Bee's Nest

di Leonhard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ogni tredici Maggio ***
Capitolo 2: *** Contro il tempo ***
Capitolo 3: *** Timber ***
Capitolo 4: *** Dollet ***



Capitolo 1
*** Ogni tredici Maggio ***


In quanto a puntualità, Zell Dincht non era mai stato una cima: si poteva dire che lui e quel semplice concetto così arbitrariamente dato per scontato in una unità SeeD erano incompatibili quanto Pandemonium e Seclet. Diavolo, era persino andato a letto presto la sera prima ma nemmeno quell’arma si era rivelata efficace: erano le sei del mattino e lui correva di buona lena nella hall del Garden di Balamb, combattendo con la giacca che proprio non ne voleva sapere di smettere di svolazzare ed attirandosi gli sguardi di disapprovazione degli insegnanti a guardia delle strutture.

Arrivò all’ingresso che per poco non ruzzolò: convertì lo scivolone in un’abile derapata, riuscendo anche a far fischiare le suole di gomma sul marmo lucido del pavimento, e riprese a correre verso il piccolo gruppetto che lo attendeva accanto alla reception. Tre teste si volsero nella sua direzione.

“Ma guarda chi ci fa l’onore” commentò Seifer. “Deliziaci, ti prego”.

“Sveglia…” borbottò il pugile, riuscendo infine a trovare la strada per la manica della giacca. “Scusate”.

“Zell, capisco che è presto ma una consegna è una consegna” osservò Cid: se c’era una cosa che il pugile adorava di quell’uomo era che bisognava combinarla veramente grossa per fargli alzare la voce. “Anche se non è una missione ufficiale, sei pregato di rispettare i tempi”.

“Lo so, mi scusi preside” disse. L’uomo lo guardò severo per qualche istante, poi sorrise.

“Ah, la gioventù” commentò.

“Punizione?” commentò Seifer, gustando l’illusione di ricevere una risposta affermativa. L’uomo sbirciò l’orologio e sorrise.

“Non ho mai punito nessuno per due minuti di ritardo” rispose, ridacchiando. “Specialmente se quel qualcuno arriva all’appuntamento in questo stato”. Quistis sospirò e si avvicinò al pugile.

“Benedetta Siren, Zell” commentò, sistemandogli la giacca. “Sembra che hai fatto a botte con un Wendigo”. Il ragazzo si passò una mano sui capelli, nel tentativo di pettinarli. Seifer lo guardava come fosse un pentola di minestrone stracotto.

“Ma guardalo” borbottò. “Il cocco della maestra ed il pupillo del preside”.

“Ma sentilo” replicò lui con il medesimo tono. “Il vetusto soldato invidioso dei compagni”. Il biondo fischiò.

“E da quando conosci il termine ‘vetusto’?” chiese.

“L’ho letto in un libro” rispose. “Libro: sai? Quelle cose fatte di carta che le sfogli e ci sono scritti segni strani…”.

“Ragazzi, non cominciate” ammonì Quistis. Per rincarare la dose scoccò un’occhiataccia a Seifer e strattonò la giacca di Zell. “Siete imbarazzanti”. Cid ridacchiava divertito.

“Venticinque anni e non sentirli” commentò, prima di tornare lentamente serio. “Allora, siamo in vista di Winhill: una passeggiata di mezz’ora e saremo arrivati. Quistis, ti voglio a capo della fila, Seifer starà dietro e Zell controllerà i lati: non voglio sorprese da parte dei mostri”. I tre scattarono sull’attenti.

“Signore” risposero all’unisono. Per tutta risposta, Cid si grattò la testa con fare imbarazzato.

“…per favore, naturalmente” concluse ridacchiando.


 
Gli attacchi dei mostri servirono a malapena da allenamento mattutino al piccolo gruppo: arrivarono alla piazza di Winhill che il sole aveva abbandonato il profilo della terra e stava lentamente conquistando il suo posto nel cielo primaverile. Furono accolti da un’aria luminosa e profumata di un delicato aroma di fiori e pane appena sforno; una fontana al centro della piazza accompagnava il canto degli uccelli con il gorgoglio dell’acqua, proiettando piccoli arcobaleni nella nebbia umida sollevata dagli spruzzi. Poco lontano, sotto la tettoia del bar, Selphie sbracciava nella loro direzione.

“Ragazzi, qui!” esclamò con un largo sorriso. “Finalmente siete arrivati”. Raggiunsero la ragazza e si scambiarono abbracci e saluti.

“Irvine?” chiese Quistis.

“Sta ancora dormendo” fu la risposta. “Ieri sera ha fatto le ore piccole”. La professoressa annuì, cosa che Zell non mancò di notare.

“Ehi, com’è che se lo faccio io ti prendono i diavoli?” commentò.

“Perché tu sei in servizio e lui no” rispose lei piccata. Selphie ridacchiò.

“Che sorpresa, ti sei addormentato” commentò. “No, aspetta: non sono per nulla sorpresa”.

“Non sono apprezzato come dovrei” borbottò il pugile.

Au contraire, mon amì” disse Irvine, uscendo dal bar in quel momento. “Se tu non ci fossi, l’atmosfera sarebbe un po’ troppo tendente al serioso”.

“Sonnambulo, il tuo ragazzo” commentò Seifer con un sorrisetto. “Cosa bofonchia?”.

“È francese, Seifer” replicò il pistolero. “Buttaci qualche parola mentre parli con una donna e il dopocena non dico che è assicurato, ma almeno la camicetta è tolta”. I due biondi cercarono conferma guardando Quistis, che sospirò costernata.

“Mollagliene una secca, Selphie” borbottò entrando nel bar.

“Con piacere” ringhiò lei, voltandosi verso il suo ragazzo.

L’interno del bar era rustico, un atmosfera che le pareti di pietra e legno enfatizzavano in modo quasi commovente. Al centro della sala si apriva un grande tavolo imbandito; dieci piatti e bicchieri facevano da cornice ad un capolavoro composto da ciotole di miele e burro e brocche di succhi, caffè, tè e latte; vasetti di confetture ed insalatiere di frutta ad aggiungere un tocco di colore ed un tagliere colmo di fette di pane fresco e tostato; dall’angolo cucina, un pungente ma invitante odore di pancake.

“Gente!” salutò Laguna, tornando immediatamente con gli occhi sulla padella. “Non mi posso assentare dai fornelli; consideratevi tutti abbracciati e salutati”. Zell inspirò a pieni polmoni quel miscuglio di odori così diversi ma perfettamente uniti e sospirò.

“Una tavola del genere vale cento levatacce” commentò.

“Bambini miei” esclamò Edea, comparendo dal piano superiore e correndo incontro al gruppetto. Abbracciò i tre con il trasporto di una madre che non vede i suoi figli da tanto tempo. Seifer fu l’unico ad opporre una debole resistenza, destinata a morire nel giro di pochi attimi.

“Non siamo più bambini, Madre” commentò, prima di sciogliersi anche lui in quell’abbraccio che aveva il mistico potere di fargli rimpiangere le sue stesse parole.

“Questo è tutto da verificare” borbottò Zell, guadagnandosi un’occhiata assassina dal giovane. La madre ridacchiò.

“Certe cose non cambiano, vero?” disse con voce amorevole. Anche senza i suoi poteri, Edea aveva sempre avuto la capacità di calmare gli animi: un’abilità non da poco trattandosi di Seifer e Zell, cane e gatto da vocabolario. I due si fulminarono con lo sguardo per qualche altro istante, poi tornarono ai rispettivi convenevoli con una squadra che non esisteva più, ma capace di sopravvivere al tempo ed alla distanza.
 


“Produzione locale?” commentò Zell, addentando nuovamente il pancake. Il miele regalava al dolce una golosa tonalità ambrata ed il profumo anticipava il sapore pungente ma assolutamente delizioso. Edea annuì.

“In questa stagione le api sono molto produttive” disse. “La natura qui è praticamente incontaminata e gli apicoltori hanno cominciato ad arrivare. Qui si produce miele di ottima qualità ed il paese è tornato a commerciare; non è ancora veramente redditizio, ma tra qualche anno Winhill potrebbe diventare persino un marchio di garanzia”.

“Non fatico a crederlo” commentò Selphie mescolandone un cucchiaino nel caffelatte. “Non ricorda neanche lontanamente quella porcheria sugli scaffali dei centri commerciali”.

“In più, si distilla un liquore che è una bomba” aggiunse Cid. “Bisogna farlo invecchiare un po’, ma il risultato vale l’attesa”.

“Ah, la residenza presidenziale di Esthar è già un cliente molto affezionato” disse Laguna, facendo colare il miele su uno spicchio di pera. “Mi faccio spedire una cassa di vasetti a cadenza bimestrale: difficile che avanzi ed anche se fosse il miele può durare mesi senza scadere”.

“Dì pure anni, Laguna” corresse Quistis con un sorriso. “C’era un articolo qualche tempo fa di un’anfora di miele ritrovata in una tomba di svariati millenni e, indovinate? Era ancora perfettamente commestibile”. Edea sorrise tra sé e sé, godendosi quella tavolata e quel calore che solo una volta all’anno si radunava. Si appoggiò sul tavolo e si volse verso Selphie.

“Ho sentito che il Garden di Trabia sta formando ottimi soldati” disse. La ragazza annuì.

“Già” disse con il sole negli occhi. “Ci sono voluti anni e parecchi sacrifici, ma siamo tornati in piedi: le nostre sono truppe specializzate nella guerriglia e nelle battaglie in quota e stanno avendo un buon successo. Io ed Irvine siamo insegnanti e non posso dirmi insoddisfatta degli studenti; certo, per alcuni un comitato disciplinare non guasterebbe…”.

“Ah, non guardare me” disse Seifer, distogliendo la sua attenzione dalla vivisezione di una tazza di muesli, colpevole di presentare tracce di uvetta. “Adesso ci sono Fuu e Ray alla gestione: io sono troppo impegnato con le missioni per andare a caccia di scavezzacolli”.

“E quali nuove da Esthar?” domandò Cid sorseggiando una tazza di caffè. L’uomo fece una spalluccia.

“Non molto in realtà” replicò. “Stiamo ancora risolvendo con Galbadia sul piano politico: il territorio di Centra fa gola ad entrambi e la trattativa è l’unico modo per evitare un confitto. Conflitto che, stranamente, nemmeno Galbadia vuole: il presidente Caraway ha evidentemente fatto un miracolo”. Edea ascoltò i racconti di tutti, poi si volse verso Cid. Lo sguardo era felice e soddisfatto, ma guardando il marito e formulando la domanda, si percepì chiaramente qualcosa spegnersi.

“Squall e Rinoa sono ancora in missione?”.

Gli occhi dei SeeD saettarono furtivi verso il capo opposto del tavolo, guardando quei tre piatti rimasti immacolati con occhi vuoti, nostalgici, ma anche illuminati da una fiamma di odio. Quei tre piatti rappresentavano speranza, compianto, nostalgia, un tavolo che non sarebbe mai stato occupato completamente. Quei tre piatti erano il motivo per cui ogni tredici maggio quel tavolo veniva imbandito.

“Si, cara: è ormai un mese buono che sono via” rispose. “Magari la stanno trattando come una luna di miele”. Edea sorrise.

“Mi manca molto” confessò con un sorriso. “Ma sono felice che sia in compagnia di Rinoa: mi piace quella ragazza ed è una vera gioia sapere che fanno sul serio”. Ogni parola, ogni sillaba, fu una coltellata per tutti i SeeD; continuare a parlare come se nulla fosse fu uno sforzo sovrumano, ma andava bene così.

Andava bene tutto, tranne la verità.

“Sono sicura che l’anno prossimo ci saranno” rassicurò Selphie con un sorriso mesto. Oh, certo: stai tranquilla che ci crede.


 
La collina si sollevava come una gobba in mezzo ad uno sterminato prato; la leggera brezza di metà mattina staccava petali e leggeri fiocchi di polline, facendoli danzare su un fondo verde ed azzurro; un giovane albero solitario frusciava placido nel’aria tiepida come una ninna nanna e qua e là api sottoforma di piccoli punti neri facevano il loro lavoro sfiorando i fiori con delicatezza quasi fossero fatti di rugiada. La comitiva avanzava verso l’albero sentendosi alieni in mezzo a quel trionfo di naturale bellezza, quasi in colpa per aver osato disturbare un quadro del genere.

Nessuno parlava più: le parole le avevano lasciate nel bar e quello era il momento del silenzio, dei pensieri e dei ricordi. Da dietro la collina spuntò una prima lapide e, subito dopo, una gemella accanto. A quella vista Edea e Laguna si fermarono.

“Vi lasciamo soli con lei” disse. “Noi siamo venuti ieri e torneremo domani: datele un bacio anche da parte nostra”. L’aria del gruppo di SeeD era greve di malinconia e lacrime che in quattro anni ancora non erano state completamente versate. I due si volsero e tornarono verso il villaggio, mentre il gruppo riprese la lenta marcia verso a cresta della collina.

Le due lapidi erano lucide e pulite, libere dalle erbacce e adornate di fiori freschi; le fronde dell’albero provvedeva a tenerle sempre all’ombra, proteggendole dai raggi del sole e mantenendo il marmo fresco. Donarono a Raine un pensiero ed uno sguardo, poi si volsero verso la seconda: l’epitaffio fu, come ogni anno, una doccia fredda.

Ellione Loire.

“Ciao, sorella” cominciò Quistis. Fece un passo avanti per parlare con la lapide; nessuno ebbe da obiettare. “Noi stiamo tutti bene, come puoi vedere: ancora tutti insieme dopo tanti anni. Sembra che il tempo passi solo all’apparenza per noi: a ben guardare, non siamo poi così cambiati”. Zell mosse leggermente la testa di lato.

“…soprattutto Seifer” borbottò tra sé e sé.

“Ti ho sentito, gallinaccio” ringhiò l’interessato accanto a lui. Il pugile fece l’occhiolino alla lapide con un sorriso colpevole.

“Ed anche per te, sai?” continuò. “Sembra che il tempo non passi mai: tu sei sempre la nostra sorella maggiore e noi, allora come adesso, continuiamo a parlarti, a confidarci con te, a chiederti consiglio. L’unica cosa che è cambiata è che adesso sappiamo sempre dove trovarti”. Si prese un istante: non aveva previsto di condire quella chiacchierata con le lacrime e non avrebbe permesso una cosa del genere. Deglutì e si schiarì la gola, controllando la voce. “Ci manchi tanto, Ellie”.

Tornò accanto ai suoi compagni, in silenzio. Per qualche minuto lasciarono che fosse il vento a parlare per loro: soffiò via nubi di polline, sparute foglie e petali e tanti pensieri e ricordi. Ellione aveva scelto di rimanere lì dopo Artemisia, otto anni prima: accanto a Raine, accanto ai luoghi testimoni del periodo più felice della sua vita al punto da scommettere i suoi poteri per cercare di modificare. Si era rivelata una crociata vana, ma chissà che in fondo non l’avesse sempre saputo.

Era proprio vero: nessuno era veramente cambiato.

Il silenzio fu rotto dal suono soffocato di un telefono: il suono alieno disturbò profondamente tutti i presenti, che si lanciarono reciprocamente occhiatacce. Irvine deglutì e si volse verso la lapide, indicando un mazzo di fiori che riposava ai piedi della pietra.

“Ragazzi…” mormorò. “Credo che arrivi da lì”.

Seifer si mosse: si sporse sul mazzo variopinto e frugo al suo interno. Estrasse un telefono a conchiglia, che vibrava e squillava; sullo schermo lampeggiava un numero non memorizzato. Guardò con occhi interrogativi i SeeD, come se in qualche modo potessero sapere che storia fosse quella poi, con una sicurezza che trasudava ansia, aprì il telefono.

“Pronto?” domandò. Pochi secondi ed il suo volto si contrasse in un’espressione di infinito odio. Ringhiò al panorama davanti a lui e strinse convulsamente il piccolo apparecchio. “COME OSI PARLARE CON NOI, BASTARDO TRADITORE?!”.

“Seifer” chiamò Cid. La voce era ferma, l’espressione indecifrabile, la mano allungata verso di lui. “Dammi il telefono”. Era un tono che non ammetteva repliche, probabilmente un ordine. Il biondo scrutò l’uomo con uno sguardo che, in un altro tempo, era il preludio ad una violenta, feroce battaglia, poi allungò il telefono al preside con gesto rabbioso. Si sistemò gli occhiali sul naso ed accostò il telefono all’orecchio. “Parla Cid Kramer, preside del Garden di Balamb”. Ci fu un attimo di silenzio, poi premette la pulsantiera. “Sei in vivavoce: ci sono tutti”. Attimo di silenzio. Poi il telefono parlò.

-Salve ragazzi- salutò la voce di Squall.

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Capitolo 2
*** Contro il tempo ***


La collina di Winhill fu nuovamente invasa dal silenzio, uno diverso tuttavia: la leggera brezza primaverile era diventata un gelido vento, i petali fastidiosi, il frusciare delle fronde assordante. Sguardi disgustati e sconvolti invasero i volti dei SeeD, mentre Cid conservava ancora uno stoicismo prova di un autocontrollo invidiabile. Il telefono tacque per qualche secondo, poi parlò nuovamente.

-Vorrei mettere in chiaro un paio di cose prima di continuare- disse. La voce del ragazzo fece montare a tutti una collera omicida.

“Continuare?” ringhiò Zell. “Continuare cosa?”.

-A parlare Zell: non che possa fare molto di più per telefono- replicò Squall. La voce era calma e fredda, la voce di chi ha il perfetto controllo della situazione.

“E di cosa vorresti parlare, Squall?” chiese Irvine. Parlava compassato ed una furia impetuosa animava i suoi occhi: lui, sempre calmo e controllato. “Siamo tutti curiosi di sentirti”.

-Ci sono veramente tutti allora- osservò la voce. –Meglio così: non dovrò ripetermi-. Quistis fu colta da un pensiero e si guardò intorno: non c’era che verde ed azzurro, una natura che continuava il suo cammino infischiandosene totalmente di ciò che stava succedendo sotto quell’albero, davanti a quella lapide. Nessuna traccia di esseri umani che non fossero li accanto a lei.

“Dove sei?” chiese Selphie: la voce le tremava e lacrime di rabbia rischiavano di rompere la barriera delle ciglia.

-Arriveremo anche a quello- fu la risposta. –Prima devo rubare la vostra attenzione per un qualche minuto-.

“Siamo tutt’orecchi” ringhiò Quistis.

-Molto bene- assentì Squall. Il telefono vibrò e lo schermo si illuminò. –Vi ho appena mandato una foto: io la guarderei fossi in voi-.

Era una foto scura, evidentemente fatta con un telefono vecchio modello a cui mancavano tre scatti al funerale, ma era inconfondibilmente il nucleo del motore volante del Garden nelle profondità del piano MD. Agganciato accanto al nucleo, quello che aveva l’aria di essere un gonfio marsupio con un’antenna che sporgeva da un lato; accanto ad esso, uno schermo con un grosso timer rosso immortalato sulla scritta STAND-BY. L’aria divenne, se possibile, ancora più fredda.

“Squall…” mormorò Cid. L’espressione composta era infine svanita, lasciando spazio ad una più sconvolta, in linea con quella di tutti i presenti.

-Immagino che abbiate visto- commentò serafico. –E non offenderò la vostra intelligenza chiedendovi se sapete cosa sia-.

“Squall, ti ammazzo” mormorò Seifer. Il ringhio era diventato una voce bassa, la rabbia una presenza poco sopra la bocca dello stomaco. “Io ti ammazzo”.

-Non ce ne sarà bisogno, Seifer: non ho la minima intenzione di far saltare in aria il Garden- rispose la voce nel telefono, per nulla intimidita dalla minaccia. –C’è una carica sufficiente per non lasciare altro che lamiere annerite. Il detonatore ce l’ho in mano in questo momento-.

“Che cosa vuoi, Squall?” chiese Irvine, che manteneva a stento il sangue freddo.

-Voglio che voi andiate a Timber- fu la risposta. Nessuno parlò, nello sconcerto generale. –Il Garden si parcheggerà fuori della città in una posizione che sia visibile da ogni via e finestra. Fin qui ci siete?-.

“Si, tutto chiaro” assentì Cid. “È tutto?”.

-Ancora un piccolo particolare- replicò la voce. –Una volta che sarete arrivati, il preside Cid e Selphie si faranno un giretto in città. Solo loro due e senza armi-. La ragazza rintuzzò nel sentirsi nominata.

“Puoi scordartelo” sputò Irvine: il semplice nome della ragazza in bocca a Squall gli stava facendo scivolare di dosso ogni brandello di lucidità che era riuscito a tenere. “Non osare nemmeno nominare Selphie, pazzo psicopatico”. Ci fu un attimo di silenzio, poi il telefono parlò ancora.

-Molto bene- concesse. –Allora Quistis. Volevo Selphie per avere qualche possibilità in più di un dialogo tranquillo, ma anche la professoressa va bene. Anzi, a ben pensarci lei è anche meglio. Ma questa è l’unica concessione che farò-. Di nuovo, Quistis fece vagare lo sguardo sul panorama intorno a loro, in cerca di qualche segno che le confermasse la sensazione che in quella valle non erano soli. Il telefono la riportò sotto quell’albero.

-Quistis?- chiamò Squall. –Hai nulla da dire?-.

“Anche se l’avessi non farai altre concessioni no?” sbottò. “Quindi non vedo il senso della domanda”.

-Giusto per sapere- replicò. –Quindi, ricapitolando: voglio il Garden parcheggiato fuori Timber e Cid in compagnia di Quistis in giro per la città tra…-. S’interruppe per qualche secondo. –Tre ore-.

“Ehi, aspetta un secondo!” esclamò Zell. “Tre ore? Da Winhill a Timber ce ne vanno almeno quattro anche con il Garden a velocità massima!”.

-Allora sarà meglio che vi incamminiate- replicò Squall, tranquillo. –Tre ore da quando la chiamata si chiuderà: va bene così?-. Il gruppo si guardò e si lanciò verso il villaggio ed il Garden in una frenetica corsa.

“Squall” chiamò Selphie. Voleva, doveva prendere tempo, anche un paio di minuti avrebbero contato. “Voglio farti una domanda”. Il silenzio che seguì le fece temere con un brivido che le tre ore avessero già cominciato la loro marcia verso lo zero, ma il telefono parlò ancora.

-Una domanda- ripeté. La ragazza, in qualche modo, credeva di sapere già la risposta: la sentiva dentro di sé, quasi rimbalzare nella sua testa sebbene non fosse ancora composta di parole. Pensò che non poteva averlo fatto, ma andò ad affiancarsi con il pensiero opposto. Deglutì, correndo a perdifiato nel prato, con l’erba che le frustava i polpacci nudi: non sentiva fatica né dolore, solo un grosso buco alla bocca dello stomaco.

“Rinoa è con te?” chiese. Seguì un silenzio ancora più lungo: il telefono era muto, l’aria sibilava nelle sue orecchie e le prime gocce di sudore facevano capolino sulla fronte; il fiato cominciò ad accorciarsi ma quello, ipotizzò, poteva benissimo essere la tensione o, per meglio dire, l’attesa. Guadagnò la bellezza di dieci secondi, poi Squall parlò ancora.

-Non più- rispose. La voce era stentorea, fredda e calma, sterile di qualsiasi tipo di emozione. Selphie sentì freddo. –Timber, Cid e Quistis in giro per la città fra tre ore. Non mancate-. La comunicazione s’interruppe e le lancette cominciarono a scorrere.
 


Quistis dirottò Selphie ed Irvine al bar da Edea: avrebbero dovuto continuare la giornata come se nulla fosse successo per non allarmare lei e Laguna. La partenza frettolosa di tutti quanti non avrebbe fatto altro che insospettire e la Madre non era una sprovveduta: se avesse anche solo annusato come stavano le cose avrebbero dovuto rispondere di anni di menzogne.

La telefonata che avevano appena avuto sembrava surreale a tutti al punto da chiedersi se una cosa del genere potesse effettivamente star accadendo. Il cellulare ancora stretto nel pugno di Cid dava una conferma che nessuno veramente voleva: Squall Leonhart andava catturato, preferibilmente ucciso, ma mai avrebbero pensato che avrebbe preso in ostaggio il Garden intero. Quando aveva avuto accesso al piano MD? Da quanto tempo quella bomba era lì sotto? Arrivarono al Garden che nessuno aveva ancora parlato: l’imperativo in quel momento era mettere in marcia l’accademia, farla andare a tavoletta e pregare che bastasse quello.

“Nida!” esclamò Zell. L’ascensore stava concedendo loro qualche secondo per riprendere fiato: erano tutti perfettamente allenati, ma una corsa a rotta di collo di mezz’ora avrebbe fiaccato chiunque. “Cosa gli diciamo?”.

“Lasciate fare a me” boccheggiò Cid: tra tutti, era quello meno allenato eppure aveva tenuto il ritmo ed ora il fisico attempato gli stava presentando il conto. Arrivarono al ponte di comando come delle furie. Nida trasalì e si volse verso il gruppetto trafelato e sconvolto.

“Cosa…” cominciò, ma Cid lo interruppe.

“Abbiamo un emergenza, ti basti sapere questo” disse. “Rotta verso Timber alla massima velocità. Se puoi rubare anche pochi secondi al vento ed ai dislivelli naturali fallo: è imperativo arrivare entro tre ore”. Il SeeD sbatté le palpebre smarrito, poi si volse verso il quadro comandi.

“Difficile, ma tenterò” disse stranito. “Non faccio promesse”. L’accademia si mise in marcia con uno scossone e in pochi minuti fu lanciato sulle ampie praterie di Galbadia. Cid congedò i tre SeeD, affermando che sarebbe rimasto in plancia e ringraziandoli per la piacevole mattinata.

“Piacevole mattinata” commentò Seifer, ancora impegnato a respirare senza sentire coltellate al fianco. “Piacevole mattinata, dice lui…”. Zell si volse verso il compagno con occhi nervosi; Quistis era immobile, lo sguardo perso nel vuoto, pallida.

“Dobbiamo fare qualcosa, Quistis” commentò. La donna parve riscuotersi.

“Sono d’accordo” annuì. “Ma Squall l’ha pensata fin troppo bene: il tempo che ci ha dato è appena sufficiente per arrivare, una qualsiasi deviazione e siamo fuori. L’unica cosa che possiamo fare…”.

“Scendere al piano MD e cercare quella bomba” disse Seifer. I due lo guardarono. “Il bastardo vuole te e Cid per le strade, ma non ha detto nulla di noi: io e Zell possiamo tentare di togliergli il Garden dalle mani”.

“Disinnescandola?” commentò il pugile, stranito da fatto che Seifer l’avesse chiamato per nome. Lui scosse la testa.

“Non abbiamo le competenze per una cosa del genere” disse. “E portare con noi un artigliere vuol dire perdere tempo ed informare terzi della nostra situazione: due cose che preferirei evitare in questo momento”.

“E allora cosa conti di fare, mangiartela?” chiese.

“Almeno portarla fuori” disse lui. “Almeno tentare, che diavolo!”. Quistis sospirò.

“Funzionerebbe se non fosse per un dettaglio” disse. “A questa velocità, gli ascensori si bloccano automaticamente per evitare danni e cedimenti. Questi tre piani del Garden sono collegati con le scale, ma l’MD è isolato e l’ascensore è l’unica via. Si potrà scendere solo quando rallenteremo a velocità di crociera, ovvero in vista di Timber: per allora, sarà tardi per giocare d’anticipo”. Seifer digrignò i denti.

“Il bastardo sa il fatto suo, devo ammetterlo” ringhiò. “Ma non è un motivo per lasciar perdere: Nida rallenterà in vista di Timber e noi scenderemo al piano MD”. Se la situazione non avesse avuto altre priorità, i due si sarebbero commossi per la preoccupazione di un ragazzo che non più tardi di otto anni prima aveva quasi distrutto quello stesso Garden che ora voleva salvare al punto da lanciarsi in una missione suicida. “Dovrai prendere tempo: quando sarai con lui, dovrai parlare e farlo parlare. Con un po’ di fortuna ce la faremo”. Sì, ci sarebbe stato veramente molto da commuoversi.
 


Nida compì il miracolo: furono in vista di Timber a mezz’ora dalla scadenza delle tre ore e fermarono il Garden poco lontano dalle mura vantando un anticipo di pochi minuti. Quistis e Cid scesero dalla plancia di comando che Zell e Seifer si erano già addentrati al piano MD.

-Stiamo scendendo Quistis- disse la ricetrasmittente.

“Li sotto non c’è campo” avvisò la donna muovendosi a passo di marcia verso l’ingresso. “Sarete soli”.

-Mai stato un problema- rispose la voce di Zell. –Piuttosto, anche voi sarete soli a Timber-.

“Ho passato queste ore a sistemare le junction” informò Quistis. “Se prova a fare qualcosa, Medusa sarà il minimo”.
 


Timber aveva conquistato la sua indipendenza, ma era ben lontana dall’essere una tranquilla città di provincia. Le strade erano pattugliate da bande di delinquenti e polizia più o meno corrotta, lo scontro tra indipendentisti e filo-galbadiani era evidentemente per le strade e tra i quartieri oltre che nelle aule del tribunale e del parlamento. Era tuttavia giorno di mercato e le vie erano piene di una folla che non si era fatta intimidire dalla criminalità serpeggiante. Alla vista della lunga calca di gente davanti alle bancarelle, Cid deglutì.

“Anche se fossimo stati sorvegliati, in mezzo a questa baraonda ci avrebbero sicuramente perso” commentò. “Non posso fare a meno di stupirmi”. C’era ammirazione nella voce del preside e, suo malgrado, Quistis assentì. In quel momento la tasca di Cid vibrò e sullo schermo del cellulare a conchiglia comparve lo stesso numero di quella mattina.

-Nida è migliorato- commentò la voce di Squall nell’orecchio del preside. –Niente male-. Cid mise nuovamente il vivavoce per far sentire anche alla donna accanto a lui.

“Quindi sai già che siamo a Timber” commentò, mantenendo un’aria posata. “Adesso che succede?”.

-Adesso continuate a camminare- fu la risposta. –E non opponete resistenza-. La chiamata si chiuse prima che i due avessero modo di commentare. Cid ebbe appena il tempo di riporre il cellulare nella tasca, poi da un vicolo accanto a loro comparvero due sacchi di tela che intrappolarono le loro teste e si chiusero intorno al loro collo.

Quistis dovette fare uno sforzo tale per non reagire da sentirsi la testa girare. La luce sparì e l’aria si fece calda mentre una figura invisibile la sospingeva di lato, in una zona che si fece scura e silenziosa.

“State tranquilli e non succederà nulla” sussurrò una voce all’altezza del suo orecchio destro. La donna rabbrividì. Camminarono una decina di minuti buoni in un’area non meglio precisata, ma che rimaneva comunque avvolta nell’ombra. Quistis dopo un po’ perse l’orientamento e si lasciò guidare dallo sconosciuto, pensando che se avesse sentito le mani dello sconosciuto spostarsi dal centro delle scapole in qualsiasi direzione probabilmente avrebbe fatto saltare il Garden, ma anche le cervella del loro aggressore. Sentì una porta cigolare e la mano che la sospingeva lenta ma decisa dentro un’area che da scura si fece nera. Sentì un tonfo alle sue spalle ed il sacco infine svanì da davanti ai suoi occhi.

Erano dentro una stanza in penombra, ordinata ma polverosa, con poche lame di luce che entravano da una finestra sprangata e mettevano in risalto i granelli di polvere nell’aria odorosa di chiuso; la mobilia era semplice, spartana e spoglia, con un gradino che dava su un breve corridoio al fondo del quale una porta li guardava come un’orbita vuota.

Davanti a loro, c’era Squall Leonhart.

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Capitolo 3
*** Timber ***


I tre si scrutarono per qualche secondo, poi il giovane sollevò lentamente una mano: stringeva un piccolo congegno simile ad una radiolina da cui spuntavano un’antenna ed una leva rossa; a coprire la mano, una piccola tastiera sotto un display su cui lampeggiava un cursore accanto alla scritta CODE.

“Salve ragazzi” disse. La figura davanti a loro conservava poco del giovane che avevano conosciuto anni prima: le spalle erano più larghe ed i capelli più lunghi, indossava un completo nero sopra una camicia bianca e guanti a mezza falange che coprivano le mani; la cicatrice si era finalmente chiusa, riducendosi ad una frastagliata linea in mezzo alla faccia ed una barba corta e ben curata incorniciava la bocca. Quistis deglutì, rimproverandosi mentalmente che quello non era proprio il momento per ammirare l’affascinante risultato degli ultimi quattro anni. La voce era sempre stentorea, fredda e sterile, ma con un qualcosa il più, qualcosa di alieno che non aveva mai sentito in lui. Non seppe dargli un nome, ma riconobbe che non era un inflessione che avrebbe avuto un dinamitardo, tantomeno un folle. “Sapete cos’è questo, vero?”.

“Un detonatore a pressione” rispose Quistis, sentendosi finalmente ed irrimediabilmente in trappola. Squall annuì.

“Esatto” assentì. “Se per qualsiasi motivo mi dovesse sfuggire di mano, il Garden esploderà”. Li studiò per qualche secondo, poi si rivolse alla figura dietro di loro, lanciando un pacchetto dalle inequivocabili dimensioni di una mazzetta. “È tutto”. La figura dietro di loro, poco più di un ragazzino, afferrò il fagotto e sorrise.

“È stato un piacere” disse. “Se avrà ancora bisogno…”.

“Sparisci” ringhiò Squall. Un semplice ordine, come quelli che aveva sempre dato, che tuttavia trasfigurò l’espressione del ragazzotto mentre armeggiava con la porta e svaniva oltre la soglia.

“A noi” disse infine. “Come ho detto per telefono, nessuno di noi vuole vedere il Garden saltare in aria: con un po’ di collaborazione non succederà niente. Prima di tutto, Quistis”. La donna gli piazzò negli occhi grigi uno sguardo bieco che lui sostenne senza apparente sforzo. “Sei disarmata, ma questo non ti rende innocua. Io non conosco le tue junction ma tu non conosci le mie: non tentare nulla, nessuno deve morire”.

“Come Ellione?” chiese la donna. Esagerava, tirava la corda, ma non avrebbe potuto fermarsi nemmeno se avesse tentato. “Squall, hai ucciso Ellione. Ed abbiamo ragione di pensare che hai ucciso anche Rinoa: come facciamo a fidarci?”. Lui scosse la testa, imperscrutabile.

“Devo parlare con Cid” tagliò corto. “Da solo”. Quistis fece un passo avanti.

“Pensi che lo permetterò?” chiese.

“Non ho intenzione di fargli del male” confessò. “Non voglio far del male a nessuno di voi, ma lo farò se mi costringerete. Cid verrà con me nell’altra stanza e la nostra chiacchierata sarà privata. Queste due porte sono le uniche di questa stanza e sono controllate entrambe da una telecamera: se scappi, il Garden esplode; se mi accorgo che spii, il Garden esplode. Tutto chiaro?”. Quistis lo fulminò con uno sguardo rancoroso.

“Non mi lasci molta scelta” borbottò infine, incrociando le braccia. Lui annuì e si volse verso il preside, facendosi di lato per liberare simbolicamente la strada verso l’altra stanza.

“Preside…” borbottò gelido. Cid entrò nella stanza con passo tranquillo e testa alta; Squall entrò dietro di lui e chiuse la porta senza voltarsi.

Quistis rimase sola, nel silenzioso buio della stanza; guardò la porta con occhi sterili poi si riscosse e mosse qualche passo, guardandosi attorno. La stanza era una sala da pranzo, con un grosso tavolo impolverato al centro; vasi di piante ormai secche ornavano delle finestre chiuse da assi inchiodate all’esterno da cui filtravano solo poche lame di luce; parecchi piatti impolverati erano impilati in una credenza a giorno ed aloni di muffa avevano invaso gli angoli alti dei muri.

Quistis si sedette su una delle sedie attorno al tavolo, ignorando lo sbuffo di polvere che si liberò dalla seduta imbottita; dalla porta davanti a lei non trapelava alcun rumore e, per quanto si guardasse attorno, nulla faceva pensare alla presenza di una telecamera che osservava l’intera stanza. Scosse la testa: anche se non ci fosse stata, non avrebbe comunque potuto fare nulla. Le junction così accuratamente preparate servivano a proteggerla da eventuali aggressioni, non per attaccare. E poi, era di Squall che si parlava: quattro anni prima era di fatto il SeeD più capace dell’intero Garden ed era semplicemente assurdo pensare che si fosse arrugginito solo perché non aveva più il suo gunblade.

Alla fine della guerra della Strega, aveva consegnato il Lionheart all’armeria del Garden senza dare spiegazioni chiare: l’aveva voluto mettere a disposizione dell’armeria dell’accademia e se al personale responsabile non stava bene l’avrebbe venduto al primo junkshop. Aveva nuovamente impugnato il suo vecchio Revolver ed era stato come ritrovare un vecchio amico perso da tempo: l’aveva rimirato, studiato, passato il dito su ogni imperfezione del calcio, ogni scheggiatura della lama, ogni riga del tamburo. Era un’arma consunta, vittima dell’usura e del tempo, ma era l’arma che l’aveva visto crescere e gli si era perdonato quel piccolo slancio di sentimentalismo.

Quello stesso gunblade era stato ritrovato quattro anni dopo conficcato in un corpo carbonizzato dalla magia, che l’impronta dentale avrebbe identificato come la fu Ellione. Non c’era stato veramente bisogno di un’ulteriore indagine; non avevano saputo più nulla di Rinoa, ma a quel punto nulla le impediva di pensare che fosse morta prima della Sorella. Davanti a questi ricordi, ancora troppo freschi per i GF, Quistis scosse la testa.

“Non ci posso credere…” mormorò, per l’ennesima volta da anni. La porta in fondo si aprì e ne uscì un Cid incolume ma leggermente pallido e con un’espressione perplessa sul viso. La donna si alzò, ma prima che potesse anche solo aprir bocca comparve Squall.

“Non disturbarti, Quistis” disse, intuendo le sue intenzioni. “Non dirà nulla del nostro colloquio che tu non saprai a suo tempo”. Quando il preside fu al centro della stanza, l’uomo parlò ancora. “Bene. Tocca a te”. La donna sbatté le palpebre, per la prima volta incerta.

“Scusa?” commentò. Lui annuì.

“Devo parlare anche con te” ripeté accondiscendente. “Pensi che ti abbia fatta venire come scorta di Cid?”. Lei guardò il preside in cerca di conferma: l’uomo alzò verso di lei un’occhiata confusa ed agitata, ma le fece un cenno affermativo con la testa. Vai, ma stai attenta parevano dire quegli occhi. Deglutì e si fece avanti.

La stanza accanto non era molto più pulita della precedente, ma questa era una camera da letto; il materasso era sparito ed il letto non era che una rete metallica circondata da quattro assi di legno; i mobili erano vuoti ed adesivi di aeronavi decoravano la porzione di muro che sovrastava una scrivania d’angolo; sul muro accanto alla finestra, il poster di una band, gli Insomnia, troneggiava sopra un mobile eretto ad altarino.

“Valgono le stesse regole, preside” sentì dire dalla porta. “Una mossa non gradita e si ritroverà un Garden sulla coscienza”. Quistis si volse in tempo per vedere l’uomo chiudere la porta; nella stanza cadde un silenzio di tomba. Squall si volse verso di lei e controllò l’orologio al polso; stretto nella mano aveva ancora il detonatore.

“Nervoso?” chiese la donna; la sua audacia venne ricompensata con un’occhiata sterile. “Allora, cosa vuoi?”.

“Siediti” rispose lui, indicando una poltrona poco lontana. “Con te potrebbe volerci un po’ di più”.

“Non so se sentirmi lusingata o offesa” commentò lei: cercava una reazione, uno scatto emotivo, qualcosa a cui aggrapparsi per tentare di fermarlo, di arrestarlo, almeno solo per capirlo. Squall sospirò e mosse qualche passo svogliato. Si fermò accanto al letto e si volse verso di lei, trapassandola con uno sguardo di ghiaccio.

“Ellione è morta” disse con voce atona. Di riflesso, Quistis strinse i pugni. “Rinoa non ha avuto un destino molto diverso ed in entrambi i casi c’entro io: dovrebbe riassumere bene il quadro, no?”. La donna si morse la lingua, pregando che il dolore la aiutasse a controllare istinti primordiali che minacciavano di prendere il sopravvento. Davanti al suo silenzio, l’uomo continuò. “Sono stato bollato come disertore e traditore tra le varie cose che avete segnato accanto al mio nome. Mi avete cercato per anni senza cavare un ragno dal buco, mentre a me sono bastate una telefonata ed una foto per farvi correre a rotta di collo al mio cospetto: tutto molto divertente, se mi concedi la digressione, ma ad un certo punto bisogna anche pensare alle cose serie, no?”.

(Devi prendere tempo, Quistis) pensò furiosamente la donna. (Lascialo parlare: più parla, meglio è). Emise un respiro, poi un altro, senza arrischiarsi a parlare. L’uomo non si mosse, poi parlò ancora.

“Possiamo chiacchierare quanto vogliamo, nessuno ci corre dietro” disse.

(Qui è dove ti sbagli) pensò furiosamente, ma Squall guardò l’orologio e distrusse ogni sua sicurezza.

“Immagino che ci siano Zell e Seifer al piano MD” borbottò. “Ma considerando che sono potuti scendere solo quando eravate qui fuori, ci metteranno ancora una ventina di minuti per trovare la bomba e tornare in superficie quanto basta per qualsiasi comunicazione”. Davanti all’espressione colpevole della donna, disegnò un lieve ma crudele ghigno. “Non avete mai avuto il controllo, professoressa”. Tra i due serpeggiò un silenzio pregno di astio, delusione, malinconia; infine, Quistis parlò.

“…perché?” mormorò con voce rotta. “Cos’è successo, Squall? Tutto questo…” allargò le braccia, indicando l’intera stanza. “Come siamo arrivati a questo?”. Si alzò e si avvicinò al ragazzo: era fermo, silenzioso e non le toglieva gli occhi di dosso. La prima lacrima cadde dalle ciglia della donna, poi una seconda ed una terza. “È stato qualcosa che abbiamo fatto noi? È colpa nostra? Ellione! Rinoa!”. Lui la guardò con occhi sterili per qualche secondo, poi indicò con un cenno la sedia dietro di lei.

“Siediti, Quistis” disse. “Dobbiamo parlare”. Lei lo scrutò con occhi affranti, poi obbedì passandosi rabbiosamente una mano sugli occhi.

“Parlare?” commentò. “E di cosa?”. Squall incrociò le braccia.

“Di lavoro” rispose. “Della missione che vi voglio assegnare”.
 


Zell arrivò al fondo del piano MD e si guardò intorno, inconsapevole che in quel momento, da qualche parte a Timer, Quistis stava sgranando gli occhi alla prospettiva di lavorare per Squall. Accanto a lui, Seifer scese la scaletta e si spolverò l’abito tracciando spesse e marcate sbavature di grasso motore sul tessuto bianco.

“Vedrò gli Shumi con le ali per tentare di pulirlo” borbottò. “Come diavolo si levano delle macchie così?”.

“Potrai chiedere al personale del Garden” replicò il pugile, saltellando sul posto dal nervoso. “Sempre se ci sarà ancora il Garden perché, non so se ti ricordi, siamo qua per cercare UNA MALEDETTA BOMBA!”.

“Calma e sangue freddo, gallinaccio” borbottò lui, prendendo il telefono ritrovato sulla lapide di Ellione. “Dalla foto sembra il nucleo energetico del disco di levitazione, quindi al fondo della scala oltre quella porta”.

“Come diavolo ha fatto ad intrufolarsi qui dentro e mettere una bomba?” commentò Zell. Seifer scosse la testa.

“Più che altro, quando l’ha fatto” replicò. “Può aver approfittato della manutenzione dell’anno scorso, può essere entrato a qualunque sosta in qualunque posto in un momento qualunque di questi anni; per quel che ne sappiamo può averla messa otto anni fa alla vostra prima visita a FH. Che ce ne frega?”. Si volse verso di lui, l’espressione che esprimeva tutto l’odio verso il suo vecchio rivale, tutta la tensione della loro missione. “A me basta il fatto che c’è e che l’ha messa lui: solo per questo, la prossima volta che l’avrò davanti ai miei occhi, lo passo a filo di spada senza stare a farmi troppi problemi”. Zell sospirò.

“Non so…” borbottò. Il compagno si volse verso di lui.

“Cosa non sai?” chiese. “Quale parte del corpo rompergli per prima?”.

“Ho solo pensato che tutto ciò è assurdo” disse. “So che è colpevole, ma seguimi un attimo: abbiamo fatto la crociata contro Artemisia, durante la quale ritroviamo Ellione e Squall e Rinoa fanno coppia fissa. Dopo quattro anni di calma, un bel giorno si sveglia, le trucida entrambe e tanto per non farci mancare nulla mina il Garden e ci prende in ostaggio per chissà quale motivo: ora, se capitasse tutto nell’arco di pochi giorni potrei anche pensare che sia uscito di cervello, ma in otto anni? Dico solo che è strano…”. Seifer lo liquidò con un verso sprezzante e scese la scaletta quasi in caduta libera; Zell non aggiunse altro.

Nel nucleo del piano MD l’aria era pesante, umida e puzzolente; i macchinari erano in funzione, lucidi di olio e grasso, e saturavano l’aria con un ronzio basso e penetrante. I due si guardarono intorno ed infine la videro: molto più in alto della loro posizione, seminascosti dalla penombra, sei cilindri legati tra di loro con uno schermo agganciato a lato. Zell deglutì.

“Diavolo, c’è per davvero” commentò. Seifer gli colpi la nuca con un buffetto.

“Pensavi fosse una battuta?” disse acido. “Forza, arrampicati: io mi sono già sporcato abbastanza”.

“Ma le vedi le pareti piene di grasso?” replicò lui. “Arrampicati: ma senti questo…”. Estrasse dalla tasca una torcia e la puntò sulla bomba.

“Vuoi spaventarla?” chiese il biondo. Zell fece per rispondere, ma la frase gli morì in gola.

“Seifer…” mormorò sconvolto. Il compagno alzò lo sguardo e vide anche lui.

“Avvisa Quistis” disse lentamente, incapace di credere ai suoi occhi. Zell prese il telefono, ma si fermò.

“Non c’è campo qui sotto” disse. “Solo chiamate di emergenza”.

“Questa è un’emergenza, porca Leviathan” esplose Seifer. Digrignò i denti, poi aprì il suo cellulare, zoom al massimo e scattò una foto all’ordigno. “Ok, adesso fuori di qui. DI CORSA!”.
 


“Lavorare…per te?” commentò Quistis: per un attimo credette ad uno scherzo, ma l’espressione di Squall non lasciava intendere nulla di ciò. Occhieggiò allora il detonatore. Lui continuò.

“Ho una missione da assegnare a tre SeeD” ripeté. “Più precisamente a te, Zell e Seifer. La consegna è…”.

“Sai che non lavoreremo mai per te” interruppe la donna. “O è una delle cose che dobbiamo fare se no il Garden esplode?”. Lui sospirò.

“Vi sto assegnando una missione” osservò lui. “Una come tante”.

“Zell e Seifer non accetteranno mai di fare una missione richiesta da te” obiettò lei. E poi, deve essere convalidata dal preside”. Squall prese dalla tasca un foglio accuratamente piegato e Quistis ebbe l’orribile sospetto che stesse aspettando solo quelle parole. Deglutì secco mentre l’uomo davanti a lei le mostrava la pagina.

Era un foglio rilegato, fittamente scritto e con il timbro del Garden di Balamb in fondo, ufficializzato dal ghirigoro frettoloso di Cid Kramer. Sentì il cuore perdere un battito, rendendosi immediatamente conto del significato delle parole di Squall quando era entrata, del motivo per cui loro stavano ancora parlando mentre il preside, nel giro di dieci minuti, era fuori, nell’altra stanza, teoricamente al sicuro.

“Hai bisogno di altre conferme?” chiese lui: la frase poteva essere canzonatoria o irritata, ma la sua voce la tramutò in un’atona domanda quasi senza vera importanza. Accolse il suo silenzio come un tacito consenso e le porse il foglio. Quistis lesse con crescente perplessità; arrivò a guardare il timbro del Garden senza capire perché Cid avesse accettato di firmare una missione del genere. Fece domande ed ascoltò le risposte, finché Squall non decise che di tempo gliene aveva dato abbastanza.

“Serve la tua firma adesso” disse.

“E se non la firmassi?” chiese. Squall alzò semplicemente il braccio che stringeva il detonatore: domanda retorica.

“Vuoi il detonatore disinnescato?” chiese. “Basta mettere una firma ed è tutto tuo”. Scrutò negli occhi della professoressa lo smarrimento, l’indecisione, il dubbio; emise un sospiro che assomigliava pericolosamente ad uno sbuffo stizzito e si volse verso l’orologio.

Quel gesto ebbe il potere di mettere il turbo al cervello di Quistis. Gli occhi saettarono per il contratto, alla disperata ricerca di fregature, trappole ed imboscate senza trovarne: la consegna era a dir poco banale, la paga ottima ed il rischio minimo per non dire nullo. Eppure, sentiva che Squall non le stava dicendo tutto. Ma che scelta poteva avere? Quanto poteva ancora temporeggiare?

Gli occhi grigi di Squall la guardarono firmare la missione.

“Perfetto” borbottò, prendendo il foglio e strappando la copia sovrapposta in carta carbone. Quistis si volse, decidendo di giocarsi l’ultima carta del suo mazzo.

“E se non la portassimo a termine?” chiese. “Anzi, se nemmeno la facessimo, cosa succederebbe?”. Per tutta risposta, l’uomo digitò per qualche secondo sul pad agganciato al detonatore; un piccolo suono elettronico e lo lanciò sulla scrivania all’angolo. Il cuore di Quistis perse un battito.

“Siamo a Timber” fece presente lui. “Sede del Timber Maniacs, una delle riviste più lette del mondo e dichiaratamente anti-SeeD: se in redazione si presentasse il figlio di Laguna Loire con una cosa come questa da raccontare, cosa succederebbe? Per la cronaca, i Garden mi hanno bollato come nemico pubblico numero uno ma per il resto del mondo sono uno come tanti e posso entrare dove voglio, specialmente in un posto che deve a mio padre una bella fetta della fama di cui gode”. Si volse ed aprì la porta; Cid era ancora nella sala, fermo dove l’avevano lasciato.

“Quistis!” esclamò: nella sua voce vibrò per la prima volta la preoccupazione.

“La chiacchierata è finita” disse, asciutto. “Il detonatore è sul tavolo ed il Garden è ancora intero: abbiamo vinto tutti, esattamente come promesso. Ora fuori dai piedi”.
 


Avevano appena riconquistato la via centrale quando il cellulare di Quistis squillò: la tensione degli eventi dell’ultima mezz’ora era crollata e si sentiva a pezzi come se avesse corso per tutta Timber senza fermarsi nemmeno un istante. Rispose alla chiamata senza nemmeno guardare il numero.

“Pron…”.

-Quistis, non farlo scappare!-. La voce di Seifer, troppo alta ed irruenta per il suo umore irrimediabilmente guasto, le fece digrignare i denti.

“Con Squall abbiamo finito” disse massaggiandosi distrattamente una tempia. “Ha disinnescato la bomba e mi ha dato il detonatore: siete scesi all’MD?”.

-La bomba era un falso-. La frase la fece fermare in mezzo alla strada. Cid si volse verso di lei con occhi interrogativi: stava riprendendo lentamente colore, ma era evidente la sua fretta di lasciarsi alle spalle quella giornata e quella città.

“Che stai dicendo?” mormorò.

-La bomba erano tubi di plastica legati con il nastro da pacchi- precisò Seifer. –Ed il display di controllo un adesivo su una placca: la bomba non è mai esistita-.

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Capitolo 4
*** Dollet ***


“Una missione” fu il commento di Seifer alla notizia. “Ha fatto tutto questo putiferio per assegnarci una missione?”.

“Sì” fu la risposta di Quistis. “A detta sua, aveva bisogno di una garanzia che l’avremmo almeno ascoltato”.

“Animo nobile” commentò Zell, velenoso. “Se avessimo rifiutato?”.

“Non potevamo rifiutare” fece presente la professoressa. “La bomba era un falso, ma per me in quel momento era vera ed armata. E lo stesso per voi: non potevamo che obbedire”.

“E dobbiamo compierla” commentò Cid. “Una pubblicità negativa da Timber Maniacs sarebbe il colpo del boia per la SeeD, specialmente adesso che la Strega è sparita ed i poteri debellati”.

“Gli altri Garden sono competitivi sul mercato ed il nostro ormai è solo un titolo” assentì Quistis. “Non è sufficiente per continuare a proclamarci come unità elitaria superiore a qualsiasi altra forza militare al mondo. Se poi viene fuori che non rispettiamo nemmeno le missioni…”.

“Va bene, ok” sbottò Seifer. “Sentiamo che bisogna fare”. Cid porse il foglio a Quistis, che si alzò dalla poltrona della presidenza e cominciò ad illustrare.

“È una missione di ricognizione” disse. “Tra tre giorni dobbiamo andare a Dollet e rimanerci dalle sette alle ventitré. Abbiamo facoltà di fare quello che vogliamo dove vogliamo, ma non possiamo lasciare la città prima della scadenza della consegna”. I tre rimasero perplessi.

“Ci ha…” mormorò Zell infine. “Ci ha pagato una vacanza?”. Il commento attirò un’occhiata seria del preside, ma Quistis alzò le spalle.

“Più o meno…” replicò. “Ha detto che dobbiamo tenere gli occhi aperti”.

“A cosa?” sbuffò Seifer: aveva sempre avuto una naturale avversione per i noiosi briefing pre-missione e non vedeva genuinamente l’ora che finisse per passare a cose più serie, come pranzare o farsi una doccia. Quistis si prese un secondo per rispondere, forse per riordinare le idee o scacciare la miriade di dubbi e brutte sensazioni comparse quando Squall aveva risposto a quella stessa domanda.

“Ha detto…che quasi sicuramente saremmo entrati in contatto con qualcosa” disse. “Un qualcosa che non dovrebbe trovarsi a Dollet: dovremo occuparcene e continuare con la missione fino alla scadenza”. Zell e Seifer si guardarono.

“Ci sono delle condizioni” prese parola Cid. “È stato pagato l’intervento di tre unità ed ha specificato che potete essere solo e soltanto voi tre. L’altra condizione è la tempistica: dobbiamo rispettare la data e l’ora della missione, fra tre giorni a Dollet dalle sette alle ventitré senza ritardi o anticipi. La terza è che io sarò escluso completamente dall’operazione, compreso il rapporto: dovrete contattare lui a missione completa”. Lo sguardo di tutti cadde sul telefono trovato a Winhill: giaceva silenzioso e scuro sulla scrivania.

“La missione sarà considerata compiuta quando noi rientreremo al Garden, indipendentemente dagli eventi di Dollet” concluse Quistis. “Presentato il rapporto a Squall, nulla ci vieterà di mettere al corrente il preside”. Seifer era esterrefatto.

“Aspetta, fammi capire” disse. “Ha pagato l’intervento di tre SeeD per una missione che non possiamo fallire in uno dei paesi più tranquilli del mondo. E per di più noi tre, i suoi vecchi compagni: vi basta per capire che è pazzo o deve entrare da quella porta con un cinturone di pannocchie minacciando di farsi esplodere?”.

“Ha tutta l’aria di un agguato” rifletté Zell. “O di un’imboscata: e se ci aspettasse lì per ucciderci?”. Quistis scosse la testa.

“Improbabile” commentò. “Se avesse voluto ucciderci, perché piazzare una bomba falsa? Poteva metterne una vera e farci saltare in aria dovunque ed in qualunque momento: nessuno sarebbe risalito a lui”.

“In più, perché a Dollet?” continuò Cid. “Timber è preda dell’anarchia più violenta ed è controllata da gang e bande rivali: non esiste ancora un governo, quindi la polizia è proprietà di chi la paga di più. Se io dovessi assassinare qualcuno lo manderei in un posto così, non in una pittoresca città turistica in bassa stagione”. Seifer sospirò, riconoscendo la logica.

“Non avete tutti i torti…” commentò.

“Per questo non sono d’accordo con te, Seifer” aggiunse il preside. “Di Squall possiamo dire tutto quello che vogliamo e non ci sarà una persona qui dentro a dire il contrario, ma ragiona con me: ci ha presi in ostaggio tagliandoci ogni possibilità di fuga, ha costruito una missione che non riusciamo a capire ma che non possiamo non fare e ci ha dato la possibilità di contattarlo in ogni momento, ma non lo facciamo perché sappiamo di non poterlo affrontare in nessun campo. Il tutto, senza armi, senza vittime e prima dell’ora di pranzo: un pazzo non sarebbe capace di una lucidità del genere nemmeno in cent’anni”.

Negli occhi dei tre comparve l’inquietudine, la stessa che era nata in Quistis quando Squall le aveva illustrato la consegna di quella missione. Era una missione solo perché c’era una consegna, una paga ed un rapporto da fare alla fine, ma erano troppi i punti che non quadravano. Per la prima volta, condivise con Seifer quello che per anni era stato il suo pensiero guida in quel mestiere: una missione che non prevedeva il fallimento e che consisteva nel fare i turisti in un paese come Dollet, così bello da essere una piccola gemma nel panorama galbadiano.

Era troppo facile.



“Quindi fra tre giorni ci faremo una pedalata sul lungomare di Dollet” commentò Zell stiracchiandosi. “Chissà se la gelateria nel paese è già aperta: non è stagione, ma una crepe al mango me la farei volentieri…”. Seifer gli scoccò un’occhiataccia.
“La tua tensione è palpabile” rimbeccò. Il pugile fece una spalluccia.

“Che male c’è?” chiese. “L’hai sentita la consegna, no? È una missione che non prevede fallimento ed anche il rischio di essere uccisi è minimo: perché dovrei vivermi questi giorni in ansia da ‘Oh Hyne, fra tre giorni moriremo tutti’? E anche se fosse, voglio morire con una crepe al mango sulla lingua: vale la pena tuffarsi nel grande buio per quella leccornia”.

“Adesso so cosa rispondere al prossimo che mi chiede perché la SeeD è sull’orlo del fallimento…” borbottò il biondo.

“Immagino che nella tua testa era divertente, vero?” chiese Zell. Quistis sospirò e premette il freno dell’ascensore, che si fermò con uno scossone.

“Ragazzi, c’è ancora una cosa” disse. I due la guardarono smarriti, il battibecco ucciso sul nascere. “C’è un’altra condizione…se posso chiamarla così. È una cosa che Cid non poteva sapere e che deve rimanere tra di noi”.

“Te l’ha detto lui?” ringhiò Seifer. “Non garantisco su nulla che non sia siglata su un contratto d’ingaggio, spiacente”.

“Aspetta, Seifer” disse la donna: era palesemente scossa, in un modo che i due non avevano mai visto. Era pallida, gli occhi sbarrati e deglutiva in maniera convulsa, come sull’orlo di una crisi: nemmeno nel castello di Artemisia avevano visto Quistis in quello stato. “Ha detto…che lui sarebbe andato al Tear’s Point. E che ci avrebbe aspettato lì”.


 
Seifer non riferì a Cid quell’ultima informazione; l’ansia che aveva letto nel volto di Quistis poteva trasformarsi in paura, o peggio in panico, in ogni momento e con scarso preavviso. A quella notizia, Cid avrebbe mosso il Garden in rotta con Esthar o avrebbe allertato il Garden di Trabia se non addirittura Laguna: più probabilmente, avrebbe fatto tutto. Una caccia all’uomo avrebbe solo complicato un quadro che, sentiva, poteva benissimo peggiorare senza quest’altra gatta da pelare.

Si ritrovò a pensare che Squall l’aveva studiata bene e palesemente al solo scopo di fargli un dispetto: bloccato per le strade di Dollet in compagnia di una Quistis meditabonda, ma soprattutto di Zell. Si volse e lo mandò a quel paese, reo di starsi gustando la colazione con troppa foga.

“Ma finiscila e goditela” sbottò lui, sputando briciole di brioche dappertutto. “Dimmi onestamente quante missioni sono cominciate in questo modo”. Lo ferì nell’orgoglio non potergli rispondere a tono e si dichiarò sconfitto mollandogli un pugno alla spalla.

La giornata continuò tranquilla, il sole raggiunse lo zenit e poi cominciò la lenta discesa verso le montagne ad ovest; nel pomeriggio Quistis si riscosse e cominciò a godersi anche lei quella che poteva essere considerata una giornata di vacanza, probabilmente rinfrancata dal fatto che alle cinque del pomeriggio nessuno si era preso un colpo di fucile in mezzo agli occhi.

“Il gallinaccio davanti ad una libreria” commentò ad un certo punto Seifer. “Se questa non è una cosa che non dovrebbe trovarsi a Dollet io veramente non so dove sbattere la testa”. Quistis non poté non ridacchiare alla battuta, mentre l’interessato si volse verso di lui: aveva chiaramente pronta una risposta a tono, forse addirittura valida, ma l’occhio venne catturato dalla spiaggia.

“Oddio, ma fanno bungee jumping!” esclamò estatico, correndo a rotta di collo verso il lungomare. Quistis rise nuovamente davanti all’entusiasmo del compagno, mentre Seifer sospirò esasperato.

“Saremmo in missione…” borbottò, guardandosi attorno alla ricerca di qualcuno a cui dire che lui non conosceva assolutamente quell’imbecille che stava correndo a braccia sollevate per un lungomare semideserto. La donna si volse verso di lui, con un sorriso divertito stampato in faccia.

“Sai, Seifer” disse. “Raramente lo dico, ma forse ha ragione lui”.

“Ok, il mondo sta finendo” concluse il biondo.

“Siamo in missione, è vero, ma la consegna dice sostanzialmente di passare il tempo fino alle undici” puntualizzò lei. “Che male c’è a divertirsi un po’? Da quant’è che non passavamo una giornata così?”. Il silenzio di Seifer fu una risposta molto più soddisfacente di qualsiasi altra. Si avviarono verso il lungomare, raggiungendo uno Zell che in quel momento stava comprando il biglietto.
 


“È stato PAZZESCO!” esclamò eccitato il pugile seduto su una panchina del lungomare. “I trecento gil meglio spesi della mia vita”.

“Il che la dice lunga…” borbottò Seifer a mezza voce. Zell lo ignorò.

“Dovreste provare ragazzi” disse. “Fa paura solo finché non salti”. Quistis declinò l’offerta, affermando che stava troppo bene a terra per spendere trecento gil.

“Magari più tardi” concesse il biondo.

“Più tardi non verrà, lo sai” replicò il ragazzo. “Non tornerai qui per fare un salto nel vuoto e avrai una storia in meno da raccontare ai tuoi figli. Dovresti pensare di meno e fare di più”.

“Per carità!” esclamò lui. “Non mi sognerei mai di rubarti la filosofia di vita”.

“Nessun furto, compare. Ti apre le porte a…aspetta un secondo, mi stai prendendo in giro?”.

“Chi? Io?”.

“Ragazzi…” richiamò Quistis. “Non cominciate per favore. Facciamoci ancora un giro e poi andiamo a cenare: comincio ad essere un po’ affamata”. Zell si alzò, preda dell’adrenalina donatagli dal salto nel vuoto.

“Ok” esclamò voltandosi verso di loro. “Non siamo ancora stati nel borgo antico: ho letto che le strade rievocano…”. La voce gli morì in gola, il volto divenne cinereo ed il portachiavi omaggio dallo staff dell’attrazione appena pagata cadde a terra con un tintinnio; la mano cominciò a tremare, mentre guardava oltre le loro spalle. Quistis scattò in piedi, mentre Seifer si volse, seguendo il suo sguardo e appoggiando velocemente la mano al gunblade.

“Zell! Zell che hai?” chiese Quistis prendendolo per le spalle: i muscoli erano molli e scossi da brividi. “Seifer, mi serve una mano qui”. Si volse verso il compagno per vederlo paralizzato, anche lui pallido: la mano appoggiata al calcio del gunblade non avrebbe saputo impugnare nemmeno una forchetta. Quistis alzò lo sguardo e rimase di sasso.

Poco lontano da loro, dietro un passeggino blu e grigio, c’era Rinoa.

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