Imagine

di Ai_Sellie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Origami ***
Capitolo 2: *** The words that I wanted ***
Capitolo 3: *** You've got a torn shirt ***



Capitolo 1
*** Origami ***


Stesso universo di "You're my slice of life" o anche no, come preferite, ma sempre modern!AU. 

Non contiene spoiler, a meno che non si voglia considerare Vittoria in quanto tale.
(Okay no, forse un piccolo dettaglio c'è. Non saprei però, è veramente un accenno minuscolo...


You say I'm your hero
But you are the one that saved me
("Imagine" - Ben Platt)


 

« Quindi, ricapitolando: se lo lascio così si chiama foglio, ma basta che lo piego un po’ e non si chiama più foglio ma origami? Ma è magia! »
Vittoria, seduta a cavalcioni sulle tue gambe ed incastrata tra il tuo petto ed il braccio con cui le hai circondato la vita, continua a ridere senza sosta, la testa piegata all’indietro ed il corpo scosso da continui tremiti – senti i muscoli della sua pancia contrarsi ad intervalli regolari sotto le tue dita.
Quando riesce a smettere, rimane pensierosa per un secondo, poi allunga un braccio sul tavolo e stacca un quadrato di carta dal libro che è corsa a mostrarti con tanto entusiasmo appena sua madre, con un ultimo saluto, si è chiusa la porta del tuo appartamento alle spalle – è solo un impegno da una mezz’oretta, torno a prenderla subito ci ha tenuto a ribadire un’ultima volta, prima di uscire, come se a te importasse davvero di simili dettagli tanto insignificanti.
A volte ti sorprendi tuo malgrado a domandarti se Berenilde abbia anche solo un briciolo di consapevolezza di quanto quella ragazzina sia importante per te o se riesca sul serio a credere che sia solo l’ennesimo gioco con cui passare il tempo finché non ti sarai stufato.
Sfoglia qualche pagina poi, una volta scelta la figura che ha intenzione di ricreare, comincia ad eseguire le varie pieghe seguendo le istruzioni.
Rimani in silenzio ad osservare paziente le sue dita muoversi un po’ lente e impacciate finché, una volta finito, si volta appena tra le tue braccia e ti mostra sul palmo il risultato dei suoi sforzi.
« È una rana! »
Vittoria sorride orgogliosa e poggia l’origami nuovamente sul piano, poi con la punta dell’indice schiaccia un punto in mezzo alle zampe posteriori dell’animale. Il piccolo anfibio di carta spicca un breve balzo e sparisce oltre il bordo del tavolo.
« Oddio, ma è viva! Hai creato una rana viva! » esclami con entusiasmo.
La ragazzina ride di nuovo e tu con lei, mentre si volta e tu ti chini sul suo viso.
« Sei magica » ridi, strofinando la punta del naso contro il suo.
Quando Berenilde torna a prenderla, esattamente mezz’ora dopo averla lasciata lì, inarca vagamente un sopracciglio nel trovarla che ride tra le tue braccia. Tu ricambi lo sguardo e semplicemente sorridi, ma lei inaspettatamente non commenta.
Sorride a sua volta e ti ringrazia per l’aiuto, scusandosi nuovamente per essere stata costretta a chiederti quel favore con così poco preavviso, poi recupera il cappotto di Vittoria dall’attaccapanni e glielo infila nonostante le sue insistenti proteste e i suoi tentativi più energici del solito di sfuggire alla sua presa.
Declina con un piccolo cenno del capo ed un sorriso di cortesia il tuo invito a fermarsi per cena, giustificando il rifiuto con un importantissimo impegno a cui non può assolutamente mancare e di cui a te non importa in realtà nulla.
« Può fermarsi solo Vittoria » proponi allegro, pur essendo già perfettamente consapevole di come andrà a finire. « Te la riporto a casa entro la mezzanotte, come ogni principessa che si rispetti, promesso ».
Gli occhi di Vittoria si illuminano come quelli di una bambina il giorno di Natale.
Berenilde sostiene il tuo sguardo per una manciata di secondi, poi semplicemente sorride.
Afferra con delicatezza la mano con cui la figlia si è aggrappata alla sua manica ed esce dall’appartamento con un ultimo saluto.
Tu rimani fermo sulla soglia a guardarle scendere le scale e quando Vittoria, decisamente contrariata e arrabbiata, si volta un’ultima volta nella tua direzione, arricci il naso e le fai l’occhiolino solo per il piacere di vedere la sua smorfia imbronciata distendersi almeno un po’ in un piccolo sorriso.
Poi rientri in casa.
Torni in salotto e ti pieghi sulle ginocchia per raccogliere dal pavimento la rana di carta, ma è solo quando ti risollevi che ti accorgi che il libro di Vittoria è rimasto sul tavolo, dimenticato tra i pezzi di carta strappata e i tuoi tentativi falliti di trasformare un foglio in un origami.
Sorridi.
Visto l’entusiasmo con cui te lo ha mostrato ed insegnato ad usare, domani dovrai necessariamente riportarglielo; sei assolutamente certo che rientri nei tuoi compiti di padrino perfetto, vederla sorridere.
La piccola ranocchia di carta, invece, trova posto in camera da letto, nel cassetto del comodino, dove conservi con cura tutti i disegni e i piccoli doni che Vittoria ti ha fatto fino a quel momento.

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Capitolo 2
*** The words that I wanted ***


C'è un piccolo accenno ad un dettaglio sul personaggio di Archibald che è molto spoiler, ma secondo me lo si coglie davvero solo se si conosce già tutta la storia.
Tenetelo comunque presente, vi prego. é_è



You gave me the world that I wanted
What did I do to deserve you?

(“In case you don’t live forever” – Ben Platt)




Vittoria strappa gli ultimi due fogli rimasti attaccati al libro e te ne porge uno, poi comincia con cura e precisione a piegare il suo, senza più bisogno di alcuna istruzione.
Tu cerchi di imitarla seguendo con attenzione ed un po’ di fatica ogni suo movimento, ma non la interrompi mai; neanche quando, ad un certo punto, quasi rischi di perderti tra le varie pieghe che, nonostante la sua pazienza nello spiegarti ancora e ancora come si fa, a te continuano a sembrare comunque tutte uguali.
Appena finisce alza gli occhi e sorride.
Ti posa di fronte la piccola ranocchia di carta appena creata, poi appoggia i palmi aperti sul tavolo e si protende verso di te, visibilmente curiosa ed eccitata.
Chini appena la testa ed apri il pugno per mostrarle il risultato dei tuoi sforzi, ridacchiando.
« Eh, la mia non è così bella » ridi, appoggiando di fianco alla sua una rana molto simile, ma decisamente più brutta e malriuscita.
« Non sono magico come te ».
Viste una di fianco all’altra sono talmente uguali e diverse – una rappresentazione così tangibile e perfetta di quello che ai tuoi occhi sarete per sempre tu e Vittoria – che per un secondo ti viene quasi da ridere.
Ti imbamboli a fissarle, come ipnotizzato – una perfetta e bellissima, l’altra storta e con gli angoli accartocciati su loro stessi; uguali e talmente diverse da dare l’impressione di non potersi incontrare mai –, i pensieri che si accavallano l’uno sull’altro e lo sguardo lontano, proiettato per un secondo verso un futuro che forse non avrai mai, ma nonostante l’impegno con cui ti prodighi ogni giorno per evitare che chiunque se ne accorga – che Vittoria se ne accorga – qualcosa evidentemente in quel momento ti sfugge perché quando sbatti le palpebre e sollevi nuovamente lo sguardo, pronto a sorriderle, lei ti fissa immobile per un momento, poi fa leva sulle mani e si allunga verso il tuo viso.
Strofina un po’ timidamente la punta del naso contro il tuo, come fai sempre tu quando vuoi vedere di nuovo il suo sorriso, poi si scosta appena, le sopracciglia incurvate.
È bellissima asserisce nella lingua dei segni, seria come non l’hai mai vista, puntando nel tuo uno sguardo talmente profondo e maturo che, per un attimo, ti gira la testa.
Com’è possibile che una ragazzina della sua età riesca ad avere uno sguardo del genere? Com’è possibile che Vittoria conosca uno sguardo del genere?
Ed anche se non lo fosse non importa, sono insieme.
Forzi le labbra a tirarsi in un sorriso talmente ampio che ti sembra quasi di sentirle sul punto di spaccarsi.
« Hai ragione. Così si tengono compagnia! » esclami allegro.
Vittoria non scoppia a ridere, non sorride, ti guarda e basta, le sopracciglia ancora più incurvate e lo sguardo ancora più profondo.
Senti il sorriso creparsi perfettamente a metà e sei certo che ormai è solo questione di secondi, prima che anche le labbra facciano la stessa fine, quando Vittoria sale completamente sul tavolo e si lancia in avanti, gettandoti le braccia al collo.
Per l’impeto e la sorpresa perdi l’equilibrio e scivoli dalla sedia, sbattendo il sedere sul pavimento.
« Ma cos- » mormori, stordito.
Vittoria serra la stretta ancora di più. Si stringe al tuo petto fin quasi a toglierti il fiato ed affonda la faccia nella camicia come se non desiderasse altro che fondersi completamente con il tuo corpo e diventare una cosa sola.
Cerchi di spostare le mani, per ricambiare l’abbraccio o anche solo accarezzarle la schiena, giusto il tempo necessario per calmarla e capire che cosa le sia preso, ma qualcosa te lo impedisce.
Un malessere strano, diverso da quello che, negli anni, hai imparato tuo malgrado a conoscere così bene, e che ti chiude la gola e lascia immobile a domandarti cosa stia succedendo.
Senti il battito del cuore rimbombarti così forte nelle orecchie da stordirti.
Rimani paralizzato ad ascoltare il suo respiro, finché non la senti infine muoversi e quando chini la testa, lei ha sollevato la sua.
Pianta per la terza volta quello sguardo nel tuo, facendoti deglutire tuo malgrado, mentre forzi l’ennesimo sorriso destinato a spezzarsi, poi muove le mani e segna una frase. Una sola frase che si marchia a fuoco nelle tue viscere e ti si conficca a fondo nella carne come un’enorme spina incandescente, poi affonda nuovamente la faccia nel tuo petto e lì rimane.
Deglutisci e ricambi l’abbraccio, gli occhi vagamente sgranati, stringendotela addosso come se non desiderassi altro che fonderti completamente con il suo corpo e diventare una cosa sola.
Non sei solo.

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Capitolo 3
*** You've got a torn shirt ***


Il mio piccolo contributo alla challenge L'Attraversalibri indetta da SkiMari sul forum Ferisce più la penna. ♥


ATTENZIONE! Spoiler enormi su Archibald.



There are pieces I usually hide
But when you collect me with your steady hand
With a language that I understand
I feel put back together inside
("Ease my mind" - Ben Platt)




La prima volta che una delle mille anonime camicie bianche che sei solito indossare si strappa, invece che gettarla e sostituirla con una nuova cucita su misura, come avrebbe fatto un qualsiasi altro membro della tua famiglia, decidi di provare ad aggiustarla.
Armato di un ago dalla punta storta e una vecchia spoletta di filo rosso trovati per caso in fondo a un cassetto, ti siedi a gambe incrociate sul pavimento e passi l’intera serata a cercare di rammendare quel piccolo strappo, ottenendo come unico risultato quello di creare una vistosa macchia rossa in mezzo a quella che, fino a poche ore prima, non era altro che una distesa perfetta di bianco puro e immacolato.
Pazientina storce il naso e corruga la fronte, quando ti presenti a colazione la mattina dopo, il colletto sbottonato ed il groviglio di filo rosso ben visibile sulla spalla, poi scoppia a ridere, arricciando le labbra in una piccola smorfia disgustata.
« Piantala di fare il buffone, scordatelo che ti lascio accompagnarmi a scuola conciato così! E già che ci sei smettila anche di provarci con i genitori delle mie compagne, è imbarazzante ».
Tu ti limiti a sorridere.
Sistemi una tazzina sotto l’erogatore della macchinetta e ti spalmi una dose più che abbondante di marmellata sulla fetta di pane tostato, mentre aspetti che il caffè sia pronto.
La camicia non te la cambi e probabilmente è solo il pretesto che aspettava da tempo, perché dalla settimana successiva lei comincia sempre più spesso a scegliere l’autobus, preferendo sacrificare un’ora di sonno piuttosto che farsi vedere dalle sue amiche in tua compagnia.
Ancora una volta ti limiti a sorridere, lanciandole ogni tanto qualche battuta sull’importanza delle ore di riposo per la bellezza della pelle, e un po’ per noia, un po’ per dispetto, continui comunque a cercare di aggiustare invece che gettare, anche se cucire non è mai stata la tua vocazione e la camicia comincia gradualmente ad assomigliare sempre di più ad un campo di battaglia disseminato di mille segni rossi, che sembrano farsi più storti e spezzati mano a mano che sempre più membri della tua famiglia scelgono deliberatamente di proseguire la loro vita lasciandoti indietro.
Quando infine anche Pazientina vola a studiare lontano, senza quasi salutarti e portandosi dietro anche tutte le altre sorelle, per un lungo momento ti senti immensamente sollevato – se ti stanno lontane non puoi infettarle più di quanto tu non abbia magari già fatto –, poi arriva il dolore.
La solitudine che hai sempre avvertito strisciarti addosso come un serpente invisibile, pronto a colpire ad ogni passo falso, ti si serra intorno all’improvviso così forte che per un istante muscoli, cuore e polmoni sembrano come annichilire su loro stessi.
Smetti di respirare ma non di sorridere, perché finché continui a sorridere nessuno si accorgerà che dietro non c’è niente.
Le tue giornate, scandite da sempre dai battiti costanti di un cuore che nonostante tutto continua, testardo e instancabile, a pompare in circolo quel sangue marcio che ha ucciso i tuoi genitori, che ucciderà te e che potrebbe un giorno uccidere una qualsiasi delle tue sorelle, si fanno ancora più uguali e monotone, nonostante le sempre più numerose avventure tra le braccia di persone di cui a stento ricordi i volti con cui cerchi di riempirle.
Poi arriva Vittoria.
Vittoria che è una manciata di capelli del colore del sole e pianti insolitamente silenziosi. Vittoria che è due minuscole mani tese verso il tuo viso e rigurgiti sulla spalla le rare volte che riesci a convincere Berenilde a lasciartela prendere in braccio. Vittoria che è due occhi enormi che ti guardano con curiosità e mai vergogna – per quello che fai, per quello che sei – e un’irrefrenabile voglia di attirare la tua attenzione e farsi ascoltare, anche se una voce non ce l’ha.
Vittoria che è risate e giochi e notti insonni passate a studiare quella lingua nuova e sconosciuta per poterla sentire anche tu, la sua voce, e scherzi e sorrisi e un affetto incondizionato così grande che ti riempie il cuore fino a fare male, e per la prima volta ti fa sentire un po’ meno rotto.
Vittoria che nonostante l’apprensione costante di sua madre con cui cresce è un inafferrabile e testardo raggio di luce che si insinua ovunque, anche dove non dovrebbe, e che illumina e scalda tutto quello su cui riesce a mettere le mani.
La prima volta che ci fai caso avete passato tutto il pomeriggio precedente a giocare al parco, sotto lo sguardo attento di sua madre, e ti è quindi molto semplice fingere di scambiare quella macchia di filo verde come un piccolo ricordo del giorno prima. Ti sfili la camicia dalla testa senza nemmeno sbottonarla e la getti nel cesto dei panni da lavare.
La settimana successiva è un insieme di nodi arancioni all’altezza della scapola. Quella dopo una riga sbilenca e irregolare di un acceso verde bottiglia, che attraversa il fianco. Quella dopo ancora un ammasso di filo giallo che riesce, non si sa bene come, a tenere miracolosamente unita la manica sinistra alla spalla.
Una specie di magia sembra come prendere possesso di quel logoro pezzo di stoffa e sulla camicia iniziano gradualmente a sparire i vecchi rammendi che avevi fatto tu un po’ alla buona e a comparirne di nuovi ancora più storti e imprecisi, ma dei colori dell’arcobaleno.
Il rosso è un colore orribile segna Vittoria, le sopracciglia contratte e le guance vagamente gonfie, quando riesci infine a sorprenderla mentre sostituisce l’ennesima cucitura rossa con una di un altro colore e, ridendo, le chiedi spiegazioni. Sembrano tante ferite.
Guardi le sue dita sottili continuare ad armeggiare con ago e filo, inesperte e testarde, creando nodi e grovigli di colore dove prima c’erano solo graffi di filo rosso.
Quando le siedi accanto ti lancia un fugace sguardo con la coda dell’occhio e vedi le sue mani contrarsi per un secondo intorno alla camicia, come se temesse di vedersela portare via, ma tu ti limiti a rimanere immobile al suo fianco, la risata che non vuole proprio saperne di abbandonarti, e lei solleva infine la testa solo una volta terminato il lavoro.
Ti guarda negli occhi, immobile e con ancora le sopracciglia vagamente contratte.
« Hai ricamato la mia iniziale! » esclami ridendo, indicando il piccolo grumo viola che Vittoria ha appena finito di cucire poco distante dal primo bottone. « Hai fatto bene, così sono sicuro che nessuno potrà mai rubarmi la camicia ».
Vittoria continua a guardarti in silenzio, ma con un accenno di sorriso che comincia rapido a sollevarle gli angoli della bocca, mentre tu ti sbottoni la camicia e te la togli, poi le sfili con gentilezza quella che tiene ancora stretta tra le dita e la indossi.
« E questo sole sulla spalla è perfetto, si intona perfettamente con i miei occhi ».
Le fai l’occhiolino e lei scoppia finalmente a ridere.
Si volta di lato e traffica un attimo nella piccola borsa di cui ti accorgi della presenza solo in quel momento, poi torna nuovamente a guardarti.
Ho anche il rosa e il verde chiaro segna entusiasta, mostrandoti poi le due piccole spolette. Me le ha regalate zia Roseline, dice che a lei non servono e non sa nemmeno perché le avesse.
Sorridi ed allunghi semplicemente il braccio.
Lei sorride felice e se ne impossessa subito. Si libera in maniera un po’ grossolana della cucitura rossa all’altezza del polsino, poi prepara ago e filo e con mano ferma ma decisamente inesperta ricuce lo strappo e inizia a ricamare.
« Chi l’avrebbe detto che avessi un talento per il cucito ».
Vittoria solleva la testa.
« Tua madre sarà orgogliosa di te » ridi, facendole l’occhiolino.
Lei sorride e si allunga a sfiorarti la punta del naso con il suo, poi china nuovamente la testa e torna a concentrare tutta la sua attenzione sulla tua manica.
Rimani seduto al suo fianco per tutto il tempo, senza mai lamentarti e con la bizzarra impressione di sentire le spire del serpente allentarsi un pochino, mentre Vittoria lavora con impegno e pazienza, interrompendosi ogni tanto per sollevare la testa e sorriderti o raccontarti degli strani animali di cui le ha parlato suo padre, dopo essere rientrato dal suo ultimo viaggio d’affari.
Vittoria che illumina e scalda, anche se non lo sa. Che è affetto e sorrisi e sguardi gentili, anche se non te li meriti, e che è decisamente troppo calda e luminosa, per uno come te, ma che non ha il tuo sangue marcio, nelle vene – non è tua madre, non è una delle tue sorelle –, per cui forse puoi permetterti d’ignorare la paura e il senso di colpa e crogiolarti nel suo calore ancora per un po’.

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