Kidnapped

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


1.

 

 

 

Giugno 1993 – Monti Adirondack

 

Le facevano male i piedi, ma doveva correre. Non aveva altra scelta.

I cattivi potevano essere dietro di lei. Era davvero necessario che lei corresse. Più forte che poteva.

Sentiva il cuore batterle all'impazzata. Nelle orecchie, nel petto, nei piedini stanchi come sulle dita ferite dai cespugli che, frenetica, scostava man mano che avanzava e che le graffiavano anche il viso, ma non importava.

Doveva correre.

Un latrato. Due. Infine tre. Sempre più forti, sempre più vicini.

Lacrime calde e salate cominciarono a scorrerle copiose sul viso quando una serie infinita e bellissima di sommessi uggiolii la raggiunse, insieme a lingue bagnate e tartufi umidi.

Crollò perciò a terra stremata, piena di graffi brucianti e contusioni un po’ ovunque ma fu felice di tutto ciò, perché sapeva di essere libera, di essere viva.

Quando una lama di luce le ferì gli occhi, quindi, non se ne spiacque.

Era salva.

Non doveva più correre.

***

Maggio 2015 – Nederland (Colorado)

 

Il risveglio, come sempre, fu pessimo.

Ma di che si stupiva, ormai?

Erano decenni che non dormiva un sonno decente, decenni che si risvegliava ansimante nel suo letto, le coltri bagnate come il viso, il respiro azzerato e le mani strette a pugno.

Gli psicologi erano stati carini con lei, persino premurosi e, per anni, l’avevano avuta in cura perché superasse quella brutta esperienza. Col procedere del tempo, avevano seguito procedure diverse in base alla sua età, strategie sempre nuove per uccidere i cattivi nella sua mente.

Divenuta adulta, i cattivi si erano nascosti, si erano fatti più furbi ed era rimasta, sopra a qualsiasi altra cosa, la paura. Strafarsi di lorazepan, comunque, non le era sembrato il modo migliore per sopravvivere agli incubi e agli attacchi di panico improvvisi.

Anche se, per un po', aveva tentato anche quella carta.

Quando, però, si era resa conto di quanto interferisse con i suoi studi e la sua già esigua vita sociale, aveva preso la scatola dei farmaci e l'aveva gettata nel cestino della sua camera da letto.

Insieme alle sue ultime sicurezze.

Gli incubi erano tornati con forza, ferendola, mordendola, facendola letteralmente scappare dal Campus della Columbia University per rifugiarsi nelle più sicure – pur se non amate – stanze di casa sua, a New York.

Non le era mai piaciuto abitare lì, troppo vicina al padre, troppo vicina ai ricordi. L'alternativa, in ogni caso, le era parsa così tremenda da farle preferire quel piccolo prezzo da pagare, rispetto al grande incubo giornaliero che aveva vissuto al Campus, dopo la rinuncia ai farmaci e l’abbandono di Sherry.

Sherry Kerringhton, la sua unica, vera amica, era stata la sua salvezza per due semestri ma, resasi conto di non avere niente a che fare con quegli studi, si era trasferita in altro loco. Naturalmente, complice il suo carattere protettivo, era rimasta sempre in contatto con lei, ma la distanza aveva congiurato contro il suo sistema difensivo, distruggendola.

Aveva quindi mandato giù l’ennesimo boccone amaro, terminato gli studi in giornalismo con il massimo dei voti e spedito fior di curricula per entrare nelle migliori testate del Paese, ma era stata una casa editrice quasi sconosciuta ad attirarla.

E una fotografia.

La prima volta che l’aveva vista, si era trovata nello studio del suo ultimo psicologo. In una bella rivista patinata dedicata ai viaggi on-the-road, Emily si era persa in contemplazione di un lago, di alture impervie, di un luogo a lei estraneo e disperso nel nulla.

Lontano da tutto.

Nel giro di un mese o poco più, aveva accettato l'impiego in una piccola casa editrice di Boulder, Colorado – impegnata nella stampa di guide turistiche, libri fotografici e quant'altro – e aveva cercato casa a Nederland.

Non certo i Paesi Bassi europei, bensì un piccolo abitato di millecinquecento anime in Colorado, sulle sponde del lago Barker, un bacino artificiale creato in pieno territorio indiano.

Grazie ai buoni ufficio di zio Harry, il fratello della madre, aveva trovato una società di costruzioni di Denver specializzata nelle ristrutturazioni e, dopo aver accettato il loro preventivo, aveva fatto iniziare i lavori di ripristino di un vecchio casolare.

La notizia aveva ovviamente scioccato la sua famiglia, in particolar modo sua madre, ma nessuno aveva tentato di fermarla.

Jamie – suo fratello minore – le aveva invece augurato tutta la fortuna del mondo, regalandole una cucciola di berner sennenhund dal pelo nero, bianco e marrone.

Emily l’aveva amata al primo sguardo.

Sherry, che nel frattempo si era data al non facile lavoro di cacciatrice di taglie, si era presa l’incarico di rendere la sua nuova casa il più sicuro ed efficiente possibile e, assieme a lei, era partita per Nederland per sovrintendere i lavori.

Nei quasi sei mesi che erano serviti per sistemare ogni cosa, Emily aveva fatto la spola dall’albergo in cui aveva preso in affitto una stanza al cantiere della sua nuova casa e, ogni notte, aveva tentato di cacciare i demoni dalla sua mente.

Non era stato per niente facile abituarsi a quei silenzi, alle occhiate curiose della gente, alle mille domande sul suo trasferimento e sulla sua vita precedente, ma aveva desiderato con tutto il cuore riuscire in quell’impresa.

Alla fine, comunque, era venuta a patti anche con quel suo essere ‘la tipa nuova’, costruendosi una sua posizione sociale all'interno di una cittadina poco abituata ai cambiamenti.

Lo sceriffo l'aveva riconosciuta quasi subito e si era offerto di aiutarla ad ambientarsi, paterno come nessuno era mai stato nella sua giovane vita e protettivo non meno di Jamie, il suo dolce e amato fratello.

Michael, o Mike, come preferiva essere chiamato – e non certo sceriffo Meyerson – l'aveva aiutata a familiarizzare col luogo, a presentarle le persone giuste... ad avere un po' meno paura della propria ombra.

Si era persino recato al poligono di tiro con lei, ogni tanto, giusto per tenersi un po' in allenamento e, al tempo stesso, per rendersi conto della sua bravura con la pistola che deteneva regolarmente.

Quel cambiamento così radicale, però, aveva soltanto raggirato gli incubi, mutandoli in qualcosa di più viscido e meno diretto. Quando il periodo del rapimento si avvicinava, infatti, il suo umore peggiorava ogni volta, e non era dato sapere come si sarebbe risolto.

Senza soluzione di continuità, la colpiva al fianco e sempre in modo diverso, da una diversa angolazione, così da non concederle mai una difesa adeguata.

Sarebbe mai guarita da quelle paure?

Era migliorata, ma non abbastanza.

Con gli occhi pesti e il respiro nuovamente sotto controllo, scacciò quei pensieri, guardò torva la sveglia – segnava le cinque e ventisei – e, biascicando un'imprecazione, tolse la suoneria per poi alzarsi.

Non sarebbe più riuscita a riaddormentarsi, a quel punto.

In un angolo della sua stanza, spaparanzata sul suo enorme cuscino-cuccia a forma di Totoro1, Cleopatra levò il musone enorme e uggiolò al suo indirizzo.

“Buongiorno, Cleo.”

Subito, il bovaro bernese si levò dal suo cuscino e trotterellò allegro e fedele accanto alla sua padrona, che lo carezzò sulla testa e la possente schiena pelosa prima di infilarsi in bagno.

Come se questo avesse dato il via alla giornata, Cleo scese al pian terreno, uscì dalla sua botola – motorizzata, e azionabile solo con la zampa di Cleopatra – per raggiungere il giardino e, dopo aver fatto i propri bisogni, tornò in casa.

Lì, si accoccolò accanto alle ciotole del cibo e aspettò fiduciosa l'arrivo di Emily, che sarebbe giunta nei minuti successivi, come sempre.

Tutto era scandito dalla puntualità, dalla regolarità, dall'abitudine, e questo dava sufficienti sicurezze a Emily per permetterle di non impazzire, di non scorgere mostri a ogni suo passo.

Dopo cinque minuti netti, passati soprattutto a lavarsi la faccia per svegliarsi, la padrona di casa raggiunse infine la cucina, estrasse il sacchetto delle crocchette per riempire la ciotola a Cleo, dopodiché si occupò dell'acqua.

La routine quotidiana era la sua salvezza dai pensieri molesti, lo sapeva bene.

A volte, però, avrebbe voluto rimanere a letto a poltrire fino alle dieci del mattino, oppure ubriacarsi senza avere il terrore del 'dopo'.

Forse ci sarebbe arrivata, un giorno.

Dopotutto, aveva solo trent’anni e una vita davanti.

Non doveva darsi per vinta solo perché, fino a quel momento, non aveva mai preso una sbronza in vita sua, o fatto qualcosa al di fuori della propria routine quotidiana.

La terrorizzava non avere il controllo sulla propria vita e, peggio ancora, sul proprio corpo.

Ubriacarsi le avrebbe negato quel conforto primario, e sapeva bene di non poterselo ancora permettere.

Lasciarsi andare alle prime sbandate, durante il periodo collegiale, e scoprire in qualche modo l’argomento ‘sesso’, era stato traumatico, per lei. Non era mai riuscita a portare a termine nessun tipo di rapporto e, le poche volte che aveva tentato un approccio più serio, era poi scappata a gambe levate, facendo infuriare il suo ragazzo di turno.

Quando, poi, aveva davvero desiderato aprirsi, dare tutta se stessa a qualcuno, era sbarellata di brutto, apparendo in tutto e per tutto una pazza e, al malcapitato, non era rimasto altro che darsi per vinto.

Non doveva essere stato bello svegliarsi, nel bel mezzo della notte, con una ragazza nel letto che urlava e strepitava come se la stessero sgozzando.

Figurarsi prendersi una sbronza colossale, eliminare la realtà per l’irrealtà, le certezze per le insicurezze del risveglio.

No, meglio evitarlo, almeno per il momento.

Si scaldò quindi del caffè, molto più nelle sue corde, accompagnandolo con pancakes fumanti e sciroppo d'acero.

Mentre il sole sorgeva anche in quell'angolo di paradiso, illuminando le acque cristalline del lago Barker – che lei poteva scorgere dalle finestre di casa – decise cosa avrebbe fatto quel giorno.

Si sarebbe dedicata alla fotografia, così da iniziare il suo nuovo libro illustrato sulle montagne del Colorado.

Per quella prima settimana di lavori, avrebbe dedicato tempo e lavoro alla zona nei pressi di Nederland, dopodiché avrebbe allargato il tiro.

Sperando, nel contempo, di imbattersi in qualche fotogramma da urlo.

Quando la pendola in cucina segnò le sette, Emily batté una mano sulla coscia per richiamare a sé Cleopatra e, assieme, uscirono di casa per avviarsi verso la rimessa.

Lì, caricarono il necessario per le escursioni sul comodo pick-up che Emily aveva acquistato direttamente a Nederland e, con un sorriso sulle labbra, partì alla volta di una nuova giornata assieme al suo fido cane.

***

Le rilevazioni stratimetriche non erano il suo dio, onestamente, ma ci si pagavano le bollette e, in attesa di poter appendere 'la pala al chiodo', come diceva sempre lui, andava bene anche così.

La Silver & Gold Consolidated – appaltando i lavori all’impresa edile in cui lavorava come geologo – lo aveva mandato a Nederland per scoprire l’eventuale fruibilità delle vecchie miniere del Colorado.

Poiché pagavano fior di bigliettoni, per farlo, il suo avido capo lo aveva inviato lì subito, con la garanzia che ditta appaltatrice gli avrebbe fatto trovare un degno appartamento in cui soggiornare durante i lavori.

Avviare uno studio privato e farsi un nome non era facile, ma lui e suo fratello Rick ce la stavano mettendo tutta per mettersi in proprio e lasciare il buco di ufficio in cui venivano sfruttati come schiavi.

Tra le sue analisi del terreno e la capacità di costruire case di Rick, avrebbero messo in piedi una società di costruzioni coi fiocchi, a tempo debito, ma ci volevano pazienza, fatica e soldi.

La ditta che l'aveva spedito lì aveva staccato il primo assegno praticamente a occhi chiusi e, per i mesi che gli sarebbero serviti per completare il lavoro, il suo capo avrebbe guadagnato a sufficienza da rendere felice anche lui.

Quando avessero risparmiato abbastanza, lui e Rick avrebbero detto addio a titolari e capo uffici rompipalle e si sarebbero messi in proprio. Più nessuno avrebbe camminato sopra le loro teste come se fossero stati il pavimento di una discoteca, dettando ordini insulsi o richieste impossibili da portare avanti.

Ma ora si doveva lavorare per gli altri, e alle condizioni indicate da altri.

Non aveva neppure idea di che casa gli avessero affittato per quel lavoro – o avevano optato per un appartamento sgangherato? – ma, dopotutto, il paese di Nederland non poteva essere così grosso.

Avrebbe trovato il buco in cui dormire con il suo nome sopra, e lì avrebbe soggiornato senza alcuna difficoltà.

Il cartello all'ingresso del paese parlava di millecinquecentootto anime allegre e felici – almeno a giudicare dagli smile appiccicati sopra – quindi non avrebbe impiegato molto a trovare il posto giusto, indicato sulla e-mail inviatagli la sera precedente.

Non potevano esserci certo miriadi di viuzzole impossibili da trovare, in quell’angolo di Colorado popolato da foreste, no?

Prima di tutto, però, doveva rimpinguare le sue riserve personali, perciò... pancia mia fatti capanna!

Parker Jones rallentò perciò il pick-up fino a fermarsi dinanzi a un diner dall’aria invitante, dotato di un'ampia serie di vetrate su cui pendevano enormi tendoni rosso fuoco e la scritta, a caratteri eleganti, 'Italians do it better'.

L’uomo sorrise spontaneamente nel rammentare il vecchio commento di Madonna che, decenni addietro, aveva fatto in merito alle presunte abilità sessuali degli italiani e, nello spegnere il motore, si guardò intorno pieno di curiosità.

Che ci fosse un’italiana – o un italiano – dietro a quello slogan neppure troppo indiretto? O intendevano dire, meno maliziosamente, che la cucina di quel posto era migliore delle altre perché fatta da italiani?

Nel parcheggio dinanzi alla tavola calda, comunque, Parker notò altri mezzi e, attraverso le vetrate, poté scorgere l'andirivieni di almeno un paio di cameriere, oltre a parecchi avventori ridenti e gaudenti.

Sia come sia, sembra che la gente ci venga volentieri, pensò tra sé l’uomo, scendendo dal pick-up verde militare, che usava ormai da anni per quel genere di lavori fuori sede e, soprattutto, fuori strada.

Parker non avrebbe mai utilizzato la sua Ford Charger nera del ‘69 per quel genere di lavori. Il solo pensiero di sovraccaricare i sedili in pelle con i suoi strumenti, lo faceva rabbrividire.

Il buon profumo di pomodoro fresco e basilico, che aleggiava nei pressi della porta, strappò Parker dai pensieri sulla propria auto - che gli era quasi costata un rene - ed entrò con un gran sorriso.

La cameriera più vicina all’entrata, lesta e gentile, gli sorrise subito in risposta ed esordì con un allegro tono di contralto.

“Buongiorno, signore. Le serve un tavolo?”

“Anche uno sgabello al banco” dichiarò lui, guardandosi intorno pieno di curiosità.

Stampe di luoghi di villeggiatura italiani, un bello stucco veneziano nei toni del giallo e dell'avorio alle pareti e tanti, tanti morbidi divanetti su cui accomodarsi per pranzare.

Era un locale dalle tinte calde – dai rossi divanetti ai tavolini color ciliegia – e, a quanto pareva, dove la gente era invogliata a chiacchierare e ad alzare il tono della voce per farsi sentire.

Non c'era musica di sottofondo; nessuno l'avrebbe sentita, o apprezzata. Era il vociare caciarone della gente a fare da colonna sonora a quel luogo, all’apparenza così alla mano e familiare.

Quando Parker si accomodò al bancone, in marmo bianco e dalla superficie lievemente grezza e porosa, salutò con un cenno e un sorriso una donna che stava servendo della birra a un altro avventore.

Più vicina ai sessanta che ai cinquanta, la mora signora in carne replicò al saluto prima di avvicinarsi e dire: “Faccia nuova, direi. Io sono Gilda Mattei, la padrona della baracca. Cosa ti posso offrire, straniero?”

Parker sorrise spontaneamente di fronte a quel viso così gioviale e, data una scorsa veloce al menù plastificato che se ne stava appoggiato su un leggio proprio sul bancone, mormorò: “Direi di cominciare con una birra fresca e un piatto di maccheroni al formaggio.”

“E maccheroni siano” assentì Gilda, scribacchiando su un notes veloce come il vento prima di passare il biglietto a una delle cameriere, che sparì oltre la porta della cucina in un gran svolazzare di capelli biondi e gonnellina a balze rossa e bianca.

Messasi poi a spillare la birra richiesta, la matrona si rivolse a Parker e domandò: “Cosa ci fa un cittadino di Denver qui tra le montagne di Nederland?”

Indicandosi con ironia, Parker esalò confuso: “Si sente così tanto?”

“Per chi sa ascoltare, sì” annuì la donna, ridacchiando. “Ebbene?”

“Rilevamenti stratimetrici e carotaggi nella zona adiacente alle vecchie miniere, oltre a un controllo delle miniere stesse. Voglio controllare se c'è ancora roba buona.”

“Oh... un geologo, quindi. Privato, o in concessione?” si informò la donna, sollevando curiosa le sopracciglia nel passargli la pinta appena spillata.

Ridacchiando di quell'interesse così poco mascherato, Parker sorseggiò la birra – decisamente fresca e dissetante – e ammise: “Lavoro a cottimo per una ditta del Middle East. Ma prometto che non causerò problemi, sarò bravo con i vicini e non disturberò le figlie di nessuno.”

Gilda scoppiò a ridere di gusto, a quel commento e, nel battere una mano sul braccio dell'uomo, esalò divertita: “Credimi, ragazzo, le signorine di quassù sono toste, e non si fanno abbindolare da un belloccio di città. Neanche da uno carino e simpatico come te.”

Parker rise a sua volta, seppur più sommessamente ma, quando sentì il tintinnio della porta d'entrata – cosa che lo portò a voltarsi in preda alla curiosità –, dovette bloccarsi dalla sorpresa.

Un bel bovaro bernese fece il suo ingresso con passo ciondolante e sicuro, seguito dappresso da una donna alta e slanciata, dalla corta chioma bionda e un sorriso un po' timido ma sincero.

Ma non fu quello a colpirlo così tanto, o a sorprenderlo.

Fu la sua totale estraneità a quell'ambiente, a mandarlo letteralmente in confusione.

Certo, era vestita più o meno come gli altri, con scarponcini usurati, pantaloni da escursione e una camicia a quadri nei toni dell'azzurro, da cui spuntava una semplice T-shirt bianca e un fazzoletto rosso e blu legato al collo.

Era il suo viso a renderla diversa, distinguibile tra la massa come una creatura fuori dal tempo e dalle dimensioni. Come una rosa in un campo di margherite, o una pietra preziosa nel mezzo dell’arenile di un fiume.

Aveva un volto cesellato, quasi etereo, circondato da ciocche corte e bionde, scompigliate con eleganza, e che facevano da sfondo a profondi occhi da colomba, un misto tra il ghiaccio e l'azzurro del cielo.

La pelle, eburnea e priva di imperfezioni, era leggermente arrossata dal sole di quel giorno di primavera inoltrata, oltre che dall'aria frizzante di montagna.

La giovane salutò Gilda con un bacetto veloce sulla guancia prima di accomodarsi con naturalezza al bancone, quasi fosse un’abitudinaria, in quel posto, e su quello sgabello in particolare.

Il suo bovaro, docile e silenzioso, si accoccolò ai suoi piedi e chiuse gli occhi, tranquillo e a modo come pochi altri cani Parker aveva visto in vita sua. Persino quelli di suo padre, per quanto ben addestrati, tendevano a essere più dispettosi.

La ragazza ordinò senza guardare il menù, confermando l'ipotesi di Parker sulla sua abitudine a visitare quel diner e, quando Gilda le portò un succo di frutta all'arancia, la titolare disse: “Non sei più l'ultima arrivata, cara. Puoi fare la ruota come un pavone, adesso.”

Sobbalzando leggermente a quella notizia, la donna volse lo sguardo in direzione della persona indicata da Gilda e Parker, vistosi preso di mira, levò una mano per salutarla.

“Salve” esordì lui, studiandone le reazioni.

Il sorriso tornò a essere un po' timido pur se aperto e genuino e gli occhi, per un attimo, si distolsero dal suo volto per poi tornarvi, quasi obbligati a una prova di coraggio.

Una timida patologica? Forse.

Comunque, era davvero carina.

“Salve a te. Mi hai reso un gran servizio, sai? Mi posso togliere di dosso la targa dell'ultima arrivata” ironizzò lei, mettendo in mostra graziose fossette sulle gote e confermando così le sue supposizioni.

Quel timbro vocale, quel modo cortese di parlare e l’accento elegante, erano prove inequivocabili; non era del Colorado, ma dell’East Coast. Washington, forse, o New York.

“Rimarrò per qualche mese e basta. Vale lo stesso?” si informò allora lui.

“Sì, è valido” annuirono all'unisono sia Gilda che la donna bionda. Quest’ultima, a quel punto, mimò il gesto di togliersi di dosso qualcosa – probabilmente, il famoso e sopraccitato cartello di ultima arrivata – e, soddisfatta, finse di gettarlo via.

Questo fece ridere Parker che, spontaneamente, allungò una mano verso di lei.

“Parker Jones, lieto di conoscerti.”

“Emily Poitier. Piacere mio” replicò lei, stringendo con forza quella mano.

Carattere deciso ma un po' timido, pensò ancora lui, chiedendosi contemporaneamente perché la stesse analizzando a quel modo.

Una vocina cattiva e puntigliosa gli fece notare che Emily era una bella donna, probabilmente molto più intelligente e matura di lui, ma Parker la mise a tacere immediatamente.

Non aveva bisogno di impelagarsi con una rappresentante del gentil sesso, specialmente dopo la quasi totale disfatta subita da Janice.

Il passaggio delle unghie sulla sua schiena – e sul conto in banca – gli doleva ancora.

Suo fratello minore Quentin aveva avuto ragione da vendere, quando gli aveva dato del pazzo, non appena aveva saputo del loro matrimonio a Las Vegas. Rick, il piccolo di casa, invece, si era limitato a una scrollata di spalle e un sospiro.

Il solito, taciturno Rick. Avrebbe dovuto insospettirsi, di fronte ai suoi silenzi, invece si era lasciato guidare dalla sensualità esplosiva di Janice, e ora ne pagava – in tutti i sensi – lo scotto.

Non ci si sposa a Las Vegas con la fidanzatina del liceo. Può portare solo guai.

Il bovaro scelse quel momento per aprire gli occhi e, vedendo la padrona protesa verso una persona sconosciuta, levò il musone bicolore e scrutò il nuovo arrivato con attenzione.

Avvedendosene, Parker sorrise teso e domandò: “Devo preoccuparmi?”

“Cleopatra, lui è Parker. E' un amico. Amico” disse quieta la donna, carezzando gentilmente il cane.

“Oh, una lei.”

Sorridendo, l’uomo allungò cauto una mano perché la cagnolona gliela annusasse.

Quando si ritenne abbastanza al sicuro per una grattatina dietro le orecchie, si mosse con calma e le disse sommessamente: “Sei proprio un bel bovaro, sai, Cleopatra? Dovrei farti conoscere Roscoe… diventereste amici, mi sa.”

“Conosci la razza?” gli domandò Emily, curiosa.

Mentre i loro piatti venivano serviti, fumanti e profumati, Parker assentì.

“I miei genitori e uno dei miei fratelli minori si occupano della fattoria di famiglia, oltre che del bestiame. E, per tenere d'occhio le vacche al pascolo, usano tre bovari come la tua. Athena, Artemide e Afrodite. Roscoe, invece, è un bastardino che gli ho portato io, per riportare un po’ di equilibrio in casa. C’erano troppe donne, a sentire mio padre, e così l’ho accontentato.”

“Appassionati di A e di divinità greche?” sorrise divertita Emily, accentuando le fossette sulle gote.

Sì, era davvero carina.

“Esatto” assentì lui. “Nostra madre, in particolare. Il suo sogno più grande sarebbe quello di visitare Atene ma, come immaginerai, una fattoria porta via un sacco di tempo.”

“Credo di sì. Quanto a Roscoe, che incrocio è?” annuì Emily, addentando con passione la carbonara dai profumi inebrianti che aveva ordinato. “Mmmh. Gilda, devo dare un bacio a Scott. Stavolta, è semplicemente divina.”

“Quel ragazzo mi sbaglierà i prossimi venti piatti, se gli dai un bacio. Sai che ti muore dietro” brontolò gentilmente la donna, pur sorridendo.

“Mamma! Ti ho sentito!” sbraitò una voce maschile e assai giovane, da dietro la porta da saloon che separava la cucina dal locale.

Tutti risero di quel richiamo stizzito e imbarazzato, Parker compreso che, all’improvviso, sentì un peso sospetto contro una gamba e, curioso, abbassò lo sguardo per capire cosa fosse stato.

A sorpresa, Cleopatra si era addossata completamente alla sua gamba e ora, col musone poggiato sul suo ginocchio, lo stava osservando in rapita ammirazione.

Sorpreso, Parker attirò l’attenzione di Emily ed esalò: “Che le prende?”

Emily, a quel punto, sorrise divertita e sì, sorpresa, prima di dire: “Pare che tu le piaccia. Deve essere stata la risata. Cleo ama sentir ridere le persone e, se il suono le piace, fa così.”

Del tutto conquistato dalla cagnolona, Parker allora si piegò fino a darle un bacio sul naso, mormorando: “Anche tu mi piaci tanto, Cleo.”

Emily osservò l’intera scena con espressione sbalordita e Gilda, nello scrutare il tutto da dietro il banco, ammiccò al suo indirizzo come a dire ‘però!’.

“Si vede che sei abituato ad avere dei cani, e ad apprezzarli. E’ raro che Cleo si esponga così tanto” chiosò a quel punto Emily, chiedendosi se dovesse fidarsi al pari del proprio cane di quel curioso nuovo arrivato.

“Mi piacciono molto, e si vede che i cani lo capiscono. Con Roscoe successe così. Quel bastardino è una via di mezzo tra un corgi e un bassotto, ma ha la grinta e l’autostima di un alano, e io lo adoro” commentò Parker, tornando alla sua pasta ma con il dolce peso di Cleo ancora appresso alla sua gamba.

Rivolto poi a Gilda, celiò: “Non può dare torto al ragazzo, comunque, Gilda. Come si può non essere affascinati da una così attraente ragazza?”

 “Oh, non ti ci mettere pure tu, straniero...” brontolò amabile Gilda, utilizzando quella parola, 'straniero', come se fosse stata 'caro'. “... lo so anch'io che Emily è adorabile, ma non vogliamo che la signorina qui presente si monti la testa.”

Ciò detto, diede un affettuoso buffetto con fare molto materno sulla guancia della donna, ed Emily ridacchiò imbarazzata.

A quanto pare, non c’è il pericolo che si dia delle arie, constatò Parker.

Forse, era una specie di gioco tra di loro.

Che fossero parenti?

L'entrata in scena dello sceriffo non smorzò le chiacchiere e neppure i sorrisi, a riprova di quanto fosse ben voluto dalla comunità.

Gilda gli offrì subito una birra analcolica e l'uomo, nell'accettarla, diede un grattino a Cleopatra prima di scrutare con fare indagatore il nuovo venuto.

“Non ci conosciamo, se non erro, giovanotto” esordì lo sceriffo, lanciando poi una strizzatina d’occhio a Emily a mo’ di saluto.

“Parker Jones, sceriffo. Sono qui per conto della Silver & Gold Consolidated per dei rilevamenti piezometrici nei dintorni, oltre che all'interno delle miniere della zona. Dovrebbero aver già inviato la documentazione, con i relativi permessi per gli scavi.”

“Mmmh, allora deve essere quel plico enorme che è arrivato tramite e-mail stamattina. Quando ho visto il numero delle pagine, ho preferito uscire per una passeggiata” ironizzò lo sceriffo, facendolo ridere. “Sono Michael Meyerson. Per qualsiasi problema, mi chiami pure.”

“Non mancherò” assentì Parker, ritrovandosi a rilassarsi sotto quel caldo sguardo color cioccolato. Sembravano tutti molto simpatici e alla mano, da quelle parti.

Detto ciò, lo sceriffo si volse verso Emily e, come un fiore baciato dal sole, un sorriso paterno fiorì sul suo volto abbronzato e di uomo di mezza età.

“Ragazza, come stai oggi? Sei sempre in giro a fare foto, ultimamente.”

“Sto cominciando un nuovo progetto, e voglio delle inquadrature favolose per il mio libro” assentì lei, gratificandolo di un sorriso ai limiti dell'adorazione.

Parenti? Amanti? No, amanti, no, rimuginò tra sé Parker, chiedendosi che tipo di rapporto vi fosse tra di loro.

Era evidente quanto lo sceriffo fosse protettivo con lei, e quanto Emily stessa gli fosse affezionata, ma non sembrava che avessero una tresca o qualcosa di simile.

E poi, a conti fatti, perché stava ficcanasando tanto?

Le chiacchiere perdurarono, a ogni modo.

Alcuni dei presenti – che avevano ascoltato con curiosità le novità di paese – si dichiararono disposti ad accompagnare Parker per i boschi, e altri si offrirono di aiutarlo in caso di lavori pesanti.

Lui ringraziò tutti, e annotò un paio di numeri di telefono e qualche indirizzo, prima di estrarre il portafogli per pagare.

Depositate due banconote da venti, rifiutò il resto e disse a Gilda: “Va bene così. I maccheroni erano ottimi, e la birra mi ha fatto davvero bene. Può dividere la mancia con le due cameriere.”

Le ragazze lo ringraziarono con ampi sorrisi e la padrona del locale, assentendo, infilò il resto in un barattolo di vetro, dichiarando: “Sei partito col piede giusto, straniero, ma se fai soffrire le mie ragazze con il tuo bel faccino da ragazzo di città, ti castro con la mannaia da macellaio.”

Parker scoppiò a ridere di gusto, di fronte a quella palese minaccia ma lo sceriffo, scuotendo il capo, esalò esasperato: “Gilda, ti prego. Non davanti a me! Sai che potrei considerarla una minaccia e far scattare una denuncia.”

“Oooh, ma per l'amor del cielo, Mike! Come se tu non mi conoscessi!” ironizzò la donna, scuotendo una mano con fare insofferente.

“Già, per l’appunto. Io. Il signor Jones è arrivato sì e no da un'ora, e l'hai già minacciato di una cosa innominabile. Cosa penserà della gente di Nederland?”

“Tutto il bene possibile” sottolineò Parker, afferrando il suo marsupio dallo sgabello dove lo aveva appoggiato. “Ci si vede in giro.”

Già pronta a uscire a sua volta, Emily lo accompagnò all'uscita assieme a Cleo e, nel lasciarsi alle spalle la cacofonia del posto e un saluto generalizzato, disse divertita: “Gilda non è pericolosa, davvero.”

“Non avevo alcun dubbio. Assomiglia troppo a mia madre, perché ne abbia veramente paura” ridacchiò Parker, lanciando un'occhiata distratta al pick-up di Emily. “Solo il giusto.”

Era usato, sporco di fango e ben lontano dalla berlina fiammante che le sarebbe invece calzata a pennello.

Perché continuava a non vedercela, in un posto così sperduto tra le montagne?

“Hai bisogno di una mano per trovare la casa che ti hanno assegnato? Ricordami la via, ti prego. L'ho scordata” gli domandò lei, appoggiandosi al proprio pick-up.

Nel corso del pranzo, avevano divagato su mille argomenti diversi, quasi come se si fossero conosciuti da tempo ma, ben presto, Parker si era reso conto di quanto, quel comportamento, fosse un vizio di tutta la gente del posto.

Non c'erano mezze misure, tutti erano cordiali e affabili, ma dovevi essere disposto a fare altrettanto, per essere accettato, altrimenti rischiavi di essere chiuso fuori da qualsiasi dialogo.

A lui stava bene. Non aveva peli sulla lingua, e parlare gli piaceva. Sua madre gli aveva sempre detto di avere una lingua supplementare da qualche parte, perché aveva sempre parlato per venti.

“Direi di aver più o meno capito... svolto a sinistra e, dopo un paio di case, giro ancora a sinistra, lungo la strada che si inerpica sul monte. Cento metri e sono arrivato” ricapitolò lui.

“Esatto” annuì la donna.

“Tu dove stai? Se posso chiedere, è ovvio.”

“Al 42 di Ponderosa Drive, che poi è quella casa lassù. Si vede anche da qui. A due piani, in legno scuro e con le persiane verdi” gli indicò lei, allungando il braccio destro.

Le maniche raccolte mettevano in evidenza un avambraccio tonico ed elegante, al cui polso erano allacciati un numero apparentemente infinito di braccialetti in pelle, corda e stoffa.

Insomma, di tutto un po' ma, in generale, si trattava di oggetti semplici, di prodotti artigianali del posto.

Quello sinistro era identico, a cui si erano uniti, forse per uno sfizio del momento, anche due braccialetti in argento e lapislazzuli, di chiara foggia anazasi. E non portava l'orologio.

“Molto carina. Spero che la mia sia almeno presentabile. Non è detto che le ditte siano larghe di manica, in casi come questo” ironizzò Parker, piazzando le mani sui fianchi con aria rassegnata.

Emily rise sommessamente, ma la risata le morì in gola un attimo dopo quando, a sorpresa, una berlina scura si fermò a pochi passi da loro.

Dal finestrino abbassato comparve il volto piacente e rilassato di un uomo.

Doveva essere un suo coetaneo, pensò spontaneamente Parker, inquadrando un viso dalla barba volutamente incolta, capelli volutamente spettinati e sorriso volutamente simpatico.

Anzi, forse il sorriso era volutamente tranquillizzante, come se non volesse spaventare la destinataria di quel saluto cortese. Ma perché?

“Ciao, Emy. Sempre a caccia della foto perfetta?”

“Come sempre. Ciao, Tony” gli sorrise lei, seppur in maniera molto formale. Come se volesse mantenere le distanze ma, al tempo stesso, desiderasse avvicinarsi a colui che le aveva parlato.

Anche l'uomo in questione parve accorgersene, perché sospirò impercettibilmente prima di tornare all'attacco, con un sorriso sempre amichevole ma molto più formale.

“Inutile chiederti se sabato sera sarai libera per la festa al Lodge. Immagino che il libro ti tenga impegnata fino a tardi.”

“Già. Finché non lo avrò terminato, sarò sua prigioniera” cercò di ironizzare la donna, le mani che nervose giocherellavano con i bottoni della camicia a quadri.

“Ti lascio andare, allora. Non voglio farti perdere del tempo” si affrettò a dire il giovane, quasi avvertendo su di sé il nervosismo della donna.

Poi, rivolgendosi a Parker, allungò una mano e disse: “Anthony Consworth, figlio del titolare del 'Nederland Lodge and Cafè'. Molto piacere.”

“Parker Jones, piacere mio.”

“E' qui in qualità di geologo” gli spiegò Emily, come se sentisse la necessità di mettere i puntini sulle 'i'.

Di quale parola in particolare, Parker non fu del tutto certo.

“Oh, capisco. Qualcuno interessato alle miniere. Beh, buon lavoro e, se le servono vecchie mappe della zona, ne abbiamo di molto dettagliate, nell’albergo. A presto, Emy” chiosò l'uomo, salutandola con un cenno prima di ripartire.

Emily sospirò e Parker, avvedendosi del suo imbarazzo, mormorò: “Ex?”

“Eh? Beh, ecco...”

“Lascia stare, non sono affari miei” replicò lui, sorridendole cordiale.

Lei allora scoppiò in una risatina nervosa, esalando: “Oddio! Non è questo il problema. Tanto, nel giro di una settimana, lo sapresti comunque, e anche da fonti ben poco attendibili. Qui, anche i muri hanno orecchie. Nelle piccole cittadine, tutti sanno di tutto. Stavo solo cercando di fare un riassunto mentale che fosse anche comprensibile alle tue orecchie.”

“Ah” esalò lui, parecchio sgomento.

“Per farla breve, quando sono venuta a stare qui, cinque anni fa, ho vissuto per un certo periodo nell'albergo di Anthony, in attesa che terminassero la ristrutturazione della mia casa. Questo ha fatto nascere una certa amicizia, tra me e Tony, e la gente ovviamente ha ingigantito a dismisura le cose.” Non era esattamente la verità, ma poteva anche andare.

“Lui, però, mi è parso davvero interessato.”

“Oh, e lo è. Lo so” assentì lei, con un risolino vagamente imbarazzato. “Sono io che, insomma... non sono interessata ad avere uomini che mi girano intorno, per il momento. Così, caso mai dovessi sentire certe chiacchiere, saprai già dove tira il vento.”

“Opinioni di prima mano. Sono sempre le migliori” assentì Parker, comprendendo appieno il suo imbarazzo.

Un conto era nascere in una comunità e abituarsi fin da piccoli agli usi e costumi delle persone del posto, un altro era arrivarci da adulti, con abitudini e usi diversissimi.

“Ora devo scappare. Voglio controllare il lavoro di oggi al computer, prima che faccia buio. Ci si vede in giro” disse Emily, aprendo la portiera per Cleopatra prima di salire al posto di guida.

“Ciao!”

Parker la osservò inerpicarsi lungo la via sterrata, e sparire dietro una nuvoletta di terriccio e polvere.

E così, Emily Poitier aveva uno spasimante non corrisposto ma, evidentemente, molto cocciuto e molto disponibile al tempo stesso.

Meglio di Beautiful.

Con un risolino, saltò sul suo pick-up per raggiungere finalmente la sua casa, sapendo già che, durante quel breve lavoro a Nederland, si sarebbe divertito.

 

 

 




N.d.A.: comincia qui una nuova avventura, tra le lande selvagge delle Montagne Rocciose. Ben presto scopriremo mille altri personaggi, perciò preparatevi. Il viaggio ha inizio.

1 Totoro: personaggio fantasy creato dalla penna di Hayao Miyazaki.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


2.

 

 

 

 

Le foto erano venute bene, e la fortuna di trovare un tasso impegnato a discutere con un suo simile, l'aveva lasciata con il sorriso sulle labbra e una risatina a fare da contorno per molto tempo.

Il nuovo libro avrebbe avuto un che in più, con quella battaglia a suon di zampate e dentate, e quei tassi avrebbero accompagnato bene la sezione dedicata a quella parte di regione.

Gli sfondi a grandangolo e i chiari-scuri delle foreste le piacevano molto, ma focalizzarsi su particolari della flora e della fauna locali, a volte, le dava più soddisfazione.

Sorseggiando la tisana all'echinacea e arancia rossa, che si era preparata col nuovo infuso acquistato nell’erboristeria di Nederland, inspirò con piacere i suoi profumi delicati e aromatici. Nel frattempo, gli occhi sullo schermo del suo Mac, passò in rassegna un'altra foto per controllare eventuali correzioni di colore.

Era difficile che dovesse ritoccarle – i colori naturali erano già eccellenti – e, anche in quel caso, poté solo compiacersi per il suo occhio da fotografa.

Dieci anni prima non avrebbe mai pensato che lavorare con una fotocamera digitale, il suo treppiede, i vari obiettivi nella borsa, mentre camminava immersa in un bosco, le sarebbe piaciuto così tanto.

Era evidente quanto poco ancora si conoscesse, all'epoca.

Certo, andava anche detto che, se vi si fosse trovata in un bosco da sola, o di notte, neanche lontanamente sarebbe stata così tranquilla da poter scattare una foto anche solo decente.

Con Cleo a tenerle compagnia, invece, si sentiva protetta e al sicuro, e la sua cagnolona adorava scorrazzare per i boschi assieme a lei.

Terminata la carrellata di foto, salvò il file su computer e nella sua chiavetta per i backup dopodiché, spento che ebbe il PC, si portò sulla terrazza assieme a Cleopatra. Era ancora decisamente freddo, per essere metà maggio, ma in quelle lande era la normalità.

Se era pur vero che da almeno venti giorni non nevicava più, non era detto che quella primavera potesse dare un colpo di coda e tornare a essere inverno.

Tutto poteva succedere, quando abitavi a oltre duemila metri d'altezza, nel bel mezzo del Colorado, affondata tra meravigliose montagne lussureggianti e ghiacciai perenni.

Seduta che fu sulla sua sedia a sdraio, il caldo braciere acceso accanto a lei per scaldare l’aria frizzante, Emily sorrise nello scorgere lo scintillio della luna sulle acque del bacino artificiale che si estendeva dinanzi a Nederland.

Allungandosi per miglia e miglia all'orizzonte, quel lago era meta di turisti e di appassionati di canottaggio e, non di rado, anche lei si era dilettata in tal senso. Le piaceva pagaiare con calma, ascoltando lo sciabordio dell’acqua contro le paratie della barca.

Era qualcosa che la rilassava sempre.

Quando Cleo le si accucciò ai piedi, Emily distolse lo sguardo dai riflessi argentei della luna sul lago e mormorò: “Domani ci dedicheremo alla costa est del lago, ti va? Potrai giocare con l'acqua.”

Il bovaro abbaiò lieto quando, all'improvviso, il cordless suonò.

Afferratolo dal tavolino su cui lo aveva appoggiato, Emily notò il numero di telefono e, con un leggero sospiro, mormorò: “Ciao, mamma.”

“Emy, ciao” rispose una voce calda e roca all'altro capo.

Margareth Cunningham-Poitier era una sessantaduenne attiva, sempre impegnata nel sociale grazie alle diverse Fondazioni Pro Bono da lei create e, tra le altre cose, era anche la sua attenta e protettiva madre.

Si era intristita molto alla scoperta della sua decisione di abbandonare New York, e la sua famiglia, per dirigersi in un isolato e sperduto paesino del Colorado. Non aveva comunque mosso obiezioni di fronte alla scelta della figlia, immaginandone senza fatica i motivi.

Aveva fatto da cuscinetto - come negli ultimi vent'anni, peraltro - tra lei e il padre, con cui Emily non aveva più un dialogo sereno dai tempi del rapimento.

Aveva parlato con suo fratello Harry perché organizzasse il tutto, viste le sue molteplici conoscenze in zona dopodiché, ogni qualvolta aveva potuto, era volta a Nederland per stare accanto alla figlia.

Il tutto, sempre con il suo solito cipiglio battagliero e l’aria di chi non avesse paura neppure dei demoni dell’inferno, pur di proteggere la propria prole.

Nata in una famiglia di operai del Bronx, si era fatta valere a scuola fin dalla più giovane età, collezionando encomi, medaglie di merito e, infine, una prestigiosa borsa di studio per una delle tre più importanti università dell’Ivy League. Harvard.

Lì, aveva conosciuto il suo attuale marito e, proprio grazie all’intraprendenza che l’aveva sempre contraddistinta, era passata sopra alle reticenze e ai pregiudizi dei più facoltosi Poitier, fino a riuscire a farsi accettare.

Jordan Poitier, il maggiore dei fratelli Poitier e padre di Emily e Jamie, non aveva potuto che innamorarsi di lei, della sua forza, della sua passione, della freschezza del suo animo. Per la prima volta, era andato contro la sua famiglia pur di averla per sé e, mettendo sul piatto della bilancia anche il suo patrimonio personale, aveva infine fatto capitolare il padre.

Renault Poiter aveva ceduto alle parole del figlio ma, soprattutto, aveva infine visto coi propri occhi quanto vi fosse di speciale in Margareth.

Emily non aveva mai compreso come mai i nonni paterni, dopo il suo rapimento, si fossero così allontanati dalla famiglia ma, soprattutto, dalla nuora, visto quanto erano stati uniti fino a quel momento. Il rapimento, però, aveva lasciato strascichi un po’ ovunque, perciò Emy aveva ben presto lasciato perdere la cosa, non sentendosela di approfondire.

Parte degli strascichi erano anche le telefonate, cosa che lei non amava fare, ma che sapeva di dover fare, visto che la lontananza forzata tra lei e la madre faceva soffrire la sua genitrice.

Il libro, gli incubi e mille altri pensieri, però, le avevano fatto mancare il consueto appuntamento del lunedì sera, costringendo la madre a sopperire a tale mancanza.

“Scusa, mamma. Mi sono persa davanti alle fotografie e ho scordato l'orologio. Ancora” borbottò contrita la figlia, guardando il suo polso sinistro.

Odiava portare gli orologi.

Le graffiavano la pelle, e di certo non ne aveva bisogno. Era molto meglio portare i suoi braccialetti in pellame lavorato, o di stoffa. Si era concessa uno strappo alla regola solo quando Tony, quattro anni addietro, le aveva regalato una coppia di sottili braccialetti in argento.

Non li aveva più tolti, da quando glieli aveva regalati, pur se si sentiva un mostro a portarli senza merito.

Erano comunque molto meno impegnativi del Patek che le avevano regalato i genitori per i suoi ventinove anni. Per più di un motivo.

Sua madre ridacchiò, ben conoscendo i vizi e le manie della figlia, e replicò: “L'avevo immaginato, per questo ho chiamato io.”

“Tutto bene, lì? Dovrebbe essere notte fonda, ormai.”

“Quasi. Diciamo che farò le ore piccole, stanotte. C'è in ballo una festa per il prossimo venerdì, e devo ultimare alcune migliorie.”

“Non ho dubbi sul fatto che sarà perfetta come al solito” sottolineò Emily, accennando un sorriso.

Sua madre avrebbe potuto dirigere da sola il centro spaziale di Houston, se avesse voluto. Era l'organizzazione fatta persona.

La donna rise, divertita dal tono della figlia.

“Naturalmente, ti arriverà un invito che tu cestinerai, ma sai come sono fatta. Non posso evitare di mandarteli.”

“Non li cestino mai. Li colleziono. Ho un intero album pieno dei tuoi biglietti. Tutti molto belli, tra l'altro” ironizzò Emy, mettendo calore e affetto nella sua voce.

“Non potresti concederti una piccola tregua dal tuo libro per venire a trovare i tuoi vecchi?”

“Vecchia, tu? Mamma, tu sarai vecchia quando io sarò già nella tomba, e forse neanche allora” la prese bonariamente in giro la figlia, facendola ridere sommessamente.

“Ci manchi. A tutti e due” sottolineò a quel punto Margareth, tornando seria.

Per Emy fu lo stesso.

Divenne mortalmente pallida in viso e, carezzando distrattamente il testone di Cleopatra per calmarsi, mormorò: “Dubito che io gli manchi. Ma so di mancare a te... scusa, mamma. Davvero non riesco a fare diversamente.”

“Mercoledì prossimo, non questo... quello della settimana seguente, sarò a Denver per una convention sulle energie alternative. Ti andrebbe di vedermi? Saremmo solo tu e io. E Jamie.”

“Oh... viene anche Mister-Quarantesette-Punti?” ironizzò a quel punto la donna, ripensando al fratello minore e all'incidente che gli era valso quel soprannome.

Poco meno di un anno prima, durante una battuta di pesca, Jamie era stato sbalzato in mare dallo yacht dove si trovava, e tutto per colpa di un Marlin Blu particolarmente riottoso.

Questo gli aveva causato un brutto trauma cranico e diverse ferite, tra cui una al braccio che avevano dovuto suturare, per l'appunto, con quarantasette punti.

Quando era venuta a saperlo, Emy si era fiondata presso l'aeroporto più vicino per raggiungere il Maine e lì, dopo cinque anni di separazione voluta - da lei -, aveva rivisto il padre.

Non si erano praticamente parlati, ma tanto era bastato per farle venire voglia di scappare di nuovo.

Era rimasta sei giorni soltanto per stare assieme al fratello, di due anni più giovane di lei.

Quando si era sincerata della buona salute di Jamie, lo aveva bonariamente rabberciato e, con la promessa di una loro futura vacanza assieme, se n'era andata per tornare a Nederland.

L'idea di rivedere il fratello le piacque abbastanza da spingerla a dire: “Ci sarò. Mandami pure una e-mail con i particolari dell'avvenimento.”

“D'accordo” assentì la donna. “Tutto bene, lì? La vita procede regolare?”

“Se vuoi sapere se ho un uomo, non ce l'ho. Non prendo più pillole per dormire da anni, anche se a volte vorrei usarne un po', ogni tanto, visto che posso contare parecchie notti in bianco, nel mio curriculum. Mike e Gilda si prendono cura di me e mi tengono in salute, neanche fossi un'oca all'ingrasso e, in generale, tutto procede come al solito, qui a Nederland.”

Quel commento strappò un risolino a Margareth.

“Cleo sta benissimo e mi accompagna sempre. E' il mio angelo custode peloso” aggiunse Emy, sorridendo alla sua cagnolona.

“Quindi, con Anthony...”

“No, niente, mi spiace.”

“Eppure, da quel che ricordo, è un bell'uomo e...”

Bloccandola prima che partisse a perorare la causa di Tony, Emily esalò: “Mamma, ti prego! Se vorrò un uomo, me lo troverò. Al momento, io e Cleo stiamo bene così. Oh, per la cronaca, zio Harry ha mandato qui uno dei suoi geologi per una perizia sulle vecchie miniere della zona. Siamo sicuri che non sia un'abile mossa per tenermi d'occhio?”

“Mio fratello non farebbe mai una cosa simile, tesoro!” sbottò sconcertata Margareth.

Un attimo dopo, però, la curiosità ebbe la meglio.

“Chi è, cara? Lo conosciamo?”

“Io personalmente no, ma tutto può essere. Si chiama Parker Jones, ed è di Denver. Ti dice niente?”

“Jones? Sì, cara, che mi dice qualcosa. Un certo Richard Jones fu uno degli architetti che lavorarono alla tua casa, se non lo ricordi” ridacchiò la donna. “Può darsi che sia un parente… o magari è la classica coincidenza.”

“Oh, cielo, è vero che l’architetto si chiamava Jones! Chissà dove avevo la testa!” esalò Emily, dandosi una pacca sulla fronte. “Comunque, non ho mai creduto nelle coincidenze e perciò glielo chiederò. Tanto, sarà qui in giro per un sacco di tempo.”

“E' carino?” si informò a quel punto la madre.

Emily scoppiò a ridere di gusto e, lasciandosi un po' andare sulla sedia a sdraio su cui era seduta, mormorò: “Mamma, vuoi che io mi dedichi ad attività orizzontale, o sbaglio?”

“Tesoro! Ma come parli?!” biascicò Margareth,cercando di darsi un tono con la figlia. Ma, in sottofondo, stava ridendo.

“Se ti può interessare, è piacente. Un tipo. Ha i capelli biondo castani, arruffati in modo simpatico, non disordinato. Non saprei dirti se sono mossi o se, semplicemente, si dimentica di pettinarli, ma gli donano. Ha gli occhi chiari, tra il verde e il nocciola, ed è piuttosto alto e dalle spalle robuste. Visto cos'aveva sul suo pick-up, non stento a crederlo. Alcune attrezzature sembravano davvero pesanti. Ti può bastare?”

“Come sei veniale.” Brontolò bonaria la madre. “E' simpatico? Ci si parla volentieri?”

“Devo presentartelo, la settimana prossima? Ti vuoi fare un toy-boy?” ironizzò allora Emily.

Il tono sempre più divertito della figlia fece imbarazzare Margareth che, vagamente burbera, borbottò: “Non si può parlare, con te, quando tocco quest’argomento.”

Passandosi una mano nella corta zazzera biondo platino – totalmente naturale – Emily disse più seriamente: “E' ciarliero. Un'autentica macchinetta. Sembra piuttosto colto, anche al di fuori del suo settore, e piace a Cleo. Si è lasciata fare un grattino tra  le orecchie al primo incontro, ma questo conta poco, visto che lei ama farsi fare i grattini da tutti. Però, pare che adori la sua risata, perciò qualcosa vorrà dire.”

“Che cagnolina dolce!” sospirò deliziata la donna.

“Pesa quaranta chili, mamma... andrei piano a darle della cagnolina” sottolineò Emy, pur apprezzando l'affetto dimostrato dalla madre nei confronti del suo cane.

“Cleopatra sarà sempre una cagnolina, per me.”

Rise dolcemente un attimo dopo ma, prima di chiudere la telefonata, si premurò di dire: “Manda almeno un'e-mail a tuo padre. Non ha il coraggio di chiamarti perché sa che non risponderesti.”

“Mi conosce, evidentemente” brontolò la giovane, intrecciando nervosamente le gambe.

Quando parlavano di Jordan Francis Poitier, i suoi recettori del dolore e dell’ira iniziavano a brillare come lucette di Natale, neanche fossero stati sul set di Stranger Things.

“Digli che stai bene” mormorò Margareth, salutandola l’istante seguente.

La luna fece capolino tra le nuvole dopo aver danzato dietro esili cirri, quando Emily chiuse la comunicazione e, nel sospirare, lei la osservò sperduta, non sapendo bene che fare.

Il muro tra lei e il padre era nato e cresciuto fin da quando, in quella maledetta grotta, aveva sentito Cattivo dirle che il padre non avrebbe mai pagato il riscatto. Al suo ritorno da quegli orrendi cinquantasei giorni di prigionia, le cose erano soltanto peggiorate.

Lo psicologo aveva fatto parte integrante della sua vita adolescenziale, fin dal giorno fortunoso della sua fuga, aiutandola a ritrovare l'equilibrio perduto e le certezze svanite.

Jamie l'aveva aiutata a suo modo, regalandole i suoi giocattoli degli Avengers,  promettendole solennemente che l'avrebbero protetta. Si era commossa quando il fratellino era entrato nella sua stanza, una sera, portando con sé il suo enorme martello di Thor in plastica.

Si era accoccolato accanto a lei nel letto e, con Mijollnir stretto in una mano, le aveva sussurrato: “Con questo, i cattivi non si avvicineranno più.”

Il piccolo, dolce Jamie.

Era stato lui la sua roccia, nonostante fosse il più piccolo di casa.

Con il padre, invece, era stato un susseguirsi di incrinature, spaccature, autentiche guerre psicologiche, una più terribile della precedente. Pur avendo avuto solo otto anni, all’epoca, le era stato chiaro solo un concetto; suo padre non aveva pagato per riaverla.

La stampa ci era andata a nozze per mesi, sottolineando quanto fosse stato rischioso quel tira e molla coi rapitori.

Emily l'aveva vista diversamente.

Non era stato un calcolo di rischio, ma semplice disinteresse.

Suo padre non l'amava come lei lo aveva amato fino al momento del rapimento. Punto.

Che si sentisse ancora in colpa, era il minimo.

Non voleva comunque offendere sua madre che, invece, aveva pianto lacrime amare fin dal primo giorno di quel tremendo evento.

Perciò, mogia, prese l'iPad dalla sua borsa e scrisse una breve e-mail al padre, giusto per pulirsi la coscienza.

 

Qui è tutto okay. Cleo si è mangiata una lucertola, ieri.

Ha vomitato l'anima, e il suo fiato ha puzzato per ore, in seguito.

Ho foto nuove per il libro che editerò l’anno prossimo. Vi mando

 una copia appena editano quello che sto ultimando adesso.

C’è un geologo dello zio, qui a Ned. Harry gioca a fare il curiosone?

Oppure gli interessano veramente le miniere? Emy

 

Era un testo maledettamente scarno, ma non riusciva davvero a fare di più.

***

Lo zaino pesava duecento chili, o giù di lì.

Non osava controllare ma, a giudicare da quello che ci aveva infilato dentro, sarebbe sembrato un maledetto marine in missione.

D'accordo che, per il lavoro che doveva fare, non c'era bisogno di una squadra di escavatoristi,... ma un aiutino, no?

Maledetti tagli sul budget e ancor più maledetti appaltatori – la sua ditta – del cavolo. Se solo gli fosse riuscito di parlare con la Silver & Gold Consolidated, che aveva commissionato i lavori, forse avrebbe potuto ottenere un aiuto ma, con il suo capo nel mezzo, era stato impossibile e, ancor più impensabile, era pensare di scavalcarlo.

Quello sì che avrebbe voluto dire cacciarsi nei guai.

Con il sole alto in cielo e l’aria frizzante a dargli il buongiorno, a Parker sembrò quasi una presa in giro pensare alle successive ore di lavoro, ma tant’era.

Nell’uscire dalla piccola casetta che la ditta gli aveva trovato, quella mattina, brontolava già come una pentola di fagioli.

La casupola assegnatagli si era rivelata, infatti, più carina di quanto non avesse pensato vedendola da fuori, disadorna e priva di giardino come gli era apparsa al suo arrivo.

Quando era entrato, aveva sentito il profumo di segatura e di fiori di campo – forse, perché l'avevano fatta arieggiare ampiamente prima del suo arrivo – e, al suo interno, aveva trovato il minimo indispensabile per sopravvivere.

Divano, TV satellitare da intenditore, un frigorifero enorme e un microonde.

Il regno delle favole, per un uomo.

Al piano superiore, Parker aveva scovato due camere da letto prive di orpelli, ma con tutto il necessario per sistemare abiti e oggetti vari. Era chiaro che la Silver & Gold si era aspettata l’arrivo di due operai, non uno. A conferma che il suo capo si era comportato come uno stronzo.

Tornando dabbasso, aveva studiato il soggiorno con cucina a vista, abbastanza spazioso per potervi lavorare la sera o per fare quattro chiacchiere con gli amici che, ben presto, si sarebbe fatto.

In fondo al corridoio, infine, aveva trovato il bagno, e una di quelle vecchie vasche in metallo con i piedi a forma di leone era il vero pezzo d’eccezione. Ci si poteva stendere senza problemi, tanto era ampia e lunga e, per uno alto quasi un metro e novanta, era un vantaggio non da poco.

Lì, si sarebbe rilassato dopo le sue scarpinate faticose, acciambellato dentro l'acqua bollente e la schiuma copiosa, come un bambino con la sua paperella di gomma.

Ora che era su un sentiero, però, con la carta topografica in una mano e il GPS nell'altra, Parker pensò bene di lasciar perdere quei pensieri e dedicarsi finalmente al suo lavoro. Risalendo per quell’erta, avrebbe trovato la sua prima miniera abbandonata nel breve arco di una mezz’ora e, da lì, avrebbe iniziato la sua ricerca.

Anni addietro, a causa della scarsa tecnologia e dei costi esorbitanti per l'estrazione dei materiali di profondità, quelle miniere erano state chiuse e abbandonate. Era però passato più di un secolo da quegli eventi, e le tecniche di estrazione avevano subito dei drastici cambiamenti.

Lui doveva soltanto scoprire se fosse il caso di riaprirle, o meno.

Soltanto. Beh, si faceva per dire.

Tra i carotaggi, gli esami di laboratorio – in quello, era un asso – e le analisi stratimetriche del terreno, avrebbe perso un sacco di tempo.

Lavorare in loco, però, faceva risparmiare tempo e denaro, e questo lo sapeva bene.

Se qualcuno, ogni santo giorno, avesse dovuto portare a Denver ciò che trovava per analizzarlo e catalogarlo, ci sarebbe voluto un secolo.

Incamminandosi a passo tranquillo, le mani impegnate a portare ciò che, nello zaino, non era entrato, si inerpicò perciò verso l'alto della montagna con un unico obiettivo.

La miniera di Cold Snow.

Prima  tra le sue innumerevoli tappe, era la più vicina al paese e, perciò, la sua meta prefissata, per quel giorno.

Avrebbe iniziato a spostarsi con il pick-up solo quando necessario.

Risalendo con passo lento, Parker lanciò soltanto distratte occhiate alla flora locale, composta principalmente da abeti rossi, pini ad alto fusto e larici.

Qua e là, speronella e aquilegia tingevano timide il sotto bosco, e rovi di more selvatiche – solo spine, niente more, vista la stagione – si intervallavano a rocce affioranti e piccoli cespugli pronti a fiorire.

Il canto di una ghiandaia azzurra attirò la sua attenzione, portandolo a fermarsi un attimo per cercarla con lo sguardo.

Con un sorso d'acqua strappato dalla borraccia, riprese il cammino dopo aver cercato invano la sua ghiandaia, accompagnato però dal canto del volatile introvabile.

Un picchio delle ghiande tamburellava con frequenza impressionante contro il tronco di un albero, mentre il ciangottare di alcuni scriccioli sembrava disturbare una coppia di scoiattoli.

Troppa confusione, su quell'albero.

Parker ridacchiò nel vederli correre come razzi su e giù per i rugosi tronchi dalle tinte calde, ma fu l'abbaiare di un cane a bloccarlo, sorprendendolo e preoccupandolo un poco.

Quando, però, vide giungere dalla sterrata la figura tricolore di un cane a lui noto, si chetò immediatamente e si aprì in un sorriso di benvenuto.

Le zampe forti di Cleo macinarono il terreno dinanzi a lei e, quando finalmente raggiunsero Parker, frenarono sul terriccio sollevando una nuvoletta di polvere.

Scodinzolando a tutta velocità, la lingua di fuori e il fiato corto, Cleopatra abbaiò quindi nella sua direzione una sola volta, come a volerlo salutare.

Parker allora allungò una mano per carezzarla sul capo mentre, in lontananza, la voce della sua padrona chiamava preoccupata la sua compagna a quattro zampe.

“Sei scappata perché hai sentito il mio odore, eh?” sorrise l'uomo.

La cagnolona strusciò il muso contro le sue ginocchia, come a dargli ragione.

“Emily! E' qui con me! Sono Parker!” esclamò poi, rendendosi subito riconoscibile.

“Parker? Già al lavoro!?” rispose a gran voce la donna, spuntando finalmente dall'erta e rendendosi così visibile.

Indossava una divisa da trekking alla moda, comoda e poco appariscente e, come aveva notato il giorno prima, scarponcini usurati ma di buona fattura.

Era sicuramente una donna abituata a girar per boschi, ma che non avrebbe sfigurato anche in un atelier.

“Buongiorno” la salutò, continuando ad accarezzare la sua cagnolona.

Non sapeva bene perché, ma gli dava l'idea di una donna che usasse spesso, come filtro, il suo cane da compagnia. L'aveva notato il giorno prima, alla tavola calda, e ancora ebbe quella sensazione quando gli occhi di Emily studiarono il comportamento di Cleopatra.

Lo sguardo che aveva lanciato a Cleo, quando si era fatta accarezzare, era stato eloquente. Quasi le avesse chiesto se, di lui, ci si potesse fidare.

Emily li raggiunse agevolmente, sulle spalle uno zaino da fotografo corredato da cavalletti a uno e tre piedi, borraccia legata in vita e GPS infilato nella fibbia dei pantaloni.

Probabilmente, aveva anche un telefono satellitare, con lei, o un battaglione di marines chiuso nello zaino. Gli sembrava una donna pronta a qualsiasi evenienza.

“Buongiorno a te, Parker. Stai andando alla Cold Snow?” gli domandò lei, richiamando a sé Cleo con una pacca sulla gamba.

Subito, il bovaro tornò obbediente da lei.

“Esatto. E tu?”

“Fotografie della zona, un servizio sulle miniere e poi a casa, a preparare un altro capitolo del libro che sto elaborando per la prossima guida del Colorado” gli spiegò lei, lanciando un'occhiata incuriosita ai suoi macchinari.

Lui ne seguì lo sguardo e, ridacchiando, ammise: “Lo so, sembrano dei transformers.”

“Se lo fossero, sarebbe fico” ironizzò lei. “Ti do una mano? Tanto, devo andare nella tua stessa direzione.”

“Ma no! Sono abituato, figurati.” Scosse il capo, ma la ringraziò con un sorriso.

“Pensi non possa farcela?” gli ritorse contro lei, inclinando il capo di corti capelli biondi.

Erano tagliati scalati, come se volesse dare di sé un'immagine trasandata, pur non essendola affatto. Quelle ciocche erano state sistemate ad arte da un coiffeur dalla mano sopraffina, poco ma sicuro.

Parker continuava a trovare Emily uno strano miscuglio di eleganza e nonchalance.

Era tutto e il contrario di tutto, e questo lo incuriosiva da matti.

Da bravo scienziato, se c'era una cosa che lo interessava, erano i misteri. Anche se, nel caso specifico, non erano fatti di terreno e roccia, ma di carne e sangue.

Allungando perciò una delle sue valige a Emily, tornò a incamminarsi, dicendo per contro: “Non sia mai che io venga accusato di maschilismo. Vuoi sgobbare? Fallo.”

Emy rise in risposta al suo commento ma, quando si ritrovò a scarpinare con non meno di dieci chili di macchinario alla mano, si divertì un po' meno.

Consolatoria, Cleo le camminò al fianco per tutto il tempo mentre Parker, come se niente fosse, le indicava zone favolose per alcune foto, o uccellini canterini dall'animo fashion.

Quando finalmente raggiunsero la bocca della miniera, chiusa da un lucchetto ormai vetusto e da barre trasversali di legno marcio, Emily poggiò a terra la valigia e ci si sedette sopra, esausta.

Piegandosi in avanti con il fiato corto e le braccia che chiedevano pietà, si lasciò andare a un lungo sospiro liberatorio, corredato da leccata sulla guancia da parte di Cleo.

Con aria vagamente accigliata – Parker pareva fresco come una rosa – Emy fissò l'uomo e mugugnò: “Fai il maschilista, la prossima volta. Assolutamente. Potrai anche usare epiteti come femminuccia o altro, ma dimmi di no! Cosa ci hai messo dentro? Piombo fuso?!”

Il geologo scoppiò a ridere di fronte al suo sarcasmo e, nell'aprire la sua valigetta, le mostrò la trivella con cui avrebbe fatto i carotaggi.

“Come puoi ben immaginare, è abbastanza pesante.”

“E qui dentro, cosa c'è?” si informò a quel punto lei, rialzandosi per stirare la schiena.

Quest'ultima emise un crac molto forte, tanto che sia Emily che Parker scoppiarono a ridere di gusto.

“E con questo ho chiuso la mia carriera di mulo da soma” chiosò la donna, carezzando la testa di Cleo, che le ciondolava al fianco, fidata e fedele. “E dire che pensavo di essere più robusta di così!”

“Io ti avevo avvertita” si premurò di dire Parker, scrollando le spalle. “Vuoi venire a dare un'occhiata? Così ti mostro a cosa servono questi aggeggi.”

“Ah... no, grazie. Passo. Io e le grotte non andiamo d'accordo” declinò lei, scuotendo una mano con fare divertito.

In realtà, dentro di sé stava tremando. Non avrebbe messo piede in un luogo chiuso e angusto come una grotta neppure sotto tortura.

I ricordi che le riportava alla memoria erano davvero troppo atroci, perché li affrontasse per mera curiosità.

Con la scusa di dover cercare nuovi scenari da inserire nella sua guida turistica, Emily si allontanò dalla bocca scura e inquietante della miniera.

Lui la lasciò andare e, nell’osservarla allontanarsi a passo spedito lungo il sentiero, si chiese cosa avesse provocato in lei quel lampo di puro terrore, che aveva adombrato per un istante i suoi occhi di colomba.

 

 

N.d.A: innanzitutto, scusate per il tremendo ritardo nel postare il secondo capitolo, ma ci sono volte in cui bisogna dare la precedenza ad altro, e io ero in uno di quei momenti. 

Premesso, ciò, scopriamo un po' di più come se la cava il nostro geologo, e come sta trovando il suo nuovo lavoro presso Nederland, oltre a capire meglio come vanno i rapporti tra Emily e i suoi familiari. Ci sarà tempo per tornare su entrambe le cose, non temete.


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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

3.

 

 

 

Lasciata l’auto a un addetto dello Sheraton Denver Downtown Hotel, Emily si lasciò il tempo per ammirare l’elegante albergo cittadino, prima di dirigersi verso l’entrata, porgendo il suo bagaglio a mano all’inserviente di turno.

Il sole si specchiava sull’ampia parete a vetri dell’enorme complesso dinanzi a lei, dando l’impressione che la facciata dell’hotel fosse ricoperta d’oro e pietre preziose.

Non che l’interno non le ricordasse antichi manieri europei, o eleganti ville dell’East Coast; la zona dell’ampio camino, posto all’entrate, era una delle preferite degli ospiti, che vi stazionavano a lungo per leggere, o chiacchierare in tutta tranquillità.

In generale, Emily si era sempre trovata bene, allo Sheraton e, più di una volta, si era incontrata lì con la madre o con Jamie, quando si  erano trovati di passaggio in Colorado.

Sua madre, per l’appunto, l’aveva chiamata il giorno prima per confermarle la sua presenza in città, in vista del gala benefico che stava organizzando nella Majestic Ballroom dell’albergo.

Emily non aveva trovato alcun motivo per non andare e, dopo aver lasciato Cleo a Gilda – con la promessa di una bella bistecca per la sua cagnolona – era partita alla volta di Denver per incontrare madre e fratello.

Erano circa sette mesi che non si vedevano, poco meno con Jamie – che aveva incontrato durante le festività natalizie –, ed Emy non sapeva esattamente come sentirsi.

Sua madre le mancava, ma sapeva bene cosa volesse dire per entrambe, incontrarsi. Ciò che lei le riferiva, finiva inevitabilmente con l’essere poi riportato anche a suo padre, e non sempre Emily era entusiasta di far sapere a Jordan Poitier come lei vivesse la sua vita.

A dirla tutta, erano ben poche le cose che Emily voleva che lui sapesse, a parte che non lo aveva ancora perdonato.

Aveva avuto solo otto anni quando, una notte di inizio maggio, i rapitori l’avevano strappata al suo letto e ai suoi affetti, complice un vernissage a cui i genitori avevano partecipato.

Per fortuna, il suo fratellino Jamie si era recato da amici per un pigiama party, quindi i rapitori avevano potuto scegliere solo lei per quell’aggressione mirata.

Dopo aver disinserito l’allarme generale, con l’aiuto compiacente di un dipendente della ditta di sicurezza – avevano scoperto poi, durante il processo –, erano riusciti a penetrare entro i confini della villa e penetrare nell’abitato.

La balia era stata stordita con un colpo alla nuca, colpo che le aveva provocato una lesione permanente al midollo spinale, costringendola per tutta la vita su una sedia a rotelle. Quanto ai cani, avevano subito una sorte ben peggiore.

I genitori li avevano trovati nel viale d’ingresso, sdraiati l’uno accanto all’altro ed entrambi uccisi da una dose letale di veleno, inoculata grazie a due dardi sparati da un fucile.

Erano seguiti cinquantadue interminabili, estenuanti giorni rinchiusa in una fredda e umida grotta degli Adirondack, nei pressi del Giant Mountain.

Di quel periodo, Emily ricordava ogni dannatissimo secondo, ogni più piccolo sgocciolio della roccia, ogni discussione dei suoi rapitori… persino i buffi origami che era stato solito regalarle Ray.

Al pensiero del giovane Ray Woodword, Emily sorrise beffarda. Suo fratello Simon lo aveva sempre chiamato ‘scemo’, almeno durante il periodo di prigionia che lei aveva trascorso con loro. Tutto questo, perché Ray aveva deciso di prendersi cura della loro potenziale miniera d’oro, della piccola che avevano rapito per fare soldi.

Né Simon né Vince, l’altro rapitore, avevano preso l’iniziativa di occuparsi di una bambina di otto anni, spaventata da quell’incubo a occhi aperti in cui era capitata suo malgrado.

Alla fine, Ray aveva potuto contare su uno sconto di pena proprio grazie alla sua testimonianza. Non se l’era mai sentita di infierire su Ray, per quanto anche lui avesse partecipato al suo rapimento.

Da quello che ricordava, sarebbe uscito di prigione da lì a qualche mese.

Il fruscio delle porte a vetri che si aprivano dinanzi a lei la riportò al presente, scacciando dalla sua mente quei pensieri opprimenti e di cui avrebbe fatto volentieri a meno per il resto della sua vita.

Avanzando a passo spedito attraverso l’atrio dai colori tenui e il lucido pavimento in marmo color crema, Emily giunse infine al banco informazioni e lì, educata, chiese della madre.

Un giovane in livrea color antracite la salutò educatamente, controllò in fretta sul suo computer dopodiché la indirizzò allo Sheraton Club, di cui la madre era socia.

Dopo aver ringraziato l’inserviente, Emily attraverso quindi un secondo atrio, dai toni dell’oro e del rosso, stavolta, lasciandosi alle spalle diverse persone ferme all’accettazione e bambini sorridenti che si rincorrevano tra loro.

Raggiunta che ebbe la porta che conduceva al club, vi trovò un usciere che già conosceva e che, vedendola, le sorrise per poi dirle: “Miss Poitier, buongiorno. La madre e il fratello la attendono al solito tavolo nei pressi delle scacchiere.”

“Buongiorno, Carl. Ti ringrazio molto.”

Con un sorriso e un saluto di commiato, si introdusse quindi all’interno del club, dalle linee innovative e moderne, i colori sobri e ampie vetrate che lasciavano intravedere la piscina dell’albergo.

Proprio come riferito da Carl, Jamie e sua madre si trovavano nei pressi delle scacchiere in alabastro – dove un paio di ragazzi stavano giocando con aria tesa e impegnata – e, dopo essersi fatta vedere, li raggiunse.

Accomodatasi su un divanetto color cipria, poggiò il soprabito di lana secca sul posto lasciato libero per lei e salutò i familiari con affettuosi baci sulle gote.

A quel punto, magicamente li raggiunse un cameriere in livrea che, consegnato al gruppo il menù, mormorò un benvenuto e si allontanò discretamente.

Emily sorrise divertita, di fronte a quel servizio così pieno di attenzioni, e sussurrò: “Da Gilda mi avrebbero dato una pacca sulla spalla e mi avrebbero rifilato subito dei quadretti di pizza.”

“E’ per questo che la adoro. Dimmi, è sempre convinta a non volermi sposare?” asserì Jamie, scorrendo velocemente il proprio menù con i chiari occhi grigi.

In questo, lui ed Emily si assomigliavano ma, contrariamente alla sorella – che poteva vantare naturali capelli biondo platino – Jamie li aveva castano chiari e tendenti al rosso. Per quanto le spiacesse ammetterlo, lei assomigliava al padre tanto quanto il fratello alla madre.

“Gilda ama troppo suo marito per scappare con te, e poi continua a dirmi che la tua è solo una passione passeggera, e che non può fidarsi dei bellocci come te” ghignò Emily, ammiccando al fratello.

“Così mi spezza il cuore!” esalò Jamie, portandosi una mano al petto con fare desolato.

Emily rise sommessamente e Jamie, ammiccando comicamente alla sorella, levò una mano per dare il cinque alla sorella maggiore.

Sorridendo a entrambi i figli, Margareth non poté che essere felice del loro evidente affiatamento, ma le spiacque che al marito non fosse riservato lo stesso trattamento.

La vicenda che aveva sconvolto la vita della sua famiglia era ben radicata nella  memoria di tutti loro e, per quanto fosse convinta che il marito avesse sbagliato, a suo tempo, non se la sentiva di mantenere le distanze da lui.

 A quel tempo, Margareth aveva ampiamente discusso con il marito in merito alla decisione sciagurata di non pagare il riscatto per riavere indietro la figlia ma, ugualmente, aveva continuato a supportarlo. Ad amarlo.

La sciagura che ne era seguita, poi, l’aveva convinta a non lasciare solo il marito. Due traumi a così breve distanza l’uno dall’altro, sarebbero stati difficili per chiunque, da sopportare.

Il dolore genuino di Jordan, così come i tentativi dell’uomo di recuperare un rapporto di qualsiasi genere con la figlia, l’avevano altresì convinta della sua buona fede. Convincere Emily e Jamie a dargli credito, però, era stato tutt’altro affare.

Jordan non le aveva mai spiegato i motivi di quella scelta, e suo cognato Armand – così come sua cognata Bérénice – non si erano mai espressi in tal senso, con lei, così come i vecchi Poitier.

Ciò che poi era successo a Bérénice, aveva complicato ulteriormente le cose.

La fuga rocambolesca di Emily aveva evitato il peggio – i rapitori avevano parlato di un ultimatum davvero terribile – ma, da quel momento, niente era più stato lo stesso.

Prima Bérénice, poi Emily… era stato un susseguirsi di emozioni fin troppo forti, per Jordan, e Margareth non aveva avuto la forza o la volontà di alzare un muro tra di loro. Aveva dovuto pensare innanzitutto a mantenere salda la famiglia.

“Mamma” disse per la terza volta Emily, sorridendole comprensiva.

Margareth si riscosse da quei ricordi dolorosi e si limitò a esporre un gran sorrisone, che però non bastò a ingannare Emily, la quale chiosò: “Non basto io a pensare a quei momenti? Ti ci devi mettere anche tu?”

Sospirando, la donna scosse una mano – richiamando così inavvertitamente anche il cameriere – e borbottò: “Sto diventando vecchia, se mi scopri con così tanta facilità.”

“Te l’ho già detto. Tu non sarai mai vecchia” replicò Emily prima di veder giungere a passi eleganti il cameriere. “Può portarci tre flute di Sauvignon Blanc della Napa Valley? Un 2013, grazie. E anche qualche pasticcino. Se possibile, con la granella di nocciole.”

L’uomo assentì elegante e le parlò delle torte preparate quel giorno dallo chef, che trovarono il pieno plauso della giovane.

Rimasti nuovamente soli, Emily chiosò: “Ho pensato che la cioccolata calda con dei marshmallow lo avrebbero sconvolto, così ho preferito fare la sofisticata.”

“Con gli otto gradi che ci sono fuori, in effetti, sarebbe stato il massimo…” assentì Jamie. “…ma va detto che qui dentro ce ne sono venti, e non ce la saremmo davvero goduta appieno. Comunque, rasserenati, il fronte freddo ha i giorni contati e, entro breve, potrai dire anche tu che è primavera.”

“Hai studiato il meteo locale, per caso?” ironizzò Emily.

“Tesoro, quando vengo a trovarti, devo sempre pensare a cosa mettere in valigia, se voglio evitare che mi si congeli tutto” sottolineò il giovane con tono falsamente snob.

Margareth ed Emily sorrisero divertite e, quando le loro ordinazioni vennero servite, quest’ultima propose un brindisi e chiosò: “Alla cioccolata calda che non abbiamo preso. Che le piantagioni continuino a produrre fave di cacao in eterno, così che la si possa bere anche in futuro.”

I tre brindarono a quello strano anelito e Jamie, nel sorseggiare il proprio vino – servito alla temperatura ideale, così che fosse fresco e aromatico al palato –, celiò: “Non capisco come tu non soffra di diabete, visto il cioccolato che mangi mediamente durante tutto l’arco dell’anno.”

“Sono brava a centellinarlo” sottolineò Emily.

“Centellinarlo… fai così anche con gli uomini? Non mi hai ancora chiamato per dirmi che devo sistemare qualche giovanotto troppo esigente!” ironizzò Jamie, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della sorella.

“Tu sei a schema fisso. Sembra che una donna non possa fare a meno di un uomo, per vivere.”

“No, cara. Precisiamo. Non possono fare a meno di me … ma, visto che sono tuo fratello, ahi te, non posso servirti a niente” precisò Jamie, scatenando la risatina della madre e il sospiro esasperato di Emily. “Per questo ti chiedevo se, grazie a qualche mistero recondito, tu fossi riuscita nell’impresa titanica di trovare qualcuno di speciale come il sottoscritto.”

“Dio! Dalla volta in cui lo hanno dichiarato il più sexy del circolo nautico, abbiamo finito di star bene” brontolò Emily, buttandosi sulla sua fetta di torta alle nocciole tonde del Piemonte e crema al cioccolato.

“Non dare la colpa a me, se le donne mi hanno reputato così affascinante e sposabile.”

“Ecco, appunto. Sposati, Jamie. Trovati una donna che sopporti il tuo ego smisurato e fammi felice” lo pregò a quel punto Emily, sorridendo per alleggerire quel rimbrotto.

Jamie però rise di gusto, scosse il capo e replicò: “E togliermi il gusto di scegliere con cura? No, cara. In questo sono come te. Non è facile trovare una donna che rispecchi i miei desideri.”

“E quali sarebbero, adesso? L’anno scorso erano ‘bella, divertente e chiassosa’. Stavolta come dovrebbe essere?”

Tornando serio, Jamie afferrò una mano della sorella, la sollevò fino a sfiorarle con le dita l’interno del polso e mormorò: “Deve essere coraggiosa, indipendente e fiera. Non mi interessa che sia miss Universo, o che abbia il conto in banca di Creso. Il problema è che, l’unica che conosco a essere così, è mia sorella, e onestamente non voglio macchiarmi di incesto.”

“Neppure io, credimi” ironizzò lei, afferrando quelle dita per stringerle tra le proprie. “Lisbeth ha combinato qualcosa, vero?”

Margareth assentì con fare indispettito e Jamie, ritirando a malincuore la mano, borbottò: “E’ stata un po’ troppo chiassosa, a quanto pare. L’hanno beccata a un festino a luci rosse assieme al senatore Patterson che, come ben sai, è sposato e con tre figli al seguito.”

Emily sgranò gli occhi per lo sgomento, esalando: “Ecco cosa succede a guardare poco la televisione. Non l’avevo affatto saputo!”

“Oh, tranquilla… non è colpa tua. Non l’hanno di certo pubblicizzato” brontolò piccata Margareth. “Noi lo sappiamo per gli ovvi motivi che tu ben sai.”

Scrutando spiacente il fratello, Emily allora mormorò: “Scusa se devo sottolinearlo, Jamie… ma te l’avevo detto.”

“Lo so, lo so. E’ per questo che ho deciso di pormi come ideale qualcuno come te. Direi che così non posso sbagliare, anche se rischio di restare solo come un uomo onesto in parlamento.”

“E limitarsi ad aspettare che qualcuna ti faccia battere forte il cuore, senza doverle fare il terzo grado per scoprire se corrisponde alla tua lista?” ipotizzò con ironia Emily.

Jamie si limitò a scrollare le spalle prima di mormorare: “Non mi fido molto del mio intuito.”

“Amen” chiosò la sorella. In effetti, con Lisbeth si era lanciato alla cieca, e la lista dei suoi pregi era nata dopo il loro primo appuntamento.

Dopotutto, forse, non era il caso di fare affidamento sulla spontaneità di Jamie. La sua lista poteva essere un buon metodo per non finire nei guai.

Sistemato che ebbe gli orecchini di perle, Emily si ammirò nell’ampio specchio tondo del bagno e, attenta, controllò che il lungo abito a sirena in raso color ghiaccio cadesse alla perfezione.

Contenta del risultato, abbinò al vestito delle décolleté nere di Michael Kors e, dal comò, recuperò la sua clutch trapuntata nera di Chanel.

Al collo portava il semplice giro di perle che le aveva regalato mamma per i suoi ventuno anni, mentre braccia e mani erano liberi da orpelli, a parte i suoi onnipresenti braccialetti in argento e lapislazzuli.

Era strano abbigliarsi in modo così elegante quando, per il resto del tempo, era solita indossare pantaloni da trekking, camice di flanella e maglie di cotone.

Non le dispiaceva mettersi in ghingheri, ogni tanto, e quel gala cadeva a pennello, ma le mancava già la sua Cleopatra, e sarebbe tornata volentieri a Nederland, una volta terminata quella festa.

Non era mai stata a suo agio, in quegli ambienti, e la maturità non l’aveva cambiata.

In quel momento, il cellulare squillò e, nell’accettare la videochiamata, sorrise a Gilda e – sorpresa sorpresa – a Parker che, a quanto pareva, stava facendo coccole spudorate a Cleopatra.

“Tesoro! Santo cielo, sei splendida!” esordì Gilda, facendo tanto d’occhi nel vederla attraverso la microcamera del cellulare.

Emily sorrise, ringraziandola e, indicando poi alle spalle della donna, domandò: “Che succede, Gilda? Qualcuno si sta facendo comprare?”

Scoppiando a ridere, Gilda assentì e ammise: “Parker è passato di qui mezzora fa per ordinarmi della pasta all’amatriciana e, quando ha visto Cleo, le si è incollato come una cozza.”

“Non sono una splendida cozza, però?” ironizzò dal fondo del locale Parker, facendo scoppiare a ridere la padrona di casa.

Anche Emily rise di gusto e, nell’asciugarsi una lacrima d’ilarità, domandò: “Cozze a parte, va tutto bene?”

“Ma certo, cara. Cleo è uscita con Cooper per una passeggiata e, da quel che ho capito, Parker la ospiterà per la notte perché, povero ragazzo, si sente solo tra queste montagne” ironizzò Gilda, ammiccando all’indirizzo dell’uomo che, in quel momento, stava spupazzandosi Cleopatra.

Emily non poté che esporre alla telecamera un sorriso enorme, cui corredò un ‘povero bambino sperduto’ gorgogliato con tono allegro.

“Prendete, prendete in giro, streghe malefiche asservite al male” borbottò con ironia Parker, sollevandosi finalmente in piedi. “Io sono abituato agli spazi aperti, alle vacche che pascolano, non ai lupi che sbucano sui sentieri e ti guardano come se fossi un alieno!”

“Oh… ti è già successo?” ironizzò a quel punto Emily.

Parker sollevò una mano per mandarla al diavolo e Gilda, sorridendo alla giovane, chiosò: “Questi uomini delle pianure… comunque, scherzi a parte, a te sta bene?”

“Per me non ci sono problemi. Vedo bene che Cleo non ha timore a stare in sua compagnia, perciò…” scrollò le spalle la giovane, sollevando la mano libera per disegnare un ok con le dita.

“A buon rendere” le disse allora Parker, strizzandole l’occhio.

Gilda a quel punto tornò seria, abbassò la voce e disse: “Divertiti, tesorino, e non pensare a Cleo. Ci occuperemo di lei come se fosse figlia nostra.”

“Lo so. E’ anche per questo che ve la affido senza paura. A domani” disse Emily, chiudendo la videochiamata con un bacio.

Emily rimase piuttosto colpita da quella chiamata, perché Cleopatra – per quanto docile – non dava mai tanta confidenza agli estranei. Era evidente che Parker rientrasse nelle sue simpatie al pari di Anthony, per cui stravedeva.

Il quieto bussare alla porta della sua stanza d’albero la spinse a volgere lo sguardo e, dopo un breve assenso, sorrise nel veder entrare il fratello.

Per quel gala, Jamie aveva puntato sul classico, con un elegante smoking di Gucci che gli calzava a pennello, camicia bianca immacolata e un papillon ripiegato alla perfezione.

Ai polsi portava i gemelli di famiglia, con la P dei Poitier messa in evidenza dalla madreperla che li ricopriva.

“Sei un figurino” disse Emily, pensandolo davvero.

“E tu mieterai vittime. Sei dimagrita ancora, Emy?” le domandò Jamie, aggrottando leggermente la fronte.

“Un paio di chili” ammise suo malgrado Emily, sospirando. Quando gli incubi tornavano, perdeva anche l’appetito.

Jamie sbuffò leggermente e, dopo aver controllato l’ora sul suo Rolex in platino, mormorò: “Mamma ci aspetta. Sei pronta?”

“Andiamo pure” assentì lei, accettando il braccio offerto dal fratello. “Niente da dire?”

“So già perché dimagrisci, sirenetta, perciò non ho bisogno di spiegazioni” replicò lui, torvo in viso. “Penso che verrò a trovare Cleo per un po’. In ditta possono anche fare senza di me, per qualche settimana.”

Bloccandosi a metà di un passo, Emily lo fissò sconcertata e borbottò: “Settimana?”

“Non mi ospiteresti? Devo pur trovare il modo di fare la corte a Gilda, no?” sottolineò Jamie, ammiccando.

Emy lo fissò esasperata, riprendendo a camminare verso l’ascensore per poi borbottare: “Ci mancavi solo tu, a volermi controllare a vista.”

“Chi altro ti controlla a vista?” ironizzò lui.

Nel salire nella cabina rettangolare dell’ascensore, Emy mugugnò: “Lo sai bene. Gilda e lo sceriffo sono peggio di due mastini, e poi…”

Un silenzio imbarazzato scese ad ammorbare l’aria e Jamie, fattosi serio, mormorò: “Anthony?”

“No… beh, sì. Ma anche no” balbettò incoerentemente lei, prima di maledirsi per la propria insicurezza. “Insomma, è la quintessenza dell’educazione, della pazienza e della ragionevolezza, e io mi sento un’idiota per la metà del tempo, e per l’altra metà una stronza.”

“Non c’è male” chiosò il giovane, fischiando per la sorpresa.

Jamie conosceva benissimo i trascorsi della sorella con Anthony, figlio del titolare dell’elegante albergo dove sua sorella aveva soggiornato durante il primo periodo a Nederland, e capiva bene perché Emily si sentisse a disagio.

Era difficile non esserlo, sapendo di aver quasi fatto impazzire un brav’uomo nel verso senso della parola, e tutto a causa delle proprie idiosincrasie.

La sorella non era mai scesa nei dettagli, ma gli aveva fatto capire come, la crescente intesa tra lei e Anthony, l’avesse mandata nel pallone in un momento di intimità.

Le sue paure erano saltate fuori quasi come una carica di cavalleria, ed Emily aveva avuto un’autentica crisi di panico.

Anthony era stato fin troppo dolce e paziente, e le aveva detto di comprendere e, da quel poco che Jamie sapeva, lui l’aveva semplicemente lasciata andare, dandole spazio e tempo per riflettere.

Per vivere la sua vita.

Per riappropriarsi di se stessa, innanzitutto.

L’evidente disagio della sorella poteva voler dire molte cose, ma Jamie non se la sentì di indagare oltre. Non era quello il momento.

Le porte dell’ascensore si aprirono dinanzi a loro, lasciando che le luci calde della hall li avvolgessero col loro calore e Jamie, avanzando assieme alla sorella, mormorò: “Andiamo a divertirci, sorellona.”

“Quando mai non è successo?” replicò lei, sorridendo.

Ampi lampadari in stile liberty si allargavano sul soffitto a cassettoni color crema e oro, mentre stupendi vasi ricolmi di fiori si slanciavano verso l’alto dagli ampi tavoli imbanditi per l’occasione.

Sulle pareti color Terra di Siena erano stati appesi i ritratti di coloro che sarebbero stati i protagonisti della serata; il corpo dei Vigili del Fuoco di Denver. La sera di Natale, avevano salvato la vita a non meno di quaranta persone, in totale sprezzo del pericolo, e due di loro avevano perso la vita nell’adempimento del proprio dovere.

Per onorarli, la città aveva officiato dei funerali di Stato per le due vittime del rogo – avvenuto all’interno di un hospice – e intrapreso diverse attività atte a sostenere le famiglie e il Corpo.

Harry Cunningham, fratello di Margareth ed ex Vigile del Fuoco volontario, aveva voluto contribuire a sua volta a dare una mano e, grazie alla sorella, aveva messo in piedi quel vernissage per raccogliere fondi per la causa.

Margareth aveva intrattenuto i circa trecento ospiti con un breve discorso introduttivo prima di dare il via alla festa vera e propria, cui era seguita una cena e un ballo in grande stile.

In quel momento, Margareth stava parlando con alcuni imprenditori dell’acciaio di Seattle, tutti apparentemente incantati dalla sua parlantina sciolta e il suo charme. Emily la osservò mettere in campo tutto il suo fascino e la sua arguta intelligenza, le stesse qualità che avevano fatto capitolare il vecchio Poitier, facendola accettare nella ricca e potente famiglia del futuro marito.

“Mia sorella mi sorprende sempre. Come al solito, anche questo gala è splendido” esordì una voce alle spalle di Emily.

Volgendosi a mezzo, la giovane sorrise all’uomo magro ed elegante che le stava innanzi e, abbracciandolo con calore, mormorò: “Zio Harry. Che bello vederti!”

“Tesoro, devo dirtelo. Diventi più bella ogni giorno che passa.”

Accentuando il suo sorriso, Emy si scostò per scrutare l’uomo, alto di statura e dal portamento elegante e fiero. Nessuno avrebbe potuto mettere i piedi in testa a Harry Cunningham, di questo Emily era più che certa.

Il suo carattere deciso, la sua capacità imprenditoriale e, non da ultimo, la sua simpatia, lo avevano aiutato non poco, quando aveva iniziato a lavorare in campo minerario. Come accadeva in molti ambiti, anche quello era dominato da vecchie e prestigiose famiglie, ed essere figli di operai non aiutava a farsi notare.

Il suo operato – e il suo fiuto per gli affari – avevano però creato la magia perfetta e, giunto all’età di sessantatre anni, Harry era uno dei magnati più importanti nel suo campo.

“Dove hai lasciato zia Maude?” si chiese Emily, guardandosi intorno.

“Oh, è a casa con Kathleen e Susan. Sono riuscite a farsi espellere all’unisono da Dartmouth, e dobbiamo ancora scoprire perché” ironizzò Harry, i chiari occhi azzurri spalancati per lo stupore e l’ironia.

Scoppiando in una risatina limpida, Emy esalò: “Credo che entrerà negli annali della famiglia!”

“I gemelli sono sempre stati dei peperini, ma stavolta pare che abbiano dato il meglio di loro stessi” chiosò l’uomo, parlando con un certo orgoglio delle proprie figlie minori. “Ho visto tuo fratello, prima. Sembra in forma, nonostante il caos provocato da Lisbeth.”

“Jamie è una roccia ma non dubito che, dentro di sé, si sia rammaricato non poco di averle dato corda” ammise Emily, sorseggiando del buon vino californiano.

“Certe donne attirerebbero nei guai anche un santo” motteggiò Harry, brindando assieme alla nipote.

“A proposito di santi, il tuo geologo doveva recarsi alla Saint Mary proprio in questi giorni, da quel che so” chiosò Emily, fissando piena di curiosità lo zio.

Zio che, sgranando leggermente gli occhi, esalò confuso: “Saint… Mary? Mio… geologo? Parli per enigmi, cara?”

“La Saint Mary è una vecchia miniera, e il geologo è Parker Jones” gli rammentò lei, sorridendo melliflua.

“Oooh” mormorò lui, annuendo ora con vigore. “D’accordo, la mia memoria sta cominciando a mostrare i primi segni di cedimento. Dimenticavo che i ragazzi hanno appaltato i lavori a una piccola impresa di città. Ho ricevuto il primo resoconto giusto l’altro ieri.”

“Quindi, sei davvero interessato a riaprire qualche miniera nella zona?”

“Tesoro, il mercato è mutevole come il carattere di una donna…” ironizzò l’uomo, facendola sorridere divertita. “… ma, più di tutto, lo sono i malati di tecnologia. E la tecnologia richiede minerali nobili che, guarda caso, venivano estratti in zona. Sto solo cercando di capire se, a tutt’oggi, valga la pena riaprire qualche sito.”

“Io non c’entro niente, quindi.”

“Ti amo davvero tanto, Emy…” le sorrise Harry, dandole un buffetto sul braccio. “… ma non ficcherei mai il naso a questo modo nei tuoi affari. Mi basta chiamarti, se voglio sapere come stai.”

“Vero” ammise lei. In effetti, suo zio non si era mai fatto grosse remore, nel chiamarla, ed Emy ne era stata ben felice. Tutt’altra storia era stata con zio Armand, che invece si era defilato subito dopo la fine del processo.

Fosse stato a causa di zia Bérénice, o per qualche altro motivo, lo zio non si era quasi più fatto sentire.

Con zio François, invece, il piccolo di casa Poiter, intratteneva una lunga e prolifica amicizia epistolare. Quasi obbligata, tra l’altro, visto che François viaggiava per il mondo per quasi undici mesi l’anno.

In parte, le spiaceva non avere lo stesso rapporto con suo padre, ma non se la sentiva davvero di perdonarlo, nonostante lui avesse tentato in tutti i modi di riallacciare i rapporti.

La ditta aveva contato molto più di lei, a suo tempo, e su questo non sarebbe mai passata sopra.

“Sirenetta… esci da lì. I tuoi occhi si sono fatti tristi” sottolineò Harry, ammiccandole comprensivo.

Era buffo come suo zio fosse sempre stato capace di leggerle dentro. Prima ancora di sua madre, prima ancora di Jamie.

Lei assentì, scacciò i brutti pensieri e tornò a dedicarsi a Harry, dicendo: “Comunque, volevo farti sapere che Parker Jones mi sembra un tipo competente. Si è messo subito al lavoro, senza aspettare, e trasporta tonnellate di macchinari tutto da solo.”

Sorridendo divertito, Harry dichiarò: “Oh, ricordo bene quanto pesano le trivelle, i carotatori e quant’altro. Mi spiace però sapere che il suo titolare lo abbia mandato da solo. Forse, avrei dovuto specificare che era un appalto per almeno due persone. Quindi, tu mi dici che è un tipo affidabile? E come lo sai?”

Irrigidendosi leggermente, lei borbottò: “Non pensare subito male. L’ho solo accompagnato alla Cold Snow. Inoltre, piace a Cleo.”

“E con questo chiudiamo la partita. Se piace a Cleopatra, io sono a posto” chiosò Harry, sfregandosi le mani soddisfatto.

Ridendo divertita, Emily esalò: “Se farà dei cuccioli, te ne regalerò senz’altro uno.”

“Non vedo l’ora” asserì l’uomo, prima di fare un cenno a qualcuno.

Emily non fece in tempo a volgersi che Jamie le avvolse la vita con un braccio, attirandola a sé per un bacio spontaneo sulla tempia.

Quel gesto improvvisato e tutt’altro che naturale, per il fratello, la fece però irrigidire tutta e Jamie, spiacente, allentò subito la presa e mormorò: “Ops. Scusa. E dire che dovrei saperlo.”

“Non fa niente. So che sei tu. E’ solo un riflesso” replicò lei, appoggiandosi quindi contro al fratello per farsi perdonare.

Era inutile. Per quanto si sforzasse, il suo corpo reagiva malamente a qualsiasi cosa a cui lei non fosse seppur lontanamente pronta, ivi compresi gli abbracci spontanei del fratello.

Si demoralizzava ogni volta, al pensiero di ferirlo, ma non era ancora riuscita a trovare il modo per evitarlo.

Jamie allora le sorrise e spostò il braccio dalla sua vita alle sue spalle, così da renderle più semplice accettare la sua presenza.

Era difficile, per lui, sopportare simili distanze, poiché era sempre stato molto affettuoso e fisico, negli atteggiamenti, specialmente dopo il rapimento.

Forzarlo a essere meno espansivo era paragonabile a tarpare le ali a un’aquila, ed Emily lo sapeva bene, ma sperava di poter risolvere anche quel problema, un giorno.

 

 

N.d.A.: Piccolo spaccato mondano della vecchia vita di Emily, a cui lei non si è mai abituata. Facciamo anche la conoscenza con suo fratello Jamie, la madre Margareth e suo zio Harry, scoprendo altresì che i rapporti con la famiglia Cunningham sono decisamente migliori rispetto a quelli con la famiglia Poitier (con l'eccezione di zio François). Sarà solo a causa del rapimento di Emily, o ci sarà dell'altro? E cos'è successo a Bérénice? Tenete a mente la sorella di Jordan e Armand, perché avrà un ruolo piuttosto importante, nel passato di Emily.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4.

 

 

 

 

Era divertente vedere come Jamie si stesse impegnando per evitare il maggior numero possibile di pozzanghere, disseminate lungo il tratto di strada che conduceva a casa sua.

L’amore per le auto era secondo solo all’amore per il mare, per il fratello, e sapere di stare riducendo la sua Mustang Shelby 500 a un ammasso uniforme di fango, sicuramente lo stava mandando al manicomio.

Abitare nei paesini di montagna, però, poteva comportare anche arrampicate lungo erte sterrate e, benché casa sua si trovasse nei pressi del centro di Nederland, la strada non era asfaltata.

Quando infine raggiunse il cortile della sua proprietà e si vide affiancare da Jamie, Emily non poté più reprimere la risata che le era rimasta bloccata in gola fino a quel momento.

Jamie stava imprecando della grossa e, anche quando scese per scoprire il disastro che si era compiuto sulla sua auto, le parole continuarono a fluire come un fiume in piena.

Fiume che, però, si arrestò immediatamente non appena, nel giardino dei vicini, fece la sua apparizione un bambino di circa sette anni.

Emily sorrise spontaneamente nel vedere Mickey Larson e il bimbo, riconoscendola, si avvicinò alla bassa staccionata di tronchi, esclamando: “Emy, ciao! Cleo è ancora da Gilda? O è con Parker?”

A quanto pareva, le notizie correvano più veloci della Mustang del fratello ed Emily, sorridendo al figlio dei vicini che tanto adorava, assentì e si avvicinò a lui.

“Ciao, Mickey. Vado a prenderla adesso al diner. Ti ricordi di mio fratello Jamie?”

Lui assentì con ampi gesti del capo ma, nel vedere la sua auto insozzata di fango, scoppiò a ridere e disse: “Mi sa che devi pulirla tutta, adesso.”

“Temo di sì” sospirò Jamie, lanciando un’occhiata demoralizzata all’auto.

In quel mentre, uscì in giardino anche Consuelo, la madre di Mickey e, con un gran sorriso e un vassoio in mano, esordì dicendo: “Appena ti ho vista arrivare, sono corsa in cucina. Ho appena fatto la torta di ribes per te.”

“Sei un tesoro, Consuelo, ma non dovevi disturbarti” replicò Emily, pur accettando il presente. “Come va con il discolo lì dentro?”

Consuelo rise nel battersi una mano sul ventre prominente e asserì: “Oggi ha fatto gli straordinari, ma Mickey è stato così bravo da cantare una ninna nanna per il fratellino. A quanto pare ha funzionato, perché si è calmato un poco.”

Ammiccando poi a Jamie, che le stava sorridendo cordiale, aggiunse: “Quand’è che ti vedrò arrivare con una donna, invece che con un’auto nuova?”

“Se vuoi fuggire con me, io sono sempre pronto, Consuelo” ironizzò Jamie.

“Credo che il mio Sam avrebbe qualcosa da ridire” ammiccò la giovane, poggiando le mani sulla schiena per stirarsi un poco. “Ora, credo che andrò a sdraiarmi. Ha ricominciato a scalciare.”

“Vengo a cantare, mamma!” si offrì subito Mickey, eccitato all’idea di poter essere d’aiuto.

“D’accordo” assentì la madre, salutando poi i Poitier con un gran sorriso e la promessa di una cena insieme.

Ritiratisi in casa per riporre le loro valige, i due fratelli si guardarono vicendevolmente prima di decidere di raggiungere subito il diner di Gilda, lasciando il resto a un secondo momento.

Di buon passo, quindi, presero a discendere lungo il ciglio della strada e Jamie, nell’osservare l’erta interrata, borbottò: “Ma quando ve la asfalteranno?”

“Quando il Governatore si ricorderà che ci abita qualcuno, qui” ironizzò Emily, lanciando un’occhiata distratta alla trentina di case che sorgevano lungo quel tratto di mulattiera lungo miglia e miglia, e che si inerpicava nei boschi sovrastanti.

“Lo dirò alla mamma. Lei lo conosce, e potrebbe mettere una buona parola” dichiarò lapidario Jamie, lanciando occhiate irritate alle pozzanghere melmose.

“Solo perché ti si è inzaccherata l’auto?” rise Emy, camminando con facilità sul bordo erboso grazie alle sue Salomon Speedcross3.

Jamie si era intestardito nel voler indossare i suoi mocassini, ma ora Emily era più che sicura che se ne fosse pentito.

“E’ una questione di sicurezza” precisò lui, sollevando un dito con fare piccato.

Lei rise di gusto a quel commento e Parker, impegnato in quel momento a sistemare il suo pick-up in cortile, levò il volto ombroso per capire cosa stesse succedendo.

Nel vedere Emily in evidente intimità con un giovane mai visto prima nei dintorni, intenta a discendere con lui lungo Ponderosa Drive, si chiese chi fosse e se la gente del posto lo conoscesse. Ora del tutto disinteressato al pick-up e ai danni occorsi durante l’ultimo lavoro di ricerca, poggiò le mani sui fianchi e si mise a curiosare con lo sguardo la coppia in avvicinamento.

In quei giorni aveva pensato – forse scioccamente – di aver visto più o meno tutti i mille e pochi altri abitanti di Nederland presso il bar di Gilda ma, evidentemente, quel tipo se l’era perso.

Oppure, non era affatto del posto. Dalla loro affinità, però, sembravano conoscersi molto bene e davano l’idea di provenire dallo stesso luogo, dallo stesso stampo primigenio, per così dire.

Anche quel giovane aveva la stessa classe innata che possedeva Emily, quell’aura di antichi fasti che pareva permeare la giovane come un profumo persistente e mai del tutto scomparso.

Che fosse…

“Ciao, Parker!” esclamò Emily, salutandolo per poi fermarsi di fronte al suo cortile. “Allora? Com’è andata la notte con Cleo?”

“Ciao, Emily. Quella cagnolona è adorabile, ed è stato un piacere tenerla con me” replicò Parker, studiando la coppia con attenzione. A ben vedere, avevano occhi molto simili, e anche l’incarnato non si discostava molto. “Gilda è venuta a prenderla stamattina per portarla a passeggiare assieme al suo corgi, perciò dovreste trovarli al diner, ormai.”

“Lui è Jamie, mio fratello” disse nel frattempo Emy, indicandoglielo.

Per l’appunto, pensò tra sé Parker, spolverandosi le mani nello straccio che teneva nella tasca dei pantaloni per poi offrirla al giovane.

“Molto piacere, Parker. Quindi, tu sei l’uomo di mio zio” dichiarò Jamie, stringendo con forza la mano protesa del geologo.

Sgranando leggermente gli occhi per la sorpresa, Parker squadrò Emily in cerca di risposte e lei, con un sorrisino, disse: “La ditta che vi ha commissionato i lavori appartiene a nostro zio.”

“Ah… Harry Cunnigham è …vostro zio” gracchiò Parker, prima di scoppiare a ridere divertito. “Beh, il mondo è davvero piccolo, a quanto pare.”

“Abbastanza” assentì Emily, notando solo in quel momento il danno al pick-up di Parker. “Problemi lungo i sentieri sterrati?”

“Una buca assassina, più che altro. Lo pneumatico ha ceduto ma, fortunatamente, il semiasse ha resistito all’urto” le spiegò lui, mentre Jamie già si sollevava le maniche della felpa che indossava.

Divertita, Emily osservò il fratello mentre, con la competenza di un meccanico da Formula Indy, si apprestava a dare una mano a un sempre più perplesso Parker per terminare il lavoro.

Quest’ultimo non poté far altro che accettare l’aiuto, in parte divertito e in parte sconcertato dall’atteggiamento del giovane appena conosciuto. Evidentemente, non solo Emily aveva l’abitudine di sconcertare le persone.

A prima vista, Jamie Poitier poteva sembrare il classico snob delle classi agiate, dagli abiti di sartoria pregiata e le scarpe dai nomi altisonanti ma, di fronte a una quattro ruote, sembrava perdere qualsiasi inibizione.

Chiesto a Parker di poter usare il suo carrellino sottoauto per controllare la situazione delle cuffie dello sterzo, Jamie si infilò sotto il pick-up come se lo facesse d’abitudine. E al padrone dell’auto non restò altro che osservare quel ragazzo dell’East Coast, dai bei lineamenti e la parlata elegante, vestire i panni del meccanico.

Emily, a quel punto, si appoggiò alla staccionata per osservare i due uomini con espressione divertita. Le era sempre piaciuto il modo in cui Jamie si relazionava con le persone, e anche quella volta non la deluse.

Lui era la quintessenza della spensieratezza, della semplicità e della genuinità e, anche se poteva contare su un patrimonio personale a sei zeri, non lo avrebbe mai sbandierato come solevano invece fare altre persone di loro conoscenza.

Certo, Jamie sfruttava le sue conoscenze e i suoi soldi per condurre una bella vita, ma non aveva mai prevaricato nessuno, nel farlo. E, se poteva, utilizzava proprio la sua posizione per aiutare chi non aveva altrettanta fortuna.

Emily ricordava ancora quando, durante il terremoto di Haiti del 2010, era partito in prima persona con i membri di una Onlus di cui era membro, tornando a casa solo tre mesi dopo.

Ciò che aveva visto in quei luoghi lo aveva così segnato da spingere Emily a volerlo lì a Nederland a tutti i costi, così che la sua mente potesse riprendersi dallo shock.

Vedere tutti quei bambini senza più genitori, la devastazione lasciata dal terremoto, o l’arrivismo di certi sciacalli a stento controllati dalla polizia, lo aveva devastato. Suo fratello era così; molto solare, ma anche sensibile. A volte persino troppo.

“C’è una piccola perdita in un manicotto, ma niente che non si possa risolvere” disse in quel mentre Jamie, strappando la sorella a quei ricordi tristi.

“Devi avere un occhio di falco, perché non l’ho affatto notata” esalò Parker, ammiccando a Emily un attimo dopo, la quale sorrise per diretta conseguenza.

“Jamie ha olio da motori al posto del sangue e, se controlliamo bene, potrebbe avere camme e pistoni, invece di cuore e polmoni” ironizzò Emy, sollevandosi con un balzello dalla staccionata. “A lor signori scoccia se vado a riprendere Cleopatra mentre voi giocate a Meccano?”

“Fatti preparare da Gilda le sue famose lasagne, così le mangeremo insieme più tardi. Mi sono mancate” le propose allora il fratello.

“Mangi con noi?” domandò a quel punto Emily, scrutando curiosa Parker.

“Non vorrei disturbare” sottolineò Parker, per pura cortesia.

“Nessun disturbo” decretò Jamie, allungando una mano per chiedere una chiave a brugola.

Emily, allora, li salutò per incamminarsi verso la locanda di Gilda ma, non appena raggiunse il fondo dell’erta e mise piede sull’asfalto, la berlina di Anthony apparve nel suo campo visivo.

Come sempre, la vista del giovane la turbò per svariati motivi ma, sapendo bene di non doversi comportare da stupida, si incollò in viso un bel sorriso e lo salutò con una mano.

Lui rallentò fino a fermare l’auto sul bordo strada e, nel calare il finestrino della sua Ford Taurus blu notte, sorrise di rimando e disse: “Ciao, Emily. Sei rientrata dal tuo viaggio, allora.”

Annuendo, Emy infilò le mani nelle tasche dei jeans, non sapendo cosa farsene e, indicando con il capo verso l’alto, replicò: “Mi sono tirata dietro mio fratello, nel frattempo.”

“Credo piuttosto che Jamie si sia autoinvitato, conoscendolo” ironizzò il giovane, passandosi distrattamente una mano tra le onde di capelli castani, arruffate da un’improvvisa folata di vento.

Emy non poté che ridere di quel commento. In effetti, fino a quando tutto era andato bene, tra loro due, anche Jamie e Anthony avevano potuto portare avanti una sorta di amicizia a distanza.

Skype si era rivelato molto utile, in tal senso, ma Emily aveva rovinato tutto andando fuori di matto e spingendo Anthony ad allontanarsi per la sua stessa salute mentale. Di comune accordo, anche Jamie si era allontanato da Tony, così da non costringerlo a essere sotto pressione a causa della sua parentela con Emily.

“Emy…” mormorò Anthony, riportandola al presente e guardandola con espressione comprensiva e dolce.

“L’ho rifatto. Scusami” sospirò la giovane, scuotendo irritata il capo. Ma perché con Parker riusciva a essere spigliata e tranquilla, mentre con Anthony si ritrova a vagare nel dubbio e nell’ansia?

“Non devi mai scusarti di nulla, davvero. Io capisco” asserì Anthony.

“Ma non sei tenuto a scusarmi!” sbottò Emily, prima di esalare un sospiro irritato e borbottare: “Dio! Dovrei tornare in analisi, altro che storie!”

“Non per me, poco ma sicuro” cercò di rincuorarla lui, sorridendole.

“Dovrebbero farti santo” ironizzò a quel punto Emily, ridendo nervosamente.

Anthony fece per replicare ma, nel veder passare il padre sulla sua Range Rover scura, si azzittì e aggrottò la fronte.

Emily lo osservò a sua volta passar loro accanto, la fronte accigliata e lo sguardo odioso puntato sul figlio.

Non aveva mai sopportato quell’uomo, fin dai tempi in cui si era trasferita a Nederland e aveva soggiornato per i primi mesi nell’albergo della famiglia di Anthony.

William Consworth si era dichiarato fin da subito lieto di poter accogliere, nel suo piccolo albergo di montagna, la figlia di un ricco magnate dell’Est – suo padre aveva insistito per pagare tutte le spese fino all’ultimazione della casa, e lei aveva suo malgrado accettato.

Consworth senior l’aveva trattata con tutti i riguardi, riservandole un trattamento davvero speciale e obbligando il figlio a farle praticamente da servo della gleba.

O almeno, quelli erano stati i suoi intenti. Lei e Anthony avevano però fatto di testa loro, infischiandosene dei ben poco segreti desideri dell’uomo.

Emily non aveva mai avuto bisogno di domestici, né Anthony aveva mai pensato che lei avesse bisogno di questo, da lui.

Quel puntiglio nel non voler rispettare i dettami di Consworth senior aveva spinto entrambi ad avvicinarsi, ad approfondire la conoscenza e, da quella conoscenza, era nato un sentimento profondo.

E il successivo disastro.

“Lui non la pensa come te” mormorò Anthony, facendola sbuffare per diretta conseguenza e ritornare al presente..

“Tuo padre ha sempre preteso troppo. Scusami, ma la penso così” scrollò le spalle Emy, accigliandosi a sua volta.

“Oh, non scusarti per quello che hai detto. Dici solo a voce alta quello che io penso da tempo” cercò di ironizzare lui, prima di aggiungere divertito: “Sbaglierò, ma la tua cagnolona ti ha visto, e ora sta tentando di attirare la tua attenzione.”

Sobbalzando leggermente per la sorpresa, Emily si volse verso la locanda e, scoppiando a ridere, vide Cleopatra davanti alla porta d’entrata assieme a una delle cameriere di Gilda, che la teneva al guinzaglio perché non scappasse in strada.

Il bovaro bernese stava passeggiando avanti e indietro, scodinzolando freneticamente e guardandola con occhi pieni di speranza e di gioia.

“Di questo passo farà un solco davanti all’entrata” esalò Emily.

“Ti lascio andare da lei, allora. Quanto al resto, fai una passeggiata con Cleopatra. Funzionerà meglio di mille sedute dal terapista” le consigliò Anthony, arrischiandosi ad allungare una mano per darle una pacca sul braccio.

Lei afferrò quella mano, la trattenne per un attimo e mormorò: “Anthony, senti…”

“Te lo dirò finché non ne sarai convinta. Va tutto bene. Non sei pronta? Va bene. Vuoi un altro uomo? Non andrebbe così bene, ma me lo farei stare bene. Tengo a te come amica, innanzitutto. D’accordo?”

Lei storse il naso, lasciò andare la mano e borbottò: “Ribadisco. Dovrebbero chiamarti Sant’Anthony.”

“I santi, di solito, sono morti, e io non ci tengo a cambiare così tanto status” ironizzò lui, svincolandosi con gentilezza.

Lei lo lasciò andare e, nel salutarlo quando l’auto ripartì, si sentì sprofondare in un baratro di colpevolezza e rabbia.

Nel raggiungere infine la tavola calda a grandi passi, sorrise a Susan – la cameriera del diner che aveva accompagnato fuori Cleo – a mo’ di saluto e domandò: “Da uno a dieci, quanto sembravo stupida?”

“Non tanto, dai” cercò di tranquillizzarla, mentre le offriva il guinzaglio di Cleopatra. “Pensa a questo; sai che Anthony è il tipo giusto, visto che ti sta ancora aspettando.”

Susan era una delle poche a conoscere i veri motivi che l’avevano spinta ad allontanarsi da Anthony, facendo colare a picco di colpo la loro relazione.

Oltre a lei, soltanto Gilda e Jamie conoscevano tutta la storia. Per gli altri abitanti di Nederland, invece, era stata colpa di William, se loro due si erano lasciati, e a lei stava anche bene così.

Che William si prendesse pure quella colpa, con quello che faceva passare ogni santo giorno al figlio!

“E se io non fossi mai pronta per lui? O per qualsiasi altra persona?” sbottò Emily, passandosi una mano nervosa tra i capelli biondo platino.

“Con Parker vai d’accordo, no?” le fece notare lei, ammiccando maliziosa.

“Beh, sì, però… insomma…”

“Emy, quando sei arrivata qui, sembravi un pulcino bagnato appena uscito dal guscio. Eri terrorizzata dalla tua stessa ombra e, quando ti sei messa con Anthony, forse era semplicemente troppo presto. Ora, con Parker, sembra che tu abbia raggiunto un buon equilibrio. Mi sei sembrata spigliata e tranquilla, con lui.”

“Ma non ci voglio fare nulla, con Parker!” brontolò Emily, arricciando il naso per il fastidio.

Susan rise divertita, di fronte alla sua reazione e replicò: “Mica te lo devi portare a letto, tesoro. Ma se ti fa star bene, ben venga, no?”

“E se lui interpretasse male? Se…” tentennò lei, subito interrotta da Susan.

“Ovviamente non conosco bene Parker, ma non mi sembra un idiota. Se dovessi proprio vedere che lui vuole portare il vostro neonato rapporto in un’altra direzione, gli dirai di no” scrollò le spalle Susan, prima di ammiccare e domandare: “Perché non vuoi, vero?”

“E’ chiaro” sbuffò Emily, dandole un buffetto sul naso.

Susan ammiccò maliziosa e, nell’invitarla a entrare nella tavola calda, mormorò cospiratrice: “Sii chiara da subito, perché ho intenzione di provarci io, con lui.”

“Fai pure” borbottò ridente Emily, sospingendola all’interno.

***

“Ancora a perder tempo dietro alla Poitier? Non ti è bastato essere mollato una volta? Devi per forza renderti ridicolo e farti vedere da mezzo paese mentre le sbavi dietro come se fossi l’ultimo uomo sulla Terra?” esordì con una certa acredine William Consworth, entrando nel garage dove Anthony stava sistemando la sua moto da enduro.

Il giovane levò appena lo sguardo per inquadrare la figura imponente e tozza del padre, stagliata sull’entrata del garage come un’ombra inquietante e rabbiosa.

Se fossero stati in un Anime giapponese, avrebbe emesso fiamme e strali, Anthony ne era certo. A ogni buon conto, i suoi occhi accesi di rabbia sembravano emetterli davvero, e quell’ira era interamente riservata a lui.

Il fatto che, a distanza di quattro anni, ce l’avesse ancora con lui perché la relazione con Emily era finita, la diceva lunga su quanto il padre fosse un ipocrita. L’unico motivo per cui si era interessato a quella storia aveva un nome, ed era denaro.

La possibilità di avere come nuora un’ereditiera del calibro di Emily Poitier aveva talmente tanto solleticato le sue papille gustative da averlo quasi mandato al manicomio, quando Anthony gli aveva detto della loro rottura.

La lite che era scoppiata in casa aveva quasi varcato le soglie dell’albergo, rischiando di giungere fino alle orecchie di ospiti e dipendenti.

Gli amici più stretti di Anthony lo avevano saputo per bocca sua e, per quanto riguardava William, nessuno poteva considerarsi un amico, per lui.

Gilda aveva ascoltato le riflessioni furiose di Tony e si era detta completamente dalla sua parte, e anche Jamie non gli aveva fatto una colpa per aver mollato la presa, di fronte al crollo di Emily. Si era anzi sentito in dovere di scusarsi per la sorella, pur se non ve n’era stato alcun bisogno.

Da quel momento, i rapporti già tesi col padre si erano ulteriormente sfilacciati e, tra loro, l’argomento ‘Emily Poitier’ era diventato una sorta di campo minato, con cui poter scatenare ogni volta una guerra diversa.

“Il fatto che io e lei non siamo più una coppia, non significa che non possa essere ancora un suo amico… o non concepisci proprio l’idea che possano esistere degli amici?” replicò serafico Anthony, tornando alla sua moto e al suo cambio dell’olio.

Amici! Usi quella parola a sproposito, visto che un tuo amico ti ha rubato la donna e il figlio, e la donna che pensavi di amare ti ha tradito e si è portata via il frutto del tuo seme!” sbottò il padre, picchiando un pugno sul bancone da lavoro del garage.

Tony si irrigidì, a quelle parole, si levò in piedi con lentezza per trattenersi dal gettarsi addosso al padre e, nel volgere lo sguardo, replicò con un ringhio furioso: “Ancora con questa storia di Mickey? Quante volte dovrò dirti che non è mio figlio?! Io e Consuelo non stavamo più insieme da mesi! Non potrebbe essere mio neppure volendo! E quanto alla mia amicizia con Samuel, niente potrà rovinarla, e di certo non il tuo veleno!”

“Sei solo un perdente” sbottò William, fissandolo pieno di spregio. “Uomini come te non sarebbero sopravvissuti un solo giorno, in Vietnam… ti avrebbe davvero fatto bene scendere in campo durante la guerra in Iraq. Almeno saresti diventato un uomo vero, e non una mezza calzetta come sei ora. E’ un vero peccato che abbiano tolto la leva obbligatoria.”

“Tolsero la leva obbligatoria proprio per evitare ciò che successe a voi in Vietnam” precisò per contro Anthony, stringendo i denti fin quasi a farseli dolere.

Di quell’epoca sapeva poco o nulla di prima mano, se non ciò che dicevano i libri di storia o le serie TV e, da suo padre, non aveva mai sentito una sola parola in merito. Neppure il nonno aveva mai saputo realmente ciò che era accaduto al figlio, durante quell’anno e mezzo passato tra la giungla vietnamita e la città di Saigon.

Di sicuro, lo aveva cambiato al punto tale da non fidarsi più di nessuno, almeno a detta dei suoi nonni. Se da una parte il nonno gli aveva confidato quanto, quella guerra, avesse tolto certi grilli dalla testa del figlio, dall’altra aveva però instillato in lui un odio viscerale nei confronti delle persone.

William Consworth era tornato profondamente cambiato, e non necessariamente in senso positivo.

Come molti reduci, aveva sofferto di Sindrome Post Traumatica da Stress e, come quasi tutti, non aveva ricevuto le giuste cure mediche e psicologiche da parte di quella Patria che li aveva mandati in quell’inferno per combattere.

Da quel poco che Anthony aveva saputo dalla nonna, il figlio era stato in cura presso uno studio psichiatrico per non meno di due anni, ma ciò non aveva sortito gli effetti desiderati.

La rabbia, il risentimento e la sfiducia nelle persone era perdurata e, se possibile, l’odio tra figlio e padre era persino peggiorato.

Neppure l’avvento di Marlene – la madre di Anthony – nella vita di William, aveva sortito i benefici sperati.

Figlia di una coppia di insegnanti appartenenti alla Chiesa Avventista, si era trasferita a Nederland poco dopo la partenza di William per il fronte. Quando William e pochi altri giovani del paese erano tornati, la ragazza si era subito avvicinata al giovane Consworth, come attirata dalla sua aura.

Fosse stato il fascino della divisa, o una sorta di passione per il lato più oscuro delle persone, Marlene era diventata quasi l’ombra di William. Avevano iniziato a frequentarsi poco tempo dopo, nonostante il parere contrario della famiglia di lei e, dopo la fine delle cure psichiatriche di Will, si erano sposati.

Quasi un anno dopo, era nato Anthony.

Tutto era sembrato andar bene, per un po’, e William era parso rasserenato all’idea di aver avuto un erede, ma quell’apparente quiete non era durata a lungo.

Quando Anthony aveva da poco compiuto tre anni, erano cominciate le prime scappatelle di Marlene, forse stancatasi dell’uomo che aveva sposato, o forse resasi conto della sua vera anima.

Dapprima, queste brevi avventure erano state appannaggio di una notte, lampi di fuga da una realtà divenuta sempre più stretta ma, con il passare degli anni, le cose erano peggiorate, fino a diventare di dominio pubblico.

L’idea di perdere la moglie per un altro, però, non era affatto piaciuta a William e, sempre più spesso, le liti erano state appannaggio quasi quotidiano della famiglia Consworth.

Fino al giorno della scomparsa di Marlene.

Se mai William aveva veramente amato Marlene, quel giorno l’uomo cancellò per sempre il nome della donna dalla sua mente, obbligando il figlio e i genitori a fare lo stesso.

I genitori di Marlene lo accusarono di essere la causa della fuga della figlia, ma lui non vi diede alcun peso, replicando loro che la causa prima dei problemi della donna erano stati loro, con la loro ristrettezza morale.

Mai più, in casa Consworth, il nome della donna era stato citato pur se, per ironia della sorte, il Caso beffardo e crudele aveva voluto che Anthony assomigliasse in tutto e per tutto a Marlene.

Gli stessi capelli castani, gli stessi occhi azzurri come il cielo d’estate, la stessa carnagione chiara di stampo teutonico.

Forse, anche questo ultimo scorno aveva reso impossibile a William amare il figlio e, nel corso degli anni, il loro rapporto era divenuto sempre più difficile, sempre più conflittuale.

Marlene, alla fine, non era mai scomparsa del tutto dalla vita di William, perché lei aveva continuato a tormentarlo tramite il figlio.

Come se, nella sua vita, non avesse sofferto abbastanza, non avesse avuto abbastanza demoni da scacciare dalla sua vista.

 

 

 

N.d.A. : facciamo maggiormente la conoscenza del padre di Anthony, William Consworth, e scopriamo quanto il rapporto tra i due sia teso per molteplici motivi. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
5.
 


Gennaio 1970 – Nederland

 
Gettando una maglia nella sacca che avrebbe portato con sé a Fort Carson, dove sarebbe poi stato smistato in una delle tante compagnie dirette in Vietnam, William guardò di straforo il padre e sibilò: “Finalmente ti liberi di me. Spero sarai soddisfatto.”

“Pensi davvero che mi faccia piacere sapere mio figlio in quell’inferno di palme e vietcong?” replicò Darren Consworth, stringendo la mano sul pomolo del bastone su cui reggeva il suo peso.

La ferita che aveva riportato durante una brutta battuta di caccia – finita male non solo per lui, ma anche per un altro paio di suoi amici – gli pesava particolarmente, in giornate come quelle.

Nederland sembrava scomparire tra alte coltri spumose e gelide e i suoi acciacchi, spesso dimenticati, tornavano a infiacchirlo, facendolo sentire molto più vecchio dei suoi trentanove anni.

La giornata, di per sé plumbea e triste, sembrava però rispecchiare il suo animo uggioso e tormentato. Non avrebbe potuto essere altrimenti, visto che stava mandando il suo unico figlio in guerra.

Sprezzante, William non sembrò accorgersi del dolore del padre e, con un gesto secco, si infilò un pacchetto di sigarette nella tasca posteriore dei pantaloni. Sorridendo quindi con fare sardonico, chiosò: “Non aspettavi altro che di darmi una lezione, e il caro Zio Sam ti ha dato una mano, no? Non sei contento che non spetti a te farmi passare la voglia di fare quel che voglio?”

“Non devi vederla così” sospirò Darren, avanzando di un passo all’interno della stanza del figlio.

Accigliandosi subito dopo, l’uomo percepì l’inconfondibile e dolciastro odore della marijuana e, per quanto gli spiacesse ammetterlo, per un attimo diede ragione alle parole profferte dal figlio. Sperava davvero che quell’esperienza estrema lo rimettesse sulla retta via, ma era terrorizzato dal fatto che potesse accadere l’esatto contrario.

I ragazzi che tornavano da quell’angolo sperduto del mondo sembravano dei fantasmi, degli autentici ruderi umani, e lui non voleva che questo accadesse anche a Will.

Lasciarlo però alle sue discutibili compagnie e all’abuso di alcool e droghe, non era un’ipotesi attuabile. Finora, nessuno in paese aveva scoperto cosa, in realtà, William andasse a fare a Denver nei week-end, ma non era del tutto certo che avrebbero potuto coprirlo per sempre.

Il suo vecchio amico Gareth Simpson gli era stato di grande aiuto, in questo, avendo più volte fatto chiudere un occhio agli agenti di polizia di Denver, quando William si era cacciato nei guai. Avere dei parenti stretti all’interno del Distretto di Polizia più grande della capitale aveva giovato, e Gareth si era sempre detto disponibile a mettere una parola buona per Will.

Che lo facesse per sincera amicizia, o per farsi perdonare ciò che era successo a Julie anni addietro, Darren non aveva mai voluto saperlo, né mai aveva chiesto all’amico di scuola spiegazioni in merito.

Il solo ricordo di come aveva trovato la sua Julie, una tarda notte di quasi vent’anni addietro, di ritorno dalla festa per i diciotto anni di Gareth Simpson, lo faceva ancora rabbrividire.

Stringendo la mano sul pomolo del bastone, Darren rammentò perfettamente la sensazione di umidore dell’abito di Julie, macchiato in più punti di sangue raggrumato e denso, e che lui aveva sfiorato con dita tremanti.

Quelle stesse dita avevano toccato il volto tumefatto di lei, le sue lacrime copiose e, il più delicatamente possibile, l’avevano aiutata a salire in auto per accompagnarla in ospedale.

I suoi genitori lo avevano scongiurato di lasciarla perdere, di far sì che risolvesse da sola ciò che le era accaduto, ma lui si era rifiutato. Aveva amato Julie fin da quando aveva compiuto tredici anni e, per nulla al mondo, quel sentimento avrebbe mai potuto cambiare.

L’aveva sposata il giorno dopo il suo diciottesimo compleanno, incurante della lieve curva dell’abito di lei all’altezza del ventre, incurante delle occhiate curiose e feroci dei pochi presenti.

Ergendosi a corazza difensiva, aveva protetto la sua Julie dallo stigma sociale – che aveva frainteso tutto, addebitando colpe solo a lei – e, con la forza della persuasione e della cocciutaggine che lo contraddistingueva, aveva fatto accettare la cosa anche ai genitori.

La verità era stata messa sotto silenzio dal padre di Gareth, l’allora sceriffo di Nederland e, da quel giorno, il nome di Paco Ramirez – cugino materno di Gareth – non era più stato neppure sussurrato.

Il bambino nato otto mesi dopo il loro matrimonio era stato tacciato di essere stato concepito al di fuori dei sacri vincoli cristiani ma mai nessuno, in tutta Nederland così come in nessun altro luogo, aveva mai conosciuto la verità.

William era stato cresciuto con il nome di Darren a fargli da scudo e, quando il clamore per quel matrimonio riparatore aveva cessato di essere sulla bocca di tutti, nessuno aveva più avuto nulla da dire.

Come il vento, anche le parole non restavano mai ancorate a un solo luogo, e quelle che avevano chiacchierato su di loro erano svanite col passare delle stagioni.

Darren, semplicemente, aveva preso William tra le braccia e, dichiarandolo suo, lo aveva amato al primo sguardo. Aveva amato fin dall’inizio quel figlio che non aveva una sola goccia del suo sangue, per un semplice – ma importantissimo – motivo.

Quel pargolo era cresciuto sotto il cuore della sua Julie, protetto da quella donna bellissima e coraggiosa che lui aveva amato fin dall’inizio e, per quel motivo, se n’era sempre preso cura.

Quello stesso figlio però, in quel momento, lo stava guardando con odio cieco, convinto che quell’arruolamento forzato fosse il castigo per tanti anni di vita dissoluta e fuori dalle regole.

Forse, se avesse saputo la verità, se avesse saputo con quanta dedizione lui lo avesse condotto nel mondo dandogli il suo nome e la sua protezione, si sarebbe ricreduto.

O forse, lo avrebbe odiato ancora di più.
 
***

Michael Meyerson si accodò alla breve compagnia di giovani di Nederland pronta per partire per Fort Carson, la certezza nei propri mezzi stretta tra le mani e solo un accenno di paura a irrigidire i tratti del suo viso.

I genitori non si erano dilungati molto con i saluti, ligi alla regola non scritta – almeno nella loro famiglia – che le lacrime servivano solo per i funerali e i battesimi.

Mike li aveva salutati con un abbraccio e con la promessa di scrivere loro ogni qualvolta gli sarebbe risultato possibile dopodiché, con la sua sacca sulla spalla, era uscito di casa per scendere in piazza.

Lì, aveva intravisto il pullman pronto per portarli a sud di Colorado Springs e, da lì, fino al luogo in cui avrebbero ricevuto un primo addestramento e, infine, il ricollocamento finale in una qualche parte sperduta del Vietnam.

Michael era non soltanto orgoglioso di servire il proprio Paese ma anche di rendere fiero suo padre che, vent’anni prima, aveva egregiamente servito sotto il comando del Generale McArthur durante la guerra di Corea.

Pilota dell’aviazione, aveva portato a termine con successo numerose battaglie e, solo a stento, era riuscito a salvare se stesso e altri quattro aerei prima di ripiegare verso una delle loro portaerei.

Trasportato d’urgenza nel più vicino ospedale dell’ONU, suo padre Raymond aveva subito l’asportazione di due dita della mano destra – distrutte da un colpo di artiglieria che aveva frantumato parte della carlinga dell’aereo – ed era stato congedato con onore.

Mickael sperava soltanto di poter tenere alto il buon nome della famiglia… e di non lasciarci la pelle, se fosse stato possibile.

Dopo aver sistemato la propria sacca nello scomparto del bus dedicato ai bagagli, Mike salì con due rapidi passi sulle scalette del mezzo prima di avviarsi verso il fondo, dove Cooper Whindam stava già sistemandosi.

Raggiunto l’amico, batté pugno contro pugno con lui, si lasciò cadere sul vicino posto libero dopodiché, lanciata un’occhiata agli altri ragazzi presenti – saliti a Estes Park – dichiarò: “Vuoi scommettere su quanti di noi torneranno a casa, Coop?”

“Tu e le tue scommesse, Mike!” sghignazzò Cooper, lanciando distrattamente uno sguardo fuori dal finestrino prima di aprirsi in un sorriso.

Michael si allungò a sua volta verso il finestrino per capire il perché di quella reazione e, nel vedere Gilda Mattei con i suoi castani capelli scossi dal vento inclemente di quella mattina, ghignò e disse: “Beh, tu devi tornare per forza.”

Detto ciò, salutò Gilda mandandole un bacio, cui lei replicò con una gran risata prima di allontanarsi non appena il bus iniziò la sua marcia.

Nel rimettersi seduto, Michael aggiunse più seriamente: “Ti sei dichiarato a Gilda?”

Cooper assentì e, nel mostrargli una piccola fotografia – che teneva gelosamente nel portafogli – mormorò: “Le ho detto che ci sposeremo non appena tornerò dal fronte e lei mi ha risposto che, anche se tornassi a pezzi, mi vorrebbe lo stesso. Alla peggio, ha detto che penserà lei a ricucirmi con un punto a giorno.”

Mike scoppiò in un’allegra risata, a cui si unì dopo un attimo anche Cooper.

“Si troverà un uomo non appena avremo girato l’angolo, non ti credere” intervenne non richiesto William Consworth, lasciandosi cadere su un sedile dinanzi a loro e azzittendo, in un colpo solo, le loro risate. “Come puoi pretendere che una ragazza italiana possa pensare di aspettarti? Hanno il sangue più caldo delle altre, non lo sai?”

Mike gli diede uno spintone contro la spalla, borbottando: “Non fare lo stronzo, Will. Non sono cose carine da dire.”

“Oh, come mi dispiace, Michael! Credi dovrei sciacquarmi la bocca con il sapone?” ironizzò a quel punto Will, frizzandolo con uno sguardo che non aveva nulla di amichevole. “E’ così che fa tuo padre, con te, quando alzi troppo la cresta? O dici sempre ‘sissignore’ come un bravo soldatino?”

Coop diede un colpetto spalla contro spalla all’amico perché non rispondesse a una simile provocazione e, nel rimettere a posto fotografia e portafogli, si limitò a dire: “Pensala come vuoi, Will. Non mi interessa.”

“Figurati se Cooper Whindam risponde a un qualsiasi tipo di provocazione. Ormai, dovresti chiamarti San Coop. Mai pensato di diventare prete? O ci hai già dato dentro con Gilda, e non puoi più farlo?”

L’attimo seguente, William scoppiò in un’arida risata di scherno, si levò in piedi e si allontanò da loro, trovandosi un posto libero qualche fila più avanti.

Non vide perciò mai lo sguardo omicida che Cooper gli lanciò, né la mano di Mike artigliata sulla spalla dell’amico, pronta a placcarlo nel remoto caso in cui lui avesse voluto prenderlo a pugni.

La calma olimpica di Cooper, però, tornò ben presto a impadronirsi di lui e, con uno sbuffo, si lasciò andare contro lo schienale del sedile dopodiché, coprendosi il viso con un berretto, mugugnò: “Svegliami quando arriviamo.”

“Okay” assentì Michael, dandogli un’ultima pacca sulla spalla prima di tornare a scrutare il profilo secco di William.

Non aveva mai capito perché William fosse così diverso dai genitori, che erano tra le coppie più rispettate e altolocate di tutta Nederland.

Will era sempre stato un attaccabrighe, un fannullone e un perdigiorno, perciò si stupiva non poco che lo sceriffo Simpson non lo avesse mai beccato a fumarsi una canna, o qualcosa di peggio.

O era molto furbo, o qualcuno lo aveva coperto fino a quel momento. Forse, lo stesso sceriffo.

Era di dominio pubblico che Gareth Simpson e Darren Consworth fossero amici di vecchia data, e Mike non avrebbe trovato strano che, in nome della stagionata amicizia, Gareth avesse chiesto al padre di chiudere un occhio.

“Ormai dovrebbe andare in pensione, se chiude gli occhi su gentaglia simile” borbottò tra sé Mike, lasciando che lo sguardo vagasse sul paesaggio circostante e che, almeno per diversi mesi, non avrebbe più rivisto.
 
***

Fort Carson brulicava di giovani di ogni genere, richiamati dalla leva obbligatoria per prendere parte alla guerra in Vietnam.

Nonostante i comunicati stampa dicessero il contrario, e i frequenti discorsi del Presidente promettessero la vittoria degli Stati Uniti in tempi brevi, l’aria che si respirava alla base era di tutt’altro genere.

Michael si sorprese un poco nel vedere i musi lunghi di alcuni ufficiali, così come la tendenza quasi unanime di voler parlare poco – e in maniera secca – di ciò che accadeva oltreoceano.

Trovare notizie fresche ma, soprattutto, esaustive, sembrava impossibile e, dopo quasi un mese di permanenza a Fort Carson per l’addestramento, le cose non sembravano essere cambiate.

Parlandone con Cooper e Spike Collins, un ragazzo di Boulder conosciuto alla base, Mike espresse tutti i suoi dubbi e le sue lagnanze per quel prolungato silenzio.

Allungando a Michael un pezzo di cioccolato, Spike scrollò le spalle e replicò ombroso: “Non dovrei dirlo, perciò vi chiedo il silenzio assoluto, ragazzi…”

Al loro assenso, il giovane proseguì dicendo: “… mia madre lavora come centralinista proprio qui alla base e, durante un colloquio tra il comandante McCallahan e un alto papavero di Washington, non sono passate parole incoraggianti.”

“Ma come…” tentennò Cooper, non sapendo se credergli o meno.

“Una delle linee è rimasta aperta, e le ragazze del centralino hanno sentito tutto. Per evitare guai hanno preferito mantenere segreto il tono della chiamata – e neppure io so di preciso cosa si siano detti – ma mia madre mi ha pregato di fare molta attenzione, perché non è tutto vero quello che ci dicono.”

Michael sbuffò indispettito, gettò con rabbia la cartina del cioccolatino offertogli da Spike e, dopo aver scrutato furioso quell’incolpevole pallina di carta cadere nel cestino, borbottò: “Pensano che mandarci allo sbaraglio, credendo di poter vincere, sia meglio?”

“Non so, Mike, ma io ho promesso di tacere e vi pregherei di fare lo stesso. Mia madre rischierebbe il posto, se qualcuno parlasse” sottolineò cupo Spike.

“Tranquillo, non parleremo di sicuro, ma forse i generali dovrebbero pensare a chi stanno mandando in guerra, visto che lo scenario non è così roseo come ci dipingono i giornali” sbuffò Cooper. “Dopotutto, le manifestazioni di ottobre e novembre scorsi non erano proprio delle panzane dei pacifisti.”

“Foss’anche, siamo qui per dare il nostro meglio…” replicò Mike prima di lanciare un’occhiata disgustata a un angolo della caserma e aggiungere: “… anche se alcuni sembrano averlo dimenticato.”

Spike e Cooper ne seguirono l’occhiata e, nell’individuare le figure di William Consworth e Carter Anderson, sbuffarono con ironico disprezzo.

“Quei due si faranno ammazzare al primo giorno di guerra, se continuano a fumare paglie a quel modo… o schiatteranno prima ancora, se si fanno beccare da Granata White” motteggiò Spike.

Thomas ‘Granata’ White era uno dei loro supervisori, sopravvissuto alla Guerra di Corea nonostante fosse finito in un campo minato coi fiocchi. Dai resoconti che si sentivano su di lui, era stato in grado di oltrepassare quell’autentico inferno di bombe grazie a una maledettissima scimmia.

Quell’utilissimo animale si era fatto strada in mezzo al campo senza far esplodere una sola bomba, per poi scomparire tra le piante della foresta pluviale, lasciando l’allora caporale sano e salvo, e senza neppure un graffio, fuori dal territorio nemico.

Fosse o meno vera, quella storia, l’attuale Tenente Colonnello White ne sapeva una più del diavolo ed era una persona di cui aver paura.

“Saranno affari loro, se finiranno male. Will e Carter sono stati avvertiti più di una volta, e io di certo non perderò il sonno per loro due” sentenziò Cooper, levandosi in piedi per tornare in camerata.

Gli amici lo seguirono senza dire nulla, pensandola esattamente come lui. Non aveva alcun senso perdere tempo per due come loro e, se mai vi fosse stata una giustizia in Cielo, vi avrebbe pensato lei a mettere le cose a posto.

Loro dovevano soltanto pensare a portare a casa la pelle.
 
***

Valle di A. Shau – Marzo 1970


Una stramaledettissima base. Dovevano rimettere in sesto un avamposto al confine con la Cambogia e che, a quanto pareva, era di estremo interesse americano che venisse mantenuta operativa.

William aveva desiderato mettere mano al suo M16 fin dal primo giorno in cui era sbarcato a Saigon e, con aria stanca ma determinata, aveva visto i primi musi gialli del posto.

Invece no. Avrebbe dovuto fare il manovale, usare badile e piccone per avere ragione di quelle pietre giallastre e rimettere in sesto l’avamposto Ripcord1.

Forse, dopotutto, suo padre gli aveva fatto gettare contro una maledizione, altrimenti non poteva spiegarsi una simile iattura. Invece di dimostrare il proprio valore – e far fuori qualcuno con l’avallo dei grandi capi – avrebbe fatto proprio ciò che aveva sempre evitato fino a quel momento.

Lavorare.

Muovendosi al suono rabbioso dei grugniti del comandante di guarnigione, che urlò loro dove dislocarsi e dove trovare il necessario per lavorare, William si ripromise di fare il meno possibile. Avrebbe trovato sicuramente qualche idiota che avrebbe lavorato per lui.

Nel pensarlo, lanciò un’occhiata sardonica a Cooper e Spike, separati dal loro caro Michael – inviato in gran segreto in Cambogia per delle missioni segrete – e, tra sé, puntò a loro come i suoi prossimi schiavi da far sgobbare al posto suo.

Senza Mike, quei due erano vulnerabili e facilmente manipolabili, perciò si sarebbe fatto beffe degli ordini e avrebbe delegato a loro ogni suo impegno all’interno di quello schifoso campo pieno di polvere.
 
***

Valle di A. Shau – 23 luglio 1970
 
Era stato accontentato. Aveva potuto snudare la sua arma, fare fuoco sui vietcong e dimostrare di non essere il completo fallimento che il padre credeva lui fosse, eppure William non era ancora soddisfatto.

Forse dipendeva dal fatto che, nonostante avesse speso sudore e sangue su quel maledetto crinale, le perdite erano state ingenti, quasi una decina di mezzi erano stati distrutti e, come smacco finale, gli elicotteri avevano dovuto evacuarli.

Avevano perso.

Erano stati sconfitti da un esercito di musi gialli che, contrariamente a loro, conosceva ogni più piccolo anfratto di quei luoghi, ogni più infima tana di serpente in cui nascondersi.

E proprio come serpenti li avevano attaccati ventitré giorni prima, bombardandoli con un fuoco incrociato dai due lati della montagna. Quel susseguirsi incessanti di attacchi aveva falcidiato le scorte e i mezzi del Ripcord, costringendoli all’impensabile. All’inaccettabile.

Avevano dovuto arrendersi perché impossibilitati a sferrare attacchi degni di tale nome e, come codardi, si erano dati alla fuga grazie al fuoco di copertura della contraerea.

Stringendo le mani a pugno sul suo M16 – ancora tiepido per aver sparato fino all’attimo prima di salire su uno degli huey2 giunti per salvarli – William si piegò in avanti per non mostrare agli altri la propria frustrazione.

Non poteva accettare di aver perso contro quegli animali. Eppure, il potente esercito degli Stati Uniti era stato messo in fuga come un branco di conigli, e lui non avrebbe potuto mai ammettere questo con i suoi genitori.

Doveva dimostrare a ogni costo di non essere il perdente che tutti lo ritenevano essere e, una volta ottenuta la gloria, l’avrebbe gettata in faccia al padre e se ne sarebbe andato via di casa.

Lui non era un drogato o un perdigiorno, come più volte si era sentito invece accusare dal padre.

Lui manteneva sempre ogni cosa sotto il proprio controllo, e gli svaghi che si prendeva ogni tanto non erano un suo demerito o una sua debolezza, poiché lui sapeva gestire la cosa. Ogni volta.

Lui non era debole, e lo avrebbe dimostrato.

 
 
 

 
 
1 Ripcord: faccio riferimento alla vera Base di Fuoco di Ripcord, in cui l’esercito americano subì una schiacciante sconfitta da parte dell’esercito vietnamita. Anche le date riportate coincidono con la realtà.
2 Huey: nomignolo utilizzato per il più famoso elicottero utilizzato in Vietnam durante la guerra. Il suo nome tecnico è Bell UH-1 Iroquois.
 
 
N.d.A.: questo flashback, a cui ne seguiranno altri, serve a comprendere ciò che accadrà più avanti, e le conseguenti reazioni di coloro che vengono raccontati in questi capitoli.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


6.

 

 

 

 

Per poter gustare le magnifiche lasagne di Gilda, Jamie, Parker ed Emily avevano dovuto pazientare fino all’imbrunire ma, per i tre giovani, fu comunque una dolce attesa, ripagata da un piatto davvero ben cucinato.

Jamie e Parker ebbero così il tempo di terminare i lavori sul pick-up di quest’ultimo e, nel frattempo, Emily si impegnò a sistemare alcuni file a computer prima di apparecchiare la tavola e dare da mangiare a Cleopatra.

All’orario prestabilito, quindi, Emy scese in paese per ritirare le lasagne e, al suo rientro, trovò già pronti Jamie e Parker, desiderosi di affondare i denti nel prelibato piatto all’italiana.

Fu con un risolino che la giovane sistemò sui loro piatti le pietanze sugose e dall’aroma eccellente e, dopo aver aperto del buon vino rosso, affondò la sua forchetta nell’impasto e sospirò deliziata.

Al pari degli altri, ovviamente.

“Oh, sì… queste rimangono le migliori lasagne del mondo. Niente a che fare con quelle che ti propinano a New York” esalò estasiato Jamie, affondando ancora e ancora la forchetta nella pasta verde e nel sugoso ragù alla bolognese, condito con besciamella fatta in casa e formaggio italiano.

“Forse, perché queste sono vere lasagne, non quelle cose strane e ripiene di formaggio filante che niente hanno a che fare con una lasagna” dichiarò ammirato Parker, gustando a sua volta con piacere quella calda e gradevole pietanza.

“Sei un intenditore di cucina italiana?” si informò Jamie, servendo per sé e per Parker un altro bicchiere di Chianti Gallo Nero dopo aver riempito per un terzo il calice della sorella.

Non beveva mai molto, ma anche lei si concedeva qualche vizio, ogni tanto.

“Mia nonna materna è italiana, e ha passato tutto il suo sapere a mia madre… con somma gioia mia, dei miei fratelli e di mio padre, ovviamente” ghignò Parker, ringraziando con un cenno il giovane Poitier. “Ora non cucina più, ma mamma Parker sa fare della pasta al forno eccezionale.”

“Che fortuna!” esclamò Jamie. “Mamma, al massimo, è capace di fare polpettone e cheesecake in modo decente ma, se proprio devo essere onesto, preferisco la cucina creola di Marja, la cuoca della villa di New York.”

Emily scoppiò a ridere, a quel commento, ed esalò: “Se la mamma sapesse che non apprezzi i suoi sforzi in cucina, ti spellerebbe vivo. Sai che non è portata, ma ci mette molto impegno.”

“Dovrà pure avere qualche difetto, quella donna, ti pare?” ironizzò Jamie, levando poi il proprio bicchiere per brindare alla madre.

Parker rise a sua volta di quel commento, non credendo neppure per un istante che una donna di ceto sociale pari a quello dei Poitier, potesse esibirsi in scene simili a San Valentino di Sangue.

“Non ridere, Parker. Nostra mamma sarebbe capacissima di stendermi sul ripiano della cucina e sfilettarmi come un salmone… con gran classe, s’intende, ma mi sfiletterebbe. Non ama sentir elencare i suoi difetti ma, in tutta onestà, non è mai stata brava, in cucina. Lo dice anche nonna Cunningham, del resto” chiosò Jamie, lappandosi le labbra per recuperare un fiocco di besciamella.

Asciugandosi una lacrima d’ilarità, Parker replicò con gran divertimento: “Tu dici nonna Cunningham, e io penso alla madre di Ricky.”

Scoppiando a sua volta a ridere – al pari di Emily, ormai rossa in volto per le risate – Jamie assentì più volte, esalando: “Oh, credimi… c’è stato il rischio che mi chiamassero Richard proprio per via di Happy Days. Alla fine, però, hanno optato per un nome di famiglia. Se non erro, uno zio per parte di madre, mentre Emy prende il nome di una bisnonna paterna.”

L’uggiolio di Cleopatra interruppe per un attimo il loro interludio ed Emily, nell’osservare il musone del suo bernese, le sorrise e domandò: “Cosa c’è, splendore?”

Cleopatra poggiò il muso sulla sua gamba, uggiolò nuovamente e poi si distaccò per fare due balzelli sulle zampe e abbaiare un paio di volte.

“Oh, giocare? Adesso?” mormorò la giovane, lanciando un’occhiata all’esterno; la sera era ormai calata e, in tutta onestà, non aveva giocato più con Cleo da parecchie ore. In fondo, la sua cagnolona non aveva tutti i torti.

Non le dava fastidio giocare con Cleopatra, ma era così raro fare quattro chiacchiere, e di fronte a un buon bicchiere di vino, che in quell’occasione tentennò un attimo ad accontentare la sua amorevole bestiola.

Sapendo però bene quanto quelle brevi assenze la facessero sentire spaesata, uscì comunque con lei dopo aver sistemato il suo piatto di lasagne nel microonde, lasciando per un secondo momento il termine della sua cena.

Indossato poi il parka, e armata di una corda smangiucchiata e alcune palline di gomma, si avviò verso le porte a vetri per dare inizio ai giochi. Cleopatra si meritava un po’ delle sue attenzioni, visto che era stata via per diversi giorni senza portarla con lei.

“Scusate. Cleo ha la precedenza, quando me ne vado per il week-end senza di lei. Ci vediamo tra poco” chiosò quindi Emily, facendo spallucce nello scusarsi coi suoi ospiti prima di uscire e chiudersi la porta scorrevole dietro di sé.

Parker tornò serio non appena Emily non fu più a portata d’orecchio e, nel volgere lo sguardo in direzione del fratello della giovane, domandò: “Sta bene, vero?”

“Specifica meglio” replicò cauto Jamie.

“Oggi, quando è tornata dalla tavola calda assieme a Cleo, aveva lo sguardo molto serio, come se le avessero dato una brutta notizia.”

Rilassandosi un poco, Jamie allora borbottò: “Nove su dieci, ha incontrato Anthony e lei si è sentita in colpa.”

“Anthony… oh, Consworth junior” collegò dopo un attimo Parker, sospirando di sorpresa. “Sì, mi ha accennato a una loro vecchia relazione di qualche tipo. Dici che lui la tormenta ancora?”

“Per la verità, dovrebbero dare a quel ragazzo la palma d’oro per la pazienza” replicò con un mesto sorriso Jamie, sorprendendo ulteriormente Parker. “Emy ti ha detto nulla sul suo passato?”

Al diniego di Parker, Jamie mormorò: “Beh, non sono affari miei, e non parlo volentieri di quel periodo, ma ha avuto dei trascorsi difficili, e molti dei suoi problemi dipendono da un passato incasinato. Passato che si è messo in mezzo tra Anthony ed Emy, facendola andare fuori di testa.”

Parker ripensò alle sue brevi ricerche su internet, a ciò che aveva letto in alcuni siti di criminologia e, nel sollevare turbato un sopracciglio, esalò: “E’ stata… è quindi davvero lei la bambina che rapirono?”

Jamie imprecò sottilmente e ghignò: “Internet ha colpito ancora, eh?”

“Scusa, ma non sono riuscito a non ficcanasare e, quando ho inserito il nome di tua sorella, è comparso un sito di criminologia in cui erano presenti tutti gli eventi criminali più o meno importanti – o curiosi – accaduti negli ultimi cento anni negli States, e il nome di tua sorella era legato a un rapimento. Non sapendo, però, dove lei fosse nata, non ero sicuro che potesse essere veramente Emily.”

Annuendo suo malgrado, Jamie ammise: “Nel bene e nel male, venne fuori un caos pazzesco. I giornalisti sembravano impazziti. E ancora non c’era internet come oggi! Diversamente, penso che Emily si sarebbe rintanata in Alaska, nel bus di Into the Wild, invece che qui.”

“Non oso neppure immaginare cosa possa aver voluto dire, per lei” mormorò Parker, rabbrividendo al solo pensiero.

“Rimase prigioniera per cinquantadue giorni. E io, ogni notte, piansi accanto al suo letto per non averla portata con me al pigiama party a cui avevo partecipato proprio quel giorno” rammentò Jamie, poggiando il mento sulle mani intrecciate dinanzi a sé, la mente già pronta a perdersi in quei terribili ricordi.

“Cinquantadue… giorni?” esalò sgomento Parker, sgranando gli occhi. “Come… chi la liberò?”

Jamie si lasciò andare a una risatina nervosa e, dopo aver sorseggiato un po’ di vino come a darsi coraggio, disse: “Si liberò da sola. Da quel poco che capii – non partecipai al processo e, in seguito, Emy non ne volle più parlare – mia sorella fece amicizia con uno dei carcerieri. A quanto pare, lui non era d’accordo nel tenerla segregata.”

“Cristo santo” sussurrò Parker, scioccato.

“In pratica, scavò sotto il suo pagliericcio per diverse notti dietro fila, e solo per ottenere un buco dove rovesciare dentro il contenuto del secchio che le davano per i suoi bisogni…” mormorò Jamie, socchiudendo gli occhi nel ricordare ciò che sapeva di quel delirio.

“Scavare? Ma come… con le mani?” gracchiò Parker, sempre più scioccato.

Jamie assentì torvo e aggiunse: “Usò le calze per proteggersi le mani e non ricoprirsi di escoriazioni. Le calze venivano nascoste dalle pantofole – il carceriere buono le portò con sé per lei, quando la rapirono – perciò, quando sapeva di essere controllata, non veniva scoperta e, al tempo stesso, utilizzando quello stratagemma non rimaneva ferita, mettendoli in allarme.”

“Dio! E aveva solo otto anni!?”

“Già…” mormorò Jamie. “… ma non finisce qui. Quando riuscì nel suo intento, svuotò il secchio nel buco, chiamò Ray – il carceriere buono – perché lo svuotasse e, quando lui aprì la porta, lei lo pestò ben bene sulla testa.”

Parker non poté non lasciarsi sfuggire una risatina nervosa e Jamie, imitatolo, soggiunse: “Emy salì sul pagliericcio – che aveva spostato vicino all’entrata – per poter essere abbastanza in alto per dare quel colpo. Non contenta, quando Ray crollò a terra per la sorpresa e il dolore, lo colpì un’altra volta e poi fuggì nella notte, nel bel mezzo degli Adirondack.”

L’abbaiare allegro di Cleopatra confermò a entrambi che Emily era ancora all’esterno, perciò Parker domandò: “Come diavolo fece a trovare qualcuno, in quell’ammasso di foreste?”

“Corse. Corse finché non trovò la casupola di un cacciatore. I primi ad accorgersi di lei furono i cani, che cominciarono a latrare, attirando così l’attenzione dell’uomo all’interno del casolare” gli spiegò Jamie, scrollando una spalla. “Questi uscì per capire cosa stesse succedendo e, quando vide una bambina scarmigliata, ferita e piangente seduta in mezzo ai suoi cani, andò quasi fuori di testa. Il paese più vicino, in quella zona, era lontano miglia! Non capiva cosa potesse farci lì.”

“Immagino davvero la confusione” assentì Parker.

“In ogni caso, Max – il nome del cacciatore – la accompagnò dentro, le ripulì il viso e le chiese perché si trovasse nei boschi. Quando seppe ogni cosa, non aspettò un attimo di più. Le infilò in testa un casco e la caricò sulla sua moto da cross per portarla a valle.”

“Fu elettrizzante discendere nel bosco con la moto, lo ammetto” soggiunse la voce di Emily, alle loro spalle.

Sia Parker che Jamie divennero paonazzi in viso, neanche fossero stati beccati a rubare in banca ma Emy, scuotendo divertita il capo, terminò di dire: “Dovresti saperlo che la porta-finestra non fa rumore.”

“Scusa, sorellona” mormorò contrito Jamie.

“Scusa anche me, Emily. E’ stata tutta colpa mia e della mia insana curiosità” si aggiunse anche Parker, reclinando colpevole il capo.

La giovane, però, poggiò i giocattoli di Cleopatra nel suo cesto, si lavò le mani nel lavabo e, dopo essersele asciugate, tornò al tavolo e disse: “Non è un segreto di Stato.”

“Ma, se non mi hai detto niente, avevi le tue ragioni” sottolineò Parker.

“Non pensavo potesse interessarti, ma è chiaro che mi sbagliavo. Sono troppo guardinga, eh?” chiosò Emily, prendendo il suo calice per bere ciò che rimaneva del vino. “Devo averti davvero insospettito, col mio comportamento.”

“Scusa” mormorò ancora Jamie, allungando una mano verso quella di Emily.

Lei strinse quella mano, sorrise al fratello e, dopo aver recuperato il suo piatto dal microonde, si risedette al tavolo per terminare la pietanza.

Nel rivolgersi poi a Parker, sorrise appena e disse: “Tanto vale vuotare il sacco. Neppure Jamie sa tutto, perciò lo racconterò a entrambi. E chissà che non aiuti! La psicologa diceva sempre di sì, ma io mi sono sempre impuntata per non farlo. Potrei provarci ora.”

“Ne sei sicura? Non sei affatto obbligata a ripensare a quella cosa orribile” mugugnò Parker, sentendosi veramente male al pensiero di farla soffrire a causa della sua curiosità.

Scrollando appena le spalle, Emy addentò un pezzo di lasagna – che ora aveva perso del tutto il suo sapore a causa dell’ansia viscerale che stava provando – e disse con un tono che, sperò, essere convincente: “Sono tra persone che si preoccupano per me, perciò dovrebbe essere più semplice… parlare.”

“L’ultima volta che ci provasti non andò per niente bene, e lo sai” sottolineò Jamie, ripensando alla telefonata concitata che aveva ricevuto da Anthony.

Si era terrorizzato a morte, quella volta, nel sentire la voce tremante dell’amico mentre gli parlava di Emily e del suo scoppio di panico.

In fretta e furia, era salito sul primo aereo disponibile e aveva raggiunto Nederland con ancora i postumi di una sbornia in via di dissolvimento, e tutto per stare accanto alla sorella.

Mai nella vita avrebbe dimenticato quello sguardo perso, quelle lacrime asciutte sul viso contorto dal dolore e dal risentimento verso se stessa. Né mai avrebbe potuto dimenticare l’aria sconvolta di Anthony e il suo totale smarrimento di fronte a una cosa che, almeno in quel momento, non era stato in grado di affrontare.

Emily, però, scosse il capo all’indirizzo del fratello, prese un gran respiro e ammise: “Lo so, con Tony è andata davvero da schifo… ma era un’altra situazione. Un altro momento. E voi… beh, voi non siete lui.”

“Su questo non ci piove” cercò di ironizzare Jamie, sapendo benissimo a cosa si stesse riferendo la sorella con quell’accenno.

Per quanto non avesse voluto indagare fino in fondo, in merito alla loro relazione, Jamie aveva ipotizzato che il fattaccio fosse avvenuto in un momento di profonda intimità, quando le difese della sorella erano andate a zero.

E i ricordi erano riaffiorati con la potenza di uno tsunami.

“Posso tenermi i miei dubbi e le mie curiosità, credimi” intervenne a quel punto Parker, arrischiandosi a sfiorarle una mano con la propria.

Emily sorrise di fronte a quel tocco leggero ed esitante e, inclinando il capo in direzione dell’amico, asserì: “Io, invece, posso parlartene perché, a quanto pare, non puoi spaventarmi. Non ho tremato, al tuo tocco, sebbene io sia sicuramente in ansia al pensiero di aprire bocca, perciò… va bene.”

“Non ti affascino neppure un po’?” ironizzò a quel punto Parker.

Lei sorrise maggiormente, rigirò la mano per stringere tra le dita quelle di Parker e, annuendo nuovamente, disse: “Non in quel senso, a quanto pare. Ma va bene in questo senso.”

Ciò detto, prese un nuovo respiro, chiuse per un istante gli occhi e lasciò che la mente tornasse in quella grotta, tra quelle montagne, coi suoi rapitori.

Il calore delle mani di Parker e Jamie, però, fu abbastanza forte e incoraggiante perché la paura non la risucchiasse, permettendole di ricordare che sì, era ancora viva, e sì, era ancora libera.

 

20 anni prima – Giant Mountain, Adirondack

 

 

Plin, plin, plin…

Forse era piovuto, all’esterno della grotta.

Faceva sempre fatica a capirlo, visto che non poteva vedere nulla, nella cella dove si trovava ma ormai aveva imparato che, ogni tanto, si sentiva gocciolare in lontananza, perciò poteva dare quasi per scontato che stesse piovendo.

Di sicuro, comunque, quelle gocce d’acqua se le sentiva nelle ossa. Aveva sempre freddo, in quelle occasioni, anche dopo che Ray le portava la cioccolata calda da bere.

Di nascosto.

Il solo pensiero la fece sorridere e, al tempo stesso, la portò a sentirsi in colpa per quello che, entro breve, avrebbe fatto.

Ma non poteva darsi per vinta solo perché uno dei suoi carcerieri era buono e gentile con lei. Non voleva più rimanere rinchiusa lì e, visto che nessuno sapeva dov’era – e nessuno sembrava intenzionato a venire a prenderla – avrebbe dovuto pensarci da sola.

Sentire litigare Ray e suo fratello Simon, l’aveva spaventata e, per poco, non era scoppiata a piangere. Simon aveva parlato male del suo papà, mentre urlava contro il fratello, chiedendosi perché ancora non ‘avesse sganciato la grana’.

Questo l’aveva fatta sentire piccola e sola. Perché papà non la ricomprava da quei cattivi? Perché non la riportava a casa?

Ray, a quel punto, gli aveva ingiunto di abbassare la voce, forse conscio che lei avrebbe ascoltato ogni cosa, di quella conversazione, ma Simon se n’era infischiato e Vincent, il terzo rapitore, lo aveva mandato al diavolo.

Era buffo ma, dinanzi a lei, non avevano esitato a usare i loro nomi. Dopotutto, non l’avrebbero mai lasciata andare - riscatto o meno –, perciò era superfluo che lei sapesse come si chiamavano.

Di certo, sapeva solo una cosa; Ray aveva paura di Vincent – o Vince, come lo chiamava a volte Simon – e a lei questo metteva il terrore addosso.

Anche Simon, comunque, si divertiva a spaventarla. Dopo aver sparlato di suo padre o meglio, imprecato, aveva picchiato con forza contro la porta che li separava – chiusa per ventitré ore e mezzo al giorno – e le aveva riso in faccia, urlandole che il padre era un avaro, e che non la amava abbastanza per pagare per la sua libertà.

A quel punto era intervenuto il terzo membro di quella strana banda, che lei aveva soprannominato ‘Cattivo’ e aveva millantato l’idea di tagliarle un orecchio, così da convincere tutti delle loro intenzioni più che serie.

‘Brutto’, e cioè Simon, si era astenuto dal fare commenti, mentre Ray si era ribellato all’idea. Dai rumori che Emily aveva udito, Simon o Vince dovevano avergli dato un pugno.

A ogni buon conto, alcune ore dopo, Ray si era presentato alla sua porta con un occhio gonfio e una barretta di cioccolato nuova di zecca.

“Non far caso a quello che dicono. Sono sicuro che tuo papà ti vuole bene” le aveva detto Ray, svuotando il suo secchio dei bisogni per poi permetterle di ascoltare un po’ di radio assieme a lui. Da quel giorno, per lei Ray era diventato ‘Buono’, anche se la teneva prigioniera.

Mezz’ora ogni giorno. Tra le undici e trenta e mezzanotte, almeno a giudicare dall’orologio digitale che Ray teneva su un rozzo tavolaccio assieme alle sue riviste di pesca, lei poteva uscire dalla sua prigione per sgranchirsi le gambe.

Sapeva per certo, ormai che, durante la notte, Brutto e Cattivo si assentavano per motivi che lei non conosceva. Non c’erano mai, quando Ray le dava la cioccolata.

In quei momenti, la grotta si accendeva dei rumori della radio di Ray, invece che dei brontolii dei suoi rapitori, ed Emily sapeva di essere al sicuro, per un po’.

Soltanto mezz’ora, per non rischiare che gli altri rientrassero e la trovassero fuori dal suo loculo, ma per lei contava come l’aria che respirava.

Da quel poco che aveva visto, credeva di trovarsi in una vecchia miniera. Emily non ne era sicura ma, a giudicare dalle travi che sorreggevano la sua stanzetta, e quelle che aveva visto fuori dal loculo, le era sembrato potesse essere qualcosa del genere.

Nei film sul vecchio west, per lo meno, le gallerie erano fatte a quel modo, e anche quelle che le aveva mostrato zio Harry in fotografia, erano così.

Pensarci la fece bloccare per un istante e, osservando la piccola buca che aveva ricavato sotto il suo pagliericcio, fu fiera di sé.

Sarebbe tornata a guardare i film sul far west assieme a Jamie, cascasse il mondo e, al suo prossimo compleanno, gli avrebbe regalato un cappello da cowboy, come desiderava da tempo.

Una lacrima feroce le scese non voluta sulla gota sporca di terriccio e lei, con rabbia, la scacciò via, sporcandosi ulteriormente con le mani infilate nei calzini.

Dopo aver provato a scavare senza, si era resa conto immediatamente di come avrebbero potuto ridursi le dita, durante quel superficiale lavoro di scavo. Se avessero notato graffi e unghie spezzate, si sarebbero insospettiti subito e avrebbero scoperto il suo tentativo di liberarsi in qualche modo da quella prigione.

Così, aveva sacrificato i suoi calzini di flanella e li aveva trasformati in guanti.

Aveva deciso di creare quella buca la sera stessa in cui li aveva uditi litigare, e Vince era venuto da lei per ingiuriarla. Dopo un pianto inutile, e che le aveva procurato solo un gran mal di testa, aveva cominciato a pensare a come poter scappare.

Se Brutto o Cattivo avessero messo in pratica le loro minacce, lei sarebbe sicuramente morta di paura. O per la perdita di sangue. O a causa della loro inettitudine.

Quale che fosse il motivo, lei non voleva morire, o anche solo rimanere senza un orecchio, perciò non poteva più aspettare.

Se suo padre non pagava, loro non l’avrebbero mai liberata e, anzi, forse l’avrebbero uccisa per spregio.

A ogni nuova mezz’ora d’aria, per così dire, aveva perciò fatto attenzione a tutto ciò che i suoi occhi avevano potuto scorgere nelle sue sortite fuori dal loculo.

Invece di ascoltare le canzoni del mangiacassette ormai vecchiotto di Ray, lei si era guardata intorno con circospezione, studiando le potenziali vie d’uscita e ciò che avrebbe potuto prendere con sé per la sua fuga.

Erano passati undici giorni, da quella decisione e, nel frattempo, aveva scavato poco alla volta nel terreno duro, nascondendo il terriccio sotto il pagliericcio di cui, fin dall’inizio, si era presa cura con le poche cose che le aveva portato Ray.

Un vecchio materasso, un cuscino spiumato, una coperta di lana. Erano stati i suoi unici averi, a parte il secchio per i bisogni e la gavetta dove era solita mangiare ciò che le davano.

Emily fissò il secchio in cui, per cinquantun giorni, si era adeguata a evacuare, e si irritò ulteriormente.

La prima notte era stata terribile, tra il dolore provato per il risveglio dal sonnifero che Brutto le aveva dato, e la scoperta di essere stata portata via nella notte da casa sua.

Aveva rimesso acidi e bile sul terreno della cella e Vincent si era arrabbiato con lei, indicandole il secchio nella stanza e urlandole di usare quello, per le sue porcherie, senza insozzare l’aria con il suo vomito.

Emily aveva pianto, aveva sprecato l’acqua della bottiglietta che le avevano dato unicamente per lavarsi il viso e, per ventiquattr’ore, non aveva più bevuto.

Memore di quel particolare, aveva iniziato a usare il secchio per non infastidirli ulteriormente e, preciso come un orologio, alle undici e trenta di ogni notte, Ray aveva cominciato a ritirarlo per poi riportarglielo vuoto e pulito.

Emily guardò il suo orologio di Winny the Pooh – segnava le undici e ventisette – perciò, rimettendosi in piedi, si tolse le calze dalle mani, le rimise ai piedi e si guardò il pigiama, ormai lacero e sporco a livelli imbarazzanti.

La spugna per le abluzioni settimanali che le dava Ray era stata sì e no sufficiente per pulire se stessa, figurarsi il pigiama, così vi aveva rinunciato subito.

Scuotendo il capo per il fastidio, lasciò perdere quell’esame critico di se stessa e rimise i piedini infreddoliti nelle sue enormi pantofole, anch’esse sporche e lise in più punti.

Per sua fortuna, aveva sempre avuto il vizio di collezionare delle buffe pantofole a forma di animale, e non le classiche ciabattine da camera, altrimenti sarebbero stati guai seri, per lei.

L’avrebbero scoperta subito, notando le calze lise e sporche.

Durante uno dei suoi momenti ‘liberi’, Ray le aveva confessato di aver pensato di portare con sé le sue pantofole a forma di leone, quando l’avevano prelevata dalla sua stanza per condurla lì. Così non avrebbe tenuto i piedi al freddo.

Davvero non comprendeva come, un’anima candida come Ray, si fosse lasciata attirare dal fratello in mezzo a un affare del genere. Tant’era, comunque, Ray faceva parte di quella cricca e lei avrebbe fatto ciò che doveva per salvarsi la vita, anche se lui era stato gentile e premuroso.

Senza fare rumore, perciò, spostò il pagliericcio perché fosse abbastanza vicino alla porta, afferrò il secchio per vuotarlo – non avrebbe mai lasciato il corpo di Ray in mezzo alle sue deiezioni – e, dopo essere salita sul letto, esclamò: “Ray! Il secchio!”

La musica della radio venne abbassata un attimo perché lui potesse chiederle se aveva sentito bene e, al suo assenso, Emily udì una sedia venire spostata e dei passi attutiti procedere verso la sua stanzetta.

Preso un gran respiro, la bambina sollevò il secchio, tenne d’occhio la porta e, non appena Ray ebbe messo dentro la testa per sbirciare come faceva di solito, calò il colpo più forte che le riuscì di dare.

“Ehi, Emy, hai…” cominciò col dire Ray prima di emettere un grugnito per il dolore quando il secchio si abbatté su di lui.

Tramortito dal colpo, Ray crollò sulle ginocchia, tenendosi la testa con le mani e lagnandosi per il gran male.

Non contenta, Emily prese il secchio per il manico e, come una mazza da baseball, slanciò le braccia all’indietro prima di usare l’energia di ritorno contro la testa del suo carceriere.

Quando il secondo colpo andò a segno, Ray stramazzò a terra privo di sensi e la ragazzina, scusandosi a mezza voce con lui, afferrò le chiavi che teneva in mano e lo chiuse in fretta dentro la cella.

Scacciando le lacrime che sentiva bruciare ai bordi degli occhi, si guardò intorno frenetica nel tentativo di capire cosa poter prendere con sé prima di scappare e, quando vide una torcia sul tavolo, la afferrò lesta.

Con lei, prese anche un pezzo di cioccolato – Ray lo stava mangiucchiando mentre leggeva una rivista di sport, a quanto pareva – e poi defilò fuori, non volendo arrischiarsi ad attendere troppo.

Mezz’ora poteva essere un’eternità, oppure un attimo. Non aveva idea di quanto Brutto e Cattivo sarebbero rimasti fuori, perciò doveva sparire immediatamente.

Tutto dipendeva da lei e da come avrebbe gestito il tempo concessole.

Avanzando quindi lungo la galleria che aveva intravisto durante le sue momentanee sortite dalla cella, Emily procedette nella semioscurità tenendosi radente al muro.

Non osava accendere la torcia per paura che qualcuno, all’esterno, la vedesse, perciò si limitò a sfruttare la luce delle poche lanterne che i tre avevano disseminato lungo il percorso.

Non appena avvertì sulla pelle un vento freddo e umido, capì di essere finalmente in prossimità dell’uscita e lì, accucciatasi, procedette carponi fino a raggiungere uno sperone di roccia e delle fronde accatastate.

Scostatele lentamente cercando di fare il minor rumore possibile, Emily sbirciò all’esterno e, sgomenta, non vide altro che piante. Nessuna strada, nessun mezzo di trasporto – che lei non avrebbe potuto usare, ma su cui avrebbe potuto trovare una cartina del posto –, soltanto bosco a perdita d’occhio e illuminato dalla luna.

Non potendo far altro che allontanarsi, si lasciò le fronde alle spalle e, tenendo bassa la torcia, controllò se vi fossero dei segni di pneumatici a terra. Dubitava che i suoi carcerieri si spostassero a piedi, perciò dovevano esserci delle tracce di qualche tipo di veicolo, lì nei dintorni.

Nel notare dei rami spezzati e delle impronte di pneumatici sul terreno smosso, sorrise un momento tra sé e, non sapendo che altro fare, prese la direzione opposta.

Ovunque quella decisione l’avrebbe condotta, era sempre meglio tenersi a distanza dai percorsi seguiti da quei pazzi.

Spenta nuovamente la torcia, si affidò alla luce della luna per discendere l’erta che aveva imboccato, preferendo allontanarsi il più possibile dal nascondiglio dei suoi carcerieri prima di poterla nuovamente riutilizzare.

Per evitare di scivolare, si tenne ai tronchi delle piante, muovendosi dall’una all’altra per mantenere l’equilibrio lungo quella discesa scoscesa e, ogni dieci passi circa, si guardò indietro col terrore di essere seguita.

Quando si ritenne abbastanza lontana, riaccese la torcia e, scacciando ancora le lacrime dagli occhi, cominciò a correre.

Corse, inciampò un’infinità di volte sul terreno sconnesso e contro le radici traditrici delle piante, ma non le importò nulla.

Corse. Corse e basta, sempre più a valle, sempre più lontano da Ray e dai suoi aguzzini, tenendosi lontana dai dirupi che, ogni tanto, si aprivano nel mezzo della foresta.

Quando, però, il latrato lontano di un cane ne attirò l’attenzione, i suoi piedi si bloccarono e, attenta, si mise in ascolto.

Sapeva di non doversi fare fuorviare dal vento. Al corso di scout glielo avevano insegnato praticamente subito.

Emily, perciò, scrutò le fronde scure delle piante, notò la loro totale immobilità e, più sicura di sé, svoltò alla sua destra, seguendo quel dolce suono che sapeva di civiltà.

Se c’era un cane, doveva esserci anche una casa.

Quello non era un lupo. I lupi non abbaiano. Inoltre, conosceva bene quel suono in particolare. Lo aveva già sentito altre volte, perciò era quasi certa di sapere a che cane appartenesse.

Se le orecchie non l’avevano ingannata, doveva trattarsi di un segugio, come il cane che avevano i loro vicini, al Lago Tahoe. Un bel cagnolone dalle orecchie lunghe e il pelo marrone.

Il solo pensiero le scaldò il cuore, portandola ad accelerare il passo.

Non le importò di ferirsi mani e viso con i cespugli che incontrò lungo il suo percorso accidentato. Doveva andare avanti, seguire quel suono che le infondeva speranza.

E fu dopo un’infinità di passi, di cadute e di ripartenze, che finalmente li vide.

Tre segugi dal pelo marrone che, indolenti, camminavano nel loro recinto, forse disturbati da qualcosa nel bosco, ma non abbastanza interessati per abbaiare rabbiosi.

Lei rise, nel vederli.

Rise, e finalmente pianse e, quand’anche i cani l’ebbero vista, iniziarono una canea così forte che portò il proprietario dei segugi ad aprire la porta del casino di caccia dove si trovava.

In un attimo, lei si gettò carponi in mezzo ai cani, che la leccarono e la annusarono curiosi, mentre l’uomo che era uscito sulla piccola veranda osservava la scena al colmo dello stupore.

Scacciando i suoi segugi perché lo lasciassero passare, l’uomo la sollevò gentilmente da terra e, squadrandola sgomento da capo a piedi, esalò: “Madre di Dio… bambina, ma che ci fai qui fuori a quest’ora?”

“Mi aiuti, la prego… mi aiuti” gorgogliò al colmo dello sfinimento prima di crollare contro l’ampio petto dell’uomo, finalmente sicura e libera. Anche di svenire.

 

 

 

 

N.d.A.: Scopriamo così cosa successe più di vent'anni prima a Emily, come riuscì a fuggire e quali nomi diede ai suoi carcerieri. Scoprirete che questo particolare ha una certa ragion d'essere, ma non posso svelare tutto ora.


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


7.

 

 

 

 

Riaprire gli occhi fu doloroso. Tutto le faceva male, persino le palpebre, o il cuoio capelluto su cui aveva grattato per settimane a causa della sporcizia accumulata.

Le sembrava di essere stata calpestata per ore e poi lasciata in un angolo a morire, ma non era morta.

Era viva. E LIBERA!

Il solo pensiero la portò a sollevare la testa dal cuscino su cui era poggiata e, subito, i mille e più dolori nel suo corpo si risvegliarono, urlandole contro i peggiori insulti mai congegnati.

“Ehi, calma, piccola… va tutto bene, ora” le mormorò un uomo, seduto accanto a una piccola stufetta a legna, su cui stava sobbollendo un bricco.

Sbattendo con frenesia le palpebre, Emily si strinse addosso la coperta che le era stata stesa addosso e, sorridendo grata, disse: “La ringrazio. Lei mi ha salvato.”

“Mi dici che ci fa una bambina in mezzo al bosco, di notte, con le pantofole di un leone ai piedi?” ironizzò l’uomo, indicando le pantofole poggiate a terra e ormai da buttare.

Il pianto tornò, ma lei lo lasciò perdere per dire con voce roca: “Sono… sono Emily Poitier. Non so se…”

L’uomo sgranò gli occhi nel sentir nominare quel nome, ma il fischio improvviso del bricco lo fece trasalire, distogliendolo temporaneamente da quella scoperta imprevista.

In fretta, lo tolse dal fuoco e vuotò il suo contenuto – latte caldo – in una ciotola per poi passarlo alla bambina, fissandola quindi con espressione sgomenta..

“Dio santissimo, bambina! Ti cerca mezzo continente!” gracchiò l’uomo prima di aggiungere: “Ti tenevano qui in zona?!”

Lei assentì, soffiando sul latte caldo – le sembrò la bevanda più buona del mondo, dopo tanto freddo – prima di berlo e mormorare: “Ero in una grotta. Credo fosse una vecchia miniera.”

Annuendo rapido, l’uomo si alzò dalla sedia dov’era accomodato, frugò in un cassettone da cui estrasse un pesante maglione di lana e, dopo averlo guardato per alcuni secondi, scrollò le spalle e disse: “Non è il massimo e ti starà larghissimo, ma ti terrà al caldo.”

Emily terminò di bere il latte, poggiò a terra la tazza e afferrò il maglione che l’uomo le consegnò, infilandoselo e trovandolo la cosa più morbida del mondo.

Era tutto bellissimo, in quel momento. Sorridendo all’uomo alto e bruno che le stava dinanzi con espressione turbata, Emily si disse che gli angeli non dovevano essere biondi ed efebici, ma come quel signore. Forti, barbuti e con la camicia di flanella.

Per lei, era sicuramente l’angelo migliore del mondo.

Estraendo anche un casco dal cassettone, l’uomo le sorrise impacciato e dichiarò: “E’ meglio se scendiamo subito a valle. Se si sono accorti che sei fuggita, cominceranno a cercarti, ed è preferibile che noi non ci facciamo trovare.”

Lei assentì, totalmente d’accordo e, scrutando divertita il pesante casco, mormorò: “Mi starà un po’ grande, mi sa.”

“Credo di sì. Ma ti proteggerò io” le promise lui, chinandosi accanto a lei per aiutarla a indossarlo. “Sono Max. Max Sheperd, piccola Emily.”

Lei lo abbracciò con calore e, contro il suo ampio petto, si sentì davvero al sicuro e protetta. Protetta come avrebbe voluto esserlo stata dal padre, ma così non era avvenuto.

Lui l’aveva abbandonata in mezzo ai monti, rifiutandosi di pagare, rifiutandosi di aiutarla. Lasciandola sola.

In silenzio, senza mettere a parole il proprio dolore, si lasciò sistemare sopra una moto da cross dopo aver salutato con una carezza i cani che l’avevano attirata verso la salvezza.

Il rombo del motore quattro tempi rimbombò in quell’angolo di bosco, ma Emily non se ne curò. Tra le braccia di Max si sentiva protetta e invincibile.

Inoltre, era impossibile che avessero potuto seguire le sue tracce, in mezzo all’oscurità della foresta perciò, se anche avessero udito quel rombo, sarebbe stato tardi per fare qualsiasi cosa.

Non l’avrebbero più trovata.

“Si parte, piccola” mormorò Max, dando gas e spingendo la moto lungo un sentiero in mezzo alle piante che, evidentemente, l’uomo conosceva a menadito.

Discesero in fretta, sobbalzando sul terreno sconnesso, ma senza mai rischiare di cadere. Max dimostrò di essere esperto del posto e un ottimo pilota, ed Emily trovò anche il tempo di ridere gaia, dopo tanta sofferenza.

Quando infine raggiunsero la strada asfaltata e lei scorse il primo barlume di civiltà dopo tanti giorni di prigionia, Emily si concesse di piangere dentro il casco e Max, rassicurante, le disse: “Ora ti porto al calduccio e, da lì, chiameremo la polizia e la tua famiglia.”

Lei annuì, facendo dondolare il pesante casco sul suo esile corpo e Max, scoppiando a ridere, esclamò: “Sei davvero bravissima, piccola.”

Decelerando quando raggiunse un bivio, Max svoltò quindi su uno stradello alla sua sinistra e, dopo una breve discesa che affiancava un piccolo ed elegante campo da golf, l’uomo fermò il mezzo di fronte a un grazioso hotel in stile inglese.

L’Ausable Club era un raffinato albergo di campagna, con un’ampia veranda sull’entrata, candide pareti sormontate da un tetto in laminato blu e un padiglione ottagonale direttamente collegato alla struttura.

In quel momento, era il posto più vicino da cui contattare le autorità e fornire alla bambina una prima occhiata dal punto di vista medico. Fu per questo che Max non perse altro tempo a congetturare e, lesto, parcheggiò la moto.

Spento il mezzo, Max tolse il casco a Emily e, presala in braccio, la condusse all’interno in fretta e furia, trovando alla reception il concierge, Alan Wickman, che lui conosceva dai tempi del liceo.

Vista l’ora tarda, l’uomo fu assai sorpreso di veder entrare qualcuno ma, quando intravide l’amico di famiglia in compagnia di una bambina, sobbalzò sgomento ed esalò: “Max, Dio mio… ma che succede?!”

“Guai, Alan. Belli grossi” esalò l’uomo, fermandosi accanto all’ampio bancone d’ingresso.

Guardandosi poi intorno, domandò: “Nina non c’è? O qualcun’altra delle cameriere? Questa piccolina ha bisogno di un po’ di cure tutte femminili.”

Alan squadrò quindi la bambina, aggrappata al collo di Max come se ne andasse della sua vita e, dopo un attimo di confusione, ricollegò le immagini sparate su tutti i canali televisivi con il visetto spaurito e i capelli arruffati che aveva dinanzi.

Portandosi una mano alla bocca per soffocare un grido di sgomento, Alan quindi gracchiò: “C-che ci fai con la figlia dei Poitier?!”

“Chiama la polizia, Alan. Il resto te lo spiegherò dopo” dichiarò sbrigativo l’uomo.

Il concierge assentì e, dopo aver fatto una telefonata interna per chiamare una delle cameriere, digitò il nove-uno-uno per avvertire la polizia dell’avvenuto ritrovamento della bambina.

Nel rimettere a terra Emily, Max le sorrise e disse: “Ora ti rimetteranno in sesto, piccola. Non temere."

Lei annuì fiduciosa, stringendo la calda mano di Max finché non giunse quasi di corsa una donna sulla quarantina dai folti e ricci capelli castani.

Nel vederla, gli occhi della cameriera si riempirono di lacrime ma, con determinazione, le scacciò e si fermò accanto ad adulto e bambina, dicendo: “Eccomi. Immagino di dover aiutare te, piccola.”

Emily ancora guardò Max, che le disse: “Vai tranquilla. Nina è a posto.”

La bambina allora lasciò la mano dell’uomo e prese quella di Nina che, con gentilezza, la condusse in una delle stanze libere dell’albergo e la aiutò a liberarsi degli abiti stazzonati perché potesse fare una doccia.

Per tutto il tempo, Nina rimase con lei e, quando Emily ebbe terminato di lavarsi, la donna la avvolse in un vaporoso accappatoio prima di aiutarla a mettersi a letto.

Lì, le carezzò con gentilezza capelli e viso, che stava cominciando a evidenziare i segni delle abrasioni provocate dai rami e dalle cadute e, dolcemente, mormorò: “Ora riposa tranquilla. Nessuno ti farà più del male, Emily.”

“Puoi rimanere qui? Finché… finché non arriva la polizia?” domandò speranzosa la bambina.

Ancora quelle lacrime a stento trattenute. Nina se le deterse con il dorso di una mano e, abbracciando teneramente Emily, disse: “Non ti lascerò sola. Aspetterò qui con te.”

“Grazie” sussurrò allora Emily, rigirandosi su un fianco per mettersi in posizione fetale.

Fu a quel punto che il sonno la prese e, per la prima volta dopo cinquantasei giorni, riuscì a dormire bene.

Era al sicuro, ora. C’erano Max, Nina e Alan, a vegliare su di lei.

***

Nederland – presente

 

“… in seguito, giunsero i poliziotti e un paio di agenti dell’FBI, che mi posero un sacco di domande e prelevarono ciò che Nina aveva raccolto per loro, prima di farmi il bagno. Mamma, papà e Jamie…” terminò di dire Emily, sorridendo al fratello. “… arrivarono nel tardo pomeriggio.”

Jamie era pallido come un cencio e la mano che teneva quella di Emily era fredda, rattrappita dall’ansia provata durante il racconto della sorella.

Parker, invece, aveva il volto coperto dalle mani e, dalla sua bocca, giungevano degli scongiuri e delle imprecazioni soffocate quasi inudibili.

Sospirando, Emily scrollò le spalle come a voler rilassare i muscoli e, sorridendo un poco, mormorò: “Sarà sciocco, ma mi sento meglio, in effetti. Dovrei chiamare Becca e scusarmi per gli anni di insulti più o meno gentili che le propinai, quando mi intestardii con lei per non parlare. Essere una psicologa è un mestiere orribile, se si hanno pazienti testardi come me.”

“Oddio, sorella!” esclamò Jamie, balzando in piedi per abbracciarla stretta a sé.

Senza poterselo impedire, Jamie pianse senza ritegno ed Emily, carezzandogli la schiena per calmarlo, esalò: “No, tesoro… non c’è bisogno di altre lacrime. Davvero.”

“Dovevi dirmelo! D-di quello che ti hanno fatto subire!” si lagnò lui, accentuando maggiormente la stretta.

“Te l’ho detto ora. Sai che ognuno ha i suoi tempi” mormorò lei, baciandolo su una guancia prima di scostarlo da sé per guardarlo negli occhi. “E poi, tu mi regalasti il tuo martello di Thor. Come avrebbe più potuto succedermi qualcosa?”

Scoppiando in una risata nervosa, Jamie assentì al suo commento ed Emily, a mo’ di spiegazione, disse a Parker: “Quando tornai, Jamie insistette per regalarmelo, anche se era il suo giocattolo preferito. Inoltre, ogni sera disponeva i suoi pupazzi degli Avengers davanti al mio letto perché mi proteggessero, e li toglieva la mattina perché non li calpestassi al mio risveglio.”

Suo malgrado, Jamie arrossì e Parker, liberatosi il volto dalle mani, annuì e chiosò: “Un bravo fratello minore. Non c’è che dire.”

“Io non sarei stato in grado di fare ciò che hai fatto tu, Emy” mormorò Jamie, reclinando contrito il viso. “Poco ma sicuro.”

“Solo perché io avevo otto anni e tu sei. Eri un po’ basso, per fare quel che ho fatto io ma, quanto a risolutezza, ce l’avresti fatta senza problemi” lo rassicurò lei, battendogli una mano sul braccio. “Ti saresti inventato qualcos’altro, ne sono sicura.”

“Non è…” iniziò col replicare Jamie, subito interrotto dalla sorella.

E’ vero. Sei stato tu che hai spinto per andare in prima persona a Haiti, dopo il terremoto, e ti sei spaccato la schiena come gli altri, per aiutare. Pensi che l’abbiano fatto in molti altri, tra quelli che conosciamo?” gli rammentò lei, granitica.

Parker emise un fischio modulato, a quella notizia, e chiosò: “A quanto pare, voi fratelli Poitier avete tempra da vendere.”

Emily gli sorrise e, nonostante le sue paure, si sentì veramente meglio per aver messo a parole ciò che, quei cinquantadue giorni, avevano voluto dire per lei.

Solo Anthony aveva conosciuto quella storia, fino a quel momento. Neppure mamma o papà ne erano al corrente perché, durante il processo, molte cose erano state omesse in quanto non direttamente attinenti al dibattimento. Gli investigatori sapevano, ma avevano accettato la sua richiesta di non dire tutto, se non quello strettamente necessario.

Per la sua salute mentale, avevano accettato sia le sue parole che quelle dello psicologo, limitandosi ad attingere alle prove a carico dei tre indiziati solo ove fosse servito.

In merito ad Anthony, si era sentita in dovere di spiegargli perché fosse impazzita proprio dinanzi ai suoi occhi. Lui si era meritato sul campo la sua piena fiducia, oltre che la sua totale franchezza.

Nonostante le pesasse ammetterlo, faceva davvero sentire liberi continuare a parlarne, come se quel peso enorme si frantumasse un poco alla volta, divenendo più leggero, più sopportabile. Anche se alcune cose erano ancora dentro di lei, ben nascoste, e lì sarebbero rimaste in eterno, si sentiva davvero già meglio.

Tentare di sviscerarle le era quasi costato la pazzia, perciò avrebbe lasciato quell’ultimo mostro ben sedimentato nel suo subconscio, così che ci morisse.

Era già stato difficile riavvicinarsi alla vita di tutti i giorni, e accettare di rivedere la sua famiglia dopo quel tragico evento.

All’arrivo dei suoi genitori nel piccolo hotel di campagna, Emily aveva abbracciato mamma e fratello, ma si era allontanata sdegnata da suo padre, tacciandolo di essere cattivo e crudele.

Jordan Poitier non aveva replicato all’accusa, ed Emily si era ancor più convinta della sua colpevolezza, di fronte a quel silenzio contrito e carico di condanna personale.

Ricordava bene con quanta freddezza lo avesse trattato in quelle prime ore, in netto contrasto con l’abbraccio pieno di gratitudine che aveva tributato a Max, Nina e Alan.

Tutto era andato peggiorando, da quel momento, e il suo rientro a casa era stato costellato di paradossi e contraddizioni.

Ciò che era successo a zia Berry l’aveva sì e no sconvolta, ancora troppo intontita dal rapimento per rendersi conto di cosa fosse veramente accaduto e, quando aveva iniziato a riprendere una vita più o meno normale, i suoi equilibri si erano ribaltati.

Emily aveva iniziato a incolpare il padre di ogni genere di cattiveria, reale o inventata che fosse, e ogni loro dialogo era finito tra le urla e i pianti. Non aveva mai permesso al padre di giustificarsi, in quei vent’anni, né aveva mai dato retta agli psicologi che, di volta in volta, si erano susseguiti nella sua vita.

Le parole del padre non avevano più contato nulla, per lei, perciò sarebbe stato inutile ascoltarle e a questo si era sempre attenuta, portando anche Jordan Poitier a uniformarsi a questo assioma.

Margareth aveva cercato di mediare tra di loro ma, alla fine, l’unica cosa che era riuscita a fare era stato allargare ancor di più il solco tra lei e il padre.

Dopo una serie infinita di inutili tentativi, Jordan aveva semplicemente rinunciato ad avere un rapporto di qualche genere con la figlia e, anche con gli psicologi, Emily aveva sempre tributato a lui ogni responsabilità per il suo stato di salute.

A nulla erano valsi gli sforzi di farle capire che, nel mondo reale, non esistevano solo il bianco e il nero e che, senza parlare con il padre, non avrebbe mai risolto i dubbi che la assillavano.

Emily era stata granitica, su questo punto. Non aveva più voluto avere a che fare con lui, né sentire le sue giustificazioni in merito.

Sospirando, la giovane si alzò dalla sedia come per scacciare quei pensieri, terminò di bere il vino e, sorridendo ai suoi due ospiti, Emily disse: “Penso che ora sarò cafona e vi abbandonerò per fare una telefonata. Vi scoccia?”

I due uomini scossero il capo ed Emily, con un sorriso di ringraziamento, risalì le scale assieme alla sua affidabile Cleopatra. Dopo aver acceso le luci del suo studio, vi si infilò dentro e si accomodò sulla poltrona da ufficio color bordeaux.

Lì, tutto le era famigliare e le dava sicurezza. Le ampie vetrate le permettevano di scorgere il lago, le vicine montagne e le luci della cittadina ma, al tempo stesso, la facevano sentire protetta.

I vetri che aveva fatto installare Sherry avrebbero retto il peso di un missile, se qualcuno avesse tentato di sfondarli, perciò poteva godersi le bellezze di Nederland senza avere paura di un’aggressione.

Per quanto mettere in sicurezza una villa con molte finestre fosse stato complesso, lei aveva preferito farla costruire così. Non era più riuscita a sopportare gli spazi stretti e chiusi, e aveva sempre avuto il bisogno fisico di potersi guardare attorno, di avere sempre una via di fuga da cui scappare.

Anche da se stessa.

Sherry Kerrington, la sua ammaliante amica e professionista nel mondo della sicurezza, aveva esaudito qualsiasi suo desiderio. E le aveva insegnato a sparare come un soldato.

Altra cosa in cui Sherry era provetta visto che, per diletto, era anche una cacciatrice di taglie.

Afferrato il cordless che teneva sulla scrivania, controllò l’orario – erano le otto di sera –, lasciò per un altro momento i suoi pensieri su Sherry e calcolò il fuso orario di Santa Fe, dopodiché pigiò il pulsante uno del telefono per la chiamata rapida.

Servirono quattro squilli perché la voce profonda e forte di Max Sheperd fuoriuscisse dal telefono.

Da almeno cinque anni si era trasferito a Santa Fe per gestire le scuderie del maneggio della figlia e, almeno una volta l’anno, Emily si prendeva due settimane per andare a trovarlo.

Sessantenne vigoroso e dalla salute di ferro, Max le era rimasto amico per tutto quel tempo e, non di rado, si erano incontrati per mantenere saldo il loro rapporto ormai ventennale. Anche con Alan e Nina si sentiva spesso, ma era con Max che aveva sviluppato questo legame simbiotico e trattava Becky, la figlia dell’uomo, alla stregua di una sorella acquisita.

“Ehi, biondina, come stai?” esclamò Max, mentre il nitrito di un cavallo si udiva in lontananza.

Emily sorrise al solo sentirlo e replicò: “Ehi, cowboy! Io sto bene. Sei già andato a surfare, quest’anno?”

L’uomo scoppiò in una calda risata di gola, ripensando ai suoi goffi tentativi di imparare, e alla sua conversione quasi obbligata alle moto d’acqua.

“Non mi prendere in giro, biondina. Sono vecchio per imparare certe cose” ironizzò lui, pimpante.

“Non me la dai a bere, Max. Tu non sei vecchio, è solo che apprezzi di più le cose motorizzate, ammettilo” lo prese in giro lei, accomodandosi sulla sua poltrona a ruote per poi giocherellare con la mano libera con il pelo di Cleopatra.

“Ah, in questo hai assolutamente ragione, Emy. Sono un fanatico fatto e finito” ammise l’uomo prima di tornare serio e domandarle: “Qualcosa non va, piccola?”

Quel ‘piccola’ le fece tornare alla mente ancora una volta il loro primo incontro, il latte caldo che le aveva preparato e le sue mille e più gentilezze.

Era stato un padre putativo, un amico, un confidente, ma neppure con lui era riuscita ad aprirsi completamente. Come coloro a cui aveva raccontato la sua storia, conosceva solo ciò che era venuto fuori durante il processo, ma nessuno sapeva la versione completa.

Anche quando aveva partecipato al contraddittorio, aveva omesso alcune parti; non aveva voluto che il mondo intero conoscesse ogni cosa di quel che le era successo in quella grotta.

Non che le sue omissioni avrebbero potuto cambiare la pena – Simon e Vince sarebbero probabilmente usciti in una casa di pino, dalla prigione, tanti erano gli anni che gli erano stati comminati. L’aggravante di aver reso paraplegica la sua balia aveva peggiorato – e di molto – la loro posizione giuridica. L’aver rapito, e maltrattato, una bambina, una bambina ricca, li aveva praticamente condannati a vita.

Non che le piacesse ammetterlo, ma anche il suo status sociale era contato, in quel processo.

Grazie alla testimonianza di Sandra – la loro adorabile nanny – si era potuto confermare con certezza che, a colpirla, era stato Vince, mentre Simon l’aveva tenuta sotto tiro con una pistola.

Ray, invece, non le aveva fatto alcun male, né l’aveva minacciata in nessun modo. Sandra, anzi, aveva ricordato di come si fosse speso per evitare che Vince la colpisse, ricevendo per diretta conseguenza un pugno al volto.

Emily era stata felice di sapere che Ray non le aveva fatto del male e forse, se avesse ammesso ogni cosa, tutto quanto, non si sarebbe accompagnata per tanti anni ai demoni che le tenevano tutt’ora compagnia.

Ammettere ad alta voce quel che ancora era sedimentato nella sua mente, però, era facile da dire solo a livello teorico. A conti fatti, in realtà, non c’era mai riuscita, se non una volta, e cioè con il giudice che aveva presieduto il processo.

Un po’ troppo poco, e con una persona che non le aveva dato alcuno stimolo a guarire, per potersi dire libera da incubi. Però, era stato buono con lei, aveva promesso di non renderlo noto, e questo le era bastato per non impazzire.

L’incubo, però, era rimasto sedimentato dentro di lei, crescendo al pari con la sua età, e ora era diventato qualcosa di mostruoso, di inaccettabile, che non riusciva più neppure a nominare a se stessa.

“Hai un po’ di tempo per me?” dichiarò a un certo punto Emily, fuggendo letteralmente dalla propria mente.

“Ovvio, piccola. Dimmi tutto” mormorò l’uomo.

Emily, così, tornò a raccontare ciò che aveva appena detto a Jamie e Parker. Più le parole fluirono dalla sua bocca, più il suo corpo, il suo animo si fecero leggeri. Ma ancora quell’angolo buio rimase inesplorato, chiuso, serrato a doppia mandata.

Come inizio della sua fuoriuscita dal tunnel, però, poteva ritenersi soddisfatta, no?

I demoni cominciarono a rimpicciolirsi, a prendere forme più sopportabili e gestibili e, quando infine sospirò e chiuse la bocca, sentì Max imprecare e ringraziare Dio al tempo stesso.

“Ci ho messo un po’. Scusa.”

“E di che ti vuoi scusare, piccola? Niente di quel che successe fu mai colpa tua. Tu dimostrasti solo di essere coraggiosa e intraprendente. Punto.”

“Perché, allora, papà non venne a prendermi?” domandò Emily, e le lacrime sgorgarono come fuoco sul suo volto contratto.

Max non rispose subito, si limitò ad ascoltare il suo pianto arrabbiato e liberatorio e, solo quando fu sicuro di aver soppesato bene pro e contro, disse: “Lo vidi, Emily. Gli parlai. Non mi parve un uomo freddo, né indifferente. Solo estremamente combattuto.”

“Combattuto? Doveva solo salvarmi!” urlò furiosa e frustrata, sentendosi in tutto e per tutto quella bimba di otto anni che aveva dovuto affrontare un evento mostruoso nella più totale solitudine.

Emily era cosciente di essere in parte ingiusta. Ormai sapeva che il mondo non funzionava come aveva creduto da bambina, ma v’erano più sfumature che in un caleidoscopio.

Ugualmente, il livore e la rabbia l’avevano accompagnata anche quando aveva compreso le dinamiche degli adulti e ora, a più di trent’anni, ancora non accettava certe regole e le loro relative limitazioni.

“Lo so, bambina. E non mi metterò a giustificare nessuno, perché non conosco le cose fino in fondo… ma, proprio per questo, dovresti parlare con tuo padre. Senza risentimenti, senza preconcetti. Solo in seguito potrai decidere se merita o meno il tuo biasimo. Sei abbastanza forte per affrontare anche questo demone, Emy. Lo sai bene.”

“Tu credi?” mormorò lei, chetandosi un poco.

“Oh, ne sono sicuro. I vostri silenzi sono durati anche troppo a lungo, e tu lo sai. Non sei così sciocca da non sapere che tacere per vent’anni può portare a disastri inenarrabili.”

Chiusi gli occhi per un istante, Emily prese un gran respiro e, nell’emettere lentamente aria dalla bocca, finì col dire: “Vedrò di pensarci. Ma prima devo finire il mio libro, e poi dovrò fare la baby-sitter per un po’. Consuelo ha la precedenza.”

“Va bene anche così. Basta che tu lo inserisca in agenda. Non dimenticarlo.”

Lei sbuffò, emise un risolino e, afferrata che ebbe la sua agendina, scrisse un memo al primo dicembre indicando ‘parlare con papà’.

“Dicembre, bimba? Ti spingi avanti” ironizzò Max.

“Beh, siamo a maggio. Consuelo partorirà tra un mese, io la aiuterò per almeno sei… va bene, no?” replicò pragmatica Emily. “In fondo, non è che io odi davvero mio padre, perciò…”

“No di certo, ma piccola, non gli hai mai permesso di parlarti, di darti la sua versione dei fatti. Anche i santi perdono la pazienza, sai?” Max scoppiò a ridere subito dopo e aggiunse: “In ogni caso, non mi metterò a discutere con te, visto come riesci a portare rancore a lungo. Basta solo che gli parli.”

“Ci proverò. E…” iniziò col dire lei, prima di sentire bussare alla porta dello studio. “Aspetta un attimo, Max.”

Jamie entrò al suo assenso e, nel vederlo eccitato e in ansia al tempo stesso, esalò: “Il bambino? Di già?!”

“Già. A quanto pare, ha pensato bene di anticipare i lavori. Sam ha appena chiamato l’ambulatorio per dire che a Consuelo si sono rotte le acque. L’ambulanza sarà qui a breve e la porteranno a Boulder” le spiegò Jamie.

Balzando in piedi, Emily esalò: “Bimbo in arrivo. Ti faccio sapere, Max.”

“D’accordo, biondina. Ti voglio bene, lo sai?”

“E’ reciproco” sorrise lei, chiudendo la chiamata.

Appoggiato il telefono sulla scrivania, fissò spiacente Cleopatra e disse: “Devo ripartire ancora, bellezza. Ma sarà solo per un giorno, okay?”

La cagnolona uggiolò demoralizzata e, mentre Emily scendeva le scale con Jamie e Cleo alle calcagna, Parker li attendeva sulla porta, lo sguardo puntato sulla casa di Consuelo e Sam.

“Voi partite tranquilli. A Cleo penso io, okay?” propose Parker, prima ancora che Emily potesse chiedere. “Fammi sapere come procede, però.”

“Non mancheremo” gli promise Emily, afferrando in fretta il suo soprabito, mentre Jamie faceva lo stesso.

Parker allora uscì dalla casa di Emily e, accarezzato il testone di Cleopatra, le disse: “Stanotte dormirai ancora da me, bella. Faremo un festino alla faccia di tua mamma, e vedrai che non ne sentirai la mancanza.”

Cleo scodinzolò e girò attorno a Parker con aria soddisfatta, prima di abbaiare un paio di volte all’indirizzo di Emily in segno di stizza.

La giovane non poté che ridere di fronte a quell’aperto ammutinamento ma quando, dieci minuti più tardi, vide giungere l’ambulanza, tornò seria e disse: “Noi andiamo.”

“Partite tranquilli. A lei bado io” la rassicurò Parker, dandole una pacca sulla spalla.

“Grazie” mormorò Emily. Ma non fu solo per il cane che lo ringraziò quanto, piuttosto, per la sicurezza che aveva saputo instillarle.

Lui si limitò a scuotere il capo, sminuendo la cosa e, quando li vide partire assieme all’ambulanza, mormorò a Cleopatra: “Tua mamma è davvero una potenza.”


 

N.d.A.: termina la storia del rapimento di Emily, e di come Max le abbia fatto da padre putativo in questi anni, così come Emily abbia azzittito qualsiasi replica del padre e qualsiasi spiegazione in merito a ciò che gli aveva impedito di pagare il riscatto (ammesso e non concesso che potesse servire a salvarla). Forse, dopo essere riuscita a parlare con Jamie, Parker e Max, Emy troverà il coraggio di aprirsi anche con suo padre, accettando finalmente di ascoltare anche la sua versione dei fatti. Voi che dite?


 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 

8.

 

 

 

 

I minuti si ammonticchiarono gli uni sugli altri, divenendo ore finché, alle quattro e venti del mattino, Sam uscì dalla sala parto con un gran sorrisone e abbracciò un addormentato Mickey.

Il bimbo si ridestò subito, inquadrò il padre con gli occhietti già attenti e sorrise di rimando, stringendo il papà e domandando: “E’ nato?”

Nata. A quanto pare, sarai il fratello maggiore di una sorellina” gli spiegò Sam, notando la smorfia immediata sul viso del figlio.

Emily e Jamie risero sommessamente di fronte al suo aperto disagio e Mickey, dubbioso, borbottò: “Ma le femmine giocano con la palla?”

Sam scoppiò a ridere, assentì e replicò: “Certo, tesoro. Le insegnerai tu. Tra qualche anno, però.”

“Beh, è ovvio… prima deve imparare a stare in piedi” brontolò il bambino, come se l’appunto del padre fosse stato inutile quanto scontato.

“Congratulazioni, Sam” disse Emily, levandosi dalla poltroncina della sala d’aspetto per abbracciare l’amico.

“Grazie, Emy… di tutto. E grazie anche a te, Jamie” mormorò l’uomo, stringendo in un mezzo abbraccio anche il giovane Poitier.

Mickey sbadigliò sonoramente, tra le braccia del padre, ma chiese: “Posso vedere la mamma?”

“Solo un’occhiata veloce, poi fili a letto e ci rivediamo domani… no, oggi pomeriggio, va bene? Hai bisogno di riposare, piccolo” dichiarò Sam, avviandosi quindi lungo il corridoio per raggiungere la camera della moglie.

Quando i due furono spariti nel corridoio adiacente la sala d’attesa, Emily sbadigliò a sua volta e dichiarò a nessuno in particolare: “E’ andata bene, grazie a Dio. Anche se la stanza andrà ritinteggiata. Dalle ecografie, si pensava fosse maschio.”

“Amen. Così è la vita. Pronta per rientrare? O prendiamo una stanza qui a Boulder?” le domandò Jamie, stiracchiandosi le braccia e la schiena.

Sorridendo nel sentire gli scricchiolii provenienti dal fratello, segno inequivocabile di un impellente bisogno di riposo, Emily disse: “Ce la faccio a guidare, tranquillo. Ma oggi mi riposerò tutto il giorno. Poco ma sicuro.”

“Mi associo. Ti darò comunque il cambio alla guida, se serve” annuì il fratello prima di sorridere nel veder tornare Mickey, tra grandi sbadigli e un’aria più tranquilla.

Samuel accompagnò il figlio fino alla coppia di fratelli e lì, dopo un attimo, domandò: “Sei sicura di volerlo tenere con te, Emy? Posso chiamare mia madre, se credi.”

“E farla venire fino a Nederland da Denver, a quest’ora di notte? No, Sam. Lascia che riceva la notizia più tardi, con comodo. Io la aspetterò a casa con Mickey” scosse il capo Emily, dandogli una pacca sul braccio.

“Grazie. Ti dobbiamo davvero molto” la abbracciò con calore Sam.

“Consuelo è da sola, qui, visto che i suoi genitori sono rimasti in Messico. E tua madre non ha bisogno di scodellarsi la strada fino a Nederland in piena notte. Jamie e Mickey si divertiranno un mondo a dividere il letto… vero?” ammiccò la giovane, lanciando un’occhiata divertita al fratello, che aveva già preso in braccio un insonnolito bambino.

“Sicuro come l’oro. Faremo un mega pigiama party” ironizzò Jamie e Mickey ridacchiò, poggiando fiducioso il capo contro la spalla del giovane.

“E’ a pezzi” mormorò comprensiva Emily. “Partiamo subito. Ti manderò un SMS non appena saremo arrivati, okay?”

“Andata. E ancora grazie” le disse Sam, allungandosi per dare un bacetto sulla testa al figlio.

“Se non ci si aiuta tra amici…” chiosò lei, salutandolo quando lo vide tornare verso il corridoio della maternità.

Lanciata poi un’occhiata al fratello, aggiunse: “Bene. Possiamo andare.”

***

Complice la stanchezza accumulata durante il viaggio di ritorno, unitamente all’accumulo di adrenalina annullatasi di colpo dopo la nascita di Sophie Ines Larson, Emily si svegliò solo intorno alle tre del pomeriggio.

Senza incubi.

Stiracchiandosi nello sbadigliare sonoramente, scoppiò a ridere l’attimo seguente quando Cleopatra balzò con la zampe anteriori sul letto per cominciare a leccarla, piena di felicità e aspettativa.

Emily la lasciò fare, carezzandola e facendole dei grattini dietro le orecchie prima di domandare: “Sei scappata da casa di Parker, bricconcella?”

Cleopatra abbaiò ancora, e solo in quel momento Emily si accorse del brusio al piano inferiore.

Azzittendosi, ascoltò le voci provenienti dabbasso e, quando riconobbe quelle di Jamie e Parker, comprese il motivo della presenza di Cleopatra.

Vestitasi con camiciola, cardigan e jeans, Emy arrancò quindi fino al bagno, ma non prima di aver controllato che Mickey stesse ancora dormendo.

Nel vederlo saporitamente addormentato nel lettone sfatto, i suoi occhi si addolcirono e, nel richiudere la porta, si dedicò alle sue abluzioni mattutine… beh, pomeridiane, in quel caso.

Dieci minuti dopo, scese fino in cucina, salutò i due uomini  intenti a bere una tazza di caffè e ne prese un po’ per sé dalla brocca che, evidentemente, il fratello aveva da poco preparato.

Afferrata poi una mela, la addentò e bofonchiò: “Non vavori, offi?”

Ridendo sommessamente, Parker scosse il capo e replicò: “Ti devo ricordare che è domenica?”

“Oh, già” esalò lei, dandosi una manata sulla fronte. “Cleo ti ha dato problemi?”

“Ha tenuto un muso adorabile, spaparanzandosi davanti all’entrata di casa e sospirando ogni minuto e mezzo circa” ironizzò l’uomo, scrutando la danza allegra della cagnolona, che stava trottando attorno alla sua padrona come se non la vedesse da mesi.

Carezzando gentilmente l’amica, Emy mormorò: “Scusa tanto, bellissima. Ma quando vedrai Sophie, sono sicura che capirai.”

“Mamma e figlia stanno bene, quindi?”

“Quando le abbiamo lasciate stamattina, sì” assentì Emily, sedendosi al tavolo da pranzo. “Hai novità, Jamie?”

“Solo un SMS di Sam, in cui mi dice che Sophie si è svegliata per la pappa” annuì lui mostrandole il cellulare, corredato dalla foto di una bimbetta in tutina bianca e azzurra, attaccata al seno di Consuelo. Dopotutto, si era pensato a un maschio, e gli abitini che avevano preparato per andare all’ospedale, avevano tutti fantasie maschili, ma poco contava, in quel momento.

“Adorabile” mormorò Emily, terminando il caffè.

“Sono contento per loro. Avranno il doppio dei grattacapi, ma saranno grattacapi buoni” chiosò Parker, poggiando la tazza del caffè sul tavolo per poi alzarsi. “Adesso sarà meglio che vada. Devo rimettere un po’ in ordine le mie scartoffie, visto che domani cambierò zona.”

“Dove ti spingerai?” gli domandò Emily.

“Mi sposterò nella zona di Eldora per controllare le miniere di Tungsteno del posto” le spiegò lui.

“Se ti serve una mano, chiedi pure. Mi sono spinta lì diverse volte, per fare delle fotografie, e conosco bene i sentieri” lo mise al corrente Emily.

“Ne terrò conto” dichiarò Parker, avviandosi verso la porta. “Buona giornata, ragazzi. Passerò stasera a salutarti, Jamie.”

Il giovane assentì, battendo pugno contro pugno con il geologo ed Emily, osservandoli insieme, fu lieta che anche il fratello trovasse simpatico Parker. Il suo giudizio contava molto, per lei.

Accompagnatolo alla porta, Emily fece per salutarlo, quando notò l’auto di Anthony ferma davanti alla casa dei suoi vicini, forse in attesa di notizie riguardanti Consuelo.

Parker lo guardò a sua volta, vagliò se fosse il caso o meno di rimanere assieme a Emily ma, quando lei non disse nulla e si avviò verso l’uomo, lasciò perdere e si limitò a darle una pacca volante sulla spalla per poi avviarsi verso casa.

Dopo quello che aveva saputo su di lei, il pensiero di aiutarla e proteggerla era divenuto molto forte, ma non era la sua ragazza e, se Emily non chiedeva aiuto, perché offrirglielo?

Non era una mammoletta, e lo aveva dimostrato già in giovanissima età.

Se avesse avuto bisogno di lui, Parker ci sarebbe stato. Non fosse mai che lasciasse una donna in difficoltà. In quel momento, però, non sembrava davvero il caso di immischiarsi.

***

Dopo aver lanciato un ultimo sguardo a Parker, che si avviò a passo tranquillo verso il fondo della via, Emily richiamò l’attenzione di Anthony chiamandolo a mezza voce e, subito, l’uomo si volse verso di lei per salutarla.

Appariva in lieve ansia, ed Emy ne comprendeva bene i motivi.

Consuelo era stata la sua fidanzata, anni addietro, e Mickey era nato circa nove mesi dopo una furiosa lite che li aveva visti separarsi definitivamente, con grande disagio da parte di entrambi.

Quella nascita, seguita a una sola notte d’amore con Samuel – da cui Consuelo si era rifugiata in lacrime e disperata – aveva suscitato un mezzo scandalo, in paese.

Consuelo ed Anthony avevano raggiunto il punto di rottura dopo un lungo periodo di liti e discussioni, causate soprattutto dal comportamento irriguardoso del padre di lui. William si era sempre espresso negativamente su di loro, e tutto a causa della famiglia di Consuelo, che era di origine messicana.

Più volte, Anthony e suo padre si erano scambiati insulti verbali più o meno intensi, in merito all’assurda convinzione di William che Consuelo non fosse ‘abbastanza’ per il figlio.

Nonostante la strenua decisione di Anthony di proseguire con la sua relazione, l’odio ben radicato di William aveva però minato le certezze di Consuelo, e questo aveva portato all’allontanamento progressivo dei due. E alle loro liti sempre più frequenti.

Samuel si era ritrovato proprio nel mezzo di quell’ultima crisi, amico di entrambi ma innamorato da sempre di Consuelo.

Ciò che era avvenuto la notte in cui Consuelo si era presentata a casa sua in lacrime, furiosa con Anthony e disposta a mandare tutto alle ortiche con lui, aveva segnato la fine di un percorso e l’inizio di un altro.

Per mesi, Consuelo si era poi scusata con Samuel per averlo messo nella scomoda situazione di essere colui che aveva rubato la donna all’amico.

Anthony, però, non aveva ingiuriato né l’uno né l’altra. Si era dichiarato però deluso da se stesso per non aver lasciato altra scelta a Consuelo se non l’andarsene via da lui a quel modo.

La notizia della gravidanza della giovane aveva rinfocolato però le chiacchiere di paese dopo che, all’apparenza, tutto sembrava essersi appianato.

Alcuni avevano persino insinuato che la paternità di Mickey fosse da addebitare ad Anthony, ma lui aveva sempre smentito con forza quell’ipotesi, non fornendo però nessuna spiegazione in merito.

Per tacitare i più maliziosi, Samuel aveva altresì chiesto ad Anthony di fare da padrino a Mickey, e lui aveva accettato con piacere.

Alla fine, come qualsiasi altro pettegolezzo, anche quello era morto per mancanza di comburente da bruciare sull’altare dei curiosi e, per il trio, era infine giunta una pace sofferta e combattuta con coraggio.

Negli anni, la loro amicizia si era rinsaldata fino a divenire indissolubile, e tutto ciò che era avvenuto in passato era stato dimenticato e perdonato.

Non per William Consworth, però, che ancora riteneva Consuelo una donna dalla dubbia moralità.

A nessun altro, però, era mai venuto in mente di fare eco a quegli insulti, perciò Consworth senior era rimasto solo nel suo odio e nella sua sciocca convinzione di essere dalla parte della ragione.

 “Devo supporre che Consuelo sia andata in ospedale. Ho visto passare l’ambulanza, ieri sera, e ho immaginato fosse per lei, ma non volevo disturbare, chiamandoli” esordì Anthony, poggiandosi svogliatamente contro la propria auto.

“Sì. Li abbiamo accompagnati a Boulder ieri sera. La bambina è nata stamattina alle quattro circa” lo informò lei, avvicinandosi fino a poggiarsi contro il pilastro del cancello.

Anthony appariva molto rilassato e, quando sentì che la bambina era già nata, sorrise sollevato ed esalò: “Bambina? Allora, ci saranno dei cambiamenti in casa! Sai già che nome le hanno dato?”

“Sophie Ines. Se non ho capito male – ero abbastanza addormentata, quando Sam me l’ha spiegato – è in onore della nonna di Sam, che ha origini italiane. Il secondo nome, invece, è in onore della nonna di Consuelo” gli spiegò Emily, sorridendo divertita.

Lui assentì, scoppiando a ridere, e chiosò: “Io sarei crollato dal sonno. O forse no. Mi sarei agitato tanto da svenire… quindi non sarei stato molto utile, in nessuno dei due casi.”

“Oh, beh, qui la vera roccia è stato Mickey. E’ rimasto arzillo come una cavalletta per tutto il tempo.  Ha dormito solo pochi minuti e, quando Sam è uscito dalla sala parto, si è ripreso subito per vedere mamma e sorella. Solo dopo è crollato del tutto” celiò Emily prima di aggiungere: “E’ un po’ preoccupato perché non sa se sarà brava a giocare a calcio.”

Anthony rise nuovamente, ed Emily si sentì rimescolare il sangue al pensiero di non avere il coraggio di avvicinarsi a lui. Desiderava con tutto il cuore riallacciare i rapporti con Tony, ma la paura di affrontare l’intimità con lui era tale da raggelarla.

Si sentiva davvero una stupida, a comportarsi come una bambina petulante e fifona, ma non riusciva davvero ad accettare che qualcuno la toccasse come…

Il solo pensiero la fece impallidire e Anthony, smettendo immediatamente di ridere, mormorò: “Emy… cosa c’è? Sei impallidita di colpo.”

Lei si riscosse, si passò le mani sul viso e, nervosa, mormorò: “Tranquillo, non è nulla. Solo… vecchi ricordi.”

Accigliandosi un poco, Anthony le domandò: “Per via di Ray? So che gli hanno concesso delle attenuanti e uscirà quest’estate.”

Emily non fu affatto sorpresa che lui ne fosse al corrente. Per quanto non stessero più insieme, si era sempre preso cura con discrezione di lei, al pari di Gilda e dello sceriffo. Anzi, forse era stato lo stesso sceriffo Meyerson ad avvisarlo dell’imminente scarcerazione di Ray.

“In parte. Cioè, lo so che lui non mi farebbe mai del male, o che altro. Era l’unico di cui mi fidassi, là dentro, però…” borbottò lei, passandosi una mano sulla fronte aggrottata, sperando che quel semplice gesto potesse scacciare l’ansia di quei ricordi sedimentati in lei e mai sgorgati dal suo animo.

“…però, ti fa riemergere comunque dei ricordi spiacevoli. Inoltre, questo è il periodo in cui ti trovavi nella grotta, per cui non fa specie che tu abbia dei cattivi pensieri” annuì lui, lanciando un’occhiata al cielo sgombro di nubi prima di sorridere mestamente e aggiungere: “Vorrei abbracciarti, dirti che gli incubi passeranno, che nessuno ti farà più del male, ma…”

“… ma sai che darei di matto. O almeno, lo temi” terminò per lui, sbuffando contrariata. “Dio! Vorrei schiaffeggiarmi da sola, per la mia viltà, credimi! Perché vorrei che tu mi abbracciassi. Davvero!”

Anthony la fissò sorpreso, e la luce della speranza si accese nei suoi occhi chiari e simili a pozze di cielo. Ugualmente, però, non si mosse, ligio al ruolo di cavaliere che si era autoimposto per lasciare spazio a Emily.

Emily che, sbuffando nuovamente, borbottò: “Puoi… puoi provare, per favore? Piano, però.”

Lui assentì, muovendosi verso di lei al rallentatore, quasi stesse avvicinando un animale selvatico che non voleva far scappare per la paura.

Emily rimase accanto al pilastro, lasciandosi sorreggere per paura che le gambe le cedessero e, quando avvertì il contatto con le mani calde di Anthony, si sentì sciogliere.

Oh, le ricordava ancora, quelle mani gentili e forti al tempo stesso! Quel calore piacevole che le scaldava le membra fredde, quel petto ampio e protettivo che la faceva sentire al sicuro.

Nemmeno dopo cento anni l’avrebbe dimenticato, eppure quel calore, quella vicinanza, le scatenavano dentro schegge di paura incontrollabili che la ferivano… e lo ferivano, costringendola ad allontanarsi.

“Stai tremando, Emy… vuoi che smetta?” mormorò Anthony contro i suoi capelli, inspirando il suo profumo e godendo di quei pochi attimi accanto a lei.

Era così difficile accettare di restare sempre a qualche metro da lei, senza poterla toccare come avrebbe voluto, senza dimostrarle che lui sarebbe stato in grado di proteggerla dai suoi demoni.

Aveva accettato di lasciarle spazio – e come avrebbe potuto fare altrimenti, visto quanto l’amava? – ma portare avanti quel ruolo da amico gli stava diventando stretto.

Inoltre, lo volesse o meno accettare, quel nuovo arrivato, Parker Jones, sembrava aver fatto breccia nel cuore di Emily, e lui non era fatto di pietra.

Bruciava di gelosia ma, di fronte a Emily, si era imposto di non dire – né fare – nulla, conscio dei suoi problemi e di quanto fosse difficile affrontarli.

Emy, nel frattempo, scosse il capo ma si allontanò lentamente, gli occhi colmi di lacrime che, però, non avrebbe mai versato di fronte a lui.

Anthony, allora, la lasciò andare con un sospiro e si limitò a sfiorarle il viso con una leggera carezza.

“Mi odio” mormorò lei.

“Io non ti odio” replicò lui.

“Dovresti. Sono un mostro” protestò Emily, scostandosi completamente dall’uomo ma trattenendo sul viso la sua mano.

Con la propria la coprì delicatamente e aggiunse: “Dovresti mandarmi al diavolo, trovarti una brava ragazza e lasciarmi bollire nel mio brodo.”

“Al momento, non troverei di meglio. E sai quanto io sia esigente” ironizzò lui, apprezzando che Emily stesse intrecciando le dita alle sue.

“Sei masochista” sottolineò lei, gorgogliando una risata.

“Può essere, non ho mai sperimentato di persona, anche perché non mi definirei un Christian Grey” motteggiò lui, pensieroso.

“Lui è un Dominatore sessuale, Tony” precisò Emily, ammiccando.

“C’è molta differenza?” si informò allora lui, cavalcando l’onda di quel dialogo leggero. Sembrava servisse a calmarla, e lui avrebbe anche passato tutta la giornata a dire sciocchezze, se fosse servito a passare del tempo con lei.

“Direi di sì, almeno per quel poco che so. Comunque, non è una cosa che intendo provare. Ho già dato, sul fronte esperienze estreme” chiosò Emily prima di sorridergli e aggiungere: “Grazie, Tony.”

“Per aver parlato di Mr Grey?” ironizzò lui. “Sei anche tu innamorata di Jamie Dornan?”

“Non piangerei, lo ammetto, se mi passasse a prendere per un drink” rise a quel punto Emily, lasciandolo andare. “Ma vivo con i piedi per terra. Vicino a persone a cui tengo molto.”

“Buono a sapersi” si limitò a dire Anthony.

“Ti farò sapere quando torneranno a casa, va bene?”

“D’accordo” assentì lui prima di sollevare una mano per salutare qualcuno alle spalle di Emily.

Avvampando, la giovane a quel punto mormorò: “Non mi dire che Jamie ci sta guardando dalla finestra.”

“Per la verità, sia lui che Mickey hanno la faccia incollata al vetro. Temo dovrai pulirli, dopo” ironizzò l’uomo, salendo in macchina e salutandola con un cenno della mano.

“Beh, darò straccio e Vetril a loro” bofonchiò Emily, voltandosi per tornare in casa a passo di carica.

Immediatamente, Mickey e Jamie si scollarono dal vetro per scappare e, quando Emily entrò in casa, trovò solo Cleopatra ad attenderla.

Sospirando, la giovane accarezzò la sua cagnolona e borbottò: “Dove se la sono filata, quei due codardi?”

***

“… e così, li ho trovati che curiosavano come due comari” terminò di raccontare Emily mentre Sam e Consuelo se la ridevano e Mickey e Jamie si guardavano imbarazzati.

“Ragazzi curiosi, questo è sicuro” chiosò Consuelo, sorridendo amabile al figlio.

“Oh, non c’è che dire. Ma il bello è che poi se la sono filata, quando li ho scoperti” ironizzò Emily, fissandoli con aria furba.

Jamie ridacchiò nervosamente e ammise: “Volevo solo essere sicuro che non avessi problemi.”

“Sì, sì, zia Emy!” rincarò la dose Mickey, annuendo con vigore. “Quando Jamie non è con te, ci penso io a tenere sott’occhio gli uomini! Perciò devo conoscere le facce di chi ti ronza intorno!”

“Ronzarmi… intorno? E dove l’hai imparato questo gergo?” esalò Emily, mentre i genitori del bambino scoppiavano nuovamente a ridere.

“A quanto pare, Mickey si è autoproclamato tuo cavaliere” celiò Sam, dandole una pacca sulla spalla.

“Oh, beh, ne sono onorata… ma devi stare tranquillo. Tony è un tipo a posto. Siamo amici, io e lui” lo rincuorò lei.

“Allora, anche Parker è tuo amico?”

“Certo che lo è.”

Mickey si fece pensieroso, guardò per qualche istante il padre e infine domandò: “Ma una donna grande può avere due amici maschi?”

Gli adulti esplosero in una risata collettiva, di fronte a quella ingenua domanda e, quando l’infermiera entrò con Sophie, li trovò ancora sorridenti e allegri.

“Guarda chi c’è!” esalò Consuelo, allungando le braccia verso la figlia. “Ciao, piccolina!”

L’infermiera gliela consegnò con dolcezza, mormorando: “E’ stata bravissima, e tutti gli esami sono in ordine. Stando così le cose, il dottore dice che entro domani potrete tornare a casa.”

“Molto bene” annuì la donna, mentre Samuel batteva il cinque con il figlio.

“Potremo tornare presto a casa, amore mio” mormorò Consuelo, dando un bacino sul capo alla figlia.

Lei sbadigliò, si stiracchiò e allungò le manine paffute verso il seno della madre che, con naturalezza, la accontentò.

Emily, seduta al suo fianco sul letto, sorrise deliziata e disse: “E’ davvero adorabile e, se crescerà così bella com’è ora, Sam e Mickey dovranno davvero farle la guardia.”

“Non mi ci far pensare” esalò Samuel, scuotendo il capo.

“Dovrò fare la stessa cosa che sto facendo per zia Emy?” si informò Mickey a quel punto.

“Direi di sì… armato di bazooka, però” sottolineò Sam, facendo ridere tutti.

Mickey, però, lo prese molto sul serio e, dopo aver guardato la sorella, assentì con orgoglio e dichiarò: “Proteggerò io la mia sorellina.”

Jamie lanciò un’occhiata alla sorella che, sorridendogli, annuì e allungò una mano nella sua direzione, stringendo quella protesa del fratello.

Anche Jamie aveva detto quelle esatte parole, quando l’aveva vista tornare a casa dopo quegli sventurati cinquantasei giorni nel bosco.

Anche lui l’aveva guardata con quello sguardo pieno di determinazione, e anche lui si era messo nella posa dei supereroi, pronto a difenderla da ogni male.

Emily, però, aveva imparato a proprie spese che, da certi pericoli, neppure il fratello più coraggioso e forte del mondo, poteva nulla.

La mente era un nemico difficile da battere, e nessuno poteva darci le armi per batterla. Veniva solo da noi scoprire il punto debole del proprio demone personale.

 

 

N.d.A.: Sophie è finalmente nata e, grazie al suo arrivo, conosciamo un po' meglio il passato interconnesso di Anthony, Consuelo e Samuel, così come l'odio viscerale che William Consworth prova per Consuelo. Notiamo anche come Emy cerchi disperatamente di riavvicinarsi a Tony, e come quest'ultimo provi ancora dei sentimenti molto forti per lei. Sarà finalmente la volta buona? Emily riuscirà a sbloccarsi definitivamente?


 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 
9.
 
 
 
 
Accompagnata dalla fida Cleopatra e armata di nuova grinta e della rinnovata volontà di migliorarsi, Emily scese dal proprio pick-up – posteggiato alle spalle di quello di Parker – e si apprestò a immergersi nel bosco assieme a lui.

Memore della proposta della giovane, Parker lunedì mattina l’aveva cercata per invitarla per un’uscita in mezzo ai boschi così da approfittare delle sue conoscenze della zona di Eldora, ed Emily aveva accettato.

Verso le nove del mattino, perciò, Parker si era presentato a casa di Emily – Jamie era dovuto rientrare a New York per affari improrogabili, ritrovandosi così costretto a una fuga frettolosa e imprevista – e insieme si erano diretti verso la nuova zona di ricerche del geologo.

Dopo un breve percorso di poche miglia, per lo più accidentato quanto movimentato, i due avevano trovato posto in una rientranza della sterrata che avevano imboccato e, in quel momento, si apprestavano a prendere il sentiero per la miniera.

Cleo sembrava eccitata all’idea di affrontare quella nuova avventura e anche Emily, nonostante qualche timore, era propensa a lasciarsi condizionare dall’umore della sua cucciolona.

Voleva riuscire. Era stanca della compagnia sgradita dei suoi demoni, di ciò che la portavano a fare – o non fare – e di quello che dovevano patire le persone a lei care a causa dei suoi ricordi orribili.

Era tempo di dire basta.

Vedere come Sam e Consuelo fossero felici di quella nuova vita all’interno della loro famiglia, le aveva fatto comprendere quanto si stesse perdendo, della propria.

Non tanto in merito ai figli – non era certa di volerne – quanto, piuttosto, alla possibilità di vivere appieno, e in modo sempre diverso, le rispettive vite. Lei si era arenata a quei maledetti cinquantadue giorni, a quegli anni di paure mai sconfitte e, oltre a divenire adulta per l’anagrafe, aveva fatto poco altro per diventarlo davvero, in tutto e per tutto.

Rivoleva la vita che le avevano strappato, non soltanto qualcosa che le somigliasse vagamente, e rivoleva Anthony nella sua esistenza. A ogni costo.

“Premettendo che non mi farò fregare una seconda volta, ma… posso portare qualcosa anch’io?” domandò Emily, poggiandosi contro il fianco del pick-up di Parker.

Lui rise nel rammentare il loro primo pellegrinaggio nei boschi e, annuendo, le passò una sacca morbida asserendo: “Puoi portare l’attrezzatura da campeggio. Stanotte mi fermerò qui, perciò avrò bisogno di un po’ di cose.”

Nel sentirglielo dire, Emily impallidì leggermente ma, afferrata ugualmente la sacca, disse: “Hai davvero più coraggio di me.”

“Non dormirò dentro la galleria, questo posso assicurartelo. Neanche sono certo che sia sicuro esplorarla. Controllerò la sua solidità strutturale, e solo dopo deciderò se varrà la pena o meno esplorarla, ma di certo non mi ci fermerò” la rassicurò lui, sorridendole comprensivo. “Per questo, quella volta, declinasti il mio invito a entrare nella galleria?”

“Già” ammiccò lei, caricandosi su una spalla la sacca di Parker. “Il bosco mi piace, e a volte ho anche fatto campeggio, ma mai da sola e mai realmente all’interno di una foresta. Sempre e solo in camping più che protetti. Visitare una galleria, invece, è del tutto fuori dalla mia portata.”

L’uomo serrò la sponda del pick-up, chiuse il mezzo con il telecomando del portachiavi e infine raccolse zaino e casse, dotate di tracolle adatte a trasportare il tutto per lunghi tratti.

“Non ne dubito, visto quello che hai passato” ammiccò lui, avviandosi lungo il sentiero.

Emily e Cleopatra lo seguirono e, quando si furono addentrati nel bosco e il profumo delle conifere invase l’aria, entrambi sospirarono gradevolmente mentre il bovaro si lasciò andare a balzelli allegri e festanti.

Per quanto il bosco le ricordasse ancora la sua fuga rocambolesca, Emy apprezzava la vita all’aria aperta, e il trekking era il suo sport preferito. Da lì a diventare una fotografa naturalista, e una scrittrice di libri naturalistici, il passo era stato breve.

La piccola casa editrice per cui lavorava non poteva darle uno stipendio incredibile ma, grazie alle quote azionarie della ditta di famiglia – che il padre aveva destinato sia a lei che a Jamie –, poteva mantenersi agevolmente.

Non era mai stata una spendacciona e, grazie a una gestione oculata dei risparmi e una casa concepita per un quasi totale impatto zero, riusciva a contenere più che bene le spese.

Da parte sua, non era così ipocrita da non sapere che, senza i fondi a lei destinati dal padre, ben difficilmente avrebbe potuto vivere la vita agiata e senza pensieri che aveva sempre condotta. Rifiutarli sarebbe stato da sciocchi, e lei non odiava il padre fino a quel punto.

Faticava a parlargli, questo era più che ovvio, ma non avrebbe mai desiderato, per lui, alcun male. Non a caso, l’infarto che l’aveva colpito un paio di anni addietro l’aveva terrorizzata a morte, riportandola a casa per più tempo di quanto le fosse mai capitato in tutti quegli anni di separazione.

La malattia li aveva in parte riavvicinati e, pur se non si erano riappacificati su quanto li aveva separati vent’anni prima, Emily aveva comunque potuto parlare con lui con toni più rilassati.

Non sapeva se questo avesse o meno aiutato il padre a ristabilirsi ma, quando era ripartita per tornare a Nederland, la sua salute era nettamente migliorata.

“Pensieri profondi, Emy?” le domandò Parker, percorrendo a passo tranquillo il largo sentiero nel bosco.

“Sì e no. Pensavo al mio lavoro, e a quanto mi piaccia” gli sorrise lei, trovando naturale parlare di sé a Parker. “Inoltre, ho ripensato a quanto, l’infarto di mio padre, sia anche servito a riavvicinarci un po’. Non abbiamo mai veramente risolto i nostri dissapori, e tutt’ora mi riesce difficile parlargli, ma… insomma, ora non è come prima.”

Perché le dava l’impressione di essere assieme a Jamie? Cosa c’era, in lui, da renderlo così affidabile ai suoi occhi? Dopotutto, si conoscevano solo da un paio di mesi. Perché, allora, le era diventato così caro?

Possibile che le reazioni positive di Cleopatra l’avessero condizionata fino a quel punto? Lei si fidava della sua cagnolona, e Parker era entrato subito nelle sue simpatie, perciò era possibile che inconsciamente avesse abbassato la guardia con lui proprio per questo.

Ridendo, Parker asserì: “Ora stai pensando a me!”

Lei rise a sua volta, annuendo, e ammise: “Mi chiedevo cosa ci fosse di speciale, in te. Cosa mi rende così facile stare bene in tua compagnia?”

“A parte il mio fascino indiscutibile…” cominciò col dire lui, facendola scoppiare in un altro accesso di risa. “… direi che potrei annoverare a mio vantaggio la parlantina sciolta, il mio retroterra più incasinato di un albero genealogico di Game of Thrones e, come ciliegina sulla torta, il fatto che sono un discreto cuoco. Cosa vorresti di più, dalla vita?”

“Già… cosa vorrei di più?” ironizzò lei, asciugandosi una lacrima di ilarità.

Tornando serio, Parker asserì: “Tolto tuo padre, che spero ora stia molto meglio, perché sarebbe un’ingiustizia se voi non poteste parlarvi a cuore aperto come tu hai fatto con me e Jamie…”

All’assenso sereno di Emily, lui proseguì dicendo: “…immagino che l’argomento più pressante nella tua mente riguardi Anthony. Ti chiedi perché, con me, sei tranquilla e rilassata, mentre con lui non riesci che ad agitarti, vero?”

“Ti scoccia parlarne?” gli domandò per contro lei, dubbiosa.

“Amica, possiamo parlare di quel che vuoi. Non ho peli sulla lingua e mi piace farla andare a briglia sciolta, se non l’avessi notato” chiosò lui, poggiando le due casse d’alluminio nei pressi di una curva del sentiero per riposarsi un attimo.

Emy e Cleopatra lo imitarono e Parker, sgranchendosi le spalle, aggiunse: “Mamma mi ha sempre detto una cosa; riesco a far sentire a proprio agio la gente. Lo facevo anche da bambino. Se c’era qualcuno che stava male, mi avvicinavo per abbracciarlo, fosse stato anche un adulto, o una persona che non conoscevo. Mi veniva spontaneo. E sembrava funzionare, tra l’altro!”

Lei sorrise, a quel racconto, e annuì. “Sei un buon samaritano, insomma.”

“Dilla come vuoi. La mia insegnante di filosofia diceva che ero una persona empatica, sentivo e facevo mie le emozioni degli altri, così da poter immedesimarmi con loro ed essere partecipe del dolore o della gioia altrui. Rick ha sempre detto che è per questo che attiro le donne come le mosche col miele, peccato che finora siano state donne petulanti e frivole. Devono essersi scassate le antenne, si vede. Quentin, invece, l’altro mio fratello, pensa soltanto che sia un chiacchierone ma molto, molto affascinante.”

Emily rise di quella descrizione e dichiarò: “Parker, Quentin e Rick. Se fosse nato un altro maschio, come lo avrebbero chiamato, i tuoi? Sam? O Sean?”

Ridendo con l’amica, Parker annuì al suo commento e ammise: “Sì, lo so, sono andati in ordine alfabetico, con noi. So che papà puntò il dito su un libro, a caso, per vedere che lettera usare per il proprio primogenito – io, per l’appunto – e saltò fuori la P. Da lì, decisero di andare in ordine alfabetico. Comunque, se fosse nato un quarto figlio, sarebbe stato Stan, come mio nonno paterno. Fosse stata femmina, invece, l’avrebbero chiamata Selene.”

“Ma non successe. Rimaneste in tre” chiosò Emily.

Parker annuì, guardandosi intorno con aria tranquilla e, nel carezzare distrattamente Cleo, che si stava strusciando contro la sua gamba in cerca di attenzioni, ammise: “Mamma decise che tre figli erano sufficienti, e papà fu d’accordo con lei. Così, io crebbi ciarliero, Quentin operativo e Rick riflessivo e, più o meno, siamo così anche ora. Per questo, Quentin mi dà del chiacchierone affascinante. Ho sempre parlato molto, e affascinavo le donne di tutte le età.”

“Ma Rick pensa che tu sia soprattutto una calamita per estrogeni. E’ vero anche questo?”

“Sì e no. Diciamo che non ho lesinato con le fidanzatine ma, con quella del liceo, mi ci sono pure spostato. Peccato che, come per le altre, si è rivelata essere un tantino superficiale. Si vede che ho un radar tarato male” scrollò le spalle Parker, ghignando beffardo.

“Può capitare. Anche Jamie ha avuto una brutta esperienza in materia, poco tempo fa” ammise Emily.

“Io ho finito con il divorziare, però” sottolineò lui, rimettendosi in cammino. “Cosa che denota un mio ricongiungimento con il cervello. Janice era eccezionale, a letto… posso dirlo?”

Lei assentì divertita, e lui proseguì nel parlare del suo passato burrascoso. “Insomma, facevamo faville. E sono cose di cui devi tener conto, a un certo punto, ma non basta, nel lungo periodo. Solo che, all’epoca, il mio cervello era scollegato e le antenne funzionavano male.”

“Parli al passato. Ora, sono tornate a ricevere bene?” si informò lei, ripensando alla chiacchierata avuta con Susan. Che l’amica si fosse sbilanciata con Parker, mandandogli chiari segnali di ciò che lei voleva da lui?

Lui la squadrò di traverso e borbottò: “Perché ho il sospetto che tu stia già subodorando qualcosa?”

“Perché le tue antenne funzionano benissimo?” ironizzò lei, aprendosi in un sorrisone allegro e fintamente innocente.

Parker allora rise un po’ imbarazzato e chiosò: “Mi vedrò con Susan sabato prossimo. Una cenetta al James Peak Brewery e, magari, rimarremo anche per il karaoke. Chissà.”

Il sorriso di Emily si allargò fin quasi a farle male e Parker, nel rendersene conto, bofonchiò: “Ti farai venire un crampo, di questo passo.”

“Sono molto contenta, sai?”

“E’ una cosa innocua” sottolineò Parker, divenendo paonazzo in viso. “Anche perché devo ricordarmi delle tenaglie di Gilda.”

Emily scoppiò a ridere nel rammentare quella minaccia neppure troppo velata e Parker, sospirando, chiosò: “Ecco. Lei ride delle mie disgrazie.”
 
***

Immobili dinanzi all’entrata della miniera in disuso che Parker avrebbe dovuto ispezionare di lì a poco, Emily fissò turbata il pesante e arrugginito lucchetto che teneva serrata una vecchia porta di legno.
Parker prese una taglia-tubi dal suo kit di utensili fornitissimo e, senza neppure troppa fatica, fece saltare il metallo consunto, che cadde con un tonfo sordo sul terriccio.

A quel punto, Parker sorrise a Emily e le propose: “Se ti va, pranziamo insieme qua fuori. So che il sentiero prosegue fino a una cascata. Ti dirigerai lì, oggi?”

“L’idea era quella” assentì lei, lanciando un’occhiata criptica alla porta cigolante che, sospinta da leggera brezza, lasciava intravedere l’antro buio alle sue spalle.

Non vi sarebbe entrata per nulla al mondo.

“Non dovrai più tornarci. Tranquilla” la rassicurò lui, dandole una pacca sulla spalla.

Quel semplice gesto la fece sospirare e Parker, sorpreso, le domandò: “Cosa c’è?”

“Con Anthony, sarei rabbrividita” ammise lei, sgomenta di fronte alla propria viltà.

Lui si limitò a sorridere malizioso, replicando: “Perché lo vuoi, Emy. Questa non è paura. E’ desiderio.”

“Ma porterebbe comunque alla paura” sottolineò lei, accigliandosi non poco. Con un gesto nervoso della mano si sistemò una ciocca dei biondi capelli e, nello storcere il naso, fissò malamente il suo interlocutore.

Parker, però, non fece caso allo sguardo d’acciaio della giovane e, con una scrollata di spalle, asserì: “Forse. E forse no. Ora che sai che lui è un tipo più che affidabile – tuo fratello dice che gli dovrebbero dare la santità – la tua mente, forse, non ti giocherà più brutti scherzi, quando l’adrenalina e le endorfine andranno a spasso per il tuo cervello.”

Arrossendo suo malgrado, lei bofonchiò: “Un modo un po’ strano di vedere la cosa.”

“Un modo scientifico, cara” le strizzò l’occhio lui. “Prima di tutto, però, dovrai tentare di stare in sua compagnia senza che i ricordi del tuo primo fallimento ti portino a provare contrizione e paura. Può capitare a tutti di andare in bianco. Anche alle donne.”

“E di prendere a schiaffi il tuo potenziale amante perché lo credi un assassino, o peggio?” sottolineò lei, vedendolo sollevare entrambe le sopracciglia per la sorpresa.

“Oh… okay. Così, in effetti, è un po’ più raro, ma non impossibile. Diciamo che, quando starai con lui, dovrai pensare solo alle parti belle del vostro rapporto. Lascia perdere le unghiate e il resto” le consigliò lui. “Ma, soprattutto, non farti prendere dalla fretta soltanto perché lo conosci. Deve essere come un primo approccio… e molto vecchio stampo.”

“Cioè… strette di mano e poco altro?” borbottò lei, aggrottando la fronte.

“Dovrai comportarti da perfetta signorina del sud” motteggiò Parker, levando un dito con fare divertito.

“Oh, Signore!” sbuffò lei, facendolo ridere.

“Anche se il tuo corpo ti dirà ‘goditelo, è tuo!’, la tua mente dovrà essere più forte, perciò dovrai tenere le mani a posto e non spogliarlo alla prima occasione” chiosò lui, facendola avvampare per diretta conseguenza.

“Non lo farei mai!” esclamò Emily, facendo tanto d’occhi.

“Tse, tse, ci scommetto. Un bel giovanotto come Anthony, con il suo fisico prestante, i suoi occhioni azzurri che ti mangiano a ogni occasione e il suo sorriso alla Tom Cruise… a chi vuoi darla a bere?” la prese in giro Parker, sghignazzando.

Dandogli un pugno sul braccio, Emily borbottò: “Sei davvero pestifero, sai?”

“Lo so, lo so. Ma guardati adesso” ammiccò lui, prima di tornare serio e aggiungere: “Sei rilassata, stai vicino a un uomo a meno di un passo di distanza senza diventare verde per l’ansia e non hai ricordi a infastidirti, vero?”

Lei sbatté le palpebre, si squadrò come se non si riconoscesse e notò come, in effetti, si trovasse dannatamente vicino a Parker. Avrebbe potuto allungare la mano per abbracciarlo. E lo fece.

Si strinse a lui, e Parker la accolse con gentilezza, mormorandole contro i capelli: “Anche ora non senti niente, vero?”

“No. Scusa.”

“E di che?” la irrise bonariamente lui. “Ma quante altre persone adulte abbracci, a parte tuo fratello, senza che i tremori ti prendano?”

“La mamma, lo zio Harry, Consuelo e Gilda” ammise lei dopo un attimo.

“E’ questo lo stato mentale che devi raggiungere, se vuoi approcciare Anthony. Parti dall’amico, prima di raggiungere l’amante. Solo così non impazzirai” la rassicurò lui, scostandosi per sorriderle comprensivo.

Lei lo imitò e mormorò: “Temevo che… insomma…”

“Che io potessi innamorarmi di te? Emy, sei splendida, come posso negarlo? Ma me ne accorgo subito se una donna è propensa a volere qualcosa di un certo genere, da me. Sarà l’empatia che diceva la prof, o un ottimo sesto senso, ma tant’è. E tu non hai mai voluto questo, da me.”

“E tu?”

Lui ci pensò su seriamente, non volendo fare dell’ironia su una cosa così importante, e ammise: “Per circa tre secondi… e perché ho visto Cleopatra, in parte. Mi piacciono le donne che amano i cani. Ma al quarto secondo, quando ci siamo stretti la mano, ho capito che sarei stato felice di conoscerti… ma come amica.”

“In barba al mio fascino?” ironizzò a quel punto lei.

“Eh già. Sarà che mi piacciono le brune?” ammiccò lui.

“Te lo concedo. Susan ha dei capelli meravigliosi” chiosò Emily, facendolo scoppiare a ridere.

“Te l’ho detto! E’ solo un appuntamento tranquillo” sottolineò lui, tergendosi una lacrima di ilarità e scrutando Emily con sincera sorpresa. Era così, avere una sorella? Perché, se lo era, gli spiaceva davvero un sacco non aver potuto prendersi cura di una quarta Jones in famiglia.

Però, forse, poteva affiancare Jamie e prendersi cura di Emily, se lei lo avesse voluto.

In cuor suo, sperò di sì, perché gli piaceva il rapporto che aveva instaurato con lei.

“Riparliamone domenica” lo mise nel frattempo in guardia Emily, carezzando Cleo prima di dire: “Ci rivediamo qui tra tre ore, allora.”

“Andata. E ricordati. Rilassa la mente” le rammentò lui, dandole un buffetto sul naso.

“Fosse facile” motteggiò lei, risalendo il sentiero dopo averlo salutato.

Parker attese di perderla di vista, prima di entrare con la sua potente torcia a led X Light.

Non le aveva mentito. Aveva davvero provato un istintivo senso di protezione nei suoi confronti, oltre a un’indiscussa curiosità nei suoi confronti.

Per questo ne aveva cercato notizie su internet, per questo l’aveva tenuta d’occhio nel suo andirivieni lungo il paese, e per questo la verità lo aveva tanto turbato.

Vedeva Emily esattamente come Jamie vedeva sua sorella, o come lui vedeva Rick o Quentin. E per nulla al mondo avrebbe permesso che le sue paure le rovinassero ancora la vita.
 
***

Divorando il panino che si era preparata prima di uscire di casa, le gambe distese su un pannetto e la schiena poggiata contro un masso ammorbidito dal passaggio millenario di pioggia e neve, Emily sorrise a Parker e domandò: “Allora, com’è andata la perlustrazione della miniera?”

“Temo dovrò chiamare il mio capo e dirgli di mandare ruspe e picconi, perché è del tutto distrutta dopo una trentina di metri dall’entrata” ammise lui, sorseggiando dell’acqua dalla sua borraccia. “L’idea di telefonare a Denver mi fa venire i geloni, ma tant’è. Qui, non si può proseguire. E dire che avrei tanto voluto scoprire se, le vecchie cartine di Anthony, corrispondevano alla realtà. Questa miniera era lunga miglia e miglia!”

“Ti ha prestato tutte le cartine che tiene in albergo?” domandò curiosa Emily.

“Non so se siano tutte o meno. Rispetto a quel che so io, ne mancano almeno un paio, ma può darsi semplicemente che non le avesse” scrollò Parker, noncurante. “Comunque, quelle che mi ha dato sono semplicemente fantastiche. Sono particolareggiate e ben tenute, inoltre sono ricche di appunti scritti a mano, il che ti fa capire quanto, all’epoca, l’occhio umano contasse più di qualsiasi altra cosa.”

“Preferisci quelle, agli spettrometri di massa?” si informò lei, sorpresa.

Parker rise sommessamente, annuendo, e ammise: “Ti dirò… ammiro molto il lavoro dei nostri predecessori e sono convinto che, se noi tentassimo di fare ora ciò che loro fecero all’epoca, utilizzando soltanto i macchinari che avevano al tempo, non avremmo altrettanta abilità manuale.”

Osservando pensieroso la propria attrezzatura, aggiunse: “La tecnologia è bella, e io la apprezzo molto perché mi facilita il lavoro, ma credo che aver perso la manualità di un tempo abbia tolto un po’ di magia, in ciò che facciamo.”

“Un animo romantico, il tuo” ammiccò Emily, allungando uno stick morbido a Cleopatra perché giocasse e, al tempo stesso, si pulisse i denti. “Zio Harry la pensa come te, comunque. Lui iniziò come manovale e, poco alla volta, si fece strada nel campo della mineralogia grazie alle sue competenze e al suo occhio per gli affari ma, come te, ha sempre rimpianto i tempi in cui erano le menti umane a fare la differenza, e non i computer.”

Carezzando dolcemente l’enorme schiena di Cleopatra mentre, quest’ultima, era impegnata a sgranocchiare il suo bastoncino profumato alla fragola, Parker mormorò pensieroso: “Non sono così folle da sognare il Klondike, ma era bello quando si poteva parlare con le persone, e non solo con la schermata di un PC.”

“Vero” annuì Emily, lanciando un’occhiata tranquilla alle fronde degli abeti, mollemente scosse dalla brezza pomeridiana.

Sottili lame di sole facevano capolino tra la fitta vegetazione, colorando il sottobosco di tinte in chiaroscuro e, mentre scoiattoli coraggiosi sgattaiolavano tra i rami, corvi chiassosi li rincorrevano per far loro i dispetti.

In lontananza, il frastuono della cascata che Emily aveva visitato giusto quella mattina, giungeva fino a loro come un tuono leggero e distante, come la promessa di un temporale che, però, mai sarebbe giunto.

Ogni cosa, intorno a loro, aveva il proprio equilibrio e la propria bellezza e tutto ciò creava armonia, un’armonia di cui potevano godere a piene mani, restando in perfetto silenzio per non guastarne la perfezione.

Forse comprendendo i sentimenti della sua padrona, Cleopatra posò il muso sulle sue cosce e chiuse gli occhi, dandole tutto il suo sostegno con quel semplice tocco ed Emily, nel sorriderle, carezzò il suo testone enorme e si lasciò andare a un sospiro.

Fu a quel punto che Parker, in un mormorio sommesso, le domandò: “Vorresti essere qui con Tony?”

Lei sorrise maggiormente, lasciò che il capo si posasse contro il masso alle sue spalle e, nel chiudere gli occhi – colma di una pace che raramente aveva provato – scosse il capo e replicò: “No. Non ora. Ora, sto bene con Parker, il mio amico.”

Lui non disse altro. Si limitò a sdraiarsi sul panno a quadrettini che avevano steso per quel pic-nic, a poca distanza da Cleopatra e, assieme all’amica, si godette quell’angolo di paradiso senza più pensare a nulla.

Lasciò fuori dalla porta il lavoro, l’ansia per l’appuntamento con Susan, il pensiero di dover risentire quello stronzo del suo capo e badò unicamente a ciò che lo circondava.

Per qualche minuto, fu solo Parker. In compagnia di Emily e Cleo.

E tanto gli bastò per essere felice.




N.d.A.: momento Parker-Emy, perché è giusto dare spazio anche agli amici, non solo agli amanti (e questo serve anche a chiarire il rapporto che intercorre tra i due, l'estrema sintonia che si sta creando tra di loro). Scopriamo come Parker sia tutto sommato un nostalgico e come, la vita nel piccolo paesello di Nederland non gli stia poi così stretto. Come andrà, quindi, l'appuntamento con Susan?

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


10.

 

 

 

Luglio 2015 – Clearwater

 

 

La piccola chiesa cattolica di Santa Rita era gremita di fedeli, in quel giorno di letizia. Sophie Ines Larson stava per essere battezzata, entrando così a far parte ufficialmente del gregge non proprio copioso – ma unito – di Nederland.

La struttura lignea della chiesa assomigliava più a una grande casa di tronchi tipica del luogo, che a una basilica di stampo europeo, ma in fondo il parroco l’aveva sempre ritenuto un punto a loro favore, più che un demerito.

Per Padre Leonard, la Chiesa doveva essere una casa. Anche per coloro che non credevano, o non professavano la stessa fede in cui lui credeva. Non a caso, aveva sempre invitato Emily a partecipare alle sante messe, anche se lei era di fede protestante e non era praticante in senso stretto.

“Dio è uno solo, cara, anche se ha tanti nomi e tanti volti. E ci vuole invariabilmente bene” le aveva detto più di una volta durante i loro occasionali incontri lungo il lago, o di fronte al bancone del diner di Gilda.

Quella mattina, abbigliata con un fresco abito di chiffon azzurro chiaro e un soprabito leggero color blu di Prussia, Emily lo accontentò.

Essendo stata elevata al ruolo di madrina di Sophie – mentre il fratello di Sam, Keath,  sarebbe stato suo padrino – aveva accettato più che volentieri di partecipare alla messa di quel giorno.

Padre Leonard fu bravissimo a non far piangere la bambina, quando bagnò la sua fronte con l’acqua consacrata e, simpaticamente, le diede un buffetto sul naso, facendola ridere.

A cerimonia conclusa, la famiglia Larson e gli invitati si avviarono per raggiungere l’albergo dei Consworth, che Anthony aveva messo a disposizione per i festeggiamenti.

Stranamente, suo padre William non aveva mosso obiezioni e, quando infine gli oltre cento invitati si riversarono nell’ampio salone solitamente adibito a ristorante interno, vi furono solo grandi sorrisi e felicitazioni.

Persino Consworth senior sembrò lieto di quell’evento, e strinse la mano a Samuel facendogli le congratulazioni. Forse, il fatto che Sam avesse insistito per pagare l’uso della sala – invece di accettare l’invito di Anthony a considerarlo un regalo di battesimo – aveva contribuito a rendere l’uomo meno insofferente.

A Consuelo spettò un più laconico ‘felicitazioni’ ma a lei bastò largamente, non avendo mai avuto un buon rapporto con l’uomo.

Libagioni vennero distribuite con generosità, mentre una piccola band del luogo iniziò a suonare musica folk e country per allietare gli invitati.

La piccola Sophie, invece, diede bella mostra di sé nella sua ampia culla, dimostrando di apprezzare quel caos multicolore e i vezzeggiativi che le vennero propinati durante la giornata.

Ferma accanto al tavolo dei rinfreschi, mentre Jamie danzava allegramente con Gilda e Parker discuteva di sentieri con Samuel, Emily afferrò per sé un pasticcino prima di salutare Anthony.

Abbigliato con una camicia bianca botton-down su pantaloni e giacca blu scuro, era molto elegante e, al tempo stesso, informale, non avendo indossato la cravatta.

I suoi chiari occhi azzurro cielo risaltavano su quell’abbinamento di colori, e il suo sorriso solare accentuava la bellezza del suo viso attraente, su cui spiccava ad arte la barba di un giorno.

“Sembra che stia andando tutto bene. Questa festa pare aver ammansito anche la bestia” chiosò Tony, indicando con un cenno del capo il proprio padre, che stava giocando goffamente a dama con Mickey.

“Mi ha stupito, lo ammetto. Se non ho visto male, gli ha anche regalato una macchinina giocattolo” ammise Emily, allungandogli una flute di champagne.

Lui la accettò di buon grado, sorseggiandola lentamente e, pensieroso, mormorò: “I bambini sono capaci di compiere miracoli. Forse, Mickey è riuscito a scioglierlo un po’. Chissà che non riesca anche a fargli capire che Consuelo non è il mostro che lui crede.”

“Litigate ancora, per questo?” gli domandò lei lanciando un’occhiata all’amica, in quel momento impegnata a ricevere dei complimenti da Susan.

“Ultimamente, sì. La sua gravidanza lo ha innervosito parecchio, facendo riemergere antichi rancori. Però, da quando è nata Sophie, sembra essersi calmato” ammise lui, afferrando un pasticcino per mangiucchiarlo distrattamente. “Forse, mi incolpa del fatto di non aver ancora compiuto il mio dovere di uomo. Chissà.”

Arrossendo leggermente, Emily borbottò: “I padri dovrebbero ficcanasare meno e lasciarci più spazio.”

“Problemi con il tuo?” domandò cortese Anthony.

Quando il suo ultimo libro era uscito, sul finire di maggio, Emily aveva ricevuto diverse telefonate di congratulazioni e, tra queste, anche quella di suo padre.

Non che fossero ancora ai ferri corti come in gioventù, quando proprio non parlava con lui e consegnava alla servitù i suoi messaggi per il padre, ma le loro conversazioni non erano mai state molto allegre. O spensierate.

Suo padre l’aveva chiamata come tutti per farle i complimenti per le meravigliose fotografie, oltre che per le suggestive didascalie che lei aveva scritto e, diversamente dal solito, lei era stata più cortese e meno laconica nelle risposte.

Memore di ciò che aveva promesso a Max – e a se stessa – aveva cercato di non aggrapparsi agli antichi rancori ma, nel farlo, aveva forse lasciato troppo spago al padre.

Contrariamente al solito, infatti, suo padre aveva tentato di approcciare i loro antichi dissapori ma, quando lei aveva caparbiamente evitato l’argomento, a sorpresa lui si era risentito.

Forse per la prima volta in assoluto, Jordan Poitier aveva puntato i piedi e si era irritato non poco. Il padre le aveva fatto notare di non aver mai provato a mettersi nei suoi panni, di non aver mai tentato di capire cosa vi fosse stato dietro la sua terribile scelta di non pagare il riscatto.

Azzittita da quella replica inaspettata, Emily aveva ascoltato il suo monologo sempre più alterato e incontrollato finché, esasperata, non aveva urlato un infelice ‘ero solo una bambina! Cos’avrei dovuto capire, delle vostre scemenze?!’

Ciò detto, aveva buttato giù il telefono senza più rispondere a nessun’altra chiamata, costringendo così Jamie a chiamare Sam per accordarsi sul suo arrivo a Nederland, in occasione del prossimo battesimo di Sophie.

Col senno di poi, però, si era pentita di aver risposto in modo così superficiale e gretto, ben sapendo di dovere davvero al padre il diritto di replica. Diritto che per più di vent’anni gli aveva negato.

“Voleva che io comprendessi i motivi che lo spinsero a non pagare” mormorò mogia Emily, prendendo per sé un paio di stuzzichini ai gamberi. Le piacevano da matti anche se, nel pensare al padre, qualsiasi tipo di sapore scomparve dalla sua bocca.

“Immagino, però, che non te lo abbia detto con la consueta dose di pacatezza e calma, vero? E che tu sia saltata come una bomba innescata” ipotizzò lui, comprensivo.

Emily raffazzonò un sorrisino ironico e Anthony, sospirando, borbottò: “Non prenderò le parti di nessuno perché non ero presente, quel giorno, ma immagino che sia difficile prendere anche solo in considerazione la possibilità che vi fossero davvero delle motivazioni pratiche che gli impedirono di pagare.”

“Obiettivamente potrei anche crederlo ma, quando sento la sua voce, il mio cervello va in tilt e torno a essere una bambina di otto anni che sequestrarono e condussero in una caverna buia” scrollò le spalle Emily. “So che non dovrei farlo, so che lui non è cattivo, ma non riesco ancora ad affrontare l’argomento con lui e, per questo, mi sento davvero una sciocca.”

L’arrivo di un sorridente sceriffo Meyerson impedì ad Anthony una qualsiasi replica ed Emily, sorridendo di rimando all’uomo, esordì dicendo: “Spero non vorrà multarci per sosta in stato di ebbrezza.”

Ridendo sommessamente, l’uomo scosse il capo e replicò: “Mi sono già fatto consegnare le chiavi di tutti, perciò prenderò anche le tue, se sei venuta in auto, e le ritroverete tutte domani alla centrale di polizia. Così, eviterò caos per le mie strade.”

“Saggia decisione” annuì Emily. “Ma sono venuta a piedi, stia tranquillo.”

“Su quei trampoli, cara?” domandò curioso lo sceriffo, ammirando i bei sandali chiari della ragazza, alti almeno dieci centimetri.

“No. Avevo le scarpe da ginnastica. I sandali li ho indossati in chiesa” ammise lei, ammiccando furba.

“Donna accorta” motteggiò l’uomo, dandole una pacca sulla spalla prima di guardare Anthony e aggiungere: “Posso affidartela, ragazzo? Voglio che questa donzella sia al sicuro da possibili ubriachi dell’ultima ora.”

“Mi prenderò cura di lei” annuì affabile Tony, poggiando il suo bicchiere di champagne per sostituirlo con dell’aranciata.

“Ottimo. Ottimo, ragazzo. Così mi piaci” chiosò lo sceriffo, allontanandosi dopo un ultimo sorriso a Emily.

Ridendo allegra, la giovane però replicò: “Dio, ti prego, Anthony, lascia stare. Non credo proprio che, tra gli invitati di Consuelo e Sam, ci sia qualcuno che potrebbe farmi del male. E tu hai tutto il diritto di bere champagne, se vuoi.”

“L’hai sentito lo sceriffo, no? Io mi limito a seguire la legge. Sono un bravo cittadino ligio al proprio dovere” replicò lui, ammiccando simpaticamente.

Lei allora sospirò, rise nuovamente e salutò con un cenno Parker, in arrivo con due piatti ricolmi di ogni ben di Dio.

“Salve, ragazzi” esordì il geologo. “Dovete assolutamente sentire queste tartine alla mousse di salmone e avocado. Sono eccezionali.”

“Immagino sia davvero così… penso tu le abbia depredate tutte” ironizzò Emily afferrandone una.

“Oh, solo un piatto è per me. L’altro l’ho preso per voi. Non sembravate intenzionati a gettarvi nella mischia, così ho arraffato qualcosa anche per il vostro piacere” chiosò Parker, poggiando uno dei piatti al fianco di Emily. “Grazie per le cartine che mi hai passato, Anthony. Sono state davvero utili per trovare la Gold Sand. Sui nuovi mappali non era neppure riportata.”

“Figurati. Immaginavo che avresti avuto qualche difficoltà, con le cartine nuove. Non riportano proprio tutto” scrollò le spalle Anthony, studiando suo malgrado il viso allegro e pimpante del geologo.

I suoi modi di fare così diretti e solari, quasi fosse un eterno Peter Pan in viaggio per il mondo, sembravano mettere a suo agio Emily, che più di una volta si era intrattenuta con lui alla tavola calda di Gilda.

Non gli piaceva ammetterlo, ma li aveva tenuti d’occhio, in quei mesi, e si era ritrovato più volte a stringere i denti per il desiderio di interporsi tra i due perché non stringessero amicizia.

L’attimo seguente, per riflesso, si era dato dell’idiota, sapendo bene di non poter intromettersi nella vita privata di Emily, né di accampare qualsivoglia pretesa su di lei.

Se Parker era in grado di farla sentire tranquilla, lui doveva accettare la cosa e fare buon viso a cattivo gioco.

A contare, in quel caso, era la serenità di Emily. Anche se mandare giù il fatto che qualcuno che non fosse lui stesse aiutando Emy a uscire dal suo incubo personale, era tutt’altro che semplice.

“Avvertimi, quando andrai alla Gold Sand. C’è uno splendido canyon, nelle vicinanze, e vorrei fare delle fotografie per il sito della Agenzia di Viaggi” lo informò Emily.

“Andata, ragazza. E naturalmente, ti farò portare il mio carotatore. So che ti è piaciuto così tanto aiutarmi, la volta scorsa, che non potrei mai toglierti questa soddisfazione” ghignò Parker, dandole di gomito.

Lei si accigliò immediatamente, a quel commento, e bofonchiò: “Non mi freghi più, Parker. Io al massimo ti porterò i blocchi per gli appunti e il cellulare.”

“Scansafatiche che non sei altro. E io che ti credevo così forte e capace!” si lagnò bonariamente lui, strizzandole l’occhio.

“Oh… io, scansafatiche? Chiedi a tuo fratello Rick, se la sono. Dovrebbe ricordarsi quanto tempo passavo al cantiere di casa mia per dare una mano” sottolineò lei, sollevando altezzosa il naso.

“Rick si ricorda della tua amica Kerrington, questo è sicuro. Da quando sa che ti ho conosciuto, mi chiede sempre se passa di qui per salutarti” ridacchiò Parker con fare malizioso.

“Beh, vorrei vedere. Sherry è splendida” chiosò Emily, lanciando poi un’occhiata ad Anthony per domandargli: “Non ho ragione, forse?”

Anthony ricordava bene la fatale Sherry Kerrington, abbigliata con un sexy completo di pelle nera e intenta a sbraitare ordini agli uomini del cantiere, neanche fosse stata il Generale Patton.

Era diventata l’attrazione principale per i maschi di Nederland, nei mesi in cui era stata impegnata a sistemare l’avveniristico impianto d’allarme nella casa di Emily.

Anche lui, nonostante il suo interesse per Emy, era rimasto affascinato da Sherry, ma anche alquanto intimorito. Non era una donna con cui si potesse scherzare.

“Niente da dire. Ma ci vuole l’uomo giusto per approcciarla” sorrise nervosamente Anthony.

Emily rise spontaneamente, replicando: “Solo perché sa usare più armi di un marine, ed è cintura nera di karate?”

“Oh… e Rick ne è rimasto affascinato? La cosa mi intriga” ironizzò Parker, facendo tanto d’occhi. “Visto e considerato che il massimo dell’aggressività di mio fratello è usare il battipanni per scacciare i pipistrelli dal garage, sarei davvero curioso di conoscere questa donna che ricorda parecchio Demi Moore in Soldato Jane.”

“Sherry userebbe un lanciafiamme, temo, per scacciare i pipistrelli” celiò Emily, facendo spallucce.

“Devi presentarmela” dichiarò allora Parker. “Chissà che non sia il tipico esempio degli opposti che si attraggono.”

“Vuoi fare da sensale?” ironizzò a quel punto Emily.

“Sarebbe divertente” ammise Parker prima di lanciare un’occhiata ad Anthony e aggiungere: “Mi sa che andrò a vedere se riesco a requisire qualcos’altro. Voi volete qualcosa?”

“No, grazie. Siamo a posto con queste tartine, vero?” dichiarò Emily, guardando a sua volta Anthony.

L’uomo assentì silenzioso e, quando Parker si defilò per raggiungere nuovamente il tavolo del buffet, e molto poco casualmente il fianco di Susan, Anthony prese una tartina e l’assaggiò.

In effetti, era squisita.

“Tony… che c’è?”

Lui allora la fissò imperscrutabile, studiò quegli occhi di colomba immersi nei suoi, quel sorrisetto inquisitorio e quell’aria divertita che raramente riusciva a sgorgare sul suo volto, solitamente più teso e controllato.

“Nulla. Perché?” replicò lui, sperando di non essersi smascherato.

“Parker se n’è andato via dopo averti guardato. Cosa succede, quindi?” replicò lei, non lasciandosi per nulla ingannare.

“Magari aveva solo fame” tergiversò lui. “O voleva parlare con Susan.”

Emily sbatté le palpebre un paio di volte, sorrise divertita e infine lasciò perdere la festa per trascinare fuori dalla sala un attonito Anthony, che si limitò a seguirla passivamente.

Raggiunto l’atrio dell’albergo, in quel momento sgombro di persone, Emily si volse, si alzò in punta di piedi – nonostante fosse già abbastanza alta, sui tacchi – e baciò Anthony.

Fu un gesto spontaneo, dettato da un sentimento del momento e dalla voglia di tranquillizzare un uomo che, per lei, aveva messo in gioco tutto, compreso il suo cuore, solo per darle il tempo di ritrovare se stessa.

Anthony, del tutto colto di sorpresa, sobbalzò leggermente a quel tocco e, non potendo impedirselo, le avvolse la vita con le braccia e la strinse a sé.

La sua mente venne invasa da vecchi ricordi, da altri baci, altre carezze, e da quell’unico, terribile momento in cui avevano deciso di approfondire il loro rapporto.

Era stato a quel punto che lei era impazzita per il panico e lui, non comprendendo cosa stesse succedendo, aveva dovuto ascoltare la tragica verità di Emily.

Lei gli aveva raccontato del rapimento, di quei giorni di segregazione, della paura di essere confinata in un luogo chiuso e sottoterra… e di come non fosse più riuscita a sopportare i contatti umani profondi.

Soltanto a fatica era riuscita a calmarla, a farle comprendere che lui non le avrebbe mai fatto del male. Emily si era infine tranquillizzata, ma Anthony aveva compreso che, a quel punto, qualunque tentativo di portare a un altro livello il loro rapporto, sarebbe risultato impossibile.

L’aveva quindi lasciata libera promettendole di aspettarla, e a questo si era attenuto, ma l’arrivo di Parker aveva messo in crisi il precario equilibrio che aveva creato per se stesso.

Lo aveva messo di fronte alle sue lacune come uomo, e gli aveva fatto comprendere quanto, il suo rapporto con Emily, fosse a rischio.

Eppure, Emily aveva deciso di portare fuori lui dalla sala per quel bacio. Era lui a stringerla tra le braccia, non Parker.

Fu per questo che, nonostante desiderasse rimanere lì per sempre a baciarla, si scostò da lei, confuso, per domandarle: “Emily… perché io?”

Lei gli carezzò il viso, si scostò un poco e mormorò: “Chi avrei dovuto baciare?”

Anthony poggiò la fronte contro quella della giovane, sorrise nervosamente e replicò: “Se te lo dico, dimostrerò quanta poca fiducia io abbia in me stesso, temo.”

“Parker è mio amico, Anthony. Te lo dissi all’epoca e te lo ripeto ora. Io non ho cambiato idea su di te. Sei solo tu a potermi allontanare… oltre alle mie paure” gli ricordò lei, scostandosi ancora un po’ pur mantenendo saldamente le mani sui fianchi di Tony.

“Io non ti allontanerei mai, lo sai. Ma vedo come stai con Parker e… sono geloso. Geloso della vostra coesione, di come rispondete l’uno alle battute dell’altra, o al fatto che tu ti senta abbastanza sicura da rimanere sola con lui in mezzo a un bosco” le spiegò lui, sentendosi un perfetto idiota a ogni singola parola proferita.

Da quando in qua usava quel tono querulo?

“Lo farei anche se fossi con Jamie” sottolineò lei, ammiccante.

“Jamie è tuo fratello” precisò lui prima di notare il suo sorrisetto divertito.

Sgranando leggermente gli occhi, Anthony borbottò subito dopo: “Lo vedi… come un fratello?”

“Precisamente. Ci siamo trovati subito, te lo concedo…” mormorò lei, aprendo e chiudendo le mani sulla giacca scura di Anthony nel tentativo di mantenere la calma. “…e, in tutta onestà, mi sono anche chiesta se avrei potuto vederci qualcosa di più, in lui. Ma sai la verità?”

“Dimmi” annuì lui, non sapendo bene come sentirsi.

Emily risollevò lo sguardo per incrociare i suoi occhi ma, nel farlo, scorse anche quelli di qualcun altro e, ridacchiando, mormorò: “Ops.”

Subito, Anthony si volse a mezzo e, fermo sulla soglia della porta che conduceva al salone, trovò Parker – in evidente imbarazzo – assieme al suo fido cellulare.

Sollevatolo, l’uomo mormorò un ‘ti richiamo dopo’ e disse: “Scusate l’intrusione, ragazzi. Stavo scappando dalla sala per poter sentire la telefonata, ma vi ho interrotti.”

“Puoi dirglielo tu, Parker? Forse a te crederà” gli propose allora Emily, sorprendendo Tony.

“Certo, bellezza. Figurati se non ti faccio questo favore” ammiccò lui, prima di tornare serio e fissare i suoi occhi verde foglia in quelli azzurro cielo di Anthony. “Questa ragazza non fa che parlare di te, bello mio. E se ti è parso che noi passassimo un sacco di tempo assieme, era perché lei voleva… come posso dirlo… imparare a star bene con se stessa assieme a un uomo? Può suonarti bene, o è un po’ torbida, come spiegazione?”

Anthony tornò a guardare Emy, che assentì, mormorando: “Sa quello che mi è successo, così gli chiesi un parere su come riprendere confidenza… con te.”

“Preciso subito che non abbiamo fatto test fisici di nessun tipo” sottolineò Parker, levando le mani in segno di resa incondizionata. “Ma abbiamo parlato un sacco e, ehi, chi sapeva che fosse così divertente parlare con una donna? Si vede proprio che io e la mia ex non avevamo capito un accidenti, di relazioni.”

Anthony si grattò la nuca, ridacchiò confuso ed esalò: “Cioè, in pratica le hai fatto da istruttore?”

“Qualcosa del genere. Ma solo a livello teorico” precisò nuovamente Parker, prima di aggiungere: “Amico, è una ragazza fantastica e credimi, non potresti essere più fortunato di così ma, come dice lei per me, io la vedo come una sorella.”

“Da quanto tempo stavi ascoltando?” gracchiò a quel punto Emily, strabuzzando gli occhi.

Parker allora rise, le passò accanto per darle una pacca sulla spalla e chiosò: “Per me hai passato il primo esame, piccola. Passo domani per la Gold Sand!”

Ciò detto, uscì allegramente dall’albergo, lasciando la coppia a fissare senza parole la porta a vetri mentre si chiudeva lentamente dietro di lui.

“Quel… mascalzone…” esalò la giovane, non sapendo se sentirsi tremendamente in imbarazzo o sollevata.

Anthony si mise lentamente a ridere, divertito suo malgrado da quella scena ai limiti del paradossale e, stringendo in un dolce abbraccio Emily, mormorò tra i suoi capelli: “E io che volevo dargli un pugno!”

Emily rise a sua volta e, nello scostarsi da lui, tenne tra le sue le mani di Anthony e replicò divertita: “Dio, ti prego, no! Non se lo merita davvero!”

“A questo punto, no di certo. Però…”

Tornando seria, Emily mormorò: “Però, cosa?”

“Cosa vuoi che faccia, adesso?”

“Credo di aver capito cosa sia andato storto, la prima volta. Desideravo così tanto che andasse bene, che ho tentato di chiudere fuori tutto, ricordi compresi, e così questi mi hanno colpita nel momento in cui ero più vulnerabile” ammise Emily. “Quando mi sono ritrovata davanti a Parker e Jamie, e ho ammesso con loro come io fossi fuggita dalla grotta, ho capito che parlare mi faceva bene. E così ho continuato.”

“E gli hai parlato di me… e te” aggiunse lui.

Emy annuì, aggiungendo: “Più gliene parlavo, e ascoltavo le sue opinioni di uomo, più capivo i miei errori, e così ho iniziato a pensare a noi due e a un modo per riprendere ciò che avevo così rovinosamente distrutto.”

“Non hai potuto farlo con me, perché…”

“… perché il mio desiderio di avvicinarmi a te avrebbe rovinato tutto. Non ero pronta e, per certi versi, non lo sono ancora, ma voglio tentare. Più di tutto, però, non voglio più tenerti lontano. Questo, ormai, non lo sopporto più.”

Ciò detto, lo strinse in un abbraccio e mormorò contro il suo petto: “Sono Emily Poitier, e vorrei essere la tua ragazza.”

Anthony ricambiò con gentilezza la stretta, annuì e domandò: “Il primo esame era questo? Baciarmi senza dare di matto?”

“Già. Ma Parker ha detto che devo superare altri due esami” mugugnò Emily, ridendo poi sommessamente contro il suo petto.

“Che insegnante esigente” chiosò l’uomo, lasciandosi andare a un sorriso liberatorio.

Lei annuì più volte e, per un istante, si sentì libera. Tranquilla. Felice.

Sapeva che presto o tardi i suoi demoni sarebbero tornati a infastidirla, impedendole di protrarre troppo a lungo quell’abbraccio, ma Parker le aveva dato le carte giuste per giocare quella nuova partita.

Avrebbe imparato a gestire la situazione senza lasciarsi sopraffare dal panico e, presto o tardi, i demoni si sarebbero stancati, abbandonandola. Lei, per lo meno, ci sperava.

Rivoleva la sua vita. E rivoleva Anthony.

Non le importava se, avvicinando lui, rivolendo lui, avrebbe avuto alle calcagna anche suo padre e le sue mire tutt’altro che mascherate di mettere le mani sul suo cospicuo patrimonio.

Emy desiderava riappropriarsi della propria felicità e, per ottenerla, doveva farne parte anche Anthony. Poco male se, per farlo, avrebbe dovuto sopportare William Consworth.

Aveva sopportato un rapimento, si era liberata da sola dalla propria prigione e ora, poco alla volta, stava tornando a essere se stessa.

Poteva anche sopportare un uomo scorbutico e arrivista. Dopotutto, aveva visto di peggio.


 

N.d.A.: il primo passo sembra essere andato bene e, per Anthony ed Emily, pare prospettarsi un futuro più sereno rispetto al precedente tentativo di qualche anno addietro. L'aiuto di Parker sembrerebbe aver dato buoni frutti, ma basterà ad aver dato la necessaria sicurezza a Emily? E William, finirà con l'impicciarsi? Lo scopriremo presto...

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


11.
 
 
 
Tà Nung (Vietnam) – settembre 1972
 
 
 
Non aveva mai neppure lontanamente immaginato che in un corpo umano potesse esservi così tanto sangue, né che ve ne potesse essere tanto nel corpicino smagrito e smunto di una bambina.

Eppure, ciò che aveva dinanzi era reale, niente affatto una reazione all’oppio che, in quegli anni, aveva fumato grazie all’aiuto compiacente di vietcong locali che, per aver salva la vita, smerciavano droghe agli americani.

No, quelli non erano i fumi dell’oppio. Era un massacro vero e proprio, e lui vi stava prendendo parte perché il tenente Pinkerton sembrava essere stato posseduto dal diavolo stesso.

A chi si era rivoltato contro di lui, il tenente aveva sparato in testa con la sua Colt M1911, su cui aveva aggiunto tacche con il coltello a ogni uccisione portata a termine  dall’inizio del suo turno in Vietnam.

Meyerson e Whindam erano tra quelli che, fortunosamente o vigliaccamente, se l’erano data a gambe in mezzo alla selva, mentre lui e un’altra ventina di soldati erano rimasti a compiere quel massacro per non essere, a loro volta, massacrati.

Ora, però, non solo non aveva più proiettili nel suo M16, ma lo stomaco gli si stava rivoltando nelle budella di fronte a quello scempio sempre più terribile. L’odio nei confronti del tenente Pinkerton era così forte da fargli sperare che qualcuno sparasse al suo superiore, a quel punto.

In un villaggio di donne, anziani e bambini, però, non si poteva sperare di trovare qualche vietcong armato e, tra di loro, nessuno era in grado di levare mano sul tenente.

Chi per paura, chi per follia, a nessuno era venuto in mente di ribellarsi, dopo che i primi colpi di fuoco amico avevano falcidiato le loro fila, e adesso sembrava che le loro armi non avessero più una sola pallottola utile per fermare quell’apocalisse.

Era stato un idiota a seguirlo, a fidarsi di lui, a lasciare che la sua condizione di debolezza peggiorasse, facendolo diventare dipendente da oppio e sigarette di contrabbando.

Ancora una volta, aveva finito con il dare ragione al suo vecchio, che da sempre gli aveva dato del ragazzo disturbato. E per cosa? Per una scopata e qualche canna?

Dopo essersi passato le mani sul viso madido di sangue e sudore – che gli penetrava negli occhi, offuscandogli la vista – William gettò a terra il caricatore ormai vuoto, si tastò i fianchi in cerca del coltello e, dopo aver scrutato Pinkerton con puro odio, attaccò.

Non arrivò mai a fare più di due passi, però.

Gli huei dell’esercito americano piombarono sul villaggio, ormai in fiamme, come l’avvento degli angeli dal paradiso e bloccarono le mosse di Pinkerton prima che portasse a totale compimento il suo personale massacro.

Atterrando in uno spiazzo libero da cadaveri – che erano caduti come mosche sotto i colpi degli M16 e degli L96A1 – gli elicotteri fecero discendere non meno di una decina di uomini che, furiosi come vespe, accerchiarono Pinkerton e gli irriducibili al suo seguito.

Dai mezzi aerei discesero anche Whindam e Meyerson che, nel vederlo a debita distanza da Pinkerton e i suoi seguaci, lo raggiunsero in tutta fretta per conoscerne le condizioni.

Lui reclinò colpevole il capo, comprese finalmente ciò che i due amici avevano fatto – non certo fuggire, ma allertare il comandante della guarnigione – e, nel rinfoderare il coltello, borbottò: “Stavo per attaccarlo, ma avete preceduto le mie mosse.”

“Potevi pensarci prima” sbottò irritato Cooper, guardandosi intorno con espressione disgustata.

Quel piccolo villaggio, del tutto privo di nemici e abitato soltanto da persone inermi e indifese, era stato praticamente raso al suolo, niente più che una distesa di morte e di fuoco a ricordo di ciò che, solo un’ora prima, si era trovato lì.

William si risentì per quelle aspre parole ma, ben conscio di essere in una posizione scomoda, preferì soprassedere.

Almeno in questo, era maturato. Aveva imparato quand’era il caso di chiudere la bocca, in previsione di avere un’occasione migliore per ribattere e, magari, vincere un diverbio.

Passandosi le mani tra i capelli lordi di sudore, polvere e sangue, Michael sbottò: “Cristo! E’ un altro maledetto massacro di Mÿ Lai1! Pinkerton ha già le palle su un ceppo, poco ma sicuro.”

“Puoi scommetterci” assentì torvo Cooper, recuperando l’arma di William prima di passargliela con un gesto secco, guardare ombroso il compaesano e borbottare: “Quanti ne hai ammazzati, prima di rinsavire?”

Ancora, William non rispose – pur se le mani fremettero per spaccare la faccia a quel damerino da strapazzo – e Cooper, sbuffando, ringhiò: “Spero tu sia soddisfatto di aver seguito le orme di quel pazzo furioso.”

“Non le ho…” cominciò col dire William, prima di venire azzittito da Michael.

“Piantala, Will. Pensi che non sappiamo con chi ti accompagnavi, durante le tue perlustrazioni con la compagnia di Pinkerton? Pensi che i ragazzi non parlassero? O non vedessero?” lo rabberciò Meyerson. “Ti conviene tenere la testa bassa, aprire la bocca per cantare, se te lo chiederanno, e fare scena muta se Pinky ti chiederà aiuto. Sempre che tu voglia tornare a casa da uomo libero.”

“Sono solo dei luridi vietcong, dopotutto! Cosa cazzo avete da fare tanto la predica?! Li avete ammazzati anche voi, in questi anni!” sbottò a quel punto William, ormai paonazzo in volto per l’ira repressa a stento.

Cooper controllò per un momento a che punto fosse il recupero degli irriducibili di Pinkerton, dopodiché tornò con lo sguardo sul volto arcigno di William e replicò caustico: “Ci siamo battuti contro uomini armati… non contro donne e bambini e vecchi. C’è una differenza.”

William fece per ribattere ma Michael lo sospinse verso gli huei e disse rapido: “Diremo che volevi affrontarlo, ma noi siamo arrivati prima. Ti salveremo il culo anche se non te lo meriti, quindi vedi di ringraziare tua madre, per questo, quando torneremo a casa. Lo facciamo solo perché lei è una brava donna, e non merita di rivederti in galera.”

“In che… in che senso?” borbottò William, seguendoli di malavoglia.

“Se avessi fumato meno e ascoltato di più, sapresti che ci stanno rimandando a casa. Nixon ci sta portando via di qua, e noi siamo i prossimi. Il nostro battaglione partirà nel giro di un paio di settimane” gli fece presente Cooper, quasi gettandolo di peso sul pianale dello huei.

Fatto ciò – e prima che William potesse replicare per il servizio non certo elegante – gli mise una mano sulla spalla per tenerlo a terra dopodiché, rivolgendosi al suo superiore: “Ha cercato di fermare Pinkerton, ma il nostro intervento lo ha preceduto.”

Il sergente storse appena la bocca, lanciò un’occhiata dubbia a William, ma Michael intervenne dicendo: “Era d’accordo con noi per rimanere sul posto e lanciare razzi segnalatori nel caso non riuscissimo a trovare di nuovo il villaggio.”

Annuendo recisamente, a quel punto, il sergente Callum borbottò: “Sta bene. Partiamo pure, allora!”

Le pale degli huei ruotarono sempre più velocemente, levando polvere, foglie e sangue dal terreno e, mentre i mezzi dell’esercito si allontanavano da quello scempio, William seppe di essersi appena fatto carico di un debito enorme.

E che forse mai, nel corso della vita, avrebbe potuto ripagare.
 
***

Nederland – dicembre 1972
 
Tornare non aveva aiutato molto a migliorare l’umore di William. La notte, rivedeva il massacro di Tà Nung come se si fosse ancora trovato lì e di giorno, ogni santo giorno, era costretto a vedere la gente mentre si congratulava con Cooper e Michael per le loro medaglie al valore.

Oh, certo, ne era stata data una anche a lui, grazie alla bugia clamorosa raccontata da quei ragazzi per bene che erano Whindam e Meyerson e, proprio per questo, lui detestava quell’onorificenza con tutto se stesso.

Più ancora, odiava la gente perché si congratulava anche con lui senza sapere bene cosa, in realtà, fosse avvenuto tra quelle foreste pluviali e quei villaggi sperduti nel nulla.

Era così facile ingannare la gente!

Aveva ucciso, fatto ciò che aveva creduto meglio per sé, seguito chi aveva pensato essere il graduato più opportuno per i suoi interessi ma, alla fine, si era solo cacciato in un guaio più grande di lui. Ed era stato salvato dalle due persone che più odiava al mondo.

Aveva dimostrato, almeno a se stesso, di non essere in grado di gestire per niente le emergenze e questo lo faceva sentire un perdente, cosa che odiava ancor più della medaglia immeritata.

Perché era così differente da suo padre, che sembrava sempre affrontare ogni cosa con cognizione di causa, con la capacità di sopperire a qualsiasi problema, anche il più complesso?

La sua ribellione giovanile era nata in parte anche da questo, da quel continuo confronto con la figura genitoriale, in cui lui appariva sempre in ombra, perdente, niente affatto al suo livello.

Continuare anche in Vietnam con quel trend era stato solo l’ultimo chiodo sulla sua bara, la conferma di non aver preso nulla di buono da quell’uomo all’apparenza così perfetto.  

Ormai si sentiva davvero un perdente, non credeva più di essere migliore degli altri, o soltanto un incompreso.

L’averlo scoperto sulla propria pelle, e nel modo più brutale possibile, lo aveva colpito come un macigno, un macigno di cui era difficile portare il peso, poiché si accompagnava anche alla menzogna.

Whindam e Meyerson erano saliti di grado, avevano ricevuto più e più medaglie per meriti in battaglia, non si erano mai tirati indietro di fronte a un dovere e, alla fine, lo avevano salvato dalla Corte Marziale.

Lui, invece, non aveva fatto altro che dare ragione a suo padre, una volta di più. Aveva reso chiaro a sé stesso, prima ancora che a qualsiasi altra persona, quanto in realtà fosse un debole, un uomo senza nerbo, una nullità.

Rendersene conto, però, era forse un passo avanti, una sorta di primo passo verso qualcosa che avrebbe potuto essere un riavvicinamento con il padre, una redenzione in vista di un futuro migliore.

Certo, il peso della sconfitta provato nel momento in cui i suoi compagni lo avevano salvato, non sarebbe scomparso, né così il debito con loro, ma forse avrebbe potuto trovare una nuova forza per sopportarlo.

Forse, dopotutto, assomigliare di più a suo padre sarebbe stato qualcosa a cui agognare, non qualcosa da odiare perché ritenuto irraggiungibile.

Prima di tutto, comunque, doveva farsi carico di un’altra cosa, di un altro fardello che, nel corso degli anni, aveva accumulato.

Sua madre.

Whindam e Meyerson erano stati chiari; era stato salvato per amor suo e, se voleva cominciare da qualche parte per rimettersi in piedi, poteva iniziare da lei, ringraziandola per essersi fatta amare anche da persone estranee alla famiglia.

Non era mai stato bravo con le parole e, spesso e volentieri, queste ultime lo avevano cacciato nei guai, ma era disposto a provare, per alleviare il peso che sentiva sul petto. Sentirsi in debito con qualcuno era qualcosa di terribile, e voleva cominciare a vivere senza quel peso a farlo sentire sempre così maledettamente inutile.

Già sul punto di raggiungere la madre nelle sue stanze, William si bloccò quando udì la voce del padre, stranamente gorgogliante, e del suo migliore amico, Gareth Simpson, impegnati in una strana discussione.

“…se anche fosse, non dobbiamo per forza dirglielo. Certe cose devono morire con noi” borbottò Darren Consworth, la voce  apparentemente alterata dall’alcol.

“Maledizione, Darren! Pensi davvero che mentire ancora sulla nascita di Will servirà a qualcosa? E’ chiaro, ormai, che quel ragazzo ha dei problemi. E’ inutile girarci intorno… è colpa di Paco!” sbottò Gareth con voce incrinata da qualcosa di molto simile al rimorso.

“Perché devi dire così? Sembra… sembra stare meglio, da quando è tornato” intervenne dubbiosa Julie Consworth.

La voce della madre bloccò definitivamente i passi di William che, silenzioso, ascoltò con attenzione le parole dei tre adulti.

“Julie, so che vuoi bene a tuo figlio, ma William si sta comportando esattamente come Paco, e ormai non posso più chiudere gli occhi di fronte a questa verità. Sapete che ha iniziato a vedere la figlia dei Krueger, da quando è tornato?”

“Chi? Marlene?” borbottò Darren.

“Sì, lei. Quella bambina sembra avere un’autentica venerazione per vostro figlio… e cosa pensate che succederà, quando la ragazza si negherà ai suoi approcci?”

“Ma cosa dici, Gareth?!” esalò sconvolta Julie.

“Mi spiace essere così diretto, Julie, ma è un problema reale. Vostro figlio soffre di un profondo stress, e non state facendo nulla per curarlo. Non vi siete mai accorti di come si comporta, in pubblico?”

“Gli danno fastidio i rumori forti, lo so… ma mi sembra normale, no?” mormorò turbata Julie.

“Sì, certo che è normale. Ma non lo sono le sue reazioni. Un paio di volte l’ho visto afferrare il coltello che tiene alla cintura, in risposta a uno di quei rumori. E non è un bel vedere, Darren” sbottò Gareth con voce quasi rotta dall’ansia provata.

“Lo stai tenendo d’occhio?” sbottò l’amico, irritandosi immediatamente.

Gareth allora sospirò e ammise: “Mi sento responsabile, Darren. Fu anche colpa mia, ciò che avvenne a Julie. Non posso non sentirmi preso in causa dal vostro ragazzo.”

“Lui starà bene, e questa cosa non dovrà più tornare a galla” biascicò Darren, caracollando verso Gareth nell’intento di dare maggiore peso alle sue parole.

L’amico lo sorresse prima che potesse cadere e, sinceramente addolorato, asserì: “Da quando in qua ti ubriachi, Darren? Sai anche tu che ho ragione, o non reagiresti così al ritorno di tuo figlio. Da quando è rientrato, sono più le sere che passi tracannando whisky di quante io non ricordi in oltre trent’anni di amicizia.”

“Me ne devo occupare io… sono io suo padre” mormorò a quel punto Darren con voce rotta.

Julie scoppiò in un pianto leggero, sottolineato da singhiozzi dolenti e Gareth, nello stringere in un abbraccio l’amico, esalò: “So che tu la vedi così, ed è stato coraggioso dargli il tuo nome, la tua protezione, ma dobbiamo guardare in faccia alla realtà. William non ha un solo goccio del tuo sangue e la cosa sta venendo fuori nel modo più tragico. La guerra ha solo inasprito il suo carattere, e non passerà molto tempo prima che i fantasmi che si è portato dietro da quel posto lo facciano diventare come il suo vero padre.”

Will raggelò a quelle parole, non riuscendo minimamente a comprendere le parole di Gareth e, nello stringere le mani a pugno lungo i fianchi, si domandò di cosa diavolo stessero parlando.

Non contento, Gareth proseguì dicendo: “Ho tenuto Paco lontano da Nederland con la minaccia di spiattellare tutto alla polizia, ma non so per quanto tempo lo terrò a bada. E’ una mela marcia, e gli anni non lo hanno cambiato, ma ora ha addirittura la presunzione di volere che suo figlio vada con lui. Gli ho detto di impicciarsi degli affari suoi, che non ha niente a che fare con Will, ma Paco si è intestardito e non cederà facilmente.”

“Non lo ha mai voluto conoscere. Perché diavolo torna adesso?!” si imbestialì a quel punto Darren, falciando l’aria con un braccio.

“Perché? Perché gode nel fare del male alla gente. Per questo sono preoccupato per William in primis, o Marlene, o qualsiasi altro abitante di Nederland. Perché William sta percorrendo la stessa strada di Paco. Di suo padre” sospirò Gareth, passandosi una mano sul volto con espressione sofferta. “E’ anche una mia responsabilità, lo sai bene. Avrei dovuto vigilare su di lui, e non l’ho fatto, perciò permettimi almeno di aiutare Will. Di aiutare tutti voi.”

“Non è un problema tuo” sentenziò lapidario Darren.

Julie sospirò addolorata e Gareth, nel sospirare a sua volta, afferrò la maniglia della porta della stanza per uscire e, spiacente, mormorò: “Ci sarò sempre per voi tre, non dimenticarlo mai. Ma non dimenticare anche che a volte, da solo, l’amore non può aggiustare tutto.”

“Will non deve essere aggiustato” gli ringhiò contro Darren.

Gareth non disse altro e uscì, lasciando a malapena il tempo a William di nascondersi nel vicino pozzo delle scale che conduceva ai garage.

Silente, Will lo osservò andarsene mentre mille e più domande gli affollavano la mente. Chi diavolo era il Paco di cui aveva parlato Gareth, e perché aveva detto che quell’uomo era il suo vero padre?

La sua attenzione, però, venne prima di tutto canalizzata dal pianto della madre che, apparentemente, era rimasta sconvolta dalle parole dell’amico di famiglia.

Tornando ad avvicinarsi alla porta socchiusa, udì il padre dire: “Non ascoltarlo. Lui non sa chi è Will in realtà. Noi sapremo strapparlo ai suoi incubi.”

“Forse ha ragione, Darren. Dovremmo aiutarlo, mandarlo da qualcuno … proteggerlo da se stesso” replicò Julie, inconsapevole del peso che quelle parole stavano avendo sul figlio.

“Non crederai anche tu che la violenza sia ereditaria, spero?!” dichiarò sconvolto Darren.

“Non vorrei crederlo, Darren, ma ciò che ha notato Gareth l’ho notato anch’io… e ne ho paura” ammise Julie con voce tremante. “A volte lo guardo, ma lui non mi vede affatto. Ha la mente altrove, è come se non fosse mai tornato veramente qui, e non posso sopportare di vederlo così ogni giorno.”

“Gli starò ancora più vicino, te lo prometto. Non lo abbandonerò a se stesso.”

“Tesoro, tu non lo hai mai abbandonato, lo so. Lo hai protetto fin da quando hai saputo di lui e di me, anche se non avevi alcuna responsabilità nei confronti di entrambi” mormorò a quel punto Julie, sgomentando non poco William.

Che diavolo stava dicendo, la madre? Cosa stava ascoltando, in realtà? Sua madre era stata con un uomo che non era il padre? Era davvero il figlio di un altro?

Ma più di tutto, suo padre aveva accettato di crescere il frutto di un tradimento?

A tal punto si era dimostrato debole? A tal punto aveva permesso che la moglie e quel fantomatico Paco lo rendessero becco?

Non potendo ascoltare altro, William discese in fretta quanto in silenzio lungo le scale che conducevano al garage e, senza attendere oltre, prese l’auto e se ne andò per fare un giro.

Non importava dove. Doveva soltanto rimanere lontano da quella casa, da quelle persone, dai tradimenti e dalle bugie che ammorbavano l’aria di quel luogo.

Sua madre aveva tradito la fiducia di suo padre, accoppiandosi con un uomo che non era lui e, quel che era peggio, a suo padre non solo era stato bene, ma non si era neppure vendicato della persona che lo aveva reso becco.

Non contento, aveva cresciuto come suo il frutto di quel tradimento e aveva fatto credere a tutti di esserne il padre, da bravo vigliacco quale sapeva essere.

Lui non era altro che un errore, il frutto di un tradimento, ed era stato cresciuto da un uomo tutt’altro che perfetto. Non si era vendicato dell’onta subita ma, quel che era peggio, pur di non ammettere con nessuno di essere stato tradito, lo aveva reso complice inconsapevole della sua menzogna.

No, non avrebbe ambito ad assomigliare a quel genere d’uomo. Per nulla al mondo.

Avrebbe puntato a essere spietato, senza la traccia alcuna di debolezza e mai, mai più, avrebbe permesso a qualcosa – o qualcuno – di obnubilargli la mente.

Sarebbe stato lucido, freddo e calcolatore e non avrebbe mai più permesso a nessuno di deluderlo, di ferirlo e di cacciarlo nei guai.

A partire dai suoi genitori.

Fu per questo che, nello svoltare lungo la via principale, raggiunse la casa dei Krueger e passò a prendere Marlene.

Lei, come sempre, si dimostrò incantata al solo presentarsi sulla soglia di casa – cosa che ancora lo lasciava interdetto – e, quando uscì per entrare in auto con lui, sorrise deliziata e disse: “Non sapevo saresti passato, ma mi ha fatto davvero piacere questa improvvisata. Cosa vorresti fare, stasera?”

Avviando l’auto per dirigersi lungo la via che costeggiava il lago, William ripensò alle parole appena udite e, nell’accigliarsi, domandò: “Mi tradiresti mai, Marlie?”

Lei fece tanto d’occhi, a quelle parole così dure e, scuotendo furiosa il capo, replicò: “Non lo farei mai e, se qualcuno ha detto il contrario, dammi i nomi. Mi saprò spiegare per benino.”

“Anche quanto, lo farei io per te. Sono gli uomini a pensare a certe cose” sogghignò leggermente lui, accelerando lungo la strada deserta.

Marlene accentuò il proprio sorriso e mormorò sorniona: “Oh… mi difenderesti?”

“Difenderei il mio onore di uomo” precisò William, sorprendendola un poco.

“E non me?”

“Difendendo il mio onore, difenderei anche il tuo, poiché tu sei la mia donna” ribatté William, accelerando ulteriormente per poi abbassare il finestrino.

L’aria umida e fredda della sera ormai prossima scompigliò i capelli castani di Marlene che, sorridendo divertita, esalò: “Davvero sono la tua donna?”

“Non lo credevi?” replicò sorpreso William.

“Beh, nessuno ha mai detto che ero sua, perciò…” ammiccò lei con fare malizioso.

“Ora te l’ho detto io, e nessun altro dovrà mai dirtelo, altrimenti io ucciderò colui che oserà tanto” le promise William, svoltando all’improvviso con una sgommata per poi immettersi in una stretta mulattiera.

Marlene rise eccitata, si trattenne una ciocca di capelli che, birichina, le era finita sul viso, e asserì: “E lo ucciderai dinanzi a me?”

“Ti piacerebbe? Ho ucciso spesso, in Vietnam” sorrise sornione William, rallentando progressivamente con l’allontanarsi della via principale.

Marlene, allora, si lappò lentamente le labbra, mugolò eccitata e disse: “Se tu uccidessi per me, io ti darei qualsiasi cosa. L’idea che un uomo possa arrivare a tanto, e solo per me, mi eccita da matti.”

“Non… non per te. Ma per il mio onore” tornò a ripetere William, arrestando di colpo l’auto per affrontarla a muso duro.

Lei a quel punto annuì, gli sfiorò la gola con un tocco delicato di dita e unghie e, in un sussurro lussurioso, asserì: “Se io sono tua, faccio parte anche del tuo onore, no? Perciò, è come se lo facessi anche per me.”

William considerò le sue parole, il modo in cui l’orlo della gonna stava lentamente salendo al tocco infuocato delle dita di lei e, nel sorriderle a un passo dalla bocca, mormorò: “Hai ragione. Tu sei mia e, visto che sei parte di me, fai parte anche del mio onore.”

Ciò detto, le afferrò il collo con una mano e strinse, le spinse indietro il capo e aggiunse, rivolto ai suoi occhi pallidi e sgranati: “Ricorda, però. Vale la stessa cosa anche per te. Se sarai tu, a tradirmi, io ti ucciderò.”

Lei si lappò nuovamente le labbra, annuì per quello che le fu possibile fare e, socchiudendo gli occhi, afferrò la mano libera di William per infilarla tra le sue cosce, mormorando roca: “Prendimi e fammi tua completamente. Non posso sopportare di non essere con te in ogni momento, perciò voglio stare con te adesso.”

William socchiuse gli occhi nello sfiorarle il pube umido, desiderò assaporarne gli effluvi come aveva più volte fatto con le donne vietnamite che si era scopato ma, all’ultimo istante, desistette per dire: “Non ora. Ti prenderò quando saremo sposati. Non voglio che tu concepisca un figlio al di fuori del matrimonio. Ne andrebbe del mio nome. Visto che i miei genitori pensano che io abbia bisogno di aiuto, andrò a Denver da un dottore e farò quel che c’è da fare, così anche la gente non avrà più nulla da dire, su di me. Una volta che sarò tornato, però, ti sposerò e potremo fare quello che vorremo. Saremo intoccabili, agli occhi del mondo.”

“Lo farai davvero? Mi sposerai?” sospirò lei. “Mi porterai davvero via dalla casa dei miei genitori?”

“Ti strapperò a loro, fosse l’ultima cosa che faccio, Marlie. Non dovrai più sopportare le reprimende di tuo padre o l’inedia di tua madre” le promise lui, ben comprendendo come la ragazza si sentisse.

Neppure lui ne voleva più sapere dei suoi vecchi, a questo punto.

Marlene allora gli gettò le braccia al collo, lo baciò con passione fino a farlo ansimare, fino a farlo desiderare di non aver proferito quelle parole in merito alla loro unione prematrimoniale.

Fu quando lei afferrò l’orlo dei suoi calzoni, che cedette e, nel condurla in fretta e furia fuori dall’auto, la prese per le spalle, la spinse contro la portiera e, dopo averle sollevato la gonna, la penetrò con violenza da dietro.

Lei urlò, picchiò le mani sul tettuccio dell’auto per quell’intrusione improvvisa ma, dopo alcuni attimi di smarrimento, sopraggiunse il piacere anche per Marlene.
Non che a William importasse molto. Quella donna era sua e l’avrebbe usata a suo piacimento, come il padre non era stato in grado di fare con la moglie.

Con un’ultima, violenta spinta, venne in lei, sorrise soddisfatto e lasciò che Marlene giocasse a piacimento con il suo corpo. Dopotutto, quello che voleva lo aveva ottenuto.

L’aveva marchiata senza però rischiare di lasciare tracce del danno. Non si sarebbe più comportato come un perdente e, una volta per tutte, si sarebbe smarcato per sempre da suo padre.

 
 
 
 
 
1. Massacro di Mÿ Lai: fu un massacro di civili inermi che avvenne durante la guerra del Vietnam, (1968) quando i soldati statunitensi della Compagnia C, 1º Battaglione, 20º Reggimento, 11ª Brigata della 23ª Divisione di Fanteria dell'esercito statunitense, agli ordini del tenente William Calley, uccisero 504 civili inermi e disarmati, principalmente anziani, donne, bambini e neonati.


N.d.A.: scopriamo il passato di William e l'oscuro segreto celato dietro la sua nascita. Scoprire i suoi comportamenti passati, serve in previsione di ciò che avverrà prossimamente. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


12.

 

Agosto 2015 – Dintorni di Nederland

 

Arrampicarsi su ripidi pendii assieme alla sua Cleopatra non era mai stato un problema, per Emy, e quel giorno si sentiva abbastanza in forze anche per trasportare parte delle attrezzature di Parker.

La festa per il battesimo di Sophie era andata così bene che, per settimane intere, si era parlato delle novelle coppie formatesi durante quell’evento, così come dei flirt già esauritisi in breve tempo.

Nessuno, però, aveva parlato di lei e Tony, poiché avevano fatto in modo di non essere smascherati, così da mantenere il segreto sul loro riavvicinamento ancora per un po’.

Forse era stato per questo, per questa frenetica gioia collettiva, o per il divertimento provato nel comportarsi da adolescenti alle prese con la prima cotta, che la telefonata di Sherry non l’aveva sgomentata più di tanto.

Ray era uscito di galera una settimana addietro, e di lui si erano perse le tracce quasi immediatamente.

Alla fine dei conti, Emily non doveva temere nulla da lui. Ray non era mai stato un problema, e dubitava fortemente che, una volta uscito di galera, lui avesse pensato anche solo minimamente a lei.

Rammentava fin troppo bene i suoi occhi dolenti e la sua espressione contrita, durante il processo, perciò era praticamente certa che Ray fosse svanito dai radar per qualsiasi altro genere di motivo, ma non certo per ferire lei.

Inoltre, dopo essere finalmente riuscita ad ammettere con Anthony quanto ancora l’amasse, si sentiva più forte che mai e, anche se sapeva bene di essere solo all’inizio, era speranzosa di riuscire nei suoi intenti quanto prima.

I giorni seguenti alla loro reciproca confessione, avevano ripreso a vedersi di nascosto, come due ragazzini desiderosi di non farsi scoprire dai genitori a rubarsi qualche bacio o carezza.

Le notti erano trascorse scambiandosi messaggi, o chiamandosi al cellulare, neanche fossero stati a migliaia di miglia l’uno dall’altra mentre, durante il giorno, avevano fatto finta di nulla per non attirare l’attenzione della gente.

Tutto questo l’aveva divertita al pari di quanto aveva divertito lui, ma questa segretezza aveva fatto nascere un effetto collaterale non previsto. Ora, Emily lo bramava ancor più di prima, e rispettare la tabella di marcia di Parker stava diventando sempre più difficile.

“Il tuo sorrisone è così luminoso che, se potessi metterlo in bottiglia, potrei usarlo come lanterna all’interno della grotta” chiosò Parker, arrancando lungo il sentiero con le sue valige metalliche ricolme di strumenti.

Emy si chiese come facesse a portarne così tante. Lei ne aveva solo una, e già si sentiva a pezzi.

Sicuramente, l’abitudine era una grande alleata, ma da sola non poteva certo bastare. Era chiaro quanto Parker, in quegli anni, si fosse abituato – e avesse abituato il proprio corpo – a quel genere di lavoro. E, almeno a giudicare dalla sua aria tranquilla, non doveva pesargli affatto, faticare tanto.

“Non hai idea di quanto io mi sia sentita stupida, nel vederti alle spalle di Tony, e mentre mi esponevo così tanto” mugugnò lei, pur sorridendo.

“Non devi. Tu lo ami, lui ti ama. Che problema c’è? Non ti vergognerai mica ad ammetterlo?” ironizzò lui, facendo un gran ghigno.

“Ti stai divertendo da matti perché non sei tu l’oggetto del contendere, e perciò non devi scervellarti per trovare dei sistemi per apparire sempre al meglio” brontolò Emily, sbuffando per la fatica e per l’imbarazzo.

“Cara mia, tu dovresti essere ricoperta di mota e vestita di juta, per non apparire al meglio… e poi avrei qualche dubbio lo stesso” ammiccò lui, prima di tornare serio e asserire: “Non devi fingere, con lui. Anthony sa già chi sei. Devi solo convincerti che, quando ti trovi con lui, nulla può succedere. Non c’è più nessuno che cercherà di portarti via.”

“Sei maledettamente percettivo, sai?” gorgogliò lei, storcendo il naso.

“Lo so. La mamma me lo dice sempre, che dovevo fare lo psicologo” motteggiò lui, dandole un colpetto con la spalla prima di fermarsi al limitare di una curva per riprendere fiato. “Comunque, come procede il vostro piano di appuntamenti segreti?”

“Ottimamente. Anche se, prima o poi, dovrò cominciare a prendere del bromuro” ironizzò lei, facendolo scoppiare a ridere di gusto.

Sempre ridendo, Parker riprese il cammino e svoltò lungo un sentiero, procedendo a passo tranquillo per alcune centinaia di iarde prima di avvertire il rumore inconfondibile di una cascata.

Pur sapendo della sua presenza – e piuttosto sicuro della sua imponenza a causa del boato che li raggiungeva come un treno in corsa – fu con estrema sorpresa e profonda meraviglia che osservò l’incanto che gli si presentò dinanzi agli occhi.

Finalmente libera dallo scudo naturale offerto dagli alberi, una stupenda cascata dall’ampia bocca si esibì in tutto il suo splendore, investendoli con il suo boato roco e profondo e miriadi di goccioline di vapor d’acqua.

Anche a una distanza di quasi cento metri, complice la brezza che spirava da nord-est, la fresca nebbiolina causata dalla caduta di centinaia di litri d’acqua al secondo colpì entrambi, inumidendo i loro volti accaldati quanto appagati.

“Niente può essere così bello… e dire che ho visto anche le cascate del Niagara, però queste…” mormorò ammirato Parker, sgranando maggiormente gli occhi.

“A renderla splendida è il paesaggio che la circonda” asserì Emily, poggiando le borse per armeggiare con la sua fotocamera. “Quando venni qui la prima volta, il cielo era plumbeo, eppure era splendida comunque. Le nubi erano nere, all’orizzonte, purulente, e l’acqua della cascata sembrava quasi di ghiaccio. Una di queste volte ti farò vedere le foto.”

“Ci conto” sussurrò lui, carezzando distrattamente Cleopatra, che stava tentando di leccare tutte le goccioline d’acqua cadute sul suo muso.

Dopo aver scattato una ventina di fotografie, scegliendo diversi filtri e inquadrature per ottenere quante più variabili possibili, Emily rimise via la fotocamera e rimase in silenziosa contemplazione della cascata.

Quel rombo sordo e primordiale, ricco di una forza che poteva quasi percepire attraverso la propria pelle, non la spaventava. La natura in sé non l’aveva mai spaventata.

Anche durante la sua fuga, non aveva mai ritenuto il bosco un pericolo vero e proprio, quanto piuttosto una protezione dai cattivi che avrebbero potuto cercarla. Certo, aveva dovuto prestare attenzione ai precipizi che si trovavano nella zona e alle erte scoscese ma, a conti fatti, il bosco non l’aveva mai terrorizzata.

Lei aveva sempre avuto paura delle persone, da quel giorno in avanti, non dei luoghi. O meglio, c’era un solo posto al mondo che ancora la spaventava a morte, ed erano le caverne, ma non era obbligata a metterci dentro il naso, no?

Ciò di cui aveva sempre avuto terrore erano stati i rapporti profondi, le situazioni in cui il suo cuore era messo in discussione, quando non c’erano più filtri tra lei, la sua mente e colui – o colei – che aveva dinanzi.

Anche per questo, le sue brevi avventure universitarie erano state effimere e prive di sbocchi. Non si era mai voluta aprire veramente con nessuno, per paura che il terrore la sommergesse.

Non prima di Anthony, comunque.

Ora, però, era giunto il momento in cui la sua mente avrebbe dovuto cedere il passo ai sentimenti, permettendole di avvicinarsi veramente – e finalmente – a qualcuno che lei voleva con tutta se stessa.

“Proseguiamo?” domandò Parker prima di udire il cinguettio del cellulare di Emily.

Sorpresa – era raro che i cellulari prendessero, nel bosco, e in zone così impervie – lei lo estrasse dal marsupio e accettò la chiamata del fratello, da poco rientrato a Nederland.

Raggiuntala subito dopo aver sopportato una noiosissima riunione del suo studio di avvocati, Jamie si era dichiarato più che disposto a diventare un boscaiolo a vita, pur di evitare nuovi e simili incontri coi soci. Per questo, non si era neppure dato il tempo di trovare un aereo per raggiungere Denver quanto prima.

Era partito con la sua auto non appena la riunione si era conclusa e, dopo essersi sobbarcato ore e ore di viaggio lungo i vari Stati che li dividevano, era piombato sul suo letto e si era addormentato dopo averle detto un frettoloso ‘ciao’.

Non volendo affrontare il relitto ambulante che, quella mattina, aveva preso le sembianze di suo fratello, lo aveva perciò lasciato dormire, in attesa di potergli parlare a cena, quella stessa sera.

Fu per questo che, divertita, domandò: “Ehi! Che succede? Manchiamo da un paio d’ore e hai già bisogno della balia?”

“Emy…” mormorò ansioso Jamie, mettendola subito in allarme e facendole perdere in un istante il sorriso con cui lo aveva salutato. “… dovete tornare subito.”

“Che succede, J?” ansimò la giovane, impallidendo nell’udire il tono angosciato di Jamie. Perché suo fratello sembrava così terrorizzato? Cos’era successo? “Mamma… papà è…”

Non poteva essere successo qualcosa a suo padre! Non poteva lasciarla prima che si fossero chiariti! Non poteva essere crudele fino a questo punto!

“No, Emy… loro non c’entrano. E’ Mickey.”

“Mickey? Ma Mickey è al campo estivo della scuola” borbottò Emily, non comprendendo affatto le parole del fratello.

“Non è mai rientrato a casa, Emy. E’ sparito. Non lo trovano” continuò a dire Jamie con tono concitato.

Emily scosse il capo, guardò frettolosamente l’orario – sì, erano le due passate, perciò doveva per forza essere tornato da scuola – ma, ancora, rifiutò di accettare ciò che il fratello le stava dicendo.

“Sarà… sarà con un suo amico” mormorò allora la giovane, incredula.

“Hanno già tentato quella strada. Sorellona, non siete in tanti, qui. Ci vuole poco a chiamare tutti i diretti interessati” cercò di farle capire Jamie, parlando con voce più dolce e comprensiva.

La giovane scosse il capo con maggiore forza, rifiutando ciò che il fratello le stava dicendo e, dando il cellulare a Parker, si prese il viso tra le mani e gorgogliò terrorizzata: “E’ da un suo amico… sicuramente… non può… non deve…”

Parker le strinse una mano sulla spalla per trattenerla dal fuggire mentre, quella che teneva il cellulare, schizzò verso l’orecchio per accostare lo smartphone e dire: “Spiegami che succede, Jamie.”

“Si teme che possano aver rapito Mickey.”

Parker non riuscì a dire nulla. Attirò a sé una sempre più sconvolta Emily, ormai ai limiti del pianto e la abbracciò stretta, mormorando: “Emy, respira… respira…”

“Non può succedere ancora… non può succedere ancora…” ripeté lei come un mantra, tremando tra le braccia di Parker, ora completamente inerme e senza forze.

Cleopatra uggiolò accanto a loro, evidentemente preoccupata per la padrona. Con il suo possente corpo le si strusciò contro per darle tutto il suo conforto ed Emily, crollando in ginocchio e scivolando via dalla presa di Parker, si strinse alla sua cagnolona e pianse.

Non potendo fare altro, Parker risollevò il cellulare e disse rapido: “Torniamo immediatamente.”

“D’accordo” mormorò roco Jamie.

Ciò detto, Parker chiuse la comunicazione, infilò il cellulare di Emily nella tasca posteriore dei pantaloni dopodiché, sfiorando il capo della giovane, mormorò: “Rientriamo, dai.”

Lei annuì contro il pelo folto di Cleopatra, che le stava leccando una spalla a mo’ di consolazione e, nel rialzarsi, si terse il volto dalle lacrime e sussurrò priva di energia: “Perché, Parker?”

“Davvero non ne ho idea. Ma se la stampa lo scopre, ci sguazzeranno, sapendo che tu abiti a Nederland. Faranno paragoni di mille tipi e, quasi sicuramente, verranno a bussare alla tua porta per chiederti come stai. Ergo, cosa intendi fare?” la mise in guardia Parker, ombroso in viso.

Lei reclinò il capo, ammettendo tra sé che Parker aveva perfettamente ragione. Se la mancanza di Mickey fosse perdurata, lo sceriffo avrebbe dovuto far intervenire l’FBI e, dove arrivavano loro, la stampa giungeva poco tempo dopo. Da lì a scoprire la sua presenza a Nederland – non era una reclusa, perciò bastava cercarla su internet, per sapere dove abitasse – sarebbe occorso poco, soprattutto perché il suo libro era appena uscito e stava vendendo bene, nel settore.

Era davvero sicura di reggere la presenza infestante e continua dei giornalisti? Di voler rivangare quel passato così lugubre e ancora non del tutto risolto, per lei? Era  abbastanza forte da non impazzire?

L’alternativa più semplice sarebbe stata scappare ancora, allontanarsi da Nederland e rendersi irreperibile a tutto e a tutti, ma sarebbe poi servito?

Come si sarebbe sentita, lasciandosi alle spalle gli amici? Avrebbe sopportato l’idea di sapere Samuel e Consuelo in ansia per il primogenito?

Preso perciò un gran respiro, Emily cancellò con una mano le ultime tracce di pianto e incrociò lo sguardo verde foglia di Parker come per darsi forza. A mezza voce, quindi, disse: “Consuelo e Sam sono da soli, adesso, e io sono anzitutto una loro amica. Non voglio lasciarli.”

“Allora, ti terrò alla larga gli scocciatori. Tuo zio dovrà aspettare i miei risultati, temo” le promise lui, dandole una pacca sulla spalla.

Lei sorrise appena, ma una lacrima ribelle le sfuggì dagli occhi di colomba, insieme a una domanda sgorgata dalle labbra socchiuse.

“Perché?”

“L’unico modo per scoprirlo, è tornare a Nederland. E siamo già in ritardo sulla tabella di marcia” le disse lui, afferrando la propria attrezzatura per tornare verso valle.

La giovane assentì e, al pari di Cleopatra, si incamminò lungo il sentiero tenendo l’andatura più veloce possibile.

Non riusciva a capire perché stesse succedendo di nuovo. Perché doveva rivivere quell’inferno? E perché i suoi amici dovevano viverlo a loro volta?

***

Non appena Emily e Parker fecero ritorno a Nederland, ciò che trovarono confermò loro la gravità della situazione. Le persone erano sparpagliate per la strada, apparentemente nel panico, e cercavano Mickey in ogni cantone, dietro ogni angolo, come se fino a quel momento il bambino avesse soltanto giocato a nascondino.

Lo sceriffo sembrava propenso a lasciarli fare, forse sapendo bene che, se si fosse opposto a quegli inutili tentativi di ricerca, si sarebbe ritrovato addosso le ire dell’intero paese.

Era giusto che provassero, se il loro cuore diceva questo, perché null’altro li avrebbe pacificati.

Non era il momento di essere fiscali.

Lasciandosi perciò alle spalle quello sciamare convulso di persone, i due risalirono lungo la via sterrata per raggiungere le loro case. Separatisi giusto il tempo di parcheggiare i rispettivi pick-up, Emily scese con Cleo dal proprio, trafelata e ricolma d’ansia.

Mentre attendeva di veder giungere Parker dal suo appartamento, inquadrò dopo alcuni istanti Consuelo sulla soglia di casa, in compagnia di Anthony, in lacrime e sconvolta.

Consuelo teneva Sophie tra le braccia, ma i suoi occhi non la vedevano, erano persi in un vuoto di disperazione e paura.

Anthony, accanto a lei, sembrava impotente di fronte a tanto dolore e, quando vide Emily correre loro incontro, la abbracciò stretta per un attimo, mormorando: “Stai bene?”

Lei annuì frettolosa, si scostò da lui e si avvicinò a Consuelo che, nell’udire la voce di Emily, si ridestò come di colpo e mormorò: “Emy… sei qui…”

“Sono arrivata appena ho saputo. Come è successo?” domandò la giovane, stringendo in un dolce abbraccio Consuelo prima di guardare dolcemente Sophie.

La bimba sembrava ignara del panico che la circondava, e continuava a dormire placidamente tra le braccia della madre.

“Non… non lo sa nessuno. La maestra dice che è uscito da scuola con gli altri, come al solito. In paese lo hanno visto passare un attimo da Gilda, per un saluto, e anche questo è normale. Poi ha preso la via per tornare a casa, e da lì…”

Il pianto la colse nuovamente e, piegandosi su se stessa, Consuelo si portò al volto la piccola Sophie per baciarne le guance rosee.

Emily le passò un braccio attorno alle spalle, non sapendo cosa dirle per incoraggiarla.

Quando i ragazzi uscivano da scuola, molti di coloro che vivevano lungo Ponderosa Drive erano al lavoro, perciò era difficile – per non dire impossibile – che qualcuno potesse aver visto qualcosa.

Le sole zone veramente trafficate di Nederland erano il centro del paese e la locanda di Gilda, e cioè gli unici luoghi dove avevano effettivamente visto Mickey.

Lungo Big Springs Drive e Ponderosa Drive era rarissimo trovare qualcuno, e le case erano rade e ben distanziate tra loro, oltre che intervallate da tratti di boscaglia e diversi sentieri.

Mickey avrebbe potuto scomparire in un punto qualsiasi tra le due strade, che percorreva regolarmente a piedi per tornare a casa, e nessuno se ne sarebbe accorto.

Per i bambini del luogo era normale rientrare da soli, spesso a piedi o in bicicletta; tutti si conoscevano e le vie erano tranquille, perciò non si correva nessun rischio.

Fino a quel giorno, per lo meno.

“Mickey è forte. Niente può abbatterlo. Vedrai che lo troveranno in men che non si dica” mormorò Emily, lanciando però uno sguardo preoccupato ad Anthony, non sapendo cos’altro dire. Voleva consolare l’amica, ma sapeva in prima persona come le cose potessero andare storte, e farsi maledettamente lunghe e interminabili.

Nel veder tornare Sam e Jamie con l’auto di quest’ultimo, Anthony sospirò e disse: “Chissà che lo sceriffo non abbia dato loro buone notizie.”

Quando, però, li videro scendere dalla Mustang, scuri in volto e per nulla desiderosi di parlare, Emily seppe la verità. Non solo non lo avevano trovato, ma non erano in grado di dire dove potesse essere.

“E’ successo di nuovo” mormorò Emily, gli occhi sgranati per l’orrore.

***

Seduta sul divano con una tazza di tè bollente tra le mani, Emily non stava ascoltando ciò che i tre uomini in casa con lei stavano dicendosi con tono concitato e stanco.

Tutto le sembrava lontano, inconsistente, come se le uniche cose reali attorno a sé fossero quelle che poteva toccare con mano.

La ruvidezza del tessuto a coste del divano color ghiaccio, il muso di Cleopatra poggiato sulle sue ginocchia, la tazza di ceramica laccata che le scaldava le dita, la morbidezza del tappeto in ciniglia sotto i suoi piedi nudi.

Tutto il resto era sfocato, impalpabile come nebbia.

La sua mente tentava in ogni istante di tenere segregate le sensazioni spiacevoli legate al suo rapimento, ma era difficile non pensarci quando collegava se stessa a Mickey.

Forse, era in una grotta anche lui, chiuso tra quattro anguste mura. Oppure era legato in un bagagliaio, diretto in Messico o chissà dove, venduto per il mercato del sesso, o per i suoi organi.

O ancora, poteva essere stato preso per essere consegnato a un’altra famiglia, perché diventasse il figlio di qualcun altro. Il Mickey di qualcun altro.

Le possibilità erano migliaia, e una peggiore dell’altra, ma Emily stava cercando con tutta se stessa di non lasciare che le sue esperienze si fondessero con la realtà attuale. Se fosse successo, sarebbe impazzita e niente avrebbe più avuto senso.

Dondolando leggermente quando un peso affossò il cuscino del divano al suo fianco, Emily volse un poco il capo per capire cosa stesse succedendo e, nel vedere il viso preoccupato di Anthony puntato verso di lei, mormorò: “Ci sono. Davvero.”

Lui accennò un sorriso, ma fu più un riflesso meccanico che altro. Gli occhi azzurri rimasero spenti, offuscati dall’ansia, pur se Emily non seppe dire se, quella preoccupazione profonda, fosse legata a Mickey, a lei, o a entrambi.

“Jamie e Parker rimarranno qui con te, stanotte, mentre io andrò di là ad aiutare Sam e Consuelo” le spiegò lui, stringendole delicatamente una mano.

“Non hanno rapito me, Tony. Non ho bisogno di un commando a mia protezione” sottolineò la donna, sollevando appena un sopracciglio per evidenziare il suo scetticismo.

“E’ un comitato di supporto, tutto qui” scrollò le spalle Anthony. “E mi sentirei più tranquillo, se non ti sapessi da sola.”

Emily a quel punto sorrise, sorrise davvero, e si allungò per dargli un bacio leggero sulle labbra, mormorando: “Sei davvero un bravo cavaliere.”

“Ci si prova” ironizzò lui prima di volgersi a mezzo e scoppiare a ridere.

Emily ne seguì lo sguardo e, spalancando gli occhi per la sorpresa, gracchiò: “Ma che fate?”

Jamie e Parker se ne stavano nel mezzo del salotto con le mani ben premute sugli occhi, neanche fossero stati due bambini di fronte a una scena scandalosa.

“Non vogliamo diventare ciechi” chiosò Jamie, scostando due dita per permettere a un occhio di scrutare la sorella.

“Ma quanto siete idioti” brontolò lei, scuotendo il capo e sollevandosi dal divano per portare la tazza in cucina.

Parker e Jamie si sorrisero complici e, nel vedere la donna allontanarsi, quest’ultimo domandò: “Sei sicuro di non voler rimanere tu, Tony? Posso andare io, di là.”

Anthony scrutò in direzione della cucina ma scosse il capo e replicò: “So di non essere così eroico come dovrei essere in questo momento, Jamie. E’ meglio mettere qualche muro tra me e lei, per adesso. Il desiderio di consolarla sarebbe troppo… insopportabile, e non voglio rovinare ciò che ci stiamo faticosamente riprendendo poco alla volta.”

“Posso capirlo. Fa male vederla così spaesata e, la cosa più semplice sarebbe farla pensare ad altro” ammise Jamie, scrollando le spalle. “Ti chiameremo se avremo bisogno, allora. Tu fa lo stesso, però.”

“D’accordo” chiosò lui, dando una pacca sulla spalla a entrambi gli uomini prima di uscire di casa.

“Dovrebbero dargli davvero una medaglia” gracchiò Parker.

Jamie non poté che dirsi d’accordo.

***

La sala principale del Nederland Community Center era gremita di persone.

Le luci erano state accese per permettere a tutti di vedere i grafici che, FBI e polizia locale, avevano sistemato su un improvvisato palco nel mezzo del salone.

Dopo tre giorni di ricerche infruttuose, l’arrivo dell’FBI nel piccolo paesino montano non aveva stupito nessuno e, con essi, i primi furgoncini delle televisioni locali avevano iniziato a ingombrare i parcheggi.

Ciò che Parker aveva paventato era infine successo e, già di buon mattino, uno zelante quanto rompiscatole giornalista aveva suonato alla porta di Emily per chiedere cosa ne pensasse della situazione.

Naturalmente, Jamie lo aveva cacciato a male parole, minacciandolo di far intervenire lo sceriffo se lo avesse ripescato sulla proprietà privata della sorella. Il giornalista, però, non si era dato per vinto e, armato di una piccola telecamera, si era piazzato in strada, in attesa dell’uscita della padrona di casa.

Emily lo aveva scrutato per ore, dalla finestra del suo studio e, alla fine, era uscita con Cleopatra al fianco, bellicosa come una giornata di tempesta, e gli aveva detto di lasciarla in pace.

Millantando pretese riguardanti la libertà di stampa e di espressione, lui però non aveva ceduto e, alla fine, Emily gli aveva sputato in faccia la nuda e cruda verità.

Che era terrificante pensare a un bambino scomparso, e che lucrare sul dolore delle persone le dava il voltastomaco.

Ciò detto, se n’era andata e, sempre con Cleopatra al fianco, era tornata in casa, uscendone poco dopo assieme a Jamie, in auto, per scendere in paese.

Al giornalista non era rimasto altro che tornarsene alla sua vettura per seguirli alla conferenza stampa indetta dall’FBI.

Lo sciamare delle persone, all’interno del salone ormai gremito, era frenetico e carico di tensione e in molti si chiedevano chi mai potesse aver pensato di rapire Mickey, e perché.

Quando, infine, l’agente in capo dell’FBI chiese il silenzio, chi poté accomodarsi lo fece, e coloro che rimasero in piedi si azzittirono per poi puntare lo sguardo sull’agente dai capelli brizzolati e l’aria seria giunto da Denver.

“Buongiorno a tutti voi. Io sono l’agente speciale Adam McCoy, e mi occuperò della sparizione di Michael Johnatan Larson che, da quel che so, è conosciuto da tutti come Mickey” esordì l’uomo, lanciando un’occhiata a Consuelo e Samuel, che assentirono. “Da quel che sappiamo finora, non sono state inviate richieste di riscatto alla famiglia, perciò dobbiamo supporre che non si tratti di un rapimento a scopo estorsivo. Questo ci pone nell’immediata necessità di comprendere quali altri motivi potessero avere i rapitori, per prelevarlo da qui, per cui pregherò la gentile cittadinanza di prestarsi alle domande che i miei colleghi vi faranno nei prossimi giorni.”

Un brusio di assenso si levò tra i presenti, ma fu la voce di William Consworth a farsi largo tra la gente, e a sgomentare molti per ciò che disse non appena prese la parola.

“E’ possibile che siano stati i suoi parenti messicani, a prelevarlo?” domandò ruvido William, indicando Consuelo come se la colpa della sparizione del figlio fosse da addebitarsi a lei.

Consuelo si irrigidì al solo udire quell’eventualità, ma furono altri a lagnarsi ad alta voce di quella domanda, squadrando poi malamente Consworth senior per quell’illazione.

L’agente McCoy, però, rispose con competenza e freddezza, replicando: “Non verrà tralasciata alcuna pista, glielo posso assicurare.”

William non parve soddisfatto della risposta, e domandò ancora: “Perdoni la villania, agente, ma come pensate di ritrovarlo? Se è già oltreconfine, non otterrete mai dai messicani il permesso per indagare su uno dei loro.”

Anthony fu sul punto di dirigersi dal padre per aggredirlo a male parole, se non addirittura a suon di pugni, ma sia Emily che Jamie lo trattennero accanto a loro. Non era il momento di scatenare una rissa, o altri avrebbero voluto parteciparvi anche solo per sciogliere la tensione che attanagliava tutti.

Ad azzittire Consworth senior pensò comunque l’agente speciale, che replicò sardonico: “Forse, signore, lei ha visto troppi vecchi film e si è fatto l’idea sbagliata che, tra le nostre forze dell’ordine e quelle messicane, possano esservi degli screzi. Le posso assicurare che quando è un bambino, l’oggetto del contendere, la partecipazione è massima.”

William grugnì una risposta incomprensibile a mezza voce, ma l’agente lo lasciò perdere per passare ad altro.

“Avvieremo una fitta rete di controlli a tappeto all’interno dei boschi, e anche per questo chiediamo la vostra partecipazione volontaria. Sarebbe utile avere degli occhi abituati a questi luoghi, che sicuramente voi conoscete come il palmo della vostra mano. E’ lapalissiano che vaglieremo attentamente qualsiasi vostro consiglio, ma tengo a sottolineare una cosa; le indagini fanno capo a noi, quindi le iniziative personali potrebbero essere assai rischiose e far perdere del tempo a noi agenti, così come ai poliziotti locali. Se avete qualcosa da dire, ditela, e non pensare di agire come dei supereroi.”

L’agente scrutò tutta la platea con gli scuri occhi nero pece, prima di aggiungere lapidario: “Non sappiamo con chi abbiamo a che fare, e non vogliamo sulla coscienza nessuno. Venite da noi. Sempre.”

Ciò detto, McCoy lasciò la parola allo sceriffo Meyerson e discese dal palco per poi avvicinarsi curioso a Emily.

Sorridendo cordiale, allungò quindi una mano verso di lei e disse: “Agente McCoy, signorina Poitier. Non so se si ricorda di me. A suo tempo, avevo lavorato al suo caso con i colleghi di New York.”

Sorpresa, Emily gli strinse la mano prima di spalancare gli occhi e ripensare a un giovane alle prime armi, serioso e attento, che era giunto all’Ausable Club assieme ai suoi colleghi.

All’epoca, non aveva fatto molto caso alla marea di agenti che avevano voluto interrogarla in merito alla sua fuga, ma tornare a quei momenti le fece riemergere alla memoria il ricordo del volto dell’agente.

Molto più magro e dai capelli interamente neri come ali di corvo, l’agente McCoy si era occupato dell’aspetto fisico dei rapitori e si era preoccupato di preparare degli identikit preliminari grazie alla sua deposizione. Era stato molto gentile, con lei, e le aveva regalato un lecca-lecca gigante dai colori dell’arcobaleno.

Quel gesto l’aveva fatta ridere e piangere al tempo stesso e, di buona lena, si era messa a mangiucchiarlo nell’attesa che arrivassero anche i suoi genitori.

Sorridendo appena, Emily quindi disse: “Non fa più identikit, adesso.”

“Già da un pezzo, in effetti” ammise l’agente. “E’ davvero una brutta occasione, per rivederla. Immagino che quei ragazzacci laggiù le abbiano già dato fastidio.”

Ciò detto, indicò sprezzante le troupe ferme al limitare della sala, e che attendevano soltanto la fine del discorso dello sceriffo per irrompere come uno sciame di locuste per sommergerlo di domande.

“In effetti, ci hanno provato” ammise lei, scrollando le spalle.

“Non le posso promettere nulla, ma vedrò di tenerglieli alla larga, quando potrò” la rassicurò lui prima di domandarle: “Si è fatta un’idea di cosa possa essere successo?”

“Non sono un’esperta, ma non possono di certo volere dei soldi da Sam e Consuelo. Chi ha preso Mickey aveva un motivo preciso per volere proprio lui. E non era il denaro” mormorò Emily. “Sia chiaro però che, se ve ne fosse bisogno…”

McCoy la azzittì, asserendo: “Sa bene come funziona. Non si danno soldi ai rapitori.”

“Lo so, ma…” tentennò Emily, mordendosi il labbro inferiore per l’ansia.

“Non terremo nascosto nulla. Abbiamo già visto in passato che, tenere all’oscuro la comunità, rischia di far scatenare i più riottosi, spingendoli a prendere dei rischi inutili pur di fare del bene. Per quanto ci sarà possibile, vi diremo ciò che sta succedendo, perciò fate altrettanto, per favore.”

Nel dirlo, la fissò con intenzione, infine si allontanò dopo averla salutata e Jamie, fischiando piano, borbottò: “In pratica, ti ha detto di tenere il portafogli chiuso e di non fare scemenze.”

“Non può davvero pensare che abbiano preso Mickey per chiedere il riscatto a me!” sbottò Emily, irritata.

“Non credo che l’agente lo pensi, infatti. Ma qualche mitomane potrebbe usarla come scusa per approfittarsene. Sai che gli idioti abbondano” sottolineò Parker.

“Mi guarderei bene dal dare soldi a chicchessia. Prima, anche quanto, chiederei conferme riguardo a Mickey e alla sua salute” precisò Emily prima di sbuffare e aggiungere sconsolata: “Che è quello che ha detto McCoy. Niente eroismi. Si parla prima con lui.”

Jamie abbassò il capo quando sentì vibrare il cellulare nella tasca dei pantaloni e, mentre Parker si raccomandava con Emily di non fare sciocchezze e Anthony assentiva protettivo, il giovane imprecò tra i denti.

Il trio, allora, si volse verso di lui e Jamie, sollevando lo smartphone perché fosse visibile a tutti, borbottò: “So che non ti farà piacere, Emy, ma…”

Vengo lì da voi. Non mi interessa se a Emy non sta bene.

Quando lesse quelle parole, Emily impallidì. Non per il testo in sé, che nulla aveva di preoccupante quanto, piuttosto, per il mittente.

A scrivere quell’SMS era stato niente meno che Jordan Poitier.

 

 

N.d.A.: la storia si ripete. Emily torna a rivivere i momenti del suo rapimento a causa di quello di Mickey, che pare scomparso nel nulla e richiama nella piccola cittadina anche una squadra investigativa dell'FBI. Sarà successo quello che teme Emily? Qualcuno avrà voluto il bambino per il mercato del sesso? O lo hanno rapito perché diventi il figlio di qualcun altro? Chi si cela, dietro questa sparizione? E lei riuscirà a non intervenire, o alzerà la testa come vent'anni prima, cercandolo indipendentemente dalle raccomandazioni di McCoy?

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***



 

13.

 

 

 

 

Jordan Poitier bloccò la Mercedes W205 presa a noleggio a Denver dinanzi all’entrata dell’albergo di proprietà della famiglia Consworth, dove anni prima Emily aveva soggiornato per alcuni mesi.

Dopo aver spento il motore, prese un gran respiro e, con un ultimo sforzo, l’uomo si decise a scendere per poi poggiare i mocassini scamosciati sull’asfalto nuovo del parcheggio.

Sollevatosi con lentezza – il viaggio intrapreso in fretta e furia lo aveva sfiancato – si stiracchiò leggermente prima di sistemarsi la camicia in cotone egiziano e i jeans scuri che indossava.

Era insolito, per lui, indossare un look così casual, ma gli era sembrato assurdo presentarsi a Nederland con doppiopetto griffato Armani e scarpe firmate Prada ai piedi.

Inoltre, il tempo dei doppiopetto e delle cravatte di seta erano finiti, per lui.

Chiusa quindi la portiera dell’auto con una spinta leggera, afferrò il suo trolley sul sedile posteriore dopodiché, con calma, si avviò verso le porte a vetri dell’entrata dell’albergo.

Fu lì, oltre quei vetri trasparenti – su cui era stato serigrafato il nome della famiglia proprietaria e il logo dell’hotel – che Jordan vide la figura della figlia.

Apparentemente, lo stava attendendo assieme a Jamie, accanto al bancone dell’accettazione, in compagnia di un altro paio di giovani uomini che lui non conosceva.

Jordan fu tentato di restare in contemplazione della figlia ancora per qualche minuto, ma gli sembrò sciocco starsene lì impalato di fronte al primo gradino della veranda, al pari di una statua di sale. Avrebbe dato l’impressione di essere diventato, di colpo, uno spaventapasseri molto costoso.

Avviandosi perciò verso le porte, attese che la fotocellula lo vedesse e, quando i vetri infrangibili si furono ritirati, entrò con passo fintamente tranquillo quindi, con un sorriso teso, disse: “Buongiorno.”

“Papà” mormorò Jamie, dando poi di gomito alla sorella.

Emily sembrava essere raggelata, al fianco del fratello. Immobile e con lo sguardo fisso sul volto dell’uomo che, per tanti anni, era stato un’incognita vivente, per lei, sembrava indecisa sul da farsi e, soprattutto, su cosa dire.

Pur sapendo quanti anni fossero passati, dalla loro prima lite, trovò strano vederlo con i capelli ingrigiti, invece che con la sua consueta e folta chioma castana. Suo padre aveva sessantatre anni, perciò era normale che avesse i capelli di quel colore, eppure lei faticava a conciliare quell’uomo apparentemente normale con colui che l’aveva tanto delusa anni addietro.

E dire che lo aveva visto in condizioni ben peggiori, debilitato dall’infarto e smagrito in volto dalla malattia. Perché, quindi, ora era così sconvolta, di fronte al suo arrivo?

Forse, proprio per questo. Perché, per la prima volta, suo padre era lì. Nel suo territorio.

Aveva sconfinato nella sua confort zone, e questo la rendeva nervosa.

“Emily… ciao” disse infine Jordan, ritentando un approccio con la figlia.

Rabbrividendo leggermente, la giovane annullò frettolosamente la distanza che li divideva per un rapido abbraccio dopodiché, nello scostarsi, mormorò: “Ciao, papà.”

Non disse altro, ma a lui bastò. Rivolgendosi poi all’uomo piacente dietro il bancone, aggiunse: “Immagino di aver parlato con lei, poche ore fa. Sono Jordan Poitier, molto piacere.”

“Sì, signor Poitier, ero io. Sono il figlio del proprietario, Anthony Consworth” asserì il giovane, allungando una mano verso di lui. “Ho fatto preparare per lei la stanza con il salottino. Ho pensato che avesse bisogno di un posto dove lavorare, visto che…”

Interrompendolo con un sorriso, Jordan disse per contro: “Oh, beh… per visionare le carte di uno studio di avvocati mi sarebbe bastato un divanetto, ma grazie davvero.”

I due figli lo fissarono basiti, a quel punto, del tutto spiazzati da quelle parole impreviste e Jamie, strabuzzando gli occhi, esalò: “Studio… di avvocati? Cos’è successo, papà?”

“Semplice. Ho ritirato le mie quote dall’azienda di famiglia e ho venduto le azioni. Armand e il nonno mi stanno facendo diventare matto con gli incartamenti da firmare, visto che sono un socio fondatore, ma spero che finiscano alla svelta” si limitò a dire l’uomo, sorprendendoli ulteriormente.

Che cosa?!” gracchiò Jamie, mentre Emily si portava le mani sulla bocca per soffocare un singulto. “Ma che ti è venuto in mente?!”

Guardando Emily con aria piena di contrizione, disse con semplicità: “Ho fatto quello che avrei dovuto fare più di vent’anni fa. Prendere armi e bagagli e venire a salvarti.”

A quelle parole, Emily lasciò crollare le braccia lungo i fianchi, lo guardò con espressione addolorata e, dopo alcuni istanti di angoscioso silenzio, lo mandò al diavolo senza pensarci su troppo. Senza dire altro, quindi, si allontanò da tutti per fuggire fuori dall’albergo.

Jordan non si stupì affatto di quella reazione ma, ben deciso a non lasciare che le cose andassero come negli ultimi vent’anni, guardò un ancora scioccato Jamie e domandò: “Dove può essere andata?”

Quasi all’unisono, i tre giovani dissero: “Al molo.”

All’uomo sfuggì una risatina, di fronte  a una simile sicurezza e, nel lasciare il trolley al figlio, lo pregò di portarlo nella sua stanza e di ritirare per lui la chiave dopodiché, scusandosi coi presenti, uscì e si diresse verso il lago.

“Mi venisse un accidente …” gracchiò a quel punto Parker, ancora piuttosto confuso e frastornato da ciò che era appena successo.

Jamie si lasciò andare a un’imprecazione e, guardando Anthony, domandò ansioso: “Dici che è il caso che io li raggiunga?”

“Secondo me, Emy ti lancerebbe nel lago, se lo facessi” borbottò Anthony. “Credo che sia il caso di lasciarli in pace. Dopotutto, è un po’ che devono parlare, no?”

“Beh, a quanto pare mio padre è nella fase ‘mollo tutto e faccio cose che non ho mai fatto prima’. Chi l’avrebbe detto che si sarebbe lasciato alle spalle l’azienda di famiglia?” gracchiò Jamie, passandosi le mani tra i folti capelli, ormai ridotti a un covone di fieno.

“Non ne sapevi proprio niente?” domandò Parker, a sua volta piuttosto perplesso.

“Assolutamente no. E mamma non ci ha accennato nulla” sbuffò il giovane, afferrando il telefono per poi uscire dall’albergo a grandi passi.

A quel punto, Parker guardò Anthony e chiosò: “I Poitier amano le uscite a effetto, a quanto pare.”

Lui non poté che assentire. Di certo, di tutti i possibili scenari che si era prefigurato nella mente riguardo al suo primo incontro con il padre di Emily, questo li batteva tutti.

***

Come poteva pretendere che lei accettasse quella decisione come se nulla fosse mai accaduto? Come poteva anche solo pensare che quel gesto impulsivo potesse cancellare più di vent’anni di scuse stentate e inutili?!

Seduta sul molo da cui partivano le barche a remi per le gite sul lago, Emily era avvolta dal dolce silenzio di quei luoghi tranquilli e gradevoli e, da almeno venti minuti, nessuno aveva tentato di avvicinarla per chiederle come stesse.

L’ultimo che aveva tentato qualche approccio, un giornalista di Boulder piuttosto intraprendente, era stato scacciato dal vecchio Joe Blaire - l’addetto all’imbarcadero - che, con il suo solito tono di voce burbero, lo aveva rispedito al mittente. Più docile e  con voce calda e confortante, a lei aveva invece raccomandato di godersi il molo, senza preoccuparsi di nulla.

E così era stato. Fino a quel momento, comunque.

I passi leggeri che stava percependo con udito e tatto – attraverso le assi vibranti del molo che avvertiva sotto le dita – non dovevano essere di un giornalista, ma certamente neppure di Parker, Jamie o Anthony.

Tutti loro si sarebbero annunciati con un ‘ehi, Emy… come va?’, o qualcosa di simile. Quel passo diffidente, quel silenzio colpevole, potevano appartenere a una persona sola.

Perciò, senza neanche voltarsi, mormorò: “Non mordo, sai?”

“Meglio non correre rischi” chiosò il padre, raggiungendola e sedendosi al suo fianco, lasciando quindi pencolare le gambe nel vuoto al pari della figlia.

Lo sciabordio leggero dell’acqua accarezzava i piedi del molo in legno, creando un effetto vellutato tutt’attorno a loro e portando con sé il ricordo lontano del mare. L’aria frizzante dei duemila metri a cui si trovavano, però, poco aveva a che fare con le assolate spiagge di Los Angeles o Miami e Jordan, nel guardarsi intorno, mormorò: “E’ davvero un luogo bellissimo. Offre molta pace e tranquillità.”

“Hai sentito il dottore, prima di venire?” domandò burbera Emily, lanciandogli un’occhiata di straforo.

Lui sorrise appena, annuendo, ma disse: “Non era contentissimo, soprattutto perché sono venuto direttamente qui senza prima acclimatarmi a Denver, ma mi ha dato qualcosa da prendere per ogni eventualità.”

Ciò detto, si picchiettò il petto con una mano aperta, all’altezza del cuore, e sorrise. L’infarto che aveva avuto un paio di anni prima li aveva messi tutti in allarme ma, per fortuna, tutto si era risolto per il meglio. Le direttive di medico e moglie, però, si erano fatte più stringenti, per lui, e quel viaggio aveva messo a dura prova i nervi di entrambi i suoi aguzzini.

La giovane si limitò ad assentire e, poggiando i gomiti sulle cosce, mormorò: “La cosa della ditta… potevi anche non farla, sai? Non è un rapimento a scopo estorsivo, e io non c’entro nulla.”

“Non importa. Era giusto così” replicò lui, osservando il lago che, come uno specchio, rifrangeva le alte vette che circondavano l’abitato montano.

Non faceva specie che la figlia avesse scelto proprio quel luogo, per nascondersi e vivere serenamente. Ogni angolo di quel paradiso in terra era in grado di ritemprare spirito e corpo, cancellando con il semplice suono del vento le angustie della vita e il riverbero di fastidiosi ricordi.

“Giusto, cosa?” sbottò a quel punto Emy, volgendosi feroce verso il padre per poi aggredirlo verbalmente. “Pensi davvero che adesso, dopo questo tuo gesto generoso, io ti salti al collo urlando ‘oh, grazie, papino, ti voglio bene!’. Pensi davvero che finirà così?!”

Essendosi aspettato un suo scoppio d’ira, Jordan non vi fece caso e, nel tornare a osservare la distesa placida del lago, le alte vette imbiancate delle Montagne Rocciose e gli scuri boschi che circondavano la cittadina, asserì: “Ero stanco di mentire. Solo questo.”

Quella frase lasciò del tutto sconcertata Emily che, sbattendo le palpebre, mormorò: “In che senso, scusa?”

“Se sei disposta ad ascoltare la verità nuda e cruda, te la dirò.”

Rammentando il monito di Max di ascoltare senza pregiudizi, Emily borbottò un assenso e Jordan, sospirando nel prepararsi a quell’ennesima prova, disse: “Successe tutto quando giunse la prima richiesta di riscatto.”

Emily assentì cauta e l’uomo, passandosi una mano sul volto, tornò a quel giorno, a quel maledetto giorno di più di vent’anni prima.

***

Luglio 1993 – New York

 

Aprendo la busta con mani tremanti, Jordan lasciò ricadere il foglio scritto a macchina sulla scrivania, corredato da un ricciolo di biondi capelli e da una delle spille tanto amate da Emily. Quella di Barbie.

Scrutando quindi ombroso suo fratello Armand e la sua gemella Bérénice, gracchiò: “Chiedono cinquanta milioni. Entro due giorni.”

“Impossibile, e tu lo sai” scosse il capo Armand, accavallando le gambe e tamburellando le dita sui braccioli della poltrona su cui era assiso. “Dovremo trovare un altro modo per riportare a casa la piccolina.”

“Armand ha ragione. Cinquanta milioni di dollari prelevati dall’azienda ci farebbero andare sul lastrico” rincarò la dose Bérénice, passeggiando nervosamente dinanzi all’alta finestra che dava direttamente sulla Fifth Avenue.

L’afa di quei giorni era percepibile sulla pelle, pur se quegli uffici potevano contare su un impianto di condizionamento d’eccezione. Nessuno di loro, però, sembrava rendersi conto dell’umidore delle loro fronti, così come del morboso profumo di pachouli dello studio dove si trovavano.

Il nervosismo crescente tra di loro era l’unico profumo maleodorante e stantio che i tre fratelli erano in grado di percepire, un aroma marcescente nato dalla netta contrapposizione tra di loro, e per motivi assai divergenti quanto inconciliabili.

“Si sta parlando di mia figlia! MIA FIGLIA! Non di un affare tra aziende!” ringhiò per contro Jordan, sbattendo una mano sulla scrivania che aveva dinanzi a lui.

Lo studio, per quanto ampio, arredato con classe e illuminato da luci calde e piacevoli, gli parve una prigione, in quel momento. Una prigione in cui i fratelli e i genitori lo stavano rinchiudendo sempre più, giorno dopo giorno, in modo tale che non potesse più muovere un solo muscolo per accorrere in aiuto della figlia.

Era stato un trauma tornare dal vernissage e scoprire, nel cortile di casa, i corpi senza vita di Pollux e Castor. I due rottweiler che aveva acquistato sei anni addietro, ancora cuccioli, giacevano l’uno accanto all’altro, all’apparenza addormentati, le teste vicine e le lingue ciondoloni.

Non gli ci era voluto molto per capire che qualcosa non andava; i due cani erano soliti salutarlo sempre, al suo ritorno, ma quella sera non si erano mossi, all’arrivo dell’auto.

Tenendo lontana Margareth perché non affrontasse ciò che ormai riteneva inevitabile, si era avvicinato perciò ai due animali e, nel vedere la bava alle loro bocche, aveva presagito il peggio.

Senza perdere altro tempo, era accorso alla porta per scollegare l’allarme, solo per scoprire che era già stato disattivato.

Da chi, lui non ne aveva avuto alcuna idea, ma le ipotesi nel suo carnet lo avevano raggelato per alcuni istanti terribili.

Assieme alla moglie, sempre più scosso da dubbi e timori, era quindi corso in casa per scoprire cosa fosse successo.

La vista di Sandra, la bambinaia dei figli, stesa a terra in una pozza di sangue, aveva fatto temere il peggio a entrambi ma, quando Jordan l’aveva sfiorata per auscultarne il battito, aveva tirato un sospiro di sollievo nello scoprire che era ancora viva.

Ferita in modo grave – come avevano appurato in seguito – ma viva.

Le urla di Margareth, avviatasi verso la stanza di Emily mentre Jordan si occupava di Sandra, avevano però fatto sprofondare l’uomo nell’abisso nero della disperazione. Non era servito molto per capire che qualcosa di terribile era accaduto, e che tutti loro ne avrebbero sofferto le terribili conseguenze.

“Sia come sia, o attingi al tuo fondo personale, oppure scordati di avere quei soldi dall’azienda” sottolineò imperturbabile Armand, strappandolo ai suoi ricordi.

“Sai benissimo che non dispongo di quella cifra” precisò per contro Jordan, tornando al presente. “La maggior parte dei miei soldi li ho investiti qui!

“Allora, dovremo trovare un altro sistema” borbottò fiacco il fratello, levandosi in piedi per poi afferrarlo alle spalle e aggiungere: “Non credere che non tenga a Emily. Ma distruggere l’eredità di famiglia non ha senso.”

“E’ per questo che mamma e papà non hanno detto nulla?” ribatté Jordan, caustico. “Li hai convinti che il bene della ditta sia superiore alla salvezza di mia figlia? Sei stato tu, Armand, a convincerli?!”

“Pensi davvero che ti permetterebbero di affossare tutto? Neanche Emily lo vorrebbe” chiosò Bérénice, sfidandolo con lo sguardo.

“Emily ha solo otto anni! Cosa vuoi che le importi della ditta, o di cosa facciamo qua dentro?! Lei starà soltanto pensando che non è a casa, e che nessuno è là a salvarla!” esplose il fratello minore, fissandola pieno di livore.

“Allora, forse, avresti dovuto rendere più sicura la tua villa! Cosa c’entra la ditta, con le tue negligenze di padrone di casa?!” gli risputò addosso Bérénice, ormai livida in viso. “Avresti dovuto vagliare meglio le credenziali della ditta che ti montò i sensori di sorveglianza!”

“Parliamone anche con François. E’ giusto che ne sia al corrente anche lui. Poi lo diremo a mamma e papà, e solo allora decideremo sul da farsi” dichiarò rabbioso Jordan, ignorando volutamente l’umor nero della sorella.

Sembrava spiritata, e non aveva onestamente voglia di starla a sentire, o di tentare di calmarla. Aveva davvero altro per la testa.

“Lo dici soltanto perché sai che François darà ragione a te. Adora la piccola Emily, perciò sai già che farà di tutto per portarla a casa, ivi compreso mandare tutto all’aria” lo sbeffeggiò Bérénice, irriverente.

Fuori di sé dalla rabbia, Jordan non poté più trattenersi dal risponderle a tono e si rivoltò contro la sorella maggiore, ringhiandole contro: “Se a te non interessa nulla di mia figlia, non vuol dire che gli altri la pensino come te! Ma che diavolo hai, al posto del cuore?!”

“Una testa che pensa e che sa fare due più due, ecco cosa!” gli urlò contro lei, mentre Armand cercava di trattenere entrambi dal venire alle mani.

“Se avessero preso Philippe, parleresti ancora così?” le rinfacciò allora Jordan, allontanandosi dalla scrivania per poi avviarsi verso la porta, al fine di cercare il loro fratello minore, François.

Armand cercò invano di richiamarlo, ma fu Bérénice ad attirare l’attenzione di Jordan e a bloccarne l’uscita dallo studio.

“Non ti permetterò di rovinare tutto!” gli gridò contro la donna, facendo scattare il cane della sua piccola pistola Beretta Tomcat.

Dopo averla estratta dalla borsetta, approfittando della disattenzione dei due fratelli, Bérénice la puntò contro un incredulo Jordan, dopodiché sorrise minacciosa e lanciò un’occhiata gelida ad Armand perché non si muovesse.

“Che hai intenzione di fare, Berry?” mormorò ansioso quest’ultimo, fissando la gemella con somma preoccupazione.

“I soldi non usciranno da qui. Servono a me” sibilò a quel punto Bérénice, la mano tremante e la piccola pistola nichelata che dondolava pericolosamente tra le sue dita.

“Abbassa quell’arma, Berry… non ce n’è davvero bisogno” la incitò a sua volta Jordan, avanzando lentamente verso di lei, le mani levate come a voler chetare un animale in preda al panico.

“Resta fermo!” urlò ancora Bérénice, gli occhi ricolmi di lacrime e lo sguardo perso nel vuoto. “Tu pensi tanto alla tua Emy, ma non hai mai fatto una sola domanda su di me! Su tua sorella!”

Jordan, a quel punto, guardò turbato Armand in cerca di spiegazioni, ma lui scosse il capo ugualmente confuso, non comprendendo a sua volta le parole della gemella.

“E’ più di un mese che continuate a scervellarvi su dove possa essere quella bambina, su che fine abbia fatto, ma nessuno si è domandato come mai io sia mancata così spesso dall’ufficio, in queste ultime settimane!” sbraitò la donna con tono invasato, agitando nervosamente la pistola. “A nessuno interessa saperlo!”

“Berry, se non ci dici nulla, come possiamo capire?” mormorò a quel punto Armand, levando a sua volta le mani, avanzando un paio di passi verso di lei.

“Dovevate capirlo! Tu, che sei il mio gemello, non ti sei accorto di nulla! NULLA!” gli sputò contro Bérénice, tergendosi nervosamente le lacrime prima di puntarsi sotto il mento la piccola pistola. “Beh, così non riuscirai a far uscire un solo dollaro dall’azienda. Poco ma sicuro.”

Ciò detto, chiuse gli occhi e, prima che Armand o Jordan potessero fermarla dai suoi intenti, Bérénice tirò il grilletto e sparò.

Il colpo le trapassò il cervello, uccidendola sul colpo e, mentre i due fratelli la raggiungevano sconvolti, il corpo inerme della donna crollò a terra, inzuppando il prezioso tappeto Aubusson del suo sangue scarlatto.

“Ma che diavolo…” ansimò sgomento Jordan, fissando senza capire ciò che rimaneva del volto della sorella e il sangue scarlatto che stava macchiando i fili perfetti e colorati del tappeto.

Gli occhi immoti di Berry fissavano vacui il soffitto, mentre la macchia di sangue andava allargandosi come un lago sversatosi da una diga non più pronta a contenerlo.

Terrorizzato, Armand si inginocchiò accanto alla gemella, sfiorò la sua gola nel vano tentativo di auscultarne il battito cardiaco e, atono, chiosò: “Beh, se volevi i soldi, lei ha scelto il modo più terribile per bloccarti. Prima che la polizia e il giudice ci ridiano la possibilità di muovere anche un solo dollaro, passeranno mesi.

Jordan si passò una mano sul viso, chiaramente sconvolto dall’atto insensato della sorella, così come dalle parole gelide e senza pietà del fratello. Chi in un modo, chi nell’altro, lo avevano definitivamente chiuso dentro a una prigione non dissimile da quella in cui, sicuramente, si trovava la figlia.

Ora, non avrebbe davvero più potuto raggiungerla.

Già sul punto di chiamare la polizia, Jordan si volse verso la porta quando udì bussare con violenza e Armand, risollevandosi stancamente, mormorò: “Tu chiama i poliziotti. Io sento chi è.”

Jordan assentì vacuo e, mentre Armand apriva la porta per avvisare la segretaria dell’avvenuta disgrazia e della necessità di non far passare nessuno, il fratello chiamò il nove-uno-uno per dichiarare il decesso di Bérénice.

***

Nederland – presente

 

“… alla fine, la polizia non poté che constatare l’evidenza dei fatti. Bérénice si era suicidata dinanzi a noi, senza alcun coinvolgimento da parte nostra. L’autopsia ci permise di scoprire il perché delle frasi deliranti di nostra sorella; un tumore al quarto stadio al pancreas. Berry non voleva che io prelevassi i soldi perché, da quel poco che scoprimmo in seguito, aveva già firmato degli assegni con cifre enormi per farsi operare in Brasile, scoprendo però troppo tardi che il suo tumore era inoperabile. I strozzini la stavano braccando, perciò era terrorizzata che, prima o poi, sarebbero arrivati a lei per riavere i soldi che spettavano loro.”

“Dio santo” gracchiò Emily, coprendosi la bocca per lo sgomento.

“Mantenemmo il tutto nel più stretto riserbo per non fomentare ulteriormente la stampa, che stava già tartassandoci con il tuo rapimento così, sul suicidio di tua zia si lesse ben poco, sui giornali, soltanto un trafiletto a fondo pagina e nient’altro” mormorò stanco Jordan, il viso reclinato verso il basso.

“Io credevo che… che zia Bérénice…”

“…si fosse tolta la vita perché soffriva di depressione? E’ quello che dicemmo alla stampa, per chiudere la cosa una volta per tutte. La polizia, dal canto suo, aveva interesse a mantenere la faccenda segreta per poter indagare sulle cliniche illegali che si occupavano di queste operazioni miracolose, perciò non fece che confermare la nostra versione. I soldi per il tuo riscatto, come ben sai, vennero chiesti in tre diverse occasioni, con cifre sempre maggiori. Quando ancora i fondi erano bloccati, tentai comunque di riunire il board per chiedere ai soci di votare in merito, così da essere già pronti una volta che ci avessero permesso di utilizzare il denaro della banca.”

“Così non avvenne, però” chiosò atona Emily.

Jordan scosse il capo, ammettendo: “Il board votò contro, con l’eccezione di me e François. Semplicemente, tu valevi meno della ditta.”

Emily annuì debolmente, mormorando sconvolta: “Quindi, zio Armand e i nonni…”

“Già. Ti sei mai chiesta perché, con quel ramo della famiglia, abbiamo sempre avuto ben pochi rapporti?” le domandò lui, ammiccando tristemente.

“E tu sei rimasto tutti questi anni per…” tentennò Emily, tornando finalmente a guardarlo in viso.

“… perché, visto che ti avevano barattato per mantenere in vita la ditta, tu e tuo fratello avreste dovuto goderne il più possibile. Ho cercato di portarla più in alto che ho potuto, così che poteste avere le spalle coperte contro qualsiasi evenienza e, ora che siete entrambi al sicuro da qualsiasi problema finanziario, me ne sono sganciato” le spiegò lui, facendo spallucce.

“Sei rimasto con persone che detestavi… per noi?” domandò ancora Emily, faticando a comprendere come il padre potesse esservi riuscito.

“Non c’ero quando avrei dovuto, e lo rimpiangerò finché avrò vita. Ho potuto fare solo questo, per te e Jamie.”

Emily rimase a lungo in silenzio, le gambe ciondoloni e le mani poggiate sulle ginocchia. Gli occhi puntati sull’acqua ammiravano distratti il riflesso del sole sulle onde leggere, mentre il sospiro del vento le accarezzava la nuca, come il tocco leggero di un amante.

Il caos del processo aveva fatto passare in secondo piano l’indagine per suicidio che aveva coinvolto la sua famiglia e lei, chiaramente provata, non vi aveva fatto caso più di quel tanto.

Aveva saputo da sua madre della morte della zia ma, non avendo mai avuto un rapporto molto profondo con lei, né con suo cugino Philippe, non ne aveva sofferto più di quel tanto. Si era spiaciuta per il cugino, ma la cosa era morta lì.

In quel periodo, i suoi sentimenti nei confronti del mondo non erano stati molto compassionevoli. Si era sentita poco amata da chi avrebbe dovuto proteggerla, perciò non si era sentita propensa a dispensare amore a propria volta.

“Perché lo fece, secondo te?” domandò alla fine Emily.

“Per il vecchio adagio, credo. Se non posso averlo io, non lo avrai neppure tu. Era disperata, e i creditori le stavano addosso per avere i soldi che aveva promesso e che non aveva saldato interamente” le spiegò Jordan. “Da quel che ci disse il medico legale, non sarebbe sopravvissuta più di qualche mese, e l’operazione per cui aveva speso così tanto, non sarebbe servita a salvarla.”

“Bianco e nero” mormorò Emily, sorridendo tristemente nello scuotere il capo.

“Come?” esalò sorpreso il padre.

“Max mi disse di parlare con te, di ascoltarti senza vedere per forza tutto bianco o nero. Che il mondo era fatto di mille sfumature e che io avrei dovuto vedere e accettare ogni tipo di colore e, solo alla fine, usarli per decidere se perdonarti o meno” gli spiegò lei, facendo spallucce.

“Devo molto a quell’uomo. Più di quanto possa dire a parole” sorrise appena Jordan e, per la prima volta da oltre vent’anni, Emily rispose al suo sorriso.

“Per un po’, ho desiderato che lui fosse mio padre” ammise senza remore Emily, ben decisa a essere onesta con il padre. Non voleva essere da meno.

“L’ho immaginato, e la cosa mi ha fatto stare male. Ma preferivo che tu avessi almeno una figura maschile di riferimento, piuttosto che nessuna. Se non potevo essere io, Max sarebbe stato perfetto. Lo stimo molto” asserì lui, arrischiandosi a darle una pacca sulla mano.

Lei la accettò, e domandò: “Vi siete tenuti in contatto? In questi anni, intendo.”

“Certo. Fu lui a cercarmi, più che altro per rassicurarmi sul fatto che tu stessi bene” ammise l’uomo. “Sono andato anche un paio di volte al ranch di sua figlia, giusto per vedere come se la passasse.”

Emily rise sommessamente, celiando: “Tipico! Max non si smentisce mai.”

“Mamma non era d’accordo sul fatto che io continuassi a lavorare in ditta, ci tengo a sottolinearlo. Voleva che me ne andassi subito, ma io preferii proseguire e darvi ciò che serviva per vivere al meglio delle vostre possibilità.”

“Mamma pensava che avresti sofferto” ipotizzò Emily, vedendolo annuire. “Forse, l’infarto ti è venuto per questo.”

“E’ possibile. Ma ho cercato di sopportare tutto, per voi. Semplicemente, adesso mi troverò un hobby e farò il pensionato” chiosò lui, scrollando le spalle.

Emily, però, rise di quell’ipotesi e asserì: “Non potresti fare il pensionato neppure volendo. Non sei capace di rimanere fermo.”

“Chi ha detto che sarò un pensionato statico?” replicò lui prima di sorriderle e domandare: “Posso abbracciarti?”

Emily annuì e l’uomo, con delicatezza, strinse le sue braccia attorno alla figlia, mormorando contro i suoi capelli: “Mi sei mancata così tanto!”

La giovane si limitò a rimanere poggiata contro il suo torace, riappropriandosi dei profumi, del calore, della sensazione di avere suo padre vicino.

Era difficile accettare che un membro della sua famiglia avesse privilegiato il proprio tornaconto personale a discapito della sua vita, ma ora vedeva anche i grigi, oltre al bianco e al nero.

Non sapeva se si sarebbe comportata come la zia, di fronte a una simile Spada di Damocle, o se avrebbe dimostrato maggiore discernimento. Quel che importava, al momento, era sapere che suo padre aveva tentato l’impossibile, per riaverla indietro, e che il suo amore era sempre stato genuino, non frutto della contrizione.

“Papà…” mormorò alla fine Emily, stringendo a sua volta le braccia attorno all’uomo.

“Dimmi, cara.”

“Vorrei presentarti il mio ragazzo, e un mio amico. Posso?”

Jordan rise, assentì e le domandò: “Chi dei due era l’uno e l’altro, all’albergo?”

Emily rise a sua volta, e gli chiese: “Perché sei sicuro che fossero proprio loro?”

“Erano entrambi protettivi. Mi ha fatto piacere vedere quanto sembrassi al sicuro, in loro compagnia” le spiegò lui, scostandosi per carezzarle il viso.

Lei gli sorrise appena, e disse. “Mi fanno stare bene, sì.”

“Allora, conoscerò volentieri entrambi” la rassicurò lui, alzandosi dal molo grazie all’aiuto di Emily. “Dio! Qui l’aria è davvero rarefatta! Si fatica a fare tutto!”

Emily assentì con un risolino e, indicando la tasca dei pantaloni dove il padre teneva le pillole, disse perentoria: “Prendi qualcosa, prima di farti venire un altro infarto. Se ti succedesse qualcosa adesso, sarebbe davvero una presa in giro.”

“Oh, credimi. Non ti libererai di me così facilmente” la rassicurò lui.

Emy allora lo prese sottobraccio e, convinta, disse: “Lo spero proprio. Anche se adesso ho capito cosa è successo, ci sono un sacco di cose di cui dobbiamo parlare io e te, e non voglio che mi freghi proprio ora. Naturalmente, chiederò anche allo zio François, giusto come controprova, ma sono propensa a crederti già così.”

“Non dubitavo che lo avresti chiamato” le sorrise lui, annuendo con vigore. “Sai dov’è, ora?”

“In Nepal, se non erro, e ho un paio di numeri con cui tentare un approccio” gli sorrise lei, allontanandosi lentamente dal molo al fianco di suo padre.

Jordan non poté che sorridere, di fronte alla sua espressione interrogativa e felice al tempo stesso. Avrebbe fatto anche un patto con il Diavolo, se fosse stato necessario, ma sarebbe rimasto al suo fianco.

Sapeva bene che non tutto era superato, che la fiducia sarebbe tornata col tempo e che avrebbe dovuto lavorare molto, su questo. Ma Emy l’aveva ascoltato, aveva accettato le sue parole ed era pronta a riprendere da dove si erano separati.

Era un buon punto da cui recuperare.

***

Accoccolata sul letto a gambe conserte, un cuscino su cui poggiare i gomiti e il telefono nella mano destra, Emily sorrise quando udì il suono dolce e profondo della voce di zio François.

Era riuscita a trovarlo solo al quarto tentativo quando, un suo collaboratore zelante, aveva risposto per lui al cellulare ed era corso in giro per Namche Bazar per cercarlo.

Cinquantottenne impegnato da almeno vent’anni nel volontariato – e ora Emily ne comprendeva meglio i motivi – François si era trasferito in India pochi anni dopo il suo ritorno e, da quel momento, si era occupato di progetti filantropici legati all’UNHCR prima e, in seguito, a Emergency e Medici senza Frontiere.

Ben di rado su suolo americano, François era però riuscito a tenersi sempre in contatto con gli amati nipoti e, anche per questo, Emily aveva finito con lo sviluppare un rapporto molto profondo con il solitario zio.

Quando, perciò, udì la sua voce, ne fu felice e, subito, gli chiese: “Ehi, ciao! Come procede, lì, zio Fran?”

“Tesoro mio, ciao! Qui va tutto benissimo e, se il tempo rimarrà stabile, contiamo di terminare la scuola distrutta dal terremoto di aprile entro i tempi prestabiliti” le spiegò lui, ragguagliandola sulla situazione del Paese, flagellato da uno dei più catastrofici terremoti degli ultimi decenni.

Emily lo ascoltò assorta, rilassandosi progressivamente e lasciandosi andare lungo un fianco, distesa sul suo enorme letto mentre Cleopatra la osservava pacifica dalla sua cuccia-cuscino.

A racconto ultimato, François mormorò: “Ora mi vuoi dire come mai mi hai cercato adesso, visto che ci siamo sentiti solo due giorni fa?”

“Non posso farlo solo per il piacere di ascoltarti?” ironizzò lei, pur sapendo quanto fosse percettivo lo zio. Era difficile fargliela sotto il naso.

“Problemi con papà?”

Non che fosse una novità. Il novanta percento delle volte che la sentiva in periodi non consoni, lui sapeva che era successo qualcosa tra lei e Jordan.

Sospirando, quindi, Emy disse: “Papà mi ha raccontato di zia Berry. Di cosa è successo davvero. Per questo te ne andasti?”

Il silenzio con cui le rispose fu emblematico. Un cartellone stradale non avrebbe potuto essere più chiaro.

“Quindi, il fattaccio è saltato finalmente fuori” sospirò l’uomo, con tono sollevato pur se stanco.

“Mi ha detto che la zia lo fece per bloccare i soldi della ditta. Non potendo usarli per se stessa, non voleva che papà li usasse per me” aggiunse Emily.

“Fu per questo, sì. Ma, in ogni caso, né lei né Jo avrebbero potuto usare quei soldi, visto che mio padre li aveva già vincolati a loro insaputa” sospirò François, sorprendendola ulteriormente. “Tuo padre non lo sa, ma io lo scoprii perché ascoltai una discussione tra Armand e tuo nonno. Armand tentò di far svincolare il cinquanta percento della somma richiesta, così da far vedere la nostra buona volontà e attirare in trappola i rapitori, ma il nonno gli replicò che, anche volendo, non si sarebbe potuto fare perché, d’imperio, aveva firmato un documento che blindava i fondi societari per cinque anni.”

“E… e poteva farlo?” esalò Emily, sgomenta.

“Una vecchia postilla nell’Atto Statutario prevedeva che il Presidente potesse vincolare un certo quantitativo di somme a protezione del capitale, e senza passare dal Consiglio d’Amministrazione. Il giorno seguente la scoperta del tuo rapimento, vincolò quei soldi.”

Emily non seppe che dire e, nello stringersi al petto il cuscino, pensò a suo padre. Era quasi certa che lui non ne fosse al corrente, altrimenti non avrebbe mai potuto lavorare ancora a fianco dei genitori per tutto quel tempo.

“Perché non glielo dicesti mai?”

“Mi disse della sua intenzione di spremere l’azienda come un limone, al solo fine di darvi un futuro il più prospero e sicuro possibile, così rinunciai. Se glielo avessi detto, avrebbe preso la mia stessa decisione di andarsene, e sarebbe stato più difficile, per lui, darvi il futuro prospero che sognava per voi” ammise François. “Io ero solo, all’epoca, e non mi importava di spostarmi da un posto all’altro del mondo, ma lui…”

“Ripartire da zero, e con nemici come i Poitier a metterti i bastoni tra le ruote, sarebbe stato impossibile” ammise Emily, ora ben conscia di come funzionassero certe cose.

“Esatto” assentì François, torvo. “Sopportò la loro freddezza per voi, ripagandovi un po’ alla volta quello che, a suo tempo, non era riuscito a darvi a causa dei suoi famigliari.”

“Perché parli al plurale? Jamie non fu rapito” sottolineò Emily.

“Jamie soffrì moltissimo, a causa della tua sparizione e, pur se cercò di mascherare il suo dolore una volta che tu tornasti, noi sapevamo. Pur se aveva solo sei anni, ci impose di non dirti mai fino a che punto fosse crollato, fino a che punto si fosse disperato per te, e noi accettammo di mantenere il segreto per lui.”

La dolcezza e lo strazio nella sua voce fecero incrinare quella di Emy, quando mormorò: “Quello sciocco! Avrebbe potuto parlarmene!”

“Penso che il solo fatto che tu ci sia, gli basti. Non oso immaginare cosa avrebbe potuto succedere, se tu non fossi tornata” sospirò François, tremando al solo pensiero.

Neppure lei preferì soffermarsi su simili pensieri e, nel rialzarsi a sedere sul letto, disse: “Grazie per avermi detto tutto, zio. Era importante, per me.”

“Se me lo hai chiesto, è perché finalmente ti sentivi pronta ad ascoltare. Dirtelo prima, forse, non sarebbe servito a nulla, perché la tua condizione d’animo non sarebbe stata quella giusta” ipotizzò suo zio.

“Forse… ma ora ho bisogno di essere solida e forte, perché c’è bisogno che io lo sia” asserì lei, raccontandogli quindi ciò che era avvenuto.

Lo zio ascoltò attento il racconto della nipote, si dichiarò disponibile a tornare per starle accanto ma, quando Emy gli disse di suo padre, François si rasserenò immediatamente.

Fu con le sue raccomandazioni a tenerlo informato, che infine lo salutò, dopodiché Emily uscì dalla propria stanza e, raggiunto che ebbe Jamie nella sua, si gettò sul letto per abbracciarlo in silenzio e, stretti l’uno all’altra, si addormentarono.

Come i due bambini di un tempo, prima del rapimento, avvolti l’uno nelle braccia dell’altra, al sicuro, senza un solo pensiero a turbarli.

Puri.


 

 

 





N.d.A.: finalmente scopriamo le ragioni per cui Jordan non riuscì a pagare il riscatto della figlia, e veniamo altresì a sapere fin dove, la famiglia Poitier, si spinse per proteggere i propri interessi a discapito della vita di Emily.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


14.

 

 

 

 

Gli eventi del giorno precedente non avevano permesso ai Poitier di vivere serenamente quella ritrovata serenità, poiché Emily aveva espresso il desiderio che anche Jamie sapesse la verità su zia Berry.

Quando, perciò, erano rientrati in albergo, Emy aveva frettolosamente presentato il padre a Parker e Anthony, dopodiché aveva pregato entrambi di scusarla, ritenendo importante che Jamie fosse messo al corrente dei fatti occorsi più di vent’anni prima.

Sia Parker che Tony, però, si erano dichiarati più che d’accordo con lei perciò, di comune accordo, la famiglia Poitier si era ritirata a casa di Emily per discorrere degli eventi passati. Solo a tarda notte, Jordan si era ritirato nella sua camera d’albergo, giocandosi quindi l’opportunità di parlare con le due nuove persone che erano entrate a far parte della vita dei figli.

Con la promessa di un giorno seguente da passare in compagnia dei figli, però, Jordan si era approcciato al riposo con il cuore più sereno.

La mattina seguente, più riposato di quanto non lo fosse stato negli ultimi decenni, si alzò di buon’ora e, dopo aver consumato una piacevole colazione nella sala da pranzo dell’albergo, Jordan si portò nel giardino sul retro per attendere l’arrivo dei figli.

Come promesso la sera precedente, sarebbero passati a prenderlo per poi andarsene in giro per Nederland e permettergli di conoscere meglio il luogo in cui, da ormai cinque anni, la figlia viveva la sua nuova esistenza.

A sorprenderlo, però, fu il giovane Anthony che, armato di caffè e di un quotidiano, lo raggiunse in giardino e gli diede il buongiorno, apparentemente deciso ad affrontarlo senza la presenza di Emily a fare da cuscinetto.

Nell’accomodarsi a un suo assenso, Tony gli porse il quotidiano, dopodiché gli domandò se avesse riposato bene e se la colazione fosse stata di suo gradimento.

Jordan assentì a entrambe le domande, ringraziandolo per la gentilezza e il giovane, nell’annuire, fu quasi certo che il merito di un buon riposo non fosse dovuto tanto al letto, quando al fatto che l’uomo si fosse riappacificato con la figlia.

Qualunque cosa fosse successa, Tony era ben lieto che quella ventennale faida familiare fosse terminata con un lieto fine. Non aveva mai desiderato prendere una posizione, ma l’amore per Emy lo aveva sempre spinto a considerarla l’unica vittima della situazione.

Non si era mai spinto a chiedersi quanto, invece, anche il padre di lei avesse sofferto per i silenzi della figlia, o per le sue dichiarazioni di odio neppure tanto velate.

Vederli rientrare insieme dal molo, lo aveva però rasserenato; non aveva mai visto un padre così sereno e tranquillo come Jordan Poitier gli era apparso in quel momento. Sembrava ringiovanito di dieci anni, in quell’ora abbondante che avevano passato da soli. Dell’uomo insicuro e stanco che era entrato nel suo albergo, si era persa ogni traccia, e Tony era quasi sicuro che, da quel giorno in poi, anche Emily sarebbe apparsa più solare e sicura.

“Mi fa piacere sapere che mia figlia non fosse sola, qui” asserì a un certo punto Jordan, sfogliando distrattamente il giornale.

“Ci sono molte persone che le vogliono bene, non tema, signor Poitier” lo rassicurò Anthony.

“Solo Jordan, per gli amici dei miei figli… e, più ancora, per il suo ragazzo” replicò con un sorriso l’uomo. “Non esitare a darmi del tu. Non sono qui né per giudicare come vive la vita mia figlia, né chi la vive assieme a lei.”

Tony annuì tranquillo, replicando: “La nostra relazione è più o meno clandestina, al momento, perché tu lo sappia. Ho le mie buone ragioni per non farlo sapere a mio padre, per cui…”

Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, Jordan annuì e replicò: “Ne so qualcosa di relazioni complicate padre-figlio, perciò non ti chiederò nulla. Farò finta di non saperlo, non temere.”

“Grazie” mormorò allora Anthony.

“Spero che l’intraprendenza di mia figlia nel mettermi al corrente della vostra relazione non ti abbia messo a disagio. Non abbiamo avuto molto tempo per parlare, ieri” si informò a quel punto Jordan.

“Nessun problema, Jordan. Non ho nulla da nascondere… non a te, per lo meno” replicò Anthony con una scrollatina di spalle.

Nel richiudere il giornale, Jordan lo poggiò sul tavolino da giardino, osservò il contorno frastagliato delle montagne che sovrastavano la cittadina e, pensieroso, disse: “Ho sempre pensato che, il giorno in cui mia figlia si fosse trovata un uomo, io avrei dato di matto e mi sarei comportato come una chioccia con il suo unico pulcino, ma ora mi ritrovo a ringraziare il cielo al pensiero che lei me lo abbia detto. Che mi abbia reso partecipe di questa parte della sua vita.”

“Emily non è mai stata indifferente nei tuoi confronti” asserì Anthony con tono sicuro, certo di non stare mentendo. “Era spaventata all’idea di non sapere come affrontare la cosa, ma mai ha dimostrato odio verso di te. Questo posso assicurartelo.”

“Fa piacere saperlo” annuì Jordan prima di notare l’arrivo di un uomo dall’aria seria e lo sguardo da falco.

Pur non notando alcuna somiglianza tra i due, Jordan non faticò a comprendere chi fosse quell’uomo e, dal modo in cui Anthony si alzò per accoglierlo, iniziò a capire perché Anthony non volesse far sapere nulla al padre. Tra loro non scorreva affatto buon sangue.

“Papà, buongiorno. Posso presentarti il signor Poitier? E’ giunto ieri pomeriggio, mentre eri via per affari. Ho pensato di fargli preparare la suite” esordì Anthony, cercando di apparire tranquillo e affabile.

William Consworth annuì rigido e allungò una mano in direzione di Jordan, che si alzò a sua volta per accoglierlo.

“E’ un vero piacere incontrarla, signor Poitier. Spero che la sua permanenza a Nederland possa essere piacevole, nonostante quello che è accaduto di recente” esordì William con tono cordiale, da vero uomo d’affari.

In questo, William ci aveva sempre saputo fare. Mentire alle persone gli veniva naturale, pensò aspramente Anthony, osservando il padre mentre discorreva amabilmente con Jordan.

“Sì, conosco i fatti, signor Consworth e, proprio per questo, ho pensato di stare vicino a mia figlia in questi momenti così bui” replicò Jordan con tono altrettanto affabile.

“Sua figlia si è subito dimostrata molto partecipe, nei confronti dei coniugi Larson. Oserei dire che quei ragazzi non potevano sperare in una vicina di casa più solerte” chiosò William con un sorriso. “Ci vorrebbero davvero più persone come lei, a questo mondo.”

“Non fatico a trovarmi d’accordo con lei” chiosò imperscrutabile Jordan.

“Non la disturbo oltre, signor Poitier, perché immagino quanto, persone del suo calibro, siano sempre indaffarate anche in momenti di quiete come questi” asserì a quel punto William, guardando finalmente il figlio. “Naturalmente, Anthony sarà a sua disposizione per qualsiasi evenienza.”

“Mi ha già offerto i suoi servigi, non tema” dichiarò Jordan, dando una pacca amichevole sulla spalla di Anthony. “Ho necessità di conoscere meglio Nederland per eventuali acquisti immobiliari, e lui si è offerto di accompagnarmi e di farmi da guida.”

“Molto bene. E’ piacevole sapere che il proprio figlio assolve ai propri compiti con diligenza” dichiarò atono William, salutando entrambi per poi rientrare in albergo.

Anthony, a quel punto, lasciò andare il fiato che aveva fin lì trattenuto per non ingiuriare a male parole il padre e, spiacente, mormorò: “Mi scuso per i suoi modi villani.”

“Mio padre è molto simile a lui, non temere” si limitò a dire Jordan. “Le persone che pensano solo agli affari sono riconoscibili, e io ho imparato da uno dei migliori.”

“Vuoi davvero girare per Nederland in cerca di case da acquistare?” domandò quindi Anthony con aria curiosa.

Jordan scosse il capo, sorrise furbo e replicò: “Non potrei mai abitare qui a causa del mio cuore, ma tuo padre non deve necessariamente saperlo, no?”

“Per nulla” assentì Anthony prima di udire la voce inconfondibile di Jamie, accompagnata da quella dolce e morbida di Emily.

Volgendosi quindi per salutarli, il giovane disse: “A quanto pare, oggi cercheremo case in giro per Nederland.”

I due fratelli Poitier lo fissarono basiti per alcuni istanti e Jordan, nello scoppiare a ridere, diede una pacca sulla spalla ad Anthony e, con determinazione, uscì dall’albergo assieme ai figli e al giovane Consworth.

***

Come promesso, la famiglia Poitier e Anthony, girovagarono per le vie di Nederland mostrando a Jordan gli scorci più caratteristici, i locali più importanti e i luoghi in cui divertirsi nella piccola cittadina montana.

Unitamente a ciò, l’uomo fece conoscenza con molti degli amici della figlia e, in tutti i casi, l’uomo si ritrovò a sentir decantare le doti di dolcezza, disponibilità ed educazione di Emily.

A un certo punto, Jordan cominciò a pensare che la figlia avesse pagato quelle persone perché non dicessero nulla contro di lei ma, nel notare la sincerità negli occhi delle persone, non poté che gonfiarsi d’orgoglio paterno. Sapere che la sua bambina fosse così ben voluta, e che in soli cinque anni la gente si fosse talmente affezionata a lei, non poteva che essere fonte di gioia, per lui.

Da quel che poté capire, inoltre, Emily non aveva affatto menzionato i motivi per cui lui non si era mai presentato a Nederland, confermando così le parole di Anthony. Se Emy lo avesse odiato, non avrebbe faticato a collezionare male parole su di lui mentre, per le persone, lui era solo un padre fortunato ad avere una figlia così brava e gentile.

 “Visto l’orario, posso invitarvi a pranzo da qualche parte? L’aria di montagna comincia a farmi effetto, e voglio conoscere un po’ meglio gli amici di mia figlia” propose a un certo punto Jordan, osservando sorpreso un orologio appeso alla parete di un bar in stile anni ’80.

Jamie buttò sul piatto il nome di Gilda e tutti furono d’accordo nel recarsi lì e, mentre Emily telefonava a Parker per avvertirlo di raggiungerli al diner, Jordan si avventurò lungo il marciapiede chiacchierando amabilmente con Anthony.

Volutamente, Jamie rimase indietro per attendere che Emily terminasse la chiamata e Jordan, nell’annuire debolmente al suo indirizzo, proseguì a camminare senza attenderli.

Se c’era una cosa che aveva imparato negli anni, dei due figli, era la loro salda unione. Jordan non faticava perciò a immaginare le mille domande di Jamie, così come il desiderio di Emily di parlare.

Per una volta ancora, quindi, si sarebbe messo da parte, sperando di non doverlo più fare in vita sua.

***

Camminando fianco a fianco con Jamie mentre, ad alcuni metri di distanza, il padre chiacchierava amabilmente con Anthony e Parker, Emily stentava a credere a quello che era successo in quelle ultime ore.

Dopo più di vent’anni di silenzi, di rabbia, di incomprensioni, scopriva infine la realtà dei fatti, e non era del tutto certa di essere felice di saperla.

Suo zio Armand e i suoi nonni paterni l’avevano venduta per tenere in piedi l’azienda, mentre sua zia Berry aveva dapprima minacciato di morte suo padre, e poi si era sparata per mettere i bastoni tra le ruote a tutti.

Se, in precedenza, il suo risentimento era stato veicolato verso una sola persona, ora i suoi sentimenti di rabbia e smarrimento dovevano ricollocarsi in altri lidi, e fare i conti con la sua mente adulta.

Le parole del padre, comunque, spiegavano i tanti silenzi da parte di quel ramo della famiglia, i rapporti tesi, gli sguardi obliqui dello zio rivolti a suo padre, o le parole sibilline del nonno durante i loro radi incontri.

No, suo padre non aveva cercato di tirare l’acqua al proprio mulino per apparire un eroe defraudato della propria spada. Aveva presentato, piuttosto, il quadro tutt’altro che lusinghiero di una famiglia attaccata al proprio patrimonio, invece che alla prole, e zio François non le aveva che confermato tali nefandezze.

Era più facile, ora, capire le dinamiche delle scelte di ognuno dei protagonisti, ma comprenderle non le rendeva più facili da digerire. O dimenticare.

“E’ tutto a posto, lì dentro?” domandò a un certo punto Jamie, picchiettandole una tempia con un dito.

“Forse. E’ difficile digerire che una parte della nostra famiglia è composta di sciacalli, ma tant’è. Non fa specie che a papà sia venuto un infarto” mormorò fiacca Emily.

“Che zio Armand fosse uno stronzo, era assodato, ma non pensavo che anche il nonno fosse della stessa pasta” bofonchiò Jamie, assentendo con vigore.

“Zio Fran mi ha anche detto che, in ogni caso, né zia Berry che papà avrebbero potuto mettere mano al patrimonio della ditta, anche se avessero avuto le mani libere, perché il nonno aveva blindato i fondi d’imperio” aggiunse a bassa voce Emily, sconcertando il fratello.

“Che cosa caz…?” cominciò col dire lui prima di tapparsi la bocca, scuotere mani e testa quando suo padre si volse per scrutarlo con curiosità e poi aggiungere in un sussurro irritato: “Che ha fatto?!”

“Quel che ti ho detto. Zio Fran sentì il nonno e zio Armand parlarne. Papà non lo sa, e io ho preferito evitare che sapesse anche questo” sottolineò Emily, sbuffando irritata.

Jamie assentì cupo prima di ammettere: “Sì, è meglio. Non è davvero il caso che si sobbarchi anche di quest’ennesima prova di stronzaggine.”

“Esatto. Comunque, sapendo quel sappiamo ora, capisco perché abbia deciso di mollare la presa” mormorò Emily, continuando a guardare le spalle del padre, che apparivano effettivamente come sgravate da un peso. “Ha fatto bene.”

Sorridendo, Jamie assentì all’indirizzo della sorella, scrutò a sua volta la figura del padre – che stava ridendo a una battuta di Anthony – e chiosò: “Sai che è la prima volta che lo vedo con un paio di jeans?”

Emily annuì divertita e ammise: “Io non l’ho visto spesso, in questi anni ma, a dirla tutta, penso si possano contare sulle dita di una mano le volte in cui li ha indossati.”

Sorridendo poi dolcemente, Emy prese sottobraccio il fratello e mormorò: “Non voleva che arrivassi a odiare tutta la sua famiglia. Preferiva sopportare quel peso da solo, piuttosto che sapermi furiosa con tutti i Poitier.”

“E ora, sei arrabbiata?” le domandò Jamie, ammiccando al suo indirizzo.

“Delusa, forse. Arrabbiata, no. Non ha più senso sprecare energie per questo. Ne ho già perse abbastanza odiando inutilmente mio padre” sospirò Emily, scuotendo il capo.

“Beh, papà e zio Francis si salvano, dopotutto” chiosò Jamie, dandole un colpetto con la spalla.

“Mi ha detto che a Namche Bazar hanno quasi ultimato la scuola, dopodiché partiranno per andare in un altro villaggio per sistemare un ponte tibetano” gli spiegò Emily.

“Sì, l’ha detto anche a me la settimana scorsa, quando l’ho sentito. Sembrava molto soddisfatto, nonostante gli aiuti tardino ad arrivare. Ci sono ancora un sacco di posti non raggiunti dai soldi statali, e lui cerca di fare la differenza” le spiegò Jamie.

“Tu hai preso molto da lui” chiosò Emily. “Zio Francis, evidentemente, non ha retto la doppiezza della sua famiglia come ha fatto papà, ed è scappato letteralmente da quella vita.”

“E’ sempre stato molto sensibile” annuì il fratello, prima di ammettere: “E’ bello sentirti dire ‘papà’ con quel tono. Scommetto che anche la mamma lo apprezzerebbe.”

“Lei arriverà domenica” lo mise al corrente Emily, sorprendendolo. “A quanto pare, vogliono essere tutti d’aiuto, vista la situazione.”

“Vogliono proteggere la loro bambina dai suoi stessi ricordi” le fece notare Jamie, sorridendo gentilmente.

“E a te non dà fastidio? Sì, insomma, il fatto che si prodighino così per me?” gli domandò con sincerità la sorella, memore delle parole del padre in merito alle crisi del fratello.

“Sono qui anch’io. Dovrebbe dirti qualcosa” sottolineò per contro Jamie. “Se tu stai bene, sto bene anch’io.”

“Già” assentì lei, sorridendo e stringendosi maggiormente a lui.

Come si poteva non amare un fratello così?

***

Uno dei motivi per cui Gilda era famosa non solo a Nederland, ma anche nei dintorni, non era unicamente la strepitosa cucina che lei e suo figlio erano in grado di servire nel loro diner, ma molto aveva a che fare con la sua dedizione al cliente.

La capacità di mettere a proprio agio le persone e farle sentire di famiglia era, per Emily – così come per molti altri – il pregio maggiore della donna e, anche quel giorno, non si smentì.

Non appena vide entrare il gruppetto capitanato da Jamie, a cui si era infine unito anche Parker - di ritorno da un breve colloquio con l’agente McCoy - Gilda si stampò subito in viso un sorriso cordiale quanto gentile ed esordì dicendo: “Non ve lo chiedo neanche. Un tavolo per cinque?”

“Sai leggermi nella mente, Gilda. Perché non chiedi a tuo figlio se ci prepara del pesce alla griglia, con della salsa speciale a scelta?” chiese lesto Parker, ammiccando all’indirizzo della donna.

“Pesce e salsa speciale. Ottima scelta, ragazzo. Ho del pesce di lago appena pescato che fa al caso vostro” dichiarò Gilda prima di ammiccare all’indirizzo di Emily e aggiungere: “Perché non mi presenti il bell’uomo che sta al tuo fianco?”

Sorridendo imbarazzata – il padre era accanto a lei, in quel momento – la giovane disse: “Lui è mio padre, Jordan Poitier. Papà, lei è Gilda Mattei, la proprietaria del locale.”

“Ora so chi è la donna per cui Jamie viene tanto spesso qui” ironizzò Jordan, allungando una mano in direzione della donna. “Molto piacere, m’am.”

“Oh, il suo figliolo è adorabile, ma amo troppo mio marito per fuggire con Jamie” sorrise cordiale la donna, stringendo la mano di Jordan.

“Vivrò sempre con la speranza che tu mi dica di sì” sospirò Jamie prima di veder comparire Cooper dalla cucina. “Oh… pare che tuo marito mi abbia sentito.”

Una risata collettiva accolse l’arrivo dell’uomo, un boscaiolo ben piantato e alto non meno di due metri che, squadrando dall’alto al basso il giovane, dichiarò: “Una di queste volte ti prenderò a quattr’occhi, giovanotto, e mi spiegherò per bene… ma non davanti a tuo padre, questo è sicuro. Ben arrivato, signore.”

Jordan sorrise all’uomo nello stringere anche la sua possente mano, replicando: “Ho idea che il mio ragazzo abbia troppa fiducia nel suo fascino, ma credo che capirà in fretta di non avere speranze.”

“Voi mi castrate sempre” sospirò a quel punto Jamie, raggiungendo il tavolo dove Anthony e Parker si erano già accomodati.

Cooper sogghignò di fronte a quella ritirata strategica. Nel poggiare quindi le mani sui fianchi, l’uomo si guardò intorno e, dopo aver notato la presenza di alcuni agenti dell’FBI, sospirò e disse: “Mai vista una clientela così silenziosa. Ma li capisco… ne hanno di grattacapi a cui pensare.”

Jordan assentì, tornando serio e, nel rivolgersi a entrambi i coniugi, disse: “Volevo ringraziarvi per le attenzioni che avete tributato a mia figlia. So che ve ne siete presi buona cura, e i miei ringraziamenti non saranno mai abbastanza.”

“Qui ci si aiuta tutti, perciò nessun ringraziamento, Jordan” replicò Gilda, dando un buffetto sulla guancia a Emily, che le sorrise. “Piuttosto, andate pure a sedervi. Cooper vi porterà qualcosa da bere, mentre il mio ragazzo prepara il pesce per voi.”

“Vi ringrazio” assentì Jordan, avviandosi assieme alla figlia per raggiungere il resto del gruppo.

A ben vedere, nel diner non si era mai sentito un silenzio simile, e le uniche voci davvero udibili erano le loro che, al confronto, potevano apparire persino fastidiose.

Gli agenti, però, non parvero fare affatto caso alla loro presenza, né al volume delle loro chiacchiere, fin troppo presi dalle loro carte e dai tabulati da controllare con attenzione certosina.

Probabilmente, se fosse scoppiata una bomba in strada, neppure se ne sarebbero accorti, tanta era l’attenzione che stavano prestando alle carte sparse sui loro tavolini.

Non appena padre e figlia si sedettero, Jordan intrecciò le mani sul tavolo e, rivolto a Anthony, domandò: “Sai chi si occupa delle indagini, ragazzo?”

“L’agente speciale Adam McCoy. Da quel che ho capito, vi conoscete già” asserì il giovane, lanciando poi un’occhiata a Emily, che annuì.

“Si tratta dell’agente che, all’epoca del mio rapimento, si occupò degli identikit. Non so se lo ricordi, papà” gli spiegò lei, vedendolo annuire più volte.

“Oh, lo ricordo eccome. Rammento i nomi di tutti coloro che si occuparono dell’indagine, se è per questo” replicò lui, sorprendendola un poco. “All’epoca, aveva i capelli neri e un fisico ancora in erba, ma immagino non sia più così. Rammento che ti regalò un lecca-lecca così grande che, quando noi raggiungemmo il Lodge, tu dovevi ancora terminarlo.”

Emily sorrise di quel ricordo, lo stesso a cui lei era particolarmente legata, e annuì. “Sì, è lui e, come hai giustamente immaginato, ha messo qualche capello grigio ed è più robusto.”

“Lo incontrerò, allora. Non vorrei che pensasse che sono qui per combinare qualche guaio” chiosò a quel punto Jordan prima di veder arrivare Cooper con un vassoio di bibite per tutti.

Sul tavolo, il signor Whindam poggiò una brocca d’acqua ghiacciata, un paio di birre e bicchieri per tutti, dopodiché disse: “Per il pesce ci vorrà una decina di minuti al massimo.”

“Grazie, Cooper” gli sorrise Emily.

Lui le diede simpaticamente un colpetto di nocche sul capo a mo’ di saluto e, in silenzio, se ne tornò in cucina mentre Gilda serviva del caffè ad alcuni agenti di Denver, giunti a supporto dello sceriffo Meyerson.

Sceriffo che entrò dopo qualche minuto, l’aria stanca e preoccupata ben visibile sul volto teso e solcato da profonde rughe d’ansietà.

Nel vedere Emily e gli altri, comunque, si stampò in faccia un sorriso e, dopo aver riconosciuto il padre della giovane, si avvicinò ed esordì dicendo: “Buongiorno a tutti. Vedo che abbiamo un nuovo elemento, in paese. Devo preoccuparmi, signor Poitier?”

“Affatto, sceriffo. Starò buono e mi terrò da parte. Stavo giusto dicendo a questi ragazzi che mi sarei presentato dall’agente McCoy per rendere nota la mia presenza” specificò l’uomo, stringendo poi la mano protesa dell’agente.

“Molto bene. Era quello che volevo sentirle dire. Comunque, se il vostro amico ancora non ve l’ha detto…” e, così dicendo, indirizzò un sorrisetto a Parker, che scosse il capo. “… non ci sono novità. Domani sposteremo le nostre forze più a nord, e scandaglieremo tutti i sentieri dal Mud Lake in poi. Se volete unirvi, potete mettere i vostri nomi nella lista dei volontari che si trova nell’ufficio dei Vigili del Fuoco” spiegò loro lo sceriffo.

Tutti assentirono e Meyerson, dopo un’ultima occhiata al gruppo, salutò tutti e si diresse verso Gilda per recuperare il cibo da asporto che aveva ordinato per sé e i vicesceriffi.

Nessuno, a Nederland, si stava più comportando come al solito. Il fatto stesso che il corpo di polizia non avesse più neppure il tempo di fermarsi da Gilda per pranzare, o in un qualsiasi altro locale in generale, era un chiaro indice di come le cose fossero cambiate.

Il rapimento di Mickey aveva messo in subbuglio la forte e coesa comunità di Nederland, mettendo in allarme ogni suo singolo membro, e questo si era ripercosso su ogni cosa, abitudini comprese.

I bambini non erano più stati lasciati soli, e il rientro dal centro estivo scolastico era controllato a vista da genitori o forze dell’ordine locali, che ben conoscevano i tragitti di ritorno di ognuno di loro.

Nei parchi cittadini, almeno un ufficiale di polizia controllava sempre la situazione e, alle diverse entrate del paese, erano stati posizionati dei presidi fissi per esaminare a qualsiasi ora l’andirivieni delle persone.

Nulla sembrava essere stato lasciato al caso ma, nonostante tutto, non vi erano notizie – né indizi – su Mickey. Sembrava scomparso nel nulla.

Mentre il pesce veniva servito – cotto alla perfezione, fumante e dal profumo assai invitante – Emily ricevette un paio di SMS da parte di Sherry, a sua volta informata sui fatti da Emy stessa.

Con gli agganci che la donna aveva nel mondo della security, non le era parso sbagliato dirle ciò che era avvenuto, anche se ormai il caso aveva raggiunto risonanza nazionale, vista anche la sua presenza a Nederland.

La pubblicità, in quel caso, poteva comunque essere un vantaggio, perché le persone comuni avrebbero tenuto sott’occhio la fotografia di Mickey in ogni momento, e tenere accesa la scintilla della curiosità poteva sempre essere utile.

A Denver si sono già messi in pista per una raccolta fondi per la famiglia, le scrisse Sherry, sorprendendola un poco. Sto indagando nel campo dei rapimenti per uso organi. Ti chiamo se scopro qualcosa. Comunque, lunedì prossimo sarò lì.

Mentre sbocconcellava il buon pesce dalla carne bianca e sugosa, Emily sospirò di sorpresa a quell’ultimo messaggio e, nel poggiare il telefono sul tavolo, dichiarò: “Preparate gli ormoni, signori. Lunedì arriverà Sherry.”

“Gesù bambino, grazie” sospirò Jamie, facendo sorridere il padre e Anthony.

“Oh, bene! Così potrò conoscere questo concentrato di fascino e potenza messi insieme” celiò Parker, sfregandosi le mani. “Chiamerò Rick per dirglielo. Chissà mai che non si metta in strada per venire a sua volta.”

Jordan sorrise divertito a Parker e chiosò: “Fossi in te, ascolterei mia figlia e mi preparerei psicologicamente. Quella donna è capace di mettere al tappeto qualsiasi uomo… di qualsiasi età.”

“Papà… non pensavo” esalò Emily, facendo tanto d’occhi.

“Cara, potrò avere anche più di sessant’anni, ma ricordo bene com’è Sherry e credimi, mi fa ancora un certo effetto” celiò lui, ammiccando al suo indirizzo.

Lei non poté che scoppiare a ridere e, per Jordan, fu come rinascere.

Da quanto tempo non ascoltava più quella risata? Da quanto, gli mancava vedere il sorriso sul viso di Emily?

Da troppo tempo.

Sperò soltanto che quella terribile situazione non glielo strappasse di nuovo dal volto.

***

Parker trovò Rick al terzo tentativo. A giudicare dalla voce cavernosa del fratello, doveva aver avuto una giornata pessima e, forse, in parte dipendeva proprio da lui.

Chissà cosa si era dovuto sorbire, a causa della sua rinuncia a portare a termine ciò che per cui la loro ditta era stata mandata a fare a Nederland?

Non faticava a immaginare il mobbing subito da quell’anima satanica del loro capo, Anticristo incarnato e vero stronzo sotto forma di uomo, dal nome tutt’altro che adatto di Stuart Nelson. Per uno come lui, sarebbero stati più idonei nomi come Adolph o Boris, o direttamente Satana.

“Ehi, Rick… come butta, lì?” esordì Parker, ben deciso a sondare le acque prima di sganciare la bomba di nome Sherry.

“Stuart non è stato per niente felice di ricevere la tua e-mail, stamattina e, anche se la ditta appaltatrice ha chiarito che è d’accordo ad attendere i risultati – tra l’altro, come hai fatto a scavalcare Stuart per arrivare direttamente a Mr. Cunningham? – lui non è assolutamente disposto ad accettare una dilazione dei tempi.”

Sbuffando, Parker borbottò: “Sapevo che quell’indemoniato figlio di una buona donna si sarebbe lambiccato il cervello per romperti in qualche modo, ma stavolta lo manderò a quel paese. Domani gli mando una lettera di dimissioni.”

Uno, due, tre…

“Che cosa?!” sbraitò Rick, perdendo per un attimo il suo leggendario aplomb. “Ma sei impazzito?!”

“Rick, è inutile che ti fai venire un ictus. Prima o poi avremmo dovuto andarcene in ogni caso, da quell’anticamera dell’Inferno. Tanto vale farlo ora” replicò Parker, grattandosi nervosamente la nuca.

Sapeva quanto, perdere il posto, facesse fremere di panico Rick – il più piccolo della nidiata Jones – ma, in tutta onestà, Parker era arcistufo che Stuart vessasse suo fratello, o si approfittasse del suo buon cuore quanto della sua bravura.

Era Rick il genio dei progetti, in quella stramaledettissima ditta, non certo il vanaglorioso Mr. Nelson. Era perciò tempo che Rick si prendesse i suoi meriti e brillasse di luce propria, a costo di buttare al vento ogni cosa e lanciarsi senza paracadute verso un futuro non ancora scritto.

Sospirando tremulo, Rick domandò dopo un minuto buono di silenzio: “C’è di mezzo una donna, Parker? Ti stai infilando in un ginepraio simile per colpa di una donna?”

“Non è come pensi, Rick. C’è di mezzo una donna, sì, ma è la persona più buona, generosa e dolce che io abbia mai conosciuto… e che, tra l’altro, tu conosci già. Ha bisogno di sostegno, e io voglio esserci, per lei. Punto e basta.”

“Che intendi dire con ‘tu conosci già’?” ripeté confuso il fratello.

“Ti ricordi di Emily Poitier?”

Uno, due, tre…

“Sei diventato amico di Miss Poitier?” esalò confuso Rick.

“E’ una lunga storia, ma sì. Ed è per questo che Mr. Cunningham ha scritto a Stuart per dire che avrebbe aspettato i risultati dell’indagine. Secondo Harry – mi ha detto lui di chiamarlo così, tra l’altro – ciò che sta succedendo qui a Nederland ha la precedenza sui carotaggi, e ha tenuto a sottolineare quanto gli faccia piacere che la nipote abbia degli amici che la appoggino.”

La telefonata di Harry Cunningham aveva davvero rasentato l’assurdo, e il suo ricordo ancora lo portava a sorridere divertito.

Quando aveva visto sullo schermo del cellulare un numero sconosciuto, si era chiesto fuggevolmente quale genere di pubblicità volessero propinargli. Si era perciò quasi strangolato con la propria saliva, quando aveva scoperto chi vi fosse all’altro capo del telefono.

Immediatamente, si era profuso in scuse per il ritardo nei lavori ma Harry lo aveva subito interrotto, ringraziandolo per l’appoggio dato a Emily. A quel punto, aveva ammesso di essere molto preoccupato per la nipote, e di sentirsi più tranquillo al pensiero che ella potesse contare su così tanti e validi amici.

Non sapendo che dire – e immaginando che Emily gli avesse parlato anche di lui – lo aveva ringraziato per la comprensione, ma ancora Harry lo aveva sorpreso, proponendogli un affare che, a tutta prima, gli era parso più un dono del cielo che una reale offerta.

Ben deciso a parlarne con Rick, però, si era preso del tempo per rispondergli e, anche per questo, aveva passato mezza giornata in riva al lago a rimuginare sul da farsi, prima di chiamare il fratello.

“Stando a quello che Harry mi ha detto, Emily non sa nulla di ciò che sto per dirti, perciò non è farina del suo sacco… anche se non mi stupirei se lei avesse tentato di darmi una mano” dichiarò Parker con un mezzo sorriso. “Per fartela breve, Mr. Cunningham vorrebbe che lavorassimo nella sua filiale di Denver, nel settore edilizio. Saremmo io, tu e un paio di aiutanti. Niente più di questo. E saremmo al suo diretto comando.”

“Che ne è del nostro progetto da solisti?” indagò a quel punto Rick.

“Niente ci vieta di farlo, più avanti ma, onestamente, lavorare per Cunningham mi sembra molto meglio che rimanere sotto il giogo di Stuart” si limitò a dire Parker, sprofondandosi sul suo divano.

All’esterno, la pioggia aveva iniziato a cadere da pochi minuti e questo, quasi certamente, avrebbe obbligato i cani molecolari – e i loro conduttori – a desistere dal proseguire oltre con le ricerche.

A quel punto, ogni eventuale pista si sarebbe persa e, da quel momento in poi, il lavoro sarebbe interamente passato in mano agli investigatori. Un bel guaio, visto che le prove – almeno all’apparenza – erano praticamente inesistenti.

“Ti fidi molto di Mr. Cunningham?” chiese a quel punto Rick, non immaginando neppure dove fosse la mente del fratello, in quel momento.

“Niente può essere peggio di Stuart e sì, mi pare sia una persona onesta, come lo sono i membri della sua famiglia che ho conosciuto. Ammettiamolo, per fare ciò che vogliamo ci vorranno molti più capitali di quelli che abbiamo attualmente, e non ci possiamo permettere di andare allo sbaraglio. Appoggiarci a qualcuno di più affidabile, però, è una cosa fattibile” ammise Parker, passandosi una mano sul volto stanco.

“Quanto tempo hai per pensarci?”

“Mr. Cunningham non mi ha dato scadenze, sempre per il motivo di prima. Comunque, per la cronaca, non ci sono solo io, qui a Nederland, a occuparmi di Emily. A breve, ci sarà anche Sherry Kerrington” dichiarò Parker, ora sogghignando.

Uno, due, tre…

“Quante ore ci vogliono, da Denver a Nederland? Non ricordo” chiese Rick con tono piano.

Parker rise tra sé. Mai, in tanti anni, aveva visto il fratellino interessarsi a una donna, tanto che per molto tempo aveva pensato che proprio non gli piacessero.

Per questa Sherry che tutti andavano decantando, però, sembrava davvero interessato.

Cinque anni addietro, quando si era occupato della ristrutturazione della casa di Emily – com’era piccolo, il mondo, a volte! – lo aveva sentito parlare più volte di lei ma, nel momento stesso in cui aveva ultimato la commessa, il nome di Sherry era sparito.

Non era mai uscito dalla sua bocca neppure per errore. Mai. Una. Volta.

Chissà perché? Era davvero soltanto per la sua avvenenza, o suo fratello aveva visto altro, in questa misteriosa donna dal fascino così decantato? E perché, di colpo, il solo nominarla era diventato un tabù, per lui?

“Un’ora… ma qui c’è un temporale terribile, adesso, e non vorrei che trovassi l’inferno, per strada” ci tenne a dire Parker, non volendo essere la causa di morte del fratello.

Tutti, in famiglia, sapevano che Rick odiava guidare con la pioggia. Lui e gli eventi atmosferici avevano un rapporto molto più che pessimo. Osava persino dire che fosse perseguitato dal demone delle tempeste, o qualcosa del genere.

“Esistono i tergicristalli… e i fari” sottolineò pragmatico Rick.

Un attimo dopo, lo sentì scartabellare, far cadere qualcosa – un libro, forse? – e imprecare sottilmente. Altra cosa che ben di rado succedeva. Ma che gli aveva fatto, quella donna?

“Ehm… avvertirò la polizia che stai arrivando, allora. Ci sono dei posti di blocco in entrata e in uscita, qui a Nederland” dichiarò a quel punto Parker, cominciando a sentirsi un po’ in colpa. “Non vorrei diventassero un po’ paranoici, nel veder arrivare uno straniero.”

Parker sperò davvero di non essere avvisato, la mattina seguente, in merito a un incidente stradale del fratello, o sua madre lo avrebbe annodato a una carotatrice e poi lo avrebbe gettato nel lago. Poco ma sicuro.

Nessuno toccava il piccolo di casa Jones.

***

Jordan non amava sentir piangere la moglie, specialmente quando non poteva essere al suo fianco per consolarla ma, nel caso specifico, soprassedette.

Per questa volta poteva sopportare le sue lacrime, poiché tradivano unicamente la gioia provata dalla donna in quel momento.

“E così… e così vi siete parlati, finalmente?” mormorò Margareth, soffiandosi delicatamente il naso prima di ascoltare trepidante le parole del marito.

Quando Margareth aveva ricevuto una chiamata dal marito, poco dopo le nove di sera, il timore di sentire cattive notizie l’aveva presa come al solito. Erano più di vent’anni che, quando si trattava di Emy e Jordan, lei doveva sempre cercare di non lasciarsi andare allo sconforto.

Quando, però, aveva udito il marito parlarle con tono sollevato, pur se preoccupato per le sorti del piccolo amico della figlia, Margareth aveva tirato un sospiro di sollievo e le lacrime erano venute di conseguenza.

Jordan le aveva quindi raccontato della loro chiacchierata in riva al lago, della sorpresa di Emily nello scoprire la doppiezza di zio Armand e dei nonni, oltre alla fine ingloriosa di zia Bérénice.

Aveva quindi accennato alla presenza di un uomo, nella vita della loro figliola, e dell’appoggio incondizionato di tutto il paese, oltre che di validi amici che sembravano averla ben supportata in quei momenti di angoscia.

Tutto questo aveva in parte rasserenato Margareth, pur se la preoccupazione per il piccolo Mickey – che lei aveva spesso visto in fotografia, oltre che un paio di volte in carne e ossa – era tutt’ora presente.

La telefonata di Sandra, la loro vecchia bambinaia, l’aveva inoltre sorpresa e un tantino impensierita, pur se le parole della donna non erano state d’allarme, quanto piuttosto di meraviglia. A quell’ulteriore novità, però, avrebbe dedicato il tempo che serviva solo più tardi.

Ora, aveva bisogno di parlare col marito.

“Mi fa così piacere che tu ed Emy vi possiate parlare come persone adulte…” dichiarò dopo un istante Margareth. “…anche se immagino che non sia passata dal non parlarti all’abbracciarti come un koala, vero?”

Jordan rise, assentendo al suo dire. “E’ giusto che rimugini sulle mie parole e che, eventualmente, chieda spiegazioni a terze persone. So già che ha cercato Francis in Nepal, ma può darsi che senta anche Phillip, pur se credo che sia più difficile. In fondo, lei e suo cugino non sono mai andati molto d’accordo. Ma è importante che mi abbia ascoltato e riaccettato nella sua vita.”

“Immagino che l’uomo a cui accennavi prima sia Anthony… o sbaglio?”

“Ne sai più di me, ovviamente, ma sì. Si tratta di Anthony Consworth, il figlio del padrone dell’albergo dove mi trovo ora. Mi sembra davvero un giovane a modo, ed è molto protettivo nei confronti di nostra figlia anche se, paradossalmente, non le sta dietro come un cane da guardia. Sa farlo in modo molto discreto, a mio parere” le spiegò Jordan, rammentando bene come il giovane, durante tutta la giornata passata assieme, ben di rado si fosse preso il compito di farle da spalla.

Era chiaro come, il giovane, avesse imparato a gestire le idiosincrasie di Emily, divenendo per lei un’ombra protettiva ma per nulla invadente.

Lei lo cercava con lo sguardo, e Anthony era sempre pronto a farsi trovare, ma non per questo Emily tendeva la mano per essere accompagnata al pari di una bambina, o il giovane la obbligava a comportarsi come tale.

Erano due adulti che avevano trovato un proprio equilibrio e, da quanto aveva potuto vedere, funzionava molto bene.

“Tra loro vi fu una breve storia ma, per motivi che Emily non volle mai dirmi, non funzionò. Pare, comunque, che lei lo abbia sempre tenuto nel cuore, e ora sembra che la cosa sia tornata a galla” gli spiegò succintamente Margareth. “Jamie è ancora lì, per caso? Non risponde al cellulare.”

“Sì, è qui. Se hai chiamato oggi, ti tranquillizzo. Lo aveva dimenticato a casa di Emy, nella concitazione del momento. Tutti sono in ansia per il bambino rapito, e le piste da seguire sono davvero esigue. Inoltre, ora sta piovendo a dirotto, perciò i cani molecolari perderanno quasi sicuramente qualsiasi pista utile” sospirò l’uomo.

Margareth tremò nell’assentire, rammentando ancora troppo bene quanto fosse snervante e terribile attendere notizie che non arrivavano, veder svanire la speranza poco a poco, sentire la frustrazione nelle parole dei poliziotti.

Non invidiava la giovane madre di Mickey, né il suo povero padre. Li attendeva un periodo orribile, fatto di crolli continui e difficili risalite, oltre al costante patimento di non sapere se, un giorno, avrebbero potuto rivedere il loro bambino.

“Appena mi sarà possibile, verrò da voi. Desidero chiudere quell’affare con il Sindaco, dopodiché partirò” gli promise lei, volitiva.

“Tranquilla. Emily ha delle validissime spalle, e io me la so ancora cavare” la tranquillizzò Jordan.

“Harry mi ha chiamato, dicendomi che uno dei suoi è lì con Emy. Immagino sia il ragazzo di cui mi ha parlato nostra figlia qualche mese fa. A quanto pare, mio fratello lo vuole prendere nel suo staff.”

“Se ha pensato di proporglielo, avrà avuto i suoi buoni motivi. A me è parso un bravo ragazzo, perciò ben venga” dichiarò Jordan prima di sbadigliare. “Ora ti saluto. La sfacchinata di oggi comincia a farsi sentire.”

“Riposati, e prendi le medicine. Ti amo, tesoro” mormorò Margareth.

“Ti amo anch’io… e grazie per non avermi mai abbandonato.”

“Sapevo che dovevi avere avuto dei motivi più che validi, per fare quello che avevi fatto” si limitò a dire lei, rammentando la loro chiacchierata di qualche giorno addietro, quando il marito aveva deciso di dare un taglio netto con l’azienda di famiglia.

L’aveva sorpresa – e sì, indignata – scoprire l’amara verità, così come sapere che Berry si fosse suicidata per impedire al fratello di usare i soldi che lei aveva già promesso ai suoi strozzini.

Il comportamento dei vecchi Poitier, poi, aveva reso chiaro come mai il marito, negli anni seguenti il rapimento, avesse progressivamente tagliato fuori dalla loro vita i genitori. Molte cose si erano chiarite, e altre erano divenute così lampanti da essere persino fastidiose.

L’importante, però, era che da tanta inettitudine e grettezza, fosse comunque venuto fuori del buono, a lungo andare.

“Non hai idea di quante volte avrei voluto dirtelo, ma non era il momento” ammise Jordan.

“Lo immagino…” assentì Margareth prima di dire: “… e, a proposito di sorprese, ne ho una che viene direttamente da Sandra, la bambinaia dei nostri ragazzi.”

“Cos’è successo?” domandò turbato Jordan.

“Non immaginerai mai chi è passato a trovarla” disse Margareth, fomentando la curiosità del marito.

A fine telefonata, Jordan chiuse la chiamata con il volto percorso dalla costernazione più pura. Che mai aveva in mente, quell’uomo?

 

 

 

N.d.A.: In attesa dell'arrivo scoppiettante di Sherry, scopriamo che Rick pare avere un trascorso misterioso con l'avvenente cacciatrice di taglie amica di Emily. Inoltre, veniamo a conoscenza di una misteriosa visita a Sandra, la bambinaia che, all'epoca del rapimento di Emily, venne ferita in modo grave. Chi l'avrà cercata? (credo sia ovvio, ma non si sa mai...)


 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


15.

 

 

 

Poche cose potevano far girare la testa a tutti – donne e uomini parimenti – come l’arrivo di un’auto sportiva europea, nuova fiammante e guidata con la perizia di un pilota di Formula 1.

La Lamborghini Aventador color canna di fucile che raggiunse il parcheggio del diner di Gilda attirò gli sguardi dei presenti e, se possibile, anche quelli di coloro che si trovavano nelle case limitrofe.

Non era infatti cosa di tutti i giorni udire il rombo potente e inconfondibile di quella belva su quattro ruote, specialmente a quelle latitudini.

A uscirne, inoltre, fu uno splendido – quanto fatale – esemplare di donna dai lunghi e fluenti capelli neri, Louboutin ai piedi e un perfetto tailleur giacca-pantalone di sartoria a delinearne il corpo perfetto.

La donna squadrò la zona attorno a sé con attenti occhi blu oltremare mentre, con la mano destra, afferrava una piccola clutch di Gucci per poi chiudere elettronicamente le portiere dell’auto.

Con passo sicuro, quindi, si diresse verso il diner e, non appena vi fu entrata, un silenzio tombale crollò come una coperta pesante sull’intero locale.

Gilda, per contro, rise sguaiata di fronte alla donna, oltrepassò il bancone per andare a salutarla e, dopo averle dato due baci con lo schiocco sulle guance, dichiarò: “Tesoro, dovresti andare al Congresso, uno di questi giorni. Chissà che non stiano zitti tutti anche là, per un po’, invece di dire scemenze.”

Con quella battuta, il brusio all’interno del locale tornò pian piano a prendere corpo e Sherry Kerrington, seguendo fino al bancone la padrona del diner, sorrise con il suo corredo di denti perfetti prima di dire: “Ci proverei anche, se servisse a qualcosa, ma credo che sarebbero più efficaci le mie 44 Magnum.”

“Temo di sì, tesoro” ammise la donna, servendole subito un cappuccino. “Sei qui per Mickey?”

Annuendo, Sherry accavallò le lunghissime gambe facendo frusciare la seta pura del tessuto dei pantaloni e, con tono gelido, affermò: “Sono qui per impallinare lo stronzo che lo ha portato via. Non me ne andrò finché non avrò avuto questa soddisfazione.”

Un tossicchiare leggero seguì la sua affermazione e la fece volgere a mezzo, già pronta a rispondere a tono a chiunque avesse avuto da ridire con la sua determinazione a risolvere il caso.

Quando, però, vide un paio di agenti dell’FBI seduti nelle vicinanze, sorrise melliflua, estrasse dalla tasca della giacca il suo tesserino di cacciatrice di taglie e lo lanciò sulla superficie liscia del loro tavolino.

“Sono un’affiliata della NAFRA1, ho regolare porto d’armi e ho all’attivo ottantaquattro arresti. Sono cintura nera di karate, conosco il kenpo e pratico correntemente le MMA. Se volete, vi do’ anche la marca del mio reggiseno. Vi basta?” mormorò lei, ammiccando con fare malizioso.

L’agente più anziano diede una rapida occhiata al tesserino prima di riconsegnarglielo e, arcigno, replicò: “Non vogliamo teste calde o gente dal grilletto facile, qui. Ci sono già anche troppe persone nervose, in zona.”

Sherry afferrò il tesserino per rimetterlo a posto e, nel sorseggiare il cappuccino, ribatté: “Non sono il Giustiziere della Notte, caro, e so fare molto bene il mio lavoro. Neppure mi vedrete. Inoltre, sono stata assunta.

“Potresti essere mia figlia, per quanto sei giovane…” protestò l’agente, accalorandosi e alzandosi in piedi per raggiungerla al bancone. “… quindi, vedi di mostrare…”

Sherry si limitò a guardarlo. Non mosse un muscolo.

L’agente, però, lesse in quegli occhi bui qualcosa che andava oltre la semplice spavalderia giovanile e, senza terminare la frase, si rimise nervosamente a posto il giubbotto con i contrassegni dopodiché tornò a sedersi.

Gilda sorrise sottilmente mentre, sulla porta, l’agente speciale McCoy commentava la scena con un gran sorrisone.

“Sei arrivata da quanto?... cinque minuti? E già dai fastidio ai miei agenti?” esalò l’uomo, avviandosi poi verso il bancone con la mano protesa.

Sherry allora si aprì in un caldo sorriso di benvenuto, si allungò per abbracciare a mezzo l’uomo appena arrivato e replicò: “E’ il mio fascino, Adam. Dovresti saperlo che faccio uno strano effetto agli uomini.”

“Se intendi dire che metà di loro vorrebbero portarti a letto, mentre l’altra vorrebe spedirti all’obitorio, posso crederti” ammiccò l’uomo, scostandosi per poi salutare Gilda. “Hai qualcosa di caldo anche per me? Stanotte è stata infernale.”

“Per voi ragazzi, sempre” chiosò la donna. “E così, conosci la nostra fatalona?”

“La sua fama la precede… non è un caso se mi ha fatto piacere che i Larson l’abbiano assunta per indagare” dichiarò McCoy, prima di lanciare un’occhiata di avvertimento al suo sottoposto. “Di certo, però, speravo che arrivasse con qualcosa di meno appariscente. Quel bolide lì fuori non va bene per girare nei dintorni.”

“L’ho appena ritirata dal concessionario! Dammi tregua, Adam!” sospirò Sherry terminando il suo cappuccino. “Non potevo rinchiuderla subito nel garage senza neppure provarla!”

“Immagino sia uno spettacolo, da guidare” chiosò a quel punto McCoy, lanciando un’occhiata verso il parcheggio, dove già diverse persone stavano ammirando la supercar europea.

Digitando velocemente un SMS sul cellulare – magicamente comparso dalla clutch – Sherry assentì distrattamente e disse: “Giuro che è meglio di una notte di sesso. O forse no. Magari sono io che non ho ancora trovato l’uomo giusto… vai a sapere. Per ora, comunque, mi dà molte più soddisfazioni quel concentrato di cavalli e carbonio che un uomo a cavallo su di me.”

McCoy sorrise divertito nel guardarsi attorno – era chiaro che alcuni dei presenti avrebbero voluto dimostrarle il contrario – ma, tornando serio, le domandò: “Ti sei già aggiornata sul caso?”

Lei assentì, riassestandosi in modalità operativa e, impassibile in viso, replicò: “Scarterei a priori la pista messicana. Dai miei contatti sul confine, non ci sono stati movimenti di minori nelle ultime ottantasei ore.”

Tutti i tuoi contatti?”

Sherry sollevò innocentemente le sopracciglia arcuate, esalando sconcertata: “Metti forse in dubbio che io non abbia solo canali ufficiali da cui attingere?”

McCoy scosse il capo, preferendo soprassedere su quell’ultimo commento e Sherry, scrollando una mano dalle unghie corte e laccate di nero, aggiunse: “Per farti felice, i miei contatti non procurano denaro ai narcos.”

“E’ già qualcosa” sospirò l’agente speciale. “Dove ti posso trovare?”

“Soggiornerò all’albergo dei Consworth. Comunque, avrò sempre il cellulare acceso e, per ogni evenienza, avrò con me anche il satellitare. Hai già il numero, giusto?” gli spiegò lei, sollevandosi con grazia dallo sgabello su cui era rimasta assisa fino a quel momento.

“Ce l’ho, non temere. Ora dove vai?”

“A trovare un’amica” ammiccò lei, uscendo dopo aver lasciato una banconota da venti dollari sul bancone.

Ancora silenzio al suo passaggio, almeno finché la campanella appesa alla porta non iniziò a tintinnare quando il battente si richiuse. Fu a quel punto che Gilda, sospirando, si guardò intorno per scrutare ammonitrice gli uomini presenti e borbottare: “Sembrate dei panetti di burro, adesso. Sciolto.”

McCoy scoppiò a ridere, si gustò il suo cappuccino e assentì alla padrona di casa.

Sì, Sherry Kerrington poteva fare anche quell’effetto, sugli uomini.

***

Quando Emily andò ad aprire la porta di casa e si trovò a fronteggiare lo sguardo a lei familiare di Sherry, non poté che sospirare di piacere e sollievo.

Istintivamente la abbracciò – era una delle poche persone con cui riusciva a farlo senza tremare di paura – e, sentendosi piccola e al sicuro, tra le sue braccia, mormorò: “E’ bellissimo vederti.”

“Lo è anche per me” replicò la donna, dandole una pacca sulla spalla prima di scostarsi per fare le feste a Cleopatra. “E’ bellissimo vedere anche te, amore mio. Dimmi… ti è mancata la zia Sherry?”

Cleopatra le si strofinò contro diverse volte prima di abbaiare allegra. In quel mentre, fece la sua apparizione anche Jamie, fresco di dopobarba e con la camicia sbottonata ad arte per mostrare una porzione di torace, il tutto senza apparire volgare.

Sherry socchiuse le palpebre con fare malizioso, avanzò sui tacchi stratosferici e si piegò verso Jamie per mormorare a pochi centimetri dalla sua bocca: “Puoi anche metterti nudo, piccolo mio, ma non verrò mai a letto con te. Anche se sei un bel bocconcino.”

Ciò detto, gli stampò un bacio sulle labbra e sorrise subito dopo nello scostarsi.

Jamie sospirò, si richiuse la camicia con gesti melodrammatici e borbottò: “Finché mi sentirò un nano da giardino, al tuo cospetto, non riuscirò mai a sembrarti interessante, o anche lontanamente sexy.”

“Non è quello, Jamie. L’altezza non mi ha mai disturbata” replicò Sherry. “E’ perché ti vedo come un fratello.”

“Questa è l’offesa peggiore che tu potessi farmi” si lagnò Jamie, tornandosene in casa con l’aria di un cane bastonato.

Emily e Sherry risero di gusto, di fronte a un simile umor nero e, nell’entrare in casa, quest’ultima chiosò: “Mi spiace, ma è la pura verità. Tuo fratello è un bocconcino che assaggerei volentieri, ma sarebbe come andare a letto con Gin.”

Pensando al fratello maggiore di Sherry – attualmente impiegato nella S.W.A.T. di Los Angeles – Emily sorrise divertita e ammise: “Sì, sarebbe un tantino strano, in effetti. Gin come sta, a proposito?”

“Si è raccomandato di fare un buon lavoro… come se fosse necessario dirmelo” sbuffò lei, scuotendo negligente una mano. “Tolto questo, so che ha chiesto a Brandon di sposarlo. Ha fatto il grande passo.”

“Wow” esalò Emily, facendo tanto d’occhi. “Sono fidanzati da quanto? Sei anni?”

“Sette. Pare che Gin si sia stufato di aspettare che lo facesse Bran, così lo ha colto di sorpresa e, complici i suoi colleghi, lo ha sequestrato dall’ufficio con tanto di blindato e gli ha fatto la proposta alla stazione di polizia” ammiccò divertita Sherry, facendo scoppiare a ridere Emily.

“Tipico di Gin” esalò Emy prima di guardare all’esterno, in direzione dei vicini e domandare più seriamente: “Che sai del caso?”

“So tutto ciò che c’è da sapere e, se pensi che sia il caso, parlerò anche con Consuelo e Samuel. Dovrebbero ricordarsi di me, perciò non dovrebbe essere difficile accettarmi in casa. So quanto la cosa possa turbare i genitori” ammise Sherry, tornando del tutto seria. “Pensi sia stato corretto dire a McCoy che mi hanno assunto loro? Perché non dire la verità?”

Scrollando le spalle, Emily si limitò a dire: “Credo che si sentiranno più tranquilli, sapendo che c’è una faccia conosciuta, a indagare sul caso. Inoltre, non volevo dare a McCoy neppure mezza scusa per farmi la ramanzina e dirmi di non impicciarmi.”

“Per me non c’è problema. Non piacciono neppure a me le ramanzine. Comunque, non hai idea di quanto mi sia scervellata, da quando Adam mi ha mandato i file sull’indagine!” sbottò a quel punto Sherry. “Niente mi fa pensare che il bambino possa trovarsi lontano da qui, ma non ho davvero idea di chi possa averlo preso.”

Emily non poté che assentire, comprendendo bene le sue parole. Da quando avevano iniziato a investigare, era parso chiaro a tutti quanto, quel caso, sarebbe stato di difficile soluzione.

Se, quando era stata rapita lei, le trattative erano iniziate quasi subito, con Mickey non si sapeva più nulla da giorni e, quel che era peggio, nessun tipo di traccia era risultata emergere dalle indagini preliminari.

Parlare con Samuel e Consuelo, forse, non avrebbe portato a nulla di nuovo ma, per lo meno, avrebbe dato una speranza in più ai coniugi o, quanto meno, la certezza che vi fosse una persona di fiducia nella cerchia di coloro che stavano cercando Mickey.

***

In ben poche occasioni aveva visto il terrore dipinto sul volto del fratello, ma Parker fu abbastanza sicuro che quel giorno fosse una di quelle volte.

Rick appariva pallido e chiaramente stressato, neanche fosse passato attraverso le forche caudine, e non avesse semplicemente percorso quarantacinque miglia da Denver fino a lì.

Quando si avvicinò a lui – che stava terminando di fornire i suoi dati alla polizia per poter entrare in paese – Parker gli fece un cenno con la mano a mo’ di saluto dopodiché lo attese sul marciapiede.

Dietro un’auto parcheggiata.

Aveva idea che, se Rick avesse potuto, lo avrebbe tirato sotto con la Chevrolet Chevelle SS1970 di sua proprietà. Gran macchina quanto a cavalli ma, per quel che riguardava la tenuta di strada sul bagnato… beh, non faceva specie se Rick aveva l’aria un po’ sconvolta.

Soprattutto, visti i suoi precedenti coi temporali.

Il motore V8 fece sentire tutti i suoi cavalli, quando Rick rimise in moto per raggiungerlo e Parker, nonostante la situazione orribile in cui si trovavano, si godette il pensiero di riavere accanto il fratellino.

Con Quentin si sentivano spesso e andavano d’accordo ma, sostanzialmente, il fratello di mezzo era maggiormente legato alla terra e all’agricoltura di quanto non lo fossero lui o Rick.

Quentin amava vivere nell’azienda agricola di famiglia, mentre loro erano praticamente fuggiti in città per iniziare a lavorare non appena l’età – e i soldi – glielo avevano concesso.

Inoltre, essendo il maggiore dei tre, lui si sentiva particolarmente protettivo nei confronti di Rick, pur se gli pareva assurdo anche il solo pensarlo. Il fratello aveva già ventinove anni, era alto come una pertica – lo superava di mezza testa – e aveva il fisico di un lottatore.

Certo, se lo avessero messo alla prova, avrebbe dimostrato quanto poco ci sapesse fare con pugni e schiaffi ma, in una situazione d’impasse, era sempre solito cavarsela con il solo sguardo.

Nessuno aveva voglia di finire pestato da un uomo di quella stazza, anche se quell’uomo in particolare non avrebbe fatto del male a una mosca.

“Ehi, Rick… ben arrivato” esordì Parker non appena lo vide accostare l’auto e scendere con aria fiacca.

“E’ già tanto che io sia giunto fin qui” sospirò lui, allargando il colletto della camicia con l’indice, come a farsi aria. “In valle si è scatenato un autentico fortunale. L’auto andava dove voleva, il vento le dava una mano e i fulmini sembravano volermi friggere prima del tempo.”

“Mi spiace tu abbia avuto un viaggio così schifoso” mormorò Parker, dandogli una pacca sulla spalla.

Sospirando, Rick scosse il capo e replicò: “Ti dispiacerai di più quando ti avrò detto cosa ho fatto.”

“In che senso?” volle sapere Parker, accigliandosi immediatamente.

“Ho pensato molto alle tue parole di ieri notte, così stamattina – prima di partire – ho inviato una e-mail a Stuart, dicendogli tutto quello che pensavo di lui” ammise Rick, accennando un sorrisino timido. “Ti ho anticipato, e gli ho mandato una lettera in cui gli dicevo che rassegnava mole dimissioni.”

Parker fece tanto d’occhi, a quella notizia del tutto imprevista e il fratello, ben deciso a vuotare il sacco, aggiunse: “Mi sono detto che avevi ragione, che Stuart aveva approfittato di noi fin troppo, e che era giunto il momento di dire basta.”

“Che mi venga un colpo… ma anche no” gracchiò Parker prima di scuotere il capo, lasciarsi sfuggire una risatina nervosa e aggiungere: “Beh, giuro che non ho parole! E io che pensavo che la mia decisione ti avesse scioccato a morte!”

Rick reclinò colpevole il capo – cosa piuttosto inutile, visto quanto era alto – e borbottò: “Ho pensato si fosse reso necessario. Per più di un motivo, in effetti.”

“Ora mi incuriosisci” ammiccò Parker.

Grattandosi nervosamente la nuca, Rick dichiarò colpevole: “Prima che tu mi chiamassi, quando ero ancora in ufficio, temo di averlo insultato piuttosto pesantemente, quando l’ho sentito mandarti a quel paese… visto, soprattutto, che ha usato parole molto più pesanti di così.”

Scoppiando in una risatina divertita, Parker gli diede una pacca sul braccio, asserendo: “Sai che è uno stronzo. Ma mi fa piacere che questo abbia contribuito a sbloccarti.”

“Ehm… gli ho anche messo le mani addosso” aggiunge quindi Rick, ora diventando rosso come un peperone.

Parker, a quel punto, sbarrò nuovamente gli occhi e, un po’ più serio, domandò: “Che cosa ha detto, esattamente? E tu cos’hai fatto, esattamente?”

“Ha offeso anche la mamma… così non ci ho più visto” scrollò le ampie spalle Rick cercando, sempre inutilmente, di farsi piccolo piccolo. “La tua chiamata, e l’offerta di Mr. Cunningham, mi hanno solo convinto una volta di più a chiudere del tutto i ponti.”

Sbuffando un’imprecazione tra i denti, Parker si adombrò in viso e chiosò: “Beh, spero tu gli abbia fatto molto male. La mamma non si tocca. A prescindere.”

“L’ho solo scosso un po’ ma, visto che tutti lo avevano sentito ingiuriare pesantemente nostra madre, lui non ha potuto fare lo gnorri. Mi ha solo detto che mi avrebbe detratto dallo stipendio le spese per la tintoria dove avrebbe portato la camicia, poi se n’è andato.”

Parker ci pensò sopra un momento prima di domandare: “Se lo hai solo scosso un po’, cosa c’entra la tintoria?”

“Inavvertitamente, potrei averlo scosso contro uno dei miei pugni e avergli rotto il naso” ammise con candore Rick, portandolo a ridere sguaiatamente.

Dandosi una manata leggera sulla fronte, Parker esalò: “E non ti ha denunciato? E’ un miracolo!”

“Solo perché ha cominciato lui per primo, dandomi uno spintone quando gli ho detto di non offenderti” ammise il fratello. “Inoltre, nessuno ama particolarmente Stuart, là dentro, perciò non avrebbe ottenuto che ostracismo, se mi avesse denunciato. Stando così le cose, forse non vedremo l’ultimo stipendio.”

“Mi importa poco” sbottò Parker. “Ora ti porto da Gilda per farti preparare una degna colazione, dopodiché andremo a trovare Emily e Sherry.”

Arrossendo leggermente, Rick esalò: “Ah… miss Kerrington è già arrivata?”

Parker ammiccò al suo indirizzo e, annuendo, chiosò: “Oh… eccome se è arrivata.”

***

Parlare con Consuelo e Samuel era stato snervante e doloroso per più di un motivo. Per quanto volesse apparire una dura, all’esterno, detestava veder soffrire le persone e, più ancora, le giovani madri.

Quando poi ci si mettevano i padri, a star male, allora perdeva il controllo, e vedere Samuel abbracciare stretto la sua cucciolina mentre parlava di Mickey, era stato come prendere un proiettile nel petto.

Sherry detestava quella parte del suo lavoro, perché doveva barricarsi per non soffrire come un cane e, ogni volta, era sempre peggio. O stava perdendo mordente, oppure il suo cuore aveva iniziato a farsi di burro, il che avrebbe voluto dire cambiare mestiere entro i prossimi cinque - sei anni.

Di certo, sapere dalla coppia di non avere – almeno all’apparenza – nessun nemico, né parenti che potessero vantare diritti su Mickey, non l’aveva sorpresa. Le poche indagini che aveva condotto prima di raggiungere Nederland gliel’avevano praticamente confermato.

Sentirlo da loro, comunque, era stato un sollievo. Le indagini andavano bene, ma le notizie di prima mano erano le migliori.

Restava solo da capire chi potesse aver avuto un interesse così personale nei confronti di Mickey, tale da spingerlo, o spingerla a rapirlo. Le adozioni illegali rimanevano sempre all’apice dei suoi interessi, eppure qualcosa non quadrava.

“Sembri davvero turbata, stamattina” chiosò Emily, dando di gomito all’amica.

Sherry si riscosse dai pensieri che l’avevano strappata alla passeggiata che aveva intrapreso quella mattina assieme a Emy e Cleo e, sorridendo a mezzo, ammise: “Sto diventando una pappamolle. Pensavo a come Sam ha abbracciato la sua piccolina, e mi sono sciolta.”

Sorridendo di rimando, Emily ammise: “Samuel è davvero un padre adorabile, ma credo che stavolta il problema dipenda dal fatto che conosci la coppia, anche se non in maniera approfondita. Fa sempre la differenza.”

“Può anche darsi” ammise Sherry prima di bloccarsi a metà di un passo, osservare il parcheggio del diner e dichiarare: “Ci vedo male, o laggiù c’è una Chevrolet Chevelle SS1970?”

“Non me ne intendo come te, ma credo di sì” asserì Emily, fissandola piena di curiosità. “Perché? Quell’auto non ti piace?”

Sherry la fissò come se lei avesse appena imprecato e, ironica, replicò: “E’ da queste cose che capisco che tu non sei come Jamie.”

“Voi due siete malati, è un po’ diverso” sottolineò per contro Emily, trascinandola praticamente con sé. “Sembra che tu stia guardando un bell’uomo, e non un ammasso di lamiere e…”

L’amica le tappò la bocca con una mano e, gelida, ribatté: “Non osare mai più dire che questa bellezza è un ammasso di lamiere, perché altrimenti ti depennerò da facebook e twitter. Questo gioiellino è semplicemente perfetto!”

Ciò detto, si avvicinò all’auto e l’accarezzò con dita leggere, saggiandone sotto le dita la verniciatura perfetta – color blu oltremare come i suoi occhi.

Sembrava essere appena stata incerata, e persino i paraurti in acciaio lucidato parevano nuovi di zecca.

Sherry apprezzò la scelta di modificare le luci, utilizzando fari più moderni ma in linea con lo stile retrò dell’auto e, nel solleticare uno degli anelli per lo sgancio rapido del cofano, sorrise beata e disse: “Chiunque segua questa bellezza, ha tutto il mio plauso.”

“Grazie” mormorò una voce tenue e timida alle sue spalle.

Subito, Sherry si volse a mezzo per capire con chi avesse a che fare, mentre Emily salutava con un cenno e un sorriso Rick e Parker Jones.

Assottigliando le palpebre – quel giorno truccate con un elegante effetto smokey eyes – Sherry squadrò dal basso all’alto, e viceversa, l’uomo a pochi passi da lei e, sorridendo melliflua, allungò la mano destra e disse: “Rick Jones, …che piacere rivederti. Non sapevo avessi gusti così sopraffini in fatto di auto.”

“E’ una passione di famiglia” ammise Rick, stringendole le dita prima di accennare un formale baciamano. “E’ un piacere rivederla, miss Kerrington.”

“Il piacere è reciproco. E denoto che ancora usi le forme di cortesia, con me” mormorò roca lei, sbattendo le lunghe ciglia scure prima di aggiungere: “Non mi presenti all’uomo al tuo fianco?”

Solo a quel punto, Rick si ricordò della presenza di Parker e, un po’ goffamente, si volse a mezzo per indicare Parker e presentarlo formalmente a Sherry, la quale strinse la mano protesa dell’uomo con calore e determinazione.

“Avete già fatto colazione, per caso?” domandò quindi Sherry, indicando il diner di Gilda.

“Possiamo tornare dentro per un bis. In effetti, Rick ha bisogno di un po’ di caffè. Il viaggio per venire qui è stato un po’… movimentato” dichiarò lesto Parker, dando una pacca sulla spalla al fratello.

Scostando immediatamente lo sguardo per riportarlo su Rick, Sherry domandò: “Come mai? Problemi in strada? O sei incappato in un incidente?”

“La tempesta, più che altro, ha creato difficoltà” ammise Rick mentre Sherry, con naturalezza, incuneava un braccio sotto quello dell’uomo per riaccompagnarlo all’interno del diner.

Così facendo, Sherry si accostò completamente a lui – facendolo tra l’altro avvampare come un cerino – e, mentre la coppia si avventurava nel locale di Gilda, Parker si attardò con Emily per chiosare: “E’ davvero la prima volta in assoluto che una donna mi snobba come se fossi solo carta da parati.”

Cercando di trattenere una risatina, Emy replicò: “Avevo notato già cinque anni fa che, tra loro, sembrava esserci stato qualcosa ma, da quello che Sherry mi disse in seguito, lei e tuo fratello non si videro più. Evidentemente, quel qualcosa è rimasto lì a covare per tutto questo tempo.”

“Non saprei. So soltanto che, quando l’ho chiamato ieri sera e gli ho accennato alla presenza di Sherry, non solo si è preparato per partire, ma ha mandato al diavolo il nostro capo e gli ha lasciato le nostre lettere di licenziamento” dichiarò Parker, aprendole la porta del diner per farla entrare.

Emily fece tanto d’occhi ed esalò: “Vi siete… licenziati? E ora come farete?”

“Ho qualche progetto in cantiere” le strizzò l’occhio lui prima di sussurrarle: “Che dici? Li lasciamo soli al tavolo? Tanto, non credo che noteranno la nostra mancanza.”

“Lasciamoli stare” assentì Emily, accomodandosi al bancone assieme all’amico prima di ordinare cappuccino e pancake al miele.

Gilda la servì in breve tempo e, nell’accostare al piatto della cliente anche una caramella mou – le preferite di Emily – dichiarò: “Non ricordavo quanto quei due se la intendessero! E dire che ho buon occhio per queste cose.”

“Ma passavano così tanto tempo assieme?” si informò Parker, sempre più sorpreso.

Di tutto il periodo che Rick aveva passato a Nederland cinque anni addietro, Parker aveva saputo ben poco, a parte qualche scarno riassunto riguardante i dati tecnici della casa da lui ammodernata.

Di Sherry, soprattutto, aveva saputo poco o niente anche se, con il senno di poi, Parker aveva notato quanto, il suo ritorno da Nederland, fosse coinciso con un periodo alquanto ombroso del fratello.

Rick gli era parso distratto e lagnoso e, più di una volta, si era chiesto se Stuart gli avesse per caso propinato qualche lavoro antipatico da svolgere.

Era mai possibile che aver interrotto i contatti con Sherry Kerrington lo avesse angustiato così tanto? E poi, perché non si erano più sentiti, da quando si erano lasciati a lavoro finito?

Qualcosa era andato storto, nel loro rapporto? Avevano per caso litigato?

“Terra chiama Parker… ci sei?” ironizzò Emily, battendogli una mano sul braccio.

Sobbalzando leggermente, lui le sorrise contrito e ammise: “La mia testa stava già vagliando mille e più scenari su quei due. Scusa. Ho il vizio di analizzare le persone.”

“Lo facesti anche con me?” si incuriosì lei.

“Oh, sì. Capii subito che non eri di qui. Avevi qualcosa di diverso, di speciale… quasi di regale” ammise lui, sorprendendola. “Insomma, si vedeva che eri nata in una famiglia bene.”

“Oh, bella! Questa non la sapevo” esalò Emily, guardandosi la maglietta a maniche lunghe, la camicia di cotone stretta in vita e i jeans lisi. “Dopo dovrai spiegarmi da cosa l’hai capito… ora, però, voglio godermi la colazione. Più tardi, ci aspetta il pattugliamento sopra Eldora assieme a un bel gruppo di volontari, perciò devo essere in forze.”

Lui assentì ed Emily, dopo un istante, aggiunse: “Per rispondere alla tua domanda, non ho mai chiesto troppo a Sherry, ma sembrava affascinata da tuo fratello,… e viceversa. Ma quello lo trovo meno strano.”

“In che senso?”

“Non fraintendermi. Vostra madre ha fatto un ottimo lavoro, con voi ragazzi Jones…” sorrise Emily, indicandolo con la forchetta ricolma di pancake. “…ma Rick non è l’uomo tipico con cui bazzica di solito Sherry.”

“E quale sarebbe il suo tipo?” si informò allora Parker.

“Ecco, a ben pensarci, tutto tranne che un caro, gentile ed educato uomo di campagna trapiantato in città” ammise Emily. “Sherry, per svariati motivi, è sempre stata una donna attiva e indipendente, eppure sembra che le attenzioni di Rick le piacciano. E’ curioso.”

“Voglio chiedertelo… ma Sherry è il diminutivo di Sheridan?”

“No. E’ proprio Sherry, come il liquore alla ciliegia” sottolineò Emily, sorprendendo l’amico. “Esattamente come suo fratello Gin, si chiama così perché sua madre… beh, amava alzare spesso il gomito con quei liquori, così ha pensato bene di chiamare i figli con il nome delle bevande che tanto amava.”

Parker si fece serio in volto e l’amica, sorseggiando pensierosa il cappuccino, ammise: “Non hanno avuto un’infanzia facile, quei due, e sono sempre stati l’una la famiglia dell’altro, visto che la madre era più ubriaca che sobria, e il padre era troppo spesso via col camion per esserci per loro. Ancora mi domando come Riley – la loro madre – sia riuscita a non farseli togliere dai Servizi Sociali.”

L’uomo lanciò uno sguardo in fondo al locale, dove Rick stava ascoltando con attenzione il chiacchiericcio di Sherry, del tutto protesa verso di lui in una posa inequivocabile. Ancora un po’, e le loro teste avrebbero cozzato l’una contro l’altra.

Era più che evidente che, tra i due, vi era un’indubbia affinità perciò, ancora una volta, si chiese cosa non fosse andato, cinque anni addietro.

Al momento, però, quel segreto avrebbe dovuto rimanere tale. Avevano un bambino da ritrovare, e neppure un minuto di tempo da perdere.

 

 

 

1 NAFRA: National Association of Fugitive Recovery Agents. E’ l’associazione che si occupa di rappresentare i Cacciatori di Taglie.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


16.

 

 

 

Intenta a sistemare i lacci degli scarponi da trekking, Sherry levò il capo non appena scorse un'ombra avvicinarsi a lei e, con un mezzo sorriso, disse al nuovo arrivato: "Ciao… Parker, giusto? Il fratellone di Rick."

"Non so se sono più sconvolto all'idea che tu non sia sicura della mia identità, o dal fatto che mi riconosci solo perché sono il fratello di. Solitamente, avviene il contrario" ammiccò l'uomo, sedendole al fianco mentre, tutt'attorno, il campo base ferveva di attività e i volontari sembravano pronti a scalare decine di montagne, pur di ritrovare Mickey.

Poco lontano, impegnati con un paio di agenti dell'FBI, Emily, Jamie e Rick stavano annuendo a più riprese a ciò che veniva detto loro. Che fossero raccomandazioni oppure ordini, non gli era dato sapere.

"Posso immaginare che, tra i due, tu sia il più appariscente..." replicò dopo alcuni istanti di silenzio Sherry, ammiccando al suo indirizzo. "...e che, anche a causa della sua timidezza, Rick rimanga in secondo piano, ma a me interessa lui. Spero che la cosa non ti dispiaccia."

Parker rise nello scuotere il capo e, aggiustandosi il cappellino che teneva in testa, asserì: "Mi fa piacere che una donna come te si sia accorta di lui, perché vuol dire che esiste ancora l'intelligenza, a questo mondo. Penso che Rick sia stato molto sottovalutato dal genere femminile. Ma, per voler sfatare qualsiasi dubbio, quando parlo di donne come te intendo dire donne sagaci e affascinanti."

"Sono d'accordo. Per entrambe le tue supposizioni" ammiccò a quel punto Sherry, facendolo ridere sommessamente.

"Allora, perché non vi siete più sentiti, da cinque anni a questa parte?" gli domandò a bruciapelo lui, scrutandola nei profondi occhi blu oltremare.

Questi non mostrarono alcun segno di offesa o preoccupazione e, per qualche strano motivo, Parker ne fu lieto. Non ne era del tutto sicuro, ma aveva il dubbio che Sherry avrebbe potuto ammazzarlo con il semplice uso di una limetta per unghie... e lui non voleva testare quell'ipotesi.

Stranamente, sul volto stupendo della donna si formò un dolce e dolente sorriso e, mentre Sherry osservava la figura alta e imponente di Rick che, paradossalmente, sembrava quasi sparire dietro a quella di Jamie Poitier, ben più appariscente di lui, ammise: "Ha reputato che lo volessi prendere in giro."

"Come?" esalò sorpreso Parker, facendo tanto d'occhi.

Scrollando le spalle, Sherry aggiunse: "Mi disse che una donna come me, e lui intendeva solo affascinante – la sagacia non faceva parte del pacchetto, a quanto pare –  non avrebbe mai e poi mai potuto apprezzare uno come lui, perché Rick si credeva - a torto - poco interessante e mortalmente noioso. Parole sue, non mie."

"Oh, non faccio fatica a crederti. So bene che si ritiene insignificante" borbottò Parker, lanciando un'occhiata obliqua alla schiena del fratello. 

Sapeva bene che Rick non aveva mai avuto molta fiducia in se stesso, specialmente in ambito sentimentale, ma davvero non lo aveva creduto il tipo da sbattere fuori dalla sua vita una donna come Sherry Kerrington.

"Ebbene,... lo mandai al diavolo, dicendogli che non avrei perso tempo a spiegarli perché una come me poteva apprezzarlo meglio di tante altre donne qualunque."

"Spero che non sia stato offensivo, quando ha usato le parole 'donna come te'… giusto per essere sicuri fino a quale livello di stupidità si sia spinto" domandò dubbioso Parker, portandola a sorridere divertita.

"Non mi ha dato della donna leggera, tranquillo. Ha solo insinuato che fossi troppo bella, e troppo in carriera, per accontentarmi di un semplice ingegnere alle dipendenze di un piccolo Studio come il vostro."

Il tono fu sarcastico, ma nascondeva anche un profondo dolore. Sherry ne era evidentemente rimasta devastata, più di quanto Parker si fosse onestamente aspettato.

"Quell'idiota..." bofonchiò Parker. "Pur se posso in parte capirlo. Tu potresti avere tutti gli uomini che vuoi. E non lo dico per farti incazzare, sia chiaro."

"Capisco cosa intendi dire, e non ho mai fatto mistero di apprezzare ciò che Madre Natura mi ha dato. Serve anche per il mio lavoro, lo ammetto" sospirò lei, dandosi un leggero colpetto coi palmi delle mani sui seni morbidi. "Avevo pensato che lui fosse diverso, visto che non mi era sembrato il tipo da ammirare soltanto il pacchetto regalo."

"Perché?"

Lei sorrise mesta, ammettendo: "Non ci provò mai, con me."

"Immagino sia una novità" sottolineò lui.

"Abbastanza. Questo mi portò ad abbassare la guardia, a essere più spontanea rispetto a quanto non avrei fatto normalmente e, facendo questo, pensai di averlo portato a rilassarsi, a non essere così sulle sue. Invece, sbagliai. Lo baciai, durante uno dei nostri ultimi sopralluoghi. Eravamo soli, c'era uno stupendo tramonto che si rifletteva sul lago, l'ambientazione era perfetta e io desideravo fargli capire che mi sarebbe piaciuto proseguire la nostra conoscenza anche a lavori finiti, ma lui interpretò male il mio gesto."

Passandosi una mano sul volto, Parker sbuffò e disse: "E' un uomo del sud, Sherry. Fissato con il primo passo, le rose al primo appuntamento e robe così. Mia madre lo ha tirato su a suon di regole sul bon ton da tenersi con una donna, e lui ha imparato fin troppo bene le sue lezioni."

"Tuo padre non ci ha messo becco?" esalò Sherry, vagamente sorpresa.

"E mettersi contro mia madre nella crescita dei suoi pargoli?" ironizzò Parker. "Mio padre non è scemo. Credimi."

Sherry allora rise sommessamente e Parker, tornando serio, aggiunse: "Scherzi a parte... penso tu lo abbia sinceramente sconvolto. Non è abituato a essere al centro delle attenzioni di una donna e, quei pochi approcci che ha avuto, sono avvenuti con donne del paesello di provenienza, che non avevano davvero nulla a che fare con te."

"Non riesco a capire se sia una cosa bella o brutta" ammise Sherry.

"Non fraintendermi... erano tutte ragazze carine e delicate, dai modi educati e il sorriso dolce, ma erano remissive e hanno sempre atteso una sua mossa, prima di aprirsi e, alla fine dell’opera, non erano adatte a lui, quindi la cosa è finita prima ancora di cominciare. Lui cercava qualcosa che, quelle ragazze, non potevano dargli, e viceversa. In città, però, tutto era così diverso e, per certi versi, così spaventoso, che Rick ne rimase traumatizzato. L'università non fu una bella esperienza, per lui. Essendo timido, fu spesso oggetto di scherzi più o meno beceri da parte di alcuni membri di una confraternita e, tra questi scherzi, ve ne fu uno davvero meschino."

Parker sospiro e Sherry, iniziando a comprendere, sospirò a sua volta, tornò con lo sguardo alla figura di Rick e mormorò: "Una donna come me – e adesso mi rifaccio alla sua descrizione – lo attirò in un tranello, giusto?"

"Già. Colpito e affondato. Lui ne era affascinato, e lei approfittò della cosa per fare contento il capo della confraternita. Iniziò una relazione con Rick e, per qualche tempo, lo vidi felice come mai era stato... ma non durò."

"Cosa gli fecero?" domandò Sherry con il gelo nella voce.

"Di per sé, una cosa sciocca, ma questo per poco non lo annientò. Lei lo invitò ad andare nella sua stanza per una serata speciale ma, quando arrivò, la trovò a letto con il capo della confraternita. Se la risero, quando lo videro sulla porta, sconvolto e ferito, e la cosa andò avanti per giorni. Settimane. Saltò un semestre ma, alla fine, terminò gli studi, ben deciso ad allontanarsi per sempre da quel mondo meschino."

Con un sorrisino, Parker aggiunse: "Nostra madre lo avrebbe ucciso, se Rick avesse permesso a una sciocca e vacua donnicciola - parole sue - di mettergli i piedi in testa e impedirgli di terminare gli studi, così lui tirò dritto e lo fece. Ma soffrì ogni giorno."

Sospirando, Sherry si premette pollice e indice sull'attaccatura del naso, quasi a voler scacciare un'emicrania, e borbottò: "E io ho fatto proprio l'unica cosa che non avrei dovuto fare."

"Non potevi saperlo... perché immagino non ne abbiate mai parlato, vero?"

"No, affatto! Mi parlò della vostra fattoria, di come Quentin si fosse preso sulle spalle le sorti dell'azienda di famiglia, di come tu ti stessi facendo onore sulle piattaforme petrolifere... di come apprezzasse i pasticci di carne di vostra madre, o del fatto che fare una passeggiata a cavallo, la mattina con la neve, fosse una delle esperienze più belle della sua vita."

Le ultime cose le disse con un sorriso e Parker, annuendo, asserì: "Rick è il più bravo di noi, con i cavalli. Neppure Quentin ha il suo tocco e, se a Rick non fosse piaciuto così tanto progettare case, avrebbe potuto fare l'allevatore o addirittura l'allenatore equestre. Dovresti vederlo, quando cavalca. Sembra che lui e l'animale diventino una cosa sola."

Sherry assentì, mormorando: "Lo avevo capito da come me ne parlava."

Parker a quel punto le sorrise, le diede una pacca sulla spalla nell'alzarsi e disse: "Quando ha saputo che saresti venuta - gliel'ho spifferato io, tra l'altro - ha fatto i bagagli, si è licenziato ed è venuto qui a tutta velocità, nonostante lui detesti guidare in mezzo ai temporali. Sembrava un fantasma, quando è arrivato a Nederland, tanto quel temporale lo ha scioccato, ma è arrivato qui per te. Secondo me, vuol dire qualcosa."

Sherry sorrise lieta e vagamente gongolante e, nel sollevarsi a sua volta, domandò a Parker: "Come mai questa idiosincrasia nei confronti dei temporali?"

"Lui e Quentin si persero in montagna, una notte, per colpa di una stupida sfida. Passarono la notte in una rientranza rocciosa, bagnandosi come pulcini e rabbrividendo a causa del vento forte e dei fulmini che colpirono la zona. Quando li trovammo, non parlarono per una settimana, a causa dello shock. Da quel giorno, sia lui che Quentin evitano i temporali come la peste."

La donna sbatté le palpebre per la sorpresa, il suo sorriso si fece ancora più accentuato e, nel rivolgere un'occhiata piena di desiderio alla figura inconsapevole di Rick, domandò: "Come dovrei approcciarlo, quindi, secondo te?"

"Io credo che, dopotutto, abbia in mente qualcosa lui stesso. Lascialo fare. Se si è spinto a mandare all'aria ogni sua certezza - e mia, visto che ha lasciato una lettera di dimissioni anche per me -, credo che abbia le idee chiare in merito. Non farà più passare cinque anni."

"Lo spero... perché, altrimenti, sarà lui il prossimo a essere rapito" gli promise Sherry, avviandosi a passo di carica in direzione di Emily.

Parker sorrise a mezzo, si passò svogliatamente le unghie sulla camicia di cotone e chiosò beffardo: "Di questo passo, potrò aprire uno studio di consulenze amorose. Farei soldi a palate."

***

Jordan Poitier era accomodato a uno dei tavolini da giardino dell'albergo, quando vide comparire Anthony in tenuta sportiva. Sembrava pronto a unirsi ai volontari che, quel giorno, si sarebbero diretti verso Eldora e, sul suo volto, era evidente l'irritazione.

Quando, però, lo salutò, lo fece con assoluta cordialità, dimostrando una capacità di autocontrollo davvero impressionante. Jordan, comunque, non faticò a comprendere da dove fosse sorto il nervosismo del giovane; non aveva potuto non notare i rapporti tesi tra lui e il padre, e di questo si era spiaciuto.

Era evidente, almeno ai suoi occhi, quanto Anthony meritasse rispetto e appoggio, ma il vecchio Consworth sembrava non rendersi conto della perla rara che aveva tra le mani. 

Un giovane così capace che, non solo non aveva abbandonato quel piccolo paese di montagna per fare fortuna in pianura, ma desiderava ampliare i servizi dell'albergo per cui lavorava - e di cui un giorno forse sarebbe divenuto proprietario - avrebbe dovuto essere sollecitato a credere nei propri sogni. Nelle proprie vedute progressiste.

Da quel che aveva potuto capire, invece, i progetti del giovane venivano puntualmente rifiutati, e questo portava padre e figlio a continue liti, liti che spesso fuoriuscivano dalle pareti dello studio privato del titolare per finire sulle bocche dei dipendenti.

Dipendenti che, in tutta onestà, Jordan era quasi certo rimanessero per il bene di Anthony, non tanto per il posto sicuro offerto dall'albergo.

"Buongiorno, Jordan. Vedo che hanno già provveduto a servirti la colazione" esordì Anthony, ligio al patto stretto tra di loro.

Nessuna formalità, nessun tipo di sudditanza psicologica. Erano solo due uomini che amavano la stessa donna, pur se in modo diverso, perciò tra loro non poteva che esservi rispetto reciproco e reciproco appoggio.

"Buongiorno a te, Anthony. Sì, ed è tutto buonissimo... anche se credo che, quando arriverà Margareth, mi negherà i cornetti. Sai, troppo burro" ironizzò l'uomo, sorridendogli divertito.

Tony ammiccò comprensivo, annuendo. "Temo che, se tua moglie assomiglia anche solo vagamente a Gilda, quanto a carattere, i cornetti potrai davvero scordarteli."

Ridendo sommessamente, Jordan annuì complice, ammettendo: "Sì, temo che quelle due andranno dannatamente d'accordo... e tutto a discapito mio."

"Vedrò di trafugare un cornetto ogni tanto, quando mi sarà possibile" gli promise Anthony. "Sai quando arriverà?"

"L'aereo dovrebbe arrivare a Denver venerdì mattina, perciò mi aspetto di vederla arrivare entro mezzogiorno" gli spiegò Jordan, terminando il suo cappuccino prima di levarsi in piedi. "Ho ancora due giorni di libertà, in pratica."

"E' dura la vita di chi ha una donna forte al proprio fianco" chiosò Anthony, sorridendo divertito. "Cooper adora Gilda, e il loro matrimonio dura da quasi quarant’anni, ma le loro liti sono epiche, da queste parti. Hanno un matrimonio chiassoso, per dirla in maniera simpatica."

"Spero senza lanci di piatti."

"Niente guerra dei Roses" assentì Anthony, facendosi serio. "A volte penso che, se mia madre si fosse mostrata più di polso, non saremmo arrivati a vederla sparire da un giorno all'altro."

"Ci si deve nascere, con un carattere combattivo, ragazzo. Si può migliorare, ma una simile tenacia devi averla dentro" dichiarò Jordan, battendogli una mano sulla spalla.

Anthony annuì, si sistemò nervosamente lo spallotto dello zaino che portava sulla schiena e mormorò: "Scusa se ho tirato in ballo mia madre. Detta così, può sembrare mille cose, e non vorrei che tu pensassi che..."

"Se ti andrà di parlarmene, sarò qui ancora per un po'" si limitò a dire Jordan. "Ora, vado a prendere Cleopatra per una passeggiata. Visto che Emy l'ha lasciata a casa, è giusto che mi prenda cura io di lei."

Anthony assentì, lo ringraziò in un sussurro e poi si diresse a grandi passi verso il suo pick-up, pronto a unirsi ai volontari di quel giorno.

Jordan preferì non dirgli di occuparsi di Emily, e per più di un motivo. In primo luogo, perché Anthony lo avrebbe fatto in ogni caso.

Secondariamente perché, proprio come aveva detto il giovane poco prima, la donna che lui desiderava avere al fianco era forte e tenace, anche a dispetto del terribile trauma subito in gioventù. Se Emily avesse avuto bisogno di loro, lo avrebbe chiesto.

Non era necessario proteggerla come se fosse stata fatta di porcellana. Non lo era, né mai lo era stata.

***

I vari 'Mickey, dove sei?!' oppure i 'Mickey, esci fuori!' dei primi giorni erano stati sostituiti dal silenzio della foresta, il fruscio delle persone tra i cespugli e il sottobosco ricoperto di aghi di pino, il gracchiare frusciante delle radio e l'abbaiare sporadico dei cani.

Urlare il nome di Mickey era diventato superfluo. La cosa più importante era divenuta la ricerca di tracce - di qualsiasi tipo esse fossero - e l'attenzione ai particolari.

Ogni membro delle varie squadre inviate sul fronte della montagna che formava la zona di Eldora era spinto da due precetti; doveva prestare sguardo a qualsiasi cosa, e orecchio a qualsiasi rumore sospetto.

Accompagnati da almeno un membro dell'FBI, di un poliziotto cittadino o da uno dei venti militari volontari giunti da Denver, i membri civili si suddividevano in squadre di venti persone. Tramite i capi-gruppo, erano direttamente in contatto con il campo base, dove l'agente McCoy si coordinava con la polizia locale e con i membri del soccorso cinofilo inviati dalla Capitale.

Emily si era unita al gruppo di cui facevano parte anche Sherry e Jamie, mentre Rick, Parker e Anthony si erano ritrovati in un altro segmento di ricerca, più spostato verso est rispetto a loro.

Ormai da ore battevano quel frangente di montagna senza aver trovato nulla di interessante, a parte qualche rifiuto lasciato da persone incivili e alcuni pezzi di metallo probabilmente appartenuti a vecchi minatori del luogo. Di Mickey, nessuna traccia.

Sembrava quasi che la montagna lo avesse divorato in un sol boccone senza lasciare più alcun segno di lui. A volerla vedere in maniera fantasiosa.

Professionalmente parlando, invece, Sherry era giunta a pensare che, dietro a quella sparizione vi fosse qualcuno che, non solo conosceva il bambino, ma era anche al corrente di come fossero quelle montagne.

Dubitava fortemente che qualche cacciatore di infanti si fosse spinto così lontano per rapire un bambino qualunque, e ancor di più dubitava che Mickey fosse una vittima casuale.

Perché subito dopo la nascita della sorellina? Era un caso? Semplice sfortuna? O c'era un disegno specifico dietro alle tempistiche? E perché non erano stati in grado di trovare alcuna traccia?

Su internet, e nello specifico sul dark web, simili sparizioni finivano sul mercato nero della rivendita di bambini, perciò tenerne traccia era piuttosto semplice, se si sapeva dove cercare. Eppure, Sherry non aveva trovato traccia alcuna, e così pure l'FBI.

Ugualmente, i suoi contatti sul confine, di cui facevano parte anche spacciatori di materiale illegale - ma non droga, a quello non si era mai abbassata - le avevano confermato che non vi erano stati scambi di bambini, in quel periodo.

Dove cercare, quindi? Nella famiglia?

Sia Consuelo che Samuel appartenevano a famiglie tranquille, non ricche ma neppure indigenti, e non vi erano situazioni tensive che potessero far pensare a un litigio sfociato in rapimento. 

Dov'era, quindi, il bandolo della matassa?

***

Non una sola traccia. Non un solo appiglio per poter approdare a qualcosa di concreto, di anche soltanto lontanamente vicino a una prova.

Alla speranza di poter rivedere quanto prima Mickey.

Quando Emily gettò lo zaino contro il muro accanto alla porta d'entrata, stremata per le tante ore passate nel bosco alla ricerca di un qualche appiglio che le potesse regalare una scintilla di ottimismo, uno sbuffo infastidito scaturì dalle sue labbra.

Jamie, accanto a lei, afferrò dalle sue mani le chiavi pencolanti che danzavano dalla sua mano destra e, nell'aprire la porta d'entrata, mormorò: "Vai a fare una doccia. Sembri in procinto di crollare da un momento all'altro."

Lei sollevò lo sguardo per osservare il suo viso - egualmente stanco e provato, egualmente irritato e fiaccato dai fallimenti - e replicò: "Anche tu sei distrutto, credimi, e si vede. Ce la giochiamo, dai."

"Vai tu, davvero. Io posso..." cominciò col dire il fratello prima di bloccarsi quando udì suonare il cellulare di Emily.

Sorpresa al pari di Jamie, Emy lo estrasse in fretta dalla tasca laterale dei pantaloni da trekking e, nel vedere il numero di McCoy, si chiese curiosa perché la stesse chiamando. 

"Agente, buonasera. Cosa succede?" domandò la donna con tono interrogativo.

"Buonasera, Emily. Mi spiace disturbarla, ben sapendo la giornataccia appena passata, ma abbiamo un problemino all'entrata di Nederland, e la riguarda personalmente" esordì l'agente speciale, mettendola subito in allarme.

Accigliandosi, Emily replicò: "In che senso, scusi?"

Dopo alcuni secondi di imbarazzato silenzio, McCoy ammise preoccupato: "Ray Woodword è giunto qui una mezz'oretta fa e dice di aver bisogno di parlare con lei. Sapendo bene chi è, i miei agenti si sono ben guardati dall'accontentarlo, e ora si trova alla centrale di polizia, sotto stretta sorveglianza. Il punto è che Woodword è ufficialmente un uomo libero e non abbiamo motivi validi per trattenerlo, o impedirgli di avvicinarla, per cui..."

Deglutendo a fatica, Emily assentì pur sapendo che l'agente non poteva vederla e, dopo aver lanciando un'occhiata piena di desiderio alla propria abitazione - e alla doccia che la stava aspettando - sospirò e disse: "Scenderò in paese. Mi dia dieci minuti. Non ho paura di lui."

"Molto bene. E scusi ancora" chiuse la chiamata McCoy, lasciandola sola con quel nome che sapeva evocare ricordi spiacevoli, ma anche l'unico briciolo di umanità che l'aveva tenuta in vita in quei cinquantadue lunghissimi giorni di prigionia.

Jamie la guardò turbato e pieno di domande, ma lei si limitò a dire soltanto: "Ray è qui."

Non servì altro. 

Jamie si trasfigurò in volto, divenne pura rabbia e, forse senza neppure accorgersene, afferrò da terra uno dei bastoncini da trekking come a volerlo usare a mo' di clava.

Emily, a quel punto, gli sfiorò un braccio con la mano, facendo calare quell’arma improvvisata e tremante del fratello e, sorridendogli con tutto il coraggio che le riuscì di trovare, mormorò: "Va... va bene. Non ho mai avuto paura di lui."

"Ma che vuole proprio adesso?! Perché non ti lascia stare?!" sbraitò Jamie prima di rendersi conto di essere ancora all'esterno dell'abitazione, alla mercé delle orecchie di potenziali ficcanaso. Per quanto quella zona fosse isolata, da quando era stato rapito Mickey, i giornalisti spuntavano come margherite a ogni angolo di strada, e lui non voleva essere la causa di ulteriori problemi.

Guardandosi intorno turbato, si sollevò un poco nel non vedere auto nelle vicinanze, ma stette comunque attento ad abbassare il tono della voce.

"Non vorrai davvero andare da lui?" borbottò contrariato il giovane.

Scrollando le spalle, Emily asserì: "Jamie, Ray è un uomo libero. Ha scontato la sua pena e, a meno che non mi dia apertamente fastidio - cosa di cui dubito - polizia e FBI non possono impedirgli un approccio con me. L'agente speciale McCoy è stato fin troppo gentile a bloccarlo prima che si avvicinasse a casa mia, ma non può farlo trattenere in eterno."

"Fosse per me, avrei buttato la chiave" sbuffò il fratello, afferrandole gentilmente una mano per darle tutto il suo conforto.

Lei accennò un sorrisino, replicando: "Ray si portò dietro le mie pantofole perché non avessi freddo ai piedi. Mi dava sempre la cioccolata. Mi faceva ascoltare la musica. Non era cattivo. Solo... ingenuo. E ne ha pagato lo scotto."

"Quindi?"

"Andrò a sentire cosa vuole da me, ma..." iniziò col dire lei, sollevando la mano libera per bloccare sul nascere la sua arringa. "... tu e papà verrete con me. Non voglio che pensiate che io vi voglia escludere."

"Sarei venuto anche senza il tuo assenso" sottolineò Jamie, afferrando subito il cellulare per chiamare il padre.

"Lo so" ammiccò Emily, passandosi quindi le mani sul volto mentre il fratello avvertiva il padre di quell'ultima, imprevista novità.

Paradossalmente, però, Jordan Poitier non parve per nulla sorpreso dell'arrivo a Nederland di Ray e, quando Jamie chiuse la chiamata, guardò dubbioso la sorella e chiosò: "Ho idea che io e te non siamo al corrente di qualcosa."

Emy sbatté le palpebre più volte, di fronte a quell'uscita ma, non volendo procrastinare oltre quell'incontro, lasciò le domande a un secondo momento e corse in casa per cambiare almeno la camiciola e le scarpe. Il resto poteva anche aspettare.

Ciò fatto, inforcò la mountain bike al pari di Jamie e si lasciò scivolare verso il centro del paese, nella mente mille e più domande e ancor più sensazioni contrastanti a rivoltarle lo stomaco.

Non aveva davvero idea del perché Ray si fosse spinto fino a lì, né del perché desiderasse parlarle. D'altra parte, non aveva mai neppure compreso fino in fondo come, quell'uomo apparentemente così gentile e buono, si fosse lasciato invischiare dal fratello nel suo rapimento.

Quando, pochi minuti dopo, raggiunsero infine la stazione di polizia, lasciarono le biciclette nelle apposite rastrelliere e, sulla porta, trovarono un trafelato quanto turbato Jordan Poitier ad attenderli.

Il padre, vedendoli, si aprì in un sorriso cauto ed Emily, nel salutarlo con una pacca sul braccio, passò in testa al gruppo e fu la prima a entrare in centrale.

Lì, i presenti la salutarono cordialmente - sapevano che era amica dello sceriffo e, più in generale, a Nederland si conoscevano tutti - ma fu McCoy ad avvicinarla per darle il benvenuto.

Stringendo la mano callosa dell'uomo, Emy esordì dicendo: "Immagino che, nel frattempo, non siano sorte novità su Mickey."

"Purtroppo no" scosse il capo l'agente, scortandola poi verso il retro degli uffici.

Lì, nel corridoio, incrociarono anche lo sceriffo Meyerson che, dopo aver visto sia Jordan che Jamie, sorrise a Emily e disse: "Vedo che sei degnamente scortata, perciò non farò la parte del poliziotto cattivo."

"Credo non ce ne sarà bisogno. Ma grazie per il pensiero" gli sorrise Emily prima di mettere mano alla porta che la divideva da Ray.

Attraverso il vetro alto e stretto che lasciava intravedere l'interno, Emy vide un uomo sui quarantacinque - cinquant'anni dai capelli stempiati, leggermente ingrigiti e con una profonda lacerazione sul volto, ormai completamente rimarginata e vecchia di anni.

Il profilo sembrava infiacchito, quasi che un peso gravasse su quelle spalle innaturalmente ingobbite e, quando Emily entrò - lasciando che Jamie e il padre raggiungessero la vicina saletta da cui avrebbero potuto vederli attraverso il doppio vetro - si domandò per l'ultima volta come affrontarlo.

Fingendo noncuranza? Accusandolo? Mostrando una sicurezza che non provava?

Davvero non lo sapeva.

Quando, però, la porta si chiuse alle sue spalle, Ray levò lo sguardo a scrutarla e, per un attimo, Emily tornò a essere quella bambina di otto anni che era stata rinchiusa in una grotta, che era stata percossa da Cattivo e irrisa da Brutto, ma curata da Buono.

Pur tremando leggermente, Emily riuscì in qualche modo a raggiungere la sedia sistemata dinanzi al tavolo a cui era assiso Ray e, quando si accomodò - in modo un po' goffo, dovette ammettere - deglutì a fatica e domandò: "Ray... come mai qui?"

Lui, per contro, armeggiò con il leggero giubbotto di jeans liso che indossava, estrasse una barretta di cioccolato alle nocciole e gliela allungò titubante sul tavolo, mormorando: "E' ancora la tua preferita?"

Emily si morse il labbro inferiore mentre i suoi occhi registravano l’immagine di quella cioccolata in particolare, quest’ennesima bordata laterale che non si era aspettata. Aggrappandosi - quasi reggendosi - al tavolo con una mano, sfiorò con le dita libere la cartina patinata della barretta, le scritte enormi e che invogliavano a scartare l'involucro per mangiare ciò che era nascosto all'interno.

Accennando un vago sorriso, Emily annuì e la prese, scartandola per poi dare un morso e mormorare: "Uhm... ci voleva! E' tutto il giorno che mi inerpico su per i monti, e avevo fame."

Ray rabbrividì a quell'accenno e la donna, nell’abbassare la mano con la barretta, domandò finalmente: "Perché sei venuto, Ray? Davvero."

L'uomo, allora, reclinò il capo fino a poggiare la fronte sulla superficie liscia e metallica del tavolo e, tremando, mormorò: "Ti chiedo umile perdono per ciò che ti ho fatto. Avrei dovuto dire no. Avrei dovuto dire alla polizia dei piani di mio fratello, ma non lo feci."

"Perché?" chiese soltanto Emy, le mani ora strette attorno alla barretta.

Risollevandosi lentamente, gli occhi ora percorsi da un velo di lacrime di contrizione, lui ammise: "Perché ero pavido. Perché c'era stato sempre e solo lui, per me. Perché non conoscevo altra verità - o altra famiglia - che lui. Mi fidavo ciecamente, e lo feci anche quella volta. Non è una scusante. E' solo la pura, misera verità."

Ciò detto, si grattò nervosamente la nuca, proprio in corrispondenza del punto in cui lei lo aveva colpito con il secchio e, dubbiosa, gli chiese: "Cosa successe, quando scoprirono che ero fuggita? Se la presero con te, vero?"

Lui fece spallucce, come a voler sminuire quel particolare ma Emily non si diede per vinta e, adombrandosi, aggiunse: "Non sono una bambina, Ray. Non più. Cosa ti fecero, a causa mia?"

"Tu dovevi scappare, Emily. Non hai fatto niente di male" ci tenne a precisare Ray. "Avrei dovuto farti scappare io, ma ero pauroso e stupido. Sono contento che quel cacciatore ti abbia trovato."

"Ray" disse soltanto Emily, ma con un tono che non ammetteva repliche.

L'uomo, a quel punto, sospirò e ammise: "Mio fratello si infuriò di brutto, ma fu Vince a... beh, a…"

Emily levò entrambe le sopracciglia, piena di dubbi, e disse: "Quella cicatrice è posteriore al processo. Questo me lo ricordo. Quindi, cosa ti fece Cattivo?!"

Ray, preso alla sprovvista da quel nomignolo, la fissò dubbioso e confuso ed Emily, nonostante tutto, si aprì in un mezzo sorriso, scosse una mano per accantonare in fretta la faccenda e borbottò: "Vi chiamavo il Buono, il Brutto e il Cattivo, come nel film di Sergio Leone."

"Non credo che..." tentennò Ray, non sapendo bene che dire.

Emily, però, lo liquidò alla svelta e disse: "Tu eri il Buono. Punto. Tuo fratello, il Brutto... onestamente, non mi verrai a dire che era bello, no?"

A Ray sfuggì un risolino, risolino che fu accompagnato da un movimento innaturale delle spalle, come se il solo ridere gli procurasse dolore ed Emily, insospettendosi ancor di più, domandò: "Cosa ti fece, Cattivo? Tutta la verità, e niente di meno."

L'uomo, a quel punto, si volse a mezzo per sollevare giubbotto e maglia e, nel mostrare una pesante porzione di tessuto cicatriziale alla base della scapola, mormorò: "Successe tre mesi dopo la nostra incarcerazione. Vince non aveva preso bene il fatto che a me fosse stata comminata una pena inferiore, così decise di farmela pagare. La faccia fu un regalo di mio fratello, ma Vince tentò di mandarmi al Creatore, infilandomi uno spuntone appuntito nel polmone."

Emily assentì rigida mentre, dall'altoparlante, la voce di Jordan imponeva un 'adesso basta, Emy' alla figlia. Lei si volse a mezzo per scrutare lo specchio alle proprie spalle e Ray, scrutandolo a sua volta, domandò: "Tuo padre?"

"Sì, è qui" assentì lei.

"Bene, sono contento che tu non sia venuta da sola" mormorò Ray, soddisfatto. "Ha ragione lui, comunque. Non ha senso rivangare il passato. Io sono qui per chiuderlo."

"Per chiudere il mio, Ray, ho bisogno di sapere a quali conseguenze portò il mio gesto. Accontentami" replicò Emily prima di lanciare uno sguardo al vetro, sperando che suo padre comprendesse il suo bisogno di risposte.

Nessun altro consiglio venne dall'altoparlante e Ray, accettando per buono quel silenzio, sospirò e aggiunse: "Mi accoltellò sei volte... la pelle non tornò mai più la stessa. La lama era stata ottenuta limando un pezzo di plastica, perciò un'arma non convenzionale non molto adatta a tagliare... beh,... la carne."

"Immagino" assentì meccanicamente Emily.

"La lama risultò essere abbastanza forte da lacerare pelle e muscolo, ma le costole mi salvarono dal peggio. Essendo però un carcerato che, tra le altre cose, aveva rapito una bambina, non venni curato al meglio, per così dire, e non mi mandarono mai in chirurgia plastica, per cui si formò un tessuto cicatriziale piuttosto importante e che finì con il tirare la pelle e farmi ingobbire in avanti" si limitò a dire Ray, scrollando appena le spalle.

Emily sospirò nello scuotere il capo e, dopo aver dato un altro morso alla barretta, la scrutò dubbiosa prima di domandare: "Ma dove diavolo l'hai trovata? Sono anni che non ne vedo una."

Accennando un sorrisino, Ray ammise: "Ci ho messo tanto a venire anche per questo."

"L'hai... cercata?" esalò Emily, sorpresa. "Per me?"

"Con te ho un debito che durerà per tutta la vita" ammise affranto Ray. "Appena uscito di galera, tornai su quel monte per rivedere il luogo in cui ti avevamo tenuto, e rimasi scioccato. Presi a picconate l'entrata fino a renderla inagibile, quando mi accorsi che era diventato un ritrovo di... di..."

Emily gli venne incontro, mormorando debolmente: "Amanti del macabro?"

Lui assentì inorridito e, rabbrividendo nuovamente, ammise: "I ricordi che ho di quei luoghi sono tutti brutti, e non ce la facevo davvero a sopportare che qualcuno, invece, potesse provare piacere nell’andare proprio lì. Quella grotta non doveva più esistere."

Emily non aveva davvero idea che il luogo del suo rapimento fosse diventato, negli anni, una sorta di Mecca per coloro i quali amavano le storie macabre o i fatti di cronaca nera, ma non la stupiva più di tanto, e la lasciava fredda dentro.

Pensare che qualcuno potesse apprezzare un simile luogo unicamente per i motivi per cui era divenuto famoso, la disgustava, ma non poteva permettersi di perdere del tempo a rifletterci sopra. Doveva passare oltre anche a quello.

A stupirla, però, era Ray. Gli era parso davvero inorridito al solo pensiero di rimettere piede nel bosco dove si trovava la grotta della sua prigionia. A pensarci bene, inoltre, quando poco prima aveva accennato al suo impegno come volontaria, lui era rabbrividito istintivamente.

Inclinando il capo su un lato, Emily gli domandò perciò a bruciapelo: "Cattivo minacciò di buttarti nel crepaccio che c'è nel bosco? Quello a poca distanza dalla grotta? Mi ricordo che, durante l’udienza preliminare, accennò con divertimento al fatto che io fossi stata fortunata a non caderci dentro."

Ray sbatté le palpebre, pieno di meraviglia e terrore assieme e la giovane, sospirando, ammise: "Per quanto io possa credere che tu abbia voluto cancellare l'onta da me subita, dubito che questo ti abbia portato a provare paura di quei luoghi. Per questo mi è venuto in mente che, durante il processo, Cattivo vi aveva fatto accenno."

"Era... furioso" disse soltanto Ray, reclinando il viso e coprendosi il capo con mani tremanti, quasi a voler cancellare un ricordo terribile.

A Emily bastò. Lei stessa aveva mantenuto per ore e ore intere quella postura raccolta, tentando di cancellare i tremori dovuti alla paura, o a qualche sporadico ricordo comparso all’improvviso.

Ray era vivo e, se avesse voluto, si sarebbe rifatto una vita come uomo libero e, lei sperava, redento nel cuore e nell'anima. Quanto a lei, non aveva mai avuto alcuna animosità nei suoi confronti e, paradossalmente, quell'incontro l'aveva in qualche modo rasserenata. 

Rinvigorita.

"Se sei qui per avere il mio perdono, Ray, non c'è problema. Non ce l'ho mai avuta con te. Ma se vuoi sentirtelo dire a parole, lo farò. Ti perdono, Ray."

Sapeva, nel dirlo ad alta voce, di aver espresso solo la verità e che, dirlo di fronte all’unica persona che aveva dimostrato umanità nei suoi confronti, non faceva bene solo a Ray, ma anche a lei.

Ray era sempre stato buono. Sciocco e folle nel seguire suo fratello, questo sì, ma mai crudele. Mai malvagio.

L'uomo, allora, scoppiò in lacrime e, piegandosi su se stesso per nascondere agli occhi di Emily il viso ricoperto di vergogna, Ray mormorò sconfortato: "Non dovevo ascoltarlo... avrei dovuto capire che non era una cosa bella da farsi... ma non avevo che lui... che lui..."

Emily a quel punto si levò in piedi, annullò le distanze che li separavano e, per la prima volta dopo più di vent'anni, si avvicinò a Ray. Lo massaggiò delicatamente sulle spalle incurvate dagli spasmi nervosi, mormorò parole gentili per calmarlo e, quando infine il pianto ebbe termine, lo aiutò a risollevarsi e disse: "Vivi sereno, Ray. E stai lontano dai guai. Per me, va bene così."

Lui assentì più volte e, con un sorriso che le ricordò quello della grotta in cui avevano passato tanto tempo assieme, mormorò: "L'ho promesso anche a Sandra."

Ciò detto, e lasciandola nel più completo sconcerto, uscì quasi di corsa, come se le emozioni fin li provate fossero davvero troppe, e troppo forti, per sopportare ulteriormente che lei potesse guardarlo.

Emily uscì più lentamente dalla stanza degli interrogatori dove si era svolto il colloquio e, nel corridoio, trovò ad attenderla sia il padre che Jamie.

Jordan la abbracciò con cautela, ma lei accettò pienamente quella stretta, poggiando il capo contro il suo torace prima di dire: "Pensavo sarebbe successo chissà che cosa, e invece ero io quella forte, lì dentro. Avevo io il coltello dalla parte del manico. E' stato strano, ma ora sto molto meglio.”

“Sei stata bravissima, tesoro” mormorò contro i suoi capelli il padre, dandole più e più baci.

Lei si scostò con un risolino e domandò: “Perché ha accennato a Sandra, però?”

“Questo posso dirtelo io…” replicò il padre prima di guardare entrambi i figli e aggiungere. “… ma vorrei parlarvene a cena. Ce la fate, o è troppo?”

“Se la cena prevede pizza, rimarrò sveglia anche tutta la notte” promise Emily, tornando a posare lo sguardo nel punto in cui Ray se n’era andato.

Nella sua mano, non ancora ultimata, si trovava ancora la barretta che lui le aveva regalato e, con un ultimo morso, la terminò. Chiudendo, forse per sempre, ciò che di sospeso c’era sempre stato tra lei e Ray.


 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


 
17.
 
 
 

La pizza era davvero eccellente - o era la fame a parlare? - e, quando Emily ne ingollò anche l'ultimo pezzo, sospirò soddisfatta, sentendosi finalmente piena al punto giusto.

Dopo l’incontro con Ray, forse a causa della stanchezza pregressa, o forse grazie all’enorme macigno emotivo che si era potuta togliere dalle spalle, la fame l’aveva quasi divorata, spingendola a gettarsi sulla cena a piene mani.

Ora, sentendosi sazia, dolcemente stanca e pronta per le novità che il padre doveva riferire loro, domandò: "Ebbene? Vuoi parlarci di Sandra e Ray?"

Jordan assentì dopo aver sorseggiato un po' di birra e, intrecciate che ebbe le mani sul tavolo, disse: "Ray si è recato da Sandra, poco meno di un mese addietro. A detta di Sandra, per chiedere perdono e per rendersi disponibile ad aiutarla, se necessario. Da quel che le ha detto lui, Ray ha fatto un corso base da paramedico, in galera."

Sia Jamie che Emily fecero tanto d'occhi, a quella notizia e Jordan, con una scrollata di spalle, aggiunse: "Naturalmente, la cosa ha lasciato di stucco Sandra. Avendo partecipato al processo, e sapendo bene quanto Ray fosse diverso dal fratello e da Vince Rowe, non ha fatto fatica a credergli. Comunque, Ray le ha mostrato il diploma, giusto per sicurezza."

"Questo è davvero il colmo dei colmi" gracchiò Jamie, del tutto spiazzato da quella notizia.

"Sandra ha riferito a vostra madre che Ray sembra davvero intenzionato a cambiare e, tramite la Onlus che ha organizzato i corsi in carcere, pare deciso a offrire i suoi servigi ovunque servano, anche fuori dal Paese, se necessario" spiegò loro Jordan.

Scrollando le spalle, Emily ammise: "Probabilmente, se non avesse avuto un fratello come il suo, avrebbe fatto tutto questo già dall'inizio. Con me, ci sapeva fare. Ha sempre avuto un animo naturalmente buono. Ha avuto soltanto la sfortuna di avere al suo fianco un uomo crudele e, per parte sua, un carattere non abbastanza forte per gestire la situazione."

"Tu lo scusi, ma io molto meno. Era già bell'e che adulto, quando ti hanno rapita. Non era un bambino" sottolineò arcigno Jamie.

Emily allora gli sorrise nel dargli una pacca sulla spalla e, conciliante, replicò: "Vedi le cose in modo diverso, quando passi quello che ho passato io e, se mi fossi ricordata di questo molto tempo prima, probabilmente io e papà ci saremmo riconciliati anni fa."

Nel dirlo, sorrise spiacente al padre, aggiungendo: "Laggiù in quella grotta, imparai a gestire al meglio ciò che avevo e ciò che mi stava attorno. I vizi e le comodità non esistevano più, perciò dovetti adeguarmi alla svelta, per sopravvivere. Le sfumature divennero la mia quotidianità e, se mi fossi ricordata di questo anche dopo la mia fuga, avrei capito che anche tu, come me, ti eri dovuto piegare a cose che non ti erano piaciute, ma che eri stato obbligato ad accettare. Sono stata sciocca a non capirlo. La rabbia mi ha resa cieca e sorda e tu, volendomi bene, mi hai dato il tempo di sbollire e di arrivare da sola alla soluzione. Scusami se ci ho messo tanto."

Jordan, però, scosse il capo, si sollevò per raggiungerla e, nel poggiarle le mani sulle spalle, le depose un bacio sul capo e mormorò: "Non ti devi scusare. Pretesi che tu capissi senza spiegarti nulla... ma avevi solo otto anni! Il tuo coraggio nel fuggire e nell'affrontare l'intera situazione mi aveva sconvolto, facendomi perdere di vista questa grande, semplice verità. Eri una bambina, la mia piccola Emy, e ti dovevo delle spiegazioni che tu potessi capire."

"Ora sappiamo, comunque... e va bene così" sospirò Emily, lasciandosi andare per qualche attimo contro il padre.

Era così stanca! Tutta quella situazione la stava snervando e, pur avendo accanto persone a lei care e nuovi amici pronti a tutto per darle una mano, la sparizione di Mickey la stava logorando.

I demoni stavano tornando, assediandola ogni volta che chiudeva gli occhi, ed era sempre più difficile tenerli a bada, mantenerli oltre le sue mura difensive.

Presto o tardi, avrebbero sfondato i muri perimetrali e avrebbero assediato il suo castello, prendendola nuovamente in ostaggio.

Il punto era che non sapeva più cosa inventarsi per proteggersi; ogni tecnica di rilassamento, o antistress, era stata usata e scartata perché inefficace ma, per nulla al mondo, sarebbe tornata agli ansiolitici.

Che fare, dunque? Come difendersi dai ricordi?
 
***

“… e così, è venuto per parlarti?” domandò alla fine Anthony, tenendo il cellulare tra orecchio e spalla mentre, con le mani, sistemava le ultime cose nel suo zaino per il giorno successivo.

“Già” assentì Emily. “Avevo anche pensato di chiamarti, ma c’erano già papà e Jamie, con me, e non volevo dare l’impressione di essere così in ansia da chiamare anche il mio ragazzo.”

Anthony sorrise a quell’accenno. Da quando avevano ricominciato a frequentarsi, quella semplice parola aveva assunto tutto un altro significato, per lui.

Certo, parlare di ‘ragazzo e ragazza’ a trent’anni, suonava quasi ridicolo ma, paradossalmente, per loro era più che corretto. Grazie – o a causa – della temibile tabella creata da Parker per rimettere in sesto Emily, entrambi si stavano comportando come due perfetti e compiti ragazzini, tenuti d’occhio da un arcigno maestro.

Non che seguire i consigli dell’amico fosse un obbligo, ma Anthony non era così sciocco da non notare quanto, avere quelle disposizioni da seguire, facilitasse il compito a Emily. In qualche modo, la divertiva anche, pur se erano un po’ frenati negli approcci amorosi.

Il tutto, comunque, non aveva guastato il loro riavvicinamento, e quelle telefonate notturne erano un piacevole interludio prima di dedicarsi agli aggiornamenti di bilancio e, infine, al letto.

Sapere di Ray Woodword e della sua visita lo aveva un po’ spiazzato e, in parte, aveva anche desiderato essere coinvolto ma, ben sapendo quanto Emily avesse lavorato per diventare più forte e sicura di sé, aveva compreso.

Inoltre, non si era presentata in Centrale in completa solitudine, ma scortata da due valide spalle, perciò Anthony si era tranquillizzato subito, una volta messo al corrente dell’intera faccenda.

“Ti senti meglio, ora che hai potuto parlare con lui?” le domandò con tono roco, tranquillo.

“Ti sembrerà strano, ma sì. Mi sono sempre chiesta cosa gli fosse capitato, dopo la mia fuga, e questo tarlo era diventato così grande da rodermi il fegato. Mi spiace che sia stato ferito, e che abbia rischiato di morire a causa di Cattivo, ma sono felice che ora abbia la possibilità di ricominciare” gli spiegò lei, sdraiandosi sul letto mentre Cleopatra si stiracchiava sul suo enorme cuscino.

“E’ stata una catarsi per entrambi” chiosò Anthony.

“Credo di sì” ammise Emily. “Vorrei che tu fossi qui a coccolarmi, ma temo che Parker mi picchierebbe, se sapesse che voglio saltare ben due punti della sua lista.”

Anthony rise a quell’accenno, lanciando un’occhiata al foglio che teneva diligentemente sul comodino, e che ogni sera si rileggeva come un devoto credente. Non pensava sarebbe mai giunto a dirlo, ma era contento che Parker si fosse immischiato in quella faccenda perché, anche grazie a lui, aveva potuto riavvicinarsi a Emily.

Parker gli aveva dato le armi giuste per spezzare lo stallo che li aveva tenuti separati.

“Sì, immagino che non dovremmo deludere così il tuo personal trainer… però sono contento che tu lo stia pensando” mormorò Anthony, chiudendo lo zaino per poi afferrare meglio il cellulare. “E se io venissi a cantarti la serenata sotto la finestra?”

“Non sentirei niente. Sai che sono blindate” ironizzò Emily, facendolo ridere nuovamente.

“Giusto. Sherry ti ha ordinato finestre degne di un bunker, e Rick ti ha progettato una casa a prova di terza guerra mondiale” commentò divertito l’uomo.

Sorridendo dolcemente, Emily allora disse: “Sono contenta che si siano ritrovati, anche se il motivo per cui è accaduto è terribile. Spero davvero che possa nascere qualcosa, tra loro.”

“Ora vuoi rubare la scena a Parker? Vuoi fare anche tu la sensale?” ironizzò Anthony.

Lei rise, afferrò un pannetto per coprirsi fin sopra la testa e, in un sussurro, mormorò: “Non so… mi piace pensare a coppie che si riuniscono dopo mille vicissitudini, che sconfiggono il drago e poi possono dire ‘ti amo’ davanti a un bel tramonto.”

“Ti amo” disse lui con semplicità, ma sapendo di dirlo col cuore, l’anima e il corpo. “Anche se non c’è il tramonto.”

“Lo so. E ringrazio per ogni giorno che mi hai regalato, per ogni attimo che mi hai concesso, per ogni volta in cui ci sei stato per me. Da lontano e da vicino” mormorò lei, facendosi però tradire da uno sbadiglio. “E ora, prima di diventare troppo melensa, ti augurerò buonanotte. Ci vediamo domattina?”

“Certo. Ci sarò. Buonanotte.”

Nel chiudere la chiamata, Anthony sorrise nella semi-oscurità della sua stanza, sospirò e infine si diresse verso lo Studio. Purtroppo per lui, la sua giornata non era ancora finita.

Per poter fare il volontario di giorno, doveva procrastinare tutto alla notte, e le registrazioni non aspettavano nessuno. Sperò comunque di potersi liberare prima di mezzanotte. Anche lui aveva un disperato bisogno di dormire.
 
***

Guardando l'orologio del telefono per l'ennesima volta, Emily scosse il capo in direzione di Sherry e disse: "A quanto pare, non verrà. Si vede che è stato trattenuto."

"Non mi stupirei se suo padre si fosse impuntato" brontolò Jamie, afferrando lo zaino da terra per inforcarlo sulle spalle. "Hai provato a chiamarlo?"

"Non risponde. O il telefono è spento, oppure è senza batteria" sospirò Emily, rimettendo nella tasca dei pantaloni il cellulare per prepararsi a sua volta a partire. "Quando andrò a prendere Cleo da papà, proverò a vedere se riesco a trovarlo. Voglio capire se William gli ha dato dei problemi."

"Da brava fidanzatina quale sei, vuoi proteggere il tuo bello, eh?" celiò Jamie, dandogli di gomito.

Emily lo fissò malamente, borbottando: "E' inutile che cerchi di prendermi in giro."

"Dico solo che siete dolcissimi, voi due... mano nella mano, come i fidanzatini del secolo scorso... vi manca soltanto lo chaperon e siete a posto" ironizzò Jamie, dandole poi un buffetto sulla guancia a mo' di scuse per le sue burle.

Emily, allora, squadrò torva Parker, che camminava a poca distanza da loro, e puntualizzò: "E' il mio insegnante ad avermi detto che non sono ancora pronta per altro che quello! Non prendertela con me!"

Scoppiando a ridere, Parker allora replicò: "Ehi, tesoro! Tu mi prendi un po' troppo alla lettera!"

Sherry li fissò incuriosita al pari di Rick, che stava squadrando il fratello in attesa di spiegazioni e quest'ultimo, con una scrollata di spalle, ammise: "Sto aiutando Emy a perdere un po' di... idiosincrasie, okay? Sono molto bravo, sapete?"

Sherry scoppiò a ridere proprio mentre gli agenti davano il via a quella seconda spedizione nella zona di Eldora e, messasi in marcia assieme al resto dei suoi amici, esalò: "Rick, non sapevo che tuo fratello facesse il sensale, come secondo mestiere!"

"Lo scopro solo adesso" ammise Rick, sbattendo confuso le palpebre.

Emily, a quel punto, accelerò il passo per non essere oggetto di ulteriori burle e Jamie, ammiccando all'indirizzo di Parker, mormorò: "Teniamola sotto battuta ancora per un po'... la mancanza di Anthony si fa sentire, e non voglio che si agiti ulteriormente."

"D'accordo, compare" assentì Parker, allungando il passo per affiancarsi a Emily mentre Jamie lo imitava, continuando a punzecchiare la sorella.

Rimasti un po' discostati, Sherry e Rick si spostarono alla loro sinistra per coprire un ventaglio più ampio di boscaglia e, con un mezzo sorriso, la donna chiosò: "Sono contenta di vedere che Emy è circondata da così tante persone che le vogliono bene."

Rick assentì pensieroso. "Non mi sono mai voluto addentrare nel merito, visto che non è mio compito psicanalizzare una cliente, ma sapevo dei suoi trascorsi - il mio ex capo è un ficcanaso matricolato e, quando Emily aveva commissionato i lavori, Stuart non si era lasciato sfuggire la possibilità di fare del gossip in merito..."

A quell'accenno, Sherry fece una smorfia disgustata e Rick aggiunse: "... va detto che nessuno di noi, in ufficio, gli diede corda. Ma le orecchie le ho buone, perciò sentii cosa disse, e mi spiacque molto per lei. Anche per questo, ci misi tutto il mio impegno. Volevo costruire per Emily una casa il più possibile sicura e che le desse anche qualche soddisfazione. Inoltre, era il mio primo, vero incarico da solista, e ci tenevo a fare bella figura."

"L'idea delle vetrate blindate che guardano il lago fu magnifica" sottolineò a quel punto Sherry, vedendolo arrossire per diretta conseguenza. "Inoltre, mi ricordo bene quanto impegno ci mettesti, in cantiere. Non mancavi mai, e volevi che il tuo progetto fosse seguito scrupolosamente."

"Il suo..." tentennò Rick prima di correggersi di fronte alla sua occhiata divertita. "... il tuo intervento è stato di molto aiuto. Alcune cose sono state migliorate proprio grazie alla tua conoscenza riguardo agli impianti di sicurezza."

Accettando che Rick le scostasse un ramo - pur se era in grado di farlo da sola - Sherry si limitò a dire: "Cerco di dare il meglio di me stessa, nel mio lavoro... e anche con le persone. Per questo volevo che Emily avesse il top di gamma."

A quell'accenno, Rick infilò nervosamente le mani nelle tasche dei pantaloni per impedire loro di tremare e, reclinando colpevole il capo, borbottò: "In merito a quello che dai alle persone... Parker mi ha fatto notare che forse, con te, sono stato un tantino prevenuto, e volevo scusarmi."

Sherry si volse a mezzo per fissarlo e, bloccando a metà la sua avanzata, sorrise divertita e replicò: "Ingegner Richard Jones, non voglio da te scuse o quant'altro. Voglio che tu creda a quello che ti dico, o a quello che faccio, senza vederci ombre o tranelli."

Rick rabbrividì nel sentire il suo nome per esteso e, riprendendo a camminare a qualche metro di distanza dalla donna - dopotutto, non erano lì per una scampagnata, ma per trovare delle eventuali tracce di Mickey Larson - asserì: "Quando sento il mio nome di battesimo, ho sempre il terrore di veder comparire mia madre con il mattarello in mano."

Sherry ghignò divertita e domandò: "Quant'è lungo, questo mattarello?"

"Più di un metro" sottolineò lui, accennando un'occhiata furba che fece ridere la donna.

"Oh,... allora ne avrei paura anch'io" ammise lei prima di aggiungere più seriamente: "Non ti baciai per prenderti in giro, ma perché desiderai farlo. Solo ora capisco che tu potessi anche non aspettartelo, e che la cosa ti abbia lasciato un po'... confuso. Di questo, mi spiace molto."

Rick rimase in silenzio per qualche istante prima di mormorare: "Non so cosa vi siate detti, tu e Parker, ma... grazie. Non delle scuse, perché non devi scusarti di niente, ma per aver detto che desideravi baciarmi."

"Lo voglio ancora" precisò lei, vedendolo arrossire un poco a quell'accenno.

"Beh... grazie" mormorò ancora lui per poi guardarsi intorno, annullare con due rapide falcate la distanza che li separava e, senza alcun preavviso, chinarsi su di lei per darle un bacio rapido ma deciso sulle labbra.

L'attimo seguente, si discostò per tornare al suo posto, un bel sorriso sul volto imbarazzato e Sherry, sbattendo le palpebre con aria sorpresa, si sfiorò la bocca con la punta delle dita di una mano e sussurrò: "Ingegner Jones... lei mi sorprende sempre."

Rick accentuò il proprio sorriso ma, prima ancora di poter commentare in merito, raggelò nel momento stesso in cui udì il grido terrorizzato e pieno di sorpresa di Emily Poitier.
 
***

Emy era lieta che Rick e Sherry stessero dialogando così amabilmente tra loro. In fondo ci aveva sperato, quando aveva saputo da Parker che il fratello sarebbe giunto a Nederland proprio dopo essere venuto a conoscenza della presenza dell’amica.

Quella cosa - perché non sapeva in che altro modo chiamarla - tra Rick e Sherry era rimasta in sospeso da quando i lavori alla sua casa erano terminati e, in quei cinque anni, l'amica non si era più sentita con il baldo ed educato ingegnere.

Ad avvalorare i suoi dubbi, durante le loro lunghe chiacchierate notturne, Sherry era tornata sull'argomento ben poche volte, schivando come un’abile dribblatrice le sue domande indirette o i suoi commenti niente affatto involontari.

Tutto ciò le era parso strano, oltre che sospetto. Quello scantonare di proposito l'argomento 'Rick Jones' le era sembrato un campanello d'allarme. Più che un forte disinteresse per l’uomo in questione, Sherry le aveva dato invece l’impressione di esserne rimasta davvero colpita, pur se ben decisa a non approfondire l’argomento.

Vederli assieme al cantiere, parlare per ore e ore di fronte a una birra, mentre i lavori avanzavano di buona lena, aveva fatto pensare alla giovane che l'amica avesse finalmente trovato l'uomo adatto a lei. Invece, tutto era finito in una bolla di sapone, ed Emy non aveva mai saputo il perché.

Non aveva però saputo aiutare l’amica che, a suo tempo, era riuscita a regalarle i primi spiragli di luce in una vita altrimenti costellata di ombre e paure.

Conosciutala all’università - anche se si erano frequentate solo per due semestri – Sherry era stata un autentico toccasana, per Emily. Vederla così forte e sicura di sé, oltre che assai propensa a prenderla sotto la sua ala, l'aveva fatta sentire protetta come, in ben poche altre occasioni, si era sentita.

Quell'anno era stato speciale, per Emily, e aveva potuto seguire i corsi alla Columbia con pochissimi pensieri a turbarla. A proteggerla, dopotutto, aveva avuto Sherry, con il suo carattere indomito, la sua capacità di tacitare anche il più riottoso tra gli uomini e la volontà assoluta di darle ciò che il rapimento le aveva tolto; sicurezza.

Pur non avendo terminato assieme gli studi, Emily era rimasta in contatto con Sherry anche dopo la loro separazione in ambito scolastico. Assieme, infatti, avevano intrapreso un intenso programma extra-universitario basato unicamente sull'autodifesa, sulla meditazione e sulle armi da fuoco.

Esattamente in quell'ordine.

Sherry era infatti convinta da sempre che, prima di qualsiasi altra cosa, ogni donna o uomo di questo mondo, dovesse sapersi difendere con le proprie mani. In second’ordine, dovesse tenere a bada la propria testa e i propri istinti e, solo come extrema ratio, utilizzare le armi da fuoco, di qualsiasi ordine o genere esse fossero.

Questo le aveva avvicinate ulteriormente come donne e come amiche, facendole così scoprire il passato non certo roseo di Sherry, i precedenti per droga e alcool della madre, il progressivo allontanamento del padre e la forte unione con suo fratello Gin. 

In questo ultimo, potente sentimento, Emily si era rivista molto, amando come amava il suo Jamie, ed essendo a sua volta riamata dal fratello.

La sua amicizia con Sherry le aveva anche permesso di acquisire la forza necessaria per compiere il grande passo, la sua fuga da casa in grande stile, il balzo nel vuoto che avrebbe voluto dire, per lei, l'inizio di una nuova vita.

Trovare Nederland e affidarsi a Rick Jones - che aveva conquistato subito le sue simpatie, così come il suo capo aveva incontrato le sue immediate antipatie - era venuto come diretta conseguenza.

E ora si trovava di nuovo in un bosco, con i suoi demoni a farle compagnia, alla ricerca di una persona scomparsa. Stavolta non era lei il Nord verso cui puntare l’ago della bussola, eppure non riusciva ad allontanarsi dai propri ricordi, dalle proprie...

Emily non riuscì mai a completare quell'ultimo pensiero.

Nello scostare un cespuglio, distratta dal cicaleggio allegro di Sherry e Rick così come dai suoi dolenti ricordi riguardanti il rapimento, non fece attenzione a dove mise i piedi.

Traditrici, vecchie assi di legno cedettero sotto il suo peso facendole letteralmente mancare la terra sotto i piedi.

Senza più niente a sostenerla, il suo corpo scivolò verso il basso, urtando le umide pareti di una voragine apertasi sotto di lei e che, senza alcuna pietà, la stava portando sempre più nell’oscurità.

Mentre l'abisso la inghiottiva, il suo grido si levò alto, rassomigliando terribilmente alla voce della bambina che, a otto anni, era stata rapita e condotta in un'umida grotta degli Adirondak.
 
***

Jamie fu il primo ad accorrere nei pressi dell'apertura del cunicolo che aveva inghiottito Emily e, urlando il nome della sorella a squarciagola, si affacciò fin quasi a rischiare di cadere a sua volta.

Parker fu lesto a trattenerlo per un braccio e, imprecando a gran voce, sbraitò: "Qui servono delle corde e una torcia! Presto! Jamie, stai indietro, maledizione!"

Vi fu un po' di parapiglia, tra i volontari presenti e, mentre anche Sherry e Rick sopraggiungevano all'imbocco del cunicolo, Parker borbottò imprecazioni tra i denti a più riprese mentre tentava di trattenere un isterico Jamie.

"Questo è un maledetto condotto dell'aria di una vecchia miniera... potrei giocarmi quello che volete" brontolò il geologo, fissando il fratello di Emily prima di osservare indignato i resti delle assi ormai marce e rimaste sul bordo dell'apertura. "Come ha fatto a non vederle?!"

In quel mentre, prima che qualcuno potesse rispondere alla sua domanda, l'agente dell'FBI a capo della loro squadra si avvicinò con aria accigliata e, turbato, disse: "Con noi non abbiamo nulla di adatto a un simile recupero. Mando due dei ragazzi al campo base per reperire il necessario. Siete riusciti a contattarla?"

Jamie si liberò della stretta di Parker, lo guardò come per dirgli che stava bene dopodiché disse: "Corro io al campo. Voi rimanete con lei."

Tutti assentirono - Jamie era un atleta semiprofessionista di sky running, perciò per lui correre su e giù per un monte era un gioco da ragazzi - e Sherry, nel vederlo involarsi verso valle, tornò a guardare il cunicolo e disse: "Vado da lei. Non può rimanere da sola in quell'oscurità."

Immediatamente, l'agente dell'FBI scosse il capo per negarle quella possibilità mentre Parker si offriva di sostituirla, ma Sherry li frizzò entrambi con lo sguardo e replicò gelida: “Siete idioti, forse? Una vittima di rapimento non può e non deve rimanere sola, in simili frangenti, né può venire avvicinata da un uomo. Posso andare solo io.”

Prima di muoversi, però, guardo un preoccupatissimo Rick e aggiunse: "Cercate Anthony. A qualsiasi costo. Mi servirà lui e soltanto lui, quando l'avremo tirata fuori. D’accordo?"

Rick assentì nervosamente e, nello sfiorarle una mano con la propria, mormorò: "Farai attenzione, vero."

Non fu una domanda, quanto piuttosto un’affermazione, e Sherry sorrise nell’annuire.

"Sempre" mormorò la donna, infilando poi le gambe nell'apertura - poco più larga di un metro - per lasciarsi cadere di sotto.

Non le importò minimamente di farsi male, di rompersi una gamba o altro. Doveva raggiungere Emily, e l'avrebbe fatto. La terrorizzava il fatto che non avesse risposto ai loro accorati richiami, e già temeva di non poter fare più nulla per lei.

Fortunatamente, il condotto si rivelò essere in leggera pendenza e, perciò, meno pericoloso di quanto avesse temuto in principio. Quando finalmente raggiunse il fondo, mormorò con tono lieve: "Emily... stai bene? Sono io, Sherry."

Nessuno rispose al suo appello e, per alcuni terribili istanti, Sherry temette che l'amica potesse essersi ferita mortalmente nella caduta. Immediatamente, perciò, afferrò il telefonino che portava nella tasca laterale dei pantaloni e, accesa la torcia, sobbalzò nel vedere Emily raggomitolata a terra, tremante e con le mani strette sul capo.

Gli occhi, sgranati e vitrei, erano immobili e sembravano non vederla. Dopo un attimo, Sherry comprese perché.

Dalle labbra dell'amica, incessanti come una cascata, fuoriuscivano parole su parole, sconclusionate e senza senso, con una voce stridula e roca, quasi fosse stata quella di una bambina spaventata.

Mordendosi un labbro per non piangere di rabbia e frustrazione - non era davvero il momento di crollare! - Sherry le si inginocchiò accanto, poggiò a terra il cellulare perché emettesse un chiarore tale da sconfiggere l'oscurità di quel luogo e, sfiorandole una spalla, mormorò: "Tesoro... sono Sherry. Mi riconosci?"

Lei, per tutta risposta, si scostò terrorizzata e replicò con tono stridulo: "Non farmi male. Sei cattivo! Cattivo!"

"Dio, Emy..." mormorò la donna, ritentando con tono sempre affabile. "Non sei più prigioniera, tesoro... ti sei liberata anni fa. Sei solo caduta nel posto più sbagliato della Terra, ma non sei più in gabbia."

"C'è Cattivo..." iniziò a piangere Emily, scuotendo con violenza il capo. "... Cattivo mi toccherà ancora, e io non voglio. Non voglio."

Sherry sgranò gli occhi per l'orrore, di fronte al potenziale significato di quelle parole e, con la memoria, cercò di tornare ai momenti in cui l'amica le aveva parlato del suo rapimento.

Mai, però, Emily aveva accennato a qualcosa di più di maltrattamenti legati a percosse o spintoni. Era davvero possibile che qualcuno dei rapitori si fosse spinto oltre, e che quella situazione di pericolo le avesse fatto riaffiorare terribili e mai dimenticati ricordi?

Agendo d'impulso, ben decisa a strapparla a quel loop infernale, Sherry la strinse a sé, premendo volutamente il proprio corpo voluttuoso contro quello di Emy perché si rendesse conto, almeno fisicamente, di avere accanto una donna.

Mormorando dolci parole contro il suo orecchio, la pregò di ascoltarla.

"Tesoro, riprenditi. Sono Sherry... Sherry. La tua amica."

Quell'abbraccio improvviso fece dapprima rabbrividire Emily, dopodiché i suoi nervi la spinsero a reagire tentando una nuova fuga, ma Sherry vi si oppose, continuando a mormorarle incessantemente all'orecchio perché la riconoscesse.

Solo dopo molti minuti di quel tira e molla senza soluzione di continuità, Emily finalmente parve riemergere dal suo incubo a occhi aperti e, poggiate le mani sulla schiena di Sherry, esalò turbata: "Sherry... ma dove siamo finite?"

"Siamo ruzzolate in un bel condotto d'aerazione di una vecchia miniera, a quanto pare. Proprio il luogo ideale per un bel tète-à-tète. Peccato, perché  avrei voluto farmi palpeggiare da Rick, e non da te" ironizzò Sherry, cercando così di strapparla definitivamente al suo stato di trance.

Lei si lasciò sfuggire una risatina sgangherata e, stringendola maggiormente, replicò: "E io che pensavo di piacerti."

"Non in quel senso, tesoro. Anche se non ho mai provato, onestamente" ribatté Sherry massaggiandole con forza la schiena perché si scaldasse e smettesse di tremare. "Hai preso un bello spavento, eh?"

"Ero distratta, e non ho visto dove mettevo i piedi. Sono stata davvero un’idiota. E dire che lo so che bisogna sempre guardare dove si mettono i piedi" mormorò dolente Emily, affondando il viso nell'incavo della spalla dell'amica.

Tutto quel buio, pur se mitigato dalla luce prodotta dal cellulare di Sherry, le metteva una paura del diavolo e non era certa sarebbe riuscita a controllarsi ancora per molto. Avrebbe potuto cadere in un nuovo incubo a occhi aperti da un momento all’altro.

"Capisco che Anthony ti manchi, quando non sei con lui, ma vediamo di mettere i piedi uno davanti all'altro, okay?" sorrise divertita Sherry, continuando a cullarla contro di sé.

Dalla cima del cunicolo, voci sempre più concitate dissero a Sherry che i rinforzi stavano arrivando. Sperò davvero che, assieme a loro, qualcuno avesse portato anche Anthony perché aveva il timore che, presto o tardi, quella crisi sarebbe sfociata in una nuova esplosione di ricordi.

Per il momento, Emily era abbastanza tranquilla perché si era accanto a lei ma, nell'attimo stesso in cui si fosse trovata nuovamente all'esterno, aggredita dai sensi e dalle voci - giustamente preoccupate - dei volontari e dei suoi amici, probabilmente sarebbe crollata.

"Per la verità, mi sono distratta pensando a te e Rick" sottolineò per contro Emily, strappando Sherry ai suoi pensieri.

"Oh, ma davvero? E a cosa pensavi? A come farmi distrarre dal mio bell'uomo del sud? Per questo hai deciso di fare Bear Grills?" ironizzò Sherry, dandole una scrollatina.

Emily sorrise appena, il viso sempre premuto contro l'amica e gli occhi saldamente chiusi, e ammise: "Pensavo a quanto ti fossi grata di essere mia amica, e quanto fosse bello che una persona come Rick ti avesse notata... e così ho messo un piede in fallo."

"Cara mia, pensare all'amore ti fa perdere la testa, a quanto pare. Dovrò sgridare Anthony. Ti ha ridotta a un colabrodo, con i suoi sorrisi" ironizzò a quel punto Sherry mentre, dalla cima del cunicolo, Parker urlò loro di prepararsi a salire.

A quel punto, con un leggero sprone, Sherry fece rialzare Emily sempre tenendola contro di sé, ben al sicuro dall'oscurità di quel tratto di galleria e, nel notare la sua leggera zoppia, disse: "A quanto pare, qualcuno si è fatto male, cadendo."

"Credo di essermi slogata la caviglia, ma non posso esserne sicura" ammise Emily, arrischiandosi a scostare il viso per aprire gli occhi.

Nel notare la debole luminescenza prodotta dal cellulare di Sherry, ancora a terra, emise un tremulo sospiro di sollievo e, roca, mormorò: "Grazie per aver acceso la luce."

"Se non fossi andata nel panico, ti saresti ricordata che anche tu hai un cellulare nella tasca" le sorrise per contro Sherry. "Stavolta ti perdono, comunque. E ora, fatti imbragare. I ragazzoni lassù ti tireranno fuori."

Emily lanciò uno sguardo in direzione dell'imbracatura che si trovava sul fondo del cunicolo e, turbata, domandò: "E tu?"

"Arriverò subito dopo di te" le promise Sherry.

Emily, però, scrutò terrorizzata l'oscurità che sembrava voler fagocitare il piccolo cellulare che, solitario, lottava contro di essa e, strette le mani sulle braccia dell'amica, esalò: "Non... non voglio lasciarti qui da sola!"

"Vai. Io starò bene. Si tratterà solo di un paio di minuti" le promise lei, aiutandola a imbracarsi prima di lanciare uno strillo perché la sollevassero.

Emily la scrutò per tutto il tempo, una mano protesa verso di lei come se non volesse abbandonarla e Sherry, pur non avendo mai avuto paura del buio, tremò non appena la vide scomparire nel cunicolo.

In fretta, tornò a riprendere il cellulare per tenerselo ben stretto e, per la prima volta da quando era stata messa al corrente del passato di Emily, iniziò a comprendere cosa avesse voluto dire, per lei, rimanere imprigionata al buio per così tanti giorni.

"Cinquantadue giorni di questa oscurità..." mormorò Sherry, guardandosi intorno e puntando ogni dove la torcia del suo cellulare, quasi a voler esorcizzare i mostri che potevano annidarsi in quell'oblio senza fine. "...non fa specie che ne sia terrorizzata."

Specialmente se, come temeva, ciò che l'aveva tanto spaventata in gioventù, non era stato solo il buio.
 
***
 
Già pronto a uscire per un’ennesima giornata passata nei boschi alla ricerca di Mickey, Anthony si vide sbarrare la strada dal padre che, livido in volto, gli strappò dalla mano lo zaino e lo gettò a terra, sbottando poi irritato: "Adesso basta! Ci sono già anche troppe persone che stanno cercando quel ragazzino, e non c'è davvero bisogno che tu sprechi tempo ulteriore dietro a questa faccenda! Devi lavorare, non andartene in giro per i boschi!"

Anthony fu sul punto di rispondergli a male parole, ma la presenza di alcuni dipendenti, a poca distanza da loro, lo costrinse a trattenere le parole che gli erano salite in gola per rabberciarlo.

Trascinatolo perciò con sé all'interno delle proprie stanze - da cui aveva tentato invano di uscire - Anthony si chiuse la porta alle spalle e sibilò: "Ti diverti molto a fare queste scenate di fronte alle cameriere? O proprio non ci pensi che loro potrebbero sentirti?!"

"Le pago anche per farsi gli affari loro!" ringhiò per contro William, fissandolo arcigno. "Tu non uscirai, oggi. Punto e basta. Ti devo ricordare che, qui dentro, sei ancora stipendiato da me? Non puoi fare quello che vuoi solo perché sei mio figlio e io, di certo, non ti pago per andare a bighellonare in giro!"

"C'è bisogno di tutti, per ritrovare Mickey, non lo capisci?!" sbottò a quel punto Anthony, falciando l'aria con un braccio per dare più enfasi alle sue parole.

William, però, non rimase per nulla impressionato dal suo sfogo di rabbia e, imperturbabile, replicò: "Se preferisci, posso sempre licenziarti e buttarti fuori di casa. In fondo te lo meriteresti anche, visto che non sei stato neppure capace di tenerti stretto quell'insulsa ereditiera di New York. Ci voleva tanto? Non mi piace tenere degli inetti al mio servizio."

Anthony non ci vide più.

Lo spinse di lato per uscire dalla sua stanza ma, prima di afferrare la maniglia, lo guardò con furore cieco negli occhi e ringhiò: "Non osare mai più parlare male di Emily, ...E' CHIARO?! E cacciami pure, se vuoi! Ne ho abbastanza di te e dei tuoi soprusi! Vuoi far fallire questo posto?! Fai pure! A quanto pare, non hai a cuore più nulla di ciò che è tuo, perciò fai fare la fine che preferisci all’albergo che era stato dei nonni. Io non starò qui a guardarti le spalle!"

William rimase fermo e silente, di fronte a quel figlio che sembrò non riconoscere e Anthony, ormai privo di qualsiasi volontà di proseguire il loro confronto, se ne andò sbattendo la porta.

Ciò fatto, prese il pick-up ma, invece di dirigersi verso Eldora, prese in direzione opposta, ben deciso a smaltire la rabbia prima di unirsi ai volontari. Non sarebbe stato utile a nessuno, in quelle condizioni, e non voleva che Emily si preoccupasse per lui.

Ormai, i giochi erano fatti e lui non voleva più darsi pena per il padre. Era stanco, disgustato e ferito ma, più di tutto, non sopportava più di tacere, di fronte a quell'uomo che il destino gli aveva lasciato in dote come padre.

Aveva sprecato anni interi, dietro all’uomo che aveva sempre dovuto chiamare papà, e per cosa? Avrebbe potuto essere felice, farsi una sua vita, una sua famiglia e, pur se ora sapeva che Consuelo non avrebbe mai potuto essere la donna della sua vita, il padre aveva cospirato per rovinare il loro rapporto fin dall’inizio.

Era stanco di permettergli di distruggergli la vita e, da quel momento in poi, non gliene avrebbe più dato la possibilità.





N.d.A.: Se per Rick e Sherry la strada sembra spianata, per Anthony i guai in famiglia stanno peggiorando a vista d'occhio e, dopo quest'ultima sfuriata, non è dato sapere come William si comporterà col figlio. Nel frattempo, Emily viene sommersa da ricordi orrendi che sperava di aver cancellato e, quando Sherry se ne rende conto, sa che del passato dell'amica c'è ancora qualcosa di cui è all'oscuro. Qualcosa che, forse, spiegherebbe ogni suo comportamento, ogni sua idiosincrasia.
Vi lascio col dubbio fino alla prossima settimana... a presto!


 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***



 
 
18.
 
 
Gennaio 1992 – Nederland
 

Anthony se ne stava come suo solito sotto uno dei tavoli del salone dell’albergo, ben nascosto dalla lunga tovaglia bianca stesa sulla superficie ovale in legno.

Ancora una volta, suo padre e sua madre avevano iniziato a discutere quando quest’ultima era rientrata tardi dopo una cena con le amiche.

Il padre le aveva detto cose talmente brutali e volgari che, inorridito e spaventato, Anthony era uscito di soppiatto dall’appartamento di fianco all’albergo per non ascoltare oltre la voce infuriata del genitore.

Nascostosi nel suo posto preferito, quindi, aveva iniziato a contare fino a cento e ritorno, sperando così di scacciare dalla mente le urla del padre e le parole velenose della madre.

Andava avanti così da anni, per quel che poteva ricordare.

Non rammentava un solo compleanno passato assieme a tutti e due contemporaneamente e, il più delle volte, erano stati i nonni a soffiare le candeline sulla torta assieme a lui.

Non di rado aveva chiesto spiegazioni a entrambi i genitori ma, se dal padre aveva ricevuto unicamente imprecazioni in risposta e imperativi a tacere, la madre si era limitata a piangere e a rintanarsi in camera sua.

Anche chiedendo ai nonni paterni, non aveva scoperto molto di più. La nonna si era premurata di ricordargli che entrambi i genitori lo amavano – era nato poco dopo il loro matrimonio, dopotutto – e che la guerra del Vietnam, oltre ai dissidi violenti con la famiglia di Marlene, erano stai i veri colpevoli dell’umor nero di sua madre e suo padre.

Naturalmente, Anthony sapeva che i suoi nonni materni mal lo sopportavano. Li aveva sentiti più di una volta accusare la figlia di essersi data a un uomo depravato e senza morale – non capendo, in realtà, cosa avessero voluto dire – e, per tutta risposta, lei li aveva cacciati senza permettere loro di conoscerlo.

Lui non si era mai arrischiato ad andare da loro di nascosto, memore di quante botte avesse ricevuto da suo padre quando, una volta, era andato da un amico senza dirgli nulla.

Quella volta, suo padre si era davvero infuriato, rabberciandolo in malo modo e ricordandogli per l’ennesima volta che, in casa sua, era l’unico a poter prendere decisioni. Di qualsiasi tipo.

Anche, per l’appunto, andare da un amico con la sua bicicletta.

Anthony non aveva più commesso quell’errore ma, sempre più spesso, si era rintanato all’interno dell’hotel dei nonni, unico posto che gli fosse permesso visitare senza previa richiesta al padre.

Il nonno lo aveva trovato spesso nel salone, intento a giocherellare con le sue macchinine, e sempre sotto il tavolo d’angolo di quell’enorme stanza dai fregi rococò.

Non fu diverso neppure quella notte.

Armato di torcia elettrica, Darren Consworth avanzò cauto nel salone, indirizzando il fascio di luce a destra e a manca prima di scorgere l’ombra famigliare del nipote sotto il solito tavolo d’angolo.

Nel sollevare la tovaglia, perciò, gli sorrise pieno di preoccupazione ma, nel notare la mancanza di lividi visibili, si tranquillizzò un poco. Il bambino non era stato ferito.

“Allora, ragazzo… giochiamo ancora a nascondino?”

“Più o meno” brontolò Anthony, sgusciando da sotto la tovaglia dopo un’ultima occhiata al suo nascondiglio preferito.

Darren, allora, si adombrò in viso e domandò: “Stanno litigando?”

“Ancora” sbuffò il bambino, annuendo con vigore. “Papà ha detto alla mamma che è una…”

Tentennando, guardò dubbioso il nonno e borbottò: “Sì, insomma, quella parola con la ‘p’ che io non devo dire.”

Darren sospirò esasperato, avvolse le spalle del bambino con un braccio e lo portò con tutta calma al piano superiore e, da lì, nell’ala dell’albergo dove risiedeva con la moglie. Raggiunto l’appartamentino, lo fece accomodare al tavolo della cucina per una cioccolata calda dopodiché, messosi ai fornelli, gli domandò: “Cos’è successo, stavolta?”

“La mamma non si reggeva in piedi, credo. L’ho vista col viso rosso e, da come si teneva alla colonna del salotto, non sembrava stare molto bene” gli spiegò il nipote.

Julie fece il suo ingresso in cucina in quel momento e, nel vedere il nipote, gli sorrise dolcemente e lo abbracciò da dietro, carezzandogli gentilmente il capo per poi baciarglielo.

Lui le sorrise amorevole e disse: “Ciao, nonna.”

“Sei andato a giocare a nascondino nell’albergo, caro?” domandò Julie, già subodorando problemi a casa.

Il bambino assentì e Julie, nel lanciare un’occhiata all’indirizzo del marito, sospirò leggermente prima di accomodarsi accanto ad Anthony. Presolo poi in braccio, lo cullò contro di sé e gli domandò: “Sai che non ti vorremo sempre bene, vero?”

“Certo. Tu e il nonno siete i migliori. Neppure Walter ha dei nonni così bravi” sorrise lui, parlando del suo migliore amico a scuola.

Walter Collins era figlio del proprietario della pompa di benzina che si trovava all’uscita di Nederland e, spesso e volentieri, lui si era recato a casa sua – dietro permesso paterno – per giocare. La sua famiglia gli piaceva, soprattutto perché la sua mamma faceva una crostata di frutta deliziosa, e gliene regalava sempre un pezzo, prima di tornare dai suoi.

Julie sorrise al nipote ma, quando udì il motore di un’auto prendere vita dabbasso, immaginò che il figlio si stesse allontanando da casa. Forse, per sbollire la rabbia.
Sospirando, Darren consegnò la cioccolata calda al nipote e, nel carezzargli il viso, disse: “Stanotte dormirai da noi, così il papà e la mamma parleranno con calma.”

“Perché litigano sempre, nonno?” domandò turbato Anthony. “Non si vogliono bene come voi?”

“Tutte le coppie litigano, ogni tanto. Ma ricorda solo questo. Loro ti vogliono un mondo di bene” lo rassicurò Darren, pur non essendo sicuro di stare dicendo la verità.

Da quando Marlene aveva avuto Anthony, il suo carattere già fragile e suggestionabile era peggiorato col passare del tempo e, della donna sorridente e dolce di un tempo, si erano ormai perse le tracce.

Nel corso degli anni aveva sviluppato una freddezza sempre maggiore nei confronti del marito e, pur se questa non si era estesa al figlio, non era però stata in grado di essere una valida spalla per il piccolo Anthony.

Il bambino, infatti, era stato vessato sempre più dal padre, reo di non si sa quale crimine e perciò degno delle sue reprimende e del suo biasimo.

Più volte aveva discusso con il figlio perché si decidesse a cambiare il suo rapporto con il piccolo Tony, ma le uniche cose che si era sentito rinfacciare erano la sua supposta debolezza e il suo essere un uomo senza onore. Senza spina dorsale.

Non aveva mai voluto indagare sul perché di quelle accuse, ma si era sempre ritrovato con un pugno di mosche in mano, tutte le volte che aveva cercato di affrontare – e far rinsavire – il figlio.

Giunti a questo punto, però, avrebbe dovuto imporsi e obbligare William a trattare con maggior riguardo Anthony. Ormai il bambino stava diventando abbastanza grande per capire cosa stesse accadendo ai due coniugi, e loro non potevano permettersi di far ricadere su di lui i loro dissapori.

La mattina seguente, avrebbe messo i puntini sulle ‘i’ una volta per tutte.
 
***

Schiaffeggiando Marlene mentre, dentro di sé, un fuoco punitore stava salendo di grado a ogni attimo che passava, William le urlò contro: “Sono stanco delle tue menzogne e dei tuoi passatempi tra amiche! Il tuo posto è sotto questo tetto e dentro il mio letto! Ti è chiaro?!”

Marlene, allora, gli rise in faccia e replicò sarcastica: “Ma se nemmeno ti si rizza più? Cosa vuoi che mi interessi scaldare le lenzuola di un uomo che non riesce neppure a darmi piacere? Meglio cercare altrove, visto che tu non sembri più essere lo stesso.”

Che cosa?! Ritira quel che hai detto!” sbottò lui, afferrandola al collo per poi sbatterla contro il muro con violenza.

Lei rise ancora, gli sputò in faccia e ansimò gorgogliante: “Ti sposai perché sembravi essere proprio l’uomo giusto per me, e perché mio padre ti detestava. Se lui non ti sopportava, allora dovevi avere per forza le caratteristiche giuste per andar bene a me. Ma mi sono sbagliata, e di molto. Sei solo un uomo debole, che afferma se stesso solo picchiando le persone… picchiando la moglie e il figlio! E’ questo che hai imparato, in guerra? Te le scopavi solo così, le puttane gialle che hai incontrato laggiù? O te le facevi da morte?”

Non accettando oltre i suoi insulti, William la gettò a terra malamente e, tenendo fisso su di lei uno sguardo rovente, sibilò minaccioso: “Ti insegnerò una volta per tutte a obbedirmi ciecamente.”

“Piuttosto che dartela vinta ancora una volta, me ne andrò” gli rinfacciò lei, rimettendosi a fatica a sedere.

A quelle parole, William si ammutolì, il suo viso divenne di ghiaccio e, con voce mortalmente atona, asserì: “Allora, non hai capito niente di me.”

Ciò detto, si allontanò dalla moglie e Marlene, nell’osservarlo mentre si recava in camera da letto, non ebbe più dubbi. Era giunto il momento di andarsene.
 
***

Mano nella mano con il nonno, Anthony rientrò a casa dopo la lauta colazione preparata da sua nonna Julie e, forte della presenza sicura e autoritaria di nonno Darren, aprì la porta d’entrata e disse: “Papà? Ci sei? Sono tornato.”

Nonno e nipote udirono uno sciabordio d’acqua provenire dalla cucina così, dopo essersi diretti lì, trovarono William alle prese con una tazza di caffè e del sapone per i piatti.

Nel volgersi a mezzo quando lì udì entrare in cucina, William borbottò: “Almeno tu hai avuto la decenza di tornare.”

Confuso, Anthony guardò il nonno che, per tutta risposta, domandò: “Cosa intendi dire, Will?”

L’uomo non rispose, indicando però con un cenno del capo il tavolo della cucina.

Subito, Darren si affrettò a raggiungerlo e lì, scribacchiato in tutta fretta e con caratteri raffazzonati, trovò un biglietto in cui si diceva:

Me ne vado per sempre. Tieniti pure la casa e i tuoi stupidi soldi. Non mi servi tu e non mi serve il bambino.

Darren si affrettò ad appallottolare il biglietto perché Tony non lo leggesse dopodiché, rivoltosi al figlio, domandò: “Dove si trova Marlene?”

“Mi sembra chiaro. Si è presa le sue cose e se n’è andata mentre ero fuori al bar” scrollò le spalle William.

Anthony sgranò gli occhi per lo sgomento, a quella notizia e William, ghignando perverso, lo guardò sardonico e disse: “Già. La tua cara mammina ti ha abbandonato. Non ha ritenuto di portarti con sé perché non le interessava tenerti.

“Will!” lo richiamò subito Darren, pregandolo con lo sguardo di non dire altro.

William però non lo ascoltò affatto e, raggiunto che ebbe uno sconvolto figlio, lo prese per le spalle per scuoterlo e gli urlò contro: “Non ti ha voluto. Non ti ha mai voluto! Ero io a volere un figlio, e lei mi ha dato te, che non vali neppure un mio dito indice! Ecco come mi ha ringraziato per averla salvata da quella gabbia che era la sua famiglia! Con un figlio inetto!”

“Will, adesso basta! Lascialo stare” gli ordinò a quel punto Darren, afferrandolo a una spalla per allontanarlo dal figlio. “Dobbiamo pensare a cercarla e a riportarla a casa. E’ chiaro che è confusa, o non lo avrebbe mai fatto.”

William lo squadrò con occhi iniettati di sangue e replicò: “Solo tu puoi pensare che io voglia tenere una moglie che allarga le gambe per chiunque. Solo tu puoi pensare che si possa accettare una cosa del genere!”

Darren sgranò gli occhi, di fronte a una simile sequela di insulti e, nel rivolgersi ad Anthony, disse: “Vai dalla nonna. Subito.”

Il bambino non se lo fece ripetere due volte e, senza attendere oltre, corse via da casa per non udire oltre le parole terribili del padre.

Non poteva essere vero! Sua madre non poteva averlo abbandonato! Non poteva credere che non gli avesse voluto abbastanza bene da portarlo con sé!

In lacrime, perciò, tornò in albergo, oltrepassò le porte secondarie utilizzate dai dipendenti e, incespicando un paio di volte sui gradini, riuscì finalmente a raggiungere l’alloggio dei nonni.

Lì, urlò a gran voce il nome della nonna e, non appena la vide, si gettò tra le sue braccia, gorgogliando tutto il suo dolore e la sua paura.

Fu così che Julie scoprì della fuga notturna di Marlene e, mentre il nipote piangeva tutte le sue lacrime, si domandò cosa mai fosse passato per la mente di quella donna, per abbandonare a quel modo il proprio figlio.

Quando infine vide rientrare Darren, sul volto lo sconforto e il dolore ben dipinti sui suoi tratti infiacchiti dall’età, seppe che le parole del nipote erano corrisposte a verità.

Marlene se n’era andata e, quel che era peggio, aveva abbandonato senza una parola di addio il suo unico figlio.

“Andrete a cercarla?” domandò Julie, speranzosa.

Darren scosse il capo, afferrò le chiavi dell’auto e disse: “Vado alla polizia per denunciarne la scomparsa. Quanto al resto… Will non vuole perdere neppure un istante di più, dietro a Marlene.”

Julie allora sospirò, reclinò il capo e strinse maggiormente a sé il nipote che, contro i suoi seni, mormorò roco e sconsolato: “Se non mi vuole più, neppure io la vorrò più.”

“Oh, tesoro mio!” gorgogliò sgomenta sua nonna.

Darren strinse i denti per l’angoscia, desideroso di poter dire qualcosa, di poter fare qualcosa per quel bambino così dolce, ma che un destino avverso aveva posto tra le mani di due genitori inadatti a quel compito.

Non potendo però fare altro per il nipote se non lasciarlo alle amorevoli cure di Julie, uscì dall’appartamento e, zoppicante, si avviò all’esterno per raggiungere la sua auto e, infine, la Centrale di Polizia.

Lì, armato del suo bastone, entrò e chiese dello sceriffo Simpson, rimanendo poi in trepidante attesa che l’amico giungesse per accogliere la sua denuncia.

Quando vide arrivare Gareth, lo sguardo turbato e un dubbio atroce dipinto sul viso, Darren scosse il capo per scacciare i suoi timori più grandi dopodiché, fiacco, disse: “Marlene se n’è andata. Ha lasciato un biglietto, a casa, dicendo che non sarebbe mai più tornata, e di non cercarla per nessun motivo.”

Facendo tanto d’occhi, a quella notizia, Gareth lo portò in un angolo tranquillo della stazione di polizia prima di chiedergli turbato: “Sei sicuro che sia scappata?”

“Le sue cose non ci sono più. Ho controllato proprio per sincerarmene. Per scrupolo ho anche chiamato al bar dove, di solito, Will va a bere, ma mi hanno confermato che era lì, la notte scorsa.”

Passandosi una mano tra i capelli sale e pepe, Gareth asserì: “Erano anni che si comportava in maniera strana, ma pensavo semplicemente che fosse perché la gravidanza è stata difficoltosa. Sai, Isabell mi ha detto che a volte, le donne, hanno… difficoltà a superarla.”

L’accenno alla moglie di Gareth fece sospirare Darren. Isabell aveva perso due bambini prima di decidere di rinunciare, così la coppia aveva adottato un bambino a Denver e, almeno per il momento, il ragazzo sembrava crescere davvero bene.

“Non so cosa dirti, visto che mio figlio e io non abbiamo mai avuto un buon rapporto, e Marlene non si è mai confidata con Julie in merito a nulla, del suo matrimonio” sospirò Darren. “Può… può darsi davvero che sia scappata.”

“E Tony come la sta prendendo?” domandò a quel punto Gareth, turbato.

“Come qualsiasi bambino che sia messo di fronte a un simile evento. Sta chiudendosi. Ha detto che, se lei non lo vuole, neppure lui la vorrà più” ammise Darren.

Gareth imprecò sottilmente prima di dire: “Manderò una pattuglia a cercarla e, finché non avremo trovato notizie su di lei, non mi fermerò.”

Darren, però, scosse il capo e replicò: “William non vuole e, se neppure i suoi genitori denunceranno la scomparsa, non se ne farà nulla. Te l’ho detto solo per scrupolo, perciò…”

“Davvero non la cercherà?” esalò Gareth, costernato.

“E’ stato chiaro, con me. Lui non vuole avere niente a che fare con una donna che non sa stare al suo posto” dichiarò Darren con aria desolata.

Sospirando, Gareth allora disse: “Avvertirò i suoi genitori e vedremo cosa ne salterà fuori. Tu, però, tieni d’occhio Anthony. Non voglio che quel ragazzino finisca nei guai perché ha due genitori che non lo hanno mai tenuto in considerazione.”

“A lui baderemo io e Julie, come abbiamo sempre fatto” gli promise Darren.

“Sa il cielo se una persona come te avrebbe meritato ben altro, in sorte” disse spiacente Gareth, dandogli una pacca sulla spalla.

Darren si limitò a sospirare e, dopo aver salutato l’amico, uscì dalla Stazione di Polizia per ritrovarsi sotto una fitta nevicata.

Lasciando che i fiocchi di neve cadessero sul suo volto stanco, Darren si chiese per l’ennesima volta dove avesse sbagliato e, mentre le lacrime si confondevano ai cristalli disciolti sulla sua pelle, mestamente rientrò a casa.

Ora aveva un solo compito a cui pensare; crescere Anthony e sperare che William non lo distruggesse del tutto.

Era giusto che almeno il piccolo Tony non venisse corrotto dall’oscurità sempre crescente che stava pian piano avvolgendo suo figlio. Quel figlio non suo che, con tutto il cuore, aveva cresciuto  e protetto ma che, come una serpe in seno, gli si era rivoltato contro in tutti i modi possibili.

Zoppicando leggermente, risalì quindi in auto per tornare in albergo e, quando fu infine giunto nel parcheggio sul retro – destinato a titolari e dipendenti – spense il motore e osservò Anthony nel mezzo del giardino.

Giocava allegramente a rincorrere i fiocchi di neve che cadevano dal cielo e, almeno in apparenza, sembrava non essere particolarmente turbato da quello che era avvenuto nelle ultime ore.

Quando, però, scese e si fece più vicino, Darren strinse i denti quando vide gli occhi rossi del bambino e i segni evidenti del pianto sul suo giovane viso.

Come sempre, Tony stava cercando di scacciare i dolenti pensieri facendo qualcosa che gli piaceva, tentando forse invano di evitare di soffrire inutilmente a causa dei genitori che gli erano toccati in sorte.

“Tony” mormorò Darren, richiamando la sua attenzione.

Il bambino si volse a mezzo nel sentire la sua voce, si spazzolò in fretta il naso – forse per cancellare i segni del pianto – dopodiché, corsogli incontro, sorrise ed esclamò: “Nonno! Hai visto che bello? Se continua così, prima di sera potremo fare i pupazzi di neve!”

Lui gli sorrise, se lo strinse al petto per un istante dopodiché, nell’avvolgergli le spalle, lo riportò al coperto e asserì: “Sì. Faremo il più bel pupazzo di neve di tutta Nederland.”

Anthony annuì eccitato e, nell’infilare fiducioso la manina in quella più grande e calda del nonno, mormorò: “Se lo faremo tu, io e la nonna, sarà splendido.”

Darren cercò di non far caso al fatto che il nipote non avesse incluso il padre nell’equazione e, nel sospingerlo all’interno dell’albergo, disse: “Scommetto che la nonna vorrà mettergli la mantellina sulle spalle.”

Anthony rise a quel commento e, mentre spiegava il suo progetto al nonno, Darren intravide sul fondo del corridoio le figure di Julie e William, apparentemente impegnate in una discussione.

Preferendo evitare che Anthony dovesse sorbirsi l’ennesimo litigio, dirottò il nipote verso le cucine e lì, nel vedere Selma impegnata a preparare la zuppa di ceci per la cena, le domandò: “E’ possibile avere due cioccolate calde?”

La donna annuì con un sorriso e, dopo aver preso il necessario, diede un buffetto sul naso a Tony, asserendo: “Il nostro campioncino ha anche fame, forse? Ho appena sfornato una torta di ribes che potrebbe piacerti.”

“Le tue torte mi piacciono tutte, Selma” dichiarò il bambino, accomodandosi diligentemente su un alto sgabello.

La cuoca rise deliziata di fronte a tanta sincerità e iniziò a chiacchierare con il bambino, dando così l’opportunità a Darren di defilarsi per qualche attimo e comprendere cosa fosse successo tra madre e figlio.

Nel trovare Julie ancora nei pressi della porta d’ingresso laterale, dove l’aveva lasciata in compagnia di William, la vide totalmente stravolta, con gli occhi sgranati per l’angoscia e le mani artigliate ai vestiti.

Preoccupandosi immediatamente, a quella vista, Darren la raggiunse subito e le afferrò le spalle, scuotendola leggermente perché si riprendesse dopodiché, turbato, domandò: “Julie, amore… che succede?”

Lei sobbalzò leggermente e, nel volgere lo sguardo verso il marito, singhiozzò disperata e gorgogliò: “Lo sa. Darren… lo sa.”

Non vi fu bisogno di chiedere cosa. Lo sguardo allucinato della moglie urlava a gran voce quale verità fosse venuta a galla e Darren, impallidendo visibilmente, si lasciò andare contro il muro prima di esalare: “Come?”

“Non ha voluto dirmelo, ma imputa a te la causa della fuga di Marlene. Will crede che tu sia stato un debole, comportandoti come hai fatto e che, crescendolo come lo hai cresciuto, lo hai reso uguale a te. Un uomo debole e non in grado di tenere a freno le voglie della propria moglie” singhiozzò Julie, reclinando il viso. “E’ convinto che io… io…”

Darren abbracciò stretto la moglie perché non proferisse le parole terribili che il figlio le aveva urlato contro e, nel cullarla dolcemente contro di sé, mormorò: “Sai benissimo che non è così, e lo so anche io. Gli parlerò e gli farò capire che sbaglia. Se anche ormai sa la verità, una parte della verità, è giusto che la comprenda fino in fondo, e non che pensi di te le cose sbagliate.”

“Non hai visto il suo sguardo, Darren,… mi odia. E forse odia te ancora di più” singhiozzò maggiormente Julie, affondando il viso contro il torace del marito.

Stringendo i denti per non imprecare, Darren assentì, ma disse: “Gli parlerò comunque. A costo di inculcargli la verità in testa con la forza.”

Ciò detto, le diede un bacio, la pregò di raggiungere Anthony in cucina dopodiché, di buona lena, uscì dall’albergo nel tentativo di trovare il figlio ma, quando vide che il pick-up era sparito, sospirò.

Era nuovamente uscito. E, forse, lo era anche dalle loro vite, a quel punto.





N.d.A.: era giusto mostrarvi come fossero andate le cose, nel passato di Anthony, giusto per chiarire - se mai ve ne fosse stato bisogno - quanto fossero radicati in lui il disagio e il disappunto provati nei confronti del padre, e come si fosse arrivati alla sparizione di Marlene. Da questo capitolo si capisce anche quanto William abbia travisato i fatti riguardanti la sua nascita, finendo col credere che la madre si fosse comportata come una poco di buono, mentre il padre si fosse accollato la parte del becco per un senso dell'onore che William, di sicuro, non avrebbe mai potuto capire.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


 
 
19.
 
 
 
Il ritorno alla civiltà fu convulso e del tutto sconclusionato, per Emily. Quando riemerse da cunicolo per rivedere la luce, si ritrovò ad affrontare i volti preoccupati dei volontari e degli amici, oltre a quello trafelato ma sollevato del fratello.

La visione di così tante persone, e tutte in ansia per lei, la mandò in totale confusione e, nelle successive due ore, ogni evento fu avvolto da una fitta nebbia, almeno nella sua mente.

Nella sua memoria rimase ben poco della sua discesa in toboga lungo il pendio della montagna, così come del suo ricovero in pronto soccorso, dove si limitarono a fasciarle la caviglia – effettivamente slogata – e a ripulirle alcuni graffi.

Suo padre si presentò in ospedale con il volto pallido e spaventato ma, nel vederla in salute e, tutto sommato, sana e salva, si riprese rapidamente, soprattutto dopo averle tributato un lungo, sentito abbraccio.

Fu Sherry a fornire la maggior parte delle spiegazioni, visto che Emily non parve in grado di parlarne. Spiegò altresì ai soccorritori dove fosse necessario apportare delle riparazioni, onde evitare che altri potessero cadere nel cunicolo incriminato, dopodiché si dichiarò fermamente convinta nel voler portare a casa Emily.

Lei non ebbe nulla da ridire. Il suo sistema nervoso era allo stremo e aveva bisogno di avere attorno a sé poche persone, oggetti a lei familiari e il suo cane.

Ma Anthony? Anthony dov'era finito?

Mentre Parker l'aiutava a scendere dal suo pick-up, Emily iniziò a rendersi finalmente conto di dove fosse, di cosa fosse successo e quali mostri si fossero liberati con quella caduta e, di colpo, iniziò a tremare.

Immediatamente, Sherry le fu al fianco mentre Jordan correva ad aprire la porta di casa della figlia e Jamie affiancava la sorella per sorreggerla.

Rick giunse proprio in quel momento, quasi trascinando fuori dall'auto un trafelato Anthony che, vedendo Emily ridotta a quel modo, parve sul punto di dare di matto a sua volta.

Sherry, però, non glielo permise. Lo fissò arcigna, lasciò nelle mani capaci di Jamie una sconvolta Emily e, raggiunto l’uomo in pochi, rapidi passi, gli piazzò le mani sul petto con fare intimidatorio dopodiché ringhiò: "Tu non hai il diritto di sbarellare, stasera. Ve lo potete concedere solo uno alla volta e, per stavolta, tocca a lei. E' chiaro?!"

Quel richiamo violento, pieno di rabbia e paura miscelate tra loro, parve ridestarlo dal proprio personale incubo così, annuendo, l'uomo si affrettò a seguirli in casa, dove domandò: "Rick mi ha raccontato sommariamente cos'è successo, e ..."

"Perché non eri nel bosco con lei?!" lo incolpò con tono isterico Sherry, pur sapendo di fare un torto ad Anthony.

Non era di certo colpa sua se Emily era caduta, né poteva pretendere che Anthony le gravitasse attorno come una luna col proprio pianeta. Non era questo che sperava per l'amica, e dubitava fortemente che la stessa Emily volesse questo, dal suo uomo.

Anthony, comunque, non le rispose a tono – comprendendo senza fatica da dove venissero quelle parole così cariche di fiele – e, reclinando il capo, si limitò a dire: "Avevo bisogno di stare per i fatti miei."

"Beh, ora lei ha bisogno di te" precisò Sherry con tono più dolce, quasi consegnandogliela tra le braccia, tremante e fredda, prima di fissare il resto dei presenti e ordinare con voce nuovamente caparbia: "Quanto a noi, andiamocene. Emy non ha certo bisogno della ressa, in casa. Non stasera, per lo meno."

"Io, veramente, dormo qui" sottolineò Jamie, pur seguendo l’amica fuori di casa dopo aver lanciato un ultimo sguardo dubbioso alla sorella.

"Ti farai ospitare nella stanza di tuo padre, per stanotte" brontolò Sherry, sbattendo alle sue spalle la porta di casa prima di poggiarsi contro se stessa, sospirare pesantemente e lasciarsi scivolare a terra, scossa dai brividi.

Subito, tutti gli uomini presenti accorsero accanto a lei per aiutarla ma Sherry, levata una mano per bloccarli, si passò una mano sul viso e mormorò molto meno spavalda di prima: "Hanno bisogno di stare da soli e, mi spiace dirlo, nessuno di voi potrebbe essere utile quanto Tony, al momento."

Ciò detto, lanciò un'occhiata spiacente a Jordan che, sorridendo a mezzo, asserì con triste ironia: "Fidanzato batte papà, vuoi dire?"

"Temo di sì, Jordan. Senza nulla togliere al tuo fascino, ma la tua bambina ha bisogno di un altro tipo di abbraccio, ora come ora" sospirò lei prima di reclinare il capo contro le ginocchia per lasciarsi andare a un pianto silenzioso.

Senza dire nulla, Rick si piegò accanto a lei e, con delicatezza, la raccolse da terra per tenerla tra le braccia al pari di una bambina. Sempre in silenzio, la portò fino alla sua Chevelle SS1970 e lì la fece sedere sul comodo sedile di pelle, allacciandole poi la cintura di sicurezza con mosse lente e delicate.

Jordan, Jamie e Parker osservarono l'intera scena senza fiatare e, quando li videro allontanarsi lungo la via sterrata, quest'ultimo disse: "Dio! Ho bisogno di una birra e di dormire! Che razza di giornata!"

Jamie e Jordan si dichiararono pienamente d'accordo e quest'ultimo, nell'osservare le luci spente all’interno della casa dei Larson, disse: "Sarà meglio che loro non sappiano della crisi di Emily. Non voglio che Consuelo e Samuel si sentano in colpa per una cosa del genere."

"Sarà dura non farglielo sapere. Il paese è un covo di chiacchieroni" motteggiò Parker, dando una pacca sulla spalla a Jamie prima di invitare i due uomini nel suo miniappartamento.

Per il momento, nessuno di loro poteva fare nulla per Emily. 
 
***

Anthony si era visto raggiungere da Rick lungo le rive del fiume, ancora furioso e disorientato dalla lite avuta con il padre. Senza tanti giri di parole, quindi, il giovane Jones lo aveva caricato sulla sua Chevelle dicendogli a grandi linee cosa fosse successo a Emily, e cosa Sherry si aspettasse da lui.

Appoggio. Totale e incondizionato.

Non che non sarebbe stato così a prescindere ma, quando si vide sostanzialmente spingere in casa con la sola Emily, ormai prossima a una crisi di nervi vera e propria, Anthony cominciò a subodorare i veri intenti di Sherry.

E ad averne paura.

Perché era impensabile che lui potesse affrontare Emily nello stato di rabbia e frustrazione di cui era stato vittima fino a pochi minuti prima. Inoltre, per quanto fosse in ansia per la donna che amava, sapeva di non essere al suo massimo, e di non poterle dare il suo massimo. Cosa che, a quanto pareva dai tremori di Emy, doveva essere una condizione più che necessaria.

Preferendo però non discutere con Sherry - da come lo aveva redarguito, avrebbe anche potuto staccargli la testa a cazzotti, se non si fosse preso cura di Emily a dovere - prese un bel respiro, strinse a sé Emy e mormorò: "Scusa se non ero con te."

Pur tremando come una foglia, lei scosse il capo e cercò di scostarsi, replicando: "Non eri obbligato a venire... ma ero in ansia. Non rispondevi."

Anthony la lasciò suo malgrado andare ed Emily, aggirandosi nervosa e pericolosamente instabile lungo il perimetro del salotto, proseguì dicendo: "Ero preoccupata che potesse esserti successo qualcosa, o che magari avessi litigato con tuo padre, e potessi aver bisogno di me."

Ciò detto si volse, lo guardò in viso per diversi istanti e infine borbottò: "Avete litigato."

Non fu una domanda, e Anthony non sprecò fiato per confermare ciò che, a quanto pareva, doveva essere ben più che evidente sul suo viso.

"Emy... hai bisogno di sdraiarti, e non di camminare su quella caviglia malandata" sottolineò con tono blando Anthony, allungandole una mano per scortarla fino al divano.

La donna, però, reclinò il viso a scrutarsi la caviglia fasciata, ignorando la sua mano protesa e, lentamente, sul suo volto si dipinse il panico, come se quell'accenno alle sue condizioni le avesse ricordato perché, e come si fosse ferita.

Un pallore crescente le invase il volto ormai sconvolto, preoccupando non poco Anthony che, avvicinatala in tutta fretta, esalò: "Emy, per favore! Lascia che ti accompagni di sopra."

Cercò quindi di sfiorarle una spalla con la mano ma la donna, a quel punto, lanciò uno strillo e, caracollando all'indietro, finì per cadere sul divano, gli occhi sgranati e ricolmi di un panico che aveva radici antiche. Radici portate a galla da quella situazione che, ormai, aveva raggiunto il limite, almeno per lei.

Il tremore si fece così importante da portarla a battere i denti e, con una voce sottile e impaurita, mormorò in lacrime: "Non mi toccare... non mi toccare. Non voglio."

"Emy..." sussurrò turbato Anthony, non avendola mai vista in quello stato, se non in un'occasione soltanto. 

Quando aveva scoperto le parti più nascoste del suo passato, e le orrende implicazioni di ciò che le era successo, Emily gli era apparsa ugualmente spaesata, ugualmente persa nei suoi personali incubi.

Scossa da un'autentica crisi di panico, Emily lo aveva colpito, graffiato e infine aveva pianto tra le sue braccia, raccontandogli del rapimento, di quei terribili giorni passati nell'oscurità e nella paura di non sopravvivere.

Gli aveva accennato ai buffi soprannomi che aveva dato ai suoi carcerieri. Li aveva spiegato della sua infantile passione per i western e del modo in cui, nella sua mente, lei aveva ricollegato il Buono, il Brutto e il Cattivo alle persone che l'avevano presa in ostaggio.

Sentendole parlare di Ray e di come, paradossalmente, la sua bontà l'avesse mantenuta abbastanza sana di mente da non crollare alla pressione data dalla prigionia, Anthony si era in parte rilassato. Dopotutto, non era finita in mano a gente del tutto senz'anima.

Quando, però, aveva accennato a Brutto e Cattivo, dando così una spiegazione plausibile ai nomignoli che lei aveva affibbiato loro, l'uomo si era sentito inutile e inadatto a esserle d'appoggio. Pur essendo stato esso stesso un bambino, all'epoca dei fatti, si era sentito paradossalmente responsabile per il dolore patito da Emily ma, soprattutto, la persona più inadatta per aiutarla a uscire da quell’incubo.

Lui che non era stato, né era in grado di farsi valere con un padre padrone, che non era stato capace di aiutare la madre a salvare il suo matrimonio - o a convincerla a portarlo con sé - come avrebbe potuto essere l'uomo adatto ad aiutare Emily?

Per questo motivo, si era convinto che darle spazio e libertà fosse la scelta più giusta e, di comune accordo, si erano lasciati. Lui le aveva dedicato le attenzioni di un buon amico, ed Emily si era presa il suo tempo per ritrovare un equilibrio.

Questo, però, a cosa aveva portato? A nulla, a quanto pareva.

Svicolare dal problema aveva solo reso quest’ultimo più forte e subdolo, lasciando che si nascondesse nei meandri della mente di Emily, crescendo e crescendo ancora, pronto a divorarla nel momento più inopportuno.

La presenza di Parker, in qualche modo, l'aveva liberata dei demoni più deboli ma non da quelli più scaltri e traditori, da quelli più terribili e annidati negli abissi più profondi della sua anima e questi, ora, la stavano nuovamente portando con sé.

Forse, l'arrivo di Ray in paese, unito al rapimento di Mickey, aveva permesso al mostro di riemergere definitivamente, più forte e terrificante che mai, e ora lui poteva guardarlo negli occhi... e capire.

"Emy... non ti toccherò... ma posso avvicinarmi?"

"No! Copriti! Copriti!" strillò ancor più forte Emily, rattrappendosi in posizione fetale. "Non voglio che mi tocchi..."

Lei emise un gracidio straziante, cui seguì un pianto silenzioso che quasi spezzò in due il cuore di Anthony, portandolo vicino alla consapevolezza di quale fosse il reale, tragico problema di Emily.

Anthony era perfettamente vestito, eppure lei era convinta che lui non lo fosse, perché in realtà Emily non era più lì, non era più al sicuro nella sua casa, ma di nuovo in quella maledetta grotta.

E se uno dei suoi carcerieri l'avesse...

Crollando in ginocchio sotto il peso di quell'orribile supposizione, Anthony si passò le mani sul viso contratto dalla rabbia e dal terrore e, con voce incrinata dal dubbio - che gli rimordeva le carni come una fiera assetata di sangue - domandò roco: "Chi sono, Emy?"

"Sei Cattivo! Sei Cattivo! E io non voglio che mi tocchi, se non ti rivesti" piagnucolò Emily, rattrappendosi ancor di più e confermando ad Anthony che Vince Rowe aveva fatto qualcosa di innominabile, in quella grotta.

Rabbia e frustrazione si intervallarono nella sua mente come i colpi di una campana, ferendolo e tramortendolo ma, nonostante la confusione che stava tentando di averla vinta su di lui, non si diede per vinto.

Non stavolta. Se l'avesse abbandonata a se stessa ancora una volta, Emily non ne sarebbe più uscita. Doveva spezzare una volta per tutte le catene che la tenevano legata a quel disgustoso ricordo e, per farlo, conosceva solo un modo.

Pur odiandosi per questo, perché la sola idea di ferire Emily lo faceva star male, non poté evitarsi di urlare al suo indirizzo. Sperò davvero che quel cambio di tono la risvegliasse il tempo necessario a farle comprendere che, dinanzi a lei, non c'era Vince, ma l'uomo che l'amava.

Raccogliendo quindi le sue forze, gridò il suo nome con tutto lo strazio, la pena e l'amore che sentiva dentro ed Emily, sobbalzando sul divano, si aggrappò ai suoi bordi per tornare a guardarlo, gli occhi nuovamente lucidi e attenti.

Pur se bagnati di lacrime, quegli occhi chiari e del colore delle colombe lo fissarono pieni di una rinnovata consapevolezza e, debole, la sua voce sgorgò dalle labbra tremanti, esalando: "Tony, ma cosa...?"

"Eri andata da un'altra parte... in un altro tempo" sospirò Anthony, reclinando sconvolto il capo e allungando le mani perché lei le afferrasse e rimanesse lì, accanto a lui, nella loro realtà.

Quell'accenno fece tremare Emy che, pur fremendo di paura, accettò quelle mani e mormorò: "D-dove... dove sono andata?"

"Cosa ti fece Vince?" domandò per contro Anthony, tornando a guardarla.

Lei cercò di rifuggire il suo sguardo, di scappare dalla presa delle sue mani ma, stavolta, Tony non glielo concesse. Se fosse fuggita ancora, sarebbe rimasta imbrigliata in quell'incubo per sempre.

"No, Emy... stavolta non ti nasconderai. Stavolta affronteremo la cosa insieme. Non sei da sola. Non più. E io non mi spaventerò dinanzi a nulla, per te. Promesso" le sussurrò lui, accomodandosi accanto a lei sul divano.

Emily ancora scosse il capo, ma lo abbracciò forte e mormorò contro il suo petto: "Mi terrorizza, pensarci. Vederlo."

"E allora noi lo cacceremo una volta per tutte" le promise Tony, dandole un bacio sui capelli.

Scostandosi di colpo, lei però replicò: "Non capisci! S-se ...se penso a lui, non riesco a starti accanto!"

Adombrandosi in viso, Anthony allora le domandò: "Lui ti... abusò di te, Emy?"

A quell'accenno, Emily tremò da capo a piedi, scosse il capo una volta sola ma disse: "Non è un caso se ho il terrore dei rapporti sessuali. Detesto vedere gli uomini nudi."

"Così non mi aiuti, però... spiegami. Capirò e accetterò tutto quello che mi dirai" la pregò Anthony, non sapendo se sentirsi sollevato all'idea che Emy non fosse stata violentata, o angosciato al pensiero che potesse esserle successo qualcosa di peggio.

Emily allora sollevò lo sguardo su di lui, strinse con maggiore forza le mani in quelle di Tony e domandò: "Farai solo quello che ti dirò? E ascolterai tutto? Senza dire nulla?"

Lui assentì a ogni sua richiesta, ben deciso a chiudere la partita una volta per tutte così Emily, levandosi in piedi e trascinando Tony con sé, disse: "Devo fare una doccia."

"Ma... la fasciatura..."

"Al diavolo. Me la rifaranno. E' una questione psicologica. Se penso a quell'evento, mi sento sporca, e sotto la doccia posso sentirmi pulita. Assecondami" lo pregò lei, trascinandolo verso il piano superiore.

"Asseconderei quasi tutti i tuoi desideri, credimi, pur di vederti nuovamente libera."

"Quasi?" esalò lei, bloccandosi per guardarlo piena di curiosità.

"Se mi dicessi di andarmene, non accetterei. Non stavolta."

Lei allora sorrise un po’ più sicura di sé, annuì e disse soltanto: "Bene."
 
***

Di tutte le cose che Anthony si era aspettato, quella era decisamente la più strana e improbabile di tutte.

Emily lo aveva accompagnato nel suo futuristico bagno - corredato da una splendida doccia dai soffioni posti sia contro il muro che sul soffitto - e lì, inondata di un rossore virginale, lo aveva aiutato a spogliarsi.

Anthony, a quel punto, aveva cercato di pensare soltanto a cose noiose e terribili, così da cancellare il più possibile i brividi di piacere che, il tocco delle sue dita sulla pelle, avevano su di lui.

Era davvero passato troppo tempo da quando Emily lo aveva toccato a quel modo e, per quanto la situazione fosse tutt'altro che passionale, gli era difficile controllarsi.

Per lei, comunque, si sarebbe anche preso a pugni, in qualche modo. Se, per superare quel blocco mentale, lei doveva vederlo nudo e alla sua mercé, di certo non si sarebbe lamentato.

Inoltre, se Vince l'aveva terrorizzata sul piano sessuale, era praticamente scontato che lei volesse cancellare dalla mente quei ricordi con qualcosa di simile, ma diametralmente opposto sul piano emotivo.

Sperò soltanto di essere abbastanza forte per non cedere al desiderio.

A ogni buon conto, ora se ne stava nudo sotto la doccia, sotto un getto di acqua calda e fumante, mentre Emily lo osservava - a sua volta nuda - e non parlava.

Non che non l'avesse già vista senza vestiti - più o meno - perché, prima di arrivare a quella fatidica notte, si erano divertiti in altri modi e si erano avvicinati al traguardo più di una volta senza mai raggiungerlo.

Trovarsela davanti così, priva di veli e distante solo pochi centimetri da lui, eppure paradossalmente irraggiungibile, come se un intero esercito li separasse, era a dir poco assurdo e molto, molto frustrante.

"Cosa devo..." tentennò lui, vedendola però levare una mano per azzittirlo.

"Sto cercando di familiarizzare con il concetto che tu non sei lui, e non è esattamente facile come avevo immaginato" precisò Emily, accigliata e con l'aria di non sapere bene come comportarsi.

"Ma non ci somigliamo" sottolineò per contro Anthony, ben sapendo che Vince Rowe, all'epoca dei fatti, era biondo e coi capelli lunghi, mentre lui li aveva castano-rossicci e corti. Anche nel fisico, non v'erano somiglianze, visto che Vince era più basso di lui, e più tarchiato. Quindi, dov'era il problema?

"Lo so. Ma è ...è ...oooh, cristo! Sono i sacri augelli di famiglia a darmi dei problemi, okay?" sbottò Emily, arrossendo fino alla radice dei capelli e cercando, nel contempo, di fare dell’ironia spicciola per non cadere preda del panico.

"Emy, ma... sbaglio o mi avevi detto di aver avuto altri fidanzati, prima di me?" esalò sconcertato Tony, iniziando a subodorare un altro, inaspettato problema.

"Non sono mai arrivata in casa base, per usare un eufemismo tanto caro ai maschi" ammise lei, sbuffando e grattandosi nervosamente il capo, quasi alla ricerca di una risposta alle domande del mondo.

"Oh" mormorò soltanto Anthony, senza sapere bene cosa aggiungere. La situazione stava precipitando molto velocemente.

Passandosi ancora e ancora le mani tra i capelli, ormai ridotti a una massa aggrovigliata di ciocche biondo platino, Emily lanciò un'occhiata verso il soffitto prima di ammettere: "Si presentò una notte, ubriaco fradicio, gridandomi contro cose terribili e che, in parte, neppure compresi. Mi disse che mio padre e mia madre erano dei meschini, che io non valevo nulla, e altre carinerie simili. Mi spaventai, perché Cattivo era quello che mi terrorizzava di più, e lui ne godette. Ghignò in un modo spaventoso e, nello strapparsi di dosso la camicia, mi disse che, se non fossi servita per ottenere un bel gruzzolo, lo avrei almeno fatto divertire."

"Cristo..." mormorò roco Anthony, piegandosi in avanti e poggiando le mani sulle cosce per reggersi. Non aveva neppure un'idea vaga di cosa Emily potesse aver provato in quel momento.

"Già. Io urlai, ma sapevo che Ray non c'era - era uscito per sgranchirsi le gambe e per i suoi bisogni, visto che nella grotta non c'era un bagno - e così Cattivo si slacciò i pantaloni e... beh, lo tirò fuori, già grosso e duro, e mi terrorizzò. Mi rannicchiai sul letto, scalciai e urlai. Credo anche di averlo graffiato, ma lui era molto più grande e pesante di me, così mi schiacciò sul letto e iniziò a tastare il pigiama per spogliarmi."

Anthony si accigliò visibilmente, già pronto a uscire dalla doccia per raggiungerla, ma lei ancora lo bloccò con un cenno della mano e, flebile ma con tono ferreo, proseguì dicendo: "Rideva, sbavava sul mio viso mentre le sue mani percorrevano il mio corpo alla ricerca di un pertugio da cui entrare ma, alla fine, la sbronza ebbe la meglio. Mi crollò addosso, svenuto, e io rimasi lì, bloccata sotto di lui e col volto bagnato dalle mie lacrime e dalla sua saliva, piena di un terrore che non avevo mai provato prima. Ray mi trovò così e, imprecando come non aveva mai fatto, buttò giù dal letto Cattivo..."

"Vince. Chiamalo col suo nome. Con Ray lo fai."

"E' dura. Prenderebbe connotati ancor più reali" sottolineò Emily, pur sapendo che Anthony aveva ragione. Essersi fossilizzata su quei soprannomi aveva permesso loro di ingigantirsi, di divenire qualcosa di più che semplici uomini, trasformandoli in autentici demoni dall'aspetto terribile.

Riportarli a una dimensione umana li avrebbe resi più gestibili e, come nel caso di Ray si era sentita più forte di colui che l'aveva tenuta prigioniera - pur se lui era stato buono e gentile -, forse sarebbe avvenuta la stessa cosa con Cattivo... no, con Vince.

Tornare a vederlo come un semplice uomo, un ubriacone con il terrore di essere catturato, una persona che non aveva affetti ma solo conoscenze legate al mondo della criminalità, lo avrebbe reso più debole. Più controllabile.

Cancellabile dalla sua mente.

Preso un bel respiro, quindi, Emily si avvicinò all'enorme box doccia, vi mise dentro un piede e mormorò: "Vince cadde a terra e Ray lo rivestì in tutta fretta prima di chiedermi come stessi, o se lui mi avesse fatto del male."

"Questo non venne detto a processo, vero?"

Lei scosse il capo, continuando a osservare il piede sul pavimento della doccia, ormai bagnato dai soffi d'acqua che cadevano dall'alto quindi, roca ma tenace, replicò: "Lo sapevano solo gli avvocati, il giudice e l'agente speciale a capo dell'indagine. Chiesi espressamente che non venisse menzionato in aula, e che fosse usato solo se strettamente necessario. Non volevo che si sapesse. Ero convinta che, se si fosse saputo, la mia vita sarebbe finita per sempre."

"Immagino non vi fu bisogno di quell'ulteriore prova a loro carico" sottolineò Anthony.

Emily sorrise beffarda, avvicinandosi ulteriormente fino a terminare a sua volta sotto il soffione della doccia.

Bagnandosi completamente e sentendo il piacevole e rinfrancante tepore dell'acqua sulle carni, su cui era comparsa un’innegabile pelle d’oca da panico, mormorò: "Sandra, la mia balia, ricordava bene che a colpirla fu Vince e, viste le sue condizioni mediche e le mie - risultai essere sottopeso, piena di tagli e lividi, oltre che preda da un profondo stato di stress post-traumatico -, non vi fu bisogno di ulteriori contraddittori. Non so bene come, ma anche la morte dei nostri cani ebbe un peso, perché dimostrò la totale crudeltà di Vince e Simon. Inoltre, tutti i diretti interessati sapevano, e dibattere di una cosa simile a processo non avrebbe giovato a nessuno. L'avvocato di Vince, in particolare, sapeva bene che, se la cosa fosse venuta fuori, in carcere avrebbero cercato di ammazzarlo. Non si toccano i bambini,... figurarsi tentare di stuprarli."

"E tu non volevi che facesse una brutta fine?" domandò Anthony, con tono leggermente sorpreso.

"Ti sembrerà sciocco, ma volevo solo liberarmi di loro e, se fosse successo qualcosa in galera, io sarei stata tirata nuovamente in ballo dai media. Anche se ero piccola, questo lo avevo già capito benissimo. Non volevo più sentirli nominare, né sentirmi nominare mai più alla TV, perciò pregai tutti di rendere le cose il più spedito e veloce possibile, altrimenti avrei negato tutto, se la cosa fosse trapelata in aula" ammise Emy, scrollando le spalle.

"Cocciuta fin da piccola" sorrise appena Anthony, e lei assentì.

"Le pendenze a loro carico erano così tante che davvero non servì, quel particolare in più, perciò non venne messo a verbale. Però, esso rimase sedimentato nella mia testa... e tu ne hai subito le conseguenze" sospirò Emily, reclinando colpevole il viso. "Paradossalmente, forse, se la cosa fosse venuta fuori all'epoca, io non avrei avuto dei demoni a farmi da spalla."

"Li scacceremo tutti, te lo prometto. Non farò due volte lo stesso errore. Inoltre, anche tu ne hai pagato lo scotto, e ben più di me" replicò lui, sollevandole il mento con un dito. "Hai combattuto da sola questa battaglia."

"Avevo Jamie e i miei amici."

"Sai cosa intendo" sottolineò lui, vedendola sorridere debolmente in risposta. "Ne parleremo assieme, anche tutti i giorni da qui all'eternità, ma non ti lascerò mai più in compagnia di quei... no, non li chiamerò mostri, perché darei loro potere. Sono solo i ricordi di Vince e Simon. Tutto qui."

"Tutto qui" mormorò lei in risposta, avvicinandosi ancora di un passo e poggiando così i seni contro il torace di Anthony.

Lui inspirò con forza aria tra i denti, a quel contatto e, reclinando il viso fino a toccare il capo di Emily, mormorò: "Sfidi la sorte, ora... non sono il santo che tante volte mi hai accusato di essere, sai?"

"Lo spero... perché desidero riappropriarmi anche di questo. Della sensazione della pelle contro quella di un'altra persona, del calore di un uomo che mi abbraccia, dei suoi baci che mi scaldano l'anima" replicò lei, avvicinandosi ulteriormente per stringerlo tra le braccia. "Rivoglio tutto questo, Tony... perché mi sei mancato... tutto quanto mi è mancato."

"Sei sicura? Assolutamente sicura?" le domandò a quel punto lui.

"No. E non prometto che non sbarellerò ancora una volta ma, come hai detto tu, siamo insieme. E io voglio questo, ora" replicò lei, levando il capo per cercare un suo bacio.

"Parker ci ucciderà. Stiamo saltando in un colpo solo tutti gli step che ci ha messo davanti prima di arrivare a casa base" ironizzò a quel punto Anthony, sorprendendola e facendola scoppiare a ridere.

"Ha dato anche a te delle direttive?" esalò Emily, sentendosi finalmente padrona di se stessa e sì, maledettamente bene nella propria pelle. Forse sarebbe durato fino al mattino dopo, ma non le importava. Ora si sentiva forte, e voleva cavalcare l'onda fino all'ultimo istante.

Anthony annuì, la baciò con forza e infine disse: "Ci faremo perdonare. Promesso."

"Sì, promesso" acconsentì lei, avvolgendogli un braccio attorno al collo per attirarlo nuovamente a sé.

Voleva quegli attimi, quel contatto, quella presenza maschile accanto a sé. Non era Vince, non lo era mai stato, e ora ogni essenza della suo essere lo sapeva.

Lui era Anthony, e l'amava. E lei amava lui. Solo questo sarebbe contato.
 
***

Non si era mai visto come una persona dormigliona eppure, al suo risveglio, gli parve che fosse dannatamente tardi. 

La luce che filtrava dalle imposte socchiuse sembrava essere già eccessiva, per i suoi gusti e, quando cercò con lo sguardo la sua sveglia, fu sorpreso di non trovarla.

Fu solo a quel punto che Anthony si ricordò di dove fosse e di cosa fosse successo.

Sobbalzando in un letto che non era il suo, finì con il ruzzolare a terra, svegliando la padrona di casa e la sua cucciolona che, come richiamata da quel tonfo, balzò sulle zampe e si catapultò contro Anthony, pronta a fargli le feste.

L'uomo si ritrovò perciò sommerso da quasi cinquanta chili di cane allegro e giocoso e che, con tutta la verve del mattino, lo rese partecipe del suo entusiasmo. Entusiasmo che si trasmise anche a Emily che, sporgendosi dal letto con un risolino ai bordi della bocca, esalò: "Ma cosa ci fai lì?"

"Non lo sapevi? Sono segretamente innamorato di Cleopatra" gorgogliò lui, intento a intercettare il muso della cagnolona perché smettesse di leccarlo.

Emily allora scoppiò a ridere di gusto, diede alcune pacche sulla schiena all'animale e questo, dopo un paio di abbai, uscì di volata dalla stanza. Pochi istanti dopo, si udì il suono delle crocchette cadere nel contenitore preposto e Anthony, nel rimettersi seduto sul letto, domandò: "Le hai preso un dispenser automatico?"

"Sì. A volte dormo così volentieri che non me la sento di alzarmi subito, così evito boicottaggi o autentici ammutinamenti" gli sorrise lei prima di arrossire, dargli un bacio sulle labbra e mormorare: "Grazie, per stanotte."

"Grazie a te. Continuo a pensare che non fosse il momento giusto, che tu avessi bisogno di ulteriore tempo per pensarci, ma..."

"Ma..." lo incitò lei.

Scrollando le spalle, Anthony ammise: "... ma sono così debole da aver amato ogni singolo istante di stanotte. Scusa."

"Non ti scusare per avermi aiutato a liberarmi dalle catene che mi legavano al passato" replicò lei, scalciando via le lenzuola per offrirsi totalmente al suo sguardo, ora fattosi attento e caloroso. "La mia psichiatra era più che convinta che tenermi tutto dentro, e non manifestare stati di rabbia o altro, potesse essere controproducente, e così è stato. Mi sono bloccata. E ho bloccato te nel mezzo."

"Diciamo che, come terapia d'urto, è stata piacevole" mormorò lui, avvicinandosi per abbracciarla, ma lei si scostò ridendo, sospingendolo giù dal letto.

"Non faremo niente, con te che coli di bava di cane, mi spiace" rise Emily, sospingendolo verso il bagno.

"Non è colpa mia se Cleopatra ha dei risvegli focosi" si lagnò lui, pur apprezzando la naturalezza con cui Emily lo stava toccando.

Ciò che li aveva spinti a unirsi la sera precedente - e altre volte durante la notte - era giunto quasi a sorpresa, come una benedizione non più agognata da tempo. 

Emily si era approcciata a tutto ciò con una timidezza che aveva spezzato il cuore ad Anthony, ben conscio di quanto fosse difficile, per lei, cancellare ciò che tanto l'aveva terrorizzata per potersi riappropriare della propria vita in modo totalitario.

Ugualmente, però, lei non si era tirata indietro e, poco alla volta, Anthony le aveva fatto scoprire - e riscoprire - quanto fosse bello sfiorarsi, giocare col proprio corpo e con quello del partner, avvicinarsi lentamente all'acme fino a lasciarsene completamente trasportare.

Tutto era avvenuto con naturalezza, una naturalezza che Emily aveva temuto fino all'ultimo di aver perso per sempre e, quando aveva finalmente scoperto le gioie dell'unione, ne aveva riso fino a piangere.

Per una volta, però, Anthony non se n'era preoccupato. Quelle lacrime l'avevano liberata, disfacendo i lacci che per più di vent'anni l'avevano tenuta ancorata a uno scomodo, orribile passato.

Il segno delle lacrime era ormai sparito, da quel viso acqua e sapone, lasciando il posto a un sorriso carico di aspettative e a occhi nuovamente luminosi e ricchi di vivacità.

Non appena raggiunsero il bagno, Emily aprì l'acqua della doccia, vi infilò Anthony e infine lo seguì, chiudendosi la porta a vetri alle spalle, così da non lasciar fuoriuscire acqua e vapore.

In breve, furono avvolti da una nebbiolina leggera e il morbido tepore dell'acqua li accolse, annullando qualsiasi cosa li circondasse. Per alcuni, intensi e stranianti momenti, sarebbero esistiti solo loro due.

Nessuna preoccupazione, nessun dolore, nessuna ansia.

Carezzando morbidamente il petto di Anthony, su cui spiccava una sottile peluria castana, Emily mormorò roca: "Vorrei davvero non uscire più di casa. Abbandonarmi tutto alle spalle e ricominciare da capo. Ma sarei veramente egoista a pensarla così."

"Ti capisco" replicò Anthony, poggiando il capo contro quello di lei mentre, con le mani, le carezzava delicatamente i fianchi e la schiena. "Ieri avrei voluto picchiare mio padre, ma alla fine mi sono trattenuto. Così, al posto di un pestaggio, gli ho urlato contro che non sarei più tornato a casa e che, se voleva mandare in malora tutto quanto, poteva farlo."

Emily sobbalzò a quella notizia, sollevò il capo a guardarlo con occhi sgranati ed esalò: "Tu... cos’hai fatto?!"

"Molto poco edificante, lo so... ma almeno sono riuscito a fermarmi in tempo e non l’ho preso a pugni" ammise lui, sospirando.

Emily, però, scosse il capo ed esclamò: "No! Non intendevo dire che hai fatto male a pensare di malmenarlo!"

Ora Anthony la guardò confuso e la donna, sbuffando, si grattò pensosa il mento, aggiungendo: "Okay, detta così suona male. Diciamo che picchiare non è mai bello, ma tuo padre se la sarebbe meritata, una bastonatura. Comunque, sono contenta che tu non ti sia abbassato a tanto."

Tony le sorrise divertito ed Emily levandosi in punta di piedi per dargli un bacetto sul naso, mormorò: "Non ti biasimerò per quello che hai pensato di fare, perché so benissimo a cosa stesse puntando tuo padre, quando seppe della nostra relazione, e so altrettanto bene che non ha mai smesso di colpevolizzarti per avermi lasciato andare. Anche per questo, non voglio che sappia che ora stiamo di nuovo insieme. Non voglio dargli questa soddisfazione."

"Il fatto che tu lo sappia non mi rende molto felice" sospirò Anthony, stringendola in un abbraccio mentre l'acqua calda cadeva loro addosso come dolce pioggia estiva. "Ho sempre sperato che i suoi ...appetiti non si notassero, ma la sua sete di soldi e potere è sempre stata troppo chiara a tutti, perché non venisse a galla anche nei momenti meno opportuni. Il suo odio verso Consuelo nacque proprio dal fatto che lei non era abbastanza, per me."

"Sì, lo so... ma sono felice che voi siate rimasti amici nonostante tutto" gli sorrise lei, baciandolo delicatamente alla base del collo.

Lui sospirò, si strusciò contro il suo corpo umido e tonico e, sospingendola delicatamente contro il vetro del box doccia - per loro fortuna, assai resistente - mugolò contro il suo collo: "Sono un animale senza scrupoli... ma ti voglio ancora."

Lei rise roca, si mosse contro di lui per offrirgli tutto lo spazio necessario e, mentre Anthony la penetrava con un movimento fluido, Emily sospirò deliziata e mormorò: "Lo speravo..."

"Non mi dire che speri di recuperare il tempo perduto!" esclamò allora lui, ridendo mentre si muoveva lentamente dentro il suo corpo, con spinte morbide e volutamente sensuali.

Emily rise con lui, assentì e, mordicchiandogli una spalla, sussurrò: "Magari ti lascerò qualche ora di tempo per riprenderti."

"Troppo buona" la ringraziò lui, affondando in profondità con una spinta più vigorosa.

Emily ansimò di piacere e, gettando la testa all'indietro, si lasciò trasportare dal ritmo sonnolento e vorace al tempo stesso di Anthony che, poco alla volta, la condusse per mano fino alla vetta.

Lasciandola galleggiare nell'estasi per qualche altro attimo ancora, Anthony si discostò infine da lei, trattenendola perché non scivolasse a terra ed Emily, sospirando più che soddisfatta, si strinse a sé e mormorò: "Voglio svegliarmi così tutte le mattine. Lascia casa tua e vieni da me."

Lui rise, le diede un bacetto sul naso bagnato e chiosò: "Potrei anche farlo, visto che ho detto a mio padre che me ne sarei andato. E lui non prende così alla leggera le minacce, lo sai."

A quel punto, Emily perse del tutto il desiderio di fare dell'ironia e, più seria, disse: "Tony, ma cosa è successo? Cioè... tu e tuo padre avete litigato molte volte, ma non sei mai arrivato a dire che te ne saresti andato."

"Dobbiamo proprio parlarne adesso?" si lagnò a quel punto Anthony.

Emily si guardò un attimo attorno, valutò la cosa e infine disse: "Te lo concedo. Questo non è il posto adatto, e mi rovinerebbe questa splendida doccia con te. Ma a colazione ne parleremo. Poco ma sicuro."

"Grazie."

"E di che?"

"Di esserci, credo ma, soprattutto, di avermi permesso di finire in santa pace questa doccia" le sorrise lui, facendola scoppiare a ridere.






N.d.A.: ho pensato di non rincarare troppo la dose, per così dire, e di non inserire anche uno stupro, ma soltanto il suo tentativo. Credo che a livello emotivo sia già abbastanza forte, per una bambina di otto anni.
Grazie a ciò che è successo, in ogni caso, Emily riesce finalmente a sviscerare anche il suo demone più nascosto e insidioso e Anthony può finalmente redimersi dal suo essere stato troppo pavido la prima volta (almeno a suo modo di vedere, s'intende).

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


 

20.

 

 

 

 

Mickey stava sorseggiando del buon cioccolato al latte, quando udì cigolare il portone che lo teneva rinchiuso nella grotta.

Non sapeva bene quanto tempo fosse passato, né capiva chiaramente perché fosse tenuto lì ma, in fin dei conti, sapeva di non essere in pericolo - la persona che lo teneva bloccato in quella grotta gliel'aveva assicurato. Inoltre, mangiava tutto ciò che più gli piaceva, per cui per ora poteva anche andare bene.

Certo, la mamma e il papà gli mancavano, e così anche la sua sorellina, ma non poteva certo vivere lì in eterno, no? Prima o poi sarebbe tornato a casa. Si era detto che quella, dopotutto, poteva essere vista come una gita un po’ più lunga del solito.

L'uomo che lo aveva portato lì subito dopo la scuola palesò la sua presenza e Mickey, nell'appoggiare sulle ginocchia il bricco del cioccolato al latte, lo salutò e domandò: "Anche oggi devo rimanere qui, signore?"

"Sì, Mickey. Sono stato a casa della mamma, proprio come mi avevi chiesto, ma lei non ti vuole più perché ha già la tua sorellina, e il tuo papà neanche si ricorda più che abitavi con loro" mormorò suadente l'uomo, consegnandogli una macchinina giocattolo e una borsa con abiti nuovi.

Mickey mise il broncio, a quelle parole, e borbottò: "Non ti credo. La mamma ha sempre detto che mi avrebbe voluto bene anche dopo. E anche il papà."

"Mentivano, Mickey, per tenerti buono in attesa che nascesse la tua sorellina" replicò l'uomo, accucciandosi un po' a fatica accanto a lui per fargli una carezza sulla gota. "I grandi mentono spesso, ma io con te non lo farò mai. Sei stato ingannato come lo sono stato io, tanto tempo fa, ma ora penserò a raddrizzare il torto che hanno fatto a entrambi. Mi prenderò cura io di te, come avrebbe dovuto essere fin dall'inizio."

"Perciò... rimarrò qui per sempre?"

"No. Questo è solo un luogo temporaneo, che serve a proteggerti da chi vorrebbe riportarti dove non ti vogliono. Durerà ancora poco. Quando avrò sistemato un paio di cose, saremo liberi di rifarci una vita, tu e io. Starai con la tua vera famiglia, finalmente" asserì l'uomo, rialzandosi.

"Ma la mia famiglia..." tentennò il bambino.

"Non sono loro! Tua madre ti ha mentito! E così l'uomo che tutti ti hanno detto essere tuo padre!" levò la voce l'uomo, spaventandolo.

Mickey si rattrappì su se stesso, afferrò la coperta con cui di solito dormiva e si coprì il viso per non vedere l'uomo che lo aveva spaventato. Quest'ultimo, con tono più pacato, ma ugualmente lapidario, aggiunse: "Ti farò conoscere la verità, e tu mi sarai grato, finalmente."

Ciò detto se ne andò, e a Mickey non restò altro che piangere mentre finiva di bere il suo cioccolato al latte. Perché quella persona continuava a dire che la mamma gli aveva mentito?

Lui non ci credeva, né ci avrebbe mai creduto.

***

Mentre Emily indicava a Tony dove sistemare i propri scatoloni - indirizzandolo verso l'ampio garage - e Margareth, appena giunta a Nederland, era impegnata a fare un sacco di feste a Cleopatra, Jordan salutò l'arrivo di Jamie, Sherry, Rick e Parker.

Il gruppo di amici, sparito al pari di Jordan la sera precedente dopo la sfuriata di Sherry, era tornato per conoscere le condizioni dell'amica ma, nel vederla pimpante e pronta a dare ordini come un generale, si era subito tranquillizzato.

L’arrivo di Margareth aveva dato ulteriore spinta a Emily per apparire piena di energie e ora, di fronte alla determinazione della giovane e al suo cipiglio battagliero, furono in molti a chiedersi cosa fosse successo, in quelle poche ore.

Jamie fu il primo a esprimere il proprio pensiero, affiancando il padre prima di domandare: "Si è dopata, per caso?"

"Non ho chiesto spiegazioni in merito. Mi fa solo piacere non vederla più come ieri sera" si limitò a dire il padre, facendo spallucce.

Sherry prevenne qualsiasi battuta di Jamie, dichiarando: "Era ovvio che sarebbe stata meglio, visto che ho scelto io la terapia d'urto. Pensi che sia una sprovveduta, Jamie?"

Lui le lanciò un'occhiata piena di maliziosa ironia e replicò: "Sherry, avrei tanto voluto che tu usassi una terapia d'urto del genere quando io mi feci male in mare ma, visto come mi sta guardando male il tuo Rick, penso che non potrò mai approfittare di un simile servizio, vero?"

Sherry emise una risatina gorgogliante, prese preventivamente sottobraccio Rick - che non era abituato alle battute piuttosto spinte di Jamie - e celiò: "Tesoruccio... te l'ho già spiegato. Ti vedo come Gin."

Jamie allora sospirò affranto, scosse il capo di fronte alle espressioni divertite di tutti ed esalò: "Tu non hai la minima idea di cosa significhino queste parole, per il mio cuore. Sei spietata!"

"Oh, credimi... ne ho un'idea ben chiara" sottolineò per contro Sherry prima di dare una pacca sul braccio a Rick per tenerlo in buon ordine e infine raggiungere l'amica con la sua solita falcata fatale.

Margareth scelse quel momento per raggiungerli e, dopo una rapida occhiata a Sherry e una divertita al figlio, la donna celiò: "Ti ha dato ancora il due di picche?"

"Non infierire, mamma" si lagnò Jamie, crollando contro una spalla di Parker per farsi consolare.

Quest'ultimo, ormai prossimo a una crisi respiratoria per il troppo ridere, gli batté confortanti pacche sulla schiena e Margareth, nello scuotere il capo, chiosò: "Avrei dovuto darti del bromuro, da piccolo. Non è possibile che scodinzoli a questo modo ogni volta che vedi una donna."

"Ecco! Anche del cane, mi danno! Dove andremo a finire?!" protestò platealmente Jamie, sempre confortato da Parker.

Jordan lanciò un sorriso alla moglie e uno assai orgoglioso al figlio che, grazie alle sue burle, stava rapidamente facendo scemare in tutti loro le ansie sorte la sera precedente, alla vista della crisi di Emily.

Certo, nessuno dei due interessati avrebbe mai espresso in maniera diretta ciò che, molto probabilmente, aveva permesso alla sua bambina di liberarsi dall'ultima gabbia che la teneva avvinta al suo passato - e, di sicuro, neppure voleva pensarci - ma era chiaro che Anthony aveva compiuto un piccolo miracolo.

Sherry aveva avuto ragione nel volere che tutti loro abbandonassero la casa di Emily, al fine di poter dare alla coppia il tempo di confrontarsi, di sviscerare il problema una volta per tutte.

Per quanto lasciare ad altri il compito del salvatore - per così dire - gli fosse costato, Jordan ormai aveva compreso che quel ruolo non avrebbe mai più potuto essere suo.

L'unica cosa che aveva potuto riavere era la fiducia della figlia poiché, tutto il resto, era già di appannaggio di qualcun altro. Più di vent'anni prima, era stato Max ad avere quel ruolo. Ora competeva ad Anthony, e lui doveva accettarlo.

Non avrebbe mai assunto le sembianze dell'eroe, agli occhi della figlia, ma il solo fatto di averla riavuta indietro era soddisfazione sufficiente a rendere più dolce quella piccola ferita che portava nell'animo.

Emily li raggiunse proprio in quel momento con passo claudicante, l'aria rasserenata e vagamente divertita e, nel vedere la faccia sconsolata di Jamie, chiosò: "Certo che sei davvero una sagoma, Jamie. E dire che ormai dovresti essere immune ai rifiuti delle donne."

Jamie si raddrizzò immediatamente di fronte a quell'aperto affronto e, pur sapendo che la sorella lo aveva detto solo per attizzare ulteriormente la sua burla, lui replicò stizzito: "Scusa... cos'hai detto?"

Emy scoppiò a ridere della grossa e, ignorandolo per un istante, guardò Rick e disse: "Puoi aiutare Anthony con gli scatoloni più grossi? Ho idea che Sherry potrebbe tentare di fare l'eroina e caricarseli sulle spalle, ma sono davvero pesanti."

"Vado subito" assentì il giovane, correndo nei pressi dell’auto di Anthony per rendersi disponibile coi lavori pesanti.

Sorridendo furba, Emily aggiunse solo per i presenti restanti: "Non è affatto vero, ma è una scusa per fargli fare qualcosa di mascolino davanti a lei. Cose da Sherry, sapete com’è..."

Parker sghignazzò platealmente, esalando: "Quella donna è diabolica. Ha cominciato a capire come prenderlo. Quando lui si sarà tranquillizzato a sufficienza, potrà attaccarlo ai fianchi come uno squalo."

"Credo che l'idea sia quella" ammise Emily prima di sorridere all'amico e aggiungere: "Le hai dato dei consigli in merito, vero?"

"Ammetto di sì. Sherry è così... esplosiva, passami il termine che, per avvicinare mio fratello, deve disinnescare qualche mina antiuomo, o imploderanno entrambi come la volta scorsa. Fargli fare il cavaliere senza macchia per un po' lo rasserenerà, e così Sherry avrà campo libero per poterlo avvicinare davvero, stavolta" le spiegò Parker, soffiando sulle unghie per poi lucidarle con platealità sulla felpa.

Margareth e Jordan risero divertiti ed Emily, nel dare una pacca sulla spalla a un ancora corrucciato Jamie, disse: "Non credere che non ti abbia sentito, prima... grazie per aver stemperato l'atmosfera a modo tuo."

"Sei mia sorella. Farei questo e altro... ma non dire mai più che le donne mi danno buca. E' offensivo!" ci tenne a precisare Jamie, ritrovandosi nell'abbraccio caloroso della sorella.

Lui ricambiò con forza, mormorandole poi tra i capelli: "Dio, com'è bello poterti stringere così!"

"Lo so... piace anche a me" annuì lei prima di scostarsi, guardare seriamente la madre e il padre e infine chiedere: "Che ne dite se andiamo da Consuelo e Sam?"

Margareth assentì assieme al marito e Parker, chiamando a sé Cleopatra, disse: "Andrò a sequestrare Anthony con la scusa di far fare un giro a Cleo, così Sherry e Rick potranno rimanere soli. Qualche indicazione in merito alla posizione degli scatoloni?"

Emily scosse il capo, diede un bacione al muso della sua cagnolona, che stava già saltellando allegra attorno a Parker e infine, affiancata la madre, si avviò verso la casa dei vicini assieme alla sua famiglia nuovamente riunita.

Erano serviti più di vent'anni - e innumerevoli ferite - per poter raggiungere quel fatidico traguardo ma, alla fine, Emily si era riappropriata del suo passato, oltre che del suo futuro.

Ora, avrebbe fatto di tutto per permettere anche a Mickey di ottenere la stessa cosa.

***

Fu Samuel ad aprire loro la porta e, nel vedere anche Jamie, sorrise e disse: "Sophie ha sentito la tua mancanza."

"Le donne mi adorano... fin da piccole" celiò il giovane, lanciando un'occhiata derisoria alla sorella, che fece spallucce in risposta. "Posso tenerla in braccio per un po'?"

"Credo ne sarà felice" assentì Samuel, consegnandogliela dopo aver ripulito il visino della bimba dalla pappetta che stava mangiando.

Ciò fatto, accompagnò nel salotto il resto della famiglia Poitier e lì, sprofondata nella sedia a dondolo, trovarono Consuelo in contemplazione del profilo dell'Hurricane Hill, che si specchiava sulle placide acque del lago.

Quel giorno, complice l’aria immota e il cielo terso e di un acceso color turchese, il lago appariva in tutto e per tutto come un perfetto specchio d’immane grandezza, e le sagome frastagliate delle Montagne Rocciose vi si gettavano con elegante splendore.

Il viso emaciato della donna, in assorta contemplazione di quello spettacolo della natura, fece sospirare Margareth che, avvicinandola per prima, mormorò: "Consuelo, tesoro... ciao."

La giovane volse appena lo sguardo, la riconobbe dopo alcuni istanti di confusa osservazione e, infine, con uno spontaneo quanto inaspettato singulto, Consuelo si levò in piedi per abbracciarla. Dolente, quindi, esclamò: "Oh, Margareth! Cosa devo fare?!"

Samuel si sorprese dell'effetto che la madre di Emily ebbe sulla moglie e, in silenzio, uscì al pari di Jordan ed Emy per tornare in cucina, dove Jamie stava facendo saltellare su una gamba la piccola Sophie.

Nel vederli tornare alla chetichella, il giovane si bloccò per un attimo, preoccupato, prima di domandare: "Che succede? Perché avete quelle facce?"

"Si sta finalmente sfogando" gli spiegò succintamente Samuel, lasciandosi andare su uno degli alti sgabelli dell'open space.

"E' chiaro che stava attendendo l'unica persona - e donna - che avrebbe potuto realmente capirla appieno" convenne Emily, imitando Samuel mentre Jordan si affiancava al figlio per far giocare Sophie.

"Erano giorni che speravo di vederla piangere, o inveire in qualche modo... anche contro di me. Neppure sua madre è riuscita a ottenere nulla, e neanche la mia. E’ solo caduta in quella sorta di apatia che mi faceva ancora più paura delle urla e degli strepiti" le confessò Samuel.

Jordan annuì pensieroso, ammettendo: "Ricordo bene quando tornammo a casa e trovammo Sandra - la loro balia - stesa a terra ferita, e il lettino di Emily vuoto. Margareth quasi impazzì. Iniziò a correre per casa, quasi fosse convinta che Emy stesse giocando a nascondino, mentre io ero impegnato a chiamare il 9-1-1 perché soccorressero Sandra."

Jamie gli diede una pacca sulla spalla mentre Emily sospirava afflitta e Samuel, annuendo, mormorò: "Anche noi sperammo fino all'ultimo che fosse un suo scherzo."

"L'agente McCoy vi ha detto nulla, stamattina?" si informò a quel punto Emily.

Scuotendo il capo, Samuel asserì: "Niente, a parte sottolineare per l'ennesima volta che non devo presentarmi ai campi base per partecipare alle ricerche. A quanto pare, qualcuno ha fatto la spia."

Nel dirlo, ammiccò con triste ironia ed Emily, nel carezzargli un braccio, disse: "L'agente McCoy sa il fatto suo, e ha ragione. Rischieresti ben più di una caviglia slogata, se ti precipitassi nel bosco per cercare Mickey. E' giusto che tu rimanga qui con Consuelo."

"Anche se mi sento inutile?" replicò amaro Samuel.

Lei assentì, aggiungendo: "Sì, credimi. Anche papà tentò di venire a cercarmi, pur se non aveva idea di dove fossi. L'agente O’Reily, che all'epoca del mio rapimento si occupò del caso, mi disse che picchiò un paio di agenti prima di venire bloccato a casa, con tanto di ammonimento al seguito."

Ciò detto, ammiccò al padre che, sorpreso, la fissò a occhi spalancati, forse non consapevole che lei conoscesse quella parte della storia.

Scrollando le spalle, quindi, aggiunse per lui: "Me lo disse quando cominciai a incolparti di tutto quello che mi era successo ma, all'epoca, ero un tantino arrabbiata con te, perciò l'informazione passò in secondo piano."

Jordan arrossì leggermente nel passarsi una mano sulla nuca con fare nervoso e, sorridendo comprensivo a Samuel, che li stava osservando divertito, ammise: "Sì, ammetto di essermi macchiato di aggressione, perciò ti dico; va bene rimanere accanto alla propria moglie. Non stai restando immobile. Fai solo quello che, al momento, ti hanno concesso di fare. La mente non è lucida, quando succedono certe cose, ed è giusto che se ne occupi chi, invece, riesce a valutare con obiettività l'intera situazione."

"Non sapevo che fossi un pugile, papà" ironizzò a quel punto Jamie, facendo sorridere tutti.

"Ci sapevo fare, all'epoca" ammise Jordan.

Emily, nello stringere un braccio attorno alle spalle di Samuel, mormorò: "Ce la faremo, te lo prometto. E se non saremo noi, scommetto che anche Mickey troverà il sistema di venirne fuori da solo. E' furbo, lo sai."

Samuel assentì ma non disse a parole ciò che realmente lo preoccupava, e che anche Emily temeva più di qualsiasi altra cosa.

Davano tutti per scontato che fosse vivo, rinchiuso da qualche parte ma sano e salvo. Se però fosse finito nel giro degli organi illegali, o dei pazzi criminali che acquistavano bambini nel dark web per poi farne cose inenarrabili, non lo avrebbero mai trovato vivo. O forse, non lo avrebbero mai trovato e basta.

***

Ancora stretta tra le braccia di Margareth, che la stava cullando con dolcezza e comprensione, Consuelo riuscì in qualche modo a risollevarsi per guardare la donna con estrema contrizione e dire: "Mi scusi davvero tanto! La rivedo dopo tanto tempo, e la prima cosa che penso di fare è piangerle addosso!"

Margareth, però, scosse il capo, le carezzò la folta chioma corvina e, con un sorriso, asserì: "Puoi piangere finché vuoi, bambina cara. Ne hai tutto il diritto, e anche bisogno. All'epoca, quando mi portarono via Emy, piansi moltissimo, e imbrattai un sacco di camice del mio povero fratellone."

Consuelo sorrise debolmente a quell'accenno, e la donna si sentì autorizzata a procedere. Ora, aveva la sua attenzione.

"Ci si sente spaesati, incompresi e, il più delle volte, si pensa che la polizia - o chi è preposto ad aiutarci - non capisca appieno il nostro dolore. So bene tutte queste cose, credimi" la rassicurò Margareth, asciugandole gli occhi con il bordo del suo fazzoletto. "Puoi urlare e strepitare, se ne senti la necessità. Nessuno ti biasimerà e, se chiederai all'agente McCoy, si sorbirà anche qualche rimbrotto. E' un brav'uomo, lo so per esperienza."

Annuendo, Consuelo ammise: "Emily mi ha detto di averlo conosciuto proprio a causa del suo rapimento. Era l'addetto agli identikit."

"Sì, davvero un bravo giovane. Trattò molto bene Emy. Sono contenta che abbia fatto carriera, anche se mi spiace averlo saputo così" sospirò Margareth, aiutando Consuelo ad alzarsi. "Che ne dici se andiamo a fare una passeggiatina in giardino, e poi coccoliamo un po' quello splendore di Sophie?"

Mordendosi il labbro inferiore, Consuelo mormorò roca: "I giornalisti spuntano da tutti i cantoni non appena metto piede fuori. Anche per questo mi sono rinchiusa qui dentro. Sono davvero insopportabili."

"Lo so, cara, ma questa è casa tua e gli intrusi sono loro, non tu. Devi riprenderti i tuoi spazi, o loro se ne prenderanno sempre di più, un pezzo alla volta" le fece notare lei con fervore. "Penseremo noi a proteggere la vostra intimità. Promesso."

"Non volevo che accadesse... che tante persone perdessero il loro tempo a causa nostra" sospirò a quel punto Consuelo, scuotendo il capo.

"Gioiscine, cara, piuttosto. Vuol dire che la vostra comunità è forte, che avete attorno schiere di persone che vi vogliono bene e farebbero di tutto per Mickey. Questo è importante" replicò Margareth, massaggiandole con tenerezza le braccia per darle coraggio. "Forza, andiamo di là. Credo che il tuo Samuel senta un po' la tua mancanza. E anche la piccolina."

Consuelo assentì e Margareth, nell'avvolgerle la vita con un braccio, la sostenne sia fisicamente che emotivamente mentre, un passo alla volta, conduceva la donna verso la fase successiva di quel terribile viaggio travagliato. Purtroppo, lei ne conosceva fin troppo bene ogni singolo centimetro, ma sapeva che l’amica di sua figlia doveva cominciare a incamminarsi, se non voleva rimanerne soffocata per sempre.

Più si fosse protratta l'attesa, più le sfide da affrontare si sarebbero fatte dure. Lasciare che giornalisti, paura e sconforto avessero la meglio, avrebbe voluto dire non risalire più la china, qualsiasi fosse stato l'esito di quella ricerca.

***

Mano nella mano con Samuel, e tenendo la piccola Sophie nel marsupio sopra il seno, Consuelo uscì finalmente da casa dopo giorni di auto segregazione. Come temuto, però, nel giro di alcuni minuti i primi reporter si mostrarono nei pressi dell'abitato, con tanto di telecamere a spalla e microfoni spianati.

La barriera umana formata da Emily, la sua famiglia e i suoi amici, ora presenti in massa, fornì loro la protezione necessaria per poter raggiungere il retro della casa attraverso il giardino.

Con il levarsi delle proteste di alcuni giornalisti, Sherry non si lasciò pregare e decise di passare all’attacco. Espose quindi il suo sorriso più smagliante, avanzò verso la staccionata riuscendo a camminare sull'erba con passo elegante nonostante le Louboutin chilometriche e, mettendo in mostra l'arma che portava al fianco, dichiarò melliflua: "Vorrei chiarire un punto con voi, cari signori. Al primo che mi verrà a citare il diritto all'informazione, io risponderò con il quinto emendamento. I proprietari di questa casa non hanno intenzione di rispondere a nessuna delle vostre domande, sono ovviamente sconvolti per la sparizione del figlio e non sanno chi possa essere stato a rapirlo. Se avete domande serie, rivolgetele all'agente speciale McCoy, altrimenti portate rispetto per il loro dolore e andatevene."

"Con quale diritto ci impedisce di fare il nostro lavoro?" protestò allora una reporter della CBS.

Allargando il proprio sorriso, che però divenne di pietra, Sherry replicò: "Sono stata assunta dalla coppia come loro portavoce, perciò parlo in vece loro. Quanto al vostro lavoro, dovrebbe essere riportare la verità, non ingigantire fatti di cui non sapete nulla."

Interrompendosi, estrasse dalla tasca della giacca di pelle il proprio cellulare, scorse velocemente su internet alcuni articoli dopodiché, didascalica, elencò i titoli gonfiati - se non addirittura del tutto fasulli - comparsi sulle maggiori testate americane.

Tornando a sorridere gelida al suo auditorio, ora non più tanto sicuro di sé, Sherry terminò dicendo: "A quanto pare, o non sapete fare il vostro mestiere, o qualcuno non ricorda più quale mestiere stia facendo. Davvero avete tirato in ballo le messe sataniche? Dio, per favore! E con quali prove? Perché la mia cliente è di origine messicana? Qualcuno è per caso un po' razzista, in mezzo a voi?"

Tra i giornalisti si levò un borbottio irritato, ma Sherry proseguì nella sua manfrina, senza risparmiare commenti acidi a nessuno. Poco per volta, smontò una dopo l'altra le assurde teorie proposte dai giornali ma, non contenta, aggiunse con tono mortalmente serio: "Non pretendo che capiate il loro dolore, perché altrimenti avreste già compreso quando fare un passo indietro, perciò terrò a ricordarvi fino allo sfinimento il rispetto della privacy e della proprietà privata."

Prima ancora che i giornalisti facessero la voce grossa, Sherry gettò in mezzo ai loro piedi un piccolo microfono-spia e sibilò tra i denti: "Al prossimo che trovo sulla proprietà dei miei clienti, giuro che farò emettere su ciascuna delle vostre teste un'ingiunzione restrittiva."

Ciò detto, li abbandonò senza null'altro dire, allontanandosi ancora con passo fatale ed elegante. 

Uno per uno, i giornalisti si allontanarono dal microfono gettato a terra come se fosse stato una bomba a mano pronta a esplodere e Sherry, nello svoltare l'angolo, ghignò beffarda prima di ritrovarsi addosso gli occhi curiosi di Rick.

Nascosto dall’angolo di casa dietro cui si era sistemato, aveva seguito da lontano la sua performance con espressione affascinata e orgogliosa assieme ma ora, curioso, chiese spiegazioni.

"Non hai affatto perquisito la casa, Sherry" sottolineò a quel punto lui, fissandola divertito.

Lei, allora, scrollò le spalle e chiosò: "Ma loro non lo sanno. Per un po' staranno buoni, visto che nessuno vuole beccarsi una denuncia per violazione della proprietà privata."

Rick, allora, le sorrise ammirato e, nell'indicare l'erta su cui si erano sdraiati i loro compagni per prendere un po' di sole, domandò: "Hai bisogno di una mano?"

"No, ce la faccio" replicò lei, notando come Rick non tentasse nemmeno di offrirle il braccio.

Lei, allora, incuneò la mano nell'incavo del suo gomito e aggiunse: "Però apprezzo che tu me lo abbia chiesto."

L'uomo rise divertito, scosse il capo di fronte al ragionamento di Sherry e chiosò: "Lo so che ho dei modi antiquati, scusa... ma è più forte di me. Mamma ci teneva molto che io e i miei fratelli si imparasse a trattare le donne come autentiche gemme."

"Ho apprezzato, credimi, come ho apprezzato il fatto che tu non abbia insistito quando ti ho detto di no" sottolineò a quel punto lei, stringendosi ulteriormente al braccio dell’uomo.

"Una donna che riesce a camminare come hai fatto tu, sull'erba e con dei tacchi da dodici centimetri, non ha bisogno del braccio di nessuno... ma ho pensato fosse carino offrirtelo" ammiccò lui, accompagnandola dabbasso fino a raggiungere Emily e Anthony.

"E lo era. Carino, intendo" mormorò Sherry, accomodandosi sull'erba prima di guardare Consuelo e aggiungere: "Per qualche giorno li ho sistemati. Purtroppo, hanno la memoria corta e, entro breve, verranno a capo del mio piccolo scherzo ma, almeno per ora, potete tirare un sospiro di sollievo."

"Grazie, Sherry. Non ho davvero parole per dirti quanto ti siamo grati" mormorò Consuelo, sorridendole.

"Vorrei poter fare di più ma, almeno per il momento, la mia rete di informatori non ha trovato nulla. Il che può voler dire molto, o molto poco" sospirò a quel punto Sherry, riafferrando il cellulare per controllare le ultime e-mail. "Il fatto che i maggiori siti nel dark web non riportino la sua fotografia, neppure contraffatta, è di buon auspicio. Ho anche allertato mio fratello Gin, a L.A., perché tenga gli occhi aperti. La California è una piazza piuttosto battuta, e non voglio lasciare niente di intentato."

Samuel e Consuelo la ringraziarono ma Sherry non riuscì a provare soddisfazione, per quelle esternazioni di gratitudine.

Voleva trovare Mickey. Solo allora avrebbe potuto dirsi soddisfatta del proprio lavoro.

Fu in quel momento che Emily le diede una pacca sulla spalla, le sorrise e disse: "Lo troveremo. Ne sono sicura."

Sherry non poté che sorriderle.

Era vero solo in apparenza che lei era quella forte, ed Emily la principessina da salvare. Lo aveva capito fin dal primo giorno in cui si erano conosciute all'università.

Certo, Emy le era parsa spaesata e terrorizzata come un cerbiatto abbagliato dai fari di un'auto, e il suo istinto protettivo aveva elevato le antenne immediatamente, accorrendo in aiuto di una sorella in stato di difficoltà. 

Quando, però, aveva conosciuto la storia della nuova amica e aveva compreso fino in fondo da dove fosse nato quel suo perenne stato di ansia, non solo l'aveva trovata coraggiosa, ma resiliente.

Sherry non era del tutto sicura che, messa di fronte a una simile prova, sarebbe stata altrettanto forte e determinata. Lei aveva imparato a difendersi e a cavarsela in tenera età perché costretta, perché la madre era una drogata e il padre perennemente assente. Lei e Gin erano divenuti adulti all'età di cinque e sette anni, quando avevano trovato Riley - la loro madre - stesa a terra in preda a un'overdose da ossicodone.

Senza farsi prendere dal panico, lei aveva chiamato il 9-1-1 mentre Gin si era premurato che la madre non si soffocasse con il proprio vomito. Quando finalmente i paramedici erano arrivati, il padre era rientrato a casa, stanco e provato dal lungo viaggio in camion, e aveva trovato un autentico caos intorno a sé.

Solo grazie alla sua presenza, non erano finiti in mano ai servizi sociali e, per tutto il mese successivo, erano stati in sua compagnia. Forse, il mese più bello della loro vita. Il lavoro, però, era tornato a separarli e Riley, disintossicata e pronta a riprendere le redini della propria vita, li aveva di nuovo accuditi.

Per un po', tutto era andato bene ma le buone, care, vecchie abitudini erano tornate.

Riley aveva solo imparato a gestire meglio i suoi piaceri, evitando che i servizi sociali la trovassero a farsi e lei e Gin, muti testimoni del suo lento discendere all'inferno, erano rimasti in silenzio per non essere separati.

Avevano così imparato a salvare la madre da se stessa, e la vita per loro era divenuta un campo di addestramento continuo. Il padre aveva sempre provveduto al loro sostentamento ma, poco alla volta, si era allontanato dalla famiglia, forse stanco dei colpi di testa di Riley finché, un giorno, non era più tornato.

Al suo posto, aveva lasciato una busta gialla con il timbro di uno studio legale, oltre a due libretti bancari intestati a entrambi i figli, in cui erano stati versati i soldi per il college.

Lei, perciò, aveva imparato sulla strada – e in casa – il modo migliore per sopravvivere, … ma Emily? 

Emily era cresciuta in una famiglia altolocata, vezzeggiata e amata, ricoperta da una patina dorata che l'aveva resa fin da subito la principessina del suo privato castello, la bambina che tutte agognavano di essere.

Eppure, nonostante questa patina di regalità, non soltanto era sopravvissuta, ma era riuscita a liberarsi da sola dei suoi aguzzini, scappando per boschi sconosciuti e ricchi di crepacci fino a trovare qualcuno in grado di aiutarla.

No, Emily non era debole. Non lo era mai stata. Era stata - ora, forse, non lo era più - una creatura ferita, piena di paure, ma mai debole.

Poteva darne l'idea, a un occhio disattento, ma Sherry ormai la conosceva bene, e sapeva quanto acciaio vi fosse dietro il velo dorato che la ricopriva.

Perciò, annuì alle parole dell'amica e, cercando di rilassarsi, si distese sull'erba fresca per respirare a pieni polmoni l'aria tersa di quei luoghi sapendo bene che, nel pomeriggio, avrebbe ripreso le ricerche di Mickey.

Risposarsi serviva sempre, anche se si sentiva fremere dentro per il desiderio di riprendere le ricerche.

Per ritrovare Mickey, però, doveva dare il meglio di sé e, per farlo, ogni tanto doveva fermarsi anche lei.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


21.
 
 
 
 
Se Emily aveva pensato che, con il colpo di testa improvviso di Anthony, William Consworth si fosse un poco ammorbidito, dovette ricredersi in fretta.

Non solo non era presente in albergo, quando lei e Tony si presentarono per recuperare il resto dei suoi oggetti, ma neppure i dipendenti dell’hotel ebbero a riferire loro alcun messaggio.

Come se la partenza improvvisa del figlio non lo preoccupasse minimamente, o non significasse alcunché, per lui.

Anzi, da quel poco che avevano saputo dai dipendenti più fidati, le parole di scherno e derisione uscite dalla bocca di William, e tutte indirizzate al figlio assente, non erano certo state leggere.

Tra i più giovani era serpeggiato il dubbio, oltre a un’immensa amarezza mista a confusione, ma Tony non si era stupito neppure di questo. Suo padre non aveva certo mai fatto mistero di non fidarsi di lui, e denigrarlo apertamente coi membri più giovani dello staff sembrava essere solo la sua ultima mossa per ferirlo.

Emily aveva preferito non chiedere lumi al padre, che si trovava nell'albergo dei Consworth già da diversi giorni, ma era sempre più tentata di domandargli se, alle sue orecchie, fosse giunta voce di qualche dissidio tra i due.

Non era certa che i dipendenti fossero arrivati a lagnarsi coi clienti, ma poteva sempre succedere, e questo avrebbe potuto diventare un danno irreparabile per il nome dell'albergo.

Il tutto a discapito di Anthony che, volente o nolente, sarebbe stato il prossimo proprietario... a meno di un qualche colpo di testa di William, ovviamente.

Essendo Anthony soltanto un dipendente, e non un socio, non poteva vantare alcun diritto di proprietà, se non in caso di eredità diretta causata dalla morte prematura di William. Se il padre, per evitare qualsiasi rischio, avesse deciso di vendere, Tony non avrebbe potuto fare nulla per evitarlo.

Emily sapeva però bene quanto Anthony tenesse a portare avanti l'eredità dei nonni. Molto più dello stesso William che, invece, vi aveva sempre e solo visto un mero interesse economico e nulla più.

"Quindi, cosa pensi di fare, adesso? E non raccontarmi che non ti interessa più niente dell'albergo. Ho visto quanto impegno hai sempre speso per portarlo avanti al meglio, anche se tuo padre ti ha sempre remato contro" sottolineò Emily, sorseggiando il proprio tè.

Anthony sospirò rassegnato, si passò una mano tra gli umidi capelli castani e ammise: "Mi conosci troppo bene, perciò so già che non posso raccontarti storielle, ma è difficile accettare di rimettere piede là dentro per tornare a lavorare come se niente fosse successo."

"Hai provato a parlarne con Morgan? O con Becky?" domandò a quel punto Emily, riferendosi al maitre di sala e alla receptionist dell'albergo, le due figure più anziane all'interno dell'hotel e che più conoscevano la situazione tra i due Consworth.

"Ammetto di non averne avuto il coraggio, ma a questo punto penso che lo farò" sospirò lui, levandosi in piedi per uscire di casa.

Emily lo seguì sotto la piccola veranda d'entrata, lo baciò teneramente e infine domandò: "Sei sicuro che non vuoi che venga con te? Dopotutto, oggi non posso arrampicarmi sui monti, perciò…"

"Posso farcela. Inoltre, non voglio che tu e lui vi incrociate per sbaglio. Abbiamo già rischiato molto stamattina, quando siamo andati a ritirare il secondo carico di scatoloni. Chiederò consiglio a Morgan e Becky come mi hai consigliato, e dopo ti farò sapere come andrà il colloquio con mio padre" le promise lui, salutandola per poi discendere a piedi verso il paese.

Sospirando, Emily lo osservò allontanarsi fino a perderlo di vista, e solo a quel punto si accorse di essere osservata.

Arrossendo fino alla radice dei capelli, salutò con un cenno della mano Samuel, sulla soglia di casa e intento a cullare la piccola Sophie.

Lui le sorrise a mezzo, si avvicinò alla staccionata di confine e, indicando con un cenno la strada ormai vuota, chiosò: "Mickey si è perso il primo bacio della zia. Come facciamo?"

"Glielo racconteremo non appena lo avremo trovato" gli promise lei prima di carezzare gentilmente il capo addormentato della piccolina. "Come sta Consuelo? Spero un po’ meglio."

Annuendo con fare tranquillo, Samuel lanciò uno sguardo verso il primo piano della casa, dove si trovavano le loro stanze, e ammise: "Da quando ha parlato con tua madre, ora si sente più fiduciosa. Adesso sta rassettando la stanza di Sophie. Dice che tenersi attiva in qualche modo la aiuta."

Emy sorrise compiaciuta, annuendo alle sue parole. Non sapeva cosa volesse dire essere un genitore a cui hanno rapito il figlio, poiché lei era stata il figlio in questione e conosceva bene solo le proprie emozioni, pur se aveva visto - e provato sulla pelle - quali strascichi lasciasse anche sui genitori.

Le faceva perciò piacere che aver ascoltato il punto di vista di sua madre avesse potuto aiutare in qualche modo Consuelo, soprattutto in virtù del fatto che le indagini dell’FBI non avevano ancora portato a nessun risultato.

"La caviglia come va, oggi?" domandò a quel punto Samuel, sfiorandole gentilmente il viso con le nocche di una mano.

Lei gli sorrise grata, afferrò la sua mano per stringergliela e replicò: "Sono stata sciocca e disattenta, lo ammetto spudoratamente, ed è stato sciocco anche non dirvi niente. Sapevo che avreste finito con il sapere tutto da terze persone, e si finisce sempre per avere notizie frammentarie o sbagliate. In realtà, è stata una cosa più leggera del previsto ma, per qualche giorno, dovrò stare a riposo. Ordini del dottore e del fidanzato."

"Quindi, tu e Tony..." sorrise Samuel, scrutandola speranzoso.

"Già" ammiccò Emily, arrossendo un poco per poi aggiungere: "Ma mi è spiaciuto sapere che, mentre io finivo in quella buca, lui ha bruscamente litigato col padre e, stavolta, in maniera piuttosto definitiva."

Samuel sollevò sorpreso un sopracciglio, esalando: "Cristo! E dire che Tony è la quintessenza della calma e della compostezza! Cosa diavolo ha fatto, William, per fargli perdere le staffe? Non mi stupisce che stia spostando la sua roba da te!"

"Credo dipenda in parte da me, e in parte da voi. William non ha mai apprezzato Consuelo, lo sai, e il fatto che Tony vi stia aiutando, pare averlo irritato più del comprensibile. Inoltre, io e Anthony stiamo tenendo segreto il nostro riavvicinamento, almeno a lui, perciò William ancora crede che il figlio si sia lasciato scappare un'ereditiera coi fiocchi... con tutti gli insulti a corollario."

Samuel imprecò tra i denti a bassa voce prima di borbottare: "Quell'uomo è sempre stato un pezzo di... beh, hai capito. Non merita davvero un figlio come Anthony, che ha sempre fatto il tutto e per tutto per tenere in piedi l'eredità di famiglia. Fossi stato in lui, avrei ceduto anni e anni fa."

"Io sono letteralmente scappata via da mio padre, perché non sopportavo più la sua vista..." scrollò le spalle Emily. "...solo che, se per me c'è stato un lieto fine almeno in quel frangente, non credo che Anthony troverà molte soddisfazioni, per quel che riguarda suo padre."

"No, temo di no" ammise Samuel per poi sorriderle nuovamente. "Sono contento che tu e tuo padre vi siate riappacificati. Con noi è stato davvero gentilissimo."

"Beh, come per mamma, anche lui può fornirvi un'esperienza di prima mano, in effetti. Mi ha anche detto che, nel caso in cui servirà un avvocato, ha già in mano una lista di amici pronti a darsi da fare per voi."

Samuel annuì grato, asserendo con tono fiacco: "Sì, me l’ha accennato ma, davvero, adesso siamo ben lontani dal poter averne bisogno."

Emily assentì a quelle parole, sapendo bene quanto fosse difficile vedere un proprio caro stare male, e non avere le competenze - o la possibilità - per essere d'aiuto in maniera attiva. Quando poi non potevi neppure essere vicino alla persona a cui volevi bene, era ancora peggio.

Chissà se Mickey stava bene? Aveva bisogno di un medico? Lo trattavano bene, ovunque lui si trovasse? Ma, soprattutto,… dov’era?!

Lei stessa, di fronte a quella situazione in cui si sentiva particolarmente coinvolta, non era del tutto convinta di aver fatto completamente del suo meglio, per Mickey, pur ammettendo in tutta coscienza di non sapere che altro fare, per il piccolo amico.

Sapere Consuelo più sicura di sé, grazie all’intervento di sua madre, la faceva sentire inadeguata come amica, pur Emily sapeva bene di stare solo vedendo in modo negativo l’intera faccenda.

Pur avendo trent'anni, non aveva mai realmente vissuto ciò che ogni giovane donna sperimentava nel diventare adulta e questo, in qualche modo, l'aveva come bloccata in uno stato embrionale per anni interi.

Ciò che aveva sperimentato all'università, oltre a essere stato ben poco edificante a livello emotivo, non l'aveva comunque mai portata a essere pienamente consapevole del proprio corpo e di quello del proprio partner.

Solo con Anthony, e pagando caro il fatto di non essersi aperta subito con lui, aveva sperimentato il vero amore e la vera partecipazione emotiva di una donna.

E, per poco, non aveva mandato tutto all'aria.

Certo, ora le cose sembravano essere migliorate - pur se aveva ancora paura di una possibile ricaduta - ma non si riteneva ugualmente capace di capire le pene di Consuelo, né si sentiva in grado di aiutarla a superarle.

Sapere che, invece, sua madre era stata d’aiuto per sbloccare Consuelo la faceva sentire fiera della propria famiglia, ma anche estremamente inutile come amica.

Come comprendendo i pensieri di Emyly, Samuel le disse: “Non ti venisse in mente di pensare che non sei importante, per me e Consuelo. Ognuno di voi ci ha sostenuto fin dal primo momento e, per noi, ha contato e conta tantissimo. Non dimenticarlo mai.”

Emy assentì, un groppo in gola a serrarle il fiato e il desiderio di mettere a parole ciò che sentiva ma, ancora, Samuel le sorrise e, nel passarle Sophie, mormorò: “Lei è la miglior panacea contro tutti i mali. Stai un po’ con la tua nipotina acquisita mentre io chiamo Consuelo, così potremo andare a fare tutti una passeggiata assieme. Leggera, s’intende.”

Nel ridere quando Sam le indicò la caviglia, Emily assentì e, mentre l’uomo raggiungeva la moglie per avvertirla, Emy chinò il capo per baciare la fronte liscia e profumata di Sophie, mormorando: “Vedrai… troveremo sicuramente tuo fratello. Non lo lasceremo da solo ancora a lungo.”
 
***
 
L'albergo che era stato dei nonni, e dei bisnonni prima di loro, contava una storia complessa e di profondi, continui cambiamenti.

Sorto nel periodo più florido della corsa all'oro e ai minerali preziosi - che gli uomini avevano strappato alle viscere di quelle montagne con la forza della dinamite - la piccola locanda dei Consworth aveva dapprima ospitato minatori e cercatori di fortuna.

Con il passare del tempo e l'allargarsi della clientela, però, la locanda aveva aperto le porte anche ai primi vacanzieri, allestendo così al suo interno delle piccole terme e un ristorante.

Da lì al grande salto, compiuto dai genitori di William all’inizio della loro avventura imprenditoriale, il passo era stato breve. La creazione della diga e del suo adiacente lago, aveva portato alla crescita del turismo di pari passo con la chiusura delle miniere, e questo aveva cambiato per sempre le vestigia dell'albergo.

Da locale alla buona e senza grosse pretese, l'hotel era stato ammodernato e arricchito, senza però mai perdere la patina di calda familiarità che tanto lo aveva reso famoso tra i clienti che lo avevano visitato.

Nel prendere le redini dell'albergo, però, William aveva pensato innanzitutto ai profitti che avrebbe potuto ricavare da un tale locale, e a ciò si era attenuto per tutta la vita.

Gli investimenti si erano ridotti al minimo indispensabile, e solo per questioni ‘di facciata’, che avrebbero fatto sembrare l'hotel ancora bello e desiderabile, ma senza più badare all'anima vera del luogo.

In netto contrasto con le politiche dei genitori, William non aveva più assunto nessun abitante di Nederland, e i dipendenti erano stati cambiati come si cambia la biancheria. Questo aveva creato, negli anni, un clima guardingo e privo di certezze, tra le maestranze, così da dare a William la certezza che i dipendenti non contassero troppo sulla sicurezza offerta dal loro lavoro.

Soltanto Morgan Tennyson e Becky Grant erano sopravvissuti a una simile epurazione; in quanto figli di eminenti membri di spicco della loro piccola comunità, William aveva preferito non inimicarseli.

Di tutto ciò, Anthony era stato muto testimone, non abbastanza forte per dire la sua, non abbastanza deciso per prendere le parti di coloro che avevano subito le angherie del padre.

Forse, se la madre fosse rimasta, lui si sarebbe sentito meno solo, meno inadeguato a combattere contro il padre, ma così non era avvenuto. E ora si ritrovava in un luogo che lui amava ma non era suo, e con un padre che non amava più ormai da tempo, ma che il sangue e l'anagrafe gli dicevano essere un suo stretto familiare.

L’unico rimasto, a ben vedere.

Un vero e proprio supplizio da sopportare, ma a cui voleva ormai porre rimedio una volta per tutte.

Quando, perciò, mise piede in albergo, cercò subito Morgan e, nel trovarlo impegnato a controllare il lavoro delle cameriere nella sala da pranzo, sorrise e lo avvicinò.

Morgan aveva all’incirca vent’anni più di lui ed era diventato, col tempo, quasi una figura paterna, all’interno della sua cerchia di amici. Anthony apprezzava sempre scambiare opinioni o pareri con l'uomo e, nel corso degli anni, Morgan lo aveva preso sotto la sua ala al pari degli altri suoi figli.

Alto e brizzolato, oltre che dall'aspetto piacente ed elegante, Morgan era vedovo da un paio d'anni e, con i figli ormai grandi e partiti per raggiungere Denver, viveva a Nederland da solo. 

Anthony si era sempre chiesto come mai non avesse raggiunto i figli nella grande capitale di Stato ma, nel vederlo impegnato nel mestiere di una vita, in parte lo comprese.

Lui amava prendersi cura di quell'albergo, al pari di quanto Anthony ci tenesse a portarlo avanti, a renderlo ancora più bello e accogliente. Il punto era che entrambi erano stati disillusi dall’attuale proprietario così tante volte che, ormai, ogni loro azione era dettata più dall’abitudine, che dall’effettivo impegno nel proprio lavoro.

"Ehi, Morgan... come vanno le due nuove cameriere?" esordì a quel punto Anthony, strappandolo ai suoi pensieri.

Morgan gli sorrise spontaneamente, si appuntò un paio di annotazioni sul taccuino - rigorosamente a penna, e non su un palmare - dopodiché disse: "Sono brave, e hanno occhio per i particolari. Le tavole sono in ordine e le tovaglie ben stirate. Non posso davvero dire niente."

"Ne sono lieto" mormorò Anthony, guardandosi intorno con aria piena di rammarico.

Ricordava bene quando, da piccolo, si era ritrovato spesso a correre tra tavoli simili a quelli per giocare a nascondino con la nonna, o di quando il nonno gli aveva insegnato a preparare un perfetto drink al piano bar.

Ogni volta, i genitori non erano stati presenti, troppo impegnati a urlarsi contro malignità, o a scambiarsi reciproche accuse.

Senza i nonni, lui avrebbe potuto crescere come un orfano, per quel che era interessato a sua madre e suo padre e, non a caso, Marlene non lo aveva portato con sé, quando era fuggita da lì. Lo aveva semplicemente abbandonato come un pacco postale, un inutile figlio a cui, in apparenza, non doveva nulla, neppure il rispetto di un addio.

"Pensieri profondi, Tony?" domandò Morgan, strappandolo a quei ricordi dolorosi.

Scrollando le spalle, lui ammise: "Sono arrivato al capolinea, Morgan. Non ce la faccio più."

Morgan non ebbe bisogno di chiedergli in merito a cosa. Sapeva benissimo come stavano le cose, tra William e il figlio perciò, pur spiacendosene, non se ne sorprese affatto.

Allungata una mano per dargli una pacca sulla spalla, Morgan si limitò a dire: "Come pensi di sbrogliarla?"

"Pensi che sia ingiusto, da parte mia, mollare la presa su tutto questo?" domandò per contro Anthony, allargando le braccia come a voler stringere a sé l’intero salone di foggia europea.

"William non ti ha permesso di avere alcuna voce in capitolo perciò, a livello burocratico, puoi davvero fare ben poco, a meno di non volerlo far internare. Ma dovrebbero esserci delle prove in tal senso, o non otterresti mai il trattamento sanitario obbligatorio" precisò Morgan, sospirando spiacente.

"Già... anche se sappiamo bene entrambi quanto lui sia pazzo da legare, in un certo senso" ammise amaro Anthony, infilando nervosamente le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni. "Non ha mai capito perché contasse molto, tutto questo, per me. Né ha mai capito quanto contasse veramente, nella mia vita. Ha cercato in ogni modo di mandare a rotoli la mia esistenza, quasi provasse piacere nel sapermi infelice."

"Non credo che William sappia cosa sia la felicità, Tony. E' sempre stato un uomo... amaro con tutti e, per quanto io abbia apprezzato il fatto di lavorare qui per i tuoi nonni, avrei voluto lasciare questo posto di lavoro ogni giorno, a causa di tuo padre" ammise l'uomo, scuotendo tristemente il capo. "Resto per te, perché tu meriti tutto il mio tempo... ma se tu te ne andrai, io non solo capirò, ma ti darò tutto il mio appoggio."

"Morgan..." mormorò Anthony, abbracciandolo con naturalezza.

L'uomo lo avvolse a sua volta tra le braccia, aggiungendo a bassa voce: "Riprenditi la tua vita e non farti condizionare dall'albergo. E' solo una grossa scatola con dentro delle stanze. Ciò che ti hanno lasciato i tuoi nonni è ben diverso, e ben di più."

Ciò detto, si scostò con un mezzo sorriso da Anthony e, scusandosi, si rimise a compiere il proprio lavoro, sapendo di aver già dato al giovane tutto ciò di cui aveva bisogno per decidere sul da farsi.

Anthony, infatti, uscì subito dopo dalla sala da pranzo, ben deciso a trovare Becky e suo padre.

Trovando solo la donna, come sempre al bancone della reception, le sorrise prima di chiederle del padre ma, a sorpresa, Becky disse: "Mi spiace, non è ancora rientrato. Mi ha chiamato poco meno di mezz’ora fa, dicendo che sarebbe andato dalle parti di Beaver Creek per parlare con alcuni titolari di un albergo della zona. Di più non so dirti, Anthony."

"Non importa. Aspetterò il suo ritorno. Questo mi permetterà di sbrigare le ultime faccende senza averlo alle calcagna" scrollò le spalle Anthony, vedendola sorridere dolente al solo sentire quelle parole.

"Sai già dove andare?" chiese soltanto lei, non addentrandosi nei motivi che l'avevano spinto ad andarsene. Sapeva già, bene o male, che il problema poteva venire solo da una persona; il padre.

William non aveva mai dato peso alle brillanti idee del figlio, né aveva mai fatto nulla per dargli il rispetto che avrebbe meritato di diritto, se non altro per i suoi meriti personali.

Non si era mai voluto rendere conto delle innate capacità imprenditoriali di Anthony, relegandolo a meri lavori d'ufficio e poco altro, che ne avevano sempre svilito l'intelligenza.

A Becky era spiaciuto veder sfiorire quel luogo, vederlo prendere sempre più i connotati di un comunissimo albergo di città, e non di un caratteristico quanto gradevole hotel di campagna, come i nonni di Anthony lo avevano sempre pensato.

Ora, quell'ammissione di sconfitta non sorprendeva la donna, ma le spiaceva comunque esserne testimone.

"Mi troverai da Emily... ma non voglio che mio padre lo sappia, per ora" sottolineò lui.

"Da me, di certo non lo saprà. Ho visto che hai portato via già molte cose ma, se avessi bisogno di aiuto…"

"No, ti ringrazio. Faccio da me" la ringraziò lui, allontanandosi per raggiungere l'ala dell'albergo destinata ai proprietari.

C'erano cose di cui doveva disfarsi prima di andarsene una volta per tutte, e doveva farle da solo.
 
***

Margareth uscì dalla stanza poco prima delle dieci, dopo aver approfittato della colazione in camera. Jordan, per quella mattina, se ne sarebbe stato a letto a leggere un po’ e a riposare.

Le emozioni di quei giorni, unito all’altitudine, lo avevano un po’ provato perciò, su suo ordine, si sarebbe preso cura di se stesso mentre lei avrebbe badato ai figli. Ammesso e non concesso che ne avessero bisogno.

Nel discendere le scale, si imbatté in Anthony, sovraccaricato di documenti tra le braccia e con un’espressione indecifrabile sul viso.

Non aveva approfondito i motivi per cui, al suo arrivo, il ragazzo stesse trasferendo le proprie cose nella casa di Emily ma, a giudicare dal suo umore ombroso, ciò che lo aveva portato a trasferirsi, ancora lo turbava.

Sorridendogli, perciò, lo salutò cordialmente e, in un battito di ciglia, il giovane si trasfigurò, regalandole un bellissimo sorriso e un cenno cortese col capo.

“Buongiorno, Margareth. Spero che sia andato tutto bene, stanotte. Ieri non abbiamo avuto molto tempo per parlare, e me ne scuso. In questi giorni sta veramente succedendo di tutto, e pare che le buone maniere siano la prima cosa a perdersi per strada” esordì Anthony, poggiando frettolosamente i suoi documenti su uno dei divanetti presenti lungo il corridoio.

"Oh, nessun problema, caro. Non ho bisogno di tappeti rossi, per entrare in un albergo, né di uno stuolo di servitori al mio seguito" sorrise divertita la donna. "Si hanno novità?"

Anthony tornò serio a quell'accenno, ben sapendo a cosa si riferisse la donna e, nello scuotere il capo, infilò nervosamente le mani nelle tasche posteriori dei jeans per poi dire: “Purtroppo no. Ho chiamato McCoy giusto mezz’ora fa per sapere, ma non hanno ancora trovato alcuna pista. Anche Sherry brancola nel buio, e questo mi preoccupa davvero, visto che sappiamo tutti quanto è brava.”

"Se Sherry non sa che pesci prendere, la cosa si complica sul serio" mormorò pensierosa Margareth.

Annuendo pensieroso, Anthony desiderò per un istante mollare tutto e precipitarsi sui monti assieme ai volontari, ma sapeva bene di dover terminare ciò che aveva cominciato. Non poteva mollare tutto a metà dell’opera, o sarebbe per sempre stato succube delle follie del padre.

Era il momento di dire basta.

Sfiorando un braccio di Anthony con la mano per strapparlo ai tristi pensieri che sembravano invadergli la mente, Margareth domandò: "Emy come sta, stamattina?"

Pur cercando di non arrossire come un peperone maturo, Anthony percepì chiaramente un calore progressivo salirgli alle gote, ma cercò di non farci caso. Era più che naturale che la madre gli chiedesse come stesse la figlia, visto che lei era giunta proprio durante il trasferimento in casa di Emily.

Con tono il più possibile controllato, quindi, mormorò: "Sta... beh, sta meglio. Anche se ovviamente è ancora in ansia per Mickey, e non ne vuole sapere di stare a riposo per curare la caviglia."

Margareth abbozzò una risatina, dandogli una pacca sulla spalla, e replicò: "Beh, se trovi il modo di farglielo capire, esponilo anche a me. Io e suo padre non siamo mai riusciti a farle fare qualcosa che non volesse... anche prima del rapimento."

Anthony levò divertito un sopracciglio, esalando: "Oh...okay. Allora, sono nei guai fino al collo, mi pare di capire."

"Qualcosa del genere, caro" ammise lei prima di tornare seria e domandargli: "Posso chiederti come stai tu, Anthony? O mi ritieni troppo sfacciata?"

"Beh, non è certo un mistero che io e mio padre si sia ai ferri corti, perciò non le racconto nulla di nuovo" scrollò le spalle Anthony. "Mi trasferisco da Emily finché le cose non si saranno sistemate con mio padre e, visto che immagino abbia già capito che tipo d'uomo è, le cose si protrarranno per un bel po'."

“Credimi, non può che farmi piacere sapere che Emily non sarà più da sola in casa, anche se ha sempre avuto Cleo con sé” lo rassicurò Margareth prima di avvertire dei passi alle sue spalle.

Anthony sorrise nel veder giungere Jamie – che ora dormiva in una delle stanze dell’albergo – e Margareth, nel vedere il figlio, aggiunse: “Inoltre, è bello poter strapazzare mio figlio minore come facevo quando era bambino.”

Jamie lo sorrise nervosamente prima di ammiccare a Tony e dichiarare: “La strega, stamattina, è sgattaiolata nella mia stanza con la complicità di Becky, immagino, per darmi dei pizzicotti sulle guance a mo’ di sveglia. Ti pare sensato?”

Anthony scoppiò a ridere, di fronte a quella scoperta e Margareth, sorridendo senza alcun pentimento a farle compagnia, replicò: “Potrò pur divertirmi un po’, ora che sei alla mia mercé?”

“Pagherò Becky perché ti tenga alla larga dalla mia stanza” la minacciò per contro Jamie prime di scrutare la massa abnorme di documenti posta sul divanetto del corridoio e aggiungere dubbioso: “Hai intenzione di controllare i bilanci degli ultimi duemila anni?”

Anthony si fede serio, a quel commento, e asserì: “Per quello che mi propongo di fare, sì. Ho deciso che, se mio padre vuole continuare a fare di testa sua, lo farà senza di me e, visto che il contabile sono io, qui dentro, non voglio mi si dica che ho peccato in qualche cosa.”

Fischiando per la sorpresa e l’ammirazione, Jamie esalò: “Caspita! Questa sì che è una presa di posizione!”

“Era giunto il tempo” si limitò a dire lui, riprendendo in mano i documenti prima di scusarsi con i Poitier.

Rimasto con la madre, Jamie osservò la figura di Anthony sparire oltre l’angolo, dopodiché chiosò: “Quell’uomo è pazzo, a far incazzare un tipo come Tony. Ma che gli dice la testa?!”

Margareth sospirò nello scuotere il capo e, dopo aver carezzato dolcemente la schiena di Jamie replicò: “A volte, la vita non ci dà ciò che meritiamo e, purtroppo, Anthony ha subito lo scorno peggiore di tutti.”

“Beh, per lo meno gli è capitata Emy.”

La madre assentì e, dopo aver preso sottobraccio il figlio, si diresse verso il giardino esterno per godere di quella bella mattinata assieme a Jamie. Solo nel pomeriggio si sarebbero visti con Emy, perciò aveva tutto il tempo di fare il terzo grado al figlioletto ed estorcergli tutto ciò che sapeva in merito alla novella storia d’amore della figlia.
 
***

Emily storse il naso, di fronte allo sbarramento innaturale che si stagliava dinanzi alla porta d’ingresso della camera di Anthony e, nel curiosare con lo sguardo dentro gli scatoloni, gorgogliò: "E va bene... accetterò il fatto che non vuoi farmi mettere piede in camera tua… ma addirittura bloccarmi la strada coi tuoi trofei di hockey?"

Lui rise di quell’appunto, scostò un poco gli scatoloni incriminati e replicò: "Se vuoi, ti faccio vedere perché non volevo entrassi... ma poi non lamentarti, va bene?"

"Sono coraggiosa, cosa credi?" si lagnò ironicamente lei prima di gettare uno sguardo alla sua destra e rimanere chiaramente sconvolta da ciò che le si presentò innanzi. "Ah... è passato un tornado?"

Nella stanza, che lei ricordava intonsa, perfettamente in ordine e anche un tantino troppo organizzata, Emily vide il caos più totale.

Altri scatoloni aperti si trovavano sul pavimento assieme a vecchi trofei di gare di sci, gagliardetti, maglie di squadre di hokey e altri oggetti sportivi di varia natura. Sul letto, abiti su abiti attendevano di essere sistemati nelle valige aperte e lasciate negligentemente a terra al pari di diverse scatole di cartone.

E lei che aveva sempre pensato che fossero le donne ad avere un arsenale di oggetti e paccottiglia sparse nelle stanze… persino Anthony sembrava aver accumulato materiale per due vite, in quegli anni!

"Davvero vuoi rimanere qui dentro con me?" la minacciò comicamente Anthony.

Emily lo guardò con aria confusa ed esalò: "Tony, per quanto io apprezzi il fatto che tu abbia deciso di venire da me, piuttosto che da un tuo amico… ma io pensavo che fosse solo una cosa passeggera. Cosa sta succedendo, davvero? E non mi fraintendere, per me, puoi rimanere per sempre, ma…"

Tornando serio, lui annuì di fronte alla sua ovvia confusione e disse: "Indipendentemente dal fatto che io rimanga per molto o poco tempo da te, non abiterò comunque più qui. Questo posto non è mio, né lo sento mio già da molto tempo e, come dicevano i miei nonni, sono più importanti le persone, rispetto alle cose. I miei ricordi verranno con me, non rimarranno segregati qui perciò, quando e se mio padre vorrà capire che io desidero soltanto il bene di questo posto, potrò tornare a lavorarci. Diversamente, non ho più intenzione di spenderci un solo minuto."

"Tony..." mormorò spiacente Emily, stringendolo in un forte abbraccio. "...sei sicuro di riuscire ad abbandonare questo luogo? Sappiamo bene entrambi quanto tu ci tenga."

"Ne ho parlato anche con Morgan e Becky. Sta a me decidere e, di sicuro, lo devo fare senza pensare a ciò che avrebbero detto i nonni. Loro ci tenevano, io ci tengo, ma questo albergo non deve diventare una gabbia, per me. Questo, davvero non lo vorrebbero, né lo desidero io per me stesso" si limitò a dire Anthony, chinandosi per darle un bacetto sulla fronte.

Lei a quel punto annuì, lanciò nuovamente uno sguardo alla marea di oggetti ancora da sistemare e disse: "E io che pensavo che fossero le donne, ad avere un sacco di roba."

Anthony scoppiò a ridere per diretta conseguenza e, mentre Emy afferrava il borsone da hockey, lui badò a sollevare quello ben più pesante dei suoi trofei giovanili.

Emily aveva compiuto i primi passi fuori dal suo incubo, insieme a lui, e Anthony avrebbe fatto lo stesso, grazie all'aiuto della donna che amava. Pareva assurdo che si trovassero in situazioni così simili, eppure era così.

Volente o nolente, suo padre l'aveva tenuto imprigionato per tutto quel tempo, con il ricordo dei nonni a legarlo a quel luogo ma, finalmente, aveva trovato le motivazioni e la forza necessarie per sfuggire a tale presa.

Certo, ne avrebbe sofferto in futuro come già ne soffriva in quel momento, ma non voleva più rimanere rinchiuso in un loop privo di sbocchi, se poteva iniziare la sua vita altrove.

Le competenze non gli mancavano, la laurea in Economia neppure, perciò avrebbe trovato un altro lavoro, costruendo nuove radici in un altro luogo.

I nonni avrebbero capito, lui ne era certo.






N.d.A.: Tony pare deciso a dare un taglio netto al passato, anche per quanto riguarda il tanto amato albergo dei nonni ma, come ha tenuto a sottolineare anche Morgan, non sono gli oggetti che definiscono ciò che amiamo, ma i ricordi delle persone che teniamo nel cuore perciò, per quanto possa spiacergli cedere alle follie del padre, Anthony non può neppure fossilizzarsi e rimanere immobile in un loop senza scampo.
William, però, gli permetterà di sfuggire alla sua presa soffocante?

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


22.

 

 

 

 

 

Emily scese dal pick-up di Anthony, una volta raggiunto l'albergo e lì, afferrata la sua stampella, disse: "Credo che ora Consuelo riesca a sopportare meglio l'attesa. Parlare con mia madre pare esserle servito."

"Sa che lei ha vissuto lo stesso calvario, perciò può comprenderla meglio di chiunque altro. Questi giorni assieme a lei la aiuteranno di sicuro" annuì Anthony, lanciando uno sguardo verso il retro dell'albergo, dove si trovavano gli automezzi privati della famiglia, così da capire se il padre fosse o meno rientrato da una delle sue ormai frequenti uscite.

Vedendo la Ford Taurus del genitore, si avvicinò istintivamente per controllare che non fosse ancora a bordo ma, nel farlo, gli occhi gli caddero sul vicino pick-up di proprietà dei nonni.

Era insolito che suo padre lo usasse, poiché veniva adoperato soltanto per andare a fare legna ogni tanto, eppure sulle gomme c'era del fango fresco che stava iniziando a seccare.

Dubbioso, si avvicinò ulteriormente per controllare, tallonato dappresso da Emily e, nel toccare il terriccio umido, si strofinò le mani borbottando: "E' recente."

"Che succede?" domandò curiosa Emy.

Volgendosi a mezzo, Anthony disse pensieroso: "Becky mi ha detto che mio padre, anche stamattina, sarebbe andato a Beaver Creek per affari, ma dubito fortemente che ci sia andato col pick-up, e che abbia percorso una strada sterrata per andarci. Da quel che avevo capito, doveva vedere degli albergatori."

"Può aver svolto qualche altra commissione in mattinata. Dopotutto, siamo a pomeriggio inoltrato e tu, ultimamente, non passi molto tempo qui, no?" replicò Emily, non sapendo bene dove volesse andare a parare Anthony.

Sbuffando, Anthony sorrise leggermente, annuì e infine disse: "Ma sì... può darsi che l'avversione per le cose dei nonni gli sia passata, dopotutto."

"E' così idiosincratico?" esalò Emily, facendo tanto d'occhi.

"Non puoi immaginare quanto. Sarà per questo che mi detesta tanto... perché io amo i nonni. Potrebbe essere una spiegazione valida quanto un’altra"scrollò le spalle Anthony. "Comunque, visto che è tornato, andrò a parlargli. Vuoi che ti accompagni prima in clinica, prima?"

"No. Riesco ad andarci anche a piedi. Mi farò fare questa benedetta visita, sperando che mi tolgano alla svelta l’obbligo di usare la stampella, dopodiché sarò a posto e chiamerò Jamie perché mi venga a prendere."

Lui assentì prima di ridacchiare e domandarle: "Ha poi deciso cosa fare? Rimarrà a casa tua, o si darà alla fuga?"

"Ha detto che non vuole diventare cieco, sentendoci fare cosacce, perciò ha sentenziato che avrebbe preso una stanza qui in albergo per fuggire da noi" ridacchiò Emily, arrossendo leggermente.

Anthony scosse la testa nel ridere allegro e, dandole un bacio di saluto, chiosò: "Beh, se non si è spaventata Cleo..."

"Ultimamente lo paragonano spesso al mio cane.. sarà felice" celiò Emily, salutandolo nell'allontanarsi.

Tornando serio non appena Emily fu scomparsa dal suo campo visivo, Anthony si apprestò ad affrontare una volta per tutte il padre, ben deciso a mettere in chiaro le sue decisioni.

Non voleva più procrastinare oltre, cosa che negli ultimi giorni di trasloco aveva caldamente evitato, né lasciare che lui si immischiasse ulteriormente nella sua vita privata. Aveva lasciato correre fin troppo a lungo per paura di perdere le uniche radici che gli erano rimaste, ma ora aveva compreso che, ciò che contava veramente, era racchiuso nel suo cuore, e non tra le quattro mura dell'albergo.

L'amore dei suoi nonni, e che lui aveva provato per loro, non sarebbe svanito se anche il padre avesse fatto terra bruciata dell'hotel. Quel sentimento duraturo e potente sarebbe per sempre rimasto in lui, e lo avrebbe accompagnato nel futuro che aveva deciso di creare con Emily.

Lontano dal padre, lontano dai veleni che lo avevano condizionato per un tempo troppo lungo della sua vita.

Quando, perciò, entrò in albergo, si diresse subito verso l'ufficio del padre e, una volta che ebbe bussato e ricevuto il benestare a entrare, si affacciò all'interno e lo vide seduto alla scrivania, come al solito impegnato a leggere scartoffie.

William levò il capo per guardarlo, e Anthony si sorprese nel vederlo completamente sbarbato, in ordine e con abiti di ottima fattura ancora addosso. Evidentemente, doveva davvero essere andato a uno di quei fantomatici appuntamenti tanto millantati, altrimenti non si sarebbe mai sprecato a indossare un simile completo.

"Ho notato che in questi giorni hai iniziato a portare via le tue cose. Bene" esordì il padre con tono scevro di emozioni. "Avevo anche pensato di cambiare serratura alle porte, giusto per farti capire chi comanda, qui dentro, ma ho soprasseduto. Spero apprezzerai il mio gesto.”

Anthony si limitò a un'alzata di spalle e William, senza attendere una sua replica, aggiunse: "Detto questo, ci tengo a informarti che ho trovato dei compratori per l'albergo. Ormai ritengo di aver dato tutto, a questo posto, e non ti reputo in grado di proseguire degnamente nel mio lavoro, perciò sono in trattative con una importante catena alberghiera di Fort Loderdale, che ha delle succursali anche in Colorado. Entro la settimana prossima sarà stilato il contratto di vendita, perciò avresti dovuto comunque trovarti una nuova casa."

"Bene" mormorò Anthony, cercando di trattenere l'ira.

Era inutile prendersela per i suoi modi apatici, perché in ogni caso non avrebbe ricavato nulla da quell'uomo. Anzi, era giunto a credere che, qualsiasi sua azione fosse dettata dalla vendetta, dal sordido piacere di fargli del male perché lui, innanzitutto, aveva amato i nonni.

Sapeva che tra il nonno e il padre non era mai corso buon sangue, e che la mentalità chiusa di suo padre spesso si era scontrata con quella più liberare e innovativa del nonno.

Non aveva mai saputo veramente cosa avesse fatto nascere un simile odio tra loro, ma tant’era.

Trovando quel momento buono come un altro per sviscerare il problema, Anthony allora intrecciò le braccia sul torace e domandò: "Quando ti riterrai soddisfatto? Dissotterrerai i nonni dalla tomba e darai fuoco ai resti? Solo allora potrai essere contento?"

William rispose con un sorriso beffardo quanto glaciale, replicando sardonico: "Tu hai sempre idolatrato i tuoi nonni ma non li hai mai conosciuti davvero, non conosci i loro scheletri nell’armadio. Quanto alla vendita dell'albergo, non lo faccio per spregio nei loro confronti ma perché, semplicemente, non ti reputo adatto a proseguire nel mestiere. Sei troppo permissivo, niente affatto di polso, e lasci troppo spago ai dipendenti. Loro non devono essere amici, devono capire chi comanda, e tu non lo hai mai fatto. Ma, per farti capire che non sono un mostro, ho tenuto a precisare con gli acquirenti che Morgan e Becky saranno riassunti nella nuova gestione."

"Già... come se vi fossero solo loro, all’interno dell'hotel" sottolineò Anthony con tono aspro.

"Gli altri si possono sostituire facilmente, come ho sempre fatto" chiosò laconico William. "Quanto a te, ti verrà consegnato fino all'ultimo centesimo. Non voglio certo che mi accusi anche di essere un ladro."

Ciò detto, William gli lanciò un'occhiata sprezzante che, però, non ottenne l'effetto di far irritare Anthony.

Nel notare con quanta freddezza il figlio lo stesse affrontando, l’uomo non si diede comunque per vinto e, nello sfogliare il contratto preliminare che aveva fatto stilare in previsione della vendita dell'albergo - e che, ben presto, sarebbe stato firmato da entrambe le parti interessate - terminò di dire: "Se hai qualche oggetto di interesse personale che vuoi tenere per te, ti conviene prenderlo ora. Non credo che, già domani, sarò di umore altrettanto benevolo."

"Terrò le vecchie carte topografiche del nonno, se non è un problema" si limitò a dire Anthony, scrollando le spalle. "Quelle che prestai a suo tempo al signor Jones, per intenderci."

A quell'accenno, William sorrise beffardo e asserì: "Vedo che continui a farti amici personaggi di basso calibro. Non ti ho davvero inculcato niente, in quella testaccia dura. L'amicizia con un geologo a cosa ti porterà? A un bel nulla, ma vedo che ancora non hai compreso come si sta al mondo. Comunque, non sarà più un problema mio, visto che mi hai fatto capire più che bene che non sei interessato a capire i trucchi del mestiere da me."

"Su questo siamo assolutamente d'accordo" assentì atono Anthony, infilando le mani nelle tasche prima di domandare con casualità: "Potrei anche prendermi il pick-up del nonno? Tanto, tu non lo usi, e a me farebbe comodo quando vado a fare legna."

A quell'accenno, William si accigliò sensibilmente, le sue mani si bloccarono per alcuni istanti sui fogli del contratto prima di riprendere ciò che stavano facendo. 

Con tono scorbutico, quindi, l'uomo replicò: "No. Quello l'ho già promesso a un'altra persona. Non puoi averlo."

"Posso sapere a chi l'hai promesso? Magari, posso trovare un accomodamento con lui" insistette a quel punto Anthony.

"Non sono affari tuoi. Punto" lo liquidò il padre, chiudendo la questione una volta per tutte. "Sei congedato, ora. Ho altro a cui pensare."

"Come vuoi" replicò fiacco Anthony, andandosene dall'ufficio con più di un dubbio nella mente.

Allontanandosi lungo il corridoio per raggiungere quella che, fino a pochi giorni prima, era stata la sua camera da letto, il suo piccolo angolo di mondo protetto dalle angherie del padre, si rese conto di non vederla più come un'oasi.

La stanza era esattamente la stessa, tolto per la mancanza delle sue cose ma, proprio come gli aveva ricordato Morgan, non erano gli oggetti a renderci cara una persona o un luogo, ma i ricordi condivisi e le sensazioni provate.

Quel luogo era stato il sogno dei nonni, la loro ricompensa per i tanti sforzi fatti, ma l'amore che gli avevano dato era la sua vera eredità. Allo stesso modo, quelle quattro pareti non lo avevano mai davvero protetto dal carattere dispotico del padre, né dalle sue parole velenose.

A farlo stare bene, a farlo sentire al sicuro, era stato il sapere di essere amato dai nonni. Questo, lo aveva reso capace di sopportare anche l'odio del padre.

Ormai era chiaro che con il genitore rimastogli non vi sarebbe mai stato nulla, se non un reciproco e generalizzato fastidio, perciò era tempo che vi facesse davvero l'abitudine e smettesse di sperare.

Era tempo di focalizzarsi solo su ciò che aveva dentro.

L'amore per Emily. L'amicizia nei confronti dei suoi nuovi e vecchi amici. La fedeltà verso coloro che lo erano stati a loro volta con lui.

Quelli sarebbero stati i suoi nuovi pilastri e, così facendo, suo padre non avrebbe più potuto manipolarlo con il ricatto costituito dall'albergo.

Afferrato quindi uno scatolone, uscì dalla stanza per recuperare le vecchie stampe appese lungo il corridoio del primo piano dell'albergo e lì, a sorpresa, vide uscire Jordan Poitier dalla suite a lui destinata.

Bloccandosi a metà di un passo, Anthony riprese immediatamente il suo ruolo di vice-direttore e, cordialmente, domandò: "Buongiorno. Posso esserti utile in qualcosa, Jordan?"

Nel notare lo scatolone e i quadretti al suo interno, Jordan però replicò: "Posso esserti io di aiuto, piuttosto?"

Anthony allora guardò la scatola, sorrise e disse: "Sono vecchie stampe di mio nonno. Unico lascito di mio padre, a quanto pare. Venderà l'hotel a una catena alberghiera, perciò ben presto dovrò trovare un nuovo lavoro."

Jordan lo guardò pieno di stupore e sì, dispiacere e, nel seguirlo lungo il corridoio, gli chiese: "Sei sicuro di non voler lottare per tenerlo? Posso consigliarti un paio di avvocati, se vuoi."

Anthony, però, scosse il capo, sfiorò con dita leggere la cornice di un quadro prima di staccarla dal muro e asserì: "L'affetto che provo per questo luogo è soprattutto legato all'amore per i miei nonni, e quello non potrà togliermelo nessuno. Porto via le stampe perché erano un regalo del bisnonno a mio nonno, e lui vi era molto affezionato. Per il resto, va bene così. Inoltre, avrei ben poche frecce al mio arco visto che, all'interno di questo albergo, sono solo un dipendente e non ho alcuna voce in capitolo".

Questo sorprese non poco Jordan, che scosse il capo con espressione disgustata e diede una pacca sulla spalla al giovane prima di aiutarlo a raccogliere le cornici rimanenti.

Lavorarono in silenzio per diversi minuti, minuti in cui Jordan si chiese se portare avanti o meno ciò che si era prefisso di fare quando era uscito dalla sua stanza.

Era chiaro quanto, in quel momento, Anthony si stesse trattenendo dall'esprimere a parole - o coi gesti - tutta la sua frustrazione, e lui non voleva apparirgli come un arrivista, come una persona che approfitta del dolore altrui per apparire benevolo.

Ugualmente, diede comunque voce ai propri pensieri e disse: "Quando mi hai visto uscire, stavo per l'appunto venendo a cercarti. Stasera, io e Maggie usciamo con i nostri figli per andare da Gilda a mangiare le lasagne - che ci dicono essere strepitose - e volevo sapere se intendevi unirti a noi. Solo che, vista la situazione attuale, mi sembra di farti una richiesta studiata a tavolino per apparirti migliore di tuo padre."

Nel dirlo, gli sorrise contrito e Anthony, scoppiando in una risatina leggera, ma che gli servì a scacciare parte del malumore montato nell'ufficio del padre, replicò divertito: "Oh, credimi, Jordan... dubito che esista, su tutta la Terra, un padre peggiore di lui. O almeno, così la penso io. Perciò, vinceresti facile a prescindere. Comunque, accetto volentieri. Ho davvero bisogno di staccare un po', visto che nell'ultima settimana è davvero successo di tutto e non ho avuto tempo per respirare decentemente."

"Emy mi ha detto che tu e Consuelo stavate insieme, prima della nascita di Mickey... immagino tu ti senta strano, con quello che sta succedendo" si intromise gentilmente Jordan.

Annuendo, Anthony tornò sui suoi passi per sistemare le cornici nella sua stanza, al sicuro dalle avide mani del padre e, torvo, ammise: "Sono legato a Mickey per più di un motivo, e uno non è molto bello. Mio padre ingiuriò per mesi Consuelo, tacciandola di essere una donna leggera - ovviamente, usò termini più discutibili, che io non ripeterò - e la accusò di volermi strappare dalle mani mio figlio per darlo a Samuel. Naturalmente, io e Consuelo sapevamo benissimo che Mickey non era figlio mio, perciò feci di tutto per proteggerla dalle follie di mio padre e, quando il bimbo nacque, ne divenni il padrino."

Jordan sospirò nello scuotere il capo e borbottò: "Davvero non capisco perché si possa arrivare a tanto... ma, con l'esempio di mia sorella o dei miei genitori alle spalle, posso aspettarmi davvero di tutto, dalle persone."

Ciò detto, l’uomo scrutò dubbioso Tony prima di aggiungere: "Emy te ne ha parlato? Di ciò che successe a mia sorella Bérénice? O del perché non pagammo per il suo riscatto?"

Scuotendo il capo, Anthony ammise: "Tra il rapimento di Mickey e i giorni passati nei boschi, oppure a traslocare, non abbiamo davvero avuto il tempo di sviscerare l'argomento, anche se mi aveva accennato al fatto che tu le avevi spiegato i reali motivi che vi furono dietro al mancato pagamento."

Annuendo, Jordan lo seguì nel suo andirivieni lungo i corridoi e, nel raccogliere le ultime stampe, ammise ciò che avvenne più di vent'anni prima, senza tralasciare alcunché.

Anthony dovette fermarsi in preda allo shock, non più in grado di proseguire ciò che stava facendo.

Alla fine del racconto, il giovane emise un fischio basso e prolungato prima di esalare: "Beh, dopo un gesto simile, non stupisce che tutto sia stato bloccato."

"Ammettere con una bambina di otto anni che i suoi nonni e i suoi zii non la volevano salvare per proteggere gli interessi dell'azienda, però, sarebbe stato complicato, così mi presi io la colpa, innescando la bomba a tempo che ci ha tenuti separati per più di due decenni" sospirò a quel punto Jordan. "Non sono stato molto lungimirante, lo ammetto ma, all'epoca, pensavo che gettarle addosso quella verità fosse davvero troppo."

"Io non sono famoso per le scelte produttive... lo dimostra il fatto che ho lasciato fare a mio padre quel che voleva, di me, fin da quando sono uscito dall'università, e tutto perché ero convinto che, solo così, mi avrebbe voluto bene almeno un po’" scrollò le spalle Anthony, sorridendo mesto. "Ora, però, credo sia venuto il momento di riappropriarmi dei miei spazi. Fuori da qui."

"Beh, a quanto pare, abbiamo avuto la stessa idea, visto che me ne sono andato dall'azienda di famiglia a mia volta" gli sorrise Jordan, dandogli una pacca sulla spalla.

"Mal comune, mezzo gaudio" chiosò Anthony, ritrovandosi a ridere con il padre di Emily.

***

Poggiate le mani sulle spalle di Emily, che sollevò il capo a sorriderle affabile, Gilda lanciò un'occhiata piena di apprezzamento alla tavolata dinanzi a lei prima di dire: "Beh, direi che meglio di così non poteva andare. E' proprio l'immagine che volevo vedere... o quasi. Jamie, quanto ancora aspetterai prima di farmi conoscere una bella fanciulla?"

Jamie le sorrise mellifluo, replicando con candore: "Sto ancora aspettando che tu mi dica di sì."

Gilda scoppiò in una grassa risata e, mentre Jordan guardava dubbioso il figlio - come in cerca di spiegazioni - la donna disse: "Tesoro, lo sai che amo troppo Coop per scappare con te."

"Non smetterò di sperarci, né di provare a convincerti" scrollò le spalle Jamie, affabile e per nulla offeso dal suo ennesimo rifiuto.

Gilda gli diede un buffetto sulla guancia prima di dire ai genitori del giovane: "Non vi stupite... sono anni che mi fa la corte inutilmente."

"Beh, se non altro dimostra buon gusto" chiosò Jordan, sorridendo divertito al figlio e alla moglie.

"E lei, buon occhio, Mr. Poitier. Le lasagne sono quasi pronte, comunque. Se avete bisogno d'altro, nel frattempo, non avete che da chiedere."

"Susan non c'è stasera? Non la vedo in giro" si informò Emily, guardandosi in giro.

Con aria da cospiratore, Gilda allora disse con tono un po’ più basso: "Quella bimba è uscita con il vostro Parker, assieme al suo fratello spilungone e a Sherry. Sono passati poco prima a prenderla, non appena ha smontato dal turno."

"Oh, bene" sorrise soddisfatta Emy.

"Mica tanto, bella mia" replicò Gilda, accigliandosi. "Se Susy si innamora di Parker e decide di scappare con lui per volare a Denver? Tanti saluti a una cameriera coi fiocchi. No, no... ve lo dico io... amore e lavoro sono due cose complicate da mettere insieme."

"Tu ci lavori, con tuo marito" sottolineò divertita Emily.

Gilda allora ammiccò al suo indirizzo, le strizzò l'occhio e, prima di tornare al bancone del diner, chiosò: "Non ho detto che è impossibile... solo, complicato."

Ciò detto, li salutò con un cenno e Margareth, sorridendo ai figli e ad Anthony, disse: "Ora capisco perché amate tanto questo posto. Da come me ne avevate parlato, avevo capito che era una gran donna, ma sono lieta di scoprire che non avevate esagerato. Anche tu sei un habitué, Anthony?"

"Gilda mi ha praticamente tirato su assieme a mia nonna, anche se preferisco non ricordarglielo, visto che non vuole pensare all'età che avanza" ammiccò Anthony, lanciando un'occhiata piena d'affetto alla donna che, in quel momento, stava parlando con un avventore.

"Nessuna donna ama farsi ricordare quanti anni ha" assentì Margareth, preferendo non domandare oltre sull'argomento. Non era davvero l'occasione più adatta per sviscerare argomenti così delicati.

In quel mentre, le lasagne vennero servite direttamente da Cooper che, con un movimento fluido di mani, consegnò a tutti i piatti fumanti e augurò loro buon appetito.

Nessuno di loro poteva immaginare che, a diverse miglia di distanza da lì, in tutt'altra ambientazione e con tutt'altro umore, proprio l'oggetto delle loro ricerche stava cenando a sua volta, e in compagnia del suo rapitore.

***

Mickey poggiò le posate sul piatto ormai vuoto, lo riconsegnò all'uomo dinanzi a lui e disse: "Ho perso un sacco di puntate di Sponge Bob."

"Le recupererai, te lo prometto" gli disse l'uomo, rimettendo nella sporta le vettovaglie prima di consegnare a Mickey un gelato alla vaniglia, prelevato direttamente da una piccola borsa-frigo da viaggio che aveva portato con sé.

"E le partite di football?" domandò ancora, incalzandolo.

"I campionati ci sono tutti gli anni" replicò serafico l'altro, scrollando una spalla.

"Sì, ma..." tentennò il bambino prima di notare lo sguardo duro che l'uomo gli lanciò. Era meglio tacere.

Quello era uno sguardo d'avvertimento, e lui sapeva che era meglio non contraddire simili occhiate. La loro maestra di ginnastica gliene lanciava certe, quando facevano troppo baccano in palestra...

Rabbrividì al solo pensiero e l'uomo, avvedendosene, gli domandò: "Hai freddo?"

"No. Pensavo alla mia maestra di ginnastica, e alle sue sgridate" gli spiegò lui, addentando il gelato ricoperto di granella di nocciole e cioccolato al latte. "Quando facciamo baccano, ci sgrida sempre."

"Vi educa" precisò l'altro, alzandosi in piedi. "Non si può crescere come dei selvaggi."

"La mamma..." iniziò col dire Mickey prima di tapparsi subito la bocca e sbocconcellare in silenzio il gelato.

Aveva imparato molto presto che il solo nominare sua madre faceva imbestialire l'uomo ma, ogni tanto, gli scappava. Quella volta, però, lui non disse nulla.

Forse, perché aveva notato il suo impegno nel non proseguire nella frase.

Un attimo dopo, infatti, gli posò una mano sulla testa, sorrise e disse: "Troveremo una maestra adatta a insegnarti ciò che si deve sapere, non temere."

Mickey assentì - sapeva già che, se avesse protestato, l'uomo si sarebbe adirato, perciò era meglio assecondarlo - e, con una scrollata di spalle, celiò: "Miss Whitman è un po' isterica, in effetti."

"Ne avrai una migliore, dove andremo. Manca ancora poco, non temere" gli promise l'uomo prima di salutarlo e allontanarsi.

Chiusa a doppia mandata la porta dinanzi a Mickey, l'uomo sospirò, si passò una mano tra i capelli brizzolati e mormorò tra sé: "Non permetterò mai più che quella puttana lo segua. Sarà solo mio. Una volta per tutte."

N.d.A.: Scusate il ritardo! Per farmi perdonare posterò due capitoli in sequenza, a poca distanza l'uno dall'altro! :)

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


 

23.

 

 

 

 

Anthony aveva promesso a Emily di raggiungerlo non appena avesse terminato di raccogliere gli ultimi oggetti a lui cari, oltre a firmare le dimissioni di fronte a suo padre ma, come sempre in quel periodo, non era riuscito a trovarlo.

Nell’attesa, si era sistemato nella sua vecchia stanza a leggere un libro per ammazzare il tempo però, alla fine, era crollato sul materasso e si era addormentato.

Fu un rumore inconsueto, un borbottio sordo, a svegliarlo di soprassalto e, quando Anthony capì di trovarsi ancora nella sua stanza, al buio e con gli abiti addosso, ricollegò ciò che era successo e si diede dell'idiota.

Immediatamente, mandò un paio di messaggi in risposta a quelli ricevuti da Emily - che lei lesse subito, chiarendogli che era ancora desta e, probabilmente, irritata con lui - dopodiché si alzò per andarsene e raggiungerla.

Già pronto a tornare da Emy e lasciare le sue dimissioni a un giorno più propizio, vista soprattutto l’ora tarda, Anthony si fermò non appena un rumore di passi si fece largo in quell’ala dell’albergo, destinata alla famiglia. Guardingo, quindi, socchiuse la porta della stanza per capire chi potesse aggirarsi a quell’ora antelucana, e in quel luogo in particolare.

Quando perciò vide comparire il padre si sorprese non poco e, per un momento, rischiò di smascherarsi. La sorpresa fu così tanta che, solo all'ultimo istante, Anthony frenò l'imprecazione che gli era salita alle labbra.

Immobilizzandosi immediatamente per non fare rumore, attese che l'uomo oltrepassasse la sua stanza e raggiungesse il fondo del corridoio, dove si trovava la camera padronale. Dopodiché, si tolse le scarpe e sgattaiolò via in silenzio, scendendo da dove suo padre era appena salito.

Non appena raggiunse il garage, Tony si avvicinò lesto al pick-up di suo nonno, trovando il cofano ancora ben caldo e le gomme nuovamente sporche di fango e detriti floreali.

Questa volta, però, non lasciò correre e, preso che ebbe un contenitore da un vicino scaffale, raccolse qualche campione dopodiché uscì in silenzio dal garage, ben deciso a vederci chiaro.

Pur sapendo di non avere  motivi per sospettare di lui, Anthony si incamminò verso la parte alta del paese per chiarire i propri dubbi, quando un paio di agenti di ronda lo videro e lo fermarono per un controllo.

Nel riconoscerlo, però, gli sorrisero – tranquillizzati dal pensiero di non dover discutere con qualcuno – e il più giovane tra i due agenti, ammiccando al suo indirizzo, celiò: "Una certa persona non ti ha voluto nel suo letto, stanotte, Tony?"

"Non sapevi che soffro di sonnambulismo, Chuck?" ironizzò a sua volta Anthony. "In verità ho fin troppi pensieri, per poter dormire bene, così ne ho approfittato per fare un giro a piedi. E' un problema?"

I due poliziotti si guardarono vicendevolmente per alcuni istanti prima che Chuck replicasse: "In teoria, ci sarebbe il coprifuoco, e già tuo padre è tornato tardi da Denver – almeno, a detta sua e della fattura di vendita che ci ha mostrato come prova - perciò, vedi di non ficcarti nei guai con i federali. Fai una passeggiatina e poi rientra. Se ti fermano, puoi dire che te l'abbiamo concesso noi."

"Grazie, ragazzi" disse Anthony, salutandoli nel riprendere il suo cammino verso Big Springs Drive.

Non appena si ritrovò immerso nell'oscurità, Anthony si lasciò guidare dall'abitudine e dalla luce della luna quindi, inforcato un sentiero per accorciare il percorso e raggiungere prima Ponderosa Drive, rimuginò sulle parole dei due poliziotti.

Denver. Agli agenti, il padre aveva detto di essere stato da un fornitore di Denver, e aveva mostrato loro la copia di una fattura di acquisto.

Visto l'orario in cui era rientrato in albergo, doveva essersi fermato per forza in città per la cena e poi, in qualche modo, aveva riempito la serata fino a tornare a casa all'una di notte. 

Se fosse stata qualsiasi altra persona, non vi avrebbe trovato nulla di strano, ma stavamo parlando di William Consworth, che non aveva nessun fornitore, a Denver - a meno di cambiamenti dell'ultima ora - e non amava guidare con il buio.

I suoi problemi di cataratta lo disturbavano più di quel che lui stesso volesse ammettere, e perciò già da tempo non si muoveva durante la notte, se non per casi di estrema urgenza.

Tenendo quindi conto dell'orario di chiusura dei negozi e dell'ora di tempo necessaria per risalire da Denver, qualcosa non quadrava. Perché, se le cose erano davvero andate così, suo padre non era rimasto a Denver per la notte?

Inoltre, perché era andato fin là con il martoriato e vecchio pick-up di suo padre, che neppure teneva troppo bene la strada? Ma, soprattutto, perché c'erano fango fresco e fogliame attaccati ai copriruota e agli pneumatici?

No, suo padre stava mentendo su qualcosa, e lui doveva scoprire a tutti i costi di cosa si trattava ma, per farlo, aveva bisogno di aiuto.

Per questo, nonostante si sentisse un verme al pensiero di svegliare Parker, che aveva passato tutto il pomeriggio nei boschi a scandagliare il terreno in cerca di indizi, suonò ugualmente alla porta e attese che lui venisse ad aprire.

All'interno del piccolo appartamento si udirono dei suoni, un paio di tonfi e, infine, un'imprecazione proprio all'altro lato della porta e Anthony, nonostante tutto, sorrise. Se non altro, era riuscito a svegliarlo.

Quando infine la porta venne socchiusa - evidentemente, Parker lo aveva sbirciato dallo spioncino - il padrone di casa mugugnò: "Emy ti ha già buttato fuori di casa? Non ti ho insegnato davvero niente?"

Tony sorrise a mezzo, scosse il capo e disse: "So che è un orario infame, scusa... ma devo togliermi un dubbio."

Pur aprendo la porta per farlo entrare, Parker borbottò contrariato: "Adesso ti viene in mente che forse sei dell'altra sponda? E vorresti provare con me?!"

Anthony, a quel punto, scoppiò a ridere, si passò divertito una mano tra i capelli e replicò: "Dio! Non penso proprio, Parker!"

Ciò detto, tornò mortalmente serio, gli mostrò ciò che aveva prelevato dal pick-up di suo nonno – e che il padre aveva usato per non ben precisati motivi – quindi disse: "Non riuscirò a tranquillizzarmi finché non saprò da dove viene questo terreno. Tu sei un geologo, e scommetto quel che vuoi che conosci a menadito tutta la composizione chimica degli strati superficiali di terreno da qui a Denver."

"Non sbagli" ammise Parker, sbadigliando sonoramente mentre accendeva la macchinetta per il caffè e la luce in salotto. "Quel che, però, mi viene da chiederti è dove diavolo hai trovato quei campioni di terreno, e perché ti sia venuta una voglia matta di conoscerne la composizione all’una e mezzo di notte."

"Era sulle ruote del pick-up da cui è sceso mio padre, giusto una mezz’ora fa" ammise senza remore Anthony, vedendo Parker bloccarsi al solo sentirlo nominare.

Facendo tanto d'occhi, Parker agì meccanicamente con le mani per preparare il caffè ma, con lo sguardo, rimase incatenato ad Anthony mentre gli chiedeva: "Perché... perché vuoi sapere dov’è andato, amico?"

Sospirando suo malgrado, il giovane poggiò la scatola sul tavolo del cucinotto di Parker, si lasciò cadere su una sedia e, poggiati gli avambracci sulle cosce, mormorò: "Non riesco a togliermi dalla testa che ci sia qualcosa che non va, Parker. So di essere di parte, visto quanto mal lo sopporto, ma sta tenendo dei comportamenti davvero troppo strani perché io non ne tenga conto."

Ora del tutto sveglio, Parker lo imitò e, sedutosi che fu, gli disse: "Raccontami, e non tralasciare niente."

Anthony assentì con un movimento lugubre del capo e replicò: "Sono anni che millanta di voler vendere l'albergo, e solo per fare uno sgarbo a me. Il punto è che non lo ha mai fatto, né si è mai messo in pista per trovare dei compratori mentre ora, nel giro di dieci giorni, salta fuori che ha trovato qualcuno a cui vendere sia l'hotel che il pick-up di mio nonno che lui, in vent'anni, non ha mai toccato. Da quando ho preso la patente, l’ho sempre usato io per i miei lavoretti di falegnameria, ma lui non lo ha mai degnato di mezzo sguardo. Ora, invece, è già la seconda volta che glielo vedo usare in pochi giorni e, in entrambe le occasioni, ho trovato del fango fresco sulle gomme e attaccato ai copriruota."

Parker, a quel punto, osservò di sfuggita la scatola contenente il terriccio incriminato e domandò: "C'è solo questo? Semplice curiosità morbosa? O pensi ad altro?"

"Ha detto che, una volta venduto tutto, se ne andrà per sempre. Non ha mai parlato di voler abbandonare Nederland. Mai, neppure una volta" sottolineò Anthony, ancora sconcertato.

Adombrandosi, Parker borbottò: "Come se volesse fuggire da qualcosa? O qualcuno?"

"Non so. Non credo abbia dei debiti di gioco, perché non è mai stato un uomo dedito a simili svaghi, ma non posso certo dire di conoscere benissimo mio padre. Una cosa, però, mi è parsa strana."

"Dimmi pure" lo incitò Parker.

"Poco fa, nel venire da te, una pattuglia mi ha fermato per degli ovvi controlli e uno degli agenti mi ha fatto notare che anche mio padre era tornato tardi da Denver. Per confermare la sua versione, ha pure mostrato loro la fattura di un fornitore. Il punto è che, non soltanto non abbiamo fornitori a Denver, perché acquistiamo quasi tutto qui a Nederland o a Boulder, ma lui non guida mai di notte."

"Come, mai?" si preoccupò subito Parker.

"Cataratta. Dovrebbero operarlo da qui a qualche mese e perciò non gira mai di notte, perché dice di non vederci più molto bene. Perciò, che ci faceva in giro a quell'ora di notte? E millantando un fornitore di Denver che, salvo novità dell'ultimo momento, non esiste?"

Grattandosi pensieroso la nuca, Parker borbottò: "Ammettiamo pure che tuo padre non ti tenga al corrente di tutto ciò che fa in ambito lavorativo... tu, comunque, lo scopriresti perché tieni la contabilità dell'albergo, vero?"

"Esatto. E il registro è aggiornato a ieri" assentì torvo Anthony.

"Okay... allora, ammettiamo pure che questo nuovo fornitore sia al suo primissimo ingaggio. Ci può stare, no?" ipotizzò Parker, vedendolo annuire. "Non tornerebbero comunque le gomme sporche di terriccio fresco, né il ritorno a tarda ora. Se, come mi dici, non ci vede bene di notte, avrebbe potuto fermarsi in un albergo di Denver e tornare la mattina seguente, a giorno fatto."

Anthony assentì al suo dire e Parker, tra sé, si domandò fin dove li avrebbe condotti, quel fiume di supposizioni.

Passandosi nervosamente le mani tra i corti capelli arruffati dal sonno, Parker sbadigliò nuovamente, si alzò per andare a prendere la sua prima - di molte altre, immaginò - tazza di caffè e, offertane una ad Anthony, dichiarò: "D'accordo,... speriamo in meglio ma prepariamoci al peggio, giusto?"

"Già" assentì Anthony.

Parker annuì un paio di volte, afferrò la scatola contenente il terriccio incriminato e, portatala accanto agli strumenti che ancora teneva accatastati in un angolo del salotto, afferrò il microscopio, sporcò un vetrino con un po' di terreno e lo controllò.

Anthony attese in trepidante silenzio, osservando l'amico operare con microscopio, tabelle, dati al computer e nuovi vetrini.

A un certo punto, e scuotendo il capo apparentemente per la frustrazione, o lo sconcerto, Parker riemerse dal suo personale stato di profonda concentrazione per dire: "Allora, posso dirti due cose."

"Spara" mormorò Tony.

"Questo terriccio proviene dai territori a nord di Nederland, nella zona del Bald Mountain e, stando ai residui di fiori di aquilegia caerulea, direi che possiamo escludere tutto ciò che in quell’area è esposto a sud, visto che il Colorado Columbine predilige le zone in ombra e ricche d'acqua e umidità" gli spiegò Parker, grattandosi pensieroso una guancia.

Confuso, Anthony scandagliò rapidamente nella sua memoria per capire a cosa si stesse riferendo Parker con quei due nomi così singolari. Fu solo dopo alcuni attimi che rammentò un piccolo fiore montano, dalla forma a stella e bei petali di un blu zaffiro, sormontati da un fiorellino più piccolo dai petali bianchi.

Il Colorado Columbine era uno dei simboli del loro Stato, e cresceva nei pressi del Parco Nazionale delle Montagne Rocciose... ma cosa aveva a che fare, quella pianta, con suo padre?

"Cosa... cosa c'è a nord di Nederland?" domandò turbato Anthony.

"A parte un bel paesaggio e una mulattiera degna di tale nome, che di solito è battuta dai crossisti più in gamba?" cercò di ironizzare Parker, pur senza riuscirvi realmente. "Una vecchia miniera. La Silver Bald, se vuoi sapere il nome e, curiosità delle curiosità, quella miniera non era tra le cartine che mi hai dato, quando mi facesti il favore di prestarmele."

"Come?" esalò sorpreso Anthony. "E tu come fai a sapere che esiste, allora?"

"Ehi, amico, ...so fare il mio mestiere" ammiccò Parker, mostrandogli una mappatura dettagliata della zona, con altimetrie ben delineate e alcune delle miniere più famose di quelle montagne, segnalate da simboli sferici. "Mi è parso curioso che tu non ne fossi in possesso ma, lì per lì, non ci ho fatto caso. Avevo così tante zone da controllare, da qui a Eldora e dintorni che, prima di allontanarmi da Nederland, ci sarebbero voluti più di sei mesi. Silver Bald era una delle ultime miniere che avrei controllato."

"Il punto, Parker, è che io avevo quella mappa!" esalò sorpreso Anthony, sgomentando non poco l'amico. "La tenevo in una delle carpette che ti diedi tempo fa. Per come era messa, non era bellissima da esporre, perciò era riposta al sicuro perché non si deteriorasse. E tu mi dici, invece, che non c'era."

"Esatto" assentì Parker, adombrandosi al pari dell'amico. "Senti, non voglio dire che..."

"Io invece sì" sbottò Anthony. "Pensaci bene, Parker. E' una miniera isolata, ben lontana da Nederland... e dai tuoi carotaggi. Sono stato così idiota da parlare con mio padre del fatto che ti avrei dato quelle mappe e, per farlo, avrei dovuto sostituire alcuni quadri dalla sala da pranzo, visto che lì si trovavano. Lui se ne sarebbe ovviamente accorto, chiedendomene debito conto così, per evitare casini, glielo avevo accennato. Per scrupolo, quindi, gli dissi che avrei raccolto per te tutte le cartine disponibili della zona, e te le avrei portate il giorno seguente. Ha avuto tutto il tempo di andare in archivio, dove lui sapeva benissimo che tenevo la restante documentazione, ed estrarre quella cartina in particolare, così da tenerti lontano da quel posto."

"Stando al tuo discorso - e sottolineo che preferisco non crederci -, lui mi avrebbe volutamente tenuto lontano da quella miniera. Ma perché?" borbottò accigliato Parker.

"Davvero devo spiegartelo?" domandò amaro Anthony, passandosi le mani sul viso con espressione sempre più sconcertata e ferita. "L'hai detto tu stesso. Quella zona è raggiungibile con i pick-up o le moto, visto che c'è un'ampia sterrata, ma è molto al di fuori delle zone battute dai turisti. Inoltre, dalla mulattiera alla Silver Bald, non deve esserci molto. Niente che, con un buon fuoristrada di cui non ti interessa nulla, non riusciresti a fare."

"Tony... ti stai arrampicando sugli specchi" sottolineò Parker, pur non credendo esso stesso alle proprie parole. 

Addolorato e pieno di furia al tempo stesso, Anthony lo affrontò con sguardo colmo di lacrime che mai avrebbe versato e replicò: "E' una vita che accusa Consuelo di avergli strappato il nipote! La nascita di Sophie può essere stato il fattore scatenante, quello che lo ha spinto ad agire una volta per tutte."

"Ora parli come Aaron Hotchner di Criminal Minds" borbottò Parker, cercando di calmarlo con gesti cauti delle mani.

"No, ascoltami, Parker... tu non hai idea di quanto lo abbia ossessionato, il pensiero di Mickey. Fu praticamente impossibile tenerlo calmo, durante la gravidanza di Consuelo e, alla fine, lo sceriffo Meyerson dovette emettere un'ingiunzione restrittiva nei suoi confronti, perché non si mettesse in testa di farle del male."

Parker lo fissò senza parole e Anthony, atono, proseguì nel dire: "Quando Mickey nacque e io ne divenni il padrino, fu come se gli avessi dichiarato guerra. Mi disse di aver mollato, che ero solo un fallito, di non aver pensato a proteggere mio figlio come un vero padre avrebbe dovuto, e altre follie simili. Arrivai a proporgli il test del DNA per farlo desistere ma, quando glielo dissi, andò su tutte le furie e, finalmente, cedette. Non parlò più di Mickey, o di Consuelo e, dopo non aver più manifestato alcun desiderio di denigrarla, si vide togliere anche l'ordinanza restrittiva."

"Consuelo?"

Lui assentì, mormorando dolente: "Non voleva che soffrissi ulteriormente, così la fede annullare. E, in effetti, mio padre non le diede più fastidio."

"Ma tu sai per certo che Mickey non è tuo" sottolineò Parker.

Sorridendo mesto, Anthony annuì. "Io e Consuelo non eravamo più stati a letto assieme da almeno due mesi, a causa dei continui dissidi persistenti tra di noi, e causati interamente da mio padre. Proprio non riuscivamo a ritrovare un equilibrio e, se consideri che Mickey nacque all'ottavo mese, proprio non tornerebbero i conti. Ci sono tre mesi a dividermi da quel bambino e, per quanto io gli voglia bene, so che non è mio."

"Cristo, che casino!" sbottò Parker, arruffandosi i capelli con le mani.

Anthony assentì nuovamente. "Fu un mezzo scandalo, in effetti. Consuelo scappò da me in lacrime, si rifugiò da Samuel, che da sempre era innamorato di lei - pur se io non lo sapevo - e, beh... il resto è storia. Consuelo fu molto onesta, nel raccontarmi tutto, e Samuel arrivò addirittura a buttarsi in ginocchio dinanzi a me, in lacrime e pieno di contrizione. Il punto è un altro, però. Io e Consuelo iniziammo quella relazione per i motivi sbagliati. Eravamo molto attratti fisicamente l'uno dall’altra, ma non c’era vera affinità, e questa debolezza di fondo, con mio padre a fare da comburente, venne fuori."

"Ne so qualcosa, di passioni nate dall'attrazione fisica" sospirò Parker. "Io me la sono sposata, la mia ultima attrazione, e lei ha fatto sfilatini del mio cuore e del mio conto in banca."

Anthony gli sorrise comprensivo, asserendo: "Beh, Consuelo non è così. E neppure Samuel. Siamo sempre stati amici e, ben presto, questo sentimento ha surclassato tutto il resto. Però, mio padre non lo ha mai accettato e non vorrei che..."

Tornando serio, Parker borbottò: "Ricorda che stiamo solo congetturando."

"Ma avrebbe senso, Parker. La decisione improvvisa di vendere, tutta questa fretta nel voler andarsene una volta per tutte da Nederland, il fatto di non volermi lasciare il pick-up del nonno per nessun motivo... perché tutti questi misteri?" gli fece notare per contro Anthony.

"Okay, in effetti è un comportamento un po' strano ma, da lì a pensare che possa aver rapito Mickey..."

Infine, Parker aveva messo a parole ciò che nessuno dei due, fino a quel momento, aveva avuto il coraggio di esporre a voce alta. Quasi che, ammettendolo, avrebbe potuto diventare drammaticamente reale.

"Spiegherebbe la mancanza di prove in nessuna direzione, il perché nessuno abbia trovato alcun appiglio a questo rapimento. Senti, neppure Sherry è convinta che sia un rapimento normale, qualora si possa usare una parola simile per indicare un atto così becero" precisò Anthony. "Mio padre avrebbe avuto movente, opportunità e capacità per attuare tutto quanto. E, per aver pensato di rubare proprio la cartina di Silver Bald, doveva aver in mente di rapirlo già da tempo, e forse stava preparando un rifugio per Mickey proprio mentre noi aspettavamo la nascita di Sophie."

Parker fece per replicare ma, non trovando nulla di coerente da replicare, si limitò a imprecare e a passarsi per l’ennesima volta le mani tra i capelli, ormai ridotti a un covone di fieno.

"Merda! E io che pensavo che questo fosse un posto tranquillo!" sbottò Parker. "Susan me ne parla così bene..."

Anthony rammentò solo in quel momento dell'appuntamento dell'amico e, lanciata un'occhiata al piano superiore, domandò: "Non è che ..."

"No, non è di sopra o, a quest'ora, sarebbe già scesa per capire cosa stessimo combinando" ghignò Parker in risposta alla sua domanda non fatta. "Visti i miei ultimi casini con le donne, ho deciso di andarci mooolto piano e, con Susan, vale la pena di usare i piedi di piombo."

"Gilda non ne sarà contenta. Ha il terrore che tu gliela porti via" chiosò Anthony, grato a Parker per quel temporaneo cambio di discorso. Il solo pensiero che suo padre si fosse macchiato di un simile, empio gesto, lo metteva non soltanto a disagio ma anche nella scomoda condizione di doverlo tradire.

Per quanto non lo amasse, per quanto da lui avesse ricevuto solo disprezzo, non riusciva a gioire del pensiero che il padre potesse finire in galera.

Non così. Non per quel motivo.

Non voleva ricordarlo a quel modo. Eppure, tutto ciò di cui avevano disquisito lui e Parker fino a quel momento aveva un senso, e avrebbe potuto spiegare la sparizione di Mickey.

"Sai... non è detto che io voglia andare via" sottolineò Parker, sorprendendolo e strappandolo alle sue congetture.

"Come?" esalò Anthony.

"Nederland mi piace e, rapimento a parte, è un posto in cui sarebbe piacevole vivere. Inoltre, ora che io e Rick siamo senza lavoro, abbiamo la possibilità di scegliere dove andare e cosa fare e, visto che lo zio di Emily si è già messo in contatto con me per mettere giù un paio di idee..."

"COME?!" esclamò a quel punto l'amico, sgranando gli occhi.

Sorridendo divertito, Parker annuì e disse: "Saputo di ciò che era successo - evidentemente, Emily ha la lingua lunga - il signor Cunningham mi ha chiamato per dirmi di aver intenzione di aprire un nuovo ufficio tecnico a Boulder, e di aver giusto bisogno di un paio di persone capaci da inserirvi."

"Beh... questa sì che è una sorpresa. E immagino che Emy non lo sappia, perché non me ne ha affatto parlato."

"No, suo zio ha preferito non dirle nulla perché, in fin dei conti, prima di tutto dobbiamo discuterne io e Rick. L'ho detto a mio fratello e, immagino, lui ne starà parlando a Sherry, o lo avrà fatto prima di mettersi a nanna" scrollò le spalle Parker.

"E così... stanno facendo sul serio, quei due?" domandò a quel punto Anthony.

"Avrebbero già dovuto farlo cinque anni fa, da quel che ho capito e, per quanto mio fratello non ami fare le cose di fretta, non sembra disposto a perdere altro tempo. Mi viene però da dire che, all'epoca, aveva solo ventiquattro anni, era al suo primo, vero progetto lavorativo e, per i suoi standard, era davvero un po' troppo preso per impegnarsi anche in ambito amoroso" motteggiò Parker. "Se le cose andranno in porto, ne sarò felice, ma è giusto che Rick valuti da solo se accettare o meno la proposta, e non sia condizionato da ciò che penso io."

"Mi suona strano, pensarli assieme... eppure, pare proprio che Sherry adori il modo in cui tuo fratello la tratta. E viceversa" chiosò Anthony.

"Sherry deve ancora affrontare mia madre... dopotutto, si parla del cucciolo della nidiata, anche se è alto come una pertica e potrebbe sfondarti il cranio con una mano" ironizzò Parker prima di alzarsi in piedi, stiracchiarsi e aggiungere: "Cosa facciamo, adesso? Ci fiondiamo da McCoy per dirgli ciò che pensiamo, o agiamo di testa nostra?"

Anthony sapeva più che bene che, a rigor di logica, avrebbero dovuto parlare con l'agente speciale McCoy di quanto avevano scoperto, ma la rabbia nei confronti del padre era tale da spingerlo a mandare all'aria qualsiasi precauzione.

Voleva essere lui a metterlo di fronte ai propri errori, qualora avessero scoperto che tutte le loro illazioni corrispondevano a verità. Voleva essere lui a dirgli quanto, il suo gesto insensato, avesse rovinato tutto, e in maniera definitiva.

Non voleva delegare a nessuno quest'onere - perché era soltanto un peso, e niente affatto un piacere - ma, per poterlo mettere in atto, avrebbe dovuto attendere di poter uscire da Nederland senza destare sospetti nella polizia.

Dopotutto, era già stato fermato una volta. Se lo avessero trovato fuori casa due volte durante la stessa nottata, nessun uomo sano di mente avrebbe più creduto alle sue scuse.

"Andrò a Bald Mountain non appena riapriranno i confini di Nederland" decretò a quel punto Anthony.

"Andremo. Sono in ballo anch'io, e col cavolo che ti lascio andare da solo" sottolineò per contro Parker, dandogli una pacca sulla spalla. "Emy mi ammazzerebbe, se ti capitasse qualcosa."

Nel sentirla nominare, Anthony afferrò in fretta il telefono, rilesse per bene i messaggi a cui aveva risposto frettolosamente e, storcendo la bocca, borbottò: "Dovremo inventarci qualcosa... le ho detto che sarei passato in mattinata, visto che mi ero addormentato nella mia stanza in attesa che mio padre tornasse, e non ero andato da lei per la notte."

"I cuori innamorati..." lo prese in giro Parker.

Tony lo guardò di traverso ma, ben sapendo quanto - l'intervento di Parker - avesse cospirato positivamente perché loro potessero riavvicinarsi, preferì soprassedere. In fondo, doveva molto a quell'uomo e poteva permettersi di sopportare qualche battutina.

***

Evidentemente, essere svegliati in piena notte non aiutava a essere poi scaltri la mattina.

Parker e Anthony si presentarono assieme a casa di Emily, poche ore dopo, mettendola subito sul chi vive. Quale fidanzato, infatti, si presenterebbe per colazione, magari una colazione romanticaaccompagnato da un amico?

Accogliendoli comunque in casa, e notando le occhiaie sul viso di entrambi, Emily poggiò le mani sui fianchi e li guardò piena di dubbi, domandando quindi a bruciapelo: "Sbaglierò, ma nessuno dei due ha dormito molto. Che avete combinato?"

"Io ero con Susan" sottolineò subito Parker, levando una mano neanche fosse stato interpellato dalla maestra e sapesse già di trovarsi in guai seri.

Anthony non disse nulla, per contro, ed Emy si accigliò maggiormente, replicando però con candore: "Riprova, Parker. Susan mi ha messaggiato ieri sera, attorno alle undici, dicendomi che eri stato così cavaliere da portarla a casa, salutandola con un bacio della buonanotte da dieci e lode - complimenti, tra l'altro - per poi dileguarti senza chiedere altro. Complimenti ancora... ma così non regge la tua scusa."

Parker brontolò qualcosa in merito alle chiacchiere femminili, ma Emily non vi badò. Puntò i suoi occhi di colomba - ora molto simili all'acciaio - sul viso imperscrutabile di Anthony e, con tono comprensivo, domandò ancora: "Non vi giudicherò... ma vorrei capire. Cos'è successo? Perché sembrate passati sotto un treno?"

A quel punto, Parker e Anthony si guardarono vicendevolmente e quest'ultimo, con un sospiro, ammise ciò che si era ripromesso di non dirle. Dopotutto, però, a Emy aveva promesso verità, aveva promesso partecipazione e un cuore aperto, e non poteva mentirle proprio su quello.

In fondo, anche lei teneva moltissimo a Mickey e sarebbe stato ingiusto e crudele non metterla al corrente di ciò che pensavano di aver scoperto.

Con dovizia di particolari, quindi, le spiegò ciò che credeva di aver messo allo scoperto e, grazie anche alle spiegazioni tecniche di Parker, ogni argomento venne sviscerato di fronte a una esterrefatta Emily.

Questa, preda di un'ira a stento contenibile, cominciò a camminare avanti e indietro per il salotto, accompagnata in quell'interminabile andirivieni da Cleo, che sembrava preoccupata dall'ansia crescente della sua padrona.

Quando Anthony ebbe terminato di parlare, Emily sbottò dicendo: "Andiamo! Non possiamo aspettare un solo attimo di più."

"E... McCoy?" tentennò Anthony.

Ma Emy non lo stava ascoltando. Si piegò su un ginocchio per stringere a sé Cleopatra e, con voce rotta dalla rabbia che, come un fuoco divorante, la stava invadendo in ogni sua parte, mormorò: "Stai con Consuelo e Samuel, Cleopatra. Consuelo. Samuel. Con loro."

Cleo abbaiò un paio di volte, come a voler protestare, ma Emy scosse il capo, la accompagnò alla porta, batté un paio di volte le mani e ripeté: "Consuelo. Samuel. Proteggi."

A quest'ultima parola, Cleopatra smise di abbaiare, rizzò il testone e corse verso la porta d'ingresso dei vicini, quasi non aspettasse altro che di ricevere quell'ordine in particolare.

Anthony e Parker la guardarono dubbiosi ed Emily, con un leggero sospiro, ammise: "Cleopatra non è soltanto una bella cagnolona. E' addestrata a difendermi e, quando le impartisco quel comando, per lei cambia tutto. Cerco di usarlo il meno possibile perché potrei anche essere tentata di abusarne ma, in questo caso, era necessario. Lasciarla a casa da sola avrebbe voluto dire sentirla ululare tutto il tempo e, onestamente, non posso portarla dai miei e da Jamie. Vorrebbero unirsi alla brigata e, meno siamo, meglio è. L'unica alternativa, era darle un compito."

"Con una stazza simile, non ho neppure idea di cosa potrebbe essere in grado di fare" deglutì ammirato Parker, prima di sottolineare l'ovvio. "Sai, vero, che ci cacceremo in un guaio pazzesco, se dovessimo scoprire che non ci sbagliavamo?"

"Con McCoy? Lo affronterò senza problemi" replicò Emily, percorrendo a grandi passi il salotto per aprire la porta dello sgabuzzino, da cui estrasse il suo zaino. "La caviglia sta meglio, perciò non vi sarò d'impaccio. Il tutore che mi hanno dato funziona a meraviglia."

Ciò detto, indicò loro la gamba e sollevò i pantaloni della tuta per mostrare la cavigliera semirigida che le permetteva di camminare speditamente.

Anthony sospirò, assentì di fronte a tanta determinazione e disse: "Avrei preferito evitare di coinvolgerti, ma..."

"...ma siamo insieme in tutto, Tony. Specialmente nei guai, a quanto pare" gli fece notare lei, inforcando lo zaino sulle spalle.

Parker allora diede una pacca sulla spalla a entrambi e dichiarò: "Molto bene, compare gatto e compare volpe. Andiamo a cercare la Tana del Bianconiglio."

"Hai confuso le favole, Parker. Una è Pinocchio, l'altra è Alice nel Paese delle Meraviglie" sottolineò Emily, ammiccando al suo indirizzo mentre uscivano di casa a passo di carica.

"Peccato che noi, invece, non stiamo andando in nessun paese dei balocchi, né al non-compleanno di Alice" sbuffò Anthony, tornando serio al pari degli altri.

Saliti in silenzio sul pick-up di Parker, il trio discese l'erta sterrata per poi dirigersi verso l'uscita a nord di Nederland. Senza essere fermati dalla polizia al posto di blocco in quanto abitanti del luogo, presero quindi in direzione della Peak to Peak Highway, che li avrebbe condotti al Bald Mountain e alla Silver Bald.

Verso cosa, lo avrebbero scoperto entro breve.

N.d.A.: ciò che pensano di aver scoperto Parker e Anthony è davvero terribile, e scoprire se queste supposizioni corrispondano o meno alla verità, potrà portare guai al trio. Di che genere, lo scoprirete a breve.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


 

24.

 

 

 

 

 

Mentre il trio di improvvisati salvatori si lasciava la Highway alle spalle per imboccare gli interminabili sterrati che conducevano nella parte più selvaggia e disabitata di quelle montagne, Emily inviò un breve messaggio a Sherry.

Spinta dall’emotività e dalla possibilità – seppure remota – di poter trovare Mickey, aveva cavalcato l’onda e si era lanciata in quell’avventura senza badare alle conseguenze.

Il celere procedere lungo la strada e il veloce dissiparsi della civiltà alle loro spalle – mentre enormi foreste e ribollenti torrenti montani ne prendevano il posto – le fece però pensare a coloro che aveva lasciato a Nederland.

Suo fratello, i genitori, Sherry e Rick. Gilda. Cooper. Lo sceriffo Meyerson. Persino l’agente McCoy. Tutti si sarebbero preoccupati a morte, non vedendoli da nessuna parte, e avrebbero cominciato a ipotizzare gli scenari più terribili, se non avessero ricevuto notizia alcuna da parte loro.

Lasciare un messaggio all’amica le parve doveroso, pur se sentiva ancora la necessità di chiudere la partita in prima persona.

Avrebbe pagato le conseguenze di quel gesto, ma doveva farlo. Questo, però, non escludeva di usare un minimo di precauzione.

Osservando il paesaggio attraverso il vetro della portiera, Emy scrutò quindi le lunghe file di abeti intervallarsi a radure brulle e deserte, del tutto prive di vegetazione.

Quei luoghi non erano solo disabitati, ma anche desolati. Ben pochi uomini si avventuravano in quelle lande, se non per trovare pace e solitudine in gran quantità. Se veramente William si era spinto fin lì per nascondere Mickey, non poteva che plaudirne metaforicamente la scelta.

Non si passava in quei luoghi per errore, perciò non faceva specie che nessuno si fosse accorto del suo passaggio, in quei giorni. Non incrociavano un'abitazione già da diverso tempo, perciò William aveva potuto muoversi speditamente senza destare sospetti.

Stringendo le mani a pugno senza rendersene conto, Emily si ritrovò a sentire il peso gentile di quelle di Anthony sulle proprie e, sobbalzando leggermente, si volse a guardarlo con aria interrogativa.

Lui allora le sorrise e disse: "Calmati. Vedrai che andrà tutto bene."

Lei si limitò ad assentire, sperando che Tony avesse ragione. Non avrebbe mai accettato che a Mickey fosse successo qualcosa ma, se la teoria che lui e Parker avevano messo in piedi era coerente, quello non sarebbe stato un problema.

Piuttosto, loro avrebbero potuto essere in pericolo, se William li avesse smascherati prima del tempo. Non si era mai fidata di lui, ora più che mai, perciò non aveva idea di quello che avrebbe potuto commettere, se messo sotto pressione.

“Lo troveremo” si limitò comunque a dire Emily, preferendo non mettere a parole i suoi dubbi.

Anthony aveva già fin troppi pensieri per conto suo, senza dover gestire anche quelli di lei.

***

Sonnacchiosa e soddisfatta, Sherry stava ripercorrendo con la memoria i fatti della sera precedente quando, assieme a Rick, Parker e Susan - una delle cameriere di Gilda - era uscita per una 'serata a quattro'.

A voler essere del tutto onesti, non le era mai capitato di parteciparvi. Un po' a causa del lavoro, un po' per mancanza di vere amiche con cui condividere l'esperienza, non aveva mai sperimentato quel genere di appuntamento e, a ben vedere, le spiacque non averlo mai provato prima.

Pur non conoscendo bene Susan - si erano parlate sì e no una ventina di volte, da quando l'aveva vista la prima volta, cinque anni addietro - aveva trovato una sorta di intesa, con la giovane cameriera.

Spigliata e divertente, Susan li aveva resi edotti sugli ultimi fatti di Nederland - evitando a piè pari il caso Mickey, visto che tutti loro ne erano al corrente - e, con parlantina filante come un treno, aveva sciolto persino il riservato Rick.

Parker si era confermato un mattatore fatto e finito e, in compagnia di Susan, aveva rallegrato la serata con aneddoti riguardanti la famiglia Jones - che Sherry era sempre più curiosa di conoscere - e, al tempo stesso, era riuscito a fare il galante con la sua invitata.

A tutto questo, Rick aveva assistito con un blando e divertito sorriso. Quando lei gliene aveva chiesto spiegazioni, lui le aveva spiegato che, fin da piccoli, Parker aveva tenuto in piedi le conversazioni al posto suo e di Quentin, notoriamente meno ciarlieri.

Ugualmente, Rick si era impegnato per far passare a lei, la sua invitata, una serata degna di tale nome. Quando, perciò, Parker si era defilato per accompagnare a casa Susan, lui si era offerto di scortarla galantemente per una passeggiata lungo il lago.

Sherry aveva accettato di buon grado - pur se l'aria era frizzante, a duemila metri, la serata le era parsa troppo bella per essere sprecata andando subito a letto - e, a fianco di Rick, aveva passeggiato con passo tranquillo, acciambellati in un placido silenzio.

Non le era spiaciuto non parlare per un po'; tra Susan e Parker, aveva ascoltato più parole che a una conferenza di Economia, perciò le era parso gradevole anche far riposare le orecchie.

Orecchie che, comunque, avevano ascoltato poco tempo dopo le sole, magiche parole che tanto aveva sperato di udire. 

Limitandosi ad annuire con un sorriso a quella dolce richiesta, Sherry aveva seguito Rick in albergo - dove aveva preso una stanza al pari suo - e, insieme, si erano lasciati andare a un desiderio che era rimasto sopito dentro di loro per ben cinque anni.

Sherry aveva potuto quindi apprezzare appieno le tenere attenzioni di Rick, salvo poi scoprire in lui una vena passionale davvero imprevista, ma più che mai ben accetta.

Rick aveva saputo farla fluttuare leggera, l'aveva fatta sentire non solo desiderabile ma bella, veramente e intimamente bella, cosa che nessun uomo, prima di lui, era riuscito a fare. Ciò l'aveva portata inaspettatamente ad arrossire e il suo amante, nell'accorgersene, aveva sfoderato il più bel sorriso mascolino che Sherry avesse mai visto.

Al solo vederlo, ovviamente, lei si era sciolta in una risata e, con rinnovata sensualità, aveva deciso di concedersi il bis, trovando nel suo compagno di letto un degno alleato.

Non ricordava neppure più quanti fossero stati, i bis, ma di una cosa era certa; avevano iniziato a dormire davvero mooolto tardi. Talmente tardi che, quando finalmente i suoi occhi sonnacchiosi le caddero sulle imposte socchiuse della camera da letto, arricciò il naso e borbottò: "Ma perché c'è così tanta luce?"

Non pretendendo risposta alla sua domanda - Rick stava ancora dormendo saporitamente accanto a lei - Sherry gettò indietro le coperte per alzarsi e recuperare il suo cellulare ma, traditrici, i suoi occhi caddero sul fisico imponente e nudo del suo amante.

Socchiudendo gli occhi di un blu profondo e accesi di desiderio, Sherry lo divorò con lo sguardo per diversi istanti prima di vederlo agitarsi nel sonno, alla ricerca delle coperte.

Divertita, si affrettò a coprirlo, dopodiché si avviò con passo leggero verso la sua borsetta, ben decisa a scoprire che ore fossero.

Non appena lo scoprì, si esibì in una esclamazione indispettita, cui seguì un 'ma tu guarda che dormiglioni che siamo!'.

Un mugolio giunse dal letto e Sherry, nel tornarvi, si sedette sul bordo per poi allungarsi a dare un bacetto sulla fronte di Rick, il quale si destò completamente e borbottò: "Che ci fai già in piedi?"

"Tesoro, sono quasi le dieci. Andrei piano a dire 'già in piedi', sai?" ironizzò lei, vedendolo sbattere confuso le palpebre.

L'attimo seguente, però, i suoi occhi registrarono la nudità di Sherry e si socchiusero lentamente mentre una mano, possessiva, le avvolgeva la vita per trascinarla verso il basso, accanto a sé.

Lei ridacchiò divertita, lasciandolo fare e Rick, trascinando con sé parte delle coperte, borbottò: "Non puoi farti vedere così da me, di prima mattina... altrimenti, chi si alzerà più da letto?"

Sherry rise ancor più forte, ancor più felice e, volgendosi a mezzo, gli stampò un bacio sulle labbra e mormorò: "Potrei anche decidere di tirare dritto fino a mezzogiorno, se vuoi. Ma prima devo dare un'occhiata alle e-mail. Dopotutto, sono qui anche per lavoro."

"Fai pure" acconsentì lui, sollevandosi a mezzo per poi trascinarla verso di sé, farle poggiare la schiena contro il suo torace e darle infine un bacio sui capelli scompigliati. "Grazie, per stanotte."

"Grazie a te. Non sapevo come approcciare l'argomento, ma tu hai saputo togliermi dall'impasse con gran classe" ammiccò lei, digitando in fretta la password per sbloccare il suo cellulare.

Subito, comparve lo schermo pieno di icone colorate e, a malapena visibile sotto di loro, le figure di Sherry e Gin, che Rick aveva visto in fotografia la sera precedente.

I fratelli si somigliavano molto, entrambi scuri di capelli, alti e dai lineamenti attraenti ma, più di ogni altra cosa, si assomigliavano nello sguardo; volitivo, sicuro di sé e determinato. Non la si sarebbe potuta fare facilmente, ai fratelli Kerrington.

Quando, perciò, sentì l'imprecazione piena di stupore e sì, preoccupazione, di Sherry, cancellò i pensieri riguardanti Gin per focalizzarsi pienamente sulla donna tra le sue braccia e abbassare lo sguardo sullo schermo.

Dinanzi a lui vide il breve messaggio inviatole da Emily e, quando ne lesse il contenuto, non solo imprecò a sua volta, ma comprese al volo il perché della preoccupazione della sua donna.

Lasciatala subito andare quando ne percepì i movimenti, Rick si gettò a sua volta fuori dal letto per vestirsi e, mentre Sherry digitava il numero breve per chiamare McCoy, lui borbottò: "Ma che è venuto in mente, a quei disgraziati?"

"Non lo so davvero... ma mi sentiranno!" sbottò Sherry, prima di prendere la linea. "Ah, Adam, salve! Sono Sherry. Abbiamo un problema."

"Se riguarda Emily Poitier, siamo appena stati avvisati di un possibile guaio. Tu ne sai di più?"

"Oh,... e da chi?" sbottò Sherry, bloccandosi a metà della sua vestizione.

"Samuel Larson mi ha chiamato mezz'ora fa per dirmi che Cleopatra, il cane di Emily, stava piantonando casa sua. Cosa che, a quanto pare, non è del tutto normale e che può avere ben poche spiegazioni a parte una; la padrona le ha ordinato di farlo."

Accigliandosi, Sherry cercò di infilarsi i jeans skinny con una sola mano, fallendo miseramente e, nel borbottare un'imprecazione, poggiò il cellulare tra orecchio e spalla per terminare quella scomoda operazione per poi dire ombrosa: "Ho assistito personalmente all'addestramento di Cleo e so per certo che, se Emy le ha detto di proteggere qualcuno, lei lo farà fino a nuovo ordine. Forse, pensava di tenerla impegnata con qualcosa fino al suo ritorno."

"Al suo ritorno?" ripeté confuso McCoy, sul chi vive.

"Le spiegherò quando sarò arrivata alla Centrale di Polizia" chiuse concisa la chiamata prima di guardare Rick, già pronto, e borbottare: "Quando McCoy saprà la verità, andrà fuori di testa."

"Probabile" assentì Rick, allungandole una mano.

Lei la accettò di buon grado e, insieme, corsero fuori dalla stanza senza badare al caos che lasciarono alle loro spalle. Si sarebbero scusati più tardi, con le cameriere.

In quel momento, era vitale muoversi alla svelta.

***

Un'ora prima.

 

Sbadigliando sonoramente nell'uscire di casa per recuperare il giornale, per poco Sam non inciampò nel corpo massiccio e peloso di Cleopatra, disteso sul suo zerbino e con il quotidiano ben stretto tra le zampe.

Evidentemente, Abraham – il ragazzo che si occupava della consegna dei giornali – lo aveva affidato direttamente a lei, vedendola sul pianerottolo.

Balzellando di lato per non crollarle addosso, Samuel la fissò pieno di curiosità mentre, a sua volta, la cagnolona gli rivolgeva uno sguardo caldo ma interrogativo.

"Cleo, ma cosa...?" tentennò lui, guardandosi intorno pieno di curiosità prima di notare le imposte chiuse della casa di Emily. "Dov'è Emy?"

Cleopatra lo guardò impotente, abbaiò un paio di volte dopodiché si mise in piedi, scodinzolò e scrutò arcigna i pochi giornalisti già piazzati dinanzi al cancello d'entrata della casa.

Accigliandosi leggermente, Samuel non fece caso a loro – ormai era diventato abbastanza bravo, nel farlo – e si limitò a prestare la sua totale attenzione al cane. Carezzando quindi sul testone la sua amica a quattro zampe, domandò: "Proteggi, Cleopatra?"

Il cane abbaiò ancora e si sistemò nella posizione della sfinge, scrutando il cancelletto pedonale come se fosse pronta ad affrontare una torma di soldati.

Sempre più sconcertato, Samuel afferrò in fretta il giornale da terra e rientrò in casa, dirigendosi subito dopo in cucina, dove Consuelo stava allattando Sophie.

Lì, poggiò il giornale sul piano della cucina, fissò dubbioso la moglie e disse: "Cleopatra sta presidiando il fortino. Il nostro fortino."

Sobbalzando, Consuelo sgranò sgomenta gli occhi ed esalò: "Ma... ma perché dovrebbe?"

"Mi viene in mente un solo motivo, visto che Emily non è a casa, e ha pensato di non portare la sua cagnolona ai genitori. Voleva defilare senza dare nell'occhio e non voleva che Cleo svegliasse mezza Nederland con i suoi ululati disperati" sbuffò Samuel, passandosi una mano tra i capelli. "Che avrà in mente? Perché non mi ha lasciato almeno un biglietto, o un messaggio?"

Sistemando Sophie sull'altro seno quando la sentì agitarsi un poco, Consuelo domandò: "Hai provato a chiamare Anthony? Forse lui sa qualcosa."

Samuel assentì alla sua proposta e tentò di chiamare l'amico ma, quando trovò la segreteria telefonica, cominciò a preoccuparsi. Come estremo tentativo, tentò di chiamare sia Emy che Parker, ma nessuno di loro rispose.

A quel punto, iniziando veramente ad agitarsi, sospirò e disse: "Non me la sento di far preoccupare i genitori di Emy. Proverò a chiamare McCoy per dirgli quello che sta succedendo, sperando che lui sappia cosa fare."

Consuelo annuì tesa e, nel sistemare l'abito quando Sophie ebbe terminato di mangiare, uscì a sua volta di casa per vedere Cleopatra e tentare di capire cosa stesse succedendo.

La cagnolona le abbaiò a mo' di saluto e Sophie, con mani vogliose, si spinse verso il bernese, desiderosa di montarvi a cavallo, mentre Consuelo la teneva sotto le ascelle perché non scivolasse in terra.

Cleo rimase perfettamente immobile, così da consentire a Consuelo di accontentare la figlia ma, pur lieta che l'animale si prestasse a essere trattato alla stregua di un giocattolo, mormorò debolmente: "Proteggi, Cleopatra?"

Ancora, la cagnolona abbaiò un paio di volte come aveva fatto con Samuel e, per la donna, non fu che una conferma ai suoi dubbi.

Emily le aveva mostrato più volte quel comando, giusto per far impratichire Cleopatra in caso di bisogno. Sapeva quindi perfettamente che, se a Cleo era stato impartito quell'ordine, non si sarebbe mossa di lì e li avrebbe protetti fino al ritorno della padrona.

Il punto, adesso, era capire cosa avesse spinto Emily a quella scelta. Dov'era andata, la loro cara amica, e perché non aveva detto nulla a nessuno dei due?

***

Sherry e Rick giunsero alla Centrale di Polizia di Nederland poco tempo dopo l’arrivo di Samuel, che già stava parlando con l'agente McCoy dello strano comportamento di Cleopatra.

Quando la coppia venne annunciata all'agente speciale, e poterono finalmente entrare nell'ufficio che l’FBI stava usando come centrale operativa per quel caso, Sherry si bloccò a metà di un passo nell'udire Samuel parlare di Cleo.

Accigliandosi, perciò, la donna borbottò: "E' in fase 'proteggi'?"

Samuel annuì nel volgersi verso di lei e, turbato, le domandò: "Ricordo male, o avevi scelto tu l'addestratrice per Cleo?"

"No, ricordi bene, Sam" assentì Sherry, prima di salutare McCoy e aggiungere: "Cleo aveva imparato i comandi 'segui' e 'proteggi' prima ancora di saper abbaiare, in pratica. L'ha mandata da te, per caso?"

"Me la sono ritrovata dinanzi a casa, seduta sul primo gradino d'entrata, che guardava in cagnesco i giornalisti" le spiegò succintamente Samuel. "Il ragazzo del giornale, però, è riuscito a raggiungere indenne la porta."

Lasciandosi andare a un sorrisino, Sherry assentì, ammettendo: "Cleo ha un debole per quel ragazzo."

McCoy, a quel punto, attirò l'attenzione dell'investigatrice privata e domandò: "Avevi qualcosa di preciso da riferirmi, Sherry?"

"A quanto pare, Emy, Parker e Tony hanno deciso di fare i giustizieri solitari... esattamente ciò che tu avevi detto di non fare" sospirò Sherry, vedendolo accigliarsi per diretta conseguenza. "Pare che Anthony abbia trovato delle prove che incriminerebbero suo padre per il rapimento di Mickey, e così quei tre hanno deciso di farsi giustizia da soli e di andare alla ricerca del bambino."

McCoy non poté esimersi dall'imprecare vistosamente e, nel passarsi una mano sui capelli brizzolati, borbottò contrariato: "Ma che diavolo diceva loro la testa?!"

"Credo che Emy, al momento, sia furibonda e fuori di sé e che voglia fare ciò che, per lei, non fu fatto" scrollò le spalle Sherry, osservando impotente l’alto agente dell’FBI. "E' stata però abbastanza coscienziosa da avvisarmi con un SMS."

Dopo aver smoccolato un altro po', giusto per riprendere il controllo dei propri nervi, McCoy le chiese ancora: "Lo sapete solo voi? I Poitier non sono stati avvisati, vero?"

"Non da me e, se non sono qui, dubito che Emy li abbia chiamati. Il che farà infuriare come una bestia Jamie, tra le altre cose" asserì Sherry, lanciata poi un'occhiata veloce all'orologio da parete prima di aggiungere: "Hanno più di tre ore di vantaggio su di noi, perciò dobbiamo muoverci."

McCoy assentì lesto e, nel prendere alla svelta la cornetta del telefono, chiamò la centralinista e disse: "Chiama l'albergo dei Consworth e fatti passare il proprietario perché io possa parlargli. Dopodiché, chiama Hutchinson e mandamelo subito."

"Subito, agente McCoy" mormorò la donna, chiudendo temporaneamente la chiamata per eseguire quanto richiesto.

Picchiettando il piede a terra con fare nervoso, McCoy riafferrò la cornetta quando sentì squillare il telefono e, nervoso, disse: "Signor Consworth?"

"No, agente... sono io, Gwen. Ho chiamato in albergo, ma la receptionist mi ha avvisato che il proprietario è uscito un paio d'ore fa, e che sarebbe stato di ritorno solo nel pomeriggio."

"Oh... capisco. Molto bene, Gwen. Grazie" mormorò McCoy, mettendo giù il telefono mentre qualcuno, alla porta, bussava con insistenza.

L'agente speciale lo fece entrare e Hutchinson, sulla porta, scrutò per un istante le persone presenti prima di avanzare a passo di carica e dire: "Gwen mi ha detto che mi voleva vedere con una certa urgenza. Per fortuna non ero ancora uscito di pattuglia, così sono venuto subito qui. E' successo qualcosa, agente McCoy?"

Annuendo, l'agente speciale fece un riassunto stringato di quanto era venuto a sapere e, nel terminare di parlare, disse: "So che, assieme allo sceriffo Meyerson, sei la persona con più anni di servizio, qui in zona, e conosci bene le montagne. Abbiamo bisogno che prepari in tutta fretta una squadra di dieci uomini per andare a nord-ovest di qui. Abbiamo un potenziale ritrovamento."

Illuminandosi in viso per un istante, Hutchinson sorrise a Samuel pieno di speranza ma, nel vederlo assai ombroso, domandò a McCoy: "Dalla loro presenza qui, ne deduco che qualcosa non vada esattamente per il verso giusto, però."

"Ti ho lasciato la chicca per ultima, agente" ironizzò stancamente McCoy. "Ricordi, vero, quando dissi alla popolazione di Nederland di non prendere iniziative personali?"

Doug Hutchinson annuì, adombrandosi a sua volta, e borbottò: "Non mi dica... Tony Consworth, dopo aver capito che il padre poteva essere coinvolto, è andato a cercare di persona il nascondiglio dove avrebbe potuto avere nascosto Mickey?"

"Peggio. Non solo lui, ma anche Emily Poitier e Parker Jones si sono uniti alla spedizione punitiva, a quanto pare" sospirò McCoy, scuotendo esasperato il capo.

Doug sospirò esacerbato, si passò le mani sul viso con espressione rassegnate e infine disse: "Temevo che Emily avrebbe potuto fare una pazzia, visto ciò che è successo a lei. Lo sceriffo, infatti, mi aveva pregato di tenerla d'occhio, durante le ricerche nei boschi... ma da lì a gettarsi così allo sbaraglio..."

"Mai sottovalutare una donna con il suo passato burrascoso" chiosò fiacca Sherry. 

"Quanto a Parker Jones, non lo conosco così bene, ma..." aggiunse Doug, lanciando un'occhiata all'alto uomo accanto a Sherry. "... se non ricordo male la sua faccia, l'ho vista parlare più volte con Parker, in questi giorni. E' forse un suo amico?"

"Sono il fratello minore" asserì Rick, parlando per la prima volta. "Personalmente, posso dire che Parker non è nuovo a questi colpi di testa, quando ci sono di mezzo degli amici. Non è la prima volta che si caccia nei guai per questo."

"Bene. Perciò abbiamo un figlio con istinti vendicativi nei confronti del padre, un amico che desidera dare il suo contributo e una donna dal dente avvelenato. Un trio esplosivo" sospirò McCoy.

"Sapete dove sono diretti?" domandò a quel punto Doug.

Sherry gli lesse le indicazioni lasciate da Emily nell’SMS e il poliziotto, annuendo più volte, asserì: "Conosco bene la zona, perché ci vado spesso a scalare. Preparerò subito una squadra e partirò nel giro di venti minuti."

"Vorrei venire anch'io, se fosse possibile" dichiarò Sherry, a quel punto.

Doug la fissò dubbioso per alcuni istanti, lanciò un'occhiata a McCoy e infine disse: "Lei è una civile, miss Kerrington e, anche se non mi metterei mai a discutere con lei a meno di cinque metri di distanza - e sapendola disarmata - esiterei un po' ad accettare a sua richiesta."

"La famiglia Larson mi paga perché io segua il caso, perciò ho il diritto di venire con voi" sottolineò gentilmente Sherry, sorridendo melliflua.

Doug, allora, sospirò esasperato e replicò: "Oh, la prego, si risparmi quei sorrisi per qualcun altro. Sono fedelissimo a mia moglie, e non mi faccio incantare così facilmente da una bella donna."

Rick la guardò pieno di curiosità e, suo malgrado, Sherry esalò una risatina e ammise: "Forza dell'abitudine, scusate. Vorrà dire che vi seguirò a distanza."

"Beh, questo non glielo posso impedire, ma rimarrà dietro il nastro che metteremo sulla scena" sottolineò Hutchinson.

"Andata" accettò Sherry, scrollando le spalle.

Doug la fissò ancora per un istante, ben sapendo che, molto difficilmente, avrebbe eseguito gli ordini e, dopo un ultimo saluto a McCoy, si avviò per mettere in atto quanto detto.

A quel punto, l'agente speciale dichiarò: "Mi aspetto che tu non li faccia ammattire, Sherry. Sono già tutti abbastanza sul chi vive, e non voglio che una missione di ricognizione diventi una scazzottata con te."

"Come se io potessi creare un simile caos" esalò ingenuamente lei, sollevando le mani in segno di resa.

McCoy, però, non ci cascò neppure per un istante e le disse: "Devo ricordarti il caso Sheeran di due anni fa?"

Inaspettatamente, Sherry arrossì copiosamente e borbottò: "Non feci esattamente lo sgambetto. Inciampò sui miei stivali… tutto qua."

"E finì casualmente con le palle contro il tuo ginocchio?" ironizzò a quel punto McCoy.

Rick soffiò fuori aria per la sorpresa e il dolore indiretto mentre Samuel, facendo tanto d'occhi, esalava: "Ma che hai combinato, Sherry?"

"Divergenze creative" dichiarò evasiva Sherry, afferrando le chiavi della sua auto dalla borsetta prima di imprecare e aggiungere: "Merda! Non ho pensato che una Lamborghini non può andare per carreggiate!"

I tre uomini con lei esplosero in una calda risata e Samuel, lanciandole le sue chiavi, disse: "Prendi il mio pick-up. E' sicuramente più adatto al luogo in cui dovrai andare. Senza dare ginocchiate, però, per favore. Sono tutti bravi ragazzi, e li conosco."

"Mi premurerò di tenere le ginocchia basse" promise Sherry, dando poi un bacetto a Rick per poi sgattaiolare via dall'ufficio.

A quella vista, McCoy squadrò l'alto giovane - un po' stordito da quel gesto inaspettato - e chiosò: "Hai idea di cosa voglia dire avere a che fare con una donna del genere, ragazzo?"

"Devo ancora capirlo del tutto" ammise Rick, grattandosi nervosamente la nuca.

McCoy gorgogliò una risata prima di sospirare, afferrare il suo cellulare sulla scrivania e dire: "Adesso, a me toccherà la parte più scomoda. Parlare con i Poitier. La giornata non poteva iniziare peggio di così."

"Vengo con lei, agente. Se rimanessi a casa, mi agiterei inutilmente mentre Consuelo, sapendo Cleo lì con lei, è stranamente più calma, perciò posso accompagnarla dai Poitier senza alcun problema" gli propose Samuel.

McCoy accettò di buon grado e Rick, con un sospiro, dichiarò: "Io penso che me ne andrò da Gilda a fare colazione. Siamo usciti di corsa non appena Sherry ha letto il messaggio, perciò..."

Samuel e l'agente lo fissarono con calda ironia, perciò Rick preferì non aggiungere altro. Salutò i due uomini, uscì in fretta dalla stazione di polizia dopodiché, afferrato il cellulare, provò a chiamare il fratello.

Trovando però solo la segreteria telefonica, lasciò un messaggio piuttosto eloquente.

"Ho saputo cos'hai combinato, Parker e, sebbene io ti ritenga molto coraggioso, sappi una cosa. Se ti farai male, lo dirò alla mamma... e sai cosa fa, lei, ai figli che si fanno male, vero?"

Ciò detto, chiuse la chiamata, sospirò e pregò con tutto il cuore che il fratello non avesse fatto il passo più lungo della gamba, stavolta.

***

I sobbalzi del pick-up avevano ormai portato sia Emily che Anthony a reggersi saldamente alle portiere, non volendo terminare anzitempo il loro viaggio con una commozione celebrale causata dall'urto contro i vetri del mezzo.

Purtroppo, le condizioni della sterrata su cui stava abilmente guidando Parker non consentivano un viaggio agevole, né veloce.

Pendenze, curve e asperità del terreno rendevano quella lenta risalita un'agonia infinita ma, quando finalmente Parker fermò il mezzo dietro alcuni cespugli rigogliosi, Emily poté tirare un sospiro di sollievo e dire: "Giuro che non mi lamenterò più di Ponderosa Drive."

"Non era Jamie, a lamentarsene?" chiosò Tony, mentre Parker spegneva il mezzo ed estraeva la chiavetta d'accensione.

Emy ammiccò all'indirizzo del fidanzato - era ancora così strano, pensare a lui a quel modo! - e, nello scendere dal pick-up, asserì: "Lascio a lui la parte del lamentone, ma neppure io piangerei, se la mettessero a posto."

Ciò detto, si guardò intorno senza realmente apprezzare la natura selvaggia che li circondava, o il suono lieto e pacifico del canto degli uccellini. Quel luogo avrebbe potuto essere splendido, ai suoi occhi, ma l'ansia che provava per Mickey - unita a un odio crescente nei confronti di William - non riusciva a renderle piacevole quella vista.

Lanciata infine un'occhiata a Parker, che stava sistemandosi lo zaino sulle spalle, domandò: "Siamo lontani dalla grotta?"

"Circa seicento iarde. Ho preferito fermarmi prima per poter nascondere l'auto, caso mai..." le spiegò lui prima di lanciare un'occhiata spiacente ad Anthony.

"Non pensare a me, amico. Se mio padre si è macchiato di un simile crimine, la pagherà cara. E' poco ma sicuro" asserì lapidario Anthony, afferrando il proprio zaino per poi avventurarsi lungo l'erta, subito seguito a ruota da Parker ed Emily.

Parker non poteva neppure immaginare cosa volesse dire pensare al proprio padre come possibile rapitore di un bambino, né aveva idea di cosa volesse dire muoversi per scoprire tale verità.

Lui aveva sempre avuto un rapporto amichevole e forte, con il padre e, se mai fosse successa una cosa simile, sarebbe stato devastante. Non sarebbe riuscito a muovere un solo muscolo.

Anthony, invece, non solo si era impegnato per comprendere gli strani comportamenti del padre, ma non aveva battuto ciglio, di fronte alla possibilità che lui fosse il vero rapitore di Mickey.

Se quello che Emily gli aveva riferito in quei mesi non fosse bastato a rendergli chiaro il labile legame tra i due, quella netta presa di posizione sarebbe bastata e avanzata. Tra padre e figlio non c'era nessun tipo di rapporto affettivo, e Anthony pagava lo scotto di quell'insensibile trattamento nel modo più terribile possibile.

Ugualmente, di fronte a quest'ultimo affronto, Anthony non si era tirato indietro, non aveva delegato ad altri la scoperta della verità, rischiando in prima persona di porsi di fronte a un potenziale mostro.

Scuotendo il capo, Parker mormorò tra sé: "Non so davvero come fa."

Emily si volse a mezzo nel sentirlo borbottare ma lui scosse il capo, le sorrise e domandò: "Sei certa di voler entrare con noi? Potresti nasconderti qua fuori da qualche parte, e lasciare a noi omaccioni lo sporco lavoro."

Emy rise sommessamente e Anthony, nel fermarsi dinanzi all'entrata della grotta, assentì all'indirizzo di Parker e aggiunse: "Ha ragione. Puoi aspettarci qui fuori, se non te la senti."

Lei sorrise loro con affetto, scosse il capo e replicò: "Vi ringrazio, davvero. Ma devo fare anche questo."

Ciò detto, infilò la mano nella tasca dei pantaloni ed estrasse una barretta al cioccolato e cereali, aggiungendo: "E poi ho questa, se avrò paura."

Anthony la fissò confuso, e così Parker, perciò Emily sorrise dolcemente e spiegò loro: "La trovai nella cassetta della posta, poche ore dopo il mio incontro con Roy. Evidentemente, doveva averla messa lì dopo essere andato via dalla centrale di polizia. Come una sorta di saluto. Di addio."

Tony la attrasse in un abbraccio, baciandole i capelli, e mormorò: "Sei sicura che basti la cioccolata?"

"Ho anche voi due, a farmi coraggio. Penso basterà" ammiccò lei, stringendosi a lui con un braccio mentre, con la mano libera, cercava Parker. "Ce la farò, grazie a voi."

Ciò detto, si sciolse dall'abbraccio, prese un gran respiro e, rabbrividendo nonostante tutto, gracchiò: "Chi me l'ha fatto fare?"

I due uomini con lei sorrisero divertiti e comprensivi e, assieme a Emy, penetrarono nell'antro muniti di torce elettriche e determinazione.

 

 

 

N.d.A.: che dite? Quando McCoy si ritroverà i tre giustizieri solitari davanti alla faccia, che succederà? E il rapitore? Arriverà prima o dopo la comparsata dei nostri tre eroi?

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


25.
 
 
 
 
Quella mattina si era svegliato tardi e, quando aveva cercato Anthony al telefono per dirimere le ultime cose riguardanti il passaggio di proprietà dell’albergo e il suo licenziamento, non lo aveva trovato. Al suo posto aveva trovato solo una scarna segreteria telefonica e null’altro.

Curiosando quindi nella sua vecchia stanza, William aveva trovato i rimasugli del suo frettoloso trasloco e poco altro. Quel che però più lo aveva irritato era stato notare, lungo il corridoio che conduceva alle camere degli ospiti, la mancanza di alcune delle stampe delle miniere che, negli anni, Anthony aveva sistemato in lungo e in largo per tutto l'albergo.

Quelle maledette cartine!

Non appena aveva sentito Anthony offrirsi di darle a quel maledetto geologo di Denver, aveva visto crollare tutte le proprie speranze di poter portare a termine i piani che, con tanta pazienza, aveva preparato per il suo futuro.

In tutta fretta, perciò, aveva commissionato al figlio un'improvvisa incombenza che lo portasse a restare fuori dall'albergo per quanto più tempo possibile e, nel frattempo, aveva fatto sparire ciò che avrebbe potuto metterlo seriamente nei guai.

Come se nulla fosse, quindi, aveva accettato l'invito al battesimo della figlia di Consuelo e Samuel - pur odiando l'idea di apparire mansueto e sconfitto agli occhi della coppia - e si era avvicinato a Mickey in tutta calma.

Dal giorno del battesimo, non visto e non preso in considerazione da nessuno – in paese non si facevano i fatti suoi, col rischio che lui potesse irritarsi e replicare in malo modo a simili attenzioni - aveva proseguito nella sua opera di approccio al bambino.

Dopotutto, con ciò che si era ripromesso di fare, avere la sua collaborazione e il suo appoggio sarebbe risultato vitale.

Era stato facile, alla fine, convincerlo alla scampagnata nei boschi che era poi culminata con l'arrivo al Bald Mountain e alla miniera ivi ubicata. Quale bambino non vorrebbe combinare una marachella, sapendo già di avere un adulto a proteggerlo da eventuali rimproveri?

Quando, però, avevano raggiunto il rifugio che lui aveva provveduto a preparare per il bambino, William aveva faticato non poco a convincere Mickey riguardo alle sue reali intenzioni.

Quella puttana di sua madre era riuscita a insinuarsi dentro di lui molto più di quanto avesse immaginato, e il pensiero di non poterla più rivedere aveva fatto piangere Mickey fino allo sfinimento.

Esattamente come sua madre Julie aveva fatto tanti anni addietro con lui, anche Consuelo era riuscita a farsi amare dal bambino, ingannandolo sulla sua reale identità e su chi fosse in realtà suo padre.

Non potendo fare altro, William lo aveva lasciato sfogare, ne aveva atteso il recupero e infine gli aveva promesso una nuova vita assieme a lui, lontani dalla mamma e dal papà, che adesso avevano occhi solo per la piccola Sophie.

Quelle parole non gli erano affatto piaciute ma, complice una barretta al cioccolato e la velata minaccia contenuta nella sua voce, Mickey si era calmato.

Da quel giorno, aveva mantenuto una facciata di blanda preoccupazione per non destare troppi sospetti. Dopotutto, tutti conoscevano il suo odio nei confronti di Consuelo e Samuel, e sarebbe parso strano se lui si fosse strappato i capelli al pensiero del rapimento di Mickey.

Mostrarsi interessato ma non in totale ansia come, invece, molti erano apparsi fin da subito - anche a sproposito - gli era parso il piano migliore per non far insospettire nessuno.

A quel punto, però, aveva dovuto mettere in pratica ciò che, per anni, aveva solo millantato di fare, e cioè andarsene da quel paesino dimenticato da Dio con tutto quello che l'albergo dei genitori avrebbe potuto fruttargli.

Trovare gli acquirenti adatti non aveva richiesto molto; il turismo montano stava prendendo sempre più, e anche località piccole come Nederland potevano attirare investitori.

Inserendo Becky e Morgan nel contratto, aveva garantito una continuità di gestione che avrebbe aiutato i nuovi proprietari a guidare meglio l'hotel e, al tempo stesso, non si sarebbe inimicato dei vecchi amici assai potenti.

Nel frattempo, aveva intervallato i suoi viaggi a Boulder con le visite a Mickey e, a ogni nuovo incontro, aveva tentato di instillare in lui dei dubbi sempre più profondi nei confronti dei genitori.

A quell'età, era quasi certo che non avrebbe avuto difficoltà a plagiarlo e a fargli credere che loro lo avessero dimenticato. 

Al tempo stesso, aveva cercato depistare i poliziotti in merito alla famiglia di Consuelo, stando anche attento ad ascoltare i discorsi degli agenti dislocati nel suo albergo.

Questo gli aveva permesso di sapere in anticipo molte delle mosse dell'agente dell'FBI che si occupava del caso, garantendogli così un più sicuro movimento dentro e fuori dal paese.

Il voltafaccia del figlio, suo malgrado, aveva giocato a suo favore e gli aveva permesso di liberarsi di lui una volta per tutte, e senza grossi affanni.

Non restava che mettere la firma su quel dannato contratto e andarsene una volta per tutte da Nederland assieme a Mickey.

Una volta fatto questo, sarebbe uscito dal Colorado, si sarebbe rifatto una vita in un posto ben lontano da lì e si sarebbe goduto i soldi risparmiati negli anni assieme al nipote.

Nessuno lo avrebbe più obbligato a vivere sotto lo stesso tetto di suo figlio che, più di tutti, lo aveva tradito fin nel midollo.

Raggiunto quindi il pick-up del padre, lo mise in moto e uscì dal cortile in retromarcia, dopodiché si avviò verso nord-ovest, ben deciso a preparare Mickey per il loro prossimo viaggio.
 
***

Non occorse molto, al trio, per capire che strada prendere all'interno della miniera.

A quanto pareva, non solo qualcuno entrava e usciva regolarmente da lì, ma aveva anche pensato di rendere il percorso più agevole, sistemando delle lanterne a etanolo, che potevano essere facilmente accese con un fiammifero.

Facendosi strada con passo leggero, ben abituato a luoghi simili - pur se per motivazioni molto differenti - Parker indicò in silenzio alla coppia dietro di sé di seguirlo lungo un cunicolo e Anthony, nel far passare Emily, mormorò: "Tutto bene?"

"Resisto" sussurrò per contro lei, annuendo tesa.

La vista di quelle scure pareti, il sentore dell'umidità crescente e l'oscurità a stento sconfitta dalle loro torce l'aveva quasi mandata al manicomio ma, complice la presenza di Tony e Parker, era riuscita a non fuggire a gambe levate dalla galleria.

Percepire inoltre il peso leggero e confortate della barretta alla nocciola che teneva nella tasca posteriore dei pantaloni, la faceva sentire assurdamente coraggiosa.

Non voleva più aver paura dei suoi ricordi, né di ciò che incolpevolmente li aveva prodotti. Il suo luogo di detenzione non aveva mai avuto alcuna colpa, ed era tempo che se ne prendesse atto.

"Forse ci siamo" mormorò Parker con voce fievole ma eccitata.

Nell'indicare una porta grezza ma robusta, fermata all'esterno con un catenaccio, Parker annuì ai suoi compagni e, dopo aver poggiato a terra lo zaino, ne estrasse un tronchese per ferro degno di tale nome.

Emily fece tanto d'occhi, a quella vista e Parker, nell'ammiccare, chiosò: "Avevo immaginato che sarebbe venuto buono, così l'ho portato."

"Niente da dire" assentì lei prima di arrischiarsi a dire a mezza voce: "Ehi! C'è nessuno?"

Dall'interno si udì un fruscio, un forte e improvviso colpo contro la porta e l'inconfondibile, tenerissimo tono di voce di Mickey che, spaventato e sorpreso, esalava: "Zia Emy? Sei tu?"

Subitanee, le lacrime della giovane inondarono i suoi occhi ma, rapidamente, lei le scacciò con le mani per poi dire in fretta, con sicurezza: "Tranquillo. Ti tiriamo fuori da lì e ti riportiamo a casa."

"Nonno Will non lo permetterà" replicò impaurito il bambino, confermando quanto i tre già temevano. Il coinvolgimento di William Consworth.

Nel divellere il catenaccio, Parker fece in fretta nel gettare a terra lucchetto e catena dopodiché, spalancata la porta, permise a Emily di entrare quasi al pari di un tornado, così che le fosse possibile abbracciare Mickey.

Quest'ultimo replicò alla stretta e si mise a piangere contro la sua spalla, gorgogliando: "Subito, pensavo fosse un bel gioco. Sai, per scherzo... ma poi nonno Will non mi portava più casa, e diceva sempre che mamma e papà non mi volevano più perché ora avevano Sophie. Io non gli credevo, però i giorni passavano, e non veniva mai nessuno a far finire il gioco, e così..."

Non riuscendo più a parlare, Mickey si sciolse in un pianto dirotto quanto liberatorio e Anthony, nell'accucciarsi accanto a Emily e al bambino, li strinse entrambi tra le braccia e mormorò: "Mio padre pagherà per averti mentito, Mickey. Te lo giuro su quanto ho di più caro."

"Perché l'ha fatto, zio Tony?" si lagnò il bimbo, scostando il capo dalla spalla di Emily per guardarlo, i grandi occhi liquidi pieni di domande.

"Ora pensiamo a uscire. Ti spiegherò tutto più tardi" gli promise lui, sollevandolo da terra per poi stringerlo con forza e aggiungere: "Il papà e la mamma non vedono l'ora di rivederti, sai?"

Lui sorrise più tranquillo, si lasciò andare contro il corpo caldo e familiare di Anthony e mormorò: "Mi mancano. Anche la mia sorellina. Davvero."

"Sarà felicissima anche lei di riaverti a casa" gli promise Emily, carezzandogli la schiena con fare materno.

Parker dovette interrompere quell'idillio per dire torvo: "Ragazzi, andiamo. Stiamo rischiando grosso, visto che l'uscita è una sola, e noi non sappiamo quanto tempo abbiamo prima dell'arrivo di William."

Mickey, a quel punto, rizzò il capo e disse con candore: "Oh, beh, nonno Will arriva sempre alle undici."

I tre si guardarono turbati e dubbiosi assieme, non sapendo assolutamente che ore fossero ma una voce, inaspettata e traditrice, disse per loro: "Sì, Mickey,... e il nonno è sempre puntuale, vero?"

Ciò detto, si udì il clic inconfondibile del cane di una pistola e il riverbero violento e crudo di un'esplosione.
 
***

Le torce di Emily, Anthony e Parker caddero quasi simultaneamente a terra, a causa di quel colpo proditorio e improvviso, ma non quella di William che, sorridendo feroce, aggiunse: "Non avreste dovuto ficcare il naso dove non dovevate."

In quel mentre, Parker cadde a terra, il fianco sanguinante e il volto percorso dalla sorpresa e il terrore, fusi assieme in una miscellanea vivida e quasi palpabile.

Emily corse subito da lui mentre Anthony pensava a proteggere Mickey ma William, puntando la pistola contro la donna, ringhiò: "Non un passo di più, ragazza, o riempio di piombo anche te e poi ti lascio a morire qui con lui."

La giovane interruppe la sua corsa, si chinò lentamente accanto a Parker per poggiare una mano sulla sua spalla e, senza distogliere lo sguardo da William, mormorò: "Lasci che lo curi. Non farò altro."

"Perché dovresti curare un uomo morto? Con quel buco nel fegato, avrà vita breve" sogghignò William prima di rivolgersi al figlio e aggiungere: "Non mi avevi detto di aver perso anche lei per un altro. Comincio a dubitare fortemente che tu sia un vero uomo!"

Emily fece per ribattere ma Anthony la squadrò per un istante prima di dire insofferente: "Il fatto che tu non capisca l'animo umano non mi sorprende. Parker è una brava persona."

William avanzò di un passo verso di lui, perdendo temporaneamente di vista Emily che, senza fare rumore, tastò in fretta l'addome di Parker per sincerarsi delle sue condizioni. Trovando però solo una ferita superficiale al fianco, lanciò un'occhiata scioccata a Parker, in cerca di spiegazioni.

L'uomo le fece cenno di non parlare, di corroborare la sua messa inscena ed Emily, con un assenso rapido, si lasciò cadere a terra proprio accanto al tronchese che Parker aveva poggiato poco prima.

Scoppiando quindi in un finto pianto, si lagnò per le sorti dell'amico, pregando quindi William di poterlo curare.

William, per contro, la scrutò sardonico per un istante prima di tornare a guardare il figlio, la pistola ancora puntata, e dichiarare: "Senti come piange per lui, il tuo grande amore mai sbocciato!"

Imperturbabile, Anthony si limitò a dire: "Non hai mai capito Emily. Hai sempre e solo visto ciò che rappresentava per te, ma non hai mai percepito la sua purezza, la sua bontà o la sua bellezza interiore."

"A quanto pare, ti è valso poco scoprire tutte queste cose, visto com’è andata a finire, mi pare" gli rinfacciò per contro il padre, iniziando a irritarsi mentre, alle sue spalle, Parker si muoveva in completo silenzio per raggiungere Emily. "La donna che tanto millantavi di amare piange per un altro! Chi piangerà per te, dimmi, quando ti avrò ucciso?"

"Io, di sicuro" disse a sorpresa Parker, portando William a sobbalzare sorpreso nel volgere lo sguardo alle sue spalle. "Ma non ce ne sarà bisogno."

Ciò detto - e prima che William potesse puntargli nuovamente addosso la pistola - scaricò contro il suo collo il pesante tronchese, tramortendolo al punto tale da farlo svenire.

Emily fu lesta a balzare in piedi e afferrare la pistola di William e, nel puntarla contro l'uomo, ringhiò: "Legatelo con qualcosa, prima che mi venga voglia di sparare."

Anthony mise a terra Mickey per fare quanto richiesto e, nel guardare sorpreso Parker - ancora armato di tronchese - esalò: "Ma... non ti aveva colpito?"

"Di striscio. Ma ho fatto finta che fosse una cosa più grave, così da eliminare l'ostaggio, per così dire" scrollò le spalle Parker, sollevando la camicia intrisa di sangue per osservare disgustato la ferita che gli solcava il fianco, appena sopra l'anca. "A quanto pare, la cataratta di tuo padre ha cospirato contro di lui. Pensava davvero di aver fatto centro."

Terminato che ebbe di legare il padre, Anthony assentì disgustato e, nell'osservare Emily, disse: "Puoi dare a me la pistola."

Lei assentì distrattamente, gli occhi puntati su un angolo in ombra del nascondiglio dove si era trovato Mickey fino a quel momento e, nel chiamare accanto a sé il bambino, gli domandò: "Mickey... William ti ha per caso detto a chi appartenevano quelle ossa?"

Quel riferimento del tutto inaspettato fece sobbalzare i due uomini e il bambino, nell'arrampicarsi tra le braccia dell'amica, borbottò: "Mi ha detto che erano di una donna cattiva, che era morta qui tanti, tanti anni fa, ma che non dovevo averne paura, perché non mi avrebbero fatto mai del male."

Sorridendogli pur provando orrore per quel racconto, lei assentì e disse: "E immagino sia stato così, vero?"

Lui assentì, poggiando il capo contro la spalla di Emily mentre Anthony, guardingo e percorso da un dubbio atroce, si avvicinava allo scheletro per controllarlo più da vicino.

Mentre alcuni mugugni provenivano da un William in via di ripresa - ma ormai del tutto inerme e legato mani e piedi perché non fuggisse - Parker osservò l'amico e domandò: "Pensi di sapere chi sia? Avete avuto dei casi di scomparsa mai risolti, a Nederland?"

A quell'accenno, a cui Emily non aveva affatto pensato, la giovane si irrigidì immediatamente e, già sul punto di dire a Tony di non proseguire oltre con le indagini, lo sentì dire con voce atona: "Ora, non più."

Ciò detto, si risollevò da terra tenendo in mano un piccolo oggetto tondeggiante, che si rivelò essere un anello.

Un anello molto speciale.

Mordendosi il labbro inferiore, già temendo la natura di quel gioiello imbruttito dagli anni e dall'umidore della caverna, Emily fissò spiacente Anthony e domandò roca: "E' di..."

Lui si limitò a un assenso reciso e la giovane, guardando un incuriosito quanto dubbioso Parker, mormorò: "Marlene. La madre di Tony."

Parker non riuscì a dire nulla.

Alle loro spalle, simile a un torrente in piena, giunsero a spron battuto non meno di dieci uomini della polizia, unitamente a Sherry e allo sceriffo Meyerson.

Nel vederli incolumi, e con Mickey in salvo, le armi vennero subito calate, ma il tono con cui Meyerson li etichettò non permise a nessuno di tranquillizzarsi.

Non soltanto diede loro degli idioti patentati e degli imbecilli, ma elencò tutta una serie di eventuali disgrazie che sarebbero potute accadere loro.

Soltanto quando non vide in loro alcuna reazione alle sue parole, lo sceriffo inizio a comprendere che qualcosa di nuovo e inaspettato doveva essere accaduto. Azzittendosi, quindi, li squadrò per bene, notò il sangue sulla camicia di Parker e borbottò: "C'è bisogno di un medico, signor Jones?"

"Niente di eclatante, mi creda" si limitò a dire Parker prima di lanciare uno sguardo ad Anthony.

Meyerson si accigliò maggiormente, di fronte a quell'occhiata eloquente e piena di sottintesi così, avvicinandosi al gruppetto - e riuscendo finalmente a vedere William Consworth steso a terra, legato mani e piedi - domandò: "Che succede, ragazzi?"

"Abbiamo scoperto che fine ha fatto mia madre" borbottò Anthony, lanciando poi un'occhiata sul fondo del nascondiglio in cui si era trovato Mickey fino a poco tempo prima.

A quelle parole, lo sceriffo si adombrò in volto, disgustato e inorridito e, atono, disse: "Fuori di qui. Tutti. Thompson, Ford, portate via questo rifiuto e mettetelo sul furgone. Beyer, esci e chiama la scientifica. A quanto pare, abbiamo aperto un autentico Vaso di Pandora."

Gli uomini interpellati si mossero lesti per fare quanto ordinatogli e, mentre il trio usciva assieme a un dubbioso Mickey, Meyerson si limitò a fissare lo scheletro biancastro e ricoperto di stracci, borbottando: "Maledizione, Marly. Sei stata qui per tutto questo tempo?"
 
***

Il fuoco incrociato di Sherry, Jordan, Margareth, Rick e Jamie non fu nulla, se paragonato alla sfuriata di McCoy. Emily e gli altri, in ogni caso, la affrontarono con stoicismo, forse troppo sconvolti dal ritrovamento di Marlene Krueger-Consworth per poter essere pienamente presenti in quel frangente.

Naturalmente, vi furono pianti, abbracci, raccomandazioni a non comportarsi più come folli e altre frasi di circostanza ma, il momento più toccante, fu sicuramente il ricongiungimento di Mickey con i suoi genitori.

Emily non si accorse neppure di piangere e, quando Consuelo la strinse a sé per ringraziarla e sgridarla al tempo stesso, lei accettò tutto come in una sorta di trance.
Non riusciva a godere di quel momento che, per tanto tempo, aveva agognato, e tutto a causa di quel bianco scheletro che avevano trovato nella miniera.

Certo, poteva affrontare gli insulti con maggiore facilità, visto che la testa era in tutt'altro luogo, ma d'altra parte si stava perdendo tutto ciò che di bello stava accadendo attorno a loro.

Il cadavere di Marlene. La madre di Anthony.

Era sempre stata lì, non dispersa chissà dove in una qualsiasi parte del mondo... no, a dividerli erano sempre state poche decine di miglia.

E un abisso di bugie.

Perché era chiaro che, non solo la donna non si era rinchiusa spontaneamente in quel luogo fino a morire, ma qualcuno l'aveva bloccata con una catena, lasciandola a deperire nell'oscurità di quella grotta.

Forse, dopotutto, il rapimento di Mickey era la minore delle colpe di William, per quanto fosse assurdo il solo pensarlo.

"Emy... Emy..."

Sbattendo le palpebre nel riemergere dal quel miasma di pensieri per rivolgere uno sguardo vacuo al padre, la giovane mormorò: "Sì, sono stata un'idiota. Scusa. Hai picchiato qualcun altro, papà?"

L'uomo le sorrise comprensivo e, nel sedersi accanto a lei su una delle scomode sedie della sala d'attesa della Centrale di Polizia, le batté una mano sul ginocchio destro e domandò: "Si può sapere dove sei stata, finora?"

"Qui. Credo. Non ricordo molto bene il viaggio di rientro. So solo che lo sceriffo mi ha fatto perdere quasi l'uso delle orecchie, a forza di sbraitare. O era Hutchinson?" borbottò Emily, grattandosi distrattamente la nuca nella vana ricerca di un pensiero coerente.

La sua mente era bloccata in un loop diverso dal solito e, per quanto la cosa le desse fastidio, non sembrava essere capace di sganciarsene.

Il problema era che non desiderava passare il resto dei suoi giorni a pensare a quel maledetto scheletro!

Questo pensiero, però, la portò a risollevare il capo e, nel guardarsi intorno, nuovamente lucida e con la mente a fuoco, domandò nervosa: "Tony! Dov'è Tony?"

"Oh... eccoti" mormorò soddisfatto il padre. "E' dentro la sala degli interrogatori assieme a McCoy e Meyerson, mentre Parker è dal medico per farsi curare."

Passandosi le mani sul viso, Emily si rese conto di averle ancora sporche di polvere e, nel fare una smorfia, mormorò: "C'era la madre di Tony, in quella miniera. L'ha rinchiusa lì, papà. Ci è morta."

Jordan si irrigidì, a quelle parole, non aspettandosi di certo una simile svolta negli eventi e, nell'osservarla turbato, esalò: "Ma... non andò via anni fa?"

Lei scosse il capo, replicando: "Era quello che William aveva raccontato a tutti, ma a questo punto non credo più a niente di quel che ha detto, o dirà. C'era una catena, papà. Quella donna è morta incatenata al muro."

"Dio, bambina!" esalò roco Jordan, stringendola a sé.

Quel contatto, quel calore, quel senso di protezione che per tanti anni aveva cercato in suo padre senza mai ammetterlo, la portarono a crollare definitivamente e, scoppiando in un pianto silenzioso, Emily esalò: "Gli ha ucciso la madre! Lo ha odiato per tutta la vita ma, prima ancora di questo, lo ha reso orfano, papà!"

Stringendola maggiormente a sé, Jordan assentì più e più volte e, mentre la figlia metteva a voce tutto il dolore che sentiva per ciò che era accaduto a Tony, l'uomo sentì montare dentro l'animo una rabbia più nera della notte.

Pur se in modo diverso, anche Tony era stato tenuto prigioniero. Prigioniero un'intera vita da un padre che mai lo aveva amato ma che, per contro, il giovane aveva sempre cercato di avere dalla sua parte.

Perché non era odio ciò che Jordan aveva scorto negli occhi di Anthony, quando lo aveva visto entrare alla Stazione di Polizia, ma lo sguardo ferito di un figlio che sapeva di avere perso, forse per sempre, la figura paterna.

Dubitava persino che Anthony fosse in grado di odiare veramente qualcuno, e il pensiero che suo padre lo avesse ferito in modo così definitivo e crudele, lo fece fremere.

Sapeva di non essere un padre perfetto, ma aveva amato i suoi figli, cercando di esserci sempre, per loro. 

Il comportamento di Consworth, perciò, gli risultava del tutto avulso dalla realtà, da qualsiasi realtà concepibile.

"Ci penseremo noi, ad Anthony. Te lo prometto" le mormorò all'orecchio Jordan, mentre Emily annuiva contro la sua spalla.





N.d.A.: si risolve un caso, per aprirne un altro, ben più oscuro e terrificante. Come la prenderà a questo punto, Anthony?
Buone Feste a tutt*!!
 

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


 
 
 
26.
 
 
 
 
McCoy sospirò forse per la centesima volta, nell'ascoltare il resoconto stringato di ciò che Anthony Consworth e Parker Jones avevano scoperto su William Consworth.

Quando poi venne a sapere ciò che era stato trovato nella caverna, non poté che imprecare per la sorpresa e, dopo essersi passato una mano tra i capelli sale e pepe, sbottò: "Qui, invece di dipanare una matassa, se n'è aggiunta un'altra!"

"Sappiamo tutti e tre di aver fatto una sciocchezza, agente..." terminò di dire Anthony, il tono fiacco e il corpo piegato dallo sfinimento. "...e accetteremo senza fiatare qualsiasi punizione vorrà comminarci. Siamo tutti d'accordo. Ma dovevamo essere noi, a trovare Mickey."

"Posso quasi capire te ed Emily... ma il signor Jones che c'entra, con questo caso?" sospirò esasperato McCoy.

Anthony allora sorrise, si grattò distrattamente una guancia ormai ispida di barba e asserì: "E' il nostro consulente matrimoniale, più o meno."

"Come, scusa?" gracchiò l’agente.

Il giovane sorrise, scosse una mano come a non voler dare peso al suo dire e aggiunse: "E' un buon amico. Per entrambi. Non ci avrebbe mai lasciato andare da soli."

"Grandioso! Pure il buon samaritano mi doveva capitare!" esalò McCoy prima di sbuffare e aggiungere: "Per quanto mi spiaccia dirlo, a parte un richiamo scritto, penso non potrò fare altro contro di voi. La cittadinanza mi ammazzerebbe prima di mettere piede fuori di qui, se sapesse che ho punito gli eroi di Nederland."

"Credo che Meyerson si inventerà qualcosa di più subdolo, non dubiti" sogghignò a quel punto Anthony, prima di domandare: "Ha terminato, con me? Vorrei andare a fare un pisolino. Sono più stanco di quanto non credessi."

"Tse. Un pisolino!" lo prese in giro McCoy. "So bene dove vorresti essere ora, e dove sgattaiolerai non appena uscito da qui."

"Io?" mormorò Anthony con aria ingenua. 

McCoy ghignò al suo indirizzo e replicò: "Sai benissimo che, in fondo al corridoio, stanno interrogando tuo padre, e io so benissimo che riusciresti a intrufolarti dentro la sala degli interrogatori per sentire cosa dicono."

"Non sono così bravo. Lo giuro" sottolineò per contro Anthony.

"Forse... ma conosci tutti, qui, e penso che chiuderebbero anche tutti e due gli occhi, al momento, pur di farti un favore perciò, prima che io sia costretto a punire qualcuno a causa tua, vieni con me e facciamola finita" brontolò McCoy, invitandolo a uscire con lui.

Tony lo seguì in un silenzio un po' sorpreso e, quando l'agente lo fece entrare nella stanza in cui era possibile visionare l'interrogatorio, esalò confuso: "Ma... perché non lo sta interrogando lei?"

"Meyerson ha insistito per affrontarlo a muso duro, e io penso che se lo meriti. Inoltre, da quel che so, sono vecchi commilitoni, quindi penso che sappia prenderlo meglio di chiunque altro, tra di noi" scrollò le spalle McCoy prima di chiedere ragguagli all'agente presente in stanza.

"Per ora, non ha ammesso alcun addebito in merito ai resti ritrovati nella miniera" lo informò l'agente. "Si è dichiarato non colpevole, adducendo come scusa che stava semplicemente riparando un torto subito otto anni addietro, quando gli è stato negato di stare con il nipote."

"Ancora con questa storia... Mickey non è mio figlio, e lo so con assoluta certezza. Non c'è neppure bisogno del test del DNA" sbottò Anthony, scuotendo il capo per l’esasperazione e la stanchezza. Non aveva neppure più la forza di arrabbiarsi, in tutta onestà.

Il padre gli aveva tolto anche l’ultimo residuo di forza, con quell’ultimo, terribile atto. 

McCoy sbuffò nel grattarsi la nuca e chiosò: "Certe fissazioni sono dure a morire, a quanto pare." 

"Ce l'ha sempre avuta con me, per questo, ma pensavo che ormai fosse storia vecchia. Invece, a quanto pare, la nascita di Sophie lo ha mandato in bestia, facendogli congegnare questo piano" sospirò Anthony. “Quanto a mia madre… non so davvero che dire.”

“Per i resti, dovremo attendere il responso del DNA, anche se la fede nuziale trovata sul cadavere lascia ben poche alternative al caso” mormorò McCoy, dandogli una pacca sulla spalla. “Nessuno ha mai sospettato nulla? I genitori? Gli amici?”

“Da quel che so, no. I miei nonni materni non sono mai stati molto presenti perché, per quel che sapevo allora - e ho scoperto più tardi -, non hanno mai accettato il matrimonio di mia madre con mio padre. E ora, forse, ne capisco anche il motivo. Probabilmente avevano già capito di che pasta era fatto.”

Ciò detto, lanciò uno sguardo oltre il vetro che li separava e scrutò quel volto arcigno e segnato dall’odio che, ormai, non riusciva più a riconoscere come suo padre.

Quell’uomo poteva anche aver avuto a che fare con la sua nascita, ma erano stati i suoi nonni, Cooper, Gilda e Michael a crescerlo.
 
***

“Allora… c’è niente che tu voglia dirmi di vero, William?” esordì Michael, sedendosi dinanzi al vecchio commilitone.

Erano passati davvero troppi anni da quella maledetta guerra, eppure gli sembrava di non aver trascorso neppure un giorno lontano da quelle lande di morte, quando si trattava di William.

Quell’uomo aveva la stramaledetta capacità di riportare a galla episodi discutibili del loro passato e, anche in quel caso, avvenne con drammatica puntualità.

Scene di un passato assai poco edificante si intervallarono dinanzi ai suoi occhi come se stesse rivivendo un film sul Vietnam, coi loro comportamenti discutibili, le loro uccisioni sommarie, lo scarso rispetto della vita.

Scacciando quelle immagini con uno sbuffo, Michael tornò a scrutare il suo silenzioso interlocutore e, con un gesto secco della mano, lo invitò a dire qualcosa.

Qualsiasi cosa, pur di terminare quanto prima quell’assurdo interrogatorio.

“Il tanto blasonato sceriffo Meyerson vuole salvarmi ancora una volta, forse?” ironizzò a quel punto William, levando un angolo della bocca per poi scrutare beffardo il capo della polizia.

“Sei ben oltre qualsiasi possibile salvezza, William ma, sinceramente, vorrei capire” sospirò Michael. “Hai mandato tutto alla malora per una cosa che non esiste, e ne ho le prove proprio qui, nelle mie mani. Ma hai peggiorato di molto le cose con Marlene.”

“Non so di cosa parli” sentenziò William, atono.

Lo sceriffo, allora, aprì la cartella medica di Michael Jeremy Larson e, nell’indicare un punto in particolare, aggiunse: “Tuo figlio è gruppo sanguigno AB, giusto?”

“Sì” mormorò guardingo William, accigliandosi.

“Beh, Consuelo è B, mentre Samuel è 0. Non a caso, Mickey è gruppo 0. Anche senza DNA, questo dovrebbe bastarti per capire che Mickey non può essere tuo nipote. Da un padre AB non può nascere un figlio con gruppo sanguigno 0” gli spiegò succintamente Michael prima di mettere via la cartella medica.

William si fece muto, dopo aver ascoltato quelle parole lapidarie, gli occhi fissi sul punto in cui, fino a qualche istante prima, era stata presente la cartella e ciò che in essa era contenuto.

“Hai fatto impazzire tuo figlio per anni, a causa di questa diatriba e, ancora prima, lo hai odiato per via delle pazzie di Marlene, ma lui non ha mai avuto colpa. Di nulla” soggiunse lo sceriffo, alzando di una tacca il tono della voce.

“Marlene non si è più sentita bene, dalla nascita di Anthony. Avevo tutto il diritto di rivalermi su di lui. A causa sua, mia moglie non è più stata la stessa!” sbottò a sorpresa William, sorprendendo lo stesso Anthony, che stava ascoltando l’intera storia per la prima volta.

“Depressione post-partum?” mormorò leggermente sorpreso Michael. “E tu reputi Tony il colpevole? Dio, William! Può semplicemente capitare! All’epoca, non era neppure riconosciuta come malattia!”

“Non mi interessa. L’unica cosa buona che avevo nella vita mi è stata tolta da mio figlio, e non potevo accettarlo” ringhiò William, disgustato.

“Come se i tuoi genitori non fossero stati una cosa bella! William, ma ascoltati! Ti hanno sempre aiutato, seguito e…”

William lo interruppe con un grido, ammettendo con rabbia: “Darren non era mio padre! E quella puttana di mia madre si è fatta mettere incinta dal primo venuto! Non parlarne come se fossero stati due brave persone!”

McCoy lanciò uno sguardo preoccupato all’indirizzo di Anthony, nell’udire quelle ultime, agghiaccianti parole e, nel poggiargli una mano sulla spalla, lo pregò di uscire. Il giovane, però, pur raggelato da ciò che aveva appena udito, declinò gentilmente l’invito, replicando: “Tanto vale che ascolti fino alla fine quanto oscuro è il mio passato.”

“Ragazzo…” sospirò l’agente speciale.

“Non si preoccupi. Starò bene” annuì coraggiosamente Anthony.

Dentro di sé, però, Tony iniziò a sentire parti di se stesso crollare in un pozzo melmoso e senza fondo, lo stesso luogo dove, con tutta probabilità, era rimasta rinchiusa per anni Emily, preda dei suoi incubi personali.

Cos’altro doveva scoprire, di suo padre? Quanto marciume sarebbe ancora venuto a galla, da quell’uomo? E lui, in tutta onestà, poteva davvero sopportare tutto questo? Poteva ancora ascoltare quelle terribili parole proferite contro i suoi nonni, che lui aveva sempre amato?

Nel vedere il cenno di diniego dello sceriffo, Anthony si fece comunque forza per riprendere l’ascolto dell’interrogatorio e, oltre il vetro, udì Meyerson domandare: “Davvero pensi che Darren non sia stato tuo padre? O che Julie si sia comportata in modo disonorevole? Da dove ti vengono queste idee?”

“Dalla bocca di Gareth Simpson, se proprio vuoi saperlo” sottolineò William con un sogghigno.

“Ah” sospirò a quel punto Michael, sorprendendo un poco lo stesso William, oltre alle persone presenti oltre lo specchio.

“Cosa ne sai, tu?” si insospettì subito Consworth senior, fissando malamente lo sceriffo.

“Ne so qualcosa visto che la verità, prima o poi, trova il modo di venire allo scoperto. Gareth venne da me per una confessione tardiva, quando sapeva di avere ancora poco tempo da vivere, perché desiderava mettersi l’animo in pace” ammise lo sceriffo, sorprendendo ulteriormente il suo auditorium.

“Perché… perché tu?”

“Perché ero un fresco agente di prima nomina, una persona onesta – almeno a suo dire – e, tra le altre cose, un tuo ex commilitone. Venne da me perché ti conoscevo. Sperava che, parlando con me, il segreto che custodiva mi avrebbe permesso di capirti meglio e di prevenire eventuali tuoi colpi di testa. Cosa che, evidentemente, non sono stato in grado di fare.”

“Cosa ti disse?” ringhiò William, piegandosi minaccioso verso di lui.

Michael non vi fece caso – le manette lo tenevano saldamente ancorato al tavolo della sala interrogatori – e aggiunse: “Mi disse di Julie, dello stupro che subì per mano di suo cugino, un certo Paco Ramirez, e del fatto che Darren decise di prendersi cura di te e di Julie, nonostante non fosse lui il tuo vero padre. La famiglia di Darren lo osteggiò, ma lui fece comunque di testa sua e tu venisti al mondo con il nome di William Consworth.”

Will arricciò nervosamente il naso, scosse il capo e replicò irritato: “Non fu stupro. Lei… lei tradì Darren. E lui fu così stupido da crederle e proteggerla, finendo col divenire becco.”

“Perché pensi questo?” domandò stanco Michael.

Consworth senior ebbe la decenza di non parlare e, ancora, Michael estrasse un foglio dalla cartella che teneva sulle ginocchia, asserendo: “Abbiamo la certezza che fu uno stupro, visto che Julie fu visitata il giorno dopo l’evento, e ne venne accertata la violenza da un medico. Fu grazie all’aiuto di Gareth e del dottor Seymour, che la visitò, se non venne alzato un polverone sulla faccenda, e tuo padre si prese l’onere di dichiararsi padre del bambino, sposando in tutta fretta Julie perché tu nascessi legittimamente. All’epoca, la reputazione di Julie sarebbe stata distrutta per sempre, a causa di quel fattaccio, anche se lei era l’unica vittima, perciò tuo padre non fu mai becco. Fu piuttosto un eroe, un dannatissimo eroe.”

William digrignò i denti per il furore e Michael, imperterrito, proseguì dicendo: “Per tutti questi anni hai creduto che tua madre fosse stata una fedifraga, e tuo padre un debole, ma mai una volta hai provato a pensarla diversamente, su di loro. Mai una volta hai visto tutto l’amore che hanno riversato su di te. Te ne sei sempre fregato.”

“Evidentemente, la mela non cade lontana dal ramo” sentenziò amaro William, volgendo il capo per scrutare il muro della cella.

Anthony si sentì rabbrividire al suono di quelle parole e McCoy, al suo fianco, dichiarò lapidario: “Non è vero. Non credergli.”

Lui assentì, mormorando fiacco: “Lo so. Basta pensare a Sherry e a suo fratello. Loro sono ben diversi dalla madre. Però… fa male lo stesso.”

McCoy annuì, strinse con maggiore forza la mano sulla spalla del giovane e, in cuor suo, pregò che l’uomo che era toccato in sorte a quel ragazzo scontasse il massimo della pena nel peggior penitenziario degli Stati Uniti.
 
***

Sorseggiando un succo di frutta mentre Emily lo ragguagliava in merito agli ultimi sviluppi e Anthony se ne stava spaparanzato sul divano a farsi coccolare da Cleopatra, Parker chiosò dicendo: “Beh, almeno sappiamo che è veramente finita.”

Annuendo con vigore, Emy asserì: “Il DNA ha confermato che il cadavere è di Marlene, perciò William sarà incriminato per il suo omicidio, oltre che per il rapimento di Mickey.”

Ciò detto, lanciò un’occhiata preoccupata ad Anthony che, però, le sorrise, scosse il capo e replicò: “Non devi guardarmi ogni due minuti con il timore di vedermi crollare. Almeno, adesso so che mia madre non mi aveva affatto abbandonato.”

“E’ tutto il resto che mi preoccupa” sottolineò per contro Emily con un leggero sospiro.

“Emy ha ragione. La faccenda non è certo delle più allegre” soggiunse Parker, levandosi dalla sedia su cui si era assiso per godere della merenda che Emily gli aveva gentilmente offerto.

Raggiunto che ebbe il divano, carezzò Cleopatra – che gli tributò un’occhiata adorante – e terminò di dire: “Certe batoste non vanno prese sottogamba, o potresti soffrirne in futuro.”

“Ho già sperimentato cosa significhi rimanere imprigionati nel proprio passato oscuro…” annuì Anthony, sorridendo a Emily. “… e, proprio per questo, non vi mentirò mai, né tacerò sui miei dubbi ma, ora come ora, sono solo contento che Mickey sia a casa. Avrò tempo per gli scoppi d’ira più avanti, quando avrò recuperato le forze e sarò più lucido.”

“Okay… se la metti così, sto zitto” chiosò a quel punto Parker, ammiccando all’indirizzo dell’amico.

Anthony assentì e, nel tornare a guardare Emy, attese impaziente una sua risposta in merito.

Lei allora sospirò, annuì a sua volta e disse: “Va bene. Mi calmerò anch’io. Prometto di non stressarti e di aspettare che sia tu a chiedere il mio eventuale aiuto.”
“Grazie” mormorò lui, lasciando poi ricadere il capo sul bracciolo del divano.

Cleopatra ne approfittò per tempestarlo di baci umidi e questo diede il via a una corale risata liberatoria, risata che però venne interrotta dal suono del telefono, che Emily prese in mano con espressione dubbiosa.

Quando, però, scorse il numero in entrata, storse il naso e borbottò: “Ahia. Altra sgridata in arrivo.”

Curioso, Anthony le domandò: “Chi è?”

“Max” mormorò lei, accettando la chiamata con aria esasperata.

In quel mentre, l’abbaiare di Cleopatra annunciò l’arrivo della famiglia Poitier al gran completo ed Emily, con un cenno della mano, li salutò mentre diceva: “Sì, hai ragione da vendere, Max. Sono stata sconsiderata, scellerata, disgraziata… tutto ciò che finisce per –ata va bene.”

Jordan ridacchiò divertito nell’udire il nome dell’uomo che, per anni, lo aveva sostituito nel ruolo di padre – nel cuore della figlia – e, ammiccando al suo indirizzo, le domandò in un sussurro: “Altra tirata d’orecchi?”

“L’ennesima” assentì ammiccante lei prima di dichiarare querula: “Te lo giuro, Max. Sono confinata in casa per un mese. Lo sceriffo mi ha scartavetrato, l’agente McCoy per poco non mi ha messa sulla lista nera dell’FBI, e Gilda! Come non parlare di lei? Gilda mi ha minacciato di morte con i suoi coltelli da cucina!”

Dal telefono giunse una risata grassa e compiaciuta ed Emily, strizzando l’occhio al padre, mise in vivavoce e disse: “Ora puoi farti sentire da tutti, Max. Vuoi che anche la mia famiglia sia messa al corrente della tua opinione?”

“Beh, se sono lì con te, e c’è anche tuo padre, io sono già a posto così. Ci penserà lui a sistemarti per le feste” dichiarò l’uomo con tono allegro. “O forse sarà tua madre. Non so neppure io chi potrebbe essere il più terribile.”

“Sto già pensando a una punizione esemplare, non temere, Max” dichiarò a quel punto Jordan, facendo sobbalzare Emily, che lo fissò basita.

Il padre allora rise di gusto, le diede una pacca sulla spalla dopodiché, rivolto al telefono, domandò: “Noi siamo sempre d’accordo, vero, Max?”

“Ovviamente” assentì l’uomo.

Emily, allora, fissò dubbiosa il padre e domandò: “D’accordo su cosa, scusa?”

“Niente che ti riguardi” replicò laconico Jordan, facendo scoppiare a ridere Max.

Sempre più sconcertata, Emily guardò la madre, che negò qualsiasi addebito, e anche Jamie scosse il capo, ignaro delle macchinazioni del padre.

A quel punto, Emy domandò al diretto interessato, ma anche Max replicò: “Non preoccuparti. Niente che ti debba interessare.”

Accigliandosi sempre di più, Emily borbottò: “Non me la raccontate giusta, voi due.”

I due uomini allora risero di gusto, Max si raccomandò di non combinare altri guai dopodiché, con un ultimo saluto, chiuse la chiamata ed Emily, nel fissare arcigna il padre, dichiarò: “Prima della vostra partenza, ti farò parlare.”

“Ne dubito, ma puoi provarci” ribatté l’uomo prima di dire: “Sarà meglio se mangiamo le prelibatezze di Gilda, prima che diventino fredde.”

 “Il cibo di Gilda è buono a prescindere… ma caldo lo è sicuramente di più” chiosò Emily, inspirando il buon profumo di pesce che proveniva dai contenitori di alluminio.

“Abbiamo pensato che potesse essere un buon modo per passare la serata” intervenne a quel punto Margareth, sfiorando con una mano la spalla della figlia, che annuì compiaciuta.

“Avete pensato bene. Ma non manca qualcuno?” domandò Emily, guardando alle spalle dei famigliari.

Sghignazzando, Jamie celiò: “Beh, Rick e Sherry hanno gentilmente declinato perché vorrebbero passare la serata da soli.”

“Buon per loro” ammiccò allora Emily, avviandosi lesta verso la credenza per preparare la tavola, subito seguita a ruota da Margareth e Jamie.

Jordan, per parte sua, si avvicinò al divano e, nel sedersi accanto ad Anthony, domandò: “Come stai, ragazzo?”

“Come ho detto ai due falchi che mi hanno tenuto d’occhio finora…” accennò Tony, ammiccando all’indirizzo di Parker ed Emy. “…sto bene. Sono solo tremendamente stanco. Al momento, sono felice che Mickey sia a casa e lieto di aver scoperto che, in realtà, mia madre non mi aveva affatto abbandonato. Per il resto, avrò tempo.”

Jordan si ritenne soddisfatto e, nel dargli una pacca sulla spalla, dichiarò: “Qualora ti andasse di parlare, basta una telefonata, in ogni caso.”

“Grazie. Davvero” annuì Anthony con un sorriso.
 
***

Il Crosscut Pizzeria & Taphouse era stracolmo di persone allegre e vocianti e, tra i vari tavoli gremiti di persone, un unico argomento si faceva largo assieme al profumo inebriante della pizza cotta nel forno a legna.

La liberazione di Mickey e l’arresto di Consworth senior.

Tra chi si rallegrava per il ritorno del bambino e chi si rattristava per Anthony, il caotico parlottare creava un muro sonoro che proteggeva paradossalmente Sherry e Rick da eventuali curiosi.

“Sei sicura che la pizza vada bene? Avremmo potuto andare da un’altra parte” sottolineò forse per la trentesima volta Rick, pur apprezzando la pasta croccante dell’impasto e gli aromi sprigionati dalla pietanza.

Sherry sorrise dietro il bordo del bicchiere di birra che stava sorseggiando e, non appena lo ebbe poggiato sul tavolino di legno massello, replicò: “Hai di fronte a te una mangiatrice compulsiva di pizza. Va bene, anzi benissimo, credimi.”

Tranquillizzato da quelle parole, Rick allora le domandò: “Ora che il caso è chiuso, cosa pensi di fare?”

La donna mordicchiò pensierosa un pezzetto di pizza dopodiché, con un sospiro, mormorò: “Beh, dipende tutto da una certa persona.”

“In che senso?” si accigliò leggermente Rick.

“Vedi, un uccellino mi ha detto che lo zio di Emily vi ha offerto un lavoro a Boulder e, guarda caso, a Boulder c’è un’agenzia di Investigazioni che sta cercando personale, perciò…” dichiarò con falsa noncuranza Sherry, scrollando una mano con fare distratto.

Rick, però, borbottò: “Tu adori fare la cacciatrice di taglie. Davvero ti chiuderesti dentro un ufficio per curiosare conti correnti, o per fotografare uomini che fanno le corna alla moglie?”

Sorridendo divertita di fronte a quella visione semplicistica del lavoro di investigatore, Sherry replicò: “Vedi, Rick, il punto è un altro. Ho trent’anni, mi hanno sparato più volte di quante io voglia ricordare e ho più ossa rotte – e risaldate – di un pugile. Onestamente, avrei voglia di fermarmi un po’ più spesso a casa, invece di essere sempre in giro per mezzo Paese. Così, potrei anche fare visita a Gin più spesso.”

“Ne sei sicura?”

“Rick, il lavoro di cacciatore di taglie si può fare per un po’, e ti pagano bene ma, se vuoi costruirti una famiglia, prima o poi devi fermarti” gli sorrise lei, allungando una mano per afferrare la sua. “Ti lasciai andare anni fa, e solo perché fui così orgogliosa da non cedere a ciò che desideravo, troppo allettata dai soldi che stavo facendo e dall’inebriante sensazione di libertà che mi dava il lavoro, ma ora sono diversa. Ora, non voglio più mettere in secondo piano me stessa, né te.”

Lui assentì, intrecciò le dita a quelle di Sherry e le domandò: “Parker ha deciso di rimanere qui e di fare il pendolare. Dopotutto, sono venti minuti d’auto, niente di che. Io pensavo di fare lo stesso e trovarmi un posto tutto mio. Quel che voglio sapere è; sei disposta a rimanere qui con me? Nederland potrà piacerti?”

Storcendo un poco la bocca, Sherry borbottò: “Credi che io abbia bisogno di una boutique di alta moda, o di un gioielliere di Cartier?”

Rick allora rise sommessamente, scosse il capo e replicò: “No, affatto. Comincio a capire come sei e, anche se vedo che ti piacciono i capi firmati, non ti interessa realmente averli. Quel che intendevo dire era se avrebbe potuto piacerti per crescerci una famiglia.”

Arrossendo suo malgrado, Sherry reclinò il viso e, piena di imbarazzo, esalò: “Voi uomini del sud andate dritto al sodo, eh?”

Rick rise più forte di fronte al suo manifesto disagio e, nello stringere maggiormente la mano di lei, aggiunse: “Non voglio ci siano più fraintendimenti, tra noi due, e parlar chiaro è un vizio di famiglia.”

“Credi che starebbe bene, a tua madre, una nuora che sa sparare, tirare cazzotti e parlare come uno scaricatore di porto?” domandò a quel punto Sherry, ammiccando al suo indirizzo.

“Beh, quanto all’ultima parte, la lascerei segreta ancora per un po’. Per il resto, mia madre non disdegna affatto chi si sa difendere da solo, e credo potrebbe persino usarti come scusa per imparare a sua volta” ironizzò allora Rick, sollevandole la mano per baciarne il dorso.

Sollevando le sopracciglia con aria pienamente interessata, Sherry domandò: “Come? Vorrebbe imparare?”

“Ha lanciato qualche accenno qua e là, nel corso degli anni, ma mio padre ha sempre nicchiato. Può darsi che, vedendo te, potrebbe tornare alla ribalta” ipotizzò Rick.

“E tuo padre sarebbe d’accordo?”

“Se rendesse felice mia madre, e me, non avrebbe nulla da ridire” si limitò a dire Rick con una scrollata di spalle.

“Beh, allora…” chiosò Sherry prima di levarsi in piedi, allungarsi oltre il tavolo per stampargli un bacio a schiocco sulle labbra e infine urlare: “Quest’uomo diventerà mio marito!”

Nel locale vi fu un attimo di totale sconcerto, seguito da un fragoroso applauso, fischi e risate chiassose, intervallate da pacche sulle spalle a un attonito Rick e strette di mano alla orgogliosa Sherry.

Persino il proprietario del locale si avvicinò per fare loro le congratulazioni e, quando Sherry gli chiese spudoratamente se conoscesse qualcuno che potesse trovare loro una casa in cui abitare, gli aiuti si sprecarono.

Rick fu così subissato di consigli, numeri di telefono e commenti più o meno piccanti sulla sua futura moglie, mentre Sherry venne sommersa di abbracci da parte di perfette sconosciute, tutte pronte a dare il loro contributo genuino per la causa.

Dopotutto, questo e altro per i futuri nuovi arrivati.

Fu solo un paio d’ore dopo che la coppia riuscì finalmente a tornare in albergo, la borsetta di Sherry ricolma di biglietti da visita e appunti vari raccattati per il locale.

“E chi l’avrebbe mai immaginato che un paesino di montagna potesse essere così aperto a due nuovi venuti?” esalò Rick, accostando l’auto all’entrata dell’albergo.

“Ci hanno visti mentre davamo una mano nella ricerca di Mickey, e qualcuno si ricordava sia di me che di te, perciò, per loro, non siamo solo dei nuovi venuti. Caso mai, siamo dei nuovi amici che hanno scelto loro come nuova casa” replicò Sherry, scendendo dall’auto di Rick con un movimento elegante delle gambe.

“Casa, eh?” motteggiò lui, allungandole una mano.

Lei assentì, sorrise al suo uomo e mormorò: “Sì, casa.”




N.d.A.: finalmente si chiude la vicenda che ha visto Mickey come involontario protagonista e, anche se per Tony le batoste sono state tante, sa di poter contare su una famiglia allargata dalle spalle possenti a cui aggrapparsi, e una donna che lo ama sinceramente.
Quanto a Rick, Sherry e Parker, come avete potuto notare, non si allontaneranno dai loro amici, perciò formeranno un'allegra brigata, da qui in poi.
Col prossimo capitolo, chiuderò definitivamente questa avventura, che vi ringrazio di aver seguito con me, dopodiché tornerò nel mondo dei miei licantropi, con due storie che posterò una di seguito all'altra. La prima, si intitolerà "Storia di un Cacciatore" e, da come si evince dal titolo, parlerò dei più antichi nemici dei lupi di Fenrir, ma da un punto di vista piuttosto singolare. La seconda, sarà più internazionale... anzi, oserei dire, 
galattica, e coinvolgerà nuovissimi personaggi, mai comparsi finora in nessuna storia... e potremo finalmente fare la conoscenza dell'ultimo fratello di Fenrir. Jormungandr!
Vi aspetto!

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Capitolo 27
*** Epilogo ***


Epilogo
 
 
 
Consuelo stava facendo dondolare la sedia-sdraio di Sophie mentre, con un sorriso tranquillo, osservava le figure di Anthony e Samuel impegnate a chiacchierare nel giardino dietro casa.

La buriana sembrava essere passata e, con l’allontanamento dell’FBI, anche i giornalisti se n’erano pian piano andati da Nederland, facendo tornare la serenità in paese.

Com’era ovvio, la scoperta del misterioso rapitore di Mickey aveva fatto sollevare un vespaio tra gli abitanti del posto ma, non senza una certa sorpresa, la comprensione per Anthony era stata unanime.

V’erano stati commenti più o meno velenosi in merito a William, ma nessuno indirizzato al figlio, segno di quanto il giovane fosse stato capace di intessere veri legami d’amicizia, con gli abitanti di Nederland.

Consuelo si era però sentita straziare il cuore quando, la mattina seguente al ritorno di Mickey, l’amico si era presentato a casa loro e, in lacrime, si era gettato ai loro piedi per chiedere umile perdono.

Samuel si era affrettato a sollevarlo da terra e ora, dopo alcune ore di impegnative trattative per tranquillizzare l’amico, era finalmente riuscito a rasserenarlo a sufficienza per vederlo sorridere.

Nel volgere lo sguardo quando vide giungere Emily in compagnia di Cleopatra, Consuelo sorrise e domandò: “Sei venuta a controllare il tuo uomo?”

Emily sorrise di rimando, osservò i due amici e il piccolo Mickey impegnati in una conversazione all’apparenza rilassata e, nel dare un buffetto sulla guancia a Sophie, disse: “Non sapevo cosa aspettarmi, quando stamattina mi ha detto cosa aveva intenzione di fare. Ha pianto tutta la notte, prima di riuscire ad addormentarsi.”

Consuelo sospirò, annuendo spiacente. “Anthony non ha mai meritato di soffrire tanto, e suo padre ha fatto davvero di tutto per rendergli la vita un inferno, ma sono contenta che, ormai, la sua ombra non possa più impedirgli di brillare come merita.”

Emy assentì al suo dire, ben conscia di quanto, ancora, Consuelo volesse bene all’antico fidanzato. Se c’era una persona che avrebbe sempre pensato al bene di Tony, oltre a lei, era sicuramente Consuelo.

“Papà ha già messo in pista uno dei suoi migliori avvocati, perché il tutto si svolga nel modo più veloce e indolore possibile, così che Anthony non si debba preoccupare di nulla” la mise al corrente Emily, salutando poi Mickey quando venne loro incontro.

Abbracciandola alle gambe, il bambino le sorrise grato e disse: “Ciao, zia Emy! Che bello che sei qui anche tu! Vieni a giocare con zio Tony e il papà? Vorremmo giocare a nascondino, ma loro non vogliono, così ho pensato che, se l’avessi chiesto a te…”

Emily rise di gusto, scosse il capo e replicò: “Tesoro, giocherei a tutto, con te, ma non a nascondino. Almeno per i prossimi vent’anni.”

Mettendo un adorabile broncio mentre la madre rideva sommessamente, Mickey borbottò: “Non siete divertenti, voi grandi. Allora posso giocare con Cleopatra?”

“Questo sì” ammiccò Emily, dando una pacca sulla schiena alla sua cagnolona, che la osservò in attesa di ordini. “Gioco, Cleo. Mickey. Gioco.”

Cleo allora abbaiò allegra e, correndo al trotto verso il prato, si lasciò inseguire da un ridente Mickey, all’apparenza sereno e per nulla turbato dall’esperienza traumatica appena vissuta.

“Il dottore che dice?” si informò a quel punto Emily.

“Pare che William sia stato buono, con lui, pur se gli ha mentito su di noi” le spiegò Consuelo, prendendo in braccio Sophie quanto questa iniziò a piagnucolare per la fame.

Slacciandosi poi lo chemisier, iniziò ad allattarla per poi aggiungere: “Mickey dice che ha cominciato a spaventarsi un po’ solo gli ultimi giorni, ma che era certo lo avremmo trovato prima della loro partenza.”

“Gli aveva detto dove sarebbero andati?”

“No. Ha parlato solo di un posto lontano e al sole. Forse la Florida, o la California. Chissà” sospirò Consuelo. “Tony mi ha raccontato di suo padre… sì, insomma, del suo passato.”

“Oh” esalò Emily, sgranando gli occhi.

“Non fa specie che ce l’abbia sempre avuta con me. L’uomo che stuprò sua madre era messicano come me, pur se aveva parenti americani. Inoltre, per lui tutte le donne erano traditrici e, secondo il suo metro di giudizio, Tony è sempre stato troppo debole, con me.”

Nel dirlo, sorrise triste e aggiunse: “Se non fosse stato così duro con me, forse avrei finito con lo sposare Tony e ci saremmo odiati a morte.”

“Non tentare di trovare un lato positivo in lui, ti prego” replicò Emily. “Tu e Sam vi sareste comunque trovati. Ne sono sicura.”

“Come tu e Tony” le sorrise a quel punto Consuelo, stringendole una mano.

“Già. Mi ci sono solo voluti vent’anni, per rinsavire e trovare l’uomo giusto per me. Dopotutto, non è neanche tanto, no?” ammiccò Emy, e l’amica rise con lei mentre Anthony e Samuel, con passo tranquillo, le raggiungevano.

Accostatosi a Emy, Anthony la strinse in un dolce abbraccio, le sussurrò il suo amore dopodiché, nel guardare l’orologio, disse: “Temo dovremo avviarci. Ormai è ora di pranzo.”

“Già” assentì Emily, abbracciando Samuel prima di esclamare: “Mickey! Pensi tu a Cleo?”

“Sicuro, zia!” assentì tutto contento il bambino, abbracciato al bernese con aria compiaciuta.

Emily e Anthony, a quel punto, salutarono la coppia e, mano nella mano, si avviarono per scendere verso il paese, ormai pronti per l’arrivederci che li stava attendendo al diner.
 
***

Gilda giunse al numeroso tavolo d’angolo del suo locale servendo ai presenti caraffe d’acqua, un buon vinello bianco della California e un paio di birre per Jamie e Parker.

Dando poi una carezza sul viso a Emily, motteggiò: “Sarà strano non rivedere in giro per Nederland metà di voi.”

Jamie le sorrise ammiccante e replicò: “Per te, potrei anche decidere di trasferirmi qui, ma solo se prometti di sposarmi.”

Gilda rise divertita mentre Cooper, facendo capolino dalla cucina, replicava: “Tu finirai nei guai, prima o poi, ragazzo, se non calmi i tuoi bollenti spiriti. Quella donna è già presa, mi spiace.”

Mentre la tavolata scoppiava in un’allegra risata, Gilda strizzò l’occhio a Jordan Poitier e chiosò: “Non è bello essere così desiderate?”

“Mio figlio dimostra di avere un gusto assai sopraffino, su questo non c’è dubbio” celiò l’uomo.

“Vedi, caro? Dovresti essere felice che io abbia scelto te, nonostante la concorrenza” ridacchiò a quel punto Gilda, tornandosene al bancone.

Cooper brontolò qualcosa di intelligibile prima di tornarsene in cucina col figlio ed Emily, nell’asciugarsi una lacrima di ilarità, esalò: “Dio! Gilda ha ragione! Sarà stranissimo non avervi qui tutto il tempo, ma è davvero ora che torniate a casa.”

“Beh, io potrei rimanere. Dopotutto, sono senza lavoro, no?” chiosò Jordan, scrollando le spalle con noncuranza.

“Papà, per quanto io apprezzi la tua presenza, duemila metri di altezza non sono il massimo, per una persona che ha sofferto di cuore. E’ ora che tu ritorni a livelli più consoni per la tua salute” precisò Emily, pur dandogli una pacca consolatoria sul braccio.

“Non ricordarmi il mio infarto, per favore. E’ qualcosa che vorrei cancellare dalla mente” sbuffò l’uomo.

“Ho imparato a mie spese che sotterrare i ricordi è pericoloso” replicò la giovane con un mezzo sorriso. “Ma ti prometto che verrò a trovarvi spesso.”

“Di sicuro, voglio vedervi tutti per Natale. E non accetterò un no come risposta” ci tenne a dire Jordan, indicando con un dito tutti i presenti.

Parker e Rick si guardarono dubbiosi, così Margareth intervenne dicendo: “Ragazzi, anche voi due. E, naturalmente, estendete l’invito anche alla vostra famiglia. Conoscere gli amici di Emily e Jamie è una cosa molto importante, per noi, e festeggiare il Natale in compagnia sarà un bella novità, dopo tanti anni di cene silenziose.”

Emily assentì a quell’accenno, sapendo bene che, in quei vent’anni, era sempre stata lei a impedire che ciò potesse avvenire. Nell’osservare i suoi amici riuniti al tavolo, quindi, dichiarò: “Ve lo chiedo anch’io. Venite con i vostri genitori e Quentin. Sarebbe davvero stupendo festeggiare tutti assieme e conoscere anche il resto della famiglia Jones.”

“Quanto a te, Sherry, informa Gin e suo marito che vorremmo anche loro, alla festa di Natale. Siete stati la famiglia di Emily quando noi non abbiamo potuto esserci…” aggiunse Jordan, sorridendo alla cacciatrice di taglie. “…perciò vorremmo dimostrarvi tutta la nostra gratitudine per ciò che avete fatto. E creare, se possibile, una nuova tradizione di famiglia, chissà.”

Sherry assentì con un sorriso pieno di affetto e gratitudine e, nell’osservare Emily, disse: “Emy è stata per me una famiglia tanto quanto io lo sono stata per lei, perciò accetto volentieri, e credo che farà piacere anche a Gin, saperlo.”

Jordan assentì soddisfatto, lanciò un’occhiata a tutte le persone che erano sedute assieme a lui a quell’affollato tavolo nel diner di Gilda Mattei e, tra sé, poté finalmente tirare un sospiro di sollievo.

Aveva impiegato più di vent’anni per recuperare un rapporto degno di tale nome con sua figlia e, anche se avevano perso un’infinità di tempo e di occasioni, poteva comunque essere lieto del risultato finale.

Non poteva cancellare il dolore provato da Emily, lo sconforto di Jamie al pensiero di avere la sorella lontana da sé o l’angoscia di sua moglie per la spaccatura che si era venuta a creare in famiglia. Poteva soltanto fare del proprio meglio per impedire che, da quel giorno in poi, niente altro potesse turbare la loro felicità.

Certo, il processo a William Consworth avrebbe pesato su di loro, per un po’, e lui avrebbe dato il tutto e per tutto per aiutare Anthony ed Emily a non sentirsene schiacciati, ma ora sapeva come fare.

C’era davvero troppo, in ballo, per permettersi di commettere nuovamente un errore.
 
***

L’aeroporto di Denver era come sempre caotico e ricco della frenetica adrenalina di chi non vede l’ora di partire, o di chi ha fretta di raggiungere una destinazione dopo essere atterrato.

Mentre Margareth ed Emily erano impegnate al duty free per recuperare giornali e parole crociate da impiegarsi per il viaggio di ritorno a New York, Jordan approfittò di quel momento per parlare con Anthony.

Quei pochi giorni passati dalla liberazione di Mickey e l’incriminazione di Consworth senior erano trascorsi tra il caos dei festeggiamenti, il rincorrersi di notizie di prossimi matrimoni – Sherry e Rick sarebbero stati i primi – e la preparazione per il rientro a New York.

Anthony aveva nel frattempo annullato la vendita dell’albergo, mantenendo al tempo stesso tutti coloro che vi lavoravano all’interno, in attesa che il termine del processo gli permettesse di procedere con gli ammodernamenti che aveva in mente.

Il cambio di proprietà, visto ciò che era accaduto al padre, non avrebbe richiesto molto tempo, soprattutto grazie ai buoni uffici degli avvocati che Jordan aveva messo in campo per lui.

Tempo per parlare non ne era quindi rimasto, perciò Jordan non ne perse altro e disse ad Anthony: “Prima di partire, volevo parlarti di una cosa, Anthony.”

“Dimmi pure, Jordan” assentì il giovane, fissandolo con estrema serietà.

“L’agente McCoy mi ha spiegato a grandi linee ciò che ha detto tuo padre, e vorrei ti fosse ben chiara una cosa, prima che le sue parole possano ingigantirsi a tal punto da rovinarti la vita. Non è vero che la mela cade sempre vicino all’albero da cui nasce. La riprova ce l’hai davanti a te. I miei genitori non fecero nulla per aiutarmi a salvare mia figlia, anteponendo la ditta alla sua vita. Mia sorella si suicidò, pur di mettermi i bastoni tra le ruote e impedirmi di usare il denaro della società per riscattare Emy. Mio fratello François, infine, se ne andò quell’anno stesso perché fu così inorridito dalle scelte dei nostri genitori da voler divenire un fantasma per tutti, tranne che per Emily e Jamie. Come vedi, abbiamo avuto tutti comportamenti diversi, pur essendo nati dallo stesso grembo, quindi non pensare mai che le parole di tuo padre corrispondano al vero.”

Ciò detto, strinse le mani sulle spalle di Anthony per dare maggiore peso al suo dire e concluse dicendo: “So che lo sceriffo e Cooper Whindam sono per te come figure paterne, non mi ci è voluto molto per capirlo, ma spero che vorrai rivolgerti anche a me, qualora tu avessi bisogno di qualcosa. Anche solo per fare una partita a carte su internet.”

Quell’ultimo commento strappò un sorriso ad Anthony che, annuendo, celiò: “Sono una frana, con le carte. Mi stracceresti di sicuro.”

Jordan, allora, levò le sopracciglia con interesse e chiosò: “Oh, cielo! Non farlo sapere alla madre di Margareth, altrimenti sono guai. Lei è una giocatrice accanita, e farà di tutto per usarti come capro espiatorio e distruggerti fino al completo annientamento.”

Anthony, a quel punto, rise di puro gusto, una risata sincera che permise anche a qualche lacrima di scaturire leggera, subito spazzata via dal gesto veloce di una mano.

Annuendo, il giovane disse: “Eviterò di partecipare a tornei casalinghi, allora.”

“Sarà meglio. Altrimenti, potresti farti dare ripetizioni da Emily. Di solito è lei che si scontra con nonna Peggy” ammiccò Jordan.

“O anche da Max. So da Emily che è molto bravo, a carte” ammiccò Tony, facendo sorridere sornione Jordan, che annuì.

“Potresti, potresti davvero. Magari, a Natale” chiosò a quel punto Jordan.

Anthony sorrise divertito di fronte a quell’ammissione e disse: “Non temere che Emily lo abbia scoperto. E’ ancora confusa, riguardo alla strana telefonata dell’altro giorno.”

“Ma tu hai intuito lo stesso cosa avevo intenzione di fare” replicò l’uomo.

“Ci hai chiamati tutti a casa vostra per Natale, coinvolgendo anche la famiglia di Parker, oltre a Sherry e Gin. Perché lasciare fuori Max che, per anni, è stato come un padre, per Emily? Mi sembrava una manovra logica, il fatto che avresti inserito anche lui nell’invito” scrollò le spalle Anthony, vedendo in lontananza le due signore Poitier tornare con i loro acquisti.

“Hai pensato bene, ma spero che lo terrai per te. Vorrei fosse il mio regalo di Natale per Emy” lo pregò a quel punto Jordan.

“Da me non saprà nulla e credimi, ne sarà felicissima. Così come è felice di aver ritrovato te” ci tenne a dire Anthony.

“Lo spero” mormorò lui prima di sorridere nel veder tornare Margareth ed Emily. “Trovato qualcosa?”

“Tutto il necessario per riempire le ore di volo previste” annuì Emy, consegnandogli le riviste prima di guardarsi intorno e domandare: “Ma… e Jamie?”

“Stava chiacchierando con un’hostess appena atterrata dopo un viaggio a Rio de Janeiro, se non ho capito male” celiò Jordan. “Questo, per lo meno, succedeva venti minuti fa. Se non lo vedi in giro, può darsi che si sia imbarcato per chissà dove.”

Tutti risero sommessamente ed Emy, scuotendo esasperata le spalle, borbottò: “Dio! Basta che veda una donna e non capisce più niente.”

“Porta pazienza. Dopo il guaio di Elspeth, ha bisogno di riprendersi. Dopotutto, quella ragazza gli ha massacrato l’amor proprio” dichiarò conciliante Margareth.

“Forse, avremmo dovuto dirgli di affidarsi a Parker. Lui è molto bravo nell’aggiustare i problemi di cuore” celiò allora Emily, ammiccando all’indirizzo di Anthony, che assentì.

“Sì. Con noi è stato molto bravo” convenne Tony, stringendole una mano.

Dall’altoparlante giunse la notizia del prossimo imbarco per New York e, a quel punto, i coniugi Poitier si congedarono dai giovani prima di avviarsi al gate d’imbarco.

Rimasti soli, Emily e Anthony si avviarono lentamente verso l’uscita, schivando ritardatari e dando l’arrivederci all’aeroporto che, entro qualche mese, avrebbero rivisto in concomitanza con le festività natalizie.

Una volta usciti nell’enorme parcheggio antistante, Emily si fece scudo con una mano per proteggersi dal riverbero e, nel sorridere a Tony, domandò: “Pronto a rientrare a casa?”

“Direi di sì. Ma sei sempre convinta di volermi come tuo inquilino stabile?”

Emily non gli rispose, dandogli per contro una gomitata al fianco e Anthony, nel ridacchiare per tutta risposta, replicò: “Bastava rispondere ‘sì, Tony. Non posso più vivere senza di te.’ Come risposta sarebbe stata perfetta.”

“Un po’ spocchiosa, forse” ammiccò lei.

“Realistica” precisò per contro il giovane.

“Teatrale” ritentò allora Emily, picchiettandosi un dito contro il mento con fare pensoso. “Direi che potrebbe andare bene qualcosa come ‘ti amo. Perciò, perché no?’

Anthony la scrutò con ironia, fece spallucce e infine disse: “Se non sai fare di meglio…”

“Accontentati. Io scrivo libri di viaggi, non romanzi d’amore.”

“Pignola” rise allora Anthony, coinvolgendola nella sua ilarità.

“Realistica” sottolineò lei, rubando la parola che in precedenza aveva usato Tony.

Detto ciò, si sollevò in punta di piedi e, afferratolo per il colletto della camicia, lo attirò a sé per un bacio che mise definitivamente fine a qualsiasi dubbio.

 
 
 
 
 
N.d.A.: qui si conclude la storia di Emily e, anche se non posso essere certa che non aggiungerò qualche OS in futuro, per il momento le sue avventure si chiudono qui. I conti con il passato sono stati chiusi, il futuro è lì che aspetta tutti i protagonisti di questa storia e ora non rimane altro che compiere il primo passo su questo nuovo sentiero.
A chi mi segue anche nel mondo dei licantropi, avviso che posterò una nuova storia, intitolata "Storia di un Cacciatore" e che sarà ambientata nel 2010, all'interno del Clan di Alec Dawson, a Bradford.
A presto, e grazie per avermi seguita fino a qui! 

 
 
 
 

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