Room mates

di Soul Mancini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per nessuna ragione al mondo ***
Capitolo 2: *** Sudare (e stirare) sette camicie ***
Capitolo 3: *** Muscovado chiaro ***



Capitolo 1
*** Per nessuna ragione al mondo ***




[Dom]




“Conor?” chiamai a gran voce il mio coinquilino, affacciandomi alla porta della zona giorno.
La stanza era vuota e dal mio amico non giunse nessuna risposta.
Aggrottai la fronte e lanciai un’altra occhiata al display del mio cellulare, dove campeggiava l’email aperta che avevo appena ricevuto.
In poche falcate raggiunsi la porta della nostra camera e vi sbirciai dentro: come sospettavo, Conor era sdraiato sul suo letto, teneva lo sguardo fisso su un enorme volume di Letteratura del Seicento e portava un paio di enormi cuffie alle orecchie.
Da quando gli si erano rotti gli auricolari, per studiare utilizzava sempre quegli enormi affari per ascoltare musica; avendo entrambe le orecchie inondate di musica e isolate dall’ambiente circostante, più di una volta non aveva sentito i miei richiami.
Cercai di attirare la sua attenzione con una serie di ampi gesti. Quando, qualche istante dopo, si accorse della mia presenza, sobbalzò spaventato e si affrettò a mettere in pausa la musica. “Che c’è?” domandò distrattamente, tenendo il segno sulla pagina con una matita.
“Oggi dovrebbe arrivare l’ordine che ho fatto su Amazon, è in consegna. Quindi, per favore, fai attenzione se qualcuno suona al campanello, e se arriva il corriere ritira tutto tu.”
“Okay” rispose il mio amico, scribacchiando qualche parola sul quaderno degli appunti.
“E, mi raccomando, non aprire il pacco per nessuna ragione al mondo: ci sono i regali di Natale dentro” aggiunsi, inchiodandolo con lo sguardo e assumendo un tono vagamente minaccioso.
“Sì, tranquillo” ribatté ancora lui, voltando pagina e afferrando un evidenziatore giallo.
Aggrottai le sopracciglia, dubbioso. “Ma mi stai ascoltando?”
“Sì, certo, guarda che quello distratto tra i due sei tu! Adesso mi lasci in pace? Sono nel bel mezzo di un paragrafo, mi fai perdere il segno!” mi liquidò, trattenendo un sospiro e accennando al libro.
Mi strinsi nelle spalle. “Va bene, me ne vado, non ti incazzare… e attento al corriere!” conclusi, dirigendomi verso l’ingresso.
Ultimamente, complice la nuova ondata di esami che si faceva sempre più vicina, il mio coinquilino era piuttosto distratto e scontroso, preso com’era dallo studio; un po’ mi preoccupava vederlo così, prendeva molto a cuore l’università e in prossimità delle sessioni cominciava a dare di matto e farsi prendere dall’ansia.
Forse però era meglio reagire come lui piuttosto che temporeggiare come facevo io – ci eravamo iscritti insieme, ma io non avevo dato neanche la metà degli esami che avrei dovuto.
Sospirai e cercai di scacciare via quei pensieri ben poco rassicuranti mentre, immerso nell’aria frizzante di metà dicembre, mi dirigevo verso la fermata del bus. Una nuova giornata lavorativa mi attendeva, dovevo focalizzare la mia attenzione su quello.


Feci il mio ingresso in cucina e mi lasciai sfuggire un sonoro sbadiglio. Non appena inquadrai la scena che mi si presentava davanti, tuttavia, non potei che sgranare gli occhi e tutta la stanchezza della delirante giornata di lavoro al bar venne rimpiazzata da perplessità e confusione.
“Ciao” mi salutò Conor che, in piedi sopra il tavolo della cucina, stava legando un oggetto non meglio identificato al lampadario.
“Ma cosa cazzo ci fai lassù?” lo interrogai, sempre più confuso. Solo a una seconda occhiata mi accorsi delle decorazioni natalizie sparse per la stanza e lo sbilenco e spelacchiato alberello stipato in un angolo, accanto alla portafinestra.
“Non dirmi che hai cominciato ad addobbare la casa senza aspettarmi!” sbottai allora, incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio.
“Mi annoiavo! E poi è già da una settimana che avevo intenzione di addobbare, ma tu non c’eri mai o eri troppo stanco” si giustificò lui, mentre raddrizzava il pendente a forma di fiocco di neve che aveva appeso al lampadario.
“Ma l’albero volevo farlo anch’io!” mi lamentai teatralmente, anche se in realtà non ero davvero arrabbiato. Mi avvicinai all’abete sintetico ed esaminai con fare critico le fioche lucine – alcune già fulminate – che lampeggiavano a intermittenza.
“Spalanca le braccia, fatti crescere le radici e stai zitto: così puoi fare l’albero” rispose Conor ironico, mentre scendeva con cautela dal tavolo.
“Che spiritoso…” lo rimbeccai. “Ti perdono soltanto se hai ritirato il pacco di Amazon.”
Lui schioccò le dita e sorrise. “Ecco cosa mi stavo dimenticando! Certo, è arrivato stamattina, poco dopo che te ne sei andato! Vado a prenderlo” affermò, prima di uscire dalla stanza e sparire in corridoio. Tornò qualche istante più tardi con un enorme cartone quadrato tra le braccia.
Senza dargli il tempo di aggiungere altro, glielo strappai di mano e corsi in camera da letto, chiudendomici dentro; dovevo assolutamente aprirlo e controllare che ci fosse tutto e che gli articoli ordinati corrispondessero alle mie richieste. E Conor non poteva assolutamente assistere all’apertura del pacco, visto che l’ordine includeva anche il regalo per lui.
Poggiai la scatola sul mio letto e mi adoperai per aprirlo; tuttavia, dopo qualche istante, mi resi conto che qualcosa non andava.
“Ma il pacco non è sigillato…” borbottai tra me, notando che l’imballaggio aveva ceduto troppo facilmente ed era già danneggiato in alcuni punti. Aggrottai le sopracciglia, ripresi il pacco tra le braccia e tornai nella zona giorno, dove il mio amico stava combattendo con una ghirlanda rossa e dorata.
“Conor?”
“Sì?”
“Quando hai ritirato il pacco, hai controllato che fosse tutto a posto?”
Lui si voltò a guardarmi e sbatté un paio di volte le palpebre. “Mmh… in che senso?”
Accennai allo scatolone. “È come se qualcuno l’avesse già aperto prima di me. Non vorrei che il corriere avesse fatto qualche stronzata e mi avesse fottuto qualcosa… perché, se così fosse, vado a incendiargli il camion” dissi, cominciando ad alterarmi. Avevo sempre ricevuto un buon servizio da Amazon, non mi era mai capitata una cosa del genere.
“Ah sì? Beh… e come fai a dire che non era ben chiuso? Però non guardare me, io ho controllato ed era tutto okay!” farfugliò con voce troppo acuta ed esitante per risultare credibile, poi distolse lo sguardo e prese ad armeggiare nuovamente con la ghirlanda.
A quel punto un terribile sospetto si fece strada dentro di me e istintivamente compii qualche passo verso il biondo. Non era affatto bravo a mentire, tantomeno con me.
“Conor, sei stato tu ad aprire il pacco?” lo incalzai, trucidandolo con un’occhiata.
“Io?!”
“Dimmi la verità, altrimenti ti appendo all’albero di Natale e ti ci lascio per tutte le feste!”
Lui inclinò appena il capo di lato e ridacchiò nervosamente. “Ecco, può essere… ma solo una sbirciatina…”
Mi battei una mano sulla fronte. “Ma io ti ammazzo, sei un deficiente!”
“Dai, non è così grave! Apriamo sempre i pacchi l’uno dell’altro quando arrivano!” cercò di minimizzare, mettendo su un sorriso innocente.
“Questa volta ti avevo detto di non farlo, per nessuna ragione al mondo!”
“Davvero? Quando?” cadde dalle nuvole lui.
Sbuffai, mi sedetti sul divano e presi a frugare con movimenti bruschi e frenetici dentro lo scatolone. Perlomeno c’era tutto ed era in condizioni perfette.
“Dai, Dom, non ti incazzare! Lo sai che sono troppo curioso, non ho resistito!” ruppe il silenzio Conor con voce implorante, rivolgendomi un’occhiata da cane bastonato. Ancora con l’addobbo rosso e oro appeso al braccio, prese posto accanto a me e fissò lo sguardo nel mio, facendomi gli occhi dolci.
Quanto era tremendamente cretino! In quel momento lo detestavo perché era riuscito a rovinare tutto, ma non potevo davvero prendermela quando metteva su quell’espressione da bimbo pentito dopo aver combinato una marachella.
Gli lanciai un’occhiata in tralice. “E invece mi incazzo perché volevo farti una sorpresa e tu hai mandato tutto a puttane.”
Lui si accostò e recuperò all’interno del pacco una confezione in cartone contenente un paio di nuovi auricolari bluetooth. “Questo è il regalo per me, vero?”
Sbuffai rassegnato. “Sì. E tieni giù le mani, ci manca solo che abbiano pure il prezzo sopra” gli intimai, strappandogli l’oggetto dalle dita e rimettendolo al suo posto.
Forse me l’ero presa un po’ troppo a cuore, ma ci tenevo tantissimo a fare delle belle sorprese ai miei amici, soprattutto ora che avevo uno stipendio e potevo permettermelo; il regalo per Conor era il mio asso nella manica quell’anno, dato che non aveva mai avuto degli auricolari bluetooth e ripeteva sempre che li avrebbe voluti provare.
Dopo qualche istante di silenzio, Conor mi batté una pacca sul braccio. “E dai, Dom, smettila di tenermi il muso! Facciamo finta che io non abbia visto niente: tu fai il pacchetto e il 25, quando apriremo i regali, fingerò di essere sorpreso! Ti va bene questa faccia?” propose, per poi spalancare occhi e bocca in un’espressione che voleva sembrare sbalordita, ma in conclusione non era per niente credibile.
I miei sforzi per trattenere le risate non valsero a nulla, perché nel vedere quella smorfia scoppiai a ridere all’istante e gli diedi una leggera spinta all’indietro. “Che pezzo di merda, per colpa tua non posso neanche incazzarmi come dovrei!”
Conor scoppiò a ridere a sua volta, si sfilò la ghirlanda dal braccio e me la lanciò addosso. “Su, coinquilino: non hai detto che volevi aiutarmi ad addobbare la nostra casetta?”
Scansai la decorazione di lato e mi misi in piedi. “Un attimo, metto via questo” affermai, accennando alla confezione di cartone sempre più disfatta.
Conor si alzò a sua volta e mi sfiorò un braccio per attirare la mia attenzione. Gli lanciai un’occhiata stranita e notai che aveva un sorrisetto dipinto sul viso – le fossette sulle guance e i capelli disordinati lo facevano sembrare proprio un bambino.
“Comunque volevo dirti grazie. È il miglior regalo che potessi ricevere” cinguettò, ampliando ancora di più il suo sorriso.
Piegai appena la testa di lato e lo scrutai curioso. “Le cuffie bluetooth, intendi? Ci credo, è da quando ti conosco che rompi le palle per…”
“No” mi interruppe, saltandomi improvvisamente al collo e intrappolandomi in un abbraccio. “Intendevo un amico come te!”
Risi e ricambiai la sua stretta, facendogli poggiare il mento sulla mia spalla e scompigliandogli affettuosamente i capelli. Anche io mi sentivo estremamente fortunato ad avere un amico dolce, divertente, generoso e sincero come Conor, e gli volevo un mondo di bene così, anche con tutti i suoi difetti.
Senza lasciarlo andare, mi allungai a prendere una pallina rossa che stazionava sul tavolo, in attesa di essere posta sull’albero, e la appesi all’orecchio di Conor.
“Che coglione” commentò lui con una risata.
“Smettila di insultarmi e approfittarti della mia bontà, altrimenti il tuo coinquilino preferito ti butta fuori di casa e ti fa passare le feste per strada” gli sussurrai all’orecchio, poi sciolsi l’abbraccio e gli battei una scherzosa pacca sul sedere. “Forza, decoriamo questo fottuto abete di plastica!”




🎁 🎁 🎁


Prompt per la challenge “Just stop for a minute and smile”:
24. "Cosa ci fai lassù?"
32. "È il miglior regalo che potessi ricevere!"

Buone feste a tutti e benvenuti nel mio nuovissimo progetto che non potrei affatto permettermi di iniziare XD visto che i miiei OC, dopo avermi guardato male per averli abbandonati, ora stanno piangendo in un angolo e implorando la mia attenzione… MA EHI, quando l’ispirazione chiama chi sono io per obiettare? XD
Sì, questo è il primo capitolo di una raccolta che avrà orientativamente quattro capitoli (i primi due POV Dom, gli ultimi due POV Conor), tutte delle piccole slice of life sulla convivenza di questi due scemotti :3 ho troppe idee per loro!! Non mi stancherei mai di celebrare la loro amicizia (e il loro essere cretini insieme XD) *________*
E il fatto che io abbia deciso di pubblicare questa prima (parecchio sottotono, perdonatemi) scenetta proprio oggi, che è il compleanno di Conor, È UN CASO!!! Quest’anno teoricamente avevo deciso di non scrivere niente per i NBT ma, anche se questa non è una vera e propria storia di compleanno, ho deciso comunque di approfittare dell’occasione per pubblicarla! E, già che ci siamo, AUGUTI CONOR!
Stavolta non ho fatto riferimento a nulla in particolare nella realtà, è una slice of life che ho partorito così, senza motivo XD
Tuttavia lascio qualche piccola noticina per coloro che non conoscono l’AU in cui queste storielle sono ambientate: qui ovviamente i NBT sono dei ragazzi normali (quando mai) e non famosi; Dom e Conor sono amici da tanto tempo, sono molto legati, tanto che hanno deciso di iscriversi all’università insieme (in Lettere) e prendere insieme un appartamentino in affitto. Conor è uno studente diligente, che studia per tutti gli esami e frequenta le lezioni; Dom, decisamente più svogliato e pigro, deve però anche andare al lavoro – è assunto come cameriere in un piccolo bar vicino all’università e deve fare degli orari piuttosto strambi e scomodi, oltre che parecchi straordinari.
E… per il momento mi fermo qui, ulteriori precisazioni le troverete nei prossimi capitoli se sarà necessario!
Grazie a chiunque sia giunto fin qui e ci sentiamo prestissimo col prossimo capitolo *-*
Ancora tantissimi auguri di buon Natale a tuttiiii!!! ♥

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Capitolo 2
*** Sudare (e stirare) sette camicie ***


Stirare
A Carmaux,
per la pazienza, il supporto,
gli scleri, le risate,
per essere parte del mio mondo ogni giorno
anche se siamo lontane.
Perché è mia amica, perché è una persona speciale.
Buon compleanno! ♥









[Dom]




Lanciai un’occhiata scettica allo specchio mentre mi sistemavo i capelli all’indietro e li fissavo con un’abbondante dose di gel. Ultimamente mi stavano facendo impazzire; sarei dovuto andare dal parrucchiere, ma puntualmente mi dimenticavo di prenotare, assorbito dai mille impegni della giornata.
Un gemito frustrato proveniente dalla piccola zona giorno dell’appartamento ruppe il silenzio e io inarcai un sopracciglio. Quando sentivo il mio coinquilino lamentarsi in quel modo, non era mai un buon segno.
Non ebbi nemmeno il tempo di formulare un’ipotesi su quale potesse essere il dramma giornaliero che Conor comparve sulla soglia spalancata del bagno, poggiandosi con la spalla allo stipite; il suo viso delicato era distorto in un’espressione corrucciata, al limite della disperazione, e tra le dita stringeva una maglia che doveva appena aver raccolto dallo stendino.
“Che faccia! Un uccello ha cagato sul nostro bucato pulito?” lo interrogai, continuando a sistemarmi i capelli in modo da non sembrare un reduce di guerra.
“Hai steso tu questa roba?” gracchiò lui, spostando lo sguardo da me all’indumento che aveva in mano.
“Qui ci abitiamo in due: se non sei stato tu, sarò stato per forza io.”
“Ecco, lo sapevo! Ma è possibile che alla tua età non sai nemmeno stendere?” sbottò indignato, concludendo la frase con uno sbuffo.
Aggrottai le sopracciglia. “Cos’ho fatto questa volta? Se non faccio niente in casa ti lamenti, se mi adopero per fare qualcosa di utile ti lamenti…”
Lui prese a sventolare la maglietta bianca davanti al mio viso e vi batté sopra con la mano. “Avresti dovuto posizionare meglio la roba: ora è tutta piena di pieghe!”
“Oh, ma che tragedia” lo sbeffeggiai ironico, scompigliandogli i capelli con le dita ancora impiastricciate di gel. “Io so che per stendere il bucato devi prendere i vestiti e appenderli con le mollette, punto. Non conosco nessun altro trucchetto da casalinga frustrata.”
Lui si ritrasse e incrociò le braccia al petto, mettendo su un broncio offeso. “Giù le mani! Sai cosa vuol dire questo?”
“No.”
“Che ora mi toccherà stirare tutto, ed è solo colpa tua!”
Sgusciai fuori dal bagno con l’intento di recuperare chiavi e giubbotto – si stava facendo tardi, il bus che mi avrebbe portato al lavoro sarebbe passato dieci minuti più tardi – e Conor mi seguì, prima in camera da letto e poi all’ingresso; continuava a fissarmi con un’espressione sconsolata, probabilmente con l’intento di farmi sentire in colpa.
Riusciva a essere una vera palla al piede quando ci si metteva.
“E qual è il problema? Tu adori fare le faccende domestiche, sarai felicissimo di stirare” cercai di uscirne mentre riponevo in fretta il cellulare in tasca.
“Punto primo: non è che sgobbare per casa sia il mio passatempo preferito, semplicemente mi danno fastidio il disordine e la sporcizia. E visto che a te non importa niente…”
“Ehi, io sto andando a lavorare onestamente per portare a casa la pagnotta” mi finsi offeso, ma non potei evitare di ridacchiare.
“Sì, sì…”
“Punto secondo?” incalzai. “E parla in fretta che sono in ritardo.”
Nel frattempo mi ero già infilato una manica del giubbotto e avevo aperto la porta.
“Punto secondo: io detesto stirare. Se stendo il bucato in un certo modo, ci sarà pure un motivo!” Mentre parlava, si voltò a osservare la pila di indumenti spiegazzati, che aveva appena raccolto e che ora giaceva sul divano, e si era battuto una mano sulla fronte.
Lo scrutai con attenzione e mi sentii un po’ in colpa. Avrei voluto dargli una mano – per quanto lottare contro la mia pigrizia mi venisse difficile – ma dovevo correre al bar e non sarei rientrato prima delle otto e mezza di quella sera.
Gli sorrisi incoraggiante, lanciai un’ultima occhiata all’orologio da parete e uscii in corridoio, imboccando subito le scale. “Buona fortuna!”
Lo sentii borbottare qualcosa, ma ormai ero già troppo lontano per capire le sue parole.


Mi chiusi la porta alle spalle, scalciai via le scarpe e mi lasciai andare a un profondo sbadiglio.
Anche quella giornata di lavoro era andata e mi aveva distrutto: al bar era stato un inferno.
Entrai nella zona giorno, intenzionato a pescare dal frigo la prima cosa commestibile che avessi trovato, ma mi ritrovai davanti una scena inaspettata.
Sul divano torreggiava ancora la pila del bucato pulito; Conor, con la faccia di qualcuno che era appena stato mandato al patibolo, distendeva sull’asse da stiro una camicia azzurra mentre controllava che l’acqua all’interno del ferro si riscaldasse al punto giusto.
“Ciao” lo salutai, dirigendomi verso il frigo. “C’è qualcosa di pronto?”
“Ma che cazzo!” sbottò lui.
“Grazie per l’accoglienza.”
“Non dicevo a te.” Mi voltai giusto in tempo per vederlo chinarsi per raccogliere la camicia, che era scivolata dall’asse. “Stiamo già cominciando male!”
“Ah, stai cominciando ora?” indagai.
Lui sospirò. “Beh, durante l’arco della giornata ho avuto altro da fare: sono andato a fare la spesa, poi di pomeriggio avevo una lezione, una volta rientrato ho ripassato Linguistica…”
“Che tradotto sarebbe: ho temporeggiato. Conosco bene queste scuse.” Gli sorrisi sornione mentre mi accomodavo al tavolo, sbocconcellando un tramezzino che avevo fortunatamente trovato già pronto.
“Certo, tu sei il re delle scuse” ribatté in tono lugubre, cominciando a passare la lastra calda sul tessuto azzurro.
“Non mi chiedi com’è andata al lavoro?” lo stuzzicai.
“Com’è andata al lavoro?” domandò Conor in tono piatto.
“Ma che carino, grazie per avermelo chiesto!” ribattei ironico, addentando l’ennesimo boccone – stavo facendo fuori quel sandwich senza nemmeno accorgermene. “Il delirio! Oggi è stato il fottutissimo delirio! Una lezione universitaria del pomeriggio è stata annullata e tutti gli studenti hanno ben pensato di accalcarsi al bar durante le due ore buche, c’era gente ovunque e avevamo il turno soltanto io e altri due colleghi, che dovevamo dividerci tra bancone e servizi ai tavoli… penso di non aver mai corso così in vita mia. L’anno prossimo mi iscrivo alla maratona, mi sto già abbondantemente allenando!”
Mentre parlavo, osservavo Conor che continuava a stirare con movimenti bruschi e di tanto in tanto afferrava la camicia e la sollevava per capire se ci fossero altre pieghe da appianare, un’espressione accigliata sul viso.
Continuai a riassumere la mia giornata lavorativa colma di disavventure mentre lui, indumento dopo indumento e sbuffo dopo sbuffo, svolgeva il suo incarico tanto odiato.
“Quando è venuto a trovarmi Phil e mi ha visto tanto incasinato, era sul punto di unirsi allo staff e darmi una mano” dissi a un certo punto con una risatina.
Conor si finse indifferente, ma lo vidi sgranare gli occhi e mordicchiarsi il labbro inferiore nel sentir nominare mio cugino. “Ah sì? È passato al bar?”
“Era in zona ed è entrato per un saluto. Mi ha chiesto anche di te” aggiunsi con nonchalance, stringendomi nelle spalle. Sospettavo già da qualche tempo che il mio coinquilino si fosse invaghito di Phil e mi divertivo a parlargli di lui apposta per metterlo in difficoltà.
Infatti, come c’era da aspettarsi, Conor arrossì appena e poggiò bruscamente il ferro da stiro sul bordo dell’asse, rischiando di farlo cadere. Per evitare che si schiantasse al suolo, lo afferrò al volo e posò per un istante un polpastrello sulla parte rovente. Lanciò un grido di dolore e si esaminò il dito arrossato, imprecando tra i denti.
“Tutto questo casino solo perché Phil ha chiesto di te? Se ti saluta che fai, ti butti dal terzo piano?” lo sbeffeggiai, alzandomi e accostandomi a lui per verificare i danni.
Lui soffiò sulla parte lesa, forse nel tentativo di darsi un po’ di sollievo, poi fulminò con un’occhiata l’asse da stiro e la maglietta che vi era poggiata sopra. “Ma che c’entra? È colpa di questo fottutissimo arnese… ‘fanculo, non stirerò mai più nella mia vita! E mi fa anche male la schiena a furia di restare in piedi. Ma può esistere un’attività più odiosa ed esasperante?”
Gli afferrai il polso per osservare meglio il polpastrello infortunato. “Non ti conviene metterla sotto l’acqua fresca?”
“Macché, non è niente! Lasciami finire qui e poi giuro che distruggo asse e ferro! E tu non ti azzardare mai più a stendere!” continuò a sproloquiare, afferrando una camicia dalla pila di vestiti che, seppur dimezzata, era ancora piuttosto consistente.
Gliela strappai di mano e lo spinsi via, posizionandomi davanti all’asse. “Lascia fare a me e vai a sederti, ci manca solo che ti arrostisci qualche altro dito.”
Il mio amico sbatté le palpebre, confuso. “Mi stai dicendo che tu, Dominic Craik, sai stirare?”
Gli lanciai un’occhiata in tralice. “Molto divertente. Posso provarci, ma non sono molto bravo.”
La verità era che mi sentivo in colpa: in fondo i vestiti erano completamente sgualciti a causa mia e vedere Conor così contrariato mi era dispiaciuto troppo; non si lamentava mai e quando gli capitava era un chiaro segnale che detestava davvero tanto l’attività che stava svolgendo.
Anche se ero a pezzi e in genere ero una gran testa di cazzo, almeno per una volta volevo dare una mano.
Distesi l’indumento sull’asse – una discutibile camicia color panna con tanti piccoli ananas che Conor aveva acquistato qualche mese prima – e lanciai al ferro da stiro uno sguardo di sfida. “Bene… che cosa si deve fare adesso?”
Il biondino sospirò e andò a sedersi sul bracciolo del divano. “Se cominciamo così, domani mattina sarai ancora qui a contemplare il bucato.”
“Grazie per il supporto morale, sei il coinquilino migliore del mondo” replicai sarcastico, poi afferrai l’impugnatura dell’apparecchio rovente e cominciai a passarlo cautamente sul tessuto. Non che avesse tutti i torti: forse mi ero prodigato in quella faccenda una o due volte in vita mia prima di allora.
“E comunque ammettilo che hai reagito così solo perché ho menzionato Phil e ti sono venute le gambe molli!” lo provocai, visto che aveva allegramente sviato il discorso.
“Ma vaffanculo! È che non mi piace stirare, te l’ho detto!”
“Sì, certo…”
“Senti, nel frattempo io potrei fare una tisana rilassante, così non rimango con le mani in mano. Che dici, ti va?” cambiò di nuovo argomento, mettendosi in piedi e stiracchiandosi.
Ci riflettei su per qualche secondo. “No, credo che opterò per una birra…”
“Dom!” strillò all’improvviso il mio amico, precipitandosi verso di me.
“Le mie povere orecchie! Ma che cazzo…?” Abbassai lo sguardo e solo a quel punto mi resi conto di ciò che stava succedendo.
Sollevai il ferro da stiro e Conor afferrò il suo indumento, portandoselo davanti al viso per osservarlo bene. “Mi hai rovinato la camicia con gli ananas!”
Mi sporsi appena per vedere con i miei occhi: all’altezza del petto, sulla sinistra, era rimasto impresso un gigantesco alone a forma di ferro da stiro. Gliel’avevo praticamente bruciata.
Mi battei una mano sulla fronte. “Ma di cos’è fatta questa camicia, di zucchero filato?”
“No, è che non bisogna lasciare la piastra bollente per troppo tempo sullo stesso punto.” Conor sollevò gli occhi al cielo e gettò la sua camicia sulla spalliera di una sedia. “Adesso è inutilizzabile!”
Sorrisi innocente e gli battei una pacca sulla spalla, senza sapere bene come porre rimedio all’ennesima stronzata che avevo commesso quel giorno. “Avevi ragione, amico mio: stirare è un’attività terribile.”
Lui mi trucidò con lo sguardo e per un attimo temetti che mi sarebbe saltato al collo per strangolarmi. “Io avevo capito che tu lo sapessi fare.”
Mi strinsi nelle spalle. “Beh, dai… ti ho fatto un favore, dopotutto. Quella camicia era veramente inguardabile! Come puoi sperare di conquistare Phil vestito da fruttiera?”
Conor sbuffò. “Sei veramente una testa di cazzo, Dominic.”




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Prompt per la challenge “Just stop for a minute and smile”:
7. "Grazie per il supporto morale..."
48. "Posso provarci, ma non sono molto bravo."

AUGURI CARMAUX!!!!!!!!!!!!! *__________*
Davvero, mi sento male ad averti dedicato questa schifezza per il compleanno, avrei voluto scrivere qualcosa di mooooolto più articolato e che magari avesse a che fare con i tuoi OC, visto che ci sono tutti i presupposti… ma questa è l’unica cosa che sono riuscita a mettere insieme XD e visto che non vedevi l’ora che io scrivessi qualcosa basato su quella foto, ho voluto provare! Spero davvero di non aver deluso le tue aspettative!
Le mie le ho deluse abbondantemente: questa storia nella mia testa aveva un gran potenziale e non sono per niente soddisfatta di com’è venuta fuori… ma eviterò di lagnarmi oltre XD
Come note di spiegazione, basterebbe ricondurvi alla foto che ho utilizzato come banner AHAHAH da quando la mia adorata Carmaux me l’ha inviata, mi è SUBITO venuto in mente quest’AU, in cui – come chi segue la mia long “Ten friends, one big mess” saprà – Conor è fissato con l’ordine e Dom è troppo pigro e incasinato per dargli retta XD
E come potevo evitare di lasciarmi sfuggire un’ispirazione del genere, ora che ho constatato che il mio headcanon è reale??? *-*
Solo che nello scatto Conor non sembra particolarmente entusiasta in realtà ^^ e questo mi ha dato modo di cucirci sopra una trama più elaborata (???)
Ah, mi scuso se ho scritto qualche imprecisione sull’arte (?) dello stirare, ma non è esattamente la mia attività preferita, non lo faccio mai ahahah!
Per chi invece non segue la long: in questo mio personalissimo AU giusto per non dire che è così anche nella realtà, anche se ormai lo sappiamo benissimo che è così, Conor è palesemente invaghito di Phil e non ha idea se quest’ultimo lo ricambia o meno, visto che lui sembra essere etero convinto. Questa shottina è ambientata quando ancora non si conoscevano benissimo, e non faccio ulteriori spoiler perché non sarebbe giusto nei confronti di chi segue la long principale o la volesse seguire ^^
Infine… non so se Conor abbia effettivamente una camicia con gli ananas, non gliel’ho mai vista addosso, ma visti gli indumenti discutibile che spesso usa, la cosa non mi sorprenderebbe! E poi vabbè… Kim, Sabriel, capirete ;)
Grazie di cuore a chiunque sia arrivato in fondo e spero davvero di rifarmi coi capitoli futuri, perché questo ha fatto un po’ (parecchio) pena XD
E ANCORA TANTISSIMI AUGURI, mia adorata Carmaux!!!!

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Capitolo 3
*** Muscovado chiaro ***





[Conor]




“Siamo sicuri che non bisogna aggiungere qualcos’altro?” Accigliato e ansioso, osservavo il contenuto dentro la grande scodella in ceramica mentre lo rimestavo con l’aiuto di un vecchio e scassato sbattitore elettrico. Era uno di quegli aggeggi da impugnare e manovrare manualmente, quasi un oggetto di antiquariato; l’avevo recuperato da casa dei miei genitori qualche giorno prima apposta per l’occasione, visto che io e il mio coinquilino non eravamo soliti preparare dei dolci e non ne possedevamo uno.
“Che cosa?” strillò Dom, superando appena il frastuono che si sprigionava dallo sbattitore.
Lo spensi, presi un cucchiaio e tastai con fare critico la consistenza dell’impasto. “Lo zucchero non si è sciolto” affermai, una punta di isteria nella voce.
“Magari ci vuole un po’ di tempo” rispose il moro in tono piatto, tenendo d’occhio il pentolino che stava sul fornello acceso.
Mi passai una mano tra i capelli, sentendo l’ansia montarmi nel petto. “Dev’essermi sfuggito qualcosa, di sicuro mi sono dimenticato un ingrediente.” Scandagliai freneticamente la piccola cucina con lo sguardo. “Mi passi la ricetta?”
“Eh?”
“La ricetta! Quel foglio che c’è lì, a fianco al piano cottura!”
“Puoi aspettare un secondo?” Dom afferrò un mestolino in legno e prese a rimestare con attenzione.
Vedere il mio coinquilino alle prese con gli arnesi da cucina era insolito quanto divertente: si capiva lontano un miglio che non era abituato a quell’attività e, anche se cercava di risultare sicuro di sé, i suoi movimenti erano goffi e inesperti.
In un altro momento avrei ridacchiato e l’avrei preso in giro, ma quel giorno non ero in vena.
“Il cioccolato si fonde anche se non lo guardi” bofonchiai, incrociando le braccia al petto.
“Ehi, che cazzo! Non mettermi fretta!” Afferrò il foglio che aveva accanto e me lo passò. “Poi non ti lamentare se si brucia tutto e la cucina va a fuoco!”
Sospirai, lo afferrai e cominciai a rileggere tutto da cima a fondo, le dita che tremavano appena. Aggrottai le sopracciglia. “Comunque il cioccolato avresti potuto fonderlo anche nel microonde, genio.”
“Cosa?! Bastava ficcarlo nel microonde?” sbottò il mio amico, lanciando un’occhiata all’elettrodomestico stipato sopra il piccolo frigorifero. “Mi sarei potuto risparmiare tutto questo casino?”
“Parli come se l’avessi dovuto faticosamente sciogliere col calore delle tue mani… hai solo acceso un fornello.” Poggiai la ricetta sul piano del tavolo. “Qui dice: in una ciotola a parte, lavorate con uno sbattitore elettrico il burro con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso. Burro e zucchero… ci sono entrambi” riflettei.
Dom mi si avvicinò e scrutò dentro la ciotola. “Io non me ne intendo, ma in effetti questo non è un composto chiaro e spumoso…”
Ripresi in mano lo sbattitore e lo accesi, pronto a lavorare ancora l’impasto. Sarei andato avanti anche per ore, se fosse servito a ottenere un risultato decente.
“Okay, visto che ormai il cioccolato è quasi pronto, apro le uova e separo l’albume dai tuorli” affermò Dom.
“Sai aprire le uova?” lo sbeffeggiai, ostentando stupore.
“Che pezzo di merda, non meriti l’aiuto di un amico grandioso e gentile come me!” si pavoneggiò.
Tornai a concentrarmi sull’impasto.
Quando quel giorno avevo deciso di preparare dei cupcakes per il mio ragazzo avevo sperato in un esito migliore – diverso dai soliti disastri che io e Dom combinavano quando provavamo a cucinare qualcosa assieme.
Io e Phil stavamo insieme da poco meno di due settimane e ancora non lo avevo realizzato: da quando l’avevo conosciuto, diversi mesi prima, avevo sempre pensato che a lui interessassero soltanto le donne. Ero rimasto parecchio spiazzato – ed entusiasta – quando invece avevo appreso che i miei sentimenti erano ricambiati.
Effettivamente ero il suo primo ragazzo, Phil voleva essere cauto perché la situazione lo spaventava e destabilizzava molto. Mi faceva tantissima tenerezza: grande e grosso, all’apparenza così pacato e sicuro di sé, ma anche tanto timoroso di lasciarsi andare a quell’esperienza tutta nuova.
Gli avevo promesso che avremmo fatto ogni cosa in base ai suoi tempi, che l’avrei fatto sentire coccolato e a suo agio; per questo avevo deciso di preparare quei cupcakes panna e biscotti apposta per lui.
In realtà avrei voluto regalargli il mondo intero pur di renderlo felice e bearmi delle deliziose fossette sulle guance che gli comparivano ogni volta che sorrideva, ma date le mie scarse possibilità da studente universitario, si sarebbe dovuto accontentare delle mie doti culinarie.
Sempre che fossi riuscito a cavar fuori qualcosa di decente da quella poltiglia granulosa che continuavo a frullare…
All’improvviso un dettaglio attirò la mia attenzione. Strabuzzai gli occhi, spensi lo sbattitore e presi in mano il foglio con su stampata la ricetta. “Merda!”
“Che succede?” Dom sobbalzò e si lasciò scivolare di mano l’uovo che stava aprendo; tuorlo, albume e guscio in frantumi finirono dentro il piatto.
A quella vista avrei volentieri dato di matto, ma al momento mi si presentava davanti un problema più grande. “Adesso ho capito perché questo bastardo non si scioglie! Qui dice che bisogna usare lo zucchero di canna tipo muscovado chiaro… ma su quello che ho comprato io non c’è scritto muscovado chiaro!” sbottai, prendendo in mano la busta incriminata.
Dom mi affiancò e fece scorrere lo sguardo dalla ricetta alla confezione dello zucchero. “Andiamo, non sarà mica un dettaglio così importante…”
“E invece sì, cazzo! Perché l’impasto non diventa spumoso e chiaro!”
Lui aggrottò le sopracciglia. “E perché non hai controllato meglio mentre facevi la spesa?”
“Non ne ho idea! Sai che non faccio sempre le scelte migliori quando sono sotto pressione: avevo talmente tanta paura di dimenticare qualcosa che ho preso la prima busta di zucchero che ho trovato!”
“Ehi, calmati, cerca di…”
“Come faccio a calmarmi se è tutto uno schifo?” lo interruppi, sollevando ancora il tono di voce.
Il mio coinquilino si tappò le orecchie. “La pianti di strillare?” tuonò a sua volta.
Mi guardai attorno e realizzai che la cucina era un disastro: sul fornello stazionavano ancora il pentolino e il contenitore col cioccolato fuso a bagnomaria, ormai tiepido; proprio lì accanto era poggiato un piatto con all’interno un uovo spaccato e inutilizzabile, mentre sul tavolo una ciotola in ceramica conteneva un composto scuro e grumoso.
“Ho sbagliato tutto, questi fottuti cupcakes verranno malissimo” esalai, prendendomi la testa tra le mani.
“Conor…”
“Che c’è?”
Dom mi afferrò i polsi e allontanò le mie dita dal viso, poi mi fissò dritto negli occhi. “Il problema non è lo zucchero moscovato o come cazzo si chiama, vero?”
Allora mi accorsi della tensione che avevo addosso: il respiro mi si mozzava in gola, il cuore martellava all’impazzata e le mani mi tremavano.
Inspirai profondamente e abbassai lo sguardo.
“D’accordo, la situazione sta degenerando.” Il mio amico mi spinse verso il divano e, una volta che ebbi preso posto, si accomodò accanto a me. “Conor, non puoi avere un attacco isterico per dei dolcetti.”
“Io sono sempre isterico” obiettai.
Dom ridacchiò. “Lo so, però oggi è peggio del solito. Sei in ansia. E non provare a negarlo: ti conosco troppo bene.”
Socchiusi le palpebre e sospirai, gettando appena il capo all’indietro. “È che ci tenevo davvero a questi dolci. Speravo che venissero bene, almeno stavolta.”
“Perché sono per Phil” disse lui. Non era una domanda.
Mi morsi il labbro. Colpito e affondato.
“Io… volevo fare qualcosa di carino per lui, volevo farlo felice. Perché… lui è sempre così dolce e buono con me, a volte mi sembra di non meritarlo, di non essere alla sua altezza…” cominciai a straparlare, giocherellando col bordo della mia maglia.
“Quando dici queste stronzate mi viene voglia di tirarti un pugno in bocca!” si indignò Dom, fulminandomi con un’occhiata.
“Ma lo capisci che sono un disastro? Per una volta che decido di preparare una sorpresa carina per lui, ecco che rovino tutto!” bofonchiai, combattendo il nodo che mi chiudeva la gola.
Già mi figuravo la faccia perplessa e disgustata del mio ragazzo quando avrebbe assaggiato quegli orrori culinari che stavano prendendo forma nella nostra cucina.
Dom mi posò una mano sulla spalla e mi scrollò appena. “Guardami e ascoltami bene. Innanzitutto il disastro lo stiamo facendo in due: ho deciso di aiutarti a impastare, quindi pretendo la mia metà di colpe!” Mi scoccò un sorriso complice. “Sono bravo a fare quasi tutto, ma in cucina faccio cagare, lo ammetto!”
“Quasi tutto? Ma fammi il favore!” lo presi in giro, ridacchiando e dandogli una leggera spinta.
Lui fece altrettanto, ma dopo qualche istante tornò serio. “E poi… Phil è mio cugino, lo conosco da una vita e ti assicuro che non c’è motivo di preoccuparsi. Insomma, potresti presentarti da lui con i cupcakes più brutti del mondo, dal sapore e l’aspetto orribile, mezzo crudi o mezzo bruciati… ma lui li adorerebbe lo stesso, semplicemente perché hai avuto il pensiero di prepararli per lui.” Sorrise, gli occhi gli brillavano. “E li adorerebbe perché li hai fatti tu. Non hai ancora capito che Phil stravede per te e non hai bisogno di far niente per farti amare da lui?”
Mi mordicchiai nuovamente il labbro e gli occhi mi pizzicarono appena. “Lo pensi davvero?” pigolai titubante.
Lui mi batté una pacca sul braccio. “Certe volte sei proprio un deficiente, Conor Mason.”
Allora mi sciolsi in un sorriso; improvvisamente sentivo il cuore più leggero e l’ansia scivolar via.
Ero stato capace, grazie alle mie solite paranoie, di trasformare un’attività piacevole e divertente in un incubo all’insegna dello stress, trascinandovi anche Dom.
Eppure lui era ancora lì, pronto a darmi una mano anche se ne sapeva meno di me, pronto a sorbirsi le mie urla stridule nei momenti di isteria e a riportarmi a galla quando annegavo in un mare di pessimismo. Era il miglior coinquilino e il miglior amico che potessi avere.
Gli rivolsi un’occhiata riconoscente. “Grazie, Dom.”
“Che fine faresti senza di me?” Mi scompigliò i capelli e si rimise in piedi, tornando al piano cottura. “Rimettiamoci all’opera: moscovato o non moscovato, qualcosa dovrà pur venir fuori!”
Risi e lo imitai. “Si chiama muscovado.”
“Fa lo stesso!”


“Questa è la parte più divertente!” affermò Dom, decorando l’ennesimo cupcake con un pezzetto di Oreo.
“Soprattutto perché è l’ultima” aggiunsi mentre versavo una generosa dose di copertura bianca su una tortina.
Sfiniti e ancora impiastricciati di cibo da capo a piedi, ci accingevamo a rifinire i nostri piccoli grandi capolavori: quando avevamo sfornato i dolci, qualche ora prima, non potevamo credere che fossero venuti così bene. Certo, alcuni erano un po’ storti e sformati, ma tutto sommato avevano un aspetto delizioso.
E alla fine, a furia di rimestare e lavorare il composto, anche lo zucchero si era sciolto del tutto – un po’ come le mie preoccupazioni.
“Ecco!” esclamò il mio amico, disponendo un pezzetto di Oreo sull’ultimo cupcake. Si allontanò di un passo e osservò con soddisfazione la teglia adagiata sul tavolo. “Un’opera d’arte!”
Indietreggiai a mia volta e sorrisi. “Non saranno ineccepibili, ma per fortuna non siamo a MasterChef.”
Dom mi circondò le spalle con un braccio e mi attirò a sé, catturandomi in un affettuoso abbraccio. “Siamo una bella squadra.”
Ricambiai il gesto, senza riuscire a smettere di sorridere. Gli volevo un mondo di bene; non trovavo nemmeno le parole per dimostrargli la mia gratitudine, ma speravo che quello bastasse.
“Davanti a queste delizie, Phil non potrà che giurarti amore eterno!” commentò una volta sciolto l’abbraccio.
“Veramente non sappiamo ancora se sono delle delizie” gli feci notare.
“Constatiamolo subito!” Detto ciò, afferrò un cupcake dalla teglia e lo addentò avidamente.
“Ehi! Quelli sono per Phil!”
“Sono sedici, in ogni caso non riuscireste a mangiarli tutti” bofonchiò col boccone pieno. “Comunque sono fantastici!”
“Davvero?” Prima che potesse accorgersene, gli rubai il pirottino dalle mani e presi un morso.
Col palato e il cuore pieni di dolcezza, posai il capo sulla spalla di Dom e sorrisi.
Qualunque sarebbe stata la reazione di Phil il giorno seguente, ora avevo la certezza di aver fatto del mio meglio: non gli stavo donando un semplice vassoio di dolci, ma tutto me stesso.
Imperfetto e ammaccato come quei cupcakes, ma pieno d’amore.




🧁 🧁 🧁


Prompt per la challenge “Just stop for a minute and smile”:
1. "Mi passi la ricetta?"
50. "Ehi, non mettermi fretta!"

Ma guardate un po’ chi si rivede da queste parti! Non mi ero affatto dimenticata dei nostri coinquilini scapestrati, anzi, non vedevo l’ora di mettermi a scrivere per il contest di Laila e aggiornare nuovamente questa raccolta!
La shottina non è affatto venuta come ce l’avevo in mente, scriverla è stato un parto e alla fine non mi soddisfa per niente, ma spero possiate perdonarmi AHAHAHAH!
Innanzitutto: per scrivere questa storia mi sono basata sulla ricetta dei cupcakes panna&biscotti che trovate alla pagina 20 del libro “Le deliziose ricette di cupcake” che Laila_Dahl ha linkato nel suo contest “StoryCake”, a cui questa storia partecipa. Ma in realtà parte di ciò che avete letto fa parte della mia personalissima esperienza, visto che io stessa ho provato a farli e… ragazzi, credetemi, la lavorazione è lunga ma ne vale la pena *-*
Anche io, proprio come Dom e Conor, ho avuto lo stesso problema con lo zucchero: non era muscovado bianco e NON SI SCIOGLIEVA, mamma mia che ansia ahahahahah ma alla fine sono venuti bene lo stesso XD
Lascio anche qualche noticina per la giudice, che non conosce il fandom. In realtà, essendo questo un AU, non ho citato tante dinamiche riguardanti i Nothing But Thieves: l’unica cosa vera è che Dom e Phil sono cugini.
Per quanto riguarda l’AU, questa storia (e tutta la raccoltina) è uno spin off di una mia long. A dire il vero non c’è tanto da sapere: Dom e Conor, amici da sempre, si sono iscritti insieme all’università e hanno affittato una casetta. Conor ha da poco conosciuto Phil, il cugino del suo coinquilino, e se n’è innamorato perdutamente. Ovviamente tutto ciò è frutto della mia fantasia (…ehh…), ma l’amicizia tra Dom e Conor è assolutamente reale, come testimonia il banner che ho messo in cima! Non sono coccolosissimi i miei coinquilini del cuore mentre si abbracciano così? *_____________*
(Dom, giù le mani che poi Phil si ingelosisce AHAHAH)
E a tal proposito: ringrazio di cuore Carmaux per avermi dato una mano a crearlo! A dire il vero quell’immagine è tutta opera sua, io mi sono occupata solo di inserire il titolo… quindi, insomma, è un banner a quattro mani!
Grazie tesoro :3
Infine segnalo che in questa shottina ho sviluppato un prompt che Carmaux mi aveva fornito l’estate scorsa, quando ero in crisi col fandom e avevo chiesto alle mie lettrici di darmi una mano per sbloccarmi! La frase in questione è “non faccio sempre le scelte migliori quando sono sotto pressione” (in realtà non ricordo se fosse “prendo le decisioni” o “faccio le scelte” perché sono deficiente e l’ho perso, ma insomma il senso era quello XD), spero di averla sfruttata al meglio! Grazie doppiamente a Carmaux per lo spunto carinissimo!
Niente, concludo queste NdA chilometriche, ringrazio di cuore chiunque sia arrivato fin qui e vi do appuntamento alla prossima – e ultima – shottina della raccolta! :3
A prestoooo!!!

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