Per tutta la vita

di ruka_019
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Emma ***
Capitolo 2: *** II. Norman ***
Capitolo 3: *** III. Ray ***
Capitolo 4: *** IV. Emma ***
Capitolo 5: *** V. Norman ***
Capitolo 6: *** VI. Ray ***
Capitolo 7: *** VII. Emma ***
Capitolo 8: *** VIII. Ray ***
Capitolo 9: *** IX. Norman ***
Capitolo 10: *** Extra ***



Capitolo 1
*** I. Emma ***


Avevo imparato a convivere con quel vuoto…

Ci rintaniamo nella loro camera. È in fondo al corridoio del secondo piano, di fronte alla mia. Certe volte, nella notte li sento urlare, è per questo che dormo con la porta aperta, aspetto finché c'è di nuovo silenzio dopo i sussurri, che sono spifferi per calmare ricordi che ancora li perseguitano. Quelle notti vorrei solo scivolare lì da loro, implorarli di dormire insieme nello stesso letto. Non l'ho mai fatto comunque, perché loro mi vogliono fuori. Fuori da quella sofferenza che non posso più portare. Certe volte mi è solo così chiara la differenza tra me e la loro Emma. Quella che a questa porta busserebbe ogni notte. Quella che so aspetterebbe ore in piedi, fino ad ottenere la vicinanza che non ci permettiamo di volere. Quindi mi accontento della sera, perché dopo che i più piccoli sono andati a dormire nelle loro camere, gli altri abitanti di quella casa ci concedono il loro silenzio.

Sono sdraiata sul letto di Norman a pancia in giù, il mento sorretto dalle braccia e le gambe tirate in alto. Questo è un posto sicuro, un posto dove i ricordi diventano le foto di una vita che ogni tanto vorrei ricordare, ma che mi accontento di vivere attraverso di loro. Chissà se questo calore per loro è la prima volta che lo provo, eppure guardando Norman seduto a gambe incrociate davanti a me e Ray al suo fianco, con una gamba piegata sotto il corpo e l'altra stretta tra le braccia, penso che potrebbe essere andato sempre tutto così. Potrei averli sempre amati in questo modo. Norman con i suoi sorrisi che so mi dedichi sempre a metà, perché un sorriso vero una volta l'ho visto, ma era per l'altra Emma. Quella che non è me, eppure mi appartiene ancora. C'è ancora da qualche parte nell'amore che mi culla la sera, nei tremiti del cuore quando loro ridono. Ray con il suo sguardo sfuggente, la curva timida delle sue labbra e il tono pacato. Lui che è diventato capace di piangere, gli altri ancora si sorprendono quando capita, ridono di bonari sorpresa e divertimento. Io sorrido e basta, perché in qualche modo so che è merito mio. Perché per le cose importanti sono ancora la Emma che conoscono. Perché se uno di loro sta male soffro come non soffrirei per nessun altro. Perché se guardo le medicine che deve prendere Norman vorrei solo piangere, quindi lo abbraccio e lo imploro di non andare lontano da me. Mai più. Vorrei aggiungere. Ma quelle parole non sono mie. Sono sue.

-Ma non sei stanca dopo tutti i giochi che ti hanno fatto fare i ragazzini?- Norman è spesso stanco la sera, so che sono gli effetti delle pasticche che prende, però dice di stare meglio, lo dicono tutti.

Stanno bene. È merito mio. Non sono arrabbiati con me. Sono ancora la mia famiglia. -Scherzi? No, voglio sentire un'altra storia!- sorrido e lo guardo con aspettativa.

Ray si sporge verso di me, ha le occhiaie, non gli si vedono sempre, ma è tutta lì la stanchezza delle sue notti insonni. -Emma è tardi, dovremmo dormire.

-Ma a me non va.- mi lamento, girandomi sulla schiena -Voglio ancora cinque minuti con voi. Poi sto sola tutta la notte.- funziona sempre quando mi comporto da bambina e metto il broncio.

Ray cede con un sorriso e allontanando gli occhi da me, Norman luccica nelle iridi, luccica di lacrime.

È lui ad allungare una mano e accarezzarmi i capelli, lì dove c'è la cicatrice di una ferita di cui ho scordato il dolore insieme a tutto il resto. -Cosa vuoi sentire?

È un patto tra di noi, io posso chiedere qualsiasi cosa e loro saranno lì per rispondere, anche se farà male, non me lo diranno mai.

-Mhh, vediamo.- la storia la conosco completamente, mi hanno fatto una linea del tempo e dei disegni, li ho attaccati tutti sulla parete della mia camera.

C'è l'orfanotrofio all'inizio di tutto, ci sono i fratelli con nomi vicino ai disegni dei loro visi, quando all'inizio ancora faticavo, poi sono venuti naturali, perché non sono estranei, non è vero che non li conosco. Isabella è l'unica che manca, ha un suo riquadro vuoto, ma il suo disegno l'ho staccato e nascosto sotto il letto. La donna che tutti chiamano mamma, ed è la parte dolorosa di tutto questo. So che era mia madre, ma fa male. Poi ci sono i demoni, il camion dove so che dentro c'era Conny, ma nessuno lo ha disegnato per fortuna. A seguirli ci sono i piani e la fuga, Norman che viene spedito, Emma che parla ai fratellini, una Emma che non so se posso davvero essere io. E la notte di Ray. Quella fa ancora paura certe volte. Perché se guardo il Ray che è qui davanti a me sembra così simile nel suo sguardo. Quasi avesse smesso di fidarsi della vita. Poi c'è Mujika, di lei mi ricordo, dicono sia merito del ciondolo che mi ha dato. Mujika e Sonju che ci salvano. Il rifugio. Hugo. Goldy Pond. Lucas. Oliver e i suoi compagni. Il duca. E poi di nuovo il rifugio. E in mezzo ci sono altri disegni, Phil e i bambini rimasti a Grace Field. Ci sono schizzi di una vita che è quieta pace in un mondo in guerra. Che è gioia tra rovinosi ricordi di sofferenza. E di nuovo il clan Ratri. La morte che spaventa me che nemmeno la ricordo. Hayato. Un nuovo posto sicuro. E Norman che doveva essere morto e invece è lì davanti a me. Sembra un gigante nei disegni dei bambini. E anche quello fa male, è una fitta a scalfire un petto atrofizzato dalla neve che mi ha accolta appena giunta in questo mondo, svuotato dalla loro presenza. E alla fine c'è tutto il resto. La guerra combattuta separati e poi di nuovo uno accanto all'altro. Il senso di essere di nuovo una famiglia. Loro che per me sarebbero rimasti lì, nella sofferenza. Solo perché ci fossi io. Una singola vita per centinaia. So che per loro quel concetto non ha alcun senso, che sono stata io ad insegnare che non esistono compromessi. Quindi non spiego nulla, ma so che ne è valsa la pena. Perché se ora siamo qui così, al sicuro è stato merito di quella scelta. Ma non lo capirebbero. Non lo capisce Norman che non riesce più a sorridermi come forse prima a lei sorrideva, e non lo capisce Ray che non sembra essere in grado di dare un senso a qualsiasi demone continui a perseguitarlo. Quindi gli chiedo della nostra infanzia. Di quella non ho disegni, perché solo loro ne sono stati testimoni, ma me la sono fatta raccontare abbastanza spesso, che, certe volte, le immagini sono simili a ricordi.

-Allora, noi ci conosciamo da tutta la vita.- iniziano sempre così le storie di Norman, con un sorriso malinconico e il tono sommesso, quasi sul punto di rivelare un segreto, il nostro. -Ray è un po' più grande, il suo compleanno è il quindici gennaio. Poi ci sono io che sono nato il ventuno marzo, mentre tu sei nata…

-Il ventidue agosto!- esclamo ridendo e alzando la mano, è un gioco tra di noi, mi diverte ricordare quello che loro mi dicono, è rassicurante, contro il terrore di svegliarmi un giorno e trovarmi priva anche di quel poco che ho adesso. Di questi mesi che ho ricostruito. Norman dice che non succederà. Lui è intelligente, dicono tutti. Quindi mi fido, ma a volte ho ancora paura.

-Esatto.- sorride e mi punta contro un dito, sembra un po' un insegnante e un po' un bambino.

Io glielo afferro con la mano e poi intreccio le sue dita alle mie. Norman arrossisce, tutto fino alle orecchie, ma non ha smesso di sorridere, i suoi occhi si sono fatti solo un po' assenti, un po' lontani, distanti dai miei, come se non è me che stesse guardando.

-E poi che succede questa volta?- gli chiedo, lì sotto di loro. Non sono in pericolo se ci sono Ray e Norman davanti a me.

Il ragazzo sta per rispondere, ma Ray prende il testimone. Lui non parla mai molto, di solito sceglie il silenzio, per avere in cambio le vostre voci, dice. -Quando eri piccola sorridevi sempre. Non c'era nulla che potesse toglierti il sorriso. Dicevi di voler cavalcare una giraffa, quando ti chiedevano cosa avresti fatto fuori da Grace Field. Ma tu non hai mai voluto andare via. Ti incuriosiva il mondo fuori, ma a te piaceva lì, non ti serviva un'altra famiglia, ne avevi già una. Non volevi altri fratelli o un'altra madre.- abbassa lo sguardo, il sorriso sul viso. Ray non è fatto per cercare il contatto fisico, ma non si è mai tirato indietro alle nostre mani.

Prendo una gamba con la mano che ho libera e la stringo piano, Ray parla di me con cautela, come se non sapesse come maneggiare la persona che abita i suoi ricordi, non è come Norman che si veste di malinconia, Gilda e Don che sembrano sollevati e basta, Phil e gli altri bambini che cantano adorazione come solo loro potrebbero. Ray è cauto quando parla della sua Emma, quella che ha quasi visto morire, quella che aveva giurato di proteggere e invece si è lasciato sfuggire tra le dita, eppure l'aveva stretta con tanta cura, la Emma che lo ha tirato fuori dalle fiamme e gli ha impedito di uccidersi, la Emma che gli ha dato un motivo per non farlo. La Emma di Ray è diversa da quella degli altri. Lui e Norman mi conoscono più di chiunque altro. Ma in un certo senso conoscono due diversi momenti della persona che ho dimenticato, Norman conosce la Emma bambina, quella che non avrebbe mai mentito alla sua famiglia, che a quel sacrificio avrebbe cercato un'alternativa, Ray la Emma grande, quella che ha conosciuto la morte, quella che è stata piegata, ma non ha avuto paura di spezzarsi, Ray ha conosciuto la Emma che un sacrificio come quello lo ha compiuto eccome. Io sono qualcosa di intermedio probabilmente, io non so davvero che posto occupo in quella storia, so solo di volerlo.

-Beh doveva essere un bel luogo.- commento, dalle immagini lo sembra, un pacifico orfanotrofio in mezzo al verde. Ci sono un sacco di sorrisi in quei disegni.

Ray quando mi guarda è diverso, c'è una piega cupa nel suo sguardo. -Per voi lo era. Era tutto fatto a posta, perché una famiglia amorevole e la tranquillità di quella vita vi avrebbe fatto crescere bene, come volevano i demoni.

Annuisco, ci ho messo un po' ad abituarmi alla realtà di quella storia. Non sembra vera, sembra uno strano scherzo, ne ho avuto paura, finché non ho scoperto che la mia di paura non fosse nulla paragonata a quella degli incubi che li fanno urlare nel cuore della notte. Molti bambini hanno già iniziato a dimenticare, ma i più grandi li portano tutti dentro i segni di quegli anni. Incubi, attacchi di panico, sono pochi a non averne se non rari. Gilda e Norman sono più fortunati, si dedicano a tutti gli altri quando loro non sono capaci di prendersi cura di loro stessi completamente. Ray è quello che indubbiamente ha subito tutti gli effetti peggiori, certe giornate non esce neppure dalla sua camera e nessuno ha il permesso di entrare se non Norman, Gilda, Don, Anna e Oliver. Neppure io. Devo aspettare fuori, mentre Ray urla o se ne sta in totale silenzio, ed è la parte peggiore. Vedere gli sguardi di chi entra ed esce spenti, tristi, mentre mi tirano un sorriso stanco. Poi però anche lui esce alla fine ed è tranquillo, è solo il solito Ray, un po' silenzioso, un po' più emotivo, che mi guarda con un sorriso e dice sto bene, ora, ed è la verità, ma non basta mai.

-Per me è sempre stato un posto dove o rispettavo le regole o venivo ucciso.- continua Ray, lo sguardo è di nuovo un po' più morbido -Un posto dal quale dovevo farvi scappare. Non riesco davvero a pensare che ci fosse qualcosa di bello. All'infuori di voi due, comunque.

Certe volte penso che se avessi dei ricordi, saprei rispondere a queste frasi.

Norman è più bravo di me in questi momenti. -Hai dei bei ricordi con noi.

Ray gli sorride, sempre un po' velenoso, è un sorriso che dedica solo a noi. -Sì, che ne ho. Ricordo quando Emma voleva a tutti i costi entrare nell'infermeria anche se tu stavi male.

Mi piace questa storia.

-Oh, sì. Hai ragione. Avrei voluto conservare il telefono a filo che le costruisti per poter parlare con me.

-Devono essere andati persi nell'incendio. Avevi portato solo quelli nella valigia, no?

-Sì, è così. Un vero peccato. È uno dei ricordi più cari che ho.

Sento le loro mani che mi accarezzano distrattamente, mentre le loro voci sono l'ultima cosa che mi rimane del mondo.

~~~

Note dell'autore: Non mi sono ancora abituato ai codici html, quindi è possibile che io faccia casino ad un certo punto ahahah. Ringrazio chiunque abbia letto questo primo capitolo, gli altri sono tutti già pronti e li pubblicherò due volte a settimana, sperando di ricordarmene... comunque come ho scritto nella descrizione questa storia è incentrata sulle ripercussioni degli eventi nel mondo dei demoni sui personaggi e sui loro rapporti interpersonali e con il mondo che li circonda. Il raiting è arancione ma unicamente per le tematiche trattate (in merito alle quali all'inizio di ogni capitolo troverete le singole avvertenze). È presente in parte secondaria una storia d'amore tra Norman, Emma e Ray insieme come relazione poliamorosa, io spero che le darete una possibilità. E se vi è piaciuta o avete dei consigli sono ben accette recensioni. Buona lettura e al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** II. Norman ***


WARNING: salute mentale, riferimento a disturbi alimentari con induzione di vomito, depressione, tentato suicidio, riferimenti anche a PTSD. Per favore prendete sul serio i warning.

-

Era diventata un'abitudine prendermi cura di loro…

La giornata al Villaggio inizia alle sei in punto con gli orologi di tutti gli chalet che risuonano per le pareti in legno e i camini a sbuffare fuori fumo, anche in primavera. Chris non ha perso l'abitudine di gridare l'orario di sveglia, correndo in giro e dimenticando di mettersi i vestiti pesanti passando da struttura a struttura, collezionando così sgridate e raffreddori. Usciamo per fare colazione già vestiti, Ray ci mette sempre un po' di più ad alzarsi dal letto, conto i minuti per capire che tipo di giornata sarà oggi. Gli ci è voluto un quarto d'ora. La media è di otto minuti.

-Buongiorno!- Emma è sempre raggiante e vestita di tutto punto quando lasciamo la nostra camera e andiamo insieme verso la mensa, il sorriso luminoso sul viso mentre ci saluta.

-Buongiorno.- ricambiamo io e Ray.

Fuori il freddo primaverile è pungente, aspro, in fretta intimiamo ai bambini, che indugiano a guardare un fiore o una farfalla, di entrare nella sala mensa. Ci abbiamo messo sette mesi a costruire tutto, l'uomo che si è preso cura di Emma ci ha aiutato con i progetti e abbiamo lavorato spesso giorno e notte, mentre la maggior parte dei bambini attendeva l'ultimazione in uno dei palazzi affiliati al clan Ratri per potersi trasferire lì tutti insieme. Al momento in pianta stabile viviamo in circa cinquanta da ormai quasi un anno, divisi tra i cinque grandi chalet. Sono tutti provvisti di camere da letto di gruppo o singole, bagni comuni, una grande sala riposo e all'esterno cassette per legna e attrezzi. Lo chalet numero uno è l'unico dotato di una grande cucina e della mensa. Per l'estate, quando il sole riscalda un po' la terra gelida delle montagne, abbiamo adibito un padiglione per mangiare. I bambini dello stabilimento tre di Grace Field ci sono tutti, anche i più piccoli hanno scelto di trasferirsi, mentre Un gruppo di coloro che Emma ha salvato da Goldy Pond vive altrove, dove sono impegnati con la scuola e una vita completamente nuova. Il gruppo di Oliver è stato uno dei principali aiuti che abbiamo avuto per costruire il nostro villaggio, non hanno voluto lasciare tutti i compagni che hanno trovato al rifugio. Anche Cislo, Barbara, Zazie, Vincent, Jin e Hayato sono voluti rimanere qui con me, nonostante Vincent viaggi spesso per lavoro, con Barbara e Cislo ad accompagnarlo. Ayshe ha scelto di rimanere per l'immenso spazio aperto e la libertà con i suoi cani. I tavoli della mensa sono grandi e vicini, ma incredibilmente nonostante il nostro numero elevato tutti hanno il proprio posto, solo pochi dei più piccoli sembrano divertirsi a scambiarsi e litigare sulla posizione migliore o sul piatto di cibo più grande. È stato merito di Yvette, che poche settimane dopo l'arrivo una mattina ha avuto una brutta crisi di pianto perché il suo posto era stato occupato e lei non sapeva più dove sedersi. Ray con pazienza dopo averla fatta calmare, ha proposto a tutti di scegliere un posto nei vari tavoli e di non cambiarlo senza chiedere il consenso dell'altra parte interessata. Ha funzionato, la famiglia intera che abbiamo costruito qui ne è sembrata rassicurata.

Yvette non è stata la prima ad aver sviluppato comportamenti atipici, ma non sono neanche in molti. La maggior parte dei bambini sotto i dieci anni ha perso molte delle memorie che non siano legate agli incubi nelle notti più nere, per questo ci sono sempre dei grandi negli chalet con loro, qualcuno a cui potersi rivolgere quando hanno paura. Ray si dirige nelle cucine senza dire nulla, ha lo sguardo basso, serio, avrei voluto abbracciarlo, ma questi sono i momenti in cui posso solo aspettare. L'attesa che il peggio passi senza fargli ancora più male di quel che già gli fa. È sempre una speranza inutile comunque. Si spezzerà ancora e io non potrò farci niente.

-Buongiorno, Norman. Emma.- Oliver ha il suo sguardo tranquillo, apparecchia e insieme con un braccio tiene Eugene.

Ci affrettiamo a dare una mano, passando piatti e sistemando tovaglie e posate. Nell'attesa che Ray, Gilda e gli altri addetti alla cucina escano con le porzioni da dividere. Emma si fa passare Eugene, che le si aggrappa al collo con un sorriso pacato.

Gli lancio un'occhiata, lui non ricambia mai, ma i capelli nascondono il suo non guardarmi negli occhi. -Non sei un po' grande per stare in braccio ad Emma?

Lui sposta il viso nell'altra direzione, silenzioso come sempre, è Emma a farmi la linguaccia. -Lascialo fare. A me non pesa.

E so che è la verità, perché si gira e gli fa un sorriso e gli chiede come ha dormito e Eugene risponde, sempre a bassa voce. Certe volte guardarla fa ancora male. È passato un anno e mezzo eppure continuo a chiedermi chi sia la persona davanti ai miei occhi. Sarebbe semplice se la testa potesse dar retta al cuore, solo questa volta, semplice se potessi accontentarmi di dire che lei è Emma e basta. A me sarebbe andato bene comunque. Che avesse scelto un altro nome o avesse sorriso in modo diverso. Con o senza ricordi. Eppure continua a far male, guardarla e sperare di essere riconosciuto. Guardarla e chiedermi chi ci sia a guardarmi di rimando. Lei le somiglia tanto alla Emma che ho conosciuto io, è lei per tutte le cose importanti, però spesso sento comunque la sua mancanza.

Phil arriva come un fulmine, si fionda su Emma, abbracciandola con un sorriso enorme. Deve aver avuto un altro incubo stanotte, perché si è svegliato più tardi del solito. Emma lo saluta e fa sistemare su una sedia Eugene a cui Phil si mette accanto dopo aver ottenuto il bacio sulla guancia da Emma, che ride e gli passa una mano trai capelli scuri. La parte complicata inizia quando tutti sono ai loro posti e il cibo entra fumante nella stanza. Ci sono grida, schiamazzi, i più piccoli corrono con i piatti in mano per avere la propria porzione. Ci occupiamo noi grandi di versare il latte o il succo d'arancia nei bicchieri, guardo Ray che si rintana in un angolo della stanza, ha iniziato ad odiare i rumori forti più o meno quando tutte le ferite nella sua mente hanno iniziato a venire fuori. Anche Yvette si innervosisce come lui e con loro tanti altri, Anna mostra segni di tensione sul viso, Oliver, anche se mantiene uno sguardo neutrale mascherando tutto. È stato bravo a prendere il posto di Emma nei due anni in cui l'abbiamo cercata. Lei al contrario gestisce ogni stimolo senza problemi, riprende anche tre bambini insieme e velocemente riporta tutto alla chiassosa calma abitudinaria.

Io, Ray ed Emma ci sediamo vicini, e con noi Don, Gilda, Anna e poi Oliver, Violet, Sandy e Paula, mentre Zack questa volta si è sistemato in un tavolo a parte con alcuni dei più piccoli e Zazie.

Gilda sembra sempre felice quando vede Emma, rassicurata dalla sua presenza. -Uffa mi manca dormire nella stessa stanza! Stiamo addirittura in due chalet diversi.

Don al suo fianco mangia di gusto. -Ma stai con me, che ti lamenti?

-Ma è diverso. E mangia come una persona normale, così ti strozzi.

Rido davanti all'espressione confusa di Don. -Cosa è diverso?

Gilda al contrario è esasperata, mentre Emma se li guarda con un sorriso incerto e tanto affetto.

-Beh tanto per cominciare, siamo due ragazze.- osserva la sorella, sistemandosi gli occhiali sul naso.

-Ma figurati, Emma è sempre stata un po' maschiaccio.- Don riceve una sberla da Emma e un'occhiataccia da Gilda.

Non posso far a meno di dargli il mio sostegno. -Però non ha tutti i torti su di te Ems.

Emma tira fuori la lingua contro di me, dichiarando così per la seconda volta nella mattina il suo scarso interesse nel mostrarsi matura. -Zitto tu.

Le scompiglio i capelli con un gesto della mano, ma non controbatto, torno a prestare la mia attenzione al piatto.

Oliver tiene in braccio uno dei bambini più piccoli, mentre mangia. -Allora, qual è il programma di oggi?

Anche questa è una ritualità, creiamo uno schema rigido, ognuno ha i suoi compiti, sa cosa deve fare, quando può riposarsi. Per la maggior parte di noi il vuoto è diventato qualcosa di pericoloso, una routine ben scandita ci da una parvenza di sicurezza. È per questo che ci siamo costruiti un nostro mondo a parte, quello abitato dagli umani non è adatto per tutti noi. Chi è riuscito ad integrarsi è stato accolto a braccia aperte, ma qui ci sono coloro che tra noi non sono mai riusciti in questa impresa. Non ci importa davvero, ci viene concessa abbastanza libertà finché non rompiamo le regole. Possiamo provvedere a noi stessi con allevamento e agricoltura nelle serre. La caccia è consentita solo in alcuni periodi dell'anno e in zone precise, non basterebbe per tutti coloro che vivono qui. Quindi noi quando non siamo a scuola lavoriamo per comprare molti beni di prima necessità in città. Anche se riceviamo un sussidio dalla famiglia Ratri. Non soffriamo la fame, il freddo o la solitudine. In un certo senso è davvero il miglior futuro possibile. Lo sarebbe stato davvero. Eppure c'è sempre un se, nei sorrisi, nelle belle giornate, nelle limpide notti estive, nelle stelle della nostra vita. Ci sarà sempre un se.

-Oggi i più piccoli sono a scuola dalle otto e mezzo alle quattro. Passerà il pullman come tutti i giorni a prenderli e riportarli.- snocciola Ray, che ha imparato a memoria ogni orario, ogni calendario, penso gli dia sicurezza, sapere queste rigide informazioni, è come la parvenza di controllo che ho io quando segno i minuti che lui ci impiega a svegliarsi. Sono solo il nostro modo di far ancora parte di questo mondo, di convivere con demoni molto più spaventosi di quelli reali. -Noi dobbiamo andare alle lezioni dalle nove all'una. Poi Anna e Zack andranno in farmacia, perché stanno finendo gli ansiolitici e per prendere alcuni antidolorifici, che possono tornare utili. Io, Emma, Gilda, Don e Oliver invece torneremo per essere qui quando torneranno i fratelli che vanno alle medie e che torneranno tra le due e mezzo e le tre. Intanto Norman dovrà essere in città per la logopedista e psicoterapeuta di Zazie che è alle tre…

Gli tocco una spalla bloccandolo, Ray sussulta e si irrigidisce. -È alle due.

-Ah.- sento la sua tensione nella voce, rabbia, fastidio, la mente che si blocca e ricomincia a funzionare nel modo sbagliato, mentre gli occhi si muovono agitati -Ho sbagliato. Mi ricordavo male. Doveva essere alle tre. È sempre alle tre. Perché oggi è alle due?

Gli stringo un braccio, mentre Anna si alza e va a prendere la solita tisana. -Va tutto bene, Ray. Ha chiamato durante la settimana e ha anticipato, ricordi? Per questo andiamo direttamente lì e non torno per casa.

-Sì, lo so.- tiene i denti stretti.

Mi chiedo se sia il caso di lasciarlo da solo oggi. Proprio oggi, che non ci saremmo né io né Anna. La ragazza intanto è tornata e gli fa bere il contenuto del bicchiere. Nel frattempo Oliver è stato abbastanza svelto da attirare l'attenzione degli altri su di lui. Parla con Emma e Gilda del pranzo, delle faccende di casa da fare. Tutti i bambini hanno il compito di tenere sistemate le loro camere, la pulizia è a cicli, ognuno si occupa del suo chalet, tranne per la sala da pranzo, quella è compito di noi maggiori. Ray si alza dopo aver finito, è rimasta metà del cibo nel suo piatto, ma nessuno glielo fa notare.

-Dove vai?- gli chiedo con una punta di apprensione di troppo.

Perché lui si gira, mi guarda e ancora c'è solo rabbia dentro di lui. -Al bagno, vuoi venire?

Sbuffo, ma è Emma ad intervenire. -Ray, sii più gentile. Siamo solo preoccupati.- ha il tono morbido, il tono con cui sgrida i fratelli più piccoli e Ray deve notarlo, perché dopo l'imbarazzo e quelli che so essere sensi di colpa, si gira con rigidità.

-Lasciatemi un po' in pace.- non sta urlando, è un sussurro, quasi un lamento, probabilmente solo un banale pensiero divenuto parole, qualcosa che avrebbe voluto tenere dentro, ma non c'è riuscito, non oggi.

Poi esce e io fingo tranquillità. Emma mi lancia uno sguardo, uno di quelli che usa quando prova a ricordarsi di me, ricordare cosa quella ruga sulla fronte significa, o cosa nasconde il meccanismo di quel sorriso. Alle sette i bambini sono tutti nei bagni a prepararsi e noi stiamo lavando i piatti e sistemando la sala da pranzo. L'assenza di Ray si fa sentire, ma nessuno dice davvero nulla. Conosciamo le giornate no. Le abbiamo vissute tutti quanti, quelle in cui alzarsi dal letto è una lunga battaglia, quelle in cui puoi solo piangere e tentare di non affogare nei tuoi stessi respiri. Certe cose non dovrebbero diventare la normalità. Eppure ad un certo punto lo diventano.

Vincent mi si avvicina mentre finisco di asciugare e riporre l'ultimo piatto, in una mano tiene tre pastiglie dall'aspetto innocuo e nell'altra un bicchiere con dell'acqua. -Non le hai ancora prese, Norman.

Sorrido, anche gli altri seguendo il suo esempio hanno iniziato a chiamarmi con il mio nome. -Ti ringrazio.

Le ingoio tutte insieme, hanno smesso di darmi effetti collaterali ormai da un paio d'anni. All'inizio i dosaggi dovevano essere molto più forti, in parte per i sintomi che avevamo cominciato ad avere tutti, un po' per l'inesperienza dei medici. Adesso verso sera mi lasciano un po' intorpidito i primi due giorni, ma le assumo una sola volta alla settimana. Barbara tra noi è quella ad aver reagito peggio, hanno prodotto un farmaco specifico solo per lei, ma raramente ancora ha delle forti crisi. Lei però è ottimista, ha trovato tanti motivi per lasciarsi alle spalle la rabbia di Lambda, a modo nostro lo abbiamo fatto tutti. In realtà so che i viaggi di Vincent, il suo lavoro è tutto puntato a trovare la cura definitiva. Vorrei dirgli di smetterla, Barbara glielo ripete spesso. Ma in fondo è solo un modo diverso che lui ha per fare i conti con un passato che sarà sempre l'ombra del nostro futuro.

-Allora oggi a che ora avete il treno per l'aeroporto?- chiedo, mentre mi dirigo di nuovo in sala per controllare che non ci sia bisogno di me.

Vincent lancia un'occhiata al suo orologio da polso. -Poco dopo l'appuntamento di Zazie. Vi diamo uno strappo lì, ascoltiamo cosa dicono i medici e poi ci dirigiamo in aeroporto.

Annuisco. Zazie sta giocando con alcuni dei bambini, Chris sembra averlo preso in simpatia, anche Jemima sta spesso con lui. A loro è servito poco per diventare suoi amici, capire il suo modo differente di comunicare. Ma la sua vita in questo mondo non sarà semplice, non lo è mai stata, neppure trai demoni. Qui però è diverso, non si tratta più solo di sopravvivenza, e io non posso fare a meno di chiedermi cosa potrà fare o come sarà il suo futuro, probabilmente non quello che facciamo tutti noi altri. Non che a Zazie importi davvero, so che lui è felice così. Siamo al sicuro. Tuttavia alle volte avrei solo voluto altro per lui, per tutti. Anche per Yvette che piange perché i cambiamenti la spaventano o che odia il rumore, Chris che lo sa e non ha più suonato la pentola per svegliarci, per Anna che ha avuto attacchi di panico ripetuti e paralisi del sonno dovuti ad un disturbo di stress post traumatico, che per tornare a dormire ha impiegato mesi di terapia e anni di farmaci mai finiti, per Barbara, Cislo, Vincent che devono essere sempre preoccupati di quelle pasticche che ci permettono di continuare a vivere, per Don che si finge forte, ma poi le sue urla la notte sono sempre le seconde peggiori, e poi c'è Oliver con l'ansia costante che gli ha causato gravi problemi alimentari anni addietro, Sandy e Paula che hanno traumi scavati nella mente, Thoma e Lannion che devono dormire insieme per riuscire a chiudere occhio davvero, che per addormentarsi avevano bisogno che rimanessi lì con loro e promettessi che non era tutto un sogno, che non si sarebbero svegliati di nuovo circondati dai demoni. E Ray. Ray è quello per cui ogni giorno mi alzo e prego, ogni sera prima di addormentarmi lo guardo con la speranza che quella notte, quella sarà la prima notte in cui non mi sveglierà urlando e piangendo, in cui non ripeterà i nomi dei fratellini che ha lasciato morire, in cui non chiederà di sua madre, la notte in cui lo vedrò dormire e alzarsi e sorridermi che è già mattina. Per lui prego chiunque perché smettano di farlo stare così, di odiare se stesso credendo di meritarlo. Prego, ma non c'è nessun maledetto Dio ad ascoltarmi. Nessun Dio a ridarmi indietro Emma, nessun Dio a restituirmi Ray. Ci sono solo demoni e mostri sotto un letto, ombre nell'armadio delle nostre menti. E c'è Ray, che urla e piange e ogni tanto mi chiede di morire. Mi chiede perché sia vivo lui e tutti gli altri no. E io vorrei che vedesse il mondo come lo vedo io, vorrei che capisse che non c'è un perché, che questo mondo era matto fin dall'inizio.

-Norman, smettila di preoccuparti per tutti noi.- mi dice Vincent, mollandomi una sberla dietro la nuca -Noi stiamo bene. Ci hai portato ad una vita meravigliosa. Zazie… lui se la cava, vedi? A lui basta tutto questo. Ha te e ha noi. E per quel che riguarda noi altri, siamo vivi. Certe volte basta. Non è più sopravvivere è vivere. Inizia a farlo anche tu, intesi?

Sorrido. Sopravvivere, è l'unica cosa che sapevamo fare, sembra quasi difficile pensare che ora possiamo semplicemente vivere. -Okay. Sì. Ma e se volesse fare altro? Zazie dico. Non… le psicologhe, tutte quelle che ho visto, hanno parlato di gravi handicap mentali. Ora un po' parla, ma non potrà andare a scuola come tutti gli altri. Non ne è in grado.

Vincent si stringe nelle spalle, anche Cislo si affianca a noi, scuotendo la testa con un sorriso sul volto. -Chissà. Scusate se origliavo, ma dai ascolto a Vincent questa volta, capo… cioè Norman. Ieri Zazie ha detto Vincent per chiamarlo. Ci credi? Io non ci avrei creduto. Ma è successo. Non andrà a scuola come gli altri? Così sia. Farà altro. Si prenderà cura di questi ragazzini e loro si prenderanno cura di lui. Funzionano così le cose con Emma o sbaglio?- Cislo mi fa un mezzo sorriso e non posso non ricambiarlo, anche Vincent tira le labbra nel tentativo di sorridere. -Voglio dire non tutti possono essere dei geni come te che andrai all'università e farai un lavoro importante. O possono avere la memoria di Ray. Che poi anche lui è il punto, no? Con la testa così come farà a fare tutto? Non farà tutto. Nessuno può fare tutto. Ognuno fa secondo le sue possibilità. E noi altri ci siamo per questo.

Vincent annuisce. -Quindi ora smetti di ossessionarti. E vai a vestirti che è quasi ora.

L'autobus passa alle otto e tutti i bambini sono pronti per quell'ora, salgono salutandoci a gran voce, anche i ragazzi che devono andare alle medie si fanno trovare pronti. Impiegheranno una mezz'ora per arrivare, quel pullman ci è stato messo a disposizione dalla famiglia Ratri. La nostra scuola è leggermente più distante, ma la raggiungiamo in dieci minuti di treno. Io, Emma, Ray, Gilda, Don, Anna, Nat, Oliver e il suo gruppo, frequentiamo il liceo nello stesso edificio, degli esami d'ingresso ci hanno smistato nei differenti anni di corso, sono tutti al penultimo anno di studio, eccetto Anna, Nat, che si trovano indietro di due anni, mentre io, Emma e Ray siamo stati ammessi all'ultimo anno. Possiamo prendere parte anche ad alcune lezioni pre-universitarie. Non stiamo sempre insieme, e sono le ore che passiamo separati quelle che mi pesano di più. Emma in classe chiacchiera sempre, spesso è stata ripresa e ci accompagna a tutte le nostre aule per correre solo poi alla propria. È in qualche modo rassicurante averla accanto, mentre fa scivolare un biglietto nella mia direzione, chiedendo se ho voglia di fermarmi alle macchinette con lei, per poi dirmi di passarlo anche a Ray. Certe volte mentre chiacchieriamo lungo i corridoi ci sono voci a seguirci, sussurri di chi vede i marchi sul nostro collo, i segni di un passato indelebile che ancora ci perseguita. Chissà se è per questo che tutti gli adolescenti ci evitano, nei corridoi, non incrociano il nostro sguardo, in classe preferiscono parlare sottovoce lanciandoci rapide occhiate. I più piccoli non hanno questi problemi, spero che per quando saranno più grandi il mondo sarà un po' più pronto di quanto non lo è per noi. Emma si è fatta tanti amici, c'è sempre qualcuno a salutarla e lei sorride raggiante, però è il genere di persona che non sa tenere dentro nulla, che alle occhiate che ci lanciano risponde sempre con un cosa hai da guardare?, che risponde senza timore a chi qualcosa ad alta voce ogni tanto l'ha detta. Emma non è fatta per il silenzio.

Quando la campanella suona la fine delle lezioni, usciamo tutti insieme, ci salutiamo alla stazione dove vengo raggiunto da Vincent, Barbara, Cislo e Zazie. La psicologa non ci dice nulla che già non sapessi, e quando Zazie esce ha imparato una nuova parola famiglia, e allora le cose che ancora possono andare al posto giusto, lo fanno. Il treno di ritorno è pieno e caotico, Zazie si innervosisce e borbotta nella sua strana lingua, lui in realtà è facile da capire per chi ha la volontà di farlo. A casa fa freddo, ma è un freddo familiare, di quelli che dentro il cuore portano calore. Perché Emma sorride al nostro arrivo e poi aspetta chi torna da scuola alle due e mezzo per metterci a tavola, nell'attesa dei più piccoli. Il pranzo della settimana è sempre quello più tranquillo, le voci contenute, le risate sussurrate a bassa voce per non disturbare la quiete di quelle case sole. In ricordo del timore di quel vuoto, non ci allontaniamo mai gli uni dagli altri. In un certo senso l'istinto di non essere mai soli per proteggerci a vicenda, non riesce a sparire.

La sala ricreativa dello chalet tre dove dormiamo io, Ray ed Emma è la più grande, ci rifugiamo lì per quell'ora che ci separa dal ritorno dei più piccoli, che arriveranno e reclameranno ogni attenzione, ogni risata, ogni gioco, ogni grida di quel villaggio che abbiamo costruito per tutti noi. Ray però oggi sparisce di nuovo dopo aver mangiato e mentre tutti gli altri si sistemano sul divano io mi allontano. È solo paura. Paura che rivivrò di nuovo quello che è stato solo due anni fa. Paura che questa volta farò tardi. Ray non capisce. Emma neppure. Anna però sì. Quando sento i suoi colpi di tosse dal bagno il sangue mi si gela, lì dove dovrebbe scorrere c'è solo ghiaccio. Ray è piegato a metà sul water, la porta del cubicolo aperta. Trema. Trema e piange. Ma in un attimo è tutto finito. È a terra ansimante. L'odore acre nell'aria si diffonde rapido e fastidioso. Poi arrivano i singhiozzi, quelli che gli fanno coprire il viso con le braccia, mentre scarico al suo posto e uno scalpiccio di piedi mi raggiunge dal corridoio. È Emma. So che è lei senza voltarmi. Quel ritmo ho imparato a riconoscerlo molti anni fa. Però invece di pensare a lei, a quello che vedrà, a cosa capirà, mi concentro su Ray, che è lì e piagnucola, mi chiede di andare via, di non guardarlo così. Mi accuccio accanto a lui e gli accarezzo il viso, scosto i capelli appiccicati dal sudore, mentre lui si nasconde.

-Ray, va tutto bene. È passata. Sono qui.- gli parlo piano, con un sorriso tirato sul viso, senza smettere di toccarlo.

Lui continua a piangere. -No. Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Mi dispiace. Mi dispiace.

Sembra l'unica cosa che è capace di dire, mentre la parole vengono annegate da singhiozzi bagnati e appiccicosi.

Scuoto la testa e mi abbasso ancora un po', lo spazio è stretto, angusto. -Non è colpa tua.

-Sì, invece.- la sua voce è strozzata, quasi agonizzante -L'ho fatto io. L'ho voluto io.

Rabbrividisco, non sono sicuro di cosa stia parlando, ma non so se voglio davvero saperlo. Forse in fondo la verità è che lo so, ma preferisco non pensarci, non pensare che è arrivato anche a questo. -Ray, andiamo in camera, va bene? Tra poco torneranno gli altri, so che non vuoi che ti trovino qui.- non mi permetto di dire così, perché implicherebbe che c'è qualcosa che non va, perché gli lascerei credere che c'è qualcosa di sbagliato, di rotto dentro di lui.

Ray però scuote la testa e si rannicchia, avvicinando il suo corpo al mio, cercandomi, dietro il velo del pianto, dietro il velo di quella sofferenza che è totalizzante, è una pugnalata nella sua e nella mia anima. -No. Mi dispiace. Non posso.

-Sì, che puoi. Sono qui apposta. Posso portartici io, ma devi aiutarmi.

A quel punto si fa collaborativo. Sapere che sarebbe successo, non è mai come viverlo. Viverlo è un incubo, un incubo che però è la realtà, un incubo che mi stanca, che è sfiancante da vivere e da gestire, che mi fa desiderare di urlare e piangere, ma il mio dolore è nulla rispetto al suo. Rispetto a quell'odio che lo ha spinto ad autoindursi il vomito in quel bagno, lontano da noi. Lo sollevo con una certa fatica e lui nasconde il viso nella mia spalla e si aggrappa a me con le mani, le due dita che si è infilato in gola bagnate, senza smettere di piangere e poi inizia con i nomi, i nomi di chi ha lasciato morire, i nomi di chi non poteva salvare, i nomi di chi era solo un bambino per poter aiutare. I nomi sono la parte peggiore, perché quando inizia con i nomi, finirà con il chiedermi di lasciarlo morire e io finirò per vederlo piangere ancora mentre lo tengo con me abbastanza a lungo perché torni a stare meglio, meglio abbastanza da uscire dalla stanza e sorridere ad Emma. Emma che è lì con gli occhi spalancati. Che mi guarda e mi implora con una sola occhiata di permetterle di aiutare. Di non lasciarla dietro una porta chiusa come gli altri bambini. Eppure è stata lei a chiudersi dietro quella porta. Lei ad essere sparita nel tempo di un battito di cuore. Lei che l'attimo prima c'era e quello seguente aveva lasciato un vuoto incolmabile dove avrebbe dovuto esserci il suo sorriso.

Penso per un attimo che potrei dirle di andarsene, potrei dirle di andare a chiamare Anna e sparire. Ma Anna questa mattina ha preso di nuovo l'ansiolitico, non posso coinvolgerla. -Emma, apri la porta della nostra camera?

Lei rimane interdetta, sorpresa, ma solo per un attimo, poi corre a farlo, e si ferma lì a guardarci mentre entro e con il fiato corto appoggio Ray sul suo materasso. Gli sfilo ciabatte e calzini e lo copro con le coperte, lui afferra una mano con la sua, mentre continua a piangere singhiozzi soffocanti. Mi siedo accanto a lui e premo il mio corpo sopra il suo da sopra, accatezzandolo sul viso, sulla nuca, sulle orecchie e le mani.

Guardo Emma. -Puoi andare a prendere un po' d'acqua? Non… non dire nulla agli altri, chiudi la porta e se Anna chiede ho avuto solo qualche effetto collaterale dei farmaci.

Lei mi fissa di rimando e c'è qualcosa nei suoi occhi che non sono sicuro di conoscere. Sembra paura, ma la Emma con cui ho vissuto tutta la mia vita non ha mai avuto paura, non così. -Vuoi chiudermi fuori ancora?

Scuoto la testa, vorrei urlare che non è il momento, non è il momento per pensare a lei, alle sue ansie, alle sue preoccupazioni, non posso pensare anche a questo, a questo muro di ricordi, questo edificio di silenzi che abbiamo posto tra di noi. Adesso c'è Ray, che è venuto giù di nuovo, con cui dovrò ricominciare da capo, a cui dovrò tenere la testa finché non si addormenterà esausto e sarà tardi nella notte. A cui dovrò consolare lacrime che saranno anche rabbia verso di me. Ma non per colpa sua. Però poi in fondo c'è anche Emma in tutta questa grande equazione, l'abbiamo tagliata fuori quando l'unica cosa che avevamo sempre desiderato era averla dentro, nelle nostre anime, nei nostri sorrisi, nelle nostre vite, in qualsiasi casa avessimo mai trovato arrivando qui. E quando l'abbiamo avuta non è stato nel modo giusto.

Quindi respiro calma dentro ai polmoni per poter gestire anche questo. Mentre Ray cerca il mio calore dentro cui rifugiarsi, prima che arrivi la parte peggiore. -Non ti sto tagliando fuori questa volta. Parleremo di tutto. Di questi anni. Di Ray. Di qualsiasi cosa tu voglia. Ma Ray deve avere la gola che gli brucia per il vomito e sta piangendo. Avrà bisogno di acqua. Quindi per favore, io non posso lasciarlo qui. Tu vai e chiudi la porta e poi torna e parleremo quando dormirà.

Emma annuisce, però invece di uscire, prima si avvicina e lascia un bacio sulla fronte di Ray, gliela accarezza, mentre lui piange e le dice di andare via, che la odia. Lei però gli tira un sorriso. -Ti voglio bene. Così tanto Ray. Non ne hai idea.

A quel punto esce e la porta si chiude con un tonfo sordo dietro di lei. Io mi sistemo sotto le coperte, abbracciandolo, mentre Ray si gira verso di me e si nasconde nel mio petto. Ascolta il battito del mio cuore con una mano vicino alla giugulare e li conta. Ad un certo punto dice mamma. E poi di nuovo tornano i nostri fratelli. Conny, Hao, Sadie, Michelle, Olivia, Robert…

-Non è colpa tua Ray.- gli bacio la fronte, c'è ancora odore acre a diffondersi dal suo fiato.

-Li ho lasciati morire tutti. Mi sono salvato perché loro sono morti.

-Lo so, ma ci siamo salvati anche noi così.

-Ma io lo sapevo. Potevo salvarli.

-No Ray, non potevi.

-Li ho usati. E loro mi volevano bene. Ho guardato Conny partire.

-Non è colpa tua.

-Anche Emma. Ho lasciato che si facesse male. Non l'ho fermata. Sono stato io a dirle di trovare un modo. Sono stato io. Avrei dovuto… mi dispiace. Sono stato io. Perché sono vivo? Lo odio, lo odio, lo odio.

-No, Ray. Ti prego, andrà meglio, okay? Andrà meglio.

-Non lo merito. Non merito di vivere. Dovresti lasciarmi qui anche tu. Lasciarmi come mi hanno lasciato tutti. Mamma, Emma. Dovresti lasciarmi anche tu. Perché io non merito di vivere. Non merito nessuno.

-Non ho alcuna intenzione di dar retta a quello che ti sta dicendo la tua testa in questo momento. Tu non sei così.- sono parole al vento, Ray le sente, le ascolta, ma non ci crede -Perché lo hai fatto nel bagno?

-Perché è quello che merito. Dovrei solo morire. Perché mi costringi a vivere? Non lo voglio, lo capisci?- non ha neanche la forza di urlare, i singhiozzi inghiottono tutto il suo fiato -Lasciami solo morire. Per favore.

Scuoto la testa e lui torna a piangere, mentre gli accarezzo la testa. -Non posso, Ray. Non posso.

Quando Emma arriva lui è in silenzio, gli occhi semi aperti, non è come se non fosse consapevole di lei o di me. Ma la sua mente non sta processando le cose come dovrebbe, e lui ci guarda, ci sente, ma non dice nulla, non ne è capace, non piange neppure più. C'è solo vuoto, un vuoto buio e freddo dove mi odia perché non gli ho permesso di morire neanche questa volta. E io continuo a baciargli la fronte e ad accarezzarlo piano, perché so che è quello che merita. Lo meritava anche prima, prima che i danni fossero troppi, prima di arrivare a stare così. Meritava carezze, baci, amore, abbracci, il calore di una famiglia che non ha mai potuto avere. Lo facciamo bere, non si oppone davvero, anche se forse in fondo avrebbe preferito il bruciore nella gola, ma non gli ho permesso neanche questo. L'orologio ticchetta lo scorrere del tempo, dentro la stanza non si sente nulla, solo tre respiri e un singhiozzo ogni tanto. I bambini bussano, senza entrare. Dicono da oltre la porta che ci vogliono bene. E Ray piange di nuovo e insiste che non lo merita, finché si calma.

È notte fuori dalle finestre, ma dentro era notte da molto prima, quando finalmente Ray si addormenta. Il respiro si fa regolare, poi tempo dopo le palpebre si abbassano, a tentoni, temendo quasi il buio che c'è dietro. I muscoli sono lasciati per ultimi, si rilassano piano, uno dopo l'altro cedono al sonno, mentre continuo a stringerlo. Emma è accucciata a terra, accanto al letto, la testa pesante ma gli occhi ben aperti. Ogni tanto ci guarda, poi torna a fissare altro, persa in non so quali pensieri.

-Dorme?- mi chiede a bassa voce.

Io respiro un bacio sulla tempia di Ray e annuisco. -Dorme.

La vedo torcersi le dita della mano, le une con le altre. -Hai detto che mi avresti spiegato.

Annuisco. -Sì. Cosa vuoi sapere?

-Tutto.- soffia tristezza in un alito come di vento -È… è sempre così?

-La maggior parte delle volte. Quando entra in queste fasi è un po' imprevedibile. Ma era la prima volta che si induceva il vomito.

Emma singhiozza, adesso li sento i rumori del suo pianto, prima c'era Ray a coprire tutto il resto. -Lui… lui se lo è fatto?

Sospiro e lo guardo, il viso arrossato, ma finalmente rilassato, la bocca un po' aperta. -Sì. Non è neanche la parte peggiore. È solo un nuovo fondo che ha toccato.

-E qual è? Qual è stata la parte peggiore?- trema, chissà se vuole sentirlo davvero, ma ho promesso.

Quindi tiro un sospiro, uno di quelli lunghi e lenti, che scandiscono i rapidi battiti di un cuore che ancora ricorda notti di paura. -Un anno dopo che siamo arrivati qui senza di te… ti stavamo cercando. Ray ha provato ad uccidersi. Lo abbiamo trovato io ed Anna. Gli altri non lo hanno mai saputo, è stato lui a chiedermelo quando si è svegliato. Penso… penso avesse toccato il fondo già da un po'. Ma non ce ne siamo accorti. Gli incubi li avevamo tutti, Ray non ha avuto mai attacchi di panico, non era come Anna che aveva cominciato a farsi distante e apatica. Quindi… non so perché non me ne sia accorto. Noi eravamo sempre insieme. Pianificavamo la prossima mossa e lui sembrava sempre così tranquillo, equilibrato, voleva trovarti così tanto. La tua mancanza ci aveva legato e io semplicemente… avrei dovuto guardare. I segni c'erano. Molti di noi sono andati un po' da alcuni psicologi, alcuni ancora prendono ansiolitici e pasticche per dormire, ma non più regolarmente, solo nelle brutte giornate. Ad Anna per un po' hanno dato degli antidepressivi. Lui non ha mai… mostrato nulla. Era più emotivo. Solo questo. E poi lo abbiamo trovato.- quelle scene le ho ancora dietro il buio quando chiudo gli occhi, eppure poi li riapro e lui è qui, tra le mie braccia -Era distrutto quando si è svegliato. Ma non è mai stato per la sua vita. Non gliene importava nulla. Era distrutto perché aveva lasciato che fossimo noi a trovarlo. Forse distrutto perché era vivo. E poi si è sentito in colpa. Perché aveva infranto la promessa che ti aveva fatto. Era così mortificato perché continuava a desiderare di… a desiderarlo anche se c'eri tu. Anche se tu lo avevi salvato una volta e gli avevi chiesto di non farlo.

-Perché?

-Perché è malato, Emma. Perché nostra madre lo ha ferito in un modo che né tu né io possiamo capire. Aveva dei segni profondi nella sua mente. Solo che il bisogno di sopravvivere aveva reso tutto dormiente. È stato lo stesso per tutti. Si chiama stress post traumatico. Quando è arrivato qui come tutti si è rilassato, le ferite si sono fatte sentire. Solo che poi tu eri sparita. E lui era troppo vulnerabile. È arrivato al punto di rottura. Il cervello è un organo, può ammalarsi come qualunque altro e il suo ha un brutto mostro dentro che se lo mangia vivo ogni tanto.

Emma si tira in piedi, tremante e mi guarda. -Ci sono degli psicologi…

Mi alzo anche io senza guardarla, gli occhi bassi. -Non vuole.

-Non vuole, cosa?- sta alzando la voce, mi allontano per non svegliarlo.

-Non vuole che qualcun altro lo veda così. Lui non vuole guarire. Non pensa di meritarlo.

-Beh non mi importa niente. Certo che non pensa di voler guarire, è la sua testa ad essere malata, lo hai detto tu. Trasciniamolo a vedere qualcuno appena riuscirà ad alzarsi dal letto. O portiamolo anche domani, non mi importa. Non possiamo…

Rabbia ribolle dentro di me, rabbia che in realtà è solo stanchezza, tristezza, preoccupazione. -Ma ti senti quando parli? Non è un cavolo di bambino. Non posso obbligarlo.

Emma però mi si avvicina con altrettanto fuoco nei polmoni. -Sì, che puoi. Vuoi aspettare che la prossima volta si ammazzi davvero? Perché finirà per farlo. Lo ha già quasi fatto una volta. Anzi due. Oppure vuoi aspettare che ad ucciderlo sia la sua fame autoimposta? Per quanto ne sappiamo questa cosa del rigettare tutto potrebbe andare avanti da settimane, mesi o anni. Vuoi che muoia?!

-Stai zitta!- urlo e so che Ray si è svegliato, perché ha nascosto il viso sotto le coperte e si è rannicchiato, vorrei andare da lui, ma non ora, non così -Tu non c'eri. Tu non c'eri! Sono io che l'ho quasi perso. Non tu! Tu non ne avevi idea, non avresti saputo nulla. Tu non ci sei stata questi anni, sei stata tu a sparire e a ridurlo così. Quindi non venirmi a fare la predica su come gestisco questa cosa. Perché non sai niente. Avresti potuto dircelo… ma non lo hai fatto. Lo hai lasciato così a sentirsi in colpa. Hai lasciato anche me a sentirmi in colpa. Prenditi le tue maledette responsabilità, sono io a prendermi cura di Ray. Non tu. Tu hai fatto la tua stupida scelta quando hai stretto quella promessa.

Me ne vado. Non piango davanti a lei. Lo faccio più avanti, scese le scale, con le ginocchia che cedono sotto il mio peso e sotto il macigno che ho portato da solo. Di nuovo. Mi dispiace, Emma. Singhiozzo rabbia. Rabbia perché non è colpa di Emma tutto questo. Non è mai stata colpa sua. E la vera ragione di questa rabbia è che non ho nessuno da poter incolpare.

~~~

Note dell'autore: okay come avrete già visto dai warning è stato un capitolo parecchio pesante anche da scrivere. Ovviamente non sono né un medico né uno psicologo, se state vivendo situazioni di disagio fate riferimento a qualcuno di fidato in famiglia o tra gli amici e, se siete nelle condizioni di poterlo fare, recatevi da una figura indicata per la situazione. Spero il capitolo vi sia comunque piaciuto e vi abbia interessato abbastanza de seguire la storia per i successivi. Il prossimo aggiornamento sarà sabato in mattinata probabilmente... Se vorrete recensire la storia, ne sarei davvero contento. Sono ben accetti commenti per far notare eventuali problemi o per esporre vostre opinioni in merito a come ho trattato eventuali tematiche più o meno delicate.

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Capitolo 3
*** III. Ray ***


WARNING: salute mentale, disturbi alimentari, depressione, suicidio, autolesionismo, PTSD

-

Il mondo sarebbe andato avanti anche senza di me. Quindi cosa ci stavo a fare ancora lì?

Vorrei morire. È la prima cosa che penso quando le urla di Norman mi riportano fuori dal mio incubo. Non è neanche uno dei peggiori. È solo uno di quelli a cui mi sono abituato. Il peggio è fuori, è sempre fuori. È Norman che urla contro Emma. Emma che ha visto. Che se ne andrà di nuovo.

-…Tu non c'eri! Sono io che l'ho quasi perso. Non tu!…- questa è colpa mia, questo dolore che impregna le nostre vite, il dolore che lo fa sentire in colpa, quando l'unico da biasimare sono io.

Poi Norman esce, un tonfo e dietro di lui rimangono solo spifferi gelidi di vite rosicchiate da ratti e tarme. E continuerà ad essere colpa mia. Quando sarò morto, staranno meglio. Questa volta mi lascerò morire davvero e non è solo perché non merito nulla di tutto questo. È che non lo voglio più. Non voglio più giornate storte, non voglio più costringermi ad alzarmi la mattina, non voglio più odiare ogni singola alba solo perché continuo a svegliarmi, perché le preghiere che faccio la sera non si avverano mai. Perché gli orologi ticchettano le sei e io sono ancora qui. Ed è a quel punto che arriva la rabbia. È inutile dire che sia immotivata, perché c'è ed è odio puro, per qualsiasi cosa e per chiunque, per la mia vita. Rabbia e odio, e potrei essere fatto solo di questo, nient'altro a compormi e a legare insieme i miei atomi, solo un bruciore nel petto che mi fa odiare me stesso fino ad affogare. Lascio un verso strozzato, mentre il fiato mi muore nei polmoni. Vorrei che Emma se ne andasse. Vorrei solo che se ne andasse come se n'è andato Norman. E vorrei che Norman non torni, pur sapendo che lo farà, perché non vuole arrendersi con me. Anche se davvero, non c'è più nulla per cui lottare. Dovrebbe capirlo.

-Ehi, Ray. Va tutto bene.- Emma è alle mie spalle e mi accarezza in mezzo alle scapole, preme la mano perché io la senta.

Mi rannicchio ancora di più. Basta, basta, basta. Perché non lo capite? Voglio solo sparire. Non vi ho mai chiesto nulla. Solo questo. Ho vissuto per voi. Ora lasciatemi andare. -Vai via.- soffoco l'ennesimo singhiozzo, che tanto arriverà comunque.

Lei si sdraia, dall'altra parte rispetto a dove prima c'era stato Norman a tenermi stretto a lui, così stretto, solo per non dovermi perdere. -No, non vado da nessuna parte.

-Perché?- lascio quello che non è altro che un lamento.

E fa male, fa male il petto ad ogni singhiozzo che i polmoni mi strappano. Fa male lì al centro dove dovrebbe esserci il cuore. Dove un cuore c'è e batte e io vorrei che smettesse. L'ho implorato. Ho implorato anche Norman. Ma non ho ottenuto nulla. Solo questo. Solo quello che merito.

-Voglio stare solo.- ogni parola è singulto di odio e rabbia. Solo, solo abbastanza da togliervi questo peso. Solo abbastanza da toglierlo anche a me stesso questo peso. Il peso delle mattine in cui devo ancora svegliarmi.

Ma Emma non si stacca, mi abbraccia e mi bacia l'attaccatura dei capelli, e mi ricorda Norman in quel suo modo di attaccarsi al mio corpo, come se così facendo potesse legare ciò che è rimasto di me alla vita. -Non puoi stare solo, ora.

Ed è onesta. Emma è sempre stata onesta. Eppure poi se n'è andata. Eppure poi mi ha mentito. Mi ha mentito e io su quella spiaggia ci sono arrivato solo. Lei non c'era. Io gliel'ho permesso. Io ho permesso a nostra madre di ucciderli tutti. Conny, Hao, Sadie, Michelle, Olivia, Robert… ci sono ancora tra le crepe della mia mente. Una mente che era rotta già tanto tempo prima di spezzarsi così. Non merito questo abbraccio con cui lei mi stringe, non meritavo neppure quello di Norman. Non merito la sicurezza del sentire i loro cuori battere. Non merito i tremiti che attraversano il mio di cuore quando li vedo. Quando la mattina Norman mi saluta come prima cosa svegliandosi o quando Emma ci sorride come se le cose nella sua vita fossero esattamente come sarebbero sempre dovute essere. Loro non dovrebbero essere vicini a qualcuno come me. A qualcuno che ha guardato i nostri fratelli morire, uno dopo l'altro, che li avrebbe lasciati indietro per salvare loro due. Quello che si è odiato ancora, di nuovo, così tanto da pensare che smettere di mangiare sarebbe stata la soluzione. Emma e Norman meritano altro al completo disastro che sono, meritano altro alle mie parole di odio e rabbia. Tanto starebbero bene comunque senza di me. Si avrebbero l'un l'altra. Si sono sempre avuti l'un l'altra. Un mondo senza di me, non sarebbe un gran perdita. Eppure continuano a stringermi come se ne valessi la pena. Come se non fossi io a causare le loro lacrime e le loro urla.

-Ti prometto che andrà meglio.- lo ripete, ma non è vero.

Lo ha detto anche Norman, ma non va meglio, non andrà mai meglio, non per me, per loro sì, quando non ci sarò io a contaminare tutto. Io non voglio stare meglio, non posso meritare di essere felice. E mi dispiace. Mi dispiace così tanto farli soffrire ogni volta. Mi dispiace così tanto pensare che finirò comunque per farli soffrire. Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace…

Lei mi gira verso di sé, e io la guardo, lontano dai suoi occhi, non c'è niente in me, solo la palude di sensi di colpa, perché voglio morire e questo lei non riesce a capirlo, perché Emma è fatta per la vita, per i sorrisi sotto il sole, per le risate senza remore, per gli abbracci e le carezze. -Ti prego, fatti aiutare.

Mi giro di nuovo e mi raggomitolo, c'è ancora un po' dell'odore di Norman. È caldo, familiare. Mi fa piangere. -Non possono aiutarmi.- come si aiuta qualcuno come me? Quelle morti sono tutte nella mia anima, dentro le ossa che si spezzano, sulle linee dei tagli che mi sono fatto in silenzio, dove nessuno avrebbe potuto vederli e che spariscono in sottili tracce bianche come se non fossero mai esistiti. -Non lo vedi? Non vedi cosa sono? È stata colpa mia. Ogni cosa. Hanno sofferto tutti per colpa mia. Tu hai sofferto da sola per colpa mia. Dovrei solo morire, non capisci? Voi andrete avanti…

-Non dirlo.- singhiozza nella mia schiena -Non dirlo. Non posso pensare di perderti. Sei tu che non capisci. Ti amo troppo. Non andartene. Non farlo.

-Avrei dovuto morire a Grace Field.- sorrido, ed è amarezza, tristezza, ma non c'è rabbia, solo rimpianto -Avresti dovuto lasciarmi morire lì.

-Non è vero. Non è vero. Non è vero. Non è vero.- la voce le si spenge, da mormorio si fa silenzio, in un piagnucolio umido scandito dai suoi singhiozzi.

Ancora è solo colpa mia. È tutto quello che so dare. Eppure li amo. Loro due più di chiunque altro. Perché faccio del male a chi amo? Perché sono così? -Mi dispiace.- sussurro appena, mentre le sue mani stringono le mie.

Emma strofina la testa contro la mia schiena, oppure potrebbe star solo scuotendo il capo, è tutto confuso dal sonno e dalla fame. -Non è colpa tua, Ray. Non è mai stata colpa tua.

Piango di nuovo. Rimane solo quello alla fine della rabbia. Solo quello alla fine del malato desiderio di morire. E poi c'è Emma che è lì e non si vergogna di piangere con me, Norman non lo fa più, perché la prima volta che lo ha fatto mi sono graffiato fino a farmi sanguinare per i sensi di colpa.

-Perché siete così?- singhiozzo, non capisco, sono stanco, smettetela, lasciatemi solo, per favore -Perché vi ostinate? Non valgo la pena. Come fate a non odiarmi?

Io mi odio. Tutti i giorni. Continuamente. Anche quando non si vede. Mi sono odiato così a lungo. Io non la voglio questa vita. Non l'ho mai voluta. I miei fratelli la volevano. Allora perché sono vivo solo io?

Emma si tira su, mi bacia la guancia e tira un respiro lento e profondo, lì nel mio collo, solleticandomi una pelle che è diventata quasi insensibile. Ma non a loro. -Servirebbe davvero se rispondessi Ray? Mi daresti retta? Smetteresti di odiarti così se ti dicessi perché sei la persona che amo di più al mondo con Norman? Smetteresti di farti del male?

-No.

-Bene. Quindi non ti darò la tua risposta. Perché ci vorrebbero settimane per spiegartelo. E io non ho settimane. Tu non hai settimane. Se vuoi saperlo così tanto, lotta. Anche se fa male. Anche se è doloroso quando gli altri vedono cose che tu non vedi. Lotta, accetta di farti aiutare da uno specialista. Dì a Norman che ci andrai. E ti prometto, ti prometto sulla mia vita che ti mostrerò la persona che vedo di te. Perché è una persona meravigliosa e per cui vale la pena.

Rimaniamo in silenzio. Solo i respiri e i no che rincorrono i sì dentro una testa che è la mia ma non collabora. Per loro. Potrei fare ancora questa cosa. Per loro. Ho fatto tutto per loro. Sono stanco ora. Perché devono chiedermi anche questo? Perché non posso fare qualcosa per me? Anche se li facesse soffrire? Urlo. Urlo, quando diventa troppo. Ed Emma mi abbraccia più forte, come Norman. E intanto sorge la luna e il cielo muta sopra di noi. Finché arriva l'alba. Portandoci via un sonno che non è mai arrivato. Emma è seduta appoggiata alla testiera del letto, tiene la mia testa sul suo ventre e le mani nei miei capelli, mentre io mi rannicchio vicino al suo calore. Lei è viva. Sta bene. Ci ho provato. Anche se non è stato abbastanza. Non ce l'ha con me. Mi vuole bene.

Non so quanto tempo sia passato, le ombre sono apparse tempo fa nella camera, lunghe e ingrigite dal mattino, poi si sono fatte più nette, più nere. Fuori è ancora tutto immerso nel silenzio dell'alba. La placida calma di una mattina che ancora non è pronta a svegliarsi. Respiro, piano, quasi sperando di essere abbastanza silenzioso perché la vita passi e non si accorga di me. Per una volta mi lasci indietro. Su un marciapiede, un letto, una coltre di neve, non mi importa. Voglio dormire, ma sono troppo stanco persino per questo. Ed Emma sta lì, in silenzio. Canto. Ogni tanto aiuta, quando i pensieri si fanno intrusivi. Canticchio con la voce che si spezza, un motivetto che è sempre stato lì, nella testa e intorno a me, ancora prima che nascessi. Alle sei l'orologio suona e si sentono le urla e gli schiamazzi, fuori dalla porta chiusa.

Norman la apre, non mi giro per guardarlo, ma sento il sorriso nella sua voce, mentre risponde ad uno dei bambini. -È stata una nottataccia, oggi io e Ray non veniamo giù con voi, ti va di chiedere ad Anna di portarci qualcosa in camera?

-Sì.- è Chris -Posso… possiamo entrare solo per salutare Ray?

Nascondo il viso dove c'è il respiro regolare di Emma, mentre le lacrime pizzicano e la gola si stringe bruciante.

-Va bene. Ma solo voi e non dite agli altri che ve l'ho permesso, intesi?- dice Norman e lo odio. Dovrebbe dirgli di no, ci sono tanti motivi per dire di no.

Invece entrano e io non posso guardarli, chiudo gli occhi e li stringo. Non mi farò vedere così da loro. Non posso. Devo smetterla di far soffrire tutti quanti. Sono così egoista. Emma si sposta con un'ultima carezza. Ho provato a trattenerla, ma ha lasciato comunque freddo dove c'era il suo corpo a riscaldare il mio fino ad un attimo prima. Spalanco gli occhi con il terrore che lei non ci sia. Che l'ho persa di nuovo. Ma lei è lì. Con Chris, Jemima e Yvette davanti che mi fissano. Sposto lo sguardo dal loro.

-Va tutto bene.- li rassicuro, la voce stento persino io a riconoscerla, ma non riesco a tirare fuori di meglio.

Jemima si infila nel letto con me e mi abbraccia, stretta e io ricambio, mi faccio così schifo quando questo mi fa stare meglio. Non lo merito, non lo merito, non lo merito…

Chris mi da un bacio sulla guancia e si aggrappa a me, sorride, perché sorride a uno come me? Perché sono qui? Perché mi volete bene? Ma non lo capite che è colpa mia tutti i fratelli che sono morti? -Quando starai un po' meglio giocheremo ad acchiapparello tutti insieme come a Grace Field. Quindi vedi di riposare tanto, chiaro? Ordini del dottore!

Yvette è seria, i suoi occhiali da aviatore sulla testa. -E mangia che ieri hai lasciato tutto quanto.

-E non ti azzardare a sparire anche tu.- si lamenta Jemima.

Vorrei piangere. Perché mi fai questo, Norman? Perché mandi loro? Perché mi riempi di questi sensi di colpa, perché mi dai la responsabilità di tutti i loro sorrisi? Sono solo stanco, è così sbagliato?

-Vi voglio bene.- è tutto quello che dico, e mi chiedo se sia vero, se qualcuno come me è davvero capace di amare o per me l'amore sarà sempre e solo usare chi mi starà accanto, chi sarà troppo ingenuo da rimanere.

-Su, state facendo tardi.- è Emma a prenderli e a spingerli via, mentre io rimango fermo -Ora andate a fare colazione…

-Vai anche tu.- il tono di Norman è lapidario, ma non c'è la rabbia di questa notte, forse solo imbarazzo -Ora qui rimango io. Ho bisogno di riposarmi un po'.

Non li guardo, non mi giro verso Emma per sapere se ci sarà indignazione in lei, o solo sconfitta tristezza, non mi giro per sapere se Norman si è pentito per le urla di ieri o se è qui per ripeterle. Qui per incolpare anche me. Lo meriterei.

Sento il respiro di Emma che si blocca mentre i bambini escono. -Va bene.- è a malapena un sussurro -Mi dispiace per stanotte, vorrei…

-Grazie.- la interrompe lui -Grazie, per essere rimasta qui, anche dopo quello che ti ho detto. Per non averlo… non può stare solo.

-Non me ne sarei mai andata. Quello che hai detto, vorrei riparlarne. Nel modo giusto e con Ray.- sospira, poi c'è il rumore dei suoi passi -Ora vi lascio, torno dopo con la colazione. Mi dispiace così tanto.

-Dispiace anche a me.

La porta che si chiude è solo il colpo di partenza del silenzio. È un rumore che sparisce dall'aria, ma rimane come rimbombo nella testa, mentre sento Norman avvicinarsi e spostarmi quel tanto che gli serve per potersi sdraiare accanto a me, il suo letto perfettamente sistemato. Ha la testa alla mia altezza, mi accarezza una guancia con la mano, sposta i capelli e preme la fronte sulla mia. Il suo respiro potrebbe essere il mio, non farebbe differenza. È diventata così normale questa vicinanza dopo anni di incubi, che ho smesso di pensare che non dovrebbe esserci, che sia troppo intima. Forse si sbagliano tutti a pensare che l'intimità fisica sia qualcosa di troppo, quando l'intimità emotiva è labile quanto la nostra. Quando le piaghe delle anime combaciano alla perfezione perché la mia possa appoggiarsi ed incastrarsi alla sua. Anche ora. Anche così. Comunque non lo guardo negli occhi. Pur sapendo che sarei al sicuro. Sono al sicuro se è lui.

-Hai dormito?- mi chiede con tono contenuto, come se qualcuno potesse sentirci, ora che ci siamo solo noi qui.

-E tu?

-Non molto.

-Dormi.

-Mhmh. Mi dispiace se quello che ho detto stanotte ti ha ferito. Ero stanco. Non lo pensavo. Non ce l'ho con Emma. Le voglio bene, come sempre. Vi amo. Ogni giorno della mia vita.

Abbasso le palpebre e finalmente dietro c'è solo quieto nero. -Non dirlo.

Lui si avvicina ancora un po'. Profuma come la notte, perché qui le notti hanno un odore, che è freddo e umido e ha il rumore dei grilli. -Ma io voglio dirti che ti voglio bene.

-Non farlo, per favore.

-Non posso permetterti di odiarti così e rimanere in silenzio.

È facile nascondermi nel suo petto, le coperte sopra la mia testa, lì tutto fa rumore, c'è il frusciare delle lenzuola, gli scricchiolii del materasso e il battito di un cuore che è ninnananna nelle notti di paura.

Come tutte le mattine storte che hanno preceduto questa, iniziamo dalle cose semplici: dalle rassicurazioni sotto le coperte, alle lacrime che Norman mi fa versare, un po' apposta perché non possa tenerle dentro e affogarci. Dalla colazione che ci porta Anna e io mi rifiuto di guardare. Mi da la nausea. Anche se ho fame. Non mangerò.

-Ray, devi solo provarci. Ci sono solo io qui e non devi finire tutto. Poco per volta.

-Non ho fame, non insistere.

Sospira, mi prende il viso tra le mani. -È la tua colazione preferita, un boccone solo. Prometto che starai meglio.

Da uno a dieci. Rimane comunque ancora cibo nel piatto.

-Non ne hai più voglia?- mi domanda con un sorriso tranquillo, un sorriso che probabilmente è finto.

Annuisco. -Non ho fame. Devo andare al bagno.

Mi muovo per alzarmi dal letto, ma lui mi blocca di nuovo sul materasso, una mano intorno al braccio, l'altra sulla tempia e poi trai capelli. -Non ora. Tra un'oretta va bene?

No, che non va bene. Ma non lo dico.

La scuola salta. Rimango a letto finché gli orologi segnano l'orario d'inizio e sento un vuoto dentro. Vuoto contro la bocca dello stomaco, perché anche quel giorno non sarò in grado di uscire dal letto. Alle dieci meno un quarto mi piego sul pavimento e vomito bile, mentre il mondo oltre il mio sguardo si fa annacquato, si scioglie bagnato di lacrime. Alle undici passate da pochi minuti Norman va al bagno e io decido che mi odierò in un altro momento per questo. Tiro fuori un tagliacarte che ho rubato a scuola e ho nascosto (devo cambiare i nascondigli spesso, perché so che Norman li controlla). Lo passo sulla pelle del polso. Il primo taglio è impreciso, brucia, tremante, il secondo si fa meno maldestro, più sicuro, dritto e profondo, ma non abbastanza. Quindi arrivo al terzo e al quarto. Ma le gocce che scivolano fuori sono sempre troppo poche. Imbrattano un po' i vestiti comunque. A quel punto posso odiarmi, perché Norman rientra dal bagno e io non sto neppure piangendo, anche se il petto fa male. Lui non mi dice niente, mi medica con le dita che tremano, imprecando sottovoce, veloce per bloccare il sangue, terrorizzato, e io semplicemente glielo lascio fare. Poi però sento i suoi singhiozzi trattenuti, mentre sulle garze, sistemate e già tinte del rosso sotto, appoggia la fronte, piegandosi sopra di me. Perché gliel'ho fatto di nuovo? Perché devo farlo soffrire così?

-Mi dispiace.- tremo anche io -Non so perché l'ho fatto.- lui si alza a guardarmi confuso, gli occhi rossi e le lacrime sulle guance -Mi dispiace così tanto. Perché sono così? Scusami, ti prego scusami. Scusa, scusa, scusa, scusa. Te l'ho fatto di nuovo, perché continuo a fartelo vedere? Perché? Mi dispiace così tanto…

Lui mi abbraccia e sento una fitta al braccio, ma non mi importa. Non mi importa mai. Odio che non sia stato abbastanza. E odio il fatto stesso di odiarlo. -No, no, no, no, Ray. Ti prego, non dirlo. Non hai nessuna colpa. Per favore credimi. Solo su questo. Non ti do nessuna colpa. Non sei tu.- mi stacca da sé e io adesso li incontro davvero quegli occhi che ho fatto piangere tante volte -Non sei tu. Tutto questo è il tuo cervello che te lo fa fare. Tu non sei così. Tu sei il fratello maggiore gentile che si prende cura delle ansie di Jemima e delle crisi di Yvette. Sei il ragazzo che ha pianto quando ha scoperto che ero vivo. Che c'è stato tutti questi anni, anche se era più difficile per te che per chiunque altro.

Smettila, smettila. Ti prego smettila. Non dirlo. Non dirmi che è merito mio se sono rimasto vivo. Non dirmi che ho motivi per continuare a vivere, anche se così. Non dirmi che mi vuoi bene. Non costringermi a rimanere qui.

-Invece sono io. Sono io che lo penso, che lo faccio. Sono solo io. Non c'è nessun altro.- piango, piango sempre -E mi dispiace, sono un completo disastro. Perché non so funzionare?

-Perché stai male, ma non c'è niente che non vada in te. Ed è la natura di tutto questo, farti dire che è colpa tua.

-Ma lo è. Tu non sei nella mia testa quando succede.

Norman si appoggia a me, le braccia molli intorno al mio corpo, semisdraiati sul letto. -No, io non ci sono. Vorrei esserci però. Ma so che è così. È come con Anna, pensi che sia colpa sua?

-Non è la stessa cosa.

-Sì, che lo è. Sono malattie mentali. Lo è.

-No.- mi rannicchio e lui mi prende tra le braccia e afferra delicatamente il polso lesionato, se lo tiene vicino, al sicuro da me.

Ad un certo punto l'orologio segna l'una, ma a quel punto io sto dormendo. Ed è un sonno profondo, di quelli neri e densi, da cui ci si stacca a fatica. Di quelli in cui quando la mente ritrova la via per la luce non hai idea che sono passate ore, sembravano minuti. Secondi.

Norman mi sta baciando la fronte. -Ehi, Ray. Devi svegliarti. Zack e Anna devono controllare i tagli. Continuano a sanguinare.

Apro gli occhi, la pelle del viso è rigida, seccata da lacrime mai asciugate. Non riesco a muovermi, parlare. È tutto troppo faticoso. Non voglio fare nulla. Mi va bene questo.

-Ti aiuto ad alzarti, devi metterti seduto.

Norman è in piedi, deve essere uscito dalle coperte mentre dormivo, deve averli chiamati lui. I grandi ogni tanto vengono in camera quando sto così. Cibo, coperte di ricambio, tisane, acqua. Sanno qualcosa. Fin'ora solo Norman sapeva dei tagli sulla pelle. Neanche Anna. Lui me li ha sempre medicati da solo, quelli che ha visto. Tutti gli altri sono stati sensi di colpa accumulati quando intravedeva un segno bianco ancora non riassorbito dalla pelle. Mi lascio mettere seduto, senza dire nulla, lo guardo e vorrei odiarlo, vorrei che smettesse di mostrare quello che sono agli altri. Vorrei che smettesse di obbligarmi a scoprirmi con chi non è lui. Ma la verità è che non lo odio. Mi appoggio alla sua spalla e in silenzio allungo il braccio sinistro. Scoprendo le bende applicate da Norman, che sono bagnate del colore del sangue rappreso, marrone e rosso. Norman mi passa un braccio intorno al fianco, baciandomi i la testa sopra l'orecchio.

Con l'altra mi accarezza i capelli, mentre io mi nascondo nell'incavo scoperto del suo collo, senza riuscire a mascherare un singhiozzo strozzato. -Mi dispiace. Mi dispiace tanto.

-Va tutto bene. Va tutto bene, Ray. Sono qui.

Anna ha iniziato a disfare la medicazione sul mio polso. -Ti sto facendo male, Ray?

Io continuo a piangere, scuoto la testa, poi sento un'altra presenza nella stanza. Emma mi accarezza il viso e io la guardo. Perché c'è anche lei? Perché permetti loro di vedermi così? Perché mi sono lasciato vedere così da te, Norman?

Un po' di pelle che si sta cicatrizzando viene via quando l'ultimo strato di bende è sollevato e lascia scoperti i quattro segni. Due sono appena accennati, solo linee rosse dove il sangue ha smesso di uscire e le croste hanno già iniziato a ricoprire tutto. Poi ci sono le altre, pelle aperta in due a mostrare l'interno, c'è ancora liquido dentro e intorno, leggero gonfiore sui bordi rialzati. Anna si sposta per prendere alcune boccette dal kit di pronto soccorso, mentre Zack controlla la ferita.

Zack mi lancia uno sguardo, io non lo ricambio, sento le guance rosse di vergogna e disagio e i singhiozzi trattenuti a stringermi la gola. -Ray, cosa hai usato?

Abbasso le palpebre per bloccare tutte quelle lacrime, che escono comunque, e sposto il viso, lontano da chiunque, nascondendomi dove so che sarò al sicuro, sotto la testa di Norman.

È lui a rispondere per me. -Un tagliacarte. Non ho idea da dove lo abbia preso, non penso fosse disinfettato.

-Okay. Ray, nessuno è qui per giudicarti. Lo capisci questo? Non devi crederci. Solo, lo capisci?

-Sì.- mi strozzo in un singulto.

-Va bene. Allora ora dobbiamo disinfettare le ferite perché non si infettino.

Anna mi stringe una spalla con delicatezza. -So che non è stata colpa tua. Ne usciremo.

-Mhmh.- continuo a non guardare nessuno, mentre anche Emma si ferma ad abbracciarmi. Emma che vuole che chieda aiuto. Emma che vuole che io sia ancora forte, quando ho solo bisogno di smettere di combattere.

L'alcol brucia, ma non è quello a farmi piangere. Quello silenzia tutto il resto. Quello è il modo che ho trovato per andare avanti. Zack usa le garze per pulirmi, mentre Anna gli passa gli strumenti di cui ha bisogno. Tre dei quattro segni vengono lasciati a guarire da soli, sul quarto, che è il terzo per ordine cronologico, Zack decide di applicare dei punti.

-Anna, mi passi la siringa e la boccetta di… Lei allunga le mani ancora prima che lui finisca la frase. -Questi?

Zack arrossisce e sorride. -Certo. Questi. Grazie.- poi torna a rivolgersi a me, che lo fisso apatico -D'accordo. Ti anestetizzo intorno alla ferita, questo potrebbe fare un po' male Ray, ma sarebbe molto peggio senza.

Emma prende una mano tra le sue. -Stringi se senti dolore. Non preoccuparti, sono tosta io.- c'è un sorriso sul suo volto.

Poi iniziamo. Le punture nella pelle fanno male, ma non lascio trasparire nulla, sono tutti dolori a cui sono abituato, segni nella mente che ormai non mi fanno sussultare più. Quotidiane cicatrici di un male che non è mai sparito. Eppure la sua mano la stringo forte lo stesso e lei ricambia la stretta, ed è sicurezza, calma, affetto, calore. E poi c'è Norman che mi tiene stretto a sé, che non mi permette di sentirmi solo, perché c'è il suo odore e c'è il suo respiro e solleticano tutto di me. Pelle, mente, cuore. Poi l'anestetico fa effetto e quella porzione di cute potrebbe non essere più mia. Potrei non essere stato davvero io a logorarla se non la sento e non mi appartiene. Fingo che sia così e smetto di guardarla. Mi appoggio a chi è al mio fianco e chiudo gli occhi, il battito veloce nelle orecchie e il respiro rumoroso dentro il naso. L'ago lascia tracce nere al suo passaggio sulla pelle, ma me ne accorgo solo alla fine, solo quando sento Zack spostarsi. Anna ripone tutto a testa bassa, quando sente i miei occhi su di lei, si alza a guardarmi. C'è un sorriso sul suo viso, come ho fatto a prendermela con lei quando ho visto che poteva permettersi di essere debole mentre io dovevo stringere i denti? Perché sono stato arrabbiato anche con lei, che si è sempre presa cura di tutti noi?

-Norman.- Zack lo chiama -Devi mangiare anche tu, non hai ancora pranzato.

Emma mi lascia un bacio sulla guancia poi si stacca. -Vieni, ti accompagno io, rimanete voi qui?

I due si stringono nelle spalle e acconsentono. Vorrei chiedere loro di rimanere, di non andarsene, ma non posso farlo, mi mordo l'interno della guancia, forte per silenziare il dolore nel petto.

Norman mi accarezza lì. -Smettila.- dice sottovoce e io lascio andare, il sapore del metallo nella bocca -Ray, va bene per te? Posso rimanere qui.

Lo guardo con durezza, ma è solo rabbia verso di me, perché non posso essere così egoista. Merita altro da me. Stupido, stupido, stupido. -Smettila, non sono un bambino. E non starò da solo.- abbasso gli occhi -Non devi preoccuparti per me.

-Non lo faccio.- ed è una bugia. Perché la verità la so io e la sa lui. Ma va bene. Possiamo fingere che non sia così se posso concedergli qualcosa che lo farà stare meglio. Meglio di dover vedere i resti che sono stati lasciati qui di me, a decomporsi sotto strati di terra marcia.

Emma lo trascina fuori con un singolo sorriso e uno sguardo d'affetto verso di me. Non li ricambio. Mi rimetto sdraiato sotto le coperte cercando il loro odore sul cuscino.

Anna mi rimbocca le coperte, seduta dall'altro lato rispetto a Zack. -Adesso fai un po' di attenzione al braccio, va bene?

-Okay.

-Aspetta un paio di settimane a lavarlo con l'acqua.

-Mhmh.

-Se ti fa male, abbiamo degli antidolorifici, ma li teniamo solo io e Zack, quindi devi chiedere a noi.

-Va bene.

-Per favore, chiedili se ti fa male.

Annuisco e basta, lei sospira, ma non insiste. -Posso fare qualcosa? Vuoi qualcosa che possa farti sentire un po' meglio?

La solitudine. Non lo dico. -Mi abbracci?

Lei non se lo fa ripetere. Si mette dietro di me e mi abbraccia, il suo tocco è così diverso da quello forte, saldo e quasi violento di Emma, che mi reclama come si reclama qualcosa di intrinsecamente legato alla nostra anima, ed è diverso anche dal tocco di Norman, che è delicato, ma totalizzante, che potrebbe annullare il mondo. Anna mi abbraccia molto piano, lei è spigolosa, mi tocca come se fossi fatto di sottile vetro. Forse è vero. Forse sono solo il vetro crepato di una finestra in una casa abbandonata. Forse sono anche pericoloso per la felicità di chi mi circonda.

-Scusatemi.- lo dico ancora, sono solo un maledetto disco rotto. Ripeto scuse come onde sulla spiaggia, biascico sensi di colpa, ma non hanno senso, perché tornerò a farmi del male. Appena volteranno l'angolo.

Zack sbuffa. -Ma di cosa. Guarda che siamo tutti abbastanza traumatizzati. Le persone semplicemente reagiscono in modo diversi. Nessuno ce l'ha con te.

-Lo sapete tutti?

Lui mi osserva con quel suo sguardo sempre serio, coperto di cicatrici, che sono così diverse dalle mie. -Non fino a questo punto. Ma è facile capire una parte della realtà. Vogliamo tutti solo aiutare, siamo in debito con voi.

-Sai,- Anna ha un sorriso nella voce, non sembra felice, contenta, sembra tranquilla -all'inizio anche io ho avuto momenti in cui non pensavo che sarei riuscita ad andare avanti. So che non è la stessa cosa che per te. Io non sono mai dovuta arrivare a questo. Però so che non è facile. Lo sappiamo tutti quanti. Nei due anni in cui abbiamo cercato Emma sei stato forte per tutti. Ora permetti a noi di esserlo. C'è un ottimo psicologo in città, non è molto lontano, conosce la nostra situazione. Tu puoi solo parlarci, non sarà la soluzione magica. Ma prometto che aiuta.

-Non me lo merito.

Zack ride e io sussulto, non capisco quella risata. -Scherzi? Che vuol dire? Meritavi forse di essere un bambino bestiame? Noi tutti lo meritavamo? Lucas e Hugo meritavano di morire? I ragazzi di Lambda hanno meritato questi esperimenti? Chissene se lo meriti. Sai cosa meritiamo tutti noi? Una nuova vita. Adesso ce l'abbiamo. Anche se Emma ha pagato per tutti. Useremo la nostra vita per poter provare anche solo a bilanciare quel sacrificio. Non so cosa tu abbia fatto per credere di meritare questa sofferenza. Ma la vita non funziona in base a ciò che meriti. Non la nostra comunque.

Anna annuisce. -È così. Puoi essere felice anche per i nostri fratelli, sai? E puoi essere felice per Norman ed Emma. Loro aspettano solo te per cominciare a vivere questa vita. Che ne dici, di mangiare un po'?

Questa volta mi metto seduto da solo e mangio quasi tutto il piatto di minestra. Poi però torno a sdraiarmi e vorrei andare al bagno a vomitare. Ma Anna non mi fa andare. Mi dice tra un'oretta. Ed è quello che mi ha detto Norman. E io so che gliene ha parlato. Non ci vado. Ma piango. E lei mi abbraccia. Finché torna Norman e mi fa un sorriso e prende il suo posto abbracciandomi e baciandomi la testa. Lui non era così affettuoso. Non con me. Non prima. Emma si infila nel letto con noi, anche se siamo stretti, non ci lamentiamo. Anna e Zack escono e ci lasciano lì ad aspettare il tramonto a luci spente e con i respiri come compagni nel silenzio. Penso che se c'è un posto giusto per esistere è quello. Un posto dove posso far finta che vada tutto bene. In cui fingere che non c'è nessuna benda sul mio polso, che non c'è nessuna lacrima sul mio viso, che Emma non ha mai perso la memoria. In cui fingere che non sto desiderando di morire. Ancora e ancora. Norman mi tiene tra le braccia, io sto per metà su di lui, una gamba in mezzo alle sue, la testa sul suo petto, un braccio disteso sotto il mio corpo e l'altro piegato accanto alla testa, mentre Norman tiene le mie dita tra le sue, assicurandosi che non stiano facendo male le ferite fresche. Emma è alle nostre spalle, premuta contro la mia schiena, la mia mano libera stretta alla sua e il suo fiato caldo a ripetermi che mi vuole bene. Che non è colpa mia. Che ci ama. Poi ci sono i baci sulla pelle a ricordarmi di quell'amore. Quell'asfissiante presenza con cui mi tengono lì, ancora in quel mondo. Il fiato di Norman a ricordarmi che non mi lascerà morire. E per un solo battito di cuore penso che potrei permetterglielo. Ma è un battito rapido, che pizzica la sua corda e sparisce. Inghiottito dal buio di una sinfonia del tutto diversa.

~~~

Note dell'autore: al solito, non sono uno specialista quindi qualsiasi cosa scritta è basata unicamente su esperienze più o meno dirette che ho avuto nella vita e tanta informazione che mi sono fatto su internet. Questo è un capitolo parecchio delicato, perché c'è Ray che in prima persona esprime quelli che sono i suoi pensieri dovuti alla malattia, ed è una delle cose più esplicite che io abbia mai messo per iscritto in tutta la mia vita. In tutta la ff ho trattato alcune delle tematiche che mi stanno più a cuore, anzi le tematiche che mi stanno più a cuore in generale. Spero di essere riuscito con questo capitolo a trasmettere qualcosa. Per domande, chiarimenti, o precisazioni che volete farmi, lasciate pure un commento.

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Capitolo 4
*** IV. Emma ***


Warning: salute mentale, depressione, autolesionismo, suicidio, disturbo alimentare.

-

… poi siete arrivati voi a riempire ogni vuoto.

Io e Norman ci diamo il cambio con Ray, che non è ancora uscito di casa, si è alzato dal letto qualche volta. Da una settimana seguiamo uno le lezioni dell'altra a giorni alterni e quelle anche per Ray. Don, Gilda e Oliver ci danno una mano a coprirne alcune che si sommano alle nostre. I bambini adesso passano tutti i giorni, a piccoli gruppi. Una volta è passato anche Zazie e ha lasciato a Ray uno dei peluche che gli ha comprato Norman. All'inizio Ray piangeva sempre subito dopo, tanto fino a tremare, poi due giorni fa per la prima volta si è fatto trovare seduto e quando se ne sono andati i più piccoli sorrideva e basta. È primo pomeriggio e noi siamo rimasti a letto da quando sono venuta a sostituire Norman per la colazione, Ray ci ha ripreso con la sua ironia velenosa alcune volte per la nostra abitudine di non lasciarlo mai da solo, ma non si è mai opposto a questa presenza. Ha cercato abbracci quando gli incubi sono diventati reali e vicinanza anche solo per sentire i battiti dei nostri cuori o i rumori di un respiro più profondo degli altri. Ha accettato baci sulle guance e carezze sul viso ogni volta che lo sentivamo ripetere tutto quello che ha continuato a dirsi nel suo spasmodico modo di dimostrare odio verso se stesso. E poi ha riso. La prima risata è stata sempre due giorni fa, prima che i bambini venissero a vedere come stesse. Non ricordo neppure di cosa stessimo parlando, eravamo tutti e tre nel letto, ho notato che se siamo in tre per lui è più facile, e ad un certo punto ho perso il filo del discorso. Ho chiesto cosa mi fossi persa e lui ha riso, aveva le guance rosse e per una volta le lacrime nei suoi occhi erano gioia cristallina, mentre si piegava sul mio petto. Norman ci ha guardati, fermo, ma solo per un attimo, poi lo ha preso per i fianchi facendogli il solletico e respirandogli nel collo, anche lui irrimediabilmente contagiato dalla nostra stessa risata. A volte poi torna a stare male, come stamattina quando dopo la colazione non siamo riusciti a fermarlo dal correre in bagno, lui si è scusato tanto, ma noi non lo riteniamo mai responsabile. Ci ho messo qualche giorno a capire il meccanismo dei suoi sensi di colpa, del senso di inadeguatezza, poi ho iniziato a prevederli, Norman dice che vanno avanti da tanto tempo, che non li possiamo davvero fermare, possiamo solo esserci quando arrivano e ripetergli tutto il contrario. Anche se non serve a nulla. Perché lui piange o sta in silenzio, e comunque continua ad odiarsi. Gli passo le dita trai capelli, ha sempre uno sguardo più tranquillo quando lo faccio e gli massaggio la cute, anche se lui ripete che la verità è che piace molto più a me che a lui.

-Ti voglio bene.- glielo dico di continuo, ad alta voce, mentre gli prendo un cambio di vestiti dall'armadio, con un sorriso guardandolo negli occhi mentre mangiamo, trai sussurri in un orecchio in momenti come questi.

Lui è accanto a me nel letto e lascia che io lo abbracci da dietro, stiamo così da ore, certe volte è faticoso rimanere al passo con la sua apatia, rimanere fermi perché Ray ci senta vicini, altre come in quel momento vivrei solo di questo, della sua vicinanza, della sua presenza. E se c'è una cosa che ho sempre saputo, ma che sto sperimentando solo ora, è che non voglio perderlo. Di lui accetto tutto, le urla, i pianti, l'odio, la tristezza, le ore a letto perché non si senta solo, qualsiasi cosa fintantoché io possa ancora averlo qui con me, a sorridere, ridere, baciarmi le guance quando gli metto il broncio perché non mi coccolano abbastanza, tutti e due. E queste cose a volte bisogna ricordarsi di dirle ad alta voce. Che sia in un ti voglio bene, in un vi amo, o solo nella stretta di chi c'è.

-Te ne voglio anche io.- risponde e io mi godo quella conquista, perché alza il viso e c'è un sorriso sopra le labbra e a me è mancato quel sorriso placido.

Norman apre la porta con finto disappunto sul viso. -Che fate vi dichiarate senza di me? Voglio partecipare. Vi amo tantissimo anche io.

Si sdraia su di noi e Ray adesso è abbastanza di buon umore per rimproverarlo con il tono che aveva da bambino e che lo faceva sempre sembrare così grande, così lontano. Mi blocco. Questo è un ricordo. Sparisce rapido, ma ha lasciato traccia. Certe volte, come questa, sono solo sensazioni di ciò che potrebbe essere stato, altre immagini di racconti divenuti frammenti di ricordi che non riavrò mai. Ma non è un problema. Non mi importa di ricordare quando abbiamo fatto una sorpresa a nostra madre per la festa della mamma. Non mi importa dei giochi con loro due che non riavrò mai, li avranno loro anche per me, non è vero, Emma? È stata questa l'ultima cosa che hai pensato?

-Bentornato.- dico solo in risposta.

Norman non sembra più arrabbiato con me, non è più come quella sera, so che è ancora tutto lì appeso tra di noi, ma non ci sta facendo del male. Chiariremo. Abbiamo tempo per chiarire. Tempo per prenderci cura gli uni degli altri. Tempo per abbracciarci e semplicemente dirci quanto ci teniamo a tutto questo. Anche con le urla.

Lui ricambia il mio sorriso e mi bacia una guancia, Norman è il genere di ragazzo che di solito è cortese solo di facciata, che mostra gentilezza fredda, ma mai con noi. Qui in casa Norman ride, gioca con i fratellini, si prende cura di tutti quando stanno male. È paziente con me. Norman certe volte soffre, il sorriso gli si increspa sul viso, ma poi ci abbraccia e so che quello spesso rimette ogni cosa al proprio posto. Quindi adesso che nel suo sorriso non c'è traccia di altro che non sia gioia, sono felice anche io di riflesso. Troppo forse.

-Sono a casa.- sussurra Norman.

-Non fatemi sentire il terzo incomodo.- borbotta Ray, ancora comunque sdraiato a letto.

Il ragazzo in risposta gli dà un abbraccio, rotolandosi nelle coperte con lui per quel poco spazio concesso loro. -Non lo farei mai. Ho detto vi amo, o sbaglio?

Ray arrossisce, il viso per metà nel cuscino. -Non essere imbarazzante.

Norman semplicemente ride e vedo l'accenno di un sorriso tinto di disagio anche su Ray. Ci sistemiamo meglio, io e Norman seduti contro la testata del letto e Ray prono in mezzo alle gambe del ragazzo, la testa sul suo ventre.

-Sei andato al bagno almeno una volta da stamattina?- chiede Norman, la prima volta quella domanda mi aveva lasciato parecchio confusa, solo dopo da Anna ho saputo che anni fa Ray era rimasto a letto così tanto da prendersi un'infezione alle vie urinarie.

Il ragazzo annuisce e mugugna. -Sì. Credo.

Ci sono momenti in cui Ray dice di non ricordare precisamente cosa sia successo, in cui non è del tutto presente.

Norman non vuole sapere altro. -Okay.- gli accarezza la testa in silenzio, ed è un silenzio strano quello che cade tra di noi. È il silenzio di chi si conosce da abbastanza tempo da non sentire peso in quel vuoto, in cui potrei chiudere gli occhi ed addormentarmi sicura che li troverei lì ad aspettarmi.

Non mi addormento, Anna arriva con il pranzo e il solito sorriso sul viso. -I bambini hanno insistito perché voi mangiaste qui tutti insieme.

-I bambini?- chiede Norman, sento il suo divertimento dietro lo stupore.

È Chris che si sporge da dietro la gamba di Anna. -Beh mangiate sempre in momenti diversi, è brutto mangiare da soli, no? Così sareste in tre.

Mi alzo per prendere il cibo e dare un'affettuosa strizzata alla guancia del bambino, che si sta facendo grande, già dodici anni e troppi centimetri d'altezza, vorrei ricordarmi di quando era piccolo, invece ho perso tutto. Ma me lo sono fatto andare bene. Mi andrà davvero bene un giorno. -Grazie Chris.

-Vi vogliamo bene, ciao! Non fate le cose da grandi, però. Anna dopo mi spieghi cosa sono le cose da grandi?…- la porta si chiude con la risata nervosa e divertita di Anna e il mio orecchio che prende fuoco.

Quella pausa di puro imbarazzo viene interrotta dalla risata di Norman. -Deve averlo sentito a scuola, non è il primo a tirare fuori questo discorso.

Mi volto verso di lui, leggermente allibita. -Ma che cavolo…

Ray si solleva leggermente solo per guardarmi con il suo sorriso malandrino, canzonatorio, un sorriso che quando vedo mi fa bene all'anima. -Sai di che stava parlando, vero?

Arrossisco ancora di più. -Sì che lo so.- esclamo, poi la mia voce si fa un borbottio -Non sono così scema.

Ray sorride velenoso, poi torna a sdraiarsi, lasciando lo spazio a Norman per alzarsi dal letto e mangiare. Sistemo il cibo sul pavimento, ci sono due scrivanie nella camera, ma a terra seduti a gambe incrociate possiamo mangiare vicini. Poi io e Norman, che nel frattempo si è alzato spostando la maggior parte delle coperte da sopra Ray, nella vana speranza che anche lui lo avrebbe seguito, ci lanciamo un lungo sguardo. Sospiro avvicinandomi a Ray. Certi giorni semplicemente si alza così e non possiamo farci niente. Noi non possiamo mai farci niente. Gli passo una mano sulla schiena, circondandolo, il viso è coperto dai capelli.

-Ehi, Ray, devi mangiare.- fa quasi male costringerlo, anche se so di farlo per lui, fa male lo stesso, perché vedo quella sofferenza, quella con cui arrabbiato stamattina è andato al bagno e non abbiamo potuto fermarlo, non prima che fosse troppo tardi.

Lui borbotta qualcosa, ma non riesco a capirlo. -Ora non ho fame.

Annuisco. -Okay, vieni giù con noi, però?

-Ho detto che non ho fame, lasciami in pace. Mangiate voi.

Anche questo fa male, la velocità con cui passi dalle risate alla tensione nella voce.

Norman viene lì e si accuccia davanti a Ray, lo obbliga a guardarlo negli occhi, una volta mi ha detto che così è più difficile per lui dirgli di no. -Ray, dai vieni giù. Lo hanno preparato i nostri fratelli, provaci soltanto. Qualsiasi cosa riuscissi a mangiare andrebbe bene. Prometto che non ti forzeremo.

-Voi mi forzate sempre.- e so che quella frase vuole dire molto più di quel che effettivamente dice.

Comunque si alza e si siede con noi, guarda il suo piatto e un po' ne mangia. È facile quando siamo in tre dimenticare il resto del tempo fuori dal letto. Le occhiaie scure intorno agli occhi, il viso che inizia a scavarsi dopo una settimana di stenti autoimposti, persino la benda sul suo polso quando la felpa gli si tira su, e lui che arrossisce e se la ricopre di nuovo. Norman fa finta di non vedere, gli sorride e parla di altro, quasi non li avesse visti davvero, quasi non fossero quelli a tenerci svegli la notte. Io allungo distrattamente una mano sulla sua e gli afferro piano il polso con due dita e me lo avvicino per poterlo accarezzare sopra le garze bianche.

È Zack a passare per controllare le ferite, Anna è rimasta con uno dei piccoli che si è preso la febbre e che invece di stare a letto vorrebbe andare a giocare fiori con il freddo. Il ragazzo gli toglie le bende vecchie, le disinfetta e applica alcuni medicinali nel vedere che uno dei tagli più profondi è ancora gonfio e arrossato, con un leggero versamento di pus, poi lo riavvolge di nuovo con le garze bianche. L'infezione va avanti da diversi giorni.

-Ray, come ti senti fisicamente?

-Stanco.

Lui annuisce. -Okay ma questo penso sia solo la depressione, qualcos'altro? Mal di testa, giramenti, brividi, sudorazione.

-Un po'.

Sia io che Norman sobbalziamo e lo guardiamo, è pallido e ha le guance arrossate, ma essendo stato a letto tutto il giorno sotto le coperte non abbiamo pensato che potesse esserci dell'altro.

Norman abbassa il capo e si morde il labbro, io sospiro. -Perché non ce lo hai detto?

Ray sembra preso in contropiede, non ci guarda, lo sguardo lontano e le braccia che tremano. -Io… mi dispiace.

È Norman ad allungare una mano e accarezzargli il viso. -Va tutto bene.- sorride, ha un sorriso tutto suo da dedicare a Ray -La prossima volta diccelo.- la mano gli preme la fronte -Penso tu abbia un po' di febbre.

Zack passa a me un pacchetto di compresse. -È paracetamolo, l'infezione non sembra grave, ma mi preoccupa dopo tutti questi giorni che non migliora, ho già applicato degli unguenti, per ora questo terrà bassa la temperatura, ma se vediamo che peggiora la cosa migliore sarà portarlo in ospedale.

Ray si irrigidisce, scuote la testa. -Sto bene. Non c'è bisogno.

-Vediamo come va, okay? Con un po' di fortuna, non ce ne sarà bisogno. Tu riposati.

Purtroppo la fortuna si rivela una speranza vana. Alle tre di notte è Gilda a svegliarmi dicendomi che Norman ha deciso di portare Ray in ospedale perché la febbre è salita sopra i trentanove e mezzo da un'ora. Mi vesto veloce, tremante di energia nervosa. Non ci sono treni a quell'ora della notte, quindi ci vestiamo pesanti e lo portiamo a cavallo. Salgo dietro a Oliver, mentre su un altro viene con noi Zack e per ultimo monta Norman a portare con sé Ray, tremante e bagnato di febbre che gli confonde i pensieri. La cavalcata per l'ospedale è rapida, ma attenta, i cavalli conoscono la strada e si muovono veloci e sicuri sul buio sentiero battuto. L'ospedale più vicino è in città, ci mettiamo un'ora di galoppo per raggiungerla, io e Oliver rimaniamo indietro per portare i cavalli in un posto più coperto, poi lui indugia nella scuderia comune, incitandomi a sbrigarmi a raggiungere gli altri. È stato appena chiamato il loro numero dalla reception quando entro nella sala d'aspetto piena solo per metà. I medici rimangono interdetti quando vedono che siamo solo dei ragazzini, fanno portare Ray in una stanza e dopo un'iniziale reticenza ci dicono di seguirli. È Zack ad occuparsi dei dettagli tecnici, parla delle ferite, dei medicinali che gli abbiamo dato, della febbre. Sembra lucido e calmo mentre snocciola le informazioni, al contrario io ho ancora nelle vene tutta l'elettricità di quando Gilda mi ha svegliata di soprassalto. Dopo aver ascoltato Zack, l'equipe medica si occupa dell'infezione di Ray e il ragazzo ci lascia, dicendo che sarebbe andato a cercare Oliver fuori, perché lì nella stanza eravamo già in molti. Non lo fermiamo, ma ad un certo punto viene chiesto di uscire anche a noi, noto gli sguardi di sottecchi che lanciano medici e infermieri di tanto in tanto ai numeri tatuati sul collo di Norman e Ray. Quando finalmente le medicazioni sono finite e la febbre si abbassa, i farmaci hanno fatto addormentare Ray. È allora che ci chiamano per attendere nella sua stanza l'arrivo di un altro medico con cui dovranno parlare. Lo hanno sistemato in una camera diversa, ci sono due letti, ma solo uno è rifatto, l'altro ha il materasso arrotolato sopra, nel vederlo addormentato sento tutta la tensione allentarsi. La testa mi pulsa di dolore e le gambe mi cedono, mentre sul mio campo visivo compaiono macchie scure. È un ragazzo di alcuni anni più grande di me, in camice da infermiere, ad accompagnarmi alla poltrona su cui sedermi, passandomi una barretta da mangiare. Ray è sdraiato a letto sotto le coperte, la fronte un po' imperlata di sudore e il respiro ancora leggermente affannoso, ma il viso è completamente disteso e le palpebre chiuse dal sonno. La manica sinistra del pigiama è stata sollevata e nuove bende gli coprono il polso, più un'enorme quantità di elettrodi e aghi sono disseminati sul suo corpo, collegandolo a macchine e sacchi di plastica appesi su attaccapanni in metallo.

-Flebo.- dice Norman, si trova dall'altro lato del letto rispetto a me, c'è una sola poltrona nella stanza per i parenti, lui se ne sta appoggiato al materasso, accarezzando la mano immobile di Ray con le dita.

Lo scruto confusa. -Cosa?

Lui accenna un sorriso stanco. -Quello che stai guardando. Si chiama flebo.

-Oh… no, io…- arrossisco -ero solo…

-Persa nei tuoi pensieri?

Abbasso la testa e annuisco, poi guardo il viso di Ray che dorme tranquillo. -Non riesco a vedere cosa odi lui di se stesso, non ha niente da odiare. So che è una malattia e basta, però se solo ci fosse un perché. Qualcosa che possa fare.

-Esserci.- lancio un'occhiata a Norman, anche il suo sguardo è concentrato su Ray, quasi ci fosse solo lui in quella stanza -Puoi solo esserci. Ci ho messo tutti questi tre anni e mezzo per capirlo e ancora non riesco ad accettarlo. Ma puoi solo esserci. E ogni tanto farti odiare.- poi scuote la testa, prendendosela tra le mani, anche lui sembra stanco quanto me, ma Norman lo mostra a modo suo -Perché sono andato al bagno? Perché l'ho lasciato da solo in camera? Eppure lo sapevo che nascondeva qualcosa per farsi male. Lo sapevo e l'ho lasciato solo comunque.

Scuoto la testa e mi alzo per prendergli la mano con cui non sta stringendo Ray, lo guardo dritto negli occhi, quegli occhi azzurri iniettati di sangue che sembrano vetro scheggiato, diafani sotto il cielo. -Non è stata colpa tua. Capisci che Ray è caduto in un vortice di sensi di colpa? Non possiamo crollare anche noi. Non siamo più da soli. Tu mi hai detto che io non ci sono stata, che sei solo tu a prenderti cura di Ray. Ci ho pensato Norman, e non devo essere io, se sei ancora arrabbiato per la storia della promessa. Io non ci sono stata. È vero. È l'unica cosa che rimpiango di quella scelta. Ma non è vero che qui ci sei dentro solo tu. Non vedi che questo è esattamente come sta ragionando ora Ray? Non si tratta solo di nessuno, siamo in più di cinquanta, ci svegliamo gli uni agli incubi degli altri, prepariamo il cibo, puliamo, giochiamo nelle belle giornate fuori nel prato, Ayshe insegna a tutti come fare i trucchetti con i cani e Oliver da lezioni di equitazione. Non sei stato l'unico ad averlo quasi perso quel giorno. Quindi non portare questa responsabilità da solo. Perché lo abbiamo quasi perso tutti quanti noi. Perché anche se non mi ricordo Hugo, o Lucas, o… nostra madre. Loro mi mancano ogni giorno.- la mia voce si spezza e si assottiglia nel pianto che mi assale, la malinconia dentro le ossa, vorrei voler bene a Hugo come gliene volevo quando mi ricordavo. Non ho più neanche questo. Solo sofferenza di una morte incompresa e ricordi assenti. Ma ho avverato il suo sogno per me, li ho salvati tutti. -E mi sarebbe mancato anche Ray. Avrei pianto come sto piangendo ora, anche se non me li ricordo. Mi mancano, capisci Norman? Mi mancate voi da piccoli. Mi mancano tutti i miei fratelli da piccoli. E mi manca vederti sorridere a me, perché lo so che alla Emma che ero sorridevi più di così. E mi sta bene. Non sono quella Emma, ma sono ancora Emma. E vi amo. Tantissimo. E mi siete mancati, anche senza ricordi. Io volevo solo vedervi.

Norman piange, si piega in due e sembra di vederlo piangere per la prima volta, perché è un pianto violento, come un tifone estivo, perché si accartoccia sopra Ray eppure continua a trattarlo con gentilezza, senza stringergli troppo la mano, senza pesargli addosso. Singhiozza con grosse lacrime, ma in silenzio, sembra quasi sul punto di urlare, senza farlo mai. Sono solo lacrime, saliva e fiato che non riesce a farsi respiro e quindi si fa rumore, fuori e dentro ad un ritmo dissonante. Vado da lui e lo abbraccio da dietro, lo stringo tra le braccia, perché lui ha avuto paura di perdere Ray per tanti anni e non ha mai lasciato nessuno entrare nel suo dolore. Ora lo sta facendo e non lo lascerò solo un secondo di più.

-Possiamo ancora sistemare le cose. Andrà meglio.

-Vi amo anche io. Mi dispiace tanto, Emma. Ti voglio così bene. Mi dispiace.

-Shh, va tutto bene. Sei stato bravissimo.

Andrà meglio. Deve essere così. Il pianto si spenge solo a suo tempo, ma rimane in sospeso, perché certe giornate sono nuvolose e piovose a tratti, bisogna imparare ad accettarle.

Mezz'ora dopo arriva una donna con un camice bianco e sopra ricamati dei fiori, iris, rose, girasoli, tulipani, non hanno un senso, uno schema, sono messi lì e basta, alcuni appaiono dissonanti, ma conferiscono luce al suo volto su cui campeggia un sorriso. Norman la guarda serio, stanco, gli occhi cerchiati di rosso e la sua solita aria di cordialità sparita dentro un'anima esausta.

-Ciao ragazzi, immagino dobbiate essere molto stanchi. Va bene se ci diamo del tu? Io sono la dottoressa Melissa Ratri, io e mia moglie siamo parenti molto lontani nel ramo della famiglia. Dovrei farvi alcune domande sul ragazzo.

Norman rimane seduto accanto a Ray, una mano di lui tra le sue, tira un sorriso. -Buonasera, io sono Norman, lui è Ray e lei è Emma.- si gira indicandoci a turno -Vanno bene solo i nomi, non abbiamo cognomi. Siamo qui per rispondere, voi lo aiuterete non è così?

Sento tensione in lui, quasi disperazione, mi alzo dalla sedia su cui stavo seduta e mi porto al suo fianco, stringendo le mani di Ray e Norman con una delle mie.

Melissa Ratri è una donna giovane, ha un enorme sorriso e un tono basso e calmo, per qualche ragione ogni ansia mi si allenta, mentre lei ci rassicura. -Mi hanno chiamata apposta. Nessun altro potrebbe gestire questo caso, conosco gli antefatti da pochi anni, più o meno subito dopo che voi siete arrivati in questo mondo, mi è stato detto di tenervi d'occhio. So che molti di voi hanno visto alcuni psicologi. Io lavoro nel reparto di psichiatria è per questo che sono qui.

In un attimo mi rendo conto di cosa sta facendo, la prima informazione che ci ha dato è stata per porre distanza tra sé stessa e il resto del clan Ratri, cerca la nostra fiducia senza essere diretta, ma con pazienza.

Norman si rilassa, ricambia la stretta della mia mano, chissà se se n'è accorto anche lui. -D'accordo. Dove possiamo parlare?

-Seguitemi.- la dottoressa si avvia fuori dalla stanza, io sto per seguirla, ma Norman rimane fermo, interdetto.

Melissa Ratri si blocca e si gira verso di noi, vedo come i suoi occhi indugino su Ray e Norman, mentre il ragazzo sta in piedi e guarda il compagno a letto con indecisione e dolore nello sguardo.

Lo abbraccio. -Sta in ospedale, è al sicuro. Non dobbiamo fare i turni.

-Ma se si svegliasse? Io… se si sveglia e non ci sono potrebbe pensare che lo abbiamo abbandonato… devo rimanere…

-Norman.- lo afferro per le spalle, costringendolo a girare il viso verso di me -Sei solo stanco adesso. Usciamo di qui e parliamo con la dottoressa Ratri, ne abbiamo bisogno tutti e due. Ray starà qui e ci chiameranno se si svegliasse, non è vero?- mi volto verso Melissa Ratri che con un sorriso annuisce.

Non si avvicina. -Certo. Ma gli hanno dato dei sonniferi, dormirà per diverse ore, è improbabile che si svegli nel giro di poco.

Norman scuote la testa, si libera dalla mia stretta con uno scossone, poi va da Ray e gli lascia un bacio sulla fronte. Gilda e Don dicono che Norman prima non era mai stato affettuoso verso Ray, in un certo senso io avevo sempre preso molto spazio nella sua vita. Tutti ripetono che noi tre ci fossimo sempre avuti in un modo speciale, eppure per qualche motivo Norman e Ray avevano concentrato le loro attenzioni su di me, l'intimità che ora vedo così normale, ha sempre lasciato stupiti tutti quelli che invece se li ricordano prima della promessa. Anna pensa che sia stato l'incidente, quando Norman ha avuto la sensazione che lo avrebbe perso ha iniziato a trattarlo diversamente. Lo abbraccia spesso, anche quando Ray alza gli occhi al cielo di fastidio, gli lascia baci sulle guance, non davanti agli altri comunque, ha sempre una mano su di lui. È come se improvvisamente la mia assenza avesse portato loro a riempirsi a vicenda un vuoto, in un certo senso quel pensiero mi fa sorridere. È come se avessi sempre e solo voluto vedere questo, nonostante il filtro del dolore, avrei sempre voluto vedere più affetto a legarli, affetto che sapevo esserci probabilmente, perché certe cose, certe intimità come questa, non possono nascere dal nulla.

Norman si allontana da Ray dopo avergli accarezzato una guancia e annuisce verso di noi, lo sguardo in ombra. Usciamo dalla camera mano nella mano, come se Norman mi stesse chiedendo di trascinarlo via. Per tutti questi anni si è assunto interamente ogni responsabilità per Ray, la responsabilità di vegliare sulla sua vita, ed è difficile ora ricordargli che non è più un suo fardello. L'ufficio dove ci porta Melissa Ratri è una stanza pulita, c'è una poltrona, una scrivania e davanti due altre sedie comode. Ci sediamo quando ci viene dato il permesso, non lascio la presa su Norman né lui mi chiede di farlo, lo terrò finché me lo chiederà.

-Allora, per prima cosa chiamatemi solo Melissa, d'accordo? Voglio avere un'idea della situazione, per sapere come comportarmi. Quindi vi farò delle domande semplici, deve essere difficile e se non riuscite a parlare ditemelo, non insisterò, ma è molto importante.- ci lancia un lungo sguardo, mi sento come se stesse analizzando anche me, deve essere anche così probabilmente. Norman è di nuovo rigido accanto a me e lei deve notarlo, perché si alza e va verso una macchinetta sul tavolo. -Volete qualcosa da bere prima di tutto? Sarete piuttosto stanchi.

Norman sospira. -Avete un tè?

-Io un caffè… se non è di disturbo?- chiedo per sicurezza.

Melissa ride e mi guarda accendendo i tasti e facendo produrre alla macchina dei suoni terribili e gorgoglianti. -Certo che non è un problema. Emma, giusto?

Poco dopo sia io che Norman abbiamo le mani riscaldate da due bicchieri di carta riciclata, fumanti.

Melissa anche tiene davanti a sé quello che sembra un cappuccino. -Okay, cominciamo. Quelle ferite sul braccio, se le è fatte da solo, non è vero?

Lascio che sia Norman a rispondere, mentre mi tengo impegnata guardando la sostanza scura nel bicchiere muoversi e ondeggiare. -Sì.

-Era la prima volta che succedeva?- tiene un quaderno aperto davanti e ci scarabocchia dentro.

-No. Lui… Ray lo fa spesso. Non tipo tutti i giorni. E non è che me lo dica quando succede. Ogni tanto lo vedo, altre semplicemente so che è successo. Lo conosco da tutta la vita. Cerco di essere attento, ma l'ultima volta mi sono distratto e lui…- Norman piange, lo vedo mentre cerca di nascondere le sue lacrime.

Melissa non sembra scossa, continua semplicemente a sorridere, anche se c'è una traccia di tristezza in lei. Allunga a Norman un pacchetto di fazzoletti e lui ringrazia a mezza voce. -Norman, è molto importante che capisci cosa sta succedendo. Quello che fa Ray si chiama autolesionismo. E non ha niente a che vedere con te. Hai cercato di proteggerlo, ma questo problema non è qualcosa che si può sempre risolvere così. Lui ha bisogno di smettere, perché è pericoloso e, ovviamente, gli fa male, ma ora come ora lo sta probabilmente usando come meccanismo di coping.- Norman trema ma ha smesso di piangere -Devi provare a deresponsabilizzarti per questo. Parli con qualcuno dei tuoi sensi di colpa?

Scuote la testa, ma la tiene bassa, beve un sorso di tè, la mano che si muove mentre prova a portare il bicchiere alle labbra e ne versa un po'. Gli do una mano ad asciugarsi.

-D'accordo, è importante che trovi qualcuno con cui parlare, che ti dia un sostegno.- spiega Melissa, poi guarda me. -Tu cosa mi dici, Emma?

Rimango spiazzata, rido di nervosismo. -Io?

La donna mi fa un sorriso. -Perché ridi?

-Penso di essere a disagio.- non ha senso mentire con una psichiatra probabilmente e poi non sarebbe sano -Io non sapevo nulla fino ad una settimana fa a dir la verità. Ma ho intenzione di costringere Norman a parlare con me e io ne parlerò con lui se diventasse troppo. Noi qui abbiamo la brutta abitudine di portare ogni peso da soli, non voglio succeda mai più. Quindi sì, ne parleremo. Io non mi sento responsabile per Ray. Mi fa male vederlo così e voglio che abbia l'aiuto giusto.

-Mi sembra una buona idea, comunque non abbiate problemi a rivolgervi a me, va bene?- solo dopo aver avuto il nostro consenso, decide di procedere -Torniamo ora a Ray. Vorrei sapere se ha problemi a mangiare. I valori nel suo sangue non erano buoni e il sistema immunitario debilitato gli ha impedito di riuscire a curare l'infezione.

Norman sospira e annuisce, raddrizzandosi di nuovo sulla sedia. -È così. È sicuramente da una settimana che va avanti, lui ha… beh non riesce a mangiare, dice di non aver fame, ma penso menta, e si è indotto il vomito un paio di volte.

La dottoressa annota di nuovo, poi lancia uno sguardo a dei documenti. -Temo che vada avanti da più di una settimana. Non ne avevate idea?

Soffoco nella mia stessa saliva, mentre gli occhi mi bruciano. Più di una settimana. Io lo avevo detto a Norman, ma è una di quelle cose su cui non si vorrebbe mai avere ragione. Mai, per nessun motivo.

Guardo Norman che ha riconquistato la sua fredda neutralità, ma senza sorriso, fissa Melissa e sembra più un computer che un ragazzo. -No, non lo sapevo. Ma Ray ci mente, quindi ci credo se lo dice lei.

Melissa lascia che anche il suo sorriso si spenga, per la prima volta. -Deve essere difficile sentire questo e parlarne, Norman. Puoi piangere, lo sai? Voglio che tu sappia che questo è uno spazio sicuro, non avrai giudizio da me. Se preferisci parlare da solo, possiamo far aspettare Emma fuori e discuterò con lei in un secondo momento.

Norman scuote la testa. -No, io… vorrei che rimanesse.- mi lancia uno strano sguardo, sembra mi stia implorando, non voglio vederli soffrire.

-Rimango qui.- dico con un sorriso stringendogli la mano.

Melissa si arrende. -Va bene. C'è altro che posso sapere da voi?

-Beh lui certe volte non si alza dal letto per giorni. Una volta lo hanno ricoverato per un'infezione perché non era andato neppure al bagno. Ha incubi come tutti quanti noi, solo che i suoi… i suoi sono terribili. Spesso non riesco neppure a svegliarlo o continuano mentre è sveglio. È apatico per lo più. E…- qui la sua voce di nuovo cede, mentre si schiarisce la gola, ingoiando le lacrime che non si sta permettendo di versare. Gli stringo ancora di più la mano e lui ricambia, fa quasi male, ma io posso fare solo questo. -Lui ha provato ad uccidersi. Due volte. L'ultima è stata più di due anni fa. Poi non ci ha più provato, ma ha iniziato con i tagli.

Melissa annuisce, non sembra sorpresa, neppure impressionata, solo triste. Sospiro di sollievo, non voglio che qualcuno giudichi il mio migliore amico per qualcosa che non può essere colpa sua.

-Quando è successo la prima volta?- chiede lei guardando Norman.

Sono io a prendere la parola, anche se non me lo ricordo, mi basta chiudere gli occhi per rivedere il disegno sul muro. -Aveva appena compiuto dodici anni. Era il suo compleanno, noi trai sei e i dodici anni venivamo spediti dai demoni per essere uccisi. Non… non ricordo molto, la mia memoria di quel periodo non c'è più. Comunque mi è stato raccontato, lui era con me e voleva farci scappare dalla fattoria. Fa parte del clan Ratri e ha detto che le è stato parlato di noi. Siamo cresciuti in uno degli stabilimenti di Grace Field. Avevamo pensato ad un piano e per metterlo in atto avevamo deciso di far scoppiare un incendio nell'orfanotrofio. Solo che Ray aveva deciso che si sarebbe dato fuoco anche lui. Io l'ho fermato perché ero stata avvertita. È per questo che non è arrivato fino in fondo.

Melissa a quel punto, dopo aver posato la penna, chiude il suo diario e ci guarda. -Domani mattina incontrerò Ray da sola, una volta che avrò una prima diagnosi lo farò trasferire nel reparto psichiatrico. Rimarrà lì finché la situazione non tornerà ad essere più tranquilla. Purtroppo non possiamo trattenerlo per molto tempo. Ci sarebbe una clinica psichiatrica, ma è molto distante, significherebbe staccarlo dalla sua famiglia, vedrò domani se è il caso di proporglielo. Per il momento, l'idea che mi sono fatta è che torni a stare a casa con voi, ma si presenti per la terapia due volte a settimana.

Norman annuisce, bevendo gli ultimi sorsi di tè, mentre anche io finisco il caffè. -Va bene. Noi possiamo rimanere con lui?

-Per questa notte. Poi valuteremo. E non avete anche la scuola?

So che Norman sta per protestare, ma ora siamo stanchi, quindi lo trascino in piedi, prima che possa ribattere. -Ti ringraziamo per quello che stai facendo per noi. È meglio se ora andiamo.

Melissa sorride, sembra divertita. -Sì, andate. Cercate di riposare.

In camera Ray sta ancora dormendo, io e Norman ci sistemiamo sulla poltrona entrambi, uno sopra l'altra, in un intreccio di arti, fiati e affetto. Più affetto di quanto sia possibile quantificarne.

-Ti voglio bene.- gli dico, con un bacio sulla tempia.

Lui annuisce. -Ce la caveremo.

Ci diamo la mano e rimaniamo in silenzio. Siamo ancora in tre. Continueremo a svegliarci in tre.

-Ce la caveremo.

La teina e la caffeina ci tengono svegli fino all'alba.

~~~

Note dell'autore: okay sapevo sarebbe successo... Ovviamente mi stavo dimenticando di aggiornare... A mia discolpa non avevo idea del fatto che oggi fosse mercoledì. In ogni caso, in questo capitolo annuncio l'arrivo del nuovo personaggio: Melissa! Sarebbe stato bello vedere di più di lei, ma non è la sua storia questa. Ovviamente me la sono inventata, è stato comunque interessante e divertente crearla. Sulla scena ci sarebbero così tante cose da dire, intanto il modo in cui Emma e Norman provano ad aiutare Ray, non è detto che vada bene per tutti, né che sia giusto in generale, ricordate che sono solo personaggi. E spero non ci sia bisogno di precisare che curare a casa ferite come quelle di Ray sia molto pericoloso, rivolgetevi alle strutture sanitarie indicate. In questo caso ci troviamo in un racconto fittizio, è tutto funzionale alla storia (sorry Ray). Tra l'altro come ho già anticipato nel primo capitolo ci sarà un arco a breve in cui mi dedicherò ad analizzare i sentimenti che legano Norman, Emma e Ray. Capisco che non tutti condividano le mie idee in merito, chi preferisce altre ship o li vede semplicemente come fratelli, spero solo ci sarà rispetto su questo punto. E, nel caso in cui il rating mettesse confusione, NON ci sono scene spinte, ma neanche accennate, rimarrà tutto molto platonico. Ho messo l'arancione solo per le tematiche rispetto alla salute mentale, non c'entra niente con le smut (non che sia sbagliato scriverne semplicemente non è questo il caso).

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Capitolo 5
*** V. Norman ***


WARNING: salute mentale, depressione, autolesionismo, PTSD, disturbo alimentare. Potrebbero disturbare anche i commenti omofobi da parte di uno dei personaggi.

-

Certe volte voler bene voleva dire accettare di non poterli sempre proteggere…

Quando Ray viene spostato nel reparto psichiatrico, concedono solo ad uno di me o Emma di rimanere con lui la notte. Il primo giorno volevano mandarci entrambi a casa, ma Ray si è svegliato da uno dei suoi incubi e solo io sapevo come calmarlo. Emma ha assistito per la prima volta, mentre gli ho passato le dita sul viso, traccio sempre una linea retta che glielo divida a metà, dalla fronte fino al mento e lui si calma con le mie rassicurazioni a tutte quelle paure che ho imparato a memorizzare. Parlo sempre sottovoce, perché le urla gli farebbero paura. Ray spesso mi chiede le cose più volte, chiede sempre di Emma, poi di me, vuole essere sicuro che io sia lì e sia vivo, così gli faccio mettere una mano sul petto, sotto la maglietta perché senta con il mio battito anche il tatuaggio di Lambda. Poi gli dico dei nostri fratelli, che ci sono ancora, che nessuno lo abbandonerà mai più, che è amato e sa amare, che è una brava persona. Ha imparato ad esserlo. E lui si addormenta o piange, alle volte tutte e due, spesso insieme. Io continuo ad accarezzarlo finché sono sicuro che dorma di nuovo. Emma quella prima notte mi ha detto che sarei dovuto rimanere io.

-Sei sicura? Possiamo essere entrambi, facciamo a turno…- non mi è piaciuta l'idea di dover rimanere a casa senza sapere, ma Emma è parte della famiglia di Ray, una parte importante, compone le nostre giornate con quella luce che non ha mai perso, non come il numero sul collo. Quindi sarei tranquillo a lasciarlo nelle sue mani.

Lei però mi ha sorriso e abbracciato. -No, devi esserci tu. Hai visto tutti questi anni, hai un'esperienza che io non posso avere ora.- è sembrata triste, c'erano delle lacrime nella sua voce, stralci di dolore tra lame di felicità -Io passerò tutte le volte che potrò. Abbi cura di tutti e due, va bene?

-Promesso.- l'ho abbracciata di rimando, perché la sua paura si facesse un po' anche la mia e la mia un po' la sua, è così che ho imparato che quando siamo tutti è più facile la vita.

Poi prima di uscire si è voltata verso di me. -Posso… posso dormire nei vostri letti?

Mi ha scaldato il cuore. Ad Emma abbiamo lasciato l'unica stanza singola perché non volevamo che sentisse il peso di una responsabilità, ma ad un certo punto questa tutela per lei deve essere diventata una gabbia, da accettare perché le abbiamo permesso di credere che non ci sarebbe stato spazio per lei. Quando di spazio ne abbiamo sempre avuto a sufficienza. Ed è merito suo.

-Devi. Ma se volessi potremmo dormire insieme quando torniamo. Tutti e tre.- niente più notti di incubi solitari, se lei ne volesse fare parte io la accoglierei.

-Lo vorrei.

Ha pianto, ma non davanti a me, lo ha fatto dietro la porta, io le ho concesso quello spazio con un sorriso. Avrei avuto tempo per vedere quelle lacrime, in quel momento Ray si era appena svegliato e io avevo bisogno di assicurarmi che anche lui sarebbe stato bene.

Ray rimane ricoverato per due lunghe settimane nel reparto psichiatrico, ogni giorno ha una seduta con Melissa, all'inizio non è stato d'accordo, Ray mi ha confessato che la prima volta che l'ha incontrata è rimasto in silenzio tutto il tempo. Poi so che ha cominciato ad aprirsi perché, quando loro socchiudono la porta, per farmi entrare di nuovo a seduta finita, ha gli occhi cerchiati del rosso del pianto. Di diagnosi gliene fanno tante: PTSD, depressione, anoressia, e improvvisamente comincio a vedere gli effetti sul suo corpo. Li ho sempre avuti sotto gli occhi, ma l'ospedale intorno a noi sembra accentuarli, ricalcarli, con un evidenziatore pallido sulle guance, viola sotto gli occhi e scuro di ombre dove si vedono le ossa. La prima volta che si è spogliato davanti a me è stato ad una delle visite, gli hanno fatto mettere un camice e ho visto cicatrici sulle cosce dove non avrei potuto vederle, sono bianche alcune, vecchie e sottili, altre di diverse tonalità di viola e marrone, tracciano lo scorrere del tempo di quella malattia, gli continuavano lungo i fianchi, il polso è ancora fasciato, mentre il dorso è un campo di battaglia, con spigoli e curve di ossa bianche che lasciano impressa sulla pelle la loro forma. Lui ha sorriso, era un sorriso tirato, tinto di imbarazzo, voleva solo rassicurarmi e io l'ho abbracciato quando siamo stati di nuovo da soli.

-Non devi toccarmi se ti fa senso.- ha detto lui a quel punto, ed è orribile toccare la pelle e le ossa scoperte di qualsiasi altra cosa, è terribile vedere per la prima volta qualcosa che avrei dovuto vedere molto prima. Ma non mi fa senso, lui è la mia famiglia.

L'ho stretto di più e ho aspettato di sentirlo piangere. -Non ti lascio proprio per niente, lo hai capito?

-Mhmh.

-Bene, perché lo affronteremo insieme tutto questo. Come sempre, Ray.

A due settimane dall'inizio della terapia e con i primi farmaci, gli è stato riacceso qualcosa dentro, qualcosa che so esserci sempre stato, andava solo tirato fuori di nuovo. Ray si rifiuta ancora di mangiare, ogni tanto ci ha provato. Ora a letto da un paio di giorni ha un tubicino che porta cibo dal naso direttamente allo stomaco, perché al controllo del medico era gravemente sottopeso. Emma quando viene ha l'abitudine di sistemarglielo. Si avvicina al letto e si siede accanto a lui e ci passa le dita, lei è fatta di contatti e intimità fisica più di chiunque altro, le cose sa comunicarle con il tatto come non riuscirebbe nessuno. Perché la vergogna negli occhi di Ray per quell'ennesima prova della sua malattia, all'improvviso sparisce, quando Emma tratta quel tubicino quasi fosse fatto di cristallo, come si trattano le cose preziose.

C'è un sorriso sulle labbra della ragazza quel giorno. -Hai un bello sguardo oggi.

Ray arrossisce e io rido dal mio posto sulla poltrona.

Gli sorrido. -Che fai tutto il timido ora.

Lui mi lancia un'occhiataccia. -Siete ridicolmente imbarazzanti. Ditevi smancerie a vicenda e lasciate in pace me.

-Ma come? Non saresti un po' geloso così?- lo punzecchio senza alzarmi.

Emma alterna il suo sguardo tra di noi, poi bacia la guancia di Ray. -Ti da fastidio il sondino?

-No, mi tira un po' lo scotch, tutto qui. Ma sto bene ragazzi, davvero.

Certe volte mi chiedo se Ray sia mai stato bene, se ci sia stato davvero un momento nella sua vita in cui non si sia sentito così oppresso, schiacciato da un peso più grande di chiunque. -Non stai bene, Ray. Ma migliorerà, vorrei che stessi bene, o che tornassi a starci completamente, ma queste cose non è detto che spariscano così.

Ray sbuffa, non mi guarda, stringe la coperta tra le dita. -Non cominciare come Melissa.

Rido e adesso mi tiro in piedi davvero, gli preparo un bicchiere d'acqua con la cannuccia e glielo passo. -Qual è la frase motivazionale del giorno?- scherzo.

Lui alza gli occhi al cielo, ma sorride e mi guarda e il suo è sempre un bel sorriso. -Oggi ha detto: "le persone pensano che dire addio a qualcuno a cui si vuole molto bene e basta sia la cosa più difficile. Io credo che dire addio a qualcuno a cui si vuole bene ma è complicato sia anche peggio."- la scimmiotta bevendo l'acqua senza fiatare.

È una cosa che facciamo ogni tanto, parlare della terapia così, dimostrarci interessati lo stimola e gli fa vedere che ci teniamo, che per noi non è strano e non è un peso essere lì. Quindi prendiamo in giro Melissa, lei lo sa e non ne è affatto offesa, spesso quando gliene parlo separatamente davanti ad un caffè ride. E ogni volta Ray, se glielo chiediamo, sintetizza la seduta di quel giorno con una sola frase.

-Di che avete parlato?- si intromette Emma, mentre gioca con le ciocche scure di Ray, incastrandole in piccole trecce scomposte.

Il ragazzo si stringe nelle spalle. -Di Isabella. Cioè di nostra madre.

L'altra si blocca ma solo un momento. -Oh. Ha senso.

Io torno a sedermi sulla poltrona, mi sistemo con le gambe e la schiena sui due braccioli. Sono abbastanza vicino perché Ray possa prendermi per mano, a volte lo fa, ma solo la notte quando ha paura di un incubo. -Lo ha. Hai staccato la sua foto dal muro, Emma.

Lei non mi guarda, rimane concentrata sul suo lavoro. -Sì beh, non è facile vederla.

-Neppure per me.- Ray le fa un sorriso triste -Certe volte la odio. Altre mi sento in colpa per averla odiata così a lungo.

-Non era una brava persona, Ray.- osservo.

Lui annuisce, poi scuote la testa. -Io… solo lo so, no? So che non era una brava persona. Ma è morta per proteggere Emma, questo cosa la rende? E poi neanche io sono una brava persona Norman, ho fatto tutte le stesse cose che ha fatto lei. Da più piccolo. Solo che il punto non è essere brave persone. Forse la vediamo solo dal punto di vista sbagliato.

Emma abbassa le mani, il respiro le trema nei polmoni. -Io non so da che punto vederla. Non so neppure se ha senso per me odiarla, io comunque non me la ricordo. Qualsiasi idea potrei avere di lei sarebbe… ingiusta.

Nostra madre è sempre stato un argomento molto complicato, so di alcuni bambini di Goldy Pond che si sono messi alla ricerca delle donne che li hanno cresciuti, c'è chi l'ha trovata e ha saputo dare un senso a quel dolore perdonando qualcosa che mi chiedo se noi avremmo potuto perdonare. Però è vero, Isabella qui non c'è, non ci sarà mai più, qualsiasi conto in sospeso rimarrà tale. Ci gireremo intorno, dimenandoci in un amore che è stato nutrito di troppo dolore e troppo odio.

Sospiro e accarezzo la testa di Emma, che è di nuovo piccola e un po' indifesa, che cerca di dare un senso a qualcosa che semplicemente un senso non lo ha. -Non sei ingiusta, né ad amarla né ad odiarla. Tantomeno a provare entrambe le cose.

Lei mi lancia uno sguardo da sopra la sua spalla, ed è un fiume in piena, riversa fuori quello che so ha tenuto dentro tanto a lungo. -Quello che ha fatto è orribile. Se non posso conoscere Conny è stata colpa sua. So che dovrei odiarla. Semplicemente non trovo odio quando penso a lei. Mi manca persino certe volte. Per questo ho tolto la sua foto. Perché mi fa male pensare questo e non poter capirci nulla. Non ha avuto la possibilità di rimediare perché si è sacrificata per me, non riesco a dare un senso a tutto questo.

-Penso sia il punto di quello che ha detto Melissa. Lei ci ha fatto del male, ma ci ha dato anche amore ad un certo punto.

Emma scuote la testa, poi di getto la tira indietro guardando verso l'alto, sul soffitto sporco. C'è un sospiro nella sua gola, un sospiro che è stanchezza e tristezza. -Quindi rimarrà sempre così? Senza un senso?

-Chi può darne uno?- Ray ride, ma non c'è divertimento nella sua voce -Oggi abbiamo parlato dei traumi. Io le ho raccontato della mia infanzia.

Emma si tira su e si infila nel letto accanto a Ray, facendosi abbracciare. -Non ne hai mai parlato con me. Se non vuoi non devi farlo.

L'altro sospira, vedo la fatica di tornare indietro ad una vita che una volta, in una delle notti peggiori, mi ha rivelato non essergli mai sembrata sua. -Nostra madre non era un mostro. Voglio dire forse la si può vedere così, ma lei era come noi. Era stata una bambina bestiame e aveva fatto una scelta. Vivere più a lungo di tutti. Non conosco le sue ragioni e non voglio conoscerle. Ma so che vedeva tutto quello come semplicemente… l'unica esistenza possibile, che cresceva tutti i bambini in modo che avessero la vita più felice che potessero avere, finché fosse stato concesso loro. Era quello che le era stato insegnato, tutto qui. Ho capito tutto solo a sei anni e quando l'ho capito… avevo sempre avuto strani sogni, ricordavo di cose spaventose. Sapevo delle trasmittenti, sapevo dov'erano, la loro forma e dimensione. Mi sono sfregiato l'orecchio per attirare l'attenzione della mamma e parlarle da solo. È stato allora che abbiamo stretto quel patto. Io non sarei più stato suo figlio. Quindi immagino che non importava più se avrei sofferto tutta la mia esistenza.- sorride di amarezza -In fondo non importava neanche a me.

Vedo Emma aggrapparsi a lui. -Ray…

-Non importa, sai? Avevo voi. Comunque è iniziata così, ho imparato a soffocare ogni emozione e poi a ritenere ogni sentimento d'affetto nocivo. Sostanzialmente ho smesso di provare qualsiasi cosa e mi sono anestetizzato. Ed è stata lei a rendermi questo. Mi ha mostrato che la mia vita aveva valore solo in base ai miei successi e ai miei rendimenti. Abuso psicologico, Melissa lo chiama così.

Sento una fitta al petto. -Quindi quando sei arrivato qui ed Emma non c'era, ti sei sentito un fallimento perché non l'avevi protetta anche se sarebbe dovuto essere il tuo compito.

Ray annuisce. -Ti avevo spronata io a cercare una via alternativa, e per questo tu eri sparita. Saresti stata lì se non ti avessi assecondata. Quindi ho iniziato a pensare non valessi più niente, lo penso ancora. E poi sono arrivati gli incubi, i fratelli morti. Io… non ho retto il senso di colpa.

Non voglio sentire altro, non voglio sapere come finisce quella storia, anche se lo so, anche se c'ero alla fine, c'ero io sotto quella finestra. -Ray…

Lui sospira. -Mi dispiace Norman. So… so che non è colpa mia. Sto imparando a non sentirmi in colpa per quello che ho fatto. Ma ho lasciato che soffrissi. Lascio ancora che tu soffra. Quindi mi dispiace davvero tanto per quello che questo ha significato per te in tutti questi anni.

-Non te ne faccio una responsabilità,- mi sporgo per toccarlo e farmi guardare dai suoi sottili occhi scuri -mi va bene. Sei qui, sei vivo. Mi basta.

-Okay.

Gli accarezzo un braccio, lui abbassa la testa a guardare quel mio maldestro tentativo d'affetto, mentre gli sorrido. -Dico davvero, ti voglio bene.

Ray si nasconde nei palmi delle mani. -Perché non riesco a pensare di meritarlo? Perché mi sento così in colpa?

Certe volte amare qualcuno così significa dover sentire la sua sofferenza dritta nelle ossa e non poterci fare nulla. -Va bene, Ray, ora va bene così. Non lo sarà sempre, andrà meglio. Noi lo faremo andare meglio. Non ti incolpo per nulla di tutto questo.- gli sposto i capelli dal viso e mi chiedo quando ho cominciato a sentire questo calore dentro ogni volta che lo vedo -E continueremo a dirti di amarti, finché tu riuscirai ad amare te stesso.

Scuote la testa. -Non accadrà. Non mi amerò mai.

-Okay, non devi. Ma amerai la tua vita. È una promessa. Questa non è colpa tua.

-Come fate?- trema e sobbalza martellato dai singhiozzi -Come fate a non incolparmi? A volermi ancora? Vi ho fatto così tanto male…

Emma gli fa togliere le braccia da sopra il viso e fa combaciare le loro fronti. -Ma cosa dici. Sei una delle cose più belle che potessero succedermi nella vita.

-Non è vero. Questo non può essere…

-Questo non sei tu.- lo ferma lei.

Ray continua a singhiozzare, certe volte va meglio, ma è ancora tutto lì, tutto nella sua testa a logorarlo. -E se di me rimanesse solo questo?

Emma lo stringe a sé, ma lo obbliga a guardarla negli occhi, a non mollare subito la spugna, come ha sempre fatto lui. -Guardami e stammi a sentire. Non ti stiamo chiedendo di tornare il vecchio Ray. O di essere un nuovo Ray. Sii Ray e basta. Mh?

Lui scuote la testa. -Che vuol dire?

-Che c'è altro. In te.- Emma sorride -Voglio dire puoi ancora ridere, respiri, parli con noi, o stai in silenzio. Tu semplicemente ci sei. E mi rende così felice. Puoi solo essere Ray e basta. Con le brutte giornate e con un sondino naso-gastrico. E mi vanno bene le cicatrici. Non so se lo hai notato ma sono piena, guarda!- si tira su la camicia e noi due arrossiamo d'improvviso.

Rido mentre Ray inveisce coprendosi la faccia con le mani. -Emma!- esclamiamo entrambi.

Lei semplicemente si gode la nostra reazione con un sorriso. -Che c'è?

Ed è bello ridere così, quindi la guardo con un sorriso e uno sguardo di finto ammonimento. E lei lo sa, perché mi conosce.

Respiro e le accarezzo la nuca. -Ero arrabbiato con te. Mi sei mancata così tanto che ad un certo punto è diventato terribile pensarti. Quando ti ho incontrata di nuovo ero così felice, pensavo che non avesse importanza. Ma importava, importava non essere riconosciuto. Comunque se c'è una cosa che ho sempre pensato è che tu mi piaci, mi piaci abbastanza da voler solo vedere il tuo sorriso.

Lei appoggia la testa sul petto di Ray, così non può vedermi in viso, ma io ancora vedo lei, le spalle segnate da anni di guerra, dalla camicia leggermente sollevata spuntano i segni di battaglie e fughe, i segni di un passato comune.

-Questo cosa significa?- chiede sommessa.

Io mi tiro in piedi e mi metto davanti a tutti e due, sedendomi sul letto con una gamba sotto il corpo. -Ricominciamo da capo.- le allungo una mano -Io mi chiamo Norman, mi dispiace e mi fa soffrire che tu abbia dimenticato la nostra vita insieme da piccoli. Ma questo ultimo anno e mezzo significa tutto per me. Quindi, Emma, perdonami se sarò arrabbiato con te, se piangerò ogni tanto perché mi manca la persona con cui non posso condividere la mia memoria, se volessi farmi l'immenso onore di far parte della mia famiglia, della nostra famiglia di nuovo, se vuoi vivere insieme per sempre come ci siamo promessi, io ti prometto che sorriderò.

Emma si alza di scatto, le lacrime iniziano ad uscire tutte insieme. -Perché sto piangendo! Stupida che sono. Sì, che faccio parte di questa famiglia.

Rido e semplicemente la stringo a me e lei continua a piangere e dire quanto questo sia stupido e io semplicemente bacio la sua testa, e poi più in basso dove non c'è l'orecchio e allora è tutto al posto giusto. Un orecchio solo e tre battiti a scandire il ritmo di un mondo in cui non siamo mai stati soli.

Ray ci guarda un po' arrossito. -Sembrava una proposta di matrimonio comunque.

Ridiamo e ci separiamo, poi mi avvicino e lo abbraccio, lui cerca di scansarmi, ma non davvero, solo per gioco, un po' per imbarazzo.

Poi torniamo a sistemarci come prima, questa volta Emma si mette dal lato opposto di Ray, per potermi guardare. -Comunque con questa storia di matrimoni e baci i più piccoli si stanno letteralmente scatenando! Chris e Yvette vanno avanti a battute assurde assolutamente ridicole. E Thoma e Lannion a dargli spago.

-Sì, eh?- chiedo con un sorriso furbo.

-La cosa ci sfuggirà di mano. Poi per non parlare di Violet, adesso c'è questa ragazza in classe sua che ci ha provato palesemente.- ride Emma -L'altro giorno, dopo essere uscite, l'ha portata a casa da noi. Non lo avesse mai fatto, tutti i bambini si sono fiondati lì curiosi, a chiedere se si fossero baciate con la lingua! Che storia è? Poverina, spero torni sembra una brava ragazza. Violet è molto presa. Chissà.

La guardo con una punta di curiosità. -Sono due ragazze? Stanno… stanno insieme?

Ray ricambia l'occhiata interrogativo, la sua mano ha un tremito. -Non lo sapevi?

Mi sento preso alla sprovvista dalla domanda del ragazzo e dagli sguardi che mi stanno lanciando. Improvvisamente comincio a sudare, le guance che mi scottano, mi gratto la nuca, tossendo mentre penso a cosa dire.

-Io no? Dovevo?

Sento l'aspettativa gravare su di me, vorrei sapere cosa si aspettavano che dicessi. La prima cosa che penso è che è strano, non sono davvero abituato a pensare ad un tipo di relazione romantica. L'unica persona che mi sia mai piaciuta è stata Emma, e sono passati tanti anni da quando per la prima volta, in modo maldestro e infantile, ho messo a parole i miei sentimenti. Arrossisco ancora di più nel momento in cui mi torna in mente la mia cotta per quella che forse avrei dovuto considerare solo una sorella. Eppure Violet è una ragazza a cui piacciono altre ragazze, non ne avevo avuto idea fino a quel momento e per una ragione che non so davvero spiegare sento disagio agitarsi sulla bocca dello stomaco. È una stretta dolorosa. Che arriva e rimane lì a farmi agitare.

Emma si sposta piano da Ray che non la trattiene ma la guarda allontanarsi. -Pensavo di sì. Lo ha detto quasi un anno fa, nel senso non è mai stato proprio un segreto. Lavoravamo insieme allo Chalet cinque, ricordi Ray?

Il ragazzo annuisce e mi fissa attraverso le ciglia scure, ha la fronte aggrottata. -Sì, mi ricordo, stavamo sistemando i letti, tu Norman mi sa che non c'eri. Anche i più piccoli lo hanno saputo presto, a Violet andava bene se si spargeva la voce, pensavo lo avessi sentito da qualcuno ad un certo punto. Tempo fa è andata ad un appuntamento con un'altra ragazza, ma non ha funzionato.

Mi stringo nelle spalle, ancora quella spiacevole sensazione di disagio. -Non ne avevo davvero idea. Quindi insomma tutti sanno che le piacciono di più le ragazze?

Emma torna sdraiarsi su Ray, accoccolandosi sulla sua spalla. -Penso che le piacciano solo le ragazze. È un problema per te?

-No, solo… non è strano per voi?

Incontro rigidità nei loro occhi, fronti aggrottate di tensione e confusione. Non era mia intenzione ferire nessuno.

-In realtà non è affatto strano.- osserva solo Ray, lo sguardo basso -È normale che su cinquanta persone che siamo almeno uno non si rivelasse etero.

Mi fermo a pensarci, incrociando le braccia al petto. -Non so, ho solo pensato fossimo semplicemente, boh, solo tutti etero? Mi sembrava normale così.

Emma sorride per dissipare l'imbarazzo. -Cielo, ti abbiamo incasinato così tanto la testa? Violet è semplicemente lesbica, non è poi una grande scoperta. Sono stata felice quando ce lo ha detto perché per lei era importante.

Annuisco. -Quindi è per questo che si veste così?

Lei rimane bloccata un attimo, poi scoppia in una risata che la lascia completamente senza fiato.

Sorrido confuso a quella reazione. -Ho detto una cosa molto stupida, vero?

-Eccome.- continua a ridere lei -Che c'entra come si veste, anche io mi vesto androgina, o comunque, non femminile come Gilda. Ma i ragazzi continuano a piacermi.

Ray anche a quel punto finalmente sorride, meno teso, prende il naso di Emma tra le dita, come si fa con i bambini e glielo tira leggermente. -Sei troppo piccola tu.

Emma gli fa la linguaccia e la sua tenacia, il suo sorriso, la sua forza d'animo potrebbero mandare avanti il mondo da soli. -Ehi! Chi sarebbe troppo piccola. Ho la vostra età.

-Mentalmente, Emma. Mentalmente.- la prende in giro l'altro.

Lei finge disappunto. -Sei cattivo.

E il ghigno di Ray è veleno puro. -Con te sempre. Che posso farci se me la rendi così semplice.

-Normaaaaan! Difendimi!

Io mi sistemo comodo sulla poltrona, le mani incrociate dietro la testa. -Nah, penso mi godrò lo spettacolo da qui.

Emma sbuffa e si allunga a darmi un pizzico.

Io salto indietro e picchio la testa contro il muro. -Ahia! E perché questo?

-Perché sei cattivo con me. E perché hai detto che essere gay è strano.

Ray sembra a disagio a quel punto, vedo le sue mani muoversi di nervosismo. -Lo pensi sul serio?

All'inizio non avevo avuto idea che esistesse la possibilità che ad un uomo potesse piacere un altro uomo né allo stesso modo quella in cui ad una donna potesse piacere un'altra donna. Nella vita avevo avuto molto altro a preoccuparmi, Emma mi era piaciuta da ragazzino, era stato solo l'affetto di un bambino. Quando ci eravamo incontrati da grandi avevo notato quanto fosse diventata bella, ma anche Ray era cresciuto e i suoi lineamenti sempre spigolosi, avevano trovato la loro regolarità su un viso più maturo e gli occhi si erano fatti inspiegabilmente gentili. Giunti nel mondo umano avevo conosciuto più cose di quante avrei mai pensato di poter conoscere, anche la sessualità era diventata all'improvviso un argomento delle nostre vite. Ma c'era stata Emma da dover trovare a quel punto e quell'universo, che vedevo lontano da me, era semplicemente passato in secondo piano. Sapere che esistessero persone gay non è come conoscerne una in famiglia.

-Penso che stare con il sesso opposto sia più normale. Più naturale. E non lo so, trovo un po' strana l'idea di due donne o due uomini insieme, ma se Violet è felice, non mi riguarda.

Ray mi guarda e per la prima volta in lui vedo una durezza che non mi aveva mai rivolto. -E se lo fossimo io o Emma?

Mi sento colto in contropiede. -Sei gay?

-No, non è questo il punto. Ma se mi piacessero i ragazzi o ad Emma le ragazze?

Emma si intromette con il tono di chi non vuole vederci litigare. -Beh ho sempre pensato che Gilda fosse molto carina, ma è come una sorella lei. In generale penso di preferire i ragazzi.

Ray si altera. -Ma se fosse così, cosa ci diresti?

Sento rabbia in lui, risentimento e sotto tutto paura, perché Ray ho imparato a conoscerlo.

Mi alzo e gli accarezzo i capelli, ma non glieli bacio, anche se vorrei farlo. -Vi direi che vi voglio bene. Solo che vi voglio bene.

Cerco un suo sorriso, ma incontro una testa che non guarda più verso di me.

-Scusa.- borbotta.

Scuoto la testa. -Non fa niente, vado a prenderti una coca-cola che ne dici?

Ray a quel punto torna ad incrociare i miei occhi e i suoi stanno brillando, il sorriso mi si apre ancora di più sul viso e quel pensiero mi fa arrossire e mi confonde.

-Una coca-cola in arrivo.- affermo, senza il bisogno che lui me lo dica.

-Una anche per me!- grida Emma, mentre io esco dalla stanza.

Melissa mi saluta mentre compongo il numero della lattina sulla macchinetta ed è allora che vedo l'anello al dito. Lei ci aveva detto di avere una moglie. Oh.

~~~

Note dell'autore: okay posso finalmente dire che si entra nell'arco narrativo della relazione tra Emma, Ray e Norman, con un Norman che ha ancora tanto da capire. Non gli ho fatto fare quei commenti omofobi per renderlo odioso, ovviamente non penso nulla di quello che dice Norman (spero non ci fosse bisogno di specificarlo), ho solo provato a pensare come avrebbe potuto pensarla un bambino venuto da Grace Field, e non è stato neanche così difficile, visto che la nostra società tende a mandarci questa idea di "normalità" nell'eterosessualià. Per qualcuno farsi una propria idea scevra di pregiudizi è più difficile che per altri, questo non rende le parole e le future azioni di Norman giustificabili, ma da un quadro completo e più umano.

Su Isabella avrei tanto da dire è uno di quei personaggi che ho trovato geniali nel canon, che vorrei odiare ma di cui mi è stata mostrata tutta poi la loro umanità. Continuo a pensare che la relazione con Ray fosse caratterizzata da abusi psicologici, e il fatto che a sua volta Isabella avesse avuto a che fare con traumi non può giustificare quello che ha fatto a tutti i bambini. Però è facile valutarla dall'esterno, le persone spesso non sono del tutto buone o cattive, per citare Sirius Black: "tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi, l'importante è come scegliamo di agire" (più o meno era così). E io non riesco ad avere un'idea univoca di Isabella. Spero davvero che la storia stia piacendo a chi la sta leggendo o la leggerà.

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Capitolo 6
*** VI. Ray ***


WARNING: non ci sono warning da fare particolari, ci tengo solo a precisare che quando Ray dirà che la sua salute mentale è "solo" uno squilibrio chimico, non sta assolutamente (né tantomeno lo sto facendo io come autore) riducendo l'importanza, l'impatto sulla vita di qualcuno, o la gravità delle malattie mentali. È semplicemente il tentativo di Ray di riprendere il controllo sui suoi pensieri. Buona lettura!

-

Avevo desiderato una vita diversa. Una vita che non era la mia. Eppure la loro risata mi piaceva.

-Allora Ray, come ti senti?

Allento la tensione con le mani, tirando e torcendo la manica della felpa che mi hanno portato questa mattina. -Io… non so se sono pronto per tornare a casa.

Melissa sorride piuttosto spesso, all'inizio la trovavo irritante con quella sua calma rilassata, nulla di ciò che dico pare turbarla davvero, eppure sa sempre le cose giuste da dirmi. -Perché dici così? Ieri sembravi emozionato all'idea.

-Lo so.- odio questo suo modo di ricordarmi le cose, se c'è una cosa che ho e certe volte vorrei non avere è la memoria, odio l'idea che ricorderò tutta la vita ogni cosa di quello che mi è successo. -È che finalmente stiamo bene. Io, Norman ed Emma. Era tanto tempo che non stavamo così, possiamo parlare di tutto e stiamo imparando a non sommergerci con cose che potrebbero farci del male. Ma… e se tornassi e poi stessi male di nuovo? Torno ed è tutto uguale. Se… se smetto di mangiare e ricomincio a farmi male?- mi afferro le braccia con le mani per fermare i tremiti -Norman tornerebbe anche lui a stare come stava prima? Io solo… forse non sono ancora pronto…

La dottoressa fa questa cosa quando vado nel panico, fa un respiro profondo e io per riflesso la imito e anche se non finiscono i tremiti o la sensazione di soffocamento rimane lì nella gola, ricomincio a respirare. Non sto morendo, le cose andranno meglio. Inizierò a crederci.

Poi si sporge a guardarmi. -Ray, questa è solo paura. È normale che tu abbia paura di tornare alla tua vita dopo quello che è successo. Ma so che sei pronto. Sei stato qui molto a lungo, un mese, non posso tenerti di più. Se però non pensi che tornare sia la cosa migliore c'è sempre la possibilità di ricovero in una clinica.

-Ma hai detto che non me lo consigli.- abbasso il capo concentrandomi su quello che posso controllare, il respiro, che calma il battito del cuore, e poi ricordo che la paura è solo nella testa, che è tutto solo uno squilibrio chimico, posso diventare più forte. C'è riuscita Anna, posso riuscirci anche io.

Melissa annuisce. -È vero, non te lo consiglio. Per voi la famiglia viene prima di tutto quanto, stare in clinica significa prendersi tempo per sé stessi, avere un isolamento dal mondo fuori. Da quello che ho potuto vedere i più grandi miglioramenti li hai fatti con la tua famiglia vicina. Non per tutti un ricovero in clinica è la soluzione migliore. E per te non penso lo sarebbe, però rimane una tua scelta.

Conto. Uno, due, tre, quattro. Dentro. Uno, due, tre, quattro. Trattengo. Uno, due, tre, quattro. Fuori. Melissa ha ragione, la prima volta che sono riuscito a mangiare senza sensi di colpa dopo tanto tempo è stato con Norman, Anna e Zack, stavamo chiacchierando e il tempo è semplicemente passato. Poi mezzo piatto è diventato uno intero al giorno. E ora ne mangio due, ho una dieta da seguire, una dieta che porterò a casa e che aiuterò a cucinare, tutti quanti hanno deciso di seguirla insieme a me. Loro vogliono solo che io torni.

-Pensavo.- Melissa si alza e mi prepara qualcosa da bere, lo fa spesso, è passata anche più volte a trovarmi nella mia camera, non è come gli altri Ratri che si occupavano di noi solo per responsabilità, lei sembra tenere a noi in una qualche maniera. -Perché non provi a fare qualche cambiamento?

La guardo confuso. -Cambiamento?

-Sì, sai, ridipingi il muro della tua camera, cambia i mobili. Attività da fare con la tua famiglia. Creati un nuovo spazio che non è quello che hai lasciato. Che ne pensi? Potrebbe aiutare?

Sorrido, più di quanto vorrei ammettere, sento le guance indolenzite tanto sono felice all'idea di quello che mi sta aspettando a casa mia. Guardo il comodino dietro la sua scrivania, lì dove c'è il portafoto con lei e la moglie il giorno delle loro nozze, hanno dei bei sorrisi, chissà se uno simile lo avrò mai. -Emma vuole che dormiamo insieme… è stato Norman a proporlo, a dir la verità. Vorrei che andassimo nella camera di Emma, non l'ho ancora chiesto, ma quella camera mi piace, ci sono tutti i disegni sulle pareti e alcuni sono tristi, ma in altri c'è tutta la nostra famiglia. Noi… penso che noi dormiremo nello stesso letto…- esito, Melissa sorride e basta, lei sorride sempre e basta -Pensa che si strano?- mi mordicchio un'unghia per la tensione.

Per la prima volta il sorriso le scivola via, per la confusione suscitata dalla mia domanda. -Strano? Cosa dovrei trovare strano?

-Beh noi… so che siamo cresciuti insieme, ma nessuno dei nostri fratelli dorme con un altro, cioè tranne Lannion e Thoma, ma loro è per gli incubi. È solo… che forse è diverso il motivo per cui noi vogliamo dormire insieme. Non so se riesco a capirlo. Mi fa solo sentire così… strano, felice? E forse è strano.

La guardo, Melissa mi sta studiando, ha un atteggiamento tutto suo quando è concentrata a capirmi, inclina la testa un po' da una parte e picchietta un indice sulla guancia. -Tu pensi che sia strano il vostro bisogno di vicinanza fisica?

Mi blocco, perché mi rigira sempre così le domande? -Non dovrebbe esserlo?

-Non è la mia domanda.- sorride a metà.

-No.- sospiro sconfitto -Non penso che sia strano, io ho sempre vissuto solo per loro due. E anche se ora ci sono tutti gli altri, loro rimangono speciali per me. Mi hanno fatto amare la mia vita, quando odiavo ogni altra cosa. Sono tutto per me.

-Anche io ho notato il modo in cui vi comportate voi tre. È davvero difficile non notarlo. Sai cos'è l'intimità emotiva?

Tentenno di disagio e confusione. -Tipo il… volersi bene?

Melissa ride. -No, quello è affetto. L'intimità emotiva nasce dalla condivisione di emozioni e sentimenti reciproca, è una connessione intima tra le persone. Che è diversa dall'intimità fisica.

-Che è quando ci si tocca di continuo?

-Qualcosa del genere.- acconsente lei con un sospiro divertito -Quando due o più persone sono in intimità hanno una connessione profonda a legarle, e può essere emotiva o fisica. Ecco quello che vedo io in voi sono queste due profonde connessioni. Vi ricercate costantemente a vicenda e siete a vostro agio gli uni con gli altri. Certe volte ho l'impressione che a unirvi ci sia una bolla, l'ho visto già la prima volta che ho parlato con Norman ed Emma. È un legame molto bello quello che avete, Ray, che si è fatto pericoloso quando Norman ha sviluppato meccanismi simili ai tuoi. Però avete trovato un buon equilibrio. Quindi no, non penso che sia strano che vogliate dormire insieme, questa, Ray, è intimità fisica. Sono sicura che vi farà bene, se imparerai a non basare il processo di guarigione su di loro.

Annuisco. -Non lo farò.

-Bene, allora da cosa nasce questa idea che ci fosse qualcosa di sbagliato?

Mi muovo a disagio sulla sedia, guardo di nuovo la foto di Melissa e sua moglie. -Come si chiama?- chiedo indicandole.

Lei si muove seguendo il mio sguardo e il sorriso che si apre sul suo volto è diverso da quello nella foto, è troppo intimo perché io possa continuare a fissarlo. -Diane Ratri. Quando ci siamo sposate ho scelto di prendere il suo cognome.

-Oh… mi dispiace per la domanda.

-Non devi scusarti. Se non avessi voluto rispondere non lo avrei fatto. Perché mi hai chiesto di lei?

Non la guardo, mi fa sentire sempre scoperto, ed è una sensazione scomoda, soprattutto in quel momento. -Anche Violet sta con una ragazza. Lei fa parte della mia famiglia, anche se non viene da Grace Field. Pensi che sia più normale essere etero?

Melissa sembra rifletterci un attimo. -Bizzarra scelta di parole. Pensi che sia più normale essere biondi?

Rimango interdetto. -No?

Annuisce come se si fosse aspettata quella risposta. -Sai che qui in questa zona ci sono più biondi che persone castane o corvine?

-Lo avevo notato a scuola.

-Quindi concorderai con me che il fatto che siano più comuni i capelli biondi, non li rende più normali.

Non riesco a capire il punto di tutta quella questione. -Qui però non stiamo parlando di capelli.

Lei ride, Melissa ride piuttosto spesso, ma non è come se mi facesse sentire a disagio o giudicato, per qualche ragione la sua risata mi rilassa. -No, hai ragione. Qui si parla di orientamento sessuale. Sai cos'è, Ray?

-Beh è lo spettro di attrazione di un individuo verso uno o più generi o sessi.

-Sei preparato.- mi stringe l'occhio e sorrido -Allora, se rimaniamo con la logica dei capelli, perché nessuno può scegliere il proprio colore naturale, anche se lo può tingere volendo, pensi che essere etero o cisgender, che è diciamo più comune, rende le persone LGBT anormali? O strane?

Ho letto in biblioteca di questa sigla, al giorno d'oggi ormai poco usata, grazie ad una società improntata all'apertura rispetto al diverso e che rifiuta le discriminazioni. Eppure tutto questo è stato il frutto di battaglie e sofferenze. -Immagino di no. Per me non è strano che Violet sia lesbica, o che tu abbia una moglie.

Melissa si sporge verso di me, appoggiando il mento alle mani. -Okay, quindi il punto è qualcuno che conosci che lo pensa?

-Certe volte sembri un indovino.- sorrido leggermente imbarazzato.

-Me lo dicono in molti.- stringe le spalle e continua a sorridermi -Quindi?

Sospiro. -Norman. Norman ha detto che è strano. Che essere etero è più normale. Non mi è piaciuto. Non capisco perché pensa questo.

-Gliene hai parlato?

-Sì. Gli ho detto che allora se io o Emma fossimo… insomma non etero, lui cosa ci avrebbe detto?- tremo un po', sento sempre una stretta all'esofago ogni volta che ricordo quel momento, mi è sembrato così importante, vorrei solo capire il perché. -E lui ha detto solo che ci avrebbe voluto bene. Ma non mi basta.

Melissa annuisce. -Cosa volevi in più?

Apro la bocca, ma non so cosa voglio dire, non so cosa volessi in più. Volevo che Norman vedesse la mia paura, vedesse quanto quello fosse stato importante, ma lui non lo ha visto. -Non lo so. Forse è perché non se lo è rimangiato. Sono felice che mi vorrebbe bene comunque, ma erano solo parole quelle. Penserebbe che sono anormale, se… se per esempio lui mi piacesse? È che per me era importante quel discorso e lui non lo ha capito.

-Ray, cos'era importante di quel discorso per te?

Mi prendo la testa tra le mani e mi tiro i capelli per lo stress di non riuscire a mettere ordine trai miei pensieri. -Io non lo so.

-Hai detto che lui potrebbe piacerti? È così che ne hai parlato con lui?- mi incalza lei.

Io mi irrigidisco. -Cosa? No, certo che no. Era… è un esempio che ho fatto adesso. Solo un esempio.- lascio cadere le mani, il cuore che mi batte a mille nel petto.

-Va bene, era solo un esempio. Ma tu penseresti di essere anormale?

Scuoto la testa, dovrebbe essere una domanda semplice. -Non ci ho mai pensato.

Lei mi invita ad approfondire. -A cosa?

-Al se non fossi etero. Nel senso- rido un po' -è normale che non ci abbia mai pensato, avevo tante altre cose a preoccuparmi. Cose più importanti. Anche qui.

-Però ci hai pensato quando Norman ha detto quello che ha detto? O volevi solo che riflettesse in generale?- mi scruta e io sto per mentire, ma lei mi anticipa -Puoi essere onesto, ricordi? Questo è un posto sicuro. Non ne parlerò con nessuno. E non c'è giudizio. Qualsiasi fosse il motivo Ray, hai detto tutte le cose giuste a Norman, lo sai?

Annuisco e tiro un lungo respiro. -Io sì, ci ho pensato. Ho pensato davvero che… non so se sono etero. Alla fine non sono diverso da lui, anche io lo avevo dato per scontato.

Melissa mi sorride quando torno a guardarla, non mi giudica, non mi giudica, non mi giudica… -Oh no, tu non sei come Norman. È vero lo hai dato per scontato, perché siete vissuti in un mondo molto diverso da questo qui. Non c'è niente di male. Avete esperienze del tutto differenti. E non è colpa di Norman pensare quello che pensa, sono sicura che non volesse ferirti. Ray, ricordi il compito dell'altro ieri?

-Quello sulle emozioni?

-Sì, voglio che tu faccia una cosa simile mentre starai a casa. Quando tornerai, voglio che tu provi a pensare a questo di cui abbiamo parlato ora. Prova ad esplorarti okay? Non devi avere una risposta necessariamente, prova solo a pensare a cosa significa quando ti piace qualcuno. Pensa al sentimento dell'amore e alla prossima seduta ne riparliamo. Che dici?

Avevamo iniziato a parlare delle diverse emozioni e dei diversi sentimenti, Melissa crede che possa aiutarmi riuscire a catalogarli, ma ogni volta che ci provo lei ride, perché sono troppo analitico. -Va bene se leggo qualche libro? Magari potrebbe aiutarmi.

Lei batte le mani felice, ogni tanto mi ricorda Emma. -Perfetto! Allora puoi leggere e se volessi potresti anche parlarne con qualcuno. Per ora che sei così confuso ti consiglio non con Norman, ma è, appunto, solo un consiglio. Sono sicura che anche lui capirà quando gliene parlerai.- mi chiedo di cosa stia parlando nello specifico, perché so che c'è dell'altro in quelle parole, tuttavia non chiedo, sicuramente prima o poi ci tornerà, avrò le mie risposte solo quando lei deciderà di darmele. -Però puoi parlarne con Emma, che ne pensi?

Ci rifletto, anche ad Emma non ha mai fatto strano. Forse potrei davvero parlare con lei. -Ci penserò.

-Benissimo, allora, ti va di parlare di Isabella adesso?

Annuisco con un sospiro, però sorrido, ogni tanto pensare a mia madre mi fa anche sorridere. -Sì…

Dopo la seduta in camera trovo già Norman che ha radunato le mie poche cose in uno zaino e mi fa un mezzo sorriso, archivio in una parte lontana della mia mente il ricordo in cui io e Melissa parliamo della litigata di più di una settimana fa, così come il compito che mi ha affidato. In quel momento mi concentro su Norman che mi sorride con il mio zaino in spalla e mi fa cenno di uscire. Firmiamo per farmi dimettere, fuori il sole è freddo e di un giallo pallido. Emma ci sta aspettando con il sorriso sulle labbra, mi abbraccia appena mi vede e mi copre con la sciarpa. Il treno verso casa è quasi vuoto, prendiamo dei posti vicino al finestrino e guardo il paesaggio scorrere, mentre noto Norman sistemarsi accanto ad Emma, che mi sta davanti, invece che al mio fianco. Nasce in me una scomoda tristezza, un magone al centro del petto, che sopprimo con un sorriso verso il ragazzo.

Lui ricambia. -Nervoso?

Triste, vorrei dire. Non lo faccio, ora Norman non capirebbe. -Un po'.

Emma ci fissa entrambi con la sua espressione di gioia. -Prometto che non ne hai motivo. Ho parlato con tutti i bambini, saranno buonissimi. Ma sei mancato a tutti, quindi se piangeranno vedi di consolarli.

Rido contenuto, appoggiando la testa al vetro e tornando a concentrarmi sull'esterno, sul profilo delle montagne e le tracce della neve e del ghiaccio di quell'inverno ancora non del tutto assorbito dalla primavera. -Anche a me è mancata casa.

Quando il treno si ferma a prenderci alla stazione desolata ci sono Don, Gilda, Anna, Thoma e Lannion. È allora che arriva la paura, è gelida e irrazionale ed è una voce che mi sussurra che non mi vorranno con loro, che mi odiano per tutto quello che ho fatto, che, se accetteranno la mia presenza, io li ferirò ancora perché non sono capace di fare altro. Indietreggio di un passo, Melissa si sbaglia, non sono più forte di questa voce. Questa voce è tutto ciò che ho avuto per anni, non sono in grado di vincere. Emma è accanto a me, mi prende la mano, piano con la sua, e Norman ferma la mia retromarcia con un palmo sulla mia schiena. Non mi spingono avanti. Ma non serve, perché è Anna la prima a venire verso di me.

Mi abbraccia, devo piegarmi per poter stare alla sua altezza. -È bello riaverti a casa. Ti abbiamo aspettato tanto, fai con calma va bene?

Forse non potrò vincere da solo, ma con loro sì. Ricambio la stretta e inspiro forte contro la sua spalla per calmare il cuore che batte veloce nel petto. Don mi da solo una pacca sulle spalle veloce, mentre Gilda mi afferra e mi lascia un bacio su una guancia per poi darmi un pizzico.

-Vedi di parlare se c'è un problema, signorino. Non iniziare a fare come Emma.

L'altra ragazza è presa alla sprovvista, vedo le sue guance che si tingono di rosso. -Gilda!

Gilda la guarda truce, ma poi gli occhi le si ammorbidiscono e sorride abbracciando sua sorella. -Stupida ragazza.

Thoma e Lannion mi danno dei mezzi abbracci rapidi, mentre ci avviamo verso il Villaggio.

-Preparati i bambini volevano festeggiare in grande.- mi avverte Lannion, la voce è diventata grave quasi tutta insieme, fa impressione sentirlo parlare, una mattina si è svegliato e non sembrava più lui.

Thoma ride. -Jemima ha pianto tutto il giorno.

A casa c'è calda gioia e aria di festa. L'odore della torta rustica di Oliver e Gilda riempie il mio naso appena varco la soglia dello chalet numero uno. Ci sono striscioni colorati, addobbi natalizi, di halloween e coriandoli di carnevale ovunque. Sulla tavola è sistemato il servizio buono, che è semplicemente l'insieme dei diversi piatti e bicchieri non completamente scheggiati e crepati dalla furia dei più piccoli e dagli incidenti di Emma. Nel camino scoppietta un enorme fuoco che ha distribuito cenere su tutto il salotto, accanto alla sala da pranzo. È Chris a dare l'annuncio del nostro arrivo, sale sul tavolo con i suoi antiscivolo rosa a strisce e grida richiamando l'attenzione dei fratelli. Poi ci sono tutti. Jemima, Yvette, Shelly e Phil piangono e ci corrono incontro aggrappandosi a me, i visi sporchi di quel loro pianto. Li abbraccio, sono diventati grandi così in fretta, Phil probabilmente una volta cresciuto supererà persino me. Dopo aver consolato tutti, mi avvicino a Chris e lo sollevo leggermente con un braccio per farlo scendere.

Lui mi abbraccia, la voce leggermente liquida quando mi sussurra nell'orecchio: -Ti voglio bene.

E la verità è che gliene voglio anche io, a tutta la mia famiglia. Certe volte non ci sono neppure i sensi di colpa, accarezzo loro semplicemente la testa e mi chiedo come sarebbero andate le cose se Norman ed Emma non mi avessero ingannato, se non li avessimo salvati tutti quanti. Ringrazio per aver avuto torto. Poi ci sono gli altri, a circondarmi di troppo amore e troppe attenzioni per una sola sera. Zack ci salva, mentre anche Norman ed Emma sono sommersi di attenzioni da parte dei più piccoli di noi.

Il ragazzo entra con le prime porzioni in mano. -Tutti a tavola!- i bambini si disperdono andando a prendere la loro parte in fila, Zack intanto si sposta e viene verso di me. -Allora, Ray, che dici te la senti?

Tiro un respiro e un mezzo sorriso. -Certo.

E accanto a me ci sono subito Emma e Norman, con la felicità tra le piaghe del viso e l'affetto nei piccoli gesti. Tutta l'aria di festa si trasforma nella confusione a cui sono abituato ed è piacevole, anche se improvvisamente mi sento stanco tutto insieme.

Emma e Norman stanno ancora, come molti altri, mangiando i cupcakes fatti come dolci, nel momento in cui mi sporgo verso di loro. -Vorrei andare in camera.

Emma diventa inspiegabilmente rossa. -C… certo.

-Tutto okay?- la guardo interrogativo.

-Ovvio.- esclama veloce -Magari uno di noi due è meglio se rimane a dare…

Gilda la interrompe subito. -Questa sera ci pensiamo noi, andatevi a riposare.- ci lancia una veloce occhiata, alla quale nuovamente Emma arrossisce.

Questo corridoio mi sembra di non percorrerlo da tanto tempo, le porte delle nostre camere una di fronte l'altra. Allungo una mano verso quella dove ho dormito fino a questo momento, fino a prima del ricovero, è solo dopo un lungo sospiro, che mi da un po' di coraggio, che riesco ad aprirla. Dentro è tutto come l'ho lasciato, sento gli sguardi di Emma e Norman su di me. Prima che possa ripensarci faccio quello che mi ero ripromesso fin da quando ho saputo che avrei lasciato l'ospedale. Sposto la scrivania e da lì tiro fuori due taglierini e un coltellino svizzero, neppure ricordo quando li ho comprati. Non li guardo, ignoro quella parte della mia mente che mi implora di fermarmi, vado da Norman e allungo le mani tremante. Lui li afferra subito senza esitazioni e se li mette in una tasca. Io non cerco gli occhi di nessuno dei due, non voglio sentire i loro sguardi più di quanto non li stia sentendo già adesso. Ho paura del giudizio che incontrerei, della sofferenza che potrei aver causato loro, di nuovo. Basta. È un sibilo con cui continuo a ripetermi che sono più forte. Poi vado verso il letto e prendo il mio pigiama, supero i due ragazzi che mi aspettano davanti all'entrata della stanza, per poi varcare la porta della camera di Emma e posare la maglietta e il pantalone sul suo grande letto. Guardo i disegni sulle pareti che si vedono appena con la scarna illuminazione delle luci della casa. Mi avvicino e ci passo sopra le mani, la carta sotto le mie dita fa rumore, scricchiola.

-Dormiamo insieme.- non è una domanda, forse neppure una richiesta. Probabilmente li sto solo pregando. Pregando di non mandarmi di nuovo a dormire da solo in quel letto freddo.

Emma arriva dietro di me, e il suo abbraccio con cui mi fascia i fianchi è fuoco nell'anima. Brucia in un punto preciso tra esofago e stomaco, è quasi doloroso. -Certo che sì. Non ti faccio più andare da nessuna parte.

Ora mi volto e guardo Norman, ha gli occhi un po' persi, lui è sempre stato troppo intelligente, troppo lontando dal mondo vero o forse troppo dentro. Ci sta osservando entrambi, ma non è come se vedesse davvero noi, le sue iridi azzurrine accarezzano le nostre figure abbracciate e si perdono in meccanismi impossibili da vedere. È serio, si è fatto così distante. Da me.

-Norman?

Lui a quel punto alza lo sguardo ad incrociare il mio, c'è un sussulto in lui, un rifiuto, ma poi torna solo la calma dentro cui ci ha sempre amato. -Sì, Ray. Dormiamo insieme.

Spengiamo le luci e ci mettiamo il pigiama, nella stessa camera senza guardarci. È comunque tutto troppo intimo, troppo all'improvviso. Poi invece è solo naturale. Sotto le coperte siamo in tre, Emma in mezzo a noi, sfiorandoci appena, mentre le anime si sono strette già molto tempo prima. È lei a prendermi una mano tra le sue e in silenzio lentamente inizio a scivolare tra le tenebre del sonno, per la prima volta, non c'è paura per il buio che mi aspetta. Solo l'aspettativa di una mattina in cui mi alzerò e loro saranno lì nel momento in cui aprirò gli occhi. Insieme. Sembra passato così tanto tempo.

-Buonanotte.

Un attimo prima di addormentarmi mi chiedo perché Norman non sia vicino a me. Ma è già troppo tardi per una risposta.

~~~

Note dell'autore: okay aggiorno con un giorno di anticipo perché domani ho alcuni impegni e sarei finito a non pubblicarlo affatto prima di giovedì, ma ci tenevo. Prima di tutto vorrei dire che spesso le malattie di una persona possono intaccare anche chi sta intorno, non è colpa di nessuno, ma come Norman qui ha iniziato con meccanismi malsani, purtroppo è qualcosa che può succedere a chiunque. Quindi se siete vicini ad una persona con un disturbo di natura mentale, non pensate che la vostra sofferenza è da meno, è solo diversa, ma merita ascolto e rispetto. Quindi come tutti coloro che sono in difficoltà fate riferimento su qualcuno, che sia un amico, un familiare, un terapista, un conoscente di cui vi fidate abbastanza.

Con concludiamo un arco narrativo ed entriamo nell'ultimo. Tre capitoli alla fine della storia, è triste pensarci. Devo dire che se c'è una cosa per cui mi piace scrivere di loro è l'intimità che posso creare, anche vedendo l'anime o leggendo il manga, il rapporto tra loro tre mi ha sempre affascinato, è di quelli che si vede sono per la vita, a prescindere da questo in cui ho inserito l'elemento romantico (perché è qualcosa di cui mi piace scrivere). Il discorso di Melissa sull'intimità è esattamente quello che penso ogni volta che loro si rapportano gli uni con gli altri, all'inizio in realtà doveva rimanere una relazione fraterna, però ho voluto comunque azzardarmi a scrivere qualcosa di più. Spero vi piaccia come è piaciuto a me scriverla. Se volete recensire sarei contento di ascoltare pareri!

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Capitolo 7
*** VII. Emma ***


WARNING: riferimento ad un tentato suicidio.

-

Li avevo amati ancora prima di capire il nome di quei sentimenti.
L'estate si infiltra nelle ultime giornate primaverili senza davvero chiedere il permesso. Le ore di luce diventano più lunghe, ma finché non vedo che alle otto c'è ancora un po' di sole nel cielo, pronto a sparire oltre le montagne, non ci faccio davvero caso. La primavera non si fa sentire davvero, è solo quel momento poco prima dell'estate e poco dopo l'inverno. Quando c'è ancora neve a terra non sciolta e poi una mattina il sole brucia più di prima e il bianco diventa acqua di torrenti. Sotto l'ombra fa troppo freddo per non avere la felpa, ma sotto il sole la pelle potrebbe staccarsi. Norman la settimana scorsa, l'ultima di scuola, si è scottato tutto il viso, ha ancora le tracce nella pelle che gli si è screpolata. Ray lo ha preso in giro, ma poi è lui ad averlo medicato ogni sera con le creme che ha comprato Anna.

La scuola finisce in un turbine di gioia per i più piccoli e disperazione per noi più grandi che dovremmo tenere impegnate tutte le loro giornate. La cosa buona è che loro si accontentano dei più insignificanti lavori di casa, fintantoché che gli concediamo i pomeriggi di gioco libero. Acchiapparello rimane l'attività più quotata, e si divertono a scappare da Norman più che da chiunque altro. Solo qualche volta però alcuni di loro si spaventano, per dei ricordi che io non vedo ma conosco. L'anziano signore con cui ho vissuto viene spesso da noi, è stato solo tanto a lungo, eppure gli piace il rumore della nostra famiglia. Insegna ad alcuni di noi ad intagliare il legno, a camminare sui sentieri di montagna e ogni tanto li porta a vedere le zone più tranquille di un vecchia riserva dove dice che si possono vedere i lupi. Ayshe da quando lo sa ci si reca ad ogni occasione utile, una volta dice di aver trovato delle tracce ma non ne hanno ancora visto neanche uno di esemplare. Io, Norman e Ray spesso aspettiamo la notte, rimaniamo appoggiati al tronco di un albero, finché le stelle diventano l'unica illuminazione, oppure passeggiamo, anche a cavallo da quando ci hanno dato lezioni. Norman continua a seguire a scuola delle lezioni supplementari per l'università, Ray invece va a terapia due volte alla settimana, io sto a casa con i più piccoli, loro chiedono sempre tante attenzioni e a me piace così. Per ora non pensiamo al futuro, a cosa succederà quando saremo tutti grandi, soprattutto a quando gli altri saranno grandi. So che io, Norman e Ray, come probabilmente molti degli altri, non lasceremo questo posto, l'integrazione in una società sconosciuta non è qualcosa che ci accadrà mai, ma trai più piccoli c'è chi vuole lavorare nel settore della moda, chi vuole insegnare, chi vuole diventare architetto o medico. Alcuni andranno a vivere chissà dove, noi non ne parliamo, perché dopo tanto tempo pensare di separarci è qualcosa che pesa a tutti quanti.

Violet oggi ha invitato per la seconda volta Ruth da noi, la ragazza arriva vestita con una gonna troppo corta per le temperature non poi così alte, stivaletti neri e calzamaglie a rete, sopra una maglietta a maniche lunghe con le spalle lasciate scoperte. Non si tengono per mano, ma solo a vederle c'è qualcosa lì tutt'intorno a loro. Cerco con lo sguardo Norman che deve rientrare dalle sue lezioni, e tiro un sospiro di sollievo nel non vederlo, ci sono cose di cui dovremmo parlare prima o poi, come del suo atteggiamento così bizzarro che sta facendo soffrire Ray, anche se non lo dice.

-Ciao, Ruth.- corro loro incontro salutandole.

Violet lancia un'occhiata al libro che ho in mano. -Ancora a quel libro stai tu? Lo stai per caso leggendo sottosopra?

Certe volte mi ricorda Ray in modo quasi fastidioso, le faccio la linguaccia. -Vi odio tutti, è una palla mortale.

Ruth ride. -Di che parliamo?

-Orgoglio e pregiudizio.- rispondiamo io e Gilda in contemporanea con due toni di interesse diametralmente opposti, come faccia ad amare una cosa simile lo sa solo lei.

Gilda mi fa un ghigno storto. -Insomma un prodotto di prima qualità di Grace Field che non riesce a finire un libro. Lo ha letto persino Ray.

-Lo so! È assurdo che sia riuscito a finirlo! Norman lo ha trovato addirittura interessante.- mi lamento.

Ruth se lo fa dare e lo sfoglia. -Effettivamente è terribile.

Poi un gruppo di bambini la assale per salutarla, c'è Damdin che ai suoi quasi nove anni, le sventola la mano paffutella. -Ciao, amica di Violet! Com'era che ti chiamavi?

-Ruth.- ride lei e gli accarezza la testa -E io e Violet stiamo insieme.

-Bello!

-Vi siete già baciate?

-Come lo sapete che state insieme?

-Anche io vorrei una fidanzata. O un fidanzato, potrebbe piacermi!

Afferro Violet con un braccio, mentre la sua ragazza si districa tra tutte le invadenti curiosità dei più piccoli.

Le faccio un sorriso. -È bello che sia venuta, come va tra voi?

Violet arrossisce, lei non parla mai molto di sentimenti. -Lo è, vero? Dice che le piacciono i miei fratelli. E che siamo una bella famiglia, lei è figlia unica, quindi viene volentieri.

-Beh se rimane a cena, e volete stare un po' in disparte, possiamo pensare a qualcosa. I bambini aiuteranno volentieri.- propongo.

Ray arriva dietro di me, sento la sua presenza fin nelle ossa. -È un'idea fantastica. È lei Ruth?

La ragazza interpellata sorride, uno dei piccoli già in braccio. -In persona. Tu sei?

-Ray. Non ero qui la scorsa volta, è un piacere conoscerti. Sono davvero felice di poterti incontrare finalmente.

Gli do una spallata. -Non essere così formale. Ha quasi la nostra età.

Ray arrossisce e borbotta. -Non era così formale.

Sto per aggiungere qualcosa, quando Oliver viene verso di noi per prendermi da parte. -Emma, puoi venire un attimo? C'è un problema con Jules.

Sospiro e mi congedo in fretta seguita da Ray che mi viene dietro fin dove ci conduce Oliver. Jules è in una delle camerate dello Chalet cinque, ognuno ha dei grandi come responsabili. Allo Chalet uno i responsabili sono Don, Gilda e Violet, allo Chalet due Anna, Zack e Sandy, allo Chalet tre io, Norman, Ray, nel numero quattro ci sono Paula, Gillian e Nigel, mentre dello Chalet cinque si occupano Oliver, Pepe e Sonia. I piccoli per ogni Chalet sono un po' meno dieci e per lo più dormono in due camerate da cinque, ma ci sono abbastanza stanze inutilizzate per quando inizieranno a richiedere il loro spazio. Ogni Chalet è pensato perché dormendo in due in ogni stanza si possa arrivare ad un massimo di quattordici persone. Lo Chalet cinque ha le camere al piano terra a differenza degli altri e sopra si trova una sala ricreativa poco utilizzata e i bagni. È lì che ci porta Oliver dove i bambini, davanti alla porta, strillano ad alta voce. Quando arriviamo c'è Elen a parlare con alcuni dei più piccoli, Jules, in piedi accanto a lei, ha addosso solo i pantaloncini e sul viso lacrimoni e una smorfia con cui cerca di mascherare il suo pianto.

Mi avvicino e prendo Jules in braccio. -Cosa succede?- domando con un ampio sorriso sul viso, piegandomi senza lasciare il piccolo che mi si è aggrappato al collo.

La maggior parte dei ragazzini presenti vanno dai sei ai dodici anni, Elen di dodici è tra le più grandi e spicca in altezza rispetto ai fratelli.

-July voleva entrare a fare il bagno insieme ai maschi!- esclama Jasper.

Jules ha la fronte aggrottata. -Non chiamarmi così.

Elen, che è sempre gentile e cauta, si piega su Jasper. -È brutto chiamare una persona con il deadname* te l'ho detto. Lui si chiama Jules.

Greta ha sempre la voce troppo simile ad uno strillo. -Ma non ha il cosino dei maschi. Non può lavarsi con loro.

Le accarezzo la testa. -Capisco che siate confusi, ma avete fatto piangere Jules, non è una cosa bella da fare. Il fatto che il suo corpo sia un po' diverso è un problema così grande? Tanto da quel che so Jules si lava con le mutandine, non è vero?- mi volto a guardarlo, accarezzandogli la schiena.

Lui annuisce. -Sì.

-Possiamo fare che ci laviamo a gruppi, che ne dite? Se qualcuno degli altri maschi, non si vuole lavare con Jules non deve per forza. Ma siamo tutti quanti fratelli qui, no? Siamo in famiglia, ed è importante ascoltarci e capirci a vicenda.

Phil si avvicina, lui in realtà dorme nello Chalet tre insieme a me, ma ogni tanto i bambini vogliono farsi il bagno insieme. -Per me non è un problema. Possiamo fare il bagno insieme, ti va Jules?

Gli bacio una guancia e poi do un bacio anche a Jules che ha finalmente smesso di piangere. Phil gli allunga una mano che il bambino più piccolo stringe immediatamente. Dopo Phil molti degli altri dimenticano qualsiasi problema fosse stato sollevato precedentemente e chiacchierano mentre vanno a fare il bagno tutti insieme.

Elen mi fa un sorriso e mi abbraccia. -Grazie Emma.

Le accarezzo i capelli che ha lasciato crescere sulla schiena. -Ma di cosa. Tutto bene, sì?

-Mhmh.- certe volte sembra molto più grande della sua età -Era una stupidaggine, litigavano su chi dovesse andare prima visto che non sarebbero entrati in vasca tutti insieme, ma Oliver non sapeva come calmarli e ha fatto un po' un macello.

Mi volto verso il ragazzo che arrossisce. -Ce la mette tutta, ma c'è chi ha un talento naturale.- dico, strizzandogli l'occhio per allentare il suo imbarazzo. -Su se devi lavarti vai anche tu.

-Penso… penso che andrò dopo.- dice solo lei allontanandosi.

Scuoto la testa. -Puoi usare il bagno di un altro Chalet lo sai, no?

Elen fa un sorriso timido e corre via verso la sua stanza.

Io lascio ad Oliver il compito di assicurarsi che i piccoli non si affoghino a vicenda o che non allaghino tutto lo Chalet com'è successo due mesi fa, mentre con Ray usciamo sotto il sole e ci sistemiamo su una piccola porzione di prato in disparte. Mi lascio scivolare la testa sulle sue gambe incrociate e Ray porta una mano trai miei capelli.

-Sei stata brava.- inizia lui a voce contenuta, mentre osserviamo lontani da noi alcuni dei ragazzi giocare con i cani di Ayshe. -È bello come si fidino di te.

Certe volte è difficile convivere con la persona che tutti ricordano, altre semplicemente so di essere come quella Emma. Perché alla fine sono sempre io. -Io sono solo felice lo facciano.

-Beh è perché tu hai dato loro un motivo. Elen si fida tantissimo di te e nel vedere come sei con lei Jules si è fidato di te.

Di Elen so che era una delle bambine salvate da Goldy Pond, appena arrivati tutti nel mondo degli umani lei ha iniziato a chiedere che venisse usato quello come nome per riferirsi a lei e i pronomi femminili, per me non era mai stato un problema, anche tutti gli altri si erano adattati immediatamente. Dopo di lei alcuni mesi fa anche Jules ha espresso lo stesso desiderio, lui ha ancora otto anni e viene da Grace Field, nessuno lo ha obbligato ad indossare gonne o ad usare un genere femminile che non riesce a sentire come proprio. Siamo io e Oliver ad occuparci della mediazione con gli insegnanti, gli altri bambini a scuola non hanno mai dato fastidio a nessuno dei due, ma certe volte trai loro fratelli ci sono piccole liti da sedare, battibecchi derivati da incomprensioni.

Per me rispettare quelle richieste è solo rispetto verso di loro come persone e verso l'affetto che ci lega qui, Jules sorride tantissimo ogni volta che correggo qualcuno che sbaglia il suo nome o i suoi pronomi e Elen mi racconta dei suoi sogni che sono diversi da quelli di tutti gli altri, lei vuole iniziare la terapia per il cambio del sesso e poi operarsi. -Non so, penso sia normale comportarmi così con loro.

Ray ride. -Lo è, ma non è semplice per tutti. Hai visto Oliver? Lui ha le migliori intenzioni, ma non ha il talento che hai tu.

-Che vuoi dire?!- esclamo con una punta di imbarazzo a tingermi le guance.

-Solo che… beh sei speciale tu. Per me non fa differenza, sosterrò Jules come sosterrò Elen se vorranno fare la terapia di transizione. E finché la mia famiglia è felice che sia fidanzandosi con qualcuno o lavorando, rimanendo qui o andando via, sarò felice anch'io.- Ray ha una voce strana, sembra ferito dentro quella gioia -Tu però tutto questo riesci a dimostrarlo senza dirlo. Tu sei sempre rumorosa, poi le cose importanti riesci a dirle in silenzio.

Afferro la sua mano che sta trai miei capelli e la stringo. -Beh una cosa da dire però ce l'ho. Grazie, a tutti voi. Mi avete dato un posto nel mondo.

Ray si muove dietro di me. -Tu lo hai sempre avuto un posto con noi. Mi dispiace sia stato difficile vederlo.

-Macché. Sono qui, non importa tutto il resto.

Lui però sembra pensarla diversamente. -Sì che importa.

Guardo il cielo azzurro striato del bianco di poche nuvole. -A me vanno bene così come stanno le cose. Ho te e Norman, e tutti gli altri.

Ray fa una mezza risata, io alzo la testa a osservare quel momento di gioia sul suo viso e poi mi muovo per seguire il suo sguardo. Violet e Ruth chiacchierano all'ombra di un albero dove ci sono i campi, i visi così vicini che i nasi si sfiorano di tanto in tanto.

-Sono proprio belle insieme, non trovi? È… è la prima volta che lo vedo, mi chiedo che cosa si prova ad amare qualcuno così.

È strano che Ray parli di sentimenti, di solito lo fa solo se è Melissa a darglielo come compito, lui odia ragionare su se stesso, guardarsi dentro e ascoltarsi, dice che non gli piace quello che ha da dirsi.

Però ha proprio ragione quelle due sono davvero belle. -Penso anche io. Sarebbe bello avere qualcuno da amare così. Ma in fondo io ho te e Norman.- finché continueremo a sceglierci.

Ray si irrigidisce, sento il suo imbarazzo anche senza guardarlo. -Ma che dici, non… non è la stessa cosa.

-Chissà.- rido e basta, perché c'è tanto che potrei dire, ma non ora, ora ho Ray, così come ho bisogno di averlo e quando arriverà Norman avrò anche lui.

-E poi…- Ray è di nuovo triste -e poi è meglio così, a Norman non piacerebbe.

Stringo la sua mano ancora più forte, perché non è giusta questa sofferenza che ha nella voce. Mi alzo per dire qualcosa ma c'è Eugene che mi si è aggrappato addosso, Eugene con la sua vocetta flebile, i suoi sorrisi onnipresenti sul viso e poi gli occhi sfuggenti sotto la cascata di capelli.

-Emma. Vieni, vieni.- mi tira lui, sussurrandomi in un orecchio.

A Eugene piace essere preso in braccio se ci sono tanti bambini intorno a lui, gli piacciono le giornate di sole in cui può stare fuori a giocare con insetti e lucertole, gli piace andare nella foresta a cercare animaletti da guardare. E piange se un cerbiatto si fa accarezzare e mangia dalla sua mano.

Quindi lo sollevo in braccio e lui indica il campo di papaveri dove Anna e Gilda intrecciano ghirlande di fiori con Chris, Shelly, e altri cinque bambini. -Ray vieni?

Il ragazzo però si alza scuotendo la testa. -Penso che andrò a leggere.

Mi blocco, mi blocco perché per quanto Ray ora stia meglio non riesco a dimenticare che sia stato male, quanto lo sia stato. Apro la bocca e ho paura, perché qualsiasi cosa dirò lo ferirà e odio che sia ancora lui a dover soffrire. Mi fido di lui è della cosa nella sua testa che non mi fido.

Ray però mi anticipa, allunga una mano a toccarmi il viso. -Vado solo a prendere un libro e mi rimetto qui, ci metto pochi minuti.

Tiro un profondo respiro, di lui, di lui mi fido. -Bene così.- gli faccio un enorme sorriso e lo costringo a piegarsi per dargli un bacio sulla guancia -Scusami se…

-Va tutto bene.- poi abbassa la mano e sotto la manica i segni spuntano, lui li copre subito con le guance rosse di disagio. Anche se fa caldo continua ad indossare magliette a maniche lunghe ritrovandosi zuppo di sudore la sera, a me non importa di vederli, ma so che a lui ancora pesa.

Gli afferro piano il polso tra le dita. -Ti voglio bene.

-Anche io.

Poi Eugene mi richiama. -Emma. Andiamo, andiamo.

Gilda ed Anna ci salutano appena arriviamo e Eugene si fionda accanto a Chris a finire la sua girlanda. Mi siedo davanti alle due ragazze e parliamo, con la coda dell'occhio vedo Ray tornare con un libro e un block notes in mano e sistemarsi un po' più vicino a noi. Non riesco a mascherare un sorriso.

Naila mi riporta con l'attenzione da loro. -Diccelo, ti piace Ray?

Io sento le guance scottare. -Ma che dici.

Chris se la ride. -Ma è ovvio che sono praticamente fidanzati Nail.

Eugene alza la testolina confusa. -E Norman?

-Anche con lui!

-Bambini.- provo a fermarli, ma sono tutti presi dalla loro conversazione.

Manya mette la coroncina di fiori in testa a Shelly. -Oh sì, che bello avere due fidanzati.

Mark si sta lamentando con Naila che ha imitato Manya lanciandogli trai capelli la sua creazione. -Ma poi come fate a baciarvi in tre?

-Faranno a turno.- si stringe Chris nelle spalle, poi si volta a guardarmi -Fate le cose da grandi di cui Anna si rifiuta di parlarmi?

Rido istericamente, chiedendomi come abbia fatto la conversazione a degenerare così.

È Gilda ad interromperli con il suo tono che non ammette repliche. -Basta così. Non sono cose da chiedere, va bene? Norman, Ray ed Emma non stanno insieme.- poi si gira a guardarmi -Non che ci sarebbe niente di male.

I bambini sono svelti a trovare nuovi spunti di conversazione, Chris racconta delle costellazioni e Eugene snocciola tutto ciò che ha letto sui miti greci e romani.

Io mi volto a guardare Gilda. -Grazie.- non sono sicura per cosa la sto ringraziando, se per averli fermati o per aver sottolineato che non ci sarebbe niente di strano.

-Di nulla.- si stringe nelle spalle.

Anna mi guarda interdetta. -Quindi non state insieme?

Mi gratto la nuca. -Non stiamo insieme, perché me lo chiedi?

-Nulla solo…- Anna sembra ancora più in difficoltà di me -Beh non saprei… voi siete sempre stati, ecco, uniti.

Don si siede alle spalle di Gilda abbracciandola, e facendola saltare dallo spavento. -Altro che uniti. Dormite anche nello stesso letto ora. Molti iniziano a chiederselo.

-Molti?

Gilda tira un leggero schiaffo a Don, che ride e non accenna a spostarsi, prima di voltarsi verso di me. -Come dire, Norman ha sempre avuto una cotta per te.

Arrosisco terribilmente colta alla sprovvista e tossisco quando la saliva mi va di traverso. -Cosa?

-Era parecchio palese.

-Ma non siamo in pratica fratelli?- domando giocherellando con l'erba tra le dita.

Don si stringe nelle spalle. -Siamo cresciuti insieme e ci vogliamo bene. Ma non siamo fratelli. Eravamo tutto ciò che avevamo. Non so, penso sia normale che qualcuno potesse avere delle cotte. E Norman per te ne ha sempre avuta una gigantesca.

È la prima volta che sento accennarne e saperlo mi crea una strana sensazione nello stomaco, come una stretta. -Ma questo non vuol dire nulla.

Gilda mi fa un sorriso. -Non deve voler dire niente. Solo che è bello quello che avete, tutto qui. Ho sempre pensato che a Ray voi due foste piaciuti in modo diverso da chiunque altro.

Sospiro, cercando di allentare il dolore nel petto, è bello e logorante al tempo stesso. -Forse, e dico molto forse, anche io comincio a pensare che mi piacciano.- ammetto -Ma Norman non lo accetterà mai. Forse se sono io sì, ma non se è Ray, quindi è meglio se le cose rimangono così.

-Che intendi?- chiede Anna fermandosi.

-Avete notato com'è diventato Norman con Ray?- a me è sembrato subito palese, ma nessuno ha mai detto una sola parola su questa improvvisa distanza fisica tra loro due, forse perché a differenza di tutti gli altri io li ho sempre visti solo in intimità.

Don ha l'espressione corrucciata. -No? Mi sembra normale. Forse un po' freddino. Ma Norman è sempre un po' freddino.

Gilda invece si sistema gli occhiali e gli tira un orecchio. -Che ottuso.

-Ahia! Perché devi sempre picchiarmi?- ha il suo tono un po' da bambino, quello che usa sempre quando gioca con Gilda.

-Come hai fatto a non vederlo, pure i muri si sono accorti che c'è qualcosa che non va tra loro due.

-Beh qualcosa che non va c'è,- preciso -ma riguarda solo Norman.

Anche Anna sembra un po' confusa. -Non mi è sembrata così grave la situazione.

Gilda scuote la testa. -Norman prima era sempre appiccicato a Ray. Avevo angoscia io al posto di Ray, per quanto gli stesse con il fiato sul collo. E poi erano un costante toccarsi a vicenda. Era diventato affettuoso con lui come lo era stato solo con Emma. E ora c'è questa distanza e tensione.

Annuisco. -È così. È perché abbiamo parlato di Violet e Ruth.

Don ride. -E che c'entrano?

-Beh…- mi blocco chiedendomi se è qualcosa che dovrei dire, se è giusto per me dirlo.

Ma Anna mi interrompe con un sorriso. -Ha fatto un commento omofobo, non è vero?

-Come lo sapevi?

Gilda invece sembra fuori di sé. -Cosa?!

Don è solo frastornato. -Che?

Anna abbassa la testa arrossendo con tutte quelle attenzioni. -Beh lui non è esattamente la persona più aperta del mondo. Avevo notato fosse un po' rigido, per questo non gli avevo detto di Violet quando lei ha lasciato diffondere la voce.

-Ma…- Don si prende la testa tra le mani -Ma perché?

-Dice che è strano.- spiego -Nel senso pensa che sia normale essere etero e che non lo sia tutto il resto. Ray… Ray ci è rimasto parecchio male. Anche a me non è piaciuto quel discorso e gliel'ho detto. Ma Ray si è infuriato.- sorrido di amarezza -Ho paura che Norman abbia capito che Ray non è etero e stia mettendo questa divisione tra di loro.

Gilda mi fissa seria. -E tu sei sicura che Ray non sia etero?

E ancora sul mio viso il sorriso è solo tristezza. -Abbastanza. Penso che tu avessi ragione, a Ray siamo sempre piaciuti entrambi. Norman non lo accetterà e non voglio che Ray soffra per questo. Non ora.

-Lo capisco.

Anna invece non è d'accordo. -Io penso che Norman debba solo accettare se stesso. Non ci credo che l'affetto di Ray sia a senso unico. Anche a te piacciono entrambi, no? Sono sicura che sia così pure per Norman. Credo… anzi no è sicuramente così, si è allontanato da Ray per quello che prova lui e che non riesce ad accettare.

Gilda annuisce. -Potresti avere ragione. Penso che la cosa migliore sarebbe parlare prima con Ray e una volta che avete chiarito le cose parlare con Norman. Ray non deve soffrire più di così, non per questo. E non può rimanere una questione aperta tra di loro. Ray ci sta già male, no?

Guardo Ray che sta scarabocchiando con la penna sulla carta. Quel suo sguardo scuro concentrato, che sembra sempre chiuso al mondo quando pensa. Ha tirato indietro il ciuffo di capelli con dei fermagli in modo che non gli vada davanti agli occhi, ma ogni tanto deve comunque spostare delle ciocche ribelli. Lui non dice mai quello che sta provando, ma è tutto lì, nelle cicatrici sul corpo e negli occhi, non tutte sono visibili.

-Che fai?- gli chiedo quando torno da lui mezz'ora più tardi, perché mi è mancato.

Ray alza il viso verso di me di scatto arrossendo e chiudendo il block notes. -Nulla.

Ghigno malandrina. -Troppo veloce come risposta. Fammi vedere!

Mi allungo e alla fine vinco appropriandomi del quadernino, ma posso dare solo una rapida occhiata prima che mi venga sottratto di nuovo. -Eddaii.

Ray non mi guarda rosso in viso, mi siedo davanti a lui attendendo. -È solo un compito che mi ha dato Melissa. Cioè in realtà ne abbiamo parlato tipo mesi fa, all'ultima seduta in ospedale. Ma io non ho trovato la risposta che voleva e lei mi ha detto di continuare a pensarci finché avessi capito.

-Risposta a cosa?

-Abbiamo parlato di amore. Cioè amore e sessualità.- arrossisce e sussurra l'ultima parola -È che non riesco a capire come dare un nome a quello che provo?

Mi sistemo meglio. -Spiegami.

Lui annuisce senza guardarmi. -Beh ho provato a capire pensando come gli antichi greci. Quindi con tre tipi diversi di amore, philia, che è l'amicizia, agapé, che è l'amore tra parenti, e eros che è l'amore romantico. E ho provato a fare questo schema,- dice aprendo il libricino -in cui dividevo i diversi affetti trai tre insiemi. Tipo Violet penso andrebbe tra philia, mentre Chris agapé? E anche Gilda e Don. Perché li conosco da più tempo, ha più senso…

Non riesco a trattenere una risata a quel punto. Ray ha il tono tutto concitato, attento a enumerare i dettagli di quella sua assurda ricerca. Io mi rotolo nell'erba ridendo.

Lui mi guarda confuso e un po' irritato. -Perché ridi?

-Nulla, scusa scusa. È che… Ray non puoi fare schemi in base a come ami una persona.

-Sì, che posso.- ribatte deciso -Se non lo faccio come faccio a capire come voglio bene a qualcuno.

Sospiro e mi tiro in piedi avvicinandomi e mettendomi a cavalcioni su di lui, che diventa completamente rosso. -Ray vuoi bene a tutte le persone nello stesso modo?

Il ragazzo evita il mio sguardo e si allontana per quanto gli è possibile. -Emma… sei troppo vicina.

-Rispondimi.- rido accarezzandogli il viso.

Sospira, sento il suo cuore battere veloce. -Immagino di no. È il punto di questo, no?

Sbircio nei suoi appunti. -Vuoi bene a Lannion e Thoma nello stesso modo in cui vuoi bene a Don?

-Io… che ne so!

-Fai per loro quello che fai per Don?

Scuote la testa. -Ovvio che no.

-Vedi? Non vuoi bene a loro nello stesso modo. Eppure sono entrambi tuoi fratelli. Li consideri così, no? E vuoi più bene a qualcuno di loro?

Cede alle mie parole, incrociando finalmente il mio sguardo. -No.

-Hai messo un punto interrogativo accanto a me e Norman.

-Non dovevi sbirciare!- mi rimprovera.

Io tiro in alto le mani. -Scusa, scusa. È che l'amore non lo puoi catalogare. Ami le persone in modo diverso, perché sono diverse tra loro.

Si fa di nuovo rosso e sposta il viso. -E come capisco se mi piace qualcuno? Nel senso di… essere innamorato?

Sorrido. -Non lo so. Non penso che proveresti quello che provo io. Puoi saperlo solo tu.

-Ma allora…

-Non puoi trovare scorciatoie, Ray.- sorrido abbracciandolo e nascondendo il viso nel suo collo -Pensi che ci sia qualcuno che potrebbe piacerti?

-Come faccio a saperlo?

-Mhh, beh non possiamo provare le stesse cose, ma alcune rimangono simili, vorresti fidanzarti con quella persona, arrossisci se fa qualcosa di bello per te oppure il cuore ti batte forte.

Ray riflette. -Certe volte mi viene la nausea.

Rido. -Modo originale di dirlo. E poco romantico.

Lui si agita. -Non in senso negativo! È che…

-Ho capito.- lo interrompo -Ti va di dirmi chi è?

-Se… se fossero due le persone?

-Due, eh?

-Mhmh.

-Parlami di loro.

Sbuffa. -Scema.

Io non lo guardo, ma lo stringo un po' di più e finalmente lui ricambia. -Per favore.

Sento solo il suo silenzio, sto per arrendermi, poi invece Ray inizia a parlare. -Da quando li conosco sono sicuro di amarli. Se la mia vita ha sempre avuto un senso è tutto merito di queste due persone, sai? Mi hanno dato prima un motivo per vivere per loro e poi per vivere anche per me stesso. Una è una brava persona, è empatica e fa un sacco di cose per gli altri. E certe volte si comporta in modo stupido, tipo quando ha deciso di sacrificarsi per tutti noi, e non ha pensato che, senza la sua presenza, noi… io ero completamente perso. Non riesco a capire perché lo ha fatto, io volevo solo stare con loro, non mi importava di questo futuro. Ma so anche che se l'altra persona che amo è viva oggi è per merito suo. Quindi la perdono. E per quanto riguarda quest'altra persona non è affatto buona o gentile. Cioè gentile con noi lo è. Ma è anche un tipo spietato, ed è intelligente anche se poi è crudele perché, non lo sapeva, ma mi ha detto che io sono strano e anormale. E mi ha ferito. Sai questa persona c'è stata in tutti i momenti peggiori, avrebbe potuto abbandonarmi, ma ha sempre lottato anche al posto mio certe volte. Avevo scritto una lettera, quando mi sono buttato dalla finestra, sono contento che non l'abbia mai trovata. Mi scusavo di tante cose. Più di tutto mi sono scusato perché ti ho permesso di andare via da sola.

Tremo e singhiozzo, ma è un pianto che cerco di tenere silente, perché più a lungo parla, più a lungo posso stringerlo a me, qui dove il suo cuore batte e sul suo viso c'è un sorriso e le cicatrici sul polso non significano nulla se sorride. Quel sorriso è una rivincita a tutto. È il senso di ogni secondo di sofferenza, basta quel singolo sorriso da solo. Lui mi accarezza la schiena e io continuo a tenerlo stretto a me, e non voglio lasciarlo, non posso farlo, anche se forse gli sto facendo male, ho bisogno che continui ad appartenermi, ho bisogno del suono del suo respiro nelle orecchie perché il mondo abbia la giusta frequenza.

-Mi dispiace, non volevo farti piangere.

Mi stacco da lui a malincuore, asciugandomi il viso. -Non scusarti.- gli pizzico una guancia.

Di nascosto gli bacio l'angolo della bocca, sa un po' di lacrime e un po' di Ray. -Questo può restare un segreto tra di noi.- sorrido.

Lui mi guarda confuso prima di ricambiare il sorriso. -Per ora.

Poi vede qualcosa oltre di me e non devo chiedere chi ci stia raggiungendo. Perché il suo sguardo sul viso è lo stesso che ha quando certe volte lo trovo a guardare me.

-Bentornato, Norman.- dico, ancora prima di voltarmi.

Norman si piega accanto a noi e mi bacia la guancia, poi passa una mano nei capelli di Ray, è una piccola vittoria quel contatto. -Sono a casa. Come sapevi che ero io?- si sistema alle mie spalle cingendomi i fianchi con le braccia.

-Mhh, me lo sentivo.

Ray e Norman mi guardano confusi, poi scuotono la testa e ridono e sono così simili certe volte che mi chiedo come si possa non amarli.

...

* deadname: per chi non lo sapesse, si usa per indicare il nome assegnato alla nascita ad una persona trans*, che successivamente ne sceglie uno che rispecchi il suo genere. Usare il deadname di una persona trans*, se non in circostanze particolari, dove la persona stessa interessata lo chiede, è qualcosa che non andrebbe fatto, sbagliare e confondersi è assolutamente umano, i bambini non avevano alcuna intenzione di ferire Jules, ma utilizzare coscientemente un nome associato spesso ad una forte disforia è davvero causa di male. Quindi se anche sembra difficile cambiare il nostro modo di riferirci a qualcuno, sentirsi chiamare con il deadname è molto peggio.

~~~

Note dell'autore: mi raccomando nessuno imiti Emma e sbirci nei diari di qualcun altro… non è una cosa carina, Emma era fortunata che Ray non le ha staccato il braccio a morsi. Lo so dovevo pubblicare ieri... mi sono scordato...

Comunque, mi sembra che l'unica parola "tecnica", fosse deadname quindi ho inserito il chiarimento, ma non esitate a chiedere se ci fossero altri punti di confusione. Questo capitolo è un po' finalmente di stacco dai precedenti, un po' più leggero, più o meno, anche perché ci vuole ogni tanto. Adoro i bambini, intanto perché si alcuni fanno davvero domande del genere… sono imbarazzanti, e poi la facilità con cui semplicemente imparano è spettacolare. Su Jules ci sarà qualche chiarimento più avanti, ma lo specifico per evitare caos e confusione, visto che siamo il paese della disinformazione :). No Jules non ha intrapreso nessuna terapia perché è un bambino, uguale Elen, non si può iniziare nessuna terapia farmacologica in Italia e in molti paesi prima di sedici anni (mi sembra), si possono prendere dei bloccanti (dai quattordici anni credo) che ritardano lo sviluppo, sostanzialmente per ridurre lo schifo della disforia e i cui effetti sono REVERSIBILI. Per chi non lo sapesse vengono dati anche ai bambini cis (ovvero non trans) se sviluppano troppo presto, quindi insomma no nei paesi civili nessuno dopa i bambini di nulla, le età cambiano leggermente, ma in Europa comunque ci sono limiti di età per le terapie farmacologiche. Però sì entrambi usano i propri pronomi e non significa che la loro identità è quella al cento per cento, sono piccoli, ma se pure fosse una fase (spoiler: non lo è) loro semplicemente stanno meglio così e la loro famiglia fa di tutto perché stiano bene, punto. Rispettare nomi e pronomi è spesso quello di cui una persona ha bisogno, prima che venga detto "sei troppo piccol* per saperlo", perché se è per questo anche i cis o gli etero sono teoricamente troppo piccoli per saperlo. Chiusa la parentesi, spero il capitolo vi sia piaciuto, scrivere finalmente di un Ray che sta meglio è bellissimo, purtroppo la ripresa spesso è lenta e a volte non è mai totale, però è un po' più felice ed a posto con sé stesso. Vi prego non odiate troppo Norman, può essere difficile venire a patti con la propria identità…

Al solito se vorrete lasciare un commento ne sarei molto felice!

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Capitolo 8
*** VIII. Ray ***


WARNING: PTSD (episodio di allucinazioni con descrizione di sangue), breve accenno ad autolesionismo, disturbo alimentare, linguaggio volgare (ci sono un paio di parolacce, non ho l'abitudine di scriverne, ma qui erano necessarie)

-

Avrei voluto essere in grado di far funzionare certe giornate.

A cena litighiamo. È una lite stupida e microscopica eppure a me continua a sembrare la fine del mondo. Norman è tornato dall'università stanco, devono essere alcune notti che non dorme bene, ma lui non lo dice, non a me comunque. Emma invece è sempre la stessa, è capace di dedicare attenzioni a chiunque le richieda, ci aiuta ad apparecchiare e nel frattempo tiene a turno in braccio i più piccoli. Eugene per primo perché piangeva per essere caduto, poi Carol che si è fatta così grande che a volte mi fa impressione, adesso parla tantissimo e di Grace Field non ricorda nulla, dopo Carol c'è Jules che vuole essere abbracciato, il suo viso di nuovo sorridente, sembra aver completamente dimenticato gli eventi della mattina.

-July, perché non vai ad aiutare gli altri bambini a sistemare il gazebo per Violet e Ruth?- dice Norman con il tono morbido, mentre Emma con fatica, tenendo il bambino, sistema i piatti e per poco non ne fa cadere uno.

Jules guarda la ragazza con una punta di tristezza, però non fa capricci, le bacia la guancia e si lascia mettere giù. -Jules.- lo corregge a bassa voce, il capo chino, un attimo prima di schizzare via, senza dare a Norman la possibilità di rispondere.

Il ragazzo ci fissa confuso, mentre mi seguono in cucina dove controllo a che punto è la pasta. -Jules?- chiede.

Emma si siede su uno dei ripiani. -Sì, ci ha chiesto di chiamarlo Jules.

-Chiamar-lo?

Sospiro, girando intorno ad Emma per prendere quello che mi serve. -Sì, Norman. Chiamarlo. Lui è ancora piccolo, ma se dice di essere un bambino, non vedo perché non lasciarlo sperimentare e rispettarlo. È più felice così. È solo un nome.

Non mi ero reso conto di quanto il tono mi fosse uscito duro e tagliente. Mi blocco e mi mordo la lingua, di nuovo, ho fatto un casino. Di nuovo.

Norman rimane in silenzio per poco. -Okay.- la sua voce esce tentennante, insicura. Non lo guardo.

-Okay.- ripeto solo, tornando a concentrarmi sulla cucina.

Emma mi accarezza la schiena, quando Norman esce per sistemare qualcosa, non specifica. -Tutto bene, Ray?

Le tiro un sorriso. -Tutto bene. Qui ci pensiamo io, Gilda e Oliver, tu sei più un pericolo che altro.- la prendo in giro -Vai a vedere se servi da qualche altra parte.

-Ehi!- si lamenta lei.

Ma Oliver la interrompe con una risata di divertimento. -Emma, ricordiamo tutti l'ultima volta che hai provato a dare una mano qui.

Lei arrossisce di imbarazzo e di malavoglia si avvia fuori dalla cucina. -È stato solo un incidente.

Violet si affaccia quando ormai la pasta è stata già versata nelle diverse pentole con i condimenti. -Ragazzi, a che punto siamo?

-La tua cenetta romantica potrà iniziare a breve.- osservo con un ghigno.

-Ma smettila. Ah proposito, penso che la riaccompagnerò a casa e non so se c'è un treno per tornare quindi…

Oliver la interrompe. -Non devi chiedere il permesso per passare la notte fuori.

Annuisco. -Fai solo attenzione, va bene?

Violet alza gli occhi al cielo. -Certo, farò attenzione, padri.

Quando finalmente finiamo, i bambini sono tutti emozionati dal fatto che Ruth rimanga a cena da noi, in sei si propongono di portarle il piatto, in dieci hanno apparecchiato e quattro bambini l'hanno trascinata al tavolo, dicendo che lei è l'ospite e spostandole la sedia per farla sedere, due più grandicelli le versano l'acqua. Se non li avessimo trascinati via, tutti e trenta avrebbero preso il posto di Violet al tavolino, sistemato sotto il gazebo dove di solito mangiamo tutti insieme.

-Uffa, anche io volevo cenare con Ruth.- si lamenta Alicia.

Lannion fa una smorfia. -Mentre si dicono smancerie?

-Poi mi passa la fame.- completa Thoma al posto del fratello.

-Scemi, vedete di aiutare voi due.- li riprende Gilda, dando loro due scappellotti sulla nuca.

-Sì signora!- esclamano in coro, ghigni furbi sui loro visi.

-Lascia loro spazio, Alicia.- interviene Norman, accarezzando la testa della bambina -Hanno giocato tanto con tutti voi oggi, vorranno stare un po' da sole. È così quando stai con qualcuno.

Mi lancia uno sguardo veloce, c'è un accenno di sorriso, quasi delle scuse, che però vogliono più essere delle rassicurazioni, per me o per se stesso, non lo capisco più. Non posso guardarlo ancora.

Phil ha gli occhi tristi. -Quindi… Violet se ne andrà?

La sua frase scatena il panico in tutti i piccoli e più di uno sguardo addolorato in noi più grandi, persino Thoma e Lannion lasciano spegnere i loro onnipresenti sorrisetti.

Emma lo prende in braccio, lei non ha perso il suo sorriso. -Anche se se ne andrà non sparisce mica per sempre. Siamo una famiglia, no? Ci ritroveremo qualsiasi sarà la nostra vita.

Certe volte vorrei avere la sua capacità anche solo di credere che le cose possano andare per il verso giusto. Iniziamo a distribuire a tutti le proprie porzioni e ci sediamo ai nostri posti, quello di Violet è lasciato libero. Norman sta vicino a me come sempre, ma quando, per sbaglio, i nostri bracci si toccano lui sposta il suo. Cosa mi aspettavo dopo quella risposta? Che uno sguardo sarebbe bastato a sistemare tutto? Ma lui mi vuole bene. Me lo ha detto tante volte. Guardo il mio piatto con lo stomaco chiuso e stringo la forchetta, sento il peso di quella giornata e di tutte le precedenti. E di nuovo nella mia testa c'è questa scomoda presenza, quei sensi di colpa e inadeguatezza. C'è sempre e forse non andrà via completamente, ma ora non posso. Non voglio mangiare. Non oggi. Non fa tutta questa differenza, no? È solo un piatto di pasta. Mangerò domani mattina. Basta dire che non mi sento bene. Mi forzeranno. Ma non possono certo farmi ingoiare a forza. Guardo Emma che sta chiacchierando di qualcosa che non sento con Gilda, ridono. Vorrei la loro pace. Norman è preso dalla loro conversazione, lo sguardo tranquillo, imperturbabile. Mi odia. Non cambierebbe più nulla se smettessi di mangiare di nuovo. Perché ora mi odia. Sapevo che sarebbe finita così. Perché ho creduto che le cose stessero andando meglio? Sono sempre andate così. Non è vero. Ho sempre fallito. Non lo merito. Basta. Basta. Basta. È solo uno stupido piatto di pasta. Non voglio guarire. Lo allontano da me, con un gesto della mano, il capo chino. C'è rumore tutt'intorno, ma potrei stare in una stanza vuota in questo momento. Tiro indietro la sedia che fischia, mentre Norman la ferma con una mano. Non lo guardo, voglio andare via. In camera. Ovunque, ma non qui. Perché faccio sempre disastri?

-Ray?- Norman mi richiama.

Mi scrollo la sua voce di dosso, è stato lui a ferirmi. Sono arrivato fino a qui per lui, ma se sapesse la verità…

-Ray, non hai toccato il piatto.- dice Emma, con la sua voce sempre dolce, sempre velata d'innocenza, come se non stesse dicendo nulla, come se non mi stesse chiedendo di combattere una voce nella testa che oggi è più forte di me.

La guardo con rabbia. -Ora non mi va.

Norman però è ancora lì. -Ray, per favore. Davvero non c'è bisogno che tu la finisca, ma lo sai che non ti fa bene saltare i pasti.

-Se preferisci qualcos'altro…- prova Anna.

Mi dispiace così tanto. -Ho detto che ora non mi va!- urlo, non volevo, perché lo faccio? -Cazzo, tutti quanti smettetela. Non mi sento bene okay?!

Ora c'è silenzio davvero, e la differenza si sente eccome. Non guardatemi, per favore. Non guardatemi. Non guardatemi! Perché ce l'avete tutti con me? So che non sto bene. Mi dispiace, d'accordo? Ma non posso farci niente ora.

-Va bene, Ray.- la voce di Norman è di nuovo la sua, di nuovo come se parlasse con me e mi volesse bene, come se non avesse detto che quelli come me sono anormali. Però lo ha detto e mi odierebbe se sapesse, magari lo sa ed è per questo che non mi abbraccia più. Vorrei solo che mi abbracciasse. -Fai un respiro, dietro di me.

Inspiro di riflesso quando lo fa lui. E poi espiriamo.

-Non ho fame. Non costringermi ad urlare di nuovo.

Lui però mi prende un braccio. -Ray, ti fa male.

Vorrei che smettesse di ripeterlo. -Si beh non mi importa ora. È questo che volevi sentire?

-No, certo che no.

-E allora smettila di assillarmi su questa storia! Non succederà nulla se per una volta non mangio.

Norman mi costringe a guardarlo negli occhi. -È davvero così? Sarebbe davvero solo una volta?

E lo odio. Per avere ragione. Ma odio me stesso ancora di più. E non ho mai smesso di odiarmi. Ho solo dimenticato quanto odi vivere. -Vaffanculo, Norman.

Mi alzo e me ne vado con le voci dei bambini che mi rincorrono. Voci di sorpresa perché non mi avevano mai visto così, perché ho detto parolacce e ho urlato e ho trattato male le persone che amo di più al mondo. Sbatto tutte le porte dietro di me. Entro nel mio Chalet e pesto i piedi salendo le scale. La nostra stanza è troppo lontana, mi metto le mani nei capelli e tiro. Dentro la camera è tutto come lo abbiamo lasciato sta mattina. Sembra un mondo diverso da quello dove vivo ora. Ora c'è di nuovo questa rabbia e poi questo odio. Qui dentro c'erano calma, sorrisi, la pace di tutte le mattine in cui ci siamo svegliati insieme. Oggi Emma ancora dormiva, stavamo facendo tardi, così prima della colazione le abbiamo fatto il solletico e lei ha tirato una testata a Norman. Abbiamo riso fino alle lacrime. Emma si è arrabbiata, ma solo per finta, poi si è scusata con Norman. E la colazione l'abbiamo quasi saltata davvero perché eravamo tutti troppo presi gli uni dagli altri. Grido di frustrazione, non è un vero grido, è più un lamento. Perché fa male ricordare di essere felice quando tutto torna a ferire. Tiro un primo pugno contro il muro, poi una testata e alla fine mi ci lascio scivolare contro e forse andrei avanti, ma Norman arriva prima che possa provarci davvero. Mi rannicchio contro l'angolo, pronto alla sua rabbia, me la meriterei. Sono stato crudele con lui. L'ho trattato male e lui non aveva fatto niente. Non aveva fatto niente. Sono sempre solo io. Nascondo il viso nelle braccia incrociate, le ginocchia al petto e dondolo mentre arrivano i singhiozzi e i sensi di colpa. E non c'è più rabbia. Sulle braci cade solo una pioggia di lacrime amare di colpevolezza.

-Scusami. Perdonami. Mi dispiace tanto.

Norman non urla. Non mi dedica l'odio che deve provare per forza verso di me. Lui non dice nulla. Si china e mi abbraccia.

-Ti ho fatto così tanto schifo?- chiedo mentre mi stringe, mi era mancato quel tocco.

Norman scuote la testa, in ginocchio accanto a me. -Ma di che parli.

Fa male. Fa tutto male. -Non mi hai più abbracciato. Ti spostavi se ci toccavamo. È perché… è perché siamo due maschi? Ti fa così tanto schifo? O è perché sono io?

Sospira e sento la sua stretta che mi sbilancia verso di lui, finché mi ritrovo per metà seduto sulle sue gambe e la testa appoggiata alla sua spalla. -Cielo Ray, mi dispiace che hai pensato questo. Io… non so perché l'ho fatto. Non avevo capito.

Abbasso gli occhi. -Non fa niente.

-No. Fa eccome.

-Ragazzi.- ci chiama Emma, noi alziamo il viso a guardarla, lei si chiude la porta alle spalle e si siede davanti a noi -È ora che ne parliamo.

Scuoto la testa. -Di cosa?

-Intanto di oggi, Ray.- mi lancia uno sguardo morbido -Non siamo arrabbiati, ma siamo preoccupati. Domani chiamiamo Melissa, va bene? Ci andrai il prima possibile.

Annuisco, non dico altro, non c'è bisogno, sarebbe inutile.

Emma mi accarezza la testa. -È passata?

Mi stringo nelle spalle, mentre le lacrime escono ma senza singhiozzi. -Un po'.- la voce è spezzata.

Norman mi stringe tra le braccia. -Ce la fai a scendere? Anche più tardi se non vuoi vedere tutti gli altri.

-Io…

-Per favore.

-Okay.- sospiro -Andiamo.

Emma però ci blocca. -Dopo… dopo però dobbiamo parlare anche di un'altra cosa.

Le lancio uno sguardo allarmato, Norman è solo confuso. Emma sorride ad entrambi e ci bacia le guance.

-Andrà tutto bene.

Non ci credo, ma scendo con loro.

La cena provo a mangiarla, ma al secondo boccone è già troppo contro lo stomaco chiuso. Do una mano anche se i miei fratelli vorrebbero impormi di andarmi a riposare, so che Emma e Norman non mi farebbero tornare nello Chalet da solo e non se ne parla di portarne uno con me, neppure l'idea di rimanere senza fare nulla mi piace, quindi aiuto a sparecchiare, a lavare i piatti e a riporre gli avanzi. Di tanto in tanto uno dei più piccoli mi si avvicina quasi furtivamente alle spalle e mi circonda maldestramente con le braccia, io sorrido e gli accarezzo la testolina. Violet alle dieci ci saluta per prendere l'ultimo treno diretto in città per accompagnare Ruth. Molti dei bambini le abbracciano in lacrime, la maggior parte non ha davvero idea di cosa stia succedendo, sono solo stanchi e confusi.

Alle undici meno dieci, io, Emma e Norman ci carichiamo in braccio tre dei più giovani che dormono nel nostro Chalet e prendiamo per mano qualcuno degli altri, augurandoci la buonanotte mentre ci dividiamo tutti nelle rispettive camere. Phil tiene per mano una Carol mezza addormentata, mentre io ed Emma entriamo nella loro camera con in braccio Yvette e Chris. Rimbocchiamo loro le coperte, poi passiamo davanti alla camera di Thoma e Lannion che Norman ha già messo a letto. E subito dopo sbirciamo nella cameretta dove Damdin, Shelly e tre bambini di Goldy Pond attendono la loro buonanotte anche da noi, Norman, dicono, è passato prima. Due di loro non vogliono i baci, ma si accontentano di una carezza e qualche rassicurazione per iniziare a dormire. Norman ci aspetta in camera, i pantaloni del pigiama indosso e il petto scoperto mentre infila la camicia da notte. Mi soffermo sul tatuaggio di Lambda che spicca sopra la pelle chiara, non ha neppure un accenno di peluria sul corpo, i medici le ultime volte che lo hanno visitato sostenevano che potesse essere un effetto dei farmaci che gli sono stati somministrati. Probabilmente Norman non ne avrà mai, è solo l'ennesima dimostrazione di un dolore che su di noi ha lasciato traccia. Ma a lui non sembra importare, mi guarda e mi fa un sorriso. Non ne abbiamo mai parlato degli effetti di quel periodo a Lambda, a quattordici anni la sterilità non sembrava un problema enorme, mi chiedo se sarà sempre così. Continua a sorridere mentre entriamo accostando la porta, l'imbarazzo del cambiarci insieme è sparito settimane fa, ci basta darci le spalle e spesso nel mentre chiacchieriamo o ci prendiamo in giro. Anche questa secondo Melissa è una forma di intimità, qualcosa che si trova a metà tra quella fisica e quella emotiva, un tipo di fiducia che stiamo sviluppando. Quando Emma si sfila la sua camicia sia io che Norman istintivamente interrompiamo il nostro sguardo per osservarla, lì nella piega del collo dove avrebbe dovuto esserci il suo numero, di cui tuttavia non rimane niente, solo una leggera traccia, quasi una cicatrice. Non era mai stato importante finché non le è stato tolto, da segno della nostra schiavitù era diventato il segno dei nostri ricordi, dell'appartenenza gli uni agli altri e lei ne è stata privata per sempre.

Emma volta solo il viso per fissarci, la schiena nuda da cui si vedono anni di fughe e tentativi di sopravvivenza nei muscoli in tensione, la linea della spina dorsale, interrotta dal ferretto del reggiseno, e in più punti vecchie ferite, con le due enormi cicatrici lasciatele dal duca Lewis, sono due grossi segni ormai bianchi dai bordi frastagliati, con piaghe sulla pelle tra punti di insensibilità e punti di ipersensibilità. -Ragazzi?- ha le guance arrossate e nel realizzare dov'è caduto il mio sguardo arrossisco anche io incrociando i suoi occhi verdi -Non fissatemi in questo modo.

Norman tossisce per dissipare l'imbarazzo. -Scusa.- lo vedo abbassare il capo completamente rosso, fino alla punta delle orecchie, fa quasi ridere vederlo così, sorrido, ma più di tenerezza. Poi lui si gira.

Emma in risposta all'atmosfera di disagio che cala nella stanza, si imporpora ancora di più. -Ora è anche più imbarazzante.- dice, mentre con le dita cerca di raggiungere il ferretto del toppino scuro per slacciarlo, ma le mani le tremano e lei continua a mancarlo, facendoselo scivolare più in alto sulla schiena ed imprecando sottovoce.

Rido, mentre mi avvicino, arrossito d'imbarazzo, c'è comunque distanza tra di noi. -Posso… posso darti una mano?

-Per favore.- risponde lei, con un sospiro di tensione e ilarità.

-Okay, stai ferma.- le faccio un sorriso, mentre lei gira leggermente il collo per incrociare il mio sguardo con il proprio e io tengo alti gli occhi, trovando con le dita la stoffa e slacciandola dopo un attimo di insicurezza.

Non la tocco né la guardo più del dovuto, una volta finito, mi giro di spalle e comincio a cambiarmi anche io. Norman ha finito di abbottonarsi la camicia e si siede sul letto con le guance ancora leggermente rosse, ma lo sguardo di nuovo rilassato. Anche io mi sistemo sul materasso, fa quasi paura la velocità con cui mi sono abituato a questa quotidianità, a queste notti passate insieme, è impossibile pensare ad un futuro in cui le cose non vanno così, in cui dopo una giornata normale non ci ritroviamo nella stessa camera a condividere questo spazio offerto a noi da noi. Eppure c'è un'altra parte dentro di me che si chiede quanto davvero possa durare, perché un giorno verrò a patti con i miei sentimenti per loro, a quel punto continuerebbero a scegliermi? Emma sembra tranquilla, dopo quel primo bacio sull'angolo della bocca, non ha più detto nulla, solo il riferimento alla necessità di parlarne che Norman non ha potuto cogliere. Non sono pronto. Non sono pronto a correre il rischio di perderlo. Emma si tira i capelli indietro dal viso e va a chiudere le persiane, dopo essersi infilata una camicia da notte con i pantaloni, come Norman, che le va leggermente larga, io sono l'unico a dormire con una semplice maglietta.

Nel frattempo Norman richiama la mia attenzione. -Ray? Puoi venire qui?

Lui è appoggiato alla testiera del letto con le spalle, le gambe leggermente piegate davanti a sé e una mano posata sul materasso al suo fianco, con cui mi fa cenno di avvicinarmi. Trattengo la tensione, mentre scivolo vicino al suo corpo, una volta lì Norman mi abbraccia, non è un contatto irruento, tantomeno profondo, si avvicina piano, posa la fronte sulla mia spalla, mentre appoggia di lato le gambe sul materasso, e con le mani mi sfiora i fianchi.

-Puoi perdonarmi?- mi chiede a bassa voce.

Rimango interdetto, bloccato a metà di un pensiero, mentre istintivamente faccio passare le braccia intorno alle sue spalle per stringerlo e non farlo allontanare. Norman c'è stato in tutti i momenti difficili degli ultimi anni della mia vita, non c'è nulla che non gli perdonerei e forse non è giusto che sia così, ma non riesco ad arrabbiarmi con lui, non ora.

Inspiro l'odore dei suoi capelli lì vicini al mio viso e abbasso un po' la testa. -Va tutto bene, Norman.

Lui si aggrappa a me un po' di più. -No, non va bene. E voglio capire. Voglio capire te. Non voglio commettere un errore del genere di nuovo, tu non mi fai schifo. Mai, non potresti mai.

Questo, questo è quasi abbastanza. Però c'è ancora quel ma, quella soglia di incomprensione che è rimasta aperta, che abbiamo lasciato accostata, quasi apposta per paura di cosa avrebbe comportato aprila del tutto o chiuderla.

-Puoi… puoi esserne davvero sicuro?- domando.

Norman mi allontana da sé, abbastanza perché possa, con la mano, sfiorarmi il viso, scostandomi i capelli, non la ricordo neppure l'ultima volta che lo ha fatto, e fa male pensare che sarebbe potuta essere davvero l'ultima e io non lo avevo saputo, persino questa potrebbe diventarlo e non lo saprei. -Smettila. Smettila di dirlo, me lo chiedi da così tanti anni in tanti modi diversi. Non mi importa che tu non riesca ancora a vederlo, ma sei dannatamente importante per me e per Emma. Sei importante per tutti quanti. Ma per noi lo sei ancora di più, va bene? Non lo voglio un mondo senza di te. Come potrei mai pensare che tu possa farmi schifo, se la verità è che desidero solo continuare a svegliarmi insieme a voi due?- mi sorride, poi abbassa il viso, ho paura della sua debolezza, ho paura che lo ferirò -Non c'è niente che non vada in te. Se non te l'ho detto abbastanza questi mesi, te lo ripeterò adesso.

Emma mi abbraccia da dietro, sento le sue gambe aperte ai lati delle mie, le sue braccia intorno ai fianchi e il suo mento sulla mia spalla. Intimità fisica. -D'accordo, visto che siamo qui. Norman, che te ne pare di Ruth?

Lui si distanzia da me, ma solo per sistemarsi sul letto e farci segno di raggiungerlo sotto le coperte, la notte fa più freddo, mi rintano al suo fianco, per metà sopra di lui, il viso all'altezza della sua spalla, Emma dietro di me, più in alto con la testa accanto a quella di Norman, sullo stesso cuscino.

-Non è che ci abbia parlato, i bambini però la adorano.

Lei ride, mentre mi accarezza distrattamente la nuca facendomi rabbrividire. -Davvero, la farebbero trasferire qui.

Norman ha il respiro lento e regolare. -Sembra una brava ragazza e non è strano come pensavo.

-Mhmh.- Emma sembra seria -Senti riguardo a quello. Non sono d'accordo con te. Penso sia chiaro, non lo siamo né io né Ray. E non c'entra con l'essere etero o meno. Ma penso che non sia giusto dire che essere etero sia più normale.

Norman rimane in silenzio, così mi inserisco anche io con il tono tremante. -Melissa quando ne abbiamo parlato, mi ha chiesto se il fatto che in questo luogo ci siano più persone con i capelli biondi, renda le persone con i capelli scuri o rossi anormali.

Lo sento ridere. -No, certo che no. È solo diverso.

Alzo lo sguardo verso di lui, con elettricità nelle vene. -Esatto. Una cosa non è normale, perché è più comune. È come essere etero o non esserlo. O come non essere trans ed esserlo. Elen e Jules sono diversi, ma non sono anormali. Non per me comunque. E vorrei che anche tu lo capissi.

Norman non allontana gli occhi dai miei mentre, serio, osservo la sua mente elaborare quelle informazioni. -Posso… posso dire qualcosa anche se magari la dico nel modo sbagliato? Poi potrete correggermi, non me la prenderò e mi scuso in anticipo se possa ferire, non vorrei mai. Ma ho bisogno di capire e che voi capiate.

Emma mi stringe, non so se Norman si è accorto di come stia cercando di rassicurarmi. -Certo.- dice e prende una mia mano con la sua.

Il ragazzo guarda me, e c'è questo velo di comprensione. -Ray? Non voglio ferirti di nuovo.

Lo so. Perché saperlo dovrebbe bastare. Me lo farò bastare. -Va bene, Norman.

Lui annuisce con un sospiro. -Siamo cresciuti con un'idea di… di famiglia. Quando eravamo a Grace Field e parlavamo di famiglie adottive erano sempre una madre ed un padre. Era quello che volevamo. Siamo cresciuti così, con racconti di principi e principesse che si sposano e fanno figli. Figli che a loro volta si innamoreranno e si sposeranno. Io mi sono semplicemente abituato a questo e non avevo idea della vastità dei sentimenti, delle possibilità. Poi alla fine la verità è che pensandoci il mondo ha troppe diverse misure, perché noi una famiglia l'abbiamo avuta, ma non c'erano una madre e un padre, c'era solo Isabella che ci ha cresciuto come figli, pur non avendo parentela con noi, né noi tra di noi. Quindi non c'è un singolo stampino possibile e io ci ho vissuto con una di queste differenti misure di famiglia, anche se non lo avevo capito. Non so cosa mi abbia spaventato dell'idea dell'omosessualità, anche se non capisco, non vuol dire che sia strano.

Emma allenta la presa su me. -Norman, sai che non esistono solo persone gay e persone etero?

Norman sembra confuso. -Che intendi?

-Beh la sessualità è più uno spettro. C'è per esempio anche chi ama sia uomini che donne. E se ti azzardi a dire che è anormale come prima risposta questa volta ti meno.- Emma ride, ma sembra davvero minacciosa e di nuovo c'è la sua presa su di me.

-Ho imparato la lezione la prima volta.- risponde il ragazzo con una mezza risata -Quindi… possono piacerti entrambi? Non è un po' come essere indecisi?

Lei scuote il capo. -No no, assolutamente. Semplicemente ti piacciono più generi di persone, o più uno e meno un altro, ma non c'entra l'indecisione. È più un non volersi né potersi precludere nulla, ecco. Puoi vederla così.

Norman annuisce e una sua mano finisce tra i miei capelli, anche se sta fissando tutt'altro. -Suona bene.

-Suona bene.- concordo.

Emma si tira un po' su, nel suo sguardo, quando lo incrocio, leggo per la prima volta insicurezza, come una paura viscerale. -E cosa ne pensi della possibilità che a qualcuno piacciano due persone insieme?

Norman torna presente e si volta verso di lei. -È un po' tanto da metabolizzare. Ma forse finché non tradisci nessuno non c'è niente di male. Magari però bisognerebbe informare le persone coinvolte per… insomma per evitare situazioni in cui qualcuno soffre.

Il ghigno sul viso della ragazza fa quasi paura. -Sono perfettamente d'accordo con te. Quindi cosa diresti se ora ti dicessi che sono innamorata di due persone?

Lo coglie di sorpresa, vedo nei suoi occhi la confusione che si veste di consapevolezza e la consapevolezza che alimenta la confusione in un circolo che è l'occhio di un ciclone. -… cosa?

Emma si sdraia sulla schiena allontanandosi da noi, mentre io e Norman ci raddrizziamo, lei si copre il viso con una mano, il palmo rivolto verso l'alto e le dita leggermente chiuse. -Ah, speravo sarebbe stato più semplice. Voi… mh, sono innamorata di voi due. Entrambi. Contemporaneamente. E non è strano. Un sacco di gente lo ha capito, sapete?

Norman è rigido. -Capito cosa?- mi allontano da lui, ho paura.

-Che ci piacciamo. O almeno che a me piacete.- quando finalmente abbassa la mano, il suo viso è distorto dalla tristezza -È come una sensazione ma… penso che avessi voluto dirvelo prima. Non lo so, quando ho pensato che ora potevo parlarne con voi ero così triste, perché avrei dovuto farlo con i miei ricordi. Avrebbe avuto un significato diverso.

La blocco, sporgendomi verso di lei. -Non è assolutamente così. Non ha un significato diverso, Emma. Perché anche se non hai ricordi hai pianto la prima volta che ci siamo incontrati. Quindi so che tutti i tuoi sentimenti per noi non sono nuovi, come se non ci fossimo mai conosciuti. Sono solo l'evoluzione di quello che c'è sempre stato.- abbasso la testa, poi la alzo e guardo Norman, che ci fissa spaesato, ma con quel briciolo di comprensione da riempirgli gli occhi di lacrime, c'è gioia, il resto andrà a posto con il tempo -Norman, tu mi hai fatto una domanda in ospedale. Mi hai chiesto se fossi gay. Io non lo sono, ma è vero che i ragazzi mi piacciono. O quantomeno tu mi piaci. E mi piace Emma. Non devi ricambiare i miei sentimenti, non fa niente.- provo a sorridere anche se fa male -Non voglio perderti per averlo detto e ho paura che mi allontanerai. Ma Emma è stata coraggiosa e voglio esserlo anche io. Voi mi piacete, ma non deve cambiare niente, a me vanno bene come stanno ora le cose. Sono felice solo per potervi avere così. Sono solo felice che siamo finalmente insieme. Per favore, per favore non allontanarti. Hai detto… hai detto che non ti posso fare schifo, che… che mi vuoi nella tua vita… questo… questo cambia le cose?

Norman è serio e rigido, nei suoi occhi c'è qualcosa, qualcosa come uno strato di mancata accettazione. -È la verità?

Tremo e mi tiro indietro, per poco cado giù dal letto. Non mi accetterà. Non può accettare qualcuno come me. L'ho perso. È stata colpa mia. Dovevo saperlo. Sono ripugnante. -Cosa? Sì… Io… non… mi dispiace…

Emma mi si mette davanti. -Norman non ferirlo di nuovo.- poi si gira verso di me -Ray respira. Insieme a me.

Non riesco a fermare i tremiti o le contrazioni intorno alla cassa toracica, c'è solo un mondo sfocato di colori oltre gli occhi. Soffoco. Non so più neanche cosa mi stia spaventando. È solo tutto quanto troppo. C'è questo dolore nel petto, nei polmoni che bruciano, nel cuore che va troppo veloce ed è un tamburo fuori dalla mia testa. C'è acqua ovunque, riempie la trachea, la bocca, gli occhi. Tossisco, sono sul pavimento credo. Poi a bruciare non è più il petto, ma la guancia.

-Ray. Ray trattieni il fiato.

Non so chi sta parlando. L'unico pensiero sensato è che soffocherò. E non è sensato. Non posso soffocare. Non sto soffocando davvero. Aria. Aria. Aria. Non respiro.

-Va bene, così. Ray, devi starmi a sentire, trattieni il fiato con me e poi rilascialo, piano.

Il mondo si schiarisce un po' e c'è Norman a guidare i miei respiri.

-Bravissimo. Va tutto bene, sono qui.

Mi aggrappo alla sua mano. E ce l'ho di nuovo. Era tanto tempo che non succedeva. Sento viscido, è come sangue. C'è sangue sulle mie mani. E poi intorno a me. Esce anche dal tatuaggio sul suo petto. E poi Norman non è più Norman. È Conny con la pianta vampiro e gli occhi vitrei. Poi mia mamma con la ferita del demone. E poi è di nuovo lui, ma ha dodici anni ed è morto. Ed è colpa mia. Respiro veloce e forte. Sigillo gli occhi. Non c'è davvero sangue. Sono solo io. È solo la mia testa. Norman è vivo. Anche Emma. È qui. Ma glielo devo chiedere.

-Norman.

-Sono qui.- la sua voce penetra la paura.

Tremo, tremo e basta. C'è ancora sangue, ne sento l'odore il sapore dentro la bocca. È ferro. -Emma?

E allora lui inizia. -Emma sta bene. È qui con noi. Va tutto bene. Ricordi? L'abbiamo trovata.- le sue dita mi toccano il viso, una linea dalla fronte al mento che mi riporta alla realtà, piano pezzo dopo pezzo. C'è ancora sangue dentro la mia mente.

È rassicurante come Norman sappia esattamente cosa mi serve per tornare alla realtà. -E tu?

-Anche io sono qui. I demoni non mi hanno ucciso, sono diventato un esperimento di Lambda e le medicine del mondo umano mi hanno guarito. Dammi la mano.- e c'è il suono del suo cuore a calmare il mio e lì le linee in rilievo del suo tatuaggio.

E finalmente respiro. Mi appoggio a lui. -I nostri fratellini stanno tutti bene?

-Mhmh.- sento la sua mano nei capelli -Stanno bene.

Ingoio il sangue di un taglio sulla guancia. -Okay.

-Okay?- Emma mi stacca da Norman con le lacrime agli occhi. -Razza di idiota, mi hai spaventata a morte. Okay un corno!

Abbasso la testa. -Mi dispiace… io…

Norman mi prende in braccio di peso e mi rimette a letto. -Ti fa male la testa?- chiede.

Nego.

-Va bene.- poi mi costringe a sdraiarmi, ma le luci rimangono accese e lui mi trattiene contro il suo petto, e lì le mani si ancorano per ricercare la sicurezza che può darmi.

Emma è alle mie spalle, anche lei mi abbraccia.

-Mi dispiace.

Norman mi bacia la testa. -Sei solo stanco. Ho bisogno di tempo, Ray. Per capire se ricambio i vostri sentimenti. Ma non ti stavo allontanando prima.

Annuisco. -Mi dispiace di averti aggredito.

Lui ride senza gioia, solo tensione che finalmente si fa tranquillità. -Smettila di scusarti. Vorrei essermi spiegato meglio io prima.

A quel punto le lacrime mi pizzicano gli occhi e mi nascondo nella sua stretta mentre singhiozzo, Emma mi accarezza la schiena. -Stava andando meglio, no?

-Sì, sta andando meglio.

-Allora perché non riesco a stare bene?

-Non è colpa tua. È stata solo una brutta giornata.

-Perché non riesco a far funzionare le giornate semplici?

-Non lo sappiamo Ray. Ma sta finendo.

-Non lasciatemi, anche se sono difficile.

-Non succederà mai.

~~~

Note dell'autore: un capitolo alla fine, con l'aggiornamento di sabato si concluderà la ff. Giuro non so come affronterò il fatto che ho quasi finito di pubblicare questa storia. In ogni caso, in un attacco di nostalgia, ho scritto dopo l'ultimo capitolo un extra che pubblicherò la prossima settimana, un extra terribilmente tragico, non adatto ai deboli di cuore.

Su questo capitolo c'è tanto da dire, intanto sì, lo so, le cose stavano andando meglio per Ray, ma depression sucks e purtroppo i problemi di salute mentale non spariscono così, da un giorno all'altro. Vai in terapia, inizi a stare meglio e poi bam la terra ti crolla sotto i piedi. Però qui volevo un happy ending, quindi non preoccupatevi troppo, Ray si riprenderà, anche perché ha delle persone meravigliose accanto. Quindi ecco prendete sul serio quelle che sono a tutti gli effetti delle malattie, seppur invisibili. Chissà se leggere questa ff aiuterà qualcuno... Sì, lasciatemi le mie manie di onnipotenza non faccio male a nessuno!

Devo dire che l'inizio di questo capitolo è uno dei miei preferiti, sono abbastanza fiero di come ho gestito il pov di Ray. L'alternanza dissonante e priva apparentemente di senso tra lui che si riferisce ad una terza persona e poi ad una seconda persona plurali è assolutamente voluta, per rendere l'idea della confusione tra pensieri e narrazione, in modo da riuscire a trasmettere a parole quelle che sono solo sensazioni.

Un altro discorso di cui morivo dalla voglia di parlare è il concetto di famiglia. Detto e considerato che ognuno può avere la sua personale opinione, ho lasciato Norman esprimere la mia, perché anche io sono cresciuto credendo in un unico modello di famiglia possibile e quando poi non ci stai dentro è dura abituarsi, la verità è che per farlo finisci per ferirti, quindi sì i bambini di Grace Field erano famiglia a tutti gli effetti, per me, ma non avevano una mamma o un papà, avevano Isabella e la chiamavano "mama". Se avete qualche ragionamento da condividere in merito, anche un diverso modo di vederla, mi farebbe piacere sentire commenti!

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Capitolo 9
*** IX. Norman ***


Quella notte giurai che saremmo stati insieme, per tutta la vita…

-Norman.- Violet mi saluta con una mano, mentre la raggiungo e uno accanto all'altra ci avviamo verso la stazione. -Sai che non c'era bisogno che mi accompagnassi?- mi fa notare con uno sguardo di ilarità.

Di Violet so decisamente poco, negli ultimi anni ho imparato a conoscere in prima persona la famiglia che Emma ha accolto e da cui si è fatta accogliere. Lei con quella sua forza luminosa e sovrumana, i sorrisi che ad un certo punto hanno imparato a mascherare il dolore sotto di essi e la sua capacità di unire le persone. Violet è sempre rimasta sulle sue, il carattere pungente di Ray su una spigliata sicurezza e testardaggine.

Sorrido tranquillo. -Non è questo. Sto andando a prendere Ray e già che ci siamo, volevo chiederti una cosa.

Violet mi guarda sorpresa, ma lei sembra il genere di persona che preferisce avere il controllo di una conversazione, quindi si affretta a ricomporsi. -Il famoso Minerva che deve chiedere qualcosa a me?

Ricambio con un ghigno. -A quanto pare non sono poi così importante come mi facevano sembrare.

-Nah, hai fatto qualcosa di davvero incredibile.- smette di guardarmi e si stringe nelle spalle.

-E comunque,- ribatto con le guance rosse -nessuno mi chiama più così.

-Che c'è ti mette a disagio?

Alzo gli occhi al cielo, questa conversazione per lei sarà molto più divertente che per me. La banchina è piccola e completamente vuota, mentre il tabellone ci segnala tra pochi minuti l'arrivo del treno diretto in città.

-Visto che ci siamo, c'è una cosa che volevo chiederti. Non devi rispondere necessariamente, se ti mette a disagio.

Violet mi lancia solo un'occhiata veloce, poi si appoggia al muro alle sue spalle. -Vai pure, se posso rispondere lo farò.

Sento la pressione sul petto e una conosciuta stretta nella pancia, mentre inspiro con il cuore che accelera al ritmo dei miei respiri. -Okay, allora. Tu come… come hai capito che ti piacessero le ragazze?

-C'è una ragione specifica per questa domanda?- chiede lei con un sorriso divertito.

-Puoi… puoi solo rispondere, se vuoi?

Sento il suo sguardo su di me e la bocca che si prepara per una risposta probabilmente tagliente, poi invece sembra cambiare idea, sospira. -E va bene, ma poi voglio la mia risposta.- continua senza darmi il tempo di replicare -In realtà non c'è mai stata una vera e propria rivelazione. Io semplicemente sapevo anche da piccola che i bambini non mi interessavano. Non dico che debba essere così per tutti, forse intorno ai… dieci anni? Si più o meno è quando sai ho definitivamente capito che quando sarei stata adottata… beh voglio dire, non c'era nessuno ad adottarci, ma ecco semplicemente sapevo che nella mia idea in futuro c'era un'altra ragazza e non un ragazzo. Tutto qui, per farla breve.

E lo è davvero, breve. E con un sospiro riconosco che non era quello in cui avevo sperato, non c'è niente che assomigli alla mia esperienza, o a quella di Ray. Solo una sfilza di nuove domande. -Quindi insomma per te è stato facile.

Violet si stringe nelle spalle, poi compie quei passi che ci separano dalla linea gialla, mentre il treno entra in stazione con un fischio. -Direi di sì. Anche se ho sempre avuto la sensazione che non ne potessi parlare, tutto diceva che il mio futuro sarebbe dovuto essere con un maschio. E a Goldy Pond ho semplicemente smesso di pensarci.

-E con Ruth?

-Eh, con Ruth.- mi scruta e sento il suo interesse direttamente sulla mia pelle -Non so se lo sai, ma Ruth non è la prima con cui ho provato ad uscire. In realtà mi incuriosisce che improvvisamente tu sia così tanto interessato, non pensavo.

Abbasso il capo, mentre ci sistemiamo in una parte isolata del vagone. -Non lo ero. Ma sto… sto cercando di capire qualcosa.

-Riguarda…?

La interrompo prima che possa proseguire, con le guance rosse. -Qualcuno si è dichiarato a me, prima pensavo fosse del tutto impossibile per me ricambiare. Ho capito i suoi sentimenti da un po' credo e all'inizio volevo fare come se nulla fosse, sarebbe stato più facile lasciare aperta la questione perché io non potevo corrispondere quei sentimenti. Però… poi mi sento strano quando sono con lui, è che vorrei costantemente… abbracciarlo, tenerlo per mano e… mi sono allontanato. Questo lo ha spinto a dichiararsi e io mi sto chiedendo se la mia è solo una forte amicizia e quindi il mio non volerlo far soffrire o… o altro.

Violet non dice niente all'inizio, sta ferma in silenzio, guardando fuori dal finestrino. Non è il genere di persona da pensare molto, in questo ricorda Emma, lei nella vita non si ferma a riflettere, agisce, parla, i pensieri sono semplici, diretti, immediatamente corrispondenti ad azioni dettate da istinti e una primitiva forma di logica empirica. Questo silenzio macchinoso è qualcosa che per persone come Emma e Violet so essere estremamente raro, il momento in cui raggiungono un punto critico in una situazione che avevano previsto facile, e qui dimostrano il loro non essere affatto superficiali, solo con un sistema di conoscere e interagire diverso da quello di qualcuno come me o come Ray, che pensiamo, certe volte troppo, fino a fonderci il cervello.

Raccolti i suoi pensieri, mi lancia uno sguardo, ma poi osserva fuori dal finestrino. -Sai quando ho conosciuto Ruth volevo solo fare esperienza. Non volevo un rapporto stabile, non sono il tipo da cercare una compagna per la vita, non rifiuto quel genere di rapporto, solo penso che arrivi con il tempo. Mi va bene divertirmi nel mentre, capisci? Abbiamo perso così tanto tempo, e ho visto tanta vita venire persa lungo la strada. Io sono qui perché qualcuno è morto e lo accetto, quindi ho deciso che avrei vissuto al massimo, sperimentato, mi sarei impegnata. Quindi sono uscita con delle ragazze, niente di eclatante, solo uscite, abbiamo mangiato, parlato, le ho tenute per mano, magari qualche bacio. Ruth non è che mi piacesse più di tanto, voglio dire Bea mi era piaciuta parecchio, di Ruth sapevo a malapena il nome. Lei in classe è molto silenziosa, parlava solo con la sua migliore amica. La prima volta che ci siamo rivolte la parola era per un progetto scolastico.

-Perché me lo stai raccontando?

-Perché Ruth non è come me. Non aveva esperienze di nessun tipo e di certo non aveva idea di cosa significasse piacere a qualcuno o che qualcuno piacesse a lei. Io ero una buona amica con cui aveva avuto una sorta di legame istantaneo. Ed è cresciuta con la convinzione che le piacessero solo i ragazzi. A dir la verità ancora pensa che i ragazzi le piacciano, potenzialmente. Però era buffo, perché con me ci provava spudoratamente senza rendersene conto. Abbiamo flirtato per settimane e per lei era solo amicizia. A me andava anche bene, te l'ho detto Ruth non era speciale, era solo divertente passare il tempo insieme ed era quello che volevo, che fosse divertente. E poi la sua amica mi ha preso da parte e mi ha detto che io le piacevo, ma lei non riusciva a capirlo, e per me le cose sono cambiate. Ruth non ha passato sempre dei bei momenti e forse se fosse stata una delle altre le avrei dato il mio supporto, ma sarebbe finita lì, non sarebbe stata una relazione in cui impegnarmi. Però Ruth non era le altre, ed è diventata importante. E poi ha voluto conoscere voi ed era la prima persona che voleva, nonché la prima persona che qualcuno di noi porta a casa, nel senso. Quindi ora Ruth potrebbe davvero essere quel rapporto per la vita. Lei è riuscita a venire a patti con i suoi sentimenti per me, a volte è ancora tanto insicura, ma insomma c'è tempo per quello.

Smetto di guardarla e mi concentro sul mondo fuori dal finestrino. -Cosa c'entra con me?

-Sei tu che mi hai chiesto di me.- ride, però è una risata che dura poco -Sai, Norman le persone non devono essere importanti da subito. Il colpo di fulmine non è per tutti. Le persone spesso diventano importanti. E non perché fanno qualcosa, ma perché cambiano qualcosa in te. Non so cosa ti fa pensare che quello che provi sia solo amicizia e non sono qui per dire se lo è o non lo è.

-È che io ho sempre amato Emma.- ammetto, non è la prima volta che lo dico, ma mai con questi termini, non capendo davvero cosa ciò significa -Capisci lei è il mio colpo di fulmine. L'ho solo sempre amata. E sono confuso.

Violet sbuffa, e mi guarda interrogativa. -Perché ora ti piace un ragazzo? È questo il problema?

Vorrei che fosse facile spiegarlo, per lei sembra tutto semplice, per me non è così, come si spiega a qualcuno che ciò che dà per scontato in questo modo per me non lo è altrettanto? -Sì. Non… non è qualcosa a cui ho mai pensato. Per me non è semplice e se scopro che non mi piace?

-Hai solo paura.

Emetto frustrazione in un verso gutturale. -Ho paura, cosa c'è di male? Lui… lui è una persona a cui comunque tengo, tantissimo. Se… non voglio che finisca con il ferirci a vicenda. Non posso ferirlo di nuovo.

La ragazza alza gli occhi al cielo. -Ma a Ray lo hai detto?

-Non ho parlato di Ray.

-Avanti, vogliamo fare questo gioco?

-Non gliel'ho detto.- cedo.

-Parlagliene. Lascia che sia anche lui a decidere. Forse è quello che gli devi, più che la tua protezione.- sembra solo esasperata, però sul viso campeggia di nuovo un sorriso accennato.

Mi gratto la testa. -Ma io non so se mi piacciono i ragazzi.

-E allora?- fa un gesto di noncuranza con la mano -Io lo so da sempre, ma mica vale per tutti. Ruth anche è cresciuta credendo di essere etero. Non lo è. Probabilmente neanche Ray si è mai posto il problema se gli piacessero o meno i ragazzi. Se sei abituato a pensarti con una ragazza probabilmente ti fa strana l'idea di stare con un uomo, ma non vederla come un ragazzo in generale a caso. Qui non stiamo parlando di un estraneo. Con Ray l'idea ti stranisce?

Ci ho pensato a lungo, Ray è sempre stato solo il mio migliore amico, il ragazzino introverso con uno sguardo sempre serio. Mi ero abituato alla sua presenza nella mia vita, finché ad un certo punto era diventato scontato, averlo, parlarci, scontati la sua espressione così neutrale, il suo non piangere mai, leggere sempre, non ridere, non ricordo di averlo mai visto sorridere in orfanotrofio. Per me era normale, normale come che potesse piacermi solo Emma perché era una bambina con la a, perché le facevano indossare gonne sotto le camicie. Emma che sprizzava gioia aveva catturato ogni mia attenzione, lei era stata una continua avventura, Ray la sicurezza del tornare in camera e trovarlo nella stessa stanza ad un letto di distanza con tanti altri fratellini intorno. Poi era venuto meno tutto, poi c'era stata la fuga e la prima volta in cui avevo visto davvero cosa fosse celato dietro la maschera d'indifferenza che Ray si era costretto ad incollare sul viso da troppo piccolo, con troppe conseguenze, troppo a lungo. Rincontrarsi dopo due anni era successo nel momento sbagliato, ma Ray era diventato bello, bello come Emma, che aveva sviluppato lineamenti definiti e taglienti sul viso e aveva perso un orecchio, su di lui i tratti infantili aspri si erano addolciti in un viso gentile, un viso che non somigliava per nulla al bambino con cui ero cresciuto. E Ray aveva pianto, Ray che non piangeva mai, mi aveva abbracciato in lacrime, inumidendo anche i miei di occhi. Quando Emma è sparita le cose sono cambiate, in me, in lui, tra noi, ed è successo qualcosa. Lui ha cambiato qualcosa in me, non è stato più l'abitudine di averlo accanto, è stato un po' il lottare per continuare a vederlo ogni giorno e un po' il ricordarmi costantemente quanto fosse bello svegliarsi e solo vederlo davanti a me. Volevo solo averli entrambi, non mi è mai importato come, non me lo sono mai chiesto, volevo solo che ci fossero entrambi. Quindi la verità è che pensarmi con Ray ad un certo punto non è più stato strano e io non so quando è successo, ma è successo.

-Non credo. Non mi stranisce l'idea di stare con lui.

Violet sorride soddisfatta. -E allora dovresti dirglielo. Digli quello che hai detto a me.

Tremo un po', perché è tanto. -Quindi lui potrebbe piacermi? Anche se è un ragazzo, anche se finora mi è piaciuta solo Emma?

-Ma sei scemo?

Rido. -Lo prendo per un sì.

Quando Ray apre la porta, salutando con un'espressione stanca Melissa, mi tiro in piedi dalla sedia su cui l'ho aspettato, attendendo di essere visto. Si volta verso di me, lo sguardo all'inizio basso, un po' scuro, poi i suoi occhi incontrano i miei e il sorriso che si apre sul suo viso è bello, o forse è solo bello vedere la sorpresa felicità dentro di lui accenderlo come era tanto tempo che qualcosa non lo illuminava così.

Mi avvicino e leggo titubanza nel linguaggio del suo corpo, mentre senza pensarci troppo gli circondo i fianchi con le braccia. -Ciao, va bene se sono venuto?

-Sì. Sì certo.- sento l'entusiasmo nella voce -Hai aspettato molto?

Mi stacco e gli scompiglio i capelli, poi gli sposto un po' la ciocca dal viso, per poter incontrare entrambi i suoi occhi scuri. -Ma cosa vai dicendo. Ti dispiace aspettarmi tu? Volevo parlare un attimo con Melissa.

Ray è colto di sorpresa, aggrotta le ciglia e riflette sull'informazione, poi si stringe nelle spalle. -Certo, nessun problema. Ti aspetto qui?

Gli faccio un cenno d'assenso e sto per voltarmi, ma la verità è che ho odiato ogni minuto dell'ultimo periodo, ogni volta che ho solo voluto stringerlo, toccarlo e ogni volta che me lo sono impedito, mi sono ripetuto che fosse sbagliato, che a me piaceva Emma e non potesse piacermi Ray, che dovevo smetterla o sarebbe sembrato qualcosa che non era reale. E continuo a chiedermi il senso di quei pensieri, il senso di impormi una lontananza fisica che è stata una lama nel petto, il senso della sofferenza che gli ho inferto, senza che avesse un senso. E non devo sentirmi sempre in colpa se Ray sta male, Ray starà male ancora a lungo, ma sta già iniziando a stare meglio e non è stata colpa mia, non essermi accorto, è stato solo parzialmente merito mio il fatto che ora siamo qui. Però se oggi è dovuto venire da Melissa è stata colpa mia, il mio averlo tenuto lontano, averlo costretto a nascondermi quei sorrisi, che prima mi dedicava senza secondi fini, per paura, è stata colpa mia. Quello che posso promettere è che mi farò perdonare. Un giorno, a partire da oggi.

-Ray.

Quindi lo chiamo e lui si gira, prima che possa dire nulla lo stringo a me, molto più forte che in precedenza. Lo afferro per la maglietta che è a maniche lunghe e lo fa sudare e gli circondo le spalle con le braccia, siamo alti più o meno uguali, ma lui nella mia presa è ancora magro, leggero, potrei spezzarlo, corpo e mente, lui se lo lascerebbe fare da me. Ma ho giurato che ne avrei avuto cura. Di ogni cosa, degli incubi, delle notti difficili e poi di quelle facili, di quelle che potrebbero farlo piangere comunque, anche se va tutto bene, forse proprio perché va tutto bene. Avrò cura di lui. Quindi lo stringo forte, e lui rimane lì impalato, confuso e vorrei ridere, ma sento solo lacrime, perché, dio, mi è mancato. E un Dio sopra di noi forse non c'è, non c'è mai stato, ma se ci fosse allora pregherò perché questo possa durare il più a lungo possibile.

-Norman?- Ray ha il tono titubante, incerto.

Non ricambia la mia stretta, ma non serve, mi stacco da lui con un sorriso e lo sguardo leggermente appannato. -Va bene, aspettami qui. Ci metto un attimo.

Lui annuisce, ma poi mi prende la manica tra le mani. -Sei… va tutto bene?- chiede, guardandomi negli occhi.

-Mhmh, va tutto bene. Ti voglio bene.- rispondo -Tu?

Ancora sembra confuso da me, incerto su cosa io gli stia chiedendo davvero, ma poi anche lui sorride. -Sì, tutto perfetto. Ti voglio bene, Norman.

E ogni tanto so che il mio nome lo pronuncia solo perché gli piace come suona. Io non aggiungo altro, busso alla porta socchiusa, oltre la quale Melissa dentro sta sistemando dei documenti, mi lancia uno sguardo, sempre luminosa, mi mette quasi soggezione quel sorriso onnipresente.

-Ciao, Norman.

-Buong… volevo dire, ciao Melissa. Disturbo?

Lei scuote la testa, facendo ondeggiare la cascata di capelli biondi. -Affatto, affatto. Vuoi sederti?

Ci penso, sedermi non era nei piani, in realtà non sono neppure sicuro di cosa sono venuto qui a dirle. Però accetto. -Non rimarrò molto, Ray mi sta aspettando fuori.

-Ho immaginato.- inizia lei, aprendo lo stesso taccuino che le ho visto in mano più volte. -Puoi parlarmi di quello che vuoi, l'ho detto a te ed Emma, siete liberi di venire per parlare con me. Anzi soprattutto se le cose dovessero diventare pesanti per voi, avete tutte le ragioni per contattarmi.

-Lo so, grazie, in realtà non sono qui per questo. Non per Ray in particolare. Forse già lo sa… sai? Comunque ho fatto un casino questi ultimi due mesi con lui.

Lei aspetta il mio silenzio prima di parlare. -Norman non sono qui per giudicare le tue azioni, lo sai questo? Ti senti responsabile per qualcosa che è successa?

Annuisco. -Sì. So che tutto questo non è colpa mia, ma io ultimamente l'ho trattato così male, senza accorgermene neanche e lui è stato male di nuovo e ha pensato che mi facesse schifo… è solo…- mi prendo la testa tra le mani -ho passato così tanti anni a dirgli che gli avrei dimostrato il contrario e poi mi sono comportato così, mentre lui era più vulnerabile.

-Lui, Ray?

Non so quando dire il suo nome sia diventato faticoso, forse quando Ray invece ha cominciato a ripeterlo solo per il gusto di farlo. -Non so perché mi sono allontanato.

Melissa mi guarda negli occhi un secondo. -Pensi che Ray ti dia la colpa di questo?

-Non penso, ma non è indicativo.- mi stringo nelle spalle -Lui incolpa se stesso di tutto.

-E non è quello che stai facendo ora tu?- Melissa ha un sorriso inquietante sul volto, è la sensazione che per anni ho provato guardandomi allo specchio notando il genere di persona che ero diventato -Mi hai detto che sai che questo- fa un ampio gesto della mano includendo se stessa -non è colpa tua. Eppure ora mi dici che ti senti responsabile per qualcosa che riguarda Ray e questo.

Premo due dita sugli occhi. -Ma io ho sbagliato.

-Può essere. Ma tutti sbagliamo, anche Ray sbaglia, questo non vuol dire che i vostri sensi di colpa siano sempre sani. C'era qualcosa che ti spaventava?- Melissa non finge di non sapere cosa sia successo e forse da una parte ne sono sollevato.

-C'era. Ma non sono più spaventato. Io… Melissa, pensi che potrei stare con Emma e Ray?

Lei scrolla le spalle. -È quello che vuoi?

Era l'unica cosa che ho desiderato per tutta la vita. -Penso di sì. Non lo so, è quello che voglio, ma ho paura perché quello che provo per Emma non è come quello che provo per Ray.

-Pensi che se lo fosse avresti meno paura?

-Forse.

-Beh Norman, stare con loro due non renderà i sentimenti per entrambi uguali, lo sai questo?- mi spiega lei -Non devo darti io il permesso di stare con Ray ed Emma, non è a me che devi chiederlo.

-Ho capito.- ammetto un po' sconfitto, so che sto cercando tutte le risposte nei posti sbagliati.

Melissa si alza e gira intorno alla scrivania avvicinandosi. -Norman, cosa vuoi davvero sapere da me?

Abbasso il capo, torcendomi le dita delle mani. -Pensa che possiamo essere felici insieme? Ray sarebbe felice? Sono così stanco di vederlo soffrire.

-Di nuovo, è una risposta che non posso darti per Ray né per Emma, ma posso dirti che da fuori il vostro rapporto esiste già. Non state costruendo qualcosa di nuovo.- ha la voce calma e il tono basso, mentre il mio respiro si spezza -Sarebbe solo l'ufficializzazione che non dovete affrettarvi a fare, arriverà con il tempo comunque, probabilmente. Le relazioni possono essere complicate, Norman. Ogni rapporto in cui c'è affetto può essere complicato. Ma se vuoi solo la mia opinione non professionale, penso che possiate essere davvero felici insieme. Avete tutti gli strumenti per rendervi felici.

Mi alzo. -Grazie, ancora. Posso rubarti un fazzoletto?

Melissa ride. -Prendi pure.

Fuori Ray sta leggendo un libro per la scuola. Quando mi vede non ci diciamo nulla, andiamo in silenzio fino alla stazione e lì veniamo raggiunti da Vincent, Barbara e Cislo che sono finalmente tornati a casa. Il viaggio è breve quando ad aspettarci sulla banchina dall'altra parte c'è il resto della nostra famiglia. C'è Emma, a cui siamo mancati, perché viene da noi e ci abbraccia entrambi. Dobbiamo piegarci per stare alla sua altezza. Ha quel suo sorriso sul volto e le guance arrossate dal sole degli ultimi giorni.

Le accarezzo qualche ciocca in testa. -Ti sono cresciuti i capelli.

Lei mi guarda confusa e poi ride. -Senti chi parla.- ribatte passandomi le mani tra le mie ciocche chiare per scompigliarli.

Io la tiro un po' verso di me, una mano sul suo viso, che scivola lì dove non c'è più l'orecchio, fino a intrecciare le dita tra le sue ciocche mosse. Appoggio il viso in mezzo ai capelli e inspiro il suo odore, ed è sempre bastato questo. Averla, con o senza ricordi, perché lei è in tutto e per tutto la bambina con cui ho vissuto e poi la ragazza che mi ha salvato la vita più di una volta.

La sera arriva con calma, tingendo il cielo di più colori di quanti ne possiamo immaginare. Giochiamo insieme ad alcuni degli altri finché c'è ancora luce. Quando si iniziano a vedere le stelle il sole è ormai sparito dietro i picchi delle montagne e ai piccoli è intimato di rientrare per non prendere freddo. L'umidità della sera è gelata ed Emma, appoggiata a me, trema leggermente. La faccio spostare ed entro dentro il nostro Chalet. Dall'armadio del corridoio prendo un vecchio telo, mentre dalle nostre camere tre coperte per ripararci dal freddo della notte. In cucina quasi tutti i più grandi stanno lavorando per la cena, mi avvicino ed è Anna a passarmi un vassoio con tre tazze ancora vuote.

-Siete sicuri che non sia un problema?- mi informo per l'ennesima volta.

Gilda alza gli occhi al cielo. -Ma per favore. Vai da loro e state tranquilli per oggi, noi ci vendicheremo nei prossimi giorni.- ci prende in giro.

Sorrido. -Grazie a tutti.

Ray ed Emma mi stanno aspettando abbracciati nello stesso punto in cui li ho lasciati. Poso davanti a loro il vassoio e accendo prima la candela della lampada esterna che ho portato con me, poi sistemo il telo a terra accanto al nostro albero e passo a tutti e due le coperte che ho preso da casa.

Ray mi guarda con la fronte aggrottata. -Che stai facendo?

-Secondo te?- ribatto io con una risata divertita, scompigliandogli i capelli.

Ci sediamo come siamo abituati a fare, io e Ray con la schiena contro il tronco e le spalle che si toccano ed Emma, che di solito è tra di noi, sdraiata su una delle nostre gambe, questa volta si siede a gambe incrociate davanti. La cioccolata calda è buona anche in estate lì, Emma si sporca il naso e tutte le mani mentre cerca di afferrare i marshmallow, che le sono stati messi sopra, scottandosi le dita. A Ray invece rimane il segno della panna sopra le labbra.

Emma lo guarda e si mette a ridere. -Ti sono venuti i baffi.

Ray si pulisce, le guance rosse d'imbarazzo. -Senti chi ha parlato.

La ragazza gli fa la linguaccia, ma poi si pulisce e mi guarda. -Allora per cos'è tutto questo?

Mi stringo nelle spalle. -Era tanto tempo che non guardavamo le stelle insieme.

Emma mi fissa un po' immobile e silenziosa, non sta sorridendo, c'è qualcosa nel suo sguardo. Quando eravamo piccoli una volta eravamo sgattaiolati fuori dalle nostre camere e ci eravamo messi a guardare attraverso le grate della sala da pranzo il cielo stellato fuori dalla finestra. Non avevamo visto quasi nulla, così ci eravamo promessi che quando fossimo cresciuti e fossimo usciti di lì lo avremmo visto davvero il cielo, insieme. Ci saremmo incontrati ancora, avremmo trovato un prato su cui sederci e nel buio di una notte d'estate avremmo guardato le stelle e basta. Emma una volta aveva detto che le sarebbe piaciuto lanciare in aria una lanterna con un desiderio, ma si era rifiutata di dirci quale fosse.

-Quando succederà ve lo dirò. Ora è un segreto.- aveva detto, con il suo sorriso malandrino e portandosi un dito alle labbra come ad intimare il silenzio.

Non ce lo ha mai più detto. E chiederlo non ha più senso, perché non se lo ricorderebbe. Chissà, dentro mi piace credere che quel desiderio, almeno un po', si sia realizzato, o anche solo uno dei suoi tanti sogni.

La prima volta che ci siamo seduti sotto il cielo è stata precisamente un anno fa. Era notte, aveva piovuto tutto il giorno e non avevamo potuto lavorare agli Chalet. Quando è calata la sera e sono arrivate le cicale e i grilli a cantare inni alla notte, Emma ci ha trascinati fuori, perché le nuvole si erano diradate, in poche rimanevano a tingere dei riflessi di rosa il cielo ad ovest, sopra le nostre teste la sua volta era di un blu cobalto con piccoli punti luminosi che per la maggior parte apparivano e sparivano ad intermittenza. Un anno fa le cose non erano come adesso. E posso sentirlo dentro l'anima che sono cambiate. C'è una sicurezza diversa a saturare l'aria tra di noi.

-Beh è bello sta sera il cielo.- conferma Emma.

Ray si stringe nelle spalle continuando a bere piano. -È solo cielo. Non c'è niente di speciale nelle stelle, non sono diverse dal sole, sono molto più lontane e la loro luce lampeggia a causa dell'atmosfera.

Emma non sembra ferita o risentita dalle sue parole, posso vedere il suo sorriso ombreggiato dalla tremolante luce della candela, rivolto alle stelle. -È così però… non pensi di essere speciale per poter essere qui a guardarlo? Io penso di esserlo, perché solo due anni fa lo vedevo da sola. E ora ci siete voi.

La fisso con una punta di dolore e uno sguardo d'affetto. -Questo è il futuro che abbiamo scelto.- dico solo, non ne voglio un altro, voglio loro, solo loro.

-È decisamente un bel futuro.- Emma chiude gli occhi, come a voler ascoltare la voce della notte tra i sussurri del vento e i lamenti delle cicale.

Ray è silenzioso, il suo sguardo malinconico, fissa prima Emma, poi la terra e alla fine quel cielo che è così diverso dal cielo sotto cui siamo cresciuti. -C'è una cosa che non vi ho mai detto.

-Cosa?- gli chiedo guardando il suo profilo, netto contro la notte.

-Nostra madre era anche la mia madre biologica.

Non vedo il motivo per dircelo, eppure allo stesso tempo mi sento confuso, un po' frastornato da questa informazione. -Dici… dici davvero?

-Sì. Lo so da quando sono piccolo, ricordavo di mia madre ed era Isabella e ricordo la canzone che mi cantava. Lei non l'ha mai cantata con nessun altro.

Emma lo guarda ma a lei non sembra toccare, forse perché non ricorda, o forse solo perché è Emma. -E quindi? Era nostra madre e basta Ray. Nel bene e nel male. Sai penso che sia arrivato il momento di riappenderla al muro, se voi ve la sentite. E vorrei una volta, ma non oggi, che mi parlaste di lei. Come si deve.

Un giorno alcuni mesi fa Emma si è arrabbiata, ricordo che era la prima volta che l'avevo sentita infuriarsi. Non aveva detto nulla all'inizio mentre i bambini le parlavano di Isabella, ma quando si era allontanata e le avevo chiesto se stesse bene lei si era arrabbiata e aveva urlato. La sua voce non l'avevo mai sentita così, forzata per tirare fuori rabbia. Emma non è mai stata tagliata per la rabbia. Lei è più per l'amore, la gioia, la speranza. Quella rabbia era stata solo la piccola ombra di un dolore che io non posso capire. Perché io di mia madre ho un ricordo a cui voler bene e da odiare.

-Va bene.- le sorrido e le faccio spazio in mezzo a noi.

Emma non si è mai fatta attendere. Non si fa lasciar indietro neanche adesso, si stende e si accoccola contro di noi, la copriamo meglio con la coperta, le tazze a terra dimenticate e vuote, solo quella di Ray ha ancora un po' del suo contenuto. Piccoli passi. Gli sorrido e lui ricambia, poi entrambi ci concentriamo su Emma, che se ne sta sdraiata a pancia in su e guarda il cielo.

Si tira su all'improvviso, con un colpo di reni. -L'avete vista?!- esclama indicando il cielo.

-No, cosa?- chiede Ray seguendo la direzione a cui punta il dito di Emma.

-Una stella cadente.

Io la abbraccio da dietro e me la porto contro, lei non si ribella. -Esprimi un desiderio.

Emma ride. -E cosa devo desiderare. Ho già tutto.

Arrossisco e lo stesso succede a Ray, che nasconde il viso, girandolo lontano da noi. Emma però è troppo presa dal suo cielo e dalla sua stella che è arrivata e sparita nella sua vita durata un singolo istante, per notarlo.

Inspiro l'aria fredda che brucia la trachea prima di parlare. -Sapete, Ray è stato onesto, lo sarò anche io. Ho pensato a quello che mi avete detto ieri. In realtà sono mesi che ci penso. E io voglio stare con voi. Non mi importa come, voglio solo stare con voi due. Tutta la vita.

Emma si gira per guardarmi negli occhi, di nuovo con l'attenzione su di noi. -Aspetta, che intendi?

-Che, mh… io vi amo. Nel senso che sono… innamorato di voi. E non dobbiamo iniziare una storia, non dobbiamo fare niente. Ma ricambio i vostri sentimenti. E non mi importa come, ma ho tutta l'intenzione di vivere la mia vita con voi.

Ray anche si è voltato verso di me. -Tutta la vita?

Sorrido. -Tutta la vita, Ray. Se continuerete a scegliere me.

Ci guardiamo e c'è questo silenzio, ma non ne ho paura, non ho paura di cosa ne seguirà, non ho paura di nulla ora. Ora ci sono loro e siamo vivi e abbiamo tutta la vita davanti e siamo qui in questo mondo. E il nostro destino ce lo siamo scritti da soli. Giorno per giorno da quando siamo scappati. Non renderemo conto a nessuno, mai più. Nessun Dio. Nessun demone. Nessun essere umano. Questa è la nostra famiglia, l'unica a cui renderemo conto e per cui vivremo come abbiamo vissuto fino ad ora.

-Per tutta la vita.- Emma allunga i due mignoli nella nostra direzione, io e Ray ci lanciamo uno sguardo e glieli intrecciamo ai nostri.

Poi anche io allungo il mio verso di lui. -Per tutta la vita.

Ray ricambia e a quel punto inizia a piangere. -Per tutta la vita.

Ed è d'obbligo abbracciarci. E poi baciarci. Forse dovremmo chiedere, chi vuole essere il primo, chi dovrebbe baciare chi. Ma Emma non si fa questi problemi, si avvicina e preme le sue labbra contro le mie. Io la accarezzo lì dove c'era un orecchio e ora c'è una treccia a coprirne il vuoto. La tengo vicina a me facendo scivolare la mano sul suo collo e accarezzandole la linea della mandibola. C'è una stretta nel mio stomaco, che è forte, dolorosa, e che piano piano si allenta, naufragando nel calore delle sue labbra sulle mie. Poi lei si stacca, lentamente, le guance arrossate. Guarda Ray e si sporge per avere un bacio anche da lui. Questa volta è l'altro a completare la distanza che li separa e a lasciare che le loro labbra si uniscano. Li guardo e, solo quando si sono già staccati, con le mani di Emma ancora sulle guance di Ray e quelle di Ray che stringono forte l'erba a terra, mi rendo conto che non c'è stato un solo istante di gelosia in me. Ray ha lo sguardo un po' perso e le labbra umide che riflettono i bagliori della lampada. Emma ha i capelli un po' scompigliati, le guance rossissime e un sorriso di quelli che se ci fosse un sole da fare impallidire ci riuscirebbe, lei da sola. E allora so che li amo. Tutti e due. Che se il mondo ha un senso è perché lo sto abitando con loro.

-Cosa ne dici Ray, adesso un po' ne vale la pena?- Emma lo chiede e lei ha un modo tutto suo di fare queste domande a Ray, non c'è malizia, non c'è un secondo fine, solo la speranza che un giorno a quella domanda Ray risponderà un sì sicuro e non esisteranno più giornate in cui penserà il contrario.

Ray annuisce. -Ora sì. Io…- e vedo il momento in cui arriva il biasimo per sé stesso, il momento in cui capisce che a quella domanda c'è ancora un ma.

Io ed Emma non abbiamo più paura di quel ma, abbiamo vinto tante volte, vinceremo ancora quando dovremo combattere.

Lo fermo, una mano sulla sua spalla. -Non devi spiegarci. Lo sappiamo. Un giorno lo vedrai come lo vediamo ora noi.

E Ray ha davvero un bel sorriso, un sorriso che adesso vorrei baciare, ora che ci sono solo le stelle ed Emma a testimoniare della mia vita e del mio amore, ma non ce la faccio.

Ray mi guarda e per qualche motivo io so che lui sa. Si morde un labbro con i denti. -Norman, posso baciare anche te?

Il cuore batte forte, Emma mi accarezza la nuca sui capelli corti e quando le dita ci passano contropelo ho un brivido lungo la schiena. È solo Ray davanti a me. È Ray. -Sì.

Quando mi bacia non c'è assolutamente niente di strano o di sbagliato. È una pressione sullo sterno e le farfalle nello stomaco. Ray è più sottile di Emma, le labbra si sentono di meno, preme poco, così sono io ad afferrarlo e portarlo un po' più vicino a me. E quando ci stacchiamo ridiamo. Emma di nuovo in mezzo a noi e noi sdraiati accanto a lei, circondandola, tenendola vicina e tenendoci vicini.

-Vi amo.- sussurra anche Ray.

Poi c'è di nuovo silenzio e quasi mi pesa romperlo. -Emma, devi sapere una cosa. Ray già lo sa.

-Dimmi.- lei mi guarda, ma è tranquilla, mi accarezza il petto con le mani.

-Sai le medicine che mi hanno dato a Lambda? Quelle che avrebbero potuto uccidermi?

Annuisce, e ora c'è paura nel suo sguardo e nella sua stretta sulla maglietta. Anche Ray mi stringe, lui non ha paura, mi sorride e c'è tristezza nel suo sguardo, ma anche altro, il tacito accordo con cui mi sosterrà. Tutta la vita.

-Beh quando siamo arrivati qui hanno fatto degli esami, prima che iniziassero i test per i farmaci per annullarne gli effetti. E… ed è venuto fuori che mi hanno reso sterile, hanno reso sterili tutti noi del progetto originale. Era uno degli effetti collaterali a quanto pare. Hayato e quelli delle fattorie sperimentali di produzione di massa fortunatamente non hanno avuto nella somministrazione i farmaci che hanno danneggiato noi. Quindi… sì. Tutto qui.- sussurro con la voce un po' gracchiante senza guardarla -Non è niente di che. Non poter avere figli miei, non è esattamente la prima cosa a cui penso ora come ora. Solo perché così tu lo sai. Pensavo fosse giusto che tu… insomma lo sapessi. Visto che stiamo insieme.

Emma mi abbraccia e la sento tremare. -È davvero tutto okay, Norman? Ti va davvero bene così?

-Te l'ho detto, non è niente di che. Sono vivo e ho voi. Ho i nostri fratelli, non ho bisogno di poter…

-Norman. Non ti ho chiesto questo.- mi blocca lei stringendomi un po' di più -Va bene se a te non importa davvero, ma hai il diritto di starci male. Ti hanno tolto la possibilità di avere dei figli, non devi volerli per forza per poter soffrire, lo capisci?

-Mhmh.- dico solo mentre sento le lacrime lasciare i miei occhi, non so perché sto piangendo, c'è un po' di sollievo perché l'idea di come mi avrebbe guardato dopo averlo saputo mi preoccupava, e un po' piango anche per me, perché ci hanno tolto tanto, non hanno fatto altro che toglierci per tutta la vita. Perché noi non eravamo nulla, perché renderci sterili non faceva alcuna differenza per loro, non eravamo più che animali da poter castrare chimicamente per i loro esperimenti. La nostra vita non ha mai avuto valore per nessuno.

Ray cerca per quel che può di abbracciare sia me che Emma. -Per noi non cambia la persona che sei, lo sai vero?

Annuisco e le mie labbra involontariamente si distendono in un sorriso. -Lo so.

Emma mi asciuga le guance dai segni delle lacrime, poi mi fa un sorriso. -Adesso. Raccontatemi una storia. Una storia su di noi.

A quel punto il sorriso mi apre il viso, ancora più di prima. -Va bene, allora ti racconterò di una notte a Grace Field.

E gliela racconto guardando Ray, che abbassa le palpebre e sorride anche lui. Il viso verso il cielo. Racconto di una notte molto simile a quella, una notte in cui abbiamo avuto il privilegio di essere solo bambini, una notte in cui Ray di nascosto nel buio della casa sorrise. Una notte in cui Emma espresse un desiderio che non conosceremo mai, ma che evidentemente si è avverato ad un certo punto. E forse non importa saperlo se ora non ha più nulla in più da desiderare. Le racconto di quella prima notte in cui ci siamo amati ancora prima di farlo davvero e in cui abbiamo giurato di appartenere gli uni agli altri. Per tutta la vita.

~~~

Note dell'autore: okay... Ehm chiedo scusa per il giorno di ritardo... Se non si fosse notato sono cronicamente in ritardo nella vita. Quindi siamo qui, con ufficialmente l'ultimo capitolo, ma la settimana prossima, penso giovedì a questo punto, arriverà l'extra. Passando al capitolo, all'inizio sarò onesto, non mi convinceva assolutamente per nulla, forse è perché le fini mi spaventano, chissà. Comunque fatto sta che non mi convinceva per niente, poi invece quando sono arrivato alla fine e ho scritto le ultime parole ero letteralmente lì con il cuore a mille IO. Sapevo solo che fosse la conclusione che aspettavo di leggere ecco, ed è una perfetta chiusura ad anello con le ultime frasi che richiamano quelle del primo capitolo. Tutto questo l'ho scritto in una cosa come un mese, che è il tempo per me più breve in assoluto, gli ho dedicato giorni e alle volte notti, sapere che è sostanzialmente finito mi riempie di malinconia. Ma è anche bello essere riuscito ad essere qui e pubblicarlo. Okay, nella speranza che sia piaciuto anche a voi e che chissà magari abbia emozionato qualcuno (uno ci spera sempre), ci vediamo con l'extra finale per chi è ancora qui a leggere!

ps. Parentesi, chiedo scusa per eventuali errori nella battitura, ho fatto più attenzione possibile, ma settanta pagine di word da controllare sono faticose, quindi spero mi perdonerete...

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Capitolo 10
*** Extra ***


WARNING: suicidio

So let me fall, let me break

Under everything unsaid

Just let me die 'cause I can't take

Living with what's in my head

If I surrender, surrender

to the monsters in me

will it set me free?

-"If I surrender", Citizen Soldier

Circa un anno dopo l'arrivo nel mondo umano..

Caro Norman,

Ti affido Emma. Abbi cura di lei e lascia che lei abbia cura di te. Mi dispiace di non essere stato abbastanza forte, ci ho provato. Non posso più. Dille che mi dispiace, che le voglio bene. Ti chiedo scusa se ti lascio solo ora, ma la troverai e sarete felici anche senza di me. …

-

La lettera l'ho lasciata sotto il suo materasso. Non so se la troverà mai. Forse avrei dovuto metterla in un posto più facile da raggiungere, all'inizio l'avevo sistemata sul mio letto, ma all'ultimo ci ho ripensato. Norman non merita quelle parole, non merita quello che ho fatto. Quindi l'ho nascosta, nascosta dal mio senso di colpa, dal mio momento in cui ho pensato che c'era ancora speranza. L'ho messa via. Se solo fossi stato abbastanza forte… se avessi tenuto duro… ma è un anno che resisto. Anna sta meglio finalmente. Norman ha smesso di avere sintomi. Tutti stanno andando avanti. Solo io ero rimasto bloccato lì. In fondo questa è sempre stata l'unica fine possibile. L'ho solo rimandata. Emma l'ha rimandata. Non voglio il perdono di nessuno. Non credo di meritarlo. Non lo credevo neppure mentre le gambe ancora penzolavano nel vuoto sotto di me, seduto su un davanzale che sarà l'ultimo posto che questo mondo ha visto di me. Almeno del me che è stato vivo. Il cielo era bello, buffo averlo pensato un attimo prima. Eppure il cielo non è nulla. Solo vuoto fuori dall'atmosfera. Ho allungato una mano davanti a me e ho sentito il soffio del vento tra le dita. E non c'è stato niente a trattenermi. In fondo non c'è mai stato niente a trattenermi. Ci sono stati gli incubi a inseguirmi la notte. C'è stata la dolorosa assenza di Emma. Ho chiuso gli occhi e ho pregato che chiunque me l'avesse portata via prendesse me e restituisse loro lei. Non ha risposto nessuno. C'è stato solo vento, lacrime, silenzio di una vita troppo rumorosa. Mi sono chiesto perché piangere, era quello che avevo voluto. Era quello che mi ero cercato. E in fondo era quello che comunque meritavo. Anche in quel caso non c'è stata risposta. Non ne ho attesa una. Avrei dovuto pensarci meglio. Forse il fatto è che non ho pensato. Un giorno mi sono svegliato, ho guardato i sorrisi intorno a me e mi sono ricordato che ero rimasto solo io come unica crepa in questa casa che lei aveva creato anche per me. E non c'è stato niente a ripetermi il contrario. Quindi ho deciso di farla finita, di smetterla con i risvegli in notti troppo buie, con il sangue che cerco di lavarmi dalle mani, ma non c'è. Perché imbrattate non sono loro, ma è l'anima. Di finirla con i sensi di colpa che mi perseguitano con gli sguardi, le voci e i visi di tutti quelli che ho lasciato morire. Ogni notte. Di porre fine al dolore dentro il petto che c'è stato per il semplice fatto di essere vivo. Norman ha pensato che non mi sentissi bene quella sera, l'ultima volta che abbiamo parlato, ed era vero, ma in un modo del tutto diverso, mi ha detto di riposare, che avrebbe portato i bambini al lago. L'ultima cosa che gli ho detto è stato che ci saremmo visti più tardi. L'ultima cosa che lascerò al mondo sarà una bugia. Ho chiuso gli occhi e c'è stato buio, per la prima volta non c'erano incubi. Avresti dovuto lasciarmi morire a Grace Field, Emma.

La morte non è bella. La prima cosa che sento, dopo non aver sentito niente, è che fa male. E sono abbastanza egoista nella confusione iniziale da volere che finisca. Ma poi c'è qualcosa, dietro le palpebre che pesano. C'è luce. Ed è accecante. È viva. O ad essere vivo sono ancora io. Ed è vivo Norman, che è accanto a me, seduto con i gomiti puntati sul materasso e la testa tra le mani, le ciocche chiare sono annodate da quelle che potrebbero essere troppe notti insonni. I suoi capelli hanno una loro forma quando non dorme abbastanza, perché ci giocherella con le mani per ore e li annoda. Non posso essere vivo. Dove ho sbagliato? Mi odierete ora? Doveva finire, perché fa ancora tutto così male?

Mi muovo e cerco di dire qualcosa, ma le parole sono confuse e la mente pulsa, lampeggiando di nero con macchie davanti agli occhi.

-No, stai giù Ray. Ora non ti puoi muovere.- ci sono due braccia a tenermi e una voce che mi ferisce le orecchie, come queste luci mi feriscono la testa.

Mi blocco e cerco di mettere a fuoco il viso di Norman sopra il mio. -Mhh… No… Norm… an?

E poi c'è la sua mano sulla mia testa, la sento tra i miei capelli e poi lì dove dovrebbero esserci i capelli e invece c'è qualcosa a coprirmi la pelle, qualcosa che fa male. Il suo viso è doloroso da guardare, perché non ha dormito e sotto gli occhi si vedono occhiaie e rughe di paura, e poi ci sono le lacrime. Ed ogni dolore su quel volto è colpa mia, sono stato io a fargli questo. Eppure lo avevo promesso ad Emma. La parte peggiore è che il primo pensiero che segue i sensi di colpa è che solo per questo avrei meritato di morire. Avrebbe dovuto lasciarmi morire. Ma lui non mi ha lasciato morire neanche a Grace Field.

Mi sorride contraddicendo quelle lacrime che scivolano sul suo naso e cadono su di me. Perché mi stai sorridendo? -Ehi. Sono io.- mi accarezza una guancia -Sono così felice che tu ti sia svegliato.

E allora so che non è giusto. Che non era così che doveva andare. Non deve farmi questo ancora. Non voglio vivere. Non voglio che sia felice, perché io non ho intenzione di sopravvivere. A qualsiasi cosa succederà. Fa male. Vederli. Tutti quanti. Sapere che è colpa mia. Che li ferirò tutti. Che sono inutile a qualsiasi altra cosa che non sia fare del male. Non voglio. Ed è la stronzata di tutto questo. Di questo stare male. Non mi finirà lui, devo farlo io il lavoro sporco. Eppure non è bastato. Mi dispiace, Norman. Voglio che se ne vada, lo allontano, ma le braccia non sembrano neppure le mie, almeno il braccio che si muove. Lo spingo via dal petto, ma lui si avvicina solo di più. Non farmi questo. Fa male. Non voglio vederti. Ti odio. Dovevi lasciarmi morire. Ti odio. Mi dispiace. Vai via. È colpa tua.

-Ray.- sento il tono preoccupato con cui mi chiama, ma deve andare via, io gli farò del male. Non capisci? Non c'è una cura per me, sono rotto, troppo a fondo. -Ray, cosa c'è? Sono Norman, sei al sicuro. Guardami.

Ma non voglio guardarlo. -Vattene.- la gola brucia.

-No, ehi. Ray. Non mandarmi via.- ed è doloroso quando mi abbraccia, la testa pulsa, ma il petto potrebbe aprirsi in due.

-… mi dispiace… non ce la faccio…

Ci sono i suoi singhiozzi contro la spalla, le sue mani che mi toccano con troppa gentilezza, eppure questo male sono stato io ad infliggerglielo. -Ci sono io. Andrà meglio. Ti aiuteremo, è una promessa.

Non so perché sto piangendo, forse è per il dolore, forse sono i sensi di colpa. -Perché? Perché sono vivo? È colpa tua… dovevate lasciarmi morire…

-Non posso perderti.- mi rimette sdraiato, cerca i miei occhi, ma io non voglio guardarlo -Ti prego, non andartene.

Non sai cosa mi stai chiedendo.

-Non farlo più. Ti voglio bene. Te ne voglio così tanto, okay? Ray, non posso fare questo senza di te. Ti prego. Ti prego. Ho avuto così tanta paura. Prometto che andrà meglio.

Ma tu non lo sai. Per me è sempre andata così. Per me non c'è possibilità che vada meglio.

-Per favore, promettimi che non lo farai mai più.

Scuoto la testa e sento i muscoli del viso che si distorcono in un pianto che arriva tutto insieme. Cerco di asciugarlo, di contenere gli effetti, mi porto una mano agli occhi per pulir via le lacrime. E poi è Norman a farlo per me, mentre mi bacia la fronte e si sistema per sdraiarsi accanto a me.

-Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Faccio così schifo.- dovresti odiarmi.

-Sh.- Norman mi abbraccia di lato, e con una mano mi accarezza la testa, le sue labbra sulla mia tempia a lasciare baci silenziosi, come se bastassero a lenire i demoni dentro -Non è colpa tua. Non è colpa tua, Ray.

Invece lo è. È sempre stata colpa mia. E forse il mondo sarebbe stato meglio senza di me. Forse non avrebbe fatto davvero la differenza. Ma è solo la mia testa a dirmelo, perché Norman continua a ripetermi altro. Norman è convinto che io sia necessario. Non è vero. Non valgo niente. Io porto dolore, io ferisco le persone. Io gli ho portato via Emma. E io ho portato ad Emma via i suoi fratelli. Sono stato io. Io ho odiato mia madre e lei è morta e non le ho mai detto che le volevo bene. Non voglio vivere. Non voglio. Non voglio. Odio tutto questo. Odio quanto fa male.

-Non… non dirlo agli altri.- non posso pensare a cosa direbbero di me se lo sapessero. Forse anche loro mi odierebbero quanto io mi odio.

Norman continua ad abbracciarmi, sento quanto forte mi tiene e quanto si trattenga per non farlo troppo. -Siamo stati io ed Anna a trovarti. Lei… lo sa. Agli altri abbiamo detto solo che stavi male.

È quasi un guaito, il verso di un animale, quello che esce da me. Come ho fatto a non pensare che qualcuno mi avrebbe trovato. Qualcuno avrebbe visto cosa avevo fatto. Qualcuno vivrà tutta la vita con questo. Non posso rifarglielo. Non è giusto. Non è giusto. -Mi dispiace…

Lui mi tiene a sé e forse è l'unico motivo per cui rimango integro. L'unico collante a tenere insieme parti di me che non mi appartengono più. Un corpo che forse non dovrebbe essere mio. Un corpo che odio. Che non voglio guardare. Che è abitato da un'anima che maledirò ogni giorno che mi resterà da vivere. Ma Norman non lo capisce, perché lui quel corpo dannato lo tratta con gentilezza. Mi accarezza quando singhiozzo un po' più forte, mi bacia le guance quando sto immobile troppo a lungo, cerca le mie mani quando in un attimo di rabbia ho provato a graffiarmi la pelle. E rimane sveglio quella notte e le notti che seguono finché torniamo a casa. Dal terapista ci vado una volta. Non lo merito. Non ho voglia di vederlo. Non voglio guarire. Ed è quello che urlo a Norman quando torniamo a casa.

-Ray, ti farà bene. Non puoi andare avanti così. Lo sai. Voglio solo vederti tornare a stare bene.

-Non posso stare bene! Smettila di dire che andrà meglio! Non lo capisci Norman? Non voglio guarire! Voglio solo morire. Volevo morire e tu non me lo hai lasciato fare! Ti odio!

E non è vero che lo odio. Perché poi mi ha abbracciato e gli ho chiesto scusa, così tante volte. Ma il perdono che mi ha dato non lo merito. Perché lui mi tratta con gentilezza e io gli dedico risentimento. Comunque la lettera l'ho bruciata.

-

Quando Ray ha provato ad uccidersi, io non ho capito. Se solo avessi visto prima… invece in un attimo la sua vita mi è passata tra le dita. Quella sera sono tornato a casa con Anna perché volevamo vedere le stelle cadenti insieme al lago, dovevamo prendere la cena e volevo che lui venisse con me. Perché il suo sguardo spento, triste, lo avevo visto. Invece di trovare lui però, abbiamo sentito il tonfo. E poi c'era sangue. Un corpo che sembrava esanime. Ed ho avuto paura. Ho pianto. Ho maledetto un mondo che, dopo avermi tolto Emma, voleva portarmi via anche lui. Ho odiato Ray per essersi odiato così. E poi ho pianto di nuovo, perché non è mai stata colpa di Ray. E io gli voglio bene. Non posso perderlo. Ma dovevo sapere perché. Quindi, per trovare una risposta, ho messo sottosopra la nostra camera, la notte in cui lo operavano al cervello per salvargli una vita che lui aveva gettato giù da una finestra. La notte in cui non sapevo se c'era riuscito davvero alla fine a togliersela definitivamente. Ho trovato così la busta. E c'erano scuse e affetto messi dentro una lettera d'addio. E sarebbe potuta essere l'ultima cosa che avrei avuto di lui. Ma quello che ha detto non è vero, non posso vivere senza di lui. Non più di quanto possa vivere senza Emma. Eppure…

Emma perché ci hai fatto questo?

Emma perché gli hai fatto questo?

Perché ci hai lasciati soli? Come hai potuto pensare che ce l'avremmo fatta?

Ray per poco non ce l'ha fatta. Ma lei non lo sa.

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Note dell'autore: okay è strano mettere la spunta alla storia completa, non sono davvero pronto a farla finire. Tra parentesi i dialoghi di Ray alcuni dovevano essere con un formato diverso, ma non ho la più pallida idea di come si faccia con i codici html di efp, quindi ci ho rinunciato alla fine. Beh per chi arriverà a leggere fino a qui un grazie infinito. Ho scelto di scrivere questo extra, che non è fondamentale ai fini della storia, sono cose che si sanno, perché pensavo fosse importante. In un certo senso l'ho visto come il punto di non ritorno di Ray, e ho pensato che magari mostrarlo avrebbe reso ancora più chiaro quanto fino a quel momento nessuno avesse visto quelle ferite che aveva dentro e che era riuscito a nascondere tanto bene, portandone gli effetti da solo. Penso di aver già ampiamente illustrato tutti i meccanismi di Ray, non so se questo capitolo aggiunga davvero qualcosa alla storia. Quello che c'è ancora più evidente è il dramma che vivono, non solo Ray, ma tutte le vite che toccano la sua e che, tristemente, anche se qui si parla di personaggi fittizi, poi sono drammi che alcune persone vivono davvero. Drammi che certe volte portano il nero del lutto, altre si adornano di cicatrici silenziose. Quindi chissà, probabilmente no, ma se mai qualcuno che ne avesse bisogno leggerà questo, non sei sol*. Te lo dice uno che spesso ancora ci crede. Ma ti assicuro che dove meno te lo aspetti troverai persone che in te vedono il meglio delle loro vite.

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