(Not The) Odyssey

di _Cthylla_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - C'è sempre chi sta peggio ***
Capitolo 2: *** 2 - ''Benvenuto'' in famiglia ***
Capitolo 3: *** 3 - Anche ''loro'' erano medici ***
Capitolo 4: *** 4 - E l'ansia divenne arte ***
Capitolo 5: *** 5 - Non ''da dove'', ma ''da quando'' ***
Capitolo 6: *** 6 - ''Il tuo amico, G.'' ***
Capitolo 7: *** 7 - Chosen One Day con sorprese ***
Capitolo 8: *** 8 - Megatronus (non ancora senpai) ***
Capitolo 9: *** 9 - Venationes ***
Capitolo 10: *** 10 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1 - C'è sempre chi sta peggio ***


1

 
 
 
 
 
 
 
 
Munito di ciò che restava di un pezzo di grondaia arrugginito, alias quel che di più pericoloso era riuscito a trovare e ad afferrare al limitare di quella piccola discarica del suo quartiere di residenza, Odyesseus cercò di racimolare sufficiente coraggio per riuscire ad avventurarsi tra i rifiuti e soddisfare una malsana curiosità riguardo la quale il commento di un terrestre sarebbe potuto essere “Nomen omen”.
 
Non che lui sapesse cos’era la Terra o che l’Homo Sapiens avesse fatto la sua comparsa su di essa. Ciò non sarebbe accaduto che tra vari ed eventuali milioni di anni -così come una guerra civile tra cybertroniani che, nessuno lo sapeva, era ancora in là da venire; ma questi non erano che dettagli marginali.
 
“Primus nostro che sei nel cosmo…”
 
Ciò che contava per il giovane e mingherlino jetformer, che avrebbe potuto lasciare dei segni su quel pezzo di grondaia se solo avesse avuto forza sufficiente per riuscire a stringerla tanto, era scoprire cos’aveva visto quando era andato a gettare l’immondizia la sera prima… e uscirne vivo e possibilmente in salute.
 
“Sia santificato il Tuo nome…”
 
O comunque più in salute della volta in cui un mech più grosso di lui gli aveva fatto perdere a suon di botte una delle sue ottiche dorate: sarebbe stato già molto.
 
“Venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà…”
 
Tornare a casa malmesso era un’abitudine per lui -la periferia della città-Stato chiamata Tarn non era un posto per i deboli o per gli stupidi, e lui di certo era almeno una delle due cose- ma in quell’occasione era andata molto peggio del solito.
 
“Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori…”
 
Se non altro l’ottica persa era stata sostituita in fretta… e il donatore non proprio consenziente era stato lo stesso mech che l’aveva massacrato.
Pensare alla spietatezza mostrata da Scylla in quel frangente, sebbene fosse stata tutt’altro che gratuita e utilizzata per dargli una mano, lo fece rabbrividire leggermente. Odysseus amava e stimava le proprie sorelle ma ciò non cambiava il modo in cui si sentiva riguardo certe cose.
 
“E non ci indurre in tentazione ma Ti Prego Fammi Tornare A Casa Intero GRAZIE!” concluse, riuscendo a stento a soffocare uno strillo quando una robopantegana corse tra le sue gambe tremanti.
 
Dopo qualche istante di immobilità in cui si guardò attorno per verificare di essere solo, senza drogati o possibili rapinatori acquattati nell’ombra, continuò ad addentrarsi nella discarica. Nel mentre non poté evitare di tornare col pensiero alla sera prima, quando aveva visto rintanarsi in mezzo ai rifiuti un qualcosa di azzurro attaccato a un altro qualcosa abbastanza grosso.
Aveva pensato a un animale, qualcosa tipo una turbofox o un cybercane di considerevoli dimensioni, ragion per cui aveva portato con sé un paio di salsicce di cadmio che aveva comprato appositamente quel mattino stesso: magari sarebbe riuscito a farselo amico e portarlo nel capanno dietro casa, non sarebbe stata la prima volta. Capitava spesso che Odysseus desiderasse provare nei riguardi delle persone la stessa tranquillità che provava verso gli animali, non aveva problemi con loro… se non spuntavano di botto come la robopantegana di prima, ovviamente.
 
“Prima o poi riuscirò pure a convincere le mie sorelle a lasciarmene tenere uno!” pensò, seppur memore del fatto che tanto Scylla quanto Charybdis gli avessero intimato di piantarla di adottare animali randagi.
 
Passò vicino a un altro grosso cumulo di rifiuti e sentì di nuovo il rumore di qualcosa che si muoveva. Qualcosa di grosso.
Forse quello della sera prima non era un animale.
 
Si irrigidì nuovamente e tese il tubo davanti a sé, conscio di star sembrando decisamente patetico causa mani che tremavano come se avessero stretto un martello pneumatico invece di un pezzo di metallo immobile e arrugginito, ma non riusciva a evitarlo, temendo di venire assalito da un momento all’altro.
 
«N-non venire fuori! Ho un tubo!... Ho un tubo e non ho paura di usarlo, q-quindi… quindi resta dove sei!» aggiunse per buona misura, facendo saettare da una parte all’altra le ottiche di due colori diversi mentre si voltava a destra e sinistra con passi freneticamente impacciati «Resta dove sei per favor- EEEEEH!» gridò quando, dopo essere inciampato nei resti di un gabinetto, cadde miseramente proprio nel cumulo di rifiuti dal quale aveva sentito provenire il rumore.
 
E atterrò su qualcosa di caldo, vivo e di dimensioni superiori alle sue.
 
«AAAAAAAAAAH!» strillò, con sincero terrore.
 
«AAAAAAAAAAH!» strillò qualcuno vicino a lui.
 
La conferma della presenza di un’altra persona portò Odysseus a gridare di nuovo, ancora più forte e con un tono ancora più alto, e l’altro a rispondere esattamente nello stesso modo in una cacofonia di acuti che avrebbero fatto invidia ad Eucryphia -compositrice e cantante lirica ormai attempata ma di indubbio talento-.
 
Solo dopo un po’Odysseus riuscì a calmarsi quel tanto che bastava da notare l’azzurro di un terrorizzato sensore ottico azzurro a poca distanza da lui, esattamente lo stesso che aveva visto la sera prima.
 
«N-non farmi male!» lo supplicò il proprietario di suddetto sensore ottico, abbassando la testa e intrecciando le mani in una preghiera «Per favore per favore n-non farmi male ti… ti prego. Ti prego non farmi male io- io n-non do n-noia a nessuno, non farmi male-»
 
«Ma chi, io?» fu la risposta istintiva di Odysseus, che mai nella vita si era sentito dire certe cose e diede persino una rapida occhiata alle proprie spalle per vedere se magari l’altro mech si stesse rivolgendo a un’altra persona «Sei tu che mi hai spaventato a mor… te…»
 
Finalmente Odysseus riuscì a guardare bene la persona che gli stava davanti, e se fosse stato un umano sarebbe impallidito nel notare mani che non erano mani.
Quelle di un cybertroniano che aveva subìto l’empurata, alias senza palmo e con tre sole dita piuttosto appuntite, non potevano certo definirsi tali.
Dalle “mani”, lo sguardo di Odysseus passò alla testa -altro segno evidente di ciò che l’altro mech aveva subìto- e poi al corpo color arancio, tutto sporco e visibilmente ammaccato.
 
Il jetformer conosceva benissimo quel tipo di ammaccature: erano uno sgradito ornamento che gli capitava di indossare abitualmente… e non c’era da stupirsi che sul corpo del suo interlocutore ce ne fossero così tante. Odysseus finora non aveva mai visto dal vivo un transformer punito con l’empurata, aveva visto solo immagini e filmati, ma erano sufficienti per capire cos’aveva davanti: un pària, una persona che di solito veniva vista dalla società come feccia tra la feccia, privo di qualsiasi diritto diverso dalla vita -e anch’esso era questionabile, secondo alcuni.
Non paghi di mutilare i corpi dei propri simili, i Senatori avevano aggiunto a questo anche uno stigma sociale che rendeva la vita di quegli individui più infernale di quanto la menomazione lo rendesse di suo.
 
Si allontanò un po’ dall’altro mech che, di suo, non aveva ancora rialzato la testa né aveva disgiunto le mani. Odysseus notò che tremavano quanto e più delle sue.
 
Due pensieri attraversarono il suo processore: il primo riguardava la facilità con cui riusciva a immaginare almeno parte di ciò che quel disgraziato stava passando, mentre il secondo era una semplice considerazione, ovvero “Per quanto i transformers ridotti così possano ‘fare senso’, il Senato e noi che permettiamo a esso di fare cose del genere siamo infinitamente peggio”.
Peccato non poter fare alcunché a riguardo. Nessuno aveva l’intenzione o il coraggio, e lui, che più volte si era trovato terrorizzato dalla propria ombra, meno che mai.
 
Si rialzò con una certa cautela e con altrettanta cautela iniziò ad allontanarsi dai rifiuti e da quel povero disgraziato.
 
«Grazie» lo sentì mormorare «Grazie…»
 
Sulle prime il giovane jetformer non comprese neppure perché lo stesse ringraziando, poi realizzò: di sicuro era perché non lo aveva picchiato né insultato, contrariamente a quel che gli era accaduto in precedenza.
 
Distolse lo sguardo e fece qualche altro passo.
 
Un ringraziamento così sentito… solo per essere stato lasciato in pace in mezzo ai rifiuti. Odysseus non si considerava una cima ma sapeva che c’era qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto ciò. Anzi, era tutto tremendamente sbagliato.
 
A un certo punto non riuscì ad andare avanti. Non riuscì a evitare di pensare che lui, anche senza empurata, avrebbe potuto tranquillamente trovarsi al suo posto, uno scarto tra gli scarti. Era piuttosto sicuro che, privato dei genitori quando era una protoforma, senza le sue sorelle maggiori a mandare avanti l’attività di famiglia e a prendersi cura di lui sarebbe finito proprio in quel modo.
 
Lui per primo era un perdente nato, aveva già le proprie magagne e la cosa più intelligente da fare sarebbe stata fare finta di non aver visto niente, ignorare la miseria altrui -che non lo riguardava- e farsi gli affari propri sentendosi sollevato all’idea di avere ancora dei diritti, delle mani, una testa e una faccia normali; eppure non ci riusciva.
 
Forse il “non considerarsi una cima” era riduttivo rispetto alla sua reale stupidità… o così pensò prima di voltarsi nuovamente verso l’altro mech e dare fiato alla bocca.
 
«E-ehm. Ehi- no, no, tranquillo, non ti faccio niente» si sbrigò a dire, vedendo l’altro ritrarsi spaventato e alzare le “pinze” davanti al volto in una mossa di difesa patetica quanto inutile «È solo… sei ferito, giusto?»
 
“Che glielo domandi a fare, imbecille? Lo hai visto da solo!” si rimproverò. Faceva proprio schifo a relazionarsi con le persone.
 
«Non farmi male…» fu tutto quel che disse l’altro.
 
«Te l’ho detto, non ti faccio niente» ribadì Odysseus, il quale iniziava ad avere il dubbio che quella povera creatura ormai fosse in grado di pronunciare solo quelle poche frasi che aveva sentito «N-non sarei in grado nemmeno volendo, in effetti… e non solo perché sei più grosso di me, amico».
 
«Amico» ripeté il mech arancione, e il modo in cui disse quella parola la fece suonare quanto di più alieno possibile «“Amico”… io non ho amici. Nessuno di quelli come me ne ha. Siamo… scarti. Disgustosi… inutili… le mie mani… le mie mani…»
 
«Tornerebbero utili a me al posto di vari attrezzi, con il lavoro che faccio» disse Odysseus, senza pensare «Ehm. Ascolta, non è una buona idea restare qui. Potrebbe capitare brutta gente, io non ti voglio fare niente, ma loro… loro la pensano in un altro modo».
 
«Lo so» mormorò l’altro «M-ma non so dove altro andare. Non so neanche come sono arrivato da queste parti, non ricordo… l’unico ricordo davvero chiaro che ho è quando loro mi hanno…» mosse le pinze in un gesto convulso «E i primi giorni, quelli subito dopo. Il resto, quel che è successo in seguito e la mia vita prima del Senato, invece… solo frammenti… persone, cose…» emise un lamento «La mia testa…»
 
“Sei in brutte condizioni ma almeno capisci quel che dico e sei capace di mettere le parole in fila” pensò il jetformer, passandosi nervosamente una mano tra i “capelli” grigi. Dodici “tentacoli” mobili, forti e molto allungabili, l’unica cosa che condividesse con le proprie sorelle: peccato non sapesse usarli in modo utile, contrariamente a loro. «Avresti bisogno di un medico».
 
«Non ho shanix. E comunque… e comunque n-non… nessun medico perde tempo con quelli come me».
 
«Brushsling non è così stronzo. È il medico da cui vado io… o-ormai sono di casa. Già. Per gli shanix… sì, effettivamente per tutto quel che devi fare tu magari ce ne vogliono un altro po’rispetto a quelli che ho messo via, però… p-però magari in un paio di settimane riesco a raggiungere la cifra? Forse».
 
Per il poco che si poteva capire dal suo volto senza espressioni, alla paura del mech arancione si aggiunse la confusione. «Non capisco».
 
«Tu hai bisogno di un medico e io conosco un medico da cui farti andare, e tra poco avrò anche abbastanza shanix… penso. Nel frattempo penso di poterti far entrare nel capanno, le mie sorelle di solito non ci vanno mai, e dopo essere stato curato puoi andare… non so dove. Da qualche parte. I-io… voglio aiutare. Aiutarti. Ecco».
 
“Se Scylla e Charybdis scoprono la cosa mi staccano la testa” pensò Odysseus, ovviamente in senso figurato “Ma spero di no… spero in bene anche per stasera, Charybdis a quell’ora è già a letto e Scylla di solito torna più tardi…”
 
«No. No» disse il mech, scuotendo la testa «Tu non devi aiutarmi. Nessuno lo fa, nessuno lo deve fare-»
 
«Le persone non vengono punite se decidono di avere a che fare con quelle a cui è capitato… quel che è successo a te. Abbiamo il diritto di fare, o non fare, assolutamente tutto quel che vogliamo con voi».
 
Nel bene e nel male, ma non era necessario specificarlo: entrambi ne erano consapevoli.
 
Il povero disgraziato tra i rifiuti osò, in maniera esitante, sollevare il proprio sguardo per incontrare il suo, anche se solo per un attimo. «E tu… v-vuoi usare questo diritto per aiutare. Aiutare me».
 
«Sì».
 
«N-non… questo è… è una presa in giro. Vero?»
 
«Pff. Sono l’ultimo che può prendere in giro qualcuno, io. Una settimana fa ero in un vicolo e ferito più o meno come te. Questo posto non… diciamo che di solito non è l’ideale per le persone come me e te. Quelle che non si sanno difendere. Sai».
 
«Nessun posto è l’ideale per chi non si sa difendere».
 
«Sì. Già. Davvero, io voglio solo darti una man- ehm, aiutare. Se io quando fa buio torno qui e ti porto nel capanno, tu vieni con me? O no?»
 
Non era una proposta molto prudente, dopotutto non sapeva assolutamente niente di quel mech, neppure il suo nome; il suo Senso di Sfiga però suggeriva che stava tendendo una mano a qualcuno di innocuo e che quindi non stava portando vicino a casa propria uno spietato killer “legalizzato” che gestiva una prigione ricavando sentio metallico dai prigionieri dopo averli fatti entrare in una camera di fusione con l’illusione che fosse un sistema di teletrasporto, il tutto mentre beveva energon extra forte di ottima qualità da una bottiglia di vetro di pregevole fattura e ascoltava musica classica.
Chissà da dove saltavano fuori quelle fantasie, poi.
 
«Vuoi aiutarmi davvero» disse il mech sconosciuto, attonito «S-sei… sei convinto».
 
Il jetformer annuì, muovendo leggermente le sue ali blu. Lo faceva quando era teso, ossia quasi sempre. «Sì. Ehm… magari prima potresti dirmi la tua designazione? Io sono Odysseus».
 
Seguì un lungo momento di silenzio.
 
«Glitch. È il modo in cui hanno iniziato a chiamarmi, anche se… anche se non ricordo chi è che “mi chiama”. Né perché dovrebbero farlo…» sibilò di dolore e tornò nuovamente a massaggiarsi le tempie.
 
«Penso di avere anche degli antidolorifici a casa, stasera metto nel capanno anche un po’di quello. Se vieni».
 
Glitch, in un gesto forse poco conscio, dopo aver stretto convulsamente le pinze una all’altra iniziò a passarsi sul volto le “dita” della mano sinistra, arrivando a lasciare dei segni -o meglio, ad approfondire dei segni già presenti. Doveva essere un suo tic nervoso, ma dopo l’empurata era normale che un transformer potesse avere un rapporto conflittuale con la propria faccia, se poi di faccia si poteva parlare. «Tu non dovresti… non è il caso di essere gentile. Non qui… o da qualsiasi altra parte. Perché sei gentile con me?»
 
«Non mi capita spesso di riuscire a fare qualcosa di buono, se non nel mio lavoro, per cui… per cui stavolta voglio. E poi» Odysseus abbassò la voce «Io non so perché il Senato ha fatto questo proprio a te, ma so che lo fanno anche per motivi come aver disobbedito a uno dei loro ordini, per aver manifestato contro di loro, per il solo fatto di essere nati con capacità strane o semplicemente perché sì. E questa cosa» abbassò ancora la voce «Fa schifo, ok?! Schifo! Ecco».
 
Glitch sollevò nuovamente lo sguardo su di lui, poi lo riabbassò di nuovo altrettanto velocemente. «Cerca di non farti sentire mai. Non devi finire anche tu come me» fece una breve pausa di silenzio «Se… se tu non cambi idea e stasera torni, io… vengo con te. Sì. Mi troverai qui sotto i rifiuti. Grazie» disse «Grazie grazie grazie».
 
Odysseus si sforzò di sorridere e annuì.
Non avrebbe mai pensato di poter provare più pena di quanta ne provasse per se stesso.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
«Dobbiamo muoverci in fretta e con cautela, Glitch!...»
 
«M-ma sono due cose oppost-»
 
«Persone!» sibilò Odysseus nascondendo se stesso e il suo nuovo amico dietro un bidone.
 
Glitch aveva sobbalzato, probabilmente lo faceva sempre quando veniva toccato -l’aveva fatto anche quando Odysseus gli aveva detto di attaccarsi al suo braccio e lui, dopo avergli chiesto almeno cinque volte se ne fosse sicuro, gli aveva dato retta- ma quello non era il momento di prestare attenzione ai suoi traumi. Il tragitto dalla piccola discarica al capanno era breve, però gli sembrava lontanissimo, come sempre e specialmente di sera.
 
“Devo stare attento, stavolta se ci beccano non fanno male solo a me. E lui ne ha già passate abbastanza” pensò Odysseus, sporgendosi leggermente da dietro il cassonetto una volta che il gruppetto di persone li ebbe superati. «Via libera».
 
Quando fecero per rimettersi in marcia, tuttavia, Odysseus sentì qualcuno strattonare via Glitch.
 
«Cosa abbiamo qui?... Un senza-faccia?!»
 
Odysseus, terrorizzato, si voltò a guardare il mech sopraggiunto dietro di loro: non era tanto più grosso di Glitch ma era visibilmente più aggressivo e odorava di energon extra forte.
 
«Non farmi male!» esclamò il povero disgraziato color arancio, spaventato quanto e più di Odysseus «Ti pre-»
 
Il rumore di statiche che seguì il pugno dato a Glitch dal tizio fece capire subito che il viso di questi era stato sicuramente danneggiato. Stava succedendo precisamente quel che avevano cercato di evitare, e il tipo non sembrava aver voglia di fermarsi solo a un pugno in faccia.
 
Odysseus a quel punto fece una cosa decisamente rara per lui, alias afferrare il coperchio del bidone e abbatterlo sulla testa dell’ubriaco con tutta la forza che aveva. Risultato: il tizio, che aveva a malapena avvertito il colpo, gli diede un pugno allo stomaco abbastanza forte da far cedere le ginocchia e lo afferrò per il collo, ciò dopo aver lasciato cadere Glitch.
L’unica consolazione era aver almeno tentato di fare qualcosa, ma in quel momento, sinceramente, a Odysseus non sembrava granché.
 
«Uno di sfigato che ne difende un altro! Cosa cazzo siete, una coppietta?! Una coppietta fatta da schifo che si sbatte altro schifo, EH?!»
 
Un altro pugno allo stomaco.
Odysseus, piuttosto abituato, stimò che in teoria si sarebbe stufato dopo altri cinque o sei colpi: la sua esperienza suggeriva quello, almeno quando il picchiatore di turno era a quel livello di sbronza. Si augurò di non sbagliare.
 
Fu a quel punto che il mech ubriaco lanciò un grido di puro dolore e crollò sulle ginocchia appena prima di iniziare a rantolare e rimettere energon a tutto spiano. Nel rialzarsi velocemente, il jetformer notò che tanto le gambe quanto i fianchi stavano avendo una rapida serie di spasmi e che i piedi, nell’arco di millisecondi, non ne ebbero più, restando immobili come quelli di un transformer morto.
 
«La mia testa…» si lamentò il mech arancio, ancora a terra.
 
«Glitch! Stai bene?!» esclamò Odysseus, avvicinandosi all’altro «Dobbiamo andare via, non so cos’è successo ma non…»
 
«Sono “successo” io. Non camminerà mai più, se non morirà a forza di vomitare… ma spero di no» disse Glitch, con un tono ben diverso da quello usato nella discarica «Sarebbe troppa grazia rispetto a quello… che merita… Odyssesus-» si strinse la testa tra le mani dopo un altro lamento «P-potrei… potrei svenire, fa male-»
 
«Non puoi svenire, non ce la farei a portarti. Resisti un altro po’, ok? Dobbiamo arrivare al capanno, ti aiuto a rialzarti, va bene? Glitch!»
 
«Sì… ci sono. Ce la faccio… forse».
 
Abbandonata la cautela in favore di un passo veloce per quanto riuscivano ad andare, si rimisero in viaggio verso il capanno.
 
«Allora è per quello che ti hanno fatto quel che ti hanno fatto… giusto? Quella cosa di prima, i-il tizio ridotto in quel modo, tu…» abbassò la voce «Sei un outlier, vero?»
 
«Sì… m-ma la cosa non mi ha mai aiutato molto. La mia abilità fa male… fa tanto male…»
 
«Ho capito. Grazie, Glitch».
 
«C-come?!...»
 
«Grazie» ripeté Odysseus «Per avermi aiutato anche se sapevi che ti avrebbe fatto male».
 
«Tu… tu hai fatto lo stesso prima. Hai cercato di farlo smettere e l-le hai prese per colpa mia, e non dovevi. N-non eri tenuto. Io non potevo… ho fatto quel che dovevo».
 
«Potevi approfittarne per fuggire».
 
«Sono spazzatura ma non sono spazzatura ingrata, Odysseus».
 
«La tua voce è molto più profonda quando non sei spaventato o non sei troppo teso… ci faccio caso solo ora» commentò il jetformer, non sapendo bene cos’altro dire.
 
Dopo un breve borbottio, Glitch rimase in silenzio per il resto del viaggio.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
Entrati nel capanno e acceso un lumicino aranciato, i due mech si accasciarono a terra con un sospiro.
 
«Ho cercato di mettere su una cuccetta improvvisata lì. Ho lavato tutto quindi è pulita» disse Odysseus, indicando stancamente la cuccetta in questione «E ho messo delle coperte in più, a brevissimo le temperature si abbasseranno parecchio, quindi ne avrai bisogno. Per il bagno… in qualche modo faremo pure. Sì, come alloggio fa abbastanza schifo ma è sempre meglio che in mezzo ai rifiuti, e qui non ti tocca nessuno».
 
«Hai g-già fatto molto più di quel che dovevi… anche perché non “dovevi” proprio niente. Grazie. Grazie grazie».
 
Il jetformer sorrise. «Ringraziami quando riuscirò a farti curare».
 
«Ti ripagherò. In un modo o nell’altro lo farò, dovessi impiegare tutta la vita per racimolare gli shanix in qualche maniera» affermò Glitch.
 
«Tranquillo» disse Odysseus «Non-»
 
Con la coda dell’occhio intravide un’ombra tentacolata alla sua sinistra.
 
«AAAAAAAAAAH!» strillò, facendo cadere svariati attrezzi nell’allontanarsi, mentre Glitch -pur non capendo il motivo- strillava a sua volta.
 
Finirono ad attaccarsi uno all’altro, spaventati a morte per l’ennesima volta in quella gionata, e Odysseus strillò un’ultima volta… prima di capire che ad averlo spaventato non era stata nient’altro che la sua ombra, mista a quella di uno degli oggetti del capanno, e che quindi i tentacoli non erano altro che i suoi capelli.
 
«Oh ma perché cazzo devo fare sempre così?!» sbuffò Odysseus, sconfortato.
 
Strillò nuovamente quando la porta del capanno si aprì di scatto, e a stento notò che Glitch era andato a rifugiarsi dietro di lui.
 
«Non so perché ti sia messo a strillare» disse la voce femminile di una femme della quale, nel buio del capanno, si vedevano chiaramente solo le ottiche dorate e una massa di “capelli” come quella di Odysseus che si muoveva come se fosse stata fatta di razor snakes «Ma se hai portato qui un altro cybercane, ricordati che ti avevo già detto-»
 
La femme, notando che a fissarla non erano solo le ottiche dorata e verde del fratello ma anche quella azzurra di chissà chi, si interruppe e accese la luce del capanno.
 
Odysseus sentì Glitch tremare e stringere le dita attorno alle sue braccia come se si fosse trovato davanti un mostro, ed emettere suoni inconsulti nel tentativo di articolare parole che non uscivano.
 
Scylla, guardando i due mech sul pavimento, sollevò leggermente un sopracciglio.
 
«Ad aver immaginato che avresti iniziato ad accogliere mech randagi, ti avrei lasciato continuare coi cybercani».
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Allora… non so bene cosa dire se non che, per quanto questa fanfiction sia nata più che altro perché ho avuto voglia di far incontrare questi due poveri disgraziati, non altera assolutamente niente a livello di quel che ho già scritto di Damus/Glitch/Tarn e del suo passato nel resto delle mie storie. Le spiegazioni su come Glitch sia finito in un tempo che decisamente NON è il suo verranno più avanti, incluso il perché Scylla non abbia riconosciuto Glitch in “A light for the lost and the meek” e perché Tarn non abbia idea del fatto che Scylla abbia un fratello e una sorella.
Se riesco ad andare avanti, cosa che spero :’D
 
Grazie a chi ha letto e alla prossima!
_Cthylla_
 
Qui, ecco delle immagini di Odysseus, Scylla e Glitch. Charybdis si vedrà dopo. I disegni dei fratelli sono miei, quello di Glitch viene dai fumetti.
Volevo mettere direttamente le immagini, ma purtroppo non ci riesco xD





 

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Capitolo 2
*** 2 - ''Benvenuto'' in famiglia ***


2
 
 
 
 
 




 
 
 
Charybdis si rassegnò a tirarsi su dalla cuccetta con un breve sbuffo carico di frustrazione.
 
Mandare avanti l’attività non era facile perché, oltre a creare bambole, buona parte di quel che riguardava la contabilità e il controllo quaità/quantità delle materie prime ricadeva su di lei -sebbene Scylla desse il suo valido contributo e anche Odysseus, per quel che poteva- e lo stesso valeva per la gestione dell’ambiente domestico.
 
In teoria avrebbe avuto poco di che lamentarsi dato che se le cose stavano così era anche perché a lei per prima piaceva avere sotto controllo quanto più possibile dell'esistenza sua e di chi le stava attorno, però era stancante lo stesso… e i suoi fratelli minori, invece di ringraziarla per l’impegno e la dedizione che metteva in tutto, interrompevano la sua meritata ricarica facendo baccano.

Voleva loro bene, ma in casi come quelli erano seccanti quanto una scheggia di metallo conficcata nel posteriore.

 
Scese al piano di sotto riflettendo sul fatto che non sapeva quale, tra Scylla e Odysseus, fosse peggio. Scylla era fuori controllo perché, sebbene fosse disciplinata nel proprio lavoro e nello svolgere i lavori di casa quando era il suo turno, non c’era nient’altro in cui le desse retta e voleva sempre fare le cose a modo proprio; quanto a Odysseus, la sua incapacità di trattare con le persone e di disinnescare le discussioni faceva sì che tornasse spesso a casa malmesso, col risultato di dover pagare cure che di solito non erano gratis.
 
“E noi non nuotiamo certo negli shanix. Fosse stato così avremmo lasciato questo buco e riaperto altrove già da tempo” pensò.
 
Nella sfortuna però erano anche fortunati, almeno a livello di cure mediche, perché Brushsling aveva una cotta per Scylla che risultava palese perfino a Charybdis, per quanto lei si sentisse estranea nei riguardi di certe cose e tutto ciò a esse correlato. Grazie a questo c’erano state alcune volte in cui avevano pagato un po’meno le cure di Odysseus e certe in cui non le avevano pagate affatto -il tutto senza che Scylla avesse connessioni col medico.
Non che, per quanto ne sapeva Charybdis, a Scylla sarebbe dispiaciuto.

Per quanto Brushsling in quanto medico avesse prestato certi giuramenti, anche lui doveva mangiare e aveva spese alle quali fare fronte. Curare sempre gratis la gente non era un lusso che ci si potesse permettere, non laggiù.
Secondo Charybdis, alla cotta si aggiungeva anche il fatto che tutti quelli che finivano col prenderle da Scylla fossero quasi costretti ad andare nell’ambulatorio di Brushsling -non era l’unico dottore, ma era l’unico decente- e quindi a pagarlo, ma questa contrariamente alla cotta era solo una supposizione.
 
Raggiunse la porta sul retro e l’aprì senza tante cerimonie.
 
«… gli ho detto che poteva restare! Non sa dove andare, è ferito-»
 
«Prima di farlo avresti dovuto ricordarti che non vivi da solo, Odysseus. E riguardo le ferite cosa pensi di fare? Sei diventato un dottore per magia e non ce l’hai detto?»
 
Un mech arancio che non aveva mai visto -“Un senza-faccia!” notò- era seduto a terra, trattenuto con forza dai capelli di Scylla, lesta a legargli le mani dietro la schiena, tenere stretto il busto e avviluppare le gambe in una morsa dalla quale il tizio, comunque, non stava nemmeno provando a liberarsi. Era una massa di metallo tremolante e visibilmente terrorizzata.
 
«Lo porto da Brushsling e lo faccio curare, gliel’ho promesso-»
 
«Con quali soldi, di preciso?»
 
«I miei risparmi! Posso farci quel che mi pare o no?! Quando ne avrò abbastanza-»
 
«Considerata la tua tendenza a fare a botte con le persone come se il corpo non fosse tuo direi che “quando ne avrai abbastanza” li terrai per non pesare sul bilancio famigliare per l’ennesima volta, invece di usarli per un miserabile a caso» si intromise Charybdis, facendosi avanti in tutta la propria considerevole stazza.
 
«Eccallà… non avrei dovuto parlare di soldi. Quando uno lo fa, zac! Sbuca dal nulla come quando si invoca un demone» commentò Scylla.
 
«Scusami tanto se presto attenzione ai bilanci. Dimmi chi è questo tipo e da dove sbuca… anzi no» si corresse Charybdis «Non voglio nemmeno saperlo, buttatelo per strada e andiamo tutti a letto. Ne ho avuto già abbastanza».
 
«Glitch mi ha aiutato! C’era un tizio ubriaco-»
 
«E tu ci hai discusso finendo col fare a botte» completò Charybis «Ovviamente».
 
Scylla alzò gli occhi al cielo. «Lui non discute nemmeno, è il punching ball preferito del settore, è questo il problema».
 
«… ci è venuto addosso e io l’ho colpito con il coperchio del bidone-»
 
«Momento -momento -momento: stai dicendo che hai reagito?» si stupì Scylla «Questa è da segnare sul calendario».
 
«Venendo alle mani, che poi è esattamente quel che non deve far-»
 
«Non farla lunga, Chary. Ha reagito! Potrei anche commuovermi, avrei davvero voluto vederlo. Sicuramente non è servito a molto, ma ci ha provato. Sta crescendo!» esclamò Scylla, prendendo tra le mani il volto del fratello.
 
«Aaah, ‘fanculo!» sbottò Odysseys, allontanandosi «Sentite, gli ho promesso che sarebbe potuto rimanere e mi ha dato una mano, quel tizio è finito per terra e non si rialzerà mai più, o comunque non con le proprie gambe, per cui-»
 
«Stai dicendo che il budino di berillio qui presente è riuscito a fare una cosa del genere? A guardarlo non l’avrei ritenuto possibile. Forse ho fatto bene a legarti, “Glitch”» commentò Scylla, ora molto seria, trascinando il mech davanti a sé «Come hai fatto di preciso?»
 
Da parte del mech in questione si sentì solo un mormorio indistinto, che divenne uno strillo spaventato quando i “capelli” di Scylla si strinsero di più attorno a lui. Aveva anche iniziato a piangere, non per il dolore -per quanto la presa fosse stretta non lo era tanto da fare così male- ma per la paura.
 
«Scylla-» iniziò a protestare Odysseus, venendo subito interrotto.
 
«Hai aiutato mio fratello, Budino: per questo ti ringrazio. Ora dimmi in che modo, perché quando faccio una domanda voglio che mi si risponda».
 
Charybdis si limitò a scuotere la testa e sospirare, seccata sia dall’atteggiamento della sorella sia da quella perdita di tempo e di sonno. Tuttavia non disse niente, perché suo malgrado aveva capito da un pezzo che era inutile farlo.
 
«O-outlier» balbettò Glitch «I-i-io-»
 
«Un outlier?» si sorprese la femme, allentando non di poco la stretta «… immagino che sia sempre per questo se quei simpaticoni del Senato ti hanno ridotto in questo modo».
 
Il mech annuì.
 
«Non cambia niente» disse Charybdis «Non resterà in casa mia, non possiamo permetterci di accogliere chiunque Odysseus decida di raccattare in giro. Buttalo per strada» ripeté «E finiamola con questa storia».
 
«Lui resta!» si intestardì il giovane jetformer «Qui ci vivo anche io o sbaglio?! Quel che penso io conterà pure qualcosa!»
 
«Solo in certi ambiti. Questo non è tra essi» replicò Charybdis, con aria più seccata che mai. Scylla fuori controllo bastava e avanzava, non serviva proprio che anche Odysseus si mettesse a fare danni.
 
«Lo dici tu!» esclamò Odysseus «Scylla, lui mi ha salvato dal finire conciato male, l’ha fatto anche se sapeva che usare la sua abilità gli avrebbe fatto male alla testa, non possiamo buttarlo per strada e farlo finire a stare in discarica un’altra volta!»
 
«La sua situazione non ci riguarda» insistette Charybdis «Scylla, a quanto pare sei l’ago della bilancia. Conto che per una volta sarai ragionevole».
 
La jetformer disse così, ma qualcosa nell’espressione della sorella minore le stava suggerendo che la “ragionevolezza” non sarebbe stata un’opzione che Scylla avrebbe tenuto da conto.
Vederla liberare il senza-faccia un paio di secondi dopo confermò i suoi timori.
 
«Ti ho sentita dire spesso e volentieri che un garzone avrebbe fatto comodo per le commissioni giornaliere da fare qui nelle vie vicine» disse Scylla «Ti ho anche sentita sbuffare che la casa, nonostante i turni, non è pulita come vorresti proprio perché tra tutti siamo impegnati col costruire le bambole e con le commissioni che ho già nominato. Sbaglio?»
 
«Non possiamo permetterci un garzone né tantomeno un domestico».
 
«Può pensarci il qui presente Budino. Gli diamo da mangiare, lo mettiamo in mansarda insieme a Odysseus, perché lui l’ha trovato e lui se lo tiene, lo porto dal dottore perché lo rimetta in sesto e pago usando tre quarti dei risparmi di Odysseus e po’di soldi del negozio -essendo il garzone…- ed ecco fatto».
 
«No».
 
«Non dobbiamo nemmeno pagarlo, Chary, a meno che non vogliamo».
 
«…»
 
«Un garzone E domestico praticamente gratis non ricapiterà tanto presto».
 
Charybdis rimase in silenzio per un po’.
 
«Se non lavora, o lo fa in una maniera che non mi piace, torna nella discarica a forza di calci sul sedere» cedette infine.
 
«Contavo che per una volta fossi ragionevole» sorrise Scylla, con appena un velo di sarcasmo nell’usare le parole utilizzate da Charybdis poco prima.
 
«Non tirare la corda. E vedete di non fare ulteriore baccano, perché vado in ricarica» concluse, tornando in casa senza aggiungere altro.
 
«Demone degli shanix sistemato. In realtà non ha tutti i torti a dire che dobbiamo stare attenti alle spese, ma se la crede già a sufficienza come Santa Protettrice Dei Bilanci senza che io le dia la soddisfazione di riconoscerlo apertamente. Nulla da dire, Budino? Grazie alla sottoscritta non dovrai necessariamente tornare in discarica».
 
Glitch, a testa bassa, mormorò a fatica qualcosa che suonò come “Non ero sicuro di avere il permesso di parlare”.
 
Scylla sollevò brevemente un sopracciglio. «Hai già parlato e non ti ha rimproverato nessuno».
 
«H-ho ri-risposto a una domanda… n-non sapevo s-se potevo… se potevo p-parlare liberamente o no».
 
«Non ho capito bene quel che hai detto, quindi alzati e ripetilo guardandomi in faccia».
 
«I-io-»
 
«In piedi».
 
Glitch obbedì e, a fatica, alzò la testa abbastanza da guardare negli occhi la femme.
 
«N-non sapevo s-s-se potevo parlare liberamente o n-no».
 
«Finché non farai danni e ti comporterai da persona e non da rifiuto robotico, per quanto i simpaticoni che ci governano possano averti messo in testa di dover fare proprio questo, potrai parlare liberamente. Tenendo conto il fatto di essere il garzone, ma liberamente. Hai capito?»
 
«Sissignora» bisbigliò il mech.
 
«Non ho sentito».
 
«Sissignora» ripeté Glitch, con un tono di voce più normale «E… e g-grazie».
 
«Prego. Domani mattina lo porto dal medico, Odysseus, quindi rimandate il pigiama party di benvenuto a un’altra occasione. A domani» concluse Scylla, saltando oltre la rete per tornare a perdersi tra i vicoli bui.

Per quanto fosse puntuale nell'iniziare a lavorare ogni mattina, era sua abitudine starsene in giro per il quartiere fino oltre le una, a volte semplicemente per stare in giro, a volte per trovare qualche mech di suo gusto o giocare qualcuno degli scherzi atroci con cui si divertiva a spaventare le persone di proposito, o tutte e tre le cose insieme; e quella sera, nonostante il pit-stop imprevisto causato dagli strilli di Odysseus, non faceva eccezione.

 
«Eeeevvaiiiii, puoi rimanere!» esultò Odysseus, saltando al collo del suo nuovo coinquilino «Oddio scusa! Mi ero dimenticato che tu e il contatto fisico non andate molto d’accordo» si dispiacque, sentendo Glitch sobbalzare come suo solito.
 
«N-non è che mi dispiaccia, è solo che non… n-non sono abituato a essere toccato. N-non più… e di certo non i-in questo modo».
 
«Dai, magari col tempo ti riabitui! Se lavori bene puoi restare, hai sentito. Andiamo?»
 
Glitch non si oppose né al fatto che Odysseus dopo aver preso le coperte dal capanno lo trascinasse in casa, né al suo chiacchiericcio -a volume contenuto, perché nessuno aveva voglia di trovarsi davanti Charybdis un’altra volta.
 
«Al piano terra c’è il negozio e un piccolo bagno» disse Odysseus mentre salivano le scale «Qui invece ci sono la stanza di Chary, quella di Scylla, un altro bagno e la cucina/soggiorno. Sopra, invece» continuò, salendo l’ultima rampa di scale che, stavolta, portava a una botola «C’è la tana del luponoide!»
 
«A-avete un luponoide in casa?!»
 
«Era un modo di dire, il luponoide sarebbe… dovrei essere i… vabbè, lascia stare. Prego!» esclamò il jetformer dopo essere salito e aver acceso la luce.
 
Bambole dalle fattezze mostruose.
Bambole dalle fattezze mostruose ovunque.
 
«Ecco le mie creazioni. Non avere paura, non ti fanno niente nemmeno loro» disse Odysseus, vedendo Glitch guardarsi intorno un po’intimidito «Quando ho deciso di volere un po’di privacy e ho sistemato la mansarda per stare quassù l’ho resa anche il mio studio. Staremo bene anche quando diventerà più freddo, il tetto è isolato e arriva calore dal piano di sotto. Ho anche un bagno tutto mio, è piccolo ma c’è pure la doccia… a proposito, vai pure».
 
«C-come?...»
 
«Eeeh… la doccia. Puoi usarla. Penso che non ti dispiaccia, no?»
 
Il mech color arancio, dopo qualche istante di immobilità, scoppiò a piangere.
 
«Non è che hai paura dell’olio, vero?...»
 
Glitch scosse la testa. «No… è solo… tu sei gentile».
 
«Faccio quello che posso… dai, amico, va tutto bene» cercò di tranquillizzarlo Odysseus, abbracciandolo.
 
Stavolta, Glitch non sobbalzò.
 
«E anche le mie sorelle in fondo non sono male… Charybdis è un po’… beh. Com’è» fece una breve smorfia e alzò gli occhi al soffitto «Ma in fondo non è una persona cattiva. Scylla nemmeno, anche se è drastica. Lo vedrai da solo conoscendole meglio».
 
«… mi fa tanta paura».
 
«Mh?»
 
«S-Scylla. Mi fa tanta paura e n-non so n-nemmeno bene perché…»
 
«Sì beh considerando che ti ha legato come un salame di cadmio appena ti ha visto non hai tutti i torti».
 
«N-non è per quello. I-io non la conosco ma è come se… è come se… non lo so, è tipo… familiare».
 
«Magari l’hai vista non so dove qualche tempo fa, non passa inosservata».
 
Glitch si strinse nelle spalle. «N-non lo so. Lo sai che non mi ricordo granché della mia vita».
 
A Odysseus sarebbe piaciuto poter fare qualcosa di più per il suo nuovo amico nonché coinquilino ma per quella sera, concluse, liberare un po’di spazio e cercare di procurarsi dei materiali per una cuccetta vera nei giorni a venire era la migliore nonché unica cosa che potesse fare per lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
E anche questo capitolo c’è :D
 
Rispondo a domande che probabilmente nessuno si è posto xD:
 
- Sì: questa storia non va ad alterare quanto ho già scritto, ma è “canonico” rispetto a esso;
 
- Sì: se Glitch avesse i ricordi al proprio posto, saprebbe benissimo chi è Scylla. Lui, come Damus, ha conosciuto la Scylla futura. Lei invece, che qui è ancora giovane e sana, non ha idea di chi egli sia :)
 
Alla prossima,
_Cthylla_
 

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Capitolo 3
*** 3 - Anche ''loro'' erano medici ***


3
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
“Pazienza, Charybdis: durerà al massimo due giorni, e nel mentre puoi fargli fare qualcosa di utile” pensò la jetformer mentre, chiusa in bagno, ritoccava il motivo a puntolini arcobaleno che aveva disegnato sulle proprie ali.
 
Per quanto rigida potesse essere -“Come una miliziana particolarmente stronza quando verso la fine del mese il settore vuole rimpinguare le casse e allora giù! Multe come se piovessero”, diceva quella piccola lingualunga di Scylla- possedeva un’anima creativa non indifferente che si rifletteva nelle bambole allegre e colorate che produceva, nonché su alcuni decori del suo corpo sul quale, come per Scylla, predominavano il blu e il magenta.
 
Probabilmente sarebbe stata un po’ meno rigida se all’improvviso non si fosse sentita caricare le spalle del peso del mondo, o comunque del loro piccolo “mondo”. Probabilmente, un tempo, “un po’meno rigida” lo era stata sul serio. Non ne era molto sicura: nel cercare di ricordare i tempi passati, cosa che non faceva spesso, si rendeva conto di avere difficoltà a rievocare certe memorie. Forse era una sorta di autodifesa per non avere periodi un po’più spensierati da paragonare a quello attuale -e da rimpiangere- sapendo che in ogni caso non sarebbero tornati.
 
A un certo punto sentì un certo baccano provenire dal piano di sotto e, per l’ennesima volta, alzò gli occhi al soffitto. Il senza-faccia aveva detto qualcosa che lei non aveva capito, non che a lei importasse granché, e poi aveva strillato un “Odysseus, aiuto!”.
 
“O forse non durerà nemmeno due giorni, dopotutto” pensò Charybdis.
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«No, no, no-»
 
«Hai già dimenticato quel che ti ho detto ieri sera sul comportarti da persona e non da rifiuto robotico?»
 
«Scylla, ti sei resa conto anche tu che lui è un po’… lasciami venire con-»
 
«No, Ody. Hai da fare qui e io lo sto portando dal medico, non al macello».
 
«Odysseus non lasciarmi solo non farmi andare da solo-»
 
Odysseus, ancor più in pena per il suo nuovo coinquilino di quanto fosse stato il giorno precedente, fu costretto a scuotere la testa. «Scylla purtroppo ha ragione, non posso-»
 
«N-non mi porterà dal medico! Vuole… vuole afferrarmi con i capelli!» esclamò il povero Glitch che, preda dell’isteria più totale, cercò perfino di infilarsi sotto il divano dov’era seduta la “gemella” bambola di Scylla «Vuole trascinarmi per strada e f-farmi prendere a calci e sputi da-dalle persone e poi e p-poi ributtarmi i-in mezzo ai rifiuti più morto che vivo, è una trappola, aiutami, ti prego ti prego-»
 
Le sue grida diventarono ancora più disperate quando Scylla, spazientita dalla situazione, avvolse i propri capelli attorno alle caviglie del povero mech aranciato e lo fece uscire con la forza da sotto il divano. Glitch stava cercando di aggrapparsi al pavimento con forza, al punto di lasciare dei segni con le sei dita che aveva -sempre se si potevano chiamare dita- ma non stava ottenendo altro se non uno stridio acuto.
 
La situazione avrebbe potuto perfino risultare comica agli occhi di alcuni ma in realtà, trattandosi della reazione di una persona orrendamente traumatizzata, c’era ben poco di divertente. Anche quel che aveva detto prima riguardo l’essere trascinato in strada ed essere preso a calci, insulti e sputi, pensò Odysseus, difficilmente era frutto di una paranoia venuta dal nulla. Era molto probabile che gli fosse successo davvero almeno una volta, o forse più d’una, o forse gli era capitato anche di peggio. In fin dei conti quella era una persona senza più diritti e, anche se pensarci lo disgustava nel profondo, non l’avrebbe stupito sapere che gruppi di gentaglia più o meno o per nulla ubriaca potesse averlo usato per delle connessioni forzate fatte al solo e unico scopo di umiliarlo ancora di più. Le persone dopotutto facevano schifo, soprattutto quando erano in gruppo: Odysseus ne era piuttosto convinto.
 
«No! N-no, non voglio!» continuò a protestare Glitch, agitandosi e rischiando di far cadere due bambole prontamente salvate da Scylla con uno dei suoi “capelli” «Odysseus, ODY
 
Un manrovescio ben piazzato da parte di Scylla pose fine al tutto.
 
«E ora andiamo dal medico» disse la femme, avvolgendo la propria chioma attorno al busto e all’addome di Glitch «Non ci metteremo molto, Odysseus».
 
Odysseus annuì brevemente, avvicinandosi a Glitch che sembrava aver perso ogni voglia di reagire in qualsiasi modo. «Ti porta dal medico e poi torni qui, non succederà niente di strano, ok?»
 
Glitch non diede mostra di averlo sentito e, quando Odysseus gli mise una mano sulla spalla, non sobbalzò neppure: piangeva e basta, stavolta in perfetto silenzio.
 
«No, Budino» disse Scylla, asciugandogli con una certa delicatezza le lacrime usando un panno trovato lì vicino «Non è proprio il caso di farsi vedere a piangere per strada, tantomeno da queste parti. Cerca di tenere le lacrime per dopo, se ne avrai ancora voglia».
 
Quando lasciarono il negozio, Glitch -forse per un tentativo riuscito di obbedire agli ordini- non piangeva più.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
“Ora mi butterà a terra”
 
“Mi butterà a terra E trascinerà la mia faccia su tutto l’asfalto”
 
“Mi prenderà a calci e dirà anche agli altri di farlo, mi massacreranno a suon di pugni, mi strapperanno via il pannello inguinale e poi, e poi-
 
Glitch tremava proprio come un budino, come Scylla l’aveva rinominato, e se cercava di stare al passo e non cadere a terra era solo per un briciolo di residua volontà di non facilitarle il lavoro… anche se una parte di lui gli stava suggerendo che forse invece avrebbe dovuto fare proprio questo. Sottomettersi, lasciarsi fare tutto quel che avrebbero voluto fargli e sperare che finisse presto, o di riuscire a dissociarsi abbastanza da risentirne un po’meno.
Lui per fortuna  non era mai stato forzato alla connessione, ma l’aveva visto succedere a un altro disgraziato come lui, uno dei frammenti di ricordi che gli erano chiari: difficilmente avrebbe mai dimenticato l’ “espressione” vacua di quel mech, i suoi arti molli come quelli di una bambola di pezza sobbalzare solo a causa delle spinte continue di coloro che stavano disponendo di lui come meglio credevano, ancora e ancora.
 
“Quando comincerà?”
 
“Perché non lo fa subito?”
 
“Vuole prolungare la mia agonia”
 
“Vuole che inizi quasi a illudermi che non lo farà e poi lo farà”.
 
Iniziò a mormorare una preghiera rivolta a Primus, poi ricordò una cosa fondamentale: se davvero Primus esisteva ancora, era un gradissimo stronzo al quale non importava alcunché dei propri figli. In caso contrario non avrebbe lasciato che lui, e tutti gli altri ridotti come lui, subissero tutto quel che avevano subito e subivano. Se fosse stato meno spaventato, meno stanco della propria esistenza, avrebbe potuto perfino lasciarsi prendere dall’ira nei suoi confronti.
Ma anche così, a Primus non sarebbe importato.
 
Continuarono a camminare. Glitch -si era chiamato Damus, ricordava anche questo, ma quel mech ormai non esisteva più. “Sentiva” anche che Damus non era mai stato un granché ma che lui, nonostante questo, era ridotto a essere la pallida e pavida ombra del “non granché”- suo malgrado si trovò a prestare più attenzione a quel che aveva intorno, perché quel che temeva che sarebbe successo non stava succedendo ancora. Non avrebbe dovuto illudersi così, lo sapeva, se avesse iniziato a essere più presente sarebbe stato solo peggio ma non riuscì a evitarlo.
 
C’era il sole. Era così anche il giorno prima, e se lui non avesse avuto ben altri pensieri il tepore dei raggi sarebbe stato persino gradevole. La strada non era silenziosa né vuota: c’era gente che andava, gente che veniva, gente che lavorava per sopravvivere al degrado, gente ubriaca già dal mattino -forse per dimenticare il degrado stesso: tutti i casi “umani” accumulati dalla miseria della periferia, e Scylla, in tutto questo, si faceva largo lì in mezzo con l’aria di chi si sentiva la regina della strada, tenendolo legato a sé coi “capelli” come un cybercane al guinzaglio.
 
Un cybercane al quale, tuttavia, nessuno stava rivolgendo un insulto o torcendo un circuito.
 
C’erano delle occhiate perplesse ma a parte quelle niente di più. Le persone salutavano Scylla nonostante fosse in sua compagnia. Qualcuno più audace a un certo punto le chiese del suo “senza-faccia personale”, e Glitch la sentì rispondere che lui era il suo nuovo garzone, che d’ora in avanti l’avrebbero visto spesso, e “Quindi vedete di trattarmelo bene, doverlo curare rallenterebbe il mio lavoro, che verrebbe ulteriormente rallentato anche dal dover fare una chiacchierata con chi mi ha fatto perdere tempo”.
Quella femme sembrava aver intenzione di prendere una via più lunga per portarlo dal medico, sfruttando la situazione per i classici “due lilleth con una mollica di zinco”: lo trascinò qui e là per svolgere delle commissioni in vari posti lungo la via, tutti correlati al suo lavoro con le bambole, e a tutti, pur con parole diverse, fece un discorso analogo a quel che aveva fatto in precedenza. “È il nuovo garzone”, “Quando verrà per i materiali trattalo come tratteresti me e i miei familiari, mi raccomando”, “Di certo non potrebbe mai essere il tuo caso ma vorrei evitare discussioni sgradevoli se tornasse ammaccato, sai che sono una donna impegnata e sicuramente mi capisci”.
 
Una parte di lui continuava a intimargli di non illudersi, ma non poté evitare di iniziare a sperare che forse, magari, era vero che Scylla non voleva fargli del male, che l’avrebbe portato dal medico e poi l’avrebbe riportato nel negozio, da Odysseus; e forse, magari, questi non era un traditore come aveva iniziato a credere con tristezza e rassegnazione quando Odysseus l’aveva lasciato andare con Scylla da solo. Ora si sentiva anche in colpa per il pensiero.
 
Dopo un altro paio di negozi e posti arrivarono all’ennesimo edificio basso e grigio. Le sole differenze da molti altri che aveva visto erano un buon livello di pulizia e la porta d’ingresso, così come le finestre, decisamente più nuove. Anche l’interno, come poté notare una volta che lui e Scylla furono entrati, odorava di pulito e di disinfettante. La sala d’attesa per il momento era vuota, e Glitch pensò che fosse meglio così, perché iniziava a rendersi conto che anche l’idea di andare da un medico gli stava causando una sensazione di ansia che cresceva secondo dopo secondo.
 
Sobbalzò quando Scylla, all’improvviso, bussò a una porta con una rapida serie di colpi.
 
«Brushsling! Ti muovi a portare qui fuori quelle chiappe d’oro o no?»
 
Glitch riuscì a sentire un sospiro e dei borbottii da dietro la porta prima che un mech bianco e oro -incluso il bacino, il che rendeva “chiappe d’oro” una definizione veritiera- con uno sguardo abbastanza scocciato negli occhi rosati si decidesse ad aprire la porta. «Anche se non c’è gente potresti chiamarmi in maniera più urbana, Scylla».
 
«Oppure anche no. Ho un paziente per te».
 
«Non c’era bisogno che lo dicessi, non vieni mai qui per invitarmi a prendere l’enercaffè di cui parliamo da un pezzo».
 
«Sai che lavoro parecchio».
 
«Sì, e quando non sei impegnata con il lavoro sei all’arena di Kaon per vedere i gladiatori».
 
«A dire il vero il gladiatore che mi interessa andare a vedere è uno soltanto».
 
Il medico sollevò un sopracciglio metallico, ma non aggiunse altro. «… allora, Odysseus, cos’è successo stav-»
 
Il dottore era stato talmente concentrato su Scylla da non notare subito che il paziente da trattare non era il solito. Quando vide lo sguardo di Brushsling posarsi su di lui, Glitch istintivamente corse a nascondersi dietro a Scylla, di nuovo vicinissimo a un attacco d’ansia pari a quello di prima… o forse anche peggio, perché gli stava quasi facendo dimenticare che lui, di Scylla, aveva ancora paura.
 
«Il mio nuovo garzone è ferito, ha bisogno di una visita completa e di varie riparazioni. È una novità rispetto al solito, visto?... forza, Glitch» disse poi, chiamandolo per la prima volta con la sua designazione «Vai col dottore, ti aspetto qui fuori».
 
«No!»
 
«Non ricominciare con la scena di prima. Vai dentro con Brushsling, hai bisogno di cure».
 
Lei aveva ragione, e Glitch ne era consapevole, ma non riusciva assolutamente a fare un passo oltre la soglia. Iniziava anche ad avere problemi al sistema di ventilazione, cosa che purtroppo gli succedeva spesso. Gli sembrava di ricordare che per un po’le cose, almeno in quell’aspetto, fossero migliorate, ma quei miglioramenti erano andati a farsi friggere.
 
«N-no! No, non… non voglio andare dentro da solo, per favore per favore NO
 
«È un medico» disse Scylla, mentre il medico in questione guardava entrambi con aria molto seria «I medici aiutano le persone».
 
«Anche LORO erano medici!» esclamò Glitch, per una volta senza balbettare, mostrando le sue “mani” «Anche loro lo erano, e mi hanno fatto QUESTO!»
 
Silenzio.
Forse urlarle contro in quel modo era stato uno sbaglio, pensò, iniziando a balbettare scuse inconsulte tra una preghiera di non riportarlo in discarica e una di non fargli male.
 
«Entro con te, dai» disse Scylla, poggiando una mano sulla sua spalla.
 
Il contatto lo fece sobbalzare, ma la mano della femme rimase dov’era.
 
«Ti rendi conto che per fargli una visita completa dovrò rimuovere anche il pannello inguinale a un certo punto, vero?» domandò Brushsling a Scylla una volta entrati e chiusa la porta.
 
«Mi volterò dall’altra parte, è molto semplice».
 
La visita, per quanto accurata, procedette in modo tutto sommato veloce. Il medico fu delicato, professionale, abbastanza da far sì che Glitch si calmasse e il sistema di ventilazione riprendesse a funzionare in modo corretto. Stesso valse per le riparazioni, durante le quali Glitch rimase fermo a fissare le luci bianche del soffitto. Solo in un’occasione, voltando la testa alla propria sinistra, incrociò lo sguardo di Scylla, e vedendola sollevare i pollici e addirittura accennare un sorriso gli venne voglia di mettersi a piangere un’altra volta -senza neanche capire perché.
Scylla dovette farci caso, perché sollevò un sopracciglio e un indice in segno di avvertimento, motivo per cui l’inizio di piagnucolio passò subito.
 
«Ecco fatto» annunciò Brushsling una volta che ebbe finito «Sei a posto».
 
«G-grazie» mormorò Glitch alzandosi dal lettino medico.
 
«Ora però devo restare solo col tuo capo per un minuto» disse il medico «Anche meno. Credi di poter stare un attimo in sala d’aspetto?»
 
«…!»
 
«Non c’è ancora nessuno, lo vedi dalle telecamere, e comunque qui non può succederti niente, già solo perché a due passi ci sono io» disse Scylla «Sono più “secca” di te ma ti assicuro che se serve faccio male lo stesso».
 
«N-n-non ne dubito. Io… mi metto qui fuori. Sì».
 
Uscì dall’ambulatorio, crollò a sedere di fianco allo stipite e chiuse il sensore ottico. La visita era filata liscia, nessuno gli aveva fatto del male. Forse Odysseus aveva ragione anche su sua sorella, per quanto fosse una donna dura non era malvagia… anche se gli faceva ancora paura. Probabilmente avrebbe continuato ad averne per un pezzo.
 
Accorgendosi di sentire le voci di Scylla e Brushsling, anche se normalmente nessuno avrebbe potuto dato che l’ambulatorio era insonorizzato, si concentrò sulle loro frequenze finché non divennero chiare. Era parte della sua abilità da outlier, così come disattivare macchine e parti delle persone con un tocco. Qualcosa dal suo inconscio gli ricordò un “Un giorno sarai in grado di farlo anche a distanza”, ma non sapeva chi l’avesse detto e quando.
 
«… quei porci maledetti del Senato, e il Gran Consiglio con loro, devono bruciare tutti all’Inferno dopo le più atroci sofferenze!»
 
«Parole dure per un medico».
 
«Perché, vuoi farmi credere che tu non la pensi allo stesso modo? Non vorresti appiccarli tutti da qualche parte e accendere il fuoco sotto di loro, specie ora che hai conosciuto quel povero disgraziato lì fuori?! Non è il primo che vedo, sai che ho vissuto ad Iacon prima di tornare qui. A meno di una mnemosurgery profonda né lui, né tutti quelli a cui quei bastardi hanno fatto l’empurata, si riprenderà mai più: è un marchio a fuoco dritto nell’anima, Scylla, e non ho cercato una cazzo di maniera poetica per dirlo. Potrebbero cambiare loro corpo anche dieci volte, potrebbero provare a cambiare la propria esistenza anche in diecimila modi se trovassero la forza di farlo, ma sotto sotto sono e sempre resteranno delle vittime di empurata: è così che stanno le cose. Maledetti pezzi di scarto… siano maledetti tutti, spero che un giorno la gente si svegli tutta insieme e dia loro quel che meritano!»
 
«Il fatto che tu abbia rischiato di finire come Glitch ti rende ancora più sensibile alla cosa, immagino. Quanto ti devo?»
 
«Dieci shanix».
 
«Soltanto? Scherzi?»
 
«No. Hai sentito quello che ha detto: sono stati dei medici a fargli questo, non che non lo sapessi già, e se ti chiedo questa cifra è solo perché… per gli stessi motivi di tutti. In caso contrario non avrei voluto proprio niente, stavolta».
 
Glitch smise di ascoltare. Cercando di mettere da parte la diagnosi infausta sulla sua salute mentale, anche perché non era nulla che lui non immaginasse già, pensò che il Senato non fosse granché popolare nemmeno da quelle parti. Da quando veniva lui, però, lo era ancor meno.
Un momento: perché aveva pensato “da quando” e non “da dove”?
 
Sobbalzò per l’ennesima volta quando la porta si aprì.
 
«C’erano delle sedie, te n’eri accorto?» gli domandò Scylla, per poi sospirare «Dai, alzati. Andiamo a casa».
 
«C-casa?...»
 
«Già. Abbiamo fatto insieme le commissioni che da domani farai tu, ma i pavimenti di tutto l’edificio e i mobili non si tirano a lucido da soli, così come le stoffe delle bambole, le tende e le coperte delle cuccette non si lavano, stirano, piegano e mettono a posto per magia. Poi ci sarebbe anche il capanno da riordinare, già che ci siamo, ma quello magari lo farai nei prossimi giorni».
 
«Scylla» disse Brushsling, con tono di palese rimprovero.
 
«Non guardarmi in quel modo, è già tanto che abbia convinto il Demone degli Shanix a farlo restare. Era totalmente contraria, le è andata male solo perché Odysseus con me era in maggioranza. Tra l’altro è la prima volta che lo vedo intestardirsi così tanto su qualcosa, ma ti dirò, ne sono stata felice».
 
«Spero di non rivederlo qui tanto presto, e lo stesso vale per te» aggiunse il mech, rivolto a Glitch «… quanto a te, invece, ora hai ancora meno scuse per rimandare quell’enercaffè a casa mia. Sono abbastanza convinto che come lo preparo io potrebbe piacerti».
 
«E io ne sono sicura ma, dato che tu e io siamo amici da quando eravamo protoforme, vorrei evitarti il rischio di rimanere scottato. A forza di berlo finiresti così e mi dispiacerebbe non poco. Ci vediamo» concluse Scylla, uscendo dall’edificio con Glitch.
 
Il mech  non aveva capito granché tutto il discorso dell’enercaffè, e una volta fuori dalla porta rimase fermo ad aspettare che Scylla, come aveva fatto in precedenza, gli avvolgesse attorno i propri capelli.
 
Notando la sua immobilità, lei lo guardò con aria perplessa. «Cosa stai facendo?»
 
«N-non… icapelli».
 
«Prego?»
 
«C-credevo… pensavo… q-quando siamo venuti qui, tu… i capelli. Intorno al corpo».
 
«Non credo ci sia il rischio di vederti fuggire a causa di un attacco isterico e ora la gente lungo la strada sa che lavori per me, quindi basta che tu mi stia vicino, non c’è bisogno che io ti “leghi” di nuovo. A meno che tu lo voglia. Di’, in passato avevi il kink del bondage?» aggiunse, sorridendo sottilmente.
 
Glitch si coprì il volto con le mani. «M-m-m-ma n-no cosa come io n-n-»
 
«Non saresti il solo che conosco, già che prima si è parlato di gladiatori… d’accordo, lasciamo stare. Sbrighiamoci a tornare a casa, Charybdis ci starà già aspettando all’ingresso pronta a protestare per il tempo che abbiamo impiegato».
 
«N-n-non s-sono molto gradito a-a lei» osservò Glitch, attorcigliando nervosamente le dita tra di loro.
 
«Vero. Se vedrà che lavori sodo però alla fine smetterà di sbuffare, tutto sommato con lei basta poco. Certo, non aspettarti che prima o poi diventi tutta sorrisini, risatine e abbraccini, Chary non è in quel modo con nessuno. Non più».
 
«Ca... capito».
 
«Se lavorerai bene e soprattutto eviterai altre scene come quella di prima potrai stare tranquillo riguardo il fatto che nessuno di noi ti toccherà con un dito, Budino, anch’io ne avrei fatto a meno volentieri».
 
«Sta-stavo danneggiando l-le bambole. N-n-ne ho quasi… quasi buttate a terra d-due. Se ricordo bene. A-avevo iniziato a fare d-danni nel negozio».
 
«Non di proposito e di certo non ti stavi divertendo, ma sì. Tra l’altro erano due di Chary. Per informazione: quelle più allegre e colorate sono le sue, quelle molto realistiche e quelle erotiche sono le mie, e quelle di Ody… già lo sai. Credici o meno, vanno a ruba».
 
«C-ci credo. Sono belle».
 
«Stasera quando sarete entrambi nella tana del luponoide dovresti dirglielo, gli farebbe piacere, anche perché mi ha detto che ieri sera gli sei sembrato un po’intimidito anche da quelle».
 
«N-non c’è niente da cui io… da cui io non lo sia» disse Glitch, con una certa amarezza nella voce «Però le trovo belle, davvero. A-a essere sincero q-quelle più realistiche m-mi fanno molta più impressione…»
 
Per un attimo temette di aver parlato troppo, ma Scylla si mise a ridere.
 
«Non sei il solo! Anche Odysseus si spaventa sempre quando vede me al bancone e la mia gemella sul divano all’entrata, anche se quella bambola è lì da vorn e vorn e lui lo sa benissimo. Budino, Budino, che amico che ti sei fatto!...»
 
«Io sono contento che lui mi chiami amico. Non è fisicamente forte ma è una bella persona, meriterebbe molto di più».
 
«È vero e potrebbe avere quel che merita in qualsiasi momento, se si desse una svegliata. Però deve prenderselo, non aspettare che glielo diano gli altri. Stesso vale per te, empurata o meno».
 
Glitch non disse niente, evitando anche di rispondere con un borbottio indistinto che, l’aveva imparato, non sarebbe stato per nulla gradito; e pensando a tutto il programma di pulizie, lavaggi e quant’altro, si rese conto che avrebbe avuto parecchio altro da fare prima di potersi complimentare con Odysseus per le sue bambole e prima di poter confessare il proprio pensiero errato riguardo a un tradimento, nonché scusarsi per esso.
 
Per quanto potesse essere dura, però, essere trattato un po’più da persona e un po’meno da scarto era decisamente preferibile al tornare in mezzo ai rifiuti a chiedersi, di nuovo: “Perché ‘da quando’ vengo, e non ‘da dove’?”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Stavolta niente da dire se non “mannaggia mi sono dimenticata di mettere il link al disegno di Charybdis, >>> eccolo”.
Grazie a chi legge e/o recensisce. Alla prossima,
 
_Cthylla_

 

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Capitolo 4
*** 4 - E l'ansia divenne arte ***


4
 
 
 
 




 
 
 
 
Il solo sensore ottico di Glitch si aprì lentamente mentre i suoi sistemi tornavano online man mano. Doveva essere andato in ricarica, ma era strano: per quanto ora guardando fuori dalla finestra vedesse il buio della notte, nei suoi ultimissimi ricordi risultava essere ancora giorno quando era salito in mansarda da Odysseus per lavare il pavimento. Ricordava anche di aver svolto il proprio compito mentre Odysseus, seduto al banco da lavoro, si occupava di una delle proprie bambole.
 
“Poi mi sono seduto sulla mia cuccetta, mi sembra di ricordare che lui mi avesse detto di riposarmi un attimo. E poi… buio”.
 
Iniziò a preoccuparsi. Forse oltre a non ricordare granché del proprio passato, se non in maniera estremamente frammentata -e senza riuscire ancora a spiegarsi il motivo- stava iniziando a perdere il contatto anche col presente? Forse la domanda che si era posto per qualche giorno dopo essere stato portato dal medico, alias “perché quando e non dove”, era semplicemente frutto dei danni mentali che l’empurata e le sue conseguenze gli avevano causato?
 
Ancora un po’intontito, passò qualche secondo a fissare il soffitto. La sua cuccetta era piuttosto vicina al banco da lavoro di Odysseus, il quale tra una bambola e l’altra, oltre che ai propri oggetti, era riuscito a ricavare abbastanza spazio solo lì vicino. Il risultato era stato comunque qualcosa di comodo, soprattutto quando Odysseus si era sforzato di rendere la sua cuccetta più vera e meno “di fortuna”, nonostante lui gli avesse detto che non era necessario.
 
Quando l’aveva vista si era messo a piangere… tanto per cambiare. Per fortuna non c’era Scylla in giro, altrimenti avrebbe avuto da ridire. In quei giorni non gli aveva più dato schiaffi né altro -del resto lui non aveva né fatto particolari danni né “fatto altre scene” come quella del mattino della visita- ma non aveva mai fatto mistero del fatto che i suoi momenti di pianto non le piacessero. Glitch non riusciva a darle tutti i torti, non piacevano a lui per primo, ma era difficile trattenersi, ed era ancor più difficile “incazzarsi invece di piangere, con la rabbia puoi combinare qualcosa, con il piagnucolio no”. Anche lì Glitch non poteva darle tutti i torti, a dirla tutta avrebbe tanto voluto riuscire a darle retta.
 
Si voltò verso destra. Odysseus era seduto al banco da lavoro, con le gambe incrociate com’era suo solito -Glitch non capiva come facesse a riprendere a muoverle dopo ore e ore passate così- e stava rifinendo parte di un materiale reso malleabile da un diffusore di calore al laser. Anche le sorelle utilizzavano la stessa tecnica, ma mentre loro creavano bambole dalle forme armoniche, esteticamente gradevoli e spesso decorate con stoffe più o meno colorate, i lavori di Odysseus avevano un carattere molto più cupo.
 
Continuò a osservarlo. Nel giovane mech non c’era niente della classica goffaggine con cui faceva -e diceva- qualsiasi cosa, non in quel momento. La mano ferma e la precisione con cui maneggiava quello strumento da lavoro appuntito avrebbero potuto tranquillamente essere quelli di uno mnemosurgeon. Anche lo sguardo, peculiare dato che Odysseus aveva ottiche di colore diverso, era quello tranquillo e sicuro di chi sapeva perfettamente cosa stava facendo e di essere bravo nel farlo.
 
Glitch pensò che sarebbe potuto stare a guardare per ore quello “stato” del suo amico. Era un livello che lui non aveva mai raggiunto in nulla, o se mai ci era riuscito non lo ricordava, e dal quale al momento non sarebbe potuto essere più lontano.
 
«Ti sei svegliato» disse Odysseus, rivelando che pur essendo impegnato nel suo lavoro non aveva perso il contatto con ciò che lo circondava.
 
«Sì. N-non volevo disturbarti, mi dispiace…»
 
«Niente disturbo».
 
«Sicuro?»
 
«Tranquillo, Glitch. Anche riguardo l’esserti addormentato-»
 
Solo in quel momento Glitch realizzò qualcosa della quale avrebbe dovuto rendersi conto subito: qualsiasi cosa fosse successa, aveva perso mezza giornata di lavoro.
Alla relativa calma provata fino a un momento prima subentrò un panico assoluto che lo portò ad alzarsi in piedi di botto e cercare di scendere al piano di sotto… col solo risultato di inciampare miseramente in una coperta che non ricordava di essersi messo addosso e cadere di faccia.
 
«Glitch, cos-»
 
«Devo tornare di sotto, devo passare la notte a recuperare tutto quel che non ho fatto, se non lo faccio tua sorella mi prende e mi butta di nuovo in discarica!» esclamò, cercando di rialzarsi «L-lo voleva fare già l’altro ieri quando ho fatto cadere la lampadina che dovevo cambiare!»
 
«Era quella fusa, mica quella nuova».
 
«Lo so, ma Charybdis-»
 
«Quando ho visto che ti sei addormentato ho detto alle mie sorelle che saresti rimasto quassù perché mi servivi per la bambola. O meglio, ho detto che mi servivano le tue mani» aggiunse Odysseus, alzandosi per aiutare il suo coinquilino «E ti ho messo io la coperta addosso, anche se, ehm… mi sa che non è stata una grande idea».
 
«Perché non mi hai svegliato? Ho passato mezza giornata a fare il parassita, non posso permettermi di fare il parassita, altrimenti… altrimenti-»
 
«È che vederti in ricarica tranquillo non è qualcosa che succede spesso. Hai notato che continuo spesso a lavorare fino a tardi, quindi ti vedo» disse il jetformer mentre gli faceva cenno di tornare a sedersi sulla cuccetta «Sei sempre teso. Ti agiti a ogni minimo rumore che viene da fuori, spesso ti svegli anche. Ogni tanto ti agiti e inizi a tremare anche durante la ricarica» gli avvolse attorno la coperta «Invece oggi dormivi come un sasso, era praticamente un miracolo».
 
Glitch rimase a testa bassa, sentendosi piuttosto in colpa per aver indotto Odysseus a curarsi delle sue condizioni. Sì, aveva problemi con la ricarica -per il poco che ricordava, forse ne aveva sempre avuti anche prima che il Senato rendesse il suo corpo conforme al suo vero io- e di sicuro con l’empurata non avevano potuto fare altro che peggiorare. Forse era anche per quel motivo che cadeva preda dell’ansia più facilmente di molti altri, perché non dormire bene sicuramente non giovava alla sua salute fisica e mentale.
 
«Ti serviva proprio, amico» concluse Odysseus, abbracciandolo.
 
«N-non-»
 
«Non vuoi? Scusami, effettivamente forse esagero col contatto fisico, se proprio non vuoi non-»
 
«N-non è questo, non mi dà fastidio, è che… sai come reagisco se fai così».
 
«Non sobbalzi più, o almeno non quando ti tocco io, quindi direi che sei migliorato».
 
«Non è n-nemmeno per questo, è che… tu hai visto che io… ecco, un’altra volta!» borbottò, rendendosi conto con una certa frustrazione di essersi messo a piangere di nuovo «Un’altra volta, se ci fosse tua sorella-»
 
«Scylla non c’è, siamo solo tu e io».
 
«L-lo so, ma non dovrei farlo lo stesso! E nemmeno tu dovresti fare questo, dovresti dirmi di farla finita e basta, perché non sei tenuto a stare a sentire i miei piagnistei» riuscì a dire tra un singhiozzo e l’altro «O a cercare di consolarmi. Dovrei tenere le mie miserie per me, n-non vomitarle addosso a te! Fai già troppo e non merito niente di tutto questo, niente, niente, niente…»
 
Odysseus non si allontanò, cosa che lo fece solo piangere ancora di più.
 
«Non devi farti problemi, sul serio, faccio tutto volentieri. So per certo che se fossi al tuo posto non mi dispiacerebbe avere qualcuno vicino… a dire la verità non mi dispiacerebbe in genere» aggiunse Odysseus «Per quanto ci sia chi sta molto peggio di me ci sono dei giorni che… te l’ho detto il giorno in cui ci siamo conosciuti, no? Una settimana prima di quello, io ero in un vicolo ed ero ridotto male. Sono stato curato ma tutta la consolazione che ho avuto dalle mie sorelle è stata sentirmi dire che me le cerco» disse con un tono abbastanza piatto «Per Charybdis è colpa mia a prescindere, come se fossi io ad avere voglia di litigare e a “non saper disinnescare le discussioni”, per Scylla non è colpa mia MA a dovermi adattare sono sempre io perché “o impari a difenderti o camperai male tutta la vita”. Una delle due è un armadio che le poche volte in cui esce guarda il mondo come se la scocciasse, l’altra è alta quanto te e per sua natura è delicata come una schiacciasassi, c’è una certa differenza tra loro e me, quindi “grazie al cazzo” lo vogliamo dire?» lasciò andare Glitch e si passò una mano sul viso giovane quanto stanco «…chi sta vomitando le proprie miserie addosso a chi, adesso?»
 
«Tu puoi parlare di quel che vuoi quando vuoi. Che tu mi veda addirittura come qualcuno con cui puoi confidarti è… è una cosa che mi fa piacere» disse Glitch, massaggiandosi nervosamente le dita tra loro «M-mi sento fortunato per il fatto che mi consideri tuo amico. Mi sembra ancora impossibile».
 
«E a me sembra impossibile che qualcuno si senta fortunato a essere amico mio, quindi sei in buona compagnia» replicò Odysseus, tornando a sedersi alla scrivania «Ti va di dare un’occhiata al mio lavoro un po’più da vicino?»
 
«N-non temi che magari... dovresti aver visto che sono piuttosto goffo, magari faccio cadere qualcosa-»
 
«Se parliamo di goffaggine “I am! Actually! President of the company!”. Non preoccuparti».
 
«Non è vero, non quando lavori. A dirla tutta ho notato… tu usi con una certa abilità quegli strumenti affilati, no?»
 
«Sì?...»
 
«N-non hai mai pensato… voglio dire, magari se qualcuno cerca di farti del male e tu hai uno di quelli, puoi… sarebbe per difenderti» disse Glitch.
 
«Se anche riuscissi a mettere a segno un colpo con quello me lo strapperebbero di mano tempo due secondi e finirei a farmelo conficcare dritto nella Scintilla, in testa o in qualche altro posto» Odysseus fece spallucce «Fanno già abbastanza danni senza che gli presti un’arma anche io, ti pare?»
 
Glitch non fece commenti ma tra sé e sé fu costretto ad ammettere che non aveva tutti i torti: pur col suo essere poco pratico a usare la propria abilità di outlier e pur col dolore che gli recava farlo, doveva riconoscere che lui aveva più possibilità di fare danni rispetto a quanta ne avesse Odysseus.
 
Vide il jetformer allungare uno dei suoi “capelli” per avvicinare a sé uno sgabello e poi fargli cenno di sedersi lì. Obbedì senza fare storie e addirittura senza chiedergli di nuovo se fosse sicuro di volerlo vicino. Forse era vero che almeno su quel fronte stava facendo un briciolo di progressi. Gli sarebbe piaciuto farne anche su tutto il resto, soprattutto sul fronte ricordi.
 
“O forse no?”
 
Non era bello avere solo sprazzi di memorie, ma nessuna di quelle più nitide era gradevole, e ogni volta che cercava intenzionalmente di focalizzarsi su di esse gli veniva un mal di testa atroce. Magari non era una brutta cosa che la stragrande maggioranza della sua esistenza prima di finire nella periferia di Tarn fosse un ammasso poco chiaro di cose e persone. Magari quel che gli era capitato, qualsiasi cosa fosse, era stata più una benedizione che una maledizione nonostante le botte che aveva preso e il tempo passato in mezzo ai rifiuti. Lì aveva trovato Odysseus, e lui non solo lo trattava ancora da persona ma gli riservava anche un amichevole affetto. Dubitava che da dove o quando veniva ci fosse stato qualcuno disposto a fare la stessa cosa.
 
Se fosse stato così, forse non sarebbe stato male come invece stava… ossia al punto di provare una sensazione molto sgradevole, accompagnata a un’altra di profonda fascinazione, che gli impediva di distogliere lo sguardo dalla creazione che Odysseus aveva in corso.
 
La parte inferiore -e asessuata- fino al bacino era quella di un mech privo di qualsiasi armatura e in ginocchio. Una grande mano deforme stringeva la sua coscia destra al punto di deformarla leggermente, mentre un’altra mano più piccola artigliava la sinistra lasciando su di essa due tagli. Le braccia del mech erano costrette dietro la schiena da altre mani ancora, mani, mani, mani ovunque, munite di occhi o bocche, a conficcare le loro unghie affilate nei tessuti tecnorganici di spalle, gola, testa; mani a chiudere con forza la bocca di un mech che avrebbe voluto urlare il proprio dolore al mondo e non riusciva, a trattenere con la forza la palpebra di un sensore ottico multicolore e sgranato per l’orrore e, ultimo ma non per importanza, a stringere con assoluta crudeltà la riproduzione di una scintilla luminescente che si vedeva in modo chiaro dal buco enorme che Odysseus aveva lasciato sul petto.
 
«Le mie sorelle vendono tanti lavori fatti su commissione quanti lavori “propri”. Il mio caso è diverso: sebbene qualche commissione capiti anche a me, le persone sono più interessate a quel che produco di mio. Quel che di brutto io provo va a finire tutto qui. Non riesco a fare del male a chi me ne fa, e farne a me stesso mi renderebbe ancora più vigliacco di quanto già sia, dunque prendo il male e ci costruisco qualcosa. Considerando come vanno le vendite mi viene da dire che molta gente per un motivo o l’altro vede qualcosa di familiare nel mio lavoro. Vorrei dire di essere stupito, ma pensando a chi ci governa sarebbe una bugia».
 
Era un’immagine mostruosa nella quale si identificava così dolorosamente bene da far quasi tornare il suo solito problema al sistema di ventilazione mentre cercava di sopprimere l’istinto di allungare un dito tremolante e sfiorarla.
 
«Devo solo spruzzare la base per poter dare un tocco di colore domattina, ma a parte questo è finita. Quindiiii… che ne pensi?»
 
Glitch dovette sforzarsi parecchio per riuscire ad articolare una qualsiasi frase. «È… è… t-tante cose. V-vorrei dire di più m-ma non… mi piace, s-solo che quando la guardo, io… io vedo…» dovette fare una pausa «È-è difficile parlare quando ti sembra c-che qualcuno abbia… che qualcuno sia stato nel tuo processore e… e abbia visto la tua Scintilla nelle situazioni in cui t-ti senti male e… è bella» concluse, incapace di aggiungere altro.
 
«Grazie».
 
Glitch rimase per un po’a fissare quell’opera, sempre più perso nei suoi oscuri dettagli, fino a quando sentì Odysseus tossicchiare.
 
«Hai notato che fuori sta ancora nevicando un po’?»
 
«Neve?...» ripeté Glitch, riscossosi dalla sua trance, guardando fuori dalla finestra.
 
«Eh sì. Ha iniziato a buttarla giù nel tardo pomeriggio, infatti anche su quel pezzetto di giardino che abbiamo sul retro c’è un bello strato. Ehm… ti piace la neve?»
 
Il mech aranciato annuì. Non ricordava dove e quando l'aveva vista ma ricordava che era di suo gradimento.
 
«Idea! Andiamo fuori a fare un pupazzo di neve!» esclamò Odysseus, con l’entusiasmo di una protoforma.
 
«A-adesso?»
 
«Sì! Quando se no? Io accumulo la neve e tu mi aiuti a lisciare e rifinire il tutto, sicuramente ti verrebbe bene. Usciamo?» gli domandò il giovane, congiungendo le mani in un gesto di preghiera «Ti prego?»
 
«I-io-»
 
«Ti prego ti prego?»
 
«Va… bene? Immagino?...» si trovò a dire Glitch, alquanto spaesato dal repentino cambio di argomento, di atmosfera e di tutto.
 
«Questo è lo spirito giusto!»
 
In neppure due minuti si ritrovò vestito -“Non sono sicuro se anche tu sia di costituzione delicata o meno, quindi nel dubbio metti questo, questo e quest’altro, così resti al caldo!”- trascinato fuori dalla mansarda, poi lungo le scale, poi nel piccolissimo giardino sul retro e infine a compattare e lisciare l’ennesimo cumulo di neve che Odysseus stava aggiungendo al loro pupazzo.
 
In tutto ciò, per quanto confuso dal perché e dal percome fossero finiti lì e ancora abbastanza scosso dalla vista di quella bambola a forma di ansia, Glitch doveva ammettere di star iniziando a provare il principio di una sensazione che non avvertiva da chissà quanto tempo: una cosa gradevole -addirittura- vagamente somigliante al… divertimento.
 
«Puoi rifinire qui a destra, Glitch?»
 
«Subito!»
 
Un’altra cosa che doveva a Odysseus.
Gli sarebbe piaciuto soffrire meno nell’utilizzare la propria abilità di disattivare cose e parti di persone. Se solo fosse stato così, avrebbe volentieri accompagnato il jetformer ogni volta che questi gliel’avesse chiesto e l’avrebbe difeso appena ne avesse avuto bisogno, come aveva fatto la sera in cui si erano conosciuti, ma in modo più efficace. Odysseus era buono con lui, si curava di lui, si preoccupava per lui anche se lui era uno scarto, un rifiuto, un essere mostruoso che si disgustava nel vedere la propria immagine allo specchio anche solo di sfuggita e che aveva il tic di graffiarsi la faccia come se grattando e grattando quell’oscenità mono occhiuta sperasse di far saltare fuori il vecchio volto o uno nuovo; lui era tutto questo, eppure Odysseus lo considerava un amico.
Se solo avesse potuto aiutarlo… se solo.
 
Un rumore sordo proveniente dal capanno li fece voltare entrambi in quella direzione.
 
«Hai sentito anche tu?»
 
«Sì… però a giudicare dal rumore non dovrebbe essere niente di che, forse un robotopo o qualcosa di simile. Penso» disse Odysseus «Nemmeno un cybercane o un cybergatto».
 
Si scambiarono un’occhiata.
 
«Forse potremmo…» avviò a dire Glitch.
 
«Rientrare. Sì» concluse Odysseus «Dopotutto il pupazzo l’abbiamo fatto… magari domani può saltarne fuori un altro se avanza tempo?...»
 
«E se non c’è niente » aggiunse l’altro mech, indicando il capanno.
 
«Eh, anch- AAAAAAAAAAAAAH!» strillò Odysseus dopo essersi voltato in direzione del pupazzo di neve.
 
« AAAAAAAAAAAAAH!» strillò Glitch a sua volta senza nemmeno sapere perché, ma ripetendo ancor più convinto l’urlo quando vide che il pupazzo di neve si era trasformato in un mostro tentacolato.
 
Un mostro tentacolato che adesso stava ridendo con una voce femminile a lui conosciuta.
 
«Voi due fuori a fare un pupazzo di neve a quest’ora siete un’istigazione a delinquere, ve lo dico» disse Scylla, priva di qualsiasi “abito” a ripararla dal freddo e priva anche di ogni decenza, sbucando da dietro il pupazzo. Evidentemente anche la fonte del rumore che li aveva distratti era sempre lei. «Se aveste potuto vedere le vostre espressioni!»
 
«TU sei fuori di processore!» protestò Odysseus «Cazzo, ci hai fatto prendere un colpo!»
 
Glitch, nascosto dietro Odysseus -alla faccia del desiderio di difenderlo- sentiva la Scintilla sul punto di esplodere.
Poi Scylla non avrebbe dovuto fargli paura? Certo che gliene faceva!
 
«Mi ero resa conto di non aver ancora dato un vero benvenuto al nuovo membro dello staff, dovevo rimediare» disse la femme «Non è ancora svenuto, vedi? Va alla grand-»
 
Una grossa secchiata di acqua gelata, seguita dal secchio stesso, colpì in pieno la jetformer lasciandola basita per qualche istante.
 
«E andate all’Unicron tutti quanti!» esclamò Charybdis prima di richiudere con un colpo sonoro la finestra della propria stanza.
 
Ci fu un momento di immobilità e di silenzio generale.
Poi, per la seconda volta in quella serata dalla bizzarra piega, Scylla scoppiò a ridere un’altra volta e si ritirò in casa dopo aver fatto ai due mech un cenno di saluto.
 
Odysseus e Glitch si guardarono.
 
«Sai» disse Glitch «Forse Charybdis non è così male».
 
Stavolta a ridere di gusto -dopo un attimo di stupore per aver sentito Glitch fare addirittura dell’ironia- fu Odysseus e, nel vedere allegro il proprio amico, anche Glitch si sentì di riflesso abbastanza sollevato. Ancora con la Scintilla in gola, ma sollevato.
 
«Meglio rientrare prima che Chary lanci una secchiata d’acqua anche a noi» disse Odysseus «Dai, domani ci aspetta un’altra giornata di lavoro!»
 
 
 
 
 

 


 

 
 
 
L’unica cosa che ho da dire stavolta è che per la bambola di Odysseus mi sono attenuta all’immagine che potete trovare >>>QUI. L’artista in questione ha un vero talento.
 
Alla prossima,
_Cthylla_

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Capitolo 5
*** 5 - Non ''da dove'', ma ''da quando'' ***


5










Seduta dietro il paravento che separava il suo banco da lavoro dal resto del negozio, Scylla notò che Glitch la stava osservando.

“Rieccolo. Mi guarda, poi nota che lo ricambio e… ooh, che botta” pensò, vedendo il nuovo membro dello staff -ormai lì da oltre un paio di settimane- sbattere la testa contro una mensola nel tentativo di non incrociare il suo sguardo.

Era da qualche tempo che Scylla aveva notato che Glitch, avendo iniziato ad avere un briciolo meno paura anche di lei e Charybdis oltre che di Odysseus, era in qualche modo… incuriosito?, nei suoi riguardi. Non aveva ben chiare le ragioni dietro il suo comportamento: magari la trovava attraente, cosa che avrebbe reputato normale -bando alla falsa modestia, aveva un bell’aspetto e lo sapeva benissimo- ma per qualche ragione non riteneva che quello c’entrasse. Probabilmente se si fosse preso una cotta o roba simile non sarebbe stato neanche capace di sollevare lo sguardo su di lei, ritenendosi immeritevole o qualcosa del genere.
Un po’come aveva fatto Odysseus con le femme per le quali nel tempo aveva avuto delle cotte, non si era mai fatto avanti a meno che fossero state loro ad approcciarlo per prime.
Triste realtà, ma anche senza empurata alcuni comportamenti di Odysseus somigliavano fin troppo a quelli del garzone.

“Speravo che stando a contatto con qualcuno veramente disgraziato si svegliasse un po’e si rendesse conto che non è messo male com’è convinto di essere, o meglio, non lo sarebbe se si decidesse a tirare fuori gli artigli. Invece è diventato solo più bravo a incassare, in un certo senso, ora che ha un amico ad asciugargli le lacrimucce”.

Qualcuno aveva picchiato Odysseus solo un paio di giorni prima, in un’occasione in cui si era spinto un po’più lontano per delle commissioni ed era tornato a casa con varie ammaccature. Glitch passione infermiera si era precipitato immediatamente da lui, tutto “Che ti è successo?!”, “Hai bisogno di aiuto?”, “Vuoi che faccia qualcosa?”.

Scylla alzò le ottiche al soffitto. Non era veramente dispiaciuta per il fatto che Odysseus avesse un amico, per quanto disgraziato suddetto amico potesse essere, né lo disprezzava per la sua incapacità di reagire: era suo fratello, da un certo momento in poi lo avevano cresciuto lei e Chary, dunque gli voleva bene. Ma proprio perché gli voleva bene temeva che, se non si fosse deciso a imparare almeno a difendersi usando a sua volta il dono che la natura aveva fatto a tutti e tre -i loro “capelli”- un brutto giorno sarebbe uscito dal negozio e non sarebbe tornato mai più.
Sarebbe dovuta andare a cercare il suo cadavere e l’avrebbe ritrovato macellato e stuprato in un fosso, sempre se fosse mai riuscita a trovarlo davvero, e anche se avesse trovato gli assassini e avesse vendicato il fratello non l’avrebbe riportato in vita.

Avrebbe potuto cercare di farlo vivere sotto una campana di vetro, evitandogli qualsiasi contatto con chiunque non fossero lei o Charybdis, ma era fuori discussione. Ciò che era successo ai loro genitori sarebbe potuto succedere anche a loro due in qualsiasi momento, perché la sfortuna non guardava mai in faccia nessuno per quanto forte potesse essere, e se Odysseus fosse stato completamente fuori dal mondo, del tutto incapace di provvedere a se stesso, cosa ne sarebbe stato di lui? Un disastro, ecco cosa.

Lo era stato anche per lei e Charybdis. Charybdis all’epoca era appena diventata una femme adulta, a lei mancava poco per diventarlo e Odysseus camminava a malapena. Era stato un periodo veramente difficile, anche perché tutto quel che lei e sua sorella avevano avuto da fare aveva a malapena permesso loro di “vivere” il lutto. Forse era stato per quello che Charybdis, che non era mai stata un’allegrona ma che Scylla aveva comunque visto sorridere e addirittura sentito ridere ogni tanto, si era del tutto chiusa in se stessa; e forse era sempre per quello che lei, i primi tempi, aveva sentito sempre l’irrefrenabile bisogno di uscire di casa appena dopo aver messo a letto Odysseus, così come forse era sempre quella la ragione per cui, sempre ai tempi, aveva trovato una valvola di sfogo non indifferente nel riempire di botte la gentaglia che girava nel settore. Di botte ne aveva anche prese il giusto, dopotutto non era ancora un’adulta completa, ma alla fine era stata sempre lei a restare in piedi.

Quel periodo ormai era finito, ma per quanto ora tirasse fuori quel livello di aggressività abissale solo quando serviva realmente e solo in reazione ad azioni altrui -come la volta in cui Ody era tornato a casa senza un’ottica- si rendeva perfettamente conto si essere a sua volta “danneggiata”. La sua sola fortuna era che lo fosse in un modo che andava bene per vivere e prosperare nella periferia di Tarn.
Lei, contrariamente ai fratelli, nonostante la gentaglia non odiava quel posto. Sapeva che Charybdis si sarebbe trasferita volentieri altrove e che per Odysseus valeva lo stesso discorso, ma se anche fossero riusciti a farlo non avrebbero fatto altro se non finire in un’altra periferia. Alla lunga, considerando che Odysseus avrebbe continuato a non sapersi difendere e Charybdis a socializzare poco, la loro esistenza sarebbe davvero cambiata in meglio? Se non altro lì, almeno di giorno e nelle vie limitrofe, Odysseus poteva girare relativamente tranquillo.

Così come l’outlier di casa -o forse “uno dei due”…- che si stava ancora massaggiando la testa.

Scylla sollevò una mano e gli fece motto di avvicinarsi. Lui, dopo un infinitesimale attimo di immobilità, le obbedì mantenendo una postura piuttosto rigida. Rimase rigido anche quando lei gli fece cenno di accomodarsi su una sedia lì vicina, al limitare della quale lui si sedette intrecciando le mani sulle ginocchia. Era talmente teso che il suo modo di fare avrebbe potuto anche far ridere o far imbestialire, ma sinceramente Scylla non aveva voglia di fare alcuna delle due cose.

«Hai preso una bella botta» disse la femme.

«N-non ho danneggiato la mensola con la mia testa, giuro. Ho-ho controllato. N-non è neanche caduto nulla».

«Meglio per la mensola… e anche la tua testa non è ammaccata» osservò Scylla, ignorando il sobbalzare di Gltich al suo tocco «Meglio così. Ora che i mal di testa stanno migliorando, così mi riferisce Odysseus, sarebbe un peccato rovinare tutto così. Giusto?»

«N-non… n-non è che siano migliorati, è che… è che ci penso meno. Al prima. Q-quando non penso al prima n-non fa male» spiegò Glitch.

«Ti stai arrendendo all’idea di avere ricordi frammentati o hai solo deciso che non interessa? Tra le due cose c’è differenza».

«L-la seconda» disse il mech «N-nulla di quel che riesco a ricordare è bello o v-vale la pena. Non so come sono finito qui, p-però… però ci sono. E n-non saprei dove altro andare e… e… n-non credo che da dove vengo ci sia un altro Odysseus».

«Mi sta venendo un dubbio… tu sai che a Odysseus piacciono le femmes, vero?»

«C-cos-… n-non è come… a-anche a me piacciono l-le femmes!»

«Hai appena espresso chiaramente una preferenza? Sono incredula».

«L-lui è un amico. È-è sempre stato gentile con me. E… e grazie a lui h-ho un posto dove stare e… e qualcosa da fare» continuò Glitch «S-se non mi avesse trovato e non m-mi avesse portato qui io n-non… io sarei ancora lì. Invece sono utile in qualcosa, per una volta. I-io gli sono grato. S-se solo potessi… se solo fossi in grado…» si guardò le “mani” «P-potrebbe chiedermi qualunque cosa, farei qualunque cosa p-per ripagare tutto questo. Qualunque».

Scylla sollevò un sopracciglio. «E tu magari pensi davvero che questa sia una buona cosa».

«N-non lo è?...»

La jetformer fece un breve sospiro e si voltò a guardarlo. «Odysseus ti considera un amico, in questo hai sicuramente ragione, così come avevi ragione le volte in cui l’hai definito una brava persona. Ti è affezionato, se si comporta come fa non è perché vuole qualcosa da te. Nella sfortuna, hai avuto fortuna… per questa volta. Ma ti dico un segreto, Budino: non tutti quelli che in apparenza sono gentili con te o “ti danno un posto dove stare” e “qualcosa da fare” e “ti fanno sentire utile” hanno buone intenzioni. Spesso e volentieri quelli così sono le prime teste di cazzo dalle quali stare lontani» disse Scylla «Hai idea di quanto potrebbe essere pericoloso il “Farei qualunque cosa” detto a una persona così, per giunta credendoci? Potrebbe sfruttarlo per farti fare tutto quel che gli pare, e non parlo necessariamente di lavare il pavimento. Potresti finire molto male, Budino, e non solo tu» aggiunse «La tua abilità da outlier non è roba da ridere».

«N-non capisco-»

«Immagina cosa sarebbe successo se ad accoglierti in casa e trattarti “da persona”, dopo aver visto il tuo potere in non so quale circostanza, fosse stato uno strozzino. La gratitudine nei suoi confronti sarebbe stata su per giù la stessa, no? “Farei qualunque cosa” anche qui, sbaglio?»

Il discorso che stava facendo a Glitch sembrava metterlo molto a disagio, come rivelava il fatto che si stesse rovinando il viso con le dita, ma Scylla non intendeva fermarsi lì. Il disagio sarebbe stato temporaneo, quel che cercava di dirgli invece doveva arrivare a destinazione, e doveva arrivarci bene.

«Saresti potuto essere in giro a rendere paralitiche -o peggio- le persone per suo conto, adesso. Ody è Ody ma non è detto che resterai qui in eterno… o che noi resteremo tutti qui in eterno» disse Scylla, memore della propria preoccupazione verso Odysseus «Perciò ricorda le mie parole».

«I-i-il mio corpo è t-troppo debole, l-lo sai che mi fa male la testa s-se… se uso i miei poteri. C-come potrei?...»

«Gli strozzini hanno parecchi soldi. Sostituzione di varie parti del corpo e via a occuparsi dei debitori, Glitch, e tutto perché non saresti stato capace di dire di no e di ricordare che c’è un limite a qualsiasi cosa, anche a quel che si fa per gratitudine. Sarebbe stato così tremendamente facile, non trovi?»

Glitch abbassò lo sguardo verso le proprie dita intrecciate e non replicò. Per circa mezzo minuto l’unico rumore presente nell’ambiente fu quello della macchina da cucire con cui Scylla stava creando un abito per una bambola.

«In ogni caso non è per questo che ti ho fatto venire qui. Sarò diretta: ho notato che ultimamente sembro incuriosirti un po’di più rispetto all’inizio. C’è qualche ragione particolare?»

«N-no, io n-non sono inc-»

Scylla lo interruppe. «Cosa ti ho detto la prima sera? Quando io ti faccio una domanda, tu rispondi. Onestamente. Capito?»

«S-sissignora».

«Bene. Ora parla».

Facendo uno sforzo non da poco, Glitch tornò a sollevare lo sguardo. Aveva capito che non doveva rispondere a testa bassa e borbottando, era già qualcosa. Magari un giorno avrebbe imparato a farlo di suo, invece che obbedendo a un ordine impartito tempo addietro.

«È… sono… i capelli».

“Va’ che forse il kink del bondage, alla fine, lo aveva sul serio” pensò Scylla, evitando con clemenza di esprimersi ad alta voce. «Sono una caratteristica particolare mia e dei miei fratelli, è normale che ti incuriosiscano».

«N-no, non quelli di tutti, solo… i tuoi… hhh» si strinse il capo tra le mani «L-la testa, fa male…»

«Ti succede questo se cerchi di capire perché ti incuriosiscono i miei capelli nello specifico… è strano, non lo nego. Non è uno di quei mal di testa da “vita di prima”?»

Glitch annuì. «Lo è, però non so… i-io non so perché…»

Lo vide allungare le dita per toccare i capelli, poi ritrarsi di scatto, presumibilmente credendo di starsi prendendo troppa confidenza. Non avrebbe avuto tutti i torti -Scylla, come i fratelli, di solito non apprezzava granché se qualcuno cercava di toccarle i capelli senza permesso- ma tra il mal di testa, la causa dietro a esso e il fatto che il tutto lo stesse spingendo a cercare un contatto pur essendo spaventato da lei, le suggerì di lasciarlo fare.

«Per stavolta fai pure quel che vuoi fare» lo invitò «A meno che tu voglia paralizzarli, ma non penso sia il caso».

«D-davvero?... Posso?...»

«Fai pure» ripeté la femme.

Glitch a quel punto allungò le mani e iniziò a toccare i capelli.
E poi ad acconciarli.
Scylla sollevò un sopracciglio. Non solo era un gesto strano da parte sua -o più che altro inaspettato- ma oltre a questo sembrava avere una certa esperienza nel compiere quei gesti, rimasti nella sua “memoria tattile” al punto che aver perso le proprie mani non contava granché. Tra l’altro l’acconciatura che le stava facendo incontrava appieno i suoi gusti, e in teoria Glitch non poteva sapere quali fossero suddetti gusti, dato che lei perlopiù lasciava i “capelli” al vento. Di certo in quelle oltre due settimane lo erano sempre stati.

«Hai molta manualità con i miei capelli. È come se avessi fatto spesso una cosa simile».

«La sensazione che ho è questa» replicò Glitch, una volta tanto senza balbettii.

«Eppure gli ultimi a farlo furono i miei genitori, e ovviamente non parlo dell’altro ieri. Cerchiamo di mettere in ordine i pezzi del puzzle: non sai come sei arrivato qui e i tuoi ricordi sono disastrati. In questi giorni in cui ti ho visto andare in giro, non davi l’impressione di essere totalmente estraneo al posto, nonostante tutto» disse Scylla «Ma in alcuni casi ti sei mosso come se fossi stato del tutto convinto di trovare un determinato edificio in un determinato posto quando invece ce n’è un altro, o c’è uno spiazzo vuoto. Ho pensato “magari si ‘ricorda’, per modo di dire, com’era il posto prima”, però tu non sei più vecchio di Charybdis e il posto è così da una vita, dunque lo escludo. E ora… questo. Per quanto sia Charybdis la meno contenta di averti qui e sia più grossa di me, hai più paura di me che di lei, come se “prima” avessi visto non so cosa. Ho pensato che magari potessimo aver avuto un confronto spiacevole in passato, ma se fosse stato così sarebbero stati i miei capelli a toccare te, non tu a toccare loro; e sommando tutto questo a certe voci riguardo l’aver iniziato a cercare un modo per creare motori quantici, inizio a pensare che forse la domanda non sia “da dove vieni”…»

«Piuttosto “da quando”» completò Glitch.

«Allora avevi iniziato a pensarci anche tu. Potresti davvero essere un budino viaggiatore nel tempo, dunque?» domandò Scylla «Se sì, al di là del come e perché sei finito qui, le domande sarebbero così tante… per esempio, considerando tutto presumo che io e i miei fratelli saremo qui ancora per un pezzo. Chissà come ci hai conosciuti, chissà come stiamo…» batté nervosamente le dita sul tavolo «Chissà se Odysseus è ancora vivo» concluse, per una volta dando voce ai propri timori.

Quel che sentì dopo fu un lungo lamento continuo e il tonfo di Glitch che cadde prima in ginocchio e poi a terra, con le mani premute contro le tempie. Il mal di testa quella volta sembrava essere molto peggiore del solito, al punto che Scylla aveva l’impressione che sarebbe svenuto.

«Che ha stavolta?» si fece vedere Charybdis dopo essere scesa dal piano di sopra «È peggio del solito o sbaglio?»

«Non sbagli. Porta qui Brushsling, e di corsa».

«Con che shanix-»

«I miei, se li chiede, quindi portalo qui e non scassare ulteriormente i solenoidi coi soldi, non è il momento!»

Charybdis si avviò verso l’uscita. «Poi diciamo di Odysseus e del suo essersi affezionato, ma tu non sei meglio di lui».

«Io ho ancora un briciolo di decenza verso chi la merita, mia sorella invece ha scambiato la sua per la vernicina arcobalenosa da mettere sulle alucce, perché mancano gli shanix per tutto ma per quella ci sono sempre».

«Non perdo neanche tempo a risponderti, Scylla».

«Anche perché non c’è né tempo da perdere né niente da dire» ribatté Scylla per un’ultima volta prima che la sorella sparisse oltre la soglia «Non svenire, ok? Cerca di stare sveglio, l’unica cosa che saprei fare io per cercare di aiutarti sarebbe prenderti a sberle ma non lo raccomando…»

«Scy…lla…»

«Bravo, qualunque cosa ti tenga sveglio tu-»

«M-mi… dispiace…»

«Non hai danneggiato il pavimento con la caduta, tranquillo».

«M-mi dispiace per… t-tu eri… t-tu sei…» cercò di articolare Glitch, che ora piangeva «N-non sei cattiva, non… t-tu non… è così ingiusto…»

«Non capisco di cosa tu stia parlando di preciso, ma va bene. Tranquillo» ripeté la femme «Ora arriva Brushsling e- Glitch? Glitch?!...»





***





Quando Glitch riaprì il sensore ottico azzurro si rese conto immediatamente di provare un’incredibile spossatezza. Poche volte nella sua esistenza, per quel che ricordava, si era sentito in quel modo: era come se una piccola astronave lo avesse investito.

“Perché sono qui? L’ultimo ricordo che ho è quando toccavo i capelli di Scylla. Poi… cos’è successo, poi?”

Si mosse leggermente. Era nella sua cuccetta nella “tana del luponoide”, nella quale era acceso solo un lumicino, e dando un’occhiata intorno -per quel che poteva fare muovendo solo la testa- si rese conto di essere solo. Fuori era buio, il suo orologio interno infatti suggeriva che fosse sera, dunque era curioso che Odysseus non fosse lì.

Non aveva energie sufficienti per fare altro se non usare la sua particolare abilità con le frequenze e sentire se erano tutti in casa, o almeno se c’era Odysseus. Quella parte della sua abilità da outlier quantomeno non gli causava mai dolore, e aveva l’impressione di star udendo delle chiacchiere al piano di sotto.

Si concentrò.

«… voi due state scherzando».

Era la voce di Charybdis. Non sembrava felice.

«No. Ripeto: se sono stato costretto ad andare via da Iacon è proprio perché hanno tentato di farmi smettere di aiutare la gente e di far sì che seguissi le cavie di quei loro esperimenti quantici. Devo ringraziare certi contatti che avevo e una buona dose di fortuna per non essere finito anch’io con una faccia e delle mani nuove per essermi rifiutato. In verità non avrei proprio dovuto parlare di questa faccenda, ma data la situazione…»

La voce maschile in questione non era quella di Odysseus, ma era a lui conosciuta: il medico da cui Scylla l’aveva portato tempo addietro.

«Quindi state dicendo che Glitch è una cavia? Che quei… quei maledetti bastardi di Iacon lo hanno usato e poi lo hanno scaricato qui come spazzatura?!»

Ecco Odysseus. Era contento che fosse in casa e sembrasse star bene ma quel che stava sentendo riguardo se stesso lo stava mettendo molto più in allarme. “Una cavia”. Lui non ricordava assolutamente niente del genere, ma chi poteva garantirgli che non fosse proprio così? Dopotutto era proprio quello il punto, “non ricordava”, dunque ogni opzione forse poteva essere valida, e nella sua mente stava già iniziando a formarsi la terrificante idea che, se le cose stavano così, forse stava mettendo in pericolo tutti quanti con la sua sola presenza.

«Se -e dico "se"- l’avessero fatto, non credo che l’abbiano fatto nella Iacon di questo tempo» sentì dire Scylla «Alcune cose di cui stavamo parlando poco prima che svenisse mi danno da pensare che, se fosse una cavia, sarebbe la cavia di un esperimento riuscito. Eccetto per i ricordi».

«E io sono della stessa idea. Per quel che ne so, in questo tempo dovrebbero ancora essere ben lontani dal poter ottenere un risultato simile» disse il dottore.

«Questo cosa comporta per noi?» domandò Charybdis «Dobbiamo aspettarci che qualcuno arrivi qui e cerchi di recuperare quel disgraziato con la forza, facendoci finire in mezzo?»

«Non credo che possano avere chissà quale considerazione di una cavia empuratica andata persa. Su questo fronte dovremmo essere al sicuro. Sempre se è una cavia davvero, ribadisco» replicò Scylla «Non abbiamo idea di come e perché sia arrivato qui, lui neppure, quindi tutto è valido e niente lo è».

«Discarica e tanti saluti, diventerà il problema di qualcun altro».

«Tanto per te ogni scusa è buona, non lo vorresti qui nemmeno se lavorasse il doppio di quello che fa, e già lo fa come un mulocon!» protestò Odysseus.

«Scusatemi se sono meno svelta di voi a essere felice di accogliere un mech estraneo anche a se stesso. Scylla, ora ci sono vari motivi per fare la cosa ragionevole. O no?»

«Lo dirò una volta solo e non intendo ripetertelo, quindi apri bene i recettori uditivi: non intendo abbandonare qualcuno dal quale la me futura si fa acconciare i capelli. Già il solo fatto che ci sia una me futura significa che non siamo destinati ad andare offline tutti quanti. Glitch continuerà a vivere qui e a essere il garzone del nostro negozio, questo è quanto, e che sia l’ultima volta che mi fai tornare sull’argomento».

«Se no?»

«Se hai voglia di litigare sul serio non hai altro da fare che dirmelo, Chary, sarebbe una novità rispetto alla solita pseudo-superiorità con cui replichi».

«Ah-ehm. In questo sacchetto ho lasciato le pastiglie da dargli, alcuni sono antidolorifici, alcune per rafforzare il suo sistema» si intromise il dottore «Cercate di non forzarlo a ricordare le cose e ditegli di non forzarsi neppure da solo. Anche tre o quattro giorni di riposo gli farebbero bene».

«Sarà fatto» rispose Odysseus prima di tutti gli altri.

«Quanto ti devo, Brushsling?»

«Niente, Scylla. Fosse stato per me non avrei voluto shanix neppure l’altra volta, oggi posso essere coerente con quel che già lì avrei voluto fare. Ci vediamo, per qualsiasi cosa non esitate a chiamarmi».

I passi del dottore giù per le scale furono l’ultima cosa che Glitch sentì. Era preda di sensazioni contrastanti -una tra tutte la voglia di piangere un’altra volta- e questo non faceva che stancarlo ancora di più. Non riusciva neppure a pensare in modo chiaro, riusciva solo a fissarsi sull'idea che forse qualcuno sarebbe venuto a cercarlo causando guai. Non doveva succedere, non a loro. Gli sembrava ancora incredibile l'idea di essere persino voluto -non da Charybdis, ma era voluto almeno da due fratelli su tre. Non meritavano proprio possibili rogne a causa sua.

Con quell’ultimo pensiero, Glitch scivolò nuovamente in ricarica.


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Capitolo 6
*** 6 - ''Il tuo amico, G.'' ***


6
 
 




 
 
 
 
 
 
    “Non posso evitare di iniziare col dire questo: mi dispiace.
    Sappi che sono grato a tutti voi. Lo sono verso Charybdis, la quale nonostante tutto non mi ha maltrattato, lo sono verso Scylla per le cure che a modo suo mi ha riservato senza offendersi per il mio timore nei suoi riguardi, e soprattutto lo sono verso di te, Odysseus. Porterò eternamente nella Scintilla il ricordo della tua gentilezza. Nulla di quel che ho provato a dirti tra un balbettio e l’altro o di quel che potrei scrivere renderebbe l’idea di quanto il fatto che tu mi abbia onorato della tua amicizia abbia importanza per me; e proprio per tutto questo, e perché non avendo che sprazzi di ricordi riguardo il mio passato non posso sapere se qualcuno possa o meno essere sulle mie tracce (né chi) è bene che le nostre strade si dividano. Che tu e le tue sorelle possiate avere dei guai a causa della mia presenza è un’idea che mi risulterebbe insopportabile anche se ne usciste vivi e in salute.
    Grazie ancora per tutto.
    Il tuo amico,
 
    G.”
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«Io lo sapevo» borbottò Odysseus, che stringeva in mano il messaggio di Glitch scendendo le scale quattro a quattro per raggiungere il piano inferiore «Lo sapevo che aveva in testa qualcosa!»
 
Era stato vicino a Glitch nei giorni successivi a quello in cui era svenuto e avevano anche parlato della possibilità alquanto concreta che potesse essere un viaggiatore nel tempo. Per quanto, sentendo dire al suo amico che forse non era sicuro lasciarlo stare lì, Odysseus avesse ripetuto più volte che né lui né Scylla intendevano abbandonarlo da qualche parte -e che anzi, Scylla si era mostrata molto determinata nel voler fare l’esatto contrario- non gli era sembrato che Glitch fosse del tutto persuaso.
 
Lui e la sua convinzione di essere immeritevole di qualsiasi cosa, incluso avere qualcuno che volesse averlo attorno prendersene cura!... non poteva dire di non capirlo. A volte ne era vittima anche lui stesso, e forse se non era arrivato al punto di darsi alla fuga di notte come aveva fatto Glitch era solo perché non era messo così male. O per codardia, perché certe parti di Tarn erano peggiori di qualsiasi senso di colpa.
 
“E tu stai andando proprio in una di quelle” pensò, osservando il puntino rosso del segnalatore sul datapad “È sfortuna? Hai ricordato qualcosa e lo stai facendo apposta? O, ancora, consciamente non ti ricordi ma inconsciamente sì e stai andando a cercare di farti ammazzare?"
 
La decisione di applicare un chip segnalatore più vecchio di lui su Glitch -originariamente era stato addosso a un cybercane che le sue sorelle avevano avuto da piccole, poi arrivato a una certa età era stato addosso a lui stesso. Per un po’- mentre questi era in ricarica non l’aveva fatto sentire granché a posto con la coscienza, ma considerata la situazione attuale era il caso di dire che la sua fosse stata una scelta saggia. Bastava andare in camera di Scylla, darle il datapad e lei, che non aveva alcun problema a girare in qualsiasi zona, avrebbe riportato Glitch a casa risolvendo così la questione.
 
«Scyllaaaaa, abbiamo un problem… ah».
 
La camera da letto di sua sorella era vuota, segno che non era ancora tornata.
 
«Va bene, “ho” un problema» si corresse il jetformer «Grosso».
 
Sentì le gambe iniziare a cedere e dovette sedersi sul letto di Scylla, rischiando quasi di far cadere la cornice olografica sul comodino accanto. Vedendo l’immagine cambiare e mostrare il selfie della sorella con quel gladiatore -tal Megatronus, astro appena appena nascente nell’arena- si chiese se avrebbe vissuto abbastanza perché sua sorella riuscisse a trascinare a Kaon lui e Charybdis un’altra volta, e il motivo era semplice: Scylla non era lì, andare a svegliare Charybdis era inutile perché non si sarebbe mai mossa per Glitch, dunque restava un’opzione soltanto.
 
«No. No» ripeté, scuotendo la testa «Non posso farlo, non posso assolutamente, finirei a farmi uccidere, non posso essere io ad andare a prenderlo e riportarlo qui. Non posso, semplicemente non posso».
 
La cosa più sensata da fare era aspettare Scylla, pensò dopo qualche tentativo di chiamata andato a vuoto, prima o poi sarebbe tornata e non sarebbe dovuto essere lui a volare laggiù. Farlo non avrebbe avuto senso, dopotutto lui era un completo incapace, non avrebbe potuto fare assolutamente niente di utile per il suo amico.
 
 
 
“Porterò eternamente nella Scintilla il ricordo della tua gentilezza”.
 
“Tu… tu hai fatto lo stesso prima. Hai cercato di farlo smettere e l-le hai prese per colpa mia, e non dovevi. N-non eri tenuto. Io non potevo… ho fatto quel che dovevo”.
 
“M-mi sento fortunato per il fatto che mi consideri tuo amico. Mi sembra ancora impossibile”.
 
“Sono spazzatura ma non sono spazzatura ingrata, Odysseus”.
 
 
 
“…”
 
«Scylla, Glitch è fuggito perché ha paura dei problemi che potremmo avere se qualcuno venisse a cercarlo. È andato a infilarsi a est del settore, sai a quale parte mi riferisco ma nel dubbio ti mando la sua ultima posizione. La sera in cui l’ho portato qui e mise KO quel tizio mi disse di essere spazzatura, ma non spazzatura ingrata verso chi l’aveva aiutato… non posso essere spazzatura ingrata nemmeno io verso qualcuno che mi considera un amico. Io vado laggiù e cerco di riportarlo a casa. Ciao» disse, concludendo così il messaggio vocale che aveva lasciato.
 
Il dado era tratto. Dopo essere tornato in mansarda a prendere uno dei suoi attrezzi da lavoro -quello tagliente, memore delle parole di Glitch- e averlo fatto cadere un paio di volte causa mani troppo tremanti, scese al piano terra e uscì sul retro: pioveva talmente forte da risultare quasi fastidioso, e i lampi con annessi tuoni non rendevano certo il tutto più gradevole.
 
 «… cosa CAZZO sto facendo?!» esclamò in un tono terribilmente stridulo, per poi trasformarsi e decollare.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
“Quindi è così che finisce”.
 
Era diventato il punching ball di quindici mech che avevano raggranellato alcune armi male in arnese perché intenzionati a tentare un colpo in chissà quale posto, probabilmente sempre male in arnese ma magari un po’meno del resto. Disgraziati che si saltavano alla gola tra loro come cybercani rabbiosi, questa era la situazione nella periferia di Tarn, o più probabilmente in tutte le periferie di tutte le città-Stato lasciate a se stesse da governanti ai quali della gente comune non sarebbe potuto importare di meno.
 
E lui era un disgraziato tra i disgraziati.
 
«Non parla nemmeno!»
 
«Non provi neanche a reagire?!»
 
«Sei venuto qui per farti ammazzare, senza-faccia del cazzo?!»
 
Quando aveva lasciato il posto che stava iniziando a chiamare “casa”, prima di scoprire di poter essere una potenziale fonte di guai per la suddetta, aveva creduto di star semplicemente andando chissà dove, purché fosse lontano da essa; ora però, alla non-domanda di quel mech, sentiva di poter rispondere un sonoro “”. Era lì proprio per farsi uccidere e forse inconsciamente aveva sempre saputo dove si stava andando a infilare. Dopotutto Tarn non doveva essergli nuova: come Scylla aveva giustamente osservato, non si muoveva come un completo estraneo. Le domande su quando, dove, come e perché però contavano più nulla che poco, ormai.
 
“È così che finisce, ed è giusto. Non solo sono spazzatura, ma sono spazzatura che potrebbe portare caos nella casa di chi non se lo merita, dunque è giusto che la faccia finita. Se non altro andrò offline dopo aver imparato cosa significhi avere un amico”.
 
 
 
“Non riesco a fare del male a chi mi fa del male, e farne a me stesso mi renderebbe ancora più vigliacco di quanto già sia”.
 
 
 
Gli tornarono in mente le parole di Odysseus. Odysseus riteneva di essere una persona debole e vigliacca: fisicamente non era forte, sì, ed era capitato più volte in quei giorni che il giovane si fosse fatto spaventare anche dalla propria ombra, o da alcuni rumori forti, o dalla bambola “gemella” di Scylla che era nel negozio da vorn e vorn, ma sinceramente Glitch trovava che la vera codardia fosse ben altro. Qualcosa gli stava suggerendo che la vera codardia potesse essere proprio la sua.
 
“Lo sto facendo per proteggerli tutti e tre, non è codardia” si ripeté mentre veniva gettato a terra “Per loro non varrebbe la pena avere problemi a causa mia”.
 
Riusciva a immaginare Scylla rispondere a ciò con qualcosa tipo “Dobbiamo essere noi, a decidere cosa vale la pena per noi, o tu?”. Sì, anche lei avrebbe sicuramente visto della codardia in tutto ciò e ne sarebbe stata disgustata, ancor più pensando al fatto che pur vedendolo debole lei aveva deciso di tenerlo in casa lo stesso.
Forse anche per Odysseus sarebbe stato così. Il discorso che aveva fatto quella notte lasciava intendere in modo piuttosto chiaro la sua opinione riguardo coloro che, pur non condannati a morte da una malattia incurabile e dolorosa che l’avrebbe reso più comprensibile, sceglievano il suicidio.
Il pensiero che il suo amico potesse provare sentimenti di schifo nei suoi confronti gli fece male quanto la consapevolezza che con quel messaggio d’addio l’aveva ferito -aveva imparato a conoscere Odysseus abbastanza da non avere dubbi sulla cosa- ma in ogni caso era tardi per fare qualsiasi cosa a riguardo.
 
Uno del gruppo di delinquenti puntò contro la sua testa un fucile laser vecchio e palesemente tenuto insieme da del nastro adesivo. Sarebbe stato come morire in un film d’azione girato con un budget ridicolo ma in fin dei conti lui non meritava una terminazione più gloriosa, e in effetti la stava vivendo proprio così: da spettatore di un film che lo riguardava solo fino a un certo punto. Miracoli della dissociazione.
 
Una dissociazione che tuttavia passò immediatamente nel vedere dei “capelli” avvolgersi attorno al braccio del mech, che quindi finì per sparare in aria, e Odysseus conficcargli nel collo lo scalpello appuntito.
 
“Cosa?!...”
 
«Lasciatelo stare!» esclamò il jetformer, con aria molto più spaventata di quella che sarebbe stato saggio avere in quel frangente, dopo essersi riappropriato dello scalpello con uno strappo brutale «A-avete capito?! Lasciatelo stare!»
 
Al comprensibile stupore di Glitch si aggiunse il panico, per un semplice motivo: Odysseus sarebbe dovuto essere ovunque tranne che lì. Odysseus sarebbe dovuto essere a dormire nella sua cuccetta, non a tremare guardando la pioggia lavare via l’energon altrui dal suo scalpello con l’aria da “Oddio che cos’ho fatto?!”.
 
«Ma che ca-»
 
«Facciamo fuori questo idiota che  si scopa i senza-faccia!»
 
«Prendetelo!»
 
Il giovane jetformer, ora nel panico anch’egli, strinse lo scalpello al petto quando vide due mech decisamente più grossi di lui avventarglisi contro.
 
Era venuto in quel posto per lui, stava rischiando la pelle metallica per lui che, incurante della volontà sua e di Scylla, era scappato via come una robopantegana lasciando solo un biglietto; e ora, a causa dell’azione sconsiderata che aveva commesso, Odysseus stava rischiando la terminazione -lui, che non lo meritava, per mano di quegli esseri immondi.
Alla disperazione che l’aveva portato lì e al panico si aggiunse una sensazione di furia intensa che a Glitch sembrava quasi star suggerendo in modo seducente quanto maligno di essere canalizzata e usata per punire tutti loro, perché erano feccia che, per le loro azioni contro una persona degna come loro non erano mai stati, lo meritava.
 
Un sussurro che lui volle ascoltare.
 
Tese le braccia con uno scatto e stavolta sentì più chiaramente del solito un’ondata di “potere” attraversarle, andando poi ad abbattersi contro i due mech che ormai erano quasi addosso a Odysseus; e dopo un grido di dolore puro straziante, quasi animalesco, i due aggressori crollarono a terra come le bambole create da Odysseus e le sue sorelle… e altrettanto “vivi”.
Aveva provocato la morte di due persone ma avrebbe mentito dicendo che gli dispiaceva: attaccando Odysseus lo avevano meritato, e lui sentiva di aver fatto né più né meno del proprio dovere.
Chiunque gli aveva detto che un giorno avrebbe potuto colpire anche a distanza aveva ragione, dopotutto, pensò appena prima che l’ovvio mal di testa lancinante iniziasse a martellargli i circuiti.
 
«Glitch!» esclamò Odysseus, ora di fianco a lui «Glitch! Come stai?!»
 
«Odysseus… tu n-non dovresti essere qui» sibilò tenendosi la testa tra le mani «Vola via!»
 
«Ma che-»
 
«Avete visto che ha fatto!»
 
«Nemmeno lui è conciato tanto bene» disse uno dei dodici mech rimasti, tirando fuori una lunga lama azzurrina «Facciamolo fuori prima che rifaccia quel giochetto un’altra volta!... e il suo fidanzatino con lui».
 
«Sì, capo».
 
Le luci dell’ambiente circostante iniziarono a spegnersi una dopo l’altra, ognuna dopo un rumore di vetri rotti che con quella pioggia assordante forse solo Glitch riusciva a sentire, e ben presto tutti rimasero al buio. Era inquietante, e il gruppetto di aggressori che ora aveva iniziato a guardarsi attorno con aria piuttosto irrequieta doveva pensarla allo stesso modo.
 
«… ha sentito il messaggio» bisbigliò Odysseus in uno dei suoi recettori uditivi.
 
«Cos-»
 
Un lampo proiettò sul terreno per un breve istante una lunga e mostruosa ombra tentacolare.
 
«Che CAZZO è?!» fu l’urlo di un mech, subito seguito dall’ennesimo tuono assordante di quella sera.
 
E, dopo la fugace visione di una creatura infernale con molteplici appendici tentacolari e due sensori ottici dorati posizionato sul tetto di un palazzo vicino -visione che diede a Glitch un attimo di un terrore puro “familiare”- accadde tutto molto in fretta.
 
Un mech fuggì via urlando appena prima che quattro tentacoli afferrassero i due compagni vicini a lui e li scagliassero con forza in un cassonetto vicino. Ai quattro tentacoli se ne aggiunsero altrettanti e, dopo aver stretto l’intero cassonetto con tanta forza da deformarlo, lo scagliarono con tutta la violenza possibile addosso ad altri tre “aggressori” che avevano avuto la sventurata idea di non essere lesti a disperdersi. Con un rumore fragoroso e reso umidiccio sia dalla pioggia, sia dal loro energon, finirono spiaccicati contro la parete di un palazzo, probabilmente ancora vivi.
 
Scylla -perché di lei si trattava- dopo questo non esitò a usare due dei suoi capelli per afferrare al collo un mech che aveva appena accennato a sollevare il proprio fucile laser, disarmandolo e utilizzando l’arma in questione per sparare a distanza ravvicinata a un altro di quei delinquenti; un altro ancora le si avventò contro urlando e fendendo l’aria con un coltello, salvo essere preso per le gambe, sollevato e, assieme al collega fino a quel momento trattenuto per il collo, finire impalato sulla sporgenza lunga e spessa di un rottame appuntito non meglio identificato.
 
Altri due mech si diedero alla fuga nonostante gli ordini isterici di quello che avevano definito “capo”, il quale una volta rimasto solo e preda della rabbia più assoluta raccolse un fucile e tentò di sparare a Scylla più volte, una delle quali nondimeno riuscì a colpirla di striscio.
 
Il grido che Glitch sentì fare a Odysseus tuttavia non fece che anticipare il momento in cui anche il capo di quel piccolo gruppo di disperati venne inevitabilmente preso dai “capelli” di Scylla e sbattuto contro una parete; dopo questo, la jetformer scagliò contro il volto di quel mech il primo pugno di una lunghissima serie, tutti tanto forti da far rimbalzare la testa del malcapitato contro il muro, fermandosi solo quando il viso del cybertroniano in questione divenne una maschera di metallo, tessuti tecnorganici ed energon.
 
In tutto ciò Glitch, nonostante il terrore provato all’inizio e la bestialità del tutto, non poteva negare a se stesso di provare una sorta di fascinazione nei riguardi di certi aspetti di quanto era accaduto. Le luci spente prima dell’attacco -una mossa fatta tanto per inquietare quanto, forse, per darsi il tempo di valutare i nemici- e l’ombra mostruosa a terra, che aveva aggiunto un tocco “scenico” all’arrivo di Scylla così com’era stata scenica la mossa del cassonetto, il tutto eseguito in modo così brutalmente efficiente…
Se solo fosse stato in grado di fare altrettanto.
Se solo.
 
Il mech contro il muro, per quanto malridotto, ebbe addirittura il fegato di sputare in faccia alla persona che in breve tempo aveva reso inoffensiva e/o disperso il resto della sua banda. L’espressione sul volto di Scylla, immediatamente ripulito dalla pioggia, non subì il minimo cambiamento, ma due dei suoi capelli afferrarono le gambe dell’altro transformer e le allargarono fin quasi ad arrivare a una spaccata forzata, mentre la femme raccoglieva da terra la lama azzurra che originariamente era stata proprio nelle mani di questi.
 
«Mi sembra evidente che né la tua banda né tu come capo siate granché, dunque se fossi in te la farei finita» disse Scylla, col tono di voce più tranquillo del mondo «E se mi ricapitasse di vedere anche solo uno di loro due, correrei via molto velocemente» aggiunse dopo aver fatto voltare forzatamente il mech verso Glitch e Odysseus «Perché se invece decidessi di fare qualcos’altro di stupido, la lama del tuo coltello potrebbe finire dritta nel tuo canale di espulsione. Non credo che ti piacerebbe» disse poi, premendo la lama tra le gambe del cybertroniano «Hai capito bene?»
 
«F-fanc-»
 
Un grido più di paura che di dolore fuoriuscì dalla bocca del mech nel momento in cui sentì la punta della lama infilarsi nella sua armatura.
 
«Hai capito bene?» ripeté Scylla, abbassando la voce man mano.
 
Glitch pensò che la calma e l’abbassare la voce facevano molta più paura che immaginarla urlare. Urlare poteva essere visto come una perdita di controllo.
 
Il mech ormai piagnucolante annuì e, quando Scylla lo lasciò andare, scivolò contro la parete senza più energie per muoversi. Nonostante l’acqua, Glitch riuscì comunque a notare come quella che in termini umani sarebbe stata la “vescica” del cybertroniano avesse ceduto.
 
Vide Scylla avvicinarsi velocemente a loro due. «Se non ti prendo a schiaffi, Glitch, è solo perché hanno già provveduto e perché dubito seriamente che quei due morti lì a terra siano opera di mio fratello e del suo scalpello».
 
«M-m-mi dispia-»
 
«Zitto. E tu, Odysseus, hai fatto una cosa molto stupida e da non ripetere ma hai tirato fuori gli attributi nel momento in cui è stato necessario, e di questo posso solo essere fiera».
 
Glitch, per il poco che riuscì a vedere dato che non trovava il coraggio di sollevare troppo lo sguardo, trovò l’espressione stupita di Odysseus del tutto comprensibile.
 
«Forza, ora andiamo a casa-»
 
Un movimento veloce in un vicolo vicino rivelò la presenza di uno dei mech che erano fuggiti, prontissimo a sparare a Scylla la quale a sua volta aveva notato la mossa, ma non riuscì mai nel proprio intento: un “tentacolo” tirò indietro il suo braccio, venne disarmato e sbattuto di faccia contro un muro da un potente ceffone.
 
Charybdis si fece avanti senza particolare fretta e senza dire una parola, l’espressione di perenne scocciatura ancor più marcata del solito.
 
«Aaaah, che modo magnifico per disinnescare le discussioni!» esclamò Scylla, non senza una certa ironia.
 
«Non ti rispondo nemmeno».
 
«C-Chary?!... come-»
 
«Mi hai svegliata e ho sentito la chiamata, Odysseus. Ho provato a tornare in ricarica ma pensando alla zona mi veniva difficile, nonostante conosca le buone maniere di  Scylla. Non c’era necessità: tempo di ricarica perso che non tornerà mai più» rispose la grossa jetformer per poi rivolgersi a Glitch «Tutto per colpa tua. Considerando l’atteggiamento dei miei fratelli nei tuoi riguardi forse dovrei darti talmente tanto da lavorare da non lasciarti energie sufficienti per tentare la fuga un’altra volta e rovinare il mio sonno. E ora torniamo a casa per davvero».
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Glitch, ora di nuovo al sicuro nella mansarda insieme a Odysseus, non sapeva dove guardare.
 
«Quando ho letto il tuo biglietto mi sono preoccupato a morte, oltre a essere rimasto malissimo per il fatto che fossi andato via e per…, tu non sei andato proprio in quella zona per caso. Giusto?»
 
«Sì e no» rispose il mech aranciato senza alzare la testa «All’inizio credevo di stare solo cercando di allontanarmi, poi ho capito che non era così».
 
Sentì Odysseus sospirare nervosamente. I suoi pensieri riguardo il fatto di poter aver iniziato a disgustarlo per il tentativo di farsi uccidere tornarono a galla mentre cercava di evitare che l’ansia causasse il solito malfunzionamento al suo sistema di ventilazione.
 
«S-se non volessi più essere mio amico e d’ora in poi mi vedessi solo come il garzone ti capirei. Volevo evitare danni e invece hai… hai quasi rischiato di finire male per venire ad aiutarmi, se ti fosse successo qualcosa, io…»
 
«Tu sei mio amico. Un amico che ha fatto una cosa incredibilmente idiota, ma sempre mio amico! Ed è per questo che sono venuto fin lì. È per questo che in qualche modo ho trovato il coraggio di farlo» disse Odysseus.
 
«… mi consideri ancora un tuo amico? Anche dopo questo?»
 
«Però non rifarlo, per piacere».
 
«Mai. Non dopo aver visto quel che comporta» replicò Glitch «A proposito… come mi hai trovato?»
 
«Ehm… potrei aver notato che magari pensavi a qualcosa di strano e averti messo addosso un segnalatore che una volta era stato di un cybercane. N-non è stato molto carino ma considerando tutto mi sa che ho fatto bene».
 
«Mi sa di sì» disse Glitch. Sembrava che Odysseus avesse a sua volta iniziato a conoscerlo abbastanza. «E… pensi che Scylla sarà arrabbiata con me per molto? Non le mancano i motivi. Lei voleva tenermi qui e io non me ne sono curato, ti ho indotto a venire in quella zona e lei… lei si è dovuta scomodare tanto per-»
 
«Probabilmente l’ha vista come un’altra occasione per cercare di insegnarmi come si fa, anche se è abbastanza inutile, hai visto da solo qual è il massimo che riesco a fare» disse Odysseus mentre si sedeva vicino a lui «E-e poi sinceramente io non… solo ripensare a quando ho infilzato quel mech con lo scalpello, io…» scosse la testa «E n-non è nemmeno morto ed era comunque messo meglio di quelli che Scylla ha impalato. L’unica cosa che mi rende sopportabile ricordarlo è pensare che, se non l’avessi fatto, quel tizio ti avrebbe ucciso».
 
«Sì. E mi dispiace di averti costretto a tanto, n-non… non penso di poter far capire con le parole fino a che punto» si scusò Glitch, stringendosi le mani con forza «Tu non ti senti “a posto” se devi fare del male a qualcuno».
 
«E tu? Prima hai… dicevi di dover toccare persone e cose per poterle disattivare, ma quei due mech… l’hai fatto a distanza, Glitch. E non erano solo paralizzati, erano proprio terminati, tu puoi… puoi uccidere qualcuno senza nemmeno sfiorarlo».
 
Un’altra ondata di panico assalì il povero disgraziato outlier, e non all’idea di aver ucciso, ma all’idea che il suo amico potesse iniziare ad avere paura di lui. Quello gli avrebbe fatto più male di qualsiasi altra cosa. «N-non lo farei mai con te e con la tua famiglia, né totalmente a caso, Odysseus, giuro! N-non s-so nemmeno come ci sono riuscito, n-non credo di esserci mai riuscito prima di stasera, volevo solo evitare che ti facessero del male, per favore credimi-»
 
«Certo che ti credo, non è quello il punto. È solo che è un’abilità… incredibile. Voglio dire, se un giorno tu riuscissi a controllarla bene, senza nemmeno arrivare a terminare qualcuno, potresti fare tipo… tutto. Potresti andare dove vuoi senza avere paura di niente, per dirne una. Chissà come ci si sente!»
 
Non era spaventato da lui. In fin dei conti, rifletté Glitch, Odysseus era cosciente della sua abilità di fare molto male -pur pagandone il prezzo- fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti, e lo stesso valeva per le sue sorelle; proprio pensando alle sorelle e a ciò di cui erano capaci, poi, si diede nuovamente dell’idiota nel non aver tenuto da conto che Odysseus era abituato a loro.
 
«Ma immagino che non lo saprò mai, non sono grosso come Charybdis e non ce la faccio proprio a fare quel che fa Scylla» disse infatti Odysseus, quasi facendo eco al suo pensiero «Stavo per farmela sotto anche io, oltre che il tizio che ha appiccicato al muro. Non vorrei dire, ma è stato peggio della volta dell’ottica» indicò quella verdastra «E-e già quella volta mi ero inquietato abbastanza. Ti ho mai raccontato la storia? Un giorno dovrò farlo, penso…»
 
«Lei è stata molto… efficiente».
 
«Senz’altro, ma lei è così… non dico che fare del male alla gente le piaccia, ma di sicuro non ha nemmeno problemi a farlo se lo ritiene necessario. E qui lo era, no?» fece un sospiro «Glitch».
 
«Sì?»
 
«Non farlo mai più. Lo so che te l’ho già detto ma te lo ripeto, non cercare di fuggire un’altra volta».
 
«L’unico motivo per cui potrei sparire è che le tue sorelle si stufino del sottoscritto… o che chiunque mi abbia mandato qui trovi il modo di riportarmi indietro senza scomodarsi di persona, cosa che spero non succeda. Non voglio tornare indietro, non credo ci sia nulla per me, lì. Qui ho un amico, qui sono voluto» si interruppe «Forse avrei dovuto pensare a questo anche stanotte, invece di sputarci sopra».
 
«Quel che è fatto è fatto, l’importante è che tu abbia capito. Eeee credo sia il caso di andare in ricarica, soprattutto per te, perché ho idea che Charybdis per un po’farà precisamente quello che ha detto riguardo il farti lavorare fino allo sfinimento!»
 
«Lo credo anche io, ma è meritato» sospirò Glitch, accasciandosi sulla propria cuccetta dopo che Odysseus ebbe raggiunto la propria.
 
«… un pochino. ‘Notte, Glitch».
 
«Buonanotte».
 
“E scusami ancora” aggiunse, solo mentalmente, prima di chiudere gli occhi e cercare di entrare in una ricarica che gli sarebbe decisamente servita.

 

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Capitolo 7
*** 7 - Chosen One Day con sorprese ***


7
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
«I-il cosa?»
 
«Chosen One Day. Oggi il negozio è chiuso» disse Charybdis «Siamo in vacanza persino noi, ebbene sì. Odysseus non te l’ha detto?»
 
Glitch, ancora con spazzolone e straccio in mano, scosse la testa.
Non era propenso a credere che Odysseus l’avesse fatto alzare di proposito troppo presto -ormai erano passati vari giorni dal suo tentativo di fuga, quindi la ragione non sarebbe potuta essere una “vendetta”- se mai era probabile che avesse dato per scontato che lui avesse tenuto traccia dei giorni trascorsi, cosa che invece non aveva fatto.
 
Charybdis non aggiunse altro, mettendosi invece a rifinire l’abito della sua ultima creazione. Anch’esso come il resto aveva dei bei colori accesi, nello specifico tutti quelli del fuoco.
Era giorno di vacanza ma non sembrava che a lei importasse, visto che si era alzata presto come suo solito, e vedendo questo Glitch decise di fare la stessa cosa dandosi da fare almeno fino a quando lei fosse stata lì a cucire.
Charybdis gli rivolse una breve occhiata, tornando poi al proprio lavoro senza più curarsi di lui.
 
Andarono avanti così per un paio d’ore circa, durante le quali il pavimento del negozio tornò a essere così pulito da poter quasi essere scambiato per nuovo e tutte le mensole diventarono lucide come specchi, così come il bancone. Glitch trovò il coraggio di tirare a lucido anche la “gemella” di Scylla, che pure era già pulita di suo.
Il negozio era pieno di bambole, com’era normale che fosse dato che vendevano proprio quelle, ma per quanto ormai si fosse abituato alla loro presenza -inizialmente anche quelle l’avevano inquietato il giusto- quella bambola lì continuava a intimorirlo un po’… come la sua creatrice, del resto, nonostante il “grosso” della sua paura verso Scylla fosse passato dopo aver capito che non intendeva fargli niente di male, se mai il contrario.
 
Charybdis finì di fare quel che stava facendo e Glitch, avendo finito le pulizie, vedendola alzarsi rimase fermo dov’era a guardarla, attendendo eventuali ordini. Tutto sommato stava migliorando davvero, quando era arrivato non aveva il coraggio di sollevare gli occhi sulla massiccia jetformer che, contrariamente alla sorella, non gli aveva mai ordinato di guardarla in faccia quando parlavano.
 
«Siamo chiusi, non ho ordini da darti eccetto “continua a non fare danni”» disse Charybdis.
 
«Sissignor-»
 
«A proposito, l’altro giorno sei stato sul punto di far cadere delle scatole a causa del troppo freddo alle giunture delle dita».
 
«L-le “mani” che m-mi hanno… che m-mi hanno messo n-non sono granché, lo so, m-mi dispiace, c-cercherò di fare meglio».
 
Glitch si ritrasse istintivamente quando la vide tendere una mano verso di lui. Charybdis non cambiò espressione né in quel momento né quello successivo, ossia quando il mech tornò ad avvicinarsi per osservare quel che lei gli stava mostrando.
 
«…!»
 
Non c’era possibilità d’errore riguardo il fatto che si trattasse di un paio di coloratissimi guanti fatti per delle mani con tre dita soltanto e un palmo impossibile da chiamare tale. In breve: fatti su misura per lui.
 
«Meno rischi per la merce» fu il lapidario commento di Charybdis.
 
Dopo aver farfugliato un ringraziamento e aver tentato inutilmente di non mettersi a “piagnucolare” come suo solito, Glitch riuscì a tendere le dita verso quello che si poteva considerare un regalo per il Chosen One Day ricevuto da qualcuno che in teoria, potendo scegliere, non l’avrebbe mai voluto in giro per casa propria. In quel momento i suoi tremolii lo facevano veramente sembrare un budino di berillio, più precisamente un budino di berillio durante un terremoto, ma per qualche strano miracolo riuscì comunque a infilarsi i guanti.
 
«Non ci credo!» esclamò Scylla, in piedi in cima alle scale  «Il Demone degli Shanix di casa nostra si è ricordata di avere una Scin-… che c’è?»
 
«Il tuo buon proposito per oggi» ricordò Odysseus ala sorella dopo una leggera gomitata «Limitare le battute qui e là».
 
«Mi stavo già limitando… buon Chosen One Day, Budino».
 
«A-anche a te» rispose Glitch, salendo rapidamente le scale dopo che Charybdis gli ebbe fatto cenno di andare al piano superiore «E-e anche a te, Odysseus».
 
«Altrettanto» sorrise il jetformer.
 
«Ho anche io un regalo per te» disse Scylla «… non piangere» lo avvertì.
 
«L-lo stavo già facendo quindi è difficile…» replicò il mech «N-non c’era bisogno che tu… che voi… soprattutto dopo quel che ho fatto p-poco tempo fa».
 
«Vogliamo credere che tu abbia capito la lezione. Allora, puoi scegliere tra due cose: una è questo» disse la femme, mostrandogli un berretto piuttosto semplice ma carino, nonché di un colore uguale a uno di quelli sui suoi guanti «L’altra è-»
 
«Se nomini il quartiere a luci rosse è la volta che ti impacchetto con i tuoi stessi capelli, ti chiudo in un armadio e ti lascio lì per tutto il Chosen One Day» dichiarò Charybdis «Sei avvisata. È un posto immorale».
 
«I-i-i-il-» balbettò Glitch, incredulo per quel che aveva sentito e indeciso se, nel caso Scylla avesse inteso proprio quello, fosse uno scherzo o meno.
 
«Le femmes nel posto che intendo io esercitano la professione per loro scelta, non perché costrette» ribatté Scylla «Da un punto di vista sociale staremmo meglio tutti quanti se chi sceglie di fare questa vita E chi è disposto a pagare per il servizio sentisse di poterlo fare tranquillamente».
 
“Va bene, ho qualche dubbio sul fatto che forse non stesse scherzando… ma non è possibile, dai” pensò Glitch, con il volto parzialmente surriscaldato all’altezza di dove un tempo aveva avuto delle guance.
 
«Pre-prendo il cappello. G-g-grazie» borbottò il mech, prendendo l’indumento con la tentazione di indossarlo calcandolo fino a coprire il suo unico sensore ottico.
 
Scylla fece spallucce. «Ci ho provato. Sarà per il prossimo Chosen One Day!»
 
«Anche durante il prossimo Chosen One Day continuerà a essere un posto immorale» ribatté l’altra jetformer.
 
«Lì lavorano anche dei mech… e dato che mi devo limitare con le battute non aggiungo altro se non “Tienilo a mente, nel caso”».
 
«Come tu fai meglio a tenere a mente che Brushsling sarà qui per l’ora di pranzo, come sempre, e che oggi pomeriggio e stasera avrai da fare. Noto aloni qui e là, presumo risalenti a stanotte -e solo Primus sa dove sei andata a infilarti- quindi è il caso di iniziare a tirarsi a lucido fin da ora».
 
«Una di queste sere puoi evitare di andare in ricarica a orario henn e venire con me, almeno soddisfi la curiosità» replicò Scylla, decidendo comunque di seguire il consiglio.
 
Odysseus guardò Glitch e indicò Charybdis con un cenno del capo. «Mentre lei cucina noi decoriamo, ti va? Ho portato giù gli scatoloni».
 
«Sono piuttosto grandi, se me l’avessi detto sarei tornato su ad aiutarti» disse Glitch.
 
«Abbiamo fatto io e Scylla, non c’era bisogno, tranquillo» lo rassicurò Odysseus «Sai che sono proprio bellini, quei guanti lì? Quasi quasi me ne faccio un paio simili anche io».
 
La decorazione della cucina/soggiorno procedette in modo spedito, con un unico breve rallentamento quando Odysseus tentò di appendere delle lucine anche addosso a Charybdis dicendo che sarebbero state bene con i puntini arcobaleno. L’aveva detto nella più totale innocenza ma si era preso comunque un’occhiataccia, resa ancor più “accia” dalla risata di Scylla che, dal bagno, aveva sentito benissimo tutto quanto.
 
Glitch doveva riconoscerlo: per quanto quella famigliola potesse essere composta da persone estremamente diverse e ognuna con le proprie magagne, c’erano dei momenti in cui a modo suo riusciva a essere comunque bella. Di certo era meglio di quanto lui rammentasse di aver mai avuto, al di là del fatto che lui tuttora non ricordasse granché: di tutti i volti che gli passavano davanti -non ultimo quello di un mech dagli occhi gialli e il simbolo dei primalisti su una guancia- non c’era nessuno per il quale sentisse slanci d’affetto.
 
Finito di decorare vennero entrambi spediti in mansarda da Charybdis a tirarsi lucido a loro volta, perché “Il fatto di ‘essere solo noi’ non è una scusa”, ed entrambi obbedirono senza fare storie. A Glitch, come per tutto il resto, sembrava incredibile già solo l’idea di avere una ragione per “tirarsi a lucido”, o il fatto che gli fosse permesso, o anche solo l’idea di star festeggiando il Chosen One Day come tutti gli altri. Lui non era come tutti gli altri, lui era un senza-faccia il cui unico diritto era quello alla vita, eppure eccolo lì a ricevere regali -meglio evitare di pensare al senso di colpa derivato dal non avere idea di come ricambiare- a decorare il posto dove viveva e con la prospettiva di una bella mangiata ad attenderlo. Non erano molti i senza-faccia ad avere altrettanta fortuna.
 
“Fortunato”… che aggettivo strano da accostare a un essere disgraziato qual era lui stesso.
 
«… Glitch?»
 
«C-cos… scusami, Odysseus, ero perso nei miei pensieri. Cosa dicevi?»
 
Odysseus gli mostrò qualcosa che in apparenza sembrava un piccolo “uovo” abbastanza inquietante, com’era nel suo stile, ricoperto di sensori ottici e bocche contorte in smorfie perverse. Premendo sullo spazio libero che Odysseus aveva riservato al marchio che apponeva su tutte le sue creazioni, l’ “uovo” si scoperchiò e iniziò a riprodurre le note principali di quella che era la melodia preferita di Glitch, ossia l’ “Empyrean Suite”.
 
«Sì, mi rendo conto che non è… magari avrei potuto fare qualcosa di più grosso» disse il jetformer «Però sì, insomma, spero che ti piaccia?...»
 
Con una gratitudine che non sarebbe stato capace di esprimere con parole che in ogni caso in quel momento non sarebbe riuscito a dire, Glitch trovò chissà dove il coraggio di fare qualcosa di inaspettato: pur con mille esitazioni e con la onnipresente paura che il suo gesto potesse essere rifiutato -anche se razionalmente parlando era difficile che accadesse- riuscì a farsi avanti e abbracciare Odysseus, il quale non ebbe nessuna esitazione nell’esultare e ricambiarlo a sua volta.
 
«Ora però sono io che potrei mettermi a piangere!» esclamò il giovane mech «Glitch, non avresti potuto farmi un regalo più grosso di questo. Sei migliorato tantissimo, fino a un mese fa questo sarebbe stato impensabile!»
 
«G-già. È vero».
 
«Prossimo passo: smettere del tutto di avere paura di Scylla!»
 
Il povero outlier scosse velocemente la testa. «Non credo che sia fattibile. Come faccio a non avere per nulla paura di una femme che meditava di portarmi dalle prostitute?!... a meno che scherzasse… scherzava, vero?»
 
«Quando l’aveva detto a me credevo anche io che scherzasse, prima che una sera mi portasse nel posto che diceva e mi lasciasse lì col dire che sia nel caso in cui fossi tornato da solo, sia nel caso in cui avessi deciso di entrare e “consumare”, sarebbe stata una vittoria» Odysseus alzò gli occhi al soffitto «… per la cronaca, ho scelto la seconda cosa. A-avrei davvero voluto trovare una femme con cui uscire e poi mettermi insieme e dopo ancora… lo sai, di solito in una relazione c’è anche la connessione. Ero interessato, avrei voluto provare, solo che non avevo mai avuto particolare fortuna… anche le pochissime volte dove sono stato approcciato dalle femmes poi si sono stufate rapidamente quando hanno visto che non… insomma, non fa piacere andare in giro con uno che viene preso in giro o a cazzotti. Per cui... diciamo che Scylla a modo suo ha provato ad aiutarmi. Un problema, una soluzione, no?»
 
“Quella femme è proprio strana. Alcune cose che fa me le aspetterei molto di più da un mech… precisamente uno di quelli che cercherei di evitare per strada” pensò Glitch, anche se quello non cambiava la sua opinione generale su alcunché.
 
«Immagino di sì… vai prima tu?» domandò poi a Odysseus, indicando il bagno.
 
«No no, fai pure. Dobbiamo tirarci a lucido, l’hai sentita, un po’perché è tradizione e un po’perché sia mai che stavolta Scylla accetti la proposta del mio non futuro cognato senza che noi siamo in ordine» Odysseus alzò le ottiche al soffitto «Difficile che succeda, molto difficile».
 
«Non ti seguo…»
 
«Antefatto: i genitori nostri e quelli di Brushsling erano amici molto stretti, quindi finire a passare le festività tutti insieme era una cosa comune. Ha continuato a essere una cosa comune anche quando purtroppo tutti loro sono finiti offline nelle stesse circostanze e siamo rimasti solo noi figli, e a Brushsling piace Scylla fin da quando ne ho memoria, quindi da un certo momento in poi il Chosen One Day ha iniziato ad avere qualche sfumatura di significato in più, almeno per loro… o meglio, per lui».
 
«Quando eravamo andati in ambulatorio l’aveva invitata a casa sua per un enercaffè ma non pensavo… non avevo capito che a lui interessasse in quel senso, ma anche se l’avessi capito avrei pensato che fosse una cosa tipo… spesso ci sono i mech che fischiano e le fanno apprezzamenti per strada, avrei pensato che fosse una cosa simile».
 
Indimenticabile la volta in cui un mech in mezzo a un terzetto si era permesso di  esclamare che aveva “un gran bel posteriore” -la parola usata non era stata quella- cosa alla quale Scylla aveva risposto con qualcosa di simile a “E tu hai un’ottima vista, cittadino qualunque!”.  
Glitch non riusciva a immaginare se stesso mentre riceveva apprezzamenti di sorta, per quel che ricordava non gli era mai successo -in fin dei conti perché mai qualcuno avrebbe dovuto fargliene?- ma probabilmente se mai delle femmes a caso gli avessero detto delle cose del genere si sarebbe sentito piuttosto a disagio, contrariamente a lei.
 
«Non è quello, cioè, non è solo quello, ma non ha speranze in ogni caso. Per quanto Brushsling piaccia anche a lei, lei dice “proprio perché lo conosco e mi conosco so che alla lunga finiremmo a non sopportarci, sarebbe un peccato perché tengo a lui, finirei col perdere un amico” e blablabla. Al momento pare convinta di quello che dice ma è un peccato, difatti per una volta concordo con Chary nello sperare che più in là cambi idea. Magari quando si stuferà del gladiatore».
 
«Non ti seguo… di nuovo» disse Glitch nel cercare di assorbire tutto quel mare di pettegolezzi degni di una suocera ma interessanti per cercare di capire meglio le persone con cui si era trovato a vivere «Anche se in effetti una volta l’ho sentita nominare un gladiatore, era un discorso… era un po’… lasciamo perdere. L’ho sentita nominarlo, insomma».
 
«Tempo fa decise di andare a vedere degli incontri nell’arena di Kaon, era un evento abbastanza grosso, e ha “fatto amicizia” con uno di quelli nuovi, che ora sta diventando un astro nascente nei combattimenti. In seguito è tornata lì altre volte, in un caso ha portato anche noi e niente, a parte questo e il fatto che lei sia tra quelle che entrano gratis non c’è altro da dire» Odysseus fece spallucce «Non si può nemmeno dire che abbiano una storia, se diamo retta a Scylla lei non gli ha detto come si chiama né da dove viene».
 
«Ma quindi di cosa parlano?...»
 
Odysseus si passò una mano sul viso e fece un sorrisetto. «Non credo che parlino granché, Glitch, se riesci a capire cosa intendo».
 
«In che sens… oh».
 
Quello e il dover andare a tirarsi a lucido sancì la fine dei pettegolezzi.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Era stato un pranzo gradevole, reso ancor più abbondante dal fatto che anche Brushsling avesse contribuito portando a sua volta del cibo.
Glitch sulle prime si era sentito piuttosto in ansia all’idea di dover interagire con tutti e tre i fratelli insieme E con un “estraneo” in un contesto molto informale -perché pur essendosi tirati a lucido si trattava sempre di un pranzo in famiglia e con amici- ma alla fine, in buona parte anche grazie a Odysseus, era riuscito a cavarsela piuttosto bene. Era perfino riuscito a lasciarsi coinvolgere in qualche conversazione abbastanza a lungo, un’altra cosa che fino a un mese prima sarebbe stata impensabile, e per quanto la cosa l’avesse stancato mentalmente si era sentito anche soddisfatto di se stesso per i progressi fatti.
 
Il Chosen One Day era proprio un giorno miracoloso.
 
In seguito, precisamente dopo che Charybdis aveva impedito a chiunque di darle una mano a rimettere in ordine, Scylla aveva tirato fuori le carte da sabacc. Lei, Brushsling e Odysseus si erano offerti di insegnare anche a Glitch a giocare, e lui una volta tanto aveva potuto rispondere che non c’era bisogno perché, da quel che gli suggeriva il suo povero processore scombinato dal viaggio nel tempo, ne era già in grado.
Scylla e Brushsling avevano avuto l’accortezza di non usare i segni tra loro, dato che Glitch con la sua mancanza di tratti facciali non avrebbe potuto usarne altrettanti con Odysseus, e anche per questa ragione lui e il suo amico erano riusciti a portare a casa alcune vittorie.
 
Glitch si era sentito a suo agio, si sentiva tuttora a suo agio adesso che era al caldo, con il serbatoio pieno e lui e Odysseus avevano ceduto a Charybdis il posto a sabacc mettendosi a fare zapping sullo schermo olografico del soggiorno. Finora non avevano trovato granché da vedere ma in realtà a nessuno dei due importava, essendo più che altro interessati a impigrirsi in compagnia.
 
“Non voglio tornare indietro. Non so da dove vengo ma non voglio tornare indietro, mai, mai e poi mai” pensò Glitch, mentre stretto in un plaid rosso beveva dell’energon caldo speziato al radio.
 
L’atmosfera festiva sembrava aver fatto bene a tutto il quartiere, perché guardando fuori dalla finestra gli era sembrato di vedere un’aria più allegra del solito sulle persone, che erano in fermento come se fossero state in attesa di qualcosa. Probabilmente c’entrava qualcosa la festa prevista per quella sera.
 
Odysseus aveva accennato al fatto che il Chosen One Day, per la gente di quel settore, cadesse nello stesso giorno in cui in tempi più antichi si festeggiava il Cybersolstizio: quest’ultima festività era andata largamente in disuso nella maggioranza degli altri settori, ma non lì, ragion per cui gli abitanti del luogo avevano fatto un miscuglio festeggiando il Chosen One Day con l’aggiunta di un paio di cose per richiamare il Cybersolstizio. Odysseus l’aveva definito un valido compromesso, cosa nella quale Glitch si era trovato d’accordo.
 
A un certo punto nel fare zapping si trovarono davanti un viso che a entrambi risultava in qualche modo conosciuto: il giovanissimo e promettente gladiatore Megatronus, in diretta dall’arena di Kaon. Glitch non era in grado di spiegare la ragione per cui provasse una sensazione di familiarità, ma quando notò che era accompagnata dal principio del mal di testa ricordi bloccati comprese che probabilmente aveva sentito parlare di lui o l’aveva visto nel proprio tempo. La cosa però non avrebbe dovuto stupirlo: anche in quelle condizioni di “rilassatezza” -era in diretta dall’arena ma non stava combattendo, lo stavano intervistando- aveva l’aria di qualcuno pronto alla battaglia in qualsiasi momento e un “fuoco” in quello sguardo azzurro a suggerire che quel giovane mech che rivolgeva lo sguardo verso l’obiettivo senza il minimo timore non fosse un semplice grosso bestione o una semplice macchina assassina.
 
 
… e la prossima volta mi vedrete fare anche di meglio. Non è la prima volta che faccio parlare di me e non sarà l’ultima: questo per me è solo l’inizio!
 
 
Era così convinto di quel che diceva, dritto come un fuso nonostante qualche ammaccatura e del tutto incurante dell’essere sporco di energon non suo, che in qualche modo portava a credergli sul serio. Glitch di sicuro aveva iniziato a farlo.
 
 
Il tempo ci dirà se sopravvivrai alle tue parole, Megatronus, ma senza dubbio hai offerto uno spettacolo promettente anche durante questo Chosen One Day.
 
Non potevo fare altrimenti: i nobili signori e soprattutto le nobili signore dovevano pur intrattenersi in qualche modo. Cosa c’è di meglio del vedere dall’alto un bel massacro?
 
 
Poteva essere serissimo o ironico, Glitch non avrebbe potuto dirlo, ma qualcosa gli suggeriva che fosse valida la seconda opzione.
 
 
A proposito di signore, ti definiscono come uno dei favoriti del pubblico femminile. Data la festività, c’è qualcosa che vorresti dire a riguardo? Un messaggio per una femme speciale?
 
 
«Così ognuna delle nobili signore che si sono volute divertire col gladiatore potrà sospirare pensando che il messaggio sia rivolto a lei. I media in certe cose sono peggio del circo» commentò Brushsling.
 
«Hai perfettamente ragione» concordò Scylla.
 
A detta di Odysseus quello era il gladiatore col quale lei aveva “fatto amicizia”, ma non sembrava disturbata all’idea che Megatronus potesse connettersi con altre femmes. Probabilmente sapeva fin troppo bene come andavano le cose in quell’ambiente, si disse Glitch, oppure non le importava abbastanza o, ancora, erano valide entrambe le cose.
 
 
Sì, effettivamente ne ho uno. Straniera! Hai mancato un po’troppe delle mie battaglie, dunque nel prossimo evento ti voglio in prima fila. Ti darò lo spettacolo che meriti. Ecco, questo è il mio messaggio.
 
 
Dopo Megatronus iniziarono a intervistare anche un altro gladiatore, conosciuto come Soundwave, ma Glitch più che a lui era interessato allo “straniera”: così come in precedenza aveva inteso l’ironia nelle parole di Megatronus, in quel caso aveva la vaga sensazione che la straniera di cui parlava il gladiatore si trovasse in quella stessa stanza. Odysseus non aveva forse detto che Scylla non aveva mai rivelato a Megatronus né il proprio nome né la provenienza? Che dire, più straniera di così... ma le sue supposizioni non trovarono conferma né smentita nell’espressione della femme, distaccata in quel momento come lo era stata prima.
 
«Si è fatta una certa ora, Scylla» si fece sentire Charybdis «Se non vai c’è caso che tra un po’si mettano a urlare sotto le finestre per via delle prove».
 
«Sì, è il caso che vada. A questo punto allora ci rivediamo stasera in piazza» disse Scylla, alzandosi tranquillamente in piedi «È proprio vero che il tempo vola quando ci si diverte».
 
«Ti accompagno» disse subito Brushsling, alzandosi a sua volta «È ora che io torni in ambulatorio. È già tanto che non abbiano chiamato per qualche emergenza!»
 
Dopo gli ultimi brevi saluti sparirono entrambi giù per le scale, poi sentirono la porta sul retro aprirsi e chiudersi dietro di loro.
 
«Mi sa tanto che a breve si riparte in direzione Kaon» commentò Odysseus, confermando così i sospetti del mech aranciato.
 
«Nossignore. Cercherò di farle capire che è una pessima idea e quando non ci riuscirò rifiuterò comunque di andare: non solo non la appoggio per nulla in questa cosa, ma l’ho seguita l’ultima volta e mi è bastato. Troppa gente, troppo rumore. Tu, piuttosto, non avevi detto a tua volta che non saresti tornato lì mai più?»
 
«Almeno un’altra volta penso di poterlo fare… e poi Glitch sembrava interessato!»
 
“Si è visto così tanto?!” pensò Glitch, torcendosi le dita. «È-è che quando l’ho visto ho… ho come avuto l’impressione c-che non fosse la prima volta» spirgò il mech «P-penso che nel mio tempo sia ancora vivo».
 
«Male» commentò Charybdis.
 
«Chaaaryyy…»
 
«Se fosse morto avrei avuto più possibilità di vedere Scylla mettere la testa a posto e sistemarsi con Brushsling. Invece anche stavolta gli ha detto di no» continuò la femme dopo aver dato un’occhiata fuori dalla finestra «È così testarda».
 
Onestamente, Glitch trovava comprensibile che Scylla non avesse particolarmente voglia di sistemarsi col medico fino a quando avesse saputo che Megatronus era abbastanza interessato a lei da riuscire a farsi intendere in diretta televisiva pur senza nominare una designazione che comunque non conosceva. Brushsling era una brava persona, si capiva già solo per il modo in cui lo aveva sempre trattato, ma in lui non c’era la minima traccia del “fuoco” che invece animava quel gladiatore e, in parte, anche Scylla stessa.
Questa però era un’opinione che Glitch non poteva, né voleva, condividere.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
“Sì, confermo: l’atmosfera è completamente diversa rispetto al solito” pensò Glitch, ben felice sia di avere Odysseus di fianco a sé, sia Charybdis dietro a loro due. Quando c'era lei, con la sua stazza, si sentiva più protetto in mezzo a una folla consistente.
 
I palazzi lungo le vie normalmente piuttosto buie e malmesse erano stati decorati come lui e Odysseus avevano fatto prima di pranzo, con luci e addobbi qui e là, e lungo i bordi delle strade erano stati accesi dei minuscoli fuochi; quella doveva essere una delle tradizioni che venivano dal cybersoltizio, perché non gli risultava che per il Chosen One Day fosse previsto.
 
Arrivati in piazza la folla aumentò ulteriormente, ma grazie a Charybdis non faticarono particolarmente per arrivare vicini a una piattaforma rialzata al centro della quale era stato acceso un falò di dimensioni abbastanza notevoli. Davanti a esso c'erano sei femmes che indossavano ornamenti muniti di sonagli, e in mezzo a loro era presente un oggetto bizzarro che Glitch non riuscì a identificare. Se avesse dovuto sforzarsi nel descriverlo avrebbe detto che sembrava un grande bocciolo di un fiore alieno, tutto fatto di “tentacoli” intrecciati tra loro.
 
«C-che succede adesso?» chiese a Odysseus e Charybdis, non senza una certa curiosità.
 
«Succede che non solo Scylla è piuttosto esibizionista di suo, ma le danno anche delle occasioni per mettersi in mostra» rispose la jetformer «Se non altro in queste occasioni non rischia di fare danni».
 
«N-non capisco… non la vedo lì sopra».
 
L’aria venne invasa dal suono delle percussioni e di uno strumento a corda, al quale le ballerine risposero iniziando a muovere i primi passi di una danza tradizionale più antica di svariati tra i presenti, scandita anche dai sonagli sui loro polsi e sulle loro caviglie.
Era affascinante già così, sebbene Glitch avesse l’impressione di star assistendo all’inizio di un sabba, specialmente quando le ballerine si disposero attorno all’oggetto bizzarro che, quando il suono di uno strumento musicale aerofono si aggiunse agli altri, iniziò ad animarsi lasciando scivolare i “tentacoli” lungo la propria struttura e poi, seguendo una coreografia molto precisa, facendoli ondeggiare tra le danzatrici e verso l’alto.
Lì Glitch comprese dov’era Scylla, la quale finì di “sbocciare” dalla propria capigliatura nel momento in cui la voce baritonale di un mech iniziò a intonare una canzone in quello che lui riconobbe come l’antica lingua di Tarn, dimenticata dai più e tornata in vita per quella sera.
La danza delle femmes divenne man mano più selvaggia nel suo mantenere una certa eleganza, con le ballerine che si muovevano fluide come olio tra i “capelli” di Scylla, che pur spiccando nella coreografia non lo faceva in modo così fastidioso da diventare l’unica protagonista. Se mai era l’artefice dell’amalgama, ciò che univa gli elementi di quell’esibizione facendoli diventare una cosa sola, il ‘Til All Are One tanto caro alla loro specie, includendo anche le folla e la piazza stessa, sui cui alti palazzi il fuoco proiettava l’ombra tentacolare e sinuosa di tutto quello spettacolo.
Era tutto magnifico nella sua inquietante arcaicità, e lo divenne ulteriormente quando anche le sei ballerine attorno a Scylla iniziarono ad accompagnare con le proprie voci il canto del mech in una melodia sempre più frenetica.
 
Eppure, per quanto si sentisse rapito da quel che stava vedendo, Glitch iniziò ad avere la sensazione opprimente che qualcuno lo stesse osservando.

Cercò di ignorarla ma non riuscì a farlo per molto tempo e, quando si decise a voltarsi, un’ondata di terrore lo assalì nel vedere che a fissarlo erano gli occhi rossi del mech più grosso, pericoloso e cattivo che ricordasse di aver mai visto. Glitch non aveva idea di chi fosse ma le sensazioni che gli faceva provare rendevano poca e nulla la paura verso chiunque altro; e proprio per questo, dopo una manciata di millisecondi in cui la luce del fuoco sui cingoli, l’armatura viola e il doppio cannone di quel mostro si impressero nella sua memoria, fece l’insensata azione di darsi alla fuga.
 
La gente era ancora troppo presa dalla danza per notare quel che stava facendo, probabilmente non l’avevano notato nemmeno i suoi accompagnatori, e facendo non pochi slalom riuscì a sfilarsi dalla folla per andare a rifugiarsi in un vicolo stretto. Corse come un disperato senza avere idea di dove andare, perché sebbene il primo istinto sarebbe stato quello di correre a casa non voleva assolutamente condurre lì quel demonio, ma la sua fuga si interruppe di colpo quando andò a sbattere contro qualcosa di imponente e massiccio come roccia.
 
Quando sollevò lo sguardo e vide che il “qualcosa” era nientemeno che il mech di prima, il quale evidentemente conosceva le vie della periferia di Tarn come e meglio di lui, istintivamente si mise in ginocchio e sollevò le mani intrecciate in una supplica resa muta da problemi di ventilazione che non gli permettevano di far altro che emettere sibili terrorizzati.
 
Le ottiche rosse dell’altro mech, il cui volto era coperto da una maschera, nel vedere questo divennero più brillanti e piene di rabbia, di disgusto e di altro che il povero Glitch non fu in grado di identificare.
 
«Patetico».
 
Emise un lamento: c’era stato qualcosa, nella voce di quella bestia, che gli aveva fatto male. E non era stata la definizione accurata che aveva sentito.
 
«“Al cinque c’è la rabbia, al sei l’odio abissale”. Mi chiedevo cos’avrebbe mostrato stavolta quella strega» continuò il mech «Ed eccomi qui. Odio abissale. A quanto pare non c’è niente che io odi più di questo».
 
Un’altra fitta alla Scintilla. Glitch nonostante tutto iniziò a riuscire a farfugliare delle suppliche tra un singhiozzo e l’altro, cosa che fece aumentare ancor di più l'odio puro nello sguardo del mostro che gli stava davanti.
 
«Non c’è niente che io odi più di questo» ripeté «E sfido chiunque a darmi torto».
 
Sordo alle sue preghiere il mostro tese le mani verso di lui, probabilmente con l’intenzione di afferrare la sua testa e schiacciarla come una pustola oppure strappargliela via, ma venne distratto da un cubo di energon semivuoto che lo colpì dritto in faccia.
 
«Glitch! DI QUA!» esclamò Odysseus, spaventato quanto lui ma abbastanza reattivo da afferrarlo con i capelli e trascinarlo verso di sé «Alzati, alzati, filiamo via!»
 
Glitch non capiva granché di quel che stava succedendo ma sentì il proprio corpo obbedire a Odysseus e, in grazia di Primus e tutti i Prime, a scappare via per tornare in mezzo alla folla.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Vedendo Scylla -una Scylla giovane e sana- danzare, Tarn si era chiesto perché mai la strega avesse fatto una scelta simile per il sesto passo. Nonostante gli innumerevoli difetti che aveva, primo tra tutti un sarcasmo che non risparmiava a nessuno, lui era ben lontano dall’odiare Scylla.
Poi aveva visto se stesso, quell’inutile gremlin, quel fantasma del suo passato che continuava a tormentarlo ancora, ancora e ancora, e aveva capito tutto. Non aveva capito perché la strega avesse messo quella versione di se stesso in posto che non c’entrava assolutamente nulla con lui, ma rispetto alla sua voglia di fargli -farsi- del male era irrilevante: distruggere quell'illusione di se stesso gli avrebbe permesso di andare avanti, aveva pensato.
 
“È stato uno strano tentativo di distogliere la mia attenzione da quel che devo fare. Non vale la pena di inseguire ancora un’illusione, oltretutto mal fatta” pensò, decidendo di lasciar perdere e fare il settimo passo.
 
Mal fatta, sì: non solo quel mostriciattolo di Glitch non sarebbe mai potuto essere nello stesso posto di una giovane Scylla, ma oltre a questo non sarebbe mai stato in grado di avere un amico pronto ad aiutarlo in quel modo. Per essere amico di una persona era necessario avere il rispetto di essa: Glitch non aveva mai meritato rispetto. Glitch non aveva mai meritato niente.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«I viaggi nel tempo sono pericolosi e quel che stiamo facendo non è soggetto al paradosso di predestinazione, Vliegen, dunque potrebbe cambiare le cose… forse è stato un errore lasciar fare a te fino a questo punto» commentò la strega, osservando Tarn compiere il suo settimo passo.
 
La danza era appena finita, e il breve momento di silenzio fu riempito dagli applausi della folla. Due delle tre sorelle Shaula, la terza delle quali si trovava da tutt’altra parte, indugiarono sul tetto per qualche altro momento.
 
«Se gli avesse staccato la testa non sarebbe stata colpa mia, Eribe, non gli ho detto io di cercare di ammazzare se stesso. A proposito, che ci fa qui la versione empuratica di quello schizzato paranoico? In questo periodo non era neppure nato».
 
«Essere poco amati da compagni outlier brilli e in vena di scherzoni può portare anche a cose come questa, se c’è una macchina del tempo sperimentale nell'Accademia dove vivi con loro. Mi fa pena, ci credi?»
 
«Però gli hanno fatto un favore, qui ha trovato qualche amico» commentò la femme, sistemandosi il cappuccio della lunga veste nera indossata da entrambe.
 
«Non durerà. Tutte le cose belle hanno una fine, viaggi nel tempo inclusi, e in un certo senso per lui è meglio così... e il fatto che tutti loro -sì, 
anche i suoi ospiti- siano destinati a perdere ogni ricordo cosciente dell'esperienza a causa della procedura forse è una benedizione. Vedi le persone qui sotto, Vliegen?»
 
«Sì?»
 
«Non “dureranno” neppure loro. L’epidemia che ha ucciso quasi tutti i presenti arriverà relativamente a breve, lo vedo. Tic- tac» disse Eribe, con espressione impenetrabile «Tic- tac».
 
Ruggine e umidità: tutto ciò che, meno di un istante dopo, rimase sul tetto deserto.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«Non ci sta inseguendo, è finita. È finita» ripeté Odysseus.
 
«P-potrebbe ancora starci cercando! Potrebbe-»
 
«A guardarlo oltre a essere grosso avrei detto che fosse anche veloce, e oltretutto se quando sei fuggito te lo sei trovato davanti vuol dire che conosce il posto. Glitch, se uno come quello avesse davvero voluto terminarci ci avrebbe inseguiti, ci avrebbe presi dopo una manciata di passi e a quest’ora saremmo già belli che andati» disse Odysseus.
 
Per scrupolo diede comunque un’occhiata in giro: niente grossi mech viola in mezzo alla folla. Meglio così.
 
«M-ma io… m-ma lui, lui ce l’aveva con me, Odysseus, lui-»
 
«Mal di testa?»
 
«C-come?...»
 
«Quello che ti viene quando ti tornano in mente cose del tuo tempo, com’è successo con il gladiatore in tv. Quando hai visto quel tipo hai avuto il mal di testa?»
 
Vide Glitch scuotere il capo in un gesto di diniego.
 
«Allora non è nessuno che conoscevi, o comunque nessuno di lì che è venuto a cercarti per riportarti indietro o per altro».
 
Glitch continuò a singhiozzare. Odysseus non poteva dire di non capirlo.
 
«Probabilmente era solo uno dei tanti stronzi che ci sono in giro, forse era anche fatto, o brillo, o roba del genere. Da un certo momento in poi anche questa festa inizia a diventare poco raccomandabile per gente come noi due, difatti con Charybdis avevamo detto di tornare a casa dopo aver fatto volare le lanterne».
 
«S-sì… fo-forse n-non era molto in sé, s-si è messo a parlare d-di una stre… strega…»
 
«Appunto».
 
Dire che Odysseus si sentisse dispiaciuto era poco, al di là dello spavento. Fino a quel momento era andato tutto bene, aveva persino visto Glitch contento e a suo agio, e quel maledetto aveva rovinato tutto quanto. Al jetformer non accadeva spesso di desiderare il male altrui, nonostante tutto, ma in quel frangente gli venne spontaneo augurare a quel mostro violaceo di vivere ogni dolorosa sciagura possibile una dopo l’altra.
 
«N-non dovevo correre via… gli ho facilitato le cose, sono stato così s-stupido, ma… m-ma il modo in cui mi guardava, io non…» Glitch fece un sospiro «È-è sempre per l’empurata, immagino».
 
«Su una cosa hai ragione: non dovevi correre via. Ormai però è andata, e siamo ancora vivi e in salute» disse Odysseus «Dico a Chary di tornare a casa?»
 
«… n-no. No» ripeté il mech, con maggior convinzione «Volevi far volare la lanterna, g-giusto? E voglio farla volare anche io. E m-mi voglio godere la festa. È-è stata una bella giornata, mi rifiuto di farmela rovinare da un… d-da un… mostro».
 
«Uno stronzo».
 
«U-un mostro stronzo».
 
«Un mostronzo!»
 
«Sì!» esclamò Glitch, riuscendo persino a fare una breve risatina isterica tra le lacrime «E-era proprio questo, Odysseus!»
 
Anche una reazione simile da parte di quel povero disgraziato aranciato sarebbe stata impensabile un mese prima. Era qualcosa di cui andare fieri, pensò Odysseus, e sorrise.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
“Non voglio mai più tornare indietro”
 
 
La lanterna prese il volo dalle mani di Glitch, andando a unirsi a tutte le altre nel cielo notturno della periferia di Tarn. Una lanterna, un desiderio scritto e lasciato andare nel cielo con la speranza che una qualsiasi delle svariate divinità in cui credevano i transformers come loro potesse esaudirlo.
 
Per la maggioranza dei presenti, quello sarebbe stato l'ultimo Chosen One Day/Cybersolstizio che passavano in vita, o con un corpo sano… ma purtroppo -o forse “per fortuna”, perché c’era della fortuna nel potersi godere la vita e le festività senza essere oppressi dal pensiero di quel che sarebbe capitato in futuro- non potevano saperlo.
 
 
 
 
 
 
 
Il capitolo più lungo finora, nonché uno degli ultimi.
 
TARNCEPTION :’D
 
Il pezzetto con Tarn si ricollega alla storia “A Day Off To Repent”, nella quale quei poveri disgraziati della DJD (poveri disgraziati, ebbene sì, in quel caso non li si può definire altrimenti) finiscono in un posto dove non sarebbero mai voluti finire e si trovano ad affrontare cose che non avrebbero mai voluto affrontare. L’ultima tra le cose in questione è una prova composta da tredici “passi”. Nella storia in questione ho mostrato quelli di Nickel (la minicon), qui invece ho rivelato il sesto “passo” di Tarn. Un passo alquanto pericoloso dato che, come ha detto Eribe, la sua magia NON tiene conto del paradosso di predestinazione (il viaggio nel tempo di Glitch invece ) e dunque Tarn avrebbe potuto uccidere se stesso cambiando il corso di molti eventi.
 
Non ci saranno altre Tarnception, non preoccupatevi.
 
Non ho altro da aggiungere, dunque… grazie a chi sta leggendo e alla prossima :D
 
_Cthylla_
 

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Capitolo 8
*** 8 - Megatronus (non ancora senpai) ***


8
 
 
 
 
 



 
 
 
Il boato della folla, tanto forte da poter essere potenzialmente massacrante per i recettori uditivi di chiunque -e ancor più per quelli fini come i suoi- giungeva comunque ovattato a Glitch, intento a osservare con aria estatica le mosse fluide e devastanti del giovane gladiatore argenteo dal corpo grande, forte e potente come quello di un dio.
 
“Megatronus”, non per niente aveva adottato quel nome, e nel vederlo staccare la testa dell’avversario con un unico movimento ampio ed elegante concluse che non avrebbe potuto sceglierne uno più azzeccato di così.
 
«… ha finito?» domandò Odysseus, sollevando leggermente il “capello” che si era messo davanti agli occhi poco prima del momento clou «Uh, sì, ha finito…»
 
«E io alla fine sono venuta qui» disse Charybdis «Perché tu ti sei intestardito con uno “spettacolo”, se così lo vogliamo chiamare, che perlopiù non hai neppure visto».
 
«Ma non è vero, mi sono coperto le ottiche solo ogni tanto!... oh, ma perché deve farlo tutte le volte…» borbottò vedendo Megatronus prendere la testa dell’avversario morto e sollevarla. 
 
«Perché fa parte della performance» rispose Scylla «Non capisco davvero perché reagisci come una protoforma nata e cresciuta nel centro di Crystal City, sono sincera, non è che per te la violenza sia una cosa nuova».
 
«È che… è diverso! È…»
 
Magnifico” pensò Glitch.
 
Lui, che avendo subito maltrattamenti avrebbe dovuto rifuggire la violenza, stava dimostrando ancora una volta come le reazioni delle persone non fossero sempre così scontate.
Lo spettacolo al quale stava assistendo e il mech che lo stava offrendo a tutti gli astanti erano per lui qualcosa di simile a un sogno. La forza brutale di un mostro, la raffinatezza di un consumato autore teatrale, il carisma che trasudava dalla giovane figura di quel gladiatore: tutto induceva a vederlo come un modello irraggiungibile al quale provare comunque a ispirarsi, la “forma finale”, il mech perfetto, tutto ciò che lui stesso avrebbe voluto essere ma non era mai stato né sarebbe mai potuto diventare; ma per uno come lui, un senza-faccia, ammirare da quella distanza un essere così glorioso era sufficiente.
Lui vedeva chiaramente la grandiosità di quel mech, ma non era il solo: se tutti nell’arena stavano urlando a gran voce “Megatronus” c’era una ragione, e non era solo per le sue vittorie.
 
«È che vedere tutte queste persone qui, entusiaste per questo, la dice lunga sul tipo di popolo che siamo» continuò Odysseus.
 
“Perché parli così? Perché non vuoi vedere?” si chiese Glitch, la sua attenzione ora rivolta all’amico.
 
«Io posso essere abituato alla violenza ma non vuol dire che mi renda felice. Alla maggior parte delle persone invece piace» commentò il giovane jetformer, che nessuno eccetto Glitch, data la sua posizione, poteva sentire in tutto quel fracasso «Fino a quando non viene dall’alto e non tocca loro personalmente. Allora diventa sbagliata, e “infami” qui, “porci bastardi” lì… lasciamo stare» concluse, con un breve sospiro «Ehi Glitch, ti è tornato in mente qualcosa?»
 
Il mech arancio scosse la testa. «No… nulla che riguardi il mio tempo. Però è… vedere questo da vicino fa un certo effetto».
 
«Ho notato. Eri interessato a Megatronus quando l’hai visto in televisione e qui l’ho notato ancora meglio».
 
«N-non giudichi male anche me per questo, vero? N-non è che mi piaccia la violenza in generale, è che… è c-che… vorrei tanto essere come lui» ammise Glitch, guardando il gladiatore incitare ulteriormente una folla già in delirio «Se lo fossi… se lo fossi non potrebbero più farmi male. Non potrebbe nessuno… e nemmeno a te. Se fossi come lui, io farei in modo di proteggere chi e cosa vorrei proteggere. E chiunque lo minacci avrebbe esattamente quel che si è cercato».
 
«Tra te e il tuo sogno nel cassetto ci sono un corpo un po’diverso da quello di Megatronus e dei mal di testa atroci, Budino» si intromise Scylla «Purtroppo o per fortuna perché, a dirla tutta, in via del tutto teorica potresti essere perfino “meglio”. Più pericoloso, intendo… considerando quel che sei capace di fare».
 
«Oh, n-no. No. Mai. L-lui è…» trattenne il fiato quando Megatronus si voltò proprio nella loro direzione «Irraggiungibile».
 
Non solo era voltato nella loro direzione ma, stringendosi le dita tra loro per la grande emozione provata, notò che li stava proprio guardando. Megatronus aveva posato le ottiche su di loro.
 
Una delle conversazioni con Odysseus tornò a galla nel suo processore.
 
 
“Tempo fa decise di andare a vedere degli incontri nell’arena di Kaon, era un evento abbastanza grosso, e ha “fatto amicizia” con uno di quelli nuovi, che ora sta diventando un astro nascente nei combattimenti. In seguito è tornata lì altre volte”.
 
 
Come aveva potuto dimenticarlo? Scylla conosceva Megatronus, era anche tra le persone entrate gratis per quella ragione, e tanto Odysseus quanto Charybdis erano convinti che la “straniera” fosse proprio lei.
 
Diede un’ultima occhiata a Megatronus, poi si voltò a osservare Scylla.
 
Lì, vedendo il modo in cui stava ricambiando lo sguardo del gladiatore -con quale coraggio? Riusciva a immaginare se stesso sentirsi piuttosto sopraffatto se Megatronus avesse guardato lui direttamente- qualunque dubbio residuo avesse potuto avere si sciolse come neve al sole.
 
«Scylla, no. Abbiamo assecondato Odysseus che ha voluto fare contento il nuovo fan di quel gladiatore, ma tu evita. È qualcosa che non porta a niente» disse Charybdis «E dalle nostre parti non ti mancano i mech con cui connetterti, se li vuoi».
 
«Non porta a niente, è vero» concordò Scylla «Io però non sto cercando un compagno di vita, né lui una compagna di vita, dunque direi che non ci siano problemi».
 
«Non cerca una compagna di vita ma, di tutte le femmes con cui va, ha nominato la straniera. È troppo in vista: potrebbe portare problemi».
 
«Va con molte femmes e io sono solo una tra quelle, soprattutto fino a quando non avrà idea di chi io sia. Tieni d’occhio questi due, in fin dei conti sei venuta qui per questo e per non pagare eventuali cure».
 
«Scylla…»
 
«Raggiungo l’irraggiungibile, ci vediamo tra un po’» concluse la femme, allontanandosi rapidamente nonostante la folla.
 
Charybdis scosse la testa. «Io non vedo l’ora che questo benedetto gladiatore finisca terminato».
 
Eretica” pensò Glitch.
 
Odysseus fece spallucce. «Non sposerebbe Brushsling tanto presto in ogni caso».
 
La jetformer alzò gli occhi al cielo. «Speriamo che questo non porti ulteriori danni».
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
I “capelli” della compagna si strinsero di più attorno alla sua gola mentre Megatronus emetteva un gemito rauco nel raggiungere un potente sovraccarico annegando nello sguardo fiero e dorato della sua compagna di cuccetta. Anch’ella era reduce dall’aver raggiunto il culmine prima di lui, ma non aveva mancato di continuare a muoversi su di lui con movimenti esperti, energici, fluidi grazie a un’esperienza che non mancava a nessuno dei due e per il desiderio che fin da prima li aveva resi affamati uno del corpo dell’altra.
 
I sensori ottici di quella femme ancora senza nome, lui li aveva sentiti -l’avrebbe giurato sulla sua stessa vita: in un’arena ricolma di persone urlanti ad acclamare il suo nome, in quel posto maledetto e benedetto in cui gli occhi di tutti erano puntati su di lui, Megatronus aveva percepito in modo nettissimo i suoi. E infatti quando si era girato l’aveva vista lì, in prima fila -come lui aveva desiderato al punto di dirlo nel giorno del Chosen One Day- con un’espressione impassibile tradita solo dai sensori ottici.
 
“Eccomi. Tu mi hai voluta qui, ora vinci, così da poter iniziare la vera battaglia più tardi” gli avevano suggerito, in un breve barlume di voracità assoluta che Megatronus aveva sentito anche in se stesso.
 
La stessa voracità che, nonostante il momentaneo annebbiarsi della vista e la sensazione di abbandono, portò le sue mani a stringere forte i fianchi di quella femme e la sua bocca contro quella di lei in un bacio famelico, bestiale più di quanto fossero le azioni che facevano piovere l’energon degli avversari sulla sabbia dell’arena, e che venne ricambiato con la stessa foga in una “danza” di lingue disperata, insaziabile.
 
Solo dopo qualche tempo, che per quanto lungo potesse essere risultava sempre troppo breve, i due amanti riuscirono a staccarsi uno dall’altra con un suono umido. Vedere le tracce luminescenti dei propri fluidi colare lungo le cosce snelle della jetformer gli fece rimpiangere più che mai una fisiologia che impediva ai mech di poter riprendere subito e darsi a quella che, nel loro caso, sarebbe stata la terza volta.
 
«Il tuo passaggio si vede… e si sentirà per un pezzo» commentò la jetformer, avendo intercettato la sua occhiata.
 
Megatronus spostò una delle proprie mani, andando a toccare l’intimità di una femme che, seppur provata, non si oppose per nulla al suo gesto e sorrise con approvazione sentendo le sue dita prima indugiare sul nodo di sensori esterno e poi scivolare dentro di lei -per l’ennesima volta in quel loro incontro- con estrema facilità.
 
«Sì, e noto quanto è grande il tuo dispiacere».
 
Tuttavia le dita rimasero avvolte per ben poco da quel calore morbido, perché lei, dopo una breve risata, usò due dei suoi capelli per afferrargli il polso e allontanarlo dalla sua valvola portando invece la mano vicina alla propria bocca.
 
«Ah-a. Io devo restare abbastanza in forze da tornare a casa e tu devi conservarti per dopo» disse, senza mai distogliere lo sguardo dal suo, prendendogli la mano e leccando via dalle sue dita i loro fluidi mescolati assieme. «Non vorrai lasciare insoddisfatte le nobili signore che ti aspettano?... ce n’era più di qualcuna che si sarebbe strappata il pannello inguinale per lanciartelo».
 
«Se dipendesse da me saprei dove potrebbero infilarselo, il loro pannello inguinale» fu la replica graffiante del giovane gladiatore, resa leggermente roca sia dalla stretta di prima attorno alla sua gola, sia dall’eccitazione «Non erano loro che volevo vedere sugli spalti».
 
«Sì, ho sentito il tuo messaggio. Per puro caso, aggiungo, fosse stato per me sarei stata troppo impegnata col sabacc per accendere il televisore» disse la femme, dopo aver trattenuto per qualche momento una falange tra le proprie labbra «Lo vogliamo chiamare “destino”?»
 
«Chiamalo come ti pare, l’importante è che io abbia vinto anche stavolta e che tu mi abbia visto di persona, Straniera».
 
Tese una mano per accarezzare la chioma della straniera in questione, un gesto piuttosto tenero che lei, pur bloccando la sua mano poco dopo, non rifiutò del tutto.
 
«Vero. E io immagino di dovermi dare una pulita e andare, Straniero» disse, ricambiando così quella sorta di “gioco” tra loro due «Per cui-»
 
«No» la interruppe Megatronus impedendole di lasciare la cuccetta «Non ancora».
 
«Non sono io a deciderlo e nemmeno tu» gli ricordò lei, tergendosi velocemente con un panno «Ti stai facendo un nome ma non sei ancora abbastanza “star” da poter tenere qui la femme che vuoi per tutta la sera, e probabilmente non potrai nemmeno dopo. È il prezzo della fama in questo ambiente, ma c’è di peggio».
 
«C’è ancora tempo» ribatté il gladiatore, ignorando delle affermazioni che sapeva benissimo essere vere «E pretendo che stavolta tu mi dica chi sei».
 
«Una femme qualunque alla quale piace uno specifico gladiatore, ma pensavo che dopo i nostri incontri l’avessi visto da solo dato che non sono venuta qui a venderti contenitori per alimenti».
 
Megatronus emise uno sbuffo a metà tra l’irritato e il divertito. «La tua designazione! Ecco quel che voglio».
 
«Neppure io so la tua, “Megatronus”».
 
 «Nacqui come D16, minatore» si decise a rivelarle «E ora non hai scuse. Voglio sapere come ti chiami, da dove vieni, cosa fai…»
 
«Vuoi anche una fetta del mio bagagliaio, già che ci siamo?»
 
«Quella l’ho già avuta!»
 
«Oh sì».
 
«E proprio perché non ti è dispiaciuto, e neppure a me, arrivati a questo punto penso di avere il diritto di sapere chi è la femme che ho cercato» insistette, testardo, il gladiatore, avvicinando di nuovo il proprio volto a quello di una giovane donna testarda quanto lui «O n-»
 
Un altro bacio, e le mani e i “capelli” della jetformer iniziarono a scivolare nuovamente dappertutto, soffermandosi a massaggiare il suo inguine. Con un basso ringhio eccitato Megatronus fu costretto ad ammettere di essere vicino ad arrendersi al suo tocco per la terza volta -anche se solo temporaneamente prima di tornare all’attacco- quando sentì la femme cercare di sfuggirgli e andarsene da sotto di lui col movimento sinuoso di un razor-snake.
 
«Ci hai provato!» esclamò, dando inizio a una breve colluttazione che comunque, a giudicare dal sorrisetto che mostrava sul viso, non spaventava per nulla la Straniera «Adesso tu-»
 
Nella lotta uno di loro due urtò una parte della parete coperta da un pannello, che si mosse lasciando cadere sulle coperte spiegazzate tutto ciò che c’era all’interno dello scomparto segreto scavato da Megatronus stesso.
 
«Porc-»
 
«Cos’è?... se scopro che ti dai alla poesia potrei pensare di tornare un’altra volta anche per questo» disse la femme, raccogliendo i fogli coi suoi capelli e portandoli davanti alle proprie ottiche prima che lui potesse fare qualsiasi cosa «Un mech con tanti talenti si apprezza semp…»
 
 
“Nel privarti dell’abilità di rifiutare la tua alt-mode, nel privarti della possibilità di seguire una strada che tu hai deciso per te stesso, sia il Senato sia il Consiglio dicono : ‘Agiamo nel tuo migliore interesse’. Hanno una responsabilità, dicono, di assicurarsi ‘Che tu faccia il miglior uso della forma che Dio ti ha dato. Se ti trasformi in una scavatrice, è perché Primus sa che a Cybertron servono scavatrici. Deviare dalla tua funzione rischia di invocare l’ira divina sul nostro mondo e metterlo in ginocchio’. In verità, è tutta una questione di controllo. Un popolo con molteplici talenti è un popolo con il potere in mano, e se ora rifiuti la tua alt-mode, cosa verrà dopo? Il rifiuto della tua classe sociale? Il rifiuto del tuo governo?
 
 
Megatronus divenne teso come una corda di violino. Era tardi ormai: la Straniera aveva letto, e anche strapparle di mano i fogli sarebbe stato inutile già solo dopo la prima frase sovversiva che sapeva di aver scritto su quel foglio. Rimproverando aspramente se stesso per il nascondiglio pessimo che -nonostante i consigli di Soundwave- aveva scelto, sperò di non doverla uccidere millantando di averlo fatto per legittima difesa. Era lontanissimo da quel che desiderava fare ma quel che c’era su quei fogli non avrebbe dovuto neppure essere espresso a voce alta, figurarsi scritto, e se lei in cambio di shanix avesse cercato di denunciare la faccenda...
 
“Non far sì che ti debba far pagare un mio errore” pensò.
 
«Tu non dovresti scrivere queste cose» disse, piano, la femme «Quei luridi potrebbero farti finire molto male».
 
Era dalla sua parte.
Megatronus non amava granché le divinità ma le ringraziò lo stesso.
 
«Hai ragione. Tanto, anche se non le posso ancora scrivere, restano qui» si indicò la testa.
 
La femme, seria in viso, gli diede una lunga occhiata. «È sempre un posto pericoloso».
 
Megatronus fece per risponderle quando una guardia entrò senza tante cerimonie. Lui riuscì a evitare di sobbalzare e la Straniera, in piedi davanti a lui, lo stava coprendo anche grazie a undici dei suoi “capelli”. Uno, nascosto sotto gli altri, stringeva i fogli che erano caduti sul letto.
 
«Ora di andare» disse la guardia.
 
Megatronus, sapendo di essere coperto, mise velocemente a posto il pannello che copriva il nascondiglio nel muro.
 
«Non mi lasci neppure un minuto per salutare il ragazzone?» sorrise la jetformer «Questa è cattiveria».
 
«Avete avuto già dieci minuti in più del previsto, e solo perché il “ragazzone” è stato l’attrazione principale anche stavolta» ribatté la guardia «Quindi no».
 
«Se fossi arrivato dieci minuti fa ci avresti interrotti o più probabilmente saresti finito in un threesome e poi a terra svenuto, quindi peggio o meglio per te?... andiamo» insistette la femme, avvicinandosi alla guardia «Trenta secondi li hai persi già ora, altri trenta non uccideranno nessuno».
 
Il mech di guardia sollevò un sopracciglio metallico. «Ventinove da ora».
 
Lei rispose con un occhiolino. «Bravo bimbo».
 
L’altro uscì dalla stanza borbottando, e Megatronus vide la femme tornare a voltarsi verso di lui. «Fa’ che certe cose non vengano fuori prima del dovuto. Non voglio vederti con l’empurata».
 
«Preoccupata per me, Straniera?»
 
«Più che altro, avendo visto gli effetti, penso che con te sarebbe un peccato ancor più che con molti altri».
 
Megatronus si avvicinò e le strinse un polso. «Puoi tenere quel che hai preso. Dopo l’aiuto, non vuoi darmi anche la tua designazione?»
 
La jetformer gli si avvicinò abbastanza da sfiorare con le labbra i suoi recettori uditivi.
 
«Assolutamente no».
 
«Senti un po’-»
 
La guardia tornò a farsi vedere. «Fuori».
 
«Tempo finito, l’hai sentito» disse la femme, scivolando via dalla sua presa «Arrivederci o addio, Straniero».
 
«Tu tornerai!» esclamò Megatronus «La prossima volta e anche le altre».
 
La sola risposta della jetformer, prima di sparire lungo il corridoio assieme alla guardia, fu un sorriso di dubbia interpretazione… ma ricordando l’incontro intimo da poco finito, l’astro nascente dell’arena di Kaon concluse di poter avere buone speranze.
 
Stavolta a entrare nella stanza che avevano in comune fu Soundwave. «Quanta raucedine abbiamo, stavolta?»
 
«Sono sempre stupito quando ti ricordi di saper usare l’ironia» rispose Megatronus «Puoi sentirlo da solo».
 
«E il nome della straniera?»
 
«Testarda. Ecco qual è» replicò il gladiatore «Però ha la Scintilla dalla parte giusta. Avevi ragione tu riguardo quel -che -sai, non andava tenuto lì».
 
«Ha visto?...»
 
«Per errore, e mi ha evitato il peggio. Ho capito la lezione».
 
Erano pensieri pericolosi quelli di Megatronus, pensieri che un giorno avrebbero portato a una guerra civile terrificante che avrebbe distrutto la sua Cybertron e l’avrebbe resa pressoché inabitabile; ma questo, come tanto altro, era qualcosa che non poteva sapere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ohibò c’è del lem… lime… non so bene come classificare questa parte che ho scritto tra una risatina isterica e l’altra. STO MIGLIORANDO RAGA, l’ultima volta avevo impiegato oltre un’ora per scrivere e cancellare e riscrivere e ridere e bestemm- vabbé, insomma, tutto questo per cinque righe in croce e con dettagli zero! :’D
… e qui ci ho messo mezza giornata, ma è comunque un miglioramento.
Vabbè.
 
L’avventura di Glitchy baby è destinata a concludersi molto presto, probabilmente nel prossimo capitolo. Come hanno detto le Shaula nel capitolo 7, anche le cose belle hanno una fine 🤣 e, per chi avesse dei dubbi, il Megatronus e il Soundwave comparsi qui sono quelli di transformers prime. Ho fatto un miscuglio di contesti 😃 inoltre, il paragrafo scritto da Megatron sarà in seguito destinato a comparire nel libro che scriverà quando sarà più vecchio, alias "Towards Peace" (io l'ho preso da lì).
Libro del quale dunque Scylla ha una bozza (parziale) e olografa nel proprio cassetto. Una roba che fa impallidire qualunque prima edizione montata sul muro *coffcoff* nonditeloaTarnoppureSÌ *coffcoff*
Alla prossima,
 
_Cthylla_
  

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Capitolo 9
*** 9 - Venationes ***


9
 
 
 
 
 



 
 
 
“Da un grande potere derivano grandi responsabilità”, così si diceva. Era un concetto piuttosto estraneo a Odysseus che, seduto sullo sgabello vicino al suo banco da lavoro, nella vita non aveva mai avuto potere su quasi nulla… e che ora si trovava ad averne uno molto grande sul suo coinquilino.
 
Glitch si era lasciato sfuggire di ricordare vagamente che un tempo era stato in grado di disegnare in modo quasi decente e, se inizialmente si era schermito quando Odysseus si era lasciato prendere dall’entusiasmo e gli aveva chiesto di provare a fare qualcosa, non aveva impiegato molto per cedere. Non aveva neppure tentato di prendere in mano la penna  -se non c’erano datapad in giro riusciva a scrivere anche a mano, con qualche difficoltà, ma disegnare era fuori discussione- e, seppur con un po’di tensione, aveva usato la punta di una delle sue dita per mettersi al lavoro. Inizialmente Odysseus aveva provato una familiare sensazione di senso di colpa per aver messo il suo amico in una situazione in cui si sentiva a disagio -da lì, il discorso di potere e responsabilità- ma dopo un po’aveva visto la postura di Glitch diventare più rilassata man mano che si concentrava più sul disegno e meno sull’ambiente circostante.
 
“Quando avevi delle mani vere dovevi essere proprio bravo. Ad avere gli shanix, Glitch, ti farei fare un trapianto prima di subito” pensò Odysseus che, col mento poggiato contro le braccia incrociate sul tavolo da lavoro, seguiva con lo sguardo ogni movimento della mano dell’altro mech “Per te sarebbe stato giusto finire in casa di gente più ricca… anche se forse, pensando a chi è ricco da queste parti, non è per disegnare che ti avrebbero dato delle mani nuove”.
 
Glitch gli aveva parlato delle considerazioni fatte da Scylla tempo addietro su strozzini, gentaglia varia e cos’avrebbero cercato di fargli fare una volta viste le sue abilità. Odysseus non aveva potuto far altro che trovarsi d’accordo, e immaginare quali sarebbero state le condizioni di Glitch in una situazione del genere gli aveva fatto male all’anima. Il suo amico aveva dimostrato di non avere grossi problemi a reggere violenza e morte quando era davvero convinto che fossero meritate, ma se fosse finito a lavorare per quella gente avrebbe dovuto distribuirne anche a chi non le meritava affatto, che gli piacesse oppure no e con tutte le conseguenze del caso.
Per ciò che si sarebbe trovato a fare in quelle occasioni, Glitch avrebbe finito con l’odiarsi ancora di più, si sarebbe visto come un mostro; e le altre persone, vedendolo anch’esse come tale per le sue azioni -non senza ragione- avrebbero rafforzato la sua convinzione. Sarebbe precipitato in una spirale distruttiva per sé e per gli altri alla quale Odysseus non voleva pensare nemmeno: sarebbe stato tremendamente ingiusto.
 
Glitch però era capitato in casa loro, ed era diventato suo amico e, finché Odysseus avesse potuto stargli vicino, non avrebbe mai lasciato che andasse a invischiarsi in brutti giri.
 
Glitch iniziò a massaggiarsi la testa con la mano sinistra. «V-va bene… ho la sensazione di star disegnando qualcuno che conosco».
 
Aveva tracciato l’immagine di un mech grosso, con la vita abbastanza sottile, un cannone, delle spalle molto alte e due corna degne di un alcitron dentellate verso l’interno.
 
«Mh… non ho idea di chi sia, anche se assomiglia un po’ a una delle nostre clienti» commentò Odysseus «Una delle nostre clienti più spaventose. Cioè, tu hai visto Chary, no? Per essere una femme è grande, arriva quasi a toccare i dieci metri. È più grossa anche di svariati mech, in effetti, ma non è quello il punto, il punto è che la tipa di cui ti parlo supera sicuramente i venticinque metri e ha un accidenti di mestolo lungo come il sottoscritto!... che hai?»
 
«“Ho” che adesso oltre alla testa mi fanno male le mani e non so perché» disse Glitch, massaggiandosi le dita «E ho anche un’altra sensazione».
 
«Dimmi».
 
«Questo qui…» indicò il mech nel disegno.
 
«Sì?»
 
«Non ricordo la sua designazione né altro, ma chiunque fosse, o sia, dev’essere uno scassacavo» affermò Glitch.
 
«È la prima volta che ti sento parlare di qualcuno in questi termini e in modo così convinto. E poco spaventato» osservò il jetformer «Questo tipo qui, per come l’hai disegnato, non ha l’aria molto raccomandabile».
 
«È vero, però hai ragione, non mi fa paura, è solo…»
 
«Scassacavo» ripeté Odysseus.
 
«Sì!» annuì Glitch «Uno scassacavo di quelli pesanti!... e… non credo di riuscire a fare altro qui» aggiunse, indicando il disegno «Se avessi avuto le mani penso che sarebbe stato diverso, però così non posso fare di più. Non penso».
 
«Ad avere un disegno di lui visto da dietro, o andando di fantasia, già da questo si potrebbe fare una bambola, anche se sarebbe un lavoro più per Scylla che per me. Io probabilmente aggiungerei altre due teste, degli artigli, qualche tentacolo… possiamo farglielo vedere quando lei e Charybdis tornano. Quando si fa un buon lavoro è un peccato che resti nascosto, no?»
 
«No!» esclamò l’altro mech «No no no no. No. L’ho fatto per te, dato che me l’hai chiesto, ma per quanto alla fine non mi sia dispiaciuto io non… no. Mi dispiace. Spero di non averti deluso, io…»
 
«Tranquillo, se non vuoi non lo facciamo, era solo un’idea. Non sono deluso» sorrise Odysseus.
 
«Sicuro?»
 
«Sicurissimo. A dirla tutta sono contento di vedere che, se proprio non ti senti di fare una cosa, dici di no anche a me. Non sono il tuo padrone, siamo amici».
 
«A dire il vero io sono il garzone del negozio, quindi tecnicamente-»
 
«… mi vedi anche come il tuo padrone? Sul serio?»
 
«No. No. Quel che voglio dire è solo che tecnicamente lo saresti, perché io lavoro qui, però no, non ti vedo così» fece una breve pausa «Le tue sorelle un po’ sì, anche se ormai è da un qualche tempo che ho capito… avevi ragione. I primi giorni. Mi dicevi che non erano cattive e non volevano farmi niente di male, ricordi?»
 
«Ricordo».
 
«Adesso se devo dire qualcosa a Scylla e la guardo in faccia non è più perché me l’ha ordinato lei, e quando a toccarmi per qualche ragione è uno di voi tre non sono più teso come ero prima. Con te ho smesso di esserlo da tempo, adesso anche con loro va meglio. Anche quando Charybdis tende le mani verso di me per passarmi le cose non sobbalzo più, non ho più l’istinto di pensare che possa essere per prendermi a botte o prendermi e riportarmi in discarica… f-faceva anche ridere, no? Charybdis avrebbe voluto fare la seconda cosa, e lo sapevo, ma non ha mai alzato un dito su di me, quindi non aveva senso che io reagissi in quel modo».
 
«Non lo facevi apposta né per divertimento, Glitch».
 
«È vero, ma non posso fare a meno di pensare che sia stato… offensivo».
 
«Nessuna delle due si è offesa» “Anche perché a Charybdis finché fai quel che devi fare poco importa di come reagisci e perché, e Scylla è Scylla” pensò Odysseus «Puoi stare tranquillo anche su questo».
 
Glitch disse qualche altra cosa, presumibilmente riguardo lo stesso argomento, ma Odysseus non capì mai le sue parole: il grosso ragnobot che stava lentamente e inesorabilmente calando sulla testa di Glitch siccome ghigliottina affilata aveva guadagnato tutta la sua attenzione.
A Odysseus piacevano gli animali, insetti inclusi… ma c’era un’eccezione: e quell’eccezione era rappresentata proprio dai ragnobot.
 
«AAAAAAAAAAH!» strillò mentre afferrava Glitch con tutti i propri capelli, trascinandolo via dalla sedia e verso la porta.
 
Lanciare un cubo di energon semivuoto in faccia a un grosso e pericolosissimo mech sconosciuto era fattibile, se proprio doveva; condividere la stanza con un ragnobot, NO.
 
«AAAAAAAAAAH!» strillò di rimando Glitch, senza capire assolutamente niente di quel che stava succedendo e trovandosi a fare le scale col sedere -fortunatamente riparato dai “capelli” altrui.
 
Solo quando entrambi furono al sicuro al piano di sotto e Odysseus ebbe bloccato la porta con una sedia l’assurdità della situazione tornò sotto controllo… più o meno.
 
«M-ma cos… cos’è successo?!» esclamò Glitch, ancora giustamente allibito.
 
«Non eravamo più soli là dentro, dovevamo scappare!»
 
«N-non eravamo… che vuol dire?!» il mech aranciato, estremamente allarmato, iniziò a guardarsi attorno con fare febbrile «C’è un ladro in casa o q-qualcuno p-per-»
 
«Peggio!» esclamò Odysseus, sinceramente terrorizzato, al punto di nascondersi dietro il divano.
 
«… i-i-i-il mech del Chosen One Day» farfugliò Glitch, che stava precipitando nell’isteria «era lui, vero, è tornato, ce l’ha con me CI HA TROVATI E CI UCCIDERà TUTTI-»
 
«Peggio!»
 
«Cosa c’è peggio di quel mostronzo viola?!»
 
«Un ragnobot!» disse Odysseus, con voce innaturalmente acuta «Un coso GROSSO COSì!» aggiunse, con tanto di gesto esplicativo.
 
Silenzio.
 
«Un… ragnobot» ripeté Glitch, al quale l’isteria sembrava essere passata.
 
«GROSSO COSì!» ribadì il jetformer «E stava scendendo in direzione della tua testa, Glitch! Ti sarebbe caduto in testa!»
 
L’outlier, dopo avergli dato una lunga occhiata, si grattò brevemente la fronte. «Sì, effettivamente una volta mi avevi accennato al tuo poco amore per quegli animali. Grazie per… beh, avermi evitato l’incontro a sorpresa, immagino…»
 
«A-aspetta, dove vai?!» esclamò Odysseus, vedendo Glitch alzarsi e andare in direzione delle scale che portavano al piano di sopra.
 
«A sfrattare l’inquilino dalla nostra mansarda-»
 
«Non è più nostra! È la mansarda del ragnobot!»
 
«Non per molto» replicò Glitch, togliendo la sedia.
 
«Aspetta, non puoi tornare lì dentro così!»
 
«In che sen-»
 
Odysseus agguantò il mestolo più lungo che riuscì a trovare nell’angolo cottura e il coperchio della pentola più grossa tra le presenti. «Se proprio vuoi entrare lì dentro devi farlo preparato. Ecco».
 
«Ma-»
 
«Quei cosi non si arrendono senza combattere! Sono cattivi!»
 
Glitch si limitò ad accettare uno scudo e una spada alquanto improvvisati ma sempre graditi, insieme all’avvertimento, e aprì la porta della mansarda. Odysseus, dopo essersi “armato” a sua volta, trovò perfino il coraggio di seguirlo.
 
«Eccolo!» bisbigliò Odysseus, nascosto dietro Glitch.
 
Il ragnobot li attendeva al centro della stanza. Illuminato direttamente da un raggio di luce che filtrava attraverso il vetro della finestra, sollevò due delle sue otto zampe -ognuna misurava cinquanta centimetri di lunghezza- e fece schioccare le fauci mentre li fissava con un’evidente aria di sfida nei suoi sei occhi lattiginosi.
 
«… ma sul serio?»
 
«Te l’avevo detto!» ribatté Odysseus «Attento, arriva!»
 
Glitch riuscì solo per un pelo a parare l’attacco del ragnobot, il quale si era lanciato contro di lui con l’energia di un gladiatore dell’arena di Kaon. Il mestolo fendette l’aria creando un rumore metallico nello sbattere contro le zampe delL'animale che, respinto, ricadde a terra zampettando rapido all’indietro.
 
«Sei un avversario tosto» commentò Glitch, sollevando lo scudo mentre lui e il ragnobot camminavano di lato studiandosi uno con l’altro «Ma la nostra mansarda non diventerà il tuo regno di ragnatele. Sei entrato dove non ti competeva e ne pagherai il prezzo».
 
Il ragnobot fece nuovamente schioccare le fauci, quasi come se avesse voluto rispondergli.
 
«In guardia, intruso!» esclamò, stavolta cercando di attaccare il ragno per primo.
 
La bestia schivò le prime tre mestolate, parò la quarta e, dopo essersi arrampicata lungo il muro, tentò un assalto aereo che Glitch bloccò con l’aiuto del coperchio-scudo.
 
Si sarebbe potuto obiettare che Glitch, in quanto outlier, avrebbe potuto pensare di utilizzare la sua abilità per liberarsi del ragnobot -se proprio non ce l’avesse fatta in qualche altro modo- ma il suo processore non l'aveva neppure preso in considerazione, per una volta in cui poteva essere lui a fare qualcosa per Odysseus e non il contrario, sconfiggendo una “terribile bestia” in una battaglia epica all’ultimo energon.

A parte gli scherzi, quell’affare si stava rivelando davvero rognoso.

 
Il ragnobot attaccò di nuovo e, dopo un breve scambio di colpi, riuscì a far volare via il mestolo dalle mani di Glitch.
 
«Glitch!» strillò Odysseus, che guardava il combattimento restando appiattito contro una parete.
 
«Va tutto bene, la battaglia non è ancora persa!» esclamò il mech arancio «Vieni avanti, creatura maligna!»
 
Dopo aver preso la rincorsa, il ragnobot attaccò nuovamente Glitch finendo per sbattere contro lo scudo. Vedendolo sbilanciato, l’outlier scattò in avanti colpendo la bestia con la sua arma di difesa, riuscendo a mandarlo a zampe all’aria per un solo istante, e lì, spietato, utilizzò due delle proprie dita per infilzare la bestia dritta al ventre.
 
«Ti avevo detto che avresti pagato il prezzo delle tue azioni» concluse Glitch, sollevando il cadavere del ragnobot sopra di sé «Che questo sia di avvertimento per chiunque osi pensare di invadere la nostra mansarda -che sia un ragnobot… o qualsiasi altra bestiaccia!»
 
«Sei pronto per l’arena, Budino» commentò Scylla, poggiata contro lo stipite della porta.
 
«AAAAAAAAAAH!» strillò Odysseus, che non si era avveduto della presenza della sorella.
 
«AAAAAAAAAAH!» strillò Glitch di rimando, e nel muovere le mani fece volare per errore il cadavere del ragnobot sopra la testa di Odysseus.
 
«AAAAAAAAAAH!» gridò ancora il jetformer, immemore del fatto di poter togliere il cadavere grazie ai “capelli” stessi.
 
Infine, dopo una breve serie di strilli sempre più acuti e di corse in circolo, i due coinquilini della tana del luponoide andarono a sbattere frontalmente uno contro l’altro e caddero a terra seduti.
 
L’epica battaglia era finita nel solo modo in cui poteva finire, ma quantomeno il cadavere del ragnobot, tra una corsa e l’altra, era finito tra i piedi di Scylla, che aprì la finestra e lo lanciò fuori.
 
«Se le venationes sono finite direi di scendere giù a cena» disse la femme «Ero venuta su apposta».
 
«Ehm. Io… noi… tra un minuto veniamo giù» rispose Odysseus.
 
«Va bene!»
 
Detto questo, Scylla chiuse la porta e i due coinquilini la sentirono scendere le scale.
Così come sentirono altrettanto bene la risata eroicamente trattenuta in precedenza scoppiare subito dopo.
 
«Io non ci scendo, lì sotto» disse Glitch.
 
«Su-»
 
«No! Mi vergogno!»
 
«Tu ti rendi conto che gli scontri frontali dopo essere fuggiti urlando per qualche ragione non proprio valida non sono una novità tra me e te, vero?»
 
«Sì ma non c’era di mezzo la posa eroica con il ragnobot morto, penserà che volessi imitare Megatronus!»
 
«Ah quindi non volevi?»
 
«Lui è inimitabile».
 
«Eppure avrei giurato che l’avessi fatto apposta» commentò il jetformer, pensieroso.
 
«… andiamo a cena».
 
Odysseus soppresse una breve risata. «Ehi Glitch».
 
«Dimmi».
 
«Tu quantomeno sei riuscito a batterti con il ragnobot, io gli avrei lasciato direttamente il campo, quindi dal mio punto di vista mi hai fatto un favore grosso come tutta la mansarda. Grazie, amico».
 
«Dovere» borbottò l’altro mech «Ma il cadavere ti è finito in testa, quindi non sono sicuro-»
 
«Quello però non è per colpa tua, quello è colpa di chi fa prendere GLI ACCIDENTI ALLA GENTE, SCYLLA!» esclamò Odysseus, alzando il tono man mano che scendeva.
 
In risposta ricevette una qualche battuta che Glitch non capì, o non volle capire conscio che tanto ne sarebbero volate altre nel corso della cena. Nell’avvicinarsi alla porta, l’outlier fece un breve sospiro nervoso e cercò di concentrarsi sull’unica cosa positiva di tutta quella follia a otto zampe: per una volta aveva effettivamente aiutato Odysseus, il quale aveva riconosciuto l’utilità delle sue azioni e aveva espresso sincera gratitudine nei suoi confronti.
Per quanto Glitch continuasse a ritenere che non ci fosse paragone tra quel che Odysseus aveva fatto per lui e il modo in cui lui invece era ancora ben lontano dal ricambiarlo -secondo la propria opinione, non necessariamente condivisa- era meglio di niente.
 
“Prima o poi riuscirò a farlo davvero e farlo del tutto. Mi serve solo tempo” pensò, decidendosi a scendere per cena “Ma lo farò”.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«… sul serio? Thundercracker e Skywarp hanno fatto una cosa buona prima di mollare l’Accademia per andare chissà dove, una, e noi dobbiamo davvero vanificarla così?»
 
«Hai sentito Shockwave, Skids» replicò Windcharger, alzando brevemente le ottiche azzurre al soffitto «Va riportato indietro. Secondo lui la sua abilità di disattivare macchinari è preziosa e in futuro potrebbe esserlo ancora di più, per cui… al lavoro, superlearner, e usiamo quella macchina del tempo per localizzarlo e teletrasportarlo qui, nell’Accademia».
 
Nessuno dei due outlier sembrava particolarmente entusiasta all’idea: non Skids, che sospirò nervosamente nello scambiare un’occhiata col compagno di lavoro, né Windcharger, che grazie alle sue “braccia magnetiche” gli passò un bullone che stava perdendo per strada.
 
«Windcharger, dai, siamo seri, Glitch finora è stato solo in grado di fare casino! Rompe quel che non deve rompere e, quando abbiamo lavorato insieme l’ultima volta, è persino svenuto lasciandomi lì a dover finire da solo. Vale veramente la pena riportarlo qui, e solo perché in futuro “forse, potrebbe” imparare a usare la sua abilità a distanza?»
 
«Ripeto: hai sentito Shockwave. Shockwave è, più o meno, tutto quel che ci separa da finire come Glitch stesso» replicò l’altro mech «Dunque eviterei di contrariarlo».
 
Skids non replicò, conscio del fatto che Windcharger avesse ragione da vendere. Shockwave era un membro estremamente influente nella casta degli scienziati, e proprio la sua influenza gli aveva permesso di mettere in piedi la Jhiaxian Academy of Advanced Technology, radunando poi all’interno di essa mechs e femmes con abilità speciali di vario genere e aiutandoli sia a svilupparle, sia a tenerle nascoste a un governo che non avrebbe gradito sapere della loro esistenza.
I motivi di una simile scelta erano piuttosto oscuri -difficilmente uno scienziato agiva per carità divina, e Shockwave, pensando alla sua fama, ancor meno- ma loro erano contenti di trovarsi in un posto che si poteva considerare sicuro… per il momento. Il gladiatore Megatronus in quei tempi stava vivendo un periodo di grandissima ascesa e, se le voci erano vere, si iniziava persino a pensare che avesse intenzione di scendere in politica -il consenso che andava raccogliendo, in fin dei conti, era sempre maggiore- con idee che tuttavia cozzavano il giusto con quelle portate avanti dalla nobiltà fino a quel momento.
Vero, c’era la voce che Spector Specter fosse tra i possibili candidati come nuovo vice capo del Gran Consiglio, e si narrava che nelle sue intenzioni ci fosse anche quella di far abolire una volta per tutte pratiche barbare come l’empurata, ma non era detto né che sarebbe stato eletto né che poi avrebbe davvero messo in pratica i suoi propositi e, in ogni caso, il provvedimento in questione sarebbe stata una goccia nel mare.

 
«Bisogna proprio riportarlo qui, vero?»
 
«Eh sì».
 
«E tornare a sentire i suoi lamenti» continuò Skids, avvitando il bullone passatogli dal collega «I suoi “oddio svengo” qui, i suoi “non sono in grado” di là, il modo in cui ci fissa da lontano per un sacco di tempo prima di avvicinarsi se vede che siamo in gruppo, il modo in cui muove quelle manine tridattili… brrr. I brividi, davvero. Non è solo l’empurata, ‘Charger, quella alla fine è il meno, è che in lui è tutto così… così triste. Mi mette un misto di pena, angoscia e irritazione solo a guardarlo, ecco la verità».
 
«A chi non le mette?»
 
«Ecco. E magari è più felice lì dov’è ora, che ne sappiamo? Lo lasciamo lì, lui è felice, noi anche, win/win».
 
«Shockwave mi ha detto che nel luogo in cui si trova Glitch c’è stata -e, rispetto a quando è lui, “ci sarà a breve”- un’epidemia che ha falciato via un buon novantacinque per cento degli abitanti».
 
Skids borbottò una brevissima preghiera a Primus prima di fare la domanda più logica per una mente come la sua. «Shockwave ti ha detto se l’epidemia in questione è stata per cause naturali o “per cause naturali”?»
 
«“Per cause naturali” fatta passare come se lo fosse stata davvero: membri della sua stessa casta ci lavorarono su» rispose Windcharger «Non ha detto molto. Ha accennato a un medico coinvolto in non so cosa -ma già nel mirino di gente in alto- a del malcontento, al fatto che all’epoca il Senato avesse ancora un po’più potere di adesso e che il Gran Consiglio avesse ancora un paio di membri dediti al Funzionismo. Belli che andati, fortunatamente... ora la faccenda non è rose e fiori, ma ai tempi ci andavano giù ancora più duri».
 
«Sembra proprio di sì. Allora come non detto, nel caso sia felice lì dov’è ora dovrà ringraziare sia per il fatto di venire portato via, sia perché finirà a dimenticare un po’tutto. “Almeno a livello cosciente”, citando Shockwave -per quanta importanza possa avere» fece una smorfia «… eppure sai, per quanto per Glitch possa essere una fortuna mi irrita mettermi nei suoi panni e immaginarmi con dei pezzi di memoria in meno. Credo che al posto suo potrei ossessionarmi all’idea di farli tornare a galla».
 
«Glitch però non è te, e ha ben altri problemi».
 
«A tonnellate» annuì Skids «A tonnellate. D’accordo, facciamo funzionare questa roba entro domattina».
 
 
 

 
 
 
 
 
 
Nel prossimo capitolo, come potete intuire, ci sarà l’epilogo. Avrei potuto concludere qui ma volevo la cifra tonda xD
Per quanto riguarda Shockwave e i personaggi dei fumetti che compaiono qui, ho fatto un miscuglio tra la situazione che c’era in TFP prima della guerra, la situazione che c’era nei fumetti sempre prima che scoppiasse il casino (il Megatronus di cui parlano è sempre quello di TFP) e un accenno alle mie fanfic (la parte in cui si cita Spector Specter. Il padre di Spectrus e Spectra, per chi non si ricorda di lui). Stesso dicasi per Shockwave, che qui NON è un senatore (né è precisamente una brava persona, decisamente NO), ma un eminentissimo membro della propria casta, destinato in seguito a mollare la suddetta e mettersi dalla parte di Megatron.
 
E niente, grazie a chi ha letto e apprezzato :D al prossimo (e ultimo) capitolo,
 
_Cthylla_

p.s.: vi do un consiglio... se state scrivendo una roba abbastanza seria, non guardate questo anime, perché devierà il vostro cervello verso il disagio.
MA UNA VOLTA FINITO DI SCRIVERE, GUARDATELO, VI PREGO :'D
p.p.s.: quello disegnato da Glitch è Megatron di Armada, alias il suo vicino di casa nella mia fic "I vicini di casa peggiori della storia". Sì, è effettivamente uno scassapalle. E la cliente spaventosa del negozio di Scylla e fratelli è babushka Valka ☝🏻


 

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Capitolo 10
*** 10 - Epilogo ***


Epilogo
 
 
 
 
 


 
 
 
 
«No, no, NO, voglio tornare indietro, fatemi tornare indietro-»
 
«Glitch, falla finit- AAAH!»
 
«Windcharger!... Trailbreaker, campo di forza, fermalo!»
 
«Ho detto che voglio tornare indietro! Toglietevi di mezzo!»
 
L’ultima esclamazione di Glitch causò una sensazione estremamente spiacevole all’altezza della Scintilla di Skids, il quale crollò a terra quando il suo sistema di ventilazione smise di funzionare per qualche attimo.
Sempre meglio di quando fosse andata a Windcharger, comunque, che era stato toccato da Glitch e ora si trovava a terra svenuto.
 
«Lo tengo, Skids! Fai qualcosa!» esclamò Trailbreaker.
 
Glitch emise un lamento rabbioso, in larga parte per una forte emicrania. «Lasciatemi andare! Lasciami…»
 
Una delle braccia nerastre di Trailbreaker iniziò ad andare in pezzi. L’outlier urlò, l’espressione terrorizzata quanto dolorante.
 
«… andare!» esclamò Glitch «Devo tornare, devo tornare indietro, devo, Odys-»
 
Il mech aranciato, nonostante il mal di testa peggiore mai avuto in tutta la sua esistenza, era ancora abbastanza lucido da sentire qualcosa colpirlo due volte alla base del collo.
 
«I miei pronostici sull’abilità utilizzabile a distanza si sono rivelati veritieri» disse una voce profonda.
 
Glitch crollò in ginocchio. Quel che l’aveva colpito era un tranquillante.
 
«Ma continuare a sforzare il tuo sistema in questo modo, senza un’adeguata preparazione, e rischiare danni difficilmente riparabili sarebbe alquanto…»
 
“Odysseus, Odysseus, devo tornare da loro, Scylla, Charybdis, Odysseus-
 
«Illogico».
 
L’espressione totalmente impassibile di Shockwave -un mech che si vociferava avesse praticato lo shadowplay* su se stesso- e i suoi sensori ottici rossi furono l’ultima cosa che vide. Poi, buio.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
«… andato! C’è stato un lampo di luce e poi non c’era più Scylla, non c’era più, l’hanno portato via, dobbiamo fare qualcosa!» gridò Odysseus, tremante e coi sensori ottici pieni di lacrime «L’hanno portato via, p-potrebbero stargli facendo del male, potrebbero-»
 
«Potrebbero, o magari no. In ogni caso non possiamo fare nulla per lui, Odysseus, noi non abbiamo una macchina del tempo» disse la femme, con aria estremamente cupa «Credo che non ce ne sia una funzionante da nessuna parte, non in questo periodo storico».
 
Il giovane jetformer, fin troppo conscio del fatto che la sorella maggiore avesse ragione, crollò a sedere sulla cuccetta piangendo. Scylla per una volta non disse nulla a riguardo.
 
“Spero che tu stia bene… o che tu ora abbia abbastanza forza mentale per cercare di difenderti, Budino”.
 
Ricordò il momento in cui avevano parlato del fatto che forse la domanda giusta da farsi non fosse “da dove” veniva Glitch, piuttosto “da quando”, e nel farlo si rese conto che l’immagine del mech in questione cominciava già a farsi un po’ confusa nel suo processore. Di che colore era il suo sensore ottico? Azzurro o verde? Non riusciva a focalizzarlo.
 
Giustamente: Glitch finendo lì aveva perso i ricordi del proprio tempo, e adesso che l’avevano riportato indietro stava portando con sé anche i loro -i ricordi relativi a lui.
 
Non avevano un video né una fotografia, perché Glitch, col suo rapporto estremamente conflittuale con la propria immagine per ovvi motivi, non ne aveva mai voluti, ed era una cosa che loro avevano rispettato. Forse era stato uno sbaglio, perché mantenere vivo almeno il ricordo del Budino di casa -che a modo suo aveva dato molto anche a Odysseus rendendolo un po’ meno codardo in alcune cose- sarebbe stato dovuto. Almeno quello, dato che non potevano, né forse avrebbero mai potuto, fare nient’altro per lui.
 
Guardò Odysseus, rannicchiato a piangere sulla cuccetta.
 
“Erano molto legati, dunque magari impiegherà più tempo di me, ma arriverà un momento in cui la sua amicizia con Glitch non gli sembrerà altro che una fantasia articolata. Arriverà un momento in cui inizierà a vedere Glitch come uno dei classici sconosciuti che compaiono durante i sogni, uno di quelli di cui si cerca di tenere a mente le fattezze… finendo inevitabilmente a dimenticarle, presto o tardi”.
 
Fece un gesto per lei estremamente inconsueto: si sedette sulla cuccetta e strinse a sé il fratello, il quale non si oppose minimamente.
 
“Ma a volte ricordare è una maledizione, soprattutto quando sei del tutto impotente. Dimenticare Glitch per lui significherà anche dimenticare il motivo per cui sta soffrendo. Cerca di mantenere quel po’ di coraggio che hai acquisito, Odysseus, ma quanto al resto…”
 
«È meglio così» disse, molto piano, a un fratello troppo pieno di dolore perché potesse sentirla.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
Nascosto sotto le coperte dell’infermeria, Glitch aprì per l’ennesima volta quel carillon dalla forma strana.
 
Le note dell’Empyrean Suite, una melodia che aveva sempre amato, tornarono a risuonare vicino ai recettori uditivi. Tornare dal viaggio nel tempo -nei giorni che erano trascorsi gli avevano detto che era reduce da uno di essi, e la sua stanchezza rivelava che non si era ancora ripreso- lo aveva messo sottosopra, e non ricordava come avesse avuto quell’oggetto, né da chi.
Le sensazioni che provava nel toccarlo, nell’esaminarlo e nell’ascoltarlo riprodurre musica però gli erano estremamente chiare: la nostalgia profonda di qualcosa al quale il suo processore non riusciva a dare forma, il dolore, il rimpianto, e soprattutto un confortante senso di
calore che prima di allora non aveva mai provato in vita sua.
 
Era una croce, era una delizia, come lo era sognare se stesso a guardare la neve da una finestra posta chissà dove, la stretta gentile di braccia amichevoli, e delle lanterne luminose volare nel cielo; e come lo era stato, più di una volta, ritrovare in sogno il candido sorriso rivoltogli da un giovane mech sconosciuto con ottiche di diverso colore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

*Lo shadowplay è per i cybertroniani è un processo che altera la personalità di un individuo rendendolo del tutto (o quasi) incapace di provare emozioni. Era utilizzato tanto come punizione, quanto come "mossa politica".

È finita!

Avevo detto che questo sarebbe stato l’epilogo, e tal è.
 
Per chi se lo stesse domandando, sì, il regalo di Odysseus a Glitch esiste ancora: al momento è negli appartamenti di Tarn (e se Scylla lo vedesse riconoscerebbe il marchio che Odysseus apponeva sulle proprie creazioni). Idem per il biglietto scritto da Glitch a Odysseus che, nonostante siano passati vorn su vorn su vorn, è ancora da qualche parte in casa di Scylla.
 
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e apprezzato questa breve storia. A presto (spero) su The Specter Bros’ 2!
 
_Cthylla_
 

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