Kidnapped di Mary P_Stark (/viewuser.php?uid=86981)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
1.
Giugno
1993 – Monti Adirondack
Le
facevano male i piedi, ma doveva correre. Non aveva altra scelta.
I
cattivi potevano essere dietro di lei. Era davvero
necessario che lei corresse. Più forte che poteva.
Sentiva
il cuore batterle all'impazzata. Nelle orecchie, nel petto, nei piedini
stanchi
come sulle dita ferite dai cespugli che, frenetica, scostava man mano
che
avanzava e che le graffiavano anche il viso, ma non importava.
Doveva
correre.
Un
latrato. Due. Infine tre. Sempre più forti, sempre
più vicini.
Lacrime
calde e salate cominciarono a scorrerle copiose sul viso quando una
serie
infinita e bellissima di sommessi uggiolii la raggiunse, insieme a
lingue
bagnate e tartufi umidi.
Crollò
perciò a terra stremata, piena di graffi brucianti e
contusioni un po’ ovunque
ma fu felice di tutto ciò, perché sapeva di
essere libera, di essere viva.
Quando
una lama di luce le ferì gli occhi, quindi, non se ne
spiacque.
Era
salva.
Non
doveva più correre.
***
Maggio
2015 – Nederland (Colorado)
Il
risveglio, come sempre, fu pessimo.
Ma
di che si stupiva, ormai?
Erano
decenni che non dormiva un sonno decente, decenni che si risvegliava
ansimante
nel suo letto, le coltri bagnate come il viso, il respiro azzerato e le
mani
strette a pugno.
Gli
psicologi erano stati carini con lei, persino premurosi e, per anni,
l’avevano
avuta in cura perché superasse quella brutta esperienza. Col
procedere del
tempo, avevano seguito procedure diverse in base alla sua
età, strategie sempre
nuove per uccidere i cattivi nella sua
mente.
Divenuta
adulta, i cattivi si erano nascosti, si erano fatti più
furbi ed era rimasta,
sopra a qualsiasi altra cosa, la paura. Strafarsi di lorazepan,
comunque, non le era
sembrato il modo
migliore per sopravvivere agli incubi e agli attacchi di panico
improvvisi.
Anche
se, per un po', aveva tentato anche quella carta.
Quando,
però, si era resa conto di quanto interferisse con i suoi
studi e la sua già
esigua vita sociale, aveva preso la scatola dei farmaci e l'aveva
gettata nel
cestino della sua camera da letto.
Insieme
alle sue ultime sicurezze.
Gli
incubi erano tornati con forza, ferendola, mordendola, facendola
letteralmente
scappare dal Campus della Columbia University per rifugiarsi nelle
più sicure –
pur se non amate – stanze di casa sua, a New York.
Non
le era mai piaciuto abitare lì, troppo vicina al padre,
troppo vicina ai
ricordi. L'alternativa, in ogni caso, le era parsa così
tremenda da farle
preferire quel piccolo prezzo da pagare, rispetto al grande incubo
giornaliero
che aveva vissuto al Campus, dopo la rinuncia ai farmaci e
l’abbandono di
Sherry.
Sherry
Kerringhton, la sua unica, vera amica, era stata la sua salvezza per
due
semestri ma, resasi conto di non avere niente a che fare con quegli
studi, si
era trasferita in altro loco. Naturalmente, complice il suo carattere
protettivo, era rimasta sempre in contatto con lei, ma la distanza
aveva
congiurato contro il suo sistema difensivo, distruggendola.
Aveva
quindi mandato giù l’ennesimo boccone amaro,
terminato gli studi in giornalismo
con il massimo dei voti e spedito fior di curricula per
entrare nelle
migliori testate del Paese, ma era stata una casa editrice quasi
sconosciuta ad
attirarla.
E
una fotografia.
La
prima volta che l’aveva vista, si era trovata nello studio
del suo ultimo
psicologo. In una bella rivista patinata dedicata ai viaggi on-the-road, Emily si era persa in
contemplazione di un lago, di
alture impervie, di un luogo a lei estraneo e disperso nel nulla.
Lontano
da tutto.
Nel
giro di un mese o poco più, aveva accettato l'impiego in una
piccola casa editrice
di Boulder, Colorado – impegnata nella stampa di guide
turistiche, libri
fotografici e quant'altro – e aveva cercato casa a Nederland.
Non
certo i Paesi Bassi europei, bensì un piccolo abitato di
millecinquecento anime
in Colorado, sulle sponde del lago Barker, un bacino artificiale creato
in
pieno territorio indiano.
Grazie
ai buoni ufficio di zio Harry, il fratello della madre, aveva trovato
una
società di costruzioni di Denver specializzata nelle
ristrutturazioni e, dopo
aver accettato il loro preventivo, aveva fatto iniziare i lavori di
ripristino
di un vecchio casolare.
La
notizia aveva ovviamente scioccato la sua famiglia, in particolar modo
sua
madre, ma nessuno aveva tentato di fermarla.
Jamie
– suo fratello minore – le aveva invece augurato
tutta la fortuna del mondo,
regalandole una cucciola di berner sennenhund dal
pelo nero, bianco e
marrone.
Emily
l’aveva amata al primo sguardo.
Sherry,
che nel frattempo si era data al non facile lavoro di cacciatrice di
taglie, si
era presa l’incarico di rendere la sua nuova casa il
più sicuro ed efficiente
possibile e, assieme a lei, era partita per Nederland per sovrintendere
i
lavori.
Nei
quasi sei mesi che erano serviti per sistemare ogni cosa, Emily aveva
fatto la
spola dall’albergo in cui aveva preso in affitto una stanza
al cantiere della
sua nuova casa e, ogni notte, aveva tentato di cacciare i demoni dalla
sua
mente.
Non
era stato per niente facile abituarsi a quei silenzi, alle occhiate
curiose
della gente, alle mille domande sul suo trasferimento e sulla sua vita
precedente, ma aveva desiderato con tutto il cuore riuscire in
quell’impresa.
Alla
fine, comunque, era venuta a patti anche con quel suo essere ‘la tipa nuova’,
costruendosi una sua
posizione sociale all'interno di una cittadina poco abituata ai
cambiamenti.
Lo
sceriffo l'aveva riconosciuta quasi subito e si era offerto di aiutarla
ad
ambientarsi, paterno come nessuno era mai stato nella sua giovane vita
e
protettivo non meno di Jamie, il suo dolce e amato fratello.
Michael,
o Mike, come preferiva essere chiamato – e non certo sceriffo
Meyerson –
l'aveva aiutata a familiarizzare col luogo, a presentarle le persone
giuste...
ad avere un po' meno paura della propria ombra.
Si
era persino recato al poligono di tiro con lei, ogni tanto, giusto per
tenersi
un po' in allenamento e, al tempo stesso, per rendersi conto della sua
bravura
con la pistola che deteneva regolarmente.
Quel
cambiamento così radicale, però, aveva soltanto
raggirato gli incubi, mutandoli
in qualcosa di più viscido e meno diretto. Quando il periodo
del rapimento si
avvicinava, infatti, il suo umore peggiorava ogni volta, e non era dato
sapere
come si sarebbe risolto.
Senza
soluzione di continuità, la colpiva al fianco e sempre in
modo diverso, da una
diversa angolazione, così da non concederle mai una difesa
adeguata.
Sarebbe
mai guarita da quelle paure?
Era
migliorata, ma non abbastanza.
Con
gli occhi pesti e il respiro nuovamente sotto controllo,
scacciò quei pensieri,
guardò torva la sveglia – segnava le cinque e
ventisei – e, biascicando
un'imprecazione, tolse la suoneria per poi alzarsi.
Non
sarebbe più riuscita a riaddormentarsi, a quel punto.
In
un angolo della sua stanza, spaparanzata sul suo enorme cuscino-cuccia
a forma
di Totoro1, Cleopatra levò il
musone enorme e uggiolò al suo
indirizzo.
“Buongiorno,
Cleo.”
Subito,
il bovaro bernese si levò dal suo cuscino e
trotterellò allegro e fedele
accanto alla sua padrona, che lo carezzò sulla testa e la
possente schiena
pelosa prima di infilarsi in bagno.
Come
se questo avesse dato il via alla giornata, Cleo scese al pian terreno,
uscì
dalla sua botola – motorizzata, e azionabile solo con la
zampa di Cleopatra –
per raggiungere il giardino e, dopo aver fatto i propri bisogni,
tornò in casa.
Lì,
si accoccolò accanto alle ciotole del cibo e
aspettò fiduciosa l'arrivo di
Emily, che sarebbe giunta nei minuti successivi, come sempre.
Tutto
era scandito dalla puntualità, dalla regolarità,
dall'abitudine, e questo dava
sufficienti sicurezze a Emily per permetterle di non impazzire, di non
scorgere
mostri a ogni suo passo.
Dopo
cinque minuti netti, passati soprattutto a lavarsi la faccia per
svegliarsi, la
padrona di casa raggiunse infine la cucina, estrasse il sacchetto delle
crocchette per riempire la ciotola a Cleo, dopodiché si
occupò dell'acqua.
La
routine quotidiana era la sua salvezza dai pensieri molesti, lo sapeva
bene.
A
volte, però, avrebbe voluto rimanere a letto a poltrire fino
alle dieci del
mattino, oppure ubriacarsi senza avere il terrore del 'dopo'.
Forse
ci sarebbe arrivata, un giorno.
Dopotutto,
aveva solo trent’anni e una vita davanti.
Non
doveva darsi per vinta solo perché, fino a quel momento, non
aveva mai preso
una sbronza in vita sua, o fatto qualcosa al di fuori della propria
routine
quotidiana.
La
terrorizzava non avere il controllo sulla propria vita e, peggio
ancora, sul proprio
corpo.
Ubriacarsi
le avrebbe negato quel conforto primario, e sapeva bene di non
poterselo ancora
permettere.
Lasciarsi
andare alle prime sbandate, durante il periodo collegiale, e scoprire
in
qualche modo l’argomento ‘sesso’,
era
stato traumatico, per lei. Non era mai riuscita a portare a termine
nessun tipo
di rapporto e, le poche volte che aveva tentato un approccio
più serio, era poi
scappata a gambe levate, facendo infuriare il suo ragazzo di turno.
Quando,
poi, aveva davvero desiderato
aprirsi, dare tutta se stessa a qualcuno, era sbarellata di brutto,
apparendo
in tutto e per tutto una pazza e, al malcapitato, non era rimasto altro
che
darsi per vinto.
Non
doveva essere stato bello svegliarsi, nel bel mezzo della notte, con
una
ragazza nel letto che urlava e strepitava come se la stessero sgozzando.
Figurarsi
prendersi una sbronza colossale, eliminare la realtà per
l’irrealtà, le
certezze per le insicurezze del risveglio.
No,
meglio evitarlo, almeno per il momento.
Si
scaldò quindi del caffè, molto più
nelle sue corde, accompagnandolo con
pancakes fumanti e sciroppo d'acero.
Mentre
il sole sorgeva anche in quell'angolo di paradiso, illuminando le acque
cristalline
del lago Barker – che lei poteva scorgere dalle finestre di
casa – decise cosa
avrebbe fatto quel giorno.
Si
sarebbe dedicata alla fotografia, così da iniziare il suo
nuovo libro
illustrato sulle montagne del Colorado.
Per
quella prima settimana di lavori, avrebbe dedicato tempo e lavoro alla
zona nei
pressi di Nederland, dopodiché avrebbe allargato il tiro.
Sperando,
nel contempo, di imbattersi in qualche fotogramma da urlo.
Quando
la pendola in cucina segnò le sette, Emily batté
una mano sulla coscia per
richiamare a sé Cleopatra e, assieme, uscirono di casa per
avviarsi verso la
rimessa.
Lì,
caricarono il necessario per le escursioni sul comodo pick-up che Emily
aveva
acquistato direttamente a Nederland e, con un sorriso sulle labbra,
partì alla
volta di una nuova giornata assieme al suo fido cane.
***
Le
rilevazioni stratimetriche non erano il suo dio, onestamente, ma ci si
pagavano
le bollette e, in attesa di poter appendere 'la pala al
chiodo', come
diceva sempre lui, andava bene anche così.
La
Silver & Gold Consolidated –
appaltando i lavori all’impresa edile
in cui lavorava come geologo – lo aveva mandato a Nederland
per scoprire l’eventuale
fruibilità delle vecchie miniere del Colorado.
Poiché
pagavano fior di bigliettoni, per farlo, il suo avido capo lo aveva
inviato lì
subito, con la garanzia che ditta appaltatrice gli avrebbe fatto
trovare un
degno appartamento in cui soggiornare durante i lavori.
Avviare
uno studio privato e farsi un nome non era facile, ma lui e suo
fratello Rick
ce la stavano mettendo tutta per mettersi in proprio e lasciare il buco
di
ufficio in cui venivano sfruttati come schiavi.
Tra
le sue analisi del terreno e la capacità di costruire case
di Rick, avrebbero
messo in piedi una società di costruzioni coi fiocchi, a
tempo debito, ma ci
volevano pazienza, fatica e soldi.
La
ditta che l'aveva spedito lì aveva staccato il primo assegno
praticamente a
occhi chiusi e, per i mesi che gli sarebbero serviti per completare il
lavoro,
il suo capo avrebbe guadagnato a sufficienza da rendere felice anche
lui.
Quando
avessero risparmiato abbastanza, lui e Rick avrebbero detto addio a
titolari e
capo uffici rompipalle e si sarebbero messi in proprio. Più
nessuno avrebbe
camminato sopra le loro teste come se fossero stati il pavimento di una
discoteca, dettando ordini insulsi o richieste impossibili da portare
avanti.
Ma
ora si doveva lavorare per gli altri, e alle
condizioni indicate da
altri.
Non
aveva neppure idea di che casa gli avessero affittato per quel lavoro
– o
avevano optato per un appartamento sgangherato? – ma,
dopotutto, il paese di
Nederland non poteva essere così grosso.
Avrebbe
trovato il buco in cui dormire con il suo nome sopra, e lì
avrebbe soggiornato senza
alcuna difficoltà.
Il
cartello all'ingresso del paese parlava di millecinquecentootto anime
allegre e
felici – almeno a giudicare dagli
smile appiccicati
sopra – quindi non avrebbe impiegato molto a trovare il posto
giusto, indicato
sulla e-mail inviatagli la sera precedente.
Non
potevano esserci certo miriadi di viuzzole impossibili da trovare, in
quell’angolo di Colorado popolato da foreste, no?
Prima
di tutto, però, doveva rimpinguare le sue riserve personali,
perciò... pancia
mia fatti capanna!
Parker
Jones rallentò perciò il pick-up fino a fermarsi
dinanzi a un diner
dall’aria invitante, dotato di un'ampia
serie di vetrate su cui pendevano enormi tendoni rosso fuoco e la
scritta, a
caratteri eleganti, 'Italians do it better'.
L’uomo
sorrise spontaneamente nel rammentare il vecchio commento di Madonna
che,
decenni addietro, aveva fatto in merito alle presunte
abilità sessuali degli
italiani e, nello spegnere il motore, si guardò intorno
pieno di curiosità.
Che
ci fosse un’italiana – o un italiano –
dietro a quello slogan neppure troppo
indiretto? O intendevano dire, meno maliziosamente, che la cucina di
quel posto
era migliore delle altre perché fatta da italiani?
Nel
parcheggio dinanzi alla tavola calda, comunque, Parker notò
altri mezzi e,
attraverso le vetrate, poté scorgere l'andirivieni di almeno
un paio di
cameriere, oltre a parecchi avventori ridenti e gaudenti.
Sia
come sia, sembra che la gente ci venga volentieri, pensò tra sé
l’uomo, scendendo dal pick-up verde
militare, che usava ormai da anni per quel genere di lavori fuori sede
e,
soprattutto, fuori strada.
Parker
non avrebbe mai utilizzato la sua Ford Charger nera del ‘69
per quel genere di
lavori. Il solo pensiero di sovraccaricare i sedili in pelle con i suoi
strumenti, lo faceva rabbrividire.
Il
buon profumo di pomodoro fresco e basilico, che aleggiava nei pressi
della
porta, strappò Parker dai pensieri sulla propria auto - che
gli era quasi
costata un rene - ed entrò con un gran sorriso.
La
cameriera più vicina all’entrata, lesta e gentile,
gli sorrise subito in
risposta ed esordì con un allegro tono di contralto.
“Buongiorno,
signore. Le serve un tavolo?”
“Anche
uno sgabello al banco” dichiarò lui, guardandosi
intorno pieno di curiosità.
Stampe
di luoghi di villeggiatura italiani, un bello stucco veneziano nei toni
del
giallo e dell'avorio alle pareti e tanti, tanti morbidi divanetti su
cui accomodarsi
per pranzare.
Era
un locale dalle tinte calde – dai rossi divanetti ai tavolini
color ciliegia –
e, a quanto pareva, dove la gente era invogliata a chiacchierare e ad
alzare il
tono della voce per farsi sentire.
Non
c'era musica di sottofondo; nessuno l'avrebbe sentita, o apprezzata.
Era il
vociare caciarone della gente a fare da colonna sonora a quel luogo,
all’apparenza così alla mano e familiare.
Quando
Parker si accomodò al bancone, in marmo bianco e dalla
superficie lievemente
grezza e porosa, salutò con un cenno e un sorriso una donna
che stava servendo della
birra a un altro avventore.
Più
vicina ai sessanta che ai cinquanta, la mora signora in carne
replicò al saluto
prima di avvicinarsi e dire: “Faccia nuova, direi. Io sono
Gilda Mattei, la padrona
della baracca. Cosa ti posso offrire, straniero?”
Parker
sorrise spontaneamente di fronte a quel viso così gioviale
e, data una scorsa
veloce al menù plastificato che se ne stava appoggiato su un
leggio proprio sul
bancone, mormorò: “Direi di cominciare con una
birra fresca e un piatto di
maccheroni al formaggio.”
“E
maccheroni siano” assentì Gilda, scribacchiando su
un notes veloce come il vento
prima di passare il biglietto a una delle cameriere, che
sparì oltre la porta
della cucina in un gran svolazzare di capelli biondi e gonnellina a
balze rossa
e bianca.
Messasi
poi a spillare la birra richiesta, la matrona si rivolse a Parker e
domandò: “Cosa
ci fa un cittadino di Denver qui tra le montagne di
Nederland?”
Indicandosi
con ironia, Parker esalò confuso: “Si sente
così tanto?”
“Per
chi sa ascoltare, sì” annuì la donna,
ridacchiando. “Ebbene?”
“Rilevamenti
stratimetrici e carotaggi nella zona adiacente alle vecchie miniere,
oltre a un
controllo delle miniere stesse. Voglio controllare se c'è
ancora roba buona.”
“Oh...
un geologo, quindi. Privato, o in concessione?” si
informò la donna, sollevando
curiosa le sopracciglia nel passargli la pinta appena spillata.
Ridacchiando
di quell'interesse così poco mascherato, Parker
sorseggiò la birra – decisamente
fresca e dissetante – e ammise: “Lavoro a cottimo
per una ditta del Middle
East. Ma prometto che non causerò problemi, sarò
bravo con i vicini e non
disturberò le figlie di nessuno.”
Gilda
scoppiò a ridere di gusto, a quel commento e, nel battere
una mano sul braccio
dell'uomo, esalò divertita: “Credimi, ragazzo, le
signorine di quassù sono
toste, e non si fanno abbindolare da un belloccio di città.
Neanche da uno
carino e simpatico come te.”
Parker
rise a sua volta, seppur più sommessamente ma, quando
sentì il tintinnio della
porta d'entrata – cosa che lo portò a voltarsi in
preda alla curiosità –,
dovette bloccarsi dalla sorpresa.
Un
bel bovaro bernese fece il suo ingresso con passo ciondolante e sicuro,
seguito
dappresso da una donna alta e slanciata, dalla corta chioma bionda e un
sorriso
un po' timido ma sincero.
Ma
non fu quello a colpirlo così tanto, o a sorprenderlo.
Fu
la sua totale estraneità a quell'ambiente, a mandarlo
letteralmente in
confusione.
Certo,
era vestita più o meno come gli altri, con scarponcini
usurati, pantaloni da
escursione e una camicia a quadri nei toni dell'azzurro, da cui
spuntava una
semplice T-shirt bianca e un fazzoletto rosso e blu legato al collo.
Era
il suo viso a renderla diversa, distinguibile tra la massa come una
creatura
fuori dal tempo e dalle dimensioni. Come una rosa in un campo di
margherite, o
una pietra preziosa nel mezzo dell’arenile di un fiume.
Aveva
un volto cesellato, quasi etereo, circondato da ciocche corte e bionde,
scompigliate
con eleganza, e che facevano da sfondo a profondi occhi da colomba, un
misto
tra il ghiaccio e l'azzurro del cielo.
La
pelle, eburnea e priva di imperfezioni, era leggermente arrossata dal
sole di
quel giorno di primavera inoltrata, oltre che dall'aria frizzante di
montagna.
La
giovane salutò Gilda con un bacetto veloce sulla guancia
prima di accomodarsi
con naturalezza al bancone, quasi fosse un’abitudinaria, in
quel posto, e su
quello sgabello in particolare.
Il
suo bovaro, docile e silenzioso, si accoccolò ai suoi piedi
e chiuse gli occhi,
tranquillo e a modo come pochi altri cani Parker aveva visto in vita
sua.
Persino quelli di suo padre, per quanto ben addestrati, tendevano a
essere più
dispettosi.
La
ragazza ordinò senza guardare il menù,
confermando l'ipotesi di Parker sulla
sua abitudine a visitare quel diner e,
quando Gilda le portò un succo di frutta all'arancia, la
titolare disse: “Non
sei più l'ultima arrivata, cara. Puoi fare la ruota come un
pavone, adesso.”
Sobbalzando
leggermente a quella notizia, la donna volse lo sguardo in direzione
della
persona indicata da Gilda e Parker, vistosi preso di mira,
levò una mano per
salutarla.
“Salve”
esordì lui, studiandone le reazioni.
Il
sorriso tornò a essere un po' timido pur se aperto e genuino
e gli occhi, per
un attimo, si distolsero dal suo volto per poi tornarvi, quasi
obbligati a una
prova di coraggio.
Una
timida patologica? Forse.
Comunque,
era davvero carina.
“Salve
a te. Mi hai reso un gran servizio, sai? Mi posso togliere di dosso la
targa
dell'ultima arrivata” ironizzò lei, mettendo in
mostra graziose fossette sulle
gote e confermando così le sue supposizioni.
Quel
timbro vocale, quel modo cortese di parlare e l’accento
elegante, erano prove
inequivocabili; non era del Colorado, ma dell’East Coast.
Washington, forse, o
New York.
“Rimarrò
per qualche mese e basta. Vale lo stesso?” si
informò allora lui.
“Sì,
è valido” annuirono all'unisono sia Gilda che la
donna bionda. Quest’ultima, a
quel punto, mimò il gesto di togliersi di dosso qualcosa
– probabilmente, il
famoso e sopraccitato cartello di ultima
arrivata – e, soddisfatta, finse di gettarlo via.
Questo
fece ridere Parker che, spontaneamente, allungò una mano
verso di lei.
“Parker
Jones, lieto di
conoscerti.”
“Emily
Poitier. Piacere
mio” replicò lei, stringendo con forza quella
mano.
Carattere
deciso ma un po' timido, pensò ancora
lui, chiedendosi contemporaneamente perché la stesse
analizzando a quel modo.
Una
vocina cattiva e puntigliosa gli fece notare che Emily era una bella
donna, probabilmente
molto più intelligente e matura di lui, ma Parker la mise a
tacere
immediatamente.
Non
aveva bisogno di impelagarsi con una rappresentante del gentil sesso,
specialmente
dopo la quasi totale disfatta subita da Janice.
Il
passaggio delle unghie sulla sua schiena – e sul conto in
banca – gli doleva
ancora.
Suo
fratello minore Quentin aveva avuto ragione da vendere, quando gli
aveva dato
del pazzo, non appena aveva saputo del loro matrimonio a Las Vegas.
Rick, il
piccolo di casa, invece, si era limitato a una scrollata di spalle e un
sospiro.
Il
solito, taciturno Rick. Avrebbe dovuto insospettirsi, di fronte ai suoi
silenzi, invece si era lasciato guidare dalla sensualità
esplosiva di Janice, e
ora ne pagava – in tutti i sensi – lo scotto.
Non
ci si sposa a Las Vegas con la fidanzatina del liceo. Può
portare solo guai.
Il
bovaro scelse quel momento per aprire gli occhi e, vedendo la padrona
protesa
verso una persona sconosciuta, levò il musone bicolore e
scrutò il nuovo
arrivato con attenzione.
Avvedendosene,
Parker sorrise teso e domandò: “Devo
preoccuparmi?”
“Cleopatra,
lui è Parker. E' un amico. Amico”
disse quieta la donna, carezzando gentilmente il cane.
“Oh,
una lei.”
Sorridendo,
l’uomo allungò cauto una mano perché la
cagnolona gliela annusasse.
Quando
si ritenne abbastanza al sicuro per una grattatina dietro le orecchie,
si mosse
con calma e le disse sommessamente: “Sei proprio un bel
bovaro, sai, Cleopatra?
Dovrei farti conoscere Roscoe… diventereste amici, mi
sa.”
“Conosci
la razza?” gli domandò Emily, curiosa.
Mentre
i loro piatti venivano serviti, fumanti e profumati, Parker
assentì.
“I
miei genitori e uno dei miei fratelli minori si occupano della fattoria
di
famiglia, oltre che del bestiame. E, per tenere d'occhio le vacche al
pascolo,
usano tre bovari come la tua. Athena, Artemide e Afrodite. Roscoe,
invece, è un
bastardino che gli ho portato io, per riportare un po’ di
equilibrio in casa.
C’erano troppe donne, a sentire mio padre, e così
l’ho accontentato.”
“Appassionati
di A e di divinità greche?” sorrise divertita
Emily, accentuando le fossette
sulle gote.
Sì,
era davvero carina.
“Esatto”
assentì lui. “Nostra madre, in particolare. Il suo
sogno più grande sarebbe quello
di visitare Atene ma, come immaginerai, una fattoria porta via un sacco
di
tempo.”
“Credo
di sì. Quanto a Roscoe, che incrocio
è?” annuì Emily, addentando con
passione
la carbonara dai profumi inebrianti che aveva ordinato.
“Mmmh. Gilda, devo dare
un bacio a Scott. Stavolta, è semplicemente
divina.”
“Quel
ragazzo mi sbaglierà i prossimi venti piatti, se gli dai un
bacio. Sai che ti
muore dietro” brontolò gentilmente la donna, pur
sorridendo.
“Mamma!
Ti ho sentito!” sbraitò una voce maschile e assai
giovane, da dietro la porta da
saloon che separava la cucina dal locale.
Tutti
risero di quel richiamo stizzito e imbarazzato, Parker compreso che,
all’improvviso, sentì un peso sospetto contro una
gamba e, curioso, abbassò lo
sguardo per capire cosa fosse stato.
A
sorpresa, Cleopatra si era addossata completamente alla sua gamba e
ora, col
musone poggiato sul suo ginocchio, lo stava osservando in rapita
ammirazione.
Sorpreso,
Parker attirò l’attenzione di Emily ed
esalò: “Che le prende?”
Emily,
a quel punto, sorrise divertita e sì, sorpresa, prima di
dire: “Pare che tu le
piaccia. Deve essere stata la risata. Cleo ama sentir ridere le persone
e, se
il suono le piace, fa così.”
Del
tutto conquistato dalla cagnolona, Parker allora si piegò
fino a darle un bacio
sul naso, mormorando: “Anche tu mi piaci tanto,
Cleo.”
Emily
osservò l’intera scena con espressione sbalordita
e Gilda, nello scrutare il
tutto da dietro il banco, ammiccò al suo indirizzo come a
dire ‘però!’.
“Si
vede che sei abituato ad avere dei cani, e ad apprezzarli. E’
raro che Cleo si
esponga così tanto” chiosò a quel punto
Emily, chiedendosi se dovesse fidarsi
al pari del proprio cane di quel curioso nuovo arrivato.
“Mi
piacciono molto, e si vede che i cani lo capiscono. Con Roscoe successe
così. Quel
bastardino è una via di mezzo tra un corgi e un bassotto, ma
ha la grinta e
l’autostima di un alano, e io lo adoro”
commentò Parker, tornando alla sua
pasta ma con il dolce peso di Cleo ancora appresso alla sua gamba.
Rivolto
poi a Gilda, celiò: “Non può dare torto
al ragazzo, comunque, Gilda. Come si
può non essere affascinati da una così attraente
ragazza?”
“Oh,
non ti ci mettere pure tu, straniero...”
brontolò amabile Gilda, utilizzando quella parola, 'straniero',
come se
fosse stata 'caro'. “... lo so anch'io
che Emily è adorabile, ma non
vogliamo che la signorina qui presente si monti la testa.”
Ciò
detto, diede un affettuoso buffetto con fare molto materno sulla
guancia della
donna, ed Emily ridacchiò imbarazzata.
A
quanto pare, non c’è il pericolo che si dia delle
arie,
constatò Parker.
Forse,
era una specie di gioco tra di loro.
Che
fossero parenti?
L'entrata
in scena dello sceriffo non smorzò le chiacchiere e neppure
i sorrisi, a
riprova di quanto fosse ben voluto dalla comunità.
Gilda
gli offrì subito una birra analcolica e l'uomo,
nell'accettarla, diede un
grattino a Cleopatra prima di scrutare con fare indagatore il nuovo
venuto.
“Non
ci conosciamo, se non erro, giovanotto” esordì lo
sceriffo, lanciando poi una
strizzatina d’occhio a Emily a mo’ di saluto.
“Parker
Jones, sceriffo. Sono qui per conto della Silver &
Gold Consolidated
per dei rilevamenti piezometrici nei dintorni, oltre che all'interno
delle
miniere della zona. Dovrebbero aver già inviato la
documentazione, con i relativi
permessi per gli scavi.”
“Mmmh,
allora deve essere quel plico enorme che
è arrivato tramite e-mail
stamattina. Quando ho visto il numero delle pagine, ho preferito uscire
per una
passeggiata” ironizzò lo sceriffo, facendolo
ridere. “Sono Michael Meyerson. Per
qualsiasi problema, mi chiami pure.”
“Non
mancherò” assentì Parker, ritrovandosi
a rilassarsi sotto quel caldo sguardo
color cioccolato. Sembravano tutti molto simpatici e alla mano, da
quelle
parti.
Detto
ciò, lo sceriffo si volse verso Emily e, come un fiore
baciato dal sole, un
sorriso paterno fiorì sul suo volto abbronzato e di uomo di
mezza età.
“Ragazza,
come stai oggi? Sei sempre in giro a fare foto, ultimamente.”
“Sto
cominciando un nuovo progetto, e voglio delle inquadrature favolose per
il mio libro”
assentì lei, gratificandolo di un sorriso ai limiti
dell'adorazione.
Parenti?
Amanti? No, amanti, no, rimuginò tra
sé Parker, chiedendosi che tipo di rapporto vi fosse tra di
loro.
Era
evidente quanto lo sceriffo fosse protettivo con lei, e quanto Emily
stessa gli
fosse affezionata, ma non sembrava che avessero una tresca o qualcosa
di
simile.
E
poi, a conti fatti, perché stava ficcanasando tanto?
Le
chiacchiere perdurarono, a ogni modo.
Alcuni
dei presenti – che avevano ascoltato con curiosità
le novità di paese – si
dichiararono disposti ad accompagnare Parker per i boschi, e altri si
offrirono
di aiutarlo in caso di lavori pesanti.
Lui
ringraziò tutti, e annotò un paio di numeri di
telefono e qualche indirizzo,
prima di estrarre il portafogli per pagare.
Depositate
due banconote da venti, rifiutò il resto e disse a Gilda:
“Va bene così. I
maccheroni erano ottimi, e la birra mi ha fatto davvero bene.
Può dividere la
mancia con le due cameriere.”
Le
ragazze lo ringraziarono con ampi sorrisi e la padrona del locale,
assentendo,
infilò il resto in un barattolo di vetro, dichiarando:
“Sei partito col piede
giusto, straniero, ma se fai soffrire le mie ragazze con il tuo bel
faccino da
ragazzo di città, ti castro con la mannaia da
macellaio.”
Parker
scoppiò a ridere di gusto, di fronte a quella palese
minaccia ma lo sceriffo,
scuotendo il capo, esalò esasperato: “Gilda, ti
prego. Non davanti a me! Sai
che potrei considerarla una minaccia e far scattare una
denuncia.”
“Oooh,
ma per l'amor del cielo, Mike! Come se tu non mi conoscessi!”
ironizzò la
donna, scuotendo una mano con fare insofferente.
“Già,
per l’appunto. Io. Il signor Jones
è arrivato sì e no da un'ora, e l'hai
già minacciato di una cosa innominabile.
Cosa penserà della gente di Nederland?”
“Tutto
il bene possibile” sottolineò Parker, afferrando
il suo marsupio dallo sgabello
dove lo aveva appoggiato. “Ci si vede in giro.”
Già
pronta a uscire a sua volta, Emily lo accompagnò all'uscita
assieme a Cleo e,
nel lasciarsi alle spalle la cacofonia del posto e un saluto
generalizzato,
disse divertita: “Gilda non è pericolosa,
davvero.”
“Non
avevo alcun dubbio. Assomiglia troppo a mia madre, perché ne
abbia veramente
paura” ridacchiò Parker, lanciando un'occhiata
distratta al pick-up di Emily. “Solo
il giusto.”
Era
usato, sporco di fango e ben lontano dalla berlina fiammante che le
sarebbe
invece calzata a pennello.
Perché
continuava a non vedercela, in un posto così sperduto tra le
montagne?
“Hai
bisogno di una mano per trovare la casa che ti hanno assegnato?
Ricordami la
via, ti prego. L'ho scordata” gli domandò lei,
appoggiandosi al proprio
pick-up.
Nel
corso del pranzo, avevano divagato su mille argomenti diversi, quasi
come se si
fossero conosciuti da tempo ma, ben presto, Parker si era reso conto di
quanto,
quel comportamento, fosse un vizio di tutta la gente del posto.
Non
c'erano mezze misure, tutti erano cordiali e affabili, ma dovevi essere
disposto a fare altrettanto, per essere accettato, altrimenti rischiavi
di
essere chiuso fuori da qualsiasi dialogo.
A
lui stava bene. Non aveva peli sulla lingua, e parlare gli piaceva. Sua
madre
gli aveva sempre detto di avere una lingua supplementare da qualche
parte,
perché aveva sempre parlato per venti.
“Direi
di aver più o meno capito... svolto a sinistra e, dopo un
paio di case, giro
ancora a sinistra, lungo la strada che si inerpica sul monte. Cento
metri e
sono arrivato” ricapitolò lui.
“Esatto”
annuì la donna.
“Tu
dove stai? Se posso chiedere, è ovvio.”
“Al
42 di Ponderosa Drive, che poi è quella casa
lassù. Si vede anche da qui. A due
piani, in legno scuro e con le persiane verdi” gli
indicò lei, allungando il
braccio destro.
Le
maniche raccolte mettevano in evidenza un avambraccio tonico ed
elegante, al
cui polso erano allacciati un numero apparentemente infinito di
braccialetti in
pelle, corda e stoffa.
Insomma,
di tutto un po' ma, in generale, si trattava di oggetti semplici, di
prodotti
artigianali del posto.
Quello
sinistro era identico, a cui si erano uniti, forse per uno sfizio del
momento,
anche due braccialetti in argento e lapislazzuli, di chiara foggia
anazasi. E non
portava l'orologio.
“Molto
carina. Spero che la mia sia almeno presentabile. Non è
detto che le ditte
siano larghe di manica, in casi come questo”
ironizzò Parker, piazzando le mani
sui fianchi con aria rassegnata.
Emily
rise sommessamente, ma la risata le morì in gola un attimo
dopo quando, a
sorpresa, una berlina scura si fermò a pochi passi da loro.
Dal
finestrino abbassato comparve il volto piacente e rilassato di un uomo.
Doveva
essere un suo coetaneo, pensò spontaneamente Parker,
inquadrando un viso dalla
barba volutamente incolta, capelli volutamente spettinati e sorriso volutamente simpatico.
Anzi,
forse il sorriso era volutamente
tranquillizzante, come se non volesse spaventare la destinataria di
quel saluto
cortese. Ma perché?
“Ciao,
Emy. Sempre a caccia della foto perfetta?”
“Come
sempre. Ciao, Tony” gli sorrise lei, seppur in maniera molto
formale. Come se
volesse mantenere le distanze ma, al tempo stesso, desiderasse
avvicinarsi a
colui che le aveva parlato.
Anche
l'uomo in questione parve accorgersene, perché
sospirò impercettibilmente prima
di tornare all'attacco, con un sorriso sempre amichevole ma molto
più formale.
“Inutile
chiederti se sabato sera sarai libera per la festa al Lodge. Immagino
che il
libro ti tenga impegnata fino a tardi.”
“Già.
Finché non lo avrò terminato, sarò sua
prigioniera” cercò di ironizzare la
donna, le mani che nervose giocherellavano con i bottoni della camicia
a
quadri.
“Ti
lascio andare, allora. Non voglio farti perdere del tempo” si
affrettò a dire
il giovane, quasi avvertendo su di sé il nervosismo della
donna.
Poi,
rivolgendosi a Parker, allungò una mano e disse:
“Anthony Consworth, figlio del
titolare del 'Nederland Lodge and
Cafè'.
Molto piacere.”
“Parker
Jones, piacere mio.”
“E'
qui in qualità di geologo” gli spiegò
Emily, come se sentisse la necessità di
mettere i puntini sulle 'i'.
Di
quale parola in particolare, Parker non fu del tutto certo.
“Oh,
capisco. Qualcuno interessato alle miniere. Beh, buon lavoro e, se le
servono
vecchie mappe della zona, ne abbiamo di molto dettagliate,
nell’albergo. A
presto, Emy” chiosò l'uomo, salutandola con un
cenno prima di ripartire.
Emily
sospirò e Parker, avvedendosi del suo imbarazzo,
mormorò: “Ex?”
“Eh?
Beh, ecco...”
“Lascia
stare, non sono affari miei” replicò lui,
sorridendole cordiale.
Lei
allora scoppiò in una risatina nervosa, esalando:
“Oddio! Non è questo il
problema. Tanto, nel giro di una settimana, lo sapresti comunque, e
anche da
fonti ben poco attendibili. Qui, anche i muri hanno orecchie. Nelle
piccole
cittadine, tutti sanno di tutto. Stavo solo cercando di fare un
riassunto
mentale che fosse anche comprensibile alle tue orecchie.”
“Ah”
esalò lui, parecchio sgomento.
“Per
farla breve, quando sono venuta a stare qui, cinque anni fa, ho vissuto
per un certo
periodo nell'albergo di Anthony, in attesa che terminassero la
ristrutturazione
della mia casa. Questo ha fatto nascere una certa amicizia, tra me e
Tony, e la
gente ovviamente ha ingigantito a dismisura le cose.” Non era
esattamente la
verità, ma poteva anche andare.
“Lui,
però, mi è parso davvero
interessato.”
“Oh,
e lo è. Lo so” assentì lei, con un
risolino vagamente imbarazzato. “Sono io
che, insomma... non sono interessata ad avere uomini che mi girano
intorno, per
il momento. Così, caso mai dovessi sentire certe
chiacchiere, saprai già dove
tira il vento.”
“Opinioni
di prima mano. Sono sempre le migliori” assentì
Parker, comprendendo appieno il
suo imbarazzo.
Un
conto era nascere in una comunità e
abituarsi fin da piccoli agli usi e
costumi delle persone del posto, un altro era arrivarci da adulti, con
abitudini e usi diversissimi.
“Ora
devo scappare. Voglio controllare il lavoro di oggi al computer, prima
che
faccia buio. Ci si vede in giro” disse Emily, aprendo la
portiera per Cleopatra
prima di salire al posto di guida.
“Ciao!”
Parker
la osservò inerpicarsi lungo la via sterrata, e sparire
dietro una nuvoletta di
terriccio e polvere.
E
così, Emily Poitier aveva uno spasimante non corrisposto ma,
evidentemente,
molto cocciuto e molto disponibile al tempo stesso.
Meglio
di Beautiful.
Con
un risolino, saltò sul suo pick-up per raggiungere
finalmente la sua casa,
sapendo già che, durante quel breve lavoro a Nederland, si
sarebbe divertito.
N.d.A.:
comincia qui una nuova avventura, tra le lande selvagge delle Montagne
Rocciose. Ben presto scopriremo mille altri personaggi,
perciò preparatevi. Il viaggio ha inizio.
1 Totoro: personaggio fantasy creato dalla penna di Hayao Miyazaki.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
2.
Le
foto erano venute bene, e la fortuna di trovare un tasso impegnato a
discutere
con un suo simile, l'aveva lasciata con il sorriso sulle labbra e una
risatina
a fare da contorno per molto tempo.
Il
nuovo libro avrebbe avuto un che in più, con quella
battaglia a suon di zampate
e dentate, e quei tassi avrebbero accompagnato bene la sezione dedicata
a
quella parte di regione.
Gli
sfondi a grandangolo e i chiari-scuri delle foreste le piacevano molto,
ma focalizzarsi
su particolari della flora e della fauna locali, a volte, le dava
più
soddisfazione.
Sorseggiando
la tisana all'echinacea e arancia rossa, che si era preparata col nuovo
infuso
acquistato nell’erboristeria di Nederland, inspirò
con piacere i suoi profumi
delicati e aromatici. Nel frattempo, gli occhi sullo schermo del suo
Mac, passò
in rassegna un'altra foto per controllare eventuali correzioni di
colore.
Era
difficile che dovesse ritoccarle – i colori naturali erano
già eccellenti – e,
anche in quel caso, poté solo compiacersi per il suo occhio
da fotografa.
Dieci
anni prima non avrebbe mai pensato che lavorare con una fotocamera
digitale, il
suo treppiede, i vari obiettivi nella borsa, mentre camminava immersa
in un
bosco, le sarebbe piaciuto così tanto.
Era
evidente quanto poco ancora si conoscesse, all'epoca.
Certo,
andava anche detto che, se vi si fosse trovata in un bosco da
sola, o di
notte, neanche lontanamente sarebbe stata così tranquilla da
poter scattare una
foto anche solo decente.
Con
Cleo a tenerle compagnia, invece, si sentiva protetta e al sicuro, e la
sua
cagnolona adorava scorrazzare per i boschi assieme a lei.
Terminata
la carrellata di foto, salvò il file su computer e nella sua
chiavetta per i
backup dopodiché, spento che ebbe il PC, si portò
sulla terrazza assieme a
Cleopatra. Era ancora decisamente freddo, per essere metà
maggio, ma in quelle
lande era la normalità.
Se
era pur vero che da almeno venti giorni non nevicava più,
non era detto che
quella primavera potesse dare un colpo di coda e tornare a essere
inverno.
Tutto
poteva succedere, quando abitavi a oltre duemila metri d'altezza, nel
bel mezzo
del Colorado, affondata tra meravigliose montagne lussureggianti e
ghiacciai
perenni.
Seduta
che fu sulla sua sedia a sdraio, il caldo braciere acceso accanto a lei
per
scaldare l’aria frizzante, Emily sorrise nello scorgere lo
scintillio della
luna sulle acque del bacino artificiale che si estendeva dinanzi a
Nederland.
Allungandosi
per miglia e miglia all'orizzonte, quel lago era meta di turisti e di
appassionati di canottaggio e, non di rado, anche lei si era dilettata
in tal
senso. Le piaceva pagaiare con calma, ascoltando lo sciabordio
dell’acqua
contro le paratie della barca.
Era
qualcosa che la rilassava sempre.
Quando
Cleo le si accucciò ai piedi, Emily distolse lo sguardo dai
riflessi argentei
della luna sul lago e mormorò: “Domani ci
dedicheremo alla costa est del lago,
ti va? Potrai giocare con l'acqua.”
Il
bovaro abbaiò lieto quando, all'improvviso, il cordless
suonò.
Afferratolo
dal tavolino su cui lo aveva appoggiato, Emily notò il
numero di telefono e,
con un leggero sospiro, mormorò: “Ciao,
mamma.”
“Emy,
ciao” rispose una voce calda e roca all'altro capo.
Margareth
Cunningham-Poitier era una sessantaduenne attiva, sempre impegnata nel
sociale grazie
alle diverse Fondazioni Pro Bono da lei create e, tra le altre cose,
era anche
la sua attenta e protettiva madre.
Si
era intristita molto alla scoperta della sua decisione di abbandonare
New York,
e la sua famiglia, per dirigersi in
un isolato e sperduto paesino del Colorado. Non aveva comunque mosso
obiezioni di
fronte alla scelta della figlia, immaginandone senza fatica i motivi.
Aveva
fatto da cuscinetto - come negli ultimi vent'anni, peraltro - tra lei e
il padre,
con cui Emily non aveva più un dialogo sereno dai tempi del
rapimento.
Aveva
parlato con suo fratello Harry perché organizzasse il tutto,
viste le sue
molteplici conoscenze in zona dopodiché, ogni qualvolta
aveva potuto, era volta
a Nederland per stare accanto alla figlia.
Il
tutto, sempre con il suo solito cipiglio battagliero e l’aria
di chi non avesse
paura neppure dei demoni dell’inferno, pur di proteggere la
propria prole.
Nata
in una famiglia di operai del Bronx, si era fatta valere a scuola fin
dalla più
giovane età, collezionando encomi, medaglie di merito e,
infine, una
prestigiosa borsa di studio per una delle tre più importanti
università dell’Ivy League.
Harvard.
Lì,
aveva conosciuto il suo attuale marito e, proprio grazie
all’intraprendenza che
l’aveva sempre contraddistinta, era passata sopra alle
reticenze e ai
pregiudizi dei più facoltosi Poitier, fino a riuscire a
farsi accettare.
Jordan
Poitier, il maggiore dei fratelli Poitier e padre di Emily e Jamie, non
aveva
potuto che innamorarsi di lei, della sua forza, della sua passione,
della
freschezza del suo animo. Per la prima volta, era andato contro la sua
famiglia
pur di averla per sé e, mettendo sul piatto della bilancia
anche il suo
patrimonio personale, aveva infine fatto capitolare il padre.
Renault
Poiter aveva ceduto alle parole del figlio ma, soprattutto, aveva
infine visto
coi propri occhi quanto vi fosse di speciale in Margareth.
Emily
non aveva mai compreso come mai i nonni paterni, dopo il suo rapimento,
si
fossero così allontanati dalla famiglia ma, soprattutto,
dalla nuora, visto
quanto erano stati uniti fino a quel momento. Il rapimento,
però, aveva
lasciato strascichi un po’ ovunque, perciò Emy
aveva ben presto lasciato
perdere la cosa, non sentendosela di approfondire.
Parte
degli strascichi erano anche le telefonate, cosa che lei non amava
fare, ma che
sapeva di dover fare, visto che la
lontananza forzata tra lei e la madre faceva soffrire la sua genitrice.
Il
libro, gli incubi e mille altri pensieri, però, le avevano
fatto mancare il
consueto appuntamento del lunedì sera, costringendo la madre
a sopperire a tale
mancanza.
“Scusa,
mamma. Mi sono persa davanti alle fotografie e ho scordato l'orologio. Ancora”
borbottò contrita la figlia, guardando il suo polso sinistro.
Odiava
portare gli orologi.
Le
graffiavano la pelle, e di certo non ne aveva bisogno. Era molto meglio
portare
i suoi braccialetti in pellame lavorato, o di stoffa. Si era concessa
uno
strappo alla regola solo quando Tony, quattro anni addietro, le aveva
regalato
una coppia di sottili braccialetti in argento.
Non
li aveva più tolti, da quando glieli aveva regalati, pur se
si sentiva un
mostro a portarli senza merito.
Erano
comunque molto meno impegnativi del Patek che le avevano regalato i
genitori per
i suoi ventinove anni. Per più di un motivo.
Sua
madre ridacchiò, ben conoscendo i vizi e le manie della
figlia, e replicò:
“L'avevo immaginato, per questo ho chiamato io.”
“Tutto
bene, lì? Dovrebbe essere notte fonda, ormai.”
“Quasi.
Diciamo che farò le ore piccole, stanotte. C'è in
ballo una festa per il
prossimo venerdì, e devo ultimare alcune
migliorie.”
“Non
ho dubbi sul fatto che sarà perfetta come al
solito” sottolineò Emily,
accennando un sorriso.
Sua
madre avrebbe potuto dirigere da sola il centro spaziale di Houston, se
avesse
voluto. Era l'organizzazione fatta persona.
La
donna rise, divertita dal tono della figlia.
“Naturalmente,
ti arriverà un invito che tu cestinerai, ma sai come sono
fatta. Non posso
evitare di mandarteli.”
“Non
li cestino mai. Li colleziono. Ho un intero album
pieno dei tuoi
biglietti. Tutti molto belli, tra l'altro”
ironizzò Emy, mettendo calore e
affetto nella sua voce.
“Non
potresti concederti una piccola tregua dal tuo libro per venire a
trovare i
tuoi vecchi?”
“Vecchia,
tu? Mamma, tu sarai vecchia quando io sarò già
nella tomba, e forse neanche
allora” la prese bonariamente in giro la figlia, facendola
ridere
sommessamente.
“Ci
manchi. A tutti e due”
sottolineò a quel punto Margareth, tornando
seria.
Per
Emy fu lo stesso.
Divenne
mortalmente pallida in viso e, carezzando distrattamente il testone di
Cleopatra per calmarsi, mormorò: “Dubito
che io gli manchi. Ma so di
mancare a te... scusa, mamma. Davvero non riesco a fare
diversamente.”
“Mercoledì
prossimo, non questo... quello della settimana seguente,
sarò a Denver per una convention
sulle energie alternative. Ti andrebbe di vedermi? Saremmo solo tu e
io. E Jamie.”
“Oh...
viene anche Mister-Quarantesette-Punti?” ironizzò
a quel punto la donna,
ripensando al fratello minore e all'incidente che gli era valso quel
soprannome.
Poco
meno di un anno prima, durante una battuta di pesca, Jamie era stato
sbalzato
in mare dallo yacht dove si trovava, e tutto per colpa di un Marlin Blu
particolarmente riottoso.
Questo
gli aveva causato un brutto trauma cranico e diverse ferite, tra cui
una al
braccio che avevano dovuto suturare, per l'appunto, con quarantasette
punti.
Quando
era venuta a saperlo, Emy si era fiondata presso l'aeroporto
più vicino per
raggiungere il Maine e lì, dopo cinque anni di separazione
voluta - da lei -,
aveva rivisto il padre.
Non
si erano praticamente parlati, ma tanto era bastato per farle venire
voglia di
scappare di nuovo.
Era
rimasta sei giorni soltanto per stare assieme al fratello, di due anni
più
giovane di lei.
Quando
si era sincerata della buona salute di Jamie, lo aveva bonariamente
rabberciato
e, con la promessa di una loro futura vacanza assieme, se n'era andata
per
tornare a Nederland.
L'idea
di rivedere il fratello le piacque abbastanza da spingerla a dire:
“Ci sarò.
Mandami pure una e-mail con i particolari dell'avvenimento.”
“D'accordo”
assentì la donna. “Tutto bene, lì? La
vita procede regolare?”
“Se
vuoi sapere se ho un uomo, non ce l'ho. Non prendo più
pillole per dormire da
anni, anche se a volte vorrei usarne un po', ogni tanto, visto che
posso
contare parecchie notti in bianco, nel mio curriculum. Mike e Gilda si
prendono
cura di me e mi tengono in salute, neanche fossi un'oca all'ingrasso e,
in
generale, tutto procede come al solito, qui a Nederland.”
Quel
commento strappò un risolino a Margareth.
“Cleo
sta benissimo e mi accompagna sempre. E' il mio angelo custode
peloso” aggiunse
Emy, sorridendo alla sua cagnolona.
“Quindi,
con Anthony...”
“No,
niente, mi spiace.”
“Eppure,
da quel che ricordo, è un bell'uomo e...”
Bloccandola
prima che partisse a perorare la causa di Tony, Emily esalò:
“Mamma, ti prego!
Se vorrò un uomo, me lo troverò. Al momento, io e
Cleo stiamo bene così. Oh,
per la cronaca, zio Harry ha mandato qui uno dei suoi geologi per una
perizia
sulle vecchie miniere della zona. Siamo sicuri che
non sia un'abile
mossa per tenermi d'occhio?”
“Mio
fratello non farebbe mai una cosa simile, tesoro!”
sbottò sconcertata Margareth.
Un
attimo dopo, però, la curiosità ebbe la meglio.
“Chi
è, cara? Lo conosciamo?”
“Io
personalmente no, ma tutto può essere. Si chiama Parker
Jones, ed è di Denver.
Ti dice niente?”
“Jones?
Sì, cara, che mi dice qualcosa. Un certo Richard Jones fu
uno degli architetti
che lavorarono alla tua casa, se non lo ricordi”
ridacchiò la donna. “Può darsi
che sia un parente… o magari è la classica
coincidenza.”
“Oh,
cielo, è vero che l’architetto si chiamava Jones!
Chissà dove avevo la testa!”
esalò Emily, dandosi una pacca sulla fronte.
“Comunque, non ho mai creduto
nelle coincidenze e perciò glielo chiederò.
Tanto, sarà qui in giro per un
sacco di tempo.”
“E'
carino?” si informò a quel punto la madre.
Emily
scoppiò a ridere di gusto e, lasciandosi un po' andare sulla
sedia a sdraio su
cui era seduta, mormorò: “Mamma, vuoi che io mi
dedichi ad attività
orizzontale, o sbaglio?”
“Tesoro!
Ma come parli?!” biascicò Margareth,cercando di
darsi un tono con la figlia. Ma,
in sottofondo, stava ridendo.
“Se
ti può interessare, è piacente. Un tipo. Ha i
capelli biondo castani, arruffati
in modo simpatico, non disordinato. Non saprei dirti se sono mossi o
se,
semplicemente, si dimentica di pettinarli, ma gli donano. Ha gli occhi
chiari,
tra il verde e il nocciola, ed è piuttosto alto e dalle
spalle robuste. Visto
cos'aveva sul suo pick-up, non stento a crederlo. Alcune attrezzature
sembravano davvero pesanti. Ti può bastare?”
“Come
sei veniale.” Brontolò bonaria la madre.
“E' simpatico? Ci si parla
volentieri?”
“Devo
presentartelo, la settimana prossima? Ti vuoi fare un
toy-boy?” ironizzò allora
Emily.
Il
tono sempre più divertito della figlia fece imbarazzare
Margareth che,
vagamente burbera, borbottò: “Non si
può parlare, con te, quando tocco
quest’argomento.”
Passandosi
una mano nella corta zazzera biondo platino – totalmente
naturale – Emily disse
più seriamente: “E' ciarliero. Un'autentica
macchinetta. Sembra piuttosto colto,
anche al di fuori del suo settore, e piace a Cleo. Si è
lasciata fare un
grattino tra le
orecchie al primo
incontro, ma questo conta poco, visto che lei ama farsi fare i grattini
da tutti. Però, pare che
adori la sua
risata, perciò qualcosa vorrà dire.”
“Che
cagnolina dolce!” sospirò deliziata la donna.
“Pesa
quaranta chili, mamma... andrei piano a darle della
cagnolina” sottolineò Emy,
pur apprezzando l'affetto dimostrato dalla madre nei confronti del suo
cane.
“Cleopatra
sarà sempre una cagnolina, per me.”
Rise
dolcemente un attimo dopo ma, prima di chiudere la telefonata, si
premurò di
dire: “Manda almeno un'e-mail a tuo padre. Non ha il coraggio
di chiamarti
perché sa che non risponderesti.”
“Mi
conosce, evidentemente” brontolò la giovane,
intrecciando nervosamente le
gambe.
Quando
parlavano di Jordan Francis Poitier, i suoi recettori del dolore e
dell’ira
iniziavano a brillare come lucette di Natale, neanche fossero stati sul
set di Stranger Things.
“Digli
che stai bene” mormorò Margareth, salutandola
l’istante seguente.
La
luna fece capolino tra le nuvole dopo aver danzato dietro esili cirri,
quando
Emily chiuse la comunicazione e, nel sospirare, lei la
osservò sperduta, non
sapendo bene che fare.
Il
muro tra lei e il padre era nato e cresciuto fin da quando, in quella
maledetta
grotta, aveva sentito Cattivo dirle che il padre non avrebbe mai pagato
il
riscatto. Al suo ritorno da quegli orrendi cinquantasei giorni di
prigionia, le
cose erano soltanto peggiorate.
Lo
psicologo aveva fatto parte integrante della sua vita adolescenziale,
fin dal
giorno fortunoso della sua fuga, aiutandola a ritrovare l'equilibrio
perduto e
le certezze svanite.
Jamie
l'aveva aiutata a suo modo, regalandole i suoi giocattoli degli
Avengers, promettendole
solennemente che l'avrebbero
protetta. Si era commossa quando il fratellino era entrato nella sua
stanza,
una sera, portando con sé il suo enorme martello di Thor in
plastica.
Si
era accoccolato accanto a lei nel letto e, con Mijollnir stretto in una
mano,
le aveva sussurrato: “Con questo, i cattivi non si
avvicineranno più.”
Il
piccolo, dolce Jamie.
Era
stato lui la sua roccia, nonostante fosse il più piccolo di
casa.
Con
il padre, invece, era stato un susseguirsi di incrinature, spaccature,
autentiche guerre psicologiche, una più terribile della
precedente. Pur avendo
avuto solo otto anni, all’epoca, le era stato chiaro solo un
concetto; suo
padre non aveva pagato per riaverla.
La
stampa ci era andata a nozze per mesi, sottolineando quanto fosse stato
rischioso
quel tira e molla coi rapitori.
Emily
l'aveva vista diversamente.
Non
era stato un calcolo di rischio, ma semplice disinteresse.
Suo
padre non l'amava come lei lo aveva amato fino al momento del
rapimento. Punto.
Che
si sentisse ancora in colpa, era il minimo.
Non
voleva comunque offendere sua madre che, invece, aveva pianto lacrime
amare fin
dal primo giorno di quel tremendo evento.
Perciò,
mogia, prese l'iPad dalla sua borsa e scrisse una breve e-mail al
padre, giusto
per pulirsi la coscienza.
Qui
è tutto okay. Cleo si è mangiata una lucertola,
ieri.
Ha
vomitato l'anima, e il suo fiato ha puzzato per
ore, in seguito.
Ho
foto nuove per il libro che editerò l’anno
prossimo.
Vi mando
una copia
appena editano quello che sto ultimando adesso.
C’è
un geologo dello zio, qui a Ned. Harry gioca a
fare il curiosone?
Oppure
gli interessano veramente le miniere? Emy
Era
un testo maledettamente scarno, ma non riusciva davvero a fare di
più.
***
Lo
zaino pesava duecento chili, o giù di lì.
Non
osava controllare ma, a giudicare da quello che ci aveva infilato
dentro,
sarebbe sembrato un maledetto marine in missione.
D'accordo
che, per il lavoro che doveva fare, non c'era bisogno di una squadra di
escavatoristi,... ma un aiutino, no?
Maledetti
tagli sul budget e ancor più maledetti appaltatori
– la sua ditta – del cavolo.
Se solo gli fosse riuscito di parlare con la Silver
& Gold Consolidated, che aveva commissionato i
lavori,
forse avrebbe potuto ottenere un aiuto ma, con il suo capo nel mezzo,
era stato
impossibile e, ancor più impensabile, era pensare di
scavalcarlo.
Quello
sì che avrebbe voluto dire cacciarsi nei guai.
Con
il sole alto in cielo e l’aria frizzante a dargli il
buongiorno, a Parker sembrò
quasi una presa in giro pensare alle successive ore di lavoro, ma
tant’era.
Nell’uscire
dalla piccola casetta che la ditta gli aveva trovato, quella mattina,
brontolava già come una pentola di fagioli.
La
casupola assegnatagli si era rivelata, infatti, più carina
di quanto non avesse
pensato vedendola da fuori, disadorna e priva di giardino come gli era
apparsa
al suo arrivo.
Quando
era entrato, aveva sentito il profumo di segatura e di fiori di campo
– forse,
perché l'avevano fatta arieggiare ampiamente prima del suo
arrivo – e, al suo
interno, aveva trovato il minimo indispensabile per sopravvivere.
Divano,
TV satellitare da intenditore, un frigorifero enorme e un microonde.
Il
regno delle favole, per un uomo.
Al
piano superiore, Parker aveva scovato due camere da letto prive di
orpelli, ma
con tutto il necessario per sistemare abiti e oggetti vari. Era chiaro
che la Silver & Gold si era
aspettata
l’arrivo di due operai,
non uno. A
conferma che il suo capo si era comportato come uno stronzo.
Tornando
dabbasso, aveva studiato il soggiorno con cucina a vista, abbastanza
spazioso
per potervi lavorare la sera o per fare quattro chiacchiere con gli
amici che,
ben presto, si sarebbe fatto.
In
fondo al corridoio, infine, aveva trovato il bagno, e una di quelle
vecchie
vasche in metallo con i piedi a forma di leone era il vero pezzo
d’eccezione. Ci
si poteva stendere senza problemi, tanto era ampia e lunga e, per uno
alto
quasi un metro e novanta, era un vantaggio non da poco.
Lì,
si sarebbe rilassato dopo le sue scarpinate faticose, acciambellato
dentro
l'acqua bollente e la schiuma copiosa, come un bambino con la sua
paperella di
gomma.
Ora
che era su un sentiero, però, con la carta topografica in
una mano e il GPS
nell'altra, Parker pensò bene di lasciar perdere quei
pensieri e dedicarsi
finalmente al suo lavoro. Risalendo per quell’erta, avrebbe
trovato la sua
prima miniera abbandonata nel breve arco di una mezz’ora e,
da lì, avrebbe
iniziato la sua ricerca.
Anni
addietro, a causa della scarsa tecnologia e dei costi esorbitanti per
l'estrazione
dei materiali di profondità, quelle miniere erano state
chiuse e abbandonate. Era
però passato più di un secolo da quegli eventi, e
le tecniche di estrazione
avevano subito dei drastici cambiamenti.
Lui
doveva soltanto scoprire se fosse il caso di riaprirle, o meno.
Soltanto. Beh, si faceva per dire.
Tra
i carotaggi, gli esami di laboratorio – in quello, era un
asso – e le analisi
stratimetriche del terreno, avrebbe perso un sacco di tempo.
Lavorare
in loco, però, faceva risparmiare tempo e denaro, e questo
lo sapeva bene.
Se
qualcuno, ogni santo giorno, avesse dovuto portare a Denver
ciò che trovava per
analizzarlo e catalogarlo, ci sarebbe voluto un secolo.
Incamminandosi
a passo tranquillo, le mani impegnate a portare ciò che,
nello zaino, non era
entrato, si inerpicò perciò verso l'alto della
montagna con un unico obiettivo.
La
miniera di Cold Snow.
Prima
tra le sue
innumerevoli tappe, era la
più vicina al paese e, perciò, la sua meta
prefissata, per quel giorno.
Avrebbe
iniziato a spostarsi con il pick-up solo quando necessario.
Risalendo
con passo lento, Parker lanciò soltanto distratte occhiate
alla flora locale,
composta principalmente da abeti rossi, pini ad alto fusto e larici.
Qua
e là, speronella e aquilegia tingevano timide il sotto
bosco, e rovi di more
selvatiche – solo spine, niente more, vista la stagione
– si intervallavano a
rocce affioranti e piccoli cespugli pronti a fiorire.
Il
canto di una ghiandaia azzurra attirò la sua attenzione,
portandolo a fermarsi
un attimo per cercarla con lo sguardo.
Con
un sorso d'acqua strappato dalla borraccia, riprese il cammino dopo
aver
cercato invano la sua ghiandaia, accompagnato però dal canto
del volatile
introvabile.
Un
picchio delle ghiande tamburellava con frequenza impressionante contro
il
tronco di un albero, mentre il ciangottare di alcuni scriccioli
sembrava
disturbare una coppia di scoiattoli.
Troppa
confusione, su quell'albero.
Parker
ridacchiò nel vederli correre come razzi su e giù
per i rugosi tronchi dalle
tinte calde, ma fu l'abbaiare di un cane a bloccarlo, sorprendendolo e
preoccupandolo un poco.
Quando,
però, vide giungere dalla sterrata la figura tricolore di un
cane a lui noto,
si chetò immediatamente e si aprì in un sorriso
di benvenuto.
Le
zampe forti di Cleo macinarono il terreno dinanzi a lei e, quando
finalmente
raggiunsero Parker, frenarono sul terriccio sollevando una nuvoletta di
polvere.
Scodinzolando
a tutta velocità, la lingua di fuori e il fiato corto,
Cleopatra abbaiò quindi nella
sua direzione una sola volta, come a volerlo salutare.
Parker
allora allungò una mano per carezzarla sul capo mentre, in
lontananza, la voce
della sua padrona chiamava preoccupata la sua compagna a quattro zampe.
“Sei
scappata perché hai sentito il mio odore, eh?”
sorrise l'uomo.
La
cagnolona strusciò il muso contro le sue ginocchia, come a
dargli ragione.
“Emily!
E' qui con me! Sono Parker!” esclamò poi,
rendendosi subito riconoscibile.
“Parker?
Già al lavoro!?” rispose a gran voce la donna,
spuntando finalmente dall'erta e
rendendosi così visibile.
Indossava
una divisa da trekking alla moda, comoda e poco appariscente e, come
aveva
notato il giorno prima, scarponcini usurati ma di buona fattura.
Era
sicuramente una donna abituata a girar per boschi, ma che non avrebbe
sfigurato
anche in un atelier.
“Buongiorno”
la salutò, continuando ad accarezzare la sua cagnolona.
Non
sapeva bene perché, ma gli dava l'idea di una donna che
usasse spesso, come
filtro, il suo cane da compagnia. L'aveva notato il giorno prima, alla
tavola
calda, e ancora ebbe quella sensazione quando gli occhi di Emily
studiarono il
comportamento di Cleopatra.
Lo
sguardo che aveva lanciato a Cleo, quando si era fatta accarezzare, era
stato
eloquente. Quasi le avesse chiesto se, di lui, ci si potesse fidare.
Emily
li raggiunse agevolmente, sulle spalle uno zaino da fotografo corredato
da
cavalletti a uno e tre piedi, borraccia legata in vita e GPS infilato
nella
fibbia dei pantaloni.
Probabilmente,
aveva anche un telefono satellitare, con lei, o un battaglione di marines chiuso nello zaino. Gli sembrava
una donna pronta a qualsiasi evenienza.
“Buongiorno
a te, Parker. Stai andando alla Cold Snow?”
gli domandò lei, richiamando
a sé Cleo con una pacca sulla gamba.
Subito,
il bovaro tornò obbediente da lei.
“Esatto.
E tu?”
“Fotografie
della zona, un servizio sulle miniere e poi a casa, a preparare un
altro
capitolo del libro che sto elaborando per la prossima guida del
Colorado” gli
spiegò lei, lanciando un'occhiata incuriosita ai suoi
macchinari.
Lui
ne seguì lo sguardo e, ridacchiando, ammise: “Lo
so, sembrano dei transformers.”
“Se
lo fossero, sarebbe fico” ironizzò lei.
“Ti do una mano? Tanto, devo andare
nella tua stessa direzione.”
“Ma
no! Sono abituato, figurati.” Scosse il capo, ma la
ringraziò con un sorriso.
“Pensi
non possa farcela?” gli ritorse contro lei, inclinando il
capo di corti capelli
biondi.
Erano
tagliati scalati, come se volesse dare di sé un'immagine
trasandata, pur non
essendola affatto. Quelle ciocche erano state sistemate ad arte da un
coiffeur
dalla mano sopraffina, poco ma sicuro.
Parker
continuava a trovare Emily uno strano miscuglio di eleganza e
nonchalance.
Era
tutto e il contrario di tutto, e questo lo incuriosiva da matti.
Da
bravo scienziato, se c'era una cosa che lo interessava, erano i
misteri. Anche
se, nel caso specifico, non erano fatti di terreno e roccia, ma di
carne e
sangue.
Allungando
perciò una delle sue valige a Emily, tornò a
incamminarsi, dicendo per contro:
“Non sia mai che io venga accusato di maschilismo. Vuoi
sgobbare? Fallo.”
Emy
rise in risposta al suo commento ma, quando si ritrovò a
scarpinare con non
meno di dieci chili di macchinario alla mano, si divertì un
po' meno.
Consolatoria,
Cleo le camminò al fianco per tutto il tempo mentre Parker,
come se niente
fosse, le indicava zone favolose per alcune foto, o uccellini canterini
dall'animo fashion.
Quando
finalmente raggiunsero la bocca della miniera, chiusa da un lucchetto
ormai
vetusto e da barre trasversali di legno marcio, Emily poggiò
a terra la valigia
e ci si sedette sopra, esausta.
Piegandosi
in avanti con il fiato corto e le braccia che chiedevano
pietà, si lasciò
andare a un lungo sospiro liberatorio, corredato da leccata sulla
guancia da
parte di Cleo.
Con
aria vagamente accigliata – Parker pareva fresco come una
rosa – Emy fissò
l'uomo e mugugnò: “Fai il maschilista, la prossima
volta. Assolutamente. Potrai anche
usare epiteti come femminuccia o
altro, ma dimmi di no! Cosa ci hai messo dentro?
Piombo fuso?!”
Il
geologo scoppiò a ridere di fronte al suo sarcasmo e,
nell'aprire la sua
valigetta, le mostrò la trivella con cui avrebbe fatto i
carotaggi.
“Come
puoi ben immaginare, è abbastanza pesante.”
“E
qui dentro, cosa c'è?” si informò a
quel punto lei, rialzandosi per stirare la
schiena.
Quest'ultima
emise un crac molto forte, tanto che sia Emily che
Parker scoppiarono a
ridere di gusto.
“E
con questo ho chiuso la mia carriera di mulo da soma”
chiosò la donna,
carezzando la testa di Cleo, che le ciondolava al fianco, fidata e
fedele. “E
dire che pensavo di essere più robusta di
così!”
“Io
ti avevo avvertita” si premurò di dire Parker,
scrollando le spalle. “Vuoi
venire a dare un'occhiata? Così ti mostro a cosa servono
questi aggeggi.”
“Ah...
no, grazie. Passo. Io e le grotte non andiamo d'accordo”
declinò lei, scuotendo
una mano con fare divertito.
In
realtà, dentro di sé stava tremando. Non avrebbe
messo piede in un luogo chiuso
e angusto come una grotta
neppure sotto tortura.
I
ricordi che le riportava alla memoria erano davvero troppo atroci,
perché li
affrontasse per mera curiosità.
Con
la scusa di dover cercare nuovi scenari da inserire nella sua guida
turistica, Emily
si allontanò dalla bocca scura e inquietante della miniera.
Lui
la lasciò andare e, nell’osservarla allontanarsi a
passo spedito lungo il
sentiero, si chiese cosa avesse provocato in lei quel lampo di puro
terrore,
che aveva adombrato per un istante i suoi occhi di colomba.
N.d.A:
innanzitutto, scusate per il tremendo ritardo nel postare il secondo
capitolo, ma ci sono volte in cui bisogna dare la precedenza ad altro,
e io ero in uno di quei momenti.
Premesso,
ciò, scopriamo un po' di più come se la cava il
nostro geologo, e come sta trovando il suo nuovo lavoro presso
Nederland, oltre a capire meglio come vanno i rapporti tra Emily e i
suoi familiari. Ci sarà tempo per tornare su entrambe le
cose, non temete.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
3.
Lasciata l’auto a un
addetto dello
Sheraton Denver Downtown Hotel, Emily si lasciò il tempo per
ammirare
l’elegante albergo cittadino, prima di dirigersi verso
l’entrata, porgendo il
suo bagaglio a mano all’inserviente di turno.
Il sole si specchiava
sull’ampia parete
a vetri dell’enorme complesso dinanzi a lei, dando
l’impressione che la
facciata dell’hotel fosse ricoperta d’oro e pietre
preziose.
Non che l’interno non le
ricordasse
antichi manieri europei, o eleganti ville dell’East Coast; la
zona dell’ampio
camino, posto all’entrate, era una delle preferite degli
ospiti, che vi
stazionavano a lungo per leggere, o chiacchierare in tutta
tranquillità.
In generale, Emily si era sempre
trovata bene, allo Sheraton e, più di una volta, si era
incontrata lì con la
madre o con Jamie, quando si erano
trovati
di passaggio in Colorado.
Sua madre, per l’appunto,
l’aveva
chiamata il giorno prima per confermarle la sua presenza in
città, in vista del
gala benefico che stava organizzando nella Majestic
Ballroom dell’albergo.
Emily non aveva trovato alcun
motivo
per non andare e, dopo aver lasciato Cleo a Gilda – con la
promessa di una
bella bistecca per la sua cagnolona – era partita alla volta
di Denver per incontrare
madre e fratello.
Erano circa sette mesi che non si
vedevano, poco meno con Jamie – che aveva incontrato durante
le festività
natalizie –, ed Emy non sapeva esattamente come sentirsi.
Sua madre le mancava, ma sapeva
bene
cosa volesse dire per entrambe, incontrarsi. Ciò che lei le
riferiva, finiva
inevitabilmente con l’essere poi riportato anche a suo padre,
e non sempre
Emily era entusiasta di far sapere a Jordan Poitier come lei vivesse la
sua
vita.
A dirla tutta, erano ben poche le
cose
che Emily voleva che lui sapesse, a parte che non lo aveva ancora
perdonato.
Aveva avuto solo otto anni quando,
una
notte di inizio maggio, i rapitori l’avevano strappata al suo
letto e ai suoi
affetti, complice un vernissage a
cui
i genitori avevano partecipato.
Per fortuna, il suo fratellino
Jamie si
era recato da amici per un pigiama party, quindi i rapitori avevano
potuto
scegliere solo lei per quell’aggressione mirata.
Dopo aver disinserito
l’allarme
generale, con l’aiuto compiacente di un dipendente della
ditta di sicurezza –
avevano scoperto poi, durante il processo –, erano riusciti a
penetrare entro i
confini della villa e penetrare nell’abitato.
La balia era stata stordita con un
colpo alla nuca, colpo che le aveva provocato una lesione permanente al
midollo
spinale, costringendola per tutta la vita su una sedia a rotelle.
Quanto ai
cani, avevano subito una sorte ben peggiore.
I genitori li avevano trovati nel
viale
d’ingresso, sdraiati l’uno accanto
all’altro ed entrambi uccisi da una dose
letale di veleno, inoculata grazie a due dardi sparati da un fucile.
Erano seguiti cinquantadue
interminabili, estenuanti giorni rinchiusa in una fredda e umida grotta
degli
Adirondack, nei pressi del Giant Mountain.
Di quel periodo, Emily ricordava
ogni
dannatissimo secondo, ogni più piccolo sgocciolio della
roccia, ogni
discussione dei suoi rapitori… persino i buffi origami che
era stato solito
regalarle Ray.
Al pensiero del giovane Ray
Woodword,
Emily sorrise beffarda. Suo fratello Simon lo aveva sempre chiamato ‘scemo’, almeno
durante il periodo di
prigionia che lei aveva trascorso con loro. Tutto questo,
perché Ray aveva
deciso di prendersi cura della loro potenziale miniera d’oro,
della piccola che
avevano rapito per fare soldi.
Né Simon né
Vince, l’altro rapitore,
avevano preso l’iniziativa di occuparsi di una bambina di
otto anni, spaventata
da quell’incubo a occhi aperti in cui era capitata suo
malgrado.
Alla fine, Ray aveva potuto contare
su uno
sconto di pena proprio grazie alla sua testimonianza. Non se
l’era mai sentita
di infierire su Ray, per quanto anche lui avesse partecipato al suo
rapimento.
Da quello che ricordava, sarebbe
uscito
di prigione da lì a qualche mese.
Il fruscio delle porte a vetri che
si
aprivano dinanzi a lei la riportò al presente, scacciando
dalla sua mente quei
pensieri opprimenti e di cui avrebbe fatto volentieri a meno per il
resto della
sua vita.
Avanzando a passo spedito
attraverso l’atrio
dai colori tenui e il lucido pavimento in marmo color crema, Emily
giunse
infine al banco informazioni e lì, educata, chiese della
madre.
Un giovane in livrea color
antracite la
salutò educatamente, controllò in fretta sul suo
computer dopodiché la
indirizzò allo Sheraton Club, di cui la madre era socia.
Dopo aver ringraziato
l’inserviente,
Emily attraverso quindi un secondo atrio, dai toni dell’oro e
del rosso,
stavolta, lasciandosi alle spalle diverse persone ferme
all’accettazione e
bambini sorridenti che si rincorrevano tra loro.
Raggiunta che ebbe la porta che
conduceva al club, vi trovò un usciere che già
conosceva e che, vedendola, le
sorrise per poi dirle: “Miss Poitier, buongiorno. La madre e
il fratello la
attendono al solito tavolo nei pressi delle scacchiere.”
“Buongiorno, Carl. Ti
ringrazio molto.”
Con un sorriso e un saluto di
commiato,
si introdusse quindi all’interno del club, dalle linee
innovative e moderne, i
colori sobri e ampie vetrate che lasciavano intravedere la piscina
dell’albergo.
Proprio come riferito da Carl,
Jamie e
sua madre si trovavano nei pressi delle scacchiere in alabastro
– dove un paio
di ragazzi stavano giocando con aria tesa e impegnata – e,
dopo essersi fatta
vedere, li raggiunse.
Accomodatasi su un divanetto color
cipria, poggiò il soprabito di lana secca sul posto lasciato
libero per lei e
salutò i familiari con affettuosi baci sulle gote.
A quel punto, magicamente li
raggiunse
un cameriere in livrea che, consegnato al gruppo il menù,
mormorò un benvenuto
e si allontanò discretamente.
Emily sorrise divertita, di fronte
a
quel servizio così pieno di attenzioni, e
sussurrò: “Da Gilda mi avrebbero dato
una pacca sulla spalla e mi avrebbero rifilato subito dei quadretti di
pizza.”
“E’ per questo
che la adoro. Dimmi, è
sempre convinta a non volermi sposare?” asserì
Jamie, scorrendo velocemente il
proprio menù con i chiari occhi grigi.
In questo, lui ed Emily si
assomigliavano ma, contrariamente alla sorella – che poteva
vantare naturali
capelli biondo platino – Jamie li aveva castano chiari e
tendenti al rosso. Per
quanto le spiacesse ammetterlo, lei assomigliava al padre tanto quanto
il
fratello alla madre.
“Gilda ama troppo suo
marito per
scappare con te, e poi continua a dirmi che la tua è solo
una passione
passeggera, e che non può fidarsi dei bellocci come
te” ghignò Emily,
ammiccando al fratello.
“Così mi
spezza il cuore!” esalò Jamie,
portandosi una mano al petto con fare desolato.
Emily rise sommessamente e Jamie,
ammiccando comicamente alla sorella, levò una mano per dare
il cinque alla
sorella maggiore.
Sorridendo a entrambi i figli,
Margareth non poté che essere felice del loro evidente
affiatamento, ma le
spiacque che al marito non fosse riservato lo stesso trattamento.
La vicenda che aveva sconvolto la
vita
della sua famiglia era ben radicata nella
memoria di tutti loro e, per quanto fosse convinta che il
marito avesse
sbagliato, a suo tempo, non se la sentiva di mantenere le distanze da
lui.
A
quel tempo, Margareth aveva ampiamente
discusso con il marito in merito alla decisione sciagurata di non
pagare il
riscatto per riavere indietro la figlia ma, ugualmente, aveva
continuato a
supportarlo. Ad amarlo.
La sciagura che ne era seguita,
poi,
l’aveva convinta a non lasciare solo il marito. Due traumi a
così breve
distanza l’uno dall’altro, sarebbero stati
difficili per chiunque, da
sopportare.
Il dolore genuino di Jordan,
così come
i tentativi dell’uomo di recuperare un rapporto di qualsiasi
genere con la
figlia, l’avevano altresì convinta della sua buona
fede. Convincere Emily e
Jamie a dargli credito, però, era stato tutt’altro
affare.
Jordan non le aveva mai spiegato i
motivi di quella scelta, e suo cognato Armand –
così come sua cognata Bérénice
– non si erano mai espressi in tal senso, con lei,
così come i vecchi Poitier.
Ciò che poi era successo
a Bérénice,
aveva complicato ulteriormente le cose.
La fuga rocambolesca di Emily aveva
evitato il peggio – i rapitori avevano parlato di un
ultimatum davvero
terribile – ma, da quel momento, niente era più
stato lo stesso.
Prima
Bérénice, poi Emily… era stato un
susseguirsi di emozioni fin troppo forti, per Jordan, e Margareth non
aveva
avuto la forza o la volontà di alzare un muro tra di loro.
Aveva dovuto pensare
innanzitutto a mantenere salda la famiglia.
“Mamma” disse
per la terza volta Emily,
sorridendole comprensiva.
Margareth si riscosse da quei
ricordi
dolorosi e si limitò a esporre un gran sorrisone, che
però non bastò a
ingannare Emily, la quale chiosò: “Non basto io a
pensare a quei momenti? Ti ci
devi mettere anche tu?”
Sospirando, la donna scosse una
mano –
richiamando così inavvertitamente anche il cameriere
– e borbottò: “Sto
diventando vecchia, se mi scopri con così tanta
facilità.”
“Te l’ho
già detto. Tu non sarai mai
vecchia” replicò Emily prima di veder giungere a
passi eleganti il cameriere.
“Può portarci tre flute di Sauvignon Blanc della
Napa Valley? Un 2013, grazie.
E anche qualche pasticcino. Se possibile, con la granella di
nocciole.”
L’uomo assentì
elegante e le parlò
delle torte preparate quel giorno dallo chef, che trovarono il pieno
plauso
della giovane.
Rimasti nuovamente soli, Emily
chiosò:
“Ho pensato che la cioccolata calda con dei marshmallow lo
avrebbero sconvolto,
così ho preferito fare la sofisticata.”
“Con gli otto gradi che
ci sono fuori,
in effetti, sarebbe stato il massimo…”
assentì Jamie. “…ma va detto che qui
dentro ce ne sono venti, e non ce la saremmo davvero goduta appieno.
Comunque,
rasserenati, il fronte freddo ha i giorni contati e, entro breve,
potrai dire
anche tu che è primavera.”
“Hai studiato il meteo
locale, per
caso?” ironizzò Emily.
“Tesoro, quando vengo a
trovarti, devo
sempre pensare a cosa mettere in valigia, se voglio evitare che mi si
congeli
tutto” sottolineò il giovane con tono falsamente
snob.
Margareth ed Emily sorrisero
divertite
e, quando le loro ordinazioni vennero servite, quest’ultima
propose un brindisi
e chiosò: “Alla cioccolata calda che non
abbiamo preso. Che le piantagioni continuino a produrre fave
di cacao in
eterno, così che la si possa bere anche in futuro.”
I tre brindarono a quello strano
anelito e Jamie, nel sorseggiare il proprio vino – servito
alla temperatura ideale,
così che fosse fresco e aromatico al palato –,
celiò: “Non capisco come tu non
soffra di diabete, visto il cioccolato che mangi mediamente durante
tutto
l’arco dell’anno.”
“Sono brava a
centellinarlo” sottolineò
Emily.
“Centellinarlo…
fai così anche con gli
uomini? Non mi hai ancora chiamato per dirmi che devo sistemare qualche
giovanotto troppo esigente!” ironizzò Jamie,
guadagnandosi un’occhiataccia da
parte della sorella.
“Tu sei a schema fisso.
Sembra che una
donna non possa fare a meno di un uomo, per vivere.”
“No, cara. Precisiamo.
Non possono fare
a meno di me … ma,
visto che sono tuo
fratello, ahi te, non posso servirti a niente”
precisò Jamie, scatenando la
risatina della madre e il sospiro esasperato di Emily. “Per
questo ti chiedevo
se, grazie a qualche mistero recondito, tu fossi riuscita
nell’impresa titanica
di trovare qualcuno di speciale come il sottoscritto.”
“Dio! Dalla volta in cui
lo hanno
dichiarato il più sexy del circolo nautico, abbiamo finito
di star bene”
brontolò Emily, buttandosi sulla sua fetta di torta alle
nocciole tonde del
Piemonte e crema al cioccolato.
“Non dare la colpa a me,
se le donne mi
hanno reputato così affascinante e sposabile.”
“Ecco, appunto. Sposati,
Jamie. Trovati
una donna che sopporti il tuo ego smisurato e fammi felice”
lo pregò a quel
punto Emily, sorridendo per alleggerire quel rimbrotto.
Jamie però rise di
gusto, scosse il
capo e replicò: “E togliermi il gusto di scegliere
con cura? No, cara. In
questo sono come te. Non è facile trovare una donna che
rispecchi i miei
desideri.”
“E quali sarebbero,
adesso? L’anno
scorso erano ‘bella, divertente e
chiassosa’. Stavolta come dovrebbe
essere?”
Tornando serio, Jamie
afferrò una mano
della sorella, la sollevò fino a sfiorarle con le dita
l’interno del polso e
mormorò: “Deve essere coraggiosa, indipendente e
fiera. Non mi interessa che
sia miss Universo, o che abbia il conto in banca di Creso. Il problema
è che,
l’unica che conosco a essere così, è
mia sorella, e onestamente non voglio
macchiarmi di incesto.”
“Neppure io,
credimi” ironizzò lei,
afferrando quelle dita per stringerle tra le proprie.
“Lisbeth ha combinato
qualcosa, vero?”
Margareth assentì con
fare indispettito
e Jamie, ritirando a malincuore la mano, borbottò:
“E’ stata un
po’ troppo chiassosa, a quanto pare.
L’hanno beccata a un festino a luci rosse assieme al senatore
Patterson che,
come ben sai, è sposato e con tre figli al
seguito.”
Emily sgranò gli occhi
per lo sgomento,
esalando: “Ecco cosa succede a guardare poco la televisione.
Non l’avevo affatto saputo!”
“Oh,
tranquilla… non è colpa tua. Non
l’hanno di certo pubblicizzato” brontolò
piccata Margareth. “Noi lo sappiamo
per gli ovvi motivi che tu ben
sai.”
Scrutando spiacente il fratello,
Emily
allora mormorò: “Scusa se devo sottolinearlo,
Jamie… ma te l’avevo detto.”
“Lo so, lo so.
E’ per questo che ho
deciso di pormi come ideale qualcuno come te. Direi che così
non posso
sbagliare, anche se rischio di restare solo come un uomo onesto in
parlamento.”
“E limitarsi ad aspettare
che qualcuna
ti faccia battere forte il cuore, senza doverle fare il terzo grado per
scoprire se corrisponde alla tua lista?” ipotizzò
con ironia Emily.
Jamie si limitò a
scrollare le spalle
prima di mormorare: “Non mi fido molto del mio
intuito.”
“Amen”
chiosò la sorella. In effetti,
con Lisbeth si era lanciato alla cieca, e la lista dei suoi pregi era
nata dopo il loro primo
appuntamento.
Dopotutto,
forse, non era il caso di fare affidamento sulla spontaneità
di Jamie. La sua
lista poteva essere un buon metodo per non finire nei guai.
Sistemato che ebbe gli orecchini di
perle, Emily si ammirò nell’ampio specchio tondo
del bagno e, attenta,
controllò che il lungo abito a sirena in raso color ghiaccio
cadesse alla
perfezione.
Contenta del risultato,
abbinò al
vestito delle décolleté nere di Michael Kors e,
dal comò, recuperò la sua
clutch trapuntata nera di Chanel.
Al collo portava il semplice giro
di
perle che le aveva regalato mamma per i suoi ventuno anni, mentre
braccia e
mani erano liberi da orpelli, a parte i suoi onnipresenti braccialetti
in
argento e lapislazzuli.
Era strano abbigliarsi in modo
così
elegante quando, per il resto del tempo, era solita indossare pantaloni
da
trekking, camice di flanella e maglie di cotone.
Non le dispiaceva mettersi in
ghingheri, ogni tanto, e quel gala cadeva a pennello, ma le mancava
già la sua
Cleopatra, e sarebbe tornata volentieri a Nederland, una volta
terminata quella
festa.
Non era mai stata a suo agio, in
quegli
ambienti, e la maturità non l’aveva cambiata.
In quel momento, il cellulare
squillò
e, nell’accettare la videochiamata, sorrise a Gilda e
– sorpresa sorpresa – a
Parker che, a quanto pareva, stava facendo coccole spudorate a
Cleopatra.
“Tesoro! Santo cielo, sei
splendida!”
esordì Gilda, facendo tanto d’occhi nel vederla
attraverso la microcamera del
cellulare.
Emily sorrise, ringraziandola e,
indicando poi alle spalle della donna, domandò:
“Che succede, Gilda? Qualcuno
si sta facendo comprare?”
Scoppiando a ridere, Gilda
assentì e
ammise: “Parker è passato di qui mezzora fa per
ordinarmi della pasta
all’amatriciana e, quando ha visto Cleo, le si è
incollato come una cozza.”
“Non sono una splendida
cozza, però?”
ironizzò dal fondo del locale Parker, facendo scoppiare a
ridere la padrona di
casa.
Anche Emily rise di gusto e,
nell’asciugarsi una lacrima d’ilarità,
domandò: “Cozze a parte, va tutto bene?”
“Ma certo, cara. Cleo
è uscita con Cooper
per una passeggiata e, da quel che ho capito, Parker la
ospiterà per la notte
perché, povero ragazzo, si sente solo tra queste
montagne” ironizzò Gilda,
ammiccando all’indirizzo dell’uomo che, in quel
momento, stava spupazzandosi
Cleopatra.
Emily non poté che
esporre alla
telecamera un sorriso enorme, cui corredò un ‘povero
bambino sperduto’ gorgogliato con tono allegro.
“Prendete, prendete in
giro, streghe
malefiche asservite al male” borbottò con ironia
Parker, sollevandosi
finalmente in piedi. “Io sono abituato agli spazi aperti,
alle vacche che
pascolano, non ai lupi che sbucano sui sentieri e ti guardano come se
fossi un
alieno!”
“Oh… ti
è già successo?” ironizzò a
quel punto Emily.
Parker sollevò una mano
per mandarla al
diavolo e Gilda, sorridendo alla giovane, chiosò:
“Questi uomini delle pianure…
comunque, scherzi a parte, a te sta bene?”
“Per me non ci sono
problemi. Vedo bene
che Cleo non ha timore a stare in sua compagnia,
perciò…” scrollò le spalle
la
giovane, sollevando la mano libera per disegnare un ok
con le dita.
“A buon
rendere” le disse allora
Parker, strizzandole l’occhio.
Gilda a quel punto tornò
seria, abbassò
la voce e disse: “Divertiti, tesorino, e non pensare a Cleo.
Ci occuperemo di
lei come se fosse figlia nostra.”
“Lo so. E’
anche per questo che ve la
affido senza paura. A domani” disse Emily, chiudendo la
videochiamata con un
bacio.
Emily rimase piuttosto colpita da
quella
chiamata, perché Cleopatra – per quanto docile
– non dava mai tanta confidenza
agli estranei. Era evidente che Parker rientrasse nelle sue simpatie al
pari di
Anthony, per cui stravedeva.
Il quieto bussare alla porta della
sua
stanza d’albero la spinse a volgere lo sguardo e, dopo un
breve assenso,
sorrise nel veder entrare il fratello.
Per quel gala, Jamie aveva puntato
sul
classico, con un elegante smoking di Gucci che gli calzava a pennello,
camicia
bianca immacolata e un papillon ripiegato alla perfezione.
Ai polsi portava i gemelli di
famiglia,
con la P dei Poitier messa in evidenza dalla madreperla che li
ricopriva.
“Sei un
figurino” disse Emily,
pensandolo davvero.
“E tu mieterai vittime.
Sei dimagrita
ancora, Emy?” le domandò Jamie, aggrottando
leggermente la fronte.
“Un paio di
chili” ammise suo malgrado
Emily, sospirando. Quando gli incubi tornavano, perdeva anche
l’appetito.
Jamie sbuffò leggermente
e, dopo aver
controllato l’ora sul suo Rolex in platino,
mormorò: “Mamma ci aspetta. Sei
pronta?”
“Andiamo pure”
assentì lei, accettando
il braccio offerto dal fratello. “Niente da dire?”
“So già
perché dimagrisci, sirenetta,
perciò non ho bisogno di spiegazioni”
replicò lui, torvo in viso. “Penso che
verrò a trovare Cleo per un po’. In ditta possono
anche fare senza di me, per
qualche settimana.”
Bloccandosi a metà di un
passo, Emily
lo fissò sconcertata e borbottò:
“Settimana?”
“Non mi ospiteresti? Devo
pur trovare
il modo di fare la corte a Gilda, no?” sottolineò
Jamie, ammiccando.
Emy lo fissò esasperata,
riprendendo a
camminare verso l’ascensore per poi borbottare: “Ci
mancavi solo tu, a volermi
controllare a vista.”
“Chi altro ti controlla a
vista?”
ironizzò lui.
Nel salire nella cabina
rettangolare
dell’ascensore, Emy mugugnò: “Lo sai
bene. Gilda e lo sceriffo sono peggio di
due mastini, e poi…”
Un silenzio imbarazzato scese ad
ammorbare l’aria e Jamie, fattosi serio, mormorò:
“Anthony?”
“No… beh,
sì. Ma anche no” balbettò
incoerentemente lei, prima di maledirsi per la propria insicurezza.
“Insomma, è
la quintessenza dell’educazione, della pazienza e della
ragionevolezza, e io mi
sento un’idiota per la metà del tempo, e per
l’altra metà una stronza.”
“Non
c’è male” chiosò il giovane,
fischiando per la sorpresa.
Jamie conosceva benissimo i
trascorsi
della sorella con Anthony, figlio del titolare dell’elegante
albergo dove sua
sorella aveva soggiornato durante il primo periodo a Nederland, e
capiva bene
perché Emily si sentisse a disagio.
Era difficile non esserlo, sapendo
di
aver quasi fatto impazzire un brav’uomo nel verso senso della
parola, e tutto a
causa delle proprie idiosincrasie.
La sorella non era mai scesa nei
dettagli, ma gli aveva fatto capire come, la crescente intesa tra lei e
Anthony, l’avesse mandata nel pallone in un momento di
intimità.
Le sue paure erano saltate fuori
quasi
come una carica di cavalleria, ed Emily aveva avuto
un’autentica crisi di
panico.
Anthony era stato fin troppo dolce
e
paziente, e le aveva detto di comprendere e, da quel poco che Jamie
sapeva, lui
l’aveva semplicemente lasciata andare, dandole spazio e tempo
per riflettere.
Per vivere la sua vita.
Per riappropriarsi di se stessa,
innanzitutto.
L’evidente disagio della
sorella poteva
voler dire molte cose, ma Jamie non se la sentì di indagare
oltre. Non era
quello il momento.
Le porte dell’ascensore
si aprirono
dinanzi a loro, lasciando che le luci calde della hall li avvolgessero
col loro
calore e Jamie, avanzando assieme alla sorella, mormorò:
“Andiamo a divertirci,
sorellona.”
“Quando mai non
è successo?” replicò lei, sorridendo.
Ampi lampadari in stile liberty si
allargavano sul soffitto a cassettoni color crema e oro, mentre
stupendi vasi
ricolmi di fiori si slanciavano verso l’alto dagli ampi
tavoli imbanditi per
l’occasione.
Sulle pareti color Terra di Siena
erano
stati appesi i ritratti di coloro che sarebbero stati i protagonisti
della
serata; il corpo dei Vigili del Fuoco di Denver. La sera di Natale,
avevano
salvato la vita a non meno di quaranta persone, in totale sprezzo del
pericolo,
e due di loro avevano perso la vita nell’adempimento del
proprio dovere.
Per onorarli, la città
aveva officiato
dei funerali di Stato per le due vittime del rogo – avvenuto
all’interno di un hospice
– e intrapreso diverse attività
atte a sostenere le famiglie e il Corpo.
Harry Cunningham, fratello di
Margareth
ed ex Vigile del Fuoco volontario, aveva voluto contribuire a sua volta
a dare
una mano e, grazie alla sorella, aveva messo in piedi quel vernissage per raccogliere fondi per la
causa.
Margareth aveva intrattenuto i
circa
trecento ospiti con un breve discorso introduttivo prima di dare il via
alla
festa vera e propria, cui era seguita una cena e un ballo in grande
stile.
In quel momento, Margareth stava
parlando
con alcuni imprenditori dell’acciaio di Seattle, tutti
apparentemente incantati
dalla sua parlantina sciolta e il suo charme. Emily la
osservò mettere in campo
tutto il suo fascino e la sua arguta intelligenza, le stesse
qualità che avevano
fatto capitolare il vecchio Poitier, facendola accettare nella ricca e
potente
famiglia del futuro marito.
“Mia sorella mi sorprende
sempre. Come
al solito, anche questo gala è splendido”
esordì una voce alle spalle di Emily.
Volgendosi a mezzo, la giovane
sorrise
all’uomo magro ed elegante che le stava innanzi e,
abbracciandolo con calore,
mormorò: “Zio Harry. Che bello vederti!”
“Tesoro, devo dirtelo.
Diventi più
bella ogni giorno che passa.”
Accentuando il suo sorriso, Emy si
scostò per scrutare l’uomo, alto di statura e dal
portamento elegante e fiero.
Nessuno avrebbe potuto mettere i piedi in testa a Harry Cunningham, di
questo
Emily era più che certa.
Il suo carattere deciso, la sua
capacità imprenditoriale e, non da ultimo, la sua simpatia,
lo avevano aiutato
non poco, quando aveva iniziato a lavorare in campo minerario. Come
accadeva in
molti ambiti, anche quello era dominato da vecchie e prestigiose
famiglie, ed
essere figli di operai non aiutava a farsi notare.
Il suo operato – e il suo
fiuto per gli
affari – avevano però creato la magia perfetta e,
giunto all’età di sessantatre
anni, Harry era uno dei magnati più importanti nel suo campo.
“Dove hai lasciato zia
Maude?” si
chiese Emily, guardandosi intorno.
“Oh, è a casa
con Kathleen e Susan.
Sono riuscite a farsi espellere all’unisono da Dartmouth, e
dobbiamo ancora
scoprire perché” ironizzò Harry, i
chiari occhi azzurri spalancati per lo stupore
e l’ironia.
Scoppiando in una risatina limpida,
Emy
esalò: “Credo che entrerà negli annali
della famiglia!”
“I gemelli sono sempre
stati dei
peperini, ma stavolta pare che abbiano dato il meglio di loro
stessi” chiosò
l’uomo, parlando con un certo orgoglio delle proprie figlie
minori. “Ho visto
tuo fratello, prima. Sembra in forma, nonostante il caos provocato da
Lisbeth.”
“Jamie è una
roccia ma non dubito che,
dentro di sé, si sia rammaricato non poco di averle dato
corda” ammise Emily,
sorseggiando del buon vino californiano.
“Certe donne
attirerebbero nei guai
anche un santo” motteggiò Harry, brindando assieme
alla nipote.
“A proposito di santi, il
tuo geologo
doveva recarsi alla Saint Mary
proprio in questi giorni, da quel che so” chiosò
Emily, fissando piena di
curiosità lo zio.
Zio che, sgranando leggermente gli
occhi, esalò confuso: “Saint… Mary?
Mio… geologo? Parli per enigmi, cara?”
“La Saint
Mary è una vecchia miniera, e il geologo
è Parker Jones” gli rammentò lei,
sorridendo melliflua.
“Oooh”
mormorò lui, annuendo ora con
vigore. “D’accordo, la mia memoria sta cominciando
a mostrare i primi segni di
cedimento. Dimenticavo che i ragazzi hanno appaltato i lavori a una
piccola
impresa di città. Ho
ricevuto il
primo resoconto giusto l’altro ieri.”
“Quindi, sei davvero
interessato a
riaprire qualche miniera nella zona?”
“Tesoro, il mercato
è mutevole come il
carattere di una donna…” ironizzò
l’uomo, facendola sorridere divertita.
“… ma,
più di tutto, lo sono i malati di tecnologia. E la
tecnologia richiede minerali
nobili che, guarda caso, venivano estratti in zona. Sto solo cercando
di capire
se, a tutt’oggi, valga la pena riaprire qualche
sito.”
“Io non c’entro
niente, quindi.”
“Ti amo davvero tanto,
Emy…” le sorrise
Harry, dandole un buffetto sul braccio. “… ma non
ficcherei mai il naso a
questo modo nei tuoi affari. Mi basta chiamarti, se voglio sapere come
stai.”
“Vero” ammise
lei. In effetti, suo zio
non si era mai fatto grosse remore, nel chiamarla, ed Emy ne era stata
ben
felice. Tutt’altra storia era stata con zio Armand, che
invece si era defilato
subito dopo la fine del processo.
Fosse stato a causa di zia
Bérénice, o
per qualche altro motivo, lo zio non si era quasi più fatto
sentire.
Con zio François,
invece, il piccolo di
casa Poiter, intratteneva una lunga e prolifica amicizia epistolare.
Quasi
obbligata, tra l’altro, visto che François
viaggiava per il mondo per quasi
undici mesi l’anno.
In parte, le spiaceva non avere lo
stesso rapporto con suo padre, ma non se la sentiva davvero di
perdonarlo,
nonostante lui avesse tentato in tutti i modi di riallacciare i
rapporti.
La ditta aveva contato molto
più di
lei, a suo tempo, e su questo non sarebbe mai passata sopra.
“Sirenetta…
esci da lì. I tuoi occhi si
sono fatti tristi” sottolineò Harry, ammiccandole
comprensivo.
Era buffo come suo zio fosse sempre
stato capace di leggerle dentro. Prima ancora di sua madre, prima
ancora di
Jamie.
Lei assentì,
scacciò i brutti pensieri
e tornò a dedicarsi a Harry, dicendo: “Comunque,
volevo farti sapere che Parker
Jones mi sembra un tipo competente. Si è messo subito al
lavoro, senza
aspettare, e trasporta tonnellate di macchinari tutto da
solo.”
Sorridendo divertito, Harry
dichiarò: “Oh,
ricordo bene quanto pesano le trivelle, i carotatori e
quant’altro. Mi spiace
però sapere che il suo titolare lo abbia mandato da solo.
Forse, avrei dovuto specificare che
era un appalto per almeno due persone. Quindi,
tu mi dici
che è un tipo affidabile? E come lo sai?”
Irrigidendosi leggermente, lei
borbottò: “Non pensare subito male. L’ho
solo accompagnato alla Cold Snow.
Inoltre, piace a Cleo.”
“E con questo chiudiamo
la partita. Se
piace a Cleopatra, io sono a posto” chiosò Harry,
sfregandosi le mani
soddisfatto.
Ridendo divertita, Emily
esalò: “Se
farà dei cuccioli, te ne regalerò
senz’altro uno.”
“Non vedo
l’ora” asserì l’uomo, prima
di fare un cenno a qualcuno.
Emily non fece in tempo a volgersi
che
Jamie le avvolse la vita con un braccio, attirandola a sé
per un bacio
spontaneo sulla tempia.
Quel gesto improvvisato e
tutt’altro
che naturale, per il fratello, la fece però irrigidire tutta
e Jamie,
spiacente, allentò subito la presa e mormorò:
“Ops. Scusa. E dire che dovrei
saperlo.”
“Non fa niente. So che
sei tu. E’ solo
un riflesso” replicò lei, appoggiandosi quindi
contro al fratello per farsi
perdonare.
Era inutile. Per quanto si
sforzasse,
il suo corpo reagiva malamente a qualsiasi cosa a cui lei non fosse
seppur
lontanamente pronta, ivi compresi gli abbracci spontanei del fratello.
Si demoralizzava ogni volta, al
pensiero di ferirlo, ma non era ancora riuscita a trovare il modo per
evitarlo.
Jamie allora le sorrise e
spostò il
braccio dalla sua vita alle sue spalle, così da renderle
più semplice accettare
la sua presenza.
Era difficile, per lui, sopportare
simili distanze, poiché era sempre stato molto affettuoso e fisico, negli atteggiamenti,
specialmente dopo il rapimento.
Forzarlo a essere meno espansivo
era
paragonabile a tarpare le ali a un’aquila, ed Emily lo sapeva
bene, ma sperava
di poter risolvere anche quel problema, un giorno.
N.d.A.:
Piccolo spaccato mondano della vecchia vita di Emily, a cui lei non si
è mai abituata. Facciamo anche la conoscenza con suo
fratello Jamie, la madre Margareth e suo zio Harry, scoprendo
altresì che i rapporti con la famiglia Cunningham sono
decisamente migliori rispetto a quelli con la famiglia Poitier (con
l'eccezione di zio François). Sarà solo a causa
del rapimento di Emily, o ci sarà dell'altro? E
cos'è successo a Bérénice? Tenete a
mente la sorella di Jordan e Armand, perché avrà
un ruolo piuttosto importante, nel passato di Emily.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
4.
Era divertente vedere come Jamie si
stesse impegnando per evitare il maggior numero possibile di
pozzanghere,
disseminate lungo il tratto di strada che conduceva a casa sua.
L’amore per le auto era
secondo solo all’amore
per il mare, per il fratello, e sapere di stare riducendo la sua
Mustang Shelby
500 a un ammasso uniforme di fango, sicuramente lo stava mandando al
manicomio.
Abitare nei paesini di montagna,
però,
poteva comportare anche arrampicate lungo erte sterrate e,
benché casa sua si
trovasse nei pressi del centro di Nederland, la strada non era
asfaltata.
Quando infine raggiunse il cortile
della sua proprietà e si vide affiancare da Jamie, Emily non
poté più reprimere
la risata che le era rimasta bloccata in gola fino a quel momento.
Jamie stava imprecando della grossa
e,
anche quando scese per scoprire il disastro che si era compiuto sulla
sua auto,
le parole continuarono a fluire come un fiume in piena.
Fiume che, però, si
arrestò
immediatamente non appena, nel giardino dei vicini, fece la sua
apparizione un
bambino di circa sette anni.
Emily sorrise spontaneamente nel
vedere
Mickey Larson e il bimbo, riconoscendola, si avvicinò alla
bassa staccionata di
tronchi, esclamando: “Emy, ciao! Cleo è ancora da
Gilda? O è con Parker?”
A quanto pareva, le notizie
correvano
più veloci della Mustang del fratello ed Emily, sorridendo
al figlio dei vicini
che tanto adorava, assentì e si avvicinò a lui.
“Ciao, Mickey. Vado a
prenderla adesso
al diner. Ti ricordi di mio
fratello
Jamie?”
Lui assentì con ampi
gesti del capo ma,
nel vedere la sua auto insozzata di fango, scoppiò a ridere
e disse: “Mi sa che
devi pulirla tutta, adesso.”
“Temo di
sì” sospirò Jamie, lanciando
un’occhiata demoralizzata all’auto.
In quel mentre, uscì in
giardino anche
Consuelo, la madre di Mickey e, con un gran sorriso e un vassoio in
mano,
esordì dicendo: “Appena ti ho vista arrivare, sono
corsa in cucina. Ho appena
fatto la torta di ribes per te.”
“Sei un tesoro, Consuelo,
ma non dovevi
disturbarti” replicò Emily, pur accettando il
presente. “Come va con il discolo
lì dentro?”
Consuelo rise nel battersi una mano
sul
ventre prominente e asserì: “Oggi ha fatto gli
straordinari, ma Mickey è stato
così bravo da cantare una ninna nanna per il fratellino. A
quanto pare ha
funzionato, perché si è calmato un
poco.”
Ammiccando poi a Jamie, che le
stava
sorridendo cordiale, aggiunse: “Quand’è
che ti vedrò arrivare con una donna,
invece che con un’auto nuova?”
“Se vuoi fuggire con me,
io sono sempre
pronto, Consuelo” ironizzò Jamie.
“Credo che il mio Sam
avrebbe qualcosa
da ridire” ammiccò la giovane, poggiando le mani
sulla schiena per stirarsi un
poco. “Ora, credo che andrò a sdraiarmi. Ha
ricominciato a scalciare.”
“Vengo a cantare,
mamma!” si offrì
subito Mickey, eccitato all’idea di poter essere
d’aiuto.
“D’accordo”
assentì la madre, salutando
poi i Poitier con un gran sorriso e la promessa di una cena insieme.
Ritiratisi in casa per riporre le
loro
valige, i due fratelli si guardarono vicendevolmente prima di decidere
di raggiungere
subito il diner di Gilda,
lasciando
il resto a un secondo momento.
Di buon passo, quindi, presero a
discendere lungo il ciglio della strada e Jamie,
nell’osservare l’erta
interrata, borbottò: “Ma quando ve la
asfalteranno?”
“Quando il Governatore si
ricorderà che
ci abita qualcuno, qui” ironizzò Emily, lanciando
un’occhiata distratta alla
trentina di case che sorgevano lungo quel tratto di mulattiera lungo
miglia e
miglia, e che si inerpicava nei boschi sovrastanti.
“Lo dirò alla
mamma. Lei lo conosce, e
potrebbe mettere una buona parola” dichiarò
lapidario Jamie, lanciando occhiate
irritate alle pozzanghere melmose.
“Solo perché
ti si è inzaccherata
l’auto?” rise Emy, camminando con
facilità sul bordo erboso grazie alle sue
Salomon Speedcross3.
Jamie si era intestardito nel voler
indossare i suoi mocassini, ma ora Emily era più che sicura
che se ne fosse
pentito.
“E’ una
questione di sicurezza” precisò
lui, sollevando un dito con fare piccato.
Lei rise di gusto a quel commento e
Parker, impegnato in quel momento a sistemare il suo pick-up in
cortile, levò
il volto ombroso per capire cosa stesse succedendo.
Nel vedere Emily in evidente
intimità
con un giovane mai visto prima nei dintorni, intenta a discendere con
lui lungo
Ponderosa Drive, si chiese chi fosse e se la gente del posto lo
conoscesse. Ora
del tutto disinteressato al pick-up e ai danni occorsi durante
l’ultimo lavoro
di ricerca, poggiò le mani sui fianchi e si mise a curiosare
con lo sguardo la
coppia in avvicinamento.
In quei giorni aveva pensato
– forse
scioccamente – di aver visto più o meno tutti i
mille e pochi altri abitanti di
Nederland presso il bar di Gilda ma, evidentemente, quel tipo se
l’era perso.
Oppure, non era affatto del posto.
Dalla loro affinità, però, sembravano conoscersi
molto bene e davano l’idea di
provenire dallo stesso luogo, dallo stesso stampo primigenio, per
così dire.
Anche quel giovane aveva la stessa
classe innata che possedeva Emily, quell’aura di antichi
fasti che pareva
permeare la giovane come un profumo persistente e mai del tutto
scomparso.
Che fosse…
“Ciao, Parker!”
esclamò Emily, salutandolo
per poi fermarsi di fronte al suo cortile. “Allora?
Com’è andata la notte con
Cleo?”
“Ciao, Emily. Quella
cagnolona è
adorabile, ed è stato un piacere tenerla con me”
replicò Parker, studiando la
coppia con attenzione. A ben vedere, avevano occhi molto simili, e
anche
l’incarnato non si discostava molto. “Gilda
è venuta a prenderla stamattina per
portarla a passeggiare assieme al suo corgi, perciò dovreste
trovarli al diner, ormai.”
“Lui è Jamie,
mio fratello” disse nel
frattempo Emy, indicandoglielo.
Per
l’appunto,
pensò tra sé Parker, spolverandosi le mani nello
straccio che teneva nella
tasca dei pantaloni per poi offrirla al giovane.
“Molto piacere, Parker.
Quindi, tu sei
l’uomo di mio zio” dichiarò Jamie,
stringendo con forza la mano protesa del
geologo.
Sgranando leggermente gli occhi per
la
sorpresa, Parker squadrò Emily in cerca di risposte e lei,
con un sorrisino,
disse: “La ditta che vi ha commissionato i lavori appartiene
a nostro zio.”
“Ah… Harry
Cunnigham è …vostro zio”
gracchiò Parker, prima di scoppiare a ridere divertito.
“Beh, il mondo è
davvero piccolo, a quanto pare.”
“Abbastanza”
assentì Emily, notando
solo in quel momento il danno al pick-up di Parker. “Problemi
lungo i sentieri
sterrati?”
“Una buca assassina,
più che altro. Lo
pneumatico ha ceduto ma, fortunatamente, il semiasse ha resistito
all’urto” le
spiegò lui, mentre Jamie già si sollevava le
maniche della felpa che indossava.
Divertita, Emily osservò
il fratello
mentre, con la competenza di un meccanico da Formula Indy, si
apprestava a dare
una mano a un sempre più perplesso Parker per terminare il
lavoro.
Quest’ultimo non
poté far altro che
accettare l’aiuto, in parte divertito e in parte sconcertato
dall’atteggiamento
del giovane appena conosciuto. Evidentemente, non solo Emily aveva
l’abitudine
di sconcertare le persone.
A prima vista, Jamie Poitier poteva
sembrare il classico snob delle classi agiate, dagli abiti di sartoria
pregiata
e le scarpe dai nomi altisonanti ma, di fronte a una quattro ruote,
sembrava
perdere qualsiasi inibizione.
Chiesto a Parker di poter usare il
suo
carrellino sottoauto per controllare la situazione delle cuffie dello
sterzo,
Jamie si infilò sotto il pick-up come se lo facesse
d’abitudine. E al padrone
dell’auto non restò altro che osservare quel
ragazzo dell’East Coast, dai bei
lineamenti e la parlata elegante, vestire i panni del meccanico.
Emily, a quel punto, si
appoggiò alla
staccionata per osservare i due uomini con espressione divertita. Le
era sempre
piaciuto il modo in cui Jamie si relazionava con le persone, e anche
quella
volta non la deluse.
Lui era la quintessenza della
spensieratezza, della semplicità e della
genuinità e, anche se poteva contare
su un patrimonio personale a sei zeri, non lo avrebbe mai sbandierato
come solevano
invece fare altre persone di loro conoscenza.
Certo, Jamie sfruttava le sue
conoscenze e i suoi soldi per condurre una bella vita, ma non aveva mai
prevaricato nessuno, nel farlo. E, se poteva, utilizzava proprio la sua
posizione per aiutare chi non aveva altrettanta fortuna.
Emily ricordava ancora quando,
durante
il terremoto di Haiti del 2010, era partito in prima persona con i
membri di una
Onlus di cui era membro, tornando a casa solo tre mesi dopo.
Ciò che aveva visto in
quei luoghi lo
aveva così segnato da spingere Emily a volerlo lì
a Nederland a tutti i costi,
così che la sua mente potesse riprendersi dallo shock.
Vedere tutti quei bambini senza
più
genitori, la devastazione lasciata dal terremoto, o
l’arrivismo di certi
sciacalli a stento controllati dalla polizia, lo aveva devastato. Suo
fratello
era così; molto solare, ma anche sensibile. A volte persino
troppo.
“C’è
una piccola perdita in un
manicotto, ma niente che non si possa risolvere” disse in
quel mentre Jamie,
strappando la sorella a quei ricordi tristi.
“Devi avere un occhio di
falco, perché
non l’ho affatto notata” esalò Parker,
ammiccando a Emily un attimo dopo, la
quale sorrise per diretta conseguenza.
“Jamie ha olio da motori
al posto del
sangue e, se controlliamo bene, potrebbe avere camme e pistoni, invece
di cuore
e polmoni” ironizzò Emy, sollevandosi con un
balzello dalla staccionata. “A lor
signori scoccia se vado a riprendere Cleopatra mentre voi giocate a
Meccano?”
“Fatti preparare da Gilda
le sue famose
lasagne, così le mangeremo insieme più tardi. Mi
sono mancate” le propose
allora il fratello.
“Mangi con
noi?” domandò a quel punto
Emily, scrutando curiosa Parker.
“Non vorrei
disturbare” sottolineò
Parker, per pura cortesia.
“Nessun
disturbo” decretò Jamie,
allungando una mano per chiedere una chiave a brugola.
Emily, allora, li salutò
per
incamminarsi verso la locanda di Gilda ma, non appena raggiunse il
fondo
dell’erta e mise piede sull’asfalto, la berlina di
Anthony apparve nel suo
campo visivo.
Come sempre, la vista del giovane
la
turbò per svariati motivi ma, sapendo bene di non doversi
comportare da
stupida, si incollò in viso un bel sorriso e lo
salutò con una mano.
Lui rallentò fino a
fermare l’auto sul
bordo strada e, nel calare il finestrino della sua Ford Taurus blu
notte,
sorrise di rimando e disse: “Ciao, Emily. Sei rientrata dal
tuo viaggio,
allora.”
Annuendo, Emy infilò le
mani nelle
tasche dei jeans, non sapendo cosa farsene e, indicando con il capo
verso
l’alto, replicò: “Mi sono tirata dietro
mio fratello, nel frattempo.”
“Credo piuttosto che
Jamie si sia
autoinvitato, conoscendolo” ironizzò il giovane,
passandosi distrattamente una
mano tra le onde di capelli castani, arruffate da
un’improvvisa folata di
vento.
Emy non poté che ridere
di quel
commento. In effetti, fino a quando tutto era andato bene, tra loro
due, anche
Jamie e Anthony avevano potuto portare avanti una sorta di amicizia a
distanza.
Skype si era rivelato molto utile,
in
tal senso, ma Emily aveva rovinato tutto andando fuori di matto e
spingendo
Anthony ad allontanarsi per la sua stessa salute mentale. Di comune
accordo,
anche Jamie si era allontanato da Tony, così da non
costringerlo a essere sotto
pressione a causa della sua parentela con Emily.
“Emy…”
mormorò Anthony, riportandola al
presente e guardandola con espressione comprensiva e dolce.
“L’ho rifatto.
Scusami” sospirò la
giovane, scuotendo irritata il capo. Ma perché con Parker
riusciva a essere
spigliata e tranquilla, mentre con Anthony si ritrova a vagare nel
dubbio e
nell’ansia?
“Non devi mai scusarti di
nulla,
davvero. Io capisco” asserì Anthony.
“Ma non sei tenuto a
scusarmi!” sbottò
Emily, prima di esalare un sospiro irritato e borbottare:
“Dio! Dovrei tornare
in analisi, altro che storie!”
“Non per me, poco ma
sicuro” cercò di
rincuorarla lui, sorridendole.
“Dovrebbero farti
santo” ironizzò a
quel punto Emily, ridendo nervosamente.
Anthony fece per replicare ma, nel
veder passare il padre sulla sua Range Rover scura, si
azzittì e aggrottò la
fronte.
Emily lo osservò a sua
volta passar
loro accanto, la fronte accigliata e lo sguardo odioso puntato sul
figlio.
Non aveva mai sopportato
quell’uomo,
fin dai tempi in cui si era trasferita a Nederland e aveva soggiornato
per i
primi mesi nell’albergo della famiglia di Anthony.
William Consworth si era dichiarato
fin
da subito lieto di poter accogliere, nel suo piccolo albergo di
montagna, la
figlia di un ricco magnate dell’Est – suo padre
aveva insistito per pagare
tutte le spese fino all’ultimazione della casa, e lei aveva
suo malgrado accettato.
Consworth senior l’aveva
trattata con
tutti i riguardi, riservandole un trattamento davvero speciale e
obbligando il
figlio a farle praticamente da servo della gleba.
O almeno, quelli erano stati i suoi
intenti. Lei e Anthony avevano però fatto di testa loro,
infischiandosene dei
ben poco segreti desideri dell’uomo.
Emily non aveva mai avuto bisogno
di
domestici, né Anthony aveva mai pensato che lei avesse
bisogno di questo, da
lui.
Quel puntiglio nel non voler
rispettare
i dettami di Consworth senior aveva spinto entrambi ad avvicinarsi, ad
approfondire la conoscenza e, da quella conoscenza, era nato un
sentimento
profondo.
E il successivo disastro.
“Lui non la pensa come
te” mormorò
Anthony, facendola sbuffare per diretta conseguenza e ritornare al
presente..
“Tuo padre ha sempre
preteso troppo.
Scusami, ma la penso così” scrollò le
spalle Emy, accigliandosi a sua volta.
“Oh, non scusarti per
quello che hai
detto. Dici solo a voce alta quello che io penso da tempo”
cercò di ironizzare
lui, prima di aggiungere divertito: “Sbaglierò, ma
la tua cagnolona ti ha visto,
e ora sta tentando di attirare la tua attenzione.”
Sobbalzando leggermente per la
sorpresa, Emily si volse verso la locanda e, scoppiando a ridere, vide
Cleopatra davanti alla porta d’entrata assieme a una delle
cameriere di Gilda,
che la teneva al guinzaglio perché non scappasse in strada.
Il bovaro bernese stava
passeggiando
avanti e indietro, scodinzolando freneticamente e guardandola con occhi
pieni
di speranza e di gioia.
“Di questo passo
farà un solco davanti
all’entrata” esalò Emily.
“Ti lascio andare da lei,
allora.
Quanto al resto, fai una passeggiata con Cleopatra.
Funzionerà meglio di mille
sedute dal terapista” le consigliò Anthony,
arrischiandosi ad allungare una
mano per darle una pacca sul braccio.
Lei afferrò quella mano,
la trattenne
per un attimo e mormorò: “Anthony,
senti…”
“Te lo dirò
finché non ne sarai
convinta. Va tutto bene. Non sei pronta? Va bene. Vuoi un altro uomo?
Non
andrebbe così bene, ma me lo farei stare
bene. Tengo a te come amica, innanzitutto.
D’accordo?”
Lei storse il naso,
lasciò andare la
mano e borbottò: “Ribadisco. Dovrebbero chiamarti
Sant’Anthony.”
“I santi, di solito, sono
morti, e io
non ci tengo a cambiare così tanto
status” ironizzò lui, svincolandosi con gentilezza.
Lei lo lasciò andare e,
nel salutarlo
quando l’auto ripartì, si sentì
sprofondare in un baratro di colpevolezza e
rabbia.
Nel raggiungere infine la tavola
calda
a grandi passi, sorrise a Susan – la cameriera del diner che aveva accompagnato fuori Cleo
– a mo’ di saluto e
domandò: “Da uno a dieci, quanto sembravo
stupida?”
“Non tanto,
dai” cercò di
tranquillizzarla, mentre le offriva il guinzaglio di Cleopatra.
“Pensa a
questo; sai che Anthony è il tipo giusto, visto che ti sta
ancora aspettando.”
Susan era una delle poche a
conoscere i
veri motivi che l’avevano spinta ad allontanarsi da Anthony,
facendo colare a
picco di colpo la loro relazione.
Oltre a lei, soltanto Gilda e Jamie
conoscevano tutta la storia. Per gli altri abitanti di Nederland,
invece, era
stata colpa di William, se loro due si erano lasciati, e a lei stava
anche bene
così.
Che William si prendesse pure
quella
colpa, con quello che faceva passare ogni santo giorno al figlio!
“E se io non fossi mai
pronta per lui?
O per qualsiasi altra persona?” sbottò Emily,
passandosi una mano nervosa tra i
capelli biondo platino.
“Con Parker vai
d’accordo, no?” le fece
notare lei, ammiccando maliziosa.
“Beh, sì,
però… insomma…”
“Emy, quando sei arrivata
qui, sembravi
un pulcino bagnato appena uscito dal guscio. Eri terrorizzata dalla tua
stessa
ombra e, quando ti sei messa con Anthony, forse era semplicemente
troppo
presto. Ora, con Parker, sembra che tu abbia raggiunto un buon
equilibrio. Mi
sei sembrata spigliata e tranquilla, con lui.”
“Ma non ci voglio fare
nulla, con
Parker!” brontolò Emily, arricciando il naso per
il fastidio.
Susan rise divertita, di fronte
alla
sua reazione e replicò: “Mica te lo devi portare a
letto, tesoro. Ma se ti fa
star bene, ben venga, no?”
“E se lui interpretasse
male? Se…”
tentennò lei, subito interrotta da Susan.
“Ovviamente non conosco
bene Parker, ma
non mi sembra un idiota. Se dovessi proprio vedere che lui vuole
portare il
vostro neonato rapporto in un’altra direzione, gli dirai di
no” scrollò le spalle
Susan, prima di ammiccare e domandare: “Perché non
vuoi, vero?”
“E’
chiaro” sbuffò Emily, dandole un
buffetto sul naso.
Susan ammiccò maliziosa
e,
nell’invitarla a entrare nella tavola calda,
mormorò cospiratrice: “Sii chiara
da subito, perché ho intenzione di provarci io, con
lui.”
“Fai pure”
borbottò ridente Emily,
sospingendola all’interno.
***
“Ancora a perder tempo
dietro alla
Poitier? Non ti è bastato essere mollato una volta? Devi per
forza renderti
ridicolo e farti vedere da mezzo paese mentre le sbavi dietro come se
fossi l’ultimo
uomo sulla Terra?” esordì con una certa acredine
William Consworth, entrando
nel garage dove Anthony stava sistemando la sua moto da enduro.
Il giovane levò appena
lo sguardo per
inquadrare la figura imponente e tozza del padre, stagliata
sull’entrata del
garage come un’ombra inquietante e rabbiosa.
Se fossero stati in un Anime
giapponese, avrebbe emesso fiamme e strali, Anthony ne era certo. A
ogni buon
conto, i suoi occhi accesi di rabbia sembravano emetterli davvero, e
quell’ira
era interamente riservata a lui.
Il fatto che, a distanza di quattro
anni, ce l’avesse ancora con lui perché la
relazione con Emily era finita, la
diceva lunga su quanto il padre fosse un ipocrita. L’unico
motivo per cui si
era interessato a quella storia aveva un nome, ed era denaro.
La possibilità di avere
come nuora
un’ereditiera del calibro di Emily Poitier aveva talmente
tanto solleticato le
sue papille gustative da averlo quasi mandato al manicomio, quando
Anthony gli aveva
detto della loro rottura.
La lite che era scoppiata in casa
aveva
quasi varcato le soglie dell’albergo, rischiando di giungere
fino alle orecchie
di ospiti e dipendenti.
Gli amici più stretti di
Anthony lo
avevano saputo per bocca sua e, per quanto riguardava William, nessuno
poteva
considerarsi un amico, per lui.
Gilda aveva ascoltato le
riflessioni
furiose di Tony e si era detta completamente dalla sua parte, e anche
Jamie non
gli aveva fatto una colpa per aver mollato la presa, di fronte al
crollo di
Emily. Si era anzi sentito in dovere di scusarsi per la sorella, pur se
non ve
n’era stato alcun bisogno.
Da quel momento, i rapporti
già tesi
col padre si erano ulteriormente sfilacciati e, tra loro,
l’argomento ‘Emily
Poitier’ era diventato una sorta
di campo minato, con cui poter scatenare ogni volta una guerra diversa.
“Il fatto che io e lei
non siamo più
una coppia, non significa che non possa essere ancora un suo
amico… o non
concepisci proprio l’idea che possano esistere degli
amici?” replicò serafico
Anthony, tornando alla sua moto e al suo cambio dell’olio.
“Amici!
Usi quella parola a sproposito, visto che un tuo
amico ti ha rubato la donna e il figlio, e la donna che
pensavi
di amare ti ha tradito e si è portata via il frutto del tuo
seme!” sbottò il
padre, picchiando un pugno sul bancone da lavoro del garage.
Tony si irrigidì, a
quelle parole, si
levò in piedi con lentezza per trattenersi dal gettarsi
addosso al padre e, nel
volgere lo sguardo, replicò con un ringhio furioso:
“Ancora con questa storia
di Mickey? Quante volte dovrò dirti che non
è mio figlio?! Io e Consuelo non
stavamo più insieme da mesi! Non potrebbe essere mio neppure
volendo! E quanto
alla mia amicizia con Samuel, niente potrà rovinarla, e di
certo non il tuo
veleno!”
“Sei solo un
perdente” sbottò William,
fissandolo pieno di spregio. “Uomini come te non sarebbero
sopravvissuti un solo
giorno, in Vietnam… ti avrebbe davvero fatto bene scendere
in campo durante la
guerra in Iraq. Almeno saresti diventato un uomo vero, e non una mezza
calzetta
come sei ora. E’ un vero peccato che abbiano tolto la leva
obbligatoria.”
“Tolsero la leva
obbligatoria proprio per evitare
ciò che successe a voi
in Vietnam” precisò per contro
Anthony, stringendo i denti fin quasi a farseli dolere.
Di quell’epoca sapeva
poco o nulla di
prima mano, se non ciò che dicevano i libri di storia o le
serie TV e, da suo
padre, non aveva mai sentito una sola parola in merito. Neppure il
nonno aveva
mai saputo realmente ciò che era accaduto al figlio, durante
quell’anno e mezzo
passato tra la giungla vietnamita e la città di Saigon.
Di sicuro, lo aveva cambiato al
punto
tale da non fidarsi più di nessuno, almeno a detta dei suoi
nonni. Se da una
parte il nonno gli aveva confidato quanto, quella guerra, avesse tolto
certi
grilli dalla testa del figlio, dall’altra aveva
però instillato in lui un odio
viscerale nei confronti delle persone.
William Consworth era tornato
profondamente cambiato, e non necessariamente in senso positivo.
Come molti reduci, aveva sofferto
di Sindrome
Post Traumatica da Stress e, come quasi tutti, non aveva ricevuto le
giuste
cure mediche e psicologiche da parte di quella Patria che li aveva
mandati in
quell’inferno per combattere.
Da quel poco che Anthony aveva
saputo
dalla nonna, il figlio era stato in cura presso uno studio psichiatrico
per non
meno di due anni, ma ciò non aveva sortito gli effetti
desiderati.
La rabbia, il risentimento e la
sfiducia nelle persone era perdurata e, se possibile, l’odio
tra figlio e padre
era persino peggiorato.
Neppure l’avvento di
Marlene – la madre
di Anthony – nella vita di William, aveva sortito i benefici
sperati.
Figlia di una coppia di insegnanti
appartenenti
alla Chiesa Avventista, si era trasferita a Nederland poco dopo la
partenza di
William per il fronte. Quando William e pochi altri giovani del paese
erano
tornati, la ragazza si era subito avvicinata al giovane Consworth, come
attirata dalla sua aura.
Fosse stato il fascino della
divisa, o
una sorta di passione per il lato più oscuro delle persone,
Marlene era
diventata quasi l’ombra di William. Avevano iniziato a
frequentarsi poco tempo
dopo, nonostante il parere contrario della famiglia di lei e, dopo la
fine
delle cure psichiatriche di Will, si erano sposati.
Quasi un anno dopo, era nato
Anthony.
Tutto era sembrato andar bene, per
un
po’, e William era parso rasserenato all’idea di
aver avuto un erede, ma
quell’apparente quiete non era durata a lungo.
Quando Anthony aveva da poco
compiuto tre
anni, erano cominciate le prime scappatelle di Marlene, forse
stancatasi
dell’uomo che aveva sposato, o forse resasi conto della sua
vera anima.
Dapprima, queste brevi avventure
erano
state appannaggio di una notte, lampi di fuga da una realtà
divenuta sempre più
stretta ma, con il passare degli anni, le cose erano peggiorate, fino a
diventare di dominio pubblico.
L’idea di perdere la
moglie per un
altro, però, non era affatto piaciuta a William e, sempre
più spesso, le liti
erano state appannaggio quasi quotidiano della famiglia Consworth.
Fino al giorno della scomparsa di
Marlene.
Se mai William aveva veramente
amato Marlene,
quel giorno l’uomo cancellò per sempre il nome
della donna dalla sua mente,
obbligando il figlio e i genitori a fare lo stesso.
I genitori di Marlene lo accusarono
di
essere la causa della fuga della figlia, ma lui non vi diede alcun
peso,
replicando loro che la causa prima dei problemi della donna erano stati
loro,
con la loro ristrettezza morale.
Mai più, in casa
Consworth, il nome
della donna era stato citato pur se, per ironia della sorte, il Caso
beffardo e
crudele aveva voluto che Anthony assomigliasse in tutto e per tutto a
Marlene.
Gli stessi capelli castani, gli
stessi
occhi azzurri come il cielo d’estate, la stessa carnagione
chiara di stampo
teutonico.
Forse, anche questo ultimo scorno
aveva
reso impossibile a William amare il figlio e, nel corso degli anni, il
loro
rapporto era divenuto sempre più difficile, sempre
più conflittuale.
Marlene, alla fine, non era mai
scomparsa del tutto dalla vita di William, perché lei aveva
continuato a
tormentarlo tramite il figlio.
Come se, nella sua vita, non avesse
sofferto abbastanza, non avesse avuto abbastanza demoni da scacciare
dalla sua
vista.
N.d.A.
: facciamo maggiormente la conoscenza del padre di Anthony, William
Consworth, e scopriamo quanto il rapporto tra i due sia teso per
molteplici motivi.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
5.
Gennaio 1970 – Nederland
Gettando una maglia nella sacca che avrebbe portato con sé a Fort Carson, dove sarebbe poi stato smistato in una delle tante compagnie dirette in Vietnam, William guardò di straforo il padre e sibilò: “Finalmente ti liberi di me. Spero sarai soddisfatto.”
“Pensi davvero che mi faccia piacere sapere mio figlio in quell’inferno di palme e vietcong?” replicò Darren Consworth, stringendo la mano sul pomolo del bastone su cui reggeva il suo peso.
La ferita che aveva riportato durante una brutta battuta di caccia – finita male non solo per lui, ma anche per un altro paio di suoi amici – gli pesava particolarmente, in giornate come quelle.
Nederland sembrava scomparire tra alte coltri spumose e gelide e i suoi acciacchi, spesso dimenticati, tornavano a infiacchirlo, facendolo sentire molto più vecchio dei suoi trentanove anni.
La giornata, di per sé plumbea e triste, sembrava però rispecchiare il suo animo uggioso e tormentato. Non avrebbe potuto essere altrimenti, visto che stava mandando il suo unico figlio in guerra.
Sprezzante, William non sembrò accorgersi del dolore del padre e, con un gesto secco, si infilò un pacchetto di sigarette nella tasca posteriore dei pantaloni. Sorridendo quindi con fare sardonico, chiosò: “Non aspettavi altro che di darmi una lezione, e il caro Zio Sam ti ha dato una mano, no? Non sei contento che non spetti a te farmi passare la voglia di fare quel che voglio?”
“Non devi vederla così” sospirò Darren, avanzando di un passo all’interno della stanza del figlio.
Accigliandosi subito dopo, l’uomo percepì l’inconfondibile e dolciastro odore della marijuana e, per quanto gli spiacesse ammetterlo, per un attimo diede ragione alle parole profferte dal figlio. Sperava davvero che quell’esperienza estrema lo rimettesse sulla retta via, ma era terrorizzato dal fatto che potesse accadere l’esatto contrario.
I ragazzi che tornavano da quell’angolo sperduto del mondo sembravano dei fantasmi, degli autentici ruderi umani, e lui non voleva che questo accadesse anche a Will.
Lasciarlo però alle sue discutibili compagnie e all’abuso di alcool e droghe, non era un’ipotesi attuabile. Finora, nessuno in paese aveva scoperto cosa, in realtà, William andasse a fare a Denver nei week-end, ma non era del tutto certo che avrebbero potuto coprirlo per sempre.
Il suo vecchio amico Gareth Simpson gli era stato di grande aiuto, in questo, avendo più volte fatto chiudere un occhio agli agenti di polizia di Denver, quando William si era cacciato nei guai. Avere dei parenti stretti all’interno del Distretto di Polizia più grande della capitale aveva giovato, e Gareth si era sempre detto disponibile a mettere una parola buona per Will.
Che lo facesse per sincera amicizia, o per farsi perdonare ciò che era successo a Julie anni addietro, Darren non aveva mai voluto saperlo, né mai aveva chiesto all’amico di scuola spiegazioni in merito.
Il solo ricordo di come aveva trovato la sua Julie, una tarda notte di quasi vent’anni addietro, di ritorno dalla festa per i diciotto anni di Gareth Simpson, lo faceva ancora rabbrividire.
Stringendo la mano sul pomolo del bastone, Darren rammentò perfettamente la sensazione di umidore dell’abito di Julie, macchiato in più punti di sangue raggrumato e denso, e che lui aveva sfiorato con dita tremanti.
Quelle stesse dita avevano toccato il volto tumefatto di lei, le sue lacrime copiose e, il più delicatamente possibile, l’avevano aiutata a salire in auto per accompagnarla in ospedale.
I suoi genitori lo avevano scongiurato di lasciarla perdere, di far sì che risolvesse da sola ciò che le era accaduto, ma lui si era rifiutato. Aveva amato Julie fin da quando aveva compiuto tredici anni e, per nulla al mondo, quel sentimento avrebbe mai potuto cambiare.
L’aveva sposata il giorno dopo il suo diciottesimo compleanno, incurante della lieve curva dell’abito di lei all’altezza del ventre, incurante delle occhiate curiose e feroci dei pochi presenti.
Ergendosi a corazza difensiva, aveva protetto la sua Julie dallo stigma sociale – che aveva frainteso tutto, addebitando colpe solo a lei – e, con la forza della persuasione e della cocciutaggine che lo contraddistingueva, aveva fatto accettare la cosa anche ai genitori.
La verità era stata messa sotto silenzio dal padre di Gareth, l’allora sceriffo di Nederland e, da quel giorno, il nome di Paco Ramirez – cugino materno di Gareth – non era più stato neppure sussurrato.
Il bambino nato otto mesi dopo il loro matrimonio era stato tacciato di essere stato concepito al di fuori dei sacri vincoli cristiani ma mai nessuno, in tutta Nederland così come in nessun altro luogo, aveva mai conosciuto la verità.
William era stato cresciuto con il nome di Darren a fargli da scudo e, quando il clamore per quel matrimonio riparatore aveva cessato di essere sulla bocca di tutti, nessuno aveva più avuto nulla da dire.
Come il vento, anche le parole non restavano mai ancorate a un solo luogo, e quelle che avevano chiacchierato su di loro erano svanite col passare delle stagioni.
Darren, semplicemente, aveva preso William tra le braccia e, dichiarandolo suo, lo aveva amato al primo sguardo. Aveva amato fin dall’inizio quel figlio che non aveva una sola goccia del suo sangue, per un semplice – ma importantissimo – motivo.
Quel pargolo era cresciuto sotto il cuore della sua Julie, protetto da quella donna bellissima e coraggiosa che lui aveva amato fin dall’inizio e, per quel motivo, se n’era sempre preso cura.
Quello stesso figlio però, in quel momento, lo stava guardando con odio cieco, convinto che quell’arruolamento forzato fosse il castigo per tanti anni di vita dissoluta e fuori dalle regole.
Forse, se avesse saputo la verità, se avesse saputo con quanta dedizione lui lo avesse condotto nel mondo dandogli il suo nome e la sua protezione, si sarebbe ricreduto.
O forse, lo avrebbe odiato ancora di più.
***
Michael Meyerson si accodò alla breve compagnia di giovani di Nederland pronta per partire per Fort Carson, la certezza nei propri mezzi stretta tra le mani e solo un accenno di paura a irrigidire i tratti del suo viso.
I genitori non si erano dilungati molto con i saluti, ligi alla regola non scritta – almeno nella loro famiglia – che le lacrime servivano solo per i funerali e i battesimi.
Mike li aveva salutati con un abbraccio e con la promessa di scrivere loro ogni qualvolta gli sarebbe risultato possibile dopodiché, con la sua sacca sulla spalla, era uscito di casa per scendere in piazza.
Lì, aveva intravisto il pullman pronto per portarli a sud di Colorado Springs e, da lì, fino al luogo in cui avrebbero ricevuto un primo addestramento e, infine, il ricollocamento finale in una qualche parte sperduta del Vietnam.
Michael era non soltanto orgoglioso di servire il proprio Paese ma anche di rendere fiero suo padre che, vent’anni prima, aveva egregiamente servito sotto il comando del Generale McArthur durante la guerra di Corea.
Pilota dell’aviazione, aveva portato a termine con successo numerose battaglie e, solo a stento, era riuscito a salvare se stesso e altri quattro aerei prima di ripiegare verso una delle loro portaerei.
Trasportato d’urgenza nel più vicino ospedale dell’ONU, suo padre Raymond aveva subito l’asportazione di due dita della mano destra – distrutte da un colpo di artiglieria che aveva frantumato parte della carlinga dell’aereo – ed era stato congedato con onore.
Mickael sperava soltanto di poter tenere alto il buon nome della famiglia… e di non lasciarci la pelle, se fosse stato possibile.
Dopo aver sistemato la propria sacca nello scomparto del bus dedicato ai bagagli, Mike salì con due rapidi passi sulle scalette del mezzo prima di avviarsi verso il fondo, dove Cooper Whindam stava già sistemandosi.
Raggiunto l’amico, batté pugno contro pugno con lui, si lasciò cadere sul vicino posto libero dopodiché, lanciata un’occhiata agli altri ragazzi presenti – saliti a Estes Park – dichiarò: “Vuoi scommettere su quanti di noi torneranno a casa, Coop?”
“Tu e le tue scommesse, Mike!” sghignazzò Cooper, lanciando distrattamente uno sguardo fuori dal finestrino prima di aprirsi in un sorriso.
Michael si allungò a sua volta verso il finestrino per capire il perché di quella reazione e, nel vedere Gilda Mattei con i suoi castani capelli scossi dal vento inclemente di quella mattina, ghignò e disse: “Beh, tu devi tornare per forza.”
Detto ciò, salutò Gilda mandandole un bacio, cui lei replicò con una gran risata prima di allontanarsi non appena il bus iniziò la sua marcia.
Nel rimettersi seduto, Michael aggiunse più seriamente: “Ti sei dichiarato a Gilda?”
Cooper assentì e, nel mostrargli una piccola fotografia – che teneva gelosamente nel portafogli – mormorò: “Le ho detto che ci sposeremo non appena tornerò dal fronte e lei mi ha risposto che, anche se tornassi a pezzi, mi vorrebbe lo stesso. Alla peggio, ha detto che penserà lei a ricucirmi con un punto a giorno.”
Mike scoppiò in un’allegra risata, a cui si unì dopo un attimo anche Cooper.
“Si troverà un uomo non appena avremo girato l’angolo, non ti credere” intervenne non richiesto William Consworth, lasciandosi cadere su un sedile dinanzi a loro e azzittendo, in un colpo solo, le loro risate. “Come puoi pretendere che una ragazza italiana possa pensare di aspettarti? Hanno il sangue più caldo delle altre, non lo sai?”
Mike gli diede uno spintone contro la spalla, borbottando: “Non fare lo stronzo, Will. Non sono cose carine da dire.”
“Oh, come mi dispiace, Michael! Credi dovrei sciacquarmi la bocca con il sapone?” ironizzò a quel punto Will, frizzandolo con uno sguardo che non aveva nulla di amichevole. “E’ così che fa tuo padre, con te, quando alzi troppo la cresta? O dici sempre ‘sissignore’ come un bravo soldatino?”
Coop diede un colpetto spalla contro spalla all’amico perché non rispondesse a una simile provocazione e, nel rimettere a posto fotografia e portafogli, si limitò a dire: “Pensala come vuoi, Will. Non mi interessa.”
“Figurati se Cooper Whindam risponde a un qualsiasi tipo di provocazione. Ormai, dovresti chiamarti San Coop. Mai pensato di diventare prete? O ci hai già dato dentro con Gilda, e non puoi più farlo?”
L’attimo seguente, William scoppiò in un’arida risata di scherno, si levò in piedi e si allontanò da loro, trovandosi un posto libero qualche fila più avanti.
Non vide perciò mai lo sguardo omicida che Cooper gli lanciò, né la mano di Mike artigliata sulla spalla dell’amico, pronta a placcarlo nel remoto caso in cui lui avesse voluto prenderlo a pugni.
La calma olimpica di Cooper, però, tornò ben presto a impadronirsi di lui e, con uno sbuffo, si lasciò andare contro lo schienale del sedile dopodiché, coprendosi il viso con un berretto, mugugnò: “Svegliami quando arriviamo.”
“Okay” assentì Michael, dandogli un’ultima pacca sulla spalla prima di tornare a scrutare il profilo secco di William.
Non aveva mai capito perché William fosse così diverso dai genitori, che erano tra le coppie più rispettate e altolocate di tutta Nederland.
Will era sempre stato un attaccabrighe, un fannullone e un perdigiorno, perciò si stupiva non poco che lo sceriffo Simpson non lo avesse mai beccato a fumarsi una canna, o qualcosa di peggio.
O era molto furbo, o qualcuno lo aveva coperto fino a quel momento. Forse, lo stesso sceriffo.
Era di dominio pubblico che Gareth Simpson e Darren Consworth fossero amici di vecchia data, e Mike non avrebbe trovato strano che, in nome della stagionata amicizia, Gareth avesse chiesto al padre di chiudere un occhio.
“Ormai dovrebbe andare in pensione, se chiude gli occhi su gentaglia simile” borbottò tra sé Mike, lasciando che lo sguardo vagasse sul paesaggio circostante e che, almeno per diversi mesi, non avrebbe più rivisto.
***
Fort Carson brulicava di giovani di ogni genere, richiamati dalla leva obbligatoria per prendere parte alla guerra in Vietnam.
Nonostante i comunicati stampa dicessero il contrario, e i frequenti discorsi del Presidente promettessero la vittoria degli Stati Uniti in tempi brevi, l’aria che si respirava alla base era di tutt’altro genere.
Michael si sorprese un poco nel vedere i musi lunghi di alcuni ufficiali, così come la tendenza quasi unanime di voler parlare poco – e in maniera secca – di ciò che accadeva oltreoceano.
Trovare notizie fresche ma, soprattutto, esaustive, sembrava impossibile e, dopo quasi un mese di permanenza a Fort Carson per l’addestramento, le cose non sembravano essere cambiate.
Parlandone con Cooper e Spike Collins, un ragazzo di Boulder conosciuto alla base, Mike espresse tutti i suoi dubbi e le sue lagnanze per quel prolungato silenzio.
Allungando a Michael un pezzo di cioccolato, Spike scrollò le spalle e replicò ombroso: “Non dovrei dirlo, perciò vi chiedo il silenzio assoluto, ragazzi…”
Al loro assenso, il giovane proseguì dicendo: “… mia madre lavora come centralinista proprio qui alla base e, durante un colloquio tra il comandante McCallahan e un alto papavero di Washington, non sono passate parole incoraggianti.”
“Ma come…” tentennò Cooper, non sapendo se credergli o meno.
“Una delle linee è rimasta aperta, e le ragazze del centralino hanno sentito tutto. Per evitare guai hanno preferito mantenere segreto il tono della chiamata – e neppure io so di preciso cosa si siano detti – ma mia madre mi ha pregato di fare molta attenzione, perché non è tutto vero quello che ci dicono.”
Michael sbuffò indispettito, gettò con rabbia la cartina del cioccolatino offertogli da Spike e, dopo aver scrutato furioso quell’incolpevole pallina di carta cadere nel cestino, borbottò: “Pensano che mandarci allo sbaraglio, credendo di poter vincere, sia meglio?”
“Non so, Mike, ma io ho promesso di tacere e vi pregherei di fare lo stesso. Mia madre rischierebbe il posto, se qualcuno parlasse” sottolineò cupo Spike.
“Tranquillo, non parleremo di sicuro, ma forse i generali dovrebbero pensare a chi stanno mandando in guerra, visto che lo scenario non è così roseo come ci dipingono i giornali” sbuffò Cooper. “Dopotutto, le manifestazioni di ottobre e novembre scorsi non erano proprio delle panzane dei pacifisti.”
“Foss’anche, siamo qui per dare il nostro meglio…” replicò Mike prima di lanciare un’occhiata disgustata a un angolo della caserma e aggiungere: “… anche se alcuni sembrano averlo dimenticato.”
Spike e Cooper ne seguirono l’occhiata e, nell’individuare le figure di William Consworth e Carter Anderson, sbuffarono con ironico disprezzo.
“Quei due si faranno ammazzare al primo giorno di guerra, se continuano a fumare paglie a quel modo… o schiatteranno prima ancora, se si fanno beccare da Granata White” motteggiò Spike.
Thomas ‘Granata’ White era uno dei loro supervisori, sopravvissuto alla Guerra di Corea nonostante fosse finito in un campo minato coi fiocchi. Dai resoconti che si sentivano su di lui, era stato in grado di oltrepassare quell’autentico inferno di bombe grazie a una maledettissima scimmia.
Quell’utilissimo animale si era fatto strada in mezzo al campo senza far esplodere una sola bomba, per poi scomparire tra le piante della foresta pluviale, lasciando l’allora caporale sano e salvo, e senza neppure un graffio, fuori dal territorio nemico.
Fosse o meno vera, quella storia, l’attuale Tenente Colonnello White ne sapeva una più del diavolo ed era una persona di cui aver paura.
“Saranno affari loro, se finiranno male. Will e Carter sono stati avvertiti più di una volta, e io di certo non perderò il sonno per loro due” sentenziò Cooper, levandosi in piedi per tornare in camerata.
Gli amici lo seguirono senza dire nulla, pensandola esattamente come lui. Non aveva alcun senso perdere tempo per due come loro e, se mai vi fosse stata una giustizia in Cielo, vi avrebbe pensato lei a mettere le cose a posto.
Loro dovevano soltanto pensare a portare a casa la pelle.
***
Valle di A. Shau – Marzo 1970
Una stramaledettissima base. Dovevano rimettere in sesto un avamposto al confine con la Cambogia e che, a quanto pareva, era di estremo interesse americano che venisse mantenuta operativa.
William aveva desiderato mettere mano al suo M16 fin dal primo giorno in cui era sbarcato a Saigon e, con aria stanca ma determinata, aveva visto i primi musi gialli del posto.
Invece no. Avrebbe dovuto fare il manovale, usare badile e piccone per avere ragione di quelle pietre giallastre e rimettere in sesto l’avamposto Ripcord1.
Forse, dopotutto, suo padre gli aveva fatto gettare contro una maledizione, altrimenti non poteva spiegarsi una simile iattura. Invece di dimostrare il proprio valore – e far fuori qualcuno con l’avallo dei grandi capi – avrebbe fatto proprio ciò che aveva sempre evitato fino a quel momento.
Lavorare.
Muovendosi al suono rabbioso dei grugniti del comandante di guarnigione, che urlò loro dove dislocarsi e dove trovare il necessario per lavorare, William si ripromise di fare il meno possibile. Avrebbe trovato sicuramente qualche idiota che avrebbe lavorato per lui.
Nel pensarlo, lanciò un’occhiata sardonica a Cooper e Spike, separati dal loro caro Michael – inviato in gran segreto in Cambogia per delle missioni segrete – e, tra sé, puntò a loro come i suoi prossimi schiavi da far sgobbare al posto suo.
Senza Mike, quei due erano vulnerabili e facilmente manipolabili, perciò si sarebbe fatto beffe degli ordini e avrebbe delegato a loro ogni suo impegno all’interno di quello schifoso campo pieno di polvere.
***
Valle di A. Shau – 23 luglio 1970
Era stato accontentato. Aveva potuto snudare la sua arma, fare fuoco sui vietcong e dimostrare di non essere il completo fallimento che il padre credeva lui fosse, eppure William non era ancora soddisfatto.
Forse dipendeva dal fatto che, nonostante avesse speso sudore e sangue su quel maledetto crinale, le perdite erano state ingenti, quasi una decina di mezzi erano stati distrutti e, come smacco finale, gli elicotteri avevano dovuto evacuarli.
Avevano perso.
Erano stati sconfitti da un esercito di musi gialli che, contrariamente a loro, conosceva ogni più piccolo anfratto di quei luoghi, ogni più infima tana di serpente in cui nascondersi.
E proprio come serpenti li avevano attaccati ventitré giorni prima, bombardandoli con un fuoco incrociato dai due lati della montagna. Quel susseguirsi incessanti di attacchi aveva falcidiato le scorte e i mezzi del Ripcord, costringendoli all’impensabile. All’inaccettabile.
Avevano dovuto arrendersi perché impossibilitati a sferrare attacchi degni di tale nome e, come codardi, si erano dati alla fuga grazie al fuoco di copertura della contraerea.
Stringendo le mani a pugno sul suo M16 – ancora tiepido per aver sparato fino all’attimo prima di salire su uno degli huey2 giunti per salvarli – William si piegò in avanti per non mostrare agli altri la propria frustrazione.
Non poteva accettare di aver perso contro quegli animali. Eppure, il potente esercito degli Stati Uniti era stato messo in fuga come un branco di conigli, e lui non avrebbe potuto mai ammettere questo con i suoi genitori.
Doveva dimostrare a ogni costo di non essere il perdente che tutti lo ritenevano essere e, una volta ottenuta la gloria, l’avrebbe gettata in faccia al padre e se ne sarebbe andato via di casa.
Lui non era un drogato o un perdigiorno, come più volte si era sentito invece accusare dal padre.
Lui manteneva sempre ogni cosa sotto il proprio controllo, e gli svaghi che si prendeva ogni tanto non erano un suo demerito o una sua debolezza, poiché lui sapeva gestire la cosa. Ogni volta.
Lui non era debole, e lo avrebbe dimostrato.
1 Ripcord: faccio riferimento alla vera Base di Fuoco di Ripcord, in cui l’esercito americano subì una schiacciante sconfitta da parte dell’esercito vietnamita. Anche le date riportate coincidono con la realtà.
2 Huey: nomignolo utilizzato per il più famoso elicottero utilizzato in Vietnam durante la guerra. Il suo nome tecnico è Bell UH-1 Iroquois.
N.d.A.: questo flashback, a cui ne seguiranno altri, serve a comprendere ciò che accadrà più avanti, e le conseguenti reazioni di coloro che vengono raccontati in questi capitoli.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
6.
Per poter gustare le magnifiche
lasagne
di Gilda, Jamie, Parker ed Emily avevano dovuto pazientare fino
all’imbrunire
ma, per i tre giovani, fu comunque una dolce attesa, ripagata da un
piatto
davvero ben cucinato.
Jamie e Parker ebbero
così il tempo di
terminare i lavori sul pick-up di quest’ultimo e, nel
frattempo, Emily si
impegnò a sistemare alcuni file a computer prima di
apparecchiare la tavola e
dare da mangiare a Cleopatra.
All’orario prestabilito,
quindi, Emy
scese in paese per ritirare le lasagne e, al suo rientro,
trovò già pronti
Jamie e Parker, desiderosi di affondare i denti nel prelibato piatto
all’italiana.
Fu con un risolino che la giovane
sistemò sui loro piatti le pietanze sugose e
dall’aroma eccellente e, dopo aver
aperto del buon vino rosso, affondò la sua forchetta
nell’impasto e sospirò
deliziata.
Al pari degli altri, ovviamente.
“Oh,
sì… queste rimangono le migliori
lasagne del mondo. Niente a che fare con quelle che ti propinano a New
York”
esalò estasiato Jamie, affondando ancora e ancora la
forchetta nella pasta
verde e nel sugoso ragù alla bolognese, condito con
besciamella fatta in casa e
formaggio italiano.
“Forse, perché
queste sono vere lasagne, non
quelle cose strane e
ripiene di formaggio filante che niente hanno a che fare con una
lasagna”
dichiarò ammirato Parker, gustando a sua volta con piacere
quella calda e
gradevole pietanza.
“Sei un intenditore di
cucina
italiana?” si informò Jamie, servendo per
sé e per Parker un altro bicchiere di
Chianti Gallo Nero dopo aver riempito per un terzo il calice della
sorella.
Non beveva mai molto, ma anche lei
si
concedeva qualche vizio, ogni tanto.
“Mia nonna materna
è italiana, e ha
passato tutto il suo sapere a mia madre… con somma gioia
mia, dei miei fratelli
e di mio padre, ovviamente” ghignò Parker,
ringraziando con un cenno il giovane
Poitier. “Ora non cucina più, ma mamma Parker sa
fare della pasta al forno
eccezionale.”
“Che fortuna!”
esclamò Jamie. “Mamma,
al massimo, è capace di fare polpettone e cheesecake
in modo decente ma, se proprio devo essere onesto, preferisco la cucina
creola
di Marja, la cuoca della villa di New York.”
Emily scoppiò a ridere,
a quel
commento, ed esalò: “Se la mamma sapesse che non
apprezzi i suoi sforzi in
cucina, ti spellerebbe vivo. Sai che non è portata, ma ci
mette molto impegno.”
“Dovrà pure
avere qualche difetto,
quella donna, ti pare?” ironizzò Jamie, levando
poi il proprio bicchiere per
brindare alla madre.
Parker rise a sua volta di quel
commento, non credendo neppure per un istante che una donna di ceto
sociale
pari a quello dei Poitier, potesse esibirsi in scene simili a San Valentino di Sangue.
“Non ridere, Parker.
Nostra mamma
sarebbe capacissima di stendermi sul ripiano della cucina e sfilettarmi
come un
salmone… con gran classe, s’intende, ma mi
sfiletterebbe. Non ama sentir elencare
i suoi difetti ma, in tutta onestà, non è mai
stata brava, in cucina. Lo dice
anche nonna Cunningham, del resto” chiosò Jamie,
lappandosi le labbra per
recuperare un fiocco di besciamella.
Asciugandosi una lacrima
d’ilarità,
Parker replicò con gran divertimento: “Tu dici nonna Cunningham, e io penso alla madre
di Ricky.”
Scoppiando a sua volta a ridere
– al
pari di Emily, ormai rossa in volto per le risate – Jamie
assentì più volte,
esalando: “Oh, credimi… c’è
stato il rischio che mi chiamassero Richard proprio
per via di Happy Days. Alla fine,
però, hanno optato per un nome di famiglia.
Se non erro, uno zio per parte di madre, mentre Emy prende il nome di
una
bisnonna paterna.”
L’uggiolio di Cleopatra
interruppe per
un attimo il loro interludio ed Emily, nell’osservare il
musone del suo
bernese, le sorrise e domandò: “Cosa
c’è, splendore?”
Cleopatra poggiò il muso
sulla sua
gamba, uggiolò nuovamente e poi si distaccò per
fare due balzelli sulle zampe e
abbaiare un paio di volte.
“Oh, giocare?
Adesso?” mormorò la giovane,
lanciando un’occhiata all’esterno; la sera era
ormai calata e, in tutta onestà,
non aveva giocato più con Cleo da parecchie ore. In fondo,
la sua cagnolona non
aveva tutti i torti.
Non le dava fastidio giocare con
Cleopatra, ma era così raro fare quattro chiacchiere, e di
fronte a un buon
bicchiere di vino, che in quell’occasione tentennò
un attimo ad accontentare la
sua amorevole bestiola.
Sapendo però bene quanto
quelle brevi
assenze la facessero sentire spaesata, uscì comunque con lei
dopo aver sistemato
il suo piatto di lasagne nel microonde, lasciando per un secondo
momento il
termine della sua cena.
Indossato poi il parka, e armata di
una
corda smangiucchiata e alcune palline di gomma, si avviò
verso le porte a vetri
per dare inizio ai giochi. Cleopatra si meritava un po’ delle
sue attenzioni,
visto che era stata via per diversi giorni senza portarla con lei.
“Scusate. Cleo ha la
precedenza, quando
me ne vado per il week-end senza di lei. Ci vediamo tra poco”
chiosò quindi
Emily, facendo spallucce nello scusarsi coi suoi ospiti prima di uscire
e
chiudersi la porta scorrevole dietro di sé.
Parker tornò serio non
appena Emily non
fu più a portata d’orecchio e, nel volgere lo
sguardo in direzione del fratello
della giovane, domandò: “Sta bene, vero?”
“Specifica
meglio” replicò cauto Jamie.
“Oggi, quando
è tornata dalla tavola
calda assieme a Cleo, aveva lo sguardo molto serio, come se le avessero
dato
una brutta notizia.”
Rilassandosi un poco, Jamie allora
borbottò:
“Nove su dieci, ha incontrato Anthony e lei si è
sentita in colpa.”
“Anthony… oh,
Consworth junior” collegò
dopo un attimo Parker, sospirando di sorpresa.
“Sì, mi ha accennato a una loro
vecchia relazione di qualche tipo. Dici che lui la tormenta
ancora?”
“Per la
verità, dovrebbero dare a quel
ragazzo la palma d’oro per la pazienza”
replicò con un mesto sorriso Jamie,
sorprendendo ulteriormente Parker. “Emy ti ha detto nulla sul
suo passato?”
Al diniego di Parker, Jamie
mormorò:
“Beh, non sono affari miei, e non parlo volentieri di quel
periodo, ma ha avuto
dei trascorsi difficili, e molti dei suoi problemi dipendono da un
passato
incasinato. Passato che si è messo in mezzo tra Anthony ed
Emy, facendola
andare fuori di testa.”
Parker ripensò alle sue
brevi ricerche
su internet, a ciò che aveva letto in alcuni siti di
criminologia e, nel
sollevare turbato un sopracciglio, esalò:
“E’ stata… è quindi davvero lei la bambina che
rapirono?”
Jamie imprecò
sottilmente e ghignò:
“Internet ha colpito ancora, eh?”
“Scusa, ma non sono
riuscito a non ficcanasare
e, quando ho inserito il nome di tua sorella, è comparso un
sito di
criminologia in cui erano presenti tutti gli eventi criminali
più o meno
importanti – o curiosi – accaduti negli ultimi
cento anni negli States, e il
nome di tua sorella era legato a un rapimento. Non sapendo,
però, dove lei
fosse nata, non ero sicuro che potesse essere veramente
Emily.”
Annuendo suo malgrado, Jamie
ammise:
“Nel bene e nel male, venne fuori un caos pazzesco. I
giornalisti sembravano
impazziti. E ancora non c’era internet come oggi!
Diversamente, penso che Emily
si sarebbe rintanata in Alaska, nel bus di Into
the Wild, invece che qui.”
“Non oso neppure
immaginare cosa possa
aver voluto dire, per lei” mormorò Parker,
rabbrividendo al solo pensiero.
“Rimase prigioniera per
cinquantadue
giorni. E io, ogni notte, piansi accanto al suo letto per non averla
portata
con me al pigiama party a cui avevo partecipato proprio
quel giorno” rammentò Jamie, poggiando
il mento sulle mani
intrecciate dinanzi a sé, la mente già pronta a
perdersi in quei terribili
ricordi.
“Cinquantadue…
giorni?” esalò sgomento
Parker, sgranando gli occhi. “Come… chi la
liberò?”
Jamie si lasciò andare a
una risatina
nervosa e, dopo aver sorseggiato un po’ di vino come a darsi
coraggio, disse: “Si
liberò da sola. Da quel poco che
capii – non partecipai al processo e, in seguito, Emy non ne
volle più parlare
– mia sorella fece amicizia con uno dei carcerieri. A quanto
pare, lui non era
d’accordo nel tenerla segregata.”
“Cristo santo”
sussurrò Parker, scioccato.
“In pratica,
scavò sotto il suo
pagliericcio per diverse notti dietro fila, e solo per ottenere un buco
dove
rovesciare dentro il contenuto del secchio che le davano per i suoi
bisogni…”
mormorò Jamie, socchiudendo gli occhi nel ricordare
ciò che sapeva di quel
delirio.
“Scavare? Ma
come… con le mani?”
gracchiò Parker, sempre più scioccato.
Jamie assentì torvo e
aggiunse: “Usò le
calze per proteggersi le mani e non ricoprirsi di escoriazioni. Le
calze
venivano nascoste dalle pantofole – il carceriere buono le
portò con sé per
lei, quando la rapirono – perciò, quando sapeva di
essere controllata, non
veniva scoperta e, al tempo stesso, utilizzando quello stratagemma non
rimaneva
ferita, mettendoli in allarme.”
“Dio! E aveva solo otto
anni!?”
“Già…”
mormorò Jamie. “… ma non finisce
qui. Quando riuscì nel suo intento, svuotò il
secchio nel buco, chiamò Ray – il
carceriere buono – perché lo svuotasse e, quando
lui aprì la porta, lei lo
pestò ben bene sulla testa.”
Parker non poté non
lasciarsi sfuggire
una risatina nervosa e Jamie, imitatolo, soggiunse: “Emy
salì sul pagliericcio
– che aveva spostato vicino all’entrata –
per poter essere abbastanza in alto
per dare quel colpo. Non contenta, quando Ray crollò a terra
per la sorpresa e
il dolore, lo colpì un’altra volta e poi
fuggì nella notte, nel bel mezzo degli
Adirondack.”
L’abbaiare allegro di
Cleopatra
confermò a entrambi che Emily era ancora
all’esterno, perciò Parker domandò:
“Come diavolo fece a trovare qualcuno, in
quell’ammasso di foreste?”
“Corse. Corse
finché non trovò la
casupola di un cacciatore. I primi ad accorgersi di lei furono i cani,
che
cominciarono a latrare, attirando così
l’attenzione dell’uomo all’interno del
casolare” gli spiegò Jamie, scrollando una spalla.
“Questi uscì per capire cosa
stesse succedendo e, quando vide una bambina scarmigliata, ferita e
piangente
seduta in mezzo ai suoi cani, andò quasi fuori di testa. Il
paese più vicino,
in quella zona, era lontano miglia! Non capiva cosa potesse farci
lì.”
“Immagino davvero la
confusione”
assentì Parker.
“In ogni caso, Max
– il nome del
cacciatore – la accompagnò dentro, le
ripulì il viso e le chiese perché si
trovasse nei boschi. Quando seppe ogni cosa, non aspettò un
attimo di più. Le
infilò in testa un casco e la caricò sulla sua
moto da cross per portarla a
valle.”
“Fu elettrizzante
discendere nel bosco
con la moto, lo ammetto” soggiunse la voce di Emily, alle
loro spalle.
Sia Parker che Jamie divennero
paonazzi
in viso, neanche fossero stati beccati a rubare in banca ma Emy,
scuotendo
divertita il capo, terminò di dire: “Dovresti
saperlo che la porta-finestra non
fa rumore.”
“Scusa,
sorellona” mormorò contrito
Jamie.
“Scusa anche me, Emily.
E’ stata tutta colpa
mia e della mia insana curiosità” si aggiunse
anche Parker, reclinando
colpevole il capo.
La giovane, però,
poggiò i giocattoli
di Cleopatra nel suo cesto, si lavò le mani nel lavabo e,
dopo essersele
asciugate, tornò al tavolo e disse: “Non
è un segreto di Stato.”
“Ma, se non mi hai detto
niente, avevi
le tue ragioni” sottolineò Parker.
“Non pensavo potesse
interessarti, ma è
chiaro che mi sbagliavo. Sono troppo guardinga, eh?”
chiosò Emily, prendendo il
suo calice per bere ciò che rimaneva del vino.
“Devo averti davvero
insospettito, col mio comportamento.”
“Scusa”
mormorò ancora Jamie,
allungando una mano verso quella di Emily.
Lei strinse quella mano, sorrise al
fratello e, dopo aver recuperato il suo piatto dal microonde, si
risedette al
tavolo per terminare la pietanza.
Nel rivolgersi poi a Parker,
sorrise
appena e disse: “Tanto vale vuotare il sacco. Neppure Jamie
sa tutto, perciò lo
racconterò a entrambi. E chissà che non aiuti! La
psicologa diceva sempre di
sì, ma io mi sono sempre impuntata per non farlo. Potrei
provarci ora.”
“Ne sei sicura? Non sei
affatto
obbligata a ripensare a quella cosa orribile”
mugugnò Parker, sentendosi
veramente male al pensiero di farla soffrire a causa della sua
curiosità.
Scrollando appena le spalle, Emy
addentò un pezzo di lasagna – che ora aveva perso
del tutto il suo sapore a
causa dell’ansia viscerale che stava provando – e
disse con un tono che, sperò,
essere convincente: “Sono tra persone che si preoccupano per
me, perciò
dovrebbe essere più semplice… parlare.”
“L’ultima volta
che ci provasti non
andò per niente bene, e lo sai”
sottolineò Jamie, ripensando alla telefonata
concitata che aveva ricevuto da Anthony.
Si era terrorizzato a morte, quella
volta, nel sentire la voce tremante dell’amico mentre gli
parlava di Emily e
del suo scoppio di panico.
In fretta e furia, era salito sul
primo
aereo disponibile e aveva raggiunto Nederland con ancora i postumi di
una
sbornia in via di dissolvimento, e tutto per stare accanto alla sorella.
Mai nella vita avrebbe dimenticato
quello sguardo perso, quelle lacrime asciutte sul viso contorto dal
dolore e
dal risentimento verso se stessa. Né mai avrebbe potuto
dimenticare l’aria
sconvolta di Anthony e il suo totale smarrimento di fronte a una cosa
che,
almeno in quel momento, non era stato in grado di affrontare.
Emily, però, scosse il
capo
all’indirizzo del fratello, prese un gran respiro e ammise:
“Lo so, con Tony è
andata davvero da schifo… ma era un’altra
situazione. Un altro momento. E voi…
beh, voi non siete lui.”
“Su questo non ci
piove” cercò di
ironizzare Jamie, sapendo benissimo a cosa si stesse riferendo la
sorella con
quell’accenno.
Per quanto non avesse voluto
indagare
fino in fondo, in merito alla loro relazione, Jamie aveva ipotizzato
che il fattaccio fosse avvenuto in
un
momento di profonda intimità, quando le difese della sorella
erano andate a
zero.
E i ricordi erano riaffiorati con
la
potenza di uno tsunami.
“Posso tenermi i miei
dubbi e le mie curiosità,
credimi” intervenne a quel punto Parker, arrischiandosi a
sfiorarle una mano
con la propria.
Emily sorrise di fronte a quel
tocco
leggero ed esitante e, inclinando il capo in direzione
dell’amico, asserì: “Io,
invece, posso parlartene perché, a quanto pare, non puoi
spaventarmi. Non ho
tremato, al tuo tocco, sebbene io sia sicuramente in ansia al pensiero
di
aprire bocca, perciò… va bene.”
“Non ti affascino neppure
un po’?”
ironizzò a quel punto Parker.
Lei sorrise maggiormente,
rigirò la
mano per stringere tra le dita quelle di Parker e, annuendo nuovamente,
disse:
“Non in quel senso, a quanto pare. Ma va bene in questo senso.”
Ciò detto, prese un
nuovo respiro,
chiuse per un istante gli occhi e lasciò che la mente
tornasse in quella
grotta, tra quelle montagne, coi suoi rapitori.
Il calore delle mani di Parker e
Jamie,
però, fu abbastanza forte e incoraggiante perché
la paura non la risucchiasse,
permettendole di ricordare che sì, era ancora viva, e
sì, era ancora libera.
20
anni prima – Giant Mountain, Adirondack
Plin,
plin, plin…
Forse era piovuto,
all’esterno della
grotta.
Faceva sempre fatica a capirlo,
visto
che non poteva vedere nulla, nella cella dove si trovava ma ormai aveva
imparato che, ogni tanto, si sentiva gocciolare in lontananza,
perciò poteva
dare quasi per scontato che stesse piovendo.
Di sicuro, comunque, quelle gocce
d’acqua se le sentiva nelle ossa. Aveva sempre freddo, in
quelle occasioni,
anche dopo che Ray le portava la cioccolata calda da bere.
Di
nascosto.
Il solo pensiero la fece sorridere
e,
al tempo stesso, la portò a sentirsi in colpa per quello
che, entro breve,
avrebbe fatto.
Ma non poteva darsi per vinta solo
perché uno dei suoi carcerieri era buono e gentile con lei.
Non voleva più
rimanere rinchiusa lì e, visto che nessuno sapeva
dov’era – e nessuno sembrava
intenzionato a venire a prenderla – avrebbe dovuto pensarci
da sola.
Sentire litigare Ray e suo fratello
Simon,
l’aveva spaventata e, per poco, non era scoppiata a piangere.
Simon aveva
parlato male del suo papà, mentre urlava contro il fratello,
chiedendosi perché
ancora non ‘avesse sganciato la
grana’.
Questo l’aveva fatta
sentire piccola e
sola. Perché papà non la ricomprava da quei
cattivi? Perché non la riportava a
casa?
Ray, a quel punto, gli aveva
ingiunto
di abbassare la voce, forse conscio che lei avrebbe ascoltato ogni
cosa, di
quella conversazione, ma Simon se n’era infischiato e
Vincent, il terzo
rapitore, lo aveva mandato al diavolo.
Era buffo ma, dinanzi a lei, non
avevano esitato a usare i loro nomi. Dopotutto, non
l’avrebbero mai lasciata
andare - riscatto o meno –, perciò era superfluo
che lei sapesse come si
chiamavano.
Di certo, sapeva solo una cosa; Ray
aveva paura di Vincent – o Vince, come lo chiamava a volte
Simon – e a lei questo
metteva il terrore addosso.
Anche Simon, comunque, si divertiva
a
spaventarla. Dopo aver sparlato di suo padre o meglio, imprecato,
aveva picchiato con forza contro la porta che li
separava – chiusa per ventitré ore e mezzo al
giorno – e le aveva riso in
faccia, urlandole che il padre era un avaro, e che non la amava
abbastanza per
pagare per la sua libertà.
A quel punto era intervenuto il
terzo
membro di quella strana banda, che lei aveva soprannominato ‘Cattivo’ e aveva
millantato l’idea di
tagliarle un orecchio, così da convincere tutti delle loro
intenzioni più che
serie.
‘Brutto’,
e
cioè Simon, si era astenuto dal fare commenti, mentre Ray si
era ribellato
all’idea. Dai rumori che Emily aveva udito, Simon o Vince
dovevano avergli dato
un pugno.
A ogni buon conto, alcune ore dopo,
Ray
si era presentato alla sua porta con un occhio gonfio e una barretta di
cioccolato nuova di zecca.
“Non far caso a quello
che dicono. Sono
sicuro che tuo papà ti vuole bene” le aveva detto
Ray, svuotando il suo secchio
dei bisogni per poi permetterle di ascoltare un po’ di radio
assieme a lui. Da
quel giorno, per lei Ray era diventato ‘Buono’,
anche se la teneva prigioniera.
Mezz’ora ogni giorno. Tra
le undici e
trenta e mezzanotte, almeno a giudicare dall’orologio
digitale che Ray teneva
su un rozzo tavolaccio assieme alle sue riviste di pesca, lei poteva
uscire
dalla sua prigione per sgranchirsi le gambe.
Sapeva per certo, ormai che,
durante la
notte, Brutto e Cattivo si assentavano per motivi che lei non
conosceva. Non
c’erano mai, quando Ray le dava la cioccolata.
In quei momenti, la grotta si
accendeva
dei rumori della radio di Ray, invece che dei brontolii dei suoi
rapitori, ed
Emily sapeva di essere al sicuro, per un po’.
Soltanto mezz’ora, per
non rischiare
che gli altri rientrassero e la trovassero fuori dal suo loculo, ma per
lei
contava come l’aria che respirava.
Da quel poco che aveva visto,
credeva
di trovarsi in una vecchia miniera. Emily non ne era sicura ma, a
giudicare
dalle travi che sorreggevano la sua stanzetta, e quelle che aveva visto
fuori
dal loculo, le era sembrato potesse essere qualcosa del genere.
Nei film sul vecchio west, per lo
meno,
le gallerie erano fatte a quel modo, e anche quelle che le aveva
mostrato zio
Harry in fotografia, erano così.
Pensarci la fece bloccare per un
istante e, osservando la piccola buca che aveva ricavato sotto il suo
pagliericcio, fu fiera di sé.
Sarebbe tornata a guardare i film
sul
far west assieme a Jamie, cascasse il mondo e, al suo prossimo
compleanno, gli
avrebbe regalato un cappello da cowboy, come desiderava da tempo.
Una lacrima feroce le scese non
voluta
sulla gota sporca di terriccio e lei, con rabbia, la scacciò
via, sporcandosi
ulteriormente con le mani infilate nei calzini.
Dopo aver provato a scavare senza,
si
era resa conto immediatamente di come avrebbero potuto ridursi le dita,
durante
quel superficiale lavoro di scavo. Se avessero notato graffi e unghie
spezzate,
si sarebbero insospettiti subito e avrebbero scoperto il suo tentativo
di
liberarsi in qualche modo da quella prigione.
Così, aveva sacrificato
i suoi calzini
di flanella e li aveva trasformati in guanti.
Aveva deciso di creare quella buca
la
sera stessa in cui li aveva uditi litigare, e Vince era venuto da lei
per
ingiuriarla. Dopo un pianto inutile, e che le aveva procurato solo un
gran mal
di testa, aveva cominciato a pensare a come poter scappare.
Se Brutto o Cattivo avessero messo
in
pratica le loro minacce, lei sarebbe sicuramente morta di paura. O per
la
perdita di sangue. O a causa della loro inettitudine.
Quale che fosse il motivo, lei non
voleva morire, o anche solo rimanere senza un orecchio,
perciò non poteva più
aspettare.
Se suo padre non pagava, loro non
l’avrebbero mai liberata e, anzi, forse l’avrebbero
uccisa per spregio.
A ogni nuova mezz’ora
d’aria, per così
dire, aveva perciò fatto attenzione a tutto ciò
che i suoi occhi avevano potuto
scorgere nelle sue sortite fuori dal loculo.
Invece di ascoltare le canzoni del
mangiacassette ormai vecchiotto di Ray, lei si era guardata intorno con
circospezione, studiando le potenziali vie d’uscita e
ciò che avrebbe potuto
prendere con sé per la sua fuga.
Erano passati undici giorni, da
quella
decisione e, nel frattempo, aveva scavato poco alla volta nel terreno
duro,
nascondendo il terriccio sotto il pagliericcio di cui, fin
dall’inizio, si era
presa cura con le poche cose che le aveva portato Ray.
Un vecchio materasso, un cuscino
spiumato, una coperta di lana. Erano stati i suoi unici averi, a parte
il
secchio per i bisogni e la gavetta dove era solita mangiare
ciò che le davano.
Emily fissò il secchio
in cui, per
cinquantun giorni, si era adeguata a evacuare, e si irritò
ulteriormente.
La prima notte era stata terribile,
tra
il dolore provato per il risveglio dal sonnifero che Brutto le aveva
dato, e la
scoperta di essere stata portata via nella notte da casa sua.
Aveva rimesso acidi e bile sul
terreno
della cella e Vincent si era arrabbiato con lei, indicandole il secchio
nella
stanza e urlandole di usare quello, per le sue porcherie, senza
insozzare
l’aria con il suo vomito.
Emily aveva pianto, aveva sprecato
l’acqua della bottiglietta che le avevano dato unicamente per
lavarsi il viso
e, per ventiquattr’ore, non aveva più bevuto.
Memore di quel particolare, aveva
iniziato a usare il secchio per non infastidirli ulteriormente e,
preciso come
un orologio, alle undici e trenta di ogni notte, Ray aveva cominciato a
ritirarlo per poi riportarglielo vuoto e pulito.
Emily guardò il suo
orologio di Winny
the Pooh – segnava le undici e ventisette –
perciò, rimettendosi in piedi, si
tolse le calze dalle mani, le rimise ai piedi e si guardò il
pigiama, ormai lacero
e sporco a livelli imbarazzanti.
La spugna per le abluzioni
settimanali
che le dava Ray era stata sì e no sufficiente per pulire se
stessa, figurarsi
il pigiama, così vi aveva rinunciato subito.
Scuotendo il capo per il fastidio,
lasciò perdere quell’esame critico di se stessa e
rimise i piedini infreddoliti
nelle sue enormi pantofole, anch’esse sporche e lise in
più punti.
Per sua fortuna, aveva sempre avuto
il
vizio di collezionare delle buffe pantofole a forma di animale, e non
le
classiche ciabattine da camera, altrimenti sarebbero stati guai seri,
per lei.
L’avrebbero scoperta
subito, notando le
calze lise e sporche.
Durante uno dei suoi momenti ‘liberi’, Ray le
aveva confessato di
aver pensato di portare con sé le sue pantofole a forma di
leone, quando
l’avevano prelevata dalla sua stanza per condurla
lì. Così non avrebbe tenuto i
piedi al freddo.
Davvero non comprendeva come,
un’anima
candida come Ray, si fosse lasciata attirare dal fratello in mezzo a un
affare
del genere. Tant’era, comunque, Ray faceva parte di quella
cricca e lei avrebbe
fatto ciò che doveva per salvarsi la vita, anche se lui era
stato gentile e
premuroso.
Senza fare rumore,
perciò, spostò il
pagliericcio perché fosse abbastanza vicino alla porta,
afferrò il secchio per
vuotarlo – non avrebbe mai lasciato il corpo di Ray in mezzo
alle sue deiezioni
– e, dopo essere salita sul letto, esclamò:
“Ray! Il secchio!”
La musica della radio venne
abbassata
un attimo perché lui potesse chiederle se aveva sentito bene
e, al suo assenso,
Emily udì una sedia venire spostata e dei passi attutiti
procedere verso la sua
stanzetta.
Preso un gran respiro, la bambina
sollevò il secchio, tenne d’occhio la porta e, non
appena Ray ebbe messo dentro
la testa per sbirciare come faceva di solito, calò il colpo
più forte che le
riuscì di dare.
“Ehi, Emy,
hai…” cominciò col dire Ray
prima di emettere un grugnito per il dolore quando il secchio si
abbatté su di
lui.
Tramortito dal colpo, Ray
crollò sulle
ginocchia, tenendosi la testa con le mani e lagnandosi per il gran
male.
Non contenta, Emily prese il
secchio
per il manico e, come una mazza da baseball, slanciò le
braccia all’indietro prima
di usare l’energia di ritorno contro la testa del suo
carceriere.
Quando il secondo colpo
andò a segno, Ray
stramazzò a terra privo di sensi e la ragazzina, scusandosi
a mezza voce con
lui, afferrò le chiavi che teneva in mano e lo chiuse in
fretta dentro la
cella.
Scacciando le lacrime che sentiva
bruciare ai bordi degli occhi, si guardò intorno frenetica
nel tentativo di
capire cosa poter prendere con sé prima di scappare e,
quando vide una torcia
sul tavolo, la afferrò lesta.
Con lei, prese anche un pezzo di
cioccolato – Ray lo stava mangiucchiando mentre leggeva una
rivista di sport, a
quanto pareva – e poi defilò fuori, non volendo
arrischiarsi ad attendere
troppo.
Mezz’ora poteva essere
un’eternità,
oppure un attimo. Non aveva idea di quanto Brutto e Cattivo sarebbero
rimasti
fuori, perciò doveva sparire immediatamente.
Tutto dipendeva da lei e da come
avrebbe gestito il tempo concessole.
Avanzando quindi lungo la galleria
che
aveva intravisto durante le sue momentanee sortite dalla cella, Emily
procedette
nella semioscurità tenendosi radente al muro.
Non osava accendere la torcia per
paura
che qualcuno, all’esterno, la vedesse, perciò si
limitò a sfruttare la luce delle
poche lanterne che i tre avevano disseminato lungo il percorso.
Non appena avvertì sulla
pelle un vento
freddo e umido, capì di essere finalmente in
prossimità dell’uscita e lì,
accucciatasi, procedette carponi fino a raggiungere uno sperone di
roccia e
delle fronde accatastate.
Scostatele lentamente cercando di
fare
il minor rumore possibile, Emily sbirciò
all’esterno e, sgomenta, non vide
altro che piante. Nessuna strada, nessun mezzo di trasporto –
che lei non
avrebbe potuto usare, ma su cui avrebbe potuto trovare una cartina del
posto –,
soltanto bosco a perdita d’occhio e illuminato dalla luna.
Non potendo far altro che
allontanarsi,
si lasciò le fronde alle spalle e, tenendo bassa la torcia,
controllò se vi
fossero dei segni di pneumatici a terra. Dubitava che i suoi carcerieri
si
spostassero a piedi, perciò dovevano esserci delle tracce di
qualche tipo di
veicolo, lì nei dintorni.
Nel notare dei rami spezzati e
delle
impronte di pneumatici sul terreno smosso, sorrise un momento tra
sé e, non
sapendo che altro fare, prese la direzione opposta.
Ovunque quella decisione
l’avrebbe
condotta, era sempre meglio tenersi a distanza dai percorsi seguiti da
quei
pazzi.
Spenta nuovamente la torcia, si
affidò
alla luce della luna per discendere l’erta che aveva
imboccato, preferendo
allontanarsi il più possibile dal nascondiglio dei suoi
carcerieri prima di
poterla nuovamente riutilizzare.
Per evitare di scivolare, si tenne
ai
tronchi delle piante, muovendosi dall’una all’altra
per mantenere l’equilibrio lungo
quella discesa scoscesa e, ogni dieci passi circa, si guardò
indietro col
terrore di essere seguita.
Quando si ritenne abbastanza
lontana,
riaccese la torcia e, scacciando ancora le lacrime dagli occhi,
cominciò a
correre.
Corse, inciampò
un’infinità di volte
sul terreno sconnesso e contro le radici traditrici delle piante, ma
non le
importò nulla.
Corse. Corse e basta, sempre
più a
valle, sempre più lontano da Ray e dai suoi aguzzini,
tenendosi lontana dai
dirupi che, ogni tanto, si aprivano nel mezzo della foresta.
Quando, però, il latrato
lontano di un
cane ne attirò l’attenzione, i suoi piedi si
bloccarono e, attenta, si mise in
ascolto.
Sapeva di non doversi fare
fuorviare
dal vento. Al corso di scout glielo avevano insegnato praticamente
subito.
Emily, perciò,
scrutò le fronde scure
delle piante, notò la loro totale immobilità e,
più sicura di sé, svoltò alla
sua destra, seguendo quel dolce suono che sapeva di civiltà.
Se c’era un cane, doveva
esserci anche
una casa.
Quello non era un lupo. I lupi non
abbaiano. Inoltre, conosceva bene quel suono in particolare. Lo aveva
già
sentito altre volte, perciò era quasi certa di sapere a che
cane appartenesse.
Se le orecchie non
l’avevano ingannata,
doveva trattarsi di un segugio, come il cane che avevano i loro vicini,
al Lago
Tahoe. Un bel cagnolone dalle orecchie lunghe e il pelo marrone.
Il solo pensiero le
scaldò il cuore,
portandola ad accelerare il passo.
Non le importò di
ferirsi mani e viso
con i cespugli che incontrò lungo il suo percorso
accidentato. Doveva andare
avanti, seguire quel suono che le infondeva speranza.
E fu dopo
un’infinità di passi, di
cadute e di ripartenze, che finalmente li vide.
Tre segugi dal pelo marrone che,
indolenti, camminavano nel loro recinto, forse disturbati da qualcosa
nel
bosco, ma non abbastanza interessati per abbaiare rabbiosi.
Lei rise, nel vederli.
Rise, e finalmente pianse e,
quand’anche i cani l’ebbero vista, iniziarono una
canea così forte che portò il
proprietario dei segugi ad aprire la porta del casino di caccia dove si
trovava.
In un attimo, lei si
gettò carponi in
mezzo ai cani, che la leccarono e la annusarono curiosi, mentre
l’uomo che era
uscito sulla piccola veranda osservava la scena al colmo dello stupore.
Scacciando i suoi segugi
perché lo
lasciassero passare, l’uomo la sollevò gentilmente
da terra e, squadrandola
sgomento da capo a piedi, esalò: “Madre di
Dio… bambina, ma che ci fai qui
fuori a quest’ora?”
“Mi aiuti, la
prego… mi aiuti”
gorgogliò al colmo dello sfinimento prima di crollare contro
l’ampio petto
dell’uomo, finalmente sicura e libera. Anche di svenire.
N.d.A.:
Scopriamo così cosa successe più di vent'anni
prima a Emily, come riuscì a fuggire e quali nomi diede ai
suoi carcerieri. Scoprirete che questo particolare ha una certa ragion
d'essere, ma non posso svelare tutto ora.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
7.
Riaprire gli occhi fu doloroso.
Tutto
le faceva male, persino le palpebre, o il cuoio capelluto su cui aveva
grattato
per settimane a causa della sporcizia accumulata.
Le sembrava di essere stata
calpestata
per ore e poi lasciata in un angolo a morire, ma non era morta.
Era viva. E LIBERA!
Il solo pensiero la
portò a sollevare
la testa dal cuscino su cui era poggiata e, subito, i mille e
più dolori nel
suo corpo si risvegliarono, urlandole contro i peggiori insulti mai
congegnati.
“Ehi, calma,
piccola… va tutto bene,
ora” le mormorò un uomo, seduto accanto a una
piccola stufetta a legna, su cui
stava sobbollendo un bricco.
Sbattendo con frenesia le palpebre,
Emily si strinse addosso la coperta che le era stata stesa addosso e,
sorridendo grata, disse: “La ringrazio. Lei mi ha
salvato.”
“Mi dici che ci fa una
bambina in mezzo
al bosco, di notte, con le pantofole di un leone ai piedi?”
ironizzò l’uomo,
indicando le pantofole poggiate a terra e ormai da buttare.
Il pianto tornò, ma lei
lo lasciò
perdere per dire con voce roca: “Sono… sono Emily
Poitier. Non so se…”
L’uomo sgranò
gli occhi nel sentir
nominare quel nome, ma il fischio improvviso del bricco lo fece
trasalire, distogliendolo
temporaneamente da quella scoperta imprevista.
In fretta, lo tolse dal fuoco e
vuotò
il suo contenuto – latte caldo – in una ciotola per
poi passarlo alla bambina,
fissandola quindi con espressione sgomenta..
“Dio santissimo, bambina!
Ti cerca
mezzo continente!” gracchiò l’uomo prima
di aggiungere: “Ti tenevano qui in
zona?!”
Lei assentì, soffiando
sul latte caldo
– le sembrò la bevanda più buona del
mondo, dopo tanto freddo – prima di berlo
e mormorare: “Ero in una grotta. Credo fosse una vecchia
miniera.”
Annuendo rapido, l’uomo
si alzò dalla
sedia dov’era accomodato, frugò in un cassettone
da cui estrasse un pesante
maglione di lana e, dopo averlo guardato per alcuni secondi,
scrollò le spalle
e disse: “Non è il massimo e ti starà
larghissimo, ma ti terrà al caldo.”
Emily terminò di bere il
latte, poggiò
a terra la tazza e afferrò il maglione che l’uomo
le consegnò, infilandoselo e
trovandolo la cosa più morbida del mondo.
Era tutto bellissimo, in quel
momento.
Sorridendo all’uomo alto e bruno che le stava dinanzi con
espressione turbata,
Emily si disse che gli angeli non dovevano essere biondi ed efebici, ma
come
quel signore. Forti, barbuti e con la camicia di flanella.
Per lei, era sicuramente
l’angelo
migliore del mondo.
Estraendo anche un casco dal
cassettone, l’uomo le sorrise impacciato e
dichiarò: “E’ meglio se scendiamo
subito a valle. Se si sono accorti che sei fuggita, cominceranno a
cercarti, ed
è preferibile che noi non ci facciamo trovare.”
Lei assentì, totalmente
d’accordo e,
scrutando divertita il pesante casco, mormorò: “Mi
starà un po’ grande, mi sa.”
“Credo di sì.
Ma ti proteggerò io” le
promise lui, chinandosi accanto a lei per aiutarla a indossarlo.
“Sono Max. Max
Sheperd, piccola Emily.”
Lei lo abbracciò con
calore e, contro
il suo ampio petto, si sentì davvero al sicuro e protetta.
Protetta come
avrebbe voluto esserlo stata dal padre, ma così non era
avvenuto.
Lui l’aveva abbandonata
in mezzo ai
monti, rifiutandosi di pagare, rifiutandosi di aiutarla. Lasciandola
sola.
In silenzio, senza mettere a parole
il proprio
dolore, si lasciò sistemare sopra una moto da cross dopo
aver salutato con una
carezza i cani che l’avevano attirata verso la salvezza.
Il rombo del motore quattro tempi
rimbombò in quell’angolo di bosco, ma Emily non se
ne curò. Tra le braccia di
Max si sentiva protetta e invincibile.
Inoltre, era impossibile che
avessero
potuto seguire le sue tracce, in mezzo
all’oscurità della foresta perciò, se
anche avessero udito quel rombo, sarebbe stato tardi per fare qualsiasi
cosa.
Non l’avrebbero
più trovata.
“Si parte,
piccola” mormorò Max, dando
gas e spingendo la moto lungo un sentiero in mezzo alle piante che,
evidentemente, l’uomo conosceva a menadito.
Discesero in fretta, sobbalzando
sul
terreno sconnesso, ma senza mai rischiare di cadere. Max
dimostrò di essere
esperto del posto e un ottimo pilota, ed Emily trovò anche
il tempo di ridere
gaia, dopo tanta sofferenza.
Quando infine raggiunsero la strada
asfaltata e lei scorse il primo barlume di civiltà dopo
tanti giorni di
prigionia, Emily si concesse di piangere dentro il casco e Max,
rassicurante,
le disse: “Ora ti porto al calduccio e, da lì,
chiameremo la polizia e la tua
famiglia.”
Lei annuì, facendo
dondolare il pesante
casco sul suo esile corpo e Max, scoppiando a ridere,
esclamò: “Sei davvero
bravissima, piccola.”
Decelerando quando raggiunse un
bivio,
Max svoltò quindi su uno stradello alla sua sinistra e, dopo
una breve discesa che
affiancava un piccolo ed elegante campo da golf, l’uomo
fermò il mezzo di fronte
a un grazioso hotel in stile inglese.
L’Ausable
Club
era un raffinato albergo di campagna, con un’ampia veranda
sull’entrata,
candide pareti sormontate da un tetto in laminato blu e un padiglione
ottagonale direttamente collegato alla struttura.
In quel momento, era il posto
più
vicino da cui contattare le autorità e fornire alla bambina
una prima occhiata
dal punto di vista medico. Fu per questo che Max non perse altro tempo
a
congetturare e, lesto, parcheggiò la moto.
Spento il mezzo, Max tolse il casco
a
Emily e, presala in braccio, la condusse all’interno in
fretta e furia,
trovando alla reception il concierge,
Alan Wickman, che lui conosceva dai tempi del liceo.
Vista l’ora tarda,
l’uomo fu assai
sorpreso di veder entrare qualcuno ma, quando intravide
l’amico di famiglia in
compagnia di una bambina, sobbalzò sgomento ed
esalò: “Max, Dio mio… ma che
succede?!”
“Guai, Alan. Belli
grossi” esalò
l’uomo, fermandosi accanto all’ampio bancone
d’ingresso.
Guardandosi poi intorno,
domandò: “Nina
non c’è? O qualcun’altra delle
cameriere? Questa piccolina ha bisogno di un po’
di cure tutte femminili.”
Alan squadrò quindi la
bambina,
aggrappata al collo di Max come se ne andasse della sua vita e, dopo un
attimo
di confusione, ricollegò le immagini sparate su tutti i
canali televisivi con
il visetto spaurito e i capelli arruffati che aveva dinanzi.
Portandosi una mano alla bocca per
soffocare un grido di sgomento, Alan quindi gracchiò:
“C-che ci fai con la
figlia dei Poitier?!”
“Chiama la polizia, Alan.
Il resto te lo
spiegherò dopo” dichiarò sbrigativo
l’uomo.
Il concierge
assentì e, dopo aver fatto una telefonata interna per
chiamare una delle
cameriere, digitò il nove-uno-uno per avvertire la polizia
dell’avvenuto
ritrovamento della bambina.
Nel rimettere a terra Emily, Max le
sorrise e disse: “Ora ti rimetteranno in sesto, piccola. Non
temere."
Lei annuì fiduciosa,
stringendo la
calda mano di Max finché non giunse quasi di corsa una donna
sulla quarantina
dai folti e ricci capelli castani.
Nel vederla, gli occhi della
cameriera
si riempirono di lacrime ma, con determinazione, le scacciò
e si fermò accanto
ad adulto e bambina, dicendo: “Eccomi. Immagino di dover
aiutare te, piccola.”
Emily ancora guardò Max,
che le disse:
“Vai tranquilla. Nina è a posto.”
La bambina allora lasciò
la mano
dell’uomo e prese quella di Nina che, con gentilezza, la
condusse in una delle
stanze libere dell’albergo e la aiutò a liberarsi
degli abiti stazzonati perché
potesse fare una doccia.
Per tutto il tempo, Nina rimase con
lei
e, quando Emily ebbe terminato di lavarsi, la donna la avvolse in un
vaporoso
accappatoio prima di aiutarla a mettersi a letto.
Lì, le
carezzò con gentilezza capelli e
viso, che stava cominciando a evidenziare i segni delle abrasioni
provocate dai
rami e dalle cadute e, dolcemente, mormorò: “Ora
riposa tranquilla. Nessuno ti
farà più del male, Emily.”
“Puoi rimanere qui?
Finché… finché non
arriva la polizia?” domandò speranzosa la bambina.
Ancora quelle lacrime a stento
trattenute. Nina se le deterse con il dorso di una mano e, abbracciando
teneramente Emily, disse: “Non ti lascerò sola.
Aspetterò qui con te.”
“Grazie”
sussurrò allora Emily,
rigirandosi su un fianco per mettersi in posizione fetale.
Fu a quel punto che il sonno la
prese
e, per la prima volta dopo cinquantasei giorni, riuscì a
dormire bene.
Era al sicuro, ora.
C’erano Max, Nina e
Alan, a vegliare su di lei.
***
Nederland
– presente
“… in seguito,
giunsero i poliziotti e
un paio di agenti dell’FBI, che mi posero un sacco di domande
e prelevarono ciò
che Nina aveva raccolto per loro, prima di farmi il bagno. Mamma,
papà e
Jamie…” terminò di dire Emily,
sorridendo al fratello. “… arrivarono nel tardo
pomeriggio.”
Jamie era pallido come un cencio e
la
mano che teneva quella di Emily era fredda, rattrappita
dall’ansia provata
durante il racconto della sorella.
Parker, invece, aveva il volto
coperto
dalle mani e, dalla sua bocca, giungevano degli scongiuri e delle
imprecazioni
soffocate quasi inudibili.
Sospirando, Emily
scrollò le spalle
come a voler rilassare i muscoli e, sorridendo un poco,
mormorò: “Sarà sciocco,
ma mi sento meglio, in effetti. Dovrei chiamare Becca e scusarmi per
gli anni
di insulti più o meno gentili che le propinai, quando mi
intestardii con lei
per non parlare. Essere una
psicologa
è un mestiere orribile, se si hanno pazienti testardi come
me.”
“Oddio,
sorella!” esclamò Jamie,
balzando in piedi per abbracciarla stretta a sé.
Senza poterselo impedire, Jamie
pianse
senza ritegno ed Emily, carezzandogli la schiena per calmarlo,
esalò: “No, tesoro…
non c’è bisogno di altre lacrime.
Davvero.”
“Dovevi dirmelo! D-di
quello che ti
hanno fatto subire!” si lagnò lui, accentuando
maggiormente la stretta.
“Te l’ho detto
ora. Sai che ognuno ha i
suoi tempi” mormorò lei, baciandolo su una guancia
prima di scostarlo da sé per
guardarlo negli occhi. “E poi, tu mi regalasti il tuo
martello di Thor. Come
avrebbe più potuto succedermi qualcosa?”
Scoppiando in una risata nervosa,
Jamie
assentì al suo commento ed Emily, a mo’ di
spiegazione, disse a Parker: “Quando
tornai, Jamie insistette per regalarmelo, anche se era il suo
giocattolo
preferito. Inoltre, ogni sera disponeva i suoi pupazzi degli Avengers
davanti
al mio letto perché mi proteggessero, e li toglieva la
mattina perché non li calpestassi
al mio risveglio.”
Suo malgrado, Jamie
arrossì e Parker,
liberatosi il volto dalle mani, annuì e chiosò:
“Un bravo fratello minore. Non
c’è che dire.”
“Io non sarei stato in
grado di fare
ciò che hai fatto tu, Emy” mormorò
Jamie, reclinando contrito il viso. “Poco ma
sicuro.”
“Solo perché
io avevo otto anni e tu
sei. Eri un po’ basso, per fare quel che ho fatto io ma,
quanto a risolutezza,
ce l’avresti fatta senza problemi” lo
rassicurò lei, battendogli una mano sul
braccio. “Ti saresti inventato qualcos’altro, ne
sono sicura.”
“Non
è…” iniziò col replicare
Jamie,
subito interrotto dalla sorella.
“E’
vero. Sei stato tu che hai spinto per andare in prima persona
a Haiti, dopo
il terremoto, e ti sei spaccato la schiena come gli altri, per aiutare.
Pensi
che l’abbiano fatto in molti altri, tra quelli che
conosciamo?” gli rammentò
lei, granitica.
Parker emise un fischio modulato, a
quella notizia, e chiosò: “A quanto pare, voi
fratelli Poitier avete tempra da
vendere.”
Emily gli sorrise e, nonostante le
sue
paure, si sentì veramente meglio per aver messo a parole
ciò che, quei
cinquantadue giorni, avevano voluto dire per lei.
Solo Anthony aveva conosciuto
quella
storia, fino a quel momento. Neppure mamma o papà ne erano
al corrente perché,
durante il processo, molte cose erano state omesse in quanto non
direttamente
attinenti al dibattimento. Gli investigatori sapevano, ma avevano
accettato la
sua richiesta di non dire tutto, se non quello strettamente necessario.
Per la sua salute mentale, avevano
accettato sia le sue parole che quelle dello psicologo, limitandosi ad
attingere alle prove a carico dei tre indiziati solo ove fosse servito.
In merito ad Anthony, si era
sentita in
dovere di spiegargli perché fosse
impazzita proprio dinanzi ai suoi occhi. Lui si era meritato sul campo
la sua
piena fiducia, oltre che la sua totale franchezza.
Nonostante le pesasse ammetterlo,
faceva davvero sentire liberi continuare a parlarne, come se quel peso
enorme
si frantumasse un poco alla volta, divenendo più leggero,
più sopportabile. Anche
se alcune cose erano ancora dentro di lei, ben nascoste, e
lì sarebbero rimaste
in eterno, si sentiva davvero già meglio.
Tentare di sviscerarle le era quasi
costato la pazzia, perciò avrebbe lasciato
quell’ultimo mostro ben sedimentato
nel suo subconscio, così che ci morisse.
Era già stato difficile
riavvicinarsi
alla vita di tutti i giorni, e accettare di rivedere la sua famiglia
dopo quel
tragico evento.
All’arrivo dei suoi
genitori nel
piccolo hotel di campagna, Emily aveva abbracciato mamma e fratello, ma
si era
allontanata sdegnata da suo padre, tacciandolo di essere cattivo e
crudele.
Jordan Poitier non aveva replicato
all’accusa, ed Emily si era ancor più convinta
della sua colpevolezza, di
fronte a quel silenzio contrito e carico di condanna personale.
Ricordava bene con quanta freddezza
lo
avesse trattato in quelle prime ore, in netto contrasto con
l’abbraccio pieno
di gratitudine che aveva tributato a Max, Nina e Alan.
Tutto era andato peggiorando, da
quel
momento, e il suo rientro a casa era stato costellato di paradossi e
contraddizioni.
Ciò che era successo a
zia Berry
l’aveva sì e no sconvolta, ancora troppo intontita
dal rapimento per rendersi
conto di cosa fosse veramente accaduto e, quando aveva iniziato a
riprendere
una vita più o meno normale, i suoi equilibri si erano
ribaltati.
Emily aveva iniziato a incolpare il
padre di ogni genere di cattiveria, reale o inventata che fosse, e ogni
loro
dialogo era finito tra le urla e i pianti. Non aveva mai permesso al
padre di
giustificarsi, in quei vent’anni, né aveva mai
dato retta agli psicologi che,
di volta in volta, si erano susseguiti nella sua vita.
Le parole del padre non avevano
più
contato nulla, per lei, perciò sarebbe stato inutile
ascoltarle e a questo si
era sempre attenuta, portando anche Jordan Poitier a uniformarsi a
questo
assioma.
Margareth aveva cercato di mediare
tra
di loro ma, alla fine, l’unica cosa che era riuscita a fare
era stato allargare
ancor di più il solco tra lei e il padre.
Dopo una serie infinita di inutili
tentativi, Jordan aveva semplicemente rinunciato ad avere un rapporto
di
qualche genere con la figlia e, anche con gli psicologi, Emily aveva
sempre
tributato a lui ogni responsabilità per il suo stato di
salute.
A nulla erano valsi gli sforzi di
farle
capire che, nel mondo reale, non esistevano solo il bianco e il nero e
che,
senza parlare con il padre, non avrebbe mai risolto i dubbi che la
assillavano.
Emily era stata granitica, su
questo
punto. Non aveva più voluto avere a che fare con lui,
né sentire le sue
giustificazioni in merito.
Sospirando, la giovane si
alzò dalla
sedia come per scacciare quei pensieri, terminò di bere il
vino e, sorridendo
ai suoi due ospiti, Emily disse: “Penso che ora
sarò cafona e vi abbandonerò
per fare una telefonata. Vi scoccia?”
I due uomini scossero il capo ed
Emily,
con un sorriso di ringraziamento, risalì le scale assieme
alla sua affidabile
Cleopatra. Dopo aver acceso le luci del suo studio, vi si
infilò dentro e si
accomodò sulla poltrona da ufficio color bordeaux.
Lì, tutto le era
famigliare e le dava
sicurezza. Le ampie vetrate le permettevano di scorgere il lago, le
vicine
montagne e le luci della cittadina ma, al tempo stesso, la facevano
sentire
protetta.
I vetri che aveva fatto installare
Sherry
avrebbero retto il peso di un missile, se qualcuno avesse tentato di
sfondarli,
perciò poteva godersi le bellezze di Nederland senza avere
paura di
un’aggressione.
Per quanto mettere in sicurezza una
villa con molte finestre fosse stato complesso, lei aveva preferito
farla
costruire così. Non era più riuscita a sopportare
gli spazi stretti e chiusi, e
aveva sempre avuto il bisogno fisico di potersi guardare attorno, di
avere
sempre una via di fuga da cui scappare.
Anche da se stessa.
Sherry Kerrington, la sua
ammaliante
amica e professionista nel mondo della sicurezza, aveva esaudito
qualsiasi suo
desiderio. E le aveva insegnato a sparare come un soldato.
Altra cosa in cui Sherry era
provetta
visto che, per diletto, era anche una
cacciatrice di taglie.
Afferrato il cordless che teneva
sulla
scrivania, controllò l’orario – erano le
otto di sera –, lasciò per un altro
momento i suoi pensieri su Sherry e calcolò il fuso orario
di Santa Fe,
dopodiché pigiò il pulsante uno del telefono per
la chiamata rapida.
Servirono quattro squilli
perché la
voce profonda e forte di Max Sheperd fuoriuscisse dal telefono.
Da almeno cinque anni si era
trasferito
a Santa Fe per gestire le scuderie del maneggio della figlia e, almeno
una
volta l’anno, Emily si prendeva due settimane per andare a
trovarlo.
Sessantenne vigoroso e dalla salute
di
ferro, Max le era rimasto amico per tutto quel tempo e, non di rado, si
erano
incontrati per mantenere saldo il loro rapporto ormai ventennale. Anche
con
Alan e Nina si sentiva spesso, ma era con Max che aveva sviluppato
questo
legame simbiotico e trattava Becky, la figlia dell’uomo, alla
stregua di una
sorella acquisita.
“Ehi, biondina, come
stai?” esclamò
Max, mentre il nitrito di un cavallo si udiva in lontananza.
Emily sorrise al solo sentirlo e
replicò: “Ehi, cowboy! Io sto bene. Sei
già andato a surfare, quest’anno?”
L’uomo scoppiò
in una calda risata di
gola, ripensando ai suoi goffi tentativi di imparare, e alla sua
conversione
quasi obbligata alle moto d’acqua.
“Non mi prendere in giro,
biondina.
Sono vecchio per imparare certe cose” ironizzò
lui, pimpante.
“Non me la dai a bere,
Max. Tu non sei
vecchio, è solo che apprezzi di più le cose
motorizzate, ammettilo” lo prese in
giro lei, accomodandosi sulla sua poltrona a ruote per poi
giocherellare con la
mano libera con il pelo di Cleopatra.
“Ah, in questo hai
assolutamente
ragione, Emy. Sono un fanatico fatto e finito” ammise
l’uomo prima di tornare
serio e domandarle: “Qualcosa non va, piccola?”
Quel ‘piccola’
le fece tornare alla mente ancora una volta il loro primo
incontro, il latte caldo che le aveva preparato e le sue mille e
più
gentilezze.
Era stato un padre putativo, un
amico,
un confidente, ma neppure con lui era riuscita ad aprirsi
completamente. Come
coloro a cui aveva raccontato la sua storia, conosceva solo
ciò che era venuto
fuori durante il processo, ma nessuno sapeva la
versione completa.
Anche quando aveva partecipato al
contraddittorio, aveva omesso alcune parti; non aveva voluto che il
mondo
intero conoscesse ogni cosa di quel
che le era successo in quella grotta.
Non che le sue omissioni avrebbero
potuto cambiare la pena – Simon e Vince sarebbero
probabilmente usciti in una
casa di pino, dalla prigione, tanti erano gli anni che gli erano stati
comminati. L’aggravante di aver reso paraplegica la sua balia
aveva peggiorato
– e di molto – la loro posizione giuridica.
L’aver rapito, e maltrattato, una
bambina, una bambina ricca, li
aveva
praticamente condannati a vita.
Non che le piacesse ammetterlo, ma
anche il suo status sociale era
contato, in quel processo.
Grazie alla testimonianza di Sandra
–
la loro adorabile nanny –
si era
potuto confermare con certezza che, a colpirla, era stato Vince, mentre
Simon l’aveva
tenuta sotto tiro con una pistola.
Ray, invece, non le aveva fatto
alcun
male, né l’aveva minacciata in nessun modo.
Sandra, anzi, aveva ricordato di
come si fosse speso per evitare che Vince la colpisse, ricevendo per
diretta
conseguenza un pugno al volto.
Emily era stata felice di sapere
che
Ray non le aveva fatto del male e forse, se avesse ammesso ogni cosa, tutto quanto, non si sarebbe
accompagnata per tanti anni ai demoni che le tenevano
tutt’ora compagnia.
Ammettere ad alta voce quel che
ancora
era sedimentato nella sua mente, però, era facile da dire
solo a livello
teorico. A conti fatti, in realtà, non c’era mai
riuscita, se non una volta, e
cioè con il giudice che aveva presieduto il processo.
Un po’ troppo poco, e con
una persona
che non le aveva dato alcuno stimolo a guarire, per potersi dire libera
da
incubi. Però, era stato buono con lei, aveva promesso di non
renderlo noto, e
questo le era bastato per non impazzire.
L’incubo,
però, era rimasto sedimentato
dentro di lei, crescendo al pari con la sua età, e ora era
diventato qualcosa
di mostruoso, di inaccettabile, che non riusciva più neppure
a nominare a se stessa.
“Hai un po’ di
tempo per me?” dichiarò
a un certo punto Emily, fuggendo letteralmente dalla propria mente.
“Ovvio, piccola. Dimmi
tutto” mormorò
l’uomo.
Emily, così,
tornò a raccontare ciò che
aveva appena detto a Jamie e Parker. Più le parole fluirono
dalla sua bocca,
più il suo corpo, il suo animo si fecero leggeri. Ma ancora
quell’angolo buio
rimase inesplorato, chiuso, serrato a doppia mandata.
Come inizio della sua fuoriuscita
dal
tunnel, però, poteva ritenersi soddisfatta, no?
I demoni cominciarono a
rimpicciolirsi,
a prendere forme più sopportabili e gestibili e, quando
infine sospirò e chiuse
la bocca, sentì Max imprecare e ringraziare Dio al tempo
stesso.
“Ci ho messo un
po’. Scusa.”
“E di che ti vuoi
scusare, piccola?
Niente di quel che successe fu mai colpa tua. Tu dimostrasti solo di
essere
coraggiosa e intraprendente. Punto.”
“Perché,
allora, papà non venne a
prendermi?” domandò Emily, e le lacrime sgorgarono
come fuoco sul suo volto
contratto.
Max non rispose subito, si
limitò ad
ascoltare il suo pianto arrabbiato e liberatorio e, solo quando fu
sicuro di
aver soppesato bene pro e contro, disse: “Lo vidi, Emily. Gli parlai. Non mi parve un uomo freddo,
né indifferente. Solo
estremamente combattuto.”
“Combattuto? Doveva solo
salvarmi!”
urlò furiosa e frustrata, sentendosi in tutto e per tutto
quella bimba di otto
anni che aveva dovuto affrontare un evento mostruoso nella
più totale
solitudine.
Emily era cosciente di essere in
parte
ingiusta. Ormai sapeva che il mondo non funzionava come aveva creduto
da
bambina, ma v’erano più sfumature che in un
caleidoscopio.
Ugualmente, il livore e la rabbia
l’avevano accompagnata anche quando aveva compreso le
dinamiche degli adulti e
ora, a più di trent’anni, ancora non accettava
certe regole e le loro relative
limitazioni.
“Lo so, bambina. E non mi
metterò a
giustificare nessuno, perché non conosco le cose fino in
fondo… ma, proprio per
questo, dovresti parlare con tuo
padre. Senza risentimenti, senza preconcetti. Solo in seguito potrai
decidere
se merita o meno il tuo biasimo. Sei abbastanza forte per affrontare
anche
questo demone, Emy. Lo sai bene.”
“Tu credi?”
mormorò lei, chetandosi un
poco.
“Oh, ne sono sicuro. I
vostri silenzi
sono durati anche troppo a lungo, e tu lo sai. Non sei così
sciocca da non
sapere che tacere per vent’anni può portare a
disastri inenarrabili.”
Chiusi gli occhi per un istante,
Emily
prese un gran respiro e, nell’emettere lentamente aria dalla
bocca, finì col
dire: “Vedrò di pensarci. Ma prima devo finire il
mio libro, e poi dovrò fare
la baby-sitter per un po’. Consuelo ha la
precedenza.”
“Va bene anche
così. Basta che tu lo
inserisca in agenda. Non dimenticarlo.”
Lei sbuffò, emise un
risolino e,
afferrata che ebbe la sua agendina, scrisse un memo al primo dicembre
indicando
‘parlare con
papà’.
“Dicembre, bimba? Ti
spingi avanti”
ironizzò Max.
“Beh, siamo a maggio.
Consuelo
partorirà tra un mese, io la aiuterò per almeno
sei… va bene, no?” replicò
pragmatica Emily. “In fondo, non è che io odi davvero mio padre,
perciò…”
“No di certo, ma piccola,
non gli hai mai permesso di
parlarti, di darti la
sua versione dei fatti. Anche i santi perdono la pazienza,
sai?” Max scoppiò a
ridere subito dopo e aggiunse: “In ogni caso, non mi
metterò a discutere con te,
visto come riesci a portare rancore a lungo. Basta solo che gli
parli.”
“Ci proverò.
E…” iniziò col dire lei,
prima di sentire bussare alla porta dello studio. “Aspetta un
attimo, Max.”
Jamie entrò al suo
assenso e, nel
vederlo eccitato e in ansia al tempo stesso, esalò:
“Il bambino? Di già?!”
“Già. A quanto
pare, ha pensato bene di
anticipare i lavori. Sam ha appena chiamato l’ambulatorio per
dire che a Consuelo
si sono rotte le acque. L’ambulanza sarà qui a
breve e la porteranno a Boulder”
le spiegò Jamie.
Balzando in piedi, Emily
esalò: “Bimbo
in arrivo. Ti faccio sapere, Max.”
“D’accordo,
biondina. Ti voglio bene,
lo sai?”
“E’
reciproco” sorrise lei, chiudendo
la chiamata.
Appoggiato il telefono sulla
scrivania,
fissò spiacente Cleopatra e disse: “Devo ripartire
ancora, bellezza. Ma sarà
solo per un giorno, okay?”
La cagnolona uggiolò
demoralizzata e,
mentre Emily scendeva le scale con Jamie e Cleo alle calcagna, Parker
li
attendeva sulla porta, lo sguardo puntato sulla casa di Consuelo e Sam.
“Voi partite tranquilli.
A Cleo penso io,
okay?” propose Parker, prima ancora che Emily potesse
chiedere. “Fammi sapere
come procede, però.”
“Non
mancheremo” gli promise Emily,
afferrando in fretta il suo soprabito, mentre Jamie faceva lo stesso.
Parker allora uscì dalla
casa di Emily
e, accarezzato il testone di Cleopatra, le disse: “Stanotte
dormirai ancora da
me, bella. Faremo un festino alla faccia di tua mamma, e vedrai che non
ne
sentirai la mancanza.”
Cleo scodinzolò e
girò attorno a Parker
con aria soddisfatta, prima di abbaiare un paio di volte
all’indirizzo di Emily
in segno di stizza.
La giovane non poté che
ridere di
fronte a quell’aperto ammutinamento ma quando, dieci minuti
più tardi, vide
giungere l’ambulanza, tornò seria e disse:
“Noi andiamo.”
“Partite tranquilli. A
lei bado io” la
rassicurò Parker, dandole una pacca sulla spalla.
“Grazie”
mormorò Emily. Ma non fu solo
per il cane che lo ringraziò quanto, piuttosto, per la
sicurezza che aveva
saputo instillarle.
Lui si limitò a scuotere
il capo,
sminuendo la cosa e, quando li vide partire assieme
all’ambulanza, mormorò a
Cleopatra: “Tua mamma è davvero una
potenza.”
N.d.A.:
termina la storia del rapimento di Emily, e di come Max le abbia fatto
da padre putativo in questi anni, così come Emily abbia
azzittito qualsiasi replica del padre e qualsiasi spiegazione in merito
a ciò che gli aveva impedito di pagare il riscatto (ammesso
e non concesso che potesse servire a salvarla). Forse, dopo essere
riuscita a parlare con Jamie, Parker e Max, Emy troverà il
coraggio di aprirsi anche con suo padre, accettando finalmente di
ascoltare anche la sua versione dei fatti. Voi che dite?
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
8.
I minuti si ammonticchiarono gli
uni
sugli altri, divenendo ore finché, alle quattro e venti del
mattino, Sam uscì
dalla sala parto con un gran sorrisone e abbracciò un
addormentato Mickey.
Il bimbo si ridestò
subito, inquadrò il
padre con gli occhietti già attenti e sorrise di rimando,
stringendo il papà e
domandando: “E’ nato?”
“Nata.
A quanto pare, sarai il fratello maggiore di una sorellina”
gli spiegò Sam,
notando la smorfia immediata sul viso del figlio.
Emily e Jamie risero sommessamente
di
fronte al suo aperto disagio e Mickey, dubbioso, borbottò:
“Ma le femmine
giocano con la palla?”
Sam scoppiò a ridere,
assentì e
replicò: “Certo, tesoro. Le insegnerai tu. Tra
qualche anno, però.”
“Beh, è
ovvio… prima deve imparare a stare
in piedi” brontolò il bambino, come se
l’appunto del padre fosse stato inutile
quanto scontato.
“Congratulazioni,
Sam” disse Emily,
levandosi dalla poltroncina della sala d’aspetto per
abbracciare l’amico.
“Grazie, Emy…
di tutto. E grazie anche
a te, Jamie” mormorò l’uomo, stringendo
in un mezzo abbraccio anche il giovane
Poitier.
Mickey sbadigliò
sonoramente, tra le
braccia del padre, ma chiese: “Posso vedere la
mamma?”
“Solo
un’occhiata veloce, poi fili a
letto e ci rivediamo domani… no, oggi pomeriggio, va bene?
Hai bisogno di
riposare, piccolo” dichiarò Sam, avviandosi quindi
lungo il corridoio per
raggiungere la camera della moglie.
Quando i due furono spariti nel
corridoio adiacente la sala d’attesa, Emily
sbadigliò a sua volta e dichiarò a
nessuno in particolare: “E’ andata bene, grazie a
Dio. Anche se la stanza andrà
ritinteggiata. Dalle ecografie, si pensava fosse maschio.”
“Amen. Così
è la vita. Pronta per
rientrare? O prendiamo una stanza qui a Boulder?” le
domandò Jamie,
stiracchiandosi le braccia e la schiena.
Sorridendo nel sentire gli
scricchiolii
provenienti dal fratello, segno inequivocabile di un impellente bisogno
di
riposo, Emily disse: “Ce la faccio a guidare, tranquillo. Ma
oggi mi riposerò
tutto il giorno. Poco ma sicuro.”
“Mi associo. Ti
darò comunque il cambio
alla guida, se serve” annuì il fratello prima di
sorridere nel veder tornare
Mickey, tra grandi sbadigli e un’aria più
tranquilla.
Samuel accompagnò il
figlio fino alla
coppia di fratelli e lì, dopo un attimo, domandò:
“Sei sicura di volerlo tenere
con te, Emy? Posso chiamare mia madre, se credi.”
“E farla venire fino a
Nederland da
Denver, a quest’ora di notte? No, Sam. Lascia che riceva la
notizia più tardi,
con comodo. Io la aspetterò a casa con Mickey”
scosse il capo Emily, dandogli
una pacca sul braccio.
“Grazie. Ti dobbiamo
davvero molto” la
abbracciò con calore Sam.
“Consuelo è da
sola, qui, visto che i
suoi genitori sono rimasti in Messico. E tua madre non ha bisogno di
scodellarsi la strada fino a Nederland in piena notte. Jamie e Mickey
si
divertiranno un mondo a dividere il letto… vero?”
ammiccò la giovane, lanciando
un’occhiata divertita al fratello, che aveva già
preso in braccio un
insonnolito bambino.
“Sicuro come
l’oro. Faremo un mega
pigiama party” ironizzò Jamie e Mickey
ridacchiò, poggiando fiducioso il capo
contro la spalla del giovane.
“E’ a
pezzi” mormorò comprensiva Emily.
“Partiamo subito. Ti manderò un SMS non appena
saremo arrivati, okay?”
“Andata. E ancora
grazie” le disse Sam,
allungandosi per dare un bacetto sulla testa al figlio.
“Se non ci si aiuta tra
amici…” chiosò
lei, salutandolo quando lo vide tornare verso il corridoio della
maternità.
Lanciata poi un’occhiata
al fratello,
aggiunse: “Bene. Possiamo andare.”
***
Complice la stanchezza accumulata
durante il viaggio di ritorno, unitamente all’accumulo di
adrenalina
annullatasi di colpo dopo la nascita di Sophie Ines Larson, Emily si
svegliò
solo intorno alle tre del pomeriggio.
Senza incubi.
Stiracchiandosi nello sbadigliare
sonoramente, scoppiò a ridere l’attimo seguente
quando Cleopatra balzò con la
zampe anteriori sul letto per cominciare a leccarla, piena di
felicità e
aspettativa.
Emily la lasciò fare,
carezzandola e
facendole dei grattini dietro le orecchie prima di domandare:
“Sei scappata da
casa di Parker, bricconcella?”
Cleopatra abbaiò ancora,
e solo in quel
momento Emily si accorse del brusio al piano inferiore.
Azzittendosi, ascoltò le
voci
provenienti dabbasso e, quando riconobbe quelle di Jamie e Parker,
comprese il
motivo della presenza di Cleopatra.
Vestitasi con camiciola, cardigan e
jeans, Emy arrancò quindi fino al bagno, ma non prima di
aver controllato che
Mickey stesse ancora dormendo.
Nel vederlo saporitamente
addormentato
nel lettone sfatto, i suoi occhi si addolcirono e, nel richiudere la
porta, si
dedicò alle sue abluzioni mattutine… beh,
pomeridiane, in quel caso.
Dieci minuti dopo, scese fino in
cucina, salutò i due uomini intenti
a
bere una tazza di caffè e ne prese un po’ per
sé dalla brocca che,
evidentemente, il fratello aveva da poco preparato.
Afferrata poi una mela, la
addentò e
bofonchiò: “Non vavori, offi?”
Ridendo sommessamente, Parker
scosse il
capo e replicò: “Ti devo ricordare che
è domenica?”
“Oh,
già” esalò lei, dandosi una manata
sulla fronte. “Cleo ti ha dato problemi?”
“Ha tenuto un muso
adorabile,
spaparanzandosi davanti all’entrata di casa e sospirando ogni
minuto e mezzo
circa” ironizzò l’uomo, scrutando la
danza allegra della cagnolona, che stava
trottando attorno alla sua padrona come se non la vedesse da mesi.
Carezzando gentilmente
l’amica, Emy
mormorò: “Scusa tanto, bellissima. Ma quando
vedrai Sophie, sono sicura che
capirai.”
“Mamma e figlia stanno
bene, quindi?”
“Quando le abbiamo
lasciate stamattina,
sì” assentì Emily, sedendosi al tavolo
da pranzo. “Hai novità, Jamie?”
“Solo un SMS di Sam, in
cui mi dice che
Sophie si è svegliata per la pappa”
annuì lui mostrandole il cellulare,
corredato dalla foto di una bimbetta in tutina bianca e azzurra,
attaccata al
seno di Consuelo. Dopotutto, si era pensato a un maschio, e gli abitini
che
avevano preparato per andare all’ospedale, avevano tutti
fantasie maschili, ma
poco contava, in quel momento.
“Adorabile”
mormorò Emily, terminando
il caffè.
“Sono contento per loro.
Avranno il
doppio dei grattacapi, ma saranno grattacapi buoni”
chiosò Parker, poggiando la
tazza del caffè sul tavolo per poi alzarsi.
“Adesso sarà meglio che vada. Devo
rimettere un po’ in ordine le mie scartoffie, visto che
domani cambierò zona.”
“Dove ti
spingerai?” gli domandò Emily.
“Mi sposterò
nella zona di Eldora per
controllare le miniere di Tungsteno del posto” le
spiegò lui.
“Se ti serve una mano,
chiedi pure. Mi
sono spinta lì diverse volte, per fare delle fotografie, e
conosco bene i
sentieri” lo mise al corrente Emily.
“Ne terrò
conto” dichiarò Parker, avviandosi
verso la porta. “Buona giornata, ragazzi. Passerò
stasera a salutarti, Jamie.”
Il giovane assentì,
battendo pugno
contro pugno con il geologo ed Emily, osservandoli insieme, fu lieta
che anche
il fratello trovasse simpatico Parker. Il suo giudizio contava molto,
per lei.
Accompagnatolo alla porta, Emily
fece
per salutarlo, quando notò l’auto di Anthony ferma
davanti alla casa dei suoi
vicini, forse in attesa di notizie riguardanti Consuelo.
Parker lo guardò a sua
volta, vagliò se
fosse il caso o meno di rimanere assieme a Emily ma, quando lei non
disse nulla
e si avviò verso l’uomo, lasciò perdere
e si limitò a darle una pacca volante
sulla spalla per poi avviarsi verso casa.
Dopo quello che aveva saputo su di
lei,
il pensiero di aiutarla e proteggerla era divenuto molto forte, ma non
era la
sua ragazza e, se Emily non chiedeva aiuto, perché
offrirglielo?
Non era una mammoletta, e lo aveva
dimostrato già in giovanissima età.
Se avesse avuto bisogno di lui,
Parker
ci sarebbe stato. Non fosse mai che lasciasse una donna in
difficoltà. In quel
momento, però, non sembrava davvero il caso di immischiarsi.
***
Dopo aver lanciato un ultimo
sguardo a
Parker, che si avviò a passo tranquillo verso il fondo della
via, Emily richiamò
l’attenzione di Anthony chiamandolo a mezza voce e, subito,
l’uomo si volse
verso di lei per salutarla.
Appariva in lieve ansia, ed Emy ne
comprendeva bene i motivi.
Consuelo era stata la sua
fidanzata,
anni addietro, e Mickey era nato circa nove mesi dopo una furiosa lite
che li
aveva visti separarsi definitivamente, con grande disagio da parte di
entrambi.
Quella nascita, seguita a una sola
notte d’amore con Samuel – da cui Consuelo si era
rifugiata in lacrime e
disperata – aveva suscitato un mezzo scandalo, in paese.
Consuelo ed Anthony avevano
raggiunto
il punto di rottura dopo un lungo periodo di liti e discussioni,
causate
soprattutto dal comportamento irriguardoso del padre di lui. William si
era
sempre espresso negativamente su di loro, e tutto a causa della
famiglia di
Consuelo, che era di origine messicana.
Più volte, Anthony e suo
padre si erano
scambiati insulti verbali più o meno intensi, in merito
all’assurda convinzione
di William che Consuelo non fosse ‘abbastanza’
per il figlio.
Nonostante la strenua decisione di
Anthony di proseguire con la sua relazione, l’odio ben
radicato di William
aveva però minato le certezze di Consuelo, e questo aveva
portato
all’allontanamento progressivo dei due. E alle loro liti
sempre più frequenti.
Samuel si era ritrovato proprio nel
mezzo di quell’ultima crisi, amico di entrambi ma innamorato
da sempre di
Consuelo.
Ciò che era avvenuto la
notte in cui
Consuelo si era presentata a casa sua in lacrime, furiosa con Anthony e
disposta a mandare tutto alle ortiche con lui, aveva segnato la fine di
un
percorso e l’inizio di un altro.
Per mesi, Consuelo si era poi
scusata
con Samuel per averlo messo nella scomoda situazione di essere colui che aveva rubato la donna all’amico.
Anthony, però, non aveva
ingiuriato né
l’uno né l’altra. Si era dichiarato
però deluso da se stesso per non aver
lasciato altra scelta a Consuelo se non l’andarsene via da
lui a quel modo.
La notizia della gravidanza della
giovane aveva rinfocolato però le chiacchiere di paese dopo
che, all’apparenza,
tutto sembrava essersi appianato.
Alcuni avevano persino insinuato
che la
paternità di Mickey fosse da addebitare ad Anthony, ma lui
aveva sempre
smentito con forza quell’ipotesi, non fornendo
però nessuna spiegazione in
merito.
Per tacitare i più
maliziosi, Samuel
aveva altresì chiesto ad Anthony di fare da padrino a
Mickey, e lui aveva
accettato con piacere.
Alla fine, come qualsiasi altro
pettegolezzo, anche quello era morto per mancanza di comburente da
bruciare
sull’altare dei curiosi e, per il trio, era infine giunta una
pace sofferta e
combattuta con coraggio.
Negli anni, la loro amicizia si era
rinsaldata fino a divenire indissolubile, e tutto ciò che
era avvenuto in
passato era stato dimenticato e perdonato.
Non per William Consworth,
però, che
ancora riteneva Consuelo una donna dalla dubbia moralità.
A nessun altro, però,
era mai venuto in
mente di fare eco a quegli insulti, perciò Consworth senior
era rimasto solo
nel suo odio e nella sua sciocca convinzione di essere dalla parte
della
ragione.
“Devo
supporre che Consuelo sia andata in
ospedale. Ho visto passare l’ambulanza, ieri sera, e ho
immaginato fosse per
lei, ma non volevo disturbare, chiamandoli” esordì
Anthony, poggiandosi
svogliatamente contro la propria auto.
“Sì. Li
abbiamo accompagnati a Boulder
ieri sera. La bambina è nata stamattina alle quattro
circa” lo informò lei,
avvicinandosi fino a poggiarsi contro il pilastro del cancello.
Anthony appariva molto rilassato e,
quando sentì che la bambina era già nata, sorrise
sollevato ed esalò: “Bambina?
Allora, ci saranno dei
cambiamenti in casa! Sai già che nome le hanno
dato?”
“Sophie Ines. Se non ho
capito male –
ero abbastanza addormentata, quando Sam me l’ha spiegato
– è in onore della
nonna di Sam, che ha origini italiane. Il secondo nome, invece,
è in onore
della nonna di Consuelo” gli spiegò Emily,
sorridendo divertita.
Lui assentì, scoppiando
a ridere, e
chiosò: “Io sarei crollato dal sonno. O forse no.
Mi sarei agitato tanto da
svenire… quindi non sarei stato molto utile, in nessuno dei
due casi.”
“Oh, beh, qui la vera
roccia è stato
Mickey. E’ rimasto arzillo come una cavalletta per tutto il
tempo. Ha dormito
solo pochi minuti e, quando Sam è
uscito dalla sala parto, si è ripreso subito per vedere
mamma e sorella. Solo
dopo è crollato del tutto” celiò Emily
prima di aggiungere: “E’ un po’
preoccupato perché non sa se sarà brava a giocare
a calcio.”
Anthony rise nuovamente, ed Emily
si
sentì rimescolare il sangue al pensiero di non avere il
coraggio di avvicinarsi
a lui. Desiderava con tutto il cuore riallacciare i rapporti con Tony,
ma la
paura di affrontare l’intimità con lui era tale da
raggelarla.
Si sentiva davvero una stupida, a
comportarsi come una bambina petulante e fifona, ma non riusciva
davvero ad
accettare che qualcuno la toccasse come…
Il solo pensiero la fece
impallidire e
Anthony, smettendo immediatamente di ridere, mormorò:
“Emy… cosa c’è? Sei
impallidita di colpo.”
Lei si riscosse, si
passò le mani sul
viso e, nervosa, mormorò: “Tranquillo, non
è nulla. Solo… vecchi ricordi.”
Accigliandosi un poco, Anthony le
domandò: “Per via di Ray? So che gli hanno
concesso delle attenuanti e uscirà
quest’estate.”
Emily non fu affatto sorpresa che
lui
ne fosse al corrente. Per quanto non stessero più insieme,
si era sempre preso
cura con discrezione di lei, al pari di Gilda e dello sceriffo. Anzi,
forse era
stato lo stesso sceriffo Meyerson ad avvisarlo dell’imminente
scarcerazione di
Ray.
“In parte.
Cioè, lo so che lui non mi
farebbe mai del male, o che altro. Era l’unico di cui mi
fidassi, là dentro,
però…” borbottò lei,
passandosi una mano sulla fronte aggrottata, sperando che
quel semplice gesto potesse scacciare l’ansia di quei ricordi
sedimentati in
lei e mai sgorgati dal suo animo.
“…però,
ti fa riemergere comunque dei
ricordi spiacevoli. Inoltre, questo è il periodo in cui ti
trovavi nella grotta,
per cui non fa specie che tu abbia dei cattivi pensieri”
annuì lui, lanciando
un’occhiata al cielo sgombro di nubi prima di sorridere
mestamente e
aggiungere: “Vorrei abbracciarti, dirti che gli incubi
passeranno, che nessuno
ti farà più del male, ma…”
“… ma sai che
darei di matto. O almeno,
lo temi” terminò per lui, sbuffando contrariata.
“Dio! Vorrei schiaffeggiarmi
da sola, per la mia viltà, credimi! Perché vorrei
che tu mi abbracciassi. Davvero!”
Anthony la fissò
sorpreso, e la luce
della speranza si accese nei suoi occhi chiari e simili a pozze di
cielo.
Ugualmente, però, non si mosse, ligio al ruolo di cavaliere
che si era
autoimposto per lasciare spazio a Emily.
Emily che, sbuffando nuovamente,
borbottò: “Puoi… puoi provare, per
favore? Piano, però.”
Lui assentì, muovendosi
verso di lei al
rallentatore, quasi stesse avvicinando un animale selvatico che non
voleva far
scappare per la paura.
Emily rimase accanto al pilastro,
lasciandosi sorreggere per paura che le gambe le cedessero e, quando
avvertì il
contatto con le mani calde di Anthony, si sentì sciogliere.
Oh, le ricordava ancora, quelle
mani
gentili e forti al tempo stesso! Quel calore piacevole che le scaldava
le
membra fredde, quel petto ampio e protettivo che la faceva sentire al
sicuro.
Nemmeno dopo cento anni
l’avrebbe
dimenticato, eppure quel calore, quella vicinanza, le scatenavano
dentro
schegge di paura incontrollabili che la ferivano… e lo ferivano, costringendola ad
allontanarsi.
“Stai tremando,
Emy… vuoi che smetta?”
mormorò Anthony contro i suoi capelli, inspirando il suo
profumo e godendo di
quei pochi attimi accanto a lei.
Era così difficile
accettare di restare
sempre a qualche metro da lei, senza poterla toccare come avrebbe
voluto, senza
dimostrarle che lui sarebbe stato in grado di proteggerla dai suoi
demoni.
Aveva accettato di lasciarle spazio
– e
come avrebbe potuto fare altrimenti, visto quanto l’amava?
– ma portare avanti
quel ruolo da amico gli stava diventando stretto.
Inoltre, lo volesse o meno
accettare,
quel nuovo arrivato, Parker Jones, sembrava aver fatto breccia nel
cuore di
Emily, e lui non era fatto di pietra.
Bruciava di gelosia ma, di fronte a
Emily, si era imposto di non dire – né fare
– nulla, conscio dei suoi problemi
e di quanto fosse difficile affrontarli.
Emy, nel frattempo, scosse il capo
ma
si allontanò lentamente, gli occhi colmi di lacrime che,
però, non avrebbe mai
versato di fronte a lui.
Anthony, allora, la
lasciò andare con
un sospiro e si limitò a sfiorarle il viso con una leggera
carezza.
“Mi odio”
mormorò lei.
“Io non ti
odio” replicò lui.
“Dovresti. Sono un
mostro” protestò
Emily, scostandosi completamente dall’uomo ma trattenendo sul
viso la sua mano.
Con la propria la coprì
delicatamente e
aggiunse: “Dovresti mandarmi al diavolo, trovarti una brava
ragazza e lasciarmi
bollire nel mio brodo.”
“Al momento, non troverei
di meglio. E
sai quanto io sia esigente” ironizzò lui,
apprezzando che Emily stesse
intrecciando le dita alle sue.
“Sei
masochista” sottolineò lei,
gorgogliando una risata.
“Può essere,
non ho mai sperimentato di
persona, anche perché non mi definirei un Christian
Grey” motteggiò lui, pensieroso.
“Lui è un
Dominatore sessuale, Tony”
precisò Emily, ammiccando.
“C’è
molta differenza?” si informò
allora lui, cavalcando l’onda di quel dialogo leggero.
Sembrava servisse a
calmarla, e lui avrebbe anche passato tutta la giornata a dire
sciocchezze, se
fosse servito a passare del tempo con lei.
“Direi di sì,
almeno per quel poco che
so. Comunque, non è una cosa che intendo provare. Ho
già dato, sul fronte esperienze
estreme” chiosò Emily prima
di sorridergli e aggiungere: “Grazie, Tony.”
“Per aver parlato di Mr
Grey?” ironizzò
lui. “Sei anche tu innamorata di Jamie Dornan?”
“Non piangerei, lo
ammetto, se mi
passasse a prendere per un drink” rise a quel punto Emily,
lasciandolo andare.
“Ma vivo con i piedi per terra. Vicino a persone a cui tengo
molto.”
“Buono a
sapersi” si limitò a dire
Anthony.
“Ti farò
sapere quando torneranno a
casa, va bene?”
“D’accordo”
assentì lui prima di
sollevare una mano per salutare qualcuno alle spalle di Emily.
Avvampando, la giovane a quel punto
mormorò:
“Non mi dire che Jamie ci sta guardando dalla
finestra.”
“Per la
verità, sia lui che Mickey
hanno la faccia incollata al vetro. Temo dovrai pulirli,
dopo” ironizzò l’uomo,
salendo in macchina e salutandola con un cenno della mano.
“Beh, darò
straccio e Vetril a loro”
bofonchiò Emily, voltandosi per tornare in casa a passo di
carica.
Immediatamente, Mickey e Jamie si
scollarono dal vetro per scappare e, quando Emily entrò in
casa, trovò solo
Cleopatra ad attenderla.
Sospirando, la giovane
accarezzò la sua
cagnolona e borbottò: “Dove se la sono filata,
quei due codardi?”
***
“… e
così, li ho trovati che
curiosavano come due comari” terminò di raccontare
Emily mentre Sam e Consuelo
se la ridevano e Mickey e Jamie si guardavano imbarazzati.
“Ragazzi curiosi, questo
è sicuro”
chiosò Consuelo, sorridendo amabile al figlio.
“Oh, non
c’è che dire. Ma il bello è
che poi se la sono filata, quando li ho scoperti”
ironizzò Emily, fissandoli
con aria furba.
Jamie ridacchiò
nervosamente e ammise:
“Volevo solo essere sicuro che non avessi problemi.”
“Sì,
sì, zia Emy!” rincarò la dose
Mickey, annuendo con vigore. “Quando Jamie non è
con te, ci penso io a tenere
sott’occhio gli uomini! Perciò devo conoscere le
facce di chi ti ronza
intorno!”
“Ronzarmi…
intorno? E dove l’hai
imparato questo gergo?” esalò Emily, mentre i
genitori del bambino scoppiavano
nuovamente a ridere.
“A quanto pare, Mickey si
è
autoproclamato tuo cavaliere” celiò Sam, dandole
una pacca sulla spalla.
“Oh, beh, ne sono
onorata… ma devi
stare tranquillo. Tony è un tipo a posto. Siamo amici, io e
lui” lo rincuorò
lei.
“Allora, anche Parker
è tuo amico?”
“Certo che lo
è.”
Mickey si fece pensieroso,
guardò per
qualche istante il padre e infine domandò: “Ma una
donna grande può avere due
amici maschi?”
Gli adulti esplosero in una risata
collettiva, di fronte a quella ingenua domanda e, quando
l’infermiera entrò con
Sophie, li trovò ancora sorridenti e allegri.
“Guarda chi
c’è!” esalò Consuelo,
allungando le braccia verso la figlia. “Ciao,
piccolina!”
L’infermiera gliela
consegnò con
dolcezza, mormorando: “E’ stata bravissima, e tutti
gli esami sono in ordine.
Stando così le cose, il dottore dice che entro domani
potrete tornare a casa.”
“Molto bene”
annuì la donna, mentre
Samuel batteva il cinque con il figlio.
“Potremo tornare presto a
casa, amore
mio” mormorò Consuelo, dando un bacino sul capo
alla figlia.
Lei sbadigliò, si
stiracchiò e allungò
le manine paffute verso il seno della madre che, con naturalezza, la
accontentò.
Emily, seduta al suo fianco sul
letto,
sorrise deliziata e disse: “E’ davvero adorabile e,
se crescerà così bella
com’è ora, Sam e Mickey dovranno davvero farle la
guardia.”
“Non mi ci far
pensare” esalò Samuel,
scuotendo il capo.
“Dovrò fare la
stessa cosa che sto
facendo per zia Emy?” si informò Mickey a quel
punto.
“Direi di
sì… armato di bazooka, però”
sottolineò Sam, facendo ridere tutti.
Mickey, però, lo prese
molto sul serio
e, dopo aver guardato la sorella, assentì con orgoglio e
dichiarò: “Proteggerò
io la mia sorellina.”
Jamie lanciò
un’occhiata alla sorella
che, sorridendogli, annuì e allungò una mano
nella sua direzione, stringendo
quella protesa del fratello.
Anche Jamie aveva detto quelle
esatte
parole, quando l’aveva vista tornare a casa dopo quegli
sventurati cinquantasei
giorni nel bosco.
Anche lui l’aveva
guardata con quello
sguardo pieno di determinazione, e anche lui si era messo nella posa
dei
supereroi, pronto a difenderla da ogni male.
Emily, però, aveva
imparato a proprie
spese che, da certi pericoli, neppure il fratello più
coraggioso e forte del
mondo, poteva nulla.
La mente era un nemico difficile da
battere, e nessuno poteva darci le armi per batterla. Veniva solo da
noi
scoprire il punto debole del proprio demone personale.
N.d.A.:
Sophie è finalmente nata e, grazie al suo arrivo, conosciamo
un po' meglio il passato interconnesso di Anthony, Consuelo e Samuel,
così come l'odio viscerale che William Consworth prova per
Consuelo. Notiamo anche come Emy cerchi disperatamente di riavvicinarsi
a Tony, e come quest'ultimo provi ancora dei sentimenti molto forti per
lei. Sarà finalmente la volta buona? Emily
riuscirà a sbloccarsi definitivamente?
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
9.
Accompagnata dalla fida Cleopatra e armata di nuova grinta e della rinnovata volontà di migliorarsi, Emily scese dal proprio pick-up – posteggiato alle spalle di quello di Parker – e si apprestò a immergersi nel bosco assieme a lui.
Memore della proposta della giovane, Parker lunedì mattina l’aveva cercata per invitarla per un’uscita in mezzo ai boschi così da approfittare delle sue conoscenze della zona di Eldora, ed Emily aveva accettato.
Verso le nove del mattino, perciò, Parker si era presentato a casa di Emily – Jamie era dovuto rientrare a New York per affari improrogabili, ritrovandosi così costretto a una fuga frettolosa e imprevista – e insieme si erano diretti verso la nuova zona di ricerche del geologo.
Dopo un breve percorso di poche miglia, per lo più accidentato quanto movimentato, i due avevano trovato posto in una rientranza della sterrata che avevano imboccato e, in quel momento, si apprestavano a prendere il sentiero per la miniera.
Cleo sembrava eccitata all’idea di affrontare quella nuova avventura e anche Emily, nonostante qualche timore, era propensa a lasciarsi condizionare dall’umore della sua cucciolona.
Voleva riuscire. Era stanca della compagnia sgradita dei suoi demoni, di ciò che la portavano a fare – o non fare – e di quello che dovevano patire le persone a lei care a causa dei suoi ricordi orribili.
Era tempo di dire basta.
Vedere come Sam e Consuelo fossero felici di quella nuova vita all’interno della loro famiglia, le aveva fatto comprendere quanto si stesse perdendo, della propria.
Non tanto in merito ai figli – non era certa di volerne – quanto, piuttosto, alla possibilità di vivere appieno, e in modo sempre diverso, le rispettive vite. Lei si era arenata a quei maledetti cinquantadue giorni, a quegli anni di paure mai sconfitte e, oltre a divenire adulta per l’anagrafe, aveva fatto poco altro per diventarlo davvero, in tutto e per tutto.
Rivoleva la vita che le avevano strappato, non soltanto qualcosa che le somigliasse vagamente, e rivoleva Anthony nella sua esistenza. A ogni costo.
“Premettendo che non mi farò fregare una seconda volta, ma… posso portare qualcosa anch’io?” domandò Emily, poggiandosi contro il fianco del pick-up di Parker.
Lui rise nel rammentare il loro primo pellegrinaggio nei boschi e, annuendo, le passò una sacca morbida asserendo: “Puoi portare l’attrezzatura da campeggio. Stanotte mi fermerò qui, perciò avrò bisogno di un po’ di cose.”
Nel sentirglielo dire, Emily impallidì leggermente ma, afferrata ugualmente la sacca, disse: “Hai davvero più coraggio di me.”
“Non dormirò dentro la galleria, questo posso assicurartelo. Neanche sono certo che sia sicuro esplorarla. Controllerò la sua solidità strutturale, e solo dopo deciderò se varrà la pena o meno esplorarla, ma di certo non mi ci fermerò” la rassicurò lui, sorridendole comprensivo. “Per questo, quella volta, declinasti il mio invito a entrare nella galleria?”
“Già” ammiccò lei, caricandosi su una spalla la sacca di Parker. “Il bosco mi piace, e a volte ho anche fatto campeggio, ma mai da sola e mai realmente all’interno di una foresta. Sempre e solo in camping più che protetti. Visitare una galleria, invece, è del tutto fuori dalla mia portata.”
L’uomo serrò la sponda del pick-up, chiuse il mezzo con il telecomando del portachiavi e infine raccolse zaino e casse, dotate di tracolle adatte a trasportare il tutto per lunghi tratti.
“Non ne dubito, visto quello che hai passato” ammiccò lui, avviandosi lungo il sentiero.
Emily e Cleopatra lo seguirono e, quando si furono addentrati nel bosco e il profumo delle conifere invase l’aria, entrambi sospirarono gradevolmente mentre il bovaro si lasciò andare a balzelli allegri e festanti.
Per quanto il bosco le ricordasse ancora la sua fuga rocambolesca, Emy apprezzava la vita all’aria aperta, e il trekking era il suo sport preferito. Da lì a diventare una fotografa naturalista, e una scrittrice di libri naturalistici, il passo era stato breve.
La piccola casa editrice per cui lavorava non poteva darle uno stipendio incredibile ma, grazie alle quote azionarie della ditta di famiglia – che il padre aveva destinato sia a lei che a Jamie –, poteva mantenersi agevolmente.
Non era mai stata una spendacciona e, grazie a una gestione oculata dei risparmi e una casa concepita per un quasi totale impatto zero, riusciva a contenere più che bene le spese.
Da parte sua, non era così ipocrita da non sapere che, senza i fondi a lei destinati dal padre, ben difficilmente avrebbe potuto vivere la vita agiata e senza pensieri che aveva sempre condotta. Rifiutarli sarebbe stato da sciocchi, e lei non odiava il padre fino a quel punto.
Faticava a parlargli, questo era più che ovvio, ma non avrebbe mai desiderato, per lui, alcun male. Non a caso, l’infarto che l’aveva colpito un paio di anni addietro l’aveva terrorizzata a morte, riportandola a casa per più tempo di quanto le fosse mai capitato in tutti quegli anni di separazione.
La malattia li aveva in parte riavvicinati e, pur se non si erano riappacificati su quanto li aveva separati vent’anni prima, Emily aveva comunque potuto parlare con lui con toni più rilassati.
Non sapeva se questo avesse o meno aiutato il padre a ristabilirsi ma, quando era ripartita per tornare a Nederland, la sua salute era nettamente migliorata.
“Pensieri profondi, Emy?” le domandò Parker, percorrendo a passo tranquillo il largo sentiero nel bosco.
“Sì e no. Pensavo al mio lavoro, e a quanto mi piaccia” gli sorrise lei, trovando naturale parlare di sé a Parker. “Inoltre, ho ripensato a quanto, l’infarto di mio padre, sia anche servito a riavvicinarci un po’. Non abbiamo mai veramente risolto i nostri dissapori, e tutt’ora mi riesce difficile parlargli, ma… insomma, ora non è come prima.”
Perché le dava l’impressione di essere assieme a Jamie? Cosa c’era, in lui, da renderlo così affidabile ai suoi occhi? Dopotutto, si conoscevano solo da un paio di mesi. Perché, allora, le era diventato così caro?
Possibile che le reazioni positive di Cleopatra l’avessero condizionata fino a quel punto? Lei si fidava della sua cagnolona, e Parker era entrato subito nelle sue simpatie, perciò era possibile che inconsciamente avesse abbassato la guardia con lui proprio per questo.
Ridendo, Parker asserì: “Ora stai pensando a me!”
Lei rise a sua volta, annuendo, e ammise: “Mi chiedevo cosa ci fosse di speciale, in te. Cosa mi rende così facile stare bene in tua compagnia?”
“A parte il mio fascino indiscutibile…” cominciò col dire lui, facendola scoppiare in un altro accesso di risa. “… direi che potrei annoverare a mio vantaggio la parlantina sciolta, il mio retroterra più incasinato di un albero genealogico di Game of Thrones e, come ciliegina sulla torta, il fatto che sono un discreto cuoco. Cosa vorresti di più, dalla vita?”
“Già… cosa vorrei di più?” ironizzò lei, asciugandosi una lacrima di ilarità.
Tornando serio, Parker asserì: “Tolto tuo padre, che spero ora stia molto meglio, perché sarebbe un’ingiustizia se voi non poteste parlarvi a cuore aperto come tu hai fatto con me e Jamie…”
All’assenso sereno di Emily, lui proseguì dicendo: “…immagino che l’argomento più pressante nella tua mente riguardi Anthony. Ti chiedi perché, con me, sei tranquilla e rilassata, mentre con lui non riesci che ad agitarti, vero?”
“Ti scoccia parlarne?” gli domandò per contro lei, dubbiosa.
“Amica, possiamo parlare di quel che vuoi. Non ho peli sulla lingua e mi piace farla andare a briglia sciolta, se non l’avessi notato” chiosò lui, poggiando le due casse d’alluminio nei pressi di una curva del sentiero per riposarsi un attimo.
Emy e Cleopatra lo imitarono e Parker, sgranchendosi le spalle, aggiunse: “Mamma mi ha sempre detto una cosa; riesco a far sentire a proprio agio la gente. Lo facevo anche da bambino. Se c’era qualcuno che stava male, mi avvicinavo per abbracciarlo, fosse stato anche un adulto, o una persona che non conoscevo. Mi veniva spontaneo. E sembrava funzionare, tra l’altro!”
Lei sorrise, a quel racconto, e annuì. “Sei un buon samaritano, insomma.”
“Dilla come vuoi. La mia insegnante di filosofia diceva che ero una persona empatica, sentivo e facevo mie le emozioni degli altri, così da poter immedesimarmi con loro ed essere partecipe del dolore o della gioia altrui. Rick ha sempre detto che è per questo che attiro le donne come le mosche col miele, peccato che finora siano state donne petulanti e frivole. Devono essersi scassate le antenne, si vede. Quentin, invece, l’altro mio fratello, pensa soltanto che sia un chiacchierone ma molto, molto affascinante.”
Emily rise di quella descrizione e dichiarò: “Parker, Quentin e Rick. Se fosse nato un altro maschio, come lo avrebbero chiamato, i tuoi? Sam? O Sean?”
Ridendo con l’amica, Parker annuì al suo commento e ammise: “Sì, lo so, sono andati in ordine alfabetico, con noi. So che papà puntò il dito su un libro, a caso, per vedere che lettera usare per il proprio primogenito – io, per l’appunto – e saltò fuori la P. Da lì, decisero di andare in ordine alfabetico. Comunque, se fosse nato un quarto figlio, sarebbe stato Stan, come mio nonno paterno. Fosse stata femmina, invece, l’avrebbero chiamata Selene.”
“Ma non successe. Rimaneste in tre” chiosò Emily.
Parker annuì, guardandosi intorno con aria tranquilla e, nel carezzare distrattamente Cleo, che si stava strusciando contro la sua gamba in cerca di attenzioni, ammise: “Mamma decise che tre figli erano sufficienti, e papà fu d’accordo con lei. Così, io crebbi ciarliero, Quentin operativo e Rick riflessivo e, più o meno, siamo così anche ora. Per questo, Quentin mi dà del chiacchierone affascinante. Ho sempre parlato molto, e affascinavo le donne di tutte le età.”
“Ma Rick pensa che tu sia soprattutto una calamita per estrogeni. E’ vero anche questo?”
“Sì e no. Diciamo che non ho lesinato con le fidanzatine ma, con quella del liceo, mi ci sono pure spostato. Peccato che, come per le altre, si è rivelata essere un tantino superficiale. Si vede che ho un radar tarato male” scrollò le spalle Parker, ghignando beffardo.
“Può capitare. Anche Jamie ha avuto una brutta esperienza in materia, poco tempo fa” ammise Emily.
“Io ho finito con il divorziare, però” sottolineò lui, rimettendosi in cammino. “Cosa che denota un mio ricongiungimento con il cervello. Janice era eccezionale, a letto… posso dirlo?”
Lei assentì divertita, e lui proseguì nel parlare del suo passato burrascoso. “Insomma, facevamo faville. E sono cose di cui devi tener conto, a un certo punto, ma non basta, nel lungo periodo. Solo che, all’epoca, il mio cervello era scollegato e le antenne funzionavano male.”
“Parli al passato. Ora, sono tornate a ricevere bene?” si informò lei, ripensando alla chiacchierata avuta con Susan. Che l’amica si fosse sbilanciata con Parker, mandandogli chiari segnali di ciò che lei voleva da lui?
Lui la squadrò di traverso e borbottò: “Perché ho il sospetto che tu stia già subodorando qualcosa?”
“Perché le tue antenne funzionano benissimo?” ironizzò lei, aprendosi in un sorrisone allegro e fintamente innocente.
Parker allora rise un po’ imbarazzato e chiosò: “Mi vedrò con Susan sabato prossimo. Una cenetta al James Peak Brewery e, magari, rimarremo anche per il karaoke. Chissà.”
Il sorriso di Emily si allargò fin quasi a farle male e Parker, nel rendersene conto, bofonchiò: “Ti farai venire un crampo, di questo passo.”
“Sono molto contenta, sai?”
“E’ una cosa innocua” sottolineò Parker, divenendo paonazzo in viso. “Anche perché devo ricordarmi delle tenaglie di Gilda.”
Emily scoppiò a ridere nel rammentare quella minaccia neppure troppo velata e Parker, sospirando, chiosò: “Ecco. Lei ride delle mie disgrazie.”
***
Immobili dinanzi all’entrata della miniera in disuso che Parker avrebbe dovuto ispezionare di lì a poco, Emily fissò turbata il pesante e arrugginito lucchetto che teneva serrata una vecchia porta di legno.
Parker prese una taglia-tubi dal suo kit di utensili fornitissimo e, senza neppure troppa fatica, fece saltare il metallo consunto, che cadde con un tonfo sordo sul terriccio.
A quel punto, Parker sorrise a Emily e le propose: “Se ti va, pranziamo insieme qua fuori. So che il sentiero prosegue fino a una cascata. Ti dirigerai lì, oggi?”
“L’idea era quella” assentì lei, lanciando un’occhiata criptica alla porta cigolante che, sospinta da leggera brezza, lasciava intravedere l’antro buio alle sue spalle.
Non vi sarebbe entrata per nulla al mondo.
“Non dovrai più tornarci. Tranquilla” la rassicurò lui, dandole una pacca sulla spalla.
Quel semplice gesto la fece sospirare e Parker, sorpreso, le domandò: “Cosa c’è?”
“Con Anthony, sarei rabbrividita” ammise lei, sgomenta di fronte alla propria viltà.
Lui si limitò a sorridere malizioso, replicando: “Perché lo vuoi, Emy. Questa non è paura. E’ desiderio.”
“Ma porterebbe comunque alla paura” sottolineò lei, accigliandosi non poco. Con un gesto nervoso della mano si sistemò una ciocca dei biondi capelli e, nello storcere il naso, fissò malamente il suo interlocutore.
Parker, però, non fece caso allo sguardo d’acciaio della giovane e, con una scrollata di spalle, asserì: “Forse. E forse no. Ora che sai che lui è un tipo più che affidabile – tuo fratello dice che gli dovrebbero dare la santità – la tua mente, forse, non ti giocherà più brutti scherzi, quando l’adrenalina e le endorfine andranno a spasso per il tuo cervello.”
Arrossendo suo malgrado, lei bofonchiò: “Un modo un po’ strano di vedere la cosa.”
“Un modo scientifico, cara” le strizzò l’occhio lui. “Prima di tutto, però, dovrai tentare di stare in sua compagnia senza che i ricordi del tuo primo fallimento ti portino a provare contrizione e paura. Può capitare a tutti di andare in bianco. Anche alle donne.”
“E di prendere a schiaffi il tuo potenziale amante perché lo credi un assassino, o peggio?” sottolineò lei, vedendolo sollevare entrambe le sopracciglia per la sorpresa.
“Oh… okay. Così, in effetti, è un po’ più raro, ma non impossibile. Diciamo che, quando starai con lui, dovrai pensare solo alle parti belle del vostro rapporto. Lascia perdere le unghiate e il resto” le consigliò lui. “Ma, soprattutto, non farti prendere dalla fretta soltanto perché lo conosci. Deve essere come un primo approccio… e molto vecchio stampo.”
“Cioè… strette di mano e poco altro?” borbottò lei, aggrottando la fronte.
“Dovrai comportarti da perfetta signorina del sud” motteggiò Parker, levando un dito con fare divertito.
“Oh, Signore!” sbuffò lei, facendolo ridere.
“Anche se il tuo corpo ti dirà ‘goditelo, è tuo!’, la tua mente dovrà essere più forte, perciò dovrai tenere le mani a posto e non spogliarlo alla prima occasione” chiosò lui, facendola avvampare per diretta conseguenza.
“Non lo farei mai!” esclamò Emily, facendo tanto d’occhi.
“Tse, tse, ci scommetto. Un bel giovanotto come Anthony, con il suo fisico prestante, i suoi occhioni azzurri che ti mangiano a ogni occasione e il suo sorriso alla Tom Cruise… a chi vuoi darla a bere?” la prese in giro Parker, sghignazzando.
Dandogli un pugno sul braccio, Emily borbottò: “Sei davvero pestifero, sai?”
“Lo so, lo so. Ma guardati adesso” ammiccò lui, prima di tornare serio e aggiungere: “Sei rilassata, stai vicino a un uomo a meno di un passo di distanza senza diventare verde per l’ansia e non hai ricordi a infastidirti, vero?”
Lei sbatté le palpebre, si squadrò come se non si riconoscesse e notò come, in effetti, si trovasse dannatamente vicino a Parker. Avrebbe potuto allungare la mano per abbracciarlo. E lo fece.
Si strinse a lui, e Parker la accolse con gentilezza, mormorandole contro i capelli: “Anche ora non senti niente, vero?”
“No. Scusa.”
“E di che?” la irrise bonariamente lui. “Ma quante altre persone adulte abbracci, a parte tuo fratello, senza che i tremori ti prendano?”
“La mamma, lo zio Harry, Consuelo e Gilda” ammise lei dopo un attimo.
“E’ questo lo stato mentale che devi raggiungere, se vuoi approcciare Anthony. Parti dall’amico, prima di raggiungere l’amante. Solo così non impazzirai” la rassicurò lui, scostandosi per sorriderle comprensivo.
Lei lo imitò e mormorò: “Temevo che… insomma…”
“Che io potessi innamorarmi di te? Emy, sei splendida, come posso negarlo? Ma me ne accorgo subito se una donna è propensa a volere qualcosa di un certo genere, da me. Sarà l’empatia che diceva la prof, o un ottimo sesto senso, ma tant’è. E tu non hai mai voluto questo, da me.”
“E tu?”
Lui ci pensò su seriamente, non volendo fare dell’ironia su una cosa così importante, e ammise: “Per circa tre secondi… e perché ho visto Cleopatra, in parte. Mi piacciono le donne che amano i cani. Ma al quarto secondo, quando ci siamo stretti la mano, ho capito che sarei stato felice di conoscerti… ma come amica.”
“In barba al mio fascino?” ironizzò a quel punto lei.
“Eh già. Sarà che mi piacciono le brune?” ammiccò lui.
“Te lo concedo. Susan ha dei capelli meravigliosi” chiosò Emily, facendolo scoppiare a ridere.
“Te l’ho detto! E’ solo un appuntamento tranquillo” sottolineò lui, tergendosi una lacrima di ilarità e scrutando Emily con sincera sorpresa. Era così, avere una sorella? Perché, se lo era, gli spiaceva davvero un sacco non aver potuto prendersi cura di una quarta Jones in famiglia.
Però, forse, poteva affiancare Jamie e prendersi cura di Emily, se lei lo avesse voluto.
In cuor suo, sperò di sì, perché gli piaceva il rapporto che aveva instaurato con lei.
“Riparliamone domenica” lo mise nel frattempo in guardia Emily, carezzando Cleo prima di dire: “Ci rivediamo qui tra tre ore, allora.”
“Andata. E ricordati. Rilassa la mente” le rammentò lui, dandole un buffetto sul naso.
“Fosse facile” motteggiò lei, risalendo il sentiero dopo averlo salutato.
Parker attese di perderla di vista, prima di entrare con la sua potente torcia a led X Light.
Non le aveva mentito. Aveva davvero provato un istintivo senso di protezione nei suoi confronti, oltre a un’indiscussa curiosità nei suoi confronti.
Per questo ne aveva cercato notizie su internet, per questo l’aveva tenuta d’occhio nel suo andirivieni lungo il paese, e per questo la verità lo aveva tanto turbato.
Vedeva Emily esattamente come Jamie vedeva sua sorella, o come lui vedeva Rick o Quentin. E per nulla al mondo avrebbe permesso che le sue paure le rovinassero ancora la vita.
***
Divorando il panino che si era preparata prima di uscire di casa, le gambe distese su un pannetto e la schiena poggiata contro un masso ammorbidito dal passaggio millenario di pioggia e neve, Emily sorrise a Parker e domandò: “Allora, com’è andata la perlustrazione della miniera?”
“Temo dovrò chiamare il mio capo e dirgli di mandare ruspe e picconi, perché è del tutto distrutta dopo una trentina di metri dall’entrata” ammise lui, sorseggiando dell’acqua dalla sua borraccia. “L’idea di telefonare a Denver mi fa venire i geloni, ma tant’è. Qui, non si può proseguire. E dire che avrei tanto voluto scoprire se, le vecchie cartine di Anthony, corrispondevano alla realtà. Questa miniera era lunga miglia e miglia!”
“Ti ha prestato tutte le cartine che tiene in albergo?” domandò curiosa Emily.
“Non so se siano tutte o meno. Rispetto a quel che so io, ne mancano almeno un paio, ma può darsi semplicemente che non le avesse” scrollò Parker, noncurante. “Comunque, quelle che mi ha dato sono semplicemente fantastiche. Sono particolareggiate e ben tenute, inoltre sono ricche di appunti scritti a mano, il che ti fa capire quanto, all’epoca, l’occhio umano contasse più di qualsiasi altra cosa.”
“Preferisci quelle, agli spettrometri di massa?” si informò lei, sorpresa.
Parker rise sommessamente, annuendo, e ammise: “Ti dirò… ammiro molto il lavoro dei nostri predecessori e sono convinto che, se noi tentassimo di fare ora ciò che loro fecero all’epoca, utilizzando soltanto i macchinari che avevano al tempo, non avremmo altrettanta abilità manuale.”
Osservando pensieroso la propria attrezzatura, aggiunse: “La tecnologia è bella, e io la apprezzo molto perché mi facilita il lavoro, ma credo che aver perso la manualità di un tempo abbia tolto un po’ di magia, in ciò che facciamo.”
“Un animo romantico, il tuo” ammiccò Emily, allungando uno stick morbido a Cleopatra perché giocasse e, al tempo stesso, si pulisse i denti. “Zio Harry la pensa come te, comunque. Lui iniziò come manovale e, poco alla volta, si fece strada nel campo della mineralogia grazie alle sue competenze e al suo occhio per gli affari ma, come te, ha sempre rimpianto i tempi in cui erano le menti umane a fare la differenza, e non i computer.”
Carezzando dolcemente l’enorme schiena di Cleopatra mentre, quest’ultima, era impegnata a sgranocchiare il suo bastoncino profumato alla fragola, Parker mormorò pensieroso: “Non sono così folle da sognare il Klondike, ma era bello quando si poteva parlare con le persone, e non solo con la schermata di un PC.”
“Vero” annuì Emily, lanciando un’occhiata tranquilla alle fronde degli abeti, mollemente scosse dalla brezza pomeridiana.
Sottili lame di sole facevano capolino tra la fitta vegetazione, colorando il sottobosco di tinte in chiaroscuro e, mentre scoiattoli coraggiosi sgattaiolavano tra i rami, corvi chiassosi li rincorrevano per far loro i dispetti.
In lontananza, il frastuono della cascata che Emily aveva visitato giusto quella mattina, giungeva fino a loro come un tuono leggero e distante, come la promessa di un temporale che, però, mai sarebbe giunto.
Ogni cosa, intorno a loro, aveva il proprio equilibrio e la propria bellezza e tutto ciò creava armonia, un’armonia di cui potevano godere a piene mani, restando in perfetto silenzio per non guastarne la perfezione.
Forse comprendendo i sentimenti della sua padrona, Cleopatra posò il muso sulle sue cosce e chiuse gli occhi, dandole tutto il suo sostegno con quel semplice tocco ed Emily, nel sorriderle, carezzò il suo testone enorme e si lasciò andare a un sospiro.
Fu a quel punto che Parker, in un mormorio sommesso, le domandò: “Vorresti essere qui con Tony?”
Lei sorrise maggiormente, lasciò che il capo si posasse contro il masso alle sue spalle e, nel chiudere gli occhi – colma di una pace che raramente aveva provato – scosse il capo e replicò: “No. Non ora. Ora, sto bene con Parker, il mio amico.”
Lui non disse altro. Si limitò a sdraiarsi sul panno a quadrettini che avevano steso per quel pic-nic, a poca distanza da Cleopatra e, assieme all’amica, si godette quell’angolo di paradiso senza più pensare a nulla.
Lasciò fuori dalla porta il lavoro, l’ansia per l’appuntamento con Susan, il pensiero di dover risentire quello stronzo del suo capo e badò unicamente a ciò che lo circondava.
Per qualche minuto, fu solo Parker. In compagnia di Emily e Cleo.
E tanto gli bastò per essere felice.
N.d.A.: momento Parker-Emy, perché è giusto dare spazio anche agli amici, non solo agli amanti (e questo serve anche a chiarire il rapporto che intercorre tra i due, l'estrema sintonia che si sta creando tra di loro). Scopriamo come Parker sia tutto sommato un nostalgico e come, la vita nel piccolo paesello di Nederland non gli stia poi così stretto. Come andrà, quindi, l'appuntamento con Susan?
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
10.
Luglio
2015 – Clearwater
La piccola chiesa cattolica di
Santa
Rita era gremita di fedeli, in quel giorno di letizia. Sophie Ines
Larson stava
per essere battezzata, entrando così a far parte
ufficialmente del gregge non
proprio copioso – ma unito – di Nederland.
La struttura lignea della chiesa
assomigliava più a una grande casa di tronchi tipica del
luogo, che a una
basilica di stampo europeo, ma in fondo il parroco l’aveva
sempre ritenuto un
punto a loro favore, più che un demerito.
Per Padre Leonard, la Chiesa doveva essere una casa. Anche per coloro
che non credevano, o non professavano la stessa fede in cui lui
credeva. Non a
caso, aveva sempre invitato Emily a partecipare alle sante messe, anche
se lei
era di fede protestante e non era praticante in senso stretto.
“Dio è uno
solo, cara, anche se ha
tanti nomi e tanti volti. E ci vuole invariabilmente bene” le
aveva detto più
di una volta durante i loro occasionali incontri lungo il lago, o di
fronte al
bancone del diner di Gilda.
Quella mattina, abbigliata con un
fresco abito di chiffon azzurro chiaro e un soprabito leggero color blu
di
Prussia, Emily lo accontentò.
Essendo stata elevata al ruolo di
madrina di Sophie – mentre il fratello di Sam, Keath, sarebbe stato suo padrino
– aveva accettato
più che volentieri di partecipare alla messa di quel giorno.
Padre Leonard fu bravissimo a non
far
piangere la bambina, quando bagnò la sua fronte con
l’acqua consacrata e,
simpaticamente, le diede un buffetto sul naso, facendola ridere.
A cerimonia conclusa, la famiglia
Larson
e gli invitati si avviarono per raggiungere l’albergo dei
Consworth, che
Anthony aveva messo a disposizione per i festeggiamenti.
Stranamente, suo padre William non
aveva mosso obiezioni e, quando infine gli oltre cento invitati si
riversarono
nell’ampio salone solitamente adibito a ristorante interno,
vi furono solo
grandi sorrisi e felicitazioni.
Persino Consworth senior
sembrò lieto
di quell’evento, e strinse la mano a Samuel facendogli le
congratulazioni.
Forse, il fatto che Sam avesse insistito per pagare l’uso
della sala – invece
di accettare l’invito di Anthony a considerarlo un regalo di
battesimo – aveva
contribuito a rendere l’uomo meno insofferente.
A Consuelo spettò un
più laconico ‘felicitazioni’
ma a lei bastò
largamente, non avendo mai avuto un buon rapporto con l’uomo.
Libagioni vennero distribuite con
generosità, mentre una piccola band del luogo
iniziò a suonare musica folk e
country per allietare gli invitati.
La piccola Sophie, invece, diede
bella
mostra di sé nella sua ampia culla, dimostrando di
apprezzare quel caos
multicolore e i vezzeggiativi che le vennero propinati durante la
giornata.
Ferma accanto al tavolo dei
rinfreschi,
mentre Jamie danzava allegramente con Gilda e Parker discuteva di
sentieri con
Samuel, Emily afferrò per sé un pasticcino prima
di salutare Anthony.
Abbigliato con una camicia bianca
botton-down su pantaloni e giacca blu scuro, era molto elegante e, al
tempo
stesso, informale, non avendo indossato la cravatta.
I suoi chiari occhi azzurro cielo
risaltavano su quell’abbinamento di colori, e il suo sorriso
solare accentuava
la bellezza del suo viso attraente, su cui spiccava ad arte la barba di
un
giorno.
“Sembra che stia andando
tutto bene. Questa
festa pare aver ammansito anche la bestia” chiosò
Tony, indicando con un cenno
del capo il proprio padre, che stava giocando goffamente a dama con
Mickey.
“Mi ha stupito, lo
ammetto. Se non ho
visto male, gli ha anche regalato una macchinina giocattolo”
ammise Emily,
allungandogli una flute di champagne.
Lui la accettò di buon
grado,
sorseggiandola lentamente e, pensieroso, mormorò:
“I bambini sono capaci di
compiere miracoli. Forse, Mickey è riuscito a scioglierlo un
po’. Chissà che
non riesca anche a fargli capire che Consuelo non è il
mostro che lui crede.”
“Litigate ancora, per
questo?” gli
domandò lei lanciando un’occhiata
all’amica, in quel momento impegnata a
ricevere dei complimenti da Susan.
“Ultimamente,
sì. La sua gravidanza lo ha
innervosito parecchio, facendo riemergere antichi rancori.
Però, da quando è
nata Sophie, sembra essersi calmato” ammise lui, afferrando
un pasticcino per
mangiucchiarlo distrattamente. “Forse, mi incolpa del fatto
di non aver ancora
compiuto il mio dovere di uomo. Chissà.”
Arrossendo leggermente, Emily
borbottò:
“I padri dovrebbero ficcanasare meno e lasciarci
più spazio.”
“Problemi con il
tuo?” domandò cortese
Anthony.
Quando il suo ultimo libro era
uscito,
sul finire di maggio, Emily aveva ricevuto diverse telefonate di
congratulazioni e, tra queste, anche quella di suo padre.
Non che fossero ancora ai ferri
corti
come in gioventù, quando proprio non parlava con lui e
consegnava alla servitù
i suoi messaggi per il padre, ma le loro conversazioni non erano mai
state
molto allegre. O spensierate.
Suo padre l’aveva
chiamata come tutti
per farle i complimenti per le meravigliose fotografie, oltre che per
le
suggestive didascalie che lei aveva scritto e, diversamente dal solito,
lei era
stata più cortese e meno laconica nelle risposte.
Memore di ciò che aveva
promesso a Max
– e a se stessa – aveva cercato di non aggrapparsi
agli antichi rancori ma, nel
farlo, aveva forse lasciato troppo spago al padre.
Contrariamente al solito, infatti,
suo
padre aveva tentato di approcciare i loro antichi dissapori ma, quando
lei
aveva caparbiamente evitato l’argomento, a sorpresa lui si
era risentito.
Forse per la prima volta in
assoluto,
Jordan Poitier aveva puntato i piedi e si era irritato non poco. Il
padre le
aveva fatto notare di non aver mai provato a mettersi nei suoi panni,
di non
aver mai tentato di capire cosa vi fosse stato dietro la sua terribile
scelta
di non pagare il riscatto.
Azzittita da quella replica
inaspettata, Emily aveva ascoltato il suo monologo sempre
più alterato e
incontrollato finché, esasperata, non aveva urlato un
infelice ‘ero solo una bambina!
Cos’avrei dovuto capire,
delle vostre scemenze?!’
Ciò detto, aveva buttato
giù il
telefono senza più rispondere a nessun’altra
chiamata, costringendo così Jamie
a chiamare Sam per accordarsi sul suo arrivo a Nederland, in occasione
del
prossimo battesimo di Sophie.
Col senno di poi, però,
si era pentita
di aver risposto in modo così superficiale e gretto, ben
sapendo di dovere davvero al padre
il diritto di replica.
Diritto che per più di vent’anni gli aveva negato.
“Voleva che io
comprendessi i motivi
che lo spinsero a non pagare” mormorò mogia Emily,
prendendo per sé un paio di
stuzzichini ai gamberi. Le piacevano da matti anche se, nel pensare al
padre,
qualsiasi tipo di sapore scomparve dalla sua bocca.
“Immagino,
però, che non te lo abbia
detto con la consueta dose di pacatezza e calma, vero? E che tu sia
saltata
come una bomba innescata” ipotizzò lui,
comprensivo.
Emily raffazzonò un
sorrisino ironico e
Anthony, sospirando, borbottò: “Non
prenderò le parti di nessuno perché non ero
presente, quel giorno, ma immagino che sia difficile prendere anche
solo in
considerazione la possibilità
che vi
fossero davvero delle motivazioni pratiche che gli impedirono di
pagare.”
“Obiettivamente potrei
anche crederlo
ma, quando sento la sua voce, il mio cervello va in tilt e torno a
essere una
bambina di otto anni che sequestrarono e condussero in una caverna
buia”
scrollò le spalle Emily. “So che non dovrei farlo,
so che lui non è cattivo, ma
non riesco ancora ad affrontare l’argomento con lui e, per
questo, mi sento
davvero una sciocca.”
L’arrivo di un sorridente
sceriffo Meyerson
impedì ad Anthony una qualsiasi replica ed Emily, sorridendo
di rimando
all’uomo, esordì dicendo: “Spero non
vorrà multarci per sosta in stato di
ebbrezza.”
Ridendo sommessamente,
l’uomo scosse il
capo e replicò: “Mi sono già fatto
consegnare le chiavi di tutti, perciò
prenderò anche le tue, se sei venuta in auto, e le
ritroverete tutte domani alla
centrale di polizia. Così, eviterò caos per le
mie strade.”
“Saggia
decisione” annuì Emily. “Ma
sono venuta a piedi, stia tranquillo.”
“Su quei trampoli,
cara?” domandò
curioso lo sceriffo, ammirando i bei sandali chiari della ragazza, alti
almeno
dieci centimetri.
“No. Avevo le scarpe da
ginnastica. I
sandali li ho indossati in chiesa” ammise lei, ammiccando
furba.
“Donna accorta”
motteggiò l’uomo,
dandole una pacca sulla spalla prima di guardare Anthony e aggiungere:
“Posso
affidartela, ragazzo? Voglio che questa donzella sia al sicuro da
possibili
ubriachi dell’ultima ora.”
“Mi prenderò
cura di lei” annuì
affabile Tony, poggiando il suo bicchiere di champagne per sostituirlo
con
dell’aranciata.
“Ottimo. Ottimo, ragazzo.
Così mi
piaci” chiosò lo sceriffo, allontanandosi dopo un
ultimo sorriso a Emily.
Ridendo allegra, la giovane
però replicò:
“Dio, ti prego, Anthony, lascia stare. Non credo proprio che,
tra gli invitati
di Consuelo e Sam, ci sia qualcuno che potrebbe farmi del male. E tu
hai tutto
il diritto di bere champagne, se vuoi.”
“L’hai sentito
lo sceriffo, no? Io mi
limito a seguire la legge. Sono un bravo cittadino ligio al proprio
dovere”
replicò lui, ammiccando simpaticamente.
Lei allora sospirò, rise
nuovamente e
salutò con un cenno Parker, in arrivo con due piatti ricolmi
di ogni ben di
Dio.
“Salve,
ragazzi” esordì il geologo.
“Dovete assolutamente sentire queste tartine alla mousse di
salmone e avocado.
Sono eccezionali.”
“Immagino sia davvero
così… penso tu le
abbia depredate tutte” ironizzò Emily afferrandone
una.
“Oh, solo un piatto
è per me. L’altro
l’ho preso per voi. Non sembravate intenzionati a gettarvi
nella mischia, così
ho arraffato qualcosa anche per il vostro piacere”
chiosò Parker, poggiando uno
dei piatti al fianco di Emily. “Grazie per le cartine che mi
hai passato,
Anthony. Sono state davvero utili per trovare la Gold
Sand. Sui nuovi mappali non era neppure riportata.”
“Figurati. Immaginavo che
avresti avuto
qualche difficoltà, con le cartine nuove. Non riportano
proprio tutto” scrollò
le spalle Anthony, studiando suo malgrado il viso allegro e pimpante
del
geologo.
I suoi modi di fare così
diretti e solari,
quasi fosse un eterno Peter Pan in viaggio per il mondo, sembravano
mettere a
suo agio Emily, che più di una volta si era intrattenuta con
lui alla tavola
calda di Gilda.
Non gli piaceva ammetterlo, ma li
aveva
tenuti d’occhio, in quei mesi, e si era ritrovato
più volte a stringere i denti
per il desiderio di interporsi tra i due perché non
stringessero amicizia.
L’attimo seguente, per
riflesso, si era
dato dell’idiota, sapendo bene di non poter intromettersi
nella vita privata di
Emily, né di accampare qualsivoglia pretesa su di lei.
Se Parker era in grado di farla
sentire
tranquilla, lui doveva accettare la cosa e fare buon viso a cattivo
gioco.
A contare, in quel caso, era la
serenità di Emily. Anche se mandare giù il fatto
che qualcuno che non fosse lui
stesse aiutando Emy a uscire dal suo incubo personale, era
tutt’altro che
semplice.
“Avvertimi, quando andrai
alla Gold Sand.
C’è uno splendido canyon,
nelle vicinanze, e vorrei fare delle fotografie per il sito della
Agenzia di
Viaggi” lo informò Emily.
“Andata, ragazza. E
naturalmente, ti
farò portare il mio carotatore. So che ti è
piaciuto così tanto aiutarmi, la
volta scorsa, che non potrei mai toglierti questa
soddisfazione” ghignò Parker,
dandole di gomito.
Lei si accigliò
immediatamente, a quel
commento, e bofonchiò: “Non mi freghi
più, Parker. Io al massimo ti porterò i
blocchi per gli appunti e il cellulare.”
“Scansafatiche che non
sei altro. E io
che ti credevo così forte e capace!” si
lagnò bonariamente lui, strizzandole
l’occhio.
“Oh… io,
scansafatiche? Chiedi a tuo
fratello Rick, se la sono. Dovrebbe ricordarsi quanto tempo passavo al
cantiere
di casa mia per dare una mano” sottolineò lei,
sollevando altezzosa il naso.
“Rick si ricorda della
tua amica Kerrington,
questo è sicuro. Da quando sa che ti ho conosciuto, mi
chiede sempre se passa
di qui per salutarti” ridacchiò Parker con fare
malizioso.
“Beh, vorrei vedere.
Sherry è
splendida” chiosò Emily, lanciando poi
un’occhiata ad Anthony per domandargli:
“Non ho ragione, forse?”
Anthony ricordava bene la fatale
Sherry
Kerrington, abbigliata con un sexy completo di pelle nera e intenta a
sbraitare
ordini agli uomini del cantiere, neanche fosse stata il Generale Patton.
Era diventata
l’attrazione principale
per i maschi di Nederland, nei mesi in cui era stata impegnata a
sistemare
l’avveniristico impianto d’allarme nella casa di
Emily.
Anche lui, nonostante il suo
interesse
per Emy, era rimasto affascinato da Sherry, ma anche alquanto
intimorito. Non
era una donna con cui si potesse scherzare.
“Niente da dire. Ma ci
vuole l’uomo
giusto per approcciarla” sorrise nervosamente Anthony.
Emily rise spontaneamente,
replicando:
“Solo perché sa usare più armi di un marine,
ed è cintura nera di karate?”
“Oh… e Rick ne
è rimasto affascinato?
La cosa mi intriga” ironizzò Parker, facendo tanto
d’occhi. “Visto e
considerato che il massimo dell’aggressività di
mio fratello è usare il
battipanni per scacciare i pipistrelli dal garage, sarei davvero
curioso di
conoscere questa donna che ricorda parecchio Demi Moore in Soldato Jane.”
“Sherry userebbe un
lanciafiamme, temo,
per scacciare i pipistrelli” celiò Emily, facendo
spallucce.
“Devi
presentarmela” dichiarò allora
Parker. “Chissà che non sia il tipico esempio
degli opposti che si attraggono.”
“Vuoi fare da
sensale?” ironizzò a quel
punto Emily.
“Sarebbe
divertente” ammise Parker
prima di lanciare un’occhiata ad Anthony e aggiungere:
“Mi sa che andrò a
vedere se riesco a requisire qualcos’altro. Voi volete
qualcosa?”
“No, grazie. Siamo a
posto con queste
tartine, vero?” dichiarò Emily, guardando a sua
volta Anthony.
L’uomo assentì
silenzioso e, quando
Parker si defilò per raggiungere nuovamente il tavolo del
buffet, e molto poco
casualmente il fianco di Susan, Anthony prese una tartina e
l’assaggiò.
In effetti, era squisita.
“Tony… che
c’è?”
Lui allora la fissò
imperscrutabile,
studiò quegli occhi di colomba immersi nei suoi, quel
sorrisetto inquisitorio e
quell’aria divertita che raramente riusciva a sgorgare sul
suo volto,
solitamente più teso e controllato.
“Nulla.
Perché?” replicò lui, sperando
di non essersi smascherato.
“Parker se
n’è andato via dopo averti
guardato. Cosa succede, quindi?” replicò lei, non
lasciandosi per nulla
ingannare.
“Magari aveva solo
fame” tergiversò
lui. “O voleva parlare con Susan.”
Emily sbatté le palpebre
un paio di
volte, sorrise divertita e infine lasciò perdere la festa
per trascinare fuori
dalla sala un attonito Anthony, che si limitò a seguirla
passivamente.
Raggiunto l’atrio
dell’albergo, in quel
momento sgombro di persone, Emily si volse, si alzò in punta
di piedi –
nonostante fosse già abbastanza alta, sui tacchi –
e baciò Anthony.
Fu un gesto spontaneo, dettato da
un
sentimento del momento e dalla voglia di tranquillizzare un uomo che,
per lei,
aveva messo in gioco tutto, compreso il suo cuore, solo per darle il
tempo di
ritrovare se stessa.
Anthony, del tutto colto di
sorpresa, sobbalzò
leggermente a quel tocco e, non potendo impedirselo, le avvolse la vita
con le
braccia e la strinse a sé.
La sua mente venne invasa da vecchi
ricordi, da altri baci, altre carezze, e da quell’unico,
terribile momento in
cui avevano deciso di approfondire il loro rapporto.
Era stato a quel punto che lei era
impazzita per il panico e lui, non comprendendo cosa stesse succedendo,
aveva
dovuto ascoltare la tragica verità di Emily.
Lei gli aveva raccontato del
rapimento,
di quei giorni di segregazione, della paura di essere confinata in un
luogo
chiuso e sottoterra… e di come non fosse più
riuscita a sopportare i contatti
umani profondi.
Soltanto a fatica era riuscita a
calmarla, a farle comprendere che lui non le avrebbe mai fatto del
male. Emily
si era infine tranquillizzata, ma Anthony aveva compreso che, a quel
punto,
qualunque tentativo di portare a un altro livello il loro rapporto,
sarebbe risultato
impossibile.
L’aveva quindi lasciata
libera
promettendole di aspettarla, e a questo si era attenuto, ma
l’arrivo di Parker
aveva messo in crisi il precario equilibrio che aveva creato per se
stesso.
Lo aveva messo di fronte alle sue
lacune come uomo, e gli aveva fatto comprendere quanto, il suo rapporto
con
Emily, fosse a rischio.
Eppure, Emily aveva deciso di
portare
fuori lui dalla sala per quel
bacio.
Era lui a stringerla tra le
braccia,
non Parker.
Fu per questo che, nonostante
desiderasse rimanere lì per sempre a baciarla, si
scostò da lei, confuso, per
domandarle: “Emily… perché
io?”
Lei gli carezzò il viso,
si scostò un
poco e mormorò: “Chi avrei dovuto
baciare?”
Anthony poggiò la fronte
contro quella
della giovane, sorrise nervosamente e replicò: “Se
te lo dico, dimostrerò
quanta poca fiducia io abbia in me stesso, temo.”
“Parker è mio
amico, Anthony. Te lo
dissi all’epoca e te lo ripeto ora. Io non ho cambiato idea
su di te. Sei solo
tu a potermi allontanare… oltre alle mie paure”
gli ricordò lei, scostandosi
ancora un po’ pur mantenendo saldamente le mani sui fianchi
di Tony.
“Io non ti allontanerei
mai, lo sai. Ma
vedo come stai con Parker e… sono geloso. Geloso della
vostra coesione, di come
rispondete l’uno alle battute dell’altra, o al
fatto che tu ti senta abbastanza
sicura da rimanere sola con lui in mezzo a un bosco” le
spiegò lui, sentendosi
un perfetto idiota a ogni singola parola proferita.
Da quando in qua usava quel tono
querulo?
“Lo farei anche se fossi
con Jamie”
sottolineò lei, ammiccante.
“Jamie è tuo
fratello” precisò lui
prima di notare il suo sorrisetto divertito.
Sgranando leggermente gli occhi,
Anthony borbottò subito dopo: “Lo vedi…
come un fratello?”
“Precisamente. Ci siamo
trovati subito,
te lo concedo…” mormorò lei, aprendo e
chiudendo le mani sulla giacca scura di
Anthony nel tentativo di mantenere la calma. “…e,
in tutta onestà, mi sono
anche chiesta se avrei potuto vederci qualcosa di più, in
lui. Ma sai la
verità?”
“Dimmi”
annuì lui, non sapendo bene
come sentirsi.
Emily risollevò lo
sguardo per
incrociare i suoi occhi ma, nel farlo, scorse anche quelli di qualcun
altro e,
ridacchiando, mormorò: “Ops.”
Subito, Anthony si volse a mezzo e,
fermo sulla soglia della porta che conduceva al salone,
trovò Parker – in
evidente imbarazzo – assieme al suo fido cellulare.
Sollevatolo, l’uomo
mormorò un ‘ti richiamo
dopo’ e disse: “Scusate
l’intrusione, ragazzi. Stavo scappando dalla sala per poter
sentire la
telefonata, ma vi ho interrotti.”
“Puoi dirglielo tu,
Parker? Forse a te
crederà” gli propose allora Emily, sorprendendo
Tony.
“Certo, bellezza.
Figurati se non ti
faccio questo favore” ammiccò lui, prima di
tornare serio e fissare i suoi
occhi verde foglia in quelli azzurro cielo di Anthony.
“Questa ragazza non fa
che parlare di te, bello mio. E se ti è parso che noi
passassimo un sacco di
tempo assieme, era perché lei voleva… come posso
dirlo… imparare a star bene
con se stessa assieme a un uomo? Può suonarti bene, o
è un po’ torbida, come
spiegazione?”
Anthony tornò a guardare
Emy, che
assentì, mormorando: “Sa quello che mi
è successo, così gli chiesi un parere su
come riprendere confidenza… con te.”
“Preciso subito che non
abbiamo fatto
test fisici di nessun tipo” sottolineò Parker,
levando le mani in segno di resa
incondizionata. “Ma abbiamo parlato un sacco e, ehi, chi
sapeva che fosse così
divertente parlare con una donna? Si vede proprio che io e la mia ex
non
avevamo capito un accidenti, di relazioni.”
Anthony si grattò la
nuca, ridacchiò
confuso ed esalò: “Cioè, in pratica le
hai fatto da istruttore?”
“Qualcosa del genere. Ma solo a livello teorico”
precisò
nuovamente Parker, prima di aggiungere: “Amico, è
una ragazza fantastica e
credimi, non potresti essere più fortunato di
così ma, come dice lei per me, io
la vedo come una sorella.”
“Da quanto tempo stavi
ascoltando?”
gracchiò a quel punto Emily, strabuzzando gli occhi.
Parker allora rise, le
passò accanto
per darle una pacca sulla spalla e chiosò: “Per me
hai passato il primo esame,
piccola. Passo domani per la Gold Sand!”
Ciò detto,
uscì allegramente
dall’albergo, lasciando la coppia a fissare senza parole la
porta a vetri
mentre si chiudeva lentamente dietro di lui.
“Quel…
mascalzone…” esalò la giovane,
non sapendo se sentirsi tremendamente in imbarazzo o sollevata.
Anthony si mise lentamente a
ridere,
divertito suo malgrado da quella scena ai limiti del paradossale e,
stringendo
in un dolce abbraccio Emily, mormorò tra i suoi capelli:
“E io che volevo
dargli un pugno!”
Emily rise a sua volta e, nello
scostarsi da lui, tenne tra le sue le mani di Anthony e
replicò divertita:
“Dio, ti prego, no! Non se lo merita davvero!”
“A questo punto, no di
certo. Però…”
Tornando seria, Emily
mormorò: “Però,
cosa?”
“Cosa vuoi che faccia,
adesso?”
“Credo di aver capito
cosa sia andato
storto, la prima volta. Desideravo così tanto che andasse
bene, che ho tentato
di chiudere fuori tutto, ricordi compresi, e così questi mi
hanno colpita nel
momento in cui ero più vulnerabile” ammise Emily.
“Quando mi sono ritrovata
davanti a Parker e Jamie, e ho ammesso con loro come io fossi fuggita
dalla
grotta, ho capito che parlare mi faceva
bene. E così ho continuato.”
“E gli hai parlato di
me… e te”
aggiunse lui.
Emy annuì, aggiungendo:
“Più gliene
parlavo, e ascoltavo le sue opinioni di uomo, più capivo i
miei errori, e così
ho iniziato a pensare a noi due e a un modo per riprendere
ciò che avevo così
rovinosamente distrutto.”
“Non hai potuto farlo con
me, perché…”
“…
perché il mio desiderio di
avvicinarmi a te avrebbe rovinato tutto. Non ero pronta e, per certi
versi, non
lo sono ancora, ma voglio tentare. Più di tutto,
però, non voglio più tenerti
lontano. Questo, ormai, non lo sopporto più.”
Ciò detto, lo strinse in
un abbraccio e
mormorò contro il suo petto: “Sono Emily Poitier,
e vorrei essere la tua
ragazza.”
Anthony ricambiò con
gentilezza la
stretta, annuì e domandò: “Il primo
esame era questo? Baciarmi senza dare di
matto?”
“Già. Ma
Parker ha detto che devo
superare altri due esami” mugugnò Emily, ridendo
poi sommessamente contro il
suo petto.
“Che insegnante
esigente” chiosò l’uomo,
lasciandosi andare a un sorriso liberatorio.
Lei annuì più
volte e, per un istante,
si sentì libera. Tranquilla. Felice.
Sapeva che presto o tardi i suoi
demoni
sarebbero tornati a infastidirla, impedendole di protrarre troppo a
lungo
quell’abbraccio, ma Parker le aveva dato le carte giuste per
giocare quella
nuova partita.
Avrebbe imparato a gestire la
situazione senza lasciarsi sopraffare dal panico e, presto o tardi, i
demoni si
sarebbero stancati, abbandonandola. Lei, per lo meno, ci sperava.
Rivoleva la sua vita. E rivoleva
Anthony.
Non le importava se, avvicinando
lui,
rivolendo lui, avrebbe avuto alle calcagna anche suo padre e le sue
mire
tutt’altro che mascherate di mettere le mani sul suo cospicuo
patrimonio.
Emy desiderava riappropriarsi della
propria
felicità e, per ottenerla, doveva farne parte anche Anthony.
Poco male se, per
farlo, avrebbe dovuto sopportare William Consworth.
Aveva sopportato un rapimento, si
era
liberata da sola dalla propria prigione e ora, poco alla volta, stava
tornando
a essere se stessa.
Poteva anche sopportare un uomo
scorbutico e arrivista. Dopotutto, aveva visto di peggio.
N.d.A.:
il primo passo sembra essere andato bene e, per Anthony ed Emily, pare
prospettarsi un futuro più sereno rispetto al precedente
tentativo di qualche anno addietro. L'aiuto di Parker sembrerebbe aver
dato buoni frutti, ma basterà ad aver dato la necessaria
sicurezza a Emily? E William, finirà con l'impicciarsi? Lo
scopriremo presto...
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
11.
Tà Nung (Vietnam) – settembre 1972
Non aveva mai neppure lontanamente immaginato che in un corpo umano potesse esservi così tanto sangue, né che ve ne potesse essere tanto nel corpicino smagrito e smunto di una bambina.
Eppure, ciò che aveva dinanzi era reale, niente affatto una reazione all’oppio che, in quegli anni, aveva fumato grazie all’aiuto compiacente di vietcong locali che, per aver salva la vita, smerciavano droghe agli americani.
No, quelli non erano i fumi dell’oppio. Era un massacro vero e proprio, e lui vi stava prendendo parte perché il tenente Pinkerton sembrava essere stato posseduto dal diavolo stesso.
A chi si era rivoltato contro di lui, il tenente aveva sparato in testa con la sua Colt M1911, su cui aveva aggiunto tacche con il coltello a ogni uccisione portata a termine dall’inizio del suo turno in Vietnam.
Meyerson e Whindam erano tra quelli che, fortunosamente o vigliaccamente, se l’erano data a gambe in mezzo alla selva, mentre lui e un’altra ventina di soldati erano rimasti a compiere quel massacro per non essere, a loro volta, massacrati.
Ora, però, non solo non aveva più proiettili nel suo M16, ma lo stomaco gli si stava rivoltando nelle budella di fronte a quello scempio sempre più terribile. L’odio nei confronti del tenente Pinkerton era così forte da fargli sperare che qualcuno sparasse al suo superiore, a quel punto.
In un villaggio di donne, anziani e bambini, però, non si poteva sperare di trovare qualche vietcong armato e, tra di loro, nessuno era in grado di levare mano sul tenente.
Chi per paura, chi per follia, a nessuno era venuto in mente di ribellarsi, dopo che i primi colpi di fuoco amico avevano falcidiato le loro fila, e adesso sembrava che le loro armi non avessero più una sola pallottola utile per fermare quell’apocalisse.
Era stato un idiota a seguirlo, a fidarsi di lui, a lasciare che la sua condizione di debolezza peggiorasse, facendolo diventare dipendente da oppio e sigarette di contrabbando.
Ancora una volta, aveva finito con il dare ragione al suo vecchio, che da sempre gli aveva dato del ragazzo disturbato. E per cosa? Per una scopata e qualche canna?
Dopo essersi passato le mani sul viso madido di sangue e sudore – che gli penetrava negli occhi, offuscandogli la vista – William gettò a terra il caricatore ormai vuoto, si tastò i fianchi in cerca del coltello e, dopo aver scrutato Pinkerton con puro odio, attaccò.
Non arrivò mai a fare più di due passi, però.
Gli huei dell’esercito americano piombarono sul villaggio, ormai in fiamme, come l’avvento degli angeli dal paradiso e bloccarono le mosse di Pinkerton prima che portasse a totale compimento il suo personale massacro.
Atterrando in uno spiazzo libero da cadaveri – che erano caduti come mosche sotto i colpi degli M16 e degli L96A1 – gli elicotteri fecero discendere non meno di una decina di uomini che, furiosi come vespe, accerchiarono Pinkerton e gli irriducibili al suo seguito.
Dai mezzi aerei discesero anche Whindam e Meyerson che, nel vederlo a debita distanza da Pinkerton e i suoi seguaci, lo raggiunsero in tutta fretta per conoscerne le condizioni.
Lui reclinò colpevole il capo, comprese finalmente ciò che i due amici avevano fatto – non certo fuggire, ma allertare il comandante della guarnigione – e, nel rinfoderare il coltello, borbottò: “Stavo per attaccarlo, ma avete preceduto le mie mosse.”
“Potevi pensarci prima” sbottò irritato Cooper, guardandosi intorno con espressione disgustata.
Quel piccolo villaggio, del tutto privo di nemici e abitato soltanto da persone inermi e indifese, era stato praticamente raso al suolo, niente più che una distesa di morte e di fuoco a ricordo di ciò che, solo un’ora prima, si era trovato lì.
William si risentì per quelle aspre parole ma, ben conscio di essere in una posizione scomoda, preferì soprassedere.
Almeno in questo, era maturato. Aveva imparato quand’era il caso di chiudere la bocca, in previsione di avere un’occasione migliore per ribattere e, magari, vincere un diverbio.
Passandosi le mani tra i capelli lordi di sudore, polvere e sangue, Michael sbottò: “Cristo! E’ un altro maledetto massacro di Mÿ Lai1! Pinkerton ha già le palle su un ceppo, poco ma sicuro.”
“Puoi scommetterci” assentì torvo Cooper, recuperando l’arma di William prima di passargliela con un gesto secco, guardare ombroso il compaesano e borbottare: “Quanti ne hai ammazzati, prima di rinsavire?”
Ancora, William non rispose – pur se le mani fremettero per spaccare la faccia a quel damerino da strapazzo – e Cooper, sbuffando, ringhiò: “Spero tu sia soddisfatto di aver seguito le orme di quel pazzo furioso.”
“Non le ho…” cominciò col dire William, prima di venire azzittito da Michael.
“Piantala, Will. Pensi che non sappiamo con chi ti accompagnavi, durante le tue perlustrazioni con la compagnia di Pinkerton? Pensi che i ragazzi non parlassero? O non vedessero?” lo rabberciò Meyerson. “Ti conviene tenere la testa bassa, aprire la bocca per cantare, se te lo chiederanno, e fare scena muta se Pinky ti chiederà aiuto. Sempre che tu voglia tornare a casa da uomo libero.”
“Sono solo dei luridi vietcong, dopotutto! Cosa cazzo avete da fare tanto la predica?! Li avete ammazzati anche voi, in questi anni!” sbottò a quel punto William, ormai paonazzo in volto per l’ira repressa a stento.
Cooper controllò per un momento a che punto fosse il recupero degli irriducibili di Pinkerton, dopodiché tornò con lo sguardo sul volto arcigno di William e replicò caustico: “Ci siamo battuti contro uomini armati… non contro donne e bambini e vecchi. C’è una differenza.”
William fece per ribattere ma Michael lo sospinse verso gli huei e disse rapido: “Diremo che volevi affrontarlo, ma noi siamo arrivati prima. Ti salveremo il culo anche se non te lo meriti, quindi vedi di ringraziare tua madre, per questo, quando torneremo a casa. Lo facciamo solo perché lei è una brava donna, e non merita di rivederti in galera.”
“In che… in che senso?” borbottò William, seguendoli di malavoglia.
“Se avessi fumato meno e ascoltato di più, sapresti che ci stanno rimandando a casa. Nixon ci sta portando via di qua, e noi siamo i prossimi. Il nostro battaglione partirà nel giro di un paio di settimane” gli fece presente Cooper, quasi gettandolo di peso sul pianale dello huei.
Fatto ciò – e prima che William potesse replicare per il servizio non certo elegante – gli mise una mano sulla spalla per tenerlo a terra dopodiché, rivolgendosi al suo superiore: “Ha cercato di fermare Pinkerton, ma il nostro intervento lo ha preceduto.”
Il sergente storse appena la bocca, lanciò un’occhiata dubbia a William, ma Michael intervenne dicendo: “Era d’accordo con noi per rimanere sul posto e lanciare razzi segnalatori nel caso non riuscissimo a trovare di nuovo il villaggio.”
Annuendo recisamente, a quel punto, il sergente Callum borbottò: “Sta bene. Partiamo pure, allora!”
Le pale degli huei ruotarono sempre più velocemente, levando polvere, foglie e sangue dal terreno e, mentre i mezzi dell’esercito si allontanavano da quello scempio, William seppe di essersi appena fatto carico di un debito enorme.
E che forse mai, nel corso della vita, avrebbe potuto ripagare.
***
Nederland – dicembre 1972
Tornare non aveva aiutato molto a migliorare l’umore di William. La notte, rivedeva il massacro di Tà Nung come se si fosse ancora trovato lì e di giorno, ogni santo giorno, era costretto a vedere la gente mentre si congratulava con Cooper e Michael per le loro medaglie al valore.
Oh, certo, ne era stata data una anche a lui, grazie alla bugia clamorosa raccontata da quei ragazzi per bene che erano Whindam e Meyerson e, proprio per questo, lui detestava quell’onorificenza con tutto se stesso.
Più ancora, odiava la gente perché si congratulava anche con lui senza sapere bene cosa, in realtà, fosse avvenuto tra quelle foreste pluviali e quei villaggi sperduti nel nulla.
Era così facile ingannare la gente!
Aveva ucciso, fatto ciò che aveva creduto meglio per sé, seguito chi aveva pensato essere il graduato più opportuno per i suoi interessi ma, alla fine, si era solo cacciato in un guaio più grande di lui. Ed era stato salvato dalle due persone che più odiava al mondo.
Aveva dimostrato, almeno a se stesso, di non essere in grado di gestire per niente le emergenze e questo lo faceva sentire un perdente, cosa che odiava ancor più della medaglia immeritata.
Perché era così differente da suo padre, che sembrava sempre affrontare ogni cosa con cognizione di causa, con la capacità di sopperire a qualsiasi problema, anche il più complesso?
La sua ribellione giovanile era nata in parte anche da questo, da quel continuo confronto con la figura genitoriale, in cui lui appariva sempre in ombra, perdente, niente affatto al suo livello.
Continuare anche in Vietnam con quel trend era stato solo l’ultimo chiodo sulla sua bara, la conferma di non aver preso nulla di buono da quell’uomo all’apparenza così perfetto.
Ormai si sentiva davvero un perdente, non credeva più di essere migliore degli altri, o soltanto un incompreso.
L’averlo scoperto sulla propria pelle, e nel modo più brutale possibile, lo aveva colpito come un macigno, un macigno di cui era difficile portare il peso, poiché si accompagnava anche alla menzogna.
Whindam e Meyerson erano saliti di grado, avevano ricevuto più e più medaglie per meriti in battaglia, non si erano mai tirati indietro di fronte a un dovere e, alla fine, lo avevano salvato dalla Corte Marziale.
Lui, invece, non aveva fatto altro che dare ragione a suo padre, una volta di più. Aveva reso chiaro a sé stesso, prima ancora che a qualsiasi altra persona, quanto in realtà fosse un debole, un uomo senza nerbo, una nullità.
Rendersene conto, però, era forse un passo avanti, una sorta di primo passo verso qualcosa che avrebbe potuto essere un riavvicinamento con il padre, una redenzione in vista di un futuro migliore.
Certo, il peso della sconfitta provato nel momento in cui i suoi compagni lo avevano salvato, non sarebbe scomparso, né così il debito con loro, ma forse avrebbe potuto trovare una nuova forza per sopportarlo.
Forse, dopotutto, assomigliare di più a suo padre sarebbe stato qualcosa a cui agognare, non qualcosa da odiare perché ritenuto irraggiungibile.
Prima di tutto, comunque, doveva farsi carico di un’altra cosa, di un altro fardello che, nel corso degli anni, aveva accumulato.
Sua madre.
Whindam e Meyerson erano stati chiari; era stato salvato per amor suo e, se voleva cominciare da qualche parte per rimettersi in piedi, poteva iniziare da lei, ringraziandola per essersi fatta amare anche da persone estranee alla famiglia.
Non era mai stato bravo con le parole e, spesso e volentieri, queste ultime lo avevano cacciato nei guai, ma era disposto a provare, per alleviare il peso che sentiva sul petto. Sentirsi in debito con qualcuno era qualcosa di terribile, e voleva cominciare a vivere senza quel peso a farlo sentire sempre così maledettamente inutile.
Già sul punto di raggiungere la madre nelle sue stanze, William si bloccò quando udì la voce del padre, stranamente gorgogliante, e del suo migliore amico, Gareth Simpson, impegnati in una strana discussione.
“…se anche fosse, non dobbiamo per forza dirglielo. Certe cose devono morire con noi” borbottò Darren Consworth, la voce apparentemente alterata dall’alcol.
“Maledizione, Darren! Pensi davvero che mentire ancora sulla nascita di Will servirà a qualcosa? E’ chiaro, ormai, che quel ragazzo ha dei problemi. E’ inutile girarci intorno… è colpa di Paco!” sbottò Gareth con voce incrinata da qualcosa di molto simile al rimorso.
“Perché devi dire così? Sembra… sembra stare meglio, da quando è tornato” intervenne dubbiosa Julie Consworth.
La voce della madre bloccò definitivamente i passi di William che, silenzioso, ascoltò con attenzione le parole dei tre adulti.
“Julie, so che vuoi bene a tuo figlio, ma William si sta comportando esattamente come Paco, e ormai non posso più chiudere gli occhi di fronte a questa verità. Sapete che ha iniziato a vedere la figlia dei Krueger, da quando è tornato?”
“Chi? Marlene?” borbottò Darren.
“Sì, lei. Quella bambina sembra avere un’autentica venerazione per vostro figlio… e cosa pensate che succederà, quando la ragazza si negherà ai suoi approcci?”
“Ma cosa dici, Gareth?!” esalò sconvolta Julie.
“Mi spiace essere così diretto, Julie, ma è un problema reale. Vostro figlio soffre di un profondo stress, e non state facendo nulla per curarlo. Non vi siete mai accorti di come si comporta, in pubblico?”
“Gli danno fastidio i rumori forti, lo so… ma mi sembra normale, no?” mormorò turbata Julie.
“Sì, certo che è normale. Ma non lo sono le sue reazioni. Un paio di volte l’ho visto afferrare il coltello che tiene alla cintura, in risposta a uno di quei rumori. E non è un bel vedere, Darren” sbottò Gareth con voce quasi rotta dall’ansia provata.
“Lo stai tenendo d’occhio?” sbottò l’amico, irritandosi immediatamente.
Gareth allora sospirò e ammise: “Mi sento responsabile, Darren. Fu anche colpa mia, ciò che avvenne a Julie. Non posso non sentirmi preso in causa dal vostro ragazzo.”
“Lui starà bene, e questa cosa non dovrà più tornare a galla” biascicò Darren, caracollando verso Gareth nell’intento di dare maggiore peso alle sue parole.
L’amico lo sorresse prima che potesse cadere e, sinceramente addolorato, asserì: “Da quando in qua ti ubriachi, Darren? Sai anche tu che ho ragione, o non reagiresti così al ritorno di tuo figlio. Da quando è rientrato, sono più le sere che passi tracannando whisky di quante io non ricordi in oltre trent’anni di amicizia.”
“Me ne devo occupare io… sono io suo padre” mormorò a quel punto Darren con voce rotta.
Julie scoppiò in un pianto leggero, sottolineato da singhiozzi dolenti e Gareth, nello stringere in un abbraccio l’amico, esalò: “So che tu la vedi così, ed è stato coraggioso dargli il tuo nome, la tua protezione, ma dobbiamo guardare in faccia alla realtà. William non ha un solo goccio del tuo sangue e la cosa sta venendo fuori nel modo più tragico. La guerra ha solo inasprito il suo carattere, e non passerà molto tempo prima che i fantasmi che si è portato dietro da quel posto lo facciano diventare come il suo vero padre.”
Will raggelò a quelle parole, non riuscendo minimamente a comprendere le parole di Gareth e, nello stringere le mani a pugno lungo i fianchi, si domandò di cosa diavolo stessero parlando.
Non contento, Gareth proseguì dicendo: “Ho tenuto Paco lontano da Nederland con la minaccia di spiattellare tutto alla polizia, ma non so per quanto tempo lo terrò a bada. E’ una mela marcia, e gli anni non lo hanno cambiato, ma ora ha addirittura la presunzione di volere che suo figlio vada con lui. Gli ho detto di impicciarsi degli affari suoi, che non ha niente a che fare con Will, ma Paco si è intestardito e non cederà facilmente.”
“Non lo ha mai voluto conoscere. Perché diavolo torna adesso?!” si imbestialì a quel punto Darren, falciando l’aria con un braccio.
“Perché? Perché gode nel fare del male alla gente. Per questo sono preoccupato per William in primis, o Marlene, o qualsiasi altro abitante di Nederland. Perché William sta percorrendo la stessa strada di Paco. Di suo padre” sospirò Gareth, passandosi una mano sul volto con espressione sofferta. “E’ anche una mia responsabilità, lo sai bene. Avrei dovuto vigilare su di lui, e non l’ho fatto, perciò permettimi almeno di aiutare Will. Di aiutare tutti voi.”
“Non è un problema tuo” sentenziò lapidario Darren.
Julie sospirò addolorata e Gareth, nel sospirare a sua volta, afferrò la maniglia della porta della stanza per uscire e, spiacente, mormorò: “Ci sarò sempre per voi tre, non dimenticarlo mai. Ma non dimenticare anche che a volte, da solo, l’amore non può aggiustare tutto.”
“Will non deve essere aggiustato” gli ringhiò contro Darren.
Gareth non disse altro e uscì, lasciando a malapena il tempo a William di nascondersi nel vicino pozzo delle scale che conduceva ai garage.
Silente, Will lo osservò andarsene mentre mille e più domande gli affollavano la mente. Chi diavolo era il Paco di cui aveva parlato Gareth, e perché aveva detto che quell’uomo era il suo vero padre?
La sua attenzione, però, venne prima di tutto canalizzata dal pianto della madre che, apparentemente, era rimasta sconvolta dalle parole dell’amico di famiglia.
Tornando ad avvicinarsi alla porta socchiusa, udì il padre dire: “Non ascoltarlo. Lui non sa chi è Will in realtà. Noi sapremo strapparlo ai suoi incubi.”
“Forse ha ragione, Darren. Dovremmo aiutarlo, mandarlo da qualcuno … proteggerlo da se stesso” replicò Julie, inconsapevole del peso che quelle parole stavano avendo sul figlio.
“Non crederai anche tu che la violenza sia ereditaria, spero?!” dichiarò sconvolto Darren.
“Non vorrei crederlo, Darren, ma ciò che ha notato Gareth l’ho notato anch’io… e ne ho paura” ammise Julie con voce tremante. “A volte lo guardo, ma lui non mi vede affatto. Ha la mente altrove, è come se non fosse mai tornato veramente qui, e non posso sopportare di vederlo così ogni giorno.”
“Gli starò ancora più vicino, te lo prometto. Non lo abbandonerò a se stesso.”
“Tesoro, tu non lo hai mai abbandonato, lo so. Lo hai protetto fin da quando hai saputo di lui e di me, anche se non avevi alcuna responsabilità nei confronti di entrambi” mormorò a quel punto Julie, sgomentando non poco William.
Che diavolo stava dicendo, la madre? Cosa stava ascoltando, in realtà? Sua madre era stata con un uomo che non era il padre? Era davvero il figlio di un altro?
Ma più di tutto, suo padre aveva accettato di crescere il frutto di un tradimento?
A tal punto si era dimostrato debole? A tal punto aveva permesso che la moglie e quel fantomatico Paco lo rendessero becco?
Non potendo ascoltare altro, William discese in fretta quanto in silenzio lungo le scale che conducevano al garage e, senza attendere oltre, prese l’auto e se ne andò per fare un giro.
Non importava dove. Doveva soltanto rimanere lontano da quella casa, da quelle persone, dai tradimenti e dalle bugie che ammorbavano l’aria di quel luogo.
Sua madre aveva tradito la fiducia di suo padre, accoppiandosi con un uomo che non era lui e, quel che era peggio, a suo padre non solo era stato bene, ma non si era neppure vendicato della persona che lo aveva reso becco.
Non contento, aveva cresciuto come suo il frutto di quel tradimento e aveva fatto credere a tutti di esserne il padre, da bravo vigliacco quale sapeva essere.
Lui non era altro che un errore, il frutto di un tradimento, ed era stato cresciuto da un uomo tutt’altro che perfetto. Non si era vendicato dell’onta subita ma, quel che era peggio, pur di non ammettere con nessuno di essere stato tradito, lo aveva reso complice inconsapevole della sua menzogna.
No, non avrebbe ambito ad assomigliare a quel genere d’uomo. Per nulla al mondo.
Avrebbe puntato a essere spietato, senza la traccia alcuna di debolezza e mai, mai più, avrebbe permesso a qualcosa – o qualcuno – di obnubilargli la mente.
Sarebbe stato lucido, freddo e calcolatore e non avrebbe mai più permesso a nessuno di deluderlo, di ferirlo e di cacciarlo nei guai.
A partire dai suoi genitori.
Fu per questo che, nello svoltare lungo la via principale, raggiunse la casa dei Krueger e passò a prendere Marlene.
Lei, come sempre, si dimostrò incantata al solo presentarsi sulla soglia di casa – cosa che ancora lo lasciava interdetto – e, quando uscì per entrare in auto con lui, sorrise deliziata e disse: “Non sapevo saresti passato, ma mi ha fatto davvero piacere questa improvvisata. Cosa vorresti fare, stasera?”
Avviando l’auto per dirigersi lungo la via che costeggiava il lago, William ripensò alle parole appena udite e, nell’accigliarsi, domandò: “Mi tradiresti mai, Marlie?”
Lei fece tanto d’occhi, a quelle parole così dure e, scuotendo furiosa il capo, replicò: “Non lo farei mai e, se qualcuno ha detto il contrario, dammi i nomi. Mi saprò spiegare per benino.”
“Anche quanto, lo farei io per te. Sono gli uomini a pensare a certe cose” sogghignò leggermente lui, accelerando lungo la strada deserta.
Marlene accentuò il proprio sorriso e mormorò sorniona: “Oh… mi difenderesti?”
“Difenderei il mio onore di uomo” precisò William, sorprendendola un poco.
“E non me?”
“Difendendo il mio onore, difenderei anche il tuo, poiché tu sei la mia donna” ribatté William, accelerando ulteriormente per poi abbassare il finestrino.
L’aria umida e fredda della sera ormai prossima scompigliò i capelli castani di Marlene che, sorridendo divertita, esalò: “Davvero sono la tua donna?”
“Non lo credevi?” replicò sorpreso William.
“Beh, nessuno ha mai detto che ero sua, perciò…” ammiccò lei con fare malizioso.
“Ora te l’ho detto io, e nessun altro dovrà mai dirtelo, altrimenti io ucciderò colui che oserà tanto” le promise William, svoltando all’improvviso con una sgommata per poi immettersi in una stretta mulattiera.
Marlene rise eccitata, si trattenne una ciocca di capelli che, birichina, le era finita sul viso, e asserì: “E lo ucciderai dinanzi a me?”
“Ti piacerebbe? Ho ucciso spesso, in Vietnam” sorrise sornione William, rallentando progressivamente con l’allontanarsi della via principale.
Marlene, allora, si lappò lentamente le labbra, mugolò eccitata e disse: “Se tu uccidessi per me, io ti darei qualsiasi cosa. L’idea che un uomo possa arrivare a tanto, e solo per me, mi eccita da matti.”
“Non… non per te. Ma per il mio onore” tornò a ripetere William, arrestando di colpo l’auto per affrontarla a muso duro.
Lei a quel punto annuì, gli sfiorò la gola con un tocco delicato di dita e unghie e, in un sussurro lussurioso, asserì: “Se io sono tua, faccio parte anche del tuo onore, no? Perciò, è come se lo facessi anche per me.”
William considerò le sue parole, il modo in cui l’orlo della gonna stava lentamente salendo al tocco infuocato delle dita di lei e, nel sorriderle a un passo dalla bocca, mormorò: “Hai ragione. Tu sei mia e, visto che sei parte di me, fai parte anche del mio onore.”
Ciò detto, le afferrò il collo con una mano e strinse, le spinse indietro il capo e aggiunse, rivolto ai suoi occhi pallidi e sgranati: “Ricorda, però. Vale la stessa cosa anche per te. Se sarai tu, a tradirmi, io ti ucciderò.”
Lei si lappò nuovamente le labbra, annuì per quello che le fu possibile fare e, socchiudendo gli occhi, afferrò la mano libera di William per infilarla tra le sue cosce, mormorando roca: “Prendimi e fammi tua completamente. Non posso sopportare di non essere con te in ogni momento, perciò voglio stare con te adesso.”
William socchiuse gli occhi nello sfiorarle il pube umido, desiderò assaporarne gli effluvi come aveva più volte fatto con le donne vietnamite che si era scopato ma, all’ultimo istante, desistette per dire: “Non ora. Ti prenderò quando saremo sposati. Non voglio che tu concepisca un figlio al di fuori del matrimonio. Ne andrebbe del mio nome. Visto che i miei genitori pensano che io abbia bisogno di aiuto, andrò a Denver da un dottore e farò quel che c’è da fare, così anche la gente non avrà più nulla da dire, su di me. Una volta che sarò tornato, però, ti sposerò e potremo fare quello che vorremo. Saremo intoccabili, agli occhi del mondo.”
“Lo farai davvero? Mi sposerai?” sospirò lei. “Mi porterai davvero via dalla casa dei miei genitori?”
“Ti strapperò a loro, fosse l’ultima cosa che faccio, Marlie. Non dovrai più sopportare le reprimende di tuo padre o l’inedia di tua madre” le promise lui, ben comprendendo come la ragazza si sentisse.
Neppure lui ne voleva più sapere dei suoi vecchi, a questo punto.
Marlene allora gli gettò le braccia al collo, lo baciò con passione fino a farlo ansimare, fino a farlo desiderare di non aver proferito quelle parole in merito alla loro unione prematrimoniale.
Fu quando lei afferrò l’orlo dei suoi calzoni, che cedette e, nel condurla in fretta e furia fuori dall’auto, la prese per le spalle, la spinse contro la portiera e, dopo averle sollevato la gonna, la penetrò con violenza da dietro.
Lei urlò, picchiò le mani sul tettuccio dell’auto per quell’intrusione improvvisa ma, dopo alcuni attimi di smarrimento, sopraggiunse il piacere anche per Marlene.
Non che a William importasse molto. Quella donna era sua e l’avrebbe usata a suo piacimento, come il padre non era stato in grado di fare con la moglie.
Con un’ultima, violenta spinta, venne in lei, sorrise soddisfatto e lasciò che Marlene giocasse a piacimento con il suo corpo. Dopotutto, quello che voleva lo aveva ottenuto.
L’aveva marchiata senza però rischiare di lasciare tracce del danno. Non si sarebbe più comportato come un perdente e, una volta per tutte, si sarebbe smarcato per sempre da suo padre.
1. Massacro di Mÿ Lai: fu un massacro di civili inermi che avvenne durante la guerra del Vietnam, (1968) quando i soldati statunitensi della Compagnia C, 1º Battaglione, 20º Reggimento, 11ª Brigata della 23ª Divisione di Fanteria dell'esercito statunitense, agli ordini del tenente William Calley, uccisero 504 civili inermi e disarmati, principalmente anziani, donne, bambini e neonati.
N.d.A.: scopriamo il passato di William e l'oscuro segreto celato dietro la sua nascita. Scoprire i suoi comportamenti passati, serve in previsione di ciò che avverrà prossimamente.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
12.
Agosto
2015 – Dintorni di Nederland
Arrampicarsi su ripidi pendii
assieme
alla sua Cleopatra non era mai stato un problema, per Emy, e quel
giorno si
sentiva abbastanza in forze anche per trasportare parte delle
attrezzature di
Parker.
La festa per il battesimo di Sophie
era
andata così bene che, per settimane intere, si era parlato
delle novelle coppie
formatesi durante quell’evento, così come dei
flirt già esauritisi in breve
tempo.
Nessuno, però, aveva
parlato di lei e Tony,
poiché avevano fatto in
modo di non essere smascherati, così da mantenere il segreto
sul loro
riavvicinamento ancora per un po’.
Forse era stato per questo, per
questa
frenetica gioia collettiva, o per il divertimento provato nel
comportarsi da
adolescenti alle prese con la prima cotta, che la telefonata di Sherry
non
l’aveva sgomentata più di tanto.
Ray era uscito di galera una
settimana
addietro, e di lui si erano perse le tracce quasi immediatamente.
Alla fine dei conti, Emily non
doveva
temere nulla da lui. Ray non era mai stato un problema, e dubitava
fortemente
che, una volta uscito di galera, lui avesse pensato anche solo
minimamente a
lei.
Rammentava fin troppo bene i suoi
occhi
dolenti e la sua espressione contrita, durante il processo,
perciò era
praticamente certa che Ray fosse svanito dai radar per qualsiasi altro
genere
di motivo, ma non certo per ferire lei.
Inoltre, dopo essere finalmente
riuscita ad ammettere con Anthony quanto ancora l’amasse, si
sentiva più forte
che mai e, anche se sapeva bene di essere solo all’inizio,
era speranzosa di
riuscire nei suoi intenti quanto prima.
I giorni seguenti alla loro
reciproca confessione,
avevano ripreso a vedersi di nascosto, come due ragazzini desiderosi di
non
farsi scoprire dai genitori a rubarsi qualche bacio o carezza.
Le notti erano trascorse
scambiandosi
messaggi, o chiamandosi al cellulare, neanche fossero stati a migliaia
di
miglia l’uno dall’altra mentre, durante il giorno,
avevano fatto finta di nulla
per non attirare l’attenzione della gente.
Tutto questo l’aveva
divertita al pari
di quanto aveva divertito lui, ma questa segretezza aveva fatto nascere
un
effetto collaterale non previsto. Ora, Emily lo bramava ancor
più di prima, e
rispettare la tabella di marcia di Parker stava diventando sempre
più
difficile.
“Il tuo sorrisone
è così luminoso che,
se potessi metterlo in bottiglia, potrei usarlo come lanterna
all’interno della
grotta” chiosò Parker, arrancando lungo il
sentiero con le sue valige
metalliche ricolme di strumenti.
Emy si chiese come facesse a
portarne
così tante. Lei ne aveva solo una, e già si
sentiva a pezzi.
Sicuramente, l’abitudine
era una grande
alleata, ma da sola non poteva certo bastare. Era chiaro quanto Parker,
in
quegli anni, si fosse abituato – e avesse abituato il proprio
corpo – a quel
genere di lavoro. E, almeno a giudicare dalla sua aria tranquilla, non
doveva
pesargli affatto, faticare tanto.
“Non hai idea di quanto
io mi sia
sentita stupida, nel vederti alle spalle di Tony, e mentre mi esponevo
così
tanto” mugugnò lei, pur sorridendo.
“Non devi. Tu lo ami, lui
ti ama. Che
problema c’è? Non ti vergognerai mica ad
ammetterlo?” ironizzò lui, facendo un
gran ghigno.
“Ti stai divertendo da
matti perché non
sei tu l’oggetto del contendere, e perciò non devi
scervellarti per trovare dei
sistemi per apparire sempre al meglio” brontolò
Emily, sbuffando per la fatica
e per l’imbarazzo.
“Cara mia, tu dovresti
essere ricoperta
di mota e vestita di juta, per non apparire al meglio… e poi
avrei qualche
dubbio lo stesso” ammiccò lui, prima di tornare
serio e asserire: “Non devi
fingere, con lui. Anthony sa già chi sei. Devi solo
convincerti che, quando ti
trovi con lui, nulla può succedere. Non
c’è più nessuno che cercherà
di
portarti via.”
“Sei maledettamente
percettivo, sai?”
gorgogliò lei, storcendo il naso.
“Lo so. La mamma me lo
dice sempre, che
dovevo fare lo psicologo” motteggiò lui, dandole
un colpetto con la spalla
prima di fermarsi al limitare di una curva per riprendere fiato.
“Comunque,
come procede il vostro piano di appuntamenti segreti?”
“Ottimamente. Anche se,
prima o poi,
dovrò cominciare a prendere del bromuro”
ironizzò lei, facendolo scoppiare a
ridere di gusto.
Sempre ridendo, Parker riprese il
cammino e svoltò lungo un sentiero, procedendo a passo
tranquillo per alcune
centinaia di iarde prima di avvertire il rumore inconfondibile di una
cascata.
Pur sapendo della sua presenza
– e
piuttosto sicuro della sua imponenza a causa del boato che li
raggiungeva come
un treno in corsa – fu con estrema sorpresa e profonda
meraviglia che osservò l’incanto
che gli si presentò dinanzi agli occhi.
Finalmente libera dallo scudo
naturale
offerto dagli alberi, una stupenda cascata dall’ampia bocca
si esibì in tutto
il suo splendore, investendoli con il suo boato roco e profondo e
miriadi di
goccioline di vapor d’acqua.
Anche a una distanza di quasi cento
metri, complice la brezza che spirava da nord-est, la fresca nebbiolina
causata
dalla caduta di centinaia di litri d’acqua al secondo
colpì entrambi,
inumidendo i loro volti accaldati quanto appagati.
“Niente può
essere così bello… e dire
che ho visto anche le cascate del Niagara, però
queste…” mormorò ammirato
Parker, sgranando maggiormente gli occhi.
“A renderla splendida
è il paesaggio
che la circonda” asserì Emily, poggiando le borse
per armeggiare con la sua
fotocamera. “Quando venni qui la prima volta, il cielo era
plumbeo, eppure era
splendida comunque. Le nubi erano nere, all’orizzonte,
purulente, e l’acqua
della cascata sembrava quasi di ghiaccio. Una di queste volte ti
farò vedere le
foto.”
“Ci conto”
sussurrò lui, carezzando
distrattamente Cleopatra, che stava tentando di leccare tutte le
goccioline
d’acqua cadute sul suo muso.
Dopo aver scattato una ventina di
fotografie, scegliendo diversi filtri e inquadrature per ottenere
quante più
variabili possibili, Emily rimise via la fotocamera e rimase in
silenziosa
contemplazione della cascata.
Quel rombo sordo e primordiale,
ricco
di una forza che poteva quasi percepire attraverso la propria pelle,
non la
spaventava. La natura in sé non l’aveva mai
spaventata.
Anche durante la sua fuga, non
aveva
mai ritenuto il bosco un pericolo vero e proprio, quanto piuttosto una
protezione dai cattivi che avrebbero potuto cercarla. Certo, aveva
dovuto
prestare attenzione ai precipizi che si trovavano nella zona e alle
erte
scoscese ma, a conti fatti, il bosco non l’aveva mai
terrorizzata.
Lei aveva sempre avuto paura delle
persone, da quel giorno in avanti, non dei luoghi. O meglio,
c’era un solo posto
al mondo che ancora la spaventava a morte, ed erano le caverne, ma non
era
obbligata a metterci dentro il naso, no?
Ciò di cui aveva sempre
avuto terrore erano
stati i rapporti profondi, le situazioni in cui il suo cuore era messo
in
discussione, quando non c’erano più filtri tra
lei, la sua mente e colui – o
colei – che aveva dinanzi.
Anche per questo, le sue brevi
avventure universitarie erano state effimere e prive di sbocchi. Non si
era mai
voluta aprire veramente con nessuno, per paura che il terrore la
sommergesse.
Non prima di Anthony, comunque.
Ora, però, era giunto il
momento in cui
la sua mente avrebbe dovuto cedere il passo ai sentimenti,
permettendole di
avvicinarsi veramente – e finalmente – a qualcuno
che lei voleva con tutta se
stessa.
“Proseguiamo?”
domandò Parker prima di
udire il cinguettio del cellulare di Emily.
Sorpresa – era raro che i
cellulari
prendessero, nel bosco, e in zone così impervie –
lei lo estrasse dal marsupio
e accettò la chiamata del fratello, da poco rientrato a
Nederland.
Raggiuntala subito dopo aver
sopportato
una noiosissima riunione del suo studio di avvocati, Jamie si era
dichiarato
più che disposto a diventare un boscaiolo a vita, pur di
evitare nuovi e simili
incontri coi soci. Per questo, non si era neppure dato il tempo di
trovare un
aereo per raggiungere Denver quanto prima.
Era partito con la sua auto non
appena
la riunione si era conclusa e, dopo essersi sobbarcato ore e ore di
viaggio
lungo i vari Stati che li dividevano, era piombato sul suo letto e si
era
addormentato dopo averle detto un frettoloso ‘ciao’.
Non volendo affrontare il relitto
ambulante che, quella mattina, aveva preso le sembianze di suo
fratello, lo
aveva perciò lasciato dormire, in attesa di potergli parlare
a cena, quella
stessa sera.
Fu per questo che, divertita,
domandò:
“Ehi! Che succede? Manchiamo da un paio d’ore e hai
già bisogno della balia?”
“Emy…”
mormorò ansioso Jamie,
mettendola subito in allarme e facendole perdere in un istante il
sorriso con
cui lo aveva salutato. “… dovete tornare
subito.”
“Che succede,
J?” ansimò la giovane,
impallidendo nell’udire il tono angosciato di Jamie.
Perché suo fratello
sembrava così terrorizzato? Cos’era successo?
“Mamma… papà
è…”
Non poteva essere successo qualcosa
a
suo padre! Non poteva lasciarla prima che si fossero chiariti! Non
poteva
essere crudele fino a questo punto!
“No, Emy… loro
non c’entrano. E’
Mickey.”
“Mickey? Ma Mickey
è al campo estivo
della scuola” borbottò Emily, non comprendendo
affatto le parole del fratello.
“Non è mai
rientrato a casa, Emy. E’
sparito. Non lo trovano” continuò a dire Jamie con
tono concitato.
Emily scosse il capo,
guardò
frettolosamente l’orario – sì, erano le
due passate, perciò doveva per
forza essere tornato da scuola – ma,
ancora, rifiutò di accettare ciò che il fratello
le stava dicendo.
“Sarà…
sarà con un suo amico” mormorò allora
la giovane, incredula.
“Hanno già
tentato quella strada.
Sorellona, non siete in tanti, qui. Ci vuole poco a chiamare tutti i
diretti
interessati” cercò di farle capire Jamie, parlando
con voce più dolce e
comprensiva.
La giovane scosse il capo con
maggiore forza,
rifiutando ciò che il fratello le stava dicendo e, dando il
cellulare a Parker,
si prese il viso tra le mani e gorgogliò terrorizzata:
“E’ da un suo amico…
sicuramente… non può… non
deve…”
Parker le strinse una mano sulla
spalla
per trattenerla dal fuggire mentre, quella che teneva il cellulare,
schizzò
verso l’orecchio per accostare lo smartphone
e dire: “Spiegami che succede, Jamie.”
“Si teme che possano aver
rapito
Mickey.”
Parker non riuscì a dire
nulla. Attirò
a sé una sempre più sconvolta Emily, ormai ai
limiti del pianto e la abbracciò
stretta, mormorando: “Emy, respira…
respira…”
“Non può
succedere ancora… non può
succedere ancora…” ripeté lei come un
mantra, tremando tra le braccia di
Parker, ora completamente inerme e senza forze.
Cleopatra uggiolò
accanto a loro, evidentemente
preoccupata per la padrona. Con il suo possente corpo le si
strusciò contro per
darle tutto il suo conforto ed Emily, crollando in ginocchio e
scivolando via
dalla presa di Parker, si strinse alla sua cagnolona e pianse.
Non potendo fare altro, Parker
risollevò il cellulare e disse rapido: “Torniamo
immediatamente.”
“D’accordo”
mormorò roco Jamie.
Ciò detto, Parker chiuse
la comunicazione,
infilò il cellulare di Emily nella tasca posteriore dei
pantaloni dopodiché,
sfiorando il capo della giovane, mormorò:
“Rientriamo, dai.”
Lei annuì contro il pelo
folto di
Cleopatra, che le stava leccando una spalla a mo’ di
consolazione e, nel rialzarsi,
si terse il volto dalle lacrime e sussurrò priva di energia:
“Perché, Parker?”
“Davvero non ne ho idea.
Ma se la
stampa lo scopre, ci sguazzeranno, sapendo che tu abiti a Nederland.
Faranno
paragoni di mille tipi e, quasi sicuramente, verranno a bussare alla
tua porta
per chiederti come stai. Ergo, cosa intendi fare?” la mise in
guardia Parker,
ombroso in viso.
Lei reclinò il capo,
ammettendo tra sé
che Parker aveva perfettamente ragione. Se la mancanza di Mickey fosse
perdurata, lo sceriffo avrebbe dovuto far intervenire l’FBI
e, dove arrivavano
loro, la stampa giungeva poco tempo dopo. Da lì a scoprire
la sua presenza a
Nederland – non era una reclusa, perciò bastava
cercarla su internet, per
sapere dove abitasse – sarebbe occorso poco, soprattutto
perché il suo libro
era appena uscito e stava vendendo bene, nel settore.
Era davvero sicura di reggere la
presenza infestante e continua dei giornalisti? Di voler rivangare quel
passato
così lugubre e ancora non del tutto risolto, per lei? Era abbastanza forte da non
impazzire?
L’alternativa
più semplice sarebbe
stata scappare ancora, allontanarsi da Nederland e rendersi
irreperibile a
tutto e a tutti, ma sarebbe poi servito?
Come si sarebbe sentita,
lasciandosi
alle spalle gli amici? Avrebbe sopportato l’idea di sapere
Samuel e Consuelo in
ansia per il primogenito?
Preso perciò un gran
respiro, Emily cancellò
con una mano le ultime tracce di pianto e incrociò lo
sguardo verde foglia di
Parker come per darsi forza. A mezza voce, quindi, disse:
“Consuelo e Sam sono
da soli, adesso, e io sono anzitutto una loro amica. Non voglio
lasciarli.”
“Allora, ti
terrò alla larga gli
scocciatori. Tuo zio dovrà aspettare i miei risultati,
temo” le promise lui,
dandole una pacca sulla spalla.
Lei sorrise appena, ma una lacrima
ribelle le sfuggì dagli occhi di colomba, insieme a una
domanda sgorgata dalle
labbra socchiuse.
“Perché?”
“L’unico modo
per scoprirlo, è tornare
a Nederland. E siamo già in ritardo sulla tabella di
marcia” le disse lui,
afferrando la propria attrezzatura per tornare verso valle.
La giovane assentì e, al
pari di
Cleopatra, si incamminò lungo il sentiero tenendo
l’andatura più veloce
possibile.
Non riusciva a capire
perché stesse
succedendo di nuovo. Perché doveva rivivere
quell’inferno? E perché i suoi
amici dovevano viverlo a loro volta?
***
Non appena Emily e Parker fecero
ritorno a Nederland, ciò che trovarono confermò
loro la gravità della
situazione. Le persone erano sparpagliate per la strada, apparentemente
nel
panico, e cercavano Mickey in ogni cantone, dietro ogni angolo, come se
fino a
quel momento il bambino avesse soltanto giocato a nascondino.
Lo sceriffo sembrava propenso a
lasciarli fare, forse sapendo bene che, se si fosse opposto a quegli
inutili
tentativi di ricerca, si sarebbe ritrovato addosso le ire
dell’intero paese.
Era giusto che provassero, se il
loro
cuore diceva questo, perché null’altro li avrebbe
pacificati.
Non era il momento di essere
fiscali.
Lasciandosi perciò alle
spalle quello
sciamare convulso di persone, i due risalirono lungo la via sterrata
per
raggiungere le loro case. Separatisi giusto il tempo di parcheggiare i
rispettivi
pick-up, Emily scese con Cleo dal proprio, trafelata e ricolma
d’ansia.
Mentre attendeva di veder giungere
Parker dal suo appartamento, inquadrò dopo alcuni istanti
Consuelo sulla soglia
di casa, in compagnia di Anthony, in lacrime e sconvolta.
Consuelo teneva Sophie tra le
braccia,
ma i suoi occhi non la vedevano, erano persi in un vuoto di
disperazione e
paura.
Anthony, accanto a lei, sembrava
impotente di fronte a tanto dolore e, quando vide Emily correre loro
incontro,
la abbracciò stretta per un attimo, mormorando:
“Stai bene?”
Lei annuì frettolosa, si
scostò da lui
e si avvicinò a Consuelo che, nell’udire la voce
di Emily, si ridestò come di
colpo e mormorò: “Emy… sei
qui…”
“Sono arrivata appena ho
saputo. Come è
successo?” domandò la giovane, stringendo in un
dolce abbraccio Consuelo prima
di guardare dolcemente Sophie.
La bimba sembrava ignara del panico
che
la circondava, e continuava a dormire placidamente tra le braccia della
madre.
“Non… non lo
sa nessuno. La maestra
dice che è uscito da scuola con gli altri, come al solito.
In paese lo hanno
visto passare un attimo da Gilda, per un saluto, e anche questo
è normale. Poi
ha preso la via per tornare a casa, e da
lì…”
Il pianto la colse nuovamente e,
piegandosi su se stessa, Consuelo si portò al volto la
piccola Sophie per
baciarne le guance rosee.
Emily le passò un
braccio attorno alle
spalle, non sapendo cosa dirle per incoraggiarla.
Quando i ragazzi uscivano da
scuola,
molti di coloro che vivevano lungo Ponderosa Drive erano al lavoro,
perciò era
difficile – per non dire impossibile – che qualcuno
potesse aver visto
qualcosa.
Le sole zone veramente trafficate
di
Nederland erano il centro del paese e la locanda di Gilda, e
cioè gli unici
luoghi dove avevano effettivamente visto Mickey.
Lungo Big Springs Drive e Ponderosa
Drive era rarissimo trovare qualcuno, e le case erano rade e ben
distanziate
tra loro, oltre che intervallate da tratti di boscaglia e diversi
sentieri.
Mickey avrebbe potuto scomparire in
un
punto qualsiasi tra le due strade, che percorreva regolarmente a piedi
per
tornare a casa, e nessuno se ne sarebbe accorto.
Per i bambini del luogo era normale
rientrare da soli, spesso a piedi o in bicicletta; tutti si conoscevano
e le
vie erano tranquille, perciò non si correva nessun rischio.
Fino a quel giorno, per lo meno.
“Mickey è
forte. Niente può abbatterlo.
Vedrai che lo troveranno in men che non si dica”
mormorò Emily, lanciando però
uno sguardo preoccupato ad Anthony, non sapendo cos’altro
dire. Voleva
consolare l’amica, ma sapeva in prima persona come le cose
potessero andare
storte, e farsi maledettamente lunghe e interminabili.
Nel veder tornare Sam e Jamie con
l’auto di quest’ultimo, Anthony sospirò
e disse: “Chissà che lo sceriffo non
abbia dato loro buone notizie.”
Quando, però, li videro
scendere dalla
Mustang, scuri in volto e per nulla desiderosi di parlare, Emily seppe
la
verità. Non solo non lo avevano trovato, ma non erano in
grado di dire dove
potesse essere.
“E’ successo di
nuovo” mormorò Emily,
gli occhi sgranati per l’orrore.
***
Seduta sul divano con una tazza di
tè
bollente tra le mani, Emily non stava ascoltando ciò che i
tre uomini in casa
con lei stavano dicendosi con tono concitato e stanco.
Tutto le sembrava lontano,
inconsistente, come se le uniche cose reali attorno a sé
fossero quelle che
poteva toccare con mano.
La ruvidezza del tessuto a coste
del
divano color ghiaccio, il muso di Cleopatra poggiato sulle sue
ginocchia, la
tazza di ceramica laccata che le scaldava le dita, la morbidezza del
tappeto in
ciniglia sotto i suoi piedi nudi.
Tutto il resto era sfocato,
impalpabile
come nebbia.
La sua mente tentava in ogni
istante di
tenere segregate le sensazioni spiacevoli legate al suo rapimento, ma
era
difficile non pensarci quando collegava se stessa a Mickey.
Forse, era in una grotta anche lui,
chiuso tra quattro anguste mura. Oppure era legato in un bagagliaio,
diretto in
Messico o chissà dove, venduto per il mercato del sesso, o
per i suoi organi.
O ancora, poteva essere stato preso
per
essere consegnato a un’altra famiglia, perché
diventasse il figlio di qualcun
altro. Il Mickey di qualcun altro.
Le possibilità erano
migliaia, e una
peggiore dell’altra, ma Emily stava cercando con tutta se
stessa di non
lasciare che le sue esperienze si fondessero con la realtà
attuale. Se fosse
successo, sarebbe impazzita e niente avrebbe più avuto senso.
Dondolando leggermente quando un
peso
affossò il cuscino del divano al suo fianco, Emily volse un
poco il capo per
capire cosa stesse succedendo e, nel vedere il viso preoccupato di
Anthony
puntato verso di lei, mormorò: “Ci sono.
Davvero.”
Lui accennò un sorriso,
ma fu più un
riflesso meccanico che altro. Gli occhi azzurri rimasero spenti,
offuscati
dall’ansia, pur se Emily non seppe dire se, quella
preoccupazione profonda,
fosse legata a Mickey, a lei, o a entrambi.
“Jamie e Parker
rimarranno qui con te,
stanotte, mentre io andrò di là ad aiutare Sam e
Consuelo” le spiegò lui,
stringendole delicatamente una mano.
“Non hanno rapito me,
Tony. Non ho
bisogno di un commando a mia protezione”
sottolineò la donna, sollevando appena
un sopracciglio per evidenziare il suo scetticismo.
“E’ un comitato
di supporto, tutto qui”
scrollò le spalle Anthony. “E mi sentirei
più tranquillo, se non ti sapessi da
sola.”
Emily a quel punto sorrise, sorrise
davvero, e si allungò per
dargli un
bacio leggero sulle labbra, mormorando: “Sei davvero un bravo
cavaliere.”
“Ci si prova”
ironizzò lui prima di
volgersi a mezzo e scoppiare a ridere.
Emily ne seguì lo
sguardo e,
spalancando gli occhi per la sorpresa, gracchiò:
“Ma che fate?”
Jamie e Parker se ne stavano nel
mezzo
del salotto con le mani ben premute sugli occhi, neanche fossero stati
due
bambini di fronte a una scena scandalosa.
“Non vogliamo diventare
ciechi” chiosò
Jamie, scostando due dita per permettere a un occhio di scrutare la
sorella.
“Ma quanto siete
idioti” brontolò lei,
scuotendo il capo e sollevandosi dal divano per portare la tazza in
cucina.
Parker e Jamie si sorrisero
complici e,
nel vedere la donna allontanarsi, quest’ultimo
domandò: “Sei sicuro di non
voler rimanere tu, Tony? Posso andare io, di là.”
Anthony scrutò in
direzione della
cucina ma scosse il capo e replicò: “So di non
essere così eroico come
dovrei essere in questo momento, Jamie. E’ meglio
mettere qualche muro tra me e lei, per adesso. Il desiderio di
consolarla
sarebbe troppo… insopportabile,
e non
voglio rovinare ciò che ci stiamo faticosamente riprendendo
poco alla volta.”
“Posso capirlo. Fa male
vederla così
spaesata e, la cosa più semplice sarebbe farla pensare ad
altro” ammise Jamie,
scrollando le spalle. “Ti chiameremo se avremo bisogno,
allora. Tu fa lo
stesso, però.”
“D’accordo”
chiosò lui, dando una pacca
sulla spalla a entrambi gli uomini prima di uscire di casa.
“Dovrebbero dargli
davvero una
medaglia” gracchiò Parker.
Jamie non poté che dirsi
d’accordo.
***
La sala principale del Nederland
Community Center era gremita di persone.
Le luci erano state accese per
permettere a tutti di vedere i grafici che, FBI e polizia locale,
avevano
sistemato su un improvvisato palco nel mezzo del salone.
Dopo tre giorni di ricerche
infruttuose, l’arrivo dell’FBI nel piccolo paesino
montano non aveva stupito
nessuno e, con essi, i primi furgoncini delle televisioni locali
avevano iniziato
a ingombrare i parcheggi.
Ciò che Parker aveva
paventato era
infine successo e, già di buon mattino, uno zelante quanto
rompiscatole
giornalista aveva suonato alla porta di Emily per chiedere cosa ne
pensasse
della situazione.
Naturalmente, Jamie lo aveva
cacciato a
male parole, minacciandolo di far intervenire lo sceriffo se lo avesse
ripescato sulla proprietà privata della sorella. Il
giornalista, però, non si
era dato per vinto e, armato di una piccola telecamera, si era piazzato
in
strada, in attesa dell’uscita della padrona di casa.
Emily lo aveva scrutato per ore,
dalla
finestra del suo studio e, alla fine, era uscita con Cleopatra al
fianco,
bellicosa come una giornata di tempesta, e gli aveva detto di lasciarla
in
pace.
Millantando pretese riguardanti la
libertà di stampa e di espressione, lui però non
aveva ceduto e, alla fine,
Emily gli aveva sputato in faccia la nuda e cruda verità.
Che era terrificante pensare a un
bambino scomparso, e che lucrare sul dolore delle persone le dava il
voltastomaco.
Ciò detto, se
n’era andata e, sempre
con Cleopatra al fianco, era tornata in casa, uscendone poco dopo
assieme a
Jamie, in auto, per scendere in paese.
Al giornalista non era rimasto
altro
che tornarsene alla sua vettura per seguirli alla conferenza stampa
indetta
dall’FBI.
Lo sciamare delle persone,
all’interno
del salone ormai gremito, era frenetico e carico di tensione e in molti
si
chiedevano chi mai potesse aver pensato di rapire Mickey, e
perché.
Quando, infine, l’agente
in capo
dell’FBI chiese il silenzio, chi poté accomodarsi
lo fece, e coloro che
rimasero in piedi si azzittirono per poi puntare lo sguardo
sull’agente dai
capelli brizzolati e l’aria seria giunto da Denver.
“Buongiorno a tutti voi.
Io sono
l’agente speciale Adam McCoy, e mi occuperò della
sparizione di Michael Johnatan
Larson che, da quel che so, è conosciuto da tutti come
Mickey” esordì l’uomo,
lanciando un’occhiata a Consuelo e Samuel, che assentirono.
“Da quel che
sappiamo finora, non sono state inviate richieste di riscatto alla
famiglia,
perciò dobbiamo supporre che non si tratti di un rapimento a
scopo estorsivo.
Questo ci pone nell’immediata necessità di
comprendere quali altri motivi
potessero avere i rapitori, per prelevarlo da qui, per cui
pregherò la gentile
cittadinanza di prestarsi alle domande che i miei colleghi vi faranno
nei
prossimi giorni.”
Un brusio di assenso si
levò tra i
presenti, ma fu la voce di William Consworth a farsi largo tra la
gente, e a
sgomentare molti per ciò che disse non appena prese la
parola.
“E’ possibile
che siano stati i suoi
parenti messicani, a prelevarlo?” domandò ruvido
William, indicando Consuelo
come se la colpa della sparizione del figlio fosse da addebitarsi a lei.
Consuelo si irrigidì al
solo udire
quell’eventualità, ma furono altri a lagnarsi ad
alta voce di quella domanda,
squadrando poi malamente Consworth senior per quell’illazione.
L’agente McCoy,
però, rispose con
competenza e freddezza, replicando: “Non verrà
tralasciata alcuna pista, glielo
posso assicurare.”
William non parve soddisfatto della
risposta, e domandò ancora: “Perdoni la villania,
agente, ma come pensate di
ritrovarlo? Se è già oltreconfine, non otterrete
mai dai messicani il permesso
per indagare su uno dei loro.”
Anthony fu sul punto di dirigersi
dal
padre per aggredirlo a male parole, se non addirittura a suon di pugni,
ma sia
Emily che Jamie lo trattennero accanto a loro. Non era il momento di
scatenare
una rissa, o altri avrebbero voluto parteciparvi anche solo per
sciogliere la
tensione che attanagliava tutti.
Ad azzittire Consworth senior
pensò
comunque l’agente speciale, che replicò sardonico:
“Forse, signore, lei ha
visto troppi vecchi film e si è fatto l’idea
sbagliata che, tra le nostre forze
dell’ordine e quelle messicane, possano esservi degli screzi.
Le posso assicurare
che quando è un bambino, l’oggetto del contendere,
la partecipazione è
massima.”
William grugnì una
risposta
incomprensibile a mezza voce, ma l’agente lo
lasciò perdere per passare ad
altro.
“Avvieremo una fitta rete
di controlli
a tappeto all’interno dei boschi, e anche per questo
chiediamo la vostra
partecipazione volontaria. Sarebbe utile avere degli occhi abituati a
questi
luoghi, che sicuramente voi conoscete come il palmo della vostra mano.
E’
lapalissiano che vaglieremo attentamente qualsiasi vostro consiglio, ma
tengo a
sottolineare una cosa; le indagini fanno capo a noi, quindi le
iniziative
personali potrebbero essere assai rischiose e far perdere del tempo a
noi
agenti, così come ai poliziotti locali. Se avete qualcosa da
dire, ditela, e non
pensare di agire come dei supereroi.”
L’agente
scrutò tutta la platea con gli
scuri occhi nero pece, prima di aggiungere lapidario: “Non
sappiamo con chi
abbiamo a che fare, e non vogliamo sulla coscienza nessuno. Venite da
noi.
Sempre.”
Ciò detto, McCoy
lasciò la parola allo
sceriffo Meyerson e discese dal palco per poi avvicinarsi curioso a
Emily.
Sorridendo cordiale,
allungò quindi una
mano verso di lei e disse: “Agente McCoy, signorina Poitier.
Non so se si
ricorda di me. A suo tempo, avevo lavorato al suo caso con i colleghi
di New
York.”
Sorpresa, Emily gli strinse la mano
prima di spalancare gli occhi e ripensare a un giovane alle prime armi,
serioso
e attento, che era giunto all’Ausable
Club assieme ai suoi colleghi.
All’epoca, non aveva
fatto molto caso
alla marea di agenti che avevano voluto interrogarla in merito alla sua
fuga,
ma tornare a quei momenti le fece riemergere alla memoria il ricordo
del volto
dell’agente.
Molto più magro e dai
capelli
interamente neri come ali di corvo, l’agente McCoy si era
occupato dell’aspetto
fisico dei rapitori e si era preoccupato di preparare degli identikit
preliminari grazie alla sua deposizione. Era stato molto gentile, con
lei, e le
aveva regalato un lecca-lecca gigante dai colori
dell’arcobaleno.
Quel gesto l’aveva fatta
ridere e
piangere al tempo stesso e, di buona lena, si era messa a
mangiucchiarlo
nell’attesa che arrivassero anche i suoi genitori.
Sorridendo appena, Emily quindi
disse:
“Non fa più identikit, adesso.”
“Già da un
pezzo, in effetti” ammise l’agente.
“E’ davvero una brutta occasione, per rivederla.
Immagino che quei ragazzacci
laggiù le abbiano già dato fastidio.”
Ciò detto,
indicò sprezzante le troupe
ferme al limitare della sala, e
che attendevano soltanto la fine del discorso dello sceriffo per
irrompere come
uno sciame di locuste per sommergerlo di domande.
“In effetti, ci hanno
provato” ammise
lei, scrollando le spalle.
“Non le posso promettere
nulla, ma
vedrò di tenerglieli alla larga, quando
potrò” la rassicurò lui prima di
domandarle: “Si è fatta un’idea di cosa
possa essere successo?”
“Non sono
un’esperta, ma non possono di
certo volere dei soldi da Sam e Consuelo. Chi ha preso Mickey aveva un
motivo
preciso per volere proprio lui. E
non
era il denaro” mormorò Emily. “Sia
chiaro però che, se ve ne fosse
bisogno…”
McCoy la azzittì,
asserendo: “Sa bene
come funziona. Non si danno soldi ai rapitori.”
“Lo so,
ma…” tentennò Emily, mordendosi
il labbro inferiore per l’ansia.
“Non terremo nascosto
nulla. Abbiamo
già visto in passato che, tenere all’oscuro la
comunità, rischia di far
scatenare i più riottosi, spingendoli a prendere dei rischi
inutili pur di fare
del bene. Per quanto ci sarà possibile, vi diremo
ciò che sta succedendo,
perciò fate altrettanto, per favore.”
Nel dirlo, la fissò con
intenzione, infine
si allontanò dopo averla salutata e Jamie, fischiando piano,
borbottò: “In
pratica, ti ha detto di tenere il portafogli chiuso e di non fare
scemenze.”
“Non può
davvero pensare che abbiano
preso Mickey per chiedere il riscatto a
me!” sbottò Emily, irritata.
“Non credo che
l’agente lo pensi,
infatti. Ma qualche mitomane potrebbe usarla come scusa per
approfittarsene.
Sai che gli idioti abbondano” sottolineò Parker.
“Mi guarderei bene dal
dare soldi a
chicchessia. Prima, anche quanto, chiederei conferme riguardo a Mickey
e alla
sua salute” precisò Emily prima di sbuffare e
aggiungere sconsolata: “Che è
quello che ha detto McCoy. Niente eroismi. Si parla prima con
lui.”
Jamie abbassò il capo
quando sentì
vibrare il cellulare nella tasca dei pantaloni e, mentre Parker si
raccomandava
con Emily di non fare sciocchezze e Anthony assentiva protettivo, il
giovane
imprecò tra i denti.
Il trio, allora, si volse verso di
lui
e Jamie, sollevando lo smartphone
perché fosse visibile a tutti, borbottò:
“So che non ti farà piacere, Emy,
ma…”
Vengo
lì da voi. Non mi interessa se a Emy non sta bene.
Quando lesse quelle parole, Emily
impallidì. Non per il testo in sé, che nulla
aveva di preoccupante quanto,
piuttosto, per il mittente.
A scrivere quell’SMS era
stato niente
meno che Jordan Poitier.
N.d.A.:
la storia si ripete. Emily torna a rivivere i momenti del suo rapimento
a causa di quello di Mickey, che pare scomparso nel nulla e richiama
nella piccola cittadina anche una squadra investigativa dell'FBI.
Sarà successo quello che teme Emily? Qualcuno
avrà voluto il bambino per il mercato del sesso? O lo hanno
rapito perché diventi il figlio di qualcun altro? Chi si
cela, dietro questa sparizione? E lei riuscirà a non
intervenire, o alzerà la testa come vent'anni prima,
cercandolo indipendentemente
dalle raccomandazioni di McCoy?
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
13.
Jordan Poitier bloccò la
Mercedes W205 presa
a noleggio a Denver dinanzi all’entrata
dell’albergo di proprietà della
famiglia Consworth, dove anni prima Emily aveva soggiornato per alcuni
mesi.
Dopo aver spento il motore, prese
un
gran respiro e, con un ultimo sforzo, l’uomo si decise a
scendere per poi poggiare
i mocassini scamosciati sull’asfalto nuovo del parcheggio.
Sollevatosi con lentezza
– il viaggio
intrapreso in fretta e furia lo aveva sfiancato – si
stiracchiò leggermente
prima di sistemarsi la camicia in cotone egiziano e i jeans scuri che
indossava.
Era insolito, per lui, indossare un
look così casual, ma gli era sembrato assurdo presentarsi a
Nederland con
doppiopetto griffato Armani e scarpe firmate Prada ai piedi.
Inoltre, il tempo dei doppiopetto e
delle cravatte di seta erano finiti, per lui.
Chiusa quindi la portiera
dell’auto con
una spinta leggera, afferrò il suo trolley sul sedile
posteriore dopodiché, con
calma, si avviò verso le porte a vetri
dell’entrata dell’albergo.
Fu lì, oltre quei vetri
trasparenti –
su cui era stato serigrafato il nome della famiglia proprietaria e il
logo
dell’hotel – che Jordan vide la figura della figlia.
Apparentemente, lo stava attendendo
assieme a Jamie, accanto al bancone dell’accettazione, in
compagnia di un altro
paio di giovani uomini che lui non conosceva.
Jordan fu tentato di restare in
contemplazione della figlia ancora per qualche minuto, ma gli
sembrò sciocco
starsene lì impalato di fronte al primo gradino della
veranda, al pari di una
statua di sale. Avrebbe dato l’impressione di essere
diventato, di colpo, uno
spaventapasseri molto costoso.
Avviandosi perciò verso
le porte, attese
che la fotocellula lo vedesse e, quando i vetri infrangibili si furono
ritirati, entrò con passo fintamente tranquillo quindi, con
un sorriso teso,
disse: “Buongiorno.”
“Papà”
mormorò Jamie, dando poi di
gomito alla sorella.
Emily sembrava essere raggelata, al
fianco del fratello. Immobile e con lo sguardo fisso sul volto
dell’uomo che,
per tanti anni, era stato un’incognita vivente, per lei,
sembrava indecisa sul
da farsi e, soprattutto, su cosa dire.
Pur sapendo quanti anni fossero
passati, dalla loro prima lite, trovò strano vederlo con i
capelli ingrigiti,
invece che con la sua consueta e folta chioma castana. Suo padre aveva
sessantatre
anni, perciò era normale che avesse i capelli di quel
colore, eppure lei
faticava a conciliare quell’uomo apparentemente normale con
colui che l’aveva
tanto delusa anni addietro.
E dire che lo aveva visto in
condizioni
ben peggiori, debilitato dall’infarto e smagrito in volto
dalla malattia.
Perché, quindi, ora era così sconvolta, di fronte
al suo arrivo?
Forse, proprio per questo.
Perché, per
la prima volta, suo padre era lì.
Nel
suo territorio.
Aveva sconfinato nella sua confort zone, e questo la rendeva
nervosa.
“Emily…
ciao” disse infine Jordan,
ritentando un approccio con la figlia.
Rabbrividendo leggermente, la
giovane
annullò frettolosamente la distanza che li divideva per un
rapido abbraccio
dopodiché, nello scostarsi, mormorò:
“Ciao, papà.”
Non disse altro, ma a lui
bastò.
Rivolgendosi poi all’uomo piacente dietro il bancone,
aggiunse: “Immagino di
aver parlato con lei, poche ore fa. Sono Jordan Poitier, molto
piacere.”
“Sì, signor
Poitier, ero io. Sono il
figlio del proprietario, Anthony Consworth” asserì
il giovane, allungando una
mano verso di lui. “Ho fatto preparare per lei la stanza con
il salottino. Ho
pensato che avesse bisogno di un posto dove lavorare, visto
che…”
Interrompendolo con un sorriso,
Jordan
disse per contro: “Oh, beh… per visionare le carte
di uno studio di avvocati mi
sarebbe bastato un divanetto, ma grazie davvero.”
I due figli lo fissarono basiti, a
quel
punto, del tutto spiazzati da quelle parole impreviste e Jamie,
strabuzzando
gli occhi, esalò: “Studio… di avvocati?
Cos’è successo, papà?”
“Semplice. Ho ritirato le
mie quote
dall’azienda di famiglia e ho venduto le azioni. Armand e il
nonno mi stanno
facendo diventare matto con gli incartamenti da firmare, visto che sono
un
socio fondatore, ma spero che finiscano alla svelta” si
limitò a dire l’uomo,
sorprendendoli ulteriormente.
“Che
cosa?!” gracchiò Jamie, mentre Emily si
portava le mani sulla bocca per
soffocare un singulto. “Ma che ti è venuto in
mente?!”
Guardando Emily con aria piena di
contrizione, disse con semplicità: “Ho fatto
quello che avrei dovuto fare più
di vent’anni fa. Prendere armi e bagagli e venire a
salvarti.”
A quelle parole, Emily
lasciò crollare
le braccia lungo i fianchi, lo guardò con espressione
addolorata e, dopo alcuni
istanti di angoscioso silenzio, lo mandò al diavolo senza
pensarci su troppo. Senza
dire altro, quindi, si allontanò da tutti per fuggire fuori
dall’albergo.
Jordan non si stupì
affatto di quella
reazione ma, ben deciso a non lasciare che le cose andassero come negli
ultimi
vent’anni, guardò un ancora scioccato Jamie e
domandò: “Dove può essere
andata?”
Quasi all’unisono, i tre
giovani
dissero: “Al molo.”
All’uomo
sfuggì una risatina, di
fronte a una simile
sicurezza e, nel
lasciare il trolley al figlio, lo pregò di portarlo nella
sua stanza e di ritirare
per lui la chiave dopodiché, scusandosi coi presenti,
uscì e si diresse verso
il lago.
“Mi venisse un accidente
…” gracchiò a
quel punto Parker, ancora piuttosto confuso e frastornato da
ciò che era appena
successo.
Jamie si lasciò andare a
un’imprecazione
e, guardando Anthony, domandò ansioso: “Dici che
è il caso che io li
raggiunga?”
“Secondo me, Emy ti
lancerebbe nel
lago, se lo facessi” borbottò Anthony.
“Credo che sia il caso di lasciarli in
pace. Dopotutto, è un po’ che devono parlare,
no?”
“Beh, a quanto pare mio
padre è nella
fase ‘mollo tutto e faccio cose che
non
ho mai fatto prima’. Chi l’avrebbe detto
che si sarebbe lasciato alle
spalle l’azienda di famiglia?” gracchiò
Jamie, passandosi le mani tra i folti
capelli, ormai ridotti a un covone di fieno.
“Non ne sapevi proprio
niente?” domandò
Parker, a sua volta piuttosto perplesso.
“Assolutamente no. E
mamma non ci ha
accennato nulla” sbuffò il giovane, afferrando il
telefono per poi uscire
dall’albergo a grandi passi.
A quel punto, Parker
guardò Anthony e
chiosò: “I Poitier amano le uscite a effetto, a
quanto pare.”
Lui non poté che
assentire. Di certo,
di tutti i possibili scenari che si era prefigurato nella mente
riguardo al suo
primo incontro con il padre di Emily, questo li batteva tutti.
***
Come poteva pretendere
che lei accettasse quella decisione come se nulla fosse
mai accaduto? Come poteva anche solo
pensare che quel gesto impulsivo potesse cancellare
più di vent’anni di
scuse stentate e inutili?!
Seduta sul molo da cui partivano le
barche
a remi per le gite sul lago, Emily era avvolta dal dolce silenzio di
quei
luoghi tranquilli e gradevoli e, da almeno venti minuti, nessuno aveva
tentato
di avvicinarla per chiederle come stesse.
L’ultimo che aveva
tentato qualche
approccio, un giornalista di Boulder piuttosto intraprendente, era
stato scacciato
dal vecchio Joe Blaire - l’addetto all’imbarcadero
- che, con il suo solito
tono di voce burbero, lo aveva rispedito al mittente. Più
docile e con voce
calda e confortante, a lei aveva invece
raccomandato di godersi il molo, senza preoccuparsi di nulla.
E così era stato. Fino a
quel momento,
comunque.
I passi leggeri che stava
percependo
con udito e tatto – attraverso le assi vibranti del molo che
avvertiva sotto le
dita – non dovevano essere di un giornalista, ma certamente
neppure di Parker,
Jamie o Anthony.
Tutti loro si sarebbero annunciati
con
un ‘ehi, Emy… come
va?’, o qualcosa
di simile. Quel passo diffidente, quel silenzio colpevole, potevano
appartenere
a una persona sola.
Perciò, senza neanche
voltarsi,
mormorò: “Non mordo, sai?”
“Meglio non correre
rischi” chiosò il
padre, raggiungendola e sedendosi al suo fianco, lasciando quindi
pencolare le
gambe nel vuoto al pari della figlia.
Lo sciabordio leggero
dell’acqua
accarezzava i piedi del molo in legno, creando un effetto vellutato
tutt’attorno a loro e portando con sé il ricordo
lontano del mare. L’aria
frizzante dei duemila metri a cui si trovavano, però, poco
aveva a che fare con
le assolate spiagge di Los Angeles o Miami e Jordan, nel guardarsi
intorno,
mormorò: “E’ davvero un luogo
bellissimo. Offre molta pace e tranquillità.”
“Hai sentito il dottore,
prima di
venire?” domandò burbera Emily, lanciandogli
un’occhiata di straforo.
Lui sorrise appena, annuendo, ma
disse:
“Non era contentissimo, soprattutto perché sono
venuto direttamente qui senza
prima acclimatarmi a Denver, ma mi ha dato qualcosa da prendere per
ogni
eventualità.”
Ciò detto, si
picchiettò il petto con
una mano aperta, all’altezza del cuore, e sorrise.
L’infarto che aveva avuto un
paio di anni prima li aveva messi tutti in allarme ma, per fortuna,
tutto si
era risolto per il meglio. Le direttive di medico e moglie,
però, si erano
fatte più stringenti, per lui, e quel viaggio aveva messo a
dura prova i nervi
di entrambi i suoi aguzzini.
La giovane si limitò ad
assentire e,
poggiando i gomiti sulle cosce, mormorò: “La cosa
della ditta… potevi anche non
farla, sai? Non è un rapimento a scopo estorsivo, e io non
c’entro nulla.”
“Non importa. Era giusto
così” replicò
lui, osservando il lago che, come uno specchio, rifrangeva le alte
vette che
circondavano l’abitato montano.
Non faceva specie che la figlia
avesse
scelto proprio quel luogo, per nascondersi e vivere serenamente. Ogni
angolo di
quel paradiso in terra era in grado di ritemprare spirito e corpo,
cancellando
con il semplice suono del vento le angustie della vita e il riverbero
di
fastidiosi ricordi.
“Giusto, cosa?”
sbottò a quel punto Emy,
volgendosi feroce verso il padre per poi aggredirlo verbalmente.
“Pensi davvero
che adesso, dopo questo tuo gesto generoso, io ti salti al collo
urlando ‘oh, grazie, papino, ti
voglio bene!’. Pensi
davvero che finirà così?!”
Essendosi aspettato un suo scoppio
d’ira, Jordan non vi fece caso e, nel tornare a osservare la
distesa placida
del lago, le alte vette imbiancate delle Montagne Rocciose e gli scuri
boschi
che circondavano la cittadina, asserì: “Ero stanco
di mentire. Solo questo.”
Quella frase lasciò del
tutto
sconcertata Emily che, sbattendo le palpebre, mormorò:
“In che senso, scusa?”
“Se sei disposta ad
ascoltare la verità
nuda e cruda, te la dirò.”
Rammentando il monito di Max di
ascoltare senza pregiudizi, Emily borbottò un assenso e
Jordan, sospirando nel
prepararsi a quell’ennesima prova, disse: “Successe
tutto quando giunse la
prima richiesta di riscatto.”
Emily assentì cauta e
l’uomo,
passandosi una mano sul volto, tornò a quel giorno, a quel maledetto giorno di più di
vent’anni prima.
***
Luglio
1993 – New York
Aprendo la busta con mani tremanti,
Jordan
lasciò ricadere il foglio scritto a macchina sulla
scrivania, corredato da un
ricciolo di biondi capelli e da una delle spille tanto amate da Emily.
Quella
di Barbie.
Scrutando quindi ombroso suo
fratello Armand
e la sua gemella Bérénice, gracchiò:
“Chiedono cinquanta milioni. Entro due
giorni.”
“Impossibile, e tu lo
sai” scosse il
capo Armand, accavallando le gambe e tamburellando le dita sui
braccioli della
poltrona su cui era assiso. “Dovremo trovare un altro modo
per riportare a casa
la piccolina.”
“Armand ha ragione.
Cinquanta milioni
di dollari prelevati dall’azienda ci farebbero andare sul
lastrico” rincarò la
dose Bérénice, passeggiando nervosamente dinanzi
all’alta finestra che dava
direttamente sulla Fifth Avenue.
L’afa di quei giorni era
percepibile
sulla pelle, pur se quegli uffici potevano contare su un impianto di
condizionamento d’eccezione. Nessuno di loro,
però, sembrava rendersi conto
dell’umidore delle loro fronti, così come del
morboso profumo di pachouli dello
studio dove si trovavano.
Il nervosismo crescente tra di loro
era
l’unico profumo maleodorante e stantio che i tre fratelli
erano in grado di
percepire, un aroma marcescente nato dalla netta contrapposizione tra
di loro,
e per motivi assai divergenti quanto inconciliabili.
“Si sta parlando di mia
figlia! MIA
FIGLIA! Non di un affare tra aziende!” ringhiò per
contro Jordan, sbattendo una
mano sulla scrivania che aveva dinanzi a lui.
Lo studio, per quanto ampio,
arredato
con classe e illuminato da luci calde e piacevoli, gli parve una
prigione, in
quel momento. Una prigione in cui i fratelli e i genitori lo stavano
rinchiudendo sempre più, giorno dopo giorno, in modo tale
che non potesse più
muovere un solo muscolo per accorrere in aiuto della figlia.
Era stato un trauma tornare dal vernissage e scoprire, nel cortile di
casa, i corpi senza vita di Pollux e Castor. I due rottweiler che aveva
acquistato sei anni addietro, ancora cuccioli, giacevano
l’uno accanto all’altro,
all’apparenza addormentati, le teste vicine e le lingue
ciondoloni.
Non gli ci era voluto molto per
capire
che qualcosa non andava; i due cani erano soliti salutarlo sempre, al
suo
ritorno, ma quella sera non si erano mossi, all’arrivo
dell’auto.
Tenendo lontana Margareth
perché non
affrontasse ciò che ormai riteneva inevitabile, si era
avvicinato perciò ai due
animali e, nel vedere la bava alle loro bocche, aveva presagito il
peggio.
Senza perdere altro tempo, era
accorso
alla porta per scollegare l’allarme, solo per scoprire che
era già stato disattivato.
Da chi, lui non ne aveva avuto
alcuna
idea, ma le ipotesi nel suo carnet lo avevano raggelato per alcuni
istanti
terribili.
Assieme alla moglie, sempre
più scosso
da dubbi e timori, era quindi corso in casa per scoprire cosa fosse
successo.
La vista di Sandra, la bambinaia
dei
figli, stesa a terra in una pozza di sangue, aveva fatto temere il
peggio a
entrambi ma, quando Jordan l’aveva sfiorata per auscultarne
il battito, aveva
tirato un sospiro di sollievo nello scoprire che era ancora viva.
Ferita in modo grave –
come avevano
appurato in seguito – ma viva.
Le urla di Margareth, avviatasi
verso
la stanza di Emily mentre Jordan si occupava di Sandra, avevano
però fatto
sprofondare l’uomo nell’abisso nero della
disperazione. Non era servito molto
per capire che qualcosa di terribile era accaduto, e che tutti loro ne
avrebbero
sofferto le terribili conseguenze.
“Sia come sia, o attingi
al tuo fondo
personale, oppure scordati di avere quei soldi
dall’azienda” sottolineò
imperturbabile Armand, strappandolo ai suoi ricordi.
“Sai benissimo che non
dispongo di
quella cifra” precisò per contro Jordan, tornando
al presente. “La maggior
parte dei miei soldi li ho investiti qui!”
“Allora, dovremo trovare
un altro
sistema” borbottò fiacco il fratello, levandosi in
piedi per poi afferrarlo
alle spalle e aggiungere: “Non credere che non tenga a Emily.
Ma distruggere
l’eredità di famiglia non ha senso.”
“E’ per questo
che mamma e papà non
hanno detto nulla?” ribatté Jordan, caustico.
“Li hai convinti che il bene
della ditta sia superiore alla salvezza di mia figlia? Sei stato tu,
Armand, a
convincerli?!”
“Pensi davvero che ti
permetterebbero
di affossare tutto? Neanche Emily lo vorrebbe”
chiosò Bérénice, sfidandolo con
lo sguardo.
“Emily ha solo otto anni!
Cosa vuoi che
le importi della ditta, o di cosa facciamo qua dentro?! Lei
starà soltanto
pensando che non è a casa, e che nessuno è
là a salvarla!” esplose il fratello
minore, fissandola pieno di livore.
“Allora, forse, avresti
dovuto rendere
più sicura la tua villa! Cosa c’entra la ditta,
con le tue negligenze di
padrone di casa?!” gli risputò addosso
Bérénice, ormai livida in viso.
“Avresti
dovuto vagliare meglio le credenziali della ditta che ti
montò i sensori di
sorveglianza!”
“Parliamone anche con
François. E’
giusto che ne sia al corrente anche lui. Poi lo diremo a mamma e
papà, e solo
allora decideremo sul da farsi” dichiarò rabbioso
Jordan, ignorando volutamente
l’umor nero della sorella.
Sembrava spiritata, e non aveva
onestamente voglia di starla a sentire, o di tentare di calmarla. Aveva
davvero
altro per la testa.
“Lo dici soltanto
perché sai che
François darà ragione a te. Adora la piccola
Emily, perciò sai già che farà di
tutto per portarla a casa, ivi compreso mandare tutto
all’aria” lo sbeffeggiò
Bérénice,
irriverente.
Fuori di sé dalla
rabbia, Jordan non
poté più trattenersi dal risponderle a tono e si
rivoltò contro la sorella
maggiore, ringhiandole contro: “Se a te non interessa nulla
di mia figlia, non
vuol dire che gli altri la pensino come te! Ma che diavolo hai, al
posto del
cuore?!”
“Una testa che pensa e
che sa fare due
più due, ecco cosa!” gli urlò contro
lei, mentre Armand cercava di trattenere
entrambi dal venire alle mani.
“Se avessero preso
Philippe, parleresti
ancora così?” le rinfacciò allora
Jordan, allontanandosi dalla scrivania per
poi avviarsi verso la porta, al fine di cercare il loro fratello
minore,
François.
Armand cercò invano di
richiamarlo, ma
fu Bérénice ad attirare l’attenzione di
Jordan e a bloccarne l’uscita dallo
studio.
“Non ti
permetterò di rovinare tutto!” gli
gridò contro la donna, facendo scattare il cane della sua
piccola pistola
Beretta Tomcat.
Dopo averla estratta dalla
borsetta,
approfittando della disattenzione dei due fratelli,
Bérénice la puntò contro un
incredulo Jordan, dopodiché sorrise minacciosa e
lanciò un’occhiata gelida ad
Armand perché non si muovesse.
“Che hai intenzione di
fare, Berry?”
mormorò ansioso quest’ultimo, fissando la gemella
con somma preoccupazione.
“I soldi non usciranno da
qui. Servono a me”
sibilò a quel punto Bérénice,
la mano tremante e la piccola pistola nichelata che dondolava
pericolosamente
tra le sue dita.
“Abbassa
quell’arma, Berry… non ce n’è
davvero bisogno” la incitò a sua volta Jordan,
avanzando lentamente verso di
lei, le mani levate come a voler chetare un animale in preda al panico.
“Resta fermo!”
urlò ancora Bérénice,
gli occhi ricolmi di lacrime e lo sguardo perso nel vuoto.
“Tu pensi tanto alla
tua Emy, ma non hai mai fatto una sola domanda su di
me! Su tua sorella!”
Jordan, a quel punto,
guardò turbato Armand
in cerca di spiegazioni, ma lui scosse il capo ugualmente confuso, non
comprendendo a sua volta le parole della gemella.
“E’
più di un mese che continuate a
scervellarvi su dove possa essere quella bambina, su che fine abbia
fatto, ma nessuno si è
domandato come mai io sia
mancata così spesso dall’ufficio, in queste ultime
settimane!” sbraitò la donna
con tono invasato, agitando nervosamente la pistola. “A
nessuno interessa
saperlo!”
“Berry, se non ci dici
nulla, come
possiamo capire?” mormorò a quel punto Armand,
levando a sua volta le mani,
avanzando un paio di passi verso di lei.
“Dovevate capirlo! Tu, che sei il
mio gemello, non ti sei accorto di nulla! NULLA!” gli
sputò contro Bérénice,
tergendosi nervosamente le lacrime prima di puntarsi sotto il mento la
piccola
pistola. “Beh, così non riuscirai a far uscire un
solo dollaro dall’azienda.
Poco ma sicuro.”
Ciò detto, chiuse gli
occhi e, prima
che Armand o Jordan potessero fermarla dai suoi intenti,
Bérénice tirò il
grilletto e sparò.
Il colpo le trapassò il
cervello,
uccidendola sul colpo e, mentre i due fratelli la raggiungevano
sconvolti, il
corpo inerme della donna crollò a terra, inzuppando il
prezioso tappeto
Aubusson del suo sangue scarlatto.
“Ma che
diavolo…” ansimò sgomento Jordan,
fissando senza capire ciò che rimaneva del volto della
sorella e il sangue
scarlatto che stava macchiando i fili perfetti e colorati del tappeto.
Gli occhi immoti di Berry fissavano
vacui il soffitto, mentre la macchia di sangue andava allargandosi come
un lago
sversatosi da una diga non più pronta a contenerlo.
Terrorizzato, Armand si
inginocchiò
accanto alla gemella, sfiorò la sua gola nel vano tentativo
di auscultarne il
battito cardiaco e, atono, chiosò: “Beh, se volevi
i soldi, lei ha scelto il
modo più terribile per bloccarti. Prima che la polizia e il
giudice ci ridiano
la possibilità di muovere anche un solo dollaro, passeranno mesi.”
Jordan si passò una mano
sul viso,
chiaramente sconvolto dall’atto insensato della sorella,
così come dalle parole
gelide e senza pietà del fratello. Chi in un modo, chi
nell’altro, lo avevano
definitivamente chiuso dentro a una prigione non dissimile da quella in
cui,
sicuramente, si trovava la figlia.
Ora, non avrebbe davvero
più potuto
raggiungerla.
Già sul punto di
chiamare la polizia, Jordan
si volse verso la porta quando udì bussare con violenza e
Armand,
risollevandosi stancamente, mormorò: “Tu chiama i
poliziotti. Io sento chi è.”
Jordan assentì vacuo e,
mentre Armand
apriva la porta per avvisare la segretaria dell’avvenuta
disgrazia e della
necessità di non far passare nessuno, il fratello
chiamò il nove-uno-uno per
dichiarare il decesso di Bérénice.
***
Nederland
– presente
“… alla fine,
la polizia non poté che
constatare l’evidenza dei fatti.
Bérénice si era suicidata dinanzi a noi, senza
alcun coinvolgimento da parte nostra. L’autopsia ci permise
di scoprire il
perché delle frasi deliranti di nostra sorella; un tumore al
quarto stadio al
pancreas. Berry non voleva che io prelevassi i soldi perché,
da quel poco che
scoprimmo in seguito, aveva già firmato degli assegni con
cifre enormi per
farsi operare in Brasile, scoprendo però troppo tardi che il
suo tumore era
inoperabile. I strozzini la stavano braccando, perciò era
terrorizzata che,
prima o poi, sarebbero arrivati a lei per riavere i soldi che
spettavano loro.”
“Dio santo”
gracchiò Emily, coprendosi
la bocca per lo sgomento.
“Mantenemmo il tutto nel
più stretto
riserbo per non fomentare ulteriormente la stampa, che stava
già tartassandoci
con il tuo rapimento così, sul suicidio di tua zia si lesse
ben poco, sui
giornali, soltanto un trafiletto a fondo pagina e
nient’altro” mormorò stanco Jordan,
il viso reclinato verso il basso.
“Io credevo
che… che zia
Bérénice…”
“…si fosse
tolta la vita perché
soffriva di depressione? E’ quello che dicemmo alla stampa,
per chiudere la
cosa una volta per tutte. La polizia, dal canto suo, aveva interesse a
mantenere la faccenda segreta per poter indagare sulle cliniche
illegali che si
occupavano di queste operazioni miracolose,
perciò non fece che confermare la nostra versione. I soldi
per il tuo riscatto,
come ben sai, vennero chiesti in tre diverse occasioni, con cifre
sempre
maggiori. Quando ancora i fondi erano bloccati, tentai comunque di
riunire il board per chiedere ai
soci di votare in
merito, così da essere già pronti una volta che
ci avessero permesso di
utilizzare il denaro della banca.”
“Così non
avvenne, però” chiosò atona
Emily.
Jordan scosse il capo, ammettendo:
“Il board votò
contro, con l’eccezione di me
e François. Semplicemente, tu valevi meno della
ditta.”
Emily annuì debolmente,
mormorando
sconvolta: “Quindi, zio Armand e i
nonni…”
“Già. Ti sei
mai chiesta perché, con
quel ramo della famiglia, abbiamo sempre avuto ben pochi
rapporti?” le domandò
lui, ammiccando tristemente.
“E tu sei rimasto tutti
questi anni
per…” tentennò Emily, tornando
finalmente a guardarlo in viso.
“…
perché, visto che ti avevano
barattato per mantenere in vita la ditta, tu e tuo fratello avreste
dovuto
goderne il più possibile. Ho cercato di portarla
più in alto che ho potuto,
così che poteste avere le spalle coperte contro qualsiasi
evenienza e, ora che
siete entrambi al sicuro da qualsiasi problema finanziario, me ne sono
sganciato” le spiegò lui, facendo spallucce.
“Sei rimasto con persone
che detestavi…
per noi?” domandò ancora Emily, faticando a
comprendere come il padre potesse
esservi riuscito.
“Non c’ero
quando avrei dovuto, e lo
rimpiangerò finché avrò vita. Ho
potuto fare solo questo, per te e Jamie.”
Emily rimase a lungo in silenzio,
le
gambe ciondoloni e le mani poggiate sulle ginocchia. Gli occhi puntati
sull’acqua ammiravano distratti il riflesso del sole sulle
onde leggere, mentre
il sospiro del vento le accarezzava la nuca, come il tocco leggero di
un
amante.
Il caos del processo aveva fatto
passare in secondo piano l’indagine per suicidio che aveva
coinvolto la sua
famiglia e lei, chiaramente provata, non vi aveva fatto caso
più di quel tanto.
Aveva saputo da sua madre della
morte
della zia ma, non avendo mai avuto un rapporto molto profondo con lei,
né con
suo cugino Philippe, non ne aveva sofferto più di quel
tanto. Si era spiaciuta
per il cugino, ma la cosa era morta lì.
In quel periodo, i suoi sentimenti
nei
confronti del mondo non erano stati molto compassionevoli. Si era
sentita poco
amata da chi avrebbe dovuto proteggerla, perciò non si era
sentita propensa a
dispensare amore a propria volta.
“Perché lo
fece, secondo te?” domandò
alla fine Emily.
“Per il vecchio adagio,
credo. Se non posso averlo io, non lo avrai
neppure
tu. Era disperata, e i creditori le stavano addosso per avere
i soldi che
aveva promesso e che non aveva saldato interamente” le
spiegò Jordan. “Da quel
che ci disse il medico legale, non sarebbe sopravvissuta più
di qualche mese, e
l’operazione per cui aveva speso così tanto, non
sarebbe servita a salvarla.”
“Bianco e nero”
mormorò Emily,
sorridendo tristemente nello scuotere il capo.
“Come?”
esalò sorpreso il padre.
“Max mi disse di parlare
con te, di
ascoltarti senza vedere per forza tutto bianco o nero. Che il mondo era
fatto
di mille sfumature e che io avrei dovuto vedere e accettare ogni tipo
di colore
e, solo alla fine, usarli per decidere se perdonarti o meno”
gli spiegò lei,
facendo spallucce.
“Devo molto a
quell’uomo. Più di quanto
possa dire a parole” sorrise appena Jordan e, per la prima
volta da oltre
vent’anni, Emily rispose al suo sorriso.
“Per un po’, ho
desiderato che lui
fosse mio padre” ammise senza remore Emily, ben decisa a
essere onesta con il
padre. Non voleva essere da meno.
“L’ho
immaginato, e la cosa mi ha fatto
stare male. Ma preferivo che tu avessi almeno una figura maschile di
riferimento, piuttosto che nessuna. Se non potevo essere io, Max
sarebbe stato
perfetto. Lo stimo molto” asserì lui,
arrischiandosi a darle una pacca sulla
mano.
Lei la accettò, e
domandò: “Vi siete
tenuti in contatto? In questi anni, intendo.”
“Certo. Fu lui a
cercarmi, più che
altro per rassicurarmi sul fatto che tu stessi bene” ammise
l’uomo. “Sono
andato anche un paio di volte al ranch di sua figlia, giusto per vedere
come se
la passasse.”
Emily rise sommessamente, celiando:
“Tipico! Max non si smentisce mai.”
“Mamma non era
d’accordo sul fatto che
io continuassi a lavorare in ditta, ci tengo a sottolinearlo. Voleva
che me ne
andassi subito, ma io preferii proseguire e darvi ciò che
serviva per vivere al
meglio delle vostre possibilità.”
“Mamma pensava che
avresti sofferto”
ipotizzò Emily, vedendolo annuire. “Forse,
l’infarto ti è venuto per questo.”
“E’ possibile.
Ma ho cercato di sopportare
tutto, per voi. Semplicemente, adesso mi troverò un hobby e
farò il pensionato”
chiosò lui, scrollando le spalle.
Emily, però, rise di
quell’ipotesi e
asserì: “Non potresti fare il pensionato neppure
volendo. Non sei capace di
rimanere fermo.”
“Chi ha detto che
sarò un pensionato
statico?” replicò lui prima di sorriderle e
domandare: “Posso abbracciarti?”
Emily annuì e
l’uomo, con delicatezza,
strinse le sue braccia attorno alla figlia, mormorando contro i suoi
capelli:
“Mi sei mancata così tanto!”
La giovane si limitò a
rimanere
poggiata contro il suo torace, riappropriandosi dei profumi, del
calore, della
sensazione di avere suo padre vicino.
Era difficile accettare che un
membro
della sua famiglia avesse privilegiato il proprio tornaconto personale
a
discapito della sua vita, ma ora vedeva anche i grigi, oltre al bianco
e al
nero.
Non sapeva se si sarebbe comportata
come la zia, di fronte a una simile Spada di Damocle, o se avrebbe
dimostrato
maggiore discernimento. Quel che importava, al momento, era sapere che
suo
padre aveva tentato l’impossibile, per riaverla indietro, e
che il suo amore
era sempre stato genuino, non frutto della contrizione.
“Papà…”
mormorò alla fine Emily,
stringendo a sua volta le braccia attorno all’uomo.
“Dimmi, cara.”
“Vorrei presentarti il
mio ragazzo, e
un mio amico. Posso?”
Jordan rise, assentì e
le domandò: “Chi
dei due era l’uno e l’altro,
all’albergo?”
Emily rise a sua volta, e gli
chiese:
“Perché sei sicuro che fossero proprio
loro?”
“Erano entrambi
protettivi. Mi ha fatto
piacere vedere quanto sembrassi al sicuro, in loro compagnia”
le spiegò lui,
scostandosi per carezzarle il viso.
Lei gli sorrise appena, e disse.
“Mi
fanno stare bene, sì.”
“Allora,
conoscerò volentieri entrambi”
la rassicurò lui, alzandosi dal molo grazie
all’aiuto di Emily. “Dio! Qui
l’aria è davvero rarefatta! Si fatica a fare
tutto!”
Emily assentì con un
risolino e,
indicando la tasca dei pantaloni dove il padre teneva le pillole, disse
perentoria: “Prendi qualcosa, prima di farti venire un altro
infarto. Se ti succedesse
qualcosa adesso, sarebbe davvero
una
presa in giro.”
“Oh, credimi. Non ti
libererai di me
così facilmente” la rassicurò lui.
Emy allora lo prese sottobraccio e,
convinta, disse: “Lo spero proprio. Anche se adesso ho capito
cosa è successo,
ci sono un sacco di cose di cui dobbiamo parlare io e te, e non voglio
che mi
freghi proprio ora. Naturalmente, chiederò anche allo zio
François, giusto come
controprova, ma sono propensa a crederti già
così.”
“Non dubitavo che lo
avresti chiamato”
le sorrise lui, annuendo con vigore. “Sai
dov’è, ora?”
“In Nepal, se non erro, e
ho un paio di
numeri con cui tentare un approccio” gli sorrise lei,
allontanandosi lentamente
dal molo al fianco di suo padre.
Jordan non poté che
sorridere, di
fronte alla sua espressione interrogativa e felice al tempo stesso.
Avrebbe
fatto anche un patto con il Diavolo, se fosse stato necessario, ma
sarebbe
rimasto al suo fianco.
Sapeva bene che non tutto era
superato,
che la fiducia sarebbe tornata col tempo e che avrebbe dovuto lavorare
molto,
su questo. Ma Emy l’aveva ascoltato, aveva accettato le sue
parole ed era
pronta a riprendere da dove si erano separati.
Era un buon punto da cui recuperare.
***
Accoccolata sul letto a gambe
conserte,
un cuscino su cui poggiare i gomiti e il telefono nella mano destra,
Emily
sorrise quando udì il suono dolce e profondo della voce di
zio François.
Era riuscita a trovarlo solo al
quarto
tentativo quando, un suo collaboratore zelante, aveva risposto per lui
al
cellulare ed era corso in giro per Namche Bazar per cercarlo.
Cinquantottenne impegnato da almeno
vent’anni nel volontariato – e ora Emily ne
comprendeva meglio i motivi –
François si era trasferito in India pochi anni dopo il suo
ritorno e, da quel
momento, si era occupato di progetti filantropici legati
all’UNHCR prima e, in
seguito, a Emergency e Medici senza Frontiere.
Ben di rado su suolo americano,
François era però riuscito a tenersi sempre in
contatto con gli amati nipoti e,
anche per questo, Emily aveva finito con lo sviluppare un rapporto
molto
profondo con il solitario zio.
Quando, perciò,
udì la sua voce, ne fu
felice e, subito, gli chiese: “Ehi, ciao! Come procede,
lì, zio Fran?”
“Tesoro mio, ciao! Qui va
tutto
benissimo e, se il tempo rimarrà stabile, contiamo di
terminare la scuola
distrutta dal terremoto di aprile entro i tempi prestabiliti”
le spiegò lui,
ragguagliandola sulla situazione del Paese, flagellato da uno dei
più
catastrofici terremoti degli ultimi decenni.
Emily lo ascoltò
assorta, rilassandosi
progressivamente e lasciandosi andare lungo un fianco, distesa sul suo
enorme
letto mentre Cleopatra la osservava pacifica dalla sua cuccia-cuscino.
A racconto ultimato,
François mormorò: “Ora
mi vuoi dire come mai mi hai cercato adesso,
visto che ci siamo sentiti solo due giorni fa?”
“Non posso farlo solo per
il piacere di
ascoltarti?” ironizzò lei, pur sapendo quanto
fosse percettivo lo zio. Era
difficile fargliela sotto il naso.
“Problemi con
papà?”
Non che fosse una
novità. Il novanta percento
delle volte che la sentiva in periodi non consoni, lui sapeva che era
successo
qualcosa tra lei e Jordan.
Sospirando, quindi, Emy disse:
“Papà mi
ha raccontato di zia Berry. Di cosa è successo davvero. Per questo te ne
andasti?”
Il silenzio con cui le rispose fu
emblematico. Un cartellone stradale non avrebbe potuto essere
più chiaro.
“Quindi, il fattaccio
è saltato
finalmente fuori” sospirò l’uomo, con
tono sollevato pur se stanco.
“Mi ha detto che la zia
lo fece per
bloccare i soldi della ditta. Non potendo usarli per se stessa, non
voleva che
papà li usasse per me” aggiunse Emily.
“Fu per questo,
sì. Ma, in ogni caso, né
lei né Jo avrebbero potuto usare quei soldi, visto che mio
padre li aveva già
vincolati a loro insaputa” sospirò
François, sorprendendola ulteriormente. “Tuo
padre non lo sa, ma io lo scoprii perché ascoltai una
discussione tra Armand e
tuo nonno. Armand tentò di far svincolare il cinquanta
percento della somma
richiesta, così da far vedere la nostra buona
volontà e attirare in trappola i
rapitori, ma il nonno gli replicò che, anche volendo, non si
sarebbe potuto
fare perché, d’imperio, aveva firmato un documento
che blindava i fondi
societari per cinque anni.”
“E… e poteva
farlo?” esalò Emily,
sgomenta.
“Una vecchia postilla
nell’Atto
Statutario prevedeva che il Presidente potesse vincolare un certo
quantitativo
di somme a protezione del capitale, e senza passare dal Consiglio
d’Amministrazione.
Il giorno seguente la scoperta del tuo rapimento, vincolò
quei soldi.”
Emily non seppe che dire e, nello
stringersi al petto il cuscino, pensò a suo padre. Era quasi
certa che lui non
ne fosse al corrente, altrimenti non avrebbe mai potuto lavorare ancora
a
fianco dei genitori per tutto quel tempo.
“Perché non
glielo dicesti mai?”
“Mi disse della sua
intenzione di
spremere l’azienda come un limone, al solo fine di darvi un
futuro il più
prospero e sicuro possibile, così rinunciai. Se glielo
avessi detto, avrebbe
preso la mia stessa decisione di andarsene, e sarebbe stato
più difficile, per
lui, darvi il futuro prospero che sognava per voi” ammise
François. “Io ero
solo, all’epoca, e non mi importava di spostarmi da un posto
all’altro del
mondo, ma lui…”
“Ripartire da zero, e con
nemici come i
Poitier a metterti i bastoni tra le ruote, sarebbe stato
impossibile” ammise
Emily, ora ben conscia di come funzionassero certe cose.
“Esatto”
assentì François, torvo.
“Sopportò
la loro freddezza per voi, ripagandovi un po’ alla volta
quello che, a suo
tempo, non era riuscito a darvi a causa dei suoi famigliari.”
“Perché parli
al plurale? Jamie non fu
rapito” sottolineò Emily.
“Jamie soffrì
moltissimo, a causa della
tua sparizione e, pur se cercò di mascherare il suo dolore
una volta che tu
tornasti, noi sapevamo. Pur se
aveva
solo sei anni, ci impose di non dirti mai fino a che punto fosse
crollato, fino
a che punto si fosse disperato per te, e noi accettammo di mantenere il
segreto
per lui.”
La dolcezza e lo strazio nella sua
voce
fecero incrinare quella di Emy, quando mormorò:
“Quello sciocco! Avrebbe potuto
parlarmene!”
“Penso che il solo fatto
che tu ci sia,
gli basti. Non oso immaginare cosa avrebbe potuto succedere, se tu non
fossi
tornata” sospirò François, tremando al
solo pensiero.
Neppure lei preferì
soffermarsi su
simili pensieri e, nel rialzarsi a sedere sul letto, disse:
“Grazie per avermi
detto tutto, zio. Era importante, per me.”
“Se me lo hai chiesto,
è perché
finalmente ti sentivi pronta ad ascoltare. Dirtelo prima, forse, non
sarebbe
servito a nulla, perché la tua condizione d’animo
non sarebbe stata quella
giusta” ipotizzò suo zio.
“Forse… ma ora
ho bisogno di essere
solida e forte, perché c’è bisogno che
io lo sia” asserì lei, raccontandogli
quindi ciò che era avvenuto.
Lo zio ascoltò attento
il racconto
della nipote, si dichiarò disponibile a tornare per starle
accanto ma, quando
Emy gli disse di suo padre, François si rasserenò
immediatamente.
Fu con le sue raccomandazioni a
tenerlo
informato, che infine lo salutò, dopodiché Emily
uscì dalla propria stanza e,
raggiunto che ebbe Jamie nella sua, si gettò sul letto per
abbracciarlo in
silenzio e, stretti l’uno all’altra, si
addormentarono.
Come i due bambini di un tempo,
prima
del rapimento, avvolti l’uno nelle braccia
dell’altra, al sicuro, senza un solo
pensiero a turbarli.
Puri.
N.d.A.: finalmente scopriamo le ragioni per cui Jordan non
riuscì a pagare il riscatto della figlia, e veniamo
altresì a sapere fin dove, la famiglia Poitier, si spinse
per proteggere i propri interessi a discapito della vita di Emily.
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
14.
Gli eventi del giorno precedente
non
avevano permesso ai Poitier di vivere serenamente quella ritrovata
serenità,
poiché Emily aveva espresso il desiderio che anche Jamie
sapesse la verità su
zia Berry.
Quando, perciò, erano
rientrati in
albergo, Emy aveva frettolosamente presentato il padre a Parker e
Anthony, dopodiché
aveva pregato entrambi di scusarla, ritenendo importante che Jamie
fosse messo
al corrente dei fatti occorsi più di vent’anni
prima.
Sia Parker che Tony,
però, si erano
dichiarati più che d’accordo con lei
perciò, di comune accordo, la famiglia
Poitier si era ritirata a casa di Emily per discorrere degli eventi
passati.
Solo a tarda notte, Jordan si era ritirato nella sua camera
d’albergo, giocandosi
quindi l’opportunità di parlare con le due nuove
persone che erano entrate a
far parte della vita dei figli.
Con la promessa di un giorno
seguente
da passare in compagnia dei figli, però, Jordan si era
approcciato al riposo
con il cuore più sereno.
La mattina seguente, più
riposato di
quanto non lo fosse stato negli ultimi decenni, si alzò di
buon’ora e, dopo
aver consumato una piacevole colazione nella sala da pranzo
dell’albergo,
Jordan si portò nel giardino sul retro per attendere
l’arrivo dei figli.
Come promesso la sera precedente,
sarebbero passati a prenderlo per poi andarsene in giro per Nederland e
permettergli di conoscere meglio il luogo in cui, da ormai cinque anni,
la
figlia viveva la sua nuova esistenza.
A sorprenderlo, però, fu
il giovane
Anthony che, armato di caffè e di un quotidiano, lo
raggiunse in giardino e gli
diede il buongiorno, apparentemente deciso ad affrontarlo senza la
presenza di
Emily a fare da cuscinetto.
Nell’accomodarsi a un suo
assenso, Tony
gli porse il quotidiano, dopodiché gli domandò se
avesse riposato bene e se la
colazione fosse stata di suo gradimento.
Jordan assentì a
entrambe le domande,
ringraziandolo per la gentilezza e il giovane, nell’annuire,
fu quasi certo che
il merito di un buon riposo non fosse dovuto tanto al letto, quando al
fatto
che l’uomo si fosse riappacificato con la figlia.
Qualunque cosa fosse successa, Tony
era
ben lieto che quella ventennale faida familiare fosse terminata con un
lieto
fine. Non aveva mai desiderato prendere una posizione, ma
l’amore per Emy lo
aveva sempre spinto a considerarla l’unica vittima della
situazione.
Non si era mai spinto a chiedersi
quanto, invece, anche il padre di lei avesse sofferto per i silenzi
della
figlia, o per le sue dichiarazioni di odio neppure tanto velate.
Vederli rientrare insieme dal molo,
lo
aveva però rasserenato; non aveva mai visto un padre
così sereno e tranquillo come
Jordan Poitier gli era apparso in quel momento. Sembrava ringiovanito
di dieci
anni, in quell’ora abbondante che avevano passato da soli.
Dell’uomo insicuro e
stanco che era entrato nel suo albergo, si era persa ogni traccia, e
Tony era
quasi sicuro che, da quel giorno in poi, anche Emily sarebbe apparsa
più solare
e sicura.
“Mi fa piacere sapere che
mia figlia
non fosse sola, qui” asserì a un certo punto
Jordan, sfogliando distrattamente
il giornale.
“Ci sono molte persone
che le vogliono
bene, non tema, signor Poitier” lo rassicurò
Anthony.
“Solo Jordan, per gli
amici dei miei
figli… e, più ancora, per il suo
ragazzo” replicò con un sorriso l’uomo.
“Non
esitare a darmi del tu. Non sono qui né per giudicare come
vive la vita mia
figlia, né chi la vive assieme a lei.”
Tony annuì tranquillo,
replicando: “La
nostra relazione è più o meno clandestina, al
momento, perché tu lo sappia. Ho
le mie buone ragioni per non farlo sapere a mio padre, per
cui…”
Levando un sopracciglio con
evidente
sorpresa, Jordan annuì e replicò: “Ne
so qualcosa di relazioni complicate
padre-figlio, perciò non ti chiederò nulla.
Farò finta di non saperlo, non
temere.”
“Grazie”
mormorò allora Anthony.
“Spero che
l’intraprendenza di mia
figlia nel mettermi al corrente della vostra relazione non ti abbia
messo a
disagio. Non abbiamo avuto molto tempo per parlare, ieri” si
informò a quel
punto Jordan.
“Nessun problema, Jordan.
Non ho nulla
da nascondere… non a te, per lo meno”
replicò Anthony con una scrollatina di
spalle.
Nel richiudere il giornale, Jordan
lo
poggiò sul tavolino da giardino, osservò il
contorno frastagliato delle
montagne che sovrastavano la cittadina e, pensieroso, disse:
“Ho sempre pensato
che, il giorno in cui mia figlia si fosse trovata un uomo, io avrei
dato di
matto e mi sarei comportato come una chioccia con il suo unico pulcino,
ma ora
mi ritrovo a ringraziare il cielo al pensiero che lei me lo abbia detto. Che mi abbia reso partecipe di
questa parte della sua vita.”
“Emily non è
mai stata indifferente nei
tuoi confronti” asserì Anthony con tono sicuro,
certo di non stare mentendo.
“Era spaventata all’idea di non sapere come
affrontare la cosa, ma mai ha
dimostrato odio verso di te.
Questo posso assicurartelo.”
“Fa piacere
saperlo” annuì Jordan prima
di notare l’arrivo di un uomo dall’aria seria e lo
sguardo da falco.
Pur non notando alcuna somiglianza
tra
i due, Jordan non faticò a comprendere chi fosse
quell’uomo e, dal modo in cui
Anthony si alzò per accoglierlo, iniziò a capire perché Anthony non volesse
far sapere nulla al padre. Tra loro non
scorreva affatto buon sangue.
“Papà,
buongiorno. Posso presentarti il
signor Poitier? E’ giunto ieri pomeriggio, mentre eri via per
affari. Ho
pensato di fargli preparare la suite” esordì
Anthony, cercando di apparire
tranquillo e affabile.
William Consworth annuì
rigido e
allungò una mano in direzione di Jordan, che si
alzò a sua volta per
accoglierlo.
“E’ un vero
piacere incontrarla, signor
Poitier. Spero che la sua permanenza a Nederland possa essere
piacevole,
nonostante quello che è accaduto di recente”
esordì William con tono cordiale,
da vero uomo d’affari.
In questo, William ci aveva sempre
saputo fare. Mentire alle persone gli veniva naturale, pensò
aspramente
Anthony, osservando il padre mentre discorreva amabilmente con Jordan.
“Sì, conosco i
fatti, signor Consworth
e, proprio per questo, ho pensato di stare vicino a mia figlia in
questi
momenti così bui” replicò Jordan con
tono altrettanto affabile.
“Sua figlia si
è subito dimostrata
molto partecipe, nei confronti dei coniugi Larson. Oserei dire che quei
ragazzi
non potevano sperare in una vicina di casa più
solerte” chiosò William con un
sorriso. “Ci vorrebbero davvero più persone come
lei, a questo mondo.”
“Non fatico a trovarmi
d’accordo con
lei” chiosò imperscrutabile Jordan.
“Non la disturbo oltre,
signor Poitier,
perché immagino quanto, persone del suo calibro, siano
sempre indaffarate anche
in momenti di quiete come questi” asserì a quel
punto William, guardando
finalmente il figlio. “Naturalmente, Anthony sarà
a sua disposizione per
qualsiasi evenienza.”
“Mi ha già
offerto i suoi servigi, non
tema” dichiarò Jordan, dando una pacca amichevole
sulla spalla di Anthony. “Ho
necessità di conoscere meglio Nederland per eventuali
acquisti immobiliari, e
lui si è offerto di accompagnarmi e di farmi da
guida.”
“Molto bene. E’
piacevole sapere che il
proprio figlio assolve ai propri compiti con diligenza”
dichiarò atono William,
salutando entrambi per poi rientrare in albergo.
Anthony, a quel punto,
lasciò andare il
fiato che aveva fin lì trattenuto per non ingiuriare a male
parole il padre e,
spiacente, mormorò: “Mi scuso per i suoi modi
villani.”
“Mio padre è
molto simile a lui, non
temere” si limitò a dire Jordan. “Le
persone che pensano solo agli affari sono
riconoscibili, e io ho imparato da uno dei migliori.”
“Vuoi davvero girare per
Nederland in
cerca di case da acquistare?” domandò quindi
Anthony con aria curiosa.
Jordan scosse il capo, sorrise
furbo e
replicò: “Non potrei mai abitare qui a causa del
mio cuore, ma tuo padre non
deve necessariamente saperlo, no?”
“Per nulla”
assentì Anthony prima di
udire la voce inconfondibile di Jamie, accompagnata da quella dolce e
morbida
di Emily.
Volgendosi quindi per salutarli, il
giovane disse: “A quanto pare, oggi cercheremo case in giro
per Nederland.”
I due fratelli Poitier lo fissarono
basiti per alcuni istanti e Jordan, nello scoppiare a ridere, diede una
pacca
sulla spalla ad Anthony e, con determinazione, uscì
dall’albergo assieme ai
figli e al giovane Consworth.
***
Come promesso, la famiglia Poitier
e
Anthony, girovagarono per le vie di Nederland mostrando a Jordan gli
scorci più
caratteristici, i locali più importanti e i luoghi in cui
divertirsi nella
piccola cittadina montana.
Unitamente a ciò,
l’uomo fece
conoscenza con molti degli amici della figlia e, in tutti i casi,
l’uomo si
ritrovò a sentir decantare le doti di dolcezza,
disponibilità ed educazione di
Emily.
A un certo punto, Jordan
cominciò a
pensare che la figlia avesse pagato quelle persone perché
non dicessero nulla
contro di lei ma, nel notare la sincerità negli occhi delle
persone, non poté
che gonfiarsi d’orgoglio paterno. Sapere che la sua bambina
fosse così ben
voluta, e che in soli cinque anni la gente si fosse talmente
affezionata a lei,
non poteva che essere fonte di gioia, per lui.
Da quel che poté capire,
inoltre, Emily
non aveva affatto menzionato i
motivi
per cui lui non si era mai presentato a Nederland, confermando
così le parole
di Anthony. Se Emy lo avesse odiato, non avrebbe faticato a
collezionare male
parole su di lui mentre, per le persone, lui era solo un padre
fortunato ad
avere una figlia così brava e gentile.
“Visto
l’orario, posso invitarvi a pranzo da qualche parte?
L’aria di montagna
comincia a farmi effetto, e voglio conoscere un po’ meglio
gli amici di mia
figlia” propose a un certo punto Jordan, osservando sorpreso
un orologio appeso
alla parete di un bar in stile anni ’80.
Jamie buttò sul piatto
il nome di Gilda
e tutti furono d’accordo nel recarsi lì e, mentre
Emily telefonava a Parker per
avvertirlo di raggiungerli al diner, Jordan
si avventurò lungo il marciapiede chiacchierando amabilmente
con Anthony.
Volutamente, Jamie rimase indietro
per
attendere che Emily terminasse la chiamata e Jordan,
nell’annuire debolmente al
suo indirizzo, proseguì a camminare senza attenderli.
Se c’era una cosa che
aveva imparato
negli anni, dei due figli, era la loro salda unione. Jordan non
faticava perciò
a immaginare le mille domande di Jamie, così come il
desiderio di Emily di parlare.
Per una volta ancora, quindi, si
sarebbe messo da parte, sperando di non doverlo più fare in
vita sua.
***
Camminando fianco a fianco con
Jamie
mentre, ad alcuni metri di distanza, il padre chiacchierava amabilmente
con
Anthony e Parker, Emily stentava a credere a quello che era successo in
quelle
ultime ore.
Dopo più di
vent’anni di silenzi, di
rabbia, di incomprensioni, scopriva infine la realtà dei
fatti, e non era del
tutto certa di essere felice di saperla.
Suo zio Armand e i suoi nonni
paterni
l’avevano venduta per tenere in piedi l’azienda,
mentre sua zia Berry aveva
dapprima minacciato di morte suo padre, e poi si era sparata per
mettere i
bastoni tra le ruote a tutti.
Se, in precedenza, il suo
risentimento
era stato veicolato verso una sola persona, ora i suoi sentimenti di
rabbia e
smarrimento dovevano ricollocarsi in altri lidi, e fare i conti con la
sua
mente adulta.
Le parole del padre, comunque,
spiegavano
i tanti silenzi da parte di quel ramo della famiglia, i rapporti tesi,
gli
sguardi obliqui dello zio rivolti a suo padre, o le parole sibilline
del nonno
durante i loro radi incontri.
No, suo padre non aveva cercato di
tirare l’acqua al proprio mulino per apparire un eroe
defraudato della propria
spada. Aveva presentato, piuttosto, il quadro tutt’altro che
lusinghiero di una
famiglia attaccata al proprio patrimonio, invece che alla prole, e zio
François
non le aveva che confermato tali nefandezze.
Era più facile, ora,
capire le
dinamiche delle scelte di ognuno dei protagonisti, ma comprenderle non
le
rendeva più facili da digerire. O dimenticare.
“E’ tutto a
posto, lì dentro?” domandò
a un certo punto Jamie, picchiettandole una tempia con un dito.
“Forse. E’
difficile digerire che una
parte della nostra famiglia è composta di sciacalli, ma
tant’è. Non fa specie
che a papà sia venuto un infarto”
mormorò fiacca Emily.
“Che zio Armand fosse uno
stronzo, era
assodato, ma non pensavo che anche il nonno fosse della stessa
pasta” bofonchiò
Jamie, assentendo con vigore.
“Zio Fran mi ha anche
detto che, in
ogni caso, né zia Berry che papà avrebbero potuto
mettere mano al patrimonio
della ditta, anche se avessero avuto le mani libere, perché
il nonno aveva
blindato i fondi d’imperio” aggiunse a bassa voce
Emily, sconcertando il
fratello.
“Che cosa
caz…?” cominciò col dire lui
prima di tapparsi la bocca, scuotere mani e testa quando suo padre si
volse per
scrutarlo con curiosità e poi aggiungere in un sussurro
irritato: “Che ha
fatto?!”
“Quel che ti ho detto.
Zio Fran sentì
il nonno e zio Armand parlarne. Papà non lo sa, e io ho
preferito evitare che
sapesse anche questo”
sottolineò
Emily, sbuffando irritata.
Jamie assentì cupo prima
di ammettere:
“Sì, è meglio. Non è davvero
il caso che si sobbarchi anche di quest’ennesima
prova di stronzaggine.”
“Esatto. Comunque,
sapendo quel
sappiamo ora, capisco perché abbia deciso di mollare la
presa” mormorò Emily,
continuando a guardare le spalle del padre, che apparivano
effettivamente come
sgravate da un peso. “Ha fatto bene.”
Sorridendo, Jamie
assentì all’indirizzo
della sorella, scrutò a sua volta la figura del padre
– che stava ridendo a una
battuta di Anthony – e chiosò: “Sai che
è la prima volta che lo vedo con un
paio di jeans?”
Emily annuì divertita e
ammise: “Io non
l’ho visto spesso, in questi anni ma, a dirla tutta, penso si
possano contare
sulle dita di una mano le volte in cui li ha indossati.”
Sorridendo poi dolcemente, Emy
prese
sottobraccio il fratello e mormorò: “Non voleva
che arrivassi a odiare tutta la
sua famiglia. Preferiva sopportare quel peso da solo, piuttosto che
sapermi
furiosa con tutti i Poitier.”
“E ora, sei
arrabbiata?” le domandò
Jamie, ammiccando al suo indirizzo.
“Delusa, forse.
Arrabbiata, no. Non ha
più senso sprecare energie per questo. Ne ho già
perse abbastanza odiando
inutilmente mio padre” sospirò Emily, scuotendo il
capo.
“Beh, papà e
zio Francis si salvano,
dopotutto” chiosò Jamie, dandole un colpetto con
la spalla.
“Mi ha detto che a Namche
Bazar hanno
quasi ultimato la scuola, dopodiché partiranno per andare in
un altro villaggio
per sistemare un ponte tibetano” gli spiegò Emily.
“Sì,
l’ha detto anche a me la settimana
scorsa, quando l’ho sentito. Sembrava molto soddisfatto,
nonostante gli aiuti
tardino ad arrivare. Ci sono ancora un sacco di posti non raggiunti dai
soldi
statali, e lui cerca di fare la differenza” le
spiegò Jamie.
“Tu hai preso molto da
lui” chiosò
Emily. “Zio Francis, evidentemente, non ha retto la doppiezza
della sua
famiglia come ha fatto papà, ed è scappato
letteralmente da quella vita.”
“E’ sempre
stato molto sensibile” annuì
il fratello, prima di ammettere: “E’ bello sentirti
dire ‘papà’
con quel tono. Scommetto che anche la mamma lo apprezzerebbe.”
“Lei arriverà
domenica” lo mise al
corrente Emily, sorprendendolo. “A quanto pare, vogliono
essere tutti d’aiuto,
vista la situazione.”
“Vogliono proteggere la
loro bambina
dai suoi stessi ricordi” le fece notare Jamie, sorridendo
gentilmente.
“E a te non dà
fastidio? Sì, insomma,
il fatto che si prodighino così per me?” gli
domandò con sincerità la sorella,
memore delle parole del padre in merito alle crisi del fratello.
“Sono qui
anch’io. Dovrebbe dirti
qualcosa” sottolineò per contro Jamie.
“Se tu stai bene, sto bene anch’io.”
“Già”
assentì lei, sorridendo e
stringendosi maggiormente a lui.
Come si poteva non amare un
fratello
così?
***
Uno dei motivi per cui Gilda era
famosa
non solo a Nederland, ma anche nei dintorni, non era unicamente la
strepitosa
cucina che lei e suo figlio erano in grado di servire nel loro diner, ma molto aveva a che fare con la
sua
dedizione al cliente.
La capacità di mettere a
proprio agio
le persone e farle sentire di famiglia era, per Emily –
così come per molti
altri – il pregio maggiore della donna e, anche quel giorno,
non si smentì.
Non appena vide entrare il
gruppetto
capitanato da Jamie, a cui si era infine unito anche Parker - di
ritorno da un
breve colloquio con l’agente McCoy - Gilda si
stampò subito in viso un sorriso
cordiale quanto gentile ed esordì dicendo: “Non ve
lo chiedo neanche. Un tavolo
per cinque?”
“Sai leggermi nella
mente, Gilda.
Perché non chiedi a tuo figlio se ci prepara del pesce alla
griglia, con della
salsa speciale a scelta?” chiese lesto Parker, ammiccando
all’indirizzo della
donna.
“Pesce e salsa speciale.
Ottima scelta,
ragazzo. Ho del pesce di lago appena pescato che fa al caso
vostro” dichiarò
Gilda prima di ammiccare all’indirizzo di Emily e aggiungere:
“Perché non mi
presenti il bell’uomo che sta al tuo fianco?”
Sorridendo imbarazzata –
il padre era accanto
a lei, in quel momento – la giovane disse: “Lui
è mio padre, Jordan Poitier.
Papà, lei è Gilda Mattei, la proprietaria del
locale.”
“Ora so chi è
la donna per cui Jamie
viene tanto spesso qui” ironizzò Jordan,
allungando una mano in direzione della
donna. “Molto piacere, m’am.”
“Oh, il suo figliolo
è adorabile, ma
amo troppo mio marito per fuggire con Jamie” sorrise cordiale
la donna,
stringendo la mano di Jordan.
“Vivrò sempre
con la speranza che tu mi
dica di sì” sospirò Jamie prima di
veder comparire Cooper dalla cucina. “Oh…
pare che tuo marito mi abbia sentito.”
Una risata collettiva accolse
l’arrivo
dell’uomo, un boscaiolo ben piantato e alto non meno di due
metri che,
squadrando dall’alto al basso il giovane,
dichiarò: “Una di queste volte ti
prenderò a quattr’occhi, giovanotto, e mi
spiegherò per bene… ma non davanti a
tuo padre, questo è sicuro. Ben arrivato, signore.”
Jordan sorrise all’uomo
nello stringere
anche la sua possente mano, replicando: “Ho idea che il mio
ragazzo abbia
troppa fiducia nel suo fascino, ma credo che capirà in
fretta di non avere
speranze.”
“Voi mi castrate
sempre” sospirò a quel
punto Jamie, raggiungendo il tavolo dove Anthony e Parker si erano
già
accomodati.
Cooper sogghignò di
fronte a quella
ritirata strategica. Nel poggiare quindi le mani sui fianchi,
l’uomo si guardò
intorno e, dopo aver notato la presenza di alcuni agenti
dell’FBI, sospirò e
disse: “Mai vista una clientela così silenziosa.
Ma li capisco… ne hanno di
grattacapi a cui pensare.”
Jordan assentì, tornando
serio e, nel
rivolgersi a entrambi i coniugi, disse: “Volevo ringraziarvi
per le attenzioni
che avete tributato a mia figlia. So che ve ne siete presi buona cura,
e i miei
ringraziamenti non saranno mai abbastanza.”
“Qui ci si aiuta tutti,
perciò nessun
ringraziamento, Jordan” replicò Gilda, dando un
buffetto sulla guancia a Emily,
che le sorrise. “Piuttosto, andate pure a sedervi. Cooper vi
porterà qualcosa
da bere, mentre il mio ragazzo prepara il pesce per voi.”
“Vi ringrazio”
assentì Jordan,
avviandosi assieme alla figlia per raggiungere il resto del gruppo.
A ben vedere, nel diner
non si era mai sentito un silenzio simile, e le uniche voci
davvero udibili erano le loro che, al confronto, potevano apparire
persino
fastidiose.
Gli agenti, però, non
parvero fare
affatto caso alla loro presenza, né al volume delle loro
chiacchiere, fin
troppo presi dalle loro carte e dai tabulati da controllare con
attenzione
certosina.
Probabilmente, se fosse scoppiata
una
bomba in strada, neppure se ne sarebbero accorti, tanta era
l’attenzione che
stavano prestando alle carte sparse sui loro tavolini.
Non appena padre e figlia si
sedettero,
Jordan intrecciò le mani sul tavolo e, rivolto a Anthony,
domandò: “Sai chi si
occupa delle indagini, ragazzo?”
“L’agente
speciale Adam McCoy. Da quel
che ho capito, vi conoscete già” asserì
il giovane, lanciando poi un’occhiata a
Emily, che annuì.
“Si tratta
dell’agente che, all’epoca
del mio rapimento, si occupò degli identikit. Non so se lo
ricordi, papà” gli
spiegò lei, vedendolo annuire più volte.
“Oh, lo ricordo eccome.
Rammento i nomi
di tutti coloro che si occuparono dell’indagine, se
è per questo” replicò lui,
sorprendendola un poco. “All’epoca, aveva i capelli
neri e un fisico ancora in
erba, ma immagino non sia più così. Rammento che
ti regalò un lecca-lecca così
grande che, quando noi raggiungemmo il Lodge, tu dovevi ancora
terminarlo.”
Emily sorrise di quel ricordo, lo
stesso a cui lei era particolarmente legata, e annuì.
“Sì, è lui e, come hai
giustamente immaginato, ha messo qualche capello grigio ed è
più robusto.”
“Lo
incontrerò, allora. Non vorrei che
pensasse che sono qui per combinare qualche guaio”
chiosò a quel punto Jordan
prima di veder arrivare Cooper con un vassoio di bibite per tutti.
Sul tavolo, il signor Whindam
poggiò
una brocca d’acqua ghiacciata, un paio di birre e bicchieri
per tutti,
dopodiché disse: “Per il pesce ci vorrà
una decina di minuti al massimo.”
“Grazie,
Cooper” gli sorrise Emily.
Lui le diede simpaticamente un
colpetto
di nocche sul capo a mo’ di saluto e, in silenzio, se ne
tornò in cucina mentre
Gilda serviva del caffè ad alcuni agenti di Denver, giunti a
supporto dello
sceriffo Meyerson.
Sceriffo che entrò dopo
qualche minuto,
l’aria stanca e preoccupata ben visibile sul volto teso e
solcato da profonde
rughe d’ansietà.
Nel vedere Emily e gli altri,
comunque,
si stampò in faccia un sorriso e, dopo aver riconosciuto il
padre della
giovane, si avvicinò ed esordì dicendo:
“Buongiorno a tutti. Vedo che abbiamo
un nuovo elemento, in paese. Devo preoccuparmi, signor
Poitier?”
“Affatto, sceriffo.
Starò buono e mi
terrò da parte. Stavo giusto dicendo a questi ragazzi che mi
sarei presentato
dall’agente McCoy per rendere nota la mia presenza”
specificò l’uomo,
stringendo poi la mano protesa dell’agente.
“Molto bene. Era quello
che volevo
sentirle dire. Comunque, se il vostro amico ancora non ve
l’ha detto…” e, così
dicendo, indirizzò un sorrisetto a Parker, che scosse il
capo. “… non ci sono
novità. Domani sposteremo le nostre forze più a
nord, e scandaglieremo tutti i
sentieri dal Mud Lake in poi. Se volete unirvi, potete mettere i vostri
nomi
nella lista dei volontari che si trova nell’ufficio dei
Vigili del Fuoco”
spiegò loro lo sceriffo.
Tutti assentirono e Meyerson, dopo
un’ultima occhiata al gruppo, salutò tutti e si
diresse verso Gilda per
recuperare il cibo da asporto che aveva ordinato per sé e i
vicesceriffi.
Nessuno, a Nederland, si stava
più
comportando come al solito. Il fatto stesso che il corpo di polizia non
avesse
più neppure il tempo di fermarsi da Gilda per pranzare, o in
un qualsiasi altro
locale in generale, era un chiaro indice di come le cose fossero
cambiate.
Il rapimento di Mickey aveva messo
in
subbuglio la forte e coesa comunità di Nederland, mettendo
in allarme ogni suo
singolo membro, e questo si era ripercosso su ogni cosa, abitudini
comprese.
I bambini non erano più
stati lasciati
soli, e il rientro dal centro estivo scolastico era controllato a vista
da
genitori o forze dell’ordine locali, che ben conoscevano i
tragitti di ritorno
di ognuno di loro.
Nei parchi cittadini, almeno un
ufficiale di polizia controllava sempre la situazione e, alle diverse
entrate
del paese, erano stati posizionati dei presidi fissi per esaminare a
qualsiasi
ora l’andirivieni delle persone.
Nulla sembrava essere stato
lasciato al
caso ma, nonostante tutto, non vi erano notizie –
né indizi – su Mickey.
Sembrava scomparso nel nulla.
Mentre il pesce veniva servito
– cotto
alla perfezione, fumante e dal profumo assai invitante –
Emily ricevette un
paio di SMS da parte di Sherry, a sua volta informata sui fatti da Emy
stessa.
Con gli agganci che la donna aveva
nel
mondo della security, non le era parso sbagliato dirle ciò
che era avvenuto,
anche se ormai il caso aveva raggiunto risonanza nazionale, vista anche
la sua
presenza a Nederland.
La pubblicità, in quel
caso, poteva
comunque essere un vantaggio, perché le persone comuni
avrebbero tenuto
sott’occhio la fotografia di Mickey in ogni momento, e tenere
accesa la
scintilla della curiosità poteva sempre essere utile.
A
Denver si sono già messi in pista per una raccolta fondi per
la famiglia, le
scrisse
Sherry, sorprendendola un poco. Sto
indagando nel campo dei rapimenti per uso organi. Ti chiamo se scopro
qualcosa.
Comunque, lunedì prossimo sarò lì.
Mentre sbocconcellava il buon pesce
dalla carne bianca e sugosa, Emily sospirò di sorpresa a
quell’ultimo messaggio
e, nel poggiare il telefono sul tavolo, dichiarò:
“Preparate gli ormoni,
signori. Lunedì arriverà Sherry.”
“Gesù bambino,
grazie” sospirò Jamie,
facendo sorridere il padre e Anthony.
“Oh, bene!
Così potrò conoscere questo
concentrato di fascino e potenza messi insieme”
celiò Parker, sfregandosi le
mani. “Chiamerò Rick per dirglielo.
Chissà mai che non si metta in strada per
venire a sua volta.”
Jordan sorrise divertito a Parker e
chiosò: “Fossi in te, ascolterei mia figlia e mi
preparerei psicologicamente.
Quella donna è capace di mettere al tappeto qualsiasi
uomo… di qualsiasi età.”
“Papà…
non pensavo” esalò Emily,
facendo tanto d’occhi.
“Cara, potrò
avere anche più di
sessant’anni, ma ricordo bene com’è
Sherry e credimi, mi fa ancora un certo
effetto” celiò lui, ammiccando al suo indirizzo.
Lei non poté che
scoppiare a ridere e,
per Jordan, fu come rinascere.
Da quanto tempo non ascoltava
più
quella risata? Da quanto, gli mancava vedere il sorriso sul viso di
Emily?
Da troppo tempo.
Sperò soltanto che
quella terribile
situazione non glielo strappasse di nuovo dal volto.
***
Parker trovò Rick al
terzo tentativo. A
giudicare dalla voce cavernosa del fratello, doveva aver avuto una
giornata pessima
e, forse, in parte dipendeva proprio da lui.
Chissà cosa si era
dovuto sorbire, a
causa della sua rinuncia a portare a termine ciò che per cui
la loro ditta era
stata mandata a fare a Nederland?
Non faticava a immaginare il mobbing subito da quell’anima
satanica
del loro capo, Anticristo incarnato e vero stronzo sotto forma di uomo,
dal
nome tutt’altro che adatto di Stuart Nelson. Per uno come
lui, sarebbero stati
più idonei nomi come Adolph o Boris, o direttamente Satana.
“Ehi, Rick…
come butta, lì?” esordì
Parker, ben deciso a sondare le acque prima di sganciare la bomba di
nome
Sherry.
“Stuart non è
stato per niente felice di
ricevere la tua
e-mail, stamattina e, anche se la ditta appaltatrice ha chiarito che
è
d’accordo ad attendere i risultati – tra
l’altro, come hai fatto a scavalcare
Stuart per arrivare direttamente a
Mr.
Cunningham? – lui non è assolutamente disposto ad
accettare una dilazione dei
tempi.”
Sbuffando, Parker
borbottò: “Sapevo che
quell’indemoniato figlio di una buona donna si sarebbe
lambiccato il cervello
per romperti in qualche modo, ma stavolta lo manderò a quel
paese. Domani gli
mando una lettera di dimissioni.”
Uno, due, tre…
“Che cosa?!”
sbraitò Rick, perdendo per
un attimo il suo leggendario aplomb. “Ma sei
impazzito?!”
“Rick, è
inutile che ti fai venire un
ictus. Prima o poi avremmo dovuto andarcene in ogni caso, da
quell’anticamera
dell’Inferno. Tanto vale farlo ora”
replicò Parker, grattandosi nervosamente la
nuca.
Sapeva quanto, perdere il posto,
facesse fremere di panico Rick – il più piccolo
della nidiata Jones – ma, in
tutta onestà, Parker era arcistufo che Stuart vessasse suo
fratello, o si
approfittasse del suo buon cuore quanto della sua bravura.
Era Rick il genio dei progetti, in
quella stramaledettissima ditta, non certo il vanaglorioso Mr. Nelson.
Era
perciò tempo che Rick si prendesse i suoi meriti e brillasse
di luce propria, a
costo di buttare al vento ogni cosa e lanciarsi senza paracadute verso
un
futuro non ancora scritto.
Sospirando tremulo, Rick
domandò dopo
un minuto buono di silenzio: “C’è di
mezzo una donna, Parker? Ti stai infilando
in un ginepraio simile per colpa di una donna?”
“Non è come
pensi, Rick. C’è di mezzo
una donna, sì, ma è la persona più
buona, generosa e dolce che io abbia mai
conosciuto… e che, tra l’altro, tu conosci
già. Ha bisogno di sostegno, e io
voglio esserci, per lei. Punto e basta.”
“Che intendi dire con ‘tu conosci già’?”
ripeté confuso il
fratello.
“Ti ricordi di Emily
Poitier?”
Uno, due, tre…
“Sei diventato amico di
Miss Poitier?”
esalò confuso Rick.
“E’ una lunga
storia, ma sì. Ed è per
questo che Mr. Cunningham ha scritto a Stuart per dire che avrebbe
aspettato i
risultati dell’indagine. Secondo Harry – mi ha
detto lui di chiamarlo
così, tra l’altro – ciò che
sta succedendo qui a
Nederland ha la precedenza sui carotaggi, e ha tenuto a sottolineare
quanto gli
faccia piacere che la nipote abbia degli amici che la
appoggino.”
La telefonata di Harry Cunningham
aveva
davvero rasentato l’assurdo, e il suo ricordo ancora lo
portava a sorridere
divertito.
Quando aveva visto sullo schermo
del
cellulare un numero sconosciuto, si era chiesto fuggevolmente quale
genere di
pubblicità volessero propinargli. Si era perciò
quasi strangolato con la
propria saliva, quando aveva scoperto chi vi fosse all’altro
capo del telefono.
Immediatamente, si era profuso in
scuse
per il ritardo nei lavori ma Harry lo aveva subito interrotto,
ringraziandolo
per l’appoggio dato a Emily. A quel punto, aveva ammesso di
essere molto
preoccupato per la nipote, e di sentirsi più tranquillo al
pensiero che ella
potesse contare su così tanti e validi amici.
Non sapendo che dire – e
immaginando
che Emily gli avesse parlato anche di
lui – lo aveva ringraziato per la comprensione, ma ancora
Harry lo aveva
sorpreso, proponendogli un affare che, a tutta prima, gli era parso
più un dono
del cielo che una reale offerta.
Ben deciso a parlarne con Rick,
però, si
era preso del tempo per rispondergli e, anche per questo, aveva passato
mezza
giornata in riva al lago a rimuginare sul da farsi, prima di chiamare
il
fratello.
“Stando a quello che
Harry mi ha detto,
Emily non sa nulla di ciò che sto per dirti,
perciò non è farina del suo sacco…
anche se non mi stupirei se lei avesse tentato di darmi una
mano” dichiarò
Parker con un mezzo sorriso. “Per fartela breve, Mr.
Cunningham vorrebbe che
lavorassimo nella sua filiale di Denver, nel settore edilizio. Saremmo
io, tu e
un paio di aiutanti. Niente più di questo. E saremmo al suo
diretto comando.”
“Che ne è del
nostro progetto da
solisti?” indagò a quel punto Rick.
“Niente ci vieta di
farlo, più avanti
ma, onestamente, lavorare per Cunningham mi sembra molto meglio che
rimanere
sotto il giogo di Stuart” si limitò a dire Parker,
sprofondandosi sul suo
divano.
All’esterno, la pioggia
aveva iniziato
a cadere da pochi minuti e questo, quasi certamente, avrebbe obbligato
i cani
molecolari – e i loro conduttori – a desistere dal
proseguire oltre con le
ricerche.
A quel punto, ogni eventuale pista
si
sarebbe persa e, da quel momento in poi, il lavoro sarebbe interamente
passato
in mano agli investigatori. Un bel guaio, visto che le prove
– almeno
all’apparenza – erano praticamente inesistenti.
“Ti fidi molto di Mr.
Cunningham?”
chiese a quel punto Rick, non immaginando neppure dove fosse la mente
del
fratello, in quel momento.
“Niente può
essere peggio di Stuart e
sì, mi pare sia una persona onesta, come lo sono i membri
della sua famiglia
che ho conosciuto. Ammettiamolo, per fare ciò che vogliamo
ci vorranno molti
più capitali di quelli che abbiamo attualmente, e non ci
possiamo permettere di
andare allo sbaraglio. Appoggiarci a qualcuno di più
affidabile, però, è una
cosa fattibile” ammise Parker, passandosi una mano sul volto
stanco.
“Quanto tempo hai per
pensarci?”
“Mr. Cunningham non mi ha
dato
scadenze, sempre per il motivo di prima. Comunque, per la cronaca, non
ci sono
solo io, qui a Nederland, a occuparmi di Emily. A breve, ci
sarà anche Sherry
Kerrington” dichiarò Parker, ora sogghignando.
Uno, due, tre…
“Quante ore ci vogliono,
da Denver a
Nederland? Non ricordo” chiese Rick con tono piano.
Parker rise tra sé. Mai,
in tanti anni,
aveva visto il fratellino interessarsi a una donna, tanto che per molto
tempo
aveva pensato che proprio non gli piacessero.
Per questa Sherry che tutti
andavano
decantando, però, sembrava davvero interessato.
Cinque anni addietro, quando si era
occupato della ristrutturazione della casa di Emily –
com’era piccolo, il
mondo, a volte! – lo aveva sentito parlare più
volte di lei ma, nel momento
stesso in cui aveva ultimato la commessa, il nome di Sherry era sparito.
Non era mai uscito dalla sua bocca
neppure per errore. Mai. Una. Volta.
Chissà
perché? Era davvero soltanto per
la sua avvenenza, o suo fratello aveva visto altro, in questa
misteriosa donna
dal fascino così decantato? E perché, di colpo,
il solo nominarla era diventato
un tabù, per lui?
“Un’ora…
ma qui c’è un temporale
terribile, adesso, e non vorrei che trovassi l’inferno, per
strada” ci tenne a
dire Parker, non volendo essere la causa di morte del fratello.
Tutti, in famiglia, sapevano che
Rick odiava guidare con la pioggia.
Lui e gli
eventi atmosferici avevano un rapporto molto più che
pessimo. Osava persino
dire che fosse perseguitato dal demone delle tempeste, o qualcosa del
genere.
“Esistono i
tergicristalli… e i fari”
sottolineò pragmatico Rick.
Un attimo dopo, lo sentì
scartabellare,
far cadere qualcosa – un libro, forse? – e
imprecare sottilmente. Altra cosa
che ben di rado succedeva. Ma che gli aveva fatto, quella donna?
“Ehm…
avvertirò la polizia che stai
arrivando, allora. Ci sono dei posti di blocco in entrata e in uscita,
qui a
Nederland” dichiarò a quel punto Parker,
cominciando a sentirsi un po’ in
colpa. “Non vorrei diventassero un po’ paranoici,
nel veder arrivare uno
straniero.”
Parker sperò davvero di
non essere
avvisato, la mattina seguente, in merito a un incidente stradale del
fratello,
o sua madre lo avrebbe annodato a una carotatrice e poi lo avrebbe
gettato nel lago.
Poco ma sicuro.
Nessuno toccava il piccolo di casa
Jones.
***
Jordan non amava sentir piangere la
moglie, specialmente quando non poteva essere al suo fianco per
consolarla ma,
nel caso specifico, soprassedette.
Per questa volta poteva sopportare
le
sue lacrime, poiché tradivano unicamente la gioia provata
dalla donna in quel
momento.
“E
così… e così vi siete parlati,
finalmente?” mormorò Margareth, soffiandosi
delicatamente il naso prima di
ascoltare trepidante le parole del marito.
Quando Margareth aveva ricevuto una
chiamata dal marito, poco dopo le nove di sera, il timore di sentire
cattive
notizie l’aveva presa come al solito. Erano più di
vent’anni che, quando si
trattava di Emy e Jordan, lei doveva sempre cercare di non lasciarsi
andare
allo sconforto.
Quando, però, aveva
udito il marito parlarle
con tono sollevato, pur se preoccupato per le sorti del piccolo amico
della
figlia, Margareth aveva tirato un sospiro di sollievo e le lacrime
erano venute
di conseguenza.
Jordan le aveva quindi raccontato
della
loro chiacchierata in riva al lago, della sorpresa di Emily nello
scoprire la
doppiezza di zio Armand e dei nonni, oltre alla fine ingloriosa di zia
Bérénice.
Aveva quindi accennato alla
presenza di
un uomo, nella vita della loro figliola, e dell’appoggio
incondizionato di
tutto il paese, oltre che di validi amici che sembravano averla ben
supportata
in quei momenti di angoscia.
Tutto questo aveva in parte
rasserenato
Margareth, pur se la preoccupazione per il piccolo Mickey –
che lei aveva
spesso visto in fotografia, oltre che un paio di volte in carne e ossa
– era
tutt’ora presente.
La telefonata di Sandra, la loro
vecchia bambinaia, l’aveva inoltre sorpresa e un tantino
impensierita, pur se
le parole della donna non erano state d’allarme, quanto
piuttosto di
meraviglia. A quell’ulteriore novità,
però, avrebbe dedicato il tempo che
serviva solo più tardi.
Ora, aveva bisogno di parlare col
marito.
“Mi fa così
piacere che tu ed Emy vi
possiate parlare come persone adulte…”
dichiarò dopo un istante Margareth.
“…anche se immagino che non sia passata dal non
parlarti all’abbracciarti come
un koala, vero?”
Jordan rise, assentendo al suo
dire.
“E’ giusto che rimugini sulle mie parole e che,
eventualmente, chieda
spiegazioni a terze persone. So già che ha cercato Francis
in Nepal, ma può
darsi che senta anche Phillip, pur se credo che sia più
difficile. In fondo,
lei e suo cugino non sono mai andati molto d’accordo. Ma
è importante che mi
abbia ascoltato e riaccettato nella sua vita.”
“Immagino che
l’uomo a cui accennavi
prima sia Anthony… o sbaglio?”
“Ne sai più di
me, ovviamente, ma sì.
Si tratta di Anthony Consworth, il figlio del padrone
dell’albergo dove mi
trovo ora. Mi sembra davvero un giovane a modo, ed è molto
protettivo nei
confronti di nostra figlia anche se, paradossalmente, non le sta dietro
come un
cane da guardia. Sa farlo in modo molto discreto, a mio
parere” le spiegò
Jordan, rammentando bene come il giovane, durante tutta la giornata
passata
assieme, ben di rado si fosse preso il compito di farle da spalla.
Era chiaro come, il giovane, avesse
imparato a gestire le idiosincrasie di Emily, divenendo per lei
un’ombra
protettiva ma per nulla invadente.
Lei lo cercava con lo sguardo, e
Anthony era sempre pronto a farsi trovare, ma non per questo Emily
tendeva la
mano per essere accompagnata al pari di una bambina, o il giovane la
obbligava
a comportarsi come tale.
Erano due adulti che avevano
trovato un
proprio equilibrio e, da quanto aveva potuto vedere, funzionava molto
bene.
“Tra loro vi fu una breve
storia ma,
per motivi che Emily non volle mai dirmi, non funzionò.
Pare, comunque, che lei
lo abbia sempre tenuto nel cuore, e ora sembra che la cosa sia tornata
a galla”
gli spiegò succintamente Margareth. “Jamie
è ancora lì, per caso? Non risponde
al cellulare.”
“Sì,
è qui. Se hai chiamato oggi, ti
tranquillizzo. Lo aveva dimenticato a casa di Emy, nella concitazione
del
momento. Tutti sono in ansia per il bambino rapito, e le piste da
seguire sono
davvero esigue. Inoltre, ora sta piovendo a dirotto, perciò
i cani molecolari
perderanno quasi sicuramente qualsiasi pista utile”
sospirò l’uomo.
Margareth tremò
nell’assentire,
rammentando ancora troppo bene quanto fosse snervante e terribile
attendere
notizie che non arrivavano, veder svanire la speranza poco a poco,
sentire la
frustrazione nelle parole dei poliziotti.
Non invidiava la giovane madre di
Mickey, né il suo povero padre. Li attendeva un periodo
orribile, fatto di
crolli continui e difficili risalite, oltre al costante patimento di
non sapere
se, un giorno, avrebbero potuto rivedere il loro bambino.
“Appena mi
sarà possibile, verrò da
voi. Desidero chiudere quell’affare con il Sindaco,
dopodiché partirò” gli
promise lei, volitiva.
“Tranquilla. Emily ha
delle validissime
spalle, e io me la so ancora cavare” la
tranquillizzò Jordan.
“Harry mi ha chiamato,
dicendomi che
uno dei suoi è lì con Emy. Immagino sia il
ragazzo di cui mi ha parlato nostra
figlia qualche mese fa. A quanto pare, mio fratello lo vuole prendere
nel suo
staff.”
“Se ha pensato di
proporglielo, avrà
avuto i suoi buoni motivi. A me è parso un bravo ragazzo,
perciò ben venga”
dichiarò Jordan prima di sbadigliare. “Ora ti
saluto. La sfacchinata di oggi
comincia a farsi sentire.”
“Riposati, e prendi le
medicine. Ti
amo, tesoro” mormorò Margareth.
“Ti amo
anch’io… e grazie per non
avermi mai abbandonato.”
“Sapevo che dovevi avere
avuto dei
motivi più che validi, per fare quello che avevi
fatto” si limitò a dire lei,
rammentando la loro chiacchierata di qualche giorno addietro, quando il
marito
aveva deciso di dare un taglio netto con l’azienda di
famiglia.
L’aveva sorpresa
– e sì, indignata –
scoprire l’amara verità, così come
sapere che Berry si fosse suicidata per impedire
al fratello di usare i soldi
che lei aveva già promesso ai suoi strozzini.
Il comportamento dei vecchi
Poitier,
poi, aveva reso chiaro come mai il marito, negli anni seguenti il
rapimento,
avesse progressivamente tagliato fuori dalla loro vita i genitori.
Molte cose
si erano chiarite, e altre erano divenute così lampanti da
essere persino
fastidiose.
L’importante,
però, era che da tanta
inettitudine e grettezza, fosse comunque venuto fuori del buono, a
lungo
andare.
“Non hai idea di quante
volte avrei
voluto dirtelo, ma non era il momento” ammise Jordan.
“Lo
immagino…” assentì Margareth prima
di dire: “… e, a proposito di sorprese, ne ho una
che viene direttamente da
Sandra, la bambinaia dei nostri ragazzi.”
“Cos’è
successo?” domandò turbato
Jordan.
“Non immaginerai mai chi
è passato a
trovarla” disse Margareth, fomentando la curiosità
del marito.
A fine telefonata, Jordan chiuse la
chiamata con il volto percorso dalla costernazione più pura.
Che mai aveva in
mente, quell’uomo?
N.d.A.:
In attesa dell'arrivo scoppiettante di Sherry, scopriamo che Rick pare
avere un trascorso misterioso con l'avvenente cacciatrice di taglie
amica di Emily. Inoltre, veniamo a conoscenza di una misteriosa visita
a Sandra, la bambinaia che, all'epoca del rapimento di Emily, venne
ferita in modo grave. Chi l'avrà cercata? (credo sia ovvio,
ma non si sa mai...)
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
15.
Poche cose potevano far girare la
testa
a tutti – donne e uomini parimenti – come
l’arrivo di un’auto sportiva europea,
nuova fiammante e guidata con la perizia di un pilota di Formula 1.
La Lamborghini Aventador color
canna di
fucile che raggiunse il parcheggio del diner
di Gilda attirò gli sguardi dei presenti e, se possibile,
anche quelli di
coloro che si trovavano nelle case limitrofe.
Non era infatti cosa di tutti i
giorni
udire il rombo potente e inconfondibile di quella belva su quattro
ruote,
specialmente a quelle latitudini.
A uscirne, inoltre, fu uno
splendido –
quanto fatale – esemplare di donna dai lunghi e fluenti
capelli neri, Louboutin ai piedi e
un perfetto
tailleur giacca-pantalone di sartoria a delinearne il corpo perfetto.
La donna squadrò la zona
attorno a sé
con attenti occhi blu oltremare mentre, con la mano destra, afferrava
una
piccola clutch di Gucci per poi
chiudere elettronicamente le portiere dell’auto.
Con passo sicuro, quindi, si
diresse
verso il diner e, non appena vi fu
entrata, un silenzio tombale crollò come una coperta pesante
sull’intero
locale.
Gilda, per contro, rise sguaiata di
fronte alla donna, oltrepassò il bancone per andare a
salutarla e, dopo averle
dato due baci con lo schiocco sulle guance, dichiarò:
“Tesoro, dovresti andare
al Congresso, uno di questi giorni. Chissà che non stiano
zitti tutti anche là,
per un po’, invece di dire scemenze.”
Con quella battuta, il brusio
all’interno
del locale tornò pian piano a prendere corpo e Sherry
Kerrington, seguendo fino
al bancone la padrona del diner,
sorrise con il suo corredo di denti perfetti prima di dire:
“Ci proverei anche,
se servisse a qualcosa, ma credo che sarebbero più efficaci
le mie 44 Magnum.”
“Temo di sì,
tesoro” ammise la donna,
servendole subito un cappuccino. “Sei qui per
Mickey?”
Annuendo, Sherry
accavallò le
lunghissime gambe facendo frusciare la seta pura del tessuto dei
pantaloni e,
con tono gelido, affermò: “Sono qui per
impallinare lo stronzo che lo ha
portato via. Non me ne andrò finché non
avrò avuto questa soddisfazione.”
Un tossicchiare leggero
seguì la sua
affermazione e la fece volgere a mezzo, già pronta a
rispondere a tono a
chiunque avesse avuto da ridire con la sua determinazione a risolvere
il caso.
Quando, però, vide un
paio di agenti
dell’FBI seduti nelle vicinanze, sorrise melliflua, estrasse
dalla tasca della
giacca il suo tesserino di cacciatrice di taglie e lo lanciò
sulla superficie
liscia del loro tavolino.
“Sono
un’affiliata della NAFRA1, ho regolare porto
d’armi e ho all’attivo
ottantaquattro arresti. Sono cintura nera di karate, conosco il kenpo e
pratico
correntemente le MMA. Se volete, vi do’ anche la marca del
mio reggiseno. Vi
basta?” mormorò lei, ammiccando con fare
malizioso.
L’agente più
anziano diede una rapida occhiata al tesserino prima di
riconsegnarglielo e,
arcigno, replicò: “Non vogliamo teste calde o
gente dal grilletto facile, qui.
Ci sono già anche troppe persone nervose, in zona.”
Sherry afferrò
il tesserino per rimetterlo a posto e, nel sorseggiare il cappuccino,
ribatté:
“Non sono il Giustiziere della Notte, caro, e so fare molto
bene il mio lavoro.
Neppure mi vedrete. Inoltre, sono stata
assunta.”
“Potresti
essere mia figlia, per quanto sei giovane…”
protestò l’agente, accalorandosi e
alzandosi in piedi per raggiungerla al bancone. “…
quindi, vedi di mostrare…”
Sherry si
limitò a guardarlo. Non mosse un muscolo.
L’agente,
però,
lesse in quegli occhi bui qualcosa che andava oltre la semplice
spavalderia
giovanile e, senza terminare la frase, si rimise nervosamente a posto
il
giubbotto con i contrassegni dopodiché tornò a
sedersi.
Gilda sorrise
sottilmente mentre, sulla porta, l’agente speciale McCoy
commentava la scena
con un gran sorrisone.
“Sei arrivata
da quanto?... cinque minuti? E già dai fastidio ai miei
agenti?” esalò l’uomo,
avviandosi poi verso il bancone con la mano protesa.
Sherry allora
si aprì in un caldo sorriso di benvenuto, si
allungò per abbracciare a mezzo
l’uomo appena arrivato e replicò:
“E’ il mio fascino, Adam. Dovresti saperlo
che faccio uno strano effetto agli uomini.”
“Se intendi dire
che metà di loro vorrebbero portarti a letto, mentre
l’altra vorrebe spedirti all’obitorio,
posso crederti” ammiccò l’uomo,
scostandosi per poi salutare Gilda. “Hai
qualcosa di caldo anche per me? Stanotte è stata
infernale.”
“Per voi
ragazzi, sempre” chiosò la donna. “E
così, conosci la nostra fatalona?”
“La sua fama la
precede… non è un caso se mi ha fatto piacere che
i Larson l’abbiano assunta
per indagare” dichiarò McCoy, prima di lanciare
un’occhiata di avvertimento al
suo sottoposto. “Di certo, però, speravo che
arrivasse con qualcosa di meno
appariscente. Quel bolide lì fuori non va bene per girare
nei dintorni.”
“L’ho appena
ritirata dal concessionario! Dammi tregua, Adam!”
sospirò Sherry terminando il
suo cappuccino. “Non potevo rinchiuderla subito nel garage
senza neppure
provarla!”
“Immagino sia
uno spettacolo, da guidare” chiosò a quel punto
McCoy, lanciando un’occhiata
verso il parcheggio, dove già diverse persone stavano
ammirando la supercar
europea.
Digitando
velocemente un SMS sul cellulare – magicamente comparso dalla
clutch – Sherry
assentì distrattamente e
disse: “Giuro che è meglio di una notte di sesso.
O forse no. Magari sono io
che non ho ancora trovato l’uomo giusto… vai a
sapere. Per ora, comunque, mi dà
molte più soddisfazioni quel concentrato di cavalli e
carbonio che un uomo a cavallo su
di me.”
McCoy sorrise
divertito nel guardarsi attorno – era chiaro che alcuni dei
presenti avrebbero
voluto dimostrarle il contrario – ma, tornando serio, le
domandò: “Ti sei già
aggiornata sul caso?”
Lei assentì,
riassestandosi
in modalità operativa e, impassibile in viso,
replicò: “Scarterei a priori la
pista messicana. Dai miei contatti sul confine, non ci sono stati
movimenti di
minori nelle ultime ottantasei ore.”
“Tutti
i tuoi contatti?”
Sherry sollevò
innocentemente le sopracciglia arcuate, esalando sconcertata:
“Metti forse in
dubbio che io non abbia solo canali
ufficiali da cui attingere?”
McCoy scosse il
capo, preferendo soprassedere su quell’ultimo commento e
Sherry, scrollando una
mano dalle unghie corte e laccate di nero, aggiunse: “Per
farti felice, i miei
contatti non procurano denaro ai narcos.”
“E’
già
qualcosa” sospirò l’agente speciale.
“Dove ti posso trovare?”
“Soggiornerò
all’albergo dei Consworth. Comunque, avrò sempre
il cellulare acceso e, per
ogni evenienza, avrò con me anche il satellitare. Hai
già il numero, giusto?”
gli spiegò lei, sollevandosi con grazia dallo sgabello su
cui era rimasta
assisa fino a quel momento.
“Ce l’ho, non
temere. Ora dove vai?”
“A trovare
un’amica” ammiccò lei, uscendo dopo aver
lasciato una banconota da venti
dollari sul bancone.
Ancora silenzio
al suo passaggio, almeno finché la campanella appesa alla
porta non iniziò a
tintinnare quando il battente si richiuse. Fu a quel punto che Gilda,
sospirando, si guardò intorno per scrutare ammonitrice gli
uomini presenti e borbottare:
“Sembrate dei panetti di burro, adesso. Sciolto.”
McCoy scoppiò a
ridere, si gustò il suo cappuccino e assentì alla
padrona di casa.
Sì, Sherry
Kerrington poteva fare anche
quell’effetto,
sugli uomini.
***
Quando Emily
andò ad aprire la porta di casa e si trovò a
fronteggiare lo sguardo a lei
familiare di Sherry, non poté che sospirare di piacere e
sollievo.
Istintivamente
la abbracciò – era una delle poche persone con cui
riusciva a farlo senza
tremare di paura – e, sentendosi piccola e al sicuro, tra le
sue braccia,
mormorò: “E’ bellissimo
vederti.”
“Lo è anche
per
me” replicò la donna, dandole una pacca sulla
spalla prima di scostarsi per
fare le feste a Cleopatra. “E’ bellissimo vedere
anche te, amore mio. Dimmi… ti
è mancata la zia Sherry?”
Cleopatra le si
strofinò contro diverse volte prima di abbaiare allegra. In
quel mentre, fece
la sua apparizione anche Jamie, fresco di dopobarba e con la camicia
sbottonata
ad arte per mostrare una porzione di torace, il tutto senza apparire
volgare.
Sherry
socchiuse le palpebre con fare malizioso, avanzò sui tacchi
stratosferici e si
piegò verso Jamie per mormorare a pochi centimetri dalla sua
bocca: “Puoi anche
metterti nudo, piccolo mio, ma non verrò mai a letto con te.
Anche se sei un
bel bocconcino.”
Ciò detto, gli
stampò un bacio sulle labbra e sorrise subito dopo nello
scostarsi.
Jamie sospirò,
si richiuse la camicia con gesti melodrammatici e borbottò:
“Finché mi sentirò
un nano da giardino, al tuo cospetto, non riuscirò mai a
sembrarti interessante,
o anche lontanamente sexy.”
“Non è quello,
Jamie. L’altezza non mi ha mai disturbata”
replicò Sherry. “E’ perché ti
vedo
come un fratello.”
“Questa è
l’offesa peggiore che tu potessi farmi” si
lagnò Jamie, tornandosene in casa
con l’aria di un cane bastonato.
Emily e Sherry
risero di gusto, di fronte a un simile umor nero e,
nell’entrare in casa,
quest’ultima chiosò: “Mi spiace, ma
è la pura verità. Tuo fratello è un
bocconcino che assaggerei volentieri, ma sarebbe come andare a letto
con Gin.”
Pensando al
fratello maggiore di Sherry – attualmente impiegato nella
S.W.A.T. di Los
Angeles – Emily sorrise divertita e ammise:
“Sì, sarebbe un tantino strano, in
effetti. Gin come sta, a proposito?”
“Si è
raccomandato di fare un buon lavoro… come se fosse
necessario dirmelo” sbuffò
lei, scuotendo negligente una mano. “Tolto questo, so che ha
chiesto a Brandon
di sposarlo. Ha fatto il grande passo.”
“Wow”
esalò
Emily, facendo tanto d’occhi. “Sono fidanzati da
quanto? Sei anni?”
“Sette. Pare
che Gin si sia stufato di aspettare che lo facesse Bran,
così lo ha colto di
sorpresa e, complici i suoi colleghi, lo ha sequestrato
dall’ufficio con tanto
di blindato e gli ha fatto la proposta alla stazione di
polizia” ammiccò
divertita Sherry, facendo scoppiare a ridere Emily.
“Tipico di Gin”
esalò Emy prima di guardare all’esterno, in
direzione dei vicini e domandare
più seriamente: “Che sai del caso?”
“So tutto ciò
che c’è da sapere e, se pensi che sia il caso,
parlerò anche con Consuelo e
Samuel. Dovrebbero ricordarsi di me, perciò non dovrebbe
essere difficile
accettarmi in casa. So quanto la cosa possa turbare i
genitori” ammise Sherry, tornando
del tutto seria. “Pensi sia stato corretto dire a McCoy che
mi hanno assunto
loro? Perché non dire la verità?”
Scrollando le
spalle, Emily si limitò a dire: “Credo che si
sentiranno più tranquilli,
sapendo che c’è una faccia conosciuta, a indagare
sul caso. Inoltre, non volevo
dare a McCoy neppure mezza scusa per farmi la ramanzina e dirmi di non
impicciarmi.”
“Per me non
c’è
problema. Non piacciono neppure a me le ramanzine. Comunque, non hai
idea di
quanto mi sia scervellata, da quando Adam mi ha mandato i file
sull’indagine!”
sbottò a quel punto Sherry. “Niente mi fa pensare
che il bambino possa trovarsi
lontano da qui, ma non ho davvero idea di chi possa averlo
preso.”
Emily non poté
che assentire, comprendendo bene le sue parole. Da quando avevano
iniziato a
investigare, era parso chiaro a tutti quanto, quel caso, sarebbe stato
di
difficile soluzione.
Se, quando era
stata rapita lei, le trattative erano iniziate quasi subito, con Mickey
non si
sapeva più nulla da giorni e, quel che era peggio, nessun
tipo di traccia era
risultata emergere dalle indagini preliminari.
Parlare con
Samuel e Consuelo, forse, non avrebbe portato a nulla di nuovo ma, per
lo meno,
avrebbe dato una speranza in più ai coniugi o, quanto meno,
la certezza che vi
fosse una persona di fiducia nella cerchia di coloro che stavano
cercando
Mickey.
***
In ben poche
occasioni aveva visto il terrore dipinto sul volto del fratello, ma
Parker fu
abbastanza sicuro che quel giorno fosse una di quelle volte.
Rick appariva
pallido e chiaramente stressato, neanche fosse passato attraverso le
forche
caudine, e non avesse semplicemente percorso quarantacinque miglia da
Denver
fino a lì.
Quando si
avvicinò a lui – che stava terminando di fornire i
suoi dati alla polizia per
poter entrare in paese – Parker gli fece un cenno con la mano
a mo’ di saluto
dopodiché lo attese sul marciapiede.
Dietro un’auto
parcheggiata.
Aveva idea che,
se Rick avesse potuto, lo avrebbe tirato sotto con la Chevrolet
Chevelle SS1970
di sua proprietà. Gran macchina quanto a cavalli ma, per
quel che riguardava la
tenuta di strada sul bagnato… beh, non faceva specie se Rick
aveva l’aria un
po’ sconvolta.
Soprattutto,
visti i suoi precedenti coi temporali.
Il motore V8
fece sentire tutti i suoi cavalli, quando Rick rimise in moto per
raggiungerlo
e Parker, nonostante la situazione orribile in cui si trovavano, si
godette il
pensiero di riavere accanto il fratellino.
Con Quentin si
sentivano spesso e andavano d’accordo ma, sostanzialmente, il
fratello di mezzo
era maggiormente legato alla terra e all’agricoltura di
quanto non lo fossero
lui o Rick.
Quentin amava
vivere nell’azienda agricola di famiglia, mentre loro erano
praticamente
fuggiti in città per iniziare a lavorare non appena
l’età – e i soldi – glielo
avevano concesso.
Inoltre,
essendo il maggiore dei tre, lui si sentiva particolarmente protettivo
nei
confronti di Rick, pur se gli pareva assurdo anche il solo pensarlo. Il
fratello aveva già ventinove anni, era alto come una pertica
– lo superava di
mezza testa – e aveva il fisico di un lottatore.
Certo, se lo
avessero messo alla prova, avrebbe dimostrato quanto
poco ci sapesse fare con pugni e schiaffi ma, in una
situazione d’impasse, era sempre solito cavarsela con il solo
sguardo.
Nessuno aveva
voglia di finire pestato da un uomo di quella stazza, anche se
quell’uomo in
particolare non avrebbe fatto del male a una mosca.
“Ehi, Rick…
ben
arrivato” esordì Parker non appena lo vide
accostare l’auto e scendere con aria
fiacca.
“E’
già tanto
che io sia giunto fin qui” sospirò lui, allargando
il colletto della camicia
con l’indice, come a farsi aria. “In valle si
è scatenato un autentico
fortunale. L’auto andava dove voleva, il vento le dava una
mano e i fulmini
sembravano volermi friggere prima del tempo.”
“Mi spiace tu
abbia avuto un viaggio così schifoso”
mormorò Parker, dandogli una pacca sulla
spalla.
Sospirando,
Rick scosse il capo e replicò: “Ti dispiacerai di
più quando ti avrò detto cosa
ho fatto.”
“In che senso?”
volle sapere Parker, accigliandosi immediatamente.
“Ho pensato
molto alle tue parole di ieri notte, così stamattina
– prima di partire – ho
inviato una e-mail a Stuart, dicendogli tutto quello che pensavo di
lui” ammise
Rick, accennando un sorrisino timido. “Ti ho anticipato, e
gli ho mandato una
lettera in cui gli dicevo che rassegnava mole dimissioni.”
Parker fece
tanto d’occhi, a quella notizia del tutto imprevista e il
fratello, ben deciso
a vuotare il sacco, aggiunse: “Mi sono detto che avevi
ragione, che Stuart
aveva approfittato di noi fin troppo, e che era giunto il momento di
dire
basta.”
“Che mi venga
un colpo… ma anche no” gracchiò Parker
prima di scuotere il capo, lasciarsi
sfuggire una risatina nervosa e aggiungere: “Beh, giuro che
non ho parole! E io
che pensavo che la mia decisione ti avesse scioccato a morte!”
Rick reclinò
colpevole il capo – cosa piuttosto inutile, visto quanto era
alto – e borbottò:
“Ho pensato si fosse reso necessario. Per più di
un motivo, in effetti.”
“Ora mi
incuriosisci” ammiccò Parker.
Grattandosi nervosamente
la nuca, Rick dichiarò colpevole: “Prima che tu mi
chiamassi, quando ero ancora
in ufficio, temo di averlo insultato piuttosto pesantemente, quando
l’ho
sentito mandarti a quel paese… visto, soprattutto, che ha
usato parole molto più
pesanti di così.”
Scoppiando in
una risatina divertita, Parker gli diede una pacca sul braccio,
asserendo: “Sai
che è uno stronzo. Ma mi fa piacere che questo abbia
contribuito a sbloccarti.”
“Ehm… gli ho
anche messo le mani addosso” aggiunge quindi Rick, ora
diventando rosso come un
peperone.
Parker, a quel
punto, sbarrò nuovamente gli occhi e, un po’
più serio, domandò: “Che cosa ha
detto, esattamente? E tu
cos’hai
fatto, esattamente?”
“Ha offeso
anche la mamma… così non ci ho più
visto” scrollò le ampie spalle Rick
cercando, sempre inutilmente, di farsi piccolo piccolo. “La
tua chiamata, e
l’offerta di Mr. Cunningham, mi hanno solo convinto una volta
di più a chiudere
del tutto i ponti.”
Sbuffando
un’imprecazione tra i denti, Parker si adombrò in
viso e chiosò: “Beh, spero tu
gli abbia fatto molto male. La mamma non si tocca. A
prescindere.”
“L’ho solo
scosso un po’ ma, visto che tutti lo avevano sentito
ingiuriare pesantemente
nostra madre, lui non ha potuto fare lo gnorri. Mi ha solo detto che mi
avrebbe
detratto dallo stipendio le spese per la tintoria dove avrebbe portato
la
camicia, poi se n’è andato.”
Parker ci pensò
sopra un momento prima di domandare: “Se lo hai solo scosso
un po’, cosa
c’entra la tintoria?”
“Inavvertitamente,
potrei averlo scosso contro uno dei miei pugni e avergli rotto il
naso” ammise
con candore Rick, portandolo a ridere sguaiatamente.
Dandosi una
manata leggera sulla fronte, Parker esalò: “E non
ti ha denunciato? E’ un
miracolo!”
“Solo perché
ha
cominciato lui per primo, dandomi uno spintone quando gli ho detto di
non
offenderti” ammise il fratello. “Inoltre, nessuno
ama particolarmente Stuart,
là dentro, perciò non avrebbe ottenuto che
ostracismo, se mi avesse denunciato.
Stando così le cose, forse non vedremo l’ultimo
stipendio.”
“Mi importa
poco” sbottò Parker. “Ora ti porto da
Gilda per farti preparare una degna
colazione, dopodiché andremo a trovare Emily e
Sherry.”
Arrossendo
leggermente, Rick esalò: “Ah… miss
Kerrington è già arrivata?”
Parker ammiccò
al suo indirizzo e, annuendo, chiosò:
“Oh… eccome
se è arrivata.”
***
Parlare con
Consuelo e Samuel era stato snervante e doloroso per più di
un motivo. Per
quanto volesse apparire una dura, all’esterno, detestava
veder soffrire le persone
e, più ancora, le giovani madri.
Quando poi ci
si mettevano i padri, a star male, allora perdeva il controllo, e
vedere Samuel
abbracciare stretto la sua cucciolina mentre parlava di Mickey, era
stato come
prendere un proiettile nel petto.
Sherry
detestava quella parte del suo lavoro, perché doveva
barricarsi per non
soffrire come un cane e, ogni volta, era sempre peggio. O stava
perdendo
mordente, oppure il suo cuore aveva iniziato a farsi di burro, il che
avrebbe
voluto dire cambiare mestiere entro i prossimi cinque - sei anni.
Di certo,
sapere dalla coppia di non avere – almeno
all’apparenza – nessun nemico, né
parenti che potessero vantare diritti su Mickey, non l’aveva
sorpresa. Le poche
indagini che aveva condotto prima di raggiungere Nederland
gliel’avevano
praticamente confermato.
Sentirlo da
loro, comunque, era stato un sollievo. Le indagini andavano bene, ma le
notizie
di prima mano erano le migliori.
Restava solo da
capire chi potesse aver avuto un interesse così personale nei confronti di Mickey, tale
da spingerlo, o spingerla a rapirlo.
Le adozioni illegali
rimanevano sempre all’apice dei suoi interessi, eppure
qualcosa non quadrava.
“Sembri davvero
turbata, stamattina” chiosò Emily, dando di gomito
all’amica.
Sherry si
riscosse dai pensieri che l’avevano strappata alla
passeggiata che aveva
intrapreso quella mattina assieme a Emy e Cleo e, sorridendo a mezzo,
ammise:
“Sto diventando una pappamolle. Pensavo a come Sam ha
abbracciato la sua
piccolina, e mi sono sciolta.”
Sorridendo di
rimando, Emily ammise: “Samuel è davvero un padre
adorabile, ma credo che
stavolta il problema dipenda dal fatto che conosci
la coppia, anche se non in maniera approfondita. Fa sempre la
differenza.”
“Può anche
darsi” ammise Sherry prima di bloccarsi a metà di
un passo, osservare il
parcheggio del diner e dichiarare:
“Ci vedo male, o laggiù c’è
una Chevrolet Chevelle SS1970?”
“Non me ne
intendo come te, ma credo di sì” asserì
Emily, fissandola piena di curiosità.
“Perché? Quell’auto non ti
piace?”
Sherry la fissò
come se lei avesse appena imprecato e, ironica, replicò:
“E’ da queste cose che
capisco che tu non sei come Jamie.”
“Voi due siete
malati, è un po’ diverso”
sottolineò per contro Emily, trascinandola
praticamente con sé. “Sembra che tu stia guardando
un bell’uomo, e non un
ammasso di lamiere e…”
L’amica le
tappò la bocca con una mano e, gelida, ribatté:
“Non osare mai più
dire che questa bellezza è un ammasso di lamiere,
perché
altrimenti ti depennerò da facebook
e
twitter. Questo gioiellino
è
semplicemente perfetto!”
Ciò detto, si
avvicinò all’auto e
l’accarezzò con dita leggere, saggiandone sotto le
dita la
verniciatura perfetta – color blu oltremare come i suoi
occhi.
Sembrava essere
appena stata incerata, e persino i paraurti in acciaio lucidato
parevano nuovi
di zecca.
Sherry apprezzò
la scelta di modificare le luci, utilizzando fari più
moderni ma in linea con
lo stile retrò dell’auto e, nel solleticare uno
degli anelli per lo sgancio
rapido del cofano, sorrise beata e disse: “Chiunque segua
questa bellezza, ha
tutto il mio plauso.”
“Grazie”
mormorò una voce tenue e timida alle sue spalle.
Subito, Sherry
si volse a mezzo per capire con chi avesse a che fare, mentre Emily
salutava
con un cenno e un sorriso Rick e Parker Jones.
Assottigliando
le palpebre – quel giorno truccate con un elegante effetto smokey eyes – Sherry
squadrò dal basso all’alto, e viceversa,
l’uomo a pochi passi da lei e, sorridendo melliflua,
allungò la mano destra e
disse: “Rick Jones, …che piacere rivederti. Non
sapevo avessi gusti così
sopraffini in fatto di auto.”
“E’ una
passione
di famiglia” ammise Rick, stringendole le dita prima di
accennare un formale
baciamano. “E’ un piacere rivederla, miss
Kerrington.”
“Il piacere è
reciproco. E denoto che ancora usi le forme di cortesia, con
me” mormorò roca
lei, sbattendo le lunghe ciglia scure prima di aggiungere:
“Non mi presenti
all’uomo al tuo fianco?”
Solo a quel
punto, Rick si ricordò della presenza di Parker e, un
po’ goffamente, si volse
a mezzo per indicare Parker e presentarlo formalmente a Sherry, la
quale
strinse la mano protesa dell’uomo con calore e determinazione.
“Avete già
fatto colazione, per caso?” domandò quindi Sherry,
indicando il diner di Gilda.
“Possiamo
tornare dentro per un bis. In effetti, Rick ha bisogno di un
po’ di caffè. Il
viaggio per venire qui è stato un po’…
movimentato” dichiarò lesto Parker,
dando una pacca sulla spalla al fratello.
Scostando
immediatamente lo sguardo per riportarlo su Rick, Sherry
domandò: “Come mai? Problemi
in strada? O sei incappato in un incidente?”
“La tempesta,
più che altro, ha creato difficoltà”
ammise Rick mentre Sherry, con
naturalezza, incuneava un braccio sotto quello dell’uomo per
riaccompagnarlo
all’interno del diner.
Così facendo,
Sherry si accostò completamente a lui – facendolo
tra l’altro avvampare come un
cerino – e, mentre la coppia si avventurava nel locale di
Gilda, Parker si
attardò con Emily per chiosare: “E’
davvero la prima volta in assoluto che una
donna mi snobba come se fossi solo carta da parati.”
Cercando di
trattenere una risatina, Emy replicò: “Avevo
notato già cinque anni fa che, tra
loro, sembrava esserci stato qualcosa ma, da quello che Sherry mi disse
in
seguito, lei e tuo fratello non si videro più.
Evidentemente, quel qualcosa
è rimasto lì a covare per tutto
questo tempo.”
“Non saprei. So
soltanto che, quando l’ho chiamato ieri sera e gli ho
accennato alla presenza
di Sherry, non solo si è preparato per partire, ma ha
mandato al diavolo il
nostro capo e gli ha lasciato le nostre lettere di
licenziamento” dichiarò
Parker, aprendole la porta del diner
per farla entrare.
Emily fece
tanto d’occhi ed esalò: “Vi
siete… licenziati?
E ora come farete?”
“Ho qualche
progetto in cantiere” le strizzò
l’occhio lui prima di sussurrarle: “Che dici?
Li lasciamo soli al tavolo? Tanto, non credo che noteranno la nostra
mancanza.”
“Lasciamoli
stare” assentì Emily, accomodandosi al bancone
assieme all’amico prima di
ordinare cappuccino e pancake al miele.
Gilda la servì
in breve tempo e, nell’accostare al piatto della cliente
anche una caramella
mou – le preferite di Emily – dichiarò:
“Non ricordavo quanto quei due se la
intendessero! E dire che ho buon occhio per queste cose.”
“Ma passavano
così tanto tempo assieme?” si informò
Parker, sempre più sorpreso.
Di tutto il periodo
che Rick aveva passato a Nederland cinque anni addietro, Parker aveva
saputo
ben poco, a parte qualche scarno riassunto riguardante i dati tecnici
della
casa da lui ammodernata.
Di Sherry,
soprattutto, aveva saputo poco o niente anche se, con il senno di poi,
Parker
aveva notato quanto, il suo ritorno da Nederland, fosse coinciso con un
periodo
alquanto ombroso del fratello.
Rick gli era
parso distratto e lagnoso e, più di una volta, si era
chiesto se Stuart gli
avesse per caso propinato qualche lavoro antipatico da svolgere.
Era mai possibile
che aver interrotto i contatti con Sherry Kerrington lo avesse
angustiato così
tanto? E poi, perché non
si erano più
sentiti, da quando si erano lasciati a lavoro finito?
Qualcosa era
andato storto, nel loro rapporto? Avevano per caso litigato?
“Terra chiama
Parker…
ci sei?” ironizzò Emily, battendogli una mano sul
braccio.
Sobbalzando
leggermente, lui le sorrise contrito e ammise: “La mia testa
stava già
vagliando mille e più scenari su quei due. Scusa. Ho il
vizio di analizzare le
persone.”
“Lo facesti
anche con me?” si incuriosì lei.
“Oh, sì. Capii
subito che non eri di qui. Avevi qualcosa di diverso, di
speciale… quasi di
regale” ammise lui, sorprendendola. “Insomma, si
vedeva che eri nata in una
famiglia bene.”
“Oh, bella!
Questa non la sapevo” esalò Emily, guardandosi la
maglietta a maniche lunghe,
la camicia di cotone stretta in vita e i jeans lisi. “Dopo
dovrai spiegarmi da
cosa l’hai capito… ora, però, voglio
godermi la colazione. Più tardi, ci
aspetta il pattugliamento sopra Eldora assieme a un bel gruppo di
volontari,
perciò devo essere in forze.”
Lui assentì ed
Emily, dopo un istante, aggiunse: “Per rispondere alla tua
domanda, non ho mai
chiesto troppo a Sherry, ma sembrava affascinata
da tuo fratello,… e viceversa. Ma quello lo trovo meno
strano.”
“In che senso?”
“Non
fraintendermi. Vostra madre ha fatto un ottimo lavoro, con voi ragazzi
Jones…”
sorrise Emily, indicandolo con la forchetta ricolma di pancake.
“…ma Rick non è
l’uomo tipico con cui bazzica di solito Sherry.”
“E quale
sarebbe il suo tipo?” si informò allora Parker.
“Ecco, a ben
pensarci, tutto tranne che un caro, gentile ed educato uomo di campagna
trapiantato in città” ammise Emily.
“Sherry, per svariati motivi, è sempre
stata una donna attiva e indipendente, eppure sembra che le attenzioni
di Rick
le piacciano. E’ curioso.”
“Voglio
chiedertelo… ma Sherry è il diminutivo di
Sheridan?”
“No. E’ proprio
Sherry, come il liquore alla ciliegia” sottolineò
Emily, sorprendendo l’amico.
“Esattamente come suo fratello Gin, si chiama così
perché sua madre… beh, amava
alzare spesso il gomito con quei liquori, così ha pensato
bene di chiamare i
figli con il nome delle bevande che tanto amava.”
Parker si fece
serio in volto e l’amica, sorseggiando pensierosa il
cappuccino, ammise: “Non
hanno avuto un’infanzia facile, quei due, e sono sempre stati
l’una la famiglia
dell’altro, visto che la madre era più ubriaca che
sobria, e il padre era
troppo spesso via col camion per esserci per loro. Ancora mi domando
come Riley
– la loro madre – sia riuscita a non farseli
togliere dai Servizi Sociali.”
L’uomo lanciò
uno sguardo in fondo al locale, dove Rick stava ascoltando con
attenzione il
chiacchiericcio di Sherry, del tutto protesa verso di lui in una posa
inequivocabile. Ancora un po’, e le loro teste avrebbero
cozzato l’una contro
l’altra.
Era più che
evidente che, tra i due, vi era un’indubbia
affinità perciò, ancora una volta,
si chiese cosa non fosse andato, cinque anni addietro.
Al momento,
però, quel segreto avrebbe dovuto rimanere tale. Avevano un
bambino da
ritrovare, e neppure un minuto di tempo da perdere.
1
NAFRA: National
Association of Fugitive Recovery Agents. E’
l’associazione che
si occupa di rappresentare i Cacciatori di Taglie.
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
16.
Intenta a sistemare i lacci degli
scarponi da
trekking, Sherry levò il capo non appena scorse un'ombra
avvicinarsi a lei e,
con un mezzo sorriso, disse al nuovo arrivato: "Ciao…
Parker, giusto? Il
fratellone di Rick."
"Non so se sono più
sconvolto all'idea che tu non
sia sicura della mia identità, o dal fatto che mi riconosci
solo perché sono
il fratello di. Solitamente, avviene il contrario"
ammiccò
l'uomo, sedendole al fianco mentre, tutt'attorno, il campo base ferveva
di
attività e i volontari sembravano pronti a scalare decine di
montagne, pur di
ritrovare Mickey.
Poco lontano, impegnati con un paio
di agenti
dell'FBI, Emily, Jamie e Rick stavano annuendo a più riprese
a ciò che veniva
detto loro. Che fossero raccomandazioni oppure ordini, non gli era dato
sapere.
"Posso immaginare che, tra i due,
tu sia il più
appariscente..." replicò dopo alcuni istanti di silenzio
Sherry,
ammiccando al suo indirizzo. "...e che, anche a causa della sua
timidezza,
Rick rimanga in secondo piano, ma a me interessa lui. Spero che la cosa
non ti dispiaccia."
Parker rise nello scuotere il capo
e, aggiustandosi il
cappellino che teneva in testa, asserì: "Mi fa piacere che
una donna come
te si sia accorta di lui, perché vuol dire che esiste ancora
l'intelligenza, a
questo mondo. Penso che Rick sia stato molto sottovalutato dal genere
femminile. Ma, per voler sfatare qualsiasi dubbio, quando parlo di
donne come te intendo dire donne
sagaci e
affascinanti."
"Sono d'accordo. Per entrambe le
tue supposizioni"
ammiccò a quel punto Sherry, facendolo ridere sommessamente.
"Allora, perché non vi
siete più sentiti, da
cinque anni a questa parte?" gli domandò a bruciapelo lui,
scrutandola nei
profondi occhi blu oltremare.
Questi non mostrarono alcun segno
di offesa o
preoccupazione e, per qualche strano motivo, Parker ne fu lieto. Non ne
era del
tutto sicuro, ma aveva il dubbio che Sherry avrebbe potuto ammazzarlo
con il
semplice uso di una limetta per unghie... e lui non voleva testare
quell'ipotesi.
Stranamente, sul volto stupendo
della donna si formò
un dolce e dolente sorriso e, mentre Sherry osservava la figura alta e
imponente di Rick che, paradossalmente, sembrava quasi sparire dietro a
quella
di Jamie Poitier, ben più appariscente di lui, ammise: "Ha
reputato che lo
volessi prendere in giro."
"Come?" esalò sorpreso
Parker, facendo tanto
d'occhi.
Scrollando le spalle, Sherry
aggiunse: "Mi disse
che una donna come me, e lui
intendeva solo affascinante
– la
sagacia non faceva parte del pacchetto, a quanto pare – non avrebbe mai e poi mai
potuto apprezzare
uno come lui, perché Rick si credeva - a torto - poco
interessante e
mortalmente noioso. Parole sue, non mie."
"Oh, non faccio fatica a crederti.
So bene che si
ritiene insignificante" borbottò Parker, lanciando
un'occhiata obliqua
alla schiena del fratello.
Sapeva bene che Rick non aveva mai
avuto molta fiducia
in se stesso, specialmente in ambito sentimentale, ma davvero non lo
aveva
creduto il tipo da sbattere fuori dalla sua vita una donna come Sherry
Kerrington.
"Ebbene,... lo mandai al diavolo,
dicendogli che
non avrei perso tempo a spiegarli perché una
come me poteva
apprezzarlo meglio di tante altre donne qualunque."
"Spero che non sia stato offensivo,
quando ha
usato le parole 'donna come te'…
giusto per essere sicuri fino a
quale livello di stupidità si sia spinto" domandò
dubbioso Parker,
portandola a sorridere divertita.
"Non mi ha dato della donna
leggera, tranquillo.
Ha solo insinuato che fossi troppo bella, e troppo in
carriera, per accontentarmi di un semplice ingegnere alle
dipendenze di un piccolo Studio come il vostro."
Il tono fu sarcastico, ma
nascondeva anche un profondo
dolore. Sherry ne era evidentemente rimasta devastata, più
di quanto Parker si
fosse onestamente aspettato.
"Quell'idiota..."
bofonchiò Parker.
"Pur se posso in parte capirlo. Tu potresti avere tutti gli uomini che
vuoi. E non lo dico per farti incazzare, sia chiaro."
"Capisco cosa intendi dire, e non
ho mai fatto
mistero di apprezzare ciò che Madre Natura mi ha dato. Serve
anche per il mio
lavoro, lo ammetto" sospirò lei, dandosi un leggero colpetto
coi palmi
delle mani sui seni morbidi. "Avevo pensato che lui fosse diverso,
visto
che non mi era sembrato il tipo da ammirare soltanto il pacchetto
regalo."
"Perché?"
Lei sorrise mesta, ammettendo: "Non
ci provò mai,
con me."
"Immagino sia una
novità" sottolineò lui.
"Abbastanza. Questo mi
portò ad abbassare la
guardia, a essere più spontanea rispetto a quanto non avrei
fatto normalmente
e, facendo questo, pensai di averlo portato a rilassarsi, a non essere
così
sulle sue. Invece, sbagliai. Lo baciai, durante uno dei nostri ultimi
sopralluoghi. Eravamo soli, c'era uno stupendo tramonto che si
rifletteva sul
lago, l'ambientazione era perfetta e io desideravo fargli capire che mi
sarebbe
piaciuto proseguire la nostra conoscenza anche a lavori finiti, ma lui
interpretò male il mio gesto."
Passandosi una mano sul volto,
Parker sbuffò e disse:
"E' un uomo del sud, Sherry. Fissato con il primo passo, le rose al
primo
appuntamento e robe così. Mia madre lo ha tirato su a suon
di regole sul bon
ton da tenersi con una donna, e lui ha imparato fin troppo bene le sue
lezioni."
"Tuo padre non ci ha messo becco?"
esalò
Sherry, vagamente sorpresa.
"E mettersi contro mia madre nella
crescita dei
suoi pargoli?" ironizzò Parker. "Mio padre non è
scemo.
Credimi."
Sherry allora rise sommessamente e
Parker, tornando
serio, aggiunse: "Scherzi a parte... penso tu lo abbia sinceramente
sconvolto. Non è abituato a essere al centro delle
attenzioni di una donna e,
quei pochi approcci che ha avuto, sono avvenuti con donne del paesello
di
provenienza, che non avevano davvero nulla a
che fare con
te."
"Non riesco a capire se sia una
cosa bella o
brutta" ammise Sherry.
"Non fraintendermi... erano tutte
ragazze carine
e delicate, dai modi educati e il sorriso dolce, ma erano remissive e
hanno
sempre atteso una sua mossa, prima
di
aprirsi e, alla fine dell’opera, non erano adatte a lui,
quindi la cosa è
finita prima ancora di cominciare. Lui cercava qualcosa che, quelle
ragazze,
non potevano dargli, e viceversa. In città, però,
tutto era così diverso e, per
certi versi, così spaventoso, che Rick ne rimase
traumatizzato. L'università
non fu una bella esperienza, per lui. Essendo timido, fu spesso oggetto
di
scherzi più o meno beceri da parte di alcuni membri di una
confraternita e, tra
questi scherzi, ve ne fu uno davvero meschino."
Parker sospiro e Sherry, iniziando
a comprendere,
sospirò a sua volta, tornò con lo sguardo alla
figura di Rick e mormorò:
"Una donna come me – e adesso mi rifaccio alla sua
descrizione – lo attirò in un tranello,
giusto?"
"Già. Colpito e
affondato. Lui ne era
affascinato, e lei approfittò della cosa per fare contento
il capo della confraternita.
Iniziò una relazione con Rick e, per qualche tempo, lo vidi
felice come mai era
stato... ma non durò."
"Cosa gli fecero?"
domandò Sherry con il
gelo nella voce.
"Di per sé, una cosa
sciocca, ma questo per poco
non lo annientò. Lei lo invitò ad andare nella
sua stanza per una serata
speciale ma, quando arrivò, la trovò a letto con
il capo della confraternita.
Se la risero, quando lo videro sulla porta, sconvolto e ferito, e la
cosa andò
avanti per giorni. Settimane. Saltò un semestre ma, alla
fine, terminò gli
studi, ben deciso ad allontanarsi per sempre da quel mondo meschino."
Con un sorrisino, Parker aggiunse:
"Nostra madre
lo avrebbe ucciso, se Rick avesse permesso a una sciocca e vacua
donnicciola -
parole sue - di mettergli i piedi in testa e impedirgli di terminare
gli studi,
così lui tirò dritto e lo fece. Ma
soffrì ogni giorno."
Sospirando, Sherry si premette
pollice e indice
sull'attaccatura del naso, quasi a voler scacciare un'emicrania, e
borbottò:
"E io ho fatto proprio l'unica
cosa che non avrei
dovuto fare."
"Non potevi saperlo...
perché immagino non ne
abbiate mai parlato, vero?"
"No, affatto! Mi parlò
della vostra fattoria, di
come Quentin si fosse preso sulle spalle le sorti dell'azienda di
famiglia, di
come tu ti stessi facendo onore sulle piattaforme petrolifere... di
come
apprezzasse i pasticci di carne di vostra madre, o del fatto che fare
una
passeggiata a cavallo, la mattina con la neve, fosse una delle
esperienze più
belle della sua vita."
Le ultime cose le disse con un
sorriso e Parker,
annuendo, asserì: "Rick è il più bravo
di noi, con i cavalli. Neppure
Quentin ha il suo tocco e, se a Rick non fosse piaciuto così
tanto progettare
case, avrebbe potuto fare l'allevatore o addirittura l'allenatore
equestre.
Dovresti vederlo, quando cavalca. Sembra che lui e l'animale diventino
una cosa
sola."
Sherry assentì,
mormorando: "Lo avevo capito da
come me ne parlava."
Parker a quel punto le sorrise, le
diede una pacca
sulla spalla nell'alzarsi e disse: "Quando ha saputo che saresti venuta
-
gliel'ho spifferato io, tra l'altro - ha fatto i bagagli, si
è licenziato ed è
venuto qui a tutta velocità, nonostante lui detesti guidare
in mezzo ai
temporali. Sembrava un fantasma, quando è arrivato a
Nederland, tanto quel
temporale lo ha scioccato, ma è arrivato qui per
te. Secondo me,
vuol dire qualcosa."
Sherry sorrise lieta e vagamente
gongolante e, nel
sollevarsi a sua volta, domandò a Parker: "Come mai questa
idiosincrasia
nei confronti dei temporali?"
"Lui e Quentin si persero in
montagna, una notte,
per colpa di una stupida sfida. Passarono la notte in una rientranza
rocciosa,
bagnandosi come pulcini e rabbrividendo a causa del vento forte e dei
fulmini
che colpirono la zona. Quando li trovammo, non parlarono per una
settimana, a
causa dello shock. Da quel giorno, sia lui che Quentin evitano i
temporali come
la peste."
La donna sbatté le
palpebre per la sorpresa, il suo
sorriso si fece ancora più accentuato e, nel rivolgere
un'occhiata piena di
desiderio alla figura inconsapevole di Rick, domandò: "Come
dovrei
approcciarlo, quindi, secondo te?"
"Io credo che, dopotutto, abbia in
mente qualcosa
lui stesso. Lascialo fare. Se si è spinto a mandare all'aria
ogni sua certezza
- e mia, visto che ha lasciato una lettera di dimissioni anche per me
-, credo
che abbia le idee chiare in merito. Non farà più
passare cinque anni."
"Lo spero... perché,
altrimenti, sarà lui il
prossimo a essere rapito" gli promise Sherry, avviandosi a passo di
carica
in direzione di Emily.
Parker sorrise a mezzo, si
passò svogliatamente le
unghie sulla camicia di cotone e chiosò beffardo: "Di questo
passo, potrò
aprire uno studio di consulenze amorose. Farei soldi a palate."
***
Jordan Poitier era accomodato a uno
dei tavolini da
giardino dell'albergo, quando vide comparire Anthony in tenuta
sportiva.
Sembrava pronto a unirsi ai volontari che, quel giorno, si sarebbero
diretti
verso Eldora e, sul suo volto, era evidente l'irritazione.
Quando, però, lo
salutò, lo fece con assoluta
cordialità, dimostrando una capacità di
autocontrollo davvero impressionante.
Jordan, comunque, non faticò a comprendere da dove fosse
sorto il nervosismo
del giovane; non aveva potuto non notare i rapporti tesi tra lui e il
padre, e
di questo si era spiaciuto.
Era evidente, almeno ai suoi occhi,
quanto Anthony
meritasse rispetto e appoggio, ma il vecchio Consworth sembrava non
rendersi
conto della perla rara che aveva tra le mani.
Un giovane così capace
che, non solo non aveva
abbandonato quel piccolo paese di montagna per fare fortuna in pianura,
ma
desiderava ampliare i servizi dell'albergo per cui lavorava - e di cui
un
giorno forse sarebbe divenuto proprietario - avrebbe dovuto essere
sollecitato
a credere nei propri sogni. Nelle proprie vedute progressiste.
Da quel che aveva potuto capire,
invece, i progetti
del giovane venivano puntualmente rifiutati, e questo portava padre e
figlio a
continue liti, liti che spesso fuoriuscivano dalle pareti dello studio
privato
del titolare per finire sulle bocche dei dipendenti.
Dipendenti che, in tutta
onestà, Jordan era quasi
certo rimanessero per il bene di Anthony, non tanto per il posto sicuro
offerto
dall'albergo.
"Buongiorno, Jordan. Vedo che hanno
già
provveduto a servirti la colazione" esordì Anthony, ligio al
patto stretto
tra di loro.
Nessuna formalità,
nessun tipo di sudditanza
psicologica. Erano solo due uomini che amavano la stessa donna, pur se
in modo
diverso, perciò tra loro non poteva che esservi rispetto
reciproco e reciproco
appoggio.
"Buongiorno a te, Anthony.
Sì, ed è tutto
buonissimo... anche se credo che, quando arriverà Margareth,
mi negherà i
cornetti. Sai, troppo burro" ironizzò l'uomo, sorridendogli
divertito.
Tony ammiccò
comprensivo, annuendo. "Temo che, se
tua moglie assomiglia anche solo vagamente a Gilda, quanto a carattere,
i
cornetti potrai davvero scordarteli."
Ridendo sommessamente, Jordan
annuì complice,
ammettendo: "Sì, temo che quelle due andranno dannatamente
d'accordo... e
tutto a discapito mio."
"Vedrò di trafugare un
cornetto ogni tanto,
quando mi sarà possibile" gli promise Anthony. "Sai quando
arriverà?"
"L'aereo dovrebbe arrivare a Denver
venerdì
mattina, perciò mi aspetto di vederla arrivare entro
mezzogiorno" gli
spiegò Jordan, terminando il suo cappuccino prima di levarsi
in piedi. "Ho
ancora due giorni di libertà, in pratica."
"E' dura la vita di chi ha una
donna forte al
proprio fianco" chiosò Anthony, sorridendo divertito.
"Cooper adora
Gilda, e il loro matrimonio dura da quasi quarant’anni, ma le
loro liti sono
epiche, da queste parti. Hanno un matrimonio chiassoso, per dirla in
maniera
simpatica."
"Spero senza lanci di piatti."
"Niente guerra dei Roses"
assentì Anthony,
facendosi serio. "A volte penso che, se mia madre si fosse mostrata
più di
polso, non saremmo arrivati a vederla sparire da un giorno all'altro."
"Ci si deve nascere, con un
carattere combattivo,
ragazzo. Si può migliorare, ma una simile tenacia devi
averla dentro"
dichiarò Jordan, battendogli una mano sulla spalla.
Anthony annuì, si
sistemò nervosamente lo spallotto
dello zaino che portava sulla schiena e mormorò: "Scusa se
ho tirato in
ballo mia madre. Detta così, può sembrare mille
cose, e non vorrei che tu
pensassi che..."
"Se ti andrà di
parlarmene, sarò qui ancora per
un po'" si limitò a dire Jordan. "Ora, vado a prendere
Cleopatra per
una passeggiata. Visto che Emy l'ha lasciata a casa, è
giusto che mi prenda
cura io di lei."
Anthony assentì, lo
ringraziò in un sussurro e poi si
diresse a grandi passi verso il suo pick-up, pronto a unirsi ai
volontari di
quel giorno.
Jordan preferì non
dirgli di occuparsi di Emily, e per
più di un motivo. In primo luogo, perché Anthony
lo avrebbe fatto in ogni caso.
Secondariamente perché,
proprio come aveva detto il
giovane poco prima, la donna che lui desiderava avere al fianco era
forte e
tenace, anche a dispetto del terribile trauma subito in
gioventù. Se Emily
avesse avuto bisogno di loro, lo avrebbe chiesto.
Non era necessario proteggerla come
se fosse stata
fatta di porcellana. Non lo era, né mai lo era stata.
***
I vari 'Mickey,
dove sei?!' oppure
i 'Mickey, esci fuori!' dei
primi giorni erano stati
sostituiti dal silenzio della foresta, il fruscio delle persone tra i
cespugli
e il sottobosco ricoperto di aghi di pino, il gracchiare frusciante
delle radio
e l'abbaiare sporadico dei cani.
Urlare il nome di Mickey era
diventato superfluo. La
cosa più importante era divenuta la ricerca di tracce - di
qualsiasi tipo esse
fossero - e l'attenzione ai particolari.
Ogni membro delle varie squadre
inviate sul fronte
della montagna che formava la zona di Eldora era spinto da due
precetti; doveva
prestare sguardo a qualsiasi cosa, e orecchio a qualsiasi rumore
sospetto.
Accompagnati da almeno un membro
dell'FBI, di un
poliziotto cittadino o da uno dei venti militari volontari giunti da
Denver, i membri
civili si suddividevano in squadre di venti persone. Tramite i
capi-gruppo,
erano direttamente in contatto con il campo base, dove l'agente McCoy
si
coordinava con la polizia locale e con i membri del soccorso cinofilo
inviati
dalla Capitale.
Emily si era unita al gruppo di cui
facevano parte
anche Sherry e Jamie, mentre Rick, Parker e Anthony si erano ritrovati
in un
altro segmento di ricerca, più spostato verso est rispetto a
loro.
Ormai da ore battevano quel
frangente di montagna
senza aver trovato nulla di interessante, a parte qualche rifiuto
lasciato da
persone incivili e alcuni pezzi di metallo probabilmente appartenuti a
vecchi
minatori del luogo. Di Mickey, nessuna traccia.
Sembrava quasi che la montagna lo
avesse divorato in
un sol boccone senza lasciare più alcun segno di lui. A
volerla vedere in
maniera fantasiosa.
Professionalmente parlando, invece,
Sherry era giunta
a pensare che, dietro a quella sparizione vi fosse qualcuno che, non
solo
conosceva il bambino, ma era anche al corrente di come fossero quelle
montagne.
Dubitava fortemente che qualche
cacciatore di infanti
si fosse spinto così lontano per rapire un bambino
qualunque, e ancor di più
dubitava che Mickey fosse una vittima casuale.
Perché subito dopo la
nascita della sorellina? Era un
caso? Semplice sfortuna? O c'era un disegno specifico dietro alle
tempistiche?
E perché non erano stati in grado di trovare alcuna traccia?
Su internet, e nello specifico sul
dark web, simili
sparizioni finivano sul mercato nero della rivendita di bambini,
perciò tenerne
traccia era piuttosto semplice, se si sapeva dove cercare. Eppure,
Sherry non
aveva trovato traccia alcuna, e così pure l'FBI.
Ugualmente, i suoi contatti sul
confine, di cui
facevano parte anche spacciatori di materiale illegale - ma non droga,
a quello
non si era mai abbassata - le avevano confermato che non vi erano stati
scambi
di bambini, in quel periodo.
Dove cercare, quindi? Nella
famiglia?
Sia Consuelo che Samuel
appartenevano a famiglie
tranquille, non ricche ma neppure indigenti, e non vi erano situazioni
tensive
che potessero far pensare a un litigio sfociato in rapimento.
Dov'era, quindi, il bandolo della
matassa?
***
Non una sola traccia. Non un solo
appiglio per poter
approdare a qualcosa di concreto, di anche soltanto lontanamente vicino
a una
prova.
Alla speranza di poter rivedere
quanto prima Mickey.
Quando Emily gettò lo
zaino contro il muro accanto
alla porta d'entrata, stremata per le tante ore passate nel bosco alla
ricerca
di un qualche appiglio che le potesse regalare una scintilla di
ottimismo, uno
sbuffo infastidito scaturì dalle sue labbra.
Jamie, accanto a lei,
afferrò dalle sue mani le chiavi
pencolanti che danzavano dalla sua mano destra e, nell'aprire la porta
d'entrata, mormorò: "Vai a fare una doccia. Sembri in
procinto di crollare
da un momento all'altro."
Lei sollevò lo sguardo
per osservare il suo viso -
egualmente stanco e provato, egualmente irritato e fiaccato dai
fallimenti - e
replicò: "Anche tu sei distrutto, credimi, e si vede. Ce la
giochiamo,
dai."
"Vai tu, davvero. Io posso..."
cominciò col
dire il fratello prima di bloccarsi quando udì suonare il
cellulare di Emily.
Sorpresa al pari di Jamie, Emy lo
estrasse in fretta
dalla tasca laterale dei pantaloni da trekking e, nel vedere il numero
di
McCoy, si chiese curiosa perché la stesse
chiamando.
"Agente, buonasera. Cosa succede?"
domandò
la donna con tono interrogativo.
"Buonasera, Emily. Mi spiace
disturbarla, ben
sapendo la giornataccia appena passata, ma abbiamo un problemino
all'entrata di
Nederland, e la riguarda personalmente" esordì l'agente
speciale,
mettendola subito in allarme.
Accigliandosi, Emily
replicò: "In che senso,
scusi?"
Dopo alcuni secondi di imbarazzato
silenzio, McCoy
ammise preoccupato: "Ray Woodword è giunto qui una
mezz'oretta fa e dice
di aver bisogno di parlare con lei. Sapendo bene chi
è, i miei
agenti si sono ben guardati dall'accontentarlo, e ora si trova alla
centrale di
polizia, sotto stretta sorveglianza. Il punto è che Woodword
è ufficialmente un
uomo libero e non abbiamo motivi validi per trattenerlo, o impedirgli
di avvicinarla,
per cui..."
Deglutendo a fatica, Emily
assentì pur sapendo che
l'agente non poteva vederla e, dopo aver lanciando un'occhiata piena di
desiderio alla propria abitazione - e alla doccia che la stava
aspettando -
sospirò e disse: "Scenderò in paese. Mi dia dieci
minuti. Non ho paura di
lui."
"Molto bene. E scusi ancora" chiuse
la
chiamata McCoy, lasciandola sola con quel nome che sapeva evocare
ricordi
spiacevoli, ma anche l'unico briciolo di umanità che l'aveva
tenuta in vita in
quei cinquantadue lunghissimi giorni di prigionia.
Jamie la guardò turbato
e pieno di domande, ma lei si
limitò a dire soltanto: "Ray è qui."
Non servì
altro.
Jamie si trasfigurò in
volto, divenne pura rabbia e,
forse senza neppure accorgersene, afferrò da terra uno dei
bastoncini da
trekking come a volerlo usare a mo' di clava.
Emily, a quel punto, gli
sfiorò un braccio con la
mano, facendo calare quell’arma improvvisata e tremante del
fratello e,
sorridendogli con tutto il coraggio che le riuscì di
trovare, mormorò:
"Va... va bene. Non ho mai avuto paura di lui."
"Ma che vuole proprio
adesso?!
Perché non ti lascia stare?!" sbraitò Jamie prima
di rendersi conto di
essere ancora all'esterno dell'abitazione, alla mercé delle
orecchie di potenziali
ficcanaso. Per quanto quella zona fosse isolata, da quando era stato
rapito
Mickey, i giornalisti spuntavano come margherite a ogni angolo di
strada, e lui
non voleva essere la causa di ulteriori problemi.
Guardandosi intorno turbato, si
sollevò un poco nel
non vedere auto nelle vicinanze, ma stette comunque attento ad
abbassare il
tono della voce.
"Non vorrai davvero andare da lui?"
borbottò
contrariato il giovane.
Scrollando le spalle, Emily
asserì: "Jamie, Ray è
un uomo libero. Ha scontato la sua pena e, a meno che non mi dia
apertamente
fastidio - cosa di cui dubito - polizia e FBI non possono impedirgli un
approccio con me. L'agente speciale McCoy è stato fin troppo
gentile a
bloccarlo prima che si avvicinasse a casa mia, ma non può
farlo trattenere in
eterno."
"Fosse per me, avrei buttato la
chiave"
sbuffò il fratello, afferrandole gentilmente una mano per
darle tutto il suo
conforto.
Lei accennò un
sorrisino, replicando: "Ray si
portò dietro le mie pantofole perché non avessi
freddo ai piedi. Mi dava sempre
la cioccolata. Mi faceva ascoltare la musica. Non era cattivo.
Solo... ingenuo.
E ne ha pagato lo scotto."
"Quindi?"
"Andrò a sentire cosa
vuole da me, ma..."
iniziò col dire lei, sollevando la mano libera per bloccare
sul nascere la sua
arringa. "... tu e papà verrete con me. Non voglio che
pensiate che io vi
voglia escludere."
"Sarei venuto anche senza il tuo
assenso"
sottolineò Jamie, afferrando subito il cellulare per
chiamare il padre.
"Lo so" ammiccò Emily,
passandosi quindi le
mani sul volto mentre il fratello avvertiva il padre di quell'ultima,
imprevista novità.
Paradossalmente, però,
Jordan Poitier non parve per
nulla sorpreso dell'arrivo a Nederland di Ray e, quando Jamie chiuse la
chiamata, guardò dubbioso la sorella e chiosò:
"Ho idea che io e te non siamo
al corrente di qualcosa."
Emy sbatté le palpebre
più volte, di fronte a
quell'uscita ma, non volendo procrastinare oltre quell'incontro,
lasciò le
domande a un secondo momento e corse in casa per cambiare almeno la
camiciola e
le scarpe. Il resto poteva anche aspettare.
Ciò fatto,
inforcò la mountain bike al pari di Jamie e
si lasciò scivolare verso il centro del paese, nella mente
mille e più domande
e ancor più sensazioni contrastanti a rivoltarle lo stomaco.
Non aveva davvero idea del
perché Ray si fosse spinto
fino a lì, né del perché desiderasse
parlarle. D'altra parte, non aveva mai
neppure compreso fino in fondo come, quell'uomo apparentemente
così gentile e
buono, si fosse lasciato invischiare dal fratello nel suo rapimento.
Quando, pochi minuti dopo,
raggiunsero infine la
stazione di polizia, lasciarono le biciclette nelle apposite
rastrelliere e,
sulla porta, trovarono un trafelato quanto turbato Jordan Poitier ad
attenderli.
Il padre, vedendoli, si
aprì in un sorriso cauto ed
Emily, nel salutarlo con una pacca sul braccio, passò in
testa al gruppo e fu
la prima a entrare in centrale.
Lì, i presenti la
salutarono cordialmente - sapevano
che era amica dello sceriffo e, più in generale, a Nederland
si conoscevano
tutti - ma fu McCoy ad avvicinarla per darle il benvenuto.
Stringendo la mano callosa
dell'uomo, Emy esordì
dicendo: "Immagino che, nel frattempo, non siano sorte
novità su
Mickey."
"Purtroppo no" scosse il capo
l'agente,
scortandola poi verso il retro degli uffici.
Lì, nel corridoio,
incrociarono anche lo sceriffo
Meyerson che, dopo aver visto sia Jordan che Jamie, sorrise a Emily e
disse:
"Vedo che sei degnamente scortata, perciò non
farò la parte del poliziotto
cattivo."
"Credo non ce ne sarà
bisogno. Ma grazie per il
pensiero" gli sorrise Emily prima di mettere mano alla porta che la
divideva da Ray.
Attraverso il vetro alto e stretto
che lasciava
intravedere l'interno, Emy vide un uomo sui quarantacinque -
cinquant'anni dai
capelli stempiati, leggermente ingrigiti e con una profonda lacerazione
sul
volto, ormai completamente rimarginata e vecchia di anni.
Il profilo sembrava infiacchito,
quasi che un peso
gravasse su quelle spalle innaturalmente ingobbite e, quando Emily
entrò -
lasciando che Jamie e il padre raggiungessero la vicina saletta da cui
avrebbero potuto vederli attraverso il doppio vetro - si
domandò per l'ultima
volta come affrontarlo.
Fingendo noncuranza? Accusandolo?
Mostrando una
sicurezza che non provava?
Davvero non lo sapeva.
Quando, però, la porta
si chiuse alle sue spalle, Ray
levò lo sguardo a scrutarla e, per un attimo, Emily
tornò a essere quella
bambina di otto anni che era stata rinchiusa in una grotta, che era
stata
percossa da Cattivo e irrisa da Brutto, ma curata da Buono.
Pur tremando leggermente, Emily
riuscì in qualche modo
a raggiungere la sedia sistemata dinanzi al tavolo a cui era assiso Ray
e,
quando si accomodò - in modo un po' goffo, dovette ammettere
- deglutì a fatica
e domandò: "Ray... come mai qui?"
Lui, per contro,
armeggiò con il leggero giubbotto di
jeans liso che indossava, estrasse una barretta di cioccolato alle
nocciole e
gliela allungò titubante sul tavolo, mormorando: "E' ancora
la tua
preferita?"
Emily si morse il labbro inferiore
mentre i suoi occhi
registravano l’immagine di quella cioccolata in particolare,
quest’ennesima
bordata laterale che non si era aspettata. Aggrappandosi - quasi
reggendosi -
al tavolo con una mano, sfiorò con le dita libere la cartina
patinata della
barretta, le scritte enormi e che invogliavano a scartare l'involucro
per
mangiare ciò che era nascosto all'interno.
Accennando un vago sorriso, Emily
annuì e la prese,
scartandola per poi dare un morso e mormorare: "Uhm... ci voleva! E'
tutto
il giorno che mi inerpico su per i monti, e avevo fame."
Ray rabbrividì a
quell'accenno e la donna, nell’abbassare
la mano con la barretta, domandò finalmente:
"Perché sei venuto, Ray?
Davvero."
L'uomo, allora, reclinò
il capo fino a poggiare la
fronte sulla superficie liscia e metallica del tavolo e, tremando,
mormorò:
"Ti chiedo umile perdono per ciò che ti ho fatto. Avrei
dovuto dire no.
Avrei dovuto dire alla polizia dei piani di mio fratello, ma non lo
feci."
"Perché?" chiese
soltanto Emy, le mani ora
strette attorno alla barretta.
Risollevandosi lentamente, gli
occhi ora percorsi da
un velo di lacrime di contrizione, lui ammise: "Perché ero
pavido. Perché
c'era stato sempre e solo lui, per me. Perché non conoscevo
altra verità - o
altra famiglia - che lui. Mi fidavo ciecamente, e lo feci anche quella
volta.
Non è una scusante. E' solo la pura, misera
verità."
Ciò detto, si
grattò nervosamente la nuca, proprio in
corrispondenza del punto in cui lei lo aveva colpito con il secchio e,
dubbiosa, gli chiese: "Cosa successe, quando scoprirono che ero
fuggita?
Se la presero con te, vero?"
Lui fece spallucce, come a voler
sminuire quel
particolare ma Emily non si diede per vinta e, adombrandosi, aggiunse:
"Non sono una bambina, Ray. Non più. Cosa ti fecero, a causa
mia?"
"Tu dovevi scappare,
Emily.
Non hai fatto niente di male" ci tenne a precisare Ray. "Avrei dovuto
farti scappare io, ma ero pauroso e stupido. Sono contento che quel
cacciatore
ti abbia trovato."
"Ray" disse soltanto Emily, ma con
un tono
che non ammetteva repliche.
L'uomo, a quel punto,
sospirò e ammise: "Mio
fratello si infuriò di brutto, ma fu Vince a... beh,
a…"
Emily levò entrambe le
sopracciglia, piena di dubbi, e
disse: "Quella cicatrice è posteriore al processo. Questo me
lo ricordo.
Quindi, cosa ti fece Cattivo?!"
Ray, preso alla sprovvista da quel
nomignolo, la fissò
dubbioso e confuso ed Emily, nonostante tutto, si aprì in un
mezzo sorriso,
scosse una mano per accantonare in fretta la faccenda e
borbottò: "Vi
chiamavo il Buono, il Brutto e il Cattivo, come nel film di Sergio
Leone."
"Non credo che..."
tentennò Ray, non sapendo
bene che dire.
Emily, però, lo
liquidò alla svelta e disse: "Tu
eri il Buono. Punto. Tuo fratello, il Brutto... onestamente, non mi
verrai a
dire che era bello, no?"
A Ray sfuggì un
risolino, risolino che fu accompagnato
da un movimento innaturale delle spalle, come se il solo ridere gli
procurasse
dolore ed Emily, insospettendosi ancor di più,
domandò: "Cosa ti fece,
Cattivo? Tutta la verità, e niente di meno."
L'uomo, a quel punto, si volse a
mezzo per sollevare
giubbotto e maglia e, nel mostrare una pesante porzione di tessuto
cicatriziale
alla base della scapola, mormorò: "Successe tre mesi dopo la
nostra
incarcerazione. Vince non aveva preso bene il fatto che a me fosse
stata
comminata una pena inferiore, così decise di farmela pagare.
La faccia fu un
regalo di mio fratello, ma Vince tentò di mandarmi al
Creatore, infilandomi uno
spuntone appuntito nel polmone."
Emily assentì rigida
mentre, dall'altoparlante, la
voce di Jordan imponeva un 'adesso basta, Emy' alla
figlia.
Lei si volse a mezzo per scrutare lo specchio alle proprie spalle e
Ray,
scrutandolo a sua volta, domandò: "Tuo padre?"
"Sì, è qui"
assentì lei.
"Bene, sono contento che tu non sia
venuta da
sola" mormorò Ray, soddisfatto. "Ha ragione lui, comunque.
Non ha
senso rivangare il passato. Io sono qui per chiuderlo."
"Per chiudere il
mio, Ray, ho bisogno di sapere a quali conseguenze
portò il mio gesto.
Accontentami" replicò Emily prima di lanciare uno sguardo al
vetro,
sperando che suo padre comprendesse il suo bisogno di risposte.
Nessun altro consiglio venne
dall'altoparlante e Ray,
accettando per buono quel silenzio, sospirò e aggiunse: "Mi
accoltellò sei
volte... la pelle non tornò mai più la stessa. La
lama era stata ottenuta
limando un pezzo di plastica, perciò un'arma non
convenzionale non molto adatta
a tagliare... beh,... la carne."
"Immagino" assentì
meccanicamente Emily.
"La lama risultò essere
abbastanza forte da
lacerare pelle e muscolo, ma le costole mi salvarono dal peggio.
Essendo però
un carcerato che, tra le altre cose, aveva rapito una bambina, non
venni
curato al meglio, per così
dire, e non mi mandarono mai in
chirurgia plastica, per cui si formò un tessuto cicatriziale
piuttosto
importante e che finì con il tirare la pelle e farmi
ingobbire in avanti"
si limitò a dire Ray, scrollando appena le spalle.
Emily sospirò nello
scuotere il capo e, dopo aver dato
un altro morso alla barretta, la scrutò dubbiosa prima di
domandare: "Ma
dove diavolo l'hai trovata? Sono anni che non ne vedo una."
Accennando un sorrisino, Ray
ammise: "Ci ho messo
tanto a venire anche per questo."
"L'hai... cercata?"
esalò Emily, sorpresa.
"Per me?"
"Con te ho un debito che
durerà per tutta la
vita" ammise affranto Ray. "Appena uscito di galera, tornai su quel
monte per rivedere il luogo in cui ti avevamo tenuto, e rimasi
scioccato. Presi
a picconate l'entrata fino a renderla inagibile, quando mi accorsi che
era
diventato un ritrovo di... di..."
Emily gli venne incontro,
mormorando debolmente:
"Amanti del macabro?"
Lui assentì inorridito
e, rabbrividendo nuovamente,
ammise: "I ricordi che ho di quei luoghi sono tutti brutti, e non ce la
facevo davvero a sopportare che qualcuno, invece, potesse provare
piacere
nell’andare proprio lì.
Quella grotta
non doveva più esistere."
Emily non aveva davvero idea che il
luogo del suo
rapimento fosse diventato, negli anni, una sorta di Mecca per coloro i
quali
amavano le storie macabre o i fatti di cronaca nera, ma non la stupiva
più di
tanto, e la lasciava fredda dentro.
Pensare che qualcuno potesse
apprezzare un simile
luogo unicamente per i motivi per cui era divenuto famoso, la
disgustava, ma
non poteva permettersi di perdere del tempo a rifletterci sopra. Doveva
passare
oltre anche a quello.
A stupirla, però, era
Ray. Gli era parso davvero
inorridito al solo pensiero di rimettere piede nel bosco dove si
trovava la
grotta della sua prigionia. A pensarci bene, inoltre, quando poco prima
aveva
accennato al suo impegno come volontaria, lui era rabbrividito
istintivamente.
Inclinando il capo su un lato,
Emily gli domandò perciò
a bruciapelo: "Cattivo minacciò di buttarti nel crepaccio
che c'è nel
bosco? Quello a poca distanza dalla grotta? Mi ricordo che, durante
l’udienza
preliminare, accennò con divertimento al fatto che io fossi
stata fortunata a
non caderci dentro."
Ray sbatté le palpebre,
pieno di meraviglia e terrore
assieme e la giovane, sospirando, ammise: "Per quanto io possa credere
che
tu abbia voluto cancellare l'onta da me subita, dubito che questo ti
abbia
portato a provare paura di quei luoghi. Per questo mi è
venuto in mente che,
durante il processo, Cattivo vi aveva fatto accenno."
"Era... furioso"
disse
soltanto Ray, reclinando il viso e coprendosi il capo con mani
tremanti, quasi
a voler cancellare un ricordo terribile.
A Emily bastò. Lei
stessa aveva mantenuto per ore e
ore intere quella postura raccolta, tentando di cancellare i tremori
dovuti
alla paura, o a qualche sporadico ricordo comparso
all’improvviso.
Ray era vivo e, se avesse voluto,
si sarebbe rifatto
una vita come uomo libero e, lei sperava, redento nel cuore e
nell'anima.
Quanto a lei, non aveva mai avuto alcuna animosità nei suoi
confronti e,
paradossalmente, quell'incontro l'aveva in qualche modo
rasserenata.
Rinvigorita.
"Se sei qui per avere il mio
perdono, Ray, non
c'è problema. Non ce l'ho mai avuta con te. Ma se vuoi
sentirtelo dire a parole,
lo farò. Ti perdono, Ray."
Sapeva, nel dirlo ad alta voce, di
aver espresso solo
la verità e che, dirlo di fronte all’unica persona
che aveva dimostrato umanità
nei suoi confronti, non faceva bene solo a Ray, ma anche a lei.
Ray era sempre stato buono. Sciocco
e folle nel
seguire suo fratello, questo sì, ma mai crudele. Mai
malvagio.
L'uomo, allora, scoppiò
in lacrime e, piegandosi su se
stesso per nascondere agli occhi di Emily il viso ricoperto di
vergogna, Ray
mormorò sconfortato: "Non dovevo ascoltarlo... avrei dovuto
capire che non
era una cosa bella da farsi... ma non avevo che lui... che lui..."
Emily a quel punto si
levò in piedi, annullò le
distanze che li separavano e, per la prima volta dopo più di
vent'anni, si
avvicinò a Ray. Lo massaggiò delicatamente sulle
spalle incurvate dagli spasmi
nervosi, mormorò parole gentili per calmarlo e, quando
infine il pianto ebbe
termine, lo aiutò a risollevarsi e disse: "Vivi sereno, Ray.
E stai
lontano dai guai. Per me, va bene così."
Lui assentì
più volte e, con un sorriso che le ricordò
quello della grotta in cui avevano passato tanto tempo assieme,
mormorò:
"L'ho promesso anche a Sandra."
Ciò detto, e lasciandola
nel più completo sconcerto, uscì
quasi di corsa, come se le emozioni fin li provate fossero davvero
troppe, e
troppo forti, per sopportare ulteriormente che lei potesse guardarlo.
Emily uscì
più lentamente dalla stanza degli
interrogatori dove si era svolto il colloquio e, nel corridoio,
trovò ad
attenderla sia il padre che Jamie.
Jordan la abbracciò con
cautela, ma lei accettò
pienamente quella stretta, poggiando il capo contro il suo torace prima
di
dire: "Pensavo sarebbe successo chissà che cosa, e invece
ero io quella
forte, lì dentro. Avevo io il
coltello dalla parte del manico. E' stato strano, ma ora sto molto
meglio.”
“Sei stata bravissima,
tesoro” mormorò contro i suoi
capelli il padre, dandole più e più baci.
Lei si scostò con un
risolino e domandò: “Perché ha
accennato a Sandra, però?”
“Questo posso dirtelo
io…” replicò il padre prima di
guardare entrambi i figli e aggiungere. “… ma
vorrei parlarvene a cena. Ce la
fate, o è troppo?”
“Se la cena prevede
pizza, rimarrò sveglia anche tutta
la notte” promise Emily, tornando a posare lo sguardo nel
punto in cui Ray se n’era
andato.
Nella sua mano, non ancora
ultimata, si trovava ancora
la barretta che lui le aveva regalato e, con un ultimo morso, la
terminò.
Chiudendo, forse per sempre, ciò che di sospeso
c’era sempre stato tra lei e
Ray.
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
17.
La pizza era davvero eccellente - o era la fame a parlare? - e, quando Emily ne ingollò anche l'ultimo pezzo, sospirò soddisfatta, sentendosi finalmente piena al punto giusto.
Dopo l’incontro con Ray, forse a causa della stanchezza pregressa, o forse grazie all’enorme macigno emotivo che si era potuta togliere dalle spalle, la fame l’aveva quasi divorata, spingendola a gettarsi sulla cena a piene mani.
Ora, sentendosi sazia, dolcemente stanca e pronta per le novità che il padre doveva riferire loro, domandò: "Ebbene? Vuoi parlarci di Sandra e Ray?"
Jordan assentì dopo aver sorseggiato un po' di birra e, intrecciate che ebbe le mani sul tavolo, disse: "Ray si è recato da Sandra, poco meno di un mese addietro. A detta di Sandra, per chiedere perdono e per rendersi disponibile ad aiutarla, se necessario. Da quel che le ha detto lui, Ray ha fatto un corso base da paramedico, in galera."
Sia Jamie che Emily fecero tanto d'occhi, a quella notizia e Jordan, con una scrollata di spalle, aggiunse: "Naturalmente, la cosa ha lasciato di stucco Sandra. Avendo partecipato al processo, e sapendo bene quanto Ray fosse diverso dal fratello e da Vince Rowe, non ha fatto fatica a credergli. Comunque, Ray le ha mostrato il diploma, giusto per sicurezza."
"Questo è davvero il colmo dei colmi" gracchiò Jamie, del tutto spiazzato da quella notizia.
"Sandra ha riferito a vostra madre che Ray sembra davvero intenzionato a cambiare e, tramite la Onlus che ha organizzato i corsi in carcere, pare deciso a offrire i suoi servigi ovunque servano, anche fuori dal Paese, se necessario" spiegò loro Jordan.
Scrollando le spalle, Emily ammise: "Probabilmente, se non avesse avuto un fratello come il suo, avrebbe fatto tutto questo già dall'inizio. Con me, ci sapeva fare. Ha sempre avuto un animo naturalmente buono. Ha avuto soltanto la sfortuna di avere al suo fianco un uomo crudele e, per parte sua, un carattere non abbastanza forte per gestire la situazione."
"Tu lo scusi, ma io molto meno. Era già bell'e che adulto, quando ti hanno rapita. Non era un bambino" sottolineò arcigno Jamie.
Emily allora gli sorrise nel dargli una pacca sulla spalla e, conciliante, replicò: "Vedi le cose in modo diverso, quando passi quello che ho passato io e, se mi fossi ricordata di questo molto tempo prima, probabilmente io e papà ci saremmo riconciliati anni fa."
Nel dirlo, sorrise spiacente al padre, aggiungendo: "Laggiù in quella grotta, imparai a gestire al meglio ciò che avevo e ciò che mi stava attorno. I vizi e le comodità non esistevano più, perciò dovetti adeguarmi alla svelta, per sopravvivere. Le sfumature divennero la mia quotidianità e, se mi fossi ricordata di questo anche dopo la mia fuga, avrei capito che anche tu, come me, ti eri dovuto piegare a cose che non ti erano piaciute, ma che eri stato obbligato ad accettare. Sono stata sciocca a non capirlo. La rabbia mi ha resa cieca e sorda e tu, volendomi bene, mi hai dato il tempo di sbollire e di arrivare da sola alla soluzione. Scusami se ci ho messo tanto."
Jordan, però, scosse il capo, si sollevò per raggiungerla e, nel poggiarle le mani sulle spalle, le depose un bacio sul capo e mormorò: "Non ti devi scusare. Pretesi che tu capissi senza spiegarti nulla... ma avevi solo otto anni! Il tuo coraggio nel fuggire e nell'affrontare l'intera situazione mi aveva sconvolto, facendomi perdere di vista questa grande, semplice verità. Eri una bambina, la mia piccola Emy, e ti dovevo delle spiegazioni che tu potessi capire."
"Ora sappiamo, comunque... e va bene così" sospirò Emily, lasciandosi andare per qualche attimo contro il padre.
Era così stanca! Tutta quella situazione la stava snervando e, pur avendo accanto persone a lei care e nuovi amici pronti a tutto per darle una mano, la sparizione di Mickey la stava logorando.
I demoni stavano tornando, assediandola ogni volta che chiudeva gli occhi, ed era sempre più difficile tenerli a bada, mantenerli oltre le sue mura difensive.
Presto o tardi, avrebbero sfondato i muri perimetrali e avrebbero assediato il suo castello, prendendola nuovamente in ostaggio.
Il punto era che non sapeva più cosa inventarsi per proteggersi; ogni tecnica di rilassamento, o antistress, era stata usata e scartata perché inefficace ma, per nulla al mondo, sarebbe tornata agli ansiolitici.
Che fare, dunque? Come difendersi dai ricordi?
***
“… e così, è venuto per parlarti?” domandò alla fine Anthony, tenendo il cellulare tra orecchio e spalla mentre, con le mani, sistemava le ultime cose nel suo zaino per il giorno successivo.
“Già” assentì Emily. “Avevo anche pensato di chiamarti, ma c’erano già papà e Jamie, con me, e non volevo dare l’impressione di essere così in ansia da chiamare anche il mio ragazzo.”
Anthony sorrise a quell’accenno. Da quando avevano ricominciato a frequentarsi, quella semplice parola aveva assunto tutto un altro significato, per lui.
Certo, parlare di ‘ragazzo e ragazza’ a trent’anni, suonava quasi ridicolo ma, paradossalmente, per loro era più che corretto. Grazie – o a causa – della temibile tabella creata da Parker per rimettere in sesto Emily, entrambi si stavano comportando come due perfetti e compiti ragazzini, tenuti d’occhio da un arcigno maestro.
Non che seguire i consigli dell’amico fosse un obbligo, ma Anthony non era così sciocco da non notare quanto, avere quelle disposizioni da seguire, facilitasse il compito a Emily. In qualche modo, la divertiva anche, pur se erano un po’ frenati negli approcci amorosi.
Il tutto, comunque, non aveva guastato il loro riavvicinamento, e quelle telefonate notturne erano un piacevole interludio prima di dedicarsi agli aggiornamenti di bilancio e, infine, al letto.
Sapere di Ray Woodword e della sua visita lo aveva un po’ spiazzato e, in parte, aveva anche desiderato essere coinvolto ma, ben sapendo quanto Emily avesse lavorato per diventare più forte e sicura di sé, aveva compreso.
Inoltre, non si era presentata in Centrale in completa solitudine, ma scortata da due valide spalle, perciò Anthony si era tranquillizzato subito, una volta messo al corrente dell’intera faccenda.
“Ti senti meglio, ora che hai potuto parlare con lui?” le domandò con tono roco, tranquillo.
“Ti sembrerà strano, ma sì. Mi sono sempre chiesta cosa gli fosse capitato, dopo la mia fuga, e questo tarlo era diventato così grande da rodermi il fegato. Mi spiace che sia stato ferito, e che abbia rischiato di morire a causa di Cattivo, ma sono felice che ora abbia la possibilità di ricominciare” gli spiegò lei, sdraiandosi sul letto mentre Cleopatra si stiracchiava sul suo enorme cuscino.
“E’ stata una catarsi per entrambi” chiosò Anthony.
“Credo di sì” ammise Emily. “Vorrei che tu fossi qui a coccolarmi, ma temo che Parker mi picchierebbe, se sapesse che voglio saltare ben due punti della sua lista.”
Anthony rise a quell’accenno, lanciando un’occhiata al foglio che teneva diligentemente sul comodino, e che ogni sera si rileggeva come un devoto credente. Non pensava sarebbe mai giunto a dirlo, ma era contento che Parker si fosse immischiato in quella faccenda perché, anche grazie a lui, aveva potuto riavvicinarsi a Emily.
Parker gli aveva dato le armi giuste per spezzare lo stallo che li aveva tenuti separati.
“Sì, immagino che non dovremmo deludere così il tuo personal trainer… però sono contento che tu lo stia pensando” mormorò Anthony, chiudendo lo zaino per poi afferrare meglio il cellulare. “E se io venissi a cantarti la serenata sotto la finestra?”
“Non sentirei niente. Sai che sono blindate” ironizzò Emily, facendolo ridere nuovamente.
“Giusto. Sherry ti ha ordinato finestre degne di un bunker, e Rick ti ha progettato una casa a prova di terza guerra mondiale” commentò divertito l’uomo.
Sorridendo dolcemente, Emily allora disse: “Sono contenta che si siano ritrovati, anche se il motivo per cui è accaduto è terribile. Spero davvero che possa nascere qualcosa, tra loro.”
“Ora vuoi rubare la scena a Parker? Vuoi fare anche tu la sensale?” ironizzò Anthony.
Lei rise, afferrò un pannetto per coprirsi fin sopra la testa e, in un sussurro, mormorò: “Non so… mi piace pensare a coppie che si riuniscono dopo mille vicissitudini, che sconfiggono il drago e poi possono dire ‘ti amo’ davanti a un bel tramonto.”
“Ti amo” disse lui con semplicità, ma sapendo di dirlo col cuore, l’anima e il corpo. “Anche se non c’è il tramonto.”
“Lo so. E ringrazio per ogni giorno che mi hai regalato, per ogni attimo che mi hai concesso, per ogni volta in cui ci sei stato per me. Da lontano e da vicino” mormorò lei, facendosi però tradire da uno sbadiglio. “E ora, prima di diventare troppo melensa, ti augurerò buonanotte. Ci vediamo domattina?”
“Certo. Ci sarò. Buonanotte.”
Nel chiudere la chiamata, Anthony sorrise nella semi-oscurità della sua stanza, sospirò e infine si diresse verso lo Studio. Purtroppo per lui, la sua giornata non era ancora finita.
Per poter fare il volontario di giorno, doveva procrastinare tutto alla notte, e le registrazioni non aspettavano nessuno. Sperò comunque di potersi liberare prima di mezzanotte. Anche lui aveva un disperato bisogno di dormire.
***
Guardando l'orologio del telefono per l'ennesima volta, Emily scosse il capo in direzione di Sherry e disse: "A quanto pare, non verrà. Si vede che è stato trattenuto."
"Non mi stupirei se suo padre si fosse impuntato" brontolò Jamie, afferrando lo zaino da terra per inforcarlo sulle spalle. "Hai provato a chiamarlo?"
"Non risponde. O il telefono è spento, oppure è senza batteria" sospirò Emily, rimettendo nella tasca dei pantaloni il cellulare per prepararsi a sua volta a partire. "Quando andrò a prendere Cleo da papà, proverò a vedere se riesco a trovarlo. Voglio capire se William gli ha dato dei problemi."
"Da brava fidanzatina quale sei, vuoi proteggere il tuo bello, eh?" celiò Jamie, dandogli di gomito.
Emily lo fissò malamente, borbottando: "E' inutile che cerchi di prendermi in giro."
"Dico solo che siete dolcissimi, voi due... mano nella mano, come i fidanzatini del secolo scorso... vi manca soltanto lo chaperon e siete a posto" ironizzò Jamie, dandole poi un buffetto sulla guancia a mo' di scuse per le sue burle.
Emily, allora, squadrò torva Parker, che camminava a poca distanza da loro, e puntualizzò: "E' il mio insegnante ad avermi detto che non sono ancora pronta per altro che quello! Non prendertela con me!"
Scoppiando a ridere, Parker allora replicò: "Ehi, tesoro! Tu mi prendi un po' troppo alla lettera!"
Sherry li fissò incuriosita al pari di Rick, che stava squadrando il fratello in attesa di spiegazioni e quest'ultimo, con una scrollata di spalle, ammise: "Sto aiutando Emy a perdere un po' di... idiosincrasie, okay? Sono molto bravo, sapete?"
Sherry scoppiò a ridere proprio mentre gli agenti davano il via a quella seconda spedizione nella zona di Eldora e, messasi in marcia assieme al resto dei suoi amici, esalò: "Rick, non sapevo che tuo fratello facesse il sensale, come secondo mestiere!"
"Lo scopro solo adesso" ammise Rick, sbattendo confuso le palpebre.
Emily, a quel punto, accelerò il passo per non essere oggetto di ulteriori burle e Jamie, ammiccando all'indirizzo di Parker, mormorò: "Teniamola sotto battuta ancora per un po'... la mancanza di Anthony si fa sentire, e non voglio che si agiti ulteriormente."
"D'accordo, compare" assentì Parker, allungando il passo per affiancarsi a Emily mentre Jamie lo imitava, continuando a punzecchiare la sorella.
Rimasti un po' discostati, Sherry e Rick si spostarono alla loro sinistra per coprire un ventaglio più ampio di boscaglia e, con un mezzo sorriso, la donna chiosò: "Sono contenta di vedere che Emy è circondata da così tante persone che le vogliono bene."
Rick assentì pensieroso. "Non mi sono mai voluto addentrare nel merito, visto che non è mio compito psicanalizzare una cliente, ma sapevo dei suoi trascorsi - il mio ex capo è un ficcanaso matricolato e, quando Emily aveva commissionato i lavori, Stuart non si era lasciato sfuggire la possibilità di fare del gossip in merito..."
A quell'accenno, Sherry fece una smorfia disgustata e Rick aggiunse: "... va detto che nessuno di noi, in ufficio, gli diede corda. Ma le orecchie le ho buone, perciò sentii cosa disse, e mi spiacque molto per lei. Anche per questo, ci misi tutto il mio impegno. Volevo costruire per Emily una casa il più possibile sicura e che le desse anche qualche soddisfazione. Inoltre, era il mio primo, vero incarico da solista, e ci tenevo a fare bella figura."
"L'idea delle vetrate blindate che guardano il lago fu magnifica" sottolineò a quel punto Sherry, vedendolo arrossire per diretta conseguenza. "Inoltre, mi ricordo bene quanto impegno ci mettesti, in cantiere. Non mancavi mai, e volevi che il tuo progetto fosse seguito scrupolosamente."
"Il suo..." tentennò Rick prima di correggersi di fronte alla sua occhiata divertita. "... il tuo intervento è stato di molto aiuto. Alcune cose sono state migliorate proprio grazie alla tua conoscenza riguardo agli impianti di sicurezza."
Accettando che Rick le scostasse un ramo - pur se era in grado di farlo da sola - Sherry si limitò a dire: "Cerco di dare il meglio di me stessa, nel mio lavoro... e anche con le persone. Per questo volevo che Emily avesse il top di gamma."
A quell'accenno, Rick infilò nervosamente le mani nelle tasche dei pantaloni per impedire loro di tremare e, reclinando colpevole il capo, borbottò: "In merito a quello che dai alle persone... Parker mi ha fatto notare che forse, con te, sono stato un tantino prevenuto, e volevo scusarmi."
Sherry si volse a mezzo per fissarlo e, bloccando a metà la sua avanzata, sorrise divertita e replicò: "Ingegner Richard Jones, non voglio da te scuse o quant'altro. Voglio che tu creda a quello che ti dico, o a quello che faccio, senza vederci ombre o tranelli."
Rick rabbrividì nel sentire il suo nome per esteso e, riprendendo a camminare a qualche metro di distanza dalla donna - dopotutto, non erano lì per una scampagnata, ma per trovare delle eventuali tracce di Mickey Larson - asserì: "Quando sento il mio nome di battesimo, ho sempre il terrore di veder comparire mia madre con il mattarello in mano."
Sherry ghignò divertita e domandò: "Quant'è lungo, questo mattarello?"
"Più di un metro" sottolineò lui, accennando un'occhiata furba che fece ridere la donna.
"Oh,... allora ne avrei paura anch'io" ammise lei prima di aggiungere più seriamente: "Non ti baciai per prenderti in giro, ma perché desiderai farlo. Solo ora capisco che tu potessi anche non aspettartelo, e che la cosa ti abbia lasciato un po'... confuso. Di questo, mi spiace molto."
Rick rimase in silenzio per qualche istante prima di mormorare: "Non so cosa vi siate detti, tu e Parker, ma... grazie. Non delle scuse, perché non devi scusarti di niente, ma per aver detto che desideravi baciarmi."
"Lo voglio ancora" precisò lei, vedendolo arrossire un poco a quell'accenno.
"Beh... grazie" mormorò ancora lui per poi guardarsi intorno, annullare con due rapide falcate la distanza che li separava e, senza alcun preavviso, chinarsi su di lei per darle un bacio rapido ma deciso sulle labbra.
L'attimo seguente, si discostò per tornare al suo posto, un bel sorriso sul volto imbarazzato e Sherry, sbattendo le palpebre con aria sorpresa, si sfiorò la bocca con la punta delle dita di una mano e sussurrò: "Ingegner Jones... lei mi sorprende sempre."
Rick accentuò il proprio sorriso ma, prima ancora di poter commentare in merito, raggelò nel momento stesso in cui udì il grido terrorizzato e pieno di sorpresa di Emily Poitier.
***
Emy era lieta che Rick e Sherry stessero dialogando così amabilmente tra loro. In fondo ci aveva sperato, quando aveva saputo da Parker che il fratello sarebbe giunto a Nederland proprio dopo essere venuto a conoscenza della presenza dell’amica.
Quella cosa - perché non sapeva in che altro modo chiamarla - tra Rick e Sherry era rimasta in sospeso da quando i lavori alla sua casa erano terminati e, in quei cinque anni, l'amica non si era più sentita con il baldo ed educato ingegnere.
Ad avvalorare i suoi dubbi, durante le loro lunghe chiacchierate notturne, Sherry era tornata sull'argomento ben poche volte, schivando come un’abile dribblatrice le sue domande indirette o i suoi commenti niente affatto involontari.
Tutto ciò le era parso strano, oltre che sospetto. Quello scantonare di proposito l'argomento 'Rick Jones' le era sembrato un campanello d'allarme. Più che un forte disinteresse per l’uomo in questione, Sherry le aveva dato invece l’impressione di esserne rimasta davvero colpita, pur se ben decisa a non approfondire l’argomento.
Vederli assieme al cantiere, parlare per ore e ore di fronte a una birra, mentre i lavori avanzavano di buona lena, aveva fatto pensare alla giovane che l'amica avesse finalmente trovato l'uomo adatto a lei. Invece, tutto era finito in una bolla di sapone, ed Emy non aveva mai saputo il perché.
Non aveva però saputo aiutare l’amica che, a suo tempo, era riuscita a regalarle i primi spiragli di luce in una vita altrimenti costellata di ombre e paure.
Conosciutala all’università - anche se si erano frequentate solo per due semestri – Sherry era stata un autentico toccasana, per Emily. Vederla così forte e sicura di sé, oltre che assai propensa a prenderla sotto la sua ala, l'aveva fatta sentire protetta come, in ben poche altre occasioni, si era sentita.
Quell'anno era stato speciale, per Emily, e aveva potuto seguire i corsi alla Columbia con pochissimi pensieri a turbarla. A proteggerla, dopotutto, aveva avuto Sherry, con il suo carattere indomito, la sua capacità di tacitare anche il più riottoso tra gli uomini e la volontà assoluta di darle ciò che il rapimento le aveva tolto; sicurezza.
Pur non avendo terminato assieme gli studi, Emily era rimasta in contatto con Sherry anche dopo la loro separazione in ambito scolastico. Assieme, infatti, avevano intrapreso un intenso programma extra-universitario basato unicamente sull'autodifesa, sulla meditazione e sulle armi da fuoco.
Esattamente in quell'ordine.
Sherry era infatti convinta da sempre che, prima di qualsiasi altra cosa, ogni donna o uomo di questo mondo, dovesse sapersi difendere con le proprie mani. In second’ordine, dovesse tenere a bada la propria testa e i propri istinti e, solo come extrema ratio, utilizzare le armi da fuoco, di qualsiasi ordine o genere esse fossero.
Questo le aveva avvicinate ulteriormente come donne e come amiche, facendole così scoprire il passato non certo roseo di Sherry, i precedenti per droga e alcool della madre, il progressivo allontanamento del padre e la forte unione con suo fratello Gin.
In questo ultimo, potente sentimento, Emily si era rivista molto, amando come amava il suo Jamie, ed essendo a sua volta riamata dal fratello.
La sua amicizia con Sherry le aveva anche permesso di acquisire la forza necessaria per compiere il grande passo, la sua fuga da casa in grande stile, il balzo nel vuoto che avrebbe voluto dire, per lei, l'inizio di una nuova vita.
Trovare Nederland e affidarsi a Rick Jones - che aveva conquistato subito le sue simpatie, così come il suo capo aveva incontrato le sue immediate antipatie - era venuto come diretta conseguenza.
E ora si trovava di nuovo in un bosco, con i suoi demoni a farle compagnia, alla ricerca di una persona scomparsa. Stavolta non era lei il Nord verso cui puntare l’ago della bussola, eppure non riusciva ad allontanarsi dai propri ricordi, dalle proprie...
Emily non riuscì mai a completare quell'ultimo pensiero.
Nello scostare un cespuglio, distratta dal cicaleggio allegro di Sherry e Rick così come dai suoi dolenti ricordi riguardanti il rapimento, non fece attenzione a dove mise i piedi.
Traditrici, vecchie assi di legno cedettero sotto il suo peso facendole letteralmente mancare la terra sotto i piedi.
Senza più niente a sostenerla, il suo corpo scivolò verso il basso, urtando le umide pareti di una voragine apertasi sotto di lei e che, senza alcuna pietà, la stava portando sempre più nell’oscurità.
Mentre l'abisso la inghiottiva, il suo grido si levò alto, rassomigliando terribilmente alla voce della bambina che, a otto anni, era stata rapita e condotta in un'umida grotta degli Adirondak.
***
Jamie fu il primo ad accorrere nei pressi dell'apertura del cunicolo che aveva inghiottito Emily e, urlando il nome della sorella a squarciagola, si affacciò fin quasi a rischiare di cadere a sua volta.
Parker fu lesto a trattenerlo per un braccio e, imprecando a gran voce, sbraitò: "Qui servono delle corde e una torcia! Presto! Jamie, stai indietro, maledizione!"
Vi fu un po' di parapiglia, tra i volontari presenti e, mentre anche Sherry e Rick sopraggiungevano all'imbocco del cunicolo, Parker borbottò imprecazioni tra i denti a più riprese mentre tentava di trattenere un isterico Jamie.
"Questo è un maledetto condotto dell'aria di una vecchia miniera... potrei giocarmi quello che volete" brontolò il geologo, fissando il fratello di Emily prima di osservare indignato i resti delle assi ormai marce e rimaste sul bordo dell'apertura. "Come ha fatto a non vederle?!"
In quel mentre, prima che qualcuno potesse rispondere alla sua domanda, l'agente dell'FBI a capo della loro squadra si avvicinò con aria accigliata e, turbato, disse: "Con noi non abbiamo nulla di adatto a un simile recupero. Mando due dei ragazzi al campo base per reperire il necessario. Siete riusciti a contattarla?"
Jamie si liberò della stretta di Parker, lo guardò come per dirgli che stava bene dopodiché disse: "Corro io al campo. Voi rimanete con lei."
Tutti assentirono - Jamie era un atleta semiprofessionista di sky running, perciò per lui correre su e giù per un monte era un gioco da ragazzi - e Sherry, nel vederlo involarsi verso valle, tornò a guardare il cunicolo e disse: "Vado da lei. Non può rimanere da sola in quell'oscurità."
Immediatamente, l'agente dell'FBI scosse il capo per negarle quella possibilità mentre Parker si offriva di sostituirla, ma Sherry li frizzò entrambi con lo sguardo e replicò gelida: “Siete idioti, forse? Una vittima di rapimento non può e non deve rimanere sola, in simili frangenti, né può venire avvicinata da un uomo. Posso andare solo io.”
Prima di muoversi, però, guardo un preoccupatissimo Rick e aggiunse: "Cercate Anthony. A qualsiasi costo. Mi servirà lui e soltanto lui, quando l'avremo tirata fuori. D’accordo?"
Rick assentì nervosamente e, nello sfiorarle una mano con la propria, mormorò: "Farai attenzione, vero."
Non fu una domanda, quanto piuttosto un’affermazione, e Sherry sorrise nell’annuire.
"Sempre" mormorò la donna, infilando poi le gambe nell'apertura - poco più larga di un metro - per lasciarsi cadere di sotto.
Non le importò minimamente di farsi male, di rompersi una gamba o altro. Doveva raggiungere Emily, e l'avrebbe fatto. La terrorizzava il fatto che non avesse risposto ai loro accorati richiami, e già temeva di non poter fare più nulla per lei.
Fortunatamente, il condotto si rivelò essere in leggera pendenza e, perciò, meno pericoloso di quanto avesse temuto in principio. Quando finalmente raggiunse il fondo, mormorò con tono lieve: "Emily... stai bene? Sono io, Sherry."
Nessuno rispose al suo appello e, per alcuni terribili istanti, Sherry temette che l'amica potesse essersi ferita mortalmente nella caduta. Immediatamente, perciò, afferrò il telefonino che portava nella tasca laterale dei pantaloni e, accesa la torcia, sobbalzò nel vedere Emily raggomitolata a terra, tremante e con le mani strette sul capo.
Gli occhi, sgranati e vitrei, erano immobili e sembravano non vederla. Dopo un attimo, Sherry comprese perché.
Dalle labbra dell'amica, incessanti come una cascata, fuoriuscivano parole su parole, sconclusionate e senza senso, con una voce stridula e roca, quasi fosse stata quella di una bambina spaventata.
Mordendosi un labbro per non piangere di rabbia e frustrazione - non era davvero il momento di crollare! - Sherry le si inginocchiò accanto, poggiò a terra il cellulare perché emettesse un chiarore tale da sconfiggere l'oscurità di quel luogo e, sfiorandole una spalla, mormorò: "Tesoro... sono Sherry. Mi riconosci?"
Lei, per tutta risposta, si scostò terrorizzata e replicò con tono stridulo: "Non farmi male. Sei cattivo! Cattivo!"
"Dio, Emy..." mormorò la donna, ritentando con tono sempre affabile. "Non sei più prigioniera, tesoro... ti sei liberata anni fa. Sei solo caduta nel posto più sbagliato della Terra, ma non sei più in gabbia."
"C'è Cattivo..." iniziò a piangere Emily, scuotendo con violenza il capo. "... Cattivo mi toccherà ancora, e io non voglio. Non voglio."
Sherry sgranò gli occhi per l'orrore, di fronte al potenziale significato di quelle parole e, con la memoria, cercò di tornare ai momenti in cui l'amica le aveva parlato del suo rapimento.
Mai, però, Emily aveva accennato a qualcosa di più di maltrattamenti legati a percosse o spintoni. Era davvero possibile che qualcuno dei rapitori si fosse spinto oltre, e che quella situazione di pericolo le avesse fatto riaffiorare terribili e mai dimenticati ricordi?
Agendo d'impulso, ben decisa a strapparla a quel loop infernale, Sherry la strinse a sé, premendo volutamente il proprio corpo voluttuoso contro quello di Emy perché si rendesse conto, almeno fisicamente, di avere accanto una donna.
Mormorando dolci parole contro il suo orecchio, la pregò di ascoltarla.
"Tesoro, riprenditi. Sono Sherry... Sherry. La tua amica."
Quell'abbraccio improvviso fece dapprima rabbrividire Emily, dopodiché i suoi nervi la spinsero a reagire tentando una nuova fuga, ma Sherry vi si oppose, continuando a mormorarle incessantemente all'orecchio perché la riconoscesse.
Solo dopo molti minuti di quel tira e molla senza soluzione di continuità, Emily finalmente parve riemergere dal suo incubo a occhi aperti e, poggiate le mani sulla schiena di Sherry, esalò turbata: "Sherry... ma dove siamo finite?"
"Siamo ruzzolate in un bel condotto d'aerazione di una vecchia miniera, a quanto pare. Proprio il luogo ideale per un bel tète-à-tète. Peccato, perché avrei voluto farmi palpeggiare da Rick, e non da te" ironizzò Sherry, cercando così di strapparla definitivamente al suo stato di trance.
Lei si lasciò sfuggire una risatina sgangherata e, stringendola maggiormente, replicò: "E io che pensavo di piacerti."
"Non in quel senso, tesoro. Anche se non ho mai provato, onestamente" ribatté Sherry massaggiandole con forza la schiena perché si scaldasse e smettesse di tremare. "Hai preso un bello spavento, eh?"
"Ero distratta, e non ho visto dove mettevo i piedi. Sono stata davvero un’idiota. E dire che lo so che bisogna sempre guardare dove si mettono i piedi" mormorò dolente Emily, affondando il viso nell'incavo della spalla dell'amica.
Tutto quel buio, pur se mitigato dalla luce prodotta dal cellulare di Sherry, le metteva una paura del diavolo e non era certa sarebbe riuscita a controllarsi ancora per molto. Avrebbe potuto cadere in un nuovo incubo a occhi aperti da un momento all’altro.
"Capisco che Anthony ti manchi, quando non sei con lui, ma vediamo di mettere i piedi uno davanti all'altro, okay?" sorrise divertita Sherry, continuando a cullarla contro di sé.
Dalla cima del cunicolo, voci sempre più concitate dissero a Sherry che i rinforzi stavano arrivando. Sperò davvero che, assieme a loro, qualcuno avesse portato anche Anthony perché aveva il timore che, presto o tardi, quella crisi sarebbe sfociata in una nuova esplosione di ricordi.
Per il momento, Emily era abbastanza tranquilla perché si era accanto a lei ma, nell'attimo stesso in cui si fosse trovata nuovamente all'esterno, aggredita dai sensi e dalle voci - giustamente preoccupate - dei volontari e dei suoi amici, probabilmente sarebbe crollata.
"Per la verità, mi sono distratta pensando a te e Rick" sottolineò per contro Emily, strappando Sherry ai suoi pensieri.
"Oh, ma davvero? E a cosa pensavi? A come farmi distrarre dal mio bell'uomo del sud? Per questo hai deciso di fare Bear Grills?" ironizzò Sherry, dandole una scrollatina.
Emily sorrise appena, il viso sempre premuto contro l'amica e gli occhi saldamente chiusi, e ammise: "Pensavo a quanto ti fossi grata di essere mia amica, e quanto fosse bello che una persona come Rick ti avesse notata... e così ho messo un piede in fallo."
"Cara mia, pensare all'amore ti fa perdere la testa, a quanto pare. Dovrò sgridare Anthony. Ti ha ridotta a un colabrodo, con i suoi sorrisi" ironizzò a quel punto Sherry mentre, dalla cima del cunicolo, Parker urlò loro di prepararsi a salire.
A quel punto, con un leggero sprone, Sherry fece rialzare Emily sempre tenendola contro di sé, ben al sicuro dall'oscurità di quel tratto di galleria e, nel notare la sua leggera zoppia, disse: "A quanto pare, qualcuno si è fatto male, cadendo."
"Credo di essermi slogata la caviglia, ma non posso esserne sicura" ammise Emily, arrischiandosi a scostare il viso per aprire gli occhi.
Nel notare la debole luminescenza prodotta dal cellulare di Sherry, ancora a terra, emise un tremulo sospiro di sollievo e, roca, mormorò: "Grazie per aver acceso la luce."
"Se non fossi andata nel panico, ti saresti ricordata che anche tu hai un cellulare nella tasca" le sorrise per contro Sherry. "Stavolta ti perdono, comunque. E ora, fatti imbragare. I ragazzoni lassù ti tireranno fuori."
Emily lanciò uno sguardo in direzione dell'imbracatura che si trovava sul fondo del cunicolo e, turbata, domandò: "E tu?"
"Arriverò subito dopo di te" le promise Sherry.
Emily, però, scrutò terrorizzata l'oscurità che sembrava voler fagocitare il piccolo cellulare che, solitario, lottava contro di essa e, strette le mani sulle braccia dell'amica, esalò: "Non... non voglio lasciarti qui da sola!"
"Vai. Io starò bene. Si tratterà solo di un paio di minuti" le promise lei, aiutandola a imbracarsi prima di lanciare uno strillo perché la sollevassero.
Emily la scrutò per tutto il tempo, una mano protesa verso di lei come se non volesse abbandonarla e Sherry, pur non avendo mai avuto paura del buio, tremò non appena la vide scomparire nel cunicolo.
In fretta, tornò a riprendere il cellulare per tenerselo ben stretto e, per la prima volta da quando era stata messa al corrente del passato di Emily, iniziò a comprendere cosa avesse voluto dire, per lei, rimanere imprigionata al buio per così tanti giorni.
"Cinquantadue giorni di questa oscurità..." mormorò Sherry, guardandosi intorno e puntando ogni dove la torcia del suo cellulare, quasi a voler esorcizzare i mostri che potevano annidarsi in quell'oblio senza fine. "...non fa specie che ne sia terrorizzata."
Specialmente se, come temeva, ciò che l'aveva tanto spaventata in gioventù, non era stato solo il buio.
***
Già pronto a uscire per un’ennesima giornata passata nei boschi alla ricerca di Mickey, Anthony si vide sbarrare la strada dal padre che, livido in volto, gli strappò dalla mano lo zaino e lo gettò a terra, sbottando poi irritato: "Adesso basta! Ci sono già anche troppe persone che stanno cercando quel ragazzino, e non c'è davvero bisogno che tu sprechi tempo ulteriore dietro a questa faccenda! Devi lavorare, non andartene in giro per i boschi!"
Anthony fu sul punto di rispondergli a male parole, ma la presenza di alcuni dipendenti, a poca distanza da loro, lo costrinse a trattenere le parole che gli erano salite in gola per rabberciarlo.
Trascinatolo perciò con sé all'interno delle proprie stanze - da cui aveva tentato invano di uscire - Anthony si chiuse la porta alle spalle e sibilò: "Ti diverti molto a fare queste scenate di fronte alle cameriere? O proprio non ci pensi che loro potrebbero sentirti?!"
"Le pago anche per farsi gli affari loro!" ringhiò per contro William, fissandolo arcigno. "Tu non uscirai, oggi. Punto e basta. Ti devo ricordare che, qui dentro, sei ancora stipendiato da me? Non puoi fare quello che vuoi solo perché sei mio figlio e io, di certo, non ti pago per andare a bighellonare in giro!"
"C'è bisogno di tutti, per ritrovare Mickey, non lo capisci?!" sbottò a quel punto Anthony, falciando l'aria con un braccio per dare più enfasi alle sue parole.
William, però, non rimase per nulla impressionato dal suo sfogo di rabbia e, imperturbabile, replicò: "Se preferisci, posso sempre licenziarti e buttarti fuori di casa. In fondo te lo meriteresti anche, visto che non sei stato neppure capace di tenerti stretto quell'insulsa ereditiera di New York. Ci voleva tanto? Non mi piace tenere degli inetti al mio servizio."
Anthony non ci vide più.
Lo spinse di lato per uscire dalla sua stanza ma, prima di afferrare la maniglia, lo guardò con furore cieco negli occhi e ringhiò: "Non osare mai più parlare male di Emily, ...E' CHIARO?! E cacciami pure, se vuoi! Ne ho abbastanza di te e dei tuoi soprusi! Vuoi far fallire questo posto?! Fai pure! A quanto pare, non hai a cuore più nulla di ciò che è tuo, perciò fai fare la fine che preferisci all’albergo che era stato dei nonni. Io non starò qui a guardarti le spalle!"
William rimase fermo e silente, di fronte a quel figlio che sembrò non riconoscere e Anthony, ormai privo di qualsiasi volontà di proseguire il loro confronto, se ne andò sbattendo la porta.
Ciò fatto, prese il pick-up ma, invece di dirigersi verso Eldora, prese in direzione opposta, ben deciso a smaltire la rabbia prima di unirsi ai volontari. Non sarebbe stato utile a nessuno, in quelle condizioni, e non voleva che Emily si preoccupasse per lui.
Ormai, i giochi erano fatti e lui non voleva più darsi pena per il padre. Era stanco, disgustato e ferito ma, più di tutto, non sopportava più di tacere, di fronte a quell'uomo che il destino gli aveva lasciato in dote come padre.
Aveva sprecato anni interi, dietro all’uomo che aveva sempre dovuto chiamare papà, e per cosa? Avrebbe potuto essere felice, farsi una sua vita, una sua famiglia e, pur se ora sapeva che Consuelo non avrebbe mai potuto essere la donna della sua vita, il padre aveva cospirato per rovinare il loro rapporto fin dall’inizio.
Era stanco di permettergli di distruggergli la vita e, da quel momento in poi, non gliene avrebbe più dato la possibilità.
N.d.A.: Se per Rick e Sherry la strada sembra spianata, per Anthony i guai in famiglia stanno peggiorando a vista d'occhio e, dopo quest'ultima sfuriata, non è dato sapere come William si comporterà col figlio. Nel frattempo, Emily viene sommersa da ricordi orrendi che sperava di aver cancellato e, quando Sherry se ne rende conto, sa che del passato dell'amica c'è ancora qualcosa di cui è all'oscuro. Qualcosa che, forse, spiegherebbe ogni suo comportamento, ogni sua idiosincrasia.
Vi lascio col dubbio fino alla prossima settimana... a presto!
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
18.
Gennaio 1992 – Nederland
Anthony se ne stava come suo solito sotto uno dei tavoli del salone dell’albergo, ben nascosto dalla lunga tovaglia bianca stesa sulla superficie ovale in legno.
Ancora una volta, suo padre e sua madre avevano iniziato a discutere quando quest’ultima era rientrata tardi dopo una cena con le amiche.
Il padre le aveva detto cose talmente brutali e volgari che, inorridito e spaventato, Anthony era uscito di soppiatto dall’appartamento di fianco all’albergo per non ascoltare oltre la voce infuriata del genitore.
Nascostosi nel suo posto preferito, quindi, aveva iniziato a contare fino a cento e ritorno, sperando così di scacciare dalla mente le urla del padre e le parole velenose della madre.
Andava avanti così da anni, per quel che poteva ricordare.
Non rammentava un solo compleanno passato assieme a tutti e due contemporaneamente e, il più delle volte, erano stati i nonni a soffiare le candeline sulla torta assieme a lui.
Non di rado aveva chiesto spiegazioni a entrambi i genitori ma, se dal padre aveva ricevuto unicamente imprecazioni in risposta e imperativi a tacere, la madre si era limitata a piangere e a rintanarsi in camera sua.
Anche chiedendo ai nonni paterni, non aveva scoperto molto di più. La nonna si era premurata di ricordargli che entrambi i genitori lo amavano – era nato poco dopo il loro matrimonio, dopotutto – e che la guerra del Vietnam, oltre ai dissidi violenti con la famiglia di Marlene, erano stai i veri colpevoli dell’umor nero di sua madre e suo padre.
Naturalmente, Anthony sapeva che i suoi nonni materni mal lo sopportavano. Li aveva sentiti più di una volta accusare la figlia di essersi data a un uomo depravato e senza morale – non capendo, in realtà, cosa avessero voluto dire – e, per tutta risposta, lei li aveva cacciati senza permettere loro di conoscerlo.
Lui non si era mai arrischiato ad andare da loro di nascosto, memore di quante botte avesse ricevuto da suo padre quando, una volta, era andato da un amico senza dirgli nulla.
Quella volta, suo padre si era davvero infuriato, rabberciandolo in malo modo e ricordandogli per l’ennesima volta che, in casa sua, era l’unico a poter prendere decisioni. Di qualsiasi tipo.
Anche, per l’appunto, andare da un amico con la sua bicicletta.
Anthony non aveva più commesso quell’errore ma, sempre più spesso, si era rintanato all’interno dell’hotel dei nonni, unico posto che gli fosse permesso visitare senza previa richiesta al padre.
Il nonno lo aveva trovato spesso nel salone, intento a giocherellare con le sue macchinine, e sempre sotto il tavolo d’angolo di quell’enorme stanza dai fregi rococò.
Non fu diverso neppure quella notte.
Armato di torcia elettrica, Darren Consworth avanzò cauto nel salone, indirizzando il fascio di luce a destra e a manca prima di scorgere l’ombra famigliare del nipote sotto il solito tavolo d’angolo.
Nel sollevare la tovaglia, perciò, gli sorrise pieno di preoccupazione ma, nel notare la mancanza di lividi visibili, si tranquillizzò un poco. Il bambino non era stato ferito.
“Allora, ragazzo… giochiamo ancora a nascondino?”
“Più o meno” brontolò Anthony, sgusciando da sotto la tovaglia dopo un’ultima occhiata al suo nascondiglio preferito.
Darren, allora, si adombrò in viso e domandò: “Stanno litigando?”
“Ancora” sbuffò il bambino, annuendo con vigore. “Papà ha detto alla mamma che è una…”
Tentennando, guardò dubbioso il nonno e borbottò: “Sì, insomma, quella parola con la ‘p’ che io non devo dire.”
Darren sospirò esasperato, avvolse le spalle del bambino con un braccio e lo portò con tutta calma al piano superiore e, da lì, nell’ala dell’albergo dove risiedeva con la moglie. Raggiunto l’appartamentino, lo fece accomodare al tavolo della cucina per una cioccolata calda dopodiché, messosi ai fornelli, gli domandò: “Cos’è successo, stavolta?”
“La mamma non si reggeva in piedi, credo. L’ho vista col viso rosso e, da come si teneva alla colonna del salotto, non sembrava stare molto bene” gli spiegò il nipote.
Julie fece il suo ingresso in cucina in quel momento e, nel vedere il nipote, gli sorrise dolcemente e lo abbracciò da dietro, carezzandogli gentilmente il capo per poi baciarglielo.
Lui le sorrise amorevole e disse: “Ciao, nonna.”
“Sei andato a giocare a nascondino nell’albergo, caro?” domandò Julie, già subodorando problemi a casa.
Il bambino assentì e Julie, nel lanciare un’occhiata all’indirizzo del marito, sospirò leggermente prima di accomodarsi accanto ad Anthony. Presolo poi in braccio, lo cullò contro di sé e gli domandò: “Sai che non ti vorremo sempre bene, vero?”
“Certo. Tu e il nonno siete i migliori. Neppure Walter ha dei nonni così bravi” sorrise lui, parlando del suo migliore amico a scuola.
Walter Collins era figlio del proprietario della pompa di benzina che si trovava all’uscita di Nederland e, spesso e volentieri, lui si era recato a casa sua – dietro permesso paterno – per giocare. La sua famiglia gli piaceva, soprattutto perché la sua mamma faceva una crostata di frutta deliziosa, e gliene regalava sempre un pezzo, prima di tornare dai suoi.
Julie sorrise al nipote ma, quando udì il motore di un’auto prendere vita dabbasso, immaginò che il figlio si stesse allontanando da casa. Forse, per sbollire la rabbia.
Sospirando, Darren consegnò la cioccolata calda al nipote e, nel carezzargli il viso, disse: “Stanotte dormirai da noi, così il papà e la mamma parleranno con calma.”
“Perché litigano sempre, nonno?” domandò turbato Anthony. “Non si vogliono bene come voi?”
“Tutte le coppie litigano, ogni tanto. Ma ricorda solo questo. Loro ti vogliono un mondo di bene” lo rassicurò Darren, pur non essendo sicuro di stare dicendo la verità.
Da quando Marlene aveva avuto Anthony, il suo carattere già fragile e suggestionabile era peggiorato col passare del tempo e, della donna sorridente e dolce di un tempo, si erano ormai perse le tracce.
Nel corso degli anni aveva sviluppato una freddezza sempre maggiore nei confronti del marito e, pur se questa non si era estesa al figlio, non era però stata in grado di essere una valida spalla per il piccolo Anthony.
Il bambino, infatti, era stato vessato sempre più dal padre, reo di non si sa quale crimine e perciò degno delle sue reprimende e del suo biasimo.
Più volte aveva discusso con il figlio perché si decidesse a cambiare il suo rapporto con il piccolo Tony, ma le uniche cose che si era sentito rinfacciare erano la sua supposta debolezza e il suo essere un uomo senza onore. Senza spina dorsale.
Non aveva mai voluto indagare sul perché di quelle accuse, ma si era sempre ritrovato con un pugno di mosche in mano, tutte le volte che aveva cercato di affrontare – e far rinsavire – il figlio.
Giunti a questo punto, però, avrebbe dovuto imporsi e obbligare William a trattare con maggior riguardo Anthony. Ormai il bambino stava diventando abbastanza grande per capire cosa stesse accadendo ai due coniugi, e loro non potevano permettersi di far ricadere su di lui i loro dissapori.
La mattina seguente, avrebbe messo i puntini sulle ‘i’ una volta per tutte.
***
Schiaffeggiando Marlene mentre, dentro di sé, un fuoco punitore stava salendo di grado a ogni attimo che passava, William le urlò contro: “Sono stanco delle tue menzogne e dei tuoi passatempi tra amiche! Il tuo posto è sotto questo tetto e dentro il mio letto! Ti è chiaro?!”
Marlene, allora, gli rise in faccia e replicò sarcastica: “Ma se nemmeno ti si rizza più? Cosa vuoi che mi interessi scaldare le lenzuola di un uomo che non riesce neppure a darmi piacere? Meglio cercare altrove, visto che tu non sembri più essere lo stesso.”
“Che cosa?! Ritira quel che hai detto!” sbottò lui, afferrandola al collo per poi sbatterla contro il muro con violenza.
Lei rise ancora, gli sputò in faccia e ansimò gorgogliante: “Ti sposai perché sembravi essere proprio l’uomo giusto per me, e perché mio padre ti detestava. Se lui non ti sopportava, allora dovevi avere per forza le caratteristiche giuste per andar bene a me. Ma mi sono sbagliata, e di molto. Sei solo un uomo debole, che afferma se stesso solo picchiando le persone… picchiando la moglie e il figlio! E’ questo che hai imparato, in guerra? Te le scopavi solo così, le puttane gialle che hai incontrato laggiù? O te le facevi da morte?”
Non accettando oltre i suoi insulti, William la gettò a terra malamente e, tenendo fisso su di lei uno sguardo rovente, sibilò minaccioso: “Ti insegnerò una volta per tutte a obbedirmi ciecamente.”
“Piuttosto che dartela vinta ancora una volta, me ne andrò” gli rinfacciò lei, rimettendosi a fatica a sedere.
A quelle parole, William si ammutolì, il suo viso divenne di ghiaccio e, con voce mortalmente atona, asserì: “Allora, non hai capito niente di me.”
Ciò detto, si allontanò dalla moglie e Marlene, nell’osservarlo mentre si recava in camera da letto, non ebbe più dubbi. Era giunto il momento di andarsene.
***
Mano nella mano con il nonno, Anthony rientrò a casa dopo la lauta colazione preparata da sua nonna Julie e, forte della presenza sicura e autoritaria di nonno Darren, aprì la porta d’entrata e disse: “Papà? Ci sei? Sono tornato.”
Nonno e nipote udirono uno sciabordio d’acqua provenire dalla cucina così, dopo essersi diretti lì, trovarono William alle prese con una tazza di caffè e del sapone per i piatti.
Nel volgersi a mezzo quando lì udì entrare in cucina, William borbottò: “Almeno tu hai avuto la decenza di tornare.”
Confuso, Anthony guardò il nonno che, per tutta risposta, domandò: “Cosa intendi dire, Will?”
L’uomo non rispose, indicando però con un cenno del capo il tavolo della cucina.
Subito, Darren si affrettò a raggiungerlo e lì, scribacchiato in tutta fretta e con caratteri raffazzonati, trovò un biglietto in cui si diceva:
Me ne vado per sempre. Tieniti pure la casa e i tuoi stupidi soldi. Non mi servi tu e non mi serve il bambino.
Darren si affrettò ad appallottolare il biglietto perché Tony non lo leggesse dopodiché, rivoltosi al figlio, domandò: “Dove si trova Marlene?”
“Mi sembra chiaro. Si è presa le sue cose e se n’è andata mentre ero fuori al bar” scrollò le spalle William.
Anthony sgranò gli occhi per lo sgomento, a quella notizia e William, ghignando perverso, lo guardò sardonico e disse: “Già. La tua cara mammina ti ha abbandonato. Non ha ritenuto di portarti con sé perché non le interessava tenerti.”
“Will!” lo richiamò subito Darren, pregandolo con lo sguardo di non dire altro.
William però non lo ascoltò affatto e, raggiunto che ebbe uno sconvolto figlio, lo prese per le spalle per scuoterlo e gli urlò contro: “Non ti ha voluto. Non ti ha mai voluto! Ero io a volere un figlio, e lei mi ha dato te, che non vali neppure un mio dito indice! Ecco come mi ha ringraziato per averla salvata da quella gabbia che era la sua famiglia! Con un figlio inetto!”
“Will, adesso basta! Lascialo stare” gli ordinò a quel punto Darren, afferrandolo a una spalla per allontanarlo dal figlio. “Dobbiamo pensare a cercarla e a riportarla a casa. E’ chiaro che è confusa, o non lo avrebbe mai fatto.”
William lo squadrò con occhi iniettati di sangue e replicò: “Solo tu puoi pensare che io voglia tenere una moglie che allarga le gambe per chiunque. Solo tu puoi pensare che si possa accettare una cosa del genere!”
Darren sgranò gli occhi, di fronte a una simile sequela di insulti e, nel rivolgersi ad Anthony, disse: “Vai dalla nonna. Subito.”
Il bambino non se lo fece ripetere due volte e, senza attendere oltre, corse via da casa per non udire oltre le parole terribili del padre.
Non poteva essere vero! Sua madre non poteva averlo abbandonato! Non poteva credere che non gli avesse voluto abbastanza bene da portarlo con sé!
In lacrime, perciò, tornò in albergo, oltrepassò le porte secondarie utilizzate dai dipendenti e, incespicando un paio di volte sui gradini, riuscì finalmente a raggiungere l’alloggio dei nonni.
Lì, urlò a gran voce il nome della nonna e, non appena la vide, si gettò tra le sue braccia, gorgogliando tutto il suo dolore e la sua paura.
Fu così che Julie scoprì della fuga notturna di Marlene e, mentre il nipote piangeva tutte le sue lacrime, si domandò cosa mai fosse passato per la mente di quella donna, per abbandonare a quel modo il proprio figlio.
Quando infine vide rientrare Darren, sul volto lo sconforto e il dolore ben dipinti sui suoi tratti infiacchiti dall’età, seppe che le parole del nipote erano corrisposte a verità.
Marlene se n’era andata e, quel che era peggio, aveva abbandonato senza una parola di addio il suo unico figlio.
“Andrete a cercarla?” domandò Julie, speranzosa.
Darren scosse il capo, afferrò le chiavi dell’auto e disse: “Vado alla polizia per denunciarne la scomparsa. Quanto al resto… Will non vuole perdere neppure un istante di più, dietro a Marlene.”
Julie allora sospirò, reclinò il capo e strinse maggiormente a sé il nipote che, contro i suoi seni, mormorò roco e sconsolato: “Se non mi vuole più, neppure io la vorrò più.”
“Oh, tesoro mio!” gorgogliò sgomenta sua nonna.
Darren strinse i denti per l’angoscia, desideroso di poter dire qualcosa, di poter fare qualcosa per quel bambino così dolce, ma che un destino avverso aveva posto tra le mani di due genitori inadatti a quel compito.
Non potendo però fare altro per il nipote se non lasciarlo alle amorevoli cure di Julie, uscì dall’appartamento e, zoppicante, si avviò all’esterno per raggiungere la sua auto e, infine, la Centrale di Polizia.
Lì, armato del suo bastone, entrò e chiese dello sceriffo Simpson, rimanendo poi in trepidante attesa che l’amico giungesse per accogliere la sua denuncia.
Quando vide arrivare Gareth, lo sguardo turbato e un dubbio atroce dipinto sul viso, Darren scosse il capo per scacciare i suoi timori più grandi dopodiché, fiacco, disse: “Marlene se n’è andata. Ha lasciato un biglietto, a casa, dicendo che non sarebbe mai più tornata, e di non cercarla per nessun motivo.”
Facendo tanto d’occhi, a quella notizia, Gareth lo portò in un angolo tranquillo della stazione di polizia prima di chiedergli turbato: “Sei sicuro che sia scappata?”
“Le sue cose non ci sono più. Ho controllato proprio per sincerarmene. Per scrupolo ho anche chiamato al bar dove, di solito, Will va a bere, ma mi hanno confermato che era lì, la notte scorsa.”
Passandosi una mano tra i capelli sale e pepe, Gareth asserì: “Erano anni che si comportava in maniera strana, ma pensavo semplicemente che fosse perché la gravidanza è stata difficoltosa. Sai, Isabell mi ha detto che a volte, le donne, hanno… difficoltà a superarla.”
L’accenno alla moglie di Gareth fece sospirare Darren. Isabell aveva perso due bambini prima di decidere di rinunciare, così la coppia aveva adottato un bambino a Denver e, almeno per il momento, il ragazzo sembrava crescere davvero bene.
“Non so cosa dirti, visto che mio figlio e io non abbiamo mai avuto un buon rapporto, e Marlene non si è mai confidata con Julie in merito a nulla, del suo matrimonio” sospirò Darren. “Può… può darsi davvero che sia scappata.”
“E Tony come la sta prendendo?” domandò a quel punto Gareth, turbato.
“Come qualsiasi bambino che sia messo di fronte a un simile evento. Sta chiudendosi. Ha detto che, se lei non lo vuole, neppure lui la vorrà più” ammise Darren.
Gareth imprecò sottilmente prima di dire: “Manderò una pattuglia a cercarla e, finché non avremo trovato notizie su di lei, non mi fermerò.”
Darren, però, scosse il capo e replicò: “William non vuole e, se neppure i suoi genitori denunceranno la scomparsa, non se ne farà nulla. Te l’ho detto solo per scrupolo, perciò…”
“Davvero non la cercherà?” esalò Gareth, costernato.
“E’ stato chiaro, con me. Lui non vuole avere niente a che fare con una donna che non sa stare al suo posto” dichiarò Darren con aria desolata.
Sospirando, Gareth allora disse: “Avvertirò i suoi genitori e vedremo cosa ne salterà fuori. Tu, però, tieni d’occhio Anthony. Non voglio che quel ragazzino finisca nei guai perché ha due genitori che non lo hanno mai tenuto in considerazione.”
“A lui baderemo io e Julie, come abbiamo sempre fatto” gli promise Darren.
“Sa il cielo se una persona come te avrebbe meritato ben altro, in sorte” disse spiacente Gareth, dandogli una pacca sulla spalla.
Darren si limitò a sospirare e, dopo aver salutato l’amico, uscì dalla Stazione di Polizia per ritrovarsi sotto una fitta nevicata.
Lasciando che i fiocchi di neve cadessero sul suo volto stanco, Darren si chiese per l’ennesima volta dove avesse sbagliato e, mentre le lacrime si confondevano ai cristalli disciolti sulla sua pelle, mestamente rientrò a casa.
Ora aveva un solo compito a cui pensare; crescere Anthony e sperare che William non lo distruggesse del tutto.
Era giusto che almeno il piccolo Tony non venisse corrotto dall’oscurità sempre crescente che stava pian piano avvolgendo suo figlio. Quel figlio non suo che, con tutto il cuore, aveva cresciuto e protetto ma che, come una serpe in seno, gli si era rivoltato contro in tutti i modi possibili.
Zoppicando leggermente, risalì quindi in auto per tornare in albergo e, quando fu infine giunto nel parcheggio sul retro – destinato a titolari e dipendenti – spense il motore e osservò Anthony nel mezzo del giardino.
Giocava allegramente a rincorrere i fiocchi di neve che cadevano dal cielo e, almeno in apparenza, sembrava non essere particolarmente turbato da quello che era avvenuto nelle ultime ore.
Quando, però, scese e si fece più vicino, Darren strinse i denti quando vide gli occhi rossi del bambino e i segni evidenti del pianto sul suo giovane viso.
Come sempre, Tony stava cercando di scacciare i dolenti pensieri facendo qualcosa che gli piaceva, tentando forse invano di evitare di soffrire inutilmente a causa dei genitori che gli erano toccati in sorte.
“Tony” mormorò Darren, richiamando la sua attenzione.
Il bambino si volse a mezzo nel sentire la sua voce, si spazzolò in fretta il naso – forse per cancellare i segni del pianto – dopodiché, corsogli incontro, sorrise ed esclamò: “Nonno! Hai visto che bello? Se continua così, prima di sera potremo fare i pupazzi di neve!”
Lui gli sorrise, se lo strinse al petto per un istante dopodiché, nell’avvolgergli le spalle, lo riportò al coperto e asserì: “Sì. Faremo il più bel pupazzo di neve di tutta Nederland.”
Anthony annuì eccitato e, nell’infilare fiducioso la manina in quella più grande e calda del nonno, mormorò: “Se lo faremo tu, io e la nonna, sarà splendido.”
Darren cercò di non far caso al fatto che il nipote non avesse incluso il padre nell’equazione e, nel sospingerlo all’interno dell’albergo, disse: “Scommetto che la nonna vorrà mettergli la mantellina sulle spalle.”
Anthony rise a quel commento e, mentre spiegava il suo progetto al nonno, Darren intravide sul fondo del corridoio le figure di Julie e William, apparentemente impegnate in una discussione.
Preferendo evitare che Anthony dovesse sorbirsi l’ennesimo litigio, dirottò il nipote verso le cucine e lì, nel vedere Selma impegnata a preparare la zuppa di ceci per la cena, le domandò: “E’ possibile avere due cioccolate calde?”
La donna annuì con un sorriso e, dopo aver preso il necessario, diede un buffetto sul naso a Tony, asserendo: “Il nostro campioncino ha anche fame, forse? Ho appena sfornato una torta di ribes che potrebbe piacerti.”
“Le tue torte mi piacciono tutte, Selma” dichiarò il bambino, accomodandosi diligentemente su un alto sgabello.
La cuoca rise deliziata di fronte a tanta sincerità e iniziò a chiacchierare con il bambino, dando così l’opportunità a Darren di defilarsi per qualche attimo e comprendere cosa fosse successo tra madre e figlio.
Nel trovare Julie ancora nei pressi della porta d’ingresso laterale, dove l’aveva lasciata in compagnia di William, la vide totalmente stravolta, con gli occhi sgranati per l’angoscia e le mani artigliate ai vestiti.
Preoccupandosi immediatamente, a quella vista, Darren la raggiunse subito e le afferrò le spalle, scuotendola leggermente perché si riprendesse dopodiché, turbato, domandò: “Julie, amore… che succede?”
Lei sobbalzò leggermente e, nel volgere lo sguardo verso il marito, singhiozzò disperata e gorgogliò: “Lo sa. Darren… lo sa.”
Non vi fu bisogno di chiedere cosa. Lo sguardo allucinato della moglie urlava a gran voce quale verità fosse venuta a galla e Darren, impallidendo visibilmente, si lasciò andare contro il muro prima di esalare: “Come?”
“Non ha voluto dirmelo, ma imputa a te la causa della fuga di Marlene. Will crede che tu sia stato un debole, comportandoti come hai fatto e che, crescendolo come lo hai cresciuto, lo hai reso uguale a te. Un uomo debole e non in grado di tenere a freno le voglie della propria moglie” singhiozzò Julie, reclinando il viso. “E’ convinto che io… io…”
Darren abbracciò stretto la moglie perché non proferisse le parole terribili che il figlio le aveva urlato contro e, nel cullarla dolcemente contro di sé, mormorò: “Sai benissimo che non è così, e lo so anche io. Gli parlerò e gli farò capire che sbaglia. Se anche ormai sa la verità, una parte della verità, è giusto che la comprenda fino in fondo, e non che pensi di te le cose sbagliate.”
“Non hai visto il suo sguardo, Darren,… mi odia. E forse odia te ancora di più” singhiozzò maggiormente Julie, affondando il viso contro il torace del marito.
Stringendo i denti per non imprecare, Darren assentì, ma disse: “Gli parlerò comunque. A costo di inculcargli la verità in testa con la forza.”
Ciò detto, le diede un bacio, la pregò di raggiungere Anthony in cucina dopodiché, di buona lena, uscì dall’albergo nel tentativo di trovare il figlio ma, quando vide che il pick-up era sparito, sospirò.
Era nuovamente uscito. E, forse, lo era anche dalle loro vite, a quel punto.
N.d.A.: era giusto mostrarvi come fossero andate le cose, nel passato di Anthony, giusto per chiarire - se mai ve ne fosse stato bisogno - quanto fossero radicati in lui il disagio e il disappunto provati nei confronti del padre, e come si fosse arrivati alla sparizione di Marlene. Da questo capitolo si capisce anche quanto William abbia travisato i fatti riguardanti la sua nascita, finendo col credere che la madre si fosse comportata come una poco di buono, mentre il padre si fosse accollato la parte del becco per un senso dell'onore che William, di sicuro, non avrebbe mai potuto capire.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
19.
Il ritorno alla civiltà fu convulso e del tutto sconclusionato, per Emily. Quando riemerse da cunicolo per rivedere la luce, si ritrovò ad affrontare i volti preoccupati dei volontari e degli amici, oltre a quello trafelato ma sollevato del fratello.
La visione di così tante persone, e tutte in ansia per lei, la mandò in totale confusione e, nelle successive due ore, ogni evento fu avvolto da una fitta nebbia, almeno nella sua mente.
Nella sua memoria rimase ben poco della sua discesa in toboga lungo il pendio della montagna, così come del suo ricovero in pronto soccorso, dove si limitarono a fasciarle la caviglia – effettivamente slogata – e a ripulirle alcuni graffi.
Suo padre si presentò in ospedale con il volto pallido e spaventato ma, nel vederla in salute e, tutto sommato, sana e salva, si riprese rapidamente, soprattutto dopo averle tributato un lungo, sentito abbraccio.
Fu Sherry a fornire la maggior parte delle spiegazioni, visto che Emily non parve in grado di parlarne. Spiegò altresì ai soccorritori dove fosse necessario apportare delle riparazioni, onde evitare che altri potessero cadere nel cunicolo incriminato, dopodiché si dichiarò fermamente convinta nel voler portare a casa Emily.
Lei non ebbe nulla da ridire. Il suo sistema nervoso era allo stremo e aveva bisogno di avere attorno a sé poche persone, oggetti a lei familiari e il suo cane.
Ma Anthony? Anthony dov'era finito?
Mentre Parker l'aiutava a scendere dal suo pick-up, Emily iniziò a rendersi finalmente conto di dove fosse, di cosa fosse successo e quali mostri si fossero liberati con quella caduta e, di colpo, iniziò a tremare.
Immediatamente, Sherry le fu al fianco mentre Jordan correva ad aprire la porta di casa della figlia e Jamie affiancava la sorella per sorreggerla.
Rick giunse proprio in quel momento, quasi trascinando fuori dall'auto un trafelato Anthony che, vedendo Emily ridotta a quel modo, parve sul punto di dare di matto a sua volta.
Sherry, però, non glielo permise. Lo fissò arcigna, lasciò nelle mani capaci di Jamie una sconvolta Emily e, raggiunto l’uomo in pochi, rapidi passi, gli piazzò le mani sul petto con fare intimidatorio dopodiché ringhiò: "Tu non hai il diritto di sbarellare, stasera. Ve lo potete concedere solo uno alla volta e, per stavolta, tocca a lei. E' chiaro?!"
Quel richiamo violento, pieno di rabbia e paura miscelate tra loro, parve ridestarlo dal proprio personale incubo così, annuendo, l'uomo si affrettò a seguirli in casa, dove domandò: "Rick mi ha raccontato sommariamente cos'è successo, e ..."
"Perché non eri nel bosco con lei?!" lo incolpò con tono isterico Sherry, pur sapendo di fare un torto ad Anthony.
Non era di certo colpa sua se Emily era caduta, né poteva pretendere che Anthony le gravitasse attorno come una luna col proprio pianeta. Non era questo che sperava per l'amica, e dubitava fortemente che la stessa Emily volesse questo, dal suo uomo.
Anthony, comunque, non le rispose a tono – comprendendo senza fatica da dove venissero quelle parole così cariche di fiele – e, reclinando il capo, si limitò a dire: "Avevo bisogno di stare per i fatti miei."
"Beh, ora lei ha bisogno di te" precisò Sherry con tono più dolce, quasi consegnandogliela tra le braccia, tremante e fredda, prima di fissare il resto dei presenti e ordinare con voce nuovamente caparbia: "Quanto a noi, andiamocene. Emy non ha certo bisogno della ressa, in casa. Non stasera, per lo meno."
"Io, veramente, dormo qui" sottolineò Jamie, pur seguendo l’amica fuori di casa dopo aver lanciato un ultimo sguardo dubbioso alla sorella.
"Ti farai ospitare nella stanza di tuo padre, per stanotte" brontolò Sherry, sbattendo alle sue spalle la porta di casa prima di poggiarsi contro se stessa, sospirare pesantemente e lasciarsi scivolare a terra, scossa dai brividi.
Subito, tutti gli uomini presenti accorsero accanto a lei per aiutarla ma Sherry, levata una mano per bloccarli, si passò una mano sul viso e mormorò molto meno spavalda di prima: "Hanno bisogno di stare da soli e, mi spiace dirlo, nessuno di voi potrebbe essere utile quanto Tony, al momento."
Ciò detto, lanciò un'occhiata spiacente a Jordan che, sorridendo a mezzo, asserì con triste ironia: "Fidanzato batte papà, vuoi dire?"
"Temo di sì, Jordan. Senza nulla togliere al tuo fascino, ma la tua bambina ha bisogno di un altro tipo di abbraccio, ora come ora" sospirò lei prima di reclinare il capo contro le ginocchia per lasciarsi andare a un pianto silenzioso.
Senza dire nulla, Rick si piegò accanto a lei e, con delicatezza, la raccolse da terra per tenerla tra le braccia al pari di una bambina. Sempre in silenzio, la portò fino alla sua Chevelle SS1970 e lì la fece sedere sul comodo sedile di pelle, allacciandole poi la cintura di sicurezza con mosse lente e delicate.
Jordan, Jamie e Parker osservarono l'intera scena senza fiatare e, quando li videro allontanarsi lungo la via sterrata, quest'ultimo disse: "Dio! Ho bisogno di una birra e di dormire! Che razza di giornata!"
Jamie e Jordan si dichiararono pienamente d'accordo e quest'ultimo, nell'osservare le luci spente all’interno della casa dei Larson, disse: "Sarà meglio che loro non sappiano della crisi di Emily. Non voglio che Consuelo e Samuel si sentano in colpa per una cosa del genere."
"Sarà dura non farglielo sapere. Il paese è un covo di chiacchieroni" motteggiò Parker, dando una pacca sulla spalla a Jamie prima di invitare i due uomini nel suo miniappartamento.
Per il momento, nessuno di loro poteva fare nulla per Emily.
***
Anthony si era visto raggiungere da Rick lungo le rive del fiume, ancora furioso e disorientato dalla lite avuta con il padre. Senza tanti giri di parole, quindi, il giovane Jones lo aveva caricato sulla sua Chevelle dicendogli a grandi linee cosa fosse successo a Emily, e cosa Sherry si aspettasse da lui.
Appoggio. Totale e incondizionato.
Non che non sarebbe stato così a prescindere ma, quando si vide sostanzialmente spingere in casa con la sola Emily, ormai prossima a una crisi di nervi vera e propria, Anthony cominciò a subodorare i veri intenti di Sherry.
E ad averne paura.
Perché era impensabile che lui potesse affrontare Emily nello stato di rabbia e frustrazione di cui era stato vittima fino a pochi minuti prima. Inoltre, per quanto fosse in ansia per la donna che amava, sapeva di non essere al suo massimo, e di non poterle dare il suo massimo. Cosa che, a quanto pareva dai tremori di Emy, doveva essere una condizione più che necessaria.
Preferendo però non discutere con Sherry - da come lo aveva redarguito, avrebbe anche potuto staccargli la testa a cazzotti, se non si fosse preso cura di Emily a dovere - prese un bel respiro, strinse a sé Emy e mormorò: "Scusa se non ero con te."
Pur tremando come una foglia, lei scosse il capo e cercò di scostarsi, replicando: "Non eri obbligato a venire... ma ero in ansia. Non rispondevi."
Anthony la lasciò suo malgrado andare ed Emily, aggirandosi nervosa e pericolosamente instabile lungo il perimetro del salotto, proseguì dicendo: "Ero preoccupata che potesse esserti successo qualcosa, o che magari avessi litigato con tuo padre, e potessi aver bisogno di me."
Ciò detto si volse, lo guardò in viso per diversi istanti e infine borbottò: "Avete litigato."
Non fu una domanda, e Anthony non sprecò fiato per confermare ciò che, a quanto pareva, doveva essere ben più che evidente sul suo viso.
"Emy... hai bisogno di sdraiarti, e non di camminare su quella caviglia malandata" sottolineò con tono blando Anthony, allungandole una mano per scortarla fino al divano.
La donna, però, reclinò il viso a scrutarsi la caviglia fasciata, ignorando la sua mano protesa e, lentamente, sul suo volto si dipinse il panico, come se quell'accenno alle sue condizioni le avesse ricordato perché, e come si fosse ferita.
Un pallore crescente le invase il volto ormai sconvolto, preoccupando non poco Anthony che, avvicinatala in tutta fretta, esalò: "Emy, per favore! Lascia che ti accompagni di sopra."
Cercò quindi di sfiorarle una spalla con la mano ma la donna, a quel punto, lanciò uno strillo e, caracollando all'indietro, finì per cadere sul divano, gli occhi sgranati e ricolmi di un panico che aveva radici antiche. Radici portate a galla da quella situazione che, ormai, aveva raggiunto il limite, almeno per lei.
Il tremore si fece così importante da portarla a battere i denti e, con una voce sottile e impaurita, mormorò in lacrime: "Non mi toccare... non mi toccare. Non voglio."
"Emy..." sussurrò turbato Anthony, non avendola mai vista in quello stato, se non in un'occasione soltanto.
Quando aveva scoperto le parti più nascoste del suo passato, e le orrende implicazioni di ciò che le era successo, Emily gli era apparsa ugualmente spaesata, ugualmente persa nei suoi personali incubi.
Scossa da un'autentica crisi di panico, Emily lo aveva colpito, graffiato e infine aveva pianto tra le sue braccia, raccontandogli del rapimento, di quei terribili giorni passati nell'oscurità e nella paura di non sopravvivere.
Gli aveva accennato ai buffi soprannomi che aveva dato ai suoi carcerieri. Li aveva spiegato della sua infantile passione per i western e del modo in cui, nella sua mente, lei aveva ricollegato il Buono, il Brutto e il Cattivo alle persone che l'avevano presa in ostaggio.
Sentendole parlare di Ray e di come, paradossalmente, la sua bontà l'avesse mantenuta abbastanza sana di mente da non crollare alla pressione data dalla prigionia, Anthony si era in parte rilassato. Dopotutto, non era finita in mano a gente del tutto senz'anima.
Quando, però, aveva accennato a Brutto e Cattivo, dando così una spiegazione plausibile ai nomignoli che lei aveva affibbiato loro, l'uomo si era sentito inutile e inadatto a esserle d'appoggio. Pur essendo stato esso stesso un bambino, all'epoca dei fatti, si era sentito paradossalmente responsabile per il dolore patito da Emily ma, soprattutto, la persona più inadatta per aiutarla a uscire da quell’incubo.
Lui che non era stato, né era in grado di farsi valere con un padre padrone, che non era stato capace di aiutare la madre a salvare il suo matrimonio - o a convincerla a portarlo con sé - come avrebbe potuto essere l'uomo adatto ad aiutare Emily?
Per questo motivo, si era convinto che darle spazio e libertà fosse la scelta più giusta e, di comune accordo, si erano lasciati. Lui le aveva dedicato le attenzioni di un buon amico, ed Emily si era presa il suo tempo per ritrovare un equilibrio.
Questo, però, a cosa aveva portato? A nulla, a quanto pareva.
Svicolare dal problema aveva solo reso quest’ultimo più forte e subdolo, lasciando che si nascondesse nei meandri della mente di Emily, crescendo e crescendo ancora, pronto a divorarla nel momento più inopportuno.
La presenza di Parker, in qualche modo, l'aveva liberata dei demoni più deboli ma non da quelli più scaltri e traditori, da quelli più terribili e annidati negli abissi più profondi della sua anima e questi, ora, la stavano nuovamente portando con sé.
Forse, l'arrivo di Ray in paese, unito al rapimento di Mickey, aveva permesso al mostro di riemergere definitivamente, più forte e terrificante che mai, e ora lui poteva guardarlo negli occhi... e capire.
"Emy... non ti toccherò... ma posso avvicinarmi?"
"No! Copriti! Copriti!" strillò ancor più forte Emily, rattrappendosi in posizione fetale. "Non voglio che mi tocchi..."
Lei emise un gracidio straziante, cui seguì un pianto silenzioso che quasi spezzò in due il cuore di Anthony, portandolo vicino alla consapevolezza di quale fosse il reale, tragico problema di Emily.
Anthony era perfettamente vestito, eppure lei era convinta che lui non lo fosse, perché in realtà Emily non era più lì, non era più al sicuro nella sua casa, ma di nuovo in quella maledetta grotta.
E se uno dei suoi carcerieri l'avesse...
Crollando in ginocchio sotto il peso di quell'orribile supposizione, Anthony si passò le mani sul viso contratto dalla rabbia e dal terrore e, con voce incrinata dal dubbio - che gli rimordeva le carni come una fiera assetata di sangue - domandò roco: "Chi sono, Emy?"
"Sei Cattivo! Sei Cattivo! E io non voglio che mi tocchi, se non ti rivesti" piagnucolò Emily, rattrappendosi ancor di più e confermando ad Anthony che Vince Rowe aveva fatto qualcosa di innominabile, in quella grotta.
Rabbia e frustrazione si intervallarono nella sua mente come i colpi di una campana, ferendolo e tramortendolo ma, nonostante la confusione che stava tentando di averla vinta su di lui, non si diede per vinto.
Non stavolta. Se l'avesse abbandonata a se stessa ancora una volta, Emily non ne sarebbe più uscita. Doveva spezzare una volta per tutte le catene che la tenevano legata a quel disgustoso ricordo e, per farlo, conosceva solo un modo.
Pur odiandosi per questo, perché la sola idea di ferire Emily lo faceva star male, non poté evitarsi di urlare al suo indirizzo. Sperò davvero che quel cambio di tono la risvegliasse il tempo necessario a farle comprendere che, dinanzi a lei, non c'era Vince, ma l'uomo che l'amava.
Raccogliendo quindi le sue forze, gridò il suo nome con tutto lo strazio, la pena e l'amore che sentiva dentro ed Emily, sobbalzando sul divano, si aggrappò ai suoi bordi per tornare a guardarlo, gli occhi nuovamente lucidi e attenti.
Pur se bagnati di lacrime, quegli occhi chiari e del colore delle colombe lo fissarono pieni di una rinnovata consapevolezza e, debole, la sua voce sgorgò dalle labbra tremanti, esalando: "Tony, ma cosa...?"
"Eri andata da un'altra parte... in un altro tempo" sospirò Anthony, reclinando sconvolto il capo e allungando le mani perché lei le afferrasse e rimanesse lì, accanto a lui, nella loro realtà.
Quell'accenno fece tremare Emy che, pur fremendo di paura, accettò quelle mani e mormorò: "D-dove... dove sono andata?"
"Cosa ti fece Vince?" domandò per contro Anthony, tornando a guardarla.
Lei cercò di rifuggire il suo sguardo, di scappare dalla presa delle sue mani ma, stavolta, Tony non glielo concesse. Se fosse fuggita ancora, sarebbe rimasta imbrigliata in quell'incubo per sempre.
"No, Emy... stavolta non ti nasconderai. Stavolta affronteremo la cosa insieme. Non sei da sola. Non più. E io non mi spaventerò dinanzi a nulla, per te. Promesso" le sussurrò lui, accomodandosi accanto a lei sul divano.
Emily ancora scosse il capo, ma lo abbracciò forte e mormorò contro il suo petto: "Mi terrorizza, pensarci. Vederlo."
"E allora noi lo cacceremo una volta per tutte" le promise Tony, dandole un bacio sui capelli.
Scostandosi di colpo, lei però replicò: "Non capisci! S-se ...se penso a lui, non riesco a starti accanto!"
Adombrandosi in viso, Anthony allora le domandò: "Lui ti... abusò di te, Emy?"
A quell'accenno, Emily tremò da capo a piedi, scosse il capo una volta sola ma disse: "Non è un caso se ho il terrore dei rapporti sessuali. Detesto vedere gli uomini nudi."
"Così non mi aiuti, però... spiegami. Capirò e accetterò tutto quello che mi dirai" la pregò Anthony, non sapendo se sentirsi sollevato all'idea che Emy non fosse stata violentata, o angosciato al pensiero che potesse esserle successo qualcosa di peggio.
Emily allora sollevò lo sguardo su di lui, strinse con maggiore forza le mani in quelle di Tony e domandò: "Farai solo quello che ti dirò? E ascolterai tutto? Senza dire nulla?"
Lui assentì a ogni sua richiesta, ben deciso a chiudere la partita una volta per tutte così Emily, levandosi in piedi e trascinando Tony con sé, disse: "Devo fare una doccia."
"Ma... la fasciatura..."
"Al diavolo. Me la rifaranno. E' una questione psicologica. Se penso a quell'evento, mi sento sporca, e sotto la doccia posso sentirmi pulita. Assecondami" lo pregò lei, trascinandolo verso il piano superiore.
"Asseconderei quasi tutti i tuoi desideri, credimi, pur di vederti nuovamente libera."
"Quasi?" esalò lei, bloccandosi per guardarlo piena di curiosità.
"Se mi dicessi di andarmene, non accetterei. Non stavolta."
Lei allora sorrise un po’ più sicura di sé, annuì e disse soltanto: "Bene."
***
Di tutte le cose che Anthony si era aspettato, quella era decisamente la più strana e improbabile di tutte.
Emily lo aveva accompagnato nel suo futuristico bagno - corredato da una splendida doccia dai soffioni posti sia contro il muro che sul soffitto - e lì, inondata di un rossore virginale, lo aveva aiutato a spogliarsi.
Anthony, a quel punto, aveva cercato di pensare soltanto a cose noiose e terribili, così da cancellare il più possibile i brividi di piacere che, il tocco delle sue dita sulla pelle, avevano su di lui.
Era davvero passato troppo tempo da quando Emily lo aveva toccato a quel modo e, per quanto la situazione fosse tutt'altro che passionale, gli era difficile controllarsi.
Per lei, comunque, si sarebbe anche preso a pugni, in qualche modo. Se, per superare quel blocco mentale, lei doveva vederlo nudo e alla sua mercé, di certo non si sarebbe lamentato.
Inoltre, se Vince l'aveva terrorizzata sul piano sessuale, era praticamente scontato che lei volesse cancellare dalla mente quei ricordi con qualcosa di simile, ma diametralmente opposto sul piano emotivo.
Sperò soltanto di essere abbastanza forte per non cedere al desiderio.
A ogni buon conto, ora se ne stava nudo sotto la doccia, sotto un getto di acqua calda e fumante, mentre Emily lo osservava - a sua volta nuda - e non parlava.
Non che non l'avesse già vista senza vestiti - più o meno - perché, prima di arrivare a quella fatidica notte, si erano divertiti in altri modi e si erano avvicinati al traguardo più di una volta senza mai raggiungerlo.
Trovarsela davanti così, priva di veli e distante solo pochi centimetri da lui, eppure paradossalmente irraggiungibile, come se un intero esercito li separasse, era a dir poco assurdo e molto, molto frustrante.
"Cosa devo..." tentennò lui, vedendola però levare una mano per azzittirlo.
"Sto cercando di familiarizzare con il concetto che tu non sei lui, e non è esattamente facile come avevo immaginato" precisò Emily, accigliata e con l'aria di non sapere bene come comportarsi.
"Ma non ci somigliamo" sottolineò per contro Anthony, ben sapendo che Vince Rowe, all'epoca dei fatti, era biondo e coi capelli lunghi, mentre lui li aveva castano-rossicci e corti. Anche nel fisico, non v'erano somiglianze, visto che Vince era più basso di lui, e più tarchiato. Quindi, dov'era il problema?
"Lo so. Ma è ...è ...oooh, cristo! Sono i sacri augelli di famiglia a darmi dei problemi, okay?" sbottò Emily, arrossendo fino alla radice dei capelli e cercando, nel contempo, di fare dell’ironia spicciola per non cadere preda del panico.
"Emy, ma... sbaglio o mi avevi detto di aver avuto altri fidanzati, prima di me?" esalò sconcertato Tony, iniziando a subodorare un altro, inaspettato problema.
"Non sono mai arrivata in casa base, per usare un eufemismo tanto caro ai maschi" ammise lei, sbuffando e grattandosi nervosamente il capo, quasi alla ricerca di una risposta alle domande del mondo.
"Oh" mormorò soltanto Anthony, senza sapere bene cosa aggiungere. La situazione stava precipitando molto velocemente.
Passandosi ancora e ancora le mani tra i capelli, ormai ridotti a una massa aggrovigliata di ciocche biondo platino, Emily lanciò un'occhiata verso il soffitto prima di ammettere: "Si presentò una notte, ubriaco fradicio, gridandomi contro cose terribili e che, in parte, neppure compresi. Mi disse che mio padre e mia madre erano dei meschini, che io non valevo nulla, e altre carinerie simili. Mi spaventai, perché Cattivo era quello che mi terrorizzava di più, e lui ne godette. Ghignò in un modo spaventoso e, nello strapparsi di dosso la camicia, mi disse che, se non fossi servita per ottenere un bel gruzzolo, lo avrei almeno fatto divertire."
"Cristo..." mormorò roco Anthony, piegandosi in avanti e poggiando le mani sulle cosce per reggersi. Non aveva neppure un'idea vaga di cosa Emily potesse aver provato in quel momento.
"Già. Io urlai, ma sapevo che Ray non c'era - era uscito per sgranchirsi le gambe e per i suoi bisogni, visto che nella grotta non c'era un bagno - e così Cattivo si slacciò i pantaloni e... beh, lo tirò fuori, già grosso e duro, e mi terrorizzò. Mi rannicchiai sul letto, scalciai e urlai. Credo anche di averlo graffiato, ma lui era molto più grande e pesante di me, così mi schiacciò sul letto e iniziò a tastare il pigiama per spogliarmi."
Anthony si accigliò visibilmente, già pronto a uscire dalla doccia per raggiungerla, ma lei ancora lo bloccò con un cenno della mano e, flebile ma con tono ferreo, proseguì dicendo: "Rideva, sbavava sul mio viso mentre le sue mani percorrevano il mio corpo alla ricerca di un pertugio da cui entrare ma, alla fine, la sbronza ebbe la meglio. Mi crollò addosso, svenuto, e io rimasi lì, bloccata sotto di lui e col volto bagnato dalle mie lacrime e dalla sua saliva, piena di un terrore che non avevo mai provato prima. Ray mi trovò così e, imprecando come non aveva mai fatto, buttò giù dal letto Cattivo..."
"Vince. Chiamalo col suo nome. Con Ray lo fai."
"E' dura. Prenderebbe connotati ancor più reali" sottolineò Emily, pur sapendo che Anthony aveva ragione. Essersi fossilizzata su quei soprannomi aveva permesso loro di ingigantirsi, di divenire qualcosa di più che semplici uomini, trasformandoli in autentici demoni dall'aspetto terribile.
Riportarli a una dimensione umana li avrebbe resi più gestibili e, come nel caso di Ray si era sentita più forte di colui che l'aveva tenuta prigioniera - pur se lui era stato buono e gentile -, forse sarebbe avvenuta la stessa cosa con Cattivo... no, con Vince.
Tornare a vederlo come un semplice uomo, un ubriacone con il terrore di essere catturato, una persona che non aveva affetti ma solo conoscenze legate al mondo della criminalità, lo avrebbe reso più debole. Più controllabile.
Cancellabile dalla sua mente.
Preso un bel respiro, quindi, Emily si avvicinò all'enorme box doccia, vi mise dentro un piede e mormorò: "Vince cadde a terra e Ray lo rivestì in tutta fretta prima di chiedermi come stessi, o se lui mi avesse fatto del male."
"Questo non venne detto a processo, vero?"
Lei scosse il capo, continuando a osservare il piede sul pavimento della doccia, ormai bagnato dai soffi d'acqua che cadevano dall'alto quindi, roca ma tenace, replicò: "Lo sapevano solo gli avvocati, il giudice e l'agente speciale a capo dell'indagine. Chiesi espressamente che non venisse menzionato in aula, e che fosse usato solo se strettamente necessario. Non volevo che si sapesse. Ero convinta che, se si fosse saputo, la mia vita sarebbe finita per sempre."
"Immagino non vi fu bisogno di quell'ulteriore prova a loro carico" sottolineò Anthony.
Emily sorrise beffarda, avvicinandosi ulteriormente fino a terminare a sua volta sotto il soffione della doccia.
Bagnandosi completamente e sentendo il piacevole e rinfrancante tepore dell'acqua sulle carni, su cui era comparsa un’innegabile pelle d’oca da panico, mormorò: "Sandra, la mia balia, ricordava bene che a colpirla fu Vince e, viste le sue condizioni mediche e le mie - risultai essere sottopeso, piena di tagli e lividi, oltre che preda da un profondo stato di stress post-traumatico -, non vi fu bisogno di ulteriori contraddittori. Non so bene come, ma anche la morte dei nostri cani ebbe un peso, perché dimostrò la totale crudeltà di Vince e Simon. Inoltre, tutti i diretti interessati sapevano, e dibattere di una cosa simile a processo non avrebbe giovato a nessuno. L'avvocato di Vince, in particolare, sapeva bene che, se la cosa fosse venuta fuori, in carcere avrebbero cercato di ammazzarlo. Non si toccano i bambini,... figurarsi tentare di stuprarli."
"E tu non volevi che facesse una brutta fine?" domandò Anthony, con tono leggermente sorpreso.
"Ti sembrerà sciocco, ma volevo solo liberarmi di loro e, se fosse successo qualcosa in galera, io sarei stata tirata nuovamente in ballo dai media. Anche se ero piccola, questo lo avevo già capito benissimo. Non volevo più sentirli nominare, né sentirmi nominare mai più alla TV, perciò pregai tutti di rendere le cose il più spedito e veloce possibile, altrimenti avrei negato tutto, se la cosa fosse trapelata in aula" ammise Emy, scrollando le spalle.
"Cocciuta fin da piccola" sorrise appena Anthony, e lei assentì.
"Le pendenze a loro carico erano così tante che davvero non servì, quel particolare in più, perciò non venne messo a verbale. Però, esso rimase sedimentato nella mia testa... e tu ne hai subito le conseguenze" sospirò Emily, reclinando colpevole il viso. "Paradossalmente, forse, se la cosa fosse venuta fuori all'epoca, io non avrei avuto dei demoni a farmi da spalla."
"Li scacceremo tutti, te lo prometto. Non farò due volte lo stesso errore. Inoltre, anche tu ne hai pagato lo scotto, e ben più di me" replicò lui, sollevandole il mento con un dito. "Hai combattuto da sola questa battaglia."
"Avevo Jamie e i miei amici."
"Sai cosa intendo" sottolineò lui, vedendola sorridere debolmente in risposta. "Ne parleremo assieme, anche tutti i giorni da qui all'eternità, ma non ti lascerò mai più in compagnia di quei... no, non li chiamerò mostri, perché darei loro potere. Sono solo i ricordi di Vince e Simon. Tutto qui."
"Tutto qui" mormorò lei in risposta, avvicinandosi ancora di un passo e poggiando così i seni contro il torace di Anthony.
Lui inspirò con forza aria tra i denti, a quel contatto e, reclinando il viso fino a toccare il capo di Emily, mormorò: "Sfidi la sorte, ora... non sono il santo che tante volte mi hai accusato di essere, sai?"
"Lo spero... perché desidero riappropriarmi anche di questo. Della sensazione della pelle contro quella di un'altra persona, del calore di un uomo che mi abbraccia, dei suoi baci che mi scaldano l'anima" replicò lei, avvicinandosi ulteriormente per stringerlo tra le braccia. "Rivoglio tutto questo, Tony... perché mi sei mancato... tutto quanto mi è mancato."
"Sei sicura? Assolutamente sicura?" le domandò a quel punto lui.
"No. E non prometto che non sbarellerò ancora una volta ma, come hai detto tu, siamo insieme. E io voglio questo, ora" replicò lei, levando il capo per cercare un suo bacio.
"Parker ci ucciderà. Stiamo saltando in un colpo solo tutti gli step che ci ha messo davanti prima di arrivare a casa base" ironizzò a quel punto Anthony, sorprendendola e facendola scoppiare a ridere.
"Ha dato anche a te delle direttive?" esalò Emily, sentendosi finalmente padrona di se stessa e sì, maledettamente bene nella propria pelle. Forse sarebbe durato fino al mattino dopo, ma non le importava. Ora si sentiva forte, e voleva cavalcare l'onda fino all'ultimo istante.
Anthony annuì, la baciò con forza e infine disse: "Ci faremo perdonare. Promesso."
"Sì, promesso" acconsentì lei, avvolgendogli un braccio attorno al collo per attirarlo nuovamente a sé.
Voleva quegli attimi, quel contatto, quella presenza maschile accanto a sé. Non era Vince, non lo era mai stato, e ora ogni essenza della suo essere lo sapeva.
Lui era Anthony, e l'amava. E lei amava lui. Solo questo sarebbe contato.
***
Non si era mai visto come una persona dormigliona eppure, al suo risveglio, gli parve che fosse dannatamente tardi.
La luce che filtrava dalle imposte socchiuse sembrava essere già eccessiva, per i suoi gusti e, quando cercò con lo sguardo la sua sveglia, fu sorpreso di non trovarla.
Fu solo a quel punto che Anthony si ricordò di dove fosse e di cosa fosse successo.
Sobbalzando in un letto che non era il suo, finì con il ruzzolare a terra, svegliando la padrona di casa e la sua cucciolona che, come richiamata da quel tonfo, balzò sulle zampe e si catapultò contro Anthony, pronta a fargli le feste.
L'uomo si ritrovò perciò sommerso da quasi cinquanta chili di cane allegro e giocoso e che, con tutta la verve del mattino, lo rese partecipe del suo entusiasmo. Entusiasmo che si trasmise anche a Emily che, sporgendosi dal letto con un risolino ai bordi della bocca, esalò: "Ma cosa ci fai lì?"
"Non lo sapevi? Sono segretamente innamorato di Cleopatra" gorgogliò lui, intento a intercettare il muso della cagnolona perché smettesse di leccarlo.
Emily allora scoppiò a ridere di gusto, diede alcune pacche sulla schiena all'animale e questo, dopo un paio di abbai, uscì di volata dalla stanza. Pochi istanti dopo, si udì il suono delle crocchette cadere nel contenitore preposto e Anthony, nel rimettersi seduto sul letto, domandò: "Le hai preso un dispenser automatico?"
"Sì. A volte dormo così volentieri che non me la sento di alzarmi subito, così evito boicottaggi o autentici ammutinamenti" gli sorrise lei prima di arrossire, dargli un bacio sulle labbra e mormorare: "Grazie, per stanotte."
"Grazie a te. Continuo a pensare che non fosse il momento giusto, che tu avessi bisogno di ulteriore tempo per pensarci, ma..."
"Ma..." lo incitò lei.
Scrollando le spalle, Anthony ammise: "... ma sono così debole da aver amato ogni singolo istante di stanotte. Scusa."
"Non ti scusare per avermi aiutato a liberarmi dalle catene che mi legavano al passato" replicò lei, scalciando via le lenzuola per offrirsi totalmente al suo sguardo, ora fattosi attento e caloroso. "La mia psichiatra era più che convinta che tenermi tutto dentro, e non manifestare stati di rabbia o altro, potesse essere controproducente, e così è stato. Mi sono bloccata. E ho bloccato te nel mezzo."
"Diciamo che, come terapia d'urto, è stata piacevole" mormorò lui, avvicinandosi per abbracciarla, ma lei si scostò ridendo, sospingendolo giù dal letto.
"Non faremo niente, con te che coli di bava di cane, mi spiace" rise Emily, sospingendolo verso il bagno.
"Non è colpa mia se Cleopatra ha dei risvegli focosi" si lagnò lui, pur apprezzando la naturalezza con cui Emily lo stava toccando.
Ciò che li aveva spinti a unirsi la sera precedente - e altre volte durante la notte - era giunto quasi a sorpresa, come una benedizione non più agognata da tempo.
Emily si era approcciata a tutto ciò con una timidezza che aveva spezzato il cuore ad Anthony, ben conscio di quanto fosse difficile, per lei, cancellare ciò che tanto l'aveva terrorizzata per potersi riappropriare della propria vita in modo totalitario.
Ugualmente, però, lei non si era tirata indietro e, poco alla volta, Anthony le aveva fatto scoprire - e riscoprire - quanto fosse bello sfiorarsi, giocare col proprio corpo e con quello del partner, avvicinarsi lentamente all'acme fino a lasciarsene completamente trasportare.
Tutto era avvenuto con naturalezza, una naturalezza che Emily aveva temuto fino all'ultimo di aver perso per sempre e, quando aveva finalmente scoperto le gioie dell'unione, ne aveva riso fino a piangere.
Per una volta, però, Anthony non se n'era preoccupato. Quelle lacrime l'avevano liberata, disfacendo i lacci che per più di vent'anni l'avevano tenuta ancorata a uno scomodo, orribile passato.
Il segno delle lacrime era ormai sparito, da quel viso acqua e sapone, lasciando il posto a un sorriso carico di aspettative e a occhi nuovamente luminosi e ricchi di vivacità.
Non appena raggiunsero il bagno, Emily aprì l'acqua della doccia, vi infilò Anthony e infine lo seguì, chiudendosi la porta a vetri alle spalle, così da non lasciar fuoriuscire acqua e vapore.
In breve, furono avvolti da una nebbiolina leggera e il morbido tepore dell'acqua li accolse, annullando qualsiasi cosa li circondasse. Per alcuni, intensi e stranianti momenti, sarebbero esistiti solo loro due.
Nessuna preoccupazione, nessun dolore, nessuna ansia.
Carezzando morbidamente il petto di Anthony, su cui spiccava una sottile peluria castana, Emily mormorò roca: "Vorrei davvero non uscire più di casa. Abbandonarmi tutto alle spalle e ricominciare da capo. Ma sarei veramente egoista a pensarla così."
"Ti capisco" replicò Anthony, poggiando il capo contro quello di lei mentre, con le mani, le carezzava delicatamente i fianchi e la schiena. "Ieri avrei voluto picchiare mio padre, ma alla fine mi sono trattenuto. Così, al posto di un pestaggio, gli ho urlato contro che non sarei più tornato a casa e che, se voleva mandare in malora tutto quanto, poteva farlo."
Emily sobbalzò a quella notizia, sollevò il capo a guardarlo con occhi sgranati ed esalò: "Tu... cos’hai fatto?!"
"Molto poco edificante, lo so... ma almeno sono riuscito a fermarmi in tempo e non l’ho preso a pugni" ammise lui, sospirando.
Emily, però, scosse il capo ed esclamò: "No! Non intendevo dire che hai fatto male a pensare di malmenarlo!"
Ora Anthony la guardò confuso e la donna, sbuffando, si grattò pensosa il mento, aggiungendo: "Okay, detta così suona male. Diciamo che picchiare non è mai bello, ma tuo padre se la sarebbe meritata, una bastonatura. Comunque, sono contenta che tu non ti sia abbassato a tanto."
Tony le sorrise divertito ed Emily levandosi in punta di piedi per dargli un bacetto sul naso, mormorò: "Non ti biasimerò per quello che hai pensato di fare, perché so benissimo a cosa stesse puntando tuo padre, quando seppe della nostra relazione, e so altrettanto bene che non ha mai smesso di colpevolizzarti per avermi lasciato andare. Anche per questo, non voglio che sappia che ora stiamo di nuovo insieme. Non voglio dargli questa soddisfazione."
"Il fatto che tu lo sappia non mi rende molto felice" sospirò Anthony, stringendola in un abbraccio mentre l'acqua calda cadeva loro addosso come dolce pioggia estiva. "Ho sempre sperato che i suoi ...appetiti non si notassero, ma la sua sete di soldi e potere è sempre stata troppo chiara a tutti, perché non venisse a galla anche nei momenti meno opportuni. Il suo odio verso Consuelo nacque proprio dal fatto che lei non era abbastanza, per me."
"Sì, lo so... ma sono felice che voi siate rimasti amici nonostante tutto" gli sorrise lei, baciandolo delicatamente alla base del collo.
Lui sospirò, si strusciò contro il suo corpo umido e tonico e, sospingendola delicatamente contro il vetro del box doccia - per loro fortuna, assai resistente - mugolò contro il suo collo: "Sono un animale senza scrupoli... ma ti voglio ancora."
Lei rise roca, si mosse contro di lui per offrirgli tutto lo spazio necessario e, mentre Anthony la penetrava con un movimento fluido, Emily sospirò deliziata e mormorò: "Lo speravo..."
"Non mi dire che speri di recuperare il tempo perduto!" esclamò allora lui, ridendo mentre si muoveva lentamente dentro il suo corpo, con spinte morbide e volutamente sensuali.
Emily rise con lui, assentì e, mordicchiandogli una spalla, sussurrò: "Magari ti lascerò qualche ora di tempo per riprenderti."
"Troppo buona" la ringraziò lui, affondando in profondità con una spinta più vigorosa.
Emily ansimò di piacere e, gettando la testa all'indietro, si lasciò trasportare dal ritmo sonnolento e vorace al tempo stesso di Anthony che, poco alla volta, la condusse per mano fino alla vetta.
Lasciandola galleggiare nell'estasi per qualche altro attimo ancora, Anthony si discostò infine da lei, trattenendola perché non scivolasse a terra ed Emily, sospirando più che soddisfatta, si strinse a sé e mormorò: "Voglio svegliarmi così tutte le mattine. Lascia casa tua e vieni da me."
Lui rise, le diede un bacetto sul naso bagnato e chiosò: "Potrei anche farlo, visto che ho detto a mio padre che me ne sarei andato. E lui non prende così alla leggera le minacce, lo sai."
A quel punto, Emily perse del tutto il desiderio di fare dell'ironia e, più seria, disse: "Tony, ma cosa è successo? Cioè... tu e tuo padre avete litigato molte volte, ma non sei mai arrivato a dire che te ne saresti andato."
"Dobbiamo proprio parlarne adesso?" si lagnò a quel punto Anthony.
Emily si guardò un attimo attorno, valutò la cosa e infine disse: "Te lo concedo. Questo non è il posto adatto, e mi rovinerebbe questa splendida doccia con te. Ma a colazione ne parleremo. Poco ma sicuro."
"Grazie."
"E di che?"
"Di esserci, credo ma, soprattutto, di avermi permesso di finire in santa pace questa doccia" le sorrise lui, facendola scoppiare a ridere.
N.d.A.: ho pensato di non rincarare troppo la dose, per così dire, e di non inserire anche uno stupro, ma soltanto il suo tentativo. Credo che a livello emotivo sia già abbastanza forte, per una bambina di otto anni.
Grazie a ciò che è successo, in ogni caso, Emily riesce finalmente a sviscerare anche il suo demone più nascosto e insidioso e Anthony può finalmente redimersi dal suo essere stato troppo pavido la prima volta (almeno a suo modo di vedere, s'intende).
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
20.
Mickey stava sorseggiando del buon
cioccolato al
latte, quando udì cigolare il portone che lo teneva
rinchiuso nella grotta.
Non sapeva bene quanto tempo fosse
passato, né capiva
chiaramente perché fosse tenuto lì ma, in fin dei
conti, sapeva di non essere
in pericolo - la persona che lo teneva bloccato in quella grotta
gliel'aveva
assicurato. Inoltre, mangiava tutto ciò che più
gli piaceva, per cui per ora
poteva anche andare bene.
Certo, la mamma e il
papà gli mancavano, e così anche
la sua sorellina, ma non poteva certo vivere lì in eterno,
no? Prima o poi
sarebbe tornato a casa. Si era detto che quella, dopotutto, poteva
essere vista
come una gita un po’ più lunga del solito.
L'uomo che lo aveva portato
lì subito dopo la scuola
palesò la sua presenza e Mickey, nell'appoggiare sulle
ginocchia il bricco del
cioccolato al latte, lo salutò e domandò: "Anche
oggi devo rimanere qui,
signore?"
"Sì, Mickey. Sono stato
a casa della mamma, proprio
come mi avevi chiesto, ma lei non ti vuole più
perché ha già la tua sorellina,
e il tuo papà neanche si ricorda più che abitavi
con loro" mormorò
suadente l'uomo, consegnandogli una macchinina giocattolo e una borsa
con abiti
nuovi.
Mickey mise il broncio, a quelle
parole, e borbottò:
"Non ti credo. La mamma ha sempre detto che mi avrebbe voluto bene
anche
dopo. E anche il papà."
"Mentivano, Mickey, per tenerti
buono in attesa
che nascesse la tua sorellina" replicò l'uomo, accucciandosi
un po' a
fatica accanto a lui per fargli una carezza sulla gota. "I grandi
mentono
spesso, ma io con te non lo farò mai. Sei stato ingannato
come lo sono stato
io, tanto tempo fa, ma ora penserò a raddrizzare il torto
che hanno fatto a
entrambi. Mi prenderò cura io di te, come avrebbe dovuto
essere fin
dall'inizio."
"Perciò...
rimarrò qui per sempre?"
"No. Questo è solo un
luogo temporaneo, che serve
a proteggerti da chi vorrebbe riportarti dove non ti vogliono.
Durerà ancora
poco. Quando avrò sistemato un paio di cose, saremo liberi
di rifarci una vita,
tu e io. Starai con la tua vera famiglia, finalmente" asserì
l'uomo,
rialzandosi.
"Ma la mia famiglia..."
tentennò il bambino.
"Non sono loro! Tua madre ti
ha mentito!
E così l'uomo che tutti ti hanno detto essere tuo padre!"
levò la voce
l'uomo, spaventandolo.
Mickey si rattrappì su
se stesso, afferrò la coperta
con cui di solito dormiva e si coprì il viso per non vedere
l'uomo che lo aveva
spaventato. Quest'ultimo, con tono più pacato, ma ugualmente
lapidario,
aggiunse: "Ti farò conoscere la verità, e tu mi
sarai grato,
finalmente."
Ciò detto se ne
andò, e a Mickey non restò altro che
piangere mentre finiva di bere il suo cioccolato al latte.
Perché quella
persona continuava a dire che la mamma gli aveva mentito?
Lui non ci credeva, né
ci avrebbe mai creduto.
***
Mentre Emily indicava a Tony dove
sistemare i propri
scatoloni - indirizzandolo verso l'ampio garage - e Margareth, appena
giunta a
Nederland, era impegnata a fare un sacco di feste a Cleopatra, Jordan
salutò
l'arrivo di Jamie, Sherry, Rick e Parker.
Il gruppo di amici, sparito al pari
di Jordan la sera
precedente dopo la sfuriata di Sherry, era tornato per conoscere le
condizioni
dell'amica ma, nel vederla pimpante e pronta a dare ordini come un
generale, si
era subito tranquillizzato.
L’arrivo di Margareth
aveva dato ulteriore spinta a
Emily per apparire piena di energie e ora, di fronte alla
determinazione della
giovane e al suo cipiglio battagliero, furono in molti a chiedersi cosa
fosse
successo, in quelle poche ore.
Jamie fu il primo a esprimere il
proprio pensiero,
affiancando il padre prima di domandare: "Si è dopata, per
caso?"
"Non ho chiesto spiegazioni in
merito. Mi fa solo
piacere non vederla più come ieri sera" si limitò
a dire il padre, facendo
spallucce.
Sherry prevenne qualsiasi battuta
di Jamie,
dichiarando: "Era ovvio che
sarebbe stata meglio, visto
che ho scelto io la terapia d'urto. Pensi che sia una sprovveduta,
Jamie?"
Lui le lanciò
un'occhiata piena di maliziosa ironia e
replicò: "Sherry, avrei tanto voluto che tu usassi
una
terapia d'urto del genere quando io
mi feci male in mare ma, visto come mi sta guardando male il tuo Rick,
penso
che non potrò mai approfittare di un simile servizio, vero?"
Sherry emise una risatina
gorgogliante, prese preventivamente
sottobraccio Rick - che non era abituato alle battute piuttosto spinte
di Jamie
- e celiò: "Tesoruccio... te l'ho già spiegato.
Ti vedo come Gin."
Jamie allora sospirò
affranto, scosse il capo di
fronte alle espressioni divertite di tutti ed esalò: "Tu non
hai la minima
idea di cosa significhino queste parole, per il mio
cuore. Sei
spietata!"
"Oh, credimi... ne ho un'idea ben
chiara"
sottolineò per contro Sherry prima di dare una pacca sul
braccio a Rick per
tenerlo in buon ordine e infine raggiungere l'amica con la sua solita
falcata
fatale.
Margareth scelse quel momento per
raggiungerli e, dopo
una rapida occhiata a Sherry e una divertita al figlio, la donna
celiò:
"Ti ha dato ancora il due di picche?"
"Non infierire, mamma" si
lagnò Jamie, crollando
contro una spalla di Parker per farsi consolare.
Quest'ultimo, ormai prossimo a una
crisi respiratoria
per il troppo ridere, gli batté confortanti pacche sulla
schiena e Margareth,
nello scuotere il capo, chiosò: "Avrei dovuto darti del
bromuro, da piccolo.
Non è possibile che scodinzoli a questo modo ogni volta che
vedi una
donna."
"Ecco! Anche del cane, mi danno!
Dove andremo a
finire?!" protestò platealmente Jamie, sempre confortato da
Parker.
Jordan lanciò un sorriso
alla moglie e uno assai
orgoglioso al figlio che, grazie alle sue burle, stava rapidamente
facendo
scemare in tutti loro le ansie sorte la sera precedente, alla vista
della crisi
di Emily.
Certo, nessuno dei due interessati
avrebbe mai
espresso in maniera diretta ciò che, molto probabilmente,
aveva permesso alla
sua bambina di liberarsi dall'ultima gabbia che la teneva avvinta al
suo
passato - e, di sicuro, neppure voleva pensarci - ma era chiaro che
Anthony
aveva compiuto un piccolo miracolo.
Sherry aveva avuto ragione nel
volere che tutti loro
abbandonassero la casa di Emily, al fine di poter dare alla coppia il
tempo di
confrontarsi, di sviscerare il problema una volta per tutte.
Per quanto lasciare ad altri il
compito del salvatore
- per così dire - gli fosse costato, Jordan ormai aveva
compreso che quel ruolo
non avrebbe mai più potuto essere suo.
L'unica cosa che aveva potuto
riavere era la fiducia
della figlia poiché, tutto il resto, era già di
appannaggio di qualcun altro.
Più di vent'anni prima, era stato Max ad avere quel ruolo.
Ora competeva ad
Anthony, e lui doveva accettarlo.
Non avrebbe mai assunto le
sembianze dell'eroe, agli
occhi della figlia, ma il solo fatto di averla riavuta indietro era
soddisfazione sufficiente a rendere più dolce quella piccola
ferita che portava
nell'animo.
Emily li raggiunse proprio in quel
momento con passo
claudicante, l'aria rasserenata e vagamente divertita e, nel vedere la
faccia
sconsolata di Jamie, chiosò: "Certo che sei davvero una
sagoma, Jamie. E
dire che ormai dovresti essere immune ai rifiuti delle donne."
Jamie si raddrizzò
immediatamente di fronte a
quell'aperto affronto e, pur sapendo che la sorella lo aveva detto solo
per attizzare
ulteriormente la sua burla, lui replicò stizzito:
"Scusa... cos'hai
detto?"
Emy scoppiò a ridere
della grossa e, ignorandolo per
un istante, guardò Rick e disse: "Puoi aiutare Anthony con
gli scatoloni
più grossi? Ho idea che Sherry potrebbe tentare di fare
l'eroina e caricarseli
sulle spalle, ma sono davvero pesanti."
"Vado subito" assentì il
giovane, correndo nei
pressi dell’auto di Anthony per rendersi disponibile coi
lavori pesanti.
Sorridendo furba, Emily aggiunse
solo per i presenti
restanti: "Non è affatto vero, ma è una scusa per
fargli fare qualcosa di
mascolino davanti a lei. Cose da Sherry, sapete
com’è..."
Parker sghignazzò
platealmente, esalando: "Quella
donna è diabolica. Ha cominciato a capire come prenderlo.
Quando lui si sarà
tranquillizzato a sufficienza, potrà attaccarlo ai fianchi
come uno
squalo."
"Credo che l'idea sia quella"
ammise Emily
prima di sorridere all'amico e aggiungere: "Le hai dato dei consigli in
merito, vero?"
"Ammetto di sì. Sherry
è così... esplosiva,
passami il termine che, per avvicinare mio fratello, deve disinnescare
qualche
mina antiuomo, o imploderanno entrambi come la volta scorsa. Fargli
fare il
cavaliere senza macchia per un po' lo rasserenerà, e
così Sherry avrà campo
libero per poterlo avvicinare davvero, stavolta" le spiegò
Parker,
soffiando sulle unghie per poi lucidarle con platealità
sulla felpa.
Margareth e Jordan risero divertiti
ed Emily, nel dare
una pacca sulla spalla a un ancora corrucciato Jamie, disse: "Non
credere
che non ti abbia sentito, prima... grazie per aver stemperato
l'atmosfera a
modo tuo."
"Sei mia sorella. Farei questo e
altro... ma non
dire mai più che le
donne mi danno buca. E' offensivo!"
ci tenne a precisare Jamie, ritrovandosi nell'abbraccio caloroso della
sorella.
Lui ricambiò con forza,
mormorandole poi tra i
capelli: "Dio, com'è bello poterti stringere
così!"
"Lo so... piace anche a me"
annuì lei prima
di scostarsi, guardare seriamente la madre e il padre e infine
chiedere:
"Che ne dite se andiamo da Consuelo e Sam?"
Margareth assentì
assieme al marito e Parker,
chiamando a sé Cleopatra, disse: "Andrò a
sequestrare Anthony con la scusa
di far fare un giro a Cleo, così Sherry e Rick potranno
rimanere soli. Qualche
indicazione in merito alla posizione degli scatoloni?"
Emily scosse il capo, diede un
bacione al muso della
sua cagnolona, che stava già saltellando allegra attorno a
Parker e infine,
affiancata la madre, si avviò verso la casa dei vicini
assieme alla sua famiglia
nuovamente riunita.
Erano serviti più di
vent'anni - e innumerevoli ferite
- per poter raggiungere quel fatidico traguardo ma, alla fine, Emily si
era
riappropriata del suo passato, oltre che del suo futuro.
Ora, avrebbe fatto di tutto per
permettere anche a
Mickey di ottenere la stessa cosa.
***
Fu Samuel ad aprire loro la porta
e, nel vedere anche
Jamie, sorrise e disse: "Sophie ha sentito la tua mancanza."
"Le donne mi adorano... fin da
piccole"
celiò il giovane, lanciando un'occhiata derisoria alla
sorella, che fece
spallucce in risposta. "Posso tenerla in braccio per un po'?"
"Credo ne sarà felice"
assentì Samuel,
consegnandogliela dopo aver ripulito il visino della bimba dalla
pappetta che
stava mangiando.
Ciò fatto,
accompagnò nel salotto il resto della
famiglia Poitier e lì, sprofondata nella sedia a dondolo,
trovarono Consuelo in
contemplazione del profilo dell'Hurricane Hill, che si specchiava sulle
placide
acque del lago.
Quel giorno, complice
l’aria immota e il cielo terso e
di un acceso color turchese, il lago appariva in tutto e per tutto come
un
perfetto specchio d’immane grandezza, e le sagome
frastagliate delle Montagne
Rocciose vi si gettavano con elegante splendore.
Il viso emaciato della donna, in
assorta
contemplazione di quello spettacolo della natura, fece sospirare
Margareth che,
avvicinandola per prima, mormorò: "Consuelo, tesoro... ciao."
La giovane volse appena lo sguardo,
la riconobbe dopo
alcuni istanti di confusa osservazione e, infine, con uno spontaneo
quanto
inaspettato singulto, Consuelo si levò in piedi per
abbracciarla. Dolente, quindi,
esclamò: "Oh, Margareth! Cosa devo fare?!"
Samuel si sorprese dell'effetto che
la madre di Emily
ebbe sulla moglie e, in silenzio, uscì al pari di Jordan ed
Emy per tornare in
cucina, dove Jamie stava facendo saltellare su una gamba la piccola
Sophie.
Nel vederli tornare alla
chetichella, il giovane si
bloccò per un attimo, preoccupato, prima di domandare: "Che
succede?
Perché avete quelle facce?"
"Si sta finalmente sfogando" gli
spiegò
succintamente Samuel, lasciandosi andare su uno degli alti sgabelli
dell'open space.
"E' chiaro che stava attendendo
l'unica persona -
e donna - che avrebbe potuto realmente capirla appieno" convenne Emily,
imitando Samuel mentre Jordan si affiancava al figlio per far giocare
Sophie.
"Erano giorni che speravo di
vederla piangere, o
inveire in qualche modo... anche contro di me. Neppure sua madre
è riuscita a
ottenere nulla, e neanche la mia. E’ solo caduta in quella
sorta di apatia che
mi faceva ancora più paura delle urla e degli strepiti" le
confessò
Samuel.
Jordan annuì pensieroso,
ammettendo: "Ricordo
bene quando tornammo a casa e trovammo Sandra - la loro balia - stesa a
terra
ferita, e il lettino di Emily vuoto. Margareth quasi
impazzì. Iniziò a correre
per casa, quasi fosse convinta che Emy stesse giocando a nascondino,
mentre io
ero impegnato a chiamare il 9-1-1 perché soccorressero
Sandra."
Jamie gli diede una pacca sulla
spalla mentre Emily
sospirava afflitta e Samuel, annuendo, mormorò: "Anche noi
sperammo fino
all'ultimo che fosse un suo scherzo."
"L'agente McCoy vi ha detto nulla,
stamattina?" si informò a quel punto Emily.
Scuotendo il capo, Samuel
asserì: "Niente, a
parte sottolineare per l'ennesima volta che non devo presentarmi ai
campi base
per partecipare alle ricerche. A quanto pare, qualcuno ha fatto la
spia."
Nel dirlo, ammiccò con
triste ironia ed Emily, nel
carezzargli un braccio, disse: "L'agente McCoy sa il fatto suo, e ha
ragione. Rischieresti ben più di una caviglia slogata, se ti
precipitassi nel
bosco per cercare Mickey. E' giusto che tu rimanga qui con Consuelo."
"Anche se mi sento inutile?"
replicò amaro
Samuel.
Lei assentì,
aggiungendo: "Sì, credimi. Anche
papà tentò di venire a cercarmi, pur se non aveva
idea di dove fossi. L'agente O’Reily,
che all'epoca del mio rapimento si occupò del caso, mi disse
che picchiò un
paio di agenti prima di venire bloccato a casa, con tanto di
ammonimento al
seguito."
Ciò detto,
ammiccò al padre che, sorpreso, la fissò a
occhi spalancati, forse non consapevole che lei conoscesse quella parte
della
storia.
Scrollando le spalle, quindi,
aggiunse per lui:
"Me lo disse quando cominciai a incolparti di tutto quello che mi era
successo ma, all'epoca, ero un tantino arrabbiata con te,
perciò l'informazione
passò in secondo piano."
Jordan arrossì
leggermente nel passarsi una mano sulla
nuca con fare nervoso e, sorridendo comprensivo a Samuel, che li stava
osservando divertito, ammise: "Sì, ammetto di essermi
macchiato di
aggressione, perciò ti dico; va bene rimanere accanto alla
propria moglie. Non
stai restando immobile. Fai solo quello che, al momento, ti hanno
concesso di fare.
La mente non è lucida, quando succedono certe cose, ed
è giusto che se ne
occupi chi, invece, riesce a valutare con obiettività
l'intera
situazione."
"Non sapevo che fossi un pugile,
papà"
ironizzò a quel punto Jamie, facendo sorridere tutti.
"Ci sapevo fare, all'epoca" ammise
Jordan.
Emily, nello stringere un braccio
attorno alle spalle
di Samuel, mormorò: "Ce la faremo, te lo prometto. E se non
saremo noi,
scommetto che anche Mickey troverà il sistema di venirne
fuori da solo. E'
furbo, lo sai."
Samuel assentì ma non
disse a parole ciò che realmente
lo preoccupava, e che anche Emily temeva più di qualsiasi
altra cosa.
Davano tutti per scontato che fosse
vivo, rinchiuso da
qualche parte ma sano e salvo. Se
però fosse finito nel giro degli organi illegali, o dei
pazzi criminali che
acquistavano bambini nel dark web per
poi farne cose inenarrabili, non lo avrebbero mai trovato vivo. O
forse, non lo
avrebbero mai trovato e basta.
***
Ancora stretta tra le braccia di
Margareth, che la
stava cullando con dolcezza e comprensione, Consuelo riuscì
in qualche modo a
risollevarsi per guardare la donna con estrema contrizione e dire: "Mi
scusi davvero tanto! La rivedo dopo tanto tempo, e la prima cosa che
penso di
fare è piangerle addosso!"
Margareth, però, scosse
il capo, le carezzò la folta
chioma corvina e, con un sorriso, asserì: "Puoi piangere
finché vuoi,
bambina cara. Ne hai tutto il diritto, e anche bisogno. All'epoca,
quando mi
portarono via Emy, piansi moltissimo, e imbrattai un sacco di camice
del mio
povero fratellone."
Consuelo sorrise debolmente a
quell'accenno, e la
donna si sentì autorizzata a procedere. Ora, aveva la sua
attenzione.
"Ci si sente spaesati, incompresi
e, il più delle
volte, si pensa che la polizia - o chi è preposto ad
aiutarci - non capisca
appieno il nostro dolore. So bene tutte queste cose, credimi" la
rassicurò
Margareth, asciugandole gli occhi con il bordo del suo fazzoletto.
"Puoi
urlare e strepitare, se ne senti la necessità. Nessuno ti
biasimerà e, se
chiederai all'agente McCoy, si sorbirà anche qualche
rimbrotto. E' un
brav'uomo, lo so per esperienza."
Annuendo, Consuelo ammise: "Emily
mi ha detto di
averlo conosciuto proprio a causa del suo rapimento. Era l'addetto agli
identikit."
"Sì, davvero un bravo
giovane. Trattò molto bene
Emy. Sono contenta che abbia fatto carriera, anche se mi spiace averlo
saputo
così" sospirò Margareth, aiutando Consuelo ad
alzarsi. "Che ne dici
se andiamo a fare una passeggiatina in giardino, e poi coccoliamo un
po' quello
splendore di Sophie?"
Mordendosi il labbro inferiore,
Consuelo mormorò roca:
"I giornalisti spuntano da tutti i cantoni non appena metto piede
fuori.
Anche per questo mi sono rinchiusa qui dentro. Sono davvero
insopportabili."
"Lo so, cara, ma questa
è casa tua e gli intrusi
sono loro, non tu. Devi riprenderti i tuoi spazi, o loro se ne
prenderanno sempre
di più, un pezzo alla volta" le fece notare lei con fervore.
"Penseremo noi a proteggere la vostra intimità. Promesso."
"Non volevo che accadesse... che
tante persone
perdessero il loro tempo a causa nostra" sospirò a quel
punto Consuelo,
scuotendo il capo.
"Gioiscine, cara, piuttosto. Vuol
dire che la
vostra comunità è forte, che avete attorno
schiere di persone che vi vogliono
bene e farebbero di tutto per Mickey. Questo è importante"
replicò
Margareth, massaggiandole con tenerezza le braccia per darle coraggio.
"Forza, andiamo di là. Credo che il tuo Samuel senta un po'
la tua
mancanza. E anche la piccolina."
Consuelo assentì e
Margareth, nell'avvolgerle la vita
con un braccio, la sostenne sia fisicamente che emotivamente mentre, un
passo
alla volta, conduceva la donna verso la fase successiva di quel
terribile viaggio
travagliato. Purtroppo, lei ne conosceva fin troppo bene ogni singolo
centimetro, ma sapeva che l’amica di sua figlia doveva
cominciare a incamminarsi,
se non voleva rimanerne soffocata per sempre.
Più si fosse protratta
l'attesa, più le sfide da
affrontare si sarebbero fatte dure. Lasciare che giornalisti, paura e
sconforto
avessero la meglio, avrebbe voluto dire non risalire più la
china, qualsiasi fosse
stato l'esito di quella ricerca.
***
Mano nella mano con Samuel, e
tenendo la piccola
Sophie nel marsupio sopra il seno, Consuelo uscì finalmente
da casa dopo giorni
di auto segregazione. Come temuto, però, nel giro di alcuni
minuti i primi
reporter si mostrarono nei pressi dell'abitato, con tanto di telecamere
a
spalla e microfoni spianati.
La barriera umana formata da Emily,
la sua famiglia e
i suoi amici, ora presenti in massa, fornì loro la
protezione necessaria per
poter raggiungere il retro della casa attraverso il giardino.
Con il levarsi delle proteste di
alcuni giornalisti,
Sherry non si lasciò pregare e decise di passare
all’attacco. Espose quindi il
suo sorriso più smagliante, avanzò verso la
staccionata riuscendo a camminare
sull'erba con passo elegante nonostante le Louboutin chilometriche e,
mettendo
in mostra l'arma che portava al fianco, dichiarò melliflua:
"Vorrei
chiarire un punto con voi, cari signori. Al primo che mi
verrà a citare
il diritto all'informazione, io
risponderò con il quinto
emendamento. I proprietari di questa casa non hanno intenzione di
rispondere a
nessuna delle vostre domande, sono ovviamente sconvolti per la
sparizione del
figlio e non sanno chi possa essere stato a rapirlo. Se avete domande
serie,
rivolgetele all'agente speciale McCoy, altrimenti portate rispetto per
il loro
dolore e andatevene."
"Con quale diritto ci impedisce di
fare il nostro
lavoro?" protestò allora una reporter della CBS.
Allargando il proprio sorriso, che
però divenne di
pietra, Sherry replicò: "Sono stata assunta dalla coppia
come loro
portavoce, perciò parlo in vece loro. Quanto al vostro
lavoro, dovrebbe essere
riportare la verità, non ingigantire fatti di cui non sapete
nulla."
Interrompendosi, estrasse dalla
tasca della giacca di
pelle il proprio cellulare, scorse velocemente su internet alcuni
articoli dopodiché,
didascalica, elencò i titoli gonfiati - se non addirittura
del tutto fasulli -
comparsi sulle maggiori testate americane.
Tornando a sorridere gelida al suo
auditorio, ora non
più tanto sicuro di sé, Sherry terminò
dicendo: "A quanto pare, o non
sapete fare il vostro mestiere, o qualcuno non ricorda
più quale
mestiere stia facendo. Davvero avete tirato in
ballo le
messe sataniche? Dio, per favore! E con quali prove?
Perché la mia cliente
è di origine messicana? Qualcuno è per caso un
po' razzista, in mezzo a
voi?"
Tra i giornalisti si
levò un borbottio irritato, ma
Sherry proseguì nella sua manfrina, senza risparmiare
commenti acidi a nessuno.
Poco per volta, smontò una dopo l'altra le assurde teorie
proposte dai giornali
ma, non contenta, aggiunse con tono mortalmente serio: "Non pretendo
che
capiate il loro dolore, perché altrimenti avreste
già compreso quando fare un
passo indietro, perciò terrò a ricordarvi fino
allo sfinimento il rispetto della
privacy e della proprietà privata."
Prima ancora che i giornalisti
facessero la voce
grossa, Sherry gettò in mezzo ai loro piedi un piccolo
microfono-spia e sibilò
tra i denti: "Al prossimo che trovo sulla proprietà dei miei
clienti,
giuro che farò emettere su ciascuna delle vostre teste
un'ingiunzione
restrittiva."
Ciò detto, li
abbandonò senza null'altro dire,
allontanandosi ancora con passo fatale ed elegante.
Uno per uno, i giornalisti si
allontanarono dal
microfono gettato a terra come se fosse stato una bomba a mano pronta a
esplodere e Sherry, nello svoltare l'angolo, ghignò beffarda
prima di
ritrovarsi addosso gli occhi curiosi di Rick.
Nascosto dall’angolo di
casa dietro cui si era
sistemato, aveva seguito da lontano la sua performance con espressione
affascinata e orgogliosa assieme ma ora, curioso, chiese spiegazioni.
"Non hai affatto perquisito la
casa, Sherry"
sottolineò a quel punto lui, fissandola divertito.
Lei, allora, scrollò le
spalle e chiosò: "Ma loro
non lo sanno. Per un po' staranno buoni, visto che nessuno vuole
beccarsi una
denuncia per violazione della proprietà privata."
Rick, allora, le sorrise ammirato
e, nell'indicare
l'erta su cui si erano sdraiati i loro compagni per prendere un po' di
sole,
domandò: "Hai bisogno di una mano?"
"No, ce la faccio"
replicò lei, notando come
Rick non tentasse nemmeno di offrirle il braccio.
Lei, allora, incuneò la
mano nell'incavo del suo
gomito e aggiunse: "Però apprezzo che tu me lo abbia
chiesto."
L'uomo rise divertito, scosse il
capo di fronte al
ragionamento di Sherry e chiosò: "Lo so che ho dei modi
antiquati,
scusa... ma è più forte di me. Mamma ci teneva
molto che io e i miei fratelli
si imparasse a trattare le donne come autentiche gemme."
"Ho apprezzato, credimi, come ho
apprezzato il
fatto che tu non abbia insistito quando ti ho detto di no"
sottolineò a
quel punto lei, stringendosi ulteriormente al braccio
dell’uomo.
"Una donna che riesce a camminare
come hai fatto
tu, sull'erba e con dei tacchi da dodici centimetri,
non ha
bisogno del braccio di nessuno... ma ho pensato fosse carino
offrirtelo"
ammiccò lui, accompagnandola dabbasso fino a raggiungere
Emily e Anthony.
"E lo era. Carino, intendo"
mormorò Sherry,
accomodandosi sull'erba prima di guardare Consuelo e aggiungere: "Per
qualche giorno li ho sistemati. Purtroppo, hanno la memoria corta e,
entro
breve, verranno a capo del mio piccolo scherzo ma, almeno per ora,
potete
tirare un sospiro di sollievo."
"Grazie, Sherry. Non ho davvero
parole per dirti
quanto ti siamo grati" mormorò Consuelo, sorridendole.
"Vorrei poter fare di
più ma, almeno per il
momento, la mia rete di informatori non ha trovato nulla. Il che
può voler dire
molto, o molto poco" sospirò a quel punto Sherry,
riafferrando il
cellulare per controllare le ultime e-mail. "Il fatto che i maggiori
siti
nel dark web non riportino la sua
fotografia, neppure contraffatta, è di buon auspicio. Ho
anche allertato mio
fratello Gin, a L.A., perché tenga gli occhi aperti. La
California è una piazza
piuttosto battuta, e non voglio lasciare niente di intentato."
Samuel e Consuelo la ringraziarono
ma Sherry non
riuscì a provare soddisfazione, per quelle esternazioni di
gratitudine.
Voleva trovare Mickey. Solo allora
avrebbe potuto
dirsi soddisfatta del proprio lavoro.
Fu in quel momento che Emily le
diede una pacca sulla
spalla, le sorrise e disse: "Lo troveremo. Ne sono sicura."
Sherry non poté che
sorriderle.
Era vero solo in apparenza che lei
era quella forte,
ed Emily la principessina da salvare. Lo aveva capito fin dal primo
giorno in
cui si erano conosciute all'università.
Certo, Emy le era parsa spaesata e
terrorizzata come
un cerbiatto abbagliato dai fari di un'auto, e il suo istinto
protettivo aveva
elevato le antenne immediatamente, accorrendo in aiuto di una sorella
in stato
di difficoltà.
Quando, però, aveva
conosciuto la storia della nuova
amica e aveva compreso fino in fondo da dove fosse nato quel suo
perenne stato
di ansia, non solo l'aveva trovata coraggiosa, ma resiliente.
Sherry non era del tutto sicura
che, messa di fronte a
una simile prova, sarebbe stata altrettanto forte e determinata. Lei
aveva
imparato a difendersi e a cavarsela in tenera età perché
costretta,
perché la madre era una drogata e il padre perennemente
assente. Lei e Gin
erano divenuti adulti all'età di cinque e sette anni, quando
avevano trovato
Riley - la loro madre - stesa a terra in preda a un'overdose da
ossicodone.
Senza farsi prendere dal panico,
lei aveva chiamato il
9-1-1 mentre Gin si era premurato che la madre non si soffocasse con il
proprio
vomito. Quando finalmente i paramedici erano arrivati, il padre era
rientrato a
casa, stanco e provato dal lungo viaggio in camion, e aveva trovato un
autentico caos intorno a sé.
Solo grazie alla sua presenza, non
erano finiti in
mano ai servizi sociali e, per tutto il mese successivo, erano stati in
sua
compagnia. Forse, il mese più bello della loro vita. Il
lavoro, però, era tornato
a separarli e Riley, disintossicata e pronta a riprendere le redini
della
propria vita, li aveva di nuovo accuditi.
Per un po', tutto era andato bene
ma le buone, care,
vecchie abitudini erano tornate.
Riley aveva solo imparato a gestire
meglio i suoi
piaceri, evitando che i servizi sociali la trovassero a farsi e lei e
Gin, muti
testimoni del suo lento discendere all'inferno, erano rimasti in
silenzio per
non essere separati.
Avevano così imparato a
salvare la madre da se stessa,
e la vita per loro era divenuta un campo di addestramento continuo. Il
padre
aveva sempre provveduto al loro sostentamento ma, poco alla volta, si
era
allontanato dalla famiglia, forse stanco dei colpi di testa di Riley
finché, un
giorno, non era più tornato.
Al suo posto, aveva lasciato una
busta gialla con il
timbro di uno studio legale, oltre a due libretti bancari intestati a
entrambi
i figli, in cui erano stati versati i soldi per il college.
Lei, perciò, aveva
imparato sulla strada – e in casa –
il modo migliore per sopravvivere, … ma Emily?
Emily era cresciuta in una famiglia
altolocata,
vezzeggiata e amata, ricoperta da una patina dorata che l'aveva resa
fin da
subito la principessina del suo privato castello, la bambina che tutte
agognavano di essere.
Eppure, nonostante questa patina di
regalità, non
soltanto era sopravvissuta, ma era riuscita a liberarsi da
sola dei
suoi aguzzini, scappando per boschi sconosciuti e ricchi di crepacci
fino a
trovare qualcuno in grado di aiutarla.
No, Emily non era debole. Non lo
era mai stata. Era
stata - ora, forse, non lo era più - una creatura ferita,
piena di paure, ma mai debole.
Poteva darne l'idea, a un occhio
disattento, ma Sherry
ormai la conosceva bene, e sapeva quanto acciaio vi fosse dietro il
velo dorato
che la ricopriva.
Perciò, annuì
alle parole dell'amica e, cercando di
rilassarsi, si distese sull'erba fresca per respirare a pieni polmoni
l'aria
tersa di quei luoghi sapendo bene che, nel pomeriggio, avrebbe ripreso
le
ricerche di Mickey.
Risposarsi serviva sempre, anche se
si sentiva fremere
dentro per il desiderio di riprendere le ricerche.
Per ritrovare Mickey,
però, doveva dare il meglio di sé
e, per farlo, ogni tanto doveva fermarsi anche lei.
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
21.
Se Emily aveva pensato che, con il colpo di testa improvviso di Anthony, William Consworth si fosse un poco ammorbidito, dovette ricredersi in fretta.
Non solo non era presente in albergo, quando lei e Tony si presentarono per recuperare il resto dei suoi oggetti, ma neppure i dipendenti dell’hotel ebbero a riferire loro alcun messaggio.
Come se la partenza improvvisa del figlio non lo preoccupasse minimamente, o non significasse alcunché, per lui.
Anzi, da quel poco che avevano saputo dai dipendenti più fidati, le parole di scherno e derisione uscite dalla bocca di William, e tutte indirizzate al figlio assente, non erano certo state leggere.
Tra i più giovani era serpeggiato il dubbio, oltre a un’immensa amarezza mista a confusione, ma Tony non si era stupito neppure di questo. Suo padre non aveva certo mai fatto mistero di non fidarsi di lui, e denigrarlo apertamente coi membri più giovani dello staff sembrava essere solo la sua ultima mossa per ferirlo.
Emily aveva preferito non chiedere lumi al padre, che si trovava nell'albergo dei Consworth già da diversi giorni, ma era sempre più tentata di domandargli se, alle sue orecchie, fosse giunta voce di qualche dissidio tra i due.
Non era certa che i dipendenti fossero arrivati a lagnarsi coi clienti, ma poteva sempre succedere, e questo avrebbe potuto diventare un danno irreparabile per il nome dell'albergo.
Il tutto a discapito di Anthony che, volente o nolente, sarebbe stato il prossimo proprietario... a meno di un qualche colpo di testa di William, ovviamente.
Essendo Anthony soltanto un dipendente, e non un socio, non poteva vantare alcun diritto di proprietà, se non in caso di eredità diretta causata dalla morte prematura di William. Se il padre, per evitare qualsiasi rischio, avesse deciso di vendere, Tony non avrebbe potuto fare nulla per evitarlo.
Emily sapeva però bene quanto Anthony tenesse a portare avanti l'eredità dei nonni. Molto più dello stesso William che, invece, vi aveva sempre e solo visto un mero interesse economico e nulla più.
"Quindi, cosa pensi di fare, adesso? E non raccontarmi che non ti interessa più niente dell'albergo. Ho visto quanto impegno hai sempre speso per portarlo avanti al meglio, anche se tuo padre ti ha sempre remato contro" sottolineò Emily, sorseggiando il proprio tè.
Anthony sospirò rassegnato, si passò una mano tra gli umidi capelli castani e ammise: "Mi conosci troppo bene, perciò so già che non posso raccontarti storielle, ma è difficile accettare di rimettere piede là dentro per tornare a lavorare come se niente fosse successo."
"Hai provato a parlarne con Morgan? O con Becky?" domandò a quel punto Emily, riferendosi al maitre di sala e alla receptionist dell'albergo, le due figure più anziane all'interno dell'hotel e che più conoscevano la situazione tra i due Consworth.
"Ammetto di non averne avuto il coraggio, ma a questo punto penso che lo farò" sospirò lui, levandosi in piedi per uscire di casa.
Emily lo seguì sotto la piccola veranda d'entrata, lo baciò teneramente e infine domandò: "Sei sicuro che non vuoi che venga con te? Dopotutto, oggi non posso arrampicarmi sui monti, perciò…"
"Posso farcela. Inoltre, non voglio che tu e lui vi incrociate per sbaglio. Abbiamo già rischiato molto stamattina, quando siamo andati a ritirare il secondo carico di scatoloni. Chiederò consiglio a Morgan e Becky come mi hai consigliato, e dopo ti farò sapere come andrà il colloquio con mio padre" le promise lui, salutandola per poi discendere a piedi verso il paese.
Sospirando, Emily lo osservò allontanarsi fino a perderlo di vista, e solo a quel punto si accorse di essere osservata.
Arrossendo fino alla radice dei capelli, salutò con un cenno della mano Samuel, sulla soglia di casa e intento a cullare la piccola Sophie.
Lui le sorrise a mezzo, si avvicinò alla staccionata di confine e, indicando con un cenno la strada ormai vuota, chiosò: "Mickey si è perso il primo bacio della zia. Come facciamo?"
"Glielo racconteremo non appena lo avremo trovato" gli promise lei prima di carezzare gentilmente il capo addormentato della piccolina. "Come sta Consuelo? Spero un po’ meglio."
Annuendo con fare tranquillo, Samuel lanciò uno sguardo verso il primo piano della casa, dove si trovavano le loro stanze, e ammise: "Da quando ha parlato con tua madre, ora si sente più fiduciosa. Adesso sta rassettando la stanza di Sophie. Dice che tenersi attiva in qualche modo la aiuta."
Emy sorrise compiaciuta, annuendo alle sue parole. Non sapeva cosa volesse dire essere un genitore a cui hanno rapito il figlio, poiché lei era stata il figlio in questione e conosceva bene solo le proprie emozioni, pur se aveva visto - e provato sulla pelle - quali strascichi lasciasse anche sui genitori.
Le faceva perciò piacere che aver ascoltato il punto di vista di sua madre avesse potuto aiutare in qualche modo Consuelo, soprattutto in virtù del fatto che le indagini dell’FBI non avevano ancora portato a nessun risultato.
"La caviglia come va, oggi?" domandò a quel punto Samuel, sfiorandole gentilmente il viso con le nocche di una mano.
Lei gli sorrise grata, afferrò la sua mano per stringergliela e replicò: "Sono stata sciocca e disattenta, lo ammetto spudoratamente, ed è stato sciocco anche non dirvi niente. Sapevo che avreste finito con il sapere tutto da terze persone, e si finisce sempre per avere notizie frammentarie o sbagliate. In realtà, è stata una cosa più leggera del previsto ma, per qualche giorno, dovrò stare a riposo. Ordini del dottore e del fidanzato."
"Quindi, tu e Tony..." sorrise Samuel, scrutandola speranzoso.
"Già" ammiccò Emily, arrossendo un poco per poi aggiungere: "Ma mi è spiaciuto sapere che, mentre io finivo in quella buca, lui ha bruscamente litigato col padre e, stavolta, in maniera piuttosto definitiva."
Samuel sollevò sorpreso un sopracciglio, esalando: "Cristo! E dire che Tony è la quintessenza della calma e della compostezza! Cosa diavolo ha fatto, William, per fargli perdere le staffe? Non mi stupisce che stia spostando la sua roba da te!"
"Credo dipenda in parte da me, e in parte da voi. William non ha mai apprezzato Consuelo, lo sai, e il fatto che Tony vi stia aiutando, pare averlo irritato più del comprensibile. Inoltre, io e Anthony stiamo tenendo segreto il nostro riavvicinamento, almeno a lui, perciò William ancora crede che il figlio si sia lasciato scappare un'ereditiera coi fiocchi... con tutti gli insulti a corollario."
Samuel imprecò tra i denti a bassa voce prima di borbottare: "Quell'uomo è sempre stato un pezzo di... beh, hai capito. Non merita davvero un figlio come Anthony, che ha sempre fatto il tutto e per tutto per tenere in piedi l'eredità di famiglia. Fossi stato in lui, avrei ceduto anni e anni fa."
"Io sono letteralmente scappata via da mio padre, perché non sopportavo più la sua vista..." scrollò le spalle Emily. "...solo che, se per me c'è stato un lieto fine almeno in quel frangente, non credo che Anthony troverà molte soddisfazioni, per quel che riguarda suo padre."
"No, temo di no" ammise Samuel per poi sorriderle nuovamente. "Sono contento che tu e tuo padre vi siate riappacificati. Con noi è stato davvero gentilissimo."
"Beh, come per mamma, anche lui può fornirvi un'esperienza di prima mano, in effetti. Mi ha anche detto che, nel caso in cui servirà un avvocato, ha già in mano una lista di amici pronti a darsi da fare per voi."
Samuel annuì grato, asserendo con tono fiacco: "Sì, me l’ha accennato ma, davvero, adesso siamo ben lontani dal poter averne bisogno."
Emily assentì a quelle parole, sapendo bene quanto fosse difficile vedere un proprio caro stare male, e non avere le competenze - o la possibilità - per essere d'aiuto in maniera attiva. Quando poi non potevi neppure essere vicino alla persona a cui volevi bene, era ancora peggio.
Chissà se Mickey stava bene? Aveva bisogno di un medico? Lo trattavano bene, ovunque lui si trovasse? Ma, soprattutto,… dov’era?!
Lei stessa, di fronte a quella situazione in cui si sentiva particolarmente coinvolta, non era del tutto convinta di aver fatto completamente del suo meglio, per Mickey, pur ammettendo in tutta coscienza di non sapere che altro fare, per il piccolo amico.
Sapere Consuelo più sicura di sé, grazie all’intervento di sua madre, la faceva sentire inadeguata come amica, pur Emily sapeva bene di stare solo vedendo in modo negativo l’intera faccenda.
Pur avendo trent'anni, non aveva mai realmente vissuto ciò che ogni giovane donna sperimentava nel diventare adulta e questo, in qualche modo, l'aveva come bloccata in uno stato embrionale per anni interi.
Ciò che aveva sperimentato all'università, oltre a essere stato ben poco edificante a livello emotivo, non l'aveva comunque mai portata a essere pienamente consapevole del proprio corpo e di quello del proprio partner.
Solo con Anthony, e pagando caro il fatto di non essersi aperta subito con lui, aveva sperimentato il vero amore e la vera partecipazione emotiva di una donna.
E, per poco, non aveva mandato tutto all'aria.
Certo, ora le cose sembravano essere migliorate - pur se aveva ancora paura di una possibile ricaduta - ma non si riteneva ugualmente capace di capire le pene di Consuelo, né si sentiva in grado di aiutarla a superarle.
Sapere che, invece, sua madre era stata d’aiuto per sbloccare Consuelo la faceva sentire fiera della propria famiglia, ma anche estremamente inutile come amica.
Come comprendendo i pensieri di Emyly, Samuel le disse: “Non ti venisse in mente di pensare che non sei importante, per me e Consuelo. Ognuno di voi ci ha sostenuto fin dal primo momento e, per noi, ha contato e conta tantissimo. Non dimenticarlo mai.”
Emy assentì, un groppo in gola a serrarle il fiato e il desiderio di mettere a parole ciò che sentiva ma, ancora, Samuel le sorrise e, nel passarle Sophie, mormorò: “Lei è la miglior panacea contro tutti i mali. Stai un po’ con la tua nipotina acquisita mentre io chiamo Consuelo, così potremo andare a fare tutti una passeggiata assieme. Leggera, s’intende.”
Nel ridere quando Sam le indicò la caviglia, Emily assentì e, mentre l’uomo raggiungeva la moglie per avvertirla, Emy chinò il capo per baciare la fronte liscia e profumata di Sophie, mormorando: “Vedrai… troveremo sicuramente tuo fratello. Non lo lasceremo da solo ancora a lungo.”
***
L'albergo che era stato dei nonni, e dei bisnonni prima di loro, contava una storia complessa e di profondi, continui cambiamenti.
Sorto nel periodo più florido della corsa all'oro e ai minerali preziosi - che gli uomini avevano strappato alle viscere di quelle montagne con la forza della dinamite - la piccola locanda dei Consworth aveva dapprima ospitato minatori e cercatori di fortuna.
Con il passare del tempo e l'allargarsi della clientela, però, la locanda aveva aperto le porte anche ai primi vacanzieri, allestendo così al suo interno delle piccole terme e un ristorante.
Da lì al grande salto, compiuto dai genitori di William all’inizio della loro avventura imprenditoriale, il passo era stato breve. La creazione della diga e del suo adiacente lago, aveva portato alla crescita del turismo di pari passo con la chiusura delle miniere, e questo aveva cambiato per sempre le vestigia dell'albergo.
Da locale alla buona e senza grosse pretese, l'hotel era stato ammodernato e arricchito, senza però mai perdere la patina di calda familiarità che tanto lo aveva reso famoso tra i clienti che lo avevano visitato.
Nel prendere le redini dell'albergo, però, William aveva pensato innanzitutto ai profitti che avrebbe potuto ricavare da un tale locale, e a ciò si era attenuto per tutta la vita.
Gli investimenti si erano ridotti al minimo indispensabile, e solo per questioni ‘di facciata’, che avrebbero fatto sembrare l'hotel ancora bello e desiderabile, ma senza più badare all'anima vera del luogo.
In netto contrasto con le politiche dei genitori, William non aveva più assunto nessun abitante di Nederland, e i dipendenti erano stati cambiati come si cambia la biancheria. Questo aveva creato, negli anni, un clima guardingo e privo di certezze, tra le maestranze, così da dare a William la certezza che i dipendenti non contassero troppo sulla sicurezza offerta dal loro lavoro.
Soltanto Morgan Tennyson e Becky Grant erano sopravvissuti a una simile epurazione; in quanto figli di eminenti membri di spicco della loro piccola comunità, William aveva preferito non inimicarseli.
Di tutto ciò, Anthony era stato muto testimone, non abbastanza forte per dire la sua, non abbastanza deciso per prendere le parti di coloro che avevano subito le angherie del padre.
Forse, se la madre fosse rimasta, lui si sarebbe sentito meno solo, meno inadeguato a combattere contro il padre, ma così non era avvenuto. E ora si ritrovava in un luogo che lui amava ma non era suo, e con un padre che non amava più ormai da tempo, ma che il sangue e l'anagrafe gli dicevano essere un suo stretto familiare.
L’unico rimasto, a ben vedere.
Un vero e proprio supplizio da sopportare, ma a cui voleva ormai porre rimedio una volta per tutte.
Quando, perciò, mise piede in albergo, cercò subito Morgan e, nel trovarlo impegnato a controllare il lavoro delle cameriere nella sala da pranzo, sorrise e lo avvicinò.
Morgan aveva all’incirca vent’anni più di lui ed era diventato, col tempo, quasi una figura paterna, all’interno della sua cerchia di amici. Anthony apprezzava sempre scambiare opinioni o pareri con l'uomo e, nel corso degli anni, Morgan lo aveva preso sotto la sua ala al pari degli altri suoi figli.
Alto e brizzolato, oltre che dall'aspetto piacente ed elegante, Morgan era vedovo da un paio d'anni e, con i figli ormai grandi e partiti per raggiungere Denver, viveva a Nederland da solo.
Anthony si era sempre chiesto come mai non avesse raggiunto i figli nella grande capitale di Stato ma, nel vederlo impegnato nel mestiere di una vita, in parte lo comprese.
Lui amava prendersi cura di quell'albergo, al pari di quanto Anthony ci tenesse a portarlo avanti, a renderlo ancora più bello e accogliente. Il punto era che entrambi erano stati disillusi dall’attuale proprietario così tante volte che, ormai, ogni loro azione era dettata più dall’abitudine, che dall’effettivo impegno nel proprio lavoro.
"Ehi, Morgan... come vanno le due nuove cameriere?" esordì a quel punto Anthony, strappandolo ai suoi pensieri.
Morgan gli sorrise spontaneamente, si appuntò un paio di annotazioni sul taccuino - rigorosamente a penna, e non su un palmare - dopodiché disse: "Sono brave, e hanno occhio per i particolari. Le tavole sono in ordine e le tovaglie ben stirate. Non posso davvero dire niente."
"Ne sono lieto" mormorò Anthony, guardandosi intorno con aria piena di rammarico.
Ricordava bene quando, da piccolo, si era ritrovato spesso a correre tra tavoli simili a quelli per giocare a nascondino con la nonna, o di quando il nonno gli aveva insegnato a preparare un perfetto drink al piano bar.
Ogni volta, i genitori non erano stati presenti, troppo impegnati a urlarsi contro malignità, o a scambiarsi reciproche accuse.
Senza i nonni, lui avrebbe potuto crescere come un orfano, per quel che era interessato a sua madre e suo padre e, non a caso, Marlene non lo aveva portato con sé, quando era fuggita da lì. Lo aveva semplicemente abbandonato come un pacco postale, un inutile figlio a cui, in apparenza, non doveva nulla, neppure il rispetto di un addio.
"Pensieri profondi, Tony?" domandò Morgan, strappandolo a quei ricordi dolorosi.
Scrollando le spalle, lui ammise: "Sono arrivato al capolinea, Morgan. Non ce la faccio più."
Morgan non ebbe bisogno di chiedergli in merito a cosa. Sapeva benissimo come stavano le cose, tra William e il figlio perciò, pur spiacendosene, non se ne sorprese affatto.
Allungata una mano per dargli una pacca sulla spalla, Morgan si limitò a dire: "Come pensi di sbrogliarla?"
"Pensi che sia ingiusto, da parte mia, mollare la presa su tutto questo?" domandò per contro Anthony, allargando le braccia come a voler stringere a sé l’intero salone di foggia europea.
"William non ti ha permesso di avere alcuna voce in capitolo perciò, a livello burocratico, puoi davvero fare ben poco, a meno di non volerlo far internare. Ma dovrebbero esserci delle prove in tal senso, o non otterresti mai il trattamento sanitario obbligatorio" precisò Morgan, sospirando spiacente.
"Già... anche se sappiamo bene entrambi quanto lui sia pazzo da legare, in un certo senso" ammise amaro Anthony, infilando nervosamente le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni. "Non ha mai capito perché contasse molto, tutto questo, per me. Né ha mai capito quanto contasse veramente, nella mia vita. Ha cercato in ogni modo di mandare a rotoli la mia esistenza, quasi provasse piacere nel sapermi infelice."
"Non credo che William sappia cosa sia la felicità, Tony. E' sempre stato un uomo... amaro con tutti e, per quanto io abbia apprezzato il fatto di lavorare qui per i tuoi nonni, avrei voluto lasciare questo posto di lavoro ogni giorno, a causa di tuo padre" ammise l'uomo, scuotendo tristemente il capo. "Resto per te, perché tu meriti tutto il mio tempo... ma se tu te ne andrai, io non solo capirò, ma ti darò tutto il mio appoggio."
"Morgan..." mormorò Anthony, abbracciandolo con naturalezza.
L'uomo lo avvolse a sua volta tra le braccia, aggiungendo a bassa voce: "Riprenditi la tua vita e non farti condizionare dall'albergo. E' solo una grossa scatola con dentro delle stanze. Ciò che ti hanno lasciato i tuoi nonni è ben diverso, e ben di più."
Ciò detto, si scostò con un mezzo sorriso da Anthony e, scusandosi, si rimise a compiere il proprio lavoro, sapendo di aver già dato al giovane tutto ciò di cui aveva bisogno per decidere sul da farsi.
Anthony, infatti, uscì subito dopo dalla sala da pranzo, ben deciso a trovare Becky e suo padre.
Trovando solo la donna, come sempre al bancone della reception, le sorrise prima di chiederle del padre ma, a sorpresa, Becky disse: "Mi spiace, non è ancora rientrato. Mi ha chiamato poco meno di mezz’ora fa, dicendo che sarebbe andato dalle parti di Beaver Creek per parlare con alcuni titolari di un albergo della zona. Di più non so dirti, Anthony."
"Non importa. Aspetterò il suo ritorno. Questo mi permetterà di sbrigare le ultime faccende senza averlo alle calcagna" scrollò le spalle Anthony, vedendola sorridere dolente al solo sentire quelle parole.
"Sai già dove andare?" chiese soltanto lei, non addentrandosi nei motivi che l'avevano spinto ad andarsene. Sapeva già, bene o male, che il problema poteva venire solo da una persona; il padre.
William non aveva mai dato peso alle brillanti idee del figlio, né aveva mai fatto nulla per dargli il rispetto che avrebbe meritato di diritto, se non altro per i suoi meriti personali.
Non si era mai voluto rendere conto delle innate capacità imprenditoriali di Anthony, relegandolo a meri lavori d'ufficio e poco altro, che ne avevano sempre svilito l'intelligenza.
A Becky era spiaciuto veder sfiorire quel luogo, vederlo prendere sempre più i connotati di un comunissimo albergo di città, e non di un caratteristico quanto gradevole hotel di campagna, come i nonni di Anthony lo avevano sempre pensato.
Ora, quell'ammissione di sconfitta non sorprendeva la donna, ma le spiaceva comunque esserne testimone.
"Mi troverai da Emily... ma non voglio che mio padre lo sappia, per ora" sottolineò lui.
"Da me, di certo non lo saprà. Ho visto che hai portato via già molte cose ma, se avessi bisogno di aiuto…"
"No, ti ringrazio. Faccio da me" la ringraziò lui, allontanandosi per raggiungere l'ala dell'albergo destinata ai proprietari.
C'erano cose di cui doveva disfarsi prima di andarsene una volta per tutte, e doveva farle da solo.
***
Margareth uscì dalla stanza poco prima delle dieci, dopo aver approfittato della colazione in camera. Jordan, per quella mattina, se ne sarebbe stato a letto a leggere un po’ e a riposare.
Le emozioni di quei giorni, unito all’altitudine, lo avevano un po’ provato perciò, su suo ordine, si sarebbe preso cura di se stesso mentre lei avrebbe badato ai figli. Ammesso e non concesso che ne avessero bisogno.
Nel discendere le scale, si imbatté in Anthony, sovraccaricato di documenti tra le braccia e con un’espressione indecifrabile sul viso.
Non aveva approfondito i motivi per cui, al suo arrivo, il ragazzo stesse trasferendo le proprie cose nella casa di Emily ma, a giudicare dal suo umore ombroso, ciò che lo aveva portato a trasferirsi, ancora lo turbava.
Sorridendogli, perciò, lo salutò cordialmente e, in un battito di ciglia, il giovane si trasfigurò, regalandole un bellissimo sorriso e un cenno cortese col capo.
“Buongiorno, Margareth. Spero che sia andato tutto bene, stanotte. Ieri non abbiamo avuto molto tempo per parlare, e me ne scuso. In questi giorni sta veramente succedendo di tutto, e pare che le buone maniere siano la prima cosa a perdersi per strada” esordì Anthony, poggiando frettolosamente i suoi documenti su uno dei divanetti presenti lungo il corridoio.
"Oh, nessun problema, caro. Non ho bisogno di tappeti rossi, per entrare in un albergo, né di uno stuolo di servitori al mio seguito" sorrise divertita la donna. "Si hanno novità?"
Anthony tornò serio a quell'accenno, ben sapendo a cosa si riferisse la donna e, nello scuotere il capo, infilò nervosamente le mani nelle tasche posteriori dei jeans per poi dire: “Purtroppo no. Ho chiamato McCoy giusto mezz’ora fa per sapere, ma non hanno ancora trovato alcuna pista. Anche Sherry brancola nel buio, e questo mi preoccupa davvero, visto che sappiamo tutti quanto è brava.”
"Se Sherry non sa che pesci prendere, la cosa si complica sul serio" mormorò pensierosa Margareth.
Annuendo pensieroso, Anthony desiderò per un istante mollare tutto e precipitarsi sui monti assieme ai volontari, ma sapeva bene di dover terminare ciò che aveva cominciato. Non poteva mollare tutto a metà dell’opera, o sarebbe per sempre stato succube delle follie del padre.
Era il momento di dire basta.
Sfiorando un braccio di Anthony con la mano per strapparlo ai tristi pensieri che sembravano invadergli la mente, Margareth domandò: "Emy come sta, stamattina?"
Pur cercando di non arrossire come un peperone maturo, Anthony percepì chiaramente un calore progressivo salirgli alle gote, ma cercò di non farci caso. Era più che naturale che la madre gli chiedesse come stesse la figlia, visto che lei era giunta proprio durante il trasferimento in casa di Emily.
Con tono il più possibile controllato, quindi, mormorò: "Sta... beh, sta meglio. Anche se ovviamente è ancora in ansia per Mickey, e non ne vuole sapere di stare a riposo per curare la caviglia."
Margareth abbozzò una risatina, dandogli una pacca sulla spalla, e replicò: "Beh, se trovi il modo di farglielo capire, esponilo anche a me. Io e suo padre non siamo mai riusciti a farle fare qualcosa che non volesse... anche prima del rapimento."
Anthony levò divertito un sopracciglio, esalando: "Oh...okay. Allora, sono nei guai fino al collo, mi pare di capire."
"Qualcosa del genere, caro" ammise lei prima di tornare seria e domandargli: "Posso chiederti come stai tu, Anthony? O mi ritieni troppo sfacciata?"
"Beh, non è certo un mistero che io e mio padre si sia ai ferri corti, perciò non le racconto nulla di nuovo" scrollò le spalle Anthony. "Mi trasferisco da Emily finché le cose non si saranno sistemate con mio padre e, visto che immagino abbia già capito che tipo d'uomo è, le cose si protrarranno per un bel po'."
“Credimi, non può che farmi piacere sapere che Emily non sarà più da sola in casa, anche se ha sempre avuto Cleo con sé” lo rassicurò Margareth prima di avvertire dei passi alle sue spalle.
Anthony sorrise nel veder giungere Jamie – che ora dormiva in una delle stanze dell’albergo – e Margareth, nel vedere il figlio, aggiunse: “Inoltre, è bello poter strapazzare mio figlio minore come facevo quando era bambino.”
Jamie lo sorrise nervosamente prima di ammiccare a Tony e dichiarare: “La strega, stamattina, è sgattaiolata nella mia stanza con la complicità di Becky, immagino, per darmi dei pizzicotti sulle guance a mo’ di sveglia. Ti pare sensato?”
Anthony scoppiò a ridere, di fronte a quella scoperta e Margareth, sorridendo senza alcun pentimento a farle compagnia, replicò: “Potrò pur divertirmi un po’, ora che sei alla mia mercé?”
“Pagherò Becky perché ti tenga alla larga dalla mia stanza” la minacciò per contro Jamie prime di scrutare la massa abnorme di documenti posta sul divanetto del corridoio e aggiungere dubbioso: “Hai intenzione di controllare i bilanci degli ultimi duemila anni?”
Anthony si fede serio, a quel commento, e asserì: “Per quello che mi propongo di fare, sì. Ho deciso che, se mio padre vuole continuare a fare di testa sua, lo farà senza di me e, visto che il contabile sono io, qui dentro, non voglio mi si dica che ho peccato in qualche cosa.”
Fischiando per la sorpresa e l’ammirazione, Jamie esalò: “Caspita! Questa sì che è una presa di posizione!”
“Era giunto il tempo” si limitò a dire lui, riprendendo in mano i documenti prima di scusarsi con i Poitier.
Rimasto con la madre, Jamie osservò la figura di Anthony sparire oltre l’angolo, dopodiché chiosò: “Quell’uomo è pazzo, a far incazzare un tipo come Tony. Ma che gli dice la testa?!”
Margareth sospirò nello scuotere il capo e, dopo aver carezzato dolcemente la schiena di Jamie replicò: “A volte, la vita non ci dà ciò che meritiamo e, purtroppo, Anthony ha subito lo scorno peggiore di tutti.”
“Beh, per lo meno gli è capitata Emy.”
La madre assentì e, dopo aver preso sottobraccio il figlio, si diresse verso il giardino esterno per godere di quella bella mattinata assieme a Jamie. Solo nel pomeriggio si sarebbero visti con Emy, perciò aveva tutto il tempo di fare il terzo grado al figlioletto ed estorcergli tutto ciò che sapeva in merito alla novella storia d’amore della figlia.
***
Emily storse il naso, di fronte allo sbarramento innaturale che si stagliava dinanzi alla porta d’ingresso della camera di Anthony e, nel curiosare con lo sguardo dentro gli scatoloni, gorgogliò: "E va bene... accetterò il fatto che non vuoi farmi mettere piede in camera tua… ma addirittura bloccarmi la strada coi tuoi trofei di hockey?"
Lui rise di quell’appunto, scostò un poco gli scatoloni incriminati e replicò: "Se vuoi, ti faccio vedere perché non volevo entrassi... ma poi non lamentarti, va bene?"
"Sono coraggiosa, cosa credi?" si lagnò ironicamente lei prima di gettare uno sguardo alla sua destra e rimanere chiaramente sconvolta da ciò che le si presentò innanzi. "Ah... è passato un tornado?"
Nella stanza, che lei ricordava intonsa, perfettamente in ordine e anche un tantino troppo organizzata, Emily vide il caos più totale.
Altri scatoloni aperti si trovavano sul pavimento assieme a vecchi trofei di gare di sci, gagliardetti, maglie di squadre di hokey e altri oggetti sportivi di varia natura. Sul letto, abiti su abiti attendevano di essere sistemati nelle valige aperte e lasciate negligentemente a terra al pari di diverse scatole di cartone.
E lei che aveva sempre pensato che fossero le donne ad avere un arsenale di oggetti e paccottiglia sparse nelle stanze… persino Anthony sembrava aver accumulato materiale per due vite, in quegli anni!
"Davvero vuoi rimanere qui dentro con me?" la minacciò comicamente Anthony.
Emily lo guardò con aria confusa ed esalò: "Tony, per quanto io apprezzi il fatto che tu abbia deciso di venire da me, piuttosto che da un tuo amico… ma io pensavo che fosse solo una cosa passeggera. Cosa sta succedendo, davvero? E non mi fraintendere, per me, puoi rimanere per sempre, ma…"
Tornando serio, lui annuì di fronte alla sua ovvia confusione e disse: "Indipendentemente dal fatto che io rimanga per molto o poco tempo da te, non abiterò comunque più qui. Questo posto non è mio, né lo sento mio già da molto tempo e, come dicevano i miei nonni, sono più importanti le persone, rispetto alle cose. I miei ricordi verranno con me, non rimarranno segregati qui perciò, quando e se mio padre vorrà capire che io desidero soltanto il bene di questo posto, potrò tornare a lavorarci. Diversamente, non ho più intenzione di spenderci un solo minuto."
"Tony..." mormorò spiacente Emily, stringendolo in un forte abbraccio. "...sei sicuro di riuscire ad abbandonare questo luogo? Sappiamo bene entrambi quanto tu ci tenga."
"Ne ho parlato anche con Morgan e Becky. Sta a me decidere e, di sicuro, lo devo fare senza pensare a ciò che avrebbero detto i nonni. Loro ci tenevano, io ci tengo, ma questo albergo non deve diventare una gabbia, per me. Questo, davvero non lo vorrebbero, né lo desidero io per me stesso" si limitò a dire Anthony, chinandosi per darle un bacetto sulla fronte.
Lei a quel punto annuì, lanciò nuovamente uno sguardo alla marea di oggetti ancora da sistemare e disse: "E io che pensavo che fossero le donne, ad avere un sacco di roba."
Anthony scoppiò a ridere per diretta conseguenza e, mentre Emy afferrava il borsone da hockey, lui badò a sollevare quello ben più pesante dei suoi trofei giovanili.
Emily aveva compiuto i primi passi fuori dal suo incubo, insieme a lui, e Anthony avrebbe fatto lo stesso, grazie all'aiuto della donna che amava. Pareva assurdo che si trovassero in situazioni così simili, eppure era così.
Volente o nolente, suo padre l'aveva tenuto imprigionato per tutto quel tempo, con il ricordo dei nonni a legarlo a quel luogo ma, finalmente, aveva trovato le motivazioni e la forza necessarie per sfuggire a tale presa.
Certo, ne avrebbe sofferto in futuro come già ne soffriva in quel momento, ma non voleva più rimanere rinchiuso in un loop privo di sbocchi, se poteva iniziare la sua vita altrove.
Le competenze non gli mancavano, la laurea in Economia neppure, perciò avrebbe trovato un altro lavoro, costruendo nuove radici in un altro luogo.
I nonni avrebbero capito, lui ne era certo.
N.d.A.: Tony pare deciso a dare un taglio netto al passato, anche per quanto riguarda il tanto amato albergo dei nonni ma, come ha tenuto a sottolineare anche Morgan, non sono gli oggetti che definiscono ciò che amiamo, ma i ricordi delle persone che teniamo nel cuore perciò, per quanto possa spiacergli cedere alle follie del padre, Anthony non può neppure fossilizzarsi e rimanere immobile in un loop senza scampo.
William, però, gli permetterà di sfuggire alla sua presa soffocante?
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
22.
Emily scese dal pick-up di Anthony,
una volta
raggiunto l'albergo e lì, afferrata la sua stampella, disse:
"Credo che
ora Consuelo riesca a sopportare meglio l'attesa. Parlare con mia madre
pare
esserle servito."
"Sa che lei ha vissuto lo stesso
calvario, perciò
può comprenderla meglio di chiunque altro. Questi giorni
assieme a lei la
aiuteranno di sicuro" annuì Anthony, lanciando uno sguardo
verso il retro
dell'albergo, dove si trovavano gli automezzi privati della famiglia,
così da
capire se il padre fosse o meno rientrato da una delle sue ormai
frequenti
uscite.
Vedendo la Ford Taurus del
genitore, si avvicinò
istintivamente per controllare che non fosse ancora a bordo ma, nel
farlo, gli
occhi gli caddero sul vicino pick-up di proprietà dei nonni.
Era insolito che suo padre lo
usasse, poiché veniva
adoperato soltanto per andare a fare legna ogni tanto, eppure sulle
gomme c'era
del fango fresco che stava iniziando a seccare.
Dubbioso, si avvicinò
ulteriormente per controllare,
tallonato dappresso da Emily e, nel toccare il terriccio umido, si
strofinò le
mani borbottando: "E' recente."
"Che succede?" domandò
curiosa Emy.
Volgendosi a mezzo, Anthony disse
pensieroso:
"Becky mi ha detto che mio padre, anche stamattina, sarebbe andato a
Beaver Creek per affari, ma dubito fortemente che ci sia andato col
pick-up, e
che abbia percorso una strada sterrata per andarci. Da quel che avevo
capito,
doveva vedere degli albergatori."
"Può aver svolto qualche
altra commissione in
mattinata. Dopotutto, siamo a pomeriggio inoltrato e tu, ultimamente,
non passi
molto tempo qui, no?" replicò Emily, non sapendo bene dove
volesse andare
a parare Anthony.
Sbuffando, Anthony sorrise
leggermente, annuì e infine
disse: "Ma sì... può darsi che l'avversione per
le cose dei nonni gli sia
passata, dopotutto."
"E' così
idiosincratico?" esalò Emily,
facendo tanto d'occhi.
"Non puoi immaginare quanto.
Sarà per questo che
mi detesta tanto... perché io amo i nonni. Potrebbe essere
una spiegazione valida
quanto un’altra"scrollò le spalle Anthony.
"Comunque, visto che è
tornato, andrò a parlargli. Vuoi che ti accompagni prima in
clinica, prima?"
"No. Riesco ad andarci anche a
piedi. Mi farò
fare questa benedetta visita, sperando che mi tolgano alla svelta
l’obbligo di
usare la stampella, dopodiché sarò a posto e
chiamerò Jamie perché mi venga a
prendere."
Lui assentì prima di
ridacchiare e domandarle:
"Ha poi deciso cosa fare? Rimarrà a casa tua, o si
darà alla fuga?"
"Ha detto che non vuole diventare
cieco,
sentendoci fare cosacce, perciò ha sentenziato che avrebbe
preso una stanza qui
in albergo per fuggire da noi" ridacchiò Emily, arrossendo
leggermente.
Anthony scosse la testa nel ridere
allegro e, dandole
un bacio di saluto, chiosò: "Beh, se non si è
spaventata Cleo..."
"Ultimamente lo paragonano spesso
al mio cane..
sarà felice" celiò Emily, salutandolo
nell'allontanarsi.
Tornando serio non appena Emily fu
scomparsa dal suo
campo visivo, Anthony si apprestò ad affrontare una volta
per tutte il padre,
ben deciso a mettere in chiaro le sue decisioni.
Non voleva più
procrastinare oltre, cosa che negli
ultimi giorni di trasloco aveva caldamente evitato, né
lasciare che lui si
immischiasse ulteriormente nella sua vita privata. Aveva lasciato
correre fin
troppo a lungo per paura di perdere le uniche radici che gli erano
rimaste, ma
ora aveva compreso che, ciò che contava veramente, era
racchiuso nel suo cuore,
e non tra le quattro mura dell'albergo.
L'amore dei suoi nonni, e che lui
aveva provato per
loro, non sarebbe svanito se anche il padre avesse fatto terra bruciata
dell'hotel. Quel sentimento duraturo e potente sarebbe per sempre
rimasto in
lui, e lo avrebbe accompagnato nel futuro che aveva deciso di creare
con Emily.
Lontano dal padre, lontano dai
veleni che lo avevano
condizionato per un tempo troppo lungo della sua vita.
Quando, perciò,
entrò in albergo, si diresse subito
verso l'ufficio del padre e, una volta che ebbe bussato e ricevuto il
benestare
a entrare, si affacciò all'interno e lo vide seduto alla
scrivania, come al
solito impegnato a leggere scartoffie.
William levò il capo per
guardarlo, e Anthony si
sorprese nel vederlo completamente sbarbato, in ordine e con abiti di
ottima
fattura ancora addosso. Evidentemente, doveva davvero
essere andato a uno di quei fantomatici appuntamenti tanto
millantati, altrimenti non si sarebbe mai sprecato a indossare un
simile
completo.
"Ho notato che in questi giorni hai
iniziato a
portare via le tue cose. Bene" esordì il padre con tono
scevro di
emozioni. "Avevo anche pensato di cambiare serratura alle porte, giusto
per farti capire chi comanda, qui dentro, ma ho soprasseduto. Spero
apprezzerai
il mio gesto.”
Anthony si limitò a
un'alzata di spalle e William,
senza attendere una sua replica, aggiunse: "Detto questo, ci tengo a
informarti che ho trovato dei compratori per l'albergo. Ormai ritengo
di aver
dato tutto, a questo posto, e non ti reputo in grado di proseguire
degnamente
nel mio lavoro, perciò sono in trattative con una importante
catena alberghiera
di Fort Loderdale, che ha delle succursali anche in Colorado. Entro la
settimana prossima sarà stilato il contratto di vendita,
perciò avresti dovuto
comunque trovarti una nuova casa."
"Bene" mormorò Anthony,
cercando di
trattenere l'ira.
Era inutile prendersela per i suoi
modi apatici,
perché in ogni caso non avrebbe ricavato nulla da
quell'uomo. Anzi, era giunto
a credere che, qualsiasi sua azione fosse dettata dalla vendetta, dal
sordido
piacere di fargli del male perché lui, innanzitutto, aveva
amato i nonni.
Sapeva che tra il nonno e il padre
non era mai corso
buon sangue, e che la mentalità chiusa di suo padre spesso
si era scontrata con
quella più liberare e innovativa del nonno.
Non aveva mai saputo veramente cosa
avesse fatto
nascere un simile odio tra loro, ma tant’era.
Trovando quel momento buono come un
altro per
sviscerare il problema, Anthony allora intrecciò le braccia
sul torace e
domandò: "Quando ti riterrai soddisfatto? Dissotterrerai i
nonni dalla
tomba e darai fuoco ai resti? Solo allora potrai essere contento?"
William rispose con un sorriso
beffardo quanto
glaciale, replicando sardonico: "Tu hai sempre idolatrato i tuoi nonni
ma
non li hai mai conosciuti davvero, non conosci i loro scheletri
nell’armadio.
Quanto alla vendita dell'albergo, non lo faccio per spregio nei loro
confronti
ma perché, semplicemente, non ti reputo adatto a proseguire
nel mestiere. Sei
troppo permissivo, niente affatto di polso, e lasci troppo spago ai
dipendenti.
Loro non devono essere amici, devono
capire chi comanda, e tu non
lo hai mai fatto. Ma, per farti capire che non sono un mostro, ho
tenuto a
precisare con gli acquirenti che Morgan e Becky saranno riassunti nella
nuova gestione."
"Già... come se vi
fossero solo loro, all’interno
dell'hotel" sottolineò Anthony con tono aspro.
"Gli altri si possono sostituire
facilmente, come
ho sempre fatto" chiosò laconico William. "Quanto
a te, ti verrà consegnato fino all'ultimo centesimo. Non
voglio certo che mi
accusi anche di essere un ladro."
Ciò detto,
William gli lanciò un'occhiata
sprezzante che, però, non ottenne l'effetto di far irritare
Anthony.
Nel notare con quanta
freddezza il figlio
lo stesse affrontando, l’uomo non si diede comunque per vinto
e, nello
sfogliare il contratto preliminare che aveva fatto stilare in
previsione della
vendita dell'albergo - e che, ben presto, sarebbe stato firmato da
entrambe le
parti interessate - terminò di dire: "Se hai qualche oggetto
di interesse
personale che vuoi tenere per te, ti conviene prenderlo ora. Non credo
che, già
domani, sarò di umore altrettanto benevolo."
"Terrò le
vecchie carte topografiche
del nonno, se non è un problema" si limitò a dire
Anthony, scrollando le
spalle. "Quelle che prestai a suo tempo al signor Jones, per
intenderci."
A quell'accenno,
William sorrise beffardo
e asserì: "Vedo che continui a farti amici personaggi di
basso calibro.
Non ti ho davvero inculcato niente, in quella testaccia dura.
L'amicizia con un
geologo a cosa ti porterà? A un bel nulla, ma vedo che
ancora non hai compreso
come si sta al mondo. Comunque, non sarà più un
problema mio, visto che mi hai
fatto capire più che bene che non sei interessato a capire i
trucchi del
mestiere da me."
"Su questo siamo
assolutamente
d'accordo" assentì atono Anthony, infilando le mani nelle
tasche prima di
domandare con casualità: "Potrei anche prendermi il pick-up
del nonno?
Tanto, tu non lo usi, e a me farebbe comodo quando vado a fare legna."
A quell'accenno,
William si accigliò
sensibilmente, le sue mani si bloccarono per alcuni istanti sui fogli
del
contratto prima di riprendere ciò che stavano
facendo.
Con tono scorbutico,
quindi, l'uomo
replicò: "No. Quello l'ho già promesso a un'altra
persona. Non puoi averlo."
"Posso sapere a chi
l'hai promesso?
Magari, posso trovare un accomodamento con lui" insistette a quel punto
Anthony.
"Non sono affari
tuoi. Punto" lo
liquidò il padre, chiudendo la questione una volta per
tutte. "Sei
congedato, ora. Ho altro a cui pensare."
"Come vuoi"
replicò fiacco
Anthony, andandosene dall'ufficio con più di un dubbio nella
mente.
Allontanandosi lungo
il corridoio per
raggiungere quella che, fino a pochi giorni prima, era stata la sua
camera da
letto, il suo piccolo angolo di mondo protetto dalle angherie del
padre, si
rese conto di non vederla più come un'oasi.
La stanza era
esattamente la stessa, tolto
per la mancanza delle sue cose ma, proprio come gli aveva ricordato
Morgan, non
erano gli oggetti a renderci cara una persona o un luogo, ma i ricordi
condivisi e le sensazioni provate.
Quel luogo era stato
il sogno dei nonni,
la loro ricompensa per i tanti sforzi fatti, ma l'amore che gli avevano
dato
era la sua vera eredità. Allo stesso modo, quelle quattro
pareti non lo avevano
mai davvero protetto dal carattere dispotico del padre, né
dalle sue parole
velenose.
A farlo stare bene, a
farlo sentire al
sicuro, era stato il sapere di essere amato dai nonni. Questo, lo aveva
reso
capace di sopportare anche l'odio del padre.
Ormai era chiaro che
con il genitore rimastogli
non vi sarebbe mai stato nulla, se non un reciproco e generalizzato
fastidio,
perciò era tempo che vi facesse davvero l'abitudine e
smettesse di sperare.
Era tempo di
focalizzarsi solo su ciò che
aveva dentro.
L'amore per Emily.
L'amicizia nei confronti
dei suoi nuovi e vecchi amici. La fedeltà verso coloro che
lo erano stati a
loro volta con lui.
Quelli sarebbero
stati i suoi nuovi
pilastri e, così facendo, suo padre non avrebbe
più potuto manipolarlo con il
ricatto costituito dall'albergo.
Afferrato quindi uno
scatolone, uscì dalla
stanza per recuperare le vecchie stampe appese lungo il corridoio del
primo
piano dell'albergo e lì, a sorpresa, vide uscire Jordan
Poitier dalla suite a
lui destinata.
Bloccandosi a
metà di un passo, Anthony
riprese immediatamente il suo ruolo di vice-direttore e, cordialmente,
domandò:
"Buongiorno. Posso esserti utile in qualcosa, Jordan?"
Nel notare lo
scatolone e i quadretti al
suo interno, Jordan però replicò: "Posso
esserti io di
aiuto, piuttosto?"
Anthony allora
guardò la scatola, sorrise
e disse: "Sono vecchie stampe di mio nonno. Unico lascito di mio padre,
a
quanto pare. Venderà l'hotel a una catena alberghiera,
perciò ben presto dovrò
trovare un nuovo lavoro."
Jordan lo
guardò pieno di stupore e sì,
dispiacere e, nel seguirlo lungo il corridoio, gli chiese: "Sei sicuro
di
non voler lottare per tenerlo? Posso consigliarti un paio di avvocati,
se
vuoi."
Anthony,
però, scosse il capo, sfiorò con
dita leggere la cornice di un quadro prima di staccarla dal muro e
asserì:
"L'affetto che provo per questo luogo è soprattutto legato
all'amore per i
miei nonni, e quello non potrà togliermelo nessuno. Porto
via le stampe perché
erano un regalo del bisnonno a mio nonno, e lui vi era molto
affezionato. Per
il resto, va bene così. Inoltre, avrei ben poche frecce al
mio arco visto che,
all'interno di questo albergo, sono solo un dipendente e non ho alcuna
voce in
capitolo".
Questo sorprese non
poco Jordan, che
scosse il capo con espressione disgustata e diede una pacca sulla
spalla al
giovane prima di aiutarlo a raccogliere le cornici rimanenti.
Lavorarono in
silenzio per diversi minuti,
minuti in cui Jordan si chiese se portare avanti o meno ciò
che si era prefisso
di fare quando era uscito dalla sua stanza.
Era chiaro quanto, in
quel momento,
Anthony si stesse trattenendo dall'esprimere a parole - o coi gesti -
tutta la
sua frustrazione, e lui non voleva apparirgli come un arrivista, come
una
persona che approfitta del dolore altrui per apparire benevolo.
Ugualmente, diede
comunque voce ai propri
pensieri e disse: "Quando mi hai visto uscire, stavo per l'appunto
venendo
a cercarti. Stasera, io e Maggie usciamo con i nostri figli per andare
da Gilda
a mangiare le lasagne - che ci dicono essere strepitose - e volevo
sapere se
intendevi unirti a noi. Solo che, vista la situazione attuale, mi
sembra di
farti una richiesta studiata a tavolino per apparirti migliore di tuo
padre."
Nel dirlo, gli
sorrise contrito e Anthony,
scoppiando in una risatina leggera, ma che gli servì a
scacciare parte del malumore
montato nell'ufficio del padre, replicò divertito: "Oh,
credimi, Jordan...
dubito che esista, su tutta la Terra, un padre peggiore di lui. O
almeno, così
la penso io. Perciò, vinceresti facile a prescindere.
Comunque, accetto
volentieri. Ho davvero bisogno di staccare un po', visto che
nell'ultima
settimana è davvero successo di tutto e non ho avuto tempo
per respirare
decentemente."
"Emy mi ha detto che
tu e Consuelo
stavate insieme, prima della nascita di Mickey... immagino tu ti senta
strano,
con quello che sta succedendo" si intromise gentilmente Jordan.
Annuendo, Anthony
tornò sui suoi passi per
sistemare le cornici nella sua stanza, al sicuro dalle avide mani del
padre e,
torvo, ammise: "Sono legato a Mickey per più di un motivo, e
uno non è
molto bello. Mio padre ingiuriò per mesi Consuelo,
tacciandola di essere una
donna leggera - ovviamente, usò termini più
discutibili, che io non ripeterò -
e la accusò di volermi strappare dalle mani mio
figlio per darlo
a
Samuel. Naturalmente, io e Consuelo sapevamo benissimo che Mickey non
era
figlio mio, perciò feci di tutto per proteggerla dalle
follie di mio padre e,
quando il bimbo nacque, ne divenni il padrino."
Jordan
sospirò nello scuotere il capo e
borbottò: "Davvero non capisco perché si possa
arrivare a tanto... ma, con
l'esempio di mia sorella o dei miei genitori alle spalle, posso
aspettarmi
davvero di tutto, dalle persone."
Ciò detto,
l’uomo scrutò dubbioso Tony
prima di aggiungere: "Emy te ne ha parlato? Di ciò che
successe a mia
sorella Bérénice? O del perché non
pagammo per il suo riscatto?"
Scuotendo il capo,
Anthony ammise:
"Tra il rapimento di Mickey e i giorni passati nei boschi, oppure a
traslocare, non abbiamo davvero avuto il tempo di sviscerare
l'argomento, anche
se mi aveva accennato al fatto che tu le avevi spiegato i
reali motivi che
vi furono dietro al mancato pagamento."
Annuendo, Jordan lo
seguì nel suo
andirivieni lungo i corridoi e, nel raccogliere le ultime stampe,
ammise ciò
che avvenne più di vent'anni prima, senza tralasciare
alcunché.
Anthony dovette
fermarsi in preda allo
shock, non più in grado di proseguire ciò che
stava facendo.
Alla fine del
racconto, il giovane emise
un fischio basso e prolungato prima di esalare: "Beh, dopo un gesto
simile, non stupisce che tutto sia stato bloccato."
"Ammettere con una
bambina di otto
anni che i suoi nonni e i suoi zii non la volevano salvare per
proteggere gli
interessi dell'azienda, però, sarebbe stato complicato,
così mi presi io la
colpa, innescando la bomba a tempo che ci ha tenuti separati per
più di due
decenni" sospirò a quel punto Jordan. "Non sono stato molto
lungimirante, lo ammetto ma, all'epoca, pensavo che gettarle addosso
quella
verità fosse davvero troppo."
"Io non sono famoso
per le scelte
produttive... lo dimostra il fatto che ho lasciato fare a mio padre
quel che
voleva, di me, fin da quando sono uscito dall'università, e
tutto perché ero
convinto che, solo così, mi avrebbe voluto bene almeno un
po’" scrollò le
spalle Anthony, sorridendo mesto. "Ora, però, credo sia
venuto il momento
di riappropriarmi dei miei spazi. Fuori da qui."
"Beh, a quanto pare,
abbiamo avuto la
stessa idea, visto che me ne sono andato dall'azienda di famiglia a mia
volta" gli sorrise Jordan, dandogli una pacca sulla spalla.
"Mal comune, mezzo
gaudio"
chiosò Anthony, ritrovandosi a ridere con il padre di Emily.
***
Poggiate le mani
sulle spalle di Emily,
che sollevò il capo a sorriderle affabile, Gilda
lanciò un'occhiata piena di
apprezzamento alla tavolata dinanzi a lei prima di dire: "Beh, direi
che
meglio di così non poteva andare. E' proprio l'immagine che
volevo vedere... o
quasi. Jamie, quanto ancora aspetterai prima di farmi conoscere una
bella
fanciulla?"
Jamie le sorrise
mellifluo, replicando con
candore: "Sto ancora aspettando che tu mi dica di sì."
Gilda
scoppiò in una grassa risata e,
mentre Jordan guardava dubbioso il figlio - come in cerca di
spiegazioni - la
donna disse: "Tesoro, lo sai che amo troppo Coop per scappare con
te."
"Non
smetterò di sperarci, né di
provare a convincerti" scrollò le spalle Jamie, affabile e
per nulla
offeso dal suo ennesimo rifiuto.
Gilda gli diede un
buffetto sulla guancia
prima di dire ai genitori del giovane: "Non vi stupite... sono anni che
mi
fa la corte inutilmente."
"Beh, se non altro
dimostra buon gusto"
chiosò Jordan, sorridendo divertito al figlio e alla moglie.
"E lei, buon occhio,
Mr. Poitier. Le
lasagne sono quasi pronte, comunque. Se avete bisogno d'altro, nel
frattempo,
non avete che da chiedere."
"Susan non
c'è stasera? Non la vedo
in giro" si informò Emily, guardandosi in giro.
Con aria da
cospiratore, Gilda allora
disse con tono un po’ più basso: "Quella bimba
è uscita con il vostro
Parker, assieme al suo fratello spilungone e a Sherry. Sono passati
poco prima
a prenderla, non appena ha smontato dal turno."
"Oh, bene" sorrise
soddisfatta
Emy.
"Mica tanto, bella
mia" replicò
Gilda, accigliandosi. "Se Susy si innamora di Parker e decide di
scappare
con lui per volare a Denver? Tanti saluti a una cameriera coi fiocchi.
No,
no... ve lo dico io... amore e lavoro sono due cose complicate da
mettere
insieme."
"Tu ci lavori, con
tuo marito"
sottolineò divertita Emily.
Gilda allora
ammiccò al suo indirizzo, le
strizzò l'occhio e, prima di tornare al bancone del diner,
chiosò: "Non ho detto che è impossibile...
solo,
complicato."
Ciò detto,
li salutò con un cenno e
Margareth, sorridendo ai figli e ad Anthony, disse: "Ora capisco
perché
amate tanto questo posto. Da come me ne avevate parlato, avevo capito
che era
una gran donna, ma sono lieta di scoprire che non avevate esagerato.
Anche tu
sei un habitué, Anthony?"
"Gilda mi ha
praticamente tirato su
assieme a mia nonna, anche se preferisco non ricordarglielo, visto che
non
vuole pensare all'età che avanza" ammiccò
Anthony, lanciando un'occhiata
piena d'affetto alla donna che, in quel momento, stava parlando con un
avventore.
"Nessuna donna ama
farsi ricordare
quanti anni ha" assentì Margareth, preferendo non domandare
oltre
sull'argomento. Non era davvero l'occasione più adatta per
sviscerare argomenti
così delicati.
In quel mentre, le
lasagne vennero servite
direttamente da Cooper che, con un movimento fluido di mani,
consegnò a tutti i
piatti fumanti e augurò loro buon appetito.
Nessuno di loro
poteva immaginare che, a
diverse miglia di distanza da lì, in tutt'altra
ambientazione e con tutt'altro
umore, proprio l'oggetto delle loro ricerche stava cenando a sua volta,
e in
compagnia del suo rapitore.
***
Mickey
poggiò le posate sul piatto ormai
vuoto, lo riconsegnò all'uomo dinanzi a lui e disse: "Ho
perso un sacco di
puntate di Sponge Bob."
"Le recupererai, te
lo prometto"
gli disse l'uomo, rimettendo nella sporta le vettovaglie prima di
consegnare a
Mickey un gelato alla vaniglia, prelevato direttamente da una piccola
borsa-frigo da viaggio che aveva portato con sé.
"E le partite di
football?"
domandò ancora, incalzandolo.
"I campionati ci sono
tutti gli
anni" replicò serafico l'altro, scrollando una spalla.
"Sì,
ma..." tentennò il bambino
prima di notare lo sguardo duro che l'uomo gli lanciò. Era
meglio tacere.
Quello era uno
sguardo d'avvertimento, e
lui sapeva che era meglio non contraddire simili occhiate. La loro
maestra di
ginnastica gliene lanciava certe, quando facevano troppo baccano in
palestra...
Rabbrividì
al solo pensiero e l'uomo,
avvedendosene, gli domandò: "Hai freddo?"
"No. Pensavo alla mia
maestra di
ginnastica, e alle sue sgridate" gli spiegò lui, addentando
il gelato
ricoperto di granella di nocciole e cioccolato al latte. "Quando
facciamo
baccano, ci sgrida sempre."
"Vi educa"
precisò l'altro,
alzandosi in piedi. "Non si può crescere come dei selvaggi."
"La mamma..."
iniziò col dire
Mickey prima di tapparsi subito la bocca e sbocconcellare in silenzio
il
gelato.
Aveva imparato molto
presto che il solo
nominare sua madre faceva imbestialire l'uomo ma, ogni tanto, gli
scappava.
Quella volta, però, lui non disse nulla.
Forse,
perché aveva notato il suo impegno
nel non proseguire nella frase.
Un attimo dopo,
infatti, gli posò una mano
sulla testa, sorrise e disse: "Troveremo
una maestra adatta a insegnarti ciò che si deve sapere, non
temere."
Mickey assentì - sapeva
già che, se avesse protestato,
l'uomo si sarebbe adirato, perciò era meglio assecondarlo -
e, con una
scrollata di spalle, celiò: "Miss Whitman è un
po' isterica, in
effetti."
"Ne avrai una migliore, dove
andremo. Manca
ancora poco, non temere" gli promise l'uomo prima di salutarlo e
allontanarsi.
Chiusa a doppia mandata la porta
dinanzi a Mickey,
l'uomo sospirò, si passò una mano tra i capelli
brizzolati e mormorò tra sé:
"Non permetterò mai più che quella puttana lo
segua. Sarà solo mio. Una
volta per tutte."
N.d.A.:
Scusate il ritardo! Per farmi perdonare posterò due capitoli
in sequenza, a poca distanza l'uno dall'altro! :)
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
Anthony aveva promesso a Emily di
raggiungerlo non
appena avesse terminato di raccogliere gli ultimi oggetti a lui cari,
oltre a
firmare le dimissioni di fronte a suo padre ma, come sempre in quel
periodo,
non era riuscito a trovarlo.
Nell’attesa, si era
sistemato nella sua vecchia stanza
a leggere un libro per ammazzare il tempo però, alla fine,
era crollato sul
materasso e si era addormentato.
Fu un rumore inconsueto, un
borbottio sordo, a
svegliarlo di soprassalto e, quando Anthony capì di trovarsi
ancora nella sua
stanza, al buio e con gli abiti addosso, ricollegò
ciò che era successo e si
diede dell'idiota.
Immediatamente, mandò un
paio di messaggi in risposta
a quelli ricevuti da Emily - che lei lesse subito, chiarendogli che era
ancora
desta e, probabilmente, irritata con lui - dopodiché si
alzò per andarsene e
raggiungerla.
Già pronto a tornare da
Emy e lasciare le sue dimissioni
a un giorno più propizio, vista soprattutto l’ora
tarda, Anthony si fermò non
appena un rumore di passi si fece largo in quell’ala
dell’albergo, destinata
alla famiglia. Guardingo, quindi, socchiuse la porta della stanza per
capire
chi potesse aggirarsi a quell’ora antelucana, e in quel luogo
in particolare.
Quando perciò vide
comparire il padre si sorprese non
poco e, per un momento, rischiò di smascherarsi. La sorpresa
fu così tanta che,
solo all'ultimo istante, Anthony frenò l'imprecazione che
gli era salita alle
labbra.
Immobilizzandosi immediatamente per
non fare rumore,
attese che l'uomo oltrepassasse la sua stanza e raggiungesse il fondo
del
corridoio, dove si trovava la camera padronale. Dopodiché,
si tolse le scarpe e
sgattaiolò via in silenzio, scendendo da dove suo padre era
appena salito.
Non appena raggiunse il garage,
Tony si avvicinò lesto
al pick-up di suo nonno, trovando il cofano ancora ben caldo e le gomme
nuovamente sporche di fango e detriti floreali.
Questa volta, però, non
lasciò correre e, preso che
ebbe un contenitore da un vicino scaffale, raccolse qualche campione
dopodiché
uscì in silenzio dal garage, ben deciso a vederci chiaro.
Pur sapendo di non avere motivi per sospettare di
lui, Anthony si
incamminò verso la parte alta del paese per chiarire i
propri dubbi, quando un
paio di agenti di ronda lo videro e lo fermarono per un controllo.
Nel riconoscerlo, però,
gli sorrisero –
tranquillizzati dal pensiero di non dover discutere con qualcuno
– e il più
giovane tra i due agenti, ammiccando al suo indirizzo,
celiò: "Una certa
persona non ti ha voluto nel suo letto, stanotte, Tony?"
"Non sapevi che soffro di
sonnambulismo,
Chuck?" ironizzò a sua volta Anthony. "In verità
ho fin troppi
pensieri, per poter dormire bene, così ne ho approfittato
per fare un giro a
piedi. E' un problema?"
I due poliziotti si guardarono
vicendevolmente per
alcuni istanti prima che Chuck replicasse: "In teoria, ci sarebbe il
coprifuoco, e già tuo padre è tornato tardi da
Denver – almeno, a detta sua e
della fattura di vendita che ci ha mostrato come prova -
perciò, vedi di non
ficcarti nei guai con i federali. Fai una passeggiatina e poi rientra.
Se ti
fermano, puoi dire che te l'abbiamo concesso noi."
"Grazie, ragazzi" disse Anthony,
salutandoli
nel riprendere il suo cammino verso Big Springs Drive.
Non appena si ritrovò
immerso nell'oscurità, Anthony
si lasciò guidare dall'abitudine e dalla luce della luna
quindi, inforcato un
sentiero per accorciare il percorso e raggiungere prima Ponderosa
Drive,
rimuginò sulle parole dei due poliziotti.
Denver. Agli agenti, il padre aveva
detto di essere
stato da un fornitore di Denver, e aveva mostrato loro la copia di una
fattura
di acquisto.
Visto l'orario in cui era rientrato
in albergo, doveva
essersi fermato per forza in città per la cena e poi, in
qualche modo, aveva
riempito la serata fino a tornare a casa all'una di notte.
Se fosse stata qualsiasi altra
persona, non vi avrebbe
trovato nulla di strano, ma stavamo parlando di William Consworth, che
non
aveva nessun fornitore, a Denver
- a meno di cambiamenti
dell'ultima ora - e non amava guidare con il buio.
I suoi problemi di cataratta lo
disturbavano più di
quel che lui stesso volesse ammettere, e perciò
già da tempo non si muoveva
durante la notte, se non per casi di estrema urgenza.
Tenendo quindi conto dell'orario di
chiusura dei
negozi e dell'ora di tempo necessaria per risalire da Denver, qualcosa
non
quadrava. Perché, se le cose erano davvero andate
così, suo padre non era
rimasto a Denver per la notte?
Inoltre, perché era
andato fin là con il martoriato e
vecchio pick-up di suo padre, che neppure teneva troppo bene la strada?
Ma,
soprattutto, perché c'erano fango fresco e fogliame
attaccati ai copriruota e
agli pneumatici?
No, suo padre stava mentendo su
qualcosa, e lui doveva
scoprire a tutti i costi di cosa si trattava ma, per farlo, aveva
bisogno di
aiuto.
Per questo, nonostante si sentisse
un verme al
pensiero di svegliare Parker, che aveva passato tutto il pomeriggio nei
boschi
a scandagliare il terreno in cerca di indizi, suonò
ugualmente alla porta e
attese che lui venisse ad aprire.
All'interno del piccolo
appartamento si udirono dei
suoni, un paio di tonfi e, infine, un'imprecazione proprio all'altro
lato della
porta e Anthony, nonostante tutto, sorrise. Se non altro, era riuscito
a
svegliarlo.
Quando infine la porta venne
socchiusa -
evidentemente, Parker lo aveva sbirciato dallo spioncino - il padrone
di casa
mugugnò: "Emy ti ha già buttato fuori di casa?
Non ti ho insegnato davvero
niente?"
Tony sorrise a mezzo, scosse il
capo e disse: "So
che è un orario infame, scusa... ma devo togliermi un
dubbio."
Pur aprendo la porta per farlo
entrare, Parker
borbottò contrariato: "Adesso ti
viene in mente che forse
sei dell'altra sponda? E vorresti provare con me?!"
Anthony, a quel punto,
scoppiò a ridere, si passò
divertito una mano tra i capelli e replicò: "Dio! Non penso
proprio,
Parker!"
Ciò detto,
tornò mortalmente serio, gli mostrò
ciò che
aveva prelevato dal pick-up di suo nonno – e che il padre
aveva usato per non
ben precisati motivi – quindi disse: "Non riuscirò
a tranquillizzarmi
finché non saprò da dove viene questo terreno. Tu
sei un geologo, e scommetto
quel che vuoi che conosci a menadito tutta la composizione chimica
degli strati
superficiali di terreno da qui a Denver."
"Non sbagli" ammise Parker,
sbadigliando
sonoramente mentre accendeva la macchinetta per il caffè e
la luce in salotto.
"Quel che, però, mi viene da chiederti è dove
diavolo hai trovato quei
campioni di terreno, e perché ti sia venuta una voglia matta
di conoscerne la
composizione all’una e mezzo di notte."
"Era sulle ruote del pick-up da cui
è sceso mio
padre, giusto una mezz’ora fa" ammise senza remore Anthony,
vedendo Parker
bloccarsi al solo sentirlo nominare.
Facendo tanto d'occhi, Parker
agì meccanicamente con
le mani per preparare il caffè ma, con lo sguardo, rimase
incatenato ad Anthony
mentre gli chiedeva: "Perché... perché vuoi
sapere dov’è andato,
amico?"
Sospirando suo malgrado, il giovane
poggiò la scatola
sul tavolo del cucinotto di Parker, si lasciò cadere su una
sedia e, poggiati
gli avambracci sulle cosce, mormorò: "Non riesco a togliermi
dalla testa
che ci sia qualcosa che non va, Parker. So di essere di parte, visto
quanto mal
lo sopporto, ma sta tenendo dei comportamenti davvero troppo strani
perché io
non ne tenga conto."
Ora del tutto sveglio, Parker lo
imitò e, sedutosi che
fu, gli disse: "Raccontami, e non tralasciare niente."
Anthony assentì con un
movimento lugubre del capo e
replicò: "Sono anni che millanta di voler vendere l'albergo,
e solo per
fare uno sgarbo a me. Il punto è che non lo ha mai fatto,
né si è mai messo in
pista per trovare dei compratori mentre ora, nel giro di dieci giorni,
salta
fuori che ha trovato qualcuno a cui vendere sia l'hotel che il
pick-up di mio nonno che lui, in vent'anni, non ha mai toccato. Da
quando ho
preso la patente, l’ho sempre usato io per i miei lavoretti
di falegnameria, ma
lui non lo ha mai degnato di mezzo sguardo. Ora, invece, è
già la seconda volta
che glielo vedo usare in pochi giorni e, in entrambe le occasioni, ho
trovato
del fango fresco sulle gomme e attaccato ai copriruota."
Parker, a quel punto,
osservò di sfuggita la scatola
contenente il terriccio incriminato e domandò:
"C'è solo questo? Semplice
curiosità morbosa? O pensi ad altro?"
"Ha detto che, una volta venduto
tutto, se ne
andrà per sempre. Non ha
mai parlato di
voler abbandonare Nederland. Mai, neppure una volta"
sottolineò Anthony,
ancora sconcertato.
Adombrandosi, Parker
borbottò: "Come se volesse
fuggire da qualcosa? O qualcuno?"
"Non so. Non credo abbia dei debiti
di gioco,
perché non è mai stato un uomo dedito a simili
svaghi, ma non posso certo dire
di conoscere benissimo mio padre. Una cosa, però, mi
è parsa strana."
"Dimmi pure" lo incitò
Parker.
"Poco fa, nel venire da te, una
pattuglia mi ha
fermato per degli ovvi controlli e uno degli agenti mi ha fatto notare
che
anche mio padre era tornato tardi da Denver. Per confermare la sua
versione, ha pure mostrato loro la fattura di un
fornitore. Il
punto è che, non soltanto non abbiamo fornitori a Denver,
perché acquistiamo
quasi tutto qui a Nederland o a Boulder, ma lui non guida mai di
notte."
"Come, mai?" si
preoccupò subito Parker.
"Cataratta. Dovrebbero operarlo da
qui a qualche
mese e perciò non gira mai di notte, perché dice
di non vederci più molto bene.
Perciò, che ci faceva in giro a quell'ora di notte? E
millantando un fornitore
di Denver che, salvo novità dell'ultimo momento, non esiste?"
Grattandosi pensieroso la nuca,
Parker borbottò:
"Ammettiamo pure che tuo padre non ti tenga al corrente di tutto
ciò che
fa in ambito lavorativo... tu, comunque, lo scopriresti
perché tieni la
contabilità dell'albergo, vero?"
"Esatto. E il registro è
aggiornato a ieri"
assentì torvo Anthony.
"Okay... allora, ammettiamo pure
che questo nuovo
fornitore sia al suo primissimo ingaggio. Ci può stare, no?"
ipotizzò Parker,
vedendolo annuire. "Non tornerebbero comunque le gomme sporche di
terriccio fresco, né il ritorno a tarda ora. Se, come mi
dici, non ci vede bene
di notte, avrebbe potuto fermarsi in un albergo di Denver e tornare la
mattina
seguente, a giorno fatto."
Anthony assentì al suo
dire e Parker, tra sé, si
domandò fin dove li avrebbe condotti, quel fiume di
supposizioni.
Passandosi nervosamente le mani tra
i corti capelli
arruffati dal sonno, Parker sbadigliò nuovamente, si
alzò per andare a prendere
la sua prima - di molte altre, immaginò - tazza di
caffè e, offertane una ad
Anthony, dichiarò: "D'accordo,... speriamo in meglio ma
prepariamoci al
peggio, giusto?"
"Già" assentì
Anthony.
Parker annuì un paio di
volte, afferrò la scatola
contenente il terriccio incriminato e, portatala accanto agli strumenti
che
ancora teneva accatastati in un angolo del salotto, afferrò
il microscopio,
sporcò un vetrino con un po' di terreno e lo
controllò.
Anthony attese in trepidante
silenzio, osservando
l'amico operare con microscopio, tabelle, dati al computer e nuovi
vetrini.
A un certo punto, e scuotendo il
capo apparentemente
per la frustrazione, o lo sconcerto, Parker riemerse dal suo personale
stato di
profonda concentrazione per dire: "Allora, posso dirti due cose."
"Spara" mormorò Tony.
"Questo terriccio proviene dai
territori a nord
di Nederland, nella zona del Bald Mountain e, stando ai residui di
fiori
di aquilegia caerulea, direi che
possiamo escludere tutto
ciò che in quell’area è esposto a sud,
visto che il Colorado Columbine
predilige le zone in ombra e ricche d'acqua e umidità" gli
spiegò Parker,
grattandosi pensieroso una guancia.
Confuso, Anthony
scandagliò rapidamente nella sua
memoria per capire a cosa si stesse riferendo Parker con quei due nomi
così
singolari. Fu solo dopo alcuni attimi che rammentò un
piccolo fiore montano,
dalla forma a stella e bei petali di un blu zaffiro, sormontati da un
fiorellino più piccolo dai petali bianchi.
Il Colorado Columbine era uno dei
simboli del loro
Stato, e cresceva nei pressi del Parco Nazionale delle Montagne
Rocciose... ma
cosa aveva a che fare, quella pianta, con suo padre?
"Cosa... cosa c'è a nord
di Nederland?"
domandò turbato Anthony.
"A parte un bel paesaggio e una
mulattiera degna
di tale nome, che di solito è battuta dai crossisti
più in gamba?" cercò
di ironizzare Parker, pur senza riuscirvi realmente. "Una vecchia
miniera.
La Silver Bald, se vuoi sapere il nome e,
curiosità delle
curiosità, quella miniera non era tra
le cartine che mi hai
dato, quando mi facesti il favore di prestarmele."
"Come?" esalò sorpreso
Anthony. "E tu
come fai a sapere che esiste, allora?"
"Ehi, amico, ...so fare il mio
mestiere"
ammiccò Parker, mostrandogli una mappatura dettagliata della
zona, con
altimetrie ben delineate e alcune delle miniere più famose
di quelle montagne,
segnalate da simboli sferici. "Mi è parso curioso che tu non
ne fossi in
possesso ma, lì per lì, non ci ho fatto caso.
Avevo così tante zone da
controllare, da qui a Eldora e dintorni che, prima di allontanarmi da
Nederland, ci sarebbero voluti più di sei mesi. Silver
Bald era
una delle ultime miniere che avrei controllato."
"Il punto, Parker, è che
io avevo quella
mappa!" esalò sorpreso Anthony, sgomentando non poco
l'amico. "La
tenevo in una delle carpette che ti diedi tempo fa. Per come era messa,
non era
bellissima da esporre, perciò era riposta al sicuro
perché non si deteriorasse.
E tu mi dici, invece, che non c'era."
"Esatto" assentì Parker,
adombrandosi al
pari dell'amico. "Senti, non voglio dire che..."
"Io invece sì"
sbottò Anthony. "Pensaci
bene, Parker. E' una miniera isolata, ben lontana da
Nederland... e
dai tuoi carotaggi. Sono stato così idiota da
parlare con mio padre del
fatto che ti avrei dato quelle mappe e, per farlo, avrei dovuto
sostituire
alcuni quadri dalla sala da pranzo, visto che lì si
trovavano. Lui se ne
sarebbe ovviamente accorto, chiedendomene debito conto così,
per evitare
casini, glielo avevo accennato. Per scrupolo, quindi, gli dissi che
avrei
raccolto per te tutte le cartine disponibili della zona, e te le avrei
portate il giorno seguente. Ha avuto
tutto il tempo di andare in
archivio, dove lui sapeva benissimo che
tenevo la restante documentazione, ed estrarre quella cartina in
particolare,
così da tenerti lontano da quel posto."
"Stando al tuo discorso - e
sottolineo che
preferisco non crederci -, lui mi avrebbe volutamente
tenuto lontano da quella miniera. Ma perché?"
borbottò accigliato Parker.
"Davvero devo spiegartelo?"
domandò amaro
Anthony, passandosi le mani sul viso con espressione sempre
più sconcertata e
ferita. "L'hai detto tu stesso. Quella zona è raggiungibile
con i pick-up
o le moto, visto che c'è un'ampia sterrata, ma
è molto al di fuori delle zone battute dai
turisti. Inoltre, dalla
mulattiera alla Silver Bald, non deve
esserci molto. Niente che,
con un buon fuoristrada di cui non ti interessa nulla, non riusciresti
a
fare."
"Tony... ti stai arrampicando sugli
specchi"
sottolineò Parker, pur non credendo esso stesso alle proprie
parole.
Addolorato e pieno di furia al
tempo stesso, Anthony
lo affrontò con sguardo colmo di lacrime che mai avrebbe
versato e replicò:
"E' una vita che accusa Consuelo di avergli strappato il nipote! La
nascita di Sophie può essere stato il fattore scatenante,
quello che lo ha
spinto ad agire una volta per tutte."
"Ora parli come Aaron Hotchner
di Criminal
Minds" borbottò Parker, cercando di calmarlo con
gesti cauti delle
mani.
"No, ascoltami, Parker... tu non
hai idea di
quanto lo abbia ossessionato, il pensiero di Mickey. Fu praticamente
impossibile tenerlo calmo, durante la gravidanza di Consuelo e, alla
fine, lo
sceriffo Meyerson dovette emettere un'ingiunzione restrittiva nei suoi
confronti, perché non si mettesse in testa di farle del
male."
Parker lo fissò senza
parole e Anthony, atono,
proseguì nel dire: "Quando Mickey nacque e io ne divenni il
padrino, fu
come se gli avessi dichiarato guerra. Mi disse di aver mollato, che ero
solo un
fallito, di non aver pensato a proteggere mio figlio come un
vero
padre avrebbe dovuto, e altre follie simili.
Arrivai a proporgli il
test del DNA per farlo desistere ma, quando glielo dissi,
andò su tutte le
furie e, finalmente, cedette. Non parlò più di
Mickey, o di Consuelo e, dopo
non aver più manifestato alcun desiderio di denigrarla, si
vide togliere anche
l'ordinanza restrittiva."
"Consuelo?"
Lui assentì, mormorando
dolente: "Non voleva che
soffrissi ulteriormente, così la fede annullare. E, in
effetti, mio padre non
le diede più fastidio."
"Ma tu sai per
certo che
Mickey non è tuo" sottolineò Parker.
Sorridendo mesto, Anthony
annuì. "Io e Consuelo
non eravamo più stati a letto assieme da almeno due mesi, a
causa dei continui
dissidi persistenti tra di noi, e causati interamente da mio padre.
Proprio non
riuscivamo a ritrovare un equilibrio e, se consideri che Mickey nacque
all'ottavo mese, proprio non tornerebbero i conti. Ci sono tre mesi a
dividermi
da quel bambino e, per quanto io gli voglia bene, so che non
è mio."
"Cristo, che casino!"
sbottò Parker,
arruffandosi i capelli con le mani.
Anthony assentì
nuovamente. "Fu un mezzo
scandalo, in effetti. Consuelo scappò da me in lacrime, si
rifugiò da Samuel,
che da sempre era innamorato di lei - pur se io non lo sapevo - e,
beh... il
resto è storia. Consuelo fu molto onesta, nel raccontarmi
tutto, e Samuel
arrivò addirittura a buttarsi in ginocchio dinanzi a me, in
lacrime e pieno di
contrizione. Il punto è un altro, però. Io e
Consuelo iniziammo quella
relazione per i motivi sbagliati. Eravamo molto attratti fisicamente
l'uno
dall’altra, ma non c’era vera affinità,
e questa debolezza di fondo, con mio
padre a fare da comburente, venne fuori."
"Ne so qualcosa, di passioni nate
dall'attrazione
fisica" sospirò Parker. "Io me la sono sposata, la mia
ultima
attrazione, e lei ha fatto sfilatini del mio cuore e del mio conto in
banca."
Anthony gli sorrise comprensivo,
asserendo: "Beh,
Consuelo non è così. E neppure Samuel. Siamo
sempre stati amici e, ben presto,
questo sentimento ha surclassato tutto il resto. Però, mio
padre non lo ha mai
accettato e non vorrei che..."
Tornando serio, Parker
borbottò: "Ricorda che
stiamo solo congetturando."
"Ma avrebbe senso, Parker. La
decisione
improvvisa di vendere, tutta questa fretta nel voler andarsene una
volta per
tutte da Nederland, il fatto di non volermi lasciare il pick-up del
nonno per
nessun motivo... perché tutti questi misteri?" gli fece
notare per contro
Anthony.
"Okay, in effetti è un
comportamento un po'
strano ma, da lì a pensare che possa aver rapito Mickey..."
Infine, Parker aveva messo a parole
ciò che nessuno
dei due, fino a quel momento, aveva avuto il coraggio di esporre a voce
alta.
Quasi che, ammettendolo, avrebbe potuto diventare drammaticamente reale.
"Spiegherebbe la mancanza di prove
in nessuna
direzione, il perché nessuno abbia trovato alcun appiglio a
questo rapimento.
Senti, neppure Sherry è convinta che sia un
rapimento normale,
qualora si possa usare una parola simile per indicare un atto
così becero"
precisò Anthony. "Mio padre avrebbe avuto movente,
opportunità e capacità
per attuare tutto quanto. E, per aver pensato di rubare proprio la
cartina di Silver Bald, doveva aver in
mente di rapirlo già da
tempo, e forse stava preparando un rifugio per Mickey proprio mentre
noi
aspettavamo la nascita di Sophie."
Parker fece per replicare ma, non
trovando nulla di coerente
da replicare, si limitò a imprecare e a passarsi per
l’ennesima volta le mani
tra i capelli, ormai ridotti a un covone di fieno.
"Merda! E io che pensavo che questo
fosse un
posto tranquillo!" sbottò Parker. "Susan me ne parla
così
bene..."
Anthony rammentò solo in
quel momento
dell'appuntamento dell'amico e, lanciata un'occhiata al piano
superiore,
domandò: "Non è che ..."
"No, non è di sopra o, a
quest'ora, sarebbe già
scesa per capire cosa stessimo combinando" ghignò Parker in
risposta alla
sua domanda non fatta. "Visti i miei ultimi casini con le donne, ho
deciso
di andarci mooolto piano e, con
Susan, vale la pena di usare
i piedi di piombo."
"Gilda non ne sarà
contenta. Ha il terrore che tu
gliela porti via" chiosò Anthony, grato a Parker per quel
temporaneo
cambio di discorso. Il solo pensiero che suo padre si fosse macchiato
di un
simile, empio gesto, lo metteva non soltanto a disagio ma anche nella
scomoda condizione
di doverlo tradire.
Per quanto non lo amasse, per
quanto da lui avesse
ricevuto solo disprezzo, non riusciva a gioire del pensiero che il
padre potesse
finire in galera.
Non così. Non per quel
motivo.
Non voleva ricordarlo a quel modo.
Eppure, tutto ciò
di cui avevano disquisito lui e Parker fino a quel momento aveva un
senso, e
avrebbe potuto spiegare la sparizione di Mickey.
"Sai... non è detto che
io voglia andare
via" sottolineò Parker, sorprendendolo e strappandolo alle
sue congetture.
"Come?" esalò Anthony.
"Nederland mi piace e, rapimento a
parte, è un
posto in cui sarebbe piacevole vivere. Inoltre, ora che io e Rick siamo
senza
lavoro, abbiamo la possibilità di scegliere dove andare e
cosa fare e, visto
che lo zio di Emily si è già messo in contatto
con me per mettere giù un paio
di idee..."
"COME?!" esclamò a quel
punto l'amico,
sgranando gli occhi.
Sorridendo divertito, Parker
annuì e disse: "Saputo
di ciò che era successo - evidentemente, Emily ha la lingua
lunga - il signor
Cunningham mi ha chiamato per dirmi di aver intenzione di aprire un
nuovo
ufficio tecnico a Boulder, e di aver giusto bisogno di un paio di
persone
capaci da inserirvi."
"Beh... questa sì che
è una sorpresa. E immagino
che Emy non lo sappia, perché non me ne ha affatto parlato."
"No, suo zio ha preferito non dirle
nulla perché,
in fin dei conti, prima di tutto dobbiamo discuterne io e Rick. L'ho
detto a
mio fratello e, immagino, lui ne starà parlando a Sherry, o
lo avrà fatto prima
di mettersi a nanna" scrollò le spalle Parker.
"E così... stanno
facendo sul serio, quei
due?" domandò a quel punto Anthony.
"Avrebbero già dovuto
farlo cinque anni fa, da
quel che ho capito e, per quanto mio fratello non ami fare le cose di
fretta,
non sembra disposto a perdere altro tempo. Mi viene però da
dire che,
all'epoca, aveva solo ventiquattro anni, era al suo primo, vero
progetto
lavorativo e, per i suoi standard, era davvero un po' troppo preso per
impegnarsi anche in ambito amoroso" motteggiò Parker. "Se le
cose
andranno in porto, ne sarò felice, ma è giusto
che Rick valuti da solo se
accettare o meno la proposta, e non sia condizionato da ciò
che penso io."
"Mi suona strano, pensarli
assieme... eppure,
pare proprio che Sherry adori il modo in cui tuo fratello la tratta. E
viceversa" chiosò Anthony.
"Sherry deve ancora affrontare mia
madre...
dopotutto, si parla del cucciolo della nidiata, anche se è
alto come una
pertica e potrebbe sfondarti il cranio con una mano"
ironizzò Parker prima
di alzarsi in piedi, stiracchiarsi e aggiungere: "Cosa facciamo,
adesso?
Ci fiondiamo da McCoy per dirgli ciò che pensiamo, o agiamo
di testa
nostra?"
Anthony sapeva più che
bene che, a rigor di logica, avrebbero
dovuto parlare con l'agente speciale McCoy di quanto avevano scoperto,
ma la
rabbia nei confronti del padre era tale da spingerlo a mandare all'aria
qualsiasi precauzione.
Voleva essere lui a
metterlo di
fronte ai propri errori, qualora avessero scoperto che tutte le loro
illazioni
corrispondevano a verità. Voleva essere
lui a dirgli quanto,
il suo gesto insensato, avesse rovinato tutto, e in maniera definitiva.
Non voleva delegare a nessuno
quest'onere - perché era
soltanto un peso, e niente affatto un piacere - ma, per poterlo mettere
in
atto, avrebbe dovuto attendere di poter uscire da Nederland senza
destare
sospetti nella polizia.
Dopotutto, era già stato
fermato una volta. Se lo
avessero trovato fuori casa due volte durante la stessa nottata, nessun
uomo
sano di mente avrebbe più creduto alle sue scuse.
"Andrò a Bald Mountain
non appena riapriranno i
confini di Nederland" decretò a quel punto Anthony.
"Andremo. Sono
in ballo anch'io, e
col cavolo che ti lascio andare da solo" sottolineò per
contro Parker,
dandogli una pacca sulla spalla. "Emy mi ammazzerebbe, se ti capitasse
qualcosa."
Nel sentirla nominare, Anthony
afferrò in fretta il
telefono, rilesse per bene i messaggi a cui aveva risposto
frettolosamente e,
storcendo la bocca, borbottò: "Dovremo inventarci
qualcosa... le ho detto
che sarei passato in mattinata, visto che mi ero addormentato nella mia
stanza in
attesa che mio padre tornasse, e non ero andato da lei per la notte."
"I cuori innamorati..." lo prese in
giro
Parker.
Tony lo guardò di
traverso ma, ben sapendo quanto -
l'intervento di Parker - avesse cospirato positivamente
perché loro potessero
riavvicinarsi, preferì soprassedere. In fondo, doveva molto
a quell'uomo e
poteva permettersi di sopportare qualche battutina.
Evidentemente, essere svegliati in
piena notte non
aiutava a essere poi scaltri la mattina.
Parker e Anthony si
presentarono assieme a
casa di Emily, poche ore dopo, mettendola subito sul chi vive. Quale
fidanzato,
infatti, si presenterebbe per colazione, magari una colazione romantica, accompagnato da
un amico?
Accogliendoli comunque in casa, e
notando le occhiaie
sul viso di entrambi, Emily poggiò le mani sui fianchi e li
guardò piena di
dubbi, domandando quindi a bruciapelo: "Sbaglierò, ma
nessuno dei due ha
dormito molto. Che avete combinato?"
"Io ero con Susan"
sottolineò subito Parker,
levando una mano neanche fosse stato interpellato dalla maestra e
sapesse già
di trovarsi in guai seri.
Anthony non disse nulla, per
contro, ed Emy si
accigliò maggiormente, replicando però con
candore: "Riprova, Parker.
Susan mi ha messaggiato ieri sera, attorno alle undici, dicendomi che
eri stato
così cavaliere da portarla a casa, salutandola con un bacio
della buonanotte da
dieci e lode - complimenti, tra l'altro - per poi dileguarti senza
chiedere
altro. Complimenti ancora... ma così non regge la tua scusa."
Parker brontolò qualcosa
in merito alle chiacchiere
femminili, ma Emily non vi badò. Puntò i suoi
occhi di colomba - ora molto
simili all'acciaio - sul viso imperscrutabile di Anthony e, con tono
comprensivo,
domandò ancora: "Non vi giudicherò... ma vorrei
capire. Cos'è successo?
Perché sembrate passati sotto un treno?"
A quel punto, Parker e Anthony si
guardarono
vicendevolmente e quest'ultimo, con un sospiro, ammise ciò
che si era
ripromesso di non dirle. Dopotutto, però, a Emy aveva
promesso verità, aveva
promesso partecipazione e un cuore aperto, e non poteva
mentirle proprio
su quello.
In fondo, anche lei teneva
moltissimo a Mickey e
sarebbe stato ingiusto e crudele non metterla al corrente di
ciò che pensavano
di aver scoperto.
Con dovizia di particolari, quindi,
le spiegò ciò che
credeva di aver messo allo scoperto e, grazie anche alle spiegazioni
tecniche
di Parker, ogni argomento venne sviscerato di fronte a una esterrefatta
Emily.
Questa, preda di un'ira a stento
contenibile, cominciò
a camminare avanti e indietro per il salotto, accompagnata in
quell'interminabile andirivieni da Cleo, che sembrava preoccupata
dall'ansia
crescente della sua padrona.
Quando Anthony ebbe terminato di
parlare, Emily sbottò
dicendo: "Andiamo! Non possiamo aspettare un solo attimo di
più."
"E... McCoy?" tentennò
Anthony.
Ma Emy non lo stava ascoltando. Si
piegò su un
ginocchio per stringere a sé Cleopatra e, con voce rotta
dalla rabbia che, come
un fuoco divorante, la stava invadendo in ogni sua parte,
mormorò: "Stai
con Consuelo e Samuel, Cleopatra. Consuelo. Samuel. Con loro."
Cleo abbaiò un paio di
volte, come a voler protestare,
ma Emy scosse il capo, la accompagnò alla porta,
batté un paio di volte le mani
e ripeté: "Consuelo. Samuel. Proteggi."
A quest'ultima parola, Cleopatra
smise di abbaiare,
rizzò il testone e corse verso la porta d'ingresso dei
vicini, quasi non
aspettasse altro che di ricevere quell'ordine in particolare.
Anthony e Parker la guardarono
dubbiosi ed Emily, con
un leggero sospiro, ammise: "Cleopatra non è soltanto una
bella cagnolona.
E' addestrata a difendermi e, quando le impartisco quel comando, per
lei cambia
tutto. Cerco di usarlo il meno possibile perché potrei anche
essere tentata di
abusarne ma, in questo caso, era necessario. Lasciarla a casa da sola
avrebbe
voluto dire sentirla ululare tutto il tempo e, onestamente, non posso
portarla
dai miei e da Jamie. Vorrebbero unirsi alla brigata e, meno siamo,
meglio è.
L'unica alternativa, era darle un compito."
"Con una stazza simile, non ho
neppure idea di
cosa potrebbe essere in grado di fare" deglutì ammirato
Parker, prima di
sottolineare l'ovvio. "Sai, vero, che ci cacceremo in un guaio
pazzesco,
se dovessimo scoprire che non ci sbagliavamo?"
"Con McCoy? Lo
affronterò senza problemi"
replicò Emily, percorrendo a grandi passi il salotto per
aprire la porta dello
sgabuzzino, da cui estrasse il suo zaino. "La caviglia sta meglio,
perciò
non vi sarò d'impaccio. Il tutore che mi hanno dato funziona
a meraviglia."
Ciò detto,
indicò loro la gamba e sollevò i pantaloni
della tuta per mostrare la cavigliera semirigida che le permetteva di
camminare
speditamente.
Anthony sospirò,
assentì di fronte a tanta
determinazione e disse: "Avrei preferito evitare di coinvolgerti,
ma..."
"...ma siamo insieme in tutto,
Tony. Specialmente
nei guai, a quanto pare" gli fece notare lei, inforcando lo zaino sulle
spalle.
Parker allora diede una pacca sulla
spalla a entrambi
e dichiarò: "Molto bene, compare gatto e compare volpe.
Andiamo a cercare
la Tana del Bianconiglio."
"Hai confuso le favole, Parker. Una
è Pinocchio,
l'altra è Alice nel Paese delle Meraviglie"
sottolineò Emily, ammiccando
al suo indirizzo mentre uscivano di casa a passo di carica.
"Peccato che noi, invece, non
stiamo andando in
nessun paese dei balocchi, né al non-compleanno di Alice"
sbuffò Anthony,
tornando serio al pari degli altri.
Saliti in silenzio sul pick-up di
Parker, il trio
discese l'erta sterrata per poi dirigersi verso l'uscita a nord di
Nederland. Senza
essere fermati dalla polizia al posto di blocco in quanto abitanti del
luogo,
presero quindi in direzione della Peak to Peak Highway, che li avrebbe
condotti
al Bald Mountain e alla Silver Bald.
Verso cosa, lo avrebbero scoperto
entro breve.
N.d.A.: ciò che
pensano di aver scoperto Parker e Anthony è davvero
terribile, e scoprire se queste supposizioni corrispondano o meno alla
verità, potrà portare guai al trio. Di che
genere, lo scoprirete a breve.
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Capitolo 24 *** Capitolo 24 ***
24.
Mentre il trio di improvvisati
salvatori si lasciava
la Highway alle spalle per imboccare gli interminabili sterrati che
conducevano
nella parte più selvaggia e disabitata di quelle montagne,
Emily inviò un breve
messaggio a Sherry.
Spinta
dall’emotività e dalla possibilità
– seppure
remota – di poter trovare Mickey, aveva cavalcato
l’onda e si era lanciata in
quell’avventura senza badare alle conseguenze.
Il celere procedere lungo la strada
e il veloce
dissiparsi della civiltà alle loro spalle – mentre
enormi foreste e ribollenti
torrenti montani ne prendevano il posto – le fece
però pensare a coloro che
aveva lasciato a Nederland.
Suo fratello, i genitori, Sherry e
Rick. Gilda.
Cooper. Lo sceriffo Meyerson. Persino l’agente McCoy. Tutti
si sarebbero
preoccupati a morte, non vedendoli da nessuna parte, e avrebbero
cominciato a
ipotizzare gli scenari più terribili, se non avessero
ricevuto notizia alcuna
da parte loro.
Lasciare un messaggio
all’amica le parve doveroso, pur
se sentiva ancora la necessità di chiudere la partita in
prima persona.
Avrebbe pagato le conseguenze di
quel gesto, ma doveva farlo.
Questo, però, non
escludeva di usare un minimo di precauzione.
Osservando il paesaggio attraverso
il vetro della
portiera, Emy scrutò quindi le lunghe file di abeti
intervallarsi a radure
brulle e deserte, del tutto prive di vegetazione.
Quei luoghi non erano solo
disabitati, ma anche
desolati. Ben pochi uomini si avventuravano in quelle lande, se non per
trovare
pace e solitudine in gran quantità. Se veramente William si
era spinto fin lì
per nascondere Mickey, non poteva che plaudirne metaforicamente la
scelta.
Non si passava in quei luoghi per
errore, perciò non
faceva specie che nessuno si fosse accorto del suo passaggio, in quei
giorni.
Non incrociavano un'abitazione già da diverso tempo,
perciò William aveva
potuto muoversi speditamente senza destare sospetti.
Stringendo le mani a pugno senza
rendersene conto,
Emily si ritrovò a sentire il peso gentile di quelle di
Anthony sulle proprie
e, sobbalzando leggermente, si volse a guardarlo con aria interrogativa.
Lui allora le sorrise e disse:
"Calmati. Vedrai
che andrà tutto bene."
Lei si limitò ad
assentire, sperando che Tony avesse
ragione. Non avrebbe mai accettato che a Mickey fosse successo qualcosa
ma, se
la teoria che lui e Parker avevano messo in piedi era coerente, quello
non
sarebbe stato un problema.
Piuttosto, loro
avrebbero potuto essere in pericolo, se William li avesse smascherati
prima del
tempo. Non si era mai fidata di lui, ora più che mai,
perciò non aveva idea di
quello che avrebbe potuto commettere, se messo sotto pressione.
“Lo troveremo”
si limitò comunque a dire Emily,
preferendo non mettere a parole i suoi dubbi.
Anthony aveva già fin
troppi pensieri per conto suo,
senza dover gestire anche quelli di lei.
***
Sonnacchiosa e soddisfatta, Sherry
stava ripercorrendo
con la memoria i fatti della sera precedente quando, assieme a Rick,
Parker e
Susan - una delle cameriere di Gilda - era uscita per una 'serata a quattro'.
A voler essere del tutto onesti,
non le era mai
capitato di parteciparvi. Un po' a causa del lavoro, un po' per
mancanza di
vere amiche con cui condividere l'esperienza, non aveva mai
sperimentato quel
genere di appuntamento e, a ben vedere, le spiacque non averlo mai
provato
prima.
Pur non conoscendo bene Susan - si
erano parlate sì e
no una ventina di volte, da quando l'aveva vista la prima volta, cinque
anni
addietro - aveva trovato una sorta di intesa, con la giovane cameriera.
Spigliata e divertente, Susan li
aveva resi edotti
sugli ultimi fatti di Nederland - evitando a piè pari il
caso Mickey, visto che
tutti loro ne erano al corrente - e, con parlantina filante come un
treno,
aveva sciolto persino il riservato Rick.
Parker si era confermato un
mattatore fatto e finito
e, in compagnia di Susan, aveva rallegrato la serata con aneddoti
riguardanti
la famiglia Jones - che Sherry era sempre più curiosa di
conoscere - e, al
tempo stesso, era riuscito a fare il galante con la sua invitata.
A tutto questo, Rick aveva
assistito con un blando e
divertito sorriso. Quando lei gliene aveva chiesto spiegazioni, lui le
aveva
spiegato che, fin da piccoli, Parker aveva tenuto in piedi le
conversazioni al
posto suo e di Quentin, notoriamente meno ciarlieri.
Ugualmente, Rick si era impegnato
per far passare a
lei, la sua invitata, una serata degna di
tale nome. Quando,
perciò, Parker si era defilato per accompagnare a casa
Susan, lui si era
offerto di scortarla galantemente per una passeggiata lungo il lago.
Sherry aveva accettato di buon
grado - pur se l'aria
era frizzante, a duemila metri, la serata le era parsa troppo bella per
essere
sprecata andando subito a letto - e, a fianco di Rick, aveva
passeggiato con
passo tranquillo, acciambellati in un placido silenzio.
Non le era spiaciuto non parlare
per un po'; tra Susan
e Parker, aveva ascoltato più parole che a una conferenza di
Economia, perciò
le era parso gradevole anche far riposare le orecchie.
Orecchie che, comunque, avevano
ascoltato poco tempo
dopo le sole, magiche parole che tanto aveva sperato di udire.
Limitandosi ad annuire con un
sorriso a quella dolce
richiesta, Sherry aveva seguito Rick in albergo - dove aveva preso una
stanza
al pari suo - e, insieme, si erano lasciati andare a un desiderio che
era
rimasto sopito dentro di loro per ben cinque anni.
Sherry aveva potuto quindi
apprezzare appieno le
tenere attenzioni di Rick, salvo poi scoprire in lui una vena
passionale
davvero imprevista, ma più che mai ben accetta.
Rick aveva saputo farla fluttuare
leggera, l'aveva
fatta sentire non solo desiderabile ma bella,
veramente e
intimamente bella, cosa che nessun uomo, prima di lui, era riuscito a
fare. Ciò
l'aveva portata inaspettatamente ad arrossire e il suo amante,
nell'accorgersene, aveva sfoderato il più bel sorriso
mascolino che Sherry
avesse mai visto.
Al solo vederlo, ovviamente, lei si
era sciolta in una
risata e, con rinnovata sensualità, aveva deciso di
concedersi il bis, trovando
nel suo compagno di letto un degno alleato.
Non ricordava neppure
più quanti fossero stati, i bis,
ma di una cosa era certa; avevano iniziato a dormire davvero mooolto tardi.
Talmente tardi che, quando finalmente i suoi occhi sonnacchiosi le
caddero
sulle imposte socchiuse della camera da letto, arricciò il
naso e borbottò:
"Ma perché c'è così tanta luce?"
Non pretendendo risposta alla sua
domanda - Rick stava
ancora dormendo saporitamente accanto a lei - Sherry gettò
indietro le coperte
per alzarsi e recuperare il suo cellulare ma, traditrici, i suoi occhi
caddero
sul fisico imponente e nudo del suo amante.
Socchiudendo gli occhi di un blu
profondo e accesi di
desiderio, Sherry lo divorò con lo sguardo per diversi
istanti prima di vederlo
agitarsi nel sonno, alla ricerca delle coperte.
Divertita, si affrettò a
coprirlo, dopodiché si avviò
con passo leggero verso la sua borsetta, ben decisa a scoprire che ore
fossero.
Non appena lo scoprì, si
esibì in una esclamazione
indispettita, cui seguì un 'ma tu guarda
che dormiglioni che siamo!'.
Un mugolio giunse dal letto e
Sherry, nel tornarvi, si
sedette sul bordo per poi allungarsi a dare un bacetto sulla fronte di
Rick, il
quale si destò completamente e borbottò: "Che ci
fai già in piedi?"
"Tesoro, sono quasi le dieci.
Andrei piano a
dire 'già in piedi', sai?"
ironizzò lei, vedendolo
sbattere confuso le palpebre.
L'attimo seguente, però,
i suoi occhi registrarono la
nudità di Sherry e si socchiusero lentamente mentre una
mano, possessiva, le
avvolgeva la vita per trascinarla verso il basso, accanto a
sé.
Lei ridacchiò divertita,
lasciandolo fare e Rick,
trascinando con sé parte delle coperte, borbottò:
"Non puoi farti vedere
così da me, di prima mattina... altrimenti, chi si
alzerà più da letto?"
Sherry rise ancor più
forte, ancor più felice e,
volgendosi a mezzo, gli stampò un bacio sulle labbra e
mormorò: "Potrei
anche decidere di tirare dritto fino a mezzogiorno, se vuoi. Ma prima
devo dare
un'occhiata alle e-mail. Dopotutto, sono qui anche per
lavoro."
"Fai pure" acconsentì
lui, sollevandosi a
mezzo per poi trascinarla verso di sé, farle poggiare la
schiena contro il suo
torace e darle infine un bacio sui capelli scompigliati. "Grazie, per
stanotte."
"Grazie a te. Non sapevo come
approcciare
l'argomento, ma tu hai saputo togliermi dall'impasse
con gran classe" ammiccò lei, digitando in fretta la
password per sbloccare il suo cellulare.
Subito, comparve lo schermo pieno
di icone colorate e,
a malapena visibile sotto di loro, le figure di Sherry e Gin, che Rick
aveva
visto in fotografia la sera precedente.
I fratelli si somigliavano molto,
entrambi scuri di
capelli, alti e dai lineamenti attraenti ma, più di ogni
altra cosa, si
assomigliavano nello sguardo; volitivo, sicuro di sé e
determinato. Non la si
sarebbe potuta fare facilmente, ai fratelli Kerrington.
Quando, perciò,
sentì l'imprecazione piena di stupore
e sì, preoccupazione, di Sherry, cancellò i
pensieri riguardanti Gin per
focalizzarsi pienamente sulla donna tra le sue braccia e abbassare lo
sguardo
sullo schermo.
Dinanzi a lui vide il breve
messaggio inviatole da
Emily e, quando ne lesse il contenuto, non solo imprecò a
sua volta, ma
comprese al volo il perché della preoccupazione della sua
donna.
Lasciatala subito andare quando ne
percepì i
movimenti, Rick si gettò a sua volta fuori dal letto per
vestirsi e, mentre
Sherry digitava il numero breve per chiamare McCoy, lui
borbottò: "Ma che
è venuto in mente, a quei disgraziati?"
"Non lo so davvero... ma mi
sentiranno!"
sbottò Sherry, prima di prendere la linea. "Ah, Adam, salve!
Sono Sherry.
Abbiamo un problema."
"Se riguarda Emily Poitier, siamo
appena stati
avvisati di un possibile guaio. Tu ne sai di più?"
"Oh,... e da
chi?" sbottò Sherry,
bloccandosi a metà della sua vestizione.
"Samuel Larson mi ha chiamato
mezz'ora fa per
dirmi che Cleopatra, il cane di Emily, stava piantonando casa sua. Cosa
che, a
quanto pare, non è del tutto normale e che può
avere ben poche spiegazioni a
parte una; la padrona le ha ordinato di farlo."
Accigliandosi, Sherry
cercò di infilarsi i jeans
skinny con una sola mano, fallendo miseramente e, nel borbottare
un'imprecazione, poggiò il cellulare tra orecchio e spalla
per terminare quella
scomoda operazione per poi dire ombrosa: "Ho assistito personalmente
all'addestramento di Cleo e so per certo che, se Emy le ha detto di
proteggere
qualcuno, lei lo farà fino a nuovo ordine. Forse, pensava di
tenerla impegnata
con qualcosa fino al suo ritorno."
"Al suo ritorno?" ripeté
confuso McCoy, sul
chi vive.
"Le spiegherò quando
sarò arrivata alla Centrale
di Polizia" chiuse concisa la chiamata prima di guardare Rick,
già pronto,
e borbottare: "Quando McCoy saprà la verità,
andrà fuori di testa."
"Probabile" assentì
Rick, allungandole una
mano.
Lei la accettò di buon
grado e, insieme, corsero fuori
dalla stanza senza badare al caos che lasciarono alle loro spalle. Si
sarebbero
scusati più tardi, con le cameriere.
In quel momento, era vitale
muoversi alla svelta.
***
Un'ora prima.
Sbadigliando sonoramente
nell'uscire di casa per
recuperare il giornale, per poco Sam non inciampò nel corpo
massiccio e peloso
di Cleopatra, disteso sul suo zerbino e con il quotidiano ben stretto
tra le
zampe.
Evidentemente, Abraham –
il ragazzo che si occupava
della consegna dei giornali – lo aveva affidato direttamente
a lei, vedendola
sul pianerottolo.
Balzellando di lato per non
crollarle addosso, Samuel
la fissò pieno di curiosità mentre, a sua volta,
la cagnolona gli rivolgeva uno
sguardo caldo ma interrogativo.
"Cleo, ma cosa...?"
tentennò lui,
guardandosi intorno pieno di curiosità prima di notare le
imposte chiuse della
casa di Emily. "Dov'è Emy?"
Cleopatra lo guardò
impotente, abbaiò un paio di volte
dopodiché si mise in piedi, scodinzolò e
scrutò arcigna i pochi giornalisti già
piazzati dinanzi al cancello d'entrata della casa.
Accigliandosi leggermente, Samuel
non fece caso a loro
– ormai era diventato abbastanza bravo, nel farlo –
e si limitò a prestare la
sua totale attenzione al cane. Carezzando quindi sul testone la sua
amica a
quattro zampe, domandò: "Proteggi, Cleopatra?"
Il cane abbaiò ancora e
si sistemò nella posizione
della sfinge, scrutando il cancelletto pedonale come se fosse pronta ad
affrontare
una torma di soldati.
Sempre più sconcertato,
Samuel afferrò in fretta il
giornale da terra e rientrò in casa, dirigendosi subito dopo
in cucina, dove
Consuelo stava allattando Sophie.
Lì, poggiò il
giornale sul piano della cucina, fissò
dubbioso la moglie e disse: "Cleopatra sta presidiando il fortino.
Il nostro fortino."
Sobbalzando, Consuelo
sgranò sgomenta gli occhi ed
esalò: "Ma... ma perché dovrebbe?"
"Mi viene in mente un solo motivo,
visto che
Emily non è a casa, e ha pensato di non portare
la sua
cagnolona ai genitori. Voleva defilare senza dare nell'occhio e non
voleva che
Cleo svegliasse mezza Nederland con i suoi ululati disperati"
sbuffò
Samuel, passandosi una mano tra i capelli. "Che avrà in
mente? Perché non
mi ha lasciato almeno un biglietto, o un messaggio?"
Sistemando Sophie sull'altro seno
quando la sentì
agitarsi un poco, Consuelo domandò: "Hai provato a chiamare
Anthony? Forse
lui sa qualcosa."
Samuel assentì alla sua
proposta e tentò di chiamare
l'amico ma, quando trovò la segreteria telefonica,
cominciò a preoccuparsi.
Come estremo tentativo, tentò di chiamare sia Emy che
Parker, ma nessuno di
loro rispose.
A quel punto, iniziando veramente
ad agitarsi, sospirò
e disse: "Non me la sento di far preoccupare i genitori di Emy.
Proverò a
chiamare McCoy per dirgli quello che sta succedendo, sperando che lui
sappia
cosa fare."
Consuelo annuì tesa e,
nel sistemare l'abito quando
Sophie ebbe terminato di mangiare, uscì a sua volta di casa
per vedere
Cleopatra e tentare di capire cosa stesse succedendo.
La cagnolona le abbaiò a
mo' di saluto e Sophie, con
mani vogliose, si spinse verso il bernese, desiderosa di montarvi a
cavallo,
mentre Consuelo la teneva sotto le ascelle perché non
scivolasse in terra.
Cleo rimase perfettamente immobile,
così da consentire
a Consuelo di accontentare la figlia ma, pur lieta che l'animale si
prestasse a
essere trattato alla stregua di un giocattolo, mormorò
debolmente:
"Proteggi, Cleopatra?"
Ancora, la cagnolona
abbaiò un paio di volte come
aveva fatto con Samuel e, per la donna, non fu che una conferma ai suoi
dubbi.
Emily le aveva mostrato
più volte quel comando, giusto
per far impratichire Cleopatra in caso di bisogno. Sapeva quindi
perfettamente
che, se a Cleo era stato impartito quell'ordine, non si sarebbe mossa
di lì e
li avrebbe protetti fino al ritorno della padrona.
Il punto, adesso, era
capire cosa avesse
spinto Emily a quella scelta. Dov'era andata, la loro cara amica, e
perché non
aveva detto nulla a nessuno dei due?
***
Sherry e Rick giunsero alla
Centrale di Polizia di
Nederland poco tempo dopo l’arrivo di Samuel, che
già stava parlando con
l'agente McCoy dello strano comportamento di Cleopatra.
Quando la coppia venne annunciata
all'agente speciale,
e poterono finalmente entrare nell'ufficio che l’FBI stava
usando come centrale
operativa per quel caso, Sherry si bloccò a metà
di un passo nell'udire Samuel
parlare di Cleo.
Accigliandosi, perciò,
la donna borbottò: "E' in
fase 'proteggi'?"
Samuel annuì nel
volgersi verso di lei e, turbato, le
domandò: "Ricordo male, o avevi scelto tu l'addestratrice
per Cleo?"
"No, ricordi bene, Sam"
assentì Sherry,
prima di salutare McCoy e aggiungere: "Cleo aveva imparato i comandi 'segui' e 'proteggi'
prima ancora di saper abbaiare, in pratica. L'ha mandata
da te, per caso?"
"Me la sono ritrovata dinanzi a
casa, seduta sul
primo gradino d'entrata, che guardava in cagnesco i giornalisti" le
spiegò
succintamente Samuel. "Il ragazzo del giornale, però,
è riuscito a
raggiungere indenne la porta."
Lasciandosi andare a un sorrisino,
Sherry assentì,
ammettendo: "Cleo ha un debole per quel ragazzo."
McCoy, a quel punto,
attirò l'attenzione
dell'investigatrice privata e domandò: "Avevi qualcosa di
preciso da
riferirmi, Sherry?"
"A quanto pare, Emy, Parker e Tony
hanno deciso
di fare i giustizieri solitari... esattamente ciò che tu
avevi detto di non
fare" sospirò Sherry, vedendolo accigliarsi per
diretta conseguenza.
"Pare che Anthony abbia trovato delle prove che incriminerebbero suo
padre
per il rapimento di Mickey, e così quei tre hanno deciso di
farsi giustizia da
soli e di andare alla ricerca del bambino."
McCoy non poté esimersi
dall'imprecare vistosamente e,
nel passarsi una mano sui capelli brizzolati, borbottò
contrariato: "Ma
che diavolo diceva loro la testa?!"
"Credo che Emy, al momento, sia
furibonda e fuori
di sé e che voglia fare ciò che, per lei, non fu
fatto" scrollò le spalle
Sherry, osservando impotente l’alto agente
dell’FBI. "E' stata però
abbastanza coscienziosa da avvisarmi con un SMS."
Dopo aver smoccolato un altro po',
giusto per
riprendere il controllo dei propri nervi, McCoy le chiese ancora: "Lo
sapete solo voi? I Poitier non sono stati avvisati, vero?"
"Non da me e, se non sono qui,
dubito che Emy li
abbia chiamati. Il che farà infuriare come una bestia Jamie,
tra le altre
cose" asserì Sherry, lanciata poi un'occhiata veloce
all'orologio da
parete prima di aggiungere: "Hanno più di tre ore di
vantaggio su di noi,
perciò dobbiamo muoverci."
McCoy assentì lesto e,
nel prendere alla svelta la
cornetta del telefono, chiamò la centralinista e disse:
"Chiama l'albergo
dei Consworth e fatti passare il proprietario perché io
possa parlargli.
Dopodiché, chiama Hutchinson e mandamelo subito."
"Subito, agente McCoy"
mormorò la donna,
chiudendo temporaneamente la chiamata per eseguire quanto richiesto.
Picchiettando il piede a terra con
fare nervoso, McCoy
riafferrò la cornetta quando sentì squillare il
telefono e, nervoso, disse:
"Signor Consworth?"
"No, agente... sono io, Gwen. Ho
chiamato in
albergo, ma la receptionist mi ha avvisato che il proprietario
è uscito un paio
d'ore fa, e che sarebbe stato di ritorno solo nel pomeriggio."
"Oh... capisco. Molto bene, Gwen.
Grazie"
mormorò McCoy, mettendo giù il telefono mentre
qualcuno, alla porta, bussava
con insistenza.
L'agente speciale lo fece entrare e
Hutchinson, sulla
porta, scrutò per un istante le persone presenti prima di
avanzare a passo di
carica e dire: "Gwen mi ha detto che mi voleva vedere con una certa
urgenza. Per fortuna non ero ancora uscito di pattuglia,
così sono venuto
subito qui. E' successo qualcosa, agente McCoy?"
Annuendo, l'agente speciale fece un
riassunto
stringato di quanto era venuto a sapere e, nel terminare di parlare,
disse:
"So che, assieme allo sceriffo Meyerson, sei la persona con
più anni di
servizio, qui in zona, e conosci bene le montagne. Abbiamo bisogno che
prepari
in tutta fretta una squadra di dieci uomini per andare a nord-ovest di
qui.
Abbiamo un potenziale ritrovamento."
Illuminandosi in viso per un
istante, Hutchinson sorrise
a Samuel pieno di speranza ma, nel vederlo assai ombroso,
domandò a McCoy:
"Dalla loro presenza qui, ne deduco che qualcosa non vada esattamente per
il verso giusto, però."
"Ti ho lasciato la chicca per
ultima,
agente" ironizzò stancamente McCoy. "Ricordi, vero, quando
dissi alla
popolazione di Nederland di non prendere iniziative personali?"
Doug Hutchinson annuì,
adombrandosi a sua volta, e
borbottò: "Non mi dica... Tony Consworth, dopo aver capito
che il padre
poteva essere coinvolto, è andato a cercare di persona il
nascondiglio dove
avrebbe potuto avere nascosto Mickey?"
"Peggio. Non solo lui, ma anche
Emily Poitier e
Parker Jones si sono uniti alla spedizione punitiva, a quanto pare"
sospirò McCoy, scuotendo esasperato il capo.
Doug sospirò esacerbato,
si passò le mani sul viso con
espressione rassegnate e infine disse: "Temevo che Emily avrebbe potuto
fare una pazzia, visto ciò che è successo a lei.
Lo sceriffo, infatti, mi aveva
pregato di tenerla d'occhio, durante le ricerche nei boschi... ma da
lì a
gettarsi così allo sbaraglio..."
"Mai sottovalutare una donna con il
suo passato
burrascoso" chiosò fiacca Sherry.
"Quanto a Parker Jones, non lo
conosco così bene,
ma..." aggiunse Doug, lanciando un'occhiata all'alto uomo accanto a
Sherry. "... se non ricordo male la sua faccia, l'ho vista parlare
più
volte con Parker, in questi giorni. E' forse un suo amico?"
"Sono il fratello minore"
asserì Rick,
parlando per la prima volta. "Personalmente, posso dire che Parker non
è
nuovo a questi colpi di testa, quando ci sono di mezzo degli amici. Non
è la
prima volta che si caccia nei guai per questo."
"Bene. Perciò abbiamo un
figlio con istinti
vendicativi nei confronti del padre, un amico che desidera dare il suo
contributo e una donna dal dente avvelenato. Un trio esplosivo"
sospirò
McCoy.
"Sapete dove sono diretti?"
domandò a quel
punto Doug.
Sherry gli lesse le indicazioni
lasciate da Emily
nell’SMS e il poliziotto, annuendo più volte,
asserì: "Conosco bene la
zona, perché ci vado spesso a scalare. Preparerò
subito una squadra e partirò
nel giro di venti minuti."
"Vorrei venire anch'io, se fosse
possibile"
dichiarò Sherry, a quel punto.
Doug la fissò dubbioso
per alcuni istanti, lanciò
un'occhiata a McCoy e infine disse: "Lei è una civile, miss
Kerrington e, anche
se non mi metterei mai a discutere con lei a meno di cinque metri di
distanza -
e sapendola disarmata - esiterei un po' ad accettare a sua richiesta."
"La famiglia Larson mi paga
perché io segua il
caso, perciò ho il diritto di venire con voi"
sottolineò gentilmente
Sherry, sorridendo melliflua.
Doug, allora, sospirò
esasperato e replicò: "Oh,
la prego, si risparmi quei sorrisi per qualcun altro. Sono fedelissimo
a mia
moglie, e non mi faccio incantare così facilmente da una
bella donna."
Rick la guardò pieno di
curiosità e, suo malgrado,
Sherry esalò una risatina e ammise: "Forza dell'abitudine,
scusate. Vorrà
dire che vi seguirò a distanza."
"Beh, questo non glielo posso
impedire, ma
rimarrà dietro il nastro che metteremo sulla scena"
sottolineò Hutchinson.
"Andata" accettò Sherry,
scrollando le
spalle.
Doug la fissò ancora per
un istante, ben sapendo che,
molto difficilmente, avrebbe eseguito gli ordini e, dopo un ultimo
saluto a
McCoy, si avviò per mettere in atto quanto detto.
A quel punto, l'agente speciale
dichiarò: "Mi
aspetto che tu non li faccia ammattire, Sherry. Sono già
tutti abbastanza sul
chi vive, e non voglio che una missione di ricognizione diventi una
scazzottata
con te."
"Come se io potessi creare un
simile caos"
esalò ingenuamente lei, sollevando le mani in segno di resa.
McCoy, però, non ci
cascò neppure per un istante e le
disse: "Devo ricordarti il caso Sheeran di due anni fa?"
Inaspettatamente, Sherry
arrossì copiosamente e
borbottò: "Non feci esattamente lo
sgambetto. Inciampò
sui miei stivali… tutto qua."
"E finì casualmente
con le palle contro il tuo ginocchio?" ironizzò a quel punto
McCoy.
Rick soffiò fuori aria
per la sorpresa e il dolore
indiretto mentre Samuel, facendo tanto d'occhi, esalava: "Ma che hai
combinato, Sherry?"
"Divergenze creative"
dichiarò evasiva
Sherry, afferrando le chiavi della sua auto dalla borsetta prima di
imprecare e
aggiungere: "Merda! Non ho pensato che una Lamborghini non
può andare per
carreggiate!"
I tre uomini con lei esplosero in
una calda risata e
Samuel, lanciandole le sue chiavi, disse: "Prendi il mio pick-up. E'
sicuramente più adatto al luogo in cui dovrai andare. Senza
dare ginocchiate,
però, per favore. Sono tutti bravi ragazzi, e li conosco."
"Mi premurerò di tenere
le ginocchia basse"
promise Sherry, dando poi un bacetto a Rick per poi sgattaiolare via
dall'ufficio.
A quella vista, McCoy
squadrò l'alto giovane - un po'
stordito da quel gesto inaspettato - e chiosò: "Hai idea di
cosa voglia
dire avere a che fare con una donna del genere, ragazzo?"
"Devo ancora capirlo del tutto"
ammise Rick,
grattandosi nervosamente la nuca.
McCoy gorgogliò una
risata prima di sospirare,
afferrare il suo cellulare sulla scrivania e dire: "Adesso, a me
toccherà
la parte più scomoda. Parlare con i Poitier. La giornata non
poteva iniziare
peggio di così."
"Vengo con lei, agente. Se
rimanessi a casa, mi
agiterei inutilmente mentre Consuelo, sapendo Cleo lì con
lei, è stranamente
più calma, perciò posso accompagnarla dai Poitier
senza alcun problema"
gli propose Samuel.
McCoy accettò di buon
grado e Rick, con un sospiro,
dichiarò: "Io penso che me ne andrò da Gilda a
fare colazione. Siamo
usciti di corsa non appena Sherry ha letto il messaggio,
perciò..."
Samuel e l'agente lo fissarono con
calda ironia,
perciò Rick preferì non aggiungere altro.
Salutò i due uomini, uscì in fretta
dalla stazione di polizia dopodiché, afferrato il cellulare,
provò a chiamare
il fratello.
Trovando però solo la
segreteria telefonica, lasciò un
messaggio piuttosto eloquente.
"Ho saputo cos'hai combinato,
Parker e, sebbene
io ti ritenga molto coraggioso, sappi una cosa. Se ti farai male, lo
dirò alla
mamma... e sai cosa fa, lei, ai
figli
che si fanno male, vero?"
Ciò detto, chiuse la
chiamata, sospirò e pregò con
tutto il cuore che il fratello non avesse fatto il passo più
lungo della gamba,
stavolta.
***
I sobbalzi del pick-up avevano
ormai portato sia Emily
che Anthony a reggersi saldamente alle portiere, non volendo terminare
anzitempo il loro viaggio con una commozione celebrale causata
dall'urto contro
i vetri del mezzo.
Purtroppo, le condizioni della
sterrata su cui stava
abilmente guidando Parker non consentivano un viaggio agevole,
né veloce.
Pendenze, curve e
asperità del terreno rendevano
quella lenta risalita un'agonia infinita ma, quando finalmente Parker
fermò il
mezzo dietro alcuni cespugli rigogliosi, Emily poté tirare
un sospiro di
sollievo e dire: "Giuro che non mi lamenterò più
di Ponderosa Drive."
"Non era Jamie, a lamentarsene?"
chiosò
Tony, mentre Parker spegneva il mezzo ed estraeva la chiavetta
d'accensione.
Emy ammiccò
all'indirizzo del fidanzato - era ancora
così strano, pensare a lui a quel modo! - e, nello scendere
dal pick-up,
asserì: "Lascio a lui la parte del lamentone, ma neppure io
piangerei, se
la mettessero a posto."
Ciò detto, si
guardò intorno senza realmente
apprezzare la natura selvaggia che li circondava, o il suono lieto e
pacifico
del canto degli uccellini. Quel luogo avrebbe potuto essere splendido,
ai suoi
occhi, ma l'ansia che provava per Mickey - unita a un odio crescente
nei
confronti di William - non riusciva a renderle piacevole quella vista.
Lanciata infine un'occhiata a
Parker, che stava
sistemandosi lo zaino sulle spalle, domandò: "Siamo lontani
dalla
grotta?"
"Circa seicento iarde. Ho preferito
fermarmi
prima per poter nascondere l'auto, caso mai..." le spiegò
lui prima di
lanciare un'occhiata spiacente ad Anthony.
"Non pensare a me, amico. Se mio
padre si è
macchiato di un simile crimine, la pagherà cara. E' poco ma
sicuro" asserì
lapidario Anthony, afferrando il proprio zaino per poi avventurarsi
lungo
l'erta, subito seguito a ruota da Parker ed Emily.
Parker non poteva neppure
immaginare cosa volesse
dire pensare al proprio padre
come possibile rapitore di un
bambino, né aveva idea di cosa volesse dire muoversi per
scoprire tale verità.
Lui aveva sempre avuto un rapporto
amichevole e forte,
con il padre e, se mai fosse successa una cosa simile, sarebbe stato
devastante. Non sarebbe riuscito a muovere un solo muscolo.
Anthony, invece, non solo si era
impegnato per
comprendere gli strani comportamenti del padre, ma non aveva battuto
ciglio, di
fronte alla possibilità che lui fosse il vero rapitore di
Mickey.
Se quello che Emily gli aveva
riferito in quei mesi
non fosse bastato a rendergli chiaro il labile legame tra i due, quella
netta
presa di posizione sarebbe bastata e avanzata. Tra padre e figlio non
c'era
nessun tipo di rapporto affettivo, e Anthony pagava lo scotto di
quell'insensibile trattamento nel modo più terribile
possibile.
Ugualmente, di fronte a
quest'ultimo affronto, Anthony
non si era tirato indietro, non aveva delegato ad altri la scoperta
della
verità, rischiando in prima persona di porsi di fronte a un
potenziale mostro.
Scuotendo il capo, Parker
mormorò tra sé: "Non so
davvero come fa."
Emily si volse a mezzo nel sentirlo
borbottare ma lui
scosse il capo, le sorrise e domandò: "Sei certa di voler
entrare con noi?
Potresti nasconderti qua fuori da qualche parte, e lasciare a noi
omaccioni lo
sporco lavoro."
Emy rise sommessamente e Anthony,
nel fermarsi dinanzi
all'entrata della grotta, assentì all'indirizzo di Parker e
aggiunse: "Ha
ragione. Puoi aspettarci qui fuori, se non te la senti."
Lei sorrise loro con affetto,
scosse il capo e
replicò: "Vi ringrazio, davvero. Ma devo fare anche questo."
Ciò detto,
infilò la mano nella tasca dei pantaloni ed
estrasse una barretta al cioccolato e cereali, aggiungendo: "E poi ho
questa, se avrò paura."
Anthony la fissò
confuso, e così Parker, perciò Emily
sorrise dolcemente e spiegò loro: "La trovai nella cassetta
della posta,
poche ore dopo il mio incontro con Roy. Evidentemente, doveva averla
messa lì
dopo essere andato via dalla centrale di polizia. Come una sorta di
saluto. Di
addio."
Tony la attrasse in un abbraccio,
baciandole i
capelli, e mormorò: "Sei sicura che basti la cioccolata?"
"Ho anche voi due, a farmi
coraggio. Penso
basterà" ammiccò lei, stringendosi a lui con un
braccio mentre, con la
mano libera, cercava Parker. "Ce la farò, grazie a voi."
Ciò detto, si sciolse
dall'abbraccio, prese un gran
respiro e, rabbrividendo nonostante tutto, gracchiò: "Chi me
l'ha fatto
fare?"
I due uomini con lei sorrisero
divertiti e comprensivi e, assieme a Emy, penetrarono nell'antro muniti
di
torce elettriche e determinazione.
N.d.A.:
che dite? Quando McCoy si ritroverà i tre giustizieri
solitari davanti alla faccia, che succederà? E il rapitore?
Arriverà prima o dopo la comparsata dei nostri tre eroi?
|
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Capitolo 25 *** Capitolo 25 ***
25.
Quella mattina si era svegliato tardi e, quando aveva cercato Anthony al telefono per dirimere le ultime cose riguardanti il passaggio di proprietà dell’albergo e il suo licenziamento, non lo aveva trovato. Al suo posto aveva trovato solo una scarna segreteria telefonica e null’altro.
Curiosando quindi nella sua vecchia stanza, William aveva trovato i rimasugli del suo frettoloso trasloco e poco altro. Quel che però più lo aveva irritato era stato notare, lungo il corridoio che conduceva alle camere degli ospiti, la mancanza di alcune delle stampe delle miniere che, negli anni, Anthony aveva sistemato in lungo e in largo per tutto l'albergo.
Quelle maledette cartine!
Non appena aveva sentito Anthony offrirsi di darle a quel maledetto geologo di Denver, aveva visto crollare tutte le proprie speranze di poter portare a termine i piani che, con tanta pazienza, aveva preparato per il suo futuro.
In tutta fretta, perciò, aveva commissionato al figlio un'improvvisa incombenza che lo portasse a restare fuori dall'albergo per quanto più tempo possibile e, nel frattempo, aveva fatto sparire ciò che avrebbe potuto metterlo seriamente nei guai.
Come se nulla fosse, quindi, aveva accettato l'invito al battesimo della figlia di Consuelo e Samuel - pur odiando l'idea di apparire mansueto e sconfitto agli occhi della coppia - e si era avvicinato a Mickey in tutta calma.
Dal giorno del battesimo, non visto e non preso in considerazione da nessuno – in paese non si facevano i fatti suoi, col rischio che lui potesse irritarsi e replicare in malo modo a simili attenzioni - aveva proseguito nella sua opera di approccio al bambino.
Dopotutto, con ciò che si era ripromesso di fare, avere la sua collaborazione e il suo appoggio sarebbe risultato vitale.
Era stato facile, alla fine, convincerlo alla scampagnata nei boschi che era poi culminata con l'arrivo al Bald Mountain e alla miniera ivi ubicata. Quale bambino non vorrebbe combinare una marachella, sapendo già di avere un adulto a proteggerlo da eventuali rimproveri?
Quando, però, avevano raggiunto il rifugio che lui aveva provveduto a preparare per il bambino, William aveva faticato non poco a convincere Mickey riguardo alle sue reali intenzioni.
Quella puttana di sua madre era riuscita a insinuarsi dentro di lui molto più di quanto avesse immaginato, e il pensiero di non poterla più rivedere aveva fatto piangere Mickey fino allo sfinimento.
Esattamente come sua madre Julie aveva fatto tanti anni addietro con lui, anche Consuelo era riuscita a farsi amare dal bambino, ingannandolo sulla sua reale identità e su chi fosse in realtà suo padre.
Non potendo fare altro, William lo aveva lasciato sfogare, ne aveva atteso il recupero e infine gli aveva promesso una nuova vita assieme a lui, lontani dalla mamma e dal papà, che adesso avevano occhi solo per la piccola Sophie.
Quelle parole non gli erano affatto piaciute ma, complice una barretta al cioccolato e la velata minaccia contenuta nella sua voce, Mickey si era calmato.
Da quel giorno, aveva mantenuto una facciata di blanda preoccupazione per non destare troppi sospetti. Dopotutto, tutti conoscevano il suo odio nei confronti di Consuelo e Samuel, e sarebbe parso strano se lui si fosse strappato i capelli al pensiero del rapimento di Mickey.
Mostrarsi interessato ma non in totale ansia come, invece, molti erano apparsi fin da subito - anche a sproposito - gli era parso il piano migliore per non far insospettire nessuno.
A quel punto, però, aveva dovuto mettere in pratica ciò che, per anni, aveva solo millantato di fare, e cioè andarsene da quel paesino dimenticato da Dio con tutto quello che l'albergo dei genitori avrebbe potuto fruttargli.
Trovare gli acquirenti adatti non aveva richiesto molto; il turismo montano stava prendendo sempre più, e anche località piccole come Nederland potevano attirare investitori.
Inserendo Becky e Morgan nel contratto, aveva garantito una continuità di gestione che avrebbe aiutato i nuovi proprietari a guidare meglio l'hotel e, al tempo stesso, non si sarebbe inimicato dei vecchi amici assai potenti.
Nel frattempo, aveva intervallato i suoi viaggi a Boulder con le visite a Mickey e, a ogni nuovo incontro, aveva tentato di instillare in lui dei dubbi sempre più profondi nei confronti dei genitori.
A quell'età, era quasi certo che non avrebbe avuto difficoltà a plagiarlo e a fargli credere che loro lo avessero dimenticato.
Al tempo stesso, aveva cercato depistare i poliziotti in merito alla famiglia di Consuelo, stando anche attento ad ascoltare i discorsi degli agenti dislocati nel suo albergo.
Questo gli aveva permesso di sapere in anticipo molte delle mosse dell'agente dell'FBI che si occupava del caso, garantendogli così un più sicuro movimento dentro e fuori dal paese.
Il voltafaccia del figlio, suo malgrado, aveva giocato a suo favore e gli aveva permesso di liberarsi di lui una volta per tutte, e senza grossi affanni.
Non restava che mettere la firma su quel dannato contratto e andarsene una volta per tutte da Nederland assieme a Mickey.
Una volta fatto questo, sarebbe uscito dal Colorado, si sarebbe rifatto una vita in un posto ben lontano da lì e si sarebbe goduto i soldi risparmiati negli anni assieme al nipote.
Nessuno lo avrebbe più obbligato a vivere sotto lo stesso tetto di suo figlio che, più di tutti, lo aveva tradito fin nel midollo.
Raggiunto quindi il pick-up del padre, lo mise in moto e uscì dal cortile in retromarcia, dopodiché si avviò verso nord-ovest, ben deciso a preparare Mickey per il loro prossimo viaggio.
***
Non occorse molto, al trio, per capire che strada prendere all'interno della miniera.
A quanto pareva, non solo qualcuno entrava e usciva regolarmente da lì, ma aveva anche pensato di rendere il percorso più agevole, sistemando delle lanterne a etanolo, che potevano essere facilmente accese con un fiammifero.
Facendosi strada con passo leggero, ben abituato a luoghi simili - pur se per motivazioni molto differenti - Parker indicò in silenzio alla coppia dietro di sé di seguirlo lungo un cunicolo e Anthony, nel far passare Emily, mormorò: "Tutto bene?"
"Resisto" sussurrò per contro lei, annuendo tesa.
La vista di quelle scure pareti, il sentore dell'umidità crescente e l'oscurità a stento sconfitta dalle loro torce l'aveva quasi mandata al manicomio ma, complice la presenza di Tony e Parker, era riuscita a non fuggire a gambe levate dalla galleria.
Percepire inoltre il peso leggero e confortate della barretta alla nocciola che teneva nella tasca posteriore dei pantaloni, la faceva sentire assurdamente coraggiosa.
Non voleva più aver paura dei suoi ricordi, né di ciò che incolpevolmente li aveva prodotti. Il suo luogo di detenzione non aveva mai avuto alcuna colpa, ed era tempo che se ne prendesse atto.
"Forse ci siamo" mormorò Parker con voce fievole ma eccitata.
Nell'indicare una porta grezza ma robusta, fermata all'esterno con un catenaccio, Parker annuì ai suoi compagni e, dopo aver poggiato a terra lo zaino, ne estrasse un tronchese per ferro degno di tale nome.
Emily fece tanto d'occhi, a quella vista e Parker, nell'ammiccare, chiosò: "Avevo immaginato che sarebbe venuto buono, così l'ho portato."
"Niente da dire" assentì lei prima di arrischiarsi a dire a mezza voce: "Ehi! C'è nessuno?"
Dall'interno si udì un fruscio, un forte e improvviso colpo contro la porta e l'inconfondibile, tenerissimo tono di voce di Mickey che, spaventato e sorpreso, esalava: "Zia Emy? Sei tu?"
Subitanee, le lacrime della giovane inondarono i suoi occhi ma, rapidamente, lei le scacciò con le mani per poi dire in fretta, con sicurezza: "Tranquillo. Ti tiriamo fuori da lì e ti riportiamo a casa."
"Nonno Will non lo permetterà" replicò impaurito il bambino, confermando quanto i tre già temevano. Il coinvolgimento di William Consworth.
Nel divellere il catenaccio, Parker fece in fretta nel gettare a terra lucchetto e catena dopodiché, spalancata la porta, permise a Emily di entrare quasi al pari di un tornado, così che le fosse possibile abbracciare Mickey.
Quest'ultimo replicò alla stretta e si mise a piangere contro la sua spalla, gorgogliando: "Subito, pensavo fosse un bel gioco. Sai, per scherzo... ma poi nonno Will non mi portava più casa, e diceva sempre che mamma e papà non mi volevano più perché ora avevano Sophie. Io non gli credevo, però i giorni passavano, e non veniva mai nessuno a far finire il gioco, e così..."
Non riuscendo più a parlare, Mickey si sciolse in un pianto dirotto quanto liberatorio e Anthony, nell'accucciarsi accanto a Emily e al bambino, li strinse entrambi tra le braccia e mormorò: "Mio padre pagherà per averti mentito, Mickey. Te lo giuro su quanto ho di più caro."
"Perché l'ha fatto, zio Tony?" si lagnò il bimbo, scostando il capo dalla spalla di Emily per guardarlo, i grandi occhi liquidi pieni di domande.
"Ora pensiamo a uscire. Ti spiegherò tutto più tardi" gli promise lui, sollevandolo da terra per poi stringerlo con forza e aggiungere: "Il papà e la mamma non vedono l'ora di rivederti, sai?"
Lui sorrise più tranquillo, si lasciò andare contro il corpo caldo e familiare di Anthony e mormorò: "Mi mancano. Anche la mia sorellina. Davvero."
"Sarà felicissima anche lei di riaverti a casa" gli promise Emily, carezzandogli la schiena con fare materno.
Parker dovette interrompere quell'idillio per dire torvo: "Ragazzi, andiamo. Stiamo rischiando grosso, visto che l'uscita è una sola, e noi non sappiamo quanto tempo abbiamo prima dell'arrivo di William."
Mickey, a quel punto, rizzò il capo e disse con candore: "Oh, beh, nonno Will arriva sempre alle undici."
I tre si guardarono turbati e dubbiosi assieme, non sapendo assolutamente che ore fossero ma una voce, inaspettata e traditrice, disse per loro: "Sì, Mickey,... e il nonno è sempre puntuale, vero?"
Ciò detto, si udì il clic inconfondibile del cane di una pistola e il riverbero violento e crudo di un'esplosione.
***
Le torce di Emily, Anthony e Parker caddero quasi simultaneamente a terra, a causa di quel colpo proditorio e improvviso, ma non quella di William che, sorridendo feroce, aggiunse: "Non avreste dovuto ficcare il naso dove non dovevate."
In quel mentre, Parker cadde a terra, il fianco sanguinante e il volto percorso dalla sorpresa e il terrore, fusi assieme in una miscellanea vivida e quasi palpabile.
Emily corse subito da lui mentre Anthony pensava a proteggere Mickey ma William, puntando la pistola contro la donna, ringhiò: "Non un passo di più, ragazza, o riempio di piombo anche te e poi ti lascio a morire qui con lui."
La giovane interruppe la sua corsa, si chinò lentamente accanto a Parker per poggiare una mano sulla sua spalla e, senza distogliere lo sguardo da William, mormorò: "Lasci che lo curi. Non farò altro."
"Perché dovresti curare un uomo morto? Con quel buco nel fegato, avrà vita breve" sogghignò William prima di rivolgersi al figlio e aggiungere: "Non mi avevi detto di aver perso anche lei per un altro. Comincio a dubitare fortemente che tu sia un vero uomo!"
Emily fece per ribattere ma Anthony la squadrò per un istante prima di dire insofferente: "Il fatto che tu non capisca l'animo umano non mi sorprende. Parker è una brava persona."
William avanzò di un passo verso di lui, perdendo temporaneamente di vista Emily che, senza fare rumore, tastò in fretta l'addome di Parker per sincerarsi delle sue condizioni. Trovando però solo una ferita superficiale al fianco, lanciò un'occhiata scioccata a Parker, in cerca di spiegazioni.
L'uomo le fece cenno di non parlare, di corroborare la sua messa inscena ed Emily, con un assenso rapido, si lasciò cadere a terra proprio accanto al tronchese che Parker aveva poggiato poco prima.
Scoppiando quindi in un finto pianto, si lagnò per le sorti dell'amico, pregando quindi William di poterlo curare.
William, per contro, la scrutò sardonico per un istante prima di tornare a guardare il figlio, la pistola ancora puntata, e dichiarare: "Senti come piange per lui, il tuo grande amore mai sbocciato!"
Imperturbabile, Anthony si limitò a dire: "Non hai mai capito Emily. Hai sempre e solo visto ciò che rappresentava per te, ma non hai mai percepito la sua purezza, la sua bontà o la sua bellezza interiore."
"A quanto pare, ti è valso poco scoprire tutte queste cose, visto com’è andata a finire, mi pare" gli rinfacciò per contro il padre, iniziando a irritarsi mentre, alle sue spalle, Parker si muoveva in completo silenzio per raggiungere Emily. "La donna che tanto millantavi di amare piange per un altro! Chi piangerà per te, dimmi, quando ti avrò ucciso?"
"Io, di sicuro" disse a sorpresa Parker, portando William a sobbalzare sorpreso nel volgere lo sguardo alle sue spalle. "Ma non ce ne sarà bisogno."
Ciò detto - e prima che William potesse puntargli nuovamente addosso la pistola - scaricò contro il suo collo il pesante tronchese, tramortendolo al punto tale da farlo svenire.
Emily fu lesta a balzare in piedi e afferrare la pistola di William e, nel puntarla contro l'uomo, ringhiò: "Legatelo con qualcosa, prima che mi venga voglia di sparare."
Anthony mise a terra Mickey per fare quanto richiesto e, nel guardare sorpreso Parker - ancora armato di tronchese - esalò: "Ma... non ti aveva colpito?"
"Di striscio. Ma ho fatto finta che fosse una cosa più grave, così da eliminare l'ostaggio, per così dire" scrollò le spalle Parker, sollevando la camicia intrisa di sangue per osservare disgustato la ferita che gli solcava il fianco, appena sopra l'anca. "A quanto pare, la cataratta di tuo padre ha cospirato contro di lui. Pensava davvero di aver fatto centro."
Terminato che ebbe di legare il padre, Anthony assentì disgustato e, nell'osservare Emily, disse: "Puoi dare a me la pistola."
Lei assentì distrattamente, gli occhi puntati su un angolo in ombra del nascondiglio dove si era trovato Mickey fino a quel momento e, nel chiamare accanto a sé il bambino, gli domandò: "Mickey... William ti ha per caso detto a chi appartenevano quelle ossa?"
Quel riferimento del tutto inaspettato fece sobbalzare i due uomini e il bambino, nell'arrampicarsi tra le braccia dell'amica, borbottò: "Mi ha detto che erano di una donna cattiva, che era morta qui tanti, tanti anni fa, ma che non dovevo averne paura, perché non mi avrebbero fatto mai del male."
Sorridendogli pur provando orrore per quel racconto, lei assentì e disse: "E immagino sia stato così, vero?"
Lui assentì, poggiando il capo contro la spalla di Emily mentre Anthony, guardingo e percorso da un dubbio atroce, si avvicinava allo scheletro per controllarlo più da vicino.
Mentre alcuni mugugni provenivano da un William in via di ripresa - ma ormai del tutto inerme e legato mani e piedi perché non fuggisse - Parker osservò l'amico e domandò: "Pensi di sapere chi sia? Avete avuto dei casi di scomparsa mai risolti, a Nederland?"
A quell'accenno, a cui Emily non aveva affatto pensato, la giovane si irrigidì immediatamente e, già sul punto di dire a Tony di non proseguire oltre con le indagini, lo sentì dire con voce atona: "Ora, non più."
Ciò detto, si risollevò da terra tenendo in mano un piccolo oggetto tondeggiante, che si rivelò essere un anello.
Un anello molto speciale.
Mordendosi il labbro inferiore, già temendo la natura di quel gioiello imbruttito dagli anni e dall'umidore della caverna, Emily fissò spiacente Anthony e domandò roca: "E' di..."
Lui si limitò a un assenso reciso e la giovane, guardando un incuriosito quanto dubbioso Parker, mormorò: "Marlene. La madre di Tony."
Parker non riuscì a dire nulla.
Alle loro spalle, simile a un torrente in piena, giunsero a spron battuto non meno di dieci uomini della polizia, unitamente a Sherry e allo sceriffo Meyerson.
Nel vederli incolumi, e con Mickey in salvo, le armi vennero subito calate, ma il tono con cui Meyerson li etichettò non permise a nessuno di tranquillizzarsi.
Non soltanto diede loro degli idioti patentati e degli imbecilli, ma elencò tutta una serie di eventuali disgrazie che sarebbero potute accadere loro.
Soltanto quando non vide in loro alcuna reazione alle sue parole, lo sceriffo inizio a comprendere che qualcosa di nuovo e inaspettato doveva essere accaduto. Azzittendosi, quindi, li squadrò per bene, notò il sangue sulla camicia di Parker e borbottò: "C'è bisogno di un medico, signor Jones?"
"Niente di eclatante, mi creda" si limitò a dire Parker prima di lanciare uno sguardo ad Anthony.
Meyerson si accigliò maggiormente, di fronte a quell'occhiata eloquente e piena di sottintesi così, avvicinandosi al gruppetto - e riuscendo finalmente a vedere William Consworth steso a terra, legato mani e piedi - domandò: "Che succede, ragazzi?"
"Abbiamo scoperto che fine ha fatto mia madre" borbottò Anthony, lanciando poi un'occhiata sul fondo del nascondiglio in cui si era trovato Mickey fino a poco tempo prima.
A quelle parole, lo sceriffo si adombrò in volto, disgustato e inorridito e, atono, disse: "Fuori di qui. Tutti. Thompson, Ford, portate via questo rifiuto e mettetelo sul furgone. Beyer, esci e chiama la scientifica. A quanto pare, abbiamo aperto un autentico Vaso di Pandora."
Gli uomini interpellati si mossero lesti per fare quanto ordinatogli e, mentre il trio usciva assieme a un dubbioso Mickey, Meyerson si limitò a fissare lo scheletro biancastro e ricoperto di stracci, borbottando: "Maledizione, Marly. Sei stata qui per tutto questo tempo?"
***
Il fuoco incrociato di Sherry, Jordan, Margareth, Rick e Jamie non fu nulla, se paragonato alla sfuriata di McCoy. Emily e gli altri, in ogni caso, la affrontarono con stoicismo, forse troppo sconvolti dal ritrovamento di Marlene Krueger-Consworth per poter essere pienamente presenti in quel frangente.
Naturalmente, vi furono pianti, abbracci, raccomandazioni a non comportarsi più come folli e altre frasi di circostanza ma, il momento più toccante, fu sicuramente il ricongiungimento di Mickey con i suoi genitori.
Emily non si accorse neppure di piangere e, quando Consuelo la strinse a sé per ringraziarla e sgridarla al tempo stesso, lei accettò tutto come in una sorta di trance.
Non riusciva a godere di quel momento che, per tanto tempo, aveva agognato, e tutto a causa di quel bianco scheletro che avevano trovato nella miniera.
Certo, poteva affrontare gli insulti con maggiore facilità, visto che la testa era in tutt'altro luogo, ma d'altra parte si stava perdendo tutto ciò che di bello stava accadendo attorno a loro.
Il cadavere di Marlene. La madre di Anthony.
Era sempre stata lì, non dispersa chissà dove in una qualsiasi parte del mondo... no, a dividerli erano sempre state poche decine di miglia.
E un abisso di bugie.
Perché era chiaro che, non solo la donna non si era rinchiusa spontaneamente in quel luogo fino a morire, ma qualcuno l'aveva bloccata con una catena, lasciandola a deperire nell'oscurità di quella grotta.
Forse, dopotutto, il rapimento di Mickey era la minore delle colpe di William, per quanto fosse assurdo il solo pensarlo.
"Emy... Emy..."
Sbattendo le palpebre nel riemergere dal quel miasma di pensieri per rivolgere uno sguardo vacuo al padre, la giovane mormorò: "Sì, sono stata un'idiota. Scusa. Hai picchiato qualcun altro, papà?"
L'uomo le sorrise comprensivo e, nel sedersi accanto a lei su una delle scomode sedie della sala d'attesa della Centrale di Polizia, le batté una mano sul ginocchio destro e domandò: "Si può sapere dove sei stata, finora?"
"Qui. Credo. Non ricordo molto bene il viaggio di rientro. So solo che lo sceriffo mi ha fatto perdere quasi l'uso delle orecchie, a forza di sbraitare. O era Hutchinson?" borbottò Emily, grattandosi distrattamente la nuca nella vana ricerca di un pensiero coerente.
La sua mente era bloccata in un loop diverso dal solito e, per quanto la cosa le desse fastidio, non sembrava essere capace di sganciarsene.
Il problema era che non desiderava passare il resto dei suoi giorni a pensare a quel maledetto scheletro!
Questo pensiero, però, la portò a risollevare il capo e, nel guardarsi intorno, nuovamente lucida e con la mente a fuoco, domandò nervosa: "Tony! Dov'è Tony?"
"Oh... eccoti" mormorò soddisfatto il padre. "E' dentro la sala degli interrogatori assieme a McCoy e Meyerson, mentre Parker è dal medico per farsi curare."
Passandosi le mani sul viso, Emily si rese conto di averle ancora sporche di polvere e, nel fare una smorfia, mormorò: "C'era la madre di Tony, in quella miniera. L'ha rinchiusa lì, papà. Ci è morta."
Jordan si irrigidì, a quelle parole, non aspettandosi di certo una simile svolta negli eventi e, nell'osservarla turbato, esalò: "Ma... non andò via anni fa?"
Lei scosse il capo, replicando: "Era quello che William aveva raccontato a tutti, ma a questo punto non credo più a niente di quel che ha detto, o dirà. C'era una catena, papà. Quella donna è morta incatenata al muro."
"Dio, bambina!" esalò roco Jordan, stringendola a sé.
Quel contatto, quel calore, quel senso di protezione che per tanti anni aveva cercato in suo padre senza mai ammetterlo, la portarono a crollare definitivamente e, scoppiando in un pianto silenzioso, Emily esalò: "Gli ha ucciso la madre! Lo ha odiato per tutta la vita ma, prima ancora di questo, lo ha reso orfano, papà!"
Stringendola maggiormente a sé, Jordan assentì più e più volte e, mentre la figlia metteva a voce tutto il dolore che sentiva per ciò che era accaduto a Tony, l'uomo sentì montare dentro l'animo una rabbia più nera della notte.
Pur se in modo diverso, anche Tony era stato tenuto prigioniero. Prigioniero un'intera vita da un padre che mai lo aveva amato ma che, per contro, il giovane aveva sempre cercato di avere dalla sua parte.
Perché non era odio ciò che Jordan aveva scorto negli occhi di Anthony, quando lo aveva visto entrare alla Stazione di Polizia, ma lo sguardo ferito di un figlio che sapeva di avere perso, forse per sempre, la figura paterna.
Dubitava persino che Anthony fosse in grado di odiare veramente qualcuno, e il pensiero che suo padre lo avesse ferito in modo così definitivo e crudele, lo fece fremere.
Sapeva di non essere un padre perfetto, ma aveva amato i suoi figli, cercando di esserci sempre, per loro.
Il comportamento di Consworth, perciò, gli risultava del tutto avulso dalla realtà, da qualsiasi realtà concepibile.
"Ci penseremo noi, ad Anthony. Te lo prometto" le mormorò all'orecchio Jordan, mentre Emily annuiva contro la sua spalla.
N.d.A.: si risolve un caso, per aprirne un altro, ben più oscuro e terrificante. Come la prenderà a questo punto, Anthony?
Buone Feste a tutt*!!
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Capitolo 26 *** Capitolo 26 ***
26.
McCoy sospirò forse per la centesima volta, nell'ascoltare il resoconto stringato di ciò che Anthony Consworth e Parker Jones avevano scoperto su William Consworth.
Quando poi venne a sapere ciò che era stato trovato nella caverna, non poté che imprecare per la sorpresa e, dopo essersi passato una mano tra i capelli sale e pepe, sbottò: "Qui, invece di dipanare una matassa, se n'è aggiunta un'altra!"
"Sappiamo tutti e tre di aver fatto una sciocchezza, agente..." terminò di dire Anthony, il tono fiacco e il corpo piegato dallo sfinimento. "...e accetteremo senza fiatare qualsiasi punizione vorrà comminarci. Siamo tutti d'accordo. Ma dovevamo essere noi, a trovare Mickey."
"Posso quasi capire te ed Emily... ma il signor Jones che c'entra, con questo caso?" sospirò esasperato McCoy.
Anthony allora sorrise, si grattò distrattamente una guancia ormai ispida di barba e asserì: "E' il nostro consulente matrimoniale, più o meno."
"Come, scusa?" gracchiò l’agente.
Il giovane sorrise, scosse una mano come a non voler dare peso al suo dire e aggiunse: "E' un buon amico. Per entrambi. Non ci avrebbe mai lasciato andare da soli."
"Grandioso! Pure il buon samaritano mi doveva capitare!" esalò McCoy prima di sbuffare e aggiungere: "Per quanto mi spiaccia dirlo, a parte un richiamo scritto, penso non potrò fare altro contro di voi. La cittadinanza mi ammazzerebbe prima di mettere piede fuori di qui, se sapesse che ho punito gli eroi di Nederland."
"Credo che Meyerson si inventerà qualcosa di più subdolo, non dubiti" sogghignò a quel punto Anthony, prima di domandare: "Ha terminato, con me? Vorrei andare a fare un pisolino. Sono più stanco di quanto non credessi."
"Tse. Un pisolino!" lo prese in giro McCoy. "So bene dove vorresti essere ora, e dove sgattaiolerai non appena uscito da qui."
"Io?" mormorò Anthony con aria ingenua.
McCoy ghignò al suo indirizzo e replicò: "Sai benissimo che, in fondo al corridoio, stanno interrogando tuo padre, e io so benissimo che riusciresti a intrufolarti dentro la sala degli interrogatori per sentire cosa dicono."
"Non sono così bravo. Lo giuro" sottolineò per contro Anthony.
"Forse... ma conosci tutti, qui, e penso che chiuderebbero anche tutti e due gli occhi, al momento, pur di farti un favore perciò, prima che io sia costretto a punire qualcuno a causa tua, vieni con me e facciamola finita" brontolò McCoy, invitandolo a uscire con lui.
Tony lo seguì in un silenzio un po' sorpreso e, quando l'agente lo fece entrare nella stanza in cui era possibile visionare l'interrogatorio, esalò confuso: "Ma... perché non lo sta interrogando lei?"
"Meyerson ha insistito per affrontarlo a muso duro, e io penso che se lo meriti. Inoltre, da quel che so, sono vecchi commilitoni, quindi penso che sappia prenderlo meglio di chiunque altro, tra di noi" scrollò le spalle McCoy prima di chiedere ragguagli all'agente presente in stanza.
"Per ora, non ha ammesso alcun addebito in merito ai resti ritrovati nella miniera" lo informò l'agente. "Si è dichiarato non colpevole, adducendo come scusa che stava semplicemente riparando un torto subito otto anni addietro, quando gli è stato negato di stare con il nipote."
"Ancora con questa storia... Mickey non è mio figlio, e lo so con assoluta certezza. Non c'è neppure bisogno del test del DNA" sbottò Anthony, scuotendo il capo per l’esasperazione e la stanchezza. Non aveva neppure più la forza di arrabbiarsi, in tutta onestà.
Il padre gli aveva tolto anche l’ultimo residuo di forza, con quell’ultimo, terribile atto.
McCoy sbuffò nel grattarsi la nuca e chiosò: "Certe fissazioni sono dure a morire, a quanto pare."
"Ce l'ha sempre avuta con me, per questo, ma pensavo che ormai fosse storia vecchia. Invece, a quanto pare, la nascita di Sophie lo ha mandato in bestia, facendogli congegnare questo piano" sospirò Anthony. “Quanto a mia madre… non so davvero che dire.”
“Per i resti, dovremo attendere il responso del DNA, anche se la fede nuziale trovata sul cadavere lascia ben poche alternative al caso” mormorò McCoy, dandogli una pacca sulla spalla. “Nessuno ha mai sospettato nulla? I genitori? Gli amici?”
“Da quel che so, no. I miei nonni materni non sono mai stati molto presenti perché, per quel che sapevo allora - e ho scoperto più tardi -, non hanno mai accettato il matrimonio di mia madre con mio padre. E ora, forse, ne capisco anche il motivo. Probabilmente avevano già capito di che pasta era fatto.”
Ciò detto, lanciò uno sguardo oltre il vetro che li separava e scrutò quel volto arcigno e segnato dall’odio che, ormai, non riusciva più a riconoscere come suo padre.
Quell’uomo poteva anche aver avuto a che fare con la sua nascita, ma erano stati i suoi nonni, Cooper, Gilda e Michael a crescerlo.
***
“Allora… c’è niente che tu voglia dirmi di vero, William?” esordì Michael, sedendosi dinanzi al vecchio commilitone.
Erano passati davvero troppi anni da quella maledetta guerra, eppure gli sembrava di non aver trascorso neppure un giorno lontano da quelle lande di morte, quando si trattava di William.
Quell’uomo aveva la stramaledetta capacità di riportare a galla episodi discutibili del loro passato e, anche in quel caso, avvenne con drammatica puntualità.
Scene di un passato assai poco edificante si intervallarono dinanzi ai suoi occhi come se stesse rivivendo un film sul Vietnam, coi loro comportamenti discutibili, le loro uccisioni sommarie, lo scarso rispetto della vita.
Scacciando quelle immagini con uno sbuffo, Michael tornò a scrutare il suo silenzioso interlocutore e, con un gesto secco della mano, lo invitò a dire qualcosa.
Qualsiasi cosa, pur di terminare quanto prima quell’assurdo interrogatorio.
“Il tanto blasonato sceriffo Meyerson vuole salvarmi ancora una volta, forse?” ironizzò a quel punto William, levando un angolo della bocca per poi scrutare beffardo il capo della polizia.
“Sei ben oltre qualsiasi possibile salvezza, William ma, sinceramente, vorrei capire” sospirò Michael. “Hai mandato tutto alla malora per una cosa che non esiste, e ne ho le prove proprio qui, nelle mie mani. Ma hai peggiorato di molto le cose con Marlene.”
“Non so di cosa parli” sentenziò William, atono.
Lo sceriffo, allora, aprì la cartella medica di Michael Jeremy Larson e, nell’indicare un punto in particolare, aggiunse: “Tuo figlio è gruppo sanguigno AB, giusto?”
“Sì” mormorò guardingo William, accigliandosi.
“Beh, Consuelo è B, mentre Samuel è 0. Non a caso, Mickey è gruppo 0. Anche senza DNA, questo dovrebbe bastarti per capire che Mickey non può essere tuo nipote. Da un padre AB non può nascere un figlio con gruppo sanguigno 0” gli spiegò succintamente Michael prima di mettere via la cartella medica.
William si fece muto, dopo aver ascoltato quelle parole lapidarie, gli occhi fissi sul punto in cui, fino a qualche istante prima, era stata presente la cartella e ciò che in essa era contenuto.
“Hai fatto impazzire tuo figlio per anni, a causa di questa diatriba e, ancora prima, lo hai odiato per via delle pazzie di Marlene, ma lui non ha mai avuto colpa. Di nulla” soggiunse lo sceriffo, alzando di una tacca il tono della voce.
“Marlene non si è più sentita bene, dalla nascita di Anthony. Avevo tutto il diritto di rivalermi su di lui. A causa sua, mia moglie non è più stata la stessa!” sbottò a sorpresa William, sorprendendo lo stesso Anthony, che stava ascoltando l’intera storia per la prima volta.
“Depressione post-partum?” mormorò leggermente sorpreso Michael. “E tu reputi Tony il colpevole? Dio, William! Può semplicemente capitare! All’epoca, non era neppure riconosciuta come malattia!”
“Non mi interessa. L’unica cosa buona che avevo nella vita mi è stata tolta da mio figlio, e non potevo accettarlo” ringhiò William, disgustato.
“Come se i tuoi genitori non fossero stati una cosa bella! William, ma ascoltati! Ti hanno sempre aiutato, seguito e…”
William lo interruppe con un grido, ammettendo con rabbia: “Darren non era mio padre! E quella puttana di mia madre si è fatta mettere incinta dal primo venuto! Non parlarne come se fossero stati due brave persone!”
McCoy lanciò uno sguardo preoccupato all’indirizzo di Anthony, nell’udire quelle ultime, agghiaccianti parole e, nel poggiargli una mano sulla spalla, lo pregò di uscire. Il giovane, però, pur raggelato da ciò che aveva appena udito, declinò gentilmente l’invito, replicando: “Tanto vale che ascolti fino alla fine quanto oscuro è il mio passato.”
“Ragazzo…” sospirò l’agente speciale.
“Non si preoccupi. Starò bene” annuì coraggiosamente Anthony.
Dentro di sé, però, Tony iniziò a sentire parti di se stesso crollare in un pozzo melmoso e senza fondo, lo stesso luogo dove, con tutta probabilità, era rimasta rinchiusa per anni Emily, preda dei suoi incubi personali.
Cos’altro doveva scoprire, di suo padre? Quanto marciume sarebbe ancora venuto a galla, da quell’uomo? E lui, in tutta onestà, poteva davvero sopportare tutto questo? Poteva ancora ascoltare quelle terribili parole proferite contro i suoi nonni, che lui aveva sempre amato?
Nel vedere il cenno di diniego dello sceriffo, Anthony si fece comunque forza per riprendere l’ascolto dell’interrogatorio e, oltre il vetro, udì Meyerson domandare: “Davvero pensi che Darren non sia stato tuo padre? O che Julie si sia comportata in modo disonorevole? Da dove ti vengono queste idee?”
“Dalla bocca di Gareth Simpson, se proprio vuoi saperlo” sottolineò William con un sogghigno.
“Ah” sospirò a quel punto Michael, sorprendendo un poco lo stesso William, oltre alle persone presenti oltre lo specchio.
“Cosa ne sai, tu?” si insospettì subito Consworth senior, fissando malamente lo sceriffo.
“Ne so qualcosa visto che la verità, prima o poi, trova il modo di venire allo scoperto. Gareth venne da me per una confessione tardiva, quando sapeva di avere ancora poco tempo da vivere, perché desiderava mettersi l’animo in pace” ammise lo sceriffo, sorprendendo ulteriormente il suo auditorium.
“Perché… perché tu?”
“Perché ero un fresco agente di prima nomina, una persona onesta – almeno a suo dire – e, tra le altre cose, un tuo ex commilitone. Venne da me perché ti conoscevo. Sperava che, parlando con me, il segreto che custodiva mi avrebbe permesso di capirti meglio e di prevenire eventuali tuoi colpi di testa. Cosa che, evidentemente, non sono stato in grado di fare.”
“Cosa ti disse?” ringhiò William, piegandosi minaccioso verso di lui.
Michael non vi fece caso – le manette lo tenevano saldamente ancorato al tavolo della sala interrogatori – e aggiunse: “Mi disse di Julie, dello stupro che subì per mano di suo cugino, un certo Paco Ramirez, e del fatto che Darren decise di prendersi cura di te e di Julie, nonostante non fosse lui il tuo vero padre. La famiglia di Darren lo osteggiò, ma lui fece comunque di testa sua e tu venisti al mondo con il nome di William Consworth.”
Will arricciò nervosamente il naso, scosse il capo e replicò irritato: “Non fu stupro. Lei… lei tradì Darren. E lui fu così stupido da crederle e proteggerla, finendo col divenire becco.”
“Perché pensi questo?” domandò stanco Michael.
Consworth senior ebbe la decenza di non parlare e, ancora, Michael estrasse un foglio dalla cartella che teneva sulle ginocchia, asserendo: “Abbiamo la certezza che fu uno stupro, visto che Julie fu visitata il giorno dopo l’evento, e ne venne accertata la violenza da un medico. Fu grazie all’aiuto di Gareth e del dottor Seymour, che la visitò, se non venne alzato un polverone sulla faccenda, e tuo padre si prese l’onere di dichiararsi padre del bambino, sposando in tutta fretta Julie perché tu nascessi legittimamente. All’epoca, la reputazione di Julie sarebbe stata distrutta per sempre, a causa di quel fattaccio, anche se lei era l’unica vittima, perciò tuo padre non fu mai becco. Fu piuttosto un eroe, un dannatissimo eroe.”
William digrignò i denti per il furore e Michael, imperterrito, proseguì dicendo: “Per tutti questi anni hai creduto che tua madre fosse stata una fedifraga, e tuo padre un debole, ma mai una volta hai provato a pensarla diversamente, su di loro. Mai una volta hai visto tutto l’amore che hanno riversato su di te. Te ne sei sempre fregato.”
“Evidentemente, la mela non cade lontana dal ramo” sentenziò amaro William, volgendo il capo per scrutare il muro della cella.
Anthony si sentì rabbrividire al suono di quelle parole e McCoy, al suo fianco, dichiarò lapidario: “Non è vero. Non credergli.”
Lui assentì, mormorando fiacco: “Lo so. Basta pensare a Sherry e a suo fratello. Loro sono ben diversi dalla madre. Però… fa male lo stesso.”
McCoy annuì, strinse con maggiore forza la mano sulla spalla del giovane e, in cuor suo, pregò che l’uomo che era toccato in sorte a quel ragazzo scontasse il massimo della pena nel peggior penitenziario degli Stati Uniti.
***
Sorseggiando un succo di frutta mentre Emily lo ragguagliava in merito agli ultimi sviluppi e Anthony se ne stava spaparanzato sul divano a farsi coccolare da Cleopatra, Parker chiosò dicendo: “Beh, almeno sappiamo che è veramente finita.”
Annuendo con vigore, Emy asserì: “Il DNA ha confermato che il cadavere è di Marlene, perciò William sarà incriminato per il suo omicidio, oltre che per il rapimento di Mickey.”
Ciò detto, lanciò un’occhiata preoccupata ad Anthony che, però, le sorrise, scosse il capo e replicò: “Non devi guardarmi ogni due minuti con il timore di vedermi crollare. Almeno, adesso so che mia madre non mi aveva affatto abbandonato.”
“E’ tutto il resto che mi preoccupa” sottolineò per contro Emily con un leggero sospiro.
“Emy ha ragione. La faccenda non è certo delle più allegre” soggiunse Parker, levandosi dalla sedia su cui si era assiso per godere della merenda che Emily gli aveva gentilmente offerto.
Raggiunto che ebbe il divano, carezzò Cleopatra – che gli tributò un’occhiata adorante – e terminò di dire: “Certe batoste non vanno prese sottogamba, o potresti soffrirne in futuro.”
“Ho già sperimentato cosa significhi rimanere imprigionati nel proprio passato oscuro…” annuì Anthony, sorridendo a Emily. “… e, proprio per questo, non vi mentirò mai, né tacerò sui miei dubbi ma, ora come ora, sono solo contento che Mickey sia a casa. Avrò tempo per gli scoppi d’ira più avanti, quando avrò recuperato le forze e sarò più lucido.”
“Okay… se la metti così, sto zitto” chiosò a quel punto Parker, ammiccando all’indirizzo dell’amico.
Anthony assentì e, nel tornare a guardare Emy, attese impaziente una sua risposta in merito.
Lei allora sospirò, annuì a sua volta e disse: “Va bene. Mi calmerò anch’io. Prometto di non stressarti e di aspettare che sia tu a chiedere il mio eventuale aiuto.”
“Grazie” mormorò lui, lasciando poi ricadere il capo sul bracciolo del divano.
Cleopatra ne approfittò per tempestarlo di baci umidi e questo diede il via a una corale risata liberatoria, risata che però venne interrotta dal suono del telefono, che Emily prese in mano con espressione dubbiosa.
Quando, però, scorse il numero in entrata, storse il naso e borbottò: “Ahia. Altra sgridata in arrivo.”
Curioso, Anthony le domandò: “Chi è?”
“Max” mormorò lei, accettando la chiamata con aria esasperata.
In quel mentre, l’abbaiare di Cleopatra annunciò l’arrivo della famiglia Poitier al gran completo ed Emily, con un cenno della mano, li salutò mentre diceva: “Sì, hai ragione da vendere, Max. Sono stata sconsiderata, scellerata, disgraziata… tutto ciò che finisce per –ata va bene.”
Jordan ridacchiò divertito nell’udire il nome dell’uomo che, per anni, lo aveva sostituito nel ruolo di padre – nel cuore della figlia – e, ammiccando al suo indirizzo, le domandò in un sussurro: “Altra tirata d’orecchi?”
“L’ennesima” assentì ammiccante lei prima di dichiarare querula: “Te lo giuro, Max. Sono confinata in casa per un mese. Lo sceriffo mi ha scartavetrato, l’agente McCoy per poco non mi ha messa sulla lista nera dell’FBI, e Gilda! Come non parlare di lei? Gilda mi ha minacciato di morte con i suoi coltelli da cucina!”
Dal telefono giunse una risata grassa e compiaciuta ed Emily, strizzando l’occhio al padre, mise in vivavoce e disse: “Ora puoi farti sentire da tutti, Max. Vuoi che anche la mia famiglia sia messa al corrente della tua opinione?”
“Beh, se sono lì con te, e c’è anche tuo padre, io sono già a posto così. Ci penserà lui a sistemarti per le feste” dichiarò l’uomo con tono allegro. “O forse sarà tua madre. Non so neppure io chi potrebbe essere il più terribile.”
“Sto già pensando a una punizione esemplare, non temere, Max” dichiarò a quel punto Jordan, facendo sobbalzare Emily, che lo fissò basita.
Il padre allora rise di gusto, le diede una pacca sulla spalla dopodiché, rivolto al telefono, domandò: “Noi siamo sempre d’accordo, vero, Max?”
“Ovviamente” assentì l’uomo.
Emily, allora, fissò dubbiosa il padre e domandò: “D’accordo su cosa, scusa?”
“Niente che ti riguardi” replicò laconico Jordan, facendo scoppiare a ridere Max.
Sempre più sconcertata, Emily guardò la madre, che negò qualsiasi addebito, e anche Jamie scosse il capo, ignaro delle macchinazioni del padre.
A quel punto, Emy domandò al diretto interessato, ma anche Max replicò: “Non preoccuparti. Niente che ti debba interessare.”
Accigliandosi sempre di più, Emily borbottò: “Non me la raccontate giusta, voi due.”
I due uomini allora risero di gusto, Max si raccomandò di non combinare altri guai dopodiché, con un ultimo saluto, chiuse la chiamata ed Emily, nel fissare arcigna il padre, dichiarò: “Prima della vostra partenza, ti farò parlare.”
“Ne dubito, ma puoi provarci” ribatté l’uomo prima di dire: “Sarà meglio se mangiamo le prelibatezze di Gilda, prima che diventino fredde.”
“Il cibo di Gilda è buono a prescindere… ma caldo lo è sicuramente di più” chiosò Emily, inspirando il buon profumo di pesce che proveniva dai contenitori di alluminio.
“Abbiamo pensato che potesse essere un buon modo per passare la serata” intervenne a quel punto Margareth, sfiorando con una mano la spalla della figlia, che annuì compiaciuta.
“Avete pensato bene. Ma non manca qualcuno?” domandò Emily, guardando alle spalle dei famigliari.
Sghignazzando, Jamie celiò: “Beh, Rick e Sherry hanno gentilmente declinato perché vorrebbero passare la serata da soli.”
“Buon per loro” ammiccò allora Emily, avviandosi lesta verso la credenza per preparare la tavola, subito seguita a ruota da Margareth e Jamie.
Jordan, per parte sua, si avvicinò al divano e, nel sedersi accanto ad Anthony, domandò: “Come stai, ragazzo?”
“Come ho detto ai due falchi che mi hanno tenuto d’occhio finora…” accennò Tony, ammiccando all’indirizzo di Parker ed Emy. “…sto bene. Sono solo tremendamente stanco. Al momento, sono felice che Mickey sia a casa e lieto di aver scoperto che, in realtà, mia madre non mi aveva affatto abbandonato. Per il resto, avrò tempo.”
Jordan si ritenne soddisfatto e, nel dargli una pacca sulla spalla, dichiarò: “Qualora ti andasse di parlare, basta una telefonata, in ogni caso.”
“Grazie. Davvero” annuì Anthony con un sorriso.
***
Il Crosscut Pizzeria & Taphouse era stracolmo di persone allegre e vocianti e, tra i vari tavoli gremiti di persone, un unico argomento si faceva largo assieme al profumo inebriante della pizza cotta nel forno a legna.
La liberazione di Mickey e l’arresto di Consworth senior.
Tra chi si rallegrava per il ritorno del bambino e chi si rattristava per Anthony, il caotico parlottare creava un muro sonoro che proteggeva paradossalmente Sherry e Rick da eventuali curiosi.
“Sei sicura che la pizza vada bene? Avremmo potuto andare da un’altra parte” sottolineò forse per la trentesima volta Rick, pur apprezzando la pasta croccante dell’impasto e gli aromi sprigionati dalla pietanza.
Sherry sorrise dietro il bordo del bicchiere di birra che stava sorseggiando e, non appena lo ebbe poggiato sul tavolino di legno massello, replicò: “Hai di fronte a te una mangiatrice compulsiva di pizza. Va bene, anzi benissimo, credimi.”
Tranquillizzato da quelle parole, Rick allora le domandò: “Ora che il caso è chiuso, cosa pensi di fare?”
La donna mordicchiò pensierosa un pezzetto di pizza dopodiché, con un sospiro, mormorò: “Beh, dipende tutto da una certa persona.”
“In che senso?” si accigliò leggermente Rick.
“Vedi, un uccellino mi ha detto che lo zio di Emily vi ha offerto un lavoro a Boulder e, guarda caso, a Boulder c’è un’agenzia di Investigazioni che sta cercando personale, perciò…” dichiarò con falsa noncuranza Sherry, scrollando una mano con fare distratto.
Rick, però, borbottò: “Tu adori fare la cacciatrice di taglie. Davvero ti chiuderesti dentro un ufficio per curiosare conti correnti, o per fotografare uomini che fanno le corna alla moglie?”
Sorridendo divertita di fronte a quella visione semplicistica del lavoro di investigatore, Sherry replicò: “Vedi, Rick, il punto è un altro. Ho trent’anni, mi hanno sparato più volte di quante io voglia ricordare e ho più ossa rotte – e risaldate – di un pugile. Onestamente, avrei voglia di fermarmi un po’ più spesso a casa, invece di essere sempre in giro per mezzo Paese. Così, potrei anche fare visita a Gin più spesso.”
“Ne sei sicura?”
“Rick, il lavoro di cacciatore di taglie si può fare per un po’, e ti pagano bene ma, se vuoi costruirti una famiglia, prima o poi devi fermarti” gli sorrise lei, allungando una mano per afferrare la sua. “Ti lasciai andare anni fa, e solo perché fui così orgogliosa da non cedere a ciò che desideravo, troppo allettata dai soldi che stavo facendo e dall’inebriante sensazione di libertà che mi dava il lavoro, ma ora sono diversa. Ora, non voglio più mettere in secondo piano me stessa, né te.”
Lui assentì, intrecciò le dita a quelle di Sherry e le domandò: “Parker ha deciso di rimanere qui e di fare il pendolare. Dopotutto, sono venti minuti d’auto, niente di che. Io pensavo di fare lo stesso e trovarmi un posto tutto mio. Quel che voglio sapere è; sei disposta a rimanere qui con me? Nederland potrà piacerti?”
Storcendo un poco la bocca, Sherry borbottò: “Credi che io abbia bisogno di una boutique di alta moda, o di un gioielliere di Cartier?”
Rick allora rise sommessamente, scosse il capo e replicò: “No, affatto. Comincio a capire come sei e, anche se vedo che ti piacciono i capi firmati, non ti interessa realmente averli. Quel che intendevo dire era se avrebbe potuto piacerti per crescerci una famiglia.”
Arrossendo suo malgrado, Sherry reclinò il viso e, piena di imbarazzo, esalò: “Voi uomini del sud andate dritto al sodo, eh?”
Rick rise più forte di fronte al suo manifesto disagio e, nello stringere maggiormente la mano di lei, aggiunse: “Non voglio ci siano più fraintendimenti, tra noi due, e parlar chiaro è un vizio di famiglia.”
“Credi che starebbe bene, a tua madre, una nuora che sa sparare, tirare cazzotti e parlare come uno scaricatore di porto?” domandò a quel punto Sherry, ammiccando al suo indirizzo.
“Beh, quanto all’ultima parte, la lascerei segreta ancora per un po’. Per il resto, mia madre non disdegna affatto chi si sa difendere da solo, e credo potrebbe persino usarti come scusa per imparare a sua volta” ironizzò allora Rick, sollevandole la mano per baciarne il dorso.
Sollevando le sopracciglia con aria pienamente interessata, Sherry domandò: “Come? Vorrebbe imparare?”
“Ha lanciato qualche accenno qua e là, nel corso degli anni, ma mio padre ha sempre nicchiato. Può darsi che, vedendo te, potrebbe tornare alla ribalta” ipotizzò Rick.
“E tuo padre sarebbe d’accordo?”
“Se rendesse felice mia madre, e me, non avrebbe nulla da ridire” si limitò a dire Rick con una scrollata di spalle.
“Beh, allora…” chiosò Sherry prima di levarsi in piedi, allungarsi oltre il tavolo per stampargli un bacio a schiocco sulle labbra e infine urlare: “Quest’uomo diventerà mio marito!”
Nel locale vi fu un attimo di totale sconcerto, seguito da un fragoroso applauso, fischi e risate chiassose, intervallate da pacche sulle spalle a un attonito Rick e strette di mano alla orgogliosa Sherry.
Persino il proprietario del locale si avvicinò per fare loro le congratulazioni e, quando Sherry gli chiese spudoratamente se conoscesse qualcuno che potesse trovare loro una casa in cui abitare, gli aiuti si sprecarono.
Rick fu così subissato di consigli, numeri di telefono e commenti più o meno piccanti sulla sua futura moglie, mentre Sherry venne sommersa di abbracci da parte di perfette sconosciute, tutte pronte a dare il loro contributo genuino per la causa.
Dopotutto, questo e altro per i futuri nuovi arrivati.
Fu solo un paio d’ore dopo che la coppia riuscì finalmente a tornare in albergo, la borsetta di Sherry ricolma di biglietti da visita e appunti vari raccattati per il locale.
“E chi l’avrebbe mai immaginato che un paesino di montagna potesse essere così aperto a due nuovi venuti?” esalò Rick, accostando l’auto all’entrata dell’albergo.
“Ci hanno visti mentre davamo una mano nella ricerca di Mickey, e qualcuno si ricordava sia di me che di te, perciò, per loro, non siamo solo dei nuovi venuti. Caso mai, siamo dei nuovi amici che hanno scelto loro come nuova casa” replicò Sherry, scendendo dall’auto di Rick con un movimento elegante delle gambe.
“Casa, eh?” motteggiò lui, allungandole una mano.
Lei assentì, sorrise al suo uomo e mormorò: “Sì, casa.”
N.d.A.: finalmente si chiude la vicenda che ha visto Mickey come involontario protagonista e, anche se per Tony le batoste sono state tante, sa di poter contare su una famiglia allargata dalle spalle possenti a cui aggrapparsi, e una donna che lo ama sinceramente.
Quanto a Rick, Sherry e Parker, come avete potuto notare, non si allontaneranno dai loro amici, perciò formeranno un'allegra brigata, da qui in poi.
Col prossimo capitolo, chiuderò definitivamente questa avventura, che vi ringrazio di aver seguito con me, dopodiché tornerò nel mondo dei miei licantropi, con due storie che posterò una di seguito all'altra. La prima, si intitolerà "Storia di un Cacciatore" e, da come si evince dal titolo, parlerò dei più antichi nemici dei lupi di Fenrir, ma da un punto di vista piuttosto singolare. La seconda, sarà più internazionale... anzi, oserei dire, galattica, e coinvolgerà nuovissimi personaggi, mai comparsi finora in nessuna storia... e potremo finalmente fare la conoscenza dell'ultimo fratello di Fenrir. Jormungandr!
Vi aspetto!
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Capitolo 27 *** Epilogo ***
Epilogo
Consuelo stava facendo dondolare la sedia-sdraio di Sophie mentre, con un sorriso tranquillo, osservava le figure di Anthony e Samuel impegnate a chiacchierare nel giardino dietro casa.
La buriana sembrava essere passata e, con l’allontanamento dell’FBI, anche i giornalisti se n’erano pian piano andati da Nederland, facendo tornare la serenità in paese.
Com’era ovvio, la scoperta del misterioso rapitore di Mickey aveva fatto sollevare un vespaio tra gli abitanti del posto ma, non senza una certa sorpresa, la comprensione per Anthony era stata unanime.
V’erano stati commenti più o meno velenosi in merito a William, ma nessuno indirizzato al figlio, segno di quanto il giovane fosse stato capace di intessere veri legami d’amicizia, con gli abitanti di Nederland.
Consuelo si era però sentita straziare il cuore quando, la mattina seguente al ritorno di Mickey, l’amico si era presentato a casa loro e, in lacrime, si era gettato ai loro piedi per chiedere umile perdono.
Samuel si era affrettato a sollevarlo da terra e ora, dopo alcune ore di impegnative trattative per tranquillizzare l’amico, era finalmente riuscito a rasserenarlo a sufficienza per vederlo sorridere.
Nel volgere lo sguardo quando vide giungere Emily in compagnia di Cleopatra, Consuelo sorrise e domandò: “Sei venuta a controllare il tuo uomo?”
Emily sorrise di rimando, osservò i due amici e il piccolo Mickey impegnati in una conversazione all’apparenza rilassata e, nel dare un buffetto sulla guancia a Sophie, disse: “Non sapevo cosa aspettarmi, quando stamattina mi ha detto cosa aveva intenzione di fare. Ha pianto tutta la notte, prima di riuscire ad addormentarsi.”
Consuelo sospirò, annuendo spiacente. “Anthony non ha mai meritato di soffrire tanto, e suo padre ha fatto davvero di tutto per rendergli la vita un inferno, ma sono contenta che, ormai, la sua ombra non possa più impedirgli di brillare come merita.”
Emy assentì al suo dire, ben conscia di quanto, ancora, Consuelo volesse bene all’antico fidanzato. Se c’era una persona che avrebbe sempre pensato al bene di Tony, oltre a lei, era sicuramente Consuelo.
“Papà ha già messo in pista uno dei suoi migliori avvocati, perché il tutto si svolga nel modo più veloce e indolore possibile, così che Anthony non si debba preoccupare di nulla” la mise al corrente Emily, salutando poi Mickey quando venne loro incontro.
Abbracciandola alle gambe, il bambino le sorrise grato e disse: “Ciao, zia Emy! Che bello che sei qui anche tu! Vieni a giocare con zio Tony e il papà? Vorremmo giocare a nascondino, ma loro non vogliono, così ho pensato che, se l’avessi chiesto a te…”
Emily rise di gusto, scosse il capo e replicò: “Tesoro, giocherei a tutto, con te, ma non a nascondino. Almeno per i prossimi vent’anni.”
Mettendo un adorabile broncio mentre la madre rideva sommessamente, Mickey borbottò: “Non siete divertenti, voi grandi. Allora posso giocare con Cleopatra?”
“Questo sì” ammiccò Emily, dando una pacca sulla schiena alla sua cagnolona, che la osservò in attesa di ordini. “Gioco, Cleo. Mickey. Gioco.”
Cleo allora abbaiò allegra e, correndo al trotto verso il prato, si lasciò inseguire da un ridente Mickey, all’apparenza sereno e per nulla turbato dall’esperienza traumatica appena vissuta.
“Il dottore che dice?” si informò a quel punto Emily.
“Pare che William sia stato buono, con lui, pur se gli ha mentito su di noi” le spiegò Consuelo, prendendo in braccio Sophie quanto questa iniziò a piagnucolare per la fame.
Slacciandosi poi lo chemisier, iniziò ad allattarla per poi aggiungere: “Mickey dice che ha cominciato a spaventarsi un po’ solo gli ultimi giorni, ma che era certo lo avremmo trovato prima della loro partenza.”
“Gli aveva detto dove sarebbero andati?”
“No. Ha parlato solo di un posto lontano e al sole. Forse la Florida, o la California. Chissà” sospirò Consuelo. “Tony mi ha raccontato di suo padre… sì, insomma, del suo passato.”
“Oh” esalò Emily, sgranando gli occhi.
“Non fa specie che ce l’abbia sempre avuta con me. L’uomo che stuprò sua madre era messicano come me, pur se aveva parenti americani. Inoltre, per lui tutte le donne erano traditrici e, secondo il suo metro di giudizio, Tony è sempre stato troppo debole, con me.”
Nel dirlo, sorrise triste e aggiunse: “Se non fosse stato così duro con me, forse avrei finito con lo sposare Tony e ci saremmo odiati a morte.”
“Non tentare di trovare un lato positivo in lui, ti prego” replicò Emily. “Tu e Sam vi sareste comunque trovati. Ne sono sicura.”
“Come tu e Tony” le sorrise a quel punto Consuelo, stringendole una mano.
“Già. Mi ci sono solo voluti vent’anni, per rinsavire e trovare l’uomo giusto per me. Dopotutto, non è neanche tanto, no?” ammiccò Emy, e l’amica rise con lei mentre Anthony e Samuel, con passo tranquillo, le raggiungevano.
Accostatosi a Emy, Anthony la strinse in un dolce abbraccio, le sussurrò il suo amore dopodiché, nel guardare l’orologio, disse: “Temo dovremo avviarci. Ormai è ora di pranzo.”
“Già” assentì Emily, abbracciando Samuel prima di esclamare: “Mickey! Pensi tu a Cleo?”
“Sicuro, zia!” assentì tutto contento il bambino, abbracciato al bernese con aria compiaciuta.
Emily e Anthony, a quel punto, salutarono la coppia e, mano nella mano, si avviarono per scendere verso il paese, ormai pronti per l’arrivederci che li stava attendendo al diner.
***
Gilda giunse al numeroso tavolo d’angolo del suo locale servendo ai presenti caraffe d’acqua, un buon vinello bianco della California e un paio di birre per Jamie e Parker.
Dando poi una carezza sul viso a Emily, motteggiò: “Sarà strano non rivedere in giro per Nederland metà di voi.”
Jamie le sorrise ammiccante e replicò: “Per te, potrei anche decidere di trasferirmi qui, ma solo se prometti di sposarmi.”
Gilda rise divertita mentre Cooper, facendo capolino dalla cucina, replicava: “Tu finirai nei guai, prima o poi, ragazzo, se non calmi i tuoi bollenti spiriti. Quella donna è già presa, mi spiace.”
Mentre la tavolata scoppiava in un’allegra risata, Gilda strizzò l’occhio a Jordan Poitier e chiosò: “Non è bello essere così desiderate?”
“Mio figlio dimostra di avere un gusto assai sopraffino, su questo non c’è dubbio” celiò l’uomo.
“Vedi, caro? Dovresti essere felice che io abbia scelto te, nonostante la concorrenza” ridacchiò a quel punto Gilda, tornandosene al bancone.
Cooper brontolò qualcosa di intelligibile prima di tornarsene in cucina col figlio ed Emily, nell’asciugarsi una lacrima di ilarità, esalò: “Dio! Gilda ha ragione! Sarà stranissimo non avervi qui tutto il tempo, ma è davvero ora che torniate a casa.”
“Beh, io potrei rimanere. Dopotutto, sono senza lavoro, no?” chiosò Jordan, scrollando le spalle con noncuranza.
“Papà, per quanto io apprezzi la tua presenza, duemila metri di altezza non sono il massimo, per una persona che ha sofferto di cuore. E’ ora che tu ritorni a livelli più consoni per la tua salute” precisò Emily, pur dandogli una pacca consolatoria sul braccio.
“Non ricordarmi il mio infarto, per favore. E’ qualcosa che vorrei cancellare dalla mente” sbuffò l’uomo.
“Ho imparato a mie spese che sotterrare i ricordi è pericoloso” replicò la giovane con un mezzo sorriso. “Ma ti prometto che verrò a trovarvi spesso.”
“Di sicuro, voglio vedervi tutti per Natale. E non accetterò un no come risposta” ci tenne a dire Jordan, indicando con un dito tutti i presenti.
Parker e Rick si guardarono dubbiosi, così Margareth intervenne dicendo: “Ragazzi, anche voi due. E, naturalmente, estendete l’invito anche alla vostra famiglia. Conoscere gli amici di Emily e Jamie è una cosa molto importante, per noi, e festeggiare il Natale in compagnia sarà un bella novità, dopo tanti anni di cene silenziose.”
Emily assentì a quell’accenno, sapendo bene che, in quei vent’anni, era sempre stata lei a impedire che ciò potesse avvenire. Nell’osservare i suoi amici riuniti al tavolo, quindi, dichiarò: “Ve lo chiedo anch’io. Venite con i vostri genitori e Quentin. Sarebbe davvero stupendo festeggiare tutti assieme e conoscere anche il resto della famiglia Jones.”
“Quanto a te, Sherry, informa Gin e suo marito che vorremmo anche loro, alla festa di Natale. Siete stati la famiglia di Emily quando noi non abbiamo potuto esserci…” aggiunse Jordan, sorridendo alla cacciatrice di taglie. “…perciò vorremmo dimostrarvi tutta la nostra gratitudine per ciò che avete fatto. E creare, se possibile, una nuova tradizione di famiglia, chissà.”
Sherry assentì con un sorriso pieno di affetto e gratitudine e, nell’osservare Emily, disse: “Emy è stata per me una famiglia tanto quanto io lo sono stata per lei, perciò accetto volentieri, e credo che farà piacere anche a Gin, saperlo.”
Jordan assentì soddisfatto, lanciò un’occhiata a tutte le persone che erano sedute assieme a lui a quell’affollato tavolo nel diner di Gilda Mattei e, tra sé, poté finalmente tirare un sospiro di sollievo.
Aveva impiegato più di vent’anni per recuperare un rapporto degno di tale nome con sua figlia e, anche se avevano perso un’infinità di tempo e di occasioni, poteva comunque essere lieto del risultato finale.
Non poteva cancellare il dolore provato da Emily, lo sconforto di Jamie al pensiero di avere la sorella lontana da sé o l’angoscia di sua moglie per la spaccatura che si era venuta a creare in famiglia. Poteva soltanto fare del proprio meglio per impedire che, da quel giorno in poi, niente altro potesse turbare la loro felicità.
Certo, il processo a William Consworth avrebbe pesato su di loro, per un po’, e lui avrebbe dato il tutto e per tutto per aiutare Anthony ed Emily a non sentirsene schiacciati, ma ora sapeva come fare.
C’era davvero troppo, in ballo, per permettersi di commettere nuovamente un errore.
***
L’aeroporto di Denver era come sempre caotico e ricco della frenetica adrenalina di chi non vede l’ora di partire, o di chi ha fretta di raggiungere una destinazione dopo essere atterrato.
Mentre Margareth ed Emily erano impegnate al duty free per recuperare giornali e parole crociate da impiegarsi per il viaggio di ritorno a New York, Jordan approfittò di quel momento per parlare con Anthony.
Quei pochi giorni passati dalla liberazione di Mickey e l’incriminazione di Consworth senior erano trascorsi tra il caos dei festeggiamenti, il rincorrersi di notizie di prossimi matrimoni – Sherry e Rick sarebbero stati i primi – e la preparazione per il rientro a New York.
Anthony aveva nel frattempo annullato la vendita dell’albergo, mantenendo al tempo stesso tutti coloro che vi lavoravano all’interno, in attesa che il termine del processo gli permettesse di procedere con gli ammodernamenti che aveva in mente.
Il cambio di proprietà, visto ciò che era accaduto al padre, non avrebbe richiesto molto tempo, soprattutto grazie ai buoni uffici degli avvocati che Jordan aveva messo in campo per lui.
Tempo per parlare non ne era quindi rimasto, perciò Jordan non ne perse altro e disse ad Anthony: “Prima di partire, volevo parlarti di una cosa, Anthony.”
“Dimmi pure, Jordan” assentì il giovane, fissandolo con estrema serietà.
“L’agente McCoy mi ha spiegato a grandi linee ciò che ha detto tuo padre, e vorrei ti fosse ben chiara una cosa, prima che le sue parole possano ingigantirsi a tal punto da rovinarti la vita. Non è vero che la mela cade sempre vicino all’albero da cui nasce. La riprova ce l’hai davanti a te. I miei genitori non fecero nulla per aiutarmi a salvare mia figlia, anteponendo la ditta alla sua vita. Mia sorella si suicidò, pur di mettermi i bastoni tra le ruote e impedirmi di usare il denaro della società per riscattare Emy. Mio fratello François, infine, se ne andò quell’anno stesso perché fu così inorridito dalle scelte dei nostri genitori da voler divenire un fantasma per tutti, tranne che per Emily e Jamie. Come vedi, abbiamo avuto tutti comportamenti diversi, pur essendo nati dallo stesso grembo, quindi non pensare mai che le parole di tuo padre corrispondano al vero.”
Ciò detto, strinse le mani sulle spalle di Anthony per dare maggiore peso al suo dire e concluse dicendo: “So che lo sceriffo e Cooper Whindam sono per te come figure paterne, non mi ci è voluto molto per capirlo, ma spero che vorrai rivolgerti anche a me, qualora tu avessi bisogno di qualcosa. Anche solo per fare una partita a carte su internet.”
Quell’ultimo commento strappò un sorriso ad Anthony che, annuendo, celiò: “Sono una frana, con le carte. Mi stracceresti di sicuro.”
Jordan, allora, levò le sopracciglia con interesse e chiosò: “Oh, cielo! Non farlo sapere alla madre di Margareth, altrimenti sono guai. Lei è una giocatrice accanita, e farà di tutto per usarti come capro espiatorio e distruggerti fino al completo annientamento.”
Anthony, a quel punto, rise di puro gusto, una risata sincera che permise anche a qualche lacrima di scaturire leggera, subito spazzata via dal gesto veloce di una mano.
Annuendo, il giovane disse: “Eviterò di partecipare a tornei casalinghi, allora.”
“Sarà meglio. Altrimenti, potresti farti dare ripetizioni da Emily. Di solito è lei che si scontra con nonna Peggy” ammiccò Jordan.
“O anche da Max. So da Emily che è molto bravo, a carte” ammiccò Tony, facendo sorridere sornione Jordan, che annuì.
“Potresti, potresti davvero. Magari, a Natale” chiosò a quel punto Jordan.
Anthony sorrise divertito di fronte a quell’ammissione e disse: “Non temere che Emily lo abbia scoperto. E’ ancora confusa, riguardo alla strana telefonata dell’altro giorno.”
“Ma tu hai intuito lo stesso cosa avevo intenzione di fare” replicò l’uomo.
“Ci hai chiamati tutti a casa vostra per Natale, coinvolgendo anche la famiglia di Parker, oltre a Sherry e Gin. Perché lasciare fuori Max che, per anni, è stato come un padre, per Emily? Mi sembrava una manovra logica, il fatto che avresti inserito anche lui nell’invito” scrollò le spalle Anthony, vedendo in lontananza le due signore Poitier tornare con i loro acquisti.
“Hai pensato bene, ma spero che lo terrai per te. Vorrei fosse il mio regalo di Natale per Emy” lo pregò a quel punto Jordan.
“Da me non saprà nulla e credimi, ne sarà felicissima. Così come è felice di aver ritrovato te” ci tenne a dire Anthony.
“Lo spero” mormorò lui prima di sorridere nel veder tornare Margareth ed Emily. “Trovato qualcosa?”
“Tutto il necessario per riempire le ore di volo previste” annuì Emy, consegnandogli le riviste prima di guardarsi intorno e domandare: “Ma… e Jamie?”
“Stava chiacchierando con un’hostess appena atterrata dopo un viaggio a Rio de Janeiro, se non ho capito male” celiò Jordan. “Questo, per lo meno, succedeva venti minuti fa. Se non lo vedi in giro, può darsi che si sia imbarcato per chissà dove.”
Tutti risero sommessamente ed Emy, scuotendo esasperata le spalle, borbottò: “Dio! Basta che veda una donna e non capisce più niente.”
“Porta pazienza. Dopo il guaio di Elspeth, ha bisogno di riprendersi. Dopotutto, quella ragazza gli ha massacrato l’amor proprio” dichiarò conciliante Margareth.
“Forse, avremmo dovuto dirgli di affidarsi a Parker. Lui è molto bravo nell’aggiustare i problemi di cuore” celiò allora Emily, ammiccando all’indirizzo di Anthony, che assentì.
“Sì. Con noi è stato molto bravo” convenne Tony, stringendole una mano.
Dall’altoparlante giunse la notizia del prossimo imbarco per New York e, a quel punto, i coniugi Poitier si congedarono dai giovani prima di avviarsi al gate d’imbarco.
Rimasti soli, Emily e Anthony si avviarono lentamente verso l’uscita, schivando ritardatari e dando l’arrivederci all’aeroporto che, entro qualche mese, avrebbero rivisto in concomitanza con le festività natalizie.
Una volta usciti nell’enorme parcheggio antistante, Emily si fece scudo con una mano per proteggersi dal riverbero e, nel sorridere a Tony, domandò: “Pronto a rientrare a casa?”
“Direi di sì. Ma sei sempre convinta di volermi come tuo inquilino stabile?”
Emily non gli rispose, dandogli per contro una gomitata al fianco e Anthony, nel ridacchiare per tutta risposta, replicò: “Bastava rispondere ‘sì, Tony. Non posso più vivere senza di te.’ Come risposta sarebbe stata perfetta.”
“Un po’ spocchiosa, forse” ammiccò lei.
“Realistica” precisò per contro il giovane.
“Teatrale” ritentò allora Emily, picchiettandosi un dito contro il mento con fare pensoso. “Direi che potrebbe andare bene qualcosa come ‘ti amo. Perciò, perché no?’”
Anthony la scrutò con ironia, fece spallucce e infine disse: “Se non sai fare di meglio…”
“Accontentati. Io scrivo libri di viaggi, non romanzi d’amore.”
“Pignola” rise allora Anthony, coinvolgendola nella sua ilarità.
“Realistica” sottolineò lei, rubando la parola che in precedenza aveva usato Tony.
Detto ciò, si sollevò in punta di piedi e, afferratolo per il colletto della camicia, lo attirò a sé per un bacio che mise definitivamente fine a qualsiasi dubbio.
N.d.A.: qui si conclude la storia di Emily e, anche se non posso essere certa che non aggiungerò qualche OS in futuro, per il momento le sue avventure si chiudono qui. I conti con il passato sono stati chiusi, il futuro è lì che aspetta tutti i protagonisti di questa storia e ora non rimane altro che compiere il primo passo su questo nuovo sentiero.
A chi mi segue anche nel mondo dei licantropi, avviso che posterò una nuova storia, intitolata "Storia di un Cacciatore" e che sarà ambientata nel 2010, all'interno del Clan di Alec Dawson, a Bradford.
A presto, e grazie per avermi seguita fino a qui!
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