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Autore: Leonhard    10/04/2021    0 recensioni
Otto anni dopo la sconfitta di Artemisia il mondo ha subito cambiamenti tali che il Garden fatica a stare al passo. Sei giovani SeeD impegnati nella più grande battaglia della vita, quella che tutti saranno chiamati a combattere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In quanto a puntualità, Zell Dincht non era mai stato una cima: si poteva dire che lui e quel semplice concetto così arbitrariamente dato per scontato in una unità SeeD erano incompatibili quanto Pandemonium e Seclet. Diavolo, era persino andato a letto presto la sera prima ma nemmeno quell’arma si era rivelata efficace: erano le sei del mattino e lui correva di buona lena nella hall del Garden di Balamb, combattendo con la giacca che proprio non ne voleva sapere di smettere di svolazzare ed attirandosi gli sguardi di disapprovazione degli insegnanti a guardia delle strutture.

Arrivò all’ingresso che per poco non ruzzolò: convertì lo scivolone in un’abile derapata, riuscendo anche a far fischiare le suole di gomma sul marmo lucido del pavimento, e riprese a correre verso il piccolo gruppetto che lo attendeva accanto alla reception. Tre teste si volsero nella sua direzione.

“Ma guarda chi ci fa l’onore” commentò Seifer. “Deliziaci, ti prego”.

“Sveglia…” borbottò il pugile, riuscendo infine a trovare la strada per la manica della giacca. “Scusate”.

“Zell, capisco che è presto ma una consegna è una consegna” osservò Cid: se c’era una cosa che il pugile adorava di quell’uomo era che bisognava combinarla veramente grossa per fargli alzare la voce. “Anche se non è una missione ufficiale, sei pregato di rispettare i tempi”.

“Lo so, mi scusi preside” disse. L’uomo lo guardò severo per qualche istante, poi sorrise.

“Ah, la gioventù” commentò.

“Punizione?” commentò Seifer, gustando l’illusione di ricevere una risposta affermativa. L’uomo sbirciò l’orologio e sorrise.

“Non ho mai punito nessuno per due minuti di ritardo” rispose, ridacchiando. “Specialmente se quel qualcuno arriva all’appuntamento in questo stato”. Quistis sospirò e si avvicinò al pugile.

“Benedetta Siren, Zell” commentò, sistemandogli la giacca. “Sembra che hai fatto a botte con un Wendigo”. Il ragazzo si passò una mano sui capelli, nel tentativo di pettinarli. Seifer lo guardava come fosse un pentola di minestrone stracotto.

“Ma guardalo” borbottò. “Il cocco della maestra ed il pupillo del preside”.

“Ma sentilo” replicò lui con il medesimo tono. “Il vetusto soldato invidioso dei compagni”. Il biondo fischiò.

“E da quando conosci il termine ‘vetusto’?” chiese.

“L’ho letto in un libro” rispose. “Libro: sai? Quelle cose fatte di carta che le sfogli e ci sono scritti segni strani…”.

“Ragazzi, non cominciate” ammonì Quistis. Per rincarare la dose scoccò un’occhiataccia a Seifer e strattonò la giacca di Zell. “Siete imbarazzanti”. Cid ridacchiava divertito.

“Venticinque anni e non sentirli” commentò, prima di tornare lentamente serio. “Allora, siamo in vista di Winhill: una passeggiata di mezz’ora e saremo arrivati. Quistis, ti voglio a capo della fila, Seifer starà dietro e Zell controllerà i lati: non voglio sorprese da parte dei mostri”. I tre scattarono sull’attenti.

“Signore” risposero all’unisono. Per tutta risposta, Cid si grattò la testa con fare imbarazzato.

“…per favore, naturalmente” concluse ridacchiando.


 
Gli attacchi dei mostri servirono a malapena da allenamento mattutino al piccolo gruppo: arrivarono alla piazza di Winhill che il sole aveva abbandonato il profilo della terra e stava lentamente conquistando il suo posto nel cielo primaverile. Furono accolti da un’aria luminosa e profumata di un delicato aroma di fiori e pane appena sforno; una fontana al centro della piazza accompagnava il canto degli uccelli con il gorgoglio dell’acqua, proiettando piccoli arcobaleni nella nebbia umida sollevata dagli spruzzi. Poco lontano, sotto la tettoia del bar, Selphie sbracciava nella loro direzione.

“Ragazzi, qui!” esclamò con un largo sorriso. “Finalmente siete arrivati”. Raggiunsero la ragazza e si scambiarono abbracci e saluti.

“Irvine?” chiese Quistis.

“Sta ancora dormendo” fu la risposta. “Ieri sera ha fatto le ore piccole”. La professoressa annuì, cosa che Zell non mancò di notare.

“Ehi, com’è che se lo faccio io ti prendono i diavoli?” commentò.

“Perché tu sei in servizio e lui no” rispose lei piccata. Selphie ridacchiò.

“Che sorpresa, ti sei addormentato” commentò. “No, aspetta: non sono per nulla sorpresa”.

“Non sono apprezzato come dovrei” borbottò il pugile.

Au contraire, mon amì” disse Irvine, uscendo dal bar in quel momento. “Se tu non ci fossi, l’atmosfera sarebbe un po’ troppo tendente al serioso”.

“Sonnambulo, il tuo ragazzo” commentò Seifer con un sorrisetto. “Cosa bofonchia?”.

“È francese, Seifer” replicò il pistolero. “Buttaci qualche parola mentre parli con una donna e il dopocena non dico che è assicurato, ma almeno la camicetta è tolta”. I due biondi cercarono conferma guardando Quistis, che sospirò costernata.

“Mollagliene una secca, Selphie” borbottò entrando nel bar.

“Con piacere” ringhiò lei, voltandosi verso il suo ragazzo.

L’interno del bar era rustico, un atmosfera che le pareti di pietra e legno enfatizzavano in modo quasi commovente. Al centro della sala si apriva un grande tavolo imbandito; dieci piatti e bicchieri facevano da cornice ad un capolavoro composto da ciotole di miele e burro e brocche di succhi, caffè, tè e latte; vasetti di confetture ed insalatiere di frutta ad aggiungere un tocco di colore ed un tagliere colmo di fette di pane fresco e tostato; dall’angolo cucina, un pungente ma invitante odore di pancake.

“Gente!” salutò Laguna, tornando immediatamente con gli occhi sulla padella. “Non mi posso assentare dai fornelli; consideratevi tutti abbracciati e salutati”. Zell inspirò a pieni polmoni quel miscuglio di odori così diversi ma perfettamente uniti e sospirò.

“Una tavola del genere vale cento levatacce” commentò.

“Bambini miei” esclamò Edea, comparendo dal piano superiore e correndo incontro al gruppetto. Abbracciò i tre con il trasporto di una madre che non vede i suoi figli da tanto tempo. Seifer fu l’unico ad opporre una debole resistenza, destinata a morire nel giro di pochi attimi.

“Non siamo più bambini, Madre” commentò, prima di sciogliersi anche lui in quell’abbraccio che aveva il mistico potere di fargli rimpiangere le sue stesse parole.

“Questo è tutto da verificare” borbottò Zell, guadagnandosi un’occhiata assassina dal giovane. La madre ridacchiò.

“Certe cose non cambiano, vero?” disse con voce amorevole. Anche senza i suoi poteri, Edea aveva sempre avuto la capacità di calmare gli animi: un’abilità non da poco trattandosi di Seifer e Zell, cane e gatto da vocabolario. I due si fulminarono con lo sguardo per qualche altro istante, poi tornarono ai rispettivi convenevoli con una squadra che non esisteva più, ma capace di sopravvivere al tempo ed alla distanza.
 


“Produzione locale?” commentò Zell, addentando nuovamente il pancake. Il miele regalava al dolce una golosa tonalità ambrata ed il profumo anticipava il sapore pungente ma assolutamente delizioso. Edea annuì.

“In questa stagione le api sono molto produttive” disse. “La natura qui è praticamente incontaminata e gli apicoltori hanno cominciato ad arrivare. Qui si produce miele di ottima qualità ed il paese è tornato a commerciare; non è ancora veramente redditizio, ma tra qualche anno Winhill potrebbe diventare persino un marchio di garanzia”.

“Non fatico a crederlo” commentò Selphie mescolandone un cucchiaino nel caffelatte. “Non ricorda neanche lontanamente quella porcheria sugli scaffali dei centri commerciali”.

“In più, si distilla un liquore che è una bomba” aggiunse Cid. “Bisogna farlo invecchiare un po’, ma il risultato vale l’attesa”.

“Ah, la residenza presidenziale di Esthar è già un cliente molto affezionato” disse Laguna, facendo colare il miele su uno spicchio di pera. “Mi faccio spedire una cassa di vasetti a cadenza bimestrale: difficile che avanzi ed anche se fosse il miele può durare mesi senza scadere”.

“Dì pure anni, Laguna” corresse Quistis con un sorriso. “C’era un articolo qualche tempo fa di un’anfora di miele ritrovata in una tomba di svariati millenni e, indovinate? Era ancora perfettamente commestibile”. Edea sorrise tra sé e sé, godendosi quella tavolata e quel calore che solo una volta all’anno si radunava. Si appoggiò sul tavolo e si volse verso Selphie.

“Ho sentito che il Garden di Trabia sta formando ottimi soldati” disse. La ragazza annuì.

“Già” disse con il sole negli occhi. “Ci sono voluti anni e parecchi sacrifici, ma siamo tornati in piedi: le nostre sono truppe specializzate nella guerriglia e nelle battaglie in quota e stanno avendo un buon successo. Io ed Irvine siamo insegnanti e non posso dirmi insoddisfatta degli studenti; certo, per alcuni un comitato disciplinare non guasterebbe…”.

“Ah, non guardare me” disse Seifer, distogliendo la sua attenzione dalla vivisezione di una tazza di muesli, colpevole di presentare tracce di uvetta. “Adesso ci sono Fuu e Ray alla gestione: io sono troppo impegnato con le missioni per andare a caccia di scavezzacolli”.

“E quali nuove da Esthar?” domandò Cid sorseggiando una tazza di caffè. L’uomo fece una spalluccia.

“Non molto in realtà” replicò. “Stiamo ancora risolvendo con Galbadia sul piano politico: il territorio di Centra fa gola ad entrambi e la trattativa è l’unico modo per evitare un confitto. Conflitto che, stranamente, nemmeno Galbadia vuole: il presidente Caraway ha evidentemente fatto un miracolo”. Edea ascoltò i racconti di tutti, poi si volse verso Cid. Lo sguardo era felice e soddisfatto, ma guardando il marito e formulando la domanda, si percepì chiaramente qualcosa spegnersi.

“Squall e Rinoa sono ancora in missione?”.

Gli occhi dei SeeD saettarono furtivi verso il capo opposto del tavolo, guardando quei tre piatti rimasti immacolati con occhi vuoti, nostalgici, ma anche illuminati da una fiamma di odio. Quei tre piatti rappresentavano speranza, compianto, nostalgia, un tavolo che non sarebbe mai stato occupato completamente. Quei tre piatti erano il motivo per cui ogni tredici maggio quel tavolo veniva imbandito.

“Si, cara: è ormai un mese buono che sono via” rispose. “Magari la stanno trattando come una luna di miele”. Edea sorrise.

“Mi manca molto” confessò con un sorriso. “Ma sono felice che sia in compagnia di Rinoa: mi piace quella ragazza ed è una vera gioia sapere che fanno sul serio”. Ogni parola, ogni sillaba, fu una coltellata per tutti i SeeD; continuare a parlare come se nulla fosse fu uno sforzo sovrumano, ma andava bene così.

Andava bene tutto, tranne la verità.

“Sono sicura che l’anno prossimo ci saranno” rassicurò Selphie con un sorriso mesto. Oh, certo: stai tranquilla che ci crede.


 
La collina si sollevava come una gobba in mezzo ad uno sterminato prato; la leggera brezza di metà mattina staccava petali e leggeri fiocchi di polline, facendoli danzare su un fondo verde ed azzurro; un giovane albero solitario frusciava placido nel’aria tiepida come una ninna nanna e qua e là api sottoforma di piccoli punti neri facevano il loro lavoro sfiorando i fiori con delicatezza quasi fossero fatti di rugiada. La comitiva avanzava verso l’albero sentendosi alieni in mezzo a quel trionfo di naturale bellezza, quasi in colpa per aver osato disturbare un quadro del genere.

Nessuno parlava più: le parole le avevano lasciate nel bar e quello era il momento del silenzio, dei pensieri e dei ricordi. Da dietro la collina spuntò una prima lapide e, subito dopo, una gemella accanto. A quella vista Edea e Laguna si fermarono.

“Vi lasciamo soli con lei” disse. “Noi siamo venuti ieri e torneremo domani: datele un bacio anche da parte nostra”. L’aria del gruppo di SeeD era greve di malinconia e lacrime che in quattro anni ancora non erano state completamente versate. I due si volsero e tornarono verso il villaggio, mentre il gruppo riprese la lenta marcia verso a cresta della collina.

Le due lapidi erano lucide e pulite, libere dalle erbacce e adornate di fiori freschi; le fronde dell’albero provvedeva a tenerle sempre all’ombra, proteggendole dai raggi del sole e mantenendo il marmo fresco. Donarono a Raine un pensiero ed uno sguardo, poi si volsero verso la seconda: l’epitaffio fu, come ogni anno, una doccia fredda.

Ellione Loire.

“Ciao, sorella” cominciò Quistis. Fece un passo avanti per parlare con la lapide; nessuno ebbe da obiettare. “Noi stiamo tutti bene, come puoi vedere: ancora tutti insieme dopo tanti anni. Sembra che il tempo passi solo all’apparenza per noi: a ben guardare, non siamo poi così cambiati”. Zell mosse leggermente la testa di lato.

“…soprattutto Seifer” borbottò tra sé e sé.

“Ti ho sentito, gallinaccio” ringhiò l’interessato accanto a lui. Il pugile fece l’occhiolino alla lapide con un sorriso colpevole.

“Ed anche per te, sai?” continuò. “Sembra che il tempo non passi mai: tu sei sempre la nostra sorella maggiore e noi, allora come adesso, continuiamo a parlarti, a confidarci con te, a chiederti consiglio. L’unica cosa che è cambiata è che adesso sappiamo sempre dove trovarti”. Si prese un istante: non aveva previsto di condire quella chiacchierata con le lacrime e non avrebbe permesso una cosa del genere. Deglutì e si schiarì la gola, controllando la voce. “Ci manchi tanto, Ellie”.

Tornò accanto ai suoi compagni, in silenzio. Per qualche minuto lasciarono che fosse il vento a parlare per loro: soffiò via nubi di polline, sparute foglie e petali e tanti pensieri e ricordi. Ellione aveva scelto di rimanere lì dopo Artemisia, otto anni prima: accanto a Raine, accanto ai luoghi testimoni del periodo più felice della sua vita al punto da scommettere i suoi poteri per cercare di modificare. Si era rivelata una crociata vana, ma chissà che in fondo non l’avesse sempre saputo.

Era proprio vero: nessuno era veramente cambiato.

Il silenzio fu rotto dal suono soffocato di un telefono: il suono alieno disturbò profondamente tutti i presenti, che si lanciarono reciprocamente occhiatacce. Irvine deglutì e si volse verso la lapide, indicando un mazzo di fiori che riposava ai piedi della pietra.

“Ragazzi…” mormorò. “Credo che arrivi da lì”.

Seifer si mosse: si sporse sul mazzo variopinto e frugo al suo interno. Estrasse un telefono a conchiglia, che vibrava e squillava; sullo schermo lampeggiava un numero non memorizzato. Guardò con occhi interrogativi i SeeD, come se in qualche modo potessero sapere che storia fosse quella poi, con una sicurezza che trasudava ansia, aprì il telefono.

“Pronto?” domandò. Pochi secondi ed il suo volto si contrasse in un’espressione di infinito odio. Ringhiò al panorama davanti a lui e strinse convulsamente il piccolo apparecchio. “COME OSI PARLARE CON NOI, BASTARDO TRADITORE?!”.

“Seifer” chiamò Cid. La voce era ferma, l’espressione indecifrabile, la mano allungata verso di lui. “Dammi il telefono”. Era un tono che non ammetteva repliche, probabilmente un ordine. Il biondo scrutò l’uomo con uno sguardo che, in un altro tempo, era il preludio ad una violenta, feroce battaglia, poi allungò il telefono al preside con gesto rabbioso. Si sistemò gli occhiali sul naso ed accostò il telefono all’orecchio. “Parla Cid Kramer, preside del Garden di Balamb”. Ci fu un attimo di silenzio, poi premette la pulsantiera. “Sei in vivavoce: ci sono tutti”. Attimo di silenzio. Poi il telefono parlò.

-Salve ragazzi- salutò la voce di Squall.
   
 
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