha tutti i torti, Comandante.» Si intromise Marian, un'idea a farsi strada nella sua mente. «I maghi non sono equipaggiati per il combattimento in mischia, e per noi non è un problema gestire un attacco frontale al Palazzo anche senza il loro supporto.»

Meredith la scrutò torva. «Cosa avete in mente, tenente Hawke?»

«Noi attiriamo la loro attenzione qui, sperando di toglierli dal resto della Città Superiore e magari addirittura di farne uscire alcuni dal Palazzo. Nel mentre, il Primo Incantatore e il resto dei maghi possono passare dal retro. Ci sarà meno resistenza, potranno infiltrarsi nel palazzo e seminare il caos, i Qunari non sanno gestire la magia. Li attaccheremo su due fronti, costringendoli ad allentare la presa sugli ostaggi per cercare di fermarci.»

Le narici della Comandante si allargarono in uno sbuffo. «Non è una cattiva idea, sempre che i maghi ne siano in grado, ovviamente. Orsino?»

L'elfo ci pensò un attimo, poi annuì gravemente. «Lo siamo.»

«Allora andate, ma non avvicinatevi agli ostaggi. Non sappiamo come potrebbero reagire i Qunari, quel che è certo è che sembrano temere la vostra magia più di quanto non temano qualsiasi altra cosa, e possiamo usarlo a nostro favore. Pur di uccidere voi, si distrarranno dagli ostaggi.»

Marian deglutì, sperando di non aver appena mandato Orsino e i suoi incontro a morte certa. Incrociò lo sguardo di Alain: il ragazzo stringeva il suo bastone magico come se potesse arrivare da un momento all'altro una folata di vento a strapparglielo dalle mani.

«Mentre voi, Tenente.» Riportò immediatamente l'attenzione su Meredith, che la scrutava con un cipiglio severo. «Appena saremo riusciti a farci largo tra il grosso delle loro forze, prenderete un piccolo manipolo di uomini ed entrerete nel Palazzo. La vostra priorità sarà salvare il Visconte, a qualunque costo.»

Annuì. «Sì Comandante.»

Ruvena, Hugh, Andrew e Trevelyan si spostarono impercettibilmente verso di lei. Fece loro un cenno affermativo, cercando di non pensare a quanto le bruciasse il fianco, a quanti Qunari si trovassero all'interno dell'edificio o al numero di ostaggi che avrebbero dovuto ignorare per salvare la vita di una sola persona. Serrò la mascella. Capiva l'importanza del Visconte, ma l'idea di dover sacrificare qualcun altro solo per una testa coronata le dava il voltastomaco, soprattutto dopo tutto quello che era successo tra Seamus e il padre. Era anche colpa di Dumar se si trovavano in quella situazione. “Ma mai quanto quella stronza bugiarda...” Scosse la testa, allontanando il pensiero. Non era il momento.

Mentre Orsino e il resto dei maghi svoltava a sinistra in una strada laterale, la Comandante li guidò attraverso l'imponente colonnato che portava all'ingresso principale del Palazzo.

I cancelli erano stati abbattuti, le guardie che avevano cercato inutilmente di resistere ancora schiacciate sotto le pesanti grate di metallo, il sangue cristallizzato sulla neve scarlatta.

I Qunari li stavano aspettando.

Erano più di una ventina di grossi bestioni in armatura, tra cui Marian riconobbe tre Karasten, l'equivalente di un ufficiale dell'esercito, e tre Saarebas, le cui catene tintinnarono all'unisono appena il loro Arvaarad mosse un braccio verso i Templari. Aspettavano pazienti che i nuovi arrivati si scagliassero contro di loro, ben consci che il tempo fosse dalla loro parte.

Per quanto fossero ben organizzati i Qunari, però, la Comandante Meredith aveva alcuni dei suoi uomini e donne migliori con sé: per prima cosa, neutralizzarono i maghi incatenati, poi si scagliarono con forza contro i soldati.

Il cozzare delle armi, le grida di guerra e le urla dei feriti, il sangue che pompava nelle orecchie e gli ordini dei comandanti dei due schieramenti si fusero in una cacofonia che la faceva sentire viva, ogni colpo sferrato era subito seguito da un altro, parata, contrattacco, colpo di scudo, un passo avanti, parata, affondo, un altro passo avanti, e così si ritrovò a solo pochi metri dal portone di legno parzialmente sfondato, a separarla dalla meta solo uno dei Karasten.

Al suo fianco, Ruvena scagliò una freccia, seminascosta dietro lo scudo di Hugh, colpendo il Qunari ad una spalla. Quello puntò verso di loro, sferrando un colpo in pieno petto con l'ascia al templare con cui stava combattendo e spedendolo contro una delle colonne in un clangore di metallo contro marmo, e avanzò deciso. Con una mano afferrò l'asta della freccia, spezzandola con un movimento secco e gettando a terra l'impennaggio con aria di sfida.

«Bovino del cazzo.» Sentì ringhiare Ruvena.

Marian rimase impassibile, avanzando lentamente. Il Karasten fece lo stesso, scostando il capo solo quel tanto necessario perché la seconda freccia, che gli passò ad un soffio dalla guancia, lasciasse solo una striatura rossa sullo zigomo.

Hugh lo caricò a destra, mentre Marian sollevò lo scudo andandolo a colpire sul fianco sinistro con la spada. Il primo colpo andò a vuoto, ma il Qunari si beccò un'altra freccia nell'addome e, quando abbassò il capo per un attimo, lo scudo da templare gli sfracellò il mento, facendogli scattare la testa cornuta all'indietro. Barcollò fino al muro dietro di lui, scuotendo le corna e sputando un grumo di sangue nel fango a terra.

Una quarta freccia gli si piantò nel collo esattamente tra le clavicole, con precisione magistrale, troncando qualsiasi cosa stesse loro ringhiando addosso in un verso strozzato. Crollò a terra cercando inutilmente di artigliare la freccia, annaspando nel suo stesso sangue.

Marian si voltò ammirata verso Ruvena, ma l'amica e Hugh erano impegnati a difendersi da uno Sten e non poteva essere stata lei a scagliare il dardo. Poco lontano, intravide dietro la seconda colonna alla sua sinistra la figura minuta di Kelsey, l'arco ancora sollevato. Le fece un cenno di approvazione, l'ombra di un sorriso che si apriva prima di congelarlesi sulle labbra.

Dal fondo del viale, altre figure cornute stavano salendo le scale verso di loro.

«Hawke, vai!» Sentì la voce di Meredith urlare, e si costrinse a voltare le spalle ai compagni, lo scudo sollevato. Ruvena e Hugh si erano liberati dello Sten venendo verso di lei, e anche Andrew e Trevelyan si stavano muovendo in direzione dell'ingresso.

Strinse i denti, scavalcando l'imponente battente di legno a terra e varcando la soglia.



 

Il grande portone della sala del trono era sbarrato, due Qunari a presidiarne la soglia.

Prima ancora che potessero arrivare a metà della sala nella loro carica, vennero abbattuti come rami secchi dai Templari. Il pavimento era disseminato di macchie di sangue, oggetti in frantumi, tessuti strappati e qualche ornamento che doveva essere caduto agli ostaggi.

Incontrarono un solo cadavere Qunari, mentre a terra vi erano molte guardie cittadine e alcuni templari, massacrati nelle loro armature imbrattate di visceri.

I compagni che le guardavano le spalle, Marian aprì i battenti con entrambe le mani, spalancandoli.

L'Arishok era in cima alle scale, proprio dove di solito il Visconte presiedeva le udienze, lo scranno ora vuoto, un fagotto di stoffa insanguinata ai suoi piedi. «Ecco il vostro Visconte.» Si voltò a lanciare qualcosa giù per gli scalini, e con fremito di rabbia Marian riconobbe la testa di Marlowe Dumar rotolare con una serie di tonfi sordi fino al centro del salone. Gli ostaggi, quasi tutti nobili della città, si ritrassero indietro con grida di orrore.

Avanzò di tre passi, fermando la corona che era rotolata fin lì con il piede. «Arishok!»

Le iridi pallide del Qunari sembrarono trafiggerla sul posto. «Shanedan, Hawke. Ti stavo aspettando.» Iniziò a scendere i gradini, appoggiandosi con facilità l'enorme ascia su una spalla. «Maraas toh ebra-shok. Tu sola sei basalit-an.» Si voltò verso i nobili terrorizzati con un'espressione di disgusto. «Questo è il rispetto, bas. Quello che la maggior parte di voi non guadagnerà mai.»

Accanto a lei, sentì i compagni muoversi per accerchiarlo. Fece segno di stare indietro, e seguire i suoi ordini.

«Voi, parlate di rispetto?» Ringhiò Marian, facendosi avanti fino ad essergli di fronte. «Mettere a ferro e fuoco l'intera città, massacrarne gli abitanti, macellarne il regnante come un pezzo di carne e prendere ostaggi? Non vedo nulla che sia degno di rispetto.»

«Questi sono bas, indegni.» Rispose l'Arishok, come se stesse spiegando un'ovvietà ad un bambino. «Come grassi dathrasi, passano il loro tempo a mangiare gli uni sugli altri, e alzano la testa solo per lamentarsi quando vengono interrotti. Non vedono che il terreno su cui pascolano così voracemente è ormai arido e spoglio! Il Qun aprirà loro gli occhi. Tu, Hawke, tu puoi vederlo da sola. Conosci i parassiti che hanno intaccato la tua città, il marcio che non riesci ad estirpare.» Le tese una mano, come aveva fatto a Seamus. «Il Qun ti darà una nuova strada. Ordine, equilibrio, in un caos che cerchi di raddrizzare con le tue sole forze, non comprendendo che una roccia da sola non può arginare il fiume in piena. Scegli la strada che ti farà diventare parte di qualcosa di più grande.»

Marian dovette trattenersi dall'attaccarlo lì, a metà del discorso. «Ordine.» Sibilò, la voce pregna del disgusto e della rabbia che l'immensa pila di corpi della giornata le facevano crescere dentro, un incendio più alto della stessa Chiesa. «Questo non è ordine, Seamus si sbagliava, e tu non hai fatto altro che prenderlo in giro. Il vostro Qun non è che una scusa per assoggettarci ad un unico volere, giustificare la vostra violenza. Equilibrio? Questo è un massacro, in una città che vi ha accolto quando avrebbe invece dovuto cacciarvi a pedate nel culo anni fa.»

L'Arishok parve deluso. «Speravo potessi capire almeno tu la grandezza del Qun, Hawke. Ma a quanto pare proteggere il ladro tra i tuoi amici non è stato un errore di calcolo.» Scosse il capo una singola volta. «Meravas. Sai che Par Vollen mi è negata finché non torno in possesso del Tomo di Koslun. Dimmi, come pensi di poter risolvere l'attuale situazione?»

Avrebbe voluto suggerirgli dove poteva ficcarselo e quanto in alto, quel maledetto libro, ma la situazione era già abbastanza disperata senza che lei perdesse pure quello strano rispetto che l'Arishok le stava concedendo. «Posso aiutarvi a recuperare il Tomo, a patto che fermiate il vostro attacco.»

Il Qunari non battè ciglio. «Sappiamo entrambi che il ladro è ormai a molte miglia da qui, e non avete le risorse né le capacità per ritrovarlo, ovunque sia fuggito.»

Un tonfo alla loro destra li fece voltare di scatto, e in una pioggia di vetri rotti un Qunari venne scaraventato al suolo, un coltello conficcato in orbita. Sopra di esso, scarmigliata ma incolume, Isabela troneggiava con un sorriso beffardo, il Tomo di Koslun stretto tra le braccia. «Non osare dire alla mia migliore amica che non è in grado di fare qualcosa, Arishok.» Sollevò il libro, per poi lanciarlo dritto tra le braccia del Qunari, che lo afferrò al volo stringendolo con reverenza.

«Il Tomo di Koslun...»

Marian si disinteressò completamente dell'Arishok, troppo concentrata su Isabela. Una parte di lei avrebbe voluto staccarle quella testa sorridente e mandarla a fare compagnia ai centinaia di cadaveri che aveva sulle spalle, mentre una piccola, infinitesimale fiammella di affetto le guizzava in petto a vederla di nuovo lì, ad affrontare le conseguenze del suo egoismo. «Hai deciso di farti crescere una coscienza?» Le chiese aspramente.

Il sorriso dell'altra tremò per un attimo. «Ero già a metà strada verso Ostwick, quando mi sono accorta che non potevo andare più avanti di così. Avevo ragione io, i sensi di colpa fanno schifo.»

«Non so se prenderti a pugni o esserne sollevata.»

«Accetterò entrambe le cose, credo. Togliti quei guanti prima, però, ci tengo alla mia faccia.»

Un altro Qunari nel frattempo si era avvicinato, prendendo il Tomo dalle mani dell'Arishok, che si girò verso le due donne. «Ora, posso tornare a Par Vollen. Questa città e la sua malattia non sono più un problema del Qun. Consegnaci il ladro e lasceremo questo luogo.»

La protesta scioccata di Isabela le suscitò una risata sprezzante. «Pensavi di poterla passare liscia, Bela? Non hai visto come hanno ridotto la città? E non li abbiamo fatti incazzare nemmeno lontanamente quanto hai fatto tu.» Portò una mano alla spada, sollevando faticosamente lo scudo di fronte a sé. Pesava quanto una montagna, si sentiva il fianco zuppo di sangue nonostante l'impiastro che ci aveva applicato su Sebastian, e il braccio della spada le formicolava dalla spalla alla punta delle dita, ma si posizionò di fronte ad Isabela, frapponendosi tra lei e il Qunari.

Quello sollevò a sua volta la propria arma. «Ha rubato il Tomo di Koslun. Tornerà con noi.»

Marian scosse la testa, gonfiando il petto con una smorfia di sfida a sollevarle un angolo delle labbra. «Si merita una sonora strigliata e qualche osso rotto, sono d'accordo, ma se avete intenzione di torcerle anche un solo capello, dovrete passare sul mio fottuto cadavere.»

L'Arishok chinò un poco il capo. Sembrava deluso. «Non mi lasci altra scelta, Hawke.» Sollevò l'ascia dalla spalla, afferrandola con entrambe le mani e portandola di fronte a sé. «Ti sfido a duello, fino alla morte, per decidere della sorte del ladro.»

«Marian...»

«Stà zitta, Bela.» L'ammonì furente, serrando la presa sul suo scudo. «Accetto. Se vinco, i vostri soldati se ne torneranno a casa con la coda tra le gambe.»

Non parve minimamente impressionato, né offeso. «I Qunari non hanno la coda.»

Isabela fece appena in tempo a scostarsi, che l'enorme ascia del Qunari si abbattè sullo scudo di Marian, dando inizio allo scontro.

Il braccio le riverberò dall'impatto, facendole stringere i denti con un gemito soffocato mentre quello attaccava di nuovo. Era forte, troppo forte per lei in quelle condizioni. Sperava di averlo fatto incazzare per costringerlo ad un passo falso, ma l'Arishok non era diventato tale cadendo in qualche trucchetto da quattro soldi.

Schivò un altro colpo, preferendo puntare sull'agilità e mirando a stancarlo un poco, per risparmiare le poche forze che aveva. L'ascia si abbattè ad un soffio dai suoi piedi, e il pavimento della sala tremò mentre il marmo si spaccava in una pioggia di schegge. Approfittò del secondo in più che l'Arishok impiegò per risollevare l'arma per tentare un affondo, ma oltre che dannatamente grosso era pure veloce, e la sua lama riuscì solo a scalfirne il fianco, una striatura scarlatta sul torso nudo. “Ora capisco perché ad alcuni piacciono così tanto i veleni...” pensò mentre si aggrappava di nuovo allo scudo, parando un altro colpo e serrando i denti quando lo scudo si piegò sul lato destro, il metallo ormai contorto all'interno che rendeva difficile continuare a tenerlo sollevato. Barcollò all'indietro, il fianco che le doleva da impazzire, e si spostò di lato riprendendo l'equilibrio e schivando per poi affondare di nuovo la lama.

Metallo cozzò contro metallo, e per un attimo la sua spada lunga rimase incastrata in una scanalatura dell'ascia, per poi liberarsi di nuovo e allontanarsi, girandosi attorno come mabari.

Desiderò intensamente avere un'altra fiaschetta di lyrium, l'avrebbe aiutata ad ignorare il dolore. Prese un respiro profondo, cercando di regolare il battito del cuore.

Lo scontro successivo fu più serrato, e piano piano divenne palese che la templare non poteva farcela. Il suo scudo con la spada fiammeggiante era ormai un rottame di metallo inutilizzabile, e dopo un ultimo scambio fu costretta ad indietreggiare di nuovo e staccarselo con foga dal braccio intorpidito. L'Arishok la lasciò fare, in attesa di finirla.

Marian scagliò a terra lo scudo, estraendo la spada corta. Aveva il fiatone, i capelli appiccicati alla fronte dal sudore e dal sangue che le colava da un taglio poco sopra la tempia, che si era fatta parando un colpo particolarmente infido, e la gamba destra iniziava a tremare.

L'Arishok, a parte il graffio di sbieco sul costato e uno degli spallacci praticamente a pezzi, sembrava illeso.

Ringhiò tra i denti un'imprecazione, costringendosi ad avanzare come un gatto verso l'avversario.

Il suo cambio di stile parve destabilizzarlo per qualche secondo, ora i suoi colpi arrivavano a pochi centimetri da lei ma non venivano fermati dallo scudo, e ciò le permise di impegnarlo con la spada lunga e dargli una stoccata sul braccio con la daga corta, tranciando i bracciali di cuoio e affondando la lama fino all'osso. La liberò con uno strattone, balzando nuovamente indietro, l'ascia dell'altro che le roteò ad un soffio dalla testa.

L'Arishok afferrò l'arma con il braccio sano, scuotendo quello offeso come se fosse una spiacevole seccatura, il sangue che gli imbrattava la mano.

Da lì in poi, i suoi attacchi si fecero più veloci. Marian non riusciva a capacitarsi di come potesse muovere quel gigantesco affare con tale facilità, arrivando persino a parare col braccio ferito la sua seconda lama quando riuscì di nuovo ad incastrare le armi per forzare un'apertura sul ventre, ricavandole solo altro sangue, un grugnito infastidito ed entrambe le armi impegnate: la destra, che reggeva la spada lunga, teneva bloccata a terra l'ascia del Qunari, mentre la sinistra era conficcata tra le due ossa dell'avambraccio dell'Arishok, che sollevò l'arto costringendola a sbilanciarsi.

“Quanto cazzo è alt-” La testata la scaraventò all'indietro, la vista improvvisamente oscurata, l'impatto la stordì al punto che ci mise qualche secondo a rendersi conto che non aveva più la daga. Indietreggiò lentamente, cercando di rimettere a fuoco il Qunari.

Lo vide osservare l'elsa che gli usciva dalla carne con un'espressione annoiata, per poi appoggiare l'ascia di fianco a sé e, con la mano ora libera, staccarsi la daga dal braccio per poi lanciarla a terra, facendola rotolare troppo lontano perché lei potesse recuperarla. «Ebasit kata.»

Marian sputò un grumo di sangue per terra. «Vaffanculo.»

Strinse con entrambe le mani la spada. Sarebbe morta. “Male.” Avrebbero preso Isabela per farle chissà cosa, Garrett sarebbe rimasto da solo, non avrebbe più avuto la possibilità di tirare fuori le palle e baciare Sebastian come voleva fare da anni. “Peggio.”

Se doveva proprio morire uccisa da un gigantesco stronzo come quello, non gli avrebbe di certo semplificato il lavoro.

Aspettò che fosse lui ad attaccare per primo, girandogli attorno, calcolando ogni passo. Quando finalmente quello le si gettò di nuovo addosso, guizzò di lato, evitando anche il secondo colpo e colpendolo con una gomitata nel fianco, superando il braccio ormai a penzoloni dell'Arishok e ferendolo con la sua armatura appuntita.

Il ringhio di dolore del Qunari le diede abbastanza forza da tentare un altro affondo, che però l'altro riuscì a parare all'ultimo. Lo vide sollevare di nuovo l'ascia, era esattamente di fronte a lei e non aveva abbastanza spazio per schivare a sinistra e raggiungere di nuovo il suo lato offeso, quindi non le restò altro che indietreggiare, sollevando la spada sopra la testa e parando di piatto, spostandosi leggermente di lato mentre si abbassava.

Crollò in ginocchio sotto il colpo.

Un dolore lancinante la fece boccheggiare, mentre la spada le sfuggiva dalle dita irrigidite. Guardò sconvolta ciò che restava dell'arma, rotta all'incirca a metà, cadere a terra senza un suono. O forse era lei che non sentiva più nulla. Spostò lo sguardo sulla massa gigantesca nel suo campo visivo. “Cazzo.”

La gigantesca ascia dell'Arishok aveva spezzato la sua spada, che non era riuscita a fare altro che rallentarne un po' la corsa, superando la sua guardia e conficcandosi nella sua spalla, spezzando lo spallaccio, tranciando la cotta di maglia e qualsiasi altra cosa ci fosse sotto.

Sollevò di nuovo gli occhi, incrociando quelli del Qunari, la vista annebbiata.

«Asit tal-eb, basalit-an.»

Boccheggiò, inerme, l'Arishok che troneggiava su di lei, impassibile come al solito. Lo vide serrare la mano sana sull'ascia, per liberarla e darle il colpo di grazia, ma prima che potesse fare forza col braccio uno spasmo sorpreso gli solcò il volto.

Ci fu come uno scoppio di luce e il Qunari barcollò da un lato, rischiando di finirle addosso, le vene nere ed esposte sulla pelle grigia e una puzza di bruciato a riempire l'aria che si sommò a quella ferrosa e nauseabonda del sangue che le inondava le narici. Scosse il capo, frastornato, per poi guardare la freccia conficcata nella spalla con odio, cercando il responsabile alle sue spalle.

Con un ultimo sforzo, Marian mise a fuoco una figura atterrare poco dietro il Qunari, risollevarsi in piedi e puntargli addosso quello che sembrava un globo di luce accecante.

«Non toccare mia sorella.»

Svenne.







 

Nel momento stesso in cui aveva visto la sorella sollevare la spada in un disperato tentativo di parare la mostruosa arma dell'Arishok, Garrett aveva incoccato un'altra freccia, superando con una spallata i due Qunari che avevano provato a fermarlo.

Aveva urlato quando Marian era caduta a terra di fronte al bestione, e senza nemmeno pensarci si era sporto dalla balaustra, lasciando andare la freccia che si era conficcata poco sotto lo spallaccio di pelle dello stronzo che stava per ammazzare la sua famiglia.

E Garrett non avrebbe permesso più a nessuno di fare del male alla sua famiglia.

Rilasciò l'incantesimo con facilità, mentre saltava di sotto.

Quasi non si accorse dell'impatto, le gambe che cedevano momentaneamente sotto il suo peso, costringendosi poi a rimettersi in piedi, l'arco stretto tra le mani che brillava di luce pura, il Velo che vorticava attorno a sé. Non c'erano templari, non c'erano segreti, c'era solo quel maledetto bastardo che aveva osato cercare di strappargli via Marian.

L'Arishok si voltò verso di lui, una furia rovente negli occhi. Urlò qualcosa in Qunari, ma non ebbe il tempo di recuperare la sua ascia perché l'incantesimo successivo di Garrett lo abbattè al suolo, schiacciandolo contro il pavimento. Con una rotazione del bastone, il mago lo allontanò di peso dalla sorella, facendolo sbattere violentemente contro una delle colonne del salone.

«Basra vash-» Il Qunari provò ad alzarsi, ma Garrett non glielo permise, intrappolandolo in una barriera di pura forza pulsante, bianca accecante.

Incanalò sempre più energia, il Velo ormai squarciato mentre attingeva un immenso potere dall'Oblio, infischiandosene dei demoni che avrebbero potuto cercare di insinuarsi in quella faglia, li avrebbe schiacciati come l'essere che aveva di fronte, come chiunque si fosse frapposto tra lui e coloro che amava.

Non si sarebbe lasciato strappare dalle braccia la sorella, i loro amici e la loro città.

Utilizzando la freccia come catalizzatore, puntò il bastone magico contro il Qunari.

L'Arishok esplose.

L'onda d'urto del fulmine che aveva scagliato contro il Qunari distrusse ossa, tessuti e armatura come carta col fuoco, ma venne contenuta dalla prigione di luce che aveva lanciato prima, che si deformò per la pressione ma resse.

Si sentiva meglio di come non si fosse mai sentito. Una risolutezza che non aveva mai provato si impossessò di lui, e si voltò a fronteggiare i Qunari che erano corsi a circondarlo con la sicurezza di chi ha la vittoria in tasca. Sollevò di nuovo il bastone, colpendo il pavimento con uno schiocco secco, e una scarica di elettricità li travolse all'unisono, paralizzandoli al suolo in preda agli spasmi, le carni bruciate che fumavano, le loro urla disarticolate che riempivano la sala.

Sentiva quell'immenso potere ancora in lui, si rese conto di non capire più dove iniziasse il Velo e finisse la sua persona e per un solo, lunghissimo istante, si ritrovò come sospeso.

Poi, com'era arrivato, il momento passò e Garrett cadde carponi sul pavimento distrutto, improvvisamente svuotato da ogni forza, il bastone del padre rotolato lontano dalla sua presa.

Un gemito si sollevò alle sue spalle. “Marian.”

Si voltò con immensa fatica e vide Isabela china sulla sorella, Andrew e Trevelyan che cercavano di fermare il sangue che usciva copioso dallo squarcio che l'ascia dell'Arishok le aveva inflitto, ancora conficcata nella sua spalla.

Strisciò verso di lei, non aveva la forza di alzarsi, ma due figure in armatura si pararono di fronte a lui. “Templari”, pensò confusamente. Alzò un braccio, come ad intimargli di spostarsi, ma il gesto successivo dei due lo lasciò spiazzato. Lo sollevarono di peso, aiutandolo a raggiungere la sorella.

«Serah Hawke, è viva, grazie a voi.»

Marian era pallida, zuppa di sangue e svenuta, ma respirava debolmente.

Isabela gli sfiorò il braccio, mentre con l'altra sorreggeva Marian, appoggiata tra lei e Andrew. «Hai salvato la situazione, Garrett.»

«Scheggia!» Anche Varric l'aveva raggiunto, stringendogli la spalla. «Ce l'hai fatta.»

Confusamente, si rese conto che un altro gruppo di persone stava entrando nella sala. Esclamazioni di sorpresa, grida di vittoria e qualche pianto disperato, tutto era un sottofondo ovattato mentre cercava di incanalare abbastanza energia da rallentare l'emorragia della sorella, senza risultati. Non era mai stato in grado di alleviare più di qualche livido, era al di là delle sue possibilità, e ora il Velo sembrava impenetrabile, ogni energia svanita.

Venne spinto da parte, mentre due figure in abiti da mago si avvicinavano a Marian.

«Alain, stabilizzala!»

Riconobbe vagamente il ragazzo che si chinò sulla sorella, chiudendo gli occhi e posando le mani su di lei mentre Andrew rimuoveva l'ascia dell'Arishok, il sangue che smetteva di fuoriuscire, il colore che tornava piano piano sulle guance della donna.

«Serah Hawke!»

Sollevò lo sguardo, e improvvisamente si rese conto di quello che aveva appena fatto. La Comandante Meredith lo squadrava sconvolta, gli occhi che dardeggiavano di furia. «Siete un mago, e un eretico.» L'aura antimagia di almeno quattro templari si scagliò su di lui, e sentì un conato di vomito salirgli dallo stomaco, costringendolo a piegarsi su sé stesso. «Immobilizzatelo e portatelo alla Forca.»

«Comandante!» Conosceva quella voce. Marlein Selbrech uscì dalla folla di ostaggi, il volto tumefatto e una gamba inzaccherata di sangue, ma lo sguardo fermo mentre si parava davanti a Meredith e la fronteggiava a testa alta. «Serah Hawke e Ser Marian sono eroi, hanno salvato tutti noi! Non potete portarlo alla Forca.»

Per un attimo, Garrett temette che Meredith l'avrebbe passata a fil di spada lì, davanti a tutti. Evidentemente però, Lady Selbrech non era sola, perché si alzò tutto un coro di voci in loro difesa.

«Il fatto che abbia sconfitto l'Arishok non toglie che sia un eretico!» Urlò poi con voce ferrea, mettendo tutti a tacere. «Alain, curate la Tenente lo stretto necessario per scortarla in cella. Voi,» disse alla manciata di templari al suo fianco, «portateli entrambi alla Forca. Decideremo del loro destino appena ci saremo occupati del resto della città.» Al vedere i suoi uomini esitare un attimo, alzò di nuovo la voce. «È un ordine, Templari!»

Garrett incrociò lo sguardo di Varric, riuscendo a sussurrargli un avvertimento.

L'amico si limitò ad annuire, per poi indietreggiare tra la folla senza che nessuno gli prestasse alcuna attenzione.



 

Cinque giorni dopo, fissava annoiato il soffitto della cella di pietra chiedendosi cosa avesse dovuto fare Varric per impedire ad Anders di irrompere nella Forca armato di Giustizia e farlo evadere come nelle migliori storie d'amore.

Il sassolino sbatté di nuovo contro la parete, rotolando indietro sul pavimento.

«Marian-»

La sorella non gli rispose, riprendendolo in mano e lanciandolo ancora contro il muro.

«Parlami.»

«Non ho niente da dire.»

«Lo so, ma questo silenzio mi sta facendo ammattire.»

La sorella si limitò a sbuffare, ma non allungò la mano a recuperare il ciottolo.

Garrett stese le gambe, cercando di mettersi un po' più comodo sulla brandina angusta. «Ci tireranno fuori da qui, vedrai. Li hai sentiti là fuori, dubito Meredith voglia mettersi contro l'intera città...» Indicò col dito il soffitto sopra di loro, dove una grata che comunicava con l'esterno portava fin là sotto il rumoreggiare della folla che si era radunata nella piazza di fronte alla Forca.

«Non credo che alla Comandante interessi un accidente dell'opinione pubblica.»

«Allora confidiamo che i nostri amici siano riusciti a pararci le chiappe.»

Marian si voltò finalmente a fissarlo. «Non sono nostri amici. Se Trevelyan ha davvero chiesto alla sua famiglia di intercedere per noi, vorranno qualcosa in cambio. Sebastian ha chiesto alla Somma Sacerdotessa di mettere una buona parola con Meredith, e anche quello non sarà senza ripercussioni.»

Scosse la testa. «Non parlavo né dei Trevelyan, né della Chiesa. Li senti? Sono i nostri nomi che acclamano, non quelli dei Templari o della Chiesa. Hawke. Noi due.» Abbozzò un sorriso fiducioso, era stanco, ancora provato dalla strana esperienza di avere tutto quel potere a portata di mano e quel posto gli riportava a galla i quasi due anni che aveva passato a dormire sul pavimento del tugurio di Gamlen, ma aveva bisogno di restare positivo, almeno uno di loro doveva farlo.

«Possono urlare fino a seccarsi la gola, dubito che farà qualche differenza.» Gli rispose lei tetra.

«Immagino di dover tenere io alto il morale di entrambi, allora. Come va il fianco?»

Marian emise un grugnito soffocato. «Bene.»

«Sicuro, come andava benissimo avere tre costole rotte e buttarsi a testa bassa contro un bestione cornuto di due metri.»

«Sto bene, Garrett.»

«Dovresti avere più fiducia negli altri.»

«Mi stupisce che tu ne abbia così tanta, piuttosto.»

«Isabela è tornata.» Le lanciò uno sguardo di sottecchi. Aveline l'aveva presa in custodia, ma a quanto pare assieme a Varric erano riusciti a trovare il modo di scagionarla, più o meno.

Vide la sorella storcere la bocca in una smorfia arrabbiata. «Questo non cancella il fatto che sia stata una stronza irresponsabile.»

«Ma ha provato a rimediare.»

«Sì, e ci sono andata di mezzo io, come sempre.»

Si sporse un poco verso di lei, dandole una pacchetta sulla spalla con fare canzonatorio. «Questa è la mia sorellona. Sempre pronta a mettersi in mezzo.»

Marian lo spinse con malagrazia, ma aveva un accenno di sorriso sulle labbra. «Con due fratelli così, mi ci sono abituata.»

«Ti ricordi quando hai gonfiato di botte Vic? Ah, nostra madre era furiosa, ma è stata la prima volta che ho sentito Carver pronunciare la parola “grazie”. Anche se negherebbe tutto, ne sono certo.»

«L'aveva quasi buttato nel pozzo. Se l'è meritato.»

«Ma Carver è sempre stato uno stronzetto fastidioso, l'aveva probabilmente provocato.» Commentò lui, recuperando il sassolino da terra e rigirandoselo tra le mani. «Eppure, l'hai difeso.»

«Penso che qui la situazione sia giusto un filo più grave.»

Le rivolse un gran sorriso. «Ma tu sei rimasta la stessa.»

Marian scosse la testa, sbuffando di nuovo mentre le compariva un leggero rossore sul volto pieno di lividi multicolori. Si indicò la faccia. «E guarda quanto bene mi ha fatto.»

«Ah, non dire così. Siamo dei fottuti eroi.»

Dei passi lungo l'angusto corridoio di pietra li fecero voltare entrambi. Andrew e Macsen Trevelyan fecero capolino da dietro le sbarre, sorridenti e freschi come rose.

«E io che pensavo di trovarvi qui col muso lungo... manie di grandezza?» Gli chiese l'amico, facendogli tintinnare un mazzo di chiavi davanti al naso. «Forza, vi portiamo a fare una passeggiata.» Aprì la porta della cella, entrando e afferrandogli i polsi per armeggiare poi con i lucchetti delle pesanti manette di ferro inciso di rune che gli impedivano di lanciare incantesimi e contribuivano ad aumentargli il senso di spossatezza. Quelle cedettero, cadendo a terra con un gran fracasso mentre varcavano la soglia.

«Ce l'avete fatta, quindi?» Chiese Marian ai due templari, squadrandoli sospettosa.

Fu Trevelyan a rispondere, facendosi da parte con un gesto galante per farli passare. «Avete fatto voi gran parte del lavoro. Diciamo che alcuni di noi ne hanno solo... diffuso il Canto.»

«Fino alle orecchie della Divina in persona, si dice in giro.» Commentò Andrew mentre salivano le scale verso la superficie.

Ad ogni gradino che lo portava via da quel posto, Garrett si sentiva più leggero.

Emersero alla luce del sole, l'aria fredda che gli sferzava piacevolmente il viso, tagliando per il cortile della Forca pieno di Templari sui due lati.

Il vociare della folla era ora scemato, centinaia e centinaia di persone accalcate davanti ai cancelli erano in attesa di ascoltare il verdetto della Comandante, che li fronteggiava rigida come un palo.

Meredith dava loro le spalle, ma si voltò a squadrarli con un cipiglio indecifrabile quando la raggiunsero. Era circondata dai suoi uomini, il Capitano Cullen in primis nella sua armatura lucida, il quale lanciò loro un'occhiata d'odio molto meno celata della Comandante.

«Tenente. Serah Hawke.» Li salutò la donna, mantenendo un tono di voce perentorio ma apparentemente calmo.

«Le accuse contro di voi sono gravi, e vanno contro le parole della Benedetta Andraste, il volere del Creatore e le fondamenta stesse dell'Ordine Templare: Tenente, avete per anni nascosto la magia di vostro fratello, mettendo a rischio la sicurezza di tutta la città.» Garrett storse il naso, ma si morse la lingua. Come lui, parecchi nella folla attorno a loro commentarono acidi. «Tuttavia,» riprese Meredith, alzando di un tono la voce «Garrett Hawke, vi siete dimostrato un mago degno di fiducia, nonostante siate un eretico.» Lo sguardo della donna lo trafisse così aspramente da fargli quasi rimpiangere i Qunari. «Se non fosse stato per voi, non solo la Tenente Marian sarebbe morta, ma gli ostaggi sarebbero stati massacrati o convertiti.» Fece un cenno seccato alla gente radunata attorno a loro. «Molti qui vi devono la vita, in un modo o nell'altro, e non si sono fatti remore ad esternarlo, in questi giorni. È quindi dopo una lunga analisi di tutto quello che avete fatto per la cittadinanza, e per il coraggio che avete dimostrato durante l'attacco Qunari, che vi conferiamo il titolo di Campione di Kirkwall. E l'autorizzazione a continuare come avete sempre fatto la vostra vita di cittadino esemplare di questa città.»

La folla esplose in un ruggito di vittoria, acclamando il suo nome. Vide i Selbrech, Myranda al braccio di James Selwyn, la madre Marlein in prima fila ad applaudire elegantemente guardandoli con un cipiglio fiero. Scorse Elin e Rasiel, le elfe della forneria che aveva aiutato, appollaiate sotto le grandi statue che facevano guardia alla piazza, Aveline e Donnic che sorridevano, il Siniscalco con il figlio da un lato in mezzo ad un gruppetto di nobili, Lunette Dewine accanto alla madre, alcuni dei suoi compagni di bevute all'Impiccato, un paio dei lavoratori del porto. Gli parve di scorgere Merrill tra la folla, e poi notò Fenris, appoggiato con la schiena ad uno dei palazzi più lontani, fare un cenno col capo nella loro direzione, le braccia incrociate sul petto.

«Mentre voi, Tenente.» Proseguì Meredith, portando la sua attenzione su Marian. «Dovrei cacciarvi dall'Ordine seduta stante e condannarvi, ma nonostante quello che avete fatto per nascondere vostro fratello, vi siete rivelata preziosa in questi anni di servizio e avete mostrato un animo saldo e sangue freddo nell'affrontare l'attacco Qunari, arrivando al punto di essere disposta a sacrificarvi per l'intera città.» Si alzarono altre urla di approvazione. «Pertanto,» scandì la Comandante, ogni parola che trasudava astio, «siete assolta dalle accuse e riconfermata al vostro rango.»

Vide Marian concedersi un impercettibile sospiro di sollievo, rilassando un poco le spalle. «Vi ringrazio immensamente, Comandante. Farò in modo di ricambiare la vostra fiducia.»

«Sarà meglio, Tenente.»



 

I giorni che seguirono furono assolutamente caotici, e Garrett non riuscì a trovare un attimo libero per andare a cercare Anders in Città Oscura. C'era da aiutare le Guardie Cittadine a coordinare i lavori per togliere le macerie dalla strada, un invito dopo l'altro da parte di nobili e ricchi mercanti che Garrett rifiutava molto cortesemente, una serie di impicci che non gli diedero pace fino a quando, stufo marcio e coi nervi a fior di pelle, si infilò un mantello lurido e dei vecchi stivali che cadevano quasi a pezzi e svicolò nel passaggio segreto sotto la cantina, percorrendo i cunicoli che puzzavano di fogna fino a sbucare poco lontano dalla Clinica. Si tirò il cappuccio sul capo.

Trovò la Clinica particolarmente affollata, ma in molti sembravano lì per dare una mano, anche solo di conforto ai feriti. Elfi dell'enclave, nani del Carta, gente della Cerchia, per la seconda volta i bassifondi di Kirkwall si univano a sostenersi gli uni con gli altri.

Scivolò non visto oltre una coppia di elfi coperti di bende insanguinate, evitando per un pelo un nano rubizzo che trasportava un secchio dal contenuto innominabile, ed entrò nella piccola stanza dove Anders teneva le varie riserve medicinali.

Il Guaritore era impegnato a ridurre in polvere delle erbe dall'odore acre, e non si accorse di lui finché Garrett non si schiarì la voce, appoggiato sulla soglia.

«Arrivo subito, datemi solo il tempo di-» Anders sgranò gli occhi, l'espressione stanca che svaniva sostituita da un lieve rossore sulle guance incavate, restando immobile a guardarlo, il pestello a mezz'aria mentre un sorriso di sollievo gli compariva sulle labbra.

«Non mi merito nemmeno un bacio di bentornato?» Scherzò lui, avvicinandosi e afferrandogli il volto tra le mani prima di posare le labbra sulle sue.

Il pestello cadde a terra, mentre Anders lo tirava a sé e approfondiva il contatto. «Ho temuto di perderti.» Gli sussurrò con un filo di voce, il naso nascosto nell'incavo tra il collo e la spalla quando dovettero riprendere fiato. «Varric ed Aveline mi hanno impedito di fare qualcosa, ma se avessi dovuto aspettare ancora un giorno soltanto, sarei-»

Garrett lo strinse a sé, baciandogli la fronte, passando le dita tra i suoi capelli e sciogliendoli dal nastro che li teneva legati. «Sono contento che ci siano riusciti. Non me lo sarei mai perdonato.»

Anders si allontanò quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi, serio. «Giurami che non farai mai più una cosa simile. Non mi lascerai di nuovo da solo, a chiedermi se potrò mai rivederti. Non posso sopportare l'idea che tu sia a fare l'eroe rischiando tutto mentre io sono al sicuro qui sotto, non ce la faccio. Stavo per impazzire, Giustizia non capisce cosa provo per te e...» gli occhi dell'altro si fecero lucidi, mentre tratteneva un singhiozzo. «Non posso perderti, Garrett, ti amo troppo. Sei l'unica cosa che mi tiene ancorato alla realtà. Promettimi che mi permetterai di restarti al fianco.»

Gli asciugò la guancia umida col pollice, delicatamente, il senso di colpa e la felicità di averlo di nuovo tra le sue braccia troppo grande per essere capace di esprimerla. «Te lo prometto. Mi dispiace, sono stato avventato, ma dovevo farlo. Per Marian. E per te, ho chiesto a Varric di tenerti al sicuro, non potevo lasciare che ti facessi ammazzare.»

Anders si fece sfuggire uno sbuffo a metà tra il divertito e un singhiozzo. «Ha dovuto usare del veleno paralizzante che avrebbe steso un altodrago, per impedire a Giustizia di fare irruzione nella Forca. Non gli è piaciuto, come puoi immaginare, ma poi mi hanno convinto che saresti uscito da lì. Gli ho concesso qualche giorno di tempo, pregando che avessero ragione.»

«Ammetto che persino io ho avuto qualche dubbio, con Meredith così furiosa.»

«E Cullen, non dimenticarti di lui. Aveline ha detto che ha chiesto la testa di Marian, ciarlava di fiducia tradita e templari corrotti dalla magia del sangue, si è già dimenticato che non fosse stato per lei sarebbe rimasto alla mercè di quel demone ai Satinalia... Quando ho saputo che voleva sottoporti al Rituale nonostante tutta quella gente ti acclamasse come un eroe, stavo per andare a fargli visita.»

«Capitan Culo è solo un coglione che si crede il salvatore dell'intero Ordine. Se persino Meredith ha dovuto ingoiare il rospo, il suo cane può anche strattonare la catena quanto gli pare, ma senza il permesso della padrona non va da nessuna parte.»

Riuscì a strappargli una risata. «Vorrei vederlo, al guinzaglio.»

Gli lanciò un'occhiata divertita. «Non pensavo avessi questo genere di perversioni...»

«Sei un cretino.»

Prima che potesse divorare di nuovo quel sorriso, una voce li raggiunse alle spalle. «Hei, voi due piccioncini, se avete finito di tubare qui ci sarebbe del lavoro da fare.»

Garrett si voltò, sorpreso di trovare lì Isabela. Non la faceva decisamente il tipo da aiutare la comunità senza avere nulla in cambio e, a giudicare dall'espressione vagamente infastidita della donna, non era l'unico a pensarlo.

«Non guardarmi così, la ragazzona mi ha lasciato in libertà vigilata.»

«Sono il suo carceriere, per così dire...» Confermò Anders, sollevando poi un dito verso Garrett per troncare sul nascere ogni altra battuta. «E no, non è divertente come può sembrare.»

Abbozzò un sorrisetto sghembo. «Se volete però renderlo più interessante, io non mi tiro indietro. Giusto per mettere le cose in chiaro.»

Isabela scoppiò a ridere, spostandosi i capelli corvini da una spalla all'altra in maniera sensuale. «Sarebbe la seconda volta che un Hawke mi propone una cosa a tre... ora mi manca solo Junior.»
























Note dell'Autrice: e così si chiudono le vicende coi Qunari. Che ne pensate? Questo capitolo ce l'avevo in mente da quasi due anni, spero sia stato soddisfacente da leggere quanto lo è stato da scrivere. Dopo tutto quello che gli Hawke hanno fatto per la città, Kirkwall li ha ripagati schierandosi in loro difesa, e Meredith ha dovuto capitolare.
L'Atto II è agli scoccioli, ma a Marian manca ancora una cosa da fare... e sarebbe anche ora.

Questo capitolo e il precedente sono scritti sulle note di "Champion" di Tommee Profitt, da cui prendono anche i titoli. Mi sono sembrati particolarmente calzanti (quasi tutti i capitoli di questa storia per il momento stanno prendendo titoli o testi di qualche canzone, a proposito). Qui il link per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=DSv_MCFhBQg

Alla prossima!  :D 

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Capitolo 32
*** One step closer ***


CAPITOLO 32
One step closer




 

Era dalla mattina che faceva avanti e indietro per il porto, aiutando a supervisionare i lavori di rimozione delle macerie che ostruivano interi vicoli e controllando che nessuno si approfittasse degli edifici vuoti perché dichiarati inagibili per appropriarsi del loro contenuto.

Molti magazzini erano andati in fiamme, così anche alcune navi che erano rimaste attraccate invece che allontanarsi in fretta e furia come avevano ordinato la maggior parte dei capitani.

Quando finalmente fu l'ora di pranzo, ringraziò calorosamente i due elfi che avevano portato al piccolo gruppetto di lavoratori, templari e guardie cittadine stanziate ai moli un carretto stracolmo di pane, formaggio e qualche frutto succoso.

«Figuratevi, Ser Hawke, è il minimo che possiamo fare per voi!» Si inchinò uno dei due, le orecchie a punta rosse per il freddo, proseguendo a distribuire le vivande.

«Sembra che farsi quasi ammazzare da un bovino gigante abbia dato i suoi risultati...» Commentò Ruvena, avvicinandosi e sedendosi accanto a lei sul muretto. «Cibo a volontà!»

Marian sorrise, affondando i denti nel pane ancora tiepido e gustandone la fragranza. «Quando smetteranno di offrircene, tocca a te, io non ho intenzione di replicare tanto presto.»

«Sono un cittadino volenteroso, sto chiedendo solo un altro po' di pane!»

Si voltarono entrambe, e la tenente aggrottò le sopracciglia vedendo Samson, che già stringeva tra le braccia una pagnotta piuttosto grossa, allungare le mani per prenderne un'altra. L'elfo intercettò il suo sguardo e mollò la presa, limitandosi a guardare male l'uomo mentre tornava al lavoro. L'ex templare non sembrò minimamente turbato, e anzi si avviò verso le due donne, infilandosi la seconda pagnotta nella tasca del pastrano logoro.

«Che avete da guardare?» Chiese loro, prendendo un morso e masticando voracemente. «Non sarà certo grave quanto nascondere un mago nell'armadio, eh Hawke!»

«Non farmi pentire di averti chiamato, Samson.»

«Sono qui per lavorare, mica per stare zitto.»

Alzò gli occhi al cielo, prendendo un pezzo di formaggio dal cestino tra lei e Ruvena e porgendoglielo. «Prego.»

Samson non esitò ad afferrarlo, ponendosi il pane in grembo per poi aprirlo in due parti e piazzandoci in mezzo il formaggio morbido. «Se fossero tutti di buon cuore come te, Hawke, o sarebbe un mondo migliore oppure ci ritroveremmo con gli Abomini pure su per il culo.»

«Sempre ottimista, eh?»

«Da che pulpito.»

Incassò il colpo con una scrollata di spalle.

«Comunque, sono rimasto sorpreso che ti abbiano fatto tenere persino il tuo grado. Meredith si sta ammorbidendo o cosa? Ai miei tempi, saremmo finiti per strada per molto meno... io ne so qualcosa.» Proseguì amaramente Samson.

«Non so perché non mi abbia nemmeno declassato, forse non voleva apparire come un'ingrata davanti a tutti.»

«Quindi le voci sul fatto che tu abbia amici ai piani alti non sono vere?»

Intercettò lo sguardo di Ruvena, confusa. «Come fai a sapere sempre tutto, pur passando il tuo tempo in questo letamaio?» Gli chiese piccata. «E va bene, forse è stato anche grazie all'intercessione di alcuni amici, ma il mio posto me lo sono meritato. Checché ne dica il Canto della Luce o meno.»

Samson estrasse la fiaschetta dalla tasca, brindando alla sua. «Continua così allora, e ricordati di me se ti fanno Capitano al posto di Culo!»

Ruvena gli lanciò un'occhiataccia da sopra uno spicchio d'arancia. «Non sei pagato nemmeno per bere, oltre che per sparare stronzate.»

L'uomo diede un altro sorso, per poi allungarle la fiaschetta. «Vuoi? Cambierai idea.»

Marian scoppiò a ridere alla faccia schifata dell'amica, e si protese ad afferrarla. Annusò il contenuto, riconoscendone l'aroma fresco del lyrium misto a qualcosa di più tagliente. Ne prese un sorso, sentendo la gola bruciare. Chiuse gli occhi per un attimo, mentre la sostanza mandava tutta una serie di fuochi d'artificio dal petto su fino al cervello. «Questo è nuovo.»

Samson si riappropriò della fiaschetta, infilandosela gelosamente in tasca. «Mi pagate, posso permettermi roba migliore.» Si alzò e, dopo aver scimmiottato un inchino verso Marian, si allontanò verso un vicolo laterale.

«Fantastico, ci fa proprio piacere sapere che i soldi della comunità stiano andando spesi bene.»

«Ru, dagli un po' di tregua.» Sussurrò all'amica, rifilandole una gomitata leggera sul braccio. «Alla fine sta aiutando, no?»

«Su una cosa ha ragione, sei troppo buona.»

Si zittì di colpo, rabbuiandosi. «Mi spiace non averti detto niente, a proposito.»

Ruvena fece una smorfia. «Avevi le tue ragioni, se avessi anche io un fratello eretico non lo andrei a sbandierare in giro, però... potevi dirlo ai tuoi amici. Andrew e Trevelyan sono arrivati da un paio di mesi, e loro lo sapevano, mentre noi due condividiamo una stanza da quattro anni.»

«Lo so, è che... non volevo metterti nei guai. Non era un mio segreto da condividere, e nell'eventualità che fosse saltato fuori, com'è successo, non ci saresti andata di mezzo. Andrew è cresciuto con noi a Lothering ed era un amico di Garrett, per questo ne era a conoscenza, e l'ha detto poi a Trevelyan perché anche lui ha un fratello mago.» Alla faccia sconvolta di Ruvena, Marian sollevò le mani. «Non è un segreto per nessuno, quello, è al circolo di Ostwick!»

«È per quello che ha messo una buona parola per te con la sua famiglia e la Divina?»

Scosse la testa. «Non ho idea del perché l'abbia fatto, immagino che sia tutto un suo piano per scalare la gerarchia dell'Ordine, in un modo contorto e assolutamente incomprensibile.»

Ruvena storse la bocca. «Nobili.» Si sporse oltre il muretto, fingendo di vomitare e causando uno scoppio di risa nell'amica. «Sono contenta che abbia funzionato, però. Mi ha risparmiato prendere Cullen a calci.»

«L'avresti fatto davvero?» Le chiese ammirata. Quella specie di adorazione nei confronti del Capitano che aveva l'amica quando si erano conosciute, negli anni era un poco scemata, eppure non si sarebbe mai aspettata una dichiarazione del genere.

L'altra fece spallucce. «Sarà anche avvenente quando si toglie quel cipiglio arrabbiato, ma nessuno può permettersi di dire quelle cose su di te.»

«“Quelle cose”? E io che pensavo mi avesse riempita di complimenti.»

«Le parole “traditrice”, “esempio” e “potrebbero essere ovunque” sono state ripetute più di un paio di volte.» Rispose Ruvena, rabbuiandosi. «Sembra essersi dimenticato che gli hai salvato le chiappe ai Satinalia.»

Si strinse nelle spalle. «Almeno tutti gli altri se lo sono ricordato.» Un po' le bruciava però che Cullen odiasse a tal punto i maghi da rivoltarlesi contro in quel modo. Non aveva fatto altro che il bene dell'Ordine e della Città, persino nascondere la magia di Garrett alla fine si era rivelata una buona cosa. “La prossima volta che Capitan Culo avrà bisogno di aiuto, potrei essere altrimenti impegnata”, pensò piccata.

Finirono di mangiare lanciando qualche altra frecciatina al superiore, per poi rimettersi in piedi e tornare al lavoro.



 

Il resto della giornata trascorse lentamente e faticosamente, e quando fu finalmente il momento di togliersi l'armatura e darsi una rinfrescata, fu con immenso piacere che si infilò in abiti più comodi. Si spazzolò i capelli, guardandosi allo specchio con un cipiglio soddisfatto. Era finalmente la serata giusta, non ci sarebbero state scuse, intralci, complotti o impellenti problemi ad impedirle di portare a termine quello che si era prefissata. Si mise un filo di trucco sul volto, sotto lo sguardo vagamente divertito di Ruvena, e afferrò la giacca pesante dall'appendiabiti.

«Non aspettarmi per la notte!» Annunciò prima di aprire la porta.

L'amica scoppiò a ridere. «Da dove arriva tutta questa sicurezza, improvvisamente?»

«Dall'essere quasi morta un'altra volta, tre è il numero giusto a quanto pare!» Rispose, finendo di legarsi la cintura con la daga corta alla vita e lanciando alla Profetessa una preghiera accorata perché non ci fosse necessità di usarla.

«Non azzardarti a tornare prima di domani mattina!»

Scoppiò a ridere, ignorando gli sguardi astiosi dei tre templari in fondo al corridoio e superandoli con passo leggero, uscendo dalla Forca e lasciandosi alle spalle il lavoro per il resto della serata.

Tagliò per la piazza principale, procedendo sul vialetto di casa e incrociando Lumia e Seth che stavano in quel momento aprendo la porta.

«Ser Marian!» La salutarono i due, illuminandosi. «Bodahn e Sandal sono già usciti, noi abbiamo preparato tutto... siete sicura che non volete che almeno io resti a servire la cena?» Le chiese l'elfa, titubante.

La donna arrossì un poco. «Siete già stati molto gentili, Lumia, prendetevi pure la serata libera.»

Quando si ritrovò nel salotto di casa, finalmente sola e pronta a tutto, si concesse uno sbuffo di trepidazione. La tavola era già stata preparata, senza inutili fronzoli, e un odore di pane appena sfornato aleggiava dalla cucina al piano di sotto. I candelabri erano accesi, tutto era stato messo in ordine e spolverato, e sul caminetto-

«Che cretino!» Esclamò afferrando il biglietto posato sotto la statuetta di pietra di un mabari e osservando il disegno di un'Andraste ridicolmente oltraggiata che urlava da dietro una finestra chiusa. Nell'angolo in basso a destra del foglio, nella calligrafia del fratello, si leggeva un “era ora”.

Ridacchiò, infilandosi il foglio in tasca in un moto di affetto.

Era stato Garrett a proporle quell'idea, “in fondo la casa è anche tua”, le aveva detto con l'aria che aveva Varric quando parlava loro delle sue idee per qualche libro. Marian aveva accettato con un po' di riluttanza, ma dopo tutto quello che era successo nell'ultimo periodo, ne aveva bisogno.

Si toccò la spalla, sovrappensiero, seguendo con le dita sopra la stoffa la cicatrice che le era rimasta dal colpo dell'Arishok.

Il campanello dell'ingresso la fece sobbalzare e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo allo specchio posto sulla parete, andò ad aprire la porta.

«Marian, sei...» Sebastian, un mazzo di fiori in mano, aveva le guance rosse per il freddo. «Splendida.» Si schiarì la voce, mentre lei si faceva da parte per farlo entrare. «Come sempre, intendo.» Si guardò attorno confuso, verso il tavolo apparecchiato per due.

«Aveline e Donnic avevano da fare con la Guardia, Isabela è ancora ai lavori forzati giù alla clinica e Fenris doveva dare una mano all'Enclave...» Spiegò innocentemente lei, prendendogli dalle mani i fiori e avvicinandovi il viso. Non riuscì a riconoscerli tutti, ma spiccavano nel bouquet dei garofani rosacei, di cui inspirò rapita il profumo. «Sono bellissimi, grazie.»

Recuperò un vaso largo e dall'aspetto costoso, mettendoci dentro i fiori alla bell'e meglio cercando di non rovinarli, prendendo una caraffa d'acqua e versandone dentro un po'. Sollevando di nuovo il vaso per rimetterlo sul tavolino, le sfuggì una smorfia di dolore.

Sebastian accorse in suo aiuto, afferrandoglielo delicatamente dalle mani e appoggiandolo con cura al centro del pianale. «Come stai?» Le chiese, sfiorandole la spalla con aria preoccupata.

«Meglio, davvero. Mi hanno rattoppata per bene.» Rispose, ignorando il prurito che la accompagnava da giorni.

«Quando l'ho saputo... non mi perdonerò mai per non esserti stato al fianco.»

«Stavi proteggendo i fedeli e la Chiesa, Sebastian. Abbiamo entrambi fatto il nostro dovere.»

«Se Garrett non fosse intervenuto...» Scosse la testa, afflitto. «Non voglio nemmeno pensarci. E nonostante tutto, hai rischiato di essere processata per aver fatto la cosa giusta.»

Marian gli strinse il braccio per un attimo. «Non pensarci, allora. Sono viva, sto bene e abbiamo salvato la città, è questo che conta.»

Sebastian arrossì un poco. «Sia ringraziato il Creatore.»

“Ecco, è proprio di lui che volevo parlarti”, pensò lei con un filo di ansia. Prese un respiro profondo. «C'è una cosa che ti devo dire, ed è difficile per me, ma non posso più ignorarlo. Ti chiedo di ascoltarmi, e ti assicuro che qualsiasi cosa dirai, non intaccherà la stima che provo nei tuoi confronti.»

Sebastian la guardò confuso, aggrottando la fronte.

«Pensavo di morirci in quella sala, lo ammetto. E mi sono resa conto che avrei avuto principalmente un solo rimpianto, e...» improvvisamente, il discorso che si era ripetuta in testa per due giorni di fila sembrava esserle evaporato dalla mente. «Quello che sto cercando di dire, è che in questi anni mi sei stato sempre accanto, nei miei momenti migliori e in quelli peggiori, come spero di esserti stata vicina anch'io. Tuttavia,» riprese evitando che lui la interrompesse «quella che pensavo fosse soltanto un'amicizia, che mi sono sforzata di mantenere tale...» prese un respiro profondo, rendendosi conto di essere a corto di fiato «non ha senso continuare a fingere che non sia qualcosa di più, almeno per me.» Si morse la lingua, sentendo le guance in fiamme mentre si perdeva nelle iridi azzurre dell'uomo, ora sgranate per la sorpresa.

«Io... non so cosa dire.» Parlò finalmente Sebastian, dopo quella che sembrò una pausa interminabile. «Provo anche io dei sentimenti di profondo affetto verso di te, però sono ancora un Fratello della Chiesa, anche se non ho mai avuto tanti dubbi sui miei voti come in questo momento.» Scosse la testa, abbassando poi il capo. «No, non è affetto. Non è quel sentimento puro di cui parlano i poeti, è... desiderio, che mi divora il petto ogni volta che vorrei stringerti ma devo costringermi a fermare il mio braccio.»

Marian fece un passo verso di lui, guardandolo all'insù e sfiorandogli il dorso della mano. «Non fermarlo, allora.»

Sebastian strinse il pugno, come a combattere una forza invisibile. «Se abbandono la Chiesa, sarà per sempre, e...» Le afferrò finalmente la mano, esitando. «Non ho mai conosciuto qualcuno come te, non so come comportarmi. Ho paura di deluderti, se vedessi chi ero prima di prendere i voti.»

«Tutti abbiamo dei difetti, Sebastian.» Quasi le venne da ridere, nonostante la tensione. «Non sono pura di cuore e spirito, ho fatto un sacco di cose di cui mi pento e altrettante che nonostante farebbero storcere il naso ai più devoti, ripeterei in un batter d'occhio.» Abbozzò un sorriso. «Mi sono stancata di nascondere quello che provo e quello che sono. Quindi ti chiedo molto egoisticamente di fare una scelta, perché io la mia l'ho già fatta.»

L'uomo annuì, socchiudendo gli occhi per un attimo in un sospiro. «Penso di averla fatta anche io tempo fa, devo solo decidermi ad ammetterlo.» Fece scivolare la sua mano con delicatezza dal polso alla spalla, sfiorandole il collo e fermandosi ad accarezzarle la guancia, prima di chinarsi un altro poco su di lei, appoggiando la fronte sulla sua. «Ti amo, Marian.»

Non aspettò un attimo di più. Gli catturò le labbra con le proprie, mettendoci tutta la passione che aveva tenuto a bada in quegli anni, intrecciando le dita tra i suoi capelli, il profumo dell'altro ad avvolgerla mentre gli schiudeva le labbra e approfondiva il contatto, finché rimasero entrambi senza fiato. «Speravo lo dicessi.» Sussurrò, per poi baciarlo delicatamente un'altra volta, e di nuovo, mentre lo tirava a sé. «Ti amo anch'io, Sebastian.»

Quando iniziò a sbottonargli le fibbie della giacca, lo sentì irrigidirsi. Sollevò lo sguardo, interrogativa, e vide che era ormai paonazzo.

«Non... credo di potermi fermare, se andiamo oltre-»

Per tutta risposta, fece saltare gli ultimi due bottoni quasi di forza, baciandolo all'angolo della bocca per poi mordergli il lobo dell'orecchio. «Credo che ci siamo trattenuti abbastanza, no?»

La risata di Sebastian le provocò un battito di farfalle nello stomaco mentre le afferrava i fianchi e, dimentichi della cena, iniziavano a salire le scale verso il piano di sopra, senza staccarsi per più di qualche secondo, come se dovessero recuperare tutto il tempo perduto.

Entrati nella stanza da letto, Marian si lasciò sfuggire un gemito di dolore quando provò a togliersi la camicia, ma prima che l'altro potesse preoccuparsi e interrompere le attenzioni che stava dedicando al suo seno, si fece aiutare a sollevare la stoffa sopra la testa, lasciando che cadesse per terra. Lo spinse sul letto, mentre lui percorreva con la punta delle dita la spessa cicatrice sulla spalla, scendendo poi a baciarle il petto, le mani che accarezzavano i fianchi e il ventre.

In breve, anche la camicia dell'altro fece la stessa fine, permettendole di ammirarne il fisico asciutto, la pelle scura, gli addominali e la leggera peluria rossiccia che gli copriva il petto e scendeva dall'ombelico verso il basso. Gli montò a cavalcioni, andando a slacciare quella maledetta cintura, e ascoltò soddisfatta il rumore metallico quando la fibbia incontrò il pavimento. Le mani di Sebastian si infilarono sotto i suoi pantaloni, facendoli scivolare lungo le cosce finché non finirono a terra assieme all'intimo, lasciandola nuda di fronte a lui.

La guardò dal basso quasi con venerazione, mentre lei scendeva a baciarlo nuovamente, esplorando quel corpo che aveva bramato per anni.

Ad un certo punto la sorprese ribaltando le posizioni, e Marian si ritrovò a chiedersi come avessero potuto negarsi tutto ciò. Voleva sentirlo dentro di sé, appagare quel desiderio che l'aveva tormentata come fuoco vivo. Quando sentì il respiro caldo dell'altro sul ventre, sollevò il bacino alla ricerca di quel contatto, ansimando il suo nome.

Sebastian tornò a guardarla negli occhi, gemendo con la voce impastata di desiderio che non faceva altro che marcare quel suo meraviglioso accento, mentre la stringeva nuovamente lasciandosi guidare dentro di lei, chiamandola come in preghiera.



 

Si strinse contro il suo petto, godendosi la sensazione di potersi abbandonare completamente a lui mentre Sebastian le baciava i capelli. «Non voglio tornare là fuori.» Sussurrò, cercando di ignorare la luce che entrava ormai prepotentemente nella stanza nonostante le tende chiuse.

«Lo so, vorrei restare così per sempre.»

Sorrise, accoccolandosi tra le sue braccia. «Potranno cavarsela senza di noi per qualche giorno.»

L'altro si lasciò sfuggire una bassa risata, mentre coi polpastrelli disegnava figure immaginarie sulla collinetta dei suoi fianchi. «Questa città non può stare nemmeno tre giorni senza di te, temo.»

Si voltò a guardarlo, sfiorandogli le labbra. «Sono disposta a correre il rischio.»

La baciò con dolcezza, sistemando le coperte su entrambi per ripararsi ancora un poco dal giorno. «Verranno a cercarci, lo sai.»

Trattenne a stento una risata. «Se conosco Isabela, è piazzata qui fuori armata fino ai denti e pronta ad impedire a chiunque di entrare.» Si godette il rossore sulle guance dell'altro, ricambiando il bacio. «Ammetto che era una trappola ben congegnata.»

Sebastian sorrise a sua volta. «Normalmente non sarei così contento di esserci caduto in pieno, ma visti i risultati...»

Marian stava per proporre di restare a letto per l'intera giornata, quando il suo stomaco si esibì in un brontolio affamato. Sbuffò, accoccolandosi contro di lui con un grugnito infastidito mentre il compagno le baciava una spalla.

«Nulla ci impedisce di ripetere.» Le sussurrò all'orecchio, stringendola per ancora qualche istante prima di mettersi seduto e cercare con lo sguardo i vestiti finiti sul pavimento.

Capitolò anche lei. Recuperò una vestaglia da casa dall'armadio e, senza darsi la pena di allacciarla bene sui fianchi, gli lanciò uno sguardo lascivo prima di scendere al piano di sotto.



 

«Sai, non pensavo si sarebbe finalmente tolto quell'Andraste dai pantaloni.»

Nascose il sorrisetto soddisfatto nel boccale, prendendo qualche sorso. «E invece...»

Isabela scoppiò a ridere, dandole un buffetto sul braccio. «Allora, non per farmi i fatti tuoi, Tesoro, ma com'è messo là sotto?»

«Bela, questa è esattamente la definizione di “farsi i fatti altrui”.»

Il sorriso dell'amica non fece che allargarsi.

Scosse la testa, divertita, ricambiando il colpetto. «Fatti bastare che è andata bene, impicciona!»

«Sono contenta che vi siate finalmente dichiarati.» Commentò Aveline, annuendo soddisfatta. «È stato un passo importante per entrambi.»

Annuì. «Elthina se lo aspettava, credo. Non mi è sembrata particolarmente arrabbiata con me, ieri che ero di ronda alla Chiesa, anzi, credo mi abbia persino sorriso ad un certo punto.»

«Che quel bocconcino prelibato rimanesse con la cintura di castità a vita era un crimine contro il Creatore in persona, Tesoro, hai solo fatto la Sua volontà.»

«Partirà per Starkhaven, quindi?» Chiese Aveline.

Scosse la testa. «L'idea è di creare nuove alleanze e rafforzare le vecchie, non credo che suo cugino, ma soprattutto quelli dietro al suo trono, gli renderanno la vita facile. Oltretutto, la situazione con i maghi eretici sta peggiorando a vista d'occhio e la Somma Sacerdotessa è preoccupata, come tutta la Chiesa e i Templari, del resto, e Sebastian non se la sente di andare da nessuna parte prima che si sia risolta.»

«Sì, il fatto che tu sia di stanza qui a Kirkwall non ha alcun peso sulla sua scelta di restare, assolutamente.» La punzecchiò Isabela, buttando giù il suo rum. «Beh, qualsiasi siano i motivi, sono contenta per voi. Soprattutto per te, ovviamente, anche se una parte di me piange per il fatto che non potremo mai replicare quella meravigliosa serata al porto, anche Fenris sarà in lutto.»

Scoppiò a ridere, rischiando di farsi andare di traverso la birra e tossendo alla ricerca d'aria. «Smetterai mai di ricordarmelo?»

La pirata le lanciò un sorriso smagliante. «Mai, conserverò gelosamente il ricordo finché campo. E la prima volta che il tuo bel principe sarà abbastanza ubriaco, lo sfrutterò a mio vantaggio. Chissà che non torni alle vecchie abitudini di quando era giovane e promiscuo.»

«Devi solo provarci...»

Isabela sollevò le mani in segno di resa, ridendo. «E va bene, d'accordo, è territorio inviolabile! Sei molto egoista però, sappilo, i veri amici condividono tutto.»

«Questo è perché hai un'idea completamente traviata dell'amicizia, oltre che di molte altre cose.» La rimbeccò Aveline, che tuttavia stava sorridendo.

«A proposito di veri amici, la gattina si è ufficialmente soffiata l'ultimo Hawke rimasto.» Annunciò Isabela, abbassando la voce in tono confabulatorio. «Ho notizie di... terza mano, a riguardo, ma sono fonti affidabili. Ero con quel nano baffuto e il bel tenebroso dal naso che lascia ben sperare, e a metà di quella che oserei dire una splendida esecuzione canora dopo un intero barile di birra nanica, ho chiesto dove fosse il piccolo Carver. E a quanto pare l'elfa che hanno tra i Custodi li ha visti pomiciare in modo molto entusiasta qualche sera fa.»

Marian si lasciò sfuggire una smorfia. «Sei una zabetta.»

«Chi, io?!» Finse di offendersi l'altra. «Sono solo preoccupata per la vostra salute, un buon esercizio fisico è importante nella vita.»

«E ovviamente quello è l'unico esercizio che conosci...» borbottò Aveline, scuotendo il capo. «Non dovresti impicciarti, Isabela.»

L'altra fece spallucce. «Lo so che saresti preoccupata anche tu, se non fosse il nostro piccolo Carver quello intento a raccogliere margherite. Non mi inganni, ragazzona.»

«Ripartiranno tra qualche giorno, sono contenta che almeno...» Marian sospirò profondamente, lasciando la frase in sospeso. Carver si meritava un po' di felicità, forse più di tutti loro. «Merrill sembra aver messo un po' la testa a posto, ultimamente, no? Hanno difeso bene l'Enclave, si sta dedicando all'intero quartiere...»

«Speriamo.» Si limitò a rispondere Aveline. «Temo sempre che si cacci in qualche guaio più grosso di lei, sembra sempre così...»

«Innocente?» Finì per lei Isabela, ridacchiando. «Nasconde delle sorprese, fidatevi di me.»

«A proposito di sorprese, andrei a controllare come se la stanno passando i ragazzi, prima che Garrett mandi in fumo altre duecento Sovrane solo perché non sa perdere.» Cambiò discorso Marian, alzandosi e aspettando che le altre la seguissero al piano di sopra dell'Impiccato.

La scena che si trovarono davanti era al limite del ridicolo.

Varric stava contando una grossa pila di monete d'oro davanti a sé, mentre Fenris lanciava occhiate velenosamente soddisfatte in direzione di Anders. Il mago teneva il broncio, e Garrett era intento a frugarsi nelle tasche alla ricerca di qualcosa, altri soldi probabilmente.

«Mi hai mandato sul lastrico anche stasera, bell'amico.»

«Scheggia, è colpa tua. Potevo leggere ogni singola carta della mano del biondino stampata su quel bel faccino disperato.»

«Ti odio.»

«Non ero disperato!»

«Raccontala a qualcun altro, mago.»

Marian si schiarì la voce, andando a posare entrambe le mani sullo schienale della sedia del fratello. «Vedo che ve la state spassando come al solito.»

«Ah, eccovi!» Si illuminò quello, estraendo altre tre Sovrane dal fondo della tasca dei pantaloni. «Isabela, vuoi farmi compagnia?»

«Quando vuoi, speravo avresti cambiato idea.»

Anders e Fenris si voltarono all'unisono verso i due, causando uno scoppio di ilarità generale.

La pirata andò ad appollaiarsi con nonchalance sul bracciolo della sedia di Garrett, cingendogli con un braccio le spalle e chinandosi verso i due fratelli. «Questi due insieme farebbero faville.»

«Sì, nel senso che Kirkwall andrebbe di nuovo in fiamme.»

«Cos'è che state dando alle fiamme, qui?»

Marian si voltò con un sorriso verso la porta, vedendo entrare Sebastian e Donnic, e alzandosi per salutarli. «Ci stavamo appunto lamentando della noia.»

Sebastian ricambiò il saluto, sfiorandole la mano e tirando indietro una sedia per farla accomodare. «Posso proporre un'imboscata di assassini antivani, dato che abbiamo già incontrato Qunari, maghi del sangue e pirati?»

Isabela scoppiò a ridere, andando ad accomodarsi anche lei al tavolo. «Scherza, scherza, principino, ma quando avrai messo una corona su quei bei capelli rossi potresti pure riceverne un paio, sai?»

Marian incrociò lo sguardo allarmato dell'uomo, scuotendo il capo divertita. «Sei sempre ottimista.»

«Oh, eccome, uno dei migliori affari della mia vita è stato, l'incontrarne uno.» La pirata allungò il braccio verso il mazzo di carte davanti a Varric, iniziando a mischiarle. «Allora, è rimasto qualcuno con almeno un paio di monete nella borsa?»

Non le sfuggì l'occhiata di scuse che Anders rivolse a Garrett, ma alla fine restarono tutti. Dal piano di sotto, arrivarono altre birre e qualche piatto di cibo, e la serata trascorse tranquilla.



 

Tornando verso la Città Superiore, dopo aver salutato Sebastian, si ritrovò con Aveline a camminare per la piazza del mercato, senza in realtà avere molto sonno. Donnic si era allontanato poco prima, e le due erano rimaste sole.

«Sai, credo di essere pronta.» Disse ad un certo punto Aveline, e Marian la guardò senza capire. «Per il prossimo passo, con Donnic.»

«Nel senso che intenderebbe Isabela, o...?» Scherzò lei, fermandosi sotto il portico.

L'amica scosse la testa, arrossendo imbarazzata e fissandosi i piedi. «No, intendo il passo importante.»

Sgranò gli occhi. «Te l'ha chiesto?»

Aveline rialzò la testa, allarmata. «No, no, non quello!» Si affrettò a spiegare, gesticolando nervosamente. «Sarebbe troppo presto, magari ancora qualche mese-»

«Ah, qualche mese!»

«Va bene, allora non ti dico niente.» Tagliò corto, imbronciata, facendo per andarsene.

Marian scattò in avanti, afferrandola per una spalla. «Scusa, ricomincia da capo. Sarò seria.»

L'altra alzò gli occhi al cielo, ma si fermò di nuovo. «Le cose stanno andando bene, con Donnic. E sì, non escludo l'idea del matrimonio, anzi, credo me lo chiederà a breve, è... molto romantico. Più di me, sicuramente, almeno non ha mai pensato di farmi regali assurdi per dichiararsi.»

Si limitò ad annuire, cercando di non ridere al ricordo delle assurdità a cui voleva ricorrere l'amica per fare colpo sull'uomo.

«Ecco, insomma, voglio dire che sono pronta ad affrontare il resto della vita con lui.» Borbottò Aveline, sottovoce. «Come avrei fatto con Wesley.»

Improvvisamente, l'ilarità sparì. «Sarebbe solo contento di vederti felice, Aveline.»

L'amica annuì. «Lo spero. Sto facendo del mio meglio. Lo amavo, e non cambierà mai, però Donnic è un uomo meraviglioso e...»

«Puoi amare due persone nella vita, non c'è niente di male.»

La vide abbassare il capo. «È che non voglio che si senta un rimpiazzo.»

«Non dire così, è innamorato di te e si vede che lo ricambi con tutto il tuo cuore, non potrebbe mai credere una cosa del genere.» Ribatté cercando di convincerla. «Ed è normale che pensi ancora a Wesley, sarà sempre una parte di te. Ma se senti di essere pronta ad una vita con Donnic, allora significa che è il momento giusto.»

Aveline rialzò il volto, abbozzando un sorriso. «Lo spero.»

«Ne sono certa.» In un moto di affetto, Marian la strinse in un abbraccio.


























Note dell'Autrice: fanfare e cori da stadio, finalmente quei due ce l'hanno fatta. Da qui in poi Sebastian si staccherà dal burattino di legno perennemente indeciso che l'ha reso la Bioware per diventare un bambino vero. La tensione tra questi due ormai si poteva affettare con un'ascia bipenne, spero che sia valsa la pena aspettare tanto a lungo! 
Si conclude così il secondo atto, con un attimo di pace e tranquillità e buone speranze per il futuro. 

 

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Capitolo 33
*** Orzammar ***


Orzammar

Era del Drago, 9:35

 

 

Natia Brosca non era mai stata una tipa paziente, e quando si trattava di affari lo era anche meno.

Lanciò uno sguardo al dito mozzato posato sul tavolo, la ruvida stoffa che lo avvolgeva macchiata di sangue rappreso, continuando a masticare il fungo essiccato.

«Lo sapevi che era un azzardo.»

Sfregò nuovamente la cote sulla lama di silverite, senza voltarsi verso Leske.

«Che hai intenzione di fare, mozzare le mani a tutti?»

«Non lo so, cazzo.»

«Beh, pensaci in fretta, Keg non è stato il primo e non sarà sicuramente l'ultimo a dirti che è stato un pessimo affare, perché lo è stato.» Leske le diede una pacca sulla spalla, stringendola per un attimo. «So che sono tuoi amici, e se vuoi continuare ad aiutarli ti guardo le spalle, Salroka. Ma ci sono cose che vanno dette.»

Natia sospirò profondamente, annuendo. «Lo so.»

«Quando vuoi.»

Lo sentì uscire dalla stanza, lasciandola sola con un boccale vuoto, un pugnale che avrebbe volentieri usato più spesso e uno stupido dito mozzato.

Che razza di avvertimento, mozzare un dito a qualcuno. La scelta era stata tra quello o staccargli la testa, e per quanto Keg non usasse molto il cervello, era pur sempre uno dei suoi. Era stato uno dei più entusiasti a seguirla quando aveva preso il controllo del Carta anni prima, e ora era stata costretta a farne un esempio solo perché era abbastanza scemo da ripetere ad alta voce quello che ormai pensavano quasi tutti i suoi scagnozzi: quei maghi del cazzo stavano causando solo un mucchio di problemi.

Eppure, uno di quei maghi del cazzo era forse l'unica persona per cui Natia si sarebbe fatta travolgere da un Ogre senza pensarci un attimo, e qualcosa doveva pur contare.

Con uno sbuffo irritato, diede un'ultima passata con uno straccio al pugnale, infilandolo poi nella cintura. Sputò il fungo delle profondità in una ciotola con qualche resto di cibo e uscì dalla stanza a passo pesante, grattandosi la spessa cicatrice sul naso.

Trovò il mago in questione in una delle stanze al piano superiore, intento a fumare una pipa di legno dall'aspetto vissuto.

Quando la sentì arrivare, l'uomo si voltò appena, facendole un cenno col capo mentre gli si accomodava accanto.

«Allora, spilungone,» prese la parola, allungando il braccio ad afferrare la bottiglia mezza vuota di liquore di licheni e miele «dobbiamo parlare.»

Geralt Amell prese un'altra boccata di fumo, facendolo uscire in piccoli cerchi concentrici. «Zevran mi ha detto dell'incidente del dito.»

Natia storse la bocca. «Non è un incidente, chiamiamolo col suo nome: una cazzata che sono stata costretta a fare per non perderci ulteriormente la faccia.»

«So che ti sto costando parecchio.»

«No, non lo sai, lo immagini.» Lo rimbeccò lei, bevendo qualche sorso di liquore direttamente dalla bottiglia e schioccando la lingua, guardandolo storto. «E la tua immaginazione non è mai stata brava a contare soldi.»

«Così tanto?»

Appoggiò la bottiglia sul tavolo, allungando la mano. Lui le porse la pipa, e Natia ne aspirò il fumo avidamente. «Non sto parlando solo di denaro, e già comunque non è un problema secondario. Mi stai costando la fiducia dei miei, Geralt. E non devo ricordarti che fine fanno i capi che fanno incazzare i loro scagnozzi.»

«Pensavo che sarebbero persino caduti in cielo, per te.»

Scoppiò a ridere, prendendo un'altra boccata e ripassandogli la pipa. «Alcuni sono qui per me, sicuro, ma è il guadagno che tiene in piedi tutta questa baracca. E non prendiamoci per il culo, le belle parole arrivano fino ad un certo punto, poi hai bisogno di riempirti le tasche.»

Il mago emise un sospiro profondo, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Non volevo trascinarti a fondo con me. Mi dispiace.» Si rigirò l'oggetto tra le mani, passando l'indice su un disegno intagliato nel legno. «Partiremo il prima possibile.»

Natia sbuffò di nuovo. «Non dire stronzate, spilungone, non mi hai trascinato da nessuna parte.» Prese ancora qualche sorso, lasciandosi poi sfuggire un piccolo rutto. «E non ho intenzione di cacciarvi così di punto in bianco, avete l'intero Ordine Templare attaccato alle chiappe. Qui sotto siete al sicuro, e se osano venire a prendervi, scopriranno qualcosa sull'ospitalità nanica.»

«Scommetto che il re avrebbe qualcosa da dire, a riguardo.»

«Lascia stare Sua Altezzosità, qui dentro comando io e voi quattro siete miei ospiti, non mi interessa quante mani devo tagliare per farlo entrare in quelle teste dure.» Si frugò nelle tasche, estraendone un altro pezzetto di fungo delle profondità e cacciandoselo in bocca, masticandolo fino a ridurlo in poltiglia e ficcandoselo tra il labbro inferiore e gli incisivi. «Parlerò chiaramente: ho fatto un investimento, su di te e la tua rivoluzione, e non sta andando come speravamo. Hai fallito nel far cadere i templari a Kirkwall, e non sei riuscito a prendere il controllo di quel demone. E non solo, è chiaro anche ai sassi che il Carta stia aiutando la Resistenza, e già girano troppe voci sui Risolutori, maghi del sangue e altro.» Sollevò un dito, per evitare che l'altro la interrompesse. «Normalmente non me ne fregerebbe un cazzo, ma il Carta non fa affari solo con quattro maghi con le pezze al culo e manie di grandezza, la metà dei nostri traffici si basa sulla concorrenza, la dipendenza dei templari dal lyrium è la nostra punta di diamante.» Lanciò uno sguardo irritato al mago, che le stava rivolgendo un'occhiata astiosa. «Lo so che non approvi, ma io in qualche modo devo fare i soldi, e voi non siete esattamente i miei migliori clienti. Ti ho praticamente regalato nani, contatti e lyrium per anni, Geralt. E sta diventando sempre più difficile nasconderlo.»

«Non ti ho mai chiesto di-»

«Oh, certo, potevo semplicemente dire “stracci, questo spilungone è il mio migliore amico, quindi lavorerete per lui senza ricevere un bronzo, perché ve lo dico io”.» Sputò un po' di saliva azzurrognola per terra, piccata. «Dicevo, se i Templari smettono di fidarsi di noi, e se qualcuno dei miei nani decide che non gli faccio più così paura e si mette in proprio, rischio di perdere una grossa fetta di traffici. E non posso permettermelo, se devo pure continuare a tenervi in vita.»

Geralt aggrottò le sopracciglia, sorpreso. «Pensavo tutto questo discorso servisse a dirmi che non avresti più supportato la causa.»

Natia si grattò il naso, passandosi la lingua nel buco tra i due incisivi. «Non appoggio la tua dannata causa, ma te. Però non ho intenzione di rimetterci il posto perché tu sei più cocciuto di un bronto, quindi ho cercato un modo per evitare di sbattere via i miei soldi.»

Il mago si lasciò sfuggire una risatina, appoggiando il gomito sul bracciolo della sedia e sorreggendosi il mento con il dorso della mano. «Sentiamo, che proponi per salvarti quella faccia da stronza che hai così meticolosamente costruito?»

Natia schioccò la lingua. «Quello costruito sei te, io sono più genuina dell'oro.» Afferrò la bottiglia, portandola alle labbra e inclinandola per berne il fondo che restava. «Kal-Sharok si è messa in contatto con Sua Altezzosità, il mese scorso, e nel frattempo ho ricevuto una bella visita da parte di un piccolo gruppo di teste di pietra che pensa di poter fare la voce grossa e propormi un affare svantaggioso come se fossi l'ultima arrivata.»

«Kal-Sharok, nelle Anderfels? Che-» Geralt si interruppe, realizzando un attimo dopo cosa volesse intendere. «Ah, immagino ti abbiano proposto qualcosa col Tevinter.»

«La proposta è stata la testa mozzata di uno dei miei, che avevo inviato a Nessum a tastare la roccia.» La rabbia ancora le faceva prudere le dita, ma non era il caso di perdere la calma. «E un caldo invito ad accontentarmi di un venti percento del loro profitto se gli lasciavo usare la nostra via per Ghislain, sparando qualche stronzata sul fatto che non avrei potuto comunque impedirglielo.» Sorrise serafica, ripensando a come Ghislain era stata ripulita da ogni singolo stronzo pallido con quell'accento di merda. «Dovrebbero aver imparato a non minacciarmi in quel modo, ma il Tevinter mi risulta ancora... difficile da raggiungere.»

«E immagino che mandare qualcuno che possa direttamente dialogare con i Tev possa renderti le cose più facili?»

Annuì. «Non ci sono Templari, e sono il mercato più ricco non controllato dalla Chiesa. Forse il più grosso in assoluto, conto sul fatto che siano assetati di potere come li descrivono in superficie e più che contenti di avere altro lyrium per uccidersi a vicenda. Orzammar e la casta dei minatori ne spediscono già un po', e il resto se lo contendono con Kal-Sharok. Un gruppo indipendente legato alla Casta dei Mercanti di superficie gestisce la maggior parte dei traffici sottobanco, ma ho intenzione di portargli un'offerta vantaggiosa per entrambi.»

Geralt portò la pipa alle labbra, inspirando pensoso. «Continua.»

«Ho un piccolo gruppo a Caimen Brea. Voi li raggiungete, e assieme fate un giretto a Nessum a portare notizie del Carta di Orzammar a quei bastardi montati di Kal-Sharok. Le mie condizioni sono che se vogliono restare nel Tevinter, mi spetta il 30 percento dei traffici che hanno con l'Imperium, entro un anno, in cambio gli permetterò di utilizzare alcune delle mie rotte per Orlais, se mi daranno il 50 percento dei guadagni. Altrimenti avviso i gruppi di Orlais, Liberi Confini e Nevarra che finalmente potranno divertirsi un po' con qualche culo pallido, e non potranno uscire dalle Anderfels nemmeno se scoppia un sesto Flagello. E non gli piacerà affatto, ne hanno già avuto un assaggio a Ghislain.»

«Hai intenzione di scatenare una guerra con Kal-Sharok, Natia?» Le chiese sollevando un sopracciglio, ammirato. «Parecchio ambizioso, persino per te.»

Si strinse nelle spalle. «Che ci vuoi fare, mi piacciono i rischi, lo sai.»

«Pensavo ti bastasse aver ricattato mezza casta dei minatori a pagarti una percentuale, ma non sono poi così stupito.» Si grattò la barba, giocherellando con una delle trecce naniche che si divertiva a portare. «I Mercanti ti hanno già dato un contatto o due, immagino.»

«Alcuni. Tra cui un paio nel Magisterium, perché mi piace puntare direttamente in alto, una è legata pure ad un amico di tuo cugino.»

Geralt storse la bocca, in un'espressione che non gli donava affatto. «Non nominarmi quel verme.»

«Pensala come vuoi sul nuovo campione di Kirkwall, però i Tethras sono affidabili. E in ogni caso, penso che troverai Magister Tilani una donna interessante.»

«E avrei un'ottima scusa per girovagare indisturbato per l'Imperium...»

«Esattamente. Tu aiuti me, io aiuto lei, lei aiuta te. Ma soprattutto, tu ti levi finalmente dai coglioni, che se devo sopportare un altro mese di quella faccia scura ti ficco una bomba di lyrium nel culo solo per vederti cambiare espressione. Sembri un nug in trappola.»

Il mago sbuffò infastidito. «Odio stare sottoterra, lo sai.»

«Sono sopravvissuta a mesi di campeggio all'aria aperta, non mi sembra di essere morta.»

«Ti sei lamentata ad ogni singolo passo, barilotta.»

Gli rivolse un sorriso tutto denti storti. «Allora, che ne dici?»

Geralt si portò nuovamente la pipa alle labbra, annuendo. Espirò il fumo, lentamente, prima di parlare di nuovo. «Ti devo un altro favore, Natia.»

«Vedi di ripagarlo in Sovrane, d'accordo?»

Lo vide rigirarsi la piccola pipa di legno tra le mani. «Tranquilla, non ho intenzione di lasciare altri debiti insoluti.»

La nana sospirò. «Quante volte dovrò dirti che non potevi fare nient'altro?»

«Non è quello il punto.»

«Lo so, il punto è che siamo due stronzi.» Si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lui e mettendogli una mano sul braccio. «Ma non abbastanza stronzi da non affezionarci a nessuno.» Si concesse un ghigno soddisfatto, notando di avergli strappato un sorriso. «E Sua Altezzosità sarà contento di non rischiare una Santa Marcia.»

«Leliana ci è andata giù abbastanza pesante, in effetti.»

«Hanno appena eletto una nuova Divina, non credo la vogliano morta così presto, no?» Gli diede le spalle, aveva qualche preparativo da ultimare prima della partenza dell'amico.






Geralt sospirò pesantemente mentre si avventurava all'aperto, se così si poteva definire l'uscire da un edificio per ritrovarsi in una stramaledetta caverna sotterranea.

Odiava sentirsi rinchiuso, aveva giurato che nessuno l'avrebbe più tenuto confinato da qualche parte come era stato per quasi vent'anni alla torre del Circolo, e invece era finito per barricarsi sottoterra di propria volontà. Più o meno.

Scese verso il quartiere comune, la piazza del mercato gremita di nani che contrattavano sui prezzi della merce esposta. Incrociò un piccolo gruppo di guardie che lo fissarono sospettosi, ma si limitarono a salutarlo cortesemente: per quanto non fosse ospite esattamente gradito, era pur sempre uno dei vecchi compagni dell'attuale Re di Orzammar. I nani comunque sembravano essere più abituati alla presenza di un umano, perché oltre a qualche occhiata in tralice e borbottii sull'essere troppo alto, non sentiva più l'astio e l'aperta diffidenza che li avevano colpiti la prima volta che erano scesi là sotto, durante il Flagello. Il commercio con la superficie era aumentato, e ormai non era così inusuale trovare dei mercanti umani che si spingevano fin là sotto, anche se sempre sotto stretto controllo nanico.

Si diresse a passo spedito verso un vicolo laterale, trovando il fabbro che cercava. La forgia era piccola rispetto a quelle più frequentate dai nani in cerca di armi con cui spazzare via la Prole Oscura, ma sui pochi scaffali la merce in esposizione era di tutt'altro valore: piccoli pugnali rilucevano nella penombra, una grossa spada a due mani aveva tutta una serie di rune incise nel piatto della lama, una balestra dall'aria letale riposava appesa alla parete.

Il nano dietro il bancone non alzò nemmeno lo sguardo, limitandosi a salutarlo con un cenno, concentrato nell'incastrare un piccolo pezzo di metallo in quello che sembrava un complesso sistema di ingranaggi che muoveva della polvere di lyrium, rinchiuso in una boccia di vetro. Quando esso si sistemò nella sua posizione con un sonoro “click”, il nano emise un grugnito soddisfatto. La polvere di lyrium si mischiò a qualcosa di grigiastro, e Geralt poteva quasi avvertirne da un paio di metri di distanza il potere distruttivo.

«Bella bomba.»

Il nano sollevò finalmente lo sguardo, esibendosi in un ghigno tutto denti storti. «Niente male, eh? Certo, poi dovrò fargli un contenitore più resistente...» La pelata riluceva leggermente sudata, i tatuaggi al lato del viso si collegavano a quelli che aveva sulle spalle e lungo le braccia scoperte, in un intrico di rune. «Questa farebbe un botto ancora più grosso di quella che hai visto, l'importante è che una volta unito il lyrium al salnitro, carbone e zolfo, non smettano mai di essere miscelate. Altrimenti, boom. E in ogni caso, non lo conserverei nella tasca dei pantaloni.» Lanciò un'occhiata divertita alla veste del mago, ridacchiando tra sé e sé.

Geralt roteò gli occhi al soffitto. «Vieni al punto, Roget, non sono dell'umore giusto.»

Il nano scosse il capo, sospirando. «Voi della superficie avete davvero un carattere peggio dell'aria che respirate, eh... l'ho finito, vado a prenderlo.» Sparì nel retrobottega, tornando poco dopo con un involto alto quasi il doppio di lui. Quando lo appoggiò sul bancone, Geralt allungò istintivamente la mano sopra di esso. Un'aura rossastra si propagò tutto intorno a loro, mentre scostava la spessa pelle di bronto a rivelare un bastone magico nuovo di zecca: l'oro vulcanico, scurito al punto che sembrava assorbire la fioca luce del negozio, terminava con due affilate lame di silverite a forma di mezzelune, una più alta e una più piccola. Tra di esse, incastonata in un intrico di rovi metallici cosparsi di minuscole e brillanti rune di lyrium, riluceva la gemma scarlatta che aveva recuperato a Kirkwall, così potente che poteva sentirne l'energia fluire verso di lui e far tremolare il Velo alla minima interazione.

Troncò il flusso magico, le rune si spensero e il flusso si interruppe.

Sorrise, afferrando il bastone e soppesandone il peso, facendolo roteare in aria un paio di volte. L'estremità inferiore terminava con una piccola punta, anch'essa in silverite, quasi fosse una lancia, rendendolo atto a ferire da entrambi i lati nel caso si fosse avvicinato qualche templare o avesse la necessità di non ricorrere alla magia. Il manico presentava anch'esso tre rune differenti, ora sopite.

«Roget Dural, dovrebbero farti Campione.»

L'altro scoppiò a ridere. «Mettici una buona parola col Re, allora.»

«Sicuro che non ti devo nulla?»

Il nano scoppiò a ridere. «Più di quanto tu possa accumulare in una vita, ma mi sono già accordato con la nostra amica. Non preoccuparti, spilungone.»

Geralt chinò leggermente il capo, mentre azionava il meccanismo che faceva rientrare il manico del bastone in sé stesso, riducendolo ad un ingombro di mezzo braccio, abbastanza da essere nascosto in uno zaino all'occorrenza. Lo ricompose rapidamente con un solo gesto della mano. Non vedeva l'ora di provarlo, magari su qualche Templare.

Uscì salutando un'ultima volta il nano, soddisfatto oltre ogni aspettativa. Quella pietra era risultata instabile, e ancora non riusciva a sfruttarne le piene potenzialità, ma era certo che nel Tevinter avrebbe trovato le risposte che cercava.

Tornò al Distretto dei Diamanti, estraendo la pipa e accendendo con un cenno della mano il lichene e le foglie di radice elfica, aspirandone il fumo denso e amarognolo, sfregando il polpastrello sulla scanalatura del legno. Osservò il piccolo oggetto, le corna di halla sul cannello ormai appena visibili.

Gli mancava.

Sospirò, prendendo un'altra boccata e guardando il soffitto dell'enorme caverna, illuminato dalle torce e dalle colate di lava che scorrevano attorno alla città. Anche lei aveva odiato restare sottoterra, eppure aveva stretto i denti ed era andata avanti, come sempre d'altronde. Cocciuta come un mulo, e col caratteraccio di un drago. Era stata la prima persona che aveva visto sfidare apertamente un Templare, un Comandante in persona, senza battere ciglio.

«Mi daresti del bastardo traditore, se mi vedessi chiedere aiuto al Tevinter?» Chiese, la voce appena un sussurro. «Ho fatto la mia scelta, come l'hai fatta tu.» Scosse la testa, inspirando altro fumo e chiudendo gli occhi. «Mi andrebbe bene essere ricoperto di insulti, se solo potessi dirti che...»

Si voltò verso la balaustra da dove, anni prima, si erano affacciati lui, Natia, Zevran, Leliana e Kallian dopo una serata di allegria e alcol, un nodo alla gola. Natia gli era rimasta al fianco, Zevran li aveva aiutati a mettere in piedi la Resistenza nonostante non fosse nemmeno un mago... estrasse dalla tasca la lettera di Leliana, dove la donna gli intimava di smetterla con i suoi attacchi sovversivi e chiedeva di darle fiducia, giurando di star lavorando assieme alla nuova Divina per una soluzione congeniale sia ai maghi che alla Chiesa. La stinse nel pugno, stropicciandola ulteriormente. Non c'era alcuna possibilità che si giungesse ad un accordo pacifico, quel ponte era saltato da parecchi secoli. Soffiò del fumo, guardandolo salire verso la volta di pietra.

Nessuno li avrebbe più rinchiusi per essere colpevoli di avere il Dono, strappati alle loro famiglie e costretti a subire ogni genere di abusi e torture. Avesse dovuto trascinare nel sangue l'intero Thedas meridionale per fargli capire come ci si sentisse ad avere paura ogni singolo giorno della propria vita, avrebbe vinto quella guerra.

«Mi dispiace.»

Diede fuco alla lettera, lasciandola cadere a terra e schiacciandola sotto le suole, tornando alla residenza della Casata Brosca.

Bussò alla porta della stanza una sola volta, aprendo il battente di pietra e scivolando all'interno.

Jowan gli corse incontro, allungando la mano ed afferrando il bastone magico appena ritirato, gli occhi scuri che brillavano di eccitazione. «È un capolavoro.»

Sorrise, sciogliendosi i capelli che aveva tenuto legati in una crocchia sulla nuca. «Ha fatto un ottimo lavoro, anche se ci ha messo un po' alla fine ne è valsa la pena.» Andò a sedersi pesantemente sul grande letto al centro della stanza, stendendosi su di esso e chiudendo gli occhi. «Ho delle novità.»

Sentì il compagno raggiungerlo, il materasso che si piegava sotto il suo peso. «Dimmi che ce ne andiamo, finalmente.»

Lo guardò dal basso, divertito. «Non eri tu che dicevi che un po' di tranquillità ci avrebbe fatto solo bene?» Sollevò la mano fino ad accarezzargli la corta barba curata, dandogli un buffetto.

«Era sei mesi fa, ora sto impazzendo. Mi manca la luce del sole, l'aria aperta... persino la pioggia, e sai quanto detesti il fango e il freddo.» Si stese accanto a lui, poggiando il capo contro la sua spalla. «Apprezzo quello che stanno facendo Natia e il re, ovviamente, però...»

Geralt gli lanciò un sorriso smagliante. «Sei fortunato allora, perché stiamo per partire verso climi più caldi, e ci aspettano settimane di viaggio all'aria aperta. In piena primavera, quindi di pioggia ne incontreremo in abbondanza.»

Jowan scoppiò a ridere. «So già che dopo due giorni mi rimangerò tutto, ma non vedo l'ora.»

«Andiamo nel Tevinter.»

Scese il silenzio per qualche attimo.

«Abbiamo sempre voluto andarci, no?» Gli chiese il compagno, stringendoglisi contro. «Magia ovunque, libertà di fare quello che più ci piace, niente Templari...»

«Un paradiso, non fosse per gli schiavi e le manie di grandezza.»

Jowan gli lanciò un'occhiata divertita. «Sarà una bella sorpresa conoscere qualcuno con un ego più grosso del tuo.»

Geralt rispose con un sorriso sornione. «Vedremo.» Lo baciò sulle labbra, assaporando quell'angolo di mondo in cui poteva sentirsi sereno, accarezzandogli i capelli neri e accompagnandolo sopra di sé mentre approfondiva il contatto. «Mi mancherà avere una stanza tutta nostra, in viaggio.»

«Posso proporre una nave?»

«Renderebbe tutto molto più agevole, in effetti, pirati a parte.» Gli prese il viso tra le mani, guardandolo negli occhi. «Ti amo.»

«Ogni volta che me lo ripeti, sembra che tu abbia paura che io possa sparire da un momento all'altro...» Jowan scosse la testa, appoggiando una mano sulla sua mentre con il gomito dell'altro braccio si puntellava sul materasso. «Ti amo anch'io, lo sai. Qualsiasi cosa troveremo, la affronteremo insieme.»

Qualcuno bussò alla porta, facendogli sfuggire un grugnito infastidito mentre stringeva a sè il compagno per qualche secondo, sperando che chiunque fosse desistesse dal disturbarli.

«Se avete intenzione di sfruttare questi ultimi giorni di reclusione per appartarvi là dentro, almeno non fatelo prima di cena!» Li chiamò Zevran dall'esterno, tamburellando con le nocche sulla pietra.

Geralt stava per rispondergli a tono, quando Jowan gli posò un bacio sulle labbra, sussurrandogli un «riprendiamo più tardi» e staccandosi da lui, lasciandolo solo sul letto. «Arriviamo!»

Si passò una mano tra i capelli rossi, lanciando un'occhiata allo specchio sul muro. Aveva sempre portato la barba lunga, prima di partire per il nord forse era il caso darci un taglio.

«Allora, ci farete recitare la parte degli schiavi obbedienti?» Chiese loro Zevran, appoggiandosi all'uscio. «Non credo sarà la mia migliore interpretazione, parlo troppo.»

Geralt e Jowan lanciarono uno sguardo corrucciato in direzione dell'Antivano, per poi soffermarsi su Vanya, che teneva le braccia incrociate al petto e un'espressione astiosa sul volto.

«Io non mi faccio mettere in catene per fare bella figura.» Decretò la maga, le orecchie a punta che fremevano a sottolineare il suo pensiero.

Sospirò, scuotendo il capo. «Forse è troppo rischioso per voi seguirci, sarà già abbastanza complicato così...»

Zevran gli puntò un dito contro, premendoglielo sul petto e guardandolo fisso. «Se vuoi che veniamo con voi, diccelo e troveremo il modo. Vi ho detto che vi avrei seguito, e non intendo rimangiarmi la parola. Tuttavia,» si scostò una ciocca di capelli dal viso, allontanandosi un poco «dal poco che so del Tevinter, attirereste solo altra attenzione non richiesta se non ci trattate da schiavi. E penso sia l'ultima cosa di cui abbiate bisogno.»

«Poi avremo bisogno di qualcuno che coordini la Resistenza e i Risolutori, senza di noi.» Aggiunse Jowan, sovrappensiero. «Vanya, possiamo lasciarti al comando?»

L'elfa gli lanciò uno dei suoi sorrisi feroci. «Lasciate fare a noi, voi preoccupatevi di scoprire come utilizzare l'Occhio.»

Geralt annuì. «Non possiamo fallire.»





 

Duran Aeducan si tolse con un sospiro la pesante corona dal capo, riponendola accanto allo scranno reale. Si sollevò in piedi, cercando di non dare a vedere la sua stanchezza mentre stirava la schiena indolenzita dallo stare tante ore scomodamente seduto ad ascoltare i nobili bisticciare per ore ed ore come una mandria di bronto insofferenti. Sembravano bambini capricciosi, troppo attaccati ai soldi, alla casta o ad un blasone familiare per rendersi conto che o Orzammar si fosse decisa ad aprirsi alla superficie, oppure non sarebbe stata la Prole Oscura a spazzarli via dal Thedas.

Accanto a lui Piotin Aeducan, il suo secondo, scosse il capo sbuffando, scrocchiando il collo e portando la grossa ascia da guerra su una spalla. «Sembra quasi che abbiano le orecchie di pietra.»

Annuì, mentre si lasciavano la sala del trono alle spalle. «Se devo subirmi un'altra invettiva di Vollney sui senzacasta nel quartiere comune, potrei marchiarlo seduta stante solo per farlo tacere.»

Il cugino scoppiò a ridere. «Oh, i Meino non aspettano altro.»

Duran si massaggiò le tempie, cercando di alleviare il mal di testa. «Non capisco, davvero. Stiamo facendo progressi, strappando ai Prole Oscura più Thaig di quanti non ne avremmo ripresi in cinquant'anni, e tutto ciò che fanno è dire che abbiamo armato i senzacasta.»

«Come se non girassero armati ben prima della tua riforma...»

Intercettò lo sguardo dell'altro, e gli rispose con un'occhiataccia. «Almeno ora hanno meno motivi per creare disordini. Non muoiono di fame tra la polvere, non sono spinti a derubare e uccidere onesti mercanti, e fanno il loro dovere per la città combattendo nell'esercito. Io questo lo chiamo un miglioramento, ma a qualcuno rode semplicemente il fatto che i propri figli, che magari sono nati proprio grazie ad una marchiata, combattano fianco a fianco con degli stracci.» Evitò di accennare al Carta, che sotto Natia si era fatto decisamente più baldanzoso, eppure anche lì la situazione era migliorata: nessuna lotta per il potere, nessun incidente fuori controllo. Brosca aveva una gran faccia tosta a pensare di fargliela sotto il naso, ma doveva ammettere che senza di lei il Carta avrebbe prosperato comunque, come aveva sempre fatto. Almeno con lei poteva fidarsi di chi ne era a capo.

«E che gli tocchi pure salvarsi la vita a vicenda, magari.» Sbuffò di nuovo Piotin, grattandosi sopra la tunica di cuoio una spessa cicatrice slabbrata sul petto, regalo di un Prole Oscura: non fosse stato per una delle nuove aggiunte all'esercito di Orzammar, sarebbe tornato alla Pietra prima del tempo.

«Papà!» Un grido eccitato li fece voltare entrambi, in tempo per vedere i due gemelli ruzzolare l'uno sull'altra stringendo in mano qualcosa.

La bambina schizzò in avanti, correndo tra le braccia del padre. «Annika, che cos'hai lì?» Le chiese, stringendola e dimenticandosi improvvisamente di tutte le scocciature della giornata.

Gli mostrò un piccolo mabari di legno, i dettagli della pelliccia intagliati con grande precisione, gli occhi due minuscole gemme. Era stato anche dipinto con la pittura che usavano nel Ferelden, di un bel rosso scuro che spiccava sul legno chiaro.

«Ah, vedo che qualcuno vi ha dato in anticipo i regali.» Si sforzò di metter su un'espressione di rimprovero, ma capitolò quasi subito nel vedere la figlia stringere il piccolo mabari al petto.

«Ma il nostro compleanno è oggi!» Rispose lei, gonfiando le guance e aggrottando le sopracciglia. «Tu non c'eri.»

Le accarezzò le trecce castane, pizzicandole dolcemente una guancia. «Mi dispiace, avrei voluto passare tutta la giornata con voi...» Foral, che li aveva raggiunti, lo guardava a braccia conserte, anche lui con un mabari di legno in mano. «Mi potete perdonare?»

Il bambino si scambiò uno sguardo corrucciato con la sorella, prima di annuire e tendere le braccia verso di lui. Duran si mise sulle spalle Foral, che scoppiò in un altro gridolino deliziato, e prese in braccio Annika, per poi dirigersi verso la sala da pranzo, Piotin che li seguiva divertito.

Quando entrarono, vennero investiti da una serie di profumi, il lungo tavolo di pietra già imbandito a festa. Adal lo salutò con un sorriso, venendogli incontro e prendendogli Annika dalle braccia.

«Non sono riuscita a tenerla ferma, ha praticamente investito il messo reale...»

«Sono troppo sollevato che Re Alistair e la Regina Elissa non ci abbiano mandato un mabari vero, per riuscire a sgridarla.» Sfiorò le labbra della moglie in un bacio leggero, scatenando versi di disgusto da parte dei bambini, e sollevò Foral dalle spalle per metterlo seduto al suo posto.

«L'anno prossimo voglio vedere il cielo!» Strillò Annika, seguita a ruota dal fratello, altrettanto entusiasta all'idea.

«Dov'è che abbiamo sbagliato...» Si ritrovò a bofonchiare Duran, lanciandosi uno sguardo preoccupato con Adal, che si strinse nelle spalle.

«Troppi racconti della superficie, ecco cosa.» Rispose semplicemente lei.

La porta si spalancò rumorosamente. Endrin era tutto intento ad ascoltare qualsiasi cosa gli stesse raccontando la zia, a cui Leske sembrava dare manforte, mentre Rica Brosca chinò rispettosamente il capo nella loro direzione, salutandoli cortesemente mentre prendeva posto.

Natia fece un gesto che lasciava poco spazio per equivocare di cosa stessero parlando, affondando la mano e ruotando il polso, prima di dare una stoccata finale all'aria. «E poi, devi sempre ricordarti di non voltare mai le spalle al nemico, perchè-»

«Natia, ti ricordi quello che avevamo detto sul non picchiare la pietra finché è fragile?» La rimproverò Duran.

L'altra si esibì in un sorriso tutto denti storti. «Il discorso sul “niente coltelli ai bambini” o quello sul vocabolario da usare in famiglia? Oppure ancora quello sul non fare le gare di sputi...?»

Tutti e tre i bambini scoppiarono a ridere fragorosamente. Natia, nonostante le occhiatacce dei rispettivi genitori, si sedette soddisfatta al tavolo, afferrando senza troppi complimenti uno spiedino di nug al miele e cacciandoselo in bocca. «E comunque stavo solo impartendo delle utili lezioni, vero?» Bofonchiò mentre masticava, deglutendo rumorosamente.

Endrin, per confermare, afferrò il coltello accanto al piatto con l'aria di chi sta impugnando un'arma affilata, annuendo fiero. «Così potrò usare il pugnale che mi ha regalato la zia!»

Vide Piotin nascondere una risata dietro un colpo di tosse, facendo spazio a Leske per sedersi accanto a lui. «I nostri ospiti fuori taglia?»

«Arrivano, staranno troppo impegnati a-»

«Eccoli!» Alzò la voce Adal, lanciando un'occhiata assassina ai due nani e salutando gli ultimi quattro invitati a quella piccola festicciola in famiglia.

«Scusate il ritardo, stavamo organizzando una sorpresa...» spiegò Zevran, mentre faceva sedere cortesemente Vanya accanto a lui prima di accomodarsi.

Geralt prese posto accanto a Natia, e Jowan si piazzò accanto all'elfa.

Duran si chiese cosa diamine avessero in mente, ma cercò di autoconvincersi che la sua apprensione fosse superflua. Aveva messo bene in chiaro che gli stavano dando già abbastanza grattacapi, no? Il ghigno divertito di Natia non presagiva nulla di buono. Stava per domandare di cosa si trattasse, quando Adal mise la mano sulla sua. «Non è nulla di grave, tranquillo, ci ho già pensato io.»

Le rivolse un sorriso riconoscente. «Sei la mia roccia.»

La nana scrollò le spalle. «Lo so bene.»

La cena proseguì più o meno tranquilla, e quando fu il momento di mangiare il dolce, un insieme di strati uno più zuccherino dell'altro preparato secondo una ricetta antivana che aveva passato Zevran ai cuochi del palazzo, i bambini quasi si lanciarono sul vassoio, dimentichi delle posate.

«Questa è la tua influenza, Brosca.» Commentò sconfitto il re, guardando i tre leccarsi le dita piene di panna e crema.

«Quanto siete pesante, Vostra Altezzosità...» lo condì via Natia con un gesto della mano, prima di infilare anche lei un dito nella torta e cacciarselo in bocca. «Mfh, che buono!» Esclamò succhiando rumorosamente.

Duran intercettò lo sguardo disgustato di Geralt, che cercò di salvare almeno metà del dolce sollevando magicamente il vassoio fuori dalla portata delle quattro pesti. Jowan lo aiutò a riempire i piatti, e quel piccolo spettacolo di magia servì ad ipnotizzare abbastanza i bambini perché si ripristinasse un minimo d'ordine.

Dopo, si alzarono dal tavolo e si spostarono nella stanza adiacente, gli adulti che chiacchieravano del più e del meno mentre i gemelli scartavano i loro regali.

Quando fu il suo turno, Duran si alzò a recuperare i piccoli involti di stoffa fermati con un fiocco colorato, porgendoli ai figli. «Tanti auguri, miei diamanti.»

Annika e Foral scartarono estasiati i due golem di metallo, gli ingranaggi meccanici che si muovevano magicamente per farli camminare avanti e indietro, sgranando gli occhi quando i minuscoli cristalli sul dorso si illuminarono di una luce intensa. Lo abbracciarono di nuovo, stringendolo per qualche attimo per poi tornare ai loro giochi, testando quanto velocemente potessero muoversi.

Endrin li guardava con una punta di invidia.

Duran gli si avvicinò, sedendosi accanto a lui. «Ne vuoi uno anche tu?»

Il bambino, dall'alto dei suoi quattro anni e mezzo, scosse ostinatamente il capo. «Non è il mio compleanno.»

Annuì, facendo un cenno a Piotin, che si avvicinò loro senza che il bambino lo notasse. «Capisco... quindi questo posso dartelo tra qualche mese?» Prese il pacchetto dalle mani del cugino, consegnandolo ad Endrin con un gran sorriso.

Quello lo fissò sorpreso. «Ma...?»

«Non ho certo bisogno di avere un motivo per fare un regalo al mio nipote preferito.» Rispose, il cuore che gli si scaldava a vederlo scartare l'involto, trovando anche lui un piccolo golem personale.

Endrin se lo rigirò tra le mani, passando le dita sui cristalli verdi e blu. «Vedrò anche io un golem, zio? Come quello che ha combattuto nelle Prove per te?»

Duran sorrise. Shale aveva fatto una grande impressione su tutti, e ancora qualcuno si divertiva a raccontare di quella volta che il re era sceso nell'Arena a combattere per ripristinare il proprio onore, aiutato da due Custodi Grigi e un gigantesco golem assassino. «Shale è parecchio lontana, da quello che so, ma con un po' di pazienza e fortuna potremmo chiederle di scendere qui sotto per un saluto. Anche se non vorrei farla tornare a combattere, ci tengo ai miei guerrieri.»

Gli occhi del bambino brillavano, mentre stringeva al petto il regalo.

«Sai che i golem hanno una paura fottuta degli uccelli?» Si intromise Natia, sporgendosi sopra di loro e scompigliando i capelli di Endrin con la mano. «Un vero terrore, volevo dire.» Cercò di correggersi all'occhiataccia di Duran.

«Perchè?»

«Perchè corrono velocissimi nell'aria, sopra le nostre teste, lanciando bombe di cacca su tutti quelli che hanno sotto.»

Il bambino rimase per un attimo ad immaginare la scena, per poi scoppiare a ridere a crepapelle. «Bombe di cacca!»

Natia gli fece il verso, facendo finta di lanciare un'immaginaria bomba contro Leske, Rica e Adal. Leske appoggiò immediatamente il boccale che teneva in mano, buttandosi a terra e rotolando sul pavimento, tenendosi il naso tra le dita. Le due nane, dopo un attimo di smarrimento, finsero di svenire sulle sedie. Endrin schizzò via ridendo dai cugini, attirati dal rumore, iniziando a rincorrersi.

Duran si grattò il mento, lanciando un'occhiata divertita all'amica. «Sei tremenda.»

Natia gli fece una linguaccia. «Dillo a Shale, è lei che ha paura della cacca.» Lo superò con una scrollata di spalle, andando ad importunare “gli spilungoni”, come li chiamava lei.

«È questo che manca a quelle teste di pietra.» Gli disse Piotin, affiancandoglisi e facendo un cenno col capo al gruppo variegato che avevano di fronte. «Non riescono a capirlo.»

Il re sospirò. Dove lui vedeva degli amici, una famiglia, la maggior parte dei nani vedevano un imperdonabile insulto alla Pietra e alle loro antiche tradizioni. «Vorrei solo che ci provassero.»

Il cugino gli mise una mano sulla spalla. «Se ci sei riuscito con me, c'è speranza.»

Sorrise, voleva credere che avesse ragione. Persino lui ci aveva messo del tempo per cambiare idea, e aveva dovuto trovarsi in circostanze davvero fuori dall'ordinario per ritrovarsi a pensare a dei senzacasta come a parte della famiglia. Eppure, ora non riusciva ad immaginare diversamente.

Dopo qualche tempo, i maghi li convinsero ad uscire all'esterno, percorrendo tutto il tragitto dal palazzo alla balconata del Distretto dei Diamanti, che si affacciava sul resto della città.

«Pronti?» Chiese loro Jowan, posizionandosi alla loro destra. Geralt, sul lato opposto rispose affermativamente, e Vanya sollevò le mani, puntandole verso il soffitto della gigantesca grotta che ospitava la capitale.

Dopo un attimo di trepidante attesa, la caverna si riempì di luci multicolori, miriadi di fiammelle di ogni forma e dimensione che si intrecciavano, univano ed esplodevano nuovamente in un vortice scoppiettante. I tre bambini gridarono eccitati, e persino gli adulti rimasero ad osservare lo spettacolo con un certo interesse, mentre tutto attorno a loro si levavano esclamazioni di sorpresa, meraviglia e, comprensibilmente, un po' di paura. Quando però le guardie attorno a loro si misero a tranquillizzare gli abitanti del Distretto, e tutti iniziarono a pensare che fosse stato il re in persona ad organizzare quello spettacolo, la folla agitata iniziò a rilassarsi, godendosi semplicemente la vista.

Sentì Adal afferrargli la mano, stringendola.

Ricambiò il gesto, lo sguardo puntato verso Orzammar, sotto di loro, illuminata come non l'aveva mai vista. Il compito che si era posto davanti era arduo, eppure in quel momento nulla gli sembrava impossibile.






























Note dell'Autrice: questo piccolo spazio dedicato ai personaggi di "Dragged into the Blight" ci voleva, mi mancavano moltissimo. Geralt è cambiato parecchio nel giro di qualche anno, però alcune cose sono rimaste le stesse, si è solo prefissato degli obbiettivi difficili da raggiungere ma dettati da ciò che ha visto e subito, come tutti gli altri. Natia si ritrova a dover confrontarsi con il suo non essere così tanto stronza, come dice qui, ma avere a cuore i suoi amici e la sua famiglia persino più dell'oro che ama tanto. Duran, infine, nonostante tutto non ha mai perso la fiducia che ha nella sua famiglia, ha solo allargato la definizione a dei componenti un po' improbabili, e ora deve far aprire un po' gli occhi al resto dei nobili di Orzammar... una cosa da niente, no? 

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Capitolo 34
*** Ostwick I ***


Ostwick I

Era del Drago, 9:35


 

 

Macsen Trevelyan inspirò a pieni polmoni l'aria di mare, appoggiato al parapetto della nave.

Ostwik si ergeva davanti a loro, due inespugnabili cinte murarie alle quali si doveva la nomea della città di essere stata “costruita per durare”, le vette aguzze degli edifici che spiccavano in pietra chiara come zanne sulla costa, memori della loro origine tevinter.

Il porto era stato costruito scavando nella montagna, probabilmente tramite l'uso massiccio della magia, e il vecchio faro, da secoli ormai adibito a Circolo dei Maghi, si protendeva nel mare ad una manciata di miglia dalla loro nave, collegato alla terraferma da uno stretto ponte sospeso sulle acque per qualche centinaio di metri. Il pensiero volò a suo fratello Quinn, domandandosi se avesse già lasciato la torre. Non vedeva la sua famiglia da quasi due anni, e gli erano mancati terribilmente.

I gabbiani sopra di loro stridevano in maniera assordante, inseguendosi l'un l'altro e tuffandosi tra le onde, sollevandosi nuovamente con le prede nel becco.

«Finalmente a casa.»

Si voltò verso Andrew, che si era avvicinato a lui e ora lo osservava attentamente, appoggiato con la schiena al parapetto. «Già.»

«Hai deciso se parteciperai al Torneo?»

Si lasciò sfuggire un sorriso tronfio. «Non vorrei far sfigurare tutti gli altri.»

«I Trevelyan hanno riservato due posti, no?» Lo incalzò l'amico, senza lasciargli tregua. «Tua cugina vorrà partecipare, sicuramente... l'altro sarà tuo fratello, se non ti proporrai tu.»

Assottigliò le labbra, riportando lo sguardo verso la città. «Forse dovrei lasciare che sia Domhnall a prendersi tutta la gloria.»

«Come al solito, intendi?»

«Sei sempre molto diretto, Drew.»

«Siamo amici per questo.» Si strinse nelle spalle lui «Non hai risposto alla mia domanda, però.»

«Parlerò con Dom.» Capitolò infine. «Sempre che quel pagliaccio di Ronan non abbia approfittato della situazione e abbia allungato un bel borsello stracolmo a qualcuno per iscriversi a nostra insaputa.» Ridacchiò al pensiero, sarebbe stata la volta buona per i Trevelyan di bandire il lontano cugino dalla famiglia.

«Oh, vorrei proprio vederlo cadere da cavallo dopo aver cercato di montarci su al contrario.»

La nave si stava ormai avvicinando al porto, e Macsen si voltò ad intercettare la reazione dei loro ospiti, che in quel momento avevano gli occhi puntati sulla maestosa città. «Benvenuti ad Ostwick, messeri!» Alzò la voce, esibendosi in un sorriso sghembo. Marian Hawke si voltò verso di lui con uno sguardo astioso, un colorito verdognolo sul viso. «Siamo quasi arrivati, Tenente.»

Lei si avvicinò con passo ostinato, stringendo il parapetto di legno con maggior vigore del necessario. «Ritengo ancora che sia tutta una perdita di tempo.»

Sospirò teatralmente. «Avrete modo di ricredervi, ne sono sicuro. E chissà, potreste pure trovarlo divertente... avete pensato di iscrivervi al Gran Torneo, per esempio?»

La donna sbuffò. «Non sono interessata a dare spettacolo.»

Il Principe Vael, che l'aveva seguita a ruota, si concesse un sorriso rilassato, perfettamente a suo agio sulla nave come sulla terraferma, gli occhi azzurri che brillavano divertiti. «Il Gran Torneo non è solo spettacolo, è uno dei capisaldi dei Liberi Confini, la nostra punta di diamante, per così dire.»

Macsen si ritrovò per l'ennesima volta a pensare a quanto fosse un bel vedere quell'uomo, con il suo marcato accento di Starkhaven e quei capelli rossi che spiccavano sulla pelle abbronzata, le labbra carnose che avrebbe volentieri stretto tra i denti. Annuì, riportando la sua attenzione sulla Tenente. «Il Principe ha ragione. Non solo il Campione si ricopre di gloria, ma rende onore allo spirito della competizione, alla libertà che è il grande vanto delle nostre città.»

«Mi stupisce come chiunque possa partecipare, in effetti.»

«Ripeto che se voleste iscrivervi, Tenente, sarebbe un ottimo trampolino di lancio.»

«Intendi forse “un'ottima scala a pioli per risalire dalla voragine di vergogna in cui mi sono gettata”?» Rimbeccò lei con una smorfia. «No, sono qui solo perché, anche se mi duole ammetterlo, devo un favore alla tua famiglia. E Sebastian potrebbe giovarne.»

Macsen tamburellò con le dita sul legno, sovrappensiero. Un'alleanza tra i Trevelyan di Ostwick e i Vael di Starkhaven avrebbe fatto guadagnare molto ad entrambe le parti, tuttavia per il momento Sebastian aveva ancora bisogno di alleati e un esercito con cui riprendersi la sua città. Per tutto il resto, ci sarebbe voluto del tempo.

«Hei voi!»

Il grido fece loro alzare lo sguardo verso la vedetta, permettendogli di avere un perfetto scorcio del didietro di Isabela, la bizzarra amica della Tenente, che scendeva agilmente dall'albero della nave. Mandò un sentito ringraziamento al Creatore o chi per esso per avergli dato la fortuna di essere circondato da una vista niente male. Incrociò lo sguardo di Andrew, che stava palesemente pensando la stessa cosa.

«Mi mancava stare per mare, penso che potrei impossessarmi della vostra nave, Trevelyan.» Ammiccò la donna, gli orecchini d'oro che tintinnavano illuminati dai raggi del sole.

«Potrei essere convinto a cedervela.» Si limitò a rispondere con un sogghigno.

Anche Garrett li raggiunse, più sicuro di sé sulle gambe rispetto alla sorella. «Non immaginavo fosse così... imponente.» Commentò indicando con un cenno del capo la città.

«E ancora non avete visto niente, i festeggiamenti saranno un vero spettacolo.»

«È vero che fate rotolare i formaggi? O Varric cercava di prendermi per il culo come suo solito?»

«Tutto vero.» Rispose Andrew, ridacchiando. «Prendono il loro formaggio molto seriamente.»

«C'è una storia, dietro quella corsa: durante l'invasione Qunari, la città fece rotolare su di loro ogni genere di masso, carro, colonna, tutto quello che era abbastanza grosso da frenare la carica dei Beresaad.» Spiegò Macsen, sentendosi per un attimo molto suo fratello Quinn, con quell'aria da sapientone. «Si dice che un servo ebbe l'idea di utilizzare le enormi forme di formaggio contenute nel palazzo del Teyrn, che ruzzolarono giù per la via maestra spazzando via un intero contingente di quei bastardi cornuti.»

«E dicono che siamo noi del Ferelden quelli strani...» commentò il Campione di Kirkwall, ridacchiando e dandosi di gomito con l'amico.

La nave si stava avvicinando al molo, e la risposta piccata di Macsen venne spazzata via dall'ondata di gioia al vedere entrambi i fratelli, uno accanto all'altro, in attesa dell'attracco.

Non attese nemmeno che i marinai finissero di legare le corde, saltando agilmente sul pontile e piegandosi sulle ginocchia per attutire l'impatto, colmando la distanza che li separava e stringendoli entrambi in un abbraccio accorato.

Domhnall Trevelyan ricambiò la stretta con altrettanta forza mentre Quinn, di gran lunga il più fragile fra i tre, si lasciò sfuggire un lamento irritato, cercando di liberarsi dai fratelli.

«Mi state strangolando...» si lamentò allontanandosi un poco e sistemandosi gli occhiali sul naso.

Dom scoppiò a ridere, un suono profondo e sincero, mentre scompigliava i capelli ad entrambi. Superava Macsen di almeno mezza testa: il fratello minore era più asciutto, nonostante anni e anni di allenamento templare, mentre il primogenito di Bann Trevelyan era imponente, superando il metro e novanta di muscoli e mascella squadrata, i lineamenti pronunciati e il naso leggermente adunco. Gli occhi verdi erano gli stessi dei fratelli, chiari e screziati di oro verso la pupilla, i capelli scuri tenuti corti e tirati all'indietro. «Meno storie, lo sappiamo che anche tu non vedevi l'ora di farti stritolare dal nostro piccolo Max.»

Macsen fece una smorfia infastidita. «Dacci un taglio, gigante.» Si voltò ad osservare Quinn, rivolgendogli un gran sorriso. «Ti trovo in forma.»

Quello rispose con uno sbuffo divertito. Era poco più basso degli altri due, e decisamente più minuto, anche se anni e anni passati al Circolo ad evitare ogni genere di fatica fisica l'avevano reso il più morbido della famiglia. Era comunque un bell'uomo, anche se i lineamenti già dolci di suo, ereditati dalla madre, erano accentuati dalla rotondità delle guance. «Sì, certo, sai quanto ci tenga ai miei esercizi mattutini, non salto mai l'ora di corsa su e giù dalle scale.»

«Lo vedo...»

Scoppiarono a ridere e Macsen si sentì subito a casa, come se non fosse passato più di un giorno dall'ultima volta che si erano visti. Si voltò verso i compagni, facendosi da parte per presentarli.

La Tenente lo scansò senza troppi convenevoli, salutando i due Trevelyan con un rigido gesto militare che non aveva nulla di femminile. «Grazie dell'ospitalità.»

Domhnall sembrò piacevolmente colpito, e ricambiò il saluto. Quinn abbozzò un sorriso di circostanza, più guardingo.

«E ovviamente, il famoso Campione di Kirkwall...» proseguì Macsen.

Vide Garrett improvvisare un inchino, tendendo la mano ai due. Dom gliela strinse con vigore, Quinn esitò un attimo prima di imitarlo. Isabela si esibì in una riverenza che mostrava tutti i punti giusti, ammiccando divertita al baciamano galante del maggiore dei fratelli, mentre Quinn arrossiva vistosamente, balbettando una frase di benvenuto rivolto al molo accanto a loro.

Sebastian parve spezzare la tensione senza alcuno sforzo, avvicinandosi e intavolando una conversazione sul più e il meno che portò avanti fino alle due carrozze pronte a scortarli fino al palazzo dei Trevelyan, arroccato sulla collina che gli regalava una splendida vista della città.

Si divisero in due gruppetti, Macsen, Domhnall, Marian e Sebastian in una carrozza e Quinn, Andrew, Garrett e Isabela nell'altra. Mentre lanciava uno sguardo divertito con la coda dell'occhio al fratello, visibilmente a disagio, gli scandì un “fortunato” con le labbra.

La salita verso la residenza di famiglia durò una mezz'ora, le strade erano piene zeppe di gente da ogni provenienza, mercanti, saltimbanchi e curiosi, ma permise agli occupanti delle carrozze di godere del panorama. Sebastian e Domhnall continuarono a chiacchierare amabilmente, mentre gli altri due si limitavano a commentare affermativamente o meno ad intervalli regolari, troppo impegnati Marian a guardare fuori dal finestrino, ed il giovane ad osservare con un sorrisetto fiero ogni reazione della sua superiore, che pareva impressionata dalla città.

«Come sta nostra madre?» Chiese Max al fratello, titubante. La salute di Lady Dolores Trevelyan era sempre stata fragile, e negli ultimi anni i dolori alla schiena la costringevano a letto sempre più spesso. Fortunatamente andava molto d'accordo con la moglie di Domhnall, Juliette, la quale trascorreva molto tempo in sua compagnia. Non era inusuale trovarle a parlottare di musica e pittura sotto il portico coperto del giardino interno, o a conversare amabilmente davanti ad un vassoio di pasticcini orlesiani nel piccolo salotto privato.

«Le sei mancato, non vede l'ora di riabbracciare “il suo pulcino”, tranquillo.» Lo prese in giro l'altro, sorridendo affettuoso. «Sembra stare un po' meglio, poi da quando Juliette ha scoperto di essere incinta, nostra madre è quasi rinata. Si sta occupando di tutto, i servitori non hanno un attimo di pace e ha già scelto l'intero guardaroba del bambino, la culla e almeno tre balie diverse.»

Macsen scoppiò a ridere, scuotendo il capo. «Tipico. Mi fa piacere. Ah, congratulazioni di nuovo, a proposito, non vedo l'ora di insegnare alla peste in arrivo come tirarti in testa una spada di legno.»

«E se arrivasse una bambina?»

La tenente Marian si lasciò sfuggire una risatina. «Non penso lo fermerà dal suo intento, Lord Trevelyan.»

Domhnall si unì a loro, la risata roboante che contagiò anche il Principe. «Juliette ti ucciderà.»

«Ma che dici, mi adora!»

Quando arrivarono davanti alla dimora principale dei Trevelyan, le carrozze si arrestarono all'ingresso del giardino a tre terrazze, che incorniciava l'edificio color crema in un verde rigoglioso screziato delle fioriture della tarda primavera. Le vetrate multicolori del primo piano, commissionate un secolo prima direttamente da Serault, risplendevano sotto il sole come gemme. Il cavallo rampante, simbolo della loro famiglia, sventolava dalla sommità delle due torri ai lati del palazzo e spiccava nitido sulle armature delle guardie che si aprirono in due ali al loro passaggio.

«Però, ricordatevi di invitarmi più spesso!» Commentò Garrett ammirato.

«Aspetta a dirlo...»

Macsen si voltò verso Andrew, tirandogli una gomitata. «Non fare lo stronzo.»

L'amico ricambiò con una spallata leggera, sussurrando un “palloni gonfiati” nell'orecchio di Garrett a voce abbastanza alta perché il Trevelyan potesse sentirlo.

Scosse il capo, troppo contento di essere a casa per offendersi.

Salirono la doppia scalinata che abbracciava la grande statua di un cavaliere con l'elmo calato sulla testa in sella al suo massiccio destriero, ed entrarono nell'edificio.

L'interno non era da meno, un insieme di marmi chiari a formare disegni geometrici sul pavimento e lesene color crema dai decori dorati che sorreggevano la volta.

Fu Bann Trevelyan ad accoglierli, un sorriso appena accennato sul volto dai lineamenti duri, più scavato di quello dei figli e solcato da piccole rughe attorno agli occhi e agli angoli della bocca.

«Spero che il viaggio sia stato agevole.» Disse dopo le dovute presentazioni, facendo segno alle guardie di lasciarli. Quattro servitori scattarono in avanti a quelle parole, il capo chino e le livree bianche e verdi perfettamente inamidate. «Avremo modo di conversare dopo che vi sarete rinfrescati e riposati, e domani sera si terrà la cerimonia di apertura del Gran Torneo al palazzo del Teyrn, sarete ovviamente miei ospiti d'onore, Serah Hawke, Tenente Marian.» Si limitò a lanciare appena uno sguardo ad Isabela, probabilmente catalogandola come un accessorio di Garrett, e tornò a puntare gli occhi verdi verso Sebastian. «Principe Vael, è un piacere vedervi in salute. Vi porgo nuovamente le condoglianze a nome della mia famiglia, parleremo del futuro a tempo debito.»

Dopo che gli ospiti vennero scortati alle loro stanze, fece un cenno col capo ai figli, precedendoli verso il salotto privato e chiudendo le finestre del terrazzino che dava sul giardino interno. «Allora, Macsen, com'è davvero la situazione a Kirkwall?» Chiese mentre sceglieva con cura una bottiglia dalla vetrinetta.

Il figlio minore si appollaiò sul bracciolo di una delle poltrone, allungando la mano quando il padre gli passò il bicchiere. «Meredith non sembra avere nulla in comune con la donna di cui ha parlato zio Arthur, tanto per iniziare.» Prese un sorso, godendosi l'aroma pieno e tostato sulla lingua. «La Forca è una bomba pronta ad esplodere, la Comandante è paranoica e il suo Capitano pure peggio-»

«Sappiamo qualcosa su di lui?» Gli chiese Domhnall, inarcando un sopracciglio mentre faceva roteare pigramente il liquore nel bicchiere.

Macsen si strinse nelle spalle. «Non credo, è un fereldiano del cazzo che ha paura della sua stessa ombra... viene da Kinloch Hold, era lì quando è caduto il Circolo. Cullen Rutherford, un signor nessuno ma combatte bene, questo devo riconoscerglielo.»

Bann Trevelyan assottigliò lo sguardo al sentire il figlio parlare in quel modo, ma non sprecò fiato per redarguirlo. «Se Meredith l'ha scelto come suo secondo, dovrà pur valere qualcosa.»

«È un cane alla catena, padre, nulla di più.» Sbuffò, buttando giù metà del bicchiere. «Fiuta la preda e attacca a testa bassa, è un coglione ma è leale a Meredith. Più di altri che hanno cercato di lavorare alle sue spalle, questo è sicuro, uno di loro ha tentato di aggirarla e andare a proporre direttamente alla Divina Beatrix una “soluzione di Tranquillità”, un altro ha lavorato per anni ad inasprire il conflitto coi Qunari, anche se non ho la minima idea di come si possa essere così idioti.»

Il padre sospirò pesantemente. «L'ho sentito, purtroppo persino tra i ranghi dell'Ordine pare esserci la feccia peggiore. Ho parlato con Arthur, la Divina Justinia sembra essere più... comprensiva nei confronti dei maghi rispetto a quelle che l'hanno preceduta. Tuttavia, se la situazione in alcuni dei Circoli più difficili non si acquieta un poco, non riusciranno a far passare alcuna riforma a riguardo.» Si accomodò su una poltrona, appoggiando il bicchiere sul tavolino accanto. «Hai scritto che la Tenente Hawke ha ottenuto riscontri contrastanti tra i ranghi dell'Ordine, possiamo prenderla in considerazione per farle sostituire quel Rutherford? Meredith non potrà opporsi ad un ordine diretto dall'alto, ma dobbiamo essere sicuri che i suoi uomini la appoggino.»

Max storse la bocca. «Ha il sostegno della città, questo è certo, e i maghi alla Forca si fidano più di lei che di qualsiasi altro di noi, però... no, non credo che ora come ora sarebbe una mossa saggia. Molti di loro la vedono come una traditrice dell'Ordine, Rutherford tra i primi ma non è il solo. Ha protetto un mago per anni, e nonostante tutti i suoi sforzi, l'ago della bilancia sembra non riuscire a pendere in suo favore. Almeno, non senza un'ulteriore spintarella, ma rischieremmo di sbilanciarci troppo presto.»

Bann annuì, intrecciando le mani in grembo. «Ci siamo già esposti molto, non sarebbe saggio scoprire le nostre carte prima del tempo. Il tuo piccolo piano per sbarazzarti dei Montrose ha funzionato, e nel giro di pochi mesi sono stati rimossi dalla scacchiera, ma è ancora presto per muoverci. La salute del nostro Teyrn è sempre più precaria, domani sera non si affaccerà nemmeno dalla finestra per aprire il Torneo, ha passato il testimone alla moglie. Non durerà a lungo, basterà solo pazientare ancora un poco.»

«La Resistenza dei maghi non è famosa per la sua pazienza, padre.» Commentò secco Domhnall, accomodatosi anche lui. «Se dovesse scattare qualcosa di grosso come ai Satinalia di Kirkwall o, che il Creatore non voglia, peggio, non farebbe che confermare le idee dell'ala più conservatrice della Chiesa. E a quel punto non avrebbe molto senso schierarci a favore del dialogo coi maghi.» Lanciò uno sguardo a Quinn, il quale per tutto il tempo era rimasto in silenzio ad ascoltarli, il bicchiere ancora intonso.

«Non guardare me, sapete che cerco di tenermi per quanto possibile fuori dalle macchinazioni politiche... però posso dirvi che la situazione ai Circoli è sempre più tesa, persino qui ad Ostwick, e credetemi vuol dire tanto. I Liberisti sono sempre più popolari.»

Bann scosse la testa. «L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che Kirkwall ci sfugga di mano, allora, la Divina si è convinta sia la sede principale dei Risolutori, e se avesse ragione...» spostò lo sguardo sul figlio minore, e Macsen scorse preoccupazione nei suoi occhi. «Se la situazione va fuori controllo, ti farò trasferire di nuovo. Starkhaven dovrebbe riaprire l'anno prossimo, avranno bisogno di un Capitano. È sufficientemente increscioso che tu non abbia già una carica di rispetto, non ho intenzione di perdere un figlio a causa di questa follia.» Lo mise a tacere prima che Max potesse solo aprire bocca per dire che no, non si sarebbe tirato indietro. «Per ora la Tenente sembra promettere bene, ma mi riservo di sostenerla pienamente dopo che l'avrò conosciuta di persona. Per quanto riguarda Meredith, nel momento in cui lei o il suo cane dovessero strappare la catena, sapremo come sostituirli.»

Macsen annuì, la frecciatina del padre che gli pungolava l'orgoglio.



 

Si strattonò il farsetto, cercando inutilmente di allargarlo sul collo e finendo per slacciare la prima fibbia che lo chiudeva, sotto lo sguardo divertito del fratello.

«Per essere uno abituato a cuocere in una scatola di metallo sotto il sole, un po' di stoffa e sembri in preda alle convulsioni.» Lo prese in giro Quinn.

Gli rifilò una smorfia offesa, scompigliandosi i capelli ad arte. «Almeno io non me la sto facendo sotto all'idea di frequentare un po' di gente.»

L'altro si sistemò gli occhiali sul naso, voltandosi dall'altra parte con fare stizzito. «Non dire sciocchezze.»

Sogghignò, tirandolo per una manica e facendolo scendere dalla carrozza. «Forza, andiamo a divertirci.»

Il palazzo del Teyrn era gremito di gente, gli enormi giardini che lo circondavano erano illuminati a giorno da decine e decine di lanterne e bracieri, l'aria vibrava di musica e voci in una moltitudine di accenti diversi. I due Hawke sembravano smarriti in tutta quella confusione, e Macsen trascinò il fratello verso di loro, rivolgendo un sorriso smagliante alla tenente, sottobraccio con il Principe.

«Miei signori, benvenuti ad una festa come si deve.»

«Non vedevo l'ora...» commentò tetra Marian, osservando con sommo disgusto un gruppetto di Orlesiani in maschera poco distante da loro, le signore vestite con abiti imponenti e stravaganti che si facevano aria con larghi ventagli di piume variopinte.

Garrett sembrava invece più a suo agio, e sia lui che Isabela, che lo accompagnava, si guardavano attorno con curiosità. «Sono Avvar, quelli?» Chiese, indicando con un cenno un paio di energumeni a torso nudo, ricoperti di pitture blu scuro dalla testa bionda agli addominali pronunciati.

Macsen scrollò le spalle. «E ancora non avete visto niente, la parata degli Chevalier orlesiani sarà uno spasso, faranno a gara con chiunque per sembrare i coglioni più pomposi nel giro di dieci miglia... e calcolando ci saranno anche Nevarra e il Tevinter, è una sfida difficile.»

Marian lanciò uno sguardo dietro di sé, a disagio. «Tevinter?»

Fu Quinn a risponderle, sorprendentemente. «Non preoccupatevi, Tenente, il Gran Torneo è combattuto ad armi pari, nessuno si sognerebbe mai di inviare dei maghi a competere. Soprattutto in un posto pieno zeppo di templari come questo.» Si sistemò gli occhiali, già perfettamente a posto, e fece un piccolo cenno verso un grosso contingente armato di tutto punto, le armature splendenti che sfoggiavano la spada fiammeggiante sul pettorale e sugli scudi lucidi, che vigilava sulla festa.

«Sono più che contento di non essere in servizio,» commentò Macsen, scoccando loro uno sguardo di scherno «mi perderei tutte le danze, con quel mucchio di ferraglia addosso.»

Marian Hawke sembrava tesa come una corda di violino, mentre annuiva rigidamente.

Sebastian la strinse un attimo a sé, cercando di farla rilassare senza grandi risultati. «Perdonate il nostro scarso entusiasmo, l'ultima volta che siamo stati ad un evento in società non è andata esattamente nel migliore dei modi...»

Garrett fece spallucce, passando un braccio attorno alle spalle di Isabela e segnalandole un gruppo di Antivani in pompa magna. «Io stavolta me ne tiro fuori, ho già dato. Per una volta, voglio godermi la serata senza complicazioni.»

Macsen scoppiò a ridere, allargando le braccia. «Siete il Campione di Kirkwall, potete fare qualsiasi cosa vi venga in mente, stasera!»

«E io ho intenzione di sfruttarne tutti i benefici...» Commentò Isabela con un occhiolino.

«Max, Quinn!»

Sentendosi chiamare, i due si voltarono appena in tempo per essere travolti da una cascata di capelli biondi e stretti in un abbraccio da mozzare il fiato.

«Mordred, li stai stritolando...»

Macsen ricambiò la stretta della cugina, affondando in quella massa di riccioli dorati per poi lasciarla andare, affibbiandole scherzosamente un pugno sulla spalla. «Che carina che sei oggi, hai intenzione di indossare tutti questi pizzi e fronzoli anche domani?»

L'altra rispose con un sorriso divertito, improvvisando una mezza piroetta aggraziata che fece fluttuare la stoffa blu intenso dell'abito tempestata di piccoli ricami, attirando l'attenzione di più di un astante. Le braccia erano lasciate libere da uno chiffon leggerissimo appena appuntato sulle spalle, il fisico asciutto e muscoloso di chi aveva passato la maggior parte del tempo sui campi di battaglia che irradiava ugualmente una certa grazia ed eleganza. «Sarebbe uno spreco, non trovi? Anche se riuscirei a buttarti giù da cavallo pure così agghindata.»

Max fece una smorfia piccata, gonfiando il petto. «Non pensare di potermi battere, quest'anno.»

Marcus Trevelyan, gli stessi capelli biondi della sorella tenuti legati in una coda bassa da un fiocco di velluto nero, sospirò con fare teatrale. «Non ricominciate, su.» Squadrò gli ospiti dietro il cugino, gli occhi di due colori diversi che si assottigliavano impercettibilmente. «Principe Vael, benvenuto ad Ostwick.»

«Vi ringrazio, Lord Marcus.» Lo salutò a sua volta Sebastian, ricambiando il mezzo inchino. «Posso presentarvi Ser Marian e Garret-»

«Hawke, il Campione di Kirkwall!» Lo interruppe Mordred, facendosi avanti e afferrando il braccio di Garrett, che si ritrovò a sgranare gli occhi sorpreso da tutta quella confidenza. «Abbiamo saputo delle gesta di entrambi, ovviamente, affrontare un'invasione Qunari e sconfiggere a duello l'Arishok in persona, dovete essere degli ottimi combattenti!»

Il Campione in questione arrossì, a disagio. «Ah, beh, sì insomma...»

Marcus spostò gli occhi dall'una all'altro Hawke, soppesandoli per un attimo prima di accennare un saluto, senza però estendere la mano. «Siete diventati piuttosto famosi, tutto d'un tratto.»

Macsen dovette trattenersi dal ridacchiare, ma Mordred sembrò non sentire la frecciatina del fratello. «Dovete assolutamente raccontarmi tutto, voglio sapere ogni cosa! Siete un mago, vero? E voi, Ser Marian, nostro padre ci ha detto qualcosa ma-»

«Vedo che non posso lasciarti sola un attimo...»

Alle spalle della donna comparve un gigante dai capelli rossi, probabilmente uno degli uomini più grossi che Macsen conoscesse, che si chinò verso la moglie sfiorandole i capelli in un bacio.

«Paura che te la rubassero, Alexander?»

«Più che altro, che si cacciasse in qualche guaio... Boromir e Dominick stanno di nuovo bisticciando, a proposito.»

Mordred si lasciò sfuggire una risata, mentre Marcus alzò gli occhi al cielo, infastidito. «Dovrei andare a-»

«No, per niente!» Si impose il fratello, tirandola per un braccio e impedendole di schizzare via. «L'unica cosa che devi fare è goderti la serata, stando lontana da quei due.»

Un'allegra melodia riecheggiò per il giardino, e Alexander sembrò illuminarsi. «Andiamo a ballare?» Chiese alla moglie, facendola volteggiare due volte tra le braccia.

«È una splendida idea!» Gli diede corda Isabela, tirando Garrett per un braccio e schiacciandosi a lui in modo provocante. Quello sembrò trovare la cosa molto divertente, perché annuì entusiasta.

Sebastian, più galante, fece un piccolo inchino verso Marian, prendendole delicatamente la mano e invitandola ad unirsi alle danze.

«Come state?» Chiese Marcus ai due cugini una volta che ebbero salutato le coppie e recuperato qualcosa da bere, facendo roteare con eleganza il vino nel calice di cristallo.

«Kirkwall fa schifo, ecco come sto.» Rispose secco Max, sbuffando.

«Dovevi pensarci prima.» Lo rimbeccò Quinn, spostando il peso da un piede all'altro e fissando corrucciato un gruppo di chiassosi Fereldiani poco più in là. «Saresti potuto restare a casa.»

«La prossima volta che qualcuno ti minaccia, farò in modo di fregarmene, allora.» Ribattè offeso, tracannando metà del vino in pochi lunghi sorsi.

«Quel verme se l'è cercata.» Convenne Marcus, gli occhi puntati su una dama particolarmente bella avvolta in morbide stoffe antivane, che mettevano in risalto tutte le curve giuste.

Macsen lo seguì con lo sguardo, sogghignando. «Dovevo colpirlo più forte, altrochè.»

Quinn scosse la testa, bagnandosi appena le labbra col vino. «Siete due teste calde.»

«Sto già scontando le mie colpe, non mettertici pure tu.» Bofonchiò, cercando qualcosa o qualcuno nella folla che potesse dare un tocco di classe alla serata.

«Dovresti essere grato a Zio Arthur per averti coperto le spalle, Max, sarebbe potuta andare molto peggio. Il Comandante voleva cacciarti dall'Ordine.»

I due cugini si lasciarono sfuggire una risatina divertita. «Ma per piacere, come se Odven potesse anche solo alzare un dito senza il benestare di Arthur Trevelyan...»

«Sarai presto ritrasferito, da quanto ha detto mio padre.»

«Sai, credo di non voler andarmene così presto.» Disse Macsen, sorprendendo più sé stesso che l'altro. «Succedono parecchie cose interessanti, in quel postaccio.»

Marcus lo scrutò con fare indagatore, l'occhio rosso che brillava di una luce sinistra mentre la torcia accanto a loro si rifletteva in quello dorato. «Sembri particolarmente interessato alla tenente.»

Max scoppiò a ridere. «Non in quel modo, te l'assicuro, mi spezzerebbe a metà anche solo per averci provato. Non che non la trovi una bella donna, s'intende... ma no, il rapporto che cerco è strettamente professionale. Credo abbia delle buone possibilità, e che possa effettivamente portare un po' di ragionevolezza nell'Ordine.»

«È una qualità che scarseggia ovunque, ultimamente.»

Quinn lanciò uno sguardo di sottecchi al cugino. «La Resistenza sta causando problemi per tutti.»

«Sono un branco di gente pericolosa e fuori controllo.» Convenne quello con un piccolo cenno del capo. Macsen non restò sorpreso dall'affermazione: Marcus aveva sempre disprezzato la magia, pur essendo un mago anche lui e soprattutto un eretico. Quinn, non esattamente un mago dalle grandi doti, era stato spedito al Circolo quando al dodicesimo anno di età la sua capacità di parlare con gli spiriti si era rivelata difficile da gestire per tutti, invece Marcus era stato addestrato da un mago di fiducia lontano dalla Chiesa e dai sospetti dell'alta società, perfettamente in grado di controllarsi e di mantenere la sua posizione di primogenito di Ser Arthur Trevelyan, destreggiandosi nella politica e nel Gioco senza alcuno sforzo. I due cugini non potevano essere più diversi nell'atteggiamento e nell'aspetto, ma condividevano l'opinione che i maghi dovessero essere tenuti sotto controllo per il bene di tutti, ovviamente senza essere privati dei loro diritti basilari, s'intende.

Un po' ipocrita, forse, in quanto uno non aveva mai messo piede in un Circolo e l'altro era stato sempre tenuto nella più alta considerazione persino dai templari (a parte uno, ma a quello ci aveva pensato Macsen stesso, risolvendo la questione alla radice).

«Forse non hai tutti i torti, ci serviranno dei Templari ragionevoli.» Brindò Marcus alla loro salute, prima di finire il vino e appoggiare il calice vuoto sul vassoio di un servitore di passaggio, un'elfa dalla pelle scura come la cenere, e abbozzare un sorrisetto. «Ora penso mi unirò alle danze...»

I due fratelli lo guardarono scivolare senza sforzo verso la dama antivana, e dopo poco volteggiavano splendidi a ritmo di musica.

«Stai attento, a Kirkwall.» Ruppe il silenzio Quinn, prendendo un altro sorso di vino. «Nostro padre è preoccupato, anche se non lo dà a vedere.»

Max scrollò le spalle, continuando a scandagliare il giardino. Un paio di Orlesiani stavano discutendo animosamente sotto lo sguardo divertito di una nobildonna di Nevarra. «Sta' tranquillo, non mi succederà niente. E poi, posso contare su Drew e la tenente per tenermi d'occhio, no?» Uno dei due si sfilò il guanto, gettandolo ai piedi dell'avversario con fare plateale.

Quinn levò gli occhi al cielo, completamente ignaro della scena. «Non è un vanto, avere meno autocontrollo di un paio di Fereldiani spuntati dal nulla.»

Osservò la donna fingere di restare sorpresa dal gesto, estraendo un fazzoletto ricamato che consegnò nelle mani di uno dei due sfidanti. Stava per tornare a guardare il fratello, quando la sua attenzione venne catturata da un ragazzo dai capelli biondi, magrolino ma piuttosto alto, che stava osservando la stessa scena tutto impettito in una ricca veste di taglio tevinter.

Macsen sogghignò per l'ennesima volta quella sera.

Quinn sembrò accorgersi di qualcosa, perché seguì il suo sguardo fino alla delegazione dell'Imperium, composta in quel momento da una mezza dozzina di uomini e due donne, tutti con la caratteristica puzza sotto il naso.

«Hai idea di chi abbiano mandato, stavolta?» Chiese Max, cercando di dissimulare l'interesse.

«Un tale che si è ostinato a farsi l'intero viaggio in nave solo per mostrare a tutti quanto sia splendida l'Armata Dorata, a quanto pare.» Rispose il fratello, sistemandosi gli occhiali. «Un ammiraglio dell'Imperium, grande e grosso e dai modi taglienti, si è chiuso con nostro padre a parlare dei Qunari per un paio d'ore ieri mattina, prima che arrivaste voi. Sinceramente non mi interessava abbastanza da chiedere altro.»

«Ti lasci sempre sfuggire i dettagli importanti, Quinn.» Lo rimproverò Macsen, che nel mentre non aveva staccato gli occhi dal ragazzo biondo. Era vestito più riccamente degli altri, e sembrava non curarsi minimamente del discorso che i suoi conterranei avevano intavolato. Incrociò il suo sguardo, e gli parve di vedere una smorfia infastidita sul volto del Tev. “Oh, sarà divertente”.

«E tu sei sempre troppo entusiasta di...» la risposta del fratello si perse nel nulla, la sua attenzione completamente catturata da una donna dalla pelle scura avvolta in un abito scollato sul seno, che avanzava al braccio di un uomo vestito riccamente, entrambi con vistose maschere orlesiane sul viso. «Ne parliamo un'altra volta, Max.»

Scoppiò a ridere, dando di gomito al fratello che si scostò appena in tempo. «Non ti facevo interessato alle signore già impegnate!»

Quinn gli rivolse un'occhiata gelida. «Sei cieco o hai preso una botta di troppo? Quella è Madame de Fer, Prima Incantatrice di Montsimmard e Consigliere Arcano dell'Imperatrice Celene.» Spiegò irritato, dandogli un colpetto sul braccio in segno di commiato prima di avanzare verso la donna, che nel frattempo aveva lasciato il fianco dell'uomo mascherato.

Rimasto solo, Macsen si spettinò ad arte i capelli e fermò un servitore di passaggio, facendosi recuperare un'ottima annata di rosso antivano in due calici, tagliando poi il giardino verso la delegazione dell'Imperium.

Il ragazzo biondo lo osservò con fare annoiato, ma appena Max fu a metà strada spostò lo sguardo verso la fontana poco lontano, facendo qualche passo per allontanarsi dal resto dei Tev.

«Avanna. Non si usa divertirsi nell'Imperium?» Lo salutò Max, sfoderando il poco di Tevene che conosceva e allungandogli il calice.

L'altro sembrò soppesarlo per qualche istante, inarcando appena un sopracciglio prima di afferrare il bicchiere tra le dita affusolate. «Mi stavo chiedendo la stessa cosa di questa città.»

Macsen sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi. «Vi ricrederete, Ostwick sa essere molto interessante.» Gli tese la mano libera, chinandosi un poco. «Macsen Trevelyan.»

Il Tev sollevò impercettibilmente gli angoli della bocca, squadrandolo con un paio di occhi azzurri che risaltavano sulla carnagione olivastra. «Cornelius Nerva.» Rispose infine, allungando la mano e stringendogliela appena prima di tirarsi indietro. Aveva una stretta morbida, le mani delicate di chi non ha mai stretto una spada in vita sua.

“Magari altro...” pensò con un sorrisetto Macsen, avvicinandosi un poco.

L'altro non sembrò infastidirsi, tornando ad osservare il resto degli ospiti. «Per il momento, comunque, non sono colpito.»

Aveva un forte accento, che gli piacque subito. «Potrei prendermi carico di farvi cambiare opinione... è una questione di onore.»

Cornelius si lasciò sfuggire un piccolo sbuffo. «Onore... lo stesso che sbandiereranno i partecipanti di questo spettacolino, domani?» Accennò con la mano libera ai due orlesiani alle prese con la donna di Nevarra, che ora si stavano lanciando occhiate astiose dai due capi del giardino.

«Non avete anche voi dei Tornei d'Arme?»

L'altro annuì. «Tuttavia mi è sempre sfuggito il fascino di un ammasso di gente che si colpisce con dei bastoni appuntiti.» Gli rivolse uno sguardo penetrante, analizzandolo da capo a piedi. «Immagino invece che voi vi partecipiate entusiasticamente, invece.»

Max si strinse nelle spalle, mettendo in mostra i muscoli sotto il farsetto che sapeva calzargli a pennello. «Magari cambierete idea.»

«Non credo, ma non sembrate uno che si arrende facilmente, quindi potrei concedervi il beneficio del dubbio. Anche solo per ravvivare questa visita, se avessi saputo che avrebbe significato non vedere altro che pallide imitazioni di palazzi imperiali, sarei rimasto a Minrathous.»

«Siete qui da due giorni e ancora non avete visitato la città?» Scosse il capo, mettendo su un'espressione affranta. «Non posso permettere che un ospite se ne vada prima di aver goduto il meglio che Ostwick ha da offrire.»

Riuscì a strappargli una risata, seppur breve e controllata, e si ritrovò a chiedersi quante altre tonalità sarebbe riuscito a tirargli fuori, magari mentre lo sollevava di peso per poi schiacciarlo contro un materasso, facendogli vedere a che servivano anni di allenamento militare...

«Siete divertente, ve lo concedo.» Rispose Cornelius, bevendo un sorso dal calice e facendo comparire per un attimo la punta della lingua a raccogliere un'inesistente goccia di vino dalle labbra. «Finalmente un motivo per prestare attenzione, domani.»

“Fa il difficile...” pensò Macsen, rivolgendogli un sorriso tronfio. «Ci conto. Una volta che avrò conquistato la mia corona d'alloro, potrò dedicarmi a farvi fare un giro della città.»

«Credete di avere già la vittoria in tasca?»

Max accennò col capo ai tre Tevinter poco lontani da loro, evidentemente lì per partecipare al Torneo. «Ho recentemente affrontato una carica Qunari, qualche energumeno armato di bastoni appuntiti non mi spaventa.»

Gli occhi azzurri dell'altro brillarono divertiti. «Vi state seriamente vantando di aver combattuto un Qunari o due con un Tevinter?»

Gonfiò il petto, punto sull'orgoglio. «Sono di stanza a Kirkwall, avrete sicuramente sentito le notizie della fine dell'Arishok.»

Cornelius fece un cenno con la mano che reggeva il calice verso Garrett, che teneva banco attorniato da una piccola folla di curiosi. «Sì, ho sentito come un certo Hawke abbia salvato la situazione... ottimo lavoro, ma ovviamente non ci si poteva aspettare niente di meno da un mago.» Riportò lo sguardo su Macsen, un sorrisetto sulle labbra mentre si godeva la sua reazione offesa.

«Non fosse stato per l'Ordine, la città sarebbe caduta molto prima dell'arrivo del Campione.» Tracannò il resto del vino in un gesto stizzito.

Il Tevinter sollevò un sopracciglio, prendendo un altro sorso misurato e guardandolo di sottecchi. «L'Ammiraglio mi aveva accennato che il più giovane dei Trevelyan fosse un templare.»

«Beccato.» Aggrottò la fronte, cercando di figurarsi l'uomo in questione dalle poche informazioni che gli aveva fornito Quinn e confrontandolo con il ragazzo che aveva di fronte, vestito di tutto punto e con un'aria di superiorità addosso. «L'Ammiraglio è vostro...?»

Il sorrisetto di Cornelius sembrò vacillare per un attimo in una smorfia, ma si riprese in un battito di ciglia. «Padre, sì. Non notate la somiglianza?» Disse, allargando un poco le braccia come a mettersi in mostra.

Max si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito. «Non ho avuto il piacere di conoscerlo, ancora, quindi non saprei dire. Me ne ha parlato mio fratello.»

«Vostro fratello... Quinn, giusto?»

Annuì. «Avete fatto i compiti.»

Il Tev piegò appena il capo da un lato. «Ovviamente. Vive al Circolo qui ad Ostwick, mentre voi siete di stanza a Kirkwall e Donal-»

«Domhnall.» Lo corresse istintivamente Max, mordendosi poi la lingua.

Cornelius non sembrò offeso, anzi, ripetè la corretta pronuncia di quel nome poco familiare come ad imprimersela bene in mente. «Gratias, dicevo, Domhnall è a capo di metà del vostro esercito, l'altra è assegnata a vostra cugina Mordred, vostro padre si dice che abbia la strada spianata per diventare il prossimo Teyrn e la fama di vostro zio è giunta fino da noi...» Tamburellò pensosamente le dita sul cristallo del calice. «Una famiglia interessante, non c'è che dire.»

«Così interessanti che vostro padre è venuto qui per discutere di un'alleanza?»

«Oh, non sopravvalutate la sua presenza qui, è stato mandato principalmente come messo da parte del Senatus. Non sarebbe stato... conveniente, per Magistra Ligarius, venire qui di persona, oltretutto un soporati è una scelta molto più cauta per trattare con il Sud.» Prese un altro sorso di vino. «Anche se non dubito che l'Ammiraglio abbia lo stesso cercato di portare acqua al suo mulino, come si suol dire, qui si trova nel suo elemento.»

Il tono freddo con cui parlava del padre lo fece incuriosire, si appuntò mentalmente di incrociare quell'uomo nei giorni successivi. «“Soporati”?»

Il sorrisetto dell'altro si acuì un poco. «Una semplice constatazione.»

Macsen avrebbe voluto indagare oltre, ma una serie di scoppi e luci colorate segnalarono che era iniziato lo spettacolo di fuochi d'artificio. Un gruppetto di nani dall'altra parte del giardino si levò in una sequela di esclamazioni colorite, strappando commenti oltraggiati da una coppia di nobildonne Orlesiane che presero a sventagliarsi con aria offesa.

Riportò lo sguardo su Cornelius, che sembrava essersi imbronciato. «I fuochi d'artificio non sono di tuo gusto?»

«Non sono male.» Finì il proprio bicchiere, avanzando verso Max e sfiorandogli per un attimo la spalla con le dita. «Buona serata, Ser Macsen Trevelyan, e feliciter per domani.»

Ricambiò il saluto, guardandolo allontanarsi e ripetendosi un paio di volte in mente quella pronuncia marcatamente Tevinter. Sogghignò, per poi andare alla ricerca del fratello, trovandolo ancora intento a conversare con la maga di Montsimmard.

«Madame Vivienne, permettetemi di presentarvi mio fratello Macsen.» Lo presentò Quinn.

La donna, di una bellezza innegabile con quelle labbra piene che spuntavano da sotto la maschera d'avorio, lo salutò cortesemente. «Ho sentito parlare di voi... siete assegnato a Kirkwall, vero?»

Max annuì.

«So che la situazione in città è alquanto precaria, siamo fortunati che ci siano templari in gamba come voi e la tenente Hawke...» Proseguì Madame de Fer senza realmente guardarlo, troppo occupata ad osservare Arthur e Bann Trevelyan in un angolo riparato del giardino, lontano da orecchie indiscrete, impegnati a conversare con Marian, Sebastian, il primogenito del Visconte di Markham e un altro paio di nobili dei Liberi Confini. «Si stanno muovendo le acque, miei cari, e ben presto scopriremo chi riuscirà a stare a galla.» Puntò gli occhi nei suoi, accennando un sorrisetto prima di salutarli cortesemente entrambi e raggiungere ancheggiando l'Orlesiano con cui era arrivata.

«Non pensavo ti avrei rivisto prima della fine della serata, non è da te.» Commentò Quinn una volta che furono soli.

«Mi ferisci, quattrocchi.»

Il fratello gli lanciò un'occhiata scettica, che Max sviò con una scrollata di spalle. Individuò un'Orlesiana con un abito che lasciava scoperto gran parte del decoltè fargli un cenno dall'altro capo del giardino e, dopo aver dato un buffetto divertito a Quinn, si diresse verso la pista da ballo.



 

L'armatura da Giostra era grossa, scomoda e assolutamente poco pratica per un combattimento vero, il cavallo rampante bianco su sfondo verde dei Trevelyan ben impresso sulla parte frontale, i colori ripetuti sulla stoffa che usciva dall'armatura e sulla gualdrappa del cavallo. Lo spallaccio sinistro era largo e si estendeva fino a metà del petto, piatto e leggermente zigrinato per ricevere i colpi dell'avversario. Era stato Andrew ad aiutarlo ad indossarla, quella mattina, perché Ronan, che avrebbe dovuto fargli da scudiero, sembrava essere sparito nel nulla, probabilmente ancora ubriaco dalla precedente notte di baldorie.

Cercò di ruotare la spalla, che dopo i colpi subiti durante la giornata e tutte quelle ore costretto in quello stupido ammasso di ferraglia, era ormai indolenzita. Sarebbe stato l'ultimo scontro per aggiudicarsi l'accesso alla finale del giorno seguente.

«Ser Macsen Áedán Trevelyan, Caporale dell'Ordine Templare di Kirkwall, figlio di Lord Bann Trevelyan di Ostwick!»

Sentendosi chiamare, trottò in avanti sotto le acclamazioni ordinate della folla lanciando uno sguardo tronfio agli spalti degli spettatori, tra cui individuò la maggior parte dei suoi familiari, il Principe e i due Hawke. Percorrendo tutta la corsia, passò accanto alla piccola delegazione del Tevinter, non resistendo alla tentazione di strizzare l'occhio a Cornelius, che finse di non notarlo.

«Ser Etienne Leonard Philippe Courtemance, Marchese di Val Chevin, figlio di Lord Jacques Courtemance.» L'avversario, uno Chevalier tutto impettito nella sua armatura che sfoggiava cinque gigli gialli su una partizione inquartata bianca e rossa, salutò la folla con un cenno elegante della mano libera.

Macsen si calò la visiera davanti agli occhi, riuscendo a stento a vedere dalla fessura, e imbracciò saldamente la lancia, spronando il cavallo.

Lasciò andare le redini, affondando nella spalla dell'avversario la lancia di legno di frassino che si spezzò a meraviglia contro lo spallaccio, nel frattempo riuscendo ad evitare per un soffio di essere colpito. Sogghignò, proseguendo il trotto fino al capo opposto della staccionata che li separava e afferrando una lancia nuova.

Il secondo punto andò allo Chevalier, il terzo turno se lo divisero equamente.

Al quarto, la lancia cozzò poco sotto lo spallaccio dell'Orlesiano, rischiando di disarcionarlo, ma quello dimostrò di essere un buon cavaliere riacquistando l'equilibrio all'ultimo.

All'ultimo turno, Max si sporse in avanti un poco, approfittando della difficoltà dell'altro di ruotare il braccio della lancia. La punta di legno si incastrò nella protezione del collo dell'avversario, e Macsen lanciò un'esclamazione di vittoria, che si interruppe bruscamente quando si sentì sbalzare via dalla sella.

Cadde rovinosamente a terra, l'impatto che gli mozzò il fiato oscurandogli la vista per qualche attimo. Riaprì faticosamente gli occhi, sollevando la visiera e fissando il cielo, incredulo. La folla rumoreggiava entusiasta il nome di Courtemance, e Max si tirò in piedi cercando di nascondere la rabbia, chinando il capo e togliendosi l'elmo, ormai sconfitto.

Lo Chevalier, finita la sua corsa, scese da cavallo agile come un furetto, senza che i trenta e passa chili di armatura che aveva addosso sembrassero impacciarlo in alcun modo. Si tolse anche lui l'elmo, ringraziando pomposamente la folla acclamante.

Macsen notò su di sé gli sguardi dei familiari, sentendosi arrossire dall'imbarazzo e dall'ira di essere stato battuto da un buffone simile. Si allontanò in fretta, sparendo dall'attenzione.

Andrew gli corse dietro, tenendo il cavallo per le briglie. «Max, aspetta-»

«'Fanculo, Drew, un Orlesiano di merda? Davvero?» Sibilò, tirando un calcio ad un sasso lì vicino. «Per i coglioni pelosi del Creatore, un cazzo di Orlesiano imbellettato.»

«Non c'è vergogna a perdere contro uno Chevalier, dai, non fare il bambino.»

Si voltò a fronteggiarlo, facendo uno sforzo immenso per frenare il braccio dal rifilargli un cazzotto con la mano guantata. «E io cosa sono, l'ultimo arrivato?!»

Andrew mantenne la calma, limitandosi ad alzare il sopracciglio e incrociando le braccia davanti al petto, in attesa che l'amico smettesse di dare di matto.

Inspirò profondamente una, due, tre volte. Gli rodeva, pensava almeno che sarebbe arrivato al girone finale. Mordred ce l'aveva fatta, perché lui non era in grado di reggersi su una stramaledetta sella più di quel pallone gonfiato dalla faccia mascherata? «È che volevo dimostrare di essere...»

Andrew gli mise una mano sulla spalla, fissandolo dritto negli occhi. «Non devi dimostrare un bel nulla, siamo Templari, non Chevalier profumati e ornati di piume. Courtemance è più bravo di te a tenere una lancia di legno sotto il braccio, buon per lui, e allora?»

Max sbuffò sonoramente. «In uno scontro vero, lo farei a pezzi.»

«Esattamente,» annuì l'amico, dandogli una pacca sul braccio «e ora andiamo, ti aiuto ad uscire da questa robaccia, sembrate tutti scemi conciati così.»

Dopo che si fu liberato dell'armatura e dato una rinfrescata veloce, si interrogarono sul da farsi. La Giostra era ormai finita, e l'unico evento del tardo pomeriggio sarebbe stata la competizione di tiro con l'arco.

Non gli era mai piaciuto particolarmente l'arco, era un'arma troppo fredda per lui, che preferiva entrare a contatto con l'avversario e sentire la scarica di euforia e adrenalina invadergli le membra ad ogni colpo andato a segno.

Tra gli spettatori della gara, tuttavia, trovò la cugina e alcuni membri della sua allegra combriccola, tutti intenti a tifare per il loro compare Ser Brickenden, che stava saggiando la corda del suo arco.

«Guarda chi si rivede!» Li salutò Alexander, accanto alla moglie.

Mordred si voltò verso i nuovi arrivati, un sorriso sulle labbra. «Max, sei stato bravo oggi.»

«Ma per piacere...» Sbuffò, girandosi dall'altra parte, ancora un po' offeso.

«Pensala come vuoi, ma ho sentito qualcosa su Ser Courtemance, non era un avversario facile.»

La guardò dritto negli occhi verdi, esasperato. «Fammi un favore, d'accordo? Domani, se ti capita di gareggiarci contro, mandalo nel fango come merita.»

«Tutta questa competitività finirà per farti il sangue acido.» Commentò Alexander sottovoce.

«Troppo tardi...» Rincarò la dose Andrew.

Max stava per rimbeccarli a dovere, quando uno squillo di trombe segnalò che la gara di tiro era iniziata. Seguirono le presentazioni degli sfidanti, ma quello che attirò l'attenzione di tutti fu un tale in armatura pesante, tutta ricamata, e un elmo con due ali spiegate ai lati del capo, abbassato a nasconderne il viso. Quando fu il suo turno di essere annunciato, l'araldo fece una smorfia che lasciava molto da intendere, iniziando a sciorinare un titolo peggio dell'altro.

«Il Drago d'Acciaio, divoratore di mondi, dal profumo di ambrosia e... il fuoco di Gaatlok?»

La reazione del pubblico non si fece attendere, le risate a riempire l'aria mentre persino alcuni dei partecipanti si piegavano sobbalzando sulle ginocchia.

Macsen scoppiò a ridere a crepapelle, improvvisamente dimentico della figuraccia di prima, seguito a ruota da Andrew che si appoggiò a lui per non cadere. «Questo da dove spunta?»

Mordred, divertita, lanciò un'occhiata di finta compassione all'elemento in armatura completa in mezzo agli sfidanti, che ora sembrava voler stritolare l'arco lungo. «Che tristezza...»

Vide Boromir, l'amico della cugina, scuotere il capo e bofonchiare qualcosa tra sé e sé, incoccando una freccia e spedendola dritta verso il centro del bersaglio.

Già dal primo tiro, fu ben chiaro che il drago in questione non aveva probabilmente mai centrato nulla in vita sua. La prima freccia crollò miseramente a terra dopo un tentativo maldestro di mirare davanti a sé, la seconda fece qualche metro e le successive si piantarono qua e là per il prato erboso.

Ad ogni round, il pubblico vociava più forte, fischiando e lanciando insulti sempre più fantasiosi e coloriti, al punto che l'araldo fu più volte costretto a richiamare all'ordine.

Ma fu durante l'ultimo round che il misterioso figuro riuscì a dare il meglio di sé: incoccò la freccia, tirando indietro il gomito fino ad appoggiare la mano sull'elmo, all'altezza della feritoia sugli occhi. Il rinculo dopo averla scoccata lo fece colpirsi da solo, mentre la corda si incastrava in una delle ali dell'elmo e lo faceva ruzzolare in avanti, incespicando. La freccia andò a conficcarsi ad un soffio dal piede dell'arciere alla sua sinistra, che gli rivolse un insulto molto colorito in un forte accento antivano, tra le urla sguaiate della folla ormai fuori controllo.

Mentre l'araldo cercava inutilmente di richiamare l'attenzione sulla freccia d'oro, il premio dell'evento, e Ser Boromir gonfiava le guance nel disperato tentativo di non crollare a ridere sul palchetto d'onore, il Drago d'Acciaio si voltò furente verso di lui, impugnando l'arco per una delle estremità con entrambe le mani, come fosse una mazza pesante.

«Ti sfido a duello, fellone!» Urlò, e con una smorfia di realizzazione, Macsen incrociò lo sguardo della cugina mentre l'uomo in armatura scattava in avanti e, complice una buca nel terreno, caracollava a terra proprio sotto il palchetto di legno.

«Oh, no. Non lui.»

Prima che potessero intervenire, l'uomo si rialzò malamente, portando una mano all'elmo alato e buttandolo a terra, rivelando al pubblico sognante la propria identità.

«Scendi e affrontami se hai il coraggio, coglione!»

Con orrore, videro Ronan Trevelyan, loro cugino di terzo grado e da sempre somma vergogna della famiglia, le guance rosse sotto i capelli chiarissimi, caricare maldestramente Boromir.

Ser Brickenden, in preda alle risate, si limitò a spostarsi di poco, piroettando elegantemente a destra e lasciando che l'altro facesse tutto da solo, schiantandosi a muso duro contro il rialzo di legno e crollando a terra con un gran rumore di ferraglia.

Non si rialzò.

Calò il silenzio, che si protrasse per un lungo, lunghissimo istante, prima che qualcuno riconoscesse il buffone e la folla tornasse a ridere più forte di prima, dandosi di gomito.

Macsen intercettò più di un'occhiata rivolta a sé e alla cugina e, rosso in volto, avanzò verso l'idiota, che ora ronfava beatamente a faccia nell'erba. Riuscì non senza alcune difficoltà a voltarlo. Aveva un grosso bernoccolo sulla fronte e la bava che gli usciva dalla bocca era rossastra, ma sembrava altrimenti incolume.

Mordred li raggiunse a passo pesante, piantando un piede sulla corazza di Ronan e assestandogli un calcio secco. «Svegliati, idiota.»

Max guardò la cugina, inarcando un sopracciglio. «Non credo che possa sent-»

Il ragazzo a terra si svegliò con un colpo di tosse, tirandosi faticosamente su e sputando un grumo di muco e sangue nell'erba. Sollevò lo sguardo confuso, sbattendo le palpebre con aria da ebete. «Ah, ciao, non sapevo foste qui...»

Mordred scattò in avanti, afferrandolo per l'armatura e sollevandolo in piedi di peso. «Questa è l'ultima volta che ti rendi ridicolo.» Macsen raramente l'aveva vista arrabbiata ma in quel momento, non fosse stato Ronan la vittima, avrebbe quasi provato pietà per lui.

Ronan sgranò gli occhi, improvvisamente spaventato. «Mordi, dai, sicuramente possiamo-»

«Sta' zitto.» Sputò lei, lasciandolo andare disgustata.

Quello barcollò all'indietro e se non fosse stato per il palchetto, a cui riuscì ad appoggiarsi, sarebbe di nuovo caduto a terra. «Volevo solo vincere qualcosa...»

Macsen strinse il pugno, trattenendosi dallo spaccargli la faccia lì, davanti a tutti. Stava per dirgli di levarsi di torno, quando il ragazzo ebbe la sfortunata idea di aprire di nuovo la bocca.

«Sono un Trevelyan anche io, cazzo!»

Non fece in tempo a fermare la cugina e, in tutta onestà, non ci provò nemmeno.

In un attimo, Mordred gli fu addosso, strappandogli a forza lo spallaccio e gettandolo in terra, uno sguardo omicida negli occhi mentre afferrava il cugino per la spalla. «Cos'hai detto?»

Il flebile balbettio terrorizzato dell'altro si perse nel nulla, persino gli spettatori tutto attorno assistevano alla scena in un silenzio carico di attesa.

Macsen notò che Alexander si era fatto avanti quasi di corsa, affiancando la moglie come a cercare di fermarla ma senza effettivamente toccarla. Lo sguardo di Mordred invece si spostò lentamente verso Max.

«Fagli capire che sbaglia di grosso.» Si limitò a risponderle lui, con un cenno del capo.

La donna estrasse un coltello dalla cintura, tranciando le cuciture del farsetto imbottito del ragazzo e mostrando la spalla nuda, il tatuaggio del cavallo rampante dei Trevelyan impresso nella pelle. «Non lo meriti nemmeno, questo.»

Ronan si voltò verso di lui, cercando inutilmente di divincolarsi dalla presa dell'altra. «Max, ti prego, siamo parenti, non-» Le parole successive vennero inghiottite da un urlo di dolore, mentre la lama del coltello gli incideva la carne tre volte, sfregiandone il disegno.

Mordred lo lasciò quindi andare, non prima di avergli ripulito addosso il coltello dal sangue. «Sparisci dalla nostra vista. E vedi di bruciare il resto, altrimenti lo farò io.»

Ronan si reggeva il braccio, incespicando all'indietro. «Io lo... lo dirò a mio padre, non potete farmi questo, non-»

Macsen scosse il capo, inspirando prima di caricare il braccio all'indietro.

Il suono delle nocche che si schiantavano contro il naso di quel coglione fu musica per le sue orecchie, e lo guardò crollare nell'erba come un sacco di patate, reggendosi il volto e strisciando all'indietro per allontanarsi da lì, il volto rigato di lacrime.

Si voltò poi verso la folla, rimasta impietrita. «Lo spettacolino è finito, signori, ora levatevi di torno prima che faccia buio.» Ringhiò, facendo un cenno soddisfatto alla cugina e allontanandosi alla ricerca di qualcosa da bere.




































Note dell'Autrice: Alcuni dei personaggi presenti sono stati presi in prestito dalla fantastica @Eliot Nightray (come i cugini di Macsen, Mordred e Marcus, e gli amici della Banda del Toro), mentre Domhnall (che a proposito si legge "Donall"), Quinn, Cornelius e alcuni altri avranno più spazio in Inquisition, questo è solo un piccolo assaggio. 
Che dire, Max come personaggio narrante mi piace molto, e questi due capitoli così pieni di gente e ambientati in una nuova città in pieno fermento da Gran Torneo sono stati divertentissimi da scrivere. 
Alla prossima! :D 

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Capitolo 35
*** Ostwick II ***


Ostwick II

Era del Drago, 9:35



 

Il giorno dopo, si ritrovò col resto della famiglia sugli spalti, intento ad osservare l'ennesimo cavaliere venire disarcionato dal cavallo a colpi di lancia.

Quando ricomparve l'Orlesiano che l'aveva sconfitto, non si trattenne dallo sbuffare pesantemente in una smorfia di disgusto mentre quello si pavoneggiava per tutto il percorso, salutando la folla lì per la finale della Giostra.

La tenente Marian, seduta accanto a lui, sembrava condividere i suoi sentimenti, anche se per motivi diversi. Sebastian le indirizzò un sorriso divertito, senza scomporsi, mentre Andrew e Garrett si misero a scimmiottare la postura pomposa del Marchese, scoppiando in una risatina divertita che contagiò immediatamente anche Isabela.

«Orlesiani...» Commentò la donna, scuotendo il capo. «Tutti uguali.»

Garrett diede di gomito all'amico. «Sono molto geloso di quelle piume... dici che saprà fare pure la ruota come un pavone?»

«Sicuro, guardalo lì!»

Gli parve che ad un certo punto Courtemance avesse fissato proprio lui, un sorrisetto derisorio a comparirgli sul volto prima di calarsi l'elmo piumato in testa, ma l'attenzione di Macsen venne sviata sulla cugina, annunciata in quel momento.

«Ser Mordred Trevelyan, il Toro Rosso, figlia di Ser Arthur Trevelyan di Ostwick!»

La donna spronò sicura il gigantesco purosangue nero, l'elmo con le corna di toro sottobraccio, al quale lei e la sua compagnia dovevano il nome. Si avvicinò agli spalti, recuperando qualcosa dalla gualdrappa del cavallo e lanciandolo con grazia nella loro direzione. Macsen si ritrovò a ridacchiare divertito guardando Alexander arrossire un poco, un fiore di Grazia Cristallina tra le mani. Non gli sfuggì nemmeno lo sguardo che Marcus lanciò alla sorella, quasi offeso. Anzi, conoscendo Marcus, aveva decisamente preso come un affronto personale che non ci fosse un fiore anche per lui.

Mordred sembrò non badarci, ma poi all'ultimo fece indietreggiare il cavallo, lanciando con precisione alle proprie spalle un altro fiore in grembo al fratello. Si girò per un attimo, un sorriso sulle labbra mentre si abbassava la visiera dell'elmo.

«Fallo finire faccia a terra!» Esclamò entusiasta Domhnall, dalla fila di fronte. Si voltò poi verso il fratello, strizzandogli l'occhio. «Dobbiamo rifarci, vero?»

Max sbuffò infastidito. «Vedrai domani nella mischia, come lo riduco...»

«Macsen, dovresti pesare meglio le tue affermazioni.» Lo rimbeccò tranquillo Bann Trevelyan, senza nemmeno girarsi a guardarlo. Sedeva accanto al fratello, entrambi avevano gli occhi puntati sui due cavalieri che si affrontavano per la seconda volta. Il punto andò a Mordred.

«Ah, lascialo fare, l'umiltà non è mai stata neanche il tuo punto forte, da quanto ricordo.» Commentò Arthur ridacchiando serafico a spese del fratello, che gli scoccò un'occhiata gelida.

«È “modesti nel carattere, audaci nelle azioni”, non il contrario,» ribattè Bann, citando il motto di famiglia «non ho cresciuto figli presuntuosi, né stupidi.»

Macsen si morse la lingua per non rispondere a tono, intercettando lo sguardo ammonitore di Dom. «Avete ragione, padre, mi dispiace.»

«Non ho chiesto delle scuse, Macsen, ma dei fatti.» Il padre si girò finalmente verso di lui, l'ombra di un sorriso a distendere i lineamenti severi. «Limitati a fargli vedere cosa succede a sfidare un Trevelyan in un combattimento vero, domani.»

La risata piena di Arthur a quelle parole si interruppe bruscamente quando Mordred venne colpita dall'Orlesiano, che conquistò il punto. Sentì Marcus ringhiare qualcosa di molto poco gentile.

I due incontri successivi li vinse ancora l'Orlesiano, portandolo in pari con la Trevelyan. Mentre i cavalieri si allontanavano di nuovo per l'ultima volta, raggiungendo il lato opposto del tracciato e facendo voltare i cavalli, il Marchese sollevò la visiera dell'elmo, lanciando uno sguardo proprio verso gli spalti dove sedevano Macsen e gli altri, prima di piegare il capo come a sgranchirsi le spalle e stringere nuovamente la lancia sotto il braccio.

Quando le aste si incrociarono di nuovo, e quella di Mordred mancò di un soffio il bersaglio, Macsen trattenne il respiro, per poi farsi sfuggire un'imprecazione colorita, che avrebbe certamente trovato migliore pubblico nelle taverne peggiori di Kirkwall che sugli spalti della nobiltà, quando invece la lancia di Courtemance andò a segno.

Mordred rimase in sella, ma l'alloro sarebbe andato all'Orlesiano, e i Trevelyan non poterono far altro che mettere su un'espressione neutra e applaudire compostamente mentre lo Chevalier riceveva le acclamazioni di pubblico e si complimentava con l'avversaria, inchinandosi cavallerescamente nella sua direzione, la corona di alloro sistemata con cura sul capo. Macsen, il sapore amaro della bile in bocca, osservò la cugina stringere cortesemente la mano del Marchese.

«Vado a fare un giro.» Sbuffò una volta che si furono alzati, facendo segno ad Andrew, che l'aveva guardato in maniera interrogativa, di stare pure a bazzicare per i padiglioni con Garrett. «Tanto qui non abbiamo più nulla da vedere. Non aspettatemi per cena, ho intenzione di trovarmi qualcosa da fare fino a domani mattina.»

«Vedi di non esagerare, che domani-»

«Lo so, Dom, lo so!» Alzò la voce, indispettito. «Non ho cinque anni.»

Ignorò le parole successive del fratello, tagliando per il prato e infilandosi tra una piccola folla di curiosi che si era radunata per ammirare dei mabari interamente dipinti col kaddis, la pittura che i Fereldiani usavano per scendere in battaglia al fianco dei loro mastini. I rispettivi umani portavano sul volto e sulle braccia gli stessi simboli e scrutavano torvi gli astanti, borbottando a bassa voce e cercando di tenere buoni gli animali, che avevano le orecchie all'indietro e le tozze code tese.

Assetato, si spostò alla ricerca di un padiglione che servisse birra di qualità, trovando un nano dall'aspetto poco simpatico che gli servì una delle birre scure più buone che avesse mai assaggiato. «Venite a trovarci ad Hasmal!» Tuonò il compare, un altro nano con vistosi tatuaggi sulle braccia e una miriade di treccine nella barba, che invece gli sorrise affabile.

Con l'umore un po' più in alto, decise di andare ad esplorare ulteriormente gli eventi di quella giornata, imbattendosi prima in un piccolo torneo di lotta a mani nude, dove i partecipanti gareggiavano indossando solo i pantaloni e si oliavano tutto il corpo per sfuggire più facilmente alla presa dell'avversario, dove Macsen si fermò ad osservare per un po' fino a quando qualcuno non gli chiese se volesse partecipare, allontanandosi con una scusa e finendo poi per fermarsi ad assistere ad un'asta di cavalcature di ogni tipo.

Un grosso purosangue fereldiano venne aggiudicato ad un Antivano vestito con colori sgargianti, una miriade di medaglioni d'oro ai lembi degli scialli che indossava che tintinnavano ad ogni passo, che facevano a gara con gli orecchini e gli anelli d'oro che aveva sulle orecchie, su gran parte del viso e tra i capelli. Quello che sembrava un nug, solo che addirittura più imponente di qualsiasi cavallo Max avesse mai visto, venne acquistato da un Tal-Vashot in armatura pesante, interamente dipinto di bianco e rosso con le corna che ricordavano quelle della cavalcatura che aveva appena comprato. Due Avvar si contesero un cavallo dal pelo lungo, particolarmente adatto per i climi rigidi di casa loro, mentre tre Orlesiani vennero quasi allo scontro per un maestoso destriero da guerra, la criniera color crema accuratamente intrecciata.

Venne poi presentato un dracolisco albino, le squame sul dorso screziate di rosa e due brillanti occhi scarlatti che sondavano l'ambiente: tirò nervoso le redini, schioccando le fauci irte di denti aguzzi verso l'uomo nerboruto che lo stava facendo sfilare per il piccolo recinto. Il banditore iniziò ad elencarne le qualità e la discendenza di razza.

«Seicento pezzi!»

«Settecento cinquanta!»

«Ottocento!»

Poco più avanti rispetto a Max, due Tevinter in armatura lucida confabulavano tra loro. Uno di loro scosse le spalle, alzando la voce e facendo un passo verso il dracolisco. «Milleduecento.»

Il banditore sgranò gli occhi ma si affrettò ad annuire, afferrando quasi al volo la piccola sacca con parte del pagamento che uno di loro gli aveva allungato con sdegno.

Quello con l'armatura più decorata, chiaramente un capitano, fece un cenno del capo all'elfo al suo fianco, che Macsen non aveva notato. Quello schizzò in avanti, il capo chino rivolto a terra, prendendo il dracolisco per le redini e riuscendo a calmarlo con qualche parola per portarlo verso i due. Uno dei soldati rimase presso il recinto, probabilmente per saldare la vendita.

Quando gli passarono davanti, allontanandosi dall'asta, Max non potè evitare di notare i segni sul collo dell'elfo, pieno di cicatrici ormai vecchie.

«Un buon acquisto, non credi?»

Si voltò di scatto, sorpreso, incrociando lo sguardo del Tev che aveva conosciuto al ricevimento di apertura del Gran Torneo. «State parlando dell'animale, o dell'elfo?» Gli chiese in tono tagliente.

Cornelius non parve fare una piega. «Del dracolisco, ovviamente, la famiglia di mia madre li alleva da generazioni.» Gli fece cenno di seguirlo, scostandosi dalla folla. «L'elfo non è altrettanto di valore, ma è sufficientemente bravo ad occuparsi di loro. Sono animali nervosi.»

«Per questo preferite tenere lui al collare piuttosto che i vostri animali?»

Il Tev si fermò ad osservarlo, divertito. «È la sua mansione badare ai dracolischi, non vedo perché ve la prendiate tanto per qualche vecchia cicatrice. Ma se può consolarvi, non abbiamo più bisogno di mettergli il collare da un pezzo, è sicuramente più addomesticato degli animali di cui si occupa.»

Macsen lo guardò in tralice.

«Non venitemi a fare uno sterile discorso sulla schiavitù degli elfi, Ser, perché sono abbastanza sicuro che nemmeno nelle enclavi qui a Sud stiano esattamente una favola.» Inarcò un sopracciglio, facendo uno svolazzo con la mano come a disinteressarsi dell'argomento.

Chinò il capo in segno di resa, non voleva nemmeno mettersi a discutere, soprattutto non sugli elfi.

«Ser Trevelyan!»

Con una smorfia, vide il Marchese Courtemance venire verso di loro: aveva abbandonato l'armatura pesante da torneo e ora indossava un ricco farsetto imbottito color rosso cupo, la corona di alloro ancora sul capo. Gli si fece incontro con un sorriso aperto, tendendogli la mano. «Volevo congratularmi con voi, siete stato un degno avversario ieri.»

Con la coda dell'occhio, Macsen vide il sorrisetto di Cornelius acuirsi impercettibilmente e represse l'istinto di spaccare la faccia allo Chevalier, stringendogli la mano con forza. «Siete stato bravo.»

«Per forza di cose, qualcuno doveva vincere oggi... ma non preoccupatevi, ci saranno altre occasioni per conquistarvi la gloria del Gran Torneo.» Ribattè serafico l'altro, volgendosi poi verso Cornelius come a soppesarlo. Fece un mezzo saluto, chinando di poco il capo nella sua direzione. «Ser Etienne Courtemance...»

«Lord Cornelius Nerva.» Rispose asciutto il Tevinter, limitandosi ad un piccolo cenno del capo.

Il Marchese assottigliò lo sguardo, spostando poi gli occhi nuovamente su Macsen. «Spero di trovarvi sul campo di battaglia domani, la Mischia è sempre stata la mia prova preferita.»

«Non so se lo sarà ancora.» Ribattè tagliente il Trevelyan con un sorriso.

Gli occhi chiari dell'altro si strinsero a due fessure. «Oh, lo vedremo immagino... non credo che voi parteciperete, invece?» Chiese rivolto a Cornelius.

«Preferisco guardare i soldati che si rotolano nel fango, piuttosto che unirmi a loro.»

Macsen dovette nascondere una risata dietro un colpo di tosse, la mano davanti alla bocca.

«Tipico di un Tevinter...» Si limitò a rispondere l'altro, senza scomporsi troppo. Tuttavia, Max notò che aveva serrato il pugno per un attimo, alle parole di Cornelius. «A domani, Ser Trevelyan.»

Lo guardarono allontanarsi, prima di scambiarsi uno sguardo divertito.

«Non c'è niente da fare, con gli Orlesiani.» Commentò Macsen mentre riprendevano a camminare.

«Oh, non saprei, conosco parecchie persone che lo farebbero sembrare un umile agnellino.»

«Facile, quando possono usare la magia del sangue.» Si lasciò sfuggire Max, mordendosi subito la lingua dopo aver parlato, notando come l'altro si era irrigidito. «Ah, non volevo suggerire-»

L'espressione tesa di Cornelius si mitigò quasi immediatamente, mentre si spostava una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Non fa niente, sono luoghi comuni.»

Lo squadrò di sottecchi. “Luoghi comuni un accidenti...” sapeva cosa accadeva nell'Imperium, non era un templare mica per niente. «Che ne dite per quel giro della città?» Chiese per cambiare argomento. Non era in servizio e, soprattutto, in quel momento non gliene fregava un accidente né dei maghi né dei templari, inoltre non voleva che l'altro si sentisse in soggezione con lui.

Cornelius sollevò un sopracciglio, il sorrisetto divertito che tornava a distendergli i lineamenti. «Mi pareva che le condizioni fossero che avreste dovuto prima conquistare l'alloro del vincitore.»

Gli lanciò un'occhiataccia, scrollando le spalle. «Come volete, siete voi a perderci.» Fece per allungare il passo, quando l'altro sospirò platealmente, fermandolo.

«D'accordo, Trevelyan, basta che ce ne andiamo da qui prima che qualcuno dei miei compatrioti ci fermi.»



 

Si infilarono tra le vie trafficate della città, in un caos di colori e lingue diverse, imbattendosi in una serie di spettacoli di strada e bancarelle che offrivano ogni genere di chincaglieria, tra cui un pacchianissimo set di piume di fenice decorate, che Macsen comprò per Quinn, e un bel taccuino rilegato contenente tutta una serie di scorci a carboncino dei Liberi Confini e delle loro città, che Cornelius sfogliò con particolare interesse chiedendo al compagno l'effettiva accuratezza dei luoghi ritratti prima di comprare.

Fecero una pausa per mettere qualcosa nello stomaco, trovando una piccola taverna di lusso dove Macsen assaggiò un intruglio orlesiano dal sapore disgustosamente dolce e un liquore di licheni nanico che rischiò di mandargli a fuoco le budella, mentre Cornelius si limitò a sorseggiare elegantemente un calice di rosso di qualche cantina pregiata delle pianure di Antiva, davanti ad un piatto di crostacei e frutti di mare pescati nella baia.

Un bardo si mise a decantare incautamente la città di Starkhaven, scatenando l'ira di un gruppetto di avventori di Tantervale che decisero di cantare a loro volta la grandezza della loro città, seguiti a ruota da altri cittadini dei Liberi Confini, ognuno più agguerrito degli altri.

«Direi di levare le tende...» Suggerì Max, dopo che lo spettacolino iniziava a farsi doloroso per le orecchie.

«E di corsa.» Concordò Cornelius, che tuttavia sembrava alquanto divertito dalla cosa. «Ho avuto il dispiacere di subirmi cornacchie più intonate.»

Si imbatterono infine nella corsa dei formaggi, trovandovi Andrew e Garrett ad assistere esaltati e parecchio allegri.

«Ho scommesso su quel formaggio!» Gli urlò il Campione, offrendogli una bottiglia di idromele mezza vuota e scuotendogliela davanti al volto, per poi scoppiare a ridere come un matto.

Andrew si chinò verso Max, la voce alta nonostante stesse cercando di non farsi sentire dall'altro. «Pure io ho scommesso, sul quel tizio là però... e coi suoi soldi!» Ridacchiò, fiero dell'idea.

Stava per chiedere a Cornelius se gli interessasse restare per la gara, quando notò che il ragazzo aveva gli occhi puntati su Hawke, come ad esaminarlo attentamente.

Quello, sentendosi osservato, si passò una mano tra i capelli, spettinandoli ulteriormente. «Ci conosciamo?» Chiese allegro, tendendogli la mano sinistra, libera.

«No, ma io conosco voi...» rispose il Tev, ricambiando la stretta e curandosi bene di non fare menzione del titolo del Campione, per non attirare l'attenzione. «La vostra fama vi precede.»

Garrett si lasciò sfuggire un sorriso tirato al riconoscerne l'accento. «È arrivata fino al Tevinter?» Sputò il nome come se fosse un boccone particolarmente amaro.

Il sorrisetto di Cornelius non vacillò nemmeno un istante. «Eravate sulla bocca di tutti, vi assicuro. Uno dei pochi col Dono, qui a Sud, a non essere rinchiuso in una gabbia per uccelli e oltretutto in grado di uccidere l'Arishok? Sareste il benvenuto nell'Imperium.»

Il Campione perse completamente la facciata di benevolenza, un'ombra scura sul volto. «Un amico mi ha parlato dell'Imperium, non credo proprio mi troverei a mio agio.»

«Magari il vostro amico non ha saputo apprezzare tutto quello che offre il nostro paese.»

«No, non credo ne abbia avuto la possibilità, tra l'essere comprato come schiavo e torturato per i sadici esperimenti di uno di voi Magister.»

Cornelius accusò il colpo, sbattendo le palpebre un paio di volte e assottigliando le labbra prima di rispondere in tono affettato. «State inveendo contro la persona sbagliata. Non tutti i Tevinter che incontrate sono Magister, come non tutti i maghi praticano arti proibite. L'Imperium è vasto e ricco di diversità, Serah Hawke.» A Max non sfuggì come avesse calcato sull'onorifico, come a sottolineare la propria superiorità di lignaggio rispetto a Garrett.

«Per il momento ho incontrato solo schiavisti, maghi del sangue o stronzi che erano entrambe le cose, e ne ho ammazzati parecchi. Perdonatemi se non vi credo granchè, quindi.»

Max si scambiò uno sguardo preoccupato con Andrew, affrettandosi a mettersi in mezzo prima che tra i due scoppiasse qualcosa. «Non facciamo di tutta l'erba un fascio, Hawke...»

«Non fa niente, ognuno ha diritto alle proprie opinioni.» Lo condì via Cornelius con un gesto della mano. «Spero possiate ricredervi, Serah.» Lanciò uno sguardo di sufficienza verso la fila di persone pronte a far rotolare le forme di formaggio verso il porto. «Non ho mai gradito particolarmente il formaggio, proseguiamo oltre?» Chiese a Macsen, che esitò un attimo prima di annuire, lanciando uno sguardo confuso ad Andrew prima di salutarlo con un cenno e guidare il Tev verso una strada laterale per uscire da quella calca.

«Riguardo a prima, Hawke non intendeva...»

«So benissimo quello che intendeva dire.» Lo fermò Cornelius una volta che ebbero raggiunto una delle terrazze rialzate, con una bella vista sulle mura e il porto sottostante. Decine e decine di barche piccole e grandi erano illuminate da centinaia lanterne di carta, che venivano fatte galleggiare sull'acqua dando l'impressione che la baia fosse invasa da lucciole.

«Non dovreste fargli una colpa per-»

«Ripetere quello che pensate tutti, qui a Sud?» Lo interruppe nuovamente l'altro, appoggiandosi alla balaustra di pietra. «Figuriamoci, non sono affatto sorpreso. No, forse un poco, ma solo per il fatto che il famigerato Campione di Kirkwall frequenti schiavi fuggiaschi.» Sbuffò sonoramente, sistemandosi il colletto della veste. «Un talento sprecato.»

«Talento? La magia, intendete?»

Si voltò a guardarlo, le braccia conserte e la schiena contro il parapetto. «Ovviamente.»

Macsen ridacchiò, nervoso. «Sapete che sono un templare, no? Non sono discorsi che sono solito affrontare, almeno da questo punto punto di vista. Il termine più usato è “maledizione”, o alla meglio “seccatura”, come la definisce Quinn.»

Cornelius sembrò infastidito. «Ripetete anche voi a pappagallo ciò che pensano tutti? Vostro fratello è un mago, e non mi sembra sia molto diverso da voi. Il Campione ha salvato una città, eppure avete tutti paura che improvvisamente i maghi possano impazzire facendo una strage. E allora li richiudete preventivamente in una cella dorata per il resto delle loro vite, ad aver paura della loro stessa ombra.»

«Un po' di paura fa bene, altrimenti potrebbero pensare di prendere il controllo e assoggettarci tutti.» Ribattè Macsen, pensando che dopo un discorso del genere Meredith sarebbe già saltata alla gola dell'altro. Probabilmente, si corresse, l'avrebbe fatto al solo sentirne l'accento.

«Chi non ha un po' di paura è uno sciocco montato, ma vivere nel terrore non fa che renderli più deboli e vulnerabili.» Lo guardò negli occhi, scuotendo poi il capo. «Ma da noi non abbiamo i coraggiosi templari andrastiani a proteggerci da tutti quei pericolosi abomini, ce la dobbiamo cavare da soli.»

«Noto della forte ironia in questa frase.» Commentò divertito.

«Perspicace.»

«Comunque, il dovere dell'Ordine dovrebbe davvero essere quello di proteggervi.» Quando l'altro assottigliò lo sguardo, si morse la lingua, dandosi dello stupido. «Intendo, proteggerli.»

Un sorrisetto divertito ricomparve sulle labbra del Tev. «Beccato.»

Cercò di ricambiare. «Non ci voleva molto a notarlo.»

«Non ho fatto molto per nasconderlo.»

«Fortunatamente non siete nemmeno andato in giro a sparare fulmini dal culo.»

«Trucchetto interessante, anche se temo sarebbe piuttosto doloroso.»

«Come mai avete accettato di passare la serata con me? Insomma, sapendo che sono un Templare.» Gli chiese, dando voce al dubbio che l'aveva fatto arrovellare dal pomeriggio.

Cornelius si strinse nelle spalle. «Curiosità, perlopiù. Non siete tutti spaventosi come raccontano. E avete un fratello mago quindi ho pensato che, se non voi come esperimento, chi?»

«Oh, la mia Comandante è assolutamente spaventosa.»

«Ne ho sentito parlare, il suo nome è comparso una volta o due nella conversazione tra l'Ammiraglio e vostro padre. Fortunatamente non le assomigliate.»

«Siamo in pochi.»

«Pochi è meglio di nessuno.» Si voltò nuovamente a guardare la baia sotto di loro, assorto in qualche pensiero, il vento che gli scompigliava i capelli biondi. «Vuol dire che c'è almeno una remota possibilità di dialogo.»

Quasi scoppiò a ridere, affiancandosi a lui. «Da quando il Tevinter è interessato al dialogo?»

«Potreste stupirvi.»

Rimasero per un po' ognuno perso nei propri ragionamenti, finché Max non ruppe il silenzio col suo solito tatto. «È solo al dialogo che siete interessato, oppure potremmo...?»

La risata di Cornelius echeggiò genuina per la terrazza, mentre il Tev si copriva la bocca nel tentativo di non far cadere la sua maschera di eleganza. «Non rovinate il momento, Macsen.»

Max gli lanciò un'occhiata offesa. «Eppure avevo capito che non eravate proprio contrario all'idea.»

Gli occhi azzurri dell'altro incontrarono di nuovo i suoi, brillando divertiti. «Mi state troppo simpatico per farla finire in un modo così banale.»

Scosse la testa, sbuffando sonoramente. «Per una volta, la banalità non mi sarebbe dispiaciuta.»

«Siete sempre così diretto?»

«Almeno non lancio il sasso per poi nascondere la pietra...»

«Lord Cornelius!»

Il sorriso dell'altro si congelò all'istante, spegnendosi e trasformandosi in una smorfia di cortesia mentre si voltava a salutare i nuovi arrivati: tre soldati Tevinter in armatura e lance, uno di loro a chiamarlo nuovamente per nome, accompagnavano un uomo sulla cinquantina, i capelli grigi tirati all'indietro su un viso dai lineamenti marcati e segnati dal sole, una cicatrice sulla mascella e occhi di ghiaccio mentre scoccava uno sguardo irritato verso di loro. «Non ti ho portato qui perché ti perdessi nei tuoi giochetti, Cornelius.» Non indossava un'armatura ma non ne aveva bisogno, data l'aria di saper usare perfettamente la spada lunga che portava al fianco nonostante le vesti riccamente decorate che sfoggiava. «Ser Trevelyan.»

Macsen ricambiò il saluto, irrigidendosi. «Ammiraglio, immagino...»

«Siamo qui per instaurare un rapporto diplomatico con Ostwick, non è forse vero, Ammiraglio?» Chiese Cornelius in tono piatto e distaccato. «È quello che sto facendo.»

«So cosa stai facendo, e non c'entra niente con la diplomazia.»

Il tono disgustato dell'uomo gli si rovesciò contro come una secchiata d'acqua gelida, e Macsen gonfiò il petto, punto sul vivo. «Stavamo solo camminando per la città, era un peccato non vedere il resto dei festeggiamenti prima che ripartiste per-»

«Quello che fate voi del Sud non mi riguarda minimamente, Ser, ma lasciate mio figlio fuori dalle vostre assurdità.» Lo interruppe l'Ammiraglio, facendo un cenno imperioso al figlio. «Ce ne andiamo.»

Cornelius si limitò ad inspirare ed espirare profondamente, abbassando le spalle prima di rivolgere un sorriso di scuse verso di lui. «Alla prossima, Macsen. Mi ha fatto piacere, davvero.»

«Ah, sì, anche a me.» Si ritrovò a dire, guardandoli allontanarsi con una punta di tristezza. Non sembrava uno abituato a divertirsi, e lui si era goduto una serata diversa, con un compagno tanto improbabile quanto interessante.

Scosse la testa, incerto se tornare a cercare Garrett e Andrew oppure tornare a casa e farsi una bella dormita in vista della Mischia del giorno dopo, optando alla fine per la seconda.



 

Il sudore, la calca, la foga del combattimento, il sangue che gli pulsava nelle orecchie e il sorriso feroce stampato in faccia nonostante l'armatura ammaccata e le braccia indolenzite, quella era vita!

Macsen roteò la spada, spostandosi dietro il grosso scudo e colpendo di piatto, caricandolo poi di peso con lo scudo, schivando la mazza da guerra e mirando alla giuntura dell'armatura dell'uomo di fronte a lui, colpendolo sul fianco e facendolo andare giù con un gemito strozzato, mentre passava al successivo. Era a dodici cavalieri sconfitti, e dei cento partecipanti iniziali alla Grande Mischia, ne rimanevano in piedi appena una dozzina.

Qualcosa si mosse al limitare del suo campo visivo, ma venne ingaggiato e abbattuto prima che potesse avvicinarsi a lui.

Si scambiò un cenno d'assenso con la cugina, che sapeva se la stesse godendo quanto lui sotto quell'elmo cornuto, prima che quella tornasse a malmenare avversari con la stessa eleganza con cui le dame si lanciavano in qualche passo di danza.

Macsen quel giorno voleva vincere, certo, ma il suo obbiettivo era un altro.

Precisamente, uno Chevalier che ora distava solo una ventina di metri da lui, l'elmo piumato e lo stemma coi gigli gialli ben visibili nonostante la polvere che aveva addosso.

Ghignò, scansandosi appena in tempo per evitare che lo spadone a due mani di un grosso Fereldiano gli piombasse sulla testa e sfracellandogli poi sull'elmo il pomolo della spada, finendolo con un colpo di scudo a lato del capo e superandolo senza staccare gli occhi dal Marchese Courtemance.

Aspettò che si liberasse di un'Avvar gigantesca, che mulinava un'ascia alta quanto lui, salutandolo con un lieve cenno del capo mentre sollevava la spada nella sua direzione, lo scudo ben fermo sul braccio.

«Marchese, vedo che avete ancora tutte le piume in ordine.» Lo sbeffeggiò mentre iniziavano a girarsi attorno come belve feroci, in attesa che l'altro facesse la prima mossa.

«Ci vuole ben più di qualche zuffa per infastidirmi, Ser.»

Prima che potesse rispondergli, l'Orlesiano gli si fece incontro come un fulmine, sorprendentemente rapido nonostante l'armatura. Macsen riuscì appena in tempo a frapporre lo scudo davanti a sé, ricambiando il colpo e cozzando a sua volta contro lo scudo dell'altro.

Si scambiarono una serie di fendenti, potenti e precisi, finché non furono costretti a separarsi per riprendere fiato: Macsen zoppicava leggermente da una botta particolarmente forte alla gamba, e lo Chevalier aveva l'armatura ammaccata su un fianco.

«Niente male.» Dovette ammettere il Trevelyan con un piccolo cenno del capo.

Courtemance ricambiò il gesto, le piume variopinte che fluttuavano ad ogni minimo movimento. «Anche voi ve la cavate discretamente.»

“Discretamente un corno” pensò Max, gettandosi all'attacco e mirando proprio al copricapo, riuscendo a bloccare la spada dell'avversario con lo scudo e farla scivolare nell'impeto verso l'esterno, dandogli modo di superarlo e di tranciargli di netto le piume sull'elmo.

E, per non farsi mancare niente, cercò di attaccarlo alle spalle, ma quello roteò la spada vicino a sé, frapponendola appena in tempo e facendo un affondo verso di lui, che lo costrinse ad indietreggiare nuovamente. Fece qualche passo per allontanarsi da lui, un sorriso soddisfatto sotto l'elmo mentre ammirava le piume nel fango. «Oh, quanto mi dispiace...»

Courtemance lo caricò senza nemmeno rispondergli, in una serie di colpi precisi e letali che riuscirono a scalfirgli l'armatura più di una volta mentre cercava di ritirarsi e riprendere il controllo dello scontro. Mise il piede in fallo, perdendo l'equilibrio e sentendosi cadere all'indietro, buttandosi di lato per evitare un colpo dello scudo e trovando la spada dell'altro pronto ad attenderlo.

Riuscì a parare, maldestramente, ma finì quasi col culo a terra. Si riparò dietro lo scudo, spostandosi di lato e dovendo fare forza sulle gambe per resistere all'attacco dell'altro e spingerlo all'indietro, mentre si rimetteva in posizione a fatica, il fiato mozzo e la visuale appannata, il sangue che gli pompava nelle vene con violenza mentre lo caricava di nuovo.

Dopo un'altra serie di scambi, sempre più imprecisi dati dalla stanchezza di entrambi, si trovarono in un impasse: le else delle spade allacciate, gli scudi bloccati l'uno contro l'altro.

Max si lasciò sfuggire un ringhio, mentre Courtemance liberava il proprio scudo con uno strattone e una spinta, cercando di farlo barcollare di lato. Sentì le lame scivolare l'una sull'altra e, a discapito di anni di combattimento che insegnavano esattamente l'opposto, invece che fare un mezzo giro su sé stesso per svicolargli al fianco, ritirò lo scudo contro di sé, portando all'indietro il braccio e, spostandosi di poco dietro la spada tenuta in posizione di difesa, lo colpì al lato del capo con tutta la forza che aveva ancora.

Lo scudo cozzò con un clangore assordante contro l'elmo del Marchese, che barcollò all'indietro con un'imprecazione soffocata, la guardia aperta per un attimo mentre cercava di riprendersi e parare con la spada, sbilanciato. La lama di Macsen incontrò nuovamente la sua, impedendogli di sfuggirgli e, sollevando nuovamente lo scudo, caricò un montante che si schiantò violentemente sull'armatura dell'altro, mandandolo definitivamente a terra con un'imprecazione soffocata.

Si concesse un secondo per tirare fiato, scandagliando il resto dell'arena e notando che erano rimaste ormai solo quattro persone, oltre a lui: Mordred, il terzogenito del Visconte di Markham, un bel ragazzo di nome Dominick che frequentava abbastanza la famiglia Trevelyan, un cavaliere di Nevarra la cui armatura era ormai talmente ammaccata che Max si chiese come facesse ancora a respirarci dentro, e un Fereldiano che sembrava a malapena reggersi in piedi, il braccio della spada che tremava incontrollabilmente dalla stanchezza.

La cugina sembrava stanca ma ancora in vena di combattere. Si voltò verso il Fereldiano accanto a lei, facendo un piccolo cenno del braccio come a chiedergli se fosse davvero sicuro. Mentre l'altro accettava la sfida, Macsen osservò gli altri due, in attesa. “Quattordici”.

Ghignò, mentre il cavaliere di Nevarra si faceva avanti baldanzosamente: dopo un serrato scambio di colpi stanchi, mirò alle giunte dell'armatura già quasi a brandelli, infilandogli la spada spuntata nel fianco quel che bastava per fargli abbastanza male e passare la voglia di rialzarsi dal fango dov'era caduto.

Nel frattempo, Mordred si era liberata del Fereldiano senza grandi sforzi, ma ora stava indietreggiando sotto i colpi di Ser Dominick Knight, la cui tecnica con spada corta e scudo era chiaramente superiore in un duello a quella della donna: lo spadone a due mani che reggeva si faceva sempre più impreciso e i fendenti si infrangevano sulla difesa del cavaliere, mentre più volte venne costretta a schivare per un soffio, la spada dell'altro che graffiava contro l'armatura.

Con un gesto rapido che sorprese entrambi i Trevelyan, Dominick riuscì a superare la guardia di Mordred, gettandola a terra con un tonfo metallico.

Sentì la cugina bofonchiare qualcosa, cercando di rimettersi in piedi mentre ammetteva la sconfitta. L'altro le allungò cavallerescamente la mano, aiutandola a rialzarsi e poi voltandosi verso Macsen, accennando un inchino.

«Calzante, che restino soltanto due cavalieri dei Liberi Confini.» Lo apostrofò Max, ricambiando il gesto e sollevando la guardia. Avevano due stili abbastanza simili e anni di allenamento sulle spalle, e non sapeva davvero chi avrebbe potuto vincere. Era stanco, i muscoli indolenziti gli lanciavano fitte ad ogni movimento, i capelli erano impiastricciati del sudore che gli colava sugli occhi e sentiva scorrergli qualcosa di viscoso sul fianco sinistro, probabilmente uno dei colpi era penetrato abbastanza in profondità da scalfire l'armatura e ferirlo superficialmente.

Anche l'altro non sembrava fresco come un fiore di campo, ma non pareva farci caso, quindi Max strinse i denti e cercò di apparire quanto più baldanzoso gli riuscisse.

«Peccato che ne possa restare solo uno.» Rispose Dominick, avanzando verso di lui.

Le spade cozzarono violentemente, e per un po' si ritrovarono in una situazione di stallo, girandosi attorno lentamente scambiandosi colpo dopo colpo, sempre più stanchi.

Ad un tratto, Knight tentò un affondo basso e Macsen credette di avere la vittoria in pugno, sfruttando lo scudo per spostare la spada dell'altro e farlo sbilanciare in avanti. Il piano funzionò a metà, in quanto Dominick sfruttò l'impeto del colpo per caricare indietro con lo scudo, deviando la lama di Max e colpendolo al fianco, sbalzandolo indietro e liberando la spada.

Macsen cercò di fare un quarto di giro a sinistra, coprendosi il fianco contuso e riparandosi dietro lo scudo, ma l'altro lo incalzò senza dargli tregua. Il braccio era sempre più difficile da alzare, la spalla dove era stato colpito formicolava dolorosamente, lo scudo sembrava ormai un macigno: presto i suoi colpi si fecero più goffi, le sue parate più lente e, inevitabilmente, dopo una manciata di scambi finì a terra con un grugnito, la vista annebbiata per un secondo quando l'elmo impattò col terreno.

Rimase per qualche attimo a fissare il cielo sopra di loro, frastornato, per poi tirarsi seduto con qualche difficoltà, litigando per rimuovere quella ferraglia ammaccata dal capo.

«Andraste baldracca, che botta...» Bofonchiò sottovoce, massaggiandosi il collo e rimettendosi in piedi traballante, rinfoderando la spada. Si asciugò il sudore dalla fronte, la gola riarsa. Aveva bisogno di un paio di birre. E magari qualcuno che gli lenisse i lividi.

«Non fatevi sentire, Ser Trevelyan.» Lo canzonò Dominick, mentre la folla esultava in attesa della proclamazione del vincitore. Si tolse l'elmo a sua volta, liberando i capelli biondi e suscitando un piccolo coro di approvazione da parte di parecchie dame.

«Non possiamo essere tutti a modo come voi, Ser Perfettini.» Ribattè piccato Max, cercando di tenere a bada l'onta di essere stato battuto e afferrando il braccio dell'altro, sollevandoglielo sopra la testa e causando un'altra ovazione di popolo.

Guardò verso gli spalti: Quinn sembrava parecchio annoiato mentre Domhnall applaudiva composto, Marcus aveva l'aria di chi avrebbe volentieri vendicato la sorella a colpi di palle di fuoco e i due Trevelyan più anziani avevano entrambi un'espressione tranquilla, eppure Max temette di aver scorto un barlume di rabbia negli occhi del padre, quando incrociò il suo sguardo. Andrew aveva una smorfia che lasciava poco all'immaginazione, mentre i loro ospiti battevano cortesemente le mani. La tenente chinò un poco il capo nella sua direzione, e Max si sentì un poco più sollevato.

Il Siniscalco, un ometto grassoccio e unticcio che presenziava al Gran Torneo al posto del Teyrn, troppo malato per uscire dalle sue stanze, si fece avanti con un colpetto di tosse, alzando la voce e apostrofando la folla riunita dal palchetto d'onore, i grandi stendardi di Ostwick e dei Liberi Confini che svolazzavano dietro di lui sotto il sole. Uno squillo di trombe segnalò di prestare attenzione.

«Miei Signori e Signore!» Iniziò ad elencare tutte le varie provenienze dei partecipanti dell'anno, con un tono pomposo e la vocetta nasale che ebbe come unico effetto il fargli pregare che quello strazio finisse in fretta. Cos'erano cinque anni, dopotutto, doveva solo riprovarci...

Si trattenne dal lanciare una stilettata di rancore in direzione di Ser Dominick, aveva vinto lealmente, era semplicemente stato più bravo di lui.

Certo, ammettere la sconfitta non gliela faceva certo bruciare di meno.

«... ed è con immenso onore che ci accingiamo ora a salutare il Quarantasettesimo vincitore del Gran Torneo dei Liberi Confini,» Max roteò gli occhi al cielo, sbuffando in attesa che si decidesse a tacere «con quindici avversari sconfitti,» “...aspetta, che?!” «ecco a voi Ser Macsen Áedán Trevelyan, Caporale dell'Ordine Templare di Kirkwall, figlio di Lord Bann Trevelyan di Ostwick e Campione del Gran Torneo di Ostwick!»

Sbattè le palpebre, accorgendosi solo dopo un istante di essere rimasto a bocca aperta, richiudendola di scatto e guardandosi attorno confuso, incrociando lo sguardo del cavaliere accanto a sé.

«Mi hai battuto di un punto.» Commentò Dominick, e nonostante l'espressione cortese dipinta in volto era chiaro che la cosa gli desse non poco fastidio. «Complimenti.»

Max si riprese in fretta, scrollando le spalle e gonfiando il petto mentre saliva i gradini di legno verso il palchetto, inginocchiandosi di fronte al Siniscalco mentre questi si voltava a prendere la corona di alloro e gliela poneva sul capo, prendendo poi un cuscino di velluto rosso sul quale poggiava una spada lunga dall'aspetto antico, puramente cerimoniale. Mentre Macsen si alzava lentamente, il cuore che batteva a mille, quello gli offrì la lama con un gesto plateale: le dita del ragazzo si strinsero sul metallo, smettendo di tremare e estraendo la lama da fodero decorato, sollevandola sopra la testa in modo che tutti potessero vederla, tra le ovazioni della folla e altri squilli di trombe.

Si voltò raggiante, incontrando lo sguardo del padre e dei fratelli, i Trevelyan si erano tutti alzati in piedi per congratularsi, e Macsen si sentiva il petto gonfio di orgoglio mentre sorrideva verso di loro, la spada dei Campioni stretta in pugno.



 

«Sei stato bravo, Trevelyan.»

Rimase abbastanza sorpreso dalla stretta della donna, ricambiando con un cenno del capo e un ringraziamento bofonchiato, l'alcol che gli era già salito alla testa. «Grazie, Tenente Hawke...»

«Non montarti la testa, però, caporale.» Gli lanciò un sorrisetto divertito, prendendo qualche sorso dal suo boccale e scambiandosi un cenno d'intesa con Andrew. «Quell'alloro non ti aiuterà molto con la Comandante.»

«Ah, non smetterà più di vantarsi!» Lo prese in giro l'amico, dandogli un pugno sulla spalla e strappandogli un grugnito di dolore. «Sarà più insopportabile di prima.»

«Fatemi almeno godere il momento...» Borbottò risentito Max, buttando giù quel che restava della birra e reprimendo un rutto. «Non sono ansioso di ritrovarmi con Meredith e il suo cane col fiato sul collo, per niente.»

«Sì, scommetto che preferiresti il fiato di qualcun altro, da tutt'altra parte.» Lo punzecchiò Andrew indicandogli Isabela, che per tutto quel tempo stava flirtando senza pudore con una coppia di Antivani di bell'aspetto, facendolo arrossire di colpo mentre incrociava lo sguardo della tenente.

«Drew!»

Marian scoppiò a ridere di gusto, scuotendo il capo. «Bela fa quell'effetto a tutti.» Max sgranò gli occhi, una domanda a salirgli alle labbra, quando la donna sollevò il boccale davanti a sé scolandoselo senza troppi complimenti. «Non una parola.» Li ammonì, le guance arrossate.

Entrambi giurarono solennemente che avrebbero mantenuto il silenzio, sforzandosi di assumere un'espressione neutra che non lasciasse trapelare le risate che stavano trattenendo a stento.

«Su che cosa?»

La tenente si voltò di scatto, arrossendo ulteriormente alla vista del Principe Vael, che le sfiorò il fianco con un gesto affettuoso. «Sebastian, tutto bene?»

L'uomo annuì. «Abbiamo fatto bene a venire ad Ostwick. Grazie alla vostra famiglia, Ser Macsen, e ai vostri alleati, avrò forze sufficienti per riprendermi Starkhaven senza spargimenti di sangue.» Spiegò con un sorriso, tirandosi indietro i capelli color ruggine. «L'ultima cosa che vorrei è causare la morte dei miei concittadini per colpa di una manciata di stolti che hanno usurpato il mio trono.»

«Beh, nel caso vi servisse una spada in più, sapete a chi chiedere.» Sorrise Macsen a sua volta, godendosi la vista degli occhi blu dell'altro.

La musica cambiò di nuovo, le note allegre e vibranti si trasformarono in un ballo lento, e il Principe afferrò delicatamente la mano della Tenente, sfiorandola con le labbra mentre si chinava ad invitarla a ballare.

Macsen scosse il capo, osservandoli allontanarsi.

«Non sembra possibile che sia la stessa persona che falciava Qunari come fossero alberelli, vero?» Commentò divertito Andrew, appoggiandosi alla sua spalla col gomito e guardando nella stessa direzione.

«Erano più querce dalla stazza, ma sì, fuori dall'armatura non è proprio niente male con quell'abito.»

«Potrebbe spezzarti le gambe solo per averlo detto ad alta voce.»

«E dai, so che stai pensando esattamente la stessa cosa... che altro nasconde, tolto anche quello?»

Drew si lasciò sfuggire una risata, recuperando altri due boccali da un servitore di passaggio. «Da ragazzino avevo una cotta assurda per lei, sai? Garrett mi dava del pazzo.» Fecero scontrare i boccali, prendendo qualche sorso. «Aveva proprio ragione.»

Macsen si strinse nelle spalle, adocchiando da lontano il Marchese Courtemance che civettava come un pavone in mezzo ad un gruppo di dame in adorazione. «Che ne dici di andare a pescare nella pozza di qualcun altro?» Propose all'amico con un ghigno, scostandosi i capelli all'indietro.

«Ah, non credo di avere speranze...»

«Sciocchezze, sei con il Campione del Gran Torneo... si butteranno letteralmente ai nostri piedi.» Lo spinse un poco in avanti, affiancandolo e raggiungendo a falcate disinvolte il gruppetto.

«Marchese, che piacere rivedervi!» Lo salutò giovialmente, godendosi come l'attenzione era stata calamitata dall'Orlesiano a lui in pochi attimi. «Vi siete ripreso in fretta.»

«Era solo un graffio, Ser. Anche voi vi siete rialzato quasi subito dopo l'ultimo scontro, no?» Ribattè serafico Courtemance, gli occhi ridotti a fessure.

«Sì, beh, c'è una prima volta per tutti.»

«Allora forse avete una speranza di vincere la Giostra, la prossima volta.»

Si fronteggiarono per un attimo, gli occhi color miele del Marchese che lo fissavano senza battere ciglio. Macsen rispose con un sorrisetto affettato. «Se la competizione ne varrà la pena... sapete, ultimamente sono molto impegnato a proteggere il Thedas da invasioni Qunari o pericolosi maghi del sangue, non ho molto tempo per dare spettacolo.» Ammiccò con un cenno ad una bella ragazza lì vicino, che arrossì dalla punta del naso alla punta delle orecchie, la pelle pallidissima in contrasto con i capelli scuri, iniziando a farsi aria con un largo ventaglio.

Courtemance arricciò un angolo della bocca. «Oh, sono sicuro che ne varrà la pena... anche solo per tenervi stretta la vostra spada. Sempre che vi ricordiate di non portarla anche in battaglia, altrimenti potreste non arrivare al prossimo Torneo tutto intero.» Accennò alla spada cerimoniale che Macsen teneva alla cintura. «Sarebbe un vero peccato non rincontrarci.»

Max sogghignò. «Oh, non temete Marchese, ci saranno tante altre occasioni spero... ma ora,» riportò lo sguardo sulla ragazza dalla pelle diafana, dai ricami dell'abito probabilmente di Nevarra «è il momento di goderci la vittoria, non pensate anche voi?»

La dama gonfiò il petto, mettendo in mostra il seno sodo e rotondo stretto nella scollatura squadrata, squittendo una risposta entusiasta. Max si voltò verso Andrew, sollevando appena il sopracciglio, divertito. «Permettetemi di presentarvi il mio fido compagno, Ser Andrew Loth...»

Drew rivolse un sorriso disinvolto ad una ragazza dai capelli rossi e il viso pieno di lentiggini, il corpo un po' in carne avvolto in morbida stoffa ricamata. Quella sembrò deliziata, e quando l'altro si inchinò per chiederle cortesemente un ballo, accettò prima ancora che potesse finire la domanda.

«Buona serata, Marchese...» Gli strizzò l'occhio Macsen, limitandosi a tendere la mano con un gesto elegante alla ragazza di Nevarra, che la afferrò senza esitare facendosi guidare verso la pista da ballo, volteggiando aggraziata tra le sue braccia.

Non si sorprese di venire affiancato da Mordred e il marito, e alla fine del ballo la cugina gli si accostò per scambiare le coppie.

«Tieni gli occhi aperti, a Kirkwall.» Lo ammonì mentre lui la sollevava di poco da terra in una piroetta, avvicinandoglisi di poco. «Mio padre dice che Meredith ha chiesto alla Divina di stringere ulteriormente la presa sui circoli.»

«Ah, non preoccuparti, la terremo a bada...»

Mordred lo guardò con occhi di ghiaccio, l'abito color crema che frusciava mentre ruotavano. «È proprio per questo che ti sto avvertendo, Macsen, temiamo possa sfuggirci di mano.»

Max fece due passi indietro, sollevando la mano mentre si giravano attorno seguendo la musica. «Mano nostra, o della Divina?»

«C'è differenza?»

Aggrottò la fronte, facendola ruotare su sé stessa con grazia. «Devo tenerla d'occhio?»

«Sii discreto, non intrometterti a meno che la situazione non sia disperata.» Si separarono di un poco con un piccolo inchino, la musica che rallentava. «Quando sarà il momento, lo saprai.»

Max voleva chiederle cosa intendesse dire, ma Alexander era rispuntato al fianco della moglie, cingendola per un fianco e portandola a volteggiare lontano da lui, lasciandolo ad arrovellarsi per qualche istante ancora prima che venisse acciuffato entusiasticamente dalla ragazza di prima, che gli si strinse addosso per un attimo in più di quello che prevedeva l'etichetta, mandandogli il sangue dal cervello in altre direzioni.

Non era il caso di rovinarsi la serata pensando a Meredith e alla sua sete di sangue, no?



 

Il giorno dopo, un gran mal di testa e un leggero senso di nausea dalla baldoria della sera prima, si appoggiò stancamente al fratello, seguendolo in salotto. «Non ho voglia di tornare a Kirkwall.»

Quinn sbuffò divertito, scostandolo in malo modo cacciandogli il gomito tra le costole. «Hai festeggiato abbastanza, è ora di tornare al lavoro.» Si sistemò gli occhiali sul naso, un sorriso tranquillo mentre si spolverava le vesti immacolate.

«Non vedi l'ora di tornartene a parlare coi tuoi amichetti luminosi?» Lo prese in giro Max, ricambiando la spinta.

«Ahia!» Gemette l'altro, scostandosi offeso. «E no, voglio solo tornare ad avere un po' di quiete, penso di averne avuto abbastanza fino al prossimo Gran Torneo.»

Abbozzò un sorriso. «Non me la ricordo così tranquilla, la Torre...»

«Lo è decisamente di più, da quando non ci sei più tu.»

Si morse la lingua, piccato. «Allora ho fatto un favore a tutti.»

Quinn si grattò l'interno dell'avambraccio, abbassando il capo. «Non avresti comunque dovuto farlo.»

Max gli mise una mano sulla spalla, stringendolo un poco. «Sai che lo rifarei mille volte, vero?» Lo costrinse a guardarlo negli occhi, per una volta serio. «Se ci sono altri problemi...»

«Arriverai di gran carriera da Kirkwall per proteggermi dai Templari cattivi?» Il fratello scosse il capo, sospirando. «Me la so cavare da solo, Max, stai tranquillo. È stato un caso isolato, e comunque non valeva la pena di sollevare tutto quel polverone per una manciata di commenti fuori luogo.»

«Fuori luogo un cazzo, Quinn, ha insultato te e tutta la famiglia, qualche dente e un paio di ossa rotte è pure poco.»

«Non ti ho mai chiesto di metterti in mezzo...»

Max lo guardò dritto negli occhi, la voce ferma. «Sei mio fratello, Quinn, ammazzerei il Lord Cercatore in persona se ti minacciasse.»

Quinn sbiancò, voltandosi dall'altra parte e sistemandosi di nuovo gli occhiali. «Speriamo non si arrivi mai a tanto...»

Prima che potesse ribattere, vennero stretti in un poderoso abbraccio dal fratello maggiore. «Mi mancherete entrambi, piccoletti.»

«Sta' zitto, gigante.» Si offese Max, tirandogli un pugno che l'altro accusò senza quasi notarlo. «Sarai abbastanza impegnato da non accorgerti nemmeno della nostra assenza.»

Domhnall gli scompigliò i capelli, come quando era bambino, un sorriso gioviale sul volto. «Vienici a trovare per la nascita della pagnottina, d'accordo?»

«Chéri, lascia in pace tuo fratello...» lo richiamò una voce dolce dall'altra parte della stanza, dal marcato accento orlesiano. «Inoltre, ci vorrà un po' di tempo prima che il piccoletto qui possa impugnare una spada.» Disse la donna, accarezzandosi il ventre rigonfio con un gesto affettuoso e lanciandogli un'occhiata divertita. Era indubbiamente bella, la pelle chiara e i riccioli castani ad incorniciarle il volto dai tratti morbidi e delicati, occhi chiari sormontati da lunghe ciglia. Lady Juliette DuRellion sarebbe sembrata una bambola, non fosse stato per la lingua tagliente e i commenti arguti. Accanto a lei, e Macsen si ritrovò a sorridere di gioia nel vederla in piedi che camminava senza doversi appoggiare alla nuora, Lady Trevelyan ricambiò il saluto, avvicinandosi ai figli e allargando le braccia in direzione di Domhnall.

«Non merito anche io un abbraccio?» Chiese con un sorriso furbo, mentre il maggiore dei tre fratelli la stringeva a sé quasi nascondendola alla vista. Non gli arrivava neppure alla spalla, eppure lo sguardo fiero che rivolse a Macsen e Quinn era quello tipico della famiglia. «Allora?»

«Sono contento di vederti così bene, madre.» La cinse tra le braccia Max, inspirando il profumo di olii e fiori che la donna si portava sempre appresso, accarezzandole i capelli scuri senza nemmeno un filo bianco, senza stringerla troppo.

«Non sono fatta di cristallo, pulcino!» Lo rimbeccò lei, cingendolo sotto le ascelle e stringendolo con più forza, suscitando le risate di Quinn.

«Madre, state attenta a non-»

Dolores gli lanciò uno sguardo imperioso da dietro il figlio minore, allungando una mano e facendo un cenno. «Vieni qui e saluta tua madre, prima di tornartene tra quei libri polverosi, niño.» Il tono non ammetteva repliche, l'accento Antivano che tornava a farsi sentire.

L'altro arrossì un poco, imbarazzato, mentre cedeva e si lasciava stringere in un abbraccio da tutti e tre. «Non sono polverosi.» Ribattè con un filo di voce quando finalmente lo lasciarono andare, raddrizzandosi gli occhiali che gli erano scivolati sul naso. «Sono allergico alla polvere.»

«La polvere sarà il minore dei tuoi problemi se non ti metterai a fare un po' di esercizio!» Lo rimbeccò la donna, accomodandosi su una poltrona morbida accanto alla nuora e facendo segno ai figli di fare altrettanto. «Gila, portaci un tè e qualcosa di dolce!» Alzò la voce, e in un fruscio di vesti la cameriera si affacciò dall'uscio, inchinandosi ossequiosamente prima di sparire alla vista.

«Non mi sono ancora congratulata di persona con il mio Campione...» riprese a parlare Lady Trevelyan, rivolgendo a Macsen un sorriso compiaciuto. «Tuo padre dice che hai combattuto bene.»

«Non quanto sperasse...» Si lasciò sfuggire Max. «Ser Knight mi ha battuto, non pensavo avrei vinto l'alloro.»

«Ah, sciocchezze!» Esclamò la madre, muovendo la mano come a scacciare una mosca. «Bann può essere un po' rigido, ma lo fa per spronarvi a dare il meglio. Era davvero fiero di te, come lo siamo tutti.»

Sentì un piacevole calore al petto, e non potè fare a meno di sorridere. «Grazie, madre.»

Dolores spostò lo sguardo sui tre figli, soffermandosi infine su Domhnall, mano nella mano con la moglie. «Siamo fieri di tutti voi, ricordatevelo sempre.»

Dopo poco, Gila tornò con un vassoio carico di pasticcini, appoggiandoli al centro del tavolino da tè e servendo loro un infuso di foglie pregiate, che Macsen riconobbe come quelle che aveva chiesto a Garrett tempo prima. Ne inspirò l'aroma, rimpiangendo di dover partire il giorno seguente.


























Note dell'Autrice: ed ecco che si conclude la parentesi del Gran Torneo di Ostwick! Spero che i nuovi personaggi vi siano piaciuti, personalmente trovo Macsen un narratore divertente in cui immedesimarsi. Dal prossimo capitolo si torna a Kirkwall e ai suoi intrighi, a presto! :D  

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Capitolo 36
*** Unrest ***


 

CAPITOLO 36
Unrest

Era del Drago, 9:36


 

Marian si scostò un ciuffo di capelli sudati dalla fronte, maledicendo per l'ennesima volta quell'afa che sembrava mozzare il fiato all'intera città. Ruvena, accanto a lei, non sembrava messa meglio, e sbuffava ad intervalli regolari mentre camminava rasente i muri della città bassa alla ricerca di un po' d'ombra.

«Non potevano mandarci qualche recluta?» Si lamentò l'amica.

«Con tutto quello che sta succedendo alla Forca, la Comandante teme che troveremo... della resistenza.» Rispose Marian, guardandosi attorno circospetta. Erano vicini all'Enclave, poteva scorgere da lontano l'edificio dove si trovavano le due stanze fatiscenti che Gamlen chiamava casa, l'odore rancido dell'acqua di scolo e della sporcizia dei vicoli ad impestare l'aria.

«Resistenza generica, o “la Resistenza?”» Chiese Ruvena, tetra, mentre passavano davanti ad uno dei tanti graffiti che tappezzavano ormai le strade. La pennellata rosso scuro su mano bianca era fresca di qualche giorno, il colore ancora brillante sul muro scrostato e fatiscente.

«Fa differenza?» Si fermarono di fronte ad una porta che un tempo era stata dipinta di verde scuro, ma ormai aveva raggiunto quella tonalità grigiastra e sporca che unificava tutto il quartiere. Strinse i denti, prima di sollevare il braccio e battere tre volte il pugno sul legno. «Serah Kett, sono la tenente Hawke dell'Ordine Templare, aprite.»

Dall'interno, si udirono dei fruscii, qualcosa cadde a terra con un tonfo secco. «Kett, aprite immediatamente, non rendetevela più difficile.» Chiamò di nuovo, facendo segno a Ruvena di affiancarsi alla piccola finestra che dava dall'altro lato dell'edificio. Non c'erano uscite secondarie, avevano controllato, e un lavoratore del porto non avrebbe attaccato a testa bassa due cavalieri. Almeno, sperava. «Kett!»

Con suo grande sollievo, udì del passi avvicinarsi, e la serratura scattare prima che i cardini iniziassero a cigolare fastidiosamente, aprendo uno spiraglio. «Che cosa volete da noi?» Domandò una voce maschile dall'interno, tremante.

«Abbiamo ricevuto alcune notizie su vostro figlio, Serah Kett.» Spiegò Marian, cercando di mantenere un tono di voce conciliante. «Fateci entrare e valutare la situazione, non credo vogliate nemmeno voi che ne discutiamo qui all'aperto, vero?»

Un attimo di silenzio e la porta si spalancò del tutto.

Le accolse un uomo quasi calvo, la pelle rovinata dal sole e dalla salsedine, le rughe pesanti su un volto che dimostrava probabilmente molti più anni del dovuto. Lanciò un'occhiata spaventata prima a lei e poi a Ruvena, riportando subito l'attenzione sulla tenente mentre si scostava da parte per farla entrare, senza una parola.

La stanza era angusta e buia, arredata modestamente ma con alcuni tocchi di colore, come a cercare di rendere meno triste l'ambiente circostante, dei pesciolini di legno colorati sedevano su una mensola accanto a decine di conchiglie di tutti i tipi. Una testolina arruffata fece capolino da una porta socchiusa sulla parete opposta. «Papà?»

«Torna dentro, Lee!» Tuonò l'uomo, frapponendosi istintivamente davanti alle due templari. Il bambino richiuse la porta di scatto, spaventato.

«Serah Kett, dobbiamo farle alcune domande.» Prese la parola Ruvena, scambiandosi un'occhiata esitante con Marian. «Riguardo a suo figlio.»

«Sono tutte bugie, vi dico!» Esclamò lui, incrociando le braccia al petto. «Scommetto che è stato quel buono a nulla vigliacco di Marcer a mettervi la pulce, ci scommetto, ma il mio Lee non ha fatto nulla di male, nulla. È un bravo bambino, pace alla buon anima di sua madre, mai un problema né una marachella-»

«Non dubito che abbiate cresciuto Lee nel migliore dei modi, Serah, sono certa che sia un bravo bambino.» Lo interruppe Marian, tentando di instillargli fiducia. «E non lo stiamo accusando di aver fatto nulla di male, ma di essere... diverso dagli altri, forse. E da voi.»

L'uomo rimase a bocca aperta, richiudendola con uno scatto per poi gonfiare le guance, indietreggiando con la schiena fino alla porta. «Lee è normale, come me e voi. Non è uno di quei... cosi, non lo è, lo giuro sul Creatore e sulla sua Sposa, non ha mai fatto nulla di strano!»

Marian sospirò, facendo cenno a Ruvena di stare ferma. «Non c'è niente di male se vostro figlio è un ma-»

«Mio figlio non è uno di loro!» Alzò la voce Kett, prima di mordersi la lingua e moderare nuovamente il tono. «Non portatelo via, è tutto quello che ho, non è un... un...»

«Un mago?» Intervenne Ruvena, avvicinandosi a lui di un passo. «Abbiamo raccolto tre testimonianze diverse di strani avvenimenti qua intorno, Serah, e tutti hanno in comune il fatto che vostro figlio era nelle vicinanze. Un amico di Lee è volato giù dal molo tre giorni fa, e due testimoni l'hanno visto sollevarsi dall'acqua e tornare al sicuro come se niente fosse.»

«Chi è stato a raccontarlo?!» Scattò l'uomo sulla difensiva. «Mentivano, Lee era a casa!»

«Serah...» Marian scosse il capo, affiancandosi a lui. Non era mai facile strappare un bambino alla sua famiglia, soprattutto quando sembrava fosse l'unica cosa rimasta ad un genitore, ma era per il bene di tutti. Se Lee si fosse avventurato nell'Oblio o avesse ceduto alle sue emozioni, padre e figlio non sarebbero state le uniche vittime dell'errore dell'Ordine. «Lee ha bisogno di essere istruito ed educato a controllarsi, per il suo bene e il vostro.»

L'uomo gonfiò il petto, stringendo i pugni lungo i fianchi. «Non lo rinchiuderete come un mostro lì dentro. Non me lo farò portare via.»

«So che vi sto chiedendo molto, ma dovete fidarvi di me.» Insistette Marian. La nuova politica di Meredith sulle famiglie che proteggevano i loro parenti maghi si era irrigidita negli ultimi anni, fino ad arrivare al punto di torturarli per sapere dove si nascondessero, e farne un'esecuzione in pubblica piazza per dissuadere eventuali imitatori. “Quello che sarebbe successo a me”, pensò amaramente osservando la disperazione negli occhi dell'uomo di fronte a lei. «Lee sarà protetto e al sicuro, al Circolo. Non gli mancherà mai un pasto caldo o un tetto sulla testa, e riceverà la migliore istruzione che la Chiesa offre a coloro che sono sensibili alla magia. E soprattutto, non metterà in pericolo se stesso e gli altri, Serah. So che conoscete i rischi che correte, nascondendolo qui.»

«Tenente Hawke... siete la sorella del Campione?»

Marian annuì. «Mio fratello è un mago. Non permetterò che facciano del male a vostro figlio, ve lo prometto.»

Kett aggrottò la fronte, ponderando le proprie opzioni. Lanciò uno sguardo dietro di sé, per poi riportare gli occhi sulle due templari e, infine, capitolò. «D'accordo. Seguitemi.» Abbassò le spalle, sconfitto, voltandosi e aprendo la porta dietro cui si nascondeva il bambino.

Era minuscolo. Non doveva avere più di sei o sette anni, e stringeva tra le braccia un pupazzo dall'aria vissuta, gli arti, attaccati ad un ciocco di legno con una testa, erano una corda nautica che terminava con un nodo per mani e piedi, gli occhi erano due piccole conchiglie incastonate. Guardò le sconosciute con due grandi iridi nocciola, tremando da capo a piedi e nascondendosi dietro le gambe del padre.

«Queste sono la tenente Hawke e...» guardò Ruvena, la quale si presentò cercando di apparire meno minacciosa possibile nonostante l'armatura e la spada al fianco. «Sono dell'Ordine Templare.»

Il bambino biascicò qualcosa, il viso premuto sulla gamba del padre, aggrappato disperatamente con una mano alla stoffa dei pantaloni.

Marian avanzò di qualche passo, chinandosi sui talloni e abbozzando un sorriso. «Io mi chiamo Marian, e tu?» Gli tese un poco la mano aperta, il palmo rivolto verso l'alto.

Il bambino la sbirciò spaventato, senza azzardarsi a muovere un passo. «Lee.»

«Hai paura di me, Lee?» Il piccolo annuì, il pupazzo di legno e corda che oscillava ad ogni sussulto. «L'armatura è spaventosa, hai ragione, ma so che sei molto coraggioso.» Osservò meglio l'oggetto, il Velo che tremolava debolmente attorno ad esso. «Te l'ha regalato tuo padre?» Il bimbo annuì, tirando su rumorosamente col naso. «Posso vederlo?»

Lee titubò un attimo, ma il padre gli diede una piccola spintarella verso la donna. Allungò la manina, consegnandogli il pupazzo e ritirandola subito dopo con uno squittio spaventato mentre lei lo esaminava meglio. “No, non è posseduto”, scoprì con un sospiro di sollievo. La magia veniva dal bambino, ma per il momento non sembrava aver attirato attenzioni indesiderate dall'altra parte. Glielo restituì con un sorriso, un nodo alla gola mentre si sforzava di parlare. «Lee, tu sai fare cose che tuo padre non sa fare, vero?»

Il bimbo annuì. «Sono come la mamma.»

Kett trasalì, lanciando alle due templari un'occhiata di puro terrore, ma Marian lo interruppe sollevando una mano. «Ci sono tante persone come te e la tua mamma, Lee. E vivono insieme, imparando ad usare i loro poteri per non fare male a nessuno.» Si morse il labbro, non era mai stata brava coi bambini e odiava questo compito quasi quanto controllare i Tormenti. «Ti sei spaventato quando hai sollevato quel bambino dall'acqua, l'altra sera?»

«No...» Rispose lui, gli occhi bassi. «Non dovevo?»

«Sei stato coraggioso e hai fatto la cosa giusta, Lee, l'hai salvato. Ma hai sentito qualcosa, dentro di te, vero?» Ad un cenno affermativo, continuò, sperando vivamente di non doverlo trascinare in spalla urlante da lì fino alla Forca, come a volte aveva visto succedere. «Conosco delle persone che possono aiutarti, maghi come te, che vogliono fare del bene con quello che il Creatore gli ha dato.»

Lee sollevò lo sguardo, le guance umide. «Ma io voglio stare con papà.»

Fu Kett stavolta a parlare, abbassandosi anche lui all'altezza del figlio e poggiandogli una mano sulla spalla, mentre con il pollice gli asciugava una lacrima. «La Tenente Hawke ha ragione, Lee, non posso aiutarti. Devi andare con lei, imparerai tante cose, ti farai dei nuovi amici...» Un singhiozzo soffocato gli mozzò le parole, mentre stringeva il bambino in un abbraccio. «Ti manderò lettere ogni settimana, troverò qualcuno che sappia scrivere, te lo prometto.»

Marian serrò la mascella, pensando a quante lettere venivano bruciate ogni giorno dai templari invece che recapitate ai maghi all'interno della Forca. Meredith non ammetteva quasi nessun contatto ormai, ogni rigo poteva nascondere chissà quali messaggi in codice da parte della Resistenza. «Posso passare di qui ogni tanto per farvi da tramite, Serah.»

Ruvena sgranò gli occhi, ma la tenente scosse impercettibilmente il capo. Non era il momento.

Concessero qualche altro minuto ai due per salutarsi definitivamente, mentre il padre metteva in una borsa di pelle lisa i pochi averi del figlio. Marian non ebbe cuore di dirgli che i vestiti sarebbero andati direttamente agli orfanotrofi della Chiesa, in quanto ai maghi venivano fornite d'obbligo le vesti del Circolo. Per ultimo, gli mise in mano una conchiglia oblunga, di quelle che poggiate all'orecchio permettevano di ascoltare il rumore delle onde.

«Pensa a me ogni volta che senti il mare, d'accordo?»

Lee annuì, stretto nell'abbraccio, singhiozzando troppo forte per rispondere coerentemente.

Marian gli tese la mano, salutando l'uomo con un cenno del capo. «Ci prenderemo cura di lui.»

«È un bravo bambino, tenente... ricordatevelo.» Sussurrò implorante quello, mentre chiudeva la porta alle loro spalle.



 

Quella sera, si trascinò faticosamente fino alla villa di Fenris e Sebastian. L'elfo aveva accettato la proposta del Principe di condividere la vecchia magione di Danarius, un po' per placare finalmente il vicinato, un po' perché non voleva che l'elfo stesse senza protezione. Negli ultimi due anni, aveva ricevuto alcune visite poco amichevoli da alcuni mercenari del Tevinter e un paio di maghi del sangue, probabilmente mandati da Danarius solo per ricordare che non si era dimenticato della sua proprietà perduta. Il risultato erano stati diversi cambi di tappeti e tendaggi sporchi di sangue, che Sebastian aveva imposto all'amico per smettere una volta per tutte di vivere in quello che assomigliava ad un macello fereldiano.

Trovò i due uomini intenti a giocare a Grazia Malevola con Isabela, che sorrideva tronfia dietro una pila ordinata di monete d'oro.

«Tesoro, sei qui per accrescere le mie fortune?» Le chiese l'amica, brindando nella sua direzione prima di bere direttamente dalla bottiglia di vino.

«Non stasera, sono venuta a chiamare Sebastian, Elthina mi ha fatto sapere che vuole parlarci.»

Al sentire quelle parole, il compagno scattò in piedi come una molla, preoccupato. «Ha detto qualcosa sul motivo?»

Scosse il capo. «Immagino ce lo spiegherà di persona, ha mandato una delle reclute che erano alla Chiesa a portarmi il messaggio, ma erano due righe scarne.»

«Sarà per l'ennesimo problema coi maghi...» Commentò Fenris con una smorfia, poggiando le carte sul tavolo.

Marian lo guardò in tralice. «Ti prego, Fen, non stasera.»

L'elfo sollevo le braccia in segno di resa. «Come ti pare, sai che ho ragione...»

Isabela gli diede un buffetto sui capelli bianchi, punzecchiandolo con l'indice. «Lascia stare i piccioncini, almeno si levano di torno. Da quando qualcuno, qui, è diventata monogama, ci si diverte molto meno.» Ridacchiò in direzione dell'amica, che roteò gli occhi al soffitto, esasperata.

«Bela...»

«Dico solo che, oltre al regalare al principino qui una cintura nuova, puoi pure proporgli qualcosa di diverso una volta ogni tanto!»

Marian sollevò un sopracciglio. «Chi ti dice che ci annoiamo?»

Sebastian emise un verso strozzato, diventando dello stesso colore dei suoi capelli. «Non dovremmo andare?»

«Sicuro, scappa dalla Chiesa, carino, tanto ormai lo sappiamo tutti che a letto non sei un agnellino timorato!» Lo prese in giro la pirata, imitando dei gemiti osceni che fecero rizzare i capelli in testa a Marian domandandosi come facesse a replicarli così bene. A quanto pareva, le pareti non erano così spesse come aveva sperato.

«Creatore!» Esclamò Sebastian scuotendo il capo. «Sei senza ritegno.»

Isabela fece spallucce. «Tra te e la ragazzona, dovreste ringraziarmi, senza di me sareste a fare la muffa invece che a godervi del sano sesso come si deve.»

«Se Aveline fosse qui, piuttosto che ringraziarti si getterebbe dalla finestra a testa in giù.»

Bela le fece l'occhiolino. «E invece è col suo nuovo maritino in viaggio di nozze, e tutto perché ha seguito i nostri consigli. Non siamo delle amiche meravigliose?»

«Modeste, soprattutto.»

«Lascio la modestia a chi non ha altro, tesoro, lo sai.» Si alzò in piedi, cingendo Fenris con le braccia e chinandosi su di lui ad appoggiargli il seno contro il capo. «Ora, non dovreste andare da qualche altra parte...?»

Marian sbuffò divertita, facendo un cenno a Sebastian prima di incamminarsi verso l'uscita.

Quando furono all'esterno, Sebastian le cinse i fianchi, avvicinandola a sé e baciandola sulle labbra. «Sono l'uomo più fortunato del Thedas, ad averti tutta per me.» Le disse sfiorandole la fronte.

Lei lo guardò di sottecchi, divertita. «Quindi non sei interessato alla proposta di Bela?»

L'altro fece una piccola smorfia offesa. «Certo che no.»

«Ti assicuro che è molto brava... anche Fenris, se per quello.» Si lasciò sfuggire innocentemente lei, godendosi il rossore sulle guance del compagno e scoppiando a ridere. «Sai che amo punzecchiarti.»

«E io ti amo anche per questo, quindi ci passerò sopra.»

Nonostante il sorriso sul volto, notò Marian, sembrava stanco, due occhiaie profonde ad adombrargli lo sguardo. «So che sei preoccupato per Elthina, ma faremo in modo che non le succeda niente.» Cercò di confortarlo mentre raggiungevano la chiesa.

«Spero sia abbastanza. Non dormo un sonno tranquillo da settimane, è come se il Creatore stesse cercando di mettermi in guardia.» Intercettò lo sguardo scettico della compagna, affrettandosi a chiarire «Lo so che può sembrare paranoico, credimi, ma non saprei come altro spiegartelo. Ogni notte mi sembra di essere osservato da qualcosa, come se...» Scosse il capo, sospirando pesantemente. «Vorrei solo lasciasse la città finché non si saranno calmate le acque tra i maghi e la Chiesa, i suoi sforzi per fare da mediatrice non vanno ad entrambe le fazioni.»

«Non abbandonerà i suoi fedeli, l'hai sentita.» Marian gli strinse la mano, prima di spalancare la porta della chiesa. «Forse però ha scoperto qualcosa di nuovo.»

L'intero della chiesa a quell'ora era illuminato solo dalle candele votive, un paio di sorelle rassettavano le panche di legno mentre un fratello era intento a passare un panno su una delle grandi statue dorate agli angoli della navata. Trovarono Elthina nel suo studio privato al piano superiore.

Si chiusero la porta alle spalle, aspettando che la donna finisse di guardare delle carte.

«Sebastian, Tenente Marian, mi dispiace chiamarvi qui a quest'ora ma si tratta di una questione di una certa urgenza.»

«Non preoccupatevi, siamo sempre disponibili per voi, Somma Sacerdotessa.»

Elthina annuì. «Mi è giunta voce che la Divina sta considerando delle soluzioni più... drastiche, per i problemi di Kirkwall. Teme che la Resistenza possa sferrare un altro attacco come quello di due anni fa, e la Chiesa non può permettere una cosa simile.»

«Ci sono sospetti fondati che stiano organizzando un altro attacco?» Chiese sbigottita Marian, sentendo subito le spalle tendersi con uno spasmo. «In due anni si sono limitati a strapparci qualche mago che doveva essere riportato al Circolo, ma le nuove misure imposte dalla Comandante-»

«La Divina crede che non siano sufficienti, ma anzi, rischino solo di provocare ulteriori incidenti.» Elthina sospirò profondamente, alzandosi in piedi e lanciando uno sguardo alla finestra dietro di lei, che dava sulla città addormentata. «Ha mandato un agente ad analizzare la situazione personalmente. Dovrete convincerla che Kirkwall è ancora sotto controllo, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è avere le nostre strade che pullulano di forze armate della Chiesa, sarebbe guerra civile, lo so bene.»

«I cittadini si fidano della Chiesa-»

«No, Sebastian, la Somma Sacerdotessa ha ragione.» Lo interruppe Marian scuotendo il capo. «Nonostante la città sia infestata da maghi del sangue ed eretici che vogliono sovvertire la pace che la Chiesa preserva, l'Ordine Templare non è più benvisto da molti: la Comandante si è impossessata del potere che spetterebbe al Visconte, impedendo l'elezione di un nuovo regnante con la scusa di dover mantenere sicura la città, e i Templari pattugliano giorno e notte ogni vicolo e strada, mettendo l'intera cittadinanza sotto torchio al minimo sospetto.» Abbassò ulteriormente la voce, fino a ridurla a poco più di un sussurro. «Il Campione di Kirkwall è un mago eretico, e non sono pochi quelli che sostengono che qualcuno dovrebbe porre un limite alla tirannia della Comandante Meredith. E mio fratello non fa certo segreto delle sue... posizioni politiche, a riguardo dei Circoli.»

Sebastian fece una smorfia. «Sono certo che nemmeno Garrett voglia rischiare un Annullamento per colpa di qualche sedizioso... La maggior parte non sono come lui.»

Marian si morse il labbro inferiore, imponendosi di tacere. Sapeva solo una minima parte del coinvolgimento del fratello e del suo degno compare con la Resistenza, e almeno era tranquilla che non avrebbero appoggiato altri possibili attacchi terroristici, però restava il fatto che ogni notte passata a pattugliare le strade al fianco dei suoi compagni, aveva il terrore di ritrovarseli davanti. Come l'ultima volta sulla costa, quando avevano quasi rintracciato due maghi scappati da Hasmal, Marian era certa che Garrett c'entrasse qualcosa con la loro rocambolesca fuga e l'intervento quasi miracoloso del Carta a coprirne le tracce, ma fortunatamente non lo aveva incontrato.

«Il Campione è un esempio positivo per i maghi ma non possiamo, e non dobbiamo, credere che tutti loro abbiano l'autocontrollo e la bontà d'animo di vostro fratello, tenente. “La magia esiste per servire l'uomo, mai per governarlo”, è un insegnamento che dovremmo sempre tenere a mente.» Convenne Elthina, annuendo grave. «L'agente della Divina, sorella Usignolo, vi attende nella sala del trono del Visconte, vi spiegherà la situazione di persona. Fate il possibile per convincerla che non sarà necessario attuare soluzioni più drastiche.»

“Meredith salterebbe dalla gioia se sapesse dell'occasione che le si presenta sotto il naso” pensò Marian mentre si accomiatavano e si dirigevano verso il Palazzo del Visconte. La Divina fino a quel momento aveva cassato ogni proposta della Comandante sull'aumentare la stretta sui maghi, eppure... i Trevelyan sostenevano che la posizione di Justinia fosse più moderata di quella delle Divine precedenti, aperta al dialogo coi maghi addirittura, eppure Marian stentava a credere che con tutti i problemi che con le voci che giravano sui Risolutori qualcuno volesse davvero considerare di scendere a patti coi Circoli, considerando tutti i rischi.

Trovarono a guardia del Palazzo uno sparuto gruppo di guardie cittadine e due templari, tra cui riconobbe Keran, il capo che ciondolava insonnolito, appoggiato contro una colonna. Non volendo destare sospetti, scivolarono sul retro passando per la porta del cortile interno, scivolando nell'ombra del portico deserto.

Le uniche due zone illuminate erano il quartier generale delle guardie, nell'edificio collegato al palazzo, e lo studio del Siniscalco, segno che Cavin o uno dei suoi assistenti stava di nuovo lavorando fino a tarda notte.

Le porte della sala delle udienze erano socchiuse, i grandi battenti che scivolarono silenziosamente sui cardini oliati alla minima pressione.

Marian rabbrividì istintivamente, cercando di scacciare con un gesto stizzito del capo i brutti ricordi che quel posto le riportava a galla. La sala era immersa nel buio, e dovettero accendere almeno una delle torce appese alle pareti, richiudendo la porta dietro di loro.

Mentre avanzavano verso il centro della stanza, la templare avvertì un tremito tutto attorno, e fece appena in tempo a gettare Sebastian di lato che vennero investiti da un dardo incantato, che si infranse silenziosamente contro il muro dietro di loro.

L'aura antimagia di Marian dissipò l'incantesimo successivo, mentre estraeva le spade dalla cintura e Sebastian impugnava l'arco, affiancandola.

«Quindi, la Divina ha inviato i suoi preziosi templari a fermarci...» commentò una voce femminile dall'accento Tevinter. Dall'oscurità di fronte a loro, emersero tre figure illuminate appena dalla luce dei loro bastoni magici.

«Soltanto due?» Le fece eco un uomo con un paio di grossi baffi spioventi, arricciando il naso nella loro direzione. Dalla voce, pareva dei Liberi Confini, forse Markham?

La terza persona era un elfo, gli occhi che brillavano al buio come quelli di un gatto, il quale chinò il capo da un lato, soppesandoli. «Non la riconoscete? È ser Hawke...»

Il ghigno della Tev si allargò ulteriormente. «Ah, allora porteremo indietro buone notizie.» Sollevò nuovamente il bastone davanti a sé, e Marian si preparò ad annullare anche quell'incantesimo, entrambe le lame strette in mano mentre avanzava lentamente.

«Chi vi manda?» Chiese guardinga, anche se temeva di conoscere già la risposta.

«Non ci manda nessuno, templare, non siamo bestie alla catena come voi.» Sputò l'umano, prima di lanciarle addosso una scarica di fulmini, che Marian riuscì a neutralizzare giusto in tempo.

Sebastian mirò all'elfo, che era il più scoperto, ma la freccia si infranse sulla barriera alzata all'ultimo. Incoccò di nuovo, mentre la compagna si lanciava all'attacco.

Schivò per un soffio un altro dardo incantato, roteando la spada lunga e concentrando le energie sulle lame, annullando le loro barriere. Una palla di fuoco la costrinse a ripararsi contro la colonna, e mentre trapassava da parte a parte l'elfo si chiese quanto tempo ci avrebbero messo Keran e gli altri a raggiungerli. Quello cadde a terra, scaraventandola all'indietro in un ultimo tentativo di togliersela di dosso mentre agonizzava sul tappeto, una macchia scura ad allargarsi sotto di lui.

Riaprì gli occhi di scatto, ora di un verde innaturale, mentre si risollevava rigidamente. Una freccia di Sebastian lo centrò ad una spalla, ma non sembrò nemmeno accorgersene: caricò Marian di peso, costringendola a parare ed evitare contemporaneamente altre tre scariche elettriche del mago umano. Con un ringhio di rabbia, decapitò di netto l'elfo, rendendosi conto subito dopo dell'errore.

La temperatura della stanza precipitò in un attimo e dal pavimento, dove il sangue era schizzato sul tappeto e sul marmo poroso, si sollevarono quattro ombre andando a circondarla.

Strinse i denti, raccogliendo le forze per lanciare un'altra aura antimagia, pregando il Creatore che funzionasse. Sebastian riuscì ad abbatterne una alle spalle, dandole il tempo di stordire le tre rimaste ed eliminarne una prima che si riprendessero. Si lanciò sulla maga Tevinter, ma il suo attacco si infranse contro una barriera scarlatta e il mago umano la colpì al fianco con un dardo infuocato, facendola barcollare.

Si riprese all'ultimo, gettandosi dietro una delle colonne e affondando entrambe le lame in una delle due ombre rimaste, mentre Sebastian tempestava di frecce la barriera di magia del sangue.

Marian inspirò profondamente, attingendo alle ultime riserve di energia, poteva sentire ogni singolo centimetro del proprio corpo urlare spasmodicamente per assumere del Lyrium. Si limitò a canalizzarlo sulla spada lunga, accucciandosi e scattando in avanti quando vide l'umano semi coperto da una delle ombre. Sgusciò di lato alla creatura, piombando sul mago e riuscendo a sorprenderlo. La fitta al cervello che le mandò l'uomo non riuscì comunque ad evitare che la spada della templare si conficcasse in profondità nelle budella, ma Marian crollò a terra con uno spasmo, la testa sembrava sul punto di spaccarsi in due dal dolore.

«Muori, templare.» Sputò la Tevinter, sollevando di nuovo il bastone, una freccia di Sebastian che si infrangeva inutile sulla barriera scarlatta, il Velo che vorticava tutto attorno...

Due lame le uscirono dal petto e venne scaraventata in avanti, gettata al suolo come un sacco di patate.

Dietro di lei, una figura completamente avvolta in un mantello nero e due pugnali insanguinati stretti in mano, si voltò lentamente verso Marian: aveva il volto coperto da una maschera di stile Orlesiano, scura come il resto dell'abbigliamento visibile. «Questo conferma le nostre teorie...» L'accento era piatto, senza alcun tono distintivo che saltasse all'orecchio, ma la voce era femminile.

«I Risolutori ci tengono d'occhio e vi conoscono personalmente, tenente.»

Si voltò di scatto, trovando una donna dai capelli rossi tagliati corti in un caschetto che si avvicinò loro con aria critica, lanciando un'occhiata fredda ai cadaveri a terra. «È ovvio chi ci sia dietro, e come abbia scelto di muoversi.»

«Pensi ancora che ci si possa dialogare?» La rimbeccò la figura mascherata, ripulendo i pugnali con un gesto secco e rinfoderandoli alla cintura mentre si avvicinava all'altra. «Dobbiamo fermarli.»

«Questo è certo, ma penso che il nostro obiettivo sia ormai ben al di fuori della portata della Chiesa... dovremo accontentarci di fermare i suoi piani qui a Kirkwall.» La donna riportò lo sguardo su Marian, accennando un saluto. «Tenente, vogliate scusarci per questo inconveniente, ma dovevamo accertarci di una cosa.»

«Sorella Usignolo, presumo?» Chiese incerta la templare.

«Potete chiamarmi anche Leliana, come preferite.» Annuì la donna dai capelli rossi.

Marian sgranò gli occhi, riconoscendo il nome e associandolo ad un volto che non vedeva da anni. «Sorella Leliana? Io vi conosco, eravate a Lothering!»

L'altra abbozzò un sorriso. «Esattamente, non pensavo vi ricordaste di una semplice sorella della Chiesa... abbiamo entrambe fatto molta strada da allora, tenente. Ora sono la mano sinistra della Divina. E questo ci riporta alla questione attuale...» Sospirò teatralmente, allungando una mano verso la donna nascosta dietro la maschera. «Sospettavamo che vostro cugino avesse cercato rifugio nel Tevinter, e quella-» accennò alla maga a terra, una pozza di sangue sotto di lei «conferma i nostri timori. Geralt è una persona particolarmente sfuggente, ma una parte di me è sollevata dal non essermelo ancora ritrovato di fronte. Ho avuto modo di vedere in prima persona di cosa è capace, e sono passati anni da allora.»

Marian annuì. «So che avete combattuto insieme accanto all'Eroina del Ferelden.»

Leliana aggrottò leggermente le sopracciglia sottili. «Purtroppo, dopo la morte di Aenor la posizione di Geralt sui circoli e sulla Chiesa è andata solo ad inasprirsi ulteriormente... qualsiasi legame avessimo con il nostro compagno di allora, non sembra esserne rimasta alcuna traccia. Pensiamo che i Risolutori siano sotto il suo comando, o almeno cerchino in lui una guida. Se è andato nel Tevinter non l'ha fatto per fuggire, non è da lui, deve esserci sotto qualcosa. E avrà sicuramente lasciato qualcuno a gestire la situazione qui, Kirkwall è la città più colpita dalla Resistenza e riteniamo sia anche il covo dei Risolutori.»

«L'Ordine sta facendo del suo meglio per mantenere la situazione sotto controllo, Usignolo.» Ribattè Marian, cercando di suonare convincente usando il titolo dell'altra. «La popolazione dopo l'incidente coi Qunari ha preso in simpatia i maghi, e alcuni-»

«Sì, vostro fratello ha fatto un ottimo lavoro... questo conferma che ci sono dei maghi di cui ci si può fidare, purtroppo però il tempo stringe e non possiamo perdere la città per proteggere una manciata di elementi meritevoli.» La interruppe Leliana. «L'intero Thedas ha puntato gli occhi su Kirkwall, in attesa che la situazione precipiti in un modo o nell'altro. E la Chiesa non può permettersi che i Liberi Confini diventino un nuovo Tevinter, Justinia sarà costretta a prendere severe precauzioni per impedirlo.»

«Come una santa marcia?!» Si intromise Sebastian, allarmato. «Sicuramente la Divina ascolterà la voce della Somma Sacerdotessa, non può condannare un'intera città per le azioni scellerate di un piccolo gruppo di-»

«Credetemi, Principe Vael, nessuno si rammaricherebbe più della Divina nell'eventualità che questo accada, ma prima di tutto viene la sicurezza e stabilità della popolazione intera. Se Kirkwall cade sotto la Resistenza dei maghi, ben presto tutti gli altri Circoli la seguiranno a ruota, e il sangue versato scorrerà per tutto il Thedas, non solo per i Liberi Confini.»

«Per il momento, non ci sono più stati attacchi significativi.» Ribattè Marian, drizzando le spalle. «La Forca è ancora sotto il nostro controllo, nonostante le ovvie resistente, il Primo Incantatore è testardo ma non è un folle.» La disgustava dover difendere quell'uomo dopo che aveva scoperto della sua corrispondenza con Quentin, il mago del sangue responsabile della morte della madre, ma doveva continuare a tacere per il bene di ogni innocente nella Forca. «La Comandante è già abbastanza rigida, non solo con i maghi ma con ogni cittadino sospettato di nascondere o proteggere in alcun modo un mago, non potete minacciare una Santa Marcia. Ne farà un bagno di sangue senza nemmeno aspettare l'arrivo del vostro esercito.»

Leliana assottigliò gli occhi. «Ser Arthur ha parlato bene di voi, tenente, e la Divina tiene molto in considerazione le opinioni dei Trevelyan. Sono stata mandata qui per valutare la situazione e vi lascio con un avvertimento, anzi, due: dite ad Elthina di lasciare la città, c'è un rifugio per lei alla Grande Cattedrale di Val Royeaux, Kirkwall non è più un luogo sicuro. Per quanto riguarda voi invece, Ser Marian... quando la situazione precipiterà, contiamo che agirete per il bene del Thedas e secondo gli insegnamenti del Creatore.» Fece un gesto alla figura accanto a lei, che per tutto il tempo non aveva staccato gli occhi da Marian.

Per un breve attimo, alla templare parve di scorgere sotto la maschera due occhi chiari, tanto da sembrare bianchi. Poi le due voltarono loro le spalle, risalendo le scale verso il trono vuoto e sparendo nell'oscurità.

Sebastian abbassò il capo, mormorando una maledizione. «Elthina non lascerà Kirkwall.»

Marian gli si avvicinò titubante, stringendogli delicatamente il braccio. «Per lei non c'è nulla di più importante dei suoi fedeli, non può abbandonarli.»

«Ci scateneranno contro una Santa Marcia, quindi?»

Incontrò gli occhi azzurri dell'altro, scuotendo il capo senza sapere cosa rispondere. «Ho paura che se la Resistenza dovesse fare un altro passo, sarà inevitabile.»

L'uomo deglutì, aggrottando la fronte. «Pensavo sarei partito per Starkhaven, ma non me ne andrò di qui lasciandola sola senza protezione. Le devo almeno questo, per tutto quello che ha fatto per me... sarò il suo scudo.»

Marian gli strinse la mano, annuendo. «So quanto tieni a lei, Sebastian. Faremo di tutto per proteggere lei e Kirkwall, te lo prometto.»

“E ora devo scambiare quattro chiacchiere con mio fratello...”



 

Era tardi per tornare alla Chiesa, e ancora di più per rientrare non vista alla Forca, quindi decisero di dirigersi entrambi a casa di Fenris.

Aperta la porta, sentirono dei gemiti dal piano di sopra, una luce che proveniva dal salotto.

Marian roteò gli occhi al soffitto, imprecando a mezza voce. «Creatore, potrebbero almeno-»

«Bela, rispondimi!»

Il grido di Fenris le fece gelare il sangue nelle vene, mentre scattava di corsa su per le scale, la mano stretta intorno all'elsa delle spade, Sebastian alle calcagna.

Irruppero nel salotto, trovando l'elfo chino su Isabela che si agitava convulsamente, gli occhi bianchi rivoltati all'interno del cranio, la bocca aperta a biascicare parole sconnesse in Rivaini. Il Velo pulsava tutto attorno a lei, al punto da lanciare fitte dolorose nel cervello di Marian, ma la templare corse accanto all'amica, afferrandola per le spalle e bloccandola sul tappeto, spostando Fenris da un lato mentre lasciava andare un'altra aura antimagia, prosciugando completamente le proprie energie.

Venne colta da un giramento di testa, la vista offuscata e le gambe molli che cedevano sotto il suo peso, accasciandosi a terra e cercando di riprendere fiato. Isabela aveva smesso di contorcersi.

«Cos'è successo?» Chiese allarmato Sebastian, sfiorando la fronte della pirata con aria preoccupata. «Scotta.»

Fenris scosse il capo, senza lasciare la presa sulla donna. «Non lo so, abbiamo bevuto un altro po', poi si è addormentata e ho pensato di lasciarla sola, ultimamente dice di dormire male...» Le scostò una ciocca di capelli sudati dalla fronte, sollevandole il capo e poggiandolo sulle proprie gambe. «Sono sceso di sotto, facendomi gli affari miei, quando l'ho sentita cadere per terra e urlare. Ho pensato fosse entrato qualcuno, ma era in quello stato e-» Gli si spezzò la voce, serrando la mascella. «Non so cosa sia stato esattamente, ma era magia quella.»

Marian annuì. «Non ho idea di dove sia il mago che l'ha colpita, però, tracce di magia qui intorno non ne avverto. O è già lontano, o è una qualche sorta di maledizione...»

«Potrebbe essere magia del sangue?» Chiese Sebastian, prendendo uno straccio e imbevendolo di un po' d'acqua contenuta in una caraffa ancora praticamente intonsa per poi passarlo gentilmente sulla fronte di Isabela, la quale mormorò qualcosa che Marian non riuscì a capire, probabilmente ancora nella sua lingua natia.

«Non lo so, non vedo perché dovrebbero...» Fenris scosse la testa. «Vhenedis, perché attaccare lei?»

«Dovremmo aspettare che si svegli per farle qualche domanda.» Si risolse Marian, facendo per sollevare l'amica. «Staremo a guardia perché non capiti di nuovo, per per ora lasciamola riposare.»

Sebastian annuì, ma alla templare non sfuggì uno sbadiglio trattenuto a stento dal Principe.

«Sebastian, vai a letto anche tu, io tanto devo darmi prima una lavata e mettermi dei vestiti puliti.»

«No, sto bene, vai a sciacquarti, ci pensiamo noi a-»

Fenris, per tutta risposta, si caricò in spalla Isabela, portandola in una delle camere da letto come se niente fosse, aiutato da Marian. «Vai a dormire, Sebastian, se succede qualcosa ti chiamiamo.»

L'uomo si accigliò, ma alla fine fu costretto a capitolare. «Fatelo.»

Adagiarono Isabela a letto, coprendola con un lenzuolo e scostandole i capelli dal viso. Fenris trascinò una sedia accanto al capezzale, fissandola intensamente con i suoi occhi che brillavano alla luce della torcia in corridoio. «Se scopro chi è stato...»

«Non la passerà liscia, Fenris.» Concordò Marian, serrando la mascella. «Nessuno tocca i nostri amici e sopravvive.»

L'elfo annuì, senza staccare gli occhi dalla pirata. «Ho visto della gente venire forzatamente posseduta dai demoni, e ho visto schiavi torturati con la magia da maghi senza scrupoli. Quelle urla mi hanno ricordato cose che ho cercato inutilmente di dimenticare.»

Marian gli sfiorò la spalla, un gesto che anni prima avrebbe fatto sobbalzare l'elfo e che ora invece sembrò confortarlo mentre si accasciava con la schiena contro lo schienale, sospirando pesantemente. «Nessuno si aspetta che tu dimentichi, Fenris. Lo stai superando, ma sarà sempre lì.»

L'elfo rimase in silenzio per qualche lungo istante, il respiro che si sincronizzava con quello di Isabela. «No, prima o poi lo ucciderò.»

«Ti aiuterò.»

«Grazie, Marian.» Rispose lui, voltandosi a guardarla. «Non avrei mai immaginato di trovare degli amici in questo posto, e soprattutto non come voi, mi avete sempre sostenuto.»

Gli sorrise, cercando di apparire più sicura di quanto non fosse. «Sei anche tu un buon amico.»

«Non lo so, vorrei solo... Poter fare di più. Mi sento impotente, in casi come questo. Le mie capacità non sono come le tue e-» Scosse la testa, imprecando nuovamente in Tevene.

Marian portò lo sguardo sull'amica, la fronte imperlata di sudore, profondamente addormentata. Sembrava inquieta, anche se aveva smesso di urlare e contorcersi, non riusciva a scollarsi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa, o qualcuno, all'opera. Ripensò alle parole di Sebastian quella sera, e un'idea le balenò in mente. «Hai detto che ultimamente Bela dice di dormire male?»

Fenrsi aggrottò la fronte. «Sì, perché?»

«Hai notato che Sebastian ha delle occhiaie perenni? Nemmeno lui dorme sonni tranquilli da un mese a questa parte, ha come degli... incubi? Non saprei come potrebbero essere collegati però, non è un tipo di magia di cui ho mai sentito parlare.»

L'elfo si strinse nelle spalle, ma sembrava pensieroso. «Forse non nei Circoli qui a Sud, almeno, ma nemmeno io ho un'ipotesi su cosa possa essere.»

«Domani proverò a passare alla clinica, magari Anders sa qualcosa.»

Fenris fece una smorfia. «Non fidarti di lui.»

«Lo so bene ma Garrett lo ama, cosa posso farci? Almeno per il momento sembra non essere una minaccia.» Lanciò un ultimo sguardo ad Isabela, prima di sospirare pesantemente. «Vado a lavarmi e mettermi addosso qualcosa che non sia inzaccherato di sangue, chiamami per qualsiasi cosa.»

























Note dell'Autrice: Si torna a Kirkwall e qualcosa, o qualcuno, trama nell'ombra. La donna mascherata che compare con Leliana se avete letto Dragged è facilmente intuibile chi sia... Mi è spiaciuto che il loro cameo fosse così piccolino, magari vedrò di rifarle comparire in seguito, altrimenti aspetteremo Inqusition per vederle completamente in azione! :D 
Alla prossima! :) 

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Capitolo 37
*** Heart to heart ***


CAPITOLO 37
Heart to heart



 

Se anni prima qualcuno gli avesse detto che gestire una montagna di soldi fosse una gran rottura di coglioni, Garrett gli avrebbe prima riso in faccia e poi l'avrebbe spedito a farsi un bagno rinfrescante giù per il molo, tanto per schiarirsi le idee.

Quel pomeriggio, tuttavia, sentiva il sedere aver ormai preso la forma della sedia del suo studio, la schiena curva da ore sui libri contabili e il sudore che gli aveva appiccicato addosso la maglia. Gli affari della compagnia di spedizioni andavano a gonfie vele, e persino la miniera dopo la faccenda con l'Altodrago sembrava essersi purificata da qualsiasi maledizione avessero lanciato su quel posto, iniziando a fruttare decentemente e, soprattutto, quasi azzerando il numero di vittime tra i lavoratori, limitandosi a qualche normale incidente mondano. Il Carta continuava a dargli qualche carico da trasportare in segreto, e in cambio aveva abbastanza liquidi da reinvestire nella Resistenza e nella clinica di Anders, che ora era perfettamente in regola e gestita, almeno formalmente, da un gruppetto di erboristi e cerusici che nulla aveva a che fare con la magia. Tutto andava più che bene, ma i libri contabili erano decisamente un incubo. Bodahn si era offerto di continuare a curarli lui, ma dopo che il nano aveva buttato lì l'idea di andarsene prima o poi ad Orlais per investire sui talenti del figlio Sandal e garantirgli un futuro, Garrett si era rimboccato le maniche per imparare a gestirsi da solo i propri investimenti, ovviamente con l'aiuto di Bodahn e, soprattutto, di Varric.

Lanciò un'occhiata stanca a Bu, sdraiata sul pavimento di fronte alla finestra alla ricerca di un po' di frescura, desiderando essere da qualsiasi altra parte.

Sentì dei passi leggeri salire le scale e Lumia fece capolino dal corridoio. «Messer Hawke, c'è vostra sorella, dice che deve parlarvi...»

Garrett saltò immediatamente in piedi, lasciando cadere la penna sul tavolo senza nemmeno preoccuparsi di rimetterla a posto, entusiasta di avere un motivo per alzarsi da lì. «Arrivo subito! Bu, te che...?» La mabari sollevò leggermente il muso, aprendo un occhio per poi richiuderlo con un sospiro pesante. «D'accordo, pigrona, resta pure a ronfartela qui.»

La sorella era in abiti civili, le spade alla cintura e un'aria stanca sul volto, ma si sforzò di sorridergli mentre lo salutava.

«Che ci fai qui, non dovresti essere a rincorrere qualche mago ribelle?» Le chiese lui, facendole cenno di accomodarsi sulla piccola terrazza che dava sul giardinetto.

«Finirai mai di scherzarci sopra?»

«Quando non ci farò più battute e diverrò finalmente serio, non sarà piacevole.»

Si squadrarono per qualche istante, in una sfida silenziosa, ma fu Marian stavolta a capitolare per prima. «Non sono qui per litigare, Garrett, devo parlarti di una cosa importante.»

«Sono tutto orecchi.»

Lumia arrivò con una caraffa d'acqua e due bicchieri con qualche stuzzichino, che poggiò sul tavolo prima di defilarsi silenziosamente in cucina.

Marian fissò i bicchieri come se stessero per saltarle al collo, poi si azzardò a versarsi dell'acqua, bevendone qualche sorso. «La Divina minaccia una Santa Marcia su Kirkwall.»

Garrett si sentì sbiancare. Sgranò gli occhi, la tartina che aveva appena afferrato ferma a mezz'aria, la bocca aperta dallo stupore. «Stai... dicendo sul serio?»

La sorella annuì. «Ho parlato con uno dei suoi agenti, ieri, qualcuno di molto vicino a lei. Hanno consigliato caldamente ad Elthina di scappare a Val Royeaux, temono che la situazione possa precipitare e che lei si metta in mezzo tra le due fazioni.» Puntò gli occhi nei suoi, seria. «La Resistenza dovrebbe tenere un basso profilo, da questo momento in poi. Per il bene di tutti.»

Garrett diede un morso alla tartina, a stento registrandone il sapore mentre elaborava l'informazione. Se davvero rischiavano una Santa Marcia, non era il caso di tirare la corda. Ultimamente si erano dati pure una calmata, avevano piano piano riallacciato i rapporti col Carta limitandosi ad aiutare maghi eretici già fuori dalla Chiesa e alcuni pochi fortunati che erano riusciti a scappare dal Circolo con mezzi propri, ma vi erano comunque stati dei piccoli scontri coi Templari... Meredith si era fatta sempre più spietata, però, non potevano abbandonare i maghi a loro stessi.

«Se la Resistenza continua a creare problemi, non farà che peggiorare la cosa.»

Le parole della sorella gli fecero storcere la bocca. «La tua Comandante soltanto il mese scorso ha sottoposto al Rituale della Calma ben tre maghi, e pretendi che nessuno faccia niente a riguardo?»

Vide Marian stringere la presa sul bicchiere, prima di appoggiarlo di nuovo sul tavolo. «E quanti pensi che ne sottoporrà ancora, se l'alternativa è guerra aperta?»

«Sono i Risolutori che vogliono la guerra, la Resistenza vuole solo che riconosciate alle persone i loro diritti in quanto esseri umani, e non bestie da rinchiudere in gabbia.»

«Garrett-»

«“Garrett” un cazzo, io sono qui fuori a godere di tutti i privilegi che loro nemmeno possono sognarsi, e mi chiedi di voltarmi semplicemente dall'altra parte?» Sibilò, la voce appena udibile. «Dovrei starmene buono e avere fiducia che i tuoi nuovi amici ad Ostwick e Val Royeaux tengano fede alle loro belle parole? Non sono stupido come sembro, Marian, non credo affatto che la Chiesa sia interessata al dialogo coi maghi, forse la Divina e un paio d'altri, d'accordo, ma tutte le altre tonache li faranno fuori prima ancora che possano anche solo proporre un'idea di riforma.»

«L'alternativa sarebbe condannare l'intera Forca alla morte, o peggio!» Sbottò Marian, rendendosi conto di aver alzato la voce e riabbassando il tono. «Ti sto solo chiedendo di avere pazienza. Un tale cambiamento non avviene nel giro di qualche mese e nemmeno due o tre anni, ma dobbiamo-»

«“Dobbiamo?”» Sputò acido lui, scuotendo il capo. «Non c'è un “noi”, in questa conversazione, c'è il “voi” e il “noialtri”.»

La donna serrò la mascella, interrompendosi a metà del discorso. «Ora sembri qualcun altro, e non voglio crederci.»

Fu il turno di Garrett di zittirsi, sospirando amaramente. «Mi dispiace, non volevo dire che...» Scosse il capo, versandosi da bere e bevendone metà bicchiere in lunghe sorsate. «Ho passato tre giorni a contare più soldi di quanti ne potrei spendere in un anno di bisbocce, lamentandomi del caldo e della noia quando persone come me vivono ogni giorno nel terrore di essere uccise o ridotte a dei burattini senz'anima. Non ci dormo la notte, Marian, è un senso di colpa che non potresti mai capire. Mi stai chiedendo di ingoiare il rospo e ignorarli.»

Lei si accasciò un poco contro lo schienale, socchiudendo gli occhi per un attimo. «Ieri ho portato un bambino alla Forca, ho dovuto convincere il padre che fosse la scelta giusta, che sarebbe stato al sicuro.» Quando riportò lo sguardo su di lui, aveva gli occhi lucidi. «Mi sono odiata per quelle parole, perché so che la verità è ben diversa: certo, ora sarà più difficile per lui cadere preda dei demoni oltre il Velo, ma ogni giorno correrà il rischio di essere preso di mira da qualche mio collega, di essere punito semplicemente per aver provato a scrivere a suo padre o per essersi alzato per andare in bagno a notte fonda, mentre io ogni giorno devo stamparmi in faccia un sorriso accondiscendente e chinare il capo davanti ai responsabili di tutta questa merda, che si sentono giustificati dal Creatore a continuare questo regime del terrore raccontando a tutti che lo fanno per il bene comune.» Scosse la testa, una ciocca di capelli a caderle davanti al viso. «Stiamo schiacciando i maghi, stiamo terrorizzando i nostri concittadini, sospettiamo gli uni degli altri... e per cosa? Più li spaventiamo, più ci facciamo odiare, più perdiamo la fiducia di coloro di cui dovremmo prenderci cura.»

Garrett rimase in silenzio, colpito da quelle parole. Certo, non la vedevano allo stesso modo, ma Marian stava provando a fare del bene, come aveva sempre fatto, e vederla così lo faceva stare male. «Proverò a riferire il messaggio.» Si limitò a dire, posandole una mano sulla sua. «Per quello che vale... penso che tu stia facendo del tuo meglio.»

La sentì soffocare una risatina in un singhiozzo strozzato, nascondendo il volto dietro il dorso della mano libera mentre con l'altra stringeva la sua. «Grazie.»

«Vuoi fare un giro? Potremmo scappare sulla costa e fare pure un bagno, almeno ci leveremmo quest'afa di dosso.» Le propose, ricordandosi le volte in cui nel periodo più caldo dell'anno da bambini andavano a fare il bagno sotto la cascatella che poi si riuniva al fiume che scorreva per Lothering.

Marian sorrise debolmente. «Magari domani, tra due ore devo tornare in servizio. Piuttosto, Anders è qui?»

Garrett aggrottò la fronte. «Non può essere un buon segno se lo stai cercando...»

«Non è niente di ufficiale, promesso, ma ho un dubbio e non so a chi chiedere, è l'unico mago che conosco che potrebbe avere le risposte che cerco.»

«Dovrebbe essere alla Clinica, possiamo andare là.»

«Era la mia prima opzione, ma non volevo allarmarlo e restarci secca.»

«Sì, non penso avrebbe apprezzato la visita a sorpresa...»



 

Dopo aver cercato senza successo di convincere Bu ad uscire di casa, si diressero insieme in città oscura. Il fetore dei vicoli nei bassifondi era in quei giorni a dir poco nauseabondo, un misto di ogni genere di rifiuto che si infrattava nelle narici, nei vestiti, nei capelli, attaccandosi ai malcapitati avventori del quartiere più infimo di Kirkwall come muffa alle pareti.

Garrett entrò per primo, lasciando Marian sull'uscio, volendo prima avvisare il compagno della presenza della templare. Lo trovò a fissare intensamente una lunga lista di ingredienti scritti su un pezzo di carta stropicciato, un'espressione lugubre in volto.

«Tutto bene?»

Anders sobbalzò sulla sedia, alzando lo sguardo e aprendosi in un sorriso sorpreso. «Non mi aspettavo una visita, sentivi la mia mancanza?»

«Quello sempre, ma devo ammettere che vista la noia di questi giorni qualsiasi distrazione è buona... a proposito di questo, non sono solo.» Gli diede un buffetto, appoggiandosi allo schienale della sedia sgangherata. «Mia sorella avrebbe un quesito da porti.»

L'altro si irrigidì di colpo, trattenendo il fiato per un attimo e alzandosi in piedi. «L'hai portata qui?»

Garrett si affrettò a tranquillizzarlo, posandogli le mani sulle spalle e guardandolo negli occhi. «Non è niente di pericoloso né di ufficiale, e poi di lei puoi fidarti. Lo sai.»

Anders alzò gli occhi al cielo, borbottando un “questo lo dici solo perché è tua sorella”, ma alla fine capitolò con un cenno del capo. «D'accordo, ma non apprezzo che tu l'abbia portata qui.»

«Rilassati, è l'unica templare che bazzica nei dintorni, l'Ordine è ancora convinto che la Clinica sia gestita dalla Cerchia e dal Carta e che tu sia solo un simpatico erborista un po' matto.»

«Quanto vi ci è voluto per convincerli, esattamente?»

Si esibì in un sorrisetto, baciandolo sulle labbra. «Meno di quanto vali per tutti noi, amore.»

L'altro arrossì un poco, mugugnando qualcosa a bassa voce e sciogliendosi i capelli, per poi legarli nuovamente in un codino. «Vorrei fosse così...»

Garrett andò a chiamare Marian, e dopo poco si ritrovarono seduti attorno al tavolo pieno di boccette, unguenti ed erbe medicinali.

«Allora... avrei bisogno di una mano.»

Anders lanciò uno sguardo carico di sospetto alla templare, le gambe accavallate e le braccia incrociate davanti al petto. «Sentiamo.»

«Ieri sera è successa una cosa, e credo sia solo il picco di una situazione che va avanti da un po'.» Iniziò a spiegare Marian, ignorando l'astio che proveniva dal guaritore. «Isabela si lamenta da almeno un mese che non riesce a dormire decentemente, e ho notato che Sebastian ha lo stesso problema. Ieri sera Bela si è addormentata a casa di Fenris, ma ad un certo punto si è messa ad urlare, contorcersi, sembrava parlare con qualcuno o meglio, qualcosa. Il Velo era instabile, come se fosse in atto una sorta di possessione o comunque un contatto con un demone dall'altra parte, ma... è possibile? Insomma, non ha alcuna capacità magica, lo sappiamo tutti, ma ho dovuto annullare qualsiasi cosa stesse succedendo con le mie abilità da templare per farla smettere.»

Anders era rimasto ad ascoltarla, la fronte aggrottata, picchiettandosi le dita sul braccio. Attese che l'altra avesse finito, poi rimase un attimo sovrappensiero. «E stamattina ricordava qualcosa?»

Marian si strinse nelle spalle. «La temperatura era ancora un po' alta, si ricorda poco ma dice di aver visto cose che avrebbe preferito dimenticare... sapete com'è, non è facile farla aprire e parlare di sé, soprattutto quando è spaventata.»

«Le persone senza magia possono vagare nell'Oblio, sognando, ma non hanno la capacità di interagirci né di entrare in contatto con gli spiriti che vi risiedono... non capisco come sia possibile che uno di essi abbia provato a possederla, a meno che non ci fosse un mago nelle vicinanze?»

La templare scosse il capo. «Non c'era nessun altro, l'unica traccia di magia proveniva da lei. O meglio, da qualcosa dentro di lei, ed è svanita non appena l'ho soppressa.»

Anders si chinò verso di lei, puntellandosi sui gomiti, gli occhi che luccicavano curiosi. «Abbiamo visto che è possibile far sì che dei non maghi vengano posseduti da un demone, ma doveva per forza esserci un mago ed il rituale per farlo richiedeva una grande abilità... se davvero non c'era nessuno dei paraggi, mi vengono in mende due ipotesi: la prima, è che ci sia di mezzo un mago molto potente che può agire dall'oblio senza essere fisicamente vicino alle sue vittime, la seconda è che in qualche modo il Velo già sottile attorno a Kirkwall stia portando gli spiriti ad agire in modo mai registrato prima. Sono più propenso verso la prima, personalmente, ma non escluderei-»

«È possibile?» Lo interruppe Garrett, allarmato. «Sarebbe possibile per un mago sfruttare l'Oblio come trampolino verso la mente di chiunque?»

Anders si grattò il naso, pensieroso. «Non l'ho mai visto fare di persona, né saprei dirti chi potrebbe esserne in grado, ma...» scosse il capo, sollevandosi in piedi e mettendosi a camminare avanti e indietro per la stanza, mormorando frasi sconnesse e mordicchiandosi le pellicine delle dita.

«Anders?»

Si voltò finalmente a guardarli, gli occhi spalancati e il respiro corto, l'aria di chi ha appena avuto un'illuminazione. «Garrett, non ci sei ancora arrivato? Feynriel!»

Lui rimase un secondo interdetto, riscuotendosi e chiudendo la bocca rimasta aperta. «Cazzo.»

«Avete intenzione di dirmi cosa c'entra quel ragazzino, o volete continuare così ancora per molto?»

Li richiamò all'attenzione Marian con un gesto stizzito della mano.

Anders arricciò le labbra con l'aria di chi avrebbe volentieri ribattuto qualcosa di tagliente ma tornò a sedersi, probabilmente troppo emozionato all'idea di averci preso giusto. «Cosa ne sai di lui?»

«Che è un mago, e che l'abbiamo mandato dai Dalish... no?» Si voltò verso il fratello, confusa.

Garrett si grattò la nuca, a disagio. «La faccenda è un po' più complicata di così in realtà, ma sì, la base è quella-»

«Parla chiaro, Garrett, mi sto innervosendo.»

«D'accordo, d'accordo!» Si affrettò a calmarla, capitolando. «Abbiamo scoperto che Feynriel è in grado di fare cose... particolari, persino per un mago. Può manipolare l'Oblio con più precisione di noialtri, e soprattutto-»

«Entrare nei sogni altrui.» Concluse secco Anders, fissando intensamente negli occhi Marian per captare ogni possibile reazione aggressiva, che non tardò infatti ad arrivare.

«Entrare... Mi state dicendo che potrebbe entrare nella testa di chiunque?!» Rantolò la donna, spaventata. «E voi lo sapevate?»

Garrett annuì, improvvisamente conscio che lì dove lui ed Anders vedevano certamente un pericolo, ma anche grandi potenzialità, Marian doveva scorgere soltanto una catastrofe imminente.

La templare boccheggiò qualche attimo, incredula. «Cosa vi è saltato in mente di lasciarlo libero?»

«Oh, ma certo, avremmo dovuto ammazzarlo come si fa con tutti i maghi di cui si ha paura.» Rispose secco Anders, serrando i denti. «Se solo ci fosse stato un templare a renderlo un Adepto!»

«Un potere del genere potrebbe essere devastante se usato contro-»

«Contro chi?» La interruppe Garrett, cercando di calmarla. «Feynriel non è una cattiva persona, ed è abbastanza responsabile da-»

«Tu ti fidi troppo, Garrett!» Sbottò Marian, i pugni che picchiavano contro il tavolo, facendo traballare le boccette poggiate su di esso. «Chiunque potrebbe sfruttarlo!»

«E tu non ti fidi mai di nessuno.» La rimbeccò arrabbiato lui.

«Mi fido di te!»

Rimase un attimo interdetto, ma la sorella scosse il capo, massaggiandosi il setto nasale e appoggiando la fronte sulla mano. «Lasciamo perdere, quel che è fatto è fatto. Concentriamoci su chi possa essere stato, allora, e soprattutto perché prendersela con Isabela?»

Anders e Garrett si scambiarono un'occhiata, stringendosi nelle spalle.

«La Guardiana ha detto che era da un bel po' che non si aveva notizia di un Somniari, almeno da che ne sapesse lei...»

«Però Feynriel disse che sarebbe andato a cercare qualcuno in grado di aiutarlo.»

«Ma chi?»

«Non saprei, aveva detto qualcosa sul fatto che la Guardiana avrebbe disapprovato...»

Marian sbuffò forte, la schiena curva. «Non capisco perché Isabela. O Sebastian, se davvero anche lui ha incubi a causa di uno di questi maghi.»

«Potrei cercare di esaminare Isabela, se me lo lascia fare.» Propose Anders. «Magari trovo qualche indizio, o una traccia lasciata dal nostro mago misterioso.»

La donna gli lanciò un'occhiata carica di sospetto.

«Hei, Isabela è anche mia amica, se c'è qualcuno che vuole farle del male, mago o meno, dovrà vedersela con tutti noi.» Si difese il guaritore, sostenendo lo sguardo.



 

Trovarono Isabela all'Impiccato, di fronte ad un fondo di bottiglia di rum, gli occhi gonfi di sonno e cerchiati di scuro.

«Marian ha deciso di appiopparmi una balia?» Li prese in giro mentre si accomodavano al tavolo.

«Ci ha solo chiesto di darti un'occhiata, non preoccuparti. Non vogliamo intrometterci tra te e ciò che resta di quella bottiglia.» Garrett alzò una mano, segnalando alla cameriera di portare qualcosa anche a loro. «Che è successo ieri sera?»

Isabela emise un lamento irritato, versandosi un altro po' da bere e buttando indietro la sedia. «Ho bevuto troppo e fatto un brutto sogno, Scheggia, nulla di cui vi dobbiate preoccupare. Sono una bambina grande, non so se hai notato.» Buttò giù metà del bicchiere, scuotendo il capo e facendo tintinnare gli orecchini.

Garrett si scambiò un'occhiata preoccupata con Anders. «Potrebbe non essere solo un brutto sogno, Bela, Marian ha avvertito della magia attorno a te...»

La pirata sbattè il bicchiere sul tavolo, facendolo sobbalzare. «Senti un po',» gli disse, squadrandolo torva nonostante le guance arrossate «voi tutti siete invischiati fino alle punte delle orecchie in faccende che riguardano maghi, templari e la sorte della città intera, ma io con tutte quelle scemenze non c'entro proprio un bel niente, né voglio immischiarmici. Non ho mai fatto incazzare nessun mago, almeno non negli ultimi anni, e soprattutto non più di quanto abbiate fatto voi. Quindi, Garrett, lasciatemi bere in santa pace e magari riuscirò pure a farmi una dormita decente.»

«Posso almeno chiederti se hai sognato qualcosa in particolare, mentre eri... magicamente ubriaca?» Si intestardì Anders, cercando di farla parlare.

La donna sbuffò sonoramente, tirando giù il resto del bicchiere. «Una serie di pessime decisioni che avrei preferito non rivangare. Immagino le abbia anche tu, biondino.»

«Stai evitando di rispondermi-»

«Ma dai, come siamo perspicaci!» Si infervorò lei, piantando un coltello nel tavolo, l'arma che vibrava leggermente dall'impatto conficcata nel legno. «Hai finito?»

Anders scosse la testa, appoggiandosi allo schienale. «D'accordo, come ti pare, pensavo che dopo anni in cui ti aiuto e ti curo dai problemi più disparati potessimo parlare civilmente, ma evidentemente mi sbagliavo. Scusa se ci siamo preoccupati, hai chiaramente la situazione sotto controllo.»

Garrett gli mise una mano sul braccio, stringendolo delicatamente a mo' di avvertimento e cercando di riappacificare gli animi. «Se non ne vuoi parlare non importa, Bela, sappi però che se cambi idea, siamo qui. Anche solo se vuoi umiliarmi un altro po' a Grazia Malevola, sai quanto ami perdere.»

L'altra cercò di sfoderare un sorriso malizioso, che sul volto stanco perse gran parte della solita vitalità ma sembrò risollevarle il morale. «Quando vuoi.»

Stava per proporre una partita, quando la stanza si fece improvvisamente molto silenziosa.

Si voltarono verso la porta, e Garrett dovette trattenere un'imprecazione sottovoce. Sull'uscio, si stagliavano due figure che non potevano essere più diverse tra loro: una grossa Tal-Vashot con un gigantesco maglio da guerra si guardava attorno con fare annoiato, mentre un nano con una cresta di capelli biondi e un sorriso tutto denti e oro ammiccava verso la cameriera lì accanto.

«Un paio di pinte di Lava di Hirol, bellezza, e due di quelle fritture di pesce che fanno puzzare anche l'alito del vicino.» Disse Stök Cadash, facendo schioccare la lingua in direzione del didietro di Norah, che alzò gli occhi al cielo e borbottò qualcosa di volgare mentre si avviava in cucina.

«Non mi piace granché quella roba.» Commentò Adaar, seguendo il nano fino al tavolo di Garrett e gli altri e sedendosi senza fare una piega. «Ti restano le dita unte e appiccicose.»

Il nano scosse il capo, grattandosi la pelata poco sopra gli orecchini. «Solo tu potresti pensare alle dita unte quando hai un'intera frittura croccante tra le fauci.»

«Prego, fate pure, ci fa piacere che abbiate accettato l'invito ad unirvi a noi...» Commentò Garrett, brindando alla loro alzando il boccale.

Adaar aggrottò le sopracciglia, squadrandolo per un lungo istante. «Non ci hai invitato.»

«Credo che il nostro scoppiettante amico abbia usato del sarcasmo, piccoletta.»

«Non ne comprendo l'utilità.»

Il nano gettò la testa all'indietro, grugnendo ad alta voce. «Come di tante altre cose divertenti...»

«Siamo qui per parlare di assassinii, non c'è nulla da ridere.»

Garrett drizzò le orecchie, sporgendosi immediatamente verso di loro. «Come, scusa?»

Gli occhi viola della Tal-Vashot si puntarono nei suoi, impassibili. «Qualcuno ti vuole morto.»

La risata di Isabela echeggiò per la sala. «Visto? Sei tu quello con la fila di gente incazzata fuori dalla porta, altro che pensare a me e ai miei sonnellini agitati.»

Anders, che quasi si era strozzato con la birra, tossì rumorosamente. «Non mi pare il momento di-»

«Dato che sono io la vittima dell'ennesimo pazzo assassino di questa città, posso sapere chi è che mi vuole morto?» Parlò loro sopra Garrett, stringendo il boccale. «Almeno gli manderò dei fiori.»

Adaar si scambiò un'occhiata con Stök. «È un'altra battuta?»

Il nano deglutì rumorosamente, schioccando la lingua. «Sei un caso disperato. Per rispondere alla tua domanda, spilungone, la risposta è che... non lo sappiamo. Non con precisione, almeno, sappiamo solo che una branca del Carta nei Liberi Confini, di cui non si avevano notizie da un bel po' di tempo, a quanto pare ha deciso improvvisamente che vuole il sangue degli Hawke. Il tuo, preferibilmente, ma a quanto pare si accontenterebbero pure di quello dei tuoi fratelli.»

Garrett ci mise qualche secondo ad elaborare l'informazione. «Il Carta che vuole il mio sangue...?»

«Credo che sia una metafora.» Commentò la Tal-Vashot, afferrando con due dita un paio di pesciolini fritti e cacciandoseli tutti in bocca, masticando di gusto. «Per il volervi morti.»

«Lo spilungone è un po' tocco ma non così tanto, piccoletta.»

«Come l'avete scoperto?» Si intromise Anders, mentre Isabela osservava divertita la scena come se fosse una rappresentazione di marionette antivane.

«Un nano è entrato da noi a fare qualche domanda, Otto non l'ha riconosciuto e ha pensato che la faccenda puzzasse più del culo di un druffalo. Abbiamo invitato il nostro ospite a sedersi con noi e gli abbiamo chiesto qualcosina, anche se non siamo riusciti a ricavarne granchè. Non per mancanza di impegno, ovviamente.» Spiegò Stök, masticando rumorosamente la sua frittura nel mentre che parlava. «Qualcuno si è messo a capo di un folto gruppo dei nostri, e sono rifugiati da qualche parte nelle montagne di Vimmark tramando a tue spese. Ti fai amare da tutti eh, Hawke?»

«Gli stavo dicendo proprio la stessa cosa qualche attimo prima che arrivaste voi...» Lo prese in giro Isabela. «Quando hai detto che vogliono il suo sangue, o quello dei fratelli, intendete che attaccheranno pure Marian e Carver?»

Garrett avvertì un nodo allo stomaco, anche se sapeva che i due erano perfettamente in grado di cavarsela da soli, avrebbe dovuto almeno avvisare Marian... manco sapeva dove fosse Carver in quel momento, l'ultima volta gli aveva mandato una lettera da Ansburg, ma non aveva idea se fosse rimasto lì per l'estate.

«Dobbiamo avvertirli.»

Stök annuì, ficcandosi in bocca un dito unto e succhiandolo rumorosamente. «Ora che la tua lettera di avvertimento arriverà fino a tuo fratello, l'avranno cercato di uccidere almeno un paio di volte... ma sono certo che i Custodi non siano famosi per niente, non gli succederà nulla.» Si affrettò a precisare quando vide Garrett sbiancare. «Quello che dobbiamo fare, è porre fine a queste stronzate. Partiamo per le Vimmark, facciamo piazza pulita e ce ne torniamo a casa. Un lavoretto facile e pulito.»

«“Partiamo”?» Chiese il mago, aggrottando la fronte.

Il nano fece spallucce. «Hanno deciso di fare affari in proprio? Qualcuno deve fargli notare che è stata una pessima idea, e vorrei sistemare la faccenda prima che arrivi un ordine da Orzammar.»

Adaar sbuffò pesantemente. «Sarebbe meglio che qualcuno restasse a Kirkwall.»

Garrett lanciò un'occhiata ad Anders e a Stök, soppesando le possibilità. «Potremmo andare io e Stök, chiedere aiuto a Varric o Merrill...» Marian, sua sorella avrebbe sicuramente voluto venire.

«E io? Che dovrei fare, aspettarti tranquillo senza sapere se tornerai o meno?» Commentò acido Anders, guardandolo in tralice. «Vengo con te.»

«E la clinica?»

«Si fotta la clinica, tu sei più importante.»

«Dimentichi anche il nostro recente problema dei sonnellini inquieti?»

Isabela, che fino a quel momento era rimasta a bere il fondo della bottiglia, rialzò lo sguardo verso di loro. «Vi ho già detto che non ho bisogno di una balia.»

Garrett la ignorò, lo sguardo ancora puntato su Anders. «Non puoi lasciare Kirkwall, lo sai. In più, se succede qualcos'altro almeno potrai capire di che si tratta, chiunque altro sarebbe inutile.»

«Perchè ogni volta che rischi di morire, non vuoi che ti guardi le spalle?»

Si grattò la barba, scompigliandosi poi i capelli, abbassando il capo. «Perché è un problema mio, non voglio trascinarti in un altro casino.»

Il compagno rimase in silenzio per qualche istante. «D'accordo, come vuoi.» Prima che Garrett potesse aggiungere qualcosa, Anders si alzò in piedi, salutandoli freddamente e uscendo dalla porta, la schiena rigida come un palo.

Lo guardò allontanarsi, un macigno di sensi di colpa sullo stomaco.

«Si è offeso.»

«Non ci vuole molto, a quanto pare, bellezza.»

«Tieni le mani a posto, nano, o te le faccio mangiare.»

La risata di Stök echeggiò per tutto il locale, ma Garrett era ancora rivolto alla porta, registrando a malapena il bisticcio tra lui e l'amica.

Se Anders fosse venuto con loro, avrebbe rischiato di esporsi con Marian. E se Marian avesse scoperto di Giustizia... scosse il capo, non voleva pensarci. Non voleva essere costretto a scegliere tra la persona che amava e il sangue del suo sangue. Sospirò nuovamente, avrebbe dovuto trovare il modo di scusarsi e sistemare le cose con lui.

Con un sobbalzo sorpreso, guardò la mano di Isabela poggiata sul suo braccio. «Cercherò di metterci una buona parola.» Disse la donna, per una volta senza malizia o sarcasmo nella voce.

Le sorrise, riconoscente. «Grazie, Bela. Anche se non so quanto possa funzionare.»

«Ah, dopo i miei lavori forzati alla clinica, siamo diventati amiconi. E poi, vorrà farmi da balia nonostante tutto, lo conosco, quindi dovrà ascoltarmi ciarlare per forza.»

«Tu che fai, scricciolo, vieni con noi?» Chiese Stök ad Adaar, che nel frattempo stava sorseggiando con aria disinteressata la bevanda.

La Tal-Vashot annuì, assorta. «Avrete bisogno di qualcuno che sappia combattere.»

«Mi ferisci dritto al cuore come una delle tue lame di ghiaccio, amica mia.» Scosse la testa il nano, fingendosi affranto. «Insultato nell'orgoglio da una ragazzina.»

L'altra lo guardò dall'alto in basso, impassibile. «Una semplice constatazione, anche se la templare venisse con noi, servirà qualcun altro per proteggere i fianchi.» Buttò giù il resto del boccale, storcendo la bocca. «Siete fragili.»

Stök scoppiò a ridere di gusto. «Conservatelo per ciò che resterà di quei coglioni una volta che li avrò fatti saltare in aria...»



 

«Anders?»

L'altro non rispose, il capo chino mentre continuava a pestare delle erbe medicinali, le spalle rivolte all'ingresso.

«Anders, mi dispiace, non volevo dire che-»

«Che cosa, eh?» Si voltò di scatto, aveva gli occhi arrossati, il pestello tra le mani tremava leggermente. Garrett avvertì il Velo tremare, e un guizzo di luce azzurrata nelle iridi del compagno. «Non volevi dire che per te sono un fragile soprammobile da proteggere?» Sbattè l'oggetto sul tavolo, facendolo sobbalzare, per poi avvicinarsi di qualche passo. «Me la sono sempre cavata da solo, Garrett, non ho mai avuto bisogno di nessuno che mi proteggesse. E ora ho Giustizia con me, non sono mai solo, ma tu continui a cercare di proteggermi, di non farmi invischiare nei tuoi problemi...» Strinse i pugni, fino a sbiancarsi le nocche. «Perché non ti fidi di me?»

Rimase interdetto, la bocca aperta senza sapere bene cosa rispondere. «Non è vero che non mi fido di te,» si mordicchiò il labbro, cercando le parole giuste per spiegarsi, «è che ho paura che tu possa... perdere il controllo.»

Il Velo si aprì definitivamente, e si ritrovò a fronteggiare gli occhi lucenti di Giustizia, l'energia magica che riempiva la stanza angusta. «È di questo che hai paura?» Chiese lo spirito, avanzando di un altro passo. «Che possa distruggere coloro a cui tieni? Io e Anders siamo la stessa cosa, non c'è momento in cui io non lo senta, e lui può sempre percepirmi dentro di sé. Siamo un'unica entità, e nonostante questo ti ho accettato, perché la tua causa è anche la nostra causa. Non parlarmi di perdere il controllo, mortale, non ho motivo di farti del male.»

Garrett represse l'istinto di indietreggiare, costringendosi invece a fare un altro passo in avanti. «Non ho paura per me, e mi fido di Anders. Quello che temo, è che tu prenda il controllo rivelando ad altre persone della vostra situazione.»

«Altre persone? Tua sorella, vuoi dire. La templare. Se ci vedesse cercherebbe di ucciderci, lo sappiamo. Anders dice che non dobbiamo attaccarla, ma è cieco alla verità, come lo sei tu. Lo hai reso cieco, lo hai distratto dal nostro obiettivo.»

«Non l'ho distratto, sto cercando di far sì che non finiate uccisi!» Sbottò Garrett, allungando una mano e afferrando l'altro per la spalla, scuotendolo con forza. «Anders. Lo so che puoi sentirmi. Non voglio parlare con lui, ma con te. Esci fuori.»

«Parla con entrambi, mortale, non vi è differenza.»

Gli scoccò uno sguardo irato. «Fatti da parte, Giustizia. Sto parlando di sentimenti, concetto che evidentemente sfugge a voi spiriti.» Spostò l'altra mano sulla guancia di Anders, ignorando la pelle gelida e le scariche di energia magica che lo pervadevano.

Per un attimo, l'altro sembrò in conflitto con sé stesso, ma dopo un flash di luce, tornò a guardare negli occhi color miele che amava. Anders cercò di voltarsi dalla parte opposta, ritraendosi, ma Garrett non accennò a lasciare la presa su di lui.

«Mi dispiace. Non volevo dire che non mi fido di te, ma sai che ho ragione. Se Marian scoprisse la verità... Giustizia ha ragione, vi attaccherebbe. E io ti difenderei a costo della vita contro il mondo intero, amore mio, ma non farmi scegliere tra te e la mia famiglia. Non potrei vivere con le conseguenze di quella scelta.»

Anders riportò lo sguardo nel suo. «Non posso sopportare ogni volta l'idea che stai rischiando la pelle da qualche parte, senza che possa essere lì a proteggerti.»

«Non rischierò niente, si tratta solo di qualche nano impazzito.»

Il guaritore scosse la testa. «Avevi detto che sarebbe stata l'ultima volta. Che mi avresti permesso di starti accanto, dopo l'Arishok. Se dovessi morire...»

Garrett avvicinò la fronte alla sua, stringendo i capelli biondi tra le dita, inspirando il suo odore. «Lo so, sono un bugiardo, lo sono sempre stato. Ma devo chiedertelo.»

«Se non dovessi tornare-»

«Noi Hawke siamo duri a morire, come avrai notato.» Cercò di risollevargli l'umore, accennando un sorriso. «Non preoccuparti, sarò qui prima ancora che tu inizi a sentire la mia mancanza.»

Anders sbuffò debolmente, premendo le labbra sulle sue e baciandolo quasi disperato. «Impossibile, è come se partissi con un pezzo del mio cuore.»

Garrett gli accarezzò la nuca, sussurrandogli che provava lo stesso.

Quel delicato equilibrio familiare era destinato a spezzarsi prima o poi, non si faceva illusioni a riguardo, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per rimandare quel momento.






























Note dell'Autrice: sono sparita, lo so. Periodo di buio creativo dato da vacanze e avvenimenti vari, vorrei di tornare a regime al più presto e, finalmente, concludere alcune delle sottotrame che mi premono di più... A presto, spero! :) 

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Capitolo 38
*** Blood brothers ***


CAPITOLO 38
Blood Brothers



 

Le montagne di Vimmark si stagliavano con tutta la loro imponenza di fronte a loro. Serpeggiando tra le cime, la strada dissestata che stavano seguendo da ormai mezza giornata iniziava ad essere costeggiata da piccole colonne in pietra.

Marian si scostò una ciocca di capelli sudati dalla fronte borbottando un'imprecazione tra i denti, l'armatura sotto il sole cocente di fine Matrinalis che la stava trasformando in uno sfornato di templare. Davanti a lei, la grossa Tal-Vashot sembrava assolutamente a suo agio vestita di stoffa leggera, la chioma candida legata in una treccia che ondeggiava sulle spalle ad ogni passo. Il nano del carta che stava facendo loro da guida parlottava a bassa voce con Varric, girandosi di tanto in tanto a lanciarle occhiate dietro le spalle, sogghignando ogni volta che lei intercettava il suo sguardo.

Garrett, accanto a lei, stringeva nervosamente l'arco tra le mani, guardando con apprensione di fronte a loro. «Spero che Carver stia bene.»

«È coi Custodi, li abbiamo visti combattere, non gli succederà niente. Quattro nani deliranti non possono fare nulla contro i migliori eroi nel Thedas, no?» Cercò di tirargli su il morale, nonostante lei stessa non vedesse l'ora di rimuovere almeno quella fonte di preoccupazione dalle spalle dei fratelli.

«Lo spero, altrimenti in qualche modo sarà comunque colpa nostra per non essere riusciti a togliere di mezzo un paio di nani distogliendolo dalle sue grandi imprese.»

Marian ridacchiò. «Tipico di Carver.»

Cadash e Varric si arrestarono un attimo all'altezza di un arco di pietra, dove la strada curvava verso destra costeggiando un ripido pendio. «Signori, pare siamo arrivati.» Annunciò il primo.

«E già non vediamo l'ora di andarcene, mi azzardo a parlare a nome di tutti i presenti, quindi concludiamo questo affare in fretta e torniamocene a casa.» Commentò Varric, accarezzando l'impugnatura della balestra con fare amorevole. «A Bianca questo posto non piace per niente.»

Di fronte a loro, si stagliava una muraglia di pietra stranamente in buone condizioni, un grosso cancello di metallo l'unico accesso alla vallata che si apriva tra le pendici delle montagne attorno. Tre figure tozze e basse erano a guardia dell'ingresso, e una di loro, notandoli, alzò il braccio in segno di saluto, senza però muoversi.

Cadash si fregò le mani. «Ottimo, andiamo a far saltare in aria cose e chiedere spiegazioni.»

«Se li fai saltare in aria prima di interrogarli, non penso possano rispondere.»

«Adaar, davvero, devi sempre essere così puntigliosa?»

La Tal-Vashot si strinse nelle spalle, scostandosi il grosso maglio da guerra che portava sulle spalle e stringendolo nella destra.

Marian estrasse la spada, sentendo la familiare energia magica che le faceva venire la pelle d'oca mentre il fratello iniziava ad evocare il mana attorno a sé.

«Due fratelli! Due dei figli di Malcolm Hawke sono qui, sono venuti loro da noi!» Urlò uno dei nani, gli occhi chiari che spuntavano da sopra una folta barba scura come la pece, guizzando da Marian a Garrett come in una frenesia.

La donna strinse la spada, spostandosi istintivamente un poco davanti al fratello. «Come sapete il nome di nostro padre? Cos'aveva a che fare con il Carta?»

Il nano puntò gli occhi bianchi nei suoi, un abbozzo di sorriso che si apriva sul volto spiritato. «Tutto. Iniziò da lui, finirà con voi, sangue per il sangue, così ci è stato ordinato!»

«Da quando il Carta è così poetico?» Chiese Garrett in direzione di Cadash, che aveva estratto una mazza ferrata irta di punte e stava ora fissando intensamente il nano di fronte a loro.

«Qualcuno ha dimenticato a chi deve la propria lealtà...» Sibilò lui, un ghigno sotto i baffi biondi. «Dovremo rinfrescargli la memoria.»

«Il sangue è l'unica cosa che conta!» Ringhiò il folle, a stento registrando le parole di Cadash. «Ce lo prenderemo, Corypheus tornerà a camminare sotto la luce del sole!»

I due compari che lo fiancheggiavano scattarono in avanti, ma non riuscirono nemmeno a sfiorare i loro obbiettivi che vennero inchiodati al suolo da due frecce di Garrett, che scoppiettarono di elettricità magica facendo stramazzare il bersaglio a terra con una gran puzza di bruciato, e da un paio di quadrelli ben piazzati di Varric.

Il nano che aveva parlato fece per ritrarsi dietro il cancello, che con un clangore metallico iniziò a chiudersi di botto.

Marian era a metà di un avvertimento, quando una nuova ondata magica si sprigionò dal loro gruppo, e un'imponente colonna di ghiaccio si sollevò da terra al centro dell'apertura, imprigionando dentro di sé il nano che aveva tentato di fuggire e venendo appena scalfita dalle punte di metallo del cancello, ora congelato nella sua caduta.

Si voltò verso Adaar, gli occhi sgranati.

Quella si voltò appena, per poi tornare a fissare di fronte a loro, dove parecchi nani e alcune creature di grossa stazza che sembravano bestie da soma in armatura si stavano radunando pronti a combatterli. «Ora non è il momento di combattere tra di noi, Basvaarad.»

Cercò il fratello, confusa e allarmata, ma Garrett le fece un piccolo cenno affermativo col capo. Se lo sarebbe fatto bastare, per il momento. Non che le mancasse particolarmente dover affrontare un'altra di quei bastardi cornuti, la spalla ancora le prudeva al ricordo.

Con una velocità sorprendente, riuscirono a fare piazza pulita dei nemici che si pararono loro davanti, e in breve il cortile di quello che doveva essere l'ingresso a qualsiasi cosa si celasse oltre una stretta apertura tra i monti, sormontata da una serie di archi di pietra, fu costellato di cadaveri.

Cadash si chinò a raccogliere qualcosa da terra, accanto ai resti maciullati di quello che era stato un nano e che ora era una poltiglia di sangue e ossa dall'aspetto nauseabondo, chiaro esempio di quanto valesse più di mezzo metro di differenza di taglia quando qualcuno ti sfracella in testa un maglio grosso quanto te. Cercò di ripulire il piccolo oggetto che teneva tra le dita alla bell'e meglio, scrutandolo torvo. «Non sono dello stesso clan.» Commentò, infilandoselo in tasca. «Chiunque sia quello stronzo di cui parlava prima, ci ha fottuto parecchi nani. Ci deve un sostanzioso rimborso.»

«Come pensi si siano ridotti così?» Chiese Garrett a Varric, corrugando le sopracciglia. «Direi magia, ma sono nani...»

«Lo so che stai pensando a Bartrand, puoi dirlo.» Rispose tetro l'amico, stringendo Bianca con più forza. «Non mi piace.»

Marian si lasciò sfuggire un grugnito stanco, togliendo il grosso del sangue dalla lama della propria spada e sistemandosi meglio lo scudo sul braccio. «Se scopriamo altra magia del sangue, giuro che accetto l'offerta di Isabela di sparire in nave per un paio d'anni.»

«Ah, e cosa ne penserebbe il nostro amato principe?»

Si voltò verso il fratello, un sorrisetto divertito nonostante tutto. «Chi mai rifiuterebbe di unirsi a noi due per una splendida vacanza tra le onde?»

Garrett scosse il capo, ridacchiando. «Si è già tolto quell'Andraste dal pacco, non credo potremo assistere ad altri miracoli per questa Era.»

«Muovetevi, ogni ora persa è denaro in fumo e coglioni che girano.» Li redarguì Cadash, la vena quasi divertente che aveva avuto durante il viaggio evaporata improvvisamente.

Proseguirono lungo la strada, che dopo un po' iniziò a scendere verso il basso. Ad un certo punto, sbucarono in cima ad una stretta e ripida scalinata che costeggiava la montagna, entrando in quella che doveva essere una roccaforte dimenticata risalente ad un'epoca passata. Incontrarono un po' di resistenza, che venne spazzata via senza fatica, e un paio di trappole che a detta di Cadash, il quale le aveva disattivate in un battito di ciglia, avrebbero fatto vergognare un bambino.

Una volta che furono dall'altra parte del costone, la vista mozzafiato che si parò loro davanti li fece fermare tutti per qualche istante: le pendici delle montagne svanivano in un abisso largo abbastanza perché a stento si potesse intravedere nella foschia la parete opposta, il fondo del baratro immerso nella nebbia e celato ai loro occhi. Uno stretto ponte di pietra collegava la struttura di legno e pietra dove si trovavano ad una torre imponente, a base ottagonale, ornata da spesse guglie e arcate sostenute da enormi statue naniche.

«Guardate là.»

Aguzzò lo sguardo nella direzione indicata dal fratello: due piani più in basso rispetto a loro, sulla torre, si scorgevano quelle che chiaramente erano statue dorate raffiguranti dei grifoni rampanti. Si voltò verso Garrett, confusa, trovando la stessa espressione negli occhi dell'altro.

«C'è qualcosa di magico nell'aria, lo sento da quando siamo arrivati, proviene da lì.» Spiegò il fratello, guardando verso l'abisso sottostante con apprensione. «Ho paura che stavolta ci stiamo andando a cacciare in un guaio bello grosso.»

«Perché di solito con voi è tutto rose e fiori...» Borbottò Varric.

Marian strinse ulteriormente la spada. «Non che avessimo molta scelta, no?»

Si voltarono in attesa di proseguire, quando delle urla dal piano di sopra li fecero sussultare. Un bronto cadde ad un paio di metri da loro, precipitando grugnendo disperatamente nel vuoto, inghiottito poi dal silenzio opprimente che aleggiava sotto di loro mentre anche il trambusto andava ad affievolirsi.

«Non siamo soli.» Commentò Adaar, appoggiando il maglio a terra e aspettando pazientemente che qualsiasi cosa fosse si palesasse in cima alle scale.

«Comandante!»

«Te l'avevo detto che non c'era da preoccuparsi, ragazzo...»

Una fragorosa risata riempì l'aria, mentre tre figure facevano capolino dal varco sopra di loro. Le armature che indossavano erano sporche di terra e sangue fresco, ma non vi erano dubbi che fossero Custodi Grigi.

Marian trattenne il fiato mentre Garrett, di fianco a lei, si lasciava sfuggire un'imprecazione volgare.

Il nano dai capelli rossi che accompagnava gli altri due umani ruttò sonoramente, tirando una pacca sulla schiena al collega più giovane. «Ti hanno battuto sul tempo!»

Carver lanciò ai fratelli maggiori un'occhiata di sommo fastidio, mentre il Comandante Adrien de Lancourt sorrideva divertito, risistemandosi lo scudo sulle spalle.

«Solo perché eri troppo ubriaco per stare a cavallo da solo, ci hai fatto perdere tempo.»

«Ah! Questa è bella, come se non fosse stato il vecchio Oghren a salvarti le chiappe da quel sonnifero...»

«Volevi solo rubarmi da bere.»

«Sì, ma tu non hai un naso sopraffino come il mio, non l'avresti mai scoperto in tempo.»

«Solo perché con te attorno non si riesce a sentire altro che il tuo puzzo!»

Il nano scoppiò a ridere di nuovo, infischiandosene dell'occhiataccia del più giovane degli Hawke.

Il Comandante Adrien sollevò un braccio in segno di saluto, guardandosi attorno con fare più serio dei compagni, lo sguardo che tornava sempre alla torre che si stagliava di fronte a loro. «È arrivato prima il nostro corvo, o le loro lame?» Chiese avvicinandosi a loro e chinando un poco il capo. «Mi fa piacere trovarvi in salute.»

Marian ricambiò il saluto. «Comandante, è un onore avervi qui ad accompagnare Carver, ma-»

«Non ho bisogno di essere accompagnato.» La interruppe il fratello sbuffando. «Ha insistito.»

«Era mio dovere.» Rispose evasivo il Comandante, riportando gli occhi verso la torre. «Immagino abbiate notato le statue dei grifoni, quella fortezza è antica. Molto antica.»

«Se sapete qualcosa in più di noi, parlate chiaro.» Lo riprese Cadash, senza mezzi termini. «Perché per ora non c'è una sola cosa che abbia senso.»

De Lancourt lo squadrò dall'alto in basso, gli occhi che si assottigliavano impercettibilmente in una smorfia di superiorità. «Temo che il Carta sia solo una pedina capitata per comodità nel piano di qualcuno infinitamente più importante di un paio di contrabbandieri e assassini prezzolati, mastro nano,» lo apostrofò calcando il proprio accento orlesiano «ma sicuramente ne saprete più di me sulle motivazioni che possono aver spinto i vostri esimi colleghi ad attaccare uno dei miei uomini e infestare come parassiti una fortezza affidata alla memoria del tempo.»

Cadash non si lasciò intimorire, sollevando il labbro superiore e mettendo in mostra i denti d'oro in una smorfia. «La tipica risposta che mi sarei aspettato da un damerino orlesiano.»

«L'Ordine ha problemi più importanti di qualsiasi somma di denaro ci sia di mezzo per voi.» Ribattè il Comandante, non degnandolo di un secondo sguardo. «Ma state pur sempre accompagnando la Tenente e Serah Hawke in questo endeavour, quindi forse ci sarete di qualche aiuto, magari per eliminare qualcuna delle trappole da codardi che i vostri simili avranno sicuramente disseminato lungo il nostro cammino. Forza, rimettiamoci in marcia. Oghren, vai avanti tu, così se inciampi di nuovo non travolgerai nessuno dei nostri compagni più sottili.»

Marian si stava accodando a Carver, quando intercettò gli sguardi tesi che Adaar e Cadash si scambiarono. Il nano scosse impercettibilmente il capo, e la Tal-Vashot sembrò rilassarsi.

«Siamo contenti di vederti sano e salvo.» Disse al fratello.

«Volevamo scriverti, ma abbiamo pensato che forse non eravate neppure più ad Ansburg e, ora che ti fosse giunta notizia, saremmo già riusciti a risolvere la questione.» Spiegò Garrett, accostandoglisi.

Carver alzò gli occhi al cielo, allungando il passo per portarsi un poco avanti a loro. «Non importa se avete cercato di tenermene fuori, ora sono qui.»

Marian e Garrett si guardarono esasperati. Varric ricaricò Bianca, lanciando un gran sorriso verso l'ultimo arrivato. «È un piacere vedere che certe cose non cambiano mai, Junior... vediamo di finire in fretta qui, che magari riusciamo a convincere il Comandante a darti qualche giorno di congedo.»

«Scommetto che a Merrill farebbe piacere.» Lo punzecchiò Garrett, e Marian dovette trattenersi dal ridacchiare guardando le guance del fratello imporporarsi leggermente.

«Fatevi gli affari vostri.»

De Lancourt si affiancò a Garrett, abbassando un poco la voce perché Marian dovesse sforzarsi di ascoltarli. «Anders? Sta bene?»

Vide il fratello annuire. «È rimasto a Kirkwall, aveva alcune faccende di cui prendersi cura. Gestisce una clinica per i meno fortunati.»

Il Comandante sospirò pesantemente. «È sempre stato una brava persona, ma non era fatto per la vita del Custode. Sono contento che abbia trovato uno scopo, e qualcuno che lo tenga d'occhio. Ho reclutato molti guerrieri e parecchi maghi durante i miei anni di servizio, ma con Anders ho sbagliato, me ne sono reso conto troppo tardi.»

«Non mi parla quasi mai del periodo che ha passato ad Amaranthine.» Rispose Garrett.

«I Custodi Grigi hanno molti segreti, qualcuno potrebbe muovere la critica che l'intero Ordine sia costruito su un castello di giuramenti e mezze verità, ma così è sempre stato. Ciò che è successo ad Amaranthine resterà tra i nostri ranghi, ma posso dirti che Anders si è comportato da eroe, come tutti gli altri, nonostante abbia poi rinnegato la sua appartenenza. Un'altra se n'è andata, prima di lui, ma è stata meno... flamboyante, concedimi il termine.»

Di fronte a loro, Cadash dovette placcare quasi di peso Oghren per impedirgli di finire su una trappola a pressione. Gli insulti coloriti del nano del Carta si persero sotto l'ennesima risata roboante, e dopo qualche secondo poterono proseguire di nuovo, sbucando in una sala stretta e dal soffitto molto alto. Sul fondo, si apriva un imponente passaggio che conduceva al ponte di pietra.

«Gli Hawke! Il nostro signore sarà presto libero, sono qui!» Urlò una voce rauca, e circa due dozzine di nani si pararono loro davanti. Uno, dal volto pulito e gli occhi spiritati come i precedenti, si staccò dal resto del gruppo, guardando in direzione di Marian e dei fratelli.

«Gerav?» Varric si fece avanti, affiancando Cadash e abbassando di poco Bianca, pur tenendola pronta a colpire. «Cosa ci fai qui?»

Cadash, invece, aveva gli occhi ridotti a fessure. «Sì, Gerav, spiegaci. Cosa cazzo ci fai qui invece di essere a Montsimmard?»

Il nano chiamato Gerav, sentendo la voce di Varric, si era voltato come se l'avesse notato solo in quel momento, ma l'espressione sorpresa che gli era comparsa sul viso si trasformò ben presto in una smorfia spaventata, mentre Cadash avanzava verso di lui.

«Varric, Stök... nessuno aveva avvisato che sareste... insomma, ci ha detto di catturare gli Hawke, solo questo, non-»

«Amico vostro, quindi.» Commentò Garrett. Marian teneva d'occhio invece i nani tutt'attorno, spostandosi leggermente verso i fianchi del gruppo, d'accordo col Comandante Adrien e Oghren. Adaar troneggiava dietro a Cadash, il Velo attorno a lei che tremava pronto a schiudersi.

«Vi presento Gerav, un bastardo figlio di un nug maledettamente bravo nel suo lavoro. O almeno, lo era fino a quando non ha deciso di invischiarsi in qualche culto di adoratori di demoni... Gerav, questi sono gli Hawke, ma ti avverto che nessuno di loro è contento dell'invito a questa festicciola.»

Gli occhi dell'altro guizzarono sui tre fratelli, febbrili. «Abbiamo bevuto il sangue dei Prole Oscura, così da poter sentire la sua canzone. Per poter seguire i suoi ordini, del padrone, lui vuole il sangue, il sangue dell'Hawke, ne ha bisogno.»

Marian vide i tre Custodi Grigi scambiarsi un'occhiata preoccupata. Strinsero le armi, pronti ad attaccare.

«Fai sul serio, Gerav? Hai rinunciato al tuo amato oro per cosa, una fortezza in rovina e voci nella testa?» Rispose Varric, scuotendo il capo e sollevando Bianca. «Dacci un taglio e rinsavisci, fatti un favore.»

Cadash non sembrava dello stesso avviso. Si avvicinò ulteriormente all'altro, facendo dondolare la mazza ferrata che stringeva tra le mani. «Sangue o oro...» Con uno strappo improvviso nel Velo, una lama di ghiaccio comparve dal terreno, trapassando per intero il corpo di Gerav dal fianco alla spalla, senza tuttavia ucciderlo sul posto. Cadash sferrò il colpo di grazia, schiantando con violenza la propria arma sulla testa del nano, che si spaccò come un melone troppo maturo. «Il Carta ottiene sempre la sua parte.» Concluse Stök, staccando la mazza dai resti e voltandosi verso gli altri, il sangue che colava copioso a terra creando una pozza ai loro piedi. Sputò per terra.

Una parete di ghiaccio si innalzò appena in tempo per proteggerli dalla pioggia di frecce che seguì, e i guerrieri partirono poco dopo all'attacco.

«Cosa gli è saltato in mente di bere il sangue dei Prole Oscura?» Chiese a voce alta Carver una volta conclusosi lo scontro, liberando con uno strattone la propria spada dal cadavere di un bronto.

Oghren e il Comandante si scambiarono uno sguardo preoccupato.

«Dici che troveremo un altro come lui, là dentro?» Chiese il nano, e per la prima volta sembrava aver perso tutto il suo solito buonumore.

«Spero di no, ma non credo che l'Artefice fosse l'unico.» Rispose tetro il Comandante, lanciando uno sguardo torvo ai cadaveri attorno a loro. «Questa faccenda non mi piace, per niente.»

Marian li guardò interrogativa. «Chi è l'Artefice?»

L'uomo assottigliò le labbra, esitando un attimo prima di parlare. «Un Prole Oscura senziente, che riusciva ad influenzare i suoi simili e tutti coloro che avevano della Corruzione in corpo. L'abbiamo ucciso, ma se davvero non fosse stato l'unico in grado di farlo... prepariamoci al peggio.»

Oghren, per tutta risposta, sganciò il grosso otre che portava alla cintura, tracannando qualche lungo sorso di qualsiasi cosa vi fosse contenuto e elargendo un sonoro rutto. «E andiamo.»

«In che cazzo di guaio ci siamo cacciati...» sentì brontolare Cadash, ma dopo un cenno affermativo in direzione di Adaar, seguì i due Custodi verso il ponte di pietra.

Marian si affiancò ai fratelli, preoccupata. «Forse non dovremmo scendere tutti là sotto.»

Fu Carver a girarsi per primo. «Allora torna pure indietro, io non sono più un ragazzino, se si tratta di qualche Prole Oscura è il mio lavoro assicurarmi che non possa più nuocere a nessuno.»

«Ma sentitelo, tutto serio... sembra proprio che tu sia diventato un bambino grande!» Lo prese in giro Garrett, per spezzare la tensione come suo solito. Passò un braccio attorno alle spalle del fratello, nonostante l'altro lo superasse di mezza testa. «La famiglia Hawke al completo, per una rilassante gitarella a caccia di Prole Oscura e nani impazziti...»

Marian serrò la mascella. Avrebbe voluto colpirli alla testa, legarli e lasciarli fuori da lì in modo che non si cacciassero nei guai, ma al contempo sapeva che non gliel'avrebbero mai permesso. Come Garrett si era già lanciato in sua difesa contro l'Arishok oppure come, prima ancora, Carver si era intestardito a scendere col fratello nelle Vie Profonde. “E guarda quanto bene gli ha fatto”, pensò con un nodo alla gola mentre li guardava bisticciare davanti a lei.

Sovrappensiero, portò una mano alla sacchetta di pelle che teneva legata alla cintura, sfiorando con le dita le due fialette di lyrium in essa contenute. Non avrebbe potuto essere sempre lì a proteggerli. Era solo questione di tempo prima che uno tra loro se ne andasse al Creatore, e sembravano intenzionati a trasformarlo in una gara.

Allungò il passo quasi di corsa, frapponendosi tra i due e stringendoli un attimo per le spalle, scompigliando loro i capelli come quando erano bambini. «Siete impossibili.»



 

Superato il ponte trovarono un'altra imboscata ad attenderli, ma anch'essa fallì miseramente, fatta eccezione per una freccia che si piantò nello spallaccio del Comandante Adrien, che dovettero rimuovere con non poca fatica da quanto si era incastrata tra il metallo e la cotta di maglia sottostante, lasciandolo però appena scalfito.

Carver aiutò l'uomo a rimettersi lo spallaccio, mentre Marian, Garrett e Varric si misero a frugare tra i cadaveri alla ricerca di qualche informazione in più.

Oghren li fece sobbalzare all'unisono, lanciando un grido di gioia e sollevando una fiaschetta sopra la testa, annusandola poi tutto soddisfatto. «Questa brucia come un drago!» Esclamò contento, tracannandone il contenuto e porgendola poi a Cadash, un sorrisetto sotto i folti baffi rossi. «Vediamo di che stoffa sei fatto, eh?»

Stök gliela strappò quasi di mano, controllando per un attimo che non avesse un odore strano e poi versandosi il contenuto giù per la gola. Scosse la fiaschetta, raccogliendo le ultime gocce e schioccando poi rumorosamente la lingua sul palato. «Soddisfatto?» Chiese in direzione dell'altro, lanciandola poi dietro di sé con noncuranza. Si pulì i baffi col dorso della mano, ghignando.

Oghren scoppiò di nuovo a ridere, avvicinandoglisi e tirandogli una pacca sulla spalla. «Lo sapevo che Brosca gli sceglieva bene, i suoi nani!»

Cadash, che al tocco dell'altro aveva serrato la mascella infastidito, si rilassò immediatamente. «La conosci bene?»

«Abbastanza, abbiamo viaggiato insieme per un po', con l'Eroina del Ferelden e altri improbabili compagni.» Spiegò vago il Custode, lo sguardo rivolto al soffitto un po' vacuo, come a perdersi nelle avventure passate. «Abbiamo affrontato una carica di Ogre e visitato il miglior bordello del Ferelden, bei tempi! Non che io non lo faccia ancora adesso, s'intende... ma ho sentito che se la sta cavando piuttosto bene, no?»

Cadash si strinse nelle spalle. «Se chiami l'essere ricca sfondata e a capo di una delle più pericolose organizzazioni del Thedas “cavarsela piuttosto bene”... sì, direi di sì. È in gamba, molto più dei precedenti, su questo non c'è alcun dubbio. E ci sta facendo guadagnare un sacco di soldi.»

Oghren annuì, convinto. «E l'essere immanicata col Re in persona non può che giovarvi...»

A Marian non sfuggì il ghigno soddisfatto di Cadash, ma qualcosa la fece distrarre dalla conversazione dei due, la sua attenzione calamitata da un oggetto lucente semi sepolto sotto al cadavere di un grosso nano in armatura. Incrociò lo sguardo di Garrett, anche lui sembrava aver notato il luccichio soffuso.

Fecero rotolare di lato il corpo, scoprendo una spada corta dalla lama chiara e bluastra. Senza pensarci, la prese in mano, come attratta irrimediabilmente da qualcosa.

Una scarica di energia la sorprese appena le sue dita sfiorarono l'elsa, e istintivamente il suo addestramento da templare le fece rilasciare un'aura antimagia, che fece quasi crollare il fratello in ginocchio. La spada tuttavia non sembrò risentirne e, dopo un altro lungo secondo, com'era comparsa l'energia svanì.

«Che cos'era?!» Esclamò Garrett allontanandosi senza fiato, lo sguardo puntato alla spada.

Marian pensò di lasciare la presa, spaventata, ma qualcosa in quell'arma sembrava legarla a sé, come se l'impugnatura fosse stata fatta apposta per la sua mano. Osservò meglio la lama dritta e affilata, un rubino grosso quanto una noce incastonato sopra la guardia che pulsava leggermente. Emanava un vago sentore magico, che tuttavia non sembrava risentire del lyrium che la templare aveva in corpo. «Non ne ho idea.»

Un colpo di tosse strozzato li fece voltare verso uno dei corpi dei nani che avevano combattuto, che ora li guardava con un paio di occhi bianchi, strabuzzati, bolle di sangue scuro agli angoli della bocca. «La Chiave... la Chiave vi porterà da Corypheus...»

Garrett si alzò in piedi di scatto, afferrando il nano per la collottola e chiedendo spiegazioni, ma quello aveva già reclinato il capo all'indietro, la risata che veniva soffocata da un gorgoglio strozzato. «Merda.»

Marian inspirò profondamente. «Sembra che qualsiasi cosa sia questa Chiave, ci condurrà fino al diretto responsabile.» Commentò, prima di legarsela alla cinta.

«Sei sicura?» Le chiese l'altro. «Se è davvero una chiave, potremmo distruggerla e sperare che non ce ne siano altre.»

«Non se ne parla, dobbiamo eliminare qualsiasi cosa si celi là sotto.» Intervenne Carver in tono serio, guardando torvo la tromba di scale che scendeva nelle profondità della torre, due grandi statue dorate di grifoni rampanti a decorarne il passaggio. «Altrimenti, ne arriveranno altri.»

Garrett si grattò la barba, sbuffando. «D'accordo, ci ho provato.»

Scesero per almeno un'ora, la scalinata che si torceva su sé stessa fin quasi a far perdere loro il senso dell'orientamento, senza una divisione netta tra i piani, miriadi di gradini che si susseguivano senza lasciare tregua.

Quando sbucarono finalmente in una grande sala rettangolare, la luce che filtrava dal corridoio di fronte a loro, tirarono un sospiro di sollievo. Non durò a lungo.

Superate altre due statue gemelle di grifoni dorati, una forza immane li spinse in avanti, facendole quasi perdere l'equilibrio mentre un'ondata di magia la passava da parte a parte, i capelli a rizzarlesi in testa. Si voltarono alle loro spalle, trovandovi una barriera che riluceva sinistra, il Velo che fremeva talmente forte da darle la nausea.

«Puoi annullarla?» Le chiese il Comandante Adrien, dopo che lei l'ebbe osservata per qualche istante.

Scosse la testa. «Da sola, no di certo. Non ho mai visto niente di simile.»

Garrett e Adaar si scambiarono uno sguardo. «È magia del sangue.» Spiegò il fratello dopo un lungo istante, osservando la stanza tutto attorno a loro. «Il Velo è sottilissimo in questo luogo, persino l'aria ha un sapore diverso.»

«È una trappola.» Si intromise il Comandante, dando le spalle alla scalinata e iniziando a procedere verso il fondo della sala. «Non importa chi ci finisce dentro, l'obbiettivo di chi l'ha ideata era non fare uscire qualunque creatura sia stata rinchiusa in questa torre.»

«Ci sarà un'altra uscita. C'è sempre.» Ribattè Oghren, cercando di vedere il lato positivo.

Cadash si lasciò andare in una sequela di imprecazioni colorite in lingua comune e in nanico, sputando per terra e guardando il terreno con odio. «Fottutissima Pietra maledetta.»

«Non posso darti torto...» Borbottò Varric a mezza voce. Stringeva nervosamente Bianca, come a cercare un minimo di conforto nella sua forma familiare.

Adaar lanciò uno sguardo torvo attorno a sé, affiancandosi a Cadash e mettendogli una mano sulla spalla. «Se non c'è un'altra uscita, ce la creeremo da noi.»

Il nano sembrò rincuorarsi appena, dando una pacca affettuosa alla cinghia dello zaino che portava sulle spalle. «Ci conto, piccoletta.»

I Custodi, davanti a loro, confabulavano sottovoce. Quando Marian gli si avvicinò in cerca di spiegazioni, si zittirono immediatamente.

«Non avete davvero niente da condividere?» Chiese inquisitoria.

Oghren aprì la bocca, richiudendola subito dopo e fissando intensamente il Comandante.

L'uomo serrò la mascella, scuotendo il capo. «Nulla che possa essere utile, tenente. Purtroppo nemmeno io so molto di questo posto, a parte che dovrebbe esserci una divisione assegnata a guardia della fortezza, che tuttavia non abbiamo ancora incontrato. Ma di cosa si celi qui sotto...» sbucarono all'esterno, scoprendo che si trovavano probabilmente ai piani inferiori dell'immenso crepaccio che avevano visto qualche ora prima dall'alto. «Ne so quanto voi.»

La terrazza si affacciava sullo strapiombo, il fondo offuscato da una nebbia densa e innaturale. Delle roche grida e ruggiti rimbombavano tutto attorno, la fonte precisa impossibile da determinare. Marian poteva percepire un sapore metallico in bocca, non dissimile a quello che aveva provato affrontando dei maghi del sangue. «Una fortezza misteriosa, un Prole Oscura senziente e nostro padre invischiato chissà come con esso...»

Garrett ridacchiò piano, il tono privo di qualsivoglia allegria. «È proprio un martedì coi fiocchi.»



 

L'odore pungente dei Prole Oscura massacrati le aveva stretto lo stomaco in una morsa, costringendola a voltarsi dal lato opposto in cerca di un introvabile refolo d'aria.

«Marian, vieni a dare un'occhiata.» La chiamò Garrett, distraendola. Si voltò verso il fratello, intento ad analizzare uno dei grandi stemmi dei Custodi che erano appesi un po' ovunque per quelle sale. Sentì qualcosa farle venire la pelle d'oca, mentre si avvicinava anche lei.

Una fioca luce rossastra pulsava ad intervalli regolari, illuminandone il centro.

«Riesci a sentirlo?» Le chiese il fratello, attento a non avvicinarsi troppo.

Annuì. Poteva sentire la spada di silverite che aveva recuperato dai nani vibrare di energia, aumentandole il mal di testa. Appena fece un altro passo verso lo stemma, che sembrava attrarla a sé come un magnete, digrignò i denti in una smorfia di dolore. Barcollò da un lato, e Garrett si affrettò a sorreggerla con un braccio. La spada al suo fianco diventò per un attimo incandescente, e lo stemma appeso al muro cadde a terra con un fracasso metallico, spaccato in tre parti dal centro.

«Cos'è successo?» Corse verso di loro Carver, la spada ancora sguainata.

Marian cercò di rispondere, ma dovette premersi le dita sulla fronte, una seconda fitta più forte della precedente a incendiarle il cervello. «Non ne ho idea...» biascicò sofferente, appoggiandosi a Garrett e abbassando lo sguardo al fianco. La spada era tornata fredda, ma il rubino riluceva leggermente. «È questa maledetta cosa.»

«Se è una chiave, questo deve essere stato uno dei sigilli che andava ad aprire.» Commentò l'altro, guardando lo stemma distrutto carico di sospetto. «Ne troveremo altri.»

Lei annuì. Poteva chiaramente sentire la presenza di un altro di quei sigilli alla loro destra. Si inoltrarono in quella direzione, i Custodi ai lati del gruppo per avvertire qualsiasi segno della Prole Oscura, trovando una saletta più piccola della precedente, due celle chiuse sulla parete opposta all'ingresso. Accanto ad essa, un altro stemma dei Custodi Grigi riluceva debolmente.

Ma la cosa che attirò la loro attenzione non fu quest'ultimo, bensì una forma scura e fumosa che si aggirava inquieta dietro una delle celle, trattenuta all'interno da una barriera magica non dissimile a quella che aveva impedito loro di tornare indietro sui loro passi una volta scesi là sotto.

Marian estrasse la spada, ignorando il mal di testa e piantandola con forza esattamente al centro di esso: si spaccò in due, rilasciando un'onda d'urto che le fece rizzare i capelli in testa e quasi perdere l'equilibrio. Si riscosse, facendo segno ai fratelli che stava bene.

Un sibilo arrabbiato li avvisò che l'Ombra era libera, la barriera svanita: prima che potesse avventarsi su Marian, fu distrutta da Adaar e Garrett, le armi che fremevano di energia magica.

«Non ho potuto fare niente per dissuadere i Custodi dall'utilizzare il potere dei demoni per sigillare questo posto,» si alzò una voce, riecheggiando per la stanza «ma non permetterò che sia la mia magia a lasciarli liberi in questo mondo.»

Marian si rese conto di essere impallidita, incrociando lo sguardo di Carver, incontrando gli stessi occhi sgranati del medesimo colore, che entrambi avevano ereditato da...

«Era la voce di papà, quella.» Balbettò il fratello, sgomento.

«Com'è possibile?»

Anche Garrett si guardava attorno, l'arco di Malcolm ancora sollevato. «Se in qualche modo l'hanno costretto a creare questi sigilli, è possibile che sia rimasta una sua memoria nel Velo attorno a questo luogo.»

«Papà non avrebbe mai sfruttato dei demoni per...» La replica le morì sulle labbra, lasciando la frase in sospeso. Non sapevano chi l'avesse trascinato là sotto, né perché, quindi come poteva essere sicura di quello che fosse stato costretto a fare per uscirne?

«Arriva qualcuno.»

La voce del Comandante Adrien la riscosse dalla sua confusione, sollevando lo sguardo verso il Custode. «Prole Oscura?»

Quello assottigliò lo sguardo verso una figura che si avvicinava loro lentamente, rattrappita su sé stessa. «No, non ancora.»

Quello che si stagliava sulla soglia era ciò che restava di un uomo, chiazze calve sul capo butterato da larghe macchie di pelle squamosa violacea e corrotta, le insegne dei Custodi Grigi appena visibili sotto il sangue rappreso e la sporcizia che coprivano l'armatura ormai a pezzi. Teneva il capo chino, come a sfuggire i loro occhi.

«Comandante Larius?»

Sentendo De Lancourt che lo chiamava, la figura alzò lo sguardo, gli occhi bianchi e quasi ciechi che si aprivano in un'espressione sorpresa. «Comandante...? Sì, sì, un tempo, anni fa, forse. Ora no, ora sono morto, ma non ancora.» Scosse la testa, come a scrollarsi di dosso una sensazione di disagio. «Troppo presto, per voi è troppo presto. Non dovreste essere qui, solo Hawke.»

Marian fece un passo avanti, cauta, e il Custode chiamato Larius si voltò nella sua direzione, come a fiutare l'aria.

«Hai la chiave. Bene, bene. L'hanno trovata quindi, i nani hanno scavato...»

«A cosa serve?» Chiese la templare, pronta ad attaccare se si fosse rivelato una minaccia.

Larius la guardò con i suoi occhi bianchi, reclinando il capo da un lato all'altro come un serpente ipnotizzato. «Ha creato i sigilli. Può romperli.» Si voltò di scatto verso Garrett, apparentemente confuso. «Sento la magia in lui, ma sei tu a portare la chiave... E tu,» si rivolse a Carver, che si era posizionato al fianco del Comandante Adrien, «tu sei come noi, ma come loro.»

«Nulla di quello che ha detto ha alcun senso logico.» Commentò Cadash dal fondo.

«Siamo tutti e tre figli di Malcolm Hawke.» Parlò Garrett, avvicinandosi alla sorella. «Perché i nani volevano portarci qui sotto, chi è questo Corypheus e cosa vuole da noi, da nostro padre?»

«No!» Urlò Larius, coprendosi le orecchie e guardandosi attorno atterrito, mugugnando. «Non dire quel nome, non svegliarlo. Lui può sentirti. Ma tu hai la Chiave, la Chiave per ucciderlo.»

«Comandante Larius.» Lo chiamò De Lancourt, guardingo. «Cos'è questo posto?»

«Troppo presto... non dovresti essere qui.» Ripetè l'altro, avanzando lentamente verso di lui. «Una prigione. Antica, antichissima, i Custodi la costruirono per imprigionarlo. Chiunque può entrare, ma nessuno può uscire. Non senza la Chiave.»

De Lancourt aggrottò la fronte. «Comandante, cos'è l'essere imprigionato qui sotto?»

Larius rabbrividì vistosamente. «Uno dei Primi. Lo senti nel sangue, ci chiama tutti a sé. Come un Arcidemone, chiama a sé i suoi figli, e tutti coloro che hanno la corruzione nel sangue. Ma non dobbiamo ascoltarlo, non dobbiamo. Seguitemi, la via d'uscita è sul fondo. Non su, no, i sigilli sono chiusi, dobbiamo scendere.»

L'altro si voltò appena verso Carver e i fratelli. «Cosa c'entra loro padre con tutto ciò?»

Larius sembrò rattrappirsi ulteriormente, nascondendo il volto nell'incavo del gomito, borbottando confusamente. «Ero qui, quando Hawke usò la Chiave, per rinnovare i sigilli. Prima che...» Diede loro le spalle, bofonchiando parole incomprensibili. «Seguitemi, dobbiamo andare.»

L'orlesiano chinò il capo, lasciando che la creatura un tempo umana li precedesse nella galleria di fronte a loro, che si apriva su un ponte sopra il precipizio. «Lo conoscevo, prima della sua Chiamata. Non dovrebbe essere ancora qui, c'è qualcosa di sbagliato in tutto questo.»

Oghren gli si affiancò, serio in volto. «Troveremo questo Prole Oscura e lo uccideremo, Adrien. E poi, aiuteremo il Comandante Larius ad incontrare una morte onorevole.»

Un accenno di sorriso riconoscente comparve sul volto dell'uomo, che annuì rigidamente. «Dovrò fare qualche domanda a Weisshaupt, dopo tutto ciò.»

Marian si avvicinò a quel fantasma di essere umano, fino a che non sentì l'odore pungente di marcio invaderle le narici. «Cosa ci faceva nostro padre qui? Vi ha aiutati?»

Larius annuì, alzando poi il volto cieco verso di lei. «La stessa energia. Lo stesso sangue. Tutti e tre, sì, tutti e tre, lui vi cerca. Dobbiamo ucciderlo.»

Capì che non sarebbe riuscita a cavargli altre informazioni, per il momento.

Si rimisero in cammino, seguendo Larius per un'altra rampa di scale, fino a ritrovarsi in un salone immenso circondato da altissime statue di grifoni rampanti. Al centro, una piattaforma con otto bracieri in pietra, disegni geometrici a comporre un circolo di evocazione.

Una morsa allo stomaco la fece piegare in due dal dolore. C'era qualcosa in agguato, qualcosa di grosso, ma non riusciva a vederlo. Cercò Garrett con lo sguardo, i maghi erano più sensibili alle spaccature nel Velo di quanto lo era lei, ma trovò il fratello e la Tal-Vashot con la stessa espressione spaventata puntata verso il punto dove i disegni sulla pietra si congiungevano.

«È un demone della Superbia.» Commentò Garrett con un filo di voce. «L'ombra al piano di sopra doveva essere un esperimento, o forse serviva solo per reggere la barriera davanti alle scale. Questo... questo è tutt'altra cosa.»

Adaar strinse con forza il maglio da guerra, gli occhi viola dalle pupille sottilissime. «Dobbiamo liberarlo, per ucciderlo.»

«Sì, sì, il sigillo!» Si intromise Larius con la sua voce gracchiante, che ormai aveva poco di umano. «Per duemila anni, la magia l'ha intrappolato. Usa la Chiave, spezzalo, fai tornare la magia alla sua fonte originaria.»

«Cos'è che ti sta spaventando fino a questo punto, Adaar?» Chiese Cadash alla compagna, guardandola preoccupato. I nani non comprendevano la magia, non ne venivano nemmeno sfiorati. A volte, Marian li invidiava.

«Nulla mi spaventa.» Rispose risoluta quella, scuotendo il capo dalle corte corna mozzate. «Prepara una di quelle bombe.»

«Bombe?» Marian si voltò verso di loro, interrogativa. «Possiamo fare in modo che non ci crolli il soffitto addosso? Vorrei evitare di scampare ad un demone per poi essere seppellita viva.»

Il nano le rivolse un sorriso feroce. «Non mi sottovalutare, tenente. So quello che faccio.»

«Dopo che avrai rotto il sigillo, buttati a terra.» Le consigliò la Tal-Vashot, soppesando la propria arma. «Tu non verrai colpita, ma quello sì.»

«Posso fidarmi di te?» Le chiese Marian, incerta. Era una maga, un'eretica, e lavorava col Carta. La Chiave per quanto ne sapeva poteva essere usata da uno qualsiasi dei suoi fratelli, mentre lei era l'unica templare nei paraggi.

Incontrò gli occhi viola dell'altra, impassibili. «Questa è una tua scelta. Non ho motivo di farti del male, né di lasciare che ti uccidano, per ora.»

Non era molto rassicurante, ma annuì.

Avvicinò la lama alla base del piedistallo, conficcandola lungo una scanalatura dove si incastrò perfettamente, ruotando di novanta gradi in senso antiorario.

Le fiamme nei bracieri divamparono con violenza, virando da un rosso violaceo ad un blu verdastro. Il Velo si squarciò mandandole una scarica di energia lungo la spina dorsale.

Ricordò all'ultimo l'avvertimento di Adaar, lasciandosi cadere a terra e portando lo scudo davanti a sé, mentre il demone intrappolato all'interno del circolo ruggiva tutta la sua rabbia, finalmente libero.

Sarebbe sicuramente morta nell'assordante esplosione che seguì a breve, non fosse stato per una spessa cupola di ghiaccio che assorbì l'impatto andando in frantumi al suo posto, lasciandola stordita sulla piattaforma mezza distrutta, le orecchie che fischiavano e la vista annebbiata.

Nella polvere che fluttuava tutt'attorno, vide sbucare il Comandante Adrien, seguito a ruota dagli altri due Custodi e Adaar, che caricarono il demone della Superbia fiancheggiandolo ai lati senza dargli modo di concentrarsi su uno di loro, colpendolo all'unisono e proteggendosi a vicenda dai suoi artigli che fendevano l'aria e si schiantavano con un tremendo stridere sul metallo.

Cercò di tirarsi in piedi come meglio poteva, evitando per un soffio il gigantesco braccio del demone che tentò di spazzare via gli assalitori, e si lanciò anche lei nella mischia estraendo la spada, lo scudo alto davanti a sé.

Sentiva le frecce di Varric e Garrett conficcarsi nelle spesse squame della creatura, che già sanguinava una disgustosa melma scura dai tagli profondi procurati dai guerrieri, e parti di carne coriacea, carbonizzati dall'esplosione della bomba lanciata da Cadash, mostravano un intrico di tessuti deformi.

Il demone della Superbia crollò a terra con un ultimo ululato di rabbia e dolore, collassando su sé stesso in una pozza di poltiglia fumante, le spesse corna e le squame che pian piano si scioglievano come burro al sole emanando una puzza nauseabonda. I bracieri attorno a loro divamparono un'ultima volta, spegnendosi all'unisono, lo squarcio nel Velo che sembrava essersi richiuso.

«Non ne avevo mai incontrato uno così forte.» Ammise Marian con un filo di voce, cercando di riprendere fiato.

«È stato un osso duro.» Concordò Carver, accanto a lei, massaggiandosi il braccio con una smorfia.

«La Chiave! Il sigillo è stato rotto, ma non è il solo... altri, altri ce ne sono, più in profondità.» Si alzò la voce di Larius, che si era tenuto lontano dallo scontro. «Andiamo!»

Si scambiò uno sguardo stanco con il resto del gruppo, annuendo e recuperando dal piedistallo la spada, magicamente intatta nonostante lo scontro.



 

Giunsero ad un'altra rampa di scale, che terminava con una nuova barriera magica. Come la precedente, riuscirono ad attraversarla incolumi, senza darsi pena di voltarsi a vedere se fosse possibile o meno tornare sui propri passi.

«Deve esserci un'altra di quelle ombre imprigionate, qui da qualche parte.» Parlò Marian, rompendo il silenzio stanco che aleggiava sull'intero gruppo.

«Potremmo occuparci di quella, e poi fermarci a riposare.» Propose Garrett.

Il Comandante Adrien chinò il capo, annuendo. «Se siete stanchi, non ha senso sforzarsi di andare avanti. Potremmo avere tutti bisogno di recuperare le forze.»

Carver si strinse nelle spalle, apparentemente ancora perfettamente in grado di continuare.

Marian sarebbe stata contenta di vederlo così pieno di energie, non fosse stata la consapevolezza che non era solo per via del suo allenamento che il fratello combatteva come una furia e non sembrava stancarsi al pari di prima. Qualsiasi fosse il rituale a cui si sottoponevano i Custodi per ricevere le loro abilità, sapeva che richiedeva un caro prezzo. Trovarono l'ombra in una cella simile a quella ai piani superiori, liberandosene come la precedente.

Si aspettava di trovare un altro ricordo del padre, ma quando la voce di Malcolm Hawke riempì la piccola stanza angusta sentì una morsa ferrea attorno allo stomaco.

«Ho lasciato il Circolo, ma ho fatto un giuramento a me stesso: userò la mia magia per dare il meglio di me, non per soddisfare i miei capricci.»

«Per dare il meglio di noi...» ripetè Garrett in un sussurro, lo sguardo basso sull'arco che stringeva tra le mani. «Ce lo ripeteva sempre, a me e Bethany.»

«Beth non credeva sarebbe mai stata all'altezza delle sue aspettative.» Commentò Carver, il volto in ombra, le spalle rigide. «Non lo sapremo mai.»

Marian fece due passi verso di lui, sollevando il braccio, fermandosi per un battito di ciglia. «Sarebbe stato fiero di lei.» Gli prese la mano, cercando di sorridere nonostante sentisse di avere gli occhi lucidi. Non le sfuggì lo sguardo di Garrett, che aveva serrato la mascella.

«Ci accampiamo, quindi?» Chiese Cadash, ignorando il momento familiare e sedendosi su un baule dall'aria decrepita, che stranamente resse il suo peso, e aprendo lo zaino di fronte a sé.

Garrett annuì, volgendosi verso i Custodi con aria interrogativa. «C'è Prole Oscura nei dintorni?»

«Meno di quella che mi sarei aspettato, e non nelle immediate vicinanze.» Rispose il Comandante, che non aveva per un attimo smesso di tenere d'occhio Larius. «È come se ci stessero spingendo verso il fondo della fortezza.»

«Tempo, perderemo tempo.» Borbottava quello sommessamente. «Lui chiama, la canzone nella testa, sangue, sigilli spezzati... Hawke, sì, è arrivato, ci sarà silenzio...»

«Faremo meglio a dormire qualche ora.» Gli disse Oghren, guardandolo preoccupato. «Tutti noi.»

Si sistemarono come meglio poterono, decidendo i turni di guardia e tirando fuori le razioni di cibo che si erano portati per il viaggio, sperando bastassero fino al loro ritorno alla superficie. Nessuno di loro era partito aspettandosi di trovare un tale labirinto sotterraneo. Sbocconcellò la carne secca e il pezzo di pane in silenzio, lo sguardo perso verso i resti dello stemma dei Custodi Grigi a terra.

Se loro padre aveva aiutato i Custodi ad intrappolare quella cosa lì sotto... perché nessuno aveva pensato prima ad ucciderla? E loro, ce l'avrebbero fatta?

Adaar le si sedette accanto, distogliendola dai suoi pensieri.

«Combatti bene.»

La guardò sorpresa, annuendo. «Anche tu. Non ho mai incontrato nessun mago che combattesse in questo modo, di solito sono più...»

«Cauti?» La Tal-Vashot assottigliò le labbra, minuscole cicatrici a sottolinearne il contorno. «Non sono sempre stata Adaar, sono stata Saarebas, e prima ancora Ben-Hassrath, ma mi è sempre piaciuto il campo di battaglia, l'adrenalina in corpo.» Gli occhi viola si posarono sulla sua spalla, dove Marian aveva la spessa cicatrice lasciata dall'ascia dell'Arishok. «Tu puoi capire.»

Annuì, incerta, osservando le vecchie ferite che l'altra aveva attorno al collo e ai polsi.

«Mi chiedevo perché l'Arishok ti avesse nominata basalit-an.» Proseguì Adaar, portando lo sguardo verso Garrett e Carver, che stavano parlottando sottovoce come due ragazzini intenti a bisticciare. «Forse comincio a capirlo.»

Prima che Marian potesse chiederle spiegazioni, la Tal-Vashot si era già alzata, lisciandosi i pantaloni di stoffa strappati in più punti e tornando da Cadash e Varric.




















Note dell'Autrice: finalmente ho finito di scrivere della parte di Legacy! Il prossimo capitolo è già in saccoccia e arriverà a breve. Il gruppo che si sta avventurando alla fortezza è parecchio variegato, mi è piaciuto farli interagire tra loro, ma soprattutto tutti e tre i fratelli Hawke si ritroveranno a confrontarsi con la memoria di Malcolm. 
A presto! :D 
 

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Capitolo 39
*** Echoes from the past ***


CAPITOLO 39
Echoes from the Past


 

 

Garrett prese qualche sorso d'acqua, appoggiando la schiena al muro dietro di sé e intercettando l'occhiata di Varric, che aveva tutta l'aria di chi avrebbe preferito essere da qualsiasi altra parte. Prima che potesse alzarsi e andare a condividere qualche lamentela con l'amico, però, il Comandante Adrien raggiunse lui e Carver, sedendosi accanto a loro.

«Mi dispiace non poter condividere più informazioni con voi, Garrett.» Disse, facendo un cenno d'ammonimento al più giovane dei Custodi. «Ma purtroppo molti segreti dell'Ordine sono tenuti celati persino tra i nostri ranghi.»

Il mago esalò un sospiro stanco. «Vorrei solo sapere come nostro padre sia finito invischiato qua sotto.» Rispose, infilandosi in bocca un pezzo di carne affumicata. «Mi sono solo reso conto che di lui non sappiamo quasi niente, e il dover elemosinare qualche ricordo da ciò che ha lasciato indietro nell'Oblio...» scosse il capo, masticando di malumore. «Non è giusto.»

De Lancourt lanciò uno sguardo a Larius, che stava annusando con sospetto la razione di carne secca che gli porgeva Oghren. «Il Comandante Larius sovraintendeva tutti i Liberi Confini fino a quattro anni fa, quando ha avuto la sua Chiamata. Ha passato a me l'incarico, abbiamo combattuto fianco a fianco qualche volta, che non abbia ancora trovato pace mi destabilizza un poco. Noi Custodi... non so quanto ti abbia detto Anders, ma quando sentiamo la nostra Chiamata, scendiamo nelle Vie Profonde a dare per un'ultima volta la nostra vita per respingere la Prole Oscura. Non dovrebbe essere ancora vivo, non voglio immaginare il tormento che sta provando.»

Garrett rimase ad ascoltarlo, conficcandosi le unghie nei palmi. «Anders non ama parlarmi del suo essere un Custode Grigio. Dice che fino a quando non arriverà il suo momento, non ha intenzione di rovinare il nostro... rapporto.»

«L'ultima volta che siamo stati a Kirkwall... quando hanno rinchiuso te e tua sorella per tradimento, il vostro amico Tethras l'ha dovuto sedare. Quello che probabilmente non vi ha detto, è che abbiamo dovuto tenerlo fermo in quattro nel frattempo che il sonnifero faceva effetto. C'era qualcosa di diverso, in lui. O meglio, qualcuno.» Gli occhi verdi dell'orlesiano si puntarono nei suoi, inquisitori. «Giustizia non è più lo spirito che ho conosciuto ad Amaranthine, Garrett, e Anders non era in sé in quel momento. Fai attenzione.»

Garrett lanciò uno sguardo dietro di sé a Marian, che dava loro le spalle, apparentemente intenta a ripulire la spada dal sangue della giornata. Abbassò la voce. «Non è pericoloso, di solito lo tiene a bada.» Stava nascondendo la realtà dei fatti, ed ebbe il sospetto che De Lancourt gli leggesse dentro mentre l'altro annuiva lentamente. «Stiamo cercando un modo per liberarlo e farlo tornare nell'Oblio, ma per il momento non abbiamo avuto fortuna. Anders dice che è vicino ad una soluzione, ma non...» si umettò le labbra, grattandosi nervosamente il mento. «Non credo mi stia dicendo la verità.»

«Tutti abbiamo i nostri segreti.» Rispose l'orlesiano, sospirando. «E tutti facciamo degli errori.»

Garrett decise di ignorare lo sguardo preoccupato del fratello, puntato su di lui. «Stiamo facendo del bene. È questo che conta.»

Il Comandante si guardò attorno, accennando all'ambiente circostante. «Scommetto che anche i Custodi Grigi che hanno costruito questa prigione pensavano di essere nel giusto. Vedremo domani se avevano ragione.» Si rialzò in piedi, raggiungendo Oghren e Larius, un'ombra di tristezza sul volto. «Dormite pure, faremo noi il primo turno di guardia.»

Carver lo seguì con gli occhi. Notando che il fratello lo stava fissando, si affrettò a distogliere la sua attenzione dai Custodi, giocherellando con le fibbie dello spadone che teneva in grembo.

«Stai bene?» Gli chiese Garrett, semplicemente.

L'altro annuì. «È solo che da quando siamo arrivati alla fortezza, sento come delle voci nella testa. E più scendiamo, più si fanno forti, non è solo la vicinanza con la Prole Oscura, a quella sono ormai abituato, è qualcosa di più profondo, più...» scosse il capo, come a scacciare un pensiero fastidioso. «Teme di essere vicino alla sua Chiamata, il Comandante. Vedere Larius in quello stato...»

«Quanti anni avete?»

Carver si strinse nelle spalle. «Nessuno lo sa con precisione. Alcuni servono per trent'anni, altri addirittura quaranta, ma sono rarissimi casi. Durante un Flagello, la media si abbassa notevolmente, ma il Quinto è stato così breve che a quanto pare non hanno registrato grandi cambiamenti. Il Comandante fa parte dell'Ordine da quasi vent'anni, sa di non avere molto altro da vivere.»

Garrett non potè evitare di lasciarsi sfuggire un piccolo sospiro di sollievo, a quella notizia. Trent'anni. Per Carver, per Anders. Avrebbe continuato a ricevere lettere scorbutiche e visite inaspettate per un altro ventennio, e non avrebbe dovuto preoccuparsi di svegliarsi in un letto vuoto per almeno un altro po'...

Il fratello, inaspettatamente, gli mise una mano sul braccio. «È stata una mia scelta, Garrett.» Disse, la voce ferma, gli occhi color dell'oceano puntati nei suoi, uguali a quelli del padre. «Sono stato io ad insistere per unirmi a quella spedizione, ed è solo colpa mia se sono rimasto ferito dalla Prole Oscura. Tu non c'entri nulla con quello che è successo dopo.»

Con un nodo alla gola, Garrett si sforzò di annuire. «È che... se solo avessi dato retta a Marian e nostra madre, forse ora saresti a casa con Merrill, a pianificare una vita tranquilla.»

Carver sbuffò divertito. «Come la vostra?» Accennò a Marian, che dava ancora loro le spalle. «Puoi unirti alla conversazione, sai?» Alzò la voce. «Stai origliando.»

La sorella si voltò, le guance rosse. «Non è vero, stavo solo... è che non siete tanto lontani.»

Garrett sprofondò nel terrore. Cosa aveva sentito su Anders?

Marian sembrò cogliere al volo il motivo della sua preoccupazione, sedendosi loro accanto. «Ho sentito il Comandante parlare di Anders e del suo spirito. Non mi hai mai voluto dire niente, quindi ne ho approfittato.»

«Non mi hai mai più chiesto niente.» Rimbeccò il mago. «Non da quella volta ai Satinalia.»

La templare si mordicchiò il labbro inferiore, sfuggendo al suo sguardo. «È sempre stato difficile parlare con te, ogni volta che tocco un argomento sensibile ho paura di scatenare l'ennesima lite.»

«Non dobbiamo litigare per forza.»

Fu Carver a scoppiare a ridere, sollevando un sopracciglio. «Come no, siamo sempre stati così bravi a comunicare tra noi.»

Marian fece un cenno verso di lui, come a dire “visto?”. Garrett si unì all'ilarità del fratello, scuotendo il capo. «Lo so, ma possiamo sempre migliorare.»

«A me basta che tu sia al sicuro.» La sentì sussurrare con un filo di voce. «Se dici che quella cosa che possiede Anders, Giustizia o quello che è, non rappresenta un pericolo per te o per la città... allora ti credo.» Sollevò gli occhi nei suoi, uguali a quelli del fratello minore. «Lo è?»

Si sentì un verme ad annuire, cercando di suonare convincente, nonostante non credesse molto alle parole che stava per pronunciare. «È uno spirito, non un demone.»

«C'è così tanta differenza?» Si intromise Carver, curioso. «Merrill ne parla come se fossero più o meno simili, Korva ci ha avuto una discussione parecchio accorata l'ultima volta che si sono viste.»

Garrett si grattò la barba, nervoso. «Uno spirito può essere trascinato a forza oltre il Velo, e ciò porta a corromperlo, diventando un demone. Ma non è il caso di Giustizia, Anders si è offerto di aiutarlo e lo spirito ha accettato di sua spontanea volontà.»

«Ho visto troppi abomini in questi anni per fidarmi ad occhi chiusi ma... se lo dici tu.» Concluse Marian in tono stanco. «Non mi fido di lui, né del suo spirito o demone che sia, però mi fido di te.»

Si sforzò di sorridere, sperando di non dare a vedere il groppo che sentiva in gola. Dopo un poco, si misero a dormire l'una accanto agli altri, e per un folle attimo prima di addormentarsi gli sembrò di essere tornato a Lothering, l'odore stantio e marcio nell'aria che si tramutava in erba umida e zuppa calda, il legno che ardeva nel focolare, il pesante trascinare la zampa posteriore di Rufus sul pavimento di pietra grezza, seguito dallo scalpiccio irruento di una Bu appena cucciola.



 

L'ultimo turno di guardia lo trovò acciaccato e dolorante dall'aver dormito su un pavimento così scomodo, il mal di schiena che continuò a perseguitarlo ore dopo che si erano rimessi in cammino.

«Ti sei già dimenticato i bei vecchi tempi in cui condividevamo il tugurio di Gamlen?» Lo prese in giro Carver, dopo che ebbero trovato un'altra delle ombre imprigionate per fornire energia alle barriere magiche che li intrappolavano là dentro.

«Ammetto che dormire in un comodo letto a baldacchino dal materasso di piume ha aiutato a cancellare i traumi di quel posto, sì.»

La risposta del fratello venne inghiottita dallo stridio sinistro della creatura, liberata da Marian. Se ne liberarono in fretta, aspettandosi già di sentire la voce del padre.

«Ce l'ho fatta, Leandra. Ho comprato la nostra libertà. Possiamo andare a casa, ora, noi e la bambina.» Disse il ricordo di Malcolm impresso nell'Oblio. «Spero prenda tutto da te, amore mio, non augurerei la magia a nessuno... spero solo che non scopra mai quello che ho fatto qui.»

Garrett serrò la presa attorno all'arco del padre, i cristalli su di esso ricolmi di energia magica, lo sguardo basso verso il terreno.

«Non voleva un figlio che sapesse usare la magia?» Commentò Carver, una nota ironica nella voce. «Gli è andata bene, allora, solo due su quattro.»

Marian gli lanciò un'occhiata ammonitrice, voltandosi verso Garrett. «Non ha rimpianto di avervi avuto nemmeno per un attimo.»

Inspirò profondamente. «Forse alla fine sì.»

«Non dirlo nemmeno per scherzo.» Lo riprese la sorella, stringendo la presa.

«Se non fossi stato un imbecille pieno di sé-» Il pugno che gli arrivò sulla spalla gli mozzò il fiato, cacciandogli un urlo di sorpresa e dolore. Si voltò verso Carver, esterrefatto. «Perchè?»

«Perchè sei un coglione, ecco perché. Non ti azzardare ad addossarti altre colpe.»

«Ma è stata colpa mia.»

«Sì, hai fatto una cazzata. E sì, papà è morto per proteggerti.» Ringhiò il più giovane, gli occhi lucidi. «Ma chiudi quella bocca, perché se ti sentisse parlare così te ne tirerebbe un'altra.»

«Carver ha ragione. Non ha senso rivangare il passato.»

«Se non fossi nato con il dono...»

«Bethany sarebbe stata da sola, e si sarebbe sentita ancora più fuori posto e colpevole di quanto già non pensasse.» Ribattè Carver. «Ripeteva sempre che voleva essere normale, come me e Marian, ma almeno aveva te come esempio da seguire. Io ero geloso delle ore che trascorrevate con papà, ma lei tornava sempre più sicura di sé, più tranquilla. Non infangare la loro memoria.»

Prima che potesse pensare ad una risposta, Carver diede loro le spalle, raggiungendo gli altri due Custodi a passo veloce.

«Ha ragione.» Disse semplicemente Marian, guardandolo allontanarsi.

«È cresciuto.» Garrett sospirò pesantemente, massaggiandosi la spalla ancora dolorante. «Non mi aspettavo una ramanzina dal nostro fratellino.»

«Questo sottolinea quanto te la meritassi.»

Un pensiero gli balenò in mente. «L'ombra di papà... ha detto “ho comprato la nostra libertà”, che significa?» Chiese, abbassando la voce affinché solo la sorella potesse sentirlo.

Marian lanciò un'occhiata sospettosa ai Custodi Grigi. Larius farneticava qualcosa a mezza voce, mentre De Lancourt si guardava attorno con aria critica.

«Il pazzo si ricorda molto più di quanto non voglia dare a vedere.» La voce di Adaar li fece sobbalzare dallo spavento. Per essere così imponente, non l'aveva sentita arrivargli alle spalle. Teneva gli occhi viola puntati sul Custode delirante, il volto corrucciato. «E il Comandante se n'è accorto, ma teme che se dovesse fargli delle domande, voi potreste non gradire le risposte.»

«Perché, c'è qualcosa che potremmo gradire, qui sotto?» Borbottò Garrett, storcendo la bocca.

«Un'uscita.» Rispose tetra la Tal-Vashot, precedendoli e andando ad affiancare i due nani, il gigantesco maglio da guerra sulla spalla.

In breve, trovarono un altro dei sigilli, l'altare circondato da bracieri in pietra che emanavano fiamme innaturali, guizzanti nonostante l'assenza di correnti d'aria. Si prepararono allo scontro, e dopo un combattimento acceso con il demone, le fiamme si spensero.

Larius posò gli occhi ciechi sulla templare. «Sente i sigilli indebolirsi. Si sta svegliando.»

«Corypheus?» Chiese Marian, cercando di sostenere quello sguardo. «Sta dormendo, ma riesce a parlare con la Prole Oscura e quelli come voi, pur non essendo un Arcidemone... come?»

«Ne imita il canto.» Le rispose, portando la sua attenzione sul Comandante Adrien, scuro in volto. «È più di un Prole Oscura, e più di un essere umano. Lui pensa, ci chiama, attraversa il Velo nel suo lungo sonno.»

«È un Prole Oscura che si è risvegliato, dunque?» Prese la parola De Lancourt, avvicinandosi. «L'Artefice era libero. Che genere di potere può superare i sigilli che lo intrappolano nel sonno, per far sì che riesca comunque a chiamarci a sé?»

«Nel suo sogno, può sentire, ma non sapere.» Larius scosse il capo, guardandosi alle spalle. «Quando i sigilli saranno spezzati, lui si sveglierà e dovrà morire.»

Le risposte sibilline non sembrarono rassicurare nemmeno il Comandante Adrien, che strinse la mascella e fece segno di proseguire.

«Non mi piace.» Commentò Varric, accarezzando nervosamente Bianca. «Non so nulla di Prole Oscura, ma se dicono che sentono qualcosa che gli canta nella testa...»

«Con Bartrand era diverso, lui era entrato in contatto con quel lyrium rosso.» Cercò di rassicurarlo Garrett, ma anche lui aveva la pelle d'oca. «Noi senza corruzione dovremmo esserne immuni.»

«So solo che non voglio mai più scendere sottoterra.»

«A chi lo dici...»

Si inoltrarono ancora di più nelle profondità dell'abisso, rompendo anche l'ultimo sigillo.

Camminavano ora sul fondo del crepaccio, l'aria innaturalmente malsana, il Velo talmente sottile che ad ogni passo gli sembrava di sentir sussurrare le creature dall'altra parte.

Ad un certo punto, Larius si immobilizzò di colpo, guardandosi attorno spaventato. «Sono qui.»

«La Prole Oscura?»

Fu Oghren a rispondergli, scuotendo la testa e afferrando saldamente l'ascia, gli occhi puntati alla loro destra: in cima alla scalinata, delle figure si avvicinavano lentamente. «Sono Custodi.»

«Non più!» Ringhiò Larius, ritraendosi. «Ascoltano Corypheus, ora, sono al suo servizio.»

Quattro Custodi Grigi entrarono nel loro campo visivo, le armature sporche di polvere ma apparentemente illesi. Quella che guidava il gruppo, una donna con un grosso bastone da mago sulle spalle, sollevò un braccio per fermare i suoi. «Comandante. Ci avete portato Hawke e la Chiave, vedo. Finalmente vi siete reso conto del vostro errore.»

De Lancourt si irrigidì, facendole appena un cenno di saluto col capo. «Janeka. Cosa significa tutto questo? Pensavo di essere stato chiaro nel mio rapporto, la Prole Oscura risvegliata è pericolosa.»

Quella si esibì in un ghigno derisorio. «Sei il solito sciocco. Non vedi le potenzialità di questa opportunità che ci si presenta? Potremmo porre fine ai Flagelli, una volta per tutte. Con il potere di Corypheus, controlleremo la Prole Oscura e gli Antichi Dei non verranno più risvegliati!»

«Non sono parole tue, Janeka, torna in te!» Sbottò il Comandante, avvicinandosi di qualche passo verso di lei. «L'Artrfice ha tentato di convincerci a fare lo stesso, voleva liberare la Prole Oscura dall'influenza degli Arcidemoni, ma a che prezzo? Vuoi davvero liberare una creatura tanto potente da comandarli tutti, da insinuarsi persino nelle nostre menti?» La guardò quasi a supplicarla, esitando un secondo in più. «Puoi combatterlo. Lo sento anche io, da quando siamo entrati alla fortezza, ma non è altro che una finta Chiamata. Siete Custodi Grigi, noi esistiamo per uccidere la Prole Oscura, non per aiutarla!» Alzò la voce, rivolto anche agli altri dietro Janeka, che tuttavia sembravano non fare caso alle sue parole.

La donna assottigliò lo sguardo, prendendo il mano il suo bastone magico. «Non sei solo cieco, ma ingenuo. Aiutarla?» Scoppiò a ridere, un suono aspro e privo di gioia. «Non sto stringendo un patto con Corypheus, non prendermi per stupida. Ho fatto le mie ricerche, e ho trovato un incantesimo per piegarlo al mio volere. Sarà la nostra arma contro il Flagello, e tutti vedrete che avevo ragione.» Portò la sua attenzione su Garrett, spostandola poi sulla sorella. «Voi due. Tu hai la sua magia nel sangue, ma lei ha attivato la Chiave. Insieme, romperete il sigillo e risveglierete Corypheus.»

«Con un bel rituale di magia del sangue, magari?» Garrett si tirò istintivamente indietro, l'arco del padre stretto tra le mani. «Scordatelo. Non libererò alcun Prole Oscura, non mi fido di una pazza che parla con le voci nella sua testa.»

Marian annuì, affiancandosi più vicina a lui. «Lo uccideremo.»

Janeka sorrise, malevola. «La magia del sangue vi spaventa? Non è altro che un'assurda e bigotta idea imposta dalla Chiesa, quella che vi è stata inculcata, per combattere i Flagelli siamo sempre ricorsi ad ogni mezzo necessario. Non è vero, Comandante?»

De Lancourt aveva portato la mano sull'elsa della spada, la postura tesa. «Quando è necessario. Come quella usata per incatenarlo a questo luogo, per esempio. Non certo per lasciarlo libero di scatenare un altro Flagello, o peggio.»

«Codardo.» Sputò lei con una smorfia disgustata. «Non ti sei mai fidato di me. Non mi hai lasciato prendere il più giovane dei figli di Malcolm Hawke-»

«Comandante?»

Quello si girò verso Carver, facendogli segno di tacere. «È uno dei miei, ma è giovane. Hai richiesto un trasferimento per una fortezza dimenticata tra le montagne di cui non sapevo nulla, non gli sarebbe servito a niente seppellirsi qui sotto. E ho avuto ragione a non concederti il trasferimento.»

Oghren sogghignò. «Il ragazzo se ne sta bene con noi, squilibrata.»

«Romperò quel sigillo, con o senza di voi!» Urlò Janeka, fuori di sé dalla rabbia.

Prima che il Comandante e Oghren potessero raggiungerla, mosse il bastone davanti a sé, e una muraglia di fuoco si innalzò tra i due gruppi, le fiamme che ruggivano alte e indomabili. «Andiamo!» Ordinò ai suoi, voltando loro le spalle e iniziando a correre per il ponte.

«Janeka!» La chiamò De Lancourt, più volte, cercando di sovrastare il frastuono del fuoco magico.

«Ci penso io.» Si intromise Marian, avanzando fin quasi a toccare le fiamme. A Garrett non sfuggì la boccetta di lyrium che teneva in mano, di un azzurro brillante. Appena la stappò, gli giunse alle narici l'odore metallico ed elettrico della sostanza.

Vide la sorella chiudere gli occhi, un tremito che la percorreva, prima di riaprirli. Erano innaturalmente chiari, e per qualche secondo sembrò faticare a mettere a fuoco, rivolta verso le fiamme magiche.

Garrett strinse il bastone, preparandosi al senso di nausea e spossatezza che stava per arrivare, l'aura antimagia sprigionata dalla templare che colpì l'area tutto attorno a loro, rischiando di spedirlo direttamente in ginocchio, le gambe molli e un macigno sulle spalle. Barcollò all'indietro, mentre le fiamme svanivano in uno sbuffo.

Sentì un ringhio basso, gutturale, e con la coda dell'occhio vide Adaar scuotere violentemente il capo, un'espressione sofferente in volto ma salda sulle gambe.

«Andiamo, dobbiamo raggiungerli.» Li spronò De Lancourt, ringraziando Marian con un cenno e scattando a correre dietro a Janeka e i suoi.

Erano a metà del ponte quando un urlo dal fondo gli impose di fermarsi.

Il Comandante sembrò esitare, ma si voltò verso Cadash, furente. «Cosa vuoi, contrabbandiere?»

Il nano lo raggiunse ansimando come un mantice, le mani premute sulle ginocchia, cercando di riprendere un secondo fiato. «Evitare di finire ammazzati, razza di coglione presuntuoso.» Rantolò indicando un punto poco più avanti, ad appena un paio di passi dal piede di Carver. «Torna indietro, tu, se ci tieni alla gamba.»

Garrett fissò intensamente il terreno, non notando niente di particolare sul pavimento di pietra ambrata venata di scuro che stavano calpestando.

«Una delle tue?» Domandò Varric, mentre Stök si era già chinato ad esaminare con la punta delle dita una minuscola crepa, seguendola fino ad un nodo dove ne partivano altre, quasi invisibili.

«Già. Qualcuno che ha lavorato con me, sicuramente.» Estrasse due attrezzi di metallo sottile, uno dritto e l'altro che terminava con una punta curva, e li incastrò parallelamente in una delle venature. Che si scoprì non essere affatto ciò che sembrava.

Un sonoro scatto metallico risuonò per tutto il ponte, che tremò un poco prima di riassettarsi.

«Ora possiamo proseguire.» Annunciò Cadash, rialzandosi soddisfatto. «A meno che uno di voi voltafaccia non abbia voglia di ammazzarsi prima che mi debba scomodare io?» Chiese a voce alta.

Da dietro alcune colonne, poco più avanti a loro, uscirono una mezza dozzina di nani del Carta, i volti tatuati e gli occhi bianchi, la pelle che mostrava i segni della Corruzione.

«Janeka dice che serve solo il sangue, dopo aver rotto i sigilli.» Parlò uno di loro, camminando lentamente verso di loro. «Sarete voi a morire.»

«Gard, brutto figlio di puttana...» digrignò i denti Stök, riconoscendolo. «Sei sempre stato una mezza sega, ma non pensavo fossi anche un imbecille.»

I nani si scagliarono contro di loro, ma non fecero nemmeno tre metri che vennero letteralmente spazzati via dai due maghi.

Garrett scattò in avanti, lanciando loro contro una scarica elettrica che, nonostante la naturale resistenza ai nani contro la magia, li paralizzò sul posto. Il resto lo fece Adaar, evocando delle schegge di ghiaccio lunghe più di un metro e larghe la metà, che si schiantarono con violenza sugli avversari, facendoli volare di sotto in un rumore di ossa rotte e urla di dolore.

Il Comandante Adrien non commentò, ma riprese a correre come nulla fosse. Passandogli accanto, Garrett poté chiaramente udire Stök insultarlo in una serie di lingue più o meno conosciute.

Arrivarono alla fine del ponte, il fiato corto.

Una gigantesca serie di archi di pietra poggiavano su una piattaforma di marmo plumbeo, sormontati da un'altissima cupola appuntita. Ai quattro punti cardinali della base, era situata una statua dorata di un grifone, con ai piedi un braciere di fuoco sovrannaturale.

Janeka li stava aspettando, gli altri tre Custodi al suo fianco con le armi in pugno. «Consegnami gli Hawke, Adrien, e garantirò una morte rapida sia a te che a quel relitto che hai scelto di seguire.»

«Scordatelo.» Rifiutò lui, spostandosi come a coprirli dalla traiettoria. «Sanno quale sia la scelta giusta, a differenza tua.»

La donna scoppiò nuovamente a ridere. «Scelta?» Lo scimmiottò, divertita. «Curiosa terminologia, da parte di un Comandante... diglielo, Larius, hai forse dato una scelta a Malcolm Hawke, quando l'hai portato qui? Com'è riuscito a convincerlo a collaborare ad un rituale di magia del sangue, il nostro stimato Comandante?»

Garrett si voltò lentamente verso l'uomo, sgranando gli occhi. «Che significa?»

Larius si incurvò su se stesso, scuotendo il capo. «Ho fatto quello che era necessario. Ci serviva un mago, un mago potente, che non avesse la Corruzione dentro di sé.»

Fu Marian ad avanzare, la spada già sguainata. «Cosa hai fatto a nostro padre?»

De Lancourt cercò di fermarla, afferrandola per un braccio. «Non è questo l'importante, adesso, dobbiamo concentrarci su-»

«Dimmi cosa avete fatto a mio padre!» Ringhiò Marian, e per un attimo Garrett ebbe paura che l'avrebbe colpito pur di arrivare a Larius, gli occhi puntati sull'anziano Custode. «Voglio la verità, è da quando siamo scesi qua sotto che ci nascondete qualcosa!»

Garrett si avvicinò anche lui, e persino Carver sembrava in conflitto con sé stesso.

Fu Janeka a risponderle, sorridendo maligna. «Alec mi ha raccontato tutto, Larius. Di come abbiate sequestrato sua moglie, incinta di uno di loro... non gli avete dato molta scelta, allora, vero?»

Garrett si accorse dell'energia magica attorno a sé solo quando minuscole scintille iniziarono a danzare minacciosamente attorno al bastone che era stato del padre, sentendo la rabbia montargli dentro. «Voi... avete fatto cosa?»

«Comandante, sta dicendo la verità?» Chiese Carver a De Lancourt, che abbassò il capo.

«I Custodi Grigi sono chiamati a compiere atti difficili, a volte. Non posso condannarlo.» Rispose in tono piatto, ma gli occhi guizzarono nuovamente verso Larius, colmi di risentimento.

«E tu ne sai qualcosa, vero Adrien?» Sputò velenosa Janeka, portando poi la sua attenzione su Garrett. «Sei potente, Hawke. Lo sento nel Velo tutto attorno. Spezza il sigillo, e aiutami a legare Corypheus alla mia volontà. Non ci sarà più Prole Oscura da combattere, nessun altro Flagello, nessuno sarà più costretto a scappare dalla propria casa per un futuro incerto.» Allargò il ghigno, folle. «E tuo fratello vivrà gli anni che gli restano senza rischiare di morire ad ogni passo, sacrificandosi inutilmente per una guerra che non ha senso di continuare ad esistere.»

«Non darle retta.» Si intromise Carver, affiancando il suo Comandante con la spada in pugno. «Siamo Custodi Grigi. Il sacrificio è nel nostro giuramento.»

«Avresti ucciso nostra madre?» Chiese Marian a Larius, e si vedeva che stava a stento tenendo a freno la rabbia. «Tutto perché non potevate trovarvi un altro mago?»

Larius scosse il capo. «No, non siamo arrivati a tanto... abbiamo convinto suo padre a lasciarli partire, in cambio dell'aiuto di Malcolm Hawke.»

«Ma l'avresti fatto.»

L'uomo non rispose, un silenzio pesante che diceva già tutto.

Garrett affiancò i fratelli, squadrando Janeka in segno di sfida. «Larius si sarà anche comportato come uno stronzo, ma non ho intenzione di fidarmi di un Prole Oscura più chiacchierone degli altri. Soprattutto se è raccomandato da una schizzata che ha mandato più di un assassino contro la mia famiglia, pur di arrivare al nostro sangue.»

«Di tutte le stronzate che hai detto, qualcosa l'hai capito.» Replicò la donna, puntando il bastone davanti a sé. «Ho bisogno solo del vostro sangue.»

Lanciò una fiammata davanti a loro, ma rimbalzò su una barriera di ghiaccio eretta in tempo da Adaar, che si lanciò alla carica a testa bassa. I Custodi si scontrarono gli uni contro gli altri, e Garrett doveva fare attenzione a dove mirava con le sue frecce, concentrandosi sull'eliminare l'arciere che si era nascosto dietro una delle statue dorate. In breve, rimase solo la maga.

Janeka si preparò a lanciare un altro incantesimo, ma venne neutralizzata da Marian, che diede modo a De Lancourt di colpirla con il proprio scudo, spedendola a terra con un gemito.

Si sollevò sui gomiti, guardandolo con odio, un rivolo di sangue che colava dalla bocca e dal naso spaccati. «Stai buttando nel cesso un'opportunità irrinunciabile, Adrien.»

«Mi rincresce che tu non sia mai riuscita a distinguere tra opportunità e tentazione.»

Il volto tumefatto della donna si aprì in un ghigno, mentre roteava gli occhi all'interno del cranio. La temperatura si abbassò di colpo, e decine di sottilissimi tentacoli di magia si propagarono da lei al Comandante prima che quello potesse tirarsi indietro, sollevandolo ad un paio di metri da terra mentre Janeka si rimetteva in piedi, fissandolo con le orbite iniettate di sangue. Lo guardò dimenarsi furiosamente, chiamandola per nome, disarmato. «Sarà l'ultima volt-»

Emise un verso strozzato, le parole che le morivano in gola mentre si afflosciava al suolo crollando a faccia in giù sul marmo, l'ascia di Oghren conficcata nella schiena.

De Lancourt cadde a terra, improvvisamente libero. Tossì violentemente, sfregandosi il collo dove i tentacoli di magia avevano lasciato il segno, gli occhi puntati sul cadavere della donna. Li chiuse per un attimo, mormorando qualcosa che Garrett non riuscì ad udire, afferrando poi la mano che gli porgeva Oghren. «Grazie.»

«Mi dispiace, Adrien.»

L'orlesiano scosse la testa, dando le spalle a ciò che restava di Janeka. «È sempre stata imprudente.»

Larius li aveva già superati, andando ad esaminare più da vicino l'altare ottagonale situato al centro della struttura, una serie di cerchi concentrici e altre figure geometriche tutto attorno. Dove si intersecavano, si ergeva un bastone di metallo chiaro e bluastro, simile a quello della Chiave: all'incirca ad un paio di spanne dal centro, vi era un cristallo dello stesso colore del rubino sulla guardia della lama che aveva trovato Marian, ma un poco più grosso. L'estremità superiore terminava con un perno vuoto, all'incirca della dimensione dell'impugnatura e del pomolo.

«È un bastone magico.»

Una fioca luce proveniente dai bracieri sotto le statue si univa al centro della piattaforma, e Garrett poteva chiaramente sentire qualcosa muoversi convulsamente al di là dell'ultimo sigillo.

«Si sta svegliando. Usate il sangue e la Chiave, uccidetelo prima che riacquisti le forze.» Li spronò Larius, guardando lui e Marian. «Il suo sangue ferma la magia, può spezzare i sigilli ma non aprire la gabbia. Tu, tu puoi completare il rituale.» Spiegò balbettando, reggendosi la testa come se anche solo mettere le parole in ordine gli costasse un'immane fatica.

Si scambiò uno sguardo incerto con la sorella. «Insieme?»

Marian scrutò con aria torva il sigillo sull'altare. Frugò nella sacca che portava alla cintura, estraendone un'altra boccetta di lyrium e bevendola avidamente. Si riprese dopo qualche istante, annuendo. «Insieme.»

La vide incastrare la Chiave sulla sommità del bastone incastonato nella piattaforma, che si illuminò di una luce scarlatta e accecante, il Velo che turbinava impetuoso.

Garrett estrasse un pugnale, stendendo il braccio sinistro avanti a sé e ferendosi il dorso con la lama, lasciando cadere un rivolo di sangue sul sigillo.

L'intera stanza parve accendersi: prima si attivarono le linee geometriche che si intrecciavano sull'altare, poi i bracieri attorno esplosero in una fiammata alta fino quasi al soffitto, spegnendosi improvvisamente mentre innumerevoli intrecci e disegni comparivano brillanti per tutto il pavimento, collegandosi e facendo cadere la barriera che avevano sostenuto per duemila anni.

Il sigillo esplose, spedendoli all'indietro con forza sovraumana.

Dal nulla emerse una figura enorme e vagamente umana, ma dalle proporzioni sbagliate. Gli arti erano troppo lunghi, le dita terminavano con artigli ricurvi, le vesti cadevano larghe sul corpo scheletrico e le spalle larghe ricordavano gli assurdi abiti di qualche nobile stravagante. Ma fu il volto a colpire di più Garrett, e quando la creatura parlò, la bocca che si muoveva attorno agli spunzoni di cristallo scuro che gli spuntavano dal cranio, poté sentire il Velo rabbrividire all'unisono con lui, indietreggiando d'istinto e stringendo l'arco del padre.

«È forse questo un altro sogno?» Parlò la creatura, l'accento tagliente e la voce impastata. «Mi trovo per caso in terra nanica, lontano dalla superficie? Eppure, vuote mi appaiono le loro strade.» Si guardò attorno, apparentemente confuso, notando solo in quel momento le figure di fronte a sé. I suoi occhi si posarono infine su Garrett, che sentì una morsa di paura stringergli il petto. «Tu. Servi il tempio di Dumat? Portami dal primo accolito, necessito di conversare con lui.»

«Dumat...?» Balbettò senza capire, guardando i propri compagni.

«L'antico dio del Tevinter?» Chiese Marian, smarrita quanto lui.

«Fà silenzio!» La redarguì aspramente l'essere, insistendo a rivolgersi a Garrett. «Non appartieni forse all'Imperium? Prestami ascolto e obbedisci al mio ordine.»

«Riuscite a capirlo?» Si intromise Varric, stringendo Bianca.

Garrett e la sorella si girarono verso di lui all'unisono, confusi. «In che senso?»

«Nel senso che sta parlando una qualche specie di Tevene.» Grugnì Adaar, il maglio da guerra già sollevato, pronta a scattare.

Coryheus portò la sua attenzione verso la Tal-Vashot, fissandola incuriosito. «Un esperimento. Chi ti ha portata qui? E voi,» proseguì, spostando la testa verso i quattro Custodi Grigi «non siete umani, ma nemmeno nani.» Sembrò adirarsi, alzando poi il tono di voce. «Chiunque siate, dovete la vostra obbedienza ai Magister del Tevinter! In ginocchio!»

«Finalmente questo l'ho capito, anche se non ho alcuna intenzione di dargli retta.» Commentò Stök terreo in volto, rimestando nel suo zaino probabilmente alla ricerca di qualche bomba.

«Mi spiace darti la brutta notizia, ma i Liberi Confini vi hanno cacciati a calci nel culo da almeno seicento anni.» Ribattè Marian, cercando di darsi un tono. «E nessuno qui ha intenzione di riaccogliervi a braccia aperte.»

La creatura la guardò nello stesso modo in cui avrebbe potuto fissare un ratto intrufolatosi nel salotto del Palazzo del Visconte. «Impudens soporata!» Sibilò, sollevando una mano e bloccandosi poi a mezz'aria. «Voi. Posso sentirlo nel vostro sangue, il sigillo che mi ha tenuto imprigionato. Ma lei è sopita, tu, tu saresti un degno servitore dell'Imperium.» Si voltò a guardare oltre la cupola, verso l'esterno. «Dumat! Mio Signore, ascoltami! Che sorta di illusione è mai questa?» Chiamò rivolto al nulla, abbassando poi il capo, come rassegnandosi al non avere risposta. «La luce. Cercavamo la Città Dorata, ci offristi il potere degli dei, ma trovammo solo oscurità, tenebre. Per quanto tempo...?»

«La Città Dorata?» Vide Marian stringere spasmodicamente la spada, cercando di dare un senso a tutto quello che stavano udendo. «La Prima Profanazione, quando i Magister crearono il Flagello.»

Garrett si voltò incredulo verso la sorella. «Non starai dicendo...?»

«Hanno corrotto il mondo.» Parlò De Lancourt reggendosi il capo, la mascella serrata. «Porta dentro di sé la prima Corruzione, ecco perché riesce a parlare a quelli che sono rimasti infetti. Ha attirato la Prole Oscura qui sotto, assieme a Janeka e gli altri, riesce ad influenzarci.»

«Ma il sigillo non doveva impedirgli di risvegliarsi?» Chiese Garrett.

Fu Larius a rispondergli. «Il Sigillo lo teneva addormentato, ma non gli impediva di sognare. Non sa quanto tempo è trascorso, ma ha sempre cercato di liberarsi. Per questo i Custodi non restavano a lungo a guardia di questo luogo. Per questo ho dovuto chiedere aiuto ad un mago esterno all'Ordine, affinché non potesse corrompere il rituale per rinnovare la sua prigione.»

Garrett deglutì a vuoto, rifiutandosi di crederci. «Ma dai, non può davvero essere uno di quei magister... non potrebbe più semplicemente essere un Prole Oscura un po' tocco?»

Ricevette un'occhiata di fuoco da De Lancourt, che lo fece zittire immediatamente.

«Ora basta!» Tuonò Corypheus, e sollevando le braccia iniziò a fluttuare sopra il terreno, il Velo che fremeva mentre raggiungeva l'Oblio. «Se non posso andarmene con voi, me ne andrò tramite voi.»

Sprigionò attorno a sé una valanga di fiamme roventi, scagliandoli all'indietro.

Il calore era tale che Garrett faceva fatica a tenere gli occhi aperti, ma riuscì in qualche modo ad innalzare una barriera attorno a sé e ai Custodi. Marian reggeva davanti a sé lo scudo, illuminato fiocamente dello stesso colore azzurro del lyrium, e avanzava lentamente tra le fiamme, che si affievolivano al suo passaggio. Varric e Stök erano balzati indietro fuori dalla portata dell'incantesimo: li vide armeggiare con qualcosa e Varric puntò Bianca verso Corypheus, urlando loro parole che vennero inghiottite dal ruggito delle fiamme.

Un'esplosione di luce riempì la sala, seguita da urla di dolore.

L'esclamazione vittoriosa che gli era salita alle labbra morì presto, dovendo buttarsi di lato per evitare una scarica di fulmini che si schiantarono fragorosamente a terra, distruggendo il pavimento in miriadi di schegge affilate che andarono a graffiargli la carne, le orecchie che fischiavano dolorosamente per il frastuono della tempesta.

Vide Adaar urlare di rabbia, ignorando le fiamme che ancora li separavano dalla creatura e passandoci attraverso coperta da uno strato di ghiaccio, caricando il maglio alto sopra la testa.

Marian era più avanti, fronteggiando Corypheus fianco a fianco col Comandante, Carver e Oghren ai lati, e sarebbero stati sbalzati via da una seconda esplosione di elettricità non fosse stato per le abilità della templare, che riuscirono ad affievolire l'impatto. Riacquistarono l'equilibrio, ma l'avversario era già scomparso, riapparendo a qualche metro di distanza.

Il terreno sotto i loro piedi tremò fino a spaccarsi del tutto, e una serie di spunzoni di roccia affilata come lame proruppero dalle fratture, costringendoli a scostarsi per non rimanere infilzati, i guerrieri impossibilitati a raggiungere il loro obbiettivo.

Garrett caricò nuovamente l'arco, mirando ad una delle statue dietro la creatura, la freccia che si conficcata esattamente nel braciere incantato. La seconda si incastrò in una massa rocciosa alla sua destra, seguita da una terza e una quarta agli altri lati.

Attinse ulteriore energia dall'Oblio, sentendo una familiare sensazione riempirgli il petto di coraggio e risolutezza. Sferzò l'aria con l'arco del padre, le sfere su di esso che brillavano lucenti come piccoli soli mentre una gabbia di elettricità si propagava da ciascuna freccia, diramandosi in decine, centinaia di fulmini gli uni collegati agli altri, scoppiando letali e imprigionando Corypheus nel mezzo, colpendolo senza sosta. Un altro strappo nel Velo, e una dozzina di lame di ghiaccio comparvero sotto la creatura, trapassandola da parte a parte e facendo schizzare sangue nero come la pece tutto attorno.

L'essere ruggì di rabbia e dolore, mandando in frantumi il ghiaccio e facendo lo stesso con la gabbia, che però esplose in una bolla di energia letale, che lo lasciò fumante e scarnificato, parte del torace aperto, un intero braccio esposto fino all'osso dal moncone di mano al cranio che ora lo fissava con un'orbita vuota colante melma viscosa, i cristalli anneriti e spaccati ad aprirgli la testa. «Dumat, ascoltami!» Urlò quello, e Garrett strinse l'arco, non sapendo come evitare il colpo che sarebbe arrivato.

Il raggio rovente l'avrebbe sicuramente preso in pieno non fosse stato per il Comandante Adrien, che riuscì all'ultimo a sfruttare il punto cieco di Coripheus per conficcargli la spada nel fianco.

La creatura si voltò con un ringhio inumano, sollevando l'unica mano che gli restava e chiudendo gli artigli in aria, una forza invisibile che si avvinghiava al Custode e lo scaraventava lontano da sé, mandando a sbattere in uno schianto metallico contro una delle statue dal lato opposto della sala.

Sentì Oghren urlare qualcosa, mentre il mostro si voltava verso il nano e parava a mezz'aria la sua ascia, strappandogliela di mano e evocando altre fiamme attorno a sé.

Carver e Marian si lanciarono in suo soccorso, e nuovamente la magia dell'essere venne affievolita. Quello si girò per eliminare la templare una volta per tutte, lanciandole addosso una scarica di fulmini che colpirono Carver di striscio, facendolo gridare di dolore mentre si accasciava in ginocchio, la spada a cadergli di mano, tremante.

Garrett urlò di rabbia, scattando in avanti e cercando di proteggere la sorella con una barriera, che tuttavia non riuscì ad attecchire per colpa del lyrium appena ingerito.

Oghren si riprese in tempo e, pur disarmato, si buttò di peso contro Corypheus prima che quello potesse afferrare Marian nella sua morsa fiammeggiante, frapponendosi tra i due.

Il corpo del nano sembrò da principio reggere l'impatto. Per un attimo il tempo parve fermarsi, e come in una visione nell'Oblio videro le fiamme dalla mano del mostro salire a lambirgli la chioma purpurea, gli artigli conficcarsi nella carne del collo tozzo, le scintille fondersi in un unica forma cangiante, l'armatura di metallo che si accendeva, fumante mentre bruciava stoffa e carne sottostanti. L'urlo di Oghren lo fece gelare fin dentro le ossa, coperto poi dall'orrendo suono del metallo che si spaccava, una colonna di fiamme ad alzarsi al posto del Custode.

Dopo una manciata di istanti, del Custode che aveva combattuto nel Quinto Flagello non restarono altro che resti carbonizzati.

Garrett non si rese nemmeno conto di stare urlando, ma qualcosa lo urtò nella sua corsa.

Il Comandante Adrien, i lineamenti distorti dalla furia, si lanciò contro Corypheus come un drago assetato di sangue, ignaro dell'enorme squarcio al fianco, lo scudo troppo pesante ormai abbandonato, riuscendo a tranciargli anche l'altro braccio.

Vide Marian alzare a fatica gli occhi dal corpo ridotto in cenere del Custode e sollevare la spada luminescente avanti a sé, colpendo l'essere ad una gamba ed inchiodandolo a terra per impedirgli di svanire di nuovo.

Fu Carver a sferrare il colpo decisivo, il volto solcato da lacrime di dolore e rabbia, urlando con tutto il fiato che aveva in corpo e conficcando lo spadone tra le scapole del mostro, che cacciò un ultimo grido disumano prima di collassare sul terreno in un informe ammasso putrido.

Li raggiunse qualche istante più tardi, affiancandosi alla sorella senza sapere cosa fare.

Il Comandante era caduto in ginocchio accanto ai resti del compagno, lo sguardo basso e il pugno serrato contro il terreno. Carver, accanto a lui, piangeva sommessamente. Adaar li raggiunse subito dopo, chinando rispettosamente il capo, e persino Stök e Varric sembravano a corto di parole.

«Mi dispiace.» Sussurrò Marian, spezzando il silenzio. «Mi ha salvata.»

Dopo un lungo istante, il Comandante portò lo sguardo su di lei. «Ha avuto una morte da guerriero. Era quello che voleva.»

«Dovremmo dirlo a Felsi...»

De Lancourt annuì in direzione di Carver, accettando di buon grado l'aiuto del più giovane per rialzarsi, il volto terreo e il fianco che perdeva copiosamente sangue. «Terremo i funerali ad Ansburg, poi porterò io stesso notizie di quanto accaduto qui a Weisshaupt.»

«Posso cercare di richiudere la ferita...» sussurrò Garrett, ancora scosso, indicandolo con un cenno della mano. «Non sono un guaritore, ma Anders-»

«Fai quello che puoi, ti ringrazio.» Tagliò corto De Lancourt, cercando di non far trapelare il dolore che doveva provare mentre Carver lo aiutava a camminare verso il ponte di pietra, la mascella contratta. «Ci aspetta almeno un'altra giornata di cammino per uscire da qui, ora la Prole Oscura tenterà di ostacolarci senza nessuno più che la guidi.»

Il più giovane degli Hawke lo adagiò delicatamente ai piedi di una delle statue, iniziando con Marian a togliergli l'armatura distrutta. La ferita era profonda, ma non quanto si sarebbe aspettato, pensò Garrett mentre esaminava lo squarcio e iniziava ad incanalare il mana per ricucire i tessuti. Si sentì svuotare da ogni energia, ma attinse sempre di più dall'Oblio, sforzandosi di mantenere il contatto fino a che non rimase solo una spessa cicatrice dai bordi dentellati.

«Ho fatto del mio meglio.» Esalò con un filo di voce, asciugandosi il sudore freddo dalla fronte.

Il Comandante rivolse uno sguardo critico al suo lavoro, annuendo poi soddisfatto. «Basterà, non è la prima e posso solo pregare il Creatore che non sia l'ultima.» La sua attenzione tornò a dove avevano lasciato i resti di Oghren e di Corypheus. Corrugò la fronte. «Comandante Larius?»

L'uomo si ergeva in piedi poco distante da essi, apparentemente sovrappensiero, ma si voltò lentamente verso di loro, uno sguardo meno febbrile negli occhi ora appena velati da una patina chiara ma non più ciechi. «Avete fatto un ottimo lavoro. Molto più di quanto ottennero i Custodi Grigi di un tempo.» Fece loro un cenno col capo, avanzando lentamente, non più zoppicando e tremando ma come se un peso gli fosse stato tolto dalle spalle. «La mia mente ora è calma. Potrò ritornare a cercare il mio fine ultimo, adesso.»

De Lancourt sembrò volergli chiedere qualcosa, ma scosse il capo. «Possiate trovare una morte rapida e pulita, Comandante Larius.»

«Vi auguro di non rincontrarci più, Comandante.» Rispose l'altro, dando loro le spalle e iniziando a percorrere il ponte di pietra, sparendo in breve nell'oscurità.



 

Tornarono a Kirkwall cinque giorni dopo, l'umore a terra e la stanchezza nelle ossa.

Salutarono prima i due Custodi rimasti: De Lancourt era rimasto taciturno, Carver ancora scosso, si ritirarono verso la locanda della Leonessa di Orlais dopo un breve saluto silenzioso, pensando a quello che avrebbero dovuto scrivere ai compagni. Adaar e Stök tornarono in città bassa, pensando a quale spiegazione per quel macello avrebbero potuto dare al capo del Carta giù ad Orzammar.

Varric diede una debole pacca sulla schiena a Garrett prima di accomiatarsi, ricordandogli che, per qualsiasi cosa avessero avuto bisogno, sapevano dove trovarlo.

Marian e Garrett varcarono la soglia di casa come in trance, a malapena registrando Seth e Bodahn che li accoglievano sorpresi, andando ognuno nelle proprie stanze e togliendosi finalmente i vestiti inzaccherati di dosso, lasciando che cadessero sul pavimento.

Garrett lanciò uno sguardo allo specchio all'angolo della stanza e, per un attimo, gli parve di vedere qualcun altro nel suo riflesso, lineamenti più marcati solcati da piccole rughe, una barba più folta e i capelli più corti, una vecchia cicatrice sullo zigomo destro. Sbattè le palpebre e quando le riaprì non c'era più l'immagine del padre di fronte a lui, ma soltanto il suo volto stanco.

Si trascinò verso il bagno, la vasca riempita ormai a metà, lasciandosi scivolare al suo interno e appoggiando il capo sul marmo fresco, perdendosi nello scroscio dell'acqua. «Sto cercando di rimediare, papà, ma ho paura di star sbagliando tutto come al solito.»

Sentì una serie di uggiolii e un raspare dietro la porta, che si aprì di scatto lasciando entrare Bu. La mabari gli trottò accanto, sollevandosi sulle zampe anteriori e poggiando il muso sul bordo della vasca, strofinandogli il naso umido sui capelli insaponati.

Garett non potè fare a meno di sorridere, passandole un braccio sul dorso e accarezzandole il fianco. «Ciao, bella. Mi sei mancata anche tu.»

Riemerse quando ormai l'acqua era diventata fredda, dandosi a stento pena di tamponarsi i capelli prima di buttarsi sul letto, affondando il viso tra i cuscini. La mabari gli leccò il gomito, mordicchiandogli poi le dita della mano.

«Se preferisci la palla di pelo, posso tornare più tardi.»

Sorrise in risposta, voltandosi verso la porta e trovandovi Anders sull'uscio. «È un letto abbastanza grande per tutti e tre.»

L'altro si avvicinò al baldacchino, arricciando il naso. «Non se ne parla proprio.» Si sedette dall'altro lato rispetto a Bu, sfiorando la guancia del compagno con la punta delle dita. «Ero preoccupato, siete stati via quasi due settimane quando avevi detto qualche giorno al massimo...»

«È stato orribile.» Si lasciò sfuggire Garrett, l'odore di quel corpo carbonizzato che tornava a rivoltargli lo stomaco. «C'erano i Custodi Grigi, e un Prole Oscura che forse era uno dei Magister che hanno corrotto la Città Dorata, e mio padre a quanto pare era stato costretto ad aiutare l'Ordine a tenerlo imprigionato là sotto-»

Anders si accoccolò accanto a lui, afferrandogli la mano. «Non devi parlarne se...»

Garrett scosse il capo. «Oghren è morto. L'ha ucciso quel mostro.»

Il guaritore si limitò ad annuire, gli occhi lucidi. «Lo so, Varric me l'ha detto quando è venuto a chiamarmi.»

«Mi dispiace, so che eravate amici.»

Il sorriso di Anders si fece malinconico. «Quando entri nei Custodi, sai già che i tuoi compagni non dureranno per sempre. Fa parte dei rischi del mestiere.»

«Il Comandante Adrien sembra tenere ancora a te, nonostante te ne sia andato.»

«È una brava persona. Perdere Oghren in quel modo sarà stato un duro colpo.» Disse stringendo un poco la presa sulla sua mano. «Gli avevo promesso una gara di bevute la prossima volta che ci saremmo visti, volevo sfruttare Giustizia per vincere la scommessa e farlo uscire dai gangheri...» si sistemò il cuscino sotto la testa, avvicinandosi un po' di più al compagno. «Era un gran guerriero, oltre ad essere il nano più rumoroso, volgare e alcolizzato che conosca. Aveva una figlia, vive con la madre sul Lago Calenhad, mi ricordo che un paio di volte lo trovai a cercare qualche giocattolo di legno da mandarle.»

«Il Comandante starà per qualche giorno a Kirkwall, ha detto, credo sia per dare un attimo di tregua a Carver ma anche lui sembrava averne bisogno.»

Lo vide grattarsi la punta del naso, lo sguardo che si alzava al soffitto. «Ho disertato, Garrett. Tecnicamente, dovrebbe uccidermi a vista.»

«Sai che non lo farebbe mai.»

Anders annuì. «È proprio questo che mi preoccupa. Potrebbe finire nei guai se qualcun altro mi riconoscesse, gli devo troppo per trascinarlo nei miei problemi.»

«Gli ho detto che non hai problemi a controllare Giustizia, che quella volta, quando mi avevano incarcerato e lui ha dovuto aiutare Varric a tenerti fermo, è stato solo un incidente isolato.»

«E ci ha creduto?»

Sorrise mestamente. «So essere molto convincente, racconto palle da una vita.»

Anders rimase qualche secondo in silenzio, il loro respiro e quello più pesante di Bu gli unici rumori nella stanza. «Magari domani potrei andare a parlargli. Ora voglio stare con te.»

Garrett gli si avvicinò un poco, depositandogli un bacio sulla punta del naso e poi sulle labbra, cingendolo con un braccio e stringendolo a sé. «Grazie.»






































Note dell'Autrice: salutare così Oghren ha fatto malissimo, ma penso possa essere una morte abbastanza onorevole per il nostro coraggioso, seppur un poco alcolizzato, nano. Il Comandante De Lancourt non la prenderà molto bene, soprattutto quando gli presenteranno su un apparente vassoio d'argento un'altra soluzione ai Flagelli. 
I tre Hawke invece hanno dovuto fare i conti col passato e la memoria del padre, ma tutto sommato ha fatto loro bene affrontarla insieme. 
Alla prossima! 

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Capitolo 40
*** Chase ***


CAPITOLO 40
Chase

 

 

Un fascio di luce filtrava dalle tende tirate, esattamente sopra la sua testa. Marian si risvegliò lentamente dal torpore, allungando un braccio alla ricerca del compagno.

Sebastian le afferrò delicatamente la mano, portandosela alle labbra e sfiorandola appena. «Non volevo svegliarti.»

Accennò un sorriso, stropicciandosi gli occhi e accoccolandosi più vicino a lui, premendo la schiena contro il suo petto. «Non ho dormito granché in ogni caso.»

«Forse dovresti prenderti qualche giorno di licenza, se chiedessi a Meredith...»

Scosse il capo, affondando la testa nel cuscino all'immagine severa della Comandante. «Non posso, lo sai. Già mi sopporta a stento, Cullen continua a riprendermi per qualsiasi errore anche se non sono direttamente colpa mia e la metà dei miei colleghi mi trattano come se fossi un'appestata.» Si mordicchiò il labbro inferiore, lanciando uno sguardo contrariato al fascio di luce che entrava dalla finestra. «Se dovessi pure prendermi una vacanza, al mio ritorno passerei l'inverno fuori al freddo ad addestrare le reclute e fare la guardia al porto.»

«Quindi, più o meno quello che fai già?»

Serrò gli occhi per qualche secondo, lasciandosi sfuggire un grugnito di disapprovazione.

«Quando ti promuoveranno Comandante a Starkhaven ed io avrò la mia corona, sarà tutto un ricordo lontano.» Cercò di tirarle su il morale Sebastian, baciandole la spalla e sfiorandole il fianco, andando ad accarezzarle lo stomaco.

Marian sentì una lieve pressione dietro di sé. Sorrise divertita, accompagnandogli la mano verso il basso e muovendo il bacino in piccoli cerchi concentrici. «Sembra un sogno.» Trattenne il fiato, mordendosi il labbro mentre il compagno trovava il suo centro del piacere.

«Sarai la mia regina.» Le sussurrò all'orecchio, soffocando un gemito roco nella sua spalla quando la donna iniziò a ricambiare il favore, voltandosi un poco. «La mia splendida, fiera, inarrestabile regina.»

Marian si voltò a guardarlo, perdendosi nei suoi occhi azzurri e salendo a cavalcioni sopra di lui, guidandolo dentro di sé. «Sì, immagino perché vuoi che sia inarrestabile...»

Dalle labbra di Sebastian uscì un suono a metà tra una risatina e un grugnito di piacere. Affondò le dita nelle sue gambe sode, seguendone il rimo. Si chinò a baciarlo nuovamente, appoggiandosi alla testata del letto con una mano mentre lo guidava ad aumentare il ritmo.

Qualcuno bussò alla porta.

Chiuse gli occhi, cercando di ignorarlo, afferrando il compagno per le spalle e trattenendo a stento un altro gemito.

«Datevi una mossa a scopare, è urgente!»

«Porca puttana, Isabela!» Rantolò buttando il capo all'indietro, e in quel momento si sentì pervadere da una scossa di puro piacere, che andò ad annebbiarle la vista mentre sentiva Sebastian raggiungere il culmine dentro di lei, ringhiando qualcosa di molto poco gentile.

Si accasciò su di lui, mentre il bussare alla porta ricominciava, maledicendo la pirata, il Creatore, Andraste e qualsiasi altra entità divina o meno le venisse alla mente.

La porta si aprì di scatto, lasciando entrare tutta la luce del giorno e un'Isabela vestita di tutto punto, i suoi attrezzi da scasso alla mano, che li guardava esasperata. «Vestiti, ho bisogno di una mano.»

«Ti ammazzo, Bela.» La minacciò furente, voltandosi verso la nuova arrivata, il respiro pesante. «Richiudi quella cazzo di porta.»

Sebastian si tirò su di scatto, afferrando il lenzuolo e coprendo entrambi, rosso in volto quanto i suoi capelli. «Isabela, cosa diamine ti salta in mente di-»

«Rilassati, principino, non c'è nulla che non abbia già visto.» Lo condì via l'altra con un gesto della mano, appoggiandosi allo stipite della porta e infilandosi il grimaldello nella cintura. «È una questione di vita o di morte, altrimenti non avrei interrotto il vostro esercizio mattutino, sai quanto consideri importante un po' di sano sport tutti i giorni.»

Marian si rese conto di star stringendo spasmodicamente la testiera di legno del letto, le nocche bianche. «Dacci almeno un quarto d'ora.»

«Dieci minuti, non di più, altrimenti gli darò davvero qualcosa di cui essere geloso.» La minacciò l'amica, voltandosi e sparendo lungo il corridoio, senza darsi nemmeno pena di richiudersi la porta alle spalle. Poterono sentire chiaramente la risata bassa di Fenris non molto distante.

Marian si tirò in piedi, scendendo dal letto a fatica, le gambe molli. «La ammazzo. Giuro, la ammazzo. Se non la uccide qualsiasi cosa sia questa volta, ci penso io a staccarle quella testa da cretina che si ritrova sulle spalle.» Si buttò la vestaglia da camera sulle spalle, togliendosi una ciocca di capelli sudati dal volto e raggiungendo furente il bagno. «Stronza.»

«Non ho mai conosciuto qualcuno al quale il concetto di privacy fosse più estraneo.» borbottò Sebastian seguendola, ancora imbarazzato. «Come le è saltato in mente...»

«È una bambina egoista di cinque anni, ecco come.» Si sciacquò la faccia nel catino, afferrando uno straccio e intingendolo nell'acqua. Avrebbe volentieri fatto un bagno, ma non voleva doverla affogare nella vasca per averci messo più del tempo che aveva loro concesso, l'acqua sarebbe andata sprecata. E Sebastian non avrebbe retto la consapevolezza che qualcun altro la vedesse nuda per la seconda volta di fila nella stessa mattinata. Gli lanciò uno sguardo con la coda dell'occhio, trovandolo imbronciato a fissarla. «Lo sai che è una cretina.»

Sembrò riscuotersi, scrollando le spalle e sciacquandosi il volto anche lui. «Sì, lo so, lo so.»

Si prepararono in fretta come meglio poterono, trovando Isabela e Fenris che li aspettavano in salotto.

«Quindi? Cosa c'è di così vitale importanza?» Le chiese Marian, tagliente.

«Castillon. Ho riconosciuto la sua nave al porto, è qui per me.»

Il cervello ancora mezzo addormentato della templare ci mise alcuni secondi per registrare l'informazione e fare il collegamento con il pirata a cui Isabela doveva una bella somma di denaro per avergli fatto fallire un affare anni prima. «Sei sicura che sia venuto per te?»

L'amica si strinse nelle spalle. «Non soltanto per me, magari, ma sicuramente non si lascerà sfuggire l'occasione per farmela pagare.»

«Per una volta, una sola volta in questa stramaledetta fottuta città, gradirei non essere trascinata in qualche casino.» Sputò tra i denti, massaggiandosi la tempia. Sentiva la gola riarsa, ma non era d'acqua che aveva sete. Sapeva di avere una boccetta di lyrium in borsa, per le evenienze, ma era già alla fine della sua razione mensile.

«Sì, sono due mesi che lo ripete anche Aveline.»

«Lei è stata in viaggio di nozze, almeno.»

Vide Fenris sollevare un sopracciglio nella loro direzione. Si voltò verso Sebastian, sentendosi arrossire ed affrettandosi a cambiare argomento. «Quindi, Castillon... qual è il piano?»

«Visitare il bordello, se non vi siete stancati troppo stamattina.» Isabela dovette rendersi conto di aver esagerato, perché si affrettò a dar loro una spiegazione. «Ho visto il suo quartiermastro aggirarsi alla Rosa, ieri sera. E chiedendo in giro, ha pagato per una giornata intera, quindi si starà ancora divertendo.»

«Cosa proponi, di andare da questo tizio e costringerlo a rivelarci dove trovare il suo capitano?»

L'altra ridacchiò, scuotendo il capo. «Tesoro, ci sono modi più sottili per fregare qualcuno. No, qui entra in gioco Fenris... Velasco penserà che mi voglia consegnare per ritirare la taglia che Castillon ha messo su di me e quando ci porterà da lui, voi mi aiuterete a levarmelo dai piedi.»

Marian aggrottò la fronte. «Vuoi fingerti prigioniera?»

La pirata scrollò le spalle. «Non sarebbe la prima volta che Fenris e io giochiamo con qualche corda, vero?» Lanciò un'occhiata ammiccante all'elfo, che rispose con una smorfia. «Andrà tutto bene, basta che non vi facciate notare e che siate pronti a neutralizzare Castillon una volta che sarà uscito dalla sua tana.»

«Non potremmo semplicemente andargli a fare visita sulla sua nave? È un criminale, non penso nessuno si sconvolgerà più di tanto se verrà bistrattato un poco.» Obiettò Sebastian.

Isabela lo guardò come se dovesse spiegare ad un bambino a mangiare con le posate. «Castillon non è il solito criminale da strapazzo, è un capitano della Felicissima Armada. Se fosse così facile dimostrare i suoi misfatti, l'avrebbero già incastrato da un pezzo.» Scosse il capo. «No, se dovessimo attaccarlo in pieno giorno, sotto gli occhi di tutti, apparirebbe come un'aggressione ad un legittimo mercante antivano.»



 

La Rosa Fiorita era più vuota di come se la ricordava anni prima, ma probabilmente era solo per via dell'orario. Sebastian era l'unico a disagio, come se da un momento all'altro una delle signorine potesse saltargli addosso. Teneva lo sguardo basso, cercando di non incrociare gli occhi di nessuno e di non fissare la mercanzia in esposizione.

Isabela andò a scambiare quattro chiacchiere con una delle ragazze che lavoravano lì, la quale indicò con un cenno del capo il primo piano del locale. La pirata le schioccò un bacio sulla guancia, facendole scivolare in mano una moneta luccicante prima di strizzare l'occhio ai compagni, raggiungendoli ancheggiando.

«Rilassati un poco, principino, stiamo cercando di non attirare l'attenzione... ricordi?» Si avvicinò a Fenris con fare lascivo, porgendogli i polsi e sbattendo le palpebre. «Non dirmi che non vedevi l'ora di farlo.»

L'elfo storse un poco la bocca, spostando il peso da un piede all'altro. «Ti ho già detto che non mi piace come piano. E no, non ci tengo a fingere di essere il padrone di nessuno...» Estrasse un paio di manette che assomigliavano terribilmente a quelle di ordinanza delle guardie cittadine, mettendole ai polsi della donna.

Isabela sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo mentre sentiva scattare il meccanismo. «Siete noiosi. Tutti e due. Tesoro, cosa abbiamo fatto di male per meritarceli?»

«Oh, non lo so, ricordo chiaramente un crimine gravissimo avvenuto proprio questa mattina.» Rispose tagliente Marian, accomodandosi al bancone e prendendo un dolcetto da un vassoio a disposizione dei clienti. «Se succede qualcosa, urlate.»

Fenris sollevò un sopracciglio. «Non è proprio un posto dove le urla sembrino fuori luogo...»

«Allora mettetevi a recitare il Cantico delle Trasfigurazioni.» Li rimbeccò lei, cacciandosi in bocca l'intero dolce e faticando a masticarlo.

I due li lasciarono alla loro misera colazione, salendo al piano di sopra e fermandosi ogni tanto a pomiciare per non dare nell'occhio.

Marian si leccò le labbra dallo zucchero, porgendo un pasticcino a Sebastian e imboccandolo con un sorrisetto divertito. «Bela ha ragione, sembri fuori luogo.»

L'altro cercò di distendere le spalle, tenendo comunque lo sguardo incatenato al suo. «Non è più il mio elemento, questo, da un bel po'. Dopo anni passati nella Chiesa-»

«Lo so, ma per cinque minuti non potresti fare finta di essere un avventore assetato come gli altri?»

Sebastian assottigliò le labbra, irrigidendosi di nuovo. «Credi sia troppo pudico, solo perché non ho interesse a guardare qualche seno scoperto di una povera ragazza costretta a lavorare qui dentro, o perché non vorrei che nessuno posasse gli occhi sulla mia compagna quando-» si zittì di colpo, arrossendo violentemente. «Non volevo che ti vedesse, ma a quanto pare sono l'unico a farsene un problema.»

L'elfo al bancone allungò ad entrambi un bicchiere colmo di liquido chiaro, che si rivelò essere succo di qualche frutto tropicale. Scrollò le spalle. «È solo Isabela. Non fraintendermi, sono furiosa che si sia permessa di piombarci in camera in quel modo proprio sul più bello, ma lei stessa ammette di aver visto più corpi lei che metà delle ragazze che lavorano qui. O dei ragazzi.»

L'altro voltò appena il capo, abbassando lo sguardo. «Sì, ma con te è diverso.»

Una stretta allo stomaco la prese alla sprovvista. «Non dirmi che sei geloso?»

Il silenzio dell'altro valeva più di mille parole.

«Sebastian. Guardami.» Lo chiamò di nuovo, finché lui non alzò nuovamente gli occhi verso di lei. «Ho avuto una notte brava con Bela e Fenris, d'accordo, ma non significa niente. Semplici amici che avevano alzato troppo il gomito e si sono divertiti, non è più successo e mai riaccadrà.»

«Solo amici? L'ho visto come ti guarda, e non smette mai di ricordare a tutti come-»

Gli mise istintivamente una mano sulla gamba, sporgendosi un poco verso di lui. «Ti amo. Da quando siamo insieme, ci sei solo tu, e non penserei mai di stare con qualcun altro. Lo sai, vero?»

Sebastian non rispose, scostandosi un poco, paonazzo in volto mentre sorseggiava la sua bevanda.

«Non pensavo che avresti mai mollato la Chiesa, cosa avrei dovuto fare, mettermi una cintura di castità pure io e fare le ragnatele?» Perse la pazienza Marian, buttando giù il resto del succo e afferrando un altro pasticcino. «Lo sapevi dall'inizio che non ero vergine e pura, e manco te sei stato uno stinco di santo per tutta la vita, ma non ti ho mai fatto pesare niente!»

L'altro si riscosse, appoggiando il bicchiere vuoto e afferrandole la mano. «Non volevo dire questo. Scusami. Non vorrei mai farti vergognare di te stessa, non era mia intenzione offenderti o peggio, è solo che...» la strinse nelle sue, cercando le parole giuste «Ti amo anche io, più di quanto abbia mai immaginato di amare qualcuno, e pensarti in quelle situazioni mi fa stringere il petto da una gelosia soffocante. So che è un sentimento che dovrei rifiutare, sei una donna forte e indipendente che ho la fortuna ricambi i miei sentimenti, ma non ce la faccio, sono debole. Ogni volta che Isabela parla di quella sera, o quando Fenris ti sfiora casualmente una spalla...» scosse il capo, portandosi la sua mano alle labbra e depositandovi un bacio. «Perdonami, sono uno sciocco.»

Marian sorrise, pentendosi un poco di aver sbottato in quel modo. «Si diverte a stuzzicarci, ma non farebbe mai nulla di serio per mettersi tra noi due. È stata la prima a sostenermi e dirmi che non avrei dovuto abbandonare le speranze su un nostro possibile rapporto.»

«E Fenris...?»

Scoppiò a ridere di gusto. «Decisamente non il mio tipo. Inoltre, possono pure fingere di avere una relazione strettamente fisica, ma è da un bel po' che non rotolano tra le lenzuola di qualcun altro.»

Sebastian sembrò un poco rincuorato dalla notizia. Il suo sguardo volò però alla scalinata che portava al piano superiore, l'espressione che tornava immediatamente seria e concentrata. «Arrivano.»

Marian gli fece un piccolo cenno d'assenso, modulando una risatina più acuta del normale e sporgendosi verso di lui, accarezzandolo con la punta delle dita dal ginocchio all'inguine. Accennò col capo verso l'uscita, tirandolo in piedi e, dopo avergli stretto vistosamente il fondoschiena, lo precedette fuori dalla porta secondaria del bordello.

Si nascosero dietro una delle alcove nel vicolo dietro l'edificio, aprendo in fretta la cassa dove avevano nascosto le loro armi.

«Ma che cazzo...?» Chiese Marian, trovandola vuota. Si voltò di scatto verso Sebastian, ma il movimento improvviso le diede un giramento di testa particolarmente forte, come un calo di zuccheri in piena estate. La vista annebbiata e le gambe che stentavano a reggere il suo peso, allungò un braccio verso di lui per cercare di sostenersi, ma crollò in ginocchio prima di raggiungerlo. Vide il compagno restare immobile, lo sguardo vacuo puntato di fronte a sé, impassibile.

Marian si accasciò a terra, la testa che sembrava andarle a fuoco, una serie di fitte che dallo stomaco si propagavano in tutto il corpo come centinaia di stilettate.

Nel suo campo visivo comparvero un paio di stivali bizzarramente eleganti.

«Ha funzionato tutto a meraviglia.» Disse una voce maschile dall'accento straniero, mentre tutto si faceva nero e la templare perdeva conoscenza.






 

Garrett si grattò nervosamente la barba, fermo sull'uscio della caserma aspettando che Donnic tornasse a fargli sapere che poteva seguirlo nell'ufficio di Aveline.

«Scusa l'attesa.» Lo chiamò la guardia, facendogli cenno di entrare.

L'ufficio del Capitano delle Guardie era sempre in ordine, pile di carte impilate metodicamente contenenti i registri e le direttive per i suoi uomini, ma quel giorno sembrava che qualcuno vi avesse rovesciato dentro un'intera cassa di fogli. L'amica lo stava aspettando seduta dietro la scrivania, un piccolo oggetto stretto tra le mani.

«Garrett, benvenuto. Siediti, per favore.»

La guardò confuso, accomodandosi sulla sedia di fronte al tavolo. «Sto iniziando a preoccuparmi...»

Aveline prese un respiro profondo, intrecciando nervosamente le dita davanti a sé. «Sappiamo dove sono stati visti l'ultima volta, una ragazza che lavora alla Rosa ha detto di aver parlato con Isabela, a quanto pare cercava un tale dall'accento antivano, Isabela e Fenris sono andati a parlargli e poi sono usciti tutti e tre dall'edificio. Marian e Sebastian sono rimasti qualche minuto al bancone, hanno parlato, mangiato qualcosa e poi se ne sono andati.»

«Cosa ci facevano alla Rosa?» Chiese Garrett, litigando con la fibbia d'argento della manica. «Capisco Isabela, Fenris se si fosse lasciato trascinare da lei, ma Marian e Sebastian? Non è da loro andare in un bordello di prima mattina. Questo antivano, chi era?»

Aveline scosse il capo. «La ragazza che era con lui non ha voluto rivelarci niente, è ancora in cella. Pensiamo abbia paura di lui, chiunque sia.»

«Fateci parlare me.»

«Garrett, non sei una guardia né un templare-»

Sbattè violentemente il pugno sulla scrivania, una scarica di scintille che sfuggiva dal suo controllo. «Sono passati due giorni, dannazione!»

Aveline sussultò, tirandosi istintivamente indietro. Garrett si rese conto che Donnic si era irrigidito con la mano sulla spada solo quando intercettò lo sguardo che l'amica lanciò al marito. «Lo so, sono in pena quanto te, credimi. Ma ci sono delle procedure-»

«All'Oblio le vostre procedure!» Ringhiò alzandosi in piedi e dandole le spalle. Donnic gli si parò davanti, e per un secondo sembrò che volesse fermarlo di peso. «Spostati.»

«Se non avete altro di utile-»

«Abbiamo trovato questo, in uno dei vicoli lì vicino.» Parlò di nuovo Aveline, allungandogli il piccolo oggetto che teneva in mano.

Con un sussulto al cuore, Garrett riconobbe l'anello della madre col sigillo degli Amell, che Marian non aveva mai più tolto dal funerale di Leandra. Sentì le forze venirgli improvvisamente meno, il Velo che tremava assottigliandosi, una morsa gelida dietro lo sterno. «Dobbiamo trovarla.» Rantolò nel panico, sforzandosi di mantenere la calma. «Non c'è tempo.»

«Stiamo facendo tutto il possibile...»

Si voltò verso Donnic, afferrandolo per il bavero della giacca e portandosi a muso duro ad un soffio da lui. «Fatemi parlare con quella.»

«Già fatto.»

Sussultarono tutti e tre, mentre la porta dell'ufficio si apriva nuovamente e lasciava entrare Macsen Trevelyan, l'armatura lucida come uno specchio e un filo di barba di qualche giorno ad adombrargli i lineamenti scolpiti, i capelli sciolti sulle spalle ad incorniciarne l'espressione vittoriosa. Dietro di lui sgusciò una guardia cittadina, che si inchinò profondamente verso Aveline squittendo una serie di scuse.

«La vostra indagine è appena diventata un affare dell'Ordine, Capitano.» Annunciò il templare con un mezzo inchino di scherno. «E la vostra graziosa testimone ha cantato come un uccellino, a quanto pare abbiamo a che fare con un pirata.»

«Un... pirata?» Ripetè smarrito Garrett, senza capire. «In che bordello li ha cacciati Isabela stavolta?»

Trevelyan sogghignò. «Il bordello l'hanno lasciato incolumi, a quanto pare... l'antivano è arrivato in città qualche giorno fa, dai cinque ai tre direi, ci basterà controllare i registri del porto per ridurre i sospettati.»

Il mago avrebbe voluto togliergli quel sorrisetto dalla faccia, ma si limitò a stringere i denti, annuendo. «Abbiamo una pista, almeno.»

«Ho mandato Andrew a fare qualche ulteriore domanda al bordello, magari scoprirà qualcosa in più dei vostri uomini, Capitano... intanto, volete accompagnarci o preferite stare dietro la scrivania ad arrovellarvi?»

Aveline gli lanciò uno sguardo di disprezzo feroce, per poi rivolgersi a Donnic. «Se trovate qualcosa, manda qualcuno al porto ad avvisarmi. Ti lascio il comando, qui.» Raggiunse il Trevelyan, scostandolo in malo modo e precedendoli fuori dall'ufficio. «Non osate insinuare che non stia facendo il massimo per ritrovare la mia migliore amica.» Sibilò furente.

All'esterno, trovarono un Anders che si aggirava inquieto davanti all'ingresso. «Novità?»

Garrett scosse la testa. «A quanto pare c'è di mezzo un pirata, non lo so, erano alla Rosa Fiorita e sono stati... rapiti, immagino.»

Il compagno gli strinse il braccio, chinandosi un poco verso di lui. «Li troveremo.»

Annuì, un nodo alla gola che non lo abbandonò per tutto il tragitto verso la città bassa e il porto.

Di fronte all'ufficio della capitaneria di porto, Garrett dovette fermare Trevelyan per un braccio. «Conosco Maverick, forse è meglio che ci parli da solo. Se vedono arrivare un templare e il Capitano delle Guardie, nasconderanno la metà dei registri.»

Aveline sospirò di nuovo. «Fai quello che devi.»

Garrett annuì, lasciandoli indietro ed entrando nel piccolo edificio, l'odore di salsedine e muffa che impregnava le pareti scrostate dal tempo e dall'incuria.

Il Capitano Maverick, un vecchio lupo di mare sempre intento a fumare la pipa, sollevò lo sguardo da un libro dalla copertina bisunta, lanciandogli un sorrisetto d'intesa. «Messer Hawke, qual buon vento...» Fece segno ai due colleghi poco fuori dal suo ufficio di levare le tende, aspettando che fossero fuori portata d'orecchi per proseguire. «Allora, sei venuto a chiedere o riscuotere?»

«Stavolta è personale, Capitano, ho bisogno di vedere i registri di tutte le imbarcazioni arrivate tra i sei e i due giorni fa, nomi, provenienza, trasporto dichiarato... tutto quello che avete.»

L'uomo mordicchiò con i denti che gli restavano, gialli e storti, il bocchino della pipa. «Hawke, capisci anche tu che non posso certo divulgare queste informazioni a cuor leggero, fosse per me te lo farei come favore personale, ovviamente, ma il segreto professionale-»

«Non ho tempo da perdere, oggi, Maverick.» Lo fermò, appoggiando la mano sul tavolo di legno macchiato e segnato. «Quanto vuoi?»

Il ghigno dell'altro si allargò ulteriormente. «Trenta casse in un mese, e per il tuo segreto professionale mi dimenticherò temporaneamente del mio.»

Garrett si limitò ad annuire, tendendo la mano perché gli consegnasse il registro che il Capitano aveva preso ad accarezzare con cupidigia.

Sfogliò febbrilmente le pagine, trovandovi un paio di nomi di imbarcazioni che avevano tutta l'aria di essere antivane, con registri di carico che ad occhio esperto non sembravano così cristallini.

«È un piacere fare affari con voi, Messere!» Lo salutò Maverick mentre usciva senza curarsi di salutare, sbattendo la porta dietro di sé.

Trovò Andrew ad aspettarlo assieme agli altri, in abiti civili, l'espressione tesa come la propria. «L'elfo che serviva al bancone due giorni fa è sparito nel nulla, ma so dov'è la sua ragazza.»

Garrett si grattò la barba, analizzando rapidamente la situazione. «Qui al porto mi conoscono tutti, se andassi a fare qualche domanda sarebbe sospetto...» lanciò uno sguardo di disprezzo all'armatura da templare di Trevelyan, anche quella non sarebbe passata inosservata. «Andrew, cercate informazioni sull'Estrella de Mar e la Bruja Callada

Si scambiarono le poche informazioni che avevano, e in breve il gruppo si separò di nuovo: Garrett, Anders e Trevelyan diretti all'Enclave, Aveline a fornire del supporto da lontano ad Andrew in caso di necessità.

Arrivati alla piazza del Vhenadahl, scrutarono per qualche secondo le bancarelle del mercato, cercando un'elfa che corrispondesse alla descrizione che le signorine del bordello avevano dato ad Andrew. Fu Anders ad individuarla per primo, indicando una ragazza magrolina con un paio di grandi orecchie a punta che spiccavano da sotto una zazzera di capelli corti color topo, che offriva agli avventori pentole, piatti, scodelle e altro per la cucina.

Quando vide avvicinarsi il templare, sbiancò dalla paura, sgranando gli occhi scuri e facendo cadere un contenitore di coccio, che si spaccò per l'impatto. Si prostrò a terra, tremando come una foglia senza osare alzare lo sguardo su di loro.

Garrett notò con una punta di disgusto che improvvisamente attorno alla bancarella della ragazza non sembrava esserci più anima viva.

«Alzati, vogliamo solo farti qualche domanda.» Cercò di parlare il Trevelyan, non curandosi del trambusto che aveva creato la sua sola presenza.

«Signore, non so nulla di maghi, signore, davvero.» Balbettò terrorizzata quella, la fronte premuta sul terreno fangoso. «Non abbiamo contatti con quelli, signore, ve lo giuro...»

«Non stiamo cercando dei maghi!» Sbottò Macsen, abbassandosi sui talloni. La prese per una spalla, facendola guaire e tremare ulteriormente. «Dannazione, non vogliamo farti del male, stiamo solo-»

«Lasciatela!»

Garrett ed Anders si voltarono di scatto, riconoscendo la voce di Merrill. La dalish sopraggiunse con un cipiglio fiero, piazzandosi di fronte al templare che la guardava con un sopracciglio sollevato, leggermente sorpreso. «Non avete il diritto di- oh!» Vide solo in quel momento i due amici, e la sua espressione risoluta mutò in confusione. «Cosa ci fate qui con...?»

«Un templare?» Concluse la frase Anders, lanciando al Trevelyan un'occhiata di profondo disgusto. «Anche se non sembra, sta cercando di aiutarci. Volevamo solo fare qualche domanda a questa fanciulla, ma a quanto pare nell'Ordine insegnano a terrorizzare chiunque gli si pari davanti.»

«Le ho ripetuto più volte che non avevamo intenzioni ostili!» Ribattè piccato Trevelyan, allontanandosi però dall'elfa. «E tu chi saresti, comunque?» Chiese, squadrando Merrill dall'alto in basso.

«Ser Trevelyan, Merrill è una nostra cara amica.» Tagliò corto Garrett, frapponendosi tra lui e la compagna con fare protettivo. «Stiamo causando una scenata.» Lo redarguì abbassando la voce.

L'altro sembrò rifletterci per qualche istante, capitolando. Indicò l'elfa a terra con un cenno stizzito del braccio. «Allora occupatevene voi, forza.»

«Lena, possiamo andare a casa tua a parlare?» Le chiese Merill, ignorando il templare e avvicinandosi alla ragazza, prendendole le mani e sorridendo incoraggiante. «Nessuno ti farà del male, puoi fidarti di me e Garrett è una brava persona.»

Dopo un attimo di esitazione, l'elfa lanciò un ultimo sguardo spaventato al Trevelyan, riportando poi gli occhi su Merrill e annuendo.

Fece loro strada fino ad una stanzina minuscola al secondo piano di un edificio di legno, così piccola che dovettero stringersi per starci in cinque, e non avevano nemmeno abbastanza spazio da muoversi senza rischiare di urtare il poco mobilio che la arredava.

Trevelyan, dopo una breve ispezione dell'ambiente, arricciò il naso. «Vi aspetto fuori, dato che comunque non sono gradito.»

Attesero che richiudesse la porta e chiesero all'elfa dove fosse il suo compagno.

«Non è tornato.» Rispose lei, torcendosi le mani. «Non lo vedo da tre giorni, era andato a lavoro e poi non si è fatto più sentire, a volte succede che si ubriaca, o che finisce con qualche ragazza che lavora lì, ma non è mai stato lontano per così tanto...» Tirò su col naso, gli occhi lucidi. «Credo che stavolta mi abbia lasciata davvero, mi dice sempre cose orribili.»

«Non dovresti stare con uno del genere!» Saltò su Merrill, accarezzandole la schiena. «Quando lo troveremo, gli diremo di starti lontana, non ti meriti un-»

«No, per favore!» Squittì l'altra, portandosi una mano al ventre. Solo allora Garrett notò un leggero rigonfiamento. «Porta a casa molti soldi, dal lavoro, ne abbiamo bisogno...»

I tre si scambiarono uno sguardo di compassione.

«Faremo il possibile per trovarlo.» Le disse Garrett, e il suo sguardo si posò su un coccio a terra, incrostato di quello che sembrava sangue secco. Lo indicò con un cenno. «È stato lui?»

L'elfa annuì. «Non mi ha mai colpita, però. Rompe le cose, a volte, e poi deve ricomprarle...»

Merrill si chinò a raccoglierlo, passandoci sopra il polpastrello con attenzione. «Grazie, Lena, ti terremo informata. Non preoccuparti, tu e il bambino sarete al sicuro.»

Uscirono all'aperto, trovando Trevelyan appoggiato al Vhenadahl che scrutava torvo i passanti, i quali si tenevano il più lontano possibile da lui.

«Allora?»

«Un buco nell'acqua, parrebbe.»

Il templare sferrò un pugno al tronco dell'albero, staccandovi con i guanti ferrati un pezzo di corteccia. «Maledizione!»

«Il Vhenadahl è sacro, non fatelo un'altra volta.» Lo redarguì Merrill, gonfiando il petto. «Gradireste forse che qualcuno colpisse una delle vostre statue dorate che avete nella Chiesa?»

Lui la guardò sorpreso, abbassando poi lo sguardo sul pugno chiuso. Si limitò a scrollare le spalle, precedendoli verso le scale che portavano al porto. «Andiamo, magari Andrew e il Capitano hanno avuto più fortuna.»

Garrett ne approfittò per chinarsi un poco verso Merrill, restando indietro di qualche metro. «Riesci ad individuarlo tramite quel sangue?» Le chiese con un filo di voce.

«Non con due templari tra i piedi!» Rispose lei con una smorfia, la punta delle orecchie che si abbassava infastidita. «E nemmeno il tuo vhenan gradirebbe.»

«Per Marian e gli altri, sono disposto a tutto.»

«Dillo a loro...» borbottò lei mentre seguivano il templare e Anders su per le scale.



 

«La Bruja è ancora nel porto, ma non ci è parsa sospetta.» Spiegò Andrew appoggiato al muretto di una delle terrazze che davano sui moli, indicando una tre alberi dalle vele un tempo scarlatte e ora sbiadite dal sole e dalle intemperie come il resto della nave, che sembrava aver visto giorni migliori.

«Il capitano sta a malapena in piedi e a stento potrebbe distinguere il suo quartiermastro da una bottiglia di rum, quindi direi che potremmo concentrarci su dove sia finita la Estrella.»

«Merda.» Garrett strinse l'arco con maggior forza, lanciando uno sguardo furente alle navi ormeggiate di fronte a loro. «Come cazzo la rintracciamo una nave che è sparita nel nulla?»

«A questo riguardo...»

Si voltarono tutti verso la voce maschile che aveva parlato, a stento trattenendo una smorfia di disprezzo nel riconoscerlo.

Samson, l'ex templare che passava il suo tempo a raccattare qualche spicciolo per spenderlo in lyrium di contrabbando e alcol di bassa lega, sorrideva compiaciuto. «Potrei avere qualche informazione... per il giusto prezzo.»

Garrett fece due rapide falcate nella sua direzione. «Cosa sai?»

L'altro scoppiò a ridere, umettandosi le labbra spaccate. «Non così in fretta, cosa ci guadagno se-»

Prima che potesse farlo il mago, Trevelyan scattò in avanti e lo sollevò di peso per il bavero della giacca, strattonandolo con forza. «Parla o ti spacco quella faccia da cazzo che ti ritrovi.» Ringhiò ad un soffio dal suo volto, gli occhi verdi che luccicavano sinistri.

Samson cercò di tirarsi indietro, portandosi una mano al collo per cercare di fargli allentare la presa, gli occhi che brillavano divertiti. Sollevò poi entrambe le mani verso il templare, in segno di resa.

Trevelyan lo lasciò andare di scatto, facendolo crollare a terra sputacchiando per riprendere fiato. «C'è in gioco la vita di qualcuno di molto più importante di te, Samson. Muoviti.»

L'ex templare si massaggiò la gola dolorante, guardandolo con un sorrisetto e portando poi lo sguardo su Garrett. «State cercando una nave antivana sparita nel nulla dopo aver attraccato qui qualche giorno fa, no? Voi damerini non avete pensato al resto della ciurma.» Indicò una delle taverne poco lontane, la puzza di umanità e viveri scadenti che arrivava fin là portata dal vento. «Ero a farmi i fatti miei come al solito, quando sono entrati alcuni antivani con un sacco di soldi e poco tempo per spenderli, si lamentavano che sarebbero stati troppo poco al porto.»

«Erano della Estrella?» Domandò Andrew.

«Avevano tutti una stella a otto punte tatuata sull'interno del polso, se può servire.»

«Quindi, dove sono andati?» Insistette Garrett, l'urgenza nella voce. «Si tratta di Marian, Samson, parla e ti darò tutto il lyrium che puoi ingerire per un mese.»

«Facciamo due?»

Dovette fisicamente resistere dallo spaccargli la testa sul muro retrostante, ricordandosi che qualsiasi scoppio di magia non controllato poteva metterli più nei guai che altro. Annuì.

«Probabilmente non avrebbero dovuto parlarne, ma erano ubriachi fradici e con una ragazza in grembo ciascuno... a quanto pare qualcuno li ha ingaggiati per portare fuori di qui due pezzi grossi e una gran puttana che aveva pugnalato alle spalle il loro capo.»

«Isabela.» Commentarono in coro Anders, Garrett e Merrill.

«Due pezzi grossi...?» Ripetè Andrew, confuso. «Marian e il principe di Starkhaven, forse?»

Garrett si grattò la barba. «Fenris potrebbe solo essere un danno collaterale, in effetti, immagino che ci siano delle taglie sia su mia sorella che su Sebastian, per un motivo o per l'altro. Hanno detto dove sarebbero salpati dopo averli catturati?»

Samson scosse il capo. «Non hanno mai detto di doversene andare presto da Kirkwall, anzi... erano furiosi perché il capitano li avrebbe fatti nascondere da qualche parte lontano dalla città, invece di proseguire subito per un altro porto dove spendere il resto in dadi, alcol e puttane.»

Fu Anders a dare voce al dubbio che aleggiava nelle loro teste, voltandosi verso Garrett con l'aria di chi la sapeva lunga. «Dove nascondi un'intera nave di pirati con quattro ostaggi, abbastanza vicino alla città ma senza che nessuno lo sappia?»

«Alle grotte degli schiavisti.» Una nuova, flebile speranza tornò a scaldargli il petto. «Abbiamo una pista, almeno.» Fece un cenno di ringraziamento col capo a Samson. «Vai al Coccio Sbeccato, chiedi di Otto e digli che ti devo un favore, ti daranno un anticipo.»

«Ah, sarà la prima volta che quel bastardo non mi caccerà fuori come un cane pulcioso.» Sogghignò Samson, per poi divenire serio per un istante. «Trovatela. È una dei pochi che fanno ancora credere nell'onore dell'Ordine, se mai ne abbiamo avuto uno.»

«Tu di certo non ne sei un esempio.» Sputò Trevelyan, squadrandolo torvo.

L'altro si strinse nelle spalle. «Sono un rottame, la tenente ha ragione. Non servo a granché ultimamente, ma è bello sapere che ci sia qualcuno migliore di me in quel vostro covo di stronzi.»

Lo lasciarono a rosolarsi nella sua autocommiserazione, pensando ad un piano per raggiungere le grotte nella costa senza farsi notare troppo.

«Se arriviamo da mare, li troveremo più velocemente, ma sarà più facile anche per loro accorgersi del nostro arrivo.» Ragionò Garrett grattandosi il mento.

«Dividiamoci.» Propose Trevelyan dopo qualche attimo. «Io, Andrew e il Capitano andremo per mare, dato che conosciamo meno l'ubicazione delle grotte ci sarà più facile individuarle dalla costa. Vi faremo un segnale se troveremo qualcosa, mentre voi indagherete da terra e farete lo stesso in caso vi imbattiate in tracce fresche.»



 

«Varric darà fuori di matto sapendo che l'unica volta che si allontana dalla città noi andiamo a combattere dei pirati.» Commentò Anders mentre seguivano il sentiero che si snodava su per la costa frastagliata, la falesia sotto di loro alta un centinaio di metri.

«Sta controllando come procedono le cose con Bartrand... se gli avessi scritto sarebbe tornato in un giorno, ma ho voluto lasciarlo in pace, è già abbastanza dura per lui.»

«Si arrabbierà comunque, lo sai, sì?»

Garrett si strinse nelle spalle, lanciando a Merrill un'occhiata speranzosa. «Trovato nulla?»

L'elfa, le palpebre socchiuse e un'aura fumosa e scarlatta ad avvolgerla quasi completamente, si limitò ad annuire, riaprendo poi gli occhi e sfregandosi la fronte sudata col dorso della mano. «C'è qualcosa che mi impedisce di vederlo con chiarezza, ma è sicuramente poco più avanti, direi a meno di un'ora di cammino...» scosse la testa, stringendo il coccio macchiato di sangue secco. «Non mi piace, dei pirati che usano la magia e riescono a catturare una templare e Fenris?»

Garrett annuì. «Non piace nemmeno a me, per una volta sono contento di avere dalla nostra anche un paio di templari.»

«Sì, scommetto sarebbero entusiasti di vedere Merrill fare i suoi giochetti.» Commentò aspro Anders, rifiutandosi di voltarsi nella direzione della dalish.

«Dacci un taglio, sta aiutando.»

L'elfa fece spallucce. «Oh, non importa Garrett, quando li troveremo grazie ai miei “giochetti”, come li chiama lui, e non tramite le sue costanti lamentele sul mio modo di fare, allora avrò dimostrato di avere ragione.»

Un uccellino minuscolo le svolazzò accanto, tagliando loro la strada e cinguettando tre singole note prima di posarsi su un arbusto lì vicino. Il pettirosso puntò su di loro i piccoli occhi innaturalmente verdi, chinando un poco di lato il capo. Sentirono il Velo fremere e al posto della creaturina apparve una figura femminile, minuta e dai capelli dello stesso colore del piumaggio ramato del volatile, due brillanti occhi del colore delle foglie in primavera e le orecchie a punta, la pelle candida del volto cosparsa di efelidi.

«Finalmente vi ho trovati.» Parlò la ragazza. Aveva un tono musicale ma una pronuncia bizzarra, come se non fosse abituata ad esprimersi a voce. «Mi dispiace essere arrivata tardi.»

Garrett sentì Anders irrigidirsi accanto a lui e si trasse indietro d'istinto. «Chi sei?»

L'elfa piegò il capo da un lato, come aveva fatto il pettirosso poco prima, senza sbattere le palpebre. «Ho molti nomi, ma potete chiamarmi Shani. Sono qui per aiutarvi.»

















Note dell'Autrice: un altro personaggio fa la sua comparsa, finalmente! Non c'è mai un attimo di pace a Kirkwall, soprattutto con forze oscure e misteriose che tramano da lontano.
A prestissimo!  

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Capitolo 41
*** Hunt you down ***


CAPITOLO 41
Hunt you down



 

Marian non riusciva a muoversi.

Strattonò le catene che le bloccavano i polsi, la testa le doleva come se qualcuno le avesse conficcato dei chiodi a martellate nel cervello. Era al buio, sotto la stoffa pesante che le copriva gli occhi filtrava a malapena un poco di luce calda e tremolante, come quella di una torcia. Annusò l'aria attorno, era salmastra e umida, aguzzando le orecchie poteva sentire un ovattato sciabordio di onde che si infrangevano poco lontano.

Uno dei magazzini del porto, forse? O l'avevano portata chissà dove sulla Costa Tempestosa...

Cercò di richiamare alla mente gli ultimi ricordi, ma le fitte al cervello le rendevano difficile anche il minimo sforzo mentale. Erano andati alla Rosa per aiutare Isabela, Sebastian aveva ammesso di essere geloso di lei e-

Sebastian.

Le tornò alla mente un'immagine sfocata del compagno, il suo sguardo vacuo mentre Marian collassava a terra, incapace di reggersi in piedi.

Tentò di ignorare il dolore, stringendo i denti attorno ad un bavaglio legato saldamente dietro la nuca che le impediva di urlare e serrando le palpebre. Doveva esserci qualcos'altro che non riusciva a ricordare, un indizio su chi fossero i suoi rapitori, un qualunque dettaglio che la aiutasse a capire dove potessero averla portata, ma niente, il suo cervello sembrava aver fatto tabula rasa di ogni evento successivo.

Dovette rinunciare, appoggiandosi con la schiena alla parete retrostante che le graffiò la pelle sotto la camicia. Le avevano tolto l'armatura, mentre era ancora incosciente. Cercò di capire che genere di pietra fosse, le pareva scivolosa e umida. Una grotta, forse? “Merda.” Se li avevano portati in una delle miriadi di grotte e passaggi che contrabbandieri, schiavisti e criminali di ogni genere utilizzavano per eludere la legge, sarebbe stato alquanto difficile trovarli.

Aveline si era sicuramente messa alla loro ricerca, avevano un appuntamento per pranzo al quale non si era presentata. “Starà rivoltando la città come un calzino”, pensò speranzosa. Poi si rese conto di non avere nemmeno idea di quanto tempo fosse passato.

Sentì dei passi avvicinarsi, almeno due o tre persone, tra lo sciabordio delle onde e il mal di testa non riusciva a distinguere bene.

Qualcuno le si chinò vicino, togliendole finalmente la benda attorno agli occhi.

Sbattè le palpebre con un grugnito di fastidio, faticando ad abituarsi alla luce, una torcia troppo vicina al suo viso perché riuscisse a mettere a fuoco la persona sopra di lei.

Qualcuno le afferrò i capelli, costringendola ad alzare lo sguardo verso la figura.

«Vedo che la nostra templare si è svegliata.» La voce era fredda, tagliente, dal marcato accento Tevinter e Marian sentì un brivido gelido scorrerle lungo la spina dorsale. L'uomo a qualche metro da lei, che ora le sorrideva serafico alla luce di quella che non era una torcia, ma una sfera di fuoco che galleggiava sospesa da terra, doveva essere sulla sessantina, i capelli brizzolati ancora folti tenuti corti e una barba curata, e sfoggiava una veste decorata in filigrana dorata, un cappuccio a punta sulle spalle e un mantello immacolato. «Sarebbe stato un peccato intraprendere il viaggio senza salutare i tuoi amici.» Fece un cenno con la mano e la presa su Marian si allentò, la figura in ombra che si alzava e andava a raggiungere quella del Tev mentre un'altra ancora lo affiancava.

Con orrore, riconobbe Sebastian e Isabela.

Avevano gli occhi vitrei puntati di fronte a loro, un'espressione piatta e disinteressata mentre Marian li chiamava debolmente, i gemiti soffocati dalla stoffa a stento udibili.

«No, no, non ti sforzare tanto... è inutile, vedi?» La riprese bonariamente il Tev e con un altro cenno ordinò ai due di avvicinarlesi di nuovo, completamente impassibili. «Portatela fuori, la nostra ospite ha bisogno di un po' d'aria e credo che anche il nostro lupacchiotto sarà felice di sapere che non tornerà a casa da solo.»

Marian si sentì sollevare di peso, il volto di Sebastian talmente vicino al suo che le sembrava impossibile che non riuscisse a sentire i suoi gemiti disperati oltre qualsiasi incantesimo lo imprigionasse sotto il comando del mago. Le parve che per un attimo Isabela si irrigidisse, ma durò appena un battito di ciglia.

La portarono quasi di peso verso l'esterno della grotta, dove era ormeggiata una nave piuttosto grande sulle cui vele blu scuro campeggiava una stella bianca a otto punte, simile ad una rosa dei venti. La polena era intagliata come una bellissima sirena a petto nudo, i capelli fluenti e le braccia leggermente all'indietro come se si stesse lanciando in una tempesta, la coda da pesce che si arrotolava su sé stessa in molteplici spire.

«Mi chiedevo dove foste finito con i miei ostaggi, Magister.» Li salutò un uomo dall'accento antivano vestito in sgargianti abiti marinareschi, il cappotto a collo alto dello stesso blu delle vele della nave e un'armatura leggera composta solo da due spallacci e una pettorina in cuoio borchiato. Aveva una carnagione olivastra e i capelli neri tenuti corti, un accenno di baffi sul labbro superiore.

«Dimentichi, antivano, che per il momento sono mia proprietà, come tutti voi.» Ribatté sprezzante il mago. «Sei stato pagato anche per restare in silenzio.»

Il pirata gli lanciò un'occhiata di fuoco e per un attimo Marian sperò che rispondesse a tono, ma dopo qualche istante rilassò nuovamente la postura, stringendosi nelle spalle. «Il vostro elfo ci ha dato parecchi problemi, non potreste fargli quello che avete fatto agli altri due?»

Il Tev si esibì in una smorfia infastidita. «Il suo valore è alto proprio perché non è così semplice soggiogarlo, non avrei certo percorso mezzo Thedas in compagnia di una manica di insulsi soporati solo per recuperare un rattus qualsiasi.»

Marian sprofondò nel panico. Danarius aveva trovato Fenris, ecco chi era il mago che aveva di fronte. Avevano per anni sperato di riuscire a proteggere l'amico, ma alla fine avevano abbassato la guardia proprio al momento sbagliato. E il pirata doveva essere Castillon, in qualche modo le due spine nel fianco dei suoi compagni avevano trovato un obiettivo comune.

«Avete il templare e l'elfo, come volevate, quando arriverà la vostra nave?» Il suo sguardo si posò avidamente su Isabela, che non mosse un muscolo, mentre Marian si ritrovò a strattonare le catene che le bloccavano i polsi con ulteriore violenza, sentendo la pelle lacerarsi a contatto col metallo.

Danarius si voltò verso di lei, trafiggendola con gli occhi. «Non sprecare il tuo sangue, templare, ne avrai bisogno a breve.» Si chinò su di lei, avvicinandosi al suo viso con un sorriso malevolo. «Oh, hai il suo stesso sguardo. Non gli farebbe certo piacere saperlo, ma si vede che siete parenti.»

Marian aggrottò la fronte, senza capire. Cercò di bofonchiare un insulto, ma le parole si persero attorno al bavaglio, ridotte ad un mugugno soffocato.

Il sorriso del mago si acuì ulteriormente, aprendosi in un ghigno da cui spuntavano i denti bianchi. «Sarà contento di riveder-»

Sfruttando la vicinanza, Marian reclinò quanto poteva il capo all'indietro, colpendolo con quanta forza aveva ancora in corpo in piena faccia, mozzandogli le parole in bocca.

Purtroppo l'impatto non fu quanto aveva sperato, qualsiasi cosa le avevano fatto l'aveva lasciata debilitata e fragile, ma fu abbastanza da farlo barcollare indietro, sciorinando una serie di imprecazioni in quello che doveva essere Tevene.

«Foeda meretrix!» Ringhiò Danarius, portandosi una mano al volto insanguinato e guardandola con odio. Incollerito, mosse il braccio come una frusta e Marian soffocò un urlo di dolore quando qualcosa andò a ferirle il petto. Il mago fece un passo verso di lei, un tentacolo di magia del sangue che si attorcigliava minaccioso attorno a sé prima di colpirla di nuovo, stavolta sulla spalla, andando proprio sopra la cicatrice lasciata dall'Arishok. «Prostrati di fronte al tuo padrone.»

La templare serrò i denti sopra il bavaglio, sostenendo il suo sguardo e rifiutandosi di cedere. Aveva affrontato ben di peggio che un magister del cazzo con qualche trucchetto di magia del sangue, se pensava di poterla sottomettere con così poco, si sbagliava di grosso.

Danarius sembrò capire che non sarebbe stato così facile.

Abbassò il braccio, e il tentacolo scarlatto svanì in uno sbuffo di fumo. Si voltò verso la nave, una luce sinistra negli occhi. «Varania, mia apprendista, portalo qui.»

Quel nome l'aveva già sentito, anni prima.

Dalla passerella che collegava l'imbarcazione al piccolo molo, scesero due figure. Marian riconobbe la prima con un moto di rabbia e preoccupazione: Fenris, i polsi e le caviglie legati tra loro con spesse catene piene di rune non dissimili da quelle che avevano usato su di lei, procedeva col capo chino, trascinando i piedi. Aveva numerose escoriazioni sulle braccia e sulle gambe, l'armatura leggera era stata sostituita da vesti già sporche di sangue. L'altra era sempre un'elfa, dai capelli rossicci legati in uno chignon stretto sulla sommità della nuca, sfoggiava una veste dal taglio vagamente simile a quello di Danarius, anche se molto più umile. Portava un bastone da maga sulle spalle e manteneva un'espressione rigida sul volto. «Ai vostri ordini, Magister.»

Con sgomento, realizzò dove aveva già sentito quel nome: doveva trattarsi della sorella di Fenris, quella che Hadriana aveva detto trovarsi a Quarinus... “Ma non era una serva di un altro magister?”

Fenris a quelle parole sembrò rabbrividire ma avanzò docilmente verso il Tev, senza mai sollevare lo sguardo.

«Guardalo, templare, il mio piccolo lupo.» Commentò Danarius, allungando una mano e sfiorando la guancia dell'elfo, per poi prendergli il mento e fargli alzare il capo con uno strattone. «Non gli ci è voluto molto per tornare ad obbedire ad ogni mio ordine...»

Per un attimo, le parve di scorgere una scintilla negli occhi verdi dell'amico, ma l'elfo rimase in silenzio, limitandosi ad annuire senza voltarsi verso di lei.

«Tutto quello di cui avete bisogno è una mano decisa che vi guidi. Non sei altro che un cane che ha pensato di mordere la mano del padrone, ma per tua fortuna sono misericordioso.» Con un senso di nausea crescente, Marian non potè far altro che restare ad osservare Danarius mentre faceva scorrere le dita verso la nuca dell'elfo, serrando la presa attorno al suo collo e ai capelli candidi e conficcandogli le unghie nella pelle, avvicinandolo ulteriormente a sé. «Il vostro solo e unico scopo nella vita è compiacere ed essere utile ai vostri padroni, vero Fenris?»

L'altro serrò la mascella, respirando affannosamente senza incrociare gli occhi del magister, neppure un suono a sfuggirgli dalle labbra. Dopo un lungo istante, annuì.

Con l'altra mano, Danarius lo afferrò di nuovo sotto il mento, andando col pollice a premere sulle sue labbra, forzandolo a schiuderle. «Ti ho addestrato perché tu parlassi, Fenris, ti sei dimenticato le buone maniere?» Gli sussurrò ad un soffio dal volto, ma abbastanza forte perché Marian potesse sentirli. «Obbedisci e potrei addirittura ricompensare i tuoi sforzi, stanotte. So che ti sono mancato molto in questi anni, ma non preoccuparti, i miei gusti non sono cambiati, le nozioni che ti impartii anni fa ti ritorneranno presto in mente... in fondo la memoria del corpo è assai duratura.»

Un altro silenzio lungo appena un paio di battiti, e Fenris annuì debolmente. «Sì padrone, sono al vostro servizio.»

Soddisfatto, Danarius lo lasciò andare, portandosi la mano al volto e sfiorandosi le labbra estasiato. «Hai lo stesso odore di un tempo, mio lupacchiotto, il lyrium non è andato ad affievolirsi come avevo temuto anzi, sembra che tu ne abbia fatto buon uso.» Inspirò avidamente, socchiudendo gli occhi e allargando il sorriso, per poi riportare lo sguardo su Marian, tornando serio. «Lo avverto anche su di te. Quel sapore metallico e quasi elettrico, il modo in cui sovvertite le leggi che dominano il Velo... siete simili, sotto quest'aspetto, ma l'assunzione a cui vi sottopone la vostra Chiesa è rozza e a breve termine, quasi uno spreco a mio parere, ma non temere, sapremo come rimediare a questa tua carenza.» Avanzò verso di lei, facendo segno a Sebastian e Isabela di immobilizzarla mentre le sfiorava il volto, scendendo con l'unghia dell'indice a tracciare il percorso dell'arteria che le pulsava freneticamente sul collo. «Diverrai una splendida opera d'arte... nel tuo sangue scorre magia e al contempo il potere di annullarla, dopo che avremo compiuto la nostra opera, sarai inarrestabile. La nostra punta di diamante.»

Sentì una minuscola lama trapassarle la pelle e del sangue colarle sotto il colletto delle vesti. Ringhiò una serie di insulti, che vennero soffocati dal bavaglio e che ottennero come unico effetto una risatina divertita da parte del magister.

«Questo tuo spirito è interessante, sarà quasi un peccato strappartelo.»

Fu Castillon ad interromperli, sbuffando sonoramente. «Non per mettervi fretta, Magister, ma si sta alzando il vento e navigare in questo periodo può essere pericoloso. Se aspettiamo un altro giorno, potremmo trovare mare grosso e personalmente vorrei arrivare a Starkhaven il più presto possibile.» Si avvicinò a Marian, puntando un indice contro il petto di Sebastian e dandogli appena un colpetto, divertito. «Ci ricaverò un bel gruzzolo da questo damerino.»

Danarius lo guardò con disgusto. «La tua cieca avidità non mi sorprende, ma ammetto che hai rispettato gli accordi.» Si limitò a dire. Accennò poi ad Isabela, sollevando un sopracciglio. «La mia offerta è ancora valida, appena prenderemo strade diverse non sarà più così docile.»

Il pirata ghignò, portando la sua attenzione sulla donna. «Oh, ci conto.» Abbassò lo sguardo sul seno prosperoso dell'altra, accarezzando i due pugnali che portava alla cintura. «Ci sarà da divertirsi...»







 

«Ho molti nomi, ma potete chiamarmi Shani. Sono qui per aiutarvi.»

Garrett si scambiò uno sguardo confuso con Anders, che si era portato più vicino a lui. «Non per rifiutare una gentile offerta, s'intende, ma... come fai a sapere che siamo in difficoltà?»

«Più che altro, perché dovremmo fidarci di te?» Rincarò la dose Anders.

La nuova arrivata sembrò pensarci su un attimo. «Ma voi siete in difficoltà.» Spostò la sua attenzione su Merrill, che aveva interrotto il suo incantesimo e ora teneva gli occhi puntati su di lei, ridotti a fessure come se stesse cercando di risolvere un enigma. «On dhea'him, asha'lanne»1 La salutò cortesemente. «Ho osservato i vostri compagni dall'altro lato, ma non mi è stato possibile contrastare la forza che li tiene in ostaggio. Abbiamo poco tempo.»

Merrill non sembrava convinta. «En'an'sal'en, Shani... non sei del Popolo.»

L'altra scosse la testa. «Lo ero, un tempo, prima che paura e sospetto mi spingessero a lasciare il mio clan per trovare la mia strada altrove.»

«La Guardiana ha parlato di qualcuno anni fa, quando trovammo quel mezz'elfo, l'i've'an'virelan... ti ha chiamata-»

«Shielan'nydh'aera.» Concluse la strana elfa con un piccolo cenno del capo. «“Colei che nella quiete notturna si aggira nei sogni”, così mi chiama il Popolo. Per alcuni sono solo una voce che dimenticano appena si svegliano, per altri ancora un'ombra vista di sfuggita, un ricordo confuso di un mondo che hanno imparato a rifiutare o peggio ancora, temere. La verità è quella che ciascuno di loro crede, suppongo, ho smesso da tempo di interessarmene. Ma il Velo è sottile in questo luogo, troppo sottile, e ciò che vi accade attira le attenzioni di molti, da questo e dall'altro lato.»

«Intendi i demoni?» Chiese Garrett, confuso.

L'elfa portò gli occhi innaturalmente verdi su di lui, che rabbrividì d'istinto. «Non solo. Demoni o spiriti, è una concezione sbagliata quella che vi insegnano, essi non sono altro che il riflesso più puro e semplice del nostro mondo. Vengono attirati da ciò che gli somiglia, o traviati dall'esatto opposto.» Gli si avvicinò di un passo, piegando di nuovo il capo. «Tu stesso ne hai sentito il tocco.»

Garrett si trasse indietro, sulla difensiva. «Tutti i maghi sentono il richiamo dei demoni-»

Shani sorrise. «Hai incontrato disperazione, desiderio, rabbia e superbia, come molti altri, ma non è ciò che intendevo.» Colmò la distanza tra di loro, allungando l'indice e premendoglielo sul petto. Era minuta, gli arrivava a malapena alla spalla, ma il gesto aveva una solennità inaspettata. «Un'azione coraggiosa, di puro sacrificio per gli altri, per proteggere ciò che ti è più caro. Il Velo attorno a te è diverso, qualcosa è cambiato, te ne sarai accorto.» Si girò verso Anders, aggrottando le sopracciglia sottili. «Era'elgar'nan2, sei caduto a tal punto da non riconoscere un atto di Valore?»

Un atto di sacrificio, valoroso, per proteggere qualcuno a lui caro.

Sapeva esattamente di cosa parlava l'elfa, anche se quella manciata di secondi in cui si era tuffato nel salone del Visconte per salvare Marian erano abbastanza nebulosi nella sua memoria, si ricordava chiaramente l'ondata di pura energia che aveva attinto dall'Oblio, una risolutezza mai provata prima come se sentisse la mano del Creatore stesso sulle spalle ad infondergli coraggio. «Era uno spirito?» Si voltò verso Anders, confuso. «Perchè non me l'hai detto?»

Il compagno si mordicchiò il labbro inferiore. «Ne avevo il sospetto, ma non volevo spaventarti, magari avresti temuto di diventare come me e Giustizia-»

Garrett gli afferrò la mano, d'istinto. «Sai che puoi dirmi qualsiasi cosa, Anders.»

L'altro cercò di abbozzare un sorriso dispiaciuto. «Cercherò di ricordarmelo. Scusa.»

«Quello che hai fatto a Giustizia non c'entra nulla.» Ribattè fredda Shani. «Ciò che siete diventati ha poco a che fare con uno spirito, tuttavia non è un demone. La vostra unione ha conservato una certa dualità, è curioso, ma non senza precedenti.»

«Come fai a sapere tutte queste cose?» Le chiese Garrett, stranito. «Hai parlato di sogni, sei anche tu una Somniari?»

L'altra annuì. «Non ho avuto la fortuna di trovare una Guardiana comprensiva come Marethari. Il Clan Lavellan aveva già una Prima e nessun altro clan avrebbe accettato a cuor leggero le mie abilità... me ne sono andata prima che potessero prendere loro una decisione che spettava a me.»

«Avresti potuto aspettare Arlathvhen, sono certa che qualcuno avrebbe-»

Shani rivolse un'occhiata di ghiaccio alla Dalish, che si zittì intimidita. «Non sono una reliquia di qualche era passata da scambiarsi di clan in clan per essere conservata e celata al mondo, asha'lanne. Il Popolo è cieco e superstizioso, geloso della poca conoscenza che ancora possiede anche se non la comprende neppure.» Scosse il capo, e il tono di voce si fece più morbido. «Sai di cosa parlo. Usi una magia potente, di cui gli stolti hanno paura come se non fosse che un mezzo nelle mani di qualcuno, al pari di ogni altra arma.»

Merrill annuì, abbassando lo sguardo sulle punte dei piedi. «Capisco cosa intendi. Ir abelas, non volevo offendere, siamo grati di avere il tuo aiuto per salvare i nostri amici.»

«Quindi... per tornare sull'argomento, qual è il piano?» Chiese Garrett con una certa urgenza. «Sai dove si trovano, li hai visti dall'alto?»

Shani scosse la testa. «No, non mi serve volare per sentirne la presenza. La traccia di Feynriel è talmente potente che fa tremare il Velo tutto attorno, i vostri amici sono qui vicino. Seguitemi, intanto, vi spiegherò strada facendo.»

«Feynriel?» Chiese confuso Garrett, accelerando il passo. Per essere così minuta, la strana elfa aveva un passo spedito, i piedi che sfioravano il terreno schiacciavano a stento i fili d'erba. «L'abbiamo aiutato, perché dovrebbe rivoltarcisi contro?»

«Non è per sua volontà che ha incatenato la mente dei vostri compagni. È una storia lunga, che non ho tempo di raccontarvi ora, ma ho buone ragioni per credere che Feynriel stia venendo sfruttato da maghi molto potenti e con un particolare accesso all'Oblio, non dissimile dal nostro.» Rispose lei, fermandosi d'un tratto. Chiuse gli occhi in una piccola smorfia, scuotendo il capo come a scacciare un insetto fastidioso. Quando riaprì le palpebre, le iridi brillavano un poco. «Un Viandante ha la capacità di plasmare l'Oblio a suo piacimento ed entrare nelle menti degli incauti sognatori che gli si avventurano a tiro, ma se usa le sue abilità con intenzione, può scegliere la mente da visitare, i ricordi da sfruttare per indebolirla e, alla fine, impossessarsene completamente. Gli antichi magister del Tevinter appresero questa abilità e la sfruttarono senza remore per accrescere il proprio potere, poi lentamente cadde in disuso. Negli ultimi secoli è riaffiorata sempre più spesso, soprattutto tra coloro che hanno il sangue del Popolo o dei primi Somniari dell'Imperium. Non ne conosco il motivo, potrei solo fare delle speculazioni basate su ciò che ho visto e appreso da ricordi di epoche passate, ma non abbiamo tempo da perdere in discorsi puramente teorici.» Aggrottò la fronte, muovendo la mano di fronte a sé ed evocando una serie di scintille verdi, che si raggrupparono attorno a lei per un attimo prima di fondersi con l'erba sul terreno in una scia che serpeggiava ad un paio di metri di distanza. «Feynriel, e chiunque gli stia alle spalle, ha il pieno controllo dell'umano che dubita della sua fede e di colei che nasconde sé stessa.»

«Sebastian e Isabela, intendi?» Chiese Garrett, confuso.

Shani annuì. «Uno dei magister ha usato Feynriel per entrare nelle menti di coloro che sono più vicini all'elfo e a tua sorella, non potendo arrivare direttamente a loro per via del loro contatto con il lyrium, hanno soggiogato le menti dei loro compagni. Devono aver cercato nei loro ricordi più nascosti, e trovato così l'uomo che li ha portati fino a qui, quello che governa la nave.»

«Tutto questo per arrivare a Marian e Fenris?»

«Esatto. Non sono riuscita a scoprirne il motivo, però, i magister del Tevinter sono abili ad innalzare barriere anche nell'Oblio. Mi sono avvicinata celando le mie sembianze, come avete visto prima, quanto bastava a sentirli parlare di una sorta di esperimento, o rituale, di cui tua sorella dovrebbe essere il fulcro.»

Garrett si sentì afferrare dal panico. «Dobbiamo salvarli...» Sentì Anders stringergli la mano, cercando di infondergli un poco di sicurezza. Ricambiò la stretta, quasi aggrappandosi a lui.

«Seguitelo, e vi porterà nelle vicinanze del loro covo.» Spiegò Shani con un cenno del capo verso la striscia d'erba, che ondeggiava debolmente. «Andrò ad avvisare i vostri compagni in mare, sperando non mi attacchino. Avremo bisogno delle loro abilità per contrastare quelle del Magister e della sua accolita. Immagino che gli altri umani non saranno un problema.»

«Stai attenta!» La avvertì Merrill, nel momento stesso in cui l'altra svaniva in un piccolo sbuffo di fumo color ruggine, a prenderne il posto il piccolo pettirosso. «Sono pur sempre templari...»

L'uccellino rispose con un breve cinguettio, virando poi verso il mare a tutta velocità.

«Spero che non si spaventino troppo. Se cascano in acqua, Trevelyan è in armatura completa.» Commentò Garrett mentre seguivano la traccia d'erba.

Sentì Anders stringergli nuovamente la mano, sogghignando. «Sì, sarebbe proprio un peccato...»






 

Marian rabbrividì a sentire le parole di Castillon e strattonò le catene con più forza, ignorando il dolore ai polsi e alla spalla e gli avvertimenti astiosi di Danarius, un solo pensiero in mente: allontanare quei due dalla sua migliore amica e dal suo compagno. E liberare Fenris, qualsiasi cosa gli avessero fatto per farlo chinare il capo in quel modo.

Una nuova sferzata la colpì al petto, il tentacolo di magia che si dimenava minaccioso sotto il controllo del magister.

«Non costringermi a deturparti in modo permanente.» Sibilò il Tev, estraendo poi qualcosa da una tasca interna della veste. Era un medaglione dalla forma ovale, che si aprì con uno scatto rivelando un cristallo all'interno, che si sollevò un poco iniziando a ruotare lentamente su sé stesso. «Vera, spero siate ormai arrivati.»

Dal medaglione risuonò una risata femminile. «Abbiamo avuto qualche piccolo inconveniente qualche giorno fa con una fregata Qunari poco dopo lo stretto, ma siamo quasi in vista della città. Mezza giornata e dovremmo esserci, Magister, come promesso.»

«Muovetevi, ho urgenza di tornare ai miei studi in tutta fretta.»

«Oh, prima che me ne dimentichi, Lyssa chiede se le rune hanno funzionato.»

Danarius alzò gli occhi al soffitto della caverna, una smorfia infastidita sul volto. «Riferisci alla nana che se non fossi stato già sicuro delle sue capacità, non sarebbe stata pagata. Anzi no, non perdere altro tempo in chiacchiere, parlerò io stesso con Orion della buona riuscita della spedizione, voglio tenerlo ancora un poco sulle spine.»

Seguì una risatina. «Come preferite, anche se sapete che non ama le sorprese... benefariae

Il mago borbottò qualcosa in Tevene che Marian non riuscì ad afferrare, per poi riportare lo sguardo sulla sua accolita. L'elfa nel frattempo non aveva staccato gli occhi da lui, evitando accuratamente di guardare Fenris al suo fianco. «Varania, riportalo nella mia cabina, poi torna qui portando il rattus, ti sei comportata egregiamente ed è tempo di un altro insegnamento.»

«Sì, Magister, ai vostri ordini.»

Non era nemmeno a metà della passerella quando la vide irrigidirsi, voltandosi di scatto verso un punto alla sua sinistra, dietro l'imboccatura della grotta e fuori dalla visuale della templare. «Magister-!»

La videro barcollare all'indietro e, al contempo, sentirono un urlo di dolore. Le parve che qualcuno fosse caduto in acqua, ma improvvisamente l'aria era piena di grida, scoppi e clangore metallico di armi contro armi.

Danarius aveva estratto un bastone magico dal nulla e, fatto cenno ad Isabela e Sebastian di allontanarsi da lei, aveva eretto attorno a sè una barriera protettiva. «Castillon!»

Il pirata stringeva già nelle mani le daghe corte, avanzando lentamente verso l'acqua. «Cosa cazzo?» una freccia gli sibilò ad un soffio dall'orecchio, costringendolo a buttarsi di lato per evitarne un'altra. «Hijos de puta...»

Una saetta elettrica si schiantò con un fragore spaccatimpani sulla barriera di Danarius, il quale ricambiò spedendo una palla di fuoco davanti a sé, che andò a schiantarsi contro dei massi sul costone di pietra causando un esplosione di detriti e schegge. Quando il fumo si diradò un poco, ne emersero tre figure.

Marian riconobbe con una fitta di sollievo le insegne templari sull'armatura di uno di loro.

«A rapporto, tenente!» Urlò Trevelyan, mulinando la spada e aprendo in due un pirata che gli era stupidamente corso incontro armato di coltelli. Aveline e Andrew, poco dietro di lui, cercarono riparo da una pioggia di frecce che gli si riversava contro. L'amico allungò il braccio per trascinare dietro una cassa anche il Trevelyan, che invece puntava il magister.

«Varania!» Urlò Danarius e, dopo aver lanciato un rapido sguardo verso Marian, svanì in uno sbuffo di fumo, riapparendo poco più avanti dietro uno spuntone di roccia.

L'elfa stringeva in alto sopra la testa il bastone magico, davanti a lei vi era un elfo minuto, che fluttuava a mezzo metro da terra con il capo a penzoloni. Ad un cenno dell'apprendista, puntò le orbite vuote verso Aveline e gli altri. Marian lo riconobbe dopo pochi istanti come il ragazzo che aveva servito da bere a lei e Sebastian alla Rosa.

Uno schiocco sinistro e il corpo dell'elfo si deformò innaturalmente, piegandosi all'indietro ad angolo retto mentre una bocca irta di denti affilati gli si apriva sul petto, arti allungati come quelli di un ragno a spuntargli dalla schiena e dai fianchi. Cacciò un urlo che riuscì a gelarla fino alle ossa, prima di gettarsi ad una velocità impressionante sul gruppetto.

Una barriera argentata si frappose con un'esplosione tra la cosa e i suoi amici, accecando tutti gli astanti quando al secondo colpo venne mandata in frantumi, complice anche un incantesimo del Magister. Uno dei pirati venne scaraventato verso di lei da un pugno granitico comparso dal nulla, perdendo la scimitarra che volò poco lontano.

Marian vide Sebastian incoccare una freccia e puntarla contro Andrew, che era distratto a cercare di contrastare l'abominio fiancheggiandolo assieme ai compagni.

«Marian!»

La voce di Garrett fu un sollievo e al contempo motivo di ulteriore preoccupazione: intravide il fratello dietro un'altra barriera magica, Merrill ed Anders al suo fianco. Una fiammata li avvolse completamente, costringendoli ad indietreggiare, e Marian perse di vista Isabela e Castillon.

Strattonò le catene, rendendosi conto che non ci sarebbe stato alcun modo di romperle. Strinse i denti, per poi afferrarsi il pollice della mano sinistra con la destra e tirarlo con forza.

Urlò di dolore ma cercò di rimanere lucida, schiacciando l'arto e, complice il sangue che aveva sui polsi che funzionò da lubrificante, riuscendo a liberare finalmente almeno una mano e togliersi anche il bavaglio dalla bocca.

Non si erano presi la briga di legarle le caviglie ai polsi quindi, seppur a piccoli passi, riuscì ad avanzare un poco, recuperando la scimitarra del pirata caduto e guardandosi attorno.

Una sferzata scarlatta la mancò per un soffio. Riuscì a deviare la seconda con la lama, ma una freccia le si conficcò nella coscia.

Urlò di dolore, sollevando lo sguardo e incontrando quello impassibile di Sebastian, che stava incoccando di nuovo.

L'attimo di esitazione le costò caro: venne sollevata di peso da terra, una morsa rosso sangue che la schiacciò prima contro il soffitto della grotta e poi la scaraventò contro il terreno, trascinandola senza che potesse opporsi verso il Magister, il quale ringhiò qualcosa in Tevene che la templare non riuscì a capire, il sangue che pompava furiosamente nelle orecchie.

Danarius sollevò la mano e una lancia d'ombra comparve davanti a lei. Lo vide ghignare, per poi ruotarla e puntarla contro Garrett. «Peccato che il Campione abbia deciso di interferire...»

Merrill riuscì a parare il colpo con una muraglia di roccia prima che la lancia si schiantasse in pieno petto all'altro, ma vennero poi colpiti da un'onda di energia evocata da Varania.

L'accolita sbattè violentemente il bastone a terra, e due degli uomini di Castillon che aveva vicino esplosero, accartocciandosi su sé stessi e crollando a terra mentre il loro sangue si sollevava dal terreno in una miriade di tentacoli, che andarono a colpire la barriera eretta al volo da Anders. Garrett riuscì ad eliminarne parecchi con una scarica di elettricità, ma alcuni li raggiunsero ugualmente, trafiggendoli seppur superficialmente nonostante l'incantesimo di protezione del Guaritore.

Dall'altro lato, Aveline e Trevelyan cercavano di proteggere Andrew che si reggeva a stento in piedi, la giacca inzaccherata di sangue, la spada spaccata a metà e inutilizzabile. L'abominio strillò di nuovo e Marian avvertì una forte aura antimagia, che fu sufficiente a rallentare l'avanzata del mostro e ad annullare la scarica di fulmini che Varania stava lanciando loro addosso.

Fu in quel momento che Castillon e Isabela spuntarono alle spalle di Garrett e gli altri.

La barriera attorno ai maghi era ormai indebolita, e le lame dei due riuscirono a farvi breccia come se fosse acqua.

Garrett si voltò appena, spostandosi a proteggere Anders e venendo trafitto al braccio e alla spalla da Castillon. Ringhiò qualcosa, incanalando una scarica di energia che lo spedì all'indietro, facendolo sbattere contro il molo ridotto ad una carcassa incenerita e fumante.

Isabela si era lanciata su Merrill: l'elfa se ne accorse troppo tardi, cercando di evitare l'assalto scartando di lato e frapponendo tra loro il bastone. La daga della pirata si fermò però ad un soffio dalla dalish.

Marian vide l'amica irrigidirsi in una smorfia di dolore, per poi roteare gli occhi all'indietro e crollare a terra come un sacco di patate.

Anche Danarius sembrò rendersi conto che c'era qualcosa che non andava, perché si voltò irato verso Sebastian, il quale dopo un secondo collassò anche lui immobile sul terreno, gli occhi vitrei. «Vishante Kaffas

Fu abbastanza perché Marian riuscisse a muovere goffamente la scimitarra e recidere alcuni dei tentacoli magici che la tenevano immobilizzata.

Picchiò le ginocchia sulla roccia, trattenendo un gemito data la gamba ferita e accucciandosi quel che bastava per scattare in avanti, tenendo l'arma con due mani nonostante il pollice rotto e il sangue che le rendeva scivolosa la presa, gettandosi di peso contro il Magister.

Danarius le sferzò il viso di striscio con un altro colpo, ma aveva perso il bastone magico. Marian ne approfittò per colpirlo con una gomitata nel costato, rotolando da un lato per evitare al pelo una fiammata che si alzò dal terreno dove si trovava fino ad un attimo prima.

Lo vide rimettersi il piedi a fatica, ringhiando maledizioni in Tevene e allungando la mano verso il bastone magico, che tornò con un guizzo nella sua presa.

Poco lontano, con un urlo di vittoria, Trevelyan riuscì a liberarsi dell'abominio.

Varania era prostrata a terra, schiacciata sotto una gabbia di pura elettricità sotto il controllo di un Garrett furente come non mai. Merrill era china su Isabela, mentre Anders finì di liberarsi degli ultimi due pirati ancora in piedi, tra cui quello che Marian riconobbe come Velasco.

Indietreggiò di qualche passo, Danarius che raccoglieva l'energia attorno a sé. Le rune sulle catene che Marian aveva attorno al polso e alle caviglie brillavano accecanti, impedendole persino di sentire il Velo tutto attorno, rendendola inerme contro il potere del Magister.

«Il fereldiano aveva ragione, siete delle spine nel fianco.» Ringhiò quello, e una sfera di fuoco sfrigolò a pochi metri da lei, il calore che le bruciava la pelle accecandola e costringendola a chiudere gli occhi mentre si gettava di lato per evitarla.

Si accorse dopo un istante di non aver udito il secondo attacco.

Riaprì gli occhi, confusa, ancora a terra.

Danarius era in piedi, ma non guardava più lei. Aveva il capo chino su qualcosa che gli spuntava dal petto, il volto terreo e un'espressione confusa in volto. «Come...?» Biascicò, una bolla di sangue a colargli sul mento e mozzargli le parole in gola.

Con uno schiocco, quella che Marian realizzò un secondo più tardi essere una mano si ritrasse di scatto dal petto del Tev, il quale venne scaraventato in avanti.

Fenris, i tatuaggi che rilucevano quasi accecanti sulla pelle scura, libero dalle catene che l'avevano tenuto prigioniero, guardò intensamente il cuore che stringeva nel pugno, prima di serrare la presa e stritolarlo, gettandolo poi a terra. «Non sono più il tuo schiavo.» Premette il tallone sulla schiena del magister, pulendosi la mano insanguinata sul pantaloni e chinandosi a frugargli nelle vesti. «Mi dispiace ti abbiano trascinata in tutto questo...» estrasse dal cadavere un paio di chiavi, avvicinandosi poi a Marian e sedendosi sui talloni, aiutandola a mettersi seduta e liberandola dalle catene. «Sono stato uno sciocco.»

Gli afferrò la mano, tirandosi in piedi con un grugnito di dolore. «Non è colpa tua... come ti sei liberato?»

«È comparsa dal nulla un'altra maga, ma almeno lei non voleva ucciderci.»

«Marian!»

Garrett e Anders corsero verso di lei. Il fratello le gettò il braccio sano al collo, stringendola con forza. «Abbiamo fatto appena in tempo.»

«Non mi lamento.» Sorrise debolmente, nascondendo una smorfia dolorante.

Lo vide cacciarsi la mano in tasca, estraendone l'anello della madre col sigillo di famiglia. «Te l'ho tenuto al sicuro.»

Marian si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Non aveva nemmeno registrato la sua scomparsa, ma era sollevata di non aver perso uno dei pochi cimeli ereditati da Leandra. «Grazie.» Gli tese la mano sana, di modo che l'altro potesse infilarle l'anello al medio.

Garrett corrugò la fronte, lo sguardo alla mano sinistra della sorella. «Anders, puoi aiutarli?»

Il guaritore storse il naso, spostando lo sguardo da Marian ad Andrew, che li stava raggiungendo zoppicando vistosamente, il braccio ferito ormai inutilizzabile. Trevelyan lo sorreggeva per un braccio, mentre Aveline aveva metà armatura ammaccata, ma sembrava incolume. «Se me lo lasciano fare...»

«Grazie, Anders.» Disse a denti stretti lei, chinando un poco il capo. «Vi devo un favore.»

Avvertì quasi con sollievo un assottigliamento del Velo mentre il mago iniziava a curare alcune delle loro ferite, una piacevole sensazione di frescura ad avvolgerla.

Trevelyan guardava con una punta di sospetto Merrill e Anders. Incrociò lo sguardo di ammonimento di Garrett, che si spostò con fare protettivo più vicino al compagno. Il guaritore, notandolo, gli cinse il fianco con la mano, passando delicatamente la mano sulle sue ferite per risanarle una dopo l'altra. Gli strinse il polso, chinandosi un attimo su di lui per sfiorargli la fronte con le labbra. «Come nuovo. Quasi.»

Aveline si avvicinò a lei, il volto coperto di fuliggine e una leggera escoriazione sulla fronte, poggiandole la mano sul braccio. «Stai bene?»

Marian sorrise riconoscente, annuendo. «Ora va meglio. Ce la siamo vista brutta.»

L'amica la colse di sorpresa, stringendola a sé per un attimo. «Smettila di cacciarti nei guai.» Bofonchiò con voce tremante, allontanandosi dopo pochi istanti rossa in volto.

«Ci provo... ma sono i guai a trovare me.»

La sorella di Fenris giaceva a terra priva di sensi, due pesanti manette da templare ai polsi ad impedirle di lanciare altri incantesimi. Merrill era china su Isabela, ancora incosciente.

Individuò con una stretta al petto Sebastian, raggiungendolo e accucciandosi accanto a lui. Lo sollevò delicatamente per le spalle, appoggiandosi il capo in grembo e accarezzandogli il viso, mormorando il suo nome. Aveva la fronte imperlata di sudore e la pelle scottava. Mormorava frasi sconnesse, e qualche volta Marian riuscì a sentire il proprio nome, assieme a quello dei genitori.

«Ha detto che poteva farcela, vero?»

Si voltò verso Garrett, confusa. «Chi?»

Il fratello si grattò la barba, mordicchiandosi il labbro inferiore. «È una storia lunga che non ho ben capito, ma abbiamo incontrato un'elfa con lo stesso potere di Feynriel, ha detto che Isabela e Sebastian erano stati soggiogati da qualcuno, ma che poteva liberarli.»

Il compagno si mosse convulsamente, costringendola ad afferrarlo saldamente per le spalle per evitare che potesse farsi male. «Sebastian, per favore, svegliati.» Sussurrò perché solo lui potesse sentirla, spaventata dalla nota di terrore nella propria voce. Aveline era corsa a raggiungere Merrill, tenendo ferma Isabela nelle medesime condizioni. Marian artigliò le spalle dell'uomo, cercando di non cedere al panico, inviando una silenziosa preghiera al Creatore perché li riportasse da lei.

Dopo alcuni lunghi istanti, Sebastian sembrò calmarsi, il respiro che si faceva più regolare.

«Avrà funzionato?» Chiese con un filo di voce Merrill, allentando la presa sulla pirata che ora giaceva pesantemente addormentata.

Si guardarono straniti, in attesa di una qualche conferma.

Dalla barca semi distrutta comparve una chioma ramata e un'elfa minuta saltò giù da ciò che restava del ponte, atterrando con grazia sulle rocce come planando. Si massaggiò le tempie, avanzando verso di loro a passo stanco. Sulla pelle pallida spiccavano le guance arrossate per lo sforzo, gli occhi innaturalmente verdi che le ricordarono qualche incantesimo. «I vostri amici sono fuori pericolo.» Sussurrò, a stento udibile. «Tuttavia Feynriel è ancora in mano loro.»

Trevelyan si era messo a frugare nelle vesti di Danarius, estraendone il medaglione col cristallo parlante all'interno. «Questo era decisamente un classico Tev, assetato di sangue come da manuale.»

«Preferivi qualcun altro, eh?» Commentò Andrew, sogghignando nella sua direzione nonostante fosse ancora terreo in volto dalle ferite riportate e ora rattoppate.

«Senza alcun dubbio.» Ribatté l'amico, aprendo il medaglione incuriosito. «Questo che è?»

Marian si strinse nelle spalle. «L'ha usato prima per comunicare con una donna chiamata Vera, aveva anche lei l'aria di essere del Tevinter, diceva di essere quasi arrivata qui, mezza giornata ancora di viaggio...»

«Potrebbe essere un'altra magistra?» Chiese Garrett a Fenris, che per tutto il tempo non aveva staccato lo sguardo dalla sorella, ancora a terra priva di sensi.

«Quello non è un nome che mi è familiare.»

Marian si morse il labbro inferiore, cercando di ricordarsi qualsiasi altro dettaglio utile. «Prima ha parlato di un certo Oro... Orion?»

Fenris si voltò finalmente verso di lei. «Magister Orion Krisafi.» Sputò ogni singola parola come se fosse puro veleno. «È un collega di vecchia data di Danarius, un giorno si chiamavano amici, il successivo si tramavano alle spalle a vicenda, tipico dei magister... volevano replicare su di te quello che porto addosso. Fare di te il soldato perfetto, schiava dei loro comandi.»

La templare annuì, stringendo il pugno. «Ha detto qualcosa anche a me, sì...»

«L'abbiamo fermato, questo conta.» Fenris si voltò verso gli altri, in particolare i due templari ed Aveline. «Vi ringrazio per averci salvato.»

«Figurati, è stato un piacere!» Trillò Merrill, una punta di sarcasmo nella voce ma un sorriso genuino sulle labbra. «Siamo amici, no?»

L'elfo storse la bocca, ma non replicò. «Dammi quell'affare, avvisiamo chiunque abbia il gemello di come è finita qui. Voglio che quei bastardi sappiano chi ha ucciso uno di loro.»

Con sgomento, le venne in mente qualcun altro menzionato di sfuggita da Danarius. «Garrett. Ha parlato di un fereldiano che l'aveva messo in guardia su di noi.»

Vide il fratello sbiancare, così come Anders accanto a lui. «Non penserai mica-?»

«Quanti altri fereldiani conosciamo che potrebbero essere andati a rifugiarsi nel Tevinter in cerca di vendetta contro di me, in particolare?»

Garrett serrò la mascella, scintille di magia che sfrigolavano tutt'attorno. «Se è davvero stato lui...»

«Dubito che si farà rivedere molto presto, visto che si è rivelato l'ennesimo fallimento.» Cercò di rassicurarlo Anders, stringendogli la mano e riuscendo a calmarlo un poco, anche se era pure lui visibilmente alterato. «Che bastardo.»

Fenris, nel mentre, aveva attivato il cristallo, che iniziò a ruotare su sé stesso.

«Immagino dal silenzio teso che tu non sia Danarius.» Parlò la voce femminile, con una nota divertita. «Complimenti, niente male per dei pezzenti.»

«Vieni pure a provare di persona quanto siamo incapaci.» Ribattè l'elfo senza battere ciglio.

Dall'altra parte, si levò una risata sguaiata. «Non ci penso nemmeno, il mio solo scopo era tenere d'occhio Danarius durante il viaggio di ritorno, assicurarmi che non facesse scherzi. Kaffas, sarà complicato adesso.» Ci fu una breve pausa, seguita da un sospiro. «Beh, non ho intenzione di morire per nulla, non era nel piano dopotutto... almeno abbiamo ancora il ragazzino, se non gli è esplosa la testa nel mentre, Krisafi ci va giù pesante. Elfetta, se sei in ascolto, vieni pure a farci visita. Ci divertiremo tanto assieme.» Scoppiò a ridere di nuovo e il cristallo si infranse in mille pezzi, troncando la conversazione.

Marian guardò verso la strana elfa, rigida come un palo con i pugni stretti lungo i fianchi e gli occhi ridotti a fessure, puntati dove fino ad un attimo prima fluttuava l'oggetto. La sentì ringhiare qualcosa tra i denti, scostandosi indietro una ciocca di capelli rossi.

La templare aggrottò le sopracciglia, come ipnotizzata dal gesto. «Io ti conosco.» Sussurrò, sgranando gli occhi. «Ti ho sognata!»

L'elfa si voltò verso di lei, annuendo secca. «Kirkwall non fa altro che attirare guai, qualche anno fa ero sulle tracce di una setta alla ricerca di un modo per trascinare da questa parte del Velo uno degli Esiliati, e sono incappata in una recluta templare che si aggirava nella mia stessa zona dell'Oblio.»

«Com'è possibile?» Chiese confusa Marian. Solo i maghi potevano spostarsi coscientemente nell'Oblio, e i templari dopo le prime dosi di lyrium non riuscivano più ad accedervi con tanta facilità, fatta eccezione per gli incubi che sembravano attirare i demoni come ad un banchetto, nonostante tutto.

L'altra si strinse nelle spalle. «Dimmelo tu, avevi una traccia di sangue addosso che mi ha attirata.»

La templare si sfiorò sovrappensiero il braccio, ricordandosi com'era stata ferita da quello strano demone del desiderio durante il Tormento dei ragazzini gemelli, uno dei quali aveva supplicato di essere sottoposto al Rituale dopo aver visto il fratello tramutarsi in Abominio. «Quel demone... ho incontrato un demone del desiderio che mi aveva avvertito di Xebenkeck, e di qualcosa collegato al mio sangue, ma non ero riuscita a capire-»

«Cercai di avvertirti, ai tempi, ma non riuscii più a ritrovare la tua traccia. Voi templari siete strani. La traccia di sangue era la stessa che hanno usato per liberare Xebenkeck, ma ai tempi ero troppo lontana per intervenire di persona...»

“Geralt. La traccia di sangue, quello che condividevano nonostante tutto, ecco cosa doveva aver attirato il demone e l'attenzione dell'elfa.” «Grazie, in ogni caso.»

L'elfa si stropicciò gli occhi, sospirando. «Su una cosa quella stronza dall'altra parte ha ragione, hanno ancora Feynriel. Non penso possa riuscire a prendere di nuovo il controllo dei vostri compagni, raramente funziona due volte un incantesimo del genere, ma in ogni caso non posso lasciare che lo tengano soggiogato in eterno. Teldirthalelan3, non avrei dovuto lasciarmelo sfuggire da sotto il naso... Pala adahl’en4

«Se è davvero ostaggio di quei magister...» Provò a parlare Garrett, preoccupato. «Non sarà troppo pericoloso cercare di recuperarlo?»

L'altra sospirò pesantemente. «L'alternativa è ucciderlo, lo sai. E vorrei fosse l'ultima opzione, non ci tengo a causare morti inutili, soprattutto quando si tratta di un altro Viandante. Ma devo prevenire che possano sfruttarlo nuovamente come hanno fatto qui, sono già troppo pericolosi di loro...»

«Se vuoi andare da sola a strappare uno schiavo dagli incredibili poteri magici proprio sotto al naso di una setta di magister altamente pericolosi... condoglianze.» Commentò piatto Fenris, che si era riportato ora su Varania. «Io mi concentrerò sull'eliminare i loro seguaci quando li ho sotto tiro.»

«Fenris, aspetta!» Cercò di fermarlo Marian, ma l'elfo aveva già recuperato la sua spada.

Lo vide dare un calcio alla ragazza a terra, che si svegliò con un gemito soffocato.

«Leto...»

«Non chiamarmi con quel nome!» Ringhiò lui, sollevando lo spadone sopra la testa e piantandoglielo dritto nel petto, ruotandolo di un quarto di giro e non staccando gli occhi da quelli della sorella finché quella non smise di sussultare. «Non sono più quella persona.»

Marian gli si avvicinò incerta, fermandosi a qualche metro da lui senza sapere cosa fare o cosa dire.

L'amico liberò l'arma con uno strattone, dando le spalle al cadavere e pulendo alla bell'e meglio la lama sulla manica inzaccherata. «Non era mia sorella. Non ho sorelle, non ho nessuno. E di certo non ho niente in comune con una stronza che mi ha venduto per essere l'apprendista di uno di loro.» Strinse il pugno ancora sporco di sangue rappreso, lo sguardo basso. «Le avevo mandato dei soldi per raggiungermi qui a Kirkwall, ma non mi aveva mai risposto. Pensavo Hadriana mi avesse preso in giro, o che fosse morta, o magari avesse cambiato città... invece era stata contattata da Danarius per il puro piacere di guardarmi in faccia mentre scoprivo che lei, la persona per la quale avevo venduto la mia libertà, era diventata una cazzo di maga del sangue al suo servizio.»

Senza pensarci, Marian gli sfiorò la spalla, la mano che ancora tremava. «Hai noi, Fenris. Siamo una famiglia. Una famiglia che non ti tradirà mai.»

Incontrò gli occhi dell'altro, leggermente lucidi. Le fece un cenno col capo, riconoscente. «Andiamocene, ho bisogno di... stare da solo. Ma grazie, davvero.»

Marian si voltò verso Sebastian e Isabela, ancora svenuti. Si chinò sul compagno, cercando di tirarlo su e venendo affiancata da Trevelyan.

«Cerchiamo di non farne un'abitudine, tenente, d'accordo?» Scherzò l'altro, passandosi un braccio di Sebastian attorno alle spalle e aiutandola a sostenerlo. Lo ringraziò con un sorriso stanco, mentre Aveline prendeva in braccio Isabela, borbottando imbarazzata quando l'altra inconsciamente andò ad abbracciarla. Fenris guardò nella loro direzione, esitando per un attimo prima di aiutarla.






 

1“Buongiorno, figlia del Popolo”

2“era'elgar” è la parola elfica per un mago che funge da contenitore per uno spirito, “elgar'nan” qui è inteso letteralmente come “spirito di Vendetta”, e non come il dio del Pantheon elfico.

3Letteralmente: uno stupido, uno che non impara mai

4Letteralmente: “Vai a farti fottere da una foresta”












Note dell'Autrice: spero che questo plot twist sia stato abbastanza entusiasmante, non vedevo l'ora di presentare per bene Shani (che resterà a Kirkwall ancora per un pochino), e si aprono anche sottotrame nel Tevinter. Se qualcuno ha letto il piccolo spin-off ambientato nell'Imperium, "Flectar ne frangarriconoscerà il compare di Danarius. 
Che dire, si chiude un capitolo e se ne aprono altri futuri, ma siamo verso la conclusione delle vicende di Kirkwall... a presto! 

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Capitolo 42
*** Mirrors ***


CAPITOLO 42
Mirrors


 

Garrett si osservò il braccio con aria critica, sfiorando con le dita l'ennesima cicatrice, dal bordo seghettato e ancora fresca, la pelle rosa e lucida. «Quel bastardo aveva davvero un bel coltellino.»

Anders, seduto accanto a lui sulla terrazza coperta, gli sorrise debolmente. «Ringrazia che ti abbia mancato il collo, invece. Sei il solito avventato.» Gli sfiorò il ginocchio con il proprio, prendendo un altro sorso di birra.

«Eri voltato dall'altra parte, che dovevo fare, lasciare che ti trasformasse in un puntaspilli?»

Lo sguardo del guaritore si fece un attimo più serio. «Lo sai che è più difficile uccidermi, grazie a Giustizia.»

«Più difficile non significa impossibile.»

«Sarà sempre così? Io che cerco di proteggere te, tu che cerchi di proteggere me, e tutti e due a bisticciare continuamente sulla cosa?» Chiese Anders, che tuttavia era tornato a sorridere.

Garrett ricambiò sporgendosi verso di lui e posandogli un bacio sul naso, ridacchiando. «Non sembra tanto male.»

Un grugnito infastidito li fece allontanare imbarazzati mentre Varric li raggiungeva dalle scale, una pila di libroni tra le braccia. «No, per carità, non fate caso a me, sto solo cercando di fare il mio lavoro senza morire di indigestione da zuccheri...»

«Sai, alle volte dovresti smettere di accarezzare la tua balestra e passare a qualcuno di più caldo.» Lo prese in giro Garrett, allungando una mano e afferrando qualche libro.

«Bianca, non lo ascoltare, sai che ti sarò sempre fedele!» Urlò il nano alle proprie spalle, lanciandogli un'occhiataccia e poi scoppiando a ridere, prendendo posto. «Ho delle succose novità, a proposito di persone fedeli... Sembra che la Resistenza si stia rimettendo in sesto.» Estrasse dalla tasca una pergamena dall'aspetto vissuto, porgendogliela.

Garrett la aprì con cautela, scorrendo velocemente le poche righe, sgranando gli occhi. «È da parte di Vanya.» Porse la lettera ad Anders, ancora incredulo di aver ricevuto notizie dalla stessa persona che gli aveva scatenato contro una piccola orda di cadaveri ai Satinalia di qualche anno prima, come se nulla fosse accaduto. «Dice che hanno rafforzato i contatti della Resistenza ad Ansburg e Hasmal, sono riusciti a portare parecchi Incantatori dalla nostra parte, ma la notizia migliore direi che-»

«La Grande Incantatrice?» Sussurrò Anders leggendo, quasi senza voce. «Fiona si è davvero messa in contatto con la Resistenza?»

Garrett annuì, mentre Varric sogghignava soddisfatto. «A quanto pare. E ha alcuni contatti alla Bianca Spira, se siamo davvero riusciti a raggiungere i Liberisti di mezzo Thedas-»

«Siamo sull'orlo di quella che potrebbe essere una vera e propria rivoluzione contro l'oppressione dei maghi, Garrett.» Gli occhi di Anders brillavano, e poteva avvertire il Velo tremare per l'emozione del compagno. «Dobbiamo soltanto agire.»

«Potrebbe anche rivelarsi una disastrosa catastrofe, se facciamo qualche passo falso.» Cercò di riportarli con i piedi per terra Garrett, ma anche lui sentiva una febbrile eccitazione nel petto. «Dobbiamo aumentare i nostri sforzi a Kirkwall, per il momento Meredith è una delle minacce principali, ma-»

«Se le giunge voce che alcuni degli Incantatori Anziani degli altri Circoli e persino della Grande Incantatrice stanno non tanto segretamente spingendo per ottenere più libertà e appoggiando la Resistenza... per le palle del Creatore, potrebbe addirittura Annullare l'intera Forca.»

«Non mi sorprenderebbe, conoscendola.» Commentò tetro Garrett, tamburellando con le dita sul tavolo. «Come l'hai avuta?» Chiese a Varric, indicando con un cenno del capo la lettera.

«Adaar. La piccoletta sa il fatto suo, non solo quando si tratta di spaccare qualche osso.» Rispose il nano, giocherellando con l'anello d'oro della catena che portava al collo. «Da quando quei due sono spariti, Stök dice che un sacco di decisioni le ha prese lei. Ha contatti con Vanya e quel Corvo, ovviamente, ma spesso è tutta farina del suo sacco.»

«Poco tempo fa hanno recuperato quei tre maghi di Starkhaven che erano stati mandati ad Ostwick, no? Il Circolo è stato ormai mezzo ricostruito, ma abbiamo intercettato quasi tutti i trasferimenti.»

«Mai visto qualcuno divertirsi così tanto a trasformare Templari in cocci rotti.» Concordò Anders, scoppiando in una risatina soddisfatta che però gli morì presto sulle labbra. «Non è lei a preoccuparmi, infatti, ma l'assenza di quei due.»

Scese il silenzio.

«Pensi davvero che si siano rifugiati nel Tevinter per aiutare quei magister?» Gli chiese Garrett.

Anders si strinse nelle spalle. «Perchè Shani avrebbe dovuto mentirci? Ci sono troppi indizi che portano a loro: il fatto che gli abbiano servito Marian su un vassoio d'argento, che Danarius si sia lasciato sfuggire della somiglianza tra tua sorella e qualcun altro... quanti Fereldiani incazzati col mondo e in cerca di vendetta potrebbero mai essere scappati in Tevinter?»

«Un bel po', immagino, dato che è il primo pensiero della maggior parte dei maghi che abbiamo salvato, andare in un impero governato dai loro simili.» Ribattè amareggiato, appoggiandosi contro lo schienale e portando lo sguardo sulla baia, le navi che ondeggiavano violentemente sul mare agitato. «Cazzo, non voglio credere che Geralt sia caduto così in basso da-»

«Ricorrere a magia del sangue, organizzare un attentato anche a costo di ammazzare i pochi familiari che ha e attaccarci quando abbiamo cercato di fermarlo?» Anders scosse il capo, massaggiandosi la tempia con la punta delle dita. «Non è più la persona che conoscevo, questo è certo, ma... a volte mi chiedo se non siano sacrifici necessari.»

Garrett alzò lo sguardo sul compagno, incredulo. «Stai scherzando, spero. Li avrebbe aiutati a fare chissà cosa a Marian, Anders! Cazzo, posso capire che voglia vendetta, ma arrivare al punto di-»

Incontrò gli occhi color miele dell'altro, cerchiati come al solito da ombre scure. «Lo so che ti terrorizza l'idea di perderla, ma è una Templare. Non la vede come altro che un nemico da distruggere, una di loro.»

«E tu?» Lo incalzò Garrett, furente.

Lo vide chinare il capo, sospirando. «Non posso negare che se non ti avessi mai conosciuto, non mi soffermerei ad andare oltre all'armatura che indossa. Ammetto che è molto meno peggio degli altri, ma non posso concederle di più. Lo sai. Se si trattasse di lei o della nostra causa, la giustizia-»

«Giustizia non c'entra, lo sto chiedendo a te.» Insistè Garrett, serrando il pugno.

«Non credo di saperci più distinguere, ormai.» Rispose Anders in un sussurro. «E non riusciamo a condannare completamente le azioni di Geralt, nonostante la magia del sangue sia sbagliata... Quanti anni ci abbiamo messo a costruire una rete di contatti, a far partire qualche ingranaggio che ci porti appena più in là nel nostro piano di liberarci dal giogo della Chiesa?» Sospirò pesantemente, appoggiando la fronte sul dorso della mano. «Più strattoniamo le catene, più la presa si stringe attorno ai nostri colli, Garrett. E non siamo abbastanza forti, lo vedi. Kirkwall non ama più come un tempo i suoi Templari, è vero, ma chiedi ai nostri cari concittadini se credono ancora nella Chiesa, nelle stramaledette parole del loro Cantico dove siamo rappresentati come mostri pericolosi da tenere costantemente sotto controllo. Meredith può farsi odiare quanto più le piace, non cambierà niente finché ci sarà la Chiesa a fare da paciere, a convincere i maghi a sottomettersi e a spiegare alle persone senza il Dono come sia giusto tenerci in gabbia.»

Garrett si sporse a stringergli la mano, cercando il suo sguardo. «Ma una soluzione come il Tevinter non è la strada giusta, lo sai bene quanto me. E sembrare alleati coi magister può solo peggiorare la nostra immagine al resto del Thedas.»

Anders ricambiò debolmente la stretta. «Eppure, nonostante anni di sforzi, non riesco a vedere un risultato in cui tutte le fazioni ne escano pacificamente. Ci sto provando, davvero, ma non-» Scosse di nuovo il capo. «Geralt non ha tutti i torti. Siamo deboli: abbiamo bisogno del Carta, abbiamo bisogno dei pochi eretici che riusciamo a contattare, per dare rifugio a persone che non sono mai uscite dalla loro gabbia per la maggior parte della loro vita, abbiamo bisogno della pietà dei pochi che ce la concedono per nasconderci, o peggio ancora siamo costretti a pagare per il silenzio e un trasporto sicuro. E dove ci ha portati?» Accennò alla Forca, che si stagliava alla loro destra in lontananza, una presenza imponente sull'intera città. «Meredith e quelli come lei continuano a sentirsi giustificati nei loro abusi, protetti da una Chiesa che fa il gioco dei potenti. Stiamo spingendo per il compromesso, ma non penso che possa più funzionare. Forse Geralt ha solo aperto gli occhi prima di noi. Forse abbiamo bisogno di alleati più forti. Di misure più drastiche.» L'ultima frase fu poco più che un sussurro, ma Garrett riuscì ugualmente a sentirla.

«Ma stiamo facendo passi avanti.» Insisté lui, ponendo anche l'altra mano sulla sua. «Avere la Grande Incantatrice dalla nostra non è poco, e presto non sarà l'unica. Se si solleveranno abbastanza voci dall'interno-»

«Potrebbe funzionare, ma per quanto?» Anders si voltò verso di lui, intrecciando lo sguardo nel suo. «Avranno sempre dalla loro la protezione della Chiesa, e la minaccia di un Annullamento. Ci costringeranno alla resa. D'altronde, noi cos'abbiamo? Il sostegno di un'organizzazione criminale, un branco di eretici e qualche voce fuori dal coro. Non gli do torto per aver cercato una soluzione altrove.»

Garrett abbassò il capo, amareggiato. «Se l'alternativa è una vittoria facile per diventare schiavi di magister come quel Danarius, preferisco continuare a lottare, magari rischiare di più, certo, ma quando arriveremo ad un accordo non saremo visti come dei mostri.»

«Non tutti, almeno.» Sussurrò Anders dopo qualche lungo istante. Si liberò dalla sua presa, alzandosi poi in piedi e infilandosi la lettera di Vanya nella tasca delle vesti. «Devo andare a controllare una cosa in Clinica, ci vediamo stasera a casa, d'accordo?» Accennò un sorriso stanco, che non gli arrivò agli occhi. «Sono passi avanti, hai ragione. Piccoli, ma pur sempre passi avanti.»

Garrett cercò di ricambiare, ma quando l'altro gli diede le spalle il suo umore sprofondò inesorabilmente verso il basso.

«Non angustiarti troppo, Scheggia, non è mai stato un raggio di sole.»

L'amico riuscì a strappargli una risatina. «Lo so, ma ultimamente...» scosse il capo, voltandosi verso Varric e mettendo su un sorriso. «Scusa, ti faremo venire il mal di denti prima o poi.»

Il nano gli fece cenno con la mano di lasciar perdere. «Mi sono abituato a mangiare salato proprio per compensare tutto il vostro affetto, sono a posto.» Picchiò la mano su uno dei tomi che aveva davanti a sé, esibendosi in un ghigno. «Piuttosto, questi ti faranno distrarre, ho i libri contabili aggiornati agli ultimi quattro mesi...»

Garrett grugnì sonoramente, reclinando il capo dietro allo schienale. «Non voglio parlare di soldi...»

«E invece parleremo proprio di quelli, amico mio, valanghe di oro che entra ed esce dalle nostre tasche per essere speso ed investito e tramutarsi in altri soldi. Questo è il mio genere di magia.» Lo aprì minacciosamente, sfogliando le pagine e facendo scorrere l'indice su una serie di scarabocchi incolonnati. «La Harvent-Hawke sta andando alla grande, hai fatto bene a mantenere il nome di quel cretino anche dopo averlo liquidato, ci siamo tenuti tutti i suoi clienti fedeli che ci hanno fatto una buona pubblicità in mezzo continente... Ora, so che il Tevinter è attualmente un pessimo argomento, ma potrei avere dei contatti nella Felicissima Armada che ci assicurerebbero un passaggio sicuro fino a Ventus e Carastes, Vyrantium e Minrathous sono ancora fuori portata ma ci stiamo lavorando, se capisci quello che intendo. Il tempo di percorrenza da Jader all'Imperium tramite la Via Imperiale è uno schifo, e lo sanno anche ai piani di sotto, la soluzione più comoda per portare la merce fino ai nuovi clienti dei nostri amici è il mare, salvo il piccolo problema dei cornuti che bazzicano lo stretto a nord. Ma tecnicamente i Liberi Confini ed Antiva non sono in guerra con nessuno, quindi basterà tenere celato il registro di carico come al solito e tenersi stretto il trattato di Lomerryn come se fosse un barile della tua birra preferita. Formalmente, trasporteremo preziosi vetri di Serault e altre porcellane orlesiane, metalli e gemme da Orzammar, stoffe pregiate da Antiva e via discorrendo, nessuno sospetterà di qualche piccola cassa sparsa qua e là.»

«Immagino che il Carta abbia avuto un piccolo aiutino dall'interno per espandere così in grande i suoi traffici fino all'Imperium?»

Varric fece spallucce. «Stök è una tomba quando si tratta di contatti e soldi del capo, ma sì, sono propenso a darti ragione. Il biondino non ha tutti i torti quando dice che tuo cugino potrebbe effettivamente tornare utile a qualcosa, anche se non parliamo degli stessi risultati.»

Garrett sospirò, grattandosi la barba e scrocchiando il collo. «D'accordo, quindi immagino dovremo acquistare altre navi, cercare dei capitani competenti...?»

«Esattamente, ho già selezionato un paio di compagnie in difficoltà economica che potrebbero cedere ad essere acquistate, almeno in parte. Una di esse è Orlesiana, se riusciamo a metterci su le mani sarà uno smacco per quei palloni gonfiati.» Voltò pagina, sottolineando con una matita alcuni nomi e aggiungendo alcuni calcoli a lato pagina. «Non ti tedierò ulteriormente con percentuali e probabilità, passiamo invece a parlare di argomenti più leggeri.»

«Ah, sono permessi anche argomenti leggeri? Dovevi dirmelo prima, vi avrei raccontato di quella volta in cui convinsi Carver che Rufus poteva parlare.»

«Poi ti chiedi perché Junior abbia quel pessimo carattere che si ritrova...» Varric scosse il capo divertito, mentre voltava pagina. «Comunque, si tratta della Estrella, i carpentieri l'hanno esaminata e si sta parlando di circa millecinque sovrane di danni, ora, se vuoi ancora regalarla ad Isabela fai pure, ma non credo varrà l'investimento.»

«Non è molto carino da parte tua.» Osservò Garrett, inarcando un sopracciglio.

Il nano ricambiò con uno sbuffo. «Qualcuno qui deve tenere i piedi per terra. Allora, che hai intenzione di fare?»

Il mago si strinse nelle spalle. «Ho fiducia che sarà a buon rendere, mettiamola così. Passerò dal porto a dire di procedere pure con le riparazioni.»

«Sicuro?»

Sorrise. «Cercavamo dei capitani di cui fidarci, no? Ne abbiamo una sotto il naso da anni.»

«È sul fidarsi che non sono mai troppo certo, quando si tratta della Rivaini...» borbottò Varric, ma annuì. «Beh, direi che per ora è tutto, ti farò sapere se riesco a stringere qualche accordo proficuo con quei contatti nell'Armada, per quanto riguarda gli orlesiani con le pezze al culo, ora che ho il benestare del mio sessanta percento, procedo a inviargli la nostra proposta.»

Garrett si alzò in piedi, stiracchiando la schiena. «Toglimi una curiosità, perché ti rifiuti di mettere il tuo nome su qualsiasi attività che non siano i tuoi romanzi?»

Il nano sogghignò di nuovo grattandosi il petto, i primi due bottoni della giacca aperti nonostante il vento freddo che soffiava dalla baia. «Perché sono un autore di successo, non voglio che il mio pubblico mi associ a faccende venali...» gli strizzò l'occhio, ammiccando «devo mantenere il mio misterioso fascino.»

Il mago stava per andarsene, quando si voltò verso l'amico, incerto se chiedere o meno. «Com'è andata con Bartrand? Non mi hai detto niente...»

L'altro evitò il suo sguardo, intento a raccogliere le carte sul tavolo. «Non c'è molto da dire, qualsiasi cosa quel lyrium gli abbia fatto alla testa, non sembra migliorare. Ho chiesto in giro a qualcuno che potesse aiutare, ma per ora brancoliamo tutti nel buio.» Riaprì lentamente il pugno che aveva serrato inconsciamente, sforzandosi di sorridere. «Letteralmente, dato che ho passato due settimane sottoterra come un nug.» Sospirò, rialzando finalmente il capo. «Penso di aver trovato finalmente qualcuno che compri la sua tenuta in Città Alta, a proposito, un tale di Rivain mi ha mandato una caparra a scatola chiusa senza manco esaminarla prima... dovrò mandare qualcuno a ridipingere le pareti e togliere gli schizzi di sangue, probabilmente.»

«Non vorrei essere nei panni di quei poveretti.» Scherzò Garrett. Si avvicinò un poco all'altro, appoggiando la mano sullo schienale della sedia. «Lo sai che per qualsiasi cosa, ci sono, vero? Resistenza, il Carta, magister assassini o piani per comprarci mezzo Thedas, per una bevuta in compagnia sono sempre disponibile.»

Il sorriso di Varric si fece genuino. «Lo so, Scheggia. E potrei già sapere come sfruttare questa tua proposta, il nuovo volume di Duri nella Città Superiore è in revisione e ha bisogno di una copertina adeguata.»

Garrett si batté un paio di volte il pugno sul petto, all'altezza del cuore. «Sarà un onore.» Salutò l'amico con un cenno della mano, per poi rientrare all'Impiccato e uscire dalla taverna, infilandosi tra le strade affollate del porto, il vento freddo che gli sferzava il volto.

 

Dopo essere passato dalla sede ufficiale della Harvent-Hawke per dare qualche direttiva, si diresse a passo spedito verso l'enclave. Merrill aveva mostrato a Shani l'Eluvian in frantumi che teneva nella sua camera, e la nuova arrivata era sembrata estremamente interessata all'artefatto.

Salutò con un cenno un paio di elfi della Cerchia che bazzicavano spesso la Clinica, passando accanto alla bancarella dove avevano trovato il banchetto di Lena, ora gestito da un elfo abbastanza anziano e quella che doveva essere la moglie.

La ragazza era rimasta sconvolta alla notizia della fine che aveva fatto il compagno, ma Garrett e Merrill si erano offerti di aiutare come potevano. L'uomo l'aveva indirizzata a chiedere ad Elin e Rasiel, le sorelle che lavoravano al forno, se avevano bisogno di una mano con il piccolo locale adiacente che avevano inaugurato da poco. Con un bambino in arrivo, non poteva contare solo sul poco che guadagnava a vendere qualche cianfrusaglia all'Enclave per conto di qualcun altro.

Bussò alla porta dell'abitazione di Merrill.

Dovette aspettare parecchio prima che l'amica venisse ad aprirgli, i grandi occhi verde scuro della dalish erano leggermente arrossati e infossati nel volto pallido, ma sorrideva. «Garrett, entra, entra, benvenuto!»

Dall'altra stanza si affacciò Shani, i capelli rossi arruffati e la stanchezza anche sul suo viso. «Hawke, buon pomeriggio.»

Garrett si guardò attorno, la piccola casa era nel caos come al solito, sembrava che i pochi possedimenti di Merrill fossero sparsi un po' ovunque, l'amica non era proprio in grado di tenere in ordine. «Avete fatto progressi?»

«Oh, non ci crederai!» Trillò la dalish, affrettandosi verso la stufa, aprendola e buttandoci dentro un altro pezzo di legno, ravvivando poi le fiamme con un gesto della mano. «Vuoi un tè? Shani ha portato queste foglie assolutamente meravigliose...» Afferrò il bollitore, versando un po' di acqua da quello che pareva un piccolo barile di birra con uno spillatore. «Comunque, dicevamo, a quanto pare l'Eluvian può essere sistemato ma non con i mezzi che abbiamo a disposizione, nonostante l'Arulin'Holm che ci ha dato la Guardiana. Quindi, pensavamo-»

«Di andare a parlare con lo stesso demone con cui Merrill ha stretto un patto all'inizio, sembra saperne qualcosa e sicuramente potrebbe indicarci un modo per riattivare lo specchio. Non riusciamo a parlarci da qui, probabilmente la Guardiana gli ha imposto ulteriori sigilli per evitare che Merrill riuscisse a parlarci ulteriormente, quindi dovremo andare lì di persona.» Proseguì Shani, rovistando in una sacchetta di pelle appoggiata sulla misera credenza ed estraendone una manciata di erbe, che appoggiò in una piccola ciotola. «Tuttavia dovremo stare attente a come poniamo la domanda, data la sua natura ormai corrotta tenterà di sfruttare i nostri punti deboli per liberarlo da quelle rovine... mi chiedo cos'altro si celi in quelle sale, è situato proprio sotto un importante luogo di incredibile valenza storica, il Velo in quel punto deve essere particolarmente sottile, chissà cos'hanno da raccontare gli spiriti su una delle ultime battaglie degli Elvhen contro l'Imperium!» Si alzò sulla punta dei piedi, aprendo lo sportello in alto e facendo fluttuare con un movimento della mano una tazza non troppo sbeccata. Le fece fare un paio di giravolte in aria mentre si illuminava fiocamente, prima di appoggiarla sul tavolino. «Vado a prendere le altre.»

«Pensiamo che con le capacità di un Viandante, dovremmo essere al sicuro anche nel caso il demone cercasse di possedere uno di noi per liberarsi dal suo sigillo, ma in ogni caso dovremo usare ogni cautela... eppure siamo probabilmente di fronte ad una scoperta importantissima, a quanto pare gli Eluvian venivano usati come un mezzo di trasporto in tutto l'impero elfico, ma dopo che cadde in rovina nessuno è più riuscito ad utilizzarli, nemmeno l'Imperium per dire, e loro sono parecchio bravi a studiare ogni tipo di magia-»

«Ad appropriarsene, piuttosto!» Rimbeccò Shani, tornando con un piccolo esercito di tazze fluttuanti attorno alla sua figura minuta. Le ripose in una tinozza, scegliendone due e ripulendole con un po' d'acqua e ripetendo lo stesso incantesimo che aveva usato sull'altra. «Ma no, neanche i magister sono ancora riusciti ad utilizzare gli Eluvian, ritengo che ci sia qualcosa che li lega strettamente alla nostra magia o magari al nostro sangue, ma sono soltanto congetture... mi sono imbattuta in rovine che ne avevano contenuto uno in passato, ma il ricordo era talmente sbiadito che non sono mai riuscita a comprenderne l'esatto funzionamento, figuriamoci provare ad utilizzarne uno, e l'unico che ho incontrato prima di arrivare qui era ridotto peggio di questo, distrutto, corrotto e inutilizzabile.»

«Pensiamo che durante o appena dopo la caduta di Arlathan qualcosa abbia rotto il collegamento tra i vari specchi nel vecchio Impero, ma una magia così potente non si è mai vista prima, è qualcosa che potrebbe collegare l'Oblio con il nostro mondo da una parte all'altra del continente e-»

Garrett a quel punto alzò le mani verso le due, un gran mal di testa in arrivo. «Rallentate un attimo!» Le richiamò all'ordine, cercando di attirarne l'attenzione. «Non vi sto dietro, state parlando senza nemmeno prendere fiato e io a stento ho capito la metà delle cose che avete detto.» Fissò accigliato la mezza dozzina di tazze nella tinozza, spostando poi lo sguardo dall'una all'altra. «Avete passato la notte insonne davanti a quell'affare?»

Le due elfe si scambiarono uno sguardo d'intesa. Shani aggrottò la fronte, incrociando le braccia al petto e assottigliando gli occhi. «Anche se fosse?»

Merrill, dopo un attimo, le diede corda. «Stavamo lavorando.»

Garrett si sentì un attimo messo all'angolo. «È che mi sembrate parecchio su di giri, mi stavo solo chiedendo quanto tè aveste bevuto per essere così... entusiaste?»

«Riconosco che non tutti possano comprendere l'importanza di una tale scoperta, Hawke, ma ci scuserai se abbiamo preferito proseguire nella nostra analisi di un artefatto dal valore inestimabile per la storia del Thedas rispetto a qualche ora di sonno.» Ribattè offesa Shani andando verso il bollitore che si era messo a fischiare, togliendolo dal fuoco e versandoci dentro il sacchetto con le erbe. «Dormirò alle rovine, non preoccuparti.»

Merrill gli si avvicinò titubante, accennando un sorriso. «Garrett, potrebbe essere un importante pezzo di storia da restituire al mio popolo... ci aiuterai?»

«Ovviamente, sei mia amica e devo comunque un grosso favore a Shani... ma prima dovrete rispiegarmi tutti dall'inizio, e con calma. Davanti ad un'altra tazza di tè, che ora ne ho bisogno io per starvi dietro.»

 

Scalare il Monte Spezzato era già abbastanza difficile seguendo il solito sentiero che partiva dall'accampamento del clan di Merrill e saliva fino all'altare di Mythal ma, pensò Garrett mentre arrancavano faticosamente lungo il pendio, dovevano proprio essere masochisti per affrontare la scarpinata in autunno inoltrato, con un vento gelido che rischiava di spazzarli via ad ogni folata e le membra intorpidite.

Il pettirosso tornò verso di loro, svanendo in uno sbuffo e tornando alle sue sembianze elfiche.

«Sembra che non ci siano sentinelle.» Confermò loro Shani, sollevandosi sul capo un cappuccio di morbida pelliccia color crema, gli occhi verdi puntati verso una serie di rocce poco più in alto.

«Saranno scappate anche loro per il freddo...» Borbottò Garrett, stringendosi nel mantello. «Neppure l'ingresso alle rovine è sorvegliato?»

L'elfa scosse il capo. «Così pare.»

Merrill scrutò corrucciata la cima. «Strano che la Guardiana non abbia lasciato qualcuno a controllare, dopotutto il demone imprigionato là dentro è l'unico motivo a cui riesco a pensare sul perché si siano trattenuti qui per tutti questi anni, nonostante il pericolo di vivere così vicino alla città.»

«Forse vuole comunque tenerti d'occhio?» Commentò l'uomo. «Nonostante le vostre divergenze-»

«Non sono divergenze, Garrett, è che non mi ascolta mai.» Tagliò corto l'amica, allungando il passo. «Ma le dimostreremo che si sbaglia di grosso.»

Finalmente riuscirono a raggiungere l'altare, riparandosi dal vento contro il costone.

Merrill si avvicinò alla piccola struttura, inchinandosi profondamente e accedendo una delle piccole lanterne di pietra, le fiamme verdognole che guizzavano vivaci nonostante le folate impetuose. Si voltò verso Shani, come aspettandosi che l'altra elfa si unisse a lei, ma la nuova arrivata la fissava col capo piegato da un lato, come soppesando il da farsi.

«Non è mai saggio ignorare Mythal.» Parlò la prima, allungandole una mano.

Dopo un altro secondo, Shani la raggiunse, affiancandosi a lei e sfiorando con le dita l'altare, accendendo l'altra lanterna e sussurrando qualcosa in elfico che Garrett non riuscì a capire. «Non è mai saggio ignorare tante cose...» Replicò enigmatica, voltando le spalle alla struttura e scrutando l'ingresso delle rovine, delimitato da un'architrave di pietra semplice e mangiato dal tempo. «Il Velo è molto sottile, qui, come mi avevi avvertito.» Sorrise leggermente, prima di oltrepassarlo e inoltrarsi nel buio.

Garrett aspettò che Merrill lo precedesse.

Le due elfe evocarono un paio di sfere luminose che fluttuavano a pochi metri da loro, illuminando l'ambiente circostante mentre Garrett stringeva l'arco tra le mani, le sfere incastonate su di esso che brillavano permettendogli di non inciampare sul terreno dissestato.

Sentiva come dei sussurri tutt'attorno, l'aria era frizzante e l'energia magica tutt'attorno gli faceva prudere le punte delle dita.

«Rilassati, Hawke, o non farai altro che attirare più attenzioni del dovuto.» Commentò tranquilla Shani, qualche metro più avanti. Si era accostata al muro, gli occhi verdi che riflettevano la luce come quelli di un gatto, le mani che seguivano senza però toccarla una pittura che copriva gran parte della parete: una serie di figure umanoidi in colori rosso e oro con quelli che potevano essere bastoni magici era rappresentata intorno ad una montagna che toccava le nuvole, l'ingresso della quale era custodito da due halla argentati dalle enormi corna ritorte, mentre al suo interno vi erano figure più piccole, dipinte di verde e azzurro. «Probabilmente fu uno degli ultimi scontri del Popolo.» Sussurrò l'elfa chiudendo gli occhi per qualche secondo, la punta delle orecchie che fremeva leggermente. Garrett avvertì un sussulto nel Velo, ma durò una manciata di istanti prima che l'altra riaprisse le palpebre. «Quanto sangue.»

«Il demone è imprigionato nella sala al piano di sotto.» Spiegò Merrill, guardandosi attorno brevemente. «La Guardiana avrà sicuramente messo qualche incantesimo, altrimenti sarei riuscita a comunicarci senza dover venire fin qui, grazie al patto che ho stretto con lui.»

Shani si allontanò dalla parete, tornando ad affiancarla. «Che genere di patto hai fatto con Audacia?» Non sembrava dal tono di voce che la stesse giudicando, quanto piuttosto pareva mossa da una genuina curiosità.

«Gli ho dato il mio sangue.» Rispose l'altra, rigirandosi il bastone magico tra le mani. «Un collegamento con l'esterno, anche se non può allontanarsi da qui, ogni volta che uso la mia magia può acquisire informazioni sul mondo che mi circonda. Un piccolo prezzo da pagare, per quello che mi ha e può ancora insegnarmi.»

«Non posso darti torto, se sa davvero come riparare l'Eluvian...»

«Aspettate un secondo!» Alzò la voce Garrett. «Se vi proponesse qualcos'altro, parliamone per un attimo tutti insieme prima di saltare a conclusioni affrettate, d'accordo? Non vorrei facessimo qualche stronzata.»

Le due si voltarono all'unisono.

«Sei qui per darci una mano o per ostacolarci, Hawke?» Lo redarguì fredda Shani, gli occhi ridotti a fessure. «Perché mi seccherebbe ricordarti che mi devi un favore.»

«Garrett è qui per aiutare, è solo preoccupato per noi.» Cercò di calmare le acque Merrill, sollevando una mano. «Ma non ce ne sarà bisogno, vedrai, siamo perfettamente in grado di confrontarci con lui. Se ti può far stare più tranquillo, però, ne discuteremo assieme...»

L'altra si limitò a sbuffare, riportando lo sguardo davanti a loro, dove una rampa di scalini dissestati si inoltrava nel buio.

Scesero con cautela, trovandosi in un'ampia sala.

Merrill si chinò a sfiorare con la mano un braciere di pietra, che si illuminò della stessa tonalità verdastra e innaturale del gemello dall'altra parte della sala, dove Shani aveva fatto la medesima cosa. Dopo un istante, l'intera sala si accese di luce, gli otto bracieri che scoppiettavano brillanti.

Al centro della stanza vi era una statua umanoide, la figura rappresentata piegata scompostamente su sé stessa e mostruosa, il viso deformato da una smorfia intellegibile.

Merrill si avvicinò alla statua, chiudendo gli occhi e aggrottando la fronte, una mano sollevata verso di essa. «C'è qualcosa che non va... non riesco a sentire la sua presenza.»

Garrett si lasciò sfuggire un'imprecazione a denti stretti. «Non avevi detto che era legato qui? Dove può essere andato?»

«Da nessuna parte!» Rimbeccò la dalish, alzando la voce. «Non di sua iniziativa, almeno, era imprigionato qui da sigilli millenari, non avrebbe certo potuto-»

«Non senza un aiuto.»

Merrill guardò in direzione di Shani, senza capire. «Oltre a me, l'unica maga che è stata qui attorno è la Guardiana. Dubito che qualcun altro avrebbe potuto venire a sapere di questo posto e liberare il demone, erano sigilli potenti.»

«Che altra spiegazione potrebbe esserci, magari uno dei maghi della Resistenza o qualcuno dei-» Shani si interruppe bruscamente, le orecchie basse mentre si voltava di scatto alle proprie spalle, verso la scalinata.

Con qualche secondo di ritardo, anche Garrett avvertì un'impennata nell'energia magica all'interno della sala, mentre una figura emergeva dall'oscurità sopra di loro.

Quando le fiamme verdi illuminarono i tratti spigolosi della Guardiana, i capelli bianchi che incorniciavano il suo volto severo, guardò Merrill in cerca di spiegazioni.

«Non hai pensato alla soluzione più semplice, da'len.» Parlò Marethari, la voce più fredda di come la ricordava. «Sapevo che prima o poi saresti tornata dal demone per ricostruire quello specchio, mettendoti in pericolo per niente. Dovevo impedirti di fare un'altra scelta di cui ti saresti pentita, e questo era l'unico modo.»

«L'avete... liberato?» Chiese Garrett con un filo di voce. Non sembrava lei, c'era qualcosa di diverso nell'anziana elfa di fronte a loro, e aveva visto abbastanza persone possedute da poter tirare ad indovinare e prenderci giusto quando ne incontrava un'altra, ma sperava di sbagliarsi.

La Guardiana non lo degnò nemmeno di uno sguardo, gli occhi puntati su Merrill. «Da'len, non potevo rimandarlo nell'Oblio conoscendo il legame che ha a te, e non sarei mai stata abbastanza forte da eliminarlo. Il suo piano è sempre stato quello di aiutarti a riportare in funzione lo specchio per usarlo come tramite per questo mondo, per portare distruzione nel mondo. Saresti stata la sua prima vittima. Ho fatto l'unica cosa nelle mie possibilità, impedendogli di farti del male e rendendomi io stessa una prigione.»

«Vi siete fatta possedere intenzionalmente?» Sputò Shani, incredula. «I Guardiani dovrebbero essere i più intelligenti fra il Popolo, ma continuate a dimostrarmi l'esatto contrario.»

Marethari voltò appena il capo per fronteggiarla. «E tu pensi di sapere tutto, eolas'esayelan1, ma attenta a non farti accecare dal tuo orgoglio. Non sei che un uccellino ai primi voli che pensa di poter conquistare il cielo.» La redarguì gelida. «Siete due incoscienti, ma ora non avete altra scelta che uccidermi ed eliminare così il demone.»

Le orecchie dell'elfa si abbassarono un poco, mentre un bastone magico le compariva tra le mani, il Velo che fremeva tutto attorno. «Felasil!2 Potevamo davvero riportare alla luce uno dei segreti dell'antico Popolo, ma no, voi avete sempre paura di tutto quello che non capite!»

Merrill era indietreggiata di qualche passo, fissando ad occhi sgranati la Guardiana. «No... non volevo...»

L'ombra di un sorriso comparve sul volto di Marethari. «Hai sempre saputo che la tua magia del sangue avrebbe avuto un prezzo da pagare, da'len. Ho scelto di pagarlo io al tuo posto. Dareth'shiral

«No!»

L'urlo di Merrill venne coperto da un ruggito, mentre il demone che aveva preso il controllo della Guardiana si liberava delle fattezze dell'elfa.

Garrett incoccò al volo una freccia, scagliandola dritta tra le squame del petto della creatura, conficcandola in profondità. Sferzò l'aria con l'arco e una serie di fulmini cadde tutto attorno al demone, imprigionandolo in una gabbia di elettricità e facendolo urlare di dolore mentre si gettava contro di essa, sfondandola in un'esplosione che avrebbe rischiato di travolgerli non fosse stato per la barriera di roccia eretta appena in tempo da Merrill. Il demone si accasciò a terra per un attimo, miasma scuro che colava dagli squarci fumanti lasciati dall'incantesimo di Garrett.

Una nube malsana si sollevò da terra, andandolo ad avvolgere la creatura e diventando sempre più densa, infilandosi nelle sue ferite e insinuandosi sotto le squame, come viticci di una spettrale pianta rampicante che si avvinghiarono tutto attorno ad essa, inchiodandola a terra e mozzandole un nuovo ruggito in gola.

Shani, la mano sollevata davanti a se col palmo puntato contro il demone, aveva gli occhi completamente illuminati di un verde brillante. Iniziò a chiudere il pugno, il bastone magico stretto nell'altra mano, e la creatura si contorse cercando di liberarsi, inutilmente. «Dalas3

Garrett incoccò una seconda freccia e una terza, colpendo il demone alla spalla e alla gola, liberando altre scariche di energia utilizzandole come focus. «Merrill!»

La Dalish esitava, il volto rigato di lacrime. «Ir abelas...» Una colonna di pura energia si alzò dal terreno, trafiggendo il demone e dandogli il colpo di grazia.

Quello si accasciò sul pavimento con un ringhio strozzato, e le fattezze tornarono quelle della Guardiana, il petto squarciato, le vesti coperte di sangue, il volto a malapena riconoscibile.

Merrill crollò accanto a lei, picchiando forte le ginocchia sul lastrone di pietra, lasciando che un urlo straziante le uscisse dalle labbra, scoppiando in singhiozzi.

Garrett le si fece accanto, accucciandosi accanto a lei. La dalish si scostò un poco, afferrando un lembo delle vesti impregnate di sangue della Guardiana. «Non volevo... Creatori, vi prego, che sia tutto un sogno, mi sveglierò e lei sarà di nuovo lì a rimproverarmi, vi prego, non-»

«Merrill...» cercò di chiamarla Garrett, ma l'amica non rispose, chinandosi ulteriormente sul cadavere. Le posò la mano sulla spalla, stringendola debolmente.

«Perchè non mi ha ascoltata...» Si voltò verso di lui, come in cerca di una spiegazione.

«Mi dispiace.» Disse semplicemente lui.

«È stata una sciocca.» Li interruppe Shani, sul volto un'espressione di freddo distacco. «Dalle buone intenzioni, certamente, ma una sciocca.»

«Se c'era davvero un prezzo da pagare, non avrebbe dovuto pagarlo lei.» Sussurrò Merrill, scostando lo sguardo dal cadavere a terra. «Era una mia scelta, non sua.»

«Aveva paura per te e si è chiusa nelle sue convinzioni piuttosto che darti una possibilità. Invece che fidarsi delle tue capacità.» Shani si chinò accanto a lei, sedendosi sui talloni. «Non lasciare che la sua morte riempa di paura anche la tua anima, che i suoi errori diventino i tuoi.»

La dalish chinò il capo, annuendo debolmente. «Dobbiamo avvisare il Clan. Qualcuno dovrà prendersi cura di lei.»

L'altra scrutò corrucciata il resto della sala, soffermandosi per un attimo sulla statua al centro di essa. «Direi che per il momento è meglio allontanarci da qui, sì.»

Si rialzarono in piedi, lasciandosi il corpo di Marethari alle spalle.

Mentre uscivano dalle rovine, andando incontro al vento gelido, Merrill si strinse più vicina a Garrett, appoggiandogli la testa sulla spalla. Il mago le afferrò la mano, cercando di confortarla, ma una serie di avvertimenti in elfico li fecero sobbalzare.

«Sappiamo che la Guardiana è salita fino a qui, dov'è?» Chiese una voce maschile, e un elfo armato di spada si fece strada verso di loro. Al suo fianco, una donna stringeva due coltelli affilati, guardando Merrill con disgusto. Dietro di loro, una mezza dozzina di cacciatori armati di archi li teneva sotto tiro.

«Te l'avevo detto che doveva c'entrare lei in tutto questo, la Guardiana era strana, quando è venuta in queste stupide rovine avremmo dovuto saperlo che-»

«Ineria.» La zittì il primo. «Merrill. Dov'è la Guardiana?»

«È coperta di sangue, l'hanno uccisa!»

L'elfo si irrigidì ulteriormente. «È così?»

Merrill abbassò il capo. «È stato un incidente. Ci ha costretti, non era-»

«Dovevamo sapere che avresti ucciso anche lei, mostro!»

Garrett si spostò istintivamente davanti all'amica, incanalando minacciosamente il mana nell'arco magico. «Marethari era posseduta da un demone, non avevamo altra scelta.»

«Non ci sarebbe stato nessun demone, non fosse stato per quella maledetta stronza!» Ringhiò l'elfa di nome Ineria avvicinandosi a loro, le armi in pugno.

L'elfo che aveva parlato per primo fece un cenno col capo. «Abbiamo sofferto abbastanza per colpa di questa traditrice. Ora basta.»

Le frecce si schiantarono con uno scoppio sulla barriera eretta da Garrett, frantumandosi in una scarica di energia che riuscì a sbalzare all'indietro gli elfi più vicini.

Merrill urlò qualcosa in elfico, cercando di farli ragionare, ma il clan sembrava deciso ad ucciderli.

Prima che Garrett potesse richiamare un'altra scarica di energia, Shani si fece avanti a passo deciso, sollevando il proprio bastone magico e la mano libera davanti a sé, fronteggiando gli elfi a muso duro nonostante la stazza minuta.

«Diana! Din'nuvenir panathe, esha'linne.» Parlò, la voce ferma e perentoria. Gli occhi erano verdi e innaturalmente brillanti, l'energia magica attorno a lei vorticava frenetica. La rilasciò con uno scoppio di luce. «Anel telithal y ryaan'era mala4

Gli arcieri e l'elfa che aveva attaccato con i coltelli caddero a terra come sacchi di patate. Anche quello che sembrava il loro capo crollò in ginocchio, l'arma che gli sfuggiva di mano, ma riuscì a restare lucido. Si afferrò il capo, grugnendo di dolore.

«Fenarel!» Merrill corse a raggiungerlo, fermandosi poi a distanza di sicurezza quando l'altro rialzò lo sguardo su di lei, carico d'odio. «Credimi, non ho mai voluto che-»

«Non importa, sono tutti morti.» Ringhiò quello, cercando inutilmente di rialzarsi, l'incantesimo di Shani che lo privava di ogni forza. «Hai ucciso anche la Guardiana con la tua stupidità.»

«L'ho fatto per tutti noi!» Alzò la voce lei, serrando il pugno. «Per il Clan, per la Guardiana, per Tam-»

«Non dire quei nomi, traditrice.» Sibilò Fenarel, artigliando il terreno con le unghie fino a spezzarle. «Sono morti, Merrill, morti! Lo capisci?! Nessuna delle tue orrende magie può riportarli in vita, nemmeno con quel maledetto specchio. Sono morti tutti quanti, ma tu sei ancora viva.»

«Se potessi prendere il loro posto, lo farei senza esitazione Fenarel, credimi.» Ribattè Merrill sull'orlo delle lacrime. «Posso solo cercare di-»

«Sul'emas telir' din5.» Rantolò l'elfo a terra, prima di crollare sotto la forza dell'incantesimo e unirsi ai suoi compagni in un sonno pesante.

Merrill rimase a guardarlo, le labbra dischiuse come a cercare di dire qualcos'altro, ma dopo qualche lungo istante scosse il capo, voltandosi verso Garrett e Shani. «Andiamocene. Per favore.»

La mutaforma tremava leggermente, e incespicò un paio di volte prima di accettare il braccio di Garrett, mormorando un ringraziamento a denti stretti, pallida in volto.

 

Ridiscesero per dove erano saliti, raggiungendo Kirkwall grati di non aver incontrato altri del Clan. Una volta tornati all'Enclave era notte fonda, e Garrett le riaccompagnò fino all'angusta abitazione di Merrill, un nodo alla gola.

«Se posso rendermi utile...» parlò con un filo di voce, rompendo il silenzio pesante che aveva gravato per le ore precedenti.

Merrill abbassò lo sguardo sulle assi malconce del pavimento, seduta sul letto, le mani in grembo strette attorno a qualcosa. «Non c'è nulla che tu possa fare, purtroppo. Mi odiano. Da anni, ormai, avrei dovuto capirlo già da tempo che non...» si morse un labbro, gli occhi che si riempivano nuovamente di lacrime. «L'ho fatto per loro. Per il Clan, per la Guardiana, per restituirgli un pezzo della nostra storia. Per...» posò lo sguardo sull'oggetto che teneva tra le mani, il piccolo halla di legno che solitamente teneva di fianco al letto «per Aenor e Tamlen. Perché non fossero morti invano, eppure non sono riuscita a dargli nemmeno quello.»

Garrett sospirò, sedendosi accanto a lei e cingendole le spalle. «Hai fatto tutto quello che potevi, ma non è colpa tua se la Guardiana e il resto del Clan non si sono mai fidati di te. Non ti conoscono, Merrill. Ho visto come utilizzi la magia del sangue, non c'è niente di malvagio in te. Sei sempre pronta ad aiutare gli altri, e vuoi soltanto recuperare la conoscenza perduta del tuo popolo in onore dei tuoi amici scomparsi. Non hai niente di cui incolparti.»

Gli si strinse contro, nascondendo il volto rigato di lacrime contro il suo petto e singhiozzando sommessamente. «Allora perché sento di aver sbagliato tutto?»

Garrett le accarezzò i capelli. «Ti mancano, è normale. Ma hai trovato una nuova famiglia qui, Merrill. Io credo in te, e ti supporterò sempre. E anche Isabela, Varric, persino Aveline, anche se non fa altro che brontolare.»

L'amica rialzò lo sguardo, gli occhi gonfi. Tornò ad abbracciarlo, ancora scossa dai singhiozzi. «Ma serannas, lethal'in

Sorrise in rimando, stringendola a sé.

Shani si affacciò dalla porta, una tazza fumante in mano che emanava un profumo leggermente agrumato. «Abbiamo fatto il possibile.»

Merrill si allontanò un poco da Garrett, asciugandosi il viso con la manica e accettando riconoscente la tazza. «Grazie. Per averli fatti addormentare senza che dovessimo far loro del male, e per il tuo aiuto con...» le morirono le parole in gola, e si rifugiò nella tisana.

L'altra annuì. «So quanto sia difficile. Hai il mio rispetto.»

«Cosa farai ora?» Le chiese Merrill, tirando su col naso.

Shani rimase in silenzio per qualche istante, prima di rispondere. «Restare soli è difficile. C'è qualcuno che mi sono ripromessa di aiutare, devo almeno provarci.»

Garrett alzò lo sguardo su di lei, preoccupato. «Parli di Feynriel?»

Lei annuì. «È circondato da persone malvagie che lo vedono solo come uno schiavo speciale da sfruttare per i loro scopi. Potrei esserci io al suo posto, se qualcuno non mi avesse aiutato tanti anni fa. Devo restituire il favore, ho fatto una promessa.»

«Fai attenzione.» Disse semplicemente Garrett.

Shani sorrise appena. «A volte, vale la pena correre il rischio e saltare nell'oscurità, anche se non sai dove potrai atterrare.»

Quelle parole gli ricordarono quelle sentite anni prima da Flemeth. Rabbrividì istintivamente.

«Dar'et shiral, Shani. Ma serannas.» Le disse solennemente la dalish.

«Sule tael tasalal, arani6

Shani li salutò con un ultimo cenno del capo, prima di voltare loro le spalle e uscire dalla stanza.

Rimasti soli, Merrill prese un altro sorso della tisana, stringendo tra le mani il piccolo halla di legno. «Era una Lavellan, prima di lasciare il suo Clan, me l'ha rivelato quando le ho raccontato di come trovammo l'Eluvian.» Parlò dopo un poco, accarezzando l'oggetto con affetto. «Ha detto che è rimasto un ricordo di Aenor, in questa statuetta. L'ha intagliata lei tanti anni fa, per il mio Vallaslin, l'ho conservata per tutto questo tempo.»

«È un pensiero dolce.»

«Non so cosa devo fare, Garrett.»

La osservò confuso. «Che intendi?»

Merrill sospirò. «Ho sempre pensato che sarei stata in grado di salvare degli artefatti perduti del mio popolo, per aiutare il Clan. Mi sbagliavo, evidentemente, non è per loro che devo proseguire nelle mie ricerche, ma... per chi, sennò?» Scosse il capo, appoggiando l'halla sul comodino traballante. «Forse dovrei concentrarmi su altro. Lo specchio è un vicolo cieco, per ora, e non so...» Si mordicchiò il labbro inferiore, prendendo poi un altro sorso. «L'Enclave ha bisogno di me, la Resistenza sta diventando più forte grazie a noi e ci sono così tanti altri misteri sugli antichi Elvhen ancora da scoprire.»

Le afferrò la mano, stringendola delicatamente. «Tu cosa vuoi fare?»

L'elfa puntò gli occhi verde scuro nei suoi. «Non voglio perdere nessun altro. Te, i nostri amici, Carver... voglio combattere per loro.»

Garrett sorrise, una fitta allo stomaco al pensiero del destino del fratello e di Anders, inevitabile a detta di tutti i Custodi. «Pensi ci sia un modo di...» anche solo pronunciarlo ad alta voce sembrava chiedere troppo al Creatore «di salvarli dalla Corruzione?»

Merrill si strinse nelle spalle. «Non lo so. Ma con l'aiuto di quel demone e la mia magia del sangue, sono riuscita a purificare l'Eluvian. Certo, non funziona, ma non credo che le due cose siano collegate così strettamente come pensavo all'inizio. E se ha funzionato con lo specchio, magari con le dovute modifiche potrei provare a fare lo stesso con un Custode Grigio. Perchè nessuno debba più morire come Tamlen.»

Garrett sospirò. «Non ho idea se sia possibile, né ho le capacità per aiutarti, ma se potrò esserti utile in qualche modo, ci sono. Se potessimo davvero trovare come salvare Carver e Anders...»

«Non ne sono sicura, sono tutte congetture. Ma almeno ho un nuovo obbiettivo. E ovviamente, non abbandonerò la Resistenza, non ora che stiamo facendo progressi.»

La guardò asciugarsi gli occhi un'altra volta, un'espressione determinata sul volto.



 

1Letteralmente: “Colei che ricerca la conoscenza”

2Stupido, dalla mente lenta

3“Uccidila”

4Letteralmente “Fermi! Non vi è necessità di combattere, figli del Popolo. Siete ciechi ma ora dovete dormire.”

5Letteralmente “Porti solo morte.”

6“Arrivederci, amica mia”




















Note dell'Autrice: salutiamo Shani per un po'. Merrill ha un nuovo obiettivo, Garrett ha le mani in pasta più o meno ovunque, e varie sottotrame si diramano da Kirkwall al resto del Thedas. 
Il prossimo capitolo sarà decisamente più leggero ed allegro. 
A presto! 

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Capitolo 43
*** Life is nothing like we pictured it ***


CAPITOLO 43
Life is nothing like we pictured it




 

«Pranziamo assieme?» Le chiese Ruvena, cercando senza farsi notare di distendere la schiena, intorpidita dalle ore passate al freddo a pattugliare il porto. Erano alla fine del primo turno, proprio vicino agli uffici di amministrazione portuale e quelli delle varie compagnie navali.

Marian scosse il capo, aprendo e chiudendo i pugni, le dita intirizzite. «Certo. Preferenze?»

«Qualsiasi posto al coperto.»

Trovarono una locanda più che dignitosa proprio lì vicino, facendo girare parecchi avventori quando si diressero ad uno dei tavoli liberi.

L'oste, un rubizzo omone massiccio che doveva essere stato ai suoi tempi un marinaio, dati i tatuaggi sulle braccia che spuntavano dalle maniche arrotolate della camicia, venne loro incontro con uno straccio macchiato e un boccale di birra a metà, tirando su col naso. «Cosa posso portarv-» sgranò gli occhi, riconoscendo Marian e facendo quasi cadere a terra ciò che aveva in mano. «Ser Hawke! Non pensavo... permettetemi di farvi assaggiare la birra migliore che abbiamo, e mia figlia ha fatto proprio ora uno stufato di montone che è una delizia, ve lo assicuro!»

Marian arrossì un poco, cercando di sorridere. «Sarà sicuramente buonissimo, mi fido di voi, serah. Portate due porzioni del meglio che avete.»

«Abbondanti!» Rincarò la dose Ruvena, che se la stava godendo molto più di lei. «Proteggere questa città fa venire una fame da lupi...»

L'oste schizzò verso il retro del locale, berciando qualche ordine alla cucina.

«Non mi abituerò mai ad essere famosa.» Mugugnò Marian, affondando il mento del colletto e cercando di ingobbirsi per quanto le permettesse l'armatura, in un inutile tentativo di nascondersi dagli sguardi curiosi degli astanti. «Non so come faccia Garrett a mantenere tutte quelle pubbliche relazioni tra nobili e gente comune, io impazzirei.»

«Ti dai troppo poco credito.»

«Ma fammi il favore... sono sempre stata più brava con una spada che con le parole, è lui quello affabile. Io sono quella che fa paura, o che viene presa di mira. O tutte e due le cose, se sono proprio fortunata.» Il proprietario della taverna tornò quasi di corsa con due boccali di birra schiumosa e un cestino di pane caldo. «Arrivo subito con lo stufato, Ser Hawke!»

«Direi che te la cavi più che bene.» Commentò Ruvena con un piccolo cenno del capo all'uomo che si allontanava trotterellando. «Sembra che stia servendo l'Imperatrice di Orlais.»

Marian scoppiò a ridere. «Non dire scemenze, nessuno sarebbe così contento di servire un'Orlesiana.» Afferrò uno dei boccali, annusandone rapita la fragranza affumicata e la schiuma corposa color caramello. Ne assaggiò un sorso, restandone piacevolmente sorpresa.

Ruvena fece lo stesso, lasciandosi sfuggire un verso di apprezzamento ad alta voce. «Che ne dici di saltare il resto del turno di guardia e restare qui a finirgli il barile?»

«Non tentarmi, potrei accettare...» ridacchiò di nuovo, bevendo di nuovo. «Aveva ragione, è maledettamente buona.»

«Viene da un birrificio di Hasmal, Ser, uno dei migliori dei Liberi Confini!» Si vantò l'oste, ricomparendo con due scodelle di stufato fumante. «Ne abbiamo quanto ne volete, ovviamente, anche se volete portarvene un po' a casa per berlo in famiglia... con le festività che si avvicinano, è una buona occasione!»

Marian sorrise, assottigliando impercettibilmente le labbra al pensiero che sarebbe stato un altro Satinalia senza Leandra e Carver. «Mio fratello è un appassionato, potrei chiedervi di portarne un barilotto alla sua residenza in città alta, entro domani sera?»

L'oste si illuminò di gioia, chinando il capo. «Ma certamente! Dirò subito a mio figlio di prepararsi e andare a portarglielo, non preoccupatevi di niente, è un onore!»

«Ah, figuratevi, è davvero molto buona...» Marian cercò di ricambiare l'entusiasmo, sempre più a disagio, lo stomaco che brontolava. Si allungò a prendere un pezzetto di pane, affondandolo nello stufato e assaggiando la pietanza. «Anche questo lo è, serah, fate i complimenti a vostra figlia.»

Quello si inchinò di nuovo, ringraziandola a profusione.

«Se è tanto buono, potrei averne anche io una ciotola?» Chiese una voce roca, il tono pesantemente ironico e un marcato accento del Ferelden che Marian riconobbe al volo.

L'oste si voltò come se l'avesse morso un topo. «Cosa vuoi tu, è già tanto se ti puoi permettere il pane raffermo di ieri!»

Samson rispose con un sorriso tutto denti gialli, il naso rosso dal freddo che spiccava sulla carnagione pallida e malaticcia. «Ma come, vi pare questo il modo di parlare ad un caro amico della tenente Hawke?»

L'altro restò interdetto, spostando lo sguardo da Marian al nuovo arrivato come aspettandosi che lei smentisse tutto e che, per buna pace di tutti i commensali, spedisse il fereldiano a tornare a mangiarsi il pane raffermo in un angolo dove non attirasse l'attenzione.

Marian dovette trattenersi dal non ridacchiare. «Siediti pure, Samson.» Rivolse un mezzo sorriso di scuse all'oste. «Potete portarci dell'altra birra e stufato? Non sembra, ma è un brav'uomo.»

L'omone sembrò mangiarsi la lingua. «Ma certo, arrivo subito...» chinò il capo, sconfitto, tornando verso le cucine trascinando i piedi.

«Così mi rovini la reputazione, Hawke.» Commentò Samson, allungandosi per prendere un po' di pane e cacciandoselo voracemente in bocca.

«Oh, scusa, la prossima volta mi ricorderò di sputarti addosso e cacciarti a pedate dal locale, come si conviene.»

«Meredith e il suo cane da guardia approverebbero.» Lanciò uno sguardo a Ruvena, che era rimasta impassibile e ora lo fissava con sdegno. «E anche qualcun altro, a quanto vedo.»

«Non ho niente contro di te, Samson,» lo interruppe lei, affondando il cucchiaio nello stufato con più impeto del necessario, «ma non approvo il tuo invischiarti sempre negli affari altrui.»

Le rivolse un altro dei suoi sorrisi. «Per come sono messo, invischiarmi nei fatti altrui è il mio lavoro, ora. E ci vivo abbastanza bene, grazie per l'interessamento.»

«Devo ringraziarti, a proposito.» Si intromise Marian, posando il cucchiaio. «Se non avessi aiutato Garrett e gli altri, non so se sarebbero riusciti ad arrivare in tempo.»

Samson si voltò per evitare il suo sguardo, masticando avidamente un altro pezzo di pane. «Figurati, ci ho solo guadagnato. Te l'avrà detto, immagino.»

«Sì, mi ha riferito, ma ti ringrazio lo stesso.» Insistette lei.

L'altro bofonchiò qualcosa, ma vennero interrotti dall'oste. «Ecco il cibo e la birra, anche se per uno come lui è un po' sprecata, Ser, se permettete.»

«Oh, non saprei, sotto quell'aspetto da accattone senza morale, forse c'è ancora una brava persona.»

Samson quasi si strozzò con lo stufato su cui si era avventato. L'oste lo guardò scettico, ma preferì sollevare le mani e scuotere il capo. «Se lo dite voi...»

Ruvena scoppiò a ridere, rischiando di farsi andare di traverso la birra. «Lo nasconde bene!»

«Non so se era un complimento o un insulto, Hawke, ma grazie per il pranzo.» Mugugnò l'ex-templare, prendendo un'altra cucchiaiata. «Con questo freddo del cazzo fa solo bene un po' di stufato caldo... anche se il montone ha un sapore strano, credo di essermi ormai abituato alla carne misteriosa che servono giù in città oscura.»

«Possiamo chiedere se hanno delle pantegane in dispensa, se preferisci. Conosci qualche ricetta particolare, magari con qualche salsa orlesiana da abbinarci?» Lo prese in giro lei.

«Orlesiana?!» Fece finta di sputare nel piatto, storcendo la bocca. «Meglio morire di fame. Stai tradendo le tue origini, Hawke.»

Marian si fece improvvisamente seria. «Mai.» Si portò una mano all'altezza del cuore, chiudendo solennemente gli occhi. «Non oserei mai mangiare qualcosa di quei fetenti mascherati.»

Ruvena le allungò una gomitata. «Ma se stamattina abbiamo fatto colazione con delle eclairs

Colta in flagrante, scrollò le spalle. «L'eccezione che conferma la regola. E poi, erano del forno Ava on'Ala, quindi non contano davvero come orlesiane.»

«Quello gestito da elfi, no?» Chiese Samson, interessato. «Com'è che non l'hanno ancora raso al suolo, i riccastri della città alta? Me lo chiedo da un pezzo.»

«Ci avrebbero sicuramente provato, ma è stato Garrett a fare da garante per l'acquisto e il rinnovo del locale. E poi ovviamente sfornano roba così buona che i clienti improvvisamente si dimenticano delle orecchie a punta delle proprietarie.»

«A Garrett Hawke, allora, Campione e sommo benefattore di Kirkwall!» Alzò la voce Samson, scimmiottando un brindisi verso di lei. «Possa sempre riempirsi le tasche, ma soprattutto riempirle a noialtri scansafatiche.» Tracannò metà del boccale, tornando poi a divorare lo stufato.

«A proposito di scansafatiche.» Ne approfittò Marian mentre finivano di mangiare, cercando di apparire più innocente possibile e non lasciar trapelare il fatto che ci pensasse già da un bel po'. «Non sei ancora stufo di passare il tuo tempo a mendicare per qualche pezzo di rame e dover arrabattarti ogni giorno? Sarai anche bravo a mettere il naso in ogni complotto della città, ma prima o poi qualcuno ti ringrazierà con una coltellata tra le costole.»

Samson sollevò le sopracciglia, abbozzando un sorrisetto. «Perché, improvvisamente l'Ordine sente la mia mancanza?»

Lei scosse il capo. «Sai che ci vorrebbe un miracolo per convincere Meredith a riprenderti, però i Templari non sono gli unici che fanno del bene a questa città...»

L'altro perse il sorrisetto, corrucciandosi. «Che hai in mente?»

«Dico solo che quelle mani non sono fatte per raccattare spicci da terra, Samson.» Si sporse ad afferrargli la destra, e l'uomo si irrigidì immediatamente, sorpreso. «Sono mani di chi ha brandito una spada per anni, non dirmi che non ti manca il peso di una buona lama.»

«La vita da mercenario non fa per me, troppi rischi.» Ribattè lui, ritraendo la mano e portandola sotto al tavolo. «E poi la mia personalità così affabile sarebbe sprecata con gente come quella.»

«Non ho mai parlato di mercenari, finiresti con tutti i denti rotti dopo mezz'ora, con la parlantina che ti ritrovi.» Marian scosse il capo, prendendo un sorso di birra e schioccando le labbra. «Potrei mettere una buona parola per te con il Capitano delle Guardie. Magari non entreresti subito tra i ranghi, ma dopo un po' di gavetta e qualche mese a tenere bassa la cresta, vedrebbero che vali qualcosa. È un ruolo rispettabile, dove avresti la possibilità di tornare a renderti utile ed essere soddisfatto di come hai passato la tua giornata.»

Samson aveva sgranato gli occhi e la fissava immobile, la bocca leggermente aperta. «Stai... scherzando, vero? Non dirai sul serio.»

Persino Ruvena sembrava sconvolta. «Marian-»

«Sono serissima.»

L'uomo scoppiò a ridere, forzatamente, ad alta voce. «Bella battuta, Hawke, davvero bella! Non pensavo fossi una spiritosona, complimenti.» Afferrò il cucchiaio con impeto, finendo lo stufato borbottando tra sé e sé, rosso in volto. «Proprio simpatica.»

Marian sbuffò. «Davvero, pensaci. Non dovresti buttarti via così.»

Samson non le rispose subito, pulendosi la bocca con la manica e finendo la propria birra. «Voi Hawke pensate che tutti siano meglio di quello che sono in realtà... la verità è che vi sentite in colpa perché voi ce l'avete fatta, e altri invece sguazzano nel fango.» Si alzò in piedi, guardandola finalmente negli occhi. «Non voglio la tua pietà, non me ne faccio un bel niente.» Diede loro le spalle, allontanandosi a passi larghi verso l'uscita e spalancando la porta con forza.

Ruvena sputò un insulto a mezza bocca. «Che razza di ingrato... Marian?»

Senza pensarci, Marian era già schizzata in piedi, seguendo Samson fuori dalla locanda. Gli corse dietro, afferrandolo per il braccio. Quello la strattonò per liberarsi, ruotando di mezzo giro e colpendole la gamba con la propria senza farle male, ma facendole perdere l'equilibrio.

Marian dovette lasciarlo andare, rischiando di cadere, ma l'uomo la tenne in piedi per quell'attimo necessario a riprendersi.

«Vedi che sei sprecato?»

«Dovresti imparare ad accettare un rifiuto, Hawke.»

«Sono testarda.»

Samson schioccò la lingua, voltandosi verso il molo sottostante. «Tipico di voi pomposi arricchiti.»

«Dimmi solo una cosa. Sei soddisfatto?» Insistette lei, incrociando le braccia al petto.

Sul volto dell'altro comparve una smorfia amara. «Ovviamente, ho realizzato i miei sogni.»

«Se mai dovessi rinsavire-»

«Lasciami in pace, sto bene da solo.» La zittì lui, tornando al suo solito ghigno.

Marian sospirò. «Come ti pare.» Capitolò infine. «Se però ti stufi, domani sera passa pure alla villa, ci saranno una manciata di amici stretti e una montagna di cibo e alcolici. Puoi pure startene da solo, se preferisci, ti prepareremo la sedia nell'angolo più in ombra del salotto. Sempre che Fenris non sia di cattivo umore, altrimenti dovrete litigarvela.»

Samson scosse il capo, divertito, per poi allontanarsi tranquillamente. «Buon Satinalia, Hawke.»



 

«Ancora non capisco come tu ti sia sognata di invitarlo, e se si presentasse sul serio?!» Ripetè per l'ennesima volta Ruvena, incredula.

«Non penso verrà, ma in caso saremo più che contenti di ospitarlo.» Rispose decisa Marian, varcando i cancelli della Forca con aria ostinata. Immediatamente, alcune teste si voltarono verso di lei, poteva sentire gli sguardi di parecchi colleghi puntati su di loro. «Nessuno dovrebbe passare da solo le feste.»

«Magari potessi passarle da sola, invece!» Si lamentò l'amica, sfregandosi le mani mentre entravano negli alloggi. «Mia sorella arriva stasera da Starkhaven con tutta la famiglia, sarà un putiferio, mia madre e i miei zii stanno cucinando ininterrottamente da due giorni. Ho scelto di fare doppio turno stasera e mezza giornata domani pur di stare il più lontana possibile da casa, mia madre quando ci si mette è davvero-» si zittì di colpo, mordendosi la lingua. «Scusa, non volevo, sono un'idiota.»

Marian si sforzò di sorridere. «Non fa niente.»

«No, sono una stronza, mi dispiace.» Ribattè l'altra, chinando il capo. «Non dovrei lamentarmi.»

«Ru, davvero, non importa.» Le appoggiò una mano sulla spalla, dandole una piccola pacca. «Non ti invidio per nulla con tutti quei bambini urlanti per casa, noi saremo a bere e giocare a Grazia Malevola imprecando come scaricatori di porto. Sempre che Aveline ce lo lasci fare, si intende...»

«Tenente Hawke!»

L'umore di Marian sprofondò ulteriormente, voltandosi verso Cullen e cercando di non mostrare il proprio fastidio. «Sì, Capitano?»

L'uomo, che stava parlando poco lontano da loro con un paio di reclute dall'aria afflitta, le raggiunse a grandi falcate. «Volevo proprio parlarti del Capitano Vallen, ci sono state lamentele a riguardo della sua gestione delle Guardie Cittadine.»

Ora, che Cullen se la prendesse con lei era un conto, ma che attaccasse Aveline, la quale era il perfetto esempio di come dovesse comportarsi un capitano con i propri uomini, quello era un altro paio di maniche. Marian assottigliò lo sguardo, incrociando le braccia al petto. «Che genere di lamentele, posso saperlo, signore?»

Quello si strinse nelle spalle. «Voci di corridoio, a quanto si dice, ma sostengono che tenga le sue guardie sotto una campana di vetro e che li coccoli troppo. In fondo, ne ha pure sposato uno.»

“Quanto vorrei spaccargli la testa contro quel muro di pietre sporgenti...” pensò Marian, prendendo un respiro e contando fino a cinque, la meravigliosa immagine delle cervella di Capitan Culo che colavano dalle pietre al pavimento. «Non ho sentito nulla di tutto ciò, Capitano, e posso assicurarvi che serah Hendyr, pur essendo il marito del Capitano Vallen, non riceve alcun trattamento di favore rispetto agli altri.»

«E come posso sapere che non stai semplicemente difendendo un'amica, Hawke?» La riprese Cullen, acido. «In tempi di crisi, in cui la città è rimasta senza la guida del Visconte, la Guardia Cittadina dovrebbe supportare il lavoro dell'Ordine nel tenere al sicuro Kirkwall. Se la città non si fida più del Capitano delle sue Guardie, saremo costretti a sostituirla.»

“No, impossibile...” ci ripensò Marian, stampandosi in faccia un'espressione neutra “non possono colare cervella, non ne possiede manco un pugno.” «State dicendo che avete già un rimpiazzo pronto? Perché in caso si faccia pure avanti, siano però gli uomini e i fatti ad approvare la sostituzione, per il momento io non ho sentito una sola singola lamentela sul corpo di Guardia, non da persone che volessero metterci la faccia, almeno.»

«Non occorre l'approvazione di nessun altro se non del facente veci del Visconte, che se ben ricordi è la nostra Comandante. Sarebbe un altro onere sulle mie spalle, certamente, ma accetterei anche questo per garantire la sicurezza di Kirkwall.» Cullen gonfiò pomposamente il petto, guardandola dall'alto in basso.

Marian iniziava a vederci rosso. «Posso parlare liberamente, signore?»

Ruvena la guardò allarmata, cercando di farle cenno col capo di tacere, ma l'altro annuì con aria di superiorità.

«Se fosse un'indagine seria nei confronti del Capitano Vallen, sarebbero state sporte denunce sulla sua condotta da persone che hanno lasciato nome e cognome, non sussurri alle spalle da una manciata di codardi corrotti con qualche spiccio per infamare qualcuno che si è sempre fatto in quattro per questa città e per i suoi cittadini. Sempre, Capitano, chieda pure in giro se i cittadini di Kirkwall non sono grati degli ultimi anni in cui hanno potuto contare sugli uomini e donne che il Capitano Vallen ha addestrato personalmente e che dirige con onestà e meritocrazia, invece che accettando tangenti e vendendo il proprio onore alla Cerchia, al Carta e feccia simile, come faceva il suo predecessore.»

Cullen era arrossito leggermente. «Hawke, non sono certo io a-»

«Datemi il permesso di aprire un'indagine ufficiale, signore, e sarò ben lieta di farmi da parte dopo aver scelto tra i nostri ranghi persone competenti, per non contaminare le prove per colpa dell'amicizia che mi lega al Capitano Vallen.» Fece un passo in avanti verso Cullen, la mascella serrata. «Tuttavia, finché si parlerà di stupide voci di corridoio provenienti da malelingue invidiose, non starò ad ascoltare menzogne sputate solo per screditare una delle poche persone che si meritano la carica che occupano.»

L'uomo rimase per un paio di secondi senza parole. «Hawke, non volevo insultare le capacità del Capitano Vallen, solo metterti al corrente dei fatti. Se vuoi davvero aprire un'indagine, ti do l'autorizzazione per farlo, saremo tutti più tranquilli una volta saputa la verità. Ma non voglio sentirti insinuare una seconda volta dei dubbi su chi governa questa città, tenente.» Fece un cenno col capo a lei e Ruvena, accomiatandosi rigidamente. «Vi auguro una buona serata.»

Aspettarono di essere tornate nei loro alloggi prima di commentare l'accaduto.

«Non dovresti rivolgerti a lui in quel modo, potrebbe-»

«Cosa? Rovinarmi la carriera, mettermi contro i nostri colleghi, sputarmi nella zuppa?» Marian si buttò sul letto, calciando via uno stivale con rabbia. «Avrei dovuto farmi i cazzi miei, a quei Satinalia... odio i maghi del sangue, come chiunque altro, ma nel suo caso aveva dannatamente ragione a volerlo morto.»

Ruvena si guardò alle spalle. «Non farti sentire, stanno solo cercando una buona scusa per cacciarti.»

«Oh, che lo facciano pure. Mi solo quasi fatta ammazzare da un fottuto bruto cornuto cinque volte me, ma evidentemente bastava una mezza parolina sussurrata all'orecchio giusto per farmi tenere il posto nel glorioso e nobile Ordine Templare... cosa mi sono impegnata per anni a fare, se bastava leccare il culo ad un Trevelyan?» Anche l'altro stivale seguì il gemello nell'angolo. «Fottuto Capitan Culo, se prova solo a fregare il posto ad Aveline per conquistarsi anche la Guardia Cittadina con qualche patetica scusa, lo attacco al muro. Che mi giustizino pure, almeno mi sarò tolta una soddisfazione, per una buona volta.»

«Piuttosto...» Replicò Ruvena, aspettando che si calmasse un poco e litigando con le cinghie dell'armatura. «Se vuoi possiamo indagare io e Hugh sulla faccenda. Prendiamo anche Keran, che ti deve un favore. Avrei chiesto pure ad Adrew, ma ha seguito Trevelyan ad Ostwick in licenza.»

Marian sbuffò pesantemente, aiutando l'amica a liberarsi degli spallacci e pettorale. «Mi faresti un grosso favore. Se anche la Guardia Cittadina cade sotto il controllo di Meredith, Kirkwall andrà alle fiamme. Letteralmente, credo.» Sollevò il braccio, permettendo all'altra di aiutarla a fare lo stesso.

«Figurati, almeno avrò una scusa per fare tardi domani e andarmene dopo qualche ora... ci inventeremo una visita a sorpresa, analizzeremo come distribuiscono le ronde e quant'altro, in mezza giornata dovremmo avere abbastanza dati per sistemare questa cavolata una volta per tutte.» La rassicurò Ruvena, rifilandole una pacca d'incoraggiamento sulla schiena. «E poi, il Capitano Vallen è una spalla sopra il nostro, nessuno dovrebbe azzardarsi a sparlare di lei in questo modo.»

«Sai, questa conversazione qualche anno fa non sarebbe mai avvenuta.» Commentò Marian divertita, ma grata all'amica.

«Quando smetterai di ricordarmi che ho pessimi gusti in fatto di uomini?»

Finì di togliersi la giacca imbottita, lanciandola sulla sedia accanto al letto. «Mai. Mi piace il fatto che abbiamo un sacco di cose in comune.»

Ruvena le tirò un cuscino. «Parla la futura regina di Starkhaven!»

Rispose all'attacco, tirandole il proprio. «Perché non sai dei precedenti.»

«Oh, qualcosa lo so, non temere.» Sogghignò l'altra, ripassandoglielo. «Non eri proprio discreta, durante il primo paio d'anni che hai passato qui.»

«Sempre meglio di Capitan Culo.»

Ruvena annuì solennemente. «Sempre meglio di Capitan Culo, già.»

«Se può farti stare meglio, una volta ci ho provato con Samson.» Si lasciò sfuggire Marian, scoppiando poi a ridere. «Ed è stato lui a rifiutarmi.»

L'amica la guardava come se avesse detto di essere andata a letto con l'Arishok. «Come, scusa?»

Alzò le mani, cercando di spiegare. «In mia difesa, ero estremamente ubriaca e triste. È successo quella sera in cui Bela mi ha trascinata a bere dopo le false notizie su Carver e Garrett dispersi nelle Vie Profonde. In effetti, è stato un gentiluomo.»

«Ho capito la tristezza e l'alcol, ma Samson?!» Ruvena fece una smorfia schifata, coronando il tutto da un verso disgustato. Poi, le lanciò uno sguardo di sottecchi. «Non è che ti sei già stufata del principino e vuoi tornare ai bassifondi?»

Stavolta fu il turno di Marian di rabbrividire. «Ru! Nemmeno per scherzo!»

L'altra si strinse nelle spalle. «Sei stata così gentile ad invitarlo...»

«Ci sarà anche Sebastian, ovviamente, con tutti gli altri.»

Ruvena sollevò un sopracciglio, l'aria di chi la sapeva lunga, arricciando un angolo della bocca. «Come se fosse la prima volta che ti diverti con più di qualche amico.»

Marian rimase a bocca aperta, inorridita. «Anche tu?! Ma lo sa tutta la città di quell'unica volta? È stato un caso, una sola serata!» Affondò la faccia nel cuscino.

«La tua amica parla troppo, te l'ho sempre detto.»



 

«E indovina che ci ho trovato? Trecento copie contraffatte a puntino, pronte per essere spedite ad Orlais!» Varric prese un altro sorso di birra, gesticolando animatamente verso Aveline. «Quell'infame mi aveva detto che la terza partita era andata persa per un errore di stampa, e invece se le voleva vendere da solo sottobanco.»

«Inaccettabile!» Gli diede ragione Donnic, annuendo.

«Perché non è passato dalla caserma?» Chiese invece Aveline, corrucciata. «Avremmo dovuto arrestarlo, o almeno fargli pagare i danni...»

Il nano sogghignò, dando di gomito a Garrett, seduto accanto a lui. «Oh, i danni li ha pagati eccome, sarà ancora lì a pagarli, probabilmente.»

Marian lanciò un'occhiata sospettosa al duo. «Che avete combinato?»

«Ah, niente di che, l'abbiamo gentilmente convinto a stampare cinquecento copie di tasca sua, senza commissioni. Per dimostrarci la sua buona volontà a riallacciare il rapporto di fiducia tradito.»

«Molto più efficace che fargli passare qualche giorno in cella, su questo non c'è dubbio.» Concordò Isabela, seduta sulle ginocchia di Fenris, allungandosi verso la bottiglia di vino sul tavolo e prendendone un sorso a canna, passandola poi all'elfo. «Si sarebbe solo divertito.»

«Non è esattamente una passeggiata al chiaro di luna, la galera.» Commentò Aveline piccata.

La pirata le rivolse uno sguardo furbo. «Pensi che quello non sia abbastanza immanicato da evadere nel giro di una settimana?»

Varric si strinse nelle spalle. «È utile anche a quello, in effetti...»

«Piuttosto, Aveline, Ruvena è passata alle caserme?» Si interessò Marian, curiosa. Aveva a malapena incrociato l'amica nel pomeriggio, ma l'altra le aveva strizzato l'occhio in maniera incoraggiante.

«Sì, mi ha avvertita... se trovo chiunque stia mettendo in giro fesserie del genere, lo butto in acqua a rinfrescarsi le idee.» Rispose lei, corrucciata.

Donnic annuì, rabbuiandosi. «Una di noi ha detto di avere una pista, domani dovremmo andare a scovare il responsabile.»

«Posso sapere-?»

Aveline lanciò un'occhiata ammonitrice al marito, che aveva già aperto bocca per rispondere alla templare, sollevando una mano. «Non ci provare, ci hanno detto che devi starne fuori. Cullen ti tiene il fiato sul collo, meno sai di tutta questa storia, meglio è. Ma ti prometto che si beccherà ciò che merita, e pure qualcosina in più pure da parte tua.»

Marian si morse il labbro, offesa. «Se lo dici tu... odio essere messa da parte così, però.»

«Ho visto la copertina del nuovo libro di Varric, Garrett, l'hai fatta sempre tu?» Chiese cortesemente Sebastian, cercando di virare la conversazione su argomenti più sereni.

Quello annuì. «Mi ci sono divertito.»

Lo sguardo di Marian vagò per la sala, osservando Merrill e Sandal che giocavano con Bu, Bodahn che ravvivava il focolare, le decorazioni di vetro scintillante e le lanterne di carta e stoffa che fluttuavano placidamente sul soffitto grazie all'aiuto di Anders, la luce che rifletteva tremolante sul ritratto di Leandra appeso sopra il camino.

Sebastian dovette accorgersene, perché le prese delicatamente la mano tra le sue. «Dovreste farvi un ritratto. Tutte le casate nobiliari ne hanno uno.»

I due Hawke si lasciarono sfuggire una risatina all'unisono.

«Non siamo una vera famiglia nobile.» Ribattè Garrett, prendendo un altro sorso di birra.

«Era nostra madre quella dal sangue blu... ora ci resta solo Gamlen!» Scherzò Marian, allungando il boccale a Varric perché lo riempisse.

«Ho cercato di invitarlo, in realtà, ma ha detto che aveva da fare.»

«Ubriacarsi alla Rosa, probabilmente.»

Bevvero alla salute dello zio, ridacchiando.

«A proposito di Gamlen, la sai l'ultima trovata per raccattare qualche spiccio?» Disse Garrett, allungandosi a prendere un dolcetto. «Quando sono andato a chiedergli se voleva venire qui stasera, ho trovato una lettera per lui su una gemma misteriosa. I miei tentativi di cacciargli fuori qualche informazione sono falliti miseramente e mi ha urlato di farmi i fatti miei quasi calciandomi fuori dalla porta, ma credo sia solo un modo per non farmici invischiare. Se crede all'esistenza di questa gemma, magari pensa che trovandola farà un sacco di soldi.»

«Il problema non è avere un paio di Sovrane o un intero forziere, è che finiscono tutti in qualche canale di scolo o tra le gambe di qualcuno.» Commentò acida Marian. «Sei fin troppo buono a mandargli la paghetta ogni mese, non ha mai combinato nulla di utile, poteva almeno accettare il lavoro che gli avevi offerto.»

Garrett si strinse nelle spalle. «Lo conosciamo ormai, non vale la pena di prendersela. È fatto così.»

«Spero solo non si metta in qualche guaio con questa gemma, già abbiamo dovuto intimidire più di un creditore...» intercettò lo sguardo di Sebastian, affrettandosi a chiarire «intendevo, dopo avergli restituito il denaro!» Si infilò in bocca un altro dolcetto, le guance in fiamme.

Sebastian sorrise divertito, accarezzandole la schiena e sussurrandole all'orecchio un «non ne avevo dubbi, amore» che la fece arrossire ulteriormente.

«In ogni caso, se mai decidessimo di farci ritrarre come un branco di stoccafissi imbellettati, dovremmo sequestrare Gamlen, costringerlo a lavarsi, vestirsi in maniera decente e frequentarci abbastanza da permettere al pittore di prendere pose e dettagli.» Proseguì Garrett, sogghignando. «Praticamente impossibile.»

«Anche Bu vorrebbe far parte del ritratto!» Trillò Merrill dall'altra parte della stanza, guardando la mabari con un gran sorriso. «Vero?»

Quella piegò il capo e alzò le orecchie, confusa.

«Questo complica le cose, dovremmo trovare un pittore che ama i cani.» Riflettè Marian. «Quanti Fereldiani conosciamo che facciano miracoli con un pennello?»

L'occhiata che Garrett si scambiò con Varric le segnalò il doppiosenso involontario. Il fratello lanciò uno sguardo significativo ad Anders, che scoppiò a ridere di gusto mentre Varric quasi rischiava di cadere dalla sedia.

Marian scosse il capo, soffocando una risata dietro al dorso della mano. «Idioti... siete degli idioti.»

«Oh, tesoro, non preoccuparti, rientri anche tu nella categoria.» La rassicurò Isabela, brindando verso di lei.

Stava per ribattere, quando qualcuno bussò alla porta. Si scambiò uno sguardo confuso con Bodahn, che schizzò verso l'ingresso sistemandosi la giacca nuova.

Dopo qualche secondo, vennero raggiunti da una voce roca.

«Mi fai ricevere dalla servitù, Hawke?»

Garrett si raddrizzò immediatamente sulla sedia, spostandosi impercettibilmente davanti ad Anders. «Cosa ci fa Samson fuori dalla nostra porta?»

Marian scosse il capo, alzandosi. «L'ho invitato io, ma non pensavo venisse sul serio...» Raggiunse Bodahn, che stava fissando il nuovo arrivato con somma disapprovazione.

«L'avete davvero invitato voi, Ser?» Chiese incerto, piazzato davanti alla porta.

La templare annuì, facendo cenno di entrare. «Non pensavo ti presentassi più.»

Samson si fece strada all'interno, stringendosi la giacca con qualche toppa tra le braccia, guardando sospettoso l'atrio. «A sapere che era così ricco, gli scucivo di più per il mio aiuto...» borbottò, cedendo finalmente l'indumento a Bodahn, che lo soppesò disgustato prima di appenderlo accanto ad una finestra e aprirla un poco. «Comunque, dove stavo prima avevano finito la birra buona, quindi ho pensato di venire qui a scroccartene un po', non farti illusioni.»

Marian gli elargì un sorriso. «Immaginavo. Vieni pure, ci sono anche un sacco di dolci. O carne, Lumia ha pensato dovessimo invitare mezza Kirkwall, probabilmente, perché ha cucinato l'equivalente di una fattoria...» I due fratelli che li aiutavano con la casa avevano preparato tutto quella mattina, per poi andare a godersi la mezza giornata libera e tutta la serata con la famiglia. Garrett aveva insistito che prendessero pure il giorno dopo, ma Marian li conosceva abbastanza bene da sospettare che sarebbero rientrati prima del previsto.

Non che loro mantenessero delle perfette abitudini di ordine, pulizia e cucina, ma pareva che Seth e Lumia si fossero fatti l'idea che senza di loro e Bodhan sarebbero morti di stenti sommersi dal loro ciarpame nel giro di un battito di ciglia.

Il che, guardando come Garrett, Anders e Bu riducevano la casa dopo due giorni di vacanza degli aiuti domestici, non era completamente errato, pensò Marian divertita.

L'intero gruppo si voltò a fissarli come se fosse entrata una viverna rosa in salotto. Il primo a riprendersi fu Sebastian, che da impeccabile principe qual era si alzò a salutarlo. «Buon Satinalia, serah... giusto in tempo per aprire lo champagne!»

Samson rimase a fissarlo insospettito, ma un attimo dopo anche gli altri lo salutarono più o meno cortesemente. Aveline aveva assottigliato lo sguardo e Isabela aveva un ghigno divertito sul volto, mentre Anders aveva storto appena la bocca in una smorfia infastidita, ma era rapidamente tornato a chiacchierare con Varric di chissà cosa.

Il nuovo ospite non ci mise un attimo per dirigersi allegramente verso il barilotto di birra che Marian aveva fatto portare dalla locanda del giorno prima, prendendo anche qualche fetta di maialino al latte ripieno con qualche verdura accanto.

In breve, tutti sembrarono accettare la cosa, tornando a chiacchierare del più e del meno e scambiarsi le solite battutine.

Poco prima di mezzanotte, il campanello della porta suonò di nuovo. Fu il turno di Marian di cercare una qualche spiegazione dal fratello, ma Garrett rispose solo di infilarsi le giacche e seguirlo nel cortile interno.

«È una sorpresa.» Ripeté per la seconda volta mentre Anders cercava di tenere a freno Bu, che aveva afferrato la sciarpa di Aveline e la stava distruggendo a furia di tirarla tra i denti.

«Dimmi solo se domani avrò uno dei miei cari colleghi alla gola...» sospirò Marian, lasciando che Sebastian le desse una mano ad indossare la giacca.

«Quello non sarebbe per niente una sorpresa!» La rimbeccò Isabela, ridendo e trascinandosi dietro Fenris, che la seguì di buon grado prendendola per mano.

In cortile, trovarono il nano del Carta che era venuto con loro a Vimmark, assieme alla Tal-Vashot. Stök Cadash li salutò allegramente, imbacuccato da capo a piedi in una pesante giacca imbottita di pelo, mentre Adaar sembrava a stento fare caso al freddo, avvolta in morbida lana blu e grigia, il cappuccio tirato su a coprirle le corna dal quale spuntava la lunga treccia candida.

«Pronti?» Li incalzò il nano, allargando le braccia. Dietro di lui, erano posizionati ad una distanza di un metro circa l'uno dall'altro diversi cilindri di varie dimensioni. «Piccoletta, come ti ho insegnato.»

Adaar accennò un sorriso, prima di voltarsi e muovere la mano. Alcune scintille brillarono sotto i cilindri più piccoli.

Il cielo notturno si accese di colori, lo scoppio dei fuochi artificiali avrebbe sicuramente attirato le attenzioni di tutti, ma in quel momento non le poteva importare di meno.

Sebastian la abbracciò da dietro, posandole il capo sulla spalla e restando entrambi col naso all'insù, rapiti dallo spettacolo.

Dopo un gran finale che aveva probabilmente risuonato per mezza Costa Ferita e dintorni, Stök si inchinò tronfio nella loro direzione, sommerso da applausi. Persino Adaar pareva divertita e soddisfatta. «Questo è per dimostrare che non faccio soltanto esplodere cose o persone, come dice qualcuno.» Disse il nano, le mani sui fianchi. «Sono un artista.»

«Sì, sì, un vero capolavoro...» gliela diede vinta Varric, scuotendo il capo. «Potresti farne una carriera.»

Il sogghigno dell'altro si allargò ulteriormente. «Quando scoprirò la ricetta del Gaatlok, vedrete che botti!»

«Ne sei ancora lontanissimo.» Commentò Adaar, scuotendo il capo.

Alla fine, rientrarono tutti in casa e Fenris andò a prendere lo champagne orlesiano che avevano regalato i Trevelyan ai fratelli Hawke.

«Non finiremo nei guai per il rumore, vero?» Chiese timidamente Merrill, gli occhi che ancora brillavano per la felicità. «Sarà piaciuto a tutti in città, è stato così bello!»

Marian intercettò lo sguardo complice che si scambiarono Garrett e Donnic. «Tranquilla, siamo in una botte di ferro.» La rassicurò il primo, prendendo un calice.

Samson, poco distante, schioccò le labbra in un verso di apprezzamento. «Sarà anche orlesiano ma è dannatamente morbido.» Commentò, prima di scolarsi il resto del bicchiere.

Sebastian lo guardò con disapprovazione, mentre l'altro allungava nuovamente il calice a Fenris, che ridacchiò ma gliene versò ancora. «Proporrei un brindisi, prima che iniziate tutti a bere!» Alzò la voce, sollevando il proprio.

«E chi ha mai smesso.» Lo prese in giro Fenris, fermandosi però dal prenderne un sorso.

«Non credevo che avrei mai potuto trovare gioia al di fuori della Chiesa-»

«Tesoro, non pensavo le avessi dato un nome, “Gioia” è un filo arrogante però...»

«Bela!»

Il principe alzò gli occhi al soffitto, trattenendo una risata. «Dicevo... non avrei mai immaginato di trovare persone con le quali mi sarei trovato a condividere-»

«Prima che sia l'anno nuovo, Seb!» Gli gridò Garrett, il braccio attorno alle spalle di Anders. Sorridevano entrambi, le guance arrossate per l'alcol e il freddo preso in cortile, persino il Custode.

«D'accordo, mi rimangio tutto, siete un branco di ubriaconi molesti e volgari, con i quali Andraste sa soltanto il perché mi ritrovo a passare il mio tempo!» Sbottò Sebastian, voltandosi poi verso Marian e prendendole di nuovo la mano, per poi posarvi un bacio leggero. «Fatta eccezione per la mia meravigliosa futura moglie e per il Capitano Aveline, gli unici pilastri di questa comunità allo sbando.»

Si levarono una serie di risate.

«Qualche tempo fa avrei detto che era lui il pilastro...» le strizzò l'occhio Isabela, avvicinandosi a lei una volta che Sebastian si fu spostato verso Donnic e Fenris per scambiarsi gli auguri. «Ma da quando hai iniziato a scalpellarlo, per sua fortuna non svetta più costantemente marmoreo.»

«Isabela, sei una persona orribile.» Dichiarò solennemente Aveline, raggiungendole. Marian scoppiò a ridere.

«Oh, se improvvisamente cambiassi ti mancherei da morire, ragazzona, ammettilo.»

Aveline sorrise divertita, stringendola in un abbraccio che sorprese la pirata lasciandola finalmente senza parole. «Questo sicuramente. Anche se non lo ripeterò mai più.»

Marian e Isabela si scambiarono uno sguardo ammirato, e la templare ne approfittò per unirsi anche lei all'abbraccio. «Siete le migliori amiche che avrei mai potuto trovare.» Sussurrò grata.

«Tesoro, come se non lo sapessimo...»

«Non rovinare il momento!»



 

Era ormai l'alba quando gli ospiti iniziarono a tornare a casa, almeno quelli che si reggevano ancora in piedi. Samson si ostinò a tornare barcollando in città bassa e Aveline si avviò verso casa sorreggendo un Donnic praticamente comatoso. Stök e Adaar se n'erano andati dopo che il nano aveva ripulito le tasche di quasi tutti i presenti in parecchi giri di Grazia Malevola, in un testa a testa con Isabela a chi barava meglio.

Fenris e Isabela si chiusero in una delle camere degli ospiti, mentre Merrill, che non reggeva per nulla l'alcol, dormiva già da un pezzo nell'altra, russando debolmente accanto a Bu che le faceva da guardia. Anders e Sebastian si offrirono di dare una sistemata, lasciando un poco da soli i due fratelli a ravvivare il camino prima di ritirarsi.

«È bello quando ci siamo tutti.» Parlò Garrett dopo un poco, lo sguardo puntato sulle fiamme.

Marian annuì. «Riusciamo quasi a dimenticarci tutta la merda che c'è là fuori.»

Dal quadro sopra di loro, Leandra pareva sorridere.

«Sebastian ha ragione... dovremmo farci ritrarre. Tutti insieme, però.»

Marian ridacchiò. «Quale folle avrebbe la pazienza di sopportarci tutti?»

Garrett si strinse nelle spalle. «Siamo talmente ricchi che potremmo assoldare una dozzina di pittori, ne troveremo uno con tanta buona volontà, no?»

In un impeto di affetto, gli passò un braccio sulle spalle, stringendolo. «È una buona idea. Voglio ricordarmi questi momenti.»

Garrett le si fece un poco più vicino, ricambiando. «Tanto, Gamlen non lo volevamo incorniciare in ogni caso. Il suo muso arcigno rovinerebbe l'intero ambiente.»

«Verissimo.»

Le parve di udire un rumore provenire dalla veranda, e si voltò verso la finestra aperta. Garrett sgusciò via dalla sua presa, andando in quella direzione.

Scrutarono il cortile deserto, illuminato solo dal cielo che iniziava a rischiararsi, le lanterne che lo decoravano spente prima dello spettacolo pirotecnico e rimaste tali.

Sentirono un altro fruscio di foglie, ma sembrava ormai lontano.

«Potrei andare a controllare, ma non sono certa di saper distinguere la mia spada da una bottiglia di vino, al momento.» Commentò Marian stropicciandosi gli occhi.

Garrett si grattò la barba, sovrappensiero. «Se è un ladro, sarà passato di qui per sbaglio, nessuno sano di mente potrebbe mai pensare di venire a derubare proprio noi. Siamo una macchina di morte, tutti insieme.»

Marian scoppiò a ridere, chiudendo la finestra e lasciando i problemi fuori da lì ancora per un po'.


























Note dell'Autrice: che dire, Samson sta diventando uno dei miei personaggi preferiti. E Capitan Culo può andare a morire di stenti sotto un molo, ormai. Volevo mostrare un Satinalia parecchio diverso da quello di qualche anno prima, sia come sfarzo che come risultati. Sono diventati una compagnia molto unita, quasi una famiglia. 
Alla prossima! :D

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Capitolo 44
*** Rising wind ***


CAPITOLO 44
Rising wind



 

«Sembra siano finiti.» Esalò Garrett senza fiato, appoggiandosi alla parete. «Creatore, se vediamo un altro vaso sollevarsi in aria, diamo semplicemente fuoco all'intero quartiere e arrivederci.»

Anders, accanto a lui, scosse il capo divertito. «Potrebbero pure lasciarti fare, sei l'idolo delle folle.»

«A proposito di idoli...» li raggiunse la voce di Varric dallo studio, fredda. «Ho trovato qualcosa.»

I due maghi si scambiarono uno sguardo preoccupato.

Varric aveva inviato una squadra di operai a rimettere a nuovo la villa di Bartrand, ma dopo una serie di incidenti assurdi erano tutti scappati urlando, farneticando di porte che sbattevano in assenza di vento, sussurri nelle pareti e oggetti che si spostavano da soli. Anders aveva suggerito che potesse essere una conseguenza dell'assottigliamento del Velo in quelle stanze che avevano visto parecchio sangue, dopo la follia di Bartrand nell'ingerire il lyrium rosso e tutti quei nani finiti macellati, quindi erano andati tutti e tre ad investigare.

Ovviamente, la villa non si era limitata a fargli sbattere una porta sul mignolo del piede, e Garrett si era ritrovato ad essere inseguito da un gigantesco golem spettrale dalle intenzioni per nulla amichevoli e altre ombre assassine.

Rientrarono nello studio che era stato di Bartrand, trovando Varric chino sotto la scrivania, i cassetti di legno divelti e lasciati sul tappeto. L'amico dava loro le spalle, grattando insistentemente sul legno sotto al ripiano del tavolo. Con un grugnito, riuscì finalmente a staccarne un altro pezzo, che cadde con un tonfo e una pioggia di schegge.

«Trovato!» Esclamò vittorioso Varric, frugandosi nella saccoccia di pelle alla cintura ed estraendone un paio di pinze che usava solitamente per armeggiare con trappole e meccanismi vari. Si voltò verso di loro, tenendo qualcosa stretto tra le due punte. «Avrei dovuto immaginare che Bartrand ne avesse tenuto un pezzetto... sono stato un idiota a credergli, ma mi sentirà, eccome!»

Il piccolo pezzo di lyrium rosso brillava debolmente di luce propria, riflettendo scintille scarlatte negli occhi del nano, che lo fissava intensamente senza nemmeno battere ciglio.

Anders e Garrett si scambiarono uno sguardo preoccupato.

«Forse dovremmo distruggerlo.» Propose il primo, torvo.

Varric si ritrasse istintivamente, irrigidendosi. «Sei impazzito? Potremmo scoprire qualcosa su questo lyrium, cos'ha fatto a mio fratello!»

Garrett fece un passo verso di lui, riconoscendo quel tono di urgenza nella voce dell'amico. «Varric, mettilo giù e parliamone. Potrebbe effettivamente esserci utile, ma ci sono dei rischi, lo sai bene-»

«Da quando non ti fidi di me, Scheggia?» Chiese a bruciapelo l'altro, lanciandogli un'occhiata offesa. «Non sono Bartrand, lo sai benissimo. E poi, è a malapena un frammento, ci starò attento. Non posso farmi sfuggire questa opportunità...»

«Che razza di opportunità sarebbe, quella di perdere la testa?» Si intromise Anders, cercando di muovere la mano per fargli sfuggire la pinza di mano. «Dovremmo semplicemente-»

«Non sta a te decidere, biondino!» Sbottò Varric. «Vi ho chiamati per scoprire cosa stava succedendo, ma ora posso fare anche da solo. Andrò in fondo a questa faccenda, non devo certo chiedervi il permesso per aiutare mio fratello.»

Garrett afferrò Anders per un braccio, frenandolo dall'insistere. Poteva sentire Giustizia scalpitare per prendere il controllo del compagno, ma il gesto sembrò riportare in sé il mago. «Siamo solo preoccupati, Varric. Ma non mi sognerei mai di dirti cosa devi fare, soprattutto quando si tratta di Bartrand, so quanto è importante per te. E onestamente... anche io vorrei sapere in cosa siamo incappati, quel lyrium rosso ci ha dato troppi problemi per cercare semplicemente di liberarcene distruggendolo. Se riesci a scoprirne di più, potrebbe essere utile a tutti. Non credo che quel Thaig fosse l'unico a contenerne, le Vie Profonde sono troppo vaste per essere solo un caso isolato. Qualcuno potrebbe incontrarne dell'altro, e cadere nella stessa trappola in cui è finito tuo fratello.»

Varric annuì. «Lo so. Ci starò attento, cercherò di entrarci in contatto il meno possibile. Ho un paio di forzieri per trasportare il lyrium del Carta, sono abbastanza spessi da contenerlo in sicurezza, credo. Nel caso, me ne farò fare uno su misura, so a chi rivolgermi.»

Anders scosse il capo. «Se inizi a sentire qualsiasi cosa di strano-»

«Lo so, biondino, non voglio farvi preoccupare.» Cercò di rassicurarlo lui, appoggiando il lyrium sulla scrivania e svuotando un portagioie di qualche ninnolo, buttandoli a terra e infilandoci la scheggia scarlatta. «Vi terrò aggiornati. Troverò pur qualcuno che sappia qualcosa, tra tutti i miei contatti.»

«Sicuro che nessuno del resto della spedizione potesse averne portato un altro pezzo in superficie?» Chiese Garrett, rabbrividendo al pensiero.

Varric scosse il capo. «Bartrand era così paranoico da averli ammazzati o costretti ad ingerire quella robaccia, non ho trovato nessun altro a parte Bodahn e suo figlio. Devono tutti aver fatto una brutta fine, magari aveva paura che glielo potessero rubare.»

Uscirono all'aria aperta, il freddo pungente ad accoglierli nonostante non fosse ancora calato il sole. «Ora devo solo convincere tutti quanti a tornare al lavoro.» Borbottò il nano, tamburellando con le dita sull'impugnatura di Bianca.

«Posso farlo io, non preoccuparti.» Si offrì Garrett. «Tu pensa a quel coso, nel giro di due settimane la villa risplenderà come nuova, l'antivano sarà bello contento del suo acquisto e tutti ci saremmo lasciati alle spalle i vasi di fiori assassini.»

«Speriamo,» commentò Anders, massaggiandosi la spalla dove l'aveva colpito un intero set di porcellane possedute «non avrei mai pensato che una tazzina da tè potesse fare tutto quel male.»

«Questo è perché non hai mai fatto battute sconce al tavolo con mia madre e Marian.» Ridacchiò Garrett, ricordandosi di quella volta in cui la sorella gli aveva lanciato addosso una tazza per averla presa in giro su una delle sue varie cotte. «Ha una mira infallibile con qualsiasi oggetto.»

Varric sbuffò divertito. «Sono contento di non aver mai usato quella teiera di ghisa rivaini in sua presenza, allora, quella avrebbe fatto davvero male.»

«Non più di una spada in pieno petto...» Sussurrò sarcastico Anders, ma Garrett riuscì comunque ad intercettare la frase.

Si limitò a guardarlo male, rifilandogli una pacca sulla spalla dolorante. «Dacci un taglio.»

Erano arrivati più o meno davanti a villa Hawke, quando il nano li salutò con un mezzo inchino. «Signori, le nostre strade si dividono temporaneamente. Buona serata, ed evitate la cucina. Il Creatore sa quante armi improvvisate si nascondano nelle credenze.»

Rimasti soli, Anders lo afferrò per una manica. «Non credo avremmo dovuto farglielo tenere.»

«Non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e fare finta che non ci riguardi, però... lo dici sempre anche tu.»

«Io sto parlando di qualcosa di completamente diverso, invece!» Insistette Anders, serrando la presa. «Un conto sono i diritti umani per cui tutti dovremmo combattere, un altro è andarsi a cercare guai con del lyrium che sappiamo può entrarti nel cervello e-»

Garrett lo tirò a sé, stringendolo senza liberarsi dalla sua presa. «Lo so. Staremo attenti anche per lui, ma era importante. Ci aiuta anche quando potrebbe infischiarsene bellamente, non credi fosse il momento di ricambiare?» Gli accarezzò i capelli, inspirando il suo profumo e godendosi il tepore che emanava. «Mi fido di Varric.»

Dopo qualche attimo di incertezza, sentì l'altro annuire. «Anche io, ma sono preoccupato. Non ho molti amici, a differenza tua. Non so come... proteggerli.»

«Basta stargli accanto.» Si tirò un poco indietro, abbastanza per guardarlo negli occhi. Gli sfiorò appena le labbra, per poi approfondire il contatto. Lì, in mezzo alla piazza, infischiandosene bellamente di chi avrebbe potuto vederli. Non che in mezzo a quella bufera ci fosse molta gente, e i pochi che ancora si avventuravano fuori casa avevano il naso coperto da strati di lana e ben nascosto nel colletto. «Rientriamo? Sto congelando.»

Anders scosse il capo. «Io dovrei passare alla Clinica, Merrill stava dando un'occhiata alle scorte di erbe, se ne manca qualcuna all'appello domani dovremmo cercare di recuperarle dai vari erboristi.»

«Sicuro di non voler almeno cenare?» Gli chiese Garrett, speranzoso. «Potrai andarci domani alla clinica, poi finisce che tiri tardi e resti lì a dormire, e io mi sento così solo in quel letto enorme...»

Un sorrisetto furbo arricciò le labbra dell'altro, mentre riavvicinava il volto al suo. «Ah, e così ti sentiresti solo? Povero Campione, non posso allontanarmi un attimo che senti la mia mancanza.»

«Non vorresti far soffrire l'eroe di questa città, soprattutto dopo un combattimento così pericoloso?»

Anders gli diede un buffetto sulla fronte, depositandogli un bacio veloce e allontanandosi un poco. «Vuol dire che cercherò di tornare il prima possibile, ma non puoi ogni volta tirare fuori sempre lo stesso argomento, l'aver ucciso l'Arishok non è una scusa per non far lavorare noialtri. E comunque, ormai è storia vecchia.»

Garrett finse di offendersi. «D'accordo, fai pure con comodo, dormirò con Bu stanotte.»

«Non ci provare, sbava sempre sul mio cuscino, è uno schifo.»

«Allora fai in modo di occuparlo più spesso.» Gli sorrise, restando ad osservarlo mentre si voltava e, dopo essersi alzato ulteriormente il mantello sopra il mento, si avviava verso la città bassa.

Una volta che fu sparito alla vista, Garrett si risolse ad entrare nel vialetto di casa.



 

Bu gli corse incontro facendogli le feste appena messo il piede nell'ingresso, strofinando il muso contro la sua gamba e dandogli del colpetti con il fianco per farsi coccolare. Si chinò ad accontentarla, cercando di scaldarsi le mani sfregandole sui pantaloni prima di passarle sulla sua pelliccia. «Ciao bella.» La salutò, dandole un bacio sulla testa e lasciando che l'animale di rimando gli leccasse la faccia.

Stava invecchiando. Il pelo più chiaro sul muso e sopra gli occhi era ancora più sbiadito, e attorno al naso e sul mento spiccavano parecchi peli bianchi. Era sempre più pigra, soprattutto d'inverno, e nonostante le pronte cure di Anders a causa di ogni scontro che la mabari aveva affrontato coraggiosamente, zoppicava leggermente. Anche Rufus gli ultimi anni li aveva passati più accanto al fuoco che in cortile a fare la guardia, e alle volte Bu si trascinava stancamente allo stesso modo del vecchio mastino che l'aveva preceduta.

Le accarezzò dolcemente le orecchie, spostandosi sul collo e poi sulla pancia. La mabari si buttò a terra, rotolando sulla schiena in modo da godersi al meglio le sue attenzioni.

«Garrett, sei tu?» Lo chiamò Marian dalla sala da pranzo.

«Sì, arrivo, datemi un attimo!» Rispose, dando un'ultima grattatina alla mabari e facendole poi segno di alzarsi. «Forza Bu, vediamo se riesci a raccattare qualche altro spuntino dal tavolo...»

Salì in camera velocemente, liberandosi dei vestiti inzaccherati di melma sovrannaturale e irrigiditi dal freddo, dandosi una sciacquata veloce e infilandosi poi una veste da camera di morbida lana rosso scuro e dei pantaloni altrettanto confortevoli.

Bu uggiolava impaziente, senza togliergli gli occhi di dosso un attimo.

«D'accordo, d'accordo, andiamo...»

Trovò Aveline seduta al tavolo con la sorella e Sebastian. Il Capitano sembrava particolarmente infervorata, le guance rosse e un cipiglio corrucciato sul volto.

Donnic spuntò dalla cucina con un'altra caraffa di vino rosso, seguito da Seth con un grosso vassoio tra le braccia, su cui troneggiava un arrosto che fece subito gorgogliare lo stomaco di Garrett.

«Come mai di nuovo qui?» Chiese accomodandosi. «Vi mancava la nostra cucina, ammettetelo.»

«Questo è uno dei motivi principali, sì.» Rispose Donnic, annuendo solennemente.

«Grazie a Marian ci siamo finalmente liberati di quel parassita di Jeven.» Disse invece Aveline, facendo un cenno all'amica. «Quel verme schifoso non avrebbe nemmeno dovuto azzardarsi a-»

Garrett li guardò confuso, cercando di ricordarsi chi fosse quel tizio e cosa avesse mai potuto fare per inimicarsi Aveline in quel modo.

«Il precedente Capitano delle Guardie, Garrett, ricordi?» Corse in suo aiuto Marian, alzando gli occhi al soffitto. «Quello che accettava tangenti e andava a braccetto con la Cerchia.»

«Oh, lui!» Esclamò, sorpreso che fosse rispuntato. «Che ha fatto stavolta?»

«Cosa non ha fatto, piuttosto!» Ringhiò Aveline, prendendo il calice di vino che le porgeva il marito e bevendone avidamente qualche sorso. «Stava mettendo in giro voci su quanto fossi incompetente e inadatta a guidare i miei uomini, e qualcuno ci ha pure creduto.»

«Soltanto quel deficiente di Cullen avrebbe potuto dar retta a puttanate del genere, Aveline, dai.» Cercò di rassicurarla Marian, prendendo da bere anche lei.

«Li hai sentiti, tutti in caserma si butterebbero nel fuoco, se fossi tu ad ordinarlo.» Confermò Donnic, afferrandole e depositandovi un bacio.

L'altra arrossì fino alla punta delle orecchie, voltandosi dall'altra parte. «Grazie. Dico davvero. E anche a te, Marian, se Ruvena non fosse venuta ad investigare-»

«Te lo meriti, Aveline, sei il miglior capitano che questa fogna di città abbia mai avuto, e non permetterò a nessuno di insinuare il contrario.» Rispose Marian, seria. «Mi dispiace solo non aver potuto fare altro, ma Culo mi sta talmente addosso che avrebbe considerato l'intera indagine falsata se ci avessi messo il naso.»

«Quell'uomo è spregevole.» Convenne Garrett, porgendo di buon grado il piatto a Seth, che aveva iniziato a tagliare l'arrosto. «Complimenti, ha un profumino favoloso...» Sussurrò all'elfo, sentendo i morsi della fame.

Il ragazzo sorrise in rimando, gonfiando il petto. «Grazie, messere.»

Sebastian si complimentò anche lui, per poi tornare sull'argomento. «Cullen non è altro che un frustrato spaventato dalla sua stessa ombra.»

«Dovreste vederlo, come attraversa i corridoi della Forca manco fossero tutti pronti ad ammazzarlo ad ogni passo, e lui avesse alle spalle il Creatore in persona ad illuminargli la via verso la salvezza.» Sputò Marian, addentando un boccone con rabbia. «Prima o poi farà un passo falso, vorrei solo essere lì a tirargli un calcio nel culo e vederlo cadere sul fondo.»

«Molto cavalleresco da parte tua, tenente, parlare male dei tuoi superiori.» La prese in giro Garrett, sogghignando. «Non temere, prima o poi la fortuna girerà anche per lui.»

Marian lo guardò sospettosa per un istante, per poi stringersi nelle spalle. «Quello che so per certo, è che stavolta non sarò lì a parargli il didietro, nossignore.»

Garrett si chinò a porgere un pezzo di carne a Bu, ma la mabari era curiosamente voltata verso il cortile, il naso puntato contro il vetro, le orecchie e la coda ritte.

«Bu?» Si scambiò uno sguardo teso con la sorella, alzandosi. «Che hai visto, bella?»

L'animale emise un basso ringhio, irrigidendo il collo e scoprendo un poco le zanne.

«Bu, che diamine-»

La mabari prese a ringhiare più forte. Marian era saltata ad aprire la finestra della veranda, allungandosi a recuperare la spada da dove l'aveva appoggiata. Anche gli altri li avevano raggiunti, e ora stavano tutti scrutando il buio cortile coperto di neve, in attesa di individuare il colpevole.

Seth, spaventato, si ritrasse dietro di loro, il coltello per l'arrosto stretto tra le mani. Garrett gli fece segno di stare in silenzio e tornare in cucina, chiudendo la porta.

Dopo qualche lungo istante, udirono uno schiocco di rami rotti, e con un'imprecazione qualcuno cadde di sotto affondando in un cumulo di neve.

«Fermo dove sei!» Gridò Aveline varcando la soglia, la spada in pugno.

Garrett richiamò un poco di mana sulle dita, precedendola verso il montarozzo candido. Fece segno ad Aveline e Marian di stare in guardia, mentre gli altri due rimanevano un poco più indietro.

«Se stai cercando cibo, soldi o qualche vestito caldo, basta chiedere, siamo sempre pronti ad aiutare.» Provò a parlare, le mani sollevate e bene in vista. «Non è carino piombare di nascosto in casa altrui, non ti pare?»

Un figura minuta fece capolino da sotto un mantello pieno di neve, rimettendosi in piedi con non poca difficoltà e cercando di darsi un contegno spazzolandosi il cappuccio. «Non voglio niente da voi, messere... scusate l'intrusione.» Rispose una voce femminile.

Garrett assottigliò lo sguardo, confuso. «Cosa ci facevi sull'acero del mio cortile, allora?»

La ragazza si abbassò finalmente il cappuccio: era un'umana, giovane, le guance rosse dal freddo e i capelli castani lunghi fino alle spalle che incorniciavano dei lineamenti stranamente familiari. «Volevo solo dare un'occhiata.» Si guardò attorno, a disagio, scuotendo un po' di neve dalla frangia che le copriva gli occhi. Occhi che erano dello stesso identico taglio e colore di quelli della madre, che Garrett aveva ereditato dal suo ramo della famiglia.

«Chi sei?» Le chiese semplicemente, le mani sempre alzate verso di lei, pronto a fermarla nel caso fosse tutta una trappola. Poteva sentire Bu ringhiare sommessamente qualche metro indietro, e lo sguardo teso di Marian puntato su di sé.

La ragazza sbuffò, sollevando le mani per far vedere che era disarmata. «Avevano detto che eri gentile, ma non immaginavo a tal punto...» scosse il capo, fissandosi le punte dei piedi. «Dovrei essere sollevata, non assomigli per nulla a Gamlen.»

«Cosa c'entra Gamlen in tutto ciò?» Chiese Marian avvicinandosi a loro, la voce carica di sospetto.

L'altra si irrigidì d'istinto, indietreggiando sulla difensiva, lo sguardo che volava alla spada che l'altra stringeva in mano. «Non voglio farvi niente, lo giuro!» Si affrettò a dire, una nota di paura nella voce. «Ho cercato di vedere che persona fosse vostro zio, ma non ha avuto le palle di venire a cercarmi, quindi speravo di trovarlo qui ai Satinalia-»

Garrett scoppiò a ridere, scuotendo il capo. «Come se Gamlen volesse passare del tempo con noi.»

«Abbiamo sentito qualcuno vagare per il cortile, quella notte!» Ricordò Marian, dandogli un colpo sul braccio per farlo tornare serio. «Da quanto ci tieni d'occhio, e perché?»

La ragazza sospirò pesantemente. «D'accordo, d'accordo, vi dirò tutto. Ma non infilzarmi con quella spada, non sono brava a combattere come voi. Mi chiamo Charade, volevo incontrare finalmente mio padre, ma a quanto pare la famiglia non è il suo forte.»

Garrett rimase a bocca aperta. «Tuo... padre?»

«Gamlen ha una figlia?» Ripetè sconvolta Marian, abbassando finalmente l'arma. «Da quando?»

«Da ventitrè anni, in effetti, ma anche io l'ho scoperto da poco.» Ribattè amaramente la ragazza, incrociando le braccia. «Mia madre non mi aveva mai detto nulla su di lui, non fino a quando...» lasciò la frase in sospeso, abbassando lo sguardo.

Garrett la vide rabbrividire. «Senti, dentro c'è un arrosto meraviglioso e un camino acceso, se vuoi continuare a insultarlo al calduccio. Non si merita che tu prenda un malanno per colpa sua.»

Charade rialzò gli occhi blu verso di lui, sorpresa. «Davvero? Dopo che mi avete beccata a spiarvi in casa vostra, mi invitate semplicemente a cena?»

Fu Marian a risponderle, stringendosi nelle spalle. «È un difetto degli Hawke, purtroppo non viene dalla parte di famiglia che abbiamo in comune. Forza, sei la benvenuta.»

Garrett le sorrise, lieto che avesse apprezzato l'idea.

Aveline li scortò nuovamente all'interno, non staccando nemmeno per un attimo gli occhi dalla nuova arrivata, che nel mentre si guardava attorno con soggezione.

Sebastian la fece accomodare alla tavola, andando a raggiungere Seth per rassicurarlo che la situazione fosse sotto controllo.

«Come mai non sei andata a parlare direttamente con Gamlen?» Le chiese Garrett, finendo di servire lui stesso la cena.

«Non si è mai interessato a me per tutto questo tempo, non posso semplicemente andare a bussargli alla porta e chiedergli perché non gli è mai importato un accidente di sua figlia.» Bofonchiò Charade, giocherellando con le posate. «Speravo di attirare la sua attenzione con una gemma che ha cercato per tutta una vita, ma non ha funzionato nemmeno quello.»

«Ho visto quella lettera!» Si illuminò Garrett, ricordandosi dell'ultima visita che aveva fatto allo zio. «Mi ha urlato di farmi i fattacci miei e di non immischiarmi.» Allungò un boccone a Bu, che aveva smesso da un pezzo di ringhiare ma comunque non scollava gli occhi dalla loro ospite.

La ragazza scosse il capo, affondando sempre più nella sedia imbottita, tenendo sott'occhio la mabari. «Volevo vedere se si sarebbe impegnato a trovare qualcosa che voleva davvero, ma non ha abboccato. Figurati se io ho qualche speranza, allora.»

«Gamlen è uno sfaticato, ma non ci ha mai detto di avere una figlia.» Disse Marian. «E per quel poco che lo conosco io, mi sorprende che non ti abbia usata come motivo per avere più soldi di quanti gliene passi già Garrett.»

Lui cercò di mandare un'occhiata ammonitrice alla sorella, ma ormai la frittata era fatta. Charade aggrottò la fronte, sospirando. «Sono stata un'idiota. Mi dispiace avervi tirato in mezzo, vi assicuro che non sono qui per i vostri soldi. Non sono lui.»

«Ci fa piacere che tu ti sia fatta viva, invece.» Le disse Garrett, sorridendole. «Pensavamo che ci restasse solo quell'antipatico di Gamlen, come famiglia qui a Kirkwall, sono contento di essermi sbagliato.»

Charade lo guardò sorpresa, ricambiando incerta il sorriso. «Avrei dovuto bussare, ma avevo un po' paura a presentarmi alla vostra porta, ho sentito di come avete affrontato i Qunari e quell'Altodrago alla miniera...»

«Siamo molto meno spaventosi di quello che raccontano.» Cercò di rassicurarla Marian.

«Quello sono io, lei è assolutamente terrificante come dicono.» La prese in giro Garrett, sollevando divertito il calice verso di lei. «Non importa, comunque, sei di famiglia, Charade. Sentiti la benvenuta quando vuoi.»

La ragazza si mise in bocca un gran pezzo di arrosto, imbarazzata. «Grazie.»

«Anche se sarebbe meglio bussare, la prossima volta.» La rimproverò bonariamente Aveline, mentre Sebastian le offriva del vino. «Ci hai fatti spaventare, non sarebbe stata la prima volta che qualcuno ci tende un'imboscata.»

«Scusate.» Chinò di nuovo il capo l'altra.

«Capita a tutti di fare cose stupide.» Cercò di metterla a suo agio Donnic, e Garrett sospettò avesse tirato un calcetto sotto al tavolo ad Aveline, vista la smorfia imbarazzata dell'amica.

Dopo un breve scambio di presentazioni, tornarono a mangiare quasi come se nulla fosse.

«Se vuoi, possiamo andare insieme a parlare con Gamlen.» Propose Garrett, finita la cena. «Sei sicura che sappia che sei in città?»

Charade scosse il capo, rimettendosi la giacca che nel frattempo avevano appeso ad asciugare accanto al focolare. «Mia madre non mi ha nemmeno detto se gli ha mai parlato di me... potrebbe non sapere nemmeno che esisto, in effetti. Mi ha rivelato di lui solo sul letto di morte, fino ad un anno fa aveva sempre evitato l'argomento.»

«Mi dispiace, condoglianze.»

La ragazza annuì debolmente. «Mi accompagneresti? Non voglio andarci da sola, nel caso...»

«Se dovesse reagire in modo scorbutico come fa di solito, non demordere, non vuol dire che non ci sia un cuore sotto quella scorza dura e rugosa.» La avvertì Garrett. «È solo che non è abituato a mostrare emozioni umane.» La accompagnò alla porta, porgendole la mano. «Ci ha fatto davvero piacere conoscerti, cugina.»

Marian si affacciò dall'ingresso, indirizzandole un sorriso. «È stata una bella sorpresa.»

La guardarono allontanarsi lungo il vialetto con un ultimo sorriso incerto.

Con una piacevole stretta al petto, Garrett individuò Anders venirle incontro, restare un attimo a fissarla e poi raggiungerli velocemente.

«Chi era?»

«Abbiamo una cugina che non vuole ucciderci, a quanto pare.» Gli rispose togliendogli un po' di neve dai capelli. «Gamlen ha una figlia segreta.»

«Gamlen?!»

Il tono schifato nella voce del guaritore fece scoppiare entrambi i fratelli Hawke in una fragorosa risata, mentre l'ultimo arrivato appendeva il mantello all'ingresso.

«È esattamente quello che ho pensato anch'io.» Gli diede corda Marian.

«Magari ai suoi tempi era un bell'uomo.» Provò a difenderlo Garrett, poco convinto delle sue stesse parole.

«Sì, duecento anni e trenta tonnellate di alcol fa...» Borbottò Anders, massaggiandosi le mani intirizzite dal freddo. «Muoio di fame, ma almeno abbiamo finito l'inventario.»

«Ti abbiamo tenuto in caldo qualcosa, non temere.» Lo rassicurò il compagno, prendendole tra le sue e scaldandogliele.

Bu fece capolino dal corridoio, abbaiando un saluto.

«Oggi dormi con Sandal, sacco di pulci.» Le prese in giro Anders con una smorfia soddisfatta.



 

La mattina dopo sorprese Garrett con un meraviglioso profumo di dolci appena sfornati.

Si ridestò dal torpore, arrischiandosi a mettere il naso fuori dalle pesanti coperte. Accanto a lui Anders bofonchiò qualcosa, ancora mezzo addormentato.

Sì, era decisamente odore di croissant quello.

Sbadigliò rumorosamente, tirandosi a sedere stando attento a non scoprire Anders, stropicciandosi gli occhi e rabbrividendo quando l'aria fredda gli fece ricordare di essere a petto nudo.

Fece per alzarsi, quando sentì la mano del compagno afferrare la sua.

«Buongiorno.» Gli sorrise, sfiorandogli il naso con le labbra.

L'altro aprì pigramente gli occhi, le occhiaie meno profonde del solito viste le ore di sonno che era riuscito a fargli fare, nonostante avessero tirato un po' tardi lo stesso. «Croissant?»

Annuì, accarezzandogli i capelli sul capo in un modo molto simile a come faceva con Bu, che Anders sembrava gradire particolarmente. A volte gli ricordava un po' un gatto.

Si alzò a raggiungere le vestaglie pesanti, che avevano lanciato malamente sulla sedia la notte prima, rivestendosi con un sospiro soddisfatto. Sentì il compagno trafficare con le coperte, per poi raggiungerlo e prendergli la veste dalle braccia, ancora un po' intontito e con i capelli arruffati.

Garrett gli porse il nastro azzurro che usava per legarseli, iniziando a pettinarglieli con le dita. Non ne uscì un lavoro propriamente ben fatto, ma Anders lo ringraziò con un bacio, premendolo un poco contro la scrivania, le dita della mano destra a sfiorargli il petto mentre con la sinistra tentava ancora di allacciarsi la cintura della vestaglia.

«Potremmo fare qui la colazione e proseguire...» Propose Garrett divertito, la voce bassa, ricambiando il bacio e fermandolo dal vestirsi.

«Non dovevi andare al porto con Isabela, oggi?»

Sbuffò infastidito. «Ha aspettato per anni, che saranno un altro paio d'ore?»

Anders ridacchiò debolmente, chiudendo gli occhi e allontanandosi da lui, lasciandolo libero di scostarsi dalla scrivania. «Ho da fare anche io, purtroppo, quelle erbe non si compreranno da sole.»

Garrett sospirò, voltandogli le spalle e andando verso il bagno. «La questione è solo rimandat-» Uno spruzzo d'acqua gelida si sollevò dal lavandino, colpendolo in piena faccia. Si girò di scatto, evocando un po' di mana per dare all'altro pan per focaccia, ma il suo colpo finì per rimbalzare su una barriera luminescente e cadere per terra con uno schizzo. «Pensavo fossi di fretta.»

«Ti stavo solo dando una mano a rinfrescarti le idee...» ribattè Anders facendo spallucce, affiancandolo al lavabo. Si voltò verso la finestra, osservando i fiocchi di neve che cadevano abbondanti. «Credimi, non ho tanta voglia di uscire nemmeno io.»

Scesero al piano di sotto dopo essersi vestiti abbastanza pesanti da affrontare il gelo della giornata. Marian e Sebastian erano già in piedi, la templare vestita di tutto punto in armatura lucida, lui con una morbida giacca imbottita di pelliccia. La donna si voltò verso di loro salutandoli con un cenno, la punta di un croissant in mano, masticando rapita da qualsiasi cosa le stesse raccontando l'altro.

«Sebastian è passato al forno stamattina, quando stavamo ancora dormendo tutti.» Disse dopo aver fatto sparire anche l'ultimo pezzetto di dolce, sorridendo al compagno. «Anche se gli avevo detto ieri che non era necessario...»

«Hai davanti ore di ronda al freddo, qualche minuto di passeggiata mi ha solo fatto piacere.» Ribattè il principe con grazia. «Faccio quel che posso.»

«Lo dicevo io che mia sorella per una volta l'aveva fatta giusta!» Esclamò Garrett piroettando verso il cestino di croissant e afferrandone tre. Uno se lo cacciò tutto in bocca, offrendone l'altro ad Anders biascicando qualcosa a bocca piena.

Il guaritore lo fissò tra il divertito e il disgustato, mangiando il dolcetto come una persona normale.

«Sei un animale.» Lo rimbeccò Marian, che tuttavia stava ridendo.

Il fratello biascicò qualcosa che nessuno riuscì a capire, ma Bu gli era già corsa incontro, il naso puntato al croissant. Lo lanciò verso l'alto, e la mabari riuscì ad prenderlo al volo.

«Garrett!» Tuonò Marian, cercando di fermare inutilmente Bu, che schizzò via a nascondersi sotto al tavolo con il suo bottino. «Lo sai che le fa male.»

«Rilassati, una volta ogni tanto possiamo tutti sgarrare.» Cercò di tranquillizzarla lui, accomodandosi al tavolo. «Esci già?»

«Veramente noi abbiamo fatto colazione con tutta calma, siete voi due che dormite sempre troppo.» Lo prese in giro la sorella, indicando le stoviglie ancora sulla tovaglia.

«Scusa, a volte dimentico che non siete umani.» Ribattè offeso, allungandosi alla ricerca del caffè. Era leggermente freddo, ma gli bastò richiamare un poco di mana per riscaldarlo senza dover stressare Lumia, che stava già trafficando nella libreria intenta a sistemare chissà cosa.

Anders gli si sedette accanto, versandosene anche lui una tazza abbondante. «Grazie, Sebastian.»

«Figurati, non mi pesa. Ho passato anni a svegliarmi alle cinque per i Canti dell'Alba.»

«La Chiesa rovina pure il sonno...» Borbottò Garrett, la voce abbastanza bassa perché solo Anders potesse sentirlo. L'altro faticò a restare impassibile.

Marian li salutò scuotendo il capo, per poi finire di legarsi le spade alla cintura e uscire di casa. Sebastian la seguì poco dopo, lasciandoli soli.

«Non è poi così male.» Commentò Anders, facendo un cenno col capo alla porta da cui era appena uscito il principe. «Un po' un palo nel culo, ma porta la colazione.»

Garrett scoppiò a ridere, addentando un altro croissant e dondolandosi sulla sedia.

 

 

Il vento al porto era ancora peggio che nel resto della città, sollevava le onde agitate e portava l'acqua sui poveracci che dovevano avventurarsi sui moli.

Persino Isabela era imbacuccata da capo a piedi per proteggersi dal freddo, infischiandosene per una volta di mostrare qualche centimetro di pelle in più ma restando comunque un gran bel vedere sotto la giacca stretta in vita e i pantaloni di pelle scamosciata che le fasciavano le gambe.

«Spero per te che sia una sorpresa degna di avermi fatta uscire dall'Impiccato con questo schifo di tempo.» Lo minacciò sollevandosi ulteriormente la sciarpa sul naso. «Sto congelando.»

«Ti prometto che ne varrà la pena,» le assicurò Garrett, camminando velocemente verso i moli gestiti dalla Harvent-Hawke «anche se avrei preferito un giorno migliore, non potremo provarla.»

La pirata lo guardò confusa, seguendolo a passo spedito.

Si infilarono in uno dei due cantieri navali della compagnia, all'estremità occidentale del porto. Vi erano due navi da carico, ancora in riparazione, e un brigantino un po' più piccolo nuovo di pacca.

Garrett condusse l'amica fino a quest'ultimo. Era una barca più snella delle altre, fatta per solcare i mari rapidamente e sfuggire alle tempeste, il legno scuro di una tonalità quasi rossastra, una piccola ma confortevole cabina per il Capitano, una stiva grande a sufficienza per trasportare un carico di valore e le vele della stessa tonalità di blu che Isabela amava mettersi tra i capelli.

Si voltò a godersi la reazione dell'amica, che era rimasta chiaramente impressionata.

Sentendosi osservata, l'altra si mise immediatamente sulla difensiva. «Cos'è, mi hai portato qui per vantarti? Non ti facevo così stronzo, ma ammetto che è una gran bella signora.»

«Una signora su cui ho fatto lavorare i miei migliori carpentieri, ma ora è pronta a partire.» Si grattò la barba, sbuffando infastidito. «Lo sarebbe, certo, se non fosse pieno inverno e non le mancasse ancora un degno capitano.»

«L'inverno è così, ma un buon capitano potrebbe portarla in mare in ogni caso se-» la pirata si zittì, tornando a fissarlo sbigottita. «Aspetta. Non vorrai dire sul serio?»

Garrett si aprì in un gran sorriso, allargando le braccia e accennando un inchino. «È tutta tua, Capitano. Trattala bene, l'abbiamo rimessa a nuovo solo per te.»

Per la prima volta da che la conosceva, l'altra rimase assolutamente senza parole.

Isabela rimase a guardarlo a bocca aperta, gli occhi sgranati, senza proferire alcun suono per parecchi lunghi istanti. «Sei... sicuro?» Balbettò infine, accennando al brigantino. «Vale una fortuna!»

«Lo so benissimo che vale una fortuna, infatti la sto regalando al capitano più capace che conosco. E un'ottima amica.» Ribatté tranquillo Garrett, continuando a sorridere. «Potrei chiederti di lavorare con me di tanto in tanto, ma so che non rifiuteresti mai un sacco d'oro per una buona causa.»

L'altra scosse il capo, tornando a guardare la nave. «Sei tutto matto.» Fece qualche passo incerto verso la passerella, voltandosi di nuovo verso di lui. «Ma ormai è mia!» Esclamò, saltando agilmente sul ponte e accarezzando il parapetto di legno, ammirando dettagli tecnici che Garrett ignorava. «Avrà bisogno di una bella polena. E di un nome, se non ne ha già uno...?» Piroettò un paio di volte su sé stessa, persa nei suoi pensieri, parlando tra sé e sé.

«E una ciurma, magari!» Le gridò dietro lui, raggiungendola. «Hai completa libertà di scelta a riguardo, io non saprei da dove iniziare, di solito se ne occupano altri della compagnia e Varric, per quanto suoni strano un nano che sceglie dei marinai.»

Con impeto, l'amica gli buttò le braccia al collo, saltandogli letteralmente addosso ridendo di gioia e ringraziandolo. Tornata a terra, si sporse sulle punte dei piedi, afferrandogli il volto tra le mani e stampandogli un bacio sulla guancia, il seno premuto contro il suo petto. «Grazie, Garrett.»

Lui cercò di fare del suo meglio per ignorare il sangue affluito improvvisamente altrove, le guance che si imporporavano. «Quando il mare non sarà così agitato, devi portarci a fare un giro.»

«Sai che vi porterei ovunque, Scheggia...» Ribattè l'altra in tono suadente, scoppiando di nuovo in una risata estatica. «Le troverò un nome da farle guadagnare un posto nella Felicisima Armada solo a sentirlo!»



 

Lasciò Isabela a godersi ancora un po' della nave e parlare coi carpentieri degli ultimi tocchi finali, tornando verso i moli comuni. Con un sorriso compiaciuto, lungo il tragitto notò un paio di graffiti che sembravano freschi di giornata, la mano bianca con la pennellata purpurea della Resistenza che spiccava sul legno vecchio degli edifici.

Passò di fronte alla Botte Barbuta, la taverna dove risiedeva principalmente Cadash, trovando Adaar seduta su una pila di casse di legno, intenta a fissare il mare con aria corrucciata.

«Non hai freddo?» La salutò, avvicinandosi.

L'altra si limitò a scuotere il capo. Garrett notò che sulla sommità tagliata delle corna aveva montato degli spunzoni di metallo che curvavano verso l'alto, ricordando in versione un poco più minuta quelle dell'Arishok e sfoggiavano una serie di piccole borchie e anelli dorati lungo i lati del capo. Adaar sembrò notare il suo sguardo, piegando un angolo della bocca in una smorfia compiaciuta. «È stata un'idea di Stök. Un nano che regala delle corna ad una Tal-Vashot, in onore di una festa Tevinter assimilata dalla Chiesa Andrastiana.» Sbuffò scuotendo di nuovo il capo, come se trovasse tutta la situazione troppo assurda per essere considerato un regalo serio.

«Sono coordinate ai suoi orecchini e denti d'oro!» Scoppiò a ridere Garrett, sedendosi accanto a lei. «Come mai sei qui fuori?»

Adaar inspirò profondamente una boccata d'aria, lanciando uno sguardo infastidito verso la porta della taverna. «Sono arrivati due nani rumorosi, stavano giocando a carte da ore, bevendo e fumando. Uno di loro ha fatto un commento su di me che Stök non ha gradito, quindi l'ho sollevato di peso.» Sollevò il braccio sinistro, come a mimare l'azione. «Si è scusato dicendo che era un complimento. Strano complimento, dico io, ma sono qui per affari quindi l'ho lasciato andare. Penso gli abbia fatto un po' male cadere da quell'altezza, tutti gli anelli che aveva in testa hanno tintinnato parecchio e ha imprecato qualcosa in nanico.» Si strinse nelle spalle. «In ogni caso, l'altro ha chiesto se volevo unirmi alla loro partita a carte, ho risposto che se erano lì per lavorare avrebbero dovuto smettere di perdere tempo. Sono uscita per non doverli prendere a pugni, mi piace questo colore, non vorrei si sporcasse di sangue.» Accennò alla tunica, di un bell'azzurro vivido con piccoli decori bianchi e dorati, orlata di morbida pelliccia. «L'ho comprata da poco.»

«Non si può parlare sempre di affari, alle volte fa bene prendersi una pausa.» Provò a difendere i nuovi arrivati, grattandosi la barba. «Ai Satinalia è stato divertente, no?»

Adaar tornò a fissare intensamente il mare. «Non è il momento di giocare come bambini.»

Garrett si mordicchiò un'unghia, incerto se porle la domanda che lo tormentava da mesi o meno. Un templare si accese un sigaro, appena fuori uno dei magazzini del porto, riparandosi sotto la tettoia. «Hai notizie di...?»

La Tal-Vashot rimase in silenzio per qualche lungo secondo. «Nulla di buono può venire fuori dal Tevinter, gliel'avevo detto.»

«Hai parlato con loro?»

L'altra si strinse nelle spalle, senza rispondere.

Garrett sospirò, appoggiandosi al muro scrostato. «La Resistenza può andare avanti anche senza di loro. Non abbiamo bisogno di ricorrere ai metodi dei Risolutori.»

Adaar si voltò a guardarlo, gli occhi viola che lo scrutavano severi. «Come fai a garantire qualcosa su cui non hai il controllo?» Tornò a guardare il mare agitato, impassibile. «Il marinaio può cercare di guidare la nave che comanda, ma la tempesta tutto attorno non si curerà dei suoi sforzi.»

I pennoni delle barche scossi dalla burrasca sembravano darle ragione. «Non possiamo permetterci di buttarci in una tempesta. Non siamo pronti.»

Un'elfa, una maga scappata da Markham e rimasta ad aiutare la Resistenza, li salutò con un cenno del capo. Ricambiò il gesto, ma si ritrovò a corrugare la fronte quando il templare intento a fumare poco distante sembrò fare lo stesso.

«Il vento inizia a soffiare, Hawke.»

















Note dell'Autrice: finalmente Isabela ha una nave! E Charade fa la sua comparsa, tutti sono molto sollevati che dietro al trambusto ci fosse lei e non l'ennesimo magister, pirata o malintenzionato psicotico.
Sebastian dovrebbe farsi valere e dire a Garrett ed Anders di smetterla di scroccare la colazione. 
A presto! :D  

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Capitolo 45
*** What's your plan for tomorrow? ***


CAPITOLO 45
What's your plan for tomorrow?



 

Wintersend era ormai passato da un paio di settimane, ma l'inverno sembrava aver deciso di attardarsi un altro po', rendendo il mese di Drakonis particolarmente sgradevole.

Marian stava finendo di sistemarsi le fibbie dei gambali, pronta ad affrontare un'altra giornata, quando qualcuno bussò alla porta della stanza che condivideva con Ruvena.

«Marian? Posso entrare?»

Riconobbe la voce di Andrew. Andò ad aprirgli, uno sguardo confuso negli occhi. «Che ci fai qui?»

Il ragazzo si infilò all'interno prima ancora che potesse finire la domanda, chiudendo la porta dietro di sé e controllando con un'occhiata fugace che fossero soli. «La Comandante vuole parlarti.»

Marian aggrottò la fronte. «Come mai tutta questa segretezza?»

Andrew si mordicchiò l'interno della guancia, lo sguardo basso, come faceva da bambino quando beccava lui e Garrett a combinarne una delle loro a Lothering. «È arrivato il momento di dirtelo.»

Cominciava a spazientirsi. «Di che stai parlando?»

L'altro si guardò nuovamente attorno, facendole cenno con la mano di avvicinarglisi ulteriormente. «C'è parecchio malcontento tra i nostri ranghi, ultimamente, siamo in tanti a pensare che la Comandante non stia facendo il bene dell'Ordine, né quello dei maghi che dovremmo proteggere. E ci siamo... organizzati, per così dire.»

Marian inarcò un sopracciglio, spronandolo a proseguire.

«Thrask è stato uno dei primi. Alcuni tuoi amici, Keran e Hugh ad esempio, si sono uniti quasi subito, ora stanno cercando di convincere Thrask a contattare anche Ruvena, ma passa troppo tempo con te per non correre rischi.»

«Rischi? Ruvena è una persona fidata.»

Andrew le fece cenno di abbassare la voce, annuendo. «Lo so, come te e Max d'altronde, ma voi due avete tutti gli occhi puntati addosso. Se anche un solo sussurro arrivasse fino alle orecchie di Meredith o del suo cane da guardia, saresti la prima ad essere accusata, non vede l'ora di trascinare te e Garrett nel fango. E Macsen ha un cognome troppo importante per rischiare di essere associato ad una congiura fallita.»

Il cuore di Marian quasi saltò un battito. «Una congiura?» Sussurrò appena, le mani che tremavano. «Stai parlando seriamente? State davvero pensando di detronizzare Meredith, da soli? È follia!»

Andrew scosse il capo. «Non siamo soli. Siamo parecchi templari, alcuni maghi all'interno del Circolo, gente della Resistenza... quelli più moderati almeno.»

«Coi maghi? Se vi scoprissero-»

«Non lo faranno. Siamo stati attenti.»

Marian iniziò a fare due più due, febbrilmente, ricapitolando tutte le stranezze che erano accadute alla Forca in quegli ultimi mesi. Maghi che sembravano essere spariti per giorni senza che nessuno ne denunciasse l'assenza, turni di guardia bizzarri, sempre più templari che le rivolgevano cenni di saluto senza guardarla male o sputarle veleno addosso. Alain che usciva velocemente dall'infermeria, Thrask e Keran che avevano riportato ferite da arma da taglio, Gilia, una degli ultimi fedeli seguaci di Karras, sparita nel nulla e data per morta in un'imboscata dei Risolutori, che tuttavia erano mesi che non combinavano niente. Grace, la maga che avevano ricatturato dalla Resistenza assieme ad Alain, che aveva stranamente preso l'abitudine di stare in biblioteca fino a tardi, soprattutto durante i turni di Lynn, che Marian sapeva avere un debole per la causa dei maghi dopo quello che Alrik aveva fatto a sua sorella. Kelsey, che aveva beccato a confabulare fitto fitto con Evelina e Grace qualche settimana prima, rientrata tardi in cortile. Hugh che evitava lei e Ruvena sempre più spesso per via di qualche impegno di cui non voleva parlare.

Tutti templari che Marian sospettava fossero in qualche modo simpatizzanti dei maghi, chi per una ragione chi per un'altra, ma mai avrebbe pensato potessero unirsi per spodestare Meredith e il suo regime tirannico.

«Se è troppo rischioso coinvolgermi, perché me ne stai parlando?» Chiese dopo alcuni lunghi istanti. «E cosa c'entra con Meredith che vuole parlarmi, se mi chiede qualcosa ora io-»

«Ci sono tre maghi che sono usciti dalla torre.» Le rispose Andrew, tagliando corto. «Uno è un cretino, ma ha intenerito Lynn a tal punto che l'ha fatto uscire, diceva di voler andare a trovare la sua mamma, non ha saputo resistere. Emile de Launcet, lo conosci, non sono sicuro sappia trovarsi il naso sulla faccia, ma non è pericoloso. Se Meredith gli mette le mani addosso e lo accusa di aver complottato contro la Forca, canterà come un bardo ubriaco e Lynn ci finirà di mezzo.»

Marian annuì, una chiara immagine del mago in questione in mente. «Immagino lo troverò attaccato alle sottane della madre a piangere o a sbirciare sotto le gonne di qualche ragazza...»

Andrew si passò una mano tra i capelli ricci, chiaramente a disagio. «Evelina, la seconda, è una dei nostri. Ha insistito per andare a controllare i suoi bambini, quelli che hai mandato all'orfanotrofio di Ostwick, dovrebbe tornare a breve. Il terzo è quello più... problematico.»

«Vieni al dunque. È nella Resistenza?»

L'altro si strinse nelle spalle. «Non che io sappia, e nemmeno gli altri ne sanno qualcosa. La Resistenza non si fida completamente di noi, comprensibilmente, soprattutto una branca in particolare. Ha distrutto il suo filatterio assieme ad un suo compare qualche settimana fa, ma nessuno dei due l'ha fatto con il nostro consenso, altrimenti glieli avremmo fatti sostituire con un falso come facciamo di solito.»

«Come fate...?» Ripetè Marian, ammirata. «Mi stai dicendo che i filatteri nella Forca sono-?»

«Non tutti, abbiamo iniziato solo da qualche mese. Ogni volta che c'è un nuovo Tormento, Feldwin e Alain portano il mago giù nelle segrete a riempire il suo filatterio. Invece che fare sul serio, prendono del sangue di pollo dal refettorio e sostituiscono quattro o cinque filatteri alla volta, rompendo gli originali. Ma loro hanno trovato il modo di oltrepassare la porta e distruggere i propri, senza pensare alle conseguenze.»

«E non avete idea di dove siano finiti?»

Andrew scosse il capo. «No, e quel che è peggio è che ne hanno denunciato la fuga, quindi non è un semplice sospetto, ma una certezza. Alle volte riusciamo a convincere Cullen che siano chiusi in camera con qualche malattia, tutti quelli che stanno all'infermeria ormai hanno capito come fregarlo, o semplicemente che siano stati chiamati da qualche incantatore anziano per qualche importante studio e si siano rintanati su qualche libro... Quei due sono scappati platealmente, invece, e senza il nostro supporto. Il compagno è stato trovato morto al porto stamattina, ma di Huon nessuna traccia. Sospetto conoscano qualcuno nella Resistenza di cui noi non siamo a conoscenza, dato hanno usato i cunicoli del Carta per fuggire, ma sta di fatto che Meredith sa che sono spariti, e se non può fare molto contro dei sussurri tra i suoi ranghi, può seguire la pista di un paio di elfi sospettati di magia del sangue. Se quelli parlano, siamo tutti fottuti.»

«Non credo di essere stata il primo pensiero della Comandante, quando si è domandata a chi rifilare l'incarico di andarli a prendere.»

«Al contrario...» la contraddisse lui, appoggiandosi al muro e incrociando le braccia al petto. «Vuole metterti alla prova, vedere se sei disposta ad uccidere qualche mago e portarle delle prove sulla congiura che ormai credo sospetti esserci alla Forca.»

Marian annuì. «Che devo fare?»

«Prima di tutto, trova De Launcet e riportalo qui trascinandolo per un orecchio. La sua famiglia è abbastanza influente a Kirkwall perché non venga reso un adepto della calma, nemmeno se qualcuno insistesse. Ed è abbastanza stupido che persino Cullen non si impunterà per levarlo di mezzo, ma se riesci fai in modo di assicurartene...» Aspettò che lei gli facesse cenno di proseguire prima di ricominciare a parlare. «Per Evelina, contiamo che torni presto, quindi concentrati su Huon. Non so i dettagli della sua vita, sono abbastanza sicuro che Meredith e la sua assistente tengano un registro su chiunque viva qui dentro, chiedi ad Elsa.»

«D'accordo. Che devo fare se lo trovo? Meredith vorrà la sua testa.»

Andrew le lanciò uno sguardo significativo. «Se dovessimo scegliere chi dei tre salvare, sarebbe Evelina. Lei ha dei contatti certi nella Resistenza, e sa benissimo cosa c'è in ballo se non si comporta bene, quei bambini che hai mandato ad Ostwick sono lì solo grazie ad una templare. Emile è un deficiente che non si ribellerà nemmeno, mettigli bene in testa che non deve fare una parola su Lynn e potrà tornare ad infastidire le incantatrici più grandi in biblioteca come fa sempre.» Prese un respiro profondo, giocherellando con il pomolo della spada legata alla cinta. «Per quanto riguarda Huon, levalo di mezzo. E dagli la colpa di tutto, se Evelina torna in tempo e riesci a convincere Emile a dire che è stato aiutato da Huon ad uscire, avremo le spalle coperte.»

«E un cadavere non può testimoniare un bel niente.» Commentò tetra Marian.

Andrew sembrò capire perfettamente cosa le passasse per la mente. «Non sappiamo niente di questo Huon, potrebbe pure essere un mago del sangue, o associato ai Risolutori. Dobbiamo fare dei sacrifici, se ci scoprissero adesso salterebbe tutto all'aria e non riusciremo mai più a togliere di mezzo Meredith e Cullen.»

«D'accordo. Riferisci che farò ciò che è necessario. Ma voglio entrare nel gruppo. E così anche Ruvena. Potrete usare Hugh per comunicare con noi, Cullen lo ritiene troppo stupido per respirare e camminare insieme, non rendendosi conto di essere lui il più imbecille qui dentro.»

L'altro trattenne una risatina. «Aggiudicato.»



 

Si diresse col cuore che batteva a mille per le notizie verso l'ufficio della Comandante.

Stava per bussare alla porta quando le venne aperto dall'assistente di Meredith, un'Adepta della Calma di nome Elsa che la faceva ogni volta rabbrividire a disagio.

«Tenente Hawke, la Comandante vi stava aspettando.» La salutò quella con voce piatta, facendosi da parte per lasciarla entrare e fermandosi poco dietro di lei, tra le bracca un sottile plico di carte.

Meredith Stannard era seduta alla sua scrivania, in armatura completa nonostante fosse nel proprio ufficio e non ci fossero pericoli imminenti, come era sua abitudine da almeno un paio d'anni. Marian stentava ormai a ricordare se l'avesse mai vista senza.

Erano mesi che non entrava nell'ufficio della Comandante, e notò subito che aveva fatto qualche cambiamento. Le piante ornamentali erano sparite, lasciando spazio ad un'armatura templare posta esattamente sotto l'enorme scudo con le insegne dell'Ordine, la spada fiammeggiante in smalto blu che riluceva come lyrium incisa sul metallo lucido, due spade incrociate che spuntavano ai lati di esso. La libreria alla destra dell'ingresso era piena di tomi e pergamene arrotolate che spuntavano da ogni pertugio, e anche il tavolino lì accanto era coperto di carte e registri vari. Il quadro della Divina Beatrix era stato sostituito ai tempi con quello della neo-eletta Justinia, ma sembrava aver raccolto polvere che nessuno si era dato la pena di rimuovere.

La luce entrava a stento dalle finestre, protette da pesanti grate inchiodate sia all'interno che in esterno, che culminavano con degli spunzoni di ferro puntati verso chiunque avesse la folle idea di arrampicarsi fin lì, o semplicemente alzare lo sguardo verso la Comandante che spesso scrutava con aria torva e carica di sospetto il cortile.

Quando posò lo sguardo sulla grande spada appoggiata al suo supporto sulla parete, venne presa da un senso di nausea improvvisa e dovette cercare di concentrarsi sul regolarizzare il proprio respiro e fissare intensamente il pennino nelle mani della Comandante per evitare di star male.

Sentiva la bocca secca, e improvvisamente era ben consapevole della fialetta di lyrium che teneva nella scarsella alla cintura.

«Tenente, era ora. Iniziavo a temere che Ser Andrew si fosse perso.» La apostrofò secca Meredith, poggiando il pennino e prendendo la piccola barra di cera che aveva accanto, sigillando la lettera che aveva appena finito di scrivere. Dovette intercettare il suo sguardo, perché assottigliò gli occhi per poi riporre in fretta il rotolo di pergamena all'interno di uno dei cassetti sotto la scrivania. «Tre maghi sono sfuggiti al nostro controllo. Quattro, in realtà, ma uno di essi è già morto, probabilmente ucciso dai compagni. Elsa ti darà tutte le informazioni di cui hai bisogno.»

«Sì, Comandante.» Chinò rigida il capo, aspettando che le desse il permesso di uscire.

«Tenente?» Insistette invece la Comandante, puntandole gli occhi gelidi addosso. «La maggior parte dei maghi che abbiamo scovato dopo essere evasi dalla Forca, sono tornati dalle loro famiglie, come puoi bene immaginare... vedi di non farti scappare questi, perché ho una chiara idea di chi abbia dei maghi come familiari, in questa città. L'Ordine non può permettersi che pericolosi eretici vaghino indisturbati per Kirkwall.»

Un brivido di paura le scese lungo la spina dorsale a quella minaccia. Accennò un inchino, un groppo in gola, accomiatandosi con un saluto formale. «Non succederà, Comandante.»

Uscì dall'ufficio, Elsa che la seguiva silenziosa. Arrivata alla fine del corridoio, si voltò a guardarla, in attesa che l'Adepta parlasse.

«I maghi fuggiti sono Emile du Launcet, Huon ed Evelina.» La donna sfogliò le carte che aveva tra le braccia, soffermandosi su una in particolare. «La famiglia Du Launcet ha una villa in Città Alta, nel quartiere Orlesiano. La madre gli scrive lettere tutti i mesi, a volte una alla settimana.» Le allungò il foglio, su cui erano appuntati parecchi nomi e abitudini di Emile. «La seconda, Evelina, è stata riportata al Circolo dopo che si è costituita volontariamente come eretica, l'avete portata voi stessa qui alla Forca, Tenente.» Marian annuì, se la ricordava fin troppo bene, aveva cercato in tutti i modi di convincere Cullen e Karras a non renderla un'Adepta della Calma. «Il terzo, Huon, è un elfo entrato nel Circolo dieci anni fa, proveniente dall'Enclave di Kirkwall. È scappato assieme ad un complice, Arin, che è stato trovato morto. La moglie, Nyssa, lavora per un sarto in città bassa.»

Marian lesse rapidamente i fascicoli sui tre maghi, mordicchiandosi il labbro inferiore. «D'accordo, vedrò di riportarli alla Forca il prima possibile.»

«La Comandante crede che la più pericolosa sia Evelina, in quanto proveniente dal Ferelden. Ritiene che possa essere in contatto con il noto assassino eretico Geralt Amell e i suoi compagni tra i Risolutori. Il Capitano Cullen ha confermato che i due si conoscessero, a Kinloch Hold.»

«Starò attenta.» Rispose piatta Marian, riconsegnandole i fogli. «Posso avere un supporto?»

Elsa annuì lentamente, il marchio della Chiesa impresso sulla fronte che spiccava scarlatto sulla pelle chiara. «Potete scegliere chi preferite, la Comandante non ha posto restrizioni.»

Una volta che si fu allontanata dall'Adepta della Calma, Marian dovette appoggiarsi alla parete per evitare di rimettere l'intera colazione. Aprì la scarsella con mano tremante, stappando febbrilmente la fialetta di lyrium e versandosene metà del contenuto in gola, chiudendo gli occhi e assaporandone gli effetti immediati. Raddrizzò la schiena, rimettendo a posto la boccetta e andando a recuperare le armi che aveva lasciato al dormitorio.

Aperta la porta, trovò Ruvena che trafficava con la propria armatura, cercando di lucidare un punto particolarmente ammaccato delle placche fiancali. «Tutto bene? Sei verde, hai di nuovo la nausea?» Le chiese l'amica, guardandola in volto.

«Sto bene, è di nuovo il lyrium credo, dovrei prendermi una pausa prima o poi, ma...» Scosse il capo, sospirando. «Te la senti di rimetterti addosso quella roba e darmi una mano?» Le chiese Marian, appoggiandosi alla parete dopo aver richiuso la porta dietro di sé. «La Comandante mi ha finalmente dato qualcosa d'importante da fare. Sono scappati tre maghi, e ho istruzioni precise su cosa farne.»

L'amica le rivolse un'occhiata guardinga, alla quale lei rispose con un cenno del capo, come a farle capire che ne avrebbero parlato una volta fuori da lì. «Certo, dammi qualche minuto e sono pronta.»

Uscirono in tutta fretta, le armi al fianco.

«Hugh ha fatto il turno di notte in Città Alta, starà dormendo, altrimenti avremmo potuto chiedere a lui...» disse Ruvena, mentre dibattevano chi dei colleghi avrebbe potuto accompagnarle.

Individuò Andrew in cortile, intento a rimproverare qualcosa a due ragazzini in veste da maghi che schizzarono terrorizzati su per le scale, quasi inciampando nelle due donne che scendevano. Feldwin e Lerner, due dei templari più anziani dalla loro parte, la salutarono appena con un cenno del capo dall'altro lato della balconata.

Macsen Trevelyan stava dando spettacolo come suo solito nel quadrato d'addestramento, tenendo a bada due templari sempre più arrabbiati. Rimasero ad osservarlo per qualche minuto mentre parava con lo scudo i loro tentativi di attacco e ribatteva agilmente. Caddero a terra uno dopo l'altro nel giro di qualche secondo, finendo nel fango con una sequela di imprecazioni.

Trevelyan si concesse un sorrisetto compiaciuto, rinfoderando l'arma con una scrollata di spalle e facendo un cenno al piccolo gruppo di spettatori che gli si era radunato attorno. Marian notò Kelsey fare un cenno con la mano aperta ad un templare promosso da poco, che le depositò nel palmo un paio di monete d'argento con una smorfia irritata.

«Non preoccupatevi, non c'è alcuna vergogna a perdere contro il Campione del Gran Torneo!» Li apostrofò Trevelyan, lanciando un sorriso tronfio al Capitano Rutherford.

Cullen, dall'altro lato del cortile, gli rispose con un'occhiataccia. «Basta con gli spettacoli, tornate al lavoro!» Abbaiò, facendo disperdere la folla.

«Sperava di farmela stavolta... li ha spinti lui a sfidarmi.» Sogghignò Trevelyan, avvicinandosi a Marian e Ruvena. «A cosa devo la vostra attenzione, Tenente Hawke?»

Marian non riuscì a trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo. «Ci sarebbe un incarico, se non hai altri colleghi da umiliare, per oggi.»

Macsen ridacchiò, sciogliendosi i capelli ormai scarmigliati che aveva legato con un nastro scuro. «L'unico che mi interessa sfidare si è nascosto la spada nel culo.» Rispose, lanciando uno sguardo di scherno a Cullen, che dava ora loro le spalle. «Di che si tratta?»

«Te lo spiego nel mentre che andiamo, datti una mossa.» Tagliò corto Marian, facendo segno di uscire dal cortile. «E se posso darti un consiglio, Trevelyan, non sottovalutarlo. L'unica cosa che sa fare è tenere in mano quella spada.»

Il ragazzo le rispose con una smorfia divertita. «Ed è anche l'unica con cui ha esperienza...»

Marian scosse il capo. «Grazie della pessima immagine.»

«Sempre a disposizione, Tenente.»



 

Raggiunsero la villa dei De Launcet, trovando tutte le finestre oscurate da pesanti tendaggi. Il vialetto era immacolato, le aiuole perfettamente curate, le siepi tagliate in stravaganti forme animali.

«Orlesiani.» Borbottò Marian tra i denti, aspettando che qualcuno venisse ad aprire.

Si palesò un uomo sulla quarantina, in livrea impeccabilmente stirata, che sgranò gli occhi e quasi cadde per terra dalla sorpresa.

«Portateci da Lord de Launcet o da sua moglie, è urgente.» Tagliò corto Marian senza nemmeno lasciargli finire i convenevoli di benvenuto, facendosi strada all'interno poco cerimoniosamente.

«Madame de Launcet è ancora nelle sue stanze, ma posso vedere se-»

«Ser Marian!» Squittì una voce familiare, seguita da piccoli passi che risuonarono sul pavimento di marmo liscio. Babette de Launcet si affacciò da una delle camere, i lunghi capelli raccolti in grossi bigodini sulla testa e l'espressione di chi si è appena trovato una viverna in salotto. «Che sorpresa!»

«Lady Babette. Lieta di vedervi in salute.» Rispose in tono piatto Marian, cercando di non ridere. Fuori da lì, non pensava di aver mai visto la donna senza chili di trucco, i capelli acconciati a sfidare la logica e abbastanza ninnoli e fronzoli da addobbare un intero bazaar antivano, ma in quel momento sembrava nient'altro che una giovane donna come tante altre.

Anzi, se doveva proprio fare un commento, quel naso un poco adunco che ora non riusciva a nascondere le dava l'idea di un qualche uccello esotico.

«Certo, se aveste annunciato la vostra visita avrei avuto il tempo di prepararmi, ma fortunatamente siete solo voi e-» si zittì di colpo, posando lo sguardo su Macsen.

«Ser Macsen Trevelyan.» Si presentò quello con un piccolo inchino che aveva tutta l'aria di essere una gran presa per il culo. «Ravie de faire votre connaissance, mademoiselle.» Proseguì in un perfetto e pomposo Orlesiano, il ghigno che si allargava ulteriormente alla sorpresa della ragazza.

Babette arrossì violentemente, portandosi una mano al volto e coprendosi le labbra. «Enchanté...»

Marian incrociò lo sguardo di Ruvena, roteando gli occhi al cielo. «Sì, meraviglioso, e lei è Ser Ruvena. Ora che ci conosciamo tutti, dovremmo parlare urgentemente con vostro padre, o vostra madre. Affari dell'Ordine Templare, Lady Babette.»

«Oh, ma certo, mio padre è fuori città ma mia madre è sveglia, vado a chiamarla.» Squittì Babette, lanciando un'ultima occhiata languida al templare prima di defilarsi ancheggiando su per le scale di marmo.

Marian gli lanciò uno sguardo di rimprovero, al quale Trevelyan rispose con una scrollata di spalle.

Dopo qualche istante, vennero condotti dal maggiordomo in salotto. Macsen afferrò di buon grado un'eclaire dal vassoio che gli offrì un'elfa minuta con un grembiule da lavoro e una cuffietta sui capelli. Lo stomaco di Marian fece una capriola all'odore, ancora in subbuglio.

Lady Dulci comparve dopo qualche lungo minuto dalla soglia, stranamente in assenza della figlia. Si sedette su una delle poltrone, fissando con aria smarrita gli ospiti. «Cosa posso fare per aiutarvi?»

«Sappiamo che vostro figlio è scappato dalla Forca, Madame.» Andò dritta al punto Marian, squadrandola dritta negli occhi. «Se ha cercato rifugio presso di voi, è nell'interesse di tutti che torni al più presto al Circolo, prima che le conseguenze si facciano spiacevoli.»

La donna sbiancò sotto il fard, irrigidendosi contro lo schienale. «Non vedo Emile da quando-»

«Pensi bene a quello che sta per dire.» La ammonì Marian in tono pacato, facendo un passo verso di lei. «Emile è un bravo ragazzo, assolutamente innocuo, ma questo lo io, lo sanno i miei compagni qui, e lo sapete voi. La Comandante considera chiunque esca senza permesso dalla Forca un mago del sangue da abbattere a vista, come ben immaginate.» Aspettò qualche istante perché le sue parole scavassero nel terrore di una madre. «Ora, se vostro figlio si sta nascondendo qui, o avete informazioni su dove possiamo trovarlo, vi garantisco personalmente che non gli sarà fatto alcun male e che tornerà sano e salvo al Circolo, dove nessuno gli torcerà un capello. Avete la mia parola. In caso contrario, verranno mandati altri a cercarlo, e non posso assicurarvi che ne uscirà indenne.»

Lady Dulci sembrò avere un mezzo mancamento, accasciandosi con un gemito sul bracciolo della poltrona.

Trevelyan le corse accanto, inginocchiandosi e prendendole delicatamente la mano tra le sue, cercando di confortarla. «Madame, faremo tutto il possibile per riportare vostro figlio sano e salvo alla Forca, ma dovete aiutarci. Conoscete la fama della Tenente Hawke, non farebbe mai nulla che possa arrecargli danno.»

Marian sentì Ruvena sbuffare tra i denti, e dovette anche lei trattenersi.

«Siamo nelle vostre delicate mani, Madame Dulci, come lo è il fato di vostro figlio.» Proseguì Trevelyan con una gran faccia di bronzo.

La signora aveva ormai gli occhi lucidi. Annuì debolmente, ricambiando la stretta del giovane e sussurrandogli un ringraziamento in Orlesiano. «Mi ha fatto così pena, il mio bambino, voleva iniziare una nuova vita, ha chiesto solo una piccola somma di denaro... come potevo rifiutarmi di aiutarlo?» Singhiozzò platealmente, asciugandosi una lacrima. «Avrei dovuto fermarlo, sono stata così sciocca-»

«L'amore ci fa essere avventati, Madame, ma non temete, non gli accadrà nulla.» Le assicurò Macsen con fare esageratamente cavalleresco. «Ha per caso detto dove fosse diretto?»

Lady de Launcet scosse il capo. «Non saprei, non ho voluto indagare...»

Marian stava per imprecare per la perdita di tempo, quando dalla porta ricomparve l'elfa che aveva servito loro i dolcetti. Si avvicinò alla padrona di casa, il capo chino.

«Se posso permettermi, Madame, io ho un'idea di dove potrebbero trovarlo.» Parlò, la voce stranamente ferma per sembrare così remissiva. Sollevò il volto verso Marian e Ruvena, e nei suoi occhi c'era un velo di disgusto. «Diceva che si sarebbe divertito, oggi, mi ha persino invitata a... trascorrere del tempo con lui giù in città bassa.» La punta delle orecchie fremette, mentre la bocca si piegava in una piccola smorfia. «Al mio cortese rifiuto, ha detto che avrebbe trovato qualcuno di più disponibile all'Impiccato.»

«L'Impiccato?» Gemette Lady Dulci, scandalizzata. «Quel posto sporco e disgustoso? Oh, vi prego Ser, salvate il mio piccolo Emile da quel luogo di perdizione!»

«Lo salveremo da sé stesso, non si preoccupi.» Sbottò Marian, che aveva finalmente esaurito la pazienza per quel giorno e pure per il resto della settimana. “Sporco e disgustoso? Certo, ma almeno non è orlesiano...”

Salutò con un cenno la donna, voltandole le spalle e procedendo a passi larghi verso l'uscita. Con la coda dell'occhio, individuò Fifi e Babette mezze nascoste dietro il parapetto del piano superiore. Alla vista di Trevelyan, entrambe si diedero di gomito, sussurrando eccitate qualcosa.

«Buona giornata.» Alzò la voce lei, aprendo la porta senza aspettare che ci pensasse il maggiordomo, seguita a ruota da Ruvena.

Trevelyan uscì qualche secondo più tardi, con tutta calma.

«Non divertirti troppo.» Sibilò Marian tra i denti, accelerando il passo verso la piazza.

«Sono Orlesiani, Tenente, prenderli a testate non porta mai da nessuna parte.»

Represse l'istinto di urlare, limitandosi a scuotere il capo e borbottare qualche insulto. «Non ci ho ancora provato, personalmente.»



 

Era quasi l'ora di pranzo, e l'Impiccato era come sempre pieno di gente.

Faticarono ad individuare la cameriera, Norah, e dovettero aspettare che finisse di servire un tavolo di nani particolarmente ciarlieri prima che potesse dar loro retta.

«Stiamo cercando un ragazzo sui venticinque anni, dal fastidioso accento orlesiano, probabilmente sarà entrato qui tutto imbellettato in qualche farsetto nuovo di pacca.» Spiegò Marian.

«Terribilmente brutto,» aggiunse Trevelyan con un sorrisetto divertito «dalla pelata prominente e un pallido tentativo di farsi crescere un pizzetto.»

Ruvena scoppiò a ridere fragorosamente e persino Marian dovette faticare a restare seria.

Norah si esibì in una smorfia irritata. «Sì, ce l'ho presente.» Indicò con un cenno uno dei tavoli più in fondo, dove si trovava un gran numero di persone palesemente ubriache, intente a cantare qualche canzonaccia. «Fa sempre piacere avere un cliente generoso, ma ora si sta esagerando, è da stamattina che fa ubriacare tutti... sto aspettando scatti la rissa.»

Trevelyan sembrò illuminarsi all'idea, avanzando verso il gruppo a proprio agio come lo era stato nel salotto di Lady de Launcet. Le due templari lo seguirono a ruota, e Marian dovette fingere di non sentire i parecchi saluti degli avventori che l'avevano riconosciuta in un batter d'occhio.

Emile de Launcet sedeva attorniato da uno strano miscuglio di marinai, scansafatiche, signorine poco vestite e clienti abituali dell'Impiccato, le guance rosse quanto il farsetto sporco di vino e un sorriso beato stampato in faccia, che si congelò all'istante vedendo incedere i tre templari.

Si raddrizzò sulla panca, cercando di darsi un tono e sollevando le mani di fronte a sé. «Non è come sembra, lo giuro!»

Gli avventori che lo circondavano si aprirono al loro passaggio, restando immobili. Più di un paio si dileguarono immediatamente, mentre la maggior parte iniziavano ad indietreggiare intimoriti.

«Voialtri, fuori dai piedi.» Marian incrociò le braccia al petto, lanciando un'occhiata furente ai pochi ancora intenti a bere e disperdendoli definitivamente. «Emile.»

Il ragazzo cercò di accennare un sorriso di scuse. «Posso spiegare, tenente...»

«Sei davvero così stupido da aver appena speso la tua unica possibilità di levarti di torno offrendo da bere a mezza città?» Lo prese in giro Trevelyan, afferrando un boccale che una delle cameriere stava portando ad un tavolo alle loro spalle e annusandone il contenuto, prima di buttarne giù la metà con aria soddisfatta.

«Ma non ho mai avuto intenzione di... levarmi di torno!» Ribattè Emile, trattenendo a malapena un qualcosa tra un singhiozzo e un rutto. «Stavo aspettando la mia ragazza, e intanto ho offerto un paio di giri ai miei nuovi amici.» Si guardò attorno come a cercare il supporto degli altri avventori, ma la presenza di tre templari armati di tutto punto li aveva fatti ormai dileguare.

«Proprio degli ottimi amici.» Commentò Ruvena.

«Immagino abbia pagato anche la sua cosiddetta ragazza,» rincarò la dose Trevelyan, sogghignando «stento a credere che qualcuno andrebbe a letto con lui di propria volontà.»

Emile si fece rosso come un peperone. Cercò di alzarsi, preso dall'impeto, ma barcollò all'indietro caracollando sulla panca e finendo col culo per terra. «Non vi permetto di parlarmi in questo modo, io sono perfettamente in grado di sedurre-»

Prima che potesse finire la frase, Marian lo tirò su di peso con un'imprecazione, assestandogli uno scappellotto e trascinandolo al piano di sopra, lontano da occhi indiscreti. Gli altri due la seguirono a ruota, ignorando i deboli tentativi del mago di liberarsi dalla sua presa ferrea.

Ruvena bussò ad una delle porte, aprendola con una spallata dopo che non ebbe ottenuto risposta. La stanza era vuota, arredata con solo un letto, un tavolino sbilenco e un armadio.

Marian spinse Emile all'interno, facendolo cascare sul letto. «Cosa ti è saltato in mente?!»

Gli occhi del ragazzo si riempirono di lacrime, mentre stringeva le labbra in una smorfia offesa. «Non capite, ho passato la mia intera vita alla Forca, volevo solo-»

«Divertirti con una puttana?» Lo interruppe Trevelyan, appoggiandosi con grazia alla parete e prendendo poi un altro sorso di birra. «Gran bel sogno.»

«Nella non è una... una di quelle!» Ribattè il mago, sbattendo i pugni sul materasso come un bambino. «Le ho dato il mio anello di famiglia in cambio di un bacio e ha detto che stasera avrebbe... insomma che avremmo...» Gonfiò le guance, mordendosi il labbro. «Che avrebbe fatto di me un uomo, per tutta la notte!»

Trevelyan scoppiò in una fragorosa risata, dovendo reggersi al muro per non cadere, il boccale di birra pericolosamente in bilico. «Come se potessi durare più di cinque minuti, de Launcet...»

«Creatore, dammi la forza.» Sbottò Marian, massaggiandosi la fronte incredula.

«Non sono un mago del sangue, lo giuro, volevo solo sembrare più attraente e-»

«Un mago del sangue?!» Ripetè Marian, abbassando poi la voce. «A chi diamine sei andato a raccontare questa storia, sei completamente fuori di senno?!»

Il ragazzo era ormai sull'orlo delle lacrime. «Pensavo che avrei avuto successo con le donne, se avessero creduto che fossi qualcuno di potente.» Tirò su col naso, sfregando i piedi sul pavimento. «L'ho detto solo ad un paio di persone, però, e tutte ragazze... e Nella non mi tradirebbe mai!»

«Che tristezza.» Commentò Ruvena, scuotendo il capo. «Quasi mi dispiace per lui.»

«Questo imbecille ha rischiato di farsi sottoporre al Rituale della Calma perché voleva farsi una scopata, e a te dispiace?» La rimbeccò Marian, indicandolo.

«La promiscuità nei Circoli è tale che non puoi nemmeno camminare in biblioteca senza incappare in qualche coppia intenta a darsi alla pazza gioia, e questo ha dovuto evadere dalla Forca, fingersi un mago del sangue e dar via il proprio anello di famiglia solo per un bacio.» Trevelyan scosse il capo, sospirando platealmente. «Più che dispiacere, a me fa così pena che gli pagherei un'intera notte con metà delle ragazze della Rosa Fiorita.» Si guardò attorno con aria affranta. «E ora che lo riporteremo dentro, morirà vergine.»

Marian rimase a fissarlo, sempre più irritata, aspettando che finisse con quella pagliacciata. «Trevelyan, ti rendi conto che non è questo il punto, vero?»

«Oh ma è esattamente questo il punto, Tenente, se alla Forca fosse permesso portare dentro e fuori qualche ragazza - o ragazzo, non si nega nulla a nessuno - avremmo molte meno evasioni, ci scommetto. E meno maghi del sangue, gli servirebbe tenerselo in circolo per far sì che-»

«Trevelyan!»

Il templare sbuffò, sollevando le spalle in segno di resa. «Ci ho provato, de Launcet, ma sembra proprio che incontrerai vergine il Creatore.»

Ruvena si immobilizzò di colpo, aprendo la porta dell'armadio di scatto. Si alzò un urlo spaventato, e ne uscì una ragazza in abiti succinti.

«Nella!» La salutò entusiasta Emile, facendole un cenno con la mano. «Digli che non ho fatto nulla di male, che volevamo solo divertirci.»

La ragazza sollevò un attimo lo sguardo verso i tre templari, riabbassandolo subito dopo. «Non sapevo fosse un mago, ma quando l'ho baciato ha-» si passò una mano tra i capelli, e Marian notò che erano parecchio crespi. «Ha iniziato a dire che era un mago potente e di una famiglia nobile, e che mi avrebbe ricoperta di doni se...»

La risata di Trevelyan risuonò nuovamente per tutta la stanza. «Che carino, scommetto che non aveva idea di cosa stava combinando.» Lanciò uno sguardo a Marian e Ruvena, che lo fissavano con somma disapprovazione. «E voi due, con tutto rispetto, non sapete che vi siete perse, con quello che sanno fare i maghi...» Si schiarì la gola, avanzando di qualche passo verso la ragazza e sistemandole la camicia in modo da coprirle un poco il seno. «Purtroppo il nostro caro Emile deve tornare a casa, non potrà mantenere la parola data.» Si frugò in tasca, estraendone una manciata di monete d'oro e mettendole nel palmo della ragazza, che lo fissò confusa. Il templare le sfiorò il dito su cui troneggiava l'anello dei de Launcet, d'oro massiccio e col sigillo della casata in smalto porpora. «Non sapresti nemmeno rivenderlo al giusto prezzo, signorina. Se permetti...» glielo sfilò delicatamente, lanciandolo poi ad Emile che fallì nell'afferrarlo al volo. Trevelyan sembrò pensarci su un attimo, per poi rinfilarsi la mano nella scarsella e tirando fuori altre tre monete d'oro. «Tuttavia è ormai ora di pranzo, e io ho un certo languorino, come non dubito le mie colleghe, vero Tenente?» Si voltò a guardare Marian, strizzandole l'occhio, per poi tornare sulla ragazza. «Avete all'incirca un'oretta, direi che dovrebbe essere più che sufficiente visto il tipo. Fai un piccolo sacrificio, per il suo bene, sarà la prima e ultima volta che vedrà una donna con il consenso di quest'ultima, sempre se glielo permetterai.»

Nella abbassò lo sguardo su tutte quelle monete d'oro, stampandosi in faccia un sorriso entusiasta. «Ma certamente, Ser!» Esclamò voltandosi verso Emile.

Il mago, in tutto questo, aveva l'espressione più stupida e basita del mondo. Boccheggiò in direzione di Trevelyan, spostando poi lo sguardo su Marian e infine sulla ragazza mezza nuda. «Davvero? Non mi ucciderete e mi lascerete...?»

«Fatti un favore e chiudi quella bocca, prima che cambi idea.» Tagliò corto Marian, capitolando. «Un'ora, non di più, altrimenti ti faccio trascinare nudo fino alla Forca.»

Usciti dalla stanza, Ruvena richiuse la porta con un grugnito disgustato. «Patetico.»

«Avete fatto una buona azione, oggi.» Sorrise Trevelyan soddisfatto, precedendole verso le scale. «Non tutti possono avere la fortuna di fare strage di cuori.»

Marian stava per rispondergli a tono, quando Ruvena la fermò per un braccio, accennando col capo verso il giovane templare. «Dici che se le prova davanti allo specchio, o ha un ego talmente grosso che non riesce manco a riflettercisi?»

Scoppiò a ridere. «Probabilmente ha un'intera parete di specchi per questo esatto motivo.»



 

Finito di pranzare, stavano per alzarsi e andare a recuperare Emile per un orecchio quando il ragazzo fece capolino dal corridoio sopra le scale, un sorriso beato stampato in volto e i pochi capelli che aveva in testa tutti spettinati.

«Direi che possiamo andare.» Tagliò corto Marian, prima che Trevelyan potesse aprire bocca.

L'altro si esibì in un risolino divertito, facendo segno ad Emile di precederli fuori dalla porta.

Una volta all'esterno, Marian afferrò il mago per un braccio. «Prima che ti riportiamo dentro, come sei uscito?»

L'altro sbiancò di colpo, l'espressione felice svanita in un lampo. «Una templare-»

«No.» Lo interruppe Marian, scuotendo il capo. «È stato quell'elfo, Huon.»

«Ma veramente...»

Strinse la presa, fino a fargli sfuggire un gemito di dolore. «Huon, l'elfo, parlava di poter scappare, l'hai sentito che confabulava con quell'altro elfo, Arin. Gli hai offerto dei soldi per evadere con loro, poi sei fuggito subito a casa dei tuoi e infine noi ti abbiamo trovato all'Impiccato. Ma sono stati Huon e Arin a farti uscire dalla Forca, usando i tunnel dietro alle cucine.» Meredith già conosceva quei passaggi, avrebbe dato la colpa ad uno dei templari di guardia di essere stato poco attento, ma nulla di talmente eclatante da chiedere la testa di qualcuno, o peggio. Soprattutto se Marian avesse sistemato tutti i maghi fuggiti, come richiedeva il piano di Andrew.

Il ragazzo annuì. «Huon. Capito. Giuro che è stato lui.»

Marian lo lasciò andare, dandogli una pacchetta sulla spalla. «Bravo.»

«E vedi di ricordartelo, ci devi un favore.» Si intromise Trevelyan, assottigliando gli occhi nonostante stesse ancora sorridendo, la voce improvvisamente fredda. «Sarebbe un peccato dover rinunciare a quel vermiciattolo che hai tra le gambe proprio ora che hai imparato come si usa, non credi?»
























Note dell'Autrice: dato che tutta la faccenda della quest "best served cold" non avrebbe assolutamente senso in questa storia... abbiamo dei punti di vista più partecipi della rivoluzione che sta nascendo in seno alla Forca.
Se qualcuno riconosce la canzone da cui sono tratti i titoli di questo e dei prossimi capitoli, vince un Biscottino. Nel senso di un piccolo mabari molto carino e ghiotto di dolcetti. 
Cheers e alla prossima! 

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Capitolo 46
*** Are you a leader or will you follow? ***


CAPITOLO 46

Are you a leader or will you follow?



 

«Questo è il registro di carico e queste le entrate... secondarie, diciamo così.» Finì di spiegare Garrett, scorrendo il dito sulla pagina. «Le rotte cambiano a seconda dei periodi dell'anno, ma in linea di massima ciascun capitano ha le sue, non abbiamo mai avuto problemi per il momento.»

Charade annuì, concentrata sui registri, arricciandosi sull'indice una ciocca di capelli. «Gli altri amici avevano accennato a qualcosa del genere, ma non immaginavo fosse un'operazione così estesa.» Indicò con un cenno del capo la grande mappa del Thedas appesa alla parete, dove ogni puntina blu rappresentava un porto raggiunto dalla Harvent-Hawke: da Gwaren nel sud del Ferelden al cuore di Orlais a Val Royeaux, dalle maggiori città-stato dei liberi confini come Ostwick fino ai porti di Carastes e Ventus nell'Imperium, passando per Antiva e Rivain, negli anni erano riusciti a costruire una fitta rete di collegamenti via mare e via chiatte fluviali che collegava il Sud con il Nord, e grazie agli accordi con le varie fazioni che vagavano per i mari avevano rafforzato la loro influenza e i loro traffici, che procedevano quasi completamente indisturbati in cambio di eque tasse e bustarelle alle persone giuste. «Niente male davvero, per un rifugiato del Ferelden.»

Garrett si strinse nelle spalle. «Faccio del mio meglio, ma ho ottimi consiglieri. Da solo, non sarei riuscito ad ottenere nemmeno un quarto di tutto questo, lo ammetto.»

La cugina scosse il capo, sorridendo. «E anche modesto, si vede che hai preso poco dagli Amell.» Raddrizzò la schiena, guardandosi attorno nell'ufficio pieno zeppo di carte e appunti. «Mi stai davvero offrendo un posto in tutto questo?»

«Sei sveglia, e hai già un'idea di come funzioni un'operazione del genere. So qualcosa degli amici di Jenny la Rossa, avete occhi e orecchie più o meno ovunque, dalle bettole malfamate fino ai palazzi degli Orlesiani più impomatati. E siete dalla parte giusta, non mi è mai piaciuta la gente che accumula montagne d'oro per riempirsi le tasche a spese dei più deboli.»

Charade si legò i capelli in una coda morbida, pettinandosi la frangia con le dita. «Immagino potremo aiutarci a vicenda, sì.»

«Garrett Hawke?»

Si voltarono all'unisono, non riconoscendo la voce.

Un qunari imponente, dalle grossa corna ricurve ricoperte di borchie d'oro a spunzoni e la punta di metallo lucido, lo salutò dall'uscio con un cenno della mano piena di anelli vistosi, appoggiando una mano sullo stipite della porta. Indossava una lunga giacca dal taglio Antivano, rossa scarlatta con inserti dorati, che risaltava sulla pelle scura. «Il Capitano della Tiamat vuole vederti.»

Riconobbe il nome della nave all'istante. Il capitano Amara era una dei contatti di Varric nella Felicissima Armada, una pirata che si era guadagnata la sua fama da Lomerryn al mare di Nocen per le sue audaci imprese e il sangue che si lasciava alle spalle.

Non era il genere di persona con cui Garrett si sentiva particolarmente a proprio agio a trattare, ma gli serviva qualcuno di abbastanza influente nell'Armada e al tempo stesso in grado di incutere rispetto, se non timore, nei mari del nord, dove la Harvent-Hawke voleva espandersi.

Per raggiungere il Tevinter, aveva bisogno di qualcuno che sapesse il fatto suo.

«Charade, puoi aspettarmi qui?» Chiese alla cugina, non volendo trascinarla in guai decisamente fuori dalla sua portata.

L'altra annuì, tornando sui registri. «Resto a dare un'occhiata, se non ti dispiace.»

Garrett le assicurò che poteva restare tutto il tempo necessario, seguendo poi il nuovo arrivato fuori dalla porta e verso il molo.

Era chiaro quale fosse la Tiamat.

L'ultimo vascello arrivato al porto era una fregata imponente, i cui tre alberi montavano vele rosso scuro che a stento riflettevano la luce del sole mattutino. La murata ai fianchi era dello stesso colore scarlatto delle vele, così come il cassero, mentre il resto dell'imbarcazione era in legno d'ebano, quasi nero. La cabina del capitano aveva una grande vetrata a poppa, mentre su entrambi i lati della prua si arrotolavano due enormi serpenti cornuti, laccati d'oro, che incrociavano le loro spire attorno all'albero di bompresso.

Seguì il Qunari, o più probabilmente il Tal-Vashot, si corresse mentalmente Garrett, sul ponte di comando. La prima cosa a stupirlo fu la varietà di persone che stavano trafficando su e giù dalla nave: la maggior parte erano umani, seppur apparentemente di provenienze molto diverse, ma individuò una dozzina di elfi e addirittura una nana, intenta a trasportare una botte per spalla. Quest'ultima gli passò proprio accanto, fischiettando un motivetto allegro in netto contrasto con la grossa cicatrice slabbrata, e ad occhio piuttosto recente, che sfoggiava sul bicipite gonfio messo in mostra dal gilet senza maniche.

«Il Campione di Kirkwall.»

Dall'alto si calò una figura in un ampio redingote di pelle scura, dall'interno scarlatto e numerose fibbie d'oro massiccio, che svolazzò scosso dal vento quando la pirata atterrò sul ponte. Era un'umana sulla quarantina, dai tratti spigolosi e la pelle ambrata solcata da piccole rughe attorno agli occhi, i capelli castani tenuti lontani dagli occhi da una stoffa rossa ricamata d'oro e azzurro che cadeva lunga da un lato. Una vistosa cicatrice spiccava sul collo, messa in mostra dalla camicia aperta e dal collo alto del redingote chiuso soltanto dalla cintura in vita, a cui erano fissati uno stocco e una daga corta, le impugnature di entrambi finemente decorate ma funzionali. La donna sollevò il tricorno dello stesso colore scuro della giacca, mostrandogli i denti bianchissimi in un sorriso feroce, e Garrett notò che aveva un anello d'oro al naso e altri più piccoli su entrambe le sopracciglia, mentre una piccola pallina dorata spuntava sotto al labbro inferiore. «Ti immaginavo più gracilino, invece sei dannatamente in forma per essere un mago.»

Garrett rimase un secondo spiazzato dal commento, cercando però di riprendersi in fretta. «Non sono mai stato mingherlino, è di famiglia.»

Il capitano Amara si lasciò andare in un'esclamazione ammirata. «Spero di restare abbastanza a lungo da conoscere pure tua sorella, allora.»

“Quante cose sa, esattamente?” Si chiese Garrett, restando ad osservarla guardingo. «Dipende quanto avete intenzione di fermarvi, Capitano, immagino sarete molto impegnata anche voi.»

L'altra annuì col capo, lo sguardo che si spostava verso la città dietro di loro. «I Liberi Confini sono un alveare di freddo sudiciume, ma l'oro è buono da qualsiasi tasca arrivi.» Riportò la sua attenzione sul mago, la mano sinistra carica di anelli che andava ad accarezzare quasi amorevolmente l'impugnatura della daga. Sollevò la destra in un gesto stranamente elegante, indicandogli l'accesso alla cabina del comandante. «Parliamo di affari in privato, ti va?»

«Volentieri.» Accettò lui, seguendola lungo il ponte senza abbassare la guardia.

«Saariss, fai in modo che non entri nessuno.» Ordinò il Capitano al Tal-Vashot.

«E per uscirne?» Chiese quello, squadrando il mago dall'alto in basso con un'occhiata divertita.

«Non ci daranno problemi, è nell'interesse di tutti che questa cosa fili liscia.»

Con sempre più disagio addosso, Garrett lasciò che lo conducesse verso la cabina, scivolando all'interno pronto a difendersi nel caso fosse stato necessario. L'interno della stanza era ben illuminato e dalla parte opposta del largo tavolo di legno intarsiato, che dava sulla vetrata multicolore di poppa, vi era già una figura voltata di schiena.

Quando la porta si richiuse dietro di lui, Amara gli mise una mano sulla spalla come a tenerlo buono. Un attimo dopo, l'occupante della cabina si girò verso i nuovi arrivati.

Lo riconobbe immediatamente, con una fitta di rabbia che dallo stomaco si dipanò per tutto il corpo mentre il Velo fremeva in risposta attorno a lui.

Jowan, il degno compare di Geralt Amell e come lui responsabile dell'attentato ai Satinalia dai Cavin e soprattutto del tentato sequestro di sua sorella solo pochi mesi prima, ricambiò il suo sguardo furente con un cenno stanco del capo. «Vengo in pace, Garrett, se puoi credermi.»

Richiamò il mana, una serie di scintille che danzavano minacciose tra le dita chiuse a pugno, senza dare quasi peso alla lama della pirata, ora puntata contro il costato, mentre si tratteneva a stento dal fare una strage lì e subito. «Crederti...» Sputò tra i denti, il respiro mozzo per la fatica di contenere l'energia magica che scalpitava per essere liberata. «Dovrei ammazzarti senza lasciarti dire un'altra parola, traditore bastardo che non sei altro.»

Jowan incassò il colpo, abbassando un poco il capo. «Capisco che-»

«Capisci?!» Garrett fece un passo in avanti, ma venne fermato dalla presa ferrea di Amara, la punta della daga che gli feriva la pelle, trapassando i vestiti e pungendolo appena. «Avete detto voi a quei magister di rapire Marian e Fenris, non bastava averci quasi ammazzato dai Cavin, vi siete messi in combutta con degli schiavisti assetati di potere e non azzardarti a dire che l'avete fatto per la Resistenza, non ci avete creato che problemi con tutti i casini che avete fatto! Quello stronzo cerca di fare chissà cosa a Marian e poi manda te a mettere tutto a posto? Crede davvero che sia così facile, che solo perché avete fatto da tramite col Carta per qualche passaggio verso il Tevinter-»

«Non mi ha mandato Geralt.»

Non fu tanto la frase a fermare le sue invettive furiose, quanto il tono in cui l'altro pronunciò quelle poche parole, sussurrate a stento. «Almeno non prendermi per il culo. Pensi davvero di poter mostrare la tua faccia qui e... e cosa? La Resistenza è l'unico motivo per cui non ti ucciderò a vista.»

Jowan sospirò pesantemente, scostandosi i capelli neri dagli occhi incavati e cerchiati da occhiaie pesanti. «Se potessimo parlare civilmente...» Indicò con un cenno la sedia accanto a Garrett, accomodandosi a sua volta.

«Da bravo, Campione, siamo tutti colleghi qui.» Ghignò Amara, pungolandolo fino a che non si fu seduto e restando con le dita della mano sinistra artigliate alla sua spalla, la destra che teneva stretta la daga ancora puntata alla schiena. «Lascia parlare il mio carico. Ma sia chiaro, il primo che lancia una palla di fuoco sulla mia nave verrà tagliato in pezzi talmente piccoli che nemmeno i migliori necromanti di Nevarra potrebbero ricomporre il puzzle.»

«Parla.» Concesse Garett, mordendosi forte la lingua per trattenersi, fino a sentire il sapore ferroso del sangue. «Ma non raccontarmi palle, avete fatto già abbastanza.»

Jowan sollevò una mano, facendo segno ad Amara di allontanarsi. La pirata schioccò la lingua sul palato ma si allontanò di mezzo passo, lasciando la presa sulla spalla di Garrett pur tenendo pronta la daga. Il mago del sangue attese qualche secondo, prendendo un altro respiro. «Ciò che è accaduto a Marian, o meglio quello che ha rischiato di capitarle, è stato uno dei motivi per cui sono tornato qui. Da solo.» Specificò, abbassando lo sguardo sulle mani giunte. «Geralt si è... allontanato da quello che ci eravamo inizialmente posti come obiettivo. La libertà dei maghi è quello che ci sta maggiormente a cuore, e siamo disposti a sacrificare e combattere fino alla fine per ottenerla, ma non a scapito di-» lo vide mordersi il labbro, la voce che si spezzava. «Non hai idea di come sia, il Tevinter. Ci raccontano solo storielle di paura per bambini, magister che praticano magia del sangue e schiavi in ogni luogo, ma non è che una favola della Chiesa per farci temere la magia e noi stessi.»

«Non venire a raccontarmi che è un paradiso per maghi, conosco storie di prima mano da qualcuno che è passato sotto le grinfie di uno di quei magister con cui vi siete alleati.» Ribattè Garrett, serrando la presa sul bracciolo della sedia e sentendolo incrinarsi.

Con sua sorpresa, Jowan scosse il capo. «Non ho mai visto un luogo così bello, Garrett. I Giardini di Madras alla sera brillano come pietre preziose, e interi edifici vecchi di mille anni si reggono sospesi solo grazie alla magia, la biblioteca di Minrathous potrebbe contenere tutte quelle dei Circoli del Sud solo in una delle sue spire.» Si voltò appena verso la vetrata, come perso nel ricordo. «Cercavamo conoscenza per un nobile scopo, e invece siamo finiti invischiati in orrori che non sono in grado neppure di comprendere appieno. Geralt non ha mai avuto paura di niente ma nessun uomo, neppure il più potente dei maghi, dovrebbe avere a che fare con quelle cose. Per anni ho pensato che la Chiesa ci riempisse la testa di sciocchezze e paure senza fondamento, ma se il Creatore davvero ci ha fatto dono della magia, ci deve aver posto anche un limite oltre il quale non è saggio spingersi.»

Garrett si sentì rabbrividire. «Cosa è successo? Cosa sta facendo Geralt?»

Jowan socchiuse le palpebre, sfuggendo al suo sguardo indagatore. «È perso in un ricordo. Alcuni magistri hanno un orgoglio talmente smisurato da credere di poter ottenere l'impossibile, e lui è disposto a mettere da parte la sua coscienza pur di averne una parte.» Quando risollevò il volto, aveva gli occhi lucidi. «Ho cercato di farlo tornare sui suoi passi, ma non mi ha ascoltato. Siamo andati nel Tevinter per cercare un aiuto nel liberare i maghi del Thedas, non per elevare solo i meritevoli e rendere tutti gli altri schiavi o burattini nelle mani dei pochi che deterranno il potere. Magister Krisafi non si cura minimamente della nostra causa, ha visto in Geralt un'occasione di sfruttarne le abilità, nient'altro. Io non ero all'altezza,» si concesse un sorriso triste «non lo sono mai stato, eppure ho cercato di spiegargli che non ne valeva la pena, che non avrebbe dovuto...» Scosse il capo, deglutendo vistosamente. «Quello non era lui, e ciò su cui stanno lavorando non è la nostra missione, non è ciò che abbiamo sempre sognato da quando eravamo bambini. Sono tornato per fare la mia parte, per cercare di sistemare le cose.» Si sollevò in piedi, e per la prima volta Garrett rimase senza parole, guardandolo avvicinarsi di fronte a lui e inginocchiarsi sul tappeto, il capo chino. «Hai ragione a volere la mia testa, anche io vorrei uccidere chiunque minacciasse le persone a me care. Ma l'uomo che amo sembra essersi smarrito nei suoi rimorsi e io non posso seguirlo, quindi permettimi di aiutare come avrei dovuto.» Rialzò il capo, afferrandogli una mano tremante. «Abbiamo sbagliato, ora lo so. Non servirà a nulla fargli avere paura di noi, ho visto cosa può fare il potere, vederli tremare ci porterà soltanto a voler essere più forti, a schiacciarli fino a che non perderemo noi stessi. E ci sono persone che non lo meritano, persone che verrebbero trascinate giù con tutti gli altri, solo perché non hanno il Dono, perché non sono mai stati abbastanza forti, o obbedienti.» Strinse la presa, e Garrett avvertì un fremito di magia percorrergli debolmente il braccio, dalle dita alla spalla, mentre Jowan puntava gli occhi nei suoi. «Dobbiamo convincerli che darci la libertà conviene a tutti, non costringerli. Altrimenti finirà solo in un bagno di sangue in cui affogheremo tutti.»

Garrett cercò di ribattere, un nodo alla gola che gli rendeva difficile parlare. «Nemmeno due anni nel Tevinter, e hai improvvisamente sviluppato una coscienza?» Tirò indietro la mano, liberandosi dalla presa dell'altro. «Abbiamo cercato di farvelo capire, anni fa, ma eravate davvero sicuri che quel bagno di sangue sarebbe servito, che fosse l'unico modo per avere la nostra libertà anche a costo di ammazzarli tutti, colpevoli e innocenti.»

Jowan annuì, le spalle curve. «Lo so. Abbiamo sbagliato.»

Garrett si alzò in piedi di scatto, non riuscendo a sostenere la vista del mago a terra, implorante. Non dopo quello che avevano fatto. Non dopo tutti quei morti ai Satinalia, i casini che ne erano seguiti, la paranoia di Meredith che aveva stretto la città in una morsa di terrore. Non dopo il rapimento di Marian e Fenris ad opera di Danarius. «Non basta chiedere scusa. Non è così semplice, non puoi spuntare all'improvviso e chiedere un'altra possibilità per-» assestò un pugno alla parete, il legno che scricchiolava, sollevando un'imprecazione e una minaccia da parte della pirata che non aveva mai rinfoderato l'arma. Garrett prese un respiro profondo, poi un altro, cercando di calmarsi, di pensare a quale fosse la scelta giusta, cosa avrebbe aiutato di più la loro causa.

Non importava quello che lui avrebbe voluto fare, come una vocina nella sua testa gli sussurrasse di uccidere quell'uomo, artigli che graffiavano dietro lo sterno e un fuoco di pura rabbia ruggisse nel suo stomaco, c'era in ballo molto più che la sua vendetta personale, che una giustizia in nome di una manciata di persone.

“Giustizia”, se Anders lo fosse venuto a sapere, Jowan sarebbe morto. Avrebbero perso il sostegno del Carta? Giù ad Orzammar molto probabilmente sapevano già che i due avevano preso strade diverse, quanto poteva tirare la corda prima che scegliessero tra una manciata di maghi sovversivi e con poche possibilità di vittoria, e un traffico proficuo e stabile con l'Imperium?

Appoggiò la fronte contro il vetro fresco, inspirando, espirando, inspirando di nuovo.

«Cambierà qualcosa nel sostegno che il Carta ci ha assicurato, ora che Geralt non è più dei nostri?» Chiese, la voce piatta.

«No. Non se n'è andato, mi ha semplicemente ceduto il comando delle operazioni qui a Sud.»

Garrett contò un altro respiro. «Niente più stragi.» Si voltò verso il mago ancora a terra, facendo un passo verso di lui. «Niente più azioni avventate.» Lo fronteggiò dall'alto in basso, evocando una nuova scarica di pura energia a danzargli lungo tutto il braccio destro, illuminando la stanza a giorno. «Niente più sangue innocente.»

Jowan annuì. «Decideremo insieme tutti i prossimi passi.» Si rimise in piedi, lentamente, guardingo. «Hai fatto un ottimo lavoro, nonostante le difficoltà che hai dovuto superare, ammetto anche per colpa nostra. Ma ti abbiamo pure fornito aiuto, contatti, nuovi sostenitori che senza me, Geralt e Vanya, non avreste avuto.» Si zittì mordendosi di nuovo il labbro inferiore, scuotendo il capo. «Non sono mai stato un capo, ho sempre seguito persone più carismatiche di me, più potenti di me. So che questa guerra non posso vincerla da solo, Garrett, e non puoi vincerla nemmeno tu soltanto con le tue forze, come non può farlo Anders. Insieme, con una via di mezzo, forse è possibile.»

Garrett si ritrovò a maledire il Creatore per quella situazione. Si sforzò di tendere la mano a Jowan, frenando l'energia magica e ignorando la sensazione di rigetto che gli provocò stringere quelle mani pregne di sangue, cercando di focalizzarsi sull'immagine di tutti i maghi che avrebbero giovato da quell'alleanza ristabilita. La Resistenza si era frammentata, era tempo che tornasse unita. «Insieme.»

Il capitano Amara si esibì in un grugnito infastidito, rompendo il silenzio teso che si era creato. «Era ora, stavo per commuovermi. O vomitare, una delle due cose, siete patetici quanto un drammaturgo Orlesiano.» Battè tre volte il pugno sulla porta e il grosso Tal-Vashot, che era rimasto lì per tutto il tempo, spalancò i battenti lasciando entrare la luce del giorno. «Tu, maga, puoi portartelo via, ne ho talmente pieni i coglioni delle vostre beghe che mi è persino passata la voglia di parlare di affari.» Lanciò una smorfia in direzione di Garrett, scacciandolo con un gesto della mano. «Domani verrò io ai tuoi uffici, Hawke, ora voglio trovare una bettola degna di me e sfogare tutta questa tensione. Quanto a te, un consiglio...» si rivolse poi a Jowan, schioccando la lingua e arricciando il naso «fai qualcosa per quel cuore infranto, non si vince un cazzo a guardarsi alle spalle mentre a prua infuria la tempesta.»

Si sistemò il cappello con uno svolazzo di piume scarlatte, allontanandosi a grandi passi verso la passerella e scendendo agilmente sul molo senza degnarli di un secondo sguardo.

Il Tal-Vashot, Saariss, si rivolse ad una donna accanto a lui, avvolta in un pesante mantello da viaggio. «È ora di scendere, signorina. Buon rientro in gabbia.»

Garrett si voltò verso di lei, incuriosito.

Quella fece loro segno di abbandonare la nave, prendendo poi la parola. «Non mi riconosci, immagino, ma io mi ricordo benissimo di te, Hawke.» Sorrise, vedendolo che reagiva al suo accento del Ferelden. «Mi allungasti un paio di monete qualche anno fa, prima che io decidessi di farmi rinchiudere alla Forca.»

Non ricordava di aver fatto uscire qualcuno come lei dal Circolo di Kirkwall, men che meno di averle dato dei soldi tempo prima. «Mi dispiace, ma non me lo ricordo... ti sei unita alla Resistenza, quindi? Sei scappata dalla Forca?»

«Mi chiamo Evelina. Facevo parte della Resistenza ben prima di entrare nella Forca.» Fece un cenno verso Jowan, come a chiedergli il permesso di parlare. L'altro si limitò ad annuire, lo sguardo puntato altrove. «Ero a Kinloch Hold durante il Quinto Flagello, sono tra i pochi che sono riusciti ad evadere in quel periodo. Conoscevo abbastanza bene Jowan e Geralt da riconoscerli, quando li ho visti a Kirkwall, e seguire il loro piano quando mi dissero di avere bisogno di una spia fidata alla Forca.» Si passò una mano tra i capelli castani, fermandosi una ciocca dietro l'orecchio. «Quando ho saputo che stava rientrando nei Liberi Confini, sono uscita per metterlo personalmente al corrente di alcune cose, prima di riferirle al resto della Resistenza.»

«Ora non ci sono più fazioni distinte, abbiamo un nuovo accordo.» Ribattè secco Garrett.

Evelina cercò nuovamente lo sguardo di Jowan, e nei suoi occhi gli parve per un attimo di leggere preoccupazione. «Lo so. Per questo mi sono esposta, niente più segreti.» Allungò il passo per precederli, infilandosi in uno dei vicoli del porto. «Come ho raccontato a Jowan, c'è la possibilità che parecchi templari ci appoggino se detronizziamo Meredith dall'interno.»

«I templari?» Ripetè Garrett. «Gli stessi templari che avete cercato di rendere burattini posseduti dai demoni sotto il vostro controllo?»

«Te l'ho detto, le cose sono cambiate.» Disse Jowan, sollevandosi il colletto della giacca a nascondere il volto, guardandosi attorno con aria tesa. «Mi sono messo in contatto con alcune delle nostre vecchie conoscenze, vicine alla Divina. Non hanno ancora inviato una risposta, ma sono fiducioso che nemmeno loro vogliano spargere altro sangue. Non condividono le idee estremiste di Meredith e quelli come lei, anche se nella Chiesa sono a malapena una manciata a non seguirle.»

«E non sono in pochi i templari all'interno della Forca che vedrebbero di buon occhio l'ascesa di una nuova Comandante del Circolo di Kirkwall, per non parlare dei maghi che finalmente potrebbero prendere respiro e smettere di temere per la propria vita ad ogni passo.» Aggiunse Evelina.

«Come mai, se c'è tutta questa gente dalla nostra, vengo a saperlo solo ora?» Chiese scettico, appoggiandosi al muro e fronteggiandoli.

Evelina e Jowan si scambiarono uno sguardo d'intesa.

«Il gruppo ha preso forma solo negli ultimi due o tre mesi, ma l'idea è nata contemporaneamente in seno a maghi e templari su alla Forca.» Spiegò Evelina. «Alcuni di noi ovviamente non si fidano però dei templari, e alcuni templari non si fidano del tutto di noi. Anders non accetterà mai di lavorare al loro fianco, lo sai bene, non senza una buona parola da parte tua.»

«Mi stai chiedendo di convincerlo a considerare l'ipotesi di una... convivenza? Nel Circolo, immagino, non credo che il nuovo Comandante della Forca, chiunque sarà, sia disposto ad andare contro tutta la Chiesa e liberare i loro prigionieri.»

«Tua sorella preferirebbe probabilmente il termine “protetti”.» Lo corresse la donna.

Garrett rimase un attimo confuso. «Cosa c'entra-» aprì la bocca per un secondo, richiudendola di scatto. «Mia sorella fa parte di questa cosa?»

Evelina scosse il capo. «No, non con tutti gli occhi puntati addosso e Meredith pronta a redarguirla per ogni passo falso, ma tutti i suoi colleghi che si sono messi in contatto con noi la vedono come un punto di riferimento. L'unica che si sia esposta pubblicamente a favore di un mago, mettendo a rischio la sua vita. Come hai fatto tu, d'altronde, salvando la sua nello scontro con l'Arishok.»

«I Templari non sono al corrente di tutto quello che accade tra le nostre file.» Si intromise Jowan a voce bassa. «Evelina e Grace si sono messe in contatto con Adaar, che tramite Stök ha sparso la voce di una possibile alleanza. Mi sono attardato ad Antiva a scambiare qualche parola con qualcuno che conosce bene la mano sinistra della Divina, per portarle la nostra offerta di pace, almeno per il momento. Se la Forca diventasse un nuovo modello di Circolo, in cui i maghi possono finalmente sentirsi liberi e al contempo tenuti al sicuro dai Templari, non minacciati e puniti ingiustamente, potremmo porre delle nuove basi di fiducia per chiedere più libertà, e la Divina sarebbe in grado di difendere la nostra causa con delle prove solide.»

Garrett rimase ad ascoltare, dovendo ammettere che sembravano buone idee. Scosse il capo, grattandosi pensoso la barba. «Forse vuoi davvero sistemare le cose, te lo concedo.» Sospirò passandosi una mano tra i capelli. «D'accordo, parlerò con Anders, ma devi stare lontano da lui. Non posso garantire che non cercherà di ucciderti, anche se proverò a convincerlo di darti una seconda possibilità è meglio che non ti veda prima. E voglio parlare con tutti, o almeno tutti quelli che contano in questa nuova impresa.»

Evelina annuì. «Io manco da un po' alla Forca, non potrò uscire di nuovo senza destare ulteriori sospetti, ma gli altri ci saranno. Tra tre giorni alla vecchia fonderia dei Mander, quel posto è disabitato da secoli e lo gestisce la Cerchia, è sicuro.»

Garrett stava per andarsene, quando Jowan lo afferrò per la manica, trattenendolo.

«Grazie.» Gli disse l'altro, semplicemente.

«Non lo faccio per te.» Ribattè lui, liberandosi con uno strattone. «Vorrei vederti morto, e Geralt subito dopo, ma hai ragione, da soli non potremmo farcela. Però non è altro che questo, avete toccato la mia famiglia ed è una cosa che non posso perdonarvi.»

Jowan chinò leggermente il capo. «Lo capisco. Ti ringrazio per essere il più razionale tra noi.»

Garrett voltò loro le spalle, un'imprecazione sulla punta della lingua che dovette costringersi ad ingoiare. Sarebbe stato difficile convincere Anders a non uccidere l'altro a vista, ma ancora di più tenere a bada Giustizia.



 

Trovò Anders alla Clinica, intento a pestare delle erbe fino a ridurle in polvere per poi metterle in alcuni piccoli sacchetti di stoffa, pronte per essere consegnate a chi di dovere.

Entrando nella stanza, dovette scostare parecchi mazzetti appesi alle travi del soffitto basso prima di raggiungere il compagno, immerso nel suo lavoro al punto da quasi non rispondere al saluto che gli rivolse.

«Hai intenzione di raccogliere abbastanza erbe per i prossimi dieci anni?» Gli chiese con una punta di divertimento, indicando con un cenno i molteplici sacchettini già riempiti di fianco al Guaritore.

Anders scosse il capo. «Siamo stati fortunati a trovarne così tante, anche se non è stato facile, ma la Clinica potrebbe averne bisogno in futuro, e io potrei non essere sempre qui a-» si zittì a metà della frase, scuotendo il capo. Alcune ciocche di capelli erano sfuggite dal nastro con i quali li aveva legati, e ora gli ricadevano lunghi sulle spalle. «Com'è andata con Charade?»

«Bene, è sveglia e sono sempre più convinto che sia stata una fortuna conoscerla... lei e gli amici di Jenny la Rossa potrebbero esserci parecchio di aiuto, oltretutto.» Rispose Garrett, avvicinandosi a lui e scostandogli una ciocca dagli occhi. «Ma non è di Charade che volevo parlarti, altrimenti avrei aspettato la cena... puoi fare una pausa?»

L'altro sembrò sul punto di rifiutare ma poi acconsentì con un sospiro stanco, accomodandosi al tavolo di fronte al poco spazio rimasto libero dalle erbe. «Di che si tratta, stavolta?»

Garrett recuperò da un armadietto a muro due tazze e una teiera in ghisa, riempendola e scaldando l'acqua con un piccolo incantesimo. Rovistò alla ricerca delle foglie di tè che cercava, la miscela preferita di Anders, per poi versarle nell'acqua già bollente.

«Ho ricevuto una visita bizzarra, al porto.» Non sapeva come iniziare, si sarebbe infuriato in ogni caso. «Amara, il capitano della nave pirata Tiamat, con la quale Varric mi aveva messo in contatto per i nostri affari nel mare del nord, non è venuta da sola. E non abbiamo parlato di affari, almeno non per quanto riguarda la Harvent-Hawke.» Si grattò il mento, mentre aspettava che l'acqua nella teiera diventasse di un bel colore ambrato. «Ho bisogno che tu ti fidi di me, però, e che mi lasci spiegare.»

«La smetti di fare il misterioso? Riconosco quel tono, so che tanto non mi piacerà.» Lo spronò Anders, incrociando le braccia al petto mentre si appoggiava allo schienale della sedia.

«Si tratta di Jowan.»

Lo scoppio di energia non lo sorprese, già pronto a scattare in avanti e fermare Giustizia dal far esplodere la Clinica e mezza Città Oscura con essa, afferrando il compagno per le spalle, cercando di assorbire la sua energia magica invece che bloccarla, come aveva imparato a fare negli anni. Se lo spirito che possedeva Anders non si trovava di fronte una barriera, ma qualcosa o qualcuno che riuscisse ad incanalare un po' della sua rabbia, diventata più facile per il guaritore riprendere il controllo sulla propria mente.

«Quell'assassino mago del sangue avrà quello che si merita!» Ringhiò lo spirito, ma già la luce accecante che gli illuminava gli occhi andava scemando. «Giustizia sarà-» Anders si accasciò tra le sue braccia con un gemito di dolore, portandosi le dita alle tempie.

Garrett mise una mano sulla sua, avvicinandolo al petto e stringendolo per qualche secondo, aspettando che il respiro dell'altro si regolarizzasse. «Lo so che meriterebbe la morte.» Sussurrò appena, accarezzandogli i capelli. «Ma sembrava pentito, e non stiamo facendo tutto questo per noi e la nostra vendetta, ricordi? Dobbiamo aiutare i maghi di tutto il Thedas, Anders, e non possiamo farcela da soli.»

Dopo qualche lungo istante, lo sentì annuire. Il guaritore si allontanò un poco, prendendo un respiro profondo e riaprendo gli occhi. «Come fai a dire che sembrava pentito? È un verme bugiardo.»

Gli si sedette accanto, senza lasciargli la mano. «Mi si è buttato ai piedi implorando un'altra possibilità, sembrava sincero. Ha lasciato Geralt nel Tevinter, non so cosa sia successo di preciso tra loro, ma Jowan ha detto di non condividere quello che sta facendo coi magister, che ha visto di cosa sono capaci e ne ha avuto paura. Sembrava tornato sui suoi passi, ha parlato di dialogo, di aver contattato qualcuno di vicino alla Divina per riuscire a trovare un punto d'incontro senza altri spargimenti di sangue.» Di certo non si aspettava che l'altro ci credesse immediatamente, ma l'occhiata di puro odio che riaccese lo sguardo del compagno lo lasciò spiazzato.

«“Dialogo”?» Ripetè Anders a denti stretti, ritraendo la mano. «Prima ci condanna ad essere perseguitati come terroristi e spregiudicati assassini, e poi torna con la coda tra le gambe a parlare di dialogo? L'abbiamo persa da tempo la possibilità di un dialogo, lo sai benissimo!» Si alzò in piedi, il Velo che era tornato a farsi sottilissimo, negli occhi una luce minacciosa. Nella sua voce poteva chiaramente sentire il tono basso e furente di Giustizia. «Nemmeno la Divina in persona potrebbe mettersi in mezzo per chiedere una tregua, ormai, ed è anche per colpa loro!»

Garrett si sforzò di mantenere la calma per entrambi. «Possiamo ancora tentare, invece.» Insistette, stringendo le mani a pugno. «Per colpa loro siamo finiti nella merda, hai ragione, ma se si è messo davvero in contatto con la Divina e riuscissimo a instaurare un dialogo-»

«Non esiste alcun dialogo!» Urlò l'altro, e stavolta Garrett non fu più in grado di distinguere il compagno dallo spirito infuriato. «Non vogliono il dialogo, vogliono soltanto una scusa per ucciderci tutti, e quei due non hanno fatto altro che fornirgliene

«Anders!» Si ritrovò anche lui ad alzare la voce, sperando di fare breccia. «Persino i templari sembrano volere una accordo, invece, se solo provassi ad ascoltarmi invece che-» la fitta alle tempie arrivò inaspettata, violenta, e si ritrovò spinto all'indietro e a terra senza nemmeno essersi reso conto come. Alzò lo sguardo sull'altro, completamente trasfigurato da Giustizia.

«I templari sono nostri nemici.» Ringhiò quello, i mazzi di erbe appese al soffitto che si agitavano come mosse dal vento, il terreno che tremava sotto i loro piedi. «E la Chiesa complice dei loro crimini.» Avanzò di un passo verso di lui, trasfigurato. «La Giustizia non dialoga con i colpevoli!»

Garrett si rimise in piedi a fatica, fronteggiandolo, consapevole che se Giustizia avesse deciso di toglierlo di mezzo una volta per tutte non sarebbe stato in grado di fermarlo. «Anders, ascoltami. Non è vero, e lo sai anche tu, c'è sempre speranza!» Inspirò a fondo, pregando il Creatore o chiunque altro potesse aiutarlo. «Lo so che hai sofferto, e come te tutti gli altri maghi nei Circoli, ma abbiamo la possibilità di cambiare le cose e il dovere di non metterli ulteriormente a rischio.» Fece per afferrargli la mano, ma l'altro si ritrasse di scatto. «Se non cerchiamo un dialogo, ci massacreranno. L'hanno già fatto, sai che possono farlo. Una Santa Marcia su Kirkwall e la Resistenza verrà spazzata via, non siamo abbastanza forti, né abbastanza uniti, per sopravvivere.»

«E la tua soluzione sarebbe allearci con i nostri oppressori, o con dei criminali che fanno patti coi demoni?» Ribattè Giustizia, sollevando una mano di fronte a sé.

Poteva sentire il mana turbinare sul palmo della mano dell'altro, e dovette combattere con l'istinto di indietreggiare, ma Garrett si costrinse a rimanere dov'era. «Non possiamo combatterli tutti, Anders. Però possiamo scegliere le nostre battaglie.» Fece un passo in avanti. «Non tutti i templari sono aguzzini senza scrupoli, in molti hanno maghi in famiglia o sono sensibili alla nostra causa. Lo so per certo, si sono alleati coi maghi del Circolo e della Resistenza, persino alcuni dei Risolutori sono disposti ad una tregua temporanea, in modo da detronizzare Meredith.» Un altro passo, e la mano del compagno premette sul suo petto. Strinse i denti, soffocando un gemito di dolore quando avvertì una forte fitta all'altezza dello sterno, ma non indietreggiò. «È lei il nemico di cui dobbiamo preoccuparci, lei e la sua cerchia. Se la togliamo di mezzo, la Forca potrebbe diventare un ponte tra noi e loro, potremmo collaborare per la libertà dei maghi.»

«La libertà dei maghi potremo ottenerla solo dopo che avremo ucciso anche l'ultimo templare!»

«Questo non sei tu a parlare, Anders, ma la tua vendetta!» Gli afferrò il polso, costringendo il mana a fluire tra loro, serrando la mascella quando il dolore andò ad intensificarsi. «Lascia che te lo dimostri. Ti chiedo di fidarti di me, non di loro. Ti prego.» Sentiva il sapore ferroso del sangue in bocca, ma non mollò la presa finché il suo sguardo non incontrò gli occhi color miele dell'uomo che amava.

Anders si voltò di lato, abbassando il capo e incurvando le spalle, sconfitto, il respiro spezzato.

Garrett gli strinse la mano tra le sue, aspettando in silenzio.

«Come fai ad esserne sicuro?» Sussurrò l'altro, con un filo di voce. «Che non sia soltanto una trappola?»

«Ho speranza.» Rispose semplicemente Garrett, stringendo la presa. «Che il mondo non sia un posto orribile come vogliono farci credere, che siano in tanti a voler fare di meglio. E che si possa ottenerlo senza trasformare la nostra lotta in un bagno di sangue. Abbiamo cambiato questo posto, piano piano, persona dopo persona, dimostrando che persino i peggiori criminali e poveracci della Città Oscura sanno collaborare nel momento del bisogno, mettendo da parte le proprie differenze. Nella Resistenza abbiamo ricevuto l'aiuto e il supporto di nani, elfi, rifugiati, gente comune e nobili, di Tal-Vashot, di eretici abituati a fuggire da tutta una vita e di Primi Incantatori nei loro Circoli.» Fece una pausa, prendendo un respiro e lasciando che le sue parole facessero presa. «Riusciremo a cambiare le cose, Anders, te lo prometto.»

Il guaritore scosse il capo, senza ricambiare la stretta ma nemmeno ritrarsi. «Non riesco più a condividere il tuo ottimismo, amore mio. Vorrei, credimi, ma non ce la faccio.»

Colmò la distanza tra loro, stringendolo tra le braccia e sentendolo terribilmente fragile nonostante fino a qualche istante prima fosse capace di farlo a pezzi. «Farò tutto quello che posso per mostrartelo, allora. A partire da questo incontro.»




























Note dell'autrice: chi si aspettava la ricomparsa di Jowan? Non certo Garrett. Un vero peccato che qualsiasi cosa sia successa e stia accadendo nel mentre in Tevinter abbia fatto allontanare persino Geralt e Jowan, ma almeno la Resistenza ora sembra essere su un'unico fronte unito... per ora. 
Il cambio radicale di Evelina dal canon a qui è dato dal fatto che i suoi bambini stanno bene e sono stati accolti in un orfanotrofio della Chiesa con gente che si prenda cura di lei, per questo non ha motivo di cedere ai demoni. Anche se ha qualche asso nella manica ed era invischiata nella Resistenza con Geralt e Jowan da un bel po', spiando per tutto il tempo tra i ranghi dei templari di Meredith. 
Nel prossimo capitolo compariranno altre vecchie conoscenze! 

A presto! :D 

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Capitolo 47
*** Are you a fighter or will you cower? ***


CAPITOLO 47
Are you a fighter or will you cower?



 

Il chiostro era silenzioso, fatta eccezione per qualche piccolo fringuello che cinguettava tra i rami dell'albero sopra di lei.

Kallian Tabris attendeva pazientemente sotto al portico di marmo, il respiro che produceva impercettibili sbuffi di fumo sotto la maschera di porcellana nera e dorata che indossava, i capelli candidi raccolti morbidamente a nascondere le orecchie a punta e un velo scarlatto ricamato con molteplici minuscole perle che partiva dalla sommità della maschera fino a ricadere sulle spalle.

Ci aveva messo del tempo ad abituarsi alla moda orlesiana, a tutti quegli strati e alla visuale ridotta data dalla maschera che indossava ogni giorno, ma dopo quasi sei anni passati tra i palazzi di Val Royeaux destreggiandosi tra nobili, chevaliers e servitori, ora si sarebbe sentita nuda ed esposta se l'avessero vista in volto.

L'Artiglio dell'Usignolo, la misteriosa figura che scivolava tra le ombre facendo la volontà del Creatore, o almeno quella a cui davano voce la Divina e la sua Mano Sinistra.

Cresciuta nell'Enclave di Denerim, guardata dall'alto in basso dagli umani per tutta la sua gioventù e stata bersaglio delle peggiori bassezze di cui era capace la nobiltà, Kallian provava un'immensa soddisfazione a vedere marchese dai vestiti sfarzosi e chevaliers dalle armature splendenti sussultare e indietreggiare al suo passaggio, guardarsi le spalle ansiosamente quando sapevano che lei era nella stanza, celata ai loro sguardi o nascosta in piena vista nella folla, ma mai lontana dalla Divina e dal suo Usignolo.

Leliana stringeva tra le dita ogni singolo filo delle trame che ordivano gli uni contro gli altri nel loro amato Gioco, e Kallian era la lama che calava silenziosa e inesorabile su di essi quando ne uscivano sconfitti oppure osavano puntare troppo in alto.

La lettera che aveva ricevuto prima alla voliera sembrava quasi bruciare, nascosta sotto il mantello di morbida lana foderata che indossava. Giunse le mani in grembo, serrando le dita tra loro e prendendo un respiro, poi un altro, impaziente.

Finalmente, due donne sbucarono dall'altra parte del chiostro: la prima incedeva a passo militare, l'armatura lucida dei Cercatori e i capelli neri tenuti corti sopra un cipiglio corrucciato, così diversa dalla collega che procedeva sinuosa e aggraziata, le scarpe eleganti che a malapena ticchettavano sul marmo, i capelli ramati che spiccavano da sotto un'elegante mantella dei colori rosso e bianco della Chiesa, il sole infuocato ricamato in filigrana d'oro sul petto.

Leliana la notò con la coda dell'occhio mentre Kallian si avvicinava a loro senza fretta, nascondendo la propria preoccupazione sotto un cortese saluto. La Mano Destra della Divina, Lady Cassandra Pentaghast, ricambiò con un rigido cenno militare, portando la mano al petto e accomiatandosi subito dopo.

Rimaste sole, Leliana aggrottò un poco le sopracciglia curate. «Pensavo fossi già partita per il ricevimento dei De Ghislain.»

«Possono aspettare, è saltato fuori qualcosa di più importante.» Rispose a bassa voce Kallian, facendole cenno di procedere verso un luogo più appartato.

Procedettero verso la voliera, situata in cima ad una delle torri della Grande Cattedrale. Mentre salivano le scale, una sorella dall'aria assolutamente anonima le salutò inchinandosi ossequiosamente al loro passaggio prima di proseguire per la sua strada, il rapporto che aveva stilato nei mesi precedenti passati a Lydes scivolato al sicuro sotto il mantello di Kallian.

«Notizie da Nord, è arrivato un corvo fin qui a portarcele di persona.»

Il naso di Leliana si arricciò impercettibilmente. «Si è posato in cerca di aiuto, o per beccarci la mano e fuggire di nuovo?»

«Questo non saprei dirlo.»

Aperta la porta della voliera, le accolse il gracchiare degli uccelli sui loro trespoli. La richiusero alle proprie spalle, aspettando che l'Antivano uscisse allo scoperto.

«Mis amigas, sono contento di vedervi ancora più splendide di quando ci siamo salutati.»

«Taglia corto coi convenevoli, Zevran, gli amici non si accoltellano alle spalle.» Ribatté fredda Kallian, senza togliersi la maschera e fissando il Corvo.

«Ah, mi spezza il cuore sentirti parlare in questo modo... il fatto che – lo ammetto – ci siamo scambiati qualche colpo basso, personalmente non va a ledere in alcun modo l'affetto che provo per entrambe, è stata una semplice scelta strategica, dovreste capirlo.»

«Una scelta azzardata, dettata dalla paura e dalla fretta, che vi si è ritorta contro.» Lo corresse Leliana, che tuttavia aveva una postura più rilassata e si stava ora accomodando alla grande scrivania di ciliegio, facendo cenno agli altri due di fare lo stesso. «Chiamiamo le cose col loro nome, quella non era certo strategia. E se sei qui se ne sono resi conto anche loro, ma ammetto di essere sorpresa, non mi aspettavo un passo indietro così plateale. Il Tevinter è talmente fuori controllo che persino Geralt si è fatto un esame di coscienza?»

Kallian non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito. «Come può fare un esame di ciò che non possiede?» Commentò piccata, ma prese posto accanto a lei. «Ovviamente non è stato lui a chiedere una tregua.» Infilò una mano sotto il mantello, estraendone la lettera accuratamente ripiegata che Zevran le aveva consegnato qualche ora prima e porgendola a Leliana.

«Devo dissentire, su di lui, ma ahimè non ho fatto tutta questa strada per discutere di filosofia ed etica, altrimenti vi avrei chiesto di incontrarci all'Université.» L'elfo si accomodò accavallando le gambe, reclinandosi all'indietro sulla sedia. «In effetti, Geralt si è tirato indietro dalla guida dei Risolutori. Jowan è tornato a Sud con idee molto più pacifiste di quelle con cui erano partiti, sembra ora dell'idea che il movimento non possa farcela senza aiuti esterni.»

«Chissà come mai siete rimasti soli, dopo aver fatto stragi ed evocato demoni.»

«Kallian.» La ammonì Leliana, sfiorandole la mano. «Se davvero sono disposti a-»

«A cosa?» Alzò la voce l'elfa, tirandosi indietro. «Abbiamo offerto loro aiuto già una volta, e guarda come ci hanno ripagato. Sono così pieni di sé da credere che ricascheremo nello stesso tranello?»

Leliana sospirò, aprendo la lettera tra le dita. «Il disegno del Creatore non riguarda solo qualche pedina, ma l'intera scacchiera.»

Kallian le puntò gli occhi addosso, furente, aspettando con impazienza che finisse di leggere quella caterva di stronzate che Jowan aveva scritto loro nella speranza di ingannarle di nuovo.

«A quanto pare il Tevinter gli ha fatto aprire gli occhi su cosa può davvero causare una libertà fuori controllo.» Commentò Leliana, l'indice che sfiorava le lettere d'inchiostro. «Non sono contraria alla riapertura di un dialogo tra i maghi della Resistenza e la Chiesa, la Divina è ancora disposta a prestare orecchio alle richieste dei Circoli sotto il pugno di ferro templare, ma dovrò portarle qualcosa di più di una lettera di un famigerato mago del sangue presumibilmente pentito, se vogliamo convincerla a spingere per la riforma.» Scosse il capo, ripiegando la pergamena. «La Resistenza deve darci prove concrete della loro volontà di collaborare con la Chiesa, prima che Justinia possa esporsi con il resto del Concilio.»

Zevran annuì. «Ovviamente, è per questo che ha mandato direttamente me, posso parlare a nome suo e di parecchi altri esponenti della Resistenza, nonché dei Risolutori.»

Kallian giunse le mani in grembo. «E come mai Vanya non si è fatta vedere?»

Il sorriso dell'elfo mostrò appena i denti bianchissimi. «Sappiamo tutti che sono perfettamente in grado di scivolare dentro e fuori da qualsiasi palazzo altrettanto bene di qualsiasi mutaforma, e soprattutto non sono un ostaggio di egual valore.»

«Oh, non saprei, se ti prendessimo effettivamente come nostro ostaggio, credo che riusciremmo ad ottenere persino l'attenzione del capo.» Ribatté lei.

«Sono davvero necessarie queste minacce?» Le chiese Zevran, sospirando. «Sei così abituata a trattare con la nobiltà orlesiana da non concedermi nemmeno il beneficio del dubbio, sotto quella maschera di pietra?»

Kallian portò finalmente una mano dietro la nuca, sollevando appena il velo e slacciando i nastri che le legavano saldamente la maschera sul volto. Scosse il capo, puntando di nuovo lo sguardo verso l'altro. «Ho imparato molto in questi anni, Zevran, quando tratti con dei serpenti puoi solo tenerli per la testa, e ben lontani da te.» Sentì la mano di Leliana posarsi sul ginocchio, stringendolo delicatamente ma con fermezza.

«Alcuni di loro avranno anche morso, ed è un fatto che non possiamo e non dobbiamo dimenticare, ma per il bene di tutti ritengo sia doveroso cercare di riallacciare un dialogo tra le parti.» Si voltò poi verso di lei, e Kallian si costrinse ad ingoiare la risposta piccata che le era salita prontamente alle labbra. «Kirkwall potrebbe essere un ottimo banco di prova, è stata teatro delle peggiori mosse della Resistenza ma è attualmente anche uno dei Circoli dove i Templari abusano di più dei loro poteri. La Somma Sacerdotessa Elthina sta cercando con scarso successo di far collaborare la Comandante con il Primo Incantatore, ma abbiamo prove di sedizione persino tra le sue file. Se come dite la Forca si è organizzata spontaneamente per creare una collaborazione tra i due schieramenti, partendo dalla pancia delle sue file e trovando autonomamente dei rappresentanti, il dialogo è possibile e doveroso. Non dobbiamo ignorare questa possibilità.»

Kallian sbuffò di nuovo. «Jowan parla di creare un nuovo modello di Circolo. Quindi si accontenteranno di restare sotto la Chiesa, seppur con una catena più lunga? Ne dubito.» Sapeva quando Geralt odiasse la Chiesa, i Templari e tutto ciò che li riguardasse. Non aveva mai creduto ad una possibile alleanza e per quanto la riguardava i maghi stavano bene lì dove si trovavano, nei Circoli e sotto il controllo dei Templari, anche se persino lei non approvava le misure drastiche e gli abusi che alcuni dell'Ordine applicavano ai loro protetti. «Non è altro che un modo per riavvicinarsi a noi e colpirci ancora più forte.»

«Non hai tutti i torti su Geralt, lo ammetto.» La interruppe Zevran, prendendo un sospiro. «Eppure non è il mostro che ti sei convinta che sia, è solo il prodotto di quello che ha passato.»

Kallian sbattè la mano sul tavolo con forza, scattando in piedi. «Non venirmi a fare la predica su questo, Zev, non lo accetto!» Sbottò fronteggiandolo. «Geralt Amell non è l'unico nel fottuto Thedas ad aver sofferto, ma ciò non lo giustifica ad ammazzare indistintamente-» un flash del tempio nella Foresta di Brecilian le balenò in mente, le ultime parole che Zannelucenti le aveva rivolto prima di essere uccisa ancora vive nella memoria.

È questo che credi giusto? Che le colpe di un solo gruppo di uomini appartengano all'intera specie?

Aveva fatto lo stesso. Se non fosse stato per la Benedetta Andraste, che le aveva offerto una seconda possibilità donandole una nuova vita sulle montagne di Haven, non avrebbe conosciuto altro che una fine violenta cercando di saziare il proprio desiderio di vendetta. Ancora adesso non provava pietà per le sue vittime, soprattutto se erano umani, ma col tempo la sua rabbia era scemata in una freddezza più calcolatrice, più tattica.

Eppure, Geralt Amell doveva la sua vita ad un'elfa, come lei la doveva alla Profesessa, ma il mago stava sputando su tutto quello che Aenor aveva rappresentato e rappresentava ancora per gli elfi del Thedas, alleandosi con i magister del Tevinter e usando spregevolmente la sua magia del sangue.

«Non è solo vendetta, ciò che cerca.» Prese nuovamente la parola Zevran, una punta di malinconia nella voce. «Sono andati nel Tevinter per ottenere delle risposte, una conoscenza arcana che forse nelle loro arti proibite non è andata perduta, ma non lo fa per sé stesso. Non soltanto, almeno, voi non lo conoscete bene quanto noi. Non è il mostro che sta fingendo di essere, mi rifiuto di crederci.»

«A volte le persone ci deludono, Zevran, prima lo accetti, meno sarà arduo da superare.» Ribattè Leliana, avvicinandosi a Kallian e sfiorandole appena il dorso della mano. «Geralt ha fatto la sua scelta, ma non deve necessariamente essere quella di tutti i maghi del Thedas meridionale.»

L'elfo chinò il capo, lasciando cadere l'argomento. «Le intenzioni di Jowan sono genuine, senza l'influenza di Geralt la Resistenza e i Risolutori seguiranno quello che hanno da dire lui e pochi altri, i quali sono per la maggior parte dell'idea che, almeno per il momento, non sia possibile proseguire le ostilità su tutti i fronti. Vi chiedo di mandare qualcuno all'incontro a Kirkwall per averne le prove, nient'altro. Se non sarà sufficiente, e l'alleanza con la Chiesa e i Templari non dovesse funzionare... potremo dire almeno di averci provato, come dovrebbero fare tutti gli amici che si trovano da un lato all'altro di una guerra.»

«Andrò personalmente a Kirkwall.» Decise Kallian, la voce ferma. «Non mi fido di nessun altro per un compito così delicato. Se davvero c'è la possibilità di una collaborazione... Leliana, la tua riforma potrebbe essere fattibile. E non voglio che salti per un errore di giudizio di un nostro agente. Inoltre, serve qualcuno che possa parlare a nome tuo e garantire per la Divina.»

Un barlume di preoccupazione passò come un lampo sul viso della compagna, che tornò poi alla maschera calcolatrice che indossava sempre quando si parlava di affari. «Mi fido del tuo giudizio come se fosse il mio. Sei i miei occhi e la mia mano, Kallian. Parla direttamente con Jowan, a Kirkwall, ma fai in modo che non si mostri durante l'incontro, potrebbe far saltare l'accordo coi Templari ancora prima che si suggelli.» Si voltò verso Zevran, che annuì col capo. «Prego il Creatore che le vostre intenzioni siano genuine, per il bene di tutti. Perché questa sarà l'ultima possibilità che Justinia potrà concedere alla causa, ed io a voi.»

L'elfo si esibì in un piccolo inchino. «Non chiediamo altro.»

Kallian annuì. «Partiremo stasera stessa, non c'è tempo da perdere.»

Zevran si alzò dalla sedia, rimettendosi un mantello da viaggio sulle spalle e calandosi il cappuccio in testa. «Ti aspetto al porto allora, ci ho già procurato un passaggio.»

L'elfa scosse il capo, trattenendo uno sbuffo. «Sempre ottimista.»

«Siete di gran lunga tra le persone migliori che conosco.»

«Questo non pende a tuo favore, Zev. Ma a buon rendere.» Lo salutò Leliana con un sorriso.

Rimasero a guardarlo mentre si inchinava di nuovo, per poi dare loro le spalle e calarsi agilmente fuori dalla finestra nell'oscurità.

«Stai attenta, a Kirkwall.»

Kallian si voltò verso la compagna, sorpresa. «Non è la prima volta che affronto una missione delicata.»

«Ma è la prima in cui potresti essere emotivamente coinvolta.»

Stava per ribattere che non era assolutamente vero, quando Leliana le afferrò le mani, portandosele alle labbra e sfiorandole in un bacio. Socchiuse gli occhi, lasciando cadere definitivamente la facciata di distacco che aveva portato fino a quel momento. Si appoggiò a lei, lasciandosi sfuggire un sospiro spezzato. «Sembra che quella sera ad Orzammar sia stata la vita di qualcun altro.»

«Sono i ricordi a renderci chi siamo.» Le sussurrò l'altra, il capo ancora chino. «Eravamo tutti alla deriva, ma il Creatore ci ha uniti per una causa comune. Persa quella, è legittimo che ognuno abbia seguito la sua strada, ma l'esserci conosciuti ha segnato ciascuno di noi. Persino Geralt in qualche modo ne è rimasto toccato, come è successo a Natia, ad Elissa, a noi due.»

«Non è stata la fine del Flagello a farci disperdere.» Kallian si avvicinò ulteriormente alla compagna, perdendosi nel suo profumo di grazia cristallina, ambra e incensi. «È stato perdere Aenor. È stata lei ad unirci, nonostante tutto. E non riesco a perdonargli di star sputando sulla sua memoria, non ce la faccio.»

«Non lo facciamo per lui.»

«Lo so, ma-»

Leliana le lasciò andare le mani, facendo scorrere le dita fresche fino alle spalle, come a chiederle il permesso di poter approfondire la stretta. Kallian colmò la distanza che le separava, appoggiandosi al suo petto finché il suo respiro non si fuse con quello dell'altra. «Sta cercando qualcosa, nel Tevinter, hai sentito Zevran. Deve essere legato al furto di quella gemma a Kirkwall, cercherò di inviare qualcun altro a trovare informazioni. Ora che è rimasto solo, potrebbe essere più facile avvicinarglisi.»

«Se persino Jowan l'ha abbandonato, non deve essere rimasto molto in lui che valga la pena difendere. Eppure Zevran, nonostante tutto, non lo condanna.» L'elfa scosse il capo, senza riuscire a capire. «Dici che Natia verrà all'incontro?»

«Il Carta ha bisogno della Chiesa e dei Templari per i suoi guadagni, pure se sono riusciti ad allargarsi fino a nord.» Leliana le accarezzò i capelli, tracciando con i polpastrelli i contorni delle vecchie cicatrici che spiccavano sul capo di Kallian, allungandosi dalle tempie fino alla nuca, sotto i capelli candidi rasati da un lato, dove faticavano a ricrescere in maniera uniforme. «Inoltre, non è interessata alla violenza fine a sé stessa, non dove ha possibilità di invece ricavarci dei soldi. Verrà, o manderà un suo rappresentante fidato.»

«Nel caso sia giunto il momento, potrei dover restare a Kirkwall per un po'. Detronizzare Meredith e passare il testimone a Marian Hawke potrebbe essere un procedimento difficile, ci sarà sicuramente qualcuno tra i loro ranghi che opporrà resistenza.»

«I Trevelyan sono a pochi passi dal trono di Ostwick, è ormai questione di un paio giorni prima che il vecchio Teyrn lasci questo mondo. E quando Lord Bann Trevelyan si alleerà formalmente con Starkhaven, nessuno si opporrà alla nomina della futura moglie del Principe Vael come Comandante dell'Ordine Templare di Kirkwall. L'attuale Capitano verrà destituito, e il giovane Ser Macsen prenderà il suo posto senza sollevare altri polveroni. Justinia ha un grande rispetto per Ser Arthur, sono anni che le decanta il nipote, sarà entusiasta di appoggiare entrambi. Ser Hawke ha la strada spianata, ed è esattamente quello che ci serve per rendere la Forca il nostro piccolo esperimento. Fai in modo che capisca l'importanza del suo ruolo in tutto questo, non mi è parsa esattamente una stratega.»

«Puoi contare su di me.» Kallian si sporse quindi verso di lei, sfiorandole le labbra in un bacio dolce. «Devo andare.»

«Pregherò che fili tutto liscio.» Ricambiò Leliana, approfondendo il contatto. «E se non dovesse farlo, non sarà necessario che sia il Creatore a scomodarsi a vendicarci, ne pagheranno tutti le conseguenze.»




 

L'aria fredda si infiltrava nelle fessure per gli occhi della sua maschera mentre, due giorni dopo, la loro nave entrava nella baia di Kirkwall, superando le enormi statue incatenate all'imboccatura.

Zevran, poco più a prua, si voltò a guardarla con un cenno allegro che lei non ricambiò, limitandosi a restare immobile in direzione del loro approdo.

Il sole era ormai tramontato da un'ora, e il porto quando sbarcarono era illuminato soltanto dalle alte torce poste ad intervalli regolari lungo la banchina. Due figure male accoppiate sembravano in attesa del loro arrivo, immobili.

Prima che lei e il Corvo potessero raggiungerli, una folata tirò indietro il cappuccio della figura più alta, rivelando una treccia di capelli bianchi quanto i suoi e un paio di corna arcuate. La Tal-Vashot li salutò rigidamente, facendo segno di procedere lungo il molo.

«Adaar, sei cresciuta ancora!» La apostrofò amichevolmente Zevran, dandole un buffetto sul braccio nonostante le arrivasse poco sopra il gomito.

«La piccoletta sembra divertirsi a farmi sembrare sempre più basso.» Replicò il nano che le era accanto, sfoderando un sorriso che metteva in mostra due denti d'oro. «Ben ritrovato, Piccione.»

L'elfo piegò le labbra in una smorfia offesa, per poi tornare a sorridere. «Cadash, sempre un piacere... Il capo ha deciso di non farsi vedere?»

«Brosca è troppo impegnata per venire fin qui per fare quattro chiacchiere, ma manda i suoi saluti.» Ribattè quello, portando lo sguardo su Kallian. «A voi in particolare, all'Artiglio e all'Usignolo. Ci auguriamo che questa cosa funzioni, per le tasche di tutti.»

Kallian ignorò la piccola stretta di disappunto allo stomaco, annuendo. Per quanto fosse improbabile, aveva sperato di rivedere Natia. Nonostante tutto, forse poteva chiamarla ancora amica. «Se le intenzioni sono genuine.» Rispose seguendo i tre fino ad una locanda. Sul cartello di legno sopra la porta spiccava una botte dalla folta barba scura, e l'insegna “alla Botte Barbuta” aveva visto giorni migliori come, pensò una volta entrati, l'intero locale.

Cadash li condusse al piano di sopra.

Kallian notò il nano assicurarsi di pestare un paio di assi in particolare prima di procedere, e il rumore metallico al loro passaggio segnalò che doveva esserci un qualche sistema per accertarsi che non arrivassero fino al suo ufficio visitatori sgraditi.

Adaar aprì la porta alla destra della scrivania, facendo loro segno di accomodarsi ad un largo tavolo rotondo. Si chinò verso il camino a ravvivarne il fuoco con un gesto della mano, prendendo poi posto in piedi accanto alla finestra aperta, ignorando il freddo che entrava.

L'elfa notò con la coda dell'occhio un'ombra sfrecciare verso la grondaia, da qualche parte sopra la finestra. Dovette fermare la propria mano dall'andare a stringere il pugnale che portava legato alla cintura, imponendosi di restare calma.

«Allora,» prese la parola accomodandosi su una sedia dal lato opposto della finestra, «quando sarà questo incontro?»

«Domani sera.» Le rispose Cadash, tirando una corda di canapa vicina al muro e sollevando una paretina che rivelò un piccolo montacarichi, dal quale tolse un vassoio con due boccali ricolmi di birra e una bottiglia di vino con due calici. Lo pose al centro del tavolo, afferrando i due boccali e passandone uno ad Adaar. «Ma credo dovremmo fare quattro chiacchiere tra noi, prima di rompere qualche pietra in pubblica piazza.»

Kallian annuì. «Sono qui, significa che la Divina ha ancora una misera speranza che possa esserci un accordo.»

«Speranza che tu personalmente non condividi, a quel che vedo.» Obiettò il nano.

Zevran afferrò la bottiglia di vino, versandosene un po' e sorseggiandolo, guardandola divertito.

L'elfa decise di ignorarlo, concentrandosi su Cadash. «Non è importante quello che credo io, sono qui come giudice imparziale al servizio della Divina. Le mie opinioni personali non andranno ad inficiare sul risultato di questo incontro, potete starne certi.»

«Intanto sarebbe carino ti togliessi quella maschera, mi piace guardare la gente in faccia quando gli parlo.» Disse il nano, facendole un cenno col capo. «Siamo tutti amici qui dentro.»

Kallian accavallò le gambe, mettendo in mostra in un gesto apparentemente casuale il coltello alla cintura. «Non sono qui per bere, né per conversare amichevolmente.» Ribatté fredda. «Per il momento voglio da voi la garanzia che il Carta e la Resistenza non approfitteranno dell'incontro di domani per infiltrarsi nuovamente tra le file dei Templari. Perché vi avviso, è l'ultima possibilità che avrete con la Divina.»

Cadash si strinse nelle spalle, portando il boccale alle labbra e bevendone quasi metà prima di schioccare la lingua sugli incisivi e trattenere un rutto. «Per quanto riguarda il Carta, siamo solo contenti di non dover perdere altri soldi... il capo ha trovato il modo di zittire qualche testa di cazzo che aveva alzato la voce a sproposito e ora tutto fila liscio più di prima, le nostre tasche si riempiono regolarmente e nessuno rimpiange i botti di qualche anno fa, state pur tranquille. La pace non è male per i nostri traffici, Artiglio, facciamo affari con tutti e il profitto è buono quasi quanto in guerra, ma con molti meno cadaveri da seppellire. E io vorrei starmene il più possibile lontano dalla terra, preferisco l'aria fresca.»

«E Natia non deve scegliere tra la perdita dei profitti dati dal non contrabbandare più il lyrium ai templari, e il disappunto di Geralt se dovesse sostenere il nemico...» commentò Zevran serafico. «Come vi ho detto a Val Royeaux, amica mia, siamo tutti dalla stessa parte.»

«Questa è la posizione del Carta.» Lo ignorò nuovamente Kallian, volgendosi verso Adaar. «Quella della Resistenza, invece? Garrett Hawke e l'ex Custode Grigio sono stati informati?»

La Tal-Vashot, dopo un istante, annuì. «Hawke è stato messo al corrente di persona del cambio di rotta dei Risolutori.»

«“Di persona”?» Ripeté l'elfa. Si rivolse poi verso la finestra, parlando di nuovo. «Mi sorprende tu sia ancora vivo, allora.»

Dopo qualche secondo, un corvo planò nella stanza, svanendo in uno sbuffo di fumo scuro e lasciando il posto ad un uomo dalla pelle pallida e i capelli dello stesso colore delle piume dell'animale, la barba sfatta e gli occhi che guizzavano nervosi.

«Ne sono rimasto sorpreso anch'io...» ammise Jowan, torcendosi le dita e restando in piedi poco distante da Adaar, come se avesse timore di avvicinarsi all'elfa.

Il che era assurdo, pensò Kallian, calcolando che se il mago avesse voluto avrebbe facilmente spazzato via lei e gli altri con un solo gesto della mano.

«Quindi...» sospirò l'elfa, cercando di regolarizzare il proprio battito, conscia che l'altro poteva sentirlo dall'altra parte della stanza «è vero che vi siete allontanati?»

L'uomo annuì. «Ogni singola parola di quella lettera era genuina, Kallian. Spero tu possa mettere da parte il tuo – legittimo, lo ammetto – risentimento nei nostri confronti, per far funzionare questo incontro.»

Lei si ritrovò ad assottigliare le labbra sotto la maschera, irrigidendosi. «Non sarà un problema. Ma tu non verrai all'incontro, se ti vedessero i templari salterebbe qualsiasi possibilità di dialogo, ragionevolmente. C'è una grossa taglia sulla tua testa, per non parlare della soddisfazione personale che non dubito parecchi di loro proverebbero a toglierti di mezzo.»

Jowan si lasciò sfuggire una smorfia. «Non stento ad immaginarlo, hai ragione. Adaar sarà la nostra rappresentante, ha coordinato egregiamente fino adesso tutte le operazioni qui a Kirkwall e nei Liberi Confini.» Si voltò verso la Tal-Vashot, aprendosi in un sorriso stanco. «Ci fidiamo di lei.»

L'altra si strinse nelle spalle, prendendo un sorso dal proprio boccale. «Hawke è riuscito a convincere Anders ad almeno presentarsi all'incontro, anche se non credo che Anders sia veramente a favore dell'alleanza.» Gli occhi viola si assottigliarono impercettibilmente, e l'intero volto sembrò irrigidirsi per un istante, quasi invisibile ad un occhio non allenato. “Non è a favore nemmeno lei, non pienamente almeno”, si appuntò mentalmente Kallian, che non sapeva ancora come inquadrarla. «Vedremo se funzionerà davvero.»

L'elfa annuì, alzandosi dalla sedia ben attenta a non avvicinarsi a Jowan. «Allora a domani, io ho ancora qualche faccenda da sbrigare.»

«Se posso accompagnarti-» Si offrì Zevran, ma lei voltò le spalle al resto del gruppo, avviandosi verso la porta e tirando un sospiro di sollievo una volta che fu finalmente fuori dalla taverna.

Non si fidava, di nessuno di loro.

Al Carta importava solo dei loro profitti, e con Cadash non aveva alcuna speranza di carpire qualche informazione aggiuntiva, come invece avrebbe potuto fare se Natia si fosse presentata a Kirkwall di persona. Adaar sembrava diffidente quanto lei delle possibilità di riuscita dell'incontro, ma era di Jowan e Zevran che Kallian aveva più paura.

Un incontro del genere sarebbe stato perfetto per far saltare definitivamente ogni possibilità di pace, ci sarebbero stati parecchi templari con la guardia abbassata l'indomani, perfette vittime sacrificali. Non aveva dimenticato il ghigno malevolo sul volto di Geralt la prima volta che l'aveva visto usare la magia del sangue, quando avevano catturato Rendon Howe. Nonostante fosse stato per una giusta causa, come Elissa aveva ripetuto loro più volte, la sensazione di malessere e disgusto che aveva provato accanto ad un tale abominio non era stata facile da accantonare, ed ora non riusciva a pensare ad altro che a quanto doveva essersi divertito il mago con le vittime che aveva ucciso in quegli anni. Forse il Tevinter era proprio il posto adatto a lui, e Kallian e gli altri erano stati degli sciocchi a farsi abbindolare dalle sue belle parole e gesti d'amicizia nei mesi in cui avevano viaggiato assieme.

Chiuse per un attimo gli occhi, scacciando quei pensieri.

Aveva del lavoro da fare, e non era più da lei farsi distrarre dalle emozioni.



 

La Città Alta non era diversa dall'ultima volta che lei e Leliana erano arrivate a portare alla Tenente Hawke le parole di avvertimento della Divina.

Procedette verso la tenuta degli Hawke, scivolando non vista tra le ombre senza attirare lo sguardo di un singolo passante, i passi che a stento producevano rumore sui ciottoli della strada.

Vide un'elfa uscire dalla porta principale con un cesto di vimini tra le braccia, seguita da un mabari che le trotterellava dietro un po' impacciato nei movimenti.

Fece un giro dell'edificio, notando che tutte le luci erano spente e facendosi sfuggire uno sbuffo infastidito, tornando sui suoi passi. Sapeva che la Tenente a volte alloggiava in un'altra tenuta con il Principe Vael, e si diresse da quella parte.

Nella piazza del mercato però individuò tre templari, le armature sporche di sangue abbastanza fresco da riflettere appena alla luce dei lampioni. Ne riconobbe due, concedendosi un sorrisetto.

«Tenente.»

Marian Hawke, in quel momento impegnata a discutere sottovoce con i compagni, si voltò di scatto. La rabbia evaporò immediatamente dal suo volto, su cui comparvero in rapida successione sorpresa, preoccupazione e, infine, una spiccata curiosità. «Non pensavo di rivedervi, almeno non così presto.»

L'elfa piegò un poco il capo da un lato. «La situazione lo richiedeva.»

«Allora non è tutto uno scherzo.» Si intromise il secondo templare, che Kallian sapeva essere il più giovane dei Trevelyan. «La Divina si è finalmente decisa a seguire il consiglio di mio zio e a mettere al comando della Forca qualcuno di più competente.»

Kallian si voltò verso l'altra templare, una donna che non conosceva, ma i due sembravano essere perfettamente a loro agio, quindi ne dedusse che doveva essere anche lei al corrente dell'incontro. «È un po' più complicato di così – come sapete bene, Ser – ma il succo è quello.»

L'altro rispose con un sorriso compiaciuto. «Era ora.»

«La Resistenza ha assicurato che non causerà problemi, ma conto sul vostro buon senso per non trovarvi colti alla sprovvista nell'eventualità in cui ci fossero alcune... sorprese. Ma nel caso funzionasse, avrete il completo appoggio della Divina nel deporre la Comandante e il suo fedele Capitano per prenderne il posto. Resterò in città per formalizzare il processo, la Gran Sacerdotessa Elthina sarà sicuramente sollevata nell'avere un nuovo Comandante con cui trattare, come non dubito anche Orsino.»

«Mi piace come tutti abbiano chiesto il mio parere, prima di trascinarmi nei loro complotti.» Commentò la Tenente, pesantemente sarcastica.

Kallian sollevò appena il mento. «Il vostro primo dovere è servire la Chiesa e portare ordine tra i suoi protetti, Ser Hawke, ed è precisamente quello che siete chiamata a fare. Siete la persona giusta al momento giusto, non vorrete certo tradire i vostri giuramenti.»

Quasi le dispiacque per la donna che aveva di fronte, quando lesse nuovamente ogni singola emozione sul suo volto. Non era stata addestrata per il comando, non come il Trevelyan lì accanto che invece sogghignava tronfio e sicuro di sé alla prospettiva di quella promozione. Avrebbe avuto parecchie difficoltà a gestire il suo ruolo di Comandante e tutte le incombenze che la carica comportava, ma proprio grazie a quello sarebbe stata più disponibile ad ascoltare i consigli e i sussurri di chi ne sapeva di gran lunga più di lei.

Un ottimo alfiere sulla scacchiera di Leliana.

«Posso chiedere, per curiosità personale, di chi fosse quel sangue?» Si interessò Kallian, tenendo sotto controllo con la coda dell'occhio la terza templare, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, segno che nulla di quanto avevano discusso le era nuovo.

«Un mago del sangue scappato dalla Forca, un elfo di nome Huon, abitava all'Enclave. Non pensiamo avesse collegamenti con la Resistenza, però, a quanto sappiamo non si è messo in contatto con nessuno di loro. Ha ucciso la moglie per cercare di sfuggirci.»

«Indagherò su questo Huon, per stare più tranquilli.» Rispose Kallian, facendo poi un piccolo cenno col capo. «A domani, Tenente. Ser Trevelyan, complimenti per essere diventato da circa un paio d'ore secondo in linea di successione al trono di Ostwick. Il Lord vostro padre dovrebbe essere incoronato tra tre settimane, un peccato che la vostra imminente promozione cada proprio in questi giorni, temo dovrete rinunciare alla cerimonia.» Voltò loro le spalle, ignorando l'esclamazione sorpresa del ragazzo e sparendo in un vicolo secondario lì accanto, incamminandosi verso la chiesa.

Proprio quando fu in vista delle guglie della cattedrale, un fruscio alla sua destra la fece sobbalzare e la sua mano corse immediatamente al pugnale.

Prima ancora che il mutaforma si fosse rimesso in equilibrio dopo essere tornato umano, Jowan si ritrovò la lama puntata alla gola, la punta che premeva contro la carotide.

«Idiota.» Sibilò Kallian, aspettando un paio di secondi prima di arretrare e, afferrandolo per la veste, spingerlo lontano da sé sotto il portico che stavano costeggiando. «Se vuoi farti ammazzare, non qui e non stasera. Non causarci altre grane.»

Il mago si massaggiò la gola, ancora più pallido di prima. Si tirò su il cappuccio, calandoselo sul viso. «Scusa. Volevo sentire di persona cosa ti saresti detta con la Tenente.»

«E nel caso se ne fosse accorta, avresti fatto saltare tutto quanto.» Ribatté gelida, guardandosi alle spalle. Non c'era nessuno, ma l'essere brava a scivolare non vista le aveva insegnato che non era affatto l'unica in grado di farlo. Fece segno a Jowan di indietreggiare ulteriormente contro la parete, in modo da evitare il cono di luce del lampione più vicino, avvicinandosi a lui tanto da sfiorarlo appena. Nella peggiore delle ipotesi, se fossero stati visti li avrebbero scambiati per una coppietta appartata. Dovette trattenere una smorfia al solo pensiero. «Non ti fidi di noi, eppure sei tu che ci hai contattate.»

Jowan abbassò il capo. «Volevo essere sicuro che non mi avresti venduto alla Chiesa. Ti avrebbe fatto guadagnare la loro fiducia...»

Kallian si portò la mano libera sotto il mento, sollevando la maschera per guardarlo negli occhi. «A differenza vostra, quando do la mia parola la mantengo.»

«Non potevo esserne certo. Mi dispiace.»

Sbuffò irritata, coprendosi nuovamente il volto. «Se abbiamo finito, ti consiglio di sparire-» fece per allontanarsi, dandogli le spalle e azzardando un passo, quando l'altro le afferrò il braccio.

Era un gesto semplice, la presa nemmeno abbastanza stretta da impedirle i movimenti o farla effettivamente arrestare, ma il mana del mago sembrò mandarle una scarica di elettricità lungo le vecchie cicatrici che le percorrevano l'intero corpo, causate tanti anni prima da una persona simile.

Non registrò nemmeno di essersi voltata, liberandosi dalla presa e assestandogli una gomitata mentre girava su sé stessa, sollevando il coltello e piantandolo dritto davanti a sé.

Jowan ebbe la prontezza di spostarsi quel che bastava per evitare che la lama gli si piantasse nel petto, ma il pugnale gli si conficcò ugualmente nella spalla, facendolo gemere di dolore.

Kallian sbattè le palpebre, rendendosi conto che la mano ancorata al pugnale che ora spiccava dalla spalla del mago era la sua.

Aveva perso la testa, e lei non perdeva la testa. Non più. “Non è lui. Lui è morto.” Le mancava l'aria, aveva la vista offuscata. Lasciò la presa sull'arma, indietreggiando di un passo, tremando incontrollabilmente. «Cazzo. Non volevo. Creatore-» Sentì la bile salirle in gola, e dovette appoggiarsi alla colonna accanto a sé per non crollare sulle ginocchia.

«Non fa niente...» Grugnì Jowan. Andò con la mano sinistra, che iniziava ad illuminarsi debolmente, ad afferrare la lama. Strinse i denti, la presa troppo debole per estrarre il coltello.

Kallian si costrinse ad avanzare nuovamente, prendendo un paio di respiri a fatica tra i denti serrati, una mano sollevata come a chiedergli di poter rimediare ma aspettando un cenno, che arrivò dopo un attimo di incertezza.

Rimosse a fatica l'arma e subito il mago premette la mano sulla ferita, rimarginandola lentamente.

«Non sono mai stato bravo con gli incantesimi di cura.» Lo sentì dire con un filo di voce, ma Kallian si era già voltata dall'altra parte, cercando di capire se avessero attirato l'attenzione di qualcuno, quella sensazione di orrore che le si era avviluppata intorno alla spina dorsale ancora presente.

«Scusa, non dovevo afferrarti in quel modo.»

Scosse il capo. «Non è colpa tua.» Se lo ripetè in testa un paio di volte, fino a che non sentì il respiro farsi più regolare. «Non avrei dovuto.»

Jowan sembrò rinunciare a chiudersi la ferita del tutto, limitandosi ad arrestare il sangue che gli aveva ormai inzuppato il mantello. «Ti ho seguita anche per un altro motivo, in realtà.»

L'elfa socchiuse gli occhi, imponendosi di darsi un contegno prima di voltarsi a guardarlo.

«Geralt non è rimasto nel Tevinter per aiutare soltanto la Resistenza.» Sussurrò guardandosi attorno ansioso per poi riportare gli occhi su di lei. «Sta cercando una cura. Per Aenor.»

«Una cura per la morte?» Kallian si lasciò scappare una risata stentata e fredda. «Nemmeno i necromanti di Nevarra sono così bravi.»

«Per i Custodi Grigi.» Ribattè Jowan, la voce ormai appena udibile. «Un modo per rimuovere la Corruzione tramite la magia del sangue.»

Non seppe se la stretta allo stomaco era data dalla paura di una tale potere con quella magia, o dalla debole, flebile speranza che ciò fosse davvero possibile. «Non è vero. Sono bugie.» Balbettò appena. «Non usatela... non usatela come una scusa, cazzo, non ne avete il diritto, con tutto quello che ha fatto per voi.»

«Kallian.»

Le morirono le parole in gola. Rimase a fissarlo, senza capire se sperasse fosse una cazzata o invece la verità.

«Gli aveva chiesto di curare il suo compagno, e Geralt non ha potuto farlo. E non è riuscito a salvare lei. Sta rincorrendo un fantasma, e non so se sia davvero possibile curare la Corruzione, ma su una cosa hai ragione: in ogni caso, non riporterà in vita Aenor.» Lo vide mordersi il labbro, gli occhi lucidi nella penombra. «Non demorderà. Dovesse allearsi coi peggiori magistri, non lascerà perdere ora che crede ci sia una vera possibilità di riuscirci, si sente in debito con lei.»

«Certo che è in debito con lei, ma non è questo il modo di-» Dovette frenare la lingua, scagliando un pugno contro la colonna lì accanto e serrando denti dal dolore, tornando lucida. «Questo non scusa nulla di quello che avete fatto.»

«Lo so. Volevo solo dirvelo. Capisco che...» Jowan scosse il capo, stringendosi la spalla ferita e conficcando le dita nella carne, trattenendo a stento un gemito. «Nessun altro sa di questa cosa, a parte Natia e Zevran. Non mi fido del resto del Carta, per questo non ne ho fatto parola con gli altri. Geralt non avrebbe voluto lo dicessi a te e Leliana ma... credo abbiate il diritto di sapere perché ha scelto di ricorrere all'aiuto dei magistri. Non siamo andati lì solo per scappare dalla Chiesa e cercare alleanze per i maghi del Sud.»

Kallian chiuse gli occhi, togliendosi del tutto la maschera e lasciando che i capelli le cadessero in parte sul viso. «Cosa vuoi che faccia di questa informazione?» Sussurrò, ogni parola una stilettata. «Non fa altro che peggiorare questa situazione del cazzo. Se lo sta facendo per lei, se è arrivato al punto di credere che gli avrebbe perdonato una strage di innocenti per niente...» Sollevò lo sguardo puntandolo verso le guglie della cattedrale, che spuntavano dall'edificio di fronte a loro. «Non la riporterà in vita. Allearsi con il Tevinter e causare una guerra aperta con la Chiesa per ripulirsi la sua coscienza sporca... Non è quello che Aenor avrebbe voluto, non in sua memoria.»

Quel nome le lasciò l'amaro in bocca.

Capiva in parte come doveva sentirsi Geralt, lei stessa sentiva di avere un debito con la Custode che non avrebbe mai potuto saldare, ma nulla poteva scusare un simile comportamento.

«Volevo solo lo sapessi.»

A malapena registrò il fruscio d'ali del corvo che spiccava il volo, restando a guardare la cattedrale come in cerca di una risposta, di un'indicazione. La Profetessa, che l'aveva riportata in vita quella che sembrava ormai un'eternità prima, rimase come sempre in silenzio.

Si ritrovò a chiedersi cosa avrebbe fatto Aenor in quel momento, ma la verità era che l'aveva conosciuta troppo poco per saperlo e, in ogni caso, non era lì per agire al suo posto.

Per la prima volta dopo anni si sentì veramente sola, come se stesse guardando dall'orlo di un precipizio in un abisso senza fondo. Indossò di nuovo la maschera, legandosela saldamente dietro la nuca e raccogliendo il coltello ancora sporco di sangue da terra, avviandosi poi verso la chiesa.

Aveva del lavoro da fare.



































Note dell'Autrice: è tornata Kallian! Anche lei mi mancava tantissimo. Con Leliana si sono date parecchio da fare in questi anni, e ora finalmente qualcosa si sta smuovendo. Nessuno si fida pienamente di nessuno, a quest'incontro, ci sarà da divertirsi. 
A presto! :D 

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Capitolo 48
*** It's our time to take back the power ***


CAPITOLO 48
It's our time to take back the power


 

 

Marian si mosse a disagio sullo scomodo lettino dell'infermeria, tamburellando impaziente le dita sull'imbottitura in attesa che Alain si decidesse a parlare.

Il mago non sembrò farci caso, gli occhi chiusi e un'espressione concentrata sul volto. Spostò una mano sulla tempia, l'altra ancora premuta sullo sterno, una lieve energia magica ad avvolgerla.

«Respira profondamente.»

Fece come le veniva detto, inspirando fino a che non sentì la giacca imbottita stringersi scomodamente sul petto e poi espirando lentamente, ripetendo il gesto una decina di volte.

La nausea che l'aveva costretta a saltare la colazione e sbocconcellare appena qualche pezzo di pane a pranzo era ancora lì, ma sperava che qualsiasi cosa Alain stesse facendo, funzionasse a breve.

Quella sera doveva essere in forma, non poteva farsi vedere uno straccio quando i suoi colleghi l'avrebbero proposta come futura Comandante della Forca.

Un nuovo conato le salì quasi in gola, non seppe se per l'ansia o per gli effetti del lyrium.

«Allora?» Chiese di nuovo, serrando i denti. «Mi serve solo uno dei nostri soliti intrugli, Alain, non ho tempo da perdere.»

«Potrebbe non essere causato interamente dal lyrium.» Rispose il mago, togliendole la mano dalla tempia e spostandola sull'addome.

Lo guardò confusa, cercando di ritrarsi istintivamente a quel tocco. «Che intendi?»

«Posso farti qualche domanda... personale?»

Sbattè le palpebre, limitandosi ad annuire.

«Quando hai avuto le ultime mestruazioni?»

Marian arrossì di colpo, spiazzata dalla domanda. «Non... saprei, tre mesi fa credo? Da quando iniziamo ad assumere il lyrium, praticamente nessuna di noi è regolare.» Puntò lo sguardo sul soffitto, ignorando la piccola pressione delle mani dell'altro sul bassoventre. Il lyrium dava loro le abilità di cui avevano bisogno, ma c'erano parecchie controindicazioni e scocciature, la maggior parte delle quali non venivano menzionate prima della loro investitura. Una volta che facevi parte dell'Ordine, erano ormai una delle tante conseguenze da accettare e basta. E comunque, non avere crampi e rotture ogni singolo mese era non era poi così male, tra i vari effetti collaterali.

«Hai avuto rapporti regolari negli ultimi tre o quattro mesi?»

Aveva le guance in fiamme. Si tirò su di scatto, quasi tirandogli una testata dalla fretta di alzarsi dal lettino. «Non vedo come questo... ho esagerato col lyrium negli ultimi tempi, lo ammetto, e gli effetti collaterali sono nausea e aumento del... insomma, sì, ho avuto rapporti regolari, ora puoi fare quello che ti chiedo e darmi qualcosa che mi impedisca di vomitare sulle scarpe della Comadante quando dovrò parlarle?!»

Alain si tirò un poco indietro, guardandola con un mezzo sorriso e un'espressione al contempo preoccupata. «Non è il lyrium, Marian. Sei incinta.»

Resasi conto di essere rimasta a bocca aperta, richiuse la mascella di scatto. Deglutì a vuoto, fissandolo stranita. «In che senso?»

Il mago emise un sospiro, facendo un passo verso di lei e appoggiando le dita sul lettino. «A quanto pare, stai aspettando un bambino. Congratulazioni.»

Fu come se il suo cervello avesse registrato l'informazione con qualche secondo di ritardo, e come se non bastasse avesse pure capito male. Scosse il capo, trattenendo a stento un risolino. «Che?»

«Marian. Sei incinta. Di un bambino.» Ripetè lui, lentamente, scandendo le parole.

Dopo un secondo di silenzio, la templare scoppiò a ridere, talmente forte che rischiò di perdere l'equilibrio mentre si alzava velocemente dal lettino, rimettendosi in piedi sulle gambe molli. «Ma per piacere, non è possibile.»

Alain fece come per afferrarla per un braccio, ma si fermò a sfiorarla appena, assicurandosi però che non barcollasse di nuovo. «La fertilità delle donne nell'Ordine viene ridotta considerevolmente dall'assunzione di lyrium, ma so fare il mio lavoro. Ho percepito due energie distinte, e tutti i sintomi che hai descritto sono comuni durante i primi mesi di gravidanza. Sei incinta.»

Marian aprì la bocca per rispondergli a tono, restando con una mano sollevata e le parole incastrate in gola. «Non è vero.»

«Sì invece. Da almeno due mesi.» Alain inspirò profondamente. «Se vuoi sederti... posso capire che una scoperta simile sia-»

«Non sono incinta!» Sibilò lei, finalmente riprendendo le capacità intellettive. Gli afferrò un braccio, ignorando il gemito dell'altro mentre stringeva la presa. «Non. Sono. Incinta.» Ripeté a voce ancora più bassa, lanciando uno sguardo ansioso in direzione della porta chiusa. L'infermeria era deserta, ma non aveva idea di chi potesse entrare da un momento all'altro. «Non posso essere incinta. Non adesso. Non in questi giorni. Non con tutto quello che c'è in ballo per la Forca. È solo una nausea del cazzo data dal fatto che ho ingerito più lyrium in questi ultimi mesi di quanto avrei dovuto fare, ecco tutto. Tu sei stanco e stressato, e hai sbagliato a visitarmi. Nessun problema, tutti fanno degli errori, può capitare. Ora, se vuoi scusarmi, devo andare.» Lasciò la presa, facendo per dargli le spalle.

«Tenente.»

Si immobilizzò di colpo, il cuore che le batteva in gola.

«Fare finta di niente non è di aiuto a nessuno.» Parlò Alain, il tono freddo e professionale di quando elencava ogni singolo osso fratturato e le terapie per i suoi pazienti. Le si avvicinò di nuovo, il viso che si addolciva un poco. «Capisco che non sia il momento migliore, e se volessi... risolvere la cosa, potrei aiutarti. Pensaci, però, solo questo.»

“Risolvere...” togliersi il problema? Perché era un problema, di quello Marian era certa, ma non aveva assolutamente idea di cosa fare.

Deglutì a vuoto. «Ora non posso pensarci. Non è il momento, ci sono cose più importanti e non mi posso permettere distrazioni.» Prese un respiro profondo, facendo mente locale. «Questa cosa resta tra me e te, Alain. Una parola di troppo, e rischia di mandare a puttane tutto quanto.»

«Ovviamente, tenente.» Rispose l'altro con un piccolo cenno del capo. «Ne riparleremo tra qualche giorno, allora, ma il mio consiglio professionale è di non aspettare troppo per decidere il da farsi.»

Annuì senza aggiungere altro, una morsa allo stomaco che andava a sommarsi alla nausea mentre usciva dall'infermeria.

Ruvena, che l'aveva aspettata nel cortile, le lanciò uno sguardo preoccupato. «Hai una cera addirittura peggiore, sicura di essere andata in infermeria?»

Marian si strinse ulteriormente nel mantello, cercando di condirla via con un gesto della mano. «Alain mi ha rifilato uno schifo terribilmente amaro, sai come sono i suoi intrugli di erbe.»

«Ah, questo spiega tutto!» Scoppiò a ridacchiare l'altra, l'espressione che però tornava subito seria. «Sei pronta?»

Fece spallucce. «Ormai è troppo tardi per tirarsi indietro, no?»

L'amica scosse il capo. «Non è esattamente lo spirito giusto, ma ci accontenteremo...»

 

 

Qualche ora dopo, al calare del sole, scesero finalmente verso il porto attente a non destare sospetti: andarono prima a prendere una birra e qualcosa da mangiare che a malapena assaggiarono e poi, allungando il percorso verso i moli, si fermarono infine davanti alla vecchia fonderia dei Mander.

Non riuscì ad evitare di pensare all'indagine, ormai abbandonata da tempo, di qualche anno prima, al fatto che alcuni dei componenti della famiglia non fossero mai stati ritrovati, allo stato in cui invece avevano rinvenuto i corpi di alcuni di loro.

“E ora stiamo per stringere un accordo di pace coi responsabili”, si ritrovò a pensare varcando la soglia, Ruvena al fianco.

Lerner, apparentemente intento a chiacchierare del più e del meno con Donnic, il quale si era prestato volentieri alla causa per ridurre i sospetti, la salutò con un cenno del capo e un sorriso cordiale. La guardia le strizzò l'occhiolino, tornando a fare il palo con il templare.

Salirono al piano interrato, dove vi erano gli enormi forni ormai in disuso da anni, l'aria che sapeva di polvere, muffa ed escrementi di ratto.

Le accolsero parecchie facce tese.

Gli occupanti erano divisi in due schieramenti opposti ai lati della sala, tempari da una parte, maghi dall'altra, e gli uni scrutavano gli altri in un borbottio agitato, scambiandosi occhiate sospettose o, più raramente, cenni di intesa e persino qualche sorriso.

Individuò immediatamente Garrett, intendo a parlottare con Andrew e Thrask, Anders alle sue spalle. Il guaritore aveva un'espressione corrucciata e astiosa, e quando Marian incrociò il suo sguardo il mago si limitò a scostarsi dal resto del gruppo e indietreggiare verso Adaar e Stök. Il nano sembrava assolutamente a proprio agio e sul volto della Tal-Vashot non trapelava alcuna emozione.

Accortosi del suo arrivo, il fratello la salutò con un cenno, facendole segno di avvicinarsi. «Ci siamo quasi tutti.» Fece vagare lo sguardo sulla stanza, una trentina di persone ormai al suo interno. «Non pensavo saremmo mai arrivati a questo punto.»

Marian annuì. «Non sembra quasi vero.» Commentò, rendendosi conto che le tremava un poco la voce. Si schiarì la gola, imponendosi la calma. Hugh, Kelsey e Lynn confabulavano eccitati in un angolo, Alain stava parlottando con un paio di maghi che lo aiutavano a volte in infermeria, Agnes e Reece, mentre poco più distante individuò Grace e un altro mago, Jalen, che sembravano intenti a discutere a bassa voce. La prima sbattè il piede per terra, spingendolo via e beccandosi di rimando un'occhiata gelida da Adaar, la quale non fece altro che spostare il suo gigantesco maglio da una mano all'altra, assottigliando gli occhi.

Grace tornò esattamente dov'era prima, furente.

Una coppia di passi rimbombò dalle scale, e finalmente anche Trevelyan li degnò della sua presenza, accompagnato – Marian stentava a crederlo – da nientepopodimeno che Samson.

Quest'ultimo le lanciò un occhiolino, guardandosi attorno con aria compiaciuta mentre Trevelyan lo lasciava al suo destino venendo verso di lei.

«Sembra ci siamo tutti.»

«Manca ancora-» Marian si fermò a metà della frase, notando solo in quel momento l'inviata della Divina che si schiariva la voce, portandosi al centro della sala.

L'Artiglio dell'Usignolo indossava anche quella sera la sua maschera, nemmeno un filo fuori posto che spuntava da sotto il mantello scuro, gli occhi chiari che brillavano alla luce delle torce da sotto le fessure della porcellana, il cappuccio sul capo.

Nel giro di qualche istante, nella sala cadde il silenzio.

«Sappiamo tutti perfettamente perché siamo qui.» Parlò l'Artiglio, le mani giunte davanti al grembo, il tono fermo e autoritario. «La situazione attuale a Kirkwall non può continuare, è necessario prendere provvedimenti per impedire che il conflitto sfugga definitivamente di mano e che la Chiesa sia costretta a porvi rimedio in modo permanente.»

Parecchie facce preoccupate e alcuni mormorii si alzarono in risposta, ma nessuno osò interromperla.

«La Divina Justinia crede fermamente che voi maghi siate, come i templari e tutti noi, figli del Creatore, e come tali abbiate diritto alla vostra vita, alla vostra anima, alla vostra mente.» Parecchi maghi annuirono, ma a Marian non sfuggì l'espressione sarcastica di Grace, dal lato opposto della sala rispetto a lei. Anche Anders sembrava scettico, accanto ad Adaar. L'Artiglio fece una breve pausa, concedendosi il tempo per scrutare ciascuno di loro. «Ma non possiamo dimenticare i pericoli che ogni mago deve affrontare tutti i giorni: l'Oblio e le creature che vagano al suo interno rappresentano un'insidia che non dobbiamo sottovalutare. Per proteggere non solo la popolazione dall'uso sconsiderato della magia, ma i maghi stessi dalle loro – anche momentanee – debolezze, il Circolo è per il momento l'unica via possibile.»

«È una prigione.»

L'Artiglio si voltò verso Anders, impassibile.

Il guaritore fece un passo avanti, tendendo le mani in fronte a sé, i palmi rivolti verso l'alto. «Vi rifiutate di vedere la realtà delle cose, ovvero che ciascun mago ha dentro di sé la capacità di proteggersi da solo, occorre solo che qualcuno glielo insegni!» Si girò verso i suoi, raccogliendo più di un cenno di approvazione. «Parlate di proteggerci da noi stessi, ma chi siete voi per farlo?»

L'inviata della Divina accusò la stoccata senza fare una piega. Lasciò parlare il mago, aspettando che avesse finito per fare un piccolo passo verso di lui, scrutando poi nuovamente il resto della sala. «Credete davvero che tutti i maghi abbiano le capacità di proteggersi da soli dai pericoli dell'Oblio? Forse è vero, i demoni non possono intaccare una mente forte, e con i giusti insegnamenti molti potrebbero rendersi impervi ai loro sussurri tentatori, ma cosa ci garantisce che quegli stessi maghi non soccombano invece alla propria sete di potere?» Sollevò la mano destra, indicando attorno a sè in un gesto quasi teatrale. «Mettiamo da parte l'ipocrisia, la propensione al male esiste indipendentemente dall'attitudine magica di ciascuno di noi. Se in questo momento io decidessi di prendere questa lama» nella mancina comparve all'improvviso un coltello affilato, spuntato da sotto la manica «e piantarla nel cuore di uno di voi, sarei considerata una criminale al pari di un mago che, per una serie di motivi, abbia deciso di ardere vivo un suo rivale. Eppure,» rinfoderò l'arma, che scomparve sotto il mantello «un uomo comune che stringe una spada può essere disarmato, mentre un mago che ha la capacità di evocare tempeste con un gesto della mano non è così semplice da fermare.» Fece di nuovo una pausa, lasciando che le sue parole si facessero strada nel pubblico. «Per mantenere l'ordine, servono delle leggi. Per assicurarsi che queste leggi vengano rispettate, è necessario che ci sia qualcuno in grado di applicarle. Ed è per questo che è stato costituito l'Ordine Templare, per fare in modo che ci sia qualcuno con il potere di fermare chi, tra i maghi, minaccia l'equilibrio sul quale la nostra società si basa.»

Stavolta furono i templari ad annuire, e altri bisbigli andarono a riempire la stanza.

«E chi controlla quelli che dovrebbero controllarci, eh?» Prese la parola Grace, schioccando la lingua sul palato in una smorfia rabbiosa. «La Chiesa? Gran bel lavoro che ha fatto, finora.»

L'Artiglio si limitò ad annuire. «La Chiesa, sì.» Con un gesto, si lasciò cadere il cappuccio sulle spalle, scoprendo ai lati della maschera un orecchio a punta, il gemello mozzato per metà. «Conosco perfettamente le atrocità che la Chiesa ha compiuto in passato, il mio popolo è stato tra le sue vittime, e ancora oggi ne paghiamo le conseguenze.»

Nella sala passò un brivido di consenso. Tra i templari non c'erano elfi, ma i tre nello schieramento dei maghi annuirono con fare greve.

«Ciononostante,» proseguì l'elfa, la voce dura «la Chiesa sta cambiando, per quanto un'istituzione antica e ramificata del genere possa permettersi di fare. La Divina Justinia presta ascolto alle richieste e alle difficoltà di tutti i figli del Creatore, che siano maghi, elfi, nobili o mendicanti.»

Marian incrociò lo sguardo di Adaar, e per un attimo l'espressione impassibile della Tal-Vashot lasciò trapelare una smorfia di disprezzo.

«Kirkwall ha in questo momento un'occasione unica per dimostrare che una collaborazione tra pari, maghi e templari, è possibile non solo qui, ma anche come modello per tutti gli altri Circoli.» L'Artiglio allargò entrambe le braccia, come ad indicare ciascuno di loro. «Ma ognuno deve fare la sua parte, al meglio delle proprie possibilità, per fare in modo che ciò funzioni. E questo significa mettere da parte i vostri screzi, rivalità e dissapori, in favore del bene comune.»

«"Dissapori"?» Ripeté Anders, e Marian sentì un tremito nel Velo che le fece accapponare la pelle, come se la realtà stessa fosse sul punto di strapparsi e lasciar passare chissà quale entità nel loro mondo. «Chiami dissapori secoli di soprusi, violenze, stupri e atrocità come il Rituale della Calma?» Si fece avanti, e nei suoi occhi brillava una luce sinistra. «L'Ordine Templare si è macchiato di talmente tanti crimini da grondare del sangue di maghi innocenti!»

A onore dell'Artiglio, nonostante la mano dell'elfa fosse scivolata immediatamente dove portava il coltello, l'elfa non estrasse l'arma, restando perfettamente immobile di fronte al mago. «Vi assicuro che i responsabili verranno puniti, dal primo all'ultimo. A partire dai Comandanti che hanno permesso che tutto ciò accadesse.»

Quando si girò a guardarla, Marian si ritrovò le gambe di piombo. Si costrinse a fare qualche passo avanti, deglutendo a vuoto e schiarendosi la gola secca. «So bene che l'Ordine ha le sue colpe, in tutto questo.» Prese la parola, maledicendosi per il tono di voce che tradiva le proprie emozioni. «Io stessa sono stata testimone di soprusi e violenze, che non sempre sono riuscita a fermare, addirittura perché qualche volta ho scelto di chinare il capo, sperando di poter combattere un altro giorno, un giorno più favorevole. Un giorno in cui non sarei stata cacciata con disonore, ma avrei trovato il supporto dei miei colleghi e, insieme, avremmo potuto cambiare le cose.» Prese un respiro profondo e incrociò lo sguardo di Ruvena e Hugh, accanto a Thrask. «Quel giorno è oggi. Abbiamo aspettato fin troppo. No,» si voltò verso i maghi, accettando riconoscente il sorriso di incoraggiamento di Alain «voi avete aspettato fin troppo. Voi, che avremmo dovuto proteggere. Mi scuso per non aver potuto fare di più, per avere avuto paura, per aver ceduto ai ricatti e alle minacce dei miei superiori. Non ho intenzione di cedere ancora, questo ve lo prometto, anche se so di dovermi guadagnare la vostra fiducia prima di pretenderla soltanto per le mie parole.» Abbassò il capo, deglutendo nuovamente e risollevando lo sguardo, in attesa di un qualche riscontro che non tardò ad arrivare.

«Per quanto mi riguarda, hai già guadagnato da tempo la mia fiducia.» Prese parola Alain, allargando il sorriso. «La prima volta che ci siamo incontrati, hai mentito a Karras lasciando scappare dei maghi e parlando in nostro favore, quando il tenente propose di sottoporci entrambi alla Calma, ed eri soltanto una recluta.»

«Avete anche collaborato con la Resistenza per denunciare la Soluzione di Tranquillità di Alrik.» Commentò Reece, uno degli elfi tra i maghi.

«E persino quando Evelina, che veniva dal Circolo del Ferelden ed era sospettata di magia del sangue e collusione con un noto criminale, si è offerta spontaneamente per entrare alla Forca, l'avete difesa al massimo delle vostre capacità.» Parlò Agnes, causando persino Grace ad annuire, seppur con reticenza.

A quel punto, Garrett si esibì in un sorrisetto divertito. «Per non parlare di tutte le altre volte in cui hai parato il culo alla Resistenza e a me in particolare.»

Marian scosse il capo, scoppiando in una risatina nervosa. «L'hai fatto anche tu.»

«E non è la sola.» Pigolò un'elfa pallidissima, la veste da maga che le cadeva larga sulle spalle minute, quasi a nasconderla ai loro sguardi. «Ser Thrask è sempre stato dalla nostra parte, e così anche Ser Lynn, e Ser Lerner...»

«Per non parlare di qualcuno che si è fatto cacciare per aver consegnato lettere d'amore per conto di un mago alla sua bella.» Disse Ruvena, accennando col capo in direzione di Samson.

L'ex templare rispose con una smorfia divertita. «Ma non tutti possono essere carismatici come la nostra Hawke, a quanto pare.»

«E dato che nessuno ne ha ancora accennato, perché la famiglia ha cercato di nascondere il fatto sotto al tappeto, anche un certo Trevelyan qui si è fatto declassare e trasferire per aver difeso a spada tratta dei maghi da un suo collega.» Parlò Andrew, accennando all'amico.

Macsen Trevelyan, che di solito non abbandonava mai l'aria di sprezzante superiorità che lo contraddistingueva, si voltò dalla parte opposta. Se non l'avesse ormai conosciuto bene, Marian avrebbe potuto giurare di aver visto un accenno di rossore sulle sue guance. «C'era mio fratello di mezzo, e il templare in questione era un coglione.» Borbottò tra i denti, ma a voce abbastanza alta perché lei riuscisse a sentirlo.

A quel punto, l'Artiglio si fece di nuovo avanti, indicandola con un cenno. «Quello che vi si chiede è di riporre la vostra fiducia non in un'istituzione lontana con cui non avete modo di interagire direttamente, ma in una persona che negli anni si è guadagnata il suo posto, e il rispetto che le si deve, con il sudore, il sangue, il coraggio e, soprattutto, il cuore di combattere per quello che ritiene giusto. Anche a costo di rischiare la pelle e darci un mucchio di problemi nel cercare di risolvere tensioni scoppiate troppo presto.» Fece un'altra pausa calcolata, aspettando che tutti mostrassero il loro supporto a Marian. «Qualcuno che non ha avuto paura di affrontare persino l'Arishok in un duello, e che ora è la candidata perfetta per sostituire l'attuale Comandante. Meredith Stannard ha tradito gli insegnamenti del Creatore portati a noi dalla Sua Profetessa, e con essi tutto ciò che l'Ordine Templare rappresenta. Ed è giunto il momento che venga sostituita da qualcuno che incarni le virtù dell'Ordine e il cambiamento che la Chiesa è pronta a portare ai suoi fedeli. Meredith verrà deposta e portata a Val Royeaux per rispondere delle sue azioni, i suoi uomini più fedeli declassati e puniti secondo i loro crimini.»







 

Stava andando, tutto considerato, dannatamente bene.

Garrett si ritrovò a sorridere, tirando un sospiro di sollievo quando l'Artiglio dell'Usignolo finì di parlare, guardando compiaciuto in direzione della sorella.

«Sono belle parole, certo.»

Il cuore gli sprofondò nel petto, riconoscendo la voce di Anders. Si voltò verso il compagno, costringendosi a tacere e restare immobile mentre quello prendeva la parola, gli occhi di tutti puntati ora su di lui.

«Ma le belle parole non portano da nessuna parte.» La voce dell'uomo tremava leggermente, e nonostante il Velo pulsasse come un cuore battente per la presenza dei tanti maghi in quel luogo, Garrett riconobbe l'ormai familiare impronta di Giustizia. Anders accennò col capo all'Artiglio, una smorfia sul volto. «Dovremmo fidarci delle parole di un'elfa, che annuncia un grande cambiamento nella Chiesa. Ora, vi chiedo, quanto ci metteranno secondo voi a cambiare idea? Quanto occorrerà alla Divina per tornare indietro sui propri passi, quando la metteranno con le spalle al muro per toglierci quel poco di – e non fatevi illusioni, non si tratta che di un miraggio, di una nuova gabbia dorata in cui rinchiuderci tenendoci buoni – libertà, o condizione paritaria, che ci concedono così gentilmente?» Mosse la mano, come a scacciare una mosca, e per un attimo dovette chiudere gli occhi, Garrett sapeva che stava lottando per il controllo del proprio corpo, ma parve riprendersi. Dopotutto, stava dando voce a ciò che pensava anche Giustizia. «Ve lo dico io: nel momento stesso in cui riceveranno un'offerta migliore, cambieranno idea. E si libereranno sia di lei che di noi, perché non siamo niente ai loro occhi.»

Garrett fece scivolare per un attimo lo sguardo sui compagni della Resistenza, e più di un paio mostravano ora preoccupazione.

«La Divina attuale sembra prestare orecchio ai nostri dissapori coi templari.» Scoppiò in una risata amara, fredda. «Come se ucciderci per aver chiesto un'ora d'aria in più, o strapparci l'anima per aver rifiutato di farci sottomettere come animali, fossero semplici screzi tra ragazzini!» Serrò nuovamente le palpebre, incurvandosi per un attimo su sé stesso prima di tornare a guardare negli occhi i maghi che pendevano ora dalle sue labbra. «Non lasciamo che, dopo averci rinchiusi e sottomessi per secoli, ci prendano pure in giro parlando di un'alleanza. Quella che propone la Chiesa non è un'alleanza, ma un compromesso!» Alzò la voce, aspettando qualche secondo, Giustizia che parlava ora con lui pur non assumendo completamente il controllo. I templari erano ora tesi, intenti a scambiarsi sguardi sospettosi gli uni con gli altri in direzione dei maghi, i quali sembravano non sapere bene da che parte schierarsi, colpiti dalle parole di Anders.

«Io sono stato uno di voi.» Proseguì il guaritore, e Garrett a quelle parole sentì una stoccata dritta nel petto. «Ho provato sulla mia pelle cosa significa andare contro le leggi della Chiesa e del suo braccio armato, e come me molti di voi, e ancora tanti altri che non sono potuti essere qui oggi, perché uccisi o costretti ad un destino ancora peggiore.» Lo vide voltarsi appena verso di lui, una fredda determinazione negli occhi color miele. «Marian Hawke potrà essere la migliore templare dell'intero Ordine, ma è pur sempre una di loro. Non può capire cosa si prova ad essere nei nostri panni, e così nemmeno il Campione di Kirkwall. Nessuno di loro è stato, né sarà mai, rinchiuso in una torre, strappato dalla propria famiglia, privato di un passato e di un futuro solo per il fatto di essere nato diverso dalla massa.»

Ora erano in tanti i maghi ad annuire, e più di un templare si guardava attorno teso. Un paio di mani tamburellavano sulle spade, e una giovane recluta tremava come una foglia.

Vide Grace sorridere feroce, e un elfo che era entrato zoppicando vistosamente espresse a voce alta il suo supporto.

«E mi dispiace dirlo, credetemi, ma anche nella migliore delle ipotesi, anche se davvero i templari qui presenti fossero degni della nostra fiducia, anche se questa Divina fosse seriamente disposta a ripudiare secoli di orrori commessi dalla Chiesa... ciò non cambierebbe il cuore dei loro fedeli.» La voce di Anders tornò bassa, quasi rassegnata. «Nel momento stesso in cui Justinia verrà considerata una minaccia per il loro tanto amato ordine costituito, lo stesso che schiaccia e distrugge chiunque gli si opponga, verrà tolta di mezzo. E così una semplice Comandante di una città dei Liberi Confini. I Cercatori troveranno una scusa per deporre Marian Hawke e mettere al suo posto un'altra Meredith, semplicemente perché qualcuno di infinitamente più potente di una manciata di supplicanti maghi vessati da anni ha deciso così.»

«Anders...»

Il compagno si voltò di scatto verso di lui, zittendolo con un'occhiata carica di accusa, per poi appellarsi nuovamente al resto dei maghi. «Siamo sull'orlo del cambiamento. Un vero cambiamento, qualcosa che possa portare una libertà duratura, che riesca a ribaltare le cose a nostro favore. In modo permanente. E loro lo sanno. La Resistenza è ovunque, persino ai nostri vertici. La Chiesa ha paura di noi, ha paura che possiamo liberarci e abbandonare il Canto che ci addita come pericolosi e necessariamente sottomessi a loro! “La magia esiste per servire l'uomo”, ma perché mai dovremmo servire? Cosa hanno mai fatto per meritarsi non il nostro aiuto, ma addirittura la nostra servitù?» Scosse il capo, inspirando rabbiosamente. «Non facciamoci sfuggire la prima possibilità dopo secoli di ribellarci al loro giogo, non lasciamoci tentare da un compromesso che svanirà non appena cambierà il vento.»

Garrett realizzò come colpito da uno schiaffo quali erano state le sue reali intenzioni. Non l'aveva convinto a presentarsi all'incontro per ascoltare l'altra parte, Anders non aveva mai avuto alcun dubbio su che posizione prendere, aveva solo colto la palla al balzo per tentare di portare tutti dalla sua.

E, a giudicare da come lo guardavano in molti, ci stava riuscendo.

Con loro sorpresa, però, fu Macsen Trevelyan a farsi avanti, l'armatura tirata a lucido e un cipiglio freddo sul volto. «Tutto quello che hai detto immagino suoni molto bene per alcuni dei maghi presenti, anzi, probabilmente per la maggior parte.» Parlò, il tono chiaro e sicuro di sé. «Non metto in dubbio che tu, e molti altri come te, abbiate subito ogni genere di orrore nei Circoli, sotto le mani di gente che si nascondeva dietro alla spada fiammeggiante per giustificare i loro peggiori istinti.» Si diede un colpetto sul pettorale, dove il simbolo dell'Ordine spiccava in smalto blu scuro. «Eppure, e perdonatemi se parlo dando voce a maghi che magari non sono qui presenti, non tutti vedono i Circoli e la Chiesa come gabbie e carcerieri. L'Ordine ha salvato ben più di un bambino che non riusciva a controllare la sua magia da folle inferocite e pronte ad uccidere, ha protetto innumerevoli innocenti da abomini e maghi che usavano le loro capacità per fare del male. E come ha detto prima l'Artiglio, noi siamo gli unici in grado di fermare chi tra i maghi si spinge troppo oltre.»

«Peccato che siete anche quelli che decidono arbitrariamente come e quando questo accade.» Ribattè Anders, furente. «Non avete il diritto di giudicarci, potremmo controllarci da soli.»

Trevelyan scoppiò a ridere, sprezzante. «Sicuro, che potete. C'è uno splendido esempio a riguardo, sotto gli occhi di tutti.» Si voltò allargando le braccia, rivolto al suo pubblico. «Il Tevinter deve essere un luogo davvero splendido, dove i maghi si governano da soli e tutto va a meraviglia. Certo, basta ignorare l'occasionale sacrificio umano, tanto alla fine il mago in questione si ravvederà da sé e farà ammenda coi suoi compari chiedendo scusa in ginocchio sui ceci.»

Garrett ebbe per un attimo paura che Anders perdesse il controllo e si scagliasse contro il templare ma il compagno, dopo un flash di energia, si limitò a ribattere a parole, fronteggiando il Trevelyan. «Facile ogni volta tirare fuori il Tevinter, come se non potesse esistere altro modo. Perché tutti i maghi sono in automatico pronti ad usare la magia del sangue, no?» Si voltò verso gli altri, come a cercarne l'approvazione. «Vedete quanta fiducia ripongono in noi i nostri “protettori”?»

«Non tutti, no.» Lo contraddisse il templare, il tono carico di risentimento. «Alcuni. Anche solo una manciata è sufficiente. Chi potrebbe mai fermarli? Quasi tutti qui hanno visto all'opera la magia del sangue. Persino noi templari facciamo fatica ad annullarla, ci richiede un immenso sforzo e spesso nemmeno è sufficiente. Ma una normale guardia cittadina?» Fece un gesto brusco con la mano, spazzando l'aria davanti a sé. «Non avrebbe una singola possibilità. E invece, uno di voi maghi? Magari non tu, un ex Custode Grigio avrà sicuramente qualche asso nella manica, e neppure il Campione dovrebbe avere troppi problemi, visto come ha demolito l'Arishok e i suoi migliori guerrieri, ma un mago qualsiasi...» si voltò verso Alain, accennando verso di lui col capo, per poi fare lo stesso verso l'elfa minuta che aveva parlato prima. «Uno di loro, uno dei tanti che non eccellerà mai ma che ha comunque il diritto di non essere schiacciato dai suoi colleghi più potenti. Uno come mio fratello, che a malapena sa accendere una cazzo di candela ma è costretto a stare in un Circolo per il suo stesso bene, perché il mondo altrimenti non lo accetterebbe comunque, cosa potrebbe fare un mago del genere contro il potere della magia del sangue?»

Garrett aggrottò la fronte, non gradendo l'essere continuamente preso in causa, osservando Alain e l'elfa incurvare le spalle, quasi vergognarsi di essere esposti in quel modo.

«Non pigliamoci per il culo, sappiamo benissimo che fine farebbero. Sottomessi tale e quale a come sono coi templari, non cambierebbe un cazzo.» Trevelyan prese un respiro profondo, serrando la mascella e guardando Anders dritto negli occhi, fronteggiando la sua furia crescente. «C'è bisogno di avere delle leggi, e di qualcuno che le faccia rispettare. Altrimenti il primo stronzo abbastanza forte, e con il coraggio di farlo, una mattina si sveglia e decide di prendere la situazione in mano e fare di testa propria. E magari lo fa anche per i motivi giusti, certo, ma senza nessuno che possa opporsi, cosa ci assicura che non finirà per fare solo e soltanto i propri interessi?» Si rivolse poi ai suoi colleghi, che annuivano convinti. «Si sente sempre parlare delle sofferenze dei maghi, e riconosco che abbiano preso la fetta peggiore di questa torta di merda, ma nessuno parla mai dei sacrifici che facciamo noi. Del fatto che veniamo spesso spediti dall'altra parte del Thedas, per anni lontani dalle nostre famiglie. Del lyrium che assumiamo, per riuscire a fare il nostro dovere ed essere lo Scudo dei fedeli della Chiesa, che giorno dopo giorno ci avvelena e ci strappa una piccola parte di noi, finché non resta nient'altro. Ma ce ne lamentiamo mai? No, perché l'abbiamo scelto. E anche se non l'avessimo scelto, ce lo facciamo andare bene lo stesso, perché crediamo che i nostri sacrifici servano a qualcosa, che facciano del bene a qualcuno.» Si lasciò sfuggire una risata di scherno, scuotendo il capo. «Non volevo mettermi su un piedistallo, perché non lo merito. Ma Marian Hawke si è sempre fatta in quattro per tutti quanti: maghi, templari, cittadini comuni, persino per i fottutissimi Qunari, pur di non far scoppiare una guerra con loro!»

Adaar, che per tutto il tempo era rimasta semplicemente ad osservare, impassibile come una statua di ghiaccio, annuì lentamente. «Si è meritata la fiducia della Resistenza con le sue azioni, come è stato precedentemente sostenuto da molti qui. La Resistenza ha preso in considerazione l'offerta della Chiesa solo perché hanno proposto la tenente Hawke come garante del compromesso.» Nonostante le sue parole di fiducia, a Garrett non sfuggì come la Tal-Vashot avesse scelto lo stesso termine usato da Anders nella sua invettiva.

«Hai espresso cosa ne pensa la maggior parte della Resistenza, forse, ma cosa ne pensi tu, Adaar?» Le chiese Anders, diretto. «Tu hai imparato a controllarti e a trovare il tuo posto nel mondo, tutto senza alcun aiuto da parte della Chiesa.»

La Tal-Vashot rimase per un lungo secondo a fissarlo, indecifrabile. «I maghi nel Qun non hanno il lusso di potersi lamentare come qui a Sud. Ai Saarebas vengono tagliate le mani, cucite le labbra e coperti gli occhi, costretti a servire il Qun e privati della loro asala.» Scrutò intensamente Trevelyan, per poi spostare lo sguardo su Marian. «Nel Qun non c'è cambiamento, ma forse nella vostra Chiesa c'è una possibilità che accada davvero. Per il momento il compromesso è la possibilità migliore che abbiamo. Poi vedremo come procedere, in base ai risultati che avremo o meno ottenuto. Tuttavia, il templare ha ragione su una cosa. La soluzione non può essere il Tevinter.» Per un secondo, negli occhi viola della ragazza Garrett parve leggere una punta di risentimento, probabilmente verso quelli che erano stati i suoi maestri.

A quel punto, Garrett non riuscì più a stare zitto. Si schiarì la voce, sollevando una mano come a chiedere il permesso di parlare. «Siamo tutti diversi, qui, e questo è chiaro. C'è chi sarebbe pure contento di stare in un Circolo, se questo gli garantisse sicurezza e il rispetto che ciascuno merita,» sorrise ad Alain, che ricambiò riconoscente «c'è chi invece ne ha passate così tante che giustamente non si fida abbastanza da tornarci.» Evitò di guardare in direzione di Anders, il petto che ancora bruciava di risentimento per le frecciatine che si era beccato dall'uomo che diceva di amarlo. «E pur non essendo certo un templare, conosco una piccola parte di ciò che accettate di portare sulle vostre spalle per riuscire a fare il vostro dovere, e sono grato che esistano persone come mia sorella Marian, o Andrew, o voi tutti che siete qui, perché mi fa sperare che come nella mia piccola famiglia, si possa collaborare persino tra maghi e templari, nonostante tutto.» Ricambiò il cenno d'intesa della sorella, alla quale era spuntato un mezzo sorriso sul volto teso. «Ed è vero, Anders ha ragione, non ho mai provato sulla mia pelle cosa significhi essere rinchiuso in un Circolo, ma ho sempre fatto del mio meglio per aiutare chi era in difficoltà. E ora è l'intera città a risentire della nostra faida: maghi e templari stanno trascinando nel loro conflitto tutta Kirkwall, e se non troviamo un punto di incontro la Chiesa ci scatenerà addosso una Santa Marcia e a quel punto non importerà a nessuno dei nostri discorsi filosofici, perché saremo tutti morti.» Prese fiato, tentando di ridacchiare per smorzare la tensione. «Nessuno qui dentro penso pretenda davvero di trovare una soluzione permanente a tutti i nostri problemi, sarebbe assurdo. Però per il momento, come ha detto Adaar, è la nostra opzione migliore. Un passo nella direzione giusta, senza dover ricorrere all'ammazzarci a vicenda. Perché se dovesse scoppiare davvero una guerra, ne soffriremmo tutti. Quasi tutti abbiamo amici, familiari o addirittura amanti dall'altra parte, e anche se non li abbiamo personalmente, conosciamo qualcuno che ne ha. Marian è disposta a mettersi in prima linea per far funzionare quest'accordo, e io pure, qualsiasi cosa richieda.» Cercò di sorridere, facendo vagare lo sguardo sulla sala. Si spostò accanto alla sorella, spalla contro spalla. «Chi è con noi?»

Andrew lo raggiunse dopo un istante, seguito a ruota da Trevelyan. Ruvena li affiancò subito dopo, e Hugh dietro di lei. Thrask annuì a sua volta, Keran alla sua destra.

Alain fu il primo dei maghi a muoversi, andando ad accostarsi a Marian e sorridendole nervosamente, seguito dall'elfa minuscola, che lo prese per mano.

Altri templari, alcuni maghi, nel giro di qualche tesissimo respiro quasi tutti manifestarono in un modo o nell'altro il loro supporto.

Adaar si limitò ad annuire, appoggiando solennemente il grande maglio da guerra in terra, e solo in quel momento Garrett notò il piccolo ragno nero immobile sulle sue corna.

Stök, accanto alla ragazza, scoppiò in una fragorosa risata, dandole una pacca sulla schiena che la Tal-Vashot incassò con una piccola smorfia irritata, alzando gli occhi viola al soffitto.

Gli unici che sembravano non aver apprezzato il suo discorso erano Grace e – Garrett sentì una stilettata dritto al cuore – Anders, che lo guardava furioso.

Prima che potesse aprire bocca, il compagno gli diede le spalle, girando i tacchi e andandosene verso le scale, Grace dietro di lui.

L'Artiglio dell'Usignolo si affiancò a Garrett e alla sorella, facendo un cenno compiaciuto col capo da sotto la maschera di porcellana. «Ben fatto.» Notò che il suo sguardo era fisso su Adaar, e si chiese se anche lei avesse notato l'aracnide sul capo della Tal-Vashot.

Sentì Marian tirare un sospiro di sollievo.

L'elfa si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito. «Non cantare vittoria troppo presto, tenente, dobbiamo ancora farti Comandante.»
























Note dell'Autrice: ammetto che non vedevo l'ora di arrivare a questo punto. Siamo davvero alle battute finali, tutti gli ingranaggi si sono messi in moto e ognuno ha detto la sua. Marian sta probabilmente affrontando il giorno più stressante della sua intera vita, e Garrett ha ricevuto una bella coltellata alle spalle.  
E ancora non hanno visto nulla... 

Biscottino a chiunque abbia capito che il ragno sulla testa di Adaar è ovviamente Jowan (aveva usato lo stesso trucchetto quando Geralt era andato a pranzo dagli Hawke-Amell nel primo atto, se qualcuno ci avesse fatto caso...). 
E un altro biscottino a chi ha capito che i titoli di questi ultimi quattro capitoli sono tratti dal brano "Take back the power" dei The Interrupters. 

Che dire, stay tuned, sarà un finale scoppiettante. :D 

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Capitolo 49
*** Let us all down ***


CAPITOLO 49
Let us all down


 

 

Garrett rimase a fissare le scale, il tradimento che bruciava come se gli avessero gettato un tizzone ardente nello stomaco.

Marian dovette notarlo, perché lo afferrò per il braccio. «Cambierà idea, vedrai.»

Lui abbassò lo sguardo, grattandosi nervosamente la barba. «Non è il suo punto forte.»

«Una cosa per volta.» Gli rifilò una pacchetta, prima di mollare la presa e voltarsi verso i suoi colleghi.

Annuì poco convinto, salutando Adaar e Stök con un cenno del capo prima di imboccare le scale, deciso a chiarire la questione con Anders.

All'uscita, Donnic gli si fece accosto, ansioso di sapere com'era andato l'incontro.

«Sembra che ci siamo riusciti.» Rispose abbozzando un sorriso. «Hai visto dove-»

«Anders?» Gli chiese l'altro, annuendo. «Da com'era furioso, ho temuto fosse successo qualcosa. Andava di fretta, ma non ho osato chiedere dove.»

Garrett non ebbe cuore di dirgli il motivo dell'umore nero del compagno. Lo ringraziò con un borbottio appena udibile, cercando con lo sguardo tra i tetti degli edifici vicini un'altra delle loro sentinelle.

Fu Merrill però a trovarlo, spuntando da uno dei vicoli rassettandosi la veste di lana. «È andata bene, allora!»

«Così pare.»

«Si tratta di Anders, vero?» Domandò lei, sospirando. Gli afferrò una mano tra le sue, minuscole a confronto e delicate. «Forse è meglio se lo lasci sbollire. Sai com'è fatto, litigarci adesso non migliorerà niente.»

Garrett chinò il capo. Proseguirono verso la città bassa, passando davanti all'Impiccato e proseguendo verso l'Enclave. «Meredith non se ne andrà volentieri. Non vorrei essere nei panni di Marian, in questo momento.»

«Oh, io starei tremando dalla paura!» Merrill si strinse nelle spalle, rabbrividendo. «Se fossi in Meredith, intendo. Tua sorella riesce a fare più paura di un Varterral.»

Riuscì a strappargli una risatina poco convinta. «Lo spero. Ammetto che una piccola parte di me vorrebbe essere un mutaforma per poter vedere la sua faccia, quando le diranno di levarsi di torno.»

«Per non parlare di quel Capitano!» La dalish gonfiò le guance in una smorfia infastidita. «“I maghi non sono persone”... Ah, sta per avere una brutta sorpresa a riguardo!»

«Sai che verrà sostituito da Trevelyan, vero?»

Merrill sbuffò debolmente. «Spero che impari le buone maniere, allora.»

«Sai, a quanto pare ha stregato entrambe le sorelle De Launcet. Seth ha saputo dalla loro cameriera che non hanno fatto altro che parlarne, da quando è passato a casa loro per un'indagine.» Scosse il capo, sistemandosi il mantello. «Orlesiane...»

«Scheggia!»

Si voltarono entrambi, aspettando che Varric li raggiungesse. Era accanto al nano che gestiva la Botte Barbuta, Otto, il quale indossava un orrendo e bitorzoluto cappello di lana giallo senape a coprire la pelata.

«Bene, ce l'abbiamo fatta.»

Varric lo premiò con un largo sorriso. «Te l'avevo detto!»

«Mi pare di ricordare che fossi tu quello scettico, non io.»

«Hei, io sono realista, non scettico. Ma non ho mai dubitato di voi due, nemmeno per un attimo!»

«Bugiardo!»

Otto si ficcò una mano sotto la giacca, estraendone una pipa e sventolandogliela davanti. Garrett gliela accese con un gesto della mano, e il nano ne aspirò avidamente qualche boccata. «Finché quel golem della Comandante non si leverà di torno, è presto per cantare vittoria.» Commentò piatto, grattandosi la testa. Diede loro le spalle, salutandoli con una mano e inoltrandosi nei vicoli.

«Che dite, salite su per un brindisi?» Chiese loro Varric, allegro.

Garrett scosse il capo. «Non sono dell'umore.»

L'amico si fece immediatamente serio. «Che è successo?»

«A parte il fatto che Anders mi abbia rinfacciato a tradimento, davanti a tutti, di non essere mai stato rinchiuso in un Circolo e di non capire perciò un beato cazzo delle sofferenze dei maghi?» Rispose, voltandosi dalla parte opposta. Sentì Merrill trattenere il respiro. «Niente, ha solo cercato di mandare all'aria tutto quanto dopo avermi promesso che avrebbe almeno provato ad ascoltare.»

«Non avrebbe dovuto dirlo!» Sbottò la dalish, scioccata. «Non sarai mai stato rinchiuso, d'accordo, ma tutti noi ci siamo sempre impegnati per-»

«Non gli importa.» Commentò asciutto, interrompendola. Si accorse di star stringendo i pugni al punto di essersi conficcato le unghie nei palmi, fino a farsi male. Riaprì le dita a fatica, sospirando rabbiosamente. «Non ci ha nemmeno provato, ad ascoltare.»

Si sentì dare un buffetto sul braccio. «Lo sai che sono entrambi parecchio suscettibili.» Cercò di mediare il nano. «E nessuno metterebbe mai in dubbio tutto il lavoro che hai fatto, Scheggia. Sono certo che non volesse offenderti.»

Garretti si girò a guardarlo negli occhi. «Mi ha colpito dove sapeva avrebbe fatto più male, Varric. Era esattamente quello che voleva fare.» Scosse il capo, allontanando l'amico e stringendosi nelle spalle. «Ci vediamo domani. Devo... è stata una giornata intensa. Vado a dare un occhio in Città Alta, magari c'è qualcuno che ha bisogno di me, nonostante non possa capire i problemi altrui.»

Ignorò le loro risposte, troppo impegnato a rimuginare su ogni singola frecciatina che Anders aveva lanciato quella sera, ripensando a tutte quelle volte che negli anni si era sentito in colpa per non aver mai provato sulla sua pelle cosa significasse essere rinchiusi in un Circolo, ad ogni mago che non erano riusciti a salvare.

Aveva fatto tutto quello che poteva, no? Aveva sempre dato il suo massimo, per chiunque.

“A quanto pare, non è mai abbastanza per lui”, si ritrovò a pensare, un sapore amaro in bocca mentre saliva la scalinata che portava in Città Alta, le guglie della Cattedrale che spuntavano dietro ai tetti più bassi, sentendosi ancora addosso lo sguardo rabbioso di Anders.

Si ritrovò a vagare per le vie, senza un reale obiettivo. Non aveva voglia di tornare a casa e ritrovarsi da solo nel letto, e l'idea di tornare in città bassa a gozzovigliare come se niente fosse non gli andava a genio.

Passò di fronte alla forneria e proseguì oltre la villa dei Selbrech, tagliando poi per il quartiere nanico e costeggiando le ricche ville orlesiane, ritrovandosi infine davanti al Palazzo del Visconte. L'unica zona ancora illuminata erano le Caserme, mentre il resto dell'edificio era immerso nel silenzio. Si sedette sotto uno dei portici, ignorando la seduta fredda e restando ad osservare la piazza quasi deserta.

Chiuse gli occhi, appoggiandosi su una delle colonne di pietra e avvolgendosi più stretto nel mantello, trovandosi a lanciare una silenziosa preghiera al Creatore perché quell'incontro desse i suoi frutti, dopo tutti gli sforzi che avevano fatto.

E che Anders non lo odiasse.

Perchè nonostante tutto quello che gli aveva rinfacciato a tradimento, Garrett non riusciva a levarsi di dosso i sensi di colpa che quelle parole avevano riportato a galla.

Inspirò profondamente, alzandosi in piedi di scatto e voltandosi verso la Forca, le cui torri incombevano sull'intera città, spinto dalla curiosità.

Non era nemmeno arrivato dall'altro lato della piazza, che il pavé sotto i suoi piedi sembrò collassare. Un boato si sollevò dal nulla mentre qualcosa lo sbatteva violentemente in avanti, facendolo crollare a faccia in giù sul selciato. Rimase impietrito, il rumore assordante che lo costrinse a coprirsi le orecchie, la testa che gli doleva dall'energia devastante che aveva improvvisamente riempito l'aria. Qualcosa di grosso lo colpì ad una spalla, facendolo grugnire per l'impatto.

Si accorse solo dopo qualche interminabile secondo di avere una barriera magica addosso, doveva averla attivata per istinto. Un senso di nausea lo colse impreparato mentre cercava di rimettersi in piedi, i palmi delle mani sbucciati dall'impatto con la strada, le ginocchia tremanti. A terra era pieno di detriti fumanti, alcuni ancora in fiamme, grandi come un suo pugno o larghi come una porta. Le finestre dell'edificio accanto dovevano essere esplose, perché vide parecchi pezzi di vetro, alcuni che erano caduti anche su di sé. La testa gli girava, c'era del fumo, il fischio nelle orecchie non gli permetteva di sentire altro che i suoi timpani che urlavano di dolore. Si passò una mano sul viso, ritirandola sporca di sangue, uno dei vetri doveva averlo tagliato.

Cercò di guardarsi attorno, sconvolto.

Il cielo era in fiamme, metà del Palazzo del Visconte era crollato, schiacciato sotto qualcosa, il fumo e la polvere talmente densi da non fargli vedere niente.

E il Velo. Garrett cercò di tirarsi indietro, lasciando cadere con orrore la barriera che aveva eretto poco prima, ritraendosi da quel contatto. L'Oblio sembrava ruggire tutto attorno, il Velo a malapena percepibile in quel caos di energie che turbinavano come impazzite.

Con sgomento, si rese conto da che direzione provenisse la gigantesca colonna di fumo che si ergeva da dietro gli edifici ancora in piedi.

Si sentì mozzare il respiro, attanagliato dal panico, rischiando di crollare nuovamente a terra, ma serrò i denti, imponendosi di stare in piedi.

Provò una nuova, improvvisa determinazione scaldargli il petto, come se una mano amica lo sorreggesse, spronandolo a camminare. La sensazione era familiare, e ci si aggrappò come un naufrago. Non perse nemmeno tempo a capire dove stesse andando, mettendosi a correre, i polmoni in fiamme, finché quasi non sbatté contro qualcuno, il suono metallico di un'armatura.

Spostò la persona che aveva di fianco, incapace di levare lo sguardo da dove si era posato, sbattendo più volte le palpebre, cercando di dare un senso a ciò che aveva di fronte.

Anders, i capelli biondi sciolti e arruffati sulle spalle, il mantello strappato e sporco di fuliggine come il suo volto, si girò verso di lui, incontrando il suo sguardo. Quegli occhi color miele che amava, ora freddi, distaccati ma – Garrett notò con un brivido di orrore – presenti e risoluti.

«Siamo finalmente liberi.» Disse, le labbra che si muovevano a produrre quelle parole, ma era tutto così assurdo che si rifiutò di credere che fosse davvero lui a parlare. «Questa è la Giustizia che stavamo aspettando noi maghi.»

«Dimmi che è stato lui. Giustizia.» Si ritrovò a supplicare con un filo di voce.

Anders scosse il capo. «Siamo un'unica mente e un unico cuore. Abbiamo fatto ciò che era giusto.»

Garrett sentì gli occhi bruciare, bloccato sul posto, sperando di svegliarsi da quell'incubo.

L'altro parlò di nuovo, lo sguardo ancora puntato nel suo. «Tutti saranno costretti a vedere la realtà delle cose. Le ingiustizie del Circolo, la brutalità dei Templari. Abbiamo appena cambiato il mondo. Non ci sarà più alcun compromesso.»








 

Meredith li stava aspettando.

Il piccolo gruppo di templari accanto a Marian serrò ulteriormente i ranghi, fronteggiando la Comandante e i suoi nel mentre che salivano gli ultimi gradini verso la piazza del mercato in Città Alta, la Forca che si ergeva minacciosa come non mai dietro i palazzi alla loro sinistra. Avevano lasciato la metà di loro a scortare i maghi alla Forca, attraverso i cunicoli che correvano sotto l'intera città, per evitare che potessero essere sorpresi e attaccati nel caso la notizia di quell'incontro fosse arrivata fino alle orecchie sbagliate.

Com'era evidentemente accaduto.

Cullen, vedendoli arrivare, portò una mano sulla spada. «Comandante, avevate ragione.»

«Sapevo che in seno all'Ordine si celavano delle serpi, ma non immaginavo fossero così tanti.» Parlò gelida Meredith, squadrandoli dall'alto in basso. «Deponete le armi e arrendetevi.»

«Mi trovo costretta a rifiutare.» Ribatté Marian, gonfiando il petto. «E come me, i miei compagni.»

Gli occhi dell'altra dardeggiarono prima su di lei, poi verso gli altri, infine tornarono a puntarsi nei suoi. «Vedo che i maghi del sangue hanno avvelenato le vostre menti al punto da farvi perdere il senno, tenente.»

«Avete un'ultima possibilità, Hawke, arrendetevi e dateci i nomi dei maghi che state proteggendo.» Si intromise Cullen, estraendo di un paio di pollici la spada. «Altrimenti saremo costretti a scoprirli in altro modo.»

Marian sentì Trevelyan scoppiare a ridere. «Chiudi il becco, Rutherford, non siamo qui per parlare con te.» Si voltò verso di lei, facendole un cenno d'intesa mentre Cullen storceva il volto in un' espressione rabbiosa e risentita, come se avesse appena morso un limone.

«Come osi-»

Meredith portò immediatamente una mano sull'elsa del suo spadone, sollevando una mano davanti a sé per zittire il suo capitano. «Tradimento.» Ringhiò, e tre dei suoi avanzarono verso di loro, le spade sguainate. «Avete cospirato coi maghi per assoggettarci tutti. Per far cadere il Circolo. Voi, il Campione, la Resistenza... siete tutti colpevoli, ma non vi permetterò di farla franca. Non finché sarò la vostra Comandante.»

«A questo proposito...» Marian prese un bel respiro, evitando di estrarre la propria arma nonostante ogni suo istinto le urlasse di farlo. «Per il bene dell'Ordine Templare, per quello del Circolo dei Maghi e per l'intera città di Kirkwall, vi chiediamo di farvi da parte senza opporre resistenza. Non siete più il nostro Comandante.»

Meredith scoppiò a ridere, rivolgendole un'occhiata sprezzante. «Solo Val-Royeaux può destituirmi, non certo un branco di sovversivi qualsiasi.»

«Tecnicamente anche il vostro Capitano, ma abbiamo visto tutti quanto sia utile...» Commentò Trevelyan, il quale sembrava assai divertito da tutta la situazione.

Prima che lei o Meredith potessero ribattere, l'Artiglio dell'Usignolo scivolò silenziosamente verso la Comandante, comparendo accanto a Marian e sostenendo il suo sguardo. «La Divina Justinia non vi ritiene più in grado di comandare la Forca. Avete parecchi accuse a vostro carico, Ser Stannard, richiamate i vostri uomini e sottoponetevi al giudizio dei vostri superiori.»

«Come osate!» Sbraitò Meredith, estraendo finalmente la spada e facendosi avanti. «Io ho protetto questa città per anni, io l'ho governata da quando è morto il Visconte, io sono l'ultimo baluardo contro i pericoli della magia!»

L'Artiglio dell'Usignolo rimase immobile, una mano sul pugnale, l'altra portata sotto al mantello. Ne estrasse una pergamena arrotolata, il sigillo di ceralacca rosso della Divina perfettamente intatto. «Non più.» Ribattè in tono fermo, porgendogliela. «Siete sollevata dall'incarico, Ser.»

Meredith sbuffava come un toro, le pupille ridotte a spillo per la rabbia. Fece per allungare il braccio, ma all'ultimo rifilò uno schiaffo potente alla mano dell'elfa, facendo cadere la pergamena in terra. «Follia. Tradimento!» Si voltò appena verso i suoi uomini, che ora si guardavano confusamente l'un l'altro. «È un tranello per farci crollare, è tutto un complotto dei maghi del sangue. Non credete alle loro menzogne, siamo gli unici che possono fermarli. Sono in combutta con Orsino e i suoi, l'intero Circolo!» Tuonò, e quelli sembrarono riprendere il coraggio.

A quel punto, furono i templari attorno a Marian ad estrarre le armi, puntandole contro i colleghi.

«Vi state comportando in maniera irragionevole, Ser Stannard.» Replicò l'Artiglio, la voce gelida. «Non vi conviene opporvi al volere della Divina.»

«Non costringeteci a spargere sangue inutile.» Cercò di convincerli Marian, che ancora non aveva sguainato la propria. «Fatevi da parte.»

Meredith aprì la bocca per parlare di nuovo, ma le sue parole vennero sovrastate da un fragore devastante.

L'onda d'urto li spinse indietro verso le scale, facendoli incespicare e crollare a terra, i timpani che fischiavano, la schiena che sbatteva violentemente sui gradini di pietra mentre Marian scivolava verso il basso.

Si schiantò contro qualcosa, la vista annebbiata per qualche secondo, l'intero corpo che le doleva per la caduta. Sbattè gli occhi, cercando di mettere a fuoco, appena in tempo per accorgersi del portico sopra di lei che stava per crollare di sotto, rotolando da un lato e trascinando con sé un'altra figura in armatura, senza nemmeno riconoscerla.

Senza riuscire a sentire null'altro che uno squillo continuo che sembrava spaccarle la testa, si rimise in piedi barcollante, guardando verso l'alto, portandosi una mano davanti alla bocca e tossendo faticosamente, annaspando in cerca d'aria.

Fumo, fiamme, finestre divelte, detriti e polvere che rendevano difficile respirare.

Qualcuno le afferrò una spalla. Riconobbe Trevelyan, i capelli un groviglio informe, l'armatura graffiata che doveva aver assorbito l'impatto.

Non capì cosa le stesse urlando il ragazzo, ma seguì con lo sguardo dove le stava indicando, in cima alle scale.

Meredith si stava rimettendo in piedi, aiutata da Cullen e altri due dei suoi uomini.

Marian strinse i denti, scattando in avanti.

Dovette un paio di volte spingersi carponi per riuscire a scavalcare le voragini che si erano aperte sulla scalinata, ma riuscì a raggiungere la piazza prima che tutti i templari fedeli a Meredith si fossero rimessi in piedi.

Due giacevano sotto ciò che restava del palazzo accanto, e altri tre sembravano stare in piedi per sola paura della loro comandante. Un altro, a terra, rantolava debolmente in una pozza di sangue, qualcosa a spuntargli dal collo.

«Sono stati loro!» Urlò Meredith, tossendo e coprendosi la bocca, sorreggendosi sull'enorme spada che brillava rossa come le fiamme che li circondavano. «Sono tutti colpevoli. Tutti loro!» Si accorse di lei, facendo qualche passo nella sua direzione ma fermandosi di nuovo, uno sguardo verso la colonna di fumo che si alzava alla loro destra. «Hanno ucciso la Somma Sacerdotessa. Era tutta una menzogna, lo sapevo. Lo sapevo che non poteva essere vero. Sono tutti posseduti.»

Lentamente, anche Marian sollevò gli occhi in quella direzione, senza capacitarsi di quelle parole. Ciò che vide, o meglio, l'assenza di ciò che avrebbe dovuto ergersi dietro i palazzi là attorno, le gelò il sangue nelle vene.

La Cattedrale era scomparsa, al suo posto una nuvola di fumo e fiamme. L'esplosione aveva spazzato gli edifici adiacenti, e divelto parte di quelli vicini.

«Come Comandante di Kirkwall, invoco il Diritto di Annullamento!» Tuonò Meredith, la voce roca. «Ogni mago del Circolo sarà giustiziato, assieme a tutti coloro che ne prenderanno le parti.»

Marian stava per voltarsi nella sua direzione, quando qualcosa attirò il suo sguardo.

Una figura comparve dalla strada adiacente, le piume del mantello sulle spalle scompigliate dal vento, gli occhi chiusi, il bastone magico stretto tra le mani.

«Anders!» Urlò con quanto fiato aveva in corpo, riconoscendolo.

Il mago sembrò risplendere. Il Velo, che era già a brandelli, si lacerò definitivamente e la figura si rivolse a loro con una voce che non era quella che Marian conosceva.

«Non può esserci nessuna pace.» Parlò, a malapena umano, gli occhi bianchi e la pelle solcata da vene che sembravano emanare luce pura. «Nessun compromesso.»

«Abominio!» Gridò qualcuno tra i templari.

Meredith si voltò un'ultima volta verso di lei e per un secondo parve combattuta sul da farsi. «Abomini e maghi del sangue.» Poi, si rivolse verso Cullen, dicendogli qualcosa che lei non riuscì ad afferrare. «Verranno uccisi dall'abominio. Templari, con me, verso la Forca!»

Il Capitano annuì, lanciando un ultimo sguardo carico d'odio a Marian per poi seguire la sua comandante, la coda tra le gambe, assieme ad alcuni dei loro.

Marian a stento riuscì a mettere insieme i pezzi, senza nemmeno la forza di inseguirli, semplicemente senza parole.

Qualcuno la urtò, facendole quasi perdere l'equilibrio e fermandosi a pochi passi dall'abominio che avevano di fronte, che ora sembrava essere tornato umano.

Realizzò qualche istante dopo che si trattava di suo fratello.

«Siamo finalmente liberi. Questa è la Giustizia che stavamo aspettando noi maghi.» Parlò di nuovo l'abominio.

«Dimmi che è stato lui. Giustizia.» Sentì Garrett rispondergli, e con orrore Marian si rese conto che il fratello sapeva qualcosa. Ecco cosa c'era di strano attorno ad Anders, ecco perché il Velo sembrava comportarsi in modo così peculiare quando lanciava incantesimi. E Garrett l'aveva sempre saputo, tenendoglielo nascosto. Proteggendo un abominio per tutti quegli anni. Accogliendolo in casa loro. Condividendo il suo letto.

«Siamo un'unica mente e un unico cuore. Abbiamo fatto ciò che era giusto. Tutti saranno costretti a vedere la realtà delle cose. Le ingiustizie del Circolo, la brutalità dei Templari. Abbiamo appena cambiato il mondo. Non ci sarà più alcun compromesso.»

Due dei templari di Meredith scattarono di corsa verso l'abominio, che a malapena dovette sollevare il bastone per spedirli indietro di parecchi metri, come bambole di pezza. Crollarono sul selciato senza rialzarsi, le armature fumanti.

«Comandante!»

Sentì dei passi avvicinarsi, e dietro di lei arrivarono alcuni dei suoi colleghi. Appena in tempo, perché ciò che restava del portico e del muro che dava sulla scalinata crollò su sé stesso, ostruendo completamente il passaggio verso la città inferiore.

Sollevò un braccio per fermarli, non voleva perderli, non a causa di quel mostro. «State indietro.»

Solo in quel momento Garrett parve accorgersi di lei. Si voltò alle proprie spalle, sgranando gli occhi e arretrando di qualche passo, portandosi tra lei e l'abominio. «Marian.»

«Tu... lo sapevi?» Gracchiò lei, la gola le bruciava, lottando per ogni parola.

L'altro scosse il capo. «Non... non di questo. Non-»

«Sapevi che cos'era?!» Urlò, disperata, sguainando la spada e indicando la creatura, la colonna di fumo dov'era stata la Chiesa ancora lì, devastante.

«Non pensavo... non potevo immaginare che-»

«Lui non c'entra.» Tuonò l'abominio, facendo qualche passo avanti. «Lascialo stare, templare.»

Marian spostò lo sguardo da lui al fratello, soffermandosi su quest'ultimo, sentendo lo sgomento lasciare il posto alla rabbia, che le bruciava in petto all'unisono del resto della città. «Morirà per quello che ha fatto.»

L'abominio fece un altro passo, e Marian vide Trevelyan e Ruvena avanzare davanti a lei, le armi pronte. «No, fermi.» Ordinò loro, in un lampo di lucidità. «Andate alla Forca. Meredith ha invocato l'Annullamento.» Quel massacro era opera di un mago, certo, ma lei era ancora decisa a fare la cosa giusta. «Il Circolo è innocente. Fate il vostro dovere.»

«Non ti lascio da sola.» Ribattè Ruvena, senza staccare gli occhi dall'abominio, che era rimasto immobile ad appena un braccio di distanza da Garrett.

«Prendete gli altri e fermate Meredith.» Ringhiò Marian, perdendo la pazienza. «È un ordine, cazzo!»

Trevelyan si voltò verso di lei, teso. «Sì, Comandante.» Chinò appena il capo, rinfoderando la lama e prendendo per una spalla Ruvena, per poi tornare indietro sui propri passi, dovendo quasi trascinare la collega per portarla via di lì.

Marian rimase sola a fronteggiare il fratello e l'abominio.

Si accorse di star tremando, e serrò la presa sulla spada, cercando di darsi un tono. «Spostati, Garrett.»

Quello le lanciò uno sguardo quasi supplichevole. «Marian...»

«È stato lui!» Gridò fuori di sé, la gola in fiamme, il respiro affannoso. «L'hai sentito. Ha ucciso Elthina, e chissà quanti altri. Non ha mai voluto la pace.» Proseguì, il tono che tornava normale, avanzando verso di loro con l'arma stretta in pugno. «Spostati.»

Garrett si voltò appena verso l'altro, tornando a fronteggiarla e, lasciandola sgomenta, frapponendosi tra lei e il mostro. «Non posso farlo.»

Rimase immobile a guardarlo, senza capire. «È un abominio.»

«Lo so.»

«Ha ucciso tutte quelle persone.»

Ci fu una lunga pausa. Lo vide deglutire vistosamente, terreo sotto la fuliggine che gli copriva il viso, del sangue che gli colava fino alla barba.

«A causa sua, l'intero Circolo verrà Annullato. La Divina manderà una Santa Marcia, ora.»

L'altro sembrò boccheggiare, poi scosse appena il capo. «Non se li fermerai.»

«Fatti da parte, Garrett.»

«Lascia che mi uccida.» Parlò allora l'abominio, e la voce era umana, ma risoluta. «Non cambierà niente. Anzi, la mia morte ispirerà altri a ribellarsi alla Chiesa.»

Marian scoppiò a ridere, quasi folle, guardandolo incredula. «Credi di essere un martire? Una fiamma di speranza?» Sussurrò, chinando il capo e aspettando che l'ilarità cessasse. «Sei un pazzo.» Lo guardò di nuovo dritto negli occhi, come a sfidarlo a replicare. «Un mostro che ha appena condannato tutti i maghi dei Circoli alla morte! Era questo che volevi? Distruggere tutto ciò per cui avete lottato per anni?» Gli urlò addosso, tremante di rabbia.

Sentirono dei passi avvicinarsi, e dal viale alla loro sinistra comparvero tre figure che Marian riconobbe immediatamente.

Aveline incedeva in coda nella sua armatura da Capitano e Isabela doveva quasi correre per tenere il passo di Sebastian, l'arco stretto in pugno e gli occhi puntati su di loro.

Garrett si voltò verso i nuovi arrivati, il panico nello sguardo, e Marian lo sentì richiamare il mana per lanciare un incantesimo.

Agì d'istinto, lasciando andare un'aura antimagia talmente potente da far barcollare persino l'abominio a qualche metro da lei. Vide Garrett stringere la spalla dell'altro e sussurrargli qualcosa.

«No, se devo pagare, sarò io a farlo.» Ribattè quello, stringendo il bastone e sbattendolo per terra. «Uccidimi, templare. Fai pure. Prendi la tua vendetta, non ti servirà a niente.»

Prima che Marian potesse avanzare o ribattere, una freccia si piantò nella spalla dell'abominio, che a malapena parve farci caso. Sebastian, l'arco sollevato e una nuova freccia già incoccata, mirò di nuovo, questa volta mandandola a schiantarsi su una barriera luminescente eretta appena in tempo da Garrett.

Marian rimase stranita a guardare il fratello, che teneva entrambe le mani sollevate davanti a sé, un'energia chiara e brillante ad avvolgerle che gli illuminava il volto tirato. Avrebbe dovuto essere ancora sotto l'effetto della sua aura, eppure era ugualmente in grado di evocare incantesimi.

«Non posso lasciarvelo fare.» Lo sentì dire, rinforzando la barriera. Una terza freccia rimbalzò innocua, finendo a terra spezzata in due. «Non posso.»

«Garrett.» Lo chiamò lei, appena un sussurro, non volendo crederci. Incontrò gli occhi chiari del fratello, gli stessi della madre e di Bethany. Si ritrovò ad abbassare un poco la spada, faticando a respirare, ripetendo nuovamente il suo nome.

«Lasciaci andare.» La supplicò lui. «Non farà più del male a nessuno, te lo giuro.»

Marian scosse il capo, la mascella serrata.

«Ti prego. Non portarmelo via.» Lo vide afferrare la mano dell'altro, stringerla tra le sue.

“Quante volte ho chiesto al Creatore la stessa cosa?” Si rese conto di aver abbassato la spada solo quando le scivolò di mano, candendo con un forte clangore per terra e facendola sobbalzare. Fece un passo verso di loro, senza sapere bene cosa fare. «È un assassino.» Pigolò appena, senza voce, senza più forze.

«No!» Si intromise Sebastian, scagliando l'ultima freccia per terra e andando verso di loro con l'arco stretto in pugno, furioso come Marian non l'aveva mai visto. «Non lascerò che se ne vada, deve morire per quello che ha fatto!»

Uno schiocco risuonò ad appena un metro da lui, mentre una saetta si schiantava violentemente sul selciato, tra lui e i due maghi. «Stai indietro, Sebastian.» Gli intimò Garrett.

«Ha ucciso Elthina! L'unica donna che meritava di vivere in questa città!» Urlò quello, fuori di sé. «Pagherà per questo, giustizia sarà fatta!»

A quel punto, Garrett si voltò di nuovo verso di lei. «Mi devi la tua vita, Marian.» Parlò, ogni parola una stilettata. «Risparmia la sua. Ti prego.»

Marian sentì qualcosa infrangersi definitivamente. Aprì la bocca per ribattere e quando parlò, la voce era fredda, distante, tanto che stentò a riconoscerla come propria. «Abbassa l'arma, Sebastian.» Si spostò tra lui e gli altri due, impedendogli di raggiungerli.

L'uomo la guardò incredulo, scuotendo il capo. «No.»

«Abbassa quell'arco.»

«Sei impazzita?» La raggiunse, fronteggiandola e afferrandola per un braccio, stringendo con forza. «Stai davvero difendendo un abominio?!»

Resse il confronto senza battere ciglio. «Garrett ha ragione. Gli devo una vita.» Sebastian serrò la presa, strattonandola per cercare di oltrepassarla, e anni di addestramento la portarono a fare qualcosa che non si sarebbe mai sognata di fare. Lo afferrò col braccio libero, ruotando di mezzo giro e ribaltandolo a terra, facendolo schiantare violentemente contro il selciato.

L'uomo sbattè le palpebre, incredulo e oltraggiato.

«Stai giù.»

«Tu...» Si tirò indietro, strisciando sui gomiti per allontanarsi da loro, rimettendosi in piedi e reggendosi il braccio lussato. «Sono maleficarum. Hanno ucciso Elthina, dopo tutto quello che aveva fatto per questa città.»

«Gli devo una vita.» Ripeté Marian, impassibile. «Non posso farlo.»

«Allora spostati e lascia che lo faccia io!» Sbraitò Sebastian, ansimando. «Non permetterò che se ne vadano.»

Prese un respiro profondo, sbattendo lentamente le palpebre una singola volta, puntando gli occhi in quelli dell'altro. «Lasciali andare, Sebastian. Ho deciso.»

Il volto dell'altro si contorse in una maschera di rabbia. Sbatté l'arco per terra, digrignando i denti e portando il braccio sano verso la daga che teneva legata alla cintura, estraendola. «Se queste sono le tue decisioni, non spetta a te farle. Non sarai mai Comandante, non ti interessa della città né dei suoi abitanti.. sei soltanto una maledetta ipocrita!» Avanzò di un altro passo, ma notò Aveline affiancarsi all'amica, lo scudo sollevato verso di lui pronta a difenderla. «Forse ora non posso fare giustizia, ma che la Benedetta Andraste mi sia testimone, vendicherò Elthina. Ucciderò quell'abominio e il tuo prezioso fratello, spazzerò via la loro empietà da questo mondo e poi toccherà a te. Dovessi buttare giù le mura di questa schifosa città, bruciarla dalle fondamenta e setacciare ogni angolo dei Liberi Confini, non ci sarà luogo dove potranno nascondersi. E tu, tu ti pentirai di averli protetti!»

Marian rimase a guardare l'uomo che aveva di fronte, sentendosi svuotata di ogni emozione. Quella mattina, si era svegliata credendo di essere tra le sue braccia, e il pensiero l'aveva accompagnata dandole forza per tutta la giornata. Solo poche ore prima, l'avrebbe chiamato il padre del figlio che portava in grembo. Fino a qualche istante prima, aveva sperato che capisse il legame, e soprattutto il debito, che aveva nei confronti della sua famiglia, di suo fratello. Di sua madre e Bethany, che non le avrebbero mai perdonato di aver ucciso Garrett per arrivare all'abominio, non importa di quali crimini si era macchiato quest'ultimo.

Sebastian, che l'aveva guidata con parole di fiducia, speranza e amore verso il prossimo per tutti quegli anni, ben prima di iniziare la loro relazione. La persona che avrebbe voluto al suo fianco una volta finito di combattere, quella con cui forse costruire un futuro. La sua bussola.

«Uccideresti altri innocenti, per arrivare a loro e punire me?» Gli chiese, la voce piatta.

«Li stai condannando tu stessa!» Ribattè lui, furente. «Non sei una Comandante, sei una traditrice. Quando sarò Principe di Starkhaven raderò al suolo l'intera Kirkwall, anche a costo di-» Stramazzò al suolo prima di finire la frase, Isabela che lo guardava dall'alto, disgustata, il pugnale ancora sollevato dalla parte dell'elsa.

La pirata si assicurò con un calcio che restasse privo di sensi, per poi lanciare uno sguardo preoccupato in direzione di Marian e degli altri due. «Che cazzo di casino.»

Riuscì a stento ad annuire, voltandosi poi appena verso Garrett. «Volevate la libertà, prendetevela e sparite. Il nostro debito è saldato.»

Quello restò per un attimo interdetto, gli occhi sgranati dalla sorpresa. Marian sollevò una mano davanti a sé, fermandolo dall'aggiungere altro e dandogli definitivamente le spalle. «Se vi incontro di nuovo, vi ammazzo entrambi, lo giuro sul Creatore.»

Lo sentì sussurrare appena delle scuse, per poi restare ad ascoltare i loro passi che si allontanavano.

Voleva solo lasciarsi cadere a terra e restare lì per sempre. Chiuse un attimo gli occhi, rendendosi conto che non riusciva nemmeno a piangere, il vuoto dentro di sé che aveva inghiottito tutto il resto.

Due mani afferrarono le sue.

Isabela le fece un cenno d'intesa, abbozzando un sorriso, mentre Aveline le stringeva appena una spalla, come ad infonderle un po' della sua forza.

«Ci penso io a lui.» Disse la pirata accennando verso Sebastian, svenuto ai loro piedi.

Marian deglutì a vuoto, aveva la gola riarsa. Meccanicamente, fece scivolare la mano nella scarsella alla cintura, stringendola attorno ad una boccetta ancora integra. La stappò velocemente, portandosi il lyrium alle labbra e bevendo l'intero contenuto con avidità. «Devo andare alla Forca. Meredith li ucciderà tutti.» Sussurrò. «Bela, portalo via da qui. Non voglio vederlo mai più.»

«Vengo con te, Marian.» Rispose Aveline, porgendole la sua spada. «Saremo sempre dalla tua parte.»

































Note dell'Autrice: che dire, se cercavate della gioia, siete nel quartiere sbagliato. O nella città sbagliata, direttamente. 
Garrett nonostante i molteplici tradimenti da parte di Anders nel giro di pochi minuti non è riuscito a lasciarlo andare. Ma nonostante lo ami, non sarà facile risanare una ferita del genere.
Lo sbrocco finale di Sebastian è rimasto lo stesso, peggiorato dal fatto che si è sentito personalmente tradito da Marian. E Marian ha visto una versione di Sebastian che mai si sarebbe sognata esistesse. 
La rottura tra i due fratelli Hawke è stata parecchio brutta da scrivere, con tutto quello che gli era già successo è stata la mazzata finale.
Ma c'è ancora il problema di Meredith da risolvere, quindi stay tuned! Alla prossima!  :D 

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Capitolo 50
*** Straight for the castle ***


CAPITOLO 50
Straight for the castle



 

«Dobbiamo raggiungere gli altri, alla Forca.» Disse Marian coprendosi il volto con il braccio.

Il fumo denso e acre che avvolgeva ormai l'intera Città Alta le faceva prudere gli occhi, mentre lei ed Aveline avanzavano oltre le macerie del palazzo dei Selwyn, crollato quasi interamente e ora in fiamme. Una manciata di guardie cittadine e un paio di uomini con la livrea della famiglia stavano cercando di spegnere le fiamme con secchi d'acqua e terra. James Selwyn, anche lui con un secchio in mano e coperto di fuliggine dalla testa ai piedi, dirigeva l'operazione urlando con quanto fiato aveva rimasto in corpo.

Marian sapeva di non potersi fermare. L'occhiata che si scambiò con l'amica era chiara, chissà quante altre situazioni simili a quella stavano accadendo in tutta la città.

Superarono con qualche difficoltà le macerie, cercando un accesso ai passaggi sotterranei che non fosse crollato. Sapeva che il tunnel sotto villa Amell era stato lasciato libero ed era anche quello più agibile, ma non voleva rischiare di incontrarli.

«C'è quello dietro casa di Fenris, ma è parecchio vicino all'esplosione.» Parlò di nuovo, la voce roca. «Ci porterebbe però proprio dietro alla Forca, sbuca dal magazzino della ghiacciaia.» Cercò di scacciare i ricordi di tutte le volte che l'aveva usato per sgattaiolare dentro e fuori dai dormitori dopo aver passato la notte fuori.

Si diressero da quella parte, trovando la villa, leggermente più bassa rispetto alle due ai lati, ancora in piedi. I vetri delle finestre erano esplosi e l'ingresso era stato spazzato via da una colonna del portico accanto, che ora ostruiva parzialmente il passaggio, ma riuscirono a farsi strada all'interno.

L'energia magica sotto di loro le fece stringere la spada con più forza. Dalla cantina si udivano urla e rantolii inconfondibili e sperò che Fenris non avesse fatto qualche azione avventata come al solito.

Marian estrasse anche l'altra lama, maledicendo la propria idiozia per non aver recuperato uno scudo dai colleghi rimasti a terra dopo l'esplosione.

Aveline sollevò il proprio per proteggere un minimo entrambe, le orecchie tese e l'arma stretta nell'altra mano mentre andavano verso le cucine. «Abomini?» Sussurrò.

La templare si limitò a sollevare tre dita della mano che reggeva la daga corta, poco convinta. Il Velo era talmente a brandelli che le era difficile concentrarsi su una sola fonte.

Con la coda dell'occhio, vide qualcosa muoversi alla loro sinistra e una chioma di capelli chiari spuntare da una delle piccole alcove nel muro.

Fenris, i tatuaggi di lyrium che spiccavano luminosi sulla pelle bronzea, accennò col capo alla botola che portava alle cantine. Un colpo particolarmente forte fece sobbalzare il pesante lucchetto di ferro che la teneva chiusa.

Si posizionarono ai lati dell'apertura, aspettando altri due colpi prima che la serratura cedesse definitivamente e piombando dall'alto sugli Abomini, sbarazzandosene in pochi istanti anche grazie all'aura antimagia lanciata al momento giusto dalla templare.

«Temevo di dovermene occupare da solo.» Commentò asciutto Fenris, ruotando la spada per ripulire alla bell'e meglio la lama dal liquido viscoso lasciato da quei mostri. «È stato un mago a far esplodere la Chiesa, immagino. Chi altri...»

«Non un mago qualsiasi.» Rispose monotono Marian, senza nemmeno fermarsi e procedendo verso la seconda botola, che si collegava alla rete di cunicoli sotterranei di fogne e passaggi segreti sotto l'intera città, dalla Costa Ferita alla Forca stessa.

Sentì Fenris trattenere il fiato. «Marian, se-»

«Non abbiamo tempo.» Lo zittì, stringendo i denti e proseguendo, ignorando la voce di Aveline che sussurrava qualcosa all'amico. «Meredith ha perso completamente il senno e ha deciso di Annullare l'intero Circolo, per qualcosa di cui non hanno colpa. Ho intenzione di fermarla, ma se non vuoi proteggere dei maghi, non sarò certo io a fermarti. Vai pure, aiuta come puoi il resto della città se credi sia giusto, la Guardia Cittadina può averne bisogno.»

L'elfo si fermò un attimo, il tempo di un paio di lunghi respiri, prima di sbuffare e riprendere a camminare. «Mi sembra che tu abbia bisogno di tutto l'aiuto possibile. Dei maghi non mi interessa niente, ma non ho alcuna intenzione di farvi affrontare Meredith e un mucchio di Abomini da sole.»

Marian sentì una piccola scintilla di affetto per l'amico musone. «Grazie.» Si limitò a dire, ricominciando a camminare a passo spedito, ignorando il fracasso che le loro armature causavano con l'eco per tutto il cunicolo.

Dopo qualche minuto, sentirono rumore di scontro, metallo contro metallo.

Sbucarono in uno spiazzo che stava a poche decine di metri dall'uscita dietro il magazzino della Forca. Con un sospiro di sollievo, Marian riconobbe Hugh, Kelsey e Thrask tra i templari rimasti in piedi, le spade sporche di sangue.

«Comandante!» La chiamò Alain, semi-nascosto accanto ad Eder, un altro mago, dietro lo scudo di Feldwin. «Gli altri?»

Lei scosse il capo. «Ruvena e Trevelyan sono andati avanti, speravo di trovarli qui.»

«Magari sono entrati da un'altra parte.» Provò a dire Hugh, massaggiandosi un braccio.

«In ogni caso, non possiamo aspettarli.» Tagliò corto Marian, proseguendo verso l'uscita. «Cercate di non uccidere i nostri colleghi a meno che non sia necessario, ma se dovete scegliere tra voi e loro, non esitate. Loro non lo faranno.» Strinse i denti, tirando un calcio alla misera barricata ormai quasi distrutta che i templari di Meredith avevano eretto dietro di sé per chiudere il passaggio. «Meredith è mia.»

Non si faceva illusioni, sarebbe stato difficile. E molti maghi all'interno della Forca avevano già probabilmente perso il controllo, causando parecchi templari indecisi a schierarsi dalla parte opposta. Parlarci non avrebbe funzionato.

La cucina era deserta. Uno dei cuochi, un elfo noto per lasciare sempre un pentolone di zuppa calda da parte per le reclute che tornavano dai turni notturni agli orari più improbabili, giaceva riverso in una pozza di sangue, uno squarcio causato da una spada a due mani aperto sulla schiena.

Uscirono dalla porta sul retro, evitando il refettorio e preferendo appostarsi nell'ombra dietro i canali di scolo, lontani dalla vista delle sentinelle che Meredith aveva sicuramente posto nel cortile. Esplosioni e urla si alzavano dall'edificio, ma era difficile capire il punto preciso dove i maghi stavano cercando di impedire ai templari di falciarli tutti.

Vide una dei maghi, l'elfa minuscola che aveva parlato in suo favore all'incontro, appoggiare la mano sul muro di pietra accanto a loro, chiudendo gli occhi in un'espressione concentrata.

«Irma?» La chiamò Alain, dopo qualche istante. «Cos'hai sentito?»

L'elfa si morse il labbro inferiore. «Primo piano, verso l'accesso alla Sala del Tormento.» Riaprì gli occhi di scatto, ora di un azzurro brillante. «Sembrano aver eretto una barriera, o comunque qualcosa che sta tenendo i templari fuori dall'ala Nord. L'ingresso principale è ostruito.»

«È l'unico punto che può tenere fuori un gruppo di soli templari. Ma se l'ingresso principale è caduto, i templari si staranno radunando al molo.» Commentò Thrask, pensieroso. «Possiamo prendere abbastanza tempo per fare uscire tutti?»

«Non ci lasceranno uscire.» Ribattè fredda Marian, cercando di ideare un piano per arrivare al primo piano. «E se arrivano a rinchiuderli dietro le Porte...»

«Andranno tutti nel panico e finiranno per massacrarsi tra loro.» Concluse Hugh, tetro.

«Posso farci arrivare lassù.» Li interruppe Irma, accennando ad una finestra a qualche metro sopra di loro, le grate ancora saldamente ancorate al muro. «Ma ho bisogno di lyrium.»

Fu Kelsey, senza nemmeno esitare, a portare una mano alla bisaccia che aveva alla cintura ed estrarne una boccetta di liquido azzurro. «Riesci a liberarti anche delle grate?»

L'elfa assottigliò lo sguardo, buttando giù tutto il lyrium e attingendo con facilità all'Oblio. «Non saranno un problema.»

La osservarono chinarsi e appoggiare entrambe le mani sull'acciottolato, che sembrò vibrare come uno specchio d'acqua e flettersi, malleabile sotto la guida della maga, spaccandosi e lasciando fuoriuscire il terreno sottostante. Si scostarono rapidamente, lasciandole abbastanza spazio di manovra per creare un enorme viticcio di terra, radici e pietre che si sollevò come un tentacolo di qualche mostro marino di fronte alla finestra, aggrappandosi alle grate di metallo.

Con uno schianto, quelle vennero divelte e scaraventate nell'oscurità dietro di loro, mentre il viticcio si insinuava all'interno e incominciava a pulsare, creando una specie di scalinata.

L'elfa, il volto lucido dal sudore e tremante come una foglia, si concesse un cenno soddisfatto.

Alain la sorresse appena in tempo per evitare che cadesse a terra. «Complimenti.»

Irma annuì, aggrappandosi debolmente a lui. «Mio padre era un dalish, prima di essere catturato dagli schiavisti. Mi ha insegnato un po' della loro magia, ma al Circolo non ho mai potuto usarla.»

«Hai aspettato il momento giusto.» Commentò Marian, prima di iniziare a scalare per prima il viticcio. «Ben fatto.»

Si ritrovarono in una stanza vuota. Tre templari carbonizzati giacevano a terra, la puzza di carne bruciata si mischiava a quella dolciastra e ferrosa del sangue dei cinque maghi uccisi poco più in là. Sentì il flusso magico di Irma interrompersi e il viticcio polverizzarsi nel giro di qualche istante, impedendo ad altri di usare lo stesso accesso. Superarono i resti melmosi e putrescenti di due Abomini nel corridoio, quando vennero fermati da una voce imperiosa.

«Restate dove siete!»

«Evelina, siamo noi!» Rispose Agnes, mandando una scintilla di magia oltre il corridoio, che andò ad illuminare il volto della maga del Ferelden. «La Comandante Marian è con noi.»

Il viso dell'altra si contorse in una smorfia. «Non mi pare che la sua promozione sia stata accolta all'unanimità.»

«Forse dovevate evitare di distruggere la Chiesa.» Disse Fenris, spostandosi istintivamente tra Marian e lei.

«Quindi è vero?» Chiese un ragazzino in vesti da mago alle spalle di Evelina, il quale non doveva avere più di dieci o dodici anni. «È stata colpa nostra, la Comandante ha ragione...»

La maga si chinò ad accarezzargli il capo, guardandolo intensamente negli occhi. «No, la colpa è solo del mago che ha fatto saltare la bomba. Tu non c'entri niente, e nemmeno noi.»

Marian avanzò fino a loro, guardandosi attorno verso il cortile sottostante: oltre a qualche cadavere per terra e piccoli incendi ancora in corso, sembrava deserto. «Com'è la situazione?»

«Orsino e gli incantatori anziani hanno eretto una barriera verso i moli, prima di ritirarsi qui, ma i Templari stanno sbarcando a frotte. Meredith sapeva tutto, o almeno lo sospettava, perché non credo siano tutti di Kirkwall, ha chiamato preventivamente rinforzi dall'esterno.» Evelina li condusse fino all'anticamera della sala del Tormento, dove un nutrito numero di maghi e una manciata di templari avevano eretto delle fortificazioni sfruttando gli enormi battenti di pietra e ferro intrisi di rune risalenti all'epoca Tevinter. Marian sapeva che una delle porte alla loro sinistra conteneva i filatteri, e le porte di quella zona avevano la peculiare caratteristica di necessitare sia di un mago che di un templare per manovrare le barriere che li proteggevano.

«Per ora sembrano reggere, ma non durerà a lungo.» Commentò Thrask. «Se liberano l'ingresso principale, ci schiacciano a tenaglia tra il molo e l'ala Sud.»

«Non permetteremo che accada.» Ribattè Marian, testarda, sistemandosi sulle spalle uno scudo che aveva recuperato dai templari carbonizzati nell'altra stanza.

«E cosa proponete di fare, per fermarli?» Le rispose una voce, mandandole una scarica di disgusto lungo la spina dorsale. «Sentiamo, tenente, qual è il piano?»

Il Primo Incantatore Orsino dava loro le spalle, lo sguardo puntato sul portone di fronte a sè, una decina di maghi e tre templari intenti ad infondere energia alle rune poste tutto attorno al passaggio. Sul pavimento almeno una decina di corpi giacevano immobili, la maggior parte di essi maghi caduti a faccia in giù mentre scappavano verso la sicurezza della sala, colpiti alla schiena.

Marian riconobbe una dei templari accanto all'ingresso, Lynn, che si voltò a salutarla appena. Un colpo al portone li fece barcollare, costringendoli a riportare l'attenzione sul loro compito.

«Non potete stare rinchiusi qui per sempre. Passeranno.» Parlò lei, avvicinandosi all'elfo più anziano. «Dobbiamo affrontarli faccia a faccia, farli ragionare.»

«Ragionare... come possiamo sperare di farlo, con qualcuno che ci condannerebbe a morte dalla nascita?» Scosse il capo, senza mai voltarsi verso di lei. «No, tenente, parlare non ci porterà a nulla. Abbiamo già provato a parlare.»

Uno scossone più forte del precedente segnalò che dall'altra parte si erano probabilmente dotati di un ariete, o qualcosa di simile. Gli enormi cardini di ferro si sollevarono dal muro di almeno un dito, ormai allo stremo.

«Preferite abbandonare la speranza e lasciare che ci uccidano tutti, come bestie al macello?» Gli chiese Marian, perdendo la pazienza. «Dobbiamo combattere e raggiungere Meredith!»

Restò basita quando gli sentì sfuggirgli una piccola risata di scherno. «“Ci”, tenente?» Si girò finalmente a guardarla e Marian si ritrasse un poco, il suo istinto da templare che le mandò una scarica di adrenalina per tutto il corpo. «Meredith si aspetta che noi maghi ricorriamo alla magia del sangue, per combatterla.» Un angolo della bocca dell'elfo si sollevò impercettibilmente, come a schernire la Comandante. «Per quanto ne parla, non credo che la Comandante sappia esattamente a cosa andrà incontro.»

Una spiacevole sensazione si strinse attorno alle sue budella come un intrico di rovi. «Voi invece sapete esattamente fin dove può spingersi la magia del sangue, non è vero?» Gli chiese, la voce appena un sussurro, i pugni serrati nonostante i guanti corazzati dell'armatura.

Negli occhi dell'altro passò un lampo di sorpresa, ma il mago fu rapido a celarlo.

«Non fatelo.» Sibilò Marian, la mano che scivolava verso l'impugnatura della spada. «Hanno bisogno di voi. Siete il loro punto di riferimento.»

«È per questo che non mi hai denunciato a Meredith, Tenente?» Le chiese Orsino, piegando un poco il capo da un lato, gli occhi che riflettevano sinistri la luce rossastra delle torce attorno a loro.

Marian ignorò un nuovo scossone, qualcuno dei maghi e templari che tenevano il portone doveva essere caduto a terra, un paio dei cardini saltati via. «Se avessi rivelato delle vostre lettere a Quentin, Meredith avrebbe chiesto l'Annullamento seduta stante.»

«E così hai preferito proteggere il complice dell'assassino che ha ucciso tua madre, per evitare che Meredith se la prendesse con tutti gli altri...» sospirò sommessamente, fissandola per qualche lungo istante. «Saresti stata un giusto Comandante, Marian Hawke, devo ammetterlo. Ma è tardi per le buone intenzioni, e ciò che ha scoperto Quentin con i suoi esperimenti non può essere sprecato.»

Marian estrasse la spada in un gesto fulmineo, ma non fu abbastanza veloce. L'aura antimagia che aveva evocato sull'arma si attivò troppo tardi, quando ormai l'elfo si era già reciso l'avambraccio con un coltello nascosto tra le pieghe della veste.

Dovette mollare la presa sull'elsa, diventata incandescente, mentre dalla bocca spalancata del Primo Incantatore si levava un urlo bestiale, uno strillo acuto in grado di far tremare il terreno stesso.

Nello stesso istante in cui avvertì le ossa dell'elfo contrarsi e spezzarsi, e la temperatura attorno a lei precipitare di colpo, il portone di fronte a loro cedette con uno schianto, sbalzando indietro i corpi dei templari e dei maghi che avevano cercato di tenere fuori gli assalitori.

Incespicò all'indietro, gli occhi sgranati dall'orrore mentre un vortice di energia magica attraeva i cadaveri verso la figura ormai deforme del Primo Incantatore, trasformandola in un ammasso di resti umani e artigli ricurvi, urla strazianti che uscivano dalla bocca spalancata irta di denti.

Un manipolo di templari irruppe nella stanza e la testa della creatura ruotò di 180 gradi verso di loro, fissandoli con i suoi occhi ciechi prima di buttarsi a terra sui molteplici arti e schizzare a tutta velocità in direzione del varco.

Ne travolse una mezza dozzina ancora prima che essi potessero elaborare una strategia.

Marian corse a recuperare la propria spada lunga, sbraitando un ordine ai suoi di serrare i ranghi. Fenris le fu subito accanto, seguito a ruota da Aveline, Hugh e Thrask. Evelina stringeva il bastone magico davanti a sé, gli occhi puntati sulla creatura che stava nel frattempo facendo a pezzi qualsiasi cosa avesse davanti, compreso un mago che si era rialzato barcollante dopo essere stato sbalzato via dall'impatto del portone: lo sollevò di peso per una gamba, usandolo come arma per schiantarlo con forza sovrumana contro due templari in una fontana di sangue.

«Circondiamolo e impediamogli di uscire!» Urlò Marian, cercando di capire quali fossero i punti deboli di quel mostro.

Si sentì afferrare una spalla. «Possiamo sfruttare il diversivo e scappare.» Propose Evelina, indicando i maghi dietro di loro.

Marian serrò la mascella, le urla dei templari che venivano massacrati coperte dagli schiocchi del metallo che si spezzava e dal ringhiare dell'Abominio. Incrociò lo sguardo di Hugh, leggendovi orrore e incertezza. Scosse il capo, un nodo alla gola. «Sono nostri colleghi.» Sollevò lo scudo davanti a sé, lo sguardo puntato verso la moltitudine di arti della creatura che sembrava continuare ad assorbire i corpi dei caduti. «Noi abbatteremo quella cosa e raggiungeremo Meredith. Evelina, guida i maghi fuori da qui.»

La maga sembrò voler ribattere per un istante ma poi si limitò ad annuire, facendo segno ai suoi di raggiungerla e innalzando una barriera magica attorno al gruppo con l'aiuto di altri maghi. Marian vide Alain lanciare uno sguardo tormentato verso di loro.

«Mirate agli arti inferiori.» Ordinò la templare ai colleghi, mentre avanzavano con gli scudi sollevati verso il mostro. «Ha un corpo pesante, facciamolo cadere e colpiamolo tutti insieme.»

Quando si affiancarono ai colleghi dello schieramento opposto, quelli non parvero nemmeno farci caso. Dei pochi templari ancora in piedi, nemmeno una decina sembravano ancora in grado di combattere: una di essi urlò lo stesso ordine ai suoi uomini e tutti i templari si mossero all'unisono, dividendosi in due file. La prima fila sollevò gli scudi illuminati di una luce chiara e pura, incassando i colpi dell'Abominio e permettendo ai colleghi di ferire e recidere le carni del mostro, che dopo qualche lungo istante cadde finalmente da un lato, scoprendo il fianco.

I maghi, che avevano aspettato fino a quel momento l'occasione per defilarsi, schizzarono di corsa oltre il passaggio.

L'Abominio cercò di risollevarsi, ma una potente aura antimagia gli rallentò i movimenti quanto bastò ai templari per aprirgli profondi squarci dal lato scoperto e mozzargli altri arti deformi. La testa della creatura schizzò in avanti, afferrando un templare per il braccio e strappandoglielo senza difficoltà, mentre il mostro con un colpo di reni rotolava su un fianco, rischiando di schiacciare i guerrieri troppo vicini ad esso.

Una pioggia di scintille accese la sala e la creatura urlò di dolore, mentre l'aria si riempiva di una forte puzza di carne bruciata.

Alcuni maghi che avevano appena attraversato il varco sollevarono di nuovo i bastoni, schiantandoli a terra e colpendo di nuovo la creatura, bloccandola tra strilli di dolore in una pioggia di scintille e scoppi dando modo ai templari di rimettersi in piedi, attaccando in un ultimo assalto.

Quando finalmente l'Abominio che era stato Orsino smise di urlare, l'enorme corpo ridotto a brandelli putrescenti sparsi tutt'attorno, i due gruppi di templari si scambiarono un'occhiata guardinga.

Marian notò tre dei loro voltarsi in direzione dei maghi, che non avevano riabbassato i bastoni magici. «Abbiamo collaborato. Non c'è bisogno di combattere tra noi.»

Fu Ser Agatha a rispondere, una dei templari con più esperienza della Forca e, fino a quel momento, fedele a Meredith. Abbassò lo sguardo sulla creatura di fronte a loro, che ancora si contorceva debolmente. «È una follia.»

«È una follia, sì, ma possiamo porvi fine.» Insistette Thrask, abbassando la spada. «Meredith va fermata, Agatha, non dirmi che pensi che tutto questo sia solo colpa dei maghi.»

La donna si guardò attorno, posando lo sguardo dai pochi dei suoi uomini ancora in piedi ai maghi dietro di loro, fissando infine Thrask e Marian. Sospirò sconfitta, scuotendo il capo. «Non sono diventata una templare per massacrare innocenti e le loro famiglie, no. Dov'è il Primo Incantatore?»

Un silenzio teso calò sulla sala, mentre qualcosa di simile ad una larva, viscida e deforme, strisciava fuori dalle fauci aperte della creatura, cercando di schizzare verso l'uscita.

Uno scoppio di luce e venne inchiodata al suolo con uno squittio acuto, tacendo per sempre.

Fenris, i tatuaggi ancora accesi, fece forza sull'elsa dello spadone per sfilarlo dal terreno, dando un calcio al cadavere del mostriciattolo. «Ce l'avete di fronte.»

Ser Agatha si lasciò sfuggire un'imprecazione colorita, voltandosi poi verso i suoi. «Abbassate le armi, non saremmo vivi senza di loro.»

«Ma Caporale-» Provò a ribattere uno di loro, il volto terreo e sporco di sangue dalla testa ai piedi.

«Abbassa quella spada, è un ordine.» Tagliò corto la donna. «Tenente Hawke. Siamo ai vostri ordini, se vorrete cercare di convincere i nostri colleghi. Ma non spargeremo sangue templare.»

Marian annuì. «È quello che ho sempre voluto evitare anche io, Caporale.»

«La Comandante è nel Cortile. Ha dato ordine di uccidere a vista ogni mago, ma di catturarvi viva.»

«Portatemi da lei, allora.» Rispose, rinfoderando la spada.



 

La maggior parte dei maghi si separò da loro per defilarsi più al sicuro ma alcuni, tra i quali Alain, Irma ed Evelina, rimasero con loro.

Arrivati nel cortile della Forca, si trovarono davanti tre file serrate di templari, almeno una quarantina di elementi, gli scudi sollevati e le armi in pugno. Dietro di essi, i cancelli della Forca erano crollati, il passaggio parzialmente ostruito.

«Hawke.»

Meredith si stagliava di fronte a loro, Cullen al suo fianco. Mettin e Harper, altri due dei fedelissimi e più spietati tra gli uomini della Comandante, sfoggiavano un ghigno divertito sul volto.

«Meredith.» Rispose Marian, facendo segno agli altri di fermarsi.

Ser Agatha sembrò esitare un attimo in più, ma ordinò ai suoi di eseguire l'ordine.

La Comandante li fissò intensamente e nei suoi occhi chiari sembrò guizzare una scintilla scarlatta. «E così, Hawke e i suoi maghi del sangue sono riusciti a corrompere anche le vostre menti, Agatha?» Chiese.

«La tenente ha dimostrato di non essere nemica dell'Ordine, Comandante.» Rispose l'altra, sollevando il mento e sostenendo quello sguardo.

«Sciocchezze.» Sibilò Meredith, voltandosi verso il suo Capitano. «Uccidete anche loro, ormai non possiamo più salvarli.»

Cullen deglutì vistosamente, lo sguardo che scivolava sulla ventina di templari del fronte opposto. Marian poteva quasi vedere i calcoli numerici che l'altro stava facendo. «Non erano questi gli ordini, Comandante... non dovevamo limitarci ad arrestare Hawke?»

«Gli ordini sono cambiati, Cullen, e tu vi obbedirai.» Lo redarguì aspramente Meredith, il viso che si piegava in una smorfia irata.

«Proprio come un bravo cagnolino, eh, Culo?» Li raggiunse una voce alle spalle dei templari schierati. «Ammazzaci tutti e riceverai un biscotto.»

Dalle macerie di ciò che restava della cancellata, emersero diverse figure in armatura, più o meno malconce. Alla loro testa, affiancato da Ruvena che reggeva Andrew per un braccio, spiccava Macsen Trevelyan, un sorrisetto di scherno sul volto sporco. Dietro di lui, Marian riconobbe Varric, Merrill e, con una fitta di sollievo, Isabela, che le sorrise complice.

Trevelyan sollevò il braccio in segno di saluto. «Scusate il ritardo, Comandante, ma abbiamo incontrato un po' di resistenza prima ancora di arrivare alla Forca. Qualcuno ci aveva lasciato un piccolo comitato di benvenuto.» Lanciò davanti a sé un oggetto, che rotolò verso di loro.

Le tre file di templari si aprirono in due ali, mentre un mormorio di ribrezzo si sollevava alla vista della testa mozzata del Caporale Paxley.

Cullen portò la mano alla spada, estraendola e restando con l'arma a mezz'aria, incerto se puntarla contro Marian e i suoi o verso i nuovi arrivati. «Comandante, forse dovremmo-»

«Uccideteli tutti, Capitano, è un ordine!» Sbraitò quella.

Trevelyan sogghignò ulteriormente, lo sguardo quasi famelico puntato su Cullen. «Sicuri? Siete in netto svantaggio.»

Marian vide il Capitano contorcersi in una smorfia, come se avesse appena morso un limone. «Comandante, non possiamo ucciderli. Non abbiamo prove che siano sotto il controllo dei maghi del sangue, e in ogni caso sono dei nostri...»

A quel punto, fu Marian ad interromperlo, sguainando la propria arma e avanzando verso di loro. «Da quando ti interessano le prove, Cullen?» Domandò fredda. «Arrendetevi e verrete risparmiati.»

L'altro indietreggiò di un passo, lo sguardo che vagava frenetico da Marian alla sua Comandante.

Meredith perse la pazienza. Estrasse il suo spadone a due mani e Marian avvertì una fitta di nausea toglierle quasi il fiato quando esso si illuminò di rosso scarlatto, venature di quello che era inequivocabilmente lyrium che spiccavano tutto attorno all'elsa e alla lama. «Levati di torno, allora! Sarò io ad ucciderla, non mi serve l'aiuto di nessun altro.»

Cullen si spostò impercettibilmente verso Marian, puntando infine la spada contro Meredith. «No, Comandante. Non posso farlo.» Lanciò uno sguardo carico di apprensione verso la tenente. «Hawke forse ha ragione.»

«Finalmente ci sei arrivato.» Commentò lei, piatta.

Meredith sgranò gli occhi, le labbra che si piegavano in un sorriso folle mentre ruotava un poco la spada, il lyrium innaturalmente rosso che pulsava come se fosse vivo. «Non tollererò altre insubordinazioni. Io sola sono la spada del Creatore, colei che proteggerà questa città.» Fece scivolare lo sguardo sulla lama, come ipnotizzata. «Il nano non sapeva nemmeno cosa stava vendendo, quell'imbecille, ma non importa... siete tutti deboli, avete permesso ai maghi del sangue di controllarvi. Devo uccidervi, per salvare questa città. Solo io posso fermarvi.»

«Comandante, vi sollevo dal vostro-» Cercò di dire Cullen, ma Meredith sollevò la spada per poi rotearla davanti a sé, e un'aura scarlatta si propagò tutto attorno, sbalzandolo via come una bambola di pezza.

Marian avvertì un senso di vertigini come non aveva mai provato prima, e sarebbe caduta se non fosse stato per una barriera eretta appena in tempo attorno a lei.

Riconobbe il tocco magico di Alain e strinse la spada tra le mani, piombando addosso a Meredith.

L'altra parò senza alcuno sforzo, assestandole una serie di colpi tremendamente potenti che riuscirono a sbalzarla indietro, l'armatura ammaccata pesantemente sul fianco da un solo colpo di quell'arma incredibile.

Cullen, il quale si stava rialzando, sbraitava ordini ai suoi, che ora sembravano incerti sul da farsi. Il caos creato permise a Meredith di allontanarsi abbastanza, falciando almeno una mezza dozzina dei suoi stessi uomini per arrivare fino al piedistallo di bronzo che reggeva la torcia alla base della scalinata di accesso alla Forca.

Marian le corse dietro, ma non fece in tempo a fermarla.

Una seconda ondata di malessere la colpì di nuovo, rallentandola quel che bastava: restò impotente a guardare la Comandante spazzare via la torcia e incastrare la spada sul piedistallo vuoto. Una fitta ragnatela scarlatta fece tremare la terra, spaccando i ciottoli del Cortile e diramandosi fino alle due enormi statue di origine tevinter a guardia dell'ingresso della Forca.

Con un moto di orrore, le vide accendersi e stringere la presa attorno alle gigantesche armi che tenevano in mano, sollevandosi in piedi con un terribile cigolio metallico, le fessure degli occhi illuminate come torce vive.

I templari più vicini sollevarono i loro scudi, terrorizzati.

Una delle statue, armata di lancia, ne spazzò via una manciata come fossero fuscelli mentre l'altra, armata di spadone, calò un fendente così forte da spappolarne due nelle loro armature, creando una conca nel terreno.

Quella con la lancia si diresse di corsa verso il gruppetto di Trevelyan e Isabela, travolgendo chiunque non fosse abbastanza rapido da spostarsi.

Un pugno granitico vi si schiantò addosso, rallentandone la corsa e spezzando la lancia poco sopra l'impugnatura, accorciandone la gittata dei colpi e permettendo al gruppo di accerchiarla.

Marian dovette staccare gli occhi dagli amici e riportare la sua attenzione alla seconda statua, che invece avanzava dritta verso di lei.

Aveline e Cullen alzarono i loro scudi all'unisono e Ser Agatha la spostò appena in tempo per evitare che venisse abbattuta con un solo colpo.

Un'aura protettiva li avvolse tutti, mentre l'aria attorno a loro si riempiva di scintille e una tempesta di fiamme e fulmini si scatenava sull'immenso ammasso di metallo.

Le giunture esplosero in una serie di schianti, facendo crollare la statua in ginocchio. Tuttavia, la mano della spada era ancora salda e riuscì a falciare via alcuni degli assalitori.

Marian schivò di lato, cercando di raggiungere Meredith e abbandonando i compagni, seguita a ruota da Aveline. L'armatura ammaccata le rendeva difficile respirare ma richiamò a sé ogni briciolo di energia rimasta, la gola riarsa e il cuore che batteva a mille.

Meredith parò il suo colpo, indietreggiando dal piedistallo e scagliandosi contro di lei quasi ringhiando. Qualcosa alla sua destra la colpì di striscio e Marian si rese conto che anche le statue più piccole, quelle che rappresentavano gli schiavi incatenati e reggevano i portici del Cortile, avevano preso vita.

Parò con lo scudo il secondo colpo, schivandone un altro e concentrandosi sulla propria lama, cercando di rafforzare il Velo a brandelli tutto attorno mentre caricava un fendente, colpendo la statua di lato e tranciandole via un braccio. Una seconda lama la decapitò di netto, gli occhi rossi che si spegnevano mentre la testa rotolava lontano.

Samson le rivolse un cenno d'intesa, caricando un'altra delle statue più piccole e andando ad affiancare Cullen e Agatha, lasciandole via libera verso Meredith.

Con Aveline al fianco, Marian affrontò nuovamente la Comandante.

Si scambiarono una serie di colpi serrati e Marian era certa di aver ferito l'avversaria almeno un paio di volte, ma quella non sembrava dare segni di affaticamento. Gli occhi della Comandante erano spalancati, le pupille dilatate e la sclera completamente rossa, il volto solcato da venature simili ai tatuaggi di Fenris ma pulsanti, la carne tutto attorno come bruciata.

Lo scudo di Aveline parò l'ennesimo colpo, andando definitivamente in frantumi. Marian si spostò davanti all'amica, evitandole un colpo alla testa deviandolo con la propria lama, tenendola a due mani, anche il suo scudo ormai inutilizzabile. La Comandante caricò un montante e Marian strinse disperatamente la propria arma accusando il colpo con un sussulto, le braccia che tremavano così dolorosamente dal faticare a sollevarle, mentre l'altra preparava un fendente.

Un coltello si conficcò all'altezza dell'ascella della comandante, lo spallaccio dell'armatura che si era spostato abbastanza da lasciare scoperta la zona.

«Marian!» Urlò Isabela lanciando anche l'altro coltello, che però si infranse sulla spessa gorgiera, rimbalzando via innocuo.

Meredith ringhiò qualcosa di ormai incomprensibile, sputando ingiurie e cercando di risollevare lo spadone con entrambe le braccia, ma quello ferito non sembrava in grado di muoversi.

Marian ne approfittò per caricare un montante, recidendole le giunture del gomito del braccio già ferito in modo che non potesse più manovrare l'arma a due mani.

Meredith, per tutta risposta, le affibbiò un calcio in pieno petto, scaraventandola indietro sui gradini e mozzandole il respiro per l'impatto.

La visuale annebbiata, Marian annaspò alla ricerca della spada, scivolata troppo lontano. La Comandante avanzò verso di lei ma incespicò con un'imprecazione, una freccia che spuntava sopra la coscia in uno spazio scoperto dall'armatura di appena un paio di centimetri, rallentando la donna abbastanza perché Marian riuscisse a rotolare su un fianco e trovare la spada, stringendo spasmodicamente la presa sull'elsa.

Si rimise in piedi barcollando, accerchiando la Comandante con l'aiuto di Aveline e Thrask, che era corso nella loro direzione.

Meredith ormai farneticava, ansimando come un mantice e spostando lo sguardo dall'uno all'altro come una bestia in trappola.

Si scagliò contro Marian sollevando inspiegabilmente lo spadone con una mano sola, che sembrava ormai essersi fusa all'elsa in un intrico di vene scarlatte, ma venne intercettata da Aveline e ricacciata indietro dagli altri due. La spada si schiantò contro quella di Marian, che riuscì a spostare il peso e sbilanciare l'altra di lato, dando l'opportunità a Thrask di ferirla.

Il templare più anziano, dopo aver reciso le fibbie che reggevano la falda anteriore dell'armatura della Comandante, si tirò un poco indietro. Dal nulla, una delle statue più piccole gli piombò addosso, afferrandogli il mento da dietro e tirandogli la testa verso l'alto. Con uno schiocco orrendo, lo decapitò senza sforzo, cadendo poi tra loro a quattro zampe e fiondandosi addosso a Marian, che gli assestò un calcio sul muso con quanta forza le rimaneva. Un pugno granitico inchiodò la statua al suolo, distruggendola in mille pezzi.

Marian non si reggeva quasi più in piedi.

Ogni respiro era una tortura, sentiva le braccia intorpidite e i movimenti lenti, le gambe rigide come dei pezzi di marmo.

Si portò nuovamente a tiro di Meredith, sputando un grumo di sangue e saliva a terra, la gola che bruciava e la vista accesa da una miriade di scintille chiare mentre richiamava la poca energia che le rimaneva.

La lama della sua spada si illuminò di nuovo.

Caricò la Comandante mentre Aveline respingeva l'ennesima statua, usando tutto il suo peso per recidere la cotta di maglia ora scoperta. Ritirò la spada in un fiotto di sangue, barcollando all'indietro, pregando il Creatore perché bastasse.

Attorno a loro, urla, schianti metallici, una delle enormi statue era caduta ma l'altra mieteva ancora vittime.

Meredith incespicò fino a cadere in ginocchio, gli occhi ciechi e completamente rossi puntati verso il cielo sopra di loro. «Creatore, aiutami!» Rantolò, sputando una bolla di sangue che le colò sul mento, stringendo spasmodicamente la spada col braccio sano.

L'arma sembrò vibrare, accendendosi di luce accecante, e Marian dovette strizzare gli occhi per non restarne abbagliata, una fitta alla testa talmente forte da causarle uno spasmo in tutto il corpo. Le sfuggì la spada di mano, ma a quel punto non importava, non avrebbe avuto in ogni caso la forza di sollevarla di nuovo.

Le vene del lyrium rosso attorno alla spada e per tutto il corpo esposto della Comandante pulsavano freneticamente, la carne che fumava mentre la donna ringhiava stringendo i denti, il sangue che colava copioso da ogni orifizio del capo, l'armatura e il drappeggio con le effigi dell'Ordine ormai pregne di sangue e budella dove Marian l'aveva colpita.

Poi, la spada della Comandante esplose e la lama si spaccò a metà per il lungo seguendo la venatura centrale di lyrium rosso, costringendo la donna a lasciarla andare in un urlo disarticolato. Un'aura scarlatta la avvolse per intero, il sangue denso che ribolliva e fumava mentre la carne stessa si tramutava in tizzoni ardenti, brillando al punto che Marian dovette serrare le palpebre.

Quando riaprì gli occhi, della Comandante Meredith Stannard non rimaneva che un orrendo simulacro carbonizzato e contorto in uno spasmo rivolto al cielo, l'armatura ormai fusa col resto, vene di lyrium rosso che dagli occhi ne percorrevano l'intera superficie pulsando debolmente, ancora attive.

Marian si lasciò sfuggire un debole sospiro, incapace quasi di provare sollievo.

Il cortile della Forca era disseminato di corpi e parti di statue, ora finalmente immobili.

Riuscì a stento a tenere a bada lo stomaco quando si soffermò per un attimo sul cadavere di Thrask, la testa persa chissà dove, camminando in direzione di Aveline e Isabela, entrambe ferite ma ancora in piedi. Si scambiarono qualche cenno stanco, chinando appena il capo.

«Comandante!»

Si voltò lentamente, stringendo i denti e serrando il pugno della mano che ancora riusciva a muovere, imponendosi di non lasciar trapelare niente del baratro che rischiava di inghiottirla.

Trevelyan, l'armatura contusa e graffiata e il fiato corto, le rivolse un saluto militare. «Cosa ne facciamo dei dissidenti?» Gli occhi gli brillavano ancora per l'adrenalina, il sorriso feroce che si allargò ulteriormente quando posò lo sguardo su Cullen.

Marian osservò ciò che restava dell'Ordine Templare di Kirkwall. Due dozzine di uomini e donne erano ancora in piedi, parecchi giacevano feriti più o meno gravemente e a terra stimò esserci un paio di decine di cadaveri, forse di più. Deglutì, concedendosi un sospiro e sforzandosi di mantenere un tono di voce fermo. «Siamo tutti dalla stessa parte. Siamo coloro che mantengono la pace, campioni dei giusti.» Parlò alzando la voce affinché tutti potessero sentirla, citando il loro giuramento, la gola riarsa. «Meredith Stannard era folle, e ha trascinato con sé molti di noi. I colpevoli verranno sottoposti ad un giusto processo, ma non spetta a me decidere delle loro sorti, non ne ho il diritto.» Vide con sollievo l'Artiglio dell'Usignolo, l'arco con il quale aveva scoccato la freccia che aveva rallentato l'ex Comandante ancora stretto in pugno. «La Divina Justinia e i suoi agenti avranno il nostro completo supporto e collaborazione nelle loro indagini, ma vi assicuro che farò quanto in mio potere per evitare che altro sangue innocente venga sparso, siano maghi, templari o civili a rischiare la propria vita.» Lanciò un'occhiata di sfida all'elfa, la quale con la mano libera stava reggendo la maschera ormai sbeccata.

L'Artiglio chinò il capo con un cenno d'assenso.

«Abbiamo seguito gli ordini della nostra Comandante, dovremmo essere processati per questo?» Si levò una voce, e Marian dovette mordersi la lingua per non invocare il Creatore in modo blasmefo quando riconobbe la testa bionda di Cullen avanzare tra un piccolo gruppo di templari con ancora le armi in pugno. «Meredith era stata corrotta da quella cosa rossa, forse, ma fino a che i maghi non le hanno dato motivo di perdere il controllo ha guidato la Forca mantenendo sicura la città.»

«Forse hai vissuto in una città diversa dalla nostra, Rutherford, ma se c'è una cosa che quella pazza non ha fatto, è rendere questo cesso un posto sicuro.» Ribattè Samson, scoppiandogli a ridere in faccia. «Ma a te faceva comodo tutto quel blu e la libertà di prendertela con chiunque, no?» Sogghignò in direzione dell'intero gruppetto, tra cui spiccavano altri due ferventi sostenitori delle politiche di Meredith e delle idee di Karras e Alrik. «A tutti voi faceva comodo darci qualche calcio in culo per sentirvi grossi.»

«Stai zitto, non sei altro che un mendicante che farebbe di tutto pur di recuperare una dose di lyrium, persino aiutare i maghi a fuggire dalla Forca!» Ribattè sprezzante Cullen, fronteggiandolo e abbassando poi lo sguardo sullo scudo templare che l'altro reggeva in mano, ammaccato e sporco di sangue dopo lo scontro. «Sei una vergogna per l'Ordine, non sei degno nemmeno di toccarlo, quello scudo. Sei colpevole tanto quanto i maghi dei disordini al Circolo.»

Marian, a quel punto, si rese conto di averne avuto abbastanza.

Si diresse a passo tranquillo verso Cullen e Samson, appoggiando una mano sulla spalla di quest'ultimo e impedendogli di rispondere a tono, scostandolo gentilmente e guardando il Capitano dritto negli occhi, fregandosene della decina di centimetri di differenza tra di loro, mantenendo un'espressione calma e la mano ancora serrata a pugno.

Poi, senza dire nemmeno una parola, caricò indietro il braccio.

Il suono del guanto d'arme schiantatosi sul muso dell'altro fu musica per le sue orecchie.

Lo guardò cadere all'indietro con un grugnito di dolore e sorpresa, picchiando forte le natiche sull'acciottolato divelto e portandosi una mano al volto, ritirandola sporca di sangue.

Immediatamente, gli altri che lo attorniavano serrarono i ranghi, ma indietreggiarono di qualche passo, lanciando occhiate spaventate verso il resto dei colleghi che si erano radunati per godersi la scena.

Trevelyan scoppiò a ridere seguito a ruota da Andrew, seduto a terra con una mano premuta sulla coscia intrisa di sangue, e persino Ruvena scosse la testa con disgusto, borbottando qualcosa.

Marian avanzò di un passo, troneggiando sull'uomo a terra e inchiodandolo sul posto con lo sguardo. «Mi sono rotta i coglioni di doverti dare retta, Rutherford.» Parlò, la voce aspra e la gola che le bruciava, ma mai quanto l'astio accumulato in quegli anni che ora sembrava essersi sommato a tutta la merda che era accaduta quel giorno, trovando una sola, precisa valvola di sfogo. «E il Creatore sa che te ne darei volentieri un altro, quindi fatti un favore e resta a terra, ma soprattutto chiudi quella cazzo di bocca.» Scandì quelle ultime parole imprimendovi tutta la rabbia e il disgusto di cui era capace, il pugno ancora chiuso.

Cullen cercava di pulirsi il labbro spaccato, il sangue che gli aveva ora imbrattato anche il colletto sudato e sporco, la manica inzaccherata. Si limitò a serrare i denti, capitolando e abbassando il capo.

Marian quindi si rivolse ai suoi compari, sfidandoli a replicare. «Se qualcuno vuole fare altre osservazioni del cazzo, prego, questo è il momento. Datemi solo un buon motivo per rifarlo.» Nessuno osò fiatare. Soddisfatta, distese faticosamente la dita della mano. «Se nessun altro ha istinti suicidi, possiamo passare al prossimo punto.» Alzò nuovamente la voce, in modo che la sentissero tutti. «Chi ne è in grado, aiuti i feriti. I cadaveri verranno lasciati per il momento lì dove sono, la priorità è mettere in sicurezza la Forca e poi il resto della città. I maghi sono sotto la nostra protezione, chiunque torcerà loro un capello senza un ottimo motivo – e per ottimo motivo intendo l'avere di fronte un fottuto Abominio – verrà passato a fil di spada, perché avete finito di passarla liscia. Quanto ai maghi,» si rivolse quindi alla manciata che erano ancora lì, Alain già chino su Hugh a terra, che respirava a fatica ma sembrava aver ripreso un po' di colore «aiutate chi vi sta aiutando ed evitate fughe inutili, non vi serviranno e anzi, peggioreranno la vostra situazione. In mancanza di un Primo Incantatore, vi rivolgerete ad Alain.»

Il ragazzo alzò lo sguardo di scatto, pronto a ribattere, ma Marian alzò la mano per fermarlo. «Ti sei più e più volte dimostrato fedele al Circolo, Alain, e ho bisogno di persone di cui fidarmi.» Spostò quindi nuovamente lo sguardo verso Cullen, ancora a terra, Trevelyan che sogghignava malevolo in piedi accanto a lui. «Sei sollevato dall'incarico, Rutherford, con l'accusa di essere un maledetto incapace e un gran pezzo di merda.» Annunciò, sputando quasi le parole. «Macsen Trevelyan, siete il nuovo Capitano della Forca. Prendete una manciata dei nostri e scortate lui e gli altri nelle segrete, avranno tutto il tempo di schiarirsi le idee e riflettere sulle stronzate che hanno fatto.»

L'altro allargò ulteriormente il ghigno tronfio, gonfiando il petto e annuendo soddisfatto. «Agli ordini, Comandante Hawke.»

«Voialtri, avete i vostri compiti.» Tagliò corto, dovendo soffocare un colpo di tosse.

Un “sì, Comandante Hawke!” si levò quasi all'unisono. Aspettò qualche lungo istante, abbastanza perché l'attenzione di tutti non fosse focalizzata su di sé, per incurvare le spalle e trovare un posto riparato dove appoggiarsi un secondo e riprendere fiato.

Cercò con mani tremanti di allentarsi l'armatura, litigando inutilmente con le fibbie finché una mano conosciuta si posò sulle sue, aiutandola a far cadere il pettorale a terra.

«Grazie, Bela.» Grugnì, inspirando l'aria tra i denti serrati quando l'amica le sfiorò il fianco contuso, una chiazza viola acceso che si estendeva quanto la sua mano aperta. Le costole le dolevano da impazzire e poteva vedere la pelle leggermente sollevata in punti che la preoccupavano un poco.

«Non dovresti aver bucato niente, altrimenti non ti sarebbe riuscito tutto quel bel discorso.» Scherzò Isabela, riabbassandole la camicia. «Posso chiamare Alain per-»

«No, lascia perdere, hanno altre priorità.» Ribattè Marian, evitando di guardare i tanti, troppi cadaveri a terra e sperando non aumentassero.

«Per una volta potresti lasciare che siano gli altri ad aiutare te.» Commentò Fenris, avvicinandosi a loro. «Aveline è andata dalle sue Guardie, non sappiamo com'è ridotto il resto della città.»

Marian appoggiò il capo sulla pietra dietro di sé, scoprendo che in quel momento non gliene importava un accidente di come stesse il resto del mondo.

Istintivamente, portò la mano al ventre ora coperto solo dalla stoffa inzaccherata di sudore e sangue, mordendosi il labbro fino a farsi male, ritraendola poi di scatto. «Gli altri?»

«Siamo tutti vivi e vegeti, Zuccherino, non preoccuparti.» La sorprese Varric. Merrill, al suo fianco, camminava reggendosi al bastone magico ma, a parte qualche graffio, sembravano essersela cavata bene. «Ottimo lavoro, anche se ci sono modi più puliti per liberarsi dei propri superiori...»

Una fitta di dolore acuto le mozzò la risata nel petto. «Me lo segno, per la prossima volta.» Accettò di buon grado la fiaschetta che le porgeva Isabela, versandosi qualche sorso di rum giù per la gola. «Come siete arrivati fin qui? Pensavo...» “che foste con lui”, stava per dire, ma si fermò a metà della frase. Pensare a Garrett le faceva male, ancora più di quello che le causavano le costole rotte.

«Ero al porto a liberarmi del simpatico pacchetto dall'accento sexy e dalla miccia corta, quando li ho incontrati.» Spiegò Isabela, brevemente. «Abbiamo affidato il principino ad un paio di nani dall'aspetto simpatico e siamo saliti qui di corsa, incontrando il nuovo Capitano e i suoi. Fortunatamente, si erano già liberati del gruppetto di templari che Meredith aveva messo a guardia dell'ingresso.»

«Grazie.»

«Hai fatto la cosa giusta.» Commentò Merrill, sibillina. «Anche noi dovevamo fare la nostra parte.»

Fenris le rivolse un intenso sguardo astioso, ma preferì non ribattere.

«Una cosa è certa, nessuno mi crederà quando scriverò di come sono andate le cose!» Cercò di spezzare la tensione Varric, accennando alla statua di Meredith dall'altro lato dello spiazzo, che riluceva sinistra nel buio.

«Ci saranno parecchie persone interessate a saperlo, Comandante.» Parlò una voce.

Dall'ombra del vicolo accanto a loro, rispuntò l'Artiglio dell'Usignolo. La maschera era stata ormai abbandonata, mostrando il viso pieno di cicatrici di un'elfa dalla pelle color dell'ebano, solcato inoltre da un intrico di ragnatele di origine chiaramente magica. L'Artiglio resse i loro sguardi sorpresi senza battere ciglio, gli occhi quasi completamente bianchi puntati nei suoi. «Alcuni dei colpevoli hanno pagato, altri pagheranno. Uno in particolare dovrà rispondere delle sue azioni.»

Marian deglutì a vuoto. «È scappato.»

«Con vostro fratello, immagino.»

Si morse il labbro, conscia che mentire sarebbe stato inutile di fronte a quella persona. «Non so dove siano andati.» Rispose, scegliendo di celare il resto della storia.

L'elfa sospirò pesantemente, scostandosi una ciocca di capelli candidi dal volto. «Io voglio davvero credere che i maghi possano non essere un problema, ma continuano a darmi prova del contrario.» Sussurrò, la voce appena udibile. «Spero solo che il Campione sappia a cosa sta andando incontro... come se non avessimo già abbastanza problemi con quell'altro.» Spostò lo sguardo al cielo, come cercando qualcosa, restando a scrutare le nuvole pesanti e rossastre sopra di loro. Marian la vide accarezzare distrattamente il manico del coltello che portava alla cintura. «Quanto è accaduto qui si ripercuoterà per tutto il Thedas. Sarebbe da sciocchi farci cogliere impreparati.»

 

 






















Note dell'Autrice: alla fine, tra fiumi di sangue Marian è riuscita a riunire i Templari e riportare un po' di ordine. Orsino ha fatto quello che doveva fare, Meredith era già bella che andata e Cullen FINALMENTE si è beccato quello che meritava. Quando qualcuno gli chiederà come si è fatto quella cicatrice sul labbro, la risposta sarà "sono stato un maledetto incapace e un gran pezzo di merda". Ci sarà chi si assicurerà del fatto che risponda esattamente così, sì. 
Per chi si aspettava un ritorno in grande stile di Garrett e Anders... no, non era il caso. Così come Carver, quali sono le possibilità che, ogni volta che a Kirkwall scoppia un disastro (effettivamente non è una città tranquilla, ma qui si sarebbe esagerato), i Custodi siano proprio lì nei paraggi? Però il resto della banda era presente e ciascuno ha fatto la sua parte.
Ora dovranno solo affrontarne le conseguenze. 

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo. A presto!



Ps. Il titolo di questo capitolo è preso da "The Castle" di Halsey, che dal primo ascolto mi ha sempre fatto pensare a Marian. 

 

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Capitolo 51
*** Epilogo ***


EPILOGO



 

Da qualche parte nelle Montagne di Vimmark, tre mesi dopo

 

Garrett aspettò che il puntino nero in lontananza si avvicinasse abbastanza da riconoscerne la forma, prima di fare un cenno col capo al corvo e spostarsi di lato, liberando abbastanza spazio sulla ripida e stretta cengia che sporgeva appena dalla parete a picco sulla quale si trovava.

«I fuochi di ieri notte erano un piccolo gruppo di cacciatori di pelli, ne ho visti almeno tre ma credo ce ne sia un quarto. Archi e frecce, probabilmente di Markham, ma non mi sono avvicinato abbastanza da essere certo del loro accento.» Spiegò Jowan, rassettandosi il mantello di lana.

Era ormai il mese della fioritura ma a quell'altezza il vento sferzava ancora gelido i picchi montuosi, infischiandosene dei boccioli di embrium e radice elfica che spuntavano ostinati tra le rocce.

«Li hai visti?» Gli chiese Garrett, facendo vagare lo sguardo oltre le cime, verso il mare che si stendeva in lontananza luccicando come un serpente al sole.

«No, probabilmente sono ancora sottoterra.»

Sospirò pesantemente. «Non possiamo aspettare ancora, dobbiamo lasciare i Liberi Confini. Starkhaven non ci metterà molto a radunare quell'esercito, e Ostwick e Markham sono ad appena tre giorni di cammino.»

«Arriveranno, Garrett.»

Si grattò infastidito la barba, lunga e sfatta, scuotendo poi il capo. «Sono in ritardo di quasi una settimana. Domani partiamo all'alba, se proseguiamo lungo le Vimmark dovremmo riuscire ad arrivare almeno fino ad Hercinia, forse addirittura al delta del Minanter, anche se in questa stagione sarà in incubo da attraversare.»

Jowan storse la bocca. «Sarebbe molto più facile se-»

Garrett si ritrovò a serrare il pugno destro con uno spasmo, una scarica di elettricità che gli percorse l'intero braccio fino alla punta delle dita, dolorosamente conficcate nei palmi. La soppresse rabbiosamente, ritraendosi dall'Oblio quanto più poteva. «Niente magia. Ha già causato abbastanza danni. Ce la faremo a piedi, come le persone normali.» Calcò sull'ultima parola, squadrandolo come ad accertarsi che l'altro avesse afferrato la minaccia.

Jowan sospirò. «Non puoi tenerlo così per sempre. Non è una soluzione.»

«Lo è fin quando non ne troviamo una migliore.» Ringhiò in risposta, dandogli le spalle e arrampicandosi verso il costone della montagna.

Arrivò in cima col fiato corto e i muscoli indolenziti, restando per qualche lungo istante a fissare la stretta valle sotto di loro, seguendo poi il profilo della costa verso Ovest, dove, a parecchie miglia da lì e nascosta al suo sguardo, sapeva esserci Kirkwall.

Si sedette con le gambe a penzoloni, tirandosi su il cappuccio orlato di pelo grigio, sperando che Adaar si decidesse a comparire.



 

Il cielo si stava tingendo dei colori aranciati del tramonto quando scorse il piccolo gruppetto alla base del pendio.

Represse un moto di disgusto sentendo il Velo tendersi e contrarsi mentre una larga colonna di ghiaccio si sollevava da terra, trasportando comodamente Adaar e i suoi compagni fino all'imboccatura della grotta dove Garrett e gli altri due avevano trovato riparo.

«Posticino incantevole per cadere di sotto e spezzarsi l'osso del collo.» Commentò Zevran, guardandosi attorno. «Vedi di non perdere l'equilibrio, mastro nano.»

«Nel caso, posso usare le tue orecchie come appiglio.» Ribattè Stök, scendendo cautamente dal basamento di ghiaccio e appiattendosi contro la parete, cercando istintivamente rifugio sotto la pietra arcuata che fungeva da ingresso.

Adaar, dopo aver atteso che tutti si fossero tolti di mezzo, interruppe il flusso magico. Una cascata di pezzi di ghiaccio piombò verso il basso, evaporando ancora prima di toccare il suolo. «Dovresti arrivarci, prima.»

«Così mi ferisci dritto nell'orgoglio, piccoletta.»

La Tal-Vashot non si diede peso a rispondergli, chinando un poco il capo a salutare Garrett. «Abbiamo dovuto fare una deviazione prima di entrare nell'ultima galleria.»

«Siete stati seguiti?» Chiese lui, ansioso.

Le labbra dell'altra si incurvarono impercettibilmente verso l'alto. «Non più.»

«Davvero un peccato che con quelle armature non potessero farsi una bella nuotata, l'acqua era cristallina come uno zaffiro.» Ghignò Zevran appoggiandosi per un attimo sulla spalla di Jowan, che li aveva raggiunti, e sfruttando l'occasione per sussurrargli qualcosa all'orecchio, senza curarsi di nascondersi agli occhi degli altri. «I Templari non sanno proprio godersi la vita.»

«Venivano da Kirkwall?» Chiese Garrett, uno spiacevole nodo alle viscere che ormai lo accompagnava da settimane ovunque andassero.

L'elfo annuì. «Un paio sembravano di Orlais, però. Avranno unito le forze, dato gli scarsi risultati dei loro colleghi. Nessun Cercatore per il momento, ma non resterei qui ad aspettarne uno.»

«Quella che ha interrogato Varric è ancora in città?»

«Gli sta attaccata come una zecca al culo di un mulo, sì.» Rispose Stök con una smorfia. «Ho dovuto chiedere ai miei di distrarla per un'oretta e quasi ci rimettevano le mani, che caratterino focoso...» sogghignò, accarezzando con la lingua uno dei denti d'oro. «In ogni caso, abbiamo negoziato il vostro passaggio fino a Llomerryn, poi da lì dovreste cavarvela. Il capitano Amara ha chiesto metà dei fondi d'emergenza solo per trasportarvi, ma avrete la protezione dell'Armada una volta in mare aperto. E l'intera isola è un gioiellino di vizi e divertimento, non male per farci una vacanza, no?» Sollevò un sopracciglio, accennando alla grotta. «Sicuramente meglio di questa merda gelida.»

Alla parola “vacanza”, Garrett digrignò i denti. «L'importante è che non ci riconoscano.»

«Conciato così? Sei l'emblema di un selvaggio del Ferelden, non preoccuparti.» Lo prese in giro Zevran, scrollando le spalle e oltrepassando l'apertura nella roccia «Jowan, dimmi che avete qualcosa da bere, è stata una lunga giornata.»

Quello gli fece strada, andando verso il piccolo fuoco acceso sul fondo della grotta. Si chinò a recuperare una fiaschetta da uno dei giacigli, lanciandola all'elfo che la prese al volo.

Sentendoli entrare, la figura ammantata che dava loro le spalle si girò appena, gli occhi incavati che guizzarono per un attimo, illuminati dalle fiamme.

Stök si fermò all'ingresso, scoppiando poi a ridere fragorosamente. «Se vedessero in che condizioni si è ridotto il loro mostro, forse ci lascerebbero in pace!» Esclamò in direzione di Anders, muovendo poi la mano per indicare le pesanti manette che bloccavano i polsi del mago. «Bel giocattolino, forse un po' troppo per i miei gusti, ma non voglio giudicare. Dopotutto, un mese in una grotta nel culo dei Confini farebbero impazzire anche una Sorella della Chiesa.»

Garrett provò l'istinto di lanciarlo giù per la montagna e levarselo di torno.

Adaar dovette accorgersene, perché calò la mano sulla spalla del nano, troneggiando sopra di lui. «Non ora.» Si voltò poi verso Anders, esaminando attentamente con lo sguardo le manette, le rune incise sul metallo che brillavano debolmente. «Meglio che tagliargli le mani.» Commentò piatta.

Un brivido gli scese lungo la spina dorsale, al pensiero. «Il fatto che non si sappia controllare non implica che dobbiamo torturarlo.» Rispose, evitando di incrociare lo sguardo dell'altro e andando a recuperare le due lepri già pronte per essere messe sul fuoco, catturate quella mattina.

«Come se non fosse una tortura il fatto che mi parli a stento.» Sentì Anders ribattere con un filo di voce. Garrett strinse lo spiedo, infilzando la bestia con più forza del necessario. «Avresti dovuto lasciare che mi uccidesse.»

La lepre si schiantò violentemente contro la roccia, lo spiedo di legno in frantumi.

Garrett incrociò per un attimo gli occhi color miele dell'altro, trattenendo il fiato mentre una scarica di energia magica lo attraversava per intero, facendogli pizzicare il cuoio capelluto. Espirò dalle narici, furente, la mascella serrata mentre gli dava le spalle e, tirandosi indietro di scatto dall'Oblio, usciva dalla grotta a grandi falcate. Non riusciva a guardarlo. Non senza che lo stomaco gli si rivoltasse come un calzino e gli venisse da vomitare l'anima.

Senza nemmeno pensarci, tornò ad arrampicarsi sulla parete fino a raggiungere la roccia piatta a strapiombo sulla vallata, dove aveva passato il pomeriggio e gran parte di quelle due settimane ad aspettare che qualcun altro riuscisse ad organizzare loro un passaggio per uscire dai Liberi Confini.

Quello era stato il piano, per il momento.

Levarsi di torno, scappare dai Templari sicuramente sulle loro tracce, sparire dalla circolazione e sperare che la Chiesa avesse problemi più grandi che inseguirli in capo al mondo.

“Come se potesse esserci qualcosa di più importante che catturare chi ha fatto saltare in aria una cattedrale...” La mano si chiuse attorno ad un sasso, scagliandolo poi il più lontano possibile giù dal dirupo, osservandolo soddisfatto colpire uno spuntone di roccia e andare in mille pezzi.

Quale fosse il loro futuro una volta arrivati a Llomerryn, al sicuro presso una pirata pagata profumatamente con i profitti di anni di lavoro, era tutta un'altra storia. E a dirla tutta, non era neppure certo se lo meritassero, un futuro. Di certo, sarebbero dovuti scappare di nuovo, non sperava di poter trascorrere più di un paio di mesi, magari quattro o cinque ad essere ottimista, sempre che gli agenti della Divina non pagassero più di lui per farseli consegnare dai pirati o decidessero di toglierli dalla circolazione di propria mano.

Jowan aveva dipinto un chiaro quadretto: se davvero la mano sinistra della Divina, l'Usignolo, e il suo Artiglio li volevano morti, non c'era luogo abbastanza sicuro dove avrebbero potuto nascondersi.

Nemmeno Orzammar, e la lettera di Natia Brosca era stata quantomai diretta nel vietargli di trascinare la città dei nani in una faida con la Chiesa, come se il Carta non avesse già aiutato abbastanza. “La prossima volta, ficcatevi la testa nel culo invece che metterci dentro degli spiriti”, aveva finemente concluso dopo avergli negato asilo ma concesso un lasciapassare per le loro basi, a patto che non ne abusassero e vi trascorressero il tempo strettamente necessario.

L'unica soluzione permanente, ed era chiaro come il sole a tutti, sarebbe stato rifugiarsi nel Tevinter. Jowan aveva abbozzato l'idea tre settimane prima, durante una giornata particolarmente deprimente di pioggia battente che aveva costretto persino Garrett a stare rinchiuso a stretto contatto con loro. In difesa del mago del sangue, nemmeno lui ne sembrava molto entusiasta, ma la risposta di Garrett era stata secca ed era rimasta tale: piuttosto si sarebbe consegnato ai Templari marciando nel mezzo di Val Royeaux con una catena al collo.

Grace non l'aveva presa bene quanto Jowan, urlandogli addosso che non sarebbe mai stato in grado di fare ciò che era necessario e che avrebbe dovuto essere grato ad Anders per aver avuto le palle di colpire la Chiesa dritta al cuore, rovesciando e mandando in frantumi gli equilibri dei Circoli.

Garrett si grattò la cicatrice sulla mascella, poco sotto all'attaccatura dell'orecchio, che ancora pizzicava.

L'aveva attaccata, perdendo ogni traccia del poco controllo rimastogli. La donna aveva reagito, ricorrendo immediatamente alla magia del sangue.

Non fosse stato per Jowan ed Anders, probabilmente si sarebbero massacrati a vicenda, invece Garrett se n'era uscito con qualche taglio e Grace con una grossa bruciatura sulla spalla.

Se n'era andata immediatamente, senza nemmeno aspettare di guarirsi, sparendo nell'oscurità tra maledizioni a lui e a tutti i codardi come loro, probabilmente diretta verso la sua terra promessa.

Anders si era frapposto tra loro, prendendosi una stilettata scarlatta di striscio sulla schiena che per poco non l'aveva tranciato in due. Anche senza la possibilità di lanciare incantesimi, per via delle catene da templare ai polsi che gli impedivano di accedere all'Oblio (e a Giustizia di prendere il controllo), si era comunque gettato nello scontro senza pensare alle conseguenze.

E Garrett, una volta che Grace aveva voltato loro le spalle andandosene di gran carriera, non era riuscito nemmeno a guardarlo in faccia, nonostante il sangue a terra e lo squarcio nella carne dell'altro.

Jowan si era messo all'opera come poteva, la verità era che facevano tutti e due schifo nella magia curativa, ma Garrett non aveva neppure fatto il gesto di avvicinarsi ad Anders, andando a leccarsi le ferite in un angolo come un cane rabbioso.

Di rabbia, in effetti, ne aveva a pacchi.

Rabbia, rimorso e qualcosa al petto che sembrava salirgli in gola a strangolarlo ogni volta che sentiva il Velo assottigliarsi attorno a sé.

Un grugnito di sforzo lo riscosse dai suoi pensieri.

Adaar, i muscoli tesi che guizzavano sulle braccia scoperte, si issò sulla roccia accanto a lui. La ragazza non disse niente, restando a fissare un punto in lontananza.

Quando il silenzio gli diventò insopportabile, Garrett si sforzò di fare conversazione. «Non avrei dovuto sbottare così, mi dispiace.»

«Perché mentire?»

Si voltò a guardarla, confuso. «Che intendi?»

L'altra rimase immobile, scrutando l'orizzonte. «Non sei dispiaciuto per aver lanciato parte della nostra cena in terra, Hawke. E non è nemmeno Anders il problema.» Raccolse un sassolino, rigirandoselo tra le dita, minuscolo nella sua mano. «È con te stesso che sei in guerra.»

Garrett contrasse il viso in una smorfia tornando a guardare davanti a sè. «Sono così facile da leggere?»

«Abbastanza.»

«Avrei dovuto fermarlo. Avrei dovuto insospettirmi, quando pareva che gli andasse bene l'incontro, invece mi sono lasciato abbindolare come un allocco. Se solo non fossi stato un coglione, avrei-»

«Stavi guardando al drago di fronte a te, e non ti sei accorto del serpente ai tuoi piedi.» Parlò Adaar dopo qualche lungo istante, il tono piatto. «Ma non è per questo che sei turbato.» Si voltò finalmente verso di lui, gli occhi viola puntati nei suoi. «Parlerò chiaramente, perché sei degno di rispetto. Se deciderai di ucciderlo, non ti fermerà. Quello è un uomo che vuole morire, Hawke, ma la decisione di accontentarlo o meno spetta a te. Anders ha scelto di uccidere quelle persone, ed era consapevole che innumerevoli altre sarebbero morte in seguito alle sue azioni, ma l'ha giudicato un male necessario. Ed era pronto ad affrontarne le conseguenze, a morire per la sua scelta.» Scosse il capo, stringendo il sassolino tra il medio e il pollice. «Tu in questo momento sei come questa pietra, invece. Schiacciato tra il senso di colpa per aver contribuito a dare inizio alla Resistenza, e quello per non avere fatto abbastanza per prevenire le morti che essa ha causato. Bloccato tra due forze che ti incatenano a terra molto più di quanto quelle manette facciano con Anders.» Strinse ulteriormente la presa e la roccia friabile si polverizzò tra le sue dita. «Devi prendere una decisione, prima di fare la stessa fine: se ritieni che tutto ciò che hai fatto per la Resistenza e per i maghi sia stato un errore, sai come rimediarvi. Uccidilo e consegnati ai Templari, che faranno lo stesso con te. Non ti fermerò, anche se andrebbe contro i nostri interessi, hai diritto a decidere della tua vita come anni fa fu concesso a me.» Recuperò un'altra pietruzza, tenendola delicatamente tra le dita prima di lasciarla fluttuare magicamente in mezzo a loro. «Oppure, scegli di continuare a vivere e liberati delle tue catene.»

Garrett sbuffò forte. «La fai facile.»

Adaar scosse il capo. «Nient'affatto.» Gli offrì i polsi, i palmi delle mani rivolti verso l'alto, mostrando le vecchie cicatrici così profonde che ancora spiccavano sulla pelle. «Impiegai mesi a togliermi di dosso il senso di colpa per aver lasciato il Qun. E ci sono momenti, come la notte dell'esplosione, in cui riesco a capire perché il Qun ricorra a metodi tanto drastici. Eppure, ho scelto di essere libera. Di uccidere, per restarlo e per fare in modo che lo siano anche gli altri. Non credo che sia “giusto” – se davvero vogliamo usare questo termine – anteporre i miei desideri a quelli degli altri, ma sono decisa a farlo in ogni caso, perché credo fermamente in quello che la Resistenza sta cercando di fare.» Chiuse gli occhi per un attimo, abbassando il capo. «Quando scoprii che Geralt era un mago del sangue, la mia prima reazione fu paura. Pura paura, di quella che ti gela le ossa e ti mozza il respiro. Mi disse che era disposto a lordarsi di sangue per ciò in cui credeva, e mi tese la mano.» Chiuse le dita, fissandosi il pugno. «Non la presi, all'inizio. Rimasi a guardarmi le catene ai polsi, fino a che non realizzai la verità: la mia decisione l'avevo già presa nel momento stesso in cui avevo attaccato l'Arvaarad.» Riaprì la mano, e una serie di minuscoli fiocchi di neve presero a danzarle attorno. «Una volta che l'ebbi capito, lasciai le mie catene a terra e afferrai quella mano, anche se sapevo che avrebbe significato sporcarmi di sangue quanto lui.»

«Approvi quello che hanno fatto, quindi?» Le chiese, a bruciapelo. «L'aver attentato alla vita di innocenti, aver scatenato una guerra aperta con la Chiesa trascinandovi dietro tutti i maghi dei Circoli, persino allearsi con i magister per-»

«Non provo alcuna gioia nell'uccidere civili indifesi, no.» Lo interruppe la Tal-Vashot, seria. «Ma sono disposta a farlo, se potrà portare alla distruzione dei Circoli. Non ho esultato per la distruzione della cattedrale, ma non si trattava di innocenti: chi resta in silenzio a guardare mentre vengono commessi dei crimini, è complice dei carnefici. La vostra Chiesa è come il Qun, ferma nelle sue credenze, e l'unico modo per cambiarla è distruggerla dalle fondamenta e costruire qualcos'altro al suo posto. E ciò non potrebbe mai avvenire in maniera pacifica, Geralt lo sapeva, Anders se n'è reso conto. Hanno scelto di fare tutto il necessario, a costo di affogare nel sangue.» Rimase ad osservarlo, e Garrett si sentì trapassare da quello sguardo attento. «Tu, invece, ti ritrovi bloccato e inabile ad agire, in un senso o nell'altro.»

L'uomo deglutì a vuoto. «Dovrei unirmi allo sterminio in nome della libertà, oppure giustiziare Anders e consegnarmi ai Templari, quindi?»

«Una guerra è ormai inevitabile. Se vuoi parteciparvi, devi scegliere da che fronte stare. Il nostro, o il loro. Tua sorella sarà costretta a fare altrettanto, è inevitabile.»

Marian. Cos'avrebbe scelto, lei? Sarebbe stata in grado di mantenere la parola data, di ucciderlo se si fossero mai ritrovati l'uno di fronte all'altra, sullo stesso campo di battaglia?

Si rese conto di non volerlo scoprire.

E la decisione era, in qualche modo, presa.

«Se non volessi combattere?» Chiese con un filo di voce, quasi stesse parlando tra sé e sé. «Sono stanco, Adaar. Stanco di vedere la mia famiglia andare in pezzi, stanco di fare due passi avanti e tre indietro. Non ho mai voluto la guerra, ma ho contribuito a scatenarla, e ora non posso fare niente per fermarla.» Lanciò uno sguardo sotto di loro, verso l'imboccatura della grotta. «Anche se mi consegnassi ai Templari, non cambierebbe nulla. Ormai la stanza è in fiamme, spegnere la candela non farebbe la minima differenza. Per quanto riguarda Anders...» si morse la lingua, socchiudendo le palpebre per un attimo. «Preferirei morire cento volte che vederlo ucciso. Non posso perdonargli tutto quello che mi ha rovesciato addosso a quell'incontro, e nemmeno aver agito alle mie spalle per piazzare quella bomba, ma non è abbastanza da volerlo morto. E sì, forse quello che mi fa incazzare così tanto è proprio questo, che non sono in grado di mettere da parte i miei sentimenti per quello che dovrebbe essere giusto. Dovrebbe pagare, ma non voglio che lo faccia. Allora non riesco a guardarlo negli occhi, perché lui lo sa, mi ha chiesto di ucciderlo e io non l'ho fatto. Gli ho messo al polso delle catene per evitare che possa lanciare incantesimi, quando sono io quello che vorrebbe non essere in grado di usare la magia.» Prese alcuni respiri profondi, rendendosi conto di quanto fosse esausto, sentendosi fragile e sottile, in procinto di sbriciolarsi. «Cosa voglio fare?» Quasi ridacchiò, debolmente. «Voglio prendere l'uomo che amo, stringerlo e dirgli che andrà tutto bene. Voglio trovare un posto tranquillo solo per noi due e scappare da tutto questo. Non è la mia guerra, Adaar, su questo Anders aveva ragione, ma non perché non la capisca, ma perché non sono in grado di sacrificare la mia umanità, quello in cui credo. Posso fare del bene, posso spaccarmi la schiena e prosciugarmi di ogni energia per aiutare un branco di sconosciuti con cui ho poco e niente in comune, anche senza ricevere un singolo grazie, ma non voglio perdere me stesso. Non sono quella persona, non sono Geralt e non sono te. Ho iniziato a lottare per la libertà dei maghi perché volevo aiutare, non uccidere. L'ho fatto per mia sorella Bethany, per mio padre, per tutte quelle famiglie come la mia.» Si alzò in piedi, le gambe intorpidite. «Ormai la Resistenza non può più tornare indietro, ma non sono l'uomo giusto per guidarla. E nemmeno Anders, mi fa male ammetterlo ma non so per quanto ancora resterà sé stesso. Ho finto di non accorgermene per tutti questi anni, ma Giustizia lo sta distruggendo. Cercherò una cura, e se non dovesse esistere, voglio passare il tempo che ci resta insieme, senza dovermi preoccupare di nient'altro.»

«Stai scappando?» Gli chiese semplicemente lei, alzandosi. Non era accusa quella nella sua voce, solo una ricerca di una conferma di qualcosa che era ormai chiaro.

Garrett annuì. «Non sarei di aiuto a nessuno. Anche nel caso decidessimo di aiutare la Resistenza in maniera pacifica, ci siamo disegnati addosso un bersaglio rosso scarlatto che chiunque sotto la Chiesa non vede l'ora di colpire.» Si grattò la cicatrice sotto l'orecchio, le budella non più annodate tra loro, godendosi per un attimo la soddisfazione di aver preso una decisione. «La Resistenza però deve andare avanti, e qualcuno la deve guidare.»

«Jowan-»

«Andiamo, credi davvero che Jowan sia un buon leader?» Le chiese, interrompendola.

La ragazza richiuse la bocca, aggrottando le sopracciglia per poi espirare rumorosamente.

«Serve qualcuno disposto a tutto, ma con abbastanza senno da capire quali misure siano necessarie, e quando. Qualcuno con spirito critico e forza d'animo. Jowan ha sempre seguito Geralt, e da quando si sono lasciati... credeva nella possibilità di risolvere la situazione pacificamente, ci credeva davvero. E ora che ha fallito è l'ombra di sé stesso, un relitto alla deriva.»

«Vanya, allora. Ha esperienza, la conoscono.»

«La conoscono, sì, per essere spietata e un'ottima maga del sangue.» Garrett scosse la testa, abbozzando un sorriso. «Forse non sono nella posizione di dare suggerimenti, ma saresti una buona guida, Adaar. Hai preso in considerazione la proposta della Divina anche se non ti andava a genio, perché sapevi che c'era una, seppur remota, possibilità che ci portasse a fare un passo avanti. E non hai gioito quando la cattedrale è esplosa, come invece ha fatto Grace. Sei disposta a lordarti di sangue, ma non senza un valido motivo, e credo tu sia in grado di giudicare quando lo sia o meno.»

La ragazza abbassò il capo, il viso che solitamente celava così bene le sue emozioni ora profondamente turbato. Seguì una lunga pausa. «Non sono nemmeno una di voi.» Sussurrò appena. «Sono nata nel Qun, non ho mai vissuto in un circolo, fino a sei anni fa non sapevo nemmeno cosa fossero la Chiesa o i Templari. Se non fosse stato per voi...» Lasciò la frase in sospeso.

«Hai un punto di vista diverso da tutti noi, Adaar.» Insistette lui. «E poi, è ora di smettere di guardare cosa ci divide e concentrarci su ciò che ci unisce.»

«Io... ci devo riflettere.»



 

Tornarono alla grotta che era ormai notte fonda.

Stök, intento a fumare la pipa seduto con la schiena contro il muro dell'ingresso, ben al sicuro dallo strapiombo, sollevò il piccolo oggetto di legno verso di loro, con l'aria di chi la sapeva lunga. Adaar si sedette accanto a lui, tirando le ginocchia al petto e prendendo una boccata dalla sua pipa, accomiatandosi dal mago con un cenno pensieroso. La misera cena era ormai fredda e Garrett riuscì a mandarne giù a stento un paio di bocconi prima di decidere che non ne valeva la pena.

Jowan e Zevran erano stesi nei rispettivi giacigli accanto al fuoco, il primo russava sommessamente mentre l'elfo dormiva con un'espressione beata in volto.

Individuò Anders nel suo solito angolo, lontano dalla luce, verso il fondo della grotta.

Garrett sospirò debolmente, prendendo la propria coperta e buttandosela su una spalla, andando verso di lui. Gli si inginocchiò accanto, sfiorandogli la spalla con le dita.

«Ti amo.»

Dopo un lungo istante, sentì la mano del compagno stringersi sulla sua, le catene delle manette ai polsi che tintinnavano nel silenzio.

«Non posso perdonarti, ma ti amo.» Proseguì abbassandosi a baciargli la nuca, stringendolo debolmente a sé.

«Mi dispiace.» Lo sentì rispondere. «Lo so che non cambia niente, ma mi dispiace averti trascinato in tutto questo.» Anders si voltò finalmente verso di lui, gli occhi lucidi. «Non avrei dovuto dirti quelle cose, è stato ingiusto da parte mia. Ti ho ferito, e non lo meritavi.»

Garrett si limitò ad annuire stendendosi accanto a lui, le mani ancora intrecciate. «Non ho intenzione di combattere, Anders, ma vorrei che restassimo insieme.»

«Sei sicuro? Potrei non essere nemmeno più io, tra poco.»

Lo sentì sussultare quando gli liberò i polsi, le manette che cadevano a terra con un tonfo metallico. «Troveremo un modo.» Lo avvicinò a sé, contro il suo petto. «E nel caso non esistesse, non ti lascerò fino alla fine.»

«Potrei perdere il controllo. Ferire qualcuno. E se qualcuno ci trovasse-»

«Non chiedermi di ucciderti. Non posso farlo. Ti fermerò in tempo, te lo prometto.» Si sporse a baciarlo sulle labbra, stringendo la sua figura magra e spigolosa tra le braccia, sentendo i loro respiri fondersi l'uno all'altro. «Non riusciranno a trovarci, spariremo nel nulla.»

«E i maghi, la Resistenza?»

«Se la caveranno. Per una volta, una sola volta, voglio pensare a noi.»








Kirkwall, una settimana più tardi

 

«Comandante?»

Marian sollevò la testa dalla pila di carte davanti a sé, che ricopriva quasi interamente la larga scrivania di legno scuro davanti alla finestra. Si era trasferita da sole tre settimane nell'ufficio che era stato di Meredith, dopo che quell'ala della Forca era stata resa nuovamente agibile. In parecchi corridoi e sale degli edifici erano ancora presenti cumuli di macerie e aloni di sangue secco, la pietra e le tappezzerie troppo impregnati per essere ripuliti facilmente, e un'intera ala era ancora chiusa al passaggio. I pochi maghi rimasti erano stati spostati nelle sale che solitamente venivano usate per l'insegnamento, dato che i loro alloggi erano inagibili, mentre la maggior parte dei templari si era stipata in uno solo dei tre dormitori, mentre gli altri due erano stati adibiti ad infermeria. Marian stessa dormiva praticamente in ufficio. Trevelyan aveva provato a ribattere dicendole che non era dignitoso che la Comandante della Forca dormisse su una branda di fortuna nel piccolo salottino adiacente all'ufficio da dove dirigeva i suoi uomini, ma la donna era stata irremovibile: finché anche l'ultimo occupante del Circolo non si fosse sistemato comodamente, lei avrebbe condiviso le scomodità dei suoi colleghi.

Fu proprio il Capitano Macsen Trevelyan a varcare la soglia dell'ufficio, seguito dalla Cercatrice che, da ormai un mese, non faceva altro che tartassare chiunque di domande inquisitorie, la disapprovazione fatta persona in ogni singolo gesto ed espressione.

«Capitano, Lady Pentaghast.» Li salutò cortesemente, richiudendo un pesante registro e riponendo la penna d'oca nel calamaio. «C'è altro di cui volete discutere, Cercatrice?»

La donna, un pezzo di marmo dall'espressione truce e una vistosa cicatrice sulla guancia, aggrottò ulteriormente le sopracciglia. «Ci è arrivata voce di un'altra pattuglia sparita sulle Vimmark, Comandante. Senza dubbio opera della Resistenza, o dei Risolutori.»

Marian, che era già stata informata a riguardo, non si diede pena di sembrare sorpresa. «Molto probabile. Non c'è molto che possiamo fare, tuttavia, come ho già spiegato non posso privarmi di più di una dozzina dei miei uomini, per come stanno le cose alla Forca. I feriti non si sono ancora ripresi completamente, e i maghi-»

«I maghi sono talmente pochi che basterebbero una manciata di templari a tenerli qui, Comandante, non prendiamoci in giro.» La interruppe Cassandra Pentaghast. «Tethras continua a sostenere di non avere idea di dove possano essere scomparsi il Campione e Anders, ma è la terza pattuglia che perdiamo sulle Vimmark, mi sembra ovvio che il nano ci stia mentendo.»

Marian non fece una piega. «Allora fatevi mandare altri rinforzi da Val Royeaux, Cercatrice, io non ho intenzione di mandare nessun altro dei miei uomini a morire inutilmente.»

Le labbra dell'altra si assottigliarono ulteriormente. «Inutilmente?» Ripetè fredda. «Ritenete inutile arrestare il responsabile della morte della Somma Sacerdotessa Elthina? O pensate forse che vostro fratello, dopo aver aiutato a mettere in piedi la Resistenza, decida semplicemente di sparire?»

Alla menzione di Garrett, la Comandante si ritrovò a digrignare i denti. «Quello che intendo dire, Lady Pentaghast, è che se davvero il Campione ha trovato rifugio sulle montagne con l'Abominio e i loro compari della Resistenza, o addirittura dei Risolutori, mandare altri templari non risolverà le cose.» Rispose tagliente, alzandosi finalmente in piedi e squadrandola faccia a faccia dall'altra parte della scrivania. «Conoscono sicuramente il territorio meglio di noi e non sono così sciocchi da non prendere precauzioni. Avranno vedette, possibilità arcane di spostarsi più velocemente e più silenziosamente di noi, hanno dimostrato in precedenza di conoscere i vecchi passaggi sotterranei delle Vie Profonde usati anche dal Carta e soprattutto hanno dalla loro il vantaggio della sorpresa. Non sappiamo quanti siano, né cosa siano in grado di fare. Anche se mandassimo un centinaio di templari a passare l'intera catena di Vimmark al pettine, sarebbe come cercare un ago in un pagliaio.» Sollevò impercettibilmente il mento, incrociando lo sguardo soddisfatto di Trevelyan. «Se volete mandare il vostro ordine e chiedere aiuto ai Comandanti di Orlais e delle altre città libere, fate pure, ma i miei uomini restano qui, dove possono rendersi utili.»

«Sarà la Divina a decidere, non voi, Comandante.» Ribatté la Cercatrice, sempre più scura in volto. «Capisco che vogliate tenere al sicuro la città, Hawke, ma la posta in gioco è troppo alta perché il problema venga ignorato.»

Marian sospirò. «Vi prego di non scendere a conclusioni affrettate. Non è mia intenzione ignorarlo, Anders e i maghi ribelli sono una spina nel petto della Chiesa di cui so che non possiamo dimenticarci, ma ora come ora abbiamo abbastanza difficoltà a gestire la città. Kirkwall è stata nuovamente distrutta, non abbiamo un Visconte che ne prenda in mano le redini, l'Ordine templare possiede appena un terzo delle forze di cui disponeva fino a tre mesi fa e la Guardia Cittadina è a corto di uomini. La Cerchia, il Carta e gruppi mercenari credono di fare il bello e il cattivo tempo, i nobili assediano tutto il giorno il Palazzo del Visconte con richieste assurde, i mercanti e la piccola borghesia stanno facendo di tutto per accaparrarsi le occasioni migliori che il vuoto di potere e la ricostruzione della città offrono, infine, i quartieri bassi sono allo sbando. Neppure metà del porto è tornata agibile e i commerci ne risentono, e l'intera Costa Ferita è insidiata da banditi, tagliagole e feccia di ogni genere. Per non parlare del caos in Città Oscura, persino le Guardie Cittadine più coraggiose non si azzardano più a metterci piede.»

«Non dimentichiamoci della mezza dichiarazione di guerra da parte di Starkhaven.» Si intromise Trevelyan, tetro. «Se non fosse stato per l'intromissione della Divina, a quest'ora dovremmo preoccuparci anche di fare scorta di provviste in vista di un assedio.»

Marian annuì, un nodo alla gola, lo sguardo che cadeva inconsciamente sulla lettera col sigillo di ceralacca dei Vael ricevuta appena la settimana prima, che spuntava da uno dei cassetti. «Come vedete, Cercatrice, non posso permettermi di sprecare le nostre forze in una caccia all'uomo che non ha alcuna possibilità di successo.»

Lady Pentaghast annuì. «È una situazione delicata, lo so. E per quanto io preferisca un approccio più diretto, anche l'Usignolo consiglia cautela nelle nostre prossime mosse. La Grande Incantatrice Fiona sta ricevendo sempre più consensi dal Collegio degli Incantatori e dagli altri maghi. Se chiedesse davvero un voto per la secessione... si teme che altri Circoli possano cadere, e in tal caso all'Ordine Templare occorrerà tutta la sua forza.»

«Che il Creatore ci supporti, se dovesse davvero accadere.» Si lasciò sfuggire Marian, massaggiandosi la fronte. «Kirkwall sarà pronta a fornire tutto l'aiuto necessario, ovviamente. Ma rincorrere dei fantasmi non ci porterà da nessuna parte, anzi, sarebbe la nostra rovina.»

La Cercatrice lanciò un'occhiata alle proprie spalle, verso la porta chiusa. «La Divina pensa che potremmo ancora ricorrere al dialogo, per salvare la situazione. Il numero di vittime da entrambe le parti che la rivolta dei Circoli causerebbe sarebbe esorbitante. Se trovassimo il Campione, potrebbe parlare ai maghi ribelli, convincerli a deporre le armi.»

Marian sospirò. «Per quanto mi rincresca ammetterlo, non penso che Garrett sia più in grado di spingerli o impedire loro di andare in qualsiasi direzione. Mio fratello è tante cose, Cercatrice, ma non è un assassino a sangue freddo. Non sapeva del piano per uccidere Elthina, come non era stato messo a conoscenza anni fa dell'attacco di Amell e dei Risolutori ai Satinalia. Non lo sto scusando per le scelte che ha fatto in seguito, ma dico solo che la Ribellione dei Maghi è un serpente con molte teste, e tutte agiscono di propria iniziativa.»

«Se è davvero questo il caso, non sarà facile impedire uno scontro aperto.»

L'occhiata che si scambiarono fu risposta sufficiente.

La Cercatrice chinò impercettibilmente il capo. «Devo tornare dalla Divina a riferirle quello che ho appreso qui. Starkhaven verrà tenuta a bada, questa è l'unica rassicurazione che siamo in grado di farvi, Comandante, per il resto dovrete pensarci voi.» Estrasse dalla giacca una pergamena arrotolata, il sigillo scarlatto della Divina impresso sopra. «In quanto Viscontessa ad interim di Kirkwall, avrete piena facoltà decisionale sulla città. Che il Creatore vi assista e vi porti consiglio.»

Lei afferrò la pergamena, ringraziando con un cenno rigido. «Saranno persone competenti e formate per tale lavoro, a consigliarmi. Non sarà necessario scomodare il Creatore.»

Con un ultimo saluto, Cassandra Pentaghast uscì dall'ufficio.

La Comandante rimase sola con il suo Capitano, il rotolo ancora stretto in mano.

«Qual è la prossima mossa, quindi?» Chiese Trevelyan, accostandosi un poco a lei.

Marian sospirò di nuovo. «Mi piacerebbe saperlo.» Ripose la pergamena in uno dei cassetti, accanto a quella da Starkhaven. «Per ora non sembra dovremo affrontare ostilità dall'esterno. Tra i ranghi?»

Il Capitano Macsen schioccò la lingua sul palato. «Potrebbe andare meglio, ma i pochi contrari alle nuove politiche della Forca sono ormai stati spediti altrove. Culo è ancora con noi, ovviamente, in questo momento sta diligentemente aiutando a rimuovere le macerie dal Cortile Est.»

Marian storse la bocca. «So che ti avevo dato la piena facoltà di decidere della sua punizione, ma fai attenzione che non ci si rivolti contro. È abbastanza rispettato nell'Ordine.»

Il sorrisetto del ragazzo si acuì leggermente, malevolo. «Oh, punto proprio a rovinargli definitivamente quella reputazione, Comandante.»

La donna non riuscì a trattenere un risolino soffocato. «Come credi.» Richiuse il cassetto, sfiorando per un secondo in più la pergamena di Starkhaven. «Ho degli impegni per il resto del pomeriggio, credi di poter gestire la Forca fino a domani, senza ulteriori esplosioni?»

L'altro si strinse nelle spalle. «Se i pochi maghi ancora con noi riuscissero davvero a far saltare in aria qualcosa, ne sarei più ammirato che impaurito, lo ammetto.»

Marian incassò il colpo, accigliandosi. «Forse avremmo dovuto stare più attenti.»

«Sarebbero scappati comunque, in un modo o nell'altro. Almeno, così non abbiamo avuto altre vittime tra i nostri.» Ribattè Trevelyan.

«Alain era mortificato.»

«Con tutto il rispetto, Comandante, ma il Primo Incantatore è giovane, forse troppo. Deve ancora farsi il callo alle delusioni da parte dei suoi colleghi.»

Marian sollevò un sopracciglio. «E noi? Pensi che abbiamo avuto abbastanza grane da essere ormai sufficientemente competenti a riguardo, oppure c'è ancora da imparare?»

Macsen scoppiò a ridere, dimenticandosi per un attimo l'etichetta. «Cazzo, da quando sono qui penso di averne avute abbastanza da sentirmi più vecchio di dieci anni, almeno. E se non è sufficiente quello che avete passato voi, siamo proprio fottuti.»

La donna scosse il capo, divertita e al tempo stesso dannatamente consapevole della stanchezza che aveva addosso. «Ho paura, Capitano, che ci aspetti parecchia altra merda, se mi passi il termine.»



 

Tagliò per la piazza principale, finalmente sgombra dalle macerie ma ostruita dai nuovi cantieri che erano sorti per ricostruire i palazzi caduti.

Dovunque passasse, il chiacchiericcio dei passanti si affievoliva fino a diventare poco più che un mormorio soffuso, cittadini, guardie, nobili e templari che si inchinavano rispettosamente al suo passaggio. Marian gonfiò il petto, il volto rigido e inespressivo e l'armatura da Comandante lucida e scintillante sotto il sole primaverile, incedendo a testa alta e ignorando i saluti, perfettamente consapevole del timore con cui la gente che si scostava velocemente al suo passaggio sussurrava il suo nome.

Quella stessa città che aveva difeso e supportato a gran voce i due fratelli Hawke che l'avevano salvata dalla furia dei Qunari impazziti, ora sembrava averne paura.

Quando i suoi passi riecheggiarono nel vialetto di Villa Amell, il cuore le si strinse dolorosamente nel petto, ma si costrinse a non rallentare.

Lumia le aprì la porta con un profondo inchino, come non aveva mai fatto, dileguandosi alle cucine non appena assicuratasi che non avesse bisogno d'altro. Bodahn era partito un mese prima con suo figlio Sandal, diretto ad Orlais. Entrando nel salotto luminoso, guardò in direzione dell'albero al centro del cortile, dove Seth si era arrampicato a tagliare qualche ramo sporgente.

Marian si avvicinò al tavolino da tè, sul quale era poggiata una caraffa d'acqua e una di vino, sollevando la prima e versandosi un abbondante bicchiere, sedendosi poi su una delle poltrone, lo sguardo fisso nel vuoto. Il silenzio che regnava era quasi opprimente.

La porta si aprì di nuovo e un uggiolare felice segnalò che Bu aveva accompagnato Aveline fin lì.

Si levò in piedi, appoggiando il bicchiere ormai vuoto e chinandosi a salutare la mabari, che cercava di farle le feste nonostante non fosse più in grado di saltellare come un tempo.

«Stai facendo la brava, bella?» Le chiese, guardando poi l'amica.

«Ormai la Guardia Cittadina è stata addestrata a dovere: sanno contrastare una carica mabari e riconoscere l'ordine di portarle uno stinco di bue fresco di giornata.» Rispose Aveline, aprendosi in un sorriso. «Ora può pure prendersela con un po' più di calma.»

Marian sorrise a sua volta, facendole segno di accomodarsi. L'altra si sedette accanto a lei sulla poltrona, nei posti più distanti dal grande quadro appeso alla parete, sopra il lungo tavolo da banchetto. La templare gli dava le spalle, attenta a non far scivolare lo sguardo su di esso mentre aspettava che l'amica prendesse qualche sorso di vino.

«Isabela e Fenris devono ancora arrivare?» Chiese Aveline.

«Volevo parlarti prima in privato, ho detto a Bela che ci saremmo visti per cena.» Rispose, prendendo tempo. La faccenda era delicata e non sapeva bene da dove iniziare. Aveva provato il discorso per giorni, rimuginando sulla questione, il dubbio che non avesse preso la decisione giusta che non smetteva un attimo di tormentarla.

«Marian, va tutto bene?» Si accigliò immediatamente l'amica.

Lei annuì. «Sto bene. Ma devo chiederti qualcosa di importante, e... non volevo che ci fossero altri a farti pressione sulla risposta. Non sentirti in dovere di accettare, sono consapevole che sia una scelta complicata.» Si mordicchiò il labbro inferiore mentre la mano andava a sfiorare inconsciamente l'armatura sopra il ventre.

«Si tratta del bambino?» Un'ombra di preoccupazione comparve sul volto teso di Aveline. «Alain ha trovato qualcosa?»

Marian scosse il capo. «Sta bene. Mi ha visitato ieri, non risultano esserci complicazioni dal lyrium né dagli sforzi a cui è stato sottoposto... Ed è per questo che credo sia giunto il momento di prendere una decisione.» Bu, come a cercare di infonderle coraggio, le si accoccolò ai piedi, leccandole le dita della mano che pendeva dal bracciolo. «Non posso tenerlo, Aveline.»

Seguì un lungo silenzio.

«Sei sicura?» Chiese poi l'altra, cautamente. «Se dovesse andare alla Chiesa-»

«Gli orfanotrofi della Chiesa non sarebbero la mia prima scelta.» Prese un altro respiro profondo, continuando a torturarsi il labbro. «Mi piacerebbe saperlo al sicuro e lontano da qualsiasi tentativo di essere usato contro di me, ma soprattutto... cresciuto da qualcuno di cui mi fido.» Sollevò lo sguardo verso l'amica, cercando di leggerne la risposta.

La preoccupazione di Aveline si tramutò in sgomento. Gli occhi le si fecero lucidi, mentre le guance si imporporivano quasi quanto i suoi capelli. «Intendi... insomma, stai dicendo...?»

«Niente mi farebbe più felice che saperlo al sicuro con te, Aveline.» Sussurrò Marian, tornando a fissare Bu ai suoi piedi. «Però non voglio forzarti, se pensi che sia troppo-»

Aveline le afferrò il braccio, costringendola a guardarla nuovamente negli occhi. «Non devi nemmeno pensarci.» Riuscì a dire dopo un istante. «Certo che mi farebbe piacere, farei di tutto per te, Marian. Ma... ne sei davvero sicura? Potremmo trovare un altro modo, so che crescerlo alla Forca sarebbe difficile, ma non saresti sola.»

Con una fitta straziante al petto, Marian scosse il capo. «No, non posso. Nessuno sa della mia condizione a parte te, Bela e Alain. Dovrò dirlo a Trevelyan, in quanto Capitano dovrà aiutarmi a mantenere il segreto tra i ranghi, e probabilmente anche a Ruvena, altrimenti non me lo perdonerei mai, ma nessun altro lo dovrà mai scoprire.» Premette la mano sul ventre, il metallo dell'armatura freddo a contatto col palmo. «Posso nasconderlo fino alla nascita. Ora che siamo certi che sia in salute, devo pensare a chi affidarlo. E tu e Donnic siete stati il mio primo pensiero.»

Aveline annuì. «Potresti vederlo crescere. Ma devo chiedertelo di nuovo, sei proprio sicura?»

«Sono ufficialmente Comandante da una manciata di settimane, e Viscontessa ad interim da ore. Ho nemici sparsi per mezzi Liberi Confini, metà del mio ordine che mi guarda con sospetto, la città che teme ogni mia mossa. Per non parlare del perfetto bersaglio che rappresento per i maghi della Ribellione, anche senza calcolare qualsiasi cosa stia facendo Geralt nel Tevinter.» Inspirò con difficoltà, la voce incrinata. «E se dovesse giungere voce fino a Starkhaven della mia gravidanza...»

«Per quanto Sebastian sembri essere impazzito, non oserebbe mai fare del male a te o a suo figlio.»

Le dita di Marian si strinsero ferree sul bracciolo della poltrona. «Non ho idea di cosa ci farebbe. Quello non è l'uomo che conoscevamo, l'hai visto anche tu. Il padre di mio figlio non avrebbe mai e poi mai minacciato un'intera città per le colpe di un singolo, men che meno mi avrebbe accusata di-» Serrò la mascella, imponendosi di non crollare. «Non voglio che quell'uomo si avvicini a mio figlio. Garrett e Sebastian mi hanno messa di fronte alla scelta più terribile che si possa fare. La mia famiglia è andata in pezzi, Aveline, e non intendo gettare i nostri problemi sulle spalle di un bambino che non è ancora nato. Se accetterete di prenderlo con voi, mi farò da parte. Non posso crescerlo, non ne sono in grado. Non...»

Con sua sopresa, Aveline si alzò dalla sedia, raggiungendola e stringendola in un abbraccio, senza che ci fosse bisogno di dire altro.

Marian, a quel punto, si ritrovò a nascondere il volto contro la spalla dell'amica, aggrappandosi a lei, rendendosi conto di star tremando. «Non voglio che si rompa anche lui.»

«Non si romperà, te lo prometto.» La rassicurò l'altra, tenendola stretta. «Avrà una famiglia che lo ama, come merita. E anche tu. Non importa cosa succederà, ci siamo noi. Io, Donnic, quella testa calda di Isabela, persino quel musone di Fenris.» Tentò di abbozzare un sorriso, mentre Marian si divincolava debolmente dall'abbraccio, imbarazzata. «Anche Carver, nonostante sia molto impegnato a salvare il mondo e lamentarsi nel frattempo. E Varric, ma lui e Bela potranno frequentare il piccoletto solo sotto strettissima sorveglianza.»

A quella precisazione, Marian si sorprese a ridacchiare. Sorrise, riconoscente, asciugandosi la guancia umida. «Grazie. Sarai una madre meravigliosa.»

Aveline ricambiò, ancora rossa in volto. «Farò del mio meglio. E nel caso cambiassi idea, anche all'ultimo, anche dopo anni, sarà sempre tuo figlio.»

«Speriamo abbia i capelli rossi, sarà più facile far credere che...» L'ilarità le morì in gola, la sensazione di passare le dita tra i capelli di Sebastian ancora impressa nella memoria, il suo profumo fresco in mente. Si riscosse rapidamente, scuotendo il capo. «Bene, sono contenta che ci siamo organizzate.» Con un respiro profondo si tirò in piedi, allargando finalmente un poco le fibbie che stringevano scomode sul ventre. «Ora, il secondo favore. Ho detto a Charade che poteva tenersi la casa, così come la compagnia di spedizioni, ma non vorrei che alcune cose venissero buttate.» Lo sguardo cadde infine sul grande quadro appeso alla parete, accanto allo stemma degli Amell dipinto sul muro in kaddis rosso, opera di Garrett subito dopo che aveva preso possesso della casa.

L'intero gruppo di amici le fissava sorridente dalla tela. Marian, accomodata sul divano di velluto del salotto, mano nella mano con Sebastian. Isabela, in posa ammiccante e abiti succinti come al solito, sogghignava con la schiena appoggiata alla seduta, mentre Aveline alle loro spalle sembrava vigilare giudiziosamente su di loro come aveva sempre fatto. Fenris aveva addirittura abbozzato un sorriso e dal lato opposto Varric mostrava fieramente il petto villoso accanto a Merrill, appollaiata sul bracciolo del divano. Garrett, le dita intrecciate a quelle di Anders alle sue spalle, sedeva accanto a Marian, e l'artista aveva persino aggiunto Carver dietro di loro, prendendo spunto dai ritratti che Garrett gli aveva fornito. Anche Bu era stata dipinta accanto a loro, membro insostituibile di quella sgangherata famiglia che avevano creato.

Marian rimase per un lungo istante a fissare il quadro, finché sentì la mano di Aveline posarsi sulla sua spalla. «Le ho chiesto di lasciare chiusa la camera di mia madre, vorrei mettere lì tutto quanto.»

«Ti do una mano.»


 

Era ormai sera quando la serratura della porta della camera di Leandra si chiuse definitivamente dietro di loro.

All'interno, impilati ordinatamente e protetti dalla polvere, c'era ciò che restava di anni di vita: pile di taccuini scarabocchiati e pergamene schizzate a carboncino, i pochi ricordi che avevano portato fin là da Lothering, uno scrigno con tutte le lettere ricevute da Carver e da diversi conoscenti e amici, un piccolo forziere di metallo con gli abiti e i pochi gioielli che erano stati di Leandra, che nessuno avrebbe mai indossato. Il grande quadro del salotto era stato coperto e spostato contro la parete, accanto al ritratto di Leandra e quello dei nonni che non avevano mai conosciuto.

Quando uscirono dalla villa, trovarono Isabela e Fenris ad aspettarli.

«Impiccato e Grazia Malevola?» Chiese la pirata, circondando le spalle di Marian con un braccio. «Berremo noi per te, ma Varric ha fatto mettere da parte dell'ottimo succo di frutta.»

«Non vedevo l'ora.» Ribatté lei, sforzandosi di sorridere.

Isabela, per tutta risposta, le diede un buffetto sulla guancia, prendendola per mano e tirandosela poi dietro per il vialetto.

Marian ricambiò la stretta, lasciandosi trascinare.




















Note dell'Autrice: Oh, boi. Due anni e qualcosina dopo, eccoci qui. 
Mi è piaciuto chiudere su un Garrett che per una volta fa una scelta, non dico egoistica (dato che comunque lo fa anche per amore di Anders), ma comunque basata su quello che vuole lui, su quello che sente necessario per sè stesso e per l'uomo che ama, lasciando che dei problemi altrui ci pensino gli altri. Ha sempre avuto un carattere che quasi annullava i propri desideri, cercando sempre di aiutare e mettere d'accordo tutti, e mi è parso un bel modo di concludere, almeno per il momento, le sue vicende. 
Quanto a Marian... fin dall'inizio ha cercato di tracciarsi la sua strada, in un equilibrio costantemente precario tra famiglia, dovere, quello che pensava giusto o sbagliato, e alla fine la cosa le si è ritorta contro. Al momento di scegliere, si è ritrovata davanti un bivio impossibile. Ha fatto del suo meglio, ma poi si è ritrovata in una posizione che non ha mai voluto, semplicemente perchè è la persona giusta al momento giusto. O almeno così hanno deciso teste più in alto e più influenti di lei, fino a che lei stessa non si è ritrovata ad accettare di dover fare il sacrificio più grosso di tutti, annullare ciò che vorrebbe per il bene degli altri. 
Mentre Garrett ha passato il testimone ad Adaar, che però non si sente pronta per l'incarico, Marian ha iniziato seriamente a dare delle responsabilità a Macsen, che invece si sente pronto eccome, anche se non lo è ancora.
Vedremo che cosa combineranno. 

La prossima storia in cantiere tonerà un poco indietro, seguendo l'arrivo di Geralt nel Tevinter e mostrando che cosa bolle nel loschissimo pentolone dell'Imperium, e si concluderà a ridosso del Conclave, passando per un po' di amici vecchi e nuovi. 

Per concludere, vorrei ringraziare i miei meravigliosi lettori e recensori, ho continuato a scrivere anche grazie a voi (sì, sì, una scrive per sè stessa, ma se poi devo leggerla ai gatti per sentire un parere, diciamo che non è la stessa cosa): Harry Fine, che con le sue recensioni e messaggi mi ha aiutata un sacco a sviluppare alcuni punti e personaggi, The Mad Hatter, che mi segue dall'inizio, e quelli che hanno recensito e messo tra seguite e preferiti questa storia, come MorganaMF, Keeper of Memories (ciao cara <3), La Maga Strana, Lady UHBE Byron, Tec6 e tutti gli altri. 
Menzione specialissima per la mia bestbro, all'incirca betareader, meravigliosa compagna di complottoni, ruolate e storie a quattro zampe, Eliot Nightray!





 

Strange, how the best moments of our lives we scarcely notice except in looking back.

― Joe Abercrombie, Red Country

 

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