Messaggio sulla sabbia

di Batckas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sabbia bagnata ***
Capitolo 2: *** Omaha Beach ***
Capitolo 3: *** Ustionato ***
Capitolo 4: *** 189 ore a piedi ***



Capitolo 1
*** Sabbia bagnata ***


“Sì, stai tranquilla, mamma, ho vissuto da solo per un anno! Credo di riuscire a sopravvivere per due settimane!” 
“È stata una cosa improvvisa, mi dispiace!” 
Marco si grattò la tempia e rise dell’espressione melodrammatica della madre. 
“Se mi rompo le palle me ne torno a casa prima.”, disse. 
Un clacson dall’esterno li fece sbandare. Il padre aveva esaurito la pazienza. 
“Vi saluto dal balcone.”, disse Marco. 
La madre lo salutò con un bacio in fronte, chiuse la porta alle sue spalle, Marco raggiunse il balcone della camera da letto che si affacciava direttamente sul parcheggio, fece un cenno al padre, ormai da cinque minuti pronto alla partenza, che contraccambiò con un gesto della mano. Seguì la figura della madre che montava in auto mentre gli inviava baci. 
“Ciao!”, gridò Marco. 
Restò fuori e vide l’auto scomparire nelle viuzze del piccolo villaggio estivo. Fece un respiro profondo. La solitudine non lo spaventava, ma il silenzio improvviso gli lasciava sempre un piccolo vuoto dentro. 
Rientrò. Faceva davvero molto caldo, si guardò attorno come se non conoscesse la casa in cui passava le vacanze da ormai diciannove anni. 
Sospirò di nuovo. 
Doveva decidere cosa fare, domanda che lo scoraggiava spesso quando, come in quel momento, non sapeva precisamente cosa gli andasse. Andò in salotto, si sedette sul divano, controllò l’orario: le 16 e 43, pensò che fosse troppo presto per andare a mare. Guardò la Nintendo Switch. 
“Forse dovrei comprare qualche gioco nuovo.”, si disse sotto voce. Afferrò la console, la accese, collegò l’hotspot del cellulare e cominciò a vagare tra i possibili titoli da acquistare. Controllava il prezzo, vedeva il trailer e le immagini, se qualcosa non lo convinceva andava su YouTube per vedere qualche gameplay mentre rispondeva su WhatsApp alla madre.  
Perso nel tunnel dei possibili acquisti videoludici, Marco non si rese conto delle ore che passavano, quando i suoi occhi si posarono nuovamente sull’orologio e vide che erano trascorse due ore da quando aveva iniziato quella crociata alla ricerca del Sacro Graal dei videogiochi, si sentì stanco come se avesse lavorato. Aveva addosso la sensazione di aver buttato all’aria la giornata. 
(Non posso stare da solo. Mi annoio.)
Afferrò lo smartphone, creò un gruppo con le uniche tre persone con cui avrebbe potuto trascorrere in pace quei giorni e inviò il messaggio: “Sono da solo a casa al mare, se potete raggiungetemi.” 
Non voleva aspettare le risposte. 
Si alzò dal divano, indossò il costume e una maglietta, preparò una borsa con l’acqua, un telo da mare e la crema solare e uscì. 
Appena la porta si chiuse fu assalito dai rimorsi. 
Andare in spiaggia da solo? Ridicolo. 
Deglutì i pensieri. 
E fece il primo passo. 
Camminare per il villaggio da solo lo faceva sentire in qualche modo speciale. 
(Mi sembra di star vivendo in un anime.)
Il mare distava cinque minuti a piedi da casa sua. 
Arrivò sulla spiaggia, non era molto affollata, si spostò lungo la pedana verso il suo ombrellone, guardandosi attorno come era solito fare, notò diverse persone: dal bagnino al vecchietto che non riesce ad entrare in acqua perché sulla riva ci sono i massi. 
Aprì l’ombrellone, si tolse la maglietta, prese una delle sedie in plastica e si sedette. 
Fare il bagno? 
Controllare lo smartphone? 
Fingersi interessato a qualcosa? 
Continuava a guardarsi attorno. 
Passo uno: mettere la crema. 
Quell’operazione gli prendeva almeno dieci minuti. Il momento delle spalle era quello più tragico, non aveva nessuno che potesse spalmargliela, quindi cercava di coprirsi al meglio, ma sapeva quanto dovesse essere cringe vederlo compiere quei movimenti bizzarri e sgraziati. 
A missione conclusa si sedette di nuovo. L’aveva spalmata malissimo e c’erano chiazze bianche sulla pancia e sulle gambe. 
(Ah, fanculo!)
Si alzò e andò verso il mare. 
L’acqua gli toccò i piedi. Marco si ritrasse rapidamente, l’acqua era freddissima. 
Vide un gruppo in acqua che giocava a pallavolo, erano in quattro, tre di loro, una ragazza e due ragazzi, erano impegnati a passarsi la palla, una quarta, invece, nuotava appoggiata ad un canottino poco lontano. 
Era invidioso. 
Forse poteva giocare con loro? 
Scosse il capo allontanando quella possibilità, con quanta tristezza avrebbe dovuto chiedere ad un gruppo di giovani, sicuramente più grandi di lui, di giocare con loro? Andare al mare era molto più facile quando aveva dodici anni, si poteva fare amicizia subito e si poteva giocare ogni giorno con un bambino diverso senza nessun imbarazzo. Si sentì prigioniero delle convenzioni sociali. 
(Cosa mi impedisce di farlo anche adesso?) 
Si fece coraggio ed entrò in acqua lentamente sobbalzando ad ogni brivido di freddo. Una volta immerso si sentì finalmente bene, quell’ora della sera era piacevole, il Sole era coperto da nuvole leggere, Marco nuotò un po’ ricordando gli allenamenti di anni prima, percorse diversi metri in stile libero, si ritrovò a largo. La spiaggia era diventata lontana, le teste delle persone delle piccole biglie, a lui giungevano soltanto le voci. Controllò il litorale: c’erano molte persone. 
Arrivò alla boa qualche metro più lontano. 
Tornò a riva, ripeté il percorso finché non fu stanco. 
(Anche se non mi alleno da tempo, ho ancora abbastanza resistenza.)
Si toccò la pancia, non era al top fisicamente. Si riprometteva sempre di cominciare la dieta e la palestra, ma puntualmente rimandava al lunedì successivo. Andava avanti così da almeno due anni. 
Tornò a riva. Il gruppo di quattro che aveva visto in precedenza era risalito. 
Dall’acqua, immergendosi di tanto in tanto, adocchiò i fisici di qualche ragazza di passaggio. 
(Tutte modelle quest’anno! La moda dei costumi a tanga non è niente male.) 
Si annoiò di vedere culi, quindi uscì dall’acqua per andare a recuperare la sua maschera. 
Il suo sguardo fu catturato da un paio di glutei sodi distesi sotto l’ombrellone davanti al suo. 
Distolse immediatamente gli occhi, prese la maschera e sfruttò l’occasione per vedere meglio la proprietaria di quel sedere: una ragazza con lunghi capelli neri, lentiggini leggere sulle guance, un costume verde, seni piccoli. Non era riuscito a vedere il colore degli occhi. L’avrebbe volentieri esaminata meglio, ma tornò in acqua e, invece delle curve della signorina, studiò le pietre e i pesciolini che nuotavano indisturbati. 
Pensava a scenari ipotetici come nei migliori film mentali in cui si avvicinava alla tipa, la corteggiava, si fidanzavano, si sposavano e morivano insieme. 
(Qualsiasi cosa faccio, sembrerò comunque un pervertito, alla fine perché dovrei avvicinarmi se non per il suo aspetto fisico dato che non la conosco? Che palle. Certo se la situazione fosse invertita non ci sarebbero tutti ‘sti problemi.)
Marco restò in acqua per un’altra mezzora, il Sole si era nascosto ormai dietro le montagne e la Luna, dalla parte opposta, aveva preso il suo posto. Uscì dal mare, un vento leggero gli fece venire i brividi, si fece la doccia, poi tornò all’ombrellone, la ragazza non c’era più. Erano poche, ormai, le persone in spiaggia. Soltanto lui, il gruppo di prima e un paio di signori che fumavano. 
Si asciugò, prese le sue cose e salì a casa. 
Per cena divorò un panino, collassò sul divano, leggermente eccitato, ma annoiato.
Prese la Nintendo Switch. 
(Compro due giochi e basta, non guardo più nemmeno lo store.)
Fece ciò che si era prefissato, giocò ai nuovi titoli, si ritenne abbastanza soddisfatto dell’acquisto. Mentre giocava, però, continuava a pensare a quella ragazza, e al suo culo. Sperò di incontrarla il giorno dopo. Sul gruppo WhatsApp i suoi amici avevano risposto, ma nessuno dei tre era libero. 
Restò incollato alla Switch per ore, quando l’orologio segnò le due di notte e le palpebre diventarono pesanti mise via la console e andò a dormire. 
L’indomani si svegliò verso le nove, non dormiva mai più di sette ore, ormai il suo organismo si era abituato a quel ritmo, fece una colazione abbondante, andò in bagno nel sacro rituale della cagata mattutina, si preparò e per le dieci uscì da casa. 
Si sentiva più sicuro di sé rispetto al giorno prima, ma ogni persona che incrociava era una martellata sul muro della sua spavalderia. Si sentiva ridicolo ad avere quei sogni puerili.
(Una cotta del cazzo che sicuramente mi tormenterà!)
Caso volle che lungo un viottolo incrociasse un cane e il suo padrone. L’animale si avvicinò scodinzolando e Marco non si fece pregare tanto, si lasciò annusare la mano e lo accarezzò. 
“Come si chiama?”, domandò Marco. 
“Turok.”
“Ah come il videogioco!”, commentò ad alta voce Marco, pentendosene subito, lo sguardo del padrone cambiò all’istante, non aveva capito il riferimento.
“Non lo so, questo nome glielo ha dato mio figlio”, si giustificò rapidamente.
(Che cazzo di figura, perché l’ho detto ad alta voce?)
Marco salutò Turok e il padrone, continuò lungo la strada per il mare. 
Arrivò alla spiaggia, cercò subito la ragazza, ma il suo ombrellone era vuoto. In compenso, però, a quell’ora della mattina c’erano numerose madri con i propri figli e alcune di loro erano mozzafiato, Marco prese lo smartphone e messaggiò il suo migliore amico. 
“Non puoi capire quante milf sulla spiaggia oggi.”
Andò al suo ombrellone, lo aprì, e ripetette la procedura di spalmo della crema, teneva gli occhi fissi davanti a sé dove il giorno prima aveva visto la tipa. 
(Chissà di che colore ha gli occhi.)
Dopo essersi ricoperto di crema andò a farsi il bagno, nuotò, cercò di fare più metri in apnea, ma come pensiero di fondo c’era sempre quella ragazza. 
(Ho una cotta per un culo, bravo Marco!)
Uscì dall’acqua, per passare il tempo sotto l’ombrellone giocò con lo smartphone, anche se guardò più pubblicità per ottenere premi gratuiti che altro. 
Trascorse due ore, stare sulla spiaggia era piacevole, il vento non faceva sentire troppo il calore, le persone si susseguivano, gli occhi di Marco si posavano sulle curve di tutti, uomini e donne.
Verso le tredici, quando stava per andarsene, sentì dei passi alle sue spalle, si voltò lentamente. 
Era proprio lei. 
La ragazza, con un bikini avvolto in un pareo, andò al suo ombrellone. 
(Mi alzo e mi propongo di aprirlo io? No macché dico, faccio solo la figura del marpione.)
Marco continuò a giocare con il cellulare mentre la fanciulla si sistemava, ogni tanto le lanciava delle occhiate furtive.
(Devo comprare quegli occhiali da sole che nascondono le pupille.)
La ragazza si adagiò su uno dei lettini, prona, Marco poteva vedere i glutei sodi, era chiaro che ne andasse molto fiera, il ragazzo si concentrò sui suoi occhi: verdi. 
(Dio, quanto è bella. Non fissarla, idiota.)
Lei si infilò le cuffie nelle orecchie e chiuse gli occhi. 
Marco si guardò attorno temendo che qualcuno lo stesse guardando.
Non sapeva cosa fare ed era consapevole che qualsiasi mossa, in quel modo, sarebbe stata spudoratamente dettata dall’eccitazione. La ragazza, dopo una mezz’ora, andò a fare il bagno. 
Marco avrebbe voluto seguirla, ma la pancia gli brontolava e la fame lo assaliva. Tornò a casa. 
Nel pomeriggio tornò sulla spiaggia. Vedeva gli stessi volti, affittuari nel villaggio vacanze. 
La donna dei suoi sogni apparve verso le 19, sul tardi, sempre sola. 
(Forse non è fidanzata. Spero.)
Marco restò sulla spiaggia come era solito fare finché non fu buio, la ragazza se ne era andata via un’oretta prima, verso le 20. 
(sono un fottuto stalker.) 
Marco tornò a casa rimuginando su infallibili strategie di corteggiamento che, però, si concludevano sempre sul cesso con smartphone e porno. 
I giorni seguenti Marco seguì la sua routine e, con estrema gioia, si accorse che era simile a quello della ragazza che vide spesso da sola, tranne un paio di volte in cui era in compagnia di due adulti, presumibilmente i suoi genitori. 
(Se voglio fare la mia mossa devo muovermi, starò qui solo per altri dieci giorni.)
Aveva escogitato un piano, ma gli tremavano le gambe alla sola idea di metterlo in pratica. 
Una mattina, però, si svegliò particolarmente deciso, studiò nuovamente le fasi del suo piano e si fece coraggio. Era un piano rischioso, ma nella peggiore delle ipotesi poteva tranquillamente chiudersi in casa fino alla fine delle vacanze o andarsene proprio. 
Quella mattina andò in spiaggia con un secchiello, lo stesso che usava quando era bambino per creare dei magnifici castelli che, inevitabilmente, erano destinati ad essere distrutti da inesorabili pedate. Aveva un’oretta di tempo, ma voleva aspettare che la maggior parte della gente fosse andata via. Trascorrevano i minuti. Doveva mettere in moto il suo piano pregando che la ragazza non anticipasse la sua discesa in spiaggia. 
Marco si alzò con il secchiello, lo riempì con acqua di mare e bagnò la sabbia vicino all’ombrellone della tipa. Si guardò attorno. Il gruppo di quattro che aveva già visto era sotto l’ombrellone. E lo stava guardando. 
Rosso in volto come un peperone, con il cuore che batteva a mille per l’imbarazzo, ma deciso a continuare con il suo piano, Marco continuò a bagnare la sabbia. 
Aveva pochi minuti.
Il gruppo rideva. 
(Sicuro ridono di me, stronzi. Non li pensare, che se ne vadano a fare in culo.)
con la coda dell’occhio vide che un ragazzo e una ragazza del gruppo si stavano spostando verso il mare,.
(Bene, levatevi dal cazzo.)
Ma, mentre bagnava la sabbia, percepì due persone alle sue spalle, si voltò. 
“Tieni.”, disse il ragazzo.
“Se vuoi ti diamo una mano.”, aggiunse la ragazza.
I due gli stavano porgendo due secchielli ricolmi d’acqua. 
“N-no, grazie non c’è bisogno.”
Il ragazzo lo guardava fisso negli occhi con espressione un po’ vuota, la ragazza, invece, coi capelli corti, belle curve e solare, sorrideva affabilmente. 
“Ti serve altra acqua?”’, domandò il giovane. 
“No, grazie, è sufficiente.” 
“Perfetto, ciao.” 
“Ciao!” 
Marco salutò con la mano restando in silenzio. 
(Che tipi strani.)
Si mise al lavoro, scrisse nella sabbia: “Ciao, sono il ragazzo dell’ombrellone di fronte, mi chiamo Marco. Il mio nickname di Telegram è Macrasco. Ti dico questo perché probabilmente dopo aver scritto questa cosa sulla sabbia non avrò più il coraggio di uscire di casa. Ciao!”
Dopo aver finito la sua opera, scappò dalla spiaggia rapido come un furfante. 
Si chiuse in casa. 
Iniziò.
La snervante. 
Attesa. 
Le 13:45.
Le 14:50.
(Lo avrà visto il messaggio… quanto sono ridicolo e stupido. Mi sono sabotato da solo la vacanza, non potrò mai più scendere a mare. Penso proprio che prendo il pullman e me ne torno a casa.)
Le 15:39.
(Vabbè ma alla fine che me ne fotte. Ci ho provato e non è andata bene, semplicemente ci ignoreremo come abbiamo fatto. Al massimo posso farmi spostare l’ombrellone più in là così non rischio di incontrarla.)
Le 17:10.
(Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo.)
Le 19:30.
(Domani mi faccio portare la pizza.)
Le 23:30. 
(Sono tre ore che sto nel letto, che palle. Mi sono depresso per una stronzata del genere? Domani mi sarà passata, o tra qualche ora, o tra qualche mese. Non lo dirò a nessuno.)
Le 00:45.
“Ciao, Marco giusto? 🙈 Scusami, ma in pratica tutto il giorno non ho avuto il cell. Ho dovuto sostituire lo schermo perché l’ho fatto cadere 🤐. Mi dispiace non averti scritto prima. Comunque perché non dovresti più scendere a mare! Non fare l’esagerato ahaha! 🤣🤣  Forse stai dormendo, quindi buonanotte! A domani. Non avere paura di parlarmi sulla spiaggiaaaa 🤗” 
Marco dormiva. 




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Capitolo 2
*** Omaha Beach ***


Stava fissando lo smartphone come se fosse un manufatto alieno pronto ad incenerirlo. Aveva riletto il messaggio almeno venti volte. Erano le sette di mattina, si era svegliato per andare in bagno, ma aveva visto la notifica, l’aveva aperta e il sonno lo aveva completamente abbandonato dando spazio ad una eccitazione mista al più puro terrore.
Significava che anche la ragazza era interessata a lui? Da Telegram aveva letto il suo nome: Laura.
Era un bel nome, continuava a ripetersi. Marco si rese conto di aver calcolato il suo piano dando per scontato che sarebbe fallito e che sarebbe dovuto fuggire a gambe levate. Nei suoi film mentali loro due si sarebbero dovuti scambiare una infinità di messaggi, non aveva fatto i conti con la situazione che li prevedeva faccia a faccia nel giro di poche ore.
Aveva la chat aperta, aveva visualizzato il messaggio, doveva scrivere qualcosa, ma non sapeva cosa dire, non poteva lasciarla senza una risposta, sarebbe stato sgarbato.
Ebbe un tuffo al cuore.
Sotto al nome Laura era comparso: “online”.
(Oh merda, oh cazzo merda, oh porca merda…)
Non poteva più aspettare, ora o niente.
Provò a scrivere qualcosa, ma era talmente agitato che digitava più lettere insieme, non riusciva a mettere insieme una parola di senso compiuto. Doveva ricorrere alle maniere forti. Afferro il notebook, attivò Telegram Desktop e, con la sicurezza che percepiva crescere dentro di lui con le dita che sfioravano la tastiera, iniziò a comporre il poema sacro che era la sua risposta:
“Buongiorno.”
(Merda, neanche una faccina ho usato, Dio santo che malato che sono, ora penserà che sono stato tutta la notte a sbavare sulla sua foto profilo, che tra l’altro è un disegno.)
Sta scrivendo…
(Oh vaffanculo, porca troia, vacca merda, cazzo, cazzo, cazzo.)
Bloccò il telefono e ridusse ad icona Telegram Desktop.
Il cuore gli batteva all’impazzata nel petto, per un istante temette l’infarto, lo schermo dello smartphone si attivò per la notifica. Lesse il messaggio.
“Buongiorno 😁, mattiniero vedo! Io stanotte non riuscivo a dormire per il caldo 🥵”
(Usa molte emoticon. Lo fa sempre? O forse mi sta trattando come un povero cretino. Sicuramente la seconda.)
Doveva rispondere.
Come se fosse un macigno da sollevare riattivò Telegram.
(Ricorda, usa le faccine!)
“Di solito mi sveglio moolto più tardi, ma sì il caldo mi ha dato alla testa.”
(Cazzo la faccina… è ridicolo se la mando ora? Vabbè meglio di niente.)
“🤣”
Ogni volta che Marco leggeva “Sta scrivendo” lo pervadeva un’ansia profonda e pregava di implodere per non dover sentire ancora le budella che gli si ritorcevano, ma al contempo sperava di poter continuare quella conversazione per sempre.
“Quel messaggio sulla sabbia è stato davvero carino 🙈”
(Oh cazzo… ok… rispondo: mai carino quanto te.)
Digitò.
(Ma che dico, che cringe. Allora… come dovrei rispondere? Faccio finta di niente? Dico la verità? Sì certo: ti ho scritto perché hai un bel culo.)
Sospirò.
“Ho sfruttato il secchiello di mio cugino piccolo. Il bagnino e gli altri mi avranno preso per pazzo 😅”
“Da cosa viene il tuo nickname?”
“Era il mio soprannome alle medie.”
“Di che anno sei?”
“2002, tu?”
“2004 😶”
(Cosa significa questa faccina? Mi sta dicendo che è troppo piccola? Abbiamo solo due anni di differenza, non è tanto, poi non è che sto facendo niente di male. Le ho guardato il culo. È pedofilia? Mi arresteranno? Aiuto.)
Laura continuò:





Marco si lasciò andare sul letto, aveva la gola secca, i muscoli che gli dolevano e la morte pronta a reclamare la sua anima. Era tutto sudato, chiuse gli occhi e sorrideva come uno scemo. Non riusciva a smettere. Vide che Laura era andata Offline, ma voleva aspettarla finché non fosse tornata, non gli interessava altro. Sembrava una tipa molto alla mano, a pelle gli stava simpatica.
(La vera sfida sarà parlarle di persona, cazzo.)
Fu aggredito da una fame improvvisa, andò in cucina e divorò una merendina, si sentiva euforico, voleva saltare e urlare, cantare e abbracciare il primo che passava. Gli sembrava un sogno che diventava realtà.
(Ora, però, non devo fare la zecca, le devo lasciare i suoi spazi, aspettare che sia lei a contattarmi, non risponderle troppo velocemente ai messaggi e non avvicinarla in spiaggia se non sarà lei a farlo.)
I suoi pensieri si perdevano nella visione di lei.
(È solo un’infatuazione e un bel culo, niente di più per ora.)
Le ore trascorsero lentamente. Controllava in continuazione lo smartphone, ogni notifica che gli arrivava lo faceva sobbalzare, ma non era mai quella sperata. Era una tortura, contava i minuti, le ore che passavano. Quando si rese conto che presto avrebbe avuto con lei un incontro faccia a faccia si sentì mancare. Doveva sistemarsi come meglio poteva. Si lavò, si profumò sotto le ascelle, controllò che i capelli fossero in qualche modo decenti, decise di indossare la maglietta di cui andava più fiero, una di Indiana Jones, trangugiò mezza bottiglia di collutorio ed era pronto per andare in spiaggia. Per non fare brutte figure con Laura decise di spalmarsi la crema in casa prima di uscire, così una volta al mare poteva direttamente tuffarsi mostrandosi anche spavaldo e figo. Non riusciva a non pensare a Laura, immaginò la sua voce. La doveva salutare con una stretta di mano? Bacio sulla guancia? Slinguazzata violenta come in una telenovela? Si grattò la fronte.
(Non essere stupido, sii naturale, è solo una persona che devi conoscere. Fingi che sia un maschio. Un maschio da cui sei sessualmente attratto e che vuoi portare all’altare. Ah ma smettila! Non la conosco nemmeno. Andrà tutto bene, basta mantenere la calma. Non mi sembra una di quelle tipe che crede che solo lei abbia la fica. Andrà tutto bene. Devo solo muovere i primi passi fuori dalla porta.)
Fece un respiro profondo, fantasticò su di sé come un soldato dell’esercito americano pronto ad approdare ad Omaha Beach, quando la porta di casa si aprì vide il portellone del mezzo da sbarco finalmente scendere e i suoi compagni essere maciullati dalle mitragliatrici nemiche.
(Devo proprio rivedere Salvate il soldato Ryan.)
Più guardingo del solito, con il terrore di incrociare Laura sul percorso per andare a mare, Marco camminò per il villaggio fino a giungere all’ingresso che dava alla spiaggia. In base all’orario, Laura non era lì.
(E se è venuta prima per incontrare me?)
Voltò l’angolo pieno di speranze e sogni di ipotetici futuri che prevedevano tutti un bacio appassionato tra lui e la sua amata…
Non c’era.
(Meglio.)
Si incamminò verso il suo ombrellone. Si sistemò.
(Vado a mare? L’aspetto? E se viene coi suoi? Che faccio? Mi devo presentare? No forse no. Aspetterò che sia lei a fare la prima mossa? O devo farla io? Come funziona.)
Rimuginava silenziosamente mentre tamburellava nervosamente con il piede sulla sabbia.
Passi sulla pedana.
Il gruppo dei quattro.
I due che lo avevano aiutato lo guardarono sorridendo, Marco contraccambiò, pregò che non gli facessero domande e fu ascoltato.
Attese.
Faceva molto caldo.
(Meglio andare a fare un bagno, altrimenti svengo quando la vedo.)
Si avviò a mare.
La scorse con la coda dell’occhio.
Sola.
(Oh merda… no, no, fai finta di niente, vai a mare, non sa che l’hai vista. Muoviti e cammina.)
Si immerse con straordinario coraggio nell’acqua ignorando il freddo e, senza mai voltarsi, iniziò a nuotare e andò a largo dove si sentiva al sicuro, lì non lo poteva vedere.
(Sei proprio uno stupido.)
Era troppo lontano per vedere cosa faceva Laura.
(Mi sto altri cinque minuti poi salgo. Perfetto, faccio l’entrata ad effetto come quei fighi che escono dalle onde. Certo… mi manca soltanto il fisico, il carisma e lo charme. Bella merda.)
Toccò il fondale profondo, fiero dell’ossigeno che era riuscito ad incamerare, l’acqua era splendida. Marco era agitato e in ansia, nuotare lo affaticava più del solito.
(Vedi anche di morire qui.)
Andò verso la riva.
Laura stava prendendo il Sole sotto all’ombrellone.
(Merda… devo farlo.)
Il tempo che impiegò per fare la doccia lo sfruttò per provare nella sua testa diversi modi di salutare Laura. Voleva fare una bella impressione, far capire che era un bravo ragazzo e non un pervertito, che voleva conoscerla ed essere amici. Scrutò il sedere di Laura. I pensieri di purezza si sciolsero come neve al Sole.
Si impose autocontrollo, le guardava il viso, la giovane era distratta, rivolta verso il lato opposto con le cuffiette nelle orecchie.
(Merda.)
La missione andava abortita, a meno che non si fosse girata negli ultimi due metri che lo separavano dal suo ombrellone, non avrebbe potuto salutarla, non poteva andarle vicino e toccarla per attirare la sua attenzione, sarebbe stato un fallimento clamoroso.
Mancavano dieci passi poi si sarebbe seduto e avrebbe dovuto attendere un movimento di lei, magari alzarsi goffamente dalla sedia e salutarla, ma come poi? Sarebbe dovuto andare sotto al suo ombrellone? Lasciarla stare? Fare un gesto da lontano?
Laura si voltò.
(Cazzo…)
Sorrise.
(D’un cazzo…)
Si tolse le cuffiette.
(Stracazzo.)
Si mise seduta sul lettino.
(Porca…)
Sollevò una mano in cenno di saluto.
(Di quella vacca…)
Si alzò e andò verso di lui.
(Puttana.)
“Ehi ciao!”, disse Laura.
Il fiato mancò nei polmoni di Marco. Si era dimenticato come si respirasse, aveva dimenticato anche come si camminava. Era prima un piede e poi l’altro? O tutti e due insieme? Per parlare doveva muovere solo le labbra? O anche la lingua? Il sistema nervoso del ragazzo era completamente offline. Bombe nucleari esplodevano tutto intorno a lui, aerei da combattimento ronzavano sulla sua testa, era morto su Omaha Beach.
“Ciao!”, sputò finalmente fuori come Stitch del cartone animato. Tossicchiò e si schiarì la voce. “Tutto bene?”
“Certo! Com’è l’acqua?”, Laura sorrideva, si voltò verso il mare.
(Profuma. Come fa a profumare così tanto? Sarà la crema. Ha una bella voce, graziosa.)
“Bella, molto pulita a largo, freddina e...”
(Non dire bagnata, non dire bagnata, non dire bagnata.)
“Scommetto bagnata.”, aggiunse Laura ridacchiando.
“Un po’ di meno, oggi.”, scherzò Marco.
(Se cala il silenzio che faccio? Continuo a parlare? Cerco argomenti? Le faccio un massaggio? Le do una botta in testa?)
“Che cosa ascoltavi di bello?”, chiese il giovane.
“Imagine Dragons.”, rispose prontamente Laura. “Li conosci?”
“Certo! Molto belli.”
“La tua canzone preferita?”
“Friction, la tua?”
“Believer.”
“Molto bella.”
“Anche la tua non è male.”
Laura stirò le labbra in un sorriso e si morse involontariamente il labbro inferiore.
(Contieniti, Marco, contieniti.)
“Ti va di fare il bagno?”, propose il ragazzo.
“Sei appena uscito, non ti preoccupare. Vado dopo.”
“Macché! Se ti va di fare il bagno, andiamo!”
“E va bene.”
Laura posò l’ipod piegandosi in avanti.
(Allarme! Allarme! Lo ha fatto di proposito! È un test! Se le guardo il culo è finita. Devo andare via! Via!)
Marco scappò sotto il suo ombrellone per inviare un messaggio inesistente alla madre ed evitare ogni tentazione. Quando Laura fu pronta si finse distratto.
“Andiamo?”, domandò lei.
“Eccomi.”
Marco affrontò coraggiosamente l’acqua, anche perché già bagnato da prima. Laura, invece, arretrava di un po’ ogni volta che arrivava l’onda. Era così carina quando si piegava per il freddo e sorrideva per i brividi che la pervadevano, Marco cercava di non guardarla, ma era attratto da lei come magnete, sembrava una bambina, era divertito, spensierato, tutte le altre persone sulla spiaggia scomparvero in un solo istante.
Esisteva solo Laura.
 



 

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Capitolo 3
*** Ustionato ***


Dopo diversi tentativi Laura entrò in acqua. Marco era inebriato dalla presenza della ragazza, la sua pelle luminosa al Sole, l’acqua che le scorreva addosso, le labbra tirate in un sorriso genuino e meraviglioso.
(Mi sto innamorando?)
“Sai nuotare bene?”, chiese Laura.
“Abbastanza! Tu?”
“Diciamo che me la cavo.”, sorrise e si immerse notando diversi metri in apnea. Riemerse, si portò i capelli all’indietro.
“Direi che hai mentito.”, scherzò Marco.
“Faccio piscina da… tre anni ormai.”
“Forte! Anche a livello agonistico?”
“Ho partecipato a qualche gara, sì.”
Marco le si avvicinò.
“Vinte?”
L’espressione di Laura mutò.
“Non ancora.”
(Merda. Tirala su di morale. Ma come?)
“È lo spirito giusto! Non bisogna abbattersi. Anche a me piace nuotare, ma non ho mai fatto piscina. Ti va se andiamo alla boa arancione?”, il ragazzo la indicò a largo.
“Gara?”
(Cazzo quanto è bella.)
“Gara.”
“Via!”, Laura si avviò rapidissima nuotando in uno stile libero perfetto. Marco non poteva tenerle testa, ma decise di dare il massimo, dopo diverse bracciate, però, mentre il cuore gli sobbalzava nel petto in un misto di eccitazione e stanchezza, si fermò un istante per ammirare la ragazza che nuotava. Aveva vinto la lotteria. Riprese la gara.
Si fermò, ma Laura era già appoggiata alla boa da ormai due minuti.
“Mi hai lasciato vincere.”, Laura gli puntò contro un dito inquisitore.
“Mi sono fermato perché mi stava venendo un crampo, ma comunque non avrei potuto vincere contro di te.”
Laura pensò qualche secondo, era come se avesse deciso all’ultimo momento di non dire ciò che aveva pensato, infatti si immerse sott’acqua per diversi secondi, ne riemerse e, come faceva sempre, si sistemò i lunghi capelli.
“Non riesco ad immaginarti con una cuffia in testa.”, azzardò Marco per rompere il silenzio.
Laura gli fece cenno come per intendere: “non dirmelo”.
“Il mio istruttore rompe sempre le scatole su questa storia.”
Marco non ci aveva fatto caso fino a quel momento, ma la cadenza della ragazza non era uguale alla sua.
“Comunque, di dove sei?”, domandò.
“Salerno. Tu?”
(Merda.)
“Trieste.”
“Cooosa? Ma è lontanissimo da qui!”
“Lo so, i miei vengono dalla Campania, quando erano giovani presero casa in questo villaggio, quindi ci veniamo ogni anno.”
Marco si rattristò inconsapevolmente. Non aveva mai pensato a qualcosa del genere, nei suoi sogni la storia con Laura non si fermava ad un’avventura estiva e, ancora meno, ad un’amicizia. Aveva spesso creduto nell’amore a prima vista, per quanto lo ritenesse comunque un sentimento infantile.
(Non correre troppo, cretino, la conosci appena. Non puoi parlare d’amore, è solo infatuazione.)
“Tu lavori?”, chiese Laura, la cui espressione non era per niente cambiata.
(Sono solo un ragazzo conosciuto sulla spiaggia, ha perfettamente ragione. Potremmo non vederci mai più da domani e non cambierebbe niente. Sono davvero un cretino.)
“Niente di serio, ancora, ho lavorato per un anno a Torino.”
“Bello! Di cosa ti occupi?”
“Lavoro per un piccolo giornale cittadino, niente di che, eh, però, mi piace e come primo lavoro non è niente male. Tu vai a scuola?”, Marco sentì le guance diventare rosse.
“Sì, l’anno prossimo è l’ultimo anno di liceo classico.”
“Accidenti fai il classico! Deve essere difficile.”
“Tu che scuola hai fatto?”
“Scientifico.”
“Siamo incompatibili, addio.”, Laura scomparve sott’acqua e ne riemerse ridendo.
Gli occhi di Marco erano persi su di lei. Il sorriso della ragazza era per lui una costante scarica elettrica, tutto sembrava assumere un senso, ogni tassello della sua vita diventava parte di un meraviglioso puzzle che disegnava il sorriso più bello che avesse mai visto.
Laura arrossì, accortasi dello sguardo del ragazzo.
(Cazzo, riprenditi.)
“Sai già cosa fare dopo?”, Marco balbettò.
Laura si coprì le orecchie con le mani.
“Noo non farmi questa domanda! È Taboo!”
“Scusaaaa!”,
“No, comunque, a parte gli scherzi, credo di fare lettere classiche e di continuare con il percorso iniziato al liceo, vorrei diventare insegnante, per questo.”
“Ma! Sembra che hai le idee così chiare, quindi perché i dubi?”
“Perché diventare insegnanti in questo paese è una tragedia!”, la voce di Laura era diventava nervosa, chiaramente aveva già affrontato numerose volte questa discussione.
“Lo so che sembra sdolcinato…”
Laura lo guardò dritto negli occhi impedendo al cuore di Marco di battere regolarmente. Lei si aspettava qualcosa.
“Però…”, riprese Marco ingoiando amara saliva. “Se è davvero quello che vuoi fare, vale la pena lottare per riuscirci, no? Intendo, sì è difficile, ma non impossibile.”
“Sicuro. Infatti alla fine penso farò proprio quello.”
Laura sembrava delusa da quelle parole.
(Forse si aspettava qualcosa di diverso? Cazzo! Forse si aspettava qualcosa di sdolcinato nei suoi confronti. Dio, non la capisco!)
“Tu, invece? Resterai a Torino?”, incalzò la ragazza.
“Per il momento, ho intenzione di fare qualche corso per imparare a scrivere meglio, magari prendo il tesserino da giornalista, inizio il mio blog, non so, cose così.”
“Anche la tua scelta è molto coraggiosa, a dire il vero. Le persone non leggono così tanto ultimamente.”
“E lo so, ma è una passione. A te piace leggere?”
“Solo in estate, durante l’anno quando ho finito di studiare mi scoccia mettermi su un altro libro, anche se si tratta di svago. A te presumo piaccia molto?”
“Meh, non proprio, preferisco produrre che leggere.”, Marco mise le mani avanti. “Ma so che si dice: se vuoi imparare a scrivere, devi leggere tanto e molto, imparare dagli altri eccetera.”
“Vabbè alla fine ognuno fa quello che vuole.”
Restarono in silenzio per qualche secondo.
(Forse le sto sul cazzo.)
“Torniamo?”, propose Marco.
“Gara?”
“Gara.”
“Via!”
Tornarono a riva, Marco si impegnò davvero questa volta, ma vinse comunque Laura.
“Schiappa.”, lo prese in giro la ragazza.
“Dovresti insegnarmi qualche trucco.”
“Però mi faccio profumatamente pagare.”
“Temo di non avere abbastanza soldi.”
Laura rise.
(Non mi sembrava qualcosa di così divertente. Forse sta solo avendo pietà di me e intende scaricarmi appena potrà?)
“Vuoi uscire dall’acqua?”, domandò Laura.
(Oh cazzo, ora qual è la risposta corretta?)
“Tu?”
“Non si fa così! Non si gira la domanda!”, protestò la ragazza gioviale.
“E-e le regole della cavalleria me lo impongono!”
“Restiamo un altro po’?”
“Perfetto.”
Marco era soddisfatto di come erano andate le cose, poteva restare in acqua anche dodici ore e non ne avrebbe avuto abbastanza. All’improvviso degli schizzi lo fecero sobbalzare, guardò alla sua sinistra e scorse un pallone, lo recuperò.
Vide la ragazza della coppia che lo aveva aiutato a bagnare la sabbia che si avvicinava.
“È loro.”, disse Laura.
(Devo lanciarla? O gliela porgo?)
Vedendo la ragazza che si faceva sempre più vicina decise di raggiungerla a metà strada e passare lentamente la palla.
“Grazie.”, disse la ragazza.
“Grazieee!”, gridò il fidanzato lontano.
“Li conosci?”, domandò Laura quando Marco ritornò.
“No, no; li ho solo visti sulla spiaggia qualche volta.”
“I tizi con cui hai litigato ci stanno?”
“Mi sembra di averli visti.”
“Fanno sempre gruppo?”
“Sì, ma non mi frega tanto. Tu hai un gruppo di amici a Salerno?”
“Sì, in realtà siamo solo ragazze, mie compagne di classe, siamo in cinque in tutto. Un club privato.”, Laura gli fece l’occhiolino per scherzare.
Marco si sciolse, il pantalone si gonfiò.
(Oh porca merda. Fai finta di niente, fai finta di niente, ora ti passa. Ora ti passa.)
“Sì anche io, dal liceo sono rimasto amico con tre ragazzi. E…”, la guardò negli occhi. Era la domanda fondamentale. Non voleva farsi fermare dalla distanza. “Ce l’hai un fidanzato?”
(Cazzo.)
“Mi sono lasciata due mesi fa.”
(Sì CAZZO!)
Laura si incupì.
“Mi dispiace.”, simpatizzò Marco.
“Macché, era un idiota. Mi ha tradito. Dovevo lasciarlo molto prima, mi sono lasciata condizionare dalle persone sbagliate.”
(Daje cazzo.)
“Ah…”, Marco prese coraggio. “Un vero stronzo.”
“Decisamente.”, Laura annuì convinta. “Tu sei fidanzato?”
“L’ultima volta che sono stato fidanzato avevo sedici anni, una storia durata tipo… due mesi.”, rise. “Niente di serio. Non ci siamo nemmeno più visti perché ha cambiato scuola.”
“Per colpa tua?”, Laura sgranò gli occhi.
“No!”
“Scherzo!”, Laura scoppiò in una fragorosa risata. “Hai fatto una faccia…”, e giù di altre risate, miele per Marco.
Il giovane non se ne rese conto altrimenti avrebbe impiegato tutte le sue forze per porvi rimedio, ma la sua espressione era persa nel vuoto, Laura se ne accorse e si sentì lusingata. Sapeva che Marco stava flirtando con lei, adorava la gentilezza e la delicatezza con cui lo stava facendo.
I due continuarono a parlare del più e del meno, dai telefilm ai film preferiti, dalle proprie famiglie e alle gite della scuola media. Di qualsiasi cosa parlassero, sembrava che non ci fosse alcun imbarazzo tra i due. I muri erano stati abbattuti in poco tempo. Si scoprivano pezzo dopo pezzo, ogni tanto restavano in silenzio, facevano una calata in acqua, ma poi riprendevano a parlare.
Passarono ore, ma non se ne accorsero.
“Oh cazzo.”, sobbalzò Laura guardando la spiaggia. “Quelli sono i miei! Ma che ore sono?”
Marco aguzzò la vista per adocchiare l’orologio sulla bacheca in spiaggia.
“Cazzo, le 14.”
I due si guardarono e risero.
“Mi avranno telefonato, cavolo saranno preoccupati a morte.”
Laura si avviò per uscire.
Si voltò con urgenza.
“Non… aspetta in acqua finché ce ne siamo andati, ok?”
(Si vergogna di me. O forse, come naturale, si vergogna di farsi vedere dai genitori con un ragazzo.)
“Va bene. Ci vediamo oggi in spiaggia?”
“Ovvio. Ci mettiamo d’accordo su Telegram, magari possiamo scendere insieme. Vado, ciao a dopo.”
Marco si lasciò andare a morto sull’acqua, la seguì mentre incontrava i genitori, poteva sentirla scusarsi e inventare i motivi per cui era ancora a mare. Il ragazzo voleva cantare a squarciagola, era il giorno migliore della sua vita.
(Le interesso.)
Non poteva darsi altre spiegazioni al fatto che volesse incontrarlo di nuovo.
Dopo che Laura se ne fu andata con i genitori, Marco uscì, finalmente, dall’acqua, nel momento in cui non fu più bagnato percepì una grande stanchezza nei muscoli, un formicolio sulle spalle. Si ritirò a casa, divorò il pranzo già pronto che aveva conservato e si distese sul divano. Non poteva non pensare a Laura, quando prese lo smartphone si accorse di una decina di chiamate perse dalla madre.
(Merda.)
La chiamò e si scusò, spiegò che era stato in acqua tutto il tempo. La madre si raccomandò delle stesse cose per i successivi cinque minuti prima di interrompere la chiamata.
Marco scrollò qualche post su Instagram, cercò “Laura”, ma non la trovò.
Fece capolino la notifica.
“Ehi!”
(È lei!)
Il cuore gli sorrise.
Attivò Telegram.
Ma già non era più online.
(Ho delle speranze con lei. Ma se ci mettiamo insieme come facciamo? Viviamo lontanissimi. Certo una relazione a distanza non mi spaventa troppo, però che palle! Sicuramente non le andrà bene. Magari. Se… una scopata in vacanza? Non sarebbe così male. Ma se poi mi manca? Cazzo, ma se scopiamo ho bisogno di preservativi. Oh merda e ora? Devo andare in paese a comprarli. Meglio non affrettare le cose. Merda. E se scopre che sono un verginello di merda che non sa fare niente?)
Voleva piangere.
(Forse è meglio restare soltanto amici. Basta! Calma, respira. Lascia che le cose vadano come devono andare, non ha senso correre, può diventare benissimo una semplice amica con cui trascorrere questi giorni. Non puoi esserti innamorato di lei in così poco tempo. Non la conosci ancora. Può darsi… può darsi che sezioni gattini nel tempo libero.)
Si mise le mani nei capelli, non riusciva a pensare ad altro. Il pensiero di Laura era una zanzara pedante che gli ronzava nel cervello.
(Mi fanno male le spalle.)
Si alzò dal divano e andò in bagno.
(No, cazzo…)
La pelle era scarlatta. Si era bruciato.
Si spalmò un po’ di crema anti arrossamento.
Prese lo smartphone, attivò la chat di Laura.
“Ehi.”, rispose al messaggio precedente. 


Sta scrivendo…
E invece lo telefonò.
(COSA?!)
“Pronto?”
“Scusa non volevo disturbarti.”, rise.
“No, macché, è successo qualcosa?”
“No, però pensavo… io non so mai che fare il pomeriggio, ti dispiace fare una passeggiata con me?”
Marco svenne.
“C-certo, d-d-dove dobbiamo vederci? O-o-o-ra?”, balbettò.
“Se mi dici dove abiti vengo sotto casa tua.”
“N-n-o, dai, dimmi.”
“Va bene, allora all’ingresso secondario della spiaggia? Dove stanno le altalene.”
“Ok, perfetto, scendo.”
“A tra poco!”
“Sì, ciao…”
La telefonata si interruppe.
(AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!)
Lava i denti.
Lava le ascelle.
Collutorio.
Per sicurezza altro collutorio.
Deodorante: ascelle. Pantalone.
Profumo: collo e polsi.
(Sono in ritardo.)
Laura gli inviò un selfie.
Nel selfie era inquadrato anche il costume che stava indossando.
Marco si guardò il pacco.
(E tu stai buono.)

 

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Capitolo 4
*** 189 ore a piedi ***


La vide da lontano, gli mancò il fiato, non sapeva come comportarsi, era un appuntamento? Non lo era? Decise di mettere da parte le sue ansie, come se fosse possibile, e si fece notare sfoderando il miglior sorriso non falso di cui fosse in grado.
“Scusa se ti ho fatto scendere senza preavviso, ma mi annoiavo un casino a casa.”
“Non preoccuparti, neanche io stavo facendo niente.”
I due furono vicini, in imbarazzo.
(Come si saluta la gente?)
“Qua si sta freschi.”, aggiunse Laura.
“Vero. A quest’ora sulla spiaggia ci si scioglie.”
Silenzio e un po’ di imbarazzo.
Laura teneva lo sguardo basso, le mani dietro la schiena, una di queste teneva lo smartphone, Marco fece finta di scacciare un moscerino.
“Quindi… cosa hai mangiato?”, chiese.
(Ma che razza di domanda è?!)
“Insalata di riso, tu?”
Laura lo guardò negli occhi, Marco si dimenticò la sua risposta.
“Ci sei?”, la ragazza ridacchiò.
“Scusa, mi sono perso un attimo.”
(Terra, apriti e nutrimi del mio cadavere.)
Riprese.
“Avevo della pasta avanzata da ieri, ho finito quella.”
(Prendi in mano la situazione.)
“Ti va di fare una partita a ping-pong? Stanno i tavoli proprio qui dietro.”
Laura ne sembrò entusiasta.
“Non so giocare.”, ammise.
“Neanche io bene, possiamo giusto fare dei passaggi tanto per, andiamo.”
Guidato da una forza sovrannaturale, Marco afferrò il polso di Laura e la accompagnò ai tavoli da ping-pong coperti dall’ombra degli alberi. Quando si rese conto di star toccando Laura ritrasse la mano come se scottasse e arrossì. Laura era rossa come un peperone. Il ragazzo si avvicinò alle racchette con passo tremante,
“Ecco.”, le porse la racchetta.
La tensione cadde appena furono ai due lati del tavolo.
Marco le fece vedere come impugnare bene la racchetta e le passò la pallina. Dopo qualche tentativo Laura riusciva a rispedirla nel suo campo.
“Impari in fretta.”, commentò il ragazzo.
“Dammi trenta minuti e ti sfido!”, la competizione si accese negli occhi di Laura che, passaggio dopo passaggio, diventava sempre più brava.
Dopo una ventina di minuti, Laura chiese di fare una pausa, Marco annuì, la ragazza si allontanò verso la fontanella lì vicino. Il giovane la spiò e vide che, invece di bere, Laura stava controllando qualcosa sul cellulare.
(Merda, si starà annoiando. Sicuro mi sta prendendo in giro su un gruppo con le amiche. Dio quanto sono ridicolo.)
Laura ritornò.
“Batto io.”, disse sicura di sé.
“Tra cinque minuti sei anche più brava di me.”
I colpi di Laura erano precisi.
“Sicura di non aver giocato prima?”
“Mai.”
“Partita?”
“Perché no.”
Marco era divertito dalla competitività di Laura.
(Devo vincere.)
Il game si concluse 11 a 8 per Laura.
“Come… hai fatto dei colpi da maestro.”
Laura rise orgogliosa.
“Prima non sono andata a bere! Ho visto su YouTube qualche scambio tra giocatori professionisti.”
“E hai imparato?”, Marco sgranò gli occhi. “Sei formidabile!”
Laura fece una posa sorniona mostrando i muscoli.
“Devo ancora vincere la partita.”
(Non ho speranze contro di lei. Come ha fatto ad imparare guardando un video, che cazzo ha, lo Sharingan?)
Il secondo game si concluse 11 a 10 per Marco.
“Cavolo, è stata dura.”, si lamentò il ragazzo asciugandosi il sudore che gli bagnava la fronte.
Laura si era innervosita dopo la sconfitta, borbottava contro se stessa ed era già pronta per il prossimo game.
“Continuiamo.”, disse solo con tono deciso.
(Accidenti quando inizia a giocare non vuole saperne altro.)
“Chi fa questo vince.”, propose Marco.
“No, al meglio dei tre.”
“Va bene.”
Marco era continuamente distratto dal corpo della ragazza.
Terzo game: 11 a 8 per Laura.
“Andiamo, andiamo.”, velocizzò Laura l’intramezzo.
Marco era un po’ intimorito.
Dopo l’ultimo scambio, Laura portò le mani al cielo, vittoriosa.
“Mi dispiace, maestro, ma ti ho battuto.”, puntò Marco con la racchetta.
“Cavolo, sei forte.”
“Magari mollo nuoto per fare ping-pong.”
“Li puoi sempre fare entrambi.”
“E chi fa al posto mio i compiti?”
“Posso farli io.”
“Sei bravo in latino e in greco?”
“Non tanto.”
“Allora niente. Devo mantenere i miei voti alti.”
“Che sudata!”
La gente aveva cominciato a scendere in spiaggia, il parco giochi era affollato da mandrie di bambini.
“Bagno?”, chiese Laura.
“Avrei più bisogno di ossigeno.”, Marco rise.
Si voltò verso di lei, la beccò che lo stava fissando.
(Cazzo.)
Laura si finse immediatamente distratta.
In quel momento passò uno degli animatori del parco, affisse sulla bacheca l’avviso dello spettacolo serale, alcuni comici si sarebbero esibiti nel villaggio.
Marco sapeva che quello era un momento decisivo, doveva prendere il coraggio con entrambe le mani, divorare le sue paure e compiere il passo. Se non lo avesse fatto se ne sarebbe pentito per tutta la vita.
Guardò Laura.
(Bene.)
Fece un passo in avanti per stare più vicino.
(Ottimo.)
Aprì bocca.
(Ti va di venire allo spettacolo con me? Cazzo lo devo dire! Non pensare!)
“Stasera veniamo a vedere i comici?”, gli strappò da bocca le parole Laura.
“Sì.”, rispose in un fischio Marco.
(Che figura di merda! Però mi ha invitato ad uscire! Oddio, oddio, oddio.)
Laura indugiò qualche secondo sulla continuazione della frase.
“Quindi…”, lo guardò negli occhi. “È un appuntamento?”
Marco si schiarì la voce invaso dall’ansia peggiore che avesse mai sperimentato.
“S-sì.”
“Ottimo!”
Marco immaginò Laura in vestiti eleganti, più o meno sobri.
(Se adesso fossi in un anime mi uscirebbe il sangue dal naso. Come faccio a restare con lei il resto della giornata? Lo spettacolo è alle 21 e 30, sono le 17. Dobbiamo andare in spiaggia e fare un bagno.)
“Andiamo a mare?”, propose il ragazzo.
“Volentieri.”
Una volta in spiaggia e poi in acqua, entrambi dimenticarono l’imbarazzo provato nell’accordarsi per il primo appuntamento. Le ore volarono.
“Allora ci vediamo dopo!”, salutò Laura allontanandosi più rapidamente del solito.
(Dove scappa?)
Marco tornò a casa.
Chiuse la porta alle sue spalle e fu invaso dall’ansia.
(Andrà malissimo. Sono un idiota. Devo portarla anche a mangiare da qualche parte? Sembra brutto se non lo faccio. Dio Santo. Che cosa mi metto?)
Inviò un messaggio alla sorella maggiore.
Un secondo.
Tre.
Quattro.
Venti messaggi finché non visualizzò.
“Che succede 😱?”
“Esco con una ragazza! Tieniti pronta che ti invierò gli outfit e mi dici qual è meglio.”
Seguirono venti minuti di abiti diversi e continui rimproveri della sorella per il poco senso della moda di Marco.
“Perfetto.”
“Sicura?”
“Sì.”
“Grazie, ciao.”
“😒”
Marco si gettò litri di profumo addosso.
Era pronto.
Uscì di casa, raggiunse il parco giochi, era in anticipo di quindici minuti.
Furono le 21, lo spettacolo iniziava alle 21 e 30.
Furono le 21 e 15.
Furono le 21 e 20.
Furono le…
(Eccola!)
Laura indossava un completino che le scendeva fino alle ginocchia con una decorazione floreale e una scollatura accentuata. Era truccata con un po’ di fondotinta e eyeliner.
(Bellissima.)
Marco ebbe un’erezione.
(Cazzo, cazzo, cazzo, dovevo segarmi prima di uscire.)
La raggiunse.
“Ti prego scusami per il ritardo.”
“S-sei… bellissima.”
Laura arrossì.
“Grazie… anche tu. Hai davvero un ottimo profumo.”
“C-ci andiamo a sedere?”
“Sì.”
Trovarono due posti e si sistemarono, lo spettacolo cominciò in orario, ma non era divertente come Marco si era aspettato, spesso si voltava verso Laura, ma neanche la ragazza sembrava starsi divertendo più di tanto. Marco si piegò verso di lei.
“Hai fame?”
Laura sorrise lievemente.
“Un po’, tu?”
“Molta. Che dici se andiamo al bar sulla spiaggia?”
“Direi che è un’ottima idea.”
I due sgattaiolarono via.
La serata era splendida. Non c’era una sola nuvola in cielo e le stelle sembravano risplendere più luminose. Marco si sentiva bene e, sorprendentemente, non così imbarazzato come aveva pensato.
Lungo la via che portava al bar, Laura gli strinse la mano.
(Oddio, è fatta.)
“Posso?”, domandò poi la ragazza.
“C-certo.”
Aveva una mano così calda, snella e dolce che gli faceva perdere la testa.
I due arrivarono al bar, si sedettero ad un tavolo libero e ordinarono da mangiare due panini e delle patatine fritte.
Chiacchierarono come facevano sempre, sembrava che avessero infiniti argomenti su cui interrogarsi, su molte cose non erano d’accordo, ma risolvevano i conflitti con una battuta. Quella sera, poi, anche i momenti di silenzio non erano di imbarazzo, ma di sguardi dolci e, dopo un po’, di lievi carezze sulla mano.
Marco era al settimo cielo. Quella scena l’aveva vista soltanto in sogno.
La serata volgeva al termine.
“Ti accompagno a casa.”, disse Marco.
“Grazie.”
I due passeggiarono per il villaggio tranquillo, di tanto in tanto incontrando qualcuno.
“Ehi, Marco!”, chiamò una voce distante.
“Oh no…”, sospirò il ragazzo.
Laura non comprese.
Un gruppo di coetanei del giovane si fecero vicino.
“Da un sacco che non ci vediamo.”, disse uno dei tipi, Luigi.
Inconsapevolmente Marco strinse più forte la mano di Laura.
“Chissà perché, eh?”, sputò con acidità.
“E dai, sei ancor arrabbiato con noi?”
“Arrabbiato? Credi che abbia energie mentali da spendere su di voi? No, semplicemente non mi frega alcunché la vostra compagnia.”
Luigi sembrò toccato da quelle parole, fece un gesto stizzito con la mano.
“È la tua ragazza?”, domandò indicando Laura.
(Merda.)
“Sì.”, prese la parola Laura.
In quel momento la ragazza risplendeva di luce propria. Gli occhi fieri di lei fissavano quelli del suo interlocutore.
“Mah.”, commentò aspramente.
“E questo cosa significa?”, sparò Laura, furiosa. Marco la trattenne. L’ultima cosa che voleva era rovinare la serata più bella della sua vita per colpa di quei deficienti.
“Quanti anni hai?”, incalzò quello.
“I cazzi tuoi.”
“Sei combattiva.”
“Non immagini quanto.”
Il tipo guardò Marco.
“Sarai giusto per lei? O devo, di nuovo, subentrare io?”
Marco aveva immaginato quella discussione nella sua testa un milione di volte. In altre occasioni in cui si erano incontrati non aveva avuto il coraggio di parlargli, ma in quel momento, con Laura che gli stringeva forte la mano, Marco sapeva di potercela fare.
“Sì, ok, Luigi, ti sei fatto la ragazza che mi piaceva. E quindi? La tua vita è così miserabile che l’unica gioia risale a tre anni fa? Cresci un po’.”
Detto quello, con lo stomaco in tormento, il cervello in pappa e un fuoco che gli bruciava il viso, Marco trascinò Laura via da lì.
Si allontanarono senza guardarsi indietro. Arrivarono sotto casa di lei.
“Hai fatto bene a dirglielo!”, Laura era agitata. “Che stronzo!”, sbuffò, aveva le mani sui fianchi e camminava come per riprendersi da una corsa. “Sei stato forte. Davvero, bravo…”
Marco la afferrò per il fianco e la avvicinò a sé. Laura gli accarezzò la barba ispida.
La baciò.
Stettero stretti per diversi minuti.
“Scusa… forse non volevi.”, disse Marco.
“Ma stai zitto.”, Laura lo baciò di nuovo.
Pomiciarono per ore nel giardinetto sotto casa di Laura, ben nascosti dai genitori.
“Non voglio andarmene.”, confessò Laura.
“Neanche io. Domani ci vediamo, comunque.”
“E poi? Finita la vacanza? Tu torni a Trieste e io a Salerno?”
Marco le accarezzò le dita.
“Se… sei d’accordo. Io direi di provarci.”
“Tu vuoi?”
“Sì.”
“Non sarà facile.”
“Ma nemmeno impossibile.”
Laura lo strinse.
“Quanto dista Trieste o Torino da Salerno?”

Marco e Laura stettero insieme cinque anni, ma alla fine la relazione soccombette alla durezza della distanza. Entrambi scoprirono il mondo del sesso, condivisero i primi passi e la prima esperienza. Così come si erano conosciuti, così con la stessa complicità si separarono. Si volevano bene, ma l’amore stava condannando entrambi ad una prova che non sarebbero stati in grado di superare. Conservarono il ricordo di quei giorni in vacanza con cura, anche quando ormai tra di loro l’unico contatto che avevano erano i like ai post su Instagram. Erano stati il primo amore l'uno dell'altro.

“189 ore… a piedi.”, Marco rise.
Con lui Laura.
Erano felici.
 
 
 
 
 
 
 
 

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