Cronache di un Piantatore di Cartelli a Runeterra

di DanieldervUniverse
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Voci dall'Universo - Parte I ***
Capitolo 2: *** Un raggio di Speranza - Parte I ***



Capitolo 1
*** Voci dall'Universo - Parte I ***


Questa storia inizia una notte, tra i pendii e le cime del Monte Targon, la montagna più alta di Runeterra, così alta da toccare i cieli. Il grande dragone celeste Aurelion Sol, creatore di tutte le stelle e le costellazioni, stava sdraiato su un altopiano roccioso intento a scrutare il cielo. La sua grande forma, se vista dal basso, si confondeva con il manto stellato della notte.
Mentre stava lì appollaiato notò un essere umano sopraggiungere tra i pendii e le strettoie verso la cima della montagna: indossava abiti leggeri, sicuramente inadatti a contrastare le gelide temperature di quelle altitudini, e portava a tracolla una sacca piena di cartelli di legno; dava l’impressione di essere un giovane maschio dalla pelle abbronzata con capelli e barba neri e disordinati.
Il dragone si protese verso di lui, emettendo un basso suono per attirare l’attenzione dell’uomo. Quello alzò lo sguardo, ma invece di spaventarsi o indietreggiare intimorito di fronte al muso del drago sorrise con tranquillità.
-Chi sei, umano?- domandò Aurelion, soffiando pesantemente dalle narici.
-Aurelion Sol?- rispose l’uomo, con voce gioviale.
-Ah, ne dubito. Quello è il mio nome. Ora…- minacciò il dragone, allungando uno dei suoi immensi artigli verso la piccola forma -… dimmi il tuo.
-A-ehm, il mio nome è Nolum Cassio Feri, viaggiatore dimensionale, al tuo servizio- salutò il nuovo venuto, con un inchino cordiale.
-Oh, un altro viaggiatore dimensionale. Affascinante- brontolò l’essere draconico, rilassando le membra e perdendo la sua aura minacciosa.
-Mi fai onore. Non ce ne sono così tanti in giro per le dimensioni- rispose Nolum, con un sorriso smagliante.
-Se solo sapessi- Aurelion alzò di nuovo lo sguardo verso le stelle -E cosa ci fai quassù, sulla cima del Monte Targon?
-Beh, pianto cartelli di legno. È il mio lavoro d’altronde…
-Dei cartelli? Sei venuto a piantare dei cartelli sulla più alta montagna di questo pianeta?- domandò il drago, abbassando lo sguardo con un nuovo luccichio negli occhi. Nolum fece spallucce.
-Ormai non faccio quasi più caso a dove vado. Vado avanti e basta, finché non arrivo nel luogo giusto.
-E come fai a sapere qual è il luogo giusto? Hai sviluppato un settimo senso su come fare il tuo lavoro?- Aurelion schernì l’uomo.
-No, me lo dicono i cartelli- replicò Nolum, togliendosi il prezioso carico dalla schiena e poggiandolo a terra
-Tu parli con i tuoi cartelli?- insisté il drago, sempre più coinvolto nella discussione.
-Eh sì. Sai, passo un sacco di tempo per strada, da solo, senza altri con cui parlare.
Il dragone distolse lo sguardo e ripiegò il lungo collo sotto le ali, emettendo un verso che poteva sembrare una risata. Nolum non batté ciglio, anzi si mise anche lui a ridacchiare un poco.
-E i tuoi cartelli ti hanno detto di venire qui a piantarli?- riprese l’essere siderale, quando ebbe finito.
-Sì, più o meno. Cioè non qui qui, adesso sono solo di passaggio… ma siccome sta calando la notte non è che potrei accamparmi in tua presenza?- chiese cortesemente Nolum, sbattendo gli occhi come un cerbiatto.
-No- sibilò il dragone, assumendo immediatamente un tono ostile.
-Sicuro? Porta sfortuna negare l’ospitalità a chi la richiede.
Il drago emise uno sbuffo, prima di sollevarsi sulle quattro zampe ed ergersi in tutta la sua altezza.
-Non provare a prenderti gioco di me- disse, con un autorevolezza capace di far tremare le stelle.
-Lungi da me, o possente drago- rispose umilmente Nolum -Ma credo che anche tu abbia piacere ad avere la mia compagnia.
-E cosa te lo farebbe mai pensare?
-Il fatto che tu non mi abbia ancora ridotto in poltiglia.
Aurelion soffiò dalle narici, ma dopo qualche secondo di silenzioso confronto tornò a sdraiarsi a terra, concedendo la vittoria.
-Sei sfacciato, umano, ma almeno hai coraggio da vendere.
-Un grande complimento detto da te.
Il drago smise di prestargli attenzione e, come aveva già fatto molte volte quella sera, alzò lo sguardo al cielo, ignorando il resto. Incuriosito, anche Nolum alzò gli occhi verso la volta celeste, ma non vedendo altro che stelle perse presto interesse.
-Nostalgia del cosmo?
-Pensi di comprendere quello che sento, umano? Il dolore che mi divora l’anima è più vecchio di te e di molte leggende. Non cercare di darmi simpatie- sibilò Aurelion senza distogliere lo sguardo delle sue stelle.
-Scusa, cercavo solo di fare conversazione.
-Non voglio fare conversazione con te.
-Hai appena ammesso che apprezzi la mia compagnia. Non ti contraddire.
Il dragone emise un sottile sbuffò di polvere stellare dalle narici, ma smise di fare il muso e ridusse le sue dimensioni in modo da potersi accomodare affianco all’umano senza difficoltà. I due si dedicarono ai propri affari, l’uomo sistemandosi un giaciglio con quello che trovava e una vecchia coperta imbottita e il drago osservandolo, senza perdersi un suo gesto.
-È la prima volta che giungi su questa dimensione?- domandò Aurelion, rompendo il silenzio per primo.
-Sì. Mai stato prima- rispose giovialmente Nolum. Mentre parlava il giovane estrasse uno strano fagotto da una delle tasche. All’intero vi era una specie di focaccia con sopra del formaggio squagliato, una qualche sostanza vischiosa color rosso vivo e delle foglie di pianta aromatica.
-Come mai allora? Perché improvvisamente i tuoi cartelli ti hanno guidato qui? Dov’è il collegamento?
-Eh, sai...- Nolum diede un morso alla focaccia e masticò avidamente, prima di rispondere -Te l’ho detto, io mi lascio guidare, il dove non ha importanza.
-Sembra troppo semplice.
-Oh, non credere. Fare amicizia con la gente che incontro non è sempre fattibile, e molti sono ostili per cui devo farmi largo tra loro per portare a termine il mio compito.
Parlava mentre masticava, e deglutiva rumorosamente.
-E una volta che hai piantato in cartello che succede?
-Ah boh. Raramente i cartelli si rivolgono a me, per cui di solito me ne vado- rispose con la bocca piena, pulendosi le labbra con il dorso della mano e leccando via i resti di cibo che ci rimasero attaccati -Ogni tanto… mi fermo per riprenderli… o ci ritorno in un secondo momento quando serve.
-Dunque questi cartelli non hanno solo una mente propria ma anche uno scopo specifico.
-Già.
-E dimmi, quanti ne hai piantati su questo pianeta?
-Tre se non sbaglio. Uno in mezzo al deserto, un altro sempre qui sulla montagna ma più in basso e il terzo sulla cima di quel picco.
-E non ti sei fermato a nessuno?
-No, a quanto pare avevano fretta di essere piantati.
-Ma come…
-Posso farti una domanda io?- lo interruppe Nolum, alzando la mano per trattenerlo. Il drago acconsentì.
-Conosci un uomo chiamato “L’Imperatore dell’Umanità”?
Il dragone siderale sbatté un paio di volte le palpebre, ma il suo muso rimase imperscrutabile.
-Sì, lo conosco. Prima di questa prigionia ci ritrovavamo a giocare a “Paradosso - Biliardo -Vostroyano - Roulette - Quarta Dimensione - Ipercubo - Scacchi - Strip Poker”.
-Paradoche?- domandò Nolum, con espressione smarrita.
-Un gioco di duelli di carte per bambini- specificò Aurelion, con un sospiro rassegnato.
-Aaaahhhhh, okay. Io gioco ai GDR con le anime di amici morti quando ho tempo, quindi capisco.
Tra i due calò di nuovo il silenzio. Poi il dragone spalancò gli occhi e si volse verso Nolum.
-È stato lui a dirti il mio nome?
-Sì.
-Perché?
-Ah, non gliel’ho chiesto. Probabilmente sapeva che sarei finito qui- Nolum scosse le spalle, non dando peso alla cosa, ma l’espressione di Aurelion si faceva più crucciata ad ogni frase.
-Sei sicuro che non ti abbia mandato qui apposta?- chiese ancora il drago.
-Difficile, persino lui non può comandare i cartelli.
Il drago continuò a fissarlo con sospetto, ma Nolum non disse altro e rispose con palesata innocenza. Presto lo sguardo di Aurelion si perse e il dragone sprofondò nei suoi pensieri.
-È il tuo turno- lo chiamò Nolum dopo, diversi minuti di immobilità.
-Eh? Cosa?
-È il tuo turno di farmi una domanda.
-Ah...- il drago rimase interdetto, muovendo a vuoto le fauci draconiche.
-E dimmi, come hai fatto a scalare tutta la montagna?
-Beh, diciamo che non mi muovo in modo lineare come fanno le altre persone. Capisci?
-Cioè sei in grado di piegare il tempo e lo spazio per muoverti dove necessario?
Nolum si mise a rifletterci un po’, poi annuì ma non del tutto convinto.
-Però non lo faccio volontariamente. È tutto istintivo.
-Molto interessante.
L’umano gli rivolse un sorriso felice. Poi ruttò e si stiracchiò, prima di sdraiarsi sulla schiena.
-Dimmi, com’era vivere tra le stelle?- domandò il giovane, con tono assorto.
-Non paragonabile a questo- rispose con freddezza Aurelion, distogliendo lo sguardo. Nolum provò a fargli altre domande, ma il dragone lo ignorò. Senza di meglio da fare, l’uomo si sistemò per la notte, stiracchiandosi pesantemente e rivolgendo lo sguardo verso il cielo.
In quel momento, arrivando a balzelloni nell’aria, giunse uno dei più famosi residenti del Monte Targon: Zoe, l’Aspetto del Tramonto.
Nonostante avesse i poteri di una divinità, Zoe era solo una giovane adolescente sia nell’aspetto che nel carattere: aveva lunghi capelli colorati con tutte le sfumature del tramonto, e per abito un completo in due pezzi color azzurro e blu scuro che lasciava scoperte le braccia, l’ombelico e le ginocchia, composto in un arzigogolato insieme di stoffe; aveva anche una voce squillante in grado di bucare i timpani, di cui si serviva quasi continuamente.
Vedendo i due comodamente seduti là, Zoe si fermò a riflettere, e decise di fare uno scherzo al drago. Si avvicinò di soppiatto, sfuggendo alla sua vista, e quando fu abbastanza vicina gridò: -CUCCIOLOTTO SPAZIALE!
Aurelion emise un verso poco draconico e saltò indietro di diversi metri. Tese il suo corpo come una molla, spiegò le ali e lui scoprì le zanne, pronto a combattere. Zoe, dal canto proprio, scoppiò a ridere fragorosamente. Fu un gesto talmente repentino che presto nemmeno Nolum poté più trattenersi.
-Non è divertente Zoe! E Smettetela di ridere!- sibilò il drago siderale, cercando di ridarsi contegno. Quelli invece si misero a ridere più forte di prima.
-Va bene, fate come vi pare- brontolò Aurelion, stendendosi un po’ in disparte e poggiando il massiccio capo sulle zampe anteriori.
-Andiamo, cerca di essere interessante almeno!- gli disse Zoe, esagerando il tono come una bambina.
-Andiamo bimba, ora basta- disse Nolum, parlando con voce tranquilla e sorridendo conciliatorio.
-Il mio nome è Zoe! Capito?- la giovane volteggiò fino all’umano, puntandogli un dito contro con fare ammonitore -Z O E! Capito?
Nolum guardò Aurelion in cerca di supporto ma l’altro rimase del tutto indifferente.
-Certo signora… ehm cioè Zoe!- rispose l’uomo, imitando un rigido saluto militare. La giovane sorrise, soddisfatta.
-Ora dimmi… chi sei? Da dove vieni? Hai scalato la montagna? Conosci i nomi delle stelle? Qual è la tua stella preferita?!
L’espressione smarrita e via via sconvolta di Nolum strappò un sorriso di soddisfazione al dragone.  
-Erm...- balbettò l’uomo, cercando di fermare l’incessante fiotto di domande -Ecco… i-io vorrei tanto rispondere, ma è tardi e dovrei...
-Ma io voglio fare qualcosa! Voglio divertirmi! È noioso stare qua con lui!- protestò Zoe, indicando Aurelion.
-E allora via da qualche altra parte Zoe- rispose il dragone. Per tutta la risposta lei gli fece una pernacchia.
-Vuoi cantare una canzone?- propose Nolum.
-Che canzone?!- rispose lei, con gli occhi che brillavano come una supernova.
-Beh, dunque...- rifletté l’umano -Conosci la Disney?
Zoe scosse la testa. Aurelion invece rizzò il capo.
-Cos’è questa Disney?- domandò.
-È una forza multidimensionale che sta divorando tutti gli universi che incontra, diventando sempre più grossa e più vorace ad ogni acquisizione.
-È una minaccia anche per noi?
-Non lo escludo- Nolum si massaggiò il mento barbuto -Ma in questo caso una delle sue canzoni dovrebbe essere abbastanza innocua. Dunque…
Ti bastan poche briciole,
lo stretto indispensabile,
e i tuoi malanni puoi dimenticar…
L’uomo iniziò a ballare, attirando armonicamente su di sé persino l’attenzione delle stelle. Il drago rimase a guardarlo, ma la giovane Zoe non resistette e si lanciò a sua volta nella danza, riuscendo presto ad imitare le movenze di Nolum. Alla fine della loro breve esibizione, persino il grande Aurelion non resistette dall’applaudire.
-Bravi bravi, affascinante- disse con simulato sarcasmo. Per tutta risposta i due ballerini fecero un profondo inchino.
-Un’altra! Un’altra!- esclamò Zoe, guardando Nolum con occhi che brillavano. Letteralmente. Ma l’uomo scosse il capo.
-Temo purtroppo, milady, che io debba rimettermi in cammino- spiegò, mentre raccoglieva i suoi scarsi effetti personali.
-Come!? Ma sei appena arrivato!?- protesto l’Aspetto.
-Il dovere mi chiama- rispose lui, senza scomporsi. Zoe mise il broncio.
-Credevo saresti rimasto per la notte- disse Aurelion, avvicinandosi all’umano.
-Mah, non mi dispiace dormire ma non ne ho veramente bisogno- rispose Nolum. Si caricò i cartelli sulla spalle e si volse a salutare i due.
-Allora arrivederci Aurelion Sol, Creatore del Cosmo. E Zoe- disse, con voce solenne.
-Arrivederci, Nolum Cassio Feri… Piantatore di Cartelli- rispose il drago.
Zoe invece, senza dire altro, balzò sulle spalle di Nolum, mettendosi a cavalcioni.
-Ho deciso: adesso dove vai tu vado io!- dichiarò con fermezza l’Aspetto.
-Sicura?- domandò Nolum, lanciando un’occhiata interrogativa al dragone, che gli fece un sorriso incoraggiante.
-Certo che sono sicura!- rispose con voce squillante la ragazzina, mettendosi a gridare: -Avanti! Avanti!- mentre indicava l’orizzonte con il dito.
Nolum sospirò un’ultima volta, ma fece come gli veniva detto. Così i due si allontanarono, e il grande dragone Aurelion rimase a guardarli finché non scomparvero alla vista. Il drago si stiracchiò e riprese le dimensioni solite, e tornò ad appollaiarsi sul suo picco preferito. Poi spinse il suo sguardo lontano, volendo investigare quei cartelli che Nolum aveva detto di aver piantato…

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Capitolo 2
*** Un raggio di Speranza - Parte I ***


Capitolo 2
Un raggio di speranza – Parte I

-LEONA-SAMA!
Ad udire il fracasso e le grida Leona mise mano alla spada, voltandosi a fronteggiare le grida. Poco dopo la porta dei suoi quartieri privati venne divelta e una folla fuori controllo di adepte e adepti solari si fece strada nei suoi quartieri, travolgendo tutto quello che trovava sulla propria strada.
L’Aspetto del Sole indietreggiò, tenendo istintivamente la spada tra sé e la marea umana, ma quando sentì dietro di lei il freddo del marmo della sua vasca da bagno realizzò di non avere più spazio di manovra. Messa all’angolo, la donna fece un lungo sospiro, calmando i nervi, e poi richiamò tutta l’autorità e l’energia del Sole che la pervadeva e con voce tonante gridò: -ORA BASTA!
La stanza si riempì di una luce abbagliante, travolgendo gli adepti, e forse accecandone alcuni. I suoi poteri ebbero un effetto istantaneo, ammansendo la folla urlante e riportando la calma. Leona sfruttò quei momenti preziosi per schiarirsi le idee, scacciando la sorpresa e la paura che le avevano intorpidito i sensi, e assestare la situazione.
Vide davanti a sé una marea di giovani e adolescenti, per la maggior parte in veste da notte, che la fissavano rapiti e ammirati; c’erano alcuni che tenevano sollevate delle lanterne, e altri avevano dei lividi sul volto. La donna realizzò anche che non vi erano guardie nelle vicinanze per trattenere la massa, il che voleva dire che il minimo errore poteva scatenare passioni che non sarebbe stata in grado di controllare una seconda volta, non senza rischiare di uccidere quei giovani.
Cercando di simulare una certa naturalezza, la guerriera manovrò la spada e il braccio libero a coprire le proprie intimità perché, purtroppo, la folla l’aveva colta nell’attimo in cui stava per infilarsi nella vasca da bagno. E peggio ancora, i suoi vestiti erano stati travolti e sommersi dalla calca, rendendo il loro recupero praticamente impossibile.
-Qualcuno per favore mi spieghi la ragione di tutto questo trambusto- ordinò, usando il tono  autorevole per intimidire i giovani.
Una serie di voci basse e squittii si sollevarono a casaccio nella folla, ma alla fine dalla calca emerse un cartello di legno, rudimentale e poco elegante. Quando fu portato in prima fila, passando di mano in mano, la donna ebbe modo di leggere quello che vi era scritto sopra in brillanti lettere magiche: Chiunque bacerà Leona sotto la luce della Luna sarà legato a lei per la vita.
La donna sbuffò, incredula e oltraggiata.
-Sul serio? Fate tanto rumore per uno scherzo del genere?- li rimproverò.
-Non è uno scherzo lady Leona!
-Si illuminavano le parole!
-Era piantato dove festeggiamo la Festa della Veglia senza Notte!
Le voci cominciarono a confondersi facendo perdere alla donna il filo del discorso e della situazione. Alzò di nuovo la voce per quietare la folla ma le parole si persero nella confusione. Peggio ancora, una ragazza da poco passata alla maggiore età si fece largo tra i compagni e con forza si strappò la veste, rivelando una sottoveste con cucite sopra le parole “Leona ti amo!” con un cuoricino color del sole affianco.
-Lady Leona sono pronta!- gridò la giovane, sovrastando per un attimo le voci degli altri -Mi baci e saremo assieme per sempre!
-No, me!- esclamò un ragazzo corpulento, facendosi avanti a spintoni. Poi lo fece un altro. Poi un’altra, finché la folla non cominciò a protendersi con braccia e bocche fameliche verso di lei.
Terrorizzata, Leona saltò oltre la vasca e si mise con le spalle contro l’ampia finestra, tenendo la spada saldamente con entrambe le mani; iniziò a menare ampi fendenti nell’aria, cercando di respingere i giovani adepti senza ferirli. Ma erano troppi, e nei loro occhi si vedeva che la passione che li animava li aveva privati di ogni ragione e buonsenso. Leona capiva benissimo che presto non si sarebbero preoccupati nemmeno più della sua spada, ne delle ferite che avrebbe potuto infliggergli. Le sarebbero saltati addosso in cinquanta e l’avrebbero schiacciata a terra, lottando per dominarla e infliggerle altre offese che le facevano tremare le gambe.
Poi, senza preavviso, tutte le luci della stanza si spensero all’unisono. Leona ebbe un momento di smarrimento, ma l’attimo successivo i suoi istinti da guerriera la fecero accucciare a terra, appena in tempo: sopra di sé udì il rumore di vesti sfondati e imposte scardinate.
Aprì gli occhi e vide la silhouette di una figura imponente ergersi in mezzo alla massa di persone, poggiata in perfetto equilibrio sui bordi della vasca. La pallida luce della luna, non più soppressa dalle luci della stanza, faceva poco per illuminare l’individuo che era sopraggiunto.
Diverse grida di sgomento si alzarono tra gli sconvolti giovani, che cercavano ora di indietreggiare, spintonandosi a vicenda per sfuggire alla creatura misteriosa.
-Chi sei tu!?- Leona udì alcuni dei più temerari gridare, e lo sconosciuto rispose quasi subito con voce profonda.
-Io sono la Vendetta. Io sono la Notte. Io sono…
-BATMAN!
-È Batman!
-Si salvi chi può!
Grida di dolore e paura si mescolarono ai suoni di vetri e legni rotti mentre la calca spariva attraverso la porta da cui era entrata. Presto le loro grida e i loro rombanti passi si allontanarono.
-Fuggite, sciocchi, e non osate mai più importunare questa donna, o dovrete affrontare la furia di...
-Diana!- esclamò Leona, alzandosi -Che diavolo combini!?
Per tutta risposta la figura misteriosa si volse, apparendo ancora più grande e maestosa.
-Ti sbagli, fiera figlia del sole. Io non sono…
Leona emise uno sbuffo e immediatamente tutte le luci della stanza ripresero intensità, illuminando l’armatura argentea e il volto diafano dell’Aspetto della Luna. Diana s’irrigidì, immobilizzandosi: senza più il gioco d’ombra a coprirla la donna appariva ora in una posa ridicola e grossolana, e il mantello che la copriva era poco più di una coperta. Leona la fissò intensamente e incrociò le braccia sul seno, spostando poi la spada per coprire anche le parti basse. L’altra arrossì leggermente ma si ricompose quasi subito.
-Sono… ehm… venuta a salvarti- spiegò, mentre scendeva elegantemente dalla vasca
-Wow, un bel coraggio- commentò fredda Leona.
Diana e incrociò a sua volta le braccia sul petto, fissando la solare negli occhi.
-Un semplice grazie sarebbe gradito- replicò, altrettanto fredda.
-Grazie- rispose Leona, facendole un sorriso smagliante, grondante di sarcasmo, prima di cambiare atteggiamento e afferrare duramente le spalle di Diana.
-Ora spiegami: cosa ti passa per la testa!? Pensi che sia uno scherzo divertente!? Mettere quel cartello al raduno della Veglia senza Notte!? Eh, ti sei divertita con questa tua uscita da clown!?
-Non sono stata io!- la interruppe duramente la lunare, liberandosi con una scrollata di spalle -Ho visto quella folla assatanata correre a cercarti agitando quel cartello in aria e mi sono precipitata darti soccorso! Non c’entro niente con quel cartello!
-Ma cosa ti dice il cervello!?- ringhiò in risposta Leona, passandosi una mano tra i capelli rossi -Lo sai quanto è grave tutto questo!? E perché dovrei crederti dopo tutto quello che hai fatto!?
La gola le doleva ma non c’era più niente ad arginare la sua rabbia. Le parole uscivano rauche dalla sua bocca ma continuavano incessanti. Sentiva il suo corpo dolere per le fatiche del giorno e la testa scoppiarle dalla paura, ma tutto diveniva secondario di fronte alla sua furia.
-Siete stati voi a cacciarmi, io non ho scelto questa via! E comunque, non avevo alcuna intenzione di tornare!- replicò Diana, rossa in volto, avvicinandosi tanto che le loro fronti si sfiorarono -Ma se non l’avessi fatto, quelli ti avrebbero massacrata! L’ho fatto per te, e nient’altro!
Gli emblemi della Luna e del Sole risplendevano sulle rispettive fronti, pulsando di energia. Si fissarono intensamente per diversi secondi, ansimanti e furiose, gli occhi sgranati e iniettati di sangue, finché Diana non distolse lo sguardo, oltraggiata.
-Ingrata!
-Ingrata io!? Tu…!-  Leona avrebbe voluto dire mille parole ma aveva una bocca sola, e non riuscì a dirne nessuna. Strinse gli occhi e i pugni, cercando di riprendere il controllo. Le ci vollero diversi sospiri e altrettanti secondi per riprendere il controllo, e a quel punto la spossatezza la schiacciò, facendola tremare.
-Non sono… un’ingrata- disse, con voce rotta dallo sforzo di trattenere le lacrime -Non sono... arrabbiata… perché tu mi hai salvato. Sono… frustrata… perché tu, ancora, dopo tutto quello che…
-Dopo tutto quello che?- disse quasi sibilando Diana, quando l’altra si interruppe -Dillo Leona, dopo tutto quello che…?
Lei gemette esasperata.
-Vattene- le intimò, troppo stanca per dire altro. Le diede le spalle, appoggiandosi al bordo della vasca con entrambe le mani, annaspando per non accasciarsi a terra.
-Ho detto vattene!- ripeté, quando non udì l’altra muoversi, ma per tutta risposta Diana disse -No!
-No? No!? Per la Sorella Dorata! Diana, è un miracolo che le guardie non siano ancora arrivate! Potrebbero essere qui da un momento all’altro!? Cosa altro vuoi!?
-Cosa voglio? Adesso ti interessa!?
-Sì! Dimmi cosa vuoi e vattene!- Leona si volse a fronteggiarla, i pugni stretti e la sua mente che vorticava furente.
-Bene allora!
Con un gesto della sua lama a forma di falce Diana spense nuovamente tutte le luci. Leona fece per gridare ma la sua bocca venne rapita dalle labbra dell’altra: erano morbide, fresche, animate da un sentimento forte e delicato allo stesso tempo.
Leona perse la forza di opporsi, restando immobile e inerte di fronte a quell’assalto. Una voce nella sua testa la istigò a respingerla, a colpirla, a scacciarla e ferirla. Un’altra invece, proveniente dai recessi della memoria, la spinse ad accettare, a ricambiare. Ricordi del loro primo bacio, di un amore sopito ma mai dimenticato, di un tempo felice e rimpianto che ancora reclamava il suo posto alla luce degli astri, riemersero. Fu a quel punto che le lacrime eruppero incontrollate, annacquando il suo sguardo e la sua mente.
Leona posò le braccia sulle spalle dell’amata, incapace di decidersi ad allontanarla, e rifiutare il passato, o se trarla a se e immaginare un futuro diverso. Ma prima che potesse fare l’una o l’altra cosa Diana si ritrasse, ansante. Rimasero a fissarsi immobili, recuperando il fiato, mentre la luna illuminava i loro volti.
A quel punto Leona vide le lacrime rigare anche il volto dell’amata, ma gli occhi gonfi e disperati di Diana rifuggirono suoi nonostante il bacio appena vissuto.
-Io voglio solo speranza- disse Diana, la voce tremante dal pianto -Voglio solo… un raggio di speranza…
I singhiozzi la interruppero parole, e prima di aggiungere altro la lunare si gettò fuori dalla finestra sparendo nella notte. Leona esitò un attimo prima di tentare di inseguirla, ma quando raggiunse la finestra Diana non si scorgeva da nessuna parte. Provò a chiamarla, più volte, ma presto la sua voce annegò nel pianto e le forze l’abbandonarono. Esausta, si accasciò a terra, stringendosi le gambe al petto nel vano tentativo di nascondere la sua sofferenza.

Il grande drago Aurelion distolse il proprio sguardo, non più interessato. La sua mente millenaria rifletté su ciò che gli era stato mostrato, ma non espresse alcuna conclusione. Il cartello di Nolum aveva portato amore e speranza come caos e discordia, senza altro scopo apparente se non mettere delle persone di fronte a realtà nascoste.
Il dragone si stiracchiò, e proprio in quel momento notò un altro cartello su uno dei picchi di roccia poco lontano. Incuriosito si avvicinò a grandi passi. Quando fu abbastanza vicino la tegola orizzontale di legno si illuminò e delle parole vi apparvero sopra:
La vendetta è solo un’altra prigione che ci impedisce di raggiungere la libertà.
Il dragone sbuffò, scuotendo il capo. Sollevò la zampa per distruggere l’oggetto, ma esitò. Gli tornò in mente quello che aveva detto Diana, sul voler trovare la speranza per un futuro, e questo lo lasciò riflettere. Infine Aurelion si ritrasse, scuotendo il capo, e volse il suo sguardo altrove, oltre il Monte Targon, per scoprire dove erano diretti Nolum e Zoe, e quali altre sorprese gli avrebbero riservato le loro avventure.

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