Fuori strada

di Rosmary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incastrati nella testa ***
Capitolo 2: *** Quando il buongiorno non si vede dal mattino ***
Capitolo 3: *** Scorci ***
Capitolo 4: *** Sono tutti i colori ***
Capitolo 5: *** Emozioni ***
Capitolo 6: *** Se non è per sempre ***
Capitolo 7: *** Di impiccioni, offese e chiacchiere ***
Capitolo 8: *** Legati ***
Capitolo 9: *** Un sabato tutto Grifondoro ***
Capitolo 10: *** Il più bello del reame (più o meno) ***
Capitolo 11: *** Un modello per Louis ***
Capitolo 12: *** Tasselli ***
Capitolo 13: *** A lezione di Babbanologia ***
Capitolo 14: *** Ritornare – e restare ***
Capitolo 15: *** Promesso ***
Capitolo 16: *** Vita da Capitano ***



Capitolo 1
*** Incastrati nella testa ***


I personaggi presenti nelle storie di questa raccolta, salvo i miei OC, sono proprietà di J.K. Rowling; i racconti sono stati scritti senza alcuno scopo di lucro.
Le caratterizzazioni dei personaggi, alcune dinamiche e situazioni sono quelle di Paradiso perduto.



A Traumerin
e a tutte le mie lettrici scaldabolidose!

 
 
Incastrati nella testa
 
Febbraio 2022
 
Non sono ancora le quattro del mattino quando un sogno confuso agita Scorpius e lo obbliga a svegliarsi, fissare confuso il tetto del baldacchino, ansimare agitato.
Di nuovo.
È la quinta notte di fila che non riesce a dormire sereno, che qualcosa di molto simile a un incubo lo sorprende a tradimento.
Come incastrato in un rituale che si ripete a oltranza, anche ora si ritrova a mettersi seduto, strofinare gli occhi assonnati, guardarsi attorno per constatare ciò che ha già intuito: è troppo presto e i suoi compagni di stanza riposano sereni.
Istintivo guarda alla propria destra, cercando e trovando il profilo di Albus, che accaldato come al solito ha le coperte ricacciate sotto le spalle e i capelli umidicci di sudore.
Senza averlo voluto si ritrova a chiedersi per la quinta notte consecutiva se sia normale avere impressi nella memoria certi dettagli, ma ancora una volta decide di scacciare tutto, tirarsi su e camminare per rilassarsi – percorrere il corridoio del dormitorio sino alla Sala Comune lo aiuterà, ne è certo.
Deve solo non pensare.
In fondo è semplice. Non pensare o pensare ad altro, magari ripassare gli ingredienti della Pozione Polisucco in vista dell’interrogazione oppure passare in rassegna tutte le date delle guerre tra Folletti e maghi. Ecco, si dice, Storia della Magia è perfetta: noiosa, lunga e soporifera, l’ideale per distrarsi e riaddormentarsi alla svelta.
Purtroppo attuare il piano si rivela più difficile del previsto, come sempre, e prima ancora di raggiungere la Sala Comune i pensieri hanno già rincorso il sogno tanto simile a un incubo che gli impedisce il riposo, così vivido nelle sensazioni da lasciargli addosso l’impressione che quelle cose siano accadute sul serio – che lui abbia davvero baciato Albus.
Ed è terrificante.
Terrificante il calore che gli lascia addosso quella visione fuori da ogni logica, il sapore che gli sembra di avvertire nella bocca, la memoria che ricorda il corpo ossuto dell'amico sotto le proprie mani, l’olfatto che ne riconosce l’odore ovunque.
Continua a ripetersi che sia tutta colpa del dannato Capodanno e della robaccia dei Tiri Vispi Weasley. Per forza, deve essere stata quella sinistra polverina a mandargli in confusione la testa, e il fatto di essersi svegliato avvinghiato ad Albus ha fatto il resto – è solo suggestione.
“Guardati, sei un zombie!”
La battutaccia di Basile non è il buongiorno sperato e riesce solo a strappargli una debole smorfia mentre prende posto in Sala Grande. Sa di avere gli occhi cerchiati dalle occhiaie e il pallore della stanchezza in viso, ma non può farci niente, e di certo non andrà in Infermeria per chiedere il permesso di saltare le lezioni: non ha nessuna intenzione di addormentarsi né di guadagnare tempo libero per rimuginare.
“Problemi con Clarissa?”
Se avesse avuto meno autocontrollo avrebbe riso di gusto, è ironico che sia proprio Albus a porgli questa domanda.
“Nessuno.”
“Allora che hai?”
Scorpius scuote debolmente il capo e pensa bene di avviarsi in solitudine alla prima lezione del giorno, prima di rifilare qualche rispostaccia agli amici. Non ha voglia di dir loro cosa gli ruba il sonno, ma al tempo stesso è a corto di energie per inventare scuse, motivo per cui meglio ricorrere a una fuga strategica e aggirare l’ostacolo.
“Scorpius, aspettami.”
Come non detto.
Si scosta d’istinto quando Albus tenta di stringergli le spalle – e la vede, la perplessità che sporca quegli occhi verdi.
“Ma che hai?”
“Niente, te l’ho detto.”
Niente è quello che mi dici da giorni,” ribatte Albus. “Ti girano le palle, ce ne siamo accorti.”
“Ho solo sonno, Al, la notte mi sveglio e non riesco a riaddormentarmi... Ecco tutto. Per di più oggi abbiamo l’allenamento e Moira mi romperà il cazzo appena si accorgerà che non sono in forma... Non è giornata.”
Albus, lo sguardo che sonda il volto di Scorpius alla ricerca di non sa quale indizio, si stringe nelle spalle e accenna un debole sorriso.
“Sei pur sempre il cugino del suo ragazzo, sono sicuro che ti farà uno sconto di pena.”
Scorpius storce le labbra in una smorfia, mentre un fastidio irragionevole lo assale e quasi lo induce a sbraitare senza motivo contro l’amico.
“Ce l’hai sempre in testa,” mormora. “Lei e Atlas che se la scopa.”
“Era una battuta.”
“Riuscita male.”
Albus ingoia a fatica l’impulso di rispondergli a tono e si limita a ribattere con un pacifico sospiro, sorprendendo non poco Scorpius.
“Cos’è, incassi?”
“Ti girano le palle,” chiarisce Albus. “È meglio che non girino anche a me.”
Suo malgrado, Scorpius si ritrova a fare esattamente ciò che s’è ripromesso di evitare: sollevare lo sguardo e incrociare quello di Albus, trovarlo complice e rintanarsi in quelle terre conosciute.
 
Aprile 2022
 
Sono giorni, giorni, che non chiude occhio.
Giorni in cui vorrebbe andare dal fratello e pregarlo di cancellargli la memoria – e dire che James gliel’ha anche detto: Al, non vuoi saperlo, fidati.
Invece no, lui ha preteso di sapere, perché quando un sogno diventa insistente, un tuo migliore amico sfuggente e l’altro insinuante, sapere diventa indispensabile. E chi se non James avrebbe potuto dirgli la verità nuda e cruda?
È assurdo.
Non che una robaccia degli zii lo abbia indotto a baciare Scorpius né che questi ricordi tornino a galla – maledetto Louis che ha preso roba sperimentale –, ma le proprie reazioni a questi ricordi camuffati da sogni: sono quelle a essere assurde.
Non capisce.
Conosce Scorpius da anni, è sempre stato suo amico, lo ha visto innumerevoli volte aggirarsi per il dormitorio e gli spogliatoi mezzo nudo, a volte hanno persino usato il bagno insieme senza farsi problemi – uno al gabinetto, l’altro a lavarsi i denti. Non è mai esistito alcun tipo di imbarazzo, perché avrebbe dovuto esserci? Sono amici e tra amici il pudore non esiste.
O forse sì.
Forse si sviluppa crescendo, diventando adulti, in fondo hanno entrambi quasi sedici anni e tra un paio d’anni si lasceranno persino Hogwarts alle spalle. Eppure, per quanto si sforzi, Albus non riesce a trovare plausibile questa spiegazione – potrà andar bene per il pudore, ma il resto non si incastra per niente.
Crescendo, e di questo ne è certo, non si sviluppano sogni agitati in cui cerca le labbra del suo migliore amico, né si sviluppano pulsioni che lo inducono a rabbrividire quando Scorpius gli sorride, avvertire una morsa allo stomaco quando lo sfiora, agitarsi da capo a piedi quando vede la sua divisa scivolare via.
E poi – dannazione.
Con non poco sgomento ha iniziato a notare di avere impressi nella memoria persino i dettagli più insulsi del corpo di Scorpius: dalla vistosa cicatrice sul polpaccio sinistro causata da un Bolide a inizio anno sino alla sfumatura decisa dei suoi occhi grigi – si è accorto di aver paragonato quegli occhi a quelli di Moira tante, troppe, volte nel corso del tempo, perché riesce a distinguerli senza neanche rifletterci e nel farlo non dice mai a se stesso è il grigio di Moira, ma non è il grigio di Scorpius.
Non sa quanto ci sia di normale in tutto questo, e d’altra parte non sa neanche se abbia granché senso ragionare in questi termini: come dice James, normalità è una parola inutile, usata solo per far sentire fuori posto chiunque non segua strade preconfezionate e costruisca da sé e per sé la propria vita.
Ecco, ma se non è anormale allora non è neanche assurdo trovare attraente il proprio migliore amico, giusto?
Si morde le labbra a sangue per aver pensato una cosa simile – attraente.
No, deve fare un passo indietro e ingoiare questo pensiero, prima che Scorpius intuisca che stia dando di matto e lo allontani.
“Al, sei tra noi?”
“No che non è tra noi, guarda che ha combinato.”
“Ma perché ti sei morso?”
“È un coglione.”
Albus, gli occhi sgranati, non fa in tempo a ringraziare proprio Scorpius della gentile definizione che Basile gli ha già messo in mano un fazzoletto per fargli asciugare il sangue.
“Non volevo mordermi,” biascica mentre asciuga qualche piccola goccia. “È tutto qui? A sentire voi ero sul punto di morire dissanguato.”
“Non prendertela con me,” dice Basile. “È Scorpius che si è preoccupato.”
“Io non mi sono preoccupato.”
“Certo,” sogghigna Basile, alternando lo sguardo dall’uno all’altro. “Ma è comprensibile, siete così innamorati.
“Vuoi darci un taglio con questa stronzata?” sbotta Scorpius.
“Ma veramente non volete sapere cos’è successo?”
“No, né io né Al.”
“Ma… Ma dove vai? Non fare il tragico, è solo uno scherzo!”
E mentre Scorpius lascia la biblioteca a passo di marcia e Basile non trattiene una risata impudente, Albus scocca all’amico seduto accanto a sé un’occhiataccia prima di precipitarsi a sua volta in corridoio senza preoccuparsi di aver abbandonato libri, taccuini e pergamene sul tavolo – mi riporterà tutto Basile pensa, è il minimo che possa fare.
Tuttavia, fuori dal chiacchiericcio della biblioteca, si ritrova ad arrestare i passi a poca distanza dalla sagoma di Scorpius, ancora una volta irrigidito da un prepotente imbarazzo – forse, riflette a disagio, avrebbe dovuto evitare di seguirlo, ma riflette anche che oramai è fatta e tramutarsi in uno stoccafisso non è una grande idea.
“Scorpius.”
“Non devi seguirmi sempre.”
Quando si volta verso di lui, Albus si ritrova a incrociare occhi in cui non riesce a rintracciare nulla che non sia confusione. A sorpresa, si chiede se non abbia fatto un errore di valutazione nel credere di essere il solo a subire l’eco di insinuazioni scomode. Ha sempre attribuito le reazioni irritate dell’amico al fastidio, ma inizia a credere che anche in lui sia germogliato un disagio estraneo, che non ha nome né sostanza e costringe chi ne è schiavo a barcollare tra impaccio e nervosismo.
Inspiegabilmente, l’idea che siano in due – che siano entrambi – ad annaspare in pensieri sfocati lenisce il disagio e lo aiuta a macinare quei pochi passi che li separano per camminare assieme.
“Se non ti seguo io, chi ti sopporta?” ironizza allora.
Scorpius si lascia sfuggire un sorriso, scuote debolmente il capo e infila le mani in tasca.
“Basile sta esagerando e non lo capisce.”
“Forse dovremmo farci raccontare tutto,” tenta Albus. “O chiedere a mio fratello di cancellargli la memoria.”
Scorpius storce le labbra, e Albus ha la sensazione che un nuovo tipo di disagio lo abbia assalito – più evidente, più pressante.
“E se io già sapessi cos’è successo?”
Albus sgrana gli occhi e rallenta sino a fermarsi, quel nuovo tipo di disagio ora ha assalito anche lui e gli mozza il respiro – possibile?
“Me l’ha detto Clarissa,” continua Scorpius. “Non capivo perché le desse fastidio vedermi con te, abbiamo discusso e lei ha sbottato,” spiega. “Ci siamo lasciati.”
“Quando? Perché non me l’hai detto?”
“Una settimana fa e… E non lo so, Al, sarà che non volevo incasinare anche te.”
Albus ha la sensazione che il corridoio dove sono impalati sia stato risucchiato da una dimensione alternativa, dove non esiste nessuno che possa interferire, interromperli, spiarli, dove il calore che lo ha invaso e il velo calato ad annebbiargli per un istante lo sguardo abbiano già una collocazione.
“A me l’ha raccontato James,” confessa improvviso. “Gliel’ho chiesto io, volevo capire.”
Capire.
“Capire le battutine di Basile.”
No pensa Albus, capire perché sei nella mia testa.
“Infatti, quelle.”
Scorpius un po’ annuisce e un po’ china il capo.
“Anch’io volevo capirle, Clarissa una cosa buona l’ha fatta.”
“Almeno hai finalmente avuto un pretesto per lasciarla,” mormora Albus. “Ora immagino ci proverai con Rose.”
“No, io… Non credo. In fondo non la conosco neanche, e tu mi hai sempre scoraggiato.”
“Anche tu mi hai sempre scoraggiato con Moira.”
Prima che Scorpius possa ribattere per sottolineare che il proprio intento non sia accusarlo di avergli rovistato i desideri, Albus gli ha già rivolto un sorriso complice e stretto la spalla in una morsa ruvida.
“Moira sta con Atlas, quindi non fa per te,” dice allora Scorpius. “Mio cugino è uno tosto, tu sei un rammollito,” scherza.
“Molto spiritoso.”
Scorpius sogghigna e Albus si ritrova a contraccambiare l’espressione furba – e a osservarlo come ha fatto tante volte, capendo una volta ancora di aver sempre fatto caso al suo profilo aristocratico, alle sue maniere eleganti, ai suoi occhi di quel grigio che non è chiaro ma non è neanche scuro. Forse, diversamente da quanto ha pensato nel corso degli anni, non è stata un’insana invidia a fargli imprimere nella memoria tutti quei dettagli, ma qualcosa di diverso che ancora fatica ad afferrare.
È quando riprendono a camminare e Scorpius lo sfiora sorridendogli che cascano tutti gli interrogativi, d’improvviso ha almeno una certezza: se sono insieme, va bene.
 
Giugno 2022
 
L’ultima settimana di scuola è sempre la più caotica: tra l’eccitazione figlia delle tanto attese vacanze e la stanchezza figlia dei mesi di studio, gli studenti un po’ arrancano e un po’ creano più baccano del normale.
Tuttavia Scorpius non ricorda di aver mai vissuto un anno tanto intenso e sfiancante – e per quanto ci provi, non riesce proprio ad addossare la colpa ai soli esami per i GUFO, che saranno anche stati impegnativi ma di certo non sono stati ladri di sonno.
Uscito dall’aula in cui ha sostenuto il suo ultimo esame, neanche tenta di cercare un unico volto nella calca, già sa che quegli occhi verdi sono nascosti altrove. Si allontana così senza avvisare Basile, che può immaginare da sé dove sia diretto – dopotutto, sanno entrambi che qualcuno deve recuperare Albus.
E questo qualcuno è sempre lui.
Lui, che macina rabbia pensando al motivo che induce l’amico a isolarsi ogni venticinque giugno. Possibile, si chiede ogni volta che ricorre questa data, che nulla di quanto costruito sia abbastanza per Albus? Possibile che ogni volta debba tramutarsi in un amante della solitudine per sfuggire al pensiero di essere l’unico Potter-Weasley a non poter festeggiare il compleanno in famiglia, nella stupida Sala Comune Grifondoro?
Lui, che in questo istante oltre alla rabbia macina anche un disagio invasivo, perché da quando hanno confessato l’un l’altro di sapere hanno anche smesso di trascorrere del tempo da soli – è stato un accordo implicito, qualcosa capace di porli al riparo da imbarazzi difficili da gestire e continuare a essere amici senza porsi troppe domande.
Scorpius dubita sia servito a qualcosa.
È almeno un mese che il suo inconscio non gli ripropone più i ricordi sfocati di quel dannato Capodanno, ma anziché rivolgersi altrove ha iniziato a inventare e ad assillarlo con sogni e pensieri sempre più invasivi il cui unico protagonista è Albus.
E più si chiede cosa significhino più non trova che un’unica, semplice spiegazione: è attratto dal suo migliore amico.
No.
Ha rifiutato questa spiegazione l’istante dopo averla avvertita sulla punta della lingua, lasciandosi assalire da nuovi interrogativi che lo hanno indotto a guardare con maggiore interesse altri compagni di Casa – ha persino soffermato lo sguardo sul corpo fastidiosamente perfetto di Louis Weasley –, sperando invano di provare le stesse sensazioni che gli attanagliano lo stomaco quando indugia su Albus. E non sa perché lo abbia sperato, se sia stato per dare un senso a tutto, per potersi dire che forse gli interessano anche i ragazzi, o per trovare rifugio nell’idea che possa disintossicarsi da Albus, virare le attenzioni altrove e ritornare a essergli amico come lo è sempre stato.
Un sospiro abbandona le sue labbra – come lo è sempre stato. Ma se sia stato sempre e solo un amico, ormai ne dubita un’ora sì e l’altra anche. Ci sono dettagli incastrati nella testa cui non ha mai dato peso, ma che da quando sono emersi sono diventati macigni – dettagli come conoscere a menadito le abitudini di Albus, le linee del suo corpo magro, la curva delle sue labbra quando è nervoso, i piccoli calli alle mani che si è procurato ostinandosi a non indossare i guanti per giocare.
Dannazione.
Clarissa è stata la sua fidanzata, eppure ha dovuto faticare persino per ricordarne il colore preferito. E Basile, ecco, c’è anche lui, lo ha sempre considerato un amico al pari di Albus, eppure non ha la più pallida idea di come tremi la sua bocca quand’è nervoso né ricorda se i suoi palmi siano ruvidi né saprebbe dire se abbia messo su peso nel corso degli anni.
È quando arriva ai piedi dell’ultima scalinata che arresta tutto – incedere e pensieri –, dicendosi che è ancora in tempo per rinunciare e lasciare che siano altri a recuperare Albus. Peccato che non si dia tempo di elaborare la scappatoia e si precipiti invece a percorrere le scale in salita, arrivando alla Guferia dove senza sorprese scorge la sagoma del ragazzo, che come ogni anno approfitta della necessità di dover rispondere agli auguri dei genitori per rintanarsi nel silenzio.
Non sapendo cosa dire, gli si avvicina e ne richiama l’attenzione sfiorandogli la schiena.
Albus sussulta come non ha mai fatto e anziché voltarsi china il capo in avanti, per Scorpius è come aver appena ricevuto uno schiantesimo in pieno stomaco.
“Sapevo che saresti venuto,” esordisce a sorpresa Albus. “Lo fai sempre.”
“Quest’anno avresti potuto evitare, avevo l’ultimo esame, un po’ di sostegno non mi avrebbe fatto schifo.”
“C’era Basile.”
“A volte dai proprio delle risposte del cazzo.”
Le labbra di Albus si curvano in un sorriso furbo e quelle di Scorpius le imitano un istante dopo – come guidate dallo stesso istinto.
“Sono proprio un Potter-Weasley, eh?”
“Più sopportabile dei tuoi parenti, ti ha salvato Serpeverde.”
Albus si volta, ma anziché ribattere o scherzare, fugge lo sguardo dell’amico e si limita a fissarsi le dita sporche di inchiostro – vorrebbe dirgli che lo ha aspettato, che ha persino tremato di aspettativa quando ha sentito i suoi passi percorrere la torre, che ha sperato con tutto se stesso che quanto accaduto non gli avrebbe impedito di osservare il loro personale rituale.
Si è chiesto se rifugiarsi qui ogni anno non significhi altro.
Ha sempre detto, pensato, sentito che sia un modo per dimenticare l’opprimente sensazione di estraneità che esplode il giorno del suo compleanno, facendolo sentire ancora più escluso quando James e Lily sono costretti a rincorrerlo in Sala Grande per gli auguri, quando i cugini lo cercano nei corridoi, quando tutti sono bene attenti a non parlare mai troppo delle festicciole in Sala Comune in sua presenza – per non ricordargli di essere un estraneo.
Ma ora.
Per la prima volta in cinque anni i suoi pensieri sono stati risucchiati da altro, e questo altro è Scorpius.
Ha riflettuto sulle sensazioni lasciategli dai venticinque giugno trascorsi a Hogwarts ed è arrivato alla conclusione che vi sia meno negatività di quanto ha sempre creduto, perché in ognuno di essi – sin dal primo – c’è sempre stato Scorpius a tirarlo via dal baratro di tristezza.
Ha ricordato il secondo anno, l’alba dei suoi tredici anni, quando sulla scorta dell’anno precedente non ha fatto altro che fissare le scale in attesa di vederlo apparire. E così i due anni a seguire, sino a questo in cui a fargli compagnia non è stata solo l’attesa, ma anche una strana forma d’ansia – finalmente avrebbero trascorso di nuovo del tempo da soli, riuscendo forse ad abbattere l’imbarazzo che s’è impossessato di loro a seguito del confronto vecchio di due mesi.
“Non ti ho comprato il regalo.”
La voce di Scorpius spezza il silenzio e obbliga Albus ad abbandonare la fitta rete di pensieri per sollevare lo sguardo su di lui.
“Non importa, hai tutta l’estate per comprarmelo.”
Scorpius sorride e muove un passo in avanti, non sa bene perché ma vuole accorciare la distanza che li separa.
“E se non volessi comprartelo? Gli auguri dovrebbero bastarti.”
“A volte dai proprio delle risposte del cazzo,” celia Albus, facendogli il verso. “A me piacciono i regali.”
“Il solito principino viziato.”
Albus inarca le sopracciglia e a Scorpius sfugge un sorriso che sa di amarezza.
“Non dovresti farti rovinare il compleanno dai tuoi parenti,” riprende. “Mi fai incazzare ogni volta.”
Albus sospira – è un discorso che affrontano sì e no una volta al mese da quando si conoscono e ha sempre avuto un senso tirarlo fuori anche il giorno del suo compleanno, ma non questa volta, non oggi, e non sa come dirgli che a tenerlo in bilico non sono i colori rosso e oro, ma cumuli di pensieri che vanno in tutt’altra direzione.
“Non...” tenta. “Non sono loro il problema...”
“Siamo noi a non essere abbastanza, lo so.”
A Scorpius le parole sfuggono esattamente come gli è sfuggito il sorriso amaro un istante prima – impulsive. E dire che lui non è una persona impulsiva, anzi crede di avere un istinto di sopravvivenza così marcato da essere immune a quasi ogni sciocchezza dettata dall’irruenza. A quanto pare, riflette disorientato, Albus deve essere il suo punto debole, o qualcosa del genere, perché riesce sempre a destabilizzarlo e a fargli saltare i nervi, soprattutto quando si strugge per lo Smistamento andato male, per il suo stupido fratello, per delle persone che non lo meritano – per la sorte che lo ha voluto suo amico.
Forse è come dice Basile: lui fraintende tutto, dà di matto solo perché crede che Albus se potesse lo escluderebbe dalle sue giornate, e non capisce che quell’idiota mette in discussione sempre e solo se stesso, mai loro, mai le persone cui vuole bene. Però, ecco, il fastidio – la gelosia? – è così difficile da ammansire.
“Cosa?”
Albus gracchia la domanda con occhi già ridotti a fessure e a Scorpius sa di scena già vista: l’amico sulla difensiva e pronto ad attaccare, se stesso con la pazienza esplosa.
“Certe cose sono evidenti.”
Risponde senza fermarsi a riflettere – non sempre l’esperienza serve a qualcosa, a quanto pare – e la nota subito, la rabbia che gli sporca il viso.
Albus serra le labbra, le schiude, le serra di nuovo – incredibile, Scorpius riesce a straparlare in qualsiasi situazione se l’argomento slitta su suo fratello e i suoi cugini, riuscendo a scavargli dentro un nervosismo così invasivo da spazzare via tutto il resto. Quando lo sente parlare a quel modo ha l’impressione – il timore? – che nutra un vero e proprio astio per chiunque porti il proprio cognome, compreso lui, una prospettiva che non riesce a sopportare, che lo scaraventa in un baratro di infinita solitudine – e allora scappa.
“Non capisci più niente quando si tratta della mia famiglia.”
Lo mormora nervoso, Scorpius non fa in tempo a rispondergli che lo vede correre via, giù per le scale e poi sempre più giù, diretto al loro dormitorio.
Lo segue svelto, senza preoccuparsi di sembrare due matti nel procedere a passo di marcia, uno avanti e l’altro a seguire, le mani ficcate in tasca e le labbra sigillate, sino a sfilare cupi lungo la Sala Comune prima e l’ala maschile poi.
Scorpius non ha previsto di chiudere la porta della loro stanza in un tonfo né di guardarlo in cagnesco perché ha preferito mettere quanta più distanza possibile tra loro piuttosto che spiegarsi – capire che se nutre rabbia è solo perché vorrebbe vederlo sereno, senza ombre a incupirgli lo sguardo, mai pentito di quello che hanno costruito.
“Ora che siamo qui sei soddisfatto?”
“Lasciami perdere.”
“Perché? Sono troppo indegno per nominare i tuoi parenti?”
“Ma sei serio?” esplode Albus. “Indegno, tu, il mio migliore amico? Ma che cazzo ti dice la testa?”
Scorpius si ritrova a boccheggiare, mentre la testa gli urla che Albus ha ragione da vendere e le emozioni impazziscono perché, no, non è mai stato così diretto, non ha mai urlato la loro amicizia – e allora sorride nervoso, perché non sa che altro fare.
“Non devi pensarle più queste cose, odio che le pensi.”
Odio che le pensi – parole che rimbombano in entrambi e convincono Scorpius a sopportare la fatica di ingoiare il disagio, ricambiare la sincerità con la sincerità, accettare il rischio di esporsi.
“Dovresti guardati da fuori,” mormora. “Quando ti isoli perché non sei uguale a loro, perché hai solo noi… Fa male.”
È Albus a boccheggiare ora, la sensazione che quelle parole racchiudano molto altro è forte, invasiva, a tratti persino prepotente, e a sorpresa gli infonde coraggio.
“Non si tratta di loro,” ammette allora, gli occhi che ancora una volta vagano ovunque pur di non incrociare quei contorni grigi. “Questa volta si tratta di me e di te… Di noi.”
In altri tempi, un’affermazione del genere avrebbe causato in Scorpius un’ondata di gelo, ma ora si ritrova ad allentare accaldato il nodo della cravatta e a sbarazzarsi della giacca della divisa – inizia a credere che abbiano lo stesso, identico, macigno.
Albus, rapito da quei movimenti, si ritrova suo malgrado a guardarlo e ingoia a vuoto non appena ne scruta il viso in tensione, perso in fitte riflessioni. Si guarda allora attorno, vede la loro stanza vacante, ripensa ai mesi trascorsi e alle parole buttate fuori – ma cosa gli è saltato in mente?
Nervosismo, rabbia, stanchezza, è esploso tutto insieme quando gli ha sentito pronunciare quelle parole – non abbastanza – e lo ha offuscato impedendogli sia di proseguire sulla scia giocosa sia di ragionare assieme a lui sul sentimento di esclusione di cui gli ha parlato tante volte, trovando in Scorpius l’amico con cui confidarsi e cui affidarsi in maniera un po’ contorta forse, perché dentro di sé ha sempre esultato nel vederlo rabbioso della sua rabbia, deluso della sua delusione, intristito della sua tristezza, pronto a insultare tutti pur di risollevargli il morale.
Scorpius è sempre stato al di là dell’amicizia.
Lo ha capito in queste settimane di distanza imbarazzata, in questi mesi di disagio perenne, in quei ricordi sfocati che sono diventati incubi e sogni a occhi aperti. Lo ha capito quando ha guardato con più attenzione Moira e ha rintracciato in lei la piega delle labbra di Scorpius, il grigio ingannevole di occhi simili, il sarcasmo pungente che sa di Malfoy – l’ha vista per la prima volta per ciò che ha sempre rappresentato per lui: una persona in grado di ricordargli il suo migliore amico, se questo abbia senso o meno ha preferito non domandarselo.
Ora però non sa che fare.
Non ha raccattato abbastanza coraggio per confidargli ciò che sente, ma non ha neanche la forza per continuare a fingere indifferenza.
Nell’incertezza si rintana nel silenzio e gli dà le spalle, sussultando l’attimo dopo quando avverte la mano di Scorpius toccargli la schiena e poi allungarsi sino a sfiorargli l’ombelico. Non sa cosa stia facendo né perché, ma un gemito strozzato – imbarazzante – lo sorprende quando avverte i polpastrelli altrui oltrepassare i bottoni della camicia e pizzicargli la pelle.
Prima che possa accorgersi di essersi irrigidito, Scorpius si allontana e il vuoto lo assale a tradimento.
Si volta di scatto e vede l’amico rosso in viso e gli occhi fissi sulle mani – lo conosce così bene che riesce a sentire tutti gli insulti che sta rivolgendo a se stesso.
È quando capisce che è sul punto di andare via, rotto dalla vergogna, che macina i tre passi che li separano e gli afferra rude i polsi.
Scorpius ha appena il tempo di alzare lo sguardo che le labbra di Albus toccano le sue. Ingoiano entrambi a vuoto, fissandosi con occhi sgranati, immobili in una morsa che di scomodo ha tutto.
Nessuno dei due ha idea di chi abbia schiuso la bocca per primo, eppure il calore che li avvolge è reale, tangibile, così come i denti che cozzano impacciati e i sapori che si mischiano.
Quando Scorpius inclina il capo per favorirsi, serra anche le mani attorno a quei fianchi ossuti – e il corpo trema immediato, memore di una sensazione sottopelle che non ha mai dimenticato. Lo avvicina a sé senza garbo, stringendoselo addosso, mentre qualcosa nel petto prende a battere all’impazzata quando le dita di Albus decidono di avventurarsi tra collo, scapole, schiena.
Si allontanano improvvisi, come ustionatisi da qualcosa di troppo nuovo che li induce ad arrossire di imbarazzo oltre che di foga.
E se Albus è in affanno, Scorpius finge di inumidirsi le labbra per raccattare tracce del sapore dell’altro.
Cos’è che si dice dopo aver baciato il proprio migliore amico?
È una domanda che martella entrambi, che tenta di razionalizzare emozioni e scoperte che sono fatte di istinto – sentimenti.
Albus passa una mano sul viso e sulla bocca, mentre gli occhi tentano di non sbirciare quelli altrui.
“Ti ha dato fastidio?”
Scorpius non sa dove ha trovato il coraggio di porgli quella domanda, sa solo che è la prima che ha fatto a se stesso e la risposta che ne ha ricevuto lo ha terrorizzato ed elettrizzato assieme.
“Non proprio,” mormora Albus. “No.”
Al pari dell’altro, non sa dove ha trovato il coraggio di aggiungere il monosillabo, ma sa che il sorriso spontaneo che sfugge a Scorpius è capace di ripagarlo dello sforzo e spingerlo in avanti, di nuovo a contatto con quel corpo che non ha nulla di femminile, ma sa come niente prima d’ora di terre attese e conosciute.
Si guardano senza sfiorarsi, senza imbarazzo, come se ogni tessera avesse d’improvviso trovato la sua collocazione – come se una parte di loro stessi avesse smesso di fuggire assieme a sguardi riluttanti e sporchi di vergogna.
È solo quando le dita si intrecciano e la fronte di Scorpius si poggia su quella altrui che Albus avverte di nuovo il bisogno pressante di parlare, cercare conferme, avere la certezza di non essere vittima di un’illusione.
“Quindi… insomma,” farfuglia. “Questo significa che noi… Che noi…”
“Respira,” interviene lesto Scorpius, aprendosi in un sorriso. “Significa solo che Basile gongolerà fino alla morte.”
E se Albus scoppia a ridere, leggero come non lo è da mesi, Scorpius decide in fretta che di lui vuole imprimersi dentro ogni cosa e ne bacia la risata senza preavviso, consapevole, ingoiando un sorriso tronfio quando lo sente arrendersi ai loro sogni agitati, quelli che senza permesso hanno incastrato l’uno nella testa dell’altro.
 
Forse non durerà che un istante – forse tutta la vita.







 
Note dell’autrice: questa storia partecipa al Gioco di scrittura e all’iniziativa Una storia tutta per te ed è il mio regalo di Natale in ritardo per Traumerin_, che è appassionata di questa coppia e crede possa avere un futuro persino nella mia long – e siccome non è la sola (non so come sia potuto accadere!) dedico questo piccolo racconto anche alle altre lettrici che vorrebbero vedere i miei Albus e Scorpius insieme.
Piccole note tecniche: non so quando termini l’anno scolastico a Hogwarts, per esigenze di trama ho ipotizzato che la scuola chiudesse i battenti a fine giugno (nel caso qualcuno fosse curioso, il venticinque giugno è proprio la data di nascita che ho scelto per Albus in Paradiso perduto). Per chi sa di cosa parlo (!), questa storia a livello cronologico è una sorta di What if? post Mai chiedere consiglio allo zio George!. Nel caso vi fossero lettori che non seguono la long, preciso che Basile, Clarissa, Moira e Atlas sono miei OC.
Questa raccolta fa eco a Perduti quanto a progetto, perché i protagonisti sono i personaggi di Paradiso perduto, ma i racconti si collocano al di fuori della trama della storia madre: quindi, salvo eccezioni che nel caso segnalerò in note, sono racconti indipendenti e ciò che narrano non è mai accaduto nella long.
Per quanto riguarda proprio l’aggiornamento della long, non l’ho dimenticato né accantonato, per ora mi limito a dire che questo è stato un anno complicato e tante volte non sono riuscita a dedicarmi a qualcosa che a livello emotivo mi impegna tantissimo e cui tengo più di ogni altro racconto possa scrivere.
Grazie del tempo dedicato, un grande abbraccio. ❤

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Capitolo 2
*** Quando il buongiorno non si vede dal mattino ***


A Mari
 
 
Quando il buongiorno non si vede dal mattino
 
Maggio 2025
 
Seamus Finnigan è un idiota – e non un idiota qualsiasi, ma uno di quelli colossali e irreparabilmente messi a capo di qualcosa.
Scorpius non ha nessun dubbio in proposito, perché se così non fosse non avrebbe incaricato lui, un tirocinante, di procurarsi quella maledetta intervista. E dire che tecnicamente non spetterebbe neanche al Direttore editoriale – quello che disgraziatamente è Finnigan – affidare incarichi ai tirocinanti, a quello ci pensa Mirabella Trifling, che pur avendo il brutto vizio di rifilare agli ultimi arrivati gli orari più scomodi e le mansioni più insulse non ha mai preteso l’impossibile.
Sono giorni che non fa altro che sbuffare e masticare improperi, con la conseguenza che Albus lo ha ribattezzato teiera e Basile seguita a ridere impudente delle sue disgrazie – e grazie tante vorrebbe dirgli Scorpius, è facile ridere quando si passa da tirocinante ad articolista in meno di tre mesi, solo perché si è talmente spudorati da scovare notizie anche dove non ci sono.
Non riuscirà mai a intervistarla.
Quella ragazza è inarrivabile: non ha un ufficio stampa – e a cosa le servirebbe averlo, dopotutto –, non è ospite di alcuna locanda nota ai maghi britannici, non accetta gufi sconosciuti, non ha mai rilasciato interviste, nessuno l’ha mai vista mettere piede a Diagon Alley… È come se non esistesse. Tutto ciò che sanno, che sa, è che è arrivata in Inghilterra per chissà quale motivo e che Finnigan pretende che lui la scovi e intervisti.
“Ma perché io!”
“Perché sei un inutile tirocinante.”
Scorpius, che ha creduto di essere solo in archivio, si limita a sbuffare plateale e a far cenno a Basile di lasciarlo perdere.
“Sul serio,” incalza però l’amico. “L’ha detto Mirabella, pare che ai piani alti sappiano che a questa tipa i giornalisti non piacciono, così hanno incaricato un tirocinante per non far perdere tempo a chi segue roba più concreta,” snocciola. “Se però ci riesci, è tutto guadagnato.”
“Fantastico, ora sì che esulto.”
“Invece dovresti,” ghigna Basile. “Perché se ci riesci ti promuovono di sicuro.”
“Peccato che non abbia la più pallida idea di come contattarla.”
“Ma io sì.”
“Stai scherzando.”
Basile si apre in un sorriso sornione e, sbirciato in giro per assicurarsi che siano soli, bisbiglia tutto ciò che sa, inducendo Scorpius a oscillare tra eccitazione e avvilimento – da è la mia occasione a sarebbe stato meglio uno scherzo il passo è brevissimo.
Ciò nonostante, e spronato dall’amico, mette da parte le remore e segue il consiglio di far fruttare al più presto le informazioni reperite grazie ad amici di amici e voci impiccione di corridoio.
Così, uscito dall’edificio che ospita la redazione, si incammina controvoglia verso il Ministero, e in particolare verso il ritrovo che ospita gli impiegati in pausa pranzo.
Più macina passi, più non può fare a meno di trovare tragicomica la propria situazione: dopo averli cordialmente detestati per l’intero periodo scolastico, dovrà chiedere un favore a entrambi, assurdo, spera solo che non ci sia il gruppo al completo, sarebbe ancora più umiliante.
Con suo rammarico, arriva sin troppo presto nei pressi di quei tavolini tondi, circostanza che lo induce a ingoiare l’ennesimo sbuffo mentre rallenta sino a fermarsi – e non ha bisogno di osservare chissà quanto, individua subito la sagoma dell’ex Corvonero, per sua disgrazia impegnata a baciare un’altra sagoma familiare.
Fantastico.
Tuttavia, per nulla intenzionato a farsi sopraffare dall’imbarazzo o dall’orgoglio – anche perché rischia che Basile lo schianti –, accantona i pensieri funesti e si avvicina mascherando il disagio. Solo quando è dinanzi a loro si schiarisce la voce per richiamarne l’attenzione.
È lei la prima a destarsi, per Scorpius è istintivo ripensare al due di picche rifilatogli tempo addietro in favore del bellimbusto cui ora è costretto a chiedere un favore – perché non si può mai sprofondare quando serve?
“Scorpius?” esordisce stupita. “Ciao!”
E se Rose Weasley gli rivolge almeno uno sguardo curioso, Lorcan Scamander inarca le sopracciglia palesemente seccato e indirizza alla ragazza un’occhiata che sembra chiederle chi sia l’intruso – Scorpius ha la spiacevole sensazione di essere ripiombato a Hogwarts.
“È Malfoy, l’amico di Albus,” dice infatti lei. “Se cerchi Al è fuori città.”
“No, cioè sì, voglio dire...” farfuglia. “Non cerco lui e so che è fuori città,” chiarisce. “Ecco, sto cercando Lysander e mi chiedevo se tu,” dice rivolto a Lorcan, “potessi dirmi dove trovarlo.”
“E perché cerchi mio fratello?”
“Devo solo chiedergli una cosa.”
Trascorrono dei lenti secondi di silenzio e Scorpius nota sia lo sguardo indagatore di Scamander su di sé sia le sue labbra storcersi in una smorfia quando adocchia il tesserino della Gazzetta che gli pende dal collo.
È Rose a stemperare la tensione invitandolo a sedersi e informandolo che è fortunato, perché Lysander li avrebbe raggiunti di lì a poco per pranzare assieme.
E in effetti, e per fortuna, non devono trascorrere troppi minuti prima che l’altro ex Corvonero si avvicini a loro e rivolga a tutti un gran sorriso – Scorpius non può fare a meno di notare che gli appariscenti capelli blu sono scomparsi in favore del suo colore naturale, se l’avesse cercato in giro non l’avrebbe mai distinto dal gemello.
“C’è Malfoy, qui, che deve chiederti una cosa,” dice Lorcan al fratello. “Lavora per la Gazzetta, Lys.”
“Non sono a caccia di notizie,” interviene irritato Scorpius. “Ho solo bisogno di sapere se può mettermi in contatto con Gwendolen Goldstein, un amico mi ha detto che la conosce.”
A Lysander sfugge una risata e Scorpius non può fare a meno di chiedersi se sia divertita o di scherno.
“E così vuoi intervistare Gwenda,” dice bonario. “Ci hanno già provato, ma con poco successo.”
“So che non concede interviste.”
“Questa è solo una diceria,” ribatte Lysander. “Ma parla così tanto che intontisce i giornalisti.”
“Gwenda parla decisamente troppo,” concorda Rose. “Lorcan una volta l’ha pietrificata!”
“Sciocchezze, mi è solo scivolata la bacchetta,” ghigna il diretto interessato.
“Quindi, credi che accetterebbe?” incalza Scorpius, ansioso di andare dritto al punto. “Sai dirmi dove posso trovarla?”
Lysander sospira e Scorpius ha la sensazione che lo stia osservando per valutare se concedergli o meno la possibilità di incontrarla. Lo vede poi cercare lo sguardo del fratello, che si limita a scrollare le spalle.
“È ospite da me, ma a quest’ora la trovi in un centro commerciale.”
“Un cosa?”
“Un posto babbano,” spiega Rose. “Gwenda ama i posti babbani.”
Scorpius vorrebbe urlare che lui odia i posti babbani, capisce sempre la metà di quello che lo circonda, ma preferisce optare per un diplomatico grazie quando Lysander gli porge un foglio con su scritto l’indirizzo di questo luogo e gli spiega come arrivarci.
Non ha idea del perché abbia deciso di assecondare la sua richiesta, spera solo che non sia uno scherzo di cattivo gusto – Scamander strambo non gli è mai parso un cattivo ragazzo, ma è pur sempre il gemello di Lorcan Scamander. Tuttavia non ha scelta, deve fidarsi e augurarsi che la ragazza non abbia deciso proprio oggi di cambiare le sue abitudini.
 
Gwendolen Goldstein, ventidue anni, ciocche blu tra i lisci capelli castani, rossetto nero, orecchino al setto nasale, una voce talmente squillante da far voltare qualsiasi persona abbia la disgrazia di esserle intorno e rotelle fuori posto – ecco cosa scriverà per introdurre l’intervista.
Altro che magizoologa candidata alla fama internazionale.
È da circa dieci minuti che la fissa senza trovare il coraggio di avvicinarla. Seduta su una panchina dalla forma strana di questa specie di grosso contenitore che chiamano centro commerciale, è impegnata a bere qualcosa mentre parla da sola – per quanto abbia frugato con lo sguardo, non vede proprio nulla vicino all’orecchio che somigli a quegli aggeggi che Albus chiama telefoni.
Inizia a chiedersi se questa giornata possa peggiorare ulteriormente: ha già dovuto ingoiare l’orgoglio e chiedere un favore agli Scamander, ora deve avvicinare una matta, cos’altro deve succedergli?
Basta.
Insomma, è pur sempre Scorpius Malfoy, diplomato con ottimi voti a Hogwarts, tirocinante della Gazzetta e con ormai diciannove anni sulle spalle. Non è un ragazzino, s’incoraggia, e questa situazione non è al di là delle sue possibilità.
Sulla scorta di questi pensieri tenuti insieme da una traballante intraprendenza, si avvicina finalmente a Gwendolen e pensa bene di esordire mostrandole il tesserino che certifica il suo ruolo.
Inaspettatamente, la vede abbozzare una risatina impudente, fargli cenno di sedersi accanto a lei e aspettare – vorrebbe chiederle cosa debba aspettare visto che sono soli, ma si accorge svelto di aver fatto un errore di valutazione: l’ascolta infatti mentre saluta qualcuno e tira fuori uno di quei telefoni piatti per interrompere una telefonata.
“Ho le cuffie nelle orecchie, non guardarmi con quell’aria da tritone d’acqua dolce,” dice spiccia. “Parlavo con Lys, mi ha avvisata che saresti venuto, quindi tu devi essere tu, Scorpius Malfoy, giusto? Della Gazzetta del Profeta, così ha detto Lys e così dice quel cartoncino che hai al collo… Oh, finalmente qualcuno che non si preoccupa di essere smascherato dai no-mag! Come se loro potessero scoprirci leggendo Gazzetta del Profeta… Se te lo chiedono, tu di’ che è una rivista di cartomanti… Sai cosa sono, no? Una specie di divinazione finta, ai no-mag piace così tanto la magia, sono quasi teneri! Ma perché sei lì impalato? Siediti, Scor, ti piace Scor? Tu chiamami Gwenda, è il solo nome cui rispondo!”
Boccheggiare o farfugliare sillabe a caso non è la migliore delle azioni per fare una buona prima impressione, Scorpius lo sa, ma non riesce ad agire diversamente: non ha capito niente.
Crede di essersi perso quando ha iniziato a mettere in fila più di quattro parole senza mezza pausa, o forse è stato quando gli ha dato del tritone – tritone, a lui, ma chi dà del tritone alla gente?
“Scor, insomma, ti siedi o no? Non vorrai intervistarmi in piedi, spero, non è comodo. Però se vuoi possiamo camminare. Vuoi vedere qualche negozio? Sei mai stato tra i no-mag? Ti posso fare da guida! Altrimenti potremmo...”
“Ferma!”
“Cosa?”
“Ferma, pietrificati o… o silenziati per due minuti. Salazar, mi fa già male la testa.”
“Salazar? Che buffo modo di dire. È brutto, sai?”
Salazar non è un modo di dire, è il fondatore della mia Casa, Serpeverde.”
“Allora lo hai chiamato?”
“Chiamato?”
“Sì, hai detto Salazar! come se volessi esclamare, ma a quanto pare l’hai chiamato. È qui?”
“Ma se è morto da più di mille anni… Ma cosa studiate in America oltre a babbanologia?”
Babba-cosa? Noi non abbiamo parole così stupide, però in effetti non studiamo quello che succede oltreoceano, voi lo studiate? Non penso proprio! Siete così egocentrici voi europei!”
“Noi non siamo egocentrici, abbiamo solo standard migliori.”
“Egocentrici e presuntuosi, l’ho detto a Lys che lui è un’eccezione!”
Scorpius, sul punto di ribattere ancora una volta, si concede pochi istanti per osservare meglio l’espressione di Gwendolen ed è solo allora che nota il sorriso impudente e lo sguardo divertito: si sta facendo beffe di lui. In altre circostanze avrebbe messo su un’espressione sprezzante e rinunciato a conversare, ma ha la sensazione che in questo caso non sia la mossa più astuta – anzi, il suo intuito gli suggerisce che quei sorrisi e quelle parole a vanvera altro non siano che uno stratagemma per scoraggiarlo e indurlo a rinunciare all’intervista.
“Molto furba,” dice infatti, concedendo a lei e a se stesso persino un sorriso sghembo.
La osserva inarcare un sopracciglio e mordere le labbra visibilmente divertita – ha idea che sia anche un po’ sorpresa, perché tentenna prima di parlare.
“Furba? E perché mai?”
Scorpius ghigna con ancora più evidenza dinanzi a domande tanto retoriche – il fatto che lei contraccambi l’espressione riesce persino a entusiasmarlo: ha imboccato la strada giusta.
“Non ti piacciono i giornalisti, e non è una diceria,” sentenzia. “Potresti negarti, ma preferisci stordirci di chiacchiere così da essere lasciata in pace.”
“E tu sei stordito?”
“Non abbastanza, Gwenda,” risponde trionfante, riuscendo persino a recuperare sprazzi di senso compiuto dalla valanga di parole con cui lo ha accolto. “E preferisco Scorpius, detesto i diminutivi.”
“E se io li adorassi?”
“Vorrà dire che Gwendolen sarà ripetuto a oltranza nell’articolo.”
“Posso sempre scegliere di non rilasciarti alcuna intervista.”
“E io posso sempre scegliere di scrivere un articolo dove sostengo che sei fuori di testa. Chiunque ti abbia incontrata mi crederà.”
“Un vicolo cieco.”
“O una collaborazione proficua: tu mi rilasci l’intervista, io terrorizzo i miei colleghi dicendo che sei più insopportabile dei Folletti della Gringott.”
“Mentiresti solo per avere un’intervista?”
“Si chiama saper fare carriera, Goldstein. Allora, ci stai o no?”
Quando Gwenda solleva le labbra in un sorriso che sa di assenso, Scorpius ha la sensazione di aver vinto il duello verbale più ostico della sua giovane vita. Ed è singolare la sensazione che lo assale: non è solo soddisfazione, è qualcosa di diverso, che ha un gusto terribilmente piacevole, stimolante, vivace, che scalpita per impossessarsi di lui e indurlo a cercarla ancora e ancora – di quelle sensazioni che fagocitano tutto il resto e lo annullano in un battito d’ali.
È con questo neonato subbuglio a fargli compagnia che affronta delle ore fitte di parole – e se la penna prendiappunti macina pagine e pagine, la sua attenzione vira lontana dall’intervista e approda su terre nuove.
Terre che hanno il sapore della scoperta e della curiosità, che lo inducono a ridere delle espressioni singolari di Gwenda e a osservare con sin troppo interesse il suo viso dai tratti marcati e gli incisivi che affondando nelle labbra evidenziano il piccolo vuoto che li separa.
L’attrazione è una cosa strana.
E lui non ha mai saputo controllarla né è mai riuscito a darle una forma coerente. È sempre stato in balia dell’attrazione, sin da ragazzino, rincorrendo di volta in volta forme diverse, attratto più dall’idea che dalla persona in carne e ossa. Non s’è mai dato tempo di conoscere, capire, innamorarsi, ha sempre corso troppo e s’è ritrovato invischiato in situazioni da cui s’è tirato via a forza – scomode.
Qualcosa gli suggerisce che è sul punto di commettere il solito errore, qualcos’altro lo induce invece a mettere tutto da parte e a non perdere di vista l’obiettivo, a restare concentrato sulle domande da porle per assicurarsi un pezzo firmato sulla Gazzetta.
“Quindi sei stata la prima a condurre questo studio,” interviene. “Non hai temuto fosse troppo pericoloso?”
La vede abbozzare un sorriso furbo e scrollare le spalle – senza averlo voluto, si ritrova a pensare che sia carina in un modo tutto suo, carina incasinata, un modo che non ha niente della bellezza delicata di Clarissa né del fascino altero di Rose, ma che lo attrae col suo disordine e che in qualche modo riesce a farlo sentire a proprio agio.
“Noi ricercatori raramente pensiamo alle conseguenze, la sete di conoscenza è più forte di qualsiasi altra cosa,” risponde. “Lo capisci dopo, sai, che forse stai correndo troppi rischi, che potresti aver oltrepassato dei limiti pericolosi, però fa parte del gioco, no? Non puoi pretendere di ampliare le tue conoscenze senza correre qualche rischio, soprattutto se dall’altra parte hai delle creature senzienti.”
“E di Lysander Scamander cosa mi dici? Com’è nata la vostra collaborazione?”
“Come tutte le collaborazioni, è nata e basta.”
“State insieme?”
State insieme – Scorpius vorrebbe darsi dell’imbecille per aver posto una domanda simile, ma preferisce distogliere lo sguardo quando la vede abbandonarsi a una risata impudente.
“Ti occupi anche di pettegolezzi?”
“Sono solo curioso,” si difende svelto. “Niente di più.”
“Potevi chiederlo a lui, dopotutto ti ha mandato qui!”
D’istinto storce le labbra e lo coglie al volo, il lampo di interesse che attraversa gli occhi scuri di Gwenda. Immagina che dirle ciò che pensa di Scamander non sia proprio una grande idea – a dirla tutta, inspiegabilmente avverte persino una punta di fastidio all’idea che quell’imbecille abbia delle amicizie illustri.
“Io e lui non siamo quelli che definiresti amici, siamo a malapena conoscenti.”
“Vuoi dire che io e te siamo più di conoscenti dopo una sola chiacchierata?” ribatte curiosa. “Insomma, a me l’hai chiesto!”
“Anche di più,” tenta con ironia. “Sei il mio lasciapassare per la promozione, questo ti rende la mia migliore amica.”
Che abbia imboccato ancora una volta la strada giusta lo intuisce dal sorriso che si fa largo sul viso di Gwenda – è un sorriso che non riesce a decifrare bene, non è solo divertito, è anche altro, come se serbasse in sé una piacevole aspettativa.
Trascorrono così brevi istanti di inatteso silenzio e Scorpius ne approfitta per mettere via la piuma e il taccuino, percependo su di sé lo sguardo interessato della ragazza. Lo incrocia per la prima volta quando solleva di nuovo gli occhi su di lei, trovandola così come l’ha immaginata: impegnata a osservarlo.
Non si sorridono né si rivolgono espressione alcuna, è uno scrutarsi muto e immobile, cristallizzato in un tempo effimero che s’infrange quando Gwenda muove le labbra in un sorriso e gli ticchetta scherzosa la spalla.
“Ti va una birra?”
“E cosa sarebbe?”
“Certo che voi maghi europei avete proprio la puzza sotto al naso! I no-mag non sono un branco di sfigati, sai, ogni tanto frequentarli fa bene!”
Scorpius scoppia a ridere e si alza in piedi sia per sgranchirsi le gambe che per comunicarle il suo implicito assenso.
“Guarda che ti sbagli,” dice. “Sono stato tante volte tra i babbani… Perché da noi si chiamano babbani,” precisa. “Adeguati, strega americana!”
“Allora la prendiamo o no, questa birra?”
“Certo che la prendiamo, mi sono persino alzato.”
“Bello sforzo, biondino.”
“E se invece cenassimo?” domanda a bruciapelo Scorpius. “Ciocche blu.”
La vede alzarsi a sua volta e mordersi le labbra divertita – decide che quella vitalità maliziosa non gli dispiace per niente.
“È per caso un invito?”
“Dipende,” celia lui. “Il tuo lo era?”
Gwenda replica il sorriso che sa di assenso e i pensieri di Scorpius si affollano con ancora più forza attorno alle terre che non hanno niente di professionale.
Senza aver capito bene come, si ritrova a camminare accanto a lei e ad abbandonare il centro commerciale in favore di un altro luogo babbano dove, a detta di lei, avrebbero potuto cenare senza impegno.
Capisce in fretta che tra la ragazza e Scamander strambo non c’è nulla che vada oltre l’amicizia – e rimprovera se stesso per aver esultato in silenzio a questa scoperta, perché la cosa non dovrebbe interessargli: non la conosce, il loro è un incontro di lavoro, questo interesse è fuori luogo.
Eppure più le parla – più l’ascolta – e più ride assieme a lei, più germoglia in lui la nostalgia per una leggerezza riacciuffata a distanza di anni, a sorpresa.
C’è qualcosa di tremendamente leggero in Gwenda, qualcosa capace di fargli dimenticare ogni preoccupazione e insicurezza, di farlo sentire per la prima volta solo Scorpius, senza alcun cognome scomodo né relazioni finite e mai iniziate alle spalle a rendergli complesso avvicinarsi a persone, incontri, affetti.
Si salutano quando è ormai calata la notte – lui le stringe la mano, lei ruba un bacio alla sua guancia.
 
L’indomani arriva prima che Scorpius possa aver accumulato abbastanza ore di sonno – aver dovuto consegnare il testo dell’intervista in nottata lo ha costretto ad abbandonarsi alle gioie del letto solo alle quattro del mattino.
A svegliarlo non c’è però la solita e petulante sveglia, ma ben quattro gufi che lo lasciano a dir poco esterrefatto: Mirabella Trifling che gli annuncia la promozione, la Gazzetta su cui a pagina dieci spicca l’intervista, Basile e il suo stringato Ho sempre ragione, corri in redazione e… Gwenda.
Scorpius srotola l’ultima pergamena con un nodo alla gola, ingoiando una risata alla vista della grafia disordinata e pasticciata della ragazza. I ricordi della sera precedente gli rovistano istantanei i pensieri e un’insensata aspettativa gli morde lo stomaco.
 
«Non ho letto l’intervista, mi fido di te, chissà se faccio bene a fidarmi di te, in fondo non ti conosco! Insomma, ma chi sei? Sì, sei uno che gioca a fare il giornalista, e sei pure carino, ma, voglio dire, a parte questo, chi ti conosce?! Però questo non ha importanza, no? No che non ce l’ha. Volevo solo dirti che ho deciso di trattenermi un altro po’ in Inghilterra e che ho ancora tanti posti da visitare, e tu dovresti proprio farmi compagnia. Prometto di non chiamarti più tritone, ma penso ti chiamerò Scor, Scor.
Ti aspetto a quel Paiolo per pranzo, a dopo!
 
(non fare tardi)
(se fai tardi ti raggiungo in redazione)
 
Ps: se non l’hai capito, mi piaci»
 
Sorridere non è mai stato così naturale.
 





 
Note dell’autrice: anche questo breve e folle racconto partecipa all’iniziativa Una storia tutta per te ed è dedicato a Mari Lace che mi ha (inspiegabilmente) chiesto una Scorpius/Gwenda – seriamente, Mari, non so come ti sia venuta in mente questa coppia, ma spero tanto che il racconto ti sia piaciuto!
Per chi non segue Paradiso perduto specifico che Gwendolen Goldstein (Gwenda) è un personaggio di mia invenzione. Lo sono anche Basile e Mirabella Trifling (inventata in occasione di questa storia). Nella lettera di Gwenda, in alcuni punti la punteggiatura è volutamente assente.
Grazie a chiunque sia giunto sin qui!

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Capitolo 3
*** Scorci ***


A Blue
 
Scorci
 
 
26 dicembre 2023
 
Esistono poche cose al mondo capaci di generare ansia in Atlas Nott, conoscere la famiglia della fidanzata è una di queste.
Non che gli crei problemi la circostanza in sé, il problema è proprio quella famiglia, che chissà come lo accoglierà – spera non replichi l’errore della stessa Molly, mal giudicandolo a causa del cognome.
Visibilmente teso, incrocia lo sguardo della madre un istante prima di smaterializzarsi, portando con sé il suo sorriso incoraggiante e il suo sguardo carico di aspettative.
Quando piomba nei pressi della Tana ha dieci minuti di anticipo sull’orario stabilito, ma non gli interessa, preferisce affrontare il prima possibile quegli sconosciuti di cui ha solo sentito parlare e per i quali nel corso degli anni non ha avuto pensieri di stima.
Una cosa è certa: avrebbe preferito di gran lunga conoscere solo i genitori di Molly, ma a quanto pare non esiste possibilità alcuna che Percy e Audrey non trascorrano ogni minuto festivo nella vecchia casa di lui – ha dovuto adeguarsi, sia pure controvoglia.
Si chiede se esista la possibilità che questo pomeriggio siano tutti altrove, ma a giudicare dal chiacchiericcio che oltrepassa l’uscio non ha motivo di essere tanto positivo. E che ogni speranza sia palesemente vana lo capisce ancora meglio quando, a seguito del proprio bussare, ad aprirgli la porta è l’ultima persona che avrebbe voluto vedere.
“Maestà,” ironizza Atlas. “Mi concedi l’onore?”
Louis, lo sguardo affilato e le sopracciglia inarcate, scocca un’occhiata di sufficienza all’ospite e si fa da parte quanto basta per consentirgli di entrare.
“Dov’è Molly?”
“Seguimi.”
Atlas riduce gli occhi a fessure e ingoia le parole premute sulle labbra. A quanto pare, nota con fastidio, l’altro si è lasciato alle spalle Hogwarts ma non le maniere da padrone del mondo.
È solo quando arrivano in un modesto e caotico salotto che Louis gli fa cenno di accomodarsi, ma Atlas resta in piedi, infila le mani in tasca e si guarda attorno con curiosità.
È tutto molto diverso dall’ordine che vige in villa e che riesce a farlo sentire a proprio agio – la confusione lo destabilizza, non gli consente di fotografare ogni aspetto a colpo d’occhio – ed è anche distante da un ambiente in cui crede che Molly possa voler vivere, in fondo ama a sua volta l’ordine e la praticità.
Tuttavia, tra i vari elementi, a interessarlo maggiormente è il fatto che la fonte del chiacchiericcio percepito sull’uscio sembra essere il piano superiore, ed è sul punto di chiedersi se anche Molly sia lì quando finalmente i suoi passi riempiono la stanza e il suo sorriso teso lo saluta – alle sue spalle, le nota subito, due figure adulte che lo scrutano.
“Scusa l’attesa,” saluta Molly avvicinandolo. “Ho appena litigato con tutti per evitare che piombassero qui,” aggiunge in un sussurro.
Atlas sogghigna e le ruba un bacio a fior di labbra che riesce a farla arrossire un po’.
“Te ne sono grato,” risponde lui. “Mi presenti?”
Molly sorride e, stretta la sua mano nella propria, si volta verso i genitori, notando che mentre suo padre ha lo sguardo fisso su Atlas, sua madre ride e scherza con Louis, che nel frattempo si è comodamente seduto in poltrona – lo sapeva, che non se ne sarebbe andato.
Reprimendo l’istinto di alzare gli occhi al cielo, richiama l’attenzione di tutti battendo il piede a terra.
“Mamma, il mio ragazzo è qui,” serpeggia, scoccando un’occhiataccia a Louis impegnato a ghignare apertamente. “Lui è Atlas.”
Nott,” aggiunge Louis. “Le presentazioni devono essere complete.”
“Fortuna che ci sei tu a ricordare a tutti come si vive,” ribatte seccato Atlas, riflettendo solo in un secondo momento di aver ceduto come un allocco alla provocazione.
“Accomodati pure, Atlas,” interviene a sorpresa Percy. “È un piacere conoscerti.”
“Molly ci ha parlato molto di te,” si accoda Audrey. “E della tua famiglia,” aggiunge. “Ci ha detto che siete molto uniti.”
Atlas non ha chiaro come sia passato dal credere di aver infilato la testa nella bocca del leone al sentirsi bene accolto – sarà stato il sorriso bonario che gli ha rivolto il padre di Molly, o forse quel riferimento alla propria famiglia che sembra scacciare via fardelli e preoccupazioni. Fatto è che finalmente si accomoda su uno dei divani che infittiscono il piccolo salotto e si abbandona a una conversazione spontanea, scoprendo che sia tutto molto più semplice di quanto ha creduto – nonostante il terzo incomodo, che a quanto pare gode della massima stima anche tra i parenti più adulti.
Molly, seduta accanto ad Atlas, non smette di stringere la sua mano, e non sa se lo faccia per infondere coraggio a lui o per tranquillizzare se stessa. Ha immaginato così tante volte questo momento negli ultimi mesi che quasi non le sembra vero che tutto proceda per il meglio.
A lui ha mentito.
Avrebbe potuto riceverlo a casa propria, lontani da cugini, zii, nonni, ma per qualche ragione s’è sentita mozzare il respiro all’idea di averlo tra le mura in cui è cresciuta, a un passo dalla stanza in cui ancora dorme, con sua sorella a riempirlo di domande curiose. La Tana le è parsa un ambiente neutrale, così caotico da travolgerli tutti nel caso qualcosa fosse andato storto – e invece.
Osserva sua madre e suo padre parlare in piena tranquillità con Atlas, chiedergli del percorso intrapreso a seguito di Hogwarts, della sua passione per la stramba materia babbana che studia i numeri, di squadre di Quidditch e quartieri residenziali.
È quando sua madre e Atlas ridono assieme di una battuta per niente divertente di suo padre che cerca e trova lo sguardo di Louis – abbozza un sorriso stupefatto, ricevendo in risposta un piccolo ghigno che la rilassa.
“E così ti piacciono le materie babbane,” riprende Percy. “Dovresti conoscere mio padre.”
“Molly mi ha parlato di lui, capisco il suo interesse,” dice Atlas. “I babbani hanno delle intuizioni interessanti.”
“I tempi sono proprio cambiati.”
“In meglio,” aggiunge subito Audrey, scoccando un’occhiataccia al marito. “Vuoi una fetta di dolce?”
Atlas forza un sorriso educato, mentre Molly serra ancora di più la morsa delle loro mani – è strano quanta forza possa avere una frase, soprattutto se carica di un’amarezza mal camuffata, ombra di tempi ancora troppo vicini per essere accantonati del tutto.
D’un tratto, Atlas ha di nuovo la sensazione di aver messo la testa tra le fauci di una belva affamata. Non perché lo abbiano accolto male, ma perché ora riesce ad avvertirla, quella tensione silenziosa che spacca tutte le armonie, che resta sotto al tappeto finché nessuna sillaba ne richiama l’attenzione.
È una tensione subdola, di quelle incastrate nella testa e radicate sin dentro le ossa, rifiutata a gran voce dal raziocinio e nutrita dagli impulsi inconsapevoli, sporca di anni e anni di pregiudizi reciproci e schieramenti avversi.
“Spero non voglia offrirgli il tuo dolce,” esordisce improvviso Louis. “Rischiamo di spedirlo al San Mungo con un’indigestione da manuale.”
È Molly la prima a scoppiare a ridere, abbattendo assieme al cugino – e senza sapere bene come – il silenzio padrone degli ultimi secondi.
Gli altri si accodano un istante dopo, e la sensazione che siano desiderosi di mettere alla porta la scomoda tensione è forte, prepotente, tanto da tramutarsi in risate fragorose capaci di richiamare persino l’attenzione dei nonni della ragazza, che affacciatisi nel salotto colgono al volo l’occasione di conoscere Atlas.
Trascorrono ore rapide – rapidissime –, durante le quali la curiosità ha preso il sopravvento anche sugli inquilini del piano di sopra, con la conseguenza che Atlas s’è trovato circondato dalla sorellina di Molly e da diversi suoi cugini.
“Per fortuna non c’erano anche i tuoi zii.”
“Loro hanno preferito lasciarci campo libero, ma Lucy e quelle altre piattole volevano gustarsi la scena.”
“Almeno la principessa e Potter primo hanno avuto il buon gusto di non farsi vedere.”
“Credo siano da lui, con mia grande gioia.”
Atlas curva le labbra in un sorriso sghembo, ma non le dà modo di dire altro, si cala svelto a baciarla.
“Ti ricordo che siamo nel cortile dei miei nonni,” sussurra Molly sulla sua bocca. “Potrebbero vederci.”
“Sono pure guardoni oltre che impiccioni, i tuoi parenti?”
Guardoni? Che intenzioni hai?”
“Hai mai scopato in un cortile?”
Molly ride e Atlas la bacia una volta ancora – di quei baci che pretendono di imprimersi dentro, che stringono dita tra capelli e corpi l’uno contro l’altro, che scacciano il marcio di cui non sono responsabili e ricostruiscono le fondamenta da capo.
A nessuno dei due sembra vero di essere finalmente soli, forse lontani da occhi indiscreti, in quella porzione di cortile troppo lontana dall’ingresso per essere sbirciata con facilità.
Molly s’è avventata su di lui non appena si sono lasciati l’uscio della Tana alle spalle, infischiandosene persino di essere scorta dai genitori. È stato Atlas a tirarla via da lì e cercare un angolo appartato.
S’allontanano solo per respirare, e se le mani di lei torturano il suo cappotto, quelle di lui non abbandonano per un solo istante la matassa rossa lasciata libera di coprirle il petto.
“Amo come baci,” mormora lei, correndo a incrociarne lo sguardo. “E anche come scopi,” aggiunge maliziosa.
“Grazie,” scherza in risposta. “Io invece amo te.”
Molly strabuzza gli occhi e Atlas la stringe in vita per impedirle di allontanarsi – c’è un solo respiro tra loro, basta e avanza.
“Di’ qualcosa.”
Molly invece seguita a tacere e ruba minuti per osservare la sua espressione decisa e tesa, le sue labbra sottili, il suo viso appuntito, quel corpo che ormai conosce a memoria – Atlas è stato un colpo di spugna su chiunque lo abbia preceduto, e lei a volte crede che le abbia rivoluzionato la vita.
“Perché sei innamorato di me?”
“Niente giri di parole, Caposcuola,” ribatte sarcastico.
Lei sorride al ricordo delle loro prime conversazioni e s’allunga a baciargli le labbra con una delicatezza aliena tra loro.
“Anch’io,” confessa. “Tanto.”
Atlas si concede un sorriso vittorioso, che tira via tutta la tensione degli ultimi attimi – e la osserva una volta ancora, conscio di non averne mai abbastanza.
Tanto nel senso che scopiamo in cortile o tanto nel senso che tra qualche anno ci sposiamo?”
“Ma sei proprio un imbecille.”
Lui sogghigna e s’appropria di nuovo della sua bocca, mentre la sera ormai calata ricorda a entrambi che dovrebbero salutarsi sul serio – ma seguitano a ignorarla, e più la ignorano più il timido vociare proveniente dalla Tana e qualsiasi altro rumore pare svanire, inghiottito dai baci irruenti.
Neanche si avvedono di una figura che macina passi in loro direzione, al punto che la figura è costretta a schiarirsi la voce e inarcare annoiata le sopracciglia.
“Molly,” chiama Louis. “Tuo padre è di larghe vedute, ma temo abbia quasi esaurito la scorta di tolleranza.”
E se Molly s’allontana dal fidanzato rossa in viso e occhieggiando in direzione della casa dei nonni, Atlas assottiglia lo sguardo e fissa irritato l’intruso.
“Ma di che parli?” chiede lei.
“Hugo vi ha visti ed è andato a dire a tuo padre di averti vista mezza nuda.”
“Ma non è vero!”
“Certo che non è vero,” ribatte Louis. “Ma zio voleva sbraitare lo stesso.”
“E ha mandato te?”
Louis, gli occhi chiarissimi che ora osservano Atlas, mima un sorriso furbo e fa un passo in avanti.
“Ho un certo ascendente.”
“Va bene, torniamo in casa,” si intromette Molly.
“Perché ci hai aiutati?” chiede invece Atlas.
“Ho un cuore anch’io,” celia Louis.
Atlas, stranito, si ritrova zittito da quella che sembrerebbe essere un’inaspettata – e a suo parere sospetta – mano tesa, ma Molly al suo fianco è di altro avviso e si apre in un gran sorriso, concedendosi persino il lusso di un ultimo e rapido bacio prima che si smaterializzi con la promessa di rivedersi l’indomani.
“Ora hai persino un cuore?”
La domanda scherzosa giunge a Louis non appena lui e la cugina restano soli. Incrocia allora gli occhi scuri di lei e le circonda le spalle con il braccio, avvicinandola a sé per scoccarle un bacio sulla fronte.
Molly si abbandona serena all’abbraccio, calando le palpebre in cerca di una quiete distensiva – avverte solo ora il peso del pomeriggio pieno e frenetico.
“Grazie per prima,” dice. “La storia del dolce… Papà riesce sempre a parlare al contrario.”
“Secondo te perché sono rimasto?” chiede retorico. “Eri troppo tesa, ho pensato che potesse servirti un asso nella manica.”
“Cioè tu?”
“Naturalmente.”
“Quindi... Atlas ti piace?”
“No.”
“Louis...”
“Ma piace a te,” aggiunge. “E sei felice.”
“Quindi?”
“Quindi... posso sopportarlo.”
Molly sorride e si lascia avvolgere dal sorriso che scalda anche il viso di Louis.
L’istante dopo corrono verso la porta di casa, gareggiando su chi dei due arriverà prima – lui a incitarla ridendo, lei ad accusarlo di aver barato come ogni volta.
E mentre corre, Molly avverte dentro di sé una leggerezza così enorme da indurla a pensare che, , Atlas le ha rivoluzionato la vita e, , niente è mai stato tanto perfetto.
 
 




 
Note dell’autrice: questa piccola storia che strizza l’occhio a un ipotetico futuro è tutta per BlueBell9, che mi ha chiesto una storia su Molly/Atlas con una ventata di Louis – spero tanto ti sia piaciuta (e grazie per essere a capo delle truppe reali!).
Per chi non segue Paradiso perduto specifico che Atlas Nott è un mio personaggio originale.
Grazie a chiunque vorrà dedicare del tempo a questo racconto, un abbraccio!

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Capitolo 4
*** Sono tutti i colori ***


La oneshot è un missing moments di Paradiso perduto, ma può essere letta anche da chi non conosce la long e non ha spoiler alert, può leggerla anche chi è fermo al prologo.


 
 
Sono tutti i colori
 
Settembre 2006
 
Se Luna abbia mai desiderato lasciarsi alle spalle il piccolo villaggio di Ottery St Catchpole e le sue colline, Rolf non saprebbe dirlo: vivere in questa villetta dalle forme strambe non è stata una vera e propria decisione, ma un passo che è parso a entrambi naturale – un po’ per non lasciare solo Xenophilius, un po’ perché è a questa porta che Rolf tre anni addietro ha bussato per conoscerla, incuriosito da un suo articolo assolutamente stravagante apparso sulla copertina del Cavillo. Nessuno dei due ha mai dimenticato l’istantanea sintonia e il piccato litigio che è seguito quando Rolf ha riso delle superstizioni – così le ha chiamate – che hanno indotto Xenophilius a confondere un corno di Erumpent con quello dell’inesistente Ricciocorno Schiattoso.
Come abbiano deciso di sposarsi e avere dei figli in un arco temporale così breve è un’altra cosa che Rolf non saprebbe dire, ma Luna a riguardo gli ha sempre ripetuto che per fortuna non tutto ha una spiegazione e che lui sbaglia quando crede che un buon ragionamento sia migliore di una svolta intuitiva.
Come darle torto.
Che abbia ragione da vendere Rolf lo crede ogni giorno di più, gli è sufficiente guardare Lorcan e Lysander, che in appena quindici mesi di vita sono già riusciti a mettere a soqquadro la loro vita e arricchirla di colori sgargianti e bellissimi – certo, se magari si limitassero a mettere a soqquadro la vita e non anche la casa, lui sarebbe ancora più felice, ma Luna seguita a imporgli di non rimproverarli mai, perché “solo così liberano la loro creatività”.
“Perché non giochi con noi?”
Rolf si apre in un sorriso alla domanda della moglie e mette via alcune pergamene prima di avvicinarsi a loro tre, che seduti a terra sembrano impegnati a distruggere qualcosa.
“Ma quello è il mio saggio?”
“Ta! Ta! Ta!”
E a ogni ta entusiasta di Lorcan, Lysander batte le mani e Luna ride, mentre al povero saggio viene strappata una pagina dopo l’altra.
“È solo una copia,” dice Luna. “Dai, siediti, non fare il musone!”
“Ta!” si unisce Lysander, strappando le pagine assieme al gemello. “Ta!”
“Sei sicura che sia la copia? A furia di tatata distruggono tutto!”
“Ma certo che sono sicura,” ribatte Luna. “Almeno credo,” aggiunge, per poi strappare anche lei una pagina. “Ta!”
Rolf esibisce una smorfia, ma quando Lysander gli si avvicina per strofinargli il nasino sul braccio si abbandona a una risata e a colpi di ta si arrende alla loro opera di demolizione.
È quando non restano che una decina di pagine che Lorcan smette di trovare interessante il saggio del padre, anzi lo guarda immusonito e a sorpresa lo scaraventa dall’altra parte della piccola stanza, colpendo in pieno un vaso di carta creato da Luna che finisce a terra con sommo divertimento di Lysander, che inizia a ridere battendo le mani a terra.
Luna e Rolf hanno appena il tempo di pensare che forse dovrebbero recuperare il vaso che i gemelli si sono già alzati e hanno preso a trotterellare in giro – e se Lorcan sposta a fatica una sedia, Lysander tenta di arrampicarvisi su senza successo.
“Lo,” chiama Lysander. “Da!”
Lorcan ridacchia e le sue manine grassocce si avventano su uno scatolone dove entrambi sono abituati a trovare i giochi.
“Cosa cerchi?” chiede Luna, accovacciandosi accanto al figlio.
“Da,” risponde Lorcan, con la testa riccia ficcata nello scatolone. “Ly, da!”
“Quelli sono i colori,” interviene Rolf quando Lorcan agguanta soddisfatto varie tempere e le getta a terra. “Su, diciamolo insieme: co-lo-ri.”
“Da!”
Luna scoppia a ridere e Rolf aggrotta le sopracciglia, sedendosi di nuovo a terra e guardando i figli scartare qualsiasi pergamena in favore del pavimento. È Lysander il primo a rovesciare il contenuto di una tempera a terra, imbrattando di verde un’intera mattonella, si impiastriccia poi le mani e le spiaccica sulla salopette del gemello.
Poco dopo Lorcan rovescia della tempera rossa sulla stessa mattonella già sporcata da Lysander, ma lui pensa bene di gattonare e imbrattarsi mani, ginocchia, gambe, scarpe persino, tirandosi su l’istante dopo per gironzolare ovunque. Lysander però, forse non ancora soddisfatto del pasticcio di colori, aggiunge anche il viola al verde e al rosso, si sporca di nuovo le mani e le spiaccica sul viso della madre, ridendo quando lei esibisce smorfie buffe per divertirlo.
“Mi hai colorata!”
Lysander esulta un sì che lo porta a saltellare.
“E io?” si inserisce Rolf. “Anche papà vuole essere colorato!”
Lysander arriccia il naso e chiude tra le mani anche il viso del padre. Lorcan li avvicina di lì a un istante, con stretto tra le mani il trofeo della giornata, ossia uno dei cuscini del piccolo divano tutto sporco di colori – Luna non ha bisogno di guardare il divano per sapere che abbia colorato anche quello.
Tuttavia la pace non dura che pochi istanti, perché Lorcan decide di sfruttare il proprio bottino per colpire Lysander, che casca col sedere a terra quando il gemello gli scaraventa il cuscino contro.
Luna e Rolf, come al solito, non fanno in tempo a fermarli che Lysander ha già lanciato quello stesso cuscino contro Lorcan, col risultato che si ritrovano ad azzuffarsi a suon di manine impiastricciate e cuscini in testa.
Quando li separano, Lysander strizza gli occhi a causa della stretta di Lorcan sui suoi capelli, è Luna che va a districare dita e ricci.
“Non dovete litigare,” dice Luna. “I cuscini si lanciano contro i mobili, non contro tuo fratello,” spiega a Lorcan.
“Sarebbe meglio se restassero sul divano,” borbotta Rolf. “Lorcan...”
“Papà è noioso,” interviene Luna sorridente. “Vero, tesoro?”
“Pa-pà bu,” dice Lorcan.
“Lo,” chiama Lysander, avvicinandosi a lui per afferrargli il braccio. “Me.”
Lorcan, al richiamo del gemello, si libera dalla stretta della madre e segue Lysander. Come se non avessero litigato cinque minuti prima, si siedono entrambi attorno alla mattonella colorata, rovesciano altri colori e riprendono a impiastricciarsi l’un l’altro, sporcando tutta la porzione di pavimento che occupano e anche le pareti che sfiorano.
È un bussare alla porta che distrae Luna e Rolf, e se la prima si limita a invitare il qualsiasi ospite a entrare, il secondo si preoccupa di mettersi in piedi e sbirciare l’uscio aperto.
Ron Weasley, ventisei anni e una bimba di nove mesi stretta in braccio, fa capolino nella chiassosa stanza al piano terra con un gran sorriso.
“Vi ho portato quegli appunti,” esordisce Ron. “Il gufo di Charlie è arrivato ieri sera.”
“Non ringrazierò mai abbastanza tuo fratello,” dice entusiasta Rolf. “Ma siediti, non sul divano… Deve esserci una sedia pulita.”
“Spero non siano tutte come la tua faccia,” scherza in risposta, inducendo Rolf a scrollare le spalle rassegnato.
“I colori rallegrano l’animo,” s’inserisce Luna, porgendo all’amico una sedia impiastricciata. “Piccolina, ciao!”
Rose, gli occhioni azzurri incuriositi e i corti capelli ramati raccolti con un nastrino a mo’ di piantina sulla testa, fissa Luna pochi istanti prima di decidere che i suoi lunghi capelli biondi sono un’attrazione troppo bella per non stringerli tra le dita grassocce e tirarli con tutta la forza che ha.
E se Luna sorride, assecondando la bimba, Ron tenta di distrarre la figlia porgendole un pupazzetto di gomma – Rose, che lo agguanta non troppo convinta, non tarda a lasciarlo cadere a terra, rivolgendo le sue attenzioni alle orecchie del padre per il solo gusto di strattonare anche quelle.
“Dispettosa,” scherza Rolf, sedendosi assieme a Ron al tavolo tondo.
“È stanca,” replica Ron. “Siamo stati in giro tutto il giorno,” dice. “Ma i due terremoti dove sono?”
“Colorano,” risponde Luna.
“Cinque minuti fa litigavano,” aggiunge Rolf.
“Ehi, terremoti, non si saluta zio Ron?!”
Lorcan e Lysander, notata finalmente la presenza dei nuovi arrivati, alzano le testoline bionde e fissano gli occhi scuri su Ron e Rose, il primo corrucciato e il secondo dubbioso.
“Salutate,” incita Luna, che con un colpo di bacchetta serve in tavola del tè freddo. “Non vi ricordate di Ron?”
Lysander scuote il capo e Lorcan gli afferra il braccio per richiamarne l’attenzione, poco dopo entrambi riprendono a pasticciare dimentichi degli adulti.
“Ma colorano a terra?”
“Ovunque vogliano!” risponde Luna, sedendosi assieme agli altri due. “Come sta Hermione?”
“Bene, anche se da quando è tornata al Ministero è piena di lavoro, dice che deve recuperare i mesi di inattività.”
“Non deve essere semplice,” tenta conciliante Rolf.
“No, però… Non ne abbiamo bisogno, possiamo fare le cose con calma, ma lei ha tanti progetti e allora… Però va bene, poi ci sono i nonni sempre pronti ad aiutarci. Anche se Rosie vuole stare con me!”
“Credo sia vero il contrario,” nota pacata Luna. “Ginny dice che la vizi molto.”
“Non è assolutamente vero, le compro solo quello che vuole… Cioè, che le serve! Oggi le serviva un peluche, come potevo non comprarglielo?”
“Finirai come noi,” ironizza Rolf. “In questa casa ormai comandano i gemelli!”
“I bambini devono essere liberi,” chiarisce Luna. “Perché non la lasci? Non può farsi male, Rolf ha riempito la casa di incantesimi a misura di bambino.”
“Forse non cammina ancora, Luna, è piccola.”
“Gattona,” dice Ron. “O almeno ci prova, più che altro muove le braccia e trascina le gambe.”
“E allora lasciala gattonare!”
Ron guarda Luna poco convinto, poi guarda Rose che tenta di sporgersi sul tavolo con chissà quali intenzioni. Prova allora a farla sedere a terra e, non appena capisce che non le dispiaccia, la aiuta a mettersi a quattro zampe: il primo tentativo di spostarsi da sola la trova barcollante, ma il secondo dove ricorre alla sua tecnica da piccola lumaca va a buon fine, perché in effetti muove un braccino in avanti, poi l’altro e poi striscia le gambe per trascinarle con sé.
“Brava!” esulta Luna, battendo le mani e attirando così l’attenzione dei figli.
E se Ron, accovacciato sempre a un passo dalla figlia, la segue apprensivo, Lorcan e Lysander fissano incuriositi l’intrusa che sembra gattonare proprio verso di loro. Quando Rose si ferma, infatti, e tenta senza molta fortuna di capire come mettersi seduta, è proprio nei pressi del pavimento tutto colorato e dei due bimbi che la guardano.
Lysander le ha già messo un dito impiastricciato sulla guancia, sporcandola di rosso, quando Ron la aiuta a sedersi a terra.
Paaa paaa.”
“Ti chiama!” trilla Luna.
“No, ha fame,” corregge Ron. “Chiama solo la pappa, è l’unico genitore che conosce.”
“Se ti può consolare, Lorcan e Lysander parlano e si capiscono solo tra loro,” interviene Rolf. “Dicono succeda spesso tra gemelli.”
“I miei fratelli hanno continuato a parlare e capirsi solo tra loro anche da adulti,” dice mesto Ron, mentre avvicina il biberon alla figlia, che contenta lo afferra subito. “È un bel legame.”
“George ha due figli, vero?”
“Fred e Roxi,” conferma Ron. “Fred ha già sfasciato mezzo negozio, per fortuna Roxi è tranquilla, almeno per adesso.”
E mentre gli adulti parlottano, i tre bimbi si scrutano: Rose più interessata a bere il latte che ai gemelli, Lorcan e Lysander sospettosi e indispettiti per l’invasione di campo.
Non trascorrono che una manciata di minuti prima che Lysander, uno sguardo alla testa del fratello e una a quella di Rose, decida di colorare quella della bambina, così sporca le dita di giallo e colora i capelli rossi di lei. Ma Lorcan non aiuta il fratello, anzi si avvicina quanto basta a Rose per fare l’unica cosa che potrebbe indurla a piangere: rubarle il biberon.
E infatti.
“Terremoto, no, quello è suo!” rimprovera Ron. “E tu non colorarle la testa!”
“Vogliono solo giocare con lei, non sono teneri?”
Ron, un’occhiataccia a Luna, rimette il biberon tra le mani di Rose e allontana quelle di Lysander dai suoi capelli, ma prima che possa allontanarla dai gemelli Lorcan replica il furto e scoppia a ridere quando lei scoppia a piangere.
“Lorcan, adesso basta,” interviene Rolf. “Non far piangere Rose.”
Ma Lorcan, sordo ai richiami ed entusiasta per aver trovato un nuovo gioco, si alza in piedi e saltella sino a Ron che s’è rimesso seduto con Rose sulle gambe; quando però tenta di strapparle di nuovo il biberon, lei serra le manine attorno alla preziosa pappa e scoppia di nuovo a piangere quando Ron per allontanare Lorcan allontana anche il biberon.
E questa volta a ridere è anche Lysander, che raggiunto il gemello tenta di colorare di nuovo la testa di Rose.
“Allo,” dice Lysander a Ron. “Allo.”
“Credo voglia colorarle i capelli come i suoi,” tenta Rolf. “Si dice giallo, non allo,” aggiunge poi verso il figlio, sollevandolo per allontanarlo dalla bambina.
“Sono due terremoti, l’ho detto,” borbotta Ron dopo aver calmato Rose. “E tu che vuoi?” chiede poi a Lorcan. “E soprattutto quale dei due terremoti sei?”
“Lorcan,” ridacchia Luna, che si cala alle spalle del figlio. “Vuoi giocare con Rose, tesoro?”
Ma lui scuote la testa e tenta di nuovo di rubarle il biberon per farla piangere, ma Ron questa volta è più rapido e si alza in piedi sbuffando.
“Vuole farla piangere,” dice.
“È il suo modo di giocare,” replica Luna.
“Vero, ma se non cambia modo di giocare tra due mesi non avremo più una casa,” nota Rolf. “Anche tuo padre ti ha detto che forse dobbiamo limitarli un po’.”
“A proposito, ma dov’è?” chiede Ron.
“Da un suo amico in Finlandia, tornerà tra qualche settimana.”
È fuggito,” aggiunge Rolf in un mormorio, facendo ingoiare a Ron una risata.
A interromperli una volta ancora è l’improvviso pianto di Rose, che pur tra le braccia del padre è riuscita a essere derubata. Quando i tre adulti adocchiano il ladruncolo, Lysander sta già ridendo assieme a Lorcan, mentre il biberon fluttua sino a posarsi tra le manine del secondo.
E mentre Luna e Rolf applaudono il figlio che non capisce cosa vogliano e perché non lo lascino ridere della bimba grassoccia che fa quel suono così divertente quando le ruba il biberon, Ron non sa se indispettirsi o complimentarsi, nel dubbio scompiglia i ricci di Lorcan, guadagnandosi un calcio irritato, placa la figlia e avvisa che è giunto il momento di tornare a casa.
“Ma resta!” incalza Rolf. “Festeggiamo la prima magia di Lorcan!”
“Meglio di no, a quel terremoto piace troppo far piangere Rosie,” ribatte. “Però lo dico a tutti, quindici mesi! Un portento!”
Luna e Rolf sorridono e salutano allegri Ron e Rose, che nel frattempo si è appisolata tra le braccia del padre.
Lontani da loro e ignari dell’importanza del momento appena vissuto, Lysander e Lorcan saltellano chiassosi sul divano – è colore ovunque.
 
 



 
Note dell’autrice: a seguito dell’ultimo capitolo pubblicato, ho pensato di dare la precedenza a un piccolo missing moments dai toni spensierati, spero vi sia piaciuto (e che le interazioni dei mini Lorcan, Lysander e Rose vi siano parse coerenti alle loro età). Grazie a chiunque sia giunto sino a qui.
Un abbraccio!

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Capitolo 5
*** Emozioni ***


 
Emozioni
 
 
I. (Moira)
 
Mi guardi spesso.”
Non è vero.”
 
Non è vero.
Una bugia rassicurante, innocua, ma debole – una maschera così palese da lasciarti nudo di fronte a chiunque, e a lei soprattutto.
Lei.
Con i suoi occhi attenti, vivaci, ma spietati – una lente impietosa su ogni tuo passo, pensiero, respiro.
Sfuggirle era fuori discussione.
Allora avevi ceduto, e aspettato e sperato che lei cedesse assieme a te – un solo istante, sarebbe stato abbastanza anche un solo istante.
 
Albus.”
Ti amo.”
 
Ti amo.
Lo ripetevi a oltranza, rapito e ammaliato da lei – ma Moira non rispondeva mai.
Ti baciava, però.
Era abbastanza, lo era –
 
(forse).
 
 
II. (Teti)
 
Ci alleniamo insieme?”
Sì!”
 
Sì.
T’era sufficiente pronunciare quel monosillabo per vedere Teti colorarsi di un sorriso splendente – sorridere assieme a lei, sfiorarla sbadato erano moti istintivi.
Non ti rifiutava mai.
Parlava tanto, ti rifilava spintoni, buffetti, a volte timidi baci sulla guancia – non lo capivi, quanto amassi la vostra intesa, la leggerezza che vi cullava.
 
Albus.”
Teti.”
 
Teti.
Detto vacillando – non t’era mai successo.
Quella volta l’avevi abbracciata forte, e il sole era alto nel cielo – ed era ancora lì quando l’avevi baciata per la prima volta.
Raggiante.
Teti lo era così tanto che ti chiedesti se il tuo sole, in fondo, non fosse lei.
 
 
III. (Scorpius)
 
Sei il figlio di Harry Potter?”
Sono Albus, tu?”
 
Due nomi.
Diversi, opposti, lontanissimi – eppure.
Essere amici era stato così naturale da farvi accantonare qualsiasi remora e pregiudizio, insieme eravate voi e basta – e andava bene, benissimo.
Finché.
 
Chiedimi scusa.”
Vaffanculo.”
 
Male.
Perché facesse così male litigare con lui, avvertire il suo livore addosso, l’avevi capito in un giorno di pioggia, quando intorno era tutto buio.
Scorpius.
L’avevi chiamato quand’eri a un soffio dalle sue labbra – t’aveva baciato prima lui, sempre più pronto di te, più consapevole di chi foste insieme.
E adesso?
Una domanda taciuta, dei tremori a inghiottirla.
Non importa.
Va bene –
 
(sì).
 
 
 


Note dell’autrice: non so bene cosa dire, se non che negli ultimi tempi immagino vari scenari per Albus, malgrado in Paradiso perduto il suo destino sia già tracciato – considerate queste tre piccole drabble (l’una indipendente dall’altra) un esperimento. Per chi non segue la long, specifico che Moira Meadowes (I drabble) e Teti Lennox (II drabble) sono mie OC.
Grazie della lettura.

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Capitolo 6
*** Se non è per sempre ***


La raccolta di drabble è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Quattordici della longfic.
Moira Meadowes e Atlas Nott sono personaggi di mia invenzione.

 
 
Se non è per sempre

 
I anno
 
Tornare a casa.
Non è un’alternativa, eppure è la tua sola compagnia da almeno due giorni.
Magonò.
Non sapevi fosse una vergogna, credevi fosse una parola come tante, assieme a mago, strega, babbano, persona.
Invece non è così – e l’eco della mortificazione ti perseguita.
Ti sei chiesta se in un’altra Casa sarebbe stato diverso, più semplice, in fondo sai cosa bisbigliano i corridoi su voi Serpeverde – feccia antica, di quelle che restano lorde anche se tirate a lucido.
“Posso?”
Che sia una domanda retorica lo intuisci mentre ancora sussulti sorpresa: quel ragazzino s’è già seduto accanto a te.
“Che vuoi?”
“Sono Atlas.”
“E quindi?”
“E quindi piacere di conoscerti, Moira.”
 
II anno
 
Non dovresti rintanarti nella gelida Torre di Astronomia, ma essere a cena assieme a tutti gli altri, però.
Strizzi gli occhi arrossati per scacciare le lacrime, non piangerai un’altra volta – sei forte, tu.
“Fai bene a nasconderti.”
Ti volti di soprassalto, abbandonando il cielo nuvoloso in favore del viso appuntito di Atlas e del suo sorrisetto sornione.
“Ti diverto?”
“Un po’.”
“Vattene.”
Ma Atlas amplia il sorriso e si avvicina per darti una goffa pacca sulla schiena.
“Hanno già i cacciatori, non avrebbero mai preso una del secondo anno al posto dei titolari.”
“Invece succede, ma non sono stata abbastanza brava.”
“Sei stata fenomenale, invece.”
“Mi prendi in giro?”
“No.”
 
III anno
 
Dov’è?
È tutto il giorno che lo cerchi, questa domenica avreste dovuto trascorrerla insieme.
Non sei neanche più certa di volerlo scovare per offrirgli la tua spalla e non per rimbeccarlo – ci penserai dopo.
“Atlas!”
Lo esclami con tale enfasi da far voltare i pochi studenti che popolano il porticato.
“Dovevamo vederci.”
“Lo so,” replica atono. “Ma pensavo non ti andasse più.”
Non devi chiedergli spiegazioni, sai cosa – chi – lo ha incupito.
“Non siamo i nostri parenti.”
“È dura sentirmi dire che i miei hanno ammazzato i tuoi.”
Lo abbracci senza riflettere, senza sapere come si abbraccia un amico, ma Atlas ti stringe a sé e gli imbarazzi volano via.
 
IV anno
 
“Vieni a Hogsmeade con me?”
È un invito-tipo appuntamento? Vorresti chiederglielo, ma rischieresti di fare la figura dell’ingenua.
“Non posso, devo allenarmi.”
Non è vero, e non sai perché gli hai rifilato questa bugia traballante – sai solo che rifiutare per toglierti dall’impiccio ti è parso rasserenante.
“Ah.”
Che risposta è? Vorresti chiedergli anche questo, ma Atlas si allontana infastidito – e non trascorrono che pochi minuti prima che proponga a un’altra il tuo invito-tipo appuntamento.
Ribolle qualcosa in te, qualcosa che ti spinge ad avvicinarti a un tuo compagno di squadra mentre sbirci la mascella di Atlas scricchiolare.
Cosa credeva, Nott, che l’avresti rincorso?
Neanche te ne accorgi, di sorridergli sorniona.
 
V anno
 
Ti aspettano.”
Lasciali aspettare.”
 
~
 
Vorresti dirgli che ha inaugurato il suo ruolo di Prefetto nel peggior modo possibile, ma in fondo che t’importa se altri lo aspettano nel vagone destinato a Prefetti e Capiscuola, lui preferisce te – le tue labbra, i tuoi respiri, le tue mani a stringerlo.
A giugno l’hai salutato con un bacio che l’ha sorpreso e stravolto, rivedervi due o tre volte in estate e aspettarvi trepidanti al binario è stato naturale.
Non avevi mai baciato nessuno prima di Atlas e non immaginavi che anche per lui fossi stata la prima – il capogiro è stato così forte, quando te l’ha confidato, da stordirti.
“Devi andare.”
“Aspettami.”
 
VI anno
 
Dormire assieme a lui ti piace da matti, sentirlo vicino ti elettrizza e ti convince a baciarlo piano, sorridendo mentre ti abbraccia assonnato.
Avete chiuso il mondo fuori dal vostro primo bacio, e a volte temi abbiate sbagliato – perdervi significherebbe perdere tutto, restare soli e isolati.
Però.
Non sei mai riuscita a intessere chissà quali amicizie in questo Castello: la mortificazione è una ferita sofisticata, si radica dentro e semina diffidenza.
Lo ami.
E lui ama te – e non perché te lo ripeta, ma perché lo senti sin dentro le ossa che è così.
“Che pensi?”
“Che ti amo.”
L’osservi sorridere radioso a questa risposta e i dubbi volano via.
 
VII anno
 
Qualcosa è mutato tra voi: insieme siete più ragione che istinto, come se conoscervi troppo vi avesse spenti.
Abitudine?
Più rifletti e più temi di esserci precipitata dentro – come, non lo sai.
“Moira, possiamo parlare?”
“Non serve. Va’ a Hogsmeade con i tuoi amici.”
Atlas sospira e cerca i tuoi occhi.
“Voglio stare con te.”
“No, vuoi fare qualcosa di diverso che non include me, sei stato chiarissimo.”
“Moira...”
“Vai, ti ho detto, e se ti capita scopati qualcuna.”
“Voglio che venga anche tu,” sbotta spazientito. “Questo volevo dirti, ma sei prevenuta e non so perché.”
Non gli rispondi, ma lo baci – a quel perché non sai rispondere neanche tu.
 
 
 


 
NdA: non so quanto possa interessare questo retroscena sulla relazione di Moira e Atlas, ma mi faceva piacere mostrarvelo attraverso il punto di vista di lei. Il titolo è un riferimento al loro epilogo nella long.
Per chi non ha letto il Capitolo Ventitré, specifico che Magonò è riferito al padre di Moira, che è appunto un Magonò.
Quando Atlas allude a battute infelici sulla propria famiglia non voglio sottintendere che Theodore Nott sia stato un Mangiamorte, ma che il marchio impresso sul suo cognome è ancora forte.
Grazie della lettura.

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Capitolo 7
*** Di impiccioni, offese e chiacchiere ***


Il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Tredici della longfic.
 
 

Di impiccioni, offese e chiacchiere
 
 
Dicembre 2019
 
Il vociare concitato ai cancelli di Hogwarts dà notizia della calca di studenti in attesa delle carrozze che li condurranno all’Espresso per trascorrere la pausa natalizia in famiglia. Nonostante siano appena le sette del mattino, timidi raggi di sole s’impegnano a riscaldare la giornata dicembrina e l’adrenalina rallegra visi altrimenti assonnati.
Quando James inizia a guardarsi intorno, muovendo piccoli passi che disegnano orme nella neve che copre il terreno, è ormai perfettamente sveglio ed entusiasta di far ritorno a casa.
“Chi cerchi?”
La voce di Louis lo sprona a dedicare un rapido sguardo al cugino, registrando svelto che al loro gruppetto si è aggiunto anche Lorcan.
“Rosie,” risponde allora. “Non la vedo.”
Louis non fa in tempo a dirgli che la incroceranno di certo sul treno che gli occhi di James si aguzzano, assottigliandosi in due fessure irritate.
“Torno subito.”
Torno subito, detto mentre si è già fatto largo tra la folla, rifilando qualche piccolo spintone pur di aprirsi un varco.
Tuttavia è solo quando raggiunge la sua meta che capisce di non avere la più pallida idea di cosa dire né di cosa fare, ruba allora alcuni istanti per riflettere e inquadrare meglio la situazione: da un lato Rose e Allison, dall’altro due bellimbusti del quinto anno – uno impegnato a fare da spalla silenziosa all’amico, l’altro a parlare disinvolto e a guardare con sin troppo interesse Rose.
Patetico.
“Ti cercavo.”
Ti cercavo, detto con tono secco – forse troppo –, ma sono parole neutre – giusto? – e gli sembrano un buon modo per allontanare Rose dall’idiota troppo grande senza dare spettacolo.
“Perché?”
Che significa perché? James serra la mascella e scocca un’occhiata ai due studenti più grandi, infastidito dalle loro risatine sommesse.
“Le carrozze, sono quasi arrivate.”
“Tra poco ti raggiungo.”
“Andiamo,” insiste James. “Adesso.”
Adesso, sottolineato cingendole il polso ed esercitando una piccola pressione per invogliarla a muoversi – lancia anche uno sguardo ad Allison, come a suggerirle di fare altrettanto.
“Potter, ma di che t’impicci? Stiamo parlando, vacci tu alle carrozze.”
James registra svelto che a parlare è stato l’idiota interessato a Rose – e registra anche di averlo già visto ronzarle attorno in Sala Comune.
È… snervante.
Non sa cosa stia succedendo, ma durante l’estate appena trascorsa Rose è cambiata: ha guadagnato qualche centimetro, il suo viso si è affinato un pochino, il suo corpo è diventato più simile a quello di una ragazza – è cresciuta, ed è da circa un paio di mesi che ha capito di non essere il solo ad aver notato questo cambiamento.
Però.
Non capisce perché debbano guardarla così tanto né perché a lui dia così fastidio. Fatto è che non vuole neanche immaginare Rose in situazioni in cui ha già visto Molly e Roxanne, per non parlare di Victoire.
No, proprio no.
“E tu saresti?”
La domanda sa di provocazione, lui l’ha pronunciata senza riflettere troppo – e dire che se lo ripete spesso, di non cedere all’impulsività – e senza accorgersi che se avesse taciuto sarebbe stata proprio Rose a ribattere per entrambi, irritata quanto e più di lui per le parole rivoltegli.
Invece.
“Hai la guardia del corpo, Rose?”
“La guardia del corpo un cazzo,” sbotta James. “Levati dalle palle.”
“Sei tu a doverti levare dalle palle, stavamo parlando prima che arrivassi.”
È tutto molto rapido, troppo rapido, perché James possa capire di avere i nervi a fior di pelle e zero possibilità di non fare qualche disastro. Tutto ciò che riesce a pensare è che in una manciata di minuti quel tipo, che dovrebbe chiamarsi Jason Pesky1, è riuscito a irritarlo più di chiunque altro da quando ha messo piede a Hogwarts: non solo crede di potersi avvicinare a Rose, ma anche di avere il diritto di parlargli in questo modo – un pazzo.
Insomma, è stato persino clemente nel rifilargli l’Incantesimo delle pastoie, avrebbe potuto essere più incisivo, ma il raziocinio che ancora non lo ha abbandonato gli ha suggerito di evitare una fattura visibile al primo sguardo superficiale dei professori.
E se Jason quasi casca a terra quando le gambe si irrigidiscono e lo sbilanciano, il suo amico sfodera la becchetta per ricambiare il favore a James – purtroppo o per fortuna, a sopraggiungere sono Louis e Lorcan, entrambi con bacchetta alla mano e sguardo cupo.
“Non ci pensare proprio,” ringhia Lorcan all’indirizzo dell’altro Grifondoro. “Fuori dalle palle.”
“Fossi in voi, seguirei il consiglio,” soggiunge pacato Louis. “Sarebbe spiacevole.”
James, un ghigno sfrontato in viso, divarica di poco le braccia e fissa in viso i due quindicenni, come a invitarli a colpirlo – e ghigna ancora di più quando sbircia le risate impudenti di Lorcan e Louis.
Quello che non vede, che di nuovo non coglie, è l’irritazione che sporca il viso di Rose; si accorge però del passo di marcia con cui, afferrato il polso di Allison, si allontana da tutti loro – che vadano a quel paese pensa Rose, Pesky, il suo amico e anche James.
James che, oltre a seguirla con lo sguardo, decide in fretta di seguirla anche con i passi – Lorcan e Louis gli sono alle spalle in un arco temporale effimero, giusto il tempo di ammonire una volta ancora gli altri due.
“Rosie, Rosie, aspetta.”
La chiama, affretta il passo sino a raggiungerla, le afferra le spalle, ma niente. Tutto ciò che James ottiene è uno scatto irritato che libera Rose dalla sua presa e un’occhiataccia di Allison.
“Rosie, dai...”
Ma Rose seguita a non rispondergli e sale svelta sulla prima carrozza libera in cui si imbatte, esortando Allison a fare altrettanto e a farlo alla svelta. Tuttavia James, deciso a non demordere, sale a sua volta su quella stessa carrozza, seguito da Louis e Lorcan che sfoggiano espressioni cariche di perplessità – e se Lorcan si siede accanto a Rose e la fissa interrogativo, Louis affianca il cugino e gli dà una pacca solidale sulla schiena.
“Possiamo parlare?”
“No.”
James strabuzza gli occhi e stringe i pugni, osservando Rose tutta impettita guardare ostinatamente il tragitto percorso dalla carrozza anziché lui o chiunque altro.
“Ma che è successo?” tenta Lorcan.
“Chiedilo a lei,” risponde indispettito James. “Volevi restare con Pesky? Forse non l’hai notato, ma ci stava provando.”
“Pesky ha il cervello di un vermicolo,” sentenzia Louis. “Ed è più brutto di un ghoul.”
“E chi te l’ha detto che i vermicoli hanno poco cervello?” chiede retorica Rose. “Ci sono persone molto più stupide,” aggiunge guardando James.
“Hai sentito, Louis? Ora quello è meglio di me.”
“James,” chiama Lorcan, facendogli cenno di calmarsi.
“Non le chiedo scusa,” ribatte però James, sordo al consiglio. “Ho ragione.”
“Ma perché avresti ragione?” interviene Allison. “Sei stato maleducato.”
“Ma non farci ridere,” ribatte Louis per James. “Se è intervenuto è perché ha visto qualcosa che voi non avete notato.”
“E cos’è che non avremmo visto?” incalza Allison. “Stavamo solo parlando.”
“Ally, lascia perdere.”
“Ecco, lascia perdere,” le fa eco James. “Sono io il coglione a preoccuparmi.”
“Ci diamo un taglio?” propone Lorcan. “Alla fine non è successo niente.”
E se Louis annuisce, per una volta concorde, e Allison sospira, Rose e James gli scoccano sguardi offesi.
“Che ho detto?”
“Una cosa sensata,” risponde Louis, tentando di stemperare la tensione. “Strano ma vero.”
“Ora sì che posso affatturarmi: il damerino mi dà ragione.”
“È una vergogna per me, non per te,” replica Louis.
“Ora ti riconosco,” scherza Lorcan. “Vero, Rose?”
“Cosa?”
“Il damerino che mi insulta.”
Ma Rose alza gli occhi al cielo e riprende a fissare il tragitto, consapevole che James non ha mai smesso di guardarla. Lorcan scambia allora uno sguardo con Louis, che scuote la testa in un moto di rassegnazione.
Il breve viaggio prosegue nel silenzio più totale, colorato solo da Louis e Lorcan che seguitano a scambiarsi parole mute – e se l’uno solleva le sopracciglia per invitare l’altro a scuotere James, l’altro in questione sprona l’uno a dire qualcosa a Rose.
Avvertire la carrozza fermarsi è un sollievo per tutti, così come lo è uscire da quel piccolo abitacolo e tuffarsi tra gli studenti che affollano il binario. Come già in precedenza, Rose afferra Allison e la trascina con sé senza guardarsi indietro, costringendo i tre ragazzi a seguirle.
Tuttavia James non replica quanto già fatto e non appena sale a bordo del treno smette di inseguire la ragazza, ingoiando il fastidio e la sensazione di estraneità che lo sorprendono quando vede Lorcan scrollare le spalle – scusa, non so che altro fare sembra volergli dire – e scegliere di seguire Rose.
A ridestarlo è la mano di Louis, che gli stringe la spalla in un tacito invito a lasciar cadere la cosa.
“Cerchiamo uno scompartimento solo per noi, va bene?”
James annuisce svogliato e segue il cugino impegnato a cercare un angolo dove rintanarsi in pace.
“Ma ti sembra normale?”
Louis sussulta – non ha neanche fatto in tempo a chiudere la porta dello scompartimento che l’altro ha sbottato.
“Ti calmi? Non è il caso di fare tutta questa tragedia,” replica sedendosi.
“È lei a fare la tragedia, non io. Hai sentito che mi ha risposto? No. No, a me,” ringhia. “Io le chiedo di parlare e lei mi dice no. A me no e a quello sì. È normale? Se è normale dimmelo, però a me non sembra per niente normale.”
Louis, un sopracciglio sollevato e le labbra piegate in un ghigno, si prende alcuni istanti per osservare le guance chiazzate di rosso-nervosismo di James – e deve fare un grande sforzo, grandissimo, per non prorompere in una risata.
“Le ha dato fastidio che ti sei messo in mezzo, dopo parlate e risolvete,” tenta. “Però calmati.”
“Sono calmissimo.”
“Si vede,” ironizza Louis.
“Secondo te ha ragione lei?” chiede nervoso. “Hai visto come la guardava? Siamo i cugini più grandi, dobbiamo pensarci noi a certe cose.”
“Non mi ero neanche accorto che ci stesse parlando, se vuoi la verità,” replica. “Però se non ti calmi continuerete a litigare, alla fine parlavano soltanto.”
“Ha ragione lei, è questo che pensi,” insinua James.
“Non ho detto questo, quello è un idiota e hai fatto bene a dirgli di girare a largo,” chiarisce, riuscendo a farlo rilassare un pochino. “Però devi calmarti,” ripete di nuovo. “Se la becchi mentre bacia qualcuno che fai, dichiari guerra al tipo?”
James, come scosso da questa prospettiva, si ritrova a sbarrare gli occhi allarmato e a rimuginare in silenzio su qualcosa che ha sempre allontanato da sé, cui non ha davvero mai pensato – non sul serio –, un atteggiamento che in Louis sembra instillare un dubbio che lo convince a corrugare la fronte e a sporgersi in avanti, ticchettando il ginocchio del cugino con le nocche.
“Jamie,” chiama. “Ma non è che sei geloso?”
“Di chi?”
Louis inarca eloquente le sopracciglia e James sbarra ancora di più gli occhi.
“Ora sei tu ad avere il cervello di un vermicolo,” sentenzia. “Geloso, ma che cazzata.”
“E allora calmati,” ripete per l’ennesima volta. “Entro stasera avrete già fatto pace.”
“Deve chiedermi scusa.”
Louis questa volta non trattiene una risata, ma lascia cadere il discorso gelosia, che in verità non trova per niente così assurdo visto il nervosismo di James.
James che, tutto corrucciato, tenta di immaginare quali epiteti gli stia riservando Rose, rintanata lontana da lui con Lorcan e Allison.
Non lo può sapere, che la ragazza è ancora impegnata a non proferire parola alcuna, costringendo i due che condividono lo scompartimento con lei a parlare a raffica pur di spronarla a fare altrettanto.
“Rose, sembri pietrificata,” si lamenta Allison. “Sei arrabbiata anche con me?”
“Certo che no.”
“Quindi è con me che sei arrabbiata?” chiede Lorcan.
“Neanche.”
“E allora perché non parli?”
“Sto aspettando che venga qui a scusarsi,” ammette allora. “Deve trovarmi così, muta e arrabbiata.”
Lorcan vorrebbe tanto ribattere, ma a calamitare sia la sua attenzione che quella delle due ragazze sono Albus e Basile che, sorrisetti ironici in viso, s’affacciano sull’uscio dello scompartimento e fissano divertiti Rose.
“È vero?” ghigna Albus. “Hai litigato con James?”
“Fatti gli affari tuoi,” prorompe Allison per l’amica.
“AllyKatty, come siamo nervose, ci hai litigato anche tu?!”
“Fuori dalle palle, tutti e due,” ordina Lorcan. “Ora.”
E se Basile ingoia a vuoto, Albus stringe nervoso le labbra, sbirciando con la coda dell’occhio Rose accennare un sorriso sghembo.
“Cos’è, non si può sapere se ci hai litigato?” insiste guardando la cugina. “Sul treno parlano solo di questo.”
“Ho sentito dire che Pesky avrebbe detto a qualcuno di voler affatturare James quando arriviamo a Londra,” aggiunge cospiratorio Basile.
“Tu senti sempre dire qualcosa a qualcuno,” nota seccata Rose. “Sei un pettegolo.”
“Allora accontentami e dammi qualche scoop!”
Rose alza gli occhi al cielo e precede Lorcan nel tirarsi su e chiudere in un gesto rude la porta dello scompartimento, infischiandosene sia delle espressioni di certo attonite dei due Serpeverde che degli improperi che sente biascicare ad Albus.
“Che rompiscatole,” dice rimettendosi seduta.
“Se vuoi li affatturo,” propone Lorcan.
“Così litighi anche tu con James,” replica lei. “Meglio di no. Deve già scusarsi con me.”
Lorcan sogghigna e si concede un ampio sorriso quando Rose contraccambia la sua espressione.
“Ti spiace se raggiungo un attimo Leontes?” chiede Allison. “Ho ancora i suoi appunti.”
Rose annuisce e la Tassorosso le scocca un bacio sulla guancia assicurandole di far ritorno nel più breve tempo possibile.
“Ora parliamo sul serio?”
La domanda retorica di Lorcan spezza il silenzio non appena Allison si chiude la porta alle spalle, Rose mima un piccolo sbuffo, ma non riesce a evitare di sorridere quando lo vede sedersi accanto a lei e circondarle le spalle con il braccio.
“Non dirmi che secondo te ha ragione lui.”
“Secondo me siete esagerati,” ribatte. “Non è successo niente.”
“Si è intromesso.”
“Aveva i suoi motivi.”
“Vedi che sei dalla sua parte?” sbotta Rose, allontanandosi irritata.
“Ma come sei permalosa,” scherza. “Vieni qui,” aggiunge, spronandola a poggiare di nuovo la testa sulla sua spalla.
“Non sono permalosa, sei tu che non sei dalla mia parte.”
“Cazzate, io sono sempre dalla tua parte.”
“E allora perché lo giustifichi?”
“Perché quelli del quinto anno sono stronzi e James lo sa.”
Rose solleva gli occhi verso il viso di Lorcan, riuscendo a sbirciarne solo il mento, mentre po’ tenta di riflettere sul suo punto di vista – che stia davvero esagerando? , tuttavia a frapporsi tra lei e i neonati ragionamenti è proprio James, che a sorpresa schiude di poco la porta dello scompartimento e affaccia la testa al suo interno.
“Ti ho trovato, finalmente.”
Sia Lorcan che Rose colgono alla svelta quel ti corredato dallo sguardo di James fisso sull’amico.
“Perché non entri?” propone il Corvonero.
Ma James mima un rapido diniego, riuscendo a far irrigidire Rose.
“Quando hai finito di perdere tempo, ti aspetto nel solito scompartimento.”
Lorcan non fa in tempo a sbarrare gli occhi che l’amico è già scomparso – e neanche ci prova, questa volta, a placare Rose, si limita a massaggiarle la nuca e baciarle la guancia.
“È un coglione, ma poi gli passa.”
“Ora capisci che deve scusarsi?” incalza Rose. “È ridicolo.”
“Perché non cambiamo argomento?”
“E di che vuoi parlare?”
“Vieni da me durante le vacanze?”
“Devo chiedere a mamma.”
“Solo un giorno, non può dirti di no.”
Rose sorride concorde, in fondo Lorcan non abita neanche troppo lontano dalla Tana.
“Ci proverò.”
“Allora è...”
“Mi dite che è successo?”
A spezzare la fragile quiete costruita è un inatteso Lysander, che senza perdersi in convenevoli entra e si siede di fronte al fratello.
“Ma di che parli?” chiede stizzito Lorcan.
“Dimmelo tu,” rilancia Lysander. “Parlano tutti di un litigio tra lei e James,” spiega indicando Rose. “E prima un tizio mai visto mi ha detto che appena arriviamo a Londra mi gonfia di botte… Che hai combinato? Di sicuro mi ha confuso con te.”
“Che significa che ti gonfia di botte?” prorompe Rose. “Era un Grifondoro?”
“Non lo so, non aveva la divisa,” risponde. “Lor, con chi hai litigato questa volta?”
“Proprio con nessuno, ho solo aiutato James, volevano affatturarlo.”
“Veramente dicono che è stato lui ad affatturare qualcuno.”
“Per difendersi,” replica Lorcan. “Aveva capito che lo avrebbe attaccato,” aggiunge quando coglie la perplessità del fratello e il sorriso furbo di Rose.
Lysander, per nulla convinto, solleva le sopracciglia, ma a frenare anche le sue parole è un ennesimo ingresso – o ritorno, per meglio dire –, cioè Allison.
“Non hai idea di quante chiacchiere stiano facendo,” esordisce seccata verso Rose. “Oh, ciao, Lysander.”
“Ciao, Allison.”
“Ho incontrato di nuovo quella piaga di Zabini, non ha fatto altro che riempirmi la testa di pettegolezzi,” snocciola. “Poi ho rivisto anche Albus, che mi ha detto di dirti che tu e James siete così impegnati a fare gli offesi da aver dimenticato Lily e Hugo, che lode a Salazar,” dice mal imitando una voce maschile, “così ha detto,” puntualizza, “sono con lui, perché lui è l’unico che si è preoccupato per loro.”
“Certo che Albus li sa rompere bene i coglioni,” commenta Lorcan.
“E che vuole, un premio?” sbotta invece Rose.
“Solo fartelo sapere,” replica Allison. “Come va?”
“Prima è venuto qui e ha detto a Lorcan di raggiungerlo quando ha finito di perdere tempo,” risponde svelta e stizzita. “Ti rendi conto?”
“Deve chiederti scusa.”
“Assolutamente.”
“Beh, un po’ sì, dai,” tentenna Lorcan.
“Ma si può sapere che è successo?”
Ed ecco che dove hanno fallito le parole di supporto di Allison e Lorcan riesce invece l’ingenua esasperazione di Lysander, che fa scoppiare Rose in una risata così tanto sonora da lasciare prima allibiti gli altri tre e da convincerli poi ad abbandonarsi a loro volta all’ilarità.
Dove l’ilarità invece proprio non riesce a imporsi è nello scompartimento di James, che seduto tutto imbronciato mal tollera Molly e Leonard che hanno raggiunto Louis – ha persino dovuto sopportare la curiosità di Roxanne e Amanda, che per sua fortuna si sono defilate quando hanno capito che non avrebbero ricavato neanche un minuscolo commento.
“Jamie, vuoi?”
James orienta gli occhi blu sulla confezione di biscotti che i tre sono impegnati a consumare – d’accordo, sarà anche offeso, ma il cibo non si rifiuta mai.
“Non c’è niente di meno dolce?” chiede non appena fagocita il primo biscotto.
“Che stupidi a non chiedere alla signora del carrello dei dolci se avesse qualcosa di meno dolce,” ribatte sarcastica Molly, facendo ridacchiare Leonard.
“Ma com’è che siamo parenti, io e te?” chiede retorico James. “Sicura che il tuo cognome non sia Rompiballe? Perché Molly Rompiballe mi pare proprio perfetto.”
“Jamie.”
“E il tuo cognome quale sarebbe? Guastafeste?! Tutto questo solo perché non sai farti gli affari tuoi.”
“Molly.”
“È la verità,” insiste lei, scoccando un’occhiataccia a Louis. “Rose ha fatto bene a mandarti a quel paese, sei solo un impiccione.”
“Rosie non mi ha mandato a quel paese.”
“Ne sei sicuro? Non mi sembra che sia qui con te.”
“Molly, mangia un biscotto,” impone irritato Louis, mettendole l’intera confezione tra le mani. “Ma quanto manca all’arrivo?”
“Poco,” risponde Leonard, impegnato a reprimere più risate di quante siano accettabili – è uno spasso vedere Potter in quelle condizioni.
“Grazie, Godric,” esulta Louis. “In questo treno c’è proprio puzza di boccini rotti, e vi assicuro che sono i miei.”
James non avrebbe voluto ridere – anche perché nel caso Rose si affacci deve trovarlo nervosissimo, non solo nervoso –, ma non può fare a meno di prorompere in una risata che trascina con sé anche gli altri.
Quando arrivano, a nessuno sembra vero – finalmente sembra essere il pensiero comune.
La calca che affolla il Binario Nove e Tre Quarti2, ancora più chiacchierina ed elettrizzata di quella che ha accompagnato la partenza, sembra aver lasciato sull’Espresso pettegolezzi e propositi da attaccabrighe: rivedere i genitori, salutare gli amici, assaporare le vacanze è un colpo di spugna su tutto – o quasi.
I genitori di Rose e James, riuniti in gruppo ad attendere i figli, non devono impegnarsi per cogliere il malumore dei due, è sufficiente vederli muti e impettiti, mentre alle loro spalle, tra un ghigno e l’altro, Albus scorta Hugo e Lily di ritorno dai loro primi mesi a Hogwarts.
“Cos’è successo?” chiede Hermione.
“Niente,” risponde Rose. “Andiamocene.”
E se Ron solleva un sopracciglio, Harry e Ginny fanno appena in tempo a cogliere il “vi seguiamo in moto” di Teddy, che viene afferrato da James e spronato ad allontanarsi senza salutare né aspettare nessuno.
Perplessi, gli adulti temporeggiano solo per salutare parenti e amici, congedandosi dai primi con un “a stasera” che annuncia la consueta Vigilia alla Tana.
“Cos’è successo?”
Hermione ripete la domanda non appena chiudono gli sportelli dell’automobile, mentre Ron avvia il motore sbirciando prima i figli seduti sul sedile posteriore e poi l’automobile di Harry, che parcheggiata a pochi metri dalla propria si prepara a imbucarsi nel traffico di Londra.
“Un giorno mi spiegherai perché dobbiamo perdere tempo come dei babbani,” borbotta Ron, seguendo Harry. “Hai contagiato anche Harry con questa storia.”
“Ronald, sto cercando di parlare con Rose,” replica Hermione. “E poi non hai niente di cui lamentarti, appena saremo lontani da occhi indiscreti ci solleveremo in volo.”
“Non grazie a te.”
“Continuo a essere contraria, se vuoi saperlo. Non era proprio il caso di legalizzare mezzi di trasporto truccati.
Ibridi,” corregge Ron, ricordando il soporifero ma utile disegno di legge di Percy3. “Mezzi di trasporto magici che premiano l’ingegno dei babbani,” recita a memoria con un mezzo sorriso. “Papà ripete questa frase ogni dieci minuti.”
Hermione stringe le labbra, ma evita di ribattere e impelagarsi in una discussione sterile, si volta invece quanto può in direzione dei sedili posteriori, intravedendo Hugo intento a fissare la sorella e Rose imbronciata.
“Rose,” chiama. “Mi spieghi cos’è successo? Perché sei di cattivo umore?”
“Ha litigato con James!”
“Hugo!”
“L’ha detto Al, e l’ha detto anche quel suo amico che parla tanto.”
“Zabini,” dice Rose. “Un impiccione, proprio come lo sei tu e come lo è James, mai a farvi gli affari vostri!”
“Rose, non rivolgerti così a tuo fratello.”
“Ehi ehi, ma cos’è tutto questo nervosismo?” interviene Ron. “Che ha fatto James?”
“Al dice che ha litigato con un Grifondoro che ci provava con Rose,” snocciola entusiasta Hugo, approfittando del mutismo della sorella e rischiando di distrarre il padre dalla guida. “Lo ha schiantato!”
“Questo non è vero, gli ha solo fatto l’Incantesimo delle pastoie,” corregge istintiva Rose. “Ma non sono affari vostri!”
“Sì che sono affari nostri,” dice subito Ron, aggiustando lo specchietto retrovisore in modo tale da poter guardare la figlia. “Chi è questo Grifondoro? Come si chiama? Perché lo conosci?”
“Pensa a guidare, tu,” borbotta Hermione. “Rose, mi spieghi, per favore?”
Rose, le labbra mordicchiate, torce le mani tra loro e si convince finalmente a sollevare lo sguardo sulla madre, curandosi di rifilare un calcio al fratello quando intuisce che è pronto a parlare di nuovo per lei – impiccione pensa.
“Ero con Ally, Pesky si è...”
“Chi è Pesky? Non ne hai mai parlato.”
“Al dice che è del sesto anno!”
“Sesto?” tuona Ron.
“Quinto,” dice stizzita Rose. “E tu smettila di credere ad Albus, lui e Basile inventano solo fandonie.”
“È comunque troppo vecchio.”
“Ignora tuo padre, continua.”
“Non c’è niente da dire. Si è avvicinato e abbiamo parlato un po’, poi è arrivato James e ci ha litigato,” spiega. “Solo perché non l’ho seguito subito!”
“Ha fatto benissimo,” interviene Ron. “Bravo mio nipote.”
“Invece ha fatto malissimo,” ribatte Hermione. “Sono sicura che chiarirete, ma tu fai bene a dirgli che non può comportarsi così,” aggiunge guardando Rose.
Rose, rinfrancata dall’insperato supporto della madre, tenta di ignorare il farneticare del padre su quanto sia stato bravo e giusto James – e dire che lei adora suo padre, ma ha notato che su alcune questioni ha la mentalità più ristretta di nonna Molly, che come dice Dominique è arretrata, al contrario di sua madre, che quando non è impegnata a impartire ordini e a pretendere di decidere per tutti ha addirittura una mentalità aperta. A volte crede che i suoi genitori siano un mistero troppo grande da decifrare: sa solo che a inizio anno ha mal sopportato lei per averle imposto di seguire più corsi di quanti ne volesse intraprendere e ha ringraziato lui per essere riuscito a evitarle almeno Babbanologia – a parere di zia Ginny, però, non è stata una grande conquista, perché sua madre stessa ha scartato la materia all’epoca di Hogwarts.
E questo è solo il terzo anno.
Rose un po’ trema all’idea delle aspettative che la presseranno quando dovrà sostenere i GUFO, per non parlare della scelta delle materie da proseguire sino al livello MAGO – spera solo che per allora avrà maturato una libertà di scelta maggiore.
È quando poggia la testa contro il vetro del finestrino che, suo malgrado, intravede la motocicletta su cui sfrecciano Teddy e James – e sorridere pensando all’entusiasmo di James di questa mattina, certo che a Londra avrebbe trovato Teddy e la moto, le fa quasi male, perché lui è stato così idiota da non capire di averla ferita.
China lo sguardo nel momento in cui, ormai sollevate tutte in volo – le due automobili e la moto –, i due ragazzi li sorpassano.
Teddy, pur concentrato alla guida, non manca di sbirciare Rose e di scuotere la testa nel vederla orgogliosamente attenta a non incrociare James neanche per sbaglio – James che, sino a questo momento, non ha fatto altro che insultare il Grifondoro del quinto anno e ripetere che Rose non ha capito niente della sua preoccupazione.
“Se ripeti un’altra volta quel coglione del quinto anno, l’anno prossimo non mi compro la moto e continuo a usare questa.”
“Ma quello è un coglione.”
“Sì, James, alla millesima volta che l’hai detto l’ho capito,” replica sarcastico.
“Beh, che ne pensi?”
Teddy sogghigna e accelera ancora, ignorando il clacson che li rincorre.
“È sicuramente tua madre a suonare, Harry si fida.”
“Mia madre dice che questa moto è un catorcio,” ghigna James. “Invece è bellissima, Sirius aveva ottimi gusti.”
“Sì, però l’anno prossimo me ne compro una tutta mia, così questa la usi tu. Quest’estate ti insegno a guidarla.”
“Poi mi fai fare un giro anche sulla nuova?”
“Vacci piano, ragazzino,” scherza. “Ho visto un modello fantastico, già incantato, sfreccia che è una bellezza. Piace anche a Vì!”
“Ah beh, se piace a Vì,” ribatte malizioso. “Ti fai comandare a bacchetta.”
“Pensa a te, che sei sulla buona strada per fare peggio di me.”
“Che vuoi dire?”
“Lascia perdere, diciamo che sei protettivo con Rose.”
“Ecco, protettivo è proprio la parola giusta.”
“Però devi scusarti lo stesso.”
James strabuzza gli occhi e tace per alcuni istanti – in che senso?
“Perché dovrei scusarmi? Ho ragione.”
“Non hai ragione, invece,” ribatte Teddy. “Ascolta chi ci è passato prima di te.”
“Rosie è troppo piccola.”
“Rose ha la tua età, e in nessun caso puoi decidere per lei. Puoi esprimere un parere, darle un consiglio, ma poi basta, c’è un limite.”
“Volevo proteggerla!”
“Da cosa, dalle chiacchiere di un compagno di scuola?” chiede retorico. “Senti, scusati e non intrometterti di nuovo nelle sue cose.”
“Se anche volessi, non vuole parlarmi,” riprende a disagio dopo un po’. “Non mi parlerà per mesi.”
“Ma anche per anni!”
“Fingi un po’ di solidarietà,” scherza James. “A te è mai successo?”
“Cosa?”
“Quello che ho fatto io.”
“No, ma avrei voluto farlo ogni volta che ho visto Vì con un altro.”
“Sapevi già fosse sbagliato?”
“Un po’ lo pensavo,” dice. “Ma la verità è che non ho mai avuto la tua faccia tosta,” ammette. “Se continui ad affatturare tutti quelli che ti stanno sul cazzo, il corso di preparazione per gli Auror lo segui ad Azkaban.”
“Preferisco seguirlo dall’ufficio di papà,” replica sarcastico.
“Ti daranno del raccomandato, come hanno fatto con me, preparati.”
“E capirai, mi danno del raccomandato da quando ho messo piede a scuola,” ribatte. “Lo dicono di tutti noi cugini, ma con me e Rosie i più grandi ci vanno giù pesante.”
“E per questo che non ti piacciono quelli del quinto anno?”
“Non mi piace nessuno che vuole sfruttare il nostro cognome, non sai mai di chi puoi fidarti. Succede anche a Lorcan, sai, per il papà soprattutto, per la madre… È un’altra storia.”
“Luna?”
“Il Cavillo non ha troppi fan e tanti lo leggono solo per riderci sopra. Soprattutto al primo anno, non è stato facile per loro, li chiamavano stralunati.
“Di imbecilli ne è pieno il mondo,” dice Teddy. “Imbecilli e ignoranti, ne sono sempre troppi.”
“Quindi faccio bene ad affatturare tutti.”
“Com’è che ogni volta ribalti quello che dico?”
James sogghigna, ma non aggiunge altro perché la motocicletta ha ritoccato terra. E mentre Teddy spegne il motore e lui salta giù, vede arrivare anche le automobili dei genitori e degli zii, parcheggiate come al solito una dietro l’altra.
“Siete due incoscienti a correre con quel catorcio!”
James sbuffa, ma Teddy gratta stoico la testa e inventa di aver dovuto accelerare per un problema con le marce – menomale che sono io ad avere la faccia tosta pensa divertito. A distrarlo è però lo zio Ron, che lo raggiunge in poche falcate e tutto allegro gli dà una pacca sulla schiena.
“Bravo, James, tu sì che mi dai soddisfazione! Continua a tener d’occhio Rose!”
Merda – è il primo pensiero che lo sorprende nonché quello che lo induce a cercare Rose con lo sguardo e vederla svanire svelta nel proprio villino.
Insomma, nutre un grande affetto e una grande simpatia per zio Ron, ma sa sin troppo bene quanto Rose non tolleri la sua invadenza e sapere di essersi guadagnato la sua approvazione in questa circostanza gli morde i pensieri e ingigantisce le parole rivoltegli da Teddy.
Non indugia neanche due secondi prima di ignorare il padre che lo invita a farsi carico del proprio bagaglio e il fratello che lo punzecchia con delle stupide battute – rincorrerla è l’unica azione che gli sembra sensata, adesso.
Tuttavia, e non sa neanche perché, più percorre la scalinata di casa degli zii, più macina passi che lo avvicinano alla camera di Rose, più sente il nervosismo pizzicargli lo stomaco – in fondo, pensa rapido, se ha sbagliato lo ha fatto a fin di bene, e lei invece di continuare a recitare la parte dell’offesa potrebbe anche sforzarsi di capirlo.
“Adesso possiamo parlare?”
James lo chiede non appena si affaccia sull’uscio della stanza, godendo dello sguardo sorpreso che gli rivolge – un motivo in più per smetterla con questa sceneggiata riflette, è lui ad aver fatto il primo passo, questo vorrà pur dire qualcosa.
“Vattene.”
A quanto pare no – James incassa con fastidio e per un attimo è tentato di andare via e riprendere a ignorarla, ma la voglia di riconciliarsi è più forte.
“Ti ho solo difesa.”
Rose, che finora gli ha dato le spalle in favore della finestra, si volta svelta, sfoggiando occhi assottigliati e labbra tremule di nervosismo.
“Ti sei intromesso,” replica lapidaria.
La mascella di James si contrae senza che lui possa impedirlo – intromesso? È questo che pensa? Ma certo che è questo che pensa sembra rispondere una vocina nella sua testa che è identica a quella di Teddy e ha l’irritante tono dell’ovvio.
Avverte una grande confusione: da un lato la ragionevolezza e la conclusione cui è giunto – aver sbagliato –, dall’altro uno strano, stranissimo fastidio risvegliato dal vederla così impettita, ancora così offesa. Il dubbio che la sua reazione sia dovuta al semplice fatto di non aver potuto parlare con quel tizio lo sorprende a tradimento e rischia di spazzare via tutte le buone intenzioni.
Si ripete di nuovo, come ore addietro, che l’idiota che ci ha provato con lei frequenta il quinto anno, quinto, cos’avrebbe dovuto fare se non affatturarlo?
Forse non è così sbagliato che zio Ron approvi, forse è Teddy a essere del tutto fuori strada, e lui s’è fidato perché lo ha sempre considerato una fonte infallibile – ma anche i migliori sbagliano, no? E Teddy stesso ha ammesso di non aver affatturato nessuno per incapacità, non certo per scelta... Forse non ha detto proprio così, ma sono dettagli, giusto?
“Era troppo grande, chissà che aveva in testa,” dice allora.
Ma Rose scuote la testa e a sorpresa lo raggiunge sino a essere a un palmo dal suo viso – James è sul punto di credere che voglia mettere tutto da parte con uno dei loro abbracci quando gli rifila uno schiaffo.
“Rosie!”
“Sei un idiota,” sbotta. “Devi parlare con me prima di intrometterti.”
“Ma...”
“James.”
Lui sbuffa e ficca le mani in tasca.
“Mi terrai il muso per tutte le vacanze?”
Lei non risponde, anzi sospira, come arresa a lui o forse a se stessa, sempre troppo morbida quando si tratta di James.
James che è quasi rassegnato a essere ignorato sino al ritorno a Hogwarts quando Rose lo sorprende con un bacio sulla guancia schiaffeggiata – l’abbraccia non appena è lei a stringerlo.
“Scusa,” mormora. “Teddy dice che sono protettivo.”
La sente sorridere sulla spalla e abbracciarlo un po’ di più.
“Sei un impiccione, invece!”
“Pace?”
Rose, che durante il tragitto non ha fatto altro che ripetersi di essere nel giusto e che James avrebbe dovuto capire di aver sbagliato e chiederle scusa, si ritrova ora a chiedersi se queste scuse raffazzonate – spontanee o poco convinte? – possano essere abbastanza per mettere tutto da parte, per non fargli pesare di essersi sentita minuscola e al culmine della vergogna quando lui si è intromesso senza invito.
Però riflette anche di avergli dato di certo un assaggio di cosa significhi la loro lontananza, di quanto possa essere ostinata se offesa – forse, solo per questa volta...
“Pace.”
Lo mormora sulla guancia di lui, abbandonandosi a un sorriso quando James le chiude il viso tra le mani e le sfiora in un fugace bacio la punta del naso.
“So di essere stato un coglione, sapevo di esserlo anche tre minuti fa, ma mi sono sentito strano, scusami. Ti assicuro che non mi intrometto più.”
“Promesso?”
“Beh, se però qualcuno ti dà fastidio o è proprio una brutta compagnia intervengo.”
“Allora lo faccio anch’io con quelle che ci provano con te.”
“Fallo,” dice subito. “A me piace che mi proteggi!”
“Hai proprio il cervello di un vermicolo.”
Lui ride e lei gli stringe la mano, portandolo con sé al piano inferiore, dove è sicura troveranno tanti impiccioni pronti a sapere se abbiano o meno chiarito.
“Fingiamo di aver litigato di nuovo?” propone con un ghigno lei.
“Tu inizia a urlare, ti seguo a ruota,” risponde divertito lui.
E se Hermione scuote amareggiata il capo nel vederli battibeccare, Ginny trattiene a fatica una risata quando coglie gli sguardi complici – non sa perché, ma ha la sensazione che quel legame, un giorno, evolverà in un vero e proprio terremoto.
 
 
 
 
 
 
 
1Jason Pesky: pesky dovrebbe essere la variante colloquiale dell’aggettivo annoying che sta per fastidioso. Personaggio di mia invenzione.
2Binario Nove e Tre Quarti: indecisa su come scriverlo, se preferire le lettere o i numeri, ho fatto affidamento alla grafia riportata nella mia copia di Harry Potter e la pietra filosofale.
3Percy, stando alle informazioni riportate nel Lexicon di Harry Potter, è diventato Capo del Dipartimento dei Trasporto Magico già all’epoca del ministro Shacklebolt. Nel mio universo narrativo ho scelto di seguire questa informazione, che reputo canon.

NdA: questo missing moments nasce su sprono di Lisbeth Salander ed è la versione estesa del quarto frammento di questa raccolta di flashfic. È un caos di personaggi e racconta un episodio qualsiasi, ma scriverlo mi ha divertita più di quanto credessi, spero abbia regalato un sorriso anche a chiunque l’abbia letto.
Se siete giunti sin qui, non posso fare altro che ringraziarvi!

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Capitolo 8
*** Legati ***


La oneshot è un missing moments di Paradiso perduto, ma può essere letta anche da chi non conosce la long e non ha spoiler alert, può leggerla anche chi è fermo al prologo.


 
 
Legati
 
25 dicembre 2010
 
Risate, capricci, corse in lungo e in largo, voci stridule di bambini impegnati a giocare. Da anni, ormai, in occasione del Natale la Tana si tramuta in un caos di luci e parole capace di fagocitare le ombre del passato.
Eppure seguitano a esistere vuoti, che come buchi neri pressano per divorare qualsiasi arcobaleno; ma la moltitudine è forte, invasiva, appariscente e li riempie ogni volta.
George è a un passo dallo smarrirsi, sia pure per un fragile istante, quando ad arrampicarsi sulla vecchia poltrona su cui è seduto è la piccola Rose.
“E tu che ci fai qui?”
Rose, quasi cinque anni e un sorriso pestifero, si siede sul bracciolo e poggia i piedi sulle ginocchia dello zio, preoccupandosi poi di mostrargli il proprio polso su cui spiccano due elastici per capelli rosa confetto.
“Come sono belli,” esclama George. “Vuoi legarmi i capelli?”
“Tu non hai i capelli.”
“Ma sì che li ho, guarda qui!”
Ma Rose ride quando George si tasta i capelli non radi, ma corti.
“Quelli non sono capelli, questi sono capelli,” spiega lei scuotendo la testolina per agitare la coda scompigliata. “Tu hai la barba in testa, come papà!”
“Ho la barba in testa?” ridacchia George. “Ma cosa insegnate a questa bambina?” scherza poi all’indirizzo del fratello e della cognata.
“Ti ha detto che non hai i capelli, vero?” chiede divertito Ron. “Lo dice anche di Hugo.”
“Lui ha pochissima barba,” dice sicura Rose. “E neanche un capello!”
“Rosie, torna a giocare e non infastidire zio George,” interviene Hermione, che avvicinatasi scocca un’occhiata di rimprovero alle scarpe della figlia che hanno ormai sporcato i pantaloni del cognato.
“Non mi sta infastidendo, non metterle in testa che sono lo zio antipatico, quello è Percy!”
“Alle volte non so chi sia più infantile,” sospira Hermione. “Rose, giù i piedi.”
“Devo prima dare una cosa a zio.”
“Oh, un regalo tutto per me!”
Rose si apre in un sorriso e sfilato dal polso uno dei due elastici lo infila al polso di George, che dal canto suo le rivolge un’espressione allegra.
“Ora sei il mio fidanzato!”
“Ma sono già sposato con zia Angelina!”
“Sì, sei sposato con lei e fidanzato con me, ti ho dato l’elastico,” chiarisce lei. “Ora facciamo una cosa.”
George, che come Hermione trattiene a malapena una risata, guarda la nipote saltare giù dalla poltrona, correre ad acciuffare due bambole e tornare da lui.
“Tu sei Strega alchimista, io sono Strega guaritrice,” spiega cedendogli una delle due bambole.
“Rosie, forse zio non ha voglia di giocare con te, adesso.”
“Sì che vuole giocare, perciò ci siamo fidanzati.”
“Hai capito?” ridacchia George all’indirizzo di Hermione. “Già dà ordini, ti somiglia in modo impressionante!”
Hermione non fa in tempo a ribattere a tono al cognato che ad avvicinarsi ai tre è James, tra le mani una bacchetta giocattolo e gli occhi curiosi che guardano un po’ la cugina e un po’ gli zii.
“Giochi con noi a Mangiamorte e Auror?” chiede a Rose. “Noi siamo gli Auror!”
“E chi sono i Mangiamorte?” s’informa George.
“Fred è il capo, poi Domi, Molly e Al,” elenca. “Noi siamo tre, ma se gioca anche Rosie siamo uguali.”
“Fred è il capo? Figlio degenere!”
“Che significa?”
“Niente, James,” risponde Hermione. “Zio scherza.”
“Non posso giocare con voi,” dice invece Rose. “Devo giocare con zio.”
“Ma certo che no,” interviene bonario George. “Vai a giocare con i tuoi cugini, ti divertirai di più!”
“Ma non posso, ti ho regalato l’elastico, ora sei il mio fidanzato e giochi con me.”
“Rosie, non fare i capricci.”
Ma Rose, che come molti altri nipoti è abituata a divertirsi tanto quando gioca con lo zio – George s’è ormai rassegnato all’idea che gli unici ad annoiarsi con lui siano proprio i figli, più interessati a fargli dispetti che a coinvolgerlo nei loro giochi –, punta i piedi a terra ed esibisce un broncio capriccioso, capace di far ridacchiare lo zio e alzare gli occhi al cielo alla madre.
“Si può sapere che succede?” chiede Ron avvicinatosi.
“Succede che tu la vizi e lei non capisce i no,” risponde piccata Hermione.
E mentre Ron e Hermione battibeccano e George assiste divertito, James strattona il maglioncino di Rose per convincerla a seguirlo, ma lei gli rifila un piccolo spintone e mostra anche a lui l’elastico che ha al polso e quello identico che ha messo al polso dello zio.
È un istante – rapido e improvviso.
James non sa, non lo sa davvero, cos’è successo: d’un tratto ha avvertito un grande fastidio e poi ha avvertito anche altro, come una forza nuova e incontrollata, agitarsi dentro di lui – forse ha sede nella testa, forse nelle ossa, forse in tutti gli strati di pelle – e subito dopo ha sentito la necessità di liberarsene, incanalare fuori da sé una forza che non ha compreso essere la magia risvegliata. Tutto ciò che sa è che quel brutto fastidio lo ha sorpreso quando ha fissato l’elastico rosa confetto al polso dello zio George e che non appena s’è liberato della sconosciuta forza l’elastico è andato letteralmente in fiamme.
James e Rose, e assieme a loro tutti gli altri bambini richiamati dal baccano, osservano senza capire un tumulto che un po’ è preoccupato, un po’ è meravigliato e un po’ è orgoglioso.
George, balzato in piedi non appena le scintille lo hanno avvertito del pericolo, ha sfilato lesto l’elastico e l’ha tamponato per spegnere la piccola lingua di fuoco originatasi improvvisa, aiutato da Hermione che munita di bacchetta ha arginato ogni possibile problema con un rapido incantesimo. Di lì in avanti l’affollata stanza della Tana è diventata ancora più caotica e James s’è visto travolto da abbracci e complimenti di cui non ha capito il motivo – eppure, ne è sicuro, lui non ha fatto proprio niente.
Pigro pigro e guarda qua, un piromane!” scherza George.
“Si è stufato di essere pigro,” ribatte orgogliosa Ginny. “Papà lo diceva che non aveva ancora compiuto magie solo perché non gli andava!”
“Meglio da pigro,” borbotta Percy. “Dovete insegnargli in fretta a controllare la sua magia o farà qualche disastro.”
“La magia spontanea non ha mai fatto male a nessuno,” interviene nonna Molly, stringendo poi le guance di James tra le dita. “Diventerai un grande mago!”
“Ma che ho fatto?”
E se gli adulti scoppiano a ridere della domanda di James, il bambino si indispettisce e sguscia via dall’abbraccio della nonna, correndo ai piani superiori per rintanarsi nella stanza dove dorme.
Harry e Ginny lo raggiungono svelti e con loro ci sono anche Albus e Lily, che trotterellano curiosi alle spalle dei genitori – il primo con ancora la bacchetta giocattolo in mano e la seconda tutta impiastricciata di cioccolata.
“James,” chiama sorridente Ginny, sedendosi sul letto accanto al figlio e accogliendo Lily che le si avvicina con le braccia tese. “Sei tutta sporca, il nonno ti ha dato un’altra fetta di dolce, vero?”
Ma Lily ride e non risponde, scalciando poi all’indirizzo del fratello più grande, che solleva gli occhi blu sulla propria famiglia.
“James,” dice anche Harry, calandosi all’altezza del figlio. “Hai capito cos’è successo?”
“Quando andiamo a giocare?” interviene Albus, cui Ginny sfila il giocattolo dalle mani non appena lui inizia a mordicchiarlo. “È mia!”
“Ed è sporca,” sentenzia Ginny.
Harry, un sorriso ad Albus che rifila una linguaccia alla madre, sprona di nuovo James a parlare e lo osserva scuotere la testa.
“Hai fatto la tua prima magia, è una cosa molto bella,” spiega Harry. “Siamo tutti orgogliosi di te.”
“Non volevo fare male a zio.”
“Lo sappiamo,” interviene Ginny. “La magia è così, sai, una grande sorpresa.”
“E se faccio male a voi?”
Harry e Ginny si scambiano uno sguardo intenerito, mentre Lily s’allunga verso il fratello con l’intenzione di giocare, riuscendo a far sorridere James.
“Non puoi farci male, perché ci vuoi bene,” riprende Harry. “Quello che è successo oggi significa solo che sei un mago come mamma e papà e che hai tanta magia dentro.”
“E io?” si intromette Albus, accovacciandosi tra il padre e il fratello per attirarne l’attenzione. “Anche io ho tanta magia?”
“Certo,” risponde allegra Ginny. “Ricordi quando hai fatto sparire il vetro della finestra per far scappare Sir?”
“Non sono stato io,” si difende. “Il vetro ha fatto puff.
“Il vetro ha fatto puff,” ripete Harry. “Abbiamo comprato delle finestre strane,” ironizza all’indirizzo della moglie.
“James, vuoi chiederci qualcosa?”
James, richiamato dalla domanda della madre, osserva prima lei e poi il padre.
“Posso avere una bacchetta vera?”
“Ha ragione zio Percy, meglio pigro,” esclama scherzoso Harry. “L’avrai, ma non adesso.”
“Quando?”
“Quando avrai compiuto undici anni e andrai a Hogwarts,” spiega Ginny. “Abbiamo parlato tante volte di Hogwarts.”
“Perché?”
“Perché ora sei, siete,” corregge Harry, guardando anche Albus, “troppo piccoli per avere una bacchetta vera, non esistono bacchette per bambini.”
“Inventala tu,” suggerisce Albus.
“Ma papà non lo sa fare,” esclama Harry.
“Chiedi a zia Hermione, nonna dice che lei conosce tutte le magie,” interviene James.
“James, Albus, non avrete una bacchetta,” chiarisce Ginny.
E mentre Harry ride, accogliendo poi la tacita richiesta di Lily di trasferirsi dalle braccia della madre a quelle del padre, Albus e James corrono via offesi e ben poco convinti – non se lo dicono, ma è sufficiente scambiarsi uno sguardo pestifero per capire che alla prima occasione ruberanno le bacchette dei genitori.
Deve trascorrere quasi un’ora – in cui i bambini hanno dedicato le loro energie a Mangiamorte e Auror prima che James si riavvicini allo zio George, dapprima sbirciandolo e poi aprendosi in un sorriso quando lo zio, accortosi di lui, gli ha rivolto un’espressione allegra e scompigliato giocoso i capelli.
“Non mi sono fatto male, guarda,” lo rassicura, mostrandogli il polso. “Sei convinto, adesso?”
“L’elastico si è rotto?”
“Sì, ma possiamo comprarne un altro, anzi sono sicuro che zia Angelina ne abbia tanti.”
“Chi mi chiama?” scherza Angelina, che seduta allo stesso tavolo di George assieme agli altri ha seguito la scena. “Zio sta bene, tesoro, non devi preoccuparti,” aggiunge guardando il nipote.
James, rassicurato, non fa in tempo a dire che non vuole un nuovo elastico – e soprattutto non vuole che Rose lo regali allo zio e dica di nuovo di voler giocare solo con lui – che Angelina gliene cede un paio di colore giallo.
“Vedi? Ne abbiamo tanti, non è successo niente!”
James, deciso che gli zii non gli interessano più, fugge via con il bottino e raggiunge Rose, che è seduta a terra con Albus e Roxanne, tutti e tre ai piedi del divano su cui invece giocano Louis e Molly.
Non ci pensa molto prima di indossare uno dei due elastici e infilare l’altro al polso di Rose, che sorpresa guarda prima il proprio polso e poi James, scoprendolo impegnato a fissarla tutto serio.
“Adesso giochi solo con me,” dice convinto.
Ma Rose sfila l’elastico senza rifletterci troppo e lo getta via, tirandosi su l’istante dopo per correre verso la madre.
Quando James la vede ritornare ha una voglia matta di spintonarla e non giocare mai più con lei, perché ha rifiutato il suo elastico e lo ha fatto sentire triste – sì, proprio triste –, ma Rose ha al polso due elastici rosa confetto e tra le mani due bambole, un insieme che riesce a incuriosirlo.
Lei si limita a sedersi accanto a lui e a infilargli silenziosa uno dei due elastici.
“Questo colore è più bello,” dice. “Tu sei Strega alchimista e io Strega guaritrice,” aggiunge poi, cedendo una delle bambole a James.
“E cosa faccio?” chiede dubbioso lui, rigirandosi il giocattolo tra le mani.
“Hai sbagliato una pozione e ti sei fatto male, allora vieni da me che ti guarisco.”
“Voglio giocare anch’io con voi,” si intromette Albus, stanco di Roxanne che gli pesta i piedi.
“Tu no, solo io e James.”
“Ma perché, anch’io voglio giocare,” protesta Albus.
Rose, le guance gonfie di offesa, mette tra le mani del cugino un fazzoletto di stoffa, uno di quelli ricamati dalla nonna, inducendo Albus a guardare scontento il fazzoletto, lei e il fratello.
“Tu sei la sedia.”
“Cosa fa la sedia?”
“È dove si siede Strega alchimista per essere guarita,” spiega Rose.
“Giochiamo,” incalza James.
Ma Albus, offeso, rifila un pizzicotto alla cugina, incassando un buffetto del fratello prima di riuscire a saltare sul divano per aiutare Molly a colpire Louis con i cuscini.
James, un’occhiata disinteressata ai tre alle proprie spalle, sorride a Rose e dà inizio al gioco, cosicché Strega guaritrice possa finalmente guarire la distratta Strega alchimista.
 

*
 
31 agosto 2016
 
“Domani parti.”
“Già.”
“Torni a Natale.”
“Già.”
“Sei felice?”
“Sarà bello, credo.”
Rose, seduta assieme a James nello stretto vialetto che separa le loro villette, si incupisce e china un po’ la testa.
“Hai visto la mia bacchetta?” tenta lui. “Tra poco ne avrai una anche tu.”
“La tua è bella.”
“Hai chiesto a tua madre se puoi iniziare un anno prima?”
“Ha detto di no,” risponde lei. “Inizio l’anno prossimo.”
James si incupisce a sua volta e china la testa su imitazione di Rose – la risolleva l’istante dopo, però, perché lei si premura di mettergli al polso un elastico per capelli.
“Rosso?”
“Rosso Grifondoro!”
“Quindi ora sono il tuo fidanzato,” scherza lui.
Rose, un po’ rossa in viso per quel passato raccontatogli da genitori, zii e nonni che la vedeva andare in giro a infilare elastici ai polsi per assicurarsi compagni di giochi a suon di “ora siamo fidanzati, devi giocare con me”, scuote la testa in segno di diniego e pizzica giocosa la guancia di James.
“Così ti ricordi chi è la tua migliore amica.”
James abbozza un sorriso un po’ triste e sfiora l’elastico con le dita.
“Ti scriverò tutti i giorni.”
“E poi?”
“E poi l’anno prossimo mi raggiungi.”
Rose, solleticata dalla prospettiva, sorride e induce lui a fare altrettanto.
Quando Harry li raggiunge per dire a entrambi di rientrare, li trova impegnati a immaginare grandi battaglie e mirabolanti avventure tra le mura di quella Hogwarts che per loro non è ancora casa, ma è già palcoscenico di sogni a occhi aperti.






 
Note dell’autrice: questo missing moments è nato improvviso e si è scritto in pochissimo. L’idea iniziale era mostrare la prima magia di James, poi lui e Rose in versione mini, poi è diventato un piccolissimo spaccato di vita di questi personaggi che spero sia piaciuto a chiunque l’abbia letto. Per chi non avesse letto Echi specifico che Sir è il gatto della famiglia Potter-Weasley.
Grazie del tempo dedicato alla lettura, un abbraccio. ❤

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Capitolo 9
*** Un sabato tutto Grifondoro ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Tredici della longfic.


A gabry, che crede nelle doti medimagiche di James
 

Un sabato tutto Grifondoro
 
 
Dicembre 2021
 
“Cosa ti avevo detto?”
“Mi sento meglio, usciamo.”
James, incurante di aver calamitato l’attenzione di buona parte della Sala Comune fiondandosi su Rose come una furia al vederla in piedi nei pressi del camino, corruga la fronte e curva scettico le labbra. Deciso a non concederle spiegazione alcuna, le afferra il polso e la sprona a seguirlo nella propria stanza.
“Sto bene,” protesta però lei. “E poi Lorcan ci aspetta.”
Per un istante, rapido e ignorato, pensa che potrebbe caricarsela in spalla e percorrere la scala a chiocciola così in fretta da non darle neanche il tempo di scalciare, ma conviene con se stesso che sia una pessima idea – Rose gli rifilerebbe una fattura al primo tocco di bacchetta.
“Lorcan ti saluta,” dice allora. “Gli ho già detto che hai la febbre e che resto con te.”
Lo sguardo irritato che gli scocca a seguito della spiegazione lo convince che con molta probabilità lo schianterà in ogni caso – hai deciso per me legge chiaro e tondo in quegli occhi azzurri, ed è sicuro che lei nei propri riesca a leggere un fermo sì e non me ne pento.
“Ma mi sento meglio, ti dico,” insiste. “Fidati.”
“Allora ti accompagno in Infermeria,” concede con un mezzo sorriso. “Se Madama Bones dice che puoi uscire, raggiungiamo Lorcan a Hogsmeade.”
Rose, un evidente broncio in viso, incrocia muta lo sguardo vittorioso di James e si decide a seguirlo nel dormitorio maschile, consapevole di non sentirsi affatto meglio, ma di avere solo tanta voglia di non trascorrere il fine settimana a letto. D’altronde, solo la sera prima si è appisolata sulla sua spalla nel bel mezzo della Sala Comune e poche ore fa, durante la colazione, gli ha sussurrato di avere brividi ovunque e la fronte bollente – “Hai la febbre” ha allora decretato James, adocchiandone gli occhi lucidi e l’aria stanca –; avrebbe dovuto immaginare che non le avrebbe mai permesso di allontanarsi dal calore di queste mura.
Così, in una manciata di minuti che nessuno dei due saprebbe quantificare, Rose si ritrova in pigiama, sdraiata sotto le coperte di James e con un fazzoletto umido sulla fronte.
“Etciù!”
“Fortuna che stavi bene.”
“Etciù!”
“Una meraviglia, non bene.”
“Scemo.”
James ridacchia e le si siede accanto, sistemandole il fazzoletto scivolato via a seguito degli starnuti.
“Finirai col contagiarti.”
“Meglio, così ti sentirai in colpa e dovrai farmi da cameriera oltre che da infermiera,” scherza. “Hai freddo?”
“Non più.”
Le sorride senza aggiungere altro, lasciando che un silenzio rilassato la culli e che lui stesso, seduto in punta di letto, le faccia scudo.
Non ha riflettuto un solo istante prima di annullare qualsiasi impegno per restare con lei, crede di aver sentito persino una punta di fastidio quando Lorcan ha alluso alla possibilità di entrare nel dormitorio Grifondoro per trascorrere a sua volta il pomeriggio assieme a Rose – non sa perché, ma questi momenti così quotidiani e familiari crede gli appartengano in via esclusiva, avverte dentro una strana forma di possessività quando volge la mente a lei.
Un lato di lui seguita a dirgli che forse sente troppo quando si tratta di Rose, ma un altro lato ben più predominante sottolinea quanto questo sentire troppo non significhi niente e di conseguenza non abbia alcun senso.
Trascorre lenta un’ora o forse più durante la quale lei un po’ sonnecchia, un po’ starnutisce e un po’ gli ripete di raggiungere Lorcan a Hogsmeade, ma James sordo alla prospettiva seguita a sorriderle scuotendo il capo, a bagnarle la fronte, a farle bere l’infuso che ha chiesto a Madama Bones appena dopo colazione, spiegandole della febbre di Rose.
“Mi sento meglio.”
James inarca le sopracciglia, ma lei abbozza un piccolo sorriso e si tira su, riuscendo a mettersi seduta, con la schiena poggiata al cuscino e le coperte a riscaldarla.
“L’infuso devi berlo anche dopo cena e domani dopo aver fatto colazione,” spiega lui, ripetendo quanto gli è stato detto. “Nel pomeriggio dovrebbe esserti passato tutto.”
“Hai mai pensato a una carriera al San Mungo?” ironizza lei in risposta. “Sei un infermiere molto attento!”
“Spiritosa,” ribatte. “Ti senti davvero meglio?”
“Sì.”
“Allora fammi posto, voglio sdraiarmi anch’io.”
“Rischi di contagiarti.”
“È quello che spero, così dovrai ricambiare il favore.”
È quando sono sdraiati l’uno accanto all’altra che James le stringe una mano nella propria e poggia le labbra sulla sua fronte per pochi istanti, rilassandosi nel percepirla meno bollente.
“Mi hai già comprato il regalo di Natale?”
“Non è qui,” taglia corto James. “È inutile che tenti di Appellarlo.”
“Ma se non ho neanche la bacchetta!”
“Non è qui,” ripete lui. “E non ti dico cos’è.”
“E dov’è? L’hai comprato e spedito a casa?”
“L’ha comprato qualcuno per me.”
“Chi?”
“Non saprai niente,” ghigna. “Non insistere.”
“Ma ho la febbre!”
“Rosie, no.”
“Il tuo non è ancora… finito.”
“Che significa?”
“Che è un regalo… artistico.”
“Tu non sai fare niente di artistico!”
“Grazie, James, amo la tua gentilezza.”
“Per te questo e altro!”
“Non meriti niente.”
“Grazie, Rosie, amo la tua gentilezza,” le fa il verso. “Quindi cos’è?”
“Non te lo dico, però una cosa dovrei chiedertela.”
E se lui attende in silenzio, lei cala per un istante lo sguardo, come colta da uno scomodo imbarazzo che fa fatica a scacciare.
“Ti va se ci scambiamo i regali quando siamo soli?”
“Intendi prima di Natale?”
“No, anche a Natale, ma potremmo appartarci, solo per un momento… Ti va?”
“Mi hai regalato qualcosa di imbarazzante?!”
“James, dico sul serio.”
“Certo che mi va,” risponde. “Mi piace quest’idea.”
“Davvero?”
James si apre in un sorriso e le sfiora la guancia in un bacio fugace – vorrebbe dirle che questa richiesta lo rasserena, perché dentro di lui si agita una strana inquietudine al pensiero di occhi estranei sul regalo che le allaccerà al collo, ma le tace sia la riflessione che la sensazione, limitandosi ad abbracciarla.
“A Lorcan cosa regali?”
“In che senso?”
Rose aggrotta la fronte e inclina un po’ la testa per riuscire ad acciuffare quegli occhi blu anziché il maglione Grifondoro indossato da James.
“Il regalo,” ripete stranita. “Il regalo per Natale.”
“Ma non ci siamo mai regalati niente per Natale, ci pensano mamma e papà a comprare qualcosa per lui e i suoi, come sempre.”
“Ma neanche quest’anno? Potrebbe essere il primo Natale che passiamo insieme alla Tana.”
“Gli farò gli auguri.”
“Lui a te l’ha comprato.”
James, lo sguardo scettico, non riesce a trattenere una risata quando Rose scuote la testa in un modo che sembra dire più o meno.
“Gliel’ho detto io di comprartelo.”
“Ecco, ora ha senso! Quella sottospecie di migliore amico a momenti non mi fa neanche gli auguri di compleanno,” ironizza. “Ha la memoria di un bobotubero.”
“Il mio compleanno non lo dimentica mai.”
“Perché altrimenti lo schianteresti, è istinto di sopravvivenza, non memoria.”
“Non mi piaci più come infermiere, mi insulti!”
È mentre sono impegnati a scherzare – e Rose a starnutire il più lontano possibile da James – che la porta della camera si apre per lasciar entrare Louis in compagnia di Brandon e Dean.
“James, ma che ti dice la testa? Dopodomani abbiamo la partita, non puoi portarci lei in camera,” rimprovera allarmato Dean, scoccando un’occhiataccia a Rose.
“Non faceva che starnutire a colazione,” aggiunge Brandon, fissando a sua volta diffidente la ragazza. “Non possiamo ammalarci!”
“Bene, allora levatevi dai coglioni,” ribatte incolore James. “I divani della Sala Comune sono comodi.”
“Stai scherzando, spero. Portala in Infermeria e apri le finestre.”
“Dean,” chiama Louis. “Sarà sufficiente non avvicinarci al letto di James, non esagerate.”
“Ecco,” concorda James. “Ma perché siete già qui?”
“Per ripassare gli schemi, ma andiamo in Sala Comune,” risponde Louis, trattenendo a fatica un sorriso malizioso. “Vi lasciamo soli.”
“Io non lo ringrazio,” esordisce Rose quando i tre intrusi si chiudono la porta alle spalle. “Però affatturo quei due appena mi rimetto in piedi.”
“Orcovolante?”
“Furunculus,” ribatte furba. “Per Stuart aspetto ci sia Roxanne, a MacFarland chi piace?”
“Certo che sei stronza,” ghigna James. “Di Dean non so niente, forse Amanda?”
“Se non lo sai tu.”
“Te l’ho detto che non lo so.”
“Allora cosa regali a Lorcan?”
James sbuffa, ma tace fingendo di rifletterci.
“Non lo so,” conclude. “Tu cosa gli regali?”
“Degli ingredienti molto rari, gli piaceranno tantissimo.”
“Bene, mi piace, gli regalo questo insieme a te.”
“No, non gli faremo un regalo in due.”
“Gli compro una confezione di biscotti da mettere vicino? Mamma dice che è sempre una buona idea.”
“No, James, il mio regalo per Lorcan è solo mio.”
“E perché?”
“Che significa?”
“Dillo tu a me,” replica. “Perché è solo tuo questo regalo?”
“Perché sì, anche quello per te è solo mio, non lo divido né con Lorcan né con nessun altro.”
“Cosa gli regalo, allora?”
“Ci penso io, ho capito.”
James si apre in un gran sorriso e Rose alza gli occhi al cielo – qualcosa le suggerisce che non è compito suo farsi carico dei regali di James, ma lei lo ignora bellamente.
“E ad Albus cosa regali?”
“Rosie, ma hai la febbre da regali?” sbotta tra il serio e il faceto. “Ci pensano mamma e papà, come sempre. Tu cosa regali a Hugo?”
“Niente, ci pensano mamma e papà, ma Albus non è Hugo.”
“Dici che se la lega al dito se compro il regalo a Lorcan e a lui no?”
Dico.”
“Allora non compro niente a nessuno, ho risolto il problema.”
“Potresti regalargli delle pozioni, magari qualcuna contro la sbornia… È stato imbarazzante vederlo cantare a squarciagola quest’estate.”
James non riesce a mascherare un ghigno al ricordo – avrebbe dovuto intervenire subito per tirarlo via da quella scomoda situazione, ma lui e i suoi due amici ubriachi sino alle punte dei piedi erano uno spasso.
“E va bene, vada per i regali, le pozioni e tutto quello che vuoi, però adesso basta parlare di Natale.”
Rose sorride e ammansisce la voglia di scoccargli un bacio, timorosa di contagiarlo sul serio.
“Posso dormire con te?”
“Sì.”
“Ti prometto che ti farò da infermiera, poi.”
“E da cameriera!”
“Scordatelo!”
“Stai meglio?”
“Sì.”
E mentre lui sfida di nuovo la sorte baciandole la guancia, Rose scivola sotto le coperte sino a sdraiarsi.
James, cauto, si rilassa supino, avvertendo un piacevole calore quando il viso di lei si rilassa sulla propria spalla. Si volta allora a guardare Rose, le palpebre calate e le guance arrossate, sorridendo nel vedere i suoi capelli ramati sparsi sul cuscino – e se il calore aumenta, si dice, è tutta colpa della febbre, non certo della vicinanza.
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: piccolissimo missing moments nato a seguito di Graffiati e ambientato poche settimane prima del Natale narrato in Di caos, luci e ombreSpero che nella sua leggerezza sia piaciuto (e che gabry abbia apprezzato questo James pronto per la carriera da medimago!).
Un abbraccio. 

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Capitolo 10
*** Il più bello del reame (più o meno) ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Tredici della longfic.

 

Il più bello del reame (più o meno)
 
 
Ottobre 2021
 
È una grande idea, fidatevi!”
 
*
 
Che Hogwarts sia sensibile alle novità è cosa ben nota, se poi le novità in questione hanno il sapore della competizione più frivola l’attenzione è di certo assicurata.
Ecco perché durante questo primo lunedì di ottobre i corridoi non hanno parlato d’altro che della copertina del Gazzettino, la misteriosa rivista apparsa per la seconda volta in Sala Grande – nessuno sa chi siano i suoi ideatori né quante altre edizioni siano in cantiere, ma una cosa è certa: chiunque ne sia responsabile ha deciso di tramutare la scuola in un vanitoso pollaio.
“Pollaio, hai veramente detto pollaio?”
“Ti ha dato proprio del pollo, Capitano!”
“E cosa avrei dovuto dire?” provoca Molly. “Progetto extracurricolare di inclusione studentesca?”
“Avrei detto di socializzazione, ma anche la tua versione può andare bene,” ghigna Louis. “Mi hai già votato?”
Molly alza gli occhi al cielo e dà uno sguardo ai divanetti della Sala Comune occupati da Louis e dalla sua squadra.
Chissà chi scrive su un po’ di carta straccia di votare il più bello della scuola e noi dovremmo assecondarlo?” chiede retorica. “Louis, è una sciocchezza!”
“Molto vero,” concorda lui. “Ma voglio vincere lo stesso.”
“E vincerai,” sospira Amanda. “È palese che sia tu il più bello.”
È palese che sia tu il più bello,” la scimmiotta Dean, sogghignando quando sbircia le labbra di Louis curvarsi divertite.
“Divertente,” borbotta Amanda. “Ti consiglio di votare per te stesso o totalizzerai zero voti.”
“Farà compagnia a Brandon, allora,” ghigna Roxanne, scambiando uno sguardo complice con l’amica.
E se Brandon esibisce una smorfia di disappunto, Dean inarca le sopracciglia mimando noncuranza.
“Voi voterete tutti per me,” interviene Louis. “Siete la mia squadra, pretendo i vostri voti.”
“Non essere prepotente,” protesta Roxanne. “Il voto è libero!”
“Certo, ma tu sai di voler votare me,” ribatte sornione.
“Io non posso votarti, ho già votato me stesso,” interviene Hugo, calamitando l’attenzione dei compagni. “E neanche Lily, lei ha votato me!”
“Hai votato questo ranocchio?” sogghigna Roxanne.
“Certo, sì sì,” conferma Lily, il cui sorriso accondiscendente non convince troppo Louis, che ne intercetta lo sguardo e le ammicca divertito.
“Votare per se stessi è patetico,” sentenzia Molly. “Oltre che ranocchio sei anche patetico.”
“Secondo te m’importa qualcosa della tua opinione?” ribatte impudente Hugo. “Se vinco Katie uscirà con me, comprerò anche i voti se necessario!”
“Se la metti così voto anch’io per me stesso,” scherza Brandon. “Così vinco e Roxi esce con me!”
“Neanche nei tuoi sogni,” ribatte la diretta interessata. “Voto Louis, ho deciso.”
“Molly, prendi esempio,” suggerisce Louis. “E procuratemi una pergamena, svelti, devo votarmi.”
“Sei veramente così pavone da votare te stesso?”
La domanda a metà tra sconcerto e sarcasmo cattura l’attenzione del gruppetto, che si volta in direzione dei due studenti appena entrati: James e Rose – e se il primo esibisce un’aria annoiata, la seconda attende risposta con le sopracciglia inarcate.
“Si tratta di constatare l’ovvio, non di vanità,” precisa Louis. “È oggettivo che sia io il più bello della scuola.”
“Ma non è che devono votare solo le ragazze?” chiede improvviso Brandon, un istante prima di firmare il suo ritaglio di pergamena.
“Ti risulta che solo le ragazze abbiano gli occhi per guardare?” chiede retorico Louis. “Votiamo tutti, che sciocchezza.”
“Hai appena detto una cosa intelligente, sono colpita,” celia Rose.
“Tesoro, fa’ qualcosa di utile con le tue energie e votami.”
“No, Rose, vota me,” dice Hugo, sventolando una pergamena immacolata verso la sorella. “E anche tu, James.”
“E perché dovremmo votare te?” s’informa James.
“Perché spera di essere meno ranocchio vincendo,” ghigna Molly. “Com’è che si chiama la poverina che ti piace?”
“Katie,” s’accoda Roxanne. “Katie del quinto anno! Il nostro Hugo è un ranocchio ambizioso.”
“Dateci un taglio,” interviene seccata Rose. “E pensate ai ranocchi che piacciono a voi.”
“Allora mi voti?”
“Ho già votato,” risponde Rose.
“Ti voto io,” interviene James. “Così fai colpo sulla tua Katie.”
Ma se Hugo si apre in un sorriso, Louis storce le labbra e indirizza un’occhiataccia ai due cugini.
“Questo è barare, però.”
“Ehi, tu hai appena costretto tutta la squadra a votarti,” protesta Hugo.
“Io l’avrei votato lo stesso,” puntualizza Amanda.
“E quindi chi hai votato?” riprende Louis all’indirizzo di Rose, ignorando il parlottare degli altri. “Spero non chi penso.”
“Paura che Lorcan ti soffi la vittoria?” ghigna Rose. “Comprensibile.”
“Paura per te, più che altro, che possa avere seri problemi di vista,” replica schernitore Louis.
“Se non trasformi qualsiasi cazzata in una gara non sei contento,” sbotta James, facendo poi cenno a Rose di seguirlo fuori dalla Sala Comune.
“Non sto trasformando proprio niente in niente.”
“Prova a convincere chi non ti conosce.”
Rose, un’occhiataccia a Louis e un assenso a James, si affretta a seguire il secondo fuori dal covo Grifondoro, non prima di aver sorriso all’indirizzo del fratello che l’ha invitata a sponsorizzarlo in giro.
“Hai votato sul serio?”
“Stamattina, con Ally,” conferma Rose. “Lei l’ha trovato divertente.”
“E tu?”
“Una novità.”
James curva le labbra sottili in un sorriso sghembo e sbircia la pergamena su cui ha scritto il nome di Hugo e la propria firma.
“Chiunque scriva questo Gazzettino ha trovato il modo di farsi gli affari di tutti in un colpo solo,” riflette James. “I voti non sono anonimi.”
“Così nessuno può barare votando più volte,” prosegue retorica Rose. “Mossa furba, lo so.”
“Quindi chi hai votato?”
Rose, un’occhiata maliziosa a James, congiunge le mani dietro la schiena e gli rifila un sorrisetto impertinente, mentre lui, la risata premuta sulle labbra, la rincorre non appena la vede scattare in avanti in una corsa giocosa.
“Presa!”
L’esclama al suo orecchio, mentre le mani le circondano la vita e le labbra corrono a baciarle la guancia, entrambi incuranti del corridoio che s’affolla man mano e di qualche ritratto impiccione che occhieggia in loro direzione.
“Hai votato l’idiota?”
“Chi è l’idiota?”
“Lo sai, quello che frequenti.”
“Io non frequento nessuno,” puntualizza lei. “Faccio come te e il tuo amico, esco senza impegno.”
“Il mio amico,” ghigna James. “Avete litigato?”
“No, ma stamattina volevo fare colazione con lui, invece era chiuso da qualche parte con una Corvonero,” dice irritata. “Me l’ha detto Lysander.”
“È un evento che riesca a fare qualcosa prima di mezzogiorno, avresti dovuto congratularti!”
“Sei tu un idiota!”
James ride divertito e Rose finge un’espressione offesa sino a quando non avverte di nuovo le sue labbra sulla guancia, scoppiando a ridere quando quello che avrebbe dovuto essere un bacio si tramuta in un morso delicato.
Lorcan, che a sorpresa percorre il corridoio nella direzione inversa ai due, è così che li scorge ed è con un fischio scherzoso che si annuncia.
“Ma non eri in punizione?” saluta James.
“Sconto di pena,” risponde allegro. “La Patil ha saputo della mia interrogazione con la Hulton, venti punti per Corvonero e un’ora in meno di punizione per me!”
“Perché Neville non ragiona così?” si lamenta Rose.
“Non avete elasticità mentale, voi Grifondoro,” ghigna Lorcan. “Dove andate?”
“Guferia,” risponde James. “Il mio voto per la cazzata,” spiega mostrandogli il ritaglio di pergamena.
“Abbiamo deciso di votare?” s’informa, ghignando non appena legge Hugo Weasley. “No, abbiamo deciso di prenderli per il culo.”
“Stai forse offendendo mio fratello?” interviene Rose.
“Non lo farei mai,” ribatte sarcastico, ridacchiando quando lei gli afferra dispettosa i ricci. “Sei la solita gatta selvatica.”
“E tu il solito coglione,” dice James. “Hugo ha una cotta per una tipa, si è convinto che se vince questa qui esce con lui.”
Lorcan, la perplessità in viso che trova un riflesso speculare in James, adocchia le sopracciglia inarcate di Rose e decide di ingoiare la battutaccia premuta sulla lingua.
“Ha bisogno anche del mio voto o gli basta tutta Grifondoro?”
“Come sei dolce,” celia Rose. “Ma sei fuori strada, Grifondoro vota Louis.”
“Di sua spontanea volontà,” aggiunge sarcastico James.
“Vuole vincere?”
James e Rose, cogliendo l’interesse nella domanda di Lorcan, si scambiano uno sguardo annoiato mentre riprendono a camminare in direzione della voliera dei gufi.
“Vuole vincere,” deduce Lorcan.
“Lui sì, tu no,” impone James. “Non romperci il cazzo.”
Ma Lorcan sogghigna tutto allegro e i due Grifondoro non hanno bisogno di chiedere per intuire quale brillante idea lo abbia illuminato, è sufficiente vederlo dapprima cedere a un’espressione furba e vederlo poi percorrere il tragitto con il solito atteggiamento ammiccante unito a un’insolita cordialità che lo induce a salutare con un sorriso carico di aspettative qualsiasi figura femminile incroci sulla propria strada, preoccupandosi anche di dispensare occhiolini – e se James scuote la testa rassegnato, Rose strizza nervosa le labbra.
“Vuoi scoparti tutta la scuola per vincere?”
“Delicata,” scherza James.
“Immagina la faccia del damerino quando vincerò io,” dice invece Lorcan. “Tu devi votarmi, dolcezza.”
Dolcezza ha già votato,” lo informa James, sbirciando poi Rose. “Ma non mi ha ancora detto per chi.”
“Ally ha votato Louis.”
“La tua amica è una delusione.”
“Dice che è il più bello, anche se era incerta, dice che anche James è molto bello.”
“E io?”
“Credo che tu le stia antipatico,” ghigna Rose. “La imbarazzi.”
“Una scopata le farebbe passare l’imbarazzo.”
Metodo Scamander contro la vergogna,” ironizza James. “Successo assicurato.”
“Nessuna si è mai lamentata!”
“Siete due stronzi,” interviene Rose. “Soprattutto tu, Scamander.
“Mi hai votato o no?”
“No.”
“E chi hai votato?”
Rose, salito l’ultimo gradino per accedere alla Guferia, alterna lo sguardo tra Lorcan e James e sfila dalle mani del secondo la pergamena per consegnarla alle fidate zampe di una delle civette della scuola.
“Anche tu il damerino, per questo non vuoi dirlo?” insiste Lorcan.
“Ho votato James,” rivela Rose.
“Hai votato lui e non me?”
“James è più bello,” nota pacata. “Tu puoi sempre farti votare dalla Corvonero con cui eri stamattina.”
“È un dispetto.”
“No che non lo è.”
“Invece lo è!”
“Ti dico di no.”
“Quindi lui sarebbe più bello di me?”
“Lo è, è evidente.”
James, che con le mani in tasca e un sopracciglio inarcato segue il battibecco come se fosse uno spettacolo teatrale, è colto da una piacevole e calda sensazione al petto all’ultima affermazione di Rose, tanto da macinare i pochi passi che lo separano da lei e scoccarle un bacio sulla guancia.
Prego,” ironizza Rose, leggendo un grazie nel gesto di lui.
“Però ora cambiamo argomento,” propone James. “Questa gara ha rotto il cazzo.”
“No che non cambiamo argomento,” replica Lorcan, fissando la Grifondoro indispettito. “Adesso voglio vincere sul serio.”
“Non essere infantile.”
“Brutto e infantile, grazie, quanti complimenti.”
“Non ho mai detto che sei brutto.”
“Ma che lui è meglio di me sì, però.”
“James è più bello, tu sei… diverso.”
Diverso significa brutto,” sentenzia Lorcan. “Mi trovi veramente brutto!”
“Lorcan, basta,” interviene annoiato James. “Neanche Louis reagirebbe così male.”
“Perché non l’ha detto a te,” replica lui.
“Sei proprio un idiota,” sghignazza Rose. “E sei anche geloso!”
“Non sono geloso.”
“Non ti credo!”
“Nessuno ti crede,” ridacchia James. “Preferisce me, rassegnati.”
“E va bene, vorrà dire che riderò io quando il Gazzettino farà votare la più bella.”
“Chi ti dice che lo farà?”
“Per continuare a farsi i cazzi di tutti,” interviene pratico James.
“Appunto,” concorda Lorcan. “Potrei votare la Baston, bella è bella, peccato le piaccia il damerino.”
“Volevi scoparti anche Amanda?”
“Perché no?” chiede retorico. “Presenti escluse, non dico no a nessuna!”
“Sei infantile,” ribatte Rose.
Presenti escluse è l’unica cosa sensata che abbia detto, invece,” approva divertito James. “Anch’io credo che voterei Amanda,” aggiunge poi rivolto all’amico.
“Amanda?” sbotta Rose. “Anche tu? Voteresti come Louis, lo sai?”
“Il damerino vota la Baston?”
“Non ti stupire, è veramente la più bella.”
“Anche se, ora che ci penso, a me piacciono anche quelle con i capelli diversi.”
“Neri, intendi?”
“No, anche rossi.”
“Alla Weasley?”
“Esatto, ad esempio Molly, Molly è molto bella.”
“Vero, votassi una cugina voterei lei.”
“Anche Roxanne non è male.”
“Peccato non ci sia Victoire a scuola, lei sì che è bellissima.”
“Peccato sia la sorella del damerino, vorrai dire, è l’unico difetto che ha.”
“Continuate pure come se non ci fossi, non mi offendo!”
E se James e Lorcan sghignazzano scambiandosi sguardi d’intesa pestiferi, Rose li oltrepassa impettita e offesa – se lo ripete, dentro di lei, che quei due stiano solo giocando a irritarla, ma teme che la vanità sia stata pungolata più del dovuto alla carrellata di ragazze aperta da Amanda.
“Dolcezza, non dirmi che sei così infantile da non capire che sei solo diversa!”
“Stronzo.”
James, troppo impegnato a ridere per inserirsi nella conversazione, si limita a rincorrere Rose sino ad affiancarla, scoccandole uno sguardo complice capace di farla cedere all’ilarità.
Ironia della sorte, proprio quando i tre accantonano l’argomento più bello eccoli arrivare nei pressi della Sala Grande dove sostano Louis e il suo gruppetto – è sufficiente che Lorcan intercetti alcune ragazze sbirciare ammaliate il Capitano Grifondoro perché la voglia matta di infastidirlo lo pungoli.
“Weasley, pronto a incassare la sconfitta?”
“James, perché non dici al tuo amico di farsi divorare dalla Piovra?” interviene lesta Molly.
“Hai mai provato il Distillato della Pace?” controbatte Rose. “Ti sarebbe utile, sei sempre troppo agitata.”
“Ehi, se dovete duellare apro le scommesse,” scherza Brandon. “Sempre che James e Lorcan siano d’accordo, non si dice fight senza il loro consenso!”
“Chi duella?” s’informa Amanda, alternando lo sguardo tra Louis e Lorcan.
“Nessuno,” esordisce Louis, i cui occhi chiari hanno scrutato l’intero mosaico prima di posarsi su Lorcan. “Di quale sconfitta parli?”
“Quella del Gazzettino,” risponde svelto Lorcan. “O credi sul serio che le ragazze voteranno te?”
“E dovrebbero votare te?” ribatte sarcastico. “È una battaglia persa in partenza, Scamander, rassegnati.”
“Ottimo,” interviene James. “Ora che avete detto le vostre cazzate, siamo tutti più felici.”
“Sempre a dettare legge, Potter,” provoca Leonard.
Ma James non dà segno di averlo sentito, anche perché a prendere parola è una volta ancora Louis e poi Rose e poi Lorcan e poi Amanda e di nuovo Molly e di nuovo James e voci su voci a formare una chiazza di sarcasmo e pettegolezzi.
Nessuno, ma davvero nessuno, nota tre sguardi furbi e divertiti impegnati a godersi la scena.
Tre sguardi che a fine giornata, al sicuro nel perimetro del loro dormitorio, fissano eccitati un inedito bottino – lo stesso che hanno recuperato dalla Stamberga Strillante, curiosa destinataria delle missive, protetta da un incantesimo studiato per l’occasione.
“Ve l’avevo detto che era una grande idea!”
Albus e Scorpius non possono che annuire all’affermazione tronfia di Basile – quella stupida gara è stata un successo e ora sparse sul letto di Albus ci sono pergamene su pergamene che custodiscono i segreti più pettegoli di Hogwarts.
“Lo sapevo che il re e Scamander si sarebbero dati battaglia e avrebbero fatto pubblicità al Gazzettino,” prosegue entusiasta Basile. “Ho l’intuito vincente! Rita Skeeter, grande maestra di vita, sarebbe orgogliosa di me!”
“Smettila di pavoneggiarti, sembri Weasley,” sbotta Scorpius. “Forza, vediamo chi ha votato chi!”
“Se AllyKatty non ha votato me mi offendo.”
“Allora offenditi, amico, perché ha votato Louis,” sghignazza Albus, sventolando il voto firmato Allison Macmillan. “E Hugo ha votato se stesso, patetico.”
“Più patetica tua cugina Rose, ha votato tuo fratello,” dice irritato Scorpius. “Ha disegnato anche un cuore, che schifo.”
“Non ha votato Scamander?” s’informa Basile, annottando qualcosa su un taccuino. “Molto interessante.”
“Ma che scrivi?”
“Appunti per i prossimi numeri!”
Scorpius e Albus si scambiano uno sguardo divertito e pensano bene di sedersi a loro volta sul letto dove Basile è già comodamente semisdraiato.
“Però non possiamo spedire i Bulstrode in Infermeria ogni volta che dobbiamo scrivere il Gazzettino, qualcuno inizierà a farsi qualche domanda,” riflette Scorpius.
“Ma non li abbiamo spediti in Infermeria,” ribatte Albus. “Non è colpa nostra se mangiano cibo avariato!”
“E se Madama Bones capisce che hanno mangiato dei Tiri Vispi?”
“Non lo capisce, vi ho già detto che gli ho rifilato scherzi non ancora in commercio,” spiega annoiato. “Devi stare tranquillo,” aggiunge guardando Scorpius. “La tua spilla da Prefetto perfetto è salva!”
“Spiritoso,” ironizza il diretto interessato. “Ho trovato il voto di Clarissa, almeno lei ha votato me!”
“Due voti per te,” interviene allegro Basile. “Ti vota anche una Tassorosso del secondo anno!”
“Che tenerezza,” serpeggia Albus. “Basile, c’è un voto anche per te, da una Corvonero, devi esserne orgoglioso!”
“Teti ha votato Albus, tutta la squadra Grifondoro quel pallone gonfiato del loro Capitano, Moira mio cugino,” snocciola Scorpius. “Fermi tutti! Faida familiare in casa Weasley: tua sorella e Molly hanno votato Smith!”
“Leonard o Leontes?”
“Leonard,” ride Scorpius. “Al, bel cognato che ti ritrovi!”
“Ma quale cognato,” sbotta Albus, rubando la pergamena all’amico per leggerla. “Salazar, Lily, ma che schifezza!”
“Sarai felice di sapere che tuo fratello ha votato Hugo,” ghigna Basile. “Bei gusti di merda, in famiglia!”
“L’avrà fatto per Rose,” liquida Albus. “Ma possibile che nessuno ha votato me?”
“Teti ha votato te, te l’ho detto.”
“Ma per amicizia!”
“Spiacente, amico, qui ci sono una sfilza di voti per tuo fratello,” interviene indelicato Basile. “J.S. Potter, il Primo,” legge. “È una Corvonero, una del settimo anno. Un altro James Sirius Potter da parte di una Grifondoro, aggiunge che nessuno ha occhi come i suoi... Oh, c’è anche una Tassorosso: James S. Potter, unico e solo (ma se potessi voterei anche Louis Weasley).”
“Svenevole,” decreta Scorpius. “Ma ho trovato di peggio: una Serpeverde che vota Lorcan Scamander e disegna anche i pompon blu Corvonero, che vergogna! E come se non bastasse ha scritto anche ps: anche Leonard Smith ha il suo perché. Atroce!”
“Ma chi è?”
“Una del settimo anno,” risponde Scorpius.
“Ho capito,” esulta Albus, che ha rubato la pergamena all’amico per sbirciare il nome. “Dicono sia fidanzata con un babbano!”
“Mio nonno direbbe che Serpeverde è caduta molto in basso.”
“Questo lo dice da quando ci sono finito io,” ironizza Albus. “Altri voti per Louis,” sospira poi. “Louis Weasley, il solo e unico raggio di sole di tutta Hogwarts (posso dare anche mezzo voto ad Atlas Nott? Lui non è il sole, ma è secondo solo al nostro Capitano)… Ovviamente firmato da una Grifondoro… Louis Weasley, oggettivamente il più bello, questa è una Corvonero.”
“Oggettivamente?”
“Le Corvonero sono precise.”
“E calcolatrici,” aggiunge ridendo Albus. “Questa è un’altra Corvonero: voto Louis Weasley per contrastare i troppi voti che arriveranno a quel pallone gonfiato di Potter primo (odioso!).
“Hai appena trovato la mia futura moglie,” dice allegro Scorpius. “Questa sì che è intelligente!”
“Piovono insulti per tuo fratello anche da Grifondoro,” sghignazza Basile, leggendo un’altra pergamena. “Lorcan Scamander (Louis Weasley però è bellissimo) (Potter primo è un odioso pallone gonfiato, spero perda!).
“È amica della Corvonero, per caso?”
“In effetti studiano sempre insieme in biblioteca,” riflette Basile. “Credo siano del sesto anno.”
“Altri voti per Lorcan,” sbuffa Albus. “Ma che avrà di così speciale? Uno è di una Tassorosso del terzo anno, l’altro di una Corvonero… la Corvonero ha disegnato due cuori, uno rosso e uno blu...”
“Rosso passione, blu Corvonero?”
“Scorpius, ma che cazzate dici?”
E se Basile scoppia a ridere, gli altri due sbuffano offesi.
“Questi qui sono tutti voti per quello stronzo di tuo fratello,” sbotta Scorpius. “Questi per sua maestà e di nuovo Scamander.”
“Lysander zero voti,” nota Basile. “Eppure sono gemelli.”
“Ma Lorcan scopa con tutte, la differenza è quella,” insinua Albus. “Ma siamo veramente così brutti? James ha centinaia di voti, io nessuno.”
“Ti ha votato Teti,” ripete Scorpius. “E anche io, contento? Così hai due voti e sei felice,” aggiunge schernitore, scrivendo il nome dell’amico su una pergamena.
“Facciamo tre,” s’accoda Basile, sghignazzando a sua volta mentre scrive Albus Severus Potter, il più bello di tutti su un foglio.
“Non vi insulto neanche,” dice offeso Albus, facendo ridere ancora di più gli altri due. “Chi ha vinto, allora?”
“Se ho contato bene,” inizia Basile grattandosi la testa, “tuo fratello e Louis hanno lo stesso numero di voti, Scamander due o tre in meno.”
“Però Louis ha votato per se stesso.”
“Non faremo vincere tuo fratello, non ci pensare neanche,” decreta Scorpius.
“Infatti,” ridacchia Basile. “A noi serve un vincitore che faccia scalpore.”
“Uno inaspettato.”
“Uno che faccia passare l’appetito al re.”
“Uno che...”
“Non vorrete far vincere Lysander...”
 
*
 
La settimana seguente, quando in Sala Grande la colazione è animata da una nuova uscita del Gazzettino, il vociare è concitato e qualcuno è pronto a giurare di aver visto Louis Weasley e Lorcan Scamander impallidire nel momento in cui hanno letto la copertina del curioso giornalino.
 
«Hogwarts elegge il più bello dei suoi studenti: Brandon Stuart vince con centinaia di voti. Ultimi Louis Weasley e Lorcan Scamander. Nessun voto per James Potter.»



 



 

Note dell’autrice: non sono sicura che questo racconto delirante abbia un senso, ma su fb con alcune lettrici ho scherzato tanto su questa idea del più bello del reame e quindi eccolo qui. Tra i voti accumulati dal nostro pettegolo trio ci sono anche le preferenze espresse dalle già citate lettrici (se siete arrivate sin qui, spero che vi siate riconosciute!).
Scrivere questa piccola commedia mi ha divertita molto, spero abbia divertito anche chi l’ha letta.
Un abbraccio!

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Capitolo 11
*** Un modello per Louis ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Tredici della longfic.
 
 
A blackjessamine ❤

Un modello per Louis
 
Maggio 2015
 
«Homer Landmann1, il medimago cosmopolita dal sorriso che incanta, sarà ospite al Ghirigoro per presentare il suo saggio sull’antica sapienza medimagica tribale appresa durante il suo sfolgorante percorso di studi [segue a p. 6]»
 
Louis, nove anni e tre quarti – come ama ripetere da quando non mancano che tre mesi all’arrivo di agosto –, è seduto sul pavimento della cucina di Villa Conchiglia, gambe incrociate e aria solenne, e stringe tra le mani ruvide di sabbia una copia del Profeta.
È sicuro che sua madre gli ha detto qualcosa quando è rientrato dalla spiaggia, forse di riporre da qualche parte i suoi giochi, però non lo ricorda proprio, né in verità gli interessa ora che ha trovato una cosa molto più interessante di secchielli e stelle marine: lui ha trovato un Homer!
Gli è stato sufficiente leggere poche righe dell’articolo a pagina sei per capire che questo signore dall’espressione rassicurante fa proprio al caso suo – forse non ha capito tutte le parole usate dal giornalista, che scrive un po’ difficile, e forse non ha neanche ben chiaro cos’ha studiato Landmann in Africa, ma è sicuro non abbia importanza: ciò che conta è avere finalmente un Homer tutto per sé.
“Cosa ti avevo detto di fare?”
La voce seccata di Fleur scuote Louis all’istante e lo convince a sollevare gli occhi sulla madre e a rivolgerle un sorriso di scuse – e se la donna inarca le sopracciglia, il bambino allarga ancora di più il suo sorriso.
“Sei ancora tuto sporco,” rimprovera Fleur. “E hai sporcato tuto il pavimento.”
Louis, l’aria accattivante smorzata, si guarda attorno e si accorge con orrore di aver impiastricciato quasi l’intera cucina di sabbia appiccicaticcia. Restio a scusarsi e ad ammettere l’errore, però, si alza in piedi e mostra alla madre la pagina del Profeta su cui spicca la foto del medimago che ha catturato la sua attenzione.
“Guarda, mamma, ho trovato un Homer!”
“Che cosa?”
Un Homer,” ripete convinto. “Un modello!”
“Un modello?”
“Sì, come dice Vì di zia Hermione e come dicono tutti di zio Harry, e come… Non mi ricordo, però adesso ce l’ho anch’io. Io voglio questo signore come modello.”
Fleur, le sopracciglia ancora inarcate, si appropria del giornale e leggiucchia rapidamente l’articolo.
“Vuoi diventare un medimago? C’est très bien!”
“No che non voglio fare il medimago,” ribatte offeso Louis. “Ti ho detto un Homer, non un medimago!”
“Louis, questo signore è un medimago.”
“No, è un mago che ha viaggiato sempre, che ha imparato tante magie ed è diventato famoso, questo è un Homer!”
“Ha anche studiato tonto e certainement era un filio ubbidiente.”
“Anch’io sono un figlio ubbidiente, sono un figlio perfetto, il tuo preferito.”
“Tu e le tue sorelle siete tuti eguali.”
“No, a me vuoi più bene, si vede, e anch’io voglio più bene a te, maman!”
Fleur, un’altra occhiata al Profeta che cita un incontro al Ghirigoro, ingoia un sorriso divertito e scuote la testa.
“Cosa vuoi, Louis?”
“Mi porti al Ghirigoro?”
“Non capirai riente.”
“Non è vero, io capisco tutto.”
“Se capisci tuto, perché sei ancora sporco di sabbia?”
Louis, che dall’alto dei suoi quasi dieci anni si rimprovera per aver perso l’ennesimo scontro verbale con la madre, si immusonisce e biascicando tra i denti un risentito “poi chiedo a papà” si rassegna a raggiungere il bagno.
Quando, non troppo tempo dopo, si affaccia di nuovo in cucina e adocchia la madre indaffarata ai fornelli, si avvicina a lei battendo i piedi a terra nella maniera più rumorosa possibile per attirarne l’attenzione.
“Sono ubbidiente,” dice sorridente nell’istante in cui Fleur si volta a guardarlo. “Ho anche pettinato i capelli come dici tu. Adesso mi porti al Ghirigoro?”
Fleur lo sa, lo sa bene che dovrebbe porgli molti più limiti di quanto lei e Bill non riescano a fare, ma Louis è vivace e adorabilmente furbo e lei ogni volta finisce col scoppiare a ridere e dirgli orgogliosa che è tutto sua madre.
“Cosa ridete, voi due?”
“Papà!”
“Ho portato un clandestino dal Ministero!”
Fleur ha appena il tempo di avvedersi del rientro di Bill che a spuntare alle sue spalle è un James sogghignante.
“Jamie, devo farti vedere una cosa!” esclama subito Louis. “Ho trovato un Homer!”
“Cosa?”
“Guarda,” risponde lui, piazzando la pagina di giornale sotto al naso del cugino e indicandogli prima la foto e poi il testo dell’articolo. “Voglio diventare così da grande.”
“Vuoi colorarti i capelli?” chiede titubante James, fissando i ricci scuri di Homer Landmann.
“No! Ma non hai letto?”
“Mi scoccio di leggere, dimmelo tu.”
Louis non si fa pregare e ripete al cugino quello che ha già detto alla madre, curandosi però di infarcire la spiegazione di molti più dettagli, proiettando James assieme a lui in un futuro sfolgorante – che non ha capito benissimo cosa significa, ma dal tono del giornalista sembra essere una cosa invidiabilefatto di terre sconosciute e magie misteriose.
Bill, che lo ascolta un po’ divertito e un po’ incuriosito, cerca e trova lo sguardo della moglie ed è a quegli occhi del colore dell’acquamarina che indirizza il suo sorriso più luminoso – e se le si avvicina è soprattutto per rubarle un bacio troppo breve cui Fleur si abbandona serena.
“È andata bene la vostra giornata?”
“Con Louis è impossible annoiarsi,” risponde. “Al Ministero, invesce?”
“C’è fermento, le voci sulle dimissioni di Kingsley aumentano ogni giorno, si vocifera anche di una promozione di Harry.”
“A Ministro?”
“Applicazione della Legge sulla Magia,” dice a voce bassa. “Ma c’è malcontento, la vecchia guardia non reputa saggio che rinunci a guidare la Divisione Auror.”
“Girano anche queste voci?”
“No no, questo me l’ha detto Harry, lui è certo che ci vorrà ancora qualche anno per decidere come gestire la situazione… Gli equilibri sono delicati.”
“E Hermione?”
“È la candidata di Kingsley, ma c’è una fetta che spinge perché venga messa lei a capo dell’Applicazione della Legge sulla Magia, sono quelli che vogliono un Ministro più neutro e sanno che per mettere Hermione fuori dai giochi è necessario offrirle qualcosa che abbia un peso… Giocano sul fatto che collabora col Dipartimento da anni.”
“Non acceterà,” dice sicura Fleur. “Non si farà comprare.”
“Lo credo anch’io.”
“Ma quando mangiamo? Abbiamo fame.”
Al richiamo di Louis, Fleur e Bill si limitano a scambiarsi uno sguardo che sa di ne parliamo dopo e di nuovo sorridenti invitano i bambini ad apparecchiare.
Villa Conchiglia è immersa nel tepore della sera quando i quattro si siedono attorno al tavolo per cenare – Louis non aspetta neanche che il suo piatto sia pieno prima di sollevare la forchetta e riprendere a parlare di Homer Landmann, annunciando ai genitori che anche James lo trova un ottimo modello e che come lui crede sia indispensabile andare al Ghirigoro per conoscerlo.
“Landmann,” ripete Bill. “È un medimago, per caso?”
“Sì! Lo conosci, papà?”
“No, ma zio Percy ne parlava qualche giorno fa, diceva proprio di voler andare a una conferenza al Ghirigoro.”
“Percy?”
“Si è addirittura preso un permesso al lavoro,” conferma. “Potrebbero andare con lui.”
“Non credo che tuo fratello sia...”
“Ottima idea!” interviene Louis. “Andiamo con zio Percy, è deciso! Quando glielo dici? Usiamo il camino, così glielo diciamo subito.”
“Mangia,” impone Fleur. “E a zio dobbiamo chiederlo, non dirglielo.”
“Dirà di sì, lo so già.”
Bill evita di chiedergli perché sia così sicuro di sé, dopo nove anni e tre quarti è assolutamente certo che Louis non sappia neanche cosa sia l’insicurezza, complice la natura ammaliatrice ereditata al pari delle sorelle dalla madre – ma mentre Victoire e Dominique la filtrano con gentilezza l’una ed esuberanza l’altra, Louis la sfoggia con una sfacciataggine che a volte è addirittura comica.
“Così hai deciso che questo Landmann è il tuo modello,” riprende fintamente offeso. “E io?”
“Tu sei papà,” risponde Louis, come se questo chiarisse ogni cosa. “A undici anni mi compro una bacchetta e giro il mondo, così scoprirò tantissime cose e farò anch’io confidenze al Ghirigoro.”
“Conferenze,” lo corregge Fleur divertita. “E la scuola?”
“Ehm… Mi scrivo a Uagadou, come Homer! Così studio mentre giro il mondo.”
“Stai scherzando?” chiede atterrito James. “Devi iscriverti a Hogwarts.”
“Ma a Hogwarts non giro il mondo, ti iscrivi con me a Uagadou.”
“Non voglio venirci in questa scuola, non so neanche dov’è.”
“È a Uagadou, ovvio.”
“Sì, e Hogwarts è a Hogwarts.”
“È in Africa,” interviene Bill. “E voi non potete iscrivervi, siete maghi inglesi, avreste bisogno di un permesso speciale, sarebbe complicato.”
“E tu chiedi questo permesso,” ribatte Louis. “Ma dov’è l’Africa?”
“Lontono,” risponde furba Fleur. “Così lontono che non potresti tornare a casa fino al diploma, chéri.”
“Fino al diploma?”
“Oui.”
“Mamma ha ragione,” assicura Bill. “Fino al diploma.”
James e Louis si guardano l’un l’altro con occhi sbarrati, e se il primo si affretta a ripetere “io non ci vado” il secondo si rabbuia e fissa sospettoso i genitori.
“Allora viaggio senza studiare.”
“Niente magia fino a diciassette anni, l’hai dimenticato?” sghignazza Bill. “Dovresti vivere come un babbano, ti conviene?”
“Ma allora non posso fare niente!”
“Puoi andare a Beauxbatons,” trilla Fleur.
“Louis verrà a Hogwarts con me,” interviene James, scoccandole un’occhiata torva. “È già deciso.”
“Ben detto, James,” concorda Bill. “Hai già convinto Domi, non ci riuscirai anche con Louis,” aggiunge poi guardando la moglie.
“Se mio filio vuole una bonne éducation, deve andore a Beauxbatons.”
“Non è vero,” dice James. “Hogwarts è la scuola migliore di tutte.”
“Ha ragione,” s’accoda Louis. “Non voglio andare a Beauxbatons, rassegnati.”
“Ecco, rassegnati,” ghigna Bill. “A Hogwarts!” esclama poi, riempiendo tre bicchieri di succo di zucca e invitando il figlio e il nipote a brindare con lui.
“E a Grifondoro!” aggiunge entusiasta Louis.
“La nostra futura Casa!” sottolinea allegro James.
“Non è detto che il Cappello vi mandi a Grifondoro,” serpeggia sorniona Fleur, sfilando il bicchiere dalle mani del marito e schernendo il loro brindisi con un’imitazione. “A tute le Case dove potete finire!”
“Ma perché ci dici queste brutte cose?” si inalbera Louis. “Io e Jamie siamo Grifondoro, lo sono tutti i Weasley e tutti i Potter!”
“Ma tu, chéri, sei anche un Delacour!”
“Dei Delacour ha solo i capelli biondi, tutto il resto è Weasley,” dice seccato James. “Non lo devi offendere, zia.”
“Jamie ha ragione, non mi devi offendere.”
“Ma non ti ho offeso!”
“Invece sì, hai detto che non sono un Grifondoro!”
“È una cosa molto brutta da dire,” continua James. “Devi scusarti!”
“Ma non è una cosa così brutta non essere Grifondoro,” interviene Bill, che in realtà al pari di Fleur fatica a trattenere le risate dinanzi ai visi paonazzi di offesa dei due bambini. “Tutte le Case sono belle.”
“A noi piace solo Grifondoro e in famiglia siamo tutti Grifondoro,” ribatte ostinato Louis.
“Giusto! Solo Al no, lui è Serpeverde, si vede.”
“Al?” chiede stupito Louis. “Dici che finisce tra i Serpeverde?”
“Sicuro.”
Louis par soppesare l’ipotesi per alcuni istanti, ma poi incrocia lo sguardo convinto di James e annuisce concorde, come se avesse afferrato e condiviso il ragionamento del cugino.
“Sì, Albus è Serpeverde, ma io e Jamie siamo Grifondoro.”
Schiene dritte, occhi furenti e forchette puntate in direzione di Fleur, è così che Louis e James ribadiscono la loro futura appartenenza a Grifondoro ed è così che inducono Bill a prorompere in una risata capace di contagiare tutti.
È quando Fleur serve in tavola il dolce che Louis riapre l’argomento Ghirigoro e insiste affinché il padre comunichi le loro intenzioni al fratello.
“Sono quasi le dieci, non possiamo disturbare gli zii.”
“Sì che puoi.”
James lo afferma con sicurezza e assieme a Louis raggiunge il camino a tradimento, acciuffando la scatolina di polvere volante riposta sulla solita mensola. È già troppo tardi quando Bill e Fleur intimano ai due di non prendere alcuna iniziativa e tutto ciò che possono fare è sostituirli nel fastidioso passaggio smeraldino per parlare con Percy.
Alcuni spintoni dopo e la minaccia di un Petrificus Totalus da parte di Fleur armata di bacchetta, Louis e James sono seduti trepidanti alle spalle di Bill, che con la testa calata nel caminetto parla col fratello e la cognata – almeno sino a quando a intromettersi non è Molly, che chiama a gran voce Louis e gli dà un motivo per intrufolarsi assieme al padre e sfoggiare uno dei suoi sorrisi più convincenti assieme a un “non ti preoccupare, zio, saremo ubbidienti!” che strappa una risata accondiscendente ad Audrey e un sospiro rassegnato a Percy.
 
Desolante.
È tutto ciò che riesce a pensare Percy quando, l’indomani, raggiunge il Ghirigoro alle dieci del mattino in punto, facendosi largo nell’accogliente saletta assieme a Louis, James e Molly, che s’è unita alla combriccola non appena ha capito che ci sarebbe stato il cugino anglo-francese.
Senza stupore, nota occhiate incuriosite dirette ai bambini e qualche borbottio sul presunto disordine che di certo creeranno con la loro esuberanza. Con una punta di sollievo Percy deve però constatare che sino ad ora non hanno disubbidito né dato alcun fastidio, anzi Molly non fa un passo se non è prima lui a farlo, Louis segue Molly e James segue Louis.
Però.
Avrebbe voluto godersi questo incontro senza dover badare a nessuno, in compagnia della copia del brillante saggio di Landmann e della propria curiosità verso quella magia antica e lontana nello spazio più che nel tempo – non che sia un appassionato di medimagia in particolare, ma la conoscenza nelle sue infinite sfaccettature ha sempre esercitato un grande fascino su di lui. Invece non è riuscito a rifilare un no a quel traditore del fratello, che non s’è fatto scrupoli a sfruttare la minuscola confidenza fattagli giorni addietro circa il proposito di presenziare a questo incontro, e ora anziché prendere posto assieme a tutti gli altri è costretto a restare in piedi e in disparte nel timore che i bambini possano parlottare e disturbare chiunque sieda nelle loro vicinanze.
Deve però esserci una regola implicita dell’universo secondo cui se rifletti troppo sulla possibilità di una disgrazia quella presto o tardi diventa realtà.
Se così non fosse, James non avrebbe urtato il cartonato animato che ritrae Landmann, quel cartonato non avrebbe urtato un appendiabiti stracolmo e quell’appendiabiti non sarebbe crollato su una pila di libri originando un tonfo così assordante da far sobbalzare ogni presente, arrossire Percy sino alle dita dei piedi, sbarrare gli occhi a Molly e piegare in due dalle risate Louis e James.
Percy è ancora impegnato a scusarsi con l’attempato proprietario del Ghirigoro, accorso per riparare al danno prima che arrivi l’ospite, quando Louis pensa bene di salire in piedi su una sedia, guardarsi intorno con aria soddisfatta ed esclamare a voce piena “ora sì che vedo bene!”.
Non trascorrono neanche cinque minuti prima che Percy decida di congedarsi stizzito, trascinando Molly e i nipoti il più lontano possibile dal Ghirigoro e dai troppi sguardi contrariati.
“Perché siamo andati via? Non abbiamo incontrato Homer!”
“Non mi piace fare brutte figure,” risponde a Louis. “E voi siete stati disubbidienti.”
“Non è vero, io no,” protesta Molly. “È stato James a far cadere tutto!”
“Io non ho fatto cadere niente, i libri erano sistemati male.”
“È vero, sono caduti da soli.”
“Quello non è posto per bambini,” taglia corto Percy. “E niente proteste.”
“Ma io volevo conoscere il medimago.”
“Anch’io,” dice Molly. “E poi avevo promesso a mamma di portarle una foto.”
“Una foto? E perché?”
“Dice che è bello,” risponde distratta. “Lo dico anche io!”
Percy storce le labbra e dà un buffetto a James quando lo vede sogghignare alle sue spalle.
“E adesso che facciamo?” chiede Louis. “Non voglio tornare a casa.”
“Avete voglia di un gelato?”
“Sì!”
Percy ridacchia a quel corale e li segue a passo tranquillo mentre i tre corrono a occupare uno dei tavolini esterni di quella che anni addietro è stata la gelateria di Florian Fortebraccio – non ha mai voluto sapere chi ne avesse raccolto l’eredità, la sua morte è una di quelle che irrazionalmente sente pesargli sulla schiena, come se all’epoca avesse dovuto o potuto capire di più, fare qualcosa, rinsavire prima.
Si ridesta quando Molly lo incita a scegliere un gelato, allora le sorride e sorride anche ai nipoti, che vivaci quanto e più del solito seguitano a parlare del medimago che ha incantato la loro fantasia, di Hogwarts e di magie sconosciute e meravigliose – riflette che ascoltarli è un po’ come girare il mondo.
“Zio Percy,” chiama improvviso Louis. “Secondo te non è un’offesa dirci che non siamo Grifondoro?”
“Perché credi lo sia?”
“In che senso?”
“Perché credi sia un’offesa? Cosa c’è di male a essere smistati in un’altra Casa?”
“Neanche lui capisce niente, te l’avevo detto,” sbotta James.
“Mio papà capisce tutto!”
“Invece non capisce niente!”
“Sei un antipatico!”
“E tu una lagna!”
“Zio, secondo me hai battuto la testa,” interviene perplesso Louis. “Ora però mangio il gelato, ne riparliamo dopo.”
Percy non sa come sia possibile, ma ogni volta Louis riesce a farlo spazientire e divertire nell’arco di una manciata di istanti – gli capita di pensare che da adulto o conquisterà il mondo o finirà ad Azkaban.
E Louis, ignaro dei pensieri dello zio, alterna lo sguardo tra la coppa ricolma di gelato e la strada che conduce al Ghirigoro – Diagon Alley è chiacchierina, luminosa, affollata come sempre, eppure i suoi occhi ignorano ogni risata, passante, bottega per immaginare quel signore dal sorriso radioso e la vita pienissima di chi ha visto e conosciuto tanto.
 
Quella sera, dopo la buonanotte della mamma e del papà, Louis incolla un ritaglio del Profeta all’interno del suo armadio: è la pagina sei e in cima vi scrive a penna una sola parola, futuro.
Si addormenta felice, certo che ad attenderlo vi siano grandi avventure.
 
 
 


 
1Homer Landmann non è un mio personaggio, è un meraviglioso OC di blackjessamine, la quale mi ha dato il permesso di citarlo in questo piccolo racconto. Homer compare per la prima volta nella storia Love, walk the autumn, love ed è approfondito nei racconti raccolti nella serie Surya Namaskara, non posso che consigliarne la lettura.

Note dell’autrice: gli errori presenti nel discorso diretto di Fleur sono voluti, la conclusione che richiama il futuro è uno sguardo sul modo di intendere la vita di Louis, che è sempre proiettato in avanti e non fa che progettare ogni cosa.
Nel mio universo narrativo, Bill è a capo del Dipartimento Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, Harry avrà la promozione di cui parla Bill solo nel 2018, mentre Hermione sarà eletta Ministro nel 2019.
Grazie a chiunque sia arrivato sin qui, spero che la lettura abbia meritato il vostro tempo. ❤
E a te, Greta, grazie infinite per avermi concesso di citare Homer e grazie per essere con me in questa avventura sin dal prologo di Paradiso, spero che questo piccolo e sconclusionato racconto ti sia piaciuto – Louis ragiona in grande anche da piccolo!

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Capitolo 12
*** Tasselli ***


Spoiler Alert: consiglio la lettura a chi è in pari con Paradiso perduto.
 
 

Tasselli
 

I. Molly
 
«Può nascere dovunque | Anche dove non ti aspetti | Dove non l’avresti detto | Dove non lo cercheresti»
 
Era un giorno qualsiasi quando t’accorgesti di seguirlo con lo sguardo, rubare le sue parole, interrogarti sui suoi pensieri – erano abitudini discrete le tue, e silenziose soprattutto, di lui in fondo avevi sempre creduto che avesse solo colori sbagliati addosso e radici marce dentro.
Era stato tutto un caso.
Scontrarti con la sua vita, inciampare tra le sue braccia, precipitare sulle sue labbra… Tutto un caso, solo un caso, a stravolgere le certezze e gli equilibri cresciuti assieme a te in diciassette anni di vita.
 
~
 
Inizierai a chiamarmi per nome, allora?”
È davvero così importante?”
Fa davvero così paura?”
Non giocare con le parole, Atlas.”
 
Sorrideste insieme.

 
II. Gwenda
 
«Può crescere dal nulla | E sbocciare in un secondo | Può bastare un solo sguardo | Per capirti fino in fondo»
 
Se ti avessero chiesto se fosse stato prima o dopo aver scambiato almeno una parola non avresti saputo dirlo – t’eri sentita legata a lui sin dal primo istante, come se l’istinto fosse stato già a conoscenza di quanto avreste condiviso, della forza che avreste dovuto trarre l’una dall’altro, del moto di protezione che ti avrebbe spinta a seguirlo in un labirinto di aculei.
Sentivi di capirlo.
E che lui in un modo tutto suo capisse te – vi succedeva sempre più spesso di oltrepassare disagi e imbarazzi senza neanche vederli.
 
~
 
Te ne penti mai?”
Di cosa?”
Di avermi conosciuto.”
Quanto sei stupidoso, Lys.”
 
Rise, tu con lui.
 

III. Allison
 
«Può invadere i pensieri | Andare dritto al cuore | Sederti sulle scale | Lasciarti senza parole»
 
Sul serio?
Arrossisci per… Sul serio? E poi da quando le tue giornate sono diventate così monotone, così… No, forse sono i pensieri a essere monotoni – tutti troppo uguali, ripetitivi, sempre sulla stessa irritante persona.
È così che inizia la pazzia?
Vorresti smetterla di perderti nei corridoi perché i tuoi occhi inseguono l’immaginazione e non la realtà, smetterla di ripetere la parola Zabini con una frequenza preoccupante – ma non è neanche colpa tua, è lui che ti perseguita anche quando non c’è, è lui a essere ovunque…
 
~
 
“AllyKatty! Sì o sì?”
Ma di che parli?”
Della cotta enorme che hai per me, ovviamente.”
Oh no, sono finita nei miei incubi.
 
Non vorresti, ma sorridi non appena ti volti.
 

IV. Scorpius
 
«Può crescere da solo | E svanire come niente | Perché nulla lo trattiene | O lo lega a te per sempre»
 
Un mese, un giorno, un minuto prima è ancora tutto uguale, tutto come deve essere e come è abitudine che sia. Poi qualcosa cambia dentro di te: non sai perché né come, ma sai che cambia – Clarissa svanisce dai tuoi pensieri e dalle tue emozioni senza possibilità di ritorno.
D’un tratto.
Così com’è arrivato, il sentimento che ti ha legato a lei va via e tu maturi svelto la consapevolezza di non aver alcun bisogno di riaverlo indietro per ricucirtelo addosso – non ti appartiene più.
 
~
 
Se ti innamorassi di nuovo di me?”
Non può succedere.”
Perché?”
È passato, Clari.”
 
Uno sguardo s’abbassa – non è il tuo.
 

V. Louis
 
«Può crescere su terre | Dove non arriva il sole | Apre il pugno di una mano | Cambia il senso alle parole»
 
Non eri in grado di vedere le ombre che la derubavano, eri però riuscito a lasciarti vedere da lei – e a precipitarci dentro.
Tutto aveva un altro sapore.
E le parole, quelle che eri solito ripetere a te stesso, mutavano la loro natura per aprirti al mondo sconosciuto del noi, di passi che corrono alla stessa velocità, di respiri che sembrano essere venuti al mondo per schiantarsi l’uno sull’altro.
Isabelle era una terra fitta di misteri – la scorgevi appena e già tentavi d’afferrarla.
 
~
 
Sei mai stata innamorata?”
Tu?”
L’ho chiesto prima io.”
Quante volte lo ripeti al giorno, io?”
 
Calò una notte senza stelle.
 
 
VI. Teddy
 
«È grande da sembrarti indefinito | Da lasciarti senza fiato | Il suo braccio ti allontanerà per sempre dal passato»
 
Nel corso della vita c’erano stati momenti capaci di convincerti di avere un risentimento incubato – non tuo, ma di chi ti aveva messo al mondo senza darsi il tempo di scoprire la persona che eri destinato a essere.
Contaminato.
In quegli attimi confusi ti chiedevi se lo fossi, se un passato non tuo potesse deviare il futuro – ma ogni volta qualcuno ti correva incontro, t’afferrava e ti mozzava il respiro in affanno per offrirti il suo.
Victoire era ingombrante, riusciva a espandersi a macchia d’olio, conquistare ogni pensiero, emozione, sentimento e ancorarli al presente.
 
~
 
Se ti dicessi ti amo?”
Ti direi anch’io.”
Allora ti amo.”
Anch’io, Vì, tantissimo.”
 
Le nuvole smisero d’addensarsi.
 
 
VII. Albus
 
«Può renderti migliore | E cambiarti lentamente | Ti dà tutto ciò che vuole | E in cambio non ti chiede niente»
 
Passi dopo passi dopo passi, ne hai fatti tanti e in troppe direzioni, ma non ti sono mai parsi abbastanza: qualcosa manca sempre. Nei tuoi percorsi sfocati, però, qualcuno c’è sempre stato, e ti ha sorretto e urlato contro e sorriso e fatto notare ogni sbaglio – senza mai andare via, senza mai pretendere ricompense.
Tu e Scorpius, in fondo, siete cresciuti e maturati insieme, non c’è da stupirsi se con lui accanto i livori perdono vigore e il mondo diventa d’improvviso meno ostile.
 
~
 
So di doverti delle scuse.”
Non importa.”
Nel senso che a te non importa?”
Al, possibile che non capisci mai niente?”
 
Gli accarezzi la nuca – non sai neanche tu perché.

 
VIII. Moira
 
«Può nascere da un gesto | Da un accenno di un sorriso | Da un saluto, da uno sbaglio | Da un percorso condiviso»
 
Le labbra hanno bruciato per meno tempo di quanto pensassi e presto quel gesto avventato ha iniziato a non sembrarti più solo un errore – forse c’è altro, forse ti è sfuggito qualcosa nel corso del tempo, forse… Non lo sai.
Tuttavia gli occhi di Albus somigliano a una foresta luminosa di cui conosci ogni segreto, le sue parole ti accarezzano come lusinghe e le sue mani s’incastrano a meraviglia nelle tue – che siano germogliate lente e silenziose le emozioni che ti legano a lui?
 
~
 
Ci sono sempre stato per te, eri tu a non vedermi.”
Lo credi veramente?”
Perché non dovrei?”
Non lo so... È complicato.”
 
S’incupisce – lo baci.
 

IX. Lorcan
 
«L’amore non ha un senso | L’amore non ha un nome | L’amore bagna gli occhi | L’amore scalda il cuore»
 
Che lei fosse tutte le emozioni del mondo l’avevi capito in fretta – la sua assenza era il tuo vuoto e ogni istante vissuto lontani sembrava non essere mai esistito.
Capire cosa ti legasse a lei, distinguere l’amore tra pagine di amicizia, era stato un processo lento e colmo di ostacoli – pretendevi un senso dove non poteva esserci, una definizione per un rapporto che non poteva averne.
Rose era Rose – era sempre stato così.
Gli occhi capaci di scavarti dentro e oltrepassare ogni tua ridicola barriera, gli abbracci più caldi e i baci più sinceri.
 
~
 
Saremo sul serio sempre io e te?”
Non puoi dubitare di questo.”
Perché senza di me non esisti?!”
Perché neanche tu esisti senza di me.”
 
Vi guardaste, era tutto lì.
 
 
X. James
 
«L’amore batte i denti | L’amore non ha ragione | L’amore non ha un senso | L’amore non ha un nome»
 
Avevi sempre avuto l’impressione che la terra tremasse al vostro minimo sguardo e che per restare in piedi fosse indispensabile aggrapparsi l’un l’altra – perché se insieme eravate fondamenta, divisi non eravate altro che fanghiglia.
Eppure.
Avevate tentato di fuggirvi, obbedire alle regole della ragione, convincervi di aver frainteso tutto – l’avevi capito per primo, che l’amore aveva regole tutte sue.
Rose era altro – lo era sempre stata.
E ti chiedevi se anche tu fossi altro per lei, e se il suo altro fosse identico al tuo e celasse un mondo precario in cerca del solo equilibrio possibile.
 
~
 
Cosa vuol dire che siamo la stessa cosa?”
È facile da capire, James.”
Però non riesci a spiegarlo.”
Riesco solo a sentirlo.”
 
Cercasti i suoi occhi, era tutto lì.
 
 
XI. Rose
 
«L’amore mio sei tu | L’amore mio sei»
 
Nessun sentimento può essere identico a un altro – esiste sempre una sfumatura, piccola forse invisibile, capace di fare la differenza.
Non hai saputo vederla.
Per troppo tempo, e sei inciampata in una confusione che ha procurato crepe difficili da sanare e ti ha appesantito la vita.
La consapevolezza è maturata lentissima, rallentata da timori che hai stretto sino a crederli parte di te, e quando è esplosa ti ha mostrato la realtà per quella che è sempre stata.
Lui.
Che se non è tutto è niente, perché l’amore se è qualcosa può solo essere tutto.
 
~
 
Cosa devi dirmi?”
Una cosa che non ti ho mai detto.”
Ti ascolto.”
“Ti amo.”
 
Sei intera.
 
 
 



 
Note dell’autrice: questa raccolta nasce perché per caso ho riascoltato la canzone di Francesca Michielin L’amore esiste – i cui estratti aprono ogni piccolo tassello, segnalati dalle virgolette basse – e ho pensato che ogni frase del testo potesse rappresentare un amore diverso. Ho così associato un personaggio e una prospettiva agli estratti scelti e composto questo mosaico di emozioni. Non sono sicura di poterli chiamare tutti missing moments della long, perché sulle evoluzioni dei sentimenti di alcuni personaggi sono ancora in dubbio, ma l’amore in fondo può essere anche platonico o fraterno.
Gli ultimi tre tasselli sono volutamente incastrati, mentre per quanto riguarda Rose ho deciso di non svelare l’identità di lui perché mi piace l’idea che in questa sede ognuno scelga il proprio epilogo – una cosa però è certa: prima o poi capirà di non amarli allo stesso modo.
Grazie della lettura, un abbraccio!

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Capitolo 13
*** A lezione di Babbanologia ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Tre della longfic.
 


A lezione di Babbanologia
 
Luglio 2022
 
“Mi ha guardato male.”
“Ti guarda sempre male.”
“Più del solito, dico.”
“E ti sembra strano? Guarda cos’hai portato qui.
Albus, comodamente stravaccato su una delle antiche e preziose poltrone di uno dei saloni del maniero dei Malfoy, sorride pestifero e osserva tutto soddisfatto il computer portatile che ha ben pensato di portare con sé.
“Pensa se sapesse quanto ti piace questa diavoleria babbana.
“Non l’ha chiamata proprio così.”
“No?”
“Può darsi,” concede divertito Scorpius. “Secondo papà farò morire il nonno di crepacuore, un giorno.”
“Forse crede che tu voglia presentargli Clarissa.”
“Spiritoso.”
Albus sogghigna e Scorpius si accoda all’istante, appollaiandosi poi al lato della poltrona per sbirciare lo schermo ancora spento del computer.
“Secondo me qui non funziona, c’è troppa magia, non è come casa tua.”
“A casa mia non c’è magia?”
“Insomma, è quasi babbana,” sghignazza. “Forse dobbiamo andare in giardino.”
Ma Albus non gli presta ascolto e pigia il tasto di accensione, sorridendo tronfio quando lo schermo si illumina.
“Tuo padre l’ha modificato, ammettilo.”
“Certo che sei proprio malfidato,” ribatte. “È stato zio George,” aggiunge spazientito all’ennesima occhiataccia dell’amico.
“Quindi che facciamo?”
“Ora ti faccio vedere.”
L’espressione furba di Albus sembra promettere a Scorpius un pomeriggio divertente, così il padrone di casa non domanda oltre, ma si siede a terra e trascina con sé anche l’amico, riducendo la splendida poltrona a uno schienale contro cui rilassare la schiena.
Curioso, Scorpius osserva le immagini sullo schermo mutare rapide e le dita di Albus muoversi sicure sulla tastiera – di tanto in tanto, però, non riesce a evitare di sbirciare l’ingresso al salone col timore di trovare di nuovo lì sulla soglia, offeso e contrariato, il nonno.
“Ti vuoi rilassare?” sbotta a un tratto Albus. “Non stai facendo niente di male.”
“Lo so, però… lo sai.”
“Tanto incolpano me, non te, sono io la tua pessima frequentazione!”
“E lo trovi divertente?”
“Molto, perché sappiamo entrambi che in realtà quello poco raccomandabile è Basile,” scherza, riuscendo a far ridere anche l’altro. “Ci sono, guarda!”
“Ma cos’è?”
“Si chiamano social network, questo è Instagram, ho creato un mio profilo, mi chiamo al pott!”
“Cosa?”
“Sì, al come Albus e pott come Potter, sai per...”
“Questo l’ho capito, ma non ho capito tutto il resto. Ti sei presentato ai babbani?” chiede confuso. “E comunque al pott fa proprio schifo.”
“Oh!”
“Eh oh.”
Eh oh che?”
“Tu oh che.”
“Ma che che?”
“Al, non sto capendo un bobotubero.”
Albus, già pronto a ribattere, scoppia a ridere non appena la voce indispettita di Scorpius gli arriva alle orecchie. Dal canto suo, Scorpius non fa scorrere troppi secondi prima di unirsi alla risata, preoccupandosi però di far scontrare le loro gambe distese in avanti in un goffo tentativo di rifilargli un calcio.
“Ehi.”
“Non iniziare con ehi adesso.”
“E tu non fare il pappagallo.”
“Va bene, Al, come vuoi tu,” lo asseconda stremato. “Spiegami questo al pott.”
“È una cosa geniale, i babbani usano questi social per sapere tutto di tutti, invece di usare la Legilimanzia leggono qui e sanno le altre persone cosa fanno, dove sono, chi conoscono… Un sogno! Se avessimo questi cosi a scuola, saprei sempre...”
“Questi cosi leggono nel pensiero?”
“No, non hai capito...”
“Ma l’hai detto tu!”
“No che non l’ho detto...”
“Hai detto che sono come la Legilimanzia.”
“Ma è un modo di dire,” sbotta contrariato. “Ti faccio vedere come funziona.”
“Meglio, a spiegare fai schifo.”
“Grazie, eh.”
“Prego, oh.”
Albus, cogliendo l’ironia, ridacchia, ma non aggiunge altro, si impegna invece a digitare al_pott e la password scelta per fare l’accesso.
“Hai veramente scelto Moira come parola d’ordine?”
“Zitto.”
Scorpius trattiene a stento la risata, ma Albus finge di non accorgersene e prosegue la sua lezione di Babbanologia – quella vera, secondo lui – scorrendo pagine e mostrando profili altrui all’amico, che affascinato osserva quella finestra indiscreta sulle vite di tanti sconosciuti.
“Altro che Gazzettino,” riflette Scorpius. “Peccato che sei l’unico mago iscritto.”
“Dici che i figli di babbani non sono iscritti?”
“Tu dici di sì?”
“Proviamo,” ghigna Albus, digitando sulla barra di ricerca Teti Lennox. “Tre risultati!”
“Che significa? Stiamo giocando a qualcosa?”
“Ma no, intendo che ci sono tre Teti.”
“Perché si è iscritta tre volte?”
Ma Albus lo zittisce e sbircia i tre profili alla ricerca di un indizio che gli dica se uno di quelli appartenga alla loro Teti.
“Eccola, è lei!” esclama Scorpius, indicando una fotografia un po’ sfocata che ritrae mezzo volto della ragazza.
“Sì, sì, è proprio lei, guarda qui, ha scritto che ha sedici anni, studia ed è una serie tv addicted… Che significa?”
“Che è una persona seria?”
“Eh?”
“Le piacciono le cose serie, no? Però non so che significa tv...
“Ah, lascia perdere, questo lo scopriamo un’altra volta.”
“Mancano ih e uh.”
“Che?”
“Pure che abbiamo già detto.”
“Ma che stai dicendo?”
“Un cazzo,” ghigna Scorpius. “E adesso che l’abbiamo trovata che facciamo?”
“Le scriviamo!”
“Ma non mi va di far volare la mia civetta a quest’ora, tra poco deve mangiare...”
“Le scriviamo qui, sul social!”
“Si può parlare con le persone? Come un telefono?”
“Più o meno. Però non posso scriverle con questo profilo, potrebbe riconoscermi...”
“Non vogliamo dirle che siamo noi?”
“No, è più divertente così, però se legge al pott capisce… Dobbiamo creare un altro profilo, ora ti iscrivi tu.”
“Non voglio iscrivermi su questo coso babbano.”
“Ti iscrivo io.”
“È la stessa cosa, e poi riconosce anche me, pure se mi iscrivi come scorp mal.”
“Infatti non ti iscrivo con questo nome, ti chiamerai hyp erion, sono un genio!”
“Ma sei serio?”
E Albus, in tutta risposta, dà seguito a ciò che ha affermato, creando il profilo hyp_erion sotto lo sguardo allucinato di Scorpius.
“E se Clari le ha detto del mio secondo nome?”
“Clarissa non ricorda il tuo secondo nome.”
“E tu che ne sai?”
“Tu ricordi il secondo nome di Clarissa?”
“Ha un secondo nome?”
“Appunto.”
Scorpius gli scocca un’occhiataccia, ma a frenare la replica è la comparsa dell’elfa domestica che lavora per la famiglia Malfoy, che con espressione cordiale porge ai ragazzi un vassoio con due coppe di gelato.
“La signora manda questo ai signorini, signorino Scorpius.”
“Grazie, Hokey, e ringrazia anche mamma.”
L’elfa annuisce e si congeda non appena i due si appropriano dei gelati.
Signorino Scorpius,” ridacchia Albus. “Non mi abituerò mai, tu vivi in un altro mondo!”
“Sei solo invidioso, vorresti anche tu un elfo a casa.”
“Ovvio che lo vorrei, ma alla mia famiglia le comodità fanno schifo,” dice contrariato. “Cosa c’è di male ad assumere un elfo? Non sono più sfruttati come in passato, ci ha pensato mia zia.”
“Lo assumerai quando avrai una casa tua, sarà il secondo passo per essere la pecora nera dei Potter-Weasley!”
“Il primo qual è stato?”
“Finire in Serpeverde, ovvio!”
“E il terzo?”
“C’è un terzo?”
“C’è sempre un terzo.”
“Sposare una ragazza imparentata con i Mangiamorte,” scherza allora Scorpius. “Ti diseredano!”
“Moira ha Mangiamorte in famiglia?”
“Al, lo sai qual è il secondo nome di Moira?” chiede furbo e Albus scuote la testa in cenno di diniego. “Due di picche.”
“Che casualità, è lo stesso di Rose,” ribatte tagliente. “Riuscirò a conquistarla,” afferma. “Prima o poi dovrà stufarsi di tuo cugino.”
Scorpius ci prova a non ridere di lui, ma proprio non ci riesce e incassa silenzioso la gomitata di Albus.
“Hai creato il mio profilo?”
“Sì, la tua parola d’ordine è caccoleditroll,” puntualizza ancora irritato. “Ora le scriviamo.”
“Ma se non le vogliamo dire che siamo noi, cosa le diciamo?”
Albus assume un’aria furba e digita un semplice «Ciao, come stai?»; non trascorrono che pochi minuti, durante i quali i due Serpeverde hanno fissato trepidanti lo schermo del computer, prima che appaia la dicitura visualizzato sotto il messaggio inviato.
“Guarda cos’è comparso! Ma perché ci ha risposto così?”
“Non ci ha risposto lei, significa solo che ha letto.”
“E adesso?”
“Sta scrivendo,” esulta Albus. “Lo sapevo che non avrebbe resistito, è troppo curiosa.”
Infatti, a conferma delle parole del cercatore, a fare la sua comparsa è un «Ciao! Ma ti conosco?» di Teti che fa ridacchiare i due ragazzi.
“Dai, dille che siamo noi.”
Ma Albus scuote la testa e digita un «Pensavo di sì, ma ti ho confusa con un’altra Teti» seguito da un secondo messaggio: «Anch’io sono un serie tv addicted».
“Ma se non sai neanche che significa…”
Ma Albus lo ignora di nuovo, catturato dalla rapida risposta di Teti – «E qual è la tua serie preferita?» – che lo costringe a storcere le labbra.
“Adesso che le dico?”
“Che sei quel coglione di Albus.”
“Dovevo far vedere questa cosa a Basile, non a te,” borbotta. “Ora le scrivo così: Sono sicuro che è quella preferita anche da te.
“Che frase da sfigato.”
“Inviato!”
“Non ho ancora capito che stai facendo, sembrano metodi di rimorchio da primo anno.”
“Non ci sto provando con Teti, ma ho visto i miei cugini… o quello che sono… fare così con le ragazze.”
“Di quali cugini parli?”
“I figli di zio Dudley, il cugino di papà, sono loro che mi hanno fatto vedere questi social… James mi aveva detto di non ascoltarli...”
“No, frena, non partire con l’elogio di Potter primo… Quindi i tuoi parenti babbani sanno che siete maghi?”
“No, lo sa solo zio Dudley, i suoi figli credono che noi siamo fuori dal mondo perché mamma e papà sono contrari a qualcosa, non mi ricordo bene, comunque pensano che siamo strani.”
“Sono i babbani a essere strani,” ribatte. “Ma Teti perché non risponde più?”
“Non lo so, eppure ha letto.”
“Da’ qua,” sbuffa Scorpius, orientando il computer verso di sé e iniziando a pigiare i tasti uno alla volta, con l’indice che lento cerca una lettera e poi l’altra, andando a comporre il messaggio «Sto aspettando la risposta» che fa impallidire Albus.
“No, non puoi inviarle questa cosa.”
Ma Scorpius è più lesto di lui e la frase appare nella piccola finestra di conversazione, tuttavia questa volta non appare nessun visualizzato – né immediato né nei dieci minuti a seguire – e i due si convincono che Teti abbia messo via il suo computer – non possono saperlo, che la Corvonero ha bloccato quello strano hyp_erion, credendolo uno sconosciuto in cerca di patetiche attenzioni.
“Solo a scuola parla sempre.”
“Se le avessi detto che eravamo noi, magari…”
“Sì, va bene, non ci importa,” tronca Albus, indispettito alla sola idea di essere nel torto. “Ora ti faccio vedere i miei cugini… Vedessi che facce da Troll che hanno,” sghignazza. “Non dirlo a casa mia, papà si offende, una volta l’ha detto James e… Uh, eccoli!”
Uh.”
“Eh uh, oggi mi piacciono le vocali.”
Scorpius lo fissa dubbioso e Albus sbotta in una risata. I minuti a seguire li trascorrono curiosando tra le fotografie del più grande dei figli di Dudley e tutto sembra andare bene, almeno finché Albus non ha l’idea di cliccare su quello che ha tutta l’aria di essere un video – non appena le immagini in movimento si avviano, mostrando il ragazzo intento a correre su un campo da gioco, Scorpius sobbalza, sbarra gli occhi e strattona il braccio dell’amico.
“Ma che hai fatto? Tu sei completamente pazzo, sono babbani, Al, cazzo.”
“Ma che stai dicendo?”
“Sei stato tu, gli hai fatto scattare la foto con le nostre macchine fotografiche. Si muove, guarda! Si muove!”
Deve trascorrere un breve ma intenso istante prima che Albus metta insieme i tasselli e capisca il motivo della preoccupazione di Scorpius, istante a seguito del quale prorompe in una risata capace di farlo piegare in avanti e fargli urtare persino la fronte contro lo schermo del computer.
Scorpius non si unisce a lui, ma trae un sospiro di sollievo prima – quando finalmente l’amico si degna di parlargli dei video, le fotografie animate babbane – e mette su una maschera offesa poi, ricordando all’altro di essere un Malfoy e in quanto tale di avere tutto il diritto di ignorare qualsiasi cosa estranea al mondo della magia.
“Sì sì certo,” sghignazza Albus. “Devo dirlo a Basile!”
“Guarda che tu sei l’unico Serpeverde mezzo babbano, non troverai accoglienza.”
“Vedremo!”
Scorpius sospira scuotendo la testa e adocchia poi l’orario, accorgendosi delle lancette corse in avanti e dell’ora di cena imminente.
“Resti qui?”
“Conosci la situazione a casa mia, non credo sia una grande idea non tornare...”
“Ma se tuo fratello è il primo a starsene sempre in giro, perché devi preoccuparti tu?”
La domanda è retorica, Albus lo sa, così come conosce l’opinione dell’amico su quella faccenda tanto ingarbugliata, tuttavia non riesce a evitare di perdersi in fitte riflessioni che mescolano l’ansia di non sapere, lo sconcerto suscitato dal fatto in sé, l’irritazione dettata dalla bruciante consapevolezza che James non si fidi di lui, la paura che il Wizengamot possa pregiudicare il futuro del fratello – forse non è troppo egoista il desiderio di prendersi una piccola pausa dalla tensione respirata in casa e dai silenzi ingombranti, forse ha ragione Scorpius e ne ha tutto il diritto.
“Devo avvisare i miei, però.”
“Sai dov’è il camino.”
Albus non indugia in altri dubbi – e la avverte, una timida leggerezza affacciarsi in lui all’idea di rincasare l’indomani, di prendere in prestito altro tempo per fingere di sentirsi davvero estraneo a quanto sta accadendo.
A volte gli capita di invidiare la semplicità con cui Scorpius e Basile gli dicono di distaccarsi dai problemi del fratello e del cugino, in altre occasioni invece detesta un po’ la loro maniera di semplificare tutto, colpito dalla sensazione di non essere capito e di essere circondato da persone che sottovalutano il fatto che quelli lì sono i suoi parenti – ed è la sua famiglia che sembra stia andando in pezzi.
Strizza gli occhi, scuote la testa – no, via sembra voler dire ai pensieri intrusivi. Tuttavia ad aiutarlo più dello sforzo di volontà è la risata dell’amico, che a sorpresa ritrova con il computer tra le mani. Non impiega molto a capire che esplorando il mondo delle fotografie animate babbane Scorpius ne abbia trovate di divertenti.
“Al, ma le loro fotografie parlano anche!”
“Si chiamano video.”
Ma Scorpius agita la mano come a voler scacciare una mosca e gli mostra ciò che sta guardando.
Quando Asteria, le mani ancora sporche di quella creta che ama lavorare, si affaccia nel salone per invitarli a cena li trova impegnati a ridere mentre fissano una specie di valigia nera – qualcosa le suggerisce sia meglio non fare domande.
 
 
 



 
NdA: è un piccolissimo missing moments senza pretese, ma scriverlo è stato divertente, spero abbia divertito anche chiunque l’abbia letto. Colgo l’occasione per ringraziarvi di ogni singola lettura e recensione e scusarmi se non ho ancora risposto ai vostri commenti (sappiate che li leggo sempre e che mi regalano tanti sorrisi). Paradiso perduto non è per niente stata abbandonata, anche se non aggiorno da tantissimo tempo, è solo un periodo impegnativo e poco sereno.
Un abbraccio. ❤

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Capitolo 14
*** Ritornare – e restare ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Venti della longfic.
 
 

A blackjessamine
 

Ritornare – e restare
 
Agosto 2022
 
Uno,
 
Louis non ha bisogno di vederla per sapere che lei è lì, ha avvertito il suo profumo non appena ha oltrepassato la soglia di Villa Conchiglia – ammaliatore. Infila svelto una maglia, agguanta la bacchetta e si precipita al piano sottostante col proposito di sgusciare via prima che riescano a vederlo – ma.
“Louis, cher!”
La sorella di sua madre lo saluta, abbraccia, osserva materna, mentre gli chiede come si senta, se riesca a dormire, se senta ancora dolore – fastidiosa. Si allontana cauto, mette su un sorriso artefatto e in fila parole di circostanza – bene meglio grazie certo.
 
Isabelle è alle spalle di sua madre, accanto a lei un giovane estraneo – assiste in silenzio.
 
due,
 
Louis non ha bisogno di chiedere per sapere che quel lui accanto a lei sia il fantoccio di questa estate, gli sembra di vedere riflessi negli occhi dello sconosciuto tutte le proprie illusioni – patetico. Lo scopre nel pomeriggio inoltrato, che il fantoccio sia anche il promesso sposo, e dentro ribolle qualcosa capace di dirompere – incontrollata.
“Come stai? Sincère.”
Lo ha seguito silenziosa non appena è riuscito a lasciarsi alle spalle le mura strettissime di casa, l’aveva sentita anche questa volta – insistente. La guarda senza nascondere il disprezzo, eppure muove passi verso di lei – sino a sfiorarla.
 
Isabelle è dritta dinanzi a lui, si guardano per minuti lunghi e lenti – il silenzio assiste.
 
tre,
 
È notte inoltrata quando rientrano in casa, nessuno ad accoglierli, nessuno a porre domande, nessuno a sbirciare labbra gonfie, occhi brillanti, abiti stropicciati – recidivi. Si baciano ancora, incauti o disinteressati, mentre raggiungono le camere al piano superiore, la porta che dà sul letto matrimoniale in cui il fantoccio riposa – illuso.
 
Era proprio necessario scoparti un altro in casa mia?”
Devi smetterla, Louis.”
Di fare cosa? Di chiederti almeno una spiegazione?”
Di credere in noi, in me.”
 
Louis rientra nella propria camera ripetendosi che non l’ha fatto, non le ha chiesto di tornare indietro – da lui, per lui – né le ha chiesto di restare – con lui, per lui –, che ha smesso di credere in loro due e in lei l’agosto passato e il Natale scorso e oggi stesso quando ha dovuto di nuovo immaginarla accanto a un altro – traditrice.
 
Isabelle è rannicchiata ai piedi di una finestra, gli occhi oltrepassano la sagoma addormentata del fidanzato – Louis non sa mai.
 
quattro,
 
È tardo pomeriggio quando Louis rivela al giovane francese quanto accaduto quella notte tra lui e Isabelle, racconta fingendo sensi di colpa e ingoiando euforia, racconta reprimendo il desiderio smodato di correre da lei e chiederle di tornare, restare, provare – illuso.
 
Sei una stupida se credi voglia ancora qualcosa da te.”
Tu m’aimes.”
In quel caso lo stupido sarei io.”
Non mentire anche a te stesso.”
 
Louis la saluta senza guardarla in viso, il suo profumo incastrato nella pelle, la sua voce a sussurragli un perdono di cui non sente il bisogno – via. Le ultime parole che le rivolge sono imbevute di veleno, la speranza di averle distrutto l’equilibrio e crepato almeno un po’ il cuore – meschino.
 
Isabelle è immobile accanto alla Passaporta, troppo precaria per muovere passi con troppe crepe strette al petto – Louis è già altrove.
 
cinque,
 
Louis è in spiaggia, rannicchiato in se stesso a osservare il mare notturno inaspettatamente calmo, assiste in silenzio alle onde impercettibili che si trascinano in riva mentre il silenzio assiste lui, i suoi pensieri confusi, la sua rivalsa insapore, i suoi sentimenti scomparsi – pieno. È quasi l’alba quando gli ritorna in mente una delle prime conversazioni con Isabelle, una di quelle che lui non è stato capace di comprendere: parlava di sensi, lei, diceva che l’essere umano ne ha cinque di appariscenti – vista udito olfatto gusto tatto – e diceva di non riuscire a viverne nessuno sino in fondo, che tutto si ferma sempre in superficie e la forza a rincorrere sempre nuovi orizzonti – vuota.
 
Cosa significa che non ti resta niente?”
Che tutto dura sempre troppo poco.”
Perché ti annoi in fretta?”
No… io… non so restare, e quando vado via non so tornare.”
Non ti capisco, ci provo, ma…”
Non importa. Però tu non farlo.”
Cosa?”
Forzati di restare, anche quando fa male.”
E se sono già andato via?”
Allora torna, lascia che entrino.”
Le delusioni?”
Le emozioni, Louis.”
 
Uno, due, tre, quattro, cinque sensi – Louis li sente tutti quell’estate e quel maggio andato, e sente le emozioni risvegliate e luoghi abbandonati in cui tornare.
Forse è già tutto perduto, forse non lo è ancora.
 
~
 
Isabelle è sdraiata sul letto quando la sua civetta le ticchetta la mano per porgerle una missiva, riconosce la grafia di zia Fleur alla prima sillaba e fagocita svelta tutte le altre: Louis ha spento tutti i sensi e lei si domanda se abbia imparato a tornare, insistere, restare – lasciarle entrare.
 




 
NdA: i dialoghi allineati a destra sono ambientati nel passato, i primi due risalgono al Natale alla Tana dove Isabelle e Lorcan consumano un amplesso e l’ultimo all’agosto 2021, quello che Louis trascorre insieme a Isabelle; l’ultimo capoverso si proietta in avanti, al tempo dell’Ombra e di Louis in coma. Louis racconta a Rose, sia pure a modo suo!, l’episodio narrato qui nel Capitolo Sedici. Mi rendo conto di essere sempre molto criptica quando accenno a Isabelle, ma è un personaggio cui tengo molto e che sento di condividere a piccoli passi (nel caso qualcuno non seguisse la mia long, specifico che si tratta di una mia OC).
Il racconto è scritto su ispirazione del prompt propostomi da blackjessamine nel contesto di un gioco di scrittura (Louis/Isabelle ~ Come Back ossia scrivere di un personaggio che chiede all’altro di ritornare).
Grazie a chiunque abbia letto. ❤

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Capitolo 15
*** Promesso ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Ventitré della longfic.
 
 

A Sofifi
 

Promesso
 
Novembre 2022
 
New York è un luogo caotico, sa di tante cose tutte assieme, Lysander ha spesso la sensazione di perdersi in quel caos – un labirinto gigantesco e troppo fitto per riuscire a ritrovarsi.
Anche ora, mentre cammina su uno dei tanti marciapiedi affollati da babbani, mentre veicoli di ogni sorta inquinano le strade, mentre voci di negozi, caffetterie, ristoranti si confondono tra loro, lui si sforza di non lasciarsi inghiottire dalle tante cose tutte assieme.
Arriva a destinazione con quasi un’ora di ritardo, lo sguardo allucinato e il fiatone. Gwenda è già seduta a uno dei tavoli del pub, ha tra le mani uno degli affari babbani che tanto ama – un tablet, crede, a lei piace leggerci cose lì dentro – e ha già ordinato qualcosa da mangiare. Trae un gran respiro prima di avvicinarla, consapevole di dover affrontare una dura battaglia.
“Ehi, scusa il ritardo.”
Gwenda solleva gli occhi su di lui all’istante, gli sorride e con cenno sbrigativo lo invita a sedersi.
“Non essere stupido,” dice mentre mette via il tablet, “già sapevo che ti saresti perso, per questo mi sono portata cose da fare e sto già mangiando, ero sicurissima che avresti sbagliato almeno un paio di incroci! Sei talmente imbranato tra i no-mag!”
Lysander crede di essere imbranato anche tra la sua gente, ma preferisce trattenere questo pensiero e rispondere con un semplice sorriso al solito fiume in piena di Gwenda.
“Hai ordinato anche per me?” chiede fissando diffidente il cheeseburger intatto.
“Certo che l’ho fatto, è arrivato cinque minuti fa, giusto in tempo! E ti ho preso anche queste,” aggiunge allungandogli una porzione troppo abbondante di patatine fritte, “e da bere, ovviamente! No-mag, ma analcolica, giuro!”
Lysander occhieggia la bevanda scura e frizzante che ha già avuto modo di bere, passa poi in rassegna tutto il resto e una smorfia diffidente gli contorce il viso – tutto quello ha un gusto buono, ma l’ultima volta che l’ha bevuto e mangiato non è stato poi così bene le ore successive.
“Mi appesantisce questa roba.”
“Non hai ottant’anni, Lys, puoi sopravvivere a coca-cola e patatine fritte! Dai, mangia, ché tanto è inutile che parli, non ho nessuna intenzione di cambiare idea.”
Lysander si morde la lingua per non rifilarle una rispostaccia – è di pessimo umore, davvero pessimo – e sedutosi decide di dare un paio di morsi al cheeseburger, bere un sorso di coca-cola, fingere di essere lì per il solo piacere di trascorrere qualche ora in compagnia di un’amica.
Vorrebbe tornare indietro.
Al processo o a quella notte, non ha importanza, purché sia indietro, prima, quando ancora nessun tassello era al suo posto ed Erebos era qualcosa di totalmente sconosciuto e inoffensivo.
Hanno sbagliato tutto.
Senza saperlo, per giunta, troppo ignari o troppo sciocchi per capire di essersi immischiati nel destino del mondo intero. Si ripete da giorni che nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare che delle scelte sbagliate avessero conseguenze così enormi – se ripensa al se stesso di quest’estate non prova che pena mista a rabbia per quel ragazzo convinto che il problema più grande fosse la spericolatezza del proprio gemello.
“Tu non verrai con me.”
Gwenda distoglie lo sguardo dal tablet senza stupore, a Lysander è sufficiente incrociarne gli occhi per capire che stesse aspettando quell’offensiva.
“Non lo farai,” insiste allora. “Non cambierò idea.”
“Parli come se ti avessi chiesto il permesso.”
“Non rigirare il discorso, non è il momento per i tuoi monologhi.”
“Sei tu a rigirare il discorso, ragazzo europeo. Non te l’ho mai chiesto, te l’ho detto e basta. È una decisione mia, non tua.”
“Ti rendi conto di cosa rischi? Questo non è un gioco, Gwenda, non è una ricerca, non è niente di quello che ti sei messa in testa. Lì non sarà come qui, rischieremo, possiamo morire. Lo capisci?”
“È questo che pensi? Che mi sia messa in testa di fare un allegro viaggio insieme? Non sono io a fingere di non vedere la gravità delle cose, Lys, non rigirare su di me i tuoi errori.”
“Wow,” sbotta amaro. “Il giorno è arrivato, dopotutto.”
“Non hai capito, io…”
“Ho capito benissimo e sai anche di avere ragione, tutto quello che sta succedendo è colpa mia.”
“Quanto sei idiota.”
Un botta e risposta così rapido da lasciare Lysander con la sensazione di aver detto troppo senza concludere nulla e Gwenda con la consapevolezza di aver solo sfiorato la punta dell’iceberg.
Si fissano per alcuni istanti senza dire altro, a raggiungerli è il chiacchiericcio delle sagome intorno a loro, il rumoreggiare di cibi masticati e di risate sguaiate – d’un tratto ogni cosa sembra divenire lercia.
Gwenda ruba qualche patatina dal piatto di Lysander, mangia lenta e in apparenza sposta l’attenzione su chiunque non sia lui. Lysander la osserva trattenendo il respiro e formulando più e più ipotesi su cosa le stia passando per la testa – se debba riaprire il discorso o addirittura alzarsi e andare via; probabilmente Lorcan gli direbbe di andarsene perché ha già messo in chiaro la sua posizione.
“Parlavo di tuo fratello.”
“Cosa?”
“Quando ho detto che fingi di non vedere le cose gravi,” spiega quieta, “parlavo di tuo fratello, di quello che ti ha fatto… Non riesci a fargliene una colpa e non capisco come fai.”
“Ma non è così… Io riconosco ogni errore di Lorcan, e lui lo sa bene, solo che a differenza tua lo conosco e so che non voleva mettermi nei guai.”
“Però l’ha fatto, sei stato espulso al suo posto.”
“Lui non pensa questo, nessuno doveva essere espulso… Non puoi capire perché non sai come ragiona.”
“Gli vuoi solo troppo bene.”
“Lo dici perché non lo conosci e non ci conosci, non sai come siamo insieme.”
“E come siete?”
“Uniti, anche quando scegliamo parti diverse. Tu non lo conosci,” ripete, “Lor non è quello che pensi tu, e mi vuole bene.”
Gwenda non è abituata a non avere parole sulla punta della lingua, eppure si rifugia una volta ancora nel silenzio, riflettendo sulla difesa a oltranza di Lysander, su ciò che li aspetta dall’altra parte del mondo, su quanta ragione possa avere lui e quanta ne abbia lei.
“Non voglio venire con te solo per la ricerca, è che non voglio lasciarti solo.”
“Non sarò solo, lì ci sarà…”
“Tuo fratello, lo so,” l’anticipa. “Ma Lorcan è a scuola, forse riuscirai a incontrarlo ma non potrà restare con te.”
“Non ho bisogno della balia, Gwenda.”
“Diventi scontroso quando si parla del tuo gemello, lo sai?” chiede retorica, camuffando con l’ironia una piccola verità – ha notato anche in altre occasioni che su Lysander pressa il bisogno costante di difendere il fratello da accuse, come se fosse abituato da tutta la vita a farlo. “Sto cercando di dirti che voglio portare a termine quello che ho iniziato. È da pazzi seguirti, lo riconosco, ma io non ho mai detto di non essere pazza e sono assolutamente certa di non essere… inquadrata.
“Inquadrata?”
“La variante più carina di normale?” tenta con un sorriso. “Insomma, ho sempre fatto tutto a modo mio, anche se per gli altri non aveva senso, un po’ come fai tu… Quindi non mi importa cosa pensi tu, cosa pensa Mortimer e cosa pensa chiunque altro, io so di volerti aiutare, voglio esserci quando affronterai quel mostro. E va bene rischiare, sono disposta a rischiare per qual-cosa che… che per me è importante.”
Lysander continua ad avere la sensazione che gli sfuggano pezzi di puzzle, il perché lei voglia seguirlo – ogni parola messa in fila da Gwenda non fa altro che generare in lui altra confusione e rafforzare l’idea che la ragazza stia prendendo d’impulso una decisione che dovrebbe essere solo razionale. Nessuna ricerca, nessuna professione o ambizione, può valere così tanto.
“Hai capito adesso?”
Gwenda insiste con un sorriso divertito e lui si domanda se in fondo non sappia di aver solo accresciuto i dubbi.
Al di là di ogni perplessità, però, deve ammettere almeno a se stesso che a spiccare è la certezza che quell’americana appena conosciuta, ancora una volta, gli stia offrendo non solo un aiuto, ma anche un’alleata su cui fare affidamento. E in lui, cresciuto con la convinzione di potersi fidare totalmente solo della propria famiglia, questa consapevolezza genera un calore rassicurato e rassicurante – un abbraccio confortevole.
“Sei sicura?”
“Non ti rispiego tutto da capo, rompipluffe britannico!”
“Ora sono anche un rompipluffe?”
“Certamente! Mi hai costretta a dirti tutta questa cosa noiosa solo perché devi fare il difficile! Mortimer rompe meno di te, capisci quanto è tragica la tua situazione?!”
Lysander sbuffa una risata e dà un altro paio di morsi al cheesburger per racimolare tempo utile a dirle un’ultima cosa – e Gwenda forse lo capisce, perché mangiucchia anche lei qualcosa senza aggiungere altro.
“Fammi almeno una promessa, allora,” mormora fuggendo il suo sguardo. “Se le cose si mettono veramente male, promettimi che torni a casa.”
“Non sarebbe più intelligente chiedere aiuto, a quel punto?”
“Gwenda…”
Lei solleva le labbra in un sorriso stanco, ma decide di annuire e allungare le mani sino a quelle di Lysander per richiamare i suoi occhi su di sé.
“Va bene.”
“Promesso?”
“Promesso.”
 
~
 
Ore, giorni, mesi o forse anni dopo
 
“C’è una cosa che non mi hai mai chiesto, Lys: quanto io creda alla parola promesso.”
Se parli a una sagoma, a un’ombra o a se stessa non è più chiaro neanche a Gwenda.
 
 




 
 

Note dell’autrice: il missing moments è scritto su ispirazione del prompt (che non ho rispettato alla lettera, ne sono consapevole) propostomi da Sofifi (Gwenda/Lysander ~ Important ossia un personaggio che spiega perché l’altro è così importante per lui/lei) nel contesto di un gioco di scrittura.
Questo è un vero e proprio momento mancante che in origine avrei voluto inserire come flashback in uno dei capitoli dal Venti in poi – per evitare di allungare ulteriormente i capitoli, però, ho poi deciso di ometterlo. L’ultima parte, quelle poche righe introdotte da “Ore, giorni, mesi o forse anni dopo”, richiamano il riferimento temporale con cui si apre il Capitolo Venti (e fa riferimento all’inedito Capitolo Ventiquattro, ebbene sì).
So che non aggiorno la long da tantissimo tempo e proprio per questo non voglio darvi date o indicazioni di aggiornamento, ma sappiate che niente è abbandonato e anzi sono riuscita a riaprire il file word (questo missing moments, in particolare, è proprio uno stralcio di capitolo che spero sia piaciuto a chiunque l’abbia letto).
Un abbraccio e grazie sempre di tutto. ❤

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Capitolo 16
*** Vita da Capitano ***


Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Diciotto della longfic.
 
 

Buon anno (anche da parte di Louis!) ❤
 

Vita da Capitano
 
Settembre 2020
 
L’aria al Campo di Quidditch ha una consistenza diversa, sembra riuscire a penetrare nelle ossa e acuire ogni senso – Louis crede di essersene innamorato sin dalla prima partita cui ha assistito, giorno in cui ricorda di aver deciso che a Hogwarts avrebbe vestito la divisa della propria Casa e sarebbe sceso in campo.
Non crede che lo sport possa rappresentare un futuro professionale per lui, ha sempre covato altre ambizioni e altri interessi, ma finché è a scuola ha tutta l’intenzione di viverlo sino in fondo e ottenere ogni soddisfazione possibile.
Capitano.
Quando ha vuotato la missiva di Hogwarts e vi ha rinvenuto la spilla di Capitano oltre a quella di Prefetto non ne è stato sorpreso, ma questo non ha offuscato la straordinaria felicità provata, un miscuglio di soddisfazione e gioia raramente sperimentato in precedenza. Ricorda di averle mostrate con orgoglio ai genitori, alle sorelle e di essere corso a infilare la testa nel camino per annunciarle a James; le ha poi portate con sé alla Tana per sfoggiarle in presenza dell’intera famiglia, lasciandosi adulare e viziare da complimenti e regali.
La prima persona amica a sapere delle sue nomine è stata Amanda, cui la sera stessa ha indirizzato un gufo con la foto delle spille indossate e un beffardo «Te l’avevo detto che il Capitano sarei stato io!» – ha riso di gusto quando l’indomani è stato svegliato dalla civetta dispettosa di Amanda, che tra le zampe non ha recato altro se non il palese ordine della ragazza di beccargli la testa.
Fare ritorno a Hogwarts è stato più bello degli altri anni, custodirà gelosamente i ricordi delle sensazioni provate nel riaffacciarsi alla vita scolastica con la consapevolezza di essere riuscito a fare un passo in più verso la realizzazione di sogni e obiettivi.
La sola ombra che sente pressargli addosso è quel Fight Club che non ha ancora visto la luce e che teme possa incrinare irrimediabilmente il rapporto con James, ormai a un soffio dal punto di rottura – e detesta tutto di questa situazione, davvero tutto, soprattutto quando ragiona su cose dette e fatte e si rende conto che il reale problema tra lui e il cugino ha un nome e cognome, la presenza più ingombrante che possa esistere.
“Eccola.”
L’attenzione di Louis si concentra tutta sul Campo al richiamo di Amanda, dove ha fatto la sua comparsa Alexandra Boot, Capitano della squadra Corvonero, per dare il via ai provini di Quidditch della sua Casa – la distanza è tale da non riuscire a sentire quali parole stia rivolgendo agli aspiranti giocatori, così si limita ad apprezzarne l’aria sicura e autoritaria che induce gran parte della popolazione studentesca ad avvertire una scomoda sensazione di soggezione in sua presenza.
“Non sapevo niente di Lorcan, tu?”
“James dice che non è interessato, fa compagnia al fratello.”
“Spero sia vero.”
“Non lo vuoi tra i piedi?”
“A me è indifferente, sei tu che non lo vuoi tra i piedi.”
Louis incassa senza negare e Amanda, seduta accanto a lui, ne sbircia l’espressione che per un istante si fa tesa.
“Doverlo sopportare anche alle partite non sarebbe il massimo, ma ormai sono abituato, me lo ritrovo ovunque.”
“Succede a tutti di ritrovarsi tra i piedi gente antipatica, ma tu ne fai una tragedia.”
“E chi sarebbe la tua gente antipatica?”
Amanda inarca le sopracciglia e Louis abbozza un sorriso sghembo, sanno entrambi che lui ha deciso di indirizzare il discorso altrove, restio a lasciarsi andare a confidenze che giudica troppo intime.
“Ariana Paciock, ad esempio,” risponde allora lei, l’aria furba e una risata mal trattenuta. “Sai perché me la ritrovo ovunque?!”
Touché,” ghigna Louis. “A lei tu piaci.”
“A lei piacciono tutti, non so se sia ingenuità o ipocrisia.”
“Quanto sei malpensante, Baston!”
“Mai più di te, Capitano!”
Ridono insieme e Louis fa un fischio di approvazione a un lancio della Cacciatrice che testa gli aspiranti portieri per il solo gusto di indispettire Amanda.
“Ti accontenti di poco,” borbotta infatti lei. “Io sono molto più brava.”
“E molto permalosa.”
“Stronzo.”
Louis le pizzica scherzoso un fianco, ridendo quando lei sobbalza colta dal solletico – si accorge di James e Rose seduti poco distanti solo in quel momento, e fa un cenno a entrambi che viene subito ricambiato dal cugino, il quale allunga qualche passo per finirgli seduto vicino.
“Non ti avevo proprio visto,” dice James.
“Io sì, ma non ho detto niente,” puntualizza divertita Rose. “Come lo sopporti?” chiede poi ad Amanda.
“Non lo sopporto, è tutta finzione!”
“So che mi amate tutte, potete anche ammetterlo!” si intromette Louis.
E se Rose alza gli occhi al cielo, Amanda sposta lo sguardo sugli aspiranti giocatori. James, l’aria divertita, rifila una spallata al cugino.
“Spii la concorrenza?”
“Un buon Capitano deve conoscere i suoi avversari,” conferma. “Tu invece? Paura che Scamander precipiti?”
“Ha chiesto a Rosie di venire e lei ha trascinato me. Avevamo altro da fare, lo sai,” aggiunge, abbassando man mano il tono di voce. “Lysander mi sta sempre più sul cazzo, ha passato la giornata a cercare di fargli cambiare idea su sai-cosa.”
Louis si irrigidisce e aspetta trascorra qualche istante prima di rispondere, qualcosa gli suggerisce che parlare di istinto significherebbe sbottare.
“Quindi ti sto sul cazzo anche io?” Va bene, forse aspettare non ha portato con sé grande giudizio. “Perché anch’io cerco di farti cambiare idea.”
“Non… non ho detto questo, non metterti sullo stesso piano di quello.”
Che James sia sorpreso da quella associazione, che sul serio dentro di lui non l’abbia fatta, Louis lo capisce semplicemente guardandolo, e se questo da un lato lo irrita comunque – perché i fatti sono fatti, e i fatti dicono che lui e Lysander hanno la stessa opinione del Fight Club –, dall’altro lato lo rassicura – perché i fatti sono sempre fatti, e sempre i fatti dicono che James seguita a considerarlo il suo migliore amico, il cui parere ha valore e importanza.
Tuttavia non hanno modo di approfondire ulteriormente quel discorso, perché Rose chiede a James di tornare ai loro posti sostenendo di riuscire a seguire meglio Lorcan da lì, e James la accontenta.
“Cosa succede tra te e James?” chiede Amanda non appena restano soli. “Sembrate tesi.”
Louis si stringe nelle spalle e scuote la testa.
“Lui e Scamander stanno organizzando una cosa che a me non piace.”
“E cos’è?”
“Non posso dirtelo, non avrei neanche dovuto dirti che hanno qualcosa in mente.”
“Non lo dico a nessuno.”
“Lo so, mi fido.”
Amanda assume l’espressione tipica di chi avrebbe molto da controbattere su quanto appena sentito, ma Louis la vede tacere e volgere una volta ancora l’attenzione ai provini.
“Lysander non vola affatto male, lo immaginavo impacciato.”
“Si è allenato tutta l’estate, almeno così dice il fratello. Comunque, Baston, devo farti una proposta!”
“Sono troppo giovane per sposarmi, ma grazie del pensiero.”
Louis sbarra gli occhi allucinato e Amanda scoppia a ridere, trascinando anche lui con sé dopo l’istante di disorientamento.
“Ti voglio come mia Vice,” afferma Louis. “Ci stai?”
“Sul serio? Io e non Roxanne?”
“Cosa c’entra Roxanne?”
“È tua cugina.”
“E allora?”
“E allora tu sei di parte quando si tratta della tua famiglia, e non negarlo con me.”
“Non ho nessuna intenzione di negarlo,” dice sereno. “Ma tu sei mia amica e sei la migliore giocatrice che ho in squadra. Avresti potuto averla anche tu la nomina a Capitano, lo sappiamo entrambi, quindi ti voglio come Vice.”
Amanda non nasconde un sorriso smagliante, Louis nel ricambiarlo si volta verso di lei e le fa un cenno di assenso che lei contraccambia svelta.
“Siamo d’accordo,” conferma il Capitano. “Pesky dovrà incassare anche questo,” sghignazza.
“Insopportabile,” s’accoda lei. “Possiamo cacciarlo dalla squadra?”
“Se troviamo un portiere migliore… Cosa difficile, le para tutte.”
“Pensa se Neville avesse nominato lui Capitano, avrei lasciato la squadra.”
“Lo sa anche lui che è un coglione, non l’avrà neanche preso in considerazione, anche se è in squadra da più tempo di noi.”
“Fred non giocherà proprio, quindi?”
“Già ti manca?” scherza malizioso. “Sarebbe felice di saperlo.”
“Non mettergli strane idee in testa, ne ha già troppe.”
Louis non nasconde la risata divertita. Amanda distoglie di nuovo l’attenzione da lui per osservare gli aspiranti in volo – sul volto un’ombra che il ragazzo vede calare e svanire in un istante, come se lei l’avesse scacciata a forza –; riporta lo sguardo sull’amico solo quando un suo braccio la stringe in un abbraccio inaspettato, poggia allora la testa sulla sua spalla mentre si rincorrono attimi di silenzio.
“Fred non può giocare, comunque, per contratto non può. Ci servirà un nuovo Battitore.”
“Gli altri pensi di confermarli tutti?”
“Pesky è bravo, tu, Roxanne e Steve anche, e Brandon lo scorso hanno non è parso insignificante in coppia con Fred, quindi direi che manca davvero solo un Battitore.”
Louis non aggiunge di aver chiesto a James di sostenere il provino e di aver incassato il rifiuto, tuttavia irritatosi al solo pensiero si raddrizza e strofina le mani tra loro – e lo sente, lo sguardo interrogativo di Amanda su di sé, ma sceglie di ignorarlo e non condividere inquietudine alcuna.
Quando si allontanano dal Campo manca ormai poco alla cena ed entrambi ridono del provino disastroso sostenuto da Lorcan – Louis si esibisce persino in qualche imitazione mentre rientrano al Castello.
“Che avete da ridere?”
Amanda intravede Dean prima ancora di Louis e lo saluta con una smorfia.
“Scamander ha fatto il peggior provino di sempre,” risponde entusiasta Louis. “Avresti dovuto vederlo, una frana!”
Dean scuote il capo ridendo e si affianca ai due.
“Ti cercavo, volevo parlarti proprio di Quidditch.”
“Non ti vogliamo in squadra!”
“Ci serve un Battitore!”
E se Louis e Amanda parlano in contemporanea, Dean sceglie di ignorare la ragazza per soffermarsi sul Capitano.
“Voglio fare il provino,” dice svelto. “L’anno scorso ero troppo insicuro per provarci, ma quest’anno… Poi ci sei tu, questa cosa mi tranquillizza.”
“Allora è deciso!”
“Non è deciso proprio niente,” si intromette Amanda. “Sono la tua Vice e lui mi è antipatico.”
Tu sei la sua Vice?” sbotta Dean. “Come ti ha convinto?”
“Per tua informazione, è stato lui a dover convincere me.”
Louis inarca le sopracciglia a questa affermazione, ma non contraddice Amanda, anzi sceglie di godersi il battibecco facendo vagare gli occhi chiari dall’una all’altro – se avesse anche qualcosa da sgranocchiare, sarebbe ancora più divertente. Quando ad aggiungersi a loro sono anche Roxanne e Brandon, ha davvero la sensazione di avere la squadra più bella di sempre con persone che apprezza e con le quali gli piace condividere tempo e momenti.
Forse, si dice, può anche accantonare il rifiuto di James a entrare in squadra. Forse, si dice, le mancanze si possono colmare.
Forse, però, perché non ha nessuna certezza eccetto una: essere Capitano è bellissimo e questo sarà il suo anno, malgrado tutto – compresa quella sconosciuta sensazione di vuoto che da qualche tempo lo sorprende a tradimento e che proprio non sa spiegarsi.






 
NdA: mi sembra di buon auspicio inaugurare l’anno scrivendo e pubblicando un missing moments di Paradiso perduto, dunque ecco questo piccolo momento che spero sia piaciuto a chiunque l’abbia letto – consideratelo “l’altra faccia” di Della volta in cui Lysander superò Lorcan, qui seguiamo Louis anziché i gemelli!
Piccoli dettagli sulla squadra di Quidditch Grifondoro che non ricordo se abbia avuto modo di citare altrove: Louis e Amanda entrano in squadra al loro terzo anno, mentre Brandon e Roxanne al loro quarto anno (tutti scelti da Fred); Dean si unirà al suo quinto anno, scelto da Louis. Hugo e Lily si uniranno al loro terzo anno, sempre scelti da Louis, ma nel suo secondo anno da Capitano.
Un abbraccio.
 

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