Ombre dal passato

di Aya88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I Questo capitolo è dedicato a Urdi perché mai avrei creduto che qualcuno volesse leggere una mia eventuale storia, ad hachi92 perché mi recensisce ovunque, e a ryanforever perché mi lascia quasi sempre un commento. Grazie e spero che vi piaccia. ^_^


Una macchina grigia procedeva a ritmo spedito lungo una strada extraurbana, che prima di raggiungere la città costeggiava ampie distese di campagne coltivate; in lontananza si distinguevano il caratteristico verso dei grilli, unico suono nel silenzio della notte, e le sagome di alcuni casolari messe in evidenza dal contrasto tra il fondo scuro del cielo e le luci che illuminavano l’interno.
Il conducente della vettura non poteva fare a meno di pensare che tutto sembrasse tranquillo, perfettamente nella norma, e avrebbe anche continuato a crederlo, se non fosse stato per gli improvvisi colpi di pistola che colpirono la parte alta del veicolo, rendendo la sua guida meno stabile. Gli spari e l’alterato andamento dell’auto strapparono al sonno la donna e la giovane ragazza dai capelli rosa che erano insieme all’uomo.
“Che cosa sta succedendo, Isoshi?”
“Papà, ma sono degli spari?”
“Non preoccupatevi, ci penso io, voi restate giù” le ammonì, cercando di tranquillizzare loro e nello stesso tempo se stesso.
Le due donne obbedirono immediatamente alle sue parole e si abbassarono il più possibile sui sedili per sfuggire alla traiettoria delle pistole.
Nel frattempo Isoshi Haruno tentò di seminare gli inseguitori, ma il suo tentativo risultò vano; ben presto si accasciò sul volante e la vettura uscì fuori strada. L’ultima cosa
di cui si rese conto la figlia fu lo schianto contro il riparo al lato della strada, poi seguì il buio totale.

 

Sakura si svegliò di soprassalto, gli occhi verdi sbarrati, il respiro affannato e il cuore che martellava rapido contro il petto, e come ogni volta attese pazientemente il ritorno alla normalità; ormai quella routine si ripeteva da due mesi.
Sei anni fa suo padre, commissario di polizia, aveva lavorato su un caso di spaccio di droga, e le sue indagini lo avevano reso un elemento scomodo per la malavita organizzata, che aveva pensato bene di eliminare il problema con un attentato in piena regola, un attento che aveva causato la morte d’entrambi i sui genitori. Per sopportare il dolore dovuto alla loro scomparsa ingiusta, all’età di diciotto anni aveva maturato la decisione di entrare in polizia; consegnare i criminali alla giustizia le dava l’impressione di punire quelle persone che, per i propri interessi, non avevano avuto il minimo scrupolo a portarle via le persone più importanti della sua vita.
In tal modo aveva creduto davvero di riuscire a superare il proprio passato, ma la sua era stata solo una convinzione illusoria; infatti, da quando si era trovata ad indagare su un caso di droga, i ricordi e gli incubi legati alla notte dell’attento erano tornati prepotentemente, e allontanarli era stato impossibile. Per sua fortuna aveva però trovato qualcuno in grado di darle la forza per andare avanti e non cedere di nuovo alla sofferenza, ed era perfettamente consapevole che non l’avrebbe mai ringraziato abbastanza.
A quel pensiero rivolse lo sguardo alla sveglia sul comodino e si rese conto che tra non molto sarebbe arrivato; pensò allora ad un modo per mostrargli la sua gratitudine e il primo che le venne in mente fu quello di preparare un caffé.
Forse era una scelta molto semplice, ma in fondo anche i piccoli gesti hanno la loro importanza.

 

 

Naruto Uzumaki, capelli biondi e occhi azzurri, guidava per raggiungere la collega diventata negli ultimi mesi qualcosa di più.
Se gli avessero chiesto come erano nati i sentimenti che provava verso di lei, avrebbe risposto che tutto era successo senza un motivo logico; infatti la prima volta in cui l’aveva vista il suo cuore aveva accelerato inspiegabilmente i battiti, e da allora non era più riuscito a rallentare quel ritmo.
Si era tratto, insomma, del tradizionale colpo di fulmine, e quando il loro rapporto si era trasformato in qualcosa di più dell’amicizia, aveva creduto che mai sarebbe stato più felice.
Non appena raggiunse la sua destinazione, uno degli appartamenti di un palazzo al centro di Konoha, parcheggiò nel primo posto trovato, prese i cornetti comprati nel bar più vicino a casa sua, e scese dall’auto spinto da un impellente desiderio di vederla; infatti, quando giunse sul pianerottolo e bussò, i pochi minuti che fu costretto ad aspettare gli sembrarono un’eternità.
Nel momento in cui Sakura aprì la porta, si trovò di fronte un Naruto sorridente e con la busta dei cornetti in bella mostra, e non poté non contraccambiare con un altro sorriso.
“Ciao, ti stavo aspettando” furono le prime parole che gli rivolse.
“E io non vedevo l’ora di vederti”disse il poliziotto, facendo qualche passo in avanti e posandole un leggero bacio sulle labbra. “Ho anche portato dei cornetti caldi, e adesso li mangiamo tutti. Non dobbiamo lasciarne nessuno a quel baka di Sasuke” continuò entrando nell’appartamento.
“Certo che non lo sopporti proprio” osservò Sakura, mentre richiudeva la porta alle loro spalle.
Ma no, il nostro è uno splendido rapporto d’amicizia” replicò Naruto in tono semiserio.
“Beh, se lo dici tu?” disse l'altra con una leggera nota di scetticismo nella voce” Comunque vieni che ho messo su un caffè per noi due” continuò.
“Sul serio! E’ davvero un pensiero carino, Sakura-chan. E poi con i cornetti è perfetto!” esclamò l’altro.
“Già, è vero” affermò la ragazza sorridendo e dirigendosi verso la cucina.
Solo in quel momento Naruto si rese conto che Sakura indossava ancora il pigiama e che i suoi capelli erano leggermente in disordine, e capì che doveva essere successo di nuovo; allora la raggiunse e, fermandola per un polso, la fece girare e l’attirò dolcemente a sé.
Sulle prime la ragazza risultò alquanto sorpresa, poi notò lo sguardo preoccupato del compagno e lasciò che le sue braccia le cingessero i fianchi.
“Quell’incubo è tornato ancora,non è vero?” sussurrò Naruto a pochi centimetri dal suo volto.
“Si… ma ora ci sei tu ed è tutto a posto. Non preoccuparti” replicò l’altra cercando di tranquillizzarlo.
“Come faccio a non preoccuparmi. Io ti amo”.
Quest’ultime parole, pronunciate in modo così semplice e diretto da risultare disarmanti, indussero la giovane ad accennare un sorriso. 
“Anch’io ti amo, ma ora sto bene. Sul serio” disse con tono deciso.
“Va bene” disse Naruto dopo qualche istante, appoggiando la fronte a quella della ragazza e socchiudendo gli occhi.
Sapere che aveva sofferto e che lui non si era trovato al suo fianco per aiutarla era sempre difficile da sopportare, e pur di rimediare avrebbe voluto non sciogliere quell’abbraccio, farle capire in tal modo che lui c’era.
La stessa Sakura, indubbiamente rassicurata dal contatto con Naruto, desiderava in cuor suo che non s’interrompesse, ma ben presto la caffettiera iniziò a fischiare e l’aroma del caffè a diffondersi nella stanza, costringendo i due a separarsi.
“A quanto pare dobbiamo darci una mossa”affermò il poliziotto, mentre la ragazza si dirigeva verso i fornelli. “ Anche perché rischiamo di arrivare allo stesso orario di Kakashi”
“Ma se dovrebbe essere già in ufficio?” chiese Sakura senza capire cosa intendesse dire il compagno.
“Beh, certo. Sarebbe così se la sua mente funzionasse secondo i meccanismi dei comuni mortali” rispose Naruto, strappandole un sorriso amaro.

 

 
Uno starnuto può essere dovuto a diverse motivazioni, ma le uniche che in quel momento vennero in mente a Kakashi Hatake furono due: la prima il principio di un raffreddore, la seconda che qualcuno stesse parlando male di lui.
Si trattava d’ipotesi entrambe credibili se si consideravano le condizioni atmosferiche dei giorni precedenti e la sua irreparabile attitudine al ritardo, tuttavia essere un poliziotto lo spinse a considerare solo quella che poteva essere spiegata razionalmente; quindi scartò la prima possibilità e optò per la seconda. E pensò che sicuramente avrebbe dovuto prendere le opportune precauzioni, perché con le indagini in corso giorni di permesso erano totalmente fuori discussione.
Era ancora immerso in tali pensieri, quando il suono improvviso del cellulare lo distolse da essi; non potendo rispondere liberamente, aprì la telefonata e attaccò il viva voce.
“Si può sapere che fine hai fatto?” chiese una voce piuttosto alterata.
“Come sempre buongiorno Sasuke” ribatte l’altro per nulla sorpreso dall’atteggiamento del collega.
“Sarebbe un buon giorno se tu fossi già in ufficio, Kakashi”
“Si, lo so, ma c’era un incidente e quindi…”
“Non inventarti scuse, Hatake” l’interruppe bruscamente ”Grazie al tuo ennesimo ritardo ho dovuto consegnare ancora una volta, al posto tuo, il rapporto sull’ultimo caso”
“Beh, pensa al lato positivo” cercò di sdrammatizzare l’uomo “La tua diligenza ti farà notare agli occhi di Tsunade e, credimi, la sua stima è un ottimo lasciapassare per un futuro posto da commissario”
“Tsunade conosce già le mie capacità; non c’è bisogno d’altro. Piuttosto vedi di sbrigarti” replicò Sasuke in tono asciutto e lapidario, chiudendo senza preavviso la telefonata.
Kakashi capì che aveva sbagliato completamente mossa; lavorava in coppia con Sasuke da più di un mese e non aveva ancora la minima idea di come prenderlo.  

 

  

Nel suo ufficio il commissario di Konoha, una donna sui quarant’anni, capelli biondi e occhi nocciola, leggeva il rapporto che le era stato appena consegnato e pensava con soddisfazione che si trattava di un ennesimo caso risolto brillantemente.
Tale osservazione nascondeva però anche un fondo d’amarezza: Tsunade sapeva perfettamente che la cosa non avrebbe riscosso il minimo interesse presso le alte sfere, considerando che da alcuni mesi a quella parte le indagini sullo spaccio di droga erano diventate la priorità assoluta.
Tutto aveva avuto inizio dopo che alcuni studenti del liceo scientifico di Konoha si erano sentiti male, e soprattutto dopo che una ragazza era morta per overdose, episodi che avevano arrecato gravi danni all’immagine perfetta che il sindaco Danzou intendeva dare della città, in vista di una sua prossima candidatura alle elezioni regionali.
Poiché quest'ultima rappresentava un’opportunità che un tipo ambizioso come lui non si sarebbe mai lasciato sfuggire, immediatamente erano cominciate le pressioni affinché la faccenda si risolvesse velocemente, cosa che era risultata molto difficile.
Il primo mese d’indagini era stato speso tra inutili tentativi di raccogliere informazioni, lottando contro la diffidenza e la paura degli studenti, e piste che si erano rivelate un buco nell’acqua, senza contare che con i casi di cui avevano dovuto occuparsi giornalmente era stato impossibile concentrare l’attenzione su un solo problema.
Ciò aveva generato inevitabilmente critiche in merito alla sua conduzione delle indagini e alla competenza dei suoi uomini, almeno fino a quando l’idea di Shikamaru d’infiltrarsi sia tra gli studenti sia tra il corpo docente era riuscita a tranquillizzare la situazione.
La calma così raggiunta era però durata ben poco; infatti la trovata di Nara, pur essendo geniale, aveva bisogno di tempo per dare dei buoni risultati, una riflessione che purtroppo per i suoi nervi sfuggiva alla mente di Danzou.
Ormai n’aveva la certezza assoluta: detestava i politici.
Possedevano, forse innata, la pessima abitudine di costruire castelli di sabbia, e di scaricare la propria frustrazione sugli altri nel momento cui tali castelli erano sul punto di crollare miseramente insieme alla rispettabilità che su di essi si basava.
Rendendosi conto di uscire da tali riflessioni gravemente demoralizzata, Tsunade pensò che parlare con Jiraiya, per quanto a volte riuscisse ad irritarla ancora di più, in quel momento non potesse che esserle d’aiuto; infatti, qualunque cosa accadesse, lui non smetteva mai di credere in lei e nelle sue capacità. E forse questo era uno dei motivi per cui l’amava.

 
 

Mentre faceva oscillare leggermente la matita e lanciava degli sguardi furtivi fuori dalla finestra, Ino Yamanaka sapeva di aver sbagliato completamente valutazione.
Inizialmente aveva creduto che indossare nuovamente le vesti di studentessa del liceo sarebbe stato divertente, ma non aveva considerato che per rendere la recita perfetta avrebbe dovuto seguire le lezioni, e soprattutto sostenere interrogazioni e compiti in classe. Quest’ultimi rappresentavano degli incubi che avrebbe preferito non dover rivivere, anche se per finta, tuttavia ormai era lì e non poteva più tirarsi indietro.
In quel momento stava ascoltando distrattamente la lezione d’inglese, che si svolgeva tra brevi accenni alla letteratura e continui riferimenti alla vita e ai miracoli del professore, e fu immensamente grata al suono della campanella per essere giunto ad interrompere quella piacevole tortura.
Mentre tra i banchi iniziavano a diffondersi i consueti mormori di fine ora, puntuale come sempre partì la pillola di saggezza del professore.
“Ragazzi ricordate: la campanella non è la fine di un incubo, ma l’inizio di un altro*” disse riponendo i libri nella propria borsa e apprestandosi a lasciare l’aula.
Passati alcuni istanti a chiedersi il motivo per cui lo ripetesse ogni santa volta visti i risultati, Ino rivolse i propri pensieri all’ora successiva, sorridendo con un pizzico di malizia.
A breve sarebbe arrivato Shikamaru, e già pregustava l’idea di metterlo in difficoltà; non sarebbe stato facile, ma almeno avrebbe avuto un passatempo con cui divertirsi. E sapeva che Shika non se la sarebbe presa, in fondo erano amici da una vita e lui era perfettamente consapevole che non lo faceva con cattiveria.
Negli stessi momenti, fuori da un’aula non molto lontana, la persona in questione, che era stata costretta a spiegare per la terza volta il grafico di una funzione goniometrica, malediceva se stesso e le sue idee geniali.
Quando era stato scelto l’infiltrato tra il corpo docente, l’unico ad esserne ritenuto in grado era stato lui, perché aveva frequentato la facoltà di matematica, cosa che non aveva potuto nascondere in alcun modo anche grazie al gentile intervento di Ino.
Ciò che però nessuno aveva voluto considerare era che solo dopo un anno aveva abbandonato gli studi a causa della sua congenita pigrizia, quella stessa pigrizia che aveva reso la spiegazione e le correlate risposte fornite agli studenti un onere insopportabile.
Anche Shikamaru aveva quindi considerato la campanella una gran liberazione; l’unico problema consisteva nel fatto che, non avendo quel giorno nessun ora libera tra una lezione e l’altra, possibilità che durante il resto della settimana gli era stata concessa per agevolarlo nelle indagini, non aveva modo di recuperare le forze necessarie per continuare ad affrontare tutto quello sforzo.
Tale situazione lo rendeva molto nervoso e sentiva l’immancabile bisogno di una sigaretta; era proprio sul punto di accenderla, quando la voce di Sabaku no Temari l’interruppe bruscamente.
La conosceva da poco, ma già aveva capito che quella donna era un’incredibile seccatura.
“Non azzardarti a fumare nei corridoi, Nara. Fino a prova contraria siamo dei professori e dobbiamo dare il buon esempio. E se proprio non vuoi degnarti di uscire, avvicinati almeno alla finestra. Non è molto lontana da dove ti trovi in questo momento”
“Non dovresti essere ad insegnare quella splendida lingua che è il francese, Sabaku?” ribatté Shikamaru in tono pacato, mentre riponeva al loro posto accendino e sigaretta.
“Così come tu dovresti essere già in 3 A. L’unica differenza tra noi due è che io stavo per raggiungere la mia classe, tu invece perdevi tempo” rispose Temari prendendolo in contropiede.
Rendendosi conto che discutere con lei non avrebbe portato a nessun risultato se non a peggiorare la sua situazione neurologica, il novello professore di matematica evitò di replicare e si avviò verso la propria aula, mentre Temari, per nulla indignata dal suo comportamento, lo seguiva, o perlomeno questo era la convinzione di Shikamaru.
“Si può sapere perché adesso mi stai seguendo?” le chiese lanciandole una breve occhiata.
“Non mi sognerei mai di fare una cosa simile. Semplicemente la mia classe è vicina alla 3 A. Sai com’è? Lavorando nella stessa scuola a volte può capitare. Non è così incredibile” replicò Temari senza scomporsi.
Dopo una simile risposta Shikamaru comprese che quel mese da infiltrato gli stava davvero facendo perdere colpi e preferì non aggiungere altro.
Mentre i due raggiungevano le rispettive mete completamente indifferenti di fronte alla presenza dell’altro, Ino, uscita durante l’attesa, non riuscì a non provare un irrazionale moto di gelosia misto a rimpianto e delusione.

 
  

Tra il telefono che squillava spesso, cittadini che giungevano per i motivi più disparati, porte che si aprivano e si chiudevano, e le parole scambiate tra i vari poliziotti, o per distrarsi o per questioni strettamente lavorative, non si poteva per nulla affermare che al commissariato di Konoha regnasse la calma e il silenzio.
Tuttavia, secondo Sasuke Uchiha, niente era tale da ostacolare il normale svolgimento delle attività giornaliere, niente tranne la voce squillante che spesso risuonava nei corridoi, e a proposito della quale non era ancora riuscito a darsi una spiegazione, pur non essendo una persona stupida.
Non capiva cosa avesse tanto da urlare, e soprattutto cosa avesse fatto di male per ritrovarsi come collega Naruto Uzumaki, dopo averlo già sopportato alla scuola di polizia.
Conscio del fatto che i suoi interrogativi difficilmente avrebbero trovato una risposta, Sasuke giunse alla conclusione che non gli restava altro da fare se non porre fine a quello strazio il più in fretta possibile. Uscì quindi dal suo ufficio, raggiunse l’ingresso del commissariato ed individuò la fonte dei suoi problemi immersa in una conversazione con un agente, mentre Sakura sceglieva uno snack al distributore.
A parte un falso allarme di rapina quella mattinata si stava svolgendo in modo piuttosto piatto.
“Abbassa il volume, baka. Anche se oggi non c’è molto da fare, non hai il diritto di attentare alla mia sanità mentale” disse Sasuke in tono atono.
Colto alla sprovvista Naruto non seppe inizialmente cosa replicare e, quando era sul punto di farlo, ogni sua parola fu troncata sul nascere dall’arrivo di Kakashi
“Ragazzi, abbiamo il primo caso della giornata” esordì l’uomo dai capelli argentati ”Se n’occuperanno Naruto e Sakura. Tsunade ha pensato che la cosa renderà contento qualcuno dato che si tratta di un omicidio” continuò.
“Sul serio? E’ interessante!” esclamò Naruto.
“Naruto, un omicidio non è interessante, è drammatico!” ribatte Sakura scioccata, dopo aver abbandonato ogni proposito di uno spuntino.
“Già, hai ragione, scusa tesoro. Mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo” disse il poliziotto sinceramente dispiaciuto. Si era reso conto che parlare in quei termini di un omicidio, soprattutto davanti a lei, era stato un comportamento decisamente indelicato e stupido. Più tardi avrebbe dovuto trovare assolutamente un modo con cui farsi perdonare. “ Comunque di chi si tratta?” continuò.
“Un imprenditore della zona: Hiashi Hyuga. E’ stato trovato morto nel suo ufficio” rispose Kakashi in modo breve e conciso.
“Hiashi Hyuga, ma non si tratta di uno degli uomini più influenti di konoha?” chiese Sakura.
“Già e non è difficile che abbia avuto dei nemici, ma non possiamo restare qui a formulare ipotesi, Sakura. Quindi andate. E’ nella zona nord della città, vicino al cinema Zeus” replicò l’uomo asciutto.
“Ovvio che andiamo, Kakashi, ma non c’è bisogno di essere così bruschi, tanto il morto non scappa” disse Naruto afferrando per un braccio Sakura, turbata dalla risposta dell’uomo, e avviandosi verso l’uscita.
Mentre i due si allontanavano, Kakashi pensò allo sguardo offeso della ragazza e si diede mentalmente dell’idiota. Se voleva davvero recuperare un rapporto con lei, stava sbagliando completamente: aggiungere incomprensioni a quelle già esistenti non avrebbe portato da nessuna parte.

* Questa frase non è mia, ma di un mio professore del liceo. E' un piccolo omaggio.

Personaggi comparsi nel capitolo

Sakura Haruno:anni 23, agente al commissariato di Konoha da 2 anni, lavora in coppia con Naruto
Naruto Uzumaki: anni 25, ispettore al commissariato di Konoha, lavora in coppia con Sakura.
Kakashi Hatake:anni 29, ispettore sostituto di Shikamaru, lavora in coppia con Sasuke.
Sasuke Uchica: anni 25, ispettore al commissariato di Konoha, lavorava in coppia con Shikamaru e attualmente con kakashi. 
Tsunade:anni 40, commissario di Konoha, fidanzata con Jiraiya.
Ino Yamanaka: anni 23, agente al commissariato di Konoha, lavorava con Naruto e Sakura, infiltrata tra gli studenti, amica d’infanzia di Shikamaru.
Shikamaru Nara: anni 25, ispettore al commissariato di Konoha, infiltrato tra i docenti, amico d’infanzia di Ino

 

Angolo dell’autrice

Questa fanfiction è il primo racconto che scrivo in assoluto e quindi vi prego di accettarla nei suoi limiti narrativi e di realismo, sperando ovviamente di riuscire a superarli man mano che andrò avanti. Passando al capitolo, si tratta di un’introduzione dei personaggi principali della storia in cui compariranno quasi tutti quelli del manga. Se per caso risulterò OOC vi chiedo di dirmelo, così provvederò ad inserire l’avvertimento. Quanto ai paring, c’è un po’ di tutto. Una scena NaruSaku che sperò non sia risultata troppo sdolcinata, un accenno TsunadeJiraiya e il triangolo ShikaInoTema (non credevo che far parlare Temari e Shika fosse così divertente).
Detto questo, non aggiungo altro perché credo di avervi già tediato abbastanza ^_^  

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


cc

Mi sento abbastanza bene, 
solo che mi sono ricordata un po’ del passato.

 

Nonostante il verde fosse scattato da alcuni minuti erano ancora fermi al semaforo; infatti qualcuno di estremamente geniale aveva avuto la brillante idea di parcheggiare in seconda fila ed ostacolare così la circolazione. Ne erano seguiti un inevitabile rallentamento e il suono fastidioso dei clacson, e con quest’ultimo erano iniziate anche le imprecazioni di Naruto.
Quell’atteggiamento era sempre stato al di fuori d’ogni sua comprensione: suonare come degli ossessi non rappresentava affatto la formula magica che avrebbe sbloccato d’incanto la situazione. Ma nessuno sembrava pensarla come lui.
Mentre cercava di rassegnarsi all’evidenza che anche per quel giorno nulla sarebbe cambiato, la ragazza al suo fianco era completamente indifferente a ciò che accadeva all’esterno.
Da quando avevano lasciato il commissariato, i suoi pensieri erano rivolti esclusivamente al comportamento di Kakashi e gradualmente il turbamento iniziale si era trasformato in rabbia ed indignazione. Come sempre aveva provato a far finta di niente, ma non ci era riuscita; non era assolutamente in grado di accettare che fosse così freddo e brusco nei suoi confronti. Quando si sarebbe giustamente aspettata il suo sostegno, il poliziotto era sparito senza una valida motivazione, pertanto quell'atteggiamento le riusltava del tutto ingiusto e inopportuno. Ogni volta che rifletteva sulla questione, si rendeva conto che il risentimento e il dolore per quell’amicizia naufragata incomprensibilmente non si erano attenuati per niente. L’unico modo per non continuare a stare male sarebbe stato quello di convincersi in modo definitivo che Kakashi l’aveva sempre considerata solo la figlia del suo superiore; ma quell’idea, maturata a causa dell’allontanamento ingiustificato dell’uomo e confermata apparentemente dalla situazione attuale, risultava un’alternativa ancora più dolorosa.
L’andamento delle vetture aveva da poco ripreso un ritmo regolare, quando la voce di Naruto la distolse dal suo stato di estraniamento.
“Sakura, ci stai ancora pensando?” le chiese “Dai, non devi prendertela tanto. Non lo conosco bene, però non credo che lo faccia volontariamente. E poi non succede spesso” continuò, cercando di tranquillizzarla.
Conoscendo i sentimenti di Sakura, quella era l’unica cosa che riusciva a fare; non aveva mai sofferto a causa della sua amicizia con Sasuke e gli risultava davvero difficile darle un consiglio concreto.
“Hai ragione Naruto. Non ci penso più” gli rispose la ragazza dopo alcuni secondi, rivolgendogli un sorriso. Non voleva che quella storia facesse stare male anche lui, perché non lo meritava assolutamente dopo l’aiuto che le aveva fornito. 

 

Con la fatidica domanda era calato nell’aula un silenzio quasi innaturale, e ancora una volta Temari non riusciva a darsene una spiegazione, dato che a differenza dei suoi colleghi aveva sempre l’abitudine di avvertire i propri allievi prima di un’interrogazione.
Era davvero triste rendersi conto di come la sua benevolenza non fosse ben accetta.
“Mi raccomando, ragazzi, non accalcatevi, c’è tempo per tutti” disse, posando lo sguardo da una parte all’altra della stanza e sperando invano che qualcosa cambiasse.
“Eh, va bene” sospirò amareggiata dopo alcuni istanti “ Anche questa volta sarò costretta a scegliere io “
Detto questo, si sedette, avvicinò a se il registro già aperto e iniziò a scorrere con il dito la lista dei nomi. Per un breve istante ebbe la tentazione di chiamarlo, ma subito l’allontanò e ripiegò sull’ultimo studente dell’elenco, un ragazzo magro e con gli occhiali, che si alzò dal banco e raggiunse titubante la cattedra, imprecando mentalmente contro la gentilezza dei suoi compagni di classe.
“Alors, comme on peut consideré Baudelaire dans le panorama litteraire? Et pour quelle raison?” chiese la professoressa, iniziando l’interrogazione con delle domande canoniche.
“ Baudelaire …Baudelaire est consideré comme le père.. le père de la poesie moderne”rispose incerto il ragazzo, per poi continuare con sempre maggiore sicurezza.
Mentre ascoltava l’allievo e poneva altri quesiti per sondarne la preparazione, Temari non riuscì a non rivolgere lo sguardo alla persona a cui aveva pensato poco prima; ne osservava i capelli rossi leggermente arruffati e gli occhi di un verde intenso, quegli stessi occhi che a lungo gli aveva invidiato, perché rappresentavano un’eredità che la loro madre aveva trasmesso solo a lui, lui che con la sua nascita n’era stato la causa della morte.
Non ricordava più quanti anni avesse trascorso ad odiarlo, giungendo persino a desiderare che non fosse mai nato, non lo ricordava perché erano stati molti, e perché per lei non avevano più importanza; infatti col tempo aveva compreso quanto fosse stato ingiusto il suo comportamento, anche se dettato dal dolore, e l’unica cosa che in quel momento contava era il presente e la possibilità di recuperare un rapporto, una possibilità offertale dal suo trasferimento a Konoha.
Quando un anno prima aveva ottenuto un posto fisso nel liceo scientifico della città, sapere che suo padre  e suo fratello vi vivevano da alcuni anni aveva rappresentato un motivo in più per non lasciarsi sfuggire quell’occasione, e sebbene si rendesse conto che il suo desiderio era egoistico e difficile da realizzare, certezza confermata dallo sguardo che Gaara le rivolgeva ogni volta che cercava di avvicinarlo  o semplicemente durante le ore di lezione, non avrebbe rinunciato facilmente, perché senza quella speranza la sua vita sembrava avere meno senso.
Se il ragazzo dai capelli rossi l’avesse guardata negli occhi, avrebbe colto in essi dolore, rimorso e paura di rimanere disillusa, ma i suoi pensieri erano rivolti altrove.
In quel momento Gaara stava cercando di trovare una scusa convincente per giustificare al professore dell’ora successiva la sua prolungata assenza dall’aula; infatti doveva incontrare Sasori per ricevere un nuovo rifornimento di droga, e la faccenda aveva bisogno del suo tempo.
Anche se fino ad allora nessuno si era mai accorto di nulla, era comunque necessario essere prudenti, soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti.
Tale considerazione difficilmente gli permetteva di capire perché suo cugino continuasse a volerlo incontrare nella scuola e non in un posto più sicuro, ma forse Sasori riteneva una garanzia il fatto che lo spaccio di droga fosse considerato come qualcosa di perfettamente normale dalla maggior parte dei giovani.
Per quanto lo riguardava non aveva mai trovato niente d’interessante nel danneggiarsi fisicamente e mentalmente per poche ore di sballo, e se aveva accettato la proposta del cugino, lo aveva fatto solo perché quest’ultimo aveva saputo far leva sulla sua fragilità.
Ricordava ancora molto bene il giorno d’inizio Aprile in cui Sasori era riuscito a convincerlo.

 

Seduto sul muretto di fronte alla palestra,nella parte posteriore della scuola,Gaara cercava di godersi un attimo di pace dopo le prime ore di lezione; infatti, anche se le vacanze di Pasqua erano durate appena una settimana,per lui riprendere il ritmo di tutti i giorni era comunque una tragedia.
Lasciava che la luce del sole lo colpisse,assaporando la sensazione di calore che gli trasmetteva e ascoltando il vento leggero frusciare fra le piante,  e solo quando una voce stranamente familiare lo chiamò, si costrinse ad abbandonare la rigenerante compagnia della natura.
Dopo essersi alzato, cercò il proprietario di quella voce,individuandolo in un uomo dai capelli rossi e dagli occhi nocciola, e per un momento pensò di essere vittima di un’allucinazione: suo cugino Sasori aveva lasciato Suna quando lui aveva dieci anni, e da allora non l’aveva più visto, quindi non riusciva a credere  che fosse a Konoha e stesse cercando lui.
“Ehi,Gaara, sembra che tu abbia visto un fantasma”esordì la persona in questione con un tono quasi beffardo.
“Credo che la mia sia una reazione perfettamente normale. Ciò che è strano è che tu compaia all’improvviso dopo tanti anni e che mi stia cercando. Non mi sembra che abbiamo mai avuto un gran rapporto” ribatté il ragazzo asciutto, dopo aver messo da parte la sorpresa iniziale.
“Bella risposta, cuginetto” disse l’altro compiaciuto ”Comunque non devi preoccuparti, perché sono qui per i tuoi interessi” continuò serio.
“I miei interessi?”domandò Gaara insospettito da tale affermazione più di quanto non lo fosse già per la sua presenza.
“Già,proprio così”  rispose l’uomo per nulla infastidito dal suo atteggiamento diffidente ”Vorrei proporti un lavoretto che ti può procurare dei bei soldi”
“Non mi interessa” disse il ragazzo prima che Sasori potesse aggiungere altro.
Sapeva che in passato il cugino aveva avuto problemi con la giustizia, e non intendeva avere nulla a che fare con lui, soprattutto dopo quelle parole; stava quindi per andarsene,rientrando in palestra,quando la voce dell’uomo lo bloccò.
“Non vorrai dirmi che preferisci continuare a vivere sulle spalle di un padre, che non ti perdonerà mai la morte della moglie?”chiese Sasori in tono chiaramente provocatorio.
Non appena tale domanda fu udita da Gaara, produsse nel suo cuore un colpo sordo,che fu seguito immediatamente dall’affollarsi dei ricordi.
Lo sguardo pieno d’odio e gli atteggiamenti freddi di sua sorella; le mancate carezze e il distacco del padre nei primi anni della sua vita; l’iniziale incapacità di comprendere e la graduale acquisizione di consapevolezza; la sofferenza, la solitudine, l’odio verso tutti ma anche il senso di colpa. Si trattava di sentimenti attenuati dal tempo e dai cambiamenti avvenuti, ma ugualmente difficili da cancellare.
Fu quindi il prevalere del passato sul presente a spingerlo a quella risposta,una risposta  in netta contrapposizione col comportamento tenuto fino a quel momento.
“Va bene,lo farò. Di che cosa si tratta?”disse inespressivo,girandosi verso l’uomo.
“Spacciare droga nella scuola. Non credo che sia molto difficile. Per i dettagli ci vediamo oggi pomeriggio nel parco non lontano dal liceo”replicò l’altro.
Gaara gli rivolse lapidarie parole di assenso e cominciò a dirigersi per la seconda volta verso l’edificio scolastico, ma nuovamente qualcosa lo costrinse a tornare sui propri passi.
Il rumore di un oggetto non identificato che cadeva al suolo aveva allarmato i due cugini.  

 
Al ricordo di quel suono si sovrappose la voce di Temari che lo rimproverava, e ciò lo riportò al presente.
“Gaara. Dato che stai prestando molta attenzione alla lezione, potresti, per favore, aiutare il tuo compagno di classe,la cui memoria a breve termine ha evidentemente qualche problemino, a spiegare l’importanza della poesia “L’art poétique” di Varlaine? En français, s’il vous plaît” stava dicendo la giovane donna con un tono tra il serio e l’ironico.
Il ragazzo le rispose spiegando il valore programmatico del componimento, con una luce di rancore negli occhi, ma senza lasciare trapelare un tale sentimento dai suoi gesti o dal suo modo di esprimersi.

 

Con il gomito appoggiato sulla scrivania, la mano a sostenere il capo e gli occhi fissi sul giornale, aperto da alcuni minuti alla stessa pagina, Kakashi stava avendo la conferma di quanto non avere nulla da fare potesse risultare snervante, perché inevitabilmente c’era tempo per riflettere, ed inevitabilmente finiva per pensare a ciò che era accaduto; infatti, dopo la reazione ingiustificata avuta di fronte alle parole della collega, continuava a rimproverarsi per quel comportamento impulsivo così lontano dal suo carattere.
Sebbene sapesse che l’unico ad aver sbagliato era stato lui, e quindi si rendesse conto che il distacco mantenuto da Sakura nei suoi confronti era perfettamente normale, quella situazione gli faceva male ugualmente e lo portava ad agire in modo irrazionale. Tutta colpa di quel sentimento ricomparso da quando si erano ritrovati casualmente a lavorare insieme, o meglio mai sparito, nonostante tutto.
“Kakashi, tutto a posto?” gli chiese all’improvviso Sasuke, appena rientrato nel loro ufficio.
“Cosa?”rispose l’altro con un espressione leggermente basita, per poi riassumere una posizione composta.
“Come cosa? Ti ho già chiamato una volta e non mi hai sentito, inoltre avevi lo sguardo completamente assente; quindi chiedevo se andava tutto bene” spiegò il collega.
“Che fai, Sasuke, ti preoccupi per me?” domandò ironicamente l’uomo con i capelli argentati.
“Semplicemente è nel mio interesse che la persona con cui lavoravo ci sia con la testa,Kakashi. Soprattutto se dobbiamo occuparci di un caso di omicidio; ci hanno appena chiamato da una palestra non lontana dal distretto, e il medico legale è già sul posto”ribatté l’Uchica, senza raccogliere la provocazione dell’altro poliziotto e passando direttamente alla questioni lavorative.
“Un altro omicidio. Sembra che oggi non avessero nulla da fare se non andare in giro ad uccidere la gente” constatò Kakashi, chiedendosi se fosse meglio rimanere seri o buttarla sullo scherzo.
Senza giungere ad una risposta, si alzò dalla sedia, indossò il giubbotto precedentemente abbandonato sullo schienale, e seguì Sasuke che stava già lasciando l’ufficio, dopo aver risposto alle sue parole solo con un breve cenno d’assenso.
I due ispettori impiegarono una ventina di minuti per raggiungere la loro destinazione; si trattava di un edificio di medie dimensioni con un discreto spazio antistante per il parcheggio, frequentato da atleti professionisti ma anche da gente comune che sfruttava alcune ore della giornata per mantenersi in esercizio fisico.
Appena entrarono nella palestra, venne loro incontro un agente che li condusse verso gli spogliatoi, dove era stato ritrovato il corpo senza vita di un giovane atleta. Nella stanza il medico legale, una donna dai corti capelli neri, era chinata ad esaminare il cadavere, mentre un uomo sui quarant’anni piangeva e si disperava senza riuscire a controllarsi. “Non è giusto…una giovane vita spezzata così…nel fiore degli anni, povero ragazzo” borbottava tra i singhiozzi e le lacrime, coprendosi con le mani il volto.
Un simile comportamento, la bizzarra tuta verde che indossava, e gli insoliti capelli a caschetto davano al suo aspetto un che di buffo, pur nella drammaticità della situazione.
Notando lo sguardo perplesso di Sasuke, Kakashi capì che avrebbe dovuto prendere in mano la situazione.
“Per favore Sasuke, inizia a fare qualche domanda in giro” disse per prima cosa al collega, che non se lo lasciò ripetere due volte, e poi continuò rivolgendosi all’agente che li aveva guidati fin lì “Scusa, puoi accompagnare il signore fuori di qui? Cerca un po’ di calmarlo, grazie”
“Certo, ispettore” gli rispose l’altro, per poi condurre lontano dalla scena del delitto Gai Maito, proprietario della palestra.
Dopo aver dato quelle disposizioni, l’uomo dai capelli argentati rivolse la sua attenzione alla povera vittima distesa a terra in modo scomposto e con il capo insanguinato reclinato di lato; accanto ad essa la dottoressa, ormai terminati i primi accertamenti, lo stava guardando con un leggero sorriso.
“Certo che ti riesce davvero bene dare degli ordini, Hatake; sembra quasi che non lo siano” affermò la donna.
“Beh, ho sempre pensato che essere autoritari non favorisca le indagini, Shizune-san. Una buona collaborazione è molto più utile” le rispose. “Comunque quale è la causa della morte?” domandò.
“Non ci sono molti dubbi su questo. Il ragazzo è inciampato nel borsone, che si trova vicino ai suoi piedi, e ha sbattuto il capo contro lo spigolo della panca, morendo praticamente sul colpo”rispose Shizune, fornendogli anche una dinamica degli avvenimenti molto plausibile.
“Grazie per l’analisi sullo svolgimento del delitto; osservando bene, credo che sia la più attendibile. E probabilmente non è stato un omicidio volontario ma un litigio finito male”disse Kakashi sinceramente grato alla dottoressa, dato che quella mattina aveva già impiegato molte energie mentali per analizzare se stesso. “Solo un’ultima cosa: più o meno quale è l’ora del decesso?”.
“Tra le nove e le undici. Per una maggior precisione bisogna però attendere l’autopsia” rispose la donna.
Il poliziotto stava per dire che avrebbero atteso i risultati, quando Sasuke tornò nello spogliatoio per comunicargli le informazioni raccolte.
“Per farla breve, sembra che il nipote del proprietario, un certo Rock Lee, che è anche un pugile professionista, sia stato visto uscire dagli spogliatoi verso le dieci e mezza, e lasciare poco dopo la palestra alquanto sconvolto” spiegò l’Uchiha senza alcun preambolo.
“Buon lavoro, Sasuke. Ora non ci resta che rivolgerci allo zio per convocare questo Lee in commissariato, e sperare che gli esiti dell’autopsia ci siano d’aiuto”affermò Kakashi, sorvolando sulla leggera espressione di stizza che era passata sul volto del collega alle sue prime parole.
“Il proprietario è l’uomo che prima era qui presente,Kakashi” intervenne Shizune, risultando per la seconda volta utile ai due poliziotti “Per quanto riguarda l’autopsia, se ne parla stasera. Ora, scusatemi, ma devo andare. Buona fortuna per le indagini” continuò, per poi dirigersi verso l’uscita.
“Grazie per l’aiuto, Shizune-san” disse Kakashi prima che la donna lasciasse la stanza.
Quest’ultima sorrise a quelle parole, e poi si girò verso l’uomo per rispondergli.
“Non c’è di che, mi fa piacere potervi essere utile. Però, dopo un mese di collaborazione, credo che il san sia superfluo. Se non lo usassi più, mi renderesti davvero felice. Volevo dirti solo questo. Ci vediamo” replicò, per poi lasciare definitivamente soli i due ispettori.
“Sembra che la dottoressa ti abbia messo gli occhi addosso” commentò atono Sasuke.
“Forse” mentì l’altro.
Si era, infatti, reso perfettamente conto del particolare interesse che la donna mostrava nei suoi confronti, e non poteva negare che la cosa gli facesse piacere, tuttavia in quel momento aveva tutt’ altro per la testa.
Mentre il corpo della giovane vittima veniva portato via, i due poliziotti lasciarono anch’essi lo spogliatoio e, dopo aver chiesto a Gai Maito di avvertire il nipote che dovevano fargli qualche domanda, tra la sorpresa e le sommesse proteste dello stesso, tornarono in commissariato.

Personaggi comparsi nel capitolo

Temari  no Sabaku: anni 26, docente di lingua francese nel liceo scientifico di Konoha, sorella di Gaara.
Gaara no Sabaku: anni 18, frequenta il liceo di konoha, spaccia all’interno della scuola.
Gai Maito:anni 40, proprietario di una palestra della città.
Rock Lee: anni 25, nipote di Gai Maito, pugile professionista, frequenta la palestra dello zio.
Shizune: anni 28, medico legale, collabora spesso con il commissariato di Konoha.

 Angolo dell’autrice

Prima di tutto la frase iniziale è tratta da Fruits Basket, e l’ho lasciata al femminile per non alterarla, ma si riferisce a più personaggi. Mi è sembrata adatta a questo capitolo, poi giudicate voi. Passando alla storia, si è saputo qualcosina in più su Kakashi e Sakura, ho introdotto un nuovo caso e vi ho presentato la storia di Temari e Gaara, uno dei “passati” più tristi della ff, secondo me. E per chi lo stesse chiedendo Kankuro non esiste, perché sinceramente non sapevo come inserirlo; inoltre ho alterato decisamente la fisionomia della madre di Gaara. Perdonatemi qusete piccole esigenze di copione.Infine ringrazio anche chi ha messo la fic tra i preferiti.

Saku_piccina 93: prima di tutto sono contenta che la fic ti ispiri, poi  riguardo alle coppie mi dispiace ma sono già stabilite, però nessuno dice che alla fine non saranno quelle che ti piacciono. Spero che continuerai lo stesso a seguirmi.^_^

 Urdi: che dire.. grazie mille per i complimenti e sono davvero felice che la trovi ben scritta; personalmente ci vedo dei problemi nei dialoghi, nel passaggio da essi ai pensieri dei personaggi o dai pensieri alla narrazione.. troppo bruschi a volte, poi le descrizioni sono praticamente assenti. Forse sono un po’ paranoica, ma devo comunque migliorare, ce la metterò tutta ^_^. Dopo queste osservazioni tecniche passiamo alla storia. E’ un’au poliziesca e spero di riuscire a dare realismo alle indagini(forse dovevo scegliere qualcosa di più normale, ma l’idea mi affascinava molto), anche se alla fine è soprattutto una cornice alla storia dei vari personaggi, sono felice che il rapporto tra Sakura e Kakashi ti abbia incuriosita, e poi devo darti una brutta notizia.. i poliziotti me li immagino in borghese e quindi nulla divisa per il nostro amato Kakashi. Tuttavia dalla tua osservazione ho pensato ad un capitolo dove te lo presenterò proprio in divisa e che mi permetterà di spiegare il passato comune di Kakashi e Sakura; quindi grazie per averla fatta. Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo.

 


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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo ff

Gli uffici amministrativi della ditta immobiliare Hyuga, che aveva a Konoha quasi il monopolio nel settore, erano collocati in un palazzo di media altezza lungo una strada occupata principalmente da negozi; quindi trovare un parcheggio nelle vicinanze  risultò praticamente impossibile, e ciò procurò nel biondo alla guida, che aveva sperato in un po’ di tranquillità dopo la prolungata sosta al semaforo, un moto d’insofferenza tale che la ricerca giunse a buon fine solo grazie alle indicazioni di Sakura.
Ma sfortunatamente le difficoltà avevano deciso di perseguitare i due poliziotti. 
Quando raggiunsero l’edificio, infatti, furono costretti a farsi largo tra i giornalisti che affollavano l’ingresso in cerca d’informazioni; tuttavia Naruto si mostrò imperturbabile e liquidò le domande che gli furono poste agitando leggermente la mano destra e scuotendo il capo in senso di diniego. La motivazione di tanto autocontrollo era molto semplice: l’esperienza gli aveva insegnato che sottolineare che non poteva sapere nulla sarebbe stato praticamente inutile, e quindi preferiva rimanere completamente indifferente. Mentre lo seguiva, Sakura pensò che era ancora più bello se assumeva un atteggiamento serio, e lasciò che un sorriso apparisse sulle sue labbra per poi sparire rapidamente; infatti non era il momento più opportuno per simili pensieri.
Non appena giunsero nell’ufficio del titolare della ditta, da dove il corpo esanime dell’uomo era ormai stato portato via, Naruto chiese un resoconto del primo sopraluogo al giovane agente presente sul posto, che era stato incaricato dal medico legale di comunicare ai colleghi il risultato dell’esame sul cadavere. 
‘La dottoressa è giunta alla conclusione che Hiashi Hyuga è morto per alcuni colpi al ventre di un’arma acuminata, che però non siamo ancora riusciti a trovare’ spiegò brevemente.
‘Chi ha ritrovato il cadavere?’ domandò il poliziotto biondo.
‘La segretaria’ replicò rapido l’altro, per poi illustrare meglio lo svolgimento dei fatti ‘ La donna doveva consegnare dei documenti, e quando ha bussato senza ricevere alcuna risposta, insospettita è entrata, e ciò che si è trovata di fronte non è stato per nulla un bello spettacolo ’ continuò enfatizzando l’ultima frase.
‘Per favore, amico, stringi,non abbiamo tutta la giornata ’ lo bloccò bruscamente Naruto, guadagnandosi da parte di Sakura un’occhiataccia e una veloce gomitata che gli fece sfuggire un’esclamazione di dolore.
‘Sì, mi scusi ispettore‘ proseguì l’agente piuttosto imbarazzato ‘ Comunque la segretaria ha visto  l’uomo accasciato sulla sedia e la figlia che lo guardava sconvolta e con le mani sporche di sangue’.
‘E dove si trova quest'ultima in questo momento?’ intervenne Sakura.
‘L’ho fatta accomodare nella sala qui affianco,perché ho pensato che avesse bisogno di calma ’ rispose il ragazzo.
‘Buon idea’ commentò Naruto, per poi rivolgersi alla collega ’Sakura prova a vedere se riesce a  dirti qualcosa, intanto io faccio qualche domanda ai dipendenti e agli addetti delle pulizie ’.
‘Va bene’ replicò l’altra.

 

 

Seduta su una sedia della sala d’aspetto e scossa da un leggero tremore, Hinata Hyuga teneva le mani chiuse a pugno sulle ginocchia, sperando ingenuamente che quel gesto riuscisse a restituirle in parte la stabilità emotiva, ed inespressiva fissava il pavimento senza realmente vederlo; infatti, ciò che aveva davanti agli occhi non erano le mattonelle bianche, ma i momenti in cui il suo falso equilibrio si era spezzato e poi ricostruito su una base ancora più illusoria. Per anni, aveva accettato la freddezza del padre, le continue insistenze per dei voti degni della futura erede dell’azienda, e il disprezzo che appariva nei suoi occhi quando non era in grado di soddisfare le sue aspettative; aveva volontariamente deciso di sopportare, giungendo persino a reprimere le proprie aspirazioni, e tutto perché aveva compreso il dolore che quel comportamento nascondeva, e soprattutto perché il cuore non aveva voluto rinunciare facilmente alla speranza di ricevere un po’ d’amore. Tuttavia, era stato sufficiente un unico giorno per creare una frattura che solo la sua debolezza aveva reso invisibile.

 
Qualche settimana prima, la professoressa di storia e filosofia aveva annunciato ai propri allievi che alla fine del mese si sarebbe svolta una giornata d’orientamento universitario e gli aveva propinato un discorso sull’utilità e sull’importanza della loro partecipazione, un discorso che Hinata aveva seguito con finto interesse, poiché sapeva bene che il suo futuro era già stato tracciato. Eppure, quel giorno, si era ritrovata lo stesso ad ascoltare un professore che illustrava agli studenti presenti l’offerta formativa e gli sbocchi professionali della facoltà di Beni Culturali. Non si era resa conto con precisione di come fosse successo, ma sicuramente ogni inibizione psicologica era crollata miseramente; forse si era stancata di aspettare invano.
Tale scelta, anche se presa irrazionalmente, fu in grado di trasmetterle la determinazione necessaria per opporsi finalmente a suo padre; infatti la sera stessa, prima che entrasse per l’ennesima volta in quella maledetta stanza, trovò il coraggio di fermarlo e di esprimere il desiderio a lungo tenuto nascosto.
‘Padre, posso parlarti?’ esordì, meravigliandosi di se stessa.
Come la figlia anche Hiashi si sorprese del tono privo di incertezza,ma girandosi verso di lei mostrò il solito sguardo di pacata indifferenza e attese silenzioso che la ragazza continuasse.
‘Stamattina all’orientamento universitario ho preso una decisione ’ proseguì Hinata guardandolo dritto negli occhi. ‘Dopo il diploma intendo iscrivermi a Beni Culturali'
‘Che cosa?’ chiese il padre senza più nascondere il suo stupore.
‘Voglio iscrivermi a Beni Culturali’ ribadì l’altra.
Di fronte a quelle parole ripetute nuovamente senza esitazioni Hiashi sentì la collera comparire velocemente e , senza riuscire a reprimerla , afferrò con violenza la figlia per le spalle.
‘Qualunque cosa tu voglia, tutto è già stabilito ’ sibilò a pochi centimetri dal suo volto, per poi spingerla a terra in malo modo ed allontanarsi come se nulla fosse successo.
Completamente scioccata dalla reazione del padre e con un terribile groppo alla gola, Hinata si rese conto di essere stata una vera sciocca a credere che esporgli il suo sogno avrebbe cambiato qualcosa, ma non riusciva più ad accettare una simile ingiustizia;  quindi si alzò, si diresse verso l’ingresso e con le lacrime agli occhi uscì, inconsapevole che sua sorella Hanabi l’aveva vista.

 

 

Il rumore delle macchine che sfrecciavano velocemente sul cavalcavia giungeva alle orecchie di Hinata attutito; in balia del dolore e dei desideri aveva solo cercato d’allontanarsi il più in fretta possibile da quella casa e quindi completamente intirizzita subiva le conseguenze del suo gesto impulsivo.
Dopo aver abbandonato l’abitazione, aveva vagato a lungo per le strade della città e infine si era rifugiata sotto quel ponte con un’enorme confusione nella mente e nel cuore.
Da una parte non voleva tornare indietro, voleva lasciarsi alle spalle quella vita priva d’affetti e basata su continue imposizioni, ma dall’altra sapeva che fuggire, ammesso che ci fosse riuscita, non le avrebbe concesso nessuna aspettativa e che soprattutto non aveva senso, perché non avrebbe trovato altrove l’amore paterno che continuava a desiderare nonostante la crepa che quella giornata aveva creato.
Alla fine quest’ultime considerazioni, in bilico tra pragmatismo e ragione del cuore, ebbero il sopravvento, e quando vide giungere la polizia, la ragazza non pensò minimamente di scappare.

 

‘Hinata’ incominciò Sakura, riportandola bruscamente al presente.
Avendo vissuto l’esperienza della perdita di un genitore, la poliziotta aveva scelto di rivolgersi a lei in modo informale, perché agire diversamente avrebbe solo creato un distacco capace di rendere ancora più impenetrabile la barriera innalzata dalla sofferenza, e ciò non avrebbe aiutato né la ragazza né le indagini.
‘Credi di poter rispondere ad alcune domande?’ continuò dopo una breve pausa e nel modo più delicato possibile.
La  giovane Hyuga, destabilizzata ancora di più da quel tuffo nei ricordi, alzò leggermente il volto rivolgendole uno sguardo che esprimeva completo smarrimento, ma non riuscì a pronunciare alcuna parola; rendendosi conto delle difficoltà della ragazza, Sakura preferì non inferire con quesiti che non avrebbero ricevuto nessuna risposta.
‘Se non ci riesci, non devi preoccuparti. Puoi anche venire domani in commissariato ’ le disse.
‘Sì, io non…’ balbettò Hinata chinando il capo e serrando gli occhi bianchi; le emozioni che avviluppavano tenacemente il suo cuore facevano troppo male.
Davanti a quella reazione Sakura provò un subitaneo moto di compassione che cercò di reprimere velocemente, perché aveva compreso, verificandolo in prima persona, che la cosa peggiore è scorgere in chi ti circonda la commiserazione, soprattutto se si tratta di completi estranei.
‘Hinata-sama’ esordì all’improvviso una voce.
Le due ragazze si voltarono sorprese verso la soglia, dove un’anziana donna osservava preoccupata la scena.
‘Yumi’ rispose Hinata flebilmente.
‘Keiko-san mi ha avvertita e mi sono precipitata qui ’ spiegò l’altra mentre si affrettava a raggiungerla.
‘Mi scusi signora, chi è?’ chiese Sakura.
‘Lavoro in casa Hyuga come governante e se non le dispiace vorrei portare Hinata-sama a casa. Ha bisogno di calma ’ replicò la donna leggermente irritata e posando su di lei gli occhi castani indecifrabili.
‘Certo, non c’è nessun problema, però domani dovrebbe presentarsi al commissariato per alcune domande ’ disse la poliziotta.
‘Sì, non si preoccupi ’rispose sbrigativa la governante, per poi invitare Hinata a seguirla.
Mentre le due lasciavano la sala, Sakura pensò che l’atteggiamento dell’anziana donna era alquanto strano, ma annoverò subito quell’idea tra le impressioni prive di fondamento, perché si rendeva conto che in quel momento la sua mente era confusa dai sentimenti negativi emersi dal passato; quindi evitò qualsiasi deduzione e si diresse nel corridoio, dove sospirando appoggiò la schiena alla parete e attese l’arrivo di Naruto, che la raggiunse dopo una ventina di minuti.
‘Allora, hai scoperto qualcosa?’ gli chiese quando si avvicinò, sperando che quella volta non si accorgesse di nulla.
‘Magari’ rispose Naruto con una leggere smorfia sulle labbra ’Qui nessuno ha visto una persona comportarsi in modo sospetto o estranea all’ambiente lavorativo. Hanno solo fatto riferimento alla figlia perché generalmente non veniva dal padre in ufficio, ma questo non significa nulla. Potrebbe essere venuta per qualsiasi motivo. Piuttosto ti ha detto qualcosa?’.
‘No, era troppo sconvolta, senza contare che è andata via quasi subito con la governate. Sembra che l’abbiano avvertita dell’accaduto. Tuttavia le ho chiesto di venire domani in commissariato ’ replicò omettendo qualsiasi riferimento alle sue impressioni.
‘Beh, hai fatto bene, Sakura, però oltre all’interrogatorio dobbiamo raccogliere delle informazioni sulla situazione familiare degli Hyuga. Forse ne esce fuori qualche elemento utile per dare un indirizzo alle indagini dato che così siamo praticamente in alto mare, senza contare che l’arma del delitto sembra scomparsa ’affermò il biondo.
‘Certo, capisco, potremmo fare delle domande ai vicini, però come mai hai escluso a priori qualche odio legato all’ambiente di lavoro?’ gli domandò l’altra.
‘Perché credo che sia poco credibile. Pensaci bene. Se così fosse, non l’avrebbero ucciso proprio in ufficio rischiando di diffondere sospetti che difficilmente non avremmo preso in considerazione, e inoltre ho chiesto,ma sembra che nessuno avesse problemi con il capo. Quindi esclusa quest’ipotesi, la famiglia è una seconda possibilità su cui non possiamo non soffermarci, anche se il luogo dell’omicidio mi lascia ugualmente perplesso ’ le spiegò ‘ Comunque per le domande ai vicini se ne parla oggi pomeriggio, perché adesso si va a mangiare qualcosa e non si discute ’ continuò, cambiando improvvisamente argomento e facendo crollare ogni apparenza di serietà nonostante il tono della voce.
‘Cosa?’ esclamò Sakura stupita, ma il collega non le diede retta e si avviò subito verso le scale con un sorriso sulle labbra.
‘Naruto?’ lo richiamò alzando leggermente la voce.
‘Ho detto che non si discute ’ replicò deciso il poliziotto senza voltarsi verso di lei o fermarsi.
Trascorsi alcuni istanti Sakura scosse il capo e lo seguì rassegnata alla sua imprevedibilità e per nulla infastidita: Naruto era fatto così e ciò lo rendeva speciale ai suoi occhi, senza contare che le aveva permesso nuovamente di allontanare ogni brutto pensiero.

 

 

 

 

Al liceo scientifico di Konoha le lezioni volgevano ormai al termine e Asuma Sarutobi, professore di educazione fisica, trascorreva quell’ultima mezzora lontano da occhi indiscreti e in compagnia della sua fidanzata Kurenai Yuhi. A causa dei corsi di recupero che la donna avrebbe tenuto nel pomeriggio, i due avrebbero potuto vedersi solo la sera e tale situazione, senza quell’incontro, sarebbe risultata all’uomo insostenibile. 
Mentre le accarezzava dolcemente i lunghi capelli neri e il viso posato da alcuni minuti contro il suo petto, l’osservava silenzioso e si meravigliava nuovamente che amasse proprio lui; infatti, non era ancora riuscito a capire che cosa una donna raffinata e dotata di cultura come lei trovasse di speciale in una persona che aveva voluto fare dello sport la sua vita e che per giunta aveva fallito miseramente. Non essendo in grado di trovare una risposta convincente, ogni volta temeva che quella piacevole illusione, che pure durava da cinque anni, si sarebbe spezzata da un momento all’altro, una paura che gli impediva di esprimere apertamente il desiderio di sposarla nato negli ultimi mesi.
‘Asuma’ lo chiamò all’improvviso la donna ‘Allontana immediatamente dalla mente quel pensiero. Non sei inferiore a nessuno ’ affermò perentoria, guardandolo negli occhi.
‘Come l’hai capito?’ domandò sorpreso l’altro.
‘Se in certe situazioni resti a lungo silenzioso, il motivo è sempre lo stesso. Ormai ti conosco ’ rispose Kurenai, accompagnando l’ultima frase con un sorriso che riscaldò il cuore dell’uomo.
‘Aspetta’ continuò, fermando così Asuma  prima che la baciasse ‘Sei davvero sicuro che non ci sia nessun problema se rimani ancora qui con me?’.
‘Sì, non preoccuparti ’ replicò in tono calmo il professore ‘ In palestra c’è Iruka e nei pressi del campetto Baki, quindi i ragazzi sono sotto controllo ’spiegò.
‘Va bene ’ disse tranquillizzata la donna, per poi lasciare che le distanze tra i loro visi si azzerassero completamente. 

 

 

Gaara, che apparentemente seguiva con un gruppo di compagni la partita di calcio in corso di svolgimento nel campetto, in realtà stava aspettando l’arrivo di Sai, il ragazzo moro che l’aiutava a diffondere la droga nella scuola, e pertanto indirizzava a ritmo regolare degli sguardi furtivi verso la soglia della palestra, purtroppo ignaro che la persona oggetto della sua ricerca aveva raggiunto il luogo dell’incontro attraverso un percorso alternativo e l’osservava da alcuni minuti silenzioso e con un sorriso beffardo sulle labbra.
Quest’ultimo, infatti, poiché provava un certo divertimento nel vedere sul volto del collega un’espressione spazientita, non aveva trovato nessun motivo per interrompere immediatamente quell’attesa, e mentre si compiaceva di un simile comportamento, pensava che gli sarebbe dispiaciuto non avere più la possibilità di fare innervosire il ragazzo dai capelli rossi, essendo sicuro che dopo gli ultimi avvenimenti la polizia non avrebbe tardato a scoprirli.
Tale certezza, che normalmente avrebbe messo in allarme qualsiasi criminale, a Sai non procurava nessuna preoccupazione, perché essa rientrava fin dall’inizio nei suoi piani.
Quando l’anno prima aveva ascoltato il dialogo tra i due cugini, nella sua mente calcolatrice si era subito fatta strada l’idea che una storia di droga all’interno dell’istituto avrebbe fatto crollare l’immagine perfetta della città che suo zio Danzou intendeva costruire per soddisfare le proprie ambizioni politiche, e inoltre aveva pensato che l’arresto del nipote l’avrebbe screditato, mettendo in discussione l’educazione che era stato in grado di impartirgli e di cui amava vantarsi.
Si era insomma reso conto che il meccanismo perverso dell’opinione pubblica gli avrebbe permesso di vendicarsi di uno zio che l’aveva sempre considerato un fardello insopportabile, e per questo aveva lasciato cadere volontariamente l’album da disegno.
Nel momento in cui il ragazzo si ritenne soddisfatto, decise finalmente di chiamare Gaara, che si voltò nella sua direzione con un’espressione stupita che si trasformò velocemente in una di stizza.
‘Si può sapere da dove vieni e perché ci hai messo tanto?’ lo ammonì chiaramente innervosito.
‘Si tratta di una lunga storia ’ replicò vago Sai con tono calmo e con il solito falso sorriso sulle labbra.
Dopo tale risposta Gaara, rassegnato all’atteggiamento fuori d’ogni logica del moro, preferì non aggiungere altro e si diresse immediatamente verso gli spogliatoi della palestra.
Una volta che li ebbero raggiunti, Sai rimase all’esterno a controllare la situazione, mentre l'altro ragazzo vi entrò per dividere la droga in due parti uguali e riporre una di esse nel borsone che il pomeriggio precedente, durante le attività sportive, aveva nascosto in uno degli armadietti.
Generalmente sbrigavano quelle incombenze pratiche a casa di Sai, dato che lo zio era spesso assente, ma quel giorno erano stati costretti ad agire diversamente, perché il ragazzo era impegnato a scuola con un corso di potenziamento, situazione che non aveva fatto slittare la data della consegna.
Terminate le operazioni senza nessuna complicazione, i due ragazzi si separarono e lasciarono la scuola immergendosi nella confusione seguita al suono della campanella.

Personaggi comparsi nel capitolo
Hinata Hyuga:
anni 22, studentessa universitaria, figlia di Hiashi Hyuga,il titolare di una ditta immobiliare.
Asuma Sarutobi: anni 35, professore di educazione fisica, fidanzato con Kurenai Yuhi.
Kurenai Yuhi: anni 34, professoressa di italiano, compagna di Asuma.
Sai: anni 19, nipote del sindaco di Konoha Danzou, spaccia nella scuola in collaborazione con Gaara.

   
Angolo dell’autrice
 

Prima di tutto mi scuso con chi segue la fic per il mostruoso ritardo, ma l’università sottrae tempo e soprattutto energie mentali, senza contare che ho rivisto mille volte il caso Hyuga prima di apprestarmi a scrivere il capitolo. Detto questo. spero che il risultato sia quantomeno accettabile e che soprattutto le riflessioni dei personaggi risultino credibili(tipo i ragionamenti investigativi di Naruto, per me resta ancora un mistero il perché sia andata a complicarmi la vita con un poliziesco, mah ^_^).
Passando alla storia, ormai ho presentato tutti i personaggi centrali,a parte qualcun altro che comparirà successivamente per ragioni di trama( è pur sempre un giallo), ed è finita la parte iniziale  di questa prima giornata che si prospetta piuttosto intensa; rivelazioni sul passato di Naruto in vista^_^. Infine vorrei tranquillizzare i fans di Sasuke, per quanto il personaggio del manga non mi vada a genio, qui siamo in un’ Au e quindi avrà il suo ruolo, con Naruto e non solo.
Sperando che il capitolo sia piaciuto, passo alle recensioni.

shandril:  sono felice che la lettura sia piacevole e soprattutto che le vicende personali interessino dato che rappresentano il centro della storia, al di là dell’ambientazione poliziesca^_^ Sull’eventuale svolta KakaSaku, tengo la bocca cucita; per capirci qualcosa ci vorrà un po’(dopo che questi due casi verranno risolti per la precisione). Spero che mi seguirai lo stesso^_^
Urdi: finalmente sono riuscita a pubblicare il capitolo(favorita da un ‘filone’ eh eh) e spero che l’ attesa ti sembri ben ricompensata, personalmente non ne sono sicura, nonostante ci abbia messo tanto tempo per scriverlo, va be^_^ Comunque sei scusata per ovvie ragioni e grazie per i complimenti e il tuo sostegno morale. Su Kakashi e Sakura dovrai aspettare ancora, però posso dirti che non c’è stata nessuna relazione in passato per un motivo che poteva già intuirsi, ma sono contenta che non sia avvenuto^_^ Grazie ancora e un bacio.
hachi92: sono contenta che hai trovato il tempo per leggere questa fic, che ho dedicato a te come l’ho dedicata a Urdi perché senza le vostre recensioni mi sarei fermata a ‘Ciò che rimane ’ molto probabilmente^_^. Mi fa piacere che ti piaccia per l’ambientazione che ho scelto, anche se non so quanto sarò in grado di essere credibile, e per quanto riguarda Gaara, tranquilla perché non ha avuto problemi prima. Sulle coppie spero di non deluderti troppo^_^ Un bacio e alla prossima!!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

Dedicato a storyteller lover alias Vale,
perchè si è assunta l'onere di essere la mia beta.
Un abbraccio per l'esame, tesoruccia^_^

Durante l’attesa Sakura si era ritrovata a sfogliare una copia del quotidiano che ogni mattina Izo-san portava nei loro uffici, per invogliarli nel tempo libero ad una lettura costruttiva; dopo essersi soffermata sulle principali notizie politiche, evitando accuratamente il solito articolo di fondo filo-governativo, aveva iniziato a leggere nella sezione culturale la presentazione di una mostra impressionista, che da lì a breve si sarebbe svolta in una città non lontana da Konoha.
Per un momento era stata sfiorata dall’idea di visitarla, ma subito l’aveva allontanata, perché sapeva che Naruto, anche se non lo avesse dimostrato apertamente, si sarebbe sicuramente annoiato. Terminata la lettura dell’articolo, chiuse il giornale piegandolo in due e lo ripose sulla scrivania accanto al computer; stava poi per alzarsi con l’intenzione di prendere un caffè, quando sentì la voce di Ino.
“Ma guarda un po’. Mentre mi sorbisco cinque lunghe ed interminabili ore di lezione, qui si batte la fiacca; è davvero molto gratificante” disse ironicamente la nuova arrivata, mentre si avvicinava alla collega, che in tre anni di collaborazione era diventata anche un’amica fidata.
“Ino” replicò sorpresa ” Non ti ho proprio sentito arrivare”.
“Me ne sono accorta; eri decisamente assorta nella lettura ” commentò l’altra, sedendosi e portando sul petto i lunghi capelli biondi raccolti in una coda “ Si trattava di un articolo così interessante?” domandò.
”Beh, sì, lo era, ma lasciamo stare” rispose Sakura, liquidando sbrigativa la questione “Piuttosto, come è andata la giornata? Qualche progresso nelle indagini?” chiese poi con quell’ansia che ogni volta, contro la sua volontà, si associava alla domanda.
Col trascorrere delle settimane, infatti, aveva finito inevitabilmente per sperare sempre di più in una risposta che non fosse del tutto negativa, perché prima avrebbero risolto quel maledetto caso, e prima la situazione sarebbe ritornata alla normalità: gli incubi col tempo si sarebbero dileguati, e con l’assenza di Kakashi forse non ci sarebbe più stato il ricordo di un’amicizia a tormentarla.
“Purtroppo no. Oggi avrei dovuto approfittare dell’ora di educazione fisica, ma non avevo la testa. So quanto sia importante per te che questa faccenda si concluda il più in fretta possibile, e mi dispiace” rispose dopo alcuni istanti l’amica, desolata per quella situazione e nello stesso tempo assalita dalle emozioni che aveva provato nel vedere Shikamaru insieme alla professoressa Sabaku.
“Ehi, Ino, per me non è un problema se non riesci a scoprire nulla, volevo solo sapere della tua mattinata di lavoro, che poi ciò riguardi anche i miei problemi personali non c’entra. Non pretendo assolutamente niente, né da te né da Shikamaru, e non voglio che tu ti senta in colpa o qualcosa di simile” disse Sakura in tono deciso, mentre odiava se stessa; quel giorno riusciva unicamente a far preoccupare le persone a cui voleva bene e non lo sopportava.
“Ma cosa intendevi con 'non avevo la testa’ ? Cosa è successo?” domandò poi allarmata da quell’affermazione.
“Semplicemente sono una stupida,Sakura” replicò sommessamente l’altra, chiudendo le mani a pugno e abbassando lo sguardo triste sulla scrivania “ So che prima o poi Shikamaru potrebbe innamorarsi di qualcuno, eppure continuo ancora a non confessargli i miei sentimenti, sempre per paura. Sono solo una sciocca ragazzina,ecco cosa sono” concluse amaramente storcendo le labbra.
Nonostante si rendesse conto di quanto il suo comportamento potesse risultare infantile, soprattutto considerando che erano trascorsi diversi anni da quando aveva capito di amarlo, non era ugualmente in grado di allontanare dal suo cuore il timore di rovinare la loro amicizia con la verità.
“Ino” affermò Sakura, spingendola a distogliere gli occhi azzurri dalla superficie di legno “I sentimenti non sono razionali. Possiamo anche essere consapevoli che certi nostri comportamenti sono sbagliati,ma non è lo stesso per il nostro cuore; in simili casi non credo che ci sia qualcosa da considerare stupido”.
“Sì, è vero, però non ha senso continuare così. Non posso aspettare qualcosa che potrebbe anche non verificarsi; devo trovare il coraggio necessario” disse la poliziotta bionda. “Comunque grazie per aver tentato di tirarmi su di morale,Sakura” continuò accennando un sorriso.
“Beh,se ci fossi riuscita,sarebbe stato meglio” replicò l’altra, sentendosi inadeguata.
“L’ importante è che tu ci abbia provato” la tranquillizzò Ino.

 

 

 
In un altro ufficio del distretto di Konoha gli interlocutori erano sempre due amici legati da diversi anni di conoscenza, ma la discussione seguiva binari completamenti differenti.
Naruto, in piedi di fronte all’Uchiha impegnato a lavorare a computer, cercava invano di convincerlo ad aiutarlo.
“Dai, Sasuke, non ti sto chiedendo qualcosa di impossibile ” insistette ancora nel tentativo di vincere le sue resistenze.
“Infatti non mi sembra di aver detto questo ” rispose atono l’altro, senza interrompere la propria attività. “ Te lo ripeto. Devo controllare dei nominativi per il caso della palestra e possibilmente dovrei riuscirci prima dell’interrogatorio, quindi non ho tempo. Inoltre potevi chiedere l’indirizzo degli Hyuga durante il sopraluogo; sarebbe stata la cosa più ovvia ”
Il poliziotto biondo sbuffò leggermente, incrociando le braccia sul petto.
“Questo lo so anch’io, ma non posso farci nulla se al momento non ci ho pensato” si difese.  “Certo che sei sempre il solito noioso” gli fece poi notare rassegnato.
“Si può dire lo stesso per la tua testa dura ” replicò Sasuke senza scomporsi “ Comunque puoi usare anche il tuo pc, piuttosto di portare avanti questa polemica inutile” continuò poco dopo.
“Oh, beh, scusa, se avevo pensato di chiederti un favore,dato che sei più pratico con internet” rispose irritato.
“Perdonate l’intromissione, ragazzi” intervenne all’improvviso kakashi, ritornato da alcuni istanti nell’ufficio.
L’uomo dai capelli argentati che era stato presente all’inizio della conversazione aveva, infatti, previsto che l’Uchiha non avrebbe ceduto alla richiesta del collega, e quindi aveva deciso di cercare egli stesso l’indirizzo, così da risolvere il più in fretta possibile uno dei consueti battibecchi tra i due poliziotti.
Quest’ultimi gli prestarono immediatamente attenzione; Naruto represse il nervosismo che l’atteggiamento dell’amico gli aveva procurato, mentre Sasuke tralasciò momentaneamente le proprie ricerche.
“Izo-san è stato molto disponibile e mi ha permesso di trovare l’ubicazione di casa Hyuga” continuò avvicinandosi all’ Uzumaki.
Dopo quelle parole Sasuke, resosi conto che la questione non gli interessava, ritornò a concentrarsi sul proprio lavoro.  
“ Ah,grazie” esclamò sorpreso Naruto, prendendo il foglietto che Kakashi gli porgeva.
“Di niente” rispose l’altro, per poi dirigersi verso la propria scrivania.
“Aspetta un momento” lo fermò però il biondo dopo alcuni istanti, intenzionato a sfruttare l’occasione. L’uomo a quel richiamo si voltò e attese che il collega continuasse, incrociandone lo sguardo.
“Senti Kakashi… io non posso conoscere le tue motivazioni, né mi interessano, però credo che dovresti chiederle scusa” disse in tono pacato ma fermo, sicuro di non dover chiarire la sua affermazione. “Ovviamente il mio vuole essere solo un consiglio, ma spero che ci penserai. Comunque grazie ancora per l’indirizzo, ora devo proprio scappare. Ci vediamo” concluse, lasciando successivamente la stanza.
L’ispettore Hatake, fermo al centro dell’ufficio, non era per nulla sorpreso da quelle parole, anzi sapeva perfettamente che prima o poi le avrebbe sentite uscire dalla sua bocca, ma a differenza di Naruto si rendeva conto che la situazione non era così semplice.
C’era, infatti, la possibilità che insieme alle scuse Sakura pretendesse giustamente dei chiarimenti, e sebbene in alcuni momenti si ritrovasse a desiderare di spiegarle ogni cosa, sentiva di non averne il diritto; non voleva rischiare di rovinare un presente in cui la ragazza sembrava aver trovato finalmente la felicità e la tranquillità. 

 

 

 

 

Dopo un rapido pranzo in un locale nei pressi dell’istituto scolastico, Temari aveva cercato un’aula non occupata dagli studenti per correggere tranquillamente alcuni compiti in classe, attività con cui aveva deciso di impiegare il tempo prima dell’inizio di una conferenza sul francese contemporaneo che si sarebbe svolta nello stesso liceo.
Aveva appena finito di visionare il secondo elaborato, quando ricevette la telefonata che  attendeva da diversi giorni; suo padre le confermava finalmente la cena che più volte avevano rimandato, a causa dei rispettivi impegni e perché avevano voluto attendere quello che si illudevano di definire il momento più opportuno.
Quella notizia assunse gradualmente una consistenza reale nella mente della giovane donna che si trovò a fronteggiare un’inquietudine crescente nonostante avesse desiderato quel momento; infatti le paure che aveva cercato di relegare in fondo al proprio cuore tornarono prepotentemente a tormentarla.
Quando aveva iniziato a maturare l’idea di quella cena, si era resa perfettamente conto che rappresentava un rischio, perché avrebbe potuto rivelarsi un utile punto di partenza ma anche rendere tutto più complicato; tuttavia aveva deciso lo stesso di tentare, poiché l’atteggiamento del fratello non le lasciava altra scelta. In quel momento prevaleva, però, il timore che stesse sbagliando e ad esso si univa anche quello per la reazione di Gaara, ancora ignaro dell’incontro.
Non riusciva a cancellare dalla mente l’idea che il ragazzo le avrebbe rivolto parole sprezzanti, parole giustificabili ma inevitabilmente difficili da sopportare; era sempre stata considerata una persona forte, ma non sapeva fino a che punto lo sarebbe stata in quella situazione.
Pervasa inevitabilmente dell’ansia e per tanto incapace di ritornare a concentrasi sui lavori dei propri allievi, abbandonati ormai da alcuni minuti al proprio destino, Temari si alzò dalla sedia emettendo un sospiro, raccolse poi i fogli sparsi sulla cattedra e lasciò l’aula dirigendosi verso la sala professori.
Giunta a destinazione entrò nella stanza e con gesti più meccanici che consapevoli si avvicinò al proprio cassetto riponendovi i compiti, senza accorgersi minimamente della presenza di Shikamaru che non appena l’aveva vista si era chiesto dove fosse finita la sua buona stella.
Quest’ultimo aveva infatti progettato di sfruttare la mezz’ora precedente ai corsi di recupero per porre nel modo meno sospetto possibile delle domande e Temari rappresentava l’ultima persona che avrebbe scelto, considerando l’innata capacità della donna di infastidirlo con poche battute e soprattutto la cattiva reputazione che aveva di lui – un perenne annoiato disinteressato del mondo l’aveva sentita definirlo durante una conversazione con Kurenai Yuhi; tuttavia la propria professionalità gli impedì di rinunciare ad un’opportunità per raccogliere informazioni utili.
“Temari” la chiamò allora, sperando di non incontrare delle difficoltà.
Convinta fin a quel momento di essere sola la professoressa spalancò leggermente gli occhi sorpresa di sentire il proprio nome, poi, cercando di allontanare i pensieri che la turbavano, si voltò per identificare il proprio interlocutore.
“Shikamaru?” disse con un tono interrogativo che esprimeva stupore.
“Beh, si, fino a prova contraria è il mio nome” rispose neutro l’ispettore, che aveva ormai abbandonato la sedia su cui era seduto.
“Indubbiamente” replicò rapida l’altra “Solo mi meraviglia trovarti qui”.
“Stavo aspettando l’inizio dei corsi di recupero” le spiegò ”Comunque, già che ci sono, ti posso chiedere una cosa?” continuò per portare subito la conversazione sull’argomento che gli interessava.
“Tu che fai delle domande?” gli chiese Temari ancora una volta colta alla sprovvista e senza alcuna traccia di ironia; non era per nulla dell’umore adatto per farne.“E di cosa si tratta?”.
“Oggi nei corridoi mi è capitato di sentire alcuni studenti accennare ad una ragazza morta di overdose all’interno della scuola e vorrei sapere qualcosa in più. Non so se dei miei allievi l’abbiano
conosciuta, ma eventualmente delle informazioni potrebbero aiutarmi a comportarmi nel modo più opportuno, se in classe dovesse essere affrontato l’argomento” rispose, preferendo giustificare la propria richiesta con una motivazione lavorativa piuttosto che con un interresse personale, così da non destare nessuna sorta di sospetto nella donna.
“Capisco” affermò, infatti, quest’ultima senza considerare strana la sua spiegazione. “Per quanto mi riguarda, posso solo dirti le impressioni che mi ero fatta su Matsuri durante qualche supplenza e quando la vedevo in 5 B” continuò seria.
“Come mai in 5 B?” chiese Shikamaru dissimulando l’interesse che provava per quella informazione.
“Semplicemente conosceva alcune ragazze della classe, e dai sorrisetti e le frasi che si scambiavano sembrava che venisse soprattutto per vedere Gaara…credo che avesse una cotta per lui, ma questo non è importante” replicò, abbassando lo sguardo e fissando un punto imprecisato davanti a sé mentre pronunciava le ultime frasi.
Nel far riferimento al fratello era stata assalita dal rimpianto per quel legame che aveva ciecamente rinnegato; avrebbe voluto sapere il più possibile della vita di Gaara - chi fossero i suoi amici, di chi fosse innamorato, quali fossero i suoi sogni e le sue aspirazioni -, ma nello stesso tempo si rendeva conto di averlo capito troppo tardi, qualunque sarebbe stato l’esito della cena.
Scosse allora il capo nel vano tentativo di scacciare l’amarezza e tornò a guardare Shikamaru, il quale sorpreso dall’atteggiamento inconsueto della collega riportò la conversazione sull’argomento iniziale.
“In effetti non lo è…” mentì “Comunque cosa volevi dire prima che t’interrompessi?”.
 “Ecco…” cominciò Temari, mentre recuperava il filo iniziale dei suoi pensieri. “Sostanzialmente Matsuri mi sembrava una ragazza piuttosto timida, tuttavia cercava sempre di partecipare durante le discussioni che si creavano in classe ed si mostrava molto disponibile con tutti. Era come se sentisse il bisogno di farsi accettare…non so se ci fossero delle motivazioni reali, se il suo comportamento avesse origine nella situazione familiare o qualcosa di simile, però questa sua necessità potrebbe essere la stesa ragione che l’ha portata a scegliere la droga. Ovviamente si tratta solo di una mia opinione, non posso esserne sicura” concluse sottolineando l’opinabilità delle sue affermazioni.
“Si, certo, chiederò anche a qualche altro collega. Grazie lo stesso” rispose in modo cordiale l’ispettore.
“Figurati. Ora scusami, ma devo seguire una conferenza che inizierà a breve” disse la donna, per poi andarsene.
Rimasto nuovamente da solo Shikamaru si ritrovò a pensare di essere stato fortunato, infatti Temari avrebbe potuto senza problemi considerare insolita la sua disinformazione, dato lo scalpore che la morte di Matsuri aveva suscitato a Konoha e che ancora continuava a provocare a distanza di mesi; tuttavia ciò che provava in quel momento non era soltanto sollievo, ma con sua incredulità anche una vena di preoccupazione.

 

 

Nonostante Itachi Uchiha si fosse sdraiato sul letto con la sola intenzione di riposare erano stati sufficienti pochi minuti per scivolare nelle ombre mutevoli del sonno, capaci di lambire i sentimenti più reconditi dell’animo umano e di dargli forma, popolando il momentaneo distacco dalla realtà con sogni o incubi.
Inconsapevolmente era sprofondato in un mondo dall’atmosfera sfumata, dove si  confondevano ricordi e illusioni: i dolci lineamenti di sua madre illuminati da un sorriso confortante; l’espressione rapita di suo fratello Sasuke, poi imbronciata dopo l’ennesima promessa infranta; il volto di suo padre deformato dal dolore della morte; un sereno quadro familiare perduto ma agognato; una riconciliazione irrealizzabile. 
Quando la sequenza di immagini mentali si interruppe, l’uomo si risvegliò col respiro irregolare per l’intensità delle emozioni che avevano turbato il suo riposo; l’amara nostalgia, il vano desiderio struggente e il senso di colpa dominati in quindici lunghissimi anni ormai lo assalivano sempre più spesso, in un modo o nell’altro.
Nel tentativo di calmarsi e di alleviare la sensazione di pesantezza che lo pervadeva chiuse gli occhi, si portò una mano tra i capelli scuri scostando le ciocche che ricadevano sulla fronte e assaporò la luce calda del sole, che entrava dalla finestra e gli illuminava il viso pallido. Trascorse così diversi minuti, riuscendo a recuperare un po’ di pace, e quando sentì il leggero cigolio della porta che si apriva lanciò una rapida occhiata al nuovo arrivato; come era prevedibile si trattava di Kisame, l’uomo con cui da molti anni spacciava all’interno della discoteca Alba e con il quale aveva stabilito qualcosa di molto simile ad un rapporto d’amicizia, se per pura necessità non avrebbe però saputo dirlo.
“Scusa, non intendevo disturbarti” esordì quest’ultimo.
“Non c’è nessun problema, non stavo dormendo” spiegò Itachi, dopo essersi tirato su sedendosi sul letto “Piuttosto ci sono novità?” continuò col capo chino mentre metteva le pantofole.
Kisame esitò indeciso sul tono da utilizzare, poi scelse di rispondergli in modo neutro senza nessuna coloritura ironica o scherzosa.
“Si, un’oretta fa è tornato Sasori e ci ha comunicato che stasera Madara sarà ospite del locale”.
“Capisco” disse poco dopo l’altro, celando alla perfezione l’insofferenza.
Dopodiché si alzò annunciando che avrebbe fatto una doccia, proposito che aveva rimandato in precedenza a causa del sonno improvviso, e si diresse verso il bagno; mentre lo seguiva con lo sguardo, Kisame sperò che la notizia appena ricevuta non influisse sull’umore di Itachi rendendolo più distaccato del solito, poi pensò che avrebbe raggiunto molto volentieri Morfeo.

La piccola stanza adibita allo svolgimento degli interrogatori era arredata in modo semplice ed essenziale; un tavolo non molto grande e circondato da due sedie occupava la zona centrale, illuminata a sufficienza da una finestra, mentre sulle pareti spoglie era appeso un unico quadro rappresentante lo stemma della polizia, quasi a voler marcare la funzione del luogo.
Rock Lee si soffermò con delusione ad osservare proprio quell’emblema e fu allora che l’ispettore Uchiha lo raggiunse e gli si sedette di fronte.
“Salve Lee” esordì in un tono né troppo confidenziale né eccessivamente distaccato; sebbene Sasuke si trovasse a ricoprire un ruolo d’autorità i due avevano pressappoco la stessa età.
“Salve” ricambiò l’altro con voce sommessa.
“Immagino che tu abbia saputo della morte di Aizawa Daisuke?”.
“Si, me l’hanno detto”.
“Bene, allora possiamo passare alle domande” spiegò il poliziotto consapevole che il pugile non avrebbe potuto dire altro, ma dovendo pur cominciare in qualche modo.
“Quali erano i tuoi rapporti con la vittima?” chiese per prima cosa.
“Ecco… io e Daisuke frequentavamo entrambi la palestra di mio zio, ma non posso dire che fossimo amici. Ci incontravamo solo nelle ore di allenamento e mi è capitato poche volte di incontrarlo fuori”. 
“Avete mai avuto qualche discussione?”.
“Beh, Daisuke, in effetti, era un tipo piuttosto litigioso e qualche volta ci è capitato di discutere… ma tutto finiva lì” rispose Lee, spinto poi dall’amarezza che provava a distogliere momentaneamente lo sguardo da quello di Sasuke.
“Ho capito” affermò quest’ultimo notando la cosa “Ora dovresti dirmi dove eri tra le dieci e le undici di stamattina?” continuò proseguendo con il quesito indubbiamente più spinoso.
“Ero in palestra, ma poi me ne sono andato. Non saprei dire che ora fosse però” gli spiegò lo sportivo pronto ad una simile domanda.
“Come mai hai lasciato la palestra?”.
“Ho avuto un impegno improvviso”.
“E di che cosa si trattava per la precisione? Dato che alcuni testimoni ci hanno riferito di averti visto piuttosto sconvolto, non credo che fosse un semplice imprevisto” disse l’Uchiha interessato alla risposta e alla reazione dell’interrogato.
“Beh… ecco… si… era urgente” biascicò Lee lentamente, per poi continuare in modo chiaro “Un mio amico mi ha chiamato perché aveva avuto un incidente con la macchina ed ho cercato di raggiungerlo il più in fretta possibile”.
“Dove sarebbe avvenuto?”.
“Poco fuori di Konoha”.
“Va bene, per ora può bastare” disse il poliziotto dopo alcuni istanti, insospettito dal tentennamento iniziale del pugile e annotando mentalmente di chiedere conferma del sinistro alla stradale “Devi però tenerti disponibile per qualsiasi evenienza” spiegò poi, mentre si alzava.
“Si, certo” rispose il pugile abbandonando la propria sedia in qualche modo sollevato. Su esortazione di Sasuke venne poi accompagnato da un agente all’uscita del commissariato, mentre l’ispettore raggiungeva il collega per comunicargli le informazioni raccolte e le sue considerazioni a proposito.

 

Note dell'autrice
E finalmente posto. Non posso far altro che stendere un velo pietoso sull'enorme ritardo, ma è successo tutto e di più,sorry^_^
Riguardo al capitolo e alla fic in generale, le rivelazioni su Naruto sono rimandate al prossimo capitolo, dove spero di riuscire a trattare bene gli argomenti in ballo, e abbiamo avuto qualche new entry (in particolare Itachi per la gioia di qualcuno^_^) . Detto questo passo a rigraziare coloro che hanno messo la fic nei preferiti e chi segue: bacinaru, hachi92, Saku_piccina93, sasusakuxxx, Urdi, Gweiddi at Ecate.

Urdi: tesoro, finalmente ho postato, contenta? ^_^ 'I sassi in direzioni completamente opposte' mi avrebbero tromentato a lungo se non mi avessi chiarito il significato, e riguardo agli incasinamenti, sì, l'intreccio è molto incasinato, spero di non perdermi nei suoi fili o meglio di tirare fuori lo stesso qualcosa di decente. Sono felice di aver trattato bene Naruto(spero di riuscirci anche nel prossimo capitolo^_^)  e che ti sia piaciuto, tra l'altro è piaciuto un sacco anche a me. Dico così. perchè sono io che scrivo, ma i personaggi a volte si comportano da soli. E tu lo sai bene. Un bacio e un abbraccio!!  p.s. la camomilla è servita^_^

hachi92: oh, Kikina, donna impegnata, ti adoro!!! Sono davvero contenta di riuscire a farti immergere nella lettura e spero che il caso Hyuga riesca ad appassionarti con i suoi particolari. Prossimamente, ma anche in questo capitolo, puoi indossare senza problemi i panni del detective conan  e io ti auguro buona fortuna. Rriceverò un 'disgraziata' anche da te oltre che dalla beta? staremo a vedere eh eh baci ^_^

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V

Non puoi odiare una persona fino a quando non capisci
come diventerebbe la tua vita se l’amassi.

(Jodi Picoult, Senza lasciare traccia)

Come era prevedibile l’abitazione degli Hyuga era ubicata in uno dei quartieri più noti e ricchi di Konoha, dove era possibile imbattersi in bar e locali raffinati, negozi dai prezzi inaccessibili e uomini d’affari vestiti di tutto punto. Per raggiungere la zona, i due poliziotti impiegarono un buon quarto d’ora e fu Sakura a guidare la vettura, così da risparmiare al collega un altro stress da parcheggio e ripagarlo delle preoccupazioni che durante la mattinata gli aveva procurato. Dal canto suo, Naruto gradì molto tale decisione perché ebbe l’opportunità di osservare l’amata in tutto il suo splendore, e ciò con l’inevitabile effetto di imbarazzarla. Quando riuscirono, infatti, ad individuare l’edificio che cercavano e a trovare un buon posto dove sostare, la ragazza spense l’automobile, lasciò scivolare le mani dal volante alle ginocchia e si voltò verso di lui con le gote arrossate e uno sguardo che esprimeva disorientamento.
“Hai finito, vero?” Gli chiese con tono di finto rimprovero.
“Di fare cosa?” Replicò l’altro candidamente ma con un’espressione sorniona sul volto.
Sakura emise allora un sospiro divertita, chiudendo gli occhi e reclinando leggermente il capo, poi sentì la mano di Naruto scompigliarle con dolcezza i capelli e la sua voce che la invitava a seguirlo. Pervasa da una sensazione di calore, incurvò le labbra in un sorriso, pensando che avrebbe voluto serbare per sempre i ricordi di simili momenti spensierati in modo da poterli contrapporre a quelli dolorosi. Sentendosi rassicurata e protetta da questa idea scese dall’abitacolo e raggiunse in fretta il collega, che l’aspettava all’ingresso del palazzo.
I due chiesero informazioni al portiere, un uomo basso e tarchiato, che li indirizzò al secondo piano; lì si avvicinarono alla porta sulla destra, che presentava una targa color oro con la scritta ‘Famiglia Hoshima’, e bussarono. Nel giro di pochi minuti giunse ad aprirli una giovane donna, i capelli raccolti in uno chignon e indosso un classico tubino grigio ricoperto da un grembiule bianco privo di fronzoli. Nel trovarsi di fronte i due giovani la cameriera rimase alquanto stupita, poiché la sua datrice di lavoro non aveva né figli né nipoti; ma, quando il poliziotto biondo le mostrò il proprio distintivo, intuì subito il motivo della loro presenza e li lasciò entrare. Come era sua abitudine, accompagnò gli ospiti in salotto esortandoli ad accomodarsi sul divano e annunciando che avrebbe avvertito la padrona di casa, poi si allontanò mentre i due si sedevano seguendo il suo invito.
Durante il tempo d’attesa, l’attenzione di Naruto si concentrò sui diversi elementi che costituivano l’arredamento lussuoso della sala. Oltre che sul divano in tessuto damascato e dalla tinta color sabbia, di cui osservò i raffinati arabeschi dorati, il ragazzo indugiò con lo sguardo sui tappeti turchi in seta, sulle eleganti tende bianche, sul tavolo ovale adornato con candelabri in argento, sul mobile intarsiato con sportelli a specchio e soprattutto sul pendolo a muro posto proprio di fronte a lui. Non aveva mai visto dal vivo nessuno di quegli oggetti di pregio, ma l’orologio con il suo andamento ritmico e scintillante lo aveva praticamente affascinato. Seduta al suo fianco, Sakura notò l’espressione meravigliata e di pura curiosità che ne dipingeva il volto, e le sembrò quasi di avere davanti un bambino alle prese con l’esplorazione di una casa abbandonata, dove ogni piccolo particolare poteva rivelargli un segreto affascinante. Inizialmente il paragone di Naruto con un fanciullo investigatore la indusse a pensare che dopotutto la realtà non era molto diversa, ma ben presto si insinuò nella sua mente un’altra considerazione: l’atteggiamento del collega poteva in qualche modo avvalorare l’idea che aveva maturato da quando si frequentavano anche al di fuori dell’ambiente lavorativo, e cioè che il giovane non avesse avuto una vita agiata.
Era giunta a tale conclusione mettendo insieme diversi frammenti, dall’ordine che regnava nell’appartamento del poliziotto alle sue buone capacità culinarie, dalla cura con cui l’aveva visto svolgere alcune faccende domestiche alla parte dello stipendio che versava a sua madre. Ovviamente era anche possibile che la sua supposizione non trovasse nessun fondamento logico in quegli elementi, tuttavia non era riuscita ad accantonarla, tanto che avrebbe cercato di dissipare i suoi dubbi se Naruto non si fosse mostrato sfuggente sulla sua vita familiare. Insistere sull’argomento le era invece sembrato invadente, e ne era ancora convinta, sebbene in quel momento avrebbe voluto sapere tutto. All’improvviso avvertì una strana sensazione e, non riuscendo a darle un nome, la scacciò per rivolgere di nuovo la sua attenzione al partner, che continuava a fissare le oscillazioni del pendolo. Dopo aver controllato rapidamente che non arrivasse nessuno, si girò di lato puntellandosi con una mano sul sedile del divano e lo chiamò. Naruto interruppe la propria contemplazione e si voltò a guardarla ritrovandosi a pochi centimetri dal viso della ragazza.
“Puoi aspettare quanto vuoi, ma l’orologio non farà cucù.” Lo canzonò quest’ultima con bonaria ironia.
Sulle prime il poliziotto rimase spiazzato, poi, vedendo comparire un sorriso sulle sue labbra, colse il significato che esse sottintendevano e si portò una mano dietro il capo imbarazzato.
“Ah, ma certo.” Si affrettò a dire a mo’ di scusa.
Sakura provò l’istinto irrazionale di baciarlo- un Naruto impacciato era sempre troppo buffo-, tuttavia si trattenne con un tempismo provvidenziale; proprio in quel momento, infatti, giunse la padrona di casa, che non avrebbe affatto considerato un buon biglietto da visita trovarli in atteggiamenti intimi.
Era una donna sulla cinquantina, bassa e di corporatura minuta, il viso segnato ormai da alcune rughe insistenti, che insieme agli zigomi alti e a due scuri occhi indagatori creavano un’espressione perspicace e seria. La stessa serietà era avvertibile nel tono di voce con cui esordì, scusandosi per averli fatti attendere.
Costretti a recuperare un po’ di professionalità, i due poliziotti si alzarono subito, cercando di nascondere il proprio disagio per la situazione. Istintivamente si chiesero se la donna avesse intuito qualcosa, ma nulla nei suoi atteggiamenti lo lasciava trapelare.
“Si figuri, non c’è problema, anzi, ci scusi lei per il disturbo, ma purtroppo dobbiamo farle delle domande.” Disse l’ispettore, ritornando a concentrarsi sull’indagine.
“Sì, lo immaginavo. La notizia sulla morte del signor Hyuga si è diffusa rapidamente.” Rispose quella, per poi andare a sedersi sulla poltrona che affiancava il divano invitandoli a fare altrettanto.
“Qualunque cosa vogliate sapere sono a vostra completa disposizione, sperando davvero di potervi essere utile”.
“Grazie. Anche noi lo speriamo”.
La volontà di collaborare era sempre un buon inizio, pensò Naruto mentre la ringraziava.
“Cosa sa dirci sulla situazione familiare degli Hyuga?” Continuò.
“A essere del tutto onesta non è una storia piacevole.” Cominciò la donna già preparata alla domanda, cercando di soppesare le parole.
“Quando la signora Hyuga è morta, più o meno otto anni fa, la sua scomparsa è stata un duro colpo per il marito e per le povere figlie. Ha spezzato la loro serenità. Certo, la perdita di un genitore, soprattutto di una madre, finisce sempre per cambiare la vita di una famiglia, però, vedete… “.
Si interruppe brevemente, consapevole di dover introdurre un argomento spinoso.
“Il signor Hyuga non ha trovato altro modo per affrontare il dolore se non l’alcool”.
“Cosa? Era un alcolista?” Intervenne Sakura perplessa.
Non si sarebbe mai aspettata che un uomo distinto e con una certa notorietà potesse avere un simile vizio senza che la sua immagine pubblica ne risentisse; ma, evidentemente, la faccenda era stata tenuta ben nascosta.
“Sì, sfortunatamente è così.” Le confermò la loro interlocutrice.
“E come fa a saperlo con certezza, signora?” Chiese Naruto atono.
Con il suo lavoro era facile imbattersi in storie simili, ma sentire pronunciare la parola alcool non lo lasciava mai indifferente: ogni volta una fitta impercettibile, e in quel caso inevitabile.
“Beh, la gente ama parlare, e c’è da dire che ne ha avuto modo.” Spiegò la donna.
“Ormai da diversi anni, una sera sì e una no, il signor Hyuga tornava a casa ubriaco, accompagnato da qualche dipendente della ditta. Non era affatto un mistero”.
“Capisco. E riguardo ai rapporti con le figlie o con altri parenti? E’ a conoscenza di qualcosa?”.
“Ogni tanto mi è capitato di parlare con Yumi, la loro governante. Dopo la morte della madre è stata lei ad occuparsi quasi a tempo pieno delle due ragazze. Da quello che ho potuto capire c’erano dei problemi con la più grande, cioè con Hinata, ma non saprei dirne il motivo. Fatto sta che qualche anno fa è anche scappata. Poi, ecco, non so se è importante…”.
“Che cosa, signora? Anche il più piccolo particolare può essere importante.” Insistette l’ispettore.
Per quanto non gli piacesse, quella che si andava profilando sembrava una buona strada.
Al suo fianco anche Sakura intuiva la necessità di approfondire, ma nello stesso tempo sentiva che il tono inespressivo di Naruto era piuttosto strano.
“Mi riferisco alla notte in cui Hinata fu riportata a casa dalla polizia, dopo la tentata fuga.” Continuò la padrona di casa.
“Eravamo quasi tutti nel cortile in quel momento, e il signor Hyuga diede uno schiaffo alla figlia. Sicuramente si trattò di un gesto legato alle contingenze, per sfogare la preoccupazione, però i più maligni hanno voluto vedere nella passività della ragazza qualcosa di più. Insomma hanno iniziato ad insinuare che la picchiasse, ma davvero, per me, è solo un’illazione, un’infamia senza alcun fondamento” Concluse con un certo fervore.
E intanto il poliziotto avrebbe preferito non sapere, sebbene rientrasse nel suo dovere.

“Non mi ha convinto.” Esordì Sasuke già seduto alla propria scrivania da un bel pezzo.
Apparentemente non sorpreso, l’ispettore Hatake staccò lo sguardo dal computer per rivolgerlo al collega; anche lui sul lavoro non dava particolare prova di loquacità, ma la silenziosità dell’Uchiha in certi casi restava davvero un mistero incomprensibile.
“Sasuke, capisco che prima risolviamo il caso e meglio è, ma se chiarissi le tue affermazioni sarebbe molto utile.” Disse cercando di non dare alla sua osservazione il tono di un vero e proprio rimprovero. Dalla risposta che seguì capì però che il suo tentativo era fallito.
“Stavo per farlo, tranquillo.” Replicò l’altro secco, per poi continuare come se nulla fosse, con totale professionalità.
Da quando era entrato in quel distretto, non si era mai sbilanciato nel mostrare le proprie sensazioni, se non con piccolissimi segnali che scomparivano ben presto nel nulla.
“Il ragazzo” Disse, “afferma di aver conosciuto la vittima solo relativamente all’ambiente sportivo e di aver lasciato agitato la palestra per via di un amico che aveva avuto un incidente. L’incidente sarebbe avvenuto a nord di Konoha. Comunque i suoi atteggiamenti non mi hanno convinto, per me mentiva.”
“Capisco. Vediamo di controllare subito questo presunto alibi, allora.” Rispose Kakashi. “Ho un amico tra quelli della stradale e oggi doveva essere di turno. Lo chiamo subito”.
Come al solito Tenzo era al momento giusto nel posto giusto, pensò tra sé e sé.
“Intanto io vado un attimo da Izo-san. Prima mi ha fermato e sembrava che dovesse dirmi qualche cosa.” Lo informò Sasuke, vago come tutte le volte che oscillava tra verità e menzogna.
Kakashi annuì, poi avviò la telefonata mentre il collega lasciava l’ufficio; nel giro di alcuni minuti una voce familiare interruppe lo squillare a vuoto del cellulare.
“Ohi, Kakashi! Che è successo per chiamarmi nell’orario lavorativo? Una bomba oppure un sequestro?” Chiese quella ironicamente.
“Ciao, Ten. Sempre molto divertente. Ma mi dispiace deluderti, si tratta di un semplice incidente”.
“Ma va, tanto per cambiare, direi”.
“Dipende. Se è avvenuto realmente, sì. Altrimenti può esserci piuttosto utile. Dovrebbe essere successo nella zona nord di Konoha, tra le nove e le undici di stamattina”.
“Uhm, fammi pensare un attimo… un incidente da quelle parti mi risulta, però era verso mezzogiorno. Sì, più tardi non poteva essere”.
“Perfetto. Grazie mille. Sempre molto disponibile”.
“Se, figurati, e il do ut des dove lo metti. Mi devi una birra al più presto”.
L’ispettore non ebbe nessuna difficoltà nell’immaginare il sorriso beffardo con cui l’uomo all’altro capo del telefono aveva sicuramente pronunciato quella frase.
“Praticamente” Continuò quello in tono più serio, “riuscivamo di più a vederci quando lavoravi nel distretto di Oito che ora che sei a Konoha”.
“Hai ragione. Appena possibile, allora. Ciao Ten e grazie ancora”.
Così congedato l’amico, Kakashi staccò la telefonata e subito dopo Shizune attirò la sua attenzione.
“Telefonata di lavoro?” Gli chiese la donna.
“Buongiorno, Shizune. Sì, era per un indagine. Ma immagino che anche tu sia qui per questo”.
“Beh, sì. Se poi qualcuno volesse prendere il telefono non solo per il lavoro, il mio numero lo conosce”. Ammiccò maliziosamente l’altra mentre avanzava verso di lui; senza attendere un permesso o qualcosa di simile, si accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania dell’ispettore.
“Gli dirò di tenerlo a mente”. Replicò pacato Kakashi, e non mentiva. Forse avrebbe dovuto pensarci seriamente, accantonare il passato e proiettarsi nel futuro. Peccato che prima della sua testa dovesse riuscire a convincere il suo cuore.
“Lo spero.” Disse la dottoressa sorridendo. “Comunque, tornando al lavoro, credo che l’autopsia possa esservi molto utile”.
“Come mai?” Domandò il poliziotto con interesse.
“Allora, prima di tutto la fascia oraria del delitto si può restringere tra le dieci e le undici, ma la cosa più importante è un’altra: la vittima faceva uso di anabolizzanti. Insomma, trattandosi di un pugile professionista, siamo chiaramente nel doping e dunque nell’illegalità. Ma di sicuro non devo insegnarti il tuo lavoro, scusami”.
“Non preoccuparti. Comunque indubbiamente può aiutarci. Grazie per i risultati molto rapidi”.
“Di nulla, dovere. Ah, a proposito, avverti i tuoi colleghi che riguardo all’autopsia di Hiashi Hyuga sapranno tutto domani mattina. Doveva occuparsene un mio assistente, ma c’è stato un disguido, mi dispiace.”
Shizune imprecò mentalmente; odiava scusarsi per le mancanze degli altri, tanto più se c’entrava Kabuto. Quell’idiota era sparito praticamente nel nulla, lasciandole uno striminzito biglietto in cui l’informava solo che sarebbe tornato l’indomani senza fornire giustificazioni. Ma alla fin fine la colpa era anche un po’ sua; dopo quell’incomprensibile notte di sesso di alcuni mesi prima, purché la lasciasse in pace aveva permesso che si prendesse troppe libertà.
Kakashi intuì dal volto adombrato della donna che qualcosa non andava; ma, quando le chiese se ci fosse qualche problema, ella negò e allora preferì non insistere. Si limitò unicamente a salutarla e a vederla andar via. Poi, rimasto solo, cercò di ricollegare i frammenti raccolti.
Come era riuscito a capire Sasuke, Rock Lee aveva mentito; la sua agitazione non aveva nulla a che fare con l’incidente utilizzato come alibi, ma doveva avere un’altra causa. Le possibilità potevano essere principalmente due: o il ragazzo aveva ucciso senza realmente volerlo, probabilmente dopo un litigio relativo agli anabolizzanti, oppure ritrovando il corpo aveva lasciato la palestra per paura di essere incolpato, e anche quell’ultima eventualità implicava che il giovane fosse coinvolto nel doping, altrimenti non avrebbe avuto motivo di scappare.
Insomma, in entrambi i casi, la sua posizione non era affatto buona. Ciò che dovevano cercare di capire era l’entità della diffusione delle sostanze dopanti nella palestra e il ruolo preciso che queste avevano avuto nell’omicidio. Al ritorno di Sasuke si sarebbe accordato con lui sul come.


La giornata era cominciata senza dubbio nel migliore dei modi: una nuova pressione dall’affabile sindaco di Konoha e due casi di omicidio, o presunti tali, su cui indagare. Molto probabilmente, se non avesse creduto nel suo lavoro e ancora di più nel suo ruolo di commissario, avrebbe trascorso la maggior parte del tempo con un pessimo umore. Ma era stata soprattutto la chiacchierata con Jiraya, prima per via telefonica, poi al bar di fronte al distretto, a rimetterla in sesto. Dimostrazioni di fiducia a parte, aveva saputo come distrarla, spostando la conversazione dagli iniziali dettagli lavorativi- inevitabile effetto collaterale di una relazione con il responsabile della scientifica- ad argomenti più piacevoli, contornandoli con le sue solite battute deficienti.
Nel ricordarne una delle ultime, sorrise increspando leggermente le labbra, poi posò lo sguardo sulla cornice argentata che racchiudeva una vecchia fotografia; l’aveva scattata un amico durante una gita in montagna, immortalandoli teneramente abbracciati contro il tronco di un pino. Se si fosse accorta del fotoreporter in erba, non si sarebbe mai fatta ritrarre in quegli atteggiamenti; ma, in fondo in fondo, non le dispiaceva avere un'istantanea che le ricordasse simili momenti di dolcezza, motivo per cui continuava a lasciarla sulla sua scrivania. Che poi alcuni incauti si fossero visti scoccare delle temibili occhiatacce, per aver osservato quella foto con insistenza o per aver semplicemente posto delle domande al riguardo, era per il commissario un mero dettaglio.
Quando avevano organizzato la scampagnata, lei e Jiraya stavano insieme da poco più di un anno, con l’ombra di Dan che ancora incombeva su di loro. Avevano dovuto lottare duramente per allontanarla, con continue cadute e crisi, rimettendo ogni volta in discussione il loro rapporto; però, ormai, il peggio sembrava superato. Che cosa le impedisse allora di compiere un ultimo passo ancora non lo capiva. La donna non esitò ad accantonare quel quesito a cui solo il suo cuore avrebbe potuto trovare una risposta. Dopodiché si alzò dalla sedia per andare ad informarsi su come procedessero le indagini, ma un deciso bussare alla porta anticipò le sue intenzioni.
“Avanti.” Disse rimanendo in piedi.
“Scusi il disturbo, commissario. Siamo appena tornati e abbiamo delle notizie piuttosto importanti.” Esordì Sakura varcando la soglia dell’ufficio.
Dietro di lei attendevano Naruto e Sasuke.
“Certo, ragazzi, venite.”
“Allora, io torno dopo?” Chiese l’ispettore Uchiha.
“No, tranquillo, resta pure Sasuke. Un parere in più fa sempre bene. E poi sarai già qui per ragguagliarmi sull’omicidio della palestra”.
Il poliziotto annuì, poi entrò seguendo i due colleghi e chiuse la porta dietro le loro spalle.
“Dunque, cosa avete scoperto interrogando i vicini?” Chiese il commissario.
“Sembra che a causa della morte della moglie il signor Hyuga avesse preso il vizio dell’alcool e che i rapporti con la figlia maggiore non fossero dei migliori. Alcuni anni fa è anche scappata di casa, ma non sappiamo se ciò sia legato all’alcolismo del padre.” Spiegò Naruto, con il maggior distacco possibile.
“Inoltre” Intervenne Sakura, “tra i vicini girava voce che la picchiasse, ma tutto era partito da un semplice schiaffo, troppo poco per supporre che fosse la verità.”
“Vero, un pettegolezzo non può essere attendibile. Anche se considerando gli elementi, cioè i problemi d’alcool e la fuga, non possiamo escludere l’ipotesi a priori.” Commentò Tsunade.
“Però l’interrogatorio alla ragazza ci potrà aiutare a capire, ora non mi sembra utile soffermarci su questo dettaglio.” Replicò l’ispettore Uzumaki.
“Solo perché non abbiamo testimonianze concrete. Comunque, sì, è certamente più utile iniziare ad avanzare delle prime ipotesi su ciò che è accaduto”.
L’affermazione della donna ebbe l’effetto di alimentare la tensione che Naruto covava dentro di sé; invano stava tentando d’arginarla da quando aveva lasciato l’appartamento.
“Come mi avete riferito questa mattina” Continuò il commissario, “la ragazza era sulla scena del delitto con le mani sporche di sangue. Ora, o può averlo trovato già morto, oppure, considerando la situazione familiare non facile, essere stata lei stessa ad ucciderlo.”
“Per poi rimanere lì senza andare via subito?” Ribatté il poliziotto, la calma apparente che sfumava gradualmente.
“Può essere stato un raptus di rabbia che ha sconvolto anche la giovane”.
“Probabilmente rabbia legata all’odio maturato nel corso degli anni.” Aggiunse Sasuke intervenendo nella conversazione.
D’istinto Naruto strinse i pugni.
“Questo perché non avete visto in che stato era!” Esclamò brusco.
“In effetti dovresti concentrarti su ciò che è accaduto prima del vostro arrivo sul posto.” Gli fece notare il collega, abituato ormai ai suoi modi.
“Ma al di là di questo… ” Cercò poi di dirgli Tsunade, ma si interruppe vedendolo volgersi di scatto verso l’amico dai capelli corvini.
“Perché per te non esistono sfumature, non è così Sasuke? O è tutto bianco o è tutto nero. Il resto non rientra nella tua comprensione.” Sbottò quello, chiaramente alterato.
“Chi sta commettendo un errore sei tu. La comprensione e il perdono non sono una dote di tutti e soprattutto non sono sempre possibili.” Ribatté prontamente l’altro, calmo ed impassibile.
Colpito e affondato, Naruto conficcò ancora di più le unghie nella pelle, mordendosi anche il labbro inferiore, la determinazione che svaniva dal suo sguardo così come il volto di Sasuke dal suo campo visivo. Con un misto di perplessità e inquietudine Sakura sussurrò il nome del collega. Perché diavolo non era mai facile con lui capire se davvero qualcosa non andava? Si chiese tra sé e sé, ormai del tutto confusa.
“Ispettore Uzumaki.” Intervenne il commissario con tono autoritario, aggrottando leggermente le sopracciglia. “Farò finta di non aver né visto né sentito, però non voglio che una situazione simile si ripeta. E’ chiaro?”
Grazie ai suoi anni di esperienza non le risultava affatto difficile interpretare la reazione agitata del subordinato, ma per quella volta avrebbe soprasseduto; voleva continuare a dargli fiducia, nel periodo della loro collaborazione era riuscito a guadagnarsela.
Il giovane uomo si rivoltò verso la donna, cessando di torturarsi labbra e palmi e tornando a guardarla.
“Sì.” Annuì. Il blu dei suoi occhi offuscato da ombre.
“Perfetto. Tornando alle indagini stavamo solo facendo delle ipotesi, non ci sono elementi che possiamo definire prove schiaccianti. Forse sarà necessario anche porre domande agli amici della ragazza, sia vecchi che recenti. Per il momento attendiamo che la scientifica trovi l’arma del delitto, se c’è, purtroppo le ricerche non hanno ancora prodotto risultati. Inoltre c’è l’interrogatorio di domani, dovremo tentare di scoprire il più possibile. Con questo è tutto. Potete andare.”
Così congedati Naruto e Sakura lasciarono l’ufficio.

Mentre la luce della luna e delle prime stelle dava lentamente il cambio a quella solare, in una piccola aula del pian terreno trascorreva l’ultimo quarto d’ora dei corsi pomeridiani.
Seduta dietro la cattedra, con le braccia conserte e la schiena appoggiata contro la spalliera della sedia, Kurenai Yuhi attendeva che i propri allievi terminassero di tradurre alcune frasi in latino, scrutandoli con gli occhi cremisi. Indubbiamente il suo rapporto con gli studenti era sempre stato buono, nei loro confronti cercava di non essere né troppo severa né troppo amichevole, insomma di stabilire la giusta distanza; e tale comportamento si era rivelato nel tempo piuttosto fruttuoso, conferendole una evidente sicurezza nel trattare giorno dopo giorno con i ragazzi.
Da qualche tempo, però, la tormentava il timore che essere una buona insegnante non sarebbe stato sufficiente per saper crescere un figlio; un bambino di cui avrebbe dovuto occuparsi tutti i giorni, ventiquattro ore su ventiquattro, e a cui avrebbe dovuto trasmettere non solo il sapere ma anche una moralità e dei valori. Non è che non cercasse in qualche modo di farlo anche con i propri alunni, ma nel momento in cui sarebbe stata madre la responsabilità maggiore nell’educare alla vita suo figlio sarebbe ricaduta solo ed esclusivamente su di lei.

Suo figlio. Lasciò che quelle due semplici parole scivolassero nella sua mente come una dolce speranza, adagiando con delicatezza una mano sul ventre ancora piatto, ma che già ospitava una nuova vita. Immediatamente, però, fu assalita dall’inquietudine.
Doveva trovare assolutamente il coraggio di mettere al corrente Asuma della situazione, ma l’eventualità che lui potesse sposarla solo perché incinta rendeva fragile la sua determinazione.
Aveva una terribile paura di scoprire che l’amore dell’uomo non fosse abbastanza forte da superare i suoi dubbi e  le sue insicurezze e giungere all’idea di costruire una famiglia insieme al di là di eventi non previsti. Con amarezza, si chiese dove fosse finita la complicità che costituiva uno degli aspetti più belli del loro rapporto, un rapporto che a quelle condizioni rischiava a lungo andare di deteriorarsi.


Come un pennello guidato dalle mani di un abile artista, così la luce rosata del tramonto tingeva l’orizzonte, impregnando le candide nuvole con il suo colore. Diversi anni prima, Minato avrebbe sicuramente colto in quello scenario qualcosa di poetico, magari ritrovandovi la fulva chioma di sua moglie, ma ora, seduto nella cucina di una modesta abitazione di periferia, l’osservava con freddezza attraverso i vetri opachi di una finestra. Esso non era nient’altro che un semplice indizio atmosferico, che gli permetteva di capire che momento della giornata fosse; ormai la cognizione del tempo gli sfuggiva totalmente. Ciò che invece rimaneva chiara e limpida, sempre sotto gli occhi, era la sua disfatta: una bottiglia di sakè e un bicchiere ripetutamente riempito e scolato. Non avrebbe saputo dire quanti ne avesse bevuti da quella mattina, ormai aveva perso il conto. E meno male che aveva promesso a se stesso che non avrebbe mai ricominciato; una promessa che la vita aveva tramutato in una vana speranza. Ma, evidentemente, i figli di alcolisti avevano il destino segnato, o quanto meno sua madre aveva determinato il suo. Lanciò un ultimo sguardo al cielo che accoglieva il calare del sole, poi mandò giù tutto d’un fiato anche l’ennesimo bicchiere; il liquido trasparente che si disperdeva nel suo organismo così come la forza di reagire tra quelle quattro mura.
Nel frattempo, lungo una via fiancheggiata da fabbricati, un bambino biondo di nome Naruto correva per raggiungerlo il più in fretta possibile, sollevando nuvole di polvere dalla strada mal asfaltata. Al petto teneva stretto un quaderno come se si trattasse di un oggetto prezioso, e per lui aveva effettivamente quel valore: un bel voto da mostrare con orgoglio ai genitori.
Correva sempre più veloce, scansando i pochi passanti che intralciavano il suo tragitto, e quando intravide la propria abitazione, ad ogni passo che gli consentiva di avvicinarsi il suo cuore ignaro sussultava di gioia. Raggiunte le scale che l’avrebbero condotto all’interno, si fermò per recuperare un respiro regolare, poi entrò in casa e si precipitò in cucina, trovandovi suo padre volto di spalle. Cercò di richiamarne l’attenzione.
“Papà, sono tornato ed ho una sorpresa.” Disse mentre sul suo volto si allargava un sorriso.
La voce del figlio arrivò a Minato come un eco lontano, distorto dall’influsso dell’alcool.
“Oggi la maestra di matematica ha corretto degli esercizi che abbiamo fatto in classe e ci ha messo il voto.” Spiegò entusiasta Naruto.
Poi, non notando alcuna reazione evidente, si avviò verso il tavolo al centro della stanza, ma l’uomo si alzò improvvisamente e lui si bloccò speranzoso. Sfortunatamente, però, gli occhi che incrociò erano inespressivi, del tutto assenti, un blu familiare risucchiato del vuoto; davanti a sé Minato avrebbe potuto avere qualsiasi altro bambino.
Naruto rimase interdetto da quello sguardo, tuttavia insistette tendendo verso il padre il quaderno, ma ancora una volta ricevette indifferenza e freddezza. Nel silenzio più totale trascorsero istanti che gli apparvero interminabili, in attesa di una parola e di un gesto che non sarebbero mai arrivati. Come se nulla fosse, l’uomo lo superò lasciandolo solo, e quell’assenza valse più di mille parole sferzanti: l’oggetto prezioso ormai abbandonato sul pavimento e un viso dai tratti infantili rigato dalle lacrime. Fu questa scena che Kushina ritrovò tornando a casa dopo una stressante giornata di lavoro.

Il primo ad uscire dall’ufficio di Tsunade fu Naruto, che piuttosto rapidamente si diresse verso lo spogliatoio. Quest’ultimo rappresentava per lui l’unico parte del commissariato capace, fin dall’inizio della sua carriera come semplice agente delle volanti, di trasmettergli un senso di pace e tranquillità, di cui in quei momenti aveva indubbiamente bisogno: un rifugio accogliente che mitigasse il dolore del passato. Per potergli parlare e riuscire a capire cosa stesse succedendo, Sakura fu praticamente costretta a pedinarlo, e quando l’ebbe finalmente raggiunto il poliziotto sedeva su una panca di legno poco distante da una fila di armadietti, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani a sostenere il capo. La ragazza sostò un po’ davanti alla porta per raccogliere le idee, poi gli si avvicinò e si sedette al suo fianco. Per una volta voleva essere lei ad aiutarlo.
“Cosa c’è che non va?” Chiese sommessamente, posandogli una mano sulla spalla sinistra.
A quella pressione delicata Naruto tornò in posizione retta, lasciando scivolare le braccia sulle gambe. Aveva un’espressione malinconica e lo sguardo che fissava un punto imprecisato nel vuoto; il ricordo di un giorno lontano era sempre vivo nella sua memoria e nel suo cuore.
“Mio padre… anche mio padre era un alcolista. Avevo dieci anni quando iniziai a capire come stavano realmente le cose.” Disse mestamente dopo altri minuti di silenzio.
“Sua madre beveva, e anche lui da giovane ci era cascato, così quando perse il lavoro ricominciò a farlo. Probabilmente si sentiva un fallito, non lo so… quello che invece vedevo con certezza era la sua presenza-assenza e il dolore di mia madre.”
Ormai ritirata la mano, Sakura ascoltava il suo racconto, mentre la sensazione avvertita durante l’interrogatorio di quel pomeriggio iniziava ad insinuarsi nuovamente nel suo animo.
Intanto Naruto continuava con difficoltà crescente.
“Lei… lei ha cercato in tutti modi di aiutarlo, tutti. Ma una sera l’ha quasi picchiata e…”
Chinò il capo chiudendo per alcuni istanti gli occhi, cercando di contenere la sofferenza.
“Sì, io… io credo di averlo odiato, Sakura, non posso negarlo. E mi sono sentito liberato e sollevato quando io e mia madre ce siamo andati da quella casa”.
Ogni parola che pronunciava era una stilettata, ma sentiva il bisogno di sfogarsi.
“Eppure, quando è morto investito da un auto è stato come sprofondare. Mio padre non c’era più, non c’era più possibilità che le cose cambiassero. Era tutto finito. Se… se ero giunto ad odiarlo era solo perché non avevo mai smesso di volergli bene davvero.”
Esternando quell’ultima consapevolezza alcune lacrime amare scesero prepotentemente lungo il suo volto; e Sakura capì. Si sentiva in colpa, in qualche modo era stata un’egoista. In quei mesi c’erano stati solo lei e i suoi problemi, aveva rivelato a Naruto la parte più difficile e dolorosa del suo passato e lui aveva saputo starle accanto, capirla e consolarla.
Lei, invece, si era fermata davanti alle reticenze del compagno, avendo paura di essere invadente, mentre avrebbe dovuto capire che esse nascondevano una sofferenza profonda e per questo cercare di sapere. Cavolo, se lo amava doveva aver voglia di conoscere tutto di lui, gioie, speranze, ma anche timori e dolori, impegnandosi per abbattere ogni tipo di barriera. Era la condivisione quello che avrebbe dovuto costituire la base di un vero rapporto di coppia.
“Comunque Sasuke ha ragione. Non tutte le situazioni sono uguali, quindi…” Disse Naruto una volta aver recuperato un certo controllo, ma non ebbe modo di proseguire il suo pensiero.
Sakura fece scivolare una mano sulla guancia destra dell’ispettore fino a raggiungere l’attaccatura dei capelli dorati, l’altra sul fianco sinistro fino ad accarezzargli la schiena, con dolcezza ma anche piuttosto velocemente, mentre il bacio che seguì fu irruente. Messa da parte la sorpresa iniziale, Naruto accolse senza remore la lingua della ragazza intrecciandola ripetutamente alla sua, avvertendo chiaramente il calore e la passione che attraverso quel contatto intimo ella voleva comunicargli. E ricambiò abbracciandola, immergendo le dita nei suoi soffici capelli rosati e sfiorandone la pelle delicata del viso. Quando si staccarono per riprendere fiato, i loro sguardi si incrociarono nel silenzio. A spezzarlo fu il giovane uomo con un ‘grazie’, facendo poi notare alla compagna che era stata un po’ avventata considerando che poteva arrivare chiunque. Lei gli diede amorevolmente del deficiente e appoggiò il volto nell’incavo del suo collo.

Con la schiena contro la parete esterna dello spogliatoio, Kakashi pensò che per la seconda volta nel corso della giornata Naruto aveva detto in sua presenza una cosa azzeccata.
Certo che però era incredibile, che l’ironia gli riuscisse in quel frangente era sorprendentemente assurdo; coglierli proprio mentre si scambiavano effusioni era stato indubbiamente un duro colpo.
Per una buona volta nella sua vita avrebbe preferito riuscire a mandare al diavolo la propria coscienza per lasciarsi andare ai sentimenti, giusti o sbagliati che fossero.
Rapido, recuperò il cellulare dalla tasca destra dei pantaloni e inizio a visionare la rubrica in cerca del numero della dottoressa Shizune. Subito dopo, però, si sentì un vile per aver pensato a lei anche solo per un istante. Ripiegò allora su Tenzo: molto meglio una classica birra tra amici per dimenticare le pene d’amore.

Note dell’autrice

Se avete pensato ad un miraggio, vi comprendo perfettamente e non posso che chiedervi mille volte scusa. I tempi di aggiornamento sono davvero mostruosi, e se penso che ho scritto la maggior parte di questo capitolo nel giro di una settimana mi arrabbio io stessa. Ma purtroppo va così, l’università mi toglie molto tempo e quest’anno ci sarebbe anche la tesi (sperando che tutto fili tranquillo^^).
Insomma non so quando scriverò il seguito, ma la fic non sarà interrotta, questo è poco ma sicuro.
Passando alla storia in sé, finalmente è venuto fuori il passato di Naruto e mi raccomando non siate inclementi verso Minato(non è colpa sua, ma delle esigenze di copione^^) e nemmeno con Sasuke, come suo amico voleva calmarlo e l’ha fatto nell’unico modo in cui sapeva o era in grado di poterlo fare. Il mondo gira alla rovescia se sto difendendo l’Uchiha^^, ma al di là di questo tenetelo d’occhio.
E dulcis in fundo Kakashi. Credo che già si fosse capito, ma da questo capitolo è sicuramente chiaro che sia innamorato di Sakura e che quindi la fic è una NaruSakuKaka. Probabilmente qualcuno mi odierà perché ancora non si capisce nulla sul suo passato comune con Sakura, ma in teoria non manca molto per scoprirlo^^ Detto questo, rispondo alle recensioni.

Urdi: Tesoro, su Kakashi vai tranquilla, anch'io sono fissata con lui, quindi non c'è nessun problema^^ In questo capitolo non si capisce ancora niente, però almeno sappiamo che era ed è innamorato di Sakura. Che sia positivo o negativo, a te il giudizio, ma di sicuro per lui è un guaio, dato che lo torturo. E di Naruto, che ne pensi? Dici che è abbastanza IC, io non ne sono troppo sicura o_o
Spero inoltre che la comparsata di Tenzo sia stata di tuo gradimento, forse tornerà molto presto, mai dire mai. Comunque grazie per gli incoraggiamenti, ti adoroXD
brave: Tutti questi complimenti in poche righe potrebbero uccidermi, ma scherzi a parte, grazie milleXD Spero di non aver ucciso te con questo capitolo, mi risulta che il NaruSaku non sia particolarmente di tuo gradimento, mentre qui c'è ne un alto contenuto direi(piccola vedetta contro Kishi e gli ultimi risvolti del mangaXD). Però, non è detto che sia sempre così, chi lo sa^^
story: Bene, la maturità è passata da una vita, su msn ci siamo sentite, cosa sia successo a kakashi un po' l'hai dedotto, ne deduco che l'energia della nostra madre terra ci ha messo un po' ad arrivare a me, che dici?^^ Comunque grazie sempre per i complimeti(flluido, ricercato e sobrio, wow*_*) e sono contenta di essere riuscita a centrare il rapporto di quei due testoni, perchè lo sono, non c'è nulla da fare. Itachi devo vedere come intormetterlo insieme alla sua storia, cavolini, perchè i personaggi da gestire sono così tanti? Il mio amore per le cose semplici^^ Ma ovviamente amo di più te, questo è poco ma sicuro. Un bacione caraXD
Sefira: Mi dispiace di averti fatto attendere un sacco di tempo, ma grazie mille per le recensioni. Spero che il capitolo ti sia piaciutoXD

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capiolo VI


 

CAPITOLO VI

 

 Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasfoma,
ma qualcosa resta anche uguale

Molti anni prima, quando la sua vita percorreva ancora binari prestabiliti, non si sarebbe mai sognato di frequentare assiduamente una discoteca; era un ambiente che non  si adattava alla sua indole tutto sommato calma e pacata, tanto più che gli eccessi che lo contraddistinguevano sfuggivano alle regole di buon senso che la sua educazione gli aveva trasmesso. Tuttavia, nel giro di pochi istanti, ogni cosa era cambiata capovolgendosi come un treno deragliato, e lui era finito addirittura a viverci in un locale notturno, a contatto ogni sera con la vendita fin troppo liberale di alcolici e lo spaccio impunito di sostanze stupefacenti; d’altronde, chi gestiva quel posto non sapeva cosa fossero gli scrupoli di coscienza.
Con la schiena appoggiata ad un pilastro e la braccia conserte, Itachi osservava la pista da ballo gremita come sempre da una folla che si scatenava al ritmo frenetico della musica, sotto luci multicolori che si accendevano e si spegnevano ad intermittenza. Dalla sua posizione poteva vedere chiaramente il bancone del bar, intorno a cui nella più totale tranquillità, Kisame aveva già venduto diverse dosi di droga con trattative veloci che non gli avevano sottratto più di qualche minuto.
Più volte, assistendo a quella scena, si era reso conto con una certa inquietudine che, fino a quando sarebbe stato considerato una routine, la criminalità avrebbe sempre avuto facilità d’azione. E anche quella sera una simile riflessione si insinuò a tradimento nella sua mente, ma fece in modo di scacciarla subito, perché senza libertà di scelta pensare era solo dannoso e controproducente.
Quindi tornò a scrutare la situazione generale con distacco, imponendosi di accantonare qualsiasi questione morale, e la sua attenzione ricadde su un ragazzo dai lunghi capelli grigi raccolti in una coda e un paio di occhiali ad accompagnare gli occhi scuri. Lo vide avvicinarsi a Kisame, scambiare con lui due parole e poi ordinare un cocktail al barman. Non era certo la prima volta che lo intravedeva, ma solo allora si chiese cosa sapesse dei traffici illegali dello zio, il noto proprietario della discoteca. Forse aveva colto nella sua espressione qualcosa di diverso, o semplicemente era la presenza di Madara che lo induceva a scorgere dappertutto segreti e sotterfugi.
Come richiamato dai suoi pensieri, un dipendente del locale lo raggiunse, salutandolo formalmente, poi lo avvertì che lo attendevano nell’aria privata, consapevole di non dover fornire nessuna ulteriore spiegazione. Itachi rimase a fissarlo per qualche istante, in silenzio, celando sotto l’apparenza apatica l’insofferenza per quella notizia prevedibile, poi si staccò dal pilastro e avanzò leggermente.
“Ho capito.” Annuì congedandolo.
E mentre il giovane si allontanava ritornando al suo lavoro, lui si ripeté per l’ennesima volta di lasciarsi scivolare addosso qualunque provocazione, diretta o velata, avrebbe dovuto subire. Poi abbandonò la postazione che aveva scelto un’ora prima, ben conscio di non poterla occupare a lungo, e si diresse in una zona molto distante dalla pista da ballo, dove individuò la saletta che gli interessava, riconoscibile dagli scagnozzi vestiti di nero all’ingresso. Questi lo lasciarono entrare senza fare alcuna storia. Dentro due uomini lo aspettavano seduti comodamente su un divano ad angolo, l’uno di fronte all’altro, davanti ad un tavolino basso e ad una bottiglia di buon vino rosso. Il proprietario Orochimaru, col volto pallidissimo illuminato da inquietanti occhi color ambra e incorniciato da lunghi capelli neri, faceva ondeggiare il liquido rosato muovendo con delicatezza il bicchiere che aveva nella mano destra, mentre Madara Uchiha, colui che aveva stravolto la sua vita, posò il proprio non appena lo vide e gli rivolse uno sguardo in cui Itachi lesse la consueta soddisfazione.
“Benvenuto tra noi, caro nipote. E’ trascorso molto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti, così ho pensato di dover rimediare. E devo dire che ti trovo bene, mi fa molto piacere.” Esordì, con un tono e un’espressione che riproponevano la solita affettata gentilezza. “Prima che arrivassi” continuò poi, sapendo che non avrebbe ricevuto nessuna risposta, “stavamo parlando degli ultimi avvenimenti. La polizia è sempre un problema da non trascurare, tanto più se tra chi indaga vi è il tuo caro fratellino.”
Ecco che arrivava la prima provocazione, pensò Itachi; e come si era ripromesso poco prima cercò di ignorarla, ma non aveva fatto i conti con i ricordi.
“Qualche giorno fa ho anche visto una sua intervista, sembrava molto sicuro di sé e padrone della situazione, niente a che vedere con il bambino di una volta.”
Ancora parole, parole inclementi, che colpivano il bersaglio. Non l’aveva visto crescere Sasuke, non aveva potuto farlo, e Madara lo sapeva perfettamente. Di lui gli rimanevano solo immagini sfocate, bloccate dal tempo perduto; un bambino di dieci anni silenzioso e solitario, ma capace di illuminarsi davanti a qualcosa che suscitava il suo interesse o davanti ad una promessa di uscire insieme, oppure concentrato nello svolgere i compiti scolastici, speranzoso di ottenere un suo complimento. Frammenti che volavano confusi nella memoria, e che quando si era imbattuto nell’intervento al telegiornale avevano rischiato di disintegrasi come se non fossero mai esistiti. Aveva dovuto faticare davvero molto per riconoscerlo; il poliziotto che rispondeva ai quesiti con tono distaccato e professionale non sembrava avere niente di suo fratello, al di là della capigliatura che ricadeva in ciocche scomposte sulla fronte. In lui aveva visto solo freddezza, troppa, e ne aveva avvertito tutta la responsabilità; era riuscito a difendere la sua vita ma non la sua anima dal dolore. Ripensando ai fotogrammi di due giorni prima, succedutisi davanti ai suoi occhi opachi, un violento senso di colpa calò su di lui opprimendolo. Conservò tuttavia un’espressione imperturbabile, mentre soffocava nel pugno destro, stretto fino a fare male, la frustrazione.
“Comunque” disse Madara, apparentemente noncurante dell’effetto delle sue parole, “finché i nostri contatti nel liceo di Konoha non vengono scoperti possiamo stare tranquilli, senza contare che non c’è nient’altro che leghi lo spaccio di droga alla discoteca Alba.”
“Tuttavia bisognerebbe prevenire ogni rischio.” Intervenne il proprietario del locale, rimasto fino a quel momento in silenzio ad assecondare la pressione psicologica del collega d’affari.  
Depose poi anche lui il proprio bicchiere sul piccolo tavolino cessando di tormentare il vino.
“Forse sarebbe opportuno trovare un altro posto dove nascondere la droga e non più qui.” Spiegò.
“Sì, è un’idea. Tu che ne pensi, Itachi?”
Lo spacciatore provò un muto disappunto per essere stato interpellato, ma rispose in modo da non concedergli ancora soddisfazione.
“Può essere utile.” Commentò atono.
“Bene, allora vedrò cosa posso fare. Adesso, però, direi di passare ad altro. Una bella partita a carte è quello che ci vuole”. Replicò Madara, alzandosi dal divano seguito a ruota da Orochimaru.
Poi, con un mezzo sorriso quasi beffardo, invitò anche Itachi a partecipare, ma questo rifiutò con finta cortesia per liberarsi dall’insostenibile situazione. E chiusasi finalmente la porta alle spalle, pensò che aveva bisogno di qualcosa di fortemente alcolico, così da scogliere il turbamento e recuperare un equilibrio.

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Quella mattina, dopo pochi giorni di tregua, il freddo pungente era tornato di nuovo ad avvolgere la città, infrangendo le illusioni di chi aveva interpretato il leggero aumento delle temperature come il presagio di un inverno meno rigido del solito. Il fastidio e la noia però non avevano avuto vita lunga, sommersi ben presto dalle incombenze quotidiane.
L’ispettore Sasuke Uchiha non era stato tra coloro a sprecare un solo secondo del suo tempo in preoccupazione simili; anzi, come suo solito, si era alzato molto presto e aveva sbrigato con calma tutte le operazioni mattutine, registrando il cambiamento climatico per puro e semplice senso pratico, così da recuperare dall’armadio una maglia più pesante ed aggiungere all’abbigliamento di tutti i giorni una sciarpa blu. Dopodichè era uscito di casa per immergersi in una nuova intensa giornata di lavoro, come faceva ormai da cinque anni a quella parte, inseguendo criminali e fantasmi del passato, fantasmi che si insinuarono nei suoi pensieri al secondo sbadiglio che non riuscì a trattenere, mentre attendeva impaziente uno dei suoi informatori, seduto su una fredda panchina del parco spoglio e quasi deserto.
La notte precedente era rimasto fino a tardi nell’archivio del commissariato, sfogliando con Izo-san dossier e schedari, per trovare tracce che riconducessero ad un'unica persona, l’ossessione della sua vita nel bene e nel male; e la stanchezza ne era uno dei postumi inevitabili.
Nel ripensare a quelle ricerche notturne, il ricordo lontano di Itachi lo colpì all’improvviso procurandogli un familiare tremore di sentimenti confusi.
La strada più semplice sarebbe stata quella di considerarlo morto nel preciso istante in cui aveva ucciso il loro padre, ma volente o nolente non era stato in grado di recidere il legame che li univa, ne aveva solo cambiato la forma. Da quando la realtà l’aveva travolto con tutta la sua durezza, si era prefissato l’obiettivo di sbatterlo in galera, volontà che si era rinsaldata nello scoprire i contorni della verità che ancora sfuggivano. Avrebbe ricordato per sempre il giorno in cui si era presentato da lui e da sua madre Hito Yashima, uno dei più stretti collaboratori del padre nella gestione dell’azienda di trasporti, così come avrebbe rammentato per sempre ogni sua singola parola.
Stando al racconto dell’uomo, di cui non aveva avuto alcun motivo di dubitare, in tutti quegli anni egli era sparito per timore di ritorsioni da parte della criminalità organizzata; era, infatti, l’unico ancora in vita a sapere che grazie alla complicità di organizzava il lavoro degli autisti, tra cui lo stesso Itachi, la ditta era stata utilizzata come copertura di un traffico illegale di droga. Ovviamente anche Fugaku Uchiha l’aveva scoperto, ed era quello il reale motivo per cui era morto, non un inspiegabile comportamento del figlio maggiore, come avevano concluso gli inquirenti prima di archiviare il caso.
Sasuke aveva ascoltato attentamente quella nuova verità, senza porre alcuna domanda, sebbene se ne affollassero tante nella sua testa. Quando poi la conversazione era ripiegata sul perché l’uomo li avesse cercati solo in quel momento e dove fosse stato in quel lungo periodo, l’iniziale interesse era ormai svanito, e il diciottenne si era perso a contemplare il fumo che usciva dalle tazze di tè caldo, confuso e costernato. Avrebbe sfogato la rabbia e il dolore solo un’ora dopo, nella solitudine della sua camera, sferrando un calcio violento contro il muro e reprimendo a fatica lacrime amare. Anche la debole speranza che Itachi non volesse davvero uccidere si era dissolta in una bruciante illusione: suo fratello non era altro che uno sporco criminale. Un consapevolezza che gli era entrata dentro come un cancro insanabile, seppellendo sotto cumuli di odio e rancore l’ultimo residuo di amore per la figura ideale che aveva colorato la sua infanzia.
L’ispettore Uchiha abbassò lo sguardo, freddo e impenetrabile come quella mattina d’inverno, fissando apparentemente l’erba del prato, poi chiuse gli occhi e espirò, cercando di purificarsi dalle scorie del passato. Fu però la voce di chi stava aspettando ad aiutarlo maggiormente nel suo intento, spazzando via in un attimo ogni possibile pensiero.
“Buongiorno, ispettore. Non abbiamo dormito molto?” Gli chiese l’informatore mentre si sedeva al suo fianco, iniziando a sfogliare una rivista senza un reale interesse.
Sasuke sobbalzò, riaprendo le palpebre di scatto e ritornando all’istante in posizione eretta; perso nelle proprie sensazioni, non si era accorto minimamente dell’arrivo dell’uomo.
Si ammonì mentalmente per quella distrazione, sebbene fosse giustificata, poi riprese il giornale abbandonato sulla panchina e finse di leggere un articolo in prima pagina, ripetendo uno schema ormai abituale. In commissariato era, infatti, lui ad avere i principali contatti tra gli informatori, per via delle sue segrete ricerche personali, e nella maggioranza dei casi li incontrava per ricavare notizie utili per le indagini.
“Allora, hai saputo niente di questo possibile spaccio di anabolizzanti?” Domandò atono senza alcun preambolo.
L’altro non rispose subito, ma girò con calma un’altra pagina.
“Ho parlato con alcune vecchie conoscenze e sembra effettivamente che ci sia. Va avanti da qualche mese.” Disse poco dopo.
“Conosci qualcuno che vi è coinvolto direttamente?”
“Sì, ci ho avuto a che fare tempo fa. Si chiama Kaito Oshiba.”
“Bene. E sai dove possiamo trovarlo?”
“Questo purtroppo no, però so che frequenta la palestra.”  
“Ok, meglio di niente”. Commentò Sasuke, piegando in due il giornale e simulando di interessarsi a qualcosa scritto in fondo alla pagina. “E… riguardo al solito?” Chiese poi incerto.
Non poteva fare a meno di porre quel quesito, sebbene avesse iniziato la conversazione allontanando l’angoscia legata all’argomento.
“Nulla, ispettore. Mi dispiace. Evidentemente non è nel mio giro.”
“Capisco.” Replicò, soffocando un’ennesima volta la delusione.
Poi si alzò dalla panchina e lasciò da solo l’altro uomo, che lo guardò andare via osservandolo con espressione seria. Che un poliziotto ricercasse in modo così ossessivo un criminale, con cui tra l’altro sembrava avere un qualche rapporto di parentela, non gli lasciava pensare a nulla di buono.

 

 

 
Un brivido improvviso salì veloce lungo la spina dorsale e Ino si strinse nelle spalle, maledicendo il tessuto ancora troppo leggero del suo pigiama. Subito si voltò per cercarne la causa, e la individuò nella finestra della cucina lasciata incautamente aperta, quindi si affrettò ad alzarsi dalla sedia e si precipitò a chiuderla, per poi rimanere a fissare il panorama esterno con cipiglio contrariato. Avrebbe preferito una cornice diversa per quella giornata, invece la natura non aveva voluto assecondare le sue aspettative: il cielo coperto da nubi grigie, con pochissimi spiragli per la luce solare, contribuiva solo a metterla di pessimo umore.
Sbuffò annoiata, riportando dietro le orecchie alcune ciocche di capelli biondi, liberati durante la notte dalle costrizioni dell’abituale coda di cavallo. Poi ritornò allo yogurt magro abbandonato in fretta e in furia, si sedette di nuovo e immerse il cucchiaino nel contenitore di plastica con un pizzico di nervosismo. Delle stupide condizioni atmosferiche non avrebbero influito sui suoi progetti, così come non lo avrebbe fatto nessun altro aspetto della realtà esterna; esistevano solo lei, Shikamaru e il loro rapporto, doveva ficcarselo in quella stupida testa che si ritrovava.
Finì di consumare l’esigua colazione per cui più volte Sakura la rimproverava, poi liberò la tavola dai pochi resti e si recò in camera da letto, recuperando la divisa scolastica dalla sedia e vestendosi con cura davanti allo specchio dell’armadio. Al termine ammirò soddisfatta la sua immagine riflessa per qualche istante, poi raggiunse il bagno dove sistemò e rilegò i capelli.
Infine, tornò nella cucina che fungeva anche da soggiorno, vagando con lo sguardo per tutta la stanza; niente sembrava essere fuori posto, eccetto alcune foto sparse sul tavolino vicino al divano.
Da quando viveva anche lei a Konoha, di solito cenava sempre insieme a Shikamaru, sia per salvarlo dall’arte noiosa dei fornelli, sia per stare un po’ da soli dopo una lunga giornata di lavoro, chiacchierando tranquillamente del più e del meno. La sera prima, invece, l’aveva congedato con la finta scusa della stanchezza, nascondendo dietro un mezzo sorriso i pensieri che fluivano veloci, dal rimprovero all’amico per la sua scarsa perspicacia in certe faccende alla difficoltà di pronunciare due semplici parole. Poi era entrata in casa, e la prima cosa che aveva fatto era stata ricercare un vecchio album fotografico. Aveva sentito il bisogno improvviso di riguardare quella familiare successione di istanti, per intravedere attraverso di essa il filo lineare e a volte contorto del loro rapporto, tutto ciò nella speranza di trovare il coraggio per prepararsi ad un possibile cambiamento. E così era accaduto. Raccolse le foto, sottratte dal raccoglitore per poterle osservare meglio, le riunì insieme e andò a riporle nel primo cassetto della scrivania. L’avrebbe ricollocate al loro posto originario non appena ne avrebbe avuto l’occasione. Indossò il giubbotto e prese lo zaino ancora chiuso dal suono dell’ultima campanella, uscì dall’appartamento e raggiunse quello di Shikamaru al piano sottostante.
Mentre attendeva che l’amico venisse ad aprirla, si ricordò di quando a scuola ci andavano seriamente e delle attese a volte snervanti nel vicolo dove vivevano. Dopo minuti che apparivano interminabili a causa della consapevolezza di essere già in ritardo, lo vedeva arrivare sbadigliando e con lo sguardo assonnato, incurante del tempo che scorreva quasi fosse un particolare insignificante, E anche quella mattina, a conferma di come certe abitudini non cambiano mai, una scena non dissimile si presentò alla sua vista.
“Non c’era… bisogno di suonare due volte.” La salutò l’ispettore, interrotto da uno sbadiglio che nascose a stento con la mano sinistra, mentre con l’altra reggeva una cartella marrone.
Ino sollevò un angolo della bocca in un sorrisetto ironico.
“Lo immagino.” Replicò. “Ora però sbrighiamoci che tanto per cambiare è tardi.”
Shikamaru mugugnò come risposta qualcosa di incomprensibile, poi chiuse a chiave la porta di casa e la seguì giù per le scale.
Raggiunta la macchina nel parcheggio retrostante la palazzina, ognuno salì al proprio posto, lui a quello di guida, lei al fianco del conducente. Come avevano stabilito da quando lavoravano sotto copertura, il collega l’avrebbe accompagnata in un parco a due isolati dalla scuola per poi raggiungere l’istituto da solo, così da evitare il sorgere di spiacevoli collegamenti tra di loro.
Man mano che si avvicinavano alla prima meta di quel viaggio in auto, Ino avvertiva l’agitazione aumentare sempre di più. Durante la notte precedente, mentre si rigirava nel letto senza riuscire a prendere sonno, aveva meditato a lungo su come introdurre la questione, su quale sarebbe stato il suo primo gesto, su cosa avrebbe detto o fatto subito dopo; ma, in quei minuti, tutto ciò che aveva programmato non sembrava aiutarla in nessun modo. Riusciva solo a guardare fuori dal finestrino e a lanciare qualche breve occhiata al profilo dell’autista.
Tuttavia, quando svoltarono in una traversa e i primi alberi del parco furono visibili in lontananza, cercò di scuotersi dallo stato di impotenza in cui era scivolata: o si dava una mossa ora, o avrebbe difficilmente ritrovato il coraggio, pensò tra sé e sé.
“Shikamaru, cosa pensi dei cambiamenti?” Fu l’unica cosa che fu in grado di dire, con un leggero tremore nella voce che sperò passasse inosservato.
Ancora intontito dalla stanchezza l’ispettore non lo percepì, né diede particolare peso alla domanda considerandola una delle tante.
“Beh, possono essere positivi ma anche negativi, dipende.” Rispose in modo fin troppo scontato; e Ino gli avrebbe volentieri dato un pugno in testa per scoprire dove fosse in quel momento il suo rinomato quoziente intellettivo.
“Già, è il ‘dipende’ il problema.” Commentò la ragazza dopo qualche istante, continuando ad osservare l’esterno.
Quando però la vettura iniziò a rallentare, provò a tenere a bada la tensione che provava e a raccattare tutta la determinazione che le era possibile; strinse i pugni sulle ginocchia e si lasciò andare ad un respiro profondo.
Shikamaru accostò al ciglio della strada e, accortosi dello strano comportamento dell’amica, voltò il capo verso di lei, incrociando così due grandi occhi azzurri che lo fissavano con decisione. Totalmente spiazzato dal gesto imprevisto e dalla vicinanza non proferì nessuna parola, ma si limitò a guardarla disorientato, senza avere molto tempo per formulare una qualsiasi congettura.
Tutto si svolse infatti in pochi istanti: Ino gli circondò il viso con entrambe le mani, abolì gli ultimi centimetri che li separavano, e premette con irruenza la lingua contro le sue labbra, dando inizio ad un bacio che lui non ebbe la lucidità né per ricambiare né per respingere; chiuse solo gli occhi d’istinto. E quando la ragazza scappò, scendendo velocemente dal veicolo ed evitando accuratamente di guardarlo negli occhi, Shikamaru rimase immobile con le mani bloccate sul volante, senza che la spiegazione di ciò che era successo prendesse forma nella sua mente, costretto per prima cosa a fare i conti con il battito accelerato del suo cuore.
Chi invece aveva le idee ben chiare sul bacio a cui aveva casualmente assistito era Sai. Aveva  sospettato fin dall’inizio che quei due avessero qualcosa che li unisse, e quella mattina ne aveva avuto la conferma.

 

 

La richiesta di Tsunade gli era giunta praticamente tra capo e collo. Kakashi infatti non era arrivato in commissariato da neanche un quarto d’ora, quando la donna l’aveva fatto chiamare e gli aveva chiesto di affiancare Naruto e Sakura durante l’interrogatorio di Hinata Hyuga.
Non potendo intuire il motivo della scelta, l’ispettore ne era rimasto confuso e sorpreso; tuttavia, pur ignorandone le ragioni ed essendo consapevole che la situazione gli avrebbe di sicuro procurato un disagio, non se l’era sentita di rifiutare. La sua professionalità lo spingeva ad affidarsi alle direttive del proprio superiore, oltre ad imporgli categoricamente di separare lavoro e vita privata.
Ciononostante, si rese conto presto che quella deontologia, o come diavolo si chiamava, sarebbe servita a ben poco, in particolare dopo la scena a cui aveva assistito la sera precedente.
Raggiunto l’ufficio dei due colleghi, trovò Sakura che sedeva di profilo, osservando tranquillamente il cielo plumbeo al di là del vetro quasi appannato della finestra. All’improvviso la ragazza sbadigliò, coprendosi la bocca con una mano mentre distendeva l’altro braccio all’indietro, poi si stropicciò un occhio in un gesto infantile.
Di fronte a quella scena l’espressione dell’uomo si addolcì, rapita dai ricordi. Anche una delle volte che si erano incontrati nel commissariato di Oto il sonno faceva ricadere i suoi effetti su di lei. Non appena l’aveva vista, Kakashi l’aveva chiamata per conoscere il motivo della sua visita, e lei era arrossita vistosamente, imbarazzata per il frangente in cui era stata colta, ma non si era dispensata dal rivolgergli un caldo sorriso. Erano così rimasti a discorrere del più e del meno fino all’arrivo del padre di Sakura, con quella calma e quella confidenza che, come ormai accadeva spesso, l’ispettore si ritrovò a rimpiangere, conscio che la reazione della collega sarebbe stata del tutto diversa. Velocemente si riscosse dalla malinconia e bussò per segnalare la sua presenza.
Quando la ragazza identificò chi sarebbe stato il suo interlocutore, si irrigidì in modo impercettibile, assalita dal disagio e da una sottile agitazione; era così tutte le volte che si trovava da sola con lui.
“Ciao.” La salutò l’uomo entrando, mentre lei si sforzava di controllarsi e concentrarsi sul lavoro, tagliando fuori tutto il resto. “Scusa il disturbo, ma ci sono delle novità sul caso Hyuga.“
“Che novità?” Chiese Sakura, domandandosi tra sé e sé cosa c’entrasse l’ispettore con il loro caso.
“Il commissario mi ha chiesto di darvi una mano durante l’interrogatorio con la figlia di Hiashi Hyuga.” Le spigò.
“Eh… E perché?” Disse, aggrottando leggermente le sopracciglia.
“Questo non l’ho so, non ha voluto spiegarmi la ragione.” Rispose Kakashi, replicando così al suo prevedibile stupore. Nella mente di Sakura, però, non tardò a farsi largo ciò che a lui sfuggiva: evidentemente Tsunade era a conoscenza o aveva intuito il coinvolgimento personale di Naruto, pertanto aveva preferito chiedere la collaborazione di qualcun’altro.
Con preoccupazione si chiese come l’avrebbe presa; e l’ispettore notò subito l’ombra che oscurò il suo volto, avvertendo la gelosia, il rimorso e la rassegnazione confondersi in un unico sentimento improvviso. Sebbene non cogliesse la vera sfumatura del problema, non aveva bisogno di altro per capire che il nodo centrale era l’Uzumaki, e vederla in pensiero per lui non lo faceva sentire affatto bene. Tuttavia, parlò con il solito tono calmo, cercando addirittura di tranquillizzarla in qualche modo.
“Comunque il commissario ha convocato Naruto per comunicarglielo. Di sicuro a lui spiegherà i motivi senza problemi; il caso è vostro, non aveva motivo di informare anche me su di essi.”
Sakura assentì a quelle parole, cercando di allontanare ogni pensiero apprensivo.
“Nel frattempo”, continuò Kakashi, preferendo non dilungarsi oltre sulla questione, “pensavo che potessi fornirmi qualche dettaglio in più, soprattutto su quando siete andati in azienda. Sull’atteggiamento della ragazza, per esempio.”
“Ecco, ovviamente era sconvolta, chiusa nel suo dolore. Non è riuscita a dirmi nulla praticamente, neanche una parola.” Gli spiegò la poliziotta dopo pochi istanti, sovrapponendo alla sua risposta l’inevitabile ricordo di quando si era trovata lei a vivere quella stessa sofferenza, ma non permise che esso prendesse il sopravvento.
“Capisco. E aveva qualche macchia di sangue sui vestiti? Il commissario mi ha detto che è stata lei a trovare il corpo esanime.”
“No, non mi sembra. Stando all’agente presente sul posto aveva le mani sporche di sangue, ma quando l’ho vista erano pulite, evidentemente le avrà lavate.”
“Uhm… mi chiedo perché avrebbe dovuto toccare il padre, cioè, proprio dove era stato ferito.” Disse l’uomo pensieroso.
“Beh, potrebbe anche aver toccato qualcos’altro. In effetti sulla scrivania vi erano degli schizzi di sangue, per fare un esempio.” Affermò Sakura con una leggera nota di dissenso nella voce.
“Sì, anche questa è una possibilità.” Replicò prontamente Kakashi. “Ma tu non credi che possa essere stata lei ad ucciderlo?” Le chiese poi.
“Eh, no, non è questo. In realtà non lo so.” Rispose la ragazza, abbassando per un istante lo sguardo.”Il fatto è che la sua colpevolezza sembrerebbe la strada più semplice.”
“Capisco. Evidentemente anche troppo semplice.” Terminò per lei l’ispettore, dopo che uno dei preziosi insegnamenti di Isoshi Haruno aveva sfiorato la sua memoria.

“Ricorda Kakashi, se un’ipotesi è la più ovvia, evidentemente lo è anche troppo.” Gli aveva detto una sera, una delle tante volte in cui l’aveva invitato a cena per discutere con calma di un’indagine. E la reazione di Sakura gli lasciò intuire che, ascoltando le sue parole, anche lei era stata colpita da quel ricordo che in un modo o nell’altro li univa.
“Già.” Disse infatti la collega con amarezza, reclinando il capo e spezzando il silenzio teso che era calato su di loro. “Io ho bisogno di un caffè.” Continuò, alzandosi ma senza risollevare lo sguardo.
Superò la scrivania e si diresse verso la porta, ma quando passò al fianco dell’uomo questo la bloccò, circondandole un polso con una presa ferma ma delicata. Sakura dilatò le pupille per la sorpresa, poi le puntò su di lui con una chiara richiesta di spiegazione. Kakashi si perse allora nel verde dei suoi occhi, assaporando i nuovi istanti di silenzio, mentre si chiedeva fra sé e sé perché dovesse essere così difficile lasciarsi andare. Animato da sentimenti contrastanti, le spostò lentamente i capelli dal viso, sfiorandole la guancia destra con le dita, e all’improvviso le parole di Tenzo della sera precedente si insinuarono con prepotenza nella sua mente, sopraggiungendo a dare man forte alla sua titubanza.

“Ma sei sicuro che sia perché non senti di averne il diritto? Non è che forse hai ancora paura di farla soffrire?”
Non appena gli erano stati posti quei quesiti l’avevano messo in crisi e lo stavano facendo anche in quel momento: il problema erano i sentimenti di Sakura o lo era lui? Non ne aveva la più pallida idea. E, pensandoci bene, non era nemmeno sicuro di voler sapere la risposta.
Sistemò una ciocca rosata di capelli dietro l’orecchio della ragazza, poi ritrasse il braccio e le liberò finalmente il polso. Sussurrò un debole ‘scusa’ e abbandonò l’ufficio lasciandola nella più totale confusione.

 

 

Un’ora dopo, rivolgendosi più a Naruto che a lui, Sakura comunicò che avrebbe seguito l’interrogatorio attraverso il vetro della saletta attigua, in modo da non creare altra inutile pressione su Hinata Hyuga. Ascoltando la sua spiegazione, Kakashi ebbe la conferma di aver fatto un’altra cavolata. Sulla scia del ricordo di quello che per lui non era stato solo una guida nel lavoro di poliziotto, ma anche il primo a fargli riprovare il calore di una vera famiglia, si era lasciato andare di nuovo all’istinto, dimenticandosi della sua proverbiale razionalità. Sperò vivamente che quel gesto impulsivo non compromettesse nulla. Naruto, invece, ignaro dei possibili motivi, elogiò la buona idea della collega, che gli indirizzò un mezzo sorriso per poi accingersi a lasciarli da soli. Kakashi la fissò per qualche istante mentre dava loro le spalle, imponendosi di abbandonare una volta per tutte ogni pensiero che non fosse attinente all’indagine.
“Forza, vediamo di iniziare.” Disse allora con tono deciso, voltandosi verso l’altro poliziotto.
“Sì, certo.” Rispose questo, che accantonata l’irritazione iniziale era tutto sommato contento di quella collaborazione.
Entrarono così nella stanza dove si svolgevano di solito gli interrogatori; all’interno, Hinata li attendeva seduta compostamente, le mani incrociate sulle gambe e lo sguardo perso tra i pensieri e i ricordi, dopo che aveva indagato per un po’ quell’ambiente asettico e impersonale. Udendo il cigolio della porta che si apriva, si voltò subito verso i due uomini sentendosi in qualche modo sollevata, un sollievo destinato a durare ben poco. Tra di loro riconobbe senza alcuna difficoltà il poliziotto biondo che aveva incrociato in azienda, scendendo le scale insieme a Yumi. Si era soffermata su di lui solo per qualche attimo, mentre lottava contro il dolore acuto che provava, eppure gli era rimasto lo stesso impresso. Fu proprio lui a rivolgerle la parola per primo.
“Scusaci per l’attesa.” Esordì Naruto avvicinandosi al tavolo, mentre Kakashi richiudeva la porta.
“Non… non c’è problema.” Balbettò lei flebilmente, spezzando il monosillabismo che aveva caratterizzato l’ultimo giorno.
“Io sono Naruto Uzumaki, e questo è l’ispettore Hatake.” Continuò il poliziotto, sedendole di fronte e indicando con un cenno della mano il collega che lo raggiungeva. “Sappiamo che è un pessimo momento, ma dobbiamo farti delle domande.”
Hinata si limitò ad annuire con un breve movimento del capo.
“Allora. Come mai eri in azienda ieri mattina? E ricordi più o meno verso che ora sei arrivata?”
“Io credo fossero intorno alle dieci. Tornavo dall’università.” Rispose la ragazza, ma solo dopo alcuni istanti di silenzio in cui aveva cercato di non agitarsi ripensando al corpo esanime di suo padre. “Volevo comunicargli il risultato dell’esame di Economia aziendale, lui ci teneva.” Spiegò, con un tono di voce che andò smorzandosi sulle ultime parole.
Naruto rimase colpito da quell’informazione, amareggiato che il caso Hyuga dovesse ricordargli in un modo o nell’altro il momento più buio della sua vita, tuttavia si scompose il meno possibile. 
“E… perché non hai atteso che ritornasse a casa, oppure la pausa pranzo?” Chiese ancora.
Hinata però non rispose subito: cosa avrebbe potuto dire? Che quello probabilmente era l’unico momento della giornata in cui poteva trovarlo sobrio?
“Ecco, io semplicemente non ci ho pensato. Sapevo che avrebbe voluto essere messo al corrente.” Disse. Finché poteva evitarlo, non voleva lei stessa infangare l’immagine di suo padre.
“Dalle nostre indagini, però, risulta che non eravate affatto in buoni rapporti. E quando è così generalmente ogni cosa è più difficile.” Obiettò Kakashi, scrutandola.
Come unica reazione, la ragazza piegò le dita sottili in un gesto che era il riverbero di un dolore sordo. Non si era illusa che la polizia non lo avesse scoperto, ma parlare con degli estranei dei problemi chiusi dentro di sé da anni era difficilissimo.
“Quindi, andare ad interromperlo sul posto di lavoro, non ha pensato che avrebbe generato qualche discussione?.” Continuò l’uomo.
“No, io… io speravo gli interessasse… questa volta l’esame era andato bene.” Articolò lei con difficoltà, lo sguardo basso.
“Questo vuol dire che era il profitto universitario il motivo principale dei vostri litigi?”
“Sì.”
“E immagino che l’alcolismo di suo padre non aiutasse.” Insisté l’ispettore.
A quel punto Hinata fu avvolta del tutto dalla costernazione; ingenuamente aveva sperato che almeno quell’aspetto non saltasse fuori durante l’interrogatorio.
“E magari ieri, al di là di cosa avesse da dirgli, suo padre non ha voluto lo stesso ascoltarla. Forse aveva già bevuto, era irascibile, lei ha provato a spiegarsi, ma lui l’ha trattata male ancora una volta, così …” La incalzò Kakashi.
“No! Non è così!” Lo interruppe la ragazza con voce strozzata dallo sconforto, sollevando il capo e fissandolo con gli occhi velati dalle lacrime. “Non è andata così, era già morto.” Concluse.
Poi si coprì il volto con entrambi le mani, curvandosi leggermente in avanti.
Osservandola, Naruto non poté far a meno di essere dispiaciuto per lei, ma nello stesso tempo capiva perfettamente che era stato necessario. E proprio per quello, diversamente da Hinata, non fu sorpreso dal gesto di Kakashi. L’ispettore infatti si alzò e si avvicinò a lei, poggiandole una mano su una spalla. “Il peggio passerà.” Disse nel modo più rassicurante che poteva.
La ragazza si raddrizzò, asciugandosi qualche lacrima.
“Sa chi avrebbe potuto avere un conto in sospeso con suo padre?” Le domandò l’uomo dopo qualche istante, ritornando al suo posto ma senza risedersi.
“No, non lo so.” Gli rispose quando fu sicura di non balbettare. 
“E avete qualche parente, per caso?”
“Sì, ma non abbiamo più rapporti da un pezzo, e poi vivono lontano da Konoha da quello che so.”
Ricevute quelle ultime informazioni Kakashi annuì, poi invitò Naruto ad accompagnarla all’uscita del commissariato, esortazione che il poliziotto eseguì con piacere. E quando furono nei pressi dell’uscita, rassicurò ancora la ragazza dicendole che avrebbero preso di sicuro l’assassino. Hinata gli fu riconoscente per quelle parole, ringraziandolo con un leggero rossore sulle guance.

 

 

 
Affinché il battito del suo cuore riacquistasse un ritmo normale e i suoi neuroni collaborassero per elaborare finalmente un pensiero che non fosse frammentario, erano stati necessari diversi minuti, o meglio era stato necessario il suono prolungato di un clacson, che puntava a sbloccare un ingorgo poco lontano. Si era così riscosso dallo stato catatonico in cui era scivolato, aveva ripreso il comando della vettura e con esso il tragitto verso l’edificio scolastico. Da quel momento e per le prime ore di lezione, due domande avevano ronzato con insistenza nella sua testa: come cavolo aveva fatto a non capire mai nulla, e soprattutto cosa provava lui. Poiché non era riuscito ad accantonarle in nessun modo, aveva deciso di ritagliarsi un po’ di tempo per riflettervi con calma, per la precisione fumandosi una rilassante quanto nociva sigaretta. Peccato che l’accendino non volesse saperne di funzionare, in ciò favorito dalla pioggia leggera e dall’umidità. Fu solo l’intervento provvedenziale di Asuma a salvarlo dal sopraggiungere dell’impazienza. Vedendolo in difficoltà, il professore accostò la fiamma stabile del proprio accendino davanti al suo viso.
“A volte sono degli aggeggi infernali.” Esordì.
Il poliziotto si voltò per capire chi fosse, poi si tolse la sigaretta dalle labbra e approfittò della fonte di calore offertagli dall’uomo.
“Grazie.” Rispose, prima di accogliere nel proprio corpo l’effetto piacevole della nicotina.
Rimasero così in silenzio per qualche minuto, ognuno immerso nei propri pensieri, fermi sotto una piccola tettoia sufficiente a coprirli dalla pioggia.
“Quale è il problema?” Chiese ad un certo punto Asuma.
Preso alla sprovvista, Shikamaru gli rivolse uno sguardo interrogativo a cui l’uomo non tardò a dare una risposta: “Se si sente il bisogno di una sigaretta, per giunta sotto la pioggia, può esserci qualcosa che non va.”
Di fronte a quella spiegazione, l’ispettore pensò che avrebbe potuto senza problemi ribattere, adducendo come scusa il non volersi sorbire un’altra ramanzina, ma scelse di non mentire; il professore di educazione fisica riusciva ad ispirargli a fiducia. Tornò ad osservare l’acqua piovana cadere con insistenza su alcune macchine parcheggiate davanti all’atrio della scuola, creando nell’aria fredda altri cerchi di fumo che si disfacevano velocemente.
“Stamattina ho capito qualcosa di cui non mi ero mai accorto, e adesso non so come comportarmi. Mi ha confuso.” Confessò.
Asuma ascoltò attentamente le sue parole, scrutandone anche l’espressione seria in cui lesse un’ombra di preoccupazione, e tirò le proprie conclusioni.
“Capisco. Deve essere una persona importante questa donna.” Commentò.
Sebbene sorpreso per la seconda volta, Shikamaru non perse tempo per capire come fosse riuscito a cogliere la natura del suo problema, ma sfruttò l’occasione che gli veniva offerta per sfogarsi.
“Sì, lo è.” Disse dopo una breve pausa. “E non vorrei ferirla. Solo che per riuscirci dovrei almeno capire me stesso.”
Cosa più facile a dirsi che a farsi, terminò tra sé e sé. Eppure sapeva che doveva, perché se Ino aveva deciso di dichiararsi, mettendo in pericolo la naturalezza del loro rapporto, lui doveva quanto meno non tormentarla anche con la sua indecisione.
All’improvviso, nitide come se non fossero passate due ore, fu avvolto dalle sensazioni di quel bacio imprevisto: la pressione delle dita affusolate sulla sua pelle, il calore della lingua che cercava la sua, la morbidezza delle labbra premute contro la sua bocca: un inevitabile rossore fece la sua comparsa. Shikamaru reclinò subito il capo fissando il suolo, e per camuffare il vero motivo del suo gesto lasciò cadere della cenere. Che in realtà fosse più semplice di quanto pensasse? Fu la domanda che emerse dalla confusione che provava.
“Eh, già.” Sospirò intanto l’uomo al suo fianco, spegnendo la sua sigaretta che era ormai un mozzicone nella sabbia di un posacenere. “In un modo o nell’altro, le donne ci mandano in crisi.” Affermò, ripensando al tipo di problema che aveva spinto anche lui a fumare sullo sfondo di quella giornata uggiosa, consentendogli di intuire lo stato d’animo del presunto collega.
“Comunque, al di là di tutto, concediti il tempo necessario. Con i sentimenti bisogna essere cauti, gli errori di valutazione possono mettere ancora più a rischio i rapporti.” Concluse dopo qualche istante di silenzio. E si chiese se lui invece non stesse commettendo uno di quegli errori prolungando troppo la  sua insicurezza.
“Lo terrò a mente. Grazie per il consiglio.” Lo ringraziò Shikamaru con sincerità.
 

Nel frattempo l’innominata della conversazione, lasciate da parte le complicazioni sentimentali della sua vita, cercava di concretizzare qualcosa nell’ambito delle indagini, mettendo a frutto le informazioni raccolte. Nelle ultime settimane aveva puntato ad inserirsi nel migliore dei modi all’interno delle dinamiche della sua classe e dell’istituto in generale, e aveva prestato molta attenzione a ciò che si diceva, sia in aula che nei corridoi, individuando così i soggetti più propensi all’uso di droga anche dopo i recenti avvenimenti. Quel giorno aveva scelto di seguire due ragazze, con cui diverse volte si era trovata a parlare, simulando di incontrarle per puro caso nei bagni durante la ricreazione.
“Heilà, ragazze! Come va?” Le salutò avvicinandole con un sorriso sulle labbra.
Le studentesse fumavano tranquillamente, ben nascoste da una parete che divideva l’ambiente in due parti.
“Oh, Ino. Ciao.” Ricambiò il saluto la più mingherlina delle due. “Beh, compiti, interrogazioni e quella stronza di latino. Insomma, il solito.” Rispose concisa, concedendosi poi un’altra boccata di fumo.
“Capisco.” Commentò la poliziotta, poi si appoggiò al bordo del lavandino dietro di sé puntellandosi con le mani. “Io invece sempre grane con il deficiente di matematica.” Aggiunse.
Il che non trovava certo riscontro nella realtà scolastica, ma loro non potevano saperlo.
“Immagino, la matematica è una seccatura e i prof ancora di più. La nostra fortunatamente è spesso latitante.” Intervenne la ragazza rimasta inizialmente in silenzio. “Ma comunque queste sono cose secondarie, stasera piuttosto discoteca. Giusto, Mariko?” Continuò ammiccando verso l’amica.
“Puoi contarci, Ran.” Replicò prontamente l’altra. E Ino decise di prendere la palla al balzo.
“Buona idea. Anch’io stavo pensando di andarci, sapete. Solo che… “ Si interruppe gettando un’occhiata verso l’entrata del bagno, come a sincerarsi che non arrivasse nessuno, poi proseguì abbassando la voce e con tono di intesa: “Ecco, mi chiedevo se sapeste dove potrei procurami una dose. Per un po’ di sballo, insomma.”
“Beh, anche in discoteca, qualcuno c’è sempre.” Rispose Mariko, senza battere ciglio di fronte a quella richiesta.
“Oh, certo, questo lo so. Però vorrei arrivarci già in forma.” Precisò meglio Ino, strizzando l’occhio. ”Non è che forse conoscete qualcuno della scuola a cui potrei rivolgermi?” Chiese.
“Uhm, capito.” Disse Ran, spegnendo il mozzicone della sua sigaretta sotto la suola della scarpa. “Personalmente preferisco fuori, ma comunque so che c’è Sabaku no Gaara, della 5 B.”
“Oh, perfetto, so chi è!” Esclamò la poliziotta, mentre esultava interiormente per un altro indizio che legato a quello di Shikamaru creava una prova da cui proseguire. “Grazie per la preziosa informazione, ragazze.” Almeno qualcosa in quella giornata andava per il verso giusto, pensò.          

       

 

 Conoscendolo ci sarebbe dovuta arrivare immediatamente, nel preciso istante in cui Jiraya era entrato nel suo ufficio senza alcun preavviso ed era avanzato verso di lei, agitando in aria con perfetta noncuranza una cartellina di plastica, come se il foglio in essa contenuto fosse qualcosa di insignificante e non il rapporto della scientifica. Se il suo intento fosse stato comunicarle ciò che la sua squadra aveva scoperto, di certo non si sarebbe scomodato a raggiungere il commissariato, ma si sarebbe limitato ad una semplice telefonata. Tuttavia, alla comparsa della sua lunga chioma albina e del suo volto dai tratti marcati, non aveva pensato a nulla di tutto quello, era solo stata contenta che fosse lì. La notte precedente, infatti, si era addormentata prima che lui rientrasse e quella mattina erano entrambi scappati al lavoro in fretta in furia, senza aver un attimo per loro. Così aveva finito per cedere ancora una volta alle idee poco opportune dell’uomo, scelta per cui in quei minuti si rimproverava, sebbene fossero dei minuti piacevolissimi.
Quasi seduta sulla scrivania, sentiva le mani di Jiraya esplorarle tranquillamente la schiena e il suo respiro caldo accarezzarle la pelle del collo alternandosi alla pressione leggera delle sue labbra. Non poté evitare di lasciarsi andare ad un sospiro di piacere, poi riaprì gli occhi nocciola posando lo sguardo sulla spalla dell’altro poliziotto.
“Tra poco vengono per un rapporto.” Sussurrò a pochi centimetri dal suo orecchio.
L’uomo interruppe la sequenza di baci, la guardò e depositò ancora un altro bacio sulle labbra della donna. “Beh, sarebbe una bella scena da scrivere, quindi perché non sperimentarla prima.” Disse con un sorrisetto malizioso. Poi tentò di abolire di nuovo la distanza tra i loro visi, ma Tsunade lo allontanò da sé bruscamente.
“Sei il solito pervertito! Se non smetti di scrivere quelle indecenze, prima o poi ti mollo!” Sbottò stizzita. Non poteva farci assolutamente nulla: l’hobby di Jiraya non le andava affatto a genio, soprattutto se doveva interferire con la loro vita sentimentale.
“Ma…” Farfuglio l’uomo, preso alla sprovvista da quella reazione, poi si affrettò a riparare. “Io stavo scherzando. Non dicevo sul serio.”
Tsunade lo scrutò ancora per qualche istante con cipiglio contrariato.
“Per questa volta farò finta di crederti.” Replicò poi, decidendo di liquidare la questione.
Gli diede le spalle e recuperò la cartellina dalla scrivania, aprendola per dare una lettura veloce al rapporto; un semplice diversivo per non continuare la conversazione, dato che ne conosceva già il contenuto. Jiraya intuendolo sospirò rassegnato.  
“Va bene. Ci vediamo stasera allora.” Disse, per poi avviarsi verso l’uscita. “Mi raccomando non lavorare troppo.” Aggiunse.
Il commissario distolse lo sguardo dal foglio e lo rivolse alla schiena dell’uomo che si allontanava.
“A dir il vero, sei tu che stai tornando tardi ultimamente.” Gli rispose.
Lui si fermò e si voltò verso di lei.
“E’ una ruota che gira, mia cara.” Affermò. Poi aprì la porta, ritrovandosi davanti Naruto e Sakura, li salutò e uscì, permettendo loro di entrare nell’ufficio.
“Se Jiraya-san era qui, ciò vuol dire che è arrivata la relazione della scientifica?” Esordì il poliziotto biondo, con una domanda che aveva in realtà il tono di una constatazione.
“Già. E serve a ben poco.” Rispose Tsunade, sedendosi e riabbandonando la cartellina al suo destino. “Sono riusciti a trovare l’arma del delitto, un semplice coltello. Era stata gettata dalla finestra dell’ufficio della vittima, finendo tra i secchi della spazzatura. Il guaio è che non vi è nessuna impronta digitale.” Lo informò con sguardo serio.
“Non ci sono impronte?!” Ripeté Naruto sorpreso. “Quindi… quindi sembrerebbe essere un delitto premeditato.” Concluse poco dopo, in parte sollevato.
“Sembrerebbe.” Gli fece eco la donna. “Voi invece cosa avete scoperto?”
“Ecco, sì. In pratica abbiamo un alibi da verificare, che potrebbe combaciare con l’orario datoci dall’autopsia. Però, c’è da dire che Hinata Hyuga sembrava sincera, anche sotto pressione.” Riferì il poliziotto, riassumendo i punti essenziali dell’interrogatorio.
“Inoltre il giorno dell’omicidio la ragazza era del tutto sconvolta. Per essere stata lei, dovrebbe essere un’attrice perfetta. Ma mi sembra difficile.” Intervenne Sakura, andando a sostenere e a meglio definire le parole del collega.
“Sì, potrebbe essere.” Disse Tsunade, dopo qualche istante di meditazione. “Però, prima di tutto, verificate l’alibi, non si può mai sapere. Poi, vedete voi.” Concluse.

Note dell'autrice

Prima di tutto qualche nota tecnica: la citazione iniziale è di Lavoisier ed è chiaramente adattata(che l'autore non me ne voglia^^); l'esame che sostiene Hinata non so se esista realmente ma mi serviva un nome per far capire di che facoltà si trattasse; all'inizio il vetro-specchio non c'era, l'ho creato adesso, quindi se non ve lo ricordate è normale(appena posso modifico e cì sarà anche nella prima scena in cui compare la stanza degli interrogatori).

Per il resto, scusate il solito ritardo nel postare, ma l'università prima di tutto, e comunque il capitolo è molto ricco di nuovi dettagli e di crisi psicologiche, soprattuto. Spero che ciò mi possa far perdonare. Intanto ringrazio chi segue la fic e chi la preferisce, in particolar modo slice, storyteller lover e Urdi, grazie mille per il vostro sostegno, ragazze.XD

storyteller lover: mora, tu già hai letto e già sai^^ in questo capitolo c'è qualcosa su Sakura, anche se solo qualche imput, ma arriverà il moemento, tranquilla^^ di sigreti qui se ne scoprono altri(Uchiha brothers sopratutto) anche se in parte, per altri bisogna attendere eheh  Kakashi non ha finito soffrire, haimè, e sono contenta che il rapporto tra Naruto e Sakura ti piaccia, sono molto carini insieme^^Un bacione!

Urdi: così mi sciolgo io, però *_* il risultato finale dello scorso capitolo mi ha sodisfatta, come anche quello di quest'ultimo(a parte che sono più di 10 pagine e per me è una vera conquistaXD), però addirittura strepitoso... insomma grazie, me emozionata *_* Naruto e Sakura, è vero, sn molto pucci e mi è paiciuto descriverli(mi fa davvero piacere che risultino realistici^^), e ora con Kakashi che si è mezzo scoperto, chissà che succederà, comunque come hai visto Tenzo ci ha messo lo zampinoXD Riguardo a Minato, sono contenta di essere riuscita a dare un'idea realistica dell'alcolismo, di cui fortunatamente nn ho esperienze dirette, però in effetti anch'io non colpevolezzo totalmente Minato dato che anche lui nasconde sofferenza, alla fine è il personaggio tipo di questa storia, con luci e ombre, e sono felice di essere riuscita in un modo o nell'altro a far arrivare questo aspetto. Il pezzo con Kureani mi è venuto molto spontaneo, quasi da solo, e di sicuro non potrei mai pensare ad un plagio^^ Infine, come vedi, anche in questo capitolo ci sn anche gli altri personaggi, anzi mi rendo conto che sn davvero tanti, non so come faccio a gestirli considerando che ognuno ha i suoi drammi e i suoi misteri, speriamo in bene. Grazie ancora per i complimeti,  cara, un bacioneXD

slice:  non dite cose sempre belle, altrimenti mi monto... sì, come no, tu lo sai che è leggeremnte difficile^^ però sn super contenta che vi piaccia ciò che scrivo, con tutti gli intrighi intrigosi che in questo capitolo vengono in parte sciolti, o meglio,no,ma diciamo che gli elementi ci sn quasi tutto per poter intuire qualcosina. Fatemi sapere cosa ci aveto capito, caso maiXD Come vedi, questo capiotolo è molto più lovvoso e c'è Itachi e Sasuke(che a detta di story risulta sopportabile, mannaggià, io che rendo Sasuke sopportabile, è quasi una barzellettaXD), poi c'è InoShika e Kakasaku...è super incasinato con tutti sti personaggi^^ Grazie mille per il sostegno, un bacioneXD    

 


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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII

CAPITOLO VII

 

“Si può sapere che cavolo di fine hai fatto, Kabuto?! Ho letto il tuo biglietto. Domani è arrivato da un pezzo ma non ti sei ancora fatto vivo. E’ inammissibile che tu sparisca in questo modo. Il nostro è un lavoro, non un gioco!” 
La voce alterata di Shizune giungeva alle sue orecchie non distorta, nitida, pur attraverso il tramite artificiale del cellulare, ed era piacevole ascoltare quel suono dolce, ancora più dolce per la sfumatura di nervosismo che lo colorava, così vicino, come se la donna fosse accanto a lui e non in un ufficio di medicina legale nel centro della città. Le sue labbra si piegarono in un sorriso malizioso, adombrato da un velo di malinconia, mentre lasciava che Shizune riempisse il silenzio del bar in cui si trovava e alleviasse ancora una volta il senso di oppressione che aveva dentro. Il rapporto che aveva istaurato con lei era iniziato come un gioco, con battutine ironiche e divertenti battibecchi, sulla scia della inevitabile confidenza che lavorare insieme ogni giorno comportava e della innegabile attrazione fisica che provava; era bella, di una bellezza semplice e spontanea, un particolare che non gli era sfuggito. Poi, qualcosa era cambiato, cercare e scoprire la verità sul lavoro di suo zio, il circolo vizioso di affetto e dipendenza che si era palesato davanti al suo cuore talmente vivido da far male, il bisogno di farne a meno; quel legame aveva assunto un’altra forma, era diventato ciò che gli permetteva di non cadere nel vuoto, o che semplicemente lo illudeva che il vuoto fosse un rischio evitabile. Ma anche se fosse stata una semplice illusione, quando si confondeva come in quel momento con ricordi e sensazioni tutt’altro che irreali, si sentiva bene; mentre la donna si impegnava a rimproverarlo per la scarsa professionalità e la superficialità che il suo comportamento denotava, la sua mente era altrove, intenta ad affiancare alla voce che gli parlava un viso annebbiato dal piacere e un corpo caldo e accogliente. Non avrebbe dimenticato quella notte di sesso tanto facilmente, una notte che sarebbe rimasta solo lì, relegata nella sua memoria, senza un seguito. Per un tacito accordo, l’accaduto era stato etichettato come un errore e lui non si era opposto; imporre qualcosa di fittizio non l’avrebbe liberato dal vicolo cieco in cui era rinchiuso. Si sarebbe accontentato di starle a fianco giorno dopo giorno, di vederla di volta in volta seria e concentrata, sorridente, arrabbiata, e di godere delle sue reazioni.
Così come stava facendo da quando era iniziata quella telefonata.
“Ma mi stai ascoltando?!” Sbottò ad un certo punto la donna, insospettita dalla mancanza prolungata di una risposta.
“Sì, sto ascoltando.” Le disse, spezzando il mutismo. “Ho avuto semplicemente un contrattempo, torno appena posso.”
“Che vuol dire appena posso?! Il più in fretta possibile, Kabuto. Già ho tollerato abbastanza la situazione. E’ chiaro?”
L’uomo sorrise di nuovo; il tono perentorio le si addiceva perfettamente. 
“Chiaro.” Assentì.
Quando poi Shizune interruppe la comunicazione, ripose il cellulare sul bancone soffermandosi a fissare il liquido trasparente contenuto nel bicchiere a pochi centimetri dal suo viso.
Nonostante avesse trascorso quasi tutta la notte e le prime ore mattutine all’Alba, non era riuscito praticamente a chiudere occhio, tranne che per qualche insignificante ora, in cui aveva ceduto a un sonno turbato dall’inquietudine. L’unica soluzione che aveva intravisto era stata quindi rintanarsi in quel locale poco frequentato per riflettere con calma, aiutato magari da un po’ di rilassante alcool; si era immediatamente reso conto che la proposta di suo zio, qualunque ne fossero le intenzioni, vincolarlo al silenzio o coinvolgerlo finalmente nella sua attività segreta, aveva messo a rischio la svolta che stava cercando di dare alla propria vita, e non voleva che accadesse. Più del silenzio, però, più del sakè e dell’intricarsi continuo dei pensieri, era stata la conversazione appena conclusa a rinsaldare la sua scelta. Forse passava semplicemente da una necessità ad un’altra, ma per la prima volta non sentiva quella necessità come un peso, come qualcosa di controproducente. 
Lasciò una banconota accanto al bicchiere, poi si alzò e abbandonò il bar. 

Il cadere della pioggia era divenuto fitto ed insistente, incupendo ancora di più l’atmosfera che avvolgeva il fermento della vita cittadina nell’ora di punta. Le autovetture intasavano le vie del centro e la maggior parte dei negozianti abbassavano le serrande per rialzarle nel pomeriggio, mentre i passanti si affrettavano a raggiungere le rispettive mete al riparo degli ombrelli. 
Sakura, intanto, cercava il suo senza successo, con un’espressione spazientita sul volto, pressata dall’idea che Naruto l’aspettasse giù in macchina. Aveva controllato all’ingresso e in soggiorno per poi passare nella sua camera, ma nulla; quell’aggeggio sembrava davvero sparito. Tentò allora di rovistare tra i suoi ricordi, sulle tracce di un input che le permettesse di rammentare dove diavolo l’avesse nascosto. 
Pensierosa si sedette sul letto, adagiando i palmi delle mani sulla coperta. E se per caso l’avesse dimenticato da qualche parte? Se non si sbagliava l’ultima volta che era piovuto risaliva ad una settimana prima, e i posti in cui era stata una settimana prima non erano molto diversi dal solito. Che l’avesse magari lasciato da Ino? Cercò di ricostruire mentalmente tutte le azioni di quando era andata a trovarla. Era il suo giorno libero, e la possibilità di qualche ora di reciproche confidenze l’aveva spinta ad accettare di buon grado la proposta della collega. Ricordava di aver lasciato l’ombrello zuppo d’acqua all’entrata e di averla seguita in cucina per un tè. Lo scrosciare della pioggia aveva accompagnato la loro conversazione, rendendo ancora più confortante il tepore dell’abitazione e il liquido caldo della bevanda. Quando se ne era andata, però, non pioveva più, non poteva sbagliarsi, perché aveva avvertito con piacere dei timidi raggi solari riscaldarle una guancia. E probabilmente era stato proprio quello il motivo per cui le era passato di mente di recuperare l’ombrello, ormai privato della sua utilità col ritorno del sole. Non c’erano molte altre possibilità, salvo che non l’avesse abbandonato involontariamente in qualche negozio. Restava il fatto che doveva rassegnarsi a ripararsi in altro modo dall’acqua piovana. 
Sbuffò annoiata, augurandosi che almeno le condizioni meteorologiche fossero favorevoli; quel giorno ci mancava solo una bella doccia naturale, oltre alle indagini che sembravano ritornare ad un punto morto e il gesto di Kakashi a cui non riusciva ad attribuire un senso, così come non vi riusciva con le sue sensazioni. Si morse leggermente il labbro inferiore, tesa al ricordo di qualche ora prima e in parte arrabbiata con se stessa. Non si sarebbe aspettata che l’uomo la fermasse mentre incerta fuggiva dai ricordi, ma soprattutto non avrebbe creduto che il battito del suo cuore accelerasse all’improvviso nell’averlo così vicino, lo sguardo fisso su di lei e il tocco leggero delle dita sulla pelle. Dai giorni in cui era ripiombato nella sua vita, aveva provato a fare chiarezza, a definire nettamente quello che continuava a legarla a lui, ma quei pochi istanti sembravano aver confuso di nuovo tutto. Strinse i pugni stropicciando il tessuto del copriletto, il volto adombrato dall’amarezza; non poteva e non voleva avere ancora dubbi. Poi sospirò, tentando di liberarsi dalla stretta dell’ansia, consapevole che non avrebbe risolto nulla in cinque minuti e che soprattutto non fosse il momento opportuno per perdersi in simili pensieri. Se fosse ritornata da Naruto con segni di turbamento e lui avesse intuito qualcosa, non se lo sarebbe assolutamente perdonata, perché non sapeva se sarebbe riuscita a tenere per sé quel nuovo stato di incertezza. Si rialzò allora, affrettandosi ad uscire dall’appartamento per raggiungere il collega, sforzandosi durante il tragitto di sgombrare la mente. Giunta in strada, fuori dal portone del palazzo, si avvicinò veloce all’autovettura e aprì la portiera ritrovandosi davanti il volto sereno di Naruto. 
“Allora? Trovato?” Le chiese.
“No, niente da fare.” Rispose Sakura, mentre si sedeva richiudendo fuori dall’abitacolo l’aria fredda, così come ogni pensiero fatto poco prima. “Non abbiamo tempo per passare anche da te, speriamo che smetta.” Continuò, piacevolmente confortata dal calore generato dal condizionatore.
“Sì, dai, vedrai che smetterà, o al massimo facciamo una corsa.” Disse l’altro con leggerezza, mettendo in moto. Poi sì concentrò sul traffico in attesa del momento propizio per immettersi nella fila di macchine.
“Hai ragione.” Assentì la collega poco dopo, incurvando le labbra in un mezzo sorriso e osservandolo con una luce di dolcezza negli occhi: quando era con lui sembrava sempre tutto così semplice. Lo fissò in silenzio per qualche altro breve istante, poi si voltò anche lei a guardare la strada, pronta se necessario a supportarlo con dei consigli, durante il percorso che li avrebbe condotti all’università. Su indicazione di Tsunade, intendevano trovare una conferma alla versione fornita da Hinata Hyuga, confidando in un po’ di disponibilità e di fortuna. In commissariato avevano già verificato via internet che l’esame si era effettivamente svolto e che l’orario d’inizio poteva giustificare l’arrivo della ragazza in azienda verso le dieci; c’era solo da controllare se l’avesse davvero sostenuto e più o meno a che ora.
L’ateneo era ubicato fuori Konoha, quindi per arrivare a destinazione i due poliziotti impiegarono una buona mezz’ora e, andando in parte incontro alle loro attese, il tempo migliorò leggermente. Nonostante il cielo fosse ancora chiuso da scure coltri di nubi, la pioggia sembrò voler offrire una sorta di tregua, facendosi meno martellante. Riuscirono così a non bagnarsi eccessivamente, coprendosi il più possibile con giubbotto e sciarpa, mentre si dirigevano verso la prima entrata visibile. Quando furono finalmente all’interno dell’edificio, provarono un innegabile sollievo di fronte all’immediato cambio di temperatura e, mentre si godevano quell’istante di ristoro, si ricomposero per recuperare un aspetto presentabile, che non includeva certamente capelli arruffati e un abbigliamento stile eschimese. Iniziarono poi a percorrere i corridoi piuttosto affollati dell’università, accompagnati da un brusio di sottofondo. Gli studenti, probabilmente in attesa del proprio turno, sostavano davanti alle aule parlando tra di loro, scambiandosi veloci consigli o forse solo evitando di pensare troppo all’esame. Tra di essi, Naruto individuò un gruppetto che gli appariva più rilassato degli altri e, dopo aver messo Sakura al corrente della sua intenzione di fermarsi, si avvicinò per cercare di ottenere quella che in commissariato avevano ritenuto la prima indispensabile informazione da procurarsi, ovvero dove si trovasse la presidenza della facoltà di economia. Un ragazzo bassino e con gli occhiali non tardò a soddisfare la sua richiesta, fornendogli le indicazioni necessarie per raggiungerla. Il poliziotto, dopo aver ascoltato attentamente le sue parole tentando di non perdere nessun passaggio, lo congedò ringraziandolo per l’aiuto, un aiuto che si rivelò tutto sommato utile. Arrivare a destinazione non comportò infatti eccessive difficoltà, salvo la necessità di porre qualche altra domanda per essere sicuri di non aver imboccato la strada sbagliata. Quel giorno, la presidenza era quasi deserta e si resero conto che ciò avrebbe permesso loro di non dare troppo nell’occhio. Attesero tuttavia che i pochi ragazzi in fila avessero risolto le proprie urgenze, poi entrarono. 
“Salve.” Esordì Naruto, rivolgendosi ad una ragazza che gli venne incontro. “Scusate il disturbo, ma siamo della polizia e avremmo bisogno di un aiuto.” Continuò mostrando il distintivo.
“Oh… ma certo. Ditemi pure.“ Gli rispose quella, sorpresa dalla notizia, ma anche leggermente compiaciuta di poter dare una mano alle forze dell’ordine.
“In pratica, ci servirebbero i verbali di un esame che si è svolto ieri. L’esame sarebbe quello di Economia aziendale.”
“Ho capito, ora chiedo subito. Aspettate solo qualche minuto.” Disse la giovane, prima di sparire all’interno di un ufficio.
Quando poi ritornò da loro, portava con sé una cartellina e alcuni fogli verdi; prese uno di quest’ultimi e lo porse al poliziotto.
“Ecco quello che cercavate. Vi sono riportati i nominativi dei candidati che hanno sostenuto l’esame, più gli argomenti che sono stati trattati durante la prova, ma immagino che vi interessino soprattutto i primi.” Spiegò con tono sicuro. 
Naruto annuì e la ringraziò, dopodiché inizio a visionare il documento insieme a Sakura, che gli si era accostata. Il nome di Hinata Hyuga risultava effettivamente nell’elenco e per la precisione in seconda posizione, quindi non solo aveva davvero dato quell’esame, ma, considerando l’orario di inizio, appariva anche realistico che l’avesse terminato in tempo per trovarsi in azienda verso le dieci, se non addirittura più tardi. Insomma, la versione che la studentessa aveva fornito durante l’interrogatorio sembrava combaciare con la realtà dei fatti. Terminata la veloce lettura del verbale, i due poliziotti si scambiarono uno sguardo, da cui intuirono di essere giunti alla stessa conclusione. Naruto restituì allora il foglio, rinnovando i ringraziamenti per la disponibilità, poi uscì dall’ufficio seguito dalla collega. 
“In sostanza, possiamo dire che l’alibi è verificato.” Le disse, solo quando ebbero raggiunto un punto appartato dell’androne che ospitava la presidenza della facoltà, così da poter tirare le somme della loro rapida indagine senza attirare l’attenzione di nessun curioso. 
“Beh, sì, sicuramente è difficile che possa essere stata lei dato l’orario che risulta dall’autopsia.” Confermò Sakura. “Però, questo significa anche che siamo di nuovo al punto di partenza.” Constatò poi con un pizzico di stanchezza. Quella che all’inizio era una possibilità si era rivelata una dato certo e, nonostante fosse contenta per Hinata Hyuga, per quel giorno avrebbe preferito poter mettere un punto fermo almeno nel campo lavorativo. 
“Fa nulla, se era la strada sbagliata è meglio così, no?” Affermò Naruto con un inevitabile senso di liberazione, sollevando le braccia e incrociando le mani dietro la nuca. “Comunque, quello che possiamo fare è solo tornare all’azienda e ricominciare da lì.” Le spiegò con tono rilassato, e Sakura si lasciò andare ad un sorriso; non poteva certo dimenticare che su quel caso si erano proiettate ombre lontane che lo facevano soffrire e sentire finalmente che ne parlava con una voce priva di note stonate riusciva in un modo o nell’altro a mettere in secondo piano tutto il resto. 
 “Già, hai ragione.” Gli rispose, sperando ingenuamente che l’amarezza che aveva caratterizzato la confessione del giorno prima non tornasse mai più a offuscare la sua consueta solarità.
“Andiamo, allora, e speriamo che abbia smesso del tutto di piovere, così ci risparmiamo un’altra corsa.” Concluse il poliziotto con un chiaro accenno al loro movimentato arrivo all’università.  
Raggiunsero quindi nuovamente il parcheggio e quella volta, per loro fortuna, poterono avventurarsi tra le file di macchine in sosta con tutta calma, confortati dal sole che timidamente faceva capolino tra le nuvole. All’improvviso, mentre camminavano uno affianco all’altro, vennero fermati da una voce, o meglio dal noioso proprietario di quella voce, pensò con disappunto Naruto.    
“Hei, scusa, bellezza. Vai via?” Chiese un ragazzo sulla ventina, sporgendosi dal finestrino di un’auto blu e indirizzando uno sguardo malizioso a Sakura.
Il poliziotto lo fissò subito in malo modo, infastidito da quel brusco apprezzamento, ma si riprese altrettanto velocemente e agì prima ancora che la collega potesse replicare qualcosa.
“No, mi dispiace, abbiamo altro da fare.” Disse sbrigativo, per poi mettere un braccio intono alle spalle della ragazza e baciarla con perfetta noncuranza. 
Pochi istanti dopo, si sentì distintamente apostrofare con un ‘Ma guarda questo!’, mentre il rumore del motore annunciava che la sua strategia aveva sortito l’effetto sperato e che il disturbatore li liberava dalla sua inutile presenza. 
“E così, alla fine, se ne è andato lui.” Osservò a conclusione di quel bacio imprevisto, con un’espressione malandrina sul viso. 
Sakura non riuscì a trattenere una risata. 
“Sei incredibile.” Sussurrò.
Per risposta, il poliziotto si grattò il capo socchiudendo leggermente gli occhi, senza dire nulla, poi riprese a camminare come se nulla fosse, diretto finalmente alla macchina.
Prima di seguirlo, la ragazza rimase ferma per un po’ ad osservarlo seria. Qualunque cosa la legasse ancora a Kakashi, voleva molto bene a Naruto e i momenti che viveva con lui ogni giorno riuscivano innegabilmente a farla stare bene; tutto era così naturale, spontaneo, i punti d’ombra venivano spazzati via senza alcuna difficoltà, semplicemente condividendoli, e un rapporto simile era quello di cui sentiva di aver bisogno, in quel periodo della sua vita così come in futuro, un rapporto che con l’Hatake le risultava difficile intravedere.      


Il ristorante non era per nulla affollato, solo il leggero chiacchiericcio che si levava dai pochi tavoli occupati smorzava il silenzio e l’attesa di Asuma, alleandosi con il solitario fluire dei suoi pensieri. Aveva indubbiamente scelto quel posto perché era il più pratico da raggiungere, dato la sua vicinanza all’istituto scolastico, ma che fosse anche il luogo dove aveva incontrato Kurenai per la prima volta non era ai suoi occhi, e probabilmente non lo sarebbe stato nemmeno a quelli della donna, un aspetto secondario. Non sapeva di preciso che cosa le avrebbe detto durante quella sorta di appuntamento improvvisato, ma la molla che aveva fatto scattare l’idea di un pranzo fuori casa era perfettamente in rilievo nella sua memoria, impressa da una fitta improvvisa di smarrimento e di sofferenza riflessa, come un’immagine calcografica impressa da una matrice: uno sguardo perso a contemplare qualcosa a lui ignoto e un’espressione cupa e meditativa. 
Era stato un fulmine a ciel sereno. Kurenai era appena tornata a casa dopo i corsi di recupero pomeridiani, lui usciva dalla cucina per andarle incontro, e in quei pochi istanti trascorsi sulla soglia della porta, ignara di essere osservata, la donna aveva palesato un malessere di cui prima di allora non aveva colto nessuna avvisaglia, perché troppo chiuso nella sua personale insicurezza, in dubbi e timori sul loro rapporto. Quello il motivo del carattere improvviso dell’amara scoperta - perché la conosceva abbastanza per legare il turbamento evidente nel suo aspetto solo a futili contingenze - ma forse nel contempo la causa stessa del problema. Era giunto a quella possibile conclusione anche grazie alla chiacchierata di qualche ora prima con Shikamaru; ascoltando le confidenze del collega, tra l’odore acre del fumo e dell’asfalto bagnato dalla pioggia, ciò che in modo nebuloso si era insinuato nella sua coscienza la sera prima aveva iniziato ad acquistare contorni sempre più chiari, fino a delinearsi in modo netto con le riflessioni che il dover aspettare l’arrivo di Kurenai gli aveva concesso di svolgere. Stava pensando da dove potesse cominciare per farle capire che per lui la loro storia era molto importante, che nonostante le sue paure ci credeva davvero, quando la vide entrare nel locale, i lunghi capelli neri che le ricadevano morbidamente sulle spalle, le iridi cremisi che indagavano l’ambiente alla sua ricerca, e avvertì un tuffo al cuore. Si era concentrato così tanto su di lei e sul loro rapporto, con un fondo costante di inquietudine riverbero della paura di perderla, che averla lì, a pochi metri di distanza, bella e dolce come sempre, sembrava un dono prezioso, unico. Sarebbe stato davvero uno stupido se se lo fosse lasciato sfuggire. 
Kurenai impiegò qualche istante prima di scorgere dove fosse seduto, poi avanzò tra i tavoli per raggiungerlo. Era venuto a cercarla in aula un’ora prima della fine delle lezioni, generando un invitabile mormorio tra i banchi, e con evidente imbarazzo, non aveva molto probabilmente calcolato la vivace curiosità degli studenti, l’aveva informata che avrebbero pranzato in quel ristorante, senza fornirle una spiegazione chiara. Sulle prime era rimasta spiazzata, in parte piacevolmente colpita da quella proposta, poi però aveva cercato di coglierne la motivazione e in qualche modo si era sentita un po’ in colpa. La sera prima, mentre era bloccata nel traffico, si era soffermata ad osservare un bambino che davanti ad una vetrina, con pressante insistenza, tentava di convincere suo padre a comprargli un giocattolo e per un breve istante aveva immaginato Asuma in quella situazione, provando un’improvvisa tristezza, a cui si era poi lasciata andare non appena era rientrata a casa, con la schiena contro la porta dell’appartamento. Forse l’uomo aveva assistito a quel suo momento di debolezza, traendone la diretta conseguenza che ci fosse qualche problema, nonostante durante la serata dal suo comportamento non fosse trapelato nulla. Per quanto fosse dispiaciuta che ne fosse venuto a conoscenza in quel modo, sapeva anche che eludere il problema non avrebbe portato a nulla di buono, così, mentre si avvicinava, ribadì a se stessa che doveva trovare il coraggio di esternare quello che aveva pensato e provato in quell’ultimo periodo. 
“Ciao.” Lo salutò abbozzando un sorriso. “Scusa il ritardo, ma il preside mi ha trattenuta. Doveva parlarmi di alcune classi.” Si giustificò mentre si sedeva. 
“Tranquilla, non fa nulla. In fin dei conti nessuno ci mette fretta.” Rispose Asuma, apparentemente calmo. 
“Vero. Hai già ordinato qualcosa?” Domandò la donna. 
“Sì, ho chiesto del ramen. Ho pensato che andasse bene anche per te. Altrimenti posso…”
“No, no, va benissimo.” Lo interruppe, addolcendo lo sguardo. 
Una delle prime cose che l’aveva colpita di lui era stato proprio il suo atteggiamento premuroso. Era uno dei suoi primi giorni a Konoha e alcuni colleghi, a cui si era unito in un secondo momento anche Asuma, l’avevano invitata a magiare qualcosa con loro. Il cameriere aveva fatto confusione nel segnare le prenotazioni, così si era ritrovata del misoshiru al posto del sushi, e lui si era offerto gentilmente di invertire le loro pietanze in modo da risolvere velocemente l’inconveniente. Era la prima volta che l’incontrava e il suo gesto le era rimasto impresso. Che fosse un caso o meno, si trovavano proprio nello stesso ristorante di cinque anni prima, e il loro incontro era iniziato con una situazione in qualche modo accostabile a quella di allora. Quelle coincidenze le fecero pensare che forse, parlando, sarebbero riusciti davvero ad allontanare le nuvole che vedeva avanzare verso il loro cielo. Proprio in quel momento giunse il cameriere con le loro ordinazioni. L’uomo adagiò un vassoio al centro del tavolo e domandò se desiderassero altro, ricevendo un pacato diniego, quindi se ne andò lasciandoli soli, mentre i due insegnanti si dedicavano alle ciotole di ramen fumanti, provando ad accantonare momentaneamente ogni pensiero. Fu Kurenai a riprendere dopo un po’  di tempo la conversazione, almeno per esprimere un veloce apprezzamento sulla qualità del cibo. 
“Cucinano sempre bene qui.” Disse con leggero sorriso. 
“Sì, è vero. Non è cambiato per niente.” Assentì l’altro, poi indugiò fissandola negli occhi più a lungo del solito, un brivido di tensione che gli attraversava il petto. “Comunque io… volevo chiederti scusa.”
Poche parole che furono seguite da un silenzio denso, denso di aspettative e speranze, di voglia di capirsi e riparare, mentre Asuma cercava il modo giusto per proseguire e Kurenai attendeva di sapere che cosa le avrebbe detto. 
“Scusami se in questo periodo ho finito per chiudermi in me stesso,” continuò l’uomo “se intrappolato nelle mie insicurezze ti ho forse dato l’impressione di dubitare di noi.”
D’istinto allungò una mano verso di lei fino a sfiorarne con le sue le dita affusolate; la donna, intenerita dalle parole e dal gesto, lasciò che il calore della mano di Asuma avvolgesse con dolce decisione la propria, non senza un mutamento lieve ma chiaramente percepibile nel battito del suo cuore.
“Ma io ti amo davvero e voglio costruire la mia vita insieme a te, nonostante le mie stupide paure.” Dichiarò, con un leggero rossore sul viso. 
Kurenai esitò, divisa tra sentimenti contrastanti: le affermazioni dell’uomo sembravano rispondere ai pensieri dell’ultimo mese, alleviando le preoccupazioni che l’avevano gettata in uno stato di confusione, eppure quell’alone di incertezza che in ogni modo sentiva persistere non riusciva a rassicurarla del tutto.  
“Asuma, temo che questa insicurezza possa prima o poi rompere qualcosa. E…”
E per costruire una famiglia c’è bisogno di basi solide, il nostro bambino ne ha bisogno, avrebbe voluto continuare, ma non ne trovò la forza. Abbassò invece lo sguardo, risentita verso se stessa; nonostante ciò che si era prefissata per quell’incontro, non riusciva a confessare l’unica semplice verità che doveva rappresentare la priorità.
Nell’ascoltarla Asuma avvertì una piccola fitta a cui rispose senza smettere di stringerle la mano, bensì aumentando leggermente la pressione di quel gesto di unione, sperando che anche quello servisse per farle capire quanto per lui fosse importante. 
La donna reagì tornando a guardarlo negli occhi, di nuovo in attesa delle sue parole. 
“Hai ragione. D’ora in poi cercherò di allontanare una volta per tutte stupidi pensieri.” Le disse l’altro con tono serio. “Io non voglio perderti.” Continuò dopo qualche istante di silenzio. 
Kurenai rimase a fissarlo per un po’ con espressione riflessiva, poi abbozzò un sorriso, avvolta da una sensazione di calore, in qualche modo tranquillizzata dal proposito che l’affermazione dell’uomo conteneva e dalla dolcezza che le stava dimostrando. Pensò che doveva assolutamente trovare il momento giusto per dirgli che era incinta, che non poteva e non voleva più nasconderlo, ignara che in quello stesso istante anche Asuma stava pensando di doverle rivelare al più presto qualcosa.  

Sasuke era ritornato in ufficio con un’espressione apatica, o meglio quella era stata l’impressione che Kakashi aveva ricevuto non appena l’aveva visto entrare, sebbene quell’apatia potesse facilmente confondersi con il suo solito atteggiamento serio e distaccato. Perfettamente consapevole che il giovane collega non si sarebbe mai lasciato andare a qualsiasi sorta di confidenza, tanto più con qualcuno che a conti fatti non conosceva per nulla, aveva preferito evitare qualsiasi domanda o osservazione a proposito, limitandosi a chiedere un semplice ragguaglio sull’incontro avuto con l’informatore. Avevano potuto così accordarsi sulla mossa successiva da compiere per proseguire quella che era una delle tante partite a carte che intraprendevano quotidianamente, mossa che consisteva in una piccola visita di cortesia a Kaito Oshiba, che come avevano verificato rientrava  effettivamente tra gli iscritti alla palestra dove era avvenuto l’omicidio. 
L’abitazione dello spacciatore faceva parte di un condominio in una piccola zona residenziale, ad una mezz’oretta dal commissariato. Quando arrivarono al complesso abitativo, i due poliziotti individuarono per prima cosa la guardiola del portiere e chiesero quale fosse l’appartamento della persona che cercavano, ottenendo l’informazione senza troppe difficoltà. Gli alloggi correvano tutto interno ad un cortile interno, affacciandosi su di esso, perfettamente visibili con le loro facciate d’intonaco bianco, separate dal vuoto da un ballatoio ed una ringhiera metallica. Quello che interessavo loro si trovava nell’ala destra del palazzo, al secondo piano, e lo raggiunsero tramite una scala interna. Dopo aver scambiato un rapido sguardo d’intesa con il collega, Sasuke suonò il campanello, poi attese con una leggera impazienza che il loro prossimo interlocutore si facesse vivo. Forse, inconsciamente, vedeva quell’incontro non solo come la semplice fase di un’indagine, ma anche come un’opportunità per allargare il campo della sua ricerca personale, che più passava il tempo e più gli appariva infruttuosa. Si affrettò ad allontanare quel pensiero dalla sua mente, posticipando qualsiasi riflessione sulle eventuali conseguenze dell’arresto che avrebbero compiuto a breve. 
La porta dell’appartamento si aprì nel giro di qualche istante e di fronte a loro si presentò un uomo sulla trentina, non molto alto ma dalla corporatura piuttosto robusta, che lasciava facilmente intuire la sua professione di pugile o quanto meno la passione per il pugilato. Peccato che i suoi interessi non si limitassero ad una sana pratica sportiva, pensò Kakashi osservandolo. 
“Salve. Il signore Kaito Oshiba?” Esordì.
L’uomo scrutò in silenzio chi chiedeva di lui, sforzandosi di ricordare se li avesse visti da qualche altra parte, ma non riuscì a ricollegare i visi dei due ai poliziotti della mattina precedente, così rispose senza avere sentore di nulla e con voce  un po’ seccata.
“Sì, sono io. E voi chi sareste?” Disse.
“Polizia, signor Oshiba. Dovremmo scambiare due chiacchiere.” Rispose l’Hatake serio, mentre mostrava il distintivo per avvallare la sua affermazione.
A quelle parole lo spacciatore si irrigidì in maniera quasi impercettibile, lasciando trapelare l’improvvisa ansia solo dal leggero indurirsi dei lineamenti del volto, dettaglio che non sfuggì alla capacità di osservazione dell’ispettore. Tentò però di rimanere calmo, perché per esperienza sapeva bene che agitarsi avrebbe gettato su di lui più sospetti di quelli che gli inquirenti potevano già avere;  inoltre, comportarsi nel modo più naturale possibile poteva rappresentare una buona via d’uscita proprio per il fatto che la loro presenza davanti a casa sua non implicava necessariamente che avessero delle prove rilevanti. “E a che proposito?” Domandò allora, cercando di conservare ancora un tono annoiato in modo da celare il suo cambio d’umore.
“Credo che lo sappia perfettamente, a che proposito.” Intervenne deciso Sasuke. 
“No, mi dispiace, non saprei proprio di che cosa…” Provò a replicare l’altro con finta noncuranza, dopo aver spostato lo sguardo sul secondo poliziotto.
“Io non ne sarei così sicuro.” Lo interruppe però Kakashi, attirando nuovamente su di sé l’attenzione. ”Volendo, qualche argomento su cui parlare si trova lo stesso.”
“O altrimenti si può sempre cercare qualcuno più loquace.” Concluse l’Uchiha al posto del collega.
Fin dall’inizio, erano perfettamente consapevoli di non poter mettere il loro interlocutore davvero sotto pressione, dal momento che non avevano in mano nulla di concreto, ma solo informazioni e indizi che necessitavano di riscontri oggettivi, un’impresa non semplice; così, come avevano concordato in ufficio, avevano tentato di giocarsi la carta di un innocuo bluff, affidandosi al potere di convinzione del loro ruolo istituzionale e alla malafede del pugile.
“Nessuno si lascerebbe sfuggire una buona occasione per alleggerire la propria posizione.” Spiegò dopo qualche istante di silenzio l’ispettore dai capelli argentati.
La puntualizzazione gettò lo spacciatore nell’incertezza; forse, la polizia sapeva davvero qualcosa che poteva metterlo nei guai.  
“Sempre… sempre che ci sia una posizione da alleggerire.” Rispose, tuttavia, sperando che si stesse sbagliando.
“Beh, di certo non abbiamo tempo da perdere con chi non vuol parlare.” Osservò l’Hatake con tutta calma, dopodiché attese una reazione che non arrivò, per tanto si rivolse a Sasuke. “Mi sa che allora possiamo andare.” Gli disse.
L’altro non tardò ad assentire con un rapido cenno del capo, poi imitò il collega dando le spalle al loro interlocutore e iniziando ad allontanarsi dall’appartamento. Neanche pochi passi, però, e il pugile li richiamò; se ormai erano a conoscenza della storia delle anfetamine, non sarebbe comunque rimasto fuori dalle indagini, quindi tanto valeva collaborare e subire il minore dei mali.
“Aspettate. Forse… forse posso darvi una mano.”
A quelle parole le labbra di Kakashi si incurvarono in un sorrisetto compiaciuto, mentre Sasuke provò un innegabile senso di liberazione; detestava tirare per le lunghe con un criminale da quattro soldi, tanto più se aveva fretta di giungere ad una conclusione. 
“Così va meglio.” Disse l’Hatake, tornando indietro verso l’uomo. “Penso sia inutile specificare di cosa stiamo parlando.”
“Insomma, a questo punto, possiamo arrivare direttamente al punto”. Continuò l’Uchiha aggrottando le sopracciglia. ”Chi spaccia con te nella palestra? E Aizawa Daisuke era coinvolto?” 
“Sì. Eravamo noi due a gestire tutto, insieme ad Akira Hayase. E all’inizio anche il nipote del proprietario.” Rispose lo spacciatore dopo qualche istante di esitazione; sputare il rospo con gli sbirri non era dopotutto qualcosa che gli risultava semplice.
“Che vuol dire all’inizio?” Chiese ancora il poliziotto.
Tutta quella messa in scena era servita a fargli ottenere l’informazione che speravano, quindi non restava altro che ottenere ulteriori dettagli, in vista anche di un nuovo interrogatorio.
“Niente, quell’idiota si è semplicemente tirato indietro.” Gli spiegò l’uomo con una evidente nota di disprezzo nella voce.
“Uhm, io sarei cauto su chi definire un idiota.” Sentenziò Sasuke. “Ora, però, ci segua gentilmente in commissariato.” Disse, poi, avanzando verso il pugile mentre recuperava rapido le manette da una tasca interna del giubbotto, senza che il gesto passasse inosservato.
Kaito Oshiba arretrò d’istinto; consapevole tuttavia che quella era la conclusione inevitabile, non oppose resistenza ma si lasciò arrestare, augurandosi di non aver fatto una grande cavolata. Le parole successive del poliziotto non contribuirono però a sostenere quella speranza.
“Ovviamente è meglio per lei che non abbia nulla a che fare con l’omicidio di ieri.” Affermò l’ispettore, nel stesso momento in cui il ferro delle manette stringeva i polsi del pugile, bloccandoli.

 

Accantonata definitivamente l’ipotesi della colpevolezza di Hinata Hyuga, i due poliziotti non avevano potuto fare altro che ripartire dalla dinamica dell’omicidio e da eventuali testimoni. Ripensando a che cosa potesse essergli sfuggito la prima volta, Naruto si era ricordato di aver posto alla segretaria del signor Hyuga, Keiko Suzuki, nient’altro che una o due domande a causa dell’evidente stato di confusione in cui versava, informazione che aveva subito fatto scattare nella mente di Sakura l’interruttore per un’intuizione. Quando la governante di casa Hyuga si era presentata per prendere Hinata aveva affermato di essere stata avvertita dell’accaduto proprio da una certa Keiko-san, che con buone probabilità doveva essere la stessa segretaria. Erano quindi giunti alla conclusione che qualcosa non quadrasse e che fosse opportuno verificare; così, l’edificio sede degli uffici amministrativi della ditta svettava di nuovo di fronte a loro in tutta la sua altezza, con qualche invitabile ed insistente giornalista appostato davanti all’entrata.
Naruto sbuffò, infastidito all’idea di poter essere importunato, ma per sua fortuna nessuno parve attribuire particolare peso alla loro presenza, permettendo ai due poliziotti di entrare con tutta tranquillità nel palazzo; evidentemente, se qualcuno era presente anche il giorno dell’omicidio, non li avevi riconosciuti. Raggiunsero allora il secondo piano, dove riuscirono a rintracciare senza alcun problema la persona che cercavano, la quale sedeva alla propria scrivania nella stanza che precedeva l’ufficio della vittima, intenta a visionare dei documenti.
“Scusi il disturbo.” Esordì Naruto, dopo aver bussato alla porta nonostante fosse aperta.
La donna, i lunghi capelli legati in una coda e un paio di occhiali sul viso affilato, spostò la sua attenzione su di lui e l’espressione che gli mostrò rivelava una lieve sorpresa e nient’altro; nessuna traccia di preoccupazione sembrava turbarla, alimentando la possibilità che avesse qualcosa da nascondere.
“Salve, ispettore.” Rispose, avendolo riconosciuto immediatamente. “Come mai qui?”
“Salve. Potrei farle la stessa domanda.”  Rispose il poliziotto, poi entrò e si avvicino alla donna seguito dalla collega.
“Beh, veda. Purtroppo ci sono delle pratiche che non possono essere lasciate in sospeso. Le stavo recuperando per darle ad Hiroshima-san, uno stretto collaboratore del povero signor Hyuga.” Spiegò pacata.
“Capisco.” Assentì Naruto. “Comunque siamo qui perché dovremmo chiederle alcune informazioni.”
A quella richiesta la segretaria non si tirò indietro, ma diede la più totale disponibilità.
“Ieri, più o meno tra le nove e le dieci, è sempre rimasta in ufficio o le è capitato di allontanarsi?” Chiese l’ispettore.
Prima di rispondere la donna cercò di fare mente locale, ripercorrendo velocemente con la memoria i vari passaggi della giornata precedente.
“Ecco, in realtà sono stata assente per circa una mezz’ora, ora che ci penso. Mi ha chiamato Yumi-sama, la governante del signor Hyuga, e mi ha chiesto se gentilmente potevo prenotare il ristorante per il capo al suo posto. Non ho ben capito il perché, ma pare che non potesse, così me ne sono occupata io.”
“Ed era proprio necessario che si allontanasse? Non poteva semplicemente chiamare?” Intervenne Sakura, insospettita come Naruto da quella nuova coincidenza.
“No, signorina. Il ristorante che il capo era solito frequentare è piuttosto fiscale su queste cose. Non saprei spiegarle il motivo preciso, ma richiede una prenotazione in un certo senso diretta.”
“Quando poi è ritornata in azienda, ha notato qualcosa di strano? Magari qualche documento fuori posto. Oppure le è sembrato di scorgere la presenza di qualcuno?” Domandò ancora l’altro poliziotto.
“No, nulla, ispettore.” Affermò la segretaria, poi abbassò leggermente lo sguardo. “Ho solo portato delle pratiche al signor Hyuga e l’ho trovato accasciato sulla sedia.” Disse con tono malinconico.
“Va bene lo stesso, non si preoccupi. Vedrà che riusciremo a trovare il colpevole, il suo aiuto ci è stato molto utile.” Replicò Naruto con espressione decisa, dopo aver avuto un attimo di esitazione di fronte allo sconforto della donna. “Un’ultima domanda, poi la lasciamo al suo lavoro. Per caso è stata lei ad avvertire dell’accaduto la governante?”
“Eh… no. Io non sono riuscita a chiamare nessuno dopo la scena che mi sono trovata davanti agli occhi. E’ stato infatti un mio collega a telefonare alla polizia.” Chiarì la segretaria.
I due poliziotti la ringraziarono di nuovo per la disponibilità dimostrata, poi lasciarono l’ufficio. Scesi in strada, si allontanarono il più possibile dall’entrata dell’edificio in modo da essere fuori dal raggio d’azione dei giornalisti e poter fare il punto della situazione senza correre il rischio di essere disturbati o di concedere involontariamente qualche pericolosa soffiata.
“Insomma, non sembra che la segretaria nasconda qualcosa.” Iniziò Sakura quando ritenne che fossero abbastanza lontani. “La governante, invece, è piuttosto sospetta. Ha chiaramente mentito sul come fosse venuta a conoscenza dell’omicidio e oltretutto il suo atteggiamento mi era parso subito un po’ brusco.” Argomentò.
“Già, non me la conta giusta.” Concordò Naruto, mentre appoggiava la schiena contro la facciata di un palazzo incrociando le braccia sul petto. “Il punto più importante, però, è scoprire se anche la scusa del ristorante fosse una frottola, se insomma si trovasse qui nei paraggi e quello fosse un modo per allontanare un testimone scomodo.” Precisò, con espressione seria e meditativa.
La collega lo osservò in silenzio per qualche istante; quell’atteggiamento tra il posato e lo spavaldo gli donava tremendamente. Accantonò, però, rapidamente quei pensieri.
“Uhm, forse potremmo chiedere i tabulati di casa Hyuga.” Disse. “Se scoprissimo che non ha chiamato la segretaria da lì, potremmo avere un indizio in più per supporre che l’abbia fatto da qualche posto qui vicino.”
“Sì, quella dei tabulati mi sembra una buona idea.” Rispose l’ispettore. “Però, se individuassimo da dove ha potuto telefonare, avremmo qualcosa di più concreto in mano.”
Detto ciò, iniziò a scrutare gli edifici dall’altro lato della strada per trovare un bar o qualcosa di simile; nel breve tragitto che avevano percorso fino a quel momento non ne aveva notato nessuno. Sakura non ebbe difficoltà ad intuire che cosa stesse facendo, così, quando Naruto riprese a camminare, lo seguì senza chiedere nulla, supportandolo nella sua ricerca. Non appena videro un bar, decisero di fare subito un tentativo sperando che la fortuna fosse dalla loro parte. Il locale, benché avesse riaperto da meno di un’ora, era già abbastanza frequentato; i tavoli posizionati  all’aperto erano occupati da alcuni ragazzi in attesa delle proprie ordinazioni o in procinto di effettuarle. I poliziotti li superarono entrando nel bar, dove quello che doveva essere il gestore rimproverava un giovane barman per aver sbagliato la preparazione di un drink. Attesero che le acque si calmassero, dopodiché si avvicinarono al bancone e si presentarono, chiedendo poi a chi era stato di turno anche la mattina precedente se una donna anziana avesse domandato di poter fare una telefonata e con loro sollievo ricevettero una risposta positiva.  

    

Con Kaito Oshiba già dietro le sbarre, in una delle celle a disposizione del commissariato, e Akira Hayase in procinto di essere arrestato dai colleghi delle volanti, non rimaneva che far confessare la verità a Rock Lee su quanto accaduto la mattina precedente. Avevano quindi provveduto a convocarlo nuovamente per un secondo e si auguravano ultimo interrogatorio.
“Sei proprio sicuro di non conoscere il signor Oshiba?”
L’ispettore Uchiha riformulò la domanda già posta all’inizio nel tentativo di ricevere una risposta differente, ma senza alcun risultato.
“No, io… ve l’ho detto, gli avrò parlato qualche volta, forse.” Ribadì infatti il pugile, per quanto impacciato.   
“Strano.” Osservò Kakashi, seduto alla destra del giovane. “Lui sembra conoscerti abbastanza bene invece. Pare che aveste degli affari in comune.”
Sulle prime Rock Lee non capì che cosa il poliziotto intendesse, ma non appena vi arrivò ebbe la forte sensazione di essere in un vicolo cieco.
“Non ho idea di cosa possa avervi detto.” Provò a mentire ancora una volta, provocando un sospiro di irritazione da parte di Sasuke .
“Ti conviene decisamente smettere di dire frottole.” Ribatté quest’ultimo con tono drastico. “Così peggiori solo la situazione. Ci hai mentito sull’incidente che ti avrebbe costretto ad abbandonare la palestra e continui a farlo adesso.”
“Il mio collega ha ragione. E’ più saggio iniziare a dire la verità.” Intervenne l’Hatake. “Kaito Oshiba ha già fatto il tuo nome tra le persone coinvolte nello spaccio di anabolizzanti e non abbiamo motivo di non credergli, dato che si è fatto arrestare senza fare storie. Inoltre ci ha detto che ti sei anche tirato indietro. Magari è per questo che hai litigato con Aizawa Daisuke ieri mattina.”
Di fronte alle affermazioni del poliziotto Rock Lee abbassò lo sguardo e strinse i pugni; era deluso e arrabbiato, gli ultimi mesi erano stati segnati solo ed esclusivamente da scelte sbagliate, una dietro l’altra, a coronamento del fallimento che era la sua vita e a cui non era stato in grado di porre un argine.

“Non posso farci nulla se hai smesso di spacciare per non deludere ancora di più lo zietto.”
 Le parole di Daisuke riecheggiarono nella sua mente, quasi ad amplificare il senso di inutilità e di colpa che l’attanagliava. Poggiò i gomiti sul tavolo adagiando il capo tra le mani.
“Io gli avevo chiesto semplicemente una dose per una sfida imminente e di poterla pagare dopo.” Iniziò a raccontare con voce sommessa.” Lui mi disse che a quelle condizioni non poteva darmela, poi inferì sul fatto che mi fossi tirato indietro, disse che non avrei avuto quel problema se non l’avessi fatto e… sottolineò che avevo smetto di spacciare per non deludere ancora di più mio zio.” Rimase in silenzio per qualche istante, le unghie che si conficcavano nei palmi. Confessare tutto l’avrebbe solo liberato da un peso, pensò, mentre soffocava il dolore che provava.
“Gli anabolizzanti mi aiutavano a vincere le gare. La forza di volontà, senza delle buone capacità, non serve a nulla, nonostante quello che pensa mio zio.” Disse, tornando a guardare i due poliziotti con espressione abbattuta.
“Se avesse scoperto che mi dopavo ne sarebbe rimasto deluso e ancora di più se avesse saputo che spacciavo. Quando Daisuke me l’ha ricordato con il suo solito sorriso beffardo non ci ho visto più e l’ho spinto. Ma non volevo ucciderlo, è stato un incidente. C’era il suo borsone a terra e...”
“Sì, questo lo sappiamo.” Lo interruppe Kakashi. “Riuscirai sicuramente ad ottenere delle attenuanti.” Spiegò, poi fece segno ad un agente di portarlo via. 

 

Quando poterono finalmente esaminare i tabulati che avevano richiesto, Naruto e Sakura trovarono una definitiva conferma alla loro ipotesi: da casa Hyuga non risultava nessuna chiamata indirizzata alla ditta tra le nove e le dieci, chiamata che invece era stata effettuata dal telefono del bar. Con un nuovo dato concreto alla mano, decisero di fare visita alla governante nella speranza di concludere il caso e contro ogni loro aspettativa non si trovarono di fronte ad un atteggiamento freddo e riluttante. Quando li vide sulla soglia di casa, infatti, l’anziana donna li fece entrare ed accomodare senza problemi, e Sakura ne notò l’espressione del volto, diversa dalla prima volta che l’aveva incontrata, avrebbe osato dire provata. Fu Yumi stessa ad iniziare la conversazione, senza tergiversare con ulteriori convenevoli o con domande superflue.
“Immagino già perché siate qui.” Esordì con tono calmo. “Per fortuna al momento Hinata non c’è, possiamo parlare tranquillamente.”
“Quindi credo che non ci sia bisogno di girarci intorno.” Disse Naruto in qualche modo sollevato, sebbene sorpreso dall’atteggiamento della donna.
“No, direi di no.” Rispose quest’ultima, seria.
“Perché l’ha fatto?” Fu la domanda diretta dell’ispettore.
La governante abbassò il capo fissando il vuoto davanti a sé. Aveva deciso che avrebbe confessato tutto quando Hinata era tornata a casa dopo l’interrogatorio, visibilmente turbata, ed era scoppiata a piangere tra le sue braccia, non appena le aveva chiesto come fosse andata, sfogando probabilmente solo in quegli istanti tutta la pressione e il dolore che aveva dentro. Non poteva sopportare di vederla soffrire in quel modo, non era quello che voleva ottenere.
“Per lui era come se non esistesse, soprattutto dopo la morte della signora.” Cominciò, posando sul poliziotto uno sguardo indecifrabile, distante, perso forse in un mare di ricordi. ”Da quel momento le figlie non sono diventate altro che dei fogli bianchi, fogli su cui leggere un numero che aveva il solo scopo di soddisfarlo, di soddisfare il suo orgoglio e riempire il suo vuoto. E ovviamente Hinata, con le sue difficoltà scolastiche, era per lui solo una continua delusione.”
Nell’ascoltare quelle parole Naruto provò insieme un moto di tristezza e di rabbia; comprendeva il discorso della governante, l’amore che trapelava da esso, ma non avrebbe mai potuto condividerne le conseguenze, e non solo per il ruolo istituzionale che ricopriva.
“E cosa pensa di aver ottenuto col suo gesto?” Domandò dopo qualche istante di silenzio. “Anche nelle situazioni più buie c’è sempre una strada alternativa, per quanto percorrerla possa apparire la scelta più difficile. Basta trovare la forza di farlo. Così ha solo troncato ogni opportunità, piuttosto di lottare per renderla possibile.” E mentre parlava pensava al coraggio di sua madre, il coraggio di allontanarsi dall’unico uomo che avesse mai amato e di crescere un figlio da sola, e insieme all’incidente che aveva troncato senza via di scampo la vita di suo padre.   

 

Quando Kaito Oshiba e Akira Hayase videro Sasuke davanti le sbarre della cella che li ospitava provarono una inevitabile sorpresa, poiché non credevano di avere qualcos’altro da aggiungere a quello che avevano già detto, e infatti non tardarono a scoprire che il motivo che l’aveva portato fin lì aveva ben poco a che fare con il loro caso.
“Nel vostro giro conoscete un certo Itachi Uchiha?” Chiese l’ispettore saltando ogni preambolo.
I due spacciatori mostrarono qualche attimo di perplessità di fronte a quella richiesta inaspettata, ma   gli risposero nel giro di qualche istante senza alcuna obiezione. Quello che il poliziotto ricevette, però, non fu ciò che desiderava. Deluso dall’ennesimo esito negativo della sua ricerca, trattenne la stizza che lo pervadeva sotto un’espressione indifferente e si allontanò in totale silenzio; quando fu sicuro di essere solo, sferrò un calcio pieno di rabbia contro il muro. Sembrava inesistente, Itachi sembrava essere un fantasma, pensò, eppure quelle lettere misteriose, che ancora custodiva nel cassetto di una scrivania, l’avevano condotto a Konoha e non poteva rassegnarsi all’idea che anch’esse fossero totalmente inutili.

Note dell'autrice

Credo che dovrei solo nascondermi dato l'immenso ritardo... posso solo dire che è stato un anno molto impegnato e ho fatto il prima possibile ^^' Spero che almeno il capitolo possa piacervi e ricompensare un po' l'attesa eterna. Comunque, siamo precisamente a metà della storia, il prossimo sarà un capitolo di transizione, ma ci saranno alcuni nodi che verranno al pettine, uno in particolare, poi l'altra metà della fic, sperando di non metterci altri due anni. Precisazioni da fare non ce ne sono, dovrebbe essere tutto chiaro, e spero che alcnui fatti abbiano una pervenza di realismo. Ah, poi c'è da segnalare che Kabuto è decisamente OOC; il suo ruolo nella storia è del tutto diverso dal manga e questo è il risultato, spero che però sia almeno riconoscibile u_u
Con questo finisco di tediare, ovviamente grazie mille a chi preferisce o segue la storia e a chi trova il tempo per commentare ^^

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII
Capitolo dedicato ad Urdi, perchè una delle sue prime recensioni
mi ha fatto ideare tutta la prima parte, per la precisione la richiesta di un Kakashi in divisa^^





Quando si era svegliato, non appena le nebbie del sonno che gli intorpidivano i sensi si erano dissipate del tutto, Kakashi si era tirato a sedere sul letto soffermando lo sguardo stanco sulla visuale concessa dalla piccola finestra della sua camera. Il cielo era insolitamente terso per una mattina di metà gennaio, soprattutto dopo una settimana di piogge pressoché continue; di sicuro, fuori l’aria era fredda e pungente come al solito, ma scoprire un tempo sereno, quando invece il calendario segnava il ritorno di una triste ricorrenza, gli aveva lasciato un senso d’amaro in bocca maggiore di quello che già provava ogni volta in quel particolare giorno dell’anno. Non diversi erano i pensieri che gli affollavano la mente mentre sedeva alla scrivania del suo ufficio qualche ora dopo, scrutando di nuovo il paesaggio esterno con un’espressione seria e rassegnata. Che le condizioni atmosferiche dovessero intonarsi con il suo stato d’animo era dopotutto una pretesa stupida oltre che egoistica, un’ulteriore dimostrazione della sua incapacità di svincolarsi dal passato. In momenti come quelli avrebbe dovuto preferire giornate che gli ricordassero che la vita va avanti, che i ricordi dolorosi non possono condizionare in eterno, invece non vi riusciva; i tenui raggi solari e l’azzurro sgombro di nuvole lo facevano sentire come una nota stonata all’interno di una melodia.
“Oggi è uscita proprio una bella giornata, non è vero?” 
Una voce catturò la sua attenzione legandosi inconsapevolmente alle sue riflessioni; Kakashi non ebbe difficoltà a riconoscerla e si voltò quasi subito verso il proprietario.
“Buongiorno, Naruto.” Disse pacato, una maschera di normalità calata sul volto. “Almeno questo inverno ci offre qualche tregua ogni tanto…” 
“Già, speriamo che continui così. Comunque, volevo sapere dove è Sasuke.” Gli domandò il collega, arrivando direttamente al motivo primario della sua presenza.
“Dovrebbe essere con Izuki-san per la deposizione di una denuncia. Ma se hai bisogno di qualcosa, puoi anche chiedere a me.” Rispose l’Hatake, pur non avendo in realtà grande voglia di darsi da fare per aiutarlo, qualunque cosa gli servisse.
“Ah, no, non preoccuparti. E’ che ieri l’ho visto un po’ strano e volevo parlargli.” Spiegò Naruto, mentre si portava una mano dietro la nuca scompigliando leggermente i capelli biondi. “Sai se per caso è successo qualcosa di particolare?” Chiese poi, superato un attimo di incertezza.
“Beh, ecco, no. Non mi sembra, o quantomeno io non ho notato nulla di strano.”
“Capisco.” Farfugliò il poliziotto biondo. “Magari lo cerco più tardi. Grazie per l’informazione.” Continuò in modo più distinto, poi gli rivolse un sorriso leggero e sparì così come era arrivato. Kakashi rimase a fissare perplesso per qualche istante l’ingresso prima occupato dal collega; a volte quel ragazzo lo spiazzava, se da una parte riusciva a brontolare per un non nulla invadendo l’ufficio di interminabili chiacchiere, dall’altro in certi momenti si mostrava serio e sfuggente. Chissà, forse era stata proprio quell’oscillazione, quella compresenza nel suo carattere di tratti così diversi senza che ciò implicasse un’eccessiva sbavatura a colpire Sakura, pensò, con un pizzico di amarezza. Si appoggiò totalmente allo schienale della sedia sospirando. Nell’ultima settimana non si erano quasi mai scambiati una parola e, sebbene fosse naturale che lei passasse più tempo e parlasse soprattutto con Naruto in quanto partner nel lavoro e nella vita, non riusciva a liberarsi dall’opprimente sensazione che il timore di aver commesso un errore irreparabile fosse fondato, oltre che da quel costante strato di gelosia che era incapace di coprire e nascondere sotto ragionamenti razionali. Provò un attimo di sollievo rendendosi conto che almeno per quel giorno non avrebbe dovuto sopportare una fitta improvvisa nel notare il suo sguardo sfuggente, poi si pentì subito di quel pensiero; il motivo per cui la collega non era in commissariato non era affatto qualcosa di piacevole e come sei anni prima sentì di essere nel posto sbagliato; piuttosto che chiuso in un ufficio avrebbe voluto essere al suo fianco, chiederle di dare voce al dolore che c’era nel suo cuore, di condividerlo con lui in quel momento ed ogni volta che ne avrebbe avuto bisogno, come non aveva avuto il coraggio e la forza di fare quando Sakura avrebbe desiderato anche il suo sostegno. Il rimorso per le sue scelte sbagliate lo assalì con violenza, insieme alla amara consapevolezza che non si potesse riavvolgere il nastro e tornare indietro, e anche i ricordi non tardarono a dar man forte colpendolo a tradimento.

Mentre annodava la cravatta, Kakashi fissò il proprio riflesso nello specchio, che gli restituiva l’immagine di un volto segnato dalla stanchezza. Gli ultimi giorni erano stati lunghi e difficili; la morte improvvisa di Isoshi Haruno e di sua moglie, le indagini preliminari, le insistenti richieste dei giornalisti e le visite in ospedale l’avevano travolto completamente, agitando nel suo animo una miriade di sentimenti e nella sua mente mille domande. Si chiese se sarebbe riuscito a trovare un punto fermo in mezzo alla confusione che provava. Osservò poi la divisa che aveva addosso, mentre ne chiudeva la giacca che bottone dopo bottone aderiva sempre più al suo corpo. Da quando era entrato a far parte dell’investigativa non l’aveva più indossata, iniziando a lavorare quotidianamente in borghese, ma se dovevano essere come quella le situazioni in cui doveva rimetterla avrebbe preferito mille volte lasciarla a marcire nell’armadio. Ricordava ancora in modo chiaro il fastidio verso i poliziotti che avevano partecipato al funerale di suo padre, verso le loro uniformi così perfette, così eleganti nell’alternanza di bianco e blu, mentre il suo cuore di bambino ferito deformava e dipingeva di nero ogni cosa. Quel giorno lontano, con tutto il dolore che aveva dentro, non avrebbe mai pensato di seguire la stessa strada che aveva portato Sakumo Hatake a morire in una sparatoria; ma la vita, con il suo alto grado di imprevedibilità, l’aveva condotto ad una scelta differente e in quegli istanti si trovava a sopportare uno dei lati più duri del mestiere di poliziotto: il funerale di un collega, di una guida, ma soprattutto di un amico. Sperando che fosse una delle poche volte, se non addirittura l’ultima, recuperò il berretto sistemandolo sulla chioma argentata, ignorando i ciuffi ribelli che non si adeguavano alla costrizione dell’indumento, poi indossò i guanti bianchi poggiati sul comodino e uscì di casa. 
Qualche ora più tardi, sotto lo scrosciare di una pioggia inclemente, fissava con sguardo spento la bara di Isoshi Haruno che come quella di sua moglie veniva calata lentamente in una fossa, mentre i mazzi di rose adagiati al suolo, piegati dall’acqua sferzante, non potevano offrire nient’altro che un debole omaggio. Come quei poveri fiori, anche il carattere ufficiale che aveva contraddistinto la cerimonia funebre aveva avuto l’intento di onorare ciò che il commissario era stato, ma per tutto il tempo il valore che ogni gesto racchiudeva l’aveva sfiorato solo superficialmente, quello che invece l’aveva assalito e ancora non l’abbandonava era un forte senso di disagio. Non doveva essere lui a vivere quel momento, a dare l’ultimo saluto al suo superiore, o quantomeno non doveva essere da solo; Sakura, l’unica persona che ne aveva il vero diritto, era costretta in ospedale, in coma, ignara dell’evolversi degli eventi. Quello era il funerale di suo padre, dei suoi genitori, e si rendeva conto che in futuro il non essere stata presente le avrebbe dato la spiacevole sensazione di aver perso qualcosa di importante, per quanto doloroso. Strinse i pugni guantati con forza, nel vago tentativo di scaricare rabbia, dolore e frustrazione. L’ultima volta che aveva parlato con i medici, si erano mostrati ottimisti sul suo risveglio, sebbene non sapessero indicare con certezza un quando, ma pensarla immobile in un letto, priva di sensi, mentre la vita, la propria vita, scorreva senza la tranquillizzante e dolce consapevolezza del suo sorriso, lo costringeva a lottare contro un incombente senso di vuoto. Dal giorno dell’incidente, la paura di perderla si era conficcata in profondità nel suo cuore come una spina irremovibile; prima di quella interminabile settimana, non aveva ancora realizzato quanto si fosse legato a lei, quanto la sua presenza gli fosse divenuta indispensabile, aggirando le paure e i timori che lo attanagliavano al solo pensiero di aprirsi veramente all’amore. Mentre la fredda terra iniziava a seppellire il ricordo materiale dei coniugi Haruno, Kakashi pensò che incontrarli aveva smosso qualcosa dentro di lui, che solo pochi anni prima niente sarebbe riuscito a farlo uscire dal guscio che lo chiudeva in se stesso, rendendolo felice e creando le premesse per il nascere di un affetto sincero come quello che provava per loro e per Sakura e di ciò gli era grato; ma, proprio per quel senso di gratitudine e per la fiducia che avevano dimostrato nei suoi confronti, sentiva che sarebbe stato un imperdonabile tradimento farsi trascinare in modo incondizionato dal suo cuore, perché nonostante tutto gli era difficile credere che ogni suo problema relazionale si fosse davvero risolto, mettendo al riparo Sakura dal soffrire anche a causa sua.

Erano trascorsi sei anni e, nonostante quella volta si fosse illuso che qualcosa potesse essere sul serio cambiato, quel guscio protettivo sembrava essere ancora lì, percorso da diverse incrinature ma non frantumato, una difesa che continuava a paralizzare i suoi desideri. Ricordi e vecchie riflessioni avevano finito per far affiorare quella risposta che si era rifiutato di fornire alla sua coscienza il giorno prima; se anche in quel momento non ci fosse stata quell’insolente paura ad avvincerlo a sé, molto probabilmente avrebbe esternato i suoi sentimenti baciandola, nonostante la ragione non avesse tardato ad ammonirlo, ricordandogli come al solito la relazione con l’ispettore Uzumaki e il tempo perso. Si passò stancamente una mano tra i capelli. Qualunque cosa volesse, l’insicurezza che si trascinava dietro l’avrebbe sempre ostacolato e forse in quel caso era meglio così; ormai gli sembrava evidente che recuperare un rapporto con Sakura era qualcosa di difficile, perché per entrambi non sarebbe mai stata solo amicizia, come il recente comportamento di lei gli confermava, e se avesse forzato la situazione, tentando di lottare contro la sua debolezza, quest’ultima sarebbe sempre stata un’ombra che in una eventuale relazione avrebbe finito per causare alla collega inutile sofferenza. Con Naruto, invece, sembrava davvero felice e quella era dopotutto la cosa più importante. Sospirò debolmente; quella storia e il suo opprimente senso di dejà vu a lungo andare l’avrebbero fatto impazzire. Per la prima volta, si sentì sollevato all’idea che il suo incarico a Konoha fosse qualcosa di temporaneo; una volta risolto il caso di spaccio di droga, tutto sarebbe diventato per fortuna un ricordo destinato a sfumare gradualmente. A quell’ultima considerazione, seguì la suoneria del cellulare che interruppe definitivamente il flusso dei suoi pensieri, procurandogli un subitaneo moto di gratitudine. Recuperò il telefono per leggere il contenuto del messaggio appena arrivato e si ritrovò di fronte ad un invito da parte di Shizune: Dal momento che rischierei di aspettare in eterno, ti aspetto stasera verso le nove, nel bar davanti il commissariato, e non sono ammesse obiezioni, e nemmeno ritardi se possibile. A presto!
Il poliziotto sorrise di fronte alla determinazione e allo spirito di iniziativa dimostrato dalla donna.

Tutte le volte che ritornava ad Oto, Sakura evitava ogni deviazione da quelle che erano le tappe irrinunciabili della sua visita, si limitava ad incontrare sua nonna, aggiornandola con un resoconto più o meno dettagliato sugli ultimi avvenimenti, e a trascorrere del tempo sulle tombe dei suoi genitori, mentre il resto della città era come se non esistesse; la scuola, la stazione, i negozi del centro, il commissariato, tutti quei luoghi che avevano accompagnato la sua adolescenza erano avvolti da un cono d’ombra, dove la sua mente li relegava per non essere assalita con prepotenza da un ingestibile vortice di ricordi. Uno dei motivi per cui non si era opposta quando sua nonna aveva deciso di vendere l’appartamento dei suoi era proprio quello, non essere intrappolata contro la sua volontà da una rete di immagini lontane; preferiva custodirle nel suo cuore, attingendo ad esse ogni qualvolta ne sentisse il bisogno, piuttosto che dover sopportare il dolore sferzante delle cose improvvise e incontrollabili, come gli incubi notturni che nell’ultimo periodo avevano ripreso a turbarla. Nel corso di quei sei anni, erano sempre piombati senza preavviso, spezzando con bruschezza l’incoscienza del sonno e sfibrando il suo corpo; forse, solo quella volta, il loro ritorno aveva delle motivazioni lampanti che poteva indagare razionalmente, ma la situazione non si era rivelata molto diversa dal solito: capirne il perché non le serviva per ricevere il colpo dei ricordi senza conseguenze, per quanto potesse ragionavi sopra, venire travolta nel bel mezzo della notte dal dolore e dal senso di vuoto di allora, amplificati dal buio e dal silenzio della sua camera, l’angosciava e la sfiniva, rendendo le giornate di lavoro e la compagnia pressoché costante di Naruto un dolce sostegno a cui abbandonarsi con fiducia. Ringraziò mentalmente ciò che Konoha era ormai diventata per lei, poi cercò di ricacciare fuori dall’abitacolo i tristi pensieri che vi erano entrati non appena aveva imboccato la prima strada di Oto; l’unica cosa che doveva contare quel giorno era salutare i suoi genitori, come non aveva potuto fare in occasione del loro funerale. Era trascorso un altro anno senza di loro; ma, sebbene il tempo che ancora avrebbero potuto condividere insieme pesasse come un macigno, voleva che per una volta fossero i momenti felici del passato e le cose belle che le avevano trasmesso a prevalere, e non l’assenza creata dalla loro scomparsa prematura e che lo scorrere degli anni non avrebbe mai colmato davvero.
Sospesa tra malinconia e voglia di andare avanti, lasciò che anche quell’ultimo pensiero volasse via, sostituito dalla più pressante ricerca di un posto dove sostare, e non appena ne trovò uno disponibile si affrettò ad approfittare dell’occasione propizia. Liquidata la questione parcheggio, raggiunse l’ingresso del cimitero fermandosi come di consueto al chioschetto di fiori antistante; quando la vide, la proprietaria la riconobbe immediatamente e le rivolse un sorriso bonario, mentre le chiedeva se anche quella volta le orchidee andassero bene. Sakura assentì e in attesa che la donna preparasse i soliti due mazzi di fiori replicò alla sua gentilezza ponendole qualche domanda sulla giornata di lavoro, poi allontanandosi la ringraziò e la salutò cordialmente. Tutta quelle azioni abituali, pensò, il viaggio in auto, il perdersi nei propri pensieri e sentimenti, la ricerca del parcheggio, l’atteggiamento confidenziale della fioraia, tutto in qualche modo assurdo riusciva a tranquillizzarla, in uno strano equilibrio tra ricordi dolorosi e quotidianità. Scosse lievemente il capo per allontanare simili riflessioni e ribadì a se stessa che quel giorno doveva pensare solo ed esclusivamente al lascito positivo del passato, sperando nel fondo del suo cuore di poter trasformare quel proposito estemporaneo in qualcosa di duraturo. Percorse le stradine interne del cimitero con calma, i rumori confusi della città che sparivano risucchiati dal silenzio che avvolgeva il luogo, infranto solo dal fruscio del vento tra gli alberi; le tombe, l’una accanto all’altra, segnavano il percorso con i loro semplici e geometrici profili in contrasto con l’intreccio libero di linee e curve degli ideogrammi. Si fermò dove riposavano i suoi genitori, fissando per qualche istante i loro nomi incisi, nomi come tanti per chi passava casualmente ma carichi di ricordi per lei, poi adagiò i due bouquet sulle lapidi e chiudendo gli occhi recitò una preghiera silenziosa. Quando tornò a guardare le tombe davanti a sé, lasciò che giorni lontani riaffiorassero nella sua mente. Nonostante le difficoltà che implicava il lavoro di suo padre, gli orari talvolta improponibili, le assenze, i possibili trasferimenti, erano sempre stati una famiglia molto unita; al di là delle normali ed inevitabili discussioni quotidiane, aveva sempre potuto contare su di loro, sulla complicità preziosa di sua madre, capace di intuire subito le sue preoccupazioni, e sulle raccomandazioni sibilline di suo padre, che ogni volta sembrava aver già previsto da tempo quello che sarebbe accaduto. Per quel motivo avevano litigato spesso, perché i suoi interventi le apparivano costantemente fuori luogo, così come costantemente era stata costretta a dargli ragione. Si soffermò di nuovo sui caratteri che componevano il nome di Isoshi Haruno, chiedendosi se per caso, tra le tante cose, si fosse accorto anche di ciò che nutriva nei confronti di Kakashi. Nonostante l’atteggiamento amichevole e protettivo che l’uomo dimostrava verso il giovane poliziotto, restava pur sempre un collega e provare qualcosa per lui l’aveva fatta sentire a disagio, rendendo sempre più complicato il comportamento da tenere quando si trovavano tutti e tre insieme; ma, nonostante la difficoltà, l’esigenza più pressante era allora il suo adolescenziale sogno d’amore.
Si morse il labbro inferiore, le iridi smeraldine improvvisamente offuscate da un velo di malinconia.
Poteva ritornare su quei sentimenti ogni volta che voleva, ma la verità restava una sola: gli eventi avevano stravolto tutto, accelerando o forse troncando ogni sviluppo, e ciò che la lasciava più perplessa era non saperne la motivazione. 

Era ritornata alla vita da alcuni giorni, giorni in cui avrebbe dovuto respirare l’aria fresca a pieni polmoni, godere della luce del sole, per quanto tiepida, e ascoltare avidamente ogni piccolo suono, considerando tutto come un dono prezioso, invece continuava a desiderare solo di sprofondare ancora nel sonno senza coscienza a cui qualcuno aveva deciso con crudeltà di strapparla; avrebbe preferito mille volte l’oblio senza fine del coma piuttosto che il vuoto terribile che le si spalancava attorno soffocandola. Non appena era riuscita a realizzare dove si trovasse e a legare i ricordi confusi dell’incidente allo sguardo di sua nonna annebbiato dal dolore, l’immagine del suo mondo  era andata in frantumi insieme al suo cuore, e ogni slancio mentale fuori delle quattro mura dell’ospedale si trasformava in una passeggiata su quei frammenti, schegge di vetro che si conficcavano a fondo nella carne. Serrò gli occhi in una smorfia di sofferenza, la guancia pallida immersa nel cuscino: il colore del cielo, le cime degli alberi, tutto ciò che c’era al di là di quella stanza era un colpo sordo; la vita scorreva tranquillamente come se niente fosse accaduto e reimmergersi nel suo flusso le appariva impossibile, benché l’incontro quotidiano con il personale medico e le visite che riceveva le dimostrassero che non poteva fuggire dalla realtà per sempre. Prima o poi avrebbe dovuto affrontarla, ma in quel momento voleva solo cercare di dormire, e forse ci sarebbe anche riuscita, se non fosse stato per la televisione che l’infermiera aveva insistito per accendere, suggerendo che l’avrebbe aiutata a distrarsi, e a cui invece non aveva lanciato nemmeno uno sguardo. All’inizio stavano trasmettendo un programma di cucina, o almeno così le era sembrato prima di perdersi di nuovo in se stessa. Riaprì gli occhi per trovare il telecomando, forse abbandonato sul comodino, ma la sigla del telegiornale la spinse a volgere lo sguardo verso la tv con una improvvisa fitta di paura, paura di sapere. Dopo i pochi accenni di sua nonna, non aveva chiesto più nulla sulla notte d’incubo che aveva spezzato la vita dei suoi genitori, perché sentiva che scoprire i dettagli dell’accaduto sarebbe stato ancora peggio e non sapeva se l’avrebbe sopportato. Cercò il telecomando per spegnere, ma la notizia arrivò prima che potesse sedersi sul letto, allungare il braccio e afferrarlo: “Proseguono ancora le indagini sulla morte del commissario Isoshi Haruno. La polizia continua a sostenere il coinvolgimento diretto della yakuza nella sparatoria in cui l’ufficiale ha perso la vita insieme alla moglie. Stando alle ultime indiscrezioni sembrerebbe che la vittima, recentemente impegnata con uno spaccio di droga di una certa rilevanza, avesse ricevuto da tempo delle pesanti minacce…”
Sakura strinse i pugni con forza, mentre la voce del giornalista che continuava il suo servizio sfuggiva alla sua percezione e nella sua testa rimaneva solo l’ultima frase da lui pronunciata a pulsare dolorosamente; che c’entrasse la criminalità organizzata l’aveva capito fin dal primo sparo che era giunto ad infrangere il silenzio, strappandola al sonno verso cui il viaggio in auto l’aveva spinta, ma che l’attentato potesse trattarsi di un pericolo calcolato era un macigno che inaspettato cadeva sul suo cuore. Pensò con amarezza all’unica persona che ai suoi occhi avrebbe potuto fare qualcosa per impedirlo e che forse non aveva fatto proprio nulla, probabilmente per il rispetto delle regole. Abbassò il capo, lo sguardo vacuo che si perdeva tra le pieghe delle lenzuola bianche, mentre cercava di controllare la confusione che aveva dentro. Fu in quell’istante che bussarono e che la porta della stanza si aprì senza che se ne accorgesse; il giovane poliziotto dai capelli argentati appena arrivato capì subito che qualcosa non andava, così la chiamò avvicinandosi lentamente al letto. Per un attimo la ragazza si stupì di sentirne la voce proprio quando era entrato all’improvviso nei suoi pensieri, poi però l’angoscia e l’amara delusione ripresero il sopravvento, mescolandosi ad una nascente irritazione per la sua presenza.
“Dimmi che non è vero.” Disse, con una voce che le suonò assurdamente calma, mentre incapace di voltarsi e guardarlo continuava a fissare il nulla.
Kakashi rimase perplesso di fronte a quella richiesta repentina e vaga, ma non tardò ad intuire dalla televisione accesa che mandava in onda il notiziario delle dodici che dovesse collegarla ad eventuali informazioni sulla morte del commissario.
“Che cosa hanno detto?” Le chiese dopo qualche istante di silenzio.
“Minacce, che papà avesse già ricevuto delle minacce.” Rispose Sakura, la morsa intorno al suo cuore che diveniva sempre più stretta, incrinando ogni apparenza di autocontrollo; nel vano tentativo di attenuare il dolore e ricacciare indietro le lacrime chinò ancora di più il capo e chiuse gli occhi, prima di esplodere riversando contro di lui il terrore del vuoto e l’impotenza che l’assalivano costantemente dal primo giorno di quella nuova realtà.
“Dimmi che non li hai lasciati morire, dimmi che hai fatto qualcosa, qualsiasi cosa per evitarlo!” Proruppe rivolgendogli finalmente uno sguardo, ma con il volto ormai segnato dal pianto. “Papà si era affezionato a te, non eri un semplice collega per lui, ti… ti avrebbe dato ascolto se avessi insistito. Si fidava di te, io… mi fidavo di te!” Continuò tra la rabbia e la foga della disperazione.
Kakashi l’ascoltò in silenzio, apparentemente impassibile, ogni parola che arrivava veloce e precisa come un coltello affilato, ma pur nel dolore silenzioso che le parole della ragazza gli procuravano l’unico gesto che avrebbe voluto compiere in quel frangente era abbracciarla e stringerla forte, uno stupido e improduttivo gesto egoistico. Quanto a lungo sarebbero durati quei nuovi sentimenti che provava? Erano davvero così forti come aveva pensato in quei giorni? Avrebbero mai avuto la forza di sconfiggere le sue paure ed insicurezze? Troppe domande e nessuna risposta certa. Forse, anche con Sakura, la cosa migliore che poteva fare era quella che gli riusciva meglio, ovvero scappare prima di causare danni irreparabili, e magari, per una volta, il suo allontanarsi dagli altri sarebbe stato d’aiuto. Abbassò lo sguardo per qualche istante, poi si voltò a fissare lo squarcio di cielo e nuvole visibile dall’unica finestra di quella stanza d’ospedale; se avesse incrociato le sue iridi color smeraldo ferite, sapeva perfettamente che non ci sarebbe riuscito.
“Era in ogni caso un mio superiore, il mio compito consisteva nel rispettare le sue scelte.” Disse atono.
In realtà, sorprendendo anche se stesso, aveva cercato più volte di convincerlo ad organizzare una scorta, sebbene con scarsissimi risultati, ma la verità aveva ormai poca importanza; era disposto ad accollarsi la rabbia e se necessario anche l’odio di Sakura, se ciò poteva servirle per scaricare il dolore piuttosto che tenerselo dentro, come stava facendo da quando si era risvegliata dal coma a causa forse della mancanza di qualcuno ben definito con cui prendersela e sfogarsi.
“Mi dispiace.” Sussurrò, desiderando solo di sparire.

Mi dispiace.
Due parole che riecheggiavano ancora nella sua testa, come allora completamente prive di senso. Quel giorno l’aveva detestato con tutta se stessa, per ciò che apparentemente non aveva fatto, per la sua risposta secca e il suo atteggiamento indecifrabile e scostante, e gli aveva quasi intimato di andarsene, forse urlandogli contro, non lo ricordava più distintamente. Tuttavia, quando era rimasta sola, aveva sentito ampliarsi il vuoto che la circondava, incapace di capire se stesse peggio perché l’aveva delusa o perché in quel momento non riusciva più ad immaginare al suo fianco la persona che dopotutto amava. Aveva trascorso così due anni, in balia di sentimenti contrastanti, e il giorno in cui aveva scoperto come erano realmente andate le cose la situazione non era migliorata affatto; da una parte avrebbe voluto potergli parlare, dissipare i mille dubbi e le mille domande che la verità aveva fatto sorgere, dall’altra la mancanza di un sostegno in cui sperava si era colorata di risentimento, gli stessi sentimenti che aveva ritrovato pressoché intatti quando l’uomo era giunto a Konoha, senza riuscire a capire se dovesse legarli ad una amicizia o ad un amore.
Scosse il capo con un pizzico di amarezza; quale fosse la motivazione che aveva spinto Kakashi ad allontanarsi e che cosa quella ignota motivazione avesse impedito non doveva avere più importanza, doveva accantonare tutto e concentrarsi solo sul presente, presente che aveva nome Naruto. Credeva di aver messo definitivamente quel punto fermo già una settimana prima, ma evidentemente non era così semplice come sperava.

Giorno dopo giorno, quella settimana si era rivelata nient’altro che un accumulo di stress e inquietudine e la ragione era una soltanto, una ragione che era insieme un grosso punto interrogativo. Escludendo le questioni lavorative, non aveva con Shikamaru una conversazione che fosse tale dal giorno in cui si era decisa a metterlo di fronte alla realtà del proprio cuore; non si sarebbe certo aspettata qualcosa di molto diverso, in particolare dopo così poco tempo, ma il silenzio teso e imbarazzato, che calava improvviso a riempire il vuoto tra di loro, lo sguardo che evitava di incrociare troppo a lungo il suo, gli atteggiamenti distaccati, tutto quello era un peso difficile da sopportare, soprattutto se si soffermava a pensare che potessero rappresentare solo un preludio. Seduta sulla fredda gradinata della palestra, Ino avvolse le braccia intorno alle gambe, poggiando il mento sulle ginocchia, le iridi offuscate dall’amarezza. Di fronte a quel casino in cui si era cacciata con le sue stesse mani, buttarsi nel lavoro era paradossalmente un ottimo modo per rilassarsi, benché in quella fase delle indagini il compito che le spettava fosse estremamente delicato; doveva tener d’occhio i movimenti di Sabaku no Gaara cercando di scoprire il più possibile, come per esempio il suo complice e il modo di mettersi in contatto con i suoi fornitori, e non poteva permettersi di insospettirlo, il minimo errore e avrebbe mandato all’aria la fatica di due lunghi mesi. 
Tra il brusio dei ragazzi che chiacchieravano tranquillamente del più e del meno, o tentavano di ripetere in vista dell’ora successiva, e il rumore della palla che volava da una parte all’altra del campo di pallavolo, accompagnata da qualche urlo d’incitamento tra i giocatori, la poliziotta cercò di non perdere di vista lo spacciatore, così da ricondurre la propria mente sul giusto percorso e liberarsi dalla fastidiosa stretta allo stomaco che pensare a Shikamaru le causava. Senza sollevare il capo, posò di nuovo lo sguardo sul ciuffo rosso del ragazzo seduto a diversi metri da lei, due file più in basso; il giovane era circondato da alcuni compagni di classe, ma non concedeva loro molta attenzione, piuttosto sembrava stesse aspettando qualcuno o qualcosa con un certo nervosismo, perché, con le braccia conserte, tormentava una gamba percuotendola ritmicamente con le dita. Ino si rimise in posizione eretta, attese lo scorrere di qualche istante per non rendere troppo insolito il proprio atteggiamento, poi si sedette sul bordo chinando lievemente in avanti il busto e puntellandosi con le mani, in modo da poterlo osservare da una prospettiva migliore; fu così che riuscì a cogliere quale fosse approssimativamente la direzione del suo sguardo e seguendola si ritrovò ad osservare un familiare volto pallido.
Incapace di trattenere lo stupore, sgranò gli occhi e dischiuse le labbra; quando aveva accettato di infiltrarsi nell’istituto, aveva messo in conto tutte le possibilità, tutte tranne quella di dover sospettare anche del nipote del sindaco. Prima di giungere a conclusioni affrettate, però, e far rientrare quel particolare nel novero degli errori ingenui, tentò di valutare con scrupolo la situazione; dall’altra parte della palestra, il ragazzo sedeva su una panchina con il suo consueto album da disegno, e a parte lui c’erano solo Iruka-sensei, in piedi a pochi passi dalla rete per arbitrare la partita, e un altro studente intento forse a fare il tifo per i propri compagni.
La poliziotta recuperò il libro di storia che aveva portato con sé per qualsiasi evenienza ed iniziò a sfogliarlo con finto interesse, scrutando al di là del bordo della copertina che cosa accadesse. La sua attenzione era subito stata catturata da Sai perché era l’unico che appariva indifferente a ciò che lo circondava, interessato solo alla sua matita e al suo foglio, insomma un atteggiamento che poteva giustificare l’irritazione di Gaara se quest’ultimo stava aspettando un segno proprio da lui; tuttavia, non poteva neanche escludere a priori il coinvolgimento del ragazzo smilzo seduto al suo fianco. Attese di ricevere una conferma ai suoi dubbi, in un verso o nell’altro, e quando finalmente vide il disegnatore richiudere l’album, gettare uno sguardo alla gradinata ed alzarsi per poi dirigersi verso gli spogliatoi, accompagnato da uno sbuffo dello spacciatore che controllava dall’inizio di quell’ora e che non tardò a lasciare il suo posto, capì che la sua prima impressione non era sbagliata. Nel momento in cui fu sicura di non essere notata da nessuno dei due, soprattutto da Sai, richiuse il manuale che aveva tra le mani, riabbandonandolo al freddo giaciglio a cui l’aveva sottratto poco prima, si augurò mentalmente buona fortuna e si apprestò a seguirli,   
mettendo su la più convincente maschera da studentessa alla ricerca del bagno che le riusciva. Non poteva affatto immaginare che qualsiasi maschera sarebbe servita a ben poco.
Lo studente dall’insolito incarnato chiaro l’aveva infatti osservata per la maggior parte del tempo, immortalandola attraverso le linee scure tracciate dalla sua mano, spostando ogni tanto lo sguardo da lei a Gaara. Non ci aveva messo molto a capire che lo stesse tenendo d’occhio, deducendone anche che qualcuno le avesse fornito il suo nome, di certo uno studente ignaro di star parlando con una poliziotta e non con una sua coetanea. Per quanto lo riguardava, invece, aveva  compreso la vera identità di Ino da un bel po’, così come quella del loro nuovo professore di matematica; gli era bastato mettere insieme i pezzi, ovvero il loro simultaneo arrivo nell’istituto, guarda caso quando suo zio pressava la polizia affinché facesse qualcosa di più efficace e veloce, i loro contatti furtivi e gli stralci di conversazione che aveva origliato, il tutto supportato da una telefonata di suo zio con un assessore. Ovviamente, l’idea di avvertire anche il collega non l’aveva sfiorato per nulla, un po’ per i suoi motivi personali, un po’ perché aveva intravisto nella faccenda un risvolto divertente, e mentre camminava pochi passi dietro Gaara, sicuro di essere seguito da Ino, ne era ancora più convinto. Quando entrarono nello spogliatoio maschile, lasciò di proposito la porta socchiusa, così da facilitare alla poliziotta il compito di origliare; era a suo modo piacevole giocare a guardie e ladri con la consapevolezza di essere lui stesso a gestire quel gioco ad insaputa dei diretti interessati.
“Perché ci hai messo così tanto ad alzarti da quella panchina?” Lo rimproverò l’altro spacciatore con tono spazientito e sguardo accigliato, contribuendo solo a dilettarlo ancora di più.
“Urgenza artistica.” Si giustificò lui, con l’accenno di un sorrisetto malizioso che rendeva ancora più debole la sua scusante.
Gaara sospirò rassegnato, sperando di liberarsi il più in fretta possibile da quella seccatura che gli era stata affibbiata. 
“Lasciamo perdere…” Mormorò. “Piuttosto, mi ha contattato Sasori l’altro giorno.” Riprese poco dopo incrociando le braccia sul petto. “Per farla breve, dobbiamo incontrarci lunedì prossimo per la consegna.”
“Uhm, capisco. E ci incontriamo sempre qui in palestra nell’ora di educazione fisica?” Domandò Sai, ponendo quel quesito per il terzo partecipante a quella conversazione e non certo per se stesso. 
“Beh, sì, come al solito… non vedo perché tu me lo chieda.” Replicò infatti il ragazzo dai capelli rossi, inarcando le sopracciglia in una espressione interrogativa e leggermente perplessa.  
“Niente, così, magari volevano cambiare…”
“A quanto pare no, ma di questo già avevamo parlato, mi sembra.” Disse Gaara continuando a trovare strane le sue parole, ma non aveva voglia di sprecare altro tempo e fiato a causa sua, già ne aveva sprecato troppo per i suoi gusti. “Comunque questo è quanto.” Si affrettò a concludere.
E prima che potesse compiere un solo passo verso la porta dello spogliatoio, Ino si scostò dallo stipite contro cui si era appiattita e tornò velocemente in palestra. 

Quando era uscita da casa, a Temari era sembrato che quella sera facesse più freddo del solito, ma se sulle prime aveva ritenuto che quell’impressione corrispondesse alla realtà oggettiva, ora che era seduta in un salotto ben riscaldato, di fronte a suo padre che non vedeva da diversi anni e in attesa di suo fratello, si rendeva conto che era legata solo ed esclusivamente al suo stato d’animo. Si sentiva innegabilmente tesa ed inquieta, ma soprattutto aveva una tremenda paura, paura di scoprire come sarebbe andata a finire quella cena, e la situazione peggiorava man mano che il ticchettio dell’orologio scandiva lo scorrere dei minuti, avvicinando il momento in cui Gaara sarebbe arrivato, sempre se fosse arrivato. Strinse un pugno, conficcando le unghie nel palmo della mano; quella possibilità equivaleva a un netto rifiuto e metterla in conto faceva ancora più male, tuttavia il tentativo di scacciarla dalla sua testa aveva sortito scarsi risultati, a quanto pareva.
“Comunque a momenti dovrebbe arrivare, non preoccuparti.” Disse l’avvocato no Sabaku come se avesse intercettato il filo dei pensieri di sua figlia, dopo aver concluso alcune considerazioni sul suo lavoro d’insegnate, su cui si era incentrata buona parte della loro conversazione. “Quando l’ho chiamato, mi ha detto che era con degli amici, ma sarebbe tornato appena possibile. Non mi è sempre facile capire che combini, a causa dei miei impegni lavorativi, ma non è mai capitato che saltasse la cena o cose simili.” Spiegò.
Temari apprezzò lo sforzò di tranquillizzarla, sebbene ci fossero punti che non tornavano, come i presunti amici e il fatto che quella non fosse una cena come tante, ma evitò di sottolinearli, sforzando le labbra in un debole sorriso, e annuì; in fondo, doveva tentare di essere un po’ ottimista, così come cercava di esserlo l’uomo seduto sulla poltrona accanto al camino, anch’egli consapevole degli errori commessi ma con la speranza di poter rimediare.
Calarono alcuni istanti di silenzio, riempiti solo dallo scoppiettio del fuoco, dall’incrocio dei loro sguardi e dai riflessi della fiamma sui lineamenti segnati dall’età e sui capelli rossi di suo padre.
Nel frattempo, davanti alla porta dell’appartamento, Gaara rimaneva immobile accostato al parapetto del ballatoio, fissando inespressivo le venature della superficie di legno, indeciso su cosa fare. Se era giunto fin lì, non era certo perché scalpitava dalla voglia di partecipare a quell’assurda riunione familiare, ma solo perché fuori faceva troppo freddo e non voleva congelarsi continuando a vagare per le strade del quartiere senza una meta, né tanto meno rintanarsi in qualche locale circondato da gente sconosciuta e rumorosa. Forse, avrebbe potuto passare la serata seduto sulle scale, un’alternativa senza dubbio più allettante di dover sopportare la fastidiosa presenza di sua sorella, più di quanto non facesse già a scuola; tuttavia, le conseguenze di un simile gesto sarebbero state quasi sicuramente una discussione con suo padre e una relativa punizione, cose che avevano su di lui lo stesso effetto di un’interrogazione andata male, cioè nullo, ma che in ogni caso preferiva evitare.
Fu quell’ultima considerazione che lo spinse a suonare il campanello.
Quando la domestica gli aprì, senza nemmeno un cenno di saluto le disse lapidario che sarebbe andato direttamente in sala da pranzo ed entrò in casa superandola con aria indifferente. Intendeva ridurre al minimo il tempo del loro incontro e quella rappresentava la prima mossa, la seconda sarebbe stata abbandonare la cena il più in fretta possibile con una scusa qualsiasi. 
Dal momento in cui aveva messo piede nel condominio, o forse dalla stessa telefonata di suo padre, dentro di lui si era messo in moto un meccanismo che tendeva a trasportare tutto su un binario più rassicurante, e quell’ultima pianificazione ne era l’ennesima traccia; affrontare quella situazione era per lui solo svincolarsi da un problema pratico, e non piuttosto essere costretto a confrontarsi in modo diretto con un macigno di solitudine e sofferenza che affondava le radici nella sua infanzia, un macigno che iniziò ben presto a premere contro quello strato di razionalità sotto cui l’aveva inconsciamente seppellito.
Il primo colpo venne dal vederli tutti e due insieme, apparentemente tranquilli e disinvolti, come se non fossero passati anni dal loro precedente incontro; suo padre lasciò che fosse Temari ad entrare per prima e, poggiandole una mano su una spalla, le indicò dove sedersi, ricevendo in cambio quello che Gaara interpretò come un’espressione sorridente ma che in realtà era solo una camuffata smorfia di tensione. 
“Ci è voluto un po’, ma ci siamo tutti.” Disse l’uomo, mentre si accomodava a sua volta, poi li scrutò in silenzio per un po’, cercando le parole giuste per proseguire, commosso dal poter avere per una volta tutte e due i suoi figli a tavola con lui. “So che essere qui insieme oggi non è semplice, ma sono convinto che, se c’è la volontà, non sia mai troppo tardi per riparare ai propri errori.” Continuò, parlando ad entrambi, ma rivolto in primo luogo al ragazzo alla sua destra, che assottigliò lo sguardo in un’espressione torva, perché quegli errori avevano comportato giorni di opprimente silenzio, chiuso nella sua stanza o circondato da domestiche insignificanti.
L’avvocato notò la sua reazione, ma sperò che i fatti potessero contare più delle parole, la stessa speranza che attraversò in quegli istanti l’animo di sua figlia. Prima che potesse aggiungere altro, arrivò la domestica a servirli e gli unici suoni che riempirono la sala furono quelli metallici del vassoio e delle ciotole, accompagnati dalla voce della donna, che terminato il proprio compito tornò subito in cucina.
“Allora, come è andata la giornata a scuola?” Domandò l’uomo quando furono di nuovo soli, tentando di intavolare una conversazione il più normale possibile.
L’unica risposta che ricevette da Gaara fu però un ‘come al solito’ mugugnato, mentre il ragazzo si affrettava a recuperare le bacchette per accontentare il suo stomaco, che all’odore del cibo aveva iniziato a reclamare, e andarsene da lì velocemente; ciò che voleva era rinchiudersi nella sua camera e soffocare nel sonno quel dolore sordo che la premessa di suo padre e l’aria di familiarità della sua domanda tendevano solo a far diventare rumoroso e molesto.
“In effetti, oggi è stata una giornata tranquilla.” Intervenne Temari, nell’intento di evitare che calasse di nuovo un silenzio teso ed improduttivo, e forse a causa dell’ansia che provava non fece particolare attenzione al valore che poteva essere attribuito alle proprie parole. “Non ci sono state interrogazioni, né qualche problema particolare, da come mi hanno riferito i colleghi.” Spiegò, e dopo pochi istanti suo fratello lasciò cadere le posate e con un gesto di stizza si alzò sbattendo la ciotola sul tavolo. Il primo e unico significato che riusciva a dare alle sue frasi e in particolare all’ultima, supportato da momenti in cui l’aveva casualmente sentita chiedere informazioni su di lui ad altri professori, era quello di un’intrusione nella sua vita da parte di una persona che per quanto lo riguardava sarebbe  dovuta rimanerne lontana anni luce, così come ne era rimasta fuori praticamente dal giorno successivo alla sua nascita.  
Mantenne lo sguardo basso, fissando con occhi vuoti il riso caduto fuori dalla scodella, indeciso se dire qualcosa o meno. Potevano fare quello che volevano, mostrarsi pentiti, tentare di ricreare un’atmosfera da famiglia, comportarsi in modo gentile nei suoi confronti, ma la verità restava una e una soltanto: per lui ormai era troppo tardi; aveva trascorso così tanto tempo a logorarsi nel dolore che i loro atteggiamenti e le loro intenzioni apparivano ai suoi occhi false e insignificanti.
Rimanendo in silenzio, lasciò finalmente quella stanza.

Avevano trascorso la serata chiusi in casa, godendosi il dolce tepore diffuso dal riscaldamento e qualche ora libera dai problemi lavorativi e occupata solo da loro due. Erano passati da una tranquilla cena accompagnata da una lunga chiacchierata all’inizio di un film, prima di finire inevitabilmente a baciarsi sul divano e a proseguire tra le lenzuola di un più comodo letto. Tsunade, con il capo poggiato contro il petto di Jiraya, fece salire lentamente una mano dal fianco dell’uomo fino al torace, rassicurata dal suo braccio intorno alle spalle, ricordando con un lieve sorriso i momenti di quella che era stata una piacevole lotta. Il compagno, tutt’altro che addormentato, le sfiorò una guancia con la punta delle dita e strinse la sua mano, fermandola quasi all’altezza del cuore; distolse lo sguardo dal soffitto e incrociò quello nocciola della donna, che al suo movimento aveva istintivamente sollevato il viso verso di lui.
“Pensavo dormissi…” Sussurrò lei, con voce rilassata e ancora un po’ assonnata, e si stupì di scoprire un’espressione insolitamente seria; aggrottò interrogativa le sopracciglia.
“Qualcosa non va?” Gli domandò.
Jiraya la fissò in silenzio per qualche istante. Non era da lui essere teso, tanto più quando era a letto con una donna, ma da quando era cominciata quella serata aveva in mente un preciso progetto e, ora che era giunto il momento di attuarlo, non era più così calmo e sicuro come quando l’aveva ideato. In precedenza avevano già parlato di ciò che intendeva chiederle, ma l’avevano fatto solo per scherzo o comunque non troppo seriamente, come una remota possibilità, difficile da mettere subito in conto dopo che ci avevano messo già tanto per stabilizzare il loro rapporto. Ormai, però, credeva che fosse trascorso tutto il tempo necessario, e sperò che fosse lo stesso anche per Tsunade.
“No, niente.” Disse tentando di rilassarsi, poi avvicinò il volto al suo e la baciò, un breve incontro di labbra e lingue che fu però sufficiente a infondergli un po’ di determinazione.
“Torno subito.” Mormorò, per poi scendere dal letto.
Di nuovo tranquilla, la donna lo lasciò andare e sprofondò con la testa nel cuscino, coprendosi meglio; senza più il calore del corpo di Jiraya a circondarla faceva indubbiamente più freddo, per cui si augurò che tornasse davvero al più presto, cosa che in effetti avvenne. Un debole fruscio e il tintinnio di un paio di chiavi furono gli unici suoni che percepì prima di avvertire le coperte sollevarsi di nuovo e il materasso abbassarsi sotto il peso dell’uomo; ne capì la ragione solo quando, voltandosi verso di lui, si ritrovò a guardare una piccola scatola blu arrotondata, che sortì l’effetto di bloccarle in gola qualsiasi parola. Si limitò quindi a sollevarsi su un braccio, mantenendo con l’altro il lenzuolo intorno al busto, e a posare su di lui gli occhi lievemente sgranati, segno evidente della sua perplessità. L’uomo alzò un angolo della bocca in un incerto sorriso, poi aprì la confezione e le mostrò l’anello in essa contenuto.
“Vuoi sposarmi?” Le chiese senza alcun preambolo, per lui del tutto inutile, e rimase in attesa della sua risposta.
“Jiraya… “ Biascicò Tsunade, tornando a fissarlo con una stretta alla bocca dello stomaco, che finiva per sminuire quella sensazione improvvisa di calore che le aveva invaso il petto.
Nonostante sapesse che l’idea del matrimonio ronzava nella testa dell’uomo così come nella sua da diverso tempo, non si sarebbe aspettata di ricevere la proposta così da un momento all’altro, perché quell’eventualità aveva sempre condiviso il suo spazio con qualche ombra, ombre che a quanto sembrava nell’ultimo periodo in lui si erano dileguate, e troppo immersa nel proprio lavoro non se ne era nemmeno accorta. Era in momenti simili che non sopportava le incombenze della propria professione, così come inconsapevolmente non le sopportava per un altro motivo, un motivo che l’avrebbe aiutata a definire in che cosa si erano trasformate le ombre che si trascinava dietro da anni; ma, in quel frangente, mentre si domandava ancora una volta cosa le impedisse di dire il fatidico sì, non riuscì a farlo affiorare in superficie. Pensò solo a cause che rientravano nel tranquillo campo della razionalità.
“Ecco, io non lo so…” Disse, spezzando il silenzio pesante che si era creato, con il capo ormai basso e il volto coperto dai lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle.
“Credi ancora che sia presto?” Domandò l’uomo atono, dopo aver ingoiato un inevitabile grumo di delusione, che nemmeno il no secco e ben udibile che ricevette come risposta e lo sguardo deciso che Tsunade gli rivolse riuscirono a fargli digerire del tutto, per quanto allontanassero un fantasma da quella camera.
“E allora qual è il problema?” Domandò ancora.
“Non lo so.“ Ripeté lei. “Forse è che in fondo stiamo bene anche così, e non vedo cosa potrebbe cambiare, poi alla nostra età…”
“Quindi ora sarebbe troppo tardi?!” La interruppe Jiraya con un principio d’irritazione nella voce, aggrottando le sopracciglia. “Non è che ci sia un’età precisa per il matrimonio, Tsunade, e quello che cambierebbe è che tu saresti mia moglie, insomma qualcosa di ufficiale e in qualche modo definitivo, che mi permetterebbe anche di tutelarti.” Spiegò tutto d’un fiato, dopo una breve pausa necessaria per non cedere a un tono brusco.
La donna cadde di nuovo nel mutismo, consapevole di essere in fallo, perché incapace di dare una risposta chiara a una proposta che in fondo non le era dispiaciuto sentirsi fare. La risposta che cercava avrebbe potuto suggerirgliela la fitta improvvisa accusata alla parola ‘tutelarti’, ma non fu in grado di spiegarsela razionalmente. Provò un senso di sollievo solo quando Jiraya le posò sulla sua guancia una mano forte e calda, sollevandole leggermente il mento con un dito e offrendole un’espressione seria ma serena.
“Ma soprattutto è perché ti amo, e sarò uno stupido, ma lo voglio scritto anche su un foglio di carta.” Disse deciso, piegando le labbra in un sorriso che sciolse definitivamente la tensione che li aveva avvolti.
“Posso pensarci un po’?” Chiese Tsunade dopo qualche istante. “Il tempo di chiarirmi le idee…” Spiegò, e anche se Jiraya avrebbe preferito un finale diverso per quella conversazione, annuì ugualmente, consapevole che pretendere una certezza subito avrebbe comunque portato a qualcosa che non voleva. Richiuse la scatola blu e la appoggiò sul comodino, sperando di poterla riaprire con più fortuna, poi riabbracciò la donna al suo fianco e si sdraiò di nuovo con lei sul letto, con l’unico intento quella volta di abbandonarsi al sonno.



Note dell'autrice

Dunque, sono passati sei mesi, mi dispiace u_u L'unica nota positiva è che in compenso ho pianificato meglio la seconda parte delle storia, cosa che spero mi aiuterà a scriverla più rapidamente. Questo capitolo è leggermente depressivo, però c'è anche un po' di fluff qua e là , è angst fluff, insomma. Spero vi piaccia^^
Grazie a chi ha recensito e a chi ha messo la fic tra i preferiti o tra i seguitiXD


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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX


Come aveva immaginato non appena aveva ricevuto il messaggio di Shizune, trascorrere la serata con lei si era rivelato piacevole, anzi molto piacevole; oltre alla bella presenza, la dottoressa era indubbiamente una donna intelligente e simpatica, e per la prima volta aveva avuto modo di apprezzare quelle sue caratteristiche anche fuori dall’ambito lavorativo, chiacchierando tranquillamente in un ristorante. I problemi erano sorti quando l’aveva riaccompagnata a casa, per la precisione nel momento in cui, fermi in macchina sotto il suo appartamento, aveva permesso che lo baciasse, convinto che quello potesse essere un buon modo per distrarsi ed iniziare a voltare pagina, convinzione che si era dimostrata nell’immediato un errore di valutazione; se infatti aveva afferrato per le spalle la donna, scostandola da sé, non era stato per mettere in chiaro, come spesso gli capitava, che non poteva assicurare nient’altro che del sesso, ma per troncare in modo categorico ogni possibile prosieguo. Era stato allora che aveva compreso quanto il suo cuore e la sua mente si prendessero gioco di lui e quanto grave fosse la sua situazione.
Mentre sedeva, in attesa di un caffè, al tavolino di quello stesso bar in cui aveva incontrato Shizune la sera prima, non poteva fare a meno di ritornare su quelle constatazioni. Prima di giungere a Konoha credeva, se non di aver vinto le proprie paure, di esservi almeno molto vicino, gliel’aveva fatto credere prima di tutto il non affievolirsi, pur con il passare degli anni, dell’amore che provava per la giovane collega, un dato di fatto a cui si era affiancata la minore difficoltà nell’istaurare dei rapporti che andassero al di là del semplice contatto lavorativo; tuttavia, era stato sufficiente un incontro troppo ravvicinato con Sakura per far riaffiorare quelle paure dal nulla, o almeno così aveva pensato. Se infatti temeva ancora di non riuscire a dedicarsi ad una relazione stabile, abitudine che a suo tempo Isoshi Haruno gli aveva apertamente rinfacciato in un istinto paterno di protezione, perché diavolo si era trattenuto? In teoria, niente avrebbe dovuto impedirgli di pronunciare quelle poche frasi che in gioventù gli erano servite per tutelarsi da eventuali recriminazione e a cui negli ultimi anni aveva ricorso per premettere che il suo cuore tendeva altrove. La spiegazione più semplice e convincente che riusciva a darsi era che non ci fosse più il grande bisogno di lottare per lasciarsi andare e quindi cercare in una donna qualcosa che andasse al di là di una notte, una spiegazione che smentiva però le conclusioni a cui era giunto solo ventiquattro ore prima e lo riportava al punto partenza. Non che la cosa gli dispiacesse, in fondo, perché poteva offrire qualcosa di più sicuro a Sakura, ma oscillare da una considerazione all’altra, incapace di capire facilmente se stesso, motivo a cui poteva attribuire la titubanza avuta nel baciarla, non era esattamente il massimo.
Si massaggiò la nuca, scrutando il liquido nero che gli era stato servito pochi minuti prima; come aveva sospettato, quella bevanda non sarebbe servita a sciogliere almeno un po’ lo stress interiore che provava, come invece avrebbe potuto fare un bicchierino di sakè, ma purtroppo doveva entrare in servizio a breve, o meglio sarebbe dovuto già essere in commissariato, e non poteva bere nulla di alcolico.
Sospirò, afferrando il manico della tazzina.
Era inutile perdersi ancora nel labirinto della propria mente, perché quella uscita imprevista con Shizune aveva senza dubbio contribuito a mettere un definitivo punto fermo in modo molto drastico; bloccarsi in determinati frangenti non gli era mai successo e rappresentava l’indizio lampante non solo del vero stato delle sue difese, ma anche del non poter più reggere quella situazione di stasi, una situazione che si trascinava da più di un semplice mese, sebbene in quell’ultimo periodo fosse diventata meno sostenibile. Doveva assolutamente sforzarsi di raccattare una volta per tutte il coraggio per scavalcare le sue remore e dire alla collega tutta la verità. Se poi avesse ricevuto un rifiuto, qualunque ne fosse stato il motivo, l’avrebbe accettato e avrebbe cercato di andare avanti per la propria strada, mettendoci una grossa pietra sopra, quella volta con più convinzione. Sollevò un angolo della bocca in un sorriso amaro; era incredibile come si fosse ridotto a causa di quella ragazza e dell’idea di averla dopo tanto tempo così vicina. 
Bevve in un sorso il caffè, trovandone piacevole il sapore amaro, e fu in quell’istante che il suo cellulare iniziò a squillare, con perfetto tempismo. Appena possibile lo recuperò dalla tasca dei pantaloni leggendo sul display il nome di Tenzo e  rimanendo leggermente sorpreso; tutto al più, si sarebbe aspettato una telefonata di Sasuke, pronto a rimproverarlo per il suo ennesimo ritardo, oppure una di Shizune, sebbene nel suo caso ritenesse più probabile la volontà di avere un confronto diretto. Incapace di immaginare cosa volesse l’amico, rispose senza indugio.
“Ciao, Tenzo. Qualcosa non va?” Domandò diretto.
“Eh, perché qualcosa non dovrebbe andare?” Replicò l’uomo all’altro capo del telefono, spiazzato ma non tanto, abituato come era alla sua perspicacia. “Comunque buongiorno.”
“Beh, perché sto per entrare in servizio e lo sapevi, quindi credo che non mi avresti chiamato se non fosse strettamente necessario.” Spiegò l’Hatake.
“Sì, come so che sicuramente starai ancora perdendo tempo in un bar, se non sei addirittura a casa, considerando i tuoi programmi per ieri sera. Anzi, poi mi racconti, ora invece ho una specie di soffiata da farti.”
A quella risposta Kakashi aumentò il suo grado di attenzione, contento di poter evitare l’argomento che era stato oggetto dei suoi pensieri fino a pochi istanti prima.
“In pratica, stamattina presto c’è stato un incidente e nell’auto che proveniva da Konoha abbiamo trovato della droga. Potrebbe essere solo una remota possibilità, ma ho pensato che la cosa potrebbe rivelarsi utile per voi. Il problema è che il sinistro è avvenuto nell’aria di competenza del commissariato di Kurara, ma se qualcuno si facesse un giro casualmente da queste parti, potremmo evitare che le cose si complichino. Mi trovo sul posto, all’imbocco della statale 56, datti una mossa.”
Dopo aver illustrato in modo rapido la situazione e la motivazione della sua chiamata, Tenzo riattaccò senza attendere una conferma, conscio che l’ispettore non avrebbe rifiutato il suo aiuto; quest’ultimo, avendo capito perfettamente che l’altro non poteva restare a lungo al cellulare, soprassedé sul leggero fastidio causato dalla chiusa un po’ brusca e si soffermò a riflettere un attimo sulla notizia ricevuta. Indubbiamente era molto lontana dal rappresentare una sicurezza, ma qualora ci fosse stata davvero una coincidenza tra la droga trovata da Tenzo e quella che avevano a loro disposizione, avrebbero potuto considerarla in piena regola un colpo di fortuna che gli sarebbe servito per incrementare la loro probabilità di successo e velocizzare i tempi, e lui avrebbe dovuto offrire quantomeno una birra all’amico per sdebitarsi. Si alzò dal tavolino e si affrettò a pagare, così da raggiungere il commissariato prima possibile.

Ci aveva rimuginato su tutta la notte, o meglio fino a quando non era crollata per la stanchezza tra le braccia di Morfeo, cosa che poteva senza problemi essersi verificata prima di quanto credesse, se teneva conto del gioco perverso che, nei momenti meno opportuni, la mente metteva in atto manipolandola percezione del tempo. Dopo che Kakashi aveva liquidato il suo bacio con la fastidiosa quanto inoppugnabile frase ‘Mi dispiace, ma possiamo essere solo amici’, aveva ingoiato con estrema difficoltà un grumo di imbarazzo, poi aveva biascicato qualche monosillabo in segno di comprensione ed era scesa in fretta e in furia dalla macchina, turbata. Con sua sorpresa, però, in ciò che l’agitava c’entrava ben poco il rifiuto dell’uomo, ricevuto dopo che era stata lei stessa ad invitarlo e a dar luogo a quell’approccio intimo; anzi, nonostante l’avesse desiderato con una certa insistenza, come una scomoda ed inattesa visitatrice, le era venuta incontro l’insoddisfazione, nello stesso momento in cui scorrevano fugaci le sensazioni provocate da quel contatto. Era stato senza alcun dubbio piacevole, Kakashi era un bell’uomo e ne era attratta, altrimenti non sarebbe arrivata fino a quel punto, eppure non sembrava essere ciò che il suo cuore voleva davvero. Quella constatazione l’aveva spiazzata, se non addirittura sconvolta, e ne era sempre più sicura man mano che i sentimenti confusi della sera prima acquisivano dei contorni più chiari.
Sollevò con un dito il margine destro del primo foglio di una cartella clinica; avrebbe dovuto leggerla con attenzione e invece aveva appena gettato uno sguardo alle righe di ideogrammi, incapace di soffermarsi sul loro contenuto, mentre un unico e terribile dato di fatto la faceva da padrone nei suoi pensieri: era intrappolata in un grosso guaio, tanto più grosso perché sentiva che gli sforzi della sua parte razionale sortivano scarsi effetti. C’erano diverse ragioni per respingere mille miglia lontano ciò che non avrebbe mai creduto di provare per un certo quattrocchi di sua conoscenza. Prima di tutto era un suo assistente, ed era perfettamente consapevole che in ambito lavorativo la voce di una eventuale relazione poteva quanto meno generare situazioni spiacevoli e imbarazzanti per entrambi; era poi più giovane di lei, anche se di poco, una realtà che comunque avrebbe potuto creare difficoltà anche fuori, e già il solo pensiero di dover sostenere sguardi o parole cariche di pregiudizio la sfiniva; inoltre, aveva un carattere sfuggente, era menefreghista e presuntuoso, a volte scostante, altre ingombrante al punto da essere irritante.
Esalò un sospiro di stanchezza e rassegnazione; avrebbe dovuto considerare il carattere di Kabuto il no principale e invece finiva per metterlo in fondo alla lista, anteponendo fattori che a conti fatti erano qualcosa di marginale in un rapporto di coppia, elementi esterni che potevano solo aggravare una situazione già precaria di suo. Se solo non avesse saputo da che cosa dipendessero in gran parte i suoi modi di fare, se solo avesse ignorato la storia di quel bambino solo, sopraffatto da un legame di dipendenza e affetto divenuto col tempo asfissiante per la sua unilateralità, forse sarebbe stato diverso, forse non ci sarebbe stato un bicchiere di troppo e una notte di sesso, forse non si sarebbe trovata in quel momento nel suo ufficio a pensare a lui.
Per un attimo, nella vana ricerca di qualcosa o qualcuno con cui prendersela, che non fosse se stessa, il collega o il destino avverso che li aveva fatti conoscere, provò un moto di nervosismo nei confronti di Kakashi; chi diavolo aveva per la testa, perché qualcun’altra doveva esserci, per non poter accettare il suo palese interessamento e aiutarla a dimenticare la persona meno adatta, almeno per la sua sanità mentale, che potesse esserci nei paraggi? Forse, gliel’avrebbe chiesto per liberarsi dal pizzico di curiosità femminile che in parte quella domanda racchiudeva, lo avrebbe fatto non appena avesse avuto un po’ di tempo per parlargli e chiarare quanto accaduto la sera prima. Qualunque decisione avrebbe preso riguardo a Kabuto, non le sarebbe dispiaciuto istaurare con il poliziotto almeno un rapporto amichevole, qualcosa che andasse al di là di collaborazioni lavorative, collaborazioni che tra l’altro non sarebbero durate per sempre.
Immersa in quell’ultima considerazione, non notò la presenza della causa materiale dei propri recenti tormenti, fino a quando non divenne troppo ravvicinata per passare inosservata; all’improvviso, entrarono nel suo campo visivo un’ombra che ostacolò l’illuminazione garantitagli  da una finestra e una mano che si appoggiò al bordo della scrivania, a pochi centimetri dal suo braccio. D’istino sollevò il busto leggermente piegato in avanti, trovandosi ad aderire con la schiena al petto dell’uomo alle sue spalle; si irrigidì, mentre la sua spina dorsale venne percorsa da una scossa di tensione, accelerata quando avvertì un respiro caldo sul suo collo, segno che di cosa fosse la debita distanza quell’idiota non ne aveva la più pallida idea.
“E’ interessante la cartella clinica?” Le chiese ironico, e Shizune si morse il labbro inferiore per il nervoso; perché doveva essere così altamente detestabile, perché doveva comportarsi così sul posto di lavoro, e soprattutto perché diavolo quella situazione non era solo ed esclusivamente spiacevole?  Richiuse con un gesto rapido il documento che aveva sotto mano, lo afferrò e scattò in piedi con un movimento brusco, voltandosi verso di lui e colpendogli tutt’altro che gentilmente il torace con la cartellina semirigida.
“Dato che è così interessante, te la leggi all’istante e nel lasso di tempo più breve possibile mi riferisci le tue conclusioni, ponderate però, non buttate lì a caso.” Gli intimò seria, con una chiara nota di irritazione nella voce, riflesso preciso della sua espressione.           
Kabuto non poté evitarsi di piegare le labbra in un sorriso malizioso.
“Sarà fatto.” Replicò, guadagnandosi uno sbuffo da parte della donna, che per salvaguardare quella mattina il suo equilibrio psicofisico abbandonò l’ufficio, senza aggiungere più una parola.        

Quando Kakashi era entrato in ufficio, non aveva dato tempo a Sasuke di aprire bocca per la consueta ramanzina, che l’istantanea occhiataccia scoccatagli lasciava presagire, ma gli aveva imposto di sbrigarsi perché non avevano molto tempo a disposizione e, per non compromettere l’andamento della giornata di lavoro, aveva addolcito quell’ordine dettato dall’urgenza aggiungendo che gli avrebbe spiegato tutto in macchina. Nonostante la prima reazione di disappunto, per un tipo come il collega abituato a rispettare le procedure, era riuscito a convincerlo puntando sulla possibilità di giungere più facilmente a quelli che potevano essere i responsabili principali dello spaccio, una possibilità che non sarebbe affatto dispiaciuta al commissario, per istinto di sopravvivenza, e al sindaco, per brama di potere.
Favoriti per buona parte del tragitto dalla scorrevolezza del traffico, raggiunsero abbastanza in fretta il luogo del sinistro, dove evitarono la fila di macchine determinata dal parziale blocco della polizia stradale accostandosi sul ciglio opposto della strada, al di là delle vetture incidentate, alla giusta distanza per non ostacolare ulteriormente la viabilità.
Fu Tenzo a venire loro incontro, sollevando leggermente a mo’ di saluto il berretto blu che aveva tra le mani, per poi rimetterlo sul capo.
“Vedo che ogni tanto mi dai retta.” Disse rivolto a Kakashi, non appena gli fu abbastanza vicino, e l’amico non ebbe difficoltà a cogliere, nel tono apparentemente serio, la seconda ironica allusione al suo ritardo cronico.
“Anche troppo, direi.” Ribatté pacato, poi gli presentò rapidamente il collega e gli chiese di spiegargli un po’ meglio la situazione.
“Beh, niente.” Iniziò Tenzo. “Non c’è molto altro da aggiungere, Kakashi, sempre che non ti interessino le modalità dell’incidente. Prima che l’ambulanza lo portasse via, ho avuto modo di parlare con l’unico sopravvissuto, nella cui macchina abbiamo trovato la bustina di droga, e mi ha confermato che lui e il suo amico tornavano da un locale di Konoha. Era sotto shock, quindi non è riuscito a dirmi altro, ma credo che sia sufficiente per un inizio.”
“Capisco, potrebbe esserci utile interrogarlo in effetti, qualora…”
“Prima di ogni cosa, dovremmo attendere le analisi della scientifica sulla droga.” Lo interruppe con tono freddo l’Uchiha, ancora un po’ seccato dall’essere stato coinvolto in qualcosa di poco ortodosso. “Come intendete procedere affinché ciò avvenga?” Continuò, sollevando il punto centrale di quell’incontro.
L’ispettore Hatake sospirò interiormente; per quanto il collega avesse compreso l’utilità di quel sotterfugio, non riusciva affatto a comportarsi senza complicazioni quando non era totalmente d’accordo.
“Ecco, per non sollevare grossi problemi,” intervenne Tenzo al suo posto “pensavo di ritardare solo un altro po’ nell’avvertire il distretto di Kurara, il tempo necessario per permettervi di affrontare la questione con il vostro commissario. Sicuramente ha più autorità di me per trattare con chi di dovere.”    
“D’altronde siamo arrivati sul posto e abbiamo elementi che ci inducono a pensare che la droga provenga da Konoha. Tsunade-sama potrà facilmente far appello su questo affinché la droga sequestrata ci pervenga direttamente, senza allungare i tempi.” Spiegò Kakashi, sperando che Sasuke si accontentasse e non facesse altre storie.
“Uhm, capito.” Biascicò quello, poi soffermò lo sguardo serio sul collega. “Ci parli tu col commissario, però, e a questo punto, prima torniamo in distretto, meglio è.” Disse asciutto.
“Non c’è problema.” Commentò l’altro atono, sollevato per non aver ricevuto obiezioni. “Comunque come si chiama il ragazzo rimasto in vita?” Domandò poi, rivolto all’amico.
“Kiba Inuzuka. Dovrebbe essere di Kurara, ma nel caso abbiate difficoltà a trovare un recapito fammi sapere.” Rispose Tenzo, prima di essere richiamato a gran voce da una collega.
“Ce la fai, Ten?” Lo rimbrottò quella, le braccia conserte e un’espressione poco rassicurante sul volto. “Abbiamo ancora qualche rilievo da fare, non dimenticartelo.” 
L’uomo sospirò insofferente, abbassando leggermente il capo e socchiudendo gli occhi.
“Non è una chiacchierata di piacere, Anko. Comunque ora arrivo.” Le disse con un pizzico di esasperazione, dopo essersi voltato verso di lei. “Mi chiedo che bisogno ci sia di urlare a pochi passi di distanza.” Si confidò poi con l’Hatake.
“Io ho notato il Ten, in realtà.” Affermò l’ispettore con una luce di divertimento nello sguardo.
“Eh, non farti strane idee, Kakashi, non c’è nulla da dire.” Scattò l’altro sulla difensiva, tradito però dal tono lievemente concitato.
“Uhm, vedremo.” Mormorò. “Comunque grazie per le informazioni e per l’appoggio. Ci sentiamo appena possibile.” Disse poi per congedarlo.
Tenzo assentì con un breve cenno del capo e un ‘va bene’, dopodiché lo salutò e tornò al proprio lavoro, mentre i due poliziotti di Konoha raggiungevano la loro autovettura.

La prima ora di lezione volgeva ormai al termine, ora che Ino aveva trascorso a fingere interesse verso le spiegazioni della professoressa di lettere, tracciando ghirigori sul foglio di un quaderno, mentre la sua mente pianificava come eseguire nel modo migliore l’ordine che il commissario le aveva impartito il giorno prima, quando si era svolta una breve quanto intensa riunione sui recenti sviluppi delle indagini e su come avrebbero dovuto portare avanti quella che sembrava essere la fase finale. Nelle sue orecchie risuonavano ancora le parole precise pronunciate dalla donna: Cerca di avvicinarti a Sai Shimura, dobbiamo essere sicuri che l’appuntamento non venga spostato prima di compiere qualsiasi mossa. Mi raccomando, però, stai attenta a non insospettirlo, sii il più naturale possibile.
“Non insospettirlo ed essere il più naturale possibile.” Mormorò tra sé e sé per l’ennesima volta, così come per l’ennesima volta la riposta che si diede fu che era più facile a dirsi che a farsi.
L’unico contatto che aveva avuto con il ragazzo da quando si era infiltrata nella scuola si era limitato al buongiorno appena entrava in classe e a qualche sporadica battuta durante il resto della giornata, sia perché il tipo era piuttosto riservato, sia perché, probabilmente da perfetta idiota, l’aveva escluso a priori dalla lista dei sospettati. Sarebbe stato impossibile, quindi, che interagire in modo diverso con lui e così all’improvviso potesse apparire perfettamente normale; oltretutto, Sai gli sembrava abbastanza intelligente da intuire che sotto ad un inaspettato interessamento da parte di una compagna di scuola potesse esserci qualcosa di tutt’altro che innocuo per lui che era uno spacciatore ricercato dalla polizia.
Sospirò adagiando la matita sul banco; in ogni caso, non aveva altra scelta, doveva tentare, e sperò che come tutti gli adolescenti della sua età il ragazzo collegasse il suo approccio a ben celate ragioni sentimentali, possibilità che si sarebbe impegnata a rendere altamente realistica. L’unico spunto che le era venuto per attaccare bottone tirava in gioco la passione per il disegno del giovane, testimoniata dall’assidua presenza al suo fianco di un album. Tutte le volte che l’aveva trovato alle prese con quel raccoglitore di fogli bianchi, con un briciolo di curiosità si era chiesta che cosa immortalassero i suoi disegni, quali ne fossero i soggetti, e considerando come si erano messe le cose, fin dall’inizio avrebbe fatto bene a non tenere per sé quella domanda, a cui si augurava di ricevere riposta a breve. 
Quando il suono della campanella giunse ad annunciare la fine della lezione, approfittò del momento di rilassamento e confusione tipico del cambio d’ora per agire; si alzò dal proprio banco e si diresse verso quello di Sai, due file più avanti, poi quando gli fu vicino e due occhi scuri si posarono su di lei, sistemò dietro le orecchie alcune ciocche dorate ribelli e ammorbidì le labbra in un sorriso.
“Ciao. Come va?” Lo salutò ilare. “Stamattina ho notato che prima che arrivasse la prof stavi disegnando qualcosa.” Continuò dopo una breve pausa, mentre una luce di curiosità attraversava lo sguardo del compagno di classe.
“Già, come il più delle volte.” Le rispose quest’ultimo con tono calmo, e la poliziotta si allarmò leggermente, ma si riprese subito cercando di prendere la palla al balzo.
“Eh, sì, in effetti mi ha sempre incuriosita la cosa, ma pensavo di poter risultare invadente.” Replicò, abbassando un po’ il capo mentre pronunciava le ultime parole, poi si passò una mano tra i capelli, accarezzando la coda che li raccoglieva, gesto con cui intendeva simulare un presunto imbarazzo.
Sai aggrottò le sopracciglia, con sulla punta della lingua la frase con cui ribattere, ma non lasciò che giungesse a destinazione, interessato ad ascoltare la scusa che la ragazza si sarebbe inventata per giustificare il suo comportamento.
“Tuttavia certe cose non si possono rimandare in eterno,” disse lei dopo un po’, tornando a fissarlo con un sorriso incerto e gli occhi lievemente socchiusi, “quindi posso guardare i tuoi disegni? Se non ti dà fastidio ovviamente.”
Dopo quella richiesta, per rimarcarne l’implicito messaggio, Ino appoggiò le dita al bordo del banco lasciando scivolare il palmo della mano sulla superficie lignea e lo guardò dritto negli occhi.
Lo spacciatore, tremendamente divertito dalla situazione, piegò le labbra in un’espressione maliziosa.
“Forse ora non è il caso… è appena entrato il professore di matematica.” Spiegò, e alle sue parole seguì la voce di Shikamaru che invitava gli studenti a sedersi di nuovo ai propri posti.
Per un attimo la poliziotta tentennò, quella volta davvero imbarazzata all’idea di dover flirtare alla presenza dell’amico, ma poi si ripeté che dopotutto si trattava solo ed esclusivamente di lavoro, così rivolse al ragazzo un altro finto sorriso e gli chiese se poteva occupare il banco libero al suo fianco, ottenendone il consenso senza alcuna difficoltà. Recuperò solo un quaderno e una penna dal proprio posto ormai abbandonato e si sedette velocemente.
Il suo spostamento non passò inosservato al nuovo arrivato, che adagiata la borsa con alcuni libri sulla cattedra gettò uno sguardo stanco ai presenti in aula, lasciandosi andare ad un sospiro, come tutte le volte che era in procinto di iniziare una lezione, ma quella volta la spossatezza che provava andava al di là della fatica di elaborare un discorso su argomenti che aveva abbandonato diversi anni prima, per giunta davanti ad un pubblico per nulla attento, cosa che distraeva anche lui; in quel momento avrebbe voluto essere nel suo ufficio, indaffarato con un’indagine ordinaria, con Sasuke che elargiva le sue supposizioni con tono asciutto e aria saccente e Ino che sbucava ogni tanto a chiedergli come andava la giornata, se non si trovavano a collaborare su qualche caso, ma soprattutto avrebbe voluto la calma e il tempo necessari per riafferrare il filo che lo legava alla poliziotta bionda, seduta dove in teoria non avrebbe dovuto.
Ne incrociò le iridi cerulee per un istante, come tacito consenso a qualsiasi azione volesse compiere, poi recuperò l’eserciziario e annunciò che quel giorno avrebbero fatto pratica, in religioso silenzio, con le funzioni, ignorando che si sarebbe pentito presto di quella decisione.       Gli studenti accolsero la notizia con un certo sollievo, ben lieti di sfuggire ad una opprimente interrogazione, quindi non se lo fecero ripetere una seconda volta e presero nota del numero delle pagine e degli esercizi che il professore dettò loro, man mano che sfogliava le pagine del libro e scrutava i numeri e i segni matematici che le ricoprivano. Terminato il suo compito, già troppo gravoso per i suoi gusti, Shikamaru si sedette incrociando le braccia sul petto e accasciandosi contro lo schienale della sedia. Avrebbe preferito trascorrere quell’arco di tempo contemplando un bel cielo limpido ornato da candide nuvole, ma dal momento che in quel periodo dell’anno era difficile ricevere una simile concessione, si sarebbe accontentato di osservare i ragazzi con le teste sui quaderni e le calcolatrici a portata di mano, evitando se possibile di appisolarsi. Non tutti, però, intendevano svolgere il compito loro assegnato, e non tardò ad accorgersene.
Piuttosto di rintracciare gli esercizi dal libro ormai aperto, quello di Sai ovviamente, Ino appoggiò una guancia contro una mano puntellandosi con un gomito sul banco e torse lievemente il busto verso il ragazzo al suo fianco.
“Allora, posso?” Sussurrò incurvando le labbra e addolcendo lo sguardo.
Lo spacciatore la fissò in silenzio per un istante, poi l’assecondò prendendo l’album dalla cartella e porgendoglielo; la poliziotta lo afferrò mormorando un ‘grazie’ e, senza ricomporsi, lo adagiò sulla superficie lignea, l’aprì e inizio a sfogliarlo. Osservò i disegni che riempivano le pagine senza fretta, concedendo ad ognuno il tempo necessario per essere apprezzato, e dovette ammettere che il loro autore aveva talento, per quel poco che ne capiva. I soggetti misteriosi che avevano attirato la sua curiosità erano semplici ma non banali: qualche scorcio paesaggistico, ritagli cittadini, un gatto alle prese con un gomitolo di lana, oppure intento a dormire pacificamente, alcuni ritratti. Fu uno di quest’ultimi a farle sgranare gli occhi per la sorpresa, generando un moto di divertimento nel ragazzo seduto al suo fianco, che durante la sua esplorazione aveva spostato più volte lo sguardo dal quaderno a lei, curioso di leggere le reazioni sul suo volto, proprio in attesa di quel momento.
“Mi piacciono i bei soggetti.” Si giustificò con perfetta naturalezza, quando Ino si girò verso di lui alla ricerca di una spiegazione.
Forse un suo ritratto su quell’album avrebbe dovuto allarmare la poliziotta, ma la situazione l’aveva così presa in contropiede che quel pensiero non la sfiorò; si ritrovò solo ad arrossire contro la sua volontà e a pensare che quel particolare era senza alcun dubbio un punto a suo favore, insomma la conseguenza più immediata che poteva dedurre, e ne approfittò subito.
Assottigliò lo sguardo in un’espressione provocante, poi allungò il braccio libero verso Sai sfiorando con le dita affusolate la sua mano ferma su una pagina dell’eserciziario.
“Potrei anche essere disponibile per un altro ritratto, però consapevole questa volta.” Suggerì con voce morbida; una proposta che fece comparire sul volto del proprio interlocutore un altro sorriso per nulla innocente.
“Per me va bene.” Accettò quello, con un tono piatto che non impedì a Ino di provare il gusto dolce di una piccola vittoria.
La ragazza appoggiò definitivamente la mano sulla sua, come a sottolineare il piacere per l’accordo ricevuto, un gesto che a Shikamaru apparve superfluo ed eccessivo, insomma perfettamente evitabile, così come riteneva evitabile l’incrocio di sguardi e la vicinanza eccessiva per i suoi gusti, o almeno quello era ciò che lo spingeva a pensare il contorcersi di qualcosa non identificato all’interno del suo stomaco, sensazione che lo tormentava da alcuni minuti, mentre la sua parte razionale gli faceva notare che in fondo era lavoro e quindi opportunismo e finzione, in modo però troppo labile.
“Yamanaka, vieni alla lavagna.” Disse infatti, con un tono più duro di quanto avrebbe immaginato, incapace di tollerare oltre la situazione, e quando Ino si avvicinò alla cattedra guardandolo perplessa e leggermente infastidita, l’ispettore si rese conto che l’unico aspetto positivo era la consapevolezza di aver trovato la risposta che cercava, perché per il resto quella settimana avrebbe avuto qualche problema.

“Quindi sei riuscito a parlargli?” Chiese Sakura, replicando al brontolio confuso di Naruto sulla idiozia di Sasuke.    
“Insomma… è il solito idiota!” Borbottò seccato l’uomo al suo fianco, lo sguardo sempre fisso sulla strada.
“Questo l’avevo intuito.” Commentò l’altra, cercando di non far notare il divertimento generato da quella risposta.
Nonostante i loro frequenti battibecchi, sapeva che l’Uchiha occupava un posto importante nella vita del collega, e non voleva certo dargli l’impressione di trattare con leggerezza quello che per lui era qualcosa di preoccupante.  
“In pratica, se ne è uscito con le solite storie, che non ha nessun problema, che mi sono immaginato tutto e che anche se fosse non sono affari miei. Insomma, parafrasando ‘ho qualche problema, ma stanne fuori, perché non ho voglia di parlarne’.” Le spiegò Naruto.
“Ho capito. E non hai la minima idea di cosa possa essere?” Domandò.
“Uhm, forse c’entrerà in qualche modo sempre suo fratello, poi boh, non saprei.” Rispose lui, con una scrollata di spalle, guadagnandosi un’occhiata interrogativa da parte della poliziotta, totalmente all’oscuro dell’esistenza di un fratello.
Non si era, in effetti, mai interessata molto a Sasuke Uchiha al di là del poliziotto e del collega con cui collaborare su alcuni casi, tanto che l’unica informazione più privata che aveva su di lui riguardava l’amicizia con Naruto.
“Fratello?”
“Eh, sì… è una storia lunga.” Disse il collega, stirando le labbra in una smorfia, una reazione che Sakura interpretò come l’indizio che quella lunga storia fosse anche spiacevole, per cui preferì non chiedere altro, evitando di mettere il naso in faccende che non la riguardavano.
“Capito, comunque magari prova a riparlargli affrontando la questione con più calma.” Gli consigliò, ricevendo come risposta un sommesso ‘ci proverò’ accompagnato da un’espressione tesa, che le fece desiderare di poter spazzare via quell’ansia che il poliziotto provava.
Allungò un braccio accarezzandogli con la mano una guancia.
“Vedrai che è solo un momento, gli passerà.” Tentò di tranquillizzarlo, e si sentì sollevata quando vide i suoi lineamenti ammorbidirsi e l’ombra di un sorriso fare la sua comparsa.
“Grazie, Sakura-chan.” Affermò con tono deciso, voltandosi leggermente verso di lei mentre rallentava l’autovettura. “L’ho mai detto che ti amo?” Chiese dopo una brevissima pausa.
Di fronte a quella domanda e al suo sguardo dolce, la ragazza ebbe la netta sensazione di sprofondare; la felicità per la sua espressione finalmente più rilassata era risucchiata con inclemenza dal senso di colpa per la confusione che l’aveva assalita di nuovo contro la sua volontà, esattamente il giorno prima.
“Sì, ma pensa a guidare.” Lo rimproverò bonariamente, senza permettere che calasse un silenzio inopportuno, mentre cercava di seppellire in fondo al suo cuore quell’attimo di tentennamento, così come quello avuto davanti alla tomba dei suoi genitori; ciò che voleva era lì davanti a lei, racchiuso nel calore e nella speranza che l’uomo seduto al suo fianco le trasmetteva ogni volta, e non avrebbe lasciato che l’intrusione di qualcosa che non c’era mai stato e che non ci sarebbe mai stato glielo lasciasse sfuggire dalle mani.
Lo scrutò per qualche altro istante mentre tornava a concentrarsi sulla guida, poi si immerse totalmente nei propri pensieri, ribadendo a se stessa che quella sarebbe stata davvero l’ultima volta in cui avrebbe ripercorso le stesse identiche riflessioni. Anche Naruto intanto non pensò di continuare la conversazione, dal momento che mancava poca strada da percorrere e si sentiva ormai in parte alleggerito dal peso della preoccupazione, avendo potuto sfogarsi con qualcuno.   
Gli ultimi minuiti che li separarono dalla loro meta trascorsero quindi immersi nel silenzio.   
Quando giunsero all’ospedale, dopo aver chiesto informazioni alla prima infermiera incrociata nel pronto soccorso, i due poliziotti raggiunsero la stanza in cui era ricoverata la ragazza con cui avrebbero dovuto parlare, in seguito ad una denuncia per violenza sessuale ricevuta in mattinata.
Trovarono la giovane sdraiata in un letto, con i lunghi capelli castani sciolti sul cuscino e gli occhi chiusi; l’avrebbero creduta addormentata se non fosse stato per la mano che stringeva quella del ragazzo seduto su una sedia accanto a lei, molto probabilmente la stessa persona che aveva chiamato al commissariato.
“Buongiorno.” Esordì Naruto dopo aver bussato, catturando subito la loro attenzione. “Siamo della polizia.” Spiegò entrando, e provò un attimo di sorpresa quando incrociò lo sguardo candido del ragazzo, che alzatosi si volse verso i nuovi arrivati.
“Buongiorno.” Rispose inespressivo, scrutandoli serio.
“Se è possibile, vorremmo fare qualche domanda.” Continuò il poliziotto, accantonando almeno momentaneamente la curiosità per il colore familiare di quegli occhi.
Il giovane si voltò di nuovo verso la compagna alla ricerca di un consenso.
“Tenten?”
“Per me va bene, Neji.” Disse la ragazza con voce sommessa.
“Ovviamente non sei obbligata a dirci tutto, solo ciò che ti senti di dire.” Intervenne Sakura, ormai al fianco del collega, e ottenne un cenno del capo in segno d’assenso.
“Dove sei andata ieri sera?” Le chiese allora.          
“All’Alba, una discoteca di Konoha.” Rispose l’altra, poi avvertì formarsi un improvviso groppo alla gola al solo pensiero di aggiungere altro.
Strinse tra le dita le lenzuola bianche stropicciandole, un gesto che racchiudeva oltre al dolore anche un pizzico di rabbia; non si era mia sentita così impotente e insignificante, ma per quanto fosse difficile, per quanto avesse solo voglia di sprofondare nel sonno, non voleva che il responsabile rimanesse a piede libero.     
“Per caso è stato qualcuno che lavora al locale?” Domandò ancora l’agente di polizia.
Nonostante si fosse accorta della reazione della sua interlocutrice, era consapevole che prima avrebbero avuto qualcosa di concreto da cui partire e prima avrebbero potuto esserle in qualche modo d’aiuto. 
Incapace di esprimersi a parole, Tenten si limitò ad un nuovo piccolo movimento del capo, socchiudendo leggermente gli occhi nocciola, fornendo così ai due poliziotti una conferma che avrebbe indubbiamente reso molto più semplici le loro indagini.
“Sai il suo nome?" Chiese Naruto, ricevendo come risposta dopo qualche istante un 'no' sommesso. "Capisco. E mica te la sentiresti di fare un identikit? Ci sarebbe certamente d’aiuto.” Proseguì allora.
“Potremmo far venire qualcuno qui, magari oggi pomeriggio, oppure puoi venire più in là in commissariato.” Continuò Sakura per cercare di non metterle fretta.
La ragazza soppesò le due proposte, trovando la forza di prendere una decisione solo quando sentì la mano calda e rassicurante di Neji appoggiarsi di nuovo sulla sua; lo fissò per qualche istante negli occhi, quegli occhi apparentemente inespressivi che tuttavia erano in grado di tranquillizzarla, poi si sforzò di sciogliere il nodo che le impediva di parlare.     
“Oggi pomeriggio va bene.” Affermò con un leggero tremore nella voce, decisa a mettere un punto fermo a quella storia il prima possibile.
“Ok, allora faremo così. Grazie per avere risposto alle nostre domande.” Disse allora il poliziotto.
“Grazie a voi.” Mormorò Tenten.
 
L’ora di spacco era sempre una liberazione, quel giorno poi che non aveva niente su cui indagare avrebbe dovuto esserlo di più, peccato però che le cose stessero diversamente; il fatto che qualcun altro svolgesse quel compito anche per lui e soprattutto il come ciò avvenisse non lo mettevano affatto di buon umore. L’aveva realizzato più o meno da due ore, e conviverci non era ancora tanto semplice. Forse, avrebbe fatto meglio a pensare all’altro aspetto della faccenda, in qualche modo più tranquillizzante. Se si impegnava, gli sembrava di vedere davanti ai suoi occhi il filo del suo rapporto con Ino, non lineare come l’aveva sempre considerato, ma contorto, al punto che la sua estremità gli era sfuggita dalle dita e per fortuna era bastata una piccola spinta per recuperarla. Se così non fosse stato, forse un giorno se ne sarebbe pentito, rimproverandosi per la propria incertezza e indecisione, così come per l’inefficacia che il suo rinomato quoziente intellettivo dimostrava nelle questioni sentimentali. Non aveva mai lontanamente intuito cosa l’amica provasse in realtà per lui; la sua presenza al suo fianco era diventata così preziosa e insostituibile, così naturale e indispensabile, che immaginare che ci fosse dell’altro non alterava il suo posto nella propria vita. Nell’ultima settimana, aveva temuto di perdere quello che avevano e di farla soffrire contro la propria volontà, e ciò l’aveva paralizzato, portandolo a creare una distanza assurda tra di loro. Non vedeva l’ora di azzerarla di nuovo quella distanza, anche se, riflettendoci, non sapeva da che parte cominciare, quali parole usare, come comportarsi, o forse lo sapeva, ma la sola idea lo faceva sentire già in quell’istante terribilmente impacciato.   
Stravaccato su una sedia nella sala professori, era totalmente perso in quei pensieri che si accorse dell’arrivo della collega di francese solo quando questa appoggiò la borsa sul tavolo a cui era seduto, gettandogli uno sguardo stanco e inespressivo, per poi avvicinarsi al proprio cassetto in cerca probabilmente di materiale inerente alle lezione successiva. Quella situazione gli trasmise  una sensazione di dejà vu e impiegò qualche secondo a trovare ciò a cui ricollegarla, ovvero un ricordo che risaliva ad una settimana prima, quando attendeva qualcuno da sfruttare per ricavare informazioni utili alle indagini. Come allora, era chiaro che qualcosa non andava, altrimenti l’avrebbe ripreso per il suo atteggiamento da scansafatiche o per qualunque altra cosa lei ritenesse fuori luogo, come capitava la maggior parte delle volte in cui si incrociavano.
Rimase per qualche istante incerto su cosa fare, se chiederle quale fosse il problema, oppure non interferire rimanendo in disparte; la seconda opzione era indubbiamente la più comoda, quella che gli evitava di invischiarsi in una situazione che con alte probabilità non avrebbe saputo gestire - sembrava quasi che quel giorno situazioni simili lo avessero preso di mira – ma si era talmente abituato in quel mese ad essere infastidito dai suoi rimproveri che vederla apatica e silenziosa gli dispiaceva. Non appena quel pensiero prese forma nella sua mente, non poté fare a meno di considerarlo l’ennesimo segnale che gli indicava che negli ultimi tempi stava ammattendo.
“Qualcosa non va?” Domandò serio, troncando ogni altra riflessione su quel punto, mentre si ricomponeva per dare meno l’impressione di disinteressamento totale del mondo, come avrebbe detto lei.
Recuperate alcune fotocopie e richiuso il cassetto, Temari si voltò verso di lui con cipiglio interrogativo, spiazzata dal suo intervento.
“Da quando ti interessa qualcosa, Nara?” Replicò secca, con la voglia di parlare ai minimi storici, tanto più su questioni personali. “E comunque è tutto a posto, e pure se non fosse così non sono certo affari tuoi.” Continuò, avvicinandosi al tavolo.
“Mah, non sembrava.” Biascicò Shikamaru, distogliendo lo sguardo dalla donna, già pentito di non essersene rimasto in silenzio. “Scusa se sono stato invadente.” Disse scrollando le spalle, e la professoressa si sentì fuori luogo e un po’ in colpa.
Non credeva che il collega potesse essersela presa per davvero, ma quella era un’altra prova della sua incapacità di comportarsi nel modo giusto, come gli aveva dimostrato la sera prima anche lo scatto d’ira di Gaara, chiuso nel suo impenetrabile mutismo.
Si morse il labbro inferiore, nervosa, mentre infilava i fogli che aveva in mano nella borsa e la richiudeva con un pizzico di rabbia.  
“Scusa tu, invece.” Sussurrò dopo un breve sospiro. “In realtà non è giornata, ma non ho alcuna voglia di parlarne.” Confessò, gli occhi acqua marina fissi sul tessuto in pelle.
Notando il tono grave, Shikamaru la guardò di sottecchi, in parte curioso, in parte con sua sorpresa lievemente preoccupato; Temari gli era sempre sembrata una donna sicura di sé, con la situazione sempre sotto controllo e le idee ben chiare, ma a quanto pareva aveva anche lei le sue debolezze, una considerazione ovvia che però non l’aveva mai sfiorato e che in quegli istanti giungeva con le sue dirette conseguenze. Per la seconda volta perplesso di fronte ad un interessamento che non credeva di provare, si massaggiò la nuca con una mano.
“Non importa.” Disse per liquidare la questione, poi si alzò tornando a rivolgerle direttamente la sua attenzione. “In ogni caso, a volte è meglio non tenersele dentro le cose.” Consigliò, mentre i ricordi andavano alla chiacchierata avuta tempo addietro con Asuma.
“Eh, certo, magari una confidenza davanti ad un caffè.” Commentò pessimista Temari, incapace di credere che parlare avrebbe potuto alleviare la sensazione di claustrofobia che avvertiva al solo pensiero del fiasco in cui si era risolta la cena della sera prima.
“E’ un’idea.” Replicò l’altro, sorvolando sul tono scettico della collega, persistendo nel suggerire qualcosa che a lui in fondo era risultato utile.   
Quell’ultimo scambio di battute giunse intanto alle orecchie di Ino, da pochi istanti ferma sulla soglia della sala professori, e privo di contestualizzazione, la ragazza l’interpretò come l’inequivocabile invito per un caffè, un invito che il poliziotto non aveva affatto tardato ad accettare. D’istinto strinse un pugno e assottigliò lo sguardo, lottando contro il bruciore della delusione e della gelosia; più tentava di fare un passo avanti e più aveva l’impressione di rimanere indietro. Ingoiò un grumo di tensione, ricordando a se stessa che era lì per lavoro, poi bussò. 
“Scusate il disturbo… io volevo parlare con il professore.” Esordì col tono più calmo e naturale che le riuscì, spingendo i due professori a voltarsi verso la porta.
Vedendola, Shikamaru si sentì sollevato, perché la sua presenza in quella stanza implicava la sua lontananza da Sai, nello stesso tempo però si rese conto che l’argomento della prossima conversazione non poteva che essere lo stesso spacciatore e forse anche la reazione che aveva avuto in classe, e se la prima opzione lo seccava, la seconda lo metteva a disagio.
“Ma certo, non credo proprio abbia qualcosa da fare adesso.” Rispose Temari prima che il collega potesse aprire bocca, con una frase che inconsapevolmente contribuì ad alimentare l’errata supposizione della poliziotta, sebbene fosse stata pronunciata senza nessuna particolare intonazione.
Mentre la professoressa li lasciava soli, Ino tentò di reprimere l’amarezza; per quanto fosse difficile, se non avesse ricevuto un segnale diverso da parte di Shikamaru, avrebbe dovuto accettare definitivamente l’idea che l’ispettore potesse frequentare una donna che non fosse lei.
Prima di iniziare a parlare, provvide a socchiudere la porta, sia per tutelare la loro conversazione da occhi e orecchie indiscrete, come faceva sempre, sia per sfruttare quegli attimi di silenzio per stabilizzare il suo stato d’animo.
“Scusa se ho interrotto la vostra conversazione.” Si giustificò con tono inespressivo, mentre si voltava lentamente verso di lui, così da evitare almeno per quei primi istanti di guardarlo dritto negli occhi.
Nell’ascoltare la premessa dell’amica Shikamaru inarcò le sopracciglia interrogativo, dal momento che le indagini venivano prima di tutto, cosa che Ino sapeva bene, e quindi le scuse oltre che inutili erano insolite.             
“Comunque credo di essere riuscita ad agganciare il ragazzo senza insospettirlo,” continuò l’altra, passando subito alle questioni di lavoro “anzi ho anche recuperato un invito a casa sua per domani.”
“A casa sua?” Le domandò in modo un po’ brusco l’ispettore, perplesso e in parte allarmato, ricevendo uno sguardo confuso da parte della collega. “Non è proprio il massimo, lo sai, vero?” proseguì dopo una breve pausa “Se ti sbagliassi e sospettasse qualcosa, o comunque cominciasse a insospettirsi mentre sei lì?”  
“Eh, stai dicendo che non sono in grado di valutare le situazioni?” Replicò Ino pacata, benché provasse una certa irritazione.
“Non ho detto questo.” Disse Shikamaru con tono fermo ma tranquillo, cercando di non portare quella discussione sopra le righe; erano a scuola e non potevano assolutamente permettersi di attirare l’attenzione. “Sto solo ipotizzando che potresti trovarti in difficoltà, dal momento che…”
“E quale sarebbe l’immensa differenza di grazia?” Sbottò l’altra, accigliandosi, senza concedergli il tempo di concludere.
“A volte può anche mancarci qualche elemento, Ino, quindi in ogni valutazione un margine di dubbio dobbiamo sempre metterlo in conto.” Spiegò l’ispettore, poi si affrettò a mettere un freno alla situazione, consapevole che il suo tentativo di non farla degenerare era fallito.
“Comunque, forse è meglio se ne continuiamo a parlare altrove.”
“Eh certo, le reazioni a cavolo te le puoi concedere solo tu!” Commentò con tono asciutto la poliziotta, ormai nervosa, seccata dall’aria saccente dell’amico.
“E tra l’altro senza un motivo, dato che hai altri interessi.” Continuò dopo un po’, con il capo leggermente reclinato di lato per non incrociare il suo sguardo, mentre tutti i sentimenti che l’avevano assalita da quando era giunta davanti a quella stanza le chiudevano lo stomaco.
Nella mente di Shikamaru, intanto, i vari tasselli si ricomponevano in un unico pezzo: l’espressione strana che era apparsa sul viso della collega mentre la professoressa di francese se ne andava, le scuse fuori luogo e la voce insolitamente atona con cui erano state pronunciate, quell’ultima frase; si trattava di elementi che gli facevano pensare che Ino avesse tratto delle conclusioni affrettate, partendo tra l’altro da una situazione dai contorni vaghi.
“Comunque, sì, è meglio se me ne torno in classe, è passato già troppo tempo.” Annunciò la poliziotta, poi fece per andarsene, ma l’uomo la trattene per un polso.
“Aspetta un attimo. Noi… ” Incominciò quello, prima di venire interrotto per la seconda volta.
“Qualcuno potrebbe vederci, professore.” Disse concisa Ino, continuando a non guardarlo.
Per quanto non si aspettasse il suo gesto, per lei non c’era lo stesso più niente da aggiungere, né sul piano lavorativo, né soprattutto su quello privato, se mai Shikamaru avesse voluto affrontare davvero quel punto; se il solo pensiero di ascoltare un’altra pillola di saggezza dal suo intelligente superiore la faceva arrabbiare, quello di sorbirsi qualche scontata frase da amico le procurava un dolore sordo. Si sentì quindi molto sollevata, quando l’uomo la liberò dalla sua stretta permettendole di lasciare la sala professori. 



Note dell'autrice

Non sono passati nemmeno due mesi dall'ultimo aggiornamento, posso avere un biscotto come premio? Magari due? Ok, no, scherzi a parte, sono contenta di non aver fatto passare altri sei mesi e spero che possa andare avanti così, anche se sta per iniziare un periodo super incasinato a causa dell'uni e quindi non so, farò quel che posso^^ Per ora, mi auguro che questo capitolo sia piaciuto, come credo si noti contiene alcuni punti di svolta: Kakashi ha più o meno smesso di tormentarsi, Shizune ha cominciato a farlo, Ino e Shikamaru  non chiedete a  me  perchè  fanno tutto da soli, Sakura mi fa pensieri threesome (come già da qualche capitolo, ma non so perchè mentre scrivevo mi è sembrata una scoperta preoccupante u_u) e gli ultimi due casi sono all'orizzonte, di cui uno ha fatto sbucare Tenzo in carne e in ossa con connesso accenno AnkoTenzo, per la gioia di qualcuno, spero. Insomma, la cosa più importante di queste righe inutili è che stiamo per entrare nella parte più rilevante di questa storia, d'ora in avanti ci sarà sempre qualche 'punto', diciamo così^^
Smetto di tediare,  e ringrazio chi ha recensito e chi ha messo la fic nei preferiti o seguitiXD

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Capitolo X



Di ritorno dall’ospedale, Naruto e Sakura si erano fermati in commissariato giusto il tempo necessario per scoprire l’indirizzo della discoteca Alba, poi si erano diretti alla loro nuova meta. Consultandosi su come procedere nelle indagini, avevano deciso di recuperare una lista del personale ed effettuare una ricerca negli archivi digitali, dove speravano di trovare qualche precedente penale e, di conseguenza, foto da confrontare appena possibile con l’identikit. In caso contrario, sarebbe stato necessario trascorrere una o più serate da presunti clienti, un’alternativa che a Naruto non sarebbe affatto dispiaciuta, ma, che considerati i maggiori tempi di attuazione, avevano lasciato come piano di riserva.
Per arrivare al locale dovettero raggiungere una zona periferica, ben collegata però con le strade che mettevano in comunicazione la città con quelle limitrofe, una scelta di ubicazione che apparve all’ispettore ben studiata; ciò che invece lo spinse a storcere il naso, una volta giunti all’ingresso, fu una locandina che reclamizzava uno dei prossimi eventi, per la precisione una serata all’insegna dello streap tease e rivolta solo ad un pubblico femminile. Dal canto suo, non avrebbe mai e poi mai permesso a Sakura di assistere a qualcosa di simile; il solo pensiero che la collega potesse guardare in un certo modo un altro uomo, per giunta mezzo nudo, lo seccava incredibilmente.
“Qualcosa non va?” Gli chiese l’oggetto dei suoi pensieri, accortasi dell’espressione contrariata che era comparsa all’improvviso sul suo viso.
Come risposta il ragazzo le indicò con l’indice il manifesto e le rivolse un’occhiata seria.          
“Tu non ci andresti ad una serata simile, vero?”
Sakura lo scrutò perplessa, poi si voltò a guardare meglio il volantino pubblicitario cadendo in un silenzio imbarazzato, almeno fino a quando non sbottò infastidita con un lieve rossore ad imporporarle le guance.
“Che razza di domande sono, in questo momento poi?“
“Beh, legittima curiosità.”
“Eh, non mi sembra curiosità la tua… e comunque non vedo ormai che motivo avrei di andarci.” Replicò la poliziotta, distogliendo lo sguardo e incrociando le braccia al petto mentre pronunciava le ultime parole.
L’altro avrebbe volentieri approfondito l’ormai utilizzato dalla compagna, ma prima che potesse riaprire bocca un ragazzo che usciva dal locale e che aveva udito parte della loro conversazione li interruppe.
“C’è qualche problema, ragazzi?” Chiese con un mezzo sorrisetto sghembo, avendoli scambiati per una semplice coppia.
“Eh, no, è tutto apposto, i problemi più che altro li cerchiamo altrove.” Ribatté l’ispettore senza scomporsi, intenzionato a rimediare al disagio di Sakura per l’intromissione e il tono vagamente ironico del nuovo arrivato, sia per lei che per mettersi al riparo da un prevedibile rimprovero. 
Mostrò poi il distintivo come tacita presentazione.
“Lavori qui, giusto? Avremmo bisogno di parlare con un responsabile.” 
Il giovane mutò l’espressione scanzonata in una stupita e confusa; conscio di aver fatto una ben poco idilliaca figura, si scusò e annunciò che avrebbe chiamato subito qualcuno, poi si affrettò a rientrare nella discoteca. Quando ritornò dopo alcuni minuti, lì accompagnò da un uomo sulla trentina, dai corti capelli rossi che mettevano in risalto un intenso sguardo nocciola. Lo presentò come Sasori-san e tornò al suo lavoro dietro al bancone, dove riprese a sistemare alcolici, seccato di aver perso una pausa-sigaretta.
“Cosa porta la polizia da queste parti?” Esordì intanto l’altro membro dell’Alba con tono calmo.
“Per essere brevi, in seguito ad una denuncia stiamo indagando su un caso di stupro, che sembra essersi verificato proprio qui.” Spiegò Naruto con altrettanta tranquillità, fornendo le informazioni strettamente necessarie.
“Capisco, e come posso aiutarvi?” Annuì impassibile il suo interlocutore, conscio di non poter esimersi da una placida collaborazione, benché avesse tutti gli interessi di tenere i poliziotti il più lontano possibile dal locale.
Il suo autocontrollo non venne meno neanche alla richiesta successiva dell’ispettore, che gli domandò una lista completa del personale per raccogliere appena possibile qualche testimonianza. Creare le basi per un collegamento tra i membri dell’Alba e le forse dell’ordine non era indubbiamente la migliore delle prospettive; tuttavia, confidando sulle precauzioni prese e sulla protezione di cui godevano grazie a Madara Uchiha, assentì per la seconda volta senza battere ciglio. Chiese loro di attendere il tempo necessario, poi sparì in un ufficio.
Non appena furono soli, Sakura fece un passo verso il collega, avvicinandosi di più a lui.
“Speriamo sia davvero attendibile.” Gli sussurrò ad un orecchio.
Naruto si voltò leggermente con aria seria.
“Beh, un’omissione non andrebbe affatto a loro vantaggio.”
Nell’incrociare a distanza così ravvicinata il suo sguardo sicuro, la poliziotta si ritrovò ad arrossire e a sorridergli, poi però si ricordò di dove fossero e del ragazzo che li aveva interrotti fuori dalla discoteca, sempre fermo dietro al bancone, e si impose di riconquistare un contegno idoneo alla situazione.
“Hai ragione.” Disse sempre a voce bassa.
“Ma, in caso contrario, sarebbe divertente doverci venire da clienti.” Commentò l’altro con una chiara nota di entusiasmo nella voce.
“Uhm, certo, magari ad una serata con spogliarello, vero?” Replicò Sakura piegando le labbra in un’espressione maliziosa, decisa a vendicarsi della domanda imbarazzante che le aveva rivolto all’ingresso.
La concitata e goffa difesa del collega di fronte a quell’ipotesi la fece poi scoppiare in una sommessa risata, mandando all’aria il proposito di pochi istanti prima. Quella piacevole interruzione si spezzò però all’improvviso, quando notò un misto di stupore e turbamento comparire sul volto di Naruto. Preoccupata, gli chiese se ci fosse qualche problema e, come risposta, l’ispettore si voltò in direzione del barista, in quel momento intento a parlare con un uomo dai lunghi capelli neri raccolti in una coda. Rimase subito colpita dai lineamenti familiari del nuovo arrivato; se non fosse stato per due profonde occhiaie che rimarcavano il taglio e il colore scuro degli occhi, sarebbe stato praticamente identico a Sasuke Uchiha. Benché confusa da quella  somiglianza e dalla reazione del compagno, capì che doveva essere stato il nome pronunciato poco prima dal ragazzo al bancone ad aver attirato l’attenzione dell’altro poliziotto, che assisteva alla conversazione immobile e con una percepibile tensione. Era consapevole che le mancassero gli elementi necessari per comprenderne il motivo, ma sentì di dover fare qualcosa per tranquillizzarlo. Gli mise allora una mano sulla spalla e lo chiamò con tono deciso, riuscendo così a sottrarlo a quello insolito momento di concentrazione, prima che l’uomo oggetto del loro interesse si accorgesse di essere osservato.  
“Qualunque sia il problema, calmati ora. Ne parliamo dopo, va bene?” Gli mormorò incoraggiante mentre si voltava di nuovo verso di lei.
Consapevole che la collega avesse ragione, Naruto annuì, accantonando momentaneamente i pensieri che l’avevano assalito. Pochi istanti dopo ritornò Sasori, che non ebbe alcun sospetto su quanto avvenuto, e consegnò loro la lista che avevano cercato. Quando furono finalmente in macchina, i due poliziotti ripresero il discorso interrotto.
“Lo conoscevi?” Esordì Sakura. “Hai avuto quella reazione prima che tu lo vedessi, quindi…”
“Itachi… questo è il nome del fratello di Sasuke. Non mi ha mai mostrato una sua foto, però la somiglianza è così lampante che non posso pensare sia solo una coincidenza di nome.” Le spiegò l’ispettore, accasciato sul sediolino e con lo sguardo fisso davanti a sé.
Lei lo guardò incerta per qualche istante; quella mattina, quando era uscita fuori l’esistenza di un fratello, non aveva voluto approfondire, ma ormai la situazione era diversa e forse avrebbe potuto domandare qualcosa senza risultare invadente.
“E Sasuke non sapeva che lavorasse a Konoha?” Si permise allora di chiedere, cercando una motivazione plausibile per la sorpresa dimostrata dal collega.
Calarono alcuni lunghi istanti di silenzio prima che quest’ultimo continuasse.
“No, dato che lo sta cercando da una vita solo per sbatterlo in galera.”
Del tutto spiazzata dalla risposta ricevuta, Sakura non riuscì a formulare alcun pensiero compiuto, né tanto meno ad aprire bocca per domandare qualcos’altro.

La proposta di Asuma era giunta del tutto inaspettata, proprio mentre si era affacciata nella sua mente l’idea che fosse il momento giusto per parlargli, l’ennesimo momento giusto di quella settimana. Avevano da poco finito di pranzare, quando l’aveva spiazzata comunicandole che voleva portarla in un certo posto. Presa dai suoi pensieri, era scivolata lentamente dalla confusione alla curiosità, finendo per acconsentire con un breve sorriso, tentando poi di scoprire in anticipo quale fosse la loro meta, ma con scarsi risultati. Un po’ per l’alone di mistero che aveva avvolto quell’invito, un po’ per il pensiero rassicurante che fosse stato lui per la seconda volta ad invitarla a fare qualcosa, si era lasciata quindi guidare con piacere nella seconda parte di quella giornata. Guardò di sottecchi i lineamenti marcati dell’uomo al suo fianco, affacciato al parapetto fumando la consueta sigaretta, mentre ripeteva a se stessa che era sciocco continuare a impantanarsi nell’incertezza; avrebbe dovuto semplicemente fidarsi di lui e delle sue parole, come aveva sempre fatto, anche perché la nuova vita che cresceva dentro di lei non era affatto un dubbio alla ricerca di conferma o una domanda alla ricerca di una risposta, ma una certezza che non voleva rinnegare e che soprattutto non poteva restare ancora nascosta.
Distolse lo sguardo prima che l’altro potesse accorgersi che qualcosa turbava i suoi pensieri e tornò a godersi il panorama che il punto più alto della città offriva loro.
Quando aveva capito che erano diretti proprio lì, al belvedere che aveva assistito da silenzioso testimone all’inizio ufficiale della loro relazione, aveva provato una innegabile sorpresa, e si ritrovò a chiedersi di nuovo se la scelta di quel posto avesse qualche motivo particolare o fosse una semplice coincidenza favorita dal ritorno timido del sole. Quel giorno al ristorante, Asuma le aveva detto chiaramente che voleva costruire la sua vita con lei, un’affermazione che l’aveva indubbiamente tranquillizzata e che in quel frangente la spingeva a scorgere qualcos’altro nel loro essere insieme ad osservare lo stesso quadro sfocato di cinque anni prima, le stesse abitazioni lontane allietate a tratti da schizzi di verde.
Sospirò con un pizzico di stanchezza.
Si sentiva un po’ una stupida a sperare in una classica scena da film romantico a lieto fine; dopotutto, sapeva bene che la vita non era una favola, che, per quanto lo si desiderasse, non rispecchiava quasi mai le aspettative, quindi era sciocco pretendere che seguisse quello che ai suoi occhi sarebbe stata la successione più logica degli eventi. Già il viso serio di Asuma e la stretta della sua mano calda, mentre pronunciava quelle semplici ma significative parole, erano in fondo qualcosa di prezioso, un segnale importante considerando l’insicurezza che lo aveva sempre perseguitato; volere che fosse lui ad avanzare la fatidica proposta rimaneva a quel punto solo un desiderio in qualche modo infantile.
Cercò di raccattare una volta per tutte il coraggio necessario per dirgli finalmente quello che doveva dirgli, ma proprio quando stava per aprire bocca fu l’uomo a parlare.       
“Qualcosa non va?” Le chiese quello con una nota di preoccupazione nella voce, scrutandola serio mentre allontanava la sigaretta dalle labbra.
Sorpresa per l’interruzione improvvisa dei propri pensieri, Kurenai si voltò verso di lui con un’espressione disorientata sul viso, incrociandone lo sguardo e trovandolo stranamente intenso.  “Eh, no, è tutto apposto.” Si affrettò però a tranquillizzarlo, abbozzando poi un sorriso; non voleva  fornirgli motivi di apprensione, perché sentiva che in realtà era tutto perfettamente chiaro tra di loro e che solo un ultimo passo sarebbe stato sufficiente per far emergere quella chiarezza anche alla luce del sole.
“Ero solo un po’ sovrappensiero perché, ecco, avrei qualcosa da dirti… ma non è un problema.” Spiegò abbassando leggermente il capo a metà frase, alla ricerca del modo giusto per metterlo al corrente di ciò che il loro futuro avrebbe incluso tra circa sette mesi.   
Spiazzato da quella affermazione, Asuma le gettò uno sguardo interrogativo; era convinto che si fossero già detti tutto la settimana prima, ma forse, così come lui aveva omesso il desiderio che nell’ultimo periodo aveva esacerbato la sua insicurezza, anche Kurenai celava ancora qualcosa. Valutò la situazione per qualche istante, giungendo alla conclusione che se si fosse dato una mossa, accantonando quel pizzico di nervosismo che lo avvolgeva, con alta probabilità anche per lei sarebbe stato più semplice parlargli.
“Avrei dovuto dirtelo da un pezzo, in realtà, ma mi sono lasciata prendere dai dubbi.” Proseguì la donna dopo una breve pausa, tornando a guardarlo negli occhi, ma prima che potesse aggiungere altro il compagno l’interruppe.
“Forse, proprio per questo, dovrei parlare prima io.” Disse con tono serio ma tranquillo.
Kurenai lo scrutò confusa, senza riuscire ad attribuire un significato preciso a quelle parole, poi lo vide spegnere la sigaretta, premendo quello che era quasi un mozzicone sul muretto, e gettarla nel cestino dietro di lui. Quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, rimase in silenzio, in attesa. Stranamente, in quell’istate le sembrava che nella sua mente ci fosse solo il vuoto, un vuoto in grado di far sparire l’eventualità che poco prima aveva respinto, ma non di dissolverla per il suo cuore, che traduceva l’indeterminatezza di quella frase in un battito più accelerato e una sensazione di calore all’altezza del petto.
“Nell’ultimo periodo, chi ha perso tempo inutile credo di essere stato solo io.” Affermò Asuma, mentre allungava una mano verso di lei, accarezzandole una guancia e scostandole alcune ciocche scure dal viso.
Non sapeva se si trattasse di un’impressione legata al momento o un semplice dato di fatto, ma trovava che fosse più bella del solito e, per un attimo, si soffermò ad ammirare il colore insolito dei suoi occhi.
“Ho finito per rendere tutto più difficile e mi dispiace, ma voglio metterci un punto.” Continuò dopo un po’, senza che gli sfuggissero la perplessità e l’agitazione ben leggibili sul volto della donna.
Lasciò scivolare la mano sulla sua spalla, mentre infilava l’altra nella tasca della giacca per recuperare la scatolina che vi aveva nascosto la sera prima. Per quanto avesse immaginato più volte come si sarebbe comportato in quel preciso istante, provava un terribile imbarazzo; ingoiò un grumo di tensione e strinse il contenitore tra le dita prima di tirarlo fuori definitivamente.
“Certe situazioni non fanno proprio per me, mi mettono a disagio, però… so anche che voglio trascorrere il mio futuro con te.” Disse mostrandole l’anello con un lieve rossore sul viso.
Alla vista di quel piccolo simbolo, Kurenai ebbe la sensazione che qualcosa sparisse all’improvviso; la preoccupazione, l’angoscia, il tormento delle continue riflessioni, tutto ciò che aveva già deciso di lasciarsi alle spalle sembrò essere ancora più lontano di pochi minuti prima.     
“Asuma…” Biascicò, con nella voce un misto di stupore e felicità.
Forse, nonostante tutto, ogni tanto la vita poteva anche esaudire qualche desiderio, pensò tra sé e sé, poi fece scivolare un braccio intorno al collo dell’uomo e lo baciò con foga stringendosi contro il suo petto. Quando dopo un po’ si allontanarono, si scambiarono uno sguardo che valse per entrambi più di mille parole.
“Devo prenderlo come un sì?” Chiese Asuma piegando le labbra in un’espressione serena, ormai sicuro della risposta che avrebbe ricevuto.
“Direi di sì.” Replicò la donna con un sorriso, finalmente più rilassata. “Ora, però, credo che sia il mio turno.”       
“Già, che dovevi dirmi?” Si informò l’altro scrutandola curioso, del tutto ignaro della notizia che lo attendeva.
“Ecco, diciamo che il tuo futuro non dovrai trascorrerlo solo con me, ma anche con qualcun altro.”
Sulle prime l’uomo non capì a che cosa quelle parole alludessero, ma quando nella sua mente  acquistarono un senso compiuto, sgranò gli occhi per la sorpresa.  
“Con qualcun altro intendi che… cioè tu… noi… “
Kurenai sorrise di fronte alla sua dolce confusione, abbracciandolo di nuovo.
“Sì, più o meno tra sette mesi saremo noi e un bambino.” Confermò.
In quell’istante, Asuma pensò che era solo felice, che nonostante il carattere improvviso di quella scoperta, nonostante le responsabilità che essere marito e padre avrebbe comportato, non avrebbe voluto essere in nessun altro posto. Non tardò quindi a baciarla, un altro bacio che li unì di nuovo in un silenzio ricco di emozioni e speranze.

Sistemare la situazione con Kakashi, quell’obiettivo era ben chiaro nella sua mente, ma metterlo in pratica le appariva molto più complicato. Se solo avesse avuto a disposizione un buon motivo di lavoro, avrebbe potuto iniziare senza troppo imbarazzo una conversazione destinata a scivolare su questioni personali. La fortuna, però, continuava a non essere dalla sua parte.
Ferma davanti all’ingresso del commissariato, Shizune si lasciò andare ad un sospiro di auto incoraggiamento e ad una scrollata di spalle, perfettamente consapevole che tergiversare non le avrebbe garantito un atteggiamento disinvolto. Entrò quindi nell’edificio e domandò ad un agente se l’ispettore fosse nel suo ufficio, ottenendo una risposta affermativa. Quando giunse davanti alla porta, trovò l’uomo intento ad esaminare il contenuto di una cartellina rossa e soprattutto da solo, un dettaglio che le procurò un indubbio sollievo; non dover escogitare un modo per parlargli senza nessuno intorno toglieva un prima problema.
Con un pizzico di sicurezza in più, bussò per attirarne l’attenzione.
Lo sguardo che in risposta si posò su di lei passò da un’iniziale inespressività ad una luce di comprensione; il poliziotto mise da parte i documenti e si alzò.
“Scusami per il disturbo.” Esordì la dottoressa.
“Non preoccuparti, piuttosto immagino che tu sia qui per ieri sera.” Le disse lui conciso, arrivando dritto al punto.
Shizune annuì stirando le labbra in una mezza smorfia, poi si avvicinò a passo lento alla scrivania.
“Ecco, io… volevo chiarire che per me… ”
“No, prima che tu dica qualsiasi cosa, devo essere io a chiederti scusa per quanto successo.” L’interruppe Kakashi serio. “Ho finito per farti credere qualcosa che non può esserci.”
“Beh, suppongo che la colpa sia anche mia per aver forzato la situazione.” Replicò l’altra ormai ferma.
Nonostante il suo sguardo sfuggente, che imputò all’imbarazzo della situazione, il poliziotto si tranquillizzò davanti al tono calmo di mera costatazione; era infatti consapevole che era stata lei a racchiudere le maggiori speranze nel loro appuntamento e per quel motivo il ricordo della sua fuga concitata dalla macchina lo aveva fatto preoccupare ogni volta che il suo pensiero era scivolato verso il loro prossimo incontro.
“Nessuno mi ha costretto ad accettare, quindi non porti il problema.” Disse con l’intento di sollevarla da ogni tipo di responsabilità.
Shizune gli rivolse un debole sorriso condito da un pizzico di rassegnazione; se proprio glielo concedeva, non le dispiaceva ritenerlo l’unico colpevole per essere finita nelle grinfie di Kabuto.
“Eh, già.” Sospirò, poi, notando negli occhi dell’uomo la perplessità per la sua reazione, si affrettò a proseguire. “Ma davvero, ormai non ha importanza, cioè, diciamo che la serata mi è servita per capire determinate cose, per cui per quanto mi riguarda possiamo metterci una pietra sopra. Ero venuta soprattutto per dirti questo.”
Kakashi la scrutò a metà tra la curiosità e la sorpresa; a quanto sembrava, non era l’unico ad aver ottenuto qualche vantaggio dalla situazione spiacevole che si era venuta a creare, una consapevolezza che contribuì a rassicurarlo ulteriormente.
“Inoltre, se anche per te va bene, non mi dispiacerebbe avere almeno un rapporto di amicizia al di fuori del lavoro.” Propose intanto l’altra, il disagio inziale ormai alle spalle, finendo così per spiazzarlo una seconda volta.
“Beh, non mi sembra una cattiva idea.” Acconsentì lui dopo qualche istante di silenzio, considerando in fin dei conti quell’atteggiamento maturo.
“Eh, bene, allora in amicizia puoi levarmi una curiosità.” Sorrise di nuovo Shizune, quella volta con malizia. “Chi hai per la testa?”
La domanda inaspettata mise in difficoltà il poliziotto, che imbarazzato non rispose subito e si portò una mano dietro il capo scompigliando appena i già ribelli capelli argentati.
“È una storia lunga.” Disse poi nel tentativo di glissare la questione, con un’espressione di apparente indifferenza sul viso.
Sapeva di non poter negare dopo la figuraccia della sera prima, ma non aveva nemmeno la grande voglia di parlarne, tantomeno in ufficio.
Di fronte alla sua reazione la dottoressa provò un’innegabile soddisfazione, compiaciuta per l’affidabilità del proprio intuito.
“Beh, potremmo prenderci un caffè e parlarne con calma, se non sei impegnato.” Suggerì.
“Il tempo di un caffè credo di avercelo, ma magari parliamo d’altro.” Rispose l’ispettore accettando a metà l’invito.
Quel secondo tentativo di elusione spinse Shizune a desistere per non risultare petulante; si limitò ad approvare il compromesso rimandando il proposito di scoprire qualcosa ad un secondo momento. Lasciarono così l’ufficio e raggiunsero il distributore all’ingresso del commissariato, dove in attesa della bevanda calda chiacchierarono del più e del meno attirando la curiosità di alcune agenti.
“Hai visto? Forse allora è vero che sono usciti insieme…” Sussurrò una ragazza bionda alla collega che camminava al suo fianco, sollevando all’altezza del viso i documenti che portava con sé.
“Eh, probabile, evidentemente c’è chi può.” Sospirò l’altra tra l’invidia e la rassegnazione.
Sakura, appena giunta nell’atrio, incrociò le due poliziotte finendo con l’intercettare il loro breve scambio di commenti e nel volgere lo sguardo verso quella che era anche la sua meta non ebbe difficoltà a intuire di chi parlassero, così come non l’ebbe il suo stomaco che si contrasse all’improvviso. Vedere Kakashi conversare con una certa confidenza era qualcosa di insolito che rendeva realistica l’ipotesi formulata dalle colleghe e quel pensiero era stato elaborato molto più velocemente dal suo fisico che dalla sua mente. Si morse il labbro inferiore per ricacciare indietro quella sensazione, rifiutandosi di approfondirla, di porsi inutili domande. Abbandonò l’idea del caffè e decise di ritornare subito da Naruto.     

La riunione con il commissario non aveva avuto per Shikamaru l’esito sperato; benché si fosse  augurato che l’idea azzardata di Ino venisse respinta, Tsunade aveva finito con l’acconsentire, pur con la premessa di ricorrere alle giuste precauzioni. Dal canto suo, avrebbe preferito qualsiasi altra opzione, persino prolungare ancora la loro missione di copertura nella scuola, piuttosto che mandare la collega nella tana del lupo. Poco gli importava che andare a casa di Sai Shimura rientrasse perfettamente nell’opera di avvicinamento e rendesse più semplice il controllo del suo cellulare, la riteneva lo stesso una scelta poco prudente, senza contare che alcuni elementi restavano per lui sospetti, dalla porta dello spogliatoio socchiusa al ritratto presente nell’album dello spacciatore. Aveva anche provato a sollevare tali obiezioni, ricevendo però le risposte che temeva: quegli elementi erano solo deboli dettagli e nel caso ci fossero stati problemi niente gli avrebbe impedito di arrestare il ragazzo e forzarlo a collaborare. Era stato così costretto ad accettare le decisioni del commissario senza poter aggiungere altro. Se ci avesse provato, era sicuro che l’irritazione di Ino nei suoi confronti sarebbe solo aumentata, perché avrebbe interpretato la sua insistenza come un voler mettere ancora in dubbio le sue capacità.
Rafforzò la presa sul volante, scaricando con quel gesto parte dello stress che provava; lottare contro la testardaggine dell’amica era come sempre stancante e, in quel momento complicato per il loro rapporto, lo era ancora di più. Continuò a fissare serio la strada davanti a sé. Non vedeva l’ora di risolvere la fastidiosa questione in sospeso che c’era tra di loro, così da spazzare via tutta la tensione che rendeva più difficile comprendersi e tornare finalmente ad essere il destinatario di un suo sorriso. La situazione creatasi dopo la discussione nella sala professori era stata davvero dura da sopportare e il solo pensiero che una Ino silenziosa e desiderosa di stare lontano da lui potesse diventare la normalità gli chiudeva lo stomaco con una morsa dolorosa.
Premette di più il piede sull’acceleratore, ansioso di percorrere l’ultimo tratto di strada il più in fretta possibile. Non ricordava di aver mai sentito un così forte bisogno di vederla come in quegli istanti e, anche se incontrarla avrebbe significato affrontare la sua difficoltà nel gestire questioni sentimentali, per la prima volta quel problema gli appariva un ostacolo superabile.
Quando il palazzo dove vivevano apparve in lontananza, provò non solo un innegabile senso di sollievo, ma anche un inizio di agitazione, che lo spinse a intimare al proprio cuore di non fare brutti scherzi prima ancora di arrivare nell’appartamento dell’amica. Piuttosto di raggiungere la zona retrostante la palazzina, decise di parcheggiare nel primo posto libero disponibile. Si fermò accostando al marciapiede, scese dall’autovettura e la chiuse con un giro veloce di chiavi, poi lanciò uno sguardo alla finestra illuminata del terzo piano. Istintivamente, si chiese che cosa facesse Ino in quell’istante, se magari pensasse a lui o se invece dormisse per non pensare oltre a quella giornata, ma accantonò subito la domanda, conscio che l’avrebbe scoperto a breve. Sospirò per imporsi di mantenere la calma e si affrettò a raggiungere la sua meta finale.
Quando finalmente ebbe davanti a sé l’amica, assisté alla reazione che aveva previsto: prima due occhi azzurri sgranati per lo stupore, poi un’espressione seria e contrariata.
“Che ci fai qui?” Esordì lei con evidente disappunto.
Anche se non si aspettava di rincontrarlo prima dell’indomani, non aveva alcuna voglia di innervosirsi ancora e soprattutto di provare una nuova bruciante delusione.
“Se mi fai entrare, vorrei parlarti.”
“Non vedo che bisogno ci sia...”
“Il bisogno c’è. Posso entrare?” Insisté Shikamaru con tono fermo.
Ino lo scrutò incerta; non era ordinario per lui replicare in modo drastico e giunse quasi a credere che fosse lì per compiere un gesto decisivo per il loro rapporto. Nel giro di pochi istanti, però, rigettò lontano quella possibilità a suo avviso illusoria e ricondusse l’atteggiamento dell’uomo a motivi lavorati; essendo anche lei una polizotta, sapeva bene che tensioni personali potevano influire negativamente e che dissiparle era in ogni caso la scelta migliore. Con rassegnazione si morse l’interno della guancia e si spostò dal vano dalla porta, lasciandolo entrare.
“Comunque stavo preparando qualcosa per cenare. Andiamo di là.” Disse atona, quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, poi, senza attendere nemmeno un piccolo cenno di assenso, lo superò e si recò in cucina.
Sollevato per aver raggiunto quel primo traguardo, Shikamaru la seguì più tranquillo di quanto avesse pensato pochi minuti prima e, varcando la soglia di un’altra stanza di quella casa che conosceva alla perfezione, immediatamente pensò che l’odore proveniente dai fornelli era come al solito invitante. Se i suoi sensi non lo ingannavano, una pentola bolliva a fuoco lento con al suo interno carne, spaghetti e un po’ di cipolla, ingredienti in attesa di essere raggiunti da qualche verdura. Vide, infatti, l’amica avvicinarsi ad un tagliere e riprendere ad affettare qualcosa di non identificato. Si sedette al suo posto abituale e rimase ad osservarla mentre eseguiva quella semplice e veloce operazione, con i lungi capelli biondi raccolti in una coda che ondeggiavano sulla schiena in corrispondenza dei movimenti delle braccia. Sarebbe potuta sembrare una serata come tante, se non fosse stato per il silenzio totale che li avvolgeva e il ricordo di una lunga settimana di cene solitarie alle spalle. Il desiderio pressante che tornasse tutto come prima lo indusse ad riaprire per primo la conversazione.
“Riguardo a stamattina, non era mia intenzione criticare la tua capacità di giudizio, volevo solo che fossi più prudente.” Affermò, partendo dalla questione per lui relativamente più semplice da affrontare.
Ino non rispose, ma sollevò il tagliere e con un movimento secco della lama del coltello fece cadere i pezzi di verdura nella pentola, un gesto che l’amico interpretò come un tacito segno di stizza. Incapace di capire cosa avesse detto di irritante non aggiunse altro, mentre la poliziotta pensava che aveva fatto bene a non tirare conclusioni affrettate dalla sua visita.
“Tsunade-sama ha già detto che in ogni caso non ci saranno problemi con le indagini, quindi è inutile parlarne ancora.” Gli disse apparentemente tranquilla, le mani ormai appoggiate al piano di marmo dopo aver rimesso giù gli utensili da cucina.
Di fronte al suo persistente atteggiamento di chiusura Shikamaru sospirò di stanchezza, poi si alzò deciso a mettere in chiaro una volta per tutte cosa lo preoccupasse davvero. Accortasi del suo spostamento, l’altra si voltò e gli indirizzò uno sguardo serio, in attesa di cosa avrebbe detto.
“Sì che è utile, invece, perché non è questo il punto.” Replicò il collega mentre faceva qualche passo verso di lei. “Ciò che mi interessa non sono le indagini, mi interessa piuttosto che non ti succeda niente.”
A quelle parole Ino si trovò involontariamente ad arrossire, sebbene non dovesse esserci nulla di strano nel sentirle pronunciare da un amico d’infanzia, considerando poi i rischi del loro mestiere. Non poté fare a meno di provare la stessa incertezza di quando l’altro aveva insistito per entrare, ma di nuovo si rifiutò di volare con la fantasia e cogliere nelle sue affermazioni sfumature inesistenti. Shikamaru notò il rossore improvviso comparso sulle sue guance e soprattutto il dubbio momentaneo nelle sue iridi azzurre, rimanendo un po’ amareggiato quando al loro posto comparve un’espressione disillusa, in netto contrasto con quanto avrebbe desiderato.
“Già, almeno questo da te posso averlo.” Disse lei con tono amaro dopo qualche istante di silenzio, a metà tra la delusione e la consapevolezza di non poter pretendere l’impossibile, mentre le attraversava la mente l’immagine del collega in compagnia della professoressa di francese.
Il suo sguardo malinconico e sfuggente fu per l’ispettore un pugno nello stomaco; in quell’istante una settimana di indecisione non gli sembrò semplicemente lunga, ma un abisso di tempo inaccettabile. Avanzò allora di un altro passo e allungò una mano verso il suo viso in un gesto impacciato, ribadendo a se stesso che non avrebbe mai più commesso l’errore di offuscare i suoi lineamenti con l’ombra della tristezza. Quando Ino avvertì il tocco inaspettato delle sue dita sulla pelle, sbarrò gli occhi per lo stupore e tornò lentamente a guardarlo, incapace quella volta di essere abbastanza razionale da incatenare in una visione pragmatica l’agitarsi inconsulto del suo cuore.    
“Non solo questo.” Sussurrò Shikamaru, poi si sforzò di lasciarsi guidare semplicemente dal battito accelerato che gli riscaldava il petto, così da soffocare l’imbarazzo che in simili situazioni il troppo pensare gli causava.
Fece scivolare la mano che sfiorava la guancia dell’amica dietro il suo capo, immergendola nei capelli morbidi, e le cinse un fianco con l’altra, attirandola a sé in un bacio che entrambi attendevano. Lo attendevano fin dall’uggiosa mattina in cui il filo del loro rapporto si era teso col rischio di spezzarsi e, in quel momento di stasi, giunse inevitabile ad avvolgerli una dolce sensazione di liberazione. Superato un primo istante di confusione, Ino approfondì con foga l’incontro dello loro lingue e lo abbracciò forte, salendo piano con le mani lungo la sua schiena per poi fermarsi a stringere tra le dita la maglia che indossava. Sentiva il bisogno pressante di accertarsi che quel contatto imprevisto tra i lori corpi non fosse più solo un sogno destino a rimanere tale. Dal canto suo, Shikamaru non si tirò indietro; averla così vicino da percepire la morbida consistenza delle sue forme e il suo profumo lo faceva sentire innegabilmente bene, oltre ad essere più piacevole di quanto immaginasse. Si diede dell’idiota per aver messo così tanto tempo a capire cosa provasse, rischiando di perdere tutto.
Fu solo il brontolio più intenso della pentola e un odore di bruciato che li indusse ad allontanarsi. Si fissarono negli occhi per un breve ma intenso istante, mentre i loro respiri si confondevano in un silenzio più significativo di mille parole, poi Ino si girò con un pizzico di fastidio verso la responsabile dell’interruzione e spense subito il gas. L’ispettore intuì senza problemi le possibili implicazioni della sua azione e non gli dispiacque affatto.
“Questa pentola ha un tempismo peggiore del tuo.” Lo punzecchiò la collega con un sospiro divertito, ancora volta di spalle.
Anche se la battuta ironica sottolineava il tempo sprecato, il tono leggero con cui era stata pronunciata non aveva più nessuna traccia dell’amarezza e dell’angoscia palpabili nella sua voce poco prima che si baciassero. Tale costatazione rilassò Shikamaru ancora di più, mentre si faceva strada nel suo animo quella piacevole sensazione di normalità e naturalezza che nell’ultima settimana era stata un ricordo lontano.
“Suppongo di sì.” Assentì, grattandosi leggermente il capo, con lo sguardo fermo sul suo profilo, impaziente di rivedere il suo viso finalmente sereno.
Dopo qualche istante Ino assecondò il suo desiderio; si voltò di nuovo verso di lui e gli mostrò il sorriso che le increspava le labbra sottili.
“Ma si può rimediare.” Disse maliziosa, riferendosi tanto al ritardo del collega nell’arrivare ad una decisone quanto all’intralcio causato dalla pentola.
Ricevuta così una conferma alla sua precedente congettura, l’ispettore non si lasciò sfuggire quell’invito indiretto; si appoggiò con le mani al piano della cucina, sfiorandole i fianchi con le braccia, e azzerò per la seconda volta la distanza tra i loro corpi con un nuovo bacio, augurandosi che non ci fosse nessun’altra interruzione.

Dopo aver trascorso l’intero pomeriggio a tormentarsi su quale fosse la scelta più giusta, Naruto era fermo davanti alla porta dell’appartamento di Sasuke già da qualche minuto, alla ricerca del modo più adatto per iniziare quella che sarebbe stata, non aveva alcuna difficoltà a prevederlo, una impegnativa e tesa conversazione. Sebbene anche Sakura gli avesse consigliato di dirgli quanto accaduto all’Alba, sapeva infatti che era mille volte più complicato del normale trattare con l’Uchiha quando l’argomento era suo fratello. Stanco di pensare, tirò un sospiro profondo e bussò, consapevole che eseguire qualcosa di prestabilito in situazioni spinose come quella non era affatto il suo forte. Quando venne ad aprirgli, l’amico lo accolse con un’espressione annoiata.
“Naruto…  perché sei qui a quest’ora?” Chiese con tono scocciato.
“Uhm, perché? Non mi dirai che stavi già dormendo, vero?”
“No, non dormivo, però…”
“Ecco, allora non c’è problema se ti faccio un po’ di compagnia.” Lo liquidò sbrigativo Naruto, entrando senza concedergli il tempo di opporsi.
Sasuke represse il fastidio per la sua invadenza sotto uno sbuffo di rassegnazione e richiuse la porta con la speranza di liberarsene tutto al più nel giro di un’ora, poi lo seguì mentre avanzava a passo sicuro nel suo appartamento, ostentando quella disinvoltura che dimostrava i lunghi anni di amicizia che li univano.
“Non avresti una ragazza con cui passare la serata piuttosto di venire a rompere me?” Gli domandò più come costatazione che come lamentela.
“Uff, che palle, Sasuke! Non lo sai che l’ospitalità è sacra?” Borbottò l’altro in risposta.
L’ispettore Uchiha aggrottò le sopracciglia e lo scrutò scettico; più che un ospite, in quel momento gli sembrava un invasore. Le sue azioni successive non gli fecero cambiare idea. Lo vide, infatti, addentrarsi in cucina e impossessarsi di stipi e fornelli, blaterando qualcosa sull’utilità di un buon tè caldo nel periodo invernale. Stufo di trovare una logica nel suo comportamento, Sasuke si sedette e gli lasciò campo libero, in attesa che la sua irruenza si placasse. Mentre recuperava tutto il necessario per preparare la bevanda, Naruto non smise di parlare, rimproverandolo per aver mangiato troppo tardi, come una padella ancora calda gli suggeriva, ed elargendogli consigli su che tipo di tè comprare in futuro. In un momenti diverso, l’Uchiha gli avrebbe volentieri fatto notare che gli orari della sua cena così come i suoi acquisti non erano un suo problema, ma per quella volta non disse nulla; preferiva che si concentrasse su questioni futili piuttosto che tornasse a chiedergli cosa lo tormentava negli ultimi giorni. Ciò che, invece, non comprese subito fu che averlo lì a riempire con la sua voce il proprio appartamento e ad allontanare le facili elucubrazioni notturne lo alleggeriva dal peso invisibile ma perfettamente percepibile che da lunghi anni gravava sul suo cuore. Se ne rese in parte conto solo quando all’improvviso tornò il silenzio e con esso una sgradevole sensazione di vuoto. Inarcò allora un sopracciglio posando uno sguardo serio e perplesso sulla schiena dell’amico, intento ad osservare le due tazze con le bustine di tè ormai in infusione. Attese qualche istante prima di domandargli che diavolo avesse e ridestarlo da quell’insolito mutismo. Naruto sospirò e chiuse i pugni per allontanare la tensione, poi decise di arrivare dritto al punto.
“Credo di aver visto tuo fratello Itachi.” Lo informò conciso.
Di fonte alla notizia improvvisa Sasuke sgranò gli occhi per lo stupore e aprì leggermente la bocca come per dire qualcosa, ma le parole gli si fermarono in gola, intrappolate tra l’incredulità e un principio di agitazione. Aveva trascorso tanti anni nell’attesa di ascoltare una frase simile, oscillando tra speranza e disillusione, e ora che quel momento era finalmente giunto aveva difficoltà a crederlo vero. Strinse con forza la superficie lignea sotto le proprie mani, sforzandosi di mantenere la calma.
“Dove l’avresti visto?” Disse con voce roca non appena ne fu in grado.
Pronto psicologicamente ad un seguito ben diverso da quella reazione pacata, l’altro poliziotto si voltò verso di lui e lo fissò dritto in volto.
“Stamattina alla discoteca Alba. Ci sono stato per delle indagini e ad un certo punto il barista ha chiamato Itachi un uomo dai lunghi capelli neri e con delle evidenti occhiaie. Tra la lista dei dipendenti compariva con un cognome diverso, però ti assomigliava davvero molto.” Gli spiegò, fornendo una descrizione che per l’ispettore Uchiha equivalse ad una conferma.
“Una discoteca? Qui a Konoha?” Domandò quello alla ricerca di un’ulteriore certezza dopo anni di lettere anonime, mentre il battito del suo cuore accelerava sotto effetto dell’adrenalina.  
Quando ricevette un cenno di assenso dal collega, incapace di rimanere seduto come se nulla fosse si alzò puntellandosi sul tavolo.
“E dove si trova?!” Esclamò impaziente.
Naruto non rispose subito, ma aggrottò le sopracciglia scrutandolo serio.
“Sasuke, vedi di non fare qualche cazzata.” Disse poi con tono grave, un tono così insolito per lui da intensificare il fastidio dell’amico per la risposta già di per sé brusca.
“E che cazzo vuoi saperne tu di cosa devo fare?!” Sbottò quello con rabbia, lanciandogli un’occhiata torva. “È impossibile che tu possa capire qualcosa!”
Il poliziotto biondo tirò un sospiro di rassegnazione e stanchezza; sin dall’inizio aveva previsto l’attacco affilato di quella non nuova recriminazione e, per quanto ogni volta lo ferisse l’impossibilità di comprendersi fin in fondo, era consapevole che ribattere sarebbe servito solo a peggiorare la situazione. Evitò quindi di appesantire la conversazione con altre questioni personali.
“Ti devo ricordare che stiamo indagando su un caso di droga da più di due mesi?” Gli fece notare sia per impedire che si mettesse nei guai sia per tutelare la fatica dell’ultimo periodo di lavoro. “Se tuo fratello è ancora coinvolto con lo spaccio, questa discoteca potrebbe anche essere legata con le nostre indagini e un’azzardata azione individuale rischierebbe di mandare tutto all’aria.”
Costretto ad incassare il suo sensato ammonimento, Sasuke abbassò lo sguardo e conficcò le unghie nei palmi delle mani; finalmente vicino all’obiettivo che perseguiva dal giorno lontano della morte di suo padre, il solo pensiero di dover ancora aspettare gli procurava frustrazione.
“Capisco che sia difficile, ma cerca di aspettare almeno un giorno. Per domani dovremmo riuscire a sapere se la droga che tu e Kakashi avete recuperato è compatibile e se può provenire dall’Alba. In tal caso i tuoi interessi e le indagini combacerebbero e potresti arrestare Itachi senza problemi per nessuno.” Proseguì Naruto nella speranza di calmarlo e farlo ragionare.
Immaginava cosa potesse provare in quegli istanti, non molti giorni prima anche il suo passato si era confuso con il caso di cui si stava occupando, ma come poliziotti avevano il dovere di anteporre a loro stessi l’interesse generale. Il consenso seccato che ricevette in risposta gli fece capire che il collega stava pensando la stessa cosa.



Note dell'autrice

Devo nascondermi da eventuali pantofole volanti, mi sa, ci ho messo di nuovo cinque mesi e passa, chiedo venia u_u
Putroppo per il possimo capitolo credo che sarà anche peggio, tra tirocinio e tesi perirò, quindi per ora godetevi quanto accaduto in questo capitolo  ^^' Finalmente due dei tanti nodi si sono sciolti e per quanto riguarda Asuma e Kurenai questa dovrebbe essere la loro ultima apparizione.
Non penso di dover dire altro, tranne che Sakura è un problema vivente e che nella scena finale non c'è traccia di  narusasu (lo specifico, non si sa mai^^')
Un grazie ad un Urdi e slice per le recensioni, alla beta che ha betato tutto in tempi veloci e a chi ha aggiunto la storia in preferiti o seguite.

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


CAPITOLO XI



Qualche timido raggio di sole invernale le illuminava i capelli sciolti sulle spalle, creando un affascinante gioco di riflessi dorati. Quella mattina Shikamaru sarebbe rimasto ad osservarla per ore se avesse potuto. Le scostò alcune ciocche dal viso, accarezzando con lo sguardo i lineamenti delicati immersi nell’incoscienza del sonno, gli occhi chiusi e le labbra leggermente aperte in un’espressione serena. La netta sensazione di aver perso tempo, causando sofferenze e turbamenti inutili ad entrambi, lo colpì per l’ennesima volta, ma la scacciò velocemente lasciando spazio ai ricordi vividi della notte appena trascorsa.

Le sfiorò la guancia con le dita, iniziando a percorrere con calma il suo profilo, l’incavo del collo, la spalla e il braccio disteso lungo il fianco. Appena notò piccoli segnali di risveglio si abbassò per darle un bacio a fior di labbra, poi azzardò ad approfondirlo ottenendo la reazione sperata: il soffio di un sorriso e l’incontro delle loro lingue. Sentì subito le mani affusolate di Ino muoversi; immergersi prima nei suoi capelli, poi scendere lente lungo la schiena per stringerlo in un abbraccio che aveva un senso di liberazione e aspettativa. Non avevano bisogno di parole per essere sicuri di condividere in quegli istanti la stessa felicità. Si baciarono senza fretta, confondendo i loro respiri in uno solo e scambiandosi brevi sguardi di intesa, mentre si dedicavano carezze reciproche. Avrebbero volentieri trascurato gli impegni giornalieri se solo non avessero avuto la consapevolezza della loro importanza. 
Con un sospiro a metà tra la soddisfazione e la rassegnazione, Ino acconsentì all’interruzione di quei piacevoli momenti, si lasciò avvolgere dalle braccia di lui e reclinò il capo sul suo petto, sfiorandone con le dita la peluria leggera e la pelle accaldata. Non ricordava più per quanto tempo avesse desiderato di risvegliarsi così al suo fianco, stretta al suo corpo nudo e con le sue mani tra i capelli. Di sicuro non avrebbe mai immaginato che potesse avvenire in modo movimentato.    
“Non ti facevo così intraprendente di primo mattino.” Sussurrò esternando in parte i suoi pensieri, una nota di ironia nella voce e un sorriso canzonatorio sulle labbra.
“Neanch’io.” Rispose Shikamaru con sincerità, ignorando la frecciatina.
Sorpresa e incuriosita dalla sua replica, la poliziotta si sollevò su un gomito per guardarlo dritto negli occhi scuri.
“Quindi abbiamo scoperto qualcosa sul DNA Nara.” Affermò divertita.
Si protese poi a baciarlo di nuovo, facendo scorrere lentamente una mano sui suoi pettorali fino a toccargli il viso. L’ispettore strinse le dita di lei tra le sue, prolungando il più possibile quel nuovo contatto, dopodiché le permise di alzarsi anche se con un pizzico di disappunto. Per un attimo sperò con tutto se stesso che la giornata di lavoro si concludesse in fretta e pacificamente, così da potersi ritrovare di nuovo sdraiato in un letto con lei senza alcun tipo di pensiero. Le parole di Ino gli ricordarono però che quel giorno non si prospettava affatto tranquillo.         
“Ora conviene muoverci o arriviamo in ritardo. E oggi non posso proprio, devo beccare Sai. Non vorrei che si sia dimenticato che oggi pomeriggio ci dobbiamo incontrare.” Disse Ino mentre si vestiva.  
Shikamaru rimase a fissare i suoi movimenti accompagnati dal lieve ondeggiare dei capelli, lottando contro l’agitazione che l’aveva assalito con prepotenza. Credeva di aver accettato l’idea di quella missione improvvisata, invece essa riusciva ancora a preoccuparlo più di quanto immaginasse. Trasse un sospiro, sforzandosi di razionalizzare e recuperare il controllo su se stesso e sulla situazione. In quanto ispettore, aveva la possibilità di organizzare nel modo più sicuro possibile l’incontro della collega con lo studente ed era quello che avrebbe fatto, senza cedere a nessuna protesta.   
“Allora, hai intenzione di vestirti anche tu oppure no?” Chiese Ino girandosi all’improvviso verso di lui.
Shikamaru non rispose, ma al suo silenzio faceva da contrappunto una rapida elaborazione mentale sulla strategia più adatta per la riuscita della sua idea. Il corrugarsi repentino delle sopracciglia di Ino e il suo sguardo indagatore puntato addosso lo spinsero però a rimandare la sua pianificazione, restio a sostenere una eventuale discussione proprio in quel momento. Emise un mugugno di assenso e si decise finalmente ad alzarsi.
 


Il silenzio non gli si addiceva; sentir pronunciare da Naruto solo qualche parola era talmente insolito da apparire addirittura bizzarro. Se non ne avesse conosciuto le ragioni, Sakura sarebbe potuta anche scoppiare a ridere; invece il borbottio ancora incerto della caffettiera amplificava l’ansia che il suo atteggiamento le trasmetteva. Quando era arrivato l’aveva salutata con un lieve bacio sulle labbra, prima di esternare in un veloce e frammentario resoconto i dubbi e i timori che gli aveva lasciato l’incontro della sera prima con Sasuke. Si era poi seduto al tavolo della cucina, accettando la proposta di un caffè caldo, ed era rimasto lì a rimuginare, alcuni fogli tra le mani e un’espressione pensierosa sul viso.
Col diffondersi dell’aroma intenso della bevanda, Sakura tolse la caffettiera dal fornello e riempì due tazzine, accompagnando quei gesti automatici con il desiderio di tranquillizzarlo. Anche se si conoscevano poco, confidava nella professionalità e nel buon senso dell’ispettore Uchiha. Nonostante le questioni personali, era sicura che non avrebbe messo in pericolo se stesso e tanti mesi d’indagini, così come ne era perfettamente consapevole anche Naruto. Doveva solo trovare il modo per rinsaldare in lui una simile certezza.
Lo raggiunse e appoggiò un vassoio a pochi centimetri dal suo naso, distogliendolo senza alcun preavviso dalle sue meditazioni e riservandogli un’occhiata velata di disappunto.
“Allora, hai finito di pensare? Sono sicura che tra qualche altro istante potrebbe sbucare lo stesso Sasuke a dirti che sei troppo silenzioso!” Esordì con tono di finto rimprovero.
Il compagno la fissò sorpreso per tutto il tempo necessario a metabolizzare il significato delle sue parole, poi si scusò abbozzando un sorriso.
“Mi dispiace, stamattina non sono di compagnia. Comunque sì, lo so, Sasuke ci penserà una volta in più prima di commettere qualche cavolata. Tuttavia quando si tratta di suo fratello diventa sempre tutto più difficile e non riesco a non preoccuparmi.” Spiegò prima di accantonare i fogli che stava esaminando.
“Anche se non conosco tutta la situazione, posso capire perché tu sia preoccupato.” Replicò la giovane donna dopo qualche istante, recuperando la sua tazzina. “Però se ti ha dato la sua parola, credo che dovresti fidarti di lui.”
“Uhm, Sasuke non dà parole, ma soltanto mugugni di assenso.” Commentò l’ispettore con aria distratta, lo sguardo perso nel liquido scuro.
Bevve in due sorsi veloci il caffè e tornò ad incrociare lo sguardo della collega.
“In ogni caso lo terrò a bada nei prossimi giorni.” Disse con voce sicura e un’espressione incoraggiante.
Sakura si chiese come diavolo fosse riuscito a ribaltare la situazione; sembrava essere lei e non lui ad aver bisogno di qualche rassicurazione. Si lasciò andare a un sospiro interiore, un misto di sollievo e rassegnazione, poi, finalmente più serena, si concentrò sui suoi ragionamenti.  
“Con molta probabilità Tsunade riceverà già oggi i risultati delle analisi della scientifica e, se l’esito è quello che speriamo, sono pronto a scommettere che è proprio l’Alba la discoteca da cui proviene la droga. Se sarà così, non potrò nascondere la questione di Itachi.” Spiegò Naruto con perfetta calma.
“Credi che sia davvero il caso di informare il commissario? Potrebbe decidere anche di escluderlo dalle indagini per il suo coinvolgimento.” Obiettò la collega.
“No, non lo farà, Sasuke è pur sempre uno dei migliori poliziotti del commissariato, oltre al fatto che ha condotto le indagini fin dall’inizio. Quello che è sicuro è che eviterà di affidargli compiti individuali ed è meglio così per lui e per le nostre indagini.”
“Forse hai ragione. Comunque, secondo te, l’Alba può essere davvero uno dei poli dello spaccio? Sulla lista dei dipendenti non c’era nessuno che avesse dei precedenti penali. Certo, il cognome del fratello di Sasuke era diverso, però considerando i suoi precedenti potrebbe essere solo il suo caso.”  
L’ispettore rimase per qualche istante in silenzio, come intento a raccogliere i diversi pensieri che gli attraversavano la mente, poi riprese i fogli abbandonati e glieli passò.
“Potrebbe essere solo il suo caso, ma anche quello di parte dei dipendenti. Dato che non riuscivo a dormire, ieri notte ho provato a fare qualche ricerca in più e in breve per alcuni non sono riuscito a trovare nemmeno un’informazione personale. È come se non esistessero. Mi viene da pensare che siano identità false.“
Sakura lo ascoltò con attenzione, mentre leggeva il contenuto delle pagine che aveva tra le mani. C’erano alcuni nomi cerchiati in rosso e delle annotazioni, tra cui le balzò subito agli occhi quella relativa all’uomo con cui avevano parlato all’Alba.
“Non ci avevo affatto pensato. In effetti Ino disse che il ragazzo che spaccia all’interno della scuola aveva accennato ad un certo Sasori. Ma quante probabilità ci sono che siano la stessa persona?”
“Forse poche, però se ricordo bene la foto dello studente hanno lo stesso colore di capelli. Probabilmente è un dettaglio, ma se avessero qualche legame di parentela che spiegherebbe anche il coinvolgimento del ragazzo nello spaccio?” Ipotizzò l’altro.
“Potrebbe anche essere. Dopo mando un messaggio a Ino e vediamo se oggi riesce a scoprire qualcosa che possa confermare questa ipotesi.” Affermò la poliziotta, per poi sollevare un altro dubbio. “Per quanto riguarda le identità false, invece, se così fosse, come ti spieghi che nessuno abbia mai scoperto nulla? Cioè le discoteche sono pur sempre dei luoghi che vengono controllati spesso, tanto più per questioni di droga. Possibile che l’Alba abbia superato indenne ogni controllo?”
“Ci ho pensato anch’io, in realtà, e non so se sono giunto ad una spiegazione plausibile. Però tempo fa Sasuke mi disse che nella storia di spaccio in cui era coinvolto il fratello c’era di mezzo la criminalità organizzata.” Rispose Naruto con sguardo improvvisamente più serio.  
Nel sentir pronunciare le ultime parole la giovane donna avvertì una corda del suo animo tremare con forza, procurandole un dolore sordo, ben noto ma come ogni volta inatteso. Strinse d’istinto i pugni, mentre ricordi e pensieri si intrecciavano confusamente nella sua mente. Non aveva affatto bisogno che il compagno completasse il ragionamento; conosceva in prima persona di cosa fosse in grado la malavita e che potesse riuscire a nascondere i suoi sporchi affari era così ovvio da risultare odioso. Ingoiò un moto di rabbia, incapace di parlare. Si accorse di aver abbassato il viso solo quando sentì la mano di Naruto, calda e protettiva, posarsi sulla sua e stringerle le dita.
“Anche se c’entrasse in qualche modo la criminalità organizzata, questa volta non riuscirà a passarla liscia.” Asserì deciso, una viva luce di determinazione negli occhi. “E dato che abbiamo parlato anche troppo delle indagini, ora direi che potremmo scendere al bar a mangiare qualcosa.”
Proseguì alzandosi e rivolgendole un ampio sorriso.
Sakura sorrise di rimando, la tristezza e la tensione attenuate dalla sensibilità e dalla bontà della persona che aveva davanti. Lo ringraziò mentalmente e si alzò a sua volta accettando la sua proposta.  
    

     

Nel bar di fronte al commissariato regnava una piacevole quiete. Superate ormai le primissime ore della mattina, con il loro consueto affollarsi di studenti e impiegati, erano poche le persone che entravano per prendere un caffè o qualcosa da mangiare, chiacchierando magari con un amico. Chiusa nel suo ufficio tra rapporti e riunioni o in giro per le strade di Konoha ad indagare, per Tsunade era raro potersi rilassare; ma in quei minuti di attesa, scanditi da quel lento e irregolare flusso di clienti, vi stava quasi riuscendo, se non fosse stato per un pensiero che era diventato in breve tempo un estenuante tarlo fisso. Sapeva di non poter più tergiversare, di dover dare una risposta chiara a Jiraya, solo che trovarne una soddisfacente sembrava un’impresa impossibile. Ricordava in modo vivido la rassegnazione venata di delusione che aveva attraversato il suo sguardo, e il solo pensarci contribuiva ad alimentare la rabbia verso se stessa. Odiava non capirsi, tanto più se ciò implicava far soffrire qualcun altro. Non poteva negare di aver provato piacere di fronte alla proposta di matrimonio, ma allo nello stesso tempo un peso invisibile le opprimeva la bocca dello stomaco ogni volta che la mente le riproponeva la fatidica domanda. Se solo fosse riuscita a dargli un nome, avrebbe trovato il nodo della matassa. Trasse un sospiro di stanchezza, appoggiandosi di più contro lo schienale della sedia, la tazza di tè stretta tra le mani. Nell’ultimo giorno, pressata dalle aspettative di Jiraya, aveva vagliato diverse ipotesi, con più insistenza di quanto non avesse fatto nell’ultimo periodo della loro relazione, abituata ormai alla routine quotidiana della loro vita insieme. In un ennesimo tentativo di giungere ad una conclusione, lasciò che quelle congetture sfilassero di nuovo davanti ai suoi occhi, confondendosi ai fili di fumo emanati dalla bevanda ancora calda. L’unico problema era che sembravano averne la stessa inconsistenza. La paura che potesse cambiare qualcosa nel loro rapporto, la difficoltà di conciliare il matrimonio con le rispettive carriere, una inconscia incertezza dei propri sentimenti, queste e altre possibilità a cui aveva pensato, continuavano ad apparirle lontane dalla realtà del suo animo.
Sbuffò con forza, avvicinando la tazza alle labbra, poi soffiò sul liquido ambrato e ne bevve un sorso con calma. Davvero trovava inconcepibile l’esitazione che la bloccava. Già una volta le era stato chiesto di sposarsi e non aveva avuto tante difficoltà a prendere una decisione. Certo, allora era molto più giovane, ma non per quel motivo meno consapevole dell’importanza e delle implicazioni di un matrimonio. Inoltre, per quanto non le piacesse operare confronti, non aveva amato Dan più di quanto non amasse Jiraya. Incapace di trovare una differenza con il passato, si perse a fissare i suoi lineamenti tremolanti nel tè, mentre spinta dal groviglio dei suoi pensieri o da un sottile gioco dell’inconscio la sua mente volava indietro nel tempo. A sostituire la sua immagine riflessa e i piccoli suoni del bar sopraggiunsero il viso sorridente di Dan, il tono pacato della sua voce, il momento in cui le aveva chiesto di essere sua moglie. Sebbene fossero trascorsi tantissimi anni, ricordava in modo nitido la felicità di quegli istanti; peccato però le fosse impossibile riviverla a pieno. Rafforzò la presa intorno alla tazza, mordendosi il labbro inferiore. Il tempo guarirà tutte le ferite, le avevano detto, eppure non era un’illusione il dolore silenzioso che ancora provava; la morte di Dan in una delicata operazione di polizia sarebbe rimasta per sempre una cicatrice indelebile del suo cuore. Per non cedere alla tristezza si sforzò di interrompere quel flusso di sensazioni, chiudendo gli occhi e continuando a sorseggiare il suo tè. Lasciarsi travolgere dal passato quando doveva decidere del suo futuro era solo controproducente. Fu la voce profonda di Jiraya che la strappò una volta per tutte alle sue meditazioni.
“Io lo lascerei raffreddare, una scottatura sulla lingua potrebbe causare qualche problema tecnico.“ Esordì l’uomo accomodandosi di fronte a lei.  
In condizioni normali, Tsunade gli avrebbe scoccato un’occhiataccia, ma in quel momento la sua battuta maliziosa le comunicò un improvviso senso di leggerezza. Un sorriso accennato comparve sulle sue labbra, nascosto da un “idiota” borbottato.
“Piuttosto di dire cavolate faresti meglio a parlare di lavoro.” Replicò riappoggiando la tazza sul tavolino del bar, mentre ancora una volta lo ringraziava mentalmente di non farle pesare la sua indecisione.
“Già, prima il dovere e poi il piacere, come si suol dire.” Affermò il nuovo arrivato con finta sottomissione, poi fece scorrere verso di lei una cartellina scura.
La donna la scrutò per un secondo, conscia che il contenuto avrebbe potuto rappresentare la svolta di lunghi mesi di lavoro, dopodiché allungò la mano per afferrarla e la aprì senza perdere ulteriore tempo. Il suo sguardò si posò subito sugli ideogrammi che le annunciavano il risultato delle analisi; rilesse quelle parole più di una volta per essere sicura di non sbagliarsi, ma l’esito era e restava positivo. Tirò un sospiro di soddisfazione e richiuse con un gesto rapido il documento;  finalmente avevano un elemento che avrebbe aumentato le loro possibilità di successo, una volta incrociato con gli altri tasselli del puzzle.
“Ora dovresti ringraziarmi per averti portato buone notizie.” Disse Jiraya intromettendosi ancora una volta nei suoi pensieri.
Tsunade incrociò il suo sguardo, sollevando un angolo della bocca in una smorfia a metà tra il divertimento e la rassegnazione.          
“Lo farò non appena avrai davvero buone notizie. Questo è solo un primo passo, alla fin dei conti.” Ribatté.
“Uhm, a tempo debito ti toccherà farlo come si deve allora.” L’avvisò l’uomo, per poi concentrarsi definitivamente sulle questioni lavorative. “Comunque mi sembra che sia ben più di un primo passo, no?”
“È un inizio, poi dobbiamo scoprire con sicurezza il locale da dove proviene la droga, facendo qualche supplemento di indagine, e capire se tutto ciò può davvero condurci più facilmente alla fine delle indagini.” Spiegò il commissario con tono calmo, incrociando le dita sul tavolo, come era suo solito nei momenti di concentrazione.
“Ho capito, avete ancora un bel po’ di lavoro da fare, tuttavia se tutto procede per il verso giusto avrete la possibilità di ottenere buoni risultati per Konoha, con buona pace del sindaco.” Commentò Jiraya nel tentativo di incoraggiarla.
Tsunade gli rivolse un mezzo sorriso di ringraziamento, ma nello stesso tempo non poté trattenersi dall’indugiare sul pensiero improvviso che era sopraggiunto a turbare i suoi progetti per il futuro delle indagini.
“Già, mi chiedo però se abbiamo tutti i mezzi a disposizione per una eventuale retata. Sarebbe seccante dover chiedere aiuto dopo tutto la fatica che abbiamo fatto, ma d’altra parte potremmo non avere altra scelta, soprattutto se ci toccasse sovrapporre le operazioni.”    
“Sovrapporre?” Domandò l’uomo aggrottando le sopracciglia. “Ok, credo di essermi perso qualche passaggio, comunque nel caso servisse davvero una mano in più ricordati della scientifica. Ogni tanto un po’ di lavoro attivo non ci dispiace.” Continuò, con una nota di orgoglio nella voce e un’espressione compiaciuta sul viso, che disorientarono la poliziotta.
Di fronte a quella proposta la donna rimase infatti in silenzio, colta da un improvviso senso di vuoto. Incapace sulle prime di coglierne la ragione, strinse le dita in un gesto istintivo, come a proteggersi dalla voragine ignota su cui si sentiva da un istante all’altro in bilico. Si rese conto di aver trattenuto il respiro solo quando Jiraya la chiamò per nome e le domandò se ci fosse qualche problema. Per non farlo preoccupare mormorò qualche parola di diniego, mentre cercava di ricomporsi da quell’attimo di confusione. Benché poco convinto il compagno annuì lasciando cadere la questione, deciso però ad approfondire in un secondo momento.
“Ok, io allora torno a lavoro. Se ti serve altro per le indagini, fammi sapere. E fai raffreddare quel tè prima di finire di berlo.” Disse facendole l’occhiolino, poi si alzò, la salutò con un breve cenno della mano e lasciò il locale.  
Tsunade lo guardò andar via pensierosa, chiedendosi cosa di preciso nelle parole o nell’atteggiamento di Jiraya avesse scatenato la sua reazione. Che fosse stata la tranquillità e la sicurezza nel farle una proposta così delicata? Ma in fondo poteva considerare delicato qualcosa che faceva semplicemente parte del loro lavoro? Il rischio era certamente insito nella loro vita da poliziotti, ma a volte trovava difficile pensarci senza avvertire un groppo in gola. Deglutì provando invano a liberarsene, mentre il ricordo di Dan giungeva di nuovo come un fulmine a ciel sereno; e quando nella nebbia della memoria il suo corpo inerte in un letto d’ospedale assunse le sembianze dell’uomo seduto di fronte a lei fino a pochi istanti prima, le sembrò che il mondo le crollasse addosso. Serrò gli occhi e strinse i pugni per soffocare la paura. Dopo lunghe e inconcludenti riflessioni aveva trovato senza volerlo ciò che cercava; ogni tassello era tornato al proprio posto dando un senso compiuto a domande, dubbi ed incertezze. Tornò a fissare la sua tazza di tè con sguardo distante. La risposta era semplice, ma di una semplicità paralizzante, tanto che la sua parte razionale si era impegnata ad evitarla a lungo. Il timore di perderlo proprio in coincidenza del matrimonio come era successo con Dan era così forte che l’aveva seppellito nel profondo del suo cuore pur di non doverlo affrontare. Sospirò sentendosi incredibilmente stupida; non poteva negare né a Jiraya né a se stessa una tappa importante del loro rapporto per qualcosa che in fondo poteva succedere in ogni momento. Giunta finalmente ad una conclusione, provò un profondo senso di sollievo e riuscì a dedicarsi una volta per tutte alla bevanda che aveva ordinato, conscia di doversi chiarire con il compagno appena possibile.          



Appena era arrivato in commissariato, Sasuke si era rifugiato nell’archivio alla ricerca di solitudine.
Dopo la notizia ricevuta da Naruto sentiva il bisogno di stare da solo per pensare e contenere il subbuglio di sentimenti che l’accompagnava dalla sera prima.
Finalmente, dopo lunghi anni, le lettere anonime che l’informavano della presenza di Itachi a Konoha si erano rivelate veritiere. Nell’ultimo periodo aveva iniziato a dubitare della loro fondatezza, ma nell’istante preciso in cui l’amico gli aveva comunicato di aver visto suo fratello ogni perplessità era sparita del nulla. Poco importavano la stranezza di quelle lettere o i vani tentativi di trovare un riscontro nei rapporti di vecchi casi di droga e nelle conoscenze di diversi informatori; ciò che contava era solo la certezza di avere quasi raggiunto l’obiettivo da cui era nata la scelta di diventare un poliziotto: presto avrebbe arrestato l’uomo che gli aveva stravolto la vita.
Nella notte appena trascorsa si era sforzato di reprimere il desiderio di precipitarsi subito a cercarlo, sostituendo a fatica la frustrazione e la rabbia per non poter agire con un miscuglio di trepidazione ed esaltazione. Voleva guardarlo dritto negli occhi, rinfacciargli tutta la delusione e la sofferenza che ancora stringevano il suo cuore in una morsa e chiudergli le manette intorno ai polsi. Desiderava giustizia per la morte di suo padre e il dolore silenzioso di sua madre, ripulire il nome della sua famiglia e porre fine ad un capitolo del suo passato.     
Con Itachi in galera avrebbe poi potuto guardare avanti, anche se in quel momento il futuro gli appariva ancora incerto. Non sapeva come si sarebbe sentito dopo la fine di quel lungo inseguimento, né tanto meno cosa avrebbe fatto. Qualche volta l’aveva sfiorato l’idea di riprendere in gestione l’azienda di suo padre, ma la consapevolezza di aver iniziato ad amare la vita in polizia aveva reso tale ipotesi sempre più sporadica.
Prima di cedere a riflessioni premature, accantonò quegli interrogativi e si concentrò su quanto sarebbe accaduto nelle ore e nei giorni successivi. Se le analisi della scientifica e l’interrogatorio di Kiba Inuzuka avessero confermato le loro aspettative, nessun altro ostacolo si sarebbe più frapposto tra lui e Itachi. Sebbene lo seccasse profondamente, sarebbe stato costretto ad informare il commissario e i colleghi delle vicende della sua famiglia, ma era sicuro che ciò non gli avrebbe impedito di partecipare attivamente alle indagini. Era un suo diritto, così come era lui il primo ad avere tutto l’interesse a non compromettere la buona riuscita del loro lavoro. Qualunque cosa pensasse Naruto, era perfettamente in grado di controllare le sue azioni, nonostante la tempesta che gli si scatenava dentro al solo pensiero di trovarsi davanti suo fratello.
Trasse un profondo sospiro, raccogliendo tutta la calma di cui disponeva per cominciare a lavorare. Si alzò dalla scrivania abitualmente occupata da Izo-san e si recò nel suo ufficio, dove incontrò Kakashi seduto a sfogliare alcuni documenti. L’uomo si accorse quasi subito della sua presenza, alzò lo sguardo e lo salutò.
“Ben arrivato, ti stavo aspettando.” Disse serio.
Sasuke inarcò le sopracciglia in un’espressione interrogativa prima che una luce di comprensione balenasse nei suoi occhi: era la notizia che attendeva ed era arrivata così velocemente da coglierlo alla sprovvista. Un brivido di esultanza corse lungo la sua schiena, ma si impegnò a celarlo sotto un’apparente tranquillità.
“Mi ha chiamato Tsunade-sama pochi minuti fa. Sono arrivate le analisi sulla droga e a quanto pare le due dosi che abbiamo trovato sono compatibili.” Lo informò il collega, indicando con un rapido cenno i fogli che stava leggendo. “Ho recuperato anche una copia del rapporto della stradale. Conoscere qualche dettaglio sulla dinamica dell’incidente potrebbe esserci utile se sarà necessario mettere sotto pressione Kiba Inuzuka, dopotutto dovrà confermarci aspetti non esattamente piacevoli.”
“E i risultati dell’autopsia sul ragazzo morto?” Chiese l’ispettore Uchiha con tono inespressivo.
“Shizune ancora non li ha portati, ma mi ha detto che lo avrebbe fatto in mattinata. In ogni caso credo sia difficile che il ragazzo non fosse sotto effetti di stupefacenti.” Rispose Kakashi.
“Forse, ma meglio avere un riscontro prima dell’interrogatorio. Chiama la dottoressa e dille di comunicarci i risultati il prima possibile. Io cerco di contattare l’Inuzuka per farlo venire oggi pomeriggio.” Affermò Sasuke in modo asciutto, poi uscì dall’ufficio.
Sebbene l’Uchiha avesse sempre dei modi molto perentori e sbrigativi, il collega rimase ugualmente a fissarlo perplesso. Non si sarebbe aspettato un atteggiamento così freddo e una sparizione così improvvisa. Ebbe l’impressione che dovesse esserci qualcosa che lo turbasse, ma conscio di poter fare ben poco tornò a esaminare il rapporto di Tenzo.     
 

Note dell'autrice                                

Dovrei nascondermi per sfuggire ai pomodori, me ne rendo conto uu

Chiedo immensamente scusa per questo enorme ritarado (tre anni... se solo ci penso mi ansio da sola), ma tra fine università, un po' di lavoro in altri lidi, studio matto e disperato e il magnifico tfa (se non sapete cosa sia, vuol dire che siete ancora sani mentalmente) non sono più ruscita a concentrarmi su questa storia. Cercherò di rimediare comunque, evitando altri ritardi di questo tipo.
Accantonate le scuse, parliamo del capitolo. C'è qualche scoperta e qualche informazione in più, ma fondamentalmente è un capitolo di transizione. Nei prossimi in compenso succederà di tutto, dato che da qui inizia la parte conclusiva della storia.
Spero che il capitolo non vi abbia proprio annoiato e che il prossimo non arrivi in tempi biblici.
Un grazie a storyteller lover per il betaggio sempre veloce e a chi continuerà a seguire la storia.             

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo 12




Nel primo pomeriggio, Kiba Inuzuka varcò la soglia del commissariato, con un braccio fasciato stretto contro il torace e lo sguardo che vagava incerto tra gli uomini in divisa.
Cercava qualcuno che gli indicasse a chi rivolgersi, con un macigno sullo stomaco che probabilmente non l'avrebbe abbandonato per tutto l'interrogatorio; Kakashi poteva intuirlo dai movimenti esitanti, dall'espressione tesa e dal sospiro di stanchezza che si lasciò sfuggire non appena un agente gli si avvicinò.
Aveva perso il conto di quante persone aveva visto entrare in centrale con la voglia di andarsene immediatamente, sperando di seppellire l'angoscia sotto il ritmo sempre uguale della quotidianità, nonostante l'amara consapevolezza che il ritmo non poteva più essere lo stesso.
Aveva provato quelle sensazioni sulla propria pelle anni addietro e non gli era difficile riconoscerle. Non capì cosa esattamente l'avesse spinto a pensarci, ma si affrettò ad allontanare ogni possibile ombra di turbamento, prima che il collega accompagnasse il giovane direttamente da lui.
“Ispettore, il ragazzo è qui per un interrogatorio”, lo informò con un piccolo cenno della mano diretto verso il nuovo arrivato.
“Grazie, Kuro-san, ci penso io. Per favore, avvisa l'ispettore Uchiha di raggiungermi.”
L'interrogatorio rappresentava un momento di svolta per le indagini e vi avrebbero assistito anche Naruto e Sakura, sebbene da un'altra stanza, ma gli parve superfluo comunicarlo a Kiba Inuzuka. Si limitò solo a presentarsi e a chiedergli di seguirlo, indossando l'espressione più rassicurante possibile: riteneva controproducente aggiungere ulteriori fattori di agitazione all'ansia già palpabile, a meno che la necessità di giungere alla verità non lo rendesse inevitabile, qualcosa che avrebbe scoperto solo tra qualche minuto.
Invitò il ragazzo ad accomodarsi, prima di sedersi a sua volta davanti ai documenti che aveva in precedenza lasciato sul tavolo: il rapporto della polizia stradale, ma soprattutto i risultati dell'autopsia, supporti molto utili per creare pressione ma di cui sperava vivamente di fare a meno.
“Il mio collega arriverà a breve, intanto puoi iniziare a raccontarmi ciò che ricordi del sinistro” esordì, recuperando per primo il foglio scritto da Tenzo.
Come al solito la penna dell'amico era riconoscibile nella precisione e semplicità della descrizione, al punto che gli sembrava quasi di vedere le fasi dell'incidente scorrere davanti agli occhi e ciò non poteva che essere un vantaggio; sarebbe stato più semplice intuire dalle risposte del ragazzo quale fosse il suo stato mentale durante l'accaduto, se fosse lucido oppure ottenebrato dall'alcool o, peggio, dalla droga.
L'Inuzuka parve raccogliere le idee prima di replicare, con le labbra strette in una linea di concentrazione e una luce di amarezza nello sguardo.
Forse non aveva avuto il tempo o le forze di pensare ad una spiegazione oppure semplicemente ricordare era l'ultima cosa che avrebbe voluto.
“Non ricordo bene cosa sia successo...” cominciò titubante, “avevo bevuto un po’ troppo, per questo avevo lasciato che Shino guidasse.”
L'alcool dunque risultava essere stato il primo responsabile dell'incidente, mettendo al volante la persona sbagliata, pensò l'ispettore, mentre lanciava un'occhiata veloce ad alcune frasi del rapporto. Si chiese però a quanto equivalesse quel “bere un po' troppo”; stava per accertarsene quando Sasuke entrò nella stanza, con un'espressione anche fin troppo seria dipinta sul volto.
“Scusa il ritardo, Kakashi, ma dovevo sistemare una faccenda” gli disse prima di sedersi accanto a lui e presentarsi all'Inuzuka.
In realtà non avrebbe avuto alcun bisogno di scusarsi, ma quell'esordio sottintendeva un chiaro messaggio: Naruto e Sakura erano nella stanza attigua, in ascolto, pronti anche loro a carpire qualsiasi informazione potesse risolvere le indagini a cui lavoravano ormai da mesi.
L'immagine di Sakura si affacciò nella sua mente con prepotenza, forse sulla scia della decisione maturata recentemente, ma per quanto piacevole la scacciò, relegandola nell'angolino delle questioni in sospeso da affrontare il prima possibile.
“Quindi cosa ti è rimasto impresso della dinamica dell'incidente?” riprese, concentrandosi sulla conduzione dell'interrogatorio.
“È successo nei pressi di un incrocio, era buio e forse Shino correva troppo...” replicò il giovane, scandendo con calma le parole, ma esitando nel pronunciare il nome dell'amico.
Ingoiò un grumo d'ansia prima di proseguire.
“Non ho visto arrivare il motorino, ho solo sentito qualcosa schiantarsi contro la portiera e poi... niente, è successo tutto troppo in fretta... Shino non è riuscito a frenare in tempo, credo...” terminò abbassando lo sguardo, con i pugni stretti in un moto di irritazione.
Kakashi riusciva a leggere sui lineamenti dell'Inuzuka l'oppressione del senso di colpa, uno stato d'animo per lui anche fin troppo familiare.
L'alcool in circolo nel suo corpo non gli aveva permesso di notare il sopraggiungere di un veicolo con diritto di precedenza e l'imminente pericolo dovuto alla noncuranza del conducente; che l'esito fosse stato la morte di un caro amico rendeva sicuramente l'errore insostenibile e imperdonabile. 
Era quello il momento più opportuno per insinuare che la poca chiarezza dei ricordi e l’incidente dipendessero anche dall'assunzione di stupefacenti: l'instabilità emotiva del testimone avrebbe reso più facile ottenere una risposta veritiera.
Prima che riuscisse a dire qualcosa Sasuke intervenne, sfruttando in modo immediato l'occasione presentatasi.
“Non ti sei reso conto che il tuo amico era sotto l’effetto della droga?” chiese in tono asciutto, con una domanda così diretta che spiazzò non solo l'interrogato ma anche il collega.
Era forse la più semplice e ovvia da porre, eppure ascoltarla fu per Kakashi come un sasso scagliato nelle acque placide di un lago, capace di turbarne la superficie piatta, smuovendo nel contempo i detriti del fondale. E scrutare in lontananza i detriti del suo passato, celati sotto l'apparente tranquillità del presente, era sempre un affacciarsi sul vuoto. 
“Oppure per voi era qualcosa di così naturale da non essere un problema?” sentì l'Uchiha proseguire, col chiaro intento di strappare un'ammissione di colpevolezza.
Sul volto di Kiba Inuzuka comparve però il più genuino stupore e a quel punto gli sembrò persino di tuffarvisi, nel vuoto.
Rimase in silenzio, impassibile, tentando di conservare un saldo controllo sulle proprie emozioni, mentre il collega poneva sotto lo sguardo perplesso del ragazzo una pagina dell'autopsia che illustrava, con poche ma precise parole, lo stato fisico del defunto al momento dell'incidente.
Non avrebbe saputo dire se il giovane stesse leggendo davvero gli ideogrammi impressi sul foglio bianco, ma l'incredulità e l'angoscia si confondevano in piena libertà nei suoi occhi scuri tanto che insistere in quella direzione gli sembrò tutto ad un tratto inutile.
Sasuke non fu però dello stesso avviso.             
Come gli avevano insegnato alla scuola di polizia, era stato attento anche alle più piccole reazioni dell’interrogato, comprendendo sia come fosse all’oscuro della causa profonda dell’incidente, sia quali fossero gli effetti della scoperta improvvisa; tuttavia, il dolore e il rimpianto non gli sembravano nulla in confronto ad una vita spezzata.
Il crimine, come la legge, non ammette ignoranza, pensò con ferma convinzione mentre l’irritazione si accendeva silenziosa, alimentata dall’eco di ricordi lontani eppure sempre più vicini da quando aveva scoperto la presenza di Itachi in città.
Non avrebbe mai tollerato la cecità o l’ottusità in questioni di così vitale importanza; se qualcuno avesse alzato lo sguardo dal proprio orticello, la morte di suo padre e lo sfascio della sua famiglia sarebbero stati evitati.
“Come accidenti è possibile che non ti sei mai accorto che si drogasse?” domandò, le sopracciglia aggrottate in un'espressione quasi contrariata e il consueto tono atono intaccato da schegge di sorpresa e di accusa. “Eravate amici e non hai mai avuto nemmeno un sospetto?”
Prima che potesse razionalmente pensare Kakashi lo interruppe, riprendendolo con voce roca.
“Sasuke.” disse secco, con lo sguardo inespressivo e i pugni serrati sulle ginocchia.
Per un attimo, si sentì distante da tutto e tutti, finché non percepì l’occhiata di disapprovazione scoccatagli dall’Uchiha.
Sospirò interiormente, ignorando il collega e richiamando a sé la calma perduta; rilassò le mani e lasciò scivolare le dita sul tessuto morbido dei pantaloni.   
“Non mi sembra sia quello che ci interessa” aggiunse, spezzando il silenzio calato all’improvviso.
Al suo fianco, Sasuke storse le labbra in una piega di nervosismo.
Non sopportava essere rimproverato, tanto meno sul lavoro, ma l’incontestabilità dell’obiezione rivoltagli lo costrinse a trattenere il caos che aveva dentro.
La sua ultima domanda conduceva obiettivamente ad un punto morto, come dimostrava l’espressione sempre più contrita del giovane.
Emise un respiro strascicato, reprimendo in esso rabbia e irrequietezza.      
Kakashi proseguì al suo posto l’interrogatorio, affrettandosi a riportare la conversazione sul binario giusto.
“Dove siete andati quella sera?”
Con lo sguardo ancora basso, incollato alla prova inconfutabile del suo errore, Kiba Inuzuka ingoiò la frustrazione che gli impediva di parlare, troncandogli il respiro, poi cercò nella nebbia dei suoi pensieri la risposta richiesta.
Era un'informazione banale eppure difficile da recuperare, in quegli istanti in cui niente sembrava avere più una reale importanza.
"Eravamo in discoteca..." disse flebile.
Si schiarì la gola e continuò.
"La discoteca Alba. "
Ancora stretto tra l'irritazione e il disappunto, Sasuke sentì la notizia come si percepisce un brusio lontano, con distratta indifferenza, finché la sua mente non realizzò il peso di quelle due semplici parole e un fremito di soddisfazione lo smosse con un violento scossone; in un attimo, tutti i sentimenti negativi si dissolsero in un senso di appagamento, inaspettato quanto inebriante: nessun altro ostacolo si frapponeva più tra lui e il suo obiettivo.
"Hai visto il tuo amico parlare con qualcuno in particolare?" intervenne con una nota di aspettativa nella voce.
Desiderava una conferma definitiva o semplicemente maggiori dettagli, tracce di Itachi che potessero ravvivare le foto di anni passati? Probabilmente entrambe le cose, ma evitò di chiederselo fino in fondo; si limitò ad attendere una risposta.
Il ragazzo si sforzò di ricordare chi potesse aver avvicinato l'amico per il tempo necessario allo scambio di una dose di droga; tuttavia nessun momento di quella maledetta sera si fissava in modo nitido nella sua mente. 
In un moto di rabbia strinse i pugni, ma le unghie che penetravano nella pelle non scalfivano minimamente il dolore sordo che l'attanagliava.
Al suo ennesimo silenzio l'entusiasmo dell'Uchiha subì una brusca battuta d'arresto, lasciando una scia amara di delusione.
"Possibile che fossi già ubriaco fradicio per capire qualcosa?" domandò infastidito.
Insofferente, l'Inuzuka lo guardò dritto negli occhi.
"Perché non hai mai bevuto un bicchiere di troppo, ispettore?!" sbottò, i lineamenti segnati da nervosismo e stanchezza. "Non hai mai sbagliato?!"
"Di sicuro non ho mai lasciato crepare un amico," replicò d’istinto Sasuke.
E lo stridio metallico di una sedia spostata bruscamente vibrò nell'aria tesa della stanza.
In piedi, le mani strette introno al bordo del tavolo, Kakashi rimase in silenzio per qualche istante, con la vivida sensazione di aver ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
La sferzata di quelle parole era stata più profonda di quanto credesse.
Trasse un sospirò e in tono asciutto informò i presenti che avrebbero fatto una pausa, ben consapevole che per lui sarebbe stata un po’ più lunga, poi se ne andò raggiungendo i colleghi nella stanzetta attigua, dove avvisò Naruto che avrebbe proseguito l'interrogatorio al suo posto.



Quanto tempo era passato da quando aveva messo piede nella casa di un liceale? Cinque anni o forse di più? Ino non riusciva a ricordarlo con precisione, ma ricordava con chiarezza il disordine che poteva regnarvi: confezioni di cibo e vestiti sparsi qua e là, fogli e libri in posti non ordinari.
Eppure lì, a casa di Sai, non trovava nulla di tutto questo: ogni cosa era dove doveva essere, forse anche troppo. L’aveva notato mentre le mostrava le varie stanze e aveva provato una insolita sensazione; era come se in fondo qualcosa fuori posto ci fosse davvero, ma non capiva di cosa si trattasse.
Sorseggiò un altro po’ del caffè che le aveva offerto ed allontanò quei pensieri superflui, concentrandosi piuttosto sulla strategia da attuare. Il ragazzo era andato a recuperare in camera l’album da disegno e il resto dell’occorrente; ciò le lasciava margine di tempo per riflettere. Doveva escogitare un espediente che le permettesse di controllare il suo cellulare abbastanza a lungo da ricavarne le informazioni utili.
Ispezionò con lo sguardo il salone alla ricerca dell’oggetto in questione, ma non lo vide. Doveva dunque averlo con sé e se magari l’avesse lasciato in camera...
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dall’arrivo del liceale.
“Com’è il caffè?” le chiese, stringendo tra le mani il consueto album, un astuccio scuro e nessun telefonino.
Doveva scoprire assolutamente dove diavolo l’avesse messo, pensò con decisione.
“Non è male,” commentò sorridendo lievemente.“Ma piuttosto, ora che hai tutto il necessario per il ritratto, non rischiamo di essere interrotti, vero?” domandò, poggiando la tazza sul tavolino davanti a sé e lasciando che una nota di malizia risuonasse nella sua voce.
“Oh, no, di sicuro mio zio ha ben altro a cui pensare,” rispose Sai pragmatico, poi proseguì con un’espressione scaltra sul viso, “ma in caso, il mio cellulare è in camera, lontano dalle nostre orecchie.”
Ino gioì interiormente per la scoperta e si alzò dal divano con un sorriso entusiasta, recuperando la sua borsa con un rapido gesto.
“Quindi, se approfitto per rinfrescarmi e sistemarmi un po’ prima del ritratto, non sprecherò certo tempo prezioso,” disse guardandolo sorniona, poi lasciò il salone senza attendere nessun cenno d’assenso, i lunghi capelli che ondeggiavano sulle spalle.
Si incamminò lungo il corridoio, seguendo il percorso precedentemente mostratole, ma piuttosto di entrare nel bagno si intrufolò nella stanza del ragazzo alla ricerca dell’oggetto desiderato, che trovò su un comodino, accanto ad una lampada da notte.
Come risvegliata dalla tensione del momento, la voce di Shikamaru la raggiunse attraverso la ricetrasmittente nascosta sotto la camicetta.
“Ora che hai smesso di filtrare con un liceale, dovresti recuperare gli ultimi messaggi,” esordì, strascicando le parole come se fossero un peso sgradito.
Era stanco, preoccupato o infastidito? Si chiese la poliziotta mentre afferrava il cellulare, conscia che avrebbe ricevuto la sua risposta appena sarebbe tornata in macchina.
“È quello che sto facendo,” replicò, le dita che scorrevano veloci sulla tastiera. “E se ci servisse ancora qualche conferma, il maggior numero di messaggi sono stati scambiati con un certo Sasori,” lo informò provando un pizzico di compiacimento personale.
Erano messaggi generici, quelli di due normali amici che decidevano di incontrarsi, ma ritornavano spesso gli stessi elementi: la palestra, un borsone, il suggerimento di qualcun altro. Uno stesso schema presente anche nel messaggio più importante: quello sull’incontro per il lunedì successivo.
“Dicono quello che serve?”
La domanda del compagno era sintetica, ma ne racchiudeva molte altre.
“Sì, risalgo al numero e te lo mando” disse in modo altrettanto conciso.
Recuperò il suo cellulare dalla borsa, copiò il numero dello spacciatore dalla rubrica e lo inviò al collega con un messaggio. L'operazione le impiegò pochi secondi, scanditi dal battito accelerato del suo cuore. Era più tesa di quanto pensasse e la conferma dell'invio le trasmise un senso immediato di liberazione. Trasse un sospiro di sollievo e rimise ogni cosa al suo posto.
Ora non le restava che tornare in salotto e riprendere la recita: scrutandosi nello specchio dell'armadio, si sciolse i capelli, li sistemò dietro le spalle e si rinfrescò il trucco.
"Fatto!" esclamò soddisfatta.
"Fatto cosa?"
"Trucco e parrucco" rispose al poliziotto in ascolto, tentando di immaginarne l'espressione non senza un certo divertimento.

 


Un po' interdetto dalla situazione generale, Naruto era rimasto a fissare Kakashi che si allontanava.
Senza dubbio Sasuke si era lasciato trascinare da motivi privati, che lui purtroppo conosceva troppo bene, ma anche la reazione del collega doveva celare qualcosa di altrettanto personale.
Per un attimo pensò di chiedere a Sakura, però l'espressione perplessa sul suo viso lo spinse a desistere.
Scrollò le spalle nell’impotente constatazione della svolta subita da quell'interrogatorio: a quanto sembrava, poteva rendere più attivo il suo turno di lavoro.
Gettò un'occhiata verso Sasuke e lo vide ancora seduto, con un'espressione assorta sul viso e i pugni stretti sul tavolo davanti a sé.
Lo conosceva abbastanza bene da poter interpretare il corso dei suoi pensieri.
L'impazienza, innescata dalla loro conversazione della sera prima, era trapelata distintamente nelle sue domande e nei suoi atteggiamenti, così come la frustrazione per la difficoltà di ottenere qualche dettaglio in più.
L'unica cosa che voleva in quegli istanti era agire il piú in fretta possibile: scalpitava dalla voglia di arrestare suo fratello e di rinchiuderlo in una cella.
Si era sempre chiesto se sarebbe mai stato davvero in grado di chiudere in quel modo anche i conti col passato; dopo tanti anni ed energie spese a perseguire quell'obiettivo, temeva che voltare pagina non sarebbe stato semplice.
L'aveva dopotutto sperimentato in prima persona: aveva odiato così a lungo suo padre per ritrovarsi dopo la sua morte in preda solo ad un'infinita amarezza.
Quando tutto sarebbe finito, sarebbe dovuto restare accanto a Sasuke, anche se l'orgoglio e la testardaggine l’avessero spinto a rifiutare il suo aiuto, affermando di non averne alcun bisogno.
Per il momento avrebbe iniziato col non fargli perdere il controllo, se ci teneva davvero a partecipare alle indagini fino in fondo.
"Sakura, io vado a parlargli prima di riprendere. Abbiamo una copia in piú dell'identikit dell'assalitore della ragazza? Potrebbe risultare utile fare qualche domanda... " disse, esprimendo a parole la conclusione delle sue riflessioni, ma non ottenne alcuna risposta.
"Sakura?" la richiamò con un tono piú deciso ma sempre pacato.
Aveva lo sguardo assente, proiettato verso chissá quali pensieri, e le labbra leggermente schiuse, come se qualcosa d'imprevisto l'avesse turbata.
Al suo nome ripetuto per la seconda volta, si ridestò sobbalzando appena.
"Cosa?" chiese disorientata.
"L'identikit del nostro caso. Potresti recuperarne una copia e portarmela dopo? Se siamo fortunati, il ragazzo avrà visto qualcosa e riuscirà a ricordare qualche dettaglio in piú sulla serata" le spiegò con calma.
Doveva essere preoccupata per il comportamento di Kakashi, ma preferì non soffermarsi sulla questione, perché non avrebbe saputo cosa dirle nel poco tempo a disposizione. Due parole di circostanza non sarebbero servite a molto.
Sakura si sforzò di scacciare gli interrogativi che l'avevano assalita e si affrettò a rispondergli.
"Sì, scusa, vado a prenderne una e te la porto," disse uscendo dalla stanza.
Naruto la guardò andare via, ripromettendosi di parlarle piú tardi, poi raggiunse Sasuke.

 

 

Quella notte Kakashi non era riuscito a prendere sonno. Si era rigirato nel letto diverse volte, pungolato da un immotivato senso d'inquietudine che gli aveva impedito di chiudere gli occhi e dimenticare l'esistenza del proprio corpo. Non ricordava per quanto tempo si fosse mosso alla ricerca di una posizione più comoda, condannando anche il cuscino ad una notte agitata; ma ricordava il momento esatto in cui il suo tormento era cessato, lasciando solo un vuoto terribile, per poi ricominciare con un botto assordante.
L'ansia misteriosa annidatasi nel suo petto aveva alla fine trovato voce: la voce roca di Rin prima incrinata dalla paura e dall'angoscia, quando con poche parole gli aveva chiesto di raggiungerla, poi spezzata da un grido silenzioso di dolore non appena gli aveva comunicato la notizia.
I suoi singhiozzi gli echeggiavano ancora nelle orecchie e nell'animo, mentre parcheggiava e scendeva dall'auto. 
La discoteca era ben visibile in lontananza, nonostante il caos di veicoli e persone che la circondava. La sirena lampeggiante di un'ambulanza proiettava sulla folla una luce blu intermittente, che si sovrapponeva a quella rossa di un'auto della polizia.
Rimase immobile a fissare quello scenario, come se potesse trovare una risposta nell'intreccio di luci, colori e volti. La telefonata dell'amica l'aveva lasciato sconcertato e incredulo; se la sofferenza nella sua voce non fosse stata palpabile, forse avrebbe continuato a non crederci anche in quel momento, di fronte all'evidente confusione di un evento improvviso e drammatico.
L'immagine di una Rin sconvolta lo scosse dallo stato catatonico in cui era caduto. Era giunto fin lì anche perché lei aveva bisogno del suo sostegno; non poteva fermarsi a contemplare il nulla, nonostante lo squarcio sanguinante che quelle parole simili a lame gli avevano aperto dentro.
Avanzò, superando sconosciuti e autovetture, dirigendosi verso una meta precisa, il punto in cui la calca si diradava formando una sorta di semicerchio. Cercò l'amica con lo sguardo e alla fine la trovò: in ginocchio sull'asfalto, i lunghi capelli a coprirle il viso e la mano stretta a pugno sul lembo di un telo bianco.
Per un istante infinito, il suo battito cardiaco sembrò arrestarsi e l'aria gli mancò, mentre la strada diventava instabile sotto i suoi piedi. Non crollò, aveva promesso a se stesso che sarebbe stato forte per entrambi, ma qualcosa nel fondo del suo animo si frantumò e le schegge si conficcarono in una vecchia ferita, riaprendola e approfondendola.
Quando riuscì a respirare di nuovo, il cuore gli balzò in gola pulsando dolorosamente. Si sforzò di controllarlo e di recuperare una parvenza di calma, stringendo i pugni per impedire alle proprie mani di tremare.
Scrutò con sguardo vacuo gli unici sprazzi visibili del corpo privo di vita del suo migliore amico: un ciuffo di capelli scuri, il palmo della mano rivolto verso l'alto, le punte delle scarpe. Le avevano comprate insieme, quelle scarpe.
La voce di un agente della polizia spazzò via quel pensiero banale ma talmente quotidiano da causargli una fitta di dolore.
Era il poliziotto che stava invano tentando di convincere Rin ad alzarsi e allontanarsi da Obito.
"Lo conoscevi, ragazzo?" Gli chiese.
Kakashi lo guardò, per un attimo incapace di pronunciare una sola parola.
Lo conoscevi.
Quelle due semplici parole si impressero come fuoco nella sua mente, pronte a immergere l’esistenza dell’amico tra i ricordi del passato.
Il senso di ineluttabilità lo costrinse a ingoiare un grumo di afflizione."Era un amico." Sussurrò.
"Cosa è successo?" Domandò dopo un attimo di pausa, non più sicuro di voler sapere.
Una spiegazione dell’accaduto avrebbe davvero allentato il suo tormento? Avrebbe riempito il vuoto che minacciava di risucchiarlo?
Quando aveva lasciato il suo appartamento aveva sperato che fosse possibile, ma in quegli istanti, con la concretezza di un corpo inerte a pochi passi e l’inconsolabile disperazione di Rin davanti agli occhi, si sentiva vittima dell’ennesima illusione.
"Un malore durante una rissa. Pensiamo sia stato causato da droga tagliata male. Aveva una dose aperta in tasca." Lo informò il poliziotto con poche e veloci parole.
Kakashi sbarrò gli occhi, travolto da un'onda improvvisa di stupore e incredulità. Per un secondo pensò di aver capito male, sperò che fosse solo uno scherzo della sua immaginazione, ma l'espressione seria dell'uomo e il silenzio successivo alla sua risposta non sembravano lasciare spazio a dubbi.
Tornò a guardare il tessuto bianco che copriva Obito, la voce intrappolata in gola e lo stomaco stretto in una morsa di inquietudine, quella stessa inquietudine che l’aveva tenuto sveglio nel buio della notte.
Come aveva potuto non accorgersi mai di nulla? Era la prima fatale volta che l’amico aveva fatto uso di droga? O era stato davvero così cieco da non cogliere i segnali di una disastrosa dipendenza?
Frammenti delle loro ultime conversazioni e degli ultimi momenti trascorsi insieme si affollarono nella sua mente senza far risaltare nessuna nota stonata, niente che rivelasse il disagio interiore di Obito.
Appariva tutto tremendamente assurdo, ma il pesante fardello di essersi lasciato sfuggire qualcosa di importante si piantò con forza nel suo petto.
Chiuse gli occhi per non fissare più il bianco fastidioso del telo.

Kakashi trasse un respiro profondo, tentando di alleggerire la sensazione d’oppressione che le parole di Sasuke e i ricordi di quella notte lontana gli avevano scaraventato addosso.
Gli sembrava di averlo ancora conficcato nell'animo, il bianco assoluto che nascondeva Obito, e avvolti in quel bianco ritrovava tutti i tormenti dei mesi successivi.
Dopo l'intensa incredulità delle prime ore, il suo cuore era stato afflitto da un unico sentimento: un profondo e irreparabile senso di colpa.
Troppo preso dal proprio dolore, dall'illusione di poterlo placare con l'amicizia, non aveva intuito quello di chi gli stava accanto. Si era lasciato ingannare dall’esuberanza dell’amico, dalla maschera di allegria sotto cui nascondeva tutto. Pur di rimarginare la ferita lasciata dalla morte di suo padre, aveva preferito credere che intorno a lui andasse tutto bene, perdendo così gli indizi importanti di un altro dramma.
Dopo il tempo interminabile trascorso in ospedale, tra Rin singhiozzante contro il suo petto e la madre di Obito totalmente apatica, non aveva avuto il coraggio di chiedere loro se avessero compreso qualcosa: il timore di sentirsi rinfacciare la propria completa cecità era stato troppo forte. Avrebbe potuto scavare nei silenzi delle loro conversazioni, negli sguardi persi nel vuoto e nei gesti compiuti distrattamente; avrebbe potuto salvarlo e invece era riuscito unicamente a farlo morire da solo.    
Ogni tentativo di capire cosa l'avesse spinto verso la tossicodipendenza si era rivelato inutile e privo di senso, rafforzando sempre di più la dolorosa convinzione di aver commesso un errore che avrebbe rimpianto per sempre. Dal funerale dell'amico fino agli ultimi giorni del liceo, scanditi dalla decisione di Rin di proseguire gli studi all'estero, aveva lottato contro un vortice di angoscia e sofferenza, rischiando di essere risucchiato totalmente in un oscuro pessimismo, finché una strada inaspettata non gli si era aperta davanti: non poteva tornare indietro per aiutare Obito, ma avrebbe potuto diminuire il rischio che altri giovani subissero la sua stessa sorte, reprimendo la criminalità che alimentava la diffusione della droga.
Dopo la morte di suo padre, l'idea di entrare in polizia non l'aveva mia sfiorato, anzi l'aveva sempre esclusa categoricamente; eppure, in quel momento, gli era apparsa come l'unica scelta possibile, l'unica in grado di concedergli un modo per placare la sua coscienza. Anche se aveva impiegato altri lunghi anni prima di superare la paura di creare legami profondi, vincendo la desolata rassegnazione che la morte di Obito aveva accentuato, la decisione di seguire le orme di suo padre gli aveva permesso di andare avanti senza arenarsi nelle sue debolezze.
Ogni volta che qualcosa gli ricordava l'amico, però, niente evitava che i sentimenti del passato lo travolgessero e che vecchie cicatrici bruciassero come nuove.     



"Continuare a metterlo sotto pressione non porterà a nulla," esordì Naruto entrando nella sala degli interrogatori. "Se vogliamo ottenere qualche informazione sulla discoteca e, magari su tuo fratello, é meglio un'atmosfera piú tranquilla" proseguì nel modo piú disinvolto possibile.
Sasuke gli lanciò uno sguardo che non avrebbe decifrato facilmente se la loro lunga conoscenza non gli avesse permesso di scorgere la lieve ruga di disappunto comparsa tra le sopracciglia.
"Non c'é bisogno che sia tu a dirmelo," si limitò tuttavia a replicargli in tono asciutto, senza aggiungere nient'altro.
Il suo era un silenzio fin troppo eloquente: l'esito di una meditazione, una decisione chiara, la risposta ad un avvertimento che non era necessario esternare.
Sapevano entrambi cosa si erano detti la sera precedente e cosa avevano omesso; non avrebbero ricorso in quel momento a parole superflue e ingombranti.
"Comunque a conclusione, se non vuoi farlo tu, informerò io il commissario," affermò Naruto appena gli fu accanto.
Sasuke stirò le labbra in una linea dritta, con un movimento quasi impercettibile.
Attendeva quell'inevitabile frase e l'incassò senza scomporsi, emettendo un semplice mugugno di assenso.
Le sue priorità coincidevano in qualche modo con quelle delle indagini; nasconderlo era inutile e compromettere il risultato finale lontano dalle sue intenzioni.
"No, spiegherò io la situazione," rispose conciso.
Naruto lo fissò, cogliendo la determinazione nei lineamenti tesi, e in qualche modo si sentì tranquillizzato.
Trasse un sospiro interiore di sollievo e si sedette accanto al collega.
"Per quanto riguarda l'interrogatorio, invece, Sakura é andata a prendere l'identikit del nostro caso. Lo stupro é avvenuto all'Alba, forse l'Inuzuka ha notato qualcosa e gli si potrebbe rinfrescare la memoria", prosegui anticipandogli le sue intenzioni.
Sasuke vagliò per qualche istante l'ipotesi: temeva che il ragazzo non sarebbe riuscito a ricordare qualcosa, a causa di tutto l'alcool ingerito quella notte, tuttavia erano ancora lì e tentare non costava nulla.
Si alzò per andare a chiamarlo, ma fu anticipato dalla porta che si apriva, da cui Sakura entrò seguita dall'Inuzuka.
La poliziotta lo invitò ad accomodarsi, poi si avvicinò ai colleghi consegnando loro una cartellina.
Naruto la ringraziò, poi si rivolse al ragazzo presentandosi.
“Dunque, sono l'ispettore Uzumaki e continuerò l'interrogatorio al posto dell'ispettore Hatake,” esordì. “Mi dispiace insistere, ma devo farti qualche altra domanda.”
Mentre Sakura salutava lasciando la stanza, il poliziotto prese il foglio contenuto nella cartellina e lo girò verso l'interrogato.
“Questo è l'identikit di un uomo che era all'Alba la sera stessa dell'incidente,” gli spiegò con calma. “Non dovrebbe essere legato alla tua situazione, ma ci aiuterebbe sapere se per caso l'hai visto.”
Il ragazzo osservò il ritratto con attenzione, sforzandosi di associare il volto disegnato a qualche cliente intravisto quella notte.
Il particolare a balzargli subito all'occhio fu la lunga chioma raccolta in un'alta coda di cavallo, una capigliatura che difficilmente poteva passare inosservata.
Se quell'uomo gli era stato accanto per qualche istante, era possibile che gli fosse sfuggito?
La risposta gliela fornì il flash improvviso di capelli che ondeggiavano, accompagnando i movimenti sicuri di mani esperte nella preparazione di cocktail.
"È il barista... mi ha servito qualche drink quella sera" affermò, tentando di rievocare intanto qualche dettaglio in più sull'uomo.
Naruto esultò interiormente: non aveva dubitato dei ricordi della ragazza, ma se le informazioni di altre persone combaciavano con la sua versione dei fatti, il delinquente che cercavano aveva le ore contate.
“A che punto della serata ti ha servito?”
“Non saprei, non eravamo arrivati da molto. Forse era intorno alle undici.”
Probabilmente poche ore prima che avvenisse la violenza, rifletté soddisfatto il poliziotto, incrociando le dita per l’esito della domanda successiva.
"Mentre eri lì seduto, l'hai visto parlare in modo particolare con qualche cliente?"
L'Inukuza ci pensò qualche istante, rimestando tra i ricordi portati a galla dal volto del barista.
"Non mi sembra di ricordare niente di strano..."
"Non ti viene in mente qualcosa che ti abbia colpito?"
"Uhm, no, era tutto come sempre, qualche drink, qualche chiacchiera...” rispose sulle prime, ma poi un altro dettaglio di quelle ore gli balzò in mente.
“Ah, però, ad un certo punto è arrivata una ragazza… Non so se può essere utile, ma la ricordo perché aveva il tipico sguardo di chi vuole bere per dimenticare. Effettivamente il barista ha provato a parlarci per un bel po' finché sono stato al bancone."
Naruto l'ascoltò soddisfatto: forse era una scena abituale quella descritta dal ragazzo, ma aggiunto a tutto il resto era abbastanza per ridurre le ore di libertà del barista.
Raccolte le nuove informazioni, gli sembrò arrivato il momento giusto per tornare all’argomento iniziale della conversazione; era sul puntò di porre un’altra domanda quando il collega lo anticipò.
“Oltre al barista, non ricordi nessun altro dipendente del locale?” intervenne, con un tono apparentemente neutro per un orecchio non allenato come il suo.

 

Quando era rimasta da sola, nella saletta attigua alla stanza degli interrogatori, si era sforzata davvero di rimanere concentrata, di seguire col giusto interesse lo scambio di battute tra Naruto e Kiba Inuzuka, ma non c’era riuscita. Le era stato impossibile non pensare al comportamento insolito di Kakashi, alla sua assenza e al solido pugno di preoccupazione che l’aveva colpita sotto lo sterno non appena se n’era andato. Con lo scorrere dei minuti, l’inquietudine non si era per nulla attenuta, né tanto meno tendeva a svanire ora che si dirigeva nell’unico posto in cui credeva di poterlo trovare.
Poteva ripetersi mille volte il contrario, ma il pensiero che qualcosa legato a quel caso l’avesse turbato e lo facesse star male procurava anche in lei un innegabile dolore sordo, insieme al pressante bisogno di accertarsi della situazione. In fondo, erano stati amici e gli aveva voluto bene, così come gliene voleva ancora, nonostante tutto, quindi pensò che non ci fosse niente di strano nel cercarlo, sebbene nell’ultima settimana avesse fatto ben altro, nell’intento di allontanare l’ombra scomoda di un amore.
Se si fosse fermata anche solo un attimo in più a riflettere, avrebbe collegato ciò che provava in quegli istanti allo spasmo allo stomaco avvertito quando l’aveva visto chiacchierare tranquillamente con Shizune, aggiungendo entrambi quegli indizi ai pensieri e ai ricordi intrufolatisi nella sua mente davanti alla tomba dei suoi genitori. Sarebbe giunta così alla conclusione che quell’ombra era più che altro una luce accecante e non si sarebbe spenta in nessun modo, per quanto volesse illudersi, mettendo forse a tacere la sua coscienza.
In ogni caso, quando si affacciò alla porta del suo ufficio e lo vide seduto alla sua scrivania, con una mano tra i capelli a sorreggersi il capo e un’espressione assorta sul viso, continuò a non trovare alcun motivo per considerare sbagliato o avventato il proprio gesto.
Ingoiò il senso di agitazione, prima di trovare il coraggio di bussare.
“Kakashi?” Disse con voce incerta, non appena ne fu in grado.
L’uomo sgranò gli occhi, sorpreso di sentire una voce chiamarlo e fra tante proprio la sua; si voltò leggermente verso l’ingresso, senza allontanare la mano dalla fronte, ma scostandola quanto bastava per guardare in volto la sua interlocutrice. Rimase in silenzio a valutare la situazione.
Qualunque cosa volesse, quello non era il momento più opportuno per parlarne. Con l’amarezza e l’angoscia che il ripensare ad Obito gli aveva messo addosso, non si sentiva esattamente nelle condizioni di relazionarsi in modo pacato e razionale; non ne era in grado in ambito lavorativo, motivo per cui aveva abbandonato l’interrogatorio, né tanto meno poteva esserlo con lei.
La decisione definitiva presa con la propria coscienza e il vederla a pochi metri da lui, giunta lì spontaneamente dopo che nell’ultima settimana l’aveva evitato in modo drastico, erano elementi in più che gli davano la consapevolezza che avrebbe potuto commettere un errore, comportandosi nel modo opposto a quello che avrebbe richiesto un loro chiarimento.
Sperò pertanto che accettasse il suo invito ad andarsene, evitando di avvicinarsi a lui.
“Non è il momento, Sakura. Per niente. Ho bisogno di restare da solo.” Disse con un tono più brusco di quello che avrebbe voluto, e pensò che avrebbe dovuto metterci almeno la parola ‘scusa’ in quella frase.
Notò infatti la poliziotta irrigidirsi per un attimo, ancora ferma sulla soglia dell’ufficio, ma ciò non impedì che entrasse e che facesse qualche passo verso di lui. Si chiese allora cosa di preciso l’avesse spinta a venire a cercarlo, quando c’era, tra l’altro, lavoro importante da svolgere.
“Volevo… volevo capire cosa c’è che non va.” Affermò Sakura, sentendosi subito dopo immensamente stupida, oltre che tremendamente imbarazzata, tanto più davanti allo sguardo interrogativo e forse infastidito che l’uomo le indirizzò.
Kakashi, superato un momento di incertezza, si alzò.
“Perché ti interessa?” Le chiese serio dopo qualche istante di silenzio, sapendo in fondo già la risposta, ma avvertendo a quel punto il bisogno di conoscere anche la sua versione.
Di fronte a quella domanda, al tono freddo con cui era stata pronunciata e all’odiosa espressione indecifrabile che spesso lo contraddistingueva, la ragazza strinse d’istinto i pugni e fissò il pavimentò. Forse si era sbagliata ancora una volta: il fatto che alcuni giorni prima li avesse accomunati il ricordo di suo padre e il gesto dell’uomo che ne era seguito non implicavano per forza che per lui la loro amicizia avesse avuto qualche valore. E di interrogarsi su cosa allora significasse non ne aveva più grande voglia.
“Nonostante tutto, mi sono sforzata di credere che fossimo stati almeno amici.” Disse con palese delusione, lottando ancora per sciogliere il nodo che le bloccava la gola.
Se avesse incrociato gli occhi dell’uomo in quegli istanti, vi avrebbe colto l’ennesimo senso di colpa. Leggere dietro la sua semplice affermazione tanti sottintesi - il dolore, la solitudine, il vedersi sfuggire tra le mani anche l’ultima piccola certezza, provandone tutta l’inconsistenza e cercando lo stesso di aggrapparcisi - gli aveva fatto mancare il terreno sotto i piedi.
Per non cadere sotto il colpo del rimorso, l’ispettore le si avvicinò, sfiorandole un braccio e ottenendo, come sperava, che la collega tornasse a guardarlo; scrutò le sue iridi smeraldine che non avrebbe mai smesso di amare, iridi velate dall’incertezza e dalla perplessità, se non anche da un pizzico di paura.
“Questa settimana mi hai totalmente evitato, quindi non pensavo saresti venuta qui per sapere come stessi… “

E sono così egoista da aver anteposto al tuo stato d’animo la necessità di sentire il motivo dalla tua voce, avrebbe aggiunto con qualche difficoltà, cercando di rendere le sue parole un’assunzione di responsabilità e non delle mere quanto inutili giustificazioni, ma Sakura non gliene diede il tempo; scostò bruscamente la sua mano con un movimento repentino del braccio, mentre gli scagliava contro quello che teneva dentro da lungo tempo.
“Una settimana non è come sei anni!” Gli rinfacciò con rabbia, assottigliando lo sguardo, e per quanto Kakashi si aspettasse una frase del genere e sapesse di meritarsela, ciò non gli evitò una stilettata improvvisa all’altezza del petto.
Non lasciò, però, che fosse di nuovo il suo dolore a prendere il sopravvento e le afferrò subito il polso ancora a mezz’aria, con una stretta ferma ma delicata. Non poteva andare avanti così, tra dubbi e recriminazioni, per nessuno di tutte e due, si erano già tormentati troppo senza ragione; avrebbe dato un taglio netto alla loro situazione in quell’istante.
Sollevò l’avambraccio della collega piegandolo verso di lei, senza dover forzare quel movimento, facilitato dall’averla presa in contropiede, poi diminuendo la distanza tra di loro fece scivolare l’altro braccio dietro la sua schiena, fermandosi all’altezza delle scapole, e l’attirò a sé.
Sakura non si mosse, paralizzata dall’idea di ciò che sembrava stesse per accadere e che era stata lontana anni luce dalla sua mente fino a cinque minuti prima; fissò incredula il viso dell’uomo farsi sempre più vicino e chiuse gli occhi quando ebbe l’impressione che sarebbe morta da un momento all’altro a causa del battito impazzito del suo cuore, amplificato dal tempo sospeso che li avvolgeva. Lasciò che la lingua di Kakashi premesse contro le sue labbra e si intrecciasse alla sua, anche con una certa irruenza, irruenza che non le dispiacque, ma che nello stesso tempo fece nascere calde lacrime che trattenne a fatica.
Si era sentita così a lungo confusa, inquieta, ferita, che lo sciogliersi di quei sentimenti era come un balsamo tonificante, sebbene non potesse spiegarsi ancora tante cose, un balsamo che però non le nascondeva chi ne avrebbe pagato le pene peggiori. Quando avvertì le sue guance bagnarsi, spinse con violenza l’uomo lontano da sé e arretrò, con il capo basso e le ciocche dei capelli che le ricadevano scompostamente sul volto, senza nascondere la smorfia che lo deformava.
“Perché è così difficile capirti?” Biascicò, con il fiato corto per il bacio appena conclusosi e per l’emozione che ancora la sopraffaceva.
Se fosse stato il contrario, non sarebbe arrivata a quel punto.
Con questa consapevolezza, scappò da quell’ufficio, non rivolgendo nemmeno un’occhiata fugace all’ispettore, che la osservò andar via avvertendo sugli zigomi le tracce umide delle sue lacrime.


Note dell'autore

Questa volta non perderò tempo a cercare parole di scuse, più che altro perché sarebbero sempre le stesse. Diciamo semplicemente che negli ultimi anni diverse questioni hanno richiesto totale attenzione e che questo capitolo nello specifico mi ha fatto penare abbastanza.
Sasuke credo di non saperlo gestire per nulla, infatti ho faticato tanto a cercare di renderlo coerente e sensato e non so come sia il risultato. Kakashi, Sakura e Naruto, invece, non so se nel modo giusto, ma fanno quello che fanno senza troppi sforzi. In questo capitolo si scopre l'ultimo tassello dei drammi kakashiani e finalmente Kakashi e Sakura abbattono un po' il muro fatto di parole non dette e sentimenti non espressi (Ed era anche ancoraXD).  Le indagini invece arrivano  a toccare qualche nodo della matassa che nei prossimi capitoli dovrà sciogliersi in qualche modo. Non so quanto mi ci vorrà, ma speriamo non sia un altro anno.
In ogni caso spero che il capitolo sia decente e che vi sia piaciuto. Ringrazio la magnifica beta che mi ha dato una mano anche al di là della Manica e chiunque lascerà in qualche modo segno del suo passaggio^^




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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII

CAPITOLO XIII



Con le dita strette sulla fredda ceramica del lavandino e i capelli che le ricadevano scompostamente sul viso ancora accaldato, Sakura cercava di riprendere il controllo, di frenare il battito furioso del suo cuore e le lacrime che insistenti scorrevano sulle sue guance.
Provò a respirare profondamente e a chiudere gli occhi, per ricacciare indietro il fiume di sensazioni indistinte che l'aveva travolta senza preavviso, ma era ancora tutto così vivido da toglierle il respiro: il sapore delle labbra di Kakashi sulle proprie, il profumo della sua pelle, il calore delle sue braccia che la stringevano forte.
Quante volte, da perfetta incosciente, era piombata nell'ufficio di suo padre con la speranza di incontrarlo? Quante volte aveva girovagato nei pressi della centrale di polizia, sognando che qualcosa di solo lontanamente simile accadesse? Erano passati molti anni, eppure in quel momento si sentiva ancora l'adolescente di allora, sprovveduta, sciocca, ingenua, perdutamente innamorata.
Deglutì a fatica e fece un passo indietro, piegandosi in avanti sotto il contraccolpo repentino di una realizzazione improvvisa. Non oppose più resistenza, ma lasciò che i singhiozzi di quel pianto silenzioso la scuotessero. Perché lo era ancora, maledettamente innamorata. Perché desiderava di nuovo che le loro labbra si scontrassero con irruenza. Perché, forse, non era l'unica a desideralo. Ma non sarebbe mai potuto essere così semplice e indolore come nei suoi sogni adolescenziali.
Poggiò la fronte sul bordo del lavandino, un contatto a tratti rinfrescante, a tratti gelido, come i sentimenti che si agitavano dentro di lei. Il timore di non aver mai contato nulla per l’uomo si era dissipato con un bacio inatteso, facendo trapelare un labile bagliore di speranza ma anche un amaro e doloroso senso di colpa.
Il volto sereno di Naruto le comparve davanti agli occhi, contribuendo ad offuscarli con un nuovo velo di lacrime. Negli ultimi mesi, il collega era stato il suo sostegno, il suo immancabile punto di riferimento, il suo sole tra le ombre del passato, eppure non poteva fare a meno di amare un altro. Nonostante avesse tentato di dimenticarlo per anni, il suo cuore era rimasto caparbiamente aggrappato al ricordo di Kakashi, intrappolandola in un vicolo cieco.
Rialzò il capo e si morse il labbro inferiore, ingoiando con forza l’inquietudine di pensieri contrastanti.
L’ultima cosa che avrebbe voluto era ferire Naruto, vedere sparire il sorriso sincero che spuntava sulle sue labbra ogni volta che la guardava; tuttavia, se avesse ancora continuato ad ignorare i suoi veri sentimenti, sentiva che avrebbero finito solo per farsi male a vicenda in modo irreparabile.   
Inspirò a fondo per poi far uscire l’aria lentamente, alla ricerca almeno di una pace apparente; aprì il rubinetto e sciacquò più volte il viso per lavare via le lacrime e le tracce di mascara, scorgendo alla fine nello specchio gli occhi arrossati. Si asciugò con un asciugamano, trasse un sospiro profondo e si sedette, sperando che qualche minuto avrebbe consentito alla sua pelle di riacquistare un colorito il più possibile normale. 
Kakashi era ben lontano da essere una certezza, per il suo atteggiamento indecifrabile, per i mille interrogativi irrisolti che costellavano il loro rapporto, ma non poteva continuare ad illudere Naruto.
Doveva assolutamente trovare l’occasione per confessargli tutto: la vera natura del groviglio di sentimenti che l’aveva avvolta, negli ultimi mesi, e il suo sciogliersi in una conclusione inevitabile, scatenata da un bacio non ricercato ma a lungo desiderato.
Chiuse gli occhi e strinse i pugni sulle ginocchia, affrontando il vuoto allo stomaco che il solo pensiero del futuro confronto le causava; non aveva la minima idea di come iniziare una conversazione simile, non sapeva se sarebbe mai riuscita ad articolare frasi sensate, se esistessero parole che avrebbero potuto attutire il duro colpo.
Osservò ancora una volta il suo profilo riflesso. Di solito la sua espressione difficilmente nascondeva ciò che provava e, per quanto si sentisse una codarda, sperò che quella sua caratteristica per una volta l’aiutasse, perché poteva rimuginarci all’infinito, ma non ci sarebbero mai stati un momento adatto o un modo più giusto di altri.



Con la domanda dell’ispettore Uchiha, Kiba avvertì la tensione riaffiorare da sotto l’atmosfera cordiale creata dal nuovo poliziotto, mettendo ancora in allerta i suoi nervi. Tentò di conservare la calma, intrecciando le dita sulle ginocchia e sospirando interiormente, ormai consapevole che si sarebbe trascinato dietro a vita il senso di colpa per non aver capito nulla, sia prima che durante quella serata. 
“No, non mi sembra di ricordare nessun altro, al momento…” replicò pacato.
Per quanto la risposta fosse prevedibile, Sasuke storse il naso e socchiuse appena gli occhi, forse più infastidito con se stesso per averci sperato. Prima di desistere, decise però di giocare un’ultima e sofferta carta.
“Sicuro di non aver visto un uomo sulla trentina, con i capelli lunghi e neri e gli occhi scuri?” chiese, mentre il disgusto e la repulsione si insinuavano con prepotenza dentro di lui, conficcandosi nella bocca dello stomaco.
“Potrebbe… assomigliarmi…” aggiunse dopo qualche istante di silenzio, strascicando le parole come se un blocco di cemento gli si fosse incastrato in gola.
Gli sembrò quasi di non riuscire a respirare bene, sotto gli sguardi genuinamente sorpresi dei presenti e il peso di una somiglianza fisica diventata da anni qualcosa di umiliante da dimenticare.
Naruto si sforzò di recuperare in fretta un’espressione distaccata e professionale, reprimendo il proprio stupore per l’intervento inaspettato dell’amico. Anche se glielo avesse anticipato, non avrebbe mai creduto che durante un interrogatorio Sasuke sarebbe giunto ad ammettere quasi apertamente il suo legame con un criminale.  Non aveva bisogno di ulteriori conferme, ma leggeva la sua determinazione nei lineamenti imperturbabili, scalfiti solo dall’incertezza con cui aveva pronunciato l’ultima frase. Ancora una volta, decise di supportarlo lungo quella strada insidiosa.
“Se riuscissi a ricordare qualcosa in più sulla serata, ci sarebbe utile,” disse, sperando con tutto se stesso che l’ammissione dell’amico non cadesse nel vuoto. “Non so, una circostanza o una discussione che possa aver coinvolto un uomo che corrisponda alla descrizione del mio collega.”
Kiba trasse un profondo sospiro, cercando di riemergersi nei ricordi delle ore trascorse in discoteca, anche se ogni momento di quella serata sembrava ricondurlo solo e soltanto all’incidente. 
“Mi dispiace, ma mentre ero lì non è successo nulla di particolare e a parte il barista, non ho avuto a che fare con nessun altro dipendente dell’Alba,” replicò, domandosi però se avesse intravisto in un’occasione diversa l’uomo che i due poliziotti cercavano.
“Non ricordi chi vi ha accolto all’ingresso del locale? Oppure qualche cameriere che serviva ai tavoli?” chiese Naruto, augurandosi di riuscire a stimolare la sua memoria.
Percepiva il nervosismo di Sasuke anche senza guardarlo ed era sicuro che la sua calma apparente sarebbe durata ancora per poco.
“All’ingresso, non c’era nessun uomo con i capelli lunghi, per il resto sono stato poche volte all’Alba, ma nessuno che corrisponde alla vostra descrizione ha mai attirato la mia attenzione, mi dispiace.”
La risposta del ragazzo fu seguita da un mugugno di fastidio del collega. Naruto decise allora che trascinare ancora quell’interrogatorio sarebbe stato solo deleterio e si alzò per congedare finalmente il giovane. 
“Grazie lo stesso, il tuo contributo è stato in ogni caso importante,” lo ringraziò.
Quando l’Inuzuka lasciò la stanza, l’ispettore si voltò incontrando l’espressione meditativa dell’amico, che con le sopracciglia inarcate e le braccia incrociate sul petto era totalmente assorbito dai propri pensieri.
“È molto probabile che non l’abbia davvero visto, dopotutto approfittano proprio della confusione che c’è in discoteca per spacciare,” rifletté, provando a riportare su di lui la concentrazione dell’Uchiha.
L’altro lo fissò con uno sguardo serio e fermo e Naruto capì subito che doveva essere giunto a qualche conclusione.
“Oppure semplicemente non ricopre nessuna mansione specifica o quanto meno non sempre la stessa, perché rispetto agli altri ha molto più da perdere se anche clienti fuori dal giro conoscono bene la sua faccia,” gli spiegò con voce decisa e sicura, mettendolo sinteticamente a corrente delle sue deduzioni.
Il suo tono non lasciava spazio a repliche, ma il poliziotto biondo non sentiva il bisogno di un chiarimento, perché intuiva ciò che non aveva detto. La pena per un omicidio era senza dubbio molto più grave di quella per spaccio.
“Già, è possibile,” commentò, pensando che lo avrebbero in ogni caso scoperto nei prossimi giorni, poi riprese l’identikit abbandonato sul tavolo e gettò un’occhiata al volto ritratto sul foglio.
“Per fortuna, questo non è sicuramente il caso del barista, ammesso che sia coinvolto anche nello spaccio. Finché la ragazza non esce dall’ospedale, non possiamo procedere con l’identificazione, ma intanto potremmo già fermarlo e scambiarci quattro chiacchiere,” proseguì rimuginando sul da farsi.
“Se è uno degli spacciatori, arrestarlo ora metterebbe in allerta l’Alba,” osservò Sasuke alzandosi a sua volta. “Se temono che spifferi qualcosa, potrebbero anche decidere di far saltare lo scambio di droga della prossima settimana e non possiamo correre il rischio.”
Nonostante la logicità dell’argomentazione del collega, Naruto si ritrovò a sospirare seccato, infastidito dall’idea che l’uomo potesse ancora girare liberamente.
“Hai ragione, ma forse potremmo organizzare degli appostamenti nei pressi della discoteca per tenere sotto controllo lui e non solo. In un modo o nell’altro, l’Alba è il luogo su cui si concentrano ormai tutte le nostre indagini,” affermò, conscio che a breve avrebbero dovuto assumere delle decisioni importanti.



Dopo la fuga repentina di Sakura, Kakashi rimase seduto alla sua scrivania, sforzandosi di riacquistare il controllo completo sulle proprie emozioni. Le parole scagliategli contro dalla collega risuonavano ancora nella testa insieme al tremore della sua voce, incrinata dalle lacrime. Non sarebbe stato facile spiegarle tutto, ciò che era realmente accaduto anni prima e le ragioni dietro al suo allontanamento, tuttavia era intenzionato a farlo non appena le indagini glielo avrebbero concesso.
Trasse un profondo sospiro, appoggiandosi contro lo schienale della sedia e passandosi una mano tra i capelli. Aveva agito d’impulso, mosso dal desiderio di alleviare il peso di incomprensioni e parole non dette, ma non era stato affatto il momento più opportuno per palesarle i suoi sentimenti con un bacio. Sperava davvero che la loro professionalità li avrebbe aiutati a collaborare, impedendo alle emozioni di interferire, anche se temeva che non sarebbe stato semplice come si augurava. La morbidezza delle sue labbra e il calore del suo corpo erano ancora sensazioni perfettamente vivide, sebbene avesse cercato di distaccarsene e renderle solo un ricordo sfumato, consapevole di quanto sconvenienti potessero risultare, durante una delicata riunione di lavoro, a due passi da Sakura e dal suo fidanzato.
Chiuse gli occhi, tentando di scacciare il leggero senso di colpa ma anche il pizzico di gelosia che accompagnavano il pensiero di Naruto e del suo affetto incondizionato verso la poliziotta.
Nonostante la reazione di piacevole stupore intravista sul volto arrossato di Sakura quando l’aveva stretta a sé e il rapido palpitare del suo cuore avvertito contro il proprio petto, non poteva ignorare che aveva pur sempre baciato la donna che un collega amava, forse anche ricambiato in modo sincero. Perché al di là di ciò che li aveva legati in passato, al di là delle verità che le avrebbe raccontato, assolutamente nulla gli assicurava che Sakura avrebbe alla fine scelto lui. Aveva già previsto quella possibilità, soppesando anni di assenza e ricordi di un amore mai fiorito, ma in quegli istanti, dopo aver assaporato la dolcezza di stringerla tra le sue braccia, sentiva una inaspettata delusione colpirlo, silenziosa e malinconica. Si sforzò di spazzarla via con un altro lungo sospiro, affrettandosi a concentrarsi esclusivamente su quanto avrebbero dovuto discutere a breve con il commissario.     



Non era tornato da molto tempo nella sua camera, quando sentì la porta aprirsi senza preavviso e richiudersi subito dopo con un rumore secco. Per poco il bicchiere di sakè non gli scivolò dalle mani, riversando il liquido trasparente sulle dosi di droga pronte per la serata. Il ragazzo biondo si voltò verso il visitatore imprevisto e gli scoccò un’occhiataccia da sotto il ciuffo folto che gli nascondeva in parte il viso.
“Sei impazzito, per caso?” gli chiese seccato.
“Non quanto te,” ribatté Sasori con voce dura.
L’espressione di evidente irritazione e lo sguardo truce con cui lo guardava non presagivano nulla di buono, ma Daidara si sforzò di ignorare il presentimento che corse veloce nel suo petto.
“Hai idea di quanti problemi può causarci la tua cazzata?” continuò l’uomo mentre gli si avvicinava con aria minacciosa.
“Non so di cosa diavolo tu stia parlando,” replicò, alzandosi per fronteggiarlo e scolandosi per precauzione il resto della bevanda alcoolica.
Se si fosse bagnata la droga a causa di un altro gesto inconsulto, sarebbe stata davvero una enorme seccatura.
“Ieri è passata la polizia e indovina un po’ su cosa stanno indagando?” gli domandò stizzito Sasori, ormai a pochi passi da lui.
“Sullo spaccio di droga?” ipotizzò l’altro arretrando, ma la mano dell’uomo lo afferrò per il colletto della maglia costringendolo a fermarsi.
“Su uno stupro ai danni di una cliente, idiota, e non ti sei manco accorto che Akira ti ha visto! Quanto eri ubriaco?!” sbottò, accostando il volto al suo con un brusco strattone. “Sei fortunato che Orochimaru sia al momento fuori città, se no ti avrebbe già sbattuto fuori,” aggiunse, poi lo liberò dalla sua stretta e lo spinse contro il muro.
Daidara emise un lamento soffocato e d’istinto appoggiò una mano sulla spalla dolorante.
“Fino a quando non cambierò idea, te ne starai chiuso qua dentro e se torna la polizia dirò che sei stato licenziato. Il tuo lavoro al bar può farlo tranquillamente un altro ragazzo e in strada ci andrò con qualcuno che ha un po’ più di sale in zucca,” lo informò risoluto.
“E per lo scambio di lunedì?” chiese, ignorando il tono definitivo dell’uomo.
Sasori lo scrutò leggermente sconcertato dalla sua presunzione e insistenza.
“Spera che per allora le acque si siano calmate, altrimenti avrai altro a cui pensare,” dichiarò conciso, prima di girarsi e andarsene, lasciando il ragazzo ai suoi pensieri.



“Saranno la stessa persona? Questo Sasori dei messaggi e quello della discoteca?” disse Ino sovrappensiero, più rivolta a se stessa che a Shikamaru.
Stringeva ancora tra le mani la cartellina con il ritratto realizzato da Sai e osservava distrattamente la strada familiare che li avrebbe condotti al commissariato, cercando di mettere insieme i vari frammenti del mosaico che si sforzavano di ricostruire da mesi.
“Di sicuro dovremo scegliere il modo più adatto per scoprilo, infatti Tsunade-sama ci aspetta per fare il punto della situazione,” le rispose il collega con tono pragmatico, sempre concentrato sulla guida.
La poliziotta lo guardò di sottecchi.
Quando era tornata in macchina, l’aveva accolta con un’espressione seria dipinta sul volto, evitando ogni sorta di commento, ma era certa che i suoi tentativi di civettare con il ragazzo, anche se mirati solo a carpire informazioni, lo avevano quanto meno infastidito.
“Ma non ho dubbi che tu abbia già delle idee, dopotutto è sempre così,” lo punzecchiò, sperando di trascinarlo finalmente in una conversazione.       
Shikamaru rimpianse all’istante di aver spezzato il mutismo in cui si era rintanato attendendo di superare emozioni irrazionali e controproducenti.  Nonostante i rumori del traffico, la voce di Ino e il brusio dei suoi pensieri, gli sembrava di sentire ancora ogni singola parola che era stato costretto a sorbirsi attraverso una ricetrasmittente, resistendo costantemente all’impulso di togliersela e gettarla lontano.  Sospirò prima di risponderle nel modo più neutro possibile.
“Sì, tipo quelle che tendi ad ignorare,” affermò senza distogliere l’attenzione dalla strada, anche se la fila di macchine annunciava la vicinanza di un semaforo rosso.
Il cenno di un sorriso comparve sulle labbra di Ino.
“Beh, tutto si è svolto tranquillamente in ogni caso,” disse compiaciuta, sollevando il disegno per sottolineare le sue parole.
Shikamaru trasse un altro profondo sospiro.  
“Certo, forse anche troppo,” replicò incapace di scacciare dalla sua voce il disappunto e la diffidenza che provava.
Quella breve operazione si era rivelata più semplice del previsto, lo pensava da quando la poliziotta aveva lasciato la camera del liceale senza intoppi. Per quanto volesse dar credito alle capacità recitative dell’amica, nel suo stomaco si agitava l’irritazione per i toni che avevano contraddistinto tutta la chiacchierata tra lei e il ragazzo, ma anche il sospetto che ci fosse una nota stonata negli atteggiamenti del nipote del sindaco. E quel sospetto era più che sufficiente a rendere insopportabile l’idea che dovesse continuare a ronzargli intorno, monitorando ogni suo movimento.  
Fermando l’autovettura, il poliziotto sperò con tutto se stesso che le loro indagini fossero davvero alle battute finali, perché non era sicuro di riuscire a sostenere la situazione ancora a lungo. Era immerso in tale considerazione quando percepì le dita affusolate della collega appoggiarsi sul suo ginocchio e poi salire sulla sua gamba con studiata lentezza. D’istinto si girò e incrociò i suoi occhi azzurri, sempre più vicini man mano che Ino si sporgeva verso di lui, diminuendo la distanza tra i loro visi.
“O forse è solo troppo geloso, ispettore,” lo canzonò con un sorriso malizioso.
All’improvviso, le sensazioni della sera precedente lo assalirono insieme a una piacevole confusione e, non appena le labbra morbide della poliziotta si scontrarono con le sue, avvertì la preoccupazione sciogliersi velocemente, dissipandosi nella calda danza delle loro lingue.     



Quando ritenne di aver riconquistato la concentrazione necessaria e che l’interrogatorio del ragazzo fosse ormai concluso, Kakashi si recò dai colleghi, trovandoli davanti all’ufficio di Naruto. Il poliziotto biondo conversava con Sasuke riguardo alle indagini, o almeno fu quella la prima impressione ricevuta dall’espressione seria del suo viso, finché non gli sentì pronunciare il nome di Sakura con tono lievemente preoccupato. Si fermò all’istante e lanciò un’occhiata rapida all’orologio del commissariato, calcolando che doveva essere trascorso più o meno un quarto d’ora dalla loro discussione. L’assenza prolungata della collega non era un segno positivo, ma sperò con tutto se stesso che li avrebbe raggiunti a breve. Sospirò, infilando le mani nelle tasche nei pantaloni, poi si avvicinò agli altri poliziotti dissimulando fin da subito timori e preoccupazioni sotto un atteggiamento tranquillo e posato, consapevole che fosse l’unico modo per evitare un’atmosfera tesa e controproducente durante la riunione. Confidava che comportarsi con distacco avrebbe impedito il sorgere di sospetti su quanto accaduto tra di loro e avrebbe permesso a Sakura di guardalo negli occhi e di parlargli normalmente, almeno di lavoro. L’immagine della giovane donna, con il capo basso per non incrociare il suo sguardo, gli attraversò la mente, ma la scacciò prima di annunciare ai colleghi la sua presenza.
Quando Naruto gli domandò se l’avesse vista, finse di non sapere nulla, impegnandosi a sostenere il suo disorientamento con aria rilassata e nello stesso tempo rassicurandolo sull’arrivo probabilmente imminente dell’amica. Per sopprimere un rinnovato senso di disagio nei confronti della buona fede dell’ispettore, cambiò argomento di discussione chiedendo di essere ragguagliato su quanto emerso durante la parte successiva dell’interrogatorio.        
La loro conversazione fu interrotta pochi minuti dopo dal suono di passi sempre più vicini e da Shikamaru che richiamava la loro attenzione, salutandoli e domandando se il commissario li stesse già aspettando. Prima ancora di voltarsi verso i nuovi arrivati, Kakashi intuì dal sollievo comparso all’improvviso sui lineamenti di Naruto che Sakura doveva essere con loro. Il giovane poliziotto riferì agli altri che Tsunade-sama doveva ancora convocarli, poi lo superò svelto per parlare con la collega.
Kakashi si girò, assumendo l’atteggiamento più neutro possibile mentre osservava la poliziotta rispondere con una leggera risata alle domande del compagno, adducendo una scusa per il suo ritardo, qualcosa sulla necessità di accordarsi con Ino per trascorre insieme quella serata. Gli parve di cogliere sul viso della Yamanaka un attimo di sorpresa, subito seguito da un sorriso e da molte parole, abbastanza da far dimenticare l’iniziale incertezza, nel caso fosse stata percepita da qualcuno.
Forse Sakura voleva evitare Naruto. Quell’idea si intrufolò infida tra i suoi pensieri, alimentando una cauta speranza, ma si affrettò a cancellarla, anche perché la giovane donna sembrava ignorare accuratamente la sua presenza. La voce del commissario, che li esortava a entrare nel suo ufficio, contribuì ad aiutarlo a non ricadere in tortuose e infruttuose considerazioni.        



Con il mento appoggiato sulle mani incrociate, Tsunade osservava in silenzio i documenti davanti a sé mentre tentava di riordinare le idee dopo il resoconto dei suoi poliziotti.
I vari tasselli che componevano le indagini delle ultime settimane sembravano ricondurre a un unico luogo: la discoteca Alba, forse una delle possibilità più ovvie, ma su cui era mancato fino ad allora qualsiasi sospetto. Sentiva che da quel momento in poi avrebbero dovuto agire con maggior cautela e il rischio ventilato da Naruto che in tutta quella storia ci fosse il forte contributo della criminalità organizzata confermava solo le sue sensazioni, anche se le sfuggiva cosa rendesse l’ispettore così sicuro di tale affermazione. Nonostante fosse plausibile, dalla spiegazione fornita sembrava mancare qualcosa, ma decise di approfondire la questione in seguito.   
“Prima di tutto, dobbiamo confermare in modo definitivo che la droga sia davvero la stessa, recuperando direttamente dalla discoteca una terza dose,” esordì, riflettendo su quale potesse essere il modo più adatto. “Escluderei un’azione sotto copertura serale, ci esporrebbe troppo…” proseguì sciogliendo l’intreccio delle sue dita e posando le mani sul legno liscio della scrivania.
“Potremmo cercare tra i soggetti schedati per uso di droga qualcuno che frequenti la discoteca, poi organizzare degli appostamenti per seguirlo e fermarlo al momento più opportuno,” suggerì Kakashi.
Lanciò poi un’occhiata a Sasuke che mostrava un’espressione pensierosa e, avrebbe osato dire, un po’ tesa, come durante il rapporto di Naruto sulla visita all’Alba e sul recente interrogatorio.
“Forse qualche informatore potrebbe semplificarci il compito,” aggiunse, attendendo un intervento del collega che si occupava di solito dei contatti con gli informatori.
L’assenza di una sua parola in merito lo soprese e se il commissario ebbe il suo stesso pensiero, come sospettava dal quasi impercettibile sollevarsi di un sopracciglio, non lo dimostrò apertamente, limitandosi a stabilire come avrebbero dovuto procedere. 
“Va bene, Sasuke, tenta anche questa strada. Naruto e Sakura, voi intanto trovate tra gli schedati qualcuno che abbia un qualsiasi collegamento con la zona in cui si trova l’Alba, che vi abiti o sia stato fermato da quelle parti. Predisporremo poi gli appostamenti,” affermò, ricevendo un cenno d’assenso dagli interessati.
Sakura si costrinse ad annuire, sforzandosi di ingoiare ancora una volta l’inquietudine che la irrigidiva dall’inizio della riunione. Anche se lo aveva rimandato per quella sera, il confronto con Naruto era inevitabile e la preoccupava cosa sarebbe successo al loro rapporto personale e professionale. Gli ordini di Tsunade le ricordavano che avrebbero dovuto continuare a lavorare insieme, in un modo o nell’altro, e il timore che la loro sintonia potesse sparire le stringeva lo stomaco in una morsa. Sentì la minaccia delle lacrime avvicinarsi di nuovo, ma la voce del collega, oggetto dei suoi pensieri, la aiutò a ricacciarle indietro, riportandola alla realtà. 
“Per quanto riguarda il barista coinvolto nello stupro, se dovessimo scovarlo nei paraggi, teniamo d’occhio anche lui?” chiese il poliziotto.  
“Va bene, ma date sempre priorità al recupero della dose di droga. Se anche lui è connesso ai traffici della discoteca, in ogni caso avremo modo di arrestarlo a breve,” gli rispose Tsunade dopo un attimo di riflessione, rivolgendo poi la sua attenzione verso Shikamaru e Ino.
“Mettiamo sotto controllo il numero di telefono che avete recuperato, solo localizzandolo possiamo scoprire se il Sasori che dirige lo spaccio a scuola è davvero la stessa persona che lavora in discoteca,” proseguì.
“Se fosse lui, avremmo un altro collegamento tra i due luoghi, oltre alla provenienza della droga. In ogni caso, credo che si dovrebbero organizzare due retate contemporanee per prenderli di sorpresa ed evitare che abbiano il tempo di nascondere eventuali prove,” ipotizzò Shikamaru, man mano che nella sua mente si delineavano le battute finali delle loro indagini.    
Il commissario assentì con un lieve movimento del capo. 
“Assicuriamoci che la data e il luogo dello scambio di droga non cambino, intercettando le telefonate e continuando a sorvegliare il nipote del sindaco. Intanto iniziate a ideare qualcosa per ridurre la presenza degli allievi, nel caso il luogo rimanga la palestra della scuola,” dispose.
“Parlerò con il preside domani stesso, credo che si possa far coincidere con quel giorno un’uscita didattica dell’ultima ora o qualcosa di simile che non sollevi sospetti,” intervenne l’ispettore, cercando di scacciare il fastidio procuratogli dall’idea di Ino alle prese con un liceale, per i suoi gusti, troppo ambiguo.
“Va bene, per quanto riguarda invece la discoteca, anche se confermassimo che la fonte della droga è la stessa, dovremmo procedere con prudenza,” avvertì Tsunade, appoggiando la schiena contro la sedia. “Se come ritiene Naruto la criminalità organizzata è coinvolta in modo diretto, l’operazione potrebbe rivelarsi molto delicata e con prevedibili ostacoli.”
Posò poi lo sguardo indagatore sull’ispettore biondo che, sentendosi osservato, si irrigidì involontariamente.  
“Detto questo, quali elementi ti rendono sicuro della tua ipotesi? Certamente è sospetto che l’Alba sembri essere sfuggita fino ad ora a qualsiasi controllo, ma potrebbe pur sempre essere uno dei tanti pesci piccoli che ha tentato di ingrandirsi,” gli disse con tono pacato e attese in silenzio una motivazione più dettagliata di quella iniziale.
Il poliziotto la fissò incerto su cosa replicare, consapevole che la vera spiegazione non spettasse a lui. Era sul punto di girarsi verso Sasuke per guardalo quando sentì la voce atona dell’amico terminare gli istanti di attesa.
“Perché in discoteca lavora mio fratello,” affermò lui in modo conciso.
L’espressione del suo viso era quasi impenetrabile e rimase tale anche davanti alle reazioni di evidente sorpresa dei colleghi. Se non fosse stata per la ruga di tensione che gli increspava appena la fronte, sarebbe apparso perfettamente calmo, tuttavia Naruto sapeva bene che non era così.
“In che senso lavora all’Alba?” domandò il commissario con aria diffidente.
“Molti anni fa, fu coinvolto in un traffico di droga gestito da un pezzo grosso della criminalità organizzata. È scappato e da allora non ho più scoperto nulla di lui, finché…” le rispose Sasuke tutto d’un fiato, ma si interruppe quando avvertì un nodo bloccargli la gola.    
Anche la versione più breve della storia di suo fratello era come un blocco di cemento che lo schiacciava soffocandolo. Si sforzò di mantenere un atteggiamento controllato mentre sentiva l’amico giungergli in soccorso.  
“Finché l’altro giorno non l’ho riconosciuto in discoteca,” completò la frase al suo posto.
Lo ringraziò mentalmente, deglutendo e recuperando il respiro che fino a quel momento non si era accorto di aver trattenuto. Ignorò gli sguardi stupiti che ancora percepiva su di sé e si concentrò sulla voce dell’altro poliziotto.
“È quindi molto probabile che sia sempre la criminalità organizzata a coprire e proteggere l’Alba. Se dietro Itachi c’era qualcuno di importante, ciò potrebbe spiegare la mancanza di precedenti per il locale o comunque di qualche sospetto. Inoltre Sasuke non è riuscito a trovare suo fratello in tutti questi anni, pur essendo qui a Konoha. Era come se non esistesse e lo stesso sembra valere per i dipenditi del locale,” spiegò Naruto.
Tsunade lo ascoltò con attenzione, cercando di assimilare le nuove informazioni.
Non si sarebbe mai aspettata un coinvolgimento personale di un suo poliziotto con un pregiudicato, per giunta latitante. In situazioni simili, la logica avrebbe voluto che lo escludesse dal caso, tuttavia Sasuke restava uno dei suoi migliori uomini che aveva condotto quelle indagini fin dall’inizio senza errori e, nonostante tutto, sentiva di potersi fidare di lui.
Emise un sospiro istintivo e rivolse lo sguardo sul poliziotto che attendeva compostamente una sua replica.  
“Se davvero tuo fratello è collegato a questo caso come sembra, da questo momento in poi confido nella tua totale professionalità. Non costringermi a rivalutare la mia decisione,” affermò perentoria, fissandolo seria e cambiando argomento solo quando ottenne una risposta convincente.
“Non appena avremo le conferme di cui abbiamo bisogno, definiremo meglio i dettagli per le operazioni finali. Ora siete liberi di andare,” concluse, osservando poi i poliziotti che lasciavano il suo ufficio e augurandosi che nei prossimi giorni filasse davvero tutto liscio come speravano.      





Note dell'autrice

Nonostante i tremila anni di attesa, questo capitolo è fondametalmente un capitolo di transizione. Spero però che Sakura e Kakashi, e forse anche Sasuke che un po' si è messo in gioco, siano riusciti a renderlo più interessante.
La parte delle indagini è quella che mi sta dando molti problemi, quindi pur cercando di renderle il più possibile realistiche credo che chiuderò qualche occhio o questa storia rischia davvero di non arrivare ad una conclusione. Mi premeva precisarlo perché fin dall'inizio ho provato a gestire l'elemento poliziesco con attenzione, ma è evidente che  mi  sono più congeniali le pare mentali dei personaggi ^^'
Grazie a chi lascerà un segno del proprio passaggioXD




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