Hence Nothing Remains, Except for our Regrets di Mary Rosemary (/viewuser.php?uid=749570)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione: We might be dead by tomorrow ***
Capitolo 2: *** II. Funeral of Hearts ***
Capitolo 3: *** III. Fade to Black ***
Capitolo 4: *** IV. Great Expectations ***
Capitolo 5: *** V. Goodbye ***
Capitolo 6: *** VI. Dark Paradise ***
Capitolo 7: *** VII. The Long and Winding Road ***
Capitolo 8: *** VIII. Glowing Eyes ***
Capitolo 9: *** IX. Issues ***
Capitolo 1 *** Introduzione: We might be dead by tomorrow ***
Hence
Nothing Remains,
Except
for our Regrets
“Give
me all your love now, 'cause for all we know we might be dead by
tomorrow”
We
Might Be Dead by Tomorrow - Soko
L'occhio
si abitua abbastanza in fretta all'oscurità: dopo i primi
attimi di
confusione e smarrimento comincia a delineare le sagome di oggetti,
persone ed animali. Poco a poco i colori si fanno strada nel buio e,
seppur alle volte falsati o poco riconoscibili, vengono colti.
La
pupilla si dilata fino a raggiungere la propria massima espansione,
necessitando sempre meno del sole, del quale a lungo termine non
potrebbe fare a meno. Dopo almeno un minuto l'organo visivo si trova
in grado di orientarsi nei prossimi dintorni; molto prossimi
tuttavia, ridotti a qualche metro oltre i propri piedi.
Il
cervello elabora le immagini, le riconosce in millesimi di secondi e
facilita di parecchio la comprensione dell'ambiente.
Tecna
sapeva perfettamente che nell'oscurità andare in panico
fosse
completamente inutile; un respiro particolarmente affannoso le
avrebbe fatto inalare il velo di polvere che ricopriva la zona
– lo
vedeva fluttuare attraverso gli spiragli di luce provenienti
dall'esterno.
Così
cercò di restare calma, sollevando lentamente il busto e
liberandosi
da vetri e calcinacci che doveva aver urtato durante il suo brusco
risveglio. Di certo sanguinava, ma le ferite non potevano che essere
trascurabili.
Al
momento le sue priorità erano altre.
Seppur
avesse eseguito l'intera procedura in maniera perfetta, senza
tralasciare alcun dettaglio, non aveva ottenuto il risultato sperato;
in verità non ci era andata neppure vicina. Non doveva
decisamente
andare in tale modo, neanche nella peggiore dell'eventualità.
Che
avesse creato uno squarcio spazio-temporale nel momento della sua
partenza?
In
ogni caso, se ciò fosse stata vera, avrebbe provato sulla
propria
pelle la sensazione di essere attratta da una gravità
maggiore a
quella a cui era abituata nell'attimo del trasferimento del proprio
corpo: inoltre aveva iniziato il viaggio con le sue fidate compagne,
nella scarsa credibilità dell'ipotesi avrebbero dovuto
risvegliarsi
con lei.
Invece
a farle compagnia era solamente il silenzio.
Com'era
possibile? Che avesse fatto un errore di calcolo?
Le
apparenze dovevano averla ingannata più del previsto; eppure
aveva
prestato particolarmente attenzione alla sicurezza del procedimento,
per evitare appunto spiacevoli sorprese. Per tale motivo il luogo in
cui si trovava, così come le emozioni che le trasmetteva,
non aveva
un minimo nesso logico con ciò che aveva tenuto da conto.
Nonostante
non fosse mai stata in un edificio simile sentiva crescere dentro di
sé uno strano ed ingiustificato legame affettivo; nelle
pause fra i
brevi e faticosi respiri i dintorni avevano una parvenza di
famigliarità, una fine aroma che avrebbe potuto etichettare
come
'casa'.
Tuttavia
non apparteneva a tale distopico mondo, né l'aveva mai
visitato
prima di allora. E non riusciva ad ignorare la fastidiosa nausea che
l'aveva posseduta tutto d'un tratto, una reazione corporea portata
dalla condizione mentale di deja-vu in cui era
caduta.
Per
una persona come la fata della tecnologia era terribile non trovare
una risposta ragionevole a ciò che le stava accadendo: i
dubbi si
accumulavano nel suo selettivo organo cerebrale, privandola anche di
un singolo momento di pace.
Perché?
Il
suo piano avrebbe dovuto migliorare il presente, non deformarlo fino
a tal punto; intervenire nel corso del tempo aveva i propri rischi
per chi non ne fosse pienamente consapevole, ma lei lo era. E lo era
stata anche nel modificare la causa di due anni e mezzo di guai, con
la certezza che un fallimento di gravità simile non sarebbe
stato
che lo 0,0001% dei casi.
Forse
non aveva considerato tutte le possibilità, oppure non
avrebbe
potuto farlo; c'era qualcosa che mancava, qualcosa che non sarebbe
mai arrivata a conoscere senza un'approfondita ricerca nel passato
dei soggetti che aveva deciso di considerare.
In
ogni caso risultava troppo tardi per piangere sul latte versato.
Avrebbe
ponderato le proprie idee sul da farsi e le avrebbe esposte alle
altre: sempre che fosse riuscita a trovarle in tempo.
Una
volta messi a fuoco i dintorni Aisha poté constatare che non
fosse
cambiato molto da ciò che ricordava. Alcuni fatti sarebbero
per
forza dovuti cambiare, ma personalmente si sarebbe aspettata qualcosa
di molto peggio.
Il
villaggio delle Pixie si era mostrato davanti ai suoi occhi
esattamente come lo ricordava: almeno, nonostante qualche modifica
per apportare miglioramenti, le sensazioni di sicurezza e calore
rimanevano le stesse. Il silenzio notturno era leggero quanto una
piuma e scivolava sulla scura pelle della fata con la delicatezza
della seta; le piccole fate erano tutte a riposo e non le andava di
disturbarle facendo loro delle all'apparenza insensate domande.
Se
voleva sapere le bastava uscire dal villaggio e capire da sola cosa
fosse successo modificando un solo, ma fondamentale evento.
Così,
senza rifletterci troppo, si alzò facendo meno rumore
possibile,
raccogliendo nell'intanto lo zaino con il minimo indispensabile che
si era portata per il viaggio – una borraccia piena, qualche
barretta energetica e della carne secca, il tutto ben contestato
dalle altre cinque fate nel momento in cui aveva deciso di portare
tali cose – per poi avviarsi all'uscita. Non era solitamente
problematico per lei trovarla, in quanto negli ultimi tempi aveva
passato più giorni lì che al palazzo di Andros;
tuttavia, seguendo
la strada che aveva sempre percorso, si trovò di fronte ad
una
spessa barriera magica.
Esso
fu il primo dettaglio a farle accrescere dei consistenti dubbi
sull'invariabilità di un presente dove lei stessa non avesse
mai
frequentato Alfea ed incontrato le proprie nemiche: sembrava troppo
strano che le Pixie avessero alzato le difese in tale maniera in
assenza di un imminente pericolo, come potevano essere le streghe.
Che
le avessero anticipate?
Sembrava
improbabile, non avrebbero mai potuto venir a conoscenza di una
strategia estrema per eliminare il problema alla radice come la loro.
Se le altre sei avessero seguito il suo consiglio – a parer
suo
toglierle completamente di mezzo era la scelta migliore –
forse
ogni cosa sarebbe andata ancora meglio. Era comunque presto per
giudicare il mondo, del quale vedeva solo qualche misero metro
quadrato: vi erano molti motivi per cui le piccole fate ricorrevano a
chiudere la barriera, come ad esempio l'abbassamento della
temperatura nelle rigide notti invernali, che impediva loro di
preservare il fiore atto a far prosperare l'intero popolo; tuttavia
non avevano mai usato tanto potere per proteggersi.
Qualsiasi
cosa ci fosse al di fuori del villaggio sarebbe stata migliore se le
streghe fossero morte.
E
se fosse stata peggiore?
Aisha
scosse leggermente la testa: da quando si perdeva in pensieri inutili
prima di agire? Per scoprire di cosa o di chi le
Pixie
avessero paura era sufficiente varcare ciò che la separava
dal mondo
esterno. E stava per farlo, se non si fosse accorta che qualcuno
l'aveva raggiunta alle sue spalle.
“Aisha,
cosa ci fai ancora sveglia?” nel solo udirne la voce
riuscì
immediatamente a riconoscere Lockette, e di certo non avrebbe sperato
in fortuna migliore: sarebbe stata in grado di aprirle una fenditura
nella barriera senza andare a distruggerla completamente, lasciandola
uscire a perlustrare l'esterno.
“Pensavo
di andare a controllare la situazione là fuori.”
“Aisha,
no! – l'inaspettato cambio di atteggiamento della piccola
fata la
mise in allerta – Lo sai che è
pericoloso… Noi non usciamo dal
nostro villaggio da anni ormai, là fuori non è
rimasto nulla per
noi.”
Tale
affermazione le aveva fatto mancare il respiro per qualche attimo:
cosa significava?
Per
la prima volta nella sua breve vita sentiva di non avere il coraggio
per chiedere spiegazioni, né per rimanere in una situazione
di
stallo senza sapere. Eppure le sue gambe restavano immobili, rigide,
i piedi inchiodati al suolo.
I
pensieri riguardanti la barriera che aveva formulato in precedenza
tornarono a prendere prepotentemente possesso della sua mente,
portandola ad immaginare come poteva essere un mondo talmente
inospitale da spingere un intero popolo a chiudersi nel proprio
villaggio per un così lungo periodo di tempo.
Non
era molto brava a figurare i luoghi, ma anche quel poco che riusciva
a vedere la aiutava a spronarsi dalla propria posizione eretta.
“Non
voglio chiederti spiegazioni – cominciò,
acquistando sicurezza ad
ogni parola pronunciata – ma devo vederlo con i miei occhi.
Non
tornerò presto, ma so difendermi, quindi non dovete
preoccuparvi
troppo per me, okay?” e prese un passo in avanti, alzando una
mano
verso la barriera.
“Devo
uscire ad ogni costo, Lockette. Aprirmi un varco ti costerebbe meno
energia che a ricostruire tutta la barriera.”
La
Pixie, non ancora del tutto convinta, prese la chiave che portava
sempre con sé: non aveva altra scelta se non farla passare,
non
avrebbe rischiato l'incolumità del proprio popolo
perché non voleva
accontentarla. Uno scuro squarcio si aprì nella notte che
circondava
il piccolo villaggio, mostrando qualche accenno di secco terreno,
così in contrasto con la rigogliosa erba sulla quale
poggiava Aisha.
Senza
una parola si mosse ad attraversarlo, trattenendo il respiro come
prima d'immergersi sott'acqua. Non se ne pentì, ma
ciò che vide fu
molto peggio dell'alternativa più terribile a cui aveva
pensato.
L'opprimente
oscurità continuava a crescere e crescere, soffocando la
luce solare
in una coltre di nere nubi; alzare lo sguardo era a lei
pressoché
impossibile.
Concentrati
sui tuoi nemici continuava
a dirsi concentrati
su ciò che devi fare: poco
importava se il sole era scomparso, aveva il potere di fermare tale
disastro e non ne era minimamente spaventata.
Oppure
lo era?
Non
faceva altro che guardare la distruzione ai suoi piedi, la scarsa
illuminazione rifletteva ombre sanguigne sulle innumerevoli crepe
dell'asfalto. Soffocare il senso di terrore che aveva preso possesso
del suo cervello era talmente difficile da portarla quasi al
rinunciarvici; ma ancora una volta la sua determinazione la stava
salvando dal baratro.
Stella
non avrebbe potuto osservare in silenzio un orripilante spettacolo
come quello che aveva davanti senza alzare un dito per riportare
tutto alla normalità: il problema stava nel cosa
doveva
salvare?
Cos'era
esattamente l'ambiente in cui si trovava?
“Stella,
smettila di perdere tempo a guardarti le scarpe, abbiamo bisogno di
te qui.” a parlare fu Musa, che in pochi secondi l'aveva
raggiunta;
a differenza della bionda lei aveva tenuto ben alto lo sguardo fin da
subito.
“Dovrò
ricomprarle, guarda come sono ridotte.” rispose, nel
tentativo di
dare all'altra una parvenza di normalità. Il tono spento ed
il
leggero tremore della voce non giocarono esattamente a suo vantaggio,
decise quindi di accantonare la farsa per qualche istante.
“Ma
cos'è successo? Perché siamo qui e non a
Magix?”
L'asiatica
la guardò per un attimo prendendo qualche profondo ed
importante
respiro.
“Stella,
questo posto è Magix.” disse tutto d'un fiato,
indicandole alcuni
posti dove – in passato o nel vero presente? –
avevano trascorso
felici pomeriggi parlando del più e del meno. A lato della
strada,
dalle finestre sprangate e la grande vetrata in frantumi, giaceva
silente il bar che le streghe di Torrenuvola erano solite frequentare
per i loro aperitivi.
Qualcosa
doveva essere passato di lì non poco tempo prima, qualcosa
capace di
sradicare completamente i ricordi dalla memoria di chi passava da
tale luogo, lasciando solo un infelice senso di vuoto.
“Ma
non è possibile, noi abbiamo agito nel giusto! Di sicuro
è colpa di
quelle tre psicopatiche, ci avranno beccato e avranno deciso di farci
questo scherzo di pessimo gusto.”
“Non
lo so, anche io credo che noi non abbiamo fatto niente di sbagliato.
La Dimensione Magica aveva bisogno di riscattarsi ed essere un posto
migliore; però mi sembra quasi impossibile che se ne siano
accorte,
in fondo le uniche che si ricordano il presente per com'era prima
della missione siamo noi.”
La
fata del Sole e della Luna a tal punto allargò le braccia,
rivolgendo la propria attenzione alla strada che conosceva
così
bene, ma che non era in grado di riconoscere.
“Allora
com'è accaduto tutto questo? Una città bella come
Magix non diventa
inospitale da un momento all'altro!”
“Mi
ascolti quando parlo? – disse leggermente alterata la mora,
per poi
darsi un contegno. Non era decisamente né il luogo
né l'attimo per
mettersi a litigare con l'amica – Non ne ho idea di come sia
potuto
succedere. Ma credo che la cosa migliore, a questo punto, sia trovare
direttamente le Trix. Tu hai qualche idea?”
“Non
ho un'idea precisa, ma quando le abbiamo trovate erano qui in
città.
Di sicuro non sono andate tanto lontane.” e detto
ciò la bionda si
chinò a raccogliere la borsa, cadutale durante il non del
tutto
sicuro atterraggio.
“Stella,
non ti sei accorta di star sanguinando?” la
avvertì Musa, facendo
uno scatto per raggiungere l'amica e rivolgendo lo sguardo alle sue
ginocchia; Stella seguì il suo sguardo e storse leggermente
le
labbra, per poi estrarre il proprio cellulare dalla tasca posteriore
dei pantaloncini.
“Non
lo sai che i lividi e le ferite sono aesthetic al
giorno
d'oggi?”
“Sei
incredibile.” le rispose aspramente, tuttavia non
poté nascondere
il mezzo sorriso provocato dalla consapevolezza che la sua compagna
non aveva perso la testa nel vedere il suo luogo preferito ridotto ad
una discarica.
Forse
poteva sbagliarsi, di certo non completamente.
Una
terra così arida raramente l'aveva vista in vita sua;
nemmeno nelle
simulazioni del professor Palladium si era imbattuta in una simile
desolazione e, nonostante di base fosse una persona calma, si sentiva
ad un passo dal perdere la testa.
L'assenza
di natura nell'ambiente ovviamente non la tranquillizzava: si era
svegliata all'improvviso, ansimando per riempire di ossigeno i propri
brucianti polmoni e finendo per respirare solo i tossici fumi della
metropoli.
Il
carbone nel quale giaceva le aveva annerito completamente i vestiti e
l'ambrata pelle, rendendola quasi invisibile nei cumuli bui che
costituivano quasi interamente il paesaggio; nella distanza
intravedeva degli alti palazzi, illuminati da un'insalubre luce
rossastra, le quali cime rimanevano celate da spesse nubi oscure atte
a muoversi fiaccamente verso di lei. Una piccola strada più
chiara,
appena visibile data la scarsa luminosità del cielo
– era notte?
Non erano partite durante il giorno? – si snodava per una
decina di
chilometri fra catasti abbandonati e fuliggine, di tanto in tanto
qualche pietra spuntava ai lati di essa in un patetico tentativo di
delinearla.
Se
avesse passato troppo tempo in un luogo simile di certo non sarebbe
sopravvissuta: l'aria prima di tutto era immensamente più
pesante di
quella che era solita respirare e tutte le polveri sottili che stava
inalando non giovavano alla sua salute. Tuttavia era esausta,
riusciva a malapena a sollevare il busto.
Nel
viaggio per tale mondo sconosciuto era stata colta di sorpresa ed
aveva finito per cadere dal cielo, atterrando sulla schiena: in
parte, quindi, avrebbe dovuto ringraziare la presenza di cumuli di
polvere nera ad attutirle la caduta. Non riuscendo a guardare nulla
all'infuori dell'assenza di colore si lasciò cullare dal
movimento
delle nuvole, cercando di non andare completamente nel panico.
Che
Tecna avesse sbagliato? No, impossibile.
L'aveva
vista provare innumerevoli volte che la percentuale di fallimento
della missione fosse ad un livello talmente basso da esser
considerato trascurabile: disturbare il corso del tempo non era cosa
da farsi, ma quale alternativa avevano?
Dopotutto
a mali estremi, estremi rimedi, così aveva sentito dire.
Non
c'era altro metodo per salvare la Dimensione Magica e, seppur avesse
voluto optare per una variabile meno pericolosa del piano, aveva
ammesso di non aver avuto altra scelta che partecipare attivamente.
Forse
era ora di calmare il proprio tremore e cercare di riunirsi con le
altre, non avrebbe concluso nulla lasciandosi morire in un tossico e
pesante mare; sola, in un ambiente ostile, si alzò
lentamente,
scostandosi gli sporchi capelli dal viso. Levarsi più in
alto era
stato un sollievo per i suoi polmoni, ma Flora non poté fare
a meno
di credere di aver commesso un grave errore. Ciò che vide
non le
piacque affatto, ma prima che pensasse anche solo di tornare ad
osservare il cielo nella sua beata ignoranza, qualcosa premette
contro la corona della sua testa.
Una
mano dalla carnagione leggermente più scura della sua
reggeva
qualcosa di pericoloso, forse un'arma magica, e senza alcun tremore
restava rigida, pronta a fare fuoco.
“E'
lei il bersaglio?” disse con tono cadenzato la figura,
caricando
l'oggetto con il pollice; con la coda dell'occhio la fata scorse un
cellulare nella sua altra mano ed una cascata di lunghi capelli neri
a sfiorarle la vita.
Una
voce profonda dall'altro capo del telefono parlò per almeno
due
minuti, nei quali entrambe le donne rimasero immobili, quasi
trattenendo il respiro. Avrebbe dovuto trasformarsi e difendersi, ma
il pensiero di non essere abbastanza veloce per salvarsi da un
proiettile alla testa la paralizzava a tal punto da impedirle di
usare i propri poteri contro il suo aggressore.
Sarebbe
morta per non esser stata in grado di difendersi?
“Smettila
di tremare, tesoro – la donna richiamò a
sé l'attenzione dopo
aver chiuso la chiamata, Flora la sentì riporre la propria
arma con
l'accenno di un'amara risata – Sembravi alquanto patetica.
Oggi è
il tuo giorno fortunato, vedi di cominciare a farti passare
l'insensata paura della morte. Altrimenti crepi davvero.”
La
fata della natura restò immobile finché non
cominciò ad udire i
passi allontanarsi dal suo corpo; i suoi muscoli si rilassarono e
solo allora la sua mente si riattivò.
“Aspetta!”
non urlò, ma parve bastare ad arrestare la camminata della
mora.
“So
che sembra una domanda strana da fare, ma dove siamo?”
“Dieci
chilometri da Magix – disse senza voltarsi, ma nonostante
ciò la
fata poté figurarsi una malsana espressione dipingerle il
volto –
E questa meraviglia, cara mia, è la verdeggiante foresta di
Selvafosca.”
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
Premetto
che questa è l'introduzione di qualcosa che non è
ancora stato
precedentemente scritto (di solito faccio il contrario per far fronte
a qualsiasi situazione in cui, ad esempio, non riesco a scrivere) ma
questa volta voglio provare ad essere veramente costante.
Proverò
ad aggiornare ogni due settimane. (Sperando di avere le idee
abbastanza chiare, mio dio)
Nel
pubblicarla metto l'avvertimento AU, perché tecnicamente
sarebbe un
universo alternativo, nonostante sia sempre la Dimensione Magica
(accetto consigli, la situazione è particolarmente
complicata); in
pratica non è l'universo magico in cui è
ambientata la serie, ma un
universo profondamente modificato per la mancanza di un avvenimento
che all'apparenza avrebbe portato solo cambiamenti positivi.
Spero
si capisca qual è nonostante non l'abbia detto
esplicitamente.
Ps:
Non ho dimenticato Bloommete, l'ho lasciata apposta per il prossimo
capitolo. Almeno nel primo non la dovete sopportare ihihihi
Ringrazio
chi mi ha sostenuta fino a qui nelle altre storie, ed anche voi
lettori che siete arrivati fin qui, in fondo a questo delirio.
Mary
|
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Capitolo 2 *** II. Funeral of Hearts ***
II.
Funeral
of Hearts
“The
funeral of hearts, and a plea for mercy
When
love is a gun, separating me from you”
Funeral
of Hearts – H.I.M
Era
veramente bella, ciò era innegabile agli occhi di chi la
scorgeva.
I
capelli sciolti, lunghi fino alla vita, davano l'impressione d'essere
morbidi come un vestito di seta, le gambe lunghe e snelle, dalla
carnagione lattea, rappresentavano oggetto di invidia per le numerose
ragazze di città.
Era
perennemente sicura di non passare inosservata, ed un tempo
ciò era
stato il suo vanto.
Avrebbe
certamente potuto essere più bella se ci si fosse impegnata,
ma al
momento l'esteriorità le sembrava un particolare talmente
insignificante da farsi considerare trascurabile.
Aveva
ben altre faccende per la testa.
Camminando
svelta per le vie, Icy affondò le mani nelle tasche della
felpa –
di due o tre taglie in più – rivolgendo uno
sguardo carico di
disgusto verso l'intera vista che aveva su Magix.
Non
le sarebbe mancata per niente.
Odiava
la metropoli; la numerosa gente che la urtava nel marasma delle vie
del centro, l'eccessivo rumore delle automobili
truccate, l'afa estiva
ed in generale l'eccessiva possibilità di incontrare un
qualsiasi
idiota che si curasse
di fermarla con le proprie avances, facendo perdere minuti preziosi
alla sua causa. Una sola,
breve occhiata le
pervadeva il corpo con una sensazione di disprezzo che mai
avrebbe
pensato di provare nei confronti della grande città.
Dopo
averci speso parecchi anni della propria vita poteva affermare con
certezza che avrebbe colto qualsiasi opportunità pur di
lasciarsi
alle spalle il caos, le stupide feste delle fate più grandi
di lei
ed il lezzo dei quartieri bassi alle tre di notte.
Le
vetrine chiuse dalle saracinesche, imbrattate dai graffiti, erano
divenute orribili da vedere; le persone false che l'avevano
circondata credendosi degli anticonformisti non facevano altro che
seguire la massa e rendersi sempre più patetici ai suoi
occhi.
Aveva
sviluppato con l'adolescenza un'avversione per la società
che aveva
portato avanti quasi inconsciamente, accorgendosene solo quando
l'aroma del pub che frequentava ogni sera aveva cominciato a stufarla
fino a darle la nausea.
I
drink erano sempre gli stessi, così come le persone, le
situazioni
in cui si trovava: ogni cosa conosciuta, che in precedenza
l'inebriava e le faceva credere di star vivendo appieno la propria
vita, aveva finito per annoiarla a morte, portandola forzatamente in
un limbo di freddezza ed apatia.
Il
piacere era andato perduto in fondo a qualche bottiglia di vodka con
il collo particolarmente stretto, di modo che non le fosse in alcun
modo possibile recuperarlo; vittima di una routine che non aveva
più
un suo significato, aveva deciso di concentrarsi maggiormente sul
proprio obiettivo, smettendo di procrastinare inutilmente.
Era
destinata a cose ben più grandi rispetto a vivere la propria
esistenza come una semplice cittadina di Magix; a lei spettava la
gloria, l'onore.
L'unico
modo possibile per uscire dalla propria condizione risiedeva nel
piano che aveva meticolosamente programmato: avrebbe avuto il mondo,
raggiungendo finalmente la soddisfazione.
Perciò
aveva trovato un'appetibile alternativa in Torrenuvola: né a
lei né
alle sue sorelle servivano particolari insegnamenti magici, ma avere
un appartamento nel college era di certo meglio di qualsiasi altra
opzione che avesse considerato.
Inoltre
avrebbe conferito loro un alibi nella ricerca della Fiamma del Drago,
alla quale lavorava da anni ormai in modo pressoché passivo.
Certamente,
in occasioni nelle quali era in grado di prendere due piccioni con
una fava con conseguenze nettamente favorevoli, non osava indugiare
nemmeno per un momento. Aveva atteso fino al proprio diciottesimo
compleanno, pazientando e risparmiando tutto ciò che poteva,
per
iscrivere sé stessa e le proprie sorelle alla scuola.
Ed
ora non poteva sopportare oltre: avrebbe finalmente, a tutti gli
effetti, messo in atto il proprio piano.
Per
far tornare ciò che voleva allo splendore di un tempo.
122
giorni, 23 ore, 34 minuti e 8 secondi dalla fine.
Si
era svegliata da almeno un'ora, eppure il suo respiro non si era
ancora deciso a calmarsi.
Dopo
aver aperto i cerulei occhi aveva subito riconosciuto le pareti
chiare, i disegni di luoghi fantastici realizzati con una precisione
millimetrica, il sole primaverile che penetrava il fitto tessuto
delle tende sul porpora; l'aroma di una vita che non era stata sua le
era giunta all'olfatto, facendole dimenticare di controllare
l'orologio riposto sul comodino.
Ci
era voluto poco per farle avere un vero ed autentico attacco di
panico: il respiro aveva cominciato a mancarle tutto in un colpo,
lasciandola con la schiena ben premuta contro il materasso a
boccheggiare.
Avrebbe
voluto chiedersi cosa ci facesse lì, ma non osò:
tale reazione
giustificava pienamente il fatto che conoscesse esattamente la
risposta alla domanda. Ed essendo estremamente sincera con
sé
stessa, la situazione non le piaceva per niente.
Non
era stato solo il risvegliarsi a casa propria, a Gardenia, ad averla
mandata in panico, ma la profonda conseguenza che ne derivava: la sua
vita era crollata frammento dopo frammento quando l'incontro portante
della propria esistenza – quel caldo giorno autunnale al
parco,
aveva scorto gli alberi risplendere di una luce innaturale, ma allo
stesso tempo non artificiale – vi era stato rimosso.
Come
aveva potuto non pensarci prima?
Si
sarebbe preparata a ciò che avrebbe dovuto sacrificare per
la pace
della Dimensione Magica e non avrebbe sprecato ulteriore tempo nel
cercare di riprendersi. Era chiaro fin dal principio che, impedendo
alle Trix di arrivare fino a tale punto nel corso degli eventi,
Stella non sarebbe stata costretta a rifugiarsi a Gardenia per
potersi difendere e Bloom, seppur battendo il medesimo percorso, non
avrebbe potuto incontrare nessuno atto ad introdurla nel mondo
magico.
Così
la sua esistenza era proseguita sulla Terra all'oscuro del proprio
potenziale, svolgendo le mansioni che aveva sempre svolto nella
stessa maniera. Non vi era stata nessuna guerra, nessun trionfo e,
per un momento, ciò l'aveva fatta sentire improvvisamente
vuota e
delusa dalla piega che il tempo aveva deciso di prendere per lei.
Le
nemiche per la fulva – e solo per lei, ne era più
che sicura –
avevano assunto la nascosta funzione di svolta positiva, talmente
celata agli occhi di chiunque che anche i propri non erano stati in
grado di coglierla; se n'era resa conto solamente nel preciso istante
in cui si era destata dal sonno ed aveva intravisto la continuazione
di una vita che non aveva vissuto, in poche parole quanto era
già
troppo tardi.
Si
era trovata un lavoro, oppure aveva deciso di frequentare
l'università?
Quante
scelte aveva fatto il suo corpo in tale presente, senza la sua
consapevolezza?
Non
si era mai trovata in un a situazione simile; per pochi secondi si
era separata dal suo corpo ed aveva guardato sé stessa ed i
dintorni
con particolare attenzione, esprimendo una sola considerazione sulle
immagini che le sue iridi memorizzavano, muovendosi senza che lei ne
conoscesse la direzione né il senso.
Tale
vita non era la sua e non lo sarebbe mai stata.
Ma,
la dolorosa separazione, le era anche stata utile come calmante,
estraniandola dal proprio ed egocentrico modo di pensare: aveva fatto
una scelta ben precisa, ne stava affrontando le conseguenze.
In
precedenza non avrebbe dovuto struggersi nel cercare la
felicità, ci
era talmente vicina da non doverci mettere il minimo impegno; eppure,
per un bene superiore, ciò non importava.
Allora
si sarebbe impegnata di più, avrebbe corso più
forte per
raggiungere la soddisfazione personale in altri modi, finché
non
l'avrebbe trovata.
E
ciò sembrò rallentare i suoi battiti, calmarne il
respiro.
Era
l'ora di smettere di perdere tempo.
Quando
le parve che la sua mente fosse tornata in una condizione di quiete
si decise a sollevare il busto, ripiegando indietro le coperte che lo
riscaldavano – non che ce ne fosse uno specifico motivo, data
la
temperatura esterna.
Le
questioni su di sé avrebbero dovuto attendere, in quanto la
prima
cosa da farsi sarebbe stata cercare di contattare le altre, per
capire se nell'universo magico tutto fosse andato come previsto dal
loro piano. La sua mano chiara toccò il liscio legno del
comodino
prima di richiudersi per afferrare il telefono e portarlo
più vicino
al volto.
Prima
di comporre in numero di Stella – aveva dovuto ringraziare la
propria memoria per questo – si perse per un attimo con lo
sguardo
fra i numeri del tastierino. Alle innumerevoli reazioni causa-effetto
che l'assenza delle streghe poteva portare nella loro adolescenza non
aveva pensato neppure per un momento, nonostante normalmente si
questionasse su qualsiasi cosa accadesse intorno a lei.
Solo
allora le era sembrato infinitamente strano il non essersi
preoccupata di alcuna possibile conseguenza quando stava per
attraversare il portale che l'avrebbe condotta nello stesso luogo in
cui si trovava, ma cinque anni prima.
Poteva
esser stata l'impazienza, oppure il disperato bisogno di una
soluzione immediata.
O
forse si era creduta conscia che sarebbe semplicemente dovuta andare
a quel modo.
In
ogni caso avrebbe dovuto muoversi: le sue dita si spostarono
velocemente da una cifra all'altra e, questione di secondi, si era
già portata il telefono all'orecchio.
L'attesa,
in un momento simile, era d'obbligo.
Si
stava parlando di Stella, dopotutto.
122
giorni, 20 ore, 12 minuti e 59 secondi dalla fine.
“Perché
le strade sono tutte uguali? Insomma, guarda, la stessa sporcizia, la
stessa puzza di sangue e vetri ovunque. Che schifo, che
schifo!”
Le
scarpe di Stella – infelicemente per la stessa –
avevano in poco
tempo assunto uno spento grigio fumo, nonostante avesse preoccupato
di fermarsi ogni cinque minuti a togliere con un fazzoletto usa e
getta lo spesso strato di polvere che andava a crearsi.
Lei
e Musa stavano camminando da ore lungo la medesima via e, fino ad
allora, non avevano ancora incontrato alcuna anima viva.
Dovevano
trovarsi nei sobborghi della città quando avevano cominciato
ad
intravedere i primi fuochi, scambiandoli a primo impatto per dei
semplici falò. Bruciavano senza sosta, illuminando le
abbandonate
abitazioni di un rosso vivo e fornendo l'unica fonte di illuminazione
della zona; cenere ancora incandescente si levava al cielo per poi
cadere in movimenti delicati, come una scura neve che aveva da tempo
ricoperto i davanzali, le automobili rimaste incustodite ed i bassi
marciapiedi.
Il
crepitio del fuoco, se in altre occasioni avrebbe potuto
rappresentare un rumore rassicurante e quasi celebrativo,
accompagnato da uno strano e sgradevole odore non aiutava le fate a
farsi forza.
Colonne
di fumo nero si aggiungevano alle altrettanto scure nubi, creando una
spessa cortina che non avrebbe reso visibile uno spiraglio di volta
celeste nemmeno in caso di forte vento; i vetri delle case popolari,
totalmente sporcati dallo smog, non erano in grado di riflettere il
minimo bagliore.
Tuttavia
il peggio per le due Winx doveva ancora arrivare: non erano
abbastanza vicine ai fuochi, non avevano sguardi abbastanza potenti
per comprendere la vera natura della cenere. Arti brucianti levavano
le proprie dita verso l'alto in un ultimo, disperato tentativo di
salvezza, le spalle ancorate nella brace, cominciavano a perdere la
loro forma. Le fiamme sprigionavano la propria forza nel carbonizzare
i teschi appartenuti a chissà quale tipo di creature
magiche, che si
erano ritrovate nel luogo per quel motivo o quell'altro e che, nel
posto a cui appartenevano, non avrebbe fatto ritorno che l'anima.
Dei
corpi avevano perso la propria forma su un letto di legna ardente,
diventando sempre più fini ed insignificanti fino a
disperdersi
nell'inquinata aria della metropoli.
Fu
Musa la prima ad accorgersi di non esser di fronte a dei
falò, bensì
a delle pire atte a bruciare i defunti: vederne così tanti
le fece
correre dei freddi brividi lungo la schiena. Stella, nel procedere,
aveva protestato vivamente con un fazzoletto di seta –
riportante
lo stemma reale di Solaria – premuto a proteggerle le vie
respiratorie.
“Ora
abbiamo trovato qualcosa, mi sembra.” il sarcasmo di cui
doveva
essere intrisa la frase era completamente assente in un attimo come
quello, dove entrambe le ragazze non erano in grado di distogliere lo
sguardo dall'orrore che avevano davanti, nonostante le sgradevoli
sensazioni che esso comunicasse.
“Vorrei
che qualcuno mi spiegasse cosa sta succedendo. E lo vorrei
adesso.”
rispose Stella, socchiudendo gli occhi nel tentativo di togliersi
dalla vista tutto l'ammasso di carni che occupava gran parte della
via principale – doveva per forza essere la via principale,
data la
larghezza.
Fece
scivolare una mano incerta nella borsa, cercando con le lunghe dita
affusolate il proprio cellulare, la speranza che almeno per un minuto
avrebbe potuto chiamare le sue compagne cominciava a prendere piede
nella sua mente. Ma l'asiatica non sembrava essere dello stesso
parere, in quanto la fermò afferrandole delicatamente il
braccio.
“E'
inutile, se era scarico prima di certo non funziona adesso. L'unica
cosa che possiamo fare è andarcene da qui e trovare le altre
il
prima possibile. Sta per fare notte ed ho come la sensazione che non
sarà piacevole essere in giro. Quindi per oggi troviamoci un
posto
distante da qui dove stare e riposarci, almeno domani possiamo
riprendere la ricerca tutte intere.”
“Per
una volta mi trovo d'accordo con te, sì – disse
l'altra, lasciando
perdere la propria inutile ricerca – Lontano da qui
è meglio. Sono
troppi, sono davvero troppi, non oso pensare a cosa succederebbe se
chiunque abbia fatto questo ci trovasse.”
La
mora scrollò appena le spalle per togliersi l'inquietante
immagine
dalla testa, oltrepassando le pire per poter proseguire il cammino:
era difficile non pensare a cosa sarebbe successo in caso fossero
state trovate.
Da
chi?
Creature
o loro pari?
Non
avrebbe saputo dire quale delle due alternative la spaventasse di
più: la crudeltà a cui una specie magica poteva
arrivare oppure
l'istinto di una bestia. Tuttavia era certa che, per il fatto di aver
visto un macabro spettacolo minuziosamente allestito, doveva
trattarsi di un essere razionale, quali fate, maghi e streghe.
In
quale mondo distorto ciò sarebbe stato possibile non le era
ben
ancora chiaro.
122
giorni, 22 ore, 25 minuti e 16 secondi dalla fine.
Magix
non era disabitata come pareva ad una prima occhiata: chi ci aveva
trascorso parecchio tempo sapeva scegliere bene la propria dimora,
celandosi perfettamente nella profondità della notte.
Le
luci al neon conferivano all'enorme capannone una fredda luce
biancastra, rendendo le piastrelle simili al pavimento che si
potrebbe trovare in un ospedale; e lo sarebbero state se, di tanto in
tanto, il colore del chiaro granito non fosse stato macchiato dal
vermiglio del sangue.
Le
gocce scorrevano sulle pareti, le urla erano ormai cessate da
parecchi minuti. Un paio di giovani si erano già impegnati a
raccogliere gli ultimi zampilli arteriosi che, senza un attimo di
pausa, sgorgavano sempre più deboli dall'ultimo corpo della
fila,
assicurato ad una sedia da una pesante catena.
“Sinceramente
mi sto abituando a questo tipo di lavoro.” esordì
uno dei due,
passandosi l'avambraccio sulla fronte imperlata di sudore per evitare
di dover usare le mani, talmente colme di liquido rossastro da
confondersi con il contenitore in legno che saldamente reggeva. Di
certo era giovane, ed il brivido per essere entrato in un giro
d'affari abbastanza grosso da garantirgli la sicurezza non sembrava
abbandonarlo tanto presto.
Non
erano stati tempi particolarmente facili per lui, come non lo erano
stati per i suoi due compagni che l'avevano appoggiato in tale
compito; in passato sì, avrebbe anche ammesso che non
sarebbe
ricorso a metodi simili nemmeno se costretto.
In
passato era tutto parecchio diverso: le nuvole erano chiare ed appena
visibili, si poteva benissimo scorgere l'azzurro del cielo. Vi aveva
rivolto lo sguardo più volte, durante il suo primo anno
all'Accademia per maghi di Fonterossa, appena prima di sferrare il
colpo finale ad uno dei tanti duelli che svolgevano.
Allora
non colpiva per uccidere, né mai l'avrebbe fatto.
Eppure
la pace era sempre stata talmente fragile da frantumarsi in qualsiasi
palmo; le cose erano cambiate radicalmente in fretta, talmente in
fretta da non lasciargli nemmeno il tempo di realizzare le
conseguenze che ciò avrebbe portato.
“Non
so te, Riven, ma io lo faccio solo perché mi tiene le spalle
coperte. Di sicuro avrei cercato qualcosa di meglio.” gli
rispose
dopo qualche attimo il compagno, le punte dei capelli biondi sulle
quali era schizzato del sangue cominciavano ad accostarsi alla pelle
del collo.
“Non
ti lamentare, almeno ho salvato il culo a te e al tuo amichetto.
Potevo benissimo lasciarti nella merda, vostra altezza.”
Data
la situazione, nessuno degli altri due ragazzi riuscì a
trovare la
voglia per continuare la discussione. Nessuno di loro avrebbe voluto
trovarsi in un luogo simile a svolgere dei compiti assurdi come
giustiziare chiunque fosse comparso sulla lista di nomi che il terzo,
Brandon, reggeva nella mano destra.
“Per
oggi dovremmo aver finito.” disse con tono un po' incerto,
raggiungendo i compagni per dar loro man forte.
Se
tutto fosse rimasto come lo ricordava non avrebbe mai dovuto vedere
tanto sangue, quanto ne aveva visto in dieci miseri giorni. Lui e Sky
avevano trovato Riven quasi per caso, ed era stata per entrambi una
grande fortuna: evidentemente qualche clan aveva già messo
gli occhi
su di loro, etichettandoli come potenziali pericoli.
Del
resto tale era la procedura per ogni ex studente di Fonterossa che
fosse rimasto nei dintorni della metropoli; per quanto lui ed il
principe avrebbero avuto un luogo piuttosto sicuro in cui tornare,
non ne avevano i mezzi. Né, negli ultimi tempi, alcuna
navetta
esterna avrebbe potuto avvicinarsi per recuperarli, data la spessa
cortina di fumo che aveva rimpiazzato l'atmosfera.
La
scelta di entrare a far parte dell'unico clan che accettasse gli
Specialisti fra le sue file era stata una decisione abbastanza
forzata, ne valeva della loro vita: certamente il loro capo era un
idiota, tuttavia non avrebbero potuto lamentarsi più di
tanto.
“Per
fortuna – sospirò il biondo, sollevandosi per
sgranchirsi
leggermente le gambe – Almeno domani è il mio
giorno libero.”
“Fortunato.”
fece il moro, accennando un sorrisetto. Per del tempo non sarebbe
riuscito che a piegare leggermente all'insù gli angoli della
bocca,
suggerendo qualcosa che avrebbe dovuto ricordare il suo solito
sorriso beffardo, del quale era rimasta solo una misera ombra.
Le
luci sfarfallarono leggermente, ma fu un dettaglio talmente
trascurabile da non metterli in allarme: accadeva piuttosto spesso
nella zona, non c'era da preoccuparsi.
Rumori
che in ciò che non potevano più chiamare
normalità – non
esisteva da troppo tempo – avrebbero definito come
inquietanti ora
facevano parte della quotidianità.
Non
fecero quindi caso, nel trascinare le sedie, al cigolio di
un'apertura di metallo poco lubrificata, il definitivo spegnimento di
uno dei fari, il respiro di un estraneo.
Continuarono
a finire il loro lavoro a testa bassa, arrivando fino al quadro
elettrico per lasciar cadere il capannone fra le braccia della sera.
Con
il senno di poi avrebbero dovuto mantenere alta la guardia.
Ho
localizzato i bersagli
Con
il senno di poi, tuttavia, sarebbe stato fin troppo facile.
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
Premetto
che al momento so quasi cosa sto facendo, nell'introduzione sono
stata abbastanza frettolosa quando si trattava di pubblicare.
Volevo
troppo buttarla fuori dal mio computer quella roba.
In
ogni caso, ci è voluto il suo tempo per strutturarla e
costruirla
tutta, di modo che riesca a portare avanti la trama in modo pseudo
regolare, nonostante non la abbia tutta pronta prima di pubblicarla.
In
ogni caso qui ho poco da dire, non ci sono molte domande da fare come
nell'introduzione, se non spendere un paio di parole sulla struttura
di ogni capitolo da qui alla fine.
Ci
sarà un pezzo iniziale che riguarderà il passato
invariato, cioè
che è rimasto uguale per entrambe le linee temporali, fino
ad
arrivare all'avvenimento della modifica. Quando arriverà
alla
conclusione con l'avvenimento, il capitolo iniziale stile sottospecie
di flashback sparirà, lasciando spazio alla narrazione del
presente,
scandita dal tempo mancante alla fine.
Per
la fine, non posso darvi nessuna informazione.
Ringrazio
Applepagly
per
aver recensito ed inserito la storia nelle preferite, Ghillyam
per
aver recensito a sua volta ed aver inserito la storia nelle seguite.
Ringrazio
inoltre i lettori silenziosi che stanno cominciando a seguire questo
pallido tentativo di inserire atmosfere cupe ecc.
Grazie
a tutti,
Mary
|
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Capitolo 3 *** III. Fade to Black ***
III.
Fade
to Black
“Emptiness
is filling me to the point of agony
Growing
darkness taking dawn, I was me but now, he's gone”
Fade
to Black - Metallica
Gli
ultimi anni della sua vita non erano stati un granché,
secondo il
suo modesto parere; e per ultimi intendeva un lasso di tempo di
cinque anni e mezzo, nel quale non aveva fatto altro che annoiarsi ed
intrattenersi con qualche scappatella.
L'adrenalina
la caricava a tal punto da farla uscire di corsa dal proprio
appartamento, la borsa vuota e pronta per essere riempita da
qualsiasi cosa le fosse saltata in mente: ovviamente avrebbe pagato
solo metà della merce che vi avrebbe sistemato dentro.
Nel
correre rischi inutili molti non avrebbero trovato alcun interesse,
avrebbero preferito cercare il brivido in modi di gran lunga
più
sicuri e meno illegali; Stormy, dal canto suo, non aveva nemmeno
considerato tale opzione.
Lei
si era vista detestare la routine e, pur di trovare una maniera di
interromperla, era stata disposta ad esporsi al pericolo molto
più
di quanto qualsiasi altro avrebbe fatto. E, da quel punto di vista,
la dimora che condivideva con le sorelle era il posto peggiore per
dimenticarsene.
Entrambe
vi erano così legate da farle salire un conato di vomito
lungo
l'esofago al solo sguardo: quando poteva vederle, dato che spesso e
volentieri Darcy passava le ore nella propria camera – non si
era
mai interessata a capire cosa facesse oltre a leggere tomi di dubbio
gusto – ed Icy si faceva viva solo durante il weekend per via
del
lavoro, del quale non voleva mai discutere.
Seduta
a gambe incrociate sul comodo divano nero, non poteva impedire che la
noia s'impossessasse della sua mente, impigrendone il corpo e non
lasciandole altra scelta che fuggire da tale ambiente tossico: se
avesse dovuto essere pienamente sincera con sé stessa
avrebbe
ammesso di star attendendo da anni il giusto momento per andarsene.
Del
resto ben poche cose la trattenevano in quell'appartamento, ed era
pressoché sicura che, una volta compiuto il primo passo
lontano da
lì, fare altri chilometri sarebbe stato solo più
facile. In ogni
caso le altre due streghe non si sarebbero accorte della sua assenza.
Non
era stupida come pensavano che fosse, aveva capito che per loro due
non era che un problema; con le proprie trasferte, le cauzioni che la
maggiore aveva dovuto pagare per i furti in cui non aveva avuto
abbastanza accortezza per garantirsi una fuga e la sua insana fissa
per i dischi di autori terrestri – dannatamente costosi
– finiva
spesso per far innervosire la strega delle illusioni, con la quale
era solita litigare. E le parole che le venivano rivolte erano il
più
delle volte inequivocabili.
Inoltre,
com'era ovvio che fosse per quanto riguardava il lato finanziario,
non era l'unica ad esser infastidita dal suo comportamento da
adolescente. Soprattutto quando il bilancio non era dei migliori.
Lei
non aveva mai capito nulla di questioni simili, quindi viveva nella
credenza che ciò di cui parlassero le sorelle fossero solo stronzate
gratuite. Nel
profondo, era conscia di apparire
a loro come
una presenza che non aveva avuto
altro modo per attirare
l'attenzione
e trovare un
attimo di pace che nell'uscire e lasciar libero sfogo alla propria
frustrazione.
Era
la sorella minore, la stupida, quella che non sarebbe mai stata
abbastanza per il grande piano – chissà se non
fosse stata solo
una copertura per tenerla fra loro, nessuna delle due gliene aveva
ancora parlato – che la strega dei ghiacci architettava da
anni e
che era in procinto di mettere in atto. Non sarebbe stata abbastanza
sveglia da cogliere nell'immediato il proprio compito.
Era
ormai talmente evidente da renderla in grado di accorgersene?
In
assenza di un qualsiasi dialogo aveva ampliato, seppur di poco, le
proprie capacità deduttive, riconoscendo quasi ogni
comportamento
delle sorelle, nelle rare volte in cui esse si facevano vedere
–
oppure quando una delle due non rientrava a notte fonda con
più
alcol che sangue in corpo.
Il
giorno del compleanno di sua sorella maggiore – assente tra
l'altro, se ne doveva essere dimenticata – in particolare si
era
avvicinata pericolosamente al punto di rottura e, dopo l'ennesimo
litigio dovuto al fatto che avesse spostato di mezzo millimetro uno
dei libri di Darcy, si era messa a sbraitarle contro. Non ricordava
ogni singola parola, ma la rabbia aveva esternato molte delle sue
considerazioni che spesso usava tenere per sé.
Considerazioni
che almeno avevano zittito la sorella, permettendole di raccattare le
proprie cose e varcare la soglia di casa. Senza aver organizzato
nulla aveva sbattuto la porta e si era avviata in una direzione
casuale, qualcosa di certo le sarebbe venuto in mente.
Non
era sicuramente un'avventura a spaventarla e, almeno per un paio di
notti, si era convinta di non voler tornare affatto.
In
fondo a chi sarebbe importato?
Non
a lei.
121
giorni, 19 ore, 50 minuti e 48 secondi dalla fine.
Le
voci si facevano sempre più profonde, mischiandosi fra di
loro in un
incomprensibile brusio: anche se esse fossero state chiare e se
avessero pronunciato parole scandite, Flora non sarebbe riuscita a
comprenderli.
La
regolazione del proprio respiro e del battito cardiaco occupava gran
parte della sua mente, così come delle sue energie. Era
tutto ciò
che potesse fare per evitare che le voci si arrestassero e gli oscuri
corpi a cui esse appartenevano si apprestassero a raggiungere la sua
posizione.
Nonostante
i toni aspri, le voci parevano armonizzarsi perfettamente
nell'inquieta notte, i suoni dispersi nel buio, le parole divorate
dalla nera fuliggine. Avrebbe dovuto trasformarsi e raggiungere in
fretta la capitale: era sicura che lì avrebbe trovato almeno
una
delle proprie compagne, ed affrontare il nuovo presente in compagnia
di una mente più forte della sua sarebbe stato di gran lunga
più
facile.
Eppure
era rimasta immobile per ore, incapace di controllare il proprio
corpo. Il solo pensiero che uno sbaglio le sarebbe stato fatale le
impediva di rilassare i muscoli e reggersi sui propri arti inferiori,
quando avrebbe dovuto farlo con una particolare fretta.
Le
ombre, disperse nella polvere nella quale era nascosta, si muovevano
leggermente, si avvicinavano e si allontanavano dal malmesso e sporco
asfalto, battendo con le suole quasi lo stesso terreno. Una voce
maschile, di volume più alto, scandì un paio di
parole dirette al
gruppo: restando eretto, pareva indicare un punto imprecisato della
distesa di carbone, ma a differenza di Flora gli individui compresero
al volo cosa volesse dire.
Fiaccamente,
la donna più vicina al suo nascondiglio le diede le spalle,
raddrizzando la schiena e sollevando leggermente il mento ad
osservare la nera distesa. I corpi parvero immobilizzarsi al di sotto
delle immobili nuvole, da un leggero spiraglio di cielo
filtrò
debolmente la luce lunare.
Le
dune ora risultavano più lucide agli occhi della fata,
intenta ora a
spostarsi leggermente per seguire i rigidi movimenti dell'alto uomo
dalla carnagione scura: dirigendosi a passo di carica verso sud, non
osava distogliere in alcun modo lo sguardo da qualcosa di non
più
così distante.
Retto
come da una mano fantasma, un fioco bagliore ondeggiava nelle tenebre
in direzione del gruppo: il possessore si era preoccupato di celarsi
in modo impeccabile, tanto che seppur la lanterna illuminasse un
discreto spazio intorno a sé di esso non si poteva scorgere
nemmeno
l'ombra. Nel guardare la luce spostarsi in modo quasi autonomo Flora
venne scossa da rapidi brividi, ma non poté dire lo stesso
dell'uomo
che, nonostante l'inquietante visione, non aveva mai smesso di
avanzare.
Nel
cominciare a salire lungo la duna le sue scarpe affondavano
leggermente nel carbone, qualche frammento scivolava a riempire il
vuoto creato dai passi, scendeva dalla cima, ruzzolando lungo il
fianco, dove la traballante fiamma si spostava verso destra. Eppure
il possessore non lasciava alcuna evidente impronta nella sabbia
nera.
Sentì
sbraitar l'uomo – non riuscì a comprenderne
distintamente le
parole – prima che chinasse la sua possente schiena per
aiutarsi
nella risalita con tutti e quattro gli arti; non era particolarmente
lontano se la lanterna non avesse continuato a spostarsi, cosa che
non fece: ma invece di allontanarsi ulteriormente dall'individuo,
fluttuò lentamente verso di lui. La luce gli si
posò sui delicati
lineamenti del viso, delineandone i chiari occhi e le sottili labbra;
vedendone il profilo, Flora concluse che non dovesse trattarsi che di
un ragazzo ambizioso, seppur il suo tono di voce fosse già
piuttosto
grave.
Con
la bocca piegata in un ghigno, estrasse il pugnale che aveva
affrancato alla cintura, la lama di un perfetto verde smeraldo
ricordava a tratti la spada che Brandon era solito usare. La fiamma
della bianca candela che ardeva protetta da un fine vetro
tremolò
appena al movimento e si arrestò di fronte a quel volto
cresciuto
troppo in fretta, come ad osservarlo attentamente: alle soglie
dell'azione, sia il possessore che il ragazzo restarono immobili,
cercando nelle tenebre un tacito consenso.
Ogni
cosa era muta ed immobile, entrambi i contendenti dovevano aver
trovato chi stessero cercando: eppure la fata non vedeva ancora
alcuna ombra dietro al bagliore della lanterna. I vetri non
rifletterono un volto nemmeno quando la fiamma fu spenta da un soffio
appena accennato; ed ecco il verde dello smeraldo fendere la notte
per infliggere fatali ferite all'avversario. I movimenti fluidi e
precisi suggerivano una spiccata esperienza, inusuale in un soggetto
così giovane, seppure in ogni caso non sarebbero mai bastati.
Ferire
l'aria non l'avrebbe aiutato a vincere sul bersaglio, così
come il
non conoscerne la posizione; la lanterna, ora sopra alla sua testa,
aveva posto le basi per una nuova situazione di stallo, anche se non
duratura.
Sarebbe
stata lei stessa ad interromperla, impattando con il nero suolo ed
affondandoci lentamente al suo interno. Per la prima volta in tale
notte, Flora comprese qualcosa che il ragazzo ed il suo gruppo non
capirono in tempo.
Avrebbe
riconosciuto un incantesimo di magia oscura simile anche ad occhi
completamente chiusi: nonostante fosse raro, data la potenza di una
magia come quella, aveva già visto un materiale trasformarsi
in
scura e densa acqua.
In
un attimo di terrore, le parve di scorgere sua sorella minore
allungare le mani in un tentativo di fuga da tale liquido inferno. E
mentre il gruppo affondava nella melma, le loro urla assumevano il
timbro di Miele nella sua mente, impedendole qualsiasi movimento.
Fortunatamente,
non durò che un attimo.
“Magia
bianca allo stato puro. Da anni non vedevo qualcuno che ne facesse
uso vicino a Magix.” normalmente, una calma voce femminile
non
sarebbe bastata a distrarla: ma, data la familiarità nel
tono, essa
le aveva fatto letteralmente dimenticare la somiglianza della
situazione rispetto ciò che aveva vissuto su Linphea.
Avrebbe
potuto arrivarci dal tipo di magia che aveva usato, dal modo di
gestire i nemici così differente rispetto alle altre
semplici
streghe. Se ne fosse stata in grado, ora non avrebbe rischiato la
morte per mano di Darcy.
“Nessun
segno di decadimento, hm? Strano.” la sentì alle
proprie spalle,
ma nel voltarsi non vide nulla che non fosse celato da una fitta
oscurità; le urla cominciavano ormai a cessare. Percepiva su
di sé
gli ambrati occhi intenti a scrutarla, la mente concentrata a
scegliere il miglior incantesimo per finirla. Se non avesse raccolto
la forza necessaria alla trasformazione sarebbe lentamente andata
incontro alla sua fine: la strega delle illusioni doveva avere un
motivo ben preciso per averle risparmiato la stessa sorte dei
mercenari.
Pertanto,
avrebbe dovuto farlo con una particolare fretta.
“Non
trasformarti, non serve. – rivolgendo la coda dell'occhio
alla
propria destra la fata scorse qualcosa muoversi – Non ho
nessuna
intenzione di eliminarti, a differenza loro non ti trovavi qui per
incassare la taglia sulla mia testa.”
Nell'avvicinarsi
la sua pelle si fece più corporea, in netto contrasto con le
tenebre
delle quali si era circondata: nell'aspetto era cambiato ben poco,
degni di nota erano i tondi occhiali appoggiati sulla punta del naso
ed i capelli, leggermente più corti, raccolti insieme alle
ciocche
bionde in una coda bassa. Con la sua comparsa i pochissimi dubbi
sulla sua identità sparirono completamente dalla mente della
fata,
ancora sulla difensiva.
Dovette
controllarsi parecchio per non pronunciare il suo nome.
“Chi
sei?” disse invece, rimanendo eretta e tesa come un elastico.
“Non
qui, fatina, non sei l'unica a voler evitare certi incontri. Ti fidi
abbastanza da seguirmi?”
Avrebbe
voluto dirle di no.
Ma
aveva veramente possibilità di scelta?
Era
esausta, aveva camminato quasi ininterrottamente per una giornata
intera, aggrappata alla speranza di ritrovare le altre. Non avrebbe
retto un altro chilometro per raggiungere la capitale, senza tener
conto di chi avrebbe potuto trovarla.
Del
resto non tutti sarebbero stati pressoché ragionevoli nel
lasciare
andare qualcuno che non fosse stato 'il loro bersaglio',
–
ed aveva ringraziato più volte Madre Natura per quello
– creature
magiche come il ragazzo e la sua compagnia non avrebbero esitato a
porre fine alla sua vita. Considerando, inoltre, che a quanto pareva
poteva definirsi un elemento utile alla strega, la sua proposta prese
validità.
Dopo
una trentina di secondi, durante i quali quest'ultima non le aveva
mai staccato gli ipnotici occhi di dosso, si limitò ad
annuire.
In
fondo non aveva nessun valido motivo per rifiutare.
Ed
inoltre, non avrebbe trovato occasione migliore per poterla tenere
d'occhio.
120
giorni, 10 ore, 45 minuti e 59 secondi dalla fine.
Ciò
che aveva appena visto di certo non rientrava in
una delle
immagini che aveva figurato nella sua mente, una volta lasciato il
villaggio delle Pixie. Nonostante il suo carattere forte, si era
trovata pienamente spiazzata dalla vista che si era trovata davanti:
evidentemente non aveva conosciuto abbastanza violenza nella sua vita
per potersi considerare preparata ad uno spettacolo simile.
Il
secondo conato di vomito l'aveva raggiunta troppo in fretta e si era
vista costretta a chinarsi e serrare la bocca per evitare di cedervi,
sorreggendosi con una mano laddove il bianco muro non fosse stato
dipinto da sangue altrui. Non aveva avuto il coraggio di fermarsi a
riposare su una delle dieci sedie poste in fila, poggiate su un lago
color cremisi.
Non
era nemmeno rispettoso sedersi sulla tomba di qualcuno.
L'odore
era inconfondibile e, nonostante non fosse la prima volta che il suo
olfatto ne percepiva uno simile, l'aveva leggermente stordita. Aisha
sapeva che avrebbe dovuto muoversi, ma se nell'avvicinarsi avesse
dovuto trovare una serie di scene del delitto come quella, avrebbe
preferito tornare al villaggio e fare finta di nulla.
Abbandonare
tutto non era nel suo stile, ma mai si era trovata in una situazione
dove i muscoli del suo addome si stavano sforzando fino allo
sfinimento per tenere la bile nello stomaco ed evitare che si
riversasse sul pavimento. La sola comparsa del luogo nella sua mente
le aveva fatto riaffiorare i ricordi di quando a corte, durante la
sua infanzia, usava avere il terrore del buio.
Il
tocco della paura sulla sua pelle era stato abbastanza forte da
intrappolarla nelle proprie memorie, lasciandole solo un disperato ed
impossibile tentativo di combatterle anche in un inospitale luogo
come quello; la solitudine era tornata a stringere il suo corpo in
una fatale morsa, trascinandola nella stessa situazione che aveva
vissuto nell'anno precedente, alle Wildlands, la stessa che l'aveva
portata allo sviluppo del proprio Charmix.
Seppur
considerando la similitudine, la sua condizione risultava abbastanza
differente da abbattere le sue non trascurabili difese: in un giorno
di cammino non aveva scorto alcuna traccia delle amiche e la
stanchezza aveva portato con sé una serie di insicurezze che
era
certa di aver ben sepolto dentro di sé molto tempo addietro.
La
luminosità della stanza non l'aveva aiutata a sconfiggere
l'oscurità
che, dal suo petto, si stava espandendo intorno a lei con incredibile
rapidità: questa volta, ogni spiraglio di luce era stato
soffocato
dal colore rosso.
Sarebbe
andata incontro ad un vero e proprio esaurimento, se non avesse udito
il cigolio della porta metallica: rumore non del tutto rassicurante,
ma che bastò a riportare la sua vagante mente a terra.
Trattenendo
il respiro, attese per lunghi secondi interminabili, fino a liberare
il fiato con un lungo e sentito sospiro di sollievo.
“Incredibile.
E' pienamente in funzione.” come la voce di Tecna avesse
potuto
essere così calma davanti all'immagine di un ambiente
imbrattato dal
sangue era rimasto un mistero finché la fata di Andros non
aveva
alzato lo sguardo di scatto, scorgendola intenta a consultare il
proprio palmare.
Mentre
la sua bocca rimase completamente asciutta per la presenza dell'amica
–l'addome si rilassava e la schiena tornava diritta
– la fata
della tecnologia manteneva le proprie emozioni sotto controllo e non
osava alzare gli occhi dallo schermo. Non le pareva il momento di
farsi prendere da sentimentalismi, non quando la sua ipotesi si era
appena confermata esatta e lei doveva mettersi a pensare ad un modo
per radunare anche le altre; eppure, quando Aisha si
avvicinò a lei
con qualche passo incerto, non rifiutò il forte abbraccio
che le
diede.
“Cosa
ci fai qui dentro?” chiese una volta separatasi da lei e,
velocemente, storse la bocca in un'espressione di disgusto nel
poggiare le proprie iridi chiare sui dintorni.
“Non
lo so con certezza, ma uscire da qui mi farebbe immensamente
piacere.”
“Concordo.”
rispose la zenithiana, piazzando di nuovo gli occhi sull'aggeggio
elettronico e dirigendosi all'uscita. La compagna le si
avvicinò, le
ginocchia ancora leggermente tremanti ed instabili.
“Sei
riuscita a sviluppare un software in grado di rintracciare anche le
altre?” disse con una leggera ed ingiustificata sorpresa
nella
voce: non avrebbe dovuto sorprendersi, conoscendo le incredibili doti
di Tecna nel campo dell'elettronica.
“Potenziando
questo palmare con la magia ed installando un programma apposito
creato da me in precedenza, supponendo che qualche parametro avrebbe
portato fuori calibrazione i calcoli, sono in grado di seguire le
vostre tracce magiche. Tu eri la più vicina. –
dopo qualche
battito di ciglia della principessa, però, si
affrettò a riassumere
in modo più conciso e meno tecnico – In
pratica sì, ho
anche le posizioni delle altre nel giro di cinquanta
chilometri.”
Aisha
accennò un sorriso, appoggiando saldamente una mano sulla
spalla
dell'altra – che sussultò appena al contatto
– e prendendo un
bel respiro una volta raggiunto l'esterno.
“Lasciatelo
dire, Tecna, sei un genio!”
Lei,
invece di ringraziarla, mise nuovamente mano al palmare e si
concentrò sulle piccole luci che lampeggiavano debolmente.
“Se
la mappa di Magix non è cambiata, dovremmo fare in fretta.
L'entrata
della città non è lontana, dobbiamo cercare di
far attenzione ai
cecchini.”
Data
l'urgenza, la bruna lasciò perdere la mancanza di educazione
arrecatale e si concentrò maggiormente sul da farsi.
“Cecchini?
Aspetta, cosa devo aspettarmi quando arriverò
là?”
“Anche
se razionalmente non avrebbe senso, pensa alle condizioni peggiori in
cui Magix potrebbe versare. Ciò che troverai sarà
molto peggio.”
le rispose, sollevando la testa all'unico scopo di guardarsi intorno.
Nella testa atmosfera, qualcosa di vicino aveva attirato il suo fino
udito; un'ovattata vibrazione si percepiva a malapena, captarne la
direzione con i soli sensi sarebbe stata una perdita di tempo.
Senza
farne cenno all'amica, che aveva detto qualcosa non comprensibile
alla sua impegnata mente, Tecna concentrò i suoi poteri
nell'intercettare le onde elettromagnetiche emesse da qualsiasi cosa
facesse tale rumore.
Dalla
lunghezza d'onda percepita, pareva essere un comune cellulare
–
grazie al cielo, nonostante la società fosse regredita di
parecchio,
almeno quelli erano rimasti esattamente come li conosceva –
nell'atto di ricevere una chiamata. Che fosse criptata o meno, non
sapeva dirlo con assoluta certezza.
Dopo
qualche attimo di smarrimento causato dallo strano comportamento
della compagna, anche Aisha si era decisa a muoversi nella sua stessa
direzione, più per capire cosa andasse cercando che per
altro: era
un'opzione migliore al semplice stare ferma ad aspettarla, inoltre
qualora ci fosse stato un problema avrebbe potuto dare man forte
nella risoluzione.
Le
sporche mura del capannone, imbrattate da graffiti, erano ora alla
loro destra, proiettate per almeno una decina di metri verso lo scuro
cielo: era difficile comprendere, dalle annerite finestre, che le
luci al suo interno fossero rimaste accese. I carbonizzati ciocchi di
legna ammassati lungo il loro cammino si spezzavano con
facilità
sotto i loro piedi, producendo qualche lieve tonfo nell'accennato
silenzio del primo pomeriggio.
Dal
cielo non si direbbe,
avrebbe
volentieri aggiunto la bruna, ma il suo buonsenso aveva ritenuto
l'occasione inadatta.
“Si
è fermato. Il tempo mi è stato però
sufficiente a localizzarne il
segnale sul palmare.” nel concludere la frase
abbassò il tono ed
aggrottò appena le sopracciglia; sul
proprio schermo comparve la posizione di un volto che, immobile, la
scrutava attraverso lo schermo con i propri occhi azzurri.
Gli
stessi occhi che Aisha avrebbe trovato dischiusi ad osservare il
vuoto, in un'angusta nicchia: il medesimo viso rigido, chinato verso
il basso come ad evidenziare il proprio petto gravemente lacerato.
Compiendo il terribile errore di proseguire senza l'amica, la
principessa di Andros aveva nuovamente posto lo sguardo sul sangue,
ormai secco sulla chiara pelle di chi, un tempo, era stato principe
di Eraklyon.
Il
respiro le si era mozzato, mentre non poteva far altro che rivolgere
le iridi altrove, lontane dall'inerme corpo che non era in grado di
ricollegare alla persona che conosceva; sforzandosi di non piangere,
si sporse leggermente per farsi vedere da Tecna.
“Non
venire qui. Ti prego, non farlo.” il controllo sulla sua voce
si
allentò tutto in una volta, ma dai suoi occhi non cadde
alcuna
lacrima.
“ … Credo
di capire perché.” a segnalare che neanche la
zenithiana fosse
rimasta indifferente alla notizia fu l'affannarsi del suo respiro,
mentre si tratteneva dal raggiungere di corsa il retro dello stabile
ed assicurarsi, avendone esperienza diretta, che la sua ipotesi fosse
veritiera. Al momento, seppur fosse stato contro ogni suo principio,
avrebbe preferito ingannarsi con una menzogna.
Con
il pensiero che sarebbe stata in grado di trovare la causa ad un
cambio così radicale nel presente, riportando l'intero
universo alla
normalità.
Rimettendo
Sky nella sua originaria posizione, riportandolo ai suoi giorni da
vivente.
Eppure,
davanti ad una scoperta simile, il senso di inutilità della
sua
persona era andato aumentando. Anche impegnarsi di più,
probabilmente, non avrebbe portato alcun risultato.
Inoltre,
di fronte all'evidenza, il suo cervello poteva
solo ripetere le due parole, che ancora nessuna delle due si era
azzardata a pronunciare.
Le
stesse due parole che, una volta trovata, avrebbero dovuto comunicare
a Bloom, mostrando un risentimento che entrambe avrebbero preferito
seppellire sotto tre metri di terra, insieme al corpo dello
Specialista.
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
Vogliamo
parlare di questo parto naturale? Oddio, è stato doloroso e
complicato.
Soprattutto
mostrare delle emozioni diverse dall'esultanza alla morte di Sky e
no, non l'ho fatto perché lo detesto (o forse
sì), ma semplicemente
non serviva a chi aveva commissionato la cattura degli Specialisti.
E'
un principe, sai quanti problemi dà da vivo, soprattutto
conoscendo
l'esercito di Eraklyon che non fa esattamente schifo – anzi.
Sto
cercando di allungare sempre di più i capitoli inserendo le
descrizioni, spero solo che non siano super noiosi e che li possiate
leggere in modo scorrevole, o voi poveri lettori che siete capitati
qui.
Lasciate
ogni speranza o voi che entrate.
Okay,
basta con i ricordi della terza superiore, dovrei concludere qui.
Ringrazio
Ghillyam
e
Applepagly
per
aver recensito lo scorso capitolo.
Ringrazio
anche Stealthy_step
per
aver inserito la storia fra le seguite.
Ci
si vede con il prossimo capitolo quando avrò ripreso in mano
la mia
vita (T^T)
Mary
Ps:
Sto
cercando di scrivere meglio siccome di solito mi faccio sempre
schifo, lol. Speriamo venga decentemente qualcosa.
|
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Capitolo 4 *** IV. Great Expectations ***
IV.
Great
Expectations
“Everybody
leaves and I'd expect as much from you
I
saw tail lights last night in a dream about my old life
Everybody
leaves so why, why wouldn't you?”
Great
Expectations – The Gaslight Anthem
Non
era la prima volta che si ritrovava a pensare quanto le mancasse
terribilmente la sua vecchia vita: quella nel piccolo cottage ad una
quindicina di chilometri da Magix, dove lei e le sue sorelle erano
cresciute con la madre.
Non
erano stati i pochi ricordi piacevoli a riportala con la mente al
luogo, nemmeno la memoria della propria progenitrice – che
raramente aveva visto comportarsi come tale – e neppure i
lontani e
spensierati tempi dell'infanzia; aveva scoperto trattarsi del
semplice desiderio di far tornare ogni cosa al suo posto.
La
sua esistenza, al momento, non risultava esattamente come l'aveva
immaginata in passato. Si poteva dire che non ci somigliasse nemmeno.
Osservandola
dall'alto e vedendosi occupare un misero appartamento per la maggior
parte della giornata, si era resa conto di non essere pienamente
soddisfatta degli anni che sarebbero dovuti essere i migliori della
sua vita.
Un'adolescenza
normale non le aveva mai fatto particolarmente gola, seppure alle
volte, nell'osservare gli altri intorno a sé, si era
ritrovata ad
invidiarla: poteva pensarla come voleva, ma il fatto che non avrebbe
avuto diciassette anni a lungo era una verità inconfutabile.
Nel
cercare le ragioni che l'avevano portata a vivere in modo quasi
miserabile aveva dovuto fare parecchi passi indietro, fino a sentire
sotto i propri piedi il prato ed il muschio, l'odore dei pini nelle
sue narici.
Non
credeva avrebbe nuovamente cercato risposte nel passato, nel
principio di tutto; si era convinta a lasciar andare le immagini che,
con i propri occhi, si era impressa nella mente. Con l'ultimo
fallimento, aveva compreso che probabilmente non ci sarebbe mai
riuscita.
Tornare
a quella calda notte estiva le provocava sempre una fitta di dolore
alle tempie che raramente avrebbe provato in altri casi: nonostante
fosse una dodicenne, non c'era stato attimo che non avesse ricordato.
Le
mura si erano tinte di rosso, il legno sembrava sciogliersi sotto il
liquido denso che lo ricopriva: schizzi sulle finestre colavano
lentamente verso il rosmarino poggiato sul davanzale interno, un
tappeto scarlatto andava allargandosi in soggiorno.
Le
soffocate urla l'avevano destata dal profondo sonno in cui era,
allarmandola leggermente ma non abbastanza da fornirle la prontezza
per balzare in piedi e correre a vedere. Forse per la stanchezza,
forse per la paura, aveva semplicemente affondato il capo nel
cuscino, cercando di ignorare ciò che il suo udito percepiva.
Se
si fosse fatta coraggio, sarebbe entrata in possesso della
verità,
senza doversi perdere in congetture ricercandola. Non avrebbe atteso
nel silenzio interminabili attimi, aggrappandosi alla vana speranza
che tutto ciò fosse frutto della propria immaginazione.
I
respiri si erano ridotti in rantoli, non una voce né il
suono delle
armi; a renderli appena udibili era il sordo suono di grosse gocce
che impregnavano della loro consistenza il legno. Il cigolio della
porta d'ingresso era stato l'ultimo rumore, prima che la quiete
notturna riprendesse il possesso della casa: nonostante ciò,
Darcy
non avrebbe serrato gli occhi né in tale momento
né lungo l'intera
durata della notte.
Era
stato il primo oppure il secondo?
Qualcuno
doveva esser per forza entrato, prima di uscire e portare con
sé
pochi – all'apparenza dannatamente infiniti –
minuti di terrore.
Le domande avevano affollato talmente la sua scatola cranica da
impedirle di prestare attenzione al metallo dei cardini.
Domande
che aveva riversato sulla sorella una volta che questa, con il
respiro affannoso e gli azzurri occhi appena sgranati, aveva aperto
tremante la porta.
'Dei
sopravvissuti di Domino' aveva pronunciato le parole
velocemente
in un sussurro, prima di raccogliere tutte le loro cose con l'ausilio
della magia: non avrebbe saputo dire se reazione dell'albina fosse
stata dettata dall'acuto nervosismo o dalla stessa paura che stava
costringendo la strega delle illusioni al letto.
Eris
giaceva impotente sulla grande sedia di vimini nella quale era solita
sedere, nell'unica ed ultima occasione in cui l'avrebbe colta
nell'essere sé stessa. Vi aveva gettato un veloce sguardo
appena
prima che la mano destra della maggiore si fosse posata sui suoi
occhi, oscurandole la vista così come la sinistra aveva
fatto con
Stormy.
Aveva
capito che a colare copioso era stato il sangue, sul pregiato tappeto
sotto ai piedi della madre e sul parquet, sulla cera delle candele
che illuminavano i vetri e sul legno della grossa porta che
delimitava il salotto: in pochi istanti aveva colto tutti i
particolari di cui necessitava e li aveva marchiati a fuoco nei
propri ricordi.
Nel
lasciarsi alle spalle tutto ciò che aveva conosciuto, la
nebbia che
aveva celato la loro fuga si era fatta insopportabilmente pesante: il
controllo delle Antenate sulla loro vita e sulla loro dimora,
tuttavia, sembrava essersi affievolita, ma senza dimenticare di
prometterne un eventuale ritorno.
Non
sapeva cos'avrebbe fatto lontana dalle mura atte a proteggerla da
qualsiasi influenza esterna, come sarebbe riuscita ad andare avanti
con ciò che aveva visto e vissuto; eppure sua sorella
maggiore non
aveva avuto problemi simili nel procedere dentro l'oscurità
della
foresta, nel soffocare la ragazzina che era stata per pianificare un
glorioso futuro – profondamente diverso da ciò che
l'aveva
preceduto – da imporre a loro ed a sé stessa.
Abbandonando
la madre nelle mani del tempo e le aveva condotte verso le
sfavillanti luci della promettente metropoli.
Seppur
inizialmente non fosse stato così differente rispetto alla
sua
esperienza precedente, in un solo mese i fatti si erano rivelati ai
suoi occhi, travolgendola completamente; ancora attendeva, ed a lungo
avrebbe atteso l'imminente cambiamento che l'avrebbe portata ad una
vera e propria vita, che sarebbe valsa la pena di vivere.
L'aveva
sentito dannatamente vicino e si era fatta forza nel pazientare per
coglierne l'arrivo.
Era
stata in grado di resistere per lungo tempo alla chiamata dei
ricordi, si era imposta di non raggiungere in alcun modo la vecchia
ed umile dimora in legno per evitare di rimanerci intrappolata
un'altra volta: ma, nel tenersi sotto controllo, la propria
sanità
mentale andava perdendo colpi verso un punto di non ritorno.
I
dubbi avevano preso troppo potere e, crescendo, la situazione non
aveva fatto altro che peggiorare. Nell'ampliare il suo intelletto si
era ritrovata a ripercorrere con la mente i passi della propria fuga:
con il viso volto sempre al passato, si era preparata al fatto che,
prima o poi, un avvenimento simile sarebbe dovuto accadere.
Eppure,
quando i ragionamenti si erano incastrati come tessere di un puzzle,
era stata colta totalmente impreparata.
I
rumori, il cigolio della porta, la gola attraversata da un profondo
ed impreciso taglio della madre: nessun soldato avrebbe svolto un
lavoro con tale imperfezione, data l'esperienza di cui erano muniti.
Inoltre nessun civile era sopravvissuto alla furia delle Antenate,
almeno così credeva.
I
leggeri passi, l'assenza del suono emesso da una qualsiasi arma.
Ed
il sangue.
Il
sangue sulla pelle di Icy e sull'orlo della sua candida camicia da
notte.
118
giorni, 2 ore, 33 minuti e 5 secondi dalla fine.
Aveva
dovuto ammettere – solamente a sé stessa, mai alla
diretta
interessata – che per una volta Stella aveva avuto un'idea
brillante quasi quanto il suo potere: aveva finalmente usato il
cervello e Musa, nello scoprire che non fosse sottosviluppato quanto
credeva, non aveva potuto fare a meno di stupirsi.
Non
l'avrebbe mai detto ad alta voce in ogni caso e, nel camminare per le
soleggiate vie di Gardenia era rimasta in silenzio, cercando di
evitare un qualsiasi contatto visivo con la bionda. Anche per
formulare il solo pensiero riferito alla sua geniale trovata aveva
dovuto ben ingoiare il proprio orgoglio.
Lei
stessa non sarebbe mai giunta alla conclusione che l'unico modo di
riunirsi con Bloom fosse stato dirigersi sulla Terra, era rimasta
nella ferma convinzione che anche lei si fosse ritrovata nel loro
medesimo mondo e che, cercando in ogni putrido angolo di Magix, prima
o poi l'avrebbero trovata.
Contrariamente
a ciò che aveva creduto, la principessa di Solaria si era
imposta
nell'affermare che la fulva non avrebbe potuto in alcun modo essere
lì: i ricordi erano riapparsi nei suoi dorati occhi, gli
alberi del
parco facevano ombra alla radura nella quale era impegnata nella
lotta che avrebbe determinato l'inizio di tutto.
Senza
le streghe intente a darle la caccia per il suo scettro, nulla si era
avviato per come in precedenza lo conosceva: non poteva
perciò che
essere lei a proporre un trasferimento dimensionale per riunirsi con
la loro leader, in quanto la vicenda che era venuta a mancare la
riguardava molto da vicino.
Nel
muovere veloci passi sui marciapiedi della città terrestre,
in
direzione della dimora dell'amica, Stella manteneva lo sguardo fisso
davanti a sé: le immagini della lontana estate tornavano
vive e
straordinariamente attuali, nonostante fossero passati almeno tre
anni.
Ricordò
la fuga che l'aveva portata su un pianeta ormai privo di magia, con
le mani aggrappate alla propria unica salvezza, lasciatale in
eredità
dalla madre; ricordò la forza e la tenacia che era stata
costretta a
mostrare nel fronteggiare i nemici; rievocò anche l'immenso
stupore,
nel vedere un potente calore infiammare il corpo della terrestre
che, dopo esser stata attirata dai suoni della battaglia, si era
schierata in sua difesa.
Non
poteva avere inizio diversamente, la serie di avventure che sarebbero
seguite all'incontro: il presente in cui si erano ritrovate ne era la
prova. In loro assenza, nessuno era stato in grado di arrestare
l'opera delle streghe: la loro azione sul passato doveva esser stata
insufficiente, non vi era altra spiegazione plausibile.
Le
venne da pensare che, dopotutto, Aisha non aveva avuto affatto torto
nel proporre di toglierle di mezzo definitivamente, ma Tecna era
stata in parte contraria, affermando che il proprio piano era il
più
sicuro; Musa invece aveva esitato davanti a quegli occhi color verde
acqua.
“Stella,
guarda che siamo arrivate. Tu stai andando troppo avanti.” la
voce
leggermente scocciata dell'asiatica la richiamò alla
realtà,
facendo arrestare la sua camminata: effettivamente stava superando la
dimora dell'amica senza farci minimamente caso.
“Guarda
che lo sapevo, stavo solo testando la tua memoria, cara
Musa.” le
rispose incrociando le braccia, per poi dirigersi verso la porta
d'entrata.
Per
la fata della musica il ricongiungimento con Bloom sarebbe stato un
avvenimento di cui gioire, non solamente per aver ritrovato un'amica
– considerando le condizioni di Magix non sarebbe stata una
stranezza non trovarla affatto – ma avrebbe alleggerito la
tensione
creatasi fra lei e la bionda. Non si erano mai particolarmente
sopportate, nelle situazioni di pericolo il loro rapporto tendeva
sempre e soltanto al peggioramento.
“Non
starai aspettando che bussi io, spero.”
“No,
certo che no. Mai scomodare una principessa a fare un gesto
così da
popolana.”
Stella
roteò gli occhi, aspettando di udire il rumore delle nocche
della
compagna sul massiccio legno della porta: sperò ardentemente
che
qualcuno si apprestasse a rispondere, altrimenti se la propria
condizione fosse rimasta tale, non ci sarebbe voluto molto a farle
perdere completamente il controllo.
Si
era dovuta impegnare particolarmente per poter restare a letto:
Vanessa non era facile da ingannare con le false malattie volte a
saltare giorni di scuola, né Bloom avrebbe voluto mentirle
sulla
propria salute; ma la situazione richiedeva del tempo per essere
risolta, tempo che non avrebbe avuto se fosse uscita per andare a
lezione.
Inoltre,
nel cercare di contattare Stella, si era resa conto che il suo
telefono aveva bisogno delle migliorie che Tecna le aveva applicato
durante la loro prima uscita a Magix, pertanto non avrebbe potuto
chiamare al di fuori della dimensione terrestre: avrebbe dovuto
ingegnarsi in qualsiasi modo le fosse venuto in mente.
Poteva
contare sulla Fiamma del Drago, che sapeva giacere latente nel suo
corpo: avrebbe faticato nell'allenarlo a sopportarne la forza, ma si
sarebbe messa d'impegno per riuscirci. Del resto, con ciò
che era
accaduto e le nuove incombenze, la fulva aveva totalmente dimenticato
la ricerca delle proprie origini ed, in particolare, l'affannarsi a
trovare i genitori biologici, ovunque essi si trovassero. Capire come
risolvere l'attuale questione era di maggiore importanza: inoltre, le
streghe erano ancora vive e, nonostante il radicale cambiamento, non
sarebbe stato insolito se si fossero dedicate ad un piano differente
ma ugualmente distruttivo.
La
prima vera guerra fra loro era stata sufficiente a darle un'idea ben
chiara su chi si fosse trovata davanti: modificando un solo,
importante avvenimento avrebbe sì comportato una maggiore
tutela per
le medesime azioni compiute in passato, ma non avrebbe coperto
ciò
che le menti delle streghe sarebbero arrivate ad architettare in ogni
caso.
La
Dimensione Magica necessitava quindi, ancora una volta,
dell'intervento delle Winx; o almeno così credeva.
Nel
rimuginare sull'ultima battaglia, alla quale aveva seguito il
rischiato collasso di Andros, si apprestò ad infilarsi i
primi
vestiti che era riuscita ad afferrare in mezzo al mucchio che
occupava il suo armadio; perdersi in riflessioni su un passato che
non avrebbe mai, fortunatamente, fatto ritorno, non sarebbe servito
assolutamente a nulla.
Fu
in quel momento che la porta si spalancò, rivelando la
figura di
un'irritata ragazza bionda a lei piuttosto famigliare.
“Non
è possibile che tu non sia nemmeno capace di
bussare!” esclamò,
introducendosi nell'abitazione con il dorato sguardo rivolto verso
l'asiatica di bassa statura, poco dietro di lei, che in risposta le
riservò l'onore di veder alzarsi il suo dito medio.
Il
corpo di Bloom si immobilizzò nel scendere gli ultimi
gradini delle
scale; la sua mente impegnata a metabolizzare ciò che
sostava
davanti alle azzurre iridi; la sensazione del grosso peso, posto sul
suo ventre, scompariva velocemente. Presa com'era a scervellarsi per
trovare il modo di ricongiungersi con le amiche, non avrebbe mai
pensato ad un loro arrivo: colta totalmente impreparata,
puntò lo
sguardo sulle figure all'apparenza troppo belle per essere vere.
Il
sentore di battaglia che le aveva annebbiato momentaneamente
l'intelletto, si dissolse completamente nel giro di qualche secondo.
Non
ebbe bisogno di sciogliersi per raggiungerle, quando i suoi nervi
cominciarono a distendersi, Stella si era già apprestata a
cingerla
in un caldo e sentito abbraccio: non si scambiarono nemmeno una
parola nei brevi attimi, il contatto risultava sufficiente.
Era
trascorsa quasi una settimana dall'ultima volta in cui le loro pelli
si erano sfiorate, il giorno in cui ogni cosa era stata profondamente
cambiata dalla loro magia: il giorno in cui si era sentita in
contatto con ognuna delle sue amiche, con i loro sentimenti ed
ideali; dove il loro desiderio di pace era stato portato all'inizio
della propria realizzazione.
In
seguito a tale connessione, una settimana separata completamente del
mondo che aveva amato e protetto, dalle amiche che aveva sostenuto e
dalle quali, a sua volta, era stata sostenuta, era parsa
pressoché
infinita.
La
fata della Fiamma del Drago non poté che chiudere gli occhi
in
quella dimostrazione d'affetto, distendendo il viso e sorridendo in
modo sincero.
“Bloom,
non ci crederai mai che l'idea di venirti a prendere è stata
di
Stella.” disse Musa quasi a bassa voce, unendosi per un
attimo
all'abbraccio: non era molto dell'umore, ma del resto la mancanza
dell'amica si era fatta ben sentire anche per lei.
“E'
incredibile – accennò una risata, la fulva
– Ma sono
estremamente felice che l'abbia fatto!”
La
fata della musica fece un sorriso tirato in direzione della compagna,
trovandosi a pensare se veramente dovesse gioire in un momento
simile: la felicità dell'altra, del resto, sarebbe stata
presto
smorzata sulla condizione della Dimensione Magica che lei e la
principessa di Solaria le avrebbero comunicato; tuttavia non
sentì
il bisogno di informarla particolarmente in fretta.
L'atmosfera
molto meno cupa che la sua dimora terrestre presentava era una sorta
di luogo di riposo per l'animo dell'asiatica: forse, per un po',
avrebbe potuto godersi in silenzio la gaiezza che aleggiava fra tali
mura.
Anche
Stella non poteva dirsi estranea a quelle riflessioni: nel lasciare
lentamente andare il corpo della propria migliore amica,
nell'osservare il bagliore negli occhi di chi ancora riponeva qualche
speranza nella salvezza di Magix, aveva sentito le proprie viscere
attorcigliarsi ed appesantirsi.
Eppure
avrebbe dovuto prender coraggio nel dirle ciò che, in ogni
caso, le
avrebbe chiesto: scorgeva la domanda sulle sue labbra, una
motivazione ai dettagli che avrebbe saputo, alla quale nemmeno
entrambe le compagne avrebbero saputo dare risposta.
“Si
può sapere cosa avete tutte e due?” ovviamente
nulla era sfuggito
alla diretta interessata, che con tono leggero pareva spronarle a
darle una qualsiasi spiegazione: la delicata mano che si
poggiò
sulla sua spalla le fece tendere leggermente il viso in
un'espressione tutt'altro che serena.
La
bionda non usava mai tale gesto, se non in situazioni particolarmente
gravi.
Aveva
forse sbagliato a dichiararsi così positiva?
Che
le streghe, non controllate dalla preside e dalle insegnanti di
Torrenuvola, avessero fatto qualcosa di ben peggiore rispetto ad
evocare l'esercito oscuro?
Lo
smarrimento più profondo si fece strada negli occhi di
Bloom, mentre
la sua migliore amica, puntando il dorato sguardo a terra,
s'accingeva a descriverle la situazione.
120
giorni, 22 ore, 21 minuti e 17 secondi dalla fine
.
L'ambiente
appariva caldo ed accogliente, considerando anche che alcuni degli
oggetti posti in vendita sugli scaffali non rientrassero nella
categoria descrivibile con i medesimi aggettivi. Ne aveva visti
parecchi di negozi magici, ma sicuramente quello risultava il
più
particolareggiato e personale che avesse mai osservato.
Un
paio di piante aromatiche sul bancone contribuivano all'atmosfera di
quiete e sicurezza creatasi: nel suo caso, generalmente, qualsiasi
vegetale era in grado di metterla maggiormente a suo agio.
Darcy,
alle sue spalle, sistemava nel giusto ordine gli infusi che si era
attardata, nella notte, a produrre: al solo sentirne l'aroma, Flora
poteva dirsi certa che fossero ottimi.
Nel
profondo del proprio animo non era ancora in grado di comprendere per
quale motivo avesse deciso di seguire la strega, in quanto nel suo
interesse sarebbe potuto essere un grave errore. Il retro della sua
mente non l'aveva ancora esclusa dall'avere una parte di
responsabilità nella rovina di Magix, seppure nel vederla e
nell'ascoltare le sue parole, nel cogliere i suoi pacati ed ipnotici
gesti, la possibilità della sua colpevolezza si era
affievolita di
molto.
Era
conscia di trovarsi davanti allo sbaglio di trovare della
bontà
anche in chi non ne aveva dimostrata, lo faceva spesso; tuttavia una
serie di fattori l'avevano fatta desistere dall'essere troppo
diffidente verso la mora.
Aveva
dimostrato di non conoscerla, ciò doveva essere abbastanza
per
mantenersi appena più quieta; inoltre, al momento della
scelta,
aveva capito che rifiutare sarebbe stato un vero e proprio suicidio.
Alla
fine le aveva offerto un pasto ed un posto in cui passare la notte,
senza chiedere null'altro in cambio che la sua presenza.
“Flora,
giusto? Non ho ancora capito cosa ci facesse una fata non compromessa
in un luogo simile. Non sei di qui suppongo.”
parlò mantenendo lo
sguardo sugli scaffali, i vasetti di vetro nella sua mano
tintinnarono debolmente nell'urtarsi.
Non
avevano dialogato granché durante la notte, la strega si era
limitata a sistemarle un letto, preparare qualcosa da mettere sotto i
denti e fare buon uso degli ingredienti che aveva raccolto nel suo
viaggio verso la metropoli, motivo che spiegava la sua posizione
nella scura distesa; e lei non aveva osato interrompere il suo ritmo
con la propria voce.
Aveva
fin troppi pensieri per la testa, fra i quali l'essersi esposta ad un
rischio non del tutto trascurabile in mancanza di un'alternativa
valida. Com'era ovvio che fosse, i continui dubbi non l'aiutavano a
trovare qualche attimo di pace.
“Sì,
esatto. Hai usato un termine simile anche ieri, cosa significa? Da
dove provengo non esistono fate con una natura magica diversa dalla
mia.”
Darcy
le rivolse il viso, gli occhi color del grano la scrutarono
attentamente con una punta di incredulità. Flora lo
notò appena
nell'incontrare il suo sguardo, qualcosa di diverso e ben celato la
differenziava dalla versione di lei che aveva imparato a conoscere,
supponendo che il suo essere fosse il medesimo di ciò che
usava
mostrare.
Aveva
veramente il diritto di affermare di conoscerla?
“Quindi
stai dicendo che provieni da un mondo dove le fate non fanno
dell'uccidere il proprio mestiere. Non credevo esistesse ancora un
luogo simile.”
“Uccidere?”
nel deglutire, i ricordi della fata della natura andarono a quando
aveva ascoltato Aisha dichiarare che eliminare le Trix sarebbe stata
la scelta migliore: la loro magia bianca sarebbe stata macchiata da
tale delitto, se avessero osato farlo?
Ogni
tanto, l'avrebbe negato infinite volte per preservare la propria
innocenza, un simile pensiero aveva sfiorato anche lei: non ci
sarebbe stata alcuna pace con la loro presenza.
Eppure
sarebbe stato profondamente sbagliato credere che la loro morte
avesse rappresentato l'unica soluzione.
“Esattamente.
Dipende da quanti omicidi il soggetto compie: dai primi, con del
tempo ed un grande controllo, si può guarire. Proseguendo
invece la
magia bianca tipica di voi fate viene macchiata indelebilmente:
comincia con il perdere le proprie caratteristiche, il proprio potere
e, perseverando, porta il soggetto al completo esaurimento di essa.
La
magia bianca perde la capacità di rigenerarsi ed in breve
tempo la
fata in questione muore.”
La
concisa spiegazione rimbombò qualche volta nella mente della
fata,
prima che questa potesse pensare anche solo un'altra domanda da
sottoporre alla strega delle illusioni. Nella Dimensione Magica che
aveva conosciuto non le era mai stato spiegato tale dettaglio, in
quanto non era mai stato necessario.
“Non
ne eri a conoscenza?” l'anticipò, dopo aver notato
la reazione non
del tutto positiva a ciò che le aveva appena detto.
“No…
Provengo da un mondo dove le fate non hanno mai avuto la
necessità
di uccidere.”
“Dev'essere
un bel luogo allora. La frase che hai appena pronunciato a Magix
risulterebbe come un'utopia.” l'accenno di sorriso che
seguì la
frase sortì lo stesso effetto della precedente
espressività dei
suoi occhi: non vi era certezza che non la stesse ingannando, eppure
le leggere diversità che presentava dalla manipolatrice che
più
volte aveva affrontato la tranquillizzavano appena.
Sembrava
avesse sepolto le proprie folli ambizioni nel passato, trovando il
modo di portare avanti la propria esistenza in assenza di un assurdo
desidero di conquista e un'enorme sete di potere; nel cercare un
motivo del suo cambiamento, si sentì leggermente stupida a
non aver
notato prima un dettaglio estremamente importante.
La
sua attenzione per i piccoli cambiamenti in Darcy, per l'ambiente e
per ciò che lo costituiva le aveva tolto da davanti allo
sguardo ciò
che avrebbe dovuto vedere fin da subito: l'abitudine a scorgerla in
un atmosfera diversa, in un modo diverso, non aveva giocato affatto a
suo favore.
Non
poteva di certo chiederle spiegazioni, non avrebbe avuto motivo di
sapere in quanto, nell'esperienza della strega, si erano incontrate
la notte prima e di lei conosceva solamente il nome: esordire con una
frase riguardante le sue assenti sorelle avrebbe destato fin troppi
sospetti, qualsiasi fosse la loro situazione della quale non sapeva
nulla.
“Uhm…
Vivi qui da sola?” decise di rimanere vaga, facendola
sembrare una
semplice domanda per fare conversazione. In base alla sua risposta
avrebbe provato a trarre qualche conclusione, sperando in tale
maniera di alleviare il peso dei propri dubbi.
Le
domande riguardanti la metropoli avrebbero dovuto attendere.
La
mora appoggiò per un attimo i gomiti al bancone, incurvando
leggermente la schiena.
“Per
la maggior parte del tempo sì. Di tanto in tanto torna mia
sorella
minore dalla città, ma non credo ti sia di particolare
disturbo
qualora avessi intenzione di fermarti. O almeno, farò in
modo che
non lo sia.”
“Ah,
una sorella. Siete solo voi due?” nell'esprimere il quesito
Flora
incrociò volontariamente il suo sguardo: fermo e risoluto,
si
sollevò dal bancone per mantenere il contatto visivo. Senza
un
singolo movimento in più del necessario, Darcy
tornò eretta ed
impassibile.
“Esattamente.
Nessun altro.”
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
Non
so come possa essere venuto questo capitolo, ma mi sono fatta
attendere un po' e mi scuso per questo. Mi ero accorta di non aver
sistemato cosa avrei dovuto scrivere in ogni capitolo ed andare
avanti allo sbaraglio non mi avrebbe portata da nessuna parte.
Quindi
in parte ho sistemato.
Spero
solo che tutto vada come me lo sono immaginato e che possa piacere
almeno a qualcuno (vorrei anche esserne pienamente convinta ogni
tanto ehehe).
Presto
le prime spiegazioni arriveranno, non temete.
Come
di consueto, passiamo ai ringraziamenti:
Ringrazio
con tutto il cuore Ghillyam ed
Applepagly che
sfruttano ogni occasione per far comparire un sorriso sul mio
faccino, sono molto felice che questa storia vi stia appassionando e
spero veramente di non deludervi in nessun modo, per poter creare
qualcosa che magari potrete rileggere più avanti.
Ringrazio
inoltre i lettori silenziosi, sperando che anche loro apprezzino
questo tentativo di incupire ulteriormente il mio stile per questa
sottospecie di What If.
Grazie
per aver letto!
(Sembra
molto quei ringraziamenti che mettono alla fine di ogni videogioco)
Mary
|
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Capitolo 5 *** V. Goodbye ***
V.
Goodbye
“Let
the bed sheet soak up my tears
And
watch the only way out disappear
Don't
tell me why, kiss me goodbye.”
Goodbye
– Apparat ft. Soap&Skin
L'avrebbe
volentieri fracassato a terra, quel maledetto aggeggio infernale.
Da
un paio di ore ormai stava procedendo sul rettilineo che si
allontanava da Magix, sbattendo leggermente la suola dei propri
anfibi sull'asfalto ad ogni passo eseguito – doveva pur
sfogare la
crescente rabbia in qualche modo, ed era tutto ciò che le
era venuto
in mente che non avesse comportato un eccessivo sforzo fisico o la
distruzione di ciò che, per ora, la stava intrattenendo. E
quest'ultimo non presentava ancora alcuna notifica, nemmeno un
messaggio di scuse da quella stronza di sua sorella.
La
frustrazione l'avrebbe portata a compiere azioni sconsiderate, se le
almeno mille e cinquecento canzoni presenti sulla sua libreria
musicale non l'avessero salvata da un pessimo crollo emotivo: la
dipendenza dalla musica, del resto, era diventata l'unica ancora a
tener in vita il maltrattato dispositivo.
Constatando
che nessuna delle due streghe avesse cercato di contattarla, si
trovò
a chiedersi se effettivamente l'avrebbero mai cercata, una volta
scoperta la sua fuga; ma scacciò in fretta il pensiero
convincendosi
che, in fondo, non gliene fregasse granché.
La
veridicità dell'affermazione, tuttavia, cominciava a
vacillare nella
sua affollata mente.
Non
credeva di contare, nella realtà, così poco per
entrambe: talmente
poco da permetter loro di lasciarla andare con tale facilità.
Il
modo in cui si sentiva, le forti e negative emozioni che sempre
provava; che fossero state create dalle loro colpe? Dalla loro
esclusione nei suoi confronti?
Non
ci aveva mai veramente riflettuto, la ricerca di una qualsiasi
distrazione che l'avrebbe allontanata dalla situazione in cui era
aveva assorbito a lungo tutte le sue energie: ora, tuttavia, avrebbe
avuto molto più tempo per farlo.
Con
la sola rabbia che stava covando avrebbe potuto proseguire per
giorni, fino a trovare finalmente un posto abbastanza lontano dove
alloggiare, un luogo nel quale non l'avrebbero mai trovata qualora
fosse venuta loro in mente l'idea di partire alla sua ricerca.
Ipotesi
altamente improbabile, dati i due soggetti con i quali aveva
trascorso la propria esistenza.
In
fondo non era mai andata d'accordo con nessuna delle due, non aveva
granché da perdere nel tagliare i ponti; Darcy le era stata
ostile
in quasi ogni sua scelta, evidenziando le carenze intellettive
–
delle quali, ingoiando dolorosamente l'orgoglio, era conscia
– ed
utilizzandole per manipolarla a suo favore.
Vivendo
nella stessa dimora, spesso i litigi erano inevitabili: seppure
Stormy avrebbe sempre dato la colpa alla sorella, forse la sola
effettiva responsabile era la loro profonda diversità. L'una
era
pressoché l'opposto dell'altra e nessuna delle due si era
mai
sforzata di arrivare a dei compromessi in favore del quieto vivere.
Sacrificandolo,
perfino lei stessa si era accorta a cosa stesse andando incontro: ma
un po' per orgoglio ed un po' per il suo essere parecchio testarda,
non si era mai permessa di arrestarsi; ottenendo lo stesso riscontro
dall'altra parte, il loro rapporto non avrebbe potuto che mandare
avanti il proprio declino.
Le
basi create nel passato, atte a reggerlo, erano ormai diventate
troppo lontane e sfocate: il ricordo di qualche accennata ed
innocente dimostrazione di affetto era scomparso senza lasciare
traccia, facendo vacillare le fondamenta dei loro rari dialoghi che
potevano essere definiti tali.
Non
era quindi esagerato pensare che non fosse rimasto nulla per cui
sarebbe valsa la pena restare.
Allo
scopo di distrarsi dall'attività cerebrale –
già troppa per i
suoi standard – affondò le mani nelle tasche della
propria giacca
di pelle, sfiorando con i polpastrelli le numerose banconote che
aveva portato con sé: qualche decina proveniente dai suoi
furti, il
resto un'ingente somma presa dai risparmi della sorella di volta in
volta, in previsione di un emergenza come quella.
Avrebbe
dovuto sentirsi anche leggermente in colpa nel sottrarle
continuamente del denaro, tuttavia non si era mai ritrovata a provare
un'emozione simile: la maggiore, in qualche modo, per il suo
atteggiarsi da dittatore nei loro confronti, si era meritata un
tradimento simile.
“Maledetta
troia.” borbottò nel rimuginare le infinite
situazioni in cui
l'aveva pensato, senza però osare esporre la propria
considerazione
ad alta voce.
“Cosa?”
Completamente
concentrata sulle proprie riflessioni, non aveva notato la chiara
automobile accostarsi al lato destro della strada: si
irrigidì
momentaneamente, scrutandola con la coda dell'occhio per poterne
cogliere tratti che non avrebbe voluto in alcun modo nemmeno
immaginare.
Credeva
praticamente impossibile il fatto che Icy fosse tornata di fretta in
favore della sua ricerca, senza perdere un minuto nel colpevolizzare
la mezzana come usava fare.
Tuttavia
il dubbio che si era insinuato nella sua mente non seguitò
ad
andarsene finché, voltandosi verso la sua interlocutrice,
non vi
vide tratti totalmente differenti dai lineamenti dell'albina. La
ragazza intenta ad osservarla attraverso gli occhiali da sole aveva
dei lunghi capelli corvini – dei quali spostò una
ciocca dietro
all'orecchio destro nello sporgersi sul sedile del passeggero
– ed
il suo viso, pensò la strega, risultava allo sguardo
profondamente
diverso da qualsiasi altro abitante della metropoli.
Delicato
e caratteristico, per metà ombreggiato dal sole, pareva
brillare
leggermente di luce propria, in contrapposizione ai neri occhi a
mandorla resi visibili dal suo impacciato liberarsi degli occhiali.
Le rosee e piccole labbra si mossero appena, ma nessun suono ve ne
uscì.
Poi
Stormy si accorse di star portando ancora gli auricolari.
“Cos'hai
detto?” le chiese con fare non del tutto garbato, ma cercando
comunque di tenere a freno il proprio temperamento: dare dell'occhio
era l'ultima cosa che avrebbe dovuto fare nella situazione in cui si
trovava.
Il
tono provocò nella mora un accenno di ilarità,
celato appena dal
movimento che compì nel girare la chiave dell'automobile e
finalmente avvicinarsi a dovere al finestrino.
I
capelli parevano essere l'unico aspetto in grado di bilanciare, con
la propria dolcezza nell'ondeggiare, lo sgraziato muoversi della
minuta ragazza; in un attimo di distrazione dalla sua apparenza, la
strega si chiese come riuscisse ad arrivare ai pedali con una statura
simile.
Non
che lei stessa fosse tanto più alta.
“Ti
ho chiesto se avevi bisogno di un passaggio, nel caso andassimo dalla
stessa parte.” la sua melodiosa voce presentava un accento
mai
sentito, il che confermò ulteriormente l'ipotesi della
minore: non
aveva idea del luogo dal quale la sua interlocutrice venisse, ma era
ormai certa non fosse di Magix.
“Basta
che non vai verso la città e a me va bene. Me ne stavo
andando da
là.” le rispose senza troppe proteste, lasciando
prevalere la
pigrizia sull'orgoglio: al momento le importava poco conoscere chi le
stesse offrendo un passaggio, le sue priorità erano ben
altre.
Ammazzare
il tempo non rientrava ancora fra di esse.
“Questo
somiglia più a 'scappare'.”
avrebbe voluto dirle
l'asiatica, ma ben pensò di tenere tale considerazione per
sé
stessa: conosceva il soggetto abbastanza da credere che non avrebbe
messo piede nella sua auto qualora avesse pronunciato la frase ad
alta voce. Trattenne a forza la lingua, ricacciando qualsiasi aspro
pensiero, ed accennò un sorriso alla strega delle tempeste;
tirò
leggermente gli angoli della delicata bocca verso la sorte alla quale
lei e le altre l'avevano destinata.
“Sto
andando a sud, nella direzione che stavi seguendo. Ho ancora parecchi
chilometri, ti va bene?”
Nel
vederla annuire e posizionare il suo all'apparenza pesante zaino sui
sedili posteriori, la sua mente venne attraversata da un assurdo e
singolare pensiero; perfettamente costruito durante l'intero
svolgimento del piano e dal quale non si sarebbe liberata fino
all'epilogo.
Inseguendo
la più volte citata giustizia non si era permessa di
dubitare delle
proprie azioni fino ad allora; allora, l'esatto momento in cui la
strega chiuse la portiera e si sistemò sul sedile del
passeggero;
l'attimo in cui Musa si chiese veramente se tutto ciò fosse
giusto.
Per
il bene della Dimensione Magica qualche esistenza avrebbe dovuto
essere sacrificata, ne era consapevole: eppure da una semplice
affermazione, come erano arrivate a ritenere giusto l'atto di
strappare il passato dalle mani della minore delle Trix? Poteva
realmente rientrare in tale categoria?
Pervasa
dal dubbio, la fata della musica rivolse un veloce sguardo alla sua
nemica di un tempo, al suo aspetto aggressivo di sedicenne: la
fragilità, mal celata, le tirava il viso dai tratti ancora
infantili. Le sue ignare iridi restavano fisse sullo schermo privo di
notifiche del cellulare.
Davanti
allo smarrimento nei suoi occhi, Musa esitò.
La
flebile speranza che potesse cambiare idea, che non s'addentrasse in
una condizione della quale non sarebbe stata in grado di affrontare
le conseguenze, le sfiorò inconsciamente i pensieri;
silenziosa, le
aveva sussurrato all'orecchio con una fine e delicata voce che forse,
se l'avesse lasciato accadere, avrebbe interrotto il contatto con
ogni dubbio.
Si
era trovata a pochi secondi dal farlo, se non fosse stato troppo
tardi: e lo capì nella manciata di secondi in cui Stormy
gettò il
dispositivo elettronico dal finestrino, rifiutandosi perfino di
seguirne la traiettoria.
118
giorni, 0 ore, 3 minuti e 15 secondi dalla fine.
Non
sarebbe stato particolarmente esagerato affermare che, vedendo Magix
in condizioni simili, al di là di ogni sua funesta
figurazione,
Bloom aveva provato del dolore fisico: una fitta salire dallo stomaco
fino alla schiena, incurvando le sue spalle sotto il peso della
schiacciante verità.
Aveva
boccheggiato per qualche attimo, tirando con forza il poco ossigeno
presente nell'aria viziata e gonfiando il petto per contenerlo il
più
possibile: il suo respiro si stava affannando fin troppo per
permetterle di metabolizzare lucidamente le terribili informazioni
che aveva raccolto dalle testimonianze delle amiche.
Nella
sua mente, ascoltando le parole di Stella, ogni cosa era parsa
migliore di quanto, nella realtà che si stagliava per
chilometri
davanti ai suoi occhi, fosse. La ridotta visuale fornita dagli
stretti vicoli che sboccavano sulla piazza principale della metropoli
era sufficiente a mostrarle la meravigliosa fontana, sul bordo della
quale usava sedere per riposarsi qualche attimo: davanti ad un
monumento in rovina, inghiottito dalla cenere, i giorni dello
shopping sfrenato e delle passeggiate con il suo ragazzo risultavano
estremamente distanti.
“Come
hanno fatto quelle tre a fare una cosa del genere?”
sussurrò in
direzione delle altre due, puntando con decisione l'indice verso il
rovinato marmo e le persone che lo sorpassavano, camminando in
fretta.
“Lo
sai benissimo che potrebbero fare qualsiasi cosa.” le rispose
Stella, storcendo leggermente il naso all'orribile vista e procedendo
in tale direzione: dopo giorni in cui aveva evitato ogni contatto con
il centro, era giunto il momento di comprenderlo nelle proprie
ricerche. Non sarebbe stato difficile trovar lì le loro
acerrime
nemiche, supponendo che non volessero farsi vive per prime e
sfruttare l'effetto sorpresa.
“Sentite,
ragazze, non ne ho idea. Se fosse veramente colpa loro ci avrebbero
già attaccate: inoltre chi sono tutti quei tizi? Quando
hanno
evocato l'Armata Oscura ogni luogo era completamente deserto, invece
qui è pieno di gente. E dubito che siano tutti ai loro
ordini, non
possono nemmeno essere in possesso della Fiamma del Drago per
minacciarli.”
“Geniale,
Musa. E secondo te chi può aver fatto una cosa simile, se
non le
streghe?”
La
diretta interessata gonfiò appena le guance nell'essere
contrariata
in modo così sgarbato e sarcastico, incrociando le braccia
ad
esprimere tutto il proprio disappunto verso il comportamento della
principessa di Solaria.
“Tu
le hai viste? Ci avrebbero già attaccate senza darci il
tempo di
ambientarci se questo – allargò con enfasi il
braccio verso il
luogo maggiormente popolato – fosse veramente opera loro. Ho
cominciato a dubitarlo da quando niente ha cercato di ucciderci: non
sono a conoscenza dei loro piani, ma sono sicura che si sarebbero
accorte di noi appena avremmo messo piede a Magix, non ci avrebbero
lasciate agire indisturbate.”
Bloom
non gradiva particolarmente la grave atmosfera che stava procedendo a
circondarle e fece per intervenire in favore della fata della musica
e dei dubbi che era stata in grado di porle: del resto aveva espresso
dei validi motivi a sostenere il proprio pensiero sulla questione, ed
effettivamente la logorante attesa alla quale erano state sottoposte
non faceva parte dei metodi delle Trix.
Per
ampliare il loro potere avrebbero necessitato della Fiamma del Drago,
non era quindi sconsiderato che avessero voluto costruire una
situazione nella quale la sua custode fosse isolata e separata dal
resto del gruppo: tuttavia nel suo breve periodo a Gardenia,
trascorso nello spacciarsi per una comune umana, non aveva subito
alcun attacco da parte di qualsiasi cosa riconducibile alle streghe.
E
scacciare tale dubbio dalla propria mente in favore della conoscenza
del nemico – della loro smisurata crudeltà,
carenza di empatia ed
abbondanza di qualsiasi male conosciuto dalla Dimensione Magica,
secondo il suo modesto parere – le risultava parecchio
difficoltoso. Non sarebbero bastati i ricordi del dolore e della
distruzione, che in passato le tre avevano causato a chiunque si
fosse frapposto al loro obiettivo, a distoglierla dal misero, ma
dall'importante forza, pensiero che nell'attuale realtà
sarebbe
stato più utile cercarle come vittime e non come carnefici:
in
occasioni simili la sua testardaggine era utile a non farla perdere
in un labirinto di idiozie al quale proseguire su tale via l'avrebbe
portata.
Tuttavia,
quando fece per aprire bocca e condividere la propria opinione, venne
interrotta dallo stizzito tono di Stella.
“Non
ci credo: le stai difendendo adesso? Ti sei per caso dimenticata di
ciò che hanno fatto al nostro mondo, Musa? Non avrei mai
pensato che
ti saresti fatta condizionare da quella sclerata a
tal punto
da cambiare idea sulla natura di chi non ha fatto altro che uccidere
per inseguire i propri folli scopi.” la fata della Fiamma del
Drago
non seppe dire se fu effettivamente la voce della bionda o le parole
da lei pronunciate a far avvampare di rabbia l'asiatica. Se con loro
ci fosse stata Flora, oppure Tecna, sarebbe stata in grado di aiutare
a smorzare il litigio che andava intensificandosi: in assenza di
esse, avrebbe dovuto provarci da sola, seppur fosse a conoscenza
dell'impossibilità di successo.
La
ragione ed il torto oscillavano fra le due, confondendo le sue idee e
riportandola lievemente a dare la colpa alle streghe, più
per
abitudine che per altro: i ragionamenti, infatti, l'avrebbero fatta
convergere sulla posizione opposta.
“Musa,
Stella...”
“Adesso
non tirare in ballo quella cosa! Di certo mi sono
impegnata
più di te nel contribuire al piano, non è stato
facile separare
Stormy dalle sorelle per un lungo termine. Tu invece cos'hai fatto,
per poter criticare così liberamente le mie
azioni?” Musa la
ignorò, dando fiato alle proprie parole per imporre una
sottospecie
di autorità sull'altra amica, che ora stava oltrepassando il
limite
come aveva fatto ben altre volte: la collera che accendeva il suo
animo pareva la stessa che l'aveva infiammato durante il suo primo
anno ad Alfea, nel quale aveva scoperto di non esser stata l'unica a
mirare alle attenzioni di Riven.
Ma
al momento, nel suo petto, le emozioni ardevano maggiormente a causa
del fatto che la fata del Sole e della Luna avesse di proposito
cercato l'animata discussione.
“Anche
io ho avuto la mia parte: ciò che non ho fatto è
stato perdere
tempo ad instaurare un dialogo con quella là, a differenza
tua.”
La
fulva la sentì: la goccia che aveva fatto traboccare il
vaso;
intervenire a tal punto della vicenda sarebbe stato come gettare
benzina sul fuoco, poteva vederlo chiaramente dalla colorazione
assunta dal volto dell'asiatica.
Ma
quale alternativa aveva?
Quest'ultima
non era stata mai entusiasta di portare a termine il proprio compito
e, nel svolgerlo, la poca forza di volontà era andata
scemando:
dubbi che non avrebbe mai ammesso né a sé stessa,
né alle altre,
si erano aggrappati ai suoi ricordi e ne avevano annullato la natura.
Si era ritrovata a questionare ogni certezza riguardante ciò
che
fosse necessario, ripercorrendo il passato fino alla prima sera a
Magix, la sera del primo e non del tutto amichevole incontro con le
nemiche.
Aveva
celato lo sconforto in qualsiasi modo possibile, sforzandosi di
proseguire per un bene che avrebbe giovato alla maggior parte: ma non
a tutti, no, non tutti.
Non
lasciar trasparire la propria debolezza davanti alle amiche delle
quali maggiormente si fidava era doloroso, ma era stata questione
d'orgoglio; Musa avrebbe portato le proprie ferite nella tomba.
Per
tale motivo, messa alle strette dalla principessa di Solaria, si
controllò per evitare di dimostrarle che, seppure
parzialmente,
avesse ragione sul suo stato d'animo: sopportò le ultime
accuse,
stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
Separarsi
non sarebbe stato per nulla costruttivo, ma la fata della musica non
riuscì a negare d'aver lasciato che il pensiero prendesse
forza
nella sua mente.
“Ragazze,
non è il momento di litigare.” provò ad
imporsi Bloom, arrestando
la serie di riflessioni che avrebbero portato l'amica a considerare
veramente la malsana idea di proseguire la missione per conto
proprio: per esserne in grado, si pose fisicamente fra le due
litiganti.
Avrebbe
cercato di mostrarsi il più neutrale possibile, celando il
fatto
che, se avesse dovuto scegliere, avrebbe spostato di poco l'ago della
bilancia in favore della fata del Sole e della Luna: nonostante i
dubbi intenti a crescere senza posa dentro di lei – che per
poco
non l'avevano portata a cambiare idea sul trio di nemiche –
aveva
decretato che non potessero esserci altri colpevoli con dei poteri
pari o superiori a loro; e per la Fiamma del Drago, non aveva pensato
all'eventualità che effettivamente non sapessero dove si
trovasse
prima di scontrarvisi contro.
Nell'osservare
Musa, cercò invano di comprendere cosa l'avesse spinta a
sguainare
metaforicamente la spada in favore di Stormy: il tempo trascorso con
quest'ultima era stato a tutte utile, ma a nessuna dilettevole; e lei
non faceva eccezione.
Almeno,
così credeva.
Mantenendo
una mentalità chiusa alle proprie convinzioni, respingendo
qualsiasi
altro punto di vista, non sarebbe mai stata in grado di scorgere la
verità che l'asiatica, fra la fitta folla sempre
più vicina,
cominciava ad intravedere.
Essendone
conscia si sarebbe aperta all'acuta voce, all'eco dei suoi strilli in
fondo alla propria mente, alle domande che stavano lasciando senza
spazio alcuno la sua scatola cranica. Si sarebbe aperta alla
compagna, cercando di accogliere ciò che nessun altro
all'infuori di
lei avrebbe potuto scoprire in un breve lasso di tempo; in un viaggio
in macchina; in qualche giorno in due camere separate di un motel.
Non
si sarebbe soffermata ai taglienti sguardi, alle crudeli espressioni
ed avrebbe tentato di provare qualcosa di nuovo nei confronti di chi
aveva posto un gran impegno nel rovinare tre anni della sua vita.
Invece
preferì far sopire quella voce, seppellire i pensieri dove
sapeva
non li avrebbe riesumati fino alla negazione dell'evidenza.
“Allora
muoviamoci.” fece Stella, l'irritazione si lesse nel suo
fermo
sguardo nell'atto superare la fulva: quest'ultima non seppe definire
se fosse rivolta a lei, oppure al litigio lasciato in sospeso senza
ragione alcuna.
Sotto
al cupo cielo di una Magix in trance, nell'avvicinarsi alla
disordinata folla che fiaccamente proseguiva le proprie mansioni
–
come un distorto ricalco del centro che un tempo all'apparenza
estremamente lontano, nelle loro memorie usavano conoscere –
due
del gruppo composto da tre non avrebbero guardato abbastanza avanti
da mirare la verità: sarebbero arrivate ad essa, forse,
solamente
nel giorno in cui avrebbero riconosciuto di star percorrendo la via
del non ritorno.
117
giorni, 11 ore, 9 minuti e 56 secondi dalla fine.
Tre
interi giorni di ricerche a vuoto le avevano portate dove, molto
probabilmente, non avrebbero voluto mettere piede con la Dimensione
Magica in condizioni simili: i passi che precedentemente davano per
scontati, gli stessi che avevano compiuto infinite volte nel varcare
tale dannatamente famigliare soglia, avevano acquisito un'importanza
inaspettata nel momento in cui vennero compiuti.
Nel
voltarsi verso le torri, alzare il naso in direzione della terrazza,
quella terrazza,
Aisha non
scorse alcun cambiamento fisico: ma l'atmosfera, l'aria un tempo di
pace, spensieratezza ed un po' di serietà che ad una scuola
di magia
non guastava mai, era totalmente differente.
Seppure
l'esterna distruzione non avesse toccato Alfea, le sue difese non
erano state in grado di contrastare la morsa dell'oscurità; il
cielo sovrastante, del resto, era lo stesso della metropoli.
Forse
la sensazione era data da ciò che avevano visto nel corso
del loro
viaggio; dal breve e silenzioso funerale che avevano celebrato molte
ore prima, inconsce del fatto che le avrebbe seguite come
un'indelebile ombra. Il peso sulle loro spalle era il medesimo, da
quando le avevano piegate, anche se leggermente, sotto la pressione
di quelle emozioni troppo forti da contenere.
Alla
principessa di Andros, in realtà, Sky non era mai piaciuto:
aveva
saputo cos'era
arrivato a
fare,
conosceva il tipo di persona che si celava nelle sue membra. La sua
relazione con Bloom, apparentemente solida, lasciava intravedere le
profonde crepe sulle pelli di entrambi, falde generate dalla mancanza
di fiducia da ambe le parti, fori che nemmeno il tempo sarebbe
riuscito a chiudere.
Eppure
era rimasta in silenzio, non si era intromessa neppure quando la
condizione dell'amica l'avesse richiesto: avrebbe permesso
alla loro
storia di
raggiungere
la fine che
s'aspettava, facendo
scivolare a posteriori le proprie azioni. Ma ciò era ben
lontano
dalla totale indifferenza nei confronti del principe di Eraklyon
qualora gli fosse successo qualcosa di terribile: abbastanza
terribile da esser paragonato alla morte.
Davanti
all'improvvisa fine non avrebbe mai potuto gioire: e nell'attimo in
cui aveva incontrato le sue iridi s'era accorta di ciò che
non
avrebbe pensato di provare, mentre le sprezzanti parole, che aveva
pronunciato quando il piano era ancora in stato embrionale,
rimbombavano nelle sue orecchie. Il suo carattere non sarebbe bastato
a farle mantenere il sangue freddo nel realizzare tale frase,
nell'uccidere le streghe che stavano mandando in rovina il suo regno.
Sarebbe
bastato il loro sguardo a farla desistere dal suo intento; gli occhi
ricchi di ambizione e determinazione; le chiare iridi in grado di
celare più di mille segreti ed un passato imperfetto,
macchiato dal
sangue.
Sarebbe
bastato tutto ciò che di loro non conosceva.
Distogliendo
lo sguardo dalla terra smossa, aveva ritrovato il proprio buonsenso:
con il senno di poi, si era sorpresa ad affermare che avrebbe voluto
riappropriarsene in un modo meno estremo, meno doloroso.
Distogliendo
lo sguardo dalla terra fredda, aveva incontrato quello della fata di
Zenith, chiedendosi se anche lei stesse provando la forza della
stretta al petto che le toglieva il respiro; ma
Tecna aveva soffocato le proprie emozioni in favore dell'incessante
ricerca di una soluzione.
Con
ancora nulla di chiaro su come potesse essersi sviluppata una
situazione simile, l'alternativa più utile ad un ulteriore
buco
nell'acqua, era stata far ritorno alla scuola che, nel normale corso
degli eventi, avrebbero dovuto frequentare: riunirsi con le altre era
certamente una priorità, ma farlo con qualche informazione
in più
avrebbe velocizzato di parecchio i tempi. Qualcuno che aveva vissuto
gli anni da loro perduti avrebbe conosciuto gli avvenimenti
caratterizzanti che l'avrebbero portata a scoprire il fantasma
intento a celarsi dietro ai grattaceli di Magix.
E
chi di migliore, se non Faragonda?
Avevano
nuovamente attraversato i cancelli di Alfea, con una punta di
nostalgia nell'animo, proprio per tale scopo; inoltre
avrebbe
distratto le loro
menti dalla
pesante ed
immobile immagine che le
infestava da giorni.
“Dici
che dobbiamo andare direttamente nel suo ufficio?” esordì
Aisha, lo sguardo ancora puntato sul proprio alloggio, così
freddo e
distante da fornirle l'evidenza che non le appartenesse più.
“No.
Con ogni probabilità si è già accorta
del nostro arrivo.” le
rispose l'altra, soffermandosi sulla desolazione del cortile che,
nemmeno per una volta in tre anni, era stato così sgombro.
S'era
resa conto, nell'uscire da Selvafosca ed avvicinarsi all'imponente
edificio, di aver attraversato una sorta di intangibile barriera: la
sua tracciabile presenza, eppure, non aveva respinto né lei
né la
sua compagna.
Aveva
sfiorato l'idea che essa fosse solamente utile a segnalare eventuali
intrusi, tuttavia non era riuscita a capire perché lasciarli
entrare, quando impedirne l'avvicinamento sarebbe stato di gran lunga
più vantaggioso: voltandosi verso la scalinata che, tempo
addietro,
aveva percorso con un leggero nervosismo nelle carni, si
appuntò
mentalmente di porre alla donna che le stava raggiungendo tale
dubbio.
“Delle
fate ancora degne di tale nome – disse la preside di Alfea,
scandendo bene le gentili parole con la cadenza che erano solite
ricordare – Gradirei darvi il benvenuto nella mia scuola, ma
purtroppo le circostanze mi hanno costretta a chiudere le
iscrizioni.”
Di
fronte a loro, Faragonda presentava le stesse caratteristiche del
loro presente: solamente lo spirito combattivo che mostrava nei
momenti di pericolo sembrava esser stato perduto nel flusso del
tempo. La compagnia della luce, nella linea temporale in cui erano
capitate, risultava alla memoria un glorioso e lontano tempo che non
avrebbe potuto in alcun modo ripetersi: la donna stessa, lasciando
sfuggire l'inestinguibile scintilla che accendeva le sue iridi al
momento del bisogno – la stessa alla quale negli attimi
peggiori,
quando ogni sconfitta pareva definitiva, ravvivava gli animi di tutte
le studentesse del college – aveva rinchiuso tali giorni in
un
piccolo antro di memoria, dove sapeva non li avrebbe recuperati nel
tentativo di fuggire dalla realtà circostante.
“Lo
sappiamo.” le rispose istintivamente Aisha.
“Esatto.
Le nostre iscrizioni sono state respinte esattamente due anni e
quarantacinque giorni fa.” Tecna prese la palla al balzo,
nonostante non apprezzasse particolarmente i metodi della compagna:
nelle loro condizioni, tuttavia, l'intervento impulsivo di
quest'ultima era stato utile a farle elaborare una veloce strategia.
“Siamo
riuscite a raggiungere Magix solamente pochi giorni fa, per capire
cosa fosse effettivamente successo.” continuò,
facendo cadere
leggermente il tono nel delineare una sensazione di sconforto:
sarebbe risultata poco credibile se non avesse fatto altrimenti.
“… Capisco.
E' molto rischioso, non avreste dovuto venire fin qui in cerca di
risposte.”
“Sì,
ne siamo consapevoli – questa volta fu la principessa a
rispondere
– Tuttavia avevamo bisogno di una qualsiasi spiegazione: se
dovesse
esserci qualche rischio per il resto della Dimensione Magica,
personalmente non esiterei ad offrire il mio aiuto per
debellarlo.”
Nel
pronunciare la frase non si sarebbe aspettata di assistere al
cambiamento più radicale, sfuggito alle apparenze, che aveva
subito
la donna: il suo volto si era tirato leggermente, lo sguardo rivolto
verso la sua intera scuola; gli inquieti pensieri alle proprie alunne
rimaste.
Con
la rassegnazione come espressione, permise ad un sospiro di passare
fra le proprie labbra.
“Temo
che non ci sarà alcuna rivolta contro chi sta piegando Magix
al
proprio volere. In passato, organizzandoci, ci abbiamo provato: ma il
nostro nemico era già entrato in possesso di modi a noi
sconosciuti
per aumentare esponenzialmente la magia. A nulla è servito
opporci a
maghi, streghe e fate che avevano scelto la via più facile
per
ottenere il potere: il loro numero e la loro forza si era rivelata di
molto superiore alla nostra.
Così
non ci rimase che difenderci… Torrenuvola fece lo stesso
subito
dopo; Fonterossa, invece, andò incontro ad un destino ancora
più
crudele e cadde insieme a Saladin e la maggior parte dei suoi
specialisti.
Magix
non è più un posto sicuro per apprendiste fate:
per questo motivo
mi sono ritrovata a dover chiudere le iscrizioni.”
Cogliendo
il non poco insolito comportamento della preside, Aisha rivolse una
veloce occhiata alla fata della tecnologia, prima di esprimere il
proprio dispiacere verso le innocenti vittime della strage alla
quale, forse inconsciamente, aveva assistito tempo fa. L'amica
accolse lo sguardo con la stessa perplessità, incapace di
riconoscere l'ombra di Faragonda nella donna che sostava davanti a
loro: l'arrendevole e rassegnata figura ch'era diventata non aveva
che l'aspetto da accomunare a chi, in un diverso presente, non
avrebbe mai chinato il capo davanti a qualsiasi nemico.
Oppure,
l'avrebbe fatto solo coronando le sue azioni con la propria morte.
Per
quanto sarebbe stato doloroso restare, altre risposte erano
necessarie per poter delineare la situazione di un mondo al quale non
appartenevano: così Tecna si sforzò mantenersi
disinteressata alle
scelte dell'anziana fata.
“Sono
spiacente per le vostre perdite, non la disturberò oltre:
prima di
andare, tuttavia, vorrei qualche chiarificazione sulle condizioni
della città e su chi è stato in grado di
mantenere il comando.”
Attendendo
che pronunciasse i loro nomi, entrambe le fate
irrigidirono i
propri muscoli: un brivido, con diverse intensità, le
percorse; la
principessa di Andros venne scossa dal ricordo del torbido ed
inquieto mare, delle sirene tramutate in potenti mostri; la
zenithiana dalle immagini simili alla guerra consumatasi alla fine
del suo primo anno, i poteri delle Trix legati alla fiamma del drago
a trascinare dietro di loro una scia di morti scarlatte.
“In
città ognuno deve guardarsi troppo le spalle per poter
emergere e
prendere in mano tutto il potere: se sono nomi quelli che cercate
sarò lieta di condividerli con voi nel mio ufficio. A quanto
pare
agite per il bene, ma badate bene dall'avvicinarvi al centro:
c'è
ancora chi ricerca costantemente le fate capaci di usare la pura e
quasi scomparsa magia bianca per i propri scopi e non esiterebbe a
rischiare la morte pur di ottenerla.”
“E
per quanto riguarda la Fiamma del Drago?” domandò
Aisha nel salire
i primi gradini: Faragonda si arrestò e la
osservò per un breve
attimo, prima di rivolgerle un sorriso.
“Mia
cara, la Fiamma del Drago non è che una leggenda
ormai.”
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
Lo
so che sono sempre super drammatica con i capitoli, ma questa volta
non esagero: per un insieme di cose, scrivendo costantemente tutti i
giorni, ci ho messo tipo due settimane a finire sta roba.
E
non lo so, non so neanche se mi piace o meno.
Spero
di aver dato abbastanza bene le informazioni che volevano trasparire,
informazioni che verranno riprese in seguito dalle conclusioni tratte
da Tecna ed Aisha in base a ciò che Faragonda
dirà loro.
Spero
inoltre di non avervi annoiato, siccome questo è
più o meno un
capitolo di transizione: dovevo buttare le basi di alcune
informazioni indispensabili per il seguito, alle quale altrimenti
avrei dovuto solo accennare e pensavo fosse poco chiara la cosa.
Quando
dicevo che i capitoli erano faticosi non avevo idea cosa questo mi
avrebbe riservato. Ghhhh.
Potete
sentirmi ad emettere ringhi da chihuahua, eh?
Okay,
diamo un taglio alle stupidate e passiamo ai ringraziamenti:
Ringrazio
le solite mie sostenitrici, che adoro, Ghillyam ed
Applepagly per aver
recensito anche lo scorso capitolo, grazie grazie per non mancare
mai!
Ringrazio
inoltre LadyNabla che,
capitando in questa sezione, ha trovato la storia ed ha usato parte
del suo tempo libero per farmi conoscere il suo parere. Grazie mille
per aver inserito la storia fra le ricordate e per avermi dedicato
gentili parole, complimenti e anche per avermi posto i tuoi dubbi di
modo che io potessi rispondere e fare luce su qualche mistero.
Concludo
ringraziando tutti quelli che leggono questa storia, sperando di non
deludervi mai e fornirvi ciò che vi aspettate.
Grazie
mille per aver letto, alla prossima missione!
Mary
PS:
La conclusione alla Metroid ci stava troppo, chiedo venia.
|
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Capitolo 6 *** VI. Dark Paradise ***
VI.
Dark
Paradise
“And
there's no remedy for memory, your face is like a melody
It
won't leave my head
Your
soul is haunting me and telling me that everything is fine
But
I wish I was dead
(Dead,
like you).”
Dark
Paradise – Lana del Rey
La
pazienza dell'albina era stata messa a dura prova nell'esatto momento
in cui aveva varcato la soglia di casa; lo sguardo della sorella non
era stato in grado di celarle la preoccupazione e l'angoscia che ne
avevano preso il possesso.
Non
era stato difficile capire cosa non fosse al proprio posto, data
l'assenza della terza figura nella casa; senza andare ad esclusione,
era giunta quasi immediatamente alla conclusione che l'atmosfera
creatasi fosse stata il frutto di un ennesimo litigio.
Forse
il peggiore al
quale avrebbe
dovuto porre
rimedio fino ad allora.
“Mi
stupisco di te, Darcy – continuò il discorso che
aveva cominciato
non appena fosse riuscita ad etichettare con precisione la
situazione; l'asprezza nelle parole, dirette a colpevolizzare la
sorella, tagliò l'aria fino ad arrivare a ferirla
– Ne ho
veramente abbastanza dei vostri litigi e guarda dove vi hanno
portate. Adesso fammi almeno il favore di alzarti da quel divano ed
andare a cercarla.”
Non
le piaceva il tono che aveva adoperato, ne era conscia: Icy sapeva
scegliere con cura le armi da usare in casi di grande tensione,
principalmente per mantenere l'ormai inesistente controllo che
morbosamente andava cercando ogni volta che tornava nella propria
dimora.
La
mora aveva imparato a riconoscere perfettamente tale comportamento,
nonostante mutasse la sua forma con il passare delle settimane,
crescendo più schiacciante ed insopportabile; eppure non
aveva
ancora osato buttar giù la sorella dal suo fittizio
piedistallo.
“Perché
invece non ci vai tu? Con te sembra andare molto più
d'accordo,
siccome non deve nemmeno vivere sotto il tuo stesso tetto. Ti ricordi
che faccia ha oppure devo descrivertela?” il tono calmo della
strega delle illusioni lasciò andare un po' di duro
sarcasmo, che
bastò a far scattare i nervi dell'albina.
Lo
schiaffo, di man rovescio, risuonò fra le vuote mura della
casa.
Darcy
restò per qualche attimo con gli occhi puntate alle bianche
federe
del divano, il volto girato: il rossore cominciava a farsi strada
sulla guancia offesa, risaltando
sulla chiara pelle.
“Non
osare parlarmi in quel modo.”
Lo
stress al quale era stata esposta durante le due settimane di
lontananza dalle proprie sorelle era stato particolarmente intenso,
tale da spingerla a compiere un'azione che, in passato, si era
ripromessa di non fare; avrebbe
voluto porgere le sue scuse, se ne fosse stata capace.
L'orgoglio
era sempre
più che
sufficiente a trattenerla con una presa ferrea dal farlo: infatti
la sua voce
non tremò
neanche
allora,
nell'accentuare la propria autorità sulla sorella che
ancora stava realizzando cosa fosse effettivamente accaduto.
Nell'ultimo
periodo non erano state poche ed insolite le volte in cui aveva perso
il controllo: la propria vita le stava sfuggendo come sabbia fra le
dita, se n'era accorta ormai da parecchie settimane, perciò
era
giunta alla conclusione di
doverla
necessariamente
riportare
in carreggiata.
Se
qualcuno glielo avesse detto in passato, mai
l'avrebbe
creduto.
Eppure
la condizione nella quale versava appariva ora chiara ad i suoi
occhi, riportandola a quando ogni cosa era stata talmente difficile
da abbattere le sue aspettative.
Sembrare
sicura di ciò che stesse facendo, della direzione in cui
avesse
deciso di procedere, non stava a significare che lo fosse; in
realtà
il panico aveva preso possesso delle sue glaciali iridi e l'aveva
spinta verso affrettate scelte delle quali poteva solamente pentirsi.
Il
suo impiego ne era un esempio lampante, seppur all'epoca avesse avuto
ben poche alternative: aveva
semplicemente posto fine ad un periodo buio e s'era addentrata nel
successivo, simile, più scuro; e si era resa conto di esser
capace
solamente
di afferrare
tale opzione.
Nonostante
avesse “deciso” – la
differenza risiedeva nella consapevolezza? – lei stessa di
far
intraprendere al proprio destino tale via, per necessità,
per
costruire qualcosa di solido dal quale partire, non era ancora
riuscita a comprendere per quale motivo la situazione fosse
rimasta
immutata.
L'ombra
di Eris non aveva smesso di seguirla molto da vicino, nemmeno nel
momento in cui le aveva voltato le spalle; era stata un'illusa nel
credere di poter modificare il proprio futuro, nel donare alle
sorelle un'esistenza differente che anche lei, nel profondo, aveva a
più riprese desiderato.
Tuttavia
non era stata in grado di divergere dal percorso che la madre aveva
già segnato per lei: camminando lungo i suoi insegnamenti,
come
poteva pensare di poter vivere in un modo a lei sconosciuto?
“I
bambini hanno la testa piena di sogni idioti.”
così si era
giustificata con sé stessa, nel riconoscere il medesimo
sguardo di
colei che stava imparando ad odiare nell'ovale specchio della propria
stanza.
L'iscrizione
a Torrenuvola, ormai, era diventata l'unico obiettivo al quale
aggrapparsi, l'unico modo per sollevare la schiena e togliersi di
dosso il peso del cadavere della progenitrice, ancora ben presente.
Del resto, non contava quanti esseri magici avesse ucciso per
interessi di altri, quanti volti avesse visto contrarsi in una
smorfia di dolore, prima del rilassamento eterno; il primo omicidio
sarebbe sempre stato un funesto termine di paragone, una memoria alla
quale non sarebbe mai stata in grado di scappare.
Accompagnata
da tale fantasma, aveva lasciato il soggiorno in un silenzio di
tomba, dirigendosi a controllare cosa la minore avesse deciso di
portare con sé per determinare la gravità della
situazione: forse,
anche per trovare in qualche modo un sollievo nell'occupare i propri
pensieri verso altre azioni.
Darcy
avrebbe dovuto mantenere alta la propria attenzione, altrimenti nulla
sarebbe sfuggito al controllo e la strega delle tempeste non sarebbe
scomparsa: avrebbe, in ogni caso, fatto un tentativo di ricerca, ma
conoscendo l'imprevedibilità del soggetto era ben conscia
della
scarsità di risultati che rischiava di ottenere.
Tuttavia,
se fosse stata in grado di agire in fretta, forse avrebbe potuto
intercettarla.
Con
parecchie idee su potenziali luoghi, Icy riprese in fretta il proprio
soprabito e, senza rivolgere alcuno sguardo alla sorella,
uscì di
casa.
Quella
stupida di sicuro sarebbe andata il più lontano possibile
solo per
farle preoccupare ed ottenere le attenzioni che aveva sempre
desiderato.
Mentre
metteva in moto l'automobile per partire nell'immediato, una
spiacevole sensazione le appesantì la testa, facendovi
rimbombare
all'interno il secco suono dello schiaffo.
Che
fosse senso di colpa per aver colpito la sorella?
Era
l'unica conseguenza alla quale poteva ricondurre la leggera
confusione che stava provando: molte emozioni sfuggivano all'analisi
del suo intelletto, gli impulsi deboli dovevano essere semplicemente
soffocati e respinti al loro arrivo.
Precisare
se fosse stato effettivamente senso di colpa le sarebbe costato tempo
per riflettere: e lei non ne aveva.
Fremette
al pensiero della possibilità di aver sentito qualcosa di
simile, e
strinse le mani sul volante fino a vedere il candore sulle proprie
nocche. Sradicarlo ed eliminarlo le stava richiedendo più
energia di
quanto si sarebbe aspettata, ma non avrebbe ceduto a qualcosa di
talmente stupido.
Non
avrebbe fatto altro che intralciarla, deviare la sua concentrazione
che necessitava d'essere impeccabile.
Non
si sarebbe mai concessa il lusso di essere debole, nemmeno qualora
non sarebbe riuscita ad estendere la propria protezione su entrambe
le sorelle: rimanere fredda era l'unica cosa che sapesse egregiamente
fare.
Mantenersi
distaccata in ogni modo era sempre stato comunque più utile
che
lasciarsi andare all'abbraccio delle emozioni.
118
giorni, 4 ore, 2 minuti e 13 secondi dalla fine
Contrariamente
alle aspettative che per sé stessa si era posta, Flora
impiegò
solamente due giorni a trovare il coraggio per dar voce alle proprie
domande: la situazione richiedeva una spiegazione ulteriore,
delucidazione che solo Darcy poteva darle.
Del
resto, facendo attenzione ai suoi comportamenti mentre l'aiutava a
coltivare particolari erbe, non aveva scorto in lei alcun particolare
che l'avrebbe portata a tradirsi: mantenendo la propria riservatezza,
la strega non aveva provato ad avvicinarla nemmeno nel sonno della
notte.
L'ultima
volta che si erano parlate con termini più che monosillabi
risaliva
a più di quarantotto ore prima e, francamente, la fata non
si
sarebbe mai azzardata a tornare sullo spinoso argomento: la reazione
dell'altra era stata sufficiente a farle provare una forte sensazione
di disagio; eppure, non avrebbe presto smesso di chiedersi o di
immaginare cosa fosse potuto accadere.
Risultava
allora evidente come la scarsa famigliarità con il soggetto
non
l'avrebbe fatta andare più in là delle apparenze,
nemmeno ora che
l'avrebbe voluto: la figura della strega era ancora troppo sfuggente
per permetterle oltrepassare le barriere del suo falso sé.
Nonostante ciò, nonostante il prolungato silenzio che
l'aveva in uno
strano modo rassicurata, desiderava intensamente trovare qualche
attimo per approfondire la propria conoscenza riguardante la sua
persona: almeno, dopo esser stata in grado di comprendere appieno la
situazione nella quale era capitata, per la quale avrebbe dovuto
lasciar da parte la propria immaginazione; cosa che le avrebbe
richiesto un discreto impegno.
“Beh,
se hai qualcosa da dire non vedo perché tu non debba farlo.
Esprimiti pure.” l'anticipò la mora, al momento
chinata a
sistemare la scura vetrina in vista del giorno seguente. Senza
smettere né voltarsi, attese pazientemente che
l'improvvisata
coinquilina si avvicinasse con quel suo passo silenzioso ed incerto.
“Come...”
si limitò a dire Flora nel raggiungerla.
“Occasionalmente
ti scorgo lanciarmi parecchi sguardi. E questa sera, dopo la
chiusura, non hai mai smesso di fissarmi, così ho deciso di
spingerti ad affrontare la situazione. Cosa c'è, cosa vuoi
dirmi?”
si voltò verso di lei nel risponderle, osservando
attentamente le
reazioni scatenate dalle sue parole. In fondo era parzialmente stufa
della pesante atmosfera che era andata creandosi quando aveva rivolto
anche un solo pensiero a…
Poco
importava.
Per
lei non era nessuno da molto tempo ormai.
La
fata respirò a fondo, maledicendosi mentalmente per non aver
tenuto
a mente quanto la sua ex nemica fosse attenta ai dettagli: con ogni
probabilità, dato il suo comportamento poco discreto,
l'altra non
aveva nemmeno dovuto ricorrere alla sua capacità di poter
leggere il
pensiero; il che l'aveva fatta sentire maggiormente una stupida.
“Il
fatto è che sono arrivata a Magix da poco, senza sapere
nulla a
riguardo. La metropoli, la foresta… Io li ricordavo diversi.
E non
ho la minima idea di cosa possa essere successo per ridurre un
meraviglioso ambiente in un luogo così pericoloso ed
inospitale.”
“L'avevo
capito – fece Darcy, mettendo al proprio posto un grazioso
candelabro di vetro – Ritenevo comunque piuttosto strano il
fatto
che non sapessi nulla.”
Flora
si irrigidì impercettibilmente.
“Non
preoccuparti, non ho abbastanza tempo per dubitare di te: ho ben
altre cose a cui pensare. Sappi che ti ci vorrà del tempo
per capire
bene di cosa io stia parlando.” alzandosi incontrò
gli smeraldini
occhi della fata della natura, leggendovici un leggero sgomento con
una punta di curiosità: non era certa fosse pronta a vedere
l'inevitabile declino di un luogo a cui era probabilmente
affezionata.
Eppure
la verità restava la scelta migliore da compiere: non
avrebbe fatto
altro che intralciarla qualora non ne fosse venuta a conoscenza.
La
seguì con lo sguardo mentre s'apprestava a sedersi,
attendendo con
pazienza ed un lieve tremore alle mani di udire la sua voce.
“L'inizio
di tutto fu talmente lento da passare inosservato: c'è
sempre stata
criminalità in certe zone di Magix, perciò una
leggera ascesa, pur
sempre isolata in qualche quartiere, di alcune bande non
preoccupò
più di tanto i cittadini, figuriamoci la Dimensione Magica.
Nessuno
era al corrente di cosa stesse accadendo di preciso e tutti si
limitavano semplicemente ad evitare alcune vie piuttosto che altre.
Non
credo sia diversa la situazione in altre grandi città
dell'universo
magico: per tale motivo in pochi avrebbero previsto una presa di
potere così immediata, costruita da anni di lavoro
pressoché
invisibili alla società. Magix è crollata in
fretta, a dirla tutta:
non ha mai avuto delle grandi difese contro attacchi magici,
soprattutto parlando di incantesimi di una certa forza.
La
scuola per maghi seguì entro pochi giorni la metropoli,
costringendo
le altre due scuole a barricarsi in vista di un nuovo attacco, che
per motivi a me poco chiari non arrivò. A quanto pare i
gruppi di
esseri magici non erano abbastanza uniti da non farsi la guerra per
chi avrebbe assunto il potere una volta risolti i conflitti, un tempo
molto più accesi di adesso.
Tuttavia
non ho nessun modo di confermare questa ipotesi.
Le
acque si calmarono con l'ascesa di un uomo che, fortunatamente, non
ho mai avuto il piacere di incontrare: a quanto pare, dopo anni,
qualcuno è stato capace di coprirsi le spalle come si deve.
Detiene
ancora il potere, per quanto la confusione della metropoli possa
essere governata; ma nelle occasionali faide nessuno ha mai osato
attaccarlo.
Per
quanto riguarda il potere che ha permesso loro di prendere il
possesso della città ed incutere terrore alla Dimensione
Magica, non
si tratta di niente di naturale.” s'interruppe
momentaneamente,
muovendosi dalla sua postazione per dirigersi dietro al bancone: con
un fluido movimento fece comparire una chiave, con la quale
aprì uno
dei grandi cassetti.
Flora
la guardò sollevare una piccola provetta trasparente e ben
chiusa,
piena di incolori cristalli.
“Non
sono riuscita ad identificare le componenti di questo composto
chimico, tuttavia ne conosco gli effetti e l'uso. A quanto pare
triplica il potenziale magico di chi ne usufruisce, dandogli la
possibilità di avere un potere pressoché
illimitato; tuttavia la
sua assunzione deve essere associata ad un antidoto, che riduce i
danni che l'organismo riporta a causa del suo alto livello di
nocività.
Capisci
che chiunque ne faccia uso ha una prospettiva di vita piuttosto
limitata, ma non abbastanza breve da far desistere la maggior parte
di loro dal continuare ad affidarvici.”
“Come
possono essere riusciti a creare una sostanza simile?”
intervenne
timidamente la fata, non osando avvicinarsi di un solo millimetro:
riflettendoci per qualche attimo, le informazioni che le erano state
fornite giustificavano in pieno la rapida ascesa della
criminalità
in Magix, con la sua conseguente trasformazione in un anarchico
cumulo di detriti.
Nonostante
ciò le pareva al limite dell'incredibile come un singolo
composto
chimico avesse potuto rovesciare le sorti di una violenta
insurrezione: senza di esso avrebbero con ogni probabilità
ottenuto
il mondo senza pericoli che avevano desiderato.
“Non
ne ho idea.”
Entrambe,
nello stesso attimo, sperarono che Darcy potesse sapere di
più.
Forse
avrebbe potuto, ma il prezzo richiesto per le informazioni delle
quali necessitava sarebbe stato troppo alto: in una situazione in cui
non si sarebbe permessa di rischiare qualsiasi azzardo in tale
direzione sarebbe risultato come totalmente fuori luogo.
Al
fatto di non esser in grado di ignorare i pericoli conseguenti a tale
azione si sarebbe poi aggiunto il dover calpestare il proprio
orgoglio.
Perché
avrebbe avuto un aggancio al quale rivolgersi; tuttavia, anni
addietro, aveva giurato a sé stessa di non incrociare in
alcun modo
quello sguardo finché esso non fosse stato spento dalla
morte.
Flora
la osservò pensare in silenzio: la sua espressione s'era
indurita
leggermente, lasciando intuire in modo lieve l'ombra di un qualcosa
da lei premurosamente celato.
Per
quanto avrebbe voluto chiederle di cosa si trattasse, la fata si
mantenne in religioso silenzio: le domande sarebbero arrivate a loro
tempo, quando avrebbe scoperto abbastanza caratteristiche per
costruire un fondamento di fiducia; e, seppure non fosse una persona
strettamente diffidente, trovava difficile creare anche solo un
contatto con la strega dopo gli avvenimenti che aveva causato nella
sua precedente forma.
Tuttavia,
nel profondo, sentiva di poter superare – non senza impegno
– i
pregiudizi che negli anni aveva innalzato a proteggerla dalle
nemiche: guardando il fine volto di Darcy, perso nella solitudine del
locale, si promise di provare realmente a conoscerla, come non s'era
mai sforzata di fare in nome di una causa, della quale giustizia
cominciava a vacillare.
117
giorni, 23 ore, 48 minuti e 21 secondi dalla fine.
Erano
trascorsi almeno dieci minuti da quando si era allontanata di qualche
passo dalle amiche: impegnate a guardarsi in giro non l'avevano
scorta, mentre osservandole dalla folla s'era apprestata a
disperdersi in essa.
Conosceva
a grandi linee i rischi a cui sarebbe potuta andare incontro, ma un
quarto d'ora per sbollire la rabbia e chiarificare le proprie idee
non avrebbe portato alcune, definitive conseguenze: almeno,
così
fermamente credeva.
Inoltre,
facendo particolarmente attenzione alle reazioni altrui, aveva
dedotto che in realtà nessuno pareva accorgersi della sua
presenza;
il che stava giocando decisamente a suo vantaggio.
Musa,
con il naso all'insù e lo sguardo rivolto agli sfarzosi ed
alti
palazzi del centro, non smise di proseguire nella direzione opposta,
rispetto alle sue compagne. La discordanza con la periferia, dalla
quale lei e Stella erano venute, era ora evidente: trovandosi sotto
alle lontane e scintillanti luci degli edifici più alti, il
divario
economico fra le due zone non avrebbe potuto essere più
ovvio.
Per
ciò che ne sapeva della gerarchia instauratasi a Magix in
una vita
che non era stata in grado di vivere, ciò sarebbe potuto
derivare da
un'improvvisa e precaria presa di potere, oppure dall'esistenza di un
individuo dotato di una forza magica superiore alla media: non era
particolarmente brava a ricostruire delle vicende per arrivare alla
verità, decise dunque di lasciar perdere dopo due scarsi
minuti di
riflessione.
Scervellarsi
sul motivo di tutto il malessere circostante non l'avrebbe
migliorato, tanto valeva impegnarsi per così poco.
Del
resto se non vi era alcun colpevole, che senso aveva continuare
inutilmente a cercarlo?
Ciò
che Bloom e Stella non avevano capito appariva a lei talmente
evidente da portarla a ricercare in sé qualcosa di mal
funzionante,
qualcosa che non andasse; qualcosa che la differenziasse
completamente dall'unidirezionale modo di pensare delle amiche con le
quali aveva passato gli anni migliori della sua esistenza.
Eppure
lei stessa non aveva mai percepito un divario d'idee così
grande e
spesso s'era trovata a condividere certe malevole considerazioni
sulle nemiche: ed aveva espresso il suo consenso quando Tecna aveva
presentato a lei, come alle altre, il piano atto a portare la pace
nella Dimensione Magica a scapito della vita delle streghe.
Aveva
anche creduto di star agendo per il bene: ma quando la
realtà le si
era presentata davanti agli occhi, i dubbi avevano fatto il loro
trionfale ingresso nella sua mente.
E
Musa se li era portati dietro, gestendo la confusione che essi
andavano creando: o meglio, nel bel mezzo del conflitto interno nel
quale staticamente rimaneva, ci stava provando.
Nuove
domande avevano rimpiazzato le precedenti, travolgendo la loro
superficiale natura con la profondità degli argomenti
trattati; cosa
parevano cercare in loro stesse?
Cos'era
stato loro sottratto che solo la magia era in grado di rimpiazzare?
Sotto
quanti metri di terra era stata volutamente sepolta la loro empatia?
Sopportandole
ed ignorandole per qualche mese, le questioni erano tornate
più
forti di prima a richiedere completamente la sua attenzione: la
pressione da esse esercitata la rendeva tesa ed insicura sul da
farsi, ma la cosa non era emersa prima di allora.
Sentirsi
messa a nudo da chi non era in grado di comprendere l'avrebbe sempre
fatta innervosire più del dovuto.
Nel
ripensare alla discussione, la fata strinse i pugni ed
allungò il
passo: la grande via che stava percorrendo tendeva a svuotarsi,
andando proporzionalmente con la lontananza dalla ricchezza del
centro.
I
palazzi si facevano maggiormente bassi, comparivano i primi edifici
abbandonati e decadenti, ribadendo il contrasto fra zone confinanti
della grande città: contrasto che, nel presente che riteneva
autentico, non avrebbe mai trovato alcun posto. Tuttavia, per qualche
motivo, l'atmosfera che la circondava le piaceva maggiormente di
quella che aleggiava ad un chilometro di distanza.
La
quiete ed il silenzio, interrotto solamente da qualche rumore sordo,
risultavano quasi rassicuranti al confronto con il violento vociare
della centrale piazza di Magix: la violenza scemava in un'assenza di
azioni ed il cielo pareva perfino farsi più chiaro con
l'allontanarsi.
Per
chi necessitava qualche attimo di pace quel quartiere poteva
rappresentare il luogo giusto: certo, se si era in grado di passar
sopra alle vetrine sprangate, alla sporcizia ed all'oscurità
che –
da chissà quanto – tutto avvolgeva; fortunatamente
Musa vantava la
qualità di dare attenzione ad altro rispetto all'aspetto
esteriore.
A
differenza di qualcun altro.
Probabilmente
ancora non s'era accorta: vero o no, riteneva opportuno riprendere la
strada che aveva percorso, riavvicinandosi alle amiche e cercando di
ignorare le loro considerazioni; ora che aveva ritrovato un briciolo
della calma, della quale necessitava, si sentiva pronta a sostenere
nuovamente un dialogo con loro.
Quindi
fece per voltarsi, lasciando nel passato le parole di Stella, e
ripercorrere quella scura e lastricata via che l'aveva portata fino a
lì: o almeno, l'avrebbe fatto se dei cocci di vetro non
avessero
cercato accidentalmente – accidentalmente?
– di ucciderla.
D'istinto
si buttò a terra, permettendo a qualche imprecazione di
sfuggirle
dalla bocca, mentre una figura dalle ridotte dimensioni atterrava
sulla schiena a qualche metro da lei: probabilmente era ciò
che
aveva provocato la rottura della grande finestra alla sua destra,
della quale qualche frammento impattava al suolo con degli attimi di
ritardo, producendo un forte rumore dagli alti toni.
Una
sottile polvere si sollevò di qualche centimetro a
separarle,
nascondendo la fata dalla sua visuale per qualche attimo:
finché
l'ombra non si alzò soffocando parolacce fra i denti,
dirette a
chiunque all'interno dell'edificio avesse osato attaccarla a tale
modo; allora all'altra non sarebbe rimasto che trasformarsi nel
momento in cui si fosse accorta della sua presenza.
Avrebbe
dovuto essere veloce per completare la trasformazione prima di
ricevere il primo attacco, del quale non conosceva la natura siccome
il soggetto fosse a lei nuovo: quindi si tirò velocemente a
sedere,
pronta a schivare un eventuale attacco e compiere la propria
metamorfosi.
Sarebbe
stata rapida, se ciò fosse stato destinato ad accadere; ma
il fato,
al momento, aveva programmato qualcosa di diverso.
Qualcosa
che spinse entrambe le ragazze – oltre la coltre di fuliggine
aveva
scorto dei ricci capelli lunghi fino alle scapole ed un fisico
tutt'altro che virile – a perdersi qualche secondo
nell'osservarsi
con una genuina espressione sorpresa.
“Tu?!”
esclamò la giovane con un po' troppa enfasi, prendendosi due
veloci
passi per assicurarsi di avere a che fare con chi credeva.
Musa
fece per risponderle a mezza voce, ma un ulteriore schianto
proveniente dal cadente edificio la interruppe sul nascere.
“Merda.”
biascicò la sua interlocutrice, prima di farle segno di
tirarsi su
in fretta: dal nuovo punto di vista la fata riuscì a
scorgere
qualche taglio provocato dai vetri su un viso ancora troppo giovane
per l'età che sapeva avere.
Anche
allora, con indosso un trench coat di pelle che le arrivava alle
ginocchia e le stava largo di spalle, non era in grado di prescindere
dal suo aspetto fisico per rimembrare che avesse ben due anni in
più
di lei. Aveva cominciato a pensarvici nel vederla sul ciglio della
strada, battendo l'asfalto con i suoi anfibi troppo grandi: nei suoi
sedici anni neppure il rossetto nero era stato in grado di rendere
maggiormente minaccioso il suo viso da bambina, dai delicati e
tondeggianti lineamenti che l'avevano portata ad esagerare con il
trucco pur di farsi riconoscere come strega.
“Cazzo,
dobbiamo muoverci!”
La
presa sul braccio della fata la riportò bruscamente alla
realtà,
facendola voltare con una punta di incredulità verso la ex
nemica,
intenta a tirarla leggermente verso ovest.
“Noi?”
le venne naturale dirlo, l'aveva conosciuta in due modi differenti e
non era sicura dell'effetto che il nuovo presente avrebbe avuto su di
lei, nonostante potesse dirsi speranzosa nel scorgere aspetti che,
nella versione che aveva sempre conosciuto, non sarebbe mai arrivata
a conoscere.
“Sì,
noi. Del resto ti devo la mia cazzo di vita, dimentichi? – il
sorrisetto che le rivolse, meno malevolo dei suoi simili, la fece
sentire abbastanza a suo agio da farle muovere i primi passi nella
direzione indicatale – Ora però dobbiamo
correre.”
E
lasciandosi trasportare, la fata della musica cominciò a
correre,
seguendo la rapida ombra di una persona che, neppure nel passato,
aveva visto nella sua interezza; una persona che permetteva alla
propria rabbia di scemare sulle note di una chitarra elettrica; che
si perdeva nell'osservare verdeggianti foreste e piane lontane dalla
metropoli; che si spingeva più distante dalla propria casa
con la
sola forza dell'orgoglio.
Lo
sviluppo inaspettato della situazione non dispiacque a Musa: trovare
qualcuno con il quale poteva avere un dialogo decente, visti i
trascorsi, non avrebbe fatto altro che giovarle.
Tuttavia
ciò aveva anche qualche contro.
Permettendosi
di ignorare il trascurabile avrebbe comunque dovuto tenere in
considerazione il proprio aspetto, che non sarebbe di certo passato
inosservato agli occhi della strega: seppure non fosse esattamente la
persona più sveglia della Dimensione Magica, ciò
che era evidente
lo sarebbe stato anche per lei. Una spiacevole sensazione crebbe
nella mente della fata che, nel tentativo di soffocarla,
rallentò
leggermente.
Il
respiro affannoso, sintomo del prolungato sforzo fisico che aveva
fatto, non la stava affatto aiutando a calmarsi e, fortunatamente, la
strega delle tempeste se ne accorse appena in tempo per potersi
avvicinare senza averla persa di vista.
Si
guardò intorno velocemente, assicurandosi che nessuno fosse
in
vista.
“D'accordo,
basta così. Da qui un cazzo di nessuno dovrebbe tracciarci
se
dovessi teletrasportarci.” e con pochissimo preavviso, senza
permetterle di opporsi, l'afferrò nuovamente e
concentrò il proprio
potere.
Musa,
effettivamente, stentò ad accorgersene: come magia risultava
totalmente diversa da quella graduale di Stella, più veloce
ed
immediata.
Fortunatamente,
la conseguente nausea provata per il trasferimento durò ben
poco,
evitando di compromettere l'attenzione che avrebbe dovuto concentrare
sul nuovo ambiente: il piccolo appartamento nel quale si trovava era
sorprendentemente pulito e quasi ordinato, con pochi ma essenziali
mobili.
La
cucina era a dir poco perfetta, come se non fosse stata mai usata: e
probabilmente era così, data la scarsità di cibi
e condimenti che,
a prima vista, presentava.
“Senti,
lo so che fa cagare, ma è l'unico posto abbastanza sicuro
che sono
riuscita a trovare. Nessuno è ancora stato capace di
trovarlo.”
borbottò la padrona di casa, piegando e buttando una
confezione di
cibo precotto che era rimasta sul tavolo della cucina dalla sera
precedente.
“Non
vedo perché non dovrebbe andar bene.” le rispose
la fata, calmando
lentamente il proprio respiro: dopo gli immediatamente precedenti
accaduti non le risultò particolarmente facile.
“Beh,
meglio. Perché cazzo sei venuta a Magix, non sai che posto
di merda
è diventato?”
“Diciamo
che me ne sono accorta.” ironizzò in risposta,
strappando ad una
Stormy abbastanza diversa da quella che si figurava una sonora
risata: tale pensiero le fece nascere un appena accennato sorriso.
“E'
quasi inquietante come tu sia rimasta uguale nonostante siano passati
cinque anni. Cazzo hai fatto, un patto con il demonio?”
scherzò la
strega, ridendo appena del proprio scherzo e, fortunatamente, non
notando la tirata espressione della sua interlocutrice per esser
stata colta sul fatto.
Anche
solo per un secondo, aveva sperato che non lo notasse.
Non
aveva pensato a tale eventualità nello svolgere la sua
missione –
se non quando era stata ormai conclusa – forse per la
credenza che
non avrebbe più avuto a che fare con colei che aveva visto
il suo
attuale aspetto; avrebbe potuto giustificarsi con il fatto che il
presente non somigliava minimamente a ciò che si sarebbe
aspettata,
tuttavia si limitò a pentirsi di non aver preso quella
specifica
precauzione.
Modificando
il suo aspetto, nessun dubbio sarebbe nato nella mente di Stormy.
“Forse.”
riuscì a risponderle sforzando un sorrisetto nella speranza
di
risultare credibile.
Appena
avrebbe avuto tempo le sarebbe toccato ringraziare qualche dio, per
aver fatto cambiare subito argomento all'altra, dopo che avesse
alzato le spalle in modo abbastanza teatrale.
“Comunque
puoi stare quanto vuoi. E' un po' un buco, ma troverò dove
sistemarti.” le disse sovrappensiero, guardandosi
già intorno per
capire come procedere.
Musa
non la vide muoversi a spostare qualche mobile per creare dello
spazio: restò immobile a pensare quanto fosse curioso che,
nel darle
il benvenuto, avesse usato le medesime parole che lei le aveva
rivolto quando le aveva fornito un luogo in cui stare.
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
Volevo
scrivere tutte le note a codici a barre, ma poi ho preferito evitare.
Del
resto ne ho imparato a memoria qualcuno che in cassa non passa mai:
tutte queste cavolate per dire che il capitolo si è fatto
attendere
più del dovuto a causa del nuovo lavoro, che mi
terrà impegnata
tutta l'estate.
Tuttavia
troverò sempre il tempo, fra un turno e l'altro per
scrivere, quindi
non temete!
A
parte tutto, questo capitolo ho impiegato veramente parecchi giorni a
scrivere, sfruttando quasi ogni momento di libertà. Spero
solo che
vi piaccia e che si incastri bene con la storia: qui c'è un
po' più
di azione, ci sono più spiegazioni ecc.
Spero
davvero possa piacervi.
Ringrazio
moltissimo Applepagly,
Ghillyam e LadyNabla
che hanno
recensito l'ultimo
capitolo, così come tutti i capitoli finora pubblicati.
Grazie mille
per il vostro supporto, spero che sia ricambiato con qualcosa che vi
possa piacere.
Sappiate
che non finirò mai di ringraziarvi, come non
finirò nemmeno con i
lettori silenziosi: lo so che spero sempre un sacco, ma anche qui
spero che nelle mie storie stiate trovando ciò che cercate,
che in
un qualche modo vi renda felici vedere un capitolo nuovo.
Riflettendo
sulla mia esperienza come lettrice, ho compreso quante emozioni una
storia può farmi provare e spero che anche questa storia
faccia lo
stesso effetto a chi la legge.
Ultimo,
ma non meno importante, ringrazio Morredson per
aver inserito la storia nelle ricordate: grazie molte!
E
grazie anche a te che sei arrivato fin qui, dopo queste note
spaccaco*****i (censuro contro il volere di Stormy).
Alla
prossima missione!
Mary
(che deve smetterla di concludere le note con la frase finale della
saga Metroid)
|
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Capitolo 7 *** VII. The Long and Winding Road ***
VII.
The
Long and Winding Road
“And
still they lead me back to the long and winding road
You
left me standing here a long, long time ago
Don't
leave me waiting here, lead me to your door.”
The
Long and Winding Road – Beatles
Se
glielo avessero chiesto, Tecna avrebbe affermato, senza falsa
modestia, che il piano da lei ideato l'aveva resa fiera delle proprie
straordinarie capacità intellettive.
Del
resto, la precaria situazione stessa l'aveva spinta a superare il suo
limite per poter trovare una soluzione che non fosse risultata nella
distruzione della Dimensione Magica per mano delle loro nemiche, di
nuovo – era bastato lo scuro ed innaturale colore dell'Oceano
di
Andros a ricordarle di cosa fossero capaci.
L'idea
geniale si era a lei presentata alle tre di notte di un giorno
infrasettimanale e, ad essere franchi, non avrebbe potuto scegliere
un attimo peggiore: tuttavia, la fata aveva vinto la stanchezza con
fare fiacco e lento e si era messa a lavorare, cercando di recuperare
man mano le facoltà mentali impiegate durante il giorno.
In
realtà aveva creduto in un'epifania più plateale
ed inaspettata;
l'ipotesi in grado di risolvere tutti i problemi di Magix in una
volta era sempre stata sotto gli occhi di tutti e la cosa l'aveva
messa un po' di cattivo umore. Con ogni probabilità la
soluzione era
comparsa nella mente di ogni singolo abitante del mondo magico appena
una volta ma, sia per mancanza di capacità che per carenza
di
malevolenza, nessuno s'era prodigato nell'attuarla.
Le
Trix avevano avviato qualsiasi catastrofe a cui potesse pensare e,
con loro ancora in azione, i danni non sarebbero di certo diminuiti:
l'unico modo per preservare salvezza e pace era estirpare il problema
alla radice. Il solo pensiero andava contro a molti principi che lei
e le sue compagne si erano imposte di rispettare, ma date le
condizioni critiche in cui versavano – condizioni che
sarebbero
andate solo peggiorando – riteneva giusto metter da parte gli
ideali, almeno per una volta.
Giustiziarle
al momento avrebbe avuto una scarsissima percentuale di riuscita: il
loro potere era accresciuto a tal punto da renderle quasi
intoccabili, senza considerare che Valtor, il loro alleato, disponeva
di un potere ancora superiore.
Eppure
sarebbero dovute sparire per garantire la pace.
Senza
di loro la Fiamma del Drago non sarebbe mai stata usata per creare
l'esercito oscuro; Darkar non avrebbe mai conquistato tutte le parti
del codice delle quali necessitava, né sarebbe riuscito ad
avvicinarsi così tanto al proprio obiettivo; ed il temuto
stregone
che ora terrorizzava la Dimensione Magica con i suoi incantesimi non
sarebbe mai stato in grato di uscire dalla Dimensione Omega e
ritrovare la libertà.
La
loro dipartita avrebbe assicurato il passato, il presente ed il
futuro di Magix ed era un'opportunità tanto rara quanto
impossibile
da non cogliere, nonostante la considerevole probabilità di
insuccesso.
Avrebbe
dovuto impegnarsi a produrre un piano senza fianchi scoperti e
riducendo i rischi al minimo, trattandosi di un nemico potente: e
sicuramente tale piano avrebbe avuto luogo a distanza dal bersaglio.
In
uno scontro diretto niente avrebbe potuto salvare lei e le compagne
dalla disfatta, ma se fosse stata in grado di produrre un programma
abbastanza potente...
“Tecna,
si può sapere cosa stai facendo? Saranno due ore che stai
smanettando con quella tastiera.” Musa si era alzata, nel
sentirla
così indaffarata: il suo sonno era diventato leggero negli
ultimi
tempi, e non era complicato capirne il motivo.
Con
la situazione senza precedenti in cui versava il Mondo Magico, le
fate avevano appena il tempo per dormire, quando ci riuscivano: di
stare anche un minimo tranquille non se ne parlava.
Valtor
e le Trix potevano attaccarle da un momento all'altro e, dati i
trascorsi, un'operazione di guerriglia nel cuore della notte non era
affatto da escludere; oppure qualche strano incantesimo atto a
confinarle in un incubo che prosciugava loro la forza vitale
– le
streghe, il più delle volte, non erano molto fantasiose e
tendevano
a seguire il proprio modus operandi.
Tecna
non alzò lo sguardo alla domanda, continuando come in uno
stato di
trance: i codici le passavano veloci davanti agli occhi, che li
studiavano e catalogavano; ma, nonostante ciò, era riuscita
a
sentire la voce della compagna di stanza.
“Mi
sentivo ispirata, così mi sono messa a studiare tutte le
informazioni che abbiamo sulle Trix: senza di loro Valtor si
troverebbe abbastanza scoperto. Forse so cosa potremmo fare, anche se
è solo un'idea.”
Nella
mente della zenithiana si stava componendo un'accurata e
dettagliatissima strategia, l'unica in grado di risolvere la
situazione senza troppe perdite: la strategia che avrebbe permesso
loro di non dover affrontare il temibile stregone evaso dalla
Dimensione Omega, così come le streghe; avrebbe evitato il
male
causato da Darkar, la distruzione della vecchia fortezza di
Fonterossa, le migliaia di vite che l'armata oscura aveva troncato.
Non
avendo il tempo di celare un incantesimo di tale potenza, il rischio
che venissero scoperte ed intercettate era elevato, ma come recitava
il detto terrestre che le aveva riferito Bloom una volta: a mali
estremi, estremi rimedi. E quella era esattamente l'occasione in cui
andava applicato.
Avrebbe
dovuto essere molto precisa e cominciare a lavorare al programma, che
andava formandosi tra i suoi pensieri, fin da subito. Non avendo
altro su cui concentrarsi, sarebbe stato meno difficile del previsto.
“Sul
serio?! – chiese Musa, avvicinandosi nell'immediato all'amica
per
osservare cosa stesse facendo – E come pensi di
fare?”
La
fata le fece segno di aspettare: le sue dita si muovevano veloci
sulla tastiera, facendo comparire il testo in linguaggio C sullo
schermo nero: il software poteva essere molto simile a quello
presente nella sala delle simulazioni, ma avrebbe avuto bisogno di
maggiore potenza ed un apporto di magia superiore.
Non
era una simulazione che stava cercando: affinché
funzionasse, le
serviva un ritorno fisico nel tempo passato.
“Chiama
le altre, Musa.” le disse poi, senza smettere di fissare lo
schermo.
“Vi
spiegherò quello che ho intenzione di fare.”
Doveva
trovare il momento giusto in cui agire e le scarse informazioni che
aveva sulle streghe non aiutavano affatto: eppure era sicura che ci
fosse, l'attimo tramite il quale, inserendo una modifica, avrebbe
cambiato irrimediabilmente il futuro della Dimensione Magica.
Doveva
riuscire a trovare il punto di rottura, ed avrebbe eliminato le Trix
senza usare la loro stessa violenza: avrebbe semplicemente impedito
che si presentassero loro delle occasioni per far del male. Il
programma cominciava ad avere una struttura portante, alla quale di
sicuro avrebbe lavorato per giorni e giorni: un progetto di una
simile mole non sarebbe stato possibile in una sera sola; ma si
sentiva quasi certa di aver trovato la soluzione che stavano cercando
da mesi, forse anche da anni.
L'adrenalina
della scoperta le aveva tolto tutto il sonno che aveva provato una
volta svegliatasi dal torpore e l'aveva spinta a non prendersi
nessuna pausa: avrebbe potuto aspettare che le altre Winx si
svegliassero, invece quando queste fecero il loro ingresso nella sua
stanza, non le vide nemmeno.
Era
troppo presa nel suo lavoro, fiera d'aver trovato un modo pratico ed
attuabile per togliere di mezzo una considerevole minaccia: tutti
avrebbero potuto pensare ad una cosa simile per riportare Magix alla
pace ed alla tranquillità, ma solo lei stava riuscendo a
rendere
tale desiderio reale.
“Allora?
Tecna?” la spazientita voce di Stella – sapeva
quanto odiasse
essere svegliata prima delle sue otto ore di sonno –
bastò a farle
dedicare almeno un minimo di attenzione alle compagne, desiderose di
sapere quale fosse la sua scoperta.
“Sedetevi,
ragazze. Quando finirò questo programma non dovremmo
più
preoccuparci né delle Trix, né di
Valtor.”
117
giorni, 11 ore, 9 minuti e 56 secondi dalla fine.
L'ufficio
di Faragonda, contrariamente al resto dell'edificio, non era cambiato
granché: la scrivania, le librerie, perfino gli affetti
personali,
erano nella stessa posizione che Tecna ricordava. Il pesante ed
antico libro sulla storia di Domino giaceva addossato ad altri tomi
di storia della magia nel medesimo scaffale di un tempo: era coperto
solo da più polvere, come se non ci fosse stato alcun
bisogno di
usarlo dal giorno in cui il regno fu distrutto dalle Streghe
Antenate.
La
preside, nel loro presente una delle fate più potenti
dell'intera
Dimensione Magica, prese posto a sedere con fare malinconico: la
vetrata dietro di lei non rifletteva più il cielo terso e le
immagini di spensierate studentesse intente a godersi il tempo libero
nel cortile, ma una coltre di nubi scure ed una desolazione che
entrambe le fate non avevano mai visto nella loro scuola, nemmeno
negli attimi più critici.
“Posso
offrirvi una tazza di tè, ragazze?” chiese lei
cortesemente,
accennando un sorriso sul volto stanco.
“Magari
un'altra volta, abbiamo un po' di fretta. Ma grazie lo
stesso.”
rispose subito Aisha, occupando insieme a Tecna le poltrone di fronte
alla scrivania. Anch'esse erano rimaste identiche, ma davano alla
fata di Andros una lieve sensazione di freddezza, come se nessuno ci
si fosse seduto per un lungo tempo.
“Vi
darò i nomi – disse allora lei, le labbra ora
tirate in
un'espressione seria. Alla bruna ricordava i momenti in cui le
minacce per l'incolumità di Magix si facevano
particolarmente gravi,
oppure quando qualcuna delle Winx aveva compiuto un atto troppo
sconsiderato e pericoloso, mettendo a rischio la propria vita
inutilmente, ed alla donna toccava riprenderla – vi
spiegherò
tutto nel dettaglio se volete, ma promettetemi che resterete fuori da
Magix e da questa storia. Come vi ho già detto: ormai non
possiamo
fare nulla per salvarci. Dobbiamo solo restare al sicuro ed attendere
tempi migliori.”
Tecna
si voltò verso la compagna, cercando complicità:
s'era preparata un
paio di strategie per risolvere le cose con la Faragonda che
avrebbero trovato in un presente diverso dal loro, ed era ora
arrivata ad un bivio.
La
principessa di Andros ricambiò lo sguardo, inarcando appena
le
sopracciglia.
Era rischioso, ma avrebbero dovuto farlo,
altrimenti la preside non sarebbe riuscita a fidarsi abbastanza da
dar loro informazioni complete. Proteggere eccessivamente le ragazze
più giovani, carattere che aveva sempre avuto, si stava
dimostrando
un difetto considerevole per la loro missione.
Il
prolungato silenzio cominciava a minare un poco la fiducia che la
donna stava riponendo nelle fate che aveva davanti; la loro
esitazione significava solo una cosa: non avevano intenzione di
restare lontane dai guai. Le osservò ancora per qualche
secondo, poi
socchiudendo gli occhi e sistemandosi gli occhiali sul naso con
l'indice.
“Qualcosa
mi dice che volete intervenire, invece.” disse, indurendo
appena il
tono: quando riaprì gli occhi, l'espressione sul volto delle
fate
era rimasta molto seria.
Nelle
mani di Tecna era comparso un dispositivo elettronico grande quanto
un suo polpastrello: era simile ad una puntina, dalla testina tonda e
metallica, nel quale era incastonato un piccolo contenitore di vetro
contenente un liquido color rame, all'apparenza molto denso; da esso
scendeva un tubicino capillare, che terminava in una punta in acciaio
all'apparenza affilata.
“Per
il rispetto che proviamo nei suoi confronti non dovre-”
cercò di
dire la zenithiana, prima che l'amica, di gran lunga più
impaziente
di lei, non afferrasse l'oggetto e lo premesse sul dorso della mano
di Faragonda: furono questioni di secondi, quest'ultima non
riuscì
nemmeno a realizzare cosa stesse succedendo.
“Oh,
muoviamoci Tecna. Possiamo perderci delle ore a spiegarle la
situazione.” disse con tono sbrigativo, sedendosi nuovamente
al suo
posto.
“Ci
avrebbe coperto le spalle nel caso non avesse funzionato.” si
giustificò lei, guardandola con la coda dell'occhio per
poter tenere
sotto controllo le reazioni della preside di Alfea: la vide allungare
due dita verso il dispositivo per poterlo togliere, ma parve fermarsi
non appena la sua pelle sfiorò il metallo.
“Cos'hai
detto? Potrebbe non funzionare?! Dovevi dirmelo prima!”
protestò
la fata dei fluidi, voltandosi verso Tecna con una punta di
esasperazione a piegarle le labbra. Era chiaro che se avesse saputo
della probabilità di fallimento non si sarebbe azzardata in
una
mossa così rischiosa; non osò rivolgere lo
sguardo alle conseguenze
della sua azione sul volto della donna che sedeva di fronte a loro.
“L'avevo
detto quando abbiamo elaborato questa strategia, ma dato che
evidentemente non sei stata attenta te lo ripeto: l'incantesimo ha
una probabilità dello 0,95% di fallire. Per quanto infima,
non mi
prenderei la libertà di non considerarla.”
spiegò con pazienza,
scatenando un accesso di ira dell'altra.
“Mi
hai fatto perdere dieci anni di vita per una probabilità
così
bassa?!” alzò il tono, sbattendo un palmo sul
tavolo; lo sguardo
che le rivolse l'amica le fece capire abbastanza in fretta di doversi
dare una calmata.
Faragonda
le stava ancora osservando del resto: gli occhi vuoti e spenti si
riempivano di ricordi che non le appartenevano; della sua figura che
comunicava con quelle due ragazze, insieme ad altre quattro fate,
nell'ufficio in cui si trovava, ancora illuminato dalla luce del
sole; delle sue parole nel pronunciare un complesso incantesimo, con
le mani poggiate sul dispositivo che l'aveva punta; delle sue dita,
che trasformavano il liquido in milioni di informazioni che avrebbe
dovuto tenere a mente.
Istintivamente
si portò una mano alla tempia, chiudendo gli occhi per poter
controllare e riordinare l'apporto d'immagini riguardanti un passato
ed un presente che un'altra versione di sé aveva vissuto; e
le
sembrava di tornare ad osservare la fiumana di nuove allieve
attraversare i cancelli, con la meraviglia negli occhi ed un ampio
sorriso stampato sulle labbra. Si vedeva affacciata alla vetrata,
come usualmente faceva all'inaugurazione dell'anno accademico,
un'espressione rilassata andava formandosi sul suo viso mentre faceva
correre lo sguardo sull'ordinato cortile affollato, sulla finezza
architettonica delle torri che difendevano la scuola, sulle forme
armoniche ed ondulate delle terrazze.
E
nell'aprire di nuovo gli occhi, riconobbe i lineamenti delle due fate
come se le conoscesse da una vita: dischiuse la bocca, e subito i
loro nomi erano sulle sue labbra.
“Tecna,
Aisha?” chiese, sbattendo un paio di volte le palpebre con
fare
incredulo.
“Sì,
siamo noi – disse Aisha, tirando un po' le labbra in un
sorriso –
E tu che mi avevi fatta preoccupare per niente.” aggiunse poi
sottovoce, diretta a Tecna che la degnò appena di uno
sguardo molto
eloquente.
“Ci
dispiace di aver usato metodi così poco ortodossi, ma al
momento non
possiamo permetterci di perdere tempo. Siamo separate dalle altre e
dovremmo ritrovarle in fretta per capire quale parametro va
modificato affinché la situazione si volga per il meglio, o
per
scoprire chi si è intromesso nella nostra
missione.” spiegò
concisa ed efficace, conscia del fatto che ora Faragonda era a
conoscenza di tutti i dettagli riguardanti il loro piano per
riportare, in maniera definitiva, la pace nella Dimensione Magica.
“E
noi abbiamo dei chiari sospetti.” intervenne la principessa
di
Andros.
“Suppongo
stiate parlando delle Trix.” dichiarò la preside.
“Esatto.
Vorremmo sapere dove si trovano per poterle confrontare una volta per
tutte.” le rispose la zenithiana. La fata più
anziana si prese
qualche attimo per riflettere, alzandosi dalla sedia per prendere
qualche passo verso la vetrata: l'esterno era ancora dominato dal
cupo colore del carbone che ora sostituiva la foresta di Selvafosca.
“Temo
di non potervi aiutare. Non ho informazioni su nessuna delle tre
streghe da quando sono fuggite dal loro pianeta natale; purtroppo non
posso escludere la possibilità che siano morte dopo l'ascesa
al
potere di Rick e dei suoi sottoposti.
Ora ricordo l'alto livello
con cui sono entrate a Torrenuvola nel vostro presente: delle streghe
così potenti possono essere un pericolo. Se si trovavano
ancora qui
a Magix è probabile che le abbia eliminate.”
ammise, intrecciando
le mani dietro la schiena.
“Questo 'Rick' è così potente da
poterle far fuori tutte e tre?” chiese Aisha, irrigidendosi:
una
parte di lei le imponeva di rimanere scettica, ma l'altra parte si
fidava di Faragonda e, se per lei fosse una minaccia considerevole,
avrebbe fatto meglio a temerlo a sua volta.
“No,
non ha un grande potenziale offensivo, né tende ad agire di
persona.
Sono le sue due guardie del corpo ed il suo esercito ad essere un
problema: per nostra sfortuna hanno tutti accesso ad un potere
pressoché illimitato.
Finché rimane coperto dai suoi uomini
non possiamo toccarlo: abbiamo provato a separarlo dalle sue guardie
durante la guerra, ma si sono dimostrate più forti del
previsto.”
“Potrebbe
darci i dettagli?” Tecna aspettò a malapena che la
preside finisse
di parlare, prima di tirar fuori il suo palmare ed aprire il blocco
note: la osservava attentamente, pronta a prendere appunti non appena
avesse ripreso a parlare.
“I
suoi soldati migliori sono Hecate e Hades: non è mai stato
visto
senza almeno uno di loro. Ovviamente sono entrambi nomi falsi,
inoltre le loro identità sono sempre celate: a quanto pare
solo il
loro capo conosce il loro vero aspetto, così come la vera
fonte dei
loro poteri.
Tranne
che nella guerra, nessuno è mai sopravvissuto per dare un
quadro
dettagliato del tipo di magia che entrambi usano. Io ho affrontato
Hades, ed in tutti gli anni in cui sono stata preside di questa
scuola, non ho mai visto qualcuno usare la necromanzia al suo
livello: è stato in grado di evocare, seppure per poco
tempo, le
Streghe Antenate al massimo della loro forza; può
controllare una
decina di spiriti nello stesso momento, portando la
superiorità
numerica dalla sua parte: e si parla di spiriti potenti, tra i
più
potenti della Dimensione Magica. Inoltre anche la sua forza fisica
è
notevole: nella forma in cui solitamente si presenta è alto
quasi
due metri, ed ha una corporatura alquanto possente.
Hecate
invece punta principalmente sulla propria magia e sulla
velocità:
identificare la sua magia è molto difficile, in quanto evita
di
mostrarla di proposito. Con ogni probabilità lo fa per non
mostrare
debolezze; l'ho vista uscire illesa da un gruppo di una ventina di
specialisti nel giro di una manciata di secondi durante l'ultima
battaglia.
Ad
affrontare Hecate è stato Saladin, ma… Non
è sopravvissuto per
raccontarlo.” fece una pausa, abbassando leggermente il capo
nel
ricordare la dipartita del suo caro amico. L'aveva trovato riverso a
terra, la tunica lacerata in più punti; le tracce della
magia che la
donna aveva usato per finirlo erano scomparse: pareva che il colpo
mortale fosse scaturito dall'interno del suo corpo, trafiggendo tutti
i suoi organi interni fino all'epidermide.
E,
se ad un primo sguardo le ferite non apparivano gravi, le sue
interiora erano ridotte ad una poltiglia di carne e muscoli.
Faragonda
si era ritrovata a sperare che la sua aguzzina l'avesse ucciso in
fretta, senza farlo soffrire eccessivamente.
Scosse
appena la testa, forzando un sorriso verso Tecna ed Aisha.
“Ora
conosco la vostra forza, so che avete dalla vostra parte la Fiamma
del Drago; ma vi sconsiglierei comunque un'azione contro Magix. E'
troppo pericoloso e non vorrei essere responsabile di altre perdite.
Allo
stesso tempo non posso fermarvi: quando sarete unite e cercherete un
posto sicuro in cui stare, potrete tornare qui. Solo le fate prive di
corruzione possono passare la barriera.”
“L'ha
detto lei: adesso ci conosce. Sa che non ci faremo sconfiggere da un
paio di tirapiedi.” affermò decisa Aisha; accanto
a lei, Tecna,
osservava le note che aveva raccolto in modo alquanto preoccupato.
Le
Trix non erano la causa dei disordini, e lei non sapeva se esserne
sollevata oppure ancora più turbata.
117
giorni, 23 ore, 31 minuti e 7 secondi dalla fine.
“Sei
sicura di averla vista andare di là?”
Bloom
era stata visibilmente preoccupata da quando lei e Stella si erano
accorte che Musa, dopo essersi allontanata un attimo per, a detta
sua, pensare un po' da sola, non aveva più fatto ritorno
né era nel
punto in cui s'era fermata.
La
piazza di Magix dove usualmente si teneva la festa della Rosa, doveva
aveva più volte camminato su petali rossi, era gremita di
gente
dall'aria poco raccomandabile: l'acceso rosso dei suoi capelli
spiccava perfino dal vicolo in cui lei e l'amica si erano rifugiate
per poter fare il punto della situazione.
I
palazzi che circondavano le vie principali s'erano fatti fatiscenti,
intrisi della nebbia scura che pareva soffocare perennemente la
città: da qualche finestra, qualcuno osservava le persone
dall'alto,
studiando il loro da fare. O aspettando il compimento dei loro
obiettivi.
Di
ogni persona che transitava vicino alla loro posizione,
fortunatamente senza fare troppo caso a loro, la fata non ne aveva
vista nessuna sprovvista di un'arma magica.
Si
sentì stringere il cuore nel pensare Musa sola in un
ambiente
simile: sarebbe dovuta intervenire prima.
Non
avrebbe dovuto lasciarla andare.
“Sì,
sono sicura Bloom! E' la terza volta che te lo ripeto.” disse
la
principessa di Solaria sottovoce, rivolgendo qualche occhiata nervosa
alla folla: non riconosceva nessuno ancora, le persone passavano
davanti ai suoi occhi grige e veloci, prive di un qualsiasi
particolare identificativo; se non si fosse soffermata sui loro volti
incattiviti dall'ambiente, intristiti da una vita che non coincideva
con i loro scopi, non sarebbe riuscita a distinguerli come esseri
diversi gli uni dagli altri.
Il
senso di colpa le aveva preso lo stomaco, prima lentamente e poi
tutto in una volta: sapeva che se a Musa fosse successo qualcosa,
sarebbe stata esclusivamente colpa sua. Certo, lei non si sarebbe
dovuta allontanare, ma era stata provocata e Stella conosceva bene il
suo carattere e cosa fosse in grado di fare quand'era arrabbiata.
Forse anche allora le Trix l'avrebbero trovata, presa di mira con
altre streghe; forse la storia si sarebbe ripetuta esattamente
com'era stata in tale frangente.
Ricordava
il suo viso spaventato e paonazzo per aver corso a perdifiato,
cercando di non soccombere ai numerosi attacchi delle nemiche; le
gambe le tremavano dallo sforzo ed il suo petto si alzava ed
abbassava in fretta.
A
Stella venne un tuffo al cuore mentre l'immagine della sua
espressione sollevata nel veder arrivare i rinforzi le si impresse di
nuovo nella mente; l'eventualità che la fata della musica
non
tornasse dalla missione era ora ben presente e, com'era ovvio che
fosse, si sentiva responsabile di qualsiasi danno avesse subito in
seguito al loro litigio.
Pensò
che ogni tanto avrebbe dovuto imparare a tenere la bocca chiusa.
“Finché
stiamo qui non la troveremo mai, comunque. Potremmo salire su uno di
quei tetti per riuscire a vedere meglio. Uno non troppo alto
magari.”
disse poi, indicando un po' nervosamente l'edificio che le teneva
nascoste dal resto degli abitanti: era uno dei più alti
della piazza
– superava i quattro piani e pertanto impallidiva di fronte
ai
grattacieli della periferia – quello in cui, durante il loro
primo
anno ad Alfea, s'erano appostate le streghe per giocar loro un brutto
scherzo e poter usare Riven come spia. Dai cornicioni delle finestre
scendevano striature grige che intaccavano l'intonaco bianco, le
poche decorazioni che fieramente portava durante le feste, erano
ridotte ad ammassi di pietra crepata, priva di una forma.
Guardandole,
Bloom si chiese di nuovo se Musa non avesse avuto ragione; si chiese
se le Trix fossero davvero in grado di causare danni simili, contando
che non avessero ancora messo mano alla Fiamma del Drago. Conosceva
fin troppo bene il loro potere, eppure mettere in ginocchio l'intera
capitale era troppo per ciò che sapevano fare: i loro anni
passati
altrove rispetto a Torrenuvola potevano confermare ciò che
l'amica
sosteneva.
L'unica
opzione che era in grado di considerare dopo aver assistito a tanto
degrado senza che delle sue acerrime nemiche si vedesse l'ombra, era
che avessero scoperto il loro piano fin dall'inizio.
Dovevano
aver trovato un modo per fendere lo spazio-tempo e dirigersi in un
altro presente, modificato dall'incantesimo di Tecna, per
contrattaccare il loro sabotaggio; eppure avevano compiuto ogni
azione con estrema cautela, tanta che nessuno all'infuori di loro
sei, Faragonda e la Griffin conoscesse nulla.
All'apparenza
era impossibile: tuttavia sapeva di cosa fossero capaci quelle tre.
Mentre, seguendo la fata del sole e della luna, si celava nei portici
dell'edificio accanto per trasformarsi, meno esposta alla vista dei
malviventi, ammise a sé stessa d'essere combattuta sulla
questione.
Per
quanto si sforzasse a vedere le nemiche come persone crudeli,
disfunzionali e senza speranza, la vista di una giovane Stormy, che
somigliava più ad una ragazzina abbandonata al suo destino
che ad
una pazza sanguinaria, non aveva giovato nemmeno a lei.
Nonostante
non avesse preso parte al litigio scoppiato tra le sue compagne, ora
che spiegava le ali e volava rasente a finestre rotte e polverose,
dalle tende squarciate e macchiate di sangue, cominciava a dubitare
seriamente di aver fatto qualcosa di buono nel togliere una parte di
passato alle streghe. Ma l'altra parte di lei, che era sempre stata
la più forte, le diceva che ad aver portato Magix nel
baratro erano
state loro; e lei non sapeva minimamente che posizione prendere.
Poggiò
le suole degli stivali sul tetto, muovendo la polvere che vi regnava
con i battiti delle sue ali; Stella atterrò accanto a lei in
silenzio, prendendo un paio di passi per avvicinarsi al parapetto.
“Da
qui dovremmo farcela.” finì appena di dire la
bionda, prima di
percepire la canna di una pistola magica appoggiarsi sulla sua testa;
Bloom vide il braccio di un uomo coperto da un'elegante camicia
bianca, teso a tenere ferma l'arma. I gemelli dorati sul polsino
brillarono appena alla luce artificiale proveniente dalla
strada.
Stella deglutì a fatica, restando immobile: un brivido
di freddo le percorse la spina dorsale, mentre l'acciaio ancora caldo
premeva contro i suoi capelli. Nessun tremolio, nessuna esitazione:
la mano che lo controllava era rigida e decisa, pronta a premere il
grilletto in ogni momento.
Poteva
quasi sentire il respiro di lui sul collo, il suo ghigno malefico
sulla sua pelle.
“Guarda, guarda Hecate: fate non corrotte!
Pensavo fossero sparite anni fa – disse divertito l'uomo
–
Giratevi, fatevi vedere per bene.”
Fece
un movimento con la pistola, imitando una rotazione: entrambe
trasalirono, ma si voltarono lentamente per vedere a loro volta chi
avessero davanti; se solo avesse abbassato il tiro, avrebbero potuto
attaccarlo; o almeno così speravano.
La
figura di un uomo sui trent'anni, dai brillanti occhi verdi simili a
quelli di un serpente, si formò davanti a loro; il suo
sorriso, per
quanto affascinante, non prometteva nulla di buono e dal completo
pulito e costoso doveva trattarsi di qualcuno d'importante. Di fianco
a lui c'era una ragazza dai lunghi capelli neri e la carnagione
olivastra: non sembrava voler proferire parola, né prendere
parte
all'insensato divertimento provato dal compagno.
Le studiava con
gli occhi scuri, mantenendo un'espressione neutra sul volto.
Lui
prese un passo avanti, puntando l'arma contro la testa dell'una e poi
dell'altra, osservandole con lo stesso sadismo di un gatto intento a
torturare le proprie prede. Nessuna delle due osò muovere un
muscolo
per attaccarlo; non avendo mai visto una pistola simile non erano in
grado di conoscerne la portata di fuoco, la potenza e le specifiche.
Conoscevano bene la pistola che usava Timmy nelle missioni, ma essa
era ben diversa sia nella forma che nella dimensione.
“Oggi
dev'essere un giorno meraviglioso, non credi?”
stuzzicò di nuovo
la donna al suo fianco, aspettandosi una risposta.
Hecate, a
quanto pare così si chiamava, roteò gli occhi,
prendendo un lungo
respiro come a ricorrere a tutta la sua pazienza. Bloom dedusse,
senza staccare lo sguardo da entrambi, che fossero piuttosto in
confidenza se lui le permetteva comportamenti simili.
“Come
ti pare, Rick. Non m'interessa se esistono ancora fate pure in questo
mondo, ho del lavoro da fare. E tu mi stai facendo perdere
tempo.”
Lui
si lasciò scappare una risata asciutta: dalle labbra
emersero appena
i denti, ed alla fulva parve di guardare un predatore in procinto di
sbranarle.
“Tu
lavori per me, cara. E trovare due fate mi sembra molto più
importante che ammazzare una misera taglia. Quello puoi farlo anche
domani, questo quando ricapita?”
“Cosa
volete da noi?” trovò il coraggio di parlare
Bloom, stringendo i
pugni fino a far comparire delle fiammelle sulle nocche. La sua
reazione attirò l'attenzione di Hecate, che si
concentrò sulla
crescita del suo potere per capirne la natura.
“Sapere
come siete sopravvissute. Ho appena avuto un'idea: sarete nostre
ospiti, così potremmo studiarvi quanto vogliamo: non
preoccupatevi,
voi in cambio avrete cibo, un posto in cui dormire e la nostra
protezione.
Ah, e con 'nostre ospiti' – e si voltò verso la
ragazza, che non mosse un muscolo in quanto già sapeva cosa
volesse
comunicarle – intendo dire che staranno a casa tua.”
“No.”
rispose secca lei, continuando ad osservare entrambe le fate per
cogliere altre manifestazioni di potere. Non degnò Rick di
uno
sguardo, ma lui scrollò le spalle come se ci fosse abituato:
dei
due, le due allieve di Alfea non riuscivano a capire chi avrebbero
dovuto temere maggiormente.
“Cosa
ti fa pensare che accetteremo?” disse Stella, ispirata dalla
decisione con cui l'amica li aveva sfidati.
“Non
avete scelta: o accettate, o morite. Sarebbe un peccato uccidervi, ma
per avere delle fate pure non sono disposto a sacrificare il mio
prezioso tempo.”
La
fata di Solaria deglutì a fatica un groppo di saliva dopo
tali
parole: l'uomo lo notò e ne gioì, allargando
ulteriormente il
sorriso beffardo che dominava sul suo volto. Abbassando la pistola,
guardò con soddisfazione il loro farsi meste: sapeva che
sarebbe
loro mancato il coraggio di reagire dopo tali parole. Le fate erano
fin troppo facili da manipolare, secondo la sua onesta opinione: e
lui poteva dirsi un esperto.
“Oh,
sono onorato che abbiate accettato. Ora vado a dare la bella notizia
a chi di dovere, se volete scusarmi. Le affido a te, Hecate.”
le
superò, salutandole con un irritante cenno della mano; in
una
manciata di secondi era già sparito dietro alla porta che
conduceva
alle scale interne dell'edificio.
Le
due fate rimasero davanti ad Hecate, che, se non per uno sbuffo, non
si disturbò di rispondere al suo capo. Lasciò
calare il silenzio
per un minuto, in cui non si permise di staccare lo sguardo dai loro
occhi; nonostante non stesse facendo niente di pericoloso, Stella
sentì crescere nel petto una forte sensazione di disagio.
Tuttavia,
ora che non erano più sotto tiro, avrebbero potuto provare a
reagire.
“Conoscete
già il mio nome – si decise a parlare, con un tono
estremamente
piatto – Potete dirmi i vostri, come potete anche non
dirmeli: per
me non fa differenza.
Se
avete domande su dove vi trovate o cosa sta succedendo qui in giro,
chiedete pure, ma una alla volta e senza pressarmi troppo. Odio chi
mi riempie di domande.
E
seguitemi senza fiatare, sono stata chiara?
Una
volta a casa mia potete fare quello che volete, tranne toccare le mie
cose.”
Stella
storse la bocca, voltandosi verso Bloom per sussurrarle
all'orecchio.
“Si è subito messa a sparare sentenze
questa.”
le disse stizzita, rivolgendo un'occhiataccia alla loro
accompagnatrice; con ogni probabilità l'aveva sentita, ma
invece di
commentare prese a camminare, dando loro le spalle.
Aveva un bel
portamento, ebbe modo di notare la fulva; ma non riusciva a notare
molto altro. A primo impatto, la sua personalità insipida
non
spiccava per nessun lato: non era crudele come il suo superiore,
né
buona come una persona intenzionata ad aiutare.
Non le stava
nemmeno controllando, sarebbero potute fuggire: si voltò
verso la
bionda, rivolgendole uno sguardo complice e preparandosi a prendere
il volo.
Stella
ricambiò lo sguardo, facendo comparire lo scettro di Solaria
per
coprire la loro fuga da eventuali attacchi.
Come
se l'avesse letta nel pensiero, Hecate si voltò, riducendo
gli occhi
a due fessure.
Un
forte potere premette sui loro corpi, cominciando a schiacciare i
loro piedi al suolo: per quanto provassero ad alzarsi in volo, le
loro ali non riuscivano a sollevarle.
“Ah,
non pensate di scappare: non ci penserei due volte ad
ammazzarvi.”
le avvertì, concentrando un enorme apporto di magia oscura
nelle
proprie mani.
Avvertenze
e condizioni per l'uso:
Innanzitutto
mi scuso per averci messo più di un anno ad aggiornare, mi
sento
veramente una persona schifosa: questa storia si è bloccata
e tra
università e tutto il resto è caduta nel
dimenticatoio: la mia
ispirazione per quanto riguarda questa AU si era presa un anno
sabbatico.
Mi
dispiace davvero tanto che chi segue questa storia abbia dovuto
aspettare tanto, e spero che la cosa non si ripeta con il prossimo
capitolo.
Compaiono
dei personaggi originali per la prima volta qui, spero che possano
piacervi nel corso della storia: ne manca ancora qualcuno, uno dei
quali è stato già citato.
Come
di consueto, passo ai ringraziamenti perché non so
più come
scusarmi: ringrazio infinitamente le onnipresenti Ghillyam,
LadyNabla e
Applepagly per aver
recensito lo scorso capitolo, ormai già vecchio e decrepito.
Grazie
davvero per la pazienza che avete sempre avuto e per l'attesa, avete
dovuto davvero aspettare un'eternità. Ringrazio tutti quelli
che mi
stanno sostenendo seguendo la storia ed anche i lettori silenziosi
che forse hanno aspettato i secoli per questo capitolo, forse no.
Ho
alleggerito lo stile negli ultimi tempi, spero sia migliorato e sia
più scorrevole di prima: spero anche che la differenza non
stia
troppo male con gli altri capitoli.
Detto
questo, alla prossima missione!
(Che
spero non esca con la stessa cadenza dei giochi di Metroid).
Mary
|
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Capitolo 8 *** VIII. Glowing Eyes ***
VIII.
Glowing
Eyes
“This
room is far too dark
For
us to stay around
Redemption’s
not that far
And
darkness is going down”
Glowing Eyes – Twenty One Pilots
“Ripetimi
un po' come ti chiami.”
Con
il naso fuori dal finestrino ed un paio di tondi occhiali da sole,
Stormy osservava il graduale cambiamento di paesaggio, laddove la
foresta di Selvafosca cominciava a lasciare il posto alle praterie:
aveva sempre sentito parlare di un luogo simile ai confini di Magix,
le verdi distese prima delle montagne che ne delimitavano il confine
con il resto dell'universo magico, e non l’aveva mai visto
nemmeno
in foto.
La
ruralità del paesaggio l'aveva sempre affascinata
– nonostante la
città riservasse molte più sorprese –
aveva un profumo che le
ricordava un tempo lontano ed inafferrabile, un tempo che non era
sicura di aver vissuto. Non essendosi mai spinta oltre la periferia,
voleva gustarsi il panorama: sporse la testa a guardare come il sole
baciasse il limitare della foresta, le cime delle fronde degli alberi
ed i fili d'erba che ondeggiavano al passaggio dell'automobile
magica. Le colline si susseguivano una dietro l’altra, la
strega ne
tracciava i contorni con gli occhi scorgendo come, di tanto in tanto,
le loro depressioni nascondessero paesini cresciuti ai loro piedi.
Inspirò
profondamente il lontano profumo degli aghi di pino, voltandosi verso
la città; ed era così lontana da permetterle di
allontanarsi anche
dalla propria vecchia e infelice vita.
“Musa.
Hai la memoria così corta?” la melodyana si
sforzò di usare un
tono scherzoso; l’altra non si accorse del suo fingere e
roteò gli
occhi, continuando a sporgersi fuori dal finestrino.
“Probabilmente
non ho neanche ascoltato. E' che sono successe un sacco di cose ed ho
troppi cazzi per la testa.” rispose, appoggiando il mento
all’avambraccio e sollevando gli occhiali, che stavano per
cadere,
con il pollice.
“Puoi
parlarne, se vuoi. Sai, per sfogarti.” tentò Musa.
Avrebbe
voluto voltarsi verso di lei, ma una curva stretta le impedì
di
distrarsi; la strada cominciava a serpeggiare sul fianco delle
colline.
Stormy
si spostò i capelli dal viso con una mano, guardandola con
la coda
dell'occhio.
“Ti
conosco appena, non te ne potrebbe fregar di meno.” le disse:
il
suo tono era un po' spento, molto meno sarcastico del solito; la fata
le rivolse un veloce sguardo, cercando di studiare in breve il suo
comportamento così inusuale.
Non
ci riuscì; riportò lo sguardo sulla strada,
accelerando appena.
“Non
è detto: ho capito che sei scappata di casa, non posso
sapere cos'è
successo, ma non posso fare a meno di notare che quel qualcosa ti sta
facendo stare male.
Ti
ho dato un passaggio perché non volevo lasciarti
là, sola sulla
strada; ma se non vuoi parlarne, mi sta bene.” rispose,
cercando di
riprendere il tono che aveva usato fino ad allora per non destare
sospetti.
A
tali parole la strega girò
il volto completamente verso di lei, abbassandosi gli occhiali da
sole fino alla punta del naso con l'indice; la guardò con
aria
scettica per una manciata di secondi, studiando le sue reazioni per
capire se stesse facendo sul serio.
“Cosa
c'è?” esordì dopo il silenzio: si
sentiva osservata e, guardando
con la coda dell’occhio il posto del passeggero, aveva
scoperto la
ex nemica a fissarla.
Sentirsi
le
sue pupille
addosso aveva un effetto diverso rispetto a come lo
ricordava: non percepiva la rabbia e il rancore che provava nei suoi
confronti manifestarsi,
la
tensione di uno scontro in procinto di cominciare, il disgusto per le
cattiverie gratuite che le aveva rivolto a più riprese; ma
una
flebile tristezza in crescendo, un’inspiegabile sensazione di
comprensione e compatimento; come se la fata stesse iniziando
finalmente a capire cosa ci fosse dietro a tutti i suoi comportamenti
violenti e iracondi.
“Dici
sul serio? Non è che devi per forza ascoltarmi.” parlò
dopo qualche secondo di silenzio; la curiosità si percepiva
appena
nel tono, ma Musa aveva l’orecchio allenato
a sentire intonazioni diverse, per quanto minime – ancora
una volta, doveva ringraziare il suo potere.
L’atteggiamento
della strega andava ammorbidendosi con lentezza, zittendo quella
diffidenza che s’era ostinata a mantenere per la prima ora di
viaggio.
Alla
melodyana venne da pensare che si fosse sciolta in quanto, nella sua
quotidianità, nessuno volesse mai ascoltarla
parlare; la sentiva stupirsi di avere l’attenzione
di
qualcuno, e si rimproverò
di non averlo notato prima.
In
fondo era così evidente in ogni occasione nella quale il
proprio
gruppo si scontrava con il suo: Stormy doveva assumere il ruolo della
forza distruttiva fuori controllo, attaccava quando le sorelle la
sguinzagliavano, altrimenti non aveva libertà
d’azione. Doveva
essersi stufata da tempo della sua subordinazione, e non erano
mancate le occasioni in cui la questione le si era presentata davanti
agli occhi; ma lei aveva scelto di non farci caso, perché la
strega
era solo un nemico
crudele e sadico, causava
dolore
solo per il gusto di farlo e lei la odiava talmente tanto che il
pensiero di volerla morta l’aveva sfiorata in più
occasioni.
Deglutì
un groppo di saliva, stringendo le mani sul volante; pensare alla
consapevolezza che stava prendendo delle sue forti emozioni negative
verso le nemiche la stava facendo sentire poco bene. Non credeva di
poter arrivare a tanto, ma essendosi considerata sempre dalla parte
giusta – quella in difesa della Dimensione Magica –
non s’era
fermata a riflettere sulla sua moralità ambigua.
La
strega delle tempeste la stava ancora fissando, con le sopracciglia
inarcate.
“Certo,
altrimenti non te l'avrei chiesto.” le disse sincera, alzando
un
po' gli angoli della bocca. Evitò
il suo sguardo con la scusa di dover mantenere il proprio sulla
strada; non avrebbe retto il confronto, non conoscendo
ciò che avrebbe dovuto fare.
L’idea
di abbandonarla stava perdendo la gloria
che aveva provato
verso
la nobile causa di salvare il mondo,
per cui quell’azione sarebbe stata indispensabile; ci aveva
messo
un’ora e mezza per capire che nulla del loro piano fosse
morale.
Eppure
non tutte le scelte giuste erano morali; o così le avevano
detto.
Il
compito doveva essere eseguito per il bene di tutti; tranne quello di
Stormy, pensò.
E
al dovere andavano sovrapponendosi le immagini della possibile vita
della sua nemica, prima che si intromettesse in quella di Musa,
rivoluzionandola e spazzando via ogni traccia di
tranquillità con la
stessa forza dei suoi tornado; prima delle sue disturbanti mire di
conquista del mondo.
Poteva
quasi immaginarla nella propria
stanza,
sola,
alla ricerca di una qualsiasi occupazione che fosse in grado di
tenerla impegnata;
si chiese se avesse avuto contatti esterni oltre alle sorelle, se
non si fosse annoiata a non fare nulla; poteva vederla scappare dalla
finestra – forse avevano una scala antincendio come
aveva visto in alcuni film terrestri,
ma pensandoci bene non le sarebbe
servita
in quanto le sarebbe bastato volare – per un’ora o
due di libertà
in cui sarebbe riuscita a sfogare la sua frustrazione, o forse non
avrebbe avuto abbastanza tempo, abbastanza libertà e le
sorelle l’avrebbero
rintracciata
subito.
Cercando
di figurarsela, tornò a rimuginare sul fatto che di lei non
sapesse
assolutamente niente, oltre
la superficialità che riusciva a vedere.
“Magari
era solo una domanda di circostanza.” Stormy alzò
le spalle,
prendendo un bel respiro come se fosse costretta a confessare uno dei
suoi segreti più oscuri; con ogni probabilità
– pensò la fata,
nel vederla prepararsi un minimo il discorso – non ne aveva
mai
parlato con nessuno e non sapeva da dove iniziare.
Staccò
per un momento gli occhi dalla strada per
sforzarsi di guardarla
arricciare appena le labbra nell'appoggiare il mento al palmo della
mano, concentrando la sua attenzione alle villette sparse tra le
colline.
“Mi
sono rotta di stare con le mie sorelle, tutto qui. Sono pressanti e
non le sopporto più: grazie agli dei non mi hanno mai
considerata
più di tanto.” disse.
Musa
attese qualche momento, credendo che volesse continuare a parlare, ma
Stormy non disse altro. Aveva
sempre dato per scontato che, in qualche modo, andassero
d’accordo;
alcune volte aveva fantasticato su un vincolo di sangue o su
‘qualche
strano rito oscuro da strega’ con il quale Icy aveva legato a
sé
le sorelle, obbligandole a seguirla in qualsiasi impresa le fosse
passata per la mente, ma aveva lasciato tale
idea
alle
battute
divertenti da tirar
fuori con le amiche
in momenti più tranquilli di quello in cui era capitata.
In
realtà, durante gli anni in cui aveva combattuto per la
Dimensione
Magica, non s'era mai interessata più di tanto alla
relazione che le
Trix potessero avere tra di loro; oscillavano tra il mostrare la loro
unione genealogica con orgoglio ed il comportarsi come se
l’unica
cosa che le smuovesse fosse la prospettiva di regnare su tutti gli
esseri magici e stroncare chiunque osasse ribellarsi al loro potere,
permettendo al loro legame di passare in secondo piano.
Tuttavia
notava
fratture più profonde della superficialità alla
quale, di solito,
si fermava nell’osservare i loro comportamenti; come Stormy
era più
di un’isterica che cercava in tutti i modi di rovinare la
vita di
Musa e delle sue compagne senza un apparente motivo
all’infuori del
malato divertimento personale, i
rapporti con le sorelle dovevano essere più complessi di una
semplice gerarchia verticale.
Sentendola
esitare ancora, le venne in mente che forse, a parti invertite, si
sarebbe stufata anche lei di farsi mettere i piedi in testa; avrebbe
raccolto le sue cose e si sarebbe trovata su quella stessa strada
alla ricerca di un posto migliore in cui poter godere della propria
libertà.
“Devono
esser state delle belle stronze se sei arrivata a… beh,
scappare di
casa.” le disse, premendo appena sul freno per impostare la
curva.
Stormy tornò a guardarla, allungando la bocca in un
sorrisetto.
“Molto
più di quanto immagini. Non penso esistano persone peggiori
delle
mie sorelle nell’intera Dimensione Magica.”
dichiarò
soddisfatta, atteggiandosi come se non vedesse l’ora di
parlar male
con qualcuno delle sorelle.
La
fata non faticò a crederle, ma colse l’occasione
per scucirle
qualche informazione, più a titolo personale che per
riuscire a
portare alle altre qualche informazione.
“Oh,
andiamo, credo di aver conosciuto persone peggiori – le
disse,
ricambiando l’espressione beffarda; la strega era testarda ed
orgogliosa, non avrebbe mancato l’occasione di poter
competere –
O vuoi farmi cambiare idea?”
Era
stata una mossa rischiosa; ma Stormy emise una risatina e si
abbassò
nuovamente gli occhiali, piegando la bocca in una smorfia divertita.
“Fidati,
fatina. Non ne hai idea.” scandì bene le parole,
la soddisfazione
le si leggeva sulle labbra; per un attimo il pensiero che il rapporto
poco sano tra lei e le sorelle non fosse esattamente qualcosa di cui
vantarsi le sfiorò la mente, ma fu un attimo troppo breve
per
permetterle di considerarlo.
“Devono
fare proprio schifo, allora.” rispose, evitando di calcare la
mano;
l’irascibilità della strega delle tempeste poteva
prendere il
sopravvento in un attimo, e voleva evitare di volerla gestire quando,
secondo la sua modesta, ma sufficiente, esperienza nemmeno le sorelle
erano in grado di calmarla; eppure ancora, continuava a rendersi
conto di sapere molto meno di quanto si aspettasse sul conto delle
nemiche.
Si
domandò se si sarebbe stupita nello scoprire che le streghe
si
comportassero in modo totalmente diverso da ciò che facevano
apparire; percepì la curiosità crescere
notevolmente al solo
pensiero.
Stormy
fece un’alzata di spalle, mettendo una mano fuori dal
finestrino e
tamburellando le dita nell’aria con un movimento sinuoso.
“Se
un giorno dovessimo rincontrarci, potrei raccontarti un po’
delle
stronzate che ho dovuto sopportare.” fece, distratta dal
vento le
passava tra le dita.
Musa
accennò un sorriso nella sua direzione; e poi
un’epifania la
colse.
Accostò
il prima possibile, sotto gli occhi perplessi della strega delle
tempeste, che schiuse la bocca per parlare.
Ma
la fata fu più veloce.
“Non
hai un posto dove stare qui intorno, giusto?”
Era
stata impulsiva, era conscia di star sbagliando; davanti a lei
c’era
Stormy, la strega che aveva osato colpire suo padre con uno dei suoi
fulmini pur di sfidarla e umiliarla davanti a un folto pubblico, che
aveva evocato l’armata oscura nel tentativo di conquistare
l’universo magico, – e suddetta armata aveva fatto
migliaia di
morti tra i civili di Magix – che aveva ridotto Flora in
condizioni
critiche con un solo, potente attacco; davanti a lei c’era
uno dei
peggiori pericoli che la Dimensione Magica avesse mai ospitato.
Ma
quella Stormy non aveva fatto nulla di tutto ciò: sembrava
solo una
ragazza persa, che nessuno si era preoccupato di considerare, men che
meno aiutare.
Si
trovò a considerare che forse la causa dei suoi
comportamenti
violenti fosse da ricercare in simili mancanze.
“No,
ma so cavarmela. Non è la prima volta che me ne vado:
l’unica
differenza è che questa volta col cazzo che
torno.” le disse,
usando lo stesso tono sprezzante che le rivolgeva in battaglia;
poteva avere la stessa parlata, ma non era l’isterica
sanguinaria che aveva rovinato tutta la sua esperienza al college di
Alfea.
Non lo era ancora; e forse aveva la possibilità di
evitare che lo diventasse, forse quella
era la sua possibilità di
renderla una persona migliore.
“Perché
ti sei fermata? Devo scendere?” chiese poi, vedendo che Musa
non
accennava a rispondere, né a rivolgerle lo sguardo.
“No,
no. Vieni con me su Melody; ho pensato che potresti stare per un
po’
a casa mia.”
La
strega sgranò gli occhi e sollevò le
sopracciglia, incapace di
contenere la sorpresa per quell’uscita impulsiva; se la
melodyana
non avesse dovuto mantenere un atteggiamento sicuro, avrebbe
riprodotto la sua espressione.
Cosa
diavolo le era venuto in mente?
Convivere
con la sua acerrima nemica era un’impresa ben più
grande di lei.
“Mi
sembra abbastanza lontano da Magix.” rispose Stormy,
rilassando i
suoi lineamenti in un sorriso; le sue piccole labbra si erano tirate
così dolcemente da lasciarla quasi
senza fiato.
Era
un’impresa ben più grande di lei, ma per qualche
motivo si sentiva
pronta ad affrontarla.
110
giorni, 13 ore, 23 minuti e 4 secondi alla fine
Con
un elegante gesto della mano, pregno di magia, Darcy chiuse la porta
della bottega; sulla vetrata comparvero in un bagliore scritte dalla
dimensione talmente piccola da risultare quasi illeggibili. Si
mossero in senso orario ad un comando della strega, formando un
sigillo; l'ametista sull'anello di lei brillò per una
frazione di
secondo, e la vetrina tornò buia come in precedenza.
Flora
aveva visto raramente le streghe usare un tipo di magia non
strettamente offensiva, perciò trovò il rito a
cui aveva assistito
affascinante; prima di allora, la strega l’aveva scortata nel
suo
appartamento prima che chiudesse in modo così preciso e
laborioso il
suo negozio.
Non
le aveva mai permesso di vedere il modo in cui le sue dita affusolate
seguivano le linee geometriche e dorate del sigillo, così
delicate e
allo stesso tempo molto precise; non aveva curvato nemmeno un angolo.
Forse
stava cominciando a capire di potersi fidare, pur mantenendo la sua
caratteristica riservatezza.
In
circostanze normali, la fata
avrebbe tenuto a freno il desiderio di arricchire la sua cultura, ma
ora che non doveva più aver paura della
strega dell'oscurità, capì
che non
avrebbe avuto senso
esitare. Si avvicinò al vetro, percependone la pregnante
magia senza
il bisogno di allungare le dita per sfiorarlo;
la strega la osservò senza proferir parola, chiedendosi se
fosse la
prima volta che la fata prestasse
attenzione ad una stregoneria difensiva.
Gli
occhi smeraldini di Flora
si mossero su ogni angolo della
vetrata con ammirazione, notando come la forza dell'incantesimo
mirava a pareggiare la solidità delle barriere che venivano
instaurate in difesa di Alfea; lei stessa aveva contribuito a
rafforzarla in più occasioni, pertanto non poteva che lodare
il
lavoro della sua ex nemica nel completare una magia protettiva di
tale potenza da sola.
Accennò
un sorriso, voltandosi verso di lei.
“Ho
letto di stregoneria protettiva con l'aiuto di sigilli solo sui
libri, non ne ho mai vista una dal vivo. Hai un potere veramente
notevole.” ammise con piacere; Darcy apparve disorientata dal
complimento per una frazione di secondo, come se avesse perso
l'abitudine a ricevere le attenzioni che, durante i suoi anni a
Torrenuvola, l'avevano portata ad essere una delle ragazze
più
popolari.
Di
fatto, la mezzana che aveva davanti, l'abitudine non l'aveva mai
presa; nonostante ciò, Flora si stupì nel non
vederla piena
d'orgoglio per il suo apprezzamento.
“Sono
stata costretta ad imparare in fretta. Ma grazie per il
complimento.”
rispose, piegando appena all'insù gli angoli della bocca:
non
l'avrebbe detto ad alta voce, ma il carattere supportivo e quieto
della fata le stava piacendo.
Al
di fuori della sorella minore e della sua
personale spia che s'occupava di aggiornarla sulla situazione a Magix
con regolarità in cambio della sua protezione, non aveva
molti
contatti né forzava una conversazione con i clienti che
varcavano la
soglia del suo emporio; non ne vedeva
il motivo.
Condividere
informazioni personali con estranei l'avrebbe portata ad esporsi,
cosa che già
in circostanze normali non adorava fare; poi,
da
quando aveva
scoperto che era stata messa
una taglia sulla sua testa, s’era
fatta ancora
più riservata di quanto
lo fosse stata
in precedenza.
Pur
vivendo lontana dalla metropoli, non si sentiva di abbassare la
guardia; aveva visto girare esseri magici poco raccomandabili anche
nei pressi del suo negozio, e non aveva nessuna intenzione farsi
scortare
da quel megalomane
che aveva osato metterla
al bando.
Flora
era silenziosa e si dava da fare; non faceva domande scomode, non la
disturbava mentre era impegnata, e non apriva bocca nemmeno con i
clienti – che se avessero scoperto la sua vera natura, di
fata non
corrotta, avrebbero scatenato il putiferio.
Non
aveva ancora pensato a cosa farne di lei; ennesima stranezza della
settimana, siccome non stressarsi su una questione spuntata dal nulla
in un battito d’ali era una delle ultime cose che faceva; era
stata
impegnata, si disse.
Impegnata
a capire da dove venisse, perché non fosse stata corrotta,
cosa
fosse venuta cercando in una città malconcia e desolata come
Magix;
ovviamente senza chiedere nessuna informazione alla diretta
interessata.
Era
arrivata a pensare che
potesse essere l’ennesimo tentativo di sua sorella maggiore
per
aiutarla a rimanere al sicuro; aveva scacciato il pensiero dicendosi
che sua sorella avrebbe fatto meglio ad aiutare sé stessa
prima di
mandare fatine agli altri, e si era concentrata sul proprio
lavoro.
Del
resto, credeva con fermezza che ad Icy non importasse che di
sé
stessa.
Una
fata della natura le
era
utile per crescere erbe particolari, per le quali rischiava di
farsi seguire e trovare,
così aveva deciso che non sarebbe stata una cattiva idea permetterle
di restare per più tempo;
inoltre poteva soddisfare la propria curiosità in merito al
suo
arrivo, prendendosi un doppio guadagno con un’azione sola.
Flora
si era adattata in fretta e si era resa utile in ogni modo le fosse
possibile; aveva mantenuto sempre alta l’attenzione per non
compromettersi, senza però privarsi di iniziare a sentirsi a
suo
agio con la strega.
Le
piaceva dirsi di starsi rilassando perché non aveva altra
scelta se
non condividere l’appartamento con Darcy, che si faceva mille
scrupoli pur di tenere lei e sé stessa al sicuro; e, di
tanto in
tanto, le strappava qualche informazione mascherando le sue domande
come un modo per far luce nella confusione che, plausibilmente,
regnava nei suoi pensieri.
Non
poteva affermare in pieno di starle mentendo siccome, da quando si
era svegliata in ciò che rimaneva di Selvafosca ed aveva
rischiato
un paio di volte la vita, aveva capito ben poco della realtà
distorta in cui era capitata; e sperava sempre che tra quelle
informazioni ce ne fosse qualcuna relativa all’avvistamento
di una
delle sue compagne; stava tentando di usare la situazione a proprio
vantaggio, anche se negare di starsi affezionando con lentezza a
quella versione della strega dell’oscurità sarebbe
stato alquanto
ipocrita.
Quando
la strega si mosse, Flora la
seguì in silenzio sul retro dell’edificio, fermandosi
di fronte a lei come da prassi; si
era abituata a quel procedimento e non temeva più che
potesse
nascondere un eventuale tentativo della strega di sottrarle i poteri.
Darcy
prese due passi verso il muro opposto, facendovi scorrere sopra le
dita: parvero
far attrito con la pietra dei mattoni, rigidi e freddi, nel muoversi
con grazia da sinistra a destra e vice versa, ma alla sesta
ripetizione del movimento, la loro consistenza si fece più
morbida e
setosa, il colore più uniforme. I polpastrelli della strega
propagavano ora delle pieghe sul tessuto della tenda, che aveva preso
il posto della parete;
nel
momento in cui la scostò con un gesto lento,
i
mattoni laterali si piegarono perpendicolarmente
verso l’interno, andando
uno ad uno a comporre i due pilastri
di una modesta arcata; sulla
chiave di volta regnava lo stesso sigillo di protezione che la fata
le aveva visto tracciare sulla vetrina del negozio.
Anche
se non era la prima volta che vedeva cadere un’illusione
così
realistica – aveva toccato lei stessa la parete, senza essere
in
grado di percepire la differenza tra la realtà e
l’inganno, tra
pietra e tessuto
– Flora percepì un senso di fascino nel vedere la
strega
che entrava
nel passaggio nascosto, tenendo
alzata la tenda con l’avambraccio.
Pur
trattandosi di una sua nemica, che doveva tenere costantemente
sott’occhio e della quale non poteva fidarsi, la fata si
permise di
provare ammirazione per la capacità della strega di
ingannare non
solo lo sguardo, ma tutti i sensi.
La
seguì in fretta, quando si accorse di star esitando un
po’ troppo
davanti al passaggio; e, persa nei suoi pensieri, per poco non
sbatté
contro la schiena di Darcy, che si era arrestata a un paio di metri
dall’arcata. Flora si sporse oltre lei per capire cosa, o chi,
l’avesse spinta a fermarsi: scorse un uomo seduto nella
penombra
del portico,
dalla bocca sottile e la mascella scolpita illuminate dalle braci di
una sigaretta. Quando le vide si alzò, appoggiando la
schiena al
muro; la fioca luce rossa illuminò un sorriso strafottente
sul suo
volto.
“Credevo
non prendessi apprendisti, Darcy. E’
strano vederti in compagnia di qualcuno che non sia tua
sorella.”
Darcy
sbuffò alla provocazione.
“Era da un po’ che non ti facevi
vivo, pensavo ti fossi fatto ammazzare – lo ripagò
con la stessa
ironia, procedendo verso di lui – Parliamone dentro,
è più
sicuro.”
Flora la seguì in silenzio, cercando di capire
perché quella voce le sembrasse così famigliare;
avvicinandosi, i
suoi occhi si abituarono al buio, cominciando a delineare le fattezze
dell’uomo – che ora aspettava paziente che Darcy
annullasse la
potente magia protettiva che avvolgeva l’abitazione.
Dovette
trattenersi con tutte le sue forze dal sussultare; non
poteva riconoscerlo in un mondo in cui, di fatto, non si erano mai
incontrati. Riven fu il primo ad entrare; e la fata poté
constatare
che oltre al carattere dello Specialista che lei aveva conosciuto,
aveva mantenuto anche il suo portamento.
Le circostanze in cui
si era trovato avevano cambiato il
suo aspetto, marcando il suo viso con un paio di vistose cicatrici,
così
come
il rapporto che aveva sviluppato con la strega; non sembravano
particolarmente intimi, ma a Flora parevano trovare la compagnia
reciproca confortevole.
Si
trovò a domandarsi quanto fosse stato diverso il loro primo
incontro, rispetto a quello che le compagne le avevano raccontato
durante il Giorno della Rosa; non adorava ficcare il naso negli
affari altrui, ma approfondendo il motivo per cui stessero
collaborando avrebbe potuto regalarle un indizio sui responsabili
della distruzione di Magix, o almeno una pista da percorrere per
ritrovare le compagne.
Si
chiuse la porta alle spalle, lasciando che la strega
dell’oscurità
riattivasse le proprie difese; l’aria
tesa che andava costruendosi le fece capire che Riven non si
aspettasse di trovare qualcun altro oltre a Darcy; ipotizzò
che
dovesse parlarle di qualcosa d’importante, notando la sua
visibile
impazienza che si manifestava nel tamburellare le dita sulla
scarpiera all’ingresso.
“Vado
in stanza a riposare.” esordì quindi, dandogli le
spalle con una
strana fretta, dettata dal disagio crescente che stava provando.
Darcy
le aveva dato la stanza di Stormy nell’attesa di trovarle
un’altra
sistemazione, e la fata aveva
sperato, e ancora sperava,
che ciò sarebbe
successo prima del ritorno della minore; non aveva idea di come fosse
la Stormy che si aggirava per quella versione di Magix, ma i ricordi
dei suoi violenti scatti di rabbia, seguiti da fulmini e tempeste,
erano abbastanza
vividi nella sua memoria da
farle desiderare di non doverla incontrare per tutta la sua
permanenza.
Di
tanto in tanto si sentiva nervosa ad aver a che fare con una delle
Trix, non osava immaginare quale sarebbe stata la sua reazione quando
sarebbero diventate due, nello stesso luogo e senza che lei potesse
contare sull’appoggio delle compagne.
La
strega le rivolse un veloce sguardo, terminando il suo incantesimo.
“Come
vuoi.” le
rispose, prendendo
posto sulla poltrona con un movimento fiacco; invitò il
ragazzo a
sedersi, ma questi preferì restare in piedi, appoggiato con
le mani
allo schienale del divano.
Flora
accostò la porta, allontanandovisi a sufficienza per evitare
che
Darcy la scoprisse ad origliare, ma non abbastanza per non sentire la
sua voce.
“E’
una fata non corrotta. L’ho trovata a Selvafosca una
settimana fa e
abbiamo deciso di unire le forze: lei non aveva un posto in cui stare
ed il suo aiuto è molto utile per il mio negozio.
Questo è
quanto.”
“Questo
è quanto? – rispose subito Riven – Non
si vede una fata pura a
Magix da cinque anni, non mi sembra una cosa da poco. Cos’hai
intenzione di farci?”
“Niente,
una sola fata non basta. Ho intenzione di cercarne altre, se si
trovassero a Magix si potrebbe fare qualcosa. Informerò mia
sorella,
tu tieni gli occhi aperti quando riparti.”
Riven
sorrise, ironico.
“Mi
permetti di restare? Gentile da parte tua, ti stai facendo
influenzare?”
“Oh,
smettila Riven. Piuttosto: suppongo tu sia tornato qui per portarmi
delle notizie, quali
sarebbero?” gli rispose, troppo stanca per reggere il suo
gioco
provocatorio.
Il
ragazzo esitò, prendendo finalmente posto a sedere;
appoggiò i
gomiti alle ginocchia, piegandosi verso il tavolino da caffè
che li
separava.
“Ho
ripreso i contatti con Sky e Brandon per capire cosa stessero
architettando i membri rimasti degli Specialisti: li ho trovati in
una condizione miserabile, costretti ad accettare del lavoro sporco
di merda per sopravvivere, ma il punto non è questo. Non
possiamo
contare su di loro, Rick deve aver messo una taglia anche sulla loro
testa.
Ero con loro quando Sky è stato ucciso, e sono
abbastanza sicuro che Brandon sia stato preso prigioniero, sai
già
per cosa vorranno usarlo. Ho rischiato la pelle anche io, se non
fosse stato per il tuo incantesimo protettivo.”
“Se
è stato Rick a dare il via a tutto questo, non è
detto che il mio
incantesimo sia abbastanza potente da proteggerti un’altra
volta,
quindi cerca di stare attento.” lo interruppe.
“Infatti
non era sufficiente, ma sono stato fortunato. Quella che ci ha
trovato era tua sorella e mi ha risparmiato.”
Fu
Darcy ad esitare, corrugando la fronte a tale notizia.
“Mi
avrà riconosciuto.”
“Non
penso sia per quello. – gli disse, ancora perplessa
– Deve aver
riconosciuto l’incantesimo, avrà capito che lavori
per me. Icy ti
ha sempre odiato, non avrebbe sprecato l’occasione di
farti fuori. Sei riuscito a capire cosa sta facendo?”
“Ti
stai preoccupando?”
“Affatto”
rispose secca.
“Sto solo cercando di capire cos’ha in mente.
Se dovessi trovare altre fate pure non voglio che mi intralci per
cercare di conquistare il mondo o cazzate simili.”
Riven
l’ascoltò con un sorrisetto sarcastico: sapeva che
una delle poche
cose in grado di far imprecare Darcy era tirar fuori sua sorella
maggiore, e provava uno strano senso di compiacimento nel vedere
quanto si innervosisse a parlarne.
“E
poi non ho bisogno della sua pena.”
“Beh,
la sua pena mi ha salvato il culo. Ma la mia stima per tua sorella
finisce qui: ora che so che non vuole farmi fuori cercherò
di
rintracciarla e tenerla d’occhio.
Non
sembrava lavorare per qualcuno, forse aveva solo bisogno di
soldi.”
“Resta
comunque in guardia. Non si sa mai come possa reagire nel vederti
troppo spesso e la situazione potrebbe ritorcertisi contro.”
Il
ragazzo fece un’alzata di spalle.
“Ho
i miei metodi, lo sai. Forse ho in mente qualcosa che le farebbe
credere che io sia più utile di quanto pensi.”
Flora
smise di ascoltare, allontanandosi per sistemare le poche cose che
era riuscita a recuperare per sé.
Darcy
le aveva mentito: aveva due sorelle, come la strega che lei, per tre
anni, aveva conosciuto; eppure capiva perché aveva omesso il
particolare, aveva colto il tono di disprezzo con cui aveva parlato
di Icy.
Il particolare che aveva richiamato la sua attenzione
riguardava direttamente lei come fata: la strega voleva usarla,
necessitava del suo potere per uno scopo; scopo del quale Riven era a
conoscenza e per il quale, con ogni probabilità, stava
lavorando da
tempo.
Doveva
assolutamente scoprirne i dettagli, curandosi di non tradirsi.
In
una situazione del genere, non poteva rivelare a Darcy di esser
venuta a Magix con altre cinque ‘fate pure’: il
rischio che
comportava la sua fiducia era troppo alto.
118
giorni, 22
ore, 58
minuti e 25
secondi dalla
fine.
Una
volta discese le scale infinite dell’edificio che torreggiava
su
una delle piazze principali di Magix, Hecate aveva aperto con fatica
una modesta botola di metallo sotto un cumulo di calcinacci; la magia
le impregnava le dita, il che aveva
fatto
pensare a Bloom che, in fondo, la sua sequestratrice non avesse una
forza fisica straordinaria.
La
donna fissò i suoi grandi occhi neri su di loro; un
paio di
ciocche di capelli entrarono nel suo
campo visivo
quando alzò il volto.
“Dovete
entrare, se non l’avete capito.” il tono
uscì più flemmatico
che minaccioso, ma fu sufficiente a far muovere le due fate; Stella
decise – con suo estremo disgusto – di
essere la prima a scendere dalla scala arrugginita che si intravedeva
all’estremità della botola: come fata del Sole e
della Luna poteva
illuminare lo spazio circostante che, scendendo mano a mano,
notò
essere nero come la pece.
Quando la luce traballante
dell’edificio cominciò a venir meno, Stella
faticava a
vedere dove mettesse
i piedi e le mani; percepì le vibrazioni della scala, segno
che
anche Bloom fosse stata gentilmente
invitata a scendere e, dopo una
manciata di minuti,
– non
era sicura si trattasse effettivamente di
minuti,
siccome
il
tempo sembrava dilatarsi ad ogni piolo – la botola venne
chiusa con
un movimento secco, che echeggiò nell’antro oscuro.
Stella
toccò il suolo in quel momento, schioccando le dita per
crearsi una
luce; seppur debole nel sottosuolo, il suo potere illuminò
abbastanza da permetterle di vedere la prima parte di una galleria
dal soffitto basso, costellata di stalattiti a loro tempo limate e
distrutte.
“Non
usare i tuoi poteri.” udì subito
alle
sue spalle; l’istinto la fece voltare, e per poco non prese
un
infarto nel vedere Hecate proprio dietro di lei, con la mano sopra
alla sua fonte di luce, intenta a soffocarla.
“Non c’era
bisogno di essere così inquietante.”
borbottò, soffocando
l’urlo che aveva avuto la decenza di controllare; chiuse
la mano a pugno con
un solo ed elegante movimento,
ed
entrambe
sprofondarono
nuovamente nell’oscurità.
Essendo
stata l’ultima a passare attraverso la botola, non avrebbe
dovuto
raggiungerla prima che l’avesse fatto Bloom, ma Stella era
troppo
stanca e nervosa per chiedersi come avesse fatto.
Sarebbe
stato inutile scervellarsi su qualcuno che non avesse ancora mostrato
la natura della sua magia; ipotizzò fosse teletrasporto, ma
poteva
esser stato veicolato anche da un oggetto magico – lei stessa
era in grado di spostarsi grazie al suo anello, del resto.
“Non
dovete far vedere la vostra magia in giro, pensavo fosse
chiaro.”
rimarcò
la
donna in
modo neutro.
La
principessa di Solaria
non riusciva a delineare il suo volto, ma poteva esser sicura di
avere il suo pungente sguardo addosso, sguardo
che ricambiò più che volentieri.
“Allora
cosa facciamo, camminiamo al buio? Mi sembra un’ottima idea,
così
se qualcuno, o qualcosa, dovesse attaccarci non lo
vedremmo
neanche.” le rispose sarcastica, prendendo un passo laterale
verso
la via d’entrata sia per allontanarsi dalla sua
sequestratrice, che
per assicurarsi che l’amica fosse in procinto di arrivare; e
per
poco non si fece schiacciare una mano dalle sue scarpe.
Hecate
ignorò il tono della principessa di Solaria, mantenendo il
suo
atteggiamento indifferente.
“Conosco
bene la strada. E se incontreremo qualcuno, me ne occuperò
io.”
E
prese subito a camminare davanti a loro, con l’intenzione di
non
perdere tempo; Bloom prese la mano di Stella, rimandando mentalmente
una nuova strategia di sopravvivenza a quando sarebbero state sole
–
o almeno, sperava di trovare l’ispirazione durante il
tragitto –
e appoggiò con cautela una mano sulla spalla della donna.
Poté
sentirla irrigidirsi sotto i vestiti, ma lei
non
proferì parola e proseguì nel suo percorso.
Avanzarono
per una quindicina di minuti nell’oscurità
più completa, seguendo
i passi di Hecate, prima che la fata della Fiamma del Drago non
riuscì più a stare in silenzio e diede voce ai
dubbi che le
frullavano per la testa da almeno un’ora.
“Cos’avete
intenzione di fare con noi?”
Hecate
percorse un altro metro senza aprir bocca, prima di rispondere.
“Potreste
arrivarci da sole – fece una pausa per
ascoltare le loro ipotesi,
ma sentendo che nessuna delle due fosse
intenzionata a parlare, sospirò – Rick vi vuole
per il vostro
potere, ovviamente. Soprattutto
quello della biondina, che ha raggiunto il livello massimo conosciuto
finora.”
Stella
roteò gli occhi allo scarso interesse che traspariva dalla
spiegazione molto sintetica che aveva loro dato; una
risposta simile non l’aiutava affatto a capire cosa stesse
succedendo al mondo magico.
“E
tu invece cosa vuoi farci con il nostro potere?” le chiese in
tono
provocatorio, provocazione che l’altra, come
d’abitudine, non
colse.
“Niente.
A me voi non interessate; se non avessi da guadagnarci seguendo gli
ordini di Rick, sareste già state libere da un
pezzo.”
Bloom
percepì sotto la sua mano che la donna aveva alzato le
spalle con
fare indifferente.
Non
sapeva ancora che dinamiche di potere intercorressero tra i due, ma
per quanto disinteressata e all’apparenza calma, Hecate le
era
sembrata più potente del suo stesso superiore; non riusciva
a
trovare un senso nel loro rapporto, soprattutto perché ai
suoi occhi
la donna pareva guadagnarci solo una serie di seccature.
Inspirò
ed espirò quell’aria viziata, prima di prender
coraggio e
decidersi a parlare.
“Sembri
più forte di Rick, che motivo avresti di stare ai suoi
ordini?”
Di
nuovo, sentì i muscoli della loro sequestratrice irrigidirsi.
“Non
rispondo a domande personali.” e con ciò, fece
nuovamente calare
il silenzio tra loro.
La
mezz’ora che le separava dalla superficie trascorse lenta,
con il
rumore di tre paia di passi che rimbombava nell’antro; oltre
ad
esso, le fate non erano in grado di udire nulla.
I
luoghi sotterranei che avevano visitato fino ad allora tendevano ad
essere umidi, invece l’aria nella galleria era fredda e
secca, e
nonostante la presenza di acqua, che scorreva sulla roccia calcarea,
doveva esserci stata in precedenza – altrimenti le stalattiti
sul
soffitto non avrebbero avuto modo di formarsi – nessuna delle
due
poteva sentire una singola goccia cadere al suolo.
Hecate
proseguiva dritta e a buon passo, quasi fosse certa di non trovare
un’anima oltre a loro in un luogo così remoto;
poi, d’improvviso,
svoltò a destra, abbassandosi per infilarsi in una galleria
secondaria.
Sentendo
venir meno il contatto con la sua spalla, Bloom si abbassò a
sua
volta, rivolgendo la testa verso Stella.
“Ci
stiamo abbassando, Stel.” sussurrò, portando in
alto la mano che
reggeva la sua per
farle toccare la roccia appena sopra le loro teste: scoprì
di non avere molto spazio di movimento, e la sensazione che la donna
le stesse portando in un posto particolarmente isolato
per eliminarle e disporre dei loro resti cominciò a prendere
piede
nella sua mente; a favore di tale tesi c’era il suo trattare
lei e
Stella come se fossero un fardello da portarsi appresso – con
ogni
probabilità lo erano, dato che il suo superiore gliele aveva
appioppate senza sentir lamentele – ma a smentirla
nell’immediato
si ripresentò l’idea
che la donna le avesse condotte nel sottosuolo per evitar loro di
incontrare qualche figura pericolosa.
Se
avesse voluto disfarsi di loro si sarebbe limitata ad esporle, o a
lasciarle dove le aveva trovate; allora poteva aver mentito dicendo
che non aveva alcun interesse per loro, e volerle con sé
solo per
poter usare la loro magia al momento giusto.
Pur
confusa, sapeva di non potersi fidare; aveva avuto un assaggio del
suo potere poco prima e, nemmeno aggrappandosi a tutto
l’orgoglio
che possedeva, avrebbe potuto affermare di avere una chance contro
di lei;
non padroneggiava abbastanza la Fiamma del Drago per arrivare ad una
concentrazione di magia simile e, anche se ne fosse stata in grado,
avrebbe rischiato di perdere il controllo attingendovi
così velocemente e senza preparazione. Hecate non
s’era mostrata
minimamente affaticata dopo averle schiacciate al suolo, soffocando i
loro poteri a tal punto da costringerle
a ritrasformarsi.
Avendo
un momento per riflettere, s’interrogò su come la
donna potesse
aver raggiunto una preparazione simile; se le circostanze
l’avevano
spinta a superare il suo limite, anche gli altri esseri magici
dovevano possedere un potere notevole; non riusciva a capire da dove
potessero averlo sviluppato.
Decise
che avrebbe provato a domandarglielo una volta si fosse trovata al
sicuro; Hecate la inquietava, ma al momento era l’unica in
grado di
darle le risposte che cercava; inoltre avrebbe potuto strapparle
qualche informazione sul luogo in cui si trovavano le Trix,
supponendo che si trovassero effettivamente a Magix e non agli
antipodi della Dimensione Magica.
Hecate
si arrestò di colpo e Bloom, impreparata, sbatté
il naso contro la
sua schiena, facendo inciampare anche Stella, che fortunatamente
riuscì a reggersi in piedi; la donna ignorò il
contatto, disegnando
con il palmo della mano un cerchio all’altezza del suo viso:
un
portale bluastro risplendette nella galleria, permettendo finalmente
alle fate di vedere qualcosa.
Ma
prima che potessero guardarsi intorno, Hecate si fece da parte.
“Entrate.”
“Dove
porta?” chiese subito Stella, assottigliando lo sguardo; la
donna
non rispose.
“Lo
chiedo perché non sei la persona più affidabile
che conosca, e non
so se stai cercando di liberarti di noi o meno.” aggiunse
seccata.
Nonostante
la luce piuttosto scarsa, entrambe le fate riuscirono a vedere la
loro sequestratrice alzare gli occhi al cielo.
“Non
perderei tempo ad uccidervi, mi bastava lasciarvi là fuori.
Non ci
sarebbe voluto molto.” e per la prima volta, si
percepì una nota
di nervosismo nel suo tono; Bloom pensò che non fosse
così paziente
come l’aveva immaginata, ma in fondo stava rispondendo alla
fata
del Sole e della Luna nello stesso modo in
cui rispondeva a Rick; forse la
differenza stava nella mancanza di
una punta di disgusto.
“Non
può essere peggio di questo posto.” disse allora,
rivolta verso
l’amica; tirò le labbra in un sorriso, per
comunicarle che finché
fossero rimaste insieme, sarebbero uscite da quella situazione. Non
seppe se Stella colse il messaggio segreto, ma le strinse leggermente
la mano e, con lei, si avviò verso il portale.
Avvertenze
e condizioni per l’uso:
Buonasera
a tutti, o buongiorno, o buon pomeriggio; dipende a che ora state
leggendo questo capitolo, ma facevo prima a dire “buon
tutto”.
Vi
ricordate quando vi avevo detto che speravo di non metterci un altro
anno e mezzo ad aggiornare? Eccoci qua.
Del
resto ci ho messo solo un anno e due mesi, è già
un miglioramento –
miglioramento per cui sono comunque desolata, e per cui la scusa
è
sempre la stessa: questa testina si deve laureare.
Quindi,
nonostante la pandemia mi abbia donato molto più tempo in
casa
davanti al computer, il tempo volava in lezioni, studio e crolli
psicologici, mentre continuavo a rimandare la sistemazione di questo
capitolo prima di pubblicarlo; del resto non mancava molto alla
stesura, eppure mi ci è voluto un secolo.
Vi
chiedo scusa.
Spero
che questo 2020 sia stato più clemente con voi di quanto lo
sia
stato con me ma, ehi, almeno ho una chance di laurearmi in corso.
Come
di consueto, ringrazio LadyNabla
e Ghillyam
onnipresenti, ma anche Applepagly
che c’è con il pensiero – aspetto
novità da tutte voi,
soprattutto tu Erin. Che il mondo possa ispirarti in ogni modo
possibile, prego che anche tu possa ritrovare un po’ di tempo.
Ringrazio
tutti per la somma pazienza e spero davvero tanto di non tenere
questo ritmo imbarazzante. Mi piacerebbe finire questa storia in un
tempo utile.
Alla
prossima missione, sperando che non sia come l’uscita di
Metroid
Prime 4 (che doveva uscire qualcosa come due anni fa). Mi sono
accorta che ho scritto una cosa simile anche nelle note dello scorso
capitolo, ma la mia cadenza davvero mi sta preoccupando.
Mary
|
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Capitolo 9 *** IX. Issues ***
IX.
Issues
“This
is the death of me, I feel it constantly
Just
like an enemy that wants to see me bleed
So
I try to be silent while my words they explode like hand granades
I
just gotta stay calm, before I let this time bomb blow up in my
face.”
Issues
– Escape the fate
Scuro
sangue, sangue del suo sangue, sgorgava in zampilli tiepidi da una
delicata pelle di qualche tonalità più
scura
della sua; la carne lacerata ancora pulsava debolmente sotto
l'esaurirsi dei battiti del cuore.
E
lei non riusciva a smettere, non riusciva a fermarsi: ormai pregna
del
liquido ripeteva il movimento con rinnovata forza, come se tutti
i colpi che aveva inferto fino ad allora non fossero stati
sufficienti.
Il
coltello affondava in una pelle fatta burro, penetrando
in profondità ancora e ancora, sempre più a fondo
a far a brandelli
i muscoli e i nervi;
forse solo così si sarebbe finalmente liberata senza la
paura che,
un giorno, quel corpo sarebbe tornato a cercarla vendicando
l'omicidio, uccidendola
sotto l'ira dei suoi colpi.
Un
paio di occhi chiari, sgranati e spenti, offuscati dalla morte, erano
puntati sulla ragazzina ansimante che non aveva visto crescere, una
bestia che non aveva colto nel suo formarsi; quella
stessa
ragazzina in rosso dalla sporca espressione carica d'odio, le lacrime
agli occhi mentre ora le pugnalava il collo,
ora il petto, ora le spalle.
Aggrappata
all’arma,
arrestò
il suo folle attacco
solamente quando vide l'ultima goccia di sangue versarsi
sulle
sue cosce sottili:
e con un conato, poi un altro, la coscienza tornava a impadronirsi di
lei, sussurrandole con intensità crescente la
gravità del massacro
che aveva appena concluso.
Era
come
esser
stata
svegliata da un incubo tremendo,
per poi scoprire che la scena che stava mettendo a fuoco davanti a
sé
fosse
più che
reale.
L’ammasso
di tagli, sangue, membra e brandelli di tessuto rossi e pendenti era
stato
sua madre; ed era stata lei a farle ciò.
L’aveva
uccisa, l’aveva uccisa e aveva continuato ad accoltellarla
anche
dopo aver sentito il suo ultimo respiro.
Ma
non aveva avuto scelta, si era
giustificata,
pulendosi le mani sulle parti ancora bianche della camicia
da notte.
Aveva
trascorso le due giornate per intero, fino all'ultima sera, in un
limbo: un piede ancora nella giovinezza, l'altro
nell'oscurità e nel
terrore, alla mercé di chissà quale presenza.
“I
loro corpi saranno a vostra disposizione presto.”
aveva sentito sua madre pronunciare.
“I
loro corpi saranno a vostra disposizione presto.”
S’era
chiesta fino allo
sfinimento
cosa significasse.
E
si era chiusa in sé stessa abbastanza a lungo, nella
paura
racchiusa
da tali parole: i cerulei occhi sgranati nel vuoto a cercare una
risposta, il respiro mozzato e le labbra che involontariamente
ripetevano e ripetevano la frase.
Il
fatto che si riferisse a lei e alle sorelle le era apparso talmente
limpido da non lasciarle alcun dubbio, abbastanza sicuro da
abbandonarla in un nauseante stato di trance.
Cosa
avrebbe dovuto fare?
Oh
non sarebbe finita bene.
E
come ne sarebbe uscita?
Non
poteva esser conscia dell'intrinseco significato di una vita, non
aveva idea di quanto valesse né la sua, né quella
delle sorelle, né
quella di chissà quale altro essere magico; ma sapeva che
non voleva
morire, e non voleva veder morire le uniche persone a cui teneva.
Era
stata costretta ad una scelta: o lei, o loro.
Non
voleva
ucciderla, mai
l’avrebbe voluto se le circostanze non l’avessero
richiesto;
aveva pensato a molte alternative prima di capire
di non averne
alcuna.
Del
resto non era in grado di fare altrimenti: non
aveva imparato che a distruggere, era stato stupido da
parte sua
pretendere di essere capace d'altro.
Aveva
osservato le sorelle con una velata nostalgia per quei due giorni:
Darcy
aveva dodici anni ed usava spesso leggere anche
per tutto il giorno, ignorando le esercitazioni.
Aveva cambiato occhiali da poco, preferendo
un modello più piccolo rispetto al precedente, che quasi le
faceva
sparire il viso nelle tonde lenti: o meglio, aveva espresso la sua
preferenza alla madre e aveva sperato nella fortuna.
Tutto
ciò a cui poteva avere accesso erano trattati o racconti
riguardanti
Whisperia, il loro paese natale, in una lingua rigorosamente
differente da quella parlata: non poteva permettersi ciò che
veniva
venduto a Magix, sarebbe stata una distrazione dagli studi a lei
destinati.
Nel
guardarla, ad Icy si era stretto lo stomaco e l'espressione, lasciata
incontrollata, aveva assunto un'ombra di tristezza – o
qualcosa che
ci fosse andato vicino.
Stormy
aveva appena compiuto undici anni e ancora sfoggiava una
mentalità
alquanto infantile: cercava di uscire di nascosto per esplorare,
conoscere, e aveva un’avversione non indifferente verso gli
ordini
che la madre le dava.
Ribelle
quanto la sua chioma, veniva ripetutamente ripresa e sempre
più le
stava apparendo chiaro ciò che per tutta la vita la gente
sarebbe
andata ripetendo.
Ch'era
un'incapace, che non avrebbe mai concluso nulla.
Al
momento era intenta a dondolarsi sul davanzale, carezzata dal tiepido
vento estivo. Se avesse continuato a ricevere un colpo dopo l'altro
la sua pelle si sarebbe fatta fragile e violacea; il suo animo debole
e senza vita. E sarebbe stata soffocata una volta per tutte.
Immaginare
cosa sarebbe potuto accadere se non avesse agito in fretta,
aveva levato ogni dubbio: Icy
sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
Aveva
pensato di agire da sola, evitando accuratamente lo scontro diretto,
e senza esitazione l'aveva fatto: aveva lasciato esplodere le
emozioni che aveva
compresso fino ad allora,
ed era saltata al collo della madre, lacerandolo da parte a parte con
la lama che, forse con troppa forza, stringeva nella mano. E non
s'era fermata
a ciò, ma fendendo un colpo dopo l'altro aveva continuato a
trafiggerla: con un movimento quasi meccanico e
perpetuo
del braccio, affondava
ed estraeva il coltello, e
il sangue schizzava e schizzava sul suo viso contratto dal dolore,
sulle sue braccia, sul suo petto, che irregolarmente si alzava e si
abbassava.
Una
volta svuotata da tale odio s'era allontanata ad ammirare la sua
opera, e aveva deglutito a fatica un conato di vomito: il
raccapricciante cumulo di carne rossa davanti a lei era sua madre.
E
l'aveva fatto lei, tutta da sola.
Senza
l'aiuto delle sorelle, si era detta, con una malsana punta
d’orgoglio.
Le
dita che erano rimaste aggrappate all'arma la lasciarono in un colpo
solo: il rumore metallico risuonò come una sveglia nei suoi
timpani
e in un attimo si era ritrovata china
sul lavandino a tossire e sputare, l'esofago in fiamme e le lacrime
agli occhi per lo sforzo. Giunse
troppo in fretta la soffocante sensazione che non avrebbe saputo
definire: la sensazione creata dall'immagine ormai impressa nella sua
mente che le stava tirando la pelle del petto dall'interno,
mozzandole il respiro; e che le stava facendo bagnare le palpebre e
generava della sua gola dei raccapriccianti rantoli. Doveva essere
qualcosa di spaventoso e il non poterlo riconoscere rendeva il suo
corpo, sporco
e colpevole,
ancora più teso e nervoso.
Si
chiese più e più volte cosa stesse succedendo.
Dove
avesse sbagliato.
Infinite
coltellate fendevano l'aria vicino al suo orecchio, accompagnate
dal
il rumore degli schizzi che
seguivano l’alzarsi del suo braccio, dal tepore del liquido
che le
scivolava sotto la veste; aveva
ucciso, aveva ucciso e stava impazzendo; il sangue su di lei era
ancora caldo e pulsante, passava sotto la sua pelle ed entrava nella
sua carne.
La
carne di un assassino.
Bruciava
sulle guance e doveva tornare indietro, indietro in quel corpo che
non avrebbe dovuto toccare, non avrebbe dovuto macellare:
era sua madre, una
figlia doveva voler bene alla propria madre
e lei invece
le aveva tagliato la gola e pugnalato il torace una ventina di volte
almeno; e
cos'era diventata, cosa diavolo era diventata.
Un
panico mai provato prima la cingeva a sé mentre in silenzio
urlava
contro quel riflesso che non riconosceva: chiedeva chi fosse, quando
s'era sostituito a lei, perché aveva fatto ciò a
l'unica cosa che
la teneva attaccata alla vita; perché, perché
buttare via tutto
così presto. E continuò
ancora per poco nella quiete della notte, fino a che il suo viso non
tornò alla solita espressione impassibile che tanto le
donava: il
suo cuore rallentava considerevolmente la corsa e le restituiva la
dignità persa nelle tubature del lavello.
Il
rassicurante freddo l'abbracciò di nuovo, sfiorandole
il sudicio
volto e
consigliandola
dolcemente
sul da farsi. E
dopo poco tempo era tornata a riconoscersi nel riflesso della
finestra, candida e pulita dal crimine che aveva commesso:
gli occhi lo guardavano con fare maniacale fra i capelli ancora umidi
e lasciati sciolti, cercando una qualsiasi traccia di
impurità; ma
no, era sempre lei.
Sempre
la stessa di prima.
S'era
preoccupata per niente, dopotutto: era bastato pulire un po' e
seppellire i propri sensi di colpa – se così
potevano essere
chiamati – in fondo al torrente insieme all'arma e al sangue
lavato
via dalla camicia da notte; era bastato asciugarsi per un po' vicino
al camino acceso, forzandosi ad osservare Eris gelida ed immobile, la
bocca spalancata e lo sguardo rivolto nella sua direzione; e
svegliare le sorelle mantenendo l'alibi che andava creandosi nella
sua testa.
Un
paio di sopravvissuti all’ira delle antenate, originari di
Domino,
erano venuti per cercare vendetta; sarebbero tornati per loro,
pertanto dovevano muoversi e correre il più lontano
possibile; non
era una giustificazione infallibile, ma era la migliore che era
riuscita a pensare in pochi minuti di riflessione.
Alle
sorelle, spaventate da un risveglio così brusco, era bastata.
Icy
si
decise ad uscire dalla soffocante dimora una volta per tutte,
lasciandosela alle spalle: il
corpo
ancora tremante
apriva la strada alle altre due bambine
e la sensazione di
aver dimenticato qualcosa di importante, di indispensabile, per
poter
scampare
al crimine commesso.
Ma
non aveva tempo per assicurarsene: sforzandosi nel regolarizzare il
respiro, procedette nel silenzio più assoluto, convinta di
aver
seppellito con la sua coscienza quella storia.
Eris
tornò quella sera, tornò per anni e non se ne
andò mai
completamente.
Nonostante
ciò mai Icy avrebbe ammesso di aver provato qualcosa nel
compiere il
suo primo omicidio: né che
ancora ricordasse ossessivamente
le azioni da lei compiute della serata; ma la macabra posa
e quegli occhi che non smettevano mai di scrutarla, osservarla o
giudicarla…
Scacciando
nuovamente le vivide immagini color cremisi, si era passata una mano
sulla fronte, spostandosi appena i capelli dal bianco viso: il sole
aveva cominciato a levarsi sopra alle montagne, donando una rosea
sfumatura ai suoi sensibili occhi.
Senza
perdere troppo tempo, si sollevò dai sedili posteriori e
indossò la
voluminosa giacca di pelle che aveva usato come coperta. Aveva fatto
parecchia strada senza scorgere nemmeno la minima traccia della
sorella, ma avendo estorto un giorno libero al suo asfissiante
compagno avrebbe potuto dedicarsi ulteriormente alla ricerca.
Altrimenti
tutto ciò che stava
facendo,
e aveva fatto, sarebbe stato completamente inutile.
Lasciarsi
alle spalle una lunga scia di omicidi in ogni posto nel quale avesse
messo piede aveva portato l'unico vantaggio di poter tenere al sicuro
le sorelle; sentire l'unica certezza che aveva sviluppato fino ad
allora venir meno, la indusse a stringere istintivamente le mani sul
volante, come quella sera, nell'ombra, aveva fatto con il manico del
lungo coltello pregno del suo stesso sangue.
107
giorni, 5 ore, 17 minuti, 45 secondi alla fine.
Aveva
cominciato ad abituarsi alle notte di Magix: buie quanto il giorno,
senza stelle.
Certe notti ombre di creature magiche sempre in
guerra le une con le altre venivano proiettate sul muro, al quale il
materasso sui cui riposava era appoggiato, dal bagliore dei fuochi;
aveva smesso di spaventarsi come la prima notte, eppure il sonno
tardava a venire e, con il passare dei giorni, le sue otto ore di
riposo si erano già ridotte a cinque scarse.
Fortunatamente
aveva scoperto subito che nemmeno Stormy dormisse granché;
spesso
sembrava aver preso il detto ‘dormire con un occhio
aperto’
troppo sul serio, e Musa non poteva fare a meno di continuare a
domandarsi se non ci fosse una motivazione a spingerla a farsi cauta
e stranamente silenziosa.
Usciva
dall’appartamento solo per stretta necessità, o
per quello che lei
chiamava lavoro: una sorta di incarico da mercenario che sfruttava la
sua velocità nel raccogliere informazioni, o oggetti
preziosi da una
o dall’altra gang, per poi darsela a gambe e consegnarle al
miglior
offerente.
Lavoro
sufficiente a giustificare un nascondiglio a prova di inseguitori, ma
non l’atteggiamento schivo, coperto con un tono
superficialmente
amichevole, che aveva mantenuto durante la loro convivenza.
Cercò
di capire quali fossero i dettagli che la strega voleva nasconderle a
tutti i costi, studiando i suoi comportamenti molto più
controllati
rispetto a come la ricordasse; osservando il modo in cui si
assicurava che le uscite non potessero essere viste o sfondate
dall’esterno, come sopprimeva la propria energia magica per
evitare
di essere rintracciata.
Precauzioni
che la Stormy che aveva conosciuto lei non avrebbe mai preso, che
andavano oltre al semplice adattamento ad una situazione critica.
E
una sera, dopo pomeriggi trascorsi in chiacchiere di circostanza
–
non poteva dirsi esattamente a suo agio con la strega – Musa
ebbe
il coraggio di rendere sonora la domanda che aleggiava nella sua
testa da quando l’aveva incontrata.
“Perché
sei venuta a Magix se sapevi a cosa andavi incontro?”
La
scorse girarsi nella penombra, scostandosi le lenzuola dal viso; le
piantò gli occhi verdi addosso come ad assicurarsi che le
avesse
davvero parlato.
“Beh, non potevo approfittarmi per così
tanto della tua ospitalità. Tu e tuo padre non dovete
mantenere
anche me.” disse a mezza voce; Musa sostenne il suo sguardo,
tentando di delineare gli occhi e il labiale insieme, ma il buio
andava riempiendosi di ricordi che non le appartenevano, ricordi in
cui Stormy era impegnata a raccogliere i suoi averi nella stanza
degli ospiti, a Melody.
Ricordava
le sue mani e il suo ginocchio sinistro premere senza pietà
sulla
valigia che aveva appena comprato, imprecando fino a chiuderla.
“Non
sei mai stata un disturbo per noi, lo sai. Ti davi anche da
fare.”
si accorse a malapena di quello che disse, mentre l’immagine
di
Stormy che presentava a lei e il padre, inginocchiati l’uno
di
fronte all’altro davanti al tavolino basso, il primo pasto
commestibile che era stata in grado di preparare le passava davanti
agli occhi.
“Fatemi aprire la finestra, che qui si sta
crepando di caldo” aveva borbottato appoggiando i
piatti, e
subito aveva fatto scorrere la vetrata alle spalle di Musa, facendo
entrare una tiepida brezza estiva che, per qualcuno che era stato ai
fornelli per almeno un’ora, doveva essere rinfrescante e
rigenerante.
L’aveva vista prendere un ampio respiro, prima di
sedersi a gambe incrociate al lato corto del tavolo.
“Ero
comunque un’altra bocca da sfamare. E poi non volevo mettervi
nei
casini.” le
rispose, immergendola in un’altra onda di memorie: Stormy
s’era
immobilizzata con la tazza di tè in mano, con le gambe a
dondoloni
tra le sbarre di legno del portico; teneva gli occhi sgranati e la
bocca socchiusa, non le aveva risposto e si era chiusa completamente
in sé stessa.
Da allora, come
se qualcun altro le avesse piantato in testa quell’idea,
aveva
deciso che doveva andarsene; e doveva farlo in fretta.
Si
era alzata e si era chiusa nella sua stanza, impacchettando tutto
ciò
che poteva; Musa percepì il dolore e la solitudine che la
sua
partenza aveva lasciato nella dimora.
“Quali casini?” le
chiese, facendosi più vicina a lei; la scorse esitare,
passarsi
nervosamente una mano tra i ricci corvini.
Riconobbe
lo stesso gesto di quando
l’aveva fermata sulla soglia, chiedendole spiegazioni; e lei
s’era
scusata perché
non poteva dirle niente,
intrecciando le dita nei suoi capelli e voltandole le spalle; era
stata l’ultima volta che l’aveva vista,
prima di ritrovarla tutta impolverata, tra le strade malmesse di
Magix.
“Casini
con le mie sorelle.” rispose stringata.
Un
nuovo risentimento animò le parole di Musa; parole che le
scivolarono dalla lingua come se non fosse in
grado di controllarle.
“Credo
tu mi debba una spiegazione, a questo punto. Siamo in questa
situazione insieme: è chiaro che non posso tornare su
Melody, visto
che a quanto pare i trasporti saranno bloccati, quindi non ha senso
che mi tagli fuori dai tuoi problemi. E poi non mi hai mai dato una
spiegazione quando te ne sei andata, vorrei capire se sono io il
problema e mi stai mentendo o…” si prese una
brevissima pausa,
che tuttavia bastò alla strega per inserirsi nel discorso.
“Tu
non sei e non sarai mai il problema, Musa. Cazzo, mi hai tirata su
dalla strada, mi hai servita e riverita e io non potrò mai
ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me, ma tu non ti
meriti di esser trascinata nei miei casini. Sono casini belli
grossi.” la
sua voce si era aperta ad una nota dolce che la fata credeva non
avesse.
“Non mi credi abbastanza forte per poterti
aiutare?”
le chiese, addolcendo il
tono a sua volta,
ma senza rinunciare a una punta di orgoglio.
“Forse
nemmeno io sono abbastanza forte.” ammise, distogliendo gli
occhi
con vergogna per ciò che aveva appena detto; nonostante la
situazione, a Musa venne da sorridere con benevolenza.
“Ma sì
che lo sei. E ora lo sono anche io, posso darti una
mano.”
Ripiombarono in un silenzio momentaneo; dopo qualche
attimo, Stormy si mosse per avvicinarlesi, guardandola fissa negli
occhi; affondò la bocca sotto le coperte, appoggiando il
mento sulla
sua spalla, come a volerle rivelare un segreto.
“Me ne sono
andata perché mi ha chiamata Darcy. Ha detto che qualcuno
stava
cercando di rintracciarci, e che secondo lei quel qualcuno era nostra
sorella maggiore – Musa ricordò che negli anni che
avevano passato
insieme non aveva mai osato chiamare sua sorella maggiore per nome
–
e me l’ha detto con un’urgenza tale che non me la
sentivo di
ignorarla. Era veramente spaventata.”
“E
quindi sei andata da lei?”
“Sì
– rinforzò la sua affermazione annuendo con il
capo – o almeno,
per un po’ di tempo. Poi mi sono trovata qualcosa da fare che
potesse farmi almeno capire che cazzo stesse succedendo. E, oltre a
quello, cercare di anticipare mia sorella nella sua ricerca; se la
trovo prima io e la ammazzo posso risolvere il problema alla
radice.”
La fata faticò a capire se stesse scherzando o meno;
il tono non l’era parso serio, eppure non scorgeva nessun
segno del
suo caratteristico sorrisetto sarcastico.
“Mi
sembra un po’ esagerato.” le disse quindi in modo
leggero,
evitando di caricare le parole di una serietà che avrebbe
potuto
troncare la discussione.
Stormy
fece un’alzata di spalle, piegando la testa verso sinistra
per
appoggiargliela sulla spalla scoperta; Musa si stupì di non
provare
nessun disagio nella vicinanza, accogliendo la sensazione di comfort
e abitudine che quel gesto le infondeva.
“Se
ci cerca per eliminarci è legittima difesa; altrimenti
può anche
continuare a farsi i cazzi suoi, per quanto me ne freghi.”
“Quindi
mi stai dicendo che con Darcy hai risolto.”
“Già.”
E
aggiunse subito dopo: “In fondo non è
così male.”
Il
silenzio calò nuovamente nella stanza, un silenzio
differente dai
precedenti: non era pregno di tensione
e attesa,
non era segnato dalla difficoltà nel portare avanti una
conversazione che Musa, nel suo mondo, non era abituata ad avere; era
bensì confortevole, s’incastrava perfettamente nel
loro discorso
senza prendere troppo spazio, né troppo poco.
Eppure qualcosa
accadde: parevano due paia di passi, accompagnati da bisbigli tenui
che si riverberavano nella tromba delle scale dell’edificio;
Stormy
si separò velocemente da Musa, che si tirò su
seduta di scatto,
concentrandosi sulla frequenza dei suoi in grado di amplificare con
il suo potere.
“Non
è possibile.” bisbigliò, fissando il
suo sguardo sulla porta
d’entrata.
“Cosa
non è possibile?” domandò brusca la
strega, alzandosi e prendendo
grandi passi verso la porta per assicurarsi che la magia che
proteggeva le vie di accesso o uscita del locale fosse ancora al suo
posto.
“Ah,
non fa niente. Tanto la porta è incantata, nessuno
è ancora
riuscito ad entrarci; e se entrano li carbonizzo.” disse
voltandosi
verso la fata, dopo non aver ricevuto nessuna risposta.
Musa
si alzò lentamente in piedi; conosceva le due voci in
procinto di
avvicinarsi, eppure non riusciva a fidarsi dei suoni che percepiva;
se Tecna aveva trovato un modo per rintracciarle tutte,
perché non
l’aveva fatto prima?
Perché le aveva permesso di trascorrere
più di una settimana rinchiusa nel bilocale di Stormy per
evitare di
venir uccisa dai malviventi di Magix?
I passi si fermarono
davanti alla porta; la fata chiuse la distanza che la separava dalla
sua ex nemica e, in un bagliore purpureo e violaceo, permise che un
paio di grandi ali luminose emergesse dalle sue scapole.
107
giorni, 4 ore, 53 minuti, 20 secondi alla fine.
“L’appartamento
dev’essere protetto con la magia; ecco perché il
segnale
continuava a sparire e riapparire.” dichiarò
Tecna, analizzando
con sguardo attento quella che sembrava essere una porta di legno
malmessa, il cui spazio tra le assi rivelava un ambiente oscuro e
polveroso.
Aisha avvicinò con cautela il viso alle fessure,
strizzando un occhio per poterci guardare attraverso;
l’ambiente
appariva sgombro e minuscolo, con una sola finestra, dalla quale
penetrava la scarsa luce proveniente dalle strade; il pavimento era
composto da piastrelle rotte e intonaco scrostato, coperto da uno
spesso strato di polvere, che non presentava alcuna traccia di
passaggio per almeno un anno intero.
Tirandosi
indietro, si sporse verso Tecna per controllare che il suo palmare
segnalasse proprio l’interno della stanza; la mappa che era
andata
componendosi gradino dopo gradino mostrava esattamente la
conformazione della stanza, e Musa era rappresentata vicino alla
porta.
“Sì,
dev’essere una
barriera
– si convinse allora – E suppongo che Musa non
possa neanche
sentirci da là dietro.”
“Non
ne ho idea. Potrebbe non essere in grado di disattivarla.”
alzò
lo sguardo verso la porta, distendendo una mano; il
palmo aperto percorse l’altezza del legno con lentezza,
arrestandosi appena prima di sfiorare il suolo.
Nel momento in
cui
raddrizzò le ginocchia, linee verdi perpendicolari si
allungavano
dallo
stipite alto, lungo
i lati lignei della cornice,
innervando la superficie fino al
cemento
spoglio; Tecna le seguiva attentamente con lo sguardo, assottigliando
gli occhi per poter mettere a fuoco i dati in codice binario che
comparivano nei quadrati creati dalla griglia.
Spostò
gli occhi da uno stipite all’altro, toccando il quadrato
centrale
per studiare il grafico che la sua magia aveva composto.
Appoggiò il
polpastrello sul picco di magia nera, prima di rivolgersi alla
compagna.
“Potremmo
avere una pista, Aisha. La traccia di ogni magia è
riconoscibile e
riconducibile al suo proprietario.” disse a mezza voce,
spostando
il viso dall’alto in basso per cercare il punto debole da
forzare
per aprire una breccia nella barriera: ogni barriera ne aveva uno,
l’aveva scoperto nel suo primo anno ad Alfea.
“Stai
dicendo che questa traccia è già nel tuo
database?” tentò la
compagna.
“Esattamente.”
le rispose, appoggiando il pollice sulla vena della superficie
magica; aveva
sempre trovato
abbastanza ironico pensare che le barriere fossero come vetro: un
colpo ben assestato nel punto giusto era sufficiente a farle andare
in frantumi.
Ruotò
il polso, circoscrivendo l’area più fragile con
attenzione; nel
compiere il lento movimento guardò
Aisha
con
la coda dell’occhio.
“Concentra
la tua energia, quando ho finito dovrai colpire questo punto con un
attacco abbastanza potente da rompere la barriera.”
La
principessa di Andros annuì.
“Dobbiamo
aspettarci uno scontro, suppongo. Ipotesi su chi potremmo trovarci
davanti?”
Tecna
alzò nuovamente lo sguardo verso la porta, osservando
nuovamente il
grafico nel quadrato centrale, prima di dischiudere le labbra per
rispondere.
Aisha
la precedette, agguantandola per una spalla e tirandola indietro con
forza; con l’altra mano aveva già formato uno
scudo a proteggerle.
La
porta si era aperta con uno schianto, rivelando un piccolo
appartamento illuminato flebilmente dai fuochi di strada.
“Che
cazzo fai, ma sei scema?!” si sentì una voce
irritata fuori dal
loro campo visivo; ma entrambe le fate, pronte all’attacco,
s’erano
bloccate davanti alla persona che sostava sull’uscio, le cui
grandi
ali passavano a malapena dalla cornice della porta.
Era
Musa.
“Siete
veramente voi?” chiese subito, portando le mani davanti a
sé per
preparare un eventuale attacco. La diffidenza veniva da entrambe le
parti, siccome Tecna la stava già scrupolosamente
analizzando dai
piedi alla punta dei capelli con lo sguardo.
“Sì
che siamo noi, ti abbiamo trovate grazie al dispositivo che ha
sviluppato Tec. Ricordi? Per evitare che ci perdessimo se fosse
successo qualcosa, come
infatti è successo.”
le
rispose Aisha, più positiva nell’ignorare il
dubbio sull’identità
della fata della musica; ma rivolse uno sguardo nervoso alla
zenithiana prima di continuare.
Tecna
annuì appena.
“Affermativo,
è veramente Musa.”
“Stiamo
cercando anche le altre; prima ci uniamo, meglio
è.” aggiunse la
fata dei fluidi.
“Quindi
queste due stanno dalla tua parte?” la voce tornò
a farsi sentire,
e la sua proprietaria uscì dalla penombra per squadrare le
nuove
arrivate con un’espressione scettica; il suo corpo minuto,
coperto
solo da una maglietta oversize che le arrivava fino a metà
coscia,
contrastava in modo netto con l’aspetto etereo
dell’Enchantix di
Musa.
Nonostante
nessuna delle due l’avesse mai vista così, con i
capelli arruffati
e l’impronta del cuscino sulla guancia, non mancarono di
riconoscerla.
“E
me lo chiedi anche? Non sarei qui a parlarci se non stessimo dalla
stessa parte.” le disse Musa, inclinando la testa nella sua
direzione e rivolgendole un sorrisetto appena accennato.
Stormy
ricambiò velocemente lo sguardo, prima di riportarlo sulle
fate,
ancora in silenzio e con gli occhi fissi su di lei.
“Allora
falle entrare. Più ce ne stiamo qui con la porta aperta,
più
attireremo l’attenzione.” e fece loro segno con la
mano di
entrare in modo frettoloso.
Quando
le due fate furono
entrambe in salotto, la strega delle tempeste cacciò fuori
la testa,
guardandosi intorno, prima di chiudere e porre le mani pregne di
magia sul legno della
porta.
Aisha
ne approfittò per avvicinare le labbra
all’orecchio di Musa, non
mancando di tenere d’occhio i movimenti della strega.
“Cosa
ci fai qui con quella?” sussurrò.
La
fata della musica si fece tesa, mettendosi sulla difensiva.
“Se
non avessi incontrato lei probabilmente sarei morta, quindi se sto
bene e al sicuro è solo merito suo. E poi credo sia palese
che
almeno lei non c’entra niente con tutto questo
casino.” disse,
trattenendo a stento l’asprezza che le era rimasta in gola
dopo il
litigio con Stella.
Quanto
era passato? Le sembrava di essersi separata da lei e da Bloom da
mesi, eppure non doveva esser passata più di una settimana.
“Dopo
ciò che ci ha detto Faragonda, è probabile che le
Trix non lavorino
insieme. Quello che stai dicendo non è una novità
per me, ci ho
pensato a lungo venendo qui.” intervenne Tecna
“Siete
state ad Alfea?” Musa aggrottò le sopracciglia,
accorgendosi di
come il ricordo della scuola per fate si fosse offuscato di fronte
alle immagini di un passato che non le era mai appartenuto.
Con
ogni probabilità, la Musa che era al momento non aveva mai
frequentato il college, e i due anni passati in compagnia delle sue
più care amiche andavano svuotandosi di significato.
“Sì,
non riusciresti a capire quanto è cambiata neanche se te la
descrivessi nei minimi dettagli.” rispose Aisha con una
smorfia
poco rassicurante. La melodyiana poteva solo immaginare il peggio.
“Come
dicevo – riprese Tecna, infastidita dall’essere
interrotta –
sono arrivata a costruire un’ipotesi, confermata
dall’atteggiamento
di Stormy nei tuoi, e di conseguenza nei nostri, confronti: le
streghe potrebbero avere un ruolo marginale in tutta questa faccenda,
o addirittura nessun ruolo.”
“E
allora chi avrebbe fatto un casino di queste proporzioni?”
chiese
la principessa di Andros, scettica.
Tecna
rifletté un momento; il suo sguardo ricadde su Stormy, che
staccava
le mani dalla porta con uno sbuffo mal contenuto.
“Ne
riparliamo quando saremo sole.” sussurrò la fata,
in parte celando
il fatto che non avesse
una risposta a quella domanda. O almeno, non ancora.
La
strega tornò da loro, squadrandole una seconda volta.
“Fammi
capire, ce ne sono altre come te, Musa? Perché se ce ne
sono, non ho
tutto lo spazio del mondo per nasconderle nel mio
appartamento.”
fece, incrociando
le
braccia.
“Altre
tre, ma se conosci qualche posto sicuro possiamo trasferirci altrove.
E poi dovremmo avere un piano
per allora?” le rispose Musa, rivolgendo uno sguardo esitante
a
Tecna, che annuì.
“Ho
già qualche idea, si può pensare a qualcosa di
più concreto.”
A
tali
parole, Stormy piegò
le labbra in un sorrisetto.
“Beh,
se quello che volete fare è far saltare questa
società di merda,
allora ci sto.”
Aisha
si voltò verso Tecna con le sopracciglia aggrottate,
schiudendo la
bocca per sussurrarle ‘non
vorrai…’; ma la
compagna la precedette.
“In
un certo senso. Più siamo, meglio è, quindi
siediti: ti spiegherò
tutto.” disse alla
strega, che prese a sedere sul divano con un ghigno soddisfatto.
Includere
Stormy nella loro operazione poteva sembrare una decisione
affrettata, ma tenendola all’oscuro dei dettagli
più oscuri –
come il fatto che Tecna avesse tutte le intenzioni di cancellare
l’errore che aveva creato quella linea temporale, eliminando
di
conseguenza anche lei – sarebbe stata un aiuto prezioso.
Per
quanto sia lei che Aisha fossero in grado di orientarsi con la carta
sul suo palmare, avere al proprio fianco qualcuno che conosceva la
città dall’interno, pericoli compresi, era un
vantaggio che Tecna
non voleva lasciarsi scappare.
“Allora
sputa il rospo.” le disse la strega, incrociando le gambe e
affondando comodamente la schiena tra i cuscini.
Avvertenze
e condizioni per l’uso:
Sono
stupita dal fatto che questa volta, invece che un anno e mezzo, ci ho
messo solo tre mesi.
Non
abituatevi troppo, ma io stessa sono esaltata da questa
“conquista”;
in ogni caso mi sento di scusarmi, perché è
comunque un tempo di
aggiornamento imbarazzante.
Al
momento sono presissima con la sessione (infatti non so manco come
sono riuscita a tirar fuori questo capitolo, forse perché
era già
mezzo pronto da quasi un anno), quindi non saprei dare una data al
prossimo aggiornamento. Forse settembre? Spero veramente di
sì.
E’
estate e auguro a tutti un’estate divertente e finalmente un
po’
più libera dalla pandemia. Divertitevi voi che potete!
Ringrazio,
come sempre, Ladynabla,
Ghillyam
e Applepagly
(che so che lurka sempre perché me lo dice) per essere
onnipresenti
e sopportare questo tempo di aggiornamento veramente incredibile,
nonché sorbirmi i miei scleri su vari argomenti, compreso il
tempo
che non è mai abbastanza.
Siete
veramente la forza che spinge il mio cervello, fuso e disfatto, a
farmi scrivere.
Questa
storia andrà avanti ancora un bel po’,
perché io stessa voglio
vedere la fine.
Grazie
anche a tutti i lettori silenziosi, siete preziosissimi e sono
davvero contenta se la storia vi piace e vi tiene compagnia durante
questi mesi estivi (anni, contando che l’ho iniziata tipo nel
2018?).
Se
avete voglia, ditemi cosa ne pensate! Anche con un messaggino, non
serve per forza la recensione.
Alla
prossima missione, sperando di vedere il giorno in cui il mio
ginocchio sarà a posto e non continuerò a
rompermelo.
Mary
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