(Not The) Odyssey di _Cthylla_ (/viewuser.php?uid=204454)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - C'è sempre chi sta peggio ***
Capitolo 2: *** 2 - ''Benvenuto'' in famiglia ***
Capitolo 3: *** 3 - Anche ''loro'' erano medici ***
Capitolo 4: *** 4 - E l'ansia divenne arte ***
Capitolo 5: *** 5 - Non ''da dove'', ma ''da quando'' ***
Capitolo 6: *** 6 - ''Il tuo amico, G.'' ***
Capitolo 7: *** 7 - Chosen One Day con sorprese ***
Capitolo 8: *** 8 - Megatronus (non ancora senpai) ***
Capitolo 9: *** 9 - Venationes ***
Capitolo 10: *** 10 - Epilogo ***
Capitolo 1 *** 1 - C'è sempre chi sta peggio ***
1
Munito di
ciò che restava di un pezzo di grondaia
arrugginito, alias quel che di più pericoloso era riuscito a
trovare e ad
afferrare al limitare di quella piccola discarica del suo quartiere di
residenza, Odyesseus cercò di racimolare sufficiente
coraggio per riuscire ad
avventurarsi tra i rifiuti e soddisfare una malsana
curiosità riguardo la quale
il commento di un terrestre sarebbe potuto essere “Nomen
omen”.
Non che lui
sapesse cos’era la Terra o che l’Homo
Sapiens
avesse fatto la sua comparsa su di essa. Ciò non sarebbe
accaduto che tra vari
ed eventuali milioni di anni -così come una guerra civile
tra cybertroniani
che, nessuno lo sapeva, era ancora in là da venire; ma
questi non erano che
dettagli marginali.
“Primus
nostro che sei nel cosmo…”
Ciò
che contava per il giovane e mingherlino jetformer, che
avrebbe potuto lasciare dei segni su quel pezzo di grondaia se solo
avesse
avuto forza sufficiente per riuscire a stringerla tanto, era scoprire
cos’aveva
visto quando era andato a gettare l’immondizia la sera
prima… e
uscirne vivo e possibilmente in salute.
“Sia
santificato il Tuo nome…”
O comunque
più in salute della volta in cui un mech
più
grosso di lui gli aveva fatto perdere a suon di botte una delle sue
ottiche
dorate: sarebbe stato già molto.
“Venga
il Tuo regno, sia fatta la Tua
volontà…”
Tornare a casa
malmesso era un’abitudine per lui -la
periferia della città-Stato chiamata Tarn non era un posto
per i deboli o per
gli stupidi, e lui di certo era almeno una delle due cose- ma in
quell’occasione era andata molto peggio del solito.
“Rimetti
a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai
nostri debitori…”
Se non altro
l’ottica persa era stata sostituita in
fretta…
e il donatore non proprio consenziente era stato lo stesso mech che
l’aveva
massacrato.
Pensare alla
spietatezza mostrata da Scylla in quel
frangente, sebbene fosse stata tutt’altro che gratuita e
utilizzata per dargli
una mano, lo fece rabbrividire leggermente. Odysseus amava e stimava le
proprie
sorelle ma ciò non cambiava il modo in cui si sentiva
riguardo certe cose.
“E
non ci indurre in tentazione ma Ti
Prego Fammi Tornare A Casa Intero GRAZIE!”
concluse, riuscendo a
stento a soffocare uno strillo quando una robopantegana corse tra le
sue gambe
tremanti.
Dopo qualche
istante di immobilità in cui si
guardò attorno
per verificare di essere solo, senza drogati o possibili rapinatori
acquattati
nell’ombra, continuò ad addentrarsi nella
discarica. Nel mentre non poté
evitare di tornare col pensiero alla sera prima, quando aveva visto
rintanarsi
in mezzo ai rifiuti un qualcosa di azzurro attaccato a un altro
qualcosa
abbastanza grosso.
Aveva pensato
a un animale, qualcosa tipo una turbofox o un
cybercane di considerevoli dimensioni, ragion per cui aveva portato con
sé un
paio di salsicce di cadmio che aveva comprato appositamente quel
mattino
stesso: magari sarebbe riuscito a farselo amico e portarlo nel capanno
dietro
casa, non sarebbe stata la prima volta. Capitava spesso che Odysseus
desiderasse provare nei riguardi delle persone la stessa
tranquillità che
provava verso gli animali, non aveva problemi con loro… se
non spuntavano di
botto come la robopantegana di prima, ovviamente.
“Prima
o poi riuscirò pure a convincere le mie
sorelle a
lasciarmene tenere uno!” pensò, seppur memore del
fatto che tanto Scylla quanto
Charybdis gli avessero intimato di piantarla di adottare animali
randagi.
Passò
vicino a un altro grosso cumulo di rifiuti e
sentì di
nuovo il rumore di qualcosa che si muoveva. Qualcosa di grosso.
Forse quello
della sera prima non era un animale.
Si
irrigidì nuovamente e tese il tubo davanti a
sé, conscio
di star sembrando decisamente patetico causa mani che tremavano come se
avessero stretto un martello pneumatico invece di un pezzo di metallo
immobile
e arrugginito, ma non riusciva a evitarlo, temendo di venire assalito
da un
momento all’altro.
«N-non
venire fuori! Ho
un tubo!...
Ho un tubo e non ho paura di usarlo,
q-quindi… quindi resta dove
sei!» aggiunse per buona misura, facendo saettare da una
parte all’altra le
ottiche di due colori diversi mentre si voltava a destra e sinistra con
passi
freneticamente impacciati «Resta dove sei per favor- EEEEEH!»
gridò
quando, dopo essere inciampato nei resti di un
gabinetto, cadde miseramente proprio nel cumulo di rifiuti dal quale
aveva
sentito provenire il rumore.
E
atterrò su qualcosa di caldo, vivo e di dimensioni
superiori alle sue.
«AAAAAAAAAAH!»
strillò, con sincero terrore.
«AAAAAAAAAAH!»
strillò qualcuno vicino a lui.
La conferma
della presenza di un’altra persona
portò
Odysseus a gridare di nuovo, ancora più forte e con un tono
ancora più alto, e
l’altro a rispondere esattamente nello stesso modo in una
cacofonia di acuti
che avrebbero fatto invidia ad Eucryphia -compositrice e cantante
lirica ormai
attempata ma di indubbio talento-.
Solo dopo un
po’Odysseus riuscì a calmarsi quel
tanto che
bastava da notare l’azzurro di un terrorizzato sensore ottico
azzurro a poca
distanza da lui, esattamente lo stesso che aveva visto la sera prima.
«N-non
farmi male!» lo supplicò il
proprietario di suddetto
sensore ottico, abbassando la testa e intrecciando le mani in una
preghiera
«Per favore per favore n-non farmi male ti… ti
prego. Ti prego non farmi male
io- io n-non do n-noia a nessuno, non farmi male-»
«Ma
chi, io?» fu la risposta istintiva di Odysseus,
che mai
nella vita si era sentito dire certe cose e diede persino una rapida
occhiata
alle proprie spalle per vedere se magari l’altro mech si
stesse rivolgendo a
un’altra persona «Sei tu che mi hai spaventato a
mor… te…»
Finalmente
Odysseus riuscì a guardare bene la persona che
gli stava davanti, e se fosse stato un umano sarebbe impallidito nel
notare
mani che non erano mani.
Quelle di un
cybertroniano che aveva subìto
l’empurata, alias
senza palmo e con tre sole dita piuttosto appuntite, non potevano certo
definirsi
tali.
Dalle
“mani”, lo sguardo di Odysseus
passò alla testa -altro
segno evidente di ciò che l’altro mech aveva
subìto- e poi al corpo color
arancio, tutto sporco e visibilmente ammaccato.
Il jetformer
conosceva benissimo quel tipo di ammaccature:
erano uno sgradito ornamento che gli capitava di indossare
abitualmente… e non
c’era da stupirsi che sul corpo del suo interlocutore ce ne
fossero così tante.
Odysseus finora non aveva mai visto dal vivo un transformer punito con
l’empurata, aveva visto solo immagini e filmati, ma erano
sufficienti per
capire cos’aveva davanti: un pària, una persona
che di solito veniva vista
dalla società come feccia tra la feccia, privo di qualsiasi
diritto diverso
dalla vita -e anch’esso era questionabile, secondo alcuni.
Non paghi di
mutilare i corpi dei propri simili, i Senatori
avevano aggiunto a questo anche uno stigma sociale che rendeva la vita
di
quegli individui più infernale di quanto la menomazione lo
rendesse di suo.
Si
allontanò un po’ dall’altro mech che,
di suo, non aveva
ancora rialzato la testa né aveva disgiunto le mani.
Odysseus notò che
tremavano quanto e più delle sue.
Due pensieri
attraversarono il suo processore: il primo riguardava la
facilità con cui riusciva a
immaginare almeno
parte di ciò che quel disgraziato stava passando, mentre il
secondo era una
semplice considerazione, ovvero “Per quanto i transformers
ridotti
così possano ‘fare
senso’, il Senato e noi che permettiamo a esso di fare cose
del genere siamo
infinitamente peggio”.
Peccato non
poter fare alcunché a riguardo. Nessuno aveva
l’intenzione o il coraggio, e lui, che più volte
si era trovato terrorizzato
dalla propria ombra, meno che mai.
Si
rialzò con una certa cautela e con altrettanta cautela
iniziò ad allontanarsi dai rifiuti e da quel povero
disgraziato.
«Grazie»
lo sentì mormorare
«Grazie…»
Sulle prime il
giovane jetformer non comprese neppure perché
lo stesse ringraziando, poi realizzò: di sicuro era
perché non lo aveva
picchiato né insultato, contrariamente a quel che gli era
accaduto in
precedenza.
Distolse lo
sguardo e fece qualche altro passo.
Un
ringraziamento così sentito… solo per essere
stato
lasciato in pace in mezzo ai rifiuti. Odysseus non si considerava una
cima ma
sapeva che c’era qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto
ciò. Anzi, era tutto
tremendamente sbagliato.
A un certo
punto non riuscì ad andare avanti. Non
riuscì a
evitare di pensare che lui, anche senza empurata, avrebbe potuto
tranquillamente trovarsi al suo posto, uno scarto tra gli scarti. Era
piuttosto
sicuro che, privato dei genitori quando era una protoforma, senza le
sue
sorelle maggiori a mandare avanti l’attività di
famiglia e a prendersi cura di
lui sarebbe finito proprio in quel modo.
Lui per primo
era un perdente nato, aveva già le proprie
magagne e la cosa più intelligente da fare sarebbe stata
fare finta di non aver
visto niente, ignorare la miseria altrui -che non lo riguardava- e
farsi gli
affari propri sentendosi sollevato all’idea di avere ancora
dei diritti, delle
mani, una testa e una faccia normali; eppure non ci riusciva.
Forse il
“non considerarsi una cima” era riduttivo
rispetto
alla sua reale stupidità… o così
pensò prima di voltarsi nuovamente verso
l’altro mech e dare fiato alla bocca.
«E-ehm.
Ehi- no, no,
tranquillo, non ti faccio niente» si sbrigò a
dire, vedendo l’altro ritrarsi
spaventato e alzare le “pinze” davanti al volto in
una mossa di difesa patetica
quanto inutile «È solo… sei ferito,
giusto?»
“Che
glielo domandi a fare, imbecille? Lo hai visto da
solo!” si rimproverò. Faceva proprio schifo a
relazionarsi con le persone.
«Non
farmi male…» fu tutto quel che
disse l’altro.
«Te
l’ho detto, non ti faccio niente»
ribadì Odysseus, il
quale iniziava ad avere il dubbio che quella povera creatura ormai
fosse in
grado di pronunciare solo quelle poche frasi che aveva sentito
«N-non sarei in
grado nemmeno volendo, in effetti… e non solo
perché sei più grosso di me,
amico».
«Amico»
ripeté il mech arancione, e il
modo in cui disse
quella parola la fece suonare quanto di più alieno possibile
«“Amico”… io non
ho amici. Nessuno di quelli come me ne ha. Siamo… scarti.
Disgustosi… inutili…
le mie mani… le mie mani…»
«Tornerebbero
utili a me al posto di vari attrezzi, con il
lavoro che faccio» disse Odysseus, senza pensare
«Ehm. Ascolta, non è una buona
idea restare qui. Potrebbe capitare brutta gente, io non ti voglio fare
niente,
ma loro… loro la pensano in un altro modo».
«Lo
so» mormorò l’altro
«M-ma non so dove altro andare. Non
so neanche come sono arrivato da queste parti, non ricordo…
l’unico ricordo davvero
chiaro che ho è quando loro mi
hanno…» mosse le pinze in un gesto convulso
«E i primi giorni, quelli subito
dopo. Il resto, quel che è successo in seguito e la mia vita
prima del Senato, invece…
solo frammenti… persone, cose…» emise
un lamento «La mia testa…»
“Sei
in brutte condizioni ma almeno capisci quel che dico e
sei capace di mettere le parole in fila” pensò il
jetformer, passandosi
nervosamente una mano tra i “capelli” grigi. Dodici
“tentacoli” mobili, forti e
molto allungabili, l’unica cosa che condividesse con le
proprie sorelle:
peccato non sapesse usarli in modo utile, contrariamente a loro.
«Avresti
bisogno di un medico».
«Non
ho shanix. E comunque… e comunque
n-non… nessun medico
perde tempo con quelli come me».
«Brushsling
non è così stronzo.
È il medico da cui vado io…
o-ormai sono di casa. Già. Per gli shanix…
sì, effettivamente per tutto quel
che devi fare tu magari ce ne vogliono un altro po’rispetto a
quelli che ho
messo via, però… p-però magari in un
paio di settimane riesco a raggiungere la
cifra? Forse».
Per il poco
che si poteva capire dal suo volto senza
espressioni, alla paura del mech arancione si aggiunse la confusione.
«Non
capisco».
«Tu
hai bisogno di un medico e io conosco un medico da cui
farti andare, e tra poco avrò anche abbastanza
shanix… penso. Nel frattempo
penso di poterti far entrare nel capanno, le mie sorelle di solito non
ci vanno
mai, e dopo essere stato curato puoi andare… non so dove. Da
qualche parte.
I-io… voglio aiutare. Aiutarti. Ecco».
“Se
Scylla e Charybdis scoprono la cosa mi staccano la
testa” pensò Odysseus, ovviamente in senso
figurato “Ma spero di no… spero in
bene anche per stasera, Charybdis a quell’ora è
già a
letto e Scylla di solito
torna più tardi…”
«No.
No» disse il mech, scuotendo la testa
«Tu non devi
aiutarmi. Nessuno lo fa, nessuno lo deve fare-»
«Le
persone non vengono punite se decidono di avere a che
fare con quelle a cui è capitato… quel che
è successo a te. Abbiamo il diritto
di fare, o non fare, assolutamente tutto quel che vogliamo con
voi».
Nel bene e nel
male, ma non era necessario specificarlo:
entrambi ne erano consapevoli.
Il povero
disgraziato tra i rifiuti osò, in maniera
esitante, sollevare il proprio sguardo per incontrare il suo, anche se
solo per
un attimo. «E tu… v-vuoi usare questo diritto per
aiutare. Aiutare me».
«Sì».
«N-non…
questo è…
è una presa in giro. Vero?»
«Pff.
Sono l’ultimo che può prendere in
giro qualcuno, io.
Una settimana fa ero in un vicolo e ferito più o meno come
te. Questo posto
non… diciamo che di solito non è
l’ideale per le persone come me e te. Quelle
che non si sanno difendere. Sai».
«Nessun
posto è l’ideale per chi non si
sa difendere».
«Sì.
Già. Davvero, io voglio solo darti
una man- ehm, aiutare. Se io quando
fa buio torno qui
e ti porto nel capanno, tu vieni con me? O no?»
Non era una
proposta molto prudente, dopotutto non sapeva
assolutamente niente di quel mech, neppure il suo nome; il suo Senso di
Sfiga
però suggeriva che stava tendendo una mano a qualcuno di
innocuo e che quindi non
stava portando vicino a casa propria uno spietato killer
“legalizzato” che
gestiva una prigione ricavando sentio
metallico dai
prigionieri dopo averli fatti entrare in una
camera di
fusione con l’illusione che fosse un sistema di
teletrasporto, il tutto mentre
beveva energon extra forte di ottima qualità da una
bottiglia di vetro di
pregevole fattura e ascoltava musica classica.
Chissà
da dove saltavano fuori quelle fantasie, poi.
«Vuoi
aiutarmi davvero» disse il mech sconosciuto,
attonito
«S-sei… sei convinto».
Il jetformer
annuì, muovendo leggermente le sue ali blu. Lo
faceva quando era teso, ossia quasi sempre. «Sì.
Ehm… magari prima potresti
dirmi la tua designazione? Io sono Odysseus».
Seguì
un lungo momento di silenzio.
«Glitch.
È il modo in cui hanno iniziato a
chiamarmi, anche
se… anche se non ricordo chi è che “mi
chiama”. Né perché
dovrebbero farlo…» sibilò di dolore e
tornò nuovamente a
massaggiarsi le tempie.
«Penso
di avere anche degli antidolorifici a casa, stasera
metto nel capanno anche un po’di quello. Se vieni».
Glitch, in un
gesto forse poco conscio, dopo aver stretto
convulsamente le pinze una all’altra iniziò a
passarsi sul volto le “dita”
della mano sinistra, arrivando a lasciare dei segni -o meglio, ad
approfondire
dei segni già presenti. Doveva essere un suo tic nervoso, ma
dopo l’empurata
era normale che un transformer potesse avere un rapporto conflittuale
con la
propria faccia, se poi di faccia si poteva parlare. «Tu non
dovresti… non è il
caso di essere gentile. Non qui… o da qualsiasi altra parte.
Perché sei gentile
con me?»
«Non
mi capita spesso di riuscire a fare qualcosa di buono,
se non nel mio lavoro, per cui… per cui stavolta voglio. E
poi» Odysseus abbassò
la voce «Io non so perché il Senato ha fatto
questo proprio a te, ma so che lo
fanno anche per motivi come aver disobbedito a uno dei loro ordini, per
aver
manifestato contro di loro, per il solo fatto di essere nati con
capacità strane
o semplicemente perché sì. E questa
cosa» abbassò ancora la voce «Fa schifo,
ok?!
Schifo!
Ecco».
Glitch
sollevò nuovamente lo sguardo su di lui, poi lo
riabbassò di nuovo altrettanto velocemente. «Cerca
di non farti sentire mai. Non
devi finire anche tu come me» fece una breve pausa di
silenzio «Se… se tu non
cambi idea e stasera torni, io… vengo con te. Sì.
Mi troverai qui sotto i
rifiuti. Grazie» disse «Grazie grazie grazie».
Odysseus si
sforzò di sorridere e annuì.
Non avrebbe
mai pensato di poter provare più pena di quanta
ne provasse per se stesso.
***
«Dobbiamo
muoverci in fretta e con cautela,
Glitch!...»
«M-ma
sono due cose oppost-»
«Persone!»
sibilò Odysseus nascondendo
se stesso e il suo
nuovo amico dietro un bidone.
Glitch aveva
sobbalzato, probabilmente lo faceva sempre
quando veniva toccato -l’aveva fatto anche quando Odysseus
gli aveva detto di
attaccarsi al suo braccio e lui, dopo avergli chiesto almeno cinque
volte se ne
fosse sicuro, gli aveva dato retta- ma quello non era il momento di
prestare
attenzione ai suoi traumi. Il tragitto dalla piccola discarica al
capanno era
breve, però gli sembrava lontanissimo, come sempre e
specialmente di sera.
“Devo
stare attento, stavolta se ci beccano non fanno male
solo a me. E lui ne ha già passate abbastanza”
pensò Odysseus, sporgendosi
leggermente da dietro il cassonetto una volta che il gruppetto di
persone li ebbe
superati. «Via libera».
Quando fecero
per rimettersi in marcia, tuttavia, Odysseus
sentì qualcuno strattonare via Glitch.
«Cosa
abbiamo qui?... Un senza-faccia?!»
Odysseus,
terrorizzato, si voltò a guardare il mech
sopraggiunto dietro di loro: non era tanto più grosso di
Glitch ma era
visibilmente più aggressivo e odorava di energon extra
forte.
«Non
farmi male!» esclamò il povero
disgraziato color
arancio, spaventato quanto e più di Odysseus «Ti
pre-»
Il rumore di
statiche che seguì il pugno dato a Glitch dal
tizio fece capire subito che il viso di questi era stato sicuramente
danneggiato. Stava succedendo precisamente quel che avevano cercato di
evitare,
e il tipo non sembrava aver voglia di fermarsi solo a un pugno in
faccia.
Odysseus a
quel punto fece una cosa decisamente rara per
lui, alias afferrare il coperchio del bidone e abbatterlo sulla testa
dell’ubriaco
con tutta la forza che aveva. Risultato: il tizio, che aveva a malapena
avvertito il colpo, gli diede un pugno allo stomaco abbastanza forte da
far
cedere le ginocchia e lo afferrò per il collo,
ciò dopo aver lasciato cadere
Glitch.
L’unica
consolazione era aver almeno tentato di fare
qualcosa, ma in quel momento, sinceramente, a Odysseus non sembrava
granché.
«Uno
di sfigato che ne difende un altro! Cosa cazzo
siete, una coppietta?! Una coppietta fatta da schifo che si sbatte
altro
schifo, EH?!»
Un altro pugno
allo stomaco.
Odysseus,
piuttosto abituato, stimò che in teoria si sarebbe
stufato dopo altri cinque o sei colpi: la sua esperienza suggeriva
quello,
almeno quando il picchiatore di turno era a quel livello di sbronza. Si
augurò
di non sbagliare.
Fu a quel
punto che il mech ubriaco lanciò un grido di puro
dolore e crollò sulle ginocchia appena prima di iniziare a
rantolare e rimettere
energon a tutto spiano. Nel rialzarsi velocemente, il jetformer
notò che tanto
le gambe quanto i fianchi stavano avendo una rapida serie di spasmi e
che i
piedi, nell’arco di millisecondi, non ne ebbero
più, restando immobili come
quelli di un transformer morto.
«La
mia testa…» si lamentò il
mech arancio, ancora a terra.
«Glitch!
Stai bene?!» esclamò Odysseus,
avvicinandosi all’altro
«Dobbiamo andare via, non so cos’è
successo ma non…»
«Sono
“successo” io. Non
camminerà mai più, se non morirà a
forza di vomitare… ma spero di no» disse Glitch,
con un tono ben diverso da
quello usato nella discarica «Sarebbe troppa grazia rispetto
a quello… che
merita… Odyssesus-» si strinse la testa tra le
mani dopo un altro lamento «P-potrei…
potrei svenire, fa male-»
«Non
puoi svenire, non ce la farei a portarti. Resisti un
altro po’, ok? Dobbiamo arrivare al capanno, ti aiuto a
rialzarti, va bene? Glitch!»
«Sì…
ci sono. Ce la faccio…
forse».
Abbandonata la
cautela in favore di un passo veloce per
quanto riuscivano ad andare, si rimisero in viaggio verso il capanno.
«Allora
è per quello che ti hanno fatto quel che
ti hanno
fatto… giusto? Quella cosa di prima, i-il tizio ridotto in
quel modo, tu…»
abbassò la voce «Sei un outlier,
vero?»
«Sì…
m-ma la cosa non mi ha mai aiutato
molto. La mia
abilità fa male… fa tanto
male…»
«Ho
capito. Grazie, Glitch».
«C-come?!...»
«Grazie»
ripeté Odysseus «Per
avermi aiutato anche se sapevi
che ti avrebbe fatto male».
«Tu…
tu hai fatto lo stesso prima. Hai cercato di
farlo
smettere e l-le hai prese per colpa mia, e non dovevi. N-non eri
tenuto. Io non
potevo… ho fatto quel che dovevo».
«Potevi
approfittarne per fuggire».
«Sono
spazzatura ma non sono spazzatura ingrata,
Odysseus».
«La
tua voce è molto più profonda
quando non sei spaventato
o non sei troppo teso… ci faccio caso solo ora»
commentò il jetformer, non
sapendo bene cos’altro dire.
Dopo un breve
borbottio, Glitch rimase in silenzio per il
resto del viaggio.
***
Entrati nel
capanno e acceso un lumicino aranciato, i due
mech si accasciarono a terra con un sospiro.
«Ho
cercato di mettere su una cuccetta improvvisata
lì. Ho lavato
tutto quindi è pulita» disse Odysseus, indicando
stancamente la cuccetta in
questione «E ho messo delle coperte in più, a
brevissimo le temperature si
abbasseranno parecchio, quindi ne avrai bisogno. Per il
bagno… in qualche modo
faremo pure. Sì, come alloggio fa abbastanza schifo ma
è sempre meglio che in
mezzo ai rifiuti, e qui non ti tocca nessuno».
«Hai
g-già fatto molto più di quel che
dovevi… anche perché
non “dovevi” proprio niente. Grazie. Grazie
grazie».
Il jetformer
sorrise. «Ringraziami quando riuscirò
a farti
curare».
«Ti
ripagherò. In un modo o nell’altro
lo farò, dovessi
impiegare tutta la vita per racimolare gli shanix in qualche
maniera» affermò
Glitch.
«Tranquillo»
disse Odysseus
«Non-»
Con la coda
dell’occhio intravide un’ombra
tentacolata alla
sua sinistra.
«AAAAAAAAAAH!»
strillò, facendo cadere svariati attrezzi
nell’allontanarsi, mentre Glitch -pur
non capendo il motivo- strillava a sua volta.
Finirono ad
attaccarsi uno all’altro, spaventati a morte per
l’ennesima volta in quella gionata, e Odysseus
strillò un’ultima volta… prima
di capire che ad averlo spaventato non era stata nient’altro
che la sua ombra,
mista a quella di uno degli oggetti del capanno, e che quindi i
tentacoli non
erano altro che i suoi capelli.
«Oh
ma perché cazzo
devo fare sempre così?!» sbuffò
Odysseus, sconfortato.
Strillò
nuovamente quando la porta del capanno si
aprì di
scatto, e a stento notò che Glitch era andato a rifugiarsi
dietro di lui.
«Non
so perché ti sia messo a strillare»
disse la voce
femminile di una femme della quale, nel buio del capanno, si vedevano
chiaramente solo le ottiche dorate e una massa di
“capelli” come quella di
Odysseus che si muoveva come se fosse stata fatta di razor snakes
«Ma se hai
portato qui un altro cybercane, ricordati che ti
avevo già detto-»
La femme,
notando che a fissarla non erano solo le ottiche
dorata e verde del fratello ma anche quella azzurra di
chissà chi, si
interruppe e accese la luce del capanno.
Odysseus
sentì Glitch tremare e stringere le dita attorno
alle sue braccia come se si fosse trovato davanti un mostro, ed
emettere suoni
inconsulti nel tentativo di articolare parole che non uscivano.
Scylla,
guardando i due mech sul pavimento, sollevò
leggermente un sopracciglio.
«Ad
aver immaginato che avresti iniziato ad accogliere mech
randagi, ti avrei lasciato continuare coi cybercani».
Allora…
non so bene cosa dire se non che, per quanto questa
fanfiction sia nata più che altro perché ho avuto
voglia di far incontrare
questi due poveri disgraziati, non altera assolutamente niente a
livello di
quel che ho già scritto di Damus/Glitch/Tarn
e del suo passato nel resto delle mie storie. Le spiegazioni su come
Glitch sia
finito in un tempo che decisamente NON è il suo verranno
più avanti, incluso il
perché Scylla non abbia riconosciuto Glitch in “A
light for the lost and the
meek” e perché Tarn non abbia idea del fatto che
Scylla abbia un fratello e una
sorella.
Se riesco ad
andare avanti, cosa che spero :’D
Grazie a chi
ha letto e alla prossima!
_Cthylla_
Qui, ecco
delle immagini di Odysseus, Scylla e Glitch. Charybdis si
vedrà
dopo. I disegni dei fratelli
sono miei, quello di Glitch viene dai fumetti.
Volevo mettere
direttamente le immagini, ma purtroppo non ci riesco xD
|
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Capitolo 2 *** 2 - ''Benvenuto'' in famiglia ***
2
Charybdis si
rassegnò a tirarsi su dalla cuccetta con un
breve sbuffo carico di frustrazione.
Mandare avanti
l’attività non era facile perché, oltre
a
creare bambole, buona parte di quel che riguardava la
contabilità e il
controllo quaità/quantità delle materie prime
ricadeva su di lei -sebbene
Scylla desse il suo valido contributo e anche Odysseus, per quel che
poteva- e
lo stesso valeva per la gestione dell’ambiente domestico.
In teoria
avrebbe avuto poco di che lamentarsi dato che se le
cose stavano così era anche perché a lei per
prima piaceva avere sotto
controllo quanto più possibile dell'esistenza sua e di chi
le stava attorno, però era stancante lo stesso… e
i suoi
fratelli minori, invece di ringraziarla per l’impegno e la
dedizione che
metteva in tutto, interrompevano la sua meritata ricarica facendo
baccano.
Voleva
loro bene, ma in casi come quelli erano seccanti quanto una scheggia di
metallo
conficcata nel posteriore.
Scese al piano
di sotto riflettendo sul fatto che non sapeva
quale, tra Scylla e Odysseus, fosse peggio. Scylla era fuori controllo
perché, sebbene
fosse disciplinata nel proprio lavoro e nello svolgere i lavori di casa
quando
era il suo turno, non c’era nient’altro in cui le
desse retta e voleva sempre
fare le cose a modo proprio; quanto a Odysseus, la sua
incapacità di trattare
con le persone e di disinnescare le discussioni faceva sì
che tornasse spesso a
casa malmesso, col risultato di dover pagare cure che di solito non
erano gratis.
“E
noi non nuotiamo certo negli shanix. Fosse stato così
avremmo lasciato questo buco e riaperto altrove già da
tempo” pensò.
Nella sfortuna
però erano anche fortunati, almeno a livello
di cure mediche, perché Brushsling aveva una cotta per
Scylla che risultava palese
perfino a Charybdis, per quanto lei si sentisse estranea nei riguardi
di certe
cose e tutto ciò a esse correlato. Grazie a questo
c’erano state alcune volte
in cui avevano pagato un po’meno le cure di Odysseus e certe
in cui non le
avevano pagate affatto -il tutto senza che Scylla avesse connessioni
col medico.
Non che, per quanto ne sapeva Charybdis, a Scylla sarebbe dispiaciuto.
Per quanto
Brushsling in quanto medico avesse prestato certi
giuramenti, anche lui doveva mangiare e aveva spese alle quali fare
fronte.
Curare sempre gratis la gente non era un lusso che ci si potesse
permettere,
non laggiù.
Secondo
Charybdis, alla cotta si aggiungeva anche il fatto
che tutti quelli che finivano col prenderle da Scylla fossero quasi
costretti
ad andare nell’ambulatorio di Brushsling -non era
l’unico dottore, ma era
l’unico decente- e quindi a pagarlo, ma questa contrariamente
alla cotta era solo
una supposizione.
Raggiunse la
porta sul retro e l’aprì senza tante cerimonie.
«…
gli ho detto che poteva restare! Non sa dove andare, è
ferito-»
«Prima
di farlo avresti dovuto ricordarti che non vivi da
solo, Odysseus. E riguardo le ferite cosa pensi di fare? Sei diventato
un
dottore per magia e non ce l’hai detto?»
Un mech
arancio che non aveva mai visto -“Un senza-faccia!”
notò- era seduto a terra,
trattenuto con forza dai capelli di Scylla, lesta a legargli le mani
dietro la
schiena, tenere stretto il busto e avviluppare le gambe in una morsa
dalla
quale il tizio, comunque, non stava nemmeno provando a liberarsi. Era
una massa
di metallo tremolante e visibilmente terrorizzata.
«Lo
porto da Brushsling e lo faccio curare, gliel’ho
promesso-»
«Con
quali
soldi,
di preciso?»
«I
miei risparmi! Posso farci quel che mi pare o no?! Quando
ne avrò abbastanza-»
«Considerata
la tua tendenza a fare a botte con le persone
come se il corpo non fosse tuo direi che “quando ne
avrai abbastanza” li
terrai per non pesare sul bilancio famigliare per l’ennesima
volta, invece di
usarli per un miserabile a caso» si intromise Charybdis,
facendosi avanti in
tutta la propria considerevole stazza.
«Eccallà…
non avrei dovuto parlare di soldi. Quando uno lo fa, zac! Sbuca dal
nulla
come quando si invoca un demone» commentò Scylla.
«Scusami
tanto se presto attenzione ai bilanci. Dimmi chi è
questo tipo e da dove sbuca… anzi no» si corresse
Charybdis «Non voglio nemmeno
saperlo, buttatelo per strada e andiamo tutti a letto. Ne ho avuto
già abbastanza».
«Glitch mi ha aiutato!
C’era un tizio ubriaco-»
«E
tu ci hai discusso finendo col fare a botte»
completò
Charybis «Ovviamente».
Scylla
alzò gli occhi al cielo. «Lui non discute nemmeno,
è
il punching ball preferito del settore, è questo il
problema».
«…
ci è venuto addosso e io l’ho colpito con il
coperchio
del bidone-»
«Momento
-momento -momento: stai dicendo che hai reagito?» si
stupì Scylla «Questa è
da segnare sul calendario».
«Venendo
alle mani, che poi è esattamente quel che non deve
far-»
«Non
farla lunga, Chary. Ha reagito! Potrei anche
commuovermi, avrei davvero voluto vederlo. Sicuramente non è
servito a molto,
ma ci ha provato. Sta crescendo!» esclamò Scylla,
prendendo tra le mani il
volto del fratello.
«Aaah,
‘fanculo!» sbottò Odysseys,
allontanandosi «Sentite, gli
ho promesso che sarebbe potuto rimanere e mi ha dato una mano, quel
tizio è
finito per terra e non si rialzerà mai più, o
comunque non con le proprie
gambe, per cui-»
«Stai
dicendo che il budino di berillio qui presente è riuscito
a fare una cosa del genere? A guardarlo non l’avrei ritenuto
possibile. Forse
ho fatto bene a legarti, “Glitch”»
commentò Scylla, ora molto seria,
trascinando il mech davanti a sé «Come hai fatto
di preciso?»
Da parte del
mech in questione si sentì solo un mormorio
indistinto, che divenne uno strillo spaventato quando i
“capelli” di Scylla si
strinsero di più attorno a lui. Aveva anche iniziato a
piangere, non per il
dolore -per quanto la presa fosse stretta non lo era tanto da fare
così male-
ma per la paura.
«Scylla-»
iniziò a protestare Odysseus, venendo subito
interrotto.
«Hai
aiutato mio fratello, Budino: per questo ti ringrazio. Ora
dimmi in che modo, perché quando faccio una domanda voglio
che mi si risponda».
Charybdis si
limitò a scuotere la testa e sospirare, seccata
sia dall’atteggiamento della sorella sia da quella perdita di
tempo e di sonno.
Tuttavia non disse niente, perché suo malgrado aveva capito
da un pezzo che era
inutile farlo.
«O-outlier»
balbettò Glitch «I-i-io-»
«Un
outlier?» si sorprese la femme, allentando non di poco
la stretta «… immagino che sia sempre per questo
se quei simpaticoni del Senato
ti hanno ridotto in questo modo».
Il mech
annuì.
«Non
cambia niente» disse Charybdis «Non
resterà in casa
mia, non possiamo permetterci di accogliere chiunque Odysseus decida di
raccattare in giro. Buttalo per strada» ripeté
«E finiamola con questa storia».
«Lui
resta!» si intestardì il giovane jetformer
«Qui ci vivo
anche io o sbaglio?! Quel che penso io conterà pure
qualcosa!»
«Solo
in certi ambiti. Questo non è tra essi»
replicò
Charybdis, con aria più seccata che mai. Scylla fuori
controllo bastava e
avanzava, non serviva proprio che anche Odysseus si mettesse a fare
danni.
«Lo
dici tu!» esclamò Odysseus «Scylla, lui
mi ha salvato
dal finire conciato male, l’ha fatto anche se sapeva che
usare la sua abilità
gli avrebbe fatto male alla testa, non possiamo buttarlo per strada e
farlo
finire a stare in discarica un’altra volta!»
«La
sua situazione non ci riguarda» insistette Charybdis
«Scylla, a quanto pare sei l’ago della bilancia.
Conto che per una volta sarai
ragionevole».
La jetformer
disse così, ma qualcosa nell’espressione della
sorella minore le stava suggerendo che la
“ragionevolezza” non sarebbe stata
un’opzione che Scylla avrebbe tenuto da conto.
Vederla
liberare il senza-faccia un paio di secondi dopo
confermò i suoi timori.
«Ti
ho sentita dire spesso e volentieri che un garzone
avrebbe fatto comodo per le commissioni giornaliere da fare qui nelle
vie vicine»
disse Scylla «Ti ho anche sentita sbuffare che la casa,
nonostante i turni, non
è pulita come vorresti proprio perché tra tutti
siamo impegnati col costruire
le bambole e con le commissioni che ho già nominato.
Sbaglio?»
«Non
possiamo permetterci un garzone né tantomeno un
domestico».
«Può
pensarci il qui presente Budino. Gli diamo da mangiare,
lo mettiamo in mansarda insieme a Odysseus, perché lui
l’ha trovato e lui se lo
tiene, lo porto dal dottore perché lo rimetta in sesto e
pago usando tre quarti
dei risparmi di Odysseus e po’di soldi del negozio -essendo
il garzone…- ed
ecco fatto».
«No».
«Non
dobbiamo nemmeno pagarlo, Chary, a meno che non
vogliamo».
«…»
«Un
garzone E
domestico praticamente gratis non ricapiterà tanto
presto».
Charybdis
rimase in silenzio per un po’.
«Se
non lavora, o lo fa in una maniera che non mi piace,
torna nella discarica a forza di calci sul sedere» cedette
infine.
«Contavo
che per una volta fossi ragionevole» sorrise
Scylla, con appena un velo di sarcasmo nell’usare le parole
utilizzate da
Charybdis poco prima.
«Non
tirare la corda. E vedete di non fare ulteriore
baccano, perché vado in ricarica» concluse,
tornando in casa senza aggiungere
altro.
«Demone
degli shanix sistemato. In realtà non ha tutti i
torti a dire che dobbiamo stare attenti alle spese, ma se la crede
già a
sufficienza come Santa Protettrice Dei Bilanci senza che io le dia la
soddisfazione di riconoscerlo apertamente. Nulla da dire, Budino?
Grazie alla
sottoscritta non dovrai necessariamente tornare in discarica».
Glitch, a
testa bassa, mormorò a fatica qualcosa che suonò
come “Non ero sicuro di avere il permesso di
parlare”.
Scylla
sollevò brevemente un sopracciglio. «Hai
già parlato
e non ti ha rimproverato nessuno».
«H-ho
ri-risposto a una domanda… n-non sapevo s-se
potevo…
se potevo p-parlare liberamente o no».
«Non
ho capito bene quel che hai detto, quindi alzati e
ripetilo guardandomi in faccia».
«I-io-»
«In
piedi».
Glitch
obbedì e, a fatica, alzò la testa abbastanza da
guardare negli occhi la femme.
«N-non
sapevo s-s-se potevo parlare liberamente o n-no».
«Finché
non farai danni e ti comporterai da persona e non da
rifiuto robotico, per quanto i simpaticoni che ci governano possano
averti
messo in testa di dover fare proprio questo, potrai parlare
liberamente.
Tenendo conto il fatto di essere il garzone, ma liberamente. Hai
capito?»
«Sissignora»
bisbigliò il mech.
«Non
ho sentito».
«Sissignora»
ripeté Glitch, con un tono di voce più normale
«E… e g-grazie».
«Prego.
Domani mattina lo porto dal medico, Odysseus, quindi
rimandate il pigiama party di benvenuto a un’altra occasione.
A domani»
concluse Scylla, saltando oltre la rete per tornare a perdersi tra i
vicoli
bui.
Per quanto fosse puntuale nell'iniziare a lavorare ogni mattina, era
sua abitudine starsene in giro per il quartiere fino oltre le una, a
volte semplicemente per stare in giro, a volte per trovare
qualche mech di suo gusto o giocare qualcuno degli scherzi atroci con
cui si divertiva a spaventare le persone di proposito, o tutte e tre le
cose insieme; e quella sera, nonostante il pit-stop imprevisto causato
dagli strilli di Odysseus, non faceva eccezione.
«Eeeevvaiiiii,
puoi rimanere!» esultò Odysseus, saltando al collo
del suo nuovo coinquilino
«Oddio scusa! Mi ero dimenticato che tu e il contatto fisico
non andate molto
d’accordo» si dispiacque, sentendo Glitch
sobbalzare come suo solito.
«N-non
è che mi dispiaccia, è solo che non…
n-non sono
abituato a essere toccato. N-non più… e di certo
non i-in questo modo».
«Dai,
magari col tempo ti riabitui! Se lavori bene puoi
restare, hai sentito. Andiamo?»
Glitch non si
oppose né al fatto che Odysseus dopo aver
preso le coperte dal capanno lo trascinasse in casa, né al
suo chiacchiericcio
-a volume contenuto, perché nessuno aveva voglia di trovarsi
davanti Charybdis
un’altra volta.
«Al
piano terra c’è il negozio e un piccolo
bagno» disse
Odysseus mentre salivano le scale «Qui invece ci sono la
stanza di Chary,
quella di Scylla, un altro bagno e la cucina/soggiorno. Sopra,
invece»
continuò, salendo l’ultima rampa di scale che,
stavolta, portava a una botola
«C’è la tana del luponoide!»
«A-avete
un luponoide in casa?!»
«Era
un modo di dire, il luponoide sarebbe… dovrei essere
i…
vabbè, lascia stare. Prego!» esclamò il
jetformer dopo essere salito e aver
acceso la luce.
Bambole dalle
fattezze mostruose.
Bambole dalle
fattezze mostruose ovunque.
«Ecco
le mie creazioni. Non avere paura, non ti fanno niente
nemmeno loro» disse Odysseus, vedendo Glitch guardarsi
intorno un po’intimidito
«Quando ho deciso di volere un po’di privacy e ho
sistemato la mansarda per
stare quassù l’ho resa anche il mio studio.
Staremo bene anche quando
diventerà più freddo, il tetto è
isolato e arriva calore dal piano di
sotto. Ho anche un bagno tutto mio, è piccolo ma
c’è pure la doccia… a
proposito, vai pure».
«C-come?...»
«Eeeh…
la doccia. Puoi usarla. Penso che non ti dispiaccia,
no?»
Il mech color
arancio, dopo qualche istante di immobilità,
scoppiò a piangere.
«Non
è che hai paura dell’olio, vero?...»
Glitch scosse
la testa. «No… è solo… tu sei gentile».
«Faccio
quello che posso… dai, amico, va tutto bene»
cercò
di tranquillizzarlo Odysseus, abbracciandolo.
Stavolta,
Glitch non sobbalzò.
«E
anche le mie sorelle in fondo non sono male… Charybdis
è
un po’… beh. Com’è»
fece una breve smorfia e alzò gli occhi al soffitto
«Ma in
fondo non è una persona cattiva. Scylla nemmeno, anche se
è drastica. Lo vedrai da solo
conoscendole
meglio».
«…
mi fa tanta paura».
«Mh?»
«S-Scylla.
Mi fa tanta paura e n-non so n-nemmeno bene
perché…»
«Sì
beh considerando che ti ha legato come un salame di
cadmio appena ti ha visto non hai tutti i torti».
«N-non
è per quello. I-io non la conosco ma è come
se… è
come se… non lo so, è tipo…
familiare».
«Magari
l’hai vista non so dove qualche tempo fa, non passa
inosservata».
Glitch si
strinse nelle spalle. «N-non lo so. Lo sai che non
mi ricordo granché della mia vita».
A Odysseus
sarebbe piaciuto poter fare qualcosa di più per
il suo nuovo amico nonché coinquilino ma per quella sera,
concluse, liberare un
po’di spazio e cercare di procurarsi dei materiali per una
cuccetta vera nei
giorni a venire era la migliore nonché unica cosa che
potesse fare per lui.
E anche questo
capitolo c’è :D
Rispondo a
domande che probabilmente nessuno si è posto xD:
-
Sì: questa storia non va ad alterare quanto ho
già
scritto, ma è “canonico” rispetto a esso;
-
Sì: se Glitch avesse i ricordi al proprio posto, saprebbe
benissimo chi è Scylla. Lui, come Damus, ha conosciuto la
Scylla futura. Lei
invece, che qui è ancora giovane e sana, non ha idea di chi
egli sia :)
Alla prossima,
_Cthylla_
|
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Capitolo 3 *** 3 - Anche ''loro'' erano medici ***
3
“Pazienza,
Charybdis: durerà al massimo due giorni, e
nel mentre puoi fargli fare qualcosa di utile”
pensò la jetformer mentre,
chiusa in bagno, ritoccava il motivo a puntolini arcobaleno che aveva
disegnato
sulle proprie ali.
Per quanto
rigida potesse essere -“Come una miliziana
particolarmente stronza quando verso la fine del mese il settore vuole
rimpinguare le casse e allora giù! Multe come se
piovessero”, diceva quella
piccola lingualunga di Scylla-
possedeva un’anima creativa non indifferente che si
rifletteva nelle bambole
allegre e colorate che produceva, nonché su alcuni decori
del suo corpo sul
quale, come per Scylla, predominavano il blu e il magenta.
Probabilmente
sarebbe stata un po’ meno rigida se
all’improvviso non si fosse sentita caricare le spalle del
peso del mondo, o
comunque del loro piccolo
“mondo”.
Probabilmente, un tempo, “un po’meno
rigida” lo era stata sul serio. Non ne era
molto sicura: nel cercare di ricordare i tempi passati, cosa che non
faceva
spesso, si rendeva conto di avere difficoltà a rievocare
certe memorie. Forse
era una sorta di autodifesa per non avere periodi un
po’più spensierati da
paragonare a quello attuale -e da rimpiangere- sapendo che in ogni caso
non
sarebbero tornati.
A un certo
punto sentì un certo baccano provenire dal piano
di sotto e, per l’ennesima volta, alzò gli occhi
al soffitto. Il senza-faccia
aveva detto qualcosa che lei non aveva capito, non che a lei importasse
granché, e poi aveva strillato un “Odysseus,
aiuto!”.
“O
forse non durerà nemmeno due giorni, dopotutto”
pensò
Charybdis.
***
«No,
no, no-»
«Hai
già dimenticato quel che ti ho detto ieri sera sul
comportarti da persona e non da rifiuto robotico?»
«Scylla,
ti sei resa conto anche tu che lui è un
po’… lasciami
venire con-»
«No,
Ody. Hai da fare qui e io lo sto portando dal medico, non al
macello».
«Odysseus
non lasciarmi solo non farmi andare da solo-»
Odysseus,
ancor più in pena per il suo nuovo coinquilino di
quanto fosse stato il giorno precedente, fu costretto a scuotere la
testa.
«Scylla purtroppo ha ragione, non posso-»
«N-non
mi porterà dal medico! Vuole… vuole afferrarmi
con i
capelli!» esclamò il povero Glitch che, preda
dell’isteria più totale, cercò
perfino di infilarsi sotto il divano dov’era seduta la
“gemella” bambola di
Scylla «Vuole trascinarmi per strada e f-farmi prendere a
calci e sputi
da-dalle persone e poi e p-poi ributtarmi i-in mezzo ai rifiuti
più morto che
vivo, è una trappola, aiutami, ti prego ti prego-»
Le sue grida
diventarono ancora più disperate quando Scylla,
spazientita dalla situazione, avvolse i propri capelli attorno alle
caviglie
del povero mech aranciato e lo fece uscire con la forza da sotto il
divano.
Glitch stava cercando di aggrapparsi al pavimento con forza, al punto
di lasciare dei
segni con le sei dita che aveva -sempre se si potevano chiamare dita-
ma non
stava ottenendo altro se non uno stridio acuto.
La situazione
avrebbe potuto perfino risultare comica agli
occhi di alcuni ma in realtà, trattandosi della reazione di
una persona
orrendamente traumatizzata, c’era ben poco di divertente.
Anche quel che aveva
detto prima riguardo l’essere trascinato in strada ed essere
preso a calci,
insulti e sputi, pensò Odysseus, difficilmente era frutto di
una paranoia
venuta dal nulla. Era molto probabile che gli fosse successo davvero
almeno una
volta, o forse più d’una, o forse gli era capitato
anche di peggio. In fin dei
conti quella era una persona senza più diritti e, anche se
pensarci lo
disgustava nel profondo, non l’avrebbe stupito sapere che
gruppi di gentaglia
più o meno o per nulla ubriaca potesse averlo usato per
delle connessioni forzate
fatte al solo e unico scopo di umiliarlo ancora di più. Le
persone dopotutto
facevano schifo, soprattutto quando erano in gruppo: Odysseus ne era
piuttosto
convinto.
«No!
N-no, non voglio!»
continuò a protestare
Glitch, agitandosi e rischiando di far cadere due bambole prontamente
salvate
da Scylla con uno dei suoi “capelli”
«Odysseus, ODY-»
Un manrovescio
ben piazzato da parte di Scylla pose fine al
tutto.
«E
ora andiamo dal medico» disse la femme, avvolgendo la
propria chioma attorno al busto e all’addome di Glitch
«Non ci metteremo molto,
Odysseus».
Odysseus
annuì brevemente, avvicinandosi a Glitch che
sembrava aver perso ogni voglia di reagire in qualsiasi modo.
«Ti porta dal
medico e poi torni qui, non succederà niente di strano,
ok?»
Glitch non
diede mostra di averlo sentito e, quando Odysseus
gli mise una mano sulla spalla, non sobbalzò neppure:
piangeva e basta,
stavolta in perfetto silenzio.
«No,
Budino» disse Scylla, asciugandogli con una certa
delicatezza le lacrime usando un panno trovato lì vicino
«Non è proprio il caso
di farsi vedere a piangere per strada, tantomeno da queste parti. Cerca
di
tenere le lacrime per dopo, se ne avrai ancora voglia».
Quando
lasciarono il negozio, Glitch -forse per un tentativo
riuscito di obbedire agli ordini- non piangeva più.
***
“Ora
mi butterà a terra”
“Mi
butterà a terra E
trascinerà la mia faccia su tutto
l’asfalto”
“Mi
prenderà a calci e dirà anche agli altri di
farlo, mi
massacreranno a suon di pugni, mi strapperanno via il pannello
inguinale e poi,
e
poi-”
Glitch tremava
proprio come un budino, come Scylla l’aveva
rinominato, e se cercava di stare al passo e non cadere a terra era
solo per un
briciolo di residua volontà di non facilitarle il
lavoro… anche se una parte di
lui gli stava suggerendo che forse invece avrebbe dovuto fare proprio
questo.
Sottomettersi, lasciarsi fare tutto quel che avrebbero voluto fargli e
sperare
che finisse presto, o di riuscire a dissociarsi abbastanza da
risentirne un
po’meno.
Lui per fortuna
non
era mai stato forzato alla connessione, ma l’aveva visto
succedere a un altro
disgraziato come lui, uno dei frammenti di ricordi che gli erano
chiari:
difficilmente avrebbe mai dimenticato l’
“espressione” vacua di quel mech, i
suoi arti molli come quelli di una bambola di pezza sobbalzare solo a
causa
delle spinte continue di coloro che stavano disponendo di lui come
meglio
credevano, ancora e ancora.
“Quando
comincerà?”
“Perché
non lo fa subito?”
“Vuole
prolungare la mia agonia”
“Vuole
che inizi quasi a illudermi che non lo farà e poi lo farà”.
Iniziò
a mormorare una preghiera rivolta a Primus, poi
ricordò una cosa fondamentale: se davvero Primus esisteva
ancora, era un
gradissimo stronzo al quale non importava alcunché dei
propri figli. In caso
contrario non avrebbe lasciato che lui, e tutti gli altri ridotti come
lui,
subissero tutto quel che avevano subito e subivano. Se fosse stato meno
spaventato, meno stanco della propria esistenza, avrebbe potuto perfino
lasciarsi prendere
dall’ira nei suoi confronti.
Ma anche
così, a Primus non sarebbe importato.
Continuarono a
camminare. Glitch -si era chiamato Damus,
ricordava anche questo, ma quel mech ormai non esisteva più.
“Sentiva” anche
che Damus non era mai stato un granché ma che lui,
nonostante questo, era
ridotto a essere la pallida e pavida ombra del “non
granché”- suo malgrado si
trovò a prestare più attenzione a quel che aveva
intorno, perché quel che
temeva che sarebbe successo non stava succedendo ancora. Non avrebbe
dovuto
illudersi così, lo sapeva, se avesse iniziato a essere
più presente sarebbe
stato solo peggio ma non riuscì a evitarlo.
C’era
il sole. Era così anche il giorno prima, e se lui non
avesse avuto ben altri pensieri il tepore dei raggi sarebbe stato
persino
gradevole. La strada non era silenziosa né vuota:
c’era gente che andava, gente
che veniva, gente che lavorava per sopravvivere al degrado, gente
ubriaca già
dal mattino -forse per dimenticare il degrado stesso: tutti i casi
“umani”
accumulati dalla miseria della periferia, e Scylla, in tutto questo, si
faceva
largo lì in mezzo con l’aria di chi si sentiva la
regina della strada,
tenendolo legato a sé coi “capelli” come
un cybercane al guinzaglio.
Un cybercane
al quale, tuttavia, nessuno stava rivolgendo un
insulto o torcendo un circuito.
C’erano
delle occhiate perplesse ma a parte quelle niente di
più. Le persone salutavano Scylla nonostante fosse in sua
compagnia. Qualcuno
più audace a un certo punto le chiese del suo
“senza-faccia personale”, e
Glitch la sentì rispondere che lui era il suo nuovo garzone,
che d’ora in
avanti l’avrebbero visto spesso, e “Quindi vedete
di trattarmelo bene, doverlo
curare rallenterebbe il mio lavoro, che verrebbe ulteriormente
rallentato anche
dal dover fare una chiacchierata con chi mi ha fatto perdere
tempo”.
Quella femme
sembrava aver intenzione di prendere una via
più lunga per portarlo dal medico, sfruttando la situazione
per i classici “due
lilleth con una mollica di zinco”: lo trascinò qui
e là per svolgere delle
commissioni in vari posti lungo la via, tutti correlati al suo lavoro
con le
bambole, e a tutti, pur con parole diverse, fece un discorso analogo a
quel che
aveva fatto in precedenza. “È il nuovo
garzone”, “Quando verrà per i materiali
trattalo come tratteresti me e i miei familiari, mi
raccomando”, “Di certo non
potrebbe mai essere il tuo caso ma vorrei evitare discussioni
sgradevoli se
tornasse ammaccato, sai che sono una donna impegnata e sicuramente mi
capisci”.
Una parte di
lui continuava a intimargli di non illudersi,
ma non poté evitare di iniziare a sperare che forse, magari, era vero che Scylla
non voleva fargli del male, che
l’avrebbe portato dal medico e poi l’avrebbe
riportato nel negozio, da
Odysseus; e forse, magari, questi non
era un traditore come aveva iniziato a credere con tristezza e
rassegnazione
quando Odysseus l’aveva lasciato andare con Scylla da solo.
Ora si sentiva
anche in colpa per il pensiero.
Dopo un altro
paio di negozi e posti arrivarono all’ennesimo
edificio basso e grigio. Le sole differenze da molti altri che aveva
visto
erano un buon livello di pulizia e la porta d’ingresso,
così come le finestre,
decisamente più nuove. Anche l’interno, come
poté notare una volta che lui e
Scylla furono entrati, odorava di pulito e di disinfettante. La sala
d’attesa
per il momento era vuota, e Glitch pensò che fosse meglio
così, perché iniziava
a rendersi conto che anche l’idea di andare da un medico gli
stava causando una
sensazione di ansia che cresceva secondo dopo secondo.
Sobbalzò
quando Scylla, all’improvviso, bussò a una porta
con una rapida serie di colpi.
«Brushsling!
Ti muovi a portare qui fuori quelle chiappe
d’oro o no?»
Glitch
riuscì a sentire un sospiro e dei borbottii da dietro
la porta prima che un mech bianco e oro -incluso il bacino, il che
rendeva
“chiappe d’oro” una definizione
veritiera- con uno sguardo abbastanza scocciato
negli occhi rosati si decidesse ad aprire la porta. «Anche se
non c’è gente
potresti chiamarmi in maniera più urbana, Scylla».
«Oppure
anche no. Ho un paziente per te».
«Non
c’era bisogno che lo dicessi, non vieni mai qui per
invitarmi a prendere l’enercaffè di cui parliamo
da un pezzo».
«Sai
che lavoro parecchio».
«Sì,
e quando non sei impegnata con il lavoro sei all’arena
di Kaon per vedere i gladiatori».
«A
dire il vero il gladiatore che mi interessa andare a
vedere è uno soltanto».
Il medico
sollevò un sopracciglio metallico, ma non aggiunse
altro. «… allora, Odysseus,
cos’è successo stav-»
Il dottore era
stato talmente concentrato su Scylla da non
notare subito che il paziente da trattare non era il solito. Quando
vide lo
sguardo di Brushsling posarsi su di lui, Glitch istintivamente corse a
nascondersi dietro a Scylla, di nuovo vicinissimo a un attacco
d’ansia pari a
quello di prima… o forse anche peggio, perché gli
stava quasi facendo
dimenticare che lui, di Scylla, aveva ancora paura.
«Il
mio nuovo garzone è ferito, ha bisogno di una visita
completa e di varie riparazioni. È una novità
rispetto al solito, visto?...
forza, Glitch» disse poi, chiamandolo per la prima volta con
la sua
designazione «Vai col dottore, ti aspetto qui
fuori».
«No!»
«Non
ricominciare con la scena di prima. Vai dentro con
Brushsling, hai bisogno di cure».
Lei aveva
ragione, e Glitch ne era consapevole, ma non
riusciva assolutamente a fare un passo oltre la soglia. Iniziava anche
ad avere
problemi al sistema di ventilazione, cosa che purtroppo gli succedeva
spesso.
Gli sembrava di ricordare che per un po’le cose, almeno in
quell’aspetto,
fossero migliorate, ma quei miglioramenti erano andati a farsi friggere.
«N-no!
No, non… non voglio andare dentro da solo, per favore
per favore NO-»
«È
un medico» disse Scylla, mentre il medico in questione
guardava entrambi con aria molto seria «I medici aiutano le
persone».
«Anche LORO erano
medici!»
esclamò Glitch, per una volta senza balbettare, mostrando le
sue
“mani” «Anche loro lo erano, e mi hanno
fatto QUESTO!»
Silenzio.
Forse urlarle
contro in quel modo era stato uno sbaglio,
pensò, iniziando a balbettare scuse inconsulte tra una
preghiera di non
riportarlo in discarica e una di non fargli male.
«Entro
con te, dai» disse Scylla, poggiando una mano sulla
sua spalla.
Il contatto lo
fece sobbalzare, ma la mano della femme
rimase dov’era.
«Ti
rendi conto che per fargli una visita completa dovrò
rimuovere anche il pannello inguinale a un certo punto,
vero?» domandò
Brushsling a Scylla una volta entrati e chiusa la porta.
«Mi
volterò dall’altra parte, è molto
semplice».
La visita, per
quanto accurata, procedette in modo tutto
sommato veloce. Il medico fu delicato, professionale, abbastanza da far
sì che
Glitch si calmasse e il sistema di ventilazione riprendesse a
funzionare in
modo corretto. Stesso valse per le riparazioni, durante le quali Glitch
rimase
fermo a fissare le luci bianche del soffitto. Solo in
un’occasione, voltando la
testa alla propria sinistra, incrociò lo sguardo di Scylla,
e vedendola
sollevare i pollici e addirittura accennare un sorriso gli venne voglia
di
mettersi a piangere un’altra volta -senza neanche capire
perché.
Scylla dovette
farci caso, perché sollevò un sopracciglio e
un indice in segno di avvertimento, motivo per cui l’inizio
di piagnucolio
passò subito.
«Ecco
fatto» annunciò Brushsling una volta che ebbe
finito
«Sei a posto».
«G-grazie»
mormorò Glitch alzandosi dal lettino medico.
«Ora
però devo restare solo col tuo capo per un minuto»
disse il medico «Anche meno. Credi di poter stare un attimo
in sala d’aspetto?»
«…!»
«Non
c’è ancora nessuno, lo vedi dalle telecamere, e
comunque qui non può succederti niente, già solo
perché a due passi ci sono io» disse
Scylla «Sono più “secca” di te
ma ti assicuro che se serve faccio male lo stesso».
«N-n-non
ne dubito. Io… mi metto qui fuori. Sì».
Uscì
dall’ambulatorio, crollò a sedere di fianco allo
stipite e chiuse il sensore ottico. La visita era filata liscia,
nessuno gli
aveva fatto del male. Forse Odysseus aveva ragione anche su sua
sorella, per
quanto fosse una donna dura non era malvagia… anche se gli
faceva ancora paura.
Probabilmente avrebbe continuato ad averne per un pezzo.
Accorgendosi
di sentire le voci di Scylla e Brushsling,
anche se normalmente nessuno avrebbe potuto dato che
l’ambulatorio era
insonorizzato, si concentrò sulle loro frequenze
finché non divennero chiare. Era
parte della sua abilità da outlier, così come
disattivare macchine e parti
delle persone con un tocco. Qualcosa dal suo inconscio gli
ricordò un “Un
giorno sarai in grado di farlo anche a distanza”, ma non
sapeva chi l’avesse
detto e quando.
«…
quei
porci
maledetti del Senato, e il Gran Consiglio con loro, devono
bruciare
tutti all’Inferno dopo le più atroci
sofferenze!»
«Parole
dure per un medico».
«Perché,
vuoi farmi credere che tu non la pensi allo stesso modo?
Non vorresti appiccarli tutti da qualche parte e accendere il fuoco
sotto di
loro, specie ora che hai conosciuto quel povero disgraziato
lì fuori?! Non è il
primo che vedo, sai che ho vissuto ad Iacon prima di tornare qui. A
meno di una
mnemosurgery profonda né lui, né tutti quelli a
cui quei bastardi hanno fatto l’empurata,
si riprenderà mai più: è un marchio a
fuoco dritto nell’anima, Scylla, e non ho cercato una cazzo
di maniera poetica per dirlo. Potrebbero cambiare
loro corpo anche dieci volte, potrebbero
provare a cambiare la propria esistenza anche in diecimila modi se
trovassero la
forza di farlo, ma sotto sotto sono e sempre resteranno delle vittime
di
empurata: è
così che stanno le cose. Maledetti pezzi di
scarto…
siano maledetti tutti, spero che un giorno la gente si svegli tutta
insieme e dia loro quel che meritano!»
«Il
fatto che tu abbia rischiato di finire come Glitch
ti rende ancora più sensibile alla cosa, immagino. Quanto ti
devo?»
«Dieci
shanix».
«Soltanto?
Scherzi?»
«No.
Hai sentito quello che ha detto: sono stati dei medici
a fargli questo, non che non lo sapessi già, e se ti chiedo
questa cifra è solo
perché… per gli stessi motivi di tutti. In caso
contrario non avrei voluto
proprio niente, stavolta».
Glitch smise
di ascoltare. Cercando di mettere da parte la
diagnosi infausta sulla sua salute mentale, anche perché non
era nulla che lui
non immaginasse già, pensò che il Senato non
fosse granché popolare nemmeno da
quelle parti. Da quando veniva lui, però, lo era ancor meno.
Un momento:
perché aveva pensato “da quando” e non
“da dove”?
Sobbalzò
per l’ennesima volta quando la porta si aprì.
«C’erano
delle sedie, te n’eri accorto?» gli
domandò Scylla,
per poi sospirare «Dai, alzati. Andiamo a casa».
«C-casa?...»
«Già.
Abbiamo fatto insieme le commissioni che da domani
farai tu, ma i pavimenti di tutto l’edificio e i mobili non
si tirano a lucido
da soli, così come le stoffe delle bambole, le tende e le
coperte delle
cuccette non si lavano, stirano, piegano e mettono a posto per magia.
Poi ci
sarebbe anche il capanno da riordinare, già che ci siamo, ma
quello magari lo
farai nei prossimi giorni».
«Scylla»
disse Brushsling, con tono di palese rimprovero.
«Non
guardarmi in quel modo, è già tanto che abbia
convinto
il Demone degli Shanix a farlo restare. Era totalmente contraria, le
è andata
male solo perché Odysseus con me era in maggioranza. Tra
l’altro è la prima
volta che lo vedo intestardirsi così tanto su qualcosa, ma
ti dirò, ne sono
stata felice».
«Spero
di non rivederlo qui tanto presto, e lo stesso vale
per te» aggiunse il mech, rivolto a Glitch
«… quanto a te, invece, ora hai
ancora meno scuse per rimandare quell’enercaffè a
casa mia. Sono abbastanza
convinto che come lo preparo io potrebbe piacerti».
«E
io ne sono sicura ma, dato che tu e io siamo amici da
quando eravamo protoforme, vorrei evitarti il rischio di rimanere
scottato.
A forza di berlo finiresti così e mi dispiacerebbe non poco.
Ci vediamo»
concluse Scylla, uscendo dall’edificio con Glitch.
Il mech
non aveva
capito granché tutto il discorso
dell’enercaffè, e una volta fuori dalla porta
rimase fermo ad aspettare che Scylla, come aveva fatto in precedenza,
gli
avvolgesse attorno i propri capelli.
Notando la sua
immobilità, lei lo guardò con aria perplessa.
«Cosa stai facendo?»
«N-non…
icapelli».
«Prego?»
«C-credevo…
pensavo… q-quando siamo venuti qui, tu… i
capelli. Intorno al corpo».
«Non
credo ci sia il rischio di vederti fuggire a causa di
un attacco isterico e ora la gente lungo la strada sa che lavori per
me, quindi
basta che tu mi stia vicino, non c’è bisogno che
io ti “leghi” di nuovo. A meno
che tu lo voglia. Di’, in passato avevi il kink del
bondage?» aggiunse,
sorridendo sottilmente.
Glitch si
coprì il volto con le mani. «M-m-m-ma n-no cosa
come io n-n-»
«Non
saresti il solo che conosco, già che prima si è
parlato
di gladiatori… d’accordo, lasciamo stare.
Sbrighiamoci a tornare a casa,
Charybdis ci starà già aspettando
all’ingresso pronta a protestare per il tempo
che abbiamo impiegato».
«N-n-non
s-sono molto gradito a-a lei» osservò Glitch,
attorcigliando nervosamente le dita tra di loro.
«Vero.
Se vedrà che lavori sodo però alla fine
smetterà di
sbuffare, tutto sommato con lei basta poco. Certo, non aspettarti che
prima o
poi diventi tutta sorrisini, risatine e abbraccini, Chary non
è in quel modo
con nessuno. Non più».
«Ca...
capito».
«Se
lavorerai bene e soprattutto eviterai altre scene come
quella di prima potrai stare tranquillo riguardo il fatto che nessuno
di noi ti
toccherà con un dito, Budino, anch’io ne avrei
fatto a meno volentieri».
«Sta-stavo
danneggiando l-le bambole. N-n-ne ho quasi… quasi
buttate a terra d-due. Se ricordo bene. A-avevo iniziato a fare d-danni
nel
negozio».
«Non
di proposito e di certo non ti stavi divertendo, ma sì.
Tra l’altro erano due di Chary. Per informazione: quelle
più allegre e colorate
sono le sue, quelle molto realistiche e quelle erotiche sono le mie, e
quelle
di Ody… già lo sai. Credici o meno, vanno a
ruba».
«C-ci
credo. Sono belle».
«Stasera
quando sarete entrambi nella tana del luponoide
dovresti dirglielo, gli farebbe piacere, anche perché mi ha
detto che ieri sera
gli sei sembrato un po’intimidito anche da quelle».
«N-non
c’è niente da cui io… da cui io non lo
sia» disse
Glitch, con una certa amarezza nella voce «Però le
trovo belle, davvero. A-a
essere sincero q-quelle più realistiche m-mi fanno molta
più impressione…»
Per un attimo
temette di aver parlato troppo, ma Scylla si
mise a ridere.
«Non
sei il solo! Anche Odysseus si spaventa sempre quando
vede me al bancone e la mia gemella sul divano all’entrata,
anche se quella
bambola è lì da vorn e vorn e lui lo sa
benissimo. Budino, Budino, che amico
che ti sei fatto!...»
«Io
sono contento che lui mi chiami amico. Non è fisicamente
forte ma è una bella persona, meriterebbe molto di
più».
«È
vero e potrebbe avere quel che merita in qualsiasi momento,
se si desse una svegliata. Però deve prenderselo, non
aspettare che glielo diano
gli altri. Stesso vale per te, empurata o meno».
Glitch non
disse niente, evitando anche di rispondere con un
borbottio indistinto che, l’aveva imparato, non sarebbe stato
per nulla
gradito; e pensando a tutto il programma di pulizie, lavaggi e
quant’altro, si
rese conto che avrebbe avuto parecchio altro da fare prima di potersi
complimentare con Odysseus per le sue bambole e prima di poter
confessare il
proprio pensiero errato riguardo a un tradimento, nonché
scusarsi per esso.
Per quanto
potesse essere dura, però, essere trattato un
po’più
da persona e un po’meno da scarto era decisamente preferibile
al tornare in
mezzo ai rifiuti a chiedersi, di nuovo: “Perché
‘da quando’ vengo, e
non ‘da dove’?”.
Stavolta
niente da dire se non “mannaggia mi sono
dimenticata di mettere il link al disegno di Charybdis,
>>> eccolo”.
Grazie a chi
legge e/o recensisce. Alla prossima,
_Cthylla_
|
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Capitolo 4 *** 4 - E l'ansia divenne arte ***
4
Il solo
sensore ottico di Glitch si aprì lentamente mentre i
suoi sistemi tornavano online man mano. Doveva essere andato in
ricarica, ma
era strano: per quanto ora guardando fuori dalla finestra vedesse il
buio della
notte, nei suoi ultimissimi ricordi risultava essere ancora giorno
quando era
salito in mansarda da Odysseus per lavare il pavimento. Ricordava anche
di aver
svolto il proprio compito mentre Odysseus, seduto al banco da lavoro,
si occupava di una delle proprie bambole.
“Poi
mi sono seduto sulla mia cuccetta, mi sembra di
ricordare che lui mi avesse detto di riposarmi un attimo. E
poi… buio”.
Iniziò
a preoccuparsi. Forse oltre a non ricordare granché
del proprio passato, se non in maniera estremamente frammentata -e
senza
riuscire ancora a spiegarsi il motivo- stava iniziando a perdere il
contatto
anche col presente? Forse la domanda che si era posto per qualche
giorno dopo
essere stato portato dal medico, alias “perché quando e non
dove”, era semplicemente frutto dei danni mentali che
l’empurata e le sue conseguenze gli avevano causato?
Ancora un
po’intontito, passò qualche secondo a fissare il
soffitto. La sua cuccetta era piuttosto vicina al banco da lavoro di
Odysseus,
il quale tra una bambola e l’altra, oltre che ai propri
oggetti, era riuscito a
ricavare abbastanza spazio solo lì vicino. Il risultato era
stato comunque
qualcosa di comodo, soprattutto quando Odysseus si era sforzato di
rendere la
sua cuccetta più vera e meno “di
fortuna”, nonostante lui gli avesse detto che
non era necessario.
Quando
l’aveva vista si era messo a piangere… tanto per
cambiare. Per fortuna non c’era Scylla in giro, altrimenti
avrebbe avuto da
ridire. In quei giorni non gli aveva più dato schiaffi
né altro -del resto lui
non aveva né fatto particolari danni né
“fatto altre scene” come quella del
mattino della visita- ma non aveva mai fatto mistero del fatto che i
suoi
momenti di pianto non le piacessero. Glitch non riusciva a darle tutti
i torti,
non piacevano a lui per primo, ma era difficile trattenersi, ed era
ancor più
difficile “incazzarsi invece di piangere, con la rabbia puoi
combinare
qualcosa, con il piagnucolio no”. Anche lì Glitch
non poteva darle tutti i
torti, a dirla tutta avrebbe tanto voluto riuscire a darle retta.
Si
voltò verso destra. Odysseus era seduto al
banco da lavoro, con le gambe
incrociate com’era suo solito -Glitch non capiva come facesse
a riprendere a
muoverle dopo ore e ore passate così- e stava rifinendo
parte di un materiale
reso malleabile da un diffusore di calore al laser. Anche le sorelle
utilizzavano la stessa tecnica, ma mentre loro creavano bambole dalle
forme
armoniche, esteticamente gradevoli e spesso decorate con stoffe
più o meno
colorate, i lavori di Odysseus avevano un carattere molto
più cupo.
Continuò
a osservarlo. Nel giovane mech non c’era niente
della classica goffaggine con cui faceva -e diceva- qualsiasi cosa, non
in quel
momento. La mano ferma e la precisione con cui maneggiava quello
strumento da
lavoro appuntito avrebbero potuto tranquillamente essere quelli di uno
mnemosurgeon. Anche lo sguardo,
peculiare dato che Odysseus aveva ottiche di colore diverso, era quello
tranquillo e sicuro di chi sapeva perfettamente cosa stava facendo e di
essere
bravo nel farlo.
Glitch
pensò che sarebbe potuto stare a guardare per ore
quello “stato” del suo amico. Era un livello
che lui non aveva mai raggiunto in nulla, o se mai ci era riuscito non
lo
ricordava, e dal quale al momento non sarebbe potuto essere
più lontano.
«Ti
sei svegliato» disse Odysseus, rivelando che pur essendo
impegnato nel suo lavoro non aveva perso il contatto con ciò
che lo circondava.
«Sì.
N-non volevo disturbarti, mi dispiace…»
«Niente
disturbo».
«Sicuro?»
«Tranquillo,
Glitch. Anche riguardo l’esserti addormentato-»
Solo in quel
momento Glitch realizzò qualcosa della quale
avrebbe dovuto rendersi conto subito: qualsiasi cosa fosse successa,
aveva
perso mezza giornata di lavoro.
Alla relativa
calma provata fino a un momento prima subentrò
un panico assoluto che lo portò ad alzarsi in piedi di botto
e cercare di
scendere al piano di sotto… col solo risultato di inciampare
miseramente in una
coperta che non ricordava di essersi messo addosso e cadere di faccia.
«Glitch,
cos-»
«Devo
tornare di sotto, devo passare la notte a recuperare
tutto quel che non ho fatto, se non lo faccio tua sorella mi prende e
mi butta
di nuovo in discarica!» esclamò, cercando di
rialzarsi «L-lo voleva fare già
l’altro ieri quando ho fatto cadere la lampadina che dovevo
cambiare!»
«Era
quella fusa, mica quella nuova».
«Lo so, ma
Charybdis-»
«Quando
ho visto che ti sei addormentato ho detto alle mie
sorelle che saresti rimasto quassù perché mi
servivi per la bambola. O meglio,
ho detto che mi servivano le tue mani» aggiunse Odysseus,
alzandosi per aiutare
il suo coinquilino «E ti ho messo io la coperta addosso,
anche se, ehm… mi sa
che non è stata una grande idea».
«Perché
non mi hai svegliato? Ho passato mezza giornata a
fare il parassita, non posso permettermi di fare il parassita,
altrimenti…
altrimenti-»
«È
che vederti in ricarica tranquillo non è qualcosa che
succede spesso. Hai notato che continuo spesso a lavorare fino a tardi,
quindi
ti vedo» disse il jetformer mentre gli faceva cenno di
tornare a sedersi sulla
cuccetta «Sei sempre teso. Ti agiti a ogni minimo rumore che
viene da fuori,
spesso ti svegli anche. Ogni tanto ti agiti e inizi a tremare anche
durante la
ricarica» gli avvolse attorno la coperta «Invece
oggi dormivi come un sasso,
era praticamente un miracolo».
Glitch rimase
a testa bassa, sentendosi piuttosto in colpa
per aver indotto Odysseus a curarsi delle sue condizioni.
Sì, aveva problemi
con la ricarica -per il poco che ricordava, forse ne aveva sempre avuti
anche
prima che il Senato rendesse il suo corpo conforme al suo vero io- e di
sicuro
con l’empurata non avevano potuto fare altro che peggiorare.
Forse era anche
per quel motivo che cadeva preda dell’ansia più
facilmente di molti altri,
perché non dormire bene sicuramente non giovava alla sua
salute fisica e
mentale.
«Ti
serviva proprio, amico» concluse Odysseus,
abbracciandolo.
«N-non-»
«Non
vuoi? Scusami, effettivamente forse esagero col
contatto fisico, se proprio non vuoi non-»
«N-non
è questo, non mi dà fastidio, è
che… sai come
reagisco se fai così».
«Non
sobbalzi più, o almeno non quando ti tocco io, quindi
direi che sei migliorato».
«Non
è n-nemmeno per questo, è che… tu hai
visto che io… ecco, un’altra
volta!» borbottò,
rendendosi conto con una certa frustrazione di essersi messo a piangere
di
nuovo «Un’altra volta, se ci fosse tua
sorella-»
«Scylla
non c’è, siamo solo tu e io».
«L-lo
so, ma non dovrei farlo lo stesso! E nemmeno tu
dovresti fare questo, dovresti dirmi di farla finita e basta,
perché non sei
tenuto a stare a sentire i miei piagnistei» riuscì
a dire tra un singhiozzo e
l’altro «O a cercare di consolarmi. Dovrei tenere
le mie miserie per me, n-non
vomitarle addosso a te! Fai già troppo e non merito niente di tutto questo,
niente, niente, niente…»
Odysseus non
si allontanò, cosa che lo fece solo piangere
ancora di più.
«Non
devi farti problemi, sul serio, faccio tutto
volentieri. So per certo che se fossi al tuo posto non mi dispiacerebbe
avere
qualcuno vicino… a dire la verità non mi
dispiacerebbe in genere» aggiunse
Odysseus «Per quanto ci sia chi sta molto peggio di me ci
sono dei giorni che…
te l’ho detto il giorno in cui ci siamo conosciuti, no? Una
settimana prima di
quello, io ero in un vicolo ed ero ridotto male. Sono stato curato ma
tutta la
consolazione che ho avuto dalle mie sorelle è stata sentirmi
dire che me le
cerco» disse con un tono abbastanza piatto «Per
Charybdis è colpa mia a
prescindere, come se fossi io ad avere voglia di litigare e a
“non saper
disinnescare le discussioni”, per Scylla non è colpa
mia MA a dovermi adattare
sono sempre io perché
“o impari a difenderti o camperai male tutta la
vita”. Una delle due è un
armadio che le poche volte in cui esce guarda il mondo come se la
scocciasse,
l’altra è alta quanto te e per sua natura
è delicata come una schiacciasassi, c’è
una certa differenza tra loro e me, quindi “grazie al
cazzo” lo vogliamo dire?»
lasciò andare Glitch e si passò una mano sul viso
giovane quanto stanco «…chi
sta vomitando le proprie miserie addosso a chi, adesso?»
«Tu
puoi parlare di quel che vuoi quando vuoi. Che tu mi
veda addirittura come qualcuno con cui puoi confidarti
è… è una cosa che mi fa
piacere» disse Glitch, massaggiandosi nervosamente le dita
tra loro «M-mi sento
fortunato per il fatto che mi consideri tuo amico. Mi sembra ancora
impossibile».
«E a
me sembra impossibile che qualcuno si senta fortunato a
essere amico mio, quindi sei in buona
compagnia» replicò Odysseus, tornando a sedersi
alla scrivania «Ti va di dare
un’occhiata al mio lavoro un po’più da
vicino?»
«N-non
temi che magari... dovresti aver visto che sono
piuttosto goffo, magari faccio cadere qualcosa-»
«Se
parliamo di goffaggine “I am! Actually! President of the
company!”. Non preoccuparti».
«Non
è vero, non quando lavori. A dirla tutta ho
notato… tu
usi con una certa abilità quegli strumenti affilati,
no?»
«Sì?...»
«N-non
hai mai pensato… voglio dire, magari se qualcuno
cerca di farti del male e tu hai uno di quelli, puoi…
sarebbe per difenderti»
disse Glitch.
«Se
anche riuscissi a mettere a segno un colpo con quello me lo
strapperebbero di mano tempo due secondi e finirei a farmelo
conficcare dritto nella Scintilla, in testa o in
qualche altro posto» Odysseus fece spallucce «Fanno
già abbastanza danni senza che
gli presti un’arma anche io, ti pare?»
Glitch non
fece commenti ma tra sé e sé fu costretto ad
ammettere che non aveva tutti i torti: pur col suo essere poco pratico
a usare
la propria abilità di outlier e pur col dolore che gli
recava farlo, doveva
riconoscere che lui aveva più possibilità di fare
danni rispetto a quanta ne
avesse Odysseus.
Vide il
jetformer allungare uno dei suoi “capelli” per
avvicinare a sé uno sgabello e poi fargli cenno di sedersi
lì. Obbedì senza
fare storie e addirittura senza chiedergli di nuovo se fosse sicuro di
volerlo
vicino. Forse era vero che almeno su quel fronte stava facendo un
briciolo di
progressi. Gli sarebbe piaciuto farne anche su tutto il resto,
soprattutto sul
fronte ricordi.
“O
forse no?”
Non era bello
avere solo sprazzi di memorie, ma nessuna
di quelle più nitide era gradevole, e ogni volta che cercava
intenzionalmente
di focalizzarsi su di esse gli veniva un mal di testa atroce. Magari
non era
una brutta cosa che la stragrande maggioranza della sua esistenza prima
di finire
nella periferia di Tarn fosse un ammasso poco chiaro di cose e persone.
Magari quel
che gli era capitato, qualsiasi cosa fosse, era stata più
una benedizione che
una maledizione nonostante le botte che aveva preso e il tempo passato
in mezzo
ai rifiuti. Lì aveva trovato Odysseus, e lui non solo lo
trattava ancora da
persona ma gli riservava anche un amichevole affetto. Dubitava che da
dove o
quando
veniva ci fosse stato qualcuno
disposto a fare la stessa cosa.
Se fosse stato
così, forse non sarebbe stato male come
invece stava… ossia al punto di provare una sensazione molto
sgradevole,
accompagnata a un’altra di profonda fascinazione, che gli
impediva di
distogliere lo sguardo dalla creazione che Odysseus aveva in corso.
La parte
inferiore -e asessuata- fino al bacino era quella
di un mech privo di qualsiasi armatura e in ginocchio. Una grande mano
deforme
stringeva la sua coscia destra al punto di deformarla leggermente,
mentre un’altra
mano più piccola artigliava la sinistra lasciando su di essa
due tagli. Le braccia
del mech erano costrette dietro la schiena da altre mani ancora, mani,
mani, mani ovunque,
munite di occhi o bocche, a conficcare le loro unghie affilate nei
tessuti
tecnorganici di spalle, gola, testa; mani a chiudere con forza la bocca
di un
mech che avrebbe voluto urlare il proprio dolore al mondo e non
riusciva, a
trattenere con la forza la palpebra di un sensore ottico multicolore e
sgranato
per l’orrore e, ultimo ma non per importanza, a stringere con
assoluta crudeltà
la riproduzione di una scintilla luminescente che si vedeva in modo
chiaro dal
buco enorme che Odysseus aveva lasciato sul petto.
«Le
mie sorelle vendono tanti lavori fatti su commissione
quanti lavori “propri”. Il mio caso è
diverso: sebbene qualche commissione capiti
anche a me, le persone sono più interessate a quel che
produco di mio. Quel che
di brutto io provo va a finire tutto qui. Non riesco a fare del male a
chi me ne fa, e farne a me stesso mi renderebbe ancora più
vigliacco di quanto
già sia, dunque prendo il male e ci costruisco qualcosa.
Considerando come
vanno le vendite mi viene da dire che molta gente per un motivo o
l’altro vede
qualcosa di familiare nel mio lavoro.
Vorrei dire di essere stupito, ma pensando a chi ci governa sarebbe una
bugia».
Era
un’immagine mostruosa nella quale si identificava
così
dolorosamente bene da far quasi tornare il suo solito problema al
sistema di
ventilazione mentre cercava di sopprimere l’istinto di
allungare un dito
tremolante e sfiorarla.
«Devo
solo spruzzare la base per poter dare un tocco di colore
domattina, ma a parte questo è finita. Quindiiii…
che ne pensi?»
Glitch dovette
sforzarsi parecchio per riuscire ad
articolare una qualsiasi frase. «È…
è… t-tante cose. V-vorrei dire di più
m-ma
non… mi piace, s-solo che quando la guardo, io…
io vedo…» dovette fare una
pausa «È-è difficile parlare quando ti
sembra c-che qualcuno abbia… che
qualcuno sia stato nel tuo processore e… e abbia visto la
tua Scintilla nelle
situazioni in cui t-ti senti male e… è
bella» concluse, incapace di aggiungere
altro.
«Grazie».
Glitch rimase
per un po’a fissare quell’opera, sempre
più
perso nei suoi oscuri dettagli, fino a quando sentì Odysseus
tossicchiare.
«Hai
notato che fuori sta ancora nevicando un po’?»
«Neve?...»
ripeté Glitch, riscossosi dalla sua trance,
guardando fuori dalla finestra.
«Eh
sì. Ha iniziato a buttarla giù nel tardo
pomeriggio,
infatti anche su quel pezzetto di giardino che abbiamo sul retro
c’è un bello
strato. Ehm… ti piace la neve?»
Il mech
aranciato annuì. Non ricordava dove e quando l'aveva vista
ma ricordava che era di suo gradimento.
«Idea!
Andiamo fuori a fare un pupazzo di neve!» esclamò
Odysseus, con l’entusiasmo di una protoforma.
«A-adesso?»
«Sì!
Quando se no? Io accumulo la neve e tu mi aiuti a
lisciare e rifinire il tutto, sicuramente ti verrebbe bene.
Usciamo?» gli
domandò il giovane, congiungendo le mani in un gesto di
preghiera «Ti prego?»
«I-io-»
«Ti
prego ti prego?»
«Va…
bene? Immagino?...» si trovò a dire Glitch,
alquanto
spaesato dal repentino cambio di argomento, di atmosfera e di tutto.
«Questo
è lo spirito giusto!»
In neppure due
minuti si ritrovò vestito -“Non sono sicuro
se anche tu sia di costituzione delicata o meno, quindi nel dubbio
metti
questo, questo e quest’altro, così resti al
caldo!”- trascinato fuori dalla
mansarda, poi lungo le scale, poi nel piccolissimo giardino sul retro e
infine
a compattare e lisciare l’ennesimo cumulo di neve che
Odysseus stava
aggiungendo al loro pupazzo.
In tutto
ciò, per quanto confuso dal perché e dal percome
fossero
finiti lì e ancora abbastanza scosso dalla vista di quella
bambola a forma di
ansia,
Glitch doveva ammettere di star iniziando a provare il principio di una
sensazione che non avvertiva da chissà quanto tempo: una
cosa gradevole -addirittura-
vagamente somigliante al… divertimento.
«Puoi
rifinire qui a destra, Glitch?»
«Subito!»
Un’altra
cosa che doveva a Odysseus.
Gli sarebbe
piaciuto soffrire meno nell’utilizzare la
propria abilità di disattivare cose e parti di persone. Se
solo fosse stato
così, avrebbe volentieri accompagnato il jetformer ogni
volta che questi gliel’avesse
chiesto e l’avrebbe difeso appena ne avesse avuto bisogno,
come aveva fatto la sera
in cui si erano conosciuti, ma in modo più efficace.
Odysseus era buono con lui,
si curava di lui, si preoccupava per lui anche se lui era uno scarto,
un
rifiuto, un essere mostruoso che si disgustava nel vedere la propria
immagine
allo specchio anche solo di sfuggita e che aveva il tic di graffiarsi
la faccia
come se grattando e grattando quell’oscenità mono
occhiuta sperasse di far
saltare fuori il vecchio volto o uno nuovo; lui era tutto questo,
eppure
Odysseus lo considerava un amico.
Se solo avesse
potuto aiutarlo… se solo.
Un rumore
sordo proveniente dal capanno li fece voltare
entrambi in quella direzione.
«Hai
sentito anche tu?»
«Sì…
però a giudicare dal rumore non dovrebbe essere niente
di che, forse un robotopo o qualcosa di simile. Penso» disse
Odysseus «Nemmeno
un cybercane o un cybergatto».
Si scambiarono
un’occhiata.
«Forse
potremmo…» avviò a dire Glitch.
«Rientrare.
Sì» concluse Odysseus «Dopotutto il
pupazzo l’abbiamo
fatto… magari domani può saltarne fuori un altro
se avanza tempo?...»
«E
se non c’è niente lì»
aggiunse l’altro mech, indicando il capanno.
«Eh,
anch- AAAAAAAAAAAAAH!»
strillò Odysseus dopo essersi voltato in direzione del
pupazzo di neve.
« AAAAAAAAAAAAAH!»
strillò Glitch a sua volta senza nemmeno sapere
perché, ma ripetendo ancor più
convinto l’urlo quando vide che il pupazzo di neve si era
trasformato in un
mostro tentacolato.
Un mostro
tentacolato che adesso stava ridendo con una voce
femminile a lui conosciuta.
«Voi
due fuori a fare un pupazzo di neve a quest’ora siete
un’istigazione a delinquere, ve lo dico» disse
Scylla, priva di qualsiasi “abito”
a ripararla dal freddo e priva anche di ogni decenza, sbucando da
dietro il pupazzo. Evidentemente
anche la fonte del rumore che li aveva distratti era sempre lei.
«Se aveste potuto
vedere le vostre espressioni!»
«TU sei fuori di
processore!» protestò Odysseus «Cazzo,
ci hai fatto prendere un colpo!»
Glitch,
nascosto dietro Odysseus -alla faccia del desiderio
di difenderlo- sentiva la Scintilla sul punto di esplodere.
Poi Scylla non
avrebbe dovuto fargli paura? Certo che gliene
faceva!
«Mi
ero resa conto di non aver ancora dato un vero benvenuto
al nuovo membro dello staff, dovevo rimediare» disse la femme
«Non è ancora
svenuto, vedi? Va alla grand-»
Una grossa
secchiata di acqua gelata, seguita dal secchio
stesso, colpì in pieno la jetformer lasciandola basita per
qualche istante.
«E andate
all’Unicron
tutti quanti!»
esclamò Charybdis prima di richiudere con un colpo sonoro la
finestra della propria stanza.
Ci fu un
momento di immobilità e di silenzio generale.
Poi, per la
seconda volta in quella serata dalla bizzarra
piega, Scylla scoppiò a ridere un’altra volta e si
ritirò in casa dopo aver
fatto ai due mech un cenno di saluto.
Odysseus e
Glitch si guardarono.
«Sai»
disse Glitch «Forse Charybdis non è
così male».
Stavolta a
ridere di gusto -dopo un attimo di stupore per
aver sentito Glitch fare addirittura dell’ironia- fu Odysseus
e, nel vedere
allegro il proprio amico, anche Glitch si sentì di riflesso
abbastanza
sollevato. Ancora con la Scintilla in gola, ma sollevato.
«Meglio
rientrare prima che Chary lanci una secchiata d’acqua
anche a noi» disse Odysseus «Dai, domani ci aspetta
un’altra giornata di
lavoro!»
L’unica
cosa che ho da dire stavolta è che per la bambola di
Odysseus mi sono attenuta all’immagine che potete trovare
>>>QUI.
L’artista
in questione ha un vero talento.
Alla prossima,
_Cthylla_
|
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Capitolo 5 *** 5 - Non ''da dove'', ma ''da quando'' ***
5
Seduta dietro il paravento che separava il suo banco da
lavoro dal resto del negozio, Scylla notò che Glitch la
stava osservando.
“Rieccolo. Mi guarda, poi nota che lo ricambio e…
ooh, che
botta” pensò, vedendo il nuovo membro dello staff
-ormai lì da oltre un paio di
settimane- sbattere la testa contro una mensola nel tentativo di non
incrociare
il suo sguardo.
Era da qualche tempo che Scylla aveva notato che Glitch,
avendo iniziato ad avere un briciolo meno paura anche di lei e
Charybdis oltre
che di Odysseus, era in qualche modo… incuriosito?, nei suoi
riguardi. Non
aveva ben chiare le ragioni dietro il suo comportamento: magari la
trovava
attraente, cosa che avrebbe reputato normale -bando alla falsa
modestia, aveva
un bell’aspetto e lo sapeva benissimo- ma per qualche ragione
non riteneva che
quello c’entrasse. Probabilmente se si fosse preso una cotta
o roba simile non
sarebbe stato neanche capace di sollevare lo sguardo su di lei,
ritenendosi
immeritevole o qualcosa del genere.
Un po’come aveva fatto Odysseus con le femme per le quali
nel tempo aveva avuto delle cotte, non si era mai fatto avanti a meno
che fossero state loro ad approcciarlo per prime.
Triste realtà, ma anche senza empurata alcuni comportamenti
di Odysseus somigliavano fin troppo a quelli del garzone.
“Speravo che stando a contatto con qualcuno veramente
disgraziato si svegliasse un po’e si rendesse conto che non
è messo male com’è
convinto di essere, o meglio, non lo sarebbe se si decidesse a tirare
fuori gli
artigli. Invece è diventato solo più bravo a
incassare, in un certo senso, ora
che ha un amico ad asciugargli le lacrimucce”.
Qualcuno aveva picchiato Odysseus solo un paio di giorni
prima, in un’occasione in cui si era spinto un
po’più lontano per delle
commissioni ed era tornato a casa con varie ammaccature. Glitch
passione infermiera
si era precipitato immediatamente da lui, tutto “Che ti
è successo?!”, “Hai
bisogno di aiuto?”, “Vuoi che faccia
qualcosa?”.
Scylla alzò le ottiche al soffitto. Non era veramente
dispiaciuta per il fatto che Odysseus avesse un amico, per quanto
disgraziato
suddetto amico potesse essere, né lo disprezzava per la sua
incapacità di
reagire: era suo fratello, da un certo momento in poi lo
avevano
cresciuto lei e Chary, dunque gli voleva bene. Ma proprio
perché gli voleva
bene temeva che, se non si fosse deciso a imparare almeno a difendersi
usando a
sua volta il dono che la natura aveva fatto a tutti e tre -i loro
“capelli”- un
brutto giorno sarebbe uscito dal negozio e non sarebbe tornato mai
più.
Sarebbe dovuta andare a cercare il suo cadavere e l’avrebbe
ritrovato macellato e stuprato in un fosso, sempre se fosse mai
riuscita a
trovarlo davvero, e anche se avesse trovato gli assassini e avesse
vendicato il
fratello non l’avrebbe riportato in vita.
Avrebbe potuto cercare di farlo vivere sotto una campana di
vetro, evitandogli qualsiasi contatto con chiunque non fossero lei o
Charybdis,
ma era fuori discussione. Ciò che era successo ai loro
genitori sarebbe potuto
succedere anche a loro due in qualsiasi momento, perché la
sfortuna non
guardava mai in faccia nessuno per quanto forte potesse essere, e se
Odysseus
fosse stato completamente fuori dal mondo, del tutto incapace di
provvedere a
se stesso, cosa ne sarebbe stato di lui? Un disastro, ecco cosa.
Lo era stato anche per lei e Charybdis. Charybdis
all’epoca era appena diventata una femme adulta, a lei
mancava poco per
diventarlo e Odysseus camminava a malapena. Era stato un periodo
veramente
difficile, anche perché tutto quel che lei e sua sorella
avevano avuto da fare
aveva a malapena permesso loro di “vivere” il
lutto. Forse era stato per quello
che Charybdis, che non era mai stata un’allegrona ma che
Scylla aveva comunque
visto sorridere e addirittura sentito ridere ogni tanto, si era del
tutto
chiusa in se stessa; e forse era sempre per quello che lei, i primi
tempi,
aveva sentito sempre l’irrefrenabile bisogno di uscire di
casa appena dopo aver
messo a letto Odysseus, così come forse era sempre quella la
ragione per cui,
sempre ai tempi, aveva trovato una valvola di sfogo non indifferente
nel
riempire di botte la gentaglia che girava nel settore. Di botte ne
aveva anche
prese il giusto, dopotutto non era ancora un’adulta completa,
ma alla fine era
stata sempre lei a restare in piedi.
Quel periodo ormai era finito, ma per quanto ora tirasse
fuori quel livello di aggressività abissale solo
quando serviva realmente e solo in
reazione ad azioni altrui -come la volta in cui Ody era tornato a casa
senza
un’ottica- si rendeva perfettamente conto si essere a sua
volta “danneggiata”. La
sua sola fortuna era che lo fosse in un modo che andava bene per vivere
e prosperare
nella periferia di Tarn.
Lei, contrariamente ai fratelli, nonostante la gentaglia non
odiava quel posto. Sapeva che Charybdis si sarebbe trasferita
volentieri
altrove e che per Odysseus valeva lo stesso discorso, ma se anche
fossero
riusciti a farlo non avrebbero fatto altro se non finire in
un’altra periferia.
Alla lunga, considerando che Odysseus avrebbe continuato a non sapersi
difendere e Charybdis a socializzare poco, la loro esistenza sarebbe
davvero
cambiata in meglio? Se non altro lì, almeno di giorno e
nelle vie limitrofe, Odysseus
poteva girare relativamente tranquillo.
Così come l’outlier di casa -o forse
“uno dei due”…- che si
stava ancora massaggiando la testa.
Scylla sollevò una mano e gli fece motto di avvicinarsi.
Lui, dopo un infinitesimale attimo di immobilità, le
obbedì mantenendo una
postura piuttosto rigida. Rimase rigido anche quando lei gli fece cenno
di
accomodarsi su una sedia lì vicina, al limitare della quale
lui si sedette
intrecciando le mani sulle ginocchia. Era talmente teso che il suo modo
di fare
avrebbe potuto anche far ridere o far imbestialire, ma sinceramente
Scylla non
aveva voglia di fare alcuna delle due cose.
«Hai preso una bella botta» disse la femme.
«N-non ho danneggiato la mensola con la mia testa, giuro.
Ho-ho controllato. N-non è neanche caduto nulla».
«Meglio per la mensola… e anche la tua testa non
è
ammaccata» osservò Scylla, ignorando il sobbalzare
di Gltich al suo tocco
«Meglio così. Ora che i mal di testa stanno
migliorando, così mi riferisce
Odysseus, sarebbe un peccato rovinare tutto così.
Giusto?»
«N-non… n-non è che siano migliorati,
è che… è che ci penso
meno. Al prima. Q-quando non penso
al
prima n-non fa male» spiegò Glitch.
«Ti stai arrendendo all’idea di avere ricordi
frammentati o
hai solo deciso che non interessa? Tra le due cose
c’è differenza».
«L-la seconda» disse il mech «N-nulla di
quel che riesco a
ricordare è bello o v-vale la pena. Non so come sono finito
qui, p-però… però
ci sono. E n-non saprei dove altro andare e… e…
n-non credo che da dove vengo ci
sia un altro Odysseus».
«Mi sta venendo un dubbio… tu sai che a Odysseus
piacciono
le femmes, vero?»
«C-cos-… n-non è come…
a-anche a me piacciono l-le femmes!»
«Hai appena espresso chiaramente una preferenza? Sono
incredula».
«L-lui è un amico. È-è
sempre stato gentile con me. E… e
grazie a lui h-ho un posto dove stare e… e qualcosa da
fare» continuò Glitch
«S-se non mi avesse trovato e non m-mi avesse portato qui io
n-non… io sarei
ancora lì. Invece sono utile in qualcosa, per una volta.
I-io gli sono grato.
S-se solo potessi… se solo fossi in
grado…» si guardò le
“mani” «P-potrebbe
chiedermi qualunque cosa, farei qualunque cosa p-per ripagare tutto
questo. Qualunque».
Scylla sollevò un sopracciglio. «E tu magari pensi
davvero che
questa sia una buona cosa».
«N-non lo è?...»
La jetformer fece un breve sospiro e si voltò a guardarlo.
«Odysseus
ti considera un amico, in questo hai sicuramente ragione,
così come avevi
ragione le volte in cui l’hai definito una brava persona. Ti
è affezionato, se
si comporta come fa non è perché vuole qualcosa
da te. Nella sfortuna, hai
avuto fortuna… per questa volta. Ma ti dico un segreto,
Budino: non tutti
quelli che in apparenza sono gentili con te o “ti danno un
posto dove stare” e
“qualcosa da fare” e “ti fanno sentire
utile” hanno buone intenzioni. Spesso e
volentieri quelli così sono le prime teste di cazzo dalle
quali stare lontani»
disse Scylla «Hai idea di quanto potrebbe essere pericoloso
il “Farei qualunque
cosa” detto a una persona così, per giunta credendoci?
Potrebbe sfruttarlo per farti fare tutto
quel che gli pare, e non parlo necessariamente di lavare il pavimento.
Potresti
finire molto male, Budino, e non solo tu» aggiunse
«La tua abilità da
outlier non è roba da ridere».
«N-non capisco-»
«Immagina cosa sarebbe successo se ad accoglierti in casa e
trattarti “da persona”, dopo aver visto il tuo
potere in non so quale
circostanza, fosse stato uno strozzino. La gratitudine nei suoi
confronti
sarebbe stata su per giù la stessa, no? “Farei
qualunque cosa” anche qui,
sbaglio?»
Il discorso che stava facendo a Glitch sembrava metterlo
molto a disagio, come rivelava il fatto che si stesse rovinando il viso
con le
dita, ma Scylla non intendeva fermarsi lì. Il disagio
sarebbe stato temporaneo,
quel che cercava di dirgli invece doveva arrivare a destinazione, e
doveva
arrivarci bene.
«Saresti potuto essere in giro a rendere paralitiche -o
peggio- le persone per suo conto, adesso. Ody è Ody ma non
è detto che resterai
qui in eterno… o che noi resteremo
tutti qui in eterno» disse Scylla, memore della propria
preoccupazione verso
Odysseus «Perciò ricorda le mie parole».
«I-i-il mio corpo è t-troppo debole, l-lo sai che
mi fa male
la testa s-se… se uso i miei poteri. C-come
potrei?...»
«Gli strozzini hanno parecchi soldi. Sostituzione di varie
parti del corpo e via a occuparsi dei debitori, Glitch, e tutto
perché non
saresti stato capace di dire di no e di ricordare che
c’è un limite a qualsiasi
cosa, anche a quel che si fa per gratitudine. Sarebbe stato
così
tremendamente
facile, non trovi?»
Glitch abbassò lo sguardo verso le proprie dita intrecciate
e non replicò. Per circa mezzo minuto l’unico
rumore presente nell’ambiente fu
quello della macchina da cucire con cui Scylla stava creando un abito
per una
bambola.
«In ogni caso non è per questo che ti ho fatto
venire qui.
Sarò diretta: ho notato che ultimamente sembro incuriosirti
un po’di più
rispetto all’inizio. C’è qualche ragione
particolare?»
«N-no, io n-non sono inc-»
Scylla lo interruppe. «Cosa ti ho detto la prima sera?
Quando io ti faccio una domanda, tu rispondi. Onestamente.
Capito?»
«S-sissignora».
«Bene. Ora parla».
Facendo uno sforzo non da poco, Glitch tornò a sollevare lo
sguardo. Aveva capito che non doveva rispondere a testa bassa e
borbottando,
era già qualcosa. Magari un giorno avrebbe imparato a farlo
di suo, invece che
obbedendo a un ordine impartito tempo addietro.
«È… sono… i
capelli».
“Va’ che forse il kink del bondage, alla fine, lo
aveva sul
serio” pensò Scylla, evitando con clemenza di
esprimersi ad alta voce. «Sono
una caratteristica particolare mia e dei miei fratelli, è
normale che ti
incuriosiscano».
«N-no, non quelli di tutti, solo… i
tuoi… hhh» si strinse il
capo tra le mani «L-la testa, fa male…»
«Ti succede questo se cerchi di capire perché ti
incuriosiscono i miei capelli nello specifico… è
strano, non lo nego. Non è uno
di quei mal di testa da “vita di prima”?»
Glitch annuì. «Lo è, però
non so… i-io non so perché…»
Lo vide allungare le dita per toccare i capelli, poi
ritrarsi di scatto, presumibilmente credendo di starsi prendendo troppa
confidenza. Non avrebbe avuto tutti i torti -Scylla, come i fratelli,
di solito
non apprezzava granché se qualcuno cercava di toccarle i
capelli senza
permesso- ma tra il mal di testa, la causa dietro a esso e il fatto che
il
tutto lo stesse spingendo a cercare un contatto pur essendo spaventato
da lei,
le suggerì di lasciarlo fare.
«Per stavolta fai pure quel che vuoi fare» lo
invitò «A meno
che tu voglia paralizzarli, ma non penso sia il caso».
«D-davvero?... Posso?...»
«Fai pure» ripeté la femme.
Glitch a quel punto allungò le mani e iniziò a
toccare i
capelli.
E poi ad acconciarli.
Scylla sollevò un sopracciglio. Non solo era un gesto strano
da parte sua -o più che altro inaspettato- ma oltre a questo
sembrava avere una
certa esperienza nel compiere quei gesti, rimasti nella sua
“memoria tattile”
al punto che aver perso le proprie mani non contava granché.
Tra l’altro
l’acconciatura che le stava facendo incontrava appieno i suoi
gusti, e in
teoria Glitch non poteva sapere quali fossero suddetti gusti, dato che
lei
perlopiù lasciava i “capelli” al vento.
Di certo in quelle oltre due settimane
lo erano sempre stati.
«Hai molta manualità con i miei capelli.
È come se avessi
fatto spesso una cosa simile».
«La sensazione che ho è questa»
replicò Glitch, una volta
tanto senza balbettii.
«Eppure gli ultimi a farlo furono i miei genitori, e
ovviamente non parlo dell’altro ieri. Cerchiamo di mettere in
ordine i pezzi
del puzzle: non sai come sei arrivato qui e i tuoi ricordi sono
disastrati. In
questi giorni in cui ti ho visto andare in giro, non
davi l’impressione di essere totalmente estraneo al posto,
nonostante tutto» disse Scylla «Ma in alcuni casi
ti sei mosso come se fossi
stato del tutto convinto di trovare un determinato edificio in un
determinato
posto quando invece ce n’è un altro, o
c’è uno spiazzo vuoto. Ho pensato
“magari si ‘ricorda’, per modo di dire,
com’era il posto prima”, però tu non
sei più vecchio di Charybdis e il posto è
così da una vita, dunque lo escludo.
E ora… questo. Per quanto sia Charybdis la meno contenta di
averti qui e sia
più grossa di me, hai più paura di me
che di lei, come se “prima” avessi visto non so
cosa. Ho pensato che magari
potessimo aver avuto un confronto spiacevole in passato, ma se fosse
stato così
sarebbero stati i miei capelli a toccare te, non tu a toccare loro; e
sommando
tutto questo a certe voci riguardo l’aver iniziato a cercare
un modo per creare
motori quantici, inizio a pensare che forse la domanda non sia
“da dove
vieni”…»
«Piuttosto “da quando”»
completò Glitch.
«Allora avevi iniziato a pensarci anche tu. Potresti davvero
essere un budino viaggiatore nel tempo, dunque?»
domandò Scylla «Se sì, al di
là del come e perché sei finito qui, le domande
sarebbero così tante… per
esempio, considerando tutto presumo che io e i miei fratelli saremo qui
ancora
per un pezzo. Chissà come ci hai conosciuti,
chissà come stiamo…» batté
nervosamente le dita sul tavolo «Chissà se
Odysseus è ancora vivo» concluse,
per una volta dando voce ai propri timori.
Quel che sentì dopo fu un lungo lamento continuo e il tonfo
di Glitch che cadde prima in ginocchio e poi a terra, con le mani
premute
contro le tempie. Il mal di testa quella volta sembrava essere molto
peggiore
del solito, al punto che Scylla aveva l’impressione che
sarebbe svenuto.
«Che ha stavolta?» si fece vedere Charybdis dopo
essere
scesa dal piano di sopra «È peggio del solito o
sbaglio?»
«Non sbagli. Porta qui Brushsling, e di corsa».
«Con che shanix-»
«I miei, se li chiede, quindi portalo qui e non scassare
ulteriormente i solenoidi coi soldi, non è il
momento!»
Charybdis si avviò verso l’uscita. «Poi
diciamo di Odysseus
e del suo essersi affezionato, ma tu non sei meglio di lui».
«Io ho ancora un briciolo di decenza verso chi la merita,
mia sorella invece ha scambiato la sua per la vernicina arcobalenosa da
mettere
sulle alucce, perché mancano gli shanix per tutto ma per
quella ci sono sempre».
«Non perdo neanche tempo a risponderti, Scylla».
«Anche perché non c’è
né tempo da perdere né niente da dire»
ribatté Scylla per un’ultima volta prima che la
sorella sparisse oltre la soglia
«Non svenire, ok? Cerca di stare sveglio, l’unica
cosa che saprei fare io per
cercare di aiutarti sarebbe prenderti a sberle ma non lo
raccomando…»
«Scy…lla…»
«Bravo, qualunque cosa ti tenga sveglio tu-»
«M-mi… dispiace…»
«Non hai danneggiato il pavimento con la caduta,
tranquillo».
«M-mi dispiace per… t-tu eri… t-tu
sei…» cercò di articolare
Glitch, che ora piangeva «N-non sei cattiva, non…
t-tu non… è così
ingiusto…»
«Non capisco di cosa tu stia parlando di preciso, ma va
bene. Tranquillo» ripeté la femme «Ora
arriva Brushsling e- Glitch? Glitch?!...»
***
Quando Glitch riaprì il sensore ottico azzurro si rese conto
immediatamente di provare un’incredibile spossatezza. Poche
volte nella sua
esistenza, per quel che ricordava, si era sentito in quel modo: era
come se una
piccola astronave lo avesse investito.
“Perché sono qui? L’ultimo ricordo che
ho è quando toccavo i
capelli di Scylla. Poi… cos’è successo,
poi?”
Si mosse leggermente. Era nella sua cuccetta nella “tana del
luponoide”, nella quale era acceso solo un lumicino, e dando
un’occhiata
intorno -per quel che poteva fare muovendo solo la testa- si rese conto
di
essere solo. Fuori era buio, il suo orologio interno infatti suggeriva
che
fosse sera, dunque era curioso che Odysseus non fosse lì.
Non aveva energie sufficienti per fare altro se non usare la
sua particolare abilità con le frequenze e sentire se erano
tutti in casa, o
almeno se c’era Odysseus. Quella parte della sua
abilità da outlier quantomeno
non gli causava mai dolore, e aveva l’impressione di star
udendo delle
chiacchiere al piano di sotto.
Si concentrò.
«… voi due state scherzando».
Era la voce di Charybdis. Non sembrava felice.
«No. Ripeto: se sono stato costretto ad andare via da Iacon
è proprio perché hanno tentato di farmi smettere
di aiutare la gente e di far
sì che seguissi le cavie di quei loro esperimenti quantici.
Devo ringraziare
certi contatti che avevo e una buona dose di fortuna per non essere
finito anch’io
con una faccia e delle mani nuove per essermi rifiutato. In
verità non avrei
proprio dovuto parlare di questa faccenda, ma data la
situazione…»
La voce maschile in questione non era quella di Odysseus, ma
era a lui conosciuta: il medico da cui Scylla l’aveva portato
tempo addietro.
«Quindi state dicendo che Glitch è una cavia? Che
quei… quei
maledetti bastardi di Iacon lo hanno usato e poi lo hanno scaricato qui
come
spazzatura?!»
Ecco Odysseus. Era contento che fosse in casa e sembrasse
star bene ma quel che stava sentendo riguardo se stesso lo stava
mettendo molto
più in allarme. “Una cavia”. Lui non
ricordava assolutamente niente del genere,
ma chi poteva garantirgli che non fosse proprio così?
Dopotutto era proprio
quello il punto, “non ricordava”, dunque ogni
opzione forse poteva essere
valida, e nella sua mente stava già iniziando a formarsi la
terrificante idea
che, se le cose stavano così, forse stava mettendo in
pericolo tutti quanti con
la sua sola presenza.
«Se -e dico "se"-
l’avessero fatto, non credo che
l’abbiano fatto nella Iacon di
questo tempo» sentì dire Scylla «Alcune
cose di cui stavamo parlando poco prima
che svenisse mi danno da pensare che, se
fosse una cavia, sarebbe la cavia di un esperimento riuscito. Eccetto
per i
ricordi».
«E io sono della stessa idea. Per quel che ne so, in questo
tempo dovrebbero ancora essere ben lontani dal poter ottenere un
risultato
simile» disse il dottore.
«Questo cosa comporta per noi?» domandò
Charybdis «Dobbiamo
aspettarci che qualcuno arrivi qui e cerchi di recuperare quel
disgraziato con
la forza, facendoci finire in mezzo?»
«Non credo che possano avere chissà quale
considerazione di
una cavia empuratica andata persa.
Su
questo fronte dovremmo essere al sicuro. Sempre se è una
cavia davvero,
ribadisco» replicò Scylla «Non abbiamo
idea di come e perché sia arrivato qui,
lui neppure, quindi tutto è valido e niente lo
è».
«Discarica e tanti saluti, diventerà il problema
di qualcun
altro».
«Tanto per te ogni scusa è buona, non lo vorresti
qui
nemmeno se lavorasse il doppio di quello che fa, e già lo fa
come un mulocon!»
protestò Odysseus.
«Scusatemi se sono meno svelta di voi a essere felice di
accogliere un mech estraneo anche a se stesso. Scylla, ora ci sono vari
motivi
per fare la cosa ragionevole. O no?»
«Lo dirò una volta solo e non intendo ripetertelo,
quindi
apri bene i recettori uditivi: non intendo abbandonare qualcuno dal
quale la me
futura si fa acconciare i capelli. Già il solo fatto che ci
sia una me futura
significa che non siamo destinati ad andare offline tutti quanti.
Glitch
continuerà a vivere qui e a essere il garzone del nostro
negozio, questo è
quanto, e che sia l’ultima volta che mi fai tornare
sull’argomento».
«Se no?»
«Se hai voglia di litigare sul serio non hai altro da fare
che dirmelo, Chary, sarebbe una novità rispetto alla solita
pseudo-superiorità
con cui replichi».
«Ah-ehm. In questo sacchetto ho lasciato le pastiglie da
dargli, alcuni sono antidolorifici, alcune per rafforzare il suo
sistema» si
intromise il dottore «Cercate di non forzarlo a ricordare le
cose e ditegli di
non forzarsi neppure da solo. Anche tre o quattro giorni di riposo gli
farebbero bene».
«Sarà fatto» rispose Odysseus prima di
tutti gli altri.
«Quanto ti devo, Brushsling?»
«Niente, Scylla. Fosse stato per me non avrei voluto shanix
neppure l’altra volta, oggi posso essere coerente con quel
che già lì avrei
voluto fare. Ci vediamo, per qualsiasi cosa non esitate a
chiamarmi».
I passi del dottore giù per le scale furono
l’ultima cosa
che Glitch sentì. Era preda di sensazioni contrastanti -una
tra tutte la voglia
di piangere un’altra volta- e questo non faceva che stancarlo
ancora di più. Non
riusciva neppure a pensare in modo chiaro, riusciva solo a fissarsi
sull'idea che forse qualcuno sarebbe venuto a cercarlo causando guai.
Non doveva succedere, non a loro. Gli sembrava ancora incredibile
l'idea di essere persino voluto
-non da Charybdis, ma era voluto almeno da due fratelli su tre. Non
meritavano proprio possibili rogne a causa sua.
Con quell’ultimo pensiero, Glitch scivolò
nuovamente in
ricarica.
|
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Capitolo 6 *** 6 - ''Il tuo amico, G.'' ***
6
“Non posso evitare di iniziare
col dire questo: mi dispiace.
Sappi che sono grato a tutti
voi. Lo sono verso Charybdis, la quale nonostante tutto non mi ha
maltrattato,
lo sono verso Scylla per le cure che a modo suo mi ha riservato senza
offendersi per il mio timore nei suoi riguardi, e soprattutto lo sono
verso di
te, Odysseus. Porterò eternamente nella Scintilla il ricordo
della tua
gentilezza. Nulla di quel che ho provato a dirti tra un balbettio e
l’altro o
di quel che potrei scrivere renderebbe l’idea di quanto il
fatto che tu mi
abbia onorato della tua amicizia abbia importanza per me; e proprio per
tutto
questo, e perché non avendo che sprazzi di ricordi riguardo
il mio passato non
posso sapere se qualcuno possa o meno essere sulle mie tracce
(né chi) è bene
che le nostre strade si dividano. Che tu e le tue sorelle possiate
avere dei
guai a causa della mia presenza è un’idea che mi
risulterebbe insopportabile
anche se ne usciste vivi e in salute.
Grazie ancora per tutto.
Il tuo amico,
G.”
***
«Io lo sapevo»
borbottò Odysseus, che stringeva in mano il messaggio di
Glitch scendendo le
scale quattro a quattro per raggiungere il piano inferiore
«Lo sapevo che aveva
in testa qualcosa!»
Era stato
vicino a Glitch nei giorni successivi a quello in
cui era svenuto e avevano anche parlato della possibilità
alquanto concreta che
potesse essere un viaggiatore nel tempo. Per quanto, sentendo dire al
suo amico
che forse non era sicuro lasciarlo stare lì, Odysseus avesse
ripetuto più volte
che né lui né Scylla intendevano abbandonarlo da
qualche parte -e che anzi,
Scylla si era mostrata molto determinata nel voler fare
l’esatto contrario- non
gli era sembrato che Glitch fosse del tutto persuaso.
Lui e la sua
convinzione di essere immeritevole di qualsiasi
cosa, incluso avere qualcuno che volesse averlo attorno prendersene
cura!... non
poteva dire di non capirlo. A volte ne era vittima anche lui stesso, e
forse se
non era arrivato al punto di darsi alla fuga di notte come aveva fatto
Glitch
era solo perché non era messo così
male. O per codardia, perché certe parti di Tarn erano
peggiori di qualsiasi
senso di colpa.
“E
tu stai andando proprio in una di quelle” pensò,
osservando il puntino rosso del segnalatore sul datapad
“È sfortuna? Hai
ricordato qualcosa e lo stai facendo apposta? O, ancora, consciamente
non ti
ricordi ma inconsciamente sì e stai andando a cercare di
farti ammazzare?"
La decisione
di applicare un chip segnalatore più vecchio di
lui su Glitch -originariamente era stato addosso a un cybercane che le
sue
sorelle avevano avuto da piccole, poi arrivato a una certa
età era stato
addosso a lui stesso. Per un po’- mentre questi era in
ricarica non l’aveva
fatto sentire granché a posto con la coscienza, ma
considerata la situazione
attuale era il caso di dire che la sua fosse stata una scelta saggia.
Bastava
andare in camera di Scylla, darle il datapad e lei, che non aveva alcun
problema a girare in qualsiasi zona, avrebbe riportato Glitch a casa
risolvendo
così la questione.
«Scyllaaaaa, abbiamo un
problem… ah».
La camera da
letto di sua sorella era vuota, segno che non
era ancora tornata.
«Va
bene, “ho” un problema» si corresse il
jetformer «Grosso».
Sentì
le gambe iniziare a cedere e dovette sedersi sul letto
di Scylla, rischiando quasi di far cadere la cornice olografica sul
comodino
accanto. Vedendo l’immagine cambiare e mostrare il selfie
della sorella con
quel gladiatore -tal Megatronus, astro appena appena nascente
nell’arena- si chiese se
avrebbe vissuto abbastanza perché sua sorella riuscisse a
trascinare a Kaon lui
e Charybdis un’altra volta, e il motivo era semplice: Scylla
non era lì, andare
a svegliare Charybdis era inutile perché non si sarebbe mai
mossa per Glitch,
dunque restava un’opzione soltanto.
«No.
No» ripeté, scuotendo la testa «Non
posso farlo, non
posso assolutamente, finirei a farmi uccidere, non posso essere io ad
andare a
prenderlo e riportarlo qui. Non posso, semplicemente non posso».
La cosa
più sensata da fare era aspettare Scylla, pensò
dopo
qualche tentativo di chiamata andato a vuoto, prima o poi sarebbe
tornata e non
sarebbe dovuto essere lui a volare laggiù. Farlo non avrebbe
avuto senso,
dopotutto lui era un completo incapace, non avrebbe potuto fare
assolutamente
niente di utile per il suo amico.
“Porterò
eternamente nella
Scintilla il ricordo della tua gentilezza”.
“Tu…
tu hai fatto lo
stesso prima. Hai cercato di farlo smettere e l-le hai prese per colpa
mia, e
non dovevi. N-non eri tenuto. Io non potevo… ho fatto quel
che dovevo”.
“M-mi
sento fortunato
per il fatto che mi consideri tuo amico. Mi sembra ancora
impossibile”.
“Sono
spazzatura ma
non sono spazzatura ingrata, Odysseus”.
“…”
«Scylla,
Glitch è fuggito perché ha paura dei problemi che
potremmo
avere se qualcuno venisse a cercarlo. È andato a infilarsi a
est del settore,
sai a quale parte mi riferisco ma nel dubbio ti mando la sua ultima
posizione.
La sera in cui l’ho portato qui e mise KO quel tizio mi disse
di essere
spazzatura, ma non spazzatura ingrata verso chi l’aveva
aiutato… non posso
essere spazzatura ingrata nemmeno io verso qualcuno che mi considera un
amico.
Io vado laggiù e cerco di riportarlo a casa. Ciao»
disse, concludendo così il
messaggio vocale che aveva lasciato.
Il dado era
tratto. Dopo essere tornato in mansarda a
prendere uno dei suoi attrezzi da lavoro -quello tagliente, memore
delle parole
di Glitch- e averlo fatto cadere un paio di volte causa mani troppo
tremanti,
scese al piano terra e uscì sul retro: pioveva talmente
forte da risultare
quasi fastidioso, e i lampi con annessi tuoni non rendevano certo il
tutto più gradevole.
«…
cosa
CAZZO
sto facendo?!»
esclamò in un tono terribilmente stridulo, per poi
trasformarsi e decollare.
***
“Quindi
è così che finisce”.
Era diventato
il punching ball di quindici mech che avevano
raggranellato alcune armi male in arnese perché intenzionati
a tentare un colpo in
chissà quale posto, probabilmente sempre male in arnese ma
magari un po’meno
del resto. Disgraziati che si saltavano alla gola tra loro come
cybercani
rabbiosi, questa era la situazione nella periferia di Tarn, o
più probabilmente
in tutte le periferie di tutte le città-Stato lasciate a se
stesse da
governanti ai quali della gente comune non sarebbe potuto importare di
meno.
E lui era un
disgraziato tra i disgraziati.
«Non
parla nemmeno!»
«Non
provi neanche a reagire?!»
«Sei
venuto qui per farti ammazzare, senza-faccia del
cazzo?!»
Quando aveva
lasciato il posto che stava iniziando a
chiamare “casa”, prima di scoprire di poter essere
una potenziale fonte di guai
per la suddetta, aveva creduto di star semplicemente andando
chissà dove, purché fosse lontano da essa; ora
però, alla non-domanda di quel mech, sentiva
di poter rispondere un sonoro “Sì”.
Era lì proprio per farsi uccidere e forse inconsciamente
aveva sempre saputo
dove si stava andando a infilare. Dopotutto Tarn non doveva essergli
nuova: come
Scylla aveva giustamente osservato, non si muoveva come un completo
estraneo.
Le domande su quando, dove, come e perché però
contavano più nulla che poco, ormai.
“È
così che finisce, ed è giusto. Non solo sono
spazzatura,
ma sono spazzatura che potrebbe portare caos nella casa di chi non se
lo
merita, dunque è giusto che la faccia finita. Se non altro
andrò offline dopo
aver imparato cosa significhi avere un amico”.
“Non
riesco a fare del
male a chi mi fa del male, e farne a me stesso mi renderebbe ancora
più
vigliacco di quanto già sia”.
Gli tornarono
in mente le parole di Odysseus. Odysseus
riteneva di essere una persona debole e vigliacca: fisicamente non era
forte,
sì, ed era capitato più volte in quei giorni che
il giovane si fosse fatto
spaventare anche dalla propria ombra, o da alcuni rumori forti, o dalla
bambola
“gemella” di Scylla che era nel negozio da vorn e
vorn, ma sinceramente Glitch
trovava che la vera codardia fosse ben altro. Qualcosa gli stava
suggerendo che
la vera codardia potesse essere proprio la
sua.
“Lo
sto facendo per proteggerli tutti e tre, non è
codardia”
si ripeté mentre veniva gettato a terra “Per loro
non varrebbe la pena avere
problemi a causa mia”.
Riusciva a
immaginare Scylla rispondere a ciò con qualcosa
tipo “Dobbiamo essere noi, a decidere
cosa vale la pena per noi, o tu?”.
Sì, anche lei avrebbe sicuramente visto della codardia in
tutto ciò e ne
sarebbe stata disgustata, ancor più pensando al fatto che
pur vedendolo debole
lei aveva deciso di tenerlo in casa lo stesso.
Forse anche
per Odysseus sarebbe stato così. Il discorso che
aveva fatto quella notte lasciava intendere in modo piuttosto chiaro la
sua
opinione riguardo coloro che, pur non condannati a morte da una
malattia
incurabile e dolorosa che l’avrebbe reso più
comprensibile, sceglievano il
suicidio.
Il pensiero
che il suo amico potesse provare sentimenti di
schifo nei suoi confronti gli fece male quanto la consapevolezza che
con quel
messaggio d’addio l’aveva ferito -aveva imparato a
conoscere Odysseus
abbastanza da non avere dubbi sulla cosa- ma in ogni caso era tardi per
fare
qualsiasi cosa a riguardo.
Uno del gruppo
di delinquenti puntò contro la sua testa un
fucile laser vecchio e palesemente tenuto insieme da del nastro
adesivo.
Sarebbe stato come morire in un film d’azione girato con un
budget ridicolo ma
in fin dei conti lui non meritava una terminazione più
gloriosa, e in effetti
la stava vivendo proprio così: da spettatore di un film che
lo riguardava solo
fino a un certo punto. Miracoli della dissociazione.
Una
dissociazione che tuttavia passò immediatamente nel
vedere dei “capelli” avvolgersi attorno al braccio
del mech, che quindi finì
per sparare in aria, e Odysseus conficcargli nel collo lo scalpello
appuntito.
“Cosa?!...”
«Lasciatelo
stare!» esclamò il jetformer, con aria molto
più
spaventata di quella che sarebbe stato saggio avere in quel frangente,
dopo
essersi riappropriato dello scalpello con uno strappo brutale
«A-avete capito?!
Lasciatelo stare!»
Al
comprensibile stupore di Glitch si aggiunse il panico,
per un semplice motivo: Odysseus sarebbe
dovuto essere ovunque tranne che lì. Odysseus sarebbe
dovuto essere a
dormire nella sua cuccetta, non a tremare guardando la pioggia lavare
via
l’energon altrui dal suo scalpello con l’aria da
“Oddio che cos’ho fatto?!”.
«Ma
che ca-»
«Facciamo
fuori questo idiota che si scopa i senza-faccia!»
«Prendetelo!»
Il giovane
jetformer, ora nel panico anch’egli, strinse lo
scalpello al petto quando vide due mech decisamente più
grossi di lui
avventarglisi contro.
Era venuto in
quel posto per lui, stava rischiando la pelle
metallica per lui che, incurante della volontà sua e di
Scylla, era scappato
via come una robopantegana lasciando solo un biglietto; e ora, a causa
dell’azione sconsiderata che aveva commesso, Odysseus stava
rischiando la terminazione
-lui, che non lo meritava, per mano di quegli esseri immondi.
Alla
disperazione che l’aveva portato lì e al panico si
aggiunse una sensazione di furia intensa che a Glitch sembrava quasi
star
suggerendo in modo seducente quanto maligno di essere canalizzata e
usata per
punire tutti loro, perché erano feccia
che, per le loro azioni contro una persona degna come loro non erano
mai stati,
lo meritava.
Un sussurro
che lui volle ascoltare.
Tese le
braccia con uno scatto e stavolta sentì più
chiaramente
del solito un’ondata di “potere”
attraversarle, andando poi ad abbattersi
contro i due mech che ormai erano quasi addosso a Odysseus; e dopo un
grido di
dolore puro straziante, quasi animalesco, i due aggressori crollarono a
terra
come le bambole create da Odysseus e le sue sorelle… e
altrettanto “vivi”.
Aveva
provocato la morte di due persone ma avrebbe mentito
dicendo che gli dispiaceva: attaccando Odysseus lo avevano meritato, e
lui
sentiva di aver fatto né più né meno
del proprio dovere.
Chiunque gli
aveva detto che un giorno avrebbe potuto
colpire anche a distanza aveva ragione, dopotutto, pensò
appena prima che
l’ovvio mal di testa lancinante iniziasse a martellargli i
circuiti.
«Glitch!»
esclamò Odysseus, ora di fianco a lui «Glitch!
Come stai?!»
«Odysseus…
tu n-non dovresti essere qui» sibilò tenendosi la
testa tra le mani «Vola via!»
«Ma
che-»
«Avete
visto che ha fatto!»
«Nemmeno
lui è conciato tanto bene» disse uno dei dodici
mech rimasti, tirando fuori una lunga lama azzurrina
«Facciamolo fuori prima
che rifaccia quel giochetto un’altra volta!... e il suo
fidanzatino con lui».
«Sì,
capo».
Le luci
dell’ambiente circostante iniziarono a spegnersi una
dopo l’altra, ognuna dopo un rumore di vetri rotti che con
quella pioggia
assordante forse solo Glitch riusciva a sentire, e ben presto tutti
rimasero al
buio. Era inquietante, e il gruppetto di aggressori che ora aveva
iniziato a
guardarsi attorno con aria piuttosto irrequieta doveva pensarla allo
stesso
modo.
«…
ha sentito il messaggio» bisbigliò Odysseus in uno
dei
suoi recettori uditivi.
«Cos-»
Un lampo
proiettò sul terreno per un breve istante una lunga
e mostruosa ombra tentacolare.
«Che CAZZO
è?!»
fu
l’urlo di un mech, subito seguito dall’ennesimo
tuono assordante di quella
sera.
E, dopo la
fugace visione di una creatura infernale con
molteplici appendici tentacolari e due sensori ottici dorati
posizionato sul
tetto di un palazzo vicino -visione che diede a Glitch un attimo di un
terrore
puro “familiare”- accadde tutto molto in fretta.
Un mech
fuggì via urlando appena prima che quattro tentacoli
afferrassero i due compagni vicini a lui e li scagliassero con forza in
un
cassonetto vicino. Ai quattro tentacoli se ne aggiunsero altrettanti e,
dopo
aver stretto l’intero cassonetto con tanta forza da
deformarlo, lo scagliarono
con tutta la violenza possibile addosso ad altri tre
“aggressori” che avevano
avuto la sventurata idea di non essere lesti a disperdersi. Con un
rumore fragoroso
e reso umidiccio sia dalla pioggia, sia dal loro energon, finirono
spiaccicati
contro la parete di un palazzo, probabilmente ancora vivi.
Scylla
-perché di lei si trattava- dopo questo non esitò
a
usare due dei suoi capelli per afferrare al collo un mech che aveva
appena
accennato a sollevare il proprio fucile laser, disarmandolo e
utilizzando
l’arma in questione per sparare a distanza ravvicinata a un
altro di quei
delinquenti; un altro ancora le si avventò contro urlando e
fendendo l’aria con
un coltello, salvo essere preso per le gambe, sollevato e, assieme al
collega
fino a quel momento trattenuto per il collo, finire impalato sulla
sporgenza
lunga e spessa di un rottame appuntito non meglio identificato.
Altri due mech
si diedero alla fuga nonostante gli ordini
isterici di quello che avevano definito “capo”, il
quale una volta rimasto solo
e preda della rabbia più assoluta raccolse un fucile e
tentò di sparare a
Scylla più volte, una delle quali nondimeno
riuscì a colpirla di striscio.
Il grido che
Glitch sentì fare a Odysseus tuttavia non fece
che anticipare il momento in cui anche il capo di quel piccolo gruppo
di
disperati venne inevitabilmente preso dai “capelli”
di Scylla e sbattuto contro
una parete; dopo questo, la jetformer scagliò contro il
volto di quel mech il
primo pugno di una lunghissima serie, tutti tanto forti da far
rimbalzare la
testa del malcapitato contro il muro, fermandosi solo quando il viso
del
cybertroniano in questione divenne una maschera di metallo, tessuti
tecnorganici ed energon.
In tutto
ciò Glitch, nonostante il terrore provato
all’inizio e la bestialità del tutto, non poteva
negare a se stesso di provare
una sorta di fascinazione nei
riguardi di certi aspetti di quanto era accaduto. Le luci spente prima
dell’attacco -una mossa fatta tanto per inquietare quanto,
forse, per darsi il
tempo di valutare i nemici- e l’ombra mostruosa a terra, che
aveva aggiunto un
tocco “scenico” all’arrivo di Scylla
così com’era stata scenica la mossa del
cassonetto, il tutto eseguito in modo così brutalmente
efficiente…
Se solo fosse
stato in grado di fare altrettanto.
Se solo.
Il mech contro
il muro, per quanto malridotto, ebbe
addirittura il fegato di sputare in faccia alla persona che in breve
tempo
aveva reso inoffensiva e/o disperso il resto della sua banda.
L’espressione sul
volto di Scylla, immediatamente ripulito dalla pioggia, non
subì il minimo
cambiamento, ma due dei suoi capelli afferrarono le gambe
dell’altro
transformer e le allargarono fin quasi ad arrivare a una spaccata
forzata,
mentre la femme raccoglieva da terra la lama azzurra che
originariamente era
stata proprio nelle mani di questi.
«Mi
sembra evidente che né la tua banda né tu come
capo
siate granché, dunque se fossi in te la farei
finita» disse Scylla, col tono di
voce più tranquillo del mondo «E se mi ricapitasse
di vedere anche solo uno di
loro due, correrei via molto velocemente» aggiunse dopo aver
fatto voltare
forzatamente il mech verso Glitch e Odysseus
«Perché se invece decidessi di
fare qualcos’altro di stupido, la lama del tuo coltello
potrebbe finire dritta
nel tuo canale di espulsione. Non credo che ti piacerebbe»
disse poi, premendo
la lama tra le gambe del cybertroniano «Hai capito
bene?»
«F-fanc-»
Un grido
più di paura che di dolore fuoriuscì dalla bocca
del mech nel momento in cui sentì la punta della lama
infilarsi nella sua
armatura.
«Hai
capito bene?» ripeté Scylla, abbassando la voce
man
mano.
Glitch
pensò che la calma e l’abbassare la voce facevano
molta più paura che immaginarla urlare. Urlare poteva essere
visto come una
perdita di controllo.
Il mech ormai
piagnucolante annuì e, quando Scylla lo lasciò
andare, scivolò contro la parete senza più
energie per muoversi. Nonostante
l’acqua, Glitch riuscì comunque a notare come
quella che in termini umani
sarebbe stata la “vescica” del cybertroniano avesse
ceduto.
Vide Scylla
avvicinarsi velocemente a loro due. «Se non ti
prendo a schiaffi, Glitch, è solo perché hanno
già provveduto e perché dubito
seriamente che quei due morti lì a terra siano opera di mio
fratello e del suo
scalpello».
«M-m-mi
dispia-»
«Zitto.
E tu, Odysseus, hai fatto una cosa molto stupida e
da non ripetere… ma hai tirato fuori
gli attributi nel momento in cui è stato
necessario, e di questo posso solo essere fiera».
Glitch, per il
poco che riuscì a vedere dato che non trovava
il coraggio di sollevare troppo lo sguardo, trovò
l’espressione stupita di
Odysseus del tutto comprensibile.
«Forza,
ora andiamo a casa-»
Un movimento
veloce in un vicolo vicino rivelò la presenza
di uno dei mech che erano fuggiti, prontissimo a sparare a Scylla la
quale a
sua volta aveva notato la mossa, ma non riuscì mai nel
proprio intento: un
“tentacolo” tirò indietro il suo
braccio, venne disarmato e sbattuto di faccia
contro un muro da un potente ceffone.
Charybdis si
fece avanti senza particolare fretta e senza
dire una parola, l’espressione di perenne scocciatura ancor
più marcata del
solito.
«Aaaah,
che modo magnifico per disinnescare le discussioni!»
esclamò Scylla, non senza una certa ironia.
«Non
ti rispondo nemmeno».
«C-Chary?!...
come-»
«Mi
hai svegliata e ho sentito la chiamata, Odysseus. Ho
provato a tornare in ricarica ma pensando alla zona mi veniva
difficile,
nonostante conosca le buone maniere di
Scylla. Non c’era necessità: tempo di ricarica
perso che non tornerà mai
più» rispose la grossa jetformer per poi
rivolgersi a Glitch «Tutto per colpa
tua. Considerando l’atteggiamento dei miei fratelli nei tuoi
riguardi forse
dovrei darti talmente tanto da lavorare da non lasciarti energie
sufficienti
per tentare la fuga un’altra volta e rovinare il mio sonno. E
ora torniamo a
casa per davvero».
***
Glitch, ora di
nuovo al sicuro nella mansarda insieme a
Odysseus, non sapeva dove guardare.
«Quando
ho letto il tuo biglietto mi sono preoccupato a
morte, oltre a essere rimasto malissimo per il fatto che fossi andato
via e
per…, tu non sei andato proprio in quella zona per caso.
Giusto?»
«Sì
e no» rispose il mech aranciato senza alzare la testa
«All’inizio credevo di stare solo cercando di
allontanarmi, poi ho capito che
non era così».
Sentì
Odysseus sospirare nervosamente. I suoi pensieri
riguardo il fatto di poter aver iniziato a disgustarlo per il tentativo
di
farsi uccidere tornarono a galla mentre cercava di evitare che
l’ansia causasse
il solito malfunzionamento al suo sistema di ventilazione.
«S-se
non volessi più essere mio amico e d’ora in poi mi
vedessi solo come il garzone ti capirei. Volevo evitare danni e invece
hai… hai
quasi rischiato di finire male per venire ad aiutarmi, se ti fosse
successo
qualcosa, io…»
«Tu
sei mio amico. Un amico che ha fatto una cosa
incredibilmente idiota, ma sempre mio amico! Ed è per questo
che sono venuto
fin lì. È per questo che in qualche modo ho
trovato il coraggio di farlo» disse
Odysseus.
«…
mi consideri ancora un tuo amico? Anche dopo questo?»
«Però
non rifarlo, per piacere».
«Mai. Non dopo
aver visto quel che comporta» replicò Glitch
«A proposito… come mi hai
trovato?»
«Ehm…
potrei aver notato che magari pensavi a qualcosa di
strano e averti messo addosso un segnalatore che una volta era stato di
un
cybercane. N-non è stato molto carino ma considerando tutto
mi sa che ho fatto
bene».
«Mi
sa di sì» disse Glitch. Sembrava che Odysseus
avesse a
sua volta iniziato a conoscerlo abbastanza. «E…
pensi che Scylla sarà
arrabbiata con me per molto? Non le mancano i motivi. Lei voleva
tenermi qui e
io non me ne sono curato, ti ho indotto a venire in quella zona e
lei… lei si è
dovuta scomodare tanto per-»
«Probabilmente
l’ha vista come un’altra occasione per
cercare di insegnarmi come si fa, anche se è abbastanza
inutile, hai visto da
solo qual è il massimo che riesco a fare» disse
Odysseus mentre si sedeva
vicino a lui «E-e poi sinceramente io non… solo
ripensare a quando ho infilzato
quel mech con lo scalpello, io…» scosse la testa
«E n-non è nemmeno morto ed
era comunque messo meglio di quelli che Scylla ha impalato.
L’unica cosa che mi
rende sopportabile ricordarlo è pensare che, se non
l’avessi fatto, quel tizio
ti avrebbe ucciso».
«Sì.
E mi dispiace di averti costretto a tanto, n-non… non
penso di poter far capire con le parole fino a che punto» si
scusò Glitch,
stringendosi le mani con forza «Tu non ti senti “a
posto” se devi fare del male
a qualcuno».
«E
tu? Prima hai… dicevi di dover toccare persone e cose per
poterle disattivare, ma quei due mech… l’hai fatto
a distanza, Glitch. E non
erano solo paralizzati, erano proprio terminati, tu puoi…
puoi uccidere
qualcuno senza nemmeno sfiorarlo».
Un’altra
ondata di panico assalì il povero disgraziato
outlier, e non all’idea di aver ucciso, ma all’idea
che il suo amico potesse
iniziare ad avere paura di lui. Quello gli avrebbe fatto più
male di qualsiasi
altra cosa. «N-non lo farei mai con te e con la tua famiglia,
né totalmente a
caso, Odysseus, giuro! N-non s-so nemmeno come ci sono riuscito, n-non
credo di
esserci mai riuscito prima di stasera, volevo solo evitare che ti
facessero del
male, per favore credimi-»
«Certo
che ti credo, non è quello il punto. È solo che
è un’abilità…
incredibile. Voglio dire, se un giorno tu riuscissi a controllarla
bene, senza
nemmeno arrivare a terminare qualcuno, potresti fare tipo…
tutto. Potresti andare
dove vuoi senza avere paura di niente, per dirne una. Chissà
come ci si sente!»
Non era
spaventato da lui. In fin dei conti,
rifletté Glitch, Odysseus era cosciente della sua
abilità di fare molto male -pur
pagandone il prezzo- fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti, e
lo
stesso valeva per le sue sorelle; proprio pensando alle sorelle e a
ciò di cui
erano capaci, poi, si diede nuovamente dell’idiota nel non
aver tenuto da conto
che Odysseus era abituato a loro.
«Ma
immagino che non lo saprò mai, non sono grosso come
Charybdis e non ce la faccio proprio a fare quel che fa
Scylla» disse infatti
Odysseus, quasi facendo eco al suo pensiero «Stavo per
farmela sotto anche io,
oltre che il tizio che ha appiccicato al muro. Non vorrei dire, ma
è stato
peggio della volta dell’ottica» indicò
quella verdastra «E-e già quella volta
mi ero inquietato abbastanza. Ti ho mai raccontato la storia? Un giorno
dovrò
farlo, penso…»
«Lei
è stata molto… efficiente».
«Senz’altro,
ma lei è così… non dico che fare del
male alla
gente le piaccia, ma di sicuro non ha nemmeno problemi a farlo se lo
ritiene
necessario. E qui lo era, no?» fece un sospiro
«Glitch».
«Sì?»
«Non
farlo mai più. Lo so che te l’ho già
detto ma te lo
ripeto, non cercare di fuggire un’altra volta».
«L’unico
motivo per cui potrei sparire è che le tue sorelle
si stufino del sottoscritto… o che chiunque mi abbia mandato
qui trovi il modo
di riportarmi indietro senza scomodarsi di persona, cosa che spero non
succeda.
Non voglio tornare indietro, non credo ci sia nulla per me,
lì. Qui ho un
amico, qui sono
voluto»
si interruppe
«Forse avrei dovuto pensare a questo anche stanotte, invece
di sputarci sopra».
«Quel
che è fatto è fatto, l’importante
è che tu abbia
capito. Eeee credo sia il caso di andare in ricarica, soprattutto per
te,
perché ho idea che Charybdis per un
po’farà precisamente quello che ha detto riguardo
il farti lavorare fino allo sfinimento!»
«Lo
credo anche io, ma è meritato» sospirò
Glitch,
accasciandosi sulla propria cuccetta dopo che Odysseus ebbe raggiunto
la
propria.
«…
un pochino. ‘Notte, Glitch».
«Buonanotte».
“E
scusami ancora” aggiunse, solo mentalmente, prima di
chiudere gli occhi e cercare di entrare in una ricarica che gli sarebbe
decisamente servita.
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Capitolo 7 *** 7 - Chosen One Day con sorprese ***
7
«I-il
cosa?»
«Chosen
One Day. Oggi il negozio è chiuso» disse Charybdis
«Siamo in vacanza persino noi, ebbene sì. Odysseus
non te l’ha detto?»
Glitch, ancora
con spazzolone e straccio in mano, scosse la
testa.
Non era
propenso a credere che Odysseus l’avesse fatto
alzare di proposito troppo presto -ormai erano passati vari giorni dal
suo
tentativo di fuga, quindi la ragione non sarebbe potuta essere una
“vendetta”-
se mai era probabile che avesse dato per scontato che lui avesse tenuto
traccia
dei giorni trascorsi, cosa che invece non aveva fatto.
Charybdis non
aggiunse altro, mettendosi invece a rifinire
l’abito della sua ultima creazione. Anch’esso come
il resto aveva dei bei
colori accesi, nello specifico tutti quelli del fuoco.
Era giorno di
vacanza ma non sembrava che a lei importasse,
visto che si era alzata presto come suo solito, e vedendo questo Glitch
decise
di fare la stessa cosa dandosi da fare almeno fino a quando lei fosse
stata lì
a cucire.
Charybdis gli
rivolse una breve occhiata, tornando poi al
proprio lavoro senza più curarsi di lui.
Andarono
avanti così per un paio d’ore circa, durante le
quali il pavimento del negozio tornò a essere
così pulito da poter quasi essere
scambiato per nuovo e tutte le mensole diventarono lucide come specchi,
così
come il bancone. Glitch trovò il coraggio di tirare a lucido
anche la “gemella”
di Scylla, che pure era già pulita di suo.
Il negozio era
pieno di bambole, com’era normale che fosse
dato che vendevano proprio quelle, ma per quanto ormai si fosse
abituato alla
loro presenza -inizialmente anche quelle l’avevano inquietato
il giusto- quella
bambola lì continuava a intimorirlo un
po’… come la sua creatrice, del resto,
nonostante il “grosso” della sua paura verso Scylla
fosse passato dopo aver
capito che non intendeva fargli niente di male, se mai il contrario.
Charybdis
finì di fare quel che stava facendo e Glitch, avendo
finito le pulizie, vedendola alzarsi rimase fermo dov’era a
guardarla,
attendendo eventuali ordini. Tutto sommato stava migliorando davvero,
quando
era arrivato non aveva il coraggio di sollevare gli occhi sulla
massiccia
jetformer che, contrariamente alla sorella, non gli aveva mai ordinato
di
guardarla in faccia quando parlavano.
«Siamo
chiusi, non ho ordini da darti eccetto “continua a
non fare danni”» disse Charybdis.
«Sissignor-»
«A
proposito, l’altro giorno sei stato sul punto di far
cadere delle scatole a causa del troppo freddo alle giunture delle
dita».
«L-le
“mani” che m-mi hanno… che m-mi hanno
messo n-non sono
granché, lo so, m-mi dispiace, c-cercherò di fare
meglio».
Glitch si
ritrasse istintivamente quando la vide tendere una
mano verso di lui. Charybdis non cambiò espressione
né in quel momento né
quello successivo, ossia quando il mech tornò ad avvicinarsi
per osservare quel
che lei gli stava mostrando.
«…!»
Non
c’era possibilità d’errore riguardo il
fatto che si
trattasse di un paio di coloratissimi guanti fatti per delle mani con
tre dita
soltanto e un palmo impossibile da chiamare tale. In breve: fatti su
misura per
lui.
«Meno
rischi per la merce» fu il lapidario commento di
Charybdis.
Dopo aver
farfugliato un ringraziamento e aver tentato
inutilmente di non mettersi a “piagnucolare” come
suo solito, Glitch riuscì a
tendere le dita verso quello che si poteva considerare un regalo per il
Chosen
One Day ricevuto da qualcuno che in teoria, potendo scegliere, non
l’avrebbe
mai voluto in giro per casa propria. In quel momento i suoi tremolii lo
facevano veramente sembrare un budino di berillio, più
precisamente un budino
di berillio durante un terremoto, ma per qualche strano miracolo
riuscì
comunque a infilarsi i guanti.
«Non
ci credo!» esclamò Scylla, in piedi in cima alle
scale «Il Demone degli Shanix di casa
nostra si è ricordata di avere una Scin-… che
c’è?»
«Il
tuo buon proposito per oggi» ricordò Odysseus ala
sorella dopo una leggera gomitata «Limitare le battute qui e
là».
«Mi
stavo già
limitando… buon Chosen One Day, Budino».
«A-anche
a te» rispose Glitch, salendo rapidamente le scale
dopo che Charybdis gli ebbe fatto cenno di andare al piano superiore
«E-e anche
a te, Odysseus».
«Altrettanto»
sorrise il jetformer.
«Ho
anche io un regalo per te» disse Scylla
«… non piangere»
lo avvertì.
«L-lo
stavo già facendo quindi è
difficile…» replicò il mech
«N-non c’era bisogno che tu… che
voi… soprattutto dopo quel che ho fatto p-poco
tempo fa».
«Vogliamo
credere che tu abbia capito la lezione. Allora,
puoi scegliere tra due cose: una è questo» disse
la femme, mostrandogli un
berretto piuttosto semplice ma carino, nonché di un colore
uguale a uno di
quelli sui suoi guanti «L’altra
è-»
«Se
nomini il quartiere a luci rosse è la volta che ti
impacchetto con i tuoi stessi capelli, ti chiudo in un armadio e ti
lascio lì
per tutto il Chosen One Day» dichiarò Charybdis
«Sei avvisata. È un posto
immorale».
«I-i-i-il-»
balbettò Glitch, incredulo per quel che aveva sentito e
indeciso se, nel caso
Scylla avesse inteso proprio quello, fosse uno scherzo o meno.
«Le
femmes nel posto che intendo io esercitano la
professione per loro scelta, non perché costrette»
ribatté Scylla «Da un punto
di vista sociale staremmo meglio tutti quanti se chi sceglie di fare
questa
vita E chi è
disposto a pagare per il
servizio sentisse di poterlo fare tranquillamente».
“Va
bene, ho qualche dubbio sul fatto che forse non stesse
scherzando… ma non è possibile, dai”
pensò Glitch, con il volto parzialmente
surriscaldato all’altezza di dove un tempo aveva avuto delle
guance.
«Pre-prendo
il cappello. G-g-grazie» borbottò il mech,
prendendo
l’indumento con la tentazione di indossarlo calcandolo fino a
coprire il suo
unico sensore ottico.
Scylla fece
spallucce. «Ci ho provato. Sarà per il prossimo
Chosen One Day!»
«Anche
durante il prossimo Chosen One Day continuerà a
essere un posto immorale» ribatté
l’altra jetformer.
«Lì
lavorano anche dei mech… e dato che mi devo limitare con
le battute non aggiungo altro se non “Tienilo a mente, nel caso”».
«Come
tu fai meglio a tenere a mente che Brushsling sarà qui
per l’ora di pranzo, come sempre, e che oggi pomeriggio e
stasera avrai da
fare. Noto aloni qui e là, presumo risalenti a stanotte -e
solo Primus sa dove
sei andata a infilarti- quindi è il caso di iniziare a
tirarsi a lucido fin da
ora».
«Una
di queste sere puoi evitare di andare in ricarica a
orario henn e venire con me, almeno soddisfi la
curiosità» replicò Scylla,
decidendo comunque di seguire il consiglio.
Odysseus
guardò Glitch e indicò Charybdis con un cenno del
capo. «Mentre lei cucina noi decoriamo, ti va? Ho portato
giù gli scatoloni».
«Sono
piuttosto grandi, se me l’avessi detto sarei tornato
su ad aiutarti» disse Glitch.
«Abbiamo
fatto io e Scylla, non c’era bisogno, tranquillo»
lo rassicurò Odysseus «Sai che sono proprio
bellini, quei guanti lì? Quasi
quasi me ne faccio un paio simili anche io».
La decorazione
della cucina/soggiorno procedette in modo
spedito, con un unico breve rallentamento quando Odysseus
tentò di appendere
delle lucine anche addosso a Charybdis dicendo che sarebbero state bene
con i
puntini arcobaleno. L’aveva detto nella più totale
innocenza ma si era preso
comunque un’occhiataccia, resa ancor più
“accia” dalla risata di Scylla che,
dal bagno, aveva sentito benissimo tutto quanto.
Glitch doveva
riconoscerlo: per quanto quella famigliola
potesse essere composta da persone estremamente diverse e ognuna con le
proprie
magagne, c’erano dei momenti in cui a modo suo riusciva a
essere comunque
bella. Di certo era meglio di quanto lui rammentasse di aver mai avuto,
al di
là del fatto che lui tuttora non ricordasse
granché: di tutti i volti che gli
passavano davanti -non ultimo quello di un mech dagli occhi gialli e il
simbolo
dei primalisti su una guancia- non c’era nessuno per il quale
sentisse slanci
d’affetto.
Finito di
decorare vennero entrambi spediti in mansarda da
Charybdis a tirarsi lucido a loro volta, perché
“Il fatto di ‘essere solo noi’
non è una scusa”, ed entrambi obbedirono senza
fare storie. A Glitch, come per
tutto il resto, sembrava incredibile già solo
l’idea di avere una ragione per
“tirarsi a lucido”, o il fatto che gli fosse
permesso, o anche solo l’idea di
star festeggiando il Chosen One Day come
tutti gli altri.
Lui non era come tutti gli altri, lui era un senza-faccia
il cui unico diritto era quello alla vita, eppure eccolo lì
a ricevere regali
-meglio evitare di pensare al senso di colpa derivato dal non avere
idea di
come ricambiare- a decorare il posto dove viveva e con la prospettiva
di una
bella mangiata ad attenderlo. Non erano molti i senza-faccia ad avere
altrettanta fortuna.
“Fortunato”…
che aggettivo strano da accostare a un essere disgraziato
qual era lui stesso.
«…
Glitch?»
«C-cos…
scusami, Odysseus, ero perso nei miei pensieri. Cosa
dicevi?»
Odysseus gli
mostrò qualcosa che in apparenza sembrava un
piccolo “uovo” abbastanza inquietante,
com’era nel suo stile, ricoperto di
sensori ottici e bocche contorte in smorfie perverse. Premendo sullo
spazio
libero che Odysseus aveva riservato al marchio che apponeva su tutte le
sue
creazioni, l’ “uovo” si
scoperchiò e iniziò a riprodurre le note
principali di
quella che era la melodia preferita di Glitch, ossia l’
“Empyrean Suite”.
«Sì,
mi rendo conto che non è… magari avrei potuto
fare
qualcosa di più grosso» disse il jetformer
«Però sì, insomma, spero che ti
piaccia?...»
Con una
gratitudine che non sarebbe stato capace di
esprimere con parole che in ogni caso in quel momento non sarebbe
riuscito a
dire, Glitch trovò chissà dove il coraggio di
fare qualcosa di inaspettato: pur
con mille esitazioni e con la onnipresente paura che il suo gesto
potesse
essere rifiutato -anche se razionalmente parlando era difficile che
accadesse-
riuscì a farsi avanti e abbracciare Odysseus, il quale non
ebbe nessuna
esitazione nell’esultare e ricambiarlo a sua volta.
«Ora
però sono io che potrei mettermi a piangere!»
esclamò
il giovane mech «Glitch, non avresti potuto farmi un regalo
più grosso di
questo. Sei migliorato tantissimo, fino a un mese fa questo sarebbe
stato
impensabile!»
«G-già.
È vero».
«Prossimo
passo: smettere del tutto di avere paura di
Scylla!»
Il povero
outlier scosse velocemente la testa. «Non credo
che sia fattibile. Come faccio a non
avere per nulla paura di una femme che meditava di portarmi dalle prostitute?!... a meno che
scherzasse… scherzava, vero?»
«Quando
l’aveva detto a me credevo anche io che scherzasse,
prima che una sera mi portasse nel posto che diceva e mi lasciasse
lì col dire
che sia nel caso in cui fossi tornato da solo, sia nel caso in cui
avessi
deciso di entrare e “consumare”, sarebbe stata una
vittoria» Odysseus alzò gli
occhi al soffitto «… per la cronaca, ho scelto la
seconda cosa. A-avrei davvero
voluto trovare una femme con cui uscire e poi mettermi insieme e dopo
ancora…
lo sai, di solito in una relazione c’è anche la
connessione. Ero interessato,
avrei voluto provare, solo che non avevo mai avuto particolare
fortuna… anche
le pochissime volte dove sono stato approcciato dalle femmes poi si
sono
stufate rapidamente quando hanno visto che non… insomma, non
fa piacere andare
in giro con uno che viene preso in giro o a cazzotti. Per cui...
diciamo che
Scylla a modo suo ha provato ad aiutarmi. Un problema, una soluzione,
no?»
“Quella
femme è proprio strana. Alcune cose che fa me le
aspetterei molto di più da un mech… precisamente
uno di quelli che cercherei di
evitare per strada” pensò Glitch, anche se quello
non cambiava la sua opinione
generale su alcunché.
«Immagino
di sì… vai prima tu?»
domandò poi a Odysseus,
indicando il bagno.
«No
no, fai pure. Dobbiamo tirarci a lucido, l’hai sentita,
un po’perché è tradizione e un
po’perché sia mai che stavolta Scylla accetti la
proposta del mio non futuro cognato
senza che noi siamo in ordine» Odysseus alzò le
ottiche al soffitto «Difficile
che succeda, molto difficile».
«Non
ti seguo…»
«Antefatto:
i genitori nostri e quelli di Brushsling erano
amici molto stretti, quindi finire a passare le festività
tutti insieme era una
cosa comune. Ha continuato a essere una cosa comune anche quando
purtroppo
tutti loro sono finiti offline nelle stesse circostanze e siamo rimasti
solo
noi figli, e a Brushsling piace Scylla fin da quando ne ho memoria,
quindi da
un certo momento in poi il Chosen One Day ha iniziato ad avere qualche
sfumatura di significato in più, almeno per loro…
o meglio, per lui».
«Quando
eravamo andati in ambulatorio l’aveva invitata a
casa sua per un enercaffè ma non pensavo… non
avevo capito che a lui
interessasse in quel senso, ma anche
se l’avessi capito avrei pensato che fosse una cosa
tipo… spesso ci sono i mech
che fischiano e le fanno apprezzamenti per strada, avrei pensato che
fosse una
cosa simile».
Indimenticabile
la volta in cui un mech in mezzo a un
terzetto si era permesso di esclamare
che aveva “un gran bel posteriore” -la parola usata
non era stata quella- cosa
alla quale Scylla aveva risposto con qualcosa di simile a “E
tu hai un’ottima
vista, cittadino qualunque!”.
Glitch non
riusciva a immaginare se stesso mentre riceveva
apprezzamenti di sorta, per quel che ricordava non gli era mai successo
-in fin
dei conti perché mai qualcuno avrebbe dovuto fargliene?- ma
probabilmente se
mai delle femmes a caso gli avessero detto delle cose del genere si
sarebbe
sentito piuttosto a disagio, contrariamente a lei.
«Non
è quello, cioè, non è solo quello, ma
non ha speranze
in ogni caso. Per quanto Brushsling piaccia anche a lei, lei dice
“proprio
perché lo conosco e mi conosco so che alla lunga finiremmo a
non sopportarci,
sarebbe un peccato perché tengo a lui, finirei col perdere
un amico” e
blablabla. Al momento pare convinta di quello che dice ma è un
peccato, difatti per una volta
concordo con Chary nello sperare che più in là
cambi idea. Magari quando si
stuferà del gladiatore».
«Non
ti seguo… di nuovo» disse Glitch nel cercare di
assorbire tutto quel mare di pettegolezzi degni di una suocera ma
interessanti per
cercare di capire meglio le persone con cui si era trovato a vivere
«Anche se
in effetti una volta l’ho sentita nominare un gladiatore, era
un discorso… era
un po’… lasciamo perdere. L’ho sentita
nominarlo, insomma».
«Tempo
fa decise di andare a vedere degli incontri
nell’arena di Kaon, era un evento abbastanza grosso, e ha
“fatto amicizia” con
uno di quelli nuovi, che ora sta diventando un astro nascente nei
combattimenti.
In seguito è tornata lì altre volte, in un caso
ha portato anche noi e niente, a
parte questo e il fatto che lei sia tra quelle che entrano gratis non
c’è altro
da dire» Odysseus fece spallucce «Non si
può nemmeno dire che abbiano una
storia, se diamo retta a Scylla lei non gli ha detto come si chiama
né da dove
viene».
«Ma
quindi di cosa parlano?...»
Odysseus si
passò una mano sul viso e fece un sorrisetto.
«Non credo che parlino granché, Glitch, se riesci
a capire cosa intendo».
«In
che sens… oh».
Quello e il
dover andare a tirarsi a lucido sancì la fine
dei pettegolezzi.
***
Era stato un
pranzo gradevole, reso ancor più abbondante dal
fatto che anche Brushsling avesse contribuito portando a sua volta del
cibo.
Glitch sulle
prime si era sentito piuttosto in ansia
all’idea di dover interagire con tutti e tre i fratelli
insieme E con un
“estraneo” in un contesto molto
informale -perché pur essendosi tirati a lucido si trattava
sempre di un pranzo
in famiglia e con amici- ma alla fine, in buona parte anche grazie a
Odysseus,
era riuscito a cavarsela piuttosto bene. Era perfino riuscito a
lasciarsi
coinvolgere in qualche conversazione abbastanza a lungo,
un’altra cosa che fino
a un mese prima sarebbe stata impensabile, e per quanto la cosa
l’avesse
stancato mentalmente si era sentito anche soddisfatto
di se stesso
per i progressi fatti.
Il Chosen One
Day era proprio un giorno miracoloso.
In seguito,
precisamente dopo che Charybdis aveva impedito a
chiunque di darle una mano a rimettere in ordine, Scylla aveva tirato
fuori le
carte da sabacc. Lei, Brushsling e Odysseus si erano offerti di
insegnare anche
a Glitch a giocare, e lui una volta tanto aveva potuto rispondere che
non c’era
bisogno perché, da quel che gli suggeriva il suo povero
processore scombinato
dal viaggio nel tempo, ne era già in grado.
Scylla e
Brushsling avevano avuto l’accortezza di non usare
i segni tra loro, dato che Glitch con la sua mancanza di tratti
facciali non
avrebbe potuto usarne altrettanti con Odysseus, e anche per questa
ragione lui
e il suo amico erano riusciti a portare a casa alcune vittorie.
Glitch si era
sentito a suo agio, si sentiva tuttora a suo
agio adesso che era al caldo, con il serbatoio pieno e lui e Odysseus
avevano
ceduto a Charybdis il posto a sabacc mettendosi a fare zapping sullo
schermo
olografico del soggiorno. Finora non avevano trovato granché
da vedere ma in
realtà a nessuno dei due importava, essendo più
che altro interessati a
impigrirsi in compagnia.
“Non
voglio tornare indietro. Non so da dove vengo ma non
voglio tornare indietro, mai, mai e poi mai” pensò
Glitch, mentre stretto in un
plaid rosso beveva dell’energon caldo speziato al radio.
L’atmosfera
festiva sembrava aver fatto bene a tutto il
quartiere, perché guardando fuori dalla finestra gli era
sembrato di vedere
un’aria più allegra del solito sulle persone, che
erano in fermento come se
fossero state in attesa di qualcosa. Probabilmente c’entrava
qualcosa la festa
prevista per quella sera.
Odysseus aveva
accennato al fatto che il Chosen One Day, per
la gente di quel settore, cadesse nello stesso giorno in cui in tempi
più
antichi si festeggiava il Cybersolstizio: quest’ultima
festività era andata
largamente in disuso nella maggioranza degli altri settori, ma non
lì, ragion
per cui gli abitanti del luogo avevano fatto un miscuglio festeggiando
il
Chosen One Day con l’aggiunta di un paio di cose per
richiamare il
Cybersolstizio. Odysseus l’aveva definito un valido
compromesso, cosa nella
quale Glitch si era trovato d’accordo.
A un certo
punto nel fare zapping si trovarono davanti un
viso che a entrambi risultava in qualche modo conosciuto: il
giovanissimo e
promettente gladiatore Megatronus, in diretta dall’arena di
Kaon. Glitch non
era in grado di spiegare la ragione per cui provasse una sensazione di
familiarità, ma quando notò che era accompagnata
dal principio del mal di testa
ricordi bloccati comprese che probabilmente aveva sentito parlare di
lui o
l’aveva visto nel proprio tempo. La cosa però non
avrebbe dovuto stupirlo:
anche in quelle condizioni di “rilassatezza” -era
in diretta dall’arena ma non
stava combattendo, lo stavano intervistando- aveva l’aria di
qualcuno pronto
alla battaglia in qualsiasi momento e un “fuoco” in
quello sguardo azzurro a
suggerire che quel giovane mech che rivolgeva lo sguardo verso
l’obiettivo
senza il minimo timore non fosse un semplice grosso bestione o una
semplice
macchina assassina.
– … e la
prossima
volta mi vedrete fare anche di meglio. Non è la prima volta
che faccio parlare
di me e non sarà l’ultima: questo per me
è solo l’inizio! –
Era
così convinto di quel che diceva, dritto come un fuso
nonostante qualche ammaccatura e del tutto incurante
dell’essere sporco di
energon non suo, che in qualche modo portava a credergli sul serio.
Glitch di
sicuro aveva iniziato a farlo.
– Il tempo ci
dirà se
sopravvivrai alle tue parole, Megatronus, ma senza dubbio hai offerto
uno
spettacolo promettente anche durante questo Chosen One Day. –
– Non potevo fare
altrimenti: i nobili signori e soprattutto le nobili signore dovevano
pur
intrattenersi in qualche modo. Cosa c’è di meglio
del vedere dall’alto un bel
massacro?
–
Poteva essere
serissimo o ironico, Glitch non avrebbe potuto
dirlo, ma qualcosa gli suggeriva che fosse valida la seconda opzione.
– A proposito di
signore, ti definiscono come uno dei favoriti del pubblico femminile.
Data la
festività, c’è qualcosa che vorresti
dire a riguardo? Un messaggio per una
femme speciale?
–
«Così
ognuna delle nobili signore che si sono volute
divertire col gladiatore potrà sospirare pensando che il
messaggio sia rivolto
a lei. I media in certe cose sono peggio del circo»
commentò Brushsling.
«Hai
perfettamente ragione» concordò Scylla.
A detta di
Odysseus quello era il gladiatore col quale lei
aveva “fatto amicizia”, ma non sembrava disturbata
all’idea che Megatronus
potesse connettersi con altre femmes. Probabilmente sapeva fin troppo
bene come
andavano le cose in quell’ambiente, si disse Glitch, oppure
non le importava
abbastanza o, ancora, erano valide entrambe le cose.
– Sì,
effettivamente
ne ho uno. Straniera! Hai mancato
un
po’troppe delle mie battaglie, dunque nel prossimo evento ti
voglio in prima
fila. Ti darò lo spettacolo che meriti. Ecco, questo
è il mio messaggio. –
Dopo
Megatronus iniziarono a intervistare anche un altro
gladiatore, conosciuto come Soundwave, ma Glitch più che a
lui era interessato
allo “straniera”: così come in
precedenza aveva inteso l’ironia nelle parole di
Megatronus, in quel caso aveva la vaga sensazione che la straniera di
cui
parlava il gladiatore si trovasse in quella stessa stanza. Odysseus non
aveva
forse detto che Scylla non aveva mai rivelato a Megatronus
né il proprio nome
né la provenienza? Che dire, più straniera di
così... ma le sue supposizioni
non trovarono conferma né smentita
nell’espressione della femme, distaccata in
quel momento come lo era stata prima.
«Si
è fatta una certa ora, Scylla» si fece sentire
Charybdis
«Se non vai c’è caso che tra un
po’si mettano a urlare sotto le finestre per
via delle prove».
«Sì,
è il caso che vada. A questo punto allora ci rivediamo
stasera in piazza» disse Scylla, alzandosi tranquillamente in
piedi «È proprio
vero che il tempo vola quando ci si diverte».
«Ti
accompagno» disse subito Brushsling, alzandosi a sua
volta «È ora che io torni in ambulatorio.
È già tanto che non abbiano chiamato
per qualche emergenza!»
Dopo gli
ultimi brevi saluti sparirono entrambi giù per le
scale, poi sentirono la porta sul retro aprirsi e chiudersi dietro di
loro.
«Mi
sa tanto che a breve si riparte in direzione Kaon»
commentò Odysseus, confermando così i sospetti
del mech aranciato.
«Nossignore.
Cercherò di farle capire che è una pessima idea
e quando non ci riuscirò rifiuterò comunque di
andare: non solo non la appoggio
per nulla in questa cosa, ma l’ho seguita l’ultima volta e
mi è bastato. Troppa gente,
troppo rumore. Tu, piuttosto, non avevi detto a tua volta che non
saresti
tornato lì mai più?»
«Almeno
un’altra volta penso di poterlo fare… e poi
Glitch sembrava interessato!»
“Si
è visto così tanto?!” pensò
Glitch, torcendosi le dita.
«È-è che quando l’ho visto
ho… ho come avuto l’impressione c-che non fosse la
prima volta» spirgò il mech «P-penso che
nel mio tempo sia ancora vivo».
«Male»
commentò Charybdis.
«Chaaaryyy…»
«Se
fosse morto avrei avuto più possibilità di vedere
Scylla
mettere la testa a posto e sistemarsi con Brushsling. Invece anche
stavolta gli
ha detto di no» continuò la femme dopo aver dato
un’occhiata fuori dalla
finestra «È così testarda».
Onestamente,
Glitch trovava comprensibile che Scylla non
avesse particolarmente voglia di sistemarsi col medico fino a quando
avesse
saputo che Megatronus era abbastanza interessato a lei da riuscire a
farsi
intendere in diretta televisiva pur senza nominare una designazione che
comunque
non conosceva. Brushsling era una brava persona, si capiva
già solo per il modo
in cui lo aveva sempre trattato, ma in lui non c’era la
minima traccia del “fuoco”
che invece animava quel gladiatore e, in parte, anche Scylla stessa.
Questa
però era un’opinione che Glitch non poteva,
né
voleva, condividere.
***
“Sì,
confermo: l’atmosfera è completamente diversa
rispetto
al solito” pensò Glitch, ben felice sia di avere
Odysseus di fianco a sé, sia
Charybdis dietro a loro due. Quando c'era lei, con la sua stazza, si sentiva più protetto in
mezzo a una folla consistente.
I palazzi
lungo le vie normalmente piuttosto buie e malmesse
erano stati decorati come lui e Odysseus avevano fatto prima di pranzo,
con
luci e addobbi qui e là, e lungo i bordi delle strade erano
stati accesi dei
minuscoli fuochi; quella doveva essere una delle tradizioni che
venivano dal
cybersoltizio, perché non gli risultava che per il Chosen
One Day fosse
previsto.
Arrivati in
piazza la folla aumentò ulteriormente, ma grazie
a Charybdis non faticarono particolarmente per arrivare vicini a una
piattaforma rialzata al centro della quale era stato acceso un
falò di
dimensioni abbastanza notevoli. Davanti a esso c'erano sei femmes che
indossavano ornamenti muniti di sonagli, e in mezzo a loro era presente
un
oggetto bizzarro che Glitch non riuscì a identificare. Se
avesse dovuto
sforzarsi nel descriverlo avrebbe detto che sembrava un grande bocciolo
di un
fiore alieno, tutto fatto di “tentacoli”
intrecciati tra loro.
«C-che
succede adesso?» chiese a Odysseus e Charybdis, non
senza una certa curiosità.
«Succede
che non solo Scylla è piuttosto esibizionista di
suo, ma le danno anche delle occasioni per mettersi in
mostra» rispose la
jetformer «Se non altro in queste occasioni non rischia di
fare danni».
«N-non
capisco… non la vedo lì sopra».
L’aria
venne invasa dal suono delle percussioni e di uno
strumento a corda, al quale le ballerine risposero iniziando a muovere
i primi
passi di una danza tradizionale più antica di svariati tra i
presenti, scandita
anche dai sonagli sui loro polsi e sulle loro caviglie.
Era
affascinante già così, sebbene Glitch avesse
l’impressione di star assistendo all’inizio di un
sabba, specialmente quando le
ballerine si disposero attorno all’oggetto bizzarro che,
quando il suono di uno
strumento musicale aerofono si aggiunse agli altri, iniziò
ad animarsi
lasciando scivolare i “tentacoli” lungo la propria
struttura e poi, seguendo
una coreografia molto precisa, facendoli ondeggiare tra le danzatrici e
verso
l’alto.
Lì
Glitch comprese dov’era Scylla, la quale finì di
“sbocciare” dalla propria capigliatura nel momento
in cui la voce baritonale di
un mech iniziò a intonare una canzone in quello che lui
riconobbe come l’antica
lingua di Tarn, dimenticata dai più e tornata in vita per
quella sera.
La danza delle
femmes divenne man mano più selvaggia nel suo
mantenere una certa eleganza, con le ballerine che si muovevano fluide
come
olio tra i “capelli” di Scylla, che pur spiccando
nella coreografia non lo
faceva in modo così fastidioso da diventare
l’unica protagonista. Se mai era
l’artefice dell’amalgama, ciò che univa
gli elementi di quell’esibizione
facendoli diventare una cosa sola, il ‘Til
All Are One tanto caro alla loro specie,
includendo anche le folla e la piazza stessa, sui cui alti
palazzi il fuoco proiettava l’ombra tentacolare e sinuosa di
tutto quello
spettacolo.
Era tutto
magnifico nella sua inquietante arcaicità, e lo
divenne ulteriormente quando anche le sei ballerine attorno a Scylla
iniziarono
ad accompagnare con le proprie voci il canto del mech in una melodia
sempre più
frenetica.
Eppure, per
quanto si sentisse rapito da quel che stava
vedendo, Glitch iniziò ad avere la sensazione opprimente che
qualcuno lo stesse
osservando.
Cercò
di ignorarla ma non riuscì a farlo per molto tempo e,
quando si decise a voltarsi, un’ondata di terrore lo
assalì nel vedere che a
fissarlo erano gli occhi rossi del mech più grosso,
pericoloso e cattivo che ricordasse di
aver mai
visto. Glitch non aveva idea di chi fosse ma le sensazioni che gli
faceva
provare rendevano poca e nulla la paura verso chiunque altro; e proprio
per
questo, dopo una manciata di millisecondi in cui la luce del fuoco sui
cingoli,
l’armatura viola e il doppio cannone di quel mostro si
impressero nella sua
memoria, fece l’insensata azione di darsi alla fuga.
La gente era
ancora troppo presa dalla danza per notare quel
che stava facendo, probabilmente non l’avevano notato nemmeno
i suoi
accompagnatori, e facendo non pochi slalom riuscì a sfilarsi
dalla folla per
andare a rifugiarsi in un vicolo stretto. Corse come un disperato senza
avere
idea di dove andare, perché sebbene il primo istinto sarebbe
stato quello di correre a
casa non voleva assolutamente condurre lì quel demonio, ma
la sua fuga si
interruppe di colpo quando andò a sbattere contro qualcosa
di imponente e
massiccio come roccia.
Quando
sollevò lo sguardo e vide che il
“qualcosa” era
nientemeno che il mech di prima, il quale evidentemente conosceva le
vie della
periferia di Tarn come e meglio di lui, istintivamente si mise in
ginocchio e
sollevò le mani intrecciate in una supplica resa muta da
problemi di
ventilazione che non gli permettevano di far altro che emettere sibili
terrorizzati.
Le ottiche
rosse dell’altro mech, il cui volto era coperto
da una maschera, nel vedere questo divennero più brillanti e
piene di rabbia,
di disgusto e di altro che il povero Glitch non fu in grado di
identificare.
«Patetico».
Emise un
lamento: c’era stato qualcosa, nella voce di quella
bestia, che gli aveva fatto male. E non era stata la definizione
accurata che
aveva sentito.
«“Al
cinque c’è la rabbia, al sei l’odio
abissale”. Mi
chiedevo cos’avrebbe mostrato stavolta quella
strega» continuò il mech «Ed
eccomi qui. Odio abissale. A quanto pare non c’è
niente che io odi più di questo».
Un’altra
fitta alla Scintilla. Glitch nonostante tutto
iniziò a riuscire a farfugliare delle suppliche tra un
singhiozzo e l’altro,
cosa che fece aumentare ancor di più l'odio puro nello
sguardo del mostro che gli stava davanti.
«Non
c’è niente che io odi più di
questo» ripeté «E sfido
chiunque a darmi torto».
Sordo alle sue
preghiere il mostro tese le mani verso di lui,
probabilmente con l’intenzione di afferrare la sua testa e
schiacciarla come
una pustola oppure strappargliela via, ma venne distratto da un cubo di
energon semivuoto che lo colpì dritto in faccia.
«Glitch! DI QUA!»
esclamò Odysseus, spaventato quanto lui ma abbastanza
reattivo da afferrarlo
con i capelli e trascinarlo verso di sé «Alzati, alzati, filiamo
via!»
Glitch non
capiva granché di quel che stava succedendo ma
sentì il proprio corpo obbedire a Odysseus e, in grazia di
Primus e tutti i
Prime, a scappare via per tornare in mezzo alla folla.
***
Vedendo Scylla
-una Scylla giovane e sana- danzare, Tarn si
era chiesto perché mai la strega avesse fatto una scelta
simile per il sesto
passo. Nonostante gli innumerevoli difetti che aveva, primo tra tutti
un sarcasmo che non risparmiava a nessuno, lui era ben lontano
dall’odiare Scylla.
Poi aveva
visto se stesso, quell’inutile gremlin, quel
fantasma del suo passato che continuava a tormentarlo ancora, ancora e
ancora,
e aveva capito tutto. Non aveva capito
perché la strega avesse messo quella
versione di se stesso in posto che non c’entrava
assolutamente nulla con lui,
ma rispetto alla sua voglia di fargli -farsi-
del male era irrilevante: distruggere quell'illusione di se stesso gli avrebbe permesso di
andare
avanti, aveva pensato.
“È
stato uno strano tentativo di distogliere la mia
attenzione da quel che devo fare. Non vale la pena di inseguire ancora
un’illusione, oltretutto mal fatta”
pensò, decidendo di lasciar perdere e fare il settimo
passo.
Mal
fatta, sì: non solo quel mostriciattolo di
Glitch non sarebbe mai potuto essere nello stesso posto di una giovane
Scylla,
ma oltre a questo non sarebbe mai stato in grado di avere un amico
pronto ad
aiutarlo in quel modo. Per essere amico di una persona era necessario
avere il
rispetto di essa: Glitch non aveva mai meritato rispetto. Glitch non
aveva mai
meritato niente.
***
«I
viaggi nel tempo sono pericolosi e quel che stiamo
facendo non è soggetto al paradosso di predestinazione,
Vliegen, dunque
potrebbe cambiare le cose… forse è stato un
errore lasciar fare a te fino a questo
punto» commentò la strega, osservando Tarn
compiere il suo settimo passo.
La danza era
appena finita, e il breve momento di silenzio
fu riempito dagli applausi della folla. Due delle tre sorelle Shaula,
la terza
delle quali si trovava da tutt’altra parte,
indugiarono sul tetto per qualche altro momento.
«Se
gli avesse staccato la testa non sarebbe stata colpa
mia, Eribe, non gli ho detto io di cercare di ammazzare se stesso. A
proposito,
che ci fa qui la versione empuratica di quello schizzato paranoico? In
questo
periodo non era neppure nato».
«Essere
poco amati da compagni outlier brilli e in vena di
scherzoni può portare anche a cose come questa, se
c’è una macchina del tempo sperimentale
nell'Accademia dove vivi con loro. Mi fa pena, ci credi?»
«Però
gli hanno fatto un favore, qui ha trovato qualche
amico» commentò la femme, sistemandosi il
cappuccio della lunga veste nera
indossata da entrambe.
«Non
durerà. Tutte le cose belle hanno una fine, viaggi nel
tempo inclusi, e in un certo senso per lui è meglio
così... e il fatto che tutti loro -sì, anche i suoi ospiti- siano destinati
a perdere ogni ricordo cosciente
dell'esperienza a causa della
procedura forse
è una benedizione. Vedi le persone qui sotto,
Vliegen?»
«Sì?»
«Non
“dureranno” neppure loro. L’epidemia che
ha ucciso
quasi tutti i presenti arriverà relativamente a breve, lo
vedo. Tic- tac» disse
Eribe, con espressione impenetrabile «Tic- tac».
Ruggine e
umidità: tutto ciò che, meno di un istante dopo,
rimase sul tetto deserto.
***
«Non
ci sta inseguendo, è finita. È finita»
ripeté Odysseus.
«P-potrebbe ancora
starci cercando!
Potrebbe-»
«A
guardarlo oltre a essere grosso avrei detto che fosse
anche veloce, e oltretutto se quando sei fuggito te lo sei trovato
davanti vuol
dire che conosce il posto. Glitch, se uno come quello avesse davvero
voluto terminarci
ci avrebbe inseguiti, ci avrebbe presi dopo una manciata di passi e a
quest’ora
saremmo già belli che andati» disse Odysseus.
Per scrupolo
diede comunque un’occhiata in giro: niente grossi
mech viola in mezzo alla folla. Meglio così.
«M-ma
io… m-ma lui, lui ce l’aveva con me, Odysseus,
lui-»
«Mal
di testa?»
«C-come?...»
«Quello
che ti viene quando ti tornano in mente cose del tuo
tempo, com’è successo con il gladiatore in tv.
Quando hai visto quel tipo hai
avuto il mal di testa?»
Vide Glitch
scuotere il capo in un gesto di diniego.
«Allora
non è nessuno che conoscevi, o comunque nessuno di
lì che è venuto a cercarti per riportarti
indietro o per altro».
Glitch
continuò a singhiozzare. Odysseus non poteva dire di
non capirlo.
«Probabilmente
era solo uno dei tanti stronzi che ci sono in
giro, forse era anche fatto, o brillo, o roba del genere. Da un certo
momento
in poi anche questa festa inizia a diventare poco raccomandabile per
gente come
noi due, difatti con Charybdis avevamo detto di tornare a casa dopo
aver fatto
volare le lanterne».
«S-sì…
fo-forse n-non era molto in sé, s-si è messo a
parlare d-di una stre… strega…»
«Appunto».
Dire che
Odysseus si sentisse dispiaciuto era poco, al di là
dello spavento. Fino a quel momento era andato tutto bene, aveva
persino visto
Glitch contento e a suo agio, e quel maledetto aveva rovinato tutto
quanto. Al
jetformer non accadeva spesso di desiderare il male altrui, nonostante
tutto,
ma in quel frangente gli venne spontaneo augurare a quel mostro
violaceo di
vivere ogni dolorosa sciagura possibile una dopo l’altra.
«N-non
dovevo correre via… gli ho facilitato le cose, sono
stato così s-stupido, ma… m-ma il modo in cui mi
guardava, io non…» Glitch fece
un sospiro «È-è sempre per
l’empurata, immagino».
«Su
una cosa hai ragione: non dovevi correre via. Ormai però
è andata, e siamo ancora vivi e in salute» disse
Odysseus «Dico a Chary di
tornare a casa?»
«…
n-no. No» ripeté il mech, con maggior convinzione
«Volevi
far volare la lanterna, g-giusto? E voglio farla volare anche io. E
m-mi voglio
godere la festa. È-è stata una bella giornata, mi
rifiuto di farmela rovinare
da un… d-da un… mostro».
«Uno
stronzo».
«U-un
mostro stronzo».
«Un mostronzo!»
«Sì!»
esclamò Glitch, riuscendo persino a fare una breve risatina
isterica tra le lacrime «E-era proprio questo,
Odysseus!»
Anche una
reazione simile da parte di quel povero
disgraziato aranciato sarebbe stata impensabile un mese prima. Era
qualcosa di
cui andare fieri, pensò Odysseus, e sorrise.
***
“Non
voglio mai più tornare
indietro”
La lanterna
prese il volo dalle mani di Glitch, andando a
unirsi a tutte le altre nel cielo notturno della periferia di Tarn. Una
lanterna, un desiderio scritto e lasciato andare nel cielo con la
speranza che
una qualsiasi delle svariate divinità in cui credevano i
transformers come loro
potesse esaudirlo.
Per la
maggioranza dei presenti, quello sarebbe stato l'ultimo
Chosen One Day/Cybersolstizio che passavano in vita, o con un corpo
sano… ma
purtroppo -o forse “per fortuna”, perché
c’era della fortuna nel potersi godere
la vita e le festività senza essere oppressi dal pensiero di
quel che sarebbe capitato in
futuro- non potevano saperlo.
Il capitolo
più lungo finora, nonché uno degli ultimi.
TARNCEPTION
:’D
Il pezzetto
con Tarn si ricollega alla storia “A
Day Off To
Repent”,
nella quale quei poveri disgraziati della DJD (poveri disgraziati,
ebbene sì, in quel caso non li si può definire
altrimenti) finiscono in un
posto dove non sarebbero mai voluti finire e si trovano ad affrontare
cose che
non avrebbero mai voluto affrontare. L’ultima tra le cose in
questione è una
prova composta da tredici “passi”. Nella storia in
questione ho mostrato quelli
di Nickel (la minicon), qui invece ho rivelato il sesto
“passo” di Tarn. Un
passo alquanto pericoloso dato che, come ha detto Eribe, la sua magia
NON tiene
conto del paradosso
di predestinazione (il viaggio nel
tempo di Glitch invece sì) e
dunque Tarn avrebbe potuto uccidere se stesso cambiando il corso di
molti
eventi.
Non ci saranno
altre Tarnception, non preoccupatevi.
Non ho altro
da aggiungere, dunque… grazie a chi sta
leggendo e alla prossima :D
_Cthylla_
|
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Capitolo 8 *** 8 - Megatronus (non ancora senpai) ***
8
Il boato della folla, tanto forte da poter essere
potenzialmente massacrante per i recettori uditivi di chiunque -e ancor
più per
quelli fini come i suoi- giungeva comunque ovattato a Glitch, intento a
osservare con aria estatica le mosse fluide e devastanti del giovane
gladiatore
argenteo dal corpo grande, forte e potente come quello di un dio.
“Megatronus”, non per niente aveva adottato quel
nome, e nel
vederlo staccare la testa dell’avversario con un unico
movimento ampio ed
elegante concluse che non avrebbe potuto sceglierne uno più
azzeccato di così.
«… ha finito?» domandò
Odysseus, sollevando leggermente il
“capello” che si era messo davanti agli occhi poco
prima del momento clou «Uh,
sì, ha finito…»
«E io alla fine sono venuta qui» disse Charybdis
«Perché tu
ti sei intestardito con uno “spettacolo”, se
così lo vogliamo
chiamare, che perlopiù non hai neppure visto».
«Ma non è vero, mi sono coperto le ottiche solo
ogni tanto!... oh, ma perché deve farlo tutte le
volte…» borbottò vedendo Megatronus
prendere la testa dell’avversario morto e sollevarla.
«Perché fa parte della performance»
rispose Scylla «Non
capisco davvero perché reagisci come una protoforma nata e
cresciuta nel centro
di Crystal City, sono sincera, non è che per te la violenza
sia una cosa nuova».
«È che… è diverso!
È…»
“Magnifico”
pensò
Glitch.
Lui, che avendo subito maltrattamenti avrebbe dovuto
rifuggire la violenza, stava dimostrando ancora una volta come le
reazioni
delle persone non fossero sempre così scontate.
Lo spettacolo al quale stava assistendo e il mech che lo
stava offrendo a tutti gli astanti erano per lui qualcosa di simile a
un sogno.
La forza brutale di un mostro, la raffinatezza di un consumato autore
teatrale,
il carisma che trasudava dalla giovane figura di quel gladiatore: tutto
induceva a vederlo come un modello irraggiungibile al quale provare
comunque a
ispirarsi, la “forma finale”, il mech perfetto,
tutto ciò che lui stesso
avrebbe voluto essere ma non era mai stato né sarebbe mai
potuto diventare; ma
per uno come lui, un senza-faccia, ammirare da quella distanza un
essere così
glorioso era sufficiente.
Lui vedeva chiaramente la grandiosità di quel mech, ma non
era il solo: se tutti nell’arena stavano urlando a gran voce
“Megatronus” c’era
una ragione, e non era solo per le sue vittorie.
«È che vedere tutte queste persone qui, entusiaste
per questo,
la dice lunga sul tipo di popolo che siamo»
continuò Odysseus.
“Perché parli così? Perché
non vuoi vedere?” si
chiese Glitch, la sua attenzione ora rivolta all’amico.
«Io posso essere abituato alla violenza ma non vuol dire che
mi renda felice. Alla maggior parte delle persone invece
piace» commentò il
giovane jetformer, che nessuno eccetto Glitch, data la sua posizione,
poteva
sentire in tutto quel fracasso «Fino a quando non viene
dall’alto e non tocca
loro personalmente. Allora diventa sbagliata, e
“infami” qui, “porci bastardi”
lì… lasciamo stare» concluse, con un
breve sospiro «Ehi Glitch, ti è tornato in
mente qualcosa?»
Il mech arancio scosse la testa. «No… nulla che
riguardi il
mio tempo. Però è… vedere questo da
vicino fa un certo effetto».
«Ho notato. Eri interessato a Megatronus quando
l’hai visto
in televisione e qui l’ho notato ancora meglio».
«N-non giudichi male anche me per questo, vero? N-non
è che
mi piaccia la violenza in generale, è che…
è c-che… vorrei tanto essere come
lui» ammise Glitch, guardando il gladiatore incitare
ulteriormente una folla
già in delirio «Se lo fossi… se lo
fossi non potrebbero più farmi male. Non
potrebbe nessuno… e nemmeno a te. Se fossi come lui, io
farei in modo di
proteggere chi e cosa vorrei proteggere. E chiunque lo minacci avrebbe
esattamente quel che si è cercato».
«Tra te e il tuo sogno nel cassetto ci sono un corpo un
po’diverso da quello di Megatronus e dei mal di testa atroci,
Budino» si
intromise Scylla «Purtroppo o per fortuna perché,
a dirla tutta, in via del
tutto teorica potresti essere perfino “meglio”.
Più pericoloso, intendo… considerando
quel che sei capace di fare».
«Oh, n-no. No. Mai. L-lui è…»
trattenne il fiato quando
Megatronus si voltò proprio nella loro direzione
«Irraggiungibile».
Non solo era voltato nella loro direzione ma, stringendosi
le dita tra loro per la grande emozione provata, notò che li
stava proprio
guardando. Megatronus aveva posato le ottiche su
di loro.
Una delle conversazioni con Odysseus tornò a galla nel suo
processore.
“Tempo fa decise di
andare a vedere degli incontri nell’arena di Kaon, era un
evento abbastanza
grosso, e ha “fatto amicizia” con uno di quelli
nuovi, che ora sta diventando
un astro nascente nei combattimenti. In seguito è tornata
lì altre volte”.
Come aveva potuto dimenticarlo? Scylla conosceva Megatronus,
era anche tra le persone entrate gratis per quella ragione, e tanto
Odysseus quanto Charybdis
erano convinti che la “straniera” fosse proprio lei.
Diede un’ultima occhiata a Megatronus, poi si
voltò a
osservare Scylla.
Lì, vedendo il modo in cui stava ricambiando lo sguardo del
gladiatore -con quale coraggio? Riusciva a immaginare se stesso
sentirsi
piuttosto sopraffatto se Megatronus avesse guardato lui direttamente-
qualunque
dubbio residuo avesse potuto avere si sciolse come neve al sole.
«Scylla, no. Abbiamo assecondato Odysseus che ha voluto fare
contento il nuovo fan di quel gladiatore, ma tu evita. È
qualcosa che non porta
a niente» disse Charybdis «E dalle nostre parti non
ti mancano i mech con cui
connetterti, se li vuoi».
«Non porta a niente, è vero»
concordò Scylla «Io però non
sto cercando un compagno di vita, né lui una compagna di
vita, dunque direi che non ci
siano problemi».
«Non cerca una compagna di vita ma, di tutte le femmes con
cui va, ha nominato la straniera. È troppo in vista:
potrebbe portare
problemi».
«Va con molte femmes e io sono solo una tra quelle,
soprattutto fino a quando non avrà idea di chi io sia. Tieni
d’occhio questi
due, in fin dei conti sei venuta qui per questo e per non pagare
eventuali
cure».
«Scylla…»
«Raggiungo l’irraggiungibile, ci vediamo tra un
po’»
concluse la femme, allontanandosi rapidamente nonostante la folla.
Charybdis scosse la testa. «Io non vedo l’ora che
questo
benedetto gladiatore finisca terminato».
“Eretica”
pensò
Glitch.
Odysseus fece spallucce. «Non sposerebbe Brushsling tanto
presto in ogni caso».
La jetformer alzò gli occhi al cielo. «Speriamo
che questo
non porti ulteriori danni».
***
I “capelli” della compagna si strinsero di
più attorno alla sua gola
mentre Megatronus emetteva un gemito rauco nel raggiungere un
potente
sovraccarico annegando nello sguardo fiero e dorato della sua compagna
di
cuccetta. Anch’ella era reduce dall’aver raggiunto
il culmine prima di lui, ma non
aveva mancato di continuare a muoversi su di lui con movimenti esperti,
energici, fluidi grazie a un’esperienza che non mancava a
nessuno dei due e per
il desiderio che fin da prima li aveva resi affamati uno del corpo
dell’altra.
I sensori ottici di quella femme ancora senza nome, lui li
aveva sentiti -l’avrebbe
giurato
sulla sua stessa vita: in un’arena ricolma di persone urlanti
ad acclamare il
suo nome, in quel posto maledetto e benedetto in cui gli occhi di tutti
erano
puntati su di lui, Megatronus aveva percepito in modo nettissimo i suoi. E infatti quando si era girato
l’aveva vista lì, in prima fila -come lui aveva
desiderato al punto di dirlo
nel giorno del Chosen One Day- con un’espressione impassibile
tradita solo dai
sensori ottici.
“Eccomi. Tu mi hai voluta qui, ora vinci, così da
poter
iniziare la vera battaglia
più tardi”
gli avevano suggerito, in un breve barlume di voracità
assoluta che Megatronus
aveva sentito anche in se stesso.
La stessa voracità che, nonostante il momentaneo annebbiarsi
della vista e la sensazione di abbandono, portò le sue mani
a stringere forte i
fianchi di quella femme e la sua bocca contro quella di lei in un bacio
famelico, bestiale più di quanto fossero le azioni che
facevano piovere
l’energon degli avversari sulla sabbia dell’arena,
e che venne ricambiato con
la stessa foga in una “danza” di lingue disperata,
insaziabile.
Solo dopo qualche tempo, che per quanto lungo potesse essere
risultava sempre troppo breve, i due amanti riuscirono a staccarsi uno
dall’altra con un suono umido. Vedere le tracce luminescenti
dei propri fluidi
colare lungo le cosce snelle della jetformer gli fece rimpiangere
più che mai
una fisiologia che impediva ai mech di poter riprendere subito e darsi
a quella
che, nel loro caso, sarebbe stata la terza volta.
«Il tuo passaggio si vede… e si sentirà
per un pezzo»
commentò la jetformer, avendo intercettato la sua occhiata.
Megatronus spostò una delle proprie mani, andando a toccare
l’intimità di una femme che, seppur provata, non
si oppose per nulla al suo gesto
e sorrise con approvazione sentendo le sue dita prima indugiare sul
nodo di
sensori esterno e poi scivolare dentro di lei -per l’ennesima
volta in quel
loro incontro- con estrema facilità.
«Sì, e noto quanto è grande il tuo
dispiacere».
Tuttavia le dita rimasero avvolte per ben poco da quel
calore morbido, perché lei, dopo una breve risata,
usò due dei suoi capelli
per afferrargli il polso e allontanarlo dalla sua valvola portando
invece la
mano vicina alla propria bocca.
«Ah-a. Io devo restare abbastanza in forze da tornare a casa
e tu devi conservarti per dopo» disse, senza mai distogliere
lo sguardo dal
suo, prendendogli la mano e leccando via dalle sue dita i loro fluidi
mescolati
assieme. «Non vorrai lasciare insoddisfatte le nobili signore
che ti
aspettano?... ce n’era più di qualcuna che si
sarebbe strappata il pannello
inguinale per lanciartelo».
«Se dipendesse da me saprei dove potrebbero infilarselo, il
loro pannello inguinale» fu la replica graffiante del giovane
gladiatore, resa
leggermente roca sia dalla stretta di prima attorno alla sua gola, sia
dall’eccitazione «Non erano loro
che
volevo vedere sugli spalti».
«Sì, ho sentito il tuo messaggio. Per puro caso,
aggiungo,
fosse stato per me sarei stata troppo impegnata col sabacc per
accendere il
televisore» disse la femme, dopo aver trattenuto per qualche
momento una
falange tra le proprie labbra «Lo vogliamo chiamare
“destino”?»
«Chiamalo come ti pare, l’importante è
che io abbia vinto
anche stavolta e che tu mi abbia visto di persona, Straniera».
Tese una mano per accarezzare la chioma della straniera in
questione, un gesto piuttosto tenero che lei, pur bloccando la sua mano poco dopo, non
rifiutò del tutto.
«Vero. E io immagino di dovermi dare una pulita e andare,
Straniero» disse, ricambiando così quella sorta di
“gioco” tra loro due «Per
cui-»
«No» la interruppe Megatronus impedendole di
lasciare la
cuccetta «Non ancora».
«Non sono io a deciderlo e nemmeno tu» gli
ricordò lei, tergendosi
velocemente con un panno «Ti stai facendo un nome ma non sei
ancora abbastanza
“star” da poter tenere qui la femme che vuoi per
tutta la sera, e probabilmente
non potrai nemmeno dopo. È il prezzo della fama in questo
ambiente, ma c’è di
peggio».
«C’è ancora tempo»
ribatté il gladiatore, ignorando delle
affermazioni che sapeva benissimo essere vere «E pretendo che
stavolta tu mi
dica chi sei».
«Una femme qualunque alla quale piace uno specifico
gladiatore, ma pensavo che dopo i nostri incontri l’avessi
visto da solo dato che
non sono venuta qui a venderti contenitori per alimenti».
Megatronus emise uno sbuffo a metà tra l’irritato
e il
divertito. «La tua designazione! Ecco quel che
voglio».
«Neppure io so la tua,
“Megatronus”».
«Nacqui
come D16,
minatore» si decise a rivelarle «E ora non hai
scuse. Voglio sapere come ti
chiami, da dove vieni, cosa fai…»
«Vuoi anche una fetta del mio bagagliaio, già che
ci siamo?»
«Quella l’ho già avuta!»
«Oh sì».
«E proprio perché non ti è dispiaciuto,
e neppure a me,
arrivati a questo punto penso di avere il diritto di sapere chi
è la femme che
ho cercato» insistette, testardo, il gladiatore, avvicinando
di nuovo il
proprio volto a quello di una giovane donna testarda quanto lui
«O n-»
Un altro bacio, e le mani e i “capelli” della
jetformer
iniziarono a scivolare nuovamente dappertutto, soffermandosi a
massaggiare il
suo inguine. Con un basso ringhio eccitato Megatronus fu costretto ad
ammettere
di essere vicino ad arrendersi al suo tocco per la terza volta -anche
se solo
temporaneamente prima di tornare all’attacco- quando
sentì la femme cercare di
sfuggirgli e andarsene da sotto di lui col movimento sinuoso di un
razor-snake.
«Ci hai provato!» esclamò, dando inizio
a una breve
colluttazione che comunque, a giudicare dal sorrisetto che mostrava sul
viso,
non spaventava per nulla la Straniera «Adesso tu-»
Nella lotta uno di loro due urtò una parte della parete
coperta da un pannello, che si mosse lasciando cadere sulle coperte
spiegazzate
tutto ciò che c’era all’interno dello
scomparto segreto scavato da Megatronus
stesso.
«Porc-»
«Cos’è?... se scopro che ti dai alla
poesia potrei pensare
di tornare un’altra volta anche per questo» disse
la femme, raccogliendo i
fogli coi suoi capelli e portandoli davanti alle proprie ottiche prima
che lui
potesse fare qualsiasi cosa «Un mech con tanti talenti si
apprezza semp…»
“Nel privarti
dell’abilità di rifiutare la tua alt-mode, nel
privarti
della possibilità di seguire una strada che tu
hai deciso per te stesso, sia il Senato sia il Consiglio
dicono
: ‘Agiamo nel tuo migliore interesse’. Hanno una
responsabilità, dicono, di
assicurarsi ‘Che tu faccia il miglior uso della forma che Dio
ti ha dato. Se ti
trasformi in una scavatrice, è perché Primus sa
che a Cybertron servono
scavatrici. Deviare dalla tua funzione rischia di invocare
l’ira divina sul
nostro mondo e metterlo in ginocchio’. In verità,
è tutta una questione di controllo.
Un popolo con molteplici
talenti è un popolo con il potere in mano, e se ora rifiuti
la tua alt-mode, cosa
verrà dopo? Il rifiuto della tua classe sociale? Il rifiuto del tuo governo?”
Megatronus divenne teso come una corda di violino. Era tardi
ormai: la Straniera aveva letto, e anche strapparle di mano i fogli
sarebbe
stato inutile già solo dopo la prima frase sovversiva che
sapeva di aver
scritto su quel foglio. Rimproverando aspramente se stesso per il
nascondiglio
pessimo che -nonostante i consigli di Soundwave- aveva scelto,
sperò di non
doverla uccidere millantando di averlo fatto per legittima difesa. Era
lontanissimo da quel che desiderava fare ma quel che c’era su
quei fogli non
avrebbe dovuto neppure essere espresso a voce alta, figurarsi scritto,
e se lei
in cambio di shanix avesse cercato di denunciare la faccenda...
“Non far sì che ti debba far pagare un mio
errore” pensò.
«Tu non dovresti scrivere queste cose» disse,
piano, la
femme «Quei luridi potrebbero farti finire molto
male».
Era dalla sua parte.
Megatronus non amava granché le divinità ma le
ringraziò lo
stesso.
«Hai ragione. Tanto, anche se non le posso ancora scrivere,
restano qui» si indicò la testa.
La femme, seria in viso, gli diede una lunga occhiata.
«È
sempre un posto pericoloso».
Megatronus fece per risponderle quando una guardia entrò
senza tante cerimonie. Lui riuscì a evitare di sobbalzare e
la Straniera, in
piedi davanti a lui, lo stava coprendo anche grazie a undici dei suoi
“capelli”. Uno, nascosto sotto gli altri, stringeva
i fogli che erano caduti
sul letto.
«Ora di andare» disse la guardia.
Megatronus, sapendo di essere coperto, mise velocemente a
posto il pannello che copriva il nascondiglio nel muro.
«Non mi lasci neppure un minuto per salutare il
ragazzone?»
sorrise la jetformer «Questa è
cattiveria».
«Avete avuto già dieci minuti in più
del previsto, e solo
perché il “ragazzone” è stato
l’attrazione principale anche stavolta»
ribatté
la guardia «Quindi no».
«Se fossi arrivato dieci minuti fa ci avresti interrotti o
più probabilmente saresti finito in un threesome e poi a
terra svenuto, quindi
peggio o meglio per te?... andiamo» insistette la femme,
avvicinandosi alla
guardia «Trenta secondi li hai persi già ora,
altri trenta non uccideranno
nessuno».
Il mech di guardia sollevò un sopracciglio metallico.
«Ventinove da ora».
Lei rispose con un occhiolino. «Bravo bimbo».
L’altro uscì dalla stanza borbottando, e
Megatronus vide la
femme tornare a voltarsi verso di lui. «Fa’ che
certe cose non vengano fuori
prima del dovuto. Non voglio vederti con
l’empurata».
«Preoccupata per me, Straniera?»
«Più che altro, avendo visto gli effetti, penso
che con te sarebbe
un peccato ancor più che con molti altri».
Megatronus si avvicinò e le strinse un polso.
«Puoi tenere
quel che hai preso. Dopo l’aiuto, non vuoi darmi anche la tua
designazione?»
La jetformer gli si avvicinò abbastanza da sfiorare con le
labbra i suoi recettori uditivi.
«Assolutamente no».
«Senti un po’-»
La guardia tornò a farsi vedere. «Fuori».
«Tempo finito, l’hai sentito» disse la
femme, scivolando via
dalla sua presa «Arrivederci o addio, Straniero».
«Tu tornerai!» esclamò Megatronus
«La prossima volta e anche
le altre».
La sola risposta della jetformer, prima di sparire lungo il
corridoio assieme alla guardia, fu un sorriso di dubbia
interpretazione… ma
ricordando l’incontro intimo da poco finito,
l’astro nascente dell’arena di
Kaon concluse di poter avere buone speranze.
Stavolta a entrare nella stanza che avevano in comune fu
Soundwave. «Quanta raucedine abbiamo, stavolta?»
«Sono sempre stupito quando ti ricordi di saper usare
l’ironia» rispose Megatronus «Puoi
sentirlo da solo».
«E il nome della straniera?»
«Testarda. Ecco
qual è» replicò il gladiatore
«Però ha la Scintilla dalla parte giusta. Avevi
ragione tu riguardo quel -che -sai, non andava tenuto
lì».
«Ha visto?...»
«Per errore, e mi ha evitato il peggio. Ho capito la
lezione».
Erano pensieri pericolosi quelli di Megatronus, pensieri che
un giorno avrebbero portato a una guerra civile terrificante che
avrebbe
distrutto la sua Cybertron e l’avrebbe resa
pressoché inabitabile; ma questo,
come tanto altro, era qualcosa che non poteva sapere.
Ohibò c’è del lem…
lime… non so bene come classificare
questa parte che ho scritto tra una risatina isterica e
l’altra. STO MIGLIORANDO RAGA, l’ultima
volta
avevo impiegato oltre un’ora per scrivere e cancellare e
riscrivere e ridere e
bestemm- vabbé, insomma, tutto questo per cinque righe in
croce e con dettagli
zero! :’D
… e qui ci ho messo mezza giornata, ma è comunque un miglioramento.
Vabbè.
L’avventura di Glitchy baby è destinata a
concludersi molto
presto, probabilmente nel prossimo capitolo. Come hanno detto le Shaula
nel
capitolo 7, anche le cose belle hanno una fine 🤣 e, per chi avesse dei dubbi, il Megatronus e il Soundwave comparsi qui sono quelli di transformers prime. Ho fatto un miscuglio di contesti 😃 inoltre, il paragrafo scritto da Megatron sarà in seguito destinato a comparire nel libro che scriverà quando sarà più vecchio, alias "Towards Peace" (io l'ho preso da lì).
Libro del quale dunque Scylla ha una bozza (parziale) e olografa nel proprio cassetto. Una roba che fa impallidire qualunque prima edizione montata sul muro *coffcoff* nonditeloaTarnoppureSÌ *coffcoff*
Alla prossima,
_Cthylla_
|
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Capitolo 9 *** 9 - Venationes ***
9
“Da
un grande potere derivano grandi responsabilità”,
così
si diceva. Era un concetto piuttosto estraneo a Odysseus che, seduto
sullo
sgabello vicino al suo banco da lavoro, nella vita non aveva mai avuto
potere
su quasi nulla… e che ora si trovava ad averne uno molto
grande sul suo
coinquilino.
Glitch si era
lasciato sfuggire di ricordare vagamente che
un tempo era stato in grado di disegnare in modo quasi decente e, se
inizialmente si era schermito quando Odysseus si era lasciato prendere
dall’entusiasmo e gli aveva chiesto di provare a fare
qualcosa, non aveva
impiegato molto per cedere. Non aveva neppure tentato di prendere in
mano la
penna -se non c’erano datapad in giro
riusciva a scrivere anche a mano, con qualche difficoltà, ma
disegnare era
fuori discussione- e, seppur con un po’di tensione, aveva
usato la punta di una
delle sue dita per mettersi al lavoro. Inizialmente Odysseus aveva
provato una
familiare sensazione di senso di colpa per aver messo il suo amico in
una situazione
in cui si sentiva a disagio -da lì, il discorso di potere e
responsabilità- ma
dopo un po’aveva visto la postura di Glitch diventare
più rilassata man mano
che si concentrava più sul disegno e meno
sull’ambiente circostante.
“Quando
avevi delle mani vere dovevi essere proprio bravo.
Ad avere gli shanix, Glitch, ti farei fare un trapianto prima di
subito” pensò
Odysseus che, col mento poggiato contro le braccia incrociate sul
tavolo da
lavoro, seguiva con lo sguardo ogni movimento della mano
dell’altro mech “Per
te sarebbe stato giusto finire in casa di gente più
ricca… anche se forse,
pensando a chi è ricco da queste parti, non è per
disegnare che ti avrebbero
dato delle mani nuove”.
Glitch gli
aveva parlato delle considerazioni fatte da
Scylla tempo addietro su strozzini, gentaglia varia e
cos’avrebbero cercato di
fargli fare una volta viste le sue abilità. Odysseus non
aveva potuto far altro
che trovarsi d’accordo, e immaginare quali sarebbero state le
condizioni di
Glitch in una situazione del genere gli aveva fatto male
all’anima. Il suo amico
aveva dimostrato di non avere grossi problemi a reggere violenza e
morte quando
era davvero convinto che fossero
meritate, ma se fosse finito a lavorare per quella gente avrebbe dovuto
distribuirne anche a chi non le meritava affatto, che gli piacesse
oppure no e
con tutte le conseguenze del caso.
Per
ciò che si sarebbe trovato a fare in quelle occasioni,
Glitch avrebbe finito con l’odiarsi ancora di più,
si sarebbe visto come un
mostro; e le altre persone, vedendolo anch’esse come tale per
le sue azioni
-non senza ragione- avrebbero rafforzato la sua convinzione. Sarebbe
precipitato in una spirale distruttiva per sé e per gli
altri alla quale
Odysseus non voleva pensare nemmeno: sarebbe stato tremendamente
ingiusto.
Glitch
però era capitato in casa loro, ed era diventato suo
amico e, finché Odysseus avesse potuto stargli vicino, non
avrebbe mai lasciato
che andasse a invischiarsi in brutti giri.
Glitch
iniziò a massaggiarsi la testa con la mano sinistra.
«V-va bene… ho la sensazione di star disegnando
qualcuno che conosco».
Aveva
tracciato l’immagine di un mech grosso, con la vita
abbastanza sottile, un cannone, delle spalle molto alte e due corna
degne di un
alcitron dentellate verso l’interno.
«Mh…
non ho idea di chi sia, anche se assomiglia un po’ a
una delle nostre clienti» commentò Odysseus
«Una delle nostre clienti più spaventose. Cioè, tu
hai visto Chary,
no? Per essere una femme è grande, arriva quasi a toccare i
dieci metri. È più
grossa anche di svariati mech, in effetti, ma non è quello
il punto, il punto è
che la tipa di cui ti parlo supera sicuramente i venticinque metri e ha
un
accidenti di mestolo lungo come il sottoscritto!... che hai?»
«“Ho”
che adesso oltre alla testa mi fanno male le mani e
non so perché» disse Glitch, massaggiandosi le
dita «E ho anche un’altra
sensazione».
«Dimmi».
«Questo
qui…» indicò il mech nel disegno.
«Sì?»
«Non
ricordo la sua designazione né altro, ma chiunque
fosse, o sia, dev’essere uno scassacavo»
affermò Glitch.
«È
la prima volta che ti sento parlare di qualcuno in questi
termini e in modo così convinto. E poco
spaventato» osservò il jetformer
«Questo tipo qui, per come l’hai disegnato, non ha
l’aria molto
raccomandabile».
«È
vero, però hai ragione, non mi fa paura, è
solo…»
«Scassacavo»
ripeté Odysseus.
«Sì!»
annuì Glitch
«Uno scassacavo di quelli pesanti!... e… non credo
di riuscire a fare altro
qui» aggiunse, indicando il disegno «Se avessi
avuto le mani penso che sarebbe
stato diverso, però così non posso fare di
più. Non penso».
«Ad
avere un disegno di lui visto da dietro, o andando di
fantasia, già da questo si potrebbe fare una bambola, anche
se sarebbe un
lavoro più per Scylla che per me. Io probabilmente
aggiungerei altre due teste,
degli artigli, qualche tentacolo… possiamo farglielo vedere
quando lei e
Charybdis tornano. Quando si fa un buon lavoro è un peccato
che resti nascosto,
no?»
«No!»
esclamò l’altro mech «No no no no. No.
L’ho fatto per
te, dato che me l’hai chiesto, ma per quanto alla fine non mi
sia dispiaciuto
io non… no. Mi dispiace. Spero di non averti deluso,
io…»
«Tranquillo,
se non vuoi non lo facciamo, era solo un’idea.
Non sono deluso» sorrise Odysseus.
«Sicuro?»
«Sicurissimo.
A dirla tutta sono contento di vedere che, se proprio
non ti senti di fare una cosa, dici di no anche a me. Non sono il tuo
padrone,
siamo amici».
«A
dire il vero io sono il garzone del negozio, quindi
tecnicamente-»
«…
mi vedi anche
come
il tuo padrone? Sul serio?»
«No.
No. Quel che voglio dire è solo che tecnicamente lo
saresti, perché io lavoro qui, però no, non ti
vedo così» fece una breve pausa
«Le tue sorelle un po’ sì, anche se
ormai è da un qualche tempo che ho capito…
avevi ragione. I primi giorni. Mi dicevi che non erano cattive e non
volevano
farmi niente di male, ricordi?»
«Ricordo».
«Adesso
se devo dire qualcosa a Scylla e la guardo in faccia
non è più perché me l’ha
ordinato lei, e quando a toccarmi per qualche ragione
è uno di voi tre non sono più teso come ero
prima. Con te ho smesso di esserlo
da tempo, adesso anche con loro va meglio. Anche quando Charybdis tende
le mani
verso di me per passarmi le cose non sobbalzo più, non ho
più l’istinto di
pensare che possa essere per prendermi a botte o prendermi e riportarmi
in
discarica… f-faceva anche ridere, no? Charybdis avrebbe
voluto fare la seconda
cosa, e lo sapevo, ma non ha mai alzato un dito su di me, quindi non
aveva
senso che io reagissi in quel modo».
«Non
lo facevi apposta né per divertimento, Glitch».
«È
vero, ma non posso fare a meno di pensare che sia stato…
offensivo».
«Nessuna
delle due si è offesa» “Anche
perché a Charybdis
finché fai quel che devi fare poco importa di come reagisci
e perché, e Scylla
è Scylla” pensò Odysseus
«Puoi stare tranquillo anche su questo».
Glitch disse
qualche altra cosa, presumibilmente riguardo lo
stesso argomento, ma Odysseus non capì mai le sue parole: il
grosso ragnobot
che stava lentamente e inesorabilmente calando sulla testa di Glitch
siccome
ghigliottina affilata aveva guadagnato tutta la sua attenzione.
A Odysseus
piacevano gli animali, insetti inclusi… ma c’era
un’eccezione: e quell’eccezione era rappresentata
proprio dai ragnobot.
«AAAAAAAAAAH!»
strillò mentre afferrava Glitch con tutti i propri capelli,
trascinandolo via
dalla sedia e verso la porta.
Lanciare un
cubo di energon semivuoto in faccia a un grosso
e pericolosissimo mech sconosciuto era fattibile, se proprio doveva;
condividere la stanza con un ragnobot, NO.
«AAAAAAAAAAH!»
strillò di rimando Glitch, senza capire assolutamente niente
di quel che stava
succedendo e trovandosi a fare le scale col sedere -fortunatamente
riparato dai
“capelli” altrui.
Solo quando
entrambi furono al sicuro al piano di sotto e
Odysseus ebbe bloccato la porta con una sedia
l’assurdità della situazione
tornò sotto controllo… più o meno.
«M-ma
cos… cos’è successo?!»
esclamò Glitch, ancora
giustamente allibito.
«Non
eravamo più soli là dentro, dovevamo
scappare!»
«N-non
eravamo… che vuol dire?!» il mech aranciato,
estremamente allarmato, iniziò a guardarsi attorno con fare
febbrile «C’è un
ladro in casa o q-qualcuno p-per-»
«Peggio!»
esclamò Odysseus, sinceramente terrorizzato, al
punto di nascondersi dietro il divano.
«…
i-i-i-il mech del Chosen One Day» farfugliò
Glitch, che
stava precipitando nell’isteria «era lui, vero,
è tornato, ce l’ha con me CI HA TROVATI E
CI UCCIDERà
TUTTI-»
«Peggio!»
«Cosa
c’è peggio di quel mostronzo viola?!»
«Un
ragnobot!» disse Odysseus, con voce innaturalmente acuta
«Un coso GROSSO COSì!» aggiunse,
con tanto di gesto
esplicativo.
Silenzio.
«Un…
ragnobot» ripeté Glitch, al quale
l’isteria sembrava
essere passata.
«GROSSO COSì!»
ribadì il jetformer «E stava
scendendo in direzione della tua testa, Glitch! Ti sarebbe caduto in testa!»
L’outlier,
dopo avergli dato una lunga occhiata, si grattò
brevemente la fronte. «Sì, effettivamente una
volta mi avevi accennato al tuo
poco amore per quegli animali. Grazie per… beh, avermi
evitato l’incontro a
sorpresa, immagino…»
«A-aspetta,
dove vai?!» esclamò Odysseus, vedendo Glitch
alzarsi e andare in direzione delle scale che portavano al piano di
sopra.
«A
sfrattare l’inquilino dalla nostra mansarda-»
«Non
è più nostra! È
la mansarda del ragnobot!»
«Non
per molto» replicò Glitch, togliendo la sedia.
«Aspetta,
non puoi tornare lì dentro così!»
«In
che sen-»
Odysseus
agguantò il mestolo più lungo che
riuscì a trovare
nell’angolo cottura e il coperchio della pentola
più grossa tra le presenti.
«Se proprio vuoi entrare lì dentro devi farlo
preparato. Ecco».
«Ma-»
«Quei
cosi non si arrendono senza combattere! Sono cattivi!»
Glitch si
limitò ad accettare uno scudo e una spada alquanto
improvvisati ma sempre graditi, insieme all’avvertimento, e
aprì la porta della
mansarda. Odysseus, dopo essersi “armato” a sua
volta, trovò perfino il
coraggio di seguirlo.
«Eccolo!»
bisbigliò Odysseus, nascosto dietro Glitch.
Il ragnobot li
attendeva al centro della stanza. Illuminato
direttamente da un raggio di luce che filtrava attraverso il vetro
della
finestra, sollevò due delle sue otto zampe -ognuna misurava
cinquanta
centimetri di lunghezza- e fece schioccare le fauci mentre li fissava
con un’evidente
aria di sfida nei suoi sei occhi lattiginosi.
«…
ma sul serio?»
«Te
l’avevo detto!» ribatté Odysseus
«Attento,
arriva!»
Glitch
riuscì solo per un pelo a parare l’attacco del
ragnobot, il quale si era lanciato contro di lui con
l’energia di un gladiatore
dell’arena di Kaon. Il mestolo fendette l’aria
creando un rumore metallico
nello sbattere contro le zampe delL'animale che, respinto, ricadde a
terra
zampettando rapido all’indietro.
«Sei
un avversario tosto» commentò Glitch, sollevando
lo
scudo mentre lui e il ragnobot camminavano di lato studiandosi uno con
l’altro
«Ma la nostra mansarda non diventerà il tuo regno
di ragnatele. Sei entrato
dove non ti competeva e ne pagherai il prezzo».
Il ragnobot
fece nuovamente schioccare le fauci, quasi come
se avesse voluto rispondergli.
«In
guardia, intruso!» esclamò, stavolta cercando di
attaccare il ragno per primo.
La bestia
schivò le prime tre mestolate, parò la quarta e,
dopo essersi arrampicata lungo il muro, tentò un assalto
aereo che Glitch
bloccò con l’aiuto del coperchio-scudo.
Si sarebbe
potuto obiettare che Glitch, in quanto outlier,
avrebbe potuto pensare di utilizzare la sua abilità per
liberarsi del ragnobot -se
proprio non ce l’avesse fatta in qualche altro modo- ma il
suo processore non
l'aveva neppure preso in considerazione, per una volta in cui poteva
essere lui a
fare qualcosa per Odysseus e non il contrario, sconfiggendo una
“terribile bestia”
in una battaglia epica all’ultimo energon.
A parte gli scherzi, quell’affare si stava rivelando davvero
rognoso.
Il ragnobot
attaccò di nuovo e, dopo un breve scambio di
colpi, riuscì a far volare via il mestolo dalle mani di
Glitch.
«Glitch!»
strillò Odysseus, che guardava il combattimento
restando appiattito contro una parete.
«Va
tutto bene, la battaglia non è ancora persa!»
esclamò il
mech arancio «Vieni avanti, creatura maligna!»
Dopo aver
preso la rincorsa, il ragnobot attaccò nuovamente
Glitch finendo per sbattere contro lo scudo. Vedendolo sbilanciato,
l’outlier
scattò in avanti colpendo la bestia con la sua arma di
difesa, riuscendo a
mandarlo a zampe all’aria per un solo istante, e
lì, spietato, utilizzò due
delle proprie dita per infilzare la bestia dritta al ventre.
«Ti
avevo detto che avresti pagato il prezzo delle tue
azioni» concluse Glitch, sollevando il cadavere del ragnobot
sopra di sé «Che
questo sia di avvertimento per chiunque osi pensare di invadere la
nostra
mansarda -che sia un ragnobot… o qualsiasi altra
bestiaccia!»
«Sei
pronto per l’arena, Budino» commentò
Scylla, poggiata
contro lo stipite della porta.
«AAAAAAAAAAH!»
strillò Odysseus, che non si era avveduto della presenza
della sorella.
«AAAAAAAAAAH!»
strillò Glitch di rimando, e nel muovere le mani fece volare
per errore il
cadavere del ragnobot sopra la testa di Odysseus.
«AAAAAAAAAAH!»
gridò
ancora il jetformer, immemore del fatto di poter togliere il cadavere
grazie ai
“capelli” stessi.
Infine, dopo
una breve serie di strilli sempre più acuti e
di corse in circolo, i due coinquilini della tana del luponoide
andarono a
sbattere frontalmente uno contro l’altro e caddero a terra
seduti.
L’epica
battaglia era finita nel solo modo in cui poteva
finire, ma quantomeno il cadavere del ragnobot, tra una corsa e
l’altra, era
finito tra i piedi di Scylla, che aprì la finestra e lo
lanciò fuori.
«Se
le venationes
sono finite direi di scendere giù a cena» disse la
femme «Ero venuta su
apposta».
«Ehm.
Io… noi… tra un minuto veniamo
giù» rispose Odysseus.
«Va
bene!»
Detto questo,
Scylla chiuse la porta e i due coinquilini la
sentirono scendere le scale.
Così
come sentirono altrettanto bene la risata eroicamente
trattenuta in precedenza scoppiare subito dopo.
«Io
non ci scendo, lì sotto» disse Glitch.
«Su-»
«No!
Mi vergogno!»
«Tu
ti rendi conto che gli scontri frontali dopo essere fuggiti
urlando per qualche ragione non proprio valida non sono una
novità tra me e te,
vero?»
«Sì
ma non c’era di mezzo la posa eroica con il ragnobot
morto, penserà che volessi imitare Megatronus!»
«Ah
quindi non volevi?»
«Lui è
inimitabile».
«Eppure
avrei giurato che l’avessi fatto apposta»
commentò
il jetformer, pensieroso.
«…
andiamo a cena».
Odysseus
soppresse una breve risata. «Ehi Glitch».
«Dimmi».
«Tu
quantomeno sei riuscito a batterti con il ragnobot, io
gli avrei lasciato direttamente il campo, quindi dal mio punto di vista
mi hai
fatto un favore grosso come tutta la mansarda. Grazie, amico».
«Dovere»
borbottò l’altro mech «Ma il cadavere ti
è finito
in testa, quindi non sono sicuro-»
«Quello
però non è per colpa tua, quello è
colpa di chi fa
prendere GLI ACCIDENTI ALLA GENTE, SCYLLA!»
esclamò Odysseus, alzando il tono man mano che scendeva.
In risposta
ricevette una qualche battuta che Glitch non
capì, o non volle capire conscio che tanto ne sarebbero
volate altre nel corso
della cena. Nell’avvicinarsi alla porta, l’outlier
fece un breve sospiro
nervoso e cercò di concentrarsi sull’unica cosa
positiva di tutta quella follia
a otto zampe: per una volta aveva effettivamente
aiutato Odysseus, il quale aveva riconosciuto
l’utilità delle sue azioni e
aveva espresso sincera gratitudine nei suoi confronti.
Per quanto
Glitch continuasse a ritenere che non ci fosse
paragone tra quel che Odysseus aveva fatto per lui e il modo in cui lui
invece
era ancora ben lontano dal ricambiarlo -secondo la propria opinione,
non
necessariamente condivisa- era meglio di niente.
“Prima
o poi riuscirò a farlo davvero e farlo del tutto. Mi serve
solo tempo” pensò, decidendosi a scendere per cena
“Ma lo farò”.
***
«…
sul serio? Thundercracker e Skywarp hanno fatto una cosa
buona prima di mollare l’Accademia per andare
chissà dove, una, e noi dobbiamo
davvero vanificarla così?»
«Hai
sentito Shockwave, Skids» replicò Windcharger,
alzando
brevemente le ottiche azzurre al soffitto «Va riportato
indietro. Secondo lui
la sua abilità di disattivare macchinari è
preziosa e in futuro potrebbe
esserlo ancora di più, per cui… al lavoro,
superlearner, e usiamo quella
macchina del tempo per localizzarlo e teletrasportarlo qui,
nell’Accademia».
Nessuno dei
due outlier sembrava particolarmente entusiasta all’idea:
non Skids, che sospirò nervosamente nello scambiare
un’occhiata col compagno di
lavoro, né Windcharger, che grazie alle sue
“braccia magnetiche” gli passò un
bullone che stava perdendo per strada.
«Windcharger,
dai, siamo seri, Glitch finora è stato solo in
grado di fare casino! Rompe quel che non deve rompere e, quando abbiamo
lavorato insieme l’ultima volta, è persino svenuto
lasciandomi lì a dover
finire da solo. Vale veramente la pena riportarlo qui, e solo
perché in futuro “forse,
potrebbe” imparare a usare la
sua abilità a distanza?»
«Ripeto:
hai sentito Shockwave. Shockwave è, più o meno,
tutto quel che ci separa da finire come Glitch stesso»
replicò l’altro mech «Dunque
eviterei di contrariarlo».
Skids non
replicò, conscio del fatto che Windcharger avesse
ragione da vendere. Shockwave era un membro estremamente influente
nella casta
degli scienziati, e proprio la sua influenza gli aveva permesso di
mettere in
piedi la Jhiaxian Academy of Advanced Technology, radunando poi
all’interno di
essa mechs e femmes con abilità speciali di vario genere e
aiutandoli sia a
svilupparle, sia a tenerle nascoste a un governo che non avrebbe
gradito sapere
della loro esistenza.
I motivi di
una simile scelta erano piuttosto oscuri -difficilmente
uno scienziato agiva per carità divina, e Shockwave,
pensando alla sua fama,
ancor meno- ma loro erano contenti di trovarsi in un posto che si
poteva
considerare sicuro… per il momento. Il gladiatore Megatronus
in quei tempi
stava vivendo un periodo di grandissima ascesa e, se le voci erano
vere, si
iniziava persino a pensare che avesse intenzione di scendere in
politica -il consenso
che andava raccogliendo, in fin dei conti, era sempre maggiore- con
idee che
tuttavia cozzavano il giusto con quelle portate avanti dalla
nobiltà fino a
quel momento.
Vero, c’era la voce che Spector Specter fosse tra i possibili
candidati come nuovo vice capo del Gran Consiglio, e si narrava che
nelle sue
intenzioni ci fosse anche quella di far abolire una volta per tutte
pratiche
barbare come l’empurata, ma non era detto né che
sarebbe stato eletto né che poi
avrebbe davvero messo in pratica i suoi propositi e, in ogni caso, il
provvedimento
in questione sarebbe stata una goccia nel mare.
«Bisogna
proprio
riportarlo qui, vero?»
«Eh
sì».
«E
tornare a sentire i suoi lamenti» continuò Skids,
avvitando il bullone passatogli dal collega «I suoi
“oddio svengo” qui, i suoi “non
sono in grado” di là, il modo in cui ci fissa da
lontano per un sacco di tempo
prima di avvicinarsi se vede che siamo in gruppo, il modo in cui muove
quelle
manine tridattili… brrr. I brividi, davvero. Non
è solo l’empurata, ‘Charger, quella
alla fine è il meno, è che in lui è
tutto così… così triste. Mi mette un misto di
pena, angoscia e irritazione solo a
guardarlo, ecco la verità».
«A
chi non le mette?»
«Ecco.
E magari è più felice lì
dov’è ora, che ne sappiamo?
Lo lasciamo lì, lui è felice, noi anche,
win/win».
«Shockwave
mi ha detto che nel luogo in cui si trova Glitch
c’è
stata -e, rispetto a quando è lui,
“ci
sarà a breve”- un’epidemia che ha
falciato via un buon novantacinque per cento
degli abitanti».
Skids
borbottò una brevissima preghiera a Primus prima di
fare la domanda più logica per una mente come la sua.
«Shockwave ti ha detto se
l’epidemia in questione è stata per cause naturali
o “per
cause naturali”?»
«“Per
cause naturali” fatta passare come se lo fosse stata
davvero: membri della sua stessa casta ci lavorarono su»
rispose Windcharger «Non
ha detto molto. Ha accennato a un medico coinvolto in non so cosa -ma già nel mirino di gente in alto- a
del malcontento, al fatto che all’epoca
il Senato avesse ancora un po’più potere di adesso
e che il Gran Consiglio
avesse ancora un paio di membri dediti al Funzionismo. Belli che andati, fortunatamente... ora la faccenda non
è rose e
fiori, ma ai tempi ci andavano giù ancora più
duri».
«Sembra
proprio di sì. Allora come non detto, nel caso sia
felice lì dov’è ora dovrà
ringraziare sia per il fatto di venire portato via,
sia perché finirà a dimenticare un
po’tutto. “Almeno a livello cosciente”,
citando Shockwave -per quanta importanza possa avere» fece
una smorfia «…
eppure sai, per quanto per Glitch possa essere una fortuna mi irrita
mettermi nei
suoi panni e immaginarmi con dei pezzi di memoria in meno. Credo che al
posto
suo potrei ossessionarmi all’idea di farli tornare a
galla».
«Glitch
però non è te, e ha ben altri problemi».
«A
tonnellate» annuì Skids «A tonnellate.
D’accordo,
facciamo funzionare questa roba entro domattina».
Nel prossimo
capitolo, come potete intuire, ci sarà l’epilogo.
Avrei potuto concludere qui ma volevo la cifra tonda xD
Per quanto
riguarda Shockwave e i personaggi dei fumetti che
compaiono qui, ho fatto un miscuglio tra la situazione che
c’era in TFP prima
della guerra, la situazione che c’era nei fumetti sempre
prima che scoppiasse
il casino (il Megatronus di cui parlano è sempre quello di
TFP) e un accenno
alle mie fanfic (la parte in cui si cita Spector Specter. Il padre di Spectrus e Spectra, per chi non si ricorda di lui). Stesso
dicasi per
Shockwave, che qui NON è un senatore (né è precisamente una brava persona, decisamente NO), ma un eminentissimo
membro della propria
casta, destinato in seguito a mollare la suddetta e mettersi dalla
parte di
Megatron.
E niente,
grazie a chi ha letto e apprezzato :D al prossimo
(e ultimo) capitolo,
_Cthylla_
p.s.: vi do un
consiglio... se state scrivendo una roba abbastanza seria, non guardate
questo
anime,
perché devierà il vostro cervello verso il
disagio.
MA UNA VOLTA
FINITO DI SCRIVERE, GUARDATELO,
VI
PREGO :'D p.p.s.: quello disegnato da Glitch è Megatron di Armada, alias il suo vicino di casa nella mia fic "I vicini di casa peggiori della storia". Sì, è effettivamente uno scassapalle. E la cliente spaventosa del negozio di Scylla e fratelli è babushka Valka ☝🏻
|
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Capitolo 10 *** 10 - Epilogo ***
Epilogo
«No,
no, NO,
voglio
tornare indietro, fatemi tornare indietro-»
«Glitch,
falla finit- AAAH!»
«Windcharger!... Trailbreaker,
campo
di forza, fermalo!»
«Ho
detto che voglio tornare indietro! Toglietevi di mezzo!»
L’ultima
esclamazione di Glitch causò una sensazione
estremamente spiacevole all’altezza della Scintilla di Skids,
il quale crollò a
terra quando il suo sistema di ventilazione smise di funzionare per qualche
attimo.
Sempre meglio
di quando fosse andata a Windcharger, comunque,
che era stato toccato da Glitch e ora si trovava a terra svenuto.
«Lo
tengo, Skids! Fai qualcosa!» esclamò Trailbreaker.
Glitch emise
un lamento rabbioso, in larga parte per una
forte emicrania. «Lasciatemi
andare! Lasciami…»
Una delle
braccia nerastre di Trailbreaker iniziò ad andare
in pezzi. L’outlier urlò, l’espressione
terrorizzata quanto dolorante.
«…
andare!» esclamò Glitch «Devo tornare,
devo tornare
indietro, devo, Odys-»
Il mech
aranciato, nonostante il mal di testa peggiore mai
avuto in tutta la sua esistenza, era ancora abbastanza lucido da
sentire
qualcosa colpirlo due volte alla base del collo.
«I
miei pronostici sull’abilità utilizzabile a
distanza si
sono rivelati veritieri» disse una voce profonda.
Glitch
crollò in ginocchio. Quel che l’aveva colpito era
un
tranquillante.
«Ma
continuare a
sforzare il tuo sistema in questo modo, senza un’adeguata
preparazione, e
rischiare danni difficilmente riparabili sarebbe
alquanto…»
“Odysseus,
Odysseus, devo tornare da loro, Scylla,
Charybdis, Odysseus-”
«Illogico».
L’espressione
totalmente impassibile di Shockwave -un mech
che si vociferava avesse praticato lo shadowplay* su se stesso- e i
suoi sensori ottici rossi furono l’ultima
cosa che vide. Poi, buio.
***
«…
andato! C’è stato un lampo di luce e poi non
c’era più
Scylla, non c’era più, l’hanno portato
via, dobbiamo fare qualcosa!» gridò
Odysseus, tremante e coi sensori ottici pieni di lacrime
«L’hanno portato via,
p-potrebbero stargli facendo del male, potrebbero-»
«Potrebbero,
o magari no. In ogni caso non possiamo fare
nulla per lui, Odysseus, noi non abbiamo una macchina del
tempo» disse la
femme, con aria estremamente cupa «Credo che non ce ne sia
una funzionante da
nessuna parte, non in questo periodo storico».
Il giovane
jetformer, fin troppo conscio del fatto che la
sorella maggiore avesse ragione, crollò a sedere sulla
cuccetta piangendo.
Scylla per una volta non disse nulla a riguardo.
“Spero
che tu stia bene… o che tu ora abbia abbastanza forza
mentale per cercare di difenderti, Budino”.
Ricordò
il momento in cui avevano parlato del fatto che
forse la domanda giusta da farsi non fosse “da
dove” veniva Glitch, piuttosto “da
quando”, e nel farlo si rese conto che l’immagine
del mech in questione
cominciava già a farsi un po’ confusa nel suo
processore. Di che colore era il
suo sensore ottico? Azzurro o verde? Non riusciva a focalizzarlo.
Giustamente:
Glitch finendo lì aveva perso i ricordi del
proprio tempo, e adesso che l’avevano riportato indietro
stava portando con sé
anche i loro -i ricordi relativi a lui.
Non avevano un
video né una fotografia, perché Glitch, col suo
rapporto estremamente conflittuale con la propria immagine per ovvi
motivi, non
ne aveva mai voluti, ed era una cosa che loro avevano rispettato. Forse
era
stato uno sbaglio, perché mantenere vivo almeno il ricordo
del Budino di casa -che
a modo suo aveva dato molto anche a Odysseus rendendolo un
po’ meno codardo in
alcune cose- sarebbe stato dovuto. Almeno
quello, dato che non potevano, né forse avrebbero mai
potuto, fare nient’altro
per lui.
Guardò
Odysseus, rannicchiato a piangere sulla cuccetta.
“Erano
molto legati, dunque magari impiegherà più tempo
di
me, ma arriverà un momento in cui la sua amicizia con Glitch
non gli sembrerà
altro che una fantasia articolata. Arriverà un momento in
cui inizierà a vedere
Glitch come uno dei classici sconosciuti che compaiono durante i sogni,
uno di
quelli di cui si cerca di tenere a mente le fattezze…
finendo inevitabilmente a
dimenticarle, presto o tardi”.
Fece un gesto
per lei estremamente inconsueto: si sedette
sulla cuccetta e strinse a sé il fratello, il quale non si
oppose minimamente.
“Ma
a volte ricordare è una maledizione, soprattutto quando
sei del tutto impotente. Dimenticare Glitch per lui
significherà anche
dimenticare il motivo per cui sta soffrendo. Cerca di mantenere quel
po’ di
coraggio che hai acquisito, Odysseus, ma quanto al
resto…”
«È
meglio così» disse, molto piano, a un fratello
troppo
pieno di dolore perché potesse sentirla.
***
Nascosto sotto
le coperte dell’infermeria, Glitch aprì per
l’ennesima
volta quel carillon dalla forma strana.
Le note
dell’Empyrean Suite, una melodia che aveva sempre
amato, tornarono a risuonare vicino ai recettori uditivi. Tornare dal
viaggio
nel tempo -nei giorni che erano trascorsi gli avevano detto che era
reduce da
uno di essi, e la sua stanchezza rivelava che non si era ancora
ripreso- lo aveva messo sottosopra, e non ricordava come avesse avuto
quell’oggetto,
né da chi.
Le sensazioni che provava nel toccarlo, nell’esaminarlo e
nell’ascoltarlo
riprodurre musica però gli erano estremamente chiare: la
nostalgia profonda di
qualcosa al quale il suo processore non riusciva a dare forma, il
dolore, il
rimpianto, e soprattutto un confortante senso di calore che prima di allora
non aveva mai provato in vita sua.
Era una croce,
era una delizia, come lo era sognare se
stesso a guardare la neve da una finestra posta chissà dove, la stretta gentile di braccia amichevoli, e delle lanterne luminose volare nel cielo;
e come lo era
stato, più di una volta, ritrovare in sogno il candido
sorriso rivoltogli da un
giovane mech sconosciuto con ottiche di diverso colore.
*Lo shadowplay
è per i cybertroniani è un processo che altera la
personalità di un individuo rendendolo del tutto (o quasi)
incapace di provare emozioni. Era utilizzato tanto come punizione,
quanto come "mossa politica".
È finita!
Avevo detto
che questo sarebbe stato l’epilogo, e tal è.
Per chi se lo
stesse domandando, sì, il regalo di Odysseus a
Glitch esiste ancora: al momento è negli appartamenti di
Tarn (e se Scylla lo
vedesse riconoscerebbe il marchio che Odysseus apponeva sulle proprie
creazioni). Idem per il biglietto scritto da Glitch a Odysseus che,
nonostante
siano passati vorn su vorn su vorn, è ancora da qualche
parte in casa di Scylla.
Ringrazio
tutti coloro che hanno letto e apprezzato questa
breve storia. A presto (spero) su The Specter Bros’ 2!
_Cthylla_
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