20 anni dopo

di Lum1ya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. Intermezzo ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***
Capitolo 8: *** VIII. ***
Capitolo 9: *** IX. Intermezzo ***
Capitolo 10: *** X. ***
Capitolo 11: *** XI. ***
Capitolo 12: *** XII. ***
Capitolo 13: *** XIII. ***
Capitolo 14: *** XIV. Intermezzo ***
Capitolo 15: *** XV. ***
Capitolo 16: *** XVI. ***
Capitolo 17: *** XVII. ***
Capitolo 18: *** XVIII. ***
Capitolo 19: *** XIX. ***
Capitolo 20: *** XX. ***



Capitolo 1
*** I. ***


20 anni dopo

Qui trovate questa storia pubblicata anche su AO3.

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Premessa

Questa fanfiction è ambientata circa 20 anni dopo l’inizio degli eventi di W.I.T.C.H. 

Il canone del fumetto è tenuto in considerazione fino alla fine dell’arco del libro di Ludmoore, che termina con la morte di Cedric e il ritorno di Orube a Kandrakar.

Da lì, vengono presi in considerazione gli eventi della fanfiction “Ritorni” di MaxT fino al 2005. 

!SPOILER di “Ritorni”!

In “Ritorni”, Cedric è ancora vivo e riesce a fuggire misteriosamente dal libro di cui è prigioniero per tornare da Orube. Dopo un primo periodo di convivenza pacifica, i due si allontanano per scelta di lei, stanca di non ricevere risposte su cosa sia successo nel libro e sul perché Cedric sia ricoperto di cicatrici sul torso. La verità è che Cedric è stato resuscitato da Phobos, che in passato aveva incantato il libro in modo tale da trasferirvi parte della propria coscienza e il quale progetta di ricostruirsi un corpo e uscire dal libro. Cedric agisce sotto ricatto per lui e svolge varie missioni per ricostruire il suo esercito di sentinelle nel libro. Una volta terminato il compito, Phobos trama di appropriarsi del suo corpo ma Cedric riesce a fuggire e tornare sulla Terra. Non svela a nessuno cosa ci sia nel libro perché Phobos l’ha minacciato di istillare nella mente di Orube dei ricordi - veri o falsi che fossero - che l’avrebbero per sempre allontanata da lui. 

Mentre le Guardiane e Kandrakar cercano di capire cosa stia succedendo attorno a quel libro e quale ruolo abbia una certa Cassandra Smith - una Metamondese che vive sulla Terra da quando era bambina e che crede di poter riscattare la madre consegnando Cedric a Phobos nel libro - Orube si allontana sempre di più dagli interessi di Kandrakar, specialmente da quando ritrova il maestro guerriero Yarr in esilio sulla Terra. Tramite Yarr viene a sapere che il fratello Ipitlos è a capo di un movimento rivoluzionario su Basiliade il cui obiettivo è rendere la società del pianeta, fino ad allora basata sulla distinzione tra la classe dirigente dei Guerrieri e “il resto”, più giusta ed equa anche per “il resto”. 

L’intento di Orube sarebbe quello di ricongiungersi al fratello e aiutarlo nel suo progetto, ma decide di restare a Heatherfield quando dopo varie peripezie il libro viene distrutto e lo spirito di Phobos sembra trovarsi da qualche parte (o nel corpo di qualcuno) sulla Terra.

Eventi dopo Ritorni (2005-2019) - non basati sul seguito di “Ritorni” in preparazione

In questa storia vengono menzionati solo vagamente gli eventi che si susseguono nei quindici anni tra la fine di “Ritorni” e l’inizio di questa storia, che sono totalmente di mia invenzione e non corrispondono con ciò che verrà pubblicato nel “vero” seguito (prendetela come se fosse una fanfiction della fanfiction!). In questa versione degli eventi, gli anni successivi all’uscita di Phobos dal libro vedono le Guardiane ed Elyon impegnate nell’ennesima guerra contro Phobos. Al contempo si assiste presumibilmente ad una guerra anche su Basiliade, che risulta in Ipitlos che riesce nel suo intento ed instaura un “Nuovo ordine”. Cedric e Orube hanno speso buona parte del periodo successivo a Ritorni su Basiliade, dove Orube ha combattuto insieme al fratello e Cedric è riuscito a sbloccare i propri poteri in un tentativo disperato di salvare la vita a Orube in seguito a una ferita fatale. Il resto degli eventi che portano i personaggi a dove sono in questa storia verrà accennato nei capitoli che seguono.
 

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1

Dopo qualche minuto che scorreva con il pollice la schermata del suo telefono, Will lo posò sul tavolo con il display rivolto verso il basso. Satura di vedere foto dalle vetrine delle meravigliose vite altrui sui social, decise di fare una cosa piuttosto insolita per quel periodo storico, all’alba del 2020 seduta al tavolo di un caffè-libreria: iniziare a scrivere su un taccuino. 

Visti i tempi che correvano, il “taccuino” di Will era in realtà un tablet dal design all’avanguardia, sottile e dotato di penna, che lei stessa aveva contribuito a progettare.

Aprì l’applicazione per scrivere e inizò a buttare giù i suoi pensieri. 

28 Novembre 2019

Caro… tablet. Sono anni ormai che non tengo un diario, ma nelle ultime settimane ho iniziato a sentire il bisogno di mettere ordine nei miei pensieri. 

Il mio nome è Will, ho 33 anni e vivo a Heatherfield da quando ne avevo 14. 

In questo momento mi trovo in un caffè-libreria che conosco da quasi vent’anni. Un tempo era la libreria di Cedric, e dal 2011 è un caffè-libreria gestito da Josh e Ashley. Ci sono voluti alcuni anni di arrancamenti, ma devo dire che da qualche tempo il “Ye olde bookshop” è diventato davvero un must per tutti gli “indie” di Heatherfield.

Ancora oggi mi chiedo cos’abbia spinto Cedric a lasciarla proprio a loro due, ma credo che fosse per affetto nei confronti di Cassandra, che pur essendo tornata nel Metamondo si è sempre preoccupata per i due amici terrestri e per la loro sfortunata carriera dopo gli studi in materie umanistiche. In fondo credo che Cedric e Orube abbiano fatto la cosa giusta cedendo la libreria, dato che ormai erano presenti troppo irregolarmente sulla Terra.

Per di più, prima di cedere l’attività Cedric ha dato sfoggio - più che altro a se stesso - dei suoi ritrovati poteri per rinnovare il locale, includendo la famigerata cantina e il piano ammezzato tra gli spazi commerciali, per trasformarlo appunto in un caffè-libreria come aveva suggerito Orube tanti anni fa. Che fosse o meno l’intenzione di Cedric, la sua opera d’arte magica ha indubbiamente dato un vantaggio enorme a Josh ed Ashley all’inizio della loro attività, quando non avevano le risorse nemmeno per comprare un nuovo sgabello. 

Will sollevò lo sguardo dal tablet per guardarsi attorno e studiare quel locale che le era così famigliare. Era certamente diverso rispetto a come Cedric lo teneva. Will l’avrebbe definito più “shabby-chic” ora. Gli scaffali per i libri erano in realtà cassette di legno da frutta fissate al muro tramite il fondo, mentre alcuni tavoli erano pallet e altri come quello a cui era seduta erano botti di legno. In quel periodo andava molto di moda questo stile, di cui andavano pazzi sia gli studenti universitari che i “forever young”, come Will amava definire chi come lei si rifiutava di accettare il superamento dei trent’anni. Chiaramente Cedric aveva lasciato il pavone dorato là dov’era all’ingresso, dicendo che era una sorta di simbolo di quella libreria da decenni. Will trovava che stonasse un po’ con lo stile del locale e persino con quello di Ashley, Josh e i loro colleghi pieni di tatuaggi e piercing, ma a quanto pareva nemmeno loro volevano toglierlo. 

Ripensandoci, è come se da quando Cedric ha ceduto la libreria a Josh e Ashley, quel momento abbia segnato anche la fine del nostro gruppo, quello delle W.I.T.C.H., le guardiane di Kandrakar.

Di lì a poco non fui più Will, la guardiana del cuore di Kandrakar, ma piuttosto la ex-guardiana incaricata con le mie ex-compagne Irma, Taranee, Cornelia e Hay Lin di seguire le nuove giovani guardiane e partecipare alle riunioni del Consiglio di Kandrakar in cui era necessaria l’esperienza di chi aveva combattuto sul campo.

Durante il nostro ultimo periodo da guardiane le nostre vite private avevano preso il sopravvento sugli impegni di Kandrakar e l’Oracolo se ne era reso finalmente conto, motivo per cui ci aveva proposto questa nuova posizione. Ma le nostre vite private avevano finito per prendere il sopravvento anche sulla nostra amicizia: non avevamo più le nostre battaglie in comune - a volte più contro le imposizioni dell’Oracolo che contro i mostri che ci mandava a combattere - e non fu facile ricordarsi regolarmente di incontrarci per mantenere viva la nostra amicizia.

«Il tuo caffè, rossa!» 

Fu la voce di Josh a distoglierla dal suo fiume di parole. Alto, abbronzato e con un fisico da surfista nonostante i quarant’anni suonati, barba e capelli biondi sempre impeccabili, Josh si avvicinò al tavolo di Will con un vassoio di legno su una mano, mentre con l’altra le porgeva un caffè servito in una sorta di vaso da conserva con il manico. In quel periodo andava molto di moda servire le bevande in quel tipo di contenitore. 

«Grazie, Josh!» disse Will spostando il telefono e il portafogli dal tavolo per accogliere il caffè fumante. 

«E Kevin?»

«Arriva più tardi, ho voluto prendermi un po’ di tempo per ammirarti in santa pace!» civettò lei con il solito tono scherzoso con cui i due fingevano sempre di flirtare. Lui le fece l’occhiolino e passò oltre, andando verso un altro tavolo. Lo facevano anche davanti a Kevin, il fidanzato di Will, che all’inizio era rimasto spiazzato, finché lei non gli aveva spiegato che in quanto donna non era proprio il tipo di Josh. 

Will si sistemò i capelli dietro alle spalle prima di chinarsi in avanti per annusare il profumo del caffè. Ormai i capelli rosso fuoco le arrivavano alla vita e le rendevano l’esistenza piuttosto scomoda, ma non riusciva a trovare il coraggio di tagliarli. Nell’attesa di poter bere il suo caffè incandescente ritornò al taccuino digitale. 

Solo con Cornelia le cose non cambiarono mai per me, ma sapevo che non sarebbe sempre stato così. Ero a conoscenza del progetto di Cornelia fin dal terzo anno di università, qualche tempo dopo la fine dell’ennesima guerra contro Phobos e poco prima che il nostro gruppo iniziasse a sfaldarsi: mentre studiava economia come aveva voluto suo padre, metteva da parte tutto il denaro - piuttosto abbondante - che i genitori le passavano, con l’idea di partire dopo la laurea e dedicarsi a quello che più desiderava al mondo, ovvero scoprire la Terra, il suo elemento. Partì dopo circa due anni dalla laurea, nel 2014, dopo aver lavorato per un po’ in una delle filiali della banca di suo padre per mettere da parte altro denaro per il suo progetto. 

La tecnologia che galoppava in quegli anni consentì al nostro quintetto di rimanere sempre in contatto anche a distanza, grazie alla possibilità dei nuovi programmi di messaggistica di formare delle chat di gruppo. Fino a un anno e mezzo fa, Cornelia ci manteneva più o meno regolarmente aggiornate su cosa facesse e dove fosse, mandandoci foto di paesaggi spettacolari del Sudamerica, dell’Oriente e poi dell’Australia. 

Progressivamente, i momenti in cui Cornelia ci aggiornava erano diventati anche gli unici momenti in cui noi quattro rimaste negli Stati Uniti scrivevamo sul gruppo e ci sentivamo. Altrimenti, ci incontravamo solamente in veste “professionale” nelle riunioni di Kandrakar, senza Cornelia, e talvolta per i compleanni. 

E poi, niente più foto, niente più aggiornamenti. Solamente auguri di compleanno e di Natale. 

Devo ammettere di averci messo un paio di mesi a rendermi conto che non l’avevo più sentita, tanto ero presa come tutte le altre con le faccende della mia vita. Da adulti è così facile lasciar passare dei mesi pensando che siano passati solo un paio di giorni! Non appena me ne ero resa conto le avevo scritto, ma non ricevetti mai risposta. Una spunta blu e basta. Dopo averle riscritto un paio di volte, mi resi conto che non leggeva nemmeno più i messaggi e iniziai a preoccuparmi, quindi contattai la sorella, Lilian. Mi rassicurò che Cornelia stava bene, ma non seppe (o non volle) dirmi altro. 

Ovviamente la mia vita andò avanti per il suo corso, e non era nemmeno così male. Dopo molta indecisione e qualche tentativo su altre strade, ero diventata ingegnera elettronica - un percorso che avevo scelto grazie al mio rapporto “privilegiato” con i dispositivi elettronici, con i quali grazie ai miei poteri potevo comunicare, uno strano potere che mi era rimasto anche dopo aver ceduto il cuore di Kandrakar. Questo mi consentiva di capire più velocemente degli altri il loro funzionamento e, nel caso, anche il malfunzionamento. 

Da anni lavoro per la casa produttrice del tablet su cui sto scrivendo, una delle più grandi aziende al mondo e forse la numero uno in quanto a dispositivi d’avanguardia. Non ci volle molto perché i quartieri alti si rendessero conto delle mie potenzialità, quindi negli anni ho avuto l’opportunità di contribuire alla progettazione di dispositivi dall’aspetto futuristico e sfogare una creatività che non pensavo nemmeno di avere. Il tablet stesso che sto usando è proprio frutto di uno dei progetti a cui ho preso parte. 

Ma la sede era a quasi due ore di treno da Heatherfield e circa due anni fa decisi che mi ero fatta valere abbastanza da poter richiedere un trasferimento alle mie condizioni. 

Mi concessero quindi di lavorare come consulente esperta per i nuovi progetti, cosa che in buona parte potevo fare da remoto. Mi recavo presso la sede centrale solamente in occasione di riunioni o essenzialmente quando avevo voglia di incontrare qualche collega. 

Dicevo di averlo fatto per avere più tempo da spendere con la mia famiglia e per un po’ ne ero convinta anche io. 

Era però chiaro come il sole che volevo anche stare di più attorno a Matt, che nel frattempo era riuscito con molti sacrifici a diventare veterinario e ad aprire un vero ambulatorio là dove c’era il negozio del nonno, assieme ai compagni di studi Helena e Michael. La nostra storia è terminata ufficialmente dieci anni fa e siamo rimasti “amici”, ma a volte mi chiedo se questa particolare amicizia sia stata la causa del fallimento di ogni nostra relazione successiva con altre persone. 

Will posò per un momento la penna bianca che usava per scrivere sul tablet e bevve un sorso di caffè, che ora aveva raggiunto una temperatura compatibile con la vita umana. Con Kevin tutto sommato sembrava procedere piuttosto bene da più di due anni, da quando l’aveva conosciuto tramite una collega. Ma in fondo l’unico motivo per cui con Kevin procedeva serenamente era che lui ignorava consapevolmente l’elefante nella stanza, ovvero il fatto che Will non avrebbe mai fatto il “grande passo” con lui, perché nella sua testa c’era sempre e solo un’altra persona.

Ma non sono qui per parlare di Matt o di Kevin. 

Prima o poi riuscirò a far chiarezza nella mia mente su ciò che voglio, ma in questo momento i miei pensieri sono confusi da un altro avvenimento recente: una settimana fa, mentre ero nell’ufficio che avevo allestito nel mio nuovo appartamento e cercavo di capire cosa non andasse nel prototipo di smartwatch che mi avevano mandato, lo schermo del mio cellulare si illuminò mostrando un messaggio da… Cornelia Hale. 

Era tornata a Heatherfield e chiedeva di vedermi. 

Lì per lì ero talmente eccitata nel vedere un messaggio da parte di Cornelia che mi affrettai a finire di scrivere nei miei appunti ciò che avevo capito finora di quell’orologio per poterle rispondere. Ma mentre finivo di annotare che l’orologio non si sentiva a suo agio con gli angoli dello schermo così squadrati (cosa che avrei ovviamente trasformato in qualcosa di credibile dal punto di vista ingegneristico), progressivamente mi rendevo conto di quanto in realtà ero arrabbiata con Cornelia, che per oltre un anno non si era più fatta viva. 

Per farla breve, alla fine ci incontrammo quel pomeriggio stesso proprio qui, nel caffè-libreria. 

Cornelia appariva molto cambiata: già negli ultimi anni prima di partire aveva ridimensionato di molto il proprio stile “da ricca” e aveva iniziato a preoccuparsi di acquistare capi di abbigliamento presso etichette indipendenti che operavano al di fuori della produzione di massa. 

Ora era quasi come se fosse uscita dagli anni ‘70, con una giacca scamosciata con le frange, una sciarpa enorme probabilmente intrecciata a mano da qualche signora anziana dall’altra parte del mondo, e sotto la giacca una camicia di lino oversize e dei jeans slavati. 

Portava ancora i capelli lunghi, ma intrecciati a spina di pesce e un po’ spettinati. Era evidente che l’ultimo posto in cui aveva vissuto era molto soleggiato, perché era piuttosto abbronzata e i ciuffi di capelli attorno al viso erano così schiariti dal sole da sembrare bianchi. 

Ma non era stato il suo aspetto ad avermi lasciata a bocca aperta quando era apparsa all’ingresso del caffè: no, il fatto è che la mia amica Cornelia si faceva largo tra i tavoli verso di me spingendo un… passeggino! E all’interno del passeggino troneggiava una bellissima bambina dai boccoli biondo chiarissimo e due grandi occhi azzurri come i suoi. 

Ebbene sì, caro taccuino, era proprio questo il “segreto” di Cornelia. 

Elysa, la sua bambina, è nata un anno e mezzo fa in Australia. In altre parole, Cornelia era già incinta quando ancora ci mandava aggiornamenti e foto delle coste australiane - che a pensarci bene non la ritraevano mai al di sotto delle spalle. 

Ero rimasta a bocca aperta nel vederla e non sapevo cosa dire. Cornelia sembrava aspettarsi una reazione del genere, o forse anche peggio, quindi fece tutto da sola e mi raccontò subito la verità, ovvero che Elysa era stata una “sorpresa” e che all’inizio si vergognava all’idea di raccontarci cosa era successo, e semplicemente a un certo punto si era resa conto di aver mantenuto il segreto troppo a lungo per poterlo svelare. 

Era confusa e non aveva la minima intenzione di tornare a Heatherfield a quel tempo, e dopo la nascita della bambina era troppo presa da una serie di problemi che la piccola Elysa aveva avuto alla nascita. 

Ci misi un po’ a riprendermi dalla notizia (e dall’evidenza in carne ed ossa) che mi aveva investita così all’improvviso. La mia prima reazione sarebbe stata di attaccarla, di dirle che almeno a me avrebbe potuto dirlo. 

Ma poi decisi di fare ciò che la mia vita negli ultimi anni mi aveva insegnato: mettermi nei panni di qualcun altro e ricordarmi che ogni persona davanti a me sta combattendo una sua battaglia, che io non posso nemmeno immaginare. Se Cornelia era decisa a non tornare più a Heatherfield e improvvisamente aveva cambiato idea, doveva essere successo qualcosa di grave, per cui magari ancora soffriva. Decisi di mettere da parte tutte le domande e l’astio che avevo covato durante quell’ultimo anno, e finalmente abbracciai la mia amica. 

Mi raccontò del primo anno di vita di Elysa e dell’Australia, ma a un certo punto evidentemente la fatidica domanda che non volevo farle era dipinta sul mio viso, perché mi disse: “Il padre è una persona meravigliosa, con la quale ho passato il periodo più bello della mia vita. Ma per il momento le nostre strade hanno dovuto dividersi.” Mi sembrò di vedere un’ombra passare sul viso abbronzato di Cornelia, che poi tornò a sorridere e accarezzò il capo della bambina, la quale giocava silenziosa con un pupazzo a forma di canguro e ogni tanto mi scoccava un’occhiata curiosa con quei due occhioni giganti.

«Will!»

Quasi saltò sulla sedia quando sentì pronunciare il suo nome da una voce a lei molto famigliare, tanto era presa dal flusso di pensieri che stava scrivendo sul tablet. Will alzò lo sguardo e impiegò qualche secondo a mettere a fuoco le fattezze di Kevin: i suoi capelli castano chiaro tenuti corti ai lati e più lunghi di sopra secondo la moda di allora, che ricordava un po’ i tagli anni ‘50, la barba curata e gli occhi scuri e profondi. Will gli sorrise quasi automaticamente. 

«Oh, Kevin! Scusami, mi ero persa scrivendo degli appunti» gli disse, scorrendo con il dito sullo schermo del tablet per far volare via il taccuino digitale. 

Kevin inarcò le sopracciglia: «Hm, appunti… se lo dici tu, donna del mistero!» e si chinò su di lei per darle un leggero bacio sulle labbra. «Vado da Ashley a ordinare, torno subito!»

Mentre Kevin andava verso il bancone, da dietro il quale Ashley già gli sorrideva, Will spense lo schermo del tablet e lo ripose nella borsa. 

Fece per prendere in mano il telefono, quando sentì un’altra voce conosciuta che bloccò la sua azione a mezz’aria. Questa volta però era una voce che poteva sentire solo lei nella sua testa ed era quella di Orube: 

«Will, stiamo tornando e abbiamo bisogno di parlarti al più presto.»
 

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Note: a chiunque nel 2021 ancora passi per la sezione "W.i.t.c.h." di EFP, grazie per aver letto questo capitolo ed essere sopravvissuti fino alla fine! Questa è una fanfiction senza troppe pretese, che ho buttato giù in un raro momento di ispirazione mentre ero in ferie - non ho molta esperienza con la scrittura (anzi, praticamente zero), ma spero che non risulterà troppo noiosa da leggere. Questo primo capitolo è un po' più introspettivo degli altri, perché di carne al fuoco ce ne sarebbe davvero tanta da mettere per creare il contesto, essendo passati 20 anni dall'inizio delle avventure nel fumetto e circa 15 anni dalla fine di "Ritorni". Nei prossimi capitoli si scoprirà di più su che fine hanno fatto gli altri personaggi, spero di leggere qualche ipotesi nei commenti :) 
Cercherò di essere il più regolare possibile con la pubblicazione!

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Capitolo 2
*** II. ***


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2

 

«Ancora non mi spiego come faccia a piacerti quella brodaglia verde!» disse Cedric mentre svoltavano l’angolo, guardando il bicchierone di materiale compostabile colmo di caffè-matcha che Orube teneva tra le mani. 

«Cedric, sono anni ormai che me lo dici e sono anni che ti rispondo che sono io a non capire come faccia a non piacere a te!» ribatté lei con un’alzata di spalle.

Cedric abbozzò un sorriso e passò un braccio attorno alle spalle della sua compagna. Quella del caffè-matcha era ogni volta una battaglia persa. 

Anni prima non l’avrebbe mai ammesso, ma ormai era arrivato a riconoscere di essere felice ogni volta che ritornavano sulla Terra, dove la loro unica preoccupazione era ricordarsi di comportarsi e vestirsi da umani. 

Una volta girato l’angolo, Cedric notò subito Will appoggiata al muretto di fianco al cancelletto della villa, il capo chino sul telefono che teneva in mano. Quando li sentì arrivare rialzò il capo e mise il telefono nella tasca del cappotto di lana verde stretto in vita da una cintura dello stesso materiale. Cedric doveva ammettere che quel modello e quel colore esaltavano il fisico snello e i capelli rosso fuoco che ora la ex guardiana di Kandrakar portava lunghi fino alla vita.

«Cosa fai qui fuori al freddo? Potevi entrare e aspettarci lì, hai le chiavi!» disse Orube. 

«Oh, non sono qui da molto, e comunque non è che dentro ci sia molto più caldo» rispose lei, «e inoltre volevo aspettare fuori perché mi sono permessa di invitare…»

«…Cornelia!» esclamò Orube terminando la frase di Will. Evidentemente aveva già fiutato l’odore della ex guardiana della Terra in arrivo. 

E infatti, guardando verso la propria destra Cedric riconobbe Cornelia, che spuntava da una stradina laterale. Orube mise il bicchierone di disgustoso caffè in mano a Cedric come se fosse un tavolino ambulante e le corse incontro entusiasta. 

Cedric e Orube non vedevano Cornelia da anni e a dire il vero pensavano che non sarebbe mai più tornata a Heatherfield. 

E invece era lì ed era sorprendentemente cambiata. Non era più la ragazzina ricca e viziata vestita con capi di marca da capo a piedi che Cedric aveva conosciuto tanti anni prima: sembrava piuttosto da provenire da quell’epoca in cui i terrestri erano impegnati a manifestare contro la guerra in Vietnam. 

Mentre Cornelia si avvicinava e Orube le andava incontro per abbracciarla, Will guardò Cedric negli occhi e fece un cenno col capo, che lui interpretò come un segnale di permesso a leggerle nel pensiero. Aveva l’abitudine di non leggere nel pensiero di Orube, Will o Cornelia, a meno che non fossero loro ad insistere, per evitare di ritrovarsi in seguito in situazioni difficili con Elyon. Doveva essere una questione importante se Will voleva che lui lo facesse. Lasciò che la mente di Will raggiungesse la sua e lei gli fece vedere un’immagine, che durò poco più di un secondo. 

L’immagine di una bambina bionda in braccio a Cornelia. 

Will gli rivolse una domanda silenziosa. 

Non c’era bisogno di leggerle nel pensiero per sapere quale fosse la domanda: voleva sapere come l’avrebbe presa Orube. Will e Cornelia erano tra le poche persone a sapere che Orube non poteva avere figli a causa della grossa ferita per cui aveva quasi perso la vita durante la guerra di Basiliade. Cedric aveva fatto del suo meglio per rimetterla completamente in sesto, ma era stato impossibile far tornare tutto come prima. 

La verità era che Cedric non aveva idea di come la sua compagna viveva questa condizione, perché non avevano mai toccato l’argomento. Non sapevano nemmeno se fosse possibile per due individui così diversi come loro concepire un figlio e cosa ne sarebbe venuto fuori, e dopo l’incidente non parlarono mai di quella possibilità. 

Cedric si limitò ad annuire, forse anche per rassicurare se stesso che dopo tutti quegli anni Orube aveva accettato la situazione. 

«Cornelia, bentornata» disse rivolgendosi alla ex guardiana della Terra quando li raggiunse.

Lei lo guardò sgranando gli occhi azzurri, facendosi leggermente indietro con il busto come per studiarlo da capo a piedi: «Cedric… santo cielo, ti ho visto in tutti i travestimenti possibili, ma mai con la barba!»

«Gli sta bene, non è vero?» cinguettò Orube riagguantando il suo bicchiere di caffè.

«Diciamo che mi ero stufato di essere l’unico glabro di Basiliade» disse Cedric, ripensando alle barbe acconciate con treccine e pendagli di molti guerrieri del nuovo ordine di Ipitlos. Non che la barba lo facesse sembrare uno di loro, dato che gli abitanti di Basiliade erano tutti abbronzati, con gli occhi che andavano dal rosso scuro al color ambra come quelli di Orube, e in genere avevano i capelli scuri come quelli di lei. Non era certo una barba biondiccia a nascondere il fatto che lui, conosciuto con quell’aspetto pallido, dai capelli e gli occhi chiari, non apparteneva a quel mondo. 

Con sua sorpresa, Cornelia lo abbracciò. Lei e Will erano le uniche del gruppetto delle ex guardiane ad averlo in qualche modo accettato nella propria vita e forse addirittura perdonato per il suo passato. Le altre non sembravano aver alcun interesse a mantenere i contatti con Orube, tantomeno con lui. 

«Avanti, entriamo. Abbiamo molto di cui parlare!» disse Orube superando il cancelletto. 

Cedric lasciò il passo a Will e Cornelia e le seguì sul vialetto che portava all’entrata della villa. Già da fuori era evidente che quella casa era abitata solo sporadicamente: attorno a lui il giardinetto frontale era qualcosa di spettrale, specialmente in quel periodo invernale, quando né sugli alberi né sui piccoli arbusti che crescevano nei vasi lasciati al loro destino vi era il minimo segno di vita verde. La foschia bianca che si stava lentamente alzando quel pomeriggio non faceva che rendere l’atmosfera di quel cortile più inquietante.

Orube aprì la porta, quindi Cedric seguì le tre donne nella sua casa terrestre, che come aveva previsto Will li accolse con una temperatura non tanto distante da quella esterna. Almeno l’odore di chiuso sembrava essere svanito: dopo essere comparsi nella soffitta, Orube, infastidita da quell’odore che per lei doveva essere davvero insopportabile, aveva spalancato tutte le finestre prima di insistere per andare alla libreria a prendere quel terribile miscuglio verde.

Non appena Cedric richiuse la porta dietro di sè, Orube mutò il suo aspetto da quello umano alla sua apparenza naturale. Per qualche motivo che lui ancora non capiva, negli ultimi anni era diventato sempre più faticoso per lei mantenere l’aspetto umano, come se il suo aspetto naturale volesse in qualche modo prevalere sull’immagine che usava come copertura quando erano sulla Terra.

Cedric osservò di sottecchi Will e Cornelia che assistevano alla mutazione. A quanto pareva ogni volta che tornavano sulla Terra Will notava qualcosa di diverso nell’aspetto naturale di Orube di cui Cedric non si accorgeva, avendola sempre accanto a sè. Sicuramente Cornelia avrebbe notato un cambiamento molto marcato, non vedendola da diversi anni.

Cedric si limitava a mutare il proprio aspetto in modo da sembrare coetaneo di Orube in entrambe le sue forme. Tutto sommato l’aspetto umano di lei non cambiava così velocemente come quello di Will e Cornelia, che per quanto entrambe dallo stile piuttosto giovanile erano comunque visibilmente più adulte rispetto a quando erano studentesse. In forma umana Orube forse dimostrava solo qualche anno in più rispetto alle due donne. Cedric cercava di mantenere il passo e a volte cambiava qualche dettaglio del proprio aspetto, come ad esempio la barba in quel periodo. 

Mentre da umana Orube era tutto sommato rimasta la stessa di anni prima, a parte per i capelli neri lunghi fino alle spalle, il suo aspetto naturale era cambiato molto e a quanto diceva Will ricordava sempre di più quello della sua maestra Luba, che Cedric non aveva mai conosciuto. 

La sua mascherina attorno agli occhi si era fatta più scura, così come anche le labbra erano diventate di un rosso molto cupo, che sembrava quasi nero. Le orecchie erano diventate più lunghe ed appuntite e i suoi artigli retrattili erano ora più grandi e pericolosi. 

Al collo portava sempre un amuleto con incastonata una pietra dello stesso colore dei suoi occhi. Era stato donato alla coppia da Elyon e permetteva loro di attraversare i tre mondi che abitavano, ovvero la Terra, il Metamondo e Basiliade. Per facilitare il loro “lavoro” per Elyon e per Ipitlos, consentiva loro anche di comunicare con loro due e con Will, i loro punti di riferimento sui tre pianeti.

Cedric seguì le tre donne verso il salotto. Gli sembrava che Cornelia si sforzasse di non fissare costantemente Orube per studiarla, ma faceva fatica a resistere. Decisamente doveva aver notato il cambiamento. 

Mentre Will, Cornelia e Orube si accomodavano, le due ospiti sulle due poltrone e Orube sul divano di fronte ad esse, Cedric raggiunse la parete dietro al divano per chiudere le due finestre spalancate che davano sul giardino spoglio nel retro. 

«Cornelia, ma quando sei tornata?» chiese Orube alle sue spalle. 

«Due settimane fa. E non sono tornata da sola!» rispose lei. 

Evidentemente voleva togliersi il dente subito, pensò Cedric mentre chiudeva la seconda finestra.

Cornelia sfilò dalla tasca il suo smartphone e semplicemente accese il display girandolo verso Orube e verso Cedric che la stava raggiungendo, mostrando la foto che usava come sfondo. 

Una foto di lei con in braccio la bambina che Will gli aveva mostrato col pensiero. 

Mentre si sedeva accanto a Orube, Cedric la guardò con la coda dell’occhio per studiarne la reazione. Rimase interdetta per qualche secondo, ma poi si portò le mani al petto sciogliendosi nello stesso sorriso che aveva quando vedevano dei gatti per strada. 

«Oh, ma che bella sorpresa! Come si chiama?»

«Elysa.»

Elysa… Cedric si chiedeva se non fosse per caso un tributo ad Elyon. 

«Congratulazioni.» aggiunse lui, non sapendo che altro dire in quella circostanza. Strinse quasi inconsciamente la mano di Orube, come per farle capire che le sarebbe stato vicino se questa notizia l’avesse in qualche modo turbata.

Ma Orube non sembrava affatto ferita o triste, anzi continuò allegra a fare domande a Cornelia sulla bambina e sul suo viaggio. 

Cedric non riuscì ad ascoltare attivamente cosa dicevano. Osservando la sua compagna che spensierata continuava a chiacchierare con l’amica, iniziò a domandarsi se questa sua preoccupazione per come Orube stesse vivendo la realtà di non poter avere figli non fosse un diversivo per non interrogarsi su come la stava vivendo lui.

Non si era mai posto il problema dei figli in tutta la sua lunga vita, dando per scontato che mai e poi mai avrebbe cercato di mettere al mondo un altro potenziale delinquente come lui, ma forse l’idea di non poter avere qualcuno di cui occuparsi insieme a Orube lo turbava più di quanto credesse. E poi c’era la questione del Legame…

Cedric scacciò con la forza quel pensiero dalla sua testa. Doveva evitare a tutti i costi di fornire a Elyon altro materiale per deriderlo al prossimo rapporto in cui sarebbe stato costretto a metterle a disposizione i suoi ricordi. Un prezzo che era costretto a pagare per non essere rinchiuso per sempre nella terribile versione di Elyon della Torre delle Nebbie.

Fu riportato alla realtà quando si rese conto che le tre donne stavano di nuovo parlando del suo aspetto fisico. 

«…questi sono di rame di Basiliade, come il bracciale del Legame.» stava spiegando Orube indicando i tre piccoli anelli che Cedric portava alle orecchie, due da una parte e uno dall’altra, e il bracciale che gli circondava il polso destro, identico a quello che portava lei. «Molti guerrieri ora portano questi anelli e mio fratello ha voluto che li portasse anche lui.»

«Insomma, ormai tra quelli e la barba puoi confonderti tra i guerrieri!» scherzò Will. 

«Oppure tra i pirati, se ce ne sono su Basiliade!» ridacchiò Cornelia.

«Come no, anche le mura dei giardini di Basiliade sanno da dove vengo.» disse Cedric agitando la mano sinistra, dove portava l’anello d’argento, anch’esso uguale a quello di Orube, che simboleggiava l’altro Legame. Sulla carta, quell’anello e il bracciale di rame significavano che lui e Orube erano sposati su entrambi i pianeti, ma le circostanze e la modalità con cui i due Legami erano stati sanciti rendevano difficile per loro sentirsi come “marito e moglie” in termini terrestri e preferivano considerarsi “compagni”. Ad ogni modo quell’anello, assieme alla piccola treccia con i pendagli dello stesso materiale che gli scendeva sulle spalle tra i capelli sciolti erano i simboli inconfondibili della sua provenienza. Giusto in caso il suo normale aspetto non fosse abbastanza. 

«Ma veniamo al sodo, potremo continuare a parlare della mia barba più tardi.» riprese lui serio, «C’è qualcosa di strano nel Metamondo e a Basiliade, e abbiamo il sospetto che stia accadendo lo stesso anche sulla Terra.»

Will si chinò in avanti verso la coppia, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «Qualcosa di strano… in che senso?»

«Principalmente avvistamenti nel Metamondo e sparizioni su Basiliade. Anche le calamità naturali stanno aumentando in modo preoccupante, specialmente a Basiliade dove non è normale avere bufere e tempeste più di una volta all’anno.»

«E cosa ti fa pensare che stia accadendo lo stesso sulla Terra?» disse Cornelia, «Di disastri ambientali ne avvengono quasi tutti i giorni, ma che le autorità vogliano crederlo o no è probabilmente per via del cambiamento climatico. Non credo che gli abitanti di Basiliade e Meridian siano affetti dalla stessa stupidità dei terrestri in questo senso.»

«Gli abitanti di Basiliade non saranno abili con la magia quanto i metamondesi, ma se la cavano abbastanza bene con l’osservazione degli astri.» intervenne Orube, «Si pensa che i tre pianeti si trovino sulla stessa fascia di energia e  che questa abbia delle faglie, un po’ come quello che successe alla Muraglia tanti anni fa.»

«Oh…» disse Will con tutta l’aria di non aver ancora afferrato il problema. 

«Si stanno aprendo dei portali su tutti i pianeti che si trovano su questa fascia, Will.» spiegò Cedric.

«Dei… portali?!» chiesero le due ex guardiane all’unisono.

«Sì, dei portali come quelli che conoscete bene, ma non sappiamo cosa ci sia dall’altra parte.»

«Ma… perché l’Oracolo non ce l’ha detto? Non sta facendo nulla a riguardo? Questo è un lavoro per le guardiane!» si lamentò Will alzando la voce.

«Ah, Will, lo sai bene che non succederà mai.» disse Cedric facendo un gesto con la mano come per scacciare quella domanda. «Il Metamondo e Basiliade ora sono entrambi sotto la giurisdizione di Elyon, quindi l’Oracolo se ne guarda bene dal metterci il naso. E per quanto riguarda la Terra… nemmeno quando c’era Phobos a spasso per gli Stati Uniti l’Oracolo lo considerava come una grande minaccia.»

«…e considerando chi abbiamo al governo ora, non aveva tutti i torti.» sbottò Cornelia.

Cedric si sforzò di non pensare e non dire nulla in risposta a quel commento. Gli venivano i brividi al pensiero della reazione di Elyon se avesse sospettato che era anche solo parzialmente d’accordo con Cornelia. 

«Ad ogni modo,» riprese «L’Oracolo tende ad occuparsi ormai solo delle minacce dirette a Kandrakar e ai suoi mondi prediletti. Qui però non stiamo parlando solo di Basiliade, il Metamondo e la Terra. Ci sono altri pianeti sulla stessa fascia, e forse quando toccherà a qualcuno dei favoriti di Kandrakar sarà troppo tardi.»

«Ed Elyon non può farci nulla?» chiese Will. 

Cedric raddrizzò la schiena e scandì bene le parole - era il momento di annunciare chiaramente la volontà della regina di Meridian: «Elyon è disposta a collaborare con l’Oracolo, ma non a risolvere problemi che non la riguardano. Come ho detto, questa non è una questione che riguarda solo noi. Riguarda anche la Terra, che non è sotto il controllo di Elyon, per ora, e potenzialmente diversi altri mondi. Per quanto ne sappiamo potrebbe arrivare a toccare anche Kandrakar.»

Le due ex guardiane tacquero per qualche istante, probabilmente riflettendo su ciò che Cedric aveva appena dichiarato. 

Fu Will a rompere il silenzio, facendo la domanda che Cedric si aspettava: «E noi in tutto questo cosa dovremmo fare?»

Fu Orube a rispondere questa volta, posando il bicchiere di caffè vuoto sul tavolino che separava la coppia dalle due umane: «Convincere l’Oracolo a collaborare con Elyon.»

Will inarcò le sopracciglia con fare interrogativo, mentre Cornelia aveva sgranato gli occhi. Cedric immaginò che per lei non sarebbe stato facile capire quale ruolo assumere, considerando che aveva lasciato le attività del Consiglio da qualche anno e ora aveva una bambina di cui occuparsi sulla Terra. Ma in fondo la sua presenza non era nemmeno prevista per quel giorno e l’obiettivo di Cedric e Orube era solo quello di convincere Will e tramite lei le altre ex guardiane che ancora facevano parte del Consiglio. Se anche Cornelia era disposta a collaborare, sarebbe stato tanto di guadagnato.

Prima che le due potessero ribattere, Cedric si affrettò ad aggiungere: «Mi sembra ovvio che io e Orube non siamo nella posizione adatta per farlo, dato che l’Oracolo farebbe per principio tutto il contrario di ciò che andremmo a proporre.»

Will fece spallucce scuotendo il capo: «Io lo farei, credetemi. Ho afferrato il problema e sono d’accordo con voi e con Elyon sul fatto che l’Oracolo dovrebbe intervenire. Oltretutto questa storia di Elyon e Himerish che bisticciano come marito e moglie è andata avanti fin troppo.»

Cedric chiuse gli occhi per un istante, incassando quelle parole. Come sempre, si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato ed era presente nel momento in cui un commento del genere veniva pronunciato. Per lui significava solamente un’altra scarica di lamentele da parte di Elyon su come gli altri parlavano di lei.

«Il problema lo sapete benissimo qual è.» continuò Will. «Se in questa stanza ci siamo solo io e Cornelia è perché il nostro gruppo non esiste più e non sarà facile convincere le altre a prendere una posizione così importante con l’Oracolo.» e poi girandosi verso Cornelia, «E non sono nemmeno sicura che Cornelia abbia la possibilità di darmi man forte nel convincere prima loro, e poi l’Oracolo.»

Cornelia si era fatta pensierosa, e prima che potesse rispondere intervenne Orube, facendosi avanti verso di lei: «Certo, non è nostra intenzione costringere Cornelia a rientrare nel consiglio, tantomeno ora con la bambina…» 

«…anche se il gruppo al completo lancerebbe un messaggio più forte e più chiaro all’Oracolo» rimarcò Cedric, incapace di trattenersi. Orube gli scoccò un’occhiataccia di sbieco. 

«Ne sono sicura, e io sarei più che felice di avere Cornelia al nostro fianco, ma con la bambina…» esitò Will.

«Sono sicura che anche solo voi quattro ce la farete, è comunque qualcosa!» affermò Orube.

«Certo,» iniziò Cedric «è sempre meglio di…»

«…ci sto.» lo interruppe Cornelia, risoluta. 

Nella stanza scese il silenzio, tutti gli sguardi rivolti verso di lei. 

«Lo farò,» ribadì, «come avete detto non è una questione che coinvolge solo Meridian e Basiliade. Ci sono di mezzo anche altri mondi, ma soprattutto c’è di mezzo la Terra e vorrei che Elysa continuasse ad avere un posto sereno su cui vivere.» 

Will le appoggiò una mano sul braccio, mormorando «Ma Cornelia, possiamo pensarci noi, in fondo si tratta solo di una riunione…»

«No, Will, a me non basta» rispose l’altra, posando l’altra mano su quella dell’amica «La Terra è il mio elemento e ho assistito già a troppe devastazioni dovute alla mano degli abitanti stessi. Durante il mio viaggio non ho concluso niente di buono sotto questo punto di vista, lascia che dia il mio contributo almeno per salvarlo da qualunque cosa ci sia oltre quei portali.»

Cedric si fece indietro, finalmente rilassandosi sullo schienale del divano. Appoggiò una mano sulla schiena di Orube, tra le scapole. La loro missione terrestre era andata meglio del previsto: dovevano solo convincere Will a dar loro una mano, e ora avevano dalla loro parte la ex guardiana della Terra, che aveva decisamente più motivazione delle altre in questa causa. 

Cornelia e Will rimasero ancora un po’ a casa loro e l’atmosfera si alleggerì presto: una volta stabilito cosa potevano fare, non rimaneva molto da discutere. Avrebbero cercato di riunirsi con le altre e chiedere udienza all’Oracolo al più presto, in modo da poter aggiornare Cedric e Orube di persona finché erano sulla Terra. Poi cambiarono argomento e Cornelia raccontò ancora qualcosa del suo viaggio e delle realtà che aveva visto in quegli anni. Will invece non aveva particolari novità da raccontare dall’ultima volta che si erano visti - chiacchierava ancora con i dispositivi elettronici e stava sempre con quel povero ragazzo che sperava invano di convincerla ad andare a vivere insieme pur non chiamandosi Matt Olsen. 

Quando se ne andarono, fuori era ormai buio e la foschia si era trasformata in una nebbia a banchi ben visibile. Orube chiuse la porta dietro di loro e vi si appoggiò, guardando sorridente il suo compagno. 

«Direi che la prima parte del nostro lavoro sia ben riuscita, no?» disse, poi si staccò dalla porta e balzò verso di lui. «E ora finalmente possiamo goderci la nostra licenza e fare quello che vogliamo!» cinguettò buttandogli le braccia al collo. 

Cedric le cinse la vita attirandola a sè, ma rimase serio: «Beh, non abbiamo la libertà di fare tutto quello che…»

«…oh ma insomma, Cedric! Sei sempre così pignolo!» lo interruppe lei, poi gli diede due colpetti sulla fronte con le nocche, come se volesse bussare nella sua testa, e disse: «Elyon, ci sei? Messaggio ricevuto, prometto che Cedric farà il bravo bambino, come ha sempre fatto negli ultimi dieci anni! E ora fine delle trasmissioni!» quindi lo baciò. 

A Cedric sfuggì un sorriso prima di rispondere al bacio, realizzando che Orube aveva ragione, ora potevano godersi per un po’ la loro licenza. Proprio a partire da quella serata, che a quanto pareva sarebbe iniziata con uno dei pochi aspetti della sua vita che Elyon si rifiutava di rivedere nella sua mente.
 

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Capitolo 3
*** III. Intermezzo ***


3
Intermezzo
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Malhék adorava i vigneti di Grendal. Erano il suo posto sicuro, dove si recava ogni volta che aveva bisogno di riflettere. Non che gli piacessero le situazioni complicate: era un ragazzotto semplice, lui. Diverso dai suoi coetanei per via della sua grossa stazza e il suo colore blu, mentre i suoi amici erano praticamente tutti verdolini, fin da piccolo si era comunque guadagnato il rispetto e persino l’affetto di tutti quelli che avevano a che fare con lui. Ogni volta che c’era un conflitto tra i suoi amici, lui riusciva a riportare il buonumore ricordando loro che i problemi nella vita sono ben altri e litigare per le ragazze era inutile. 

Eppure, c’erano giorni in cui si svegliava particolarmente malinconico e si sentiva infelice. In quei giorni avrebbe tanto desiderato parlare con il suo fratellone, oppure prendere la palla e andare fuori a giocare con lui. Ma purtroppo suo fratello non c’era più. Erano già passati  sei anni da quel giorno. 

Quando si sentiva così, andava al vigneto della famiglia Nidhàl e camminava tra i filari, finché non sbucava alla fine della loro proprietà e i filari si aprivano mostrandogli la Torre di Grendal che si stagliava all’orizzonte. I Nidhàl abitavano e coltivavano la proprietà che confinava con quella dei suoi genitori e lo conoscevano bene, quindi non si facevano problemi quando Malhék faceva due passi nei loro campi.

Quello era uno di quei giorni. Aveva già percorso quasi tutta la strada sterrata sotto il sole cocente che separava la casa della sua famiglia dalla proprietà dei Nidhàl e gli mancavano pochi passi all’inizio dei filari di vigne. Eppure, c’era qualcosa di strano nell’aria. Gli sembrò di vedere due dei filari di fronte a sé ondeggiare, come se fossero separati da lui da un sottilissimo velo d’acqua che scorreva in verticale. Si stropicciò gli occhi. Non aveva mai avuto problemi di vista e gli era già capitato di camminare in quei campi sotto il sole alto. Probabilmente era un effetto del caldo.

Malhék fece spallucce e continuò ad avanzare, pensando che avvicinandosi quello strano effetto sarebbe svanito. Effettivamente non gli sembrò più di vedere il velo d’acqua, eppure quando attraversò il punto in cui gli sembrava di averlo visto, un brivido lo percorse lungo la schiena. 

Prima di addentrarsi nel filare davanti a sé, si voltò per guardare indietro, verso il punto che aveva appena attraversato. Tutto regolare. Attorno a lui solo vasti campi di erba, dove l’unico segno dell’intervento degli abitanti era la carreggiata che aveva percorso. Era solo suggestione, forse non aveva mangiato abbastanza quel giorno. Non c’era da stupirsi: per Malhék il cibo non era mai abbastanza. 

Malhék di addentrò nel vigneto e inspirò a fondo. II profumi famigliari dell’erba e dell’uva matura lo fecero sentire subito meglio. Continuò a camminare, sfiorando con la punta delle grosse dita le foglie di vite. Un giorno sarebbe stato anche lui il proprietario di un campo, quello dei genitori, che però coltivavano praticamente tutto tranne l’uva. Ma non gli importava: anche se avesse messo un vigneto nella sua proprietà, per Malhék non sarebbe stata la stessa cosa e avrebbe sempre preferito quello della famiglia Nidhàl. 

Nel giro di quello che per lui era stato un tempo troppo breve si ritrovò quasi alla fine del filare che stava percorrendo. Chiuse gli occhi e si preparò mentalmente alla meraviglia che si sarebbe ritrovato davanti una volta emerso dallo stretto corridoio formato da due file di vigna. La Torre di Grendal, con le due grosse cupole di vetro rosso, il piazzale sempre gremito di gente che visitava il mercato… Ancora pochi passi e avrebbe potuto vederla. Era incredibile come ogni volta che raggiungeva la fine del campo si sentiva infinitamente meglio di quando vi si era addentrato. 

Tre passi, due passi, un passo e… finalmente aprì gli occhi. 

Gli si mozzò il fiato in gola quando vide ciò che lo aspettava al di là del campo.

La Torre di Grendal era là, con la forma caratteristica che ricordava, le due cupole di vetro, la torre alta e sottile, ma non era la stessa che aveva visto fino a pochi giorni prima. Era di un verde-azzurro e la piazza che la precedeva era completamente deserta. Dalla torre pendeva uno stendardo, come nella Torre che conosceva, ma anche lo stendardo non era rosso come avrebbe dovuto essere. Era blu e riportava uno stemma che ricordava di aver visto solamente quando era bambino, e del quale i genitori gli avevano spiegato il significato tanti anni prima. 

Era lo stemma di Elyon, regina di Meridian. 

Malhék era pietrificato. Che razza di scherzo era quello? Indietreggiò senza avere il coraggio di voltare le spalle a quella Torre tanto strana, finché non si ritrovò di nuovo nel filare e la vista della Torre gli fu nascosta. 

Si fermò, ansante. Cos’aveva appena visto? Una parte di lui avrebbe voluto tornare là fuori e vedere se era stato solo un miraggio, uno strano scherzo della sua mente come quello di prima di entrare nel filare. 

Si sentiva però tremare le gambe e non voleva più pensarci. Si incamminò con passo veloce verso l’inizio del campo, da dove era entrato. Ora voleva solamente andare a casa e dimenticare quell’episodio. Affrettò il passo sempre di più e raggiunse l’inizio quasi correndo. Ce l’aveva fatta, la carreggiata che l’avrebbe portato a casa iniziava ad intravedersi fra i tralci.

«Ehi, tu, ragazzone!»

Una voce femminile ferma e decisa lo fece bloccare appena prima di lasciarsi il vigneto alle spalle. Malhék credette di riconoscere quella voce, quindi si voltò verso la direzione da cui proveniva senza troppa paura. Non si sbagliava: era Vala Nidhàl, la moglie del proprietario di quel terreno, che si avvicinava a lui brandendo una zappa dal lungo manico di legno. Malhék si sforzò di sorriderle. 

«Vala, ciao, ehm… Spero di non averti disturbata! Stavo giusto tornando a casa!» disse alla donna dalla pelle verde, che era alta la metà ma larga quasi quanto lui. 

Lei lo guardò furiosa e continuò ad avanzare quasi minacciosa. «E tu come lo sai il mio nome? Sei uno di quei ladruncoli che vengono a rubarci l’uva e il pollame, eh? Ma stavolta ti ho beccato, te lo faccio vedere io chi è Vala!» gridò agitando nell’aria un indice minaccioso. 

Malhék rimase di stucco. «Ma… Sono io, Malhék!» si giustificò, non capendo. Ma le sue parole sembravano non aver alcun effetto su Vala, che ormai l’aveva raggiunto ed aveva alzato la zappa in aria come per colpirlo. Non appena realizzò cosa la donna stava per fare, Malhék indietreggiò boccheggiando. 

«Vieni qua, delinquente!» gridava lei, allungando una mano dai lunghi artigli per afferrarlo per la veste. Malhék cercò di girarsi il più in fretta possibile per correre via, ma la donna fece in tempo ad affondargli gli artigli nella carne attraverso la veste e a strappare un lembo penzolante della sua blusa, e non solo quello a giudicare dal dolore. Malhék non fece caso al dolore e iniziò a correre. Sentiva i passi della donna andargli dietro per un po’, ma poi si fermarono. 

Lui invece continuò a correre senza guardarsi più indietro. Ma che stava succedendo? Se non era Vala, chi era quella donna? O forse era lui a non essere più Malhék? 

Raggiunse di nuovo il punto in cui poco prima si era sentito strano, ma non fece caso alla presenza o meno del sottile velo ondeggiante. Lo superò correndo a perdifiato.

Un grosso boato proveniente da dietro le sue spalle lo stordì e una forte spinta sulla schiena lo fece cadere in avanti, facendogli stampare il muso blu sull’erba. 

Quando riuscì a rialzarsi sui gomiti guardò dietro, oltre la sua spalla, aspettandosi di ritrovarsi Vala a sovrastarlo pronta a piantargli la zappa sulla schiena. 

E invece no, non vide nessuno dietro di sé. Ancora steso a terra, si girò supino tenendosi sollevato sui gomiti per riuscire a vedere l’orizzonte. Il vigneto era là, come prima, ma non c’era più traccia di Vala. 

Confuso, si rimise in piedi un po’ a fatica, e iniziò a zoppicare verso casa.
 

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Capitolo 4
*** IV. ***


4
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Will riattaccò il telefono con un sospiro. Ricevere una telefonata normale alla fine del 2019 aveva un qualcosa di strano, ora che tutti erano abituati a conversare solamente tramite messaggio. Ma con Cornelia era diverso: era come se nonostante gli anni passati e il lungo periodo di allontanamento, fossero in qualche modo tornate ad essere le migliori amiche di prima, di quando chiacchieravano per ore al telefono fisso con i genitori in sottofondo a lamentarsi perché la linea era sempre occupata.

Quella non era stata una telefonata particolarmente lunga, ma Cornelia si era stancata di ascoltare e mandare messaggi vocali quindi le aveva telefonato per sentirsi dire una volta per tutte che sarebbe andato tutto bene. Will aveva cercato di rassicurarla come poteva e di farle credere che ne era convinta, ma non lo era del tutto. 

La proposta di Cornelia di vedersi tutte e cinque insieme aveva risvegliato la loro chat di gruppo da settimane di silenzio. L’ultima volta che si erano sentite era per farsi gli auguri per la festa del Ringraziamento. Per non parlare dell’ultima volta che Will aveva incontrato Irma, Taranee e Hay Lin di persona. Si erano viste all’ultima riunione di Kandrakar a metà dell’anno solare, come di rito per il solito “bilancio” dell’Oracolo. 

Will sapeva perché Cornelia era agitata all’idea di incontrare le altre. Non era tanto per la proposta che dovevano far loro, ovvero prendere posizione di fronte all’Oracolo e supplicarlo di intervenire insieme ad Elyon per capire cosa stesse succedendo con quei portali. 

Forse non erano più amiche come una volta, ma Irma, Taranee e Hay Lin erano pur sempre ex guardiane quanto loro e sapevano quando era il caso di dare una raddrizzata all’Oracolo, che negli ultimi anni sembrava essersi un po’ rattrappito e tendeva a trascurare il fatto che il suo compito non era limitato alle faccende di Kandrakar.

No, Cornelia era nervosa perché non sapeva come le altre avrebbero reagito al suo ritorno, dopo un anno e mezzo di totale silenzio, e al segreto che aveva covato per tutto quel tempo.

Un’amichevole voce femminile proveniente da un punto imprecisato dell’appartamento di Will ma diffusa chiaramente ovunque attorno a lei interruppe i suoi pensieri. «Will, alla porta ci sono Irma Lair e Hay Lin. Apro?»

«Sì Mira, arrivo subito di sotto. E abbassa un po’ questa temperatura, che qui dentro si muore!» rispose Will alla sua interlocutrice invisibile. Avere una smart-home era uno dei tanti vantaggi di essere una consulente esperta per la più grande casa produttrice di dispositivi elettronici d’avanguardia al mondo, ed essere in grado di comunicare con i dispositivi come se fossero esseri umani era un privilegio in più di cui solo Will poteva godere.

Spense il monitor del computer che usava per lavorare, quindi si alzò dalla scrivania del suo ufficio di casa e scese la scala a chiocciola che lo collegava al grande open space che fungeva da salotto e cucina con la grande vetrata sulla terrazza alla sua sinistra. Era una bella giornata per essere una domenica di Dicembre e c’erano ancora diverse ore di luce a disposizione per illuminare il suo appartamento al decimo piano. 

Will attraversò la stanza lungo la vetrata per raggiungere la porta dall’altra parte, in parte separata dal resto degli spazi da un mezzo muro, a destra del quale si trovava la sala da pranzo. La porta si aprì da sola prima che Will potesse raggiungerla e dopo pochi secondi sentì l’ascensore arrivare al piano. 

 Ne uscirono Irma e Hay Lin che si guardavano attorno in ogni direzione ammirando il palazzo nuovo di zecca in cui Will si era trasferita.

«Ciao ragazze, bentrovate!» le accolse Will facendosi da parte sulla porta per lasciarle entrare.

Le due entrarono e la precedettero lungo il mezzo corridoio che si apriva verso l’open space. 

«Caspiterina, hai vinto alla lotteria e non ce l’hai detto?» commentò Irma. Hay Lin sollevò gli enormi occhiali da sole sulla fronte per guardarsi meglio attorno. 

«Beh è sicuramente un passo in avanti rispetto al buco in cui stavo prima! Accomodatevi pure.» disse Will accennando ai due divani bianchi che si affacciavano l’un l’altro nella zona centrale della grande stanza. Avvicinandosi, Will notò che il camino incastonato nella parete che separava parzialmente l’open space dalla sala da pranzo crepitava ancora dietro al suo vetro, ma molto meno di prima. Mira aveva fatto il suo lavoro. 

Non era stata di Will l’idea di incontrarsi a casa sua. Erano state proprio le ragazze ad insistere per vedere la sua casa nuova. Lei avrebbe preferito evitare proprio per non dare l’idea di voler sfoggiare il suo successo economico e i vantaggi di cui godeva grazie alla sua azienda, in particolare con Irma e Hay Lin che anche se facevano un lavoro che amavano non potevano permettersi una sistemazione del genere.

A discapito di tutte le previsioni quando andavano ancora a scuola, Irma era l’unica tra tutte loro ad aver avuto un certo successo accademico: dopo la scuola aveva iniziato a studiare biologia con l’idea di diventare un giorno biologa marina, ma poi durante il suo percorso si era resa conto che le prospettive di carriera per i biologi marini erano ancora più scarse di quelle degli altri biologi, per cui si era specializzata in biologia molecolare. Non solo aveva completato con successo i suoi studi, ma in seguito aveva persino conseguito il titolo di PhD dopo quattro anni di sacrifici e duro lavoro nella ricerca. Will non capiva nulla del sistema universitario al di là della laurea, ma da quanto era riuscita ad afferrare, ora dopo tre anni di contratti precari era riuscita ad ottenere una tenure track, che significava che presto avrebbe ottenuto un posto fisso all’università.

Will si sedette su uno degli sgabelli della penisola che si trovava tra i divani e la cucina, in modo da trovarsi dal lato opposto della parete con il camino. Non si sedette subito sul divano di fronte a quello su cui si erano accomodate Irma e Hay Lin, perché sapeva che si sarebbe dovuta alzare altre due volte per andare alla porta. E a dirla tutta era un po’ imbarazzata a trovarsi con loro dopo così tanto tempo e pensava che se non si fosse seduta direttamente di fronte si sarebbe sentita più a suo agio. 

La sua attenzione fu catturata da Hay Lin, che si stava togliendo uno strano cappotto imbottito come il divano e che sfoggiava una sorta di pelliccia bianca su tutti i bordi, mentre per il resto era fatto di un materiale argentato scintillante che ricordava la carta regalo natalizia. 

«Quando sei rientrata a Heatherfield?» le chiese.

«Proprio ora. Irma è passata a prendermi all’aeroporto, siccome era di strada venendo da High Spring.»

Hay Lin viveva a New York da ormai quattro anni, anche se rientrava piuttosto spesso a Heatherfield per visitare i genitori. Dopo il diploma era riuscita a vincere una borsa di studio con la quale le era stato possibile inseguire il suo sogno di formarsi per diventare una fashion designer. Negli anni aveva passato diversi periodi anche in Europa, nelle città cardine della moda come Parigi e Milano, mentre ora era di base a New York dove dopo anni di impiego presso un stilista di cui Will non ricordava il nome aveva deciso di mettersi in proprio e lanciare la propria linea. Le cose non le andavano male, da quanto ne sapeva Will, principalmente perché negli anni precedenti era riuscita a costruirsi un seguito molto ampio tramite i social network e quindi non le mancavano le opportunità di vendita. Ma era ancora lontana dallo “sfondare”, quindi Will si sentiva a disagio anche davanti a lei mostrando il lusso dell’appartamento in cui viveva.

Proprio mentre pensava a un modo per minimizzare gli effetti della sua carriera sul suo stile di vita, la voce di Mira vanificò tutti i piani di Will, annunciando: «Taranee Cook è arrivata, Will.»

«Apri pure.» disse lei rivolgendosi a un punto imprecisato del soffitto. 

Irma spalancò la bocca incredula. «Addirittura il lacché virtuale! Ma come fa a riconoscerci?»

«Beh, è collegata al mio telefono, per cui riconosce coloro di cui ho la foto collegata nei contatti.»

«Spero che la mia foto sia aggiornata e non sia una di quelle vecchie dove avevo i capelli argento e stavo malissimo.» commentò Hay Lin, passandosi una mano tra i capelli lunghi fino al seno e blu elettrico, che risaltavano ancora di più in contrasto con la vistosa fascia fucsia che indossava. Di fianco a lei, che era sempre curata al minimo dettaglio sia nei vestiti che nel trucco e nelle acconciature, Irma appariva ancora più acqua e sapone di quanto non fosse, con i capelli castani sempre raccolti in una coda resa voluminosa dai boccoli, quasi mai truccata e spesso in semplici jeans, maglietta e scarpe da ginnastica per “correre da un microscopio all’altro”, come diceva sempre lei. 

«Permesso…» da dietro il mezzo muro dell’ingresso sbucarono le lunghe trecce nere di Taranee. 

«Taranee! Entra pure!» le disse Will alzandosi dallo sgabello e andandole incontro. 

Anche Taranee si guardò attorno meravigliata mentre avanzava verso il salotto «Wow, Will,» disse «a ripensarci avrei dovuto diventare ingegnera elettronica anche io!». 

A volte Will pensava che tra tutte loro, Taranee fosse l’unica ad avere qualche rimpianto sulla propria carriera. Dopo molte indecisioni aveva deciso di studiare giurisprudenza, con grande gioia e sorpresa della madre, il Giudice Cook, che mai si sarebbe aspettata che la figlia avrebbe intrapreso un percorso simile al suo. 

Al primo anno conobbe Rob, con il quale si fidanzò praticamente subito. Fecero tutto a tempo di record: nel giro di tre anni erano già sposati e lei aspettava il loro bambino David, che ora aveva quasi dieci anni. 

Will non era mai riuscita a capire quanto David fosse stato “programmato”, in ogni caso presto Taranee e Rob si ritrovarono con le difficoltà di essere due studenti con un neonato da gestire. 

Alla fine Taranee non tornò più all’università dopo la nascita di David e fece invece la formazione più breve per diventare paralegale, mentre Rob si laureò a pieni voti e iniziò la sua carriera presso uno studio legale di High Spring, la città metropolitana più grande della contea dove si trovava anche l’università di Irma. 

Quando poté allontanarsi da David, Taranee iniziò a lavorare presso lo studio più grande di Heatherfield come paralegale e nel 2018 Rob riuscì ad entrare nello stesso studio come junior partner. Grazie ai guadagni di Rob, la famiglia di Taranee non se la passava tanto male e il loro appartamento non aveva nulla da invidiare a quello di Will, ma Will non era sicura che Taranee volesse rimanere una paralegale per sempre. Aveva sempre pensato che Taranee avrebbe ripreso e completato gli studi, prima o poi, in modo da poter lavorare come avvocato come faceva Rob. Ma più di una volta l’amica le aveva detto che in fondo essere “solo” una paralegale non era così male e lo stress psicologico di dover fatturare migliaia di ore all’anno per mantenere il posto, come doveva fare Rob, non la allettava per niente. 

Mentre Taranee, Hay Lin ed Irma si aggiornavano sulle rispettive vite, Will iniziò ad armeggiare in cucina per preparare un tè. Tutto sommato non stava andando così male: per essere mesi che non si vedevano “da amiche”, l’atmosfera era piuttosto leggera e sembrava quasi che si fossero frequentate fino alla settimana prima. 

Solo quando Irma le chiese se potevano vedere il resto della casa mentre aspettavano Cornelia, Will si sentì di nuovo in imbarazzo. 

«Certo, fate come se fosse casa vostra!» disse mentre versava l’acqua bollente nella caraffa con il té e controllava mentalmente di non aver lasciato prototipi o documenti confidenziali allo scoperto nell’ufficio di sopra.

Mentre le tre ospiti curiosavano nella sua camera da letto, che si trovava di fianco al salotto separata da una grande porta scorrevole, Will diede un’occhiata al suo telefono. Due notifiche: un messaggio di Kevin, uno di Matt. Si sentì in colpa quando si rese conto che per l’ennesima volta le farfalle nello stomaco le aveva sentite solo quando aveva letto “Matt Olsen” e non “Kevin Miller”. Con un gesto delle dita fece sparire entrambe le notifiche senza leggere il contenuto dei messaggi: non era quello il momento di pensarci, anche se prima o poi avrebbe dovuto accettare la realtà e porre fine alla sofferenza di Kevin. 

Il suo viaggio tra i sensi di colpa fu interrotto di nuovo da Mira, che annunciò l’arrivo di Cornelia. Finalmente!

Versò il tè in cinque tazze, ognuna con la forma di una rana diversa, poi andò verso la porta. Dall’ascensore sbucò prima il passeggino di Elysa, poi Cornelia.

Cornelia si chinò in avanti verso il passeggino per parlare a Elysa: «Guarda chi c’è là, Elly!»

La bambina allargò le braccia e aprì le manine verso Will, esclamando di gioia e mostrandole un enorme sorriso che le scaldò il cuore. 

«Elly!» Will le andò incontro e stampò un bacio sulla fronte della piccola. Dopo che Cornelia ebbe preso la bambina in braccio, Will la aiutò a chiudere il passeggino, poi le fece strada all’interno. 

Quando si affacciarono verso l’open space, si ritrovarono di fronte agli sguardi indagatori di Taranee, Hay Lin ed Irma in piedi al centro della stanza. 

«Ehm… ciao a tutte…?» esitò Cornelia, rimanendo ferma a pochi passi dal mezzo muro da dietro il quale era comparsa. 

Will guardò prima lei, poi le altre. Irma aveva la stessa espressione di quando aveva sentito la voce di Mira, Taranee era a bocca aperta e Hay Lin sembrava essere più sconvolta dall’outfit di Cornelia che dalla presenza di una bambina di un anno e mezzo tra le sue braccia. La piccola Elysa in braccio a Cornelia si era attaccata al collo della madre, fissando a occhi sgranati le tre sconosciute. 

Dopo quella che a Will sembrò un’eternità, finalmente ci pensò Irma a rompere il ghiaccio. 

«Chi sei tu e cosa ne hai fatto di Cornelia Hale?!»

 

Nonostante la battuta di Irma, ci volle un po’ prima che l’atmosfera si alleggerisse. Cornelia raccontò alle altre ciò che aveva raccontato a Will, ovvero di come non avrebbe mai voluto mantenere un tale segreto così a lungo, ma si era trovata impantanata in una situazione da cui non riusciva ad uscire e ora avrebbe compreso se le altre non avessero più voluto parlarle. Dopo qualche momento di freddezza, alla fine fu di nuovo Irma a prendere la situazione in mano, ammettendo che le era mancato battibeccare con lei e sarebbe stata più che felice di ricominciare a prenderla in giro, a partire da quella giacca scamosciata che indossava. 

Poco a poco anche Hay Lin e Taranee sembrarono sbloccarsi, forse anche perché gli occhioni di Elysa erano talmente irresistibili che qualche giorno prima persino l’impassibile Cedric aveva ceduto a un sorriso quando Cornelia gli aveva mostrato altre foto della piccola. 

Will approfittò di un momento di silenzio dopo che Taranee aveva raccontato le ultime malefatte di David e tutte avevano riso a crepapelle, per introdurre la questione di cui dovevano parlare.

«Ragazze, prima di dimenticarcelo, dobbiamo parlare anche di un’altra questione. Io e Cornelia abbiamo incontrato Orube e Cedric l’altro giorno.»

«Non avranno mica una novità simile alla sua, vero?» disse Irma, indicando con il pollice Cornelia oltre la sua spalla. 

«Brrr, ve lo immaginate cosa ne verrebbe fuori? Una specie di chimera mitologica!» commentò Hay Lin rabbrividendo. Irma le fece eco con una smorfia disgustata. 

«Avanti, ragazze, non mi sembra il caso di fare queste battute da adolescenti…» le rimproverò Taranee. Nonostante Irma, Hay Lin e Taranee si fossero completamente estraniate dalla coppia di alieni, Taranee era l’unica a mostrare un minimo di tatto quando si parlava di loro. Probabilmente era anche l’unica ad averci riflettuto sopra quel tanto che bastava da capire che c’erano dei motivi se dopo tutti questi anni non si erano mai visti pargoli all’orizzonte. 

«No, no. Per farla breve, si stanno aprendo dei portali su Basiliade, il Metamondo e qui sulla Terra, e forse anche su altri pianeti vicini. Non si sa cosa ci sia dall’altra parte, ma di certo non è un problema che riguarda solo Elyon e per questo ci è stato chiesto di convincere l’Oracolo a collaborare con Elyon.»

«In che senso non si sa cosa ci sia dall’altra parte?» chiese Hay Lin. 

«Le ultime volte che abbiamo avuto a che fare con dei portali, dall’altra parte c’era sempre Cedric o qualche suo scagnozzo, non ci credo che il serpentone non sappia cosa ci sia di là!» commentò Irma.

«Convincere l’Oracolo a collaborare con Elyon? Quei due sono come cane e gatto!» si lamentò Taranee.

Le tre continuarono a commentare concitate una sull’altra su come sarebbe stato più facile convincere il presidente degli Stati Uniti a farlo, e su come dato il presidente che si ritrovavano, sarebbe stato fin troppo facile convincerlo dell’esistenza di portali alieni. 

Will e Cornelia si guardarono sconsolate, lasciando che le altre si sfogassero per un po’, mentre la piccola Elysa aveva smesso di giocare con i pupazzi che Cornelia aveva portato con sè e passava con gli occhi spalancati da una interlocutrice all’altra come se stesse seguendo una partita a tennis. 

A nessuna di loro piaceva come l’Oracolo e i suoi consiglieri più anziani gestivano le cose negli ultimi anni. Erano tutte d’accordo sul fatto che a Kandrakar sarebbe servita aria nuova, persino Hay Lin che difficilmente si sbilanciava per affetto nei confronti della nonna. 

Proprio mentre Will stava per aprire bocca per mettere il dito nella piaga su questo argomento, Cornelia sembrò leggerle nel pensiero quando disse: «Ragazze, siamo tutte d’accordo che questa diatriba tra loro deve finire e l’Oracolo deve riprendere a fare il lavoro per cui è stato scelto, anziché fare l’offeso per aver perso di vista Basiliade. Questa è l’occasione per farlo tornare in campo e fare la cosa giusta.»

«E se non lo farà… Beh, sono sicura che riusciremo a convincere i consiglieri più giovani e le Guardiane a stare dalla nostra parte, forse è la volta buona che qualcuno riuscirà a cambiare le cose!» aggiunse Will. 

Le altre tacquero, finalmente. Ci fu qualche momento di silenzio, che per Will fu troppo pesante da sopportare, quindi decise di essere il più sincera possibile: «Avanti, ragazze. Non siamo qui per chiedervi di far tornare tutto come prima tra noi, per quanto faccia male so che non succederà a meno che non lo vogliamo tutte. Ma qui si tratta solamente di una riunione come le altre, solo che dovremo almeno fingere di essere di nuovo le W.I.T.C.H.!»

Di nuovo piombò il silenzio nella stanza, e persino Elysa era immobile come in attesa di sapere cos’avrebbero detto le tre nuove “tate”. 

Alla fine fu per l’ennesima volta Irma a prendere la parola, sospirando: «E va bene, ma se dall’altra parte del portale c’è di nuovo Cedric io me ne vado in pensione!»
 

¤¤¤

Note: innanzitutto grazie ancora a chiunque continui a seguire questa storia e in particolare a MaxT su cui posso sempre contare! In questo capitolo non succede gran che, ma finalmente vediamo che fine hanno fatto le altre ragazze e volevo aggiungere qualche nota esplicativa sulle scelte che ho fatto per loro.
La scelta di Will la conoscevamo già fin dal primo capitolo e non c'è molto da aggiungere se non che per il suo appartamento mi sono ispirata a quello di Harvey Specter nella serie Suits (se cercate su Google "Harvey Specter apartment" trovate delle immagini ;) ).
Il percorso di Irma è forse quello più imprevisto, dato che a scuola era quella un po' meno brillante. Ma nella vita si cambia parecchio e ho visto parecchie persone avere un successo accademico non indifferente nonostante un percorso scolastico traballante. Ho seguito in parte l'idea di un episodio del fumetto in cui nel futuro lei sarebbe diventata biologa marina, ma ho pensato che nella realtà dei fatti avrebbe intrapreso una carriera scientifica in un ambito un po' più stabile e con più fondi a disposizione. 
Per quanto riguarda Taranee, sulla sua carriera nello specifico ero un po' nel vuoto, ma ho pensato che fosse credibile che almeno una delle cinque si fosse sposata e avesse avuto un figlio da giovane, considerando che negli Stati Uniti sono un po' più precoci in queste cose rispetto a noi. 
Spero che queste scelte di percorso non vi abbiano fatto storcere troppo il naso ;) Dal prossimo episodio si ritornerà in carreggiata e metteremo a posto i tasselli per capire cosa ci sia dall'altra parte dei portali. Alla prossima!

 

  

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Capitolo 5
*** V. ***


¤¤¤​ 
5

 

Quel giorno il cielo di Meridian era stranamente limpido e il sole era così alto e splendente che a Cassandra ricordava quasi l’estate di Heatherfield. Arrampicata su uno sgabello cigolante di legno scuro, Cassandra appoggiò i gomiti sul davanzale della finestra del suo laboratorio, adagiando il capo sulle mani. Chiuse gli occhi, lasciandosi scaldare dai raggi di sole che entravano dalla finestra aperta. Certo, a Meridian l’unica cosa in comune con l’estate di Heatherfield era il sole quelle poche volte che c’era, per il resto non c’erano molti surfisti alti, belli e biondi come quelli che giravano per la città americana in luglio, ma bisognava accontentarsi. Qualche biondo c’era, peccato che… 

Cassandra sussultò e quasi cadde dalla sedia quando sentì qualcuno schiarirsi la voce alle sue spalle.

Si girò verso la porta del laboratorio e riconobbe la figura di Elyon sulla soglia. Nonostante fosse bassa quanto lei, Elyon aveva un portamento che la faceva sembrare due spanne più alta. Cassandra invidiava la sua eleganza e cura meticolosa dei dettagli con cui sceglieva i suoi vestiti e le sue acconciature in ogni momento della giornata, persino quando si ritirava per andare a dormire. Era abbastanza sicura che Elyon portasse i capelli biondo cenere chiaro intrecciati come un puzzle anche di notte. Negli ultimi anni la sua ossessione per il proprio aspetto era diventata notevole e talvolta il suo abbigliamento, così come il portamento ricordavano a Cassandra quelli che si attribuivano alla regina Elisabetta I d’Inghilterra. 

Quel giorno la regina doveva essere stranamente di buonumore, a giudicare dal cielo limpido e dal sole alto, ma Cassandra non poteva fare a meno di notare come il viso di Elyon apparisse sempre più stanco e serio con il passare degli anni. Qualcuno si lamentava anche che il suo modo di regnare stesse prendendo una piega simile a quella del regnante precedente, ma Cassandra si sforzava di non pensare a queste cose - sicuramente non in presenza della regina.

«Elyon! Non ti aspettavo qui così presto.» disse Cassandra alzandosi dallo sgabello e cercando inutilmente di rassettarsi il vestito verde smeraldo pieno di toppe. 

In quanto a vestiti e acconciature, Cassandra era tutto l’opposto di Elyon. Per cominciare, non era una regina. Ma tutto sommato, nonostante il loro inizio burrascoso era diventata un’amica abbastanza stretta di Elyon da potersi permettere qualche bel vestito, se lo avesse desiderato. Eppure si sentiva più a suo agio indossando indumenti per i quali non si sarebbe sentita in colpa se li avesse rovinati con una delle tante stramberie alchemiche che produceva nel suo piccolo laboratorio. Già indossare vestiti lunghi invece di jeans e maglietta per adeguarsi alla cultura del Metamondo era stato un compromesso difficile da raggiungere all’inizio, tanti anni prima. 

Anche se aveva imparato nel tempo a controllare la magia e di conseguenza anche il proprio aspetto, Cassandra manteneva l’apparenza umana con cui si era sempre guardata allo specchio fin da bambina: viso rotondo dalla pelle chiara ricoperta di lentiggini, grandi occhi verdi, e una cascata ingestibile di riccioli castani che spesso nel suo laboratorio portava raccolti in cima alla testa in una specie di ananas tenuto in piedi da uno spillone. 

 Elyon avanzò nel laboratorio, verso il grande tavolo quadrato di legno massiccio che troneggiava al centro, apparecchiato come al solito con diversi tipi di vetreria, dalle più piccole ampolle ripiene di liquidi variopinti fino a due enormi alambicchi schiumeggianti, libri aperti, libri impilati e stracci. 

«Avevo bisogno di allontanarmi da quei vecchi decrepiti.» disse la regina, mentre sfiorava il tavolo con due dita e osservava gli alambicchi. 

Cassandra raggiunse la credenza che occupava tutta la parete alla sua destra e ne aprì uno degli sportelli vetrati. Iniziò a passare in rassegna le file di ampolle piene di liquidi colorati e fluorescenti, tutte diligentemente etichettate da lei. Si fermò su un’ampollina piena di un liquido verde acceso e chiusa da un tappo di sughero e la prese, poi passò al piano di sotto, dove trovò subito l’altra bottiglietta che cercava, un po’ più grossa della prima e colma di un liquido blu. 

Chiuse lo sportello e raggiunse la regina al tavolo, appoggiando le due bottigliette vicino a lei. «Ecco qui, le due scorte per Caleb. Ci sono novità?»

Elyon scosse piano la testa, senza rialzare lo sguardo dai due alambicchi che sembravano sul punto di straripare. «Stabile, ma niente di nuovo. E tu qui hai novità sul resto?» chiese mentre riponeva le due bottigliette in una tasca interna della sua sopraveste azzurra finemente decorata d’argento. 

Cassandra guardò verso il tavolino all’angolo opposto della credenza, dove si trovava il microscopio che aveva fatto costruire agli artigiani di corte anni prima. Grazie alle sue istruzioni su come posizionare le lenti e un po’ di magia per riprodurre un sistema di illuminazione degno di quel nome, erano riusciti a fornirle un giocattolino che non aveva nulla da invidiare a un normale microscopio ottico terrestre. 

Cassandra si diresse verso lo strumento, facendo cenno alla regina di seguirla. «Ancora niente di certo, ma almeno dal campione che hanno portato da Grendal sono riuscita a isolare qualche cellula.»

Elyon si incuriosì. «Qualche cellula? Finalmente!»

«Sì, chiunque fosse il proprietario di quel pezzo di tunica probabilmente si porterà dietro il ricordo della signora Nidhàl per un pezzo.» disse Cassandra iniziando ad armeggiare con lo strumento. Sistemò con due dita il vetrino che si trovava già sotto alla lente, quindi accese la luce magica e si avvicinò agli oculari. 

«Meno male che la figlia di Vala ha insistito perché portassero quel pezzo di stoffa alla mia famosa alchimista per farlo analizzare!» commentò Elyon al di sopra della spalla di Cassandra. 

«Yla ha decisamente del potenziale, ogni volta che viene a trovarmi fa domande molto puntuali per essere cresciuta in un mondo in cui si parla di alchimia.» borbottò l’altra mentre finiva di mettere a fuoco il campione. «Ecco, guarda qui.» concluse allontanandosi dagli oculari. 

Elyon si abbassò per vedere. Cassandra sapeva che Elyon non capiva molto di chimica, biologia e cellule, ma cercava comunque di parlarle come se stesse parlando ad una collega. «Sono cellule di Garganti.» spiegò, sperando che la regina riuscisse a distinguere i contorni delle cellule oblunghe spalmate sul vetrino, caratterizzate da un nucleo sproporzionato rispetto alla loro dimensione, tutte adese tra loro e con un’orientazione particolare, come se puntassero tutte verso nord-est. 

«Intendi quelli come Vathek?» chiese Elyon.

«Sì, esatto.» Cassandra avvicinò un secondo vetrino a quello che Elyon stava guardando. Se Elyon non si era ancora persa, avrebbe dovuto vedere un campione di quelle che sembravano le stesse identiche cellule ma orientate in modo speculare. «Vedi,» continuò Cassandra «quelle che ho aggiunto ora sono le cellule di Vathek, mentre quelle che hai visto per prime sono quelle del misterioso ladro di uva sparito nel nulla. È lo stesso tipo di cellule, ma allo stesso tempo non lo è.»

«So che è una domanda supida ma… sei sicura che uno dei vetrini non sia al contrario, vero?» chiese Elyon rialzandosi. Si ritrovò davanti l’espressione sconcertata di Cassandra, che la fissava con un sopracciglio inarcato. 

«Certo che sono sicura.» Cassandra girò la manopola che controllava la luce del microscopio fino a farla estinguere, quindi diede le spalle a Elyon e tornò verso il tavolo centrale. Raggiunse in due passi uno degli sgabelli, che protestò quando vi si accomodò sopra. «Più di questo però non posso dire con gli strumenti che ho a disposizione, magari con una PCR e un FACS come quelli del mio vecchio laboratorio sarei in grado di dare risposte più precise su…»

«…non ti manderò sulla Terra solo per analizzare un campione che non ci porterà da nessuna parte, Cassandra.» la interruppe Elyon raggiungendola. Si sedette sullo sgabello accanto al suo. «E se proprio ci tieni tanto, Cedric tornerà presto a Meridian e potrai riprendere a gironzolargli attorno per farti del male da sola.» sbottò. 

Cassandra abbassò lo sguardo sul tavolo, sentendosi avvampare. Come sempre, Elyon riusciva a coglierla in flagrante ogni volta che Cassandra, più o meno inconsciamente, proponeva di fare qualcosa che l’avrebbe portata ad orbitare attorno a Cedric. 

Elyon sospirò e le mise una mano sulla spalla. Si chinò in avanti sul tavolo e la guardò da sotto, costringendola ad affrontare i suoi occhi grigi. «Cassandra, non volevo ferirti, davvero. Ma lascia che ti dica per l’ennesima volta due cose, una da amica e una da regina.»

Cassandra la guardò sconsolata, con quella sua espressione che Elyon definiva da cucciolo impaurito. 

«Da amica ti dico che tu meriti di meglio e comunque Cedric è innamorato di Orube come se fosse ancora un ragazzino, e da regina ti dico che anche se non lo fosse, non gli permetterei mai di fargli spezzare i due Legami che ho fatto loro stringere, perché mi servono.»

L’altra appoggiò i gomiti sul tavolo e nascose il viso tra le mani. «Lo so, Elyon, cosa credi…» gemette.

«E che mi dici di Zharel?» chiese Elyon con tono più allegro. «È un bravo ragazzo, stravede per te e ti assicuro che se c’è qualcuno che farà carriera nel mio esercito è proprio lui. Oh, ed è garantito che il suo aspetto è davvero quello, niente sorprese con le scaglie verdi e la lingua biforcuta!»

Cassandra liberò il viso dalle mani e fece un gesto come per scacciare quella domanda. «Sì, cento volte me l’hai detto, lo so che Zharel sarebbe l’uomo perfetto, ma io non so se me la sento ancora di frequentare qualcuno dopo la storia con Azeon, e poi lui non è…»

«…sì, sì, non ha il fascino di Cedric e non sembra un bucaniere. Ci sono passata anche io, sai, sono passati ormai vent’anni ma anche io da ragazzina ero caduta nella sua trappola.»

«Ma ti aveva fatto un incantesimo, non è la stessa cosa.» la giustificò Cassandra rialzandosi in piedi. Si avvicinò a uno degli alambicchi fumanti e iniziò a svitare il pallone di vetro che raccoglieva il condensato prodotto dal liquido verdastro che ribolliva nell’alambicco. 

Elyon appoggiò un gomito sul bordo del tavolo, sbilanciandosi su di esso mentre osservava l’amica armeggiare con quel pallone pieno a metà di liquido verde chiaro. «È vero, inizialmente si trattava di un incantesimo, ma durò poco e quando fui libera, dentro di me ero piuttosto combattuta tra l’odio per ciò che mi aveva fatto e l’attrazione che provavo per lui. Oggi mi verebbe quasi da dire che ero persino delusa che tutte le sue attenzioni verso di me fossero solamente dovute al lavoro che faceva per mio fratello.»

Con uno schiocco il pallone si staccò dal resto dello strumento. Un odore che ricordava quello del caramello si diffuse in pochi secondi nella stanza. Cassandra notò l’espressione vagamente sospettosa di Elyon. «Tranquilla,» la rassicurò tastando con la mano sul tavolo alla ricerca dell’anello di sughero che usava come piedistallo per quei palloni, «se fosse tossico non ci lavorerei mai in tua presenza!»

Trovò l’anello di sughero sotto la copertina di un libro aperto a pochi centimetri dall’alambicco, quindi ci mise sopra il pallone e lo spostò dal suo raggio d’azione. Prese un altro pallone tra quelli vuoti che giacevano alla rinfusa al centro del tavolo e iniziò ad avvitarlo là dove prima c’era quello pieno di liquido verde. Si mantenne concentrata sulla sua attività, nonostante essa non richiedesse che una minima parte della sua attenzione, in modo da avere una scusa per non affrontare lo sguardo inquisitore di Elyon che voleva a tutti i costi toglierle Cedric dalla testa. 

Sentì che Elyon apriva il cassetto sotto al tavolo nel punto dove era seduta e udì il famigliare clangore delle pipette e siringhe di vetro di quando qualcuno frugava nel cassetto. Non appena Cassandra ebbe finito di avvitare il pallone, Elyon le passò una pipetta lunga poco più di una spanna e dotata di un corto pistone di vetro smerigliato. Anche quelle le aveva fatte costruire appositamente per il laboratorio, una volta appurato che sarebbe stato impossibile ottenere dei palloncini di caucciù e che l’alternativa sarebbe stata un ritorno agli anni ‘50 terrestri, quando l’aspirazione dei liquidi con le pipette si faceva a bocca. 

«Grazie.» mormorò Cassandra afferrando la pipetta. Forse Elyon aveva ragione e l’unico modo per togliersi Cedric dalla testa era verificare se davvero tutti gli altri erano meglio di lui, come sostenevano Elyon e praticamente tutta la popolazione femminile di Meridian. Sospirò e afferrò una bottiglietta dal cimitero di vetreria vuota al centro del tavolo, quindi iniziò ad aspirare il liquido verde dal pallone che aveva estratto dall’alambicco, per trasferirlo nella bottiglietta. «Forse dovrei parlare con Zharel.» annunciò. 

«Benissimo!» esclamò la regina alzandosi. «e se dovesse dirti che non può incontrarti perché è di turno, digli che il suo turno è stato spostato.» aggiunse facendole l’occhiolino. 

Cassandra distorse la bocca in un mezzo sorriso, scuotendo la testa. La divertiva come Elyon sembrava voler usare tutto il suo potere per farle trovare un buon partito. Continuò la sua operazione di travaso nella bottiglietta, mentre con la coda dell’occhio seguiva la regina che si avviava verso la porta. 

Elyon aveva già una mano sulla maniglia della porta quando aggiunse: «Ah, farò in modo che arrivino più campioni biologici in relazione a questi avvistamenti. Dobbiamo capire chi sono e da dove vengono questi ospiti.»
 

¤¤¤​ 

Note: rieccoci qui con un altro capitolo, un po' in anticipo perchè avevo tempo solo oggi di pubblicarlo! Ci tenevo a ringraziare, oltre a MaxT che non manca mai di lasciarmi una puntualissima recensione, anche chi ha messo questa storia tra le seguite: non mi sarei mai aspettata che qualcuno l'avrebbe davvero letta! Devo però avvertirvi che sarà un'avventura piuttosto lunghetta, quasi quanto Ritorni - spero che rimarrete fino alla fine!
Due parole su Cassandra: chi ha letto Ritorni la conosce già, è un personaggio inizialmente di mia invenzione, del cui background però il merito è tutto di Max. Per chi non ha letto Ritorni, potrebbe risultare un po' difficile inserirla nel contesto, quindi se non l'avete già fatto leggete la prima fiction! Alla prossima :)

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Capitolo 6
*** VI. ***


¤¤¤​ 
6
 

«Cosa significa che le Guardiane sono sparite?!» chiese Will, dando voce alle espressioni attonite delle altre ex guardiane sedute sulle nuvolette fluttuanti attorno al disco di vetro che fungeva da tavola rotonda. 

«Significa quello che hai detto, Consigliera. Per questo motivo vi chiediamo di prendere il loro posto per andare a Meridian e capire cosa ci sia al di là di questi portali, se proprio ci tenete al nostro intervento.» disse Endarno, granitico. 

L’Oracolo non aveva ancora proferito parola da quando si erano riuniti attorno al disco di vetro. Da anni ormai appariva più vecchio e stanco, e quel giorno sembrava particolarmente giù di tono. Erano stati Endarno e Yan Lin ad accogliere le cinque ex Guardiane al loro arrivo e a scortarle verso la grande stanza ovale del consiglio ristretto. Quando le ex Guardiane erano entrate, Himerish era già lì, accomodato sulla sua nuvoletta fluttuante e chino sul tavolo di vetro mentre confabulava con Tibor accanto a lui.

«Ehm, ve lo ricordate che non siamo più Guardiane da quasi dieci anni, vero?» chiese Hay Lin, vagamente ironica. 

«E che abbiamo una vita privata un po’ più difficile da gestire rispetto a quando andavamo solo a scuola. Cosa dovrei dire a mio figlio e a mio marito? Che parto per le Bahamas?» disse Taranee. 

«Io non posso muovermi senza Elysa…» mormorò Cornelia. 

Proprio come era successo a casa di Will qualche giorno prima, le ex Guardiane attorno a lei iniziarono a commentare una sull’altra, lamentandosi di quanto fosse irrealistico per loro, a trent’anni passati, riprendere le vesti di Guardiane e andare in missione su un altro pianeta. E i poteri? Da anni non avevano altro se non qualche strascico di potere che conferiva loro abilità bizzarre e non sarebbero mai state in grado di scendere in campo e affrontare mostri dall’oggi al domani. 

«Consigliere… bambine, vi prego.» si intromise Yan Lin. «Capite che è una situazione piuttosto delicata. Non sappiamo cosa sia successo alle nostre giovani Guardiane e stiamo impiegando gran parte delle nostre energie e risorse per trovarle. L’Oracolo sta cercando di venirvi incontro come può, accettando di intromettersi in una questione di Meridian e aiutare Elyon…»

«Per l’ennesima volta, non è una questione di Meridian e non è per fare un favore a noi!» esclamò Will. Non riuscivano proprio a far passare il messaggio che quello che stavano chiedendo all’Oracolo era solamente di fare il suo lavoro. 

«Va bene, va bene.» disse Yan Lin condiscendente. «Rimane il fatto che non abbiamo nessun altro da mandare a parte voi.»

«Del resto, come ben sapete non abbiamo un pianeta di guerrieri addestrati di cui possiamo usufruire a piacimento.» aggiunse Endarno. Will storse la bocca a quella che chiaramente era una frecciatina al controllo di Elyon su Basiliade. E non era nemmeno basata su informazioni corrette: per quanto ne sapesse Will, l’influenza di Elyon su Basiliade era minima e comunque almeno sulla carta l’alleanza era a mutuo vantaggio di entrambe le parti.

«Ma rimane il fatto che noi non possiamo lasciare la Terra così, su due piedi e senza spiegazioni! Abbiamo delle famiglie, delle responsabilità, una carriera!» esclamò Irma. 

Le altre ex Guardiane concordarono e ripresero con una serie di commenti concitati, riempiendo la sala ovale dell’eco delle loro voci che si sovrapponevano. 

«Basta così, Consigliere.»

Fu la voce dell’Oracolo a zittirle di colpo. Si era alzato in piedi e le passava in rassegna una ad una con uno sguardo che sembrava quasi sofferente. 

«So bene che la vostra vita ora è diversa rispetto a vent’anni fa. È per questo motivo che siete sedute al tavolo del Consiglio invece di essere ancora Guardiane, ricordate? Non sono così disumano come amate dipingermi nelle vostre menti. Ma per questa missione abbiamo bisogno del vostro aiuto e come dite voi, non è una questione che riguarda solo Meridian, Basiliade o Kandrakar. È una questione che riguarda tutti, voi comprese. Se è vero ciò che dite, sapete anche voi che se non agiamo ora, le vostre famiglie e carriere potrebbero non esserci ancora per molto.»

Himerish fece una breve pausa, durante la quale nessuno osò fiatare. Gli occhi delle ex Guardiane - ora a quanto pareva di nuovo Guardiane - erano fissi su di lui. 

«E proprio perché non sono disumano come voi credete, vi verrò incontro anche stavolta.»

Anche stavolta? Pensò Will, scettica. 

«Sì, Will. Vi sono già venuto incontro quando vi ho offerto il posto che occupate ora, e anche questa volta farò tutto ciò che è in mio potere perché il vostro servizio per Kandrakar non abbia ripercussioni sulle vostre vite. Da anni ormai forniamo alle Guardiane una copertura per la loro vita privata, in modo che la loro carriera scolastica non risenta delle assenze dovute alle missioni e le loro famiglie non debbano vivere nell’inganno.»

Di nuovo una breve pausa, durante la quale l’attenzione dell’Oracolo sembrò essere catturata da Taranee.

«No, Taranee, non siamo così stupidi da cadere di nuovo nell’errore delle gocce astrali.» disse, probabilmente in risposta a un pensiero di Taranee. «I nostri Consiglieri più giovani sono riusciti ad elaborare una serie di incantesimi per far sì che i famigliari e gli amici delle Guardiane non si facciano domande riguardo le loro assenze e che i loro risultati scolastici non ne risentano. Possiamo fare lo stesso per voi e per le vostre carriere. Le vostre famiglie crederanno a qualunque cosa voi direte per giustificare la vostra assenza e i vostri datori di lavoro non si faranno problemi a lasciarvi andare.»

Irma diede una gomitata a Will, dicendole piano: «E questo upgrade ci hanno messo vent’anni a farlo? L’avessi avuta io, la copertura per le verifiche di matematica o per gli interrogatori di mio padre…»

L’Oracolo ignorò il commento di Irma e si rivolse a Cornelia: «A te offro la possibilità di portare Elysa nel Metamondo. È abbastanza piccola da non rimanere sotto shock nel vedere un mondo diverso dal suo, e possiamo fornirti un meccanismo di protezione per salvaguardarla dai rischi del viaggio tra i mondi e in generale.» fece un cenno con una mano e dietro di lui nella stanza ovale comparve una nuvoletta come quella su cui le Consigliere erano sedute. Dalla nuvoletta uscì con uno schiocco una sorta di sfera che sembrava fatta di vetro ed era circondata da un alone di magia azzurrina. L’Oracolo non si sprecò a spiegare cosa fosse, e si rivolse invece a Taranee: «A te lascio la scelta. Il tuo David è piuttosto grande e potrebbe non accettare facilmente ciò che andrebbe a scoprire, ma se lo ritieni opportuno provvederò a fornirti un sistema di sicurezza adeguato.»

Taranee era come ipnotizzata dalla sfera di cristallo apparsa dal nulla e impiegò qualche secondo a rendersi conto che l’Oracolo si riferiva a lei. Fece un gesto vago con le mani: «No, va bene così, può rimanere a casa con Rob. In ogni caso alla sua età preferisce di gran lunga giocare a calcio con gli amici che partire per un viaggio con la mamma, l’unica che ne sentirà la mancanza sarò probabilmente io.»

«Ehm, non che l’idea di abbandonare la mia famiglia e il mio lavoro di punto in bianco sia diventata più allettante, ma ad ogni modo rimane ancora una questione…» si intromise Will. «Non abbiamo i poteri!»

«Lo so, Will. Ci stavo arrivando.» disse tranquillo l’Oracolo. Fece un cenno a Yan Lin, la quale fece un gesto che riportò le Guardiane a un fatidico giorno di vent’anni prima: infilò una mano nella capiente manica opposta della sua tunica e ne tirò fuori una sfera luminosa e che emetteva una luce rosa. A differenza del passato, però, la sfera luminosa non era attaccata a una catenella ma fluttuava a mezz’aria sul palmo di Yan Lin. 

Will sentì un’ondata di calore propagarsi nel suo petto a quella visione e si sentì immediatamente trascinata verso la sfera luminosa. 

Il cuore di Kandrakar. 

Erano anni che non vedeva quella luce, anche se quello che custodiva lei tanto tempo prima era un gioiello leggermente diverso. Quello che Yan Lin faceva fluttuare sul suo palmo non solo non aveva una catena d’argento, ma non aveva nemmeno quella sorta di mezzo involucro dello stesso materiale che racchiudeva la sfera rosa. Il nuovo cuore di Kandrakar era solamente una sfera di un materiale che sembrava quasi fluido, senza nient’altro attorno. 

Will udì Irma accanto a lei sussurrare a Hay Lin dall’altra parte: «Ma senza la catenella come fa a portarselo dietro?»

Tibor non si lasciò sfuggire quel commento sussurrato, quindi le rispose acido: «Un altro upgrade, come lo chiamate voi, che ci abbiamo messo vent’anni a fare, Consigliera.»

L’Oracolo pose fine a quel breve battibecco e dichiarò serio: «Questo è ciò che possiamo offrirvi per questa missione. I vostri poteri verranno ripristinati al massimo da questa copia del cuore di Kandrakar, che vi permetterà anche di dislocarvi e di raggiungere Meridian, nonché di comunicare con noi. Le vostre famiglie e i vostri posti di lavoro non risentiranno della vostra missione. Ora sta a voi decidere se accettare o meno l’incarico.»

Le cinque Guardiane si scambiarono sguardi dubbiosi in silenzio. Will si sentiva inesorabilmente attirata dal cuore di Kandrakar, ma si sforzava di non farsi annebbiare la mente dalla percezione di quel grande potere a poche spanne da lei. In qualche modo sapeva fin dall’inizio, forse fin da quando Cedric e Orube avevano chiesto loro di intercedere con l’Oracolo per farlo collaborare con Elyon, che quella missione spettava a loro. Qualcosa dentro di lei le aveva detto che loro cinque erano le uniche a cui sia l’Oracolo che Elyon avrebbero dato ascolto se fossero state unite. Ma era proprio quello il problema: restare unite. 

Per Kevin, Matt, sua madre e per il suo lavoro avrebbe fatto funzionare le cose: la magia dell’Oracolo le avrebbe consentito di allontanarsi da loro per qualche tempo senza troppi sensi di colpa e in quel momento tutto sommato un allontanamento da Kevin era proprio quello che cercava. Ma sarebbero state in grado di riformare il loro gruppo ed affrontare Elyon, la sua avversione per Kandrakar e qualunque cosa ci fosse al di là dei portali?

Will non sapeva cosa avrebbero deciso le altre, ma volle tentare il tutto per tutto, quindi dichiarò: «Accetto l’incarico.»

Le altre la osservarono in silenzio, con espressioni indecifrabili sui loro volti. Fu Taranee a rompere il silenzio con un sospiro. «David mi mancherà da morire, ma so che questa è l’unica opzione. Ci sto.»

«Ah, al diavolo!» disse Irma, «Non prendo una vacanza dalla fine della laurea magistrale. Andiamo a prendere un po’ di grigio a Meridian!»

Hay Lin si limitò ad annuire, mentre lo sguardo pensieroso di Cornelia era fisso sulla sfera di vetro azzurrino che fluttuava nella stanza al di là dell’Oracolo e dei suoi collaboratori. Inspirò profondamente, poi annuì a sua volta. «Va bene, accetto anche io.»

Will sorrise alla sua amica. Era grata che anche le altre avessero accettato l’incarico, ma sapeva che per Cornelia  era una decisione ancora più difficile, con tutti i cambiamenti recenti della sua vita.

«Bene,» disse Endarno, «Da questo momento in poi, siete di nuovo le nostre Guardiane. Opererete per noi e sarete i nostri occhi e le nostre orecchie nel Metamondo e, se necessario, su Basiliade.»

Incapace di trattenersi più a lungo, Will allungò la mano verso ciò che sapeva apparteneva a lei, il cuore di Kandrakar. Le altre non protestarono nemmeno: nessuna di loro avrebbe mai voluto portare un peso così grande e non avrebbero di certo iniziato a litigarselo ora. 

Il cuore di Kandrakar fluttuò nell’aria verso la mano di Will, come rispondendo a un richiamo. Quando fu vicino a lei, Will si sentì potente e come se qualcosa dentro di lei si stesse risvegliando da un lungo periodo di assopimento. La sfera però non si fermò all’altezza del suo palmo e continuò a fluttuare verso di lei. 

Will fece per tirarsi indietro, ma il cuore di Kandrakar raggiunse il suo petto al centro e i suoi contorni sfumarono in un lampo di luce rosa. Per un breve istante, il lampo di luce si fece così grande da abbagliare la grande stanza ovale e ricoprire anche le altre ex guardiane, sfumando verso un colore diverso alle estremità che toccavano ciascuna di loro: verde per Cornelia, grigio-blu per Hay Lin, azzurro per Irma e rosso per Taranee. Quando la luce si affievolì di colpo, la sfera non c’era più. 

Will si tastò la tunica cerulea come quella che anche le altre portavano nel Consiglio, là dove il cuore di Kandrakar l’aveva toccata. 

Era sparito! 

Abbassò leggermente lo scollo della larga tunica e lo vide: il cuore di Kandrakar ora era una sorta di grossa gemma viola oblunga e luminosa che era come incastonata sullo sterno di Will, poco sotto le clavicole. 

Le altre quattro sembravano divise tra la meraviglia di vedere il cuore di Kandrakar fuso con la sua portatrice e quella di guardarsi le mani, come per cercare di vedere quei poteri che ora riuscivano di nuovo a percepire dopo tanti anni. 

Quando sollevarono lo sguardo di nuovo verso i saggi, l’Oracolo era sparito. Era evidente che voleva perdere meno tempo possibile dietro a questa faccenda che coinvolgeva Elyon, pensò Will. 

Ci pensò Endarno a concludere la riunione al suo posto: «Partirete subito dopo il Natale terrestre. Immagino che non sarà difficile inventarvi una scusa più o meno plausibile per giustificare la vostra assenza durante il passaggio d’anno terrestre.» Schioccò le dita e nel giro di un istante comparvero cinque piccole bottigliette contenenti un liquido dello stesso colore del cuore di Kandrakar, ognuna delle quali fluttuava a mezz’aria di fronte a ciascuna delle Guardiane. «Queste ampolle contengono ciò che vi servirà per l’incantesimo ai vostri famigliari e colleghi di lavoro. Basta qualche goccia sulla vostra pelle, come se fosse un profumo, che dovrete indossare nel momento in cui annuncerete la vostra partenza alle persone che volete incantare.» Endarno lanciò un’occhiataccia di sbieco a Irma. «Va da sé che dovete usarlo con giudizio.»

Irma gli fece una linguaccia, senza ritegno. L’austero saggio di Kandrakar cercò di ignorarla, quindi continuò: «Vi raccomanderei un breve periodo di addestramento per riprendere confidenza con i vostri poteri, ma so che la disciplina non è il vostro forte quindi è inutile sprecare ulteriore fiato. Siete libere di andare.»

Non diede il tempo alle Guardiane di ribattere e schioccò di nuovo le dita. Le cinque Guardiane si ritrovarono di colpo nella camera da letto di Will, dove si trovava lo specchio che consentiva loro di raggiungere Kandrakar, e indossavano di nuovo i loro abituali vestiti terrestri. 

«Brrrr, che gelo lassù, eh?» commentò Irma fingendo di avere i brividi. 

Cornelia si osservava e rigirava il polso, al quale ora si trovava un bracciale di metallo con incastonata una pietra blu. Doveva essere la versione in miniatura della sfera azzurrina che le avevano dato per Elysa. 

Will si tastò di nuovo il petto per verificare che il cuore di Kandrakar fosse ancora lì. Non sarebbe stato facile spiegare a Kevin come mai aveva una gemma fucsia incastonata sullo sterno.

«Però su una cosa Endarno ha ragione: dovremmo fare un po’ di pratica, io sento di avere il potere dell’aria ma non credo di essere in grado di volare.» disse Hay Lin. 

«Hai ragione,» concordò Taranee, «Forse Meridian è il posto più adatto per farlo, dato che nessuno si stupirà se ci vedrà usare la magia.»

Will annuì. «Concordo. Dovremo parlare con Cedric e Orube appena possibile per aggiornarli e farlo presente.» sospirò, guardando le sue ex compagne, ora di nuovo Guardiane come lei, attorno a sé. «Chi l’avrebbe mai detto che alla nostra età ci saremmo di nuovo ritrovate a inventarci una scusa per andare a combattere dei mostri?»

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Capitolo 7
*** VII. ***


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7
 

«La tua consorte a volte è davvero impertinente!» sbottò Elyon interrompendo il suo viaggio nella mente di Cedric. Lui si lasciò sfuggire un mezzo sorriso: se non poteva essere arrogante lui, almeno c’era Orube che lo era abbastanza per entrambi. 

«E quindi Himerish ha deciso di mandare le vecchie Guardiane, perché le altre sono misteriosamente scomparse.» continuò lei stropicciandosi le mani. Si allontanò da Cedric e tornò a sedersi sullo scranno dietro alla sua scrivania di legno massiccio blu, dello stesso colore di quasi tutti i palazzi e le case di Meridian, ricoperta di scartoffie e qualche ampolla, alcune piene e alcune vuote. Cedric conosceva quelle ampolle: contenevano uno dei preparati di Cassandra che sembravano mantenere Caleb in vita. Il consorte della regina aveva iniziato da qualche anno a regredire a Mormorante e al momento si trovava in uno stato vegetativo a metà strada, che sembrava essere bloccato solo da quelle pozioni e dagli incantesimi di Galgheita. Una situazione che di certo non giovava all’instabilità crescente della regina di Meridian, che sembrava sempre sul punto di avere una crisi di nervi da un momento all’altro.

«Non so davvero cosa pensare di questa decisione dell’Oracolo. Non credo molto alla storia che non avevano nessun altro da mandare.» continuò lei.

Cedric rimase in piedi con le mani dietro alla schiena, nella sua posizione consueta in attesa di ordini, ma non riuscì a trattenersi dal commentare: «Nemmeno io, ma quello non è dipeso da noi. Non potevamo sapere cosa avrebbe deciso di fare l’Oracolo alla richiesta delle Consigliere.»

Elyon iniziò a srotolare distrattamente una delle pergamene che si erano accumulate in quei giorni sul suo tavolo. «Sì sì, lo so. Voi avete compiuto il vostro dovere, bravi. Vuoi un biscottino?» lo canzonò, lanciandogli uno sguardo storto da dietro la grossa pergamena marroncina.

Questa volta Cedric non commentò. Era evidente che Elyon fosse di pessimo umore. Forse lo era già prima di convocarlo, o forse si era indispettita per i commenti di Will, Cornelia e ovviamente quelli di Orube che aveva sentito dentro la sua testa. 

«Farò in modo che vengano loro assegnate delle stanze nel palazzo.» continuò Elyon apponendo il suo timbro sulla pergamena marroncina. «Spero solo che le loro preoccupazioni terrestri non le distraggano troppo. Un gruppo di guardiane più giovani e spensierate sarebbe stato meglio sotto questo punto di vista.»

«Sono d’accordo,» confermò Cedric, «oltretutto Endarno non ha tutti i torti a suggerire di far loro provare i poteri prima di andare in missione. Hai in mente qualcuno per questo? Zharel e il suo plotone se la cavano discretamente con la magia.»

«Oh sì, certo che ho in mente qualcuno.» sghignazzò la regina srotolando un’altra pergamena sul tavolo. Lo guardò beffarda. «Lascia stare Zharel, ha di meglio da fare. E poi, chi meglio del loro serpentone preferito a fare da fantoccio per le vecchie Guardiane di Kandrakar?»

Cedric si diede dello stupido per non averlo capito subito. Elyon non si sarebbe mai persa un’occasione per fargli fare un lavoro che avrebbe detestato e che possibilmente gli avrebbe anche arrecato qualche livido. Non avrebbe mai assegnato un compito del genere a Zharel, il suo ufficiale prediletto. 

Si sforzò comunque di rimanere impassibile e fece un cenno di assenso con il capo. «Come vuoi, regina.»

Elyon tacque per qualche istante, apparentemente davvero impegnata a leggere il contenuto della pergamena che teneva tra le mani. Piegò gli angoli della bocca all’ingiù e inarcò le sopracciglia, in un’espressione che sembrava indicare che la richiesta che aveva appena letto era passabile, quindi intinse la penna con la piuma d’oca nel calamaio alla sua destra. «Piuttosto, parlami di Elysa. Pare che il nostro Himerish si sia dato anche alla costruzione di passeggini magici.»

«Cornelia non avrebbe mai accettato l’incarico senza poterla portare con sè. Spero che la bambina non sarà troppo d’intralcio, sicuramente finché sarà a Meridian la madre non vorrà perderla d’occhio e vorrà portarsela dietro anche nella loro esercitazione. Non mi entusiasma proprio l’idea di trasformarmi in un mostro davanti a una bambina di un anno e mezzo.» rispose Cedric storcendo la bocca. 

Elyon firmò la pergamena con la sua calligrafia piena di riccioli e ridacchiò. Lo guardò di sottecchi: «Non credo che ci sarà davvero bisogno che ti trasformi perché le Guardiane ti attacchino, almeno tre di loro saranno ben felici di prenderti a schiaffi anche con quel tuo bel faccino.»

Cedric sospirò. Ogni sua conversazione con Elyon era un susseguirsi di frecciatine alle quali non poteva rispondere a tono come avrebbe voluto. Frecciatine sul suo passato, sul suo aspetto, sui suoi pensieri e le sue emozioni. Persino battute sul fatto che nonostante buona parte della popolazione lo odiasse ancora, il suo abbigliamento simile a quello dei Guerrieri del nuovo ordine di Basiliade aveva lanciato una moda tra i ragazzini più ribelli, che ora se ne andavano in giro per Meridian come se fossero usciti da un film sui pirati.

«Ad ogni modo, dimmi di più sulla bambina.» continuò la regina, «Ho visto che il tuo incontro con lei ti ha turbato.»

Aveva ragione: qualche giorno prima, quando lui e Orube erano ancora sulla Terra, il quintetto delle Guardiane li aveva incontrati di nuovo per informarli della decisione di Kandrakar di mandare loro a svolgere la missione. Le Guardiane dell’acqua, del fuoco e dell’aria erano come sempre piuttosto ostili verso di lui, ma a turbarlo era stata piuttosto la presenza di Elysa. 

Quando Cornelia si era presentata con la bambina in braccio, Cedric aveva avvertito qualcosa di strano, come una fonte di energia magica, ma l’aveva attribuita al cuore di Kandrakar che Will ora portava di nuovo con sé, anzi su di sé. A un certo punto però, quando erano seduti al caffè-libreria e lui si trovava proprio di fianco a Cornelia, Elysa aveva allungato le manine e l’aveva toccato sulla guancia. In quel momento aveva sentito l’energia fluire verso di sé forte e chiara.

«Hai visto quello che è successo.» disse lui, non avendo voglia di perdersi in spiegazioni superflue. «La bambina è una fonte di energia magica, proprio come lo ero stato io tanti anni fa per Cassandra. E non è la stessa energia di Cornelia, per lo meno non del tutto.»

La regina tacque di nuovo, fingendosi assorta nell’ennesima pergamena. Dopo qualche istante di silenzio, ripose la pergamena in mezzo alle altre ancora da firmare e si alzò in piedi. Pensierosa, girò attorno alla scrivania e si ritrovò di nuovo a pochi passi da Cedric. Lui la guardò dall’alto, essendo lei più bassa di almeno tutta la testa, in attesa di un responso. 

«Non mi stupisce.» annunciò lei, «Per una volta Himerish ha fatto una cosa sensata consentendole di portarla qui.»

Non la stupisce? Pensò Cedric. Ma cosa voleva dire? Evidentemente Elyon sapeva qualcosa su quella bambina che sia lui che probabilmente Cornelia ignoravano.

Elyon si allontanò di nuovo da Cedric e raggiunse la parete con il caminetto, nel quale brillavano delle fiammelle azzurre. Si abbandonò su una delle due poltrone che si affacciavano ad esso e gli fece un gesto con la mano, nascondendosi il viso con l’altra mano appoggiata al bracciolo della poltrona. «Sei libero di andare, per il momento non c’è altro da discutere.»

Cedric si limitò a fare un cenno con il capo a mo’ di riverenza e girò i tacchi verso la porta.

Aveva già raggiunto il portone azzurro quando udì di nuovo la regina dall’altra parte della stanza: «Ah, e ancora una cosa, Cedric.» lo avvertì, «Lascia in pace Cassandra, almeno per oggi.»
 

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«Sei libero di andare.» disse l’uomo al suo emissario. L’uomo si sfregò le mani compiaciuto e andò verso il bacile dall’altra parte della stanza.

Prima che potesse toccarlo, udì una voce femminile alle proprie spalle. «Credi che sia vero ciò che dice? I portali si stanno aprendo?»

«Sì, ci sono voluti quasi otto anni ma alla fine la frattura si è aperta. È arrivato il nostro momento.» rispose l’uomo.

Intervenne una seconda voce maschile. «Pensi che questa volta funzionerà?»

L’uomo si appoggiò con entrambe le mani al bacile e si specchiò nel liquido che esso conteneva. «Questa volta deve funzionare. Non faremo lo stesso errore del passato ed Elyon di Meridian sarà la nostra arma. Dobbiamo solo muovere le nostre pedine e fare in modo di portarla da noi. Aver fatto sparire le loro Guardiane darà presto i suoi frutti.»

Gli altri due interlocutori si avvicinarono a loro volta al bacile e vi si affacciarono. 

L’uomo toccò il liquido e i tre osservarono l’immagine che si andava formando tra le increspature: un palazzo rosso dalle torri sottili e appuntite che sembrava fatto di cristallo e pietra del colore del fuoco.

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Capitolo 8
*** VIII. ***


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8

Cassandra non si sentiva così felice da mesi. L’ultima volta che si era sentita così, con le farfalle nello stomaco e la testa che le girava se pensava a chi gliele faceva venire, era stata quando mesi prima Cedric aveva passato un intero pomeriggio nel suo laboratorio, osservandola creare varie pozioni ed estrarre qualche campione da studiare. Non era lì per curiosità sua ma per carpire informazioni che gli sarebbero servite per un incarico, questo Cassandra lo sapeva bene, ma mostrare a Cedric ciò che sapeva fare nel suo laboratorio l’aveva fatta sentire una dea. 

Quel giorno si sentiva proprio come quel pomeriggio lontano, ma le farfalle nello stomaco non gliele aveva messe Cedric. Quella mattina si era svegliata nella sua camera al palazzo blu di Meridian come ogni giorno, ma non era da sola: accanto a lei giaceva Zharel, con il quale aveva passato una bellissima serata che si era conclusa in modo per lei inaspettato. Fino al giorno prima era convinta che sarebbe sprofondata nei sensi di colpa se ci fosse andata a letto, e invece no: fosse stato per lei non avrebbe mai più lasciato la stanza per quel giorno. 

Purtroppo il suo dovere nei confronti della regina di Meridian e in particolare del suo consorte aveva avuto la meglio ed era uscita all’alba per andare nel suo orto di erbe officinali a prendere i germogli di ekrinas, che le servivano per una delle pozioni per Caleb e dovevano essere raccolti di mattina presto. 

 

Passati i primi minuti di scorno per aver dovuto lasciare un uomo meraviglioso nel suo letto, una volta arrivata nel suo orto nel bel mezzo della foresta a ovest del palazzo il suo umore aveva iniziato a migliorare di nuovo. Non era mai stata un’appassionata di botanica, ma a Meridian aveva scoperto un certo piacere nell’osservare le sue piantine crescere ogni giorno, prendersene cura e ricavarne dei potenti estratti, e passare del tempo nella foresta e nel suo orto le piaceva. 

Dopo aver messo nel suo cestino di vimini un numero sufficiente di germogli di ekrinas, si infilò il guanto che portava sempre con sè quando andava nell’orto ed si chinò per prendere anche qualche kollatas. Ormai era lì, tanto valeva approfittarne per fare un po’ di inventario. 

Ah, Zharel! Come aveva fatto ad essere così cieca fino ad allora? Aveva sempre pensato che gli ufficiali dell’esercito di Elyon fossero tutti delle zucche vuote che pensavano solamente a menar le mani e a contare le donne con cui andavano a segno. Zharel invece l’aveva sorpresa con una mente piuttusto acuta e curiosa e l’aveva riempita di domande riguardo la vita sulla Terra. Le tecnologie terrestri l’avevano decisamente impressionato, anche se non riusciva a capacitarsi del fatto che dove aveva vissuto lei non c’erano un re e una regina. 

Oltre ad essere intelligente era anche molto bello, il che non guastava affatto. La sua era una bellezza diversa da quella umana, con la pelle verde chiarissimo attraversata da numerose striature verde più scuro, gli occhi viola e i capelli d’argento raccolti in una miriade di treccine, ma per il resto le sue forme erano completamente antropomorfe e statuarie, fatta eccezione per le orecchie a punta.

Cassandra finì di riempire il cestino di vimini con i bulbi di kollatas e si rese conto di avere probabilmente un sorriso ebete stampato sul viso. Non vedeva l’ora di ritornare al palazzo e sperava che Zharel non se ne fosse già andato. Prese il suo cestino e si raddrizzò in piedi. 

Decise di tornare al palazzo attraversando la foresta dall’altra parte rispetto a quella da cui vi era entrata, e poi entrare a palazzo dalla torre a nord-ovest, che era dalla parte in cui si trovava il suo laboratorio al piano terra. Lì avrebbe lasciato il cestino e poi sarebbe corsa nella sua stanza. 

Era quasi a metà del suo percorso nella foresta, quando sentì un fruscìo di foglie che segnalava la presenza di qualcuno a pochi passi da lei. Si bloccò sul posto, cercando di capire se fosse un animale o una persona. 

Passi, erano decisamente passi di una persona. 

Non aveva nulla di cui aver paura: era stata nella foresta tante volte e conosceva praticamente tutti quelli che gironzolavano attorno al palazzo. Probabilmente era una delle ragazze delle cucine che andava a prendere qualche erba aromatica. 

I passi si fecero più vicini e da dietro un albero dal grosso tronco vide finalmente comparire una figura, ma non era quella di una delle ragazze delle cucine.

«Cedric!» esclamò Cassandra nel riconoscerlo.

Ma quando era tornato? Non era proprio come quando l’aveva visto l’ultima volta: se lo ricordava con la barba, pendagli di rame e argento da tutte le parti e vestito in modo simile ai Guerrieri di Basiliade, invece ora sembrava essere tornato il Cedric di un tempo, senza barba e ferraglia e con una veste dal taglio tipico di quelle di Meridan, lunga e finemente decorata. Non l’aveva più visto indossare le vesti di Meridian dal giorno del suo Legame con Orube. Era comunque una veste strana, perché invece di essere azzurra o verdolina come praticamente ogni materiale di Meridian, era di una tonalità sul rosso. 

Cedric le sorrise, allargando le braccia. «Kendrel!» la chiamò con il suo vero nome. Cassandra arricciò il naso e si accigliò. Non la chiamava Kendrel da anni, doveva avere qualcosa di grave da dirle. Eppure non sembrava: Cedric continuava ad avanzare deciso verso di lei, sorridendole in modo strano.

«Sapevo che eri qui! Ma com’è che te ne vai in giro così?» continuò lui, squadrandola malizioso dall’alto in basso, come se volesse mangiarsela con gli occhi. Cassandra si sentì a disagio. Ma che diavolo aveva per la testa? Era ubriaco? Fece un passetto indietro per ritrarsi da quel Cedric che le sembrava poco in sè, ma lui la raggiunse e le prese il viso tra le mani. «Lo sai che da umana mi fai impazzire!» disse. Cassandra sgranò gli occhi, ma non fece in tempo a ribattere perché lui la attirò a sè e la baciò. 

Non era un bacio timido e tentativo, come il primo bacio che Zharel le aveva dato la sera prima. No, era un bacio sicuro, quello di qualcuno abituato a baciare la propria amante e a ricevere risposta. Quando Cedric le schiuse le labbra con la lingua, attirando il corpo di lei contro il suo, Cassandra fu assalita per un istante dal desiderio di abbandonarsi a quel bacio. Quante volte aveva sognato quel momento? Ma qualcosa non tornava. Forse stava sognando anche allora? Eppure si sentiva così presa da Zharel fino a un minuto prima, che razza di scherzi le faceva la mente? O forse il guanto che usava per raccogliere i kollatas si era rotto e il veleno di quelle piante le stava facendo avere strane allucinazioni? Ad ogni modo, ciò che stava vivendo non era reale. 

Eppure quel Cedric era lì, in carne ed ossa e la stava baciando. Cedric la strinse di più a sé, premendo il bacino contro il suo. Eccome, se era vero quel corpo! Suo malgrado, Cassandra sentì una vampata di calore propagarsi dal basso ventre e attraversarle tutto il corpo. 

Con uno sforzo di volontà non indifferente appoggiò le mani al petto di quello strano Cedric e lo spinse via da sé, indietreggiando allo stesso tempo. Lui la lasciò andare, ma la guardò interrogativo. 

«Non… non sono chi pensi tu.» balbettò lei, continuando a indietreggiare.

Lui fece un passo in avanti verso di lei, allungando una mano. «Ma cosa dici?»

«Non sono la tua Kendrel! Io sono Cassandra!» disse lei con voce tremante, poi girò i tacchi e prese a correre, noncurante dei kollatas che volavano via dal suo cestino. Fece appena in tempo a vedere l’espressione di Cedric mutare, come se avesse avuto un’improvvisa illuminazione. Lo sentì dietro di sé gridarle: «Aspetta! Vieni dall’altra parte?», ma lo ignorò e continuò a correre nella direzione da cui era venuta. 

Doveva essere quasi arrivata al suo orto, quando inciampò e cadde a terra. O meglio credette di essere inciampata: in realtà non vi era nulla a terra, ma qualcosa le aveva dato una spinta e aveva perso l’equilibrio, mentre un tuono rimbombava in lontananza alle sue spalle.

Non seppe per quanto tempo rimase a terra, incapace di muoversi. Non riusciva a capacitarsi di quanto era successo. 

“Vieni dall’altra parte?” le aveva chiesto quel Cedric che di certo non era quello che conosceva lei. Era sicura che non fosse reale, eppure quel bacio era vero e quando lui l’aveva attirata a sè aveva sentito che anche il suo corpo era vero. Specialmente dalla vita in giù, ricordò avvertendo di nuovo una leggera vampata. 

Cassandra si sollevò e si sedette sui talloni, le mani abbandonate sul grembo. Il cestino di vimini era finito a qualche spanna da lei, i kollatas e i germogli di ekrinas sparsi a terra attorno ad esso. Se solo avesse avuto la possibilità di prendere un campione come quello del Gargante, forse avrebbe potuto verificare chi si celasse dietro a quello strano Cedric. 

Un campione… Cassandra si portò due dita sulle labbra. No, non sarebbe mai riuscita ad estrarre nulla da lì, ci voleva un tessuto biologico vero e proprio. 

Sospirò, abbassando lo sguardo a terra verso i kollatas che la circondavano. Fece per guardarsi le mani, per verificare se ci fossero tagli dovuti alle spine dei kollatas, e poi lo vide: un lungo capello biondo impigliato a uno dei bottoni del suo corsetto verde. 

Con la mano tremante lo disincagliò dal suo vestito. Finalmente quel corsetto così scomodo si era reso utile per qualcosa! Recuperò come poteva gli ekrinas e lasciò perdere i kollatas, quindi prese il suo cestino e corse verso il palazzo, facendo attenzione a non perdere il prezioso campione che le avrebbe detto chi o cosa diavolo era quell’uomo che l’aveva appena baciata.

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Note: se state ancora leggendo, significa che siete così fedeli alla storia da averla ritrovata anche se l'ho ripubblicata da capo con un account diverso! GRAZIE <3 Purtroppo nel caos della ripubblicazione ho perso le recensioni ai capitoli precedenti, ma ce ne sono ancora parecchi in arrivo quindi ci saranno occasioni per lasciarne delle altre per chi vorrà. Se non vi va di lasciare una recensione, potete ovviamente anche solo mandarmi un messaggio privato qui su EFP per un saluto o un pensiero, qualunque spunto di discussione mi fa piacere!
* momento pubblicità * 
Questa storia ha anche una traduzione inglese, che sono riuscita a portare alla pari con la versione italiana e ora verrà pubblicata di pari passo qui.
Se vi interessa vedere qualche fan art, ho riaperto di recente il mio account tumblr qui, dove a parte ribloggare cose, ogni tanto pubblico qualche sketch o lavoro finito ispirato a questa storia. 
Alla prossima :) 

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Capitolo 9
*** IX. Intermezzo ***


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9
 

Dopo aver legato la sua bici al solito palo, Franziska si affrettò a percorrere la stradina che l’avrebbe portata all’incrocio con la Frauenstraße e da lì al Viktualienmarkt. Aveva appuntamento con la sua amica Meike davanti alla chiesa che si affacciava su Marienplatz per andare ai mercatini di Natale e non voleva farla aspettare a lungo al freddo. 

Nata e cresciuta a Monaco di Baviera, Franziska non faceva passare un anno senza andare al mercatino di Natale almeno un paio di volte nel mese di Dicembre. Raramente andava a quello di Marienplatz, che era sempre gremito di gente e turisti, ma per quella volta Meike l’aveva supplicata di incontrarla lì perché era già in centro per fare delle commissioni. Franziska non se l’era sentita di rifiutare e proporne uno più piccolo da un’altra parte, sapendo che Meike doveva farsi quasi mezz’ora di metro, tra un cambio e l’altro, solo per arrivare alla stazione centrale di Monaco. 

Raggiunse a grandi passi il semaforo di Frauenstraße e si fermò, attendendo che arrivasse il verde per i pedoni. Nell’attesa, prese il telefono in mano. Con i denti si levò il guanto destro per poter sbloccare il display del telefono. Le cinque meno dieci, non era poi in ritardo come pensava. Aprì l’applicazione dei messaggi per scrivere a Meike che stava per arrivare. Prima di scrivere, lanciò un’occhiata al semaforo: verde. Si incamminò quindi per attraversare la strada, il telefono ancora in mano con il display acceso. 

A metà strada ebbe l’impressione di vedere qualcosa muoversi sul display del telefono, come se una sorta di onda lo attraversasse. Le nuvolette della sua conversazione con Meike sembravano fluttuare quando oltrepassate dall’onda invisibile e poi tornavano immobili come prima. 

“Mi sa che è ora di cambiare telefono.“ pensò Franziska, sollevando di nuovo lo sguardo sulla strada per vedere dove andava. Si bloccò però a pochi passi dal semaforo che stava per raggiungere. “Ma che diavolo…?” Il segnale verde per i pedoni del semaforo di Frauenstraße era diverso dal solito: al posto del classico omino verde che camminava, c’erano due omini verdi che si tenevano per mano, con un piccolo cuoricino in mezzo a loro. 

Franziska si guardò attorno. Una signora la superò raggiungendo l’altra parte della strada verso il Viktualienmarkt, lanciandole un’occhiataccia severa per essersi fermata nel bel mezzo dell’attraversamento pedonale. Un ragazzino invece andava in direzione opposta, verso l’altro semaforo che mostrava a sua volta i due omini verdi, ma sembrava ignorare totalmente la stranezza di quei segnali. 

Franziska raggiunse il marciapiede e si voltò a guardare il semaforo dalla parte opposta, attendendo che tornasse rosso. Tre… due… uno… ed eccolo là: anche il semaforo rosso era diverso dal classico omino in piedi e mostrava invece due sagome con la gonna, quindi due donne, anch’esse con il cuoricino in mezzo. 

“Ma… quando li hanno cambiati?” pensò Franziska. Non aveva tempo per rimanere ad osservare i semafori, ma si promise di chiedere a Meike se ne sapeva qualcosa. A proposito di Meike… mentre si incamminava per attraversare il Viktualienmarkt, tornò a concentrarsi sul telefono e digitò un breve messaggio all’amica, per dirle che stava arrivando. Dopo averlo inviato, rimise il telefono nella tasca del cappotto e indossò di nuovo il guanto destro. 

Il Viktualienmarkt era gremito di gente come al solito in quel periodo, ma non era nulla rispetto a ciò che l’aspettava a Marienplatz. Non fece caso ai mercati che attraversava, camminò veloce negli spazi liberi tra un gruppetto di persone e l’altro e in pochi minuti raggiunse l’altra parte del mercato e intravide il campanile della Peterskirche davanti a sé. Nonostante il buio, grazie alle illuminazioni natalizie poteva vedere che al di là della chiesa la folla di gente era ancora più densa, come previsto. 

Mentre si accingeva ad attraversare l’ultima strada che la separava dal punto di ritrovo con Meike, la sua attenzione fu catturata da uno dei mercati del Viktualienmarkt che vendeva prodotti da forno e dolciumi tipici. Una delle lavagnette che indicavano quali prodotti fossero in offerta mostrava a grandi lettere “Dresden Christenstollen”. Franziska si avvicinò incuriosita e vide accanto alla lavagnetta una serie di scatole blu con il dipinto di una sorta di pane con le uvette e lo zucchero a velo, sulle quali era stampato in lettere gotiche il nome di questo prodotto che a quanto pareva proveniva da Dresda. Da quando al Viktualienmarkt si vendevano i prodotti provenienti dalla Sassonia? Sapeva dell’esistenza del Christstollen, ma non era un prodotto così facile da trovare e di certo non l’avrebbero mai venduto così palesemente al mercato centrale di Monaco.

Anche questa era una cosa di cui avrebbe voluto parlare con Meike. Franziska riprese il suo cammino ed attraversò la strada, quindi raggiunse la chiesa. Di Meike però non vi era ancora l’ombra. 

Nell’attesa, decise di cercare su internet qualcosa di più su quel Dresden Christstollen e perché lo vendessero a Monaco di Baviera. Prese di nuovo in mano il telefono, si levò il guanto e accese lo schermo. La conversazione con Meike era ancora aperta, ma a quanto sembrava il suo ultimo messaggio non era ancora stato consegnato. Solamente una spunta grigia. Forse Meike era nella metro o in mezzo a molta gente e non aveva campo. Franziska aprì il browser e digitò nella stringa di ricerca “Dresden Christstollen”. La pagina rimase però bianca e comparve la rotella tipica di quando la connessione non funzionava. Forse era Franziska quella che non aveva campo. 

Lasciò passare qualche minuto, osservando di nuovo la bancarella del Christstollen dall’altra parte della strada. Infreddolita, decise di andare verso Marienplatz e di fermarsi al primo stand di Glühwein che avrebbe trovato. Forse là avrebbe anche trovato un hotspot Wi-Fi per poter comunicare di nuovo con l’amica. 

Fece il giro della chiesa, seguendo il flusso di persone che andava via via aumentando, e svoltò l’angolo che la separava da Marienplatz. 

Il Rathaus troneggiava dall’altra parte della piazza illuminata a festa, come tutti gli anni, ma gli spazi erano talmente pieni tra persone e bancarelle che non sembrava nemmeno di essere in una grande piazza. 

Si fece largo tra le persone che apparentemente non avevano nulla da fare se non stare in piedi tra una bancarella e l’altra a chiacchierare, e quasi scivolò quando pestò un volantino caduto a terra. Guardò in basso e vide che di volantini ce n’erano una decina sparsi per terra, tutti della stessa marca di vestiti alternativi che conosceva piuttosto bene. Uno dei volantini, che era girato dall’altra parte, catturò la sua attenzione. Si chinò a prenderlo per osservarlo meglio sotto quel poco di luce che le arrivava dalle illuminazioni della piazza. 

Sul volantino era stampata quella che doveva essere una mappa delle sedi del negozio in Germania, eppure Franziska non capiva: il paese era disegnato includendo anche la DDR come se fosse uno stato unico con la Repubblica Federale Tedesca e il negozio indicava sedi a Monaco, Francoforte e Düsseldorf così come a Lipsia e Dresda. Ma che razza di scherzo era quello? 

Franziska continuò a camminare tenendo quel volantino in mano, pensierosa. Raggiunse una delle bancarelle del Glühwein, ma non le andava più di ordinarne uno. Si appoggiò semplicemente a uno degli alti tavoli di legno ai quali altre persone si appoggiavano per bere il loro vino caldo speziato e chiacchierare. Com’era possibile che un negozio potesse apertamente pubblicizzare le proprie sedi all’est, e per di più disegnando la carta della Germania come se fosse una nazione sola? Franziska non era un’esperta di politica e storia, anzi non se ne interessava affatto, ma se c’era una cosa che le avevano messo in testa fin da bambina era che non si scherzava su queste cose. 

Ripiegò il volantino e se lo mise nella tasca del cappotto. Sconcertata, prese di nuovo in mano il telefono per controllare se nel frattempo avesse ritrovato la linea. Ancora nulla, ma una notifica la avvertiva che c’era un hotspot. Si connesse subito, quindi controllò se Meike aveva ricevuto il messaggio e le aveva risposto. Ancora una spunta grigia e basta. 

Franziska sbuffò. Guardandosi intorno tra la folla, si chiese come facevano le persone vent’anni prima ad incontrarsi al mercatino di Natale senza avere un telefono cellulare. Trovare una persona in mezzo a quel marasma di gente sarebbe stato impossibile senza poter comunicare a distanza. 

«Matthias, non mi interessa se tuo fratello torna negli Stati Uniti subito dopo Natale, quest’anno avevamo deciso di passare le feste insieme in Svizzera, non a Lipsia dai tuoi!» stava dicendo la ragazza accanto a Franziska al suo fidanzato, che sorseggiava il suo Glühwein alzando gli occhi al cielo. 

«Avanti Claudia, mio fratello non torna a Lipsia tutti i giorni, in Svizzera ci possiamo andare in qualunque altro momento!» cercò di farla ragionare lui. 

Franziska non voleva fissarli, ma era esterrefatta da ciò che aveva appena sentito. Ma che passaporto doveva avere il fratello di quel Matthias per andare e venire quando voleva tra gli Stati Uniti e Lipsia?

Sconvolta, riprese tra le mani quel volantino della catena di abbigliamento che mostrava la strana mappa della Germania unificata. Un dubbio atroce ed impossibile le passò per la mente. Si allontanò dal suo appoggio e ripercorse i suoi passi in cerca di un punto più lontano dalla folla, non voleva rischiare che qualcuno potesse vedere cosa voleva scoprire. 

Sul lato della bancarella del Glühwein non c’era nessuno e il suo telefono era ancora connesso all’hotspot. Franziska non riusciva a credere a ciò che stava per cercare su Internet. Digitò “Riunificazione della Germania” nella stringa di ricerca e premette “invio”. 

Nel giro di qualche secondo, il suo telefono le sputò un numero che la fece trasalire.

1990. 

Franziska sollevò lo sguardo dal proprio telefono. Ma cosa stava succedendo? Stava forse sognando? Tutto attorno a lei sembrava come al solito, persino gli stand del mercatino di Natale e quelli del Viktualienmarkt sembravano gli stessi di sempre, a parte per la presenza di quel Dresden Christstollen. 

Si sentì girare la testa e dovette appoggiarsi alla casupola del Glühwein per sorreggersi. Ciò che le sembrava di aver capito era razionalmente impossibile, eppure non le sembrava di essere in un sogno. 

Decise di lasciar perdere Meike, con la quale tanto non riusciva a comunicare per il momento, e tornare nell’ultimo punto in cui le era sembrato che fosse tutto normale, ovvero là dove aveva lasciato la bici. Forse lì il suo telefono avrebbe ripreso a funzionare e sarebbe riuscita a telefonare a Meike. Si affrettò a ripercorrere i suoi passi verso il Viktualienmarkt e si mise quasi a correre. Si sforzò di non vedere nulla attorno a sé e mantenne lo sguardo basso, attenta a dove metteva i piedi e a scansare le persone. 

Raggiunse praticamente correndo l’estremità del Viktualienmarkt che dava su Frauenstraße e si ritrovò davanti allo strano semaforo con le coppie di omini. Guardò a destra e a sinistra e una volta appurato che non c’erano veicoli, non attese che il semaforo pedonale diventasse verde. Corse verso la parte opposta, ma a metà strada sentì che qualcuno le dava una forte spinta sulla schiena e cadde in avanti. Udì un forte boato alle sue spalle e fece appena in tempo a mettere le mani avanti per evitare di cadere direttamente con la faccia a terra. Il telefono e lo strano volantino le volarono via dalla tasca nell’impatto. 

In quel momento non passava nessuno e chi era dall’altra parte del Viktualienmarkt evidentemente non l’aveva vista. Franziska si tirò su facendo leva con le ginocchia e riafferrò il telefono. 

Quando rialzò lo sguardo sul semaforo ancora verde, esso era tornato quello che si ricordava. Un omino verde, da solo, che camminava allegro a grandi passi.
 

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Note: questo capitolo necessita di qualche nota in più del solito. Innanzitutto, SORPRESA - questa settimana ci saranno due capitoli (il prossimo verrà pubblicato come al solito attorno al weekend). 
Ero mooolto indecisa su cosa fare di questo capitolo: ci tenevo ad avere un intermezzo come quello del capitolo 3 ma ambientato sulla Terra, eppure non era facile pensare a una situazione che desse un ulteriore indizio sull'universo al di là di questi portali. La prima cosa che mi è venuta in mente è stata la riunificazione della Germania, ma allo stesso tempo non volevo ambientarlo in una città in cui la differenza sarebbe stata troppo ovvia, come una città dell'est o Berlino. Quindi ho scelto una città dell'ovest che conosco piuttosto bene, Monaco di Baviera, in cui gli effetti della riunificazione sarebbero stati più "sottili" da identificare. 
Una piccola curiosità: i semafori particolari che Franziska vede dall'altra parte esistono davvero, sono i famosi "Ampelpärchen" che si trovano nella zona del Glockenbackviertel, che confina con il centro storico (si trovano anche in altre città tedesche, non solo a Monaco).

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Capitolo 10
*** X. ***


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10

 

23 Dicembre 2019

Ci siamo quasi, caro tablet. Fra quattro giorni il gruppo delle W.I.T.C.H. sarà di nuovo unito, almeno formalmente, per andare in missione su un altro pianeta. Un pianeta che conosciamo piuttosto bene, ma che non vediamo da molti anni - così come la sua regina. 

Orube e Cedric sono partiti quasi subito dopo che li abbiamo incontrati per informarli che l’Oracolo aveva deciso di mandare noi al posto delle Guardiane, le quali sono scomparse nel nulla. 

Cedric non mi è sembrato particolarmente entusiasta all’idea, ma forse perché non era particolarmente di buon umore quel giorno. Non saprei dire se la causa fosse la presenza di Irma, Taranee e Hay Lin che lo guardavano in cagnesco o piuttosto il fatto di dover interrompere la licenza in anticipo per tornare a Meridian. Elyon doveva sapere al più presto che l’Oracolo aveva deciso di mandare un gruppo che non esisteva più e che probabilmente non era più in grado di combattere come un tempo. 

Orube invece non sembrava particolarmente sorpresa, forse conoscendo l’Oracolo immaginava che una missione del genere non l’avrebbe mai affidata ai suoi preziosi alfieri. 

Con Kevin tutto sommato penso di averla gestita piuttosto be…

 

«Will, c’è Matt Olsen alla porta. Apro?» la interruppe la voce di Mira. 

Matt? Che ci faceva sotto casa sua alle nove di sera? 

«Sì, ehm.. certo, apri.» disse Will posando il tablet sul tavolino al centro tra i due divani bianchi. Alzandosi, si specchiò alla grande vetrata che dava sulla terrazza, che dato il buio esterno rifletteva abbastanza bene gli interni dell’open space illuminato dal caminetto e dalle piccole luci che provenivano da sotto la mensola della cucina. Se almeno avesse avvisato, non si sarebbe fatta trovare indossando il pigiama con le ranocchie… Pazienza, del resto non doveva fare colpo su di lui, giusto? Giusto, ma le farfalle che le si agitavano nello stomaco la pensavano diversamente.

Matt uscì dall’ascensore e si fiondò nell’appartamento a passo deciso. La sua giacca era aperta e mostrava che al di sotto indossava ancora il camice e pantaloni verdi tipici dei veterinari in ambulatorio. I lunghi capelli castani erano legati come al solito ma un po’ spettinati, come se avesse corso. Doveva essersi precipitato a casa di Will non appena aveva chiuso la clinica. 

«Cos’è questa storia che vai di nuovo in missione?» la aggredì avanzando a grandi passi, mentre la porta dietro di lui si richiudeva automaticamente. 

Will indietreggiò verso la penisola della cucina, frastornata. «Ehm… prego, entra pure…» 

«Credevi che io me la sarei bevuta come tutti gli altri?» la accusò lui. 

«Io… ma di che stai parlando? Come l’hai saputo?» chiese Will, che ormai si era aggrappata alla penisola della cucina come se fosse una via di fuga.

«Avanti, Will, non sono così stupido! So che Cedric e Orube erano sulla Terra, perché lei è venuta da me a chiedermi se avevo in programma di fare le visite al gattile la settimana scorsa.» disse lui, raggiungendola. «E oggi il tuo Kevin mi ha portato il cane per il vaccino, dicendomi tutto tranquillo e sognante che saresti partita per una convention in Europa per la presentazione dei nuovi prodotti e che vi prendevate una pausa! Quando mai ti hanno mandata a perdere tempo a una convention? E soprattutto, quando mai Kevin verrebbe a dire a me che vi siete lasciati? So riconoscere un incantesimo quando ne vedo uno, grazie a te, e so che la presenza di Orube e Cedric non era una coincidenza.»

«Ma com’è possibile… l’incantesimo dovrebbe funzionare su chiunque parli con lui…» mormorò Will.

«Probabilmente non funziona su chi sa già che sei una Guardiana di Kandrakar, cosa vuoi che ti dica!» esclamò lui esasperato. «Perché non me l’hai detto? Te ne vai a combattere i mostri e a mettere a repentaglio la tua vita e io non ne so nulla!»

Will si allontanò da lui, contrariata. Cos’era tutto questo interesse improvviso per cosa facesse e dove andasse? Non voleva affrontarlo, ma al tempo stesso non poteva di certo nascondersi in casa propria. Raggiunse il retro di uno dei divani e appoggiò le mani sullo schienale. «E da quando ti interessa la mia vita, sentiamo? Perché ti ostini a voler farne parte solo quando ti pare?»

Matt la seguì con lo sguardo e si girò verso di lei, ma questa volta non si avvicinò e prese il suo posto appoggiandosi alla penisola. «Solo quando pare a me?! Sei tu che hai deciso di troncare! Poi quando ti sei fatta trasferire a Heatherfield mi hai fatto credere di averlo fatto per me, e invece era per Kevin!»

Will si sentì ribollire dentro. Quante cose sbagliate in una sola frase! «Io sono tornata a Heatherfield per te, Matt! Sei tu che eri troppo preso dai tuoi affari con Helena e non te ne sei accorto!» sibilò lei, rendendosi conto troppo tardi di quanto velenoso fosse il suo tono. 

«Non tirare in ballo Helena, lo sai benissimo che non c’è mai stato niente se non nella tua testa!» Matt sbuffò e si passò le mani sugli occhi, come se fosse improvvisamente stanco. Quando riprese a parlare, il suo tono era più calmo ma tradiva la sua esasperazione. «Quindi spiegami, chi sta aspettando chi da dieci anni a questa parte?»

Will non aveva una risposta a quella domanda. Era a corto di parole, velenose o meno che fossero, e lasciò che cadesse il silenzio nella stanza. Lo guardò negli occhi, cercando un segnale che le dicesse che anche lui, come lei, sapeva quale fosse la vera risposta a tutte le loro domande. 

Fu lui a cedere per primo, quando attraversò la stanza in poche falcate decise e la raggiunse. Le mise una mano dietro alla nuca e si chinò per baciarla. Will avrebbe fatto lo stesso, se lui non l’avesse preceduta, e rispose con forza a quel bacio che pur non volendo ammetterlo, aspettava da anni. 

 

27 Dicembre 2019

Caro tablet, questa sarà probabilmente l’ultima volta che scriverò qui per un po’: oggi partiremo per Meridian e non sappiamo quando torneremo. 

Gli ultimi quattro giorni hanno sconvolto la mia esistenza più dell’improvvisa missione che ci ha affidato l’Oracolo: quattro giorni fa Matt si è precipitato a casa mia e di nuovo nella mia vita e da quella sera ci è rimasto. Abbiamo passato la notte insieme, almeno finché non è dovuto tornare in clinica per un’urgenza. Ne ha approfittato per passare da casa sua a prendere alcune cose, poi è rimasto a casa mia fino a pochi minuti fa - ad eccezione della cena della Vigilia e il pranzo di Natale, che ciascuno di noi ha concesso alla propria famiglia.

Non so cosa voglia dire questo riavvicinamento con Matt: è inutile nascondere che era quello che cercavo da quando ho ripreso a lavorare a Heatherfield, ma doveva succedere proprio ora? D’altro canto mi sento più serena avendo qualcuno sulla Terra che sa dove sto andando realmente. Ho lasciato le chiavi del mio appartamento a Matt, spiegato a Mira che può entrare quando vuole e gli ho mostrato dove si trova lo specchio con il portale. Ora la mia speranza è solamente che se mi succederà qualcosa di grave e non tornerò, i saggi di Kandrakar avranno il buonsenso di contattarlo. 

 

«Will! Eccomi, sei pronta?»

La voce di Cornelia dietro di lei la fece sobbalzare sul divano. Aveva istruito Mira che Cornelia era sempre la benvenuta, quindi Mira aveva diligentemente smesso di avvisarla quando la sua amica si presentava alla porta. 

«Cornelia! Sì, sono pronta. Non è un po’ strano partire per un viaggio interplanetario senza nemmeno uno zaino?» disse Will sforzandosi di sorridere, mentre riponeva il tablet sul tavolino da caffè con una lentezza forzata. 

Cornelia ridacchiò e la prese per un braccio, trascinandola con sé verso la porta. «La vecchia Cornelia ti direbbe che senza almeno il bagaglio a mano non andrebbe nemmeno a una riunione di Kandrakar. Vieni, le altre ci aspettano giù con Elysa.»

Uscirono dall’appartamento e Mira richiuse la porta alle spalle di Will. Lei si sforzò di non voltarsi a guardare la porta dell’appartamento, che in quel momento le sembrava fosse l’unico posto al mondo in cui voleva stare. Specialmente ora che Matt ne aveva le chiavi. 

Senza volere, Cornelia rigirò il coltello nella piaga girandosi verso di lei con un sorriso malizioso: «E a proposito di cose strane, dimmi un po’, com’è che arrivando qui ci siamo scontrate con Matt?»

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Note: eccoci qui con il finesettimana alle porte, e con il secondo capitolo per questa settimana (è un'eccezione, prometto!). Questa settimana ho ricevuto diversi feedback positivi in privato e tramite altri canali sia tramite i lettori italiani qui su EFP che nel fandom internazionale, grazie infinite a chiunque si sia fatto avanti a dirmi la sua *_* 
Con questo capitolo oltre a dare una conclusione al perenne tira e molla di Will e Matt siamo arrivati esattamente a metà della storia - ci vediamo la settimana prossima a Meridian!

 

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Capitolo 11
*** XI. ***


«Cambiata? In che senso?» chiese Cornelia alla Guerriera di Basiliade mentre attraversavano il maestoso viale che conduceva alle porte del palazzo blu di Meridian. 

Orube si strinse nelle spalle. «Beh, non è più la giovane e dolce regina che conoscevate.» disse piano, quasi sussurrando. «Da quando è morta Miriadel il suo governo ha iniziato a prendere una piega piuttosto… rigida, diciamo. E ora la situazione di Caleb di certo non la aiuta a ragionare lucidamente.»

«Veramente? Ma non ci avete mai detto nulla…» commentò Will, che camminava dietro di loro. 

Orube si voltò per parlarle al di sopra della spalla. «Certo che no, Will. Non direi mai una cosa del genere in presenza di Cedric, sarebbe come dirla direttamente a lei! Con lui posso parlare liberamente solo quando…»

«…non lo vogliamo sapere, grazie! E poi qui c’è una bambina!» la interruppe Irma, indicando la sfera di cristallo azzurrino che fluttuava accanto a Cornelia e dentro alla quale Elysa dormiva beatamente.

Continuarono ad avanzare in silenzio fino a raggiungere l’altissima porta di legno massiccio del palazzo. Will si sentiva un po’ a disagio camminando a Meridian indossando jeans e un parka dal taglio palesemente terrestre e percepiva gli sguardi curiosi del personale del palazzo che si occupava delle bizzarre piante verdoline e azzurre del grande giardino frontale. 

Al portone le aspettavano tre soldati statuari, due dei quali sembravano gemelli, entrambi con la pelle verde scuro striata di rosso, e due paia di occhi gialli che fissavano dritti davanti a sé da sotto un elmo di metallo anch’esso verde scuro. 

Quello al centro era a capo scoperto e sorreggeva l’elmo sul fianco. Indossava la stessa armatura degli altri due, ma dalla cresta di pennacchi verdi sull’elmo era chiaro che fosse di qualche rango sopra a loro. Era stranamente piacevole da guardare, nonostante le striature verdi sulla pelle più chiara e gli occhi viola acceso. Una cascata di lunghe treccine bianche dai riflessi argento e raccolte in una grossa coda gli scendeva lungo la schiena. Non proprio la capigliatura che Will si sarebbe aspettata da un ufficiale militare. Quando Orube gli fu di fronte, lui abbassò il capo in un cenno di riverenza. 

«Maestra Orube.» disse.

Orube si portò la mano aperta al petto, come si usava a Basiliade. «Capitano Zharel.» disse solenne.

Il Capitano piegò la testa di lato e squadrò le cinque terrestri dal basso verso l’alto, inarcando un sopracciglio. «Le Guardiane, suppongo.» disse, mentre il  portone dietro di lui si apriva da solo. «Benvenute a Meridian, la regina vi aspetta.»

Il Capitano Zharel si fece da parte per lasciar passare il gruppo, poi le seguì all’interno del palazzo. 

Mentre il portone si richiudeva dietro di loro, Will alzò lo sguardo verso l’ampio ingresso in cui si trovavano. Era già stata diverse volte al palazzo di Meridian e la sua architettura non era cambiata: l’ingresso era un enorme corridoio dal soffitto a volta altissimo, con le mura e il soffitto tappezzati di fini decorazioni e riccioli d’argento su sfondo blu, azzurrino o verde. Il passaggio era segnalato da una fila di colonne che sembravano di marmo azzurro chiarissimo, quasi bianco, che si fondevano con il pavimento dello stesso materiale ma di un azzurro più scuro. 

Quello che era cambiato era sicuramente il numero di persone che lo popolavano: l’ultima volta che vi era stata, il palazzo era costantemente gremito di personale che si affaccendava per portare di qua e di là vasi di fiori, carrelli ricolmi di pietanze e preparativi vari per qualche festa. Ora invece era completamente deserto e immerso in un solenne silenzio. Sembrava quasi di trovarsi in una cattedrale. 

Il Capitano Zharel si affiancò a Orube e il gruppetto iniziò ad avanzare per il corridoio. 

Non appena il Capitano ebbe raggiunto Orube, la Guerriera rilassò la propria postura e gli diede una gomitata sul fianco ridacchiando. 

«Che ho fatto?» sussurrò lui, assumendo a sua volta un portamento meno formale. 

«Ne parliamo più tardi.» continuò a ridacchiare lei facendogli l’occhiolino. 

Will rimase piuttosto spiazzata da questo cambio di tono repentino. Evidentemente Orube e il Capitano erano amici e la scena a cui aveva assistito fuori dal palazzo era solo una formalità. 

Mentre avanzavano, si girò per scambiarsi uno sguardo con le altre quattro. Cornelia inarcò entrambe le sopracciglia, segnalando che anche lei non capiva cosa stesse succedendo, mentre Taranee e Hay Lin camminavano con il naso per aria ammirando le decorazioni sulle arcate. Irma mimò con le labbra un “Wow!” a Will, indicando con un cenno del capo il Capitano. 

Raggiunsero in silenzio un altro grande portone, quasi alto quanto quello d’ingresso ma visibilmente di legno più sottile. 

Orube e il Capitano in testa al gruppetto tornarono seri e si raddrizzarono di nuovo in una posizione più consona al loro rango militare, e ancora una volta il portone si aprì da solo. 

Le Guardiane li seguirono al di là del portone, dove le aspettava un’altra grande stanza oblunga dal soffitto altissimo. Questa volta le pareti e il soffitto verde smeraldo non erano intarsiate di fini decorazioni ma solo attraversate da alcune linee d’argento che percorrevano le arcate e si univano al centro del soffitto. 

Anche questa stanza non era affollata come Will se la ricordava: ai loro lati vi erano due piccoli gruppetti di persone, tutte girate verso di loro, ma non potevano essere più di venti in totale. Tra loro Will riconobbe Galgheita, o meglio la loro ex Professoressa Rudolph, e pochi altri consiglieri e funzionari di Meridian di cui ricordava le fattezze ma non i nomi. 

E in fondo alla stanza, in cima ad una porzione rialzata, sedeva su un alto trono di pietra verde scuro la regina di Meridian. 

Elyon le guardava impassibile e severa dall’alto mentre si avvicinavano, entrambe le braccia appoggiate sui braccioli del trono. I capelli chiari, che da lontano sembravano quasi bianchi, erano abilmente intrecciati al di sotto della corona di luce e formavano probabilmente un intricato disegno che le scendeva sulla schiena. Indossava un vestito altrettanto complicato, formato da un indefinito numero di strati di diverse tonalità di verde, il cui ultimo strato comprendeva una sorta di mantello da cui si separavano come delle liane argentate, le quali erano sospese in aria e sembravano fondersi con le linee degli archi della stanza. 

Will dovette ammettere che quella visione le faceva tornare alla mente i tempi in cui su quel trono era seduto il fratello della regina, il tiranno Phobos. 

Accanto al trono della regina vi era un secondo scranno, un po’ più piccolo e posizionato più in basso, sempre di pietra verde scuro ma vuoto. Era quello sul quale avrebbe dovuto sedersi Caleb. 

Quando furono più vicini, Will poté vedere anche i volti di coloro che erano nelle prime file al cospetto della regina e scorse Cedric, che spiccava tra tutte quelle persone vestite di verde e azzurrino in quanto indossava vestiti dai colori più caldi e con parti in cuoio come quelli di Orube.  Accanto a lui, il gigante blu Vathek che le rivolse un grande sorriso mostrando i denti e le zanne un po’ storte. 

Dall’altra parte del pubblico Will riconobbe anche la cascata di riccioli di Cassandra, che la salutò con un timido cenno della mano. 

Superato il pubblico, Orube e il Capitano si inginocchiarono a terra al cospetto della regina. 

Will e le altre si guardarono di nuovo e li imitarono, anche se i loro inchini erano visibilmente più impacciati.

«Maestra. Capitano. Potete andare.» la voce di Elyon risuonò austera per tutta la stanza ovale. Orube e Zharel si rialzarono e si incamminarono in direzioni opposte: Orube andò a raggiungere Cedric e Vathek, mentre Zharel andò dall’altra parte.

Will lo seguì con la coda nell’occhio e non le sfuggì il sorriso che Cassandra gli rivolse quando lui le passò accanto. Ma Zharel non si fermò da lei e raggiunse invece un altro ufficiale ritto sull’attenti a qualche passo dal muro sulla sinistra. Era visibilmente più vecchio di Zharel e reggeva sul fianco un elmo simile al suo, ma dai pennacchi gialli. Doveva essere di rango ancora superiore. 

«Guardiane.» tuonò Elyon rivolta verso di loro. «Rialzatevi, non c’è bisogno di tutta questa riverenza. Sono felice di accogliervi nella mia umile dimora.»

Le Guardiane si rialzarono. L’espressione di Elyon era immutabile, severa e solenne, in contrasto con le sue parole. 

Elyon fece leva con i palmi sui braccioli del trono e si alzò in piedi. Prese a scendere i gradini che l’avrebbero portata direttamente al cospetto delle sue vecchie amiche. Mentre si allontanava dal trono, le liane che sembravano fondersi col resto della stanza si abbassarono e aderirono invece al suo lungo mantello dello stesso colore del trono. 

Elyon era più bassa di tutte loro, ma con quel portamento austero non lo dava a vedere. Si fermò a pochi passi dal gruppetto, passandole in rassegna una ad una. Il suo sguardo indugiò per qualche secondo in più sulla sfera di cristallo che accoglieva Elysa, poi tornò a guardare le Guardiane con quegli occhi grigi che da vicino sembravano velati da un’ombra strana, di stanchezza mista a preoccupazione. 

«Sono onorata che l’Oracolo abbia mandato le sue Guardiane più esperte in mio aiuto, e vi sono sinceramente grata per aver accettato questo incarico. Posso solo immaginare quanto sia stato difficile per voi lasciare le vostre vite terrestri per riprendere in mano le vesti di combattenti.

Non vi farò perdere tempo in inutili cerimonie, oggi. Negli ultimi giorni siamo riusciti a scoprire di più su ciò che sta succedendo sui nostri pianeti. Lo studio di reperti biologici che siamo riusciti a recuperare durante gli avvistamenti e le testimonianze di chi era presente ci hanno dato parecchi indizi su cosa ci sia dall’altra parte dei portali che si stanno aprendo.» disse, scoccando un’occhiata verso Cassandra, che ora sembrava voler sprofondare nel pavimento, per poi tornare a rivolgersi alle sue ospiti. 

«La nostra ipotesi è che dall’altra parte vi sia un’altra Meridian, in una sorta di universo parallelo. Ipotizziamo che lo stesso valga anche per la Terra, ovvero che i portali terrestri la stiano collegando una versione alternativa del pianeta, da quanto abbiamo capito dagli eventi avvenuti di recente in Europa. Si suppone che anche Basiliade sia coinvolta in qualcosa di simile, anche se gli eventi osservati sul pianeta sono leggermente diversi rispetto a ciò che si è osservato nel Metamondo e sulla Terra.»

La regina fece una pausa, studiando le reazioni delle cinque Guardiane. 

Dalla sua sfera di vetro magico, Elysa si era svegliata e si guardava attorno ad occhi sgranati. Cercò con lo sguardo la madre, che era in piedi accanto a lei, e appiccicò le manine al vetro, mormorando «Mamma…». Cornelia si chinò sulla sfera e appoggiò il palmo contro quello di Elysa, sorridendole per tranquillizzarla. Il labbro di Elysa però era già tremolante e gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime. Prima che scoppiasse in un pianto disperato, Cornelia aprì la sfera con un cenno della mano e prese in braccio la bambina, che nascose il visino nell’incavo del collo della mamma. 

Un mondo parallelo… Will aveva visto diversi film e serie TV che ruotavano attorno all’esistenza di mondi paralleli, e nonostante avesse una visione piuttosto aperta sugli eventi sovrannaturali grazie alla sua esperienza con Kandrakar, non aveva mai pensato che un collegamento tra diverse versioni dello stesso mondo fosse realmente possibile. 

«Un mondo parallelo?» sussurrò Irma a Taranee accanto a lei. Come sempre, Irma non riusciva a reggere i lunghi momenti di silenzio. «Magari di là io sono diventata un’attrice famosa, l’Oracolo ha i capelli lunghi e sul trono di Meridian c’è un angelico Phob…» ma non riuscì a terminare la frase, perché Hay Lin dall’altra parte le tappò puntualmente la bocca. 

«Tranquilla, Hay Lin, non sono così sensibile.» disse Elyon. «Hai ragione, Irma, dall’altra parte potrebbe tranquillamente esserci mio fratello o un altro tiranno al suo posto. Ma anche se esistessero centinaia di universi paralleli, ti assicuro che in nessuno di questi Phobos può essere “angelico” come dici tu.

Dobbiamo scoprire di più su chi ci sia dall’altra parte e quali siano le loro intenzioni. Per questo motivo vi affido una missione esplorativa, e sarete istruite dalla mia alchimista su cosa fare per consentirmi di percepire cosa succede nel palazzo dell’altra Meridian. 

Al vostro ritorno, farete rapporto a me e ai vostri superiori a Kandrakar per riferire tutto ciò che avete potuto vedere con i vostri occhi. In questo modo anche il mio accordo con Himerish sarà rispettato e lui saprà tutto ciò che saprò io su questa faccenda.»

Elyon non attese una risposta e voltò le spalle alle Guardiane, risalendo i gradini che la portavano sul suo trono. Vi si accomodò di nuovo, riprendendo la sua posizione austera con la quale le aveva accolte. 

«Mi è stato comunicato che il Consiglio di Kandrakar ha suggerito un breve addestramento per farvi riprendere confidenza con i vostri poteri. Saranno Cedric e Maestra Orube ad occuparsene.» continuò dall’alto del suo scranno. «Alina. Kyra.» pronunciò rivolgendosi a due giovani ragazze verdoline sul lato sinistro che indossavano le vesti tipiche delle sue accompagnatrici. «Accompagnate le nostre ospiti alle loro stanze e date loro dei vestiti più consoni al nostro mondo. Quando saranno pronte, fate chiamare Cedric.»

Alina e Kyra fecero una veloce riverenza e raggiunsero il gruppetto di Guardiane a passetti veloci. 

«Cassandra.» chiamò la regina. «Vai con loro, per la piccola Elysa è meglio se con lei ci sarà un volto umano. 

Per ora è tutto, Guardiane. Potete ritirarvi.»

Cassandra fece una riverenza simile a quella di Alina e Kyra e si avvicinò a sua volta al gruppetto di Guardiane. Will notò uno scambio di sguardi tra lei e la regina che suggeriva che c’era di più dietro alla presenza di Cassandra. Era per spiare loro o era qualcosa che riguardava Elysa?

Le Guardiane e Cassandra seguirono quindi Alina e Kyra che facevano loro strada verso il portone da cui erano entrate. 

Irma diede una gomitata a Will, sussurrandole: «Vogliamo scommettere che dall’altra parte c’è davvero Cedric come avevo detto?»

 

***

 

Notequi trovate uno scarabocchino di Zharel, se vi interessa. 

Qui invece trovate questa storia pubblicata anche su AO3, se preferite seguirla lì. 

 

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Capitolo 12
*** XII. ***


12

«Sei riuscita davvero ad estrarre delle cellule da quei campioni e analizzarle senza un vero laboratorio?» chiese Irma sbalordita. 

Cassandra si strinse nelle spalle. «Beh, di necessità virtù… Ho chiesto tante volte di farmele analizzare sulla Terra, ma la regina è stata categorica.» Rendendosi conto che Cedric era a portata di orecchio mentre attraversavano la foresta per raggiungere lo spiazzo a nord, Cassandra si schiarì la voce e si affrettò ad aggiungere a voce più alta: «Ehm, e ovviamente aveva buone ragioni per impedirmelo: sarebbe stato troppo rischioso portare dei campioni di Meridian sulla Terra.»

Quando raggiunsero la radura nel mezzo della foresta, il cielo che li sovrastava era particolarmente grigio e nuvoloso. Era evidente che quel giorno, come tanti altri, Elyon non era di buon umore. 

Cassandra si affiancò alla sfera di Elysa per prenderne il controllo. Cornelia la lasciò fare e le passò il suo bracciale: sembrava sollevata che a sorvegliare la bambina ci fosse qualcuno che conosceva, oltretutto con aspetto umano. 

Mentre le Guardiane seguivano Cedric verso il centro della radura, Cassandra e Orube si recarono con Elysa verso un angolo ben lontano da loro, al limitare degli alberi. Orube appoggiò a terra la sacca che portava con sé, che atterrò producendo un clangore che rivelava la presenza di qualcosa di metallico all’interno, poi si accomodò sul prato. 

Cassandra fece lo stesso, posizionando la sfera di Elysa tra loro due. Aprì la parte superiore della sfera solo di un quarto, in modo che Elysa fosse esposta solo verso il lato che dava verso di loro, poi appoggiò a terra il cesto che aveva portato con sé, pieno di giocattoli che Alina e Kyra avevano preparato per la bambina. Prese alcuni pupazzi e cubi sui quali erano disegnati dei personaggi buffi e li mise accanto alla piccola nella sfera. Elysa batté le manine e afferrò subito un pupazzo con le fattezze tipiche dei cavalli azzurri di Meridian. 

Orube distese le gambe in direzione del centro della radura e si fece indietro con la schiena, tenendosi rialzata sui gomiti. Osservava divertita il gruppetto di Guardiane e Cedric che le guardava annoiato a braccia incrociate. 

Erano piuttosto lontane dal gruppetto, ma potevano sentire abbastanza bene ciò che dicevano. 

«Avanti, Guardiane, possibile che non vi ricordiate nemmeno come trasformarvi?» stava dicendo Cedric. 

«Provaci tu, se sei così bravo!» gli rispose acida Irma.

Cedric sbuffò e fece un semplice gesto con una mano, passandosela davanti al volto. In un istante prese le sembianze di Irma nella sua vecchia forma di Guardiana e le fece una linguaccia, proprio come avrebbe fatto lei. 

Orube ridacchiò tra sè e sè. «Ah, Irma, così lo lasci vincere facile!» disse.

Cassandra studiò il profilo della Guerriera di Basiliade di fronte a sè. Raramente si era trovata da sola con lei e come sempre si sentiva divisa tra sentimenti contrastanti nei suoi confronti. Da un lato provava una profonda ammirazione per la Guerriera, non solo per la sua bellezza particolare, il viso dal taglio affilato che assieme ai capelli lunghi e lisci con la frangia perfetta la facevano sembrare una regina egizia, e il suo fisico scolpito dagli anni di duro addestramento. Di lei ammirava il carattere forte e deciso, il suo senso del dovere e la lealtà che dimostrava sia nei confronti del fratello che nei confronti di Meridian, anche se era evidente che il Metamondo non fosse il suo ambiente preferito. E ovviamente, nei confronti di Cedric. Cassandra avrebbe scommesso che Orube si sarebbe buttata tra le fiamme per lui, e che lui non avrebbe fatto di meno per lei. 

D’altro canto, vederli insieme e sapere che ogni sera c’era lei a scaldare il letto di Cedric le faceva sempre venire un po’ di amaro in bocca, specialmente nell’ultimo anno dopo la fine della storia con Azeon. Quel giorno tuttavia non si sentiva lo stomaco chiuso nella morsa della gelosia, non dopo aver rivisto Zharel nella sala del trono. Era ancora un po’ turbata dall’episodio con l’altro Cedric di quasi due settimane prima e stava facendo il possibile per non trovarsi faccia a faccia con il Cedric “di qua”, ma ormai ne era sicura: aveva perso la testa per il Capitano dell’esercito di Elyon e nessun Cedric, reale o meno che fosse, poteva farci nulla. 

Sussultò quando Orube la distrasse dai suoi ragionamenti e le disse, quasi le avesse letto nel pensiero: «Quindi dimmi un po’, com’è Zharel?»

Cassandra spalancò gli occhi verdi. «Zharel? Cosa intendi dire?» chiese fingendo di cadere dalle nuvole. 

«Dai, lo so che lo stai frequentando. Allora com’è?» incalzò l’altra, con un’espressione maliziosa dipinta sul volto.

Cassandra rimase a bocca aperta. «Co-come… come fai a saperlo?» chiese, lanciando istintivamente un’occhiata verso Cedric al centro della radura.

Orube guardò nella stessa direzione e rise. «Oh no, non lui. Di queste cose non se ne accorge nemmeno quando gli accadono sotto al naso.»

Tacque per qualche istante, continuando a ridacchiare osservando il risultato delle Guardiane che avevano tentato di trasformarsi. Will era l’unica ad essere riuscita a trasformarsi completamente e splendeva nella sua uniforme viola e verde. Le altre non avevano avuto altrettanto successo: Cornelia indossava ancora il lungo vestito verde scuro che Kyra le aveva procurato, così come Hay Lin, che almeno era riuscita a farsi spuntare due ali sulla schiena, mentre Taranee si era trasformata solo a metà e indossava il top viola della sua uniforme da Guardiana sulla lunga gonna rosso scuro che indossava prima di trasformarsi. Irma era riuscita a trasformarsi quasi del tutto, ma sulla schiena le spuntava solo un’ala. 

Divertita, Orube tornò a rivolgersi alla sua interlocutrice: «Passo la maggior parte del mio tempo qui nelle caserme, e ti garantisco che in quanto a pettegolezzi di un certo tipo le dame di corte non reggono il confronto con i soldati. Oltretutto le nostre stanze sono vicine e queste ci sentono piuttosto bene.» disse indicandosi le orecchie appuntite.

Cassandra si sentì avvampare. Nemmeno una settimana, e già i soldati nelle caserme parlavano di lei e di Zharel. E come aveva fatto a dimenticare che Orube era in grado di sentire qualunque cosa succedesse praticamente in tutta l’ala del palazzo? Si concentrò sulla bambina, che nel frattempo aveva allungato le manine verso il cesto per prendere degli altri giocattoli. Era davvero una bambina silenziosa, e non sembrava particolarmente turbata dallo strano ambiente in cui si trovava. 

«Ma non preoccuparti,» continuò Orube, spostando a sua volta lo sguardo su Elysa. «Zharel non è uno che ama vantarsi delle sue conquiste, la catena di pettegolezzi non l’ha certo iniziata lui. Sono felice che abbia trovato una brava ragazza, e non l’ho mai visto così su di giri. Spero che tu sappia che per lui non si tratta solo di una scappatella.» le disse, guardandola seria. 

Cassandra prese le manine di Elysa, per lasciarla scendere dalla sfera in mezzo a loro. Ricambiò lo sguardo di Orube con altrettanta serietà. «Non lo è neanche per me, se è quello che vuoi sapere.»

Orube le sorrise, poi tornò a puntare entrambi i gomiti a terra e a guardare il gruppo di Guardiane nella radura. 

Le ragazze erano finalmente riuscite a trasformarsi e cercavano di attaccare Cedric a turno. Lui però non sembrava avere problemi a difendersi: ad ogni singolo attacco si trasformava in una delle altre quattro Guardiane e riusciva ad estinguere le lingue di fuoco, le tempeste e i rovi spinosi che gli venivano lanciati addosso. Era una particolarità interessante dei suoi poteri che aveva scoperto quasi per caso: quando si trovava fisicamente vicino a coloro di cui assumeva le fattezze, riusciva in qualche modo a copiarne anche i poteri magici. In quel momento, Hay Lin era riuscita a sollevarsi da terra e creare un mulinello di vento che avrebbe dovuto spazzarlo via, ma lui si trasformò in Cornelia ed eresse in pochi secondi un  complesso intreccio di tronchi e rami che lo ricoprivano e lo mantenevano saldo a terra. 

Quando il mulinello si estinse, si fece avanti Will decisa. 

«E con me che cosa intendi fare?» gli disse minacciosa.

Cedric, ancora nelle sembianze di Cornelia, rise beffardo. «Oh, ma tu sei la più facile, Will.»

Will non perse tempo e dai palmi fece uscire un raggio di energia diretto contro di lui. In un istante, Cedric mutò di nuovo e prese le sembianze della stessa Will. Fece lo stesso gesto di Will ed emanò un raggio di energia contro il suo. I due raggi si incontrarono a metà strada e rimasero in equilibrio per un po’, finché Cedric non disse: «Possiamo andare avanti così all’infinito, se vuoi. Siete un gruppo, Guardiane, ed è in gruppo che dovete lavorare. È insieme che potete attaccarmi sul serio, come avete già fatto tante volte in passato.»

Will e Cedric estinsero il raggio di energia nello stesso momento. Le Guardiane si guardarono l’un l’altra, cercando una risposta su come fare per lavorare di nuovo insieme.

Interessata, Orube si sollevò di nuovo a sedere e incrociò le gambe. «Ora ci sarà da divertirsi.» disse, forse anticipando ciò che Cedric stava per fare.

«Avete bisogno di un nemico comune da attaccare, è evidente.» disse lui. Dal centro della radura, Cedric lanciò un’occhiata all’angolo dove si trovavano Cassandra, Orube ed Elysa. Appurato che Elysa non stava guardando in quella direzione, tanto era concentrata sul cestino pieno di giocattoli, Cedric sospirò. «Speravo tanto di non doverlo fare, ma forse questo risveglierà in voi qualche ricordo.»

Lentamente, la pelle di Cedric mutò e si riempì di scaglie verdi, mentre il suo corpo si ingrandiva fino a raddoppiare in altezza. Nel giro di qualche secondo, apparve in quello che molti pensavano fosse il suo vero aspetto: un enorme mostro dalle fattezze di un serpente dalla vita in giù e dal busto antropomorfo, anche se ricoperto di scaglie verdi come quelle di un rettile. Attorno agli occhi era comparsa una sorta di mascherina rossa che lo faceva sembrare ancora più cattivo. 

Cassandra l’aveva visto in quelle sembianze solamente una volta, in battaglia tanti anni prima. Sapeva però che quello non era davvero il suo aspetto naturale, o almeno questo era quello che sosteneva Cedric. Per quanto ne sapeva lei, nessuno aveva mai visto il suo vero aspetto - nemmeno Orube.

Le Guardiane cercarono di attaccarlo tutte insieme, ma i loro incantesimi erano scoordinati e gli elementi opposti sembravano annullarsi tra di loro quando si incontravano nello stesso punto. Cedric non ebbe difficoltà a scacciarli via e non ne venne nemmeno sfiorato. 

Cedric si passò l’enorme mano con gli artigli sul viso. «Così non funziona. Forse serve qualcuno che possa risvegliare ricordi peggiori.» disse, quindi mutò di nuovo le proprie sembianze. La sua sagoma si rimpicciolì fino a raggiungere una statura e delle fattezze umane, i capelli già lunghi si allungarono ulteriormente fino a toccare quasi terra e il viso mutò in quello che tutti a Meridian conoscevano piuttosto bene: un volto asciutto e affilato, occhi grigi, sopracciglia e barba rosse in contrasto con i capelli biondo cenere chiaro. Phobos, il fratello della regina. 

«Se lo vedesse Elyon…» mormorò Cassandra, tornando a concentrarsi su Elysa. 

«L’ha mandato lei a farsi prendere a calci, che si trasformi in chi gli pare mi sembra il minimo.» sbottò Orube. 

Le cinque ragazze provarono di nuovo a unire le forze e attaccare il finto ex tiranno di Meridian, ma di nuovo mancarono il bersaglio. 

Le Guardiane esplosero in una serie di lamenti. «Siamo troppo vecchie!» diceva una, «Ma è così difficile contare fino a tre?» diceva un’altra. 

Cedric nelle sembianze di Phobos sospirò e si portò le mani ai fianchi. Gettò uno sguardo verso Orube, come per cercare una risposta. 

Anche Cassandra guardò Orube. La Guerriera fece un gesto a Cedric indicando verso l’alto con l’indice, come ad indicare il cielo. 

Cedric aggrottò le sopracciglia di Phobos per qualche istante, poi sembrò avere un’illuminazione. Di nuovo mutò il suo aspetto e si rimpicciolì ancora, assumendo le sembianze di un uomo molto più basso di Phobos. Questa volta i lunghissimi capelli biondi sparirono del tutto, lasciando posto al cranio inconfondibile con il tatuaggio del simbolo di Kandrakar. 

Si era trasformato nell’Oracolo. 

Le Guardiane si zittirono a quella visione e lo guardarono con aria interrogativa. 

«È la vostra occasione, Guardiane. Non vorrete deludere Kandrakar anche stavolta.» disse. 

Le Guardiane non ci pensarono due volte e attaccarono di nuovo. Questa volta i loro raggi magici si incontrarono senza estinguersi e formarono un unico raggio variopinto, che andò dritto a colpire la spalla del finto Oracolo, il quale fu spinto a terra. 

«Ha!» gridò Irma. Taranee e Hay Lin si diedero il cinque, e anche Will e Cornelia sembravano soddisfatte. Cedric riprese le proprie sembianze e si alzò a fatica. 

«Non aiutatemi, mi raccomando…» borbottò. «Direi che va bene così, la mia parte l’ho fatta.» disse una volta rialzatosi in piedi. Reggendosi la spalla con l’altra mano, si incamminò un po’ zoppicante verso Cassandra e Orube. 

«Sapevo che con l’Oracolo avrebbe funzionato! E meno male non ti sei trasformato in Endarno!» gongolò Orube, che evidentemente non si preoccupava più di tanto della ferita del compagno - non a Meridian, dove Cassandra e Galgheita avrebbero potuto sistemare qualunque bruciatura o spalla dislocata con il minimo sforzo. 

«Sto bene, grazie per l’interesse!» disse lui sarcastico raggiungendola. Si accasciò a terra accanto a lei, che si limitò a dargli un bacio sulla tempia e poi si alzò a sua volta. Afferrò la sacca che aveva portato con sè e si avviò verso le Guardiane. 

Elysa sgambettò verso Cedric, curiosa. Cedric si distese supino con le gambe piegate e il braccio sano alzato, il polso appoggiato sulla fronte e il palmo girato verso l’alto come a ripararsi da un sole che non c’era. Cassandra frugò nella sua borsa di pelle, alla ricerca della pozione e delle garze che si era portata dietro nell’eventualità che una delle Guardiane rimanesse ferita. 

«Guardiane.» disse nel frattempo Orube raggiungendo il gruppetto. «La magia è la vostra difesa, lo so, ma sapersi difendere da qualunque cosa ci sia nell’altra Meridian anche con le armi non guasta.» Infilò una mano nella sacca e ne estrasse un mazzo di corti pugnali, che allungò alle cinque donne. «Non c’è tempo per insegnarvi a tirare di spada, ma almeno a difendervi da un attacco ravvicinato sì.» disse. 

Elysa si accovacciò accanto a Cedric, studiandolo con i suoi occhioni blu. Quando Elysa allungò una manina verso la spalla di Cedric, Cassandra si gettò in avanti per fermarla, ma non fece in tempo. Al suo tocco, dalla manina di Elysa si generò un alone verde che ricoprì per qualche secondo la spalla di Cedric. 

Cassandra e Cedric guardarono la bambina a occhi sgranati. Attorno alla piccola, una raggiera di sottili venature verdi luminose si era accesa nel prato e si univa al centro nel punto in cui si trovava lei, risalendo il suo corpicino fino a confluire nella sua mano e sulla spalla di Cedric.

Quindi era vero ciò che diceva Elyon, pensò Cassandra. La bambina aveva qualcosa di magico, e quel qualcosa non era necessariamente solo un residuo della magia di Cornelia. 

Elysa emise un risolino contento e staccò la manina dal corpo di Cedric. Lui si rialzò a sedere e si toccò la spalla. Cercò di ruotare l’articolazione e ci riuscì senza troppi sforzi. 

«Interessante.» mormorò lanciando un’occhiata sospettosa alla bambina, che lo guardava sorridente battendo le manine. 

«Ne parlerò con Elyon.» disse Cassandra, avvicinandosi. «Lascia che dia un’occhiata.»

Cedric sbottonò la casacca quel poco che bastava per scoprire la spalla e parte del braccio. 

La bruciatura era quasi del tutto guarita e in poco tempo si sarebbe confusa con il tappeto di cicatrici che ricopriva il busto di Cedric, ma Cassandra imbevve comunque una garza nella pozione verde e ve l’applicò sopra, poi iniziò a fasciare l’articolazione con il resto delle garze. 

Sentì gli occhi di Cedric puntati su di sè e si sforzò di mantenere l’attenzione sul suo lavoro. 

«Che dici, è un buon momento per spiegarmi perché mi eviti e hai mandato quella ragazzina, Yla, a chiedermi un campione di capelli per l’alchimista?» disse lui inarcando un sopracciglio.

Cassandra si sentì di nuovo avvampare. Finì di fasciare la spalla e fermò la garza con una spilla, poi si allontanò da Cedric, prendendo la bambina in grembo. 

«Immagino che Elyon non ti abbia detto dell’ultimo avvistamento. Per sbaglio sono finita di là.» disse abbassando lo sguardo su Elysa, che la guardava dal basso con un enorme sorriso. 

«E…? Cosa c’era di là?» chiese Cedric, anche se gli si leggeva in faccia che già conosceva la risposta.

«All’inizio pensavo solo un miraggio o un impostore, ma i campioni hanno parlato chiaro…» mormorò Cassandra. «Dall’altra parte del portale c’eri tu.»

***

Note: grazie a chi è ancora qui con me a leggere questa storiella! Ammetto che la mia motivazione sta calando, ma farò il possibile per arrivare fino alla fine della pubblicazione! 

Se qui ho urtato il canone per quanto riguarda i poteri di Cedric, chiedo venia - ormai il canone non so quasi più dove stia di casa XD

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Capitolo 13
*** XIII. ***


Nonostante l’accoglienza un po’ fredda e formale, Will doveva ammettere che Elyon non aveva badato a spese e sfarzo per quanto riguardava la sistemazione delle sue ospiti. Ognuna di loro aveva una stanza nella stessa ala del palazzo in cui stavano anche Cedric, Orube e Cassandra oltre ad alcuni consiglieri stretti della regina. Per di più le accompagnatrici della regina, così come il resto del personale del palazzo, provvedevano ad ogni loro bisogno. 

Nella stanza di Will, che si trovava in mezzo tra quella di Cornelia e quella di Hay Lin, troneggiava un grande letto a baldacchino dai drappeggi verde smeraldo e nel camino sulla parete a destra crepitava costantemente una fiammella magica azzurra che poteva rinfrescare o scaldare a seconda della necessità. 

Will si trasformò mentre era ancora nella sua stanza, passando dal lungo vestito violetto che le era stato fornito da Alina alla sua uniforme verde e viola da Guardiana. C’era voluto qualche giorno di pratica, ma ora tutte e cinque riuscivano a trasformarsi senza problemi. 

La sua uniforme era leggermente diversa da quella che indossava vent’anni prima: consisteva ancora di calzamaglia a righe verdi e viola e stivali viola, ma il vestito era un pezzo unico che le arrivava a metà coscia e sfumava dal verde nella parte inferiore al viola nella parte superiore. Mentre il top che indossava da più giovane era a collo alto, il vestito che indossava ora aveva uno scollo abbastanza ampio da lasciar libero il cuore di Kandrakar che ora era fuso con il suo corpo. 

Uscì dalla stanza e si guardò attorno nel lungo corridoio illuminato da fiaccole azzurre. Bussò alle porte delle sue compagne, una alla volta. 

Le altre apparvero dopo pochi secondi nel corridoio, anche loro già trasformate. 

«Siete pronte?» chiese Will. 

«Prima si va, prima si torna a casa.» sospirò Taranee. A Will mancava Matt da morire e non vedeva l’ora di tornare sulla Terra per riprendere con lui da dove avevano lasciato, ma non poteva nemmeno immaginare come si sentisse Taranee lontana da suo marito e suo figlio. 

Cornelia lanciò un’ultima occhiata dietro le spalle alla propria stanza. Aveva lasciato Elysa con Alina, almeno finché Cassandra non fosse rientrata dalla foresta, ed era visibilmente preoccupata nonostante Alina avesse dimostrato di avere esperienza con i bambini piccoli. 

Le cinque formarono un cerchio nel corridoio e Will allungò la mano verso il centro. Le quattro compagne fecero lo stesso e quando le loro mani si toccarono, un lampo di luce rosetta le investì e il gruppo delle Guardiane di Kandrakar sparì dal corridoio. 

¤¤¤ 

Cedric camminava avanti e indietro tra due alberi nel buio della foresta, non molto distante da dove Cassandra aveva trovato il portale. Era più nervoso del previsto. Le Guardiane sembravano aver ripreso confidenza con i loro poteri, ma era chiaro che non erano più abituate a lavorare in squadra, e quello che andavano a fare ora era un lavoro di squadra. 

Lanciò un’occhiata al piccolo gruppetto che l’aveva seguito nella foresta e che ora aspettava con lui l’arrivo delle Guardiane. Orube sedeva a pochi passi da lui su un tronco steso a terra ed era intenta a lucidare la spada messa di traverso sulle gambe. Cassandra era china sul grosso vaso di terracotta che avevano portato con loro, dal centro del quale cresceva un girasole alto quasi quanto lei da in piedi, e controllava che il terriccio all’interno fosse posizionato bene. A un passo da lei si ergeva in tutta la sua statura Zharel, il Capitano. Cedric avrebbe preferito non avere attorno anche quel bellimbusto, ma Cassandra aveva insistito che il suo nuovo fidanzato avrebbe potuto rendersi utile in casi di emergenza e Orube sembrava apprezzare la compagnia del militare, il che non lo rendeva di certo più gradito a Cedric. 

La rivelazione di Cassandra su ciò che aveva visto di là dal portale l’aveva piuttosto turbato. Avrebbe dovuto immaginare che se di là c’era un’altra Meridian, era probabile che ci fosse anche un’altra versione di se stesso. Ma era un Cedric malvagio o un Cedric redento?  E lavorava per Phobos, per Elyon o per qualcun altro? O forse l’altro Cedric non era tenuto al guinzaglio da nessuno e agiva solo per se stesso? 

Cassandra gli aveva detto che il Cedric che aveva incontrato di là non le sembrava malvagio, da quello che aveva potuto percepire al loro contatto. 

Al loro contatto… dall’altra parte dell’universo, evidentemente Cedric e Cassandra erano amanti. Cedric guardò Orube, che ora aveva alzato la spada e ne guardava il riflesso alla luce della grossa luna piena del Metamondo. Se dall’altra parte Cedric era in una relazione con Cassandra… dov’era Orube? Forse non si erano mai conosciuti. Si sentì precipitare immaginando di vivere in un mondo in cui lei non esisteva. 

Un lampo di luce a pochi passi da Cassandra lo riscosse dai suoi pensieri. Anche Orube alzò lo sguardo dal suo lavoro sulla spada e si alzò in piedi. 

Le Guardiane apparvero nella loro forma magica ancora in cerchio, tenendo le mani al centro. Appena toccarono il suolo della foresta ruppero la loro formazione e si guardarono attorno per individuare le sagome di Cedric, Orube e Cassandra. Rimasero stupite nel riconoscere che anche Zharel era con loro. 

«Anche la dislocazione continua a funzionare, vedo. Bene, potrebbe servirvi.» disse Cedric, poi fece un cenno a Cassandra. Lei si chinò a prendere il suo solito cestino di vimini da terra, nel quale aveva disposto cinque piccole bottigliette riempite con un liquido trasparente e dei piccoli sacchetti di iuta. Distribuì le bottigliette e i sacchetti a ciascuna delle Guardiane.

«Allora, ripasso veloce: le bottigliette contengono…» iniziò Cassandra.

«…la pozione per diventare invisibili. Dobbiamo berla ora e sbrigarci per portare il compito a termine prima che svanisca l’effetto.» la interruppe Hay Lin afferrando la sua bottiglietta. 

«E questi sono i semi che dobbiamo piantare nel giardino del palazzo. Dobbiamo piantarli nel terreno, non in vasi, perché devono raggiungere le radici delle piante del giardino e da lì estendersi fin sotto al palazzo.» disse Cornelia passandosi il laccio del sacchetto di iuta attorno al collo. 

«Noi controlleremo il collegamento da qui,» disse Cedric indicando il vaso con il girasole di fianco a Cassandra. «Cassandra ne ha piantati alcuni in quel vaso e io potrò controllare se il collegamento si è instaurato. Non sono abbastanza potente da percepire cosa succede al di là o comunicare con voi, ma almeno posso dire se ha funzionato.»

Seguì un momento di silenzio, durante il quale le Guardiane finirono di sistemarsi il sacchetto di iuta al collo. 

«È tutto chiaro?» chiese Cedric. 

«Cristallino: beviamo la pozione, andiamo a piantare tanti semini magici nel giardino del palazzo e poi via di corsa.» recitò Irma.

Cedric si limitò ad annuire. Come lo irritava Irma, non ci riusciva nessuno. 

Fecero strada alle Guardiane verso il punto in cui si trovava il portale. Cedric accese una fiammella azzurra sul palmo della mano, in modo che tutti riuscissero a distinguere i contorni di quello che sembrava una sorta di velo trasparente che ondeggiava sospeso per aria. Era difficile distinguerli alla luce del giorno, specialmente se non si era consapevoli della loro presenza, ma una volta individuati quei portali erano abbastanza visibili, specialmente alla luce delle fiamme magiche. 

Le Guardiane stapparono quasi all’unisono la loro bottiglietta di pozione e la bevvero. Cassandra era davvero in gamba con quelle pozioni che sembravano sempre funzionare subito, infatti nel giro di pochi secondi le cinque donne sparirono alla loro vista. 

«Ehi, attenta a dove metti i piedi, Irma!» si lamentò la Guardiana dell’aria. 

«Oh, scusa, pensavo che foste già andate!» rispose l’altra. 

«Teniamoci sotto braccio e andiamo al mio tre.» disse Will. «Uno… due… tre!»

Cedric vide le onde verticali del velo trasparente incresparsi e diventare circolari per un momento, poi scese di nuovo il silenzio. 

¤¤¤ 

Dopo aver attraversato il portale, Will si guardò alle spalle. Cedric e gli altri erano scomparsi e dietro di loro potevano solamente distinguere le sagome degli alberi illuminate dai raggi dell’enorme luna del Metamondo. 

«Sono spariti, siamo dall’altra parte!» esclamò Taranee. 

«Avete visto come si guardano male Cedric e il Capitano? Secondo me qui è in corso una soap opera!» commentò Irma. 

«Forse Cedric è invidioso dei muscoli del Capitano!» ridacchiò Hay Lin. 

«No no, te lo dico io, è perché il Capitano gli ha tolto l’osso con cui giocava, altroché!» ribatté l’altra. 

«Ragazze, non è il momento per i gossip!» le riprese Will. «Ora dobbiamo raggiungere l’ala del palazzo in cui si trova il giardino reale. Per arrivarci dobbiamo attraversare una parte del villaggio nei pressi del palazzo, ma a quest’ora dovrebbe essere deserto.» disse, poi si rivolse a Hay Lin. «Riesci ad orientarti con il fruscio delle foglie?»

Will non poteva vedere Hay Lin, ma immaginò che avesse chiuso gli occhi e si stesse concentrando su ciò che udiva. 

«Sì,» confermò lei, «Il villaggio è verso destra.»

In fila indiana e tenendo una mano sulla spalla della compagna di fronte, le Guardiane si incamminarono verso la direzione indicata da Hay Lin, che era in testa alla specie di trenino che avevano formato. Non sapevano esattamente quanto tempo avrebbero avuto, quindi si mossero a passo svelto per cercare di raggiungere il villaggio il prima possibile. 

Will non avrebbe saputo dire quanto avevano camminato quando sbucarono nel corto pezzo di terra che separava la foresta dal villaggio che si sviluppava a sud del palazzo di Meridian. 

Il villaggio che si ritrovavano davanti però non sembrava affatto deserto come avevano previsto: era invece illuminato a festa e dalla loro posizione potevano scorgere le piccole luci bianche che ricordavano delle lune piene in miniatura, sospese per aria tra numerose bancarelle, le strade gremite di gente come se fosse in atto una festa del paese. Da lontano udivano anche una musica simile a quella che sulla Terra era considerata tipica dell’epoca medievale. Era davvero in corso una sorta di fiera. 

«E ora?» chiese Hay Lin. 

«Suppongo che dovremo passarci in mezzo… di buono c’è che è talmente pieno di gente che nessuno ci farà caso se pestiamo i piedi a qualcuno.» disse Cornelia.

«Non capisco perché non possiamo dislocarci, non sarebbe più semplice?» si lamentò Irma.

«Perché non sappiamo se il giardino è dove dovrebbe essere e non possiamo permetterci di abbagliare il palazzo come se niente fosse!» rispose Taranee seccata.

«Il fiume di persone è al centro della strada, se passiamo dietro alle bancarelle probabilmente non ci sarà quasi nessuno e saremo più veloci.» constatò Will. 

«D’accordo, ma non riusciremo ad infilarci subito nella strada principale.» commentò Cornelia. «Guarda laggiù, l’ingresso è stipato di gente!»

«Forse possiamo entrare da un vicolo laterale e raggiungere la strada principale una volta dentro. Andiamo, non possiamo perdere tempo!» 

Le Guardiane ripresero la loro marcia in fila indiana dirette verso il villaggio e si infilarono nel primo vicolo che sembrò loro meno popolato. Ritrovare la via principale però non fu così semplice: si scontrarono più di una volta con vicoli ciechi, che le costrinsero a ripercorrere i propri passi e cambiare direzione. Dopo un tempo imprecisato riuscirono a ritrovare la via principale, anche se non sapevano più a che altezza del villaggio si trovavano e quanto mancava ai cancelli del palazzo. Cercarono di camminare rasente ai muri delle case, dietro alle bancarelle, in modo da incrociare meno persone possibili. 

La fiera in corso doveva essere un evento legato in qualche modo al plenilunio, perché non solo le luci sospese per aria ricordavano la grossa luna piena che illuminava la città, ma anche molte bancarelle erano piene di gingilli e amuleti con la forma della luna nelle sue varie fasi. Altre bancarelle invece vendevano ogni sorta di strana pietanza e bevande, con una visibile maggioranza di chioschi che vendevano grossi boccali di birra. 

Qua e là sulla strada pendevano anche degli stendardi rossi che riportavano uno stemma che Will non aveva mai visto: una rosa rosso chiaro su sfondo porpora. Will non sapeva a chi appartenesse quello stemma, ma di certo non era quello di Elyon. 

«Certo che chiunque sia al potere qui, deve essere uno simpatico.» sussurrò Irma. «Questa gente sembra molto più allegra rispetto agli abitanti immusoniti che abbiamo visto di là.»

Will non rispose, ma doveva riconoscere che Irma aveva ragione. Lo stesso villaggio che stavano attraversando ora non era immerso nella stessa atmosfera allegra dall’altra parte: di là non era solo il cielo ad essere spesso grigio e nuvoloso, ma anche gli abitanti sembravano molto più tristi rispetto a come erano anni prima e Will faceva fatica ad immaginare una fiera di quella portata nella Meridian attuale di Elyon. 

Riuscirono ad arrivare alla recinzione del palazzo di Meridian senza troppi intoppi, a parte qualche Meridiano un po’ brillo e barcollante che avevano dovuto prontamente schivare. Per essere passate attraverso una fiera del paese non era andata male, ma ci avevano messo comunque decisamente più tempo del previsto.

«Eccolo, il giardino reale!» sussurrò Cornelia. 

Le Guardiane si affacciarono alla recinzione di ferro, oltre la quale potevano intravedere da alcuni scorci nella siepe che lo circondava il giardino privato di chiunque fosse sul trono a Meridian. Al centro del giardino brillava una piccola fontana dalla quale sgorgava acqua cristallina. Attorno ad essa si allargava un raggio di piccole stradine ricoperte di ghiaia candida, e sul prato curato alla perfezione erano distribuiti diversi vasi di ceramica e di terracotta di varie tonalità di rosso, ognuno dei quali ospitava una varietà di piante diverse. Tra un vaso e l’altro crescevano anche piante e cespugli fioriti direttamente dalla terra. Quelli sarebbero stati il loro obiettivo.

La siepe che racchiudeva il giardino era invece un roseto costellato di rose color porpora come lo sfondo dello stemma che Will aveva visto nella fiera. 

«E ora come andiamo dall’altra parte?» chiese Taranee. 

«Qui c’è un cancello!» esclamò Hay Lin da poco più in là. Le altre si spostarono verso il punto da cui proveniva la voce della Guardiana dell’aria. Will vide che in quel punto la recinzione era interrotta da un piccolo cancello, che si confondeva con il resto della recinzione di ferro se non fosse stato per la piccola serratura a metà altezza. 

Will appoggiò il palmo sulla serratura e cercò di raccogliere l’energia del cuore di Kandrakar su di essa. Non sarebbe mai stata in grado di piegare le aste di ferro della recinzione, ma una serratura così piccola non doveva essere difficile da far esplodere. 

Sentì la serratura riscaldarsi fino a diventare rovente, ma il palmo della sua mano era tutt’uno con l’energia del cuore di Kandrakar e il ferro incandescente non la bruciò, quindi  continuò a scaldarsi finché qualcosa non esplose all’interno del meccanismo. Improvvisamente Will percepì la temperatura del ferro e ritirò immediatamente la mano. 

Il cancello si aprì producendo un sommesso cigolio e le Guardiane ebbero via libera per il giardino del o della regnante di Meridian. 

«Wow, Will, hai via libera per una carriera da scassinatrice!» commentò Irma mentre si addentravano in punta di piedi nel giardino. 

«Svelte, non sappiamo quanto tempo abbiamo ancora! Distribuite i semi attorno alle piante e sotto la siepe! Cornelia li sotterrerà.» disse Will, avviandosi già verso il cespuglio più vicino. 

Sentì che le altre si muovevano nel giardino a loro volta e dopo qualche istante vide la terra attorno al cespuglio di cui si stava occupando muoversi, inglobando i semi gialli che vi aveva posato sopra. Cornelia stava controllando la terra del giardino per far sprofondare i semi. 

«Acqua, Irma!» disse Cornelia da un punto attorno al centro del giardino.

«E calore, Taranee! Cassandra ha detto che se non ne ricevono abbastanza non riusciranno ad attecchire ed estendersi!» aggiunse Will. 

Nel giro di qualche istante, da due punti diversi del giardino partirono dei rivoli d’acqua e delle deboli linee luminose che si incrociavano formando una sorta di ragnatela sul prato. Will seguì con lo sguardo i rivoli d’acqua fino a risalire alla fonte da cui provenivano e… Vide perfettamente la sagoma di Irma chinata a terra, con una mano sul prato a generare quei fiumiciattoli!

Guardò in basso, verso le proprie mani: erano di nuovo visibili!

«Porca miseria!» inveì. «Ragazze, l’effetto della pozione sta svanendo! Ci abbiamo messo troppo tempo ad arrivare qui!»

Anche le altre si guardarono attorno, riconoscendo le proprie sagome a vicenda. I rivoli d’acqua e di calore si interruppero. 

«Non possiamo interrompere ora! Servono più acqua e calore, altrimenti saremo venute qui per niente!» esclamò Cornelia.

Irma e Taranee si inginocchiarono di nuovo a terra e toccarono il terreno con i palmi, riformando la rete di acqua e luce. 

Anche Will si chinò e toccò la terra con una mano per saggiarne la temperatura. Era ancora fredda. 

D’un tratto, le linee generate da Taranee non furono più l’unica fonte di luce nel giardino oltre alla luna. Il giardino fu illuminato improvvisamente da una luce dorata che proveniva dall’interno del palazzo, precisamente da dietro una porta a vetri ad arco. Non l’avevano proprio vista! 

Un’alta figura in controluce si stava dirigendo verso la vetrata e aveva già una mano sulla maniglia della porta. Accanto alla figura, una leggermente più bassa ma ben piazzata. 

«…assicurati che ogni famiglia a valle riceva il cesto di pane magico del plenilunio.» stava dicendo l’uomo più alto mentre apriva la porta che dava sul giardino.

«Sì, mio signore.» disse l’altro.

«Puoi andare.» 

Will tastò di nuovo il terreno. Era tiepido, ma non caldo come avrebbe dovuto essere. Avevano bisogno di più tempo. Si accovacciò dietro al cespuglio in modo da nascondersi e pregò che le sue compagne stessero facendo lo stesso, anche se i rivoli d’acqua e luce avrebbero parlato chiaro. 

Si sbilanciò quel poco che le bastava per intravedere da dietro al cespuglio chi era uscito dal palazzo. 

Non riuscì a trattenere un’esclamazione di sorpresa quando riconobbe l’uomo alto, dai capelli lunghissimi dello stesso colore di quelli di Elyon, con la corona di luce che gli risplendeva sul capo.

¤¤¤ 

«A quest’ora dovrebbero essere già sulla via del ritorno. Vogliamo provare?» disse Cassandra. 

Cedric annuì e si avvicinò al grosso vaso con il girasole. 

Orube e Zharel lo seguirono e rimasero in piedi a un passo da lui. 

Cedric si inginocchiò e posò un palmo aperto sul terriccio del vaso. 

Con la coda dell’occhio vide Orube poco dietro di lui piantare la punta della spada nel terreno e appoggiarvisi sopra come se fosse un bastone. La vide dare una gomitata a Zharel accanto a sè e borbottare: «Ti senti mai inutile n queste missioni in cui ci portano solo per avere qualcuno che tagli la testa ai possibili mostri?»

Zharel ridacchiò. «Io almeno la magia la so usare. È che mi piace di più usare la spada.»

Cedric roteò gli occhi. Che sbruffone! Gliel’avrebbe fatto vedere volentieri cosa voleva dire saper usare la magia, ma non era quello il momento. Chiuse gli occhi e si concentrò sull’energia vitale che percepiva nel vaso di terra. 

Cercò con la mente l’energia proveniente dai semi gialli piantati da Cassandra, ma riuscì a sentire solo quella del girasole che si trovava lì davanti a lui. 

Cercò ancora, ma i semi gialli non emanavano calore e sembravano essere spenti come prima di piantarli.

Cedric ritirò la mano. «Nulla.»

«Forse ci stanno ancora lavorando.» disse Orube.

Cassandra guardò preoccupata in direzione del portale. «Se sono ancora nel giardino, probabilmente verranno viste! Non credo che la pozione funzionerà ancora a lungo.»

«Credete che abbiano bisogno di aiuto?» chiese Zharel, posando una mano sull’elsa della spada che portava alla cintura.

Cedric si rialzò in piedi e gli scoccò un’occhiataccia. «Non credo che presentarci nell’altro mondo armati fino ai denti aiuterà a nascondere il nostro sistema di spionaggio.»

Orube si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla, guardando verso il portale. «Le ragazze sono in gamba e hanno sempre portato a termine le loro missioni. Sono sicura che ce la faranno anche stavolta.»

¤¤¤ 

«Ma che diavolo…» disse il re dell’altra Meridian guardando sbalordito la ragnatela di acqua e luce che tappezzava il suo giardino. 

Will non ebbe il tempo di ragionare su una strategia, quindi uscì dal suo nascondiglio e si preparò a lanciare un’onda di energia verso il suo vecchio nemico, Phobos in carne ed ossa. 

Fu anticipata da Hay Lin, che alzò una tempesta di sabbia e polvere nel giardino in modo da nasconderle il più possibile dalla vista di Phobos. «Andiamo, ragazze!» urlò alle sue compagne.

Irma e Taranee si rialzarono da terra e iniziarono a correre verso il cancello, seguite da Cornelia. Will fece per muoversi nella stessa direzione, ma Phobos aveva fatto in tempo ad individuarla prima di essere accecato dalla tempesta e allungò una mano verso di lei. Dal suo palmo partì un raggio di luce rossa, che quando la raggiunse la immobilizzò a mezz’aria. 

Avvicinandosi a fatica in mezzo alla tempesta di sabbia, Phobos le gridò «Cosa volete? Vi manda mia sorella dall’altra parte, vero?»

«Sì, e per l’ennesima volta ti prenderemo a calci nel sedere!» urlò Irma poco dietro a Will. Con la coda dell’occhio Will vide le sue compagne dietro di lei unire le mani e generare un fascio di luce bianca, circondato da linee luminose blu, grigie, verdi e rosse, e dirigerlo contro Phobos. 

Lui fu però abbastanza veloce da allungare l’altra mano e contrastare quel fascio di luce con un altro fascio rosso, che sembrò quasi assorbire quello generato dalle Guardiane. 

Dopo aver estinto l’attacco delle Guardiane, Phobos spinse entrambe le mani avanti e generò una sorta di bolla rossa che spinse tutte e cinque le Guardiane contro la recinzione del giardino. 

«Ditele che non ho nessun interesse per il suo mondo e che mi lasci in pace! Ha già fatto abbastanza danni a Meridian, non permetterò che ne faccia ancora!» gridò lui spalancando con un’altra onda di energia il cancello da cui le ragazze erano entrate. 

Frastornate, le Guardiane si aiutarono a vicenda a rialzarsi in piedi. 

«Guardie!» tuonò nel frattempo Phobos. «Non costringetemi a cacciarvi con le cattive!»

«Andiamocene!» gridò Will, confusa, e allungò una mano davanti a sè, invitando le altre a fare altrettanto. 

Le altre unirono le mani alla sua e in un bagliore rosato scomparvero dal giardino di Phobos. 

¤¤¤ 

Cedric appoggiò di nuovo il palmo della mano sul terriccio del vaso. Se non avesse trovato il collegamento nemmeno stavolta, significava che era davvero successo qualcosa di strano di là oppure che i semi non funzionavano come dovevano. 

Chiuse gli occhi e cercò l’energia vitale dei semi che erano piantati nel vaso. Sentì uno strano calore sotto il palmo della mano, un’energia che lo attirava quasi dentro al vaso. Nella sua mente comparvero uno dopo l’altro dei puntini gialli luminosi, simili a stelle. Non riuscì più a percepire l’ambiente attorno a sè: nel giro di qualche istante era talmente immerso in quella sorta di cielo stellato che non avrebbe più saputo dire dove fosse e chi fosse lì con lui. 

D’un tratto, ognuna delle stelle gialle che vedeva nella sua mente si diramò in un piccolo fascio di luce. Seguì con lo sguardo la direzione di quei nuovi fasci di luce e si ritrovò catapultato in un secondo cielo, nel quale si trovavano gli estremi di quei fasci di luce: altre stelle gialle luminose!

«Cedric!» udì chiamare in lontananza. Era una voce famigliare, ma proveniva da lontano ed era ovattata. 

«Cedric! Tutto bene? Cosa sta succedendo? Ha le convulsioni!» disse di nuovo la voce. Riuscì a riconoscerla: era la voce di Orube. Cedric si girò per ripercorrere i suoi passi nel cielo stellato e tornare da dove era venuto, ma si sentiva perso e non riusciva a ritrovare la strada. 

Sentì che due mani lo prendevano per le spalle e lo sollevavano. 

Fu come svegliarsi da un incubo: era senza fiato e il cuore gli batteva all’impazzata nel petto. Mise a fuoco la pianta di girasole che emergeva fiera dal vaso davanti a sè e i contorni degli alberi della foresta attorno a lui. 

Orube si accovacciò accanto a lui, le mani ancora sulle sue spalle. «Ma cos’è successo? È stato il collegamento?»

Cedric la guardò stralunato. «S-sì… ma non riuscivo più ad uscirne!»

Anche Cassandra gli si avvicinò. «Ci hai fatto prendere un bello spavento, d’un tratto i tuoi occhi sono diventati strani e hai iniziato ad avere delle convulsioni! Non pensavo che sarebbe stato così… mi dispiace!»

Cedric tentò di alzarsi, sorreggendosi a Orube. Gli occhi gli bruciavano e si sentiva senza forze. Si sforzò di sorridere a Cassandra. «Non ti preoccupare. Elyon è molto più potente di me, riuscirà a controllarlo molto meglio.»

«Questo significa che le Guardiane ce l’hanno fatta, no?» si intromise Zharel. 

«A quest’ora però l’effetto della pozione sarà sicuramente svanito.» mormorò Cassandra stropicciandosi le mani. «E dovrebbero essere già rientrate da un pezzo!»

«Io dico che dovremmo andare di là!» disse Zharel.

Cedric si raddrizzò a fatica e gli si parò di fronte. Era leggermente più basso del Capitano, ma non era minimamente intimorito da Zharel. «Per l’ennesima volta, non facciamo un favore nè a loro nè ad Elyon andando a menar le mani dall’altra parte!»

Zharel fece per ribattere, ma fu interrotto dal rumore di qualcosa che cadeva e rotolava a terra a pochi passi da loro. Si voltarono tutti e quattro in direzione del portale e le videro: le Guardiane si erano gettate nel portale ed erano atterrate a terra dalla loro parte. Cassandra e Orube corsero verso di loro. Erano ammucchiate quasi una sopra l’altra e visibilmente doloranti. 

«Siete tutte intere?» chiese Orube posando una mano sulla spalla di Will. 

La Guardiana del cuore di Kandrakar si sollevò da terra con i palmi e prese la mano di Orube per rialzarsi. 

«Sì…» iniziò ansimando per la corsa, «Ma credo che dovremo svegliare Elyon.»

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Capitolo 14
*** XIV. Intermezzo ***


I soli di Basiliade erano due punti rossi all’orizzonte quando Lankos iniziò ad intravedere la casupola della sua famiglia. Si risistemò sulla schiena la pesante sacca che aveva portato con sè fino alla Cittadella e che conteneva i suoi lavori migliori, tra pugnali, spade corte e un elmo, ma anche opere più fini come calici di rame decorati e ornamenti vari. La fatica di portarsi dietro il suo lavoro migliore era stata ripagata: ora tornava a casa da sua moglie e dalla sua bambina con una buona notizia. Sarebbe diventato il nuovo armaiolo maestro della Cittadella, gliel’aveva detto Ipitlos in persona!

Finalmente non avrebbero più dovuto abitare al limitare del villaggio e viaggiare per ore ogni volta che dovevano andare al mercato, perché avrebbero avuto un alloggio alla Cittadella come gli altri lavoratori “ufficiali” del nuovo ordine. E soprattutto, non sarebbero più andati al mercato con le monete contate, pregando che il prezzo della farina, della stoffa o del bestiame non fosse improvvisamente aumentato rispetto all’ultima volta, perché la paga per il suo nuovo impiego era buona e gli avrebbe permesso di provvedere alla sua famiglia senza più soffrire un giorno di fame. 

La sua bambina, Ezra, avrebbe potuto finalmente andare nella scuola istituita dal nuovo ordine per quelli del villaggio senza dover partire all’alba, e sua moglie Nira non avrebbe più dovuto spaccarsi la schiena nei campi per raccimolare qualche moneta in più per arrivare a fine giornata. 

Non vedeva l’ora di entrare in casa, dare la notizia a Nira e vedere la sua faccia. La prima cosa che avrebbe fatto con la sua nuova paga sarebbe stata dare a Nira abbastanza denaro per comprarsi una bella stoffa al mercato, di quelle che non aveva mai potuto permettersi, per fare un bel vestito per sè e per Ezra. 

Quando raggiunse la casupola, stava quasi correndo nonostante la stanchezza di aver camminato per ore con quella sacca pesante quanto lui sulla schiena. Aprì la porta con un gran sorriso e si liberò subito della sacca appoggiandola a terra, producendo un assordante frastuono. Si guardò attorno nella stanza che lo accoglieva, che fungeva per loro da cucina, sala da pranzo e stanza da letto di Ezra allo stesso tempo, ma non trovò nessuno. 

Attraversò la stanza girando attorno al vecchio tavolo di legno, per andare nella loro camera da letto. Trovò solamente il vecchio letto malconcio e disfatto, senza alcuna traccia di sua moglie o sua figlia. 

Uscì dalla casupola e andò sul retro, dove avevano un piccolo orticello e una seconda piccolissima capanna in cui tenevano gli attrezzi per lavorare la terra. 

Nessuno. 

Ma dov’erano andate? Quello non era un giorno di mercato, quindi era impossibile che fossero andate fino al centro del villaggio senza una buona ragione. 

Prese a camminare nell’orticello, indeciso sul da farsi. Raggiunse il limitare della loro piccola proprietà, dove si trovava quello strano cumulo di massi e piccole rocce che sembravano essere comparse dal nulla in quei giorni. 

Si sedette su una di esse, appoggiando un gomito sul ginocchio e il capo sul palmo. 

Che fossero andate da Gryza, l’anziana guaritrice che viveva nell’unica capanna ancora più lontana dal villaggio della loro? Lankos lanciò un’occhiata alle proprie spalle. Poteva intravedere la casupola di Gryza in controluce là dove i soli stavano tramontando. Gli sembrava che la casupola ondeggiasse, come accadeva spesso quando il sole era alto e il calore sembrava far ondeggiare gli oggetti all’orizzonte.

Scavalcò il tumulo di rocce e si decise ad andare in quella direzione. Era l’unico posto in cui potevano essere. 

A un passo dal tumulo di rocce ebbe una strana sensazione, come di un brivido che lo percorreva lungo la schiena. Guardò ancora nella direzione della casupola e gli sembrò che tutto davanti a sè stesse ondeggiando, come se vi fosse un velo trasparente tra lui e il resto. 

Che strano gioco di luce, pensò. 

Mosse un passo in avanti e- 

Anzichè atterrare con il piede sul terreno, sentì che precipitava nel nulla. Il sole, il paesaggio, la casupola di Gryza all’orizzonte sparirono di colpo e lasciarono spazio al buio.

Ebbe la sensazione di cadere nel vuoto, ma non stava cadendo davvero: era sospeso in quello che sembrava un immenso cielo stellato. Tutto attorno a lui era blu scuro e le stelle brillavano in lontananza. Davanti ai suoi occhi fluttuavano altri massi e rocce simili a quelle che aveva visto pochi istanti prima, alcune almeno dieci volte più grosse. 

Sentì freddo e iniziò a mancargli l’aria nei polmoni. Annaspando si gettò un’ultima occhiata attorno. Era nel cielo, non c’erano dubbi. 

Prima che la vista lo abbandonasse, fece in tempo a vederle. 

Sua moglie e la sua bambina fluttuavano nel cielo a pochi passi da lui, completamente congelate. 

L’ultima cosa che Lankos vide fu Ezra stretta nell’abbraccio della madre, entrambe addormentate per sempre. 

¤¤¤ 

«Ci sono novità da Meridian, Signore.» disse la voce femminile dietro di lui. 

«Lo so già, mia fedele amica. I due mondi si conoscono a vicenda, ora è giunto il momento di giocare le nostre carte per portare Lei da noi.» disse l’uomo, continuando a dare le spalle alla donna. 

«Non sarà facile, Phobos non sembra intenzionato ad attaccare. Le Guardiane la informeranno e potrebbero anche mettersi a collaborare con Phobos per chiudere la faglia.»

«Hai ragione, ma dimentichi che anche questa Elyon è instabile, anche se non grazie a noi. Sentirà solo quello che vuole sentire. Noi dobbiamo solo provocarla.»

«Cosa pensi di fare, quindi?» chiese la donna.

L’uomo fece una pausa, affacciandosi al bacile. Toccò la superficie del liquido e dal suo tocco si generarono una serie di cerchi concentrici di increspature. 

«Fai convocare Phobos. È giunta l’ora di spiegargli che questo non è il momento per essere pacifisti.»

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Capitolo 15
*** XV. ***


Stesa nel letto accanto a lui, Orube si girò su un fianco e puntò il gomito sul letto per rialzarsi quel tanto che bastava da guardare Cedric dall’alto. Con la punta delle dita iniziò a percorrere i piccoli rialzi creati dalle cicatrici che gli ricoprivano il torace, resi più evidenti dalla luce soffusa che veniva dalla fiammella azzurra nel camino. 

«Dopo tutti questi anni, ancora non le fai sparire…» disse.

Cedric allungò un braccio verso l’alto, osservandosi il bicipite che così come il resto della parte superiore del suo corpo era stato vittima della divisa infernale con cui Phobos l’aveva torturato. Ora che era di nuovo in possesso dei suoi poteri, avrebbe potuto farle sparire in un battito di ciglia se avesse voluto. 

«Mi ricordano uno degli errori più grandi che ho fatto in vita mia.» disse lui, poi abbassò il braccio che aveva alzato e prese il viso di Orube con la mano. I riflessi di quella luce azzurrina facevano strani scherzi con gli occhi di Orube, che in quel momento sembravano verde acceso. «Mi ricordano che posso sopravvivere a tutto, tranne alla tua assenza nella mia vita.»

Orube gli sorrise e si chinò a baciarlo, stringendosi di più a lui. Il contatto con il corpo nudo di lei contro il suo sotto le coperte gli fece realizzare che voleva di nuovo fare l’amore con lei, quindi le cinse la vita con il braccio e si girò sul fianco, premendo di più il corpo contro quello di lei. Lei lo lasciò fare e gli passò anche una gamba sopra al fianco per fargli spazio, ma si staccò dalla sua bocca per guardarlo dritto negli occhi. 

«Devo dirti una cosa.» disse seria. 

«Non può aspettare?» Cedric si fece di nuovo avanti, cercando di nuovo la sua bocca, ma lei lo deviò girando la testa. 

«È l’unico modo per non metterti nei guai con Elyon. Credo che stia sbagliando a voler attaccare Phobos e dobbiamo fare qualcosa. Io non manderò i miei uomini finché non saprò perché si ostina a voler muovere guerra. E soprattutto non voglio che ti mandi in prima fila a farti ammazzare.» disse lei tutto d’un fiato, poi lo baciò di nuovo. 

Questa volta fu Cedric a farsi indietro, guardandola sconcertato. Come sempre, quando aveva qualcosa da dire contro Elyon lo faceva negli unici momenti che la regina non riguardava nella sua mente.

«E che cosa dovremmo fare? Hai sentito la regina, ha già ordinato a Zharel e al Generale di tenersi pronti. E poi se ci sarà una guerra ci sarai anche tu in prima fila a combattere per Ipitlos.» 

«Per me è diverso,» disse lei, «e come ho detto, farò di tutto per convincere Ipitlos a non scendere in campo. La mia gente sta scomparendo ed Elyon pensa solamente a usare i nostri eserciti per i suoi capricci anziché aiutarci a capire cosa sta succedendo. Non manderò i miei Guerrieri a morire per un altro tiranno.»

Cedric la guardò stralunato. Quel commento non sarebbe mai sfuggito a Elyon, quindi tanto valeva scavare fino in fondo. «Un… tiranno? Ma che stai dicendo?»

Orube si allontanò da lui, alzandosi a sedere sul letto. «Dimmi, Cedric, che differenze vedi tra questa Elyon e il Phobos per cui lavoravi? Quando le Guardiane ti hanno mostrato ciò che hanno visto di là, hai detto che Elyon qui ha bandito le feste per il plenilunio da qualche anno proprio come aveva fatto il Phobos dalla nostra parte. L’hai ammesso tu stesso che l’atmosfera di Meridian degli ultimi anni è praticamente la stessa di quando c’era lui. E hai visto con i tuoi occhi che l’altro Phobos non è un tiranno e non ha interesse nel nostro mondo, quindi perché muoversi contro di lui se non per un delirio di onnipotenza?»

Anche Cedric si alzò a sedere accanto alla compagna. Aveva appena detto qualcosa che anche lui pensava, anche se si sforzava di spingere quel pensiero giù nelle profondità più nascoste del suo animo in modo da non svelarlo a Elyon. 

«E io cosa dovrei farci? Lo sai che ho le mani legate. Se Elyon vuole la guerra, avrà la guerra e non sarò di certo io a convincerla del contrario. Una parola storta e sai che fine mi aspetta.» sospirò. 

Anche Orube sospirò. Piegò le ginocchia e vi appoggiò i gomiti, poi nascose il viso tra i palmi. «Sono stanca, Cedric. Sono stanca di averla continuamente tra noi e di come ti tiene al guinzaglio. Ci ha costretti a sancire i due Legami e grazie a quelli può sfruttare mio fratello quanto le pare e piace. Una volta tanto forse possiamo fare leva anche noi su quei Legami, no?»

Cedric si girò dall’altra parte, perdendosi per qualche istante nei giochi di luce della fiammella azzurra. Doveva sforzarsi di non dire ciò che aveva sulla punta della lingua da giorni, non ora. 

«…o no?» insistette lei. «So quanto rischi, ma questa volta abbiamo le Guardiane dalla nostra parte, e non sottovaluterei l’influenza di Cassand…»

«…Elyon sa che noi non possiamo portare avanti l’alleanza.» la interruppe Cedric. «Se uso i Legami per ricattarla, cercherà semplicemente un’altra coppia mista che possa portarla avanti, ammesso che non l’abbia già fatto. E non c’è bisogno di specificare che mi spedirà a calci nella sua prigione.»

Ecco, l’aveva detto. Bravo, Cedric, si disse. Non ascoltare mai te stesso quando ti dai un buon consiglio. Chiuse gli occhi e serrò la mascella, rimanendo girato dall’altra parte. Sapeva di aver colpito un punto delicatissimo e non aveva il coraggio di affrontare lo sguardo di Orube. 

Sentì che Orube si allontanava, dandogli la schiena mentre si sedeva sul bordo del letto. Cedric si voltò e la vide agguantare i propri vestiti appoggiati su uno sgabello accanto al suo lato del letto. 

«Sono la sorella e il braccio destro di Ipitlos, fondatore del nuovo ordine di Basiliade. Legame o non legame, se non voglio che Elyon abbia i miei uomini, ti garantisco che non li avrà. Anche se non posso darti dei figli non sono inutile quanto credi.» sibilò a denti stretti mentre si infilava i pantaloni. 

Cedric allungò una mano verso di lei, senza però riuscire a raggiungerla perché lei si alzò in piedi. Si girò e gli piantò uno sguardo duro addosso. Lui non riuscì ad evitare che il suo sguardo scendesse sul suo corpo e si soffermasse sulla vita, poco sopra la cintura, dove il gioco di luci ed ombre della fiammella del camino rimarcava la presenza di una grossa cicatrice che attraversava il ventre scolpito di Orube da parte a parte. 

Cedric si sentì assalire da una tristezza immensa, rendendosi conto di quanto le sue parole dovevano aver ferito la compagna. «Non intendevo dire questo.» mormorò. 

«Se ci tenevi tanto ad avere dei figli, dovevi lasciarmi morire là, nella mia terra, con l’onore che mi spettava per aver portato mio fratello alla vittoria, e trovarti un’altra compagna.» disse lei con voce ferma, quindi afferrò la propria blusa. 

Cedric rimase a bocca aperta per qualche istante. Ma come le venivano in mente certi discorsi? Scosse la testa, mentre lei si infilava la casacca sopra alla testa. «Ma cosa stai dicendo? Non mi è mai importato nulla dei figli e continuerà a non importarmene!»

La testa di Orube sbucò dal collo della camicia e di nuovo lei gli piantò addosso quei due occhi ormai inferociti. «E allora perché continui a farti avvelenare la mente da Elyon? Perché continui a vedere la tua vita come una prigione, invece di apprezzare la libertà di passare la tua vita con me?»

«Perché la mia vita È una prigione!» sbottò Cedric. Si rese conto troppo tardi di ciò che aveva detto e di come Orube l’avrebbe interpretato, perché lei strinse i pugni e a grandi falcate raggiunse la porta della loro stanza. Afferrò con gli artigli i suoi stivali e spalancò la porta. Prima di uscire, si voltò di nuovo verso di lui e sibilò: «Io non ho avuto scelta quando hai deciso di farmi vivere, ma tra l’onore e una vita insieme a te avrei scelto sempre te, quindi ti sono grata di avermi riportata indietro. Ma a quanto pare per te non è lo stesso.» e uscì sbattendosi dietro la porta. 

Cedric affondò il viso tra le mani, sentendosi precipitare. Era in grado di progettare discorsi strategici con chiunque anche in situazioni che non gli davano il tempo di pensare, ma con Orube riusciva sempre a dire la cosa sbagliata nel modo sbagliato. Cosa le portava a fare quelle cicatrici, se alla fine continuava a fare sempre gli stessi errori?

E soprattutto, come gli era saltato in mente di tirar fuori la questione dei figli e della politica dietro al Legame? Orube aveva ragione, quello era solo il veleno di Elyon. Grazie a quel veleno, non riusciva più a vedere ciò che aveva avuto sotto al naso per tutti quegli anni: una vita felice insieme a Orube. Cedric ripensò a quando erano su Basiliade, e a quando avevano combattuto insieme nelle fasi finali della guerra contro Phobos, dopo che lui aveva riacquisito i poteri e la capacità di trasformarsi. Insieme funzionavano come una macchina, mettendo insieme le sue capacità magiche con l’abilità di Orube nel combattimento come in una coreografia. Il loro affiatamento sul campo gli aveva fatto dimenticare che erano in una guerra, perché era semplicemente felice di stare con lei. 

I problemi arrivarono dopo, quando Elyon si ritrovò a decidere se rinchiuderlo in prigione e buttare la chiave, nonostante il suo contributo non indifferente nella vittoria contro il fratello, o smettere di cercare di allontanarlo e tenerlo invece ben stretto al guinzaglio, sfruttandolo al massimo per le sue potenzialità. Elyon non era certo una stupida, quindi aveva scelto la seconda opzione e ne aveva approfittato per estendere la sua influenza anche sul pianeta di Orube. 

Cedric non riusciva a biasimarla: ai tempi in cui lui era sotto al servizio di Phobos, avrebbe suggerito al principe di fare lo stesso. Ma Phobos era un tiranno, cosa che Elyon almeno sulla carta cercava di non essere. 

Sia lui che Orube non erano affatto entusiasti dei Legami, anche se per motivi diversi. Lei perché non era d’accordo sulla decisione affrettata di Ipitlos di cedere a un’alleanza con Elyon, e lui perché quell’accordo segnava l’inizio della sua prigione psicologica. Ma avevano dovuto accettare per far sì che Cedric non finisse a marcire nei sotterranei di Meridian.

Per tutti quegli anni, Cedric aveva visto quell’accordo come il baratto di una prigione per un’altra. Ma Orube aveva ragione e finalmente era riuscita ad aprirgli gli occhi: il prezzo che pagava a Elyon non era per evitarsi la prigione fisica, ma per la libertà di essere felice con la donna che amava. Per quella libertà avrebbe pagato qualunque prezzo, non aveva dubbi. 

Se solo ci fosse arrivato prima, avrebbe conservato anche un ricordo migliore del giorno dei loro Legami. Da fuori doveva essere sembrato un matrimonio di quelli fuori dal comune, in cui Elyon non aveva badato a spese e aveva dato sfoggio di tutta l’opulenza che poteva offrire, data la presenza dei Guerrieri di rango più alto del nuovo ordine e dei nobili del Metamondo. 

Ricordava che Orube indossava un lungo vestito color porpora, chiuso sul seno da una mezza armatura di rame che le copriva in parte le spalle, e indossava una sorta di elmo, anch’esso di rame, che le copriva solo la fronte e il naso e poi si perdeva in una cresta di pennacchi dello stesso colore del vestito e che scendeva fino alle spalle. Anche Ipitlos, che doveva celebrare il Legame di Basiliade, portava un copricapo simile, ma con la cresta color ambra come i suoi occhi. 

Lui invece portava una veste azzurra dal taglio tipico di quelle di Meridian, con una sopraveste senza maniche altrettanto lunga, più scura e decorata con fini riccioli d’argento. Quello fu l’ultimo giorno in cui indossò una veste azzurra di Meridian, dopodiché non ne volle più sapere.

Quando si erano ritrovati davanti a Elyon e Ipitlos e di fronte a un pubblico così vasto e ostile verso di lui che a Cedric girava la testa solo a ripensarci, Orube si era sforzata di sorridergli e gli aveva stretto la mano per rassicurarlo che sarebbe andato tutto bene. 

Ma Cedric quel giorno non riuscì a viverlo come quello che doveva essere, perché non riusciva a togliersi quel peso nel cuore della libertà che avrebbe perso da lì a poco. 

Quanto era stato stupido! Se avesse potuto tornare indietro, avrebbe detto a se stesso di aprire gli occhi e guardare quella donna meravigliosa davanti a sè: il prezzo che pagava era per avere lei!

Cedric fece per alzarsi dal letto e allungò la mano verso i suoi vestiti, ma si bloccò con il braccio a mezz’aria. Ogni volta che litigavano, Orube spariva per qualche ora nella notte, probabilmente arrampicandosi sul tetto del palazzo per andare a sbollire la sua rabbia sotto alle stelle. Sarebbe ritornata come tante altre volte a notte fonda, quando avrebbe potuto parlarle con calma e dirle ciò che provava.

Non avrebbe affrontato Elyon direttamente: non sarebbe servito a nulla. Ma Orube aveva ragione su tutto: avevano le Guardiane dalla loro parte e probabilmente anche Kandrakar. L’unica possibilità che aveva era puntare su di loro e su Cassandra, che poteva portare dalla loro parte il Capitano dell’esercito di Elyon.

***

Fu svegliato da un frastuono metallico proveniente da qualche parte in fondo al corridoio, probabilmente dal refettorio di quell’ala del palazzo, come di vassoi di argento che cadevano a terra. Balzò a sedere, senza fiato. La fiammella azzurra si era estinta, quindi era nel buio più totale. Tastò con la mano sul materasso alla sua sinistra per cercare Orube, ma trovò il letto vuoto. 

Non era ancora tornata. 

Cercò a tentoni i suoi vestiti e se li infilò in fretta, quindi corse verso il refettorio. 

La luce argentata della luna piena, che entrava dalle alte finestre ad arco, illuminava le forme del lungo tavolo di legno e le credenze dell’ampio refettorio. L’attenzione di Cedric fu subito catturata da un bagliore proveniente dal pavimento: due vassoi d’argento erano caduti dalla credenza, che aveva uno sportello aperto penzolante nel vuoto, come se qualcuno ci avesse sbattuto contro. 

Accanto al vassoio d’argento, una macchia scura larga quanto una spanna si estendeva sul pavimento. Sangue. 

Cedric sentì dei passi dietro di sè e si voltò. Will, Taranee e Hay Lin erano appena accorse dal corridoio opposto a quello da cui era sbucato lui. Indossavano camicie da notte praticamente identiche, che probabilmente erano state date loro da Alina. 

Dal corridoio dietro di loro, Cedric udì in lontananza il pianto di una bambina. Probabilmente quel frastuono aveva spaventato Elysa. 

«Ma che è successo?» chiese Hay Lin passando in rassegna il refettorio, fino a soffermarsi sui vassoi d’argento a terra. 

«Non ne ho idea, ma forse puoi dircelo tu. Evidentemente c’è stata una lotta.» disse Cedric, seguendo la direzione dello sguardo di Hay Lin verso i vassoi a terra. 

Hay Lin impiegò qualche istante a capire cosa intendesse Cedric, poi si riscosse come illuminata da un’improvvisa rivelazione. Raggiunse il punto in cui i vassoi erano a terra, quindi si accovacciò e ne prese uno in mano. «Non odiarmi, Elysa…» mormorò, poi chiuse gli occhi, alzò il vassoio un po’ più in alto e lo lasciò cadere a terra, riproducendo così il clangore che li aveva svegliati poco prima. 

Mentre il rumore metallico ancora risuonava nell’aria, Hay Lin, sempre ad occhi chiusi, iniziò ad elencare ciò che riusciva a sentire - o vedere? Cedric non era sicuro di come funzionasse quello strano potere della Guardiana dell’aria. 

«Due persone… due uomini! Hanno assalito una donna qui, nel refettorio.»

Cedric avanzò di un passo verso di lei, appoggiandosi con una mano allo schienale di una delle sedie attorno al tavolo. Anche Will e Taranee si avvicinarono, tese. 

«…c’è stata una lotta… La donna ha colpito uno dei due uomini… è lui che ha perso sangue. Ma l’altro uomo ha bloccato la donna con la magia. Poi sono spariti.»

Cedric aumentò la presa sullo schienale della sedia di legno. «Sai chi era la donna che hanno preso?» chiese, mentre una sensazione di terrore si faceva largo nel suo stomaco. 

Hay Lin riaprì gli occhi e accennò un no con la testa. Aprì bocca per parlare, ma al posto suo fu un’altra voce a rispondere: «Lo so io chi è la donna che hanno preso, Cedric.» Era la voce di Elyon, che era apparsa in silenzio dietro a Will e Taranee, avvolta in una vestaglia di seta verde scuro decorata d’argento. I suoi occhi erano cerchiati e con le cornee tappezzate di capillari rossi, come era successo a Cedric quando era uscito dalla connessione con l’altro mondo. «Hanno preso Orube.»


***

Note - Finalmente un po’ di Cedrube! Se vi interessa leggere qualche altro missing moment della loro storia in questo AU, trovate su AO3 una storiella in inglese dedicata a loro e ad un altro personaggio di cui in questa storia si sente la mancanza… la trovate qui.

Non so se la pubblicherò anche in italiano, non mi pare che ci sia del gran interesse qui per questa storia, quindi se qualche anima sta effettivamente seguendo e apprezzando dovrà accontentarsi della versione inglese dell’altra storia e di qualunque cosa mi verrà in mente di scrivere dopo - sorry ma pubblicare qui è troppo frustrante :( 

alla prossima

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Capitolo 16
*** XVI. ***


«Entra, ma parliamo piano - Elysa si è appena riaddormentata.» sussurrò Cornelia. Will entrò nella sua stanza in silenzio e Cornelia richiuse la porta dietro di lei. 

«Allora? Che è successo?» chiese. 

«Orube è stata rapita. Elyon è convinta che siano quelli dell’altra Meridian e vuole attaccare il prima possibile! Era stranissima quando è arrivata, con quegli occhi rossi…» disse Will. 

Cornelia incrociò le braccia al petto. «Ma com’è possibile? Phobos ha detto di non aver interesse per il nostro mondo… perché mai farebbe una cosa del genere?»

«Lo so, non ha senso! Ma Elyon aspettava solamente un pretesto che confermasse che avevamo torto e che doveva attaccarlo… e ora eccoci qua!»

Cornelia scosse la testa e prese a misurare la stanza, tenendo le braccia incrociate al petto. «No, qui c’è qualcosa che non torna. Deve esserci stato un malinteso, forse se andassimo noi di là prima che Elyon mandi il suo esercito potremmo risolvere la situazione parlando con Phobos!»

Prima che Will potesse ribattere, qualcuno bussò piano alla porta. Will era più vicina, quindi la aprì, ritrovandosi davanti Cedric e Cassandra. 

«Se andate di là, verrò con voi.» disse lui, il volto terreo. 

«Da quanto stavate origliando?» sussurrò Cornelia avvicinandosi alla porta e allargando le braccia in un gesto di protesta. 

«Non mi serve spiarvi per sapere che intenzioni avete, vi conosco abbastanza bene da prevedere le vostre mosse da eroine.» ribatté Cedric. 

«Rimarrò io con Elysa.» si intromise Cassandra. «Voi muovetevi, Elyon ha già mandato Zharel in caserma a preparare i suoi!»

«E le altre?» chiese Will. 

«Forse è meglio se andiamo solo noi, muovendoci solo in tre e lasciandole all’oscuro forse c’è qualche speranza che Elyon non venga a saperlo in un battibaleno.» disse Cornelia, quindi la sorpassò e uscì dalla stanza. Sorpassata la soglia, si voltò per guardare Elysa, che dormiva tranquilla al centro del letto matrimoniale, poi guardò Cassandra in silenzio. Cassandra si limitò ad annuire con il capo, sorridendole per rassicurarla. 

***

«Non capisco perché non ti trasformi in modo da assomigliare al Cedric di questa parte.» sussurrò Will a Cedric mentre avanzavano furtivi nel grande ingresso del palazzo della Meridian alternativa, che era praticamente identico in tutto a quello della “loro” Meridian, tranne per il fatto che i colori e le decorazioni erano sul rosso. 

«Infatti!» intervenne Cornelia. «Cassandra ha detto che è diverso da te!»

Cedric sbuffò. «Avete visto che è bastato un semplice incantesimo per far credere alle guardie che sono davvero lui. Finché si tratta di soldati e personale del palazzo, non ho bisogno di trasformarmi e andare in giro indossando quelle tuniche. E quando incontreremo l’altro me o Phobos, qualunque travestimento sarà inutile perché scopriranno la verità in un attimo.»

Will tacque, incassando quella risposta che effettivamente era ineccepibile. Non riusciva però a spiegarsi tutta questa avversione verso le vesti di Meridian, che Cedric aveva sempre indossato ai tempi di Phobos. Forse il problema era proprio quello. 

«Come vuoi.» disse Cornelia. «Ma piuttosto, qual è il nostro piano? Cosa diremo esattamente a Phobos? “Ehi, spoiler alert: la nostra regina sta per attaccarvi?”»

Will la guardò inarcando la sopracciglia. Erano bastati pochi giorni insieme e già Cornelia mostrava gli effetti della presenza di Irma nella sua vita. «Forse potremmo chiedergli di far intervenire l’Oracolo della Kandrakar di questa parte, ammesso che ce ne sia uno. Se il Phobos che abbiamo incontrato è ragionevole come sembra, forse non è come cane e gatto con l’Oracolo di qua.»

«La prima cosa da fare è trovare Orube.» asserì Cedric, secco. «Ma è una buona idea, forse l’Oracolo di qua ha più sale in zucca del nostro.»

«Ma a proposito, che fine ha fatto il nostro Oracolo? Hai avuto notizie?» chiese Cornelia rivolgendosi a Will, mentre attraversavano il lungo e stretto corridoio che li avrebbe portati al grande salone a cui affluivano tutte le ali del palazzo, inclusa quella che avrebbe portato al quartiere reale. 

Will fece spallucce. «Io ho mandato i miei ricordi a Yan Lin tramite il cuore di Kandrakar, ma non ho ancora ricevuto riscontro. Francamente non credo che l’Oracolo abbia intenzione di intromettersi in una guerra senza senso…»

Cornelia sospirò. «Speriamo che da questa parte siano più con i piedi per terra…»

Raggiunsero la porta alla fine del corridoio, oltre la quale doveva trovarsi il salone centrale. Cedric fece loro cenno di fare silenzio: il salone era l’ultimo spazio che li separava dai quartieri reali e dall’altra parte potevano trovare chiunque andasse e venisse da qualunque ala del palazzo. 

***

Questa volta Phobos ha davvero preso un abbaglio, pensò Cedric mentre si chiudeva la porta della sala del consiglio del re alle spalle. Si incamminò lungo il corridoio che l’avrebbe portato al salone centrale. La Guerriera di Basiliade aveva parlato chiaro e i suoi ricordi ancora di più: anche l’altra Elyon era delirante e non voleva sentire ragioni. Non era come avevano fatto credere a Phobos una manovra per vendicare Basiliade. A Phobos avevano detto che dall’altra parte erano convinti che fosse stato lui a distruggere il pianeta, ma la Guerriera non era nemmeno al corrente della distruzione di Basiliade dalla loro parte! Era tutto solo un capriccio della regina, che per qualche motivo voleva annientare il fratello a tutti i costi! Rapire la Guerriera li avrebbe solamente cacciati in un bel guaio, Cedric lo sapeva fin dall’inizio. 

La Guerriera di Basiliade, Orube si chiamava… dall’altra parte era sua moglie e il loro matrimonio teneva in piedi un’alleanza tra il Metamondo e Basiliade. E da questa parte, invece, non si erano mai conosciuti perché probabilmente lei aveva fatto la stessa fine del suo pianeta. Ora sì che riusciva a spiegarsi la reazione dell’altra Kendrel quando l’aveva incontrata nella foresta. 

Cedric scosse il capo mentre gli mancavano ormai pochi passi alla porta che l’avrebbe condotto al salone. Assurdo come certe cose erano così diverse tra una parte e l’altra… 

***

Cedric aprì la porta, quindi Will e Cornelia lo seguirono al di là. 

Davanti a loro si aprì un enorme salone circolare, dal pavimento rosso con decorazioni a riccioli d’oro, a differenza di quello della loro Meridian che era blu con decorazioni d’argento. Il salone era più illuminato rispetto alle altre stanze e corridoi, perché al posto di un normale soffitto, dai muri che lo circondavano si estendeva un’alta cupola di vetro, che permetteva di vedere perfettamente il cielo stellato e la luna sopra di loro. 

Vi erano diverse porte di legno rosso scuro attorno al salone, ognuna diretta verso un quartiere diverso. 

Cedric cercò di orientarsi per capire quale fosse la porta che li avrebbe condotti verso i quartieri di Phobos, ma la risposta gli venne data dall’aprirsi di una di esse, quasi esattamente dall’altra parte del salone. 

Will trattenne il fiato e percepì che Cornelia e Cedric facevano lo stesso, quando da dietro l’altra porta apparve una figura che riconobbero al primo sguardo.

***

Se stesso.

Cedric rimase pietrificato ritrovandosi davanti quel trio, dall’altra parte del salone. Riconosceva le due donne come due delle Guardiane di Kandrakar dell’altro mondo, che aveva visto nei ricordi della Guerriera di Basiliade. E in testa al gruppetto c’era lui, il Cedric dell’altra parte.

L’aveva già visto nei ricordi della moglie, ma rimase comunque meravigliato nel vedere quella versione di se stesso così diversa, con la barba, pendagli d’argento e di rame da tutte le parti e con vesti così lontane da quelle di Meridian. 

Allungò un passo verso di loro e aprì bocca per parlare, ma l’altro Cedric fu più veloce e gli gettò contro un raggio di luce azzurrina che lo paralizzò e gli premeva sulla trachea, impedendogli di parlare e respirare. 

«Dov’è?» sibilò il Cedric con la barba avvicinandosi, gli occhi ridotti a due fessure. Le due donne lo seguirono, incerte. 

Cedric annaspò, cercando di respirare, ma non riusciva a parlare.

«Cedric… forse se allenti la presa…» disse la donna dai capelli rossi da dietro la spalla del suo alter ego. 

Ma l’altro Cedric non accennava a diminuire la potenza del suo incantesimo. Con uno sforzo sovrumano, Cedric lo fissò negli occhi e tentò di mandargli un’immagine con il pensiero. 

Seppe di esserci riuscito quando l’altro Cedric sgranò gli occhi e allentò la presa sulla sua trachea, mantenendolo immobilizzato ma almeno in grado di respirare. 

Gli aveva mandato l’immagine della Guerriera come l’aveva lasciata, tranquillamente seduta al tavolo del consiglio con Phobos che le riempiva il calice di vino.

«È stato un errore…» disse Cedric con voce roca non appena sentì che la sua trachea era abbastanza libera. «Ci hanno fatto credere che voleste vendicare Basiliade… ma tua moglie ci ha detto la verità, che il problema non è Basiliade, il vero problema è…»

«…sono io, vero?» tuonò una voce femminile da un altro lato del salone. 

Tutti si voltarono verso quella direzione. Cedric trasalì, per quanto gli fosse possibile nel suo stato di paralisi. Elyon, la regina di Meridian, era nel salone rosso, con dietro di sé un gruppetto di soldati in verde capitanati da un individuo dai capelli argento, e puntava un palmo nella sua direzione. 

L’ultima cosa che Cedric vide fu un raggio di luce blu generarsi dal palmo della regina e colpirlo, togliendolo dal raggio paralizzante dell’altro se stesso e facendolo andare a sbattere violentemente contro la parete del salone.

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Capitolo 17
*** XVII. ***


Will si coprì la bocca con le mani. Elyon non ci aveva messo molto a capire cosa stava succedendo e li aveva raggiunti con Zharel e un gruppo di soldati scelti. 

Seguì con lo sguardo l’altro Cedric andare a sbattere contro la parete e accasciarsi a terra, con un rivolo di sangue che gli colava dal naso. Non ebbe il tempo di chiedersi se era morto o solo svenuto, perché la furia di Elyon si spostò verso di loro. 

«Mi hai stancato, serpe!» urlò la regina contro il Cedric del loro mondo. Le iridi di Elyon erano strane, come attraversate da un luccichìo innaturale, e le cornee erano ancora più rosse di quando era apparsa nel refettorio poco prima, dandole un aspetto a dir poco terrificante. 

«Elyon, calmati!» gridò Cedric, tendendo le mani avanti. 

«Sapevo che ti saresti messo di nuovo in combutta con Phobos, il tuo beniamino! Ora farò quello che avrei dovuto fare molto tempo fa!» urlò lei, quindi tese entrambe le mani avanti verso di lui e generò di nuovo un raggio azzurro diretto contro il suo petto. 

Il raggio investì Cedric in pieno, ma questa volta senza spingerlo contro la parete come era successo al suo sosia. Tramite il raggio di energia, Elyon lo sollevò da terra mantenendolo immobilizzato. In pochi istanti il raggio sembrò ingrandirsi dalla parte di Elyon, fino ad inglobarla in una sfera luminosa. A Will parve di vedere delle onde azzurrine generarsi dal corpo di Cedric e andare ad affluire nel grosso raggio di energia che nutriva la sfera attorno ad Elyon. 

***

Cassandra si rialzò in piedi a fatica, reggendosi allo stipite della porta spalancata della camera di Cornelia con una mano e a Taranee con l’altra. Il pianto di Elysa, accovacciata sul letto dietro di lei, era assordante.

Elyon l’aveva colpita al ventre con un’onda di energia, facendola cadere a terra come un sacco di patate. 

«Sei tutta intera? Ci hai fatte spaventare!» disse Hay Lin. 

«S-sì, sto bene.» balbettò Cassandra. «Dobbiamo andare, non c’è tempo! Elyon sa che Will, Cornelia e Cedric sono andati dall’altra parte!»

«Sono andati dove?!» esclamò Irma. «E a far che? E perché non ci hanno chiamate?»

«Vi spiegherò strada facendo! Alina!» chiamò Cassandra, ma si rese conto che la sua voce era troppo debole. 

Taranee si affacciò sul corridoio e chiamò Alina a voce più alta. 

Si udirono dei passetti leggeri e veloci provenire dal fondo del corridoio. Alina comparve nel buio correndo verso di loro. Quando raggiunse la stanza, spalancò gli occhi vedendo Cassandra piegata in due. «Cassandra… ehm, Lady! State bene?» si allarmò. 

«Sì, sto bene. Pensa alla bambina, non abbiamo tempo di spiegare!» disse l’altra. «Andiamo, Guardiane!»

***

«Sta assorbendo la sua energia!» gridò Cornelia. 

Gli occhi di Cedric erano completamente bianchi e anche i suoi capelli sembravano più chiari. Elyon lo stava prosciugando, dovevano fare qualcosa al più presto. 

Will portò le mani al petto, verso il cuore di Kandrakar. 

«Brava, Will!» cantilenò Elyon con un sorriso inquietante. La sua voce sembrava essere diventata più roca e bestiale. «Usa il cuore di Kandrakar, prometto di non assorbire la sua energia!» 

Will si bloccò e guardò Cornelia, che era separata da lei solo da Cedric, ormai esanime. 

Cornelia si girò verso Elyon e il suo piccolo esercito e si rivolse a Zharel, che era in piedi a pochi passi dalla regina e pareva impassibile, anche se nel suo sguardo si leggeva una nota di sofferenza. 

«Zharel, ti prego! Aiutateci!» gli gridò. 

Zharel guardò la regina alla sua sinistra e deglutì. A Will sembrò quasi che stringesse di più la presa sulla lancia che teneva in mano e che stesse per alzarla da terra, ma fu distratta da un altro grido proveniente dalla porta che conduceva ai quartieri di Phobos. 

«NO!» 

La porta da cui era spuntato l’altro Cedric pochi secondi prima era spalancata e sulla soglia vi erano Phobos e Orube, che aveva gridato quando aveva realizzato chi fosse la vittima di Elyon. 

Phobos allungò fulmineo una mano verso la sorella e la colpì con un raggio rosso. Elyon non si scalfì e rimase circondata dalla sfera luminosa azzurra, ma la sorpresa fu sufficiente a farle interrompere il collegamento con Cedric. 

Orube si fiondò verso Will, Cedric e Cornelia dall’altra parte del salone, mentre Cedric si accasciava a terra incosciente, gli occhi bianchi spalancati. 

***

«Mi dispiace, Milady. Abbiamo l’ordine di non far passare nessuno.» disse il soldato di guardia al portone del palazzo, senza scomporsi. Gli altri due che facevano la guardia insieme a lui rimasero immobili ai suoi lati come statue.

Cassandra allungò di nuovo la mano verso di lui, corrugando la fronte nello sforzo di arrivare alla sua mente. 

«Ho detto che ci lascerete passare.» scandì di nuovo a denti stretti.

«E io ho detto che abbiamo l’ordine di non far passare nessuno.» ripeté il soldato, impassibile.

«Mi sa tanto che le tue abilità Jedi sono ancora lontane da quelle di Cedric.» commentò Irma. 

Cassandra si girò furiosa verso di lei. «E come proponi di passare, allora?»

Irma fece spallucce. «Semplice! Alla vecchia maniera! Ragazze?» disse rivolgendosi alle altre due. 

Le tre Guardiane tesero le braccia verso il soldato al centro e da ciascuna delle loro mani si generò una fiamma, un mulinello e un getto d’acqua. Quando si incontrarono a una spanna dal soldato al centro, i tre elementi si unirono in una bolla che andò ad investire i tre soldati, mandandoli a sbattere violentemente contro la porta. 

I tre soldati si accasciarono a terra, intontiti. «Svelte, andiamo!» disse Taranee, quindi le tre Guardiane si affrettarono verso la porta e la aprirono con una spinta. Cassandra arrancò dietro di loro e le seguì all’interno del palazzo. 

***

«Tu!» ringhiò Elyon contro il fratello. «Finalmente!»

Phobos allargò le braccia come in segno di resa. «Elyon, non ha senso farci la guerra, piuttosto dobbiamo collaborare per chiudere quei portali! Mi avevano convinto che voleste vendicare Basiliade, ma ho capito che…»

«Non mi interessa Basiliade! Chiunque abbia distrutto quel pianeta vi ha fatto un favore!» urlò Elyon.

Will notò che Orube, inginocchiata su Cedric, si girava di scatto verso la regina, scoccandole un’occhiata furente.

«Sei tu quello che mi interessa!» continuò Elyon, con gli occhi sempre più rossi. «Hai qualcosa che mi serve e me lo prenderò!» quindi tese entrambe le braccia verso il fratello e generò un raggio azzurro simile a quello che aveva lanciato contro Cedric.

Phobos riuscì a contrattaccare con un raggio rosso. I due attacchi si incontrarono a metà strada, formando dei piccoli raggi irregolari bianchi che andavano a scontrarsi con vari punti del pavimento, le pareti e il soffitto di cristallo.

La sfera luminosa che inglobava Elyon si estese gradualmente fino a ricoprire uno dei soldati di Zharel, che ne venne praticamente assorbito. Gli occhi e i capelli del soldato diventarono bianchi di colpo e la pelle verde scuro tramutò in un grigio pallido, finché non si accasciò a terra. 

Gli altri soldati si allontanarono dalla sfera come potevano, mentre Zharel, con l’orrore negli occhi, gridava di ritirarsi. 

Ma che voleva dire Elyon? Voleva assorbire Phobos?  E cosa voleva ottenere da lui? Will non ebbe il tempo di farsi troppe domande, perché qualcuno le posò la mano sulla spalla. 

Era l’altro Cedric, che in silenzio le aveva raggiunte dall’altro capo del salone. 

«Ascoltami, Guardian-» iniziò, ma furono interrotti da una forte scossa di terremoto, che fece perdere loro l’equilibrio. Cedric continuò, alzando la voce per farsi sentire nel frastuono. «Phobos può reggere per un po’, ma da solo cadrà presto. Dovete cercare di rallentarla per farmi guadagnare un po’ di tempo!»

Cornelia si avvicinò, traballando insieme al pavimento. «E che cosa intendi fare, tu? Fuggire?»

«Certo che no! So chi può fermare Elyon, ma devo andare a prenderlo! Ho solo bisogno che Phobos resista abbastanza a lungo!» poi si rivolse a Orube, inginocchiata a terra mentre stringeva il suo Cedric a sé. «Guerriera! Prendi quella porta.» le disse, indicando una porta al di là di Elyon, dietro al punto in cui si trovavano i soldati fino a poco prima. «Scendi le scale alla fine del corridoio e segui il cammino finché non troverai una porta verde. È l’unica di tutto il palazzo, non puoi sbagliare. Lì troverai qualcuno che può aiutarlo.»

Orube non se lo fece ripetere due volte, quindi passò un braccio sotto la schiena di Cedric e l’altro sotto le ginocchia e si alzò in piedi apparentemente senza sforzo. Quando iniziò a correre verso la direzione che l’altro Cedric le aveva indicato, gli occhi ormai del tutto rossi con le iridi quasi bianche di Elyon scattarono verso di lei. La regina liberò una mano dall’attacco che stava lanciando al fratello e la puntò verso Orube. 

Il raggio che le lanciò addosso però non riuscì a colpirla: colpì invece lo scudo di Zharel, che in un balzo si era messo in mezzo. Al contatto con il raggio di Elyon, lo scudo di Zharel si accese di una forte luce bianca che sembrava bloccare l’attacco almeno temporaneamente. 

«Corri, Orube!» le gridò Zharel, piegandosi sotto lo scudo. La Guerriera accelerò la sua attraversata della stanza, fino a raggiungere la porta. La spalancò con un calcio e fu inghiottita dal buio del corridoio al di là di essa. 

***

«Dove diavolo siamo?» chiese Taranee mentre svoltavano la terza rampa di scale strettissime. 

«Che razza di giro ci hai fatto fa-» iniziò Irma rivolgendosi a Cassandra, ma una scossa di terremoto costrinse le quattro donne a reggersi alle pareti di quella minuscola scalinata o al gradino successivo. 

«Mi sa che i fuochi d’artificio sono già iniziati. Muoviamoci!» esclamò Hay Lin. 

Le Guardiane ripresero a salire la scala, con Cassandra che le seguiva un po’ più indietro. 

«E per la cronaca, questa è l’unica strada che conosco per arrivare ai quartieri reali perché passa dal mio laboratorio, ma almeno io ne conosco una!» sbottò Cassandra mentre reggendosi alla parete arrancava su per le scale. 

«E meno male che nessuna di noi soffre di claustrofobia!» ribatté Irma da più in alto. 

Cassandra aprì la bocca per rispondere, ma fu bloccata da un rumore proveniente da più in alto in cima alle scale.  Erano passi veloci, misti a un tintinnio di metallo. Qualcuno le stava scendendo di corsa verso di loro. 

Anche le Guardiane si immobilizzarono, tenendosi aggrappate alle pareti della scala per non cadere a causa delle scosse. 

Dalla cima della rampa di scale che stavano salendo spuntò una figura longilinea, che sembrava portare qualcosa o qualcuno tra le braccia e si precipitava giù dalle scale in fretta, con una stabilità notevole considerando le mani impegnate e le scosse continue di terremoto. 

Con un gesto della mano, Taranee aumentò la potenza delle piccole fiaccole che illuminavano la scala, per riuscire ad inquadrare meglio la figura che correva verso di loro.

«Orube!» esclamarono le Guardiane all’unisono. 

Anche Cassandra la riconobbe e trasalì nel riconoscere che il qualcuno che Orube portava tra le braccia era  Cedric, che sembrava senza vita. 

Orube si bloccò a metà scalinata sopra di loro e le guardò a bocca aperta. 

«Ma che…» iniziò, ma si scosse immediatamente e continuò ad avanzare. «Non importa, andate avanti! In cima alle scale attraversate l’atrio e prendete l’ultima porta! Io devo scendere e portarlo in una stanza dalla porta verde…» 

«Ma che è successo?» chiese Taranee.

«È… vivo?» mormorò Hay Lin.

Prima che anche Irma potesse aprir bocca per commentare, si intromise Cassandra avvicinandosi a loro. «Ragazze, non c’è tempo! Andate! Orube, so dov’è la stanza dalla porta verde e posso portartici: è il mio laboratorio!»

***

Lo scudo di Zharel non ebbe vita lunga e si sgretolò in pochi secondi, giusto il tempo di consentire a Orube di passare e di rendere Elyon ancora più furiosa dinnanzi il tradimento del suo Capitano. Il raggio andò a colpire Zharel in pieno, il quale si accasciò a terra ai piedi di Will e Cornelia. 

«Dobbiamo fare qualcosa, Will!» urlò Cornelia per farsi sentire dall’amica al di sopra del frastuono causato dalle scosse di terremoto. 

Elyon non sembrava essersi resa conto della fuga dell’altro Cedric, ma Phobos dava segni di cedimento e presto l’attacco di Elyon l’avrebbe raggiunto, prosciugandolo di tutte le sue energie. 

Le energie… l’idea arrivò a Will come una secchiata d’acqua gelida: l’energia era il suo elemento, quello che nessuno capiva a cosa servisse e cosa facesse davvero, e la risposta era proprio lì, davanti ai suoi occhi. 

Portò una mano al cuore di Kandrakar incastonato nel suo petto e inspirò profondamente. Allargò le braccia e avanzò verso Elyon a testa alta: il cuore di Kandrakar era l’unico oggetto in grado di assorbire energia almeno quanto riusciva a farlo Elyon, e lei era l’unica in grado di governarlo. Se fosse riuscita ad assorbire abbastanza energia da Elyon, forse Phobos sarebbe stato in grado di bloccarla almeno per un po’. 

«Will! No!» sentì Cornelia gridare alle sue spalle. Ma Will avanzò decisa ed entrò nella sfera luminosa che circondava Elyon. 

Elyon si girò di scatto verso di lei, senza mollare la presa su Phobos che ormai era inginocchiato a terra, e puntò il palmo verso il cuore di Kandrakar. 

Will chiuse gli occhi. Cercò di individuare l’energia calda del cuore di Kandrakar con la mente e immaginò di aprirlo in due, come preparandosi a ricevere l’attacco di Elyon. 

Quando Elyon la attaccò, Will si aggrappò con tutte le sue forze mentali al cuore di Kandrakar e immaginò che il raggio emanato da Elyon fosse una fune, quindi la afferrò mentalmente e iniziò a tirare. 

Forza, Will… si disse, radunando tutte le forze che aveva nel corpo e nella mente. Sembrava funzionare: avvertiva che il cuore di Kandrakar diventava più forte e la sua energia si espandeva nel suo corpo, raggiungendo ogni estremità. 

Riuscì a reggere per qualche secondo, o forse qualche minuto, non ne aveva idea, finché non si sentì sul punto di esplodere: non sarebbe stata in grado di assorbire abbastanza energia senza bruciare. Cercò di continuare a tirare la fune, ma sentiva di aver perso il controllo del proprio corpo e la sua mente si fece sempre più annebbiata.

D’un tratto sentì che l’energia che la stava pervadendo fluiva verso la sua mano e da lì la lasciava. Aprì gli occhi, terrorizzata all’idea che Elyon si stesse riprendendo il suo potere, ma non era lei a risucchiare la sua energia: Cornelia l’aveva raggiunta e le aveva preso la mano, per dividersi quel peso. 

Will la guardò riconoscente, sentendo che le lacrime le stavano salendo agli occhi, in parte per lo sforzo di sopravvivere a quello sforzo sovrumano e in parte per la commozione. Cornelia si sforzò di sorridere, ma poi si lasciò sfuggire un grido di dolore, quando l’energia che stavano assorbendo da Elyon iniziò a bruciare anche lei. 

Elyon sembrava ancorata nella sua posizione: il cuore di Kandrakar era ormai troppo potente e non l’avrebbe lasciata andare. Will si voltò verso Phobos: si era rialzato in piedi e sembrava aver ripreso il controllo del suo raggio rosso, che ora avanzava verso la sfera luminosa. 

Ma Will si sentiva ormai ardere dall’interno e aveva perso sensibilità agli arti: si sforzò di continuare a tirare la fune che la collegava a Elyon, ma le forze iniziarono ad abbandonarla. 

Guardò per un’ultima volta Cornelia. Quella era la fine, lo sentiva. Aveva appena ritrovato la sua migliore amica e sarebbe finito tutto lì, per mano di Elyon… Ripensò a Matt, a come gli si sarebbe spezzato il cuore quando Yan Lin gli avrebbe detto che non sarebbe più tornata. E sua madre, Susan… Le lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso, mentre la vista le si appannava. Lasciò andare il raggio magico di Elyon e si lasciò trasportare dalla forza che la attirava verso terra.

***

«Eccoci!» esclamò Cassandra quando svoltarono l’angolo. La porta di legno massiccio verde le attendeva al di là di un piccolo arco di pietra rosso scuro. Un’altra scossa di terremoto le costrinse a bloccarsi a pochi passi da essa, reggendosi alle pareti. 

Appena poté muoversi, Cassandra si precipitò verso la porta verde e la spinse. Si aspettava di trovarsi davanti una stanza simile al proprio laboratorio, ma ciò che vide le ricordò di più una sorta di infermeria. Il tavolo al centro sembrava lo stesso del suo laboratorio, ma non era apparecchiato con gli alambicchi e la vetreria come il suo. Sulla parete a sinistra riconobbe la sua credenza, ma dagli sportelli vetrati riconosceva che all’interno non vi erano solo ampolle contenenti preparati magici di vario tipo, ma anche strumenti chirurgici e pile di garze pulite e piegate. Sul tavolino dove nel suo laboratorio si trovava il microscopio sfilava invece una serie di lucenti bisturi di varie dimensioni e forme. 

E accanto al tavolino, sedute a terra con le ginocchia al petto e tenendosi l’un l’altra, due donne si appiattivano alla parete fissandole con occhi spalancati. Quella più anziana, una creatura verde piuttosto pienotta dai capelli castani , la pelle giallo-verde e una mascherina rosea attorno agli occhi, era Galgheita. Quella più giovane, dall’inconfondibile cascata di riccioli castani e le fattezze simili alle sue ma con la pelle verde punteggiata di lentiggini più scure, era indubbiamente l’alter ego di Cassandra dell’altro universo, Kendrel. 

Kendrel e Cassandra trasalirono all’unisono nel riconoscersi. Cassandra avanzò nel laboratorio tenendo le mani alzate e lasciando che Orube entrasse dietro di lei. 

«Non siamo qui per farvi del male… Abbiamo bisogno del vostro aiuto!» disse Cassandra, facendosi di lato per far sì che le due donne vedessero Cedric svenuto, o forse già morto, tra le braccia di Orube. 

Kendrel, che forse dalla sua posizione riconosceva solo la chioma bionda di Cedric, scattò in piedi e si precipitò verso di loro. «Cedric!»

Orube lo adagiò sul tavolo al centro, scoccandole un’occhiata torva. «Tranquilla, il tuo si reggeva in piedi l’ultima volta che l’ho visto. Questo è il mio!»

Anche Galgheita si rialzò da terra e si avvicinò a loro attorno al tavolo. Cedric giaceva immobile, gli occhi bianchi ancora aperti. 

«Caspiterina, dalla parte vostra è un corsaro?» commentò Galgheita corrugando la fronte.

Orube si appoggiò al bordo del tavolo con entrambi i palmi, facendosi in avanti verso le due donne, spazientita. «Allora, potete salvarlo?» 

Galgheita appoggiò la sua grossa mano sul petto di Cedric e chiuse gli occhi. Nel mentre, Kendrel gli sollevò una palpebra con l’indice, avvicinandosi al viso di Cedric per osservare meglio gli occhi e la mucosa oculare. 

«Hm.» mugugnò Galgheita, pensierosa. Aprì gli occhi e sospirò. «Riesco a malapena a percepire la sua energia vitale, gli è stata tolta quasi del tutto. Per ora mi sembra stabile, ma…» il suo discorso si interruppe a un movimento improvviso di Cedric, che fece sobbalzare Kendrel che ancora stava studiando i suoi occhi. Cedric iniziò a muoversi a scatti, ancora incosciente, in preda a una serie di convulsioni.

«Ma che… che succede?» chiese Orube, allarmata. 

Cassandra rimase pietrificata nel vedere Cedric muoversi in quel modo, e ancora di più quando le sue gambe iniziarono a mutare e riempirsi di scaglie verdi, perdendo la forma umana e andando ad unirsi in una lunga coda di serpente. 

«Non riesce più a controllare il suo aspetto!» esclamò Kendrel. 

Le scaglie verdi risalirono il corpo di Cedric dalla punta della coda fino al bacino, richiudendosi una dopo l’altra e facendo sparire ogni traccia del suo aspetto umano, vestiti compresi, sotto di loro. Si fermarono all’altezza del petto, dove le scaglie si fecero più rade e lasciarono il posto a una pelle diafana e coriacea. Anche il viso di Cedric iniziò a mutare, assumendo lo stesso pallore delle braccia. A differenza del volto del mostro in cui si trasformava per combattere, quel viso aveva fattezze più umane e simili a quelle del Cedric che vedevano quotidianamente, solo con le guance più scavate, gli zigomi più appuntiti e gli occhi cerchiati da un’inquietante ombra nera. L’ultima parte del suo corpo che cambiò furono i capelli, che dall’attaccatura iniziarono a schiarirsi fino a diventare completamente bianchi. 

Solo quando il bianco raggiunse la punta dei capelli lunghissimi di Cedric, le convulsioni si fermarono. 

Nella stanza scese un silenzio attonito. Quindi era quello il vero aspetto di Cedric. Tante volte Cassandra se l’era chiesto, ma mai avrebbe sperato di vederlo in una circostanza simile. Una via di mezzo tra l’enorme mostro che terrorizzava Meridian ai tempi di Phobos e l’uomo affascinante che conoscevano. Anche se il viso pallido di quel Cedric non aveva rughe, nell’insieme quell’inquietante aspetto sembrava rivelare anche la sua vera età, che Cassandra non conosceva ma immaginava fosse più vicina al secolo che ai trentacinque-quarant’anni che dimostrava normalmente. 

Si voltò a guardare Orube, in piedi accanto a lei. Anche lei era pietrificata, con le mani congiunte a coprirle metà del viso e gli occhi colmi di lacrime. 

Galgheita posò di nuovo le mani sul petto di Cedric e chiuse gli occhi per concentrarsi. Dopo qualche istante, aprì di nuovo gli occhi e guardò Kendrel. A Cassandra non sfuggì il suo impercettibile segno di diniego con il capo. 

***

Will fu riportata indietro dal torpore in cui stava precipitando quando sentì l’energia fluire di nuovo dal suo corpo verso l’esterno, questa volta in un’ondata più grossa rispetto a quando Cornelia l’aveva raggiunta. 

Si sentiva ancora bruciare, ma ora aveva ripreso a sentirsi le mani e a distinguere il calore del cuore di Kandrakar da quello del resto del suo corpo. 

Si guardò attorno e capì dove stava andando tutta quell’energia: Taranee, Hay Lin e Irma erano lì con loro e si tenevano la mano l’un l’altra, con Hay Lin a chiudere il contatto stringendo la mano di Cornelia. L’energia fluiva attraverso tutte e cinque le Guardiane di Kandrakar, di nuovo unite come una volta. Will non riusciva a crederci: le ragazze avevano in qualche modo scoperto dove fossero e le avevano trovate, e ora stavano mettendo a repentaglio la loro vita per combattere tutte insieme. Con la vista ancora annebbiata, Will piantò lo sguardo su Elyon e raccolse le sue ultime forze per tirare ancora. 

La fune azzurra si staccò da Elyon e ciò che ne rimaneva venne assorbito dal cuore di Kandrakar nel petto di Will. In quell’attimo, il raggio rosso di Phobos colpì la regina di Meridian, che cadde a terra. 

Anche Will e le sue compagne caddero, stremate. Con il capo appoggiato di lato sul pavimento, Will si sentì le palpebre pesanti ma si sforzò di lanciare un’ultima occhiata davanti a sé, nella stanza che ora vedeva girata in verticale. L’ultima cosa che vide prima di cadere nell’oblìo fu l’altro Cedric avvicinarsi a passi malfermi assieme ad un ragazzino dai capelli biondo cenere.

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Capitolo 18
*** XVIII. ***


Le Guardiane ce l’avevano fatta: erano riuscite ad assorbire abbastanza energia da Elyon da permettere a Phobos di colpirla e fermare il suo delirio. Ora era tutto nelle mani di Cedric, o meglio del giovane Deimos che avanzava accanto a lui verso la regina dell’altra Meridian. 

«No, Cedric! Non lui!» gemette Phobos inginocchiato a terra a pochi passi da lui. 

Ma Cedric continuò ad avanzare verso la regina di Meridian. «Lo sai che è l’unico che può farla ragionare.» disse serio al suo re.

La regina si rialzò in ginocchio, ma non riuscì a rimettersi in piedi. Sembrò mettere a fuoco Cedric e il ragazzino e strinse gli occhi rossi a due fessure nel riconoscere le fattezze di Deimos, con gli occhi grigi come quelli di lei e del fratello, i capelli della stessa tonalità di biondo cenere portati corti e spettinati, con una lunga treccina decorata con anelli d’argento a scendergli sulle spalle. 

«E va bene.» mormorò Phobos, rialzandosi in piedi. Alzò le mani in alto e si avvicinò cauto a Cedric e Deimos, cercando di apparire inoffensivo. «Io non sono abbastanza forte da fermarti, Elyon. Mi hai già dimostrato il tuo potere immenso una volta e non starò qui a farmelo dimostrare di nuovo. Ma lascia che lui ti mostri a cosa può portarti il tuo potere, poi sarai libera di distruggerci nel modo che preferisci.»

Cedric diede una spinta leggera a Deimos, per incoraggiarlo a farsi avanti e raggiungere Elyon, che era ancora inginocchiata e li guardava torva con quei terribili occhi bianchi e rossi come una bestia in gabbia. 

A un passo da Elyon, Deimos si girò verso Phobos poco dietro di lui, rivolgendogli uno sguardo spaventato. «Zio…» mormorò. 

Phobos annuì con il capo e gli fece un gesto con la mano, indicando la sorella. «Mostraglielo. Non aver paura, io rimarrò qui con te tutto il tempo.» sussurrò, rivolgendogli quel sorriso affettuoso che Cedric sapeva il re riservava solo per suo nipote. 

Cedric notò del movimento alla sua sinistra e vide che la Guardiana del fuoco e il Capitano dell’esercito di Elyon avevano ripreso conoscenza. Fece loro un cenno con la mano, sperando che capissero il messaggio e non facessero mosse avventate.

Deimos tornò a guardare Elyon, inginocchiata davanti a lui. Lo sguardo di lei era confuso e allo stesso tempo furente, ma sembrava non avere il coraggio di alzare un dito verso quel ragazzino che le assomigliava così tanto, e che aveva appena chiamato il fratello “zio”, lasciando pochi dubbi sulla sua identità. 

Tremante e con il terrore negli occhi, Deimos avvicinò una mano alla fronte di Elyon fino a toccarla con i polpastrelli. Al suo tocco, entrambi furono investiti da un bagliore accecante e i loro occhi diventarono bianchi.


«Bravo, Deimos! Vieni dalla mamma!» esclamò Elyon tendendo le mani verso di lui. Il piccolo Deimos, un bimbetto biondo di circa un anno, lasciò le mani dell’uomo dai capelli castani legati sulla nuca e di cui non si riusciva a riconoscere il volto, e sgambettò verso la madre, mostrandole un sorriso sdentato. 

Elyon lo avvolse in un abbraccio e lo prese in braccio, stampandogli un bacio sulla guancia. 

La Elyon dell’altro mondo portava sul capo la corona di luce ed indossava un magnifico vestito color porpora decorato con finissimi riccioli dorati. L’uomo senza volto si avvicinò a lei e le passò un braccio attorno alla vita, stringendo a sé sia lei che il bambino. 


L’immagine della felice famiglia di Deimos iniziò a sfocare, fino a fondersi con il paesaggio di Meridian e lasciare il posto ad un’altra immagine: un largo corridoio costeggiato da colonne di marmo rosa, al termine del quale si stagliava una grande vetrata, che però era ricoperta dall’esterno da un intricato disegno di rovi così scuri da sembrare neri e non permetteva di vedere cosa ci fosse dall’altra parte. Deimos, almeno un anno più grande rispetto all’immagine precedente, correva verso la vetrata. 

«Torna qui, Deimos!» lo chiamava una voce femminile da un punto dietro di lui. «La mamma è impegnata…»

Deimos ignorò quella voce e raggiunse sorridente la vetrata. La spinse con entrambe le manine finché non iniziò a cigolare e si aprì quel tanto che bastava al bambino di passare. 

I rovi che ricoprivano la vetrata si estendevano lungo tutto il perimetro del giardino reale, andando a fondersi con la siepe verde scuro, resa spettrale da numerosi volti verdognoli dai capelli lunghissimi che vi sbucavano come se fossero fiori. 

A un angolo del giardino, seduta su una sorta di trono formato dai rovi e circondata da figure alte e longilinee con visi identici a quelli che spuntavano dalle siepi, Elyon teneva gli occhi chiusi, come in meditazione. Stringeva con entrambe le mani i braccioli del suo strano trono, e dal punto di contatto tra le sue dita e i rovi si espandeva una luce rossa, che percorreva alcuni rami e poi andava a svanire nel terreno. 

Qualcuno sollevò Deimos da terra prendendolo da sotto le braccia. Era la sua tata, che gli era corsa dietro lungo il corridoio ma non era riuscita ad impedirgli di entrare nel giardino privato della regina. La tata lo prese in braccio ed indietreggiò cauta verso la vetrata, tremando dalla paura. 

Aveva quasi raggiunto la vetrata e stava per infilarsi nell’apertura per rientrare nel palazzo, quando Elyon spalancò gli occhi. 

Le cornee erano completamente rosse, mentre le iridi erano bianche e fissavano Deimos e la sua tata.  

«Mi… mi dispiace, non volevamo disturbarvi…» balbettò la ragazza, continuando ad indietreggiare, fino ad infilarsi nell’apertura della vetrata e raggiungere l’interno del palazzo. 

Elyon continuò a seguirli con quegli occhi terrificanti, ma non si mosse e lasciò che la giovane richiudesse la vetrata dall’interno e sparisse alla sua vista. 


L’immagine svanì di nuovo, per lasciar posto ad un altro corridoio, questa volta quello dell’ingresso. Le colonne che segnavano il cammino erano mosse da violente scosse di terremoto. Di nuovo Deimos, ancora più grande rispetto all’ultima visione, correva verso la porta, che era spalancata e lasciava trapassare la luce rossa del sole che tramontava, e un’altra donna gli correva dietro implorandolo di fermarsi. Senza fermare la sua corsa, Deimos lanciò un’occhiata oltre la spalla, verso la donna che lo inseguiva, e fece un gesto fulmineo con la mano puntata verso di lei: dalla sua mano si generò un lampo rosso, che investì in pieno la donna paralizzandola. 

Deimos raggiunse la porta noncurante delle scosse che facevano traballare il palazzo e si affacciò aggrappandosi allo stipite. 

Nell’ampio cortile davanti all’ingresso del palazzo, un gruppetto di persone fronteggiava Elyon, che era avvolta in una sfera di luce bianca e rossa e li fissava feroce con quegli inquietanti occhi dalle iridi bianche e le cornee iniettate di sangue. Dietro di lei si estendeva un piccolo esercito formato da quegli strani esseri verdolini dai capelli lunghissimi che popolavano il suo giardino.

Di fronte a lei si riconoscevano Phobos e l’uomo senza volto, il padre di Deimos. Accanto a Phobos, una donna alta, dal viso perfetto e una lunghissima cascata di boccoli neri. Nel gruppetto si trovavano anche Cedric e Lord Luksas, il padre di Kendrel. 

«Elyon, calmati, ti prego!» la implorò l’uomo senza volto. 

«Sono stanca di voi che cercate di mettermi i bastoni tra le ruote!» urlò Elyon. 

«Si tratta solo di Basiliade, Elyon! E il consiglio ha solamente votato di aspettare prima di firmare l’accordo!» disse Phobos, con una nota di esasperazione nella voce.

«Basiliade? Te lo faccio vedere io cosa me ne importa di Basiliade!» gridò Elyon, che chiuse gli occhi e allargò le braccia. Dalla sua sfera luminosa si allargarono tanti piccoli raggi che andarono ad investire una ad una le sue creature verdi, e tramite loro si collegarono al terreno. La sua luce si fece più intensa ed Elyon fu sollevata a mezz’aria. Sembrò inspirare profondamente, come per assorbire l’energia tramite quei raggi dentro di sé, poi spalancò gli occhi rivolgendoli verso il cielo. Dal petto di Elyon si generò un raggio rosso che puntava verso la stessa direzione del suo sguardo e raggiunse un punto lontano tra le stelle che ancora non si vedevano. 

Gli sguardi di Phobos e i suoi seguirono la direzione del raggio e indietreggiarono, terrorizzati. 

L’uomo senza volto toccò il braccio del fratello della regina. «Quella non è più la mia Elyon. Non lo è più da anni e il popolo di Meridian sta morendo a causa dell’energia che continua ad assorbire. Devo raggiungerla e fermarla ad ogni costo, prima che sia troppo tardi per tutti.» gli disse a voce bassa, mentre con l’altra mano scostava la sua sopraveste, mostrando a Phobos il pugnale che gli pendeva dalla cintura. 

Phobos esitò, guardando la sorella con le lacrime agli occhi. Il raggio di Elyon si estinse, ma lei rimase sospesa in aria nella sua sfera luminosa, con un ghigno soddisfatto dipinto sul viso sfigurato. 

La donna dai capelli neri accanto a Phobos si rese conto della presenza di Deimos sulla soglia del portone e trasalì. «Deimos, vai via!» esclamò, e corse verso di lui a mani tese. 

Elyon si girò di scatto verso di lei, puntandole addosso quegli occhi inquietanti, e in un lampo la colpì in pieno con un raggio rosso prima che potesse raggiungere Deimos. La donna si accasciò a terra. 

«NO! Nerissa!» gridò Phobos, scattando verso di lei. Ma l’uomo senza volto lo bloccò. «Ti prego, Phobos!» lo implorò. Poi si rivolse anche agli altri del gruppetto. «Alzatemi da terra e fatemi andare da lei.»

Phobos distolse a fatica lo sguardo da Nerissa riversa a terra e sospirò. 

Phobos, Cedric e Lord Luksas unirono le loro forze magiche per inglobare l’uomo senza volto in un alone luminoso che lo seguiva mentre avanzava verso Elyon. L’uomo teneva le mani in alto in segno di resa e mentre avanzava, si sollevò in aria fino all’altezza di Elyon, che ora aveva piantato gli occhi feroci su di lui. 

«Io sono dalla tua parte, Elyon.» le disse l’uomo. 

«Ah sì? E che cosa ci facevi là con loro?» chiese l’altra.

«Ho cercato di farli ragionare, ma sono spaventati dal tuo potere.» rispose lui, addentrandosi nella sfera luminosa di Elyon. I suoi capelli diventarono bianchi nel giro di pochi istanti. L’uomo iniziò a tremare e a mostrare segni di fatica nell’avanzare verso la compagna. «Ma io…» continuò, la voce distorta dalla fatica e dal dolore. «…sono sempre stato dalla tua parte.»

Elyon sembrò credere o voler credere a quelle parole, perché non fece nulla per attaccarlo. Sembrò quasi sorridergli quando lui la abbracciò. 

D’un tratto, gli occhi e la bocca di Elyon si spalancarono. Si fece indietro e guardò esterrefatta l’uomo che invece di abbracciarla l’aveva pugnalata al ventre. L’uomo, in lacrime, fece un ultimo enorme sforzo ed estrasse il pugnale dal ventre di Elyon per andare a piantarglielo nel cuore, approfittando della sorpresa di lei. 

Gli occhi di Elyon tornarono normali e si riempirono di lacrime. Cadde in avanti, contro l’uomo che l’aveva appena uccisa.

L’uomo, ormai senza forze, si accasciò contro di lei e i due precipitarono a terra. La sfera luminosa che li avvolgeva si espanse nell’impatto, producendo un assordante boato e colpendo tutto ciò che si trovava nel cortile. Phobos, Lord Luksas e Cedric si gettarono a terra poco prima che l’esplosione li raggiungesse. 

Deimos, che fino a quel momento era rimasto appiccicato allo stipite del portone, si nascose dietro di esso all’interno del palazzo, coprendosi le orecchie con le mani. 

Quando ritornò il silenzio, Deimos si affacciò cauto dal suo nascondiglio. I suoi genitori erano spariti, così come erano sparite le strane creature che seguivano Elyon ovunque, lasciando una grossa macchia nera come di erba bruciata là dove erano caduti. 


Deimos staccò le dita dalla fronte di Elyon e la luce che li avvolgeva svanì. I loro occhi tornarono normali e quelli di Elyon erano colmi di lacrime. 

Cedric non sapeva con esattezza cosa le aveva mostrato Deimos, ma ricordava bene com’era andata la storia. Se c’era ancora un briciolo di lucidità in quella Elyon, doveva funzionare. 

Elyon puntò lo sguardo su Deimos davanti a sé, mentre le lacrime scendevano a rigarle il viso. 

«Mi… mi dispiace.» mormorò. 

Deimos le sorrise, accarezzandole una guancia. «Non è colpa tua, tu non sei la mia mamma. Tu sei buona, io lo so!» le disse. 

Elyon scoppiò in un pianto disperato, appoggiandosi a Deimos, il quale le posò la mano sul capo. 

Cedric vide con la coda dell’occhio che Phobos si avvicinava ai due. Le Guardiane e il Capitano dell’altra Meridian avevano nel frattempo ripreso i sensi ed erano, come lui, immobili nella loro posizione a seguire la scena, incerti sul da farsi. 

Elyon risollevò il capo e si rivolse a Phobos. «Mi dispiace, Phobos… per tutto.» disse tra i singhiozzi, lanciando uno sguardo attorno a sé sul salone semidistrutto. «È… è troppo. La corona, il potere, i bisogni di un intero pianeta sulle mie spalle…»

Phobos ora era in piedi di fronte a lei, lo sguardo velato di tristezza. «Lo so, credimi.»

Elyon continuò a singhiozzare. «Volevo solamente ottenere da te il segreto dei Mormoranti per salvare mio marito, e mi sono fatta accecare dal mio potere e dall’odio per il Phobos del mio mondo. E ora scopro che il segreto dei Mormoranti è andato perduto con l’altra me stessa.»

Phobos le tese una mano. «Se è questo ciò che vuoi, non è andato perduto. Gli scritti di Elyon sono ancora qui nelle nostre biblioteche. Ti aiuterò a trovare ciò che cerchi.»

Elyon prese la sua mano e lasciò che lui la aiutasse a rialzarsi. Si asciugò gli occhi con il palmo dell’altra mano. «Mi sbagliavo quando ero convinta che in nessuno degli universi alternativi potessi essere tu quello buono.» Elyon appoggiò la mano libera sulla spalla di Deimos e guardò prima l’uno, poi l’altro. «Grazie per avermi mostrato la verità. Phobos, ti sarò grata se mi mostrerai gli scritti sui Mormoranti, e se vorrai collaborare con me per risolvere questa faccenda dei portali prima che sia troppo tardi.»

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Capitolo 19
*** XIX. ***


«Mi dispiace tanto, Orube.» disse Will con un sospiro, appoggiando una mano sulla spalla della Guerriera. 

Erano sedute accanto al letto nella stanza della coppia, di nuovo nel palazzo blu della Meridian del loro universo. Cedric giaceva immobile nel letto e il suo unico movimento era quello impercettibile del petto che si alzava e si abbassava nel respiro. 

Accanto alla parte opposta del letto sedeva Cornelia, mentre Elysa era accovacciata sul bordo del letto davanti a lei, a poche spanne da Cedric. 

Quando erano ancora dall’altra parte, Will e le altre avevano raggiunto Orube e Cassandra al suo capezzale nell’infermeria di Kendrel e avevano tentato di restituirgli l’energia che gli era stata assorbita, e che ora si trovava nel cuore di Kandrakar, ma non avevano avuto successo. Il cuore sembrava essersi bruciato o spento per sempre ed tutto ciò che erano riuscite a passargli era un po’ della loro  stessa energia. Era bastato a fargli riprendere la sua solita apparenza umana al posto di quell’inquietante aspetto da mezzo serpente e mezzo fantasma con cui l’avevano trovato, ma non a fargli riprendere conoscenza. 

«Sei sicura di non voler venire con noi a Kandrakar e portarlo dall’Oracolo?» chiese Cornelia. «Partiremo oggi, la questione dei portali non può più aspettare, e sono convinta che anche per Cedric prima agiamo e meglio è.»

Orube non distolse lo sguardo da Cedric e gli accarezzò una guancia con il dorso delle dita. «Non lo so, non credo che Himerish vorrà aiutarci… tra me e Cedric non saprei dire chi l’Oracolo detesti di più…»

«Ma Endarno potrebbe aiutarvi! Fa tanto il duro ma lo sanno tutti che avrà sempre un occhio di riguardo per te.» disse Will, cercando di sembrare convinta.

Orube sembrò riflettere per qualche istante, lo sguardo sempre fisso su Cedric. 

Anche Elysa, accovacciata sui talloni davanti a Cornelia, non smetteva di fissare Cedric con i suoi occhioni blu, come faceva sempre ogni volta che era presente. 

Il silenzio fu interrotto da un sommesso bussare alla porta della stanza. 

«Avanti.» disse Orube con voce assente. 

La porta si aprì e fecero capolino i riccioli castani di Cassandra. «Come va di qua?» chiese, abbozzando un sorriso che voleva essere ottimista.

Orube non rispose, quindi fu Will a prendere la parola. «Come prima… e di là?»

Cassandra entrò nella stanza ma rimase sulla soglia, lasciando la porta aperta dietro di sé. «Meglio, ora riesce a parlare. La separazione dell’essenza vegetale da quella umana ha funzionato, basta che tenga sempre con sé l’amuleto con quella vegetale e dovrebbe riprendersi in poco tempo.»

Will vide con la coda dell’occhio i muscoli della mascella di Orube contrarsi. Non poteva biasimarla: la crociata di Elyon contro l’altro mondo era stata in fondo solamente per salvare Caleb, e Cedric ci stava rimettendo la vita senza motivo. Una vita per un’altra. 

«Ehm, volevo solamente salutarvi prima che partiste e…» continuò Cassandra «…e chiedere scusa a Orube.»

Orube sollevò lo sguardo verso di lei. «Non è colpa tua, Cassandra. Tu hai fatto tutto il possibile e ti ringrazio per essermi stata vicina, non devi scusarti di niente.»

Cassandra esitò, stropicciandosi le mani. Aprì bocca per parlare, ma dietro di lei apparve Elyon, che parlò al posto suo. «Ti chiede scusa per avermi portata qui, Orube.»

Orube balzò in piedi di scatto. Will ebbe persino l’impressione di sentirla soffiare come un gatto inferocito. 

«Vuoi finire il tuo lavoro? Hai promesso di lasciarci in pace e di darmi il tempo di decidere cosa fare. Ho deciso di andare a Kandrakar con le ragazze, quindi toglieremo presto il disturbo.»

Elyon avanzò verso il letto, sospirando. Aveva ripreso un’aria più serena rispetto a quando Will e le altre erano arrivate a Meridian, ma ora il suo volto era contratto in un’espressione mortificata. «Sono qui solo per parlarti, Orube, nient’altro.»

Will, Cornelia e Cassandra incrociarono i loro sguardi, come per chiedersi cosa fare. Will e Cornelia fecero per alzarsi, ma Orube mise una mano sulla spalla di Will e la costrinse a rimanere dov’era. «Loro restano.» disse a denti stretti. 

Elyon avanzò verso i piedi del letto e guardò Cedric. «Mi dispiace, Orube. Non ho parole per quello che ho fatto, e nemmeno per quello che ho detto. Ho detto cose sul tuo pianeta di cui non vado affatto fiera.»

Orube rimase in piedi e ridusse gli occhi arancioni a due fessure. «Nemmeno io ho parole per quello che hai fatto. Hai reso la vita di Cedric un inferno in questi anni, e nonostante la sua fedeltà hai colto la prima occasione per cercare di ucciderlo senza motivo. Perché torturarlo per tutti questi anni se volevi solamente liberartene? E perché vincolare mio fratello a un accordo con te se Basiliade è solamente un peso per la grande Meridian?»

«Basiliade non è un peso, non ero in me quando ho detto quelle cose. E non ero in me nemmeno quando ho attaccato Cedric. Se rimarrete, farò di tutto per rimetterlo in piedi. Cassandra e Galgheita mi aiuteranno a trovare un modo e ti prometto che dopo sarà libero, non lo costringerò più ad agire per me a meno che non lo voglia. Potrete vivere qui, o a Basiliade, o sulla Terra, o dove volete.»

Orube strinse i pugni lungo i fianchi e serrò la mascella. «Non ti credo, Elyon. E comunque non vedo cosa potresti fare, dato che ciò che gli hai tolto è nel cuore di Kandrakar, che non funziona più. Posso solo sperare che l’Oracolo abbia una soluzione.»

Will si infilò una mano in tasca e ne estrasse il cuore di Kandrakar, dal quale si era separata quando avevano provato a rianimare Cedric nell’altra Meridian. Il cuore di Kandrakar ora era nuovamente una sfera di cristallo, ma invece di essere limpido e viola chiaro brillante, era opaco. Lo tese di fronte a sé, verso il centro del letto, e guardò Elyon. «Forse tu puoi riattivarlo. In fondo l’energia che contiene è in parte la tua e in parte la sua.»

Elyon si ritrasse come se il cuore di Kandrakar fosse una fiamma. Elysa, dall’altra parte del letto rispetto a Will, gattonò verso il centro e verso Cedric, dove Will reggeva il cuore di Kandrakar sul palmo della mano. 

«No, non posso avere tra le mani il cuore di Kandrakar.» disse Elyon, indietreggiando. «È troppo pericoloso, avete visto cosa sono capace di fare. Ma Galgheita è una guaritrice potente, e Cassandra…»

«Elysa, no!» esclamò Cornelia, tendendosi verso Elysa. La bambina stava allungando la manina verso quella di Will, al di sopra sopra delle gambe di Cedric, attirata dalla forma e dal colore del cuore di Kandrakar. 

«Aspetta!» intervenne Cassandra, facendosi avanti. «Lasciala fare.» disse, con lo sguardo attento a studiare le mosse della bambina. 

Cornelia rimase interdetta, ma diede retta a Cassandra e lasciò che la bambina afferrasse la sfera tra le manine.

Le cinque donne rimasero in silenzio, gli occhi puntati sulla bambina al centro del letto che guardava il suo nuovo giocattolo con gli occhi luccicanti. L’unico rumore nella stanza era il suo risolino contento. 

Cassandra si fece avanti e l’espressione sul suo viso suggeriva che si aspettasse qualcosa, un qualche miracolo forse. Ma il cuore di Kandrakar rimase opaco mentre Elysa accovacciata accanto alle gambe di Cedric se lo rigirava tra le mani e continuava a sorridere. 

Will notò l’entusiasmo di Cassandra svanire tanto velocemente quanto era apparso sul suo viso. «Ti aspettavi che Elysa lo risvegliasse?» le chiese.

Cassandra sospirò. «No, no… certo che no…» mugugnò. 

«Andremo a Kandrakar.» riprese Orube, rivolgendosi a Elyon. «Tu hai già Caleb di cui occuparti, non c’è bisogno che ti interessi anche di Cedric. Se Himerish riuscirà a riportarlo da me, torneremo a parlare di un accordo. Ma fino ad allora…»

Orube si interruppe a metà frase, distratta da un baluginio al centro del letto. Anche Will e le altre tornarono a guardare Elysa. 

Il cuore di Kandrakar e le manine della piccola erano ora avvolte in una luce verde chiaro, che lentamente si diffondeva verso le piccole braccia di Elysa. 

Allarmata, Cornelia si alzò in piedi e tese le mani verso Elysa. Cassandra ed Elyon scattarono all’unisono verso il letto, tendendo una mano per fermarla. «Ferma!» disse Cassandra, con gli occhi che le brillavano di nuovo. «Elysa è sensibile all’energia magica e ha già guarito Cedric una volta, io l’ho visto! Forse lo sta facendo di nuovo!»

Will e Cornelia spalancarono la bocca. «E quando pensavate di dirmelo?» esclamò Cornelia, che tornò a guardare la bambina. La luce verde ora l’aveva praticamente inglobata e andava diffondendosi sul letto, espandendosi sulle gambe di Cedric, mentre la bambina continuava a ridere contenta rigirandosi il cuore di Kandrakar tra le mani. «Cosa le sta succedendo? Non mi piace questa cosa!» si lamentò Cornelia, girando attorno al letto per vedere la bambina in viso. 

Elyon le appoggiò una mano sul braccio. «Sta solamente trasferendo l’energia dal cuore di Kandrakar a ciò che tocca, non le succederà nulla.»

Dal suo alone di luce verde, Elysa guardò la madre con i suoi occhioni felici e le rivolse un gran sorriso, mostrandole il suo nuovo giocattolo luminoso. 

Will era esterrefatta. Quella bambina, così piccola e silenziosa, era riuscita a riaccendere il cuore di Kandrakar solamente toccandolo. Si alzò in piedi e mise una mano sulla spalla di Orube, che osservava la scena pietrificata, con una mano sulla bocca. 

La luce verde si era ormai diffusa su tutta la superficie del letto e aveva inglobato anche il corpo di Cedric, che però rimaneva immobile e non sembrava reagire. 

Cornelia si affiancò a Will, in modo da trovarsi di fronte a Elysa e si chinò verso di lei, sorridendole. «Sei bravissima, tesoro.» le disse. La bambina le sorrise di rimando. Cornelia passò davanti a Will e mise una mano sul petto di Cedric. «Qui, Elly, fai vedere il tuo nuovo giocattolo anche a Cedric!»

«Sì! Cedric!» ripeté la bambina, muovendosi carponi verso la testiera del letto. 

Will strinse la spalla di Orube, che era tesa come una corda, e notò che anche Cassandra ed Elyon si erano avvicinate ai piedi del letto e osservavano la scena con gli occhi sbarrati. 

Elysa allungò la manina che afferrava il cuore di Kandrakar verso il punto sul petto di Cedric indicato dalla mamma e ce lo appoggiò sopra. 

Will trattenne il respiro. La luce verde del cuore di Kandrakar era abbagliante e una serie di piccole venature verde fluorescente si espanse dal punto in cui la sfera toccava il corpo di Cedric. Elysa continuava a tenere una mano sulla sfera ed era ancora completamente ricoperta dalla luce verde. 

Le venature verdi si diffusero su tutto il corpo di Cedric e per un momento Will non riuscì più a distinguerne le fattezze, poi la luce si spense di colpo. 

Quando la luce svanì, Cedric era ancora immobile, con gli occhi chiusi, come se non fosse accaduto nulla. 

Elysa rimase interdetta e guardò il suo giocattolo con sospetto. Lo riprese in mano, sedendosi sui talloni accanto a Cedric, e se lo rigirò tra le manine. Non era più opaco, ma era tornato limpido e del suo colore viola. Lo tese di nuovo a Cornelia, con un’espressione delusa dipinta sul viso. «È rotto!» disse. 

Cornelia prese la sfera dalla manina di Elysa e finse di esaminarla. «No, tesoro, sta solamente dormendo! Potrai giocarci di nuovo più tardi!» disse, e lo passò a Will. 

Elysa seguì sospettosa il passaggio del cuore di Kandrakar e tese le manine al di sopra di Cedric, verso Will, per riavere il suo giocattolo indietro. «No!» si lamentò. 

Cassandra si fece avanti e infilò una mano nella tasca della sua ampia gonna verde, tirandone fuori un piccolo cavallo azzurro di pezza. Lo tese a Elysa. «Tieni, Elly. L’ho fatto fare per te, così ti ricorderai di me quando tornerai a casa!»

L’attenzione di Elysa si spostò sul cavallino di pezza che Cassandra le porgeva. La bambina sorrise di nuovo e gattonò verso i piedi del letto per afferrarlo. 

Orube trasalì. «Cedric!»

Will si girò di scatto verso di lui. 

Aveva aperto gli occhi.

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Capitolo 20
*** XX. ***


***AVVERTENZA*** se siete tra i pochi che hanno seguito la storia durante la pubblicazione potreste trovarvi qui al capitolo 20 per sbaglio - i capitoli 16 - 20 sono stati pubblicati tutti insieme perché non ne potevo più, sorry! Se l’ultimo che avete letto è il 15 (quello incentrato su Cedric e Orube) tornate indietro al 16!





«Ce la faccio da solo, Orube!» sbottò Cedric mentre il portone del palazzo si richiudeva dietro di loro. Si aggrappò al bastone di legno scuro e la superò, iniziando a salire i pochi gradini di marmo bianco nel grande ingresso del palazzo in cui viveva Will. Orube lo seguì e raggiunsero l’ascensore dalle porte di vetro, che gli davano un aspetto particolarmente futuristico.

Da quando si era risvegliato dopo l’intervento di Elysa, Cedric aveva recuperato ogni giorno un po’ di forze, grazie ai preparati di Cassandra e agli incantesimi di Galgheita, ma non si era ripreso ancora del tutto e la sua gamba sinistra non recuperava in fretta quanto la destra, per cui doveva muoversi appoggiandosi ad un bastone. 

Avevano deciso di passare un po’ di tempo sulla Terra, almeno finché Elyon e l’Oracolo non avessero elaborato un piano per occuparsi di quei portali. Sarebbe stata una questione diplomatica lunga, considerando che Elyon voleva a tutti i costi coinvolgere l’altro Phobos e tramite lui anche l’altro Oracolo.  

Quando l’ascensore si aprì, i due entrarono e Orube selezionò il decimo piano. Cedric si appoggiò alla parete opposta con la spalla. 

«Sei sicuro che vuoi rimanere qui?» disse lei. Era almeno la terza volta che glielo chiedeva da quando erano tornati sulla Terra. «Forse è ancora presto ed era meglio rimanere a Meridian con Galgheita e Cassandra…» 

«Per l’ultima volta, Orube…» rispose lui, esasperato. «Sto bene, e non ne posso più di Meridian. Sono stanco di avere Elyon attorno, e lo sei anche tu visto come le ringhi contro ogni volta che appare. E sono anche stufo di avere Galgheita e Cassandra sempre addosso, con Zharel che ringhia contro a me. Per me andava bene anche Basiliade, sei tu che hai deciso di venire qui.»

Orube gli prese il braccio libero e gli passò attorno il suo, sorridendo. «Se sei stanco di Elyon e Zharel, quanto tempo credi di poter reggere mio fratello, mia madre e le temperature di Basiliade? E poi abbiamo dovuto interrompere la nostra licenza qui prima del previsto, io voglio mangiare una pizza e andare al gattile con Matt!»

Quando uscirono dall’ascensore, la porta alla loro sinistra era già aperta e Will li aspettava sulla soglia. 

«Bentornati!» disse loro. «Cedric, ti stai riprendendo alla grande!»

«Sì, se non fosse che questa gamba non si decide a collaborare…» disse lui, avanzando zoppicante accanto a Orube. 

Will si fece da parte per lasciarli passare. «Prego, entrate!» 

Cedric e Orube si guardarono attorno nel nuovo appartamento di Will, che non avevano ancora avuto occasione di vedere. Lo stile di quell’appartamento era diametralmente opposto a quello della loro casa terrestre e sembrava quasi provenire da un altro pianeta o da un’altra epoca. Era piuttosto minimalista, non c’erano credenze di legno piene di cianfrusaglie, tavolini inutili e tappeti. Gli arredi erano pochi, dal design sottile e sinuoso e tutti di materiale trasparente, bianco o nero. Cedric sapeva che la compagnia per cui lavorava Will produceva solo dispositivi elettronici, ma non si sarebbe stupito se anche il design di quegli arredi provenisse da lì.

Sedute sui divani, ognuna con un calice di vino in mano, Taranee, Hay Lin e Irma erano chine a osservare qualcosa sullo smartphone di Hay Lin seduta nel mezzo. Su uno degli sgabelli della penisola sedeva Cornelia con Elysa in braccio, e al di là della penisola Matt Olsen si affaccendava in cucina. 

Le donne li salutarono praticamente all’unisono, mentre Cornelia si alzò in piedi, sempre tenendo Elysa in braccio, e si avvicinò a loro. 

Elysa esclamò di gioia nel vederli e Cedric non riuscì a trattenere un sorriso. Aveva uno strano legame affettivo con quella bambina, probabilmente instauratosi le varie volte che lei gli aveva trasferito dell’energia. 

Elysa tese le manine verso di lui, che avvicinò a sua volta una mano a lei. La bambina chiuse entrambi i palmi attorno alle sue dita, e immediatamente si generò un piccolo alone verde attorno alle loro mani. 

«Guarda!» gli disse la bambina.

Un’immagine si formò nella mente di Cedric e durò per un istante: Elysa e Cornelia in un parco quel pomeriggio, mentre facevano un pupazzo di neve. Evidentemente Elysa gli aveva mandato il ricordo. 

Cedric le diede un buffetto sulla guancia. «Ti sei divertita oggi, eh?» 

Elysa batté le manine e rispose con una risata piena di gioia. 

Matt si sporse sulla penisola verso di loro, con in mano due calici di vino. «Bentornati, mi fa piacere che stiate entrambi bene. Prendete!» disse appoggiando i due calici sul bordo della penisola verso di loro. «Ah, Orube, ho fatto spostare la visita al gattile a lunedì, così puoi accompagnarmi.» 

Orube appoggiò il suo cappotto borgogna su uno sgabello della penisola e rivolse a Matt un gran sorriso, mentre afferrava uno dei calici. «Finalmente!»

Cedric fece per prendere l’altro calice, quando Will si affrettò a chiedergli, accigliata: «Ma tu puoi bere, giusto? Non è che con le pozioni di Cassandra…»

«Tsk!» la interruppe Orube. «L’alcol è l’ingrediente principale di quasi tutte le pozioni di Cassandra, e quello di Meridian è molto più forte di questo qui. Il segreto dell’alchimista è mantenere i pazienti ubriachi, altrochè!»

«Mica scema!» commentò Irma, che nel frattempo aveva raggiunto la penisola e si era accomodata sullo sgabello accanto a quello di Cornelia. 

Will fece spallucce, poi prese il suo bicchiere in mano e alzò la voce per farsi sentire anche da Taranee e Hay Lin. «Ora che ci siamo tutti, direi che un brindisi possiamo farlo. Non sappiamo cosa ci aspetta e cosa decideranno Elyon e l’Oracolo, ma per ora…»

«Ehm, Will.» la interruppe Taranee, alzandosi. «Scusami se ti interrompo, ma ci terrei a dire una cosa. O meglio, Irma, Hay Lin ed io vorremmo dire qualcosa.»

Will inarcò le sopracciglia e guardò le tre Guardiane una dopo l’altra. «Certo, Taranee!»

Taranee si schiarì la voce prima di continuare. «Will, Cornelia, ci dispiace.»

Cedric guardò prima Will, poi Cornelia, per studiarne la reazione, mentre si sedeva sull’ultimo sgabello libero della penisola e Orube in piedi si affiancava a lui. Will e Cornelia inarcarono le sopracciglia, sorprese.

«Quando il nostro gruppo ha iniziato a sfaldarsi, voi c’eravate ancora e avete lottato per evitarlo. Siamo state noi ad allontanarci e credo di parlare per tutte e tre quando vi dico che perdere la nostra amicizia è il rimpianto più grande che abbiamo. So che la situazione attuale non è rosea e non escluderei che l’Oracolo ci chiamasse di nuovo a compiere una missione pericolosa, ma sono felice di avervi di nuovo nella mia vita.»

«Anche io.» aggiunse Irma.

«E io.» fece eco Hay Lin, alzandosi dal divano. Si rivolse poi a Orube e Cedric. «Ci dispiace anche avervi trattati con una diffidenza che non meritavate, avremmo dovuto aprire gli occhi prima.»

Quelle parole colpirono Cedric in un modo inaspettato, anche se rimase in silenzio. Passò un braccio attorno alla vita di Orube in piedi accanto a lui a la strinse al suo fianco. C’erano voluti quasi quindici anni, ma alla fine tutte e cinque le Guardiane lo vedevano finalmente come una persona e non come un diavolo. 

Will sorrise e alzò il calice. «Allora brindiamo a un nuovo inizio!»

***

La serata trascorse in un modo inaspettatamente piacevole e spensierato, nonostante la recente avventura che tutti a parte Matt avevano affrontato e l’incertezza su quando e come l’Oracolo avrebbe di nuovo convocato Will e le altre Guardiane. 

Will si sentiva come se avesse improvvisamente ritrovato una famiglia, quella delle sue amiche, e che essa si fosse allargata nel tempo, includendo il suo di-nuovo compagno Matt e anche Cedric e Orube. 

Era evidente che le parole e l’accettazione da parte di Hay Lin, Taranee ed Irma avessero colpito Cedric nel profondo. Will non si aspettava una dichiarazione così esplicita come quella di Hay Lin, ma aveva intuito che qualcosa fosse cambiato nel loro modo di vedere i due alieni quando erano entrate nell’infermeria di Kendrel e avevano trovato Cedric, apparentemente morto e nel suo vero aspetto, e Orube disperata tra le braccia di Cassandra. In quel momento l’avevano visto per ciò che era realmente e non solo per quanto riguardava l’aspetto fisico: avevano realizzato che era stato solo una vittima che Elyon si era divertita a torturare e che alla fine aveva quasi ucciso senza alcun motivo davanti a una donna che lo amava.

Le altre ragazze si ritirarono presto, come Will si aspettava: fra Taranee e Cornelia con le loro responsabilità genitoriali, Irma che aveva un’ora di strada davanti a sè e Hay Lin con un aereo da prendere al mattino presto, non pretendeva di certo che rimanessero fino a notte fonda. 

Quando anche Cedric e Orube fecero per togliere il disturbo seguendo le altre, però, Will insistette perché rimanessero ancora un po’ con lei e Matt a bere qualcosa. 

«Volentieri, ma solo se Cedric se la sente…» disse Orube, lanciando un’occhiata preoccupata al compagno. 

Cedric allargò le braccia, esasperato, anche se a Will sembrava di cogliere una sfumatura divertita nel suo sguardo. «Orube, sei mia moglie, non la mia infermiera! Sto bene, per le folgori di Imdahl!» 

Will rimase di stucco e notò che anche Orube era rimasta interdetta. Era la prima volta che sentiva uno dei due riferirsi all’altro come marito e moglie. 

Si sederono attorno alla penisola, la stanza illuminata solamente dai faretti sotto alla mensola della cucina e dal fuocherello dietro al vetro, in un’atmosfera molto più intima rispetto al grande tavolo della sala da pranzo dietro al camino. 

Matt aprì un’altra bottiglia di vino rosso e lo versò nei quattro calici. 

A Will girava già la testa e sapeva di non poter reggere il confronto con Matt e tantomeno con Orube e Cedric, che sembravano essere totalmente immuni agli effetti dell’alcol terrestre, quindi si promise di controllarsi e centellinare il proprio bicchiere in modo da non doverlo riempire di nuovo. 

«Quindi ora che farete? Continuerete a lavorare per Ipitlos ed Elyon?» chiese Matt, posando la bottiglia sulla penisola e sedendosi accanto a Will, di fronte agli altri due. 

Orube fece spallucce, guardando il marito. «È un po’ difficile fare dei piani ora, almeno finché Cedric non si sarà rimesso del tutto in sesto. Io sarò sempre fedele a mio fratello, e finché l’alleanza sarà in piedi lo sarò anche a Meridian, nonostante Elyon. Ammesso che mantenga la sua promessa di liberare Cedric, altrimenti giuro che le rivolto contro il mio intero pianeta...»

Cedric rialzò lo sguardo dal suo calice di vino, che stava osservando pensieroso e lo rivolse a Orube, andando a stringerle la mano sulla penisola. «Non mi importa se mantiene la promessa o no, se c’è una cosa che ho capito da tutta questa storia è che io sono già libero almeno finché ho te accanto. Se Elyon continua ad avere interesse in ciò che mi passa per la testa, che faccia pure.»

Seguì qualche istante di silenzio, durante il quale Orube strinse la mano di Cedric, guardandolo commossa.

«Wow.» pensò Will, senza rendersi conto di averlo detto anche ad alta voce, interrompendo quel momento così toccante. Realizzò di averlo detto quando Matt, Cedric e Orube si voltarono verso di lei in contemporanea, guardandola a sopracciglia alzate. 

Dopo qualche altro istante di silenzio, scoppiarono tutti e quattro a ridere. 

Will non seppe dire per quanto tempo Cedric e Orube rimasero a casa sua, seppe solamente che il tempo volò via assieme a quel vino, di cui solo lei sembrava accusare gli effetti nonostante il suo buon proposito iniziale. 

Si sentiva in pace e a suo agio, e non riusciva a fare a meno di dispiacersi del fatto che i due alieni non avessero dimora fissa sulla Terra. Si trovava bene con loro e sorprendentemente anche Matt sembrava apprezzare la loro compagnia. 

D’un tratto, mentre Matt esaminava meravigliato le iridi e la dentatura naturale di Orube e ne elencava le somiglianze con l’anatomia felina, Will avvertì un suono famigliare provenire dalla sua camera da letto. Era il brusìo che lo specchio con il portale emetteva quando i saggi di Kandrakar cercavano di contattarla. 

Anche gli altri lo sentirono. Orube drizzò le orecchie e non ci mise molto a capire cosa fosse. «È quello che penso io? Ma che vogliono a quest’ora?»

Will si alzò dallo sgabello per avviarsi verso la camera, ma appena mise giù le gambe si rese conto di quanto in realtà aveva bevuto. «Non lo so cosa vogliono, ma dovranno accontentarsi di una Guardiana ubriaca!» e si avviò leggermente storta verso la camera. 

Gli altri la seguirono, ma rimasero sulla soglia della stanza. 

Nello specchio era apparsa l’immagine di Endarno. 

«Ecco,» sbottò Will, noncurante del fatto che Endarno poteva vederla e sentirla, «Tra tutti proprio lui! Que pasa, Endarno?»

Endarno si accigliò. «Come, prego?»

Will si appoggiò con una mano al bordo dello specchio e appoggiò l’altra mano al suo fianco. «Sappi che non sono in grado di guidare macchinari pesanti, quindi il cuore di Kandrakar è fuori questione!»

Dalla soglia della stanza, Orube e Matt soffocarono una risata, mentre Cedric si coprì gli occhi con una mano, scuotendo il capo. Endarno si accorse della loro presenza e il suo sguardo si fermò su Orube. «Maestra Orube. È possibile parlare con una persona sobria qui?» 

Orube si fece avanti, andando a posare una mano sulla spalla di Will. «Come possiamo aiutarti, Endarno?»

«Deduco che non sappiate cosa è appena successo proprio a Heatherfield, sotto il vostro naso.» disse il saggio.

Anche Cedric fece un passo in avanti, reggendosi al bastone ed entrando del tutto nella visuale di Endarno. 

«Una notizia che certamente non ti piacerà, Cedric di Meridian.» continuò Endarno. «Un portale si è aperto nella tua libreria e dall’altra parte evidentemente c’era un incendio, che ha fatto bruciare il locale da questa parte.» 

Orube trasalì, mentre Will spalancò la bocca. Cedric rimase immobile, apparentemente impassibile come sempre. 

«Un altro portale si è aperto allo Sheffield Institute e un altro ancora nella vecchia abitazione di Elyon, dove c’erano i vecchi portali.» continuò Endarno. «A quanto pare l’instabilità di questa faglia sta crescendo e non c’è più tempo da perdere. Riuniremo il Consiglio al più presto e discuteremo con Elyon il da farsi.» annunciò granitico, poi scoccò un’occhiata severa a Will. «Mi aspetto di trovare te e le altre Consigliere in grado di reggervi in piedi per quando verrete convocate.»

Endarno non diede loro il tempo di ribattere e lo specchio ritornò ad essere ciò che era e a riflettere gli sguardi sconvolti di Will e Orube. 

Matt si avvicinò a Cedric e gli appoggiò una mano sulla spalla. «Tutto ok?» gli chiese.

Cedric non si scompose, o almeno non lo diede a vedere. «Sì, ma non è a me che devi chiederlo. I proprietari sono Josh e Ashley.»

Will si risvegliò come da un sogno ad occhi aperti. «Giusto!» disse, e tirò fuori dalla tasca dei jeans il suo smartphone. «Spero che uno dei due mi risponda, anche se ora avranno altro per la testa…»

Will iniziò ad armeggiare con il telefono, ma si rese conto che tra l’alcol e l’adrenalina del momento non riusciva a trovare il numero di Josh. Esasperata, guardò verso il soffitto e disse a voce alta: «Mira, chiama Josh per piacere e mettilo in vivavoce.»

«Subito, Will.» rispose la voce tranquilla di Mira. Cedric e Orube si guardarono attorno sconcertati, mentre sul display di Will comparve la schermata di una chiamata in corso. 

«Will!» risuonò la voce di Josh dal telefono. 

«Josh! Sono qui con Matt, Cedric e Or-… ehm, Rebecca, abbiamo appena saputo della libreria! Come stai? Come sta Ashley? Eravate ancora lì?»

«Sì, Will, io e Ashley eravamo ancora dentro, avevamo appena chiuso….» iniziò Josh dall’altra parte, con una nota di angoscia ben percepibile nella sua voce. «Per fortuna non c’era nessuno… che disgrazia, non sappiamo che fare…»

«Ma com’è successo?» chiese Matt, «I danni sono molto gravi?»

«Non lo so, Matt, nemmeno i pompieri sono riusciti a capire! Le fiamme sembravano comparire dal nulla giù in cantina, provavano a spegnerle e se ne generavano delle altre, come se entrassero da una porta invisibile! Abbiamo perso quasi tutto il locale…»

Will e gli altri si scambiarono uno sguardo eloquente. Endarno aveva ragione, quindi, le fiamme provenivano dall’altra parte di un portale. 

«Non sappiamo che fare, ragazzi…» continuò Josh con la voce spezzata. «Quelli dell’assicurazione ci hanno messi in croce, sono convinti che l’unica spiegazione sia che abbiamo appiccato noi l’incendio per avere i soldi dell’assicurazione… Abbiamo perso tutto!»

«Non preoccuparti dei soldi e del locale, vi aiuterò io per quello.» intervenne Cedric. 

«Cedric!» esclamò Josh dall’altra parte. «Mi dispiace così tanto, so quanto ci tenevi alla libreria…»

«Non è colpa vostra, credimi.»

«Cercate di riposare,» aggiunse Orube «Noi possiamo darvi una mano a rimettervi in piedi.»

«Grazie Orube,» disse Josh, rimarcando il nome di Orube. Will si batté il palmo sulla fronte: come aveva fatto a dimenticare che Cedric aveva dovuto svelare la loro identità a Josh e Ashley per evitare complicazioni riguardo le loro regolari assenze, la scomparsa di Cassandra e l’impossibilità di rintracciarli? «Grazie davvero, ragazzi. Vi terrò aggiornati.»

Will chiuse la chiamata e il gruppo rimase in silenzio per qualche istante. La testa le girava vorticosamente e non sapeva che pensare. 

«Quindi ci siamo di nuovo.» sospirò. «Nemmeno il tempo di tirare il fiato e l’apocalisse è già arrivata.»

***

«Sembra che tutto stia andando persino meglio del previsto.» disse il consigliere più anziano. 

L’uomo annuì e prese a camminare a grandi passi nella stanza ovale in cui si trovavano, con le mani dietro la schiena. «Decisamente. Cedric ci ha fatto inconsapevolmente un enorme favore mettendo Deimos a contatto con Elyon: sarà lui la nostra chiave.»

L’uomo fece una pausa, mentre raggiunse il bacile che usava per osservare le sue pedine. Vi si affacciò e vide il proprio riflesso: un volto dall’apparenza piuttosto giovane che celava la sua vera età, e sulla tempia un tatuaggio rosso scuro che rappresentava il simbolo del suo regno, il cuore di Kandrakar. «Fate chiamare Phobos. È ora per noi di onorare il nostro patto e che Deimos inizi il suo addestramento a Kandrakar prima che diventi re, come gli abbiamo promesso.»

«Sì, Oracolo.» Il consigliere fece un leggero cenno del capo poi si allontanò. 

«Pensi che funzionerà?» disse una voce femminile, avvicinandosi all’Oracolo. La donna si affiancò a lui attorno al bacile d’acqua. Accanto al riflesso di lui sulla superficie del bacile apparve quello di lei, una donna dai capelli lunghi e bianchi, le orecchie appuntite, le labbra così scure da sembrare nere e alcuni dettagli del viso che la facevano sembrare più a un felino che ad un essere umano. 

«Questa volta funzionerà, Luba.» disse lui. «I portali continueranno ad aprirsi e presto non ci saranno confini tra i due universi. E io avrò via libera per diventare l’unico Oracolo e spazzare via l’altro Himerish, che sta solamente portando disonore al nostro ruolo.»

Luba esitò. «Le vecchie Guardiane però si sono dimostrate all’altezza del compito. E il Cedric di là è furbo almeno quanto il nostro, potrebbero trovare un modo per richiudere la faglia.»

Sul volto dell’Oracolo si dipinse un sorriso beffardo. «Lo è, ma anche lui ha un punto debole. Hai visto come ha perso le staffe quando gli abbiamo toccato la Guerriera. E si dà il caso che il suo punto debole sia uno dei nostri punti di forza.»

Una seconda voce femminile si rivolse ai due dal capo opposto della sala ovale. «Oracolo, mi avete fatta chiamare?»

L’Oracolo e Luba si girarono entrambi verso la provenienza di quella voce. Quella che un tempo era una Guerriera di Basiliade, e ora era la Guardiana delle Stille dopo che Luba le aveva lasciato l’incarico, attendeva in piedi di ricevere ordini. 

«Sì, Orube.» disse l’Oracolo, sorridendole da lontano. «Vieni, abbiamo molto di cui parlare.»




NOTE - grazie a chiunque sia arrivato vivo alla fine della storia, spero che non sia stata una sofferenza leggerla quanto lo è stato pubblicarla! Se vi è piaciuta e volete scambiare due chiacchiere con me a riguardo, non fatevi problemi a contattarmi. Per il momento non ho intenzione di scrivere un seguito, ma ovviamente se qualcuno ha voglia di discutere i possibili sviluppi mi fa piacere. 

Può darsi che scriverò qualche altra one-shot su alcuni missing moments, ma le troverete su AO3 (dove già trovate quella su Cedric e Vathek) - link al mio profilo nella bio.


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