Put your lips on me (and I can live underwater) di My Pride (/viewuser.php?uid=39068)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** When worlds fallin' apart ***
Capitolo 2: *** And all was more stranger ***
Capitolo 3: *** From father to son ***
Capitolo 4: *** The past is salty like the ocean ***
Capitolo 1 *** When worlds fallin' apart ***
Put your lips on me
Titolo:
Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long
Fiction
Capitolo uno: 3593
parole fiumidiparole
Personaggi: Damian Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake,
Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Vari ed eventuali
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst
Avvertimenti: Mermaid!AU,
Accenni slash, Hurt/Comfort
SUPER
SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Seduto
su uno scoglio poco distante dalla riva, Jon gettò uno
sguardo
all'orizzonte mentre dondolava i piedi nell'acqua, mordendosi un po' il
labbro inferiore nell'attesa.
Era la prima volta che Damian tardava ai
loro
appuntamenti, e stava cominciando a diventare nervoso. Si conoscevano
ormai da sei anni ed erano praticamente cresciuti assieme, a dispetto
della diversità che li divideva.
Ricordava ancora il giorno in cui si
erano
incontrati. Aveva dieci anni e stava giocando proprio in
quell'insenatura, arrampicandosi sulla scogliera; aveva messo un piede
in un punto sbagliato tra le rocce ed era scivolato, sgranando gli
occhi nel cadere verso il basso, con il cielo che si allontanava e le
mani che cercavano inutilmente di afferrare qualcosa. L'acqua di mare
gli aveva riempito la bocca e ne aveva respirata un bel po', agitando
inutilmente braccia e gambe per cercare di risalire in superficie,
poiché a quel tempo non sapeva nuotare; l'ultima cosa che
aveva
visto, fra la moltitudine di bolle che scappavano dalle sue labbra, era
stato un lampo verde che gli era sfrecciato accanto, poi più
nulla... finché non si era risvegliato su uno scoglio e
qualcosa
di caldo e liscio che gli schiaffeggiava ripetutamente le guance.
Jon ammetteva di aver gridato per la
sorpresa
quando, mettendo a fuoco il mondo circostante, si era ritrovato a
fissare quello che gli era sembrato in tutto e per tutto un giovane
tritone. Ne aveva sentito parlare da suo padre e dalla gente del
villaggio, ma nessuno, da quel che ne sapeva, ne aveva mai visto uno;
solo suo nonno Jonathan, da quale aveva preso il nome, aveva blaterato
di averne conosciuti un paio e uno di loro l'aveva anche descritto come
un distinto gentiluomo inglese dalla pelle bianca e dai baffi perfetti,
ma nessuno aveva voluto credergli e la cosa era ben presto finita nel
dimenticatoio. Almeno finché Jon non si era ritrovato a
guardarne uno.
Quando lo sconcerto iniziale era
passato, e quel
tritone gli aveva sbottato contro in una strana lingua - Jon non
l'aveva capito, ma dal tono gli era sembrato molto simile a qualcuno
che si lamentava per le cattive maniere che gli venivano rivolte -, Jon
aveva potuto guardarlo meglio e aveva dovuto ammettere a se stesso che
era del tutto diverso dai tritoni che erano sempre comparsi nelle
storie del suo vecchio nonno. La pelle, per niente pallida come quella
che si era aspettato da una creatura che viveva nell'oceano, era di un
piacevole colore ambrato tendente al miele, e aveva fatto risaltare
come non mai i suoi occhi, di un verde così brillante che
per un
momento erano sembrati luccicare esattamente come la lunga coda
squamosa, la quale non aveva smesso di agitarsi tutto il tempo con un
certo nervosismo.
Jon non aveva capito bene cos'era
successo, ma quel
giovane tritone l'aveva salvato e non aveva fatto in tempo a
ringraziarlo che, così com'era apparso, alla fine era
sparito.
Rammaricato, il giorno successivo era tornato a quell'insenatura con la
speranza di rivederlo, e così aveva fatto il giorno dopo e
il
giorno dopo ancora, e aveva quasi perso le speranze di rivederlo
quando, facendo timidamente capolino dal pelo dell'acqua, la testa mora
di quel tritone si era fatta finalmente vedere, e Jon aveva sorriso
radioso nel saltare sugli scogli per raggiungerlo.
Per un po' si erano fissati in un
imbarazzante
silenzio, Jon in piedi sullo scoglio e quel tritone col capo rivolto
verso l'alto; poi, dopo aver fatto spuntare parzialmente la pinna
caudale al di fuori dell'acqua, aveva anche allungato una mano verso di
lui, e Jon per un momento aveva avuto la stupida paura che l'avrebbe
trascinato ancora una volta sul fondo dell'oceano. Paura che era
sparita come spazzata via dal vento quando, con voce austera e sicura,
quel tritone si era rivolto a lui e gli aveva semplicemente detto
«Mi chiamo Damian» nella sua lingua, aspettando che
gli
venisse stretta la mano. E Jon non ci aveva pensato due volte a
ricambiare con l'ennesimo sorriso, presentandosi a sua volta e, mentre
lo ringraziava per quel salvataggio, non aveva potuto fare a meno di
notare il lieve rossore su quelle guance scure.
Da quel momento erano passati ben sei
anni e la loro
amicizia, nonostante quei due mondi di distanza, era diventata ben
più forte di quanto loro stessi avessero pensato all'inizio,
per
quanto Jon, nel silenzio della sua camera, ammettesse a se stesso di
non provare soltanto quello... ma era un sentimento letteralmente
impossibile, quindi si teneva per sé ogni cosa, godendosi
almeno
il tempo che potevano passare insieme. Ed era proprio per quel motivo
che in quel momento era così nervoso, tanto che aveva
cominciato
a battere ritmicamente un piede sullo scoglio mentre gettava uno
sguardo verso il cielo. Era quasi il tramonto. Sarebbe dovuto tornare
presto a casa e Damian... Damian non era venuto.
Un orribile pensiero gli
balenò in testa e
scattò in piedi così in fretta che quasi
rischiò
di scivolare da quello stupido scoglio. Gli era forse successo
qualcosa? Suo padre, che nonostante avesse accettato quell'amicizia non
vedeva di buon occhio gli umani, l'aveva costretto a tagliare del tutto
i ponti con lui? Oppure... oppure aveva incontrato quel branco di
squali di cui gli aveva parlato, e loro avevano finito per... oh, Dio.
Non voleva nemmeno pensarci.
«Cadi di nuovo in acqua e
stavolta ti lascio affogare davvero».
Jon sussultò alla voce
proveniente dalla sua
destra, e finì col sedere sullo scoglio quando si mosse
troppo
in fretta per voltarsi; imprecò a denti stretti e si
massaggiò il sedere, fulminando il tritone con lo sguardo
nel
sentirlo ridere senza tanti complimenti.
«Mi hai fatto prendere un
colpo, D!» si
risentì, aggrottando la fronte prima di incrociare le gambe
e
poggiare una mano sulla caviglia destra. «Stavo cominciando a
preoccuparmi», ammise poi, e l'ilarità sulle
labbra di
Damian sparì, lasciando posto ad un'aria un po'
infastidita.
«Mio padre». Oh,
ecco. Jon l'aveva
immaginato. Adesso avrebbero dovuto dirsi addio e... «Ma non
è come pensi», si affrettò ad
aggiungere Damian,
come se gli avesse appena letto nel pensiero. Le sirene - pardon,
tritoni - potevano farlo? Nah, forse era semplicemente un libro aperto.
«I miei fratelli sono tornati dal loro viaggio dal Mar Nero,
e
mio padre ha organizzato un evento in loro onore».
Jon trasse un lungo sospiro di sollievo,
sentendo il
cuore rallentare un po'. Aveva davvero pensato al peggio, e forse era
stato persino un po' stupido. «E non sei felice di averli
rivisti? Tu adori i tuoi fratelli», accennò con un
sorriso, e Damian si strinse nelle spalle.
«Mhn. Passabili»,
affermò lui, ma
si vedeva lontano un miglio che lo diceva solo per salvare le apparenze
e mantenere la sua solita maschera di compostezza.
Jon non li aveva conosciuti bene, ma
ogni tanto
aveva potuto vedere anche i fratelli di Damian. Le prime volte che
avevano cominciato ad incontrarsi, Damian era stato seguito proprio da
uno di loro e, quando era stato visto, Jon per poco non era stato
colpito da un bastone lanciato a tutta velocità, simile ad
un
giavellotto; era letteralmente sbiancato dalla paura nel sentirlo
conficcarsi alle sue spalle, e Damian aveva urlato contro quello che
Jon aveva scoperto essere suo fratello Tim, il quale aveva pensato che
lui - Jon - fosse un umano che stava cercando di fare del male al suo
fratellino. Chiarito il disguido, alla fine Tim si era scusato, ma una
scena simile si era verificata anche con Jason, il fratello di mezzo. E
il fatto che gli avesse sparato contro una vera e propria bolla d'aria,
che aveva fatto saltare le rocce dietro di lui, aveva quasi fatto
svenire Jon.
Il suo preferito, però, era
Richard, per gli
amici Dick. Anche se persino lui non si era risparmiato dal proteggere
il fratello minore a modo suo - Jon non aveva mai pensato in vita sua
di vedere dei bastoni da escrima alimentati da anguille elettriche -,
Dick era il classico tipo solare che riusciva ad andare d'accordo con
tutti, ma al tempo stesso incuteva abbastanza timore da calmare i
battibecchi dei suoi fratelli; Damian aveva anche una sorella,
Cassandra, ma quest'ultima si limitava ad assistere con divertimento
alle liti che davano vita e alle quali Jon stesso non riusciva a
resistere, ridendo a più non posso. Era strano dirlo, ma si
era
affezionato a quella famiglia di tritoni e sirene come non avrebbe mai
pensato prima. Peccato che non poteva dirlo a nessuno.
Il padre di Damian era stato un altro
paio di
maniche. Insospettito dal continuo via vai del figlio, e del modo in
cui anche i restanti figli sembravano sparire, alla fine aveva seguito
silenziosamente Damian ed era emerso dalle acque in uno spumeggiare di
onde e schiuma, spaventandoli entrambi. E per un bambino di undici
anni, per quanto piuttosto alto per la sua età, era sembrato
davvero mastodontico con la sua espressione austera e il cipiglio
nervoso che aveva solcato le folte sopracciglia scure. Per fortuna, per
quanto si fosse mostrato poco disposto a sopportare quegli incontri,
aveva lasciato che lui e Damian continuassero ad essere amici,
imponendo come unica regola dei giorni stabiliti e soprattutto degli
orari in cui non avrebbero rischiato di essere visti. Né da
soli, né insieme. Avevano accettato a malincuore quelle
condizioni, ma con gli anni avevano capito che era per il loro bene...
ma soprattutto per quello di Damian.
«Jon?»
Damian lo richiamò e lui
dovette sbattere
più volte le palpebre, essendosi perso nei suoi pensieri.
Non si
era nemmeno accorto che Damian si era sporto un po' sullo scoglio verso
di lui, le mani sul bordo umido e il viso quasi ad una spanna dal suo,
e gli occhi di Jon si ingigantirono un po'. Era la prima volta che si
trovavano così vicini l'uno all'altro, e Jon poté
vedere
che le iridi di Damian tendevano al dorato proprio intorno alla
pupilla, e piccole squame gli coloravano le guance di verde come una
spruzzata di lentiggini; sulla gola, proprio al di sotto delle orecchie
a punta, aveva dei piccoli tagli che Jon capì essere delle
branchie, e a dire il vero non credeva che Damian le possedesse; le
labbra erano stranamente rosee e carnose, e Jon si ritrovò a
deglutire senza nemmeno rendersene conto.
Rimasero immobili per attimi
interminabili, poi si
resero conto della situazione e si allontanarono così in
fretta
che Jon quasi cadde con la schiena all'indietro e Damian
sparì
sotto il pelo dell'acqua, salvo poi ricomparire dall'altra parte dello
scoglio con un'espressione vagamente corrucciata mentre le prime luci
del tramonto coloravano il cielo d'arancione.
«Sarà meglio che
torni a casa»,
sentenziò, indicandogli la scogliera con la punta della
coda.
«I tuoi potrebbero cominciare a chiedersi che fine hai fatto,
se
resti ancora qui».
Jon sospirò pesantemente.
Odiava ammetterlo
ma, anche se non erano riusciti a passare del tempo insieme, Damian
aveva ragione. «Vorrei poter rimanere di
più».
«Lo so. Ma non possiamo. Ci
vediamo domani».
«Domani?» lo
guardò con un
cipiglio curioso quando sentì quelle parole, e Damian si
strinse
un po' nelle spalle.
«Ho fatto tardi per colpa di
mio padre, mi deve un giorno in più».
Il sorriso di Jon divenne sfavillante e,
per quanto
Damian avesse pronunciato quelle parole con disinteresse,
notò
che le labbra gli si erano incurvate in un po'. Si salutarono mentre il
sole cominciava a calare verso l'orizzonte, e Jon sentì lo
sguardo di Damian sulla schiena come ogni volta in cui tornava verso la
costa e a casa, regalandogli un ultimo saluto con una mano prima di
cominciare ad arrampicarsi sulla scogliera per lasciare
quell'insenatura con un po' di imbarazzo ancora dipinto in volto.
Oh, accidenti. Era stato quasi sul punto
di
abbassare il viso e baciare Damian, che diavolo stava pensando? Per
quanto avesse cominciato a vedere Damian sotto una luce diversa da un
paio d'anni a quella parte, non poteva continuare a fantasticare
inutilmente in quel modo. Che razza di futuro avrebbero potuto avere?
Non sapeva nemmeno se quel sentimento era ricambiato, quindi sarebbe
stato meglio mettersi il cuore in pace fin da subito.
Jon allontanò quei pensieri
dalla propria
testa e afferrò la sporgenza per salire di qualche altro
centimetro, rabbrividendo per il venticello freddo che aveva cominciato
a sferzare l'insenatura; ma fu quando allungò la mano ancora
una
volta, per quel sentiero su cui si arrampicava praticamente da sei
anni, che la roccia sotto il suo piede destro franò, e lui
sgranò gli occhi nel cercare di stringere inutilmente la
presa
mentre precipitava esattamente com'era successo sei anni addietro, con
la sola differenza che non ci sarebbe stato l'oceano ad attutire la sua
caduta, ma solo un ammasso di rocce e spuntoni.
Gridò, e al suo grido parve
fare eco la voce
di Damian, e quasi pianse mentre vedeva la sua vita scorrergli veloce
davanti agli occhi. No.
No. No.
Non davanti a Damian. Si sarebbe sfracellato sulle rocce e il suo corpo
senza vita sarebber rimasto lì a sanguinare sotto lo sguardo
terrorizzato del tritone che aveva cominciato a... i suoi terrificanti
pensieri furono interrotti quando si rese conto di essere stato
afferrato letteralmente al volo, lasciandosi scappare un piccolo suono
soffocato mentre sbatteva contro qualcosa di massiccio, sì,
ma
al contempo caldo e rassicurante.
Jon, che aveva stretto furentemente le
palpebre col
cuore che batteva all'impazzata e il fiato mozzato nel petto, ci mise
un secondo di troppo a rendersi conto di cosa fosse successo,
esattamente come quel suo salvatore. Aprì piano un occhio,
poi
un altro; forti braccia muscolose dalla pelle ambrata e umida
sorreggevano il suo corpo, e quando voltò di poco la testa
incontrò gli occhi verdi e dilatati di Damian, che sembrava
stupito esattamente come lui.
«D-Damian?»
domandò con voce
stridula, tossicchiando per schiarirsi la gola. Non fece in tempo a
chiedere altro che entrambi caddero con un tonfo sordo sulla sabbia
sottostante, imprecando a denti stretti. E fu a quel punto che Jon,
proprio come Damian, si rese conto che qualcosa non andava. Era seduto
su Damian e... e quello che premeva contro le sue natiche non era di
certo una coda.
Il sangue gli salì al viso fino alle orecchie e si
allontanò di scatto per gattonare sulla sabbia il
più
lontano possibile, levandosi la giacca tra borbottii imbarazzati mentre
Damian, incredulo, si osservava le gambe che avevano sostituito la sua
coda e l'organo umano che aveva preso il posto dell'apparato genitale a
cui era abituato. Era... impossibile. Com'era successo?
Sbattendo le palpebre, Damian
allungò una
mano per pizzicare quella strana carne di cui aveva letto solo nei
libri che i suoi fratelli portavano dai loro lunghi viaggi - aveva
imparato a creare una bolla d'aria in cui poterli conservare,
così che non si rovinassero a causa dell'acqua dell'oceano e
potesse leggerli in santa pace -, e che, se ben ricordava, si chiamava
coscia; anche le ginocchia erano strane, per non parlare di
quell'affare floscio fra le sue gambe, niente a che vedere con
l'emipene biforcato munito di spine che aveva sempre posseduto.
Ciononostante il suo sguardo era curioso, e stava quasi per toccarlo -
aveva letto molte storie in cui gli umani lo usavano anche per il
piacere, e non solo per la riproduzione - quando venne coperto da
quella che capì essere una felpa. La felpa di Jon.
Damian sollevò lo sguardo
verso Jon, che
aveva accuratamente evitato tutto il tempo di guardarlo. «Che
dovrei farci con questa?» domandò e, per la prima
volta in
vita sua, sentì Jon dar vita ad un suono frustrato.
«S-Smettila di guardarti e
copriti». Jon
non si girò per accertarsi che l'avesse fatto, borbottando
un
ringraziamento per essere stato salvato - di nuovo - prima di trarre un
lungo sospiro e fare la domanda ovvia che aveva cominciato a farsi
largo nella sua testa. «Mi spieghi che significa?»
chiese,
forse persino con un pizzico di risentimento.
Damian, però,
abbassò nuovamente lo
sguardo, rigirandosi un po' quella felpa fra le mani prima di
abbandonarla sulle cosce. «Ne so quanto te».
«Come puoi non saperlo? Non
sai sempre tutto?»
«Se lo avessi saputo,
non--» Damian si
interruppe, sbottando qualcosa in quella lingua che Jon non riusciva
tuttora a capire prima di gettare via la felpa, che affondò
un
po' nella sabbia. «Lascia perdere. Torno a casa».
Jon avrebbe voluto dire qualcosa, ma non
sapeva
cosa. Si era solo ficcato le mani in tasca e aveva guardato Damian di
sottecchi, vedendo il modo in cui cercava di rimettersi in piedi;
arrancò un po', con le gambe che tremavano sotto il suo
peso, e
mosse qualche passo incerto verso il mare, barcollando come un ubriaco
mentre cercava di mantenere inutilmente l'equilibrio. Cadde in
ginocchio non appena raggiunse la riva, ma l'espressione sul suo volto
passò dallo stranito al terrorizzato mentre affondava le
mani in
acqua e afferrava la sabbia colma di conchiglie e sassolini.
«Jon».
Jon dovette far ricorso a tutta la sua
forza di
volontà di giovane adolescente per non guardare Damian,
correndo
verso la felpa per prenderla e avvicinarsi a lui. «Cosa
c'è che non va?» chiese preoccupato, abbandonando
ogni
forma precedente di risentimento di qualunque tipo. La voce di Damian
sembrava davvero spaventata.
«La mia coda».
Scavò nella sabbia
come se ciò potesse servire a qualcosa, i grandi occhi verdi
fissavano l'acqua che stava diventando un pozzo nero a causa del sole
che tramontava. «Non so come far tornare la mia
coda».
Massaggiandosi il ponte del naso, Jon
gli
lanciò una rapida occhiata. «Okay... ragiona. Come
hai
fatto a farti spuntare le gambe?»
«Ti ho detto che non lo so,
idiota»,
sbottò Damian. «Ti ho visto cadere e non ho
pensato
razionalmente, mi sono solo gettato verso la riva».
Jon guardò la scogliera e poi
di nuovo
Damian, volgendo lo sguardo verso il mare e l'orizzonte prima di
tornare a fissare la scogliera. Nessuno dei due sapeva cosa fosse
successo e, se Damian non riusciva a farsi spuntare di nuovo la coda,
allora avevano davvero un bel problema. Un'altra folata di vento lo
fece rabbrividire, e notò che anche Damian l'aveva fatto,
massaggiandosi le braccia su cui era spuntata la pelle d'oca. Oh,
dananzione. Quanto era idiota?
«Metti questa», lo
invitò
immediatamente, poggiandogli lui stesso la felpa sulle spalle;
ricevette da Damian uno sguardo confuso ma, nonostante il borbottio che
si lasciò scappare, parve accettare di buon grado quella
gentilezza, lo sguardo perso all'orizzonte con una strana nota
nostalgica.
«...e adesso?»
sussurrò mentre si
stringeva in quella stoffa calda, e Jon, puntellandosi al suo fianco,
scosse brevemente la testa.
«Non... non lo so»,
ammise. «Ma non puoi restare qui».
«La mia famiglia si
preoccuperà».
Era vero, l'avrebbero fatto di certo.
Conoscendo i
fratelli e la sorella di Damian, nonché suo padre - oh, Dio,
suo
padre l'avrebbe infilzato con il suo tridente e l'avrebbe trasformato
in cibo per i suoi pescecani -, probabilmente stavano già
nuotando verso l'insenatura nel rendersi conto che aveva superato l'ora
del coprifuoco. Jon sapeva che anche suo padre e sua madre si sarebbero
preoccupati a morte, ma non poteva abbandonare Damian e non sarebbe
comunque potuto risalire insieme a lui. A malapena si reggeva in piedi
su quelle sue nuove gambe, come avrebbe potuto arrampicarsi?
Jon sospirò, raschiando i
denti sul labbro
inferiore prima di scivolare vicino all'amico e avvolgergli un braccio
intorno alle spalle; Damian si irrigidì, ma Jon si
giustificò dicendo che in quel modo sarebbero stati
più
al caldo e la fece passare per una semplice cosa umana, guadagnandoci
un grugnito un po' scettico mentre se ne stavano lì, col
sole
che veniva inghiottito dal mare e la notte che cominciava ad avvolgerli.
«Non credo di sentirmi molto
bene»,
disse d'un tratto Damian. Aveva la voce roca e faticava a tenere gli
occhi aperti, e Jon lo sentì tremare contro di lui solo per
vederlo con le palpebre socchiuse.
«Cos'hai?» chiese
preoccupato.
Damian si portò debolmente
una mano al
ginocchio. «Le... le gambe. Mi fanno male». Si
umettò le labbra, deglutendo più e più
volte
mentre brividi freddi gli correvano dietro la spina dorsale.
«E... non respiro».
«O-Okay, aspetta,
io...» Cosa poteva
fare? Non aveva mai visto Damian in quelle condizioni e non aveva idea
di come comportarsi, il respiro dell'amico era sempre più
rotto
e Jon sgranò gli occhi nel rendersi conto, quando gli
poggiò una mano sulla fronte, che scottava.
«Damian, ehi,
D, guardami», lo richiamò, avendo notato il modo
in cui
stava poco a poco abbassando le palpebre, e proprio in quel momento
reclinò la testa all'indietro, lasciando Jon ancor
più
sconvolto.
Dovette farlo sdraiare sulla sabbia e
cercare di
tenerlo al caldo il più possibile con la felpa che gli aveva
dato - era una fortuna che gli stesse grande, perché almeno
lo
copriva fino a metà coscia -, impanicato. Cosa avrebbe
dovuto
fare? Cosa poteva fare?
Jon si guardò intorno, gli
occhi che
guizzavano da una parte all'altra dell'insenatura senza aver idea di
come aiutare il suo amico, finché la parte razionale del suo
cervello, alla vista delle condizioni di Damian che peggioravano
praticamente sotto il suo sguardo, gli diede l'unica soluzione
possibile. Per la prima volta dopo sei anni, Jon fece una cosa che non
aveva mai fatto: condivise il suo luogo segreto... e chiamò
suo
padre.
_Note inconcludenti dell'autrice
Allora.
Questa storia in realtà è nata un po' per caso
(soprattutto grazie all'immagine che apre la storia), ma sono stata
spronata a scriverla davvero solo grazie a
Shun
di
Andromeda, alla quale dedico l'intera storia (di cui mi ha
anche aiutato a scegliere il titolo)
Negli
ultimi mesi mi è stata vicino un sacco e mi ha fatta tornare
la
voglia di scrivere e sclerare, quindi la scrittura è tornata
ad
essere un vero e proprio divertimento... e avevo dimenticato come ci si
sentiva a lasciarsi andare in mondi immaginari o scenari del tutto
inventati, quindi non posso non dirmi contenta di essere tornata a
pubblicare qualcosa
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
Messaggio
No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** And all was more stranger ***
Put your lips on me_2
Titolo:
Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long
Fiction
Capitolo due: 3026
parole fiumidiparole
Personaggi: Damian Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake,
Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Vari ed eventuali
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst
Avvertimenti: Mermaid!AU,
Accenni slash, Hurt/Comfort
SUPER
SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Jon
sbadigliò sonoramente e si stiracchiò sulla sedia
su cui
era accomodato, stropicciandosi gli occhi prima di gettare uno sguardo
verso il proprio letto, dove Damian stava riposando. Aveva ancora le
palpebre abbassate e respirava pesantemente, simbolo che la febbre non
si era ancora abbassata.
Erano passati appena due giorni ed era
stato tutto
così... assurdo. Nessuno dei due si sarebbe mai aspettato
che le
cose finissero in quel modo, eppure eccoli lì, a casa sua.
Quando si era reso conto della piega che stavano prendendo le cose, non
aveva esitato ad afferrare il cellulare per chiamare suo padre e
spiegargli per filo e per segno dove si trovasse e che cosa fosse
successo - omettendo ovviamente la parte in cui Damian era un tritone e
limitandosi semplicemente a dire di aver trovato un ragazzo svenuto
sulla spiaggia -, così che lui stesso potesse aiutarlo con
Damian. Nell'attesa, però, mentre teneva stretto a
sé
l'amico febbricitante per farlo stare al caldo, l'oceano davanti a loro
aveva cominciato a ribollire e Jon per poco non aveva gridato quando
due luminosi occhi azzurri lo avevano scrutato nella mezza
oscurità.
Col cuore in gola, Jon ci aveva messo un
secondo di
troppo per rendersi conto che il volto che era emerso dalle acque era
quello di Dick. E lo aveva visto cambiare espressione così
tante
volte, nell'arco di una manciata di secondi, che aveva faticato non
poco a spiegargli la situazione e a dirgli che Damian, nonostante ci
avesse provato, non era riuscito a farsi spuntare nuovamente la coda e
alla fine aveva deciso di portarlo a casa sua per tenerlo al caldo ed
evitare che la sua febbre peggiorasse. Dick lo aveva fissato a lungo,
facendo scorrere lo sguardo dal suo volto alle gambe nude di Damian che
spuntavano sotto la felpa, e Jon era stato certo, nonostante la
parziale oscurità, di aver visto le labbra di Dick ridursi
ad
una linea sottile, proprio come le sue palpebre.
Dick se n'era andato dicendogli che ci
avrebbe
pensato lui stesso ad avvertire Bruce e che lui avrebbe fatto meglio a
comunicare loro le condizioni di Damian giorno dopo giorno, ma, prima
di sparire fra le onde, gli aveva consegnato una conchiglia dalla forma
ovale con la quale avrebbero potuto parlare, anche se in un primo
momento Jon aveva creduto che lo stesse prendendo in giro.
Però,
quando Dick gli aveva bonariamente detto che se non voleva credere a
lui poteva parlare direttamente con Bruce, Jon alla fine aveva
accettato quella conchiglia con la promessa che si sarebbe preso cura
di Damian finché non fossero riusciti a trovare una
soluzione
per le sue attuali condizioni.
Suo padre l'aveva raggiunto nello stesso
istante in
cui la coda azzurra di Dick era sparita sotto la superficie dell'acqua,
e non aveva perso tempo: fissando le corde che usava solitamente per le
sue arrampicate, si era calato nell'insenatura e aveva avvolto Damian
in una coperta e se l'era issato lui stesso in braccio, indicando a Jon
una delle funi col gancio di sicurezza; quando erano risaliti e avevano
preso posto nel furgone, suo padre aveva cominciato a tempestarlo di
domande, dal perché si fosse spinto fin laggiù a
come
aveva trovato quel ragazzo, e Jon aveva risposto a tozzi e bocconi,
restando sempre piuttosto sul vago. L'interrogatorio era stato ripreso
da sua madre, per quanto si fosse occupata nel frattempo delle
condizioni di Damian, sempre più febbricitante.
Adesso, con addosso un pigiama troppo
grande e
imbottito di medicine, Damian se ne stava rannicchiato sotto il piumone
sotto lo sguardo mesto di Jon. Si sentiva come se tutta quella
situazione fosse stata colpa sua. Se non si fosse distratto, se non
avesse cominciato a pensare a Damian durante la salita, forse... scosse
il capo, poggiando i gomiti sulle cosce per abbandonare la testa fra le
mani. Damian sarebbe davvero riuscito a tornare normale? Per quanto Jon
si fosse trovato egoisticamente a pensare che in quel modo sarebbe
stato più facile confessargli i suoi sentimenti... non
l'avrebbe
mai fatto a discapito della sua felicità. Damian aveva una
famiglia da cui tornare, un intero mondo che faceva parte di lui... e,
per quanto Jon avrebbe voluto dirgli tutto, non poteva dargli
l'ennesimo peso né tenerlo con sé, soprattutto
quando non
aveva idea di cosa provasse Damian.
«J-Jon...?»
Trasalendo, Jon sollevò di
scatto la testa e
puntò lo sguardo sul volto di Damian, le cui palpebre aperte
a
mezz'asta stavano mostrando in parte i suoi occhi verdi. Era ancora
febbricitante e le sue guance erano rosse e accaldate, ma il respiro
aveva cominciato a tornare in parte regolare.
«Ehi». La voce di
Jon uscì
tremula mentre si sporgeva verso il letto. «Come ti
senti?»
Damian si prese un momento, tossendo
prima di
leccarsi le labbra. «...come se mi avesse masticato uno
squalo», ammise, e Jon si lasciò scappare una
risatina.
«Ne hai anche
l'aspetto».
«Mhnr. Non sei
divertente».
Chiuse gli occhi, salvo poi riaprirli di
nuovo di
scatto prima di raddrizzare immediatamente la schiena; il capogiro che
lo colpì, però, lo costrinse a cadere ancora una
volta
all'indietro, per di più con una raffica di colpi di tosse
che
lo fecero piegare di lato e sollevare le gambe con un gemito doloroso.
Allora le aveva davvero, non era stato un sogno. Sentì Jon
massaggiargli delicatamente la schiena per aiutarlo a calmarsi e ammise
a se stesso di aver apprezzato il gesto, sentendo poco a poco quella
tosse calmarsi e lasciarlo in pace. Cosa gli stava succedendo? E
dov'era? Provò a chiedere spiegazioni, ma la voce non
uscì, avvertendo solo un orribile subbuglio nel suo stomaco.
«Ti ho... portato a casa
mia». Jon
rispose come se gli avesse letto nel pensiero, e sollevò
giusto
una palpebra per vedere il modo in cui si stava massaggiando un
braccio. «Stavi male, non potevo lasciarti lì da
solo
senza essere certo che ti... sai...» abbassò la
voce, come
per timore che qualcuno potesse sentirlo «...ti spuntasse di
nuovo la coda».
«Casa tua?»
ripeté Damian,
cercando di fare mente locale. Aveva vaghi ricordi di quello che era
successo, ma ciò che gli era rimasto impresso era il modo in
cui
si era gettato verso la riva per salvare Jon. Poi le gambe, il corpo
accaldato, il dolore... perché i muscoli di quei nuovi arti
gli
facevano così male? Non aveva mai letto niente del genere
nei
libri che... la consapevolezza lo colpì come uno schiaffo in
pieno viso, e guardò Jon in stato confusionale.
«Che
giorno è?»
«La tua famiglia sa che sei
con me»,
disse subito Jon, leggendo fra le righe di quella domanda. E, nel
vedere l'aria stranita di Damian, si affrettò a continuare.
«Quando sei svenuto... ho chiamato mio padre».
Frenò
subito ogni replica nel vederlo pronto ad aprire la bocca,
ricordandogli che stava male e che urlargli contro avrebbe solo
peggiorato le sue condizioni, oltre a richiamare i suoi genitori.
«Nell'attesa, è arrivato Dick. Mi ha consegnato
questo». Jon frugò fra le tasche della tuta,
porgendogli
il piccolo dispositivo a forma di conchiglia che gli era stato
affidato. «Mi ha chiesto di informarli delle tue condizioni
tutti
i giorni. Oggi è il secondo».
Damian l'aveva osservato per tutto il
tempo in cui
aveva parlato, e un po' si era tranquillizzato. Era passato poco tempo,
bene. Ma restava sempre lo stesso inconveniente di quelle due
protuberanze che aveva al posto della coda. «Non sanno nulla
riguardo a quelle?» chiese nell'accennare alle proprie gambe,
e
Jon scosse la testa.
«Troveranno qualcosa. Ne sono
sicuro»,
provò a rincuorarlo, avendo notato l'espressione mesta che
si
era dipinta sul volto di Damian. Voleva tornare a casa. Ma come avrebbe
potuto biasimarlo? «Ora cerca di stare tranquillo. La mamma
ha
detto che avevi la febbre molto alta quando ti abbiamo portato
qui».
Anche se incerto, Damian si
limitò a fare un
breve cenno col capo. Era... strano respirare aria e starsene sotto
quelle coperte, e soprattutto ancor più strano era il
pensiero
che quello fosse il letto di Jon. Sentì le guance bruciare,
ma
diede la colpa alla febbre e voltò la testa verso la
finestra,
sentendo la pioggia che picchiettava contro i vetri. Non si era accorto
che stava piovendo, e si concentrò a tal punto su quel suono
che
quasi sussultò quando sentì la mano di Jon sulla
sua
fronte, tornando a guardarlo con fare interrogativo.
Jon sorrise imbarazzato e si
massaggiò il
collo con l'altra mano, giustificandosi col fatto che volesse solo
controllare che non scottasse troppo, e Damian lo lasciò
fare,
abbassando le palpebre quando una piacevole pezza bagnata
cominciò a rinfrescargli la fronte. Bollente com'era, gli
sembrava davvero una bellissima sensazione.
Non si accorse nemmeno di essersi
addormentato di
nuovo, svegliandosi con un colpo di tosse e il piacevole profumo di
cibo. Non aveva idea di che cosa fosse, di certo non erano le alghe e
gli altri piccoli animali acquatici che preparava solitamente
Pennyworth, ma l'odore era invitante e, quando aprì del
tutto
gli occhi, vide la figura longilinea di una donna dai lunghi capelli
scuri che aveva appena posato una gran ciotola sul comodino; per un
attimo ebbe uno strano dejavù ma, prima che potesse capire
il
perché, tossì e richiamò l'attenzione
della donna.
«Scusa, ti ho
svegliato?» Aveva una
bella voce. Autoritaria ma, al tempo stesso, dolce e comprensiva. In un
modo un po' bizzarro gli ricordava Selina, la compagna di suo padre.
Damian scosse immediatamente il capo.
«No», gracchiò, cercando di mettersi
almeno a
sedere; ma la donna lo frenò nel poggiargli delicatamente
una
mano su una spalla.
«Non sforzarti», gli
disse in tono
cordiale. «Jon era davvero preoccupato quando ti ha portato
qui.
Hai bisogno di riposo». Gli scostò qualche ciocca
di
capelli che gli si era incollata al viso, e per un attimo Damian
sussultò, temendo che potesse notare le sue orecchie a
punta; la
donna, però, lesse quel fare come diffidenza verso una
persona
sconosciuta, così sorrise rassicurante. «Oh,
scusami.
Dimenticavo. Sono Lois».
Tossendo, Damian nascose il naso
arrossato al di
sotto delle coperte, osservando la donna con cipiglio.
«Damian», si presentò in tono rauco,
facendola
ridacchiare.
«Piacere di conoscerti,
Damian». Si
voltò verso il comodino, ma solo per sollevare il coperchio
della ciotola; si sprigionò un profumo ancor più
invitante, e Lois gettò uno sguardo verso il volto curioso
del
giovane. «Ti ho portato un po' di brodo di pollo. Hai bisogno
di
rimetterti in forze, ma non sforzarti se non riesci a mangiarlo tutto,
d'accordo?»
In un altro momento, Damian avrebbe
probabilmente
risposto col suo solito tono sprezzante, così da far capire
alla
donna che non era più un avannotto ormai da molto tempo e
che
era abbastanza adulto da poter fecondare delle uova, ma nel guardarla
in quegli occhi scuri, ogni cattiveria gli morì sulle labbra
ancor prima di formarsi. Quella Lois non lo conosceva minimamente,
eppure lo stava trattando con una gentilezza tale che, fino a quel
momento, oltre a Jon gli era stata riservata solo dai membri della sua
famiglia e consorti.
Incerto su che cosa dirle, alla fine
mormorò
un «Grazie» strascicato che parve essere
abbastanza,
giacché la donna sorrise e lo lasciò riposare,
invitandolo a chiamarla se mai avesse avuto bisogno di qualcosa. Quando
uscì, Damian fece spuntare nuovamente il naso fuori dalle
coperte, cercando di mettersi a sedere con attenzione; le gambe gli
formicolavano come non mai e sentiva quelle ossa nuove di zecca
scricchiolare ad ogni movimento, persino il suo ginocchio destro fece
uno strano suono quando lo piegò.
Aggrottò la fronte e
abbassò lo
sguardo, studiando il proprio corpo tra un colpo di tosse e l'altro.
Attento a muoversi con circospezione, sollevò la gamba
destra
per distenderla davanti a sé, arricciando le dita dei piedi
e
inclinando un po' il capo contro la spalla mentre si osservava; era...
strano e in parte doloroso muovere le sue articolazioni, ma stava
cominciando a farci l'abitudine. E lanciò uno sguardo verso
il
comodino, arrischiandosi ad allungare un braccio per afferrare quella
ciotola. Lois l'aveva chiamato brodo di pollo, mhn...? Prese quel
cucchiaio - se ben ricordava, si chiamava proprio cucchiaio - e lo
affondò nel brodo, rigirandolo prima di arricciare un po' il
naso e azzardarsi a prendere una cucchiaiata per portarsela alla bocca;
le sue papille gustative apprezzarono e quel sapore gli
inondò
il palato, facendogli allargare un po' gli occhi. Qualunque cosa fosse
quel pollo, il brodo era davvero buono.
Mangiò lentamente, gustandosi
quel pasto per
quanto non fosse riuscito comunque a finire tutto il brodo,
infilandosi ben presto nuovamente sotto le coperte per godersi quel
calore. Da quando aveva lasciato il mare non riusciva a scaldarsi come
avrebbe dovuto, e non sapeva se reputare la cosa alla sua condizione
attuale o al fatto che, come gli era stato detto, sembrava essersi
ammalato. Fu chiedendosi che fine avesse fatto Jon che
abbassò
di nuovo le palpebre e si addormentò senza nemmeno
rendersene
conto, ignaro che quest'ultimo fosse andato fino in città
per
far comprare anche le sue medicine.
Jon era difatti appena uscito dal
droghiere dopo
aver preso tutto ciò che sua madre aveva segnato sulla
lista,
sollevando lo sguardo verso il cielo cupo. Da quando lui e Damian
avevano lasciato l'insenatura, il tempo stesso sembrava essere contro
di loro, sempre pronto a riversare vere e proprie secchiate d'acqua
sulla città; sapeva che era una coincidenza -
perché era
una coincidenza, giusto? -, eppure una vocina continuava a ripetergli
che qualcosa, da quando Damian aveva scoperto di poter possedere quelle
gambe, non quadrava.
Scosse la testa per scacciare quegli
stupidi
pensieri, affrettandosi su per la strada che lo avrebbe riportato a
casa. Non voleva essere colto all'improvviso dalla pioggia e
inzupparsi, quindi darsi una mossa gli sembrava la cosa migliore da
fare; se avesse potuto, avrebbe preso il furgone di suo padre e avrebbe
fatto sicuramente prima, ma suo padre era a lavoro e avevano solo quel
loro amorevole catorcio per spostarsi, dunque avrebbe dovuto
accontentarsi dei suoi piedi allenati.
«Jonathan».
Nel sentire alle sue spalle quel tono di
voce
così aspro, Jon per poco non si lasciò sfuggire
la busta
che stava sorreggendo. Si voltò con attenzione, rimanendo
basito
nel sollevare il capo e incontrare quello che si rivelò
essere
lo sguardo serio di Bruce; boccheggiando, provò a dire
qualcosa,
per quanto non riuscisse a spiccicare nemmeno una parola. Non sapeva
che cosa lo avesse lasciato più stranito, il fatto che fosse
davvero alto - non quanto suo padre, ma quasi - o il vederlo
lì,
sulla terra ferma, per di più in città come un...
normale
essere umano.
«Bruce?» disse
incerto, e fu a quel
punto che Jon fece immediatamente scorrere lo sguardo sulla sua figura,
dall'ampio petto nascosto dalla camicia che indossava alle gambe
fasciate da un pantalone nero che le faceva apparire ancora
più
lunghe di quanto non fossero. Sbatté le palpebre
più e
più volte, a dir poco incredulo. «Che
significa?»
«Dov'è
Damian?» domandò
invece Bruce senza rispondergli, e Jon, per la prima volta in quegli
ultimi sei anni, sentì montare una rabbia sorda nei
confronti
del tritone che aveva davanti.
«Tu lo sapevi?» Lo
sguardo di Jon si
indurì, ignorandolo a sua volta mentre stringeva lungo il
fianco
il pugno della mano libera. «Sapevi che Damian sarebbe potuto
salire in superficie... e non gliel'hai mai detto?»
Avevano passato sei anni a seguire le
condizioni di
Bruce, a stare attenti proprio per evitare che Damian potesse essere
visto e tenerlo in quel modo lontano dai pericoli... quando sarebbe
potuto passare per un comune essere umano, godersi la luce del sole e
camminare per le strade della città esattamente come stava
facendo l'uomo che aveva davanti?
Si squadrarono entrambi per attimi che
parvero
interminabili. Nessuno dei due proferì un'altra parola, per
quanto in quel momento ce ne sarebbe stato decisamente bisogno. Rigido
e con la schiena dritta, Bruce aveva abbassato il capo per fissare Jon
dritto negli occhi, ricambiando quel suo sguardo serio. Poi, contro
ogni altra aspettativa, trasse un lungo respiro.
«Era per il suo bene,
Jonathan».
Jon si sentì andare su tutte
le furie,
conficcandosi le unghie nel palmo della mano. «Cosa,
esattamente?
Tenerglielo nascosto? Aspettare che lo scoprisse da solo per caso e
rischiare che potesse morire?» chiese, stupendo persino se
stesso
al tono sprezzante con cui pronunciò quelle parole. I suoi
genitori gli avevano insegnato ad essere educato, certo... ma, in quel
momento, si sentiva solo ribollire per il modo in cui Bruce aveva
mentito ad entrambi per tutti quegli anni.
«Non discuterò di
questo, Jonathan. Non qui».
«Se ti porto da Damian... ci
spiegherai tutto?»
Quel quesito fu pronunciato
così in fretta
che Bruce quasi rimase spiazzato da tutta quella sfacciataggine. Era
abituato ai modi di fare dei suoi figli - Jason era il primo a
contraddirlo non appena ne aveva l'occasione -, ma... non se lo sarebbe
aspettato da un comune ragazzo come Jonathan.
Bruce sollevò il mento,
facendo scorrere lo
sguardo sulla sua figura: per quanto riuscisse a fiutare in lui un
pizzico di referenziale timore, il giovane umano non aveva mosso un
singolo passo, confrontandosi con lui senza avere intenzione di tirarsi
indietro. A ben vedere, apprezzava in parte quel suo mantenere la sua
posizione. «Abbiamo un accordo»,
acconsentì infine.
La sua priorità, in quel momento, era suo figlio.
Non del tutto convinto, Jon
guardò dapprima
il suo volto per scrutarlo con attenzione, poi il più
piccolo
movimento del suo corpo, allungando infine una mano verso di lui; vide
Bruce esitare un momento, un sopracciglio inarcato come se non capisse,
e poi quella grossa mano afferrò la sua, stringendola con
forza
ma senza esagerare. Fu solo a quel punto che il giovane parve ritenersi
soddisfatto - Damian gli aveva detto quanto valesse la parola data per
i tritoni e, non possedendo una pinna caudale, una stretta di mano era
ciò che più si avvicinava agli usi e costumi
della loro
razza -, facendo un breve cenno col capo prima di dargli le spalle e
avviarsi.
Quel ritorno a casa sarebbe stato un po'
strano.
_Note inconcludenti dell'autrice
Inizio
col ringraziare Shun di
Andromeda, alex_love
e Liberty89
per aver letto, commentato e apprezzato il primo capitolo.
Mi sono resa conto che, per mancanza di tag come su Ao3, non ho
spiegato che questa è una No Powers AU, quindi i
protagonisti
non hanno niente a che fare col mondo dei supereroi ordinari presenti
nell'universo DC. Il modo in cui chiama suo padre è spiegato
in
questo capitolo ma, avendoli scritti tutti insieme di getto
(letteralmente, Shun può confermare), per me era scontato
che
usasse un cellulare. Chiedo venia per non averlo effettivamente
accennato prima e aver fatto avere un attimino di confusione
più
che giustificato aha
Non potevano ovviamente mancare i fratelli protettivi, il solito Bruce
e soprattutto... Damian che fa sclerare male il povero Jonno innamorato
mentre cerca di toccare tutto senza nemmeno rendersi conto di cosa
possa implicare per gli umani. Dopotutto perché dovrebbe
preoccuparsene, se non ha mai avuto problemi con i suoi organi
riproduttivi e la nudità? Povero Jonno raggio di sole :D
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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scrittori.
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Capitolo 3 *** From father to son ***
Put your lips on me_3
Titolo:
Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long
Fiction
Capitolo tre: 2720
parole fiumidiparole
Personaggi: Damian Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake,
Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Vari ed eventuali
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst
Avvertimenti: Mermaid!AU,
Accenni slash, Hurt/Comfort
SUPER
SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Dal
momento in cui suo padre aveva finito di parlare e tutti e tre si erano
limitati a squadrarsi, Damian era rimasto stranamente silenzioso, e
tuttora non aveva spiccicato una singola parola.
Quando Jon era tornato a casa, sua madre
era rimasta
piuttosto stranita nel vederlo in compagnia di un uomo, facendo
scorrere lo sguardo dall'uno all'altro con un sopracciglio inarcato; il
suo cipiglio sospettoso era sparito solo nel momento in cui, con una
voce soave che Jon non gli aveva mai sentito usare - per un attimo
aveva sospettato che stesse usando chissà quali poteri da
tritone, sapendo che ognuno di loro era dotato di qualcosa di diverso
-, Bruce le aveva spiegato di aver perduto suo figlio ed era stato
proprio Jon, sentendo il suo racconto in città e la
descrizione
di Damian, a guidarlo fino a casa per far sì che potesse
accertarsi delle sue condizioni. Lois non aveva contestato molto quella
sua storia - cosa che aveva reso Jon ancora più scettico,
convincendolo davvero che forse la stesse un po' plagiando per evitare
troppe domande -, informando Bruce che Damian in quel momento stava
dormendo.
Lois aveva inoltre aggiunto,
riacquistando un po'
del suo tipico cipiglio circospetto, che avrebbe potuto aspettare
lì finché non si fosse sentito meglio,
poiché
ovviamente nessuno dei due voleva che un ragazzo ammalato si mettesse
in viaggio per chissà dove; Jon aveva guardato Bruce stirare
le
labbra in una linea sottile, quasi si fosse aspettato che contestasse,
ma aveva fatto un breve cenno del capo e aveva concordato, salendo di
sopra con Jon solo quando Damian aveva finalmente aperto gli occhi.
L'espressione confusa di Damian era
stata
comprensibile, così come la sua reazione quando aveva
provato
letteralmente ad attaccare suo padre nel rendersi conto che possedeva
le gambe anche lui. Pur capendo ciò che provava, essendo
arrabbiato a sua volta, Jon era comunque stato costretto a tenerlo a
freno per evitare che facesse inutilmente sforzi e che con quello
slancio potesse peggiorare le condizioni delle sue gambe, restando
seduto sul letto al suo fianco per tutto il tempo in cui aveva
squadrato il genitore. E quando Bruce gli aveva spiegato che la loro
specie, a differenza di quella di altri tipi di pesci antropomorfi,
possedeva un secondo strato di muscolatura all’interno della
coda
che permetteva loro di scinderla per trasformarla in un paio di gambe
che a contatto con l’acqua sarebbero sparite solo in
determinate
condizioni - condizioni che lui al momento non soddisfaceva, aveva
aggiunto - , era caduto un silenzio così fitto che il solo
suono
che lo aveva riempito era stato il vento che sferzava le fronde degli
alberi e la pioggia che batteva contro i vetri e il tetto sulle loro
teste.
Jon poteva vedere la tensione
accumularsi sulle
spalle di Damian, le mani che artigliavano il piumone e le labbra
stirate in una linea sottile, e le folte sopracciglia, solitamente
corrucciate in un’espressione di candida saccenza, adesso
erano
aggrottate così tanto che sembravano al punto di fondersi
coi
suoi occhi verdi, fissi e riflessivi.
«Perché?»
Un’unica domanda che parve
rimbombare sulle
pareti della camera di Jon, ma l’adolescente sapeva che era
solo
una sua impressione. Damian aveva parlato in tono calmo, forse troppo
calmo per uno a cui era stata nascosta la verità per
così
tanti anni e che pretendeva di conoscere il motivo per cui gli era
sempre stata taciuta una cosa del genere. E Jon aveva imparato a capire
che era solo la quiete prima della tempesta.
Bruce fissò il figlio con
un’espressione indecifrabile e seria, tacendo per lunghi
attimi.
«Esci, Jonathan», esordì, ma Damian
schioccò
la lingua sotto il palato e fece un gesto secco con una mano.
«No»,
replicò con voce schietta e
sicura. «È camera sua e lui resta qui. Ha il
diritto di
sapere tanto quanto me».
Per quanto avesse assottigliato le
palpebre, per
nulla contento di quella soluzione, Bruce fece un breve cenno col capo
e osservò i volti dei due ragazzi, una mano poggiata su un
ginocchio e l’altra che batteva ritmicamente le dita sul
bracciolo della sedia. «Ho cercato di tenerti al
sicuro».
«Non credi di avermi esposto
molto di più, in questo modo?»
«No».
Bruce scosse la testa, ma la sua voce suonava sicura di sé.
«L’insenatura era protetta dalla magia di Tim. Lui
e
Barbara hanno creato un cerchio infuso di potere per impedire a
chiunque avesse cattive intenzioni di essere attraversato», e
nel
dirlo lanciò un rapido sguardo verso Jon, che lo fissava
incredulo. «Funziona come i perimetri di sicurezza degli
esseri
umani. Con la sola differenza che colpisce con una scarica elettrica
non appena messo piede nel cerchio».
Dalla gola di Damian risalì
un suono cupo e
gutturale. «Quindi a che servivano tutte le tue
raccomandazioni?
Tutte le tue stupide condizioni su come e quando io e Jon avremmo
dovuto vederci?» sputò quelle parole con asprezza,
le
palpebre assottigliate in una linea sottile. Ma Bruce non fece una
piega, notando solo il modo in cui Jon si era avvicinato a Damian e gli
aveva stretto una mano su una spalla a mo’ di supporto; e
tergiversò un altro po’, scostando nuovamente lo
sguardo
per fissare negli occhi il proprio figlio.
«Ad evitare che potesse
trovarti tua madre».
Bastò quello a congelare
l’atmosfera
nell’intera stanza. Jon non sapeva se era a causa dei poteri
di
Bruce o se erano stati colti talmente di sorpresa da essere rimasti
senza parole ma, in quel momento, faceva così freddo che
aveva
la netta sensazione che la finestra si fosse aperta, facendo mulinare
così foglie e acqua all’interno. Era consapevole
che fosse
solo una sua impressione, ma un brivido gli corse comunque dietro la
schiena quando sentì Damian tremare sotto il suo tocco.
«Mia…
madre?» ripeté incredulo. «Non mi avevi
mai parlato di lei».
«E avrei preferito continuare
a non
farlo». Vedendo il figlio pronto a replicare in tono
alterato,
cosa che lo fece solo tossire quando ci provò, Bruce
alzò
una mano. «Ma mi rendo conto che tacerti la verità
ha solo
complicato le cose. È giusto che tu sappia».
Quei nuovi attimo di silenzio furono
accompagnati
dal respiro pesante di Damian, che venne fatto nuovamente sdraiare a
letto con la coperta sulle gambe. Jon aveva rassicurato sua madre che a
portargli la cena ci avrebbe pensato lui e che non sarebbe dovuta
salire mentre parlavano con Bruce, e a quel punto aveva davvero avuto
conferma che quest’ultimo stesse usando i suoi poteri per
soggiogarla un po’, poiché una donna sospettosa
come sua
madre si sarebbe già impicciato per capire cosa stesse
succedendo e perché ci mettessero tanto.
Bruce si schiarì la gola e
richiamò
nuovamente l’attenzione di Jon, che come Damian aveva
cominciato
a fissarlo negli occhi. «Ero molto giovane,
all’epoca», esordì con voce calma, la
mente persa
nei suoi lontani ricordi. «Avevo lasciato il regno nelle mani
fidate di Alfred ed ero partito per conoscere gli usi e i costumi del
mondo umano, in modo da poter apprendere come governare al meglio e
aiutare la nostra gente a prosperare. Vagai per un anno, forse due,
comunicando i miei spostamenti ogni qual volta mi era concesso; fu
durante uno dei miei pellegrinaggi che incontrai tua madre, una dea
sbucata dalle acque del Golfo Persico». Si interruppe un
attimo,
come se stesse assaporando quella sua memoria senza dar peso al modo in
cui i due giovani avevano cominciato a lanciarsi qualche occhiata tra
loro. «Aveva la pelle scura e i capelli castani, di una
tonalità tale da sembrare neri; non avevo mai visto qualcuno
con
le sue fattezze, e quando incrociai il suo sguardo mi fissò
con
due occhi così verdi da fare invidia a tutte le meraviglie
dell’oceano».
«Da come ne parli, ne sembravi
davvero innamorato».
«Lo ero»,
confermò Bruce.
«E lo capii nell’esatto momento in cui
afferrò il
pugnale sullo scoglio per gettarsi fulminea contro di me, inchiodandomi
alla sabbia».
Jon lo interruppe subito, parlando
più veloce
di quanto stesse per fare Damian, frenato da un altro colpo di tosse.
«Aspetta, ti ha attaccato?!»
«Avevo osato guardarla. La mia
vita, secondo
la sua logica, era un prezzo adeguato per quanto avevo
visto»,
incontrando la confusione negli occhi dei due, continuò.
«Forse fu solo per fortuna che evitai di essere ucciso,
quella
notte. Mi lasciò andare e tornò a bagnarsi fra le
acque
dell’oceano, ma le nostre strade si incontrarono ancora e
ancora,
e io non riuscivo a togliermela dalla testa. Per un attimo credetti
persino che mi avesse stregato».
«Come hai fatto tu con la
signora Lois?»
tossicchiò, al che Bruce assottigliò giusto un
po’
le palpebre.
«Come stavo
dicendo», continuò,
evitando accuratamente di rispondere a quella domanda, per quanto
furono i suoi modi a farlo per lui. «Credetti che mi avesse
stregato. Fu solo quando ci ritrovammo entrambi al Tropico del Cancro
che capii che lei non aveva mai avuto alcun potere». Bruce
poteva
vedere benissimo la confusione negli occhi dei giovani, soprattutto di
suo figlio, ma era troppo lontano per credere di potersi fermare
lì. «Si trattava di semplice e pura attrazione, e
quella
notte potete immaginare voi stessi cosa successe».
Ignorò
il borbottio imbarazzato da parte di entrambi e riprese il suo
racconto. «Restai al suo fianco mentre dentro di lei cresceva
il
frutto del nostro amore», e nel dirlo guardò gli
occhi
verdi e luminosi del figlio, «ma poi qualcosa
cambiò in
lei. Quando nascesti, eri poco più grande del palmo della
mia
mano. Perfettamente normale per la nostra razza… ma non per
quella di tua madre».
La consapevolezza colpì
Damian come uno
schiaffo mentre sgranava gli occhi nello stesso istante in cui li
sgranava Jon. «Cosa… cosa stai cercando di dirmi,
padre?» domandò. Anche se il tarlo del dubbio
stava
cominciando ad insinuarsi in lui, voleva sentirglielo dire. Voleva che
quelle parole che aveva sempre taciuto si imprimessero a fuoco nella
sua testa e nel suo cuore.
La sentenza arrivò come la
furia di una tempesta. «Tu sei in parte umano».
«…stai
scherzando?» domandarono i
due giovani all’unisono, ma Bruce, osservandoli, scosse
infine la
testa.
«No».
Quella singola parola bastò a
far scoppiare
il caos. Damian scattò fuori dal letto così in
fretta che
Jon non ebbe nemmeno il tempo di afferrarlo, sentendolo scivolare
letteralmente dalle proprie dita come se fosse stato fatto di pura e
semplice acqua; urlando il suo sdegno, Damian si gettò
contro il
padre e chiuse una mano a pugno, e probabilmente sarebbe riuscito
persino a colpirlo dritto sul naso se solo Bruce non avesse sollevato
il palmo, chiudendo le dita intorno alle nocche del figlio.
«Calmati»,
esordì con voce
pacata, quasi stesse facendo leva sui suoi poteri. Jon poté
sentire l'aria congelarsi intorno a loro, ma la cosa fece solo
infervorare maggiormente Damian, il cui corpo parve ribollire
letteralmente di rabbia. Nemmeno Jon, per quanto ci avesse provato,
riuscì ad avvicinarsi a causa del calore che sembrava
irradiare.
«Calmarmi?!»
Le sue iridi divennero incandescenti. «Perché
diavolo non me l'hai mai detto?!»
Adesso capiva. Adesso riusciva a
comprendere lo
sdegno che aveva sempre visto negli occhi dei tritoni e delle sirene
che popolavano l'abisso, il modo in cui sussurravano alla vista della
sua pelle scura e della coda esageratamente squamosa che possedeva,
quel continuo evitarlo quando nuotava loro accanto, per quanto avessero
sempre l'accortezza di non dare a vedere quei loro atteggiamenti quando
nei paraggi c'era suo padre. Sapevano.
Ognuno di loro sapeva che non faceva completamente parte di quel mondo
e che non ne avrebbe mai fatto parte.
«Eri giovane, lo sei tuttora;
meno avresti
saputo, meno saresti stato in pericolo», replicò
infine
Bruce, e Damian parve accasciarsi su se stesso, abbassando l'altra mano
lungo i fianchi prima di chinare il capo.
«Vattene».
«Damian...»
«Ho detto vattene!»
gridò, e la finestra esplose in mille pezzi, facendo entrare
la
pioggia che si riversò sul pavimento in un turbinio di
foglie e
frammenti di vetro.
Con un'esclamazione a metà
tra il sorpreso e
lo spaventato, Jon fu costretto a sollevare entrambe le braccia per
evitare di ferirsi il viso e gli occhi, stringendo le palpebre mentre
il gelo impregnava la stanza come se si fossero trovati in un enorme
ghiacciaio; le nuvolette di vapore che scappavano dalle sue labbra si
trasformavano in condensa, e quando riaprì gli occhi,
osservando
la stanza attraverso le dita, Bruce era letteralmente sparito. Al suo
posto c'era solo una piccola scia umida che spariva in direzione della
finestra.
«Jon! Va tutto
bene?!»
Lois aprì la porta
così di scatto che
fece sussultare entrambi, osservandoli in viso con un'espressione
stralunata. Sembrava stanca, grosse occhiaie scure le segnavano il viso
come se fosse stata sveglia tutta la notte, ma non erano passate
nemmeno un paio d'ore da quanto Jon aveva portato a casa Bruce e lei li
aveva visti salire insieme. Eppure, contro ogni aspettativa, la donna
non sembrava per niente sorpresa di vedere solo lui e Damian. Che
Damian avesse avuto ragione e i suoi stessi sospetti fossero stati
fondati? Bruce aveva davvero usato i suoi poteri su sua madre?
«S-Sì... mamma...
il vento... il vento
ha rotto la finestra», disse solo, per quanto avesse lanciato
una
rapida occhiata verso Damian. Respirava pesantemente, il suo petto si
alzava e si abbassava a ritmi irregolari, e fu Lois stessa ad
avvicinarsi a lui, poggiandogli una mano sulla fronte senza che Damian
desse peso ai suoi gesti. Aveva abbassato a metà le palpebre
e
sembrava così perso che, per un momento, Jon si chiese se
non
fosse caduto in un bizzarro stato di trance.
«Scotta più di
prima»,
esordì sua madre, avvolgendolo nel plaid per farlo stare al
caldo, in contrasto con l'aria fredda che stava entrando in stanza.
«Aiutami a portarlo in camera mia, Jonno. Poi ci occuperemo
della
finestra», soggiunse nel fargli un cenno.
Jon dovette sbattere più
volte le palpebre
per riscuotersi prima di avvicinarsi a lei, pensandoci lui stesso, dopo
un breve attimo di incertezza, a tirare su Damian. Lo sentì
reclinare il capo contro il suo petto e dar vita ad un lungo respiro
ansante, cosa che gli fece stringere maggiormente il cuore in una morsa
alla vista di come la sua pelle, di solito di un sano colore ambrato,
in quel momento apparisse pallida e malaticcia. Non poteva trattarsi
solo di semplice influenza. Cosa gli stava succedendo?
«Jon».
La voce di sua madre lo
richiamò alla
realtà e lui sussultò per un attimo, scuotendo il
capo
per riprendersi e stringere contro di sé il corpo di Damian
per
incamminarsi fuori dalla propria stanza insieme alla donna; i loro
passi parvero risuonare nel corridoio mentre superavano la porta del
bagno e quella dello studio, e fu il primo ad entrare nella camera dei
genitori per adagiare Damian sul letto. Fu Lois stessa a coprirlo,
rimboccandogli le coperte.
«Forza, prima che la tua
stanza si
allaghi», spronò infine Lois, gettando un'ultima
occhiata
al giovane prima di incamminarsi per prima e fare un breve cenno al
figlio; lui annuì e si affrettò a seguirla,
fermandosi
quando sentì Damian richiamarlo flebilmente.
Accigliato, si riavvicinò nel
vederlo
continuare a mormorare senza che dalla sua bocca uscisse alcun suono, e
fu a quel punto che Jon notò qualcosa, proprio al di sotto
dell'orecchio destro di Damian. Si sporse un po' per dare un'occhiata,
strizzando le palpebre come per volersi accertare di aver visto bene, e
rimase interdetto alla vista del piccolo arco branchiale, al cui
struttura allargata faceva intravedere solo parzialmente la morbida
carne munita di spine. Perché Damian aveva ancora quella
singola
branchia? C'era sempre stata, da quando lo aveva portato a casa?
Jon si morse il labbro inferiore,
stringendo fra le
dita la stoffa della sua felpa. Gli balenò in testa l'idea
di
mettere Damian in acqua, ma non aveva idea di come avrebbe potuto
spiegarlo a sua madre. Non scottava al punto da necessitare di un bagno
di ghiaccio o simile, e aveva il timore che la donna lo avrebbe
guardato con fare stranito o peggio se solo avesse provato a proporre
di lasciarlo in una vasca. E come avrebbe potuto biasimarla, dopotutto?
Più Jon continuava ad
osservarlo, più
desiderava poter essere in grado di fare qualcosa di più per
Damian.
_Note inconcludenti dell'autrice
Innanzitutto,
grazie per la lettura e un grazie ad Akimi
per l'analisi dettagliata del primo capitolo. Ho cercato di spiegare
più cose possibili senza appesantire la lettura, delineando
il
resto nei capitoli successivi
Inoltre, ecco che qualche nodo comincia a venire al pettine,
per
quanto Bruce abbia solo complicato le cose e lasciato più
dubbi
di quanti non ce ne fossero prima. Damian è in parte umano,
ma
perché tenerlo lontano da Talia e mettere in atto tutte
quelle
difese perimetrali? Troppo preso dalla rabbia, Damian non ha nemmeno
voluto saperlo e ha attito ai suoi poteri senza nemmeno saperlo.
Inoltre è insorto un altro problema che Jonno non aveva
previsto: una branchia. Cosa vorrà mai significare? I dubbi
verranno chiariti? Lo scopriremo solo leggendo!
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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Capitolo 4 *** The past is salty like the ocean ***
Put your lips on me_4
Titolo:
Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long
Fiction
Capitolo quattro: 3192
parole fiumidiparole
Personaggi: Damian Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake,
Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Zatanna Zatara, Giovanni
Zatara, Vari ed eventuali
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst
Avvertimenti: Mermaid!AU,
Accenni slash, Hurt/Comfort
SUPER
SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Puntellandosi
sui talloni, Clark affondò la mano nella sabbia, sollevando
il
capo per fissare il mare in tempesta davanti a sé, le cui
onde
che si infrangevano sugli scogli e spumeggiavano rabbiose.
Pioveva a dirotto e aveva i capelli completamente appiccicati al viso,
ma non sembrava importargli.
Da quando aveva trovato Jon su quella
spiaggia in
compagnia di quel ragazzo, Damian, non aveva fatto altro che chiedersi
cosa avesse spinto suo figlio a giungere fin laggiù. Era
notoriamente una zona che veniva evitata da chiunque in
città, a
causa della maledizione che sembrava portarsi dietro. Non che lui ci
credesse, ovviamente, o non si sarebbe mai trovato lì.
Però, da quando nel corso degli anni più di una
persona
era tornata a casa completamente ricoperta di ustioni, nessuno aveva
più provato ad avvicinarsi e quella diceria aveva preso
forma
nella bocca di tutti. Allora perché Jon era andato
laggiù, per di più senza alcuna rete di
sicurezza, e si
era calato in quell’insenatura?
Clark aggrottò la fronte,
afferrando un pugno di sabbia umida
prima di passarsi le dita dell’altra mano fra i capelli
fradici
per ravvivarli all’indietro. Tra tutti i posti, mai avrebbe
pensato di ritornare lì proprio a causa di suo figlio. I
ricordi
del passato gli attanagliavano le viscere, e avrebbe preferito
chiuderli in un forziere e gettarli in quell’oceano che
sembrava
farsi beffe di lui.
«Clark?»
A quella voce, alla quale fece eco il
rombo di un
tuono, Clark sgranò gli occhi. Aveva quasi paura di
essersela
immaginata, di aver sognato ad occhi aperti a causa delle sensazioni
che quella stupida spiaggia stava facendo riaffiorare dentro di lui, e
fu quindi deglutendo che si voltò con attenzione,
preparandosi
mentalmente al fatto che dietro di lui non ci sarebbe stato nessuno. Ma
si sbagliava. In piedi a pochi passi da lui, con la camicia bagnata
completamente aderente al petto e i capelli appiccicati alla fronte,
c’era l’ultimo uomo che avrebbe mai creduto di
poter
incontrare.
«Bruce?»
chiamò incerto, ma il
modo in cui lui irrigidì le spalle non lasciò
spazio a
fraintendimenti. «Oh, Dio, Bruce…
credevo…»
«…che mi fossi
trasformato in schiuma
di mare?» Il tono con cui pronunciò quelle parole
suonò più freddo dell’aria che li
avvolgeva,
persino il suo viso, finora disteso, divenne marmoreo. «Non
funziona come nelle favole, Clark».
Con mille emozioni che lottavano sul suo
volto,
Clark si alzò e fece un passo verso di lui, fermandosi
quando
sentì la sabbia tremare e sollevarsi davanti a lui, creando
degli spuntoni; guardò di nuovo l’uomo, la cui
mascella
serrata malcelava la rabbia che sembrava portarsi dentro.
«Sei
sparito davanti ai miei occhi».
«Me ne sono andato»,
corresse Bruce in tono incolore. Non lo guardò oltre mentre
si
incamminava verso l’oceano, strappandosi letteralmente la
camicia
di dosso sotto lo sguardo stranito di Clark; i bottoni volarono ovunque
mentre lui slacciava anche i pantaloni, senza dar peso alla cosa.
«Avevi reso fin troppo chiare le cose».
«Non è
così, Bruce. Quel giorno non hai voluto ascoltarmi,
io--»
«Zitto», lo
frenò, non avendo
intenzione di sentirlo continuare a parlare oltre. «Non
dovresti
essere qui, piuttosto». Lanciò sulla sabbia anche
i
pantaloni, rivelando di non indossare l’intimo e di non
curarsi
del fatto di essere completamente nudo mentre una tempesta infuriava
intorno a lui. «Nessuno di voi dovrebbe venire fin
qui».
Clark aprì la bocca per
replicare, zittendosi
per un momento. Si era perso ad osservare il corpo di Bruce, quella
bellezza marmorea che mostrava senza alcuna forma di vergogna mentre
parlavano; poi, come se gli avesse letto nel pensiero, Bruce si
voltò per fulminarlo con lo sguardo, arrampicandosi sugli
scogli
scivolosi per lanciarsi direttamente in acqua e sparire fra la schiuma
e le onde rumorose. Risalì solo una manciata di secondi
dopo,
schioccando le dita della mano destra per far sì che
l’acqua ribollisse intorno a lui, e la lunga coda emerse dal
pelo
dell’acqua per sferzare le gocce di pioggia che continuavano
a
cadere.
«Perché sei
tornato, se pensavi che fossi morto?»
La domanda creò un incerto
stato di imbarazzo
al quale nessuno dei due seppe porre fine. Sotto la pioggia battente,
con i lampi che squarciavano il cielo e lo illuminavano a giorno, si
limitavano ognuno a fissare il volto dell’altro come se lo
vedessero per la prima volta. Clark non aveva nemmeno bisogno di
avvicinarsi per sapere che gli occhi di Bruce erano di un azzurro
ghiaccio così chiaro che sarebbero potuti sembrare bianchi,
o
che le creste sulle sue braccia, a dispetto di quanto sembrassero
appuntite, erano morbide e vellutate al tatto, dalle svariate sfumature
violacee come la coda di un pesce combattente. Per quanto fossero
passati anni e fosse ormai andato avanti, in quel momento si sentiva
nuovamente il diciottenne che era stato un tempo. Lo stesso diciottenne
che, uscendo in barca con suo padre, aveva visto il furbo sorriso che
quel tritone gli aveva rivolto al di sotto del pelo
dell’acqua,
facendolo sobbalzare. Erano stati altri tempi, tempi decisamente
più semplici e meno logorati da quello strano odio.
«Volevo capire cosa avesse
spinto mio figlio a
venire fin qui», affermò infine, e non gli
sfuggì
il modo in cui la punta della coda di Bruce si contorse, quasi si fosse
irrigidito.
«Tuo figlio?»
«Jonathan».
Clark non se ne rese conto, ma il mondo
di Bruce in
quel momento si sgretolò. La sua giovinezza corse davanti ai
suoi occhi con la stessa rapidità con cui i fulmini sopra di
loro sfrecciavano nel cielo e fra le nuvole, e per un attimo persino la
pioggia smise di cadere, fermata in un momento di stasi; confuso, Clark
sbatté le palpebre senza capire, lo sguardo puntato sul
volto
incredulo di quel tritone.
«Bruce?» lo richiamò, preoccupato
nonostante tutto.
Qualunque cosa fosse successa tra loro… quel cambiamento
così repentino l’aveva lasciato interdetto.
«Vattene».
«Bruce,
cosa…»
Bruce non gli diede il tempo di
continuare,
sferzando l’aria col braccio destro per lanciare contro di
lui
una raffica di spine, vedendolo sussultare. «Non tornare mai
più qui», sentenziò con un ringhio
guttare dal
fondo della gola, tuffandosi in acqua prima ancora che Clark potesse
rendersi conto di cosa fosse appena successo.
Con un’imprecazione, Bruce
nuotò il
più rapidamente possibile verso il fondo, con la testa colma
di
mille pensieri. Prima di intraprendere quel viaggio nel mondo, aveva
provato una sola volta ad avvicinarsi agli umani senza confondersi fra
loro. Una sola. E
tutto ciò che aveva guadagnato era stato il rischiare di
essere catturato e venduto come un fenomeno da baraccone.
Clark gli era sembrato…
diverso, un giovane
pescatore che non aveva mai cercato di fargli del male, almeno fino al
giorno in cui l’aveva visto su quella stessa spiaggia in
compagnia di pescatori armati di reti e fiocine. Bruce, che era appena
emerso dal pelo dell’acqua, aveva sgranato gli occhi e aveva
provato a scappare, ma quegli uomini gli avevano gettato contro le reti
non appena l’avevano notato; aveva gridato e al suo grido
avevano
fatto eco anche le urla di Clark, mentre veniva trascinato a riva e
tenuto fermo con una fiocina dietro la schiena. Dibattendosi
letteralmente come un pesce fuor d’acqua, aveva visto gli
occhi
sbarrati di Clark, il modo in cui aveva strattonato alcuni degli uomini
lì presenti, e lui aveva sentito il cuore battere
all’impazzata quando si era reso conto che volevano farlo
uscire
dall’acqua.
Ricordava le urla di giubilo alla sua
cattura, le
risate quando le fiocine affondavano nella sua coda, il modo in cui uno
di loro aveva strappato a mani nude la sua pinna dorsale e
l’aveva fatto urlare di dolore, tutto sotto lo sguardo di
Clark
che cercava di farsi lasciare per corrergli incontro e aiutarlo. Ma era
stato proprio a quel punto che le cose erano degenerata. Terrorizzato,
con gli occhi brucianti di lacrime, il dolore che si irradiava nel suo
corpo e il sangue che si diluiva nell’acqua
salata… aveva
sprigionato il suo potere. Le fiocine erano esplose con uno scoppio in
mille schegge di legno e acciaio, le grida di gioia si erano
trasformate in urla spaventate; uno degli uomini era caduto in acqua e
aveva annaspato per raggiungere la riva, ma Bruce ricordava di essersi
alzato letteralmente
in piedi
e di aver stretto la mano lungo il fianco solo per un attimo prima che
il pescatore cominciasse a soffocare dinanzi a lui dopo aver vomitato
acqua ed alghe. Lo avevano seguito poco dopo tutti coloro che lo
avevano attaccato, persino quelli che tenevano stretti Clark.
Col viso in fiamme, il respiro affannato
e il cuore
che batteva all’impazzata per ciò che aveva
fatto…
Bruce aveva guardato Clark, a pochi passi da lui. Quando aveva
incontrato il suo sguardo, aveva visto quegli occhi azzurri ingigantiti
dalla paura e aveva perso un battito; aveva provato a fare un passo
verso di lui, ad aprire la bocca per dirgli che non era stata sua
intenzione, ma quando lo aveva visto ritrarsi, qualcosa dentro Bruce si
era spezzato.
Dritto sui suoi piedi, le gambe
tremolanti e il
corpo nudo e ferito, Bruce aveva chiuso gli occhi solo per un attimo e
se n’era andato. Le lacrime a cui aveva dato vita si erano
confuse con la vastità dell’oceano e le aveva
nascoste
persino a sé stesso, reprimendo dentro di sé il
dolore e
la rabbia. Come il giovane e stupido tritone che era, si era tenuto
tutto dentro e aveva raccontato ad Alfred, il suo tutore, che aveva
avuto uno spiacevole incontro con dei pesci spada… ma, se
Alfred
aveva capito qualcosa, non lo aveva mai detto. Si era solo limitato a
farlo sedere sull’enorme conchiglia dell’infermeria
e aveva
cominciato ad applicargli la pastura di alghe e plancton sulle ferite,
ed era stato proprio a quel punto che Bruce aveva preso la decisione di
partire.
Sapere quindi che suo figlio Damian
aveva cominciato
a frequentare inconsciamente proprio il figlio di Clark…
aveva
riaperto in Bruce quella vecchia ferita che credeva ormai rimarginata
da anni. E a quel pensiero imprecò, nuotando più
velocemente mentre le correnti si impossessavano delle sue membra e
della sua coda, raffreddandogli il viso o scaldandolo a seconda di
quale corrente lo carezzasse. Avrebbe portato via Damian quel giorno
stesso, se solo avesse potuto. A causa della sua natura ibrida,
purtroppo, le cose diventavano ben più complicate e la sua
coda
non sarebbe potuta tornare con un semplice schiocco di dita. Non
sarebbe nemmeno dovuta comparire, a voler essere sincero con se stesso.
A quel pensiero imprecò e un
grido animalesco
gli sfuggì dalle labbra mentre aumentava la
velocità di
nuoto, superando pesci e grossi squali ai quali ringhiò
contro,
ricordando loro qual era il loro posto; si inoltrò nelle
profondità marine che solo i pesci lanterna osavano varcare,
ma
la sua furia era tale da richiedere la sua presenza in luoghi che non
avrebbe mai visitato se non fosse stato necessario. Così,
con le
mani chiuse a pugno e la lunga coda che sembrava emettere
elettricità, batté furente le pinne contro la
roccia che
si ritrovò ben presto davanti, gli occhi letteralmente
fiammeggianti d’ira.
«Zatara!»
gridò con voce
gutturale, facendo tremare le pareti di pietra di quella caverna; un
branco di pesci nuotò fuori e gli sfrecciò ai
lati della
faccia, ma non se ne curò, agitando furente la lunga coda
squamosa per sferzare l’acqua. «Dove diavolo sei,
Zatara!» urlò ancora, con la rabbia che montava
dentro di
lui come un mare in tempesta. E fu quando l’acqua nella
grotta
cominciò a ribollire che Bruce vide finalmente il guizzare
di
una piccola coda dorata, poi il volto di Zatanna, la figlia dello
stregone Zatara, fece capolino oltre uno dei cunicoli.
«Bru-- mio re?» si
corresse accigliata,
sbattendo più volte le palpebre mentre nuotava verso di lui.
I
lunghi capelli neri le fluttuavano intorno al viso, incorniciandolo, e
la piccola lanterna che aveva sul capo rendeva i suoi occhi ancora
più bianchi e luminosi. «Cosa ci fai qui? Mio
padre… al momento non c’è».
«Dov’è
andato?»
domandò nervoso, e Zatanna poté benissimo sentire
l’acqua scaldarsi come non mai. Erano anni che non lo
vedeva così arrabbiato.
«Cos’è
successo?»
«Non ho tempo da perdere, Zee.
Si tratta di Damian».
Stavolta la donna si fece attenta e
parve persino
spaventata, fissandolo in viso con estrema attenzione. «Sta
bene?» chiese, scrutando la sua espressione.
Lei e suo padre, oltre alla grande
famiglia di
Bruce, erano gli unici a conoscere la vera natura del potere di Damian.
Erano stati loro stessi a porre un sigillo su di lui quando era solo
poco meno di un avanotto, così da bloccare i poteri che
avrebbe
potuto sviluppare a causa della sua natura ibrida; per quanto riuscisse
a manipolare l’acqua intorno a sé, quando era
appena nato
aveva dato un tale sfoggio di potenziale che Bruce stesso era stato
costretto a contenerlo per evitare che potesse fare del male a
sé stesso e a qualcun altro. Ed era anche uno dei motivi per
cui
lo aveva strappato dalle grinfie di sua madre, la quale aveva visto
un’opportunità non indifferente per sfruttarlo per
i suoi
scopi.
«Il contatto con la terra
ferma gli ha fatto
spuntare le gambe, Zee. Esattamente come sarebbe accaduto a chiunque
altro della nostra razza». La sentenza di Bruce la
freddò
seduta stante. «Tu e tuo padre mi avevate assicurato che non
sarebbe successo».
Zatanna sbatté le palpebre. «Io… non mi
spiego come sia possibile», ammise sconcertata.
«Farete meglio a capire in
fretta cosa
è andato storto, perché mio figlio è
in superficie
e non è al sicuro».
«Menti sapendo di
mentirci». La voce
improvvisa di Zatara rimbombò fra tutte le pareti di roccia,
come se il potente mago fosse ovunque e da nessuna parte in
particolare, e ci volle un momento di troppo per vederlo comparire
davanti a loro in una nube di denso fumo liquido, lo sguardo nascosto
dal pesante elmo della conoscenza che spesso indossava. «Ho
scrutato gli anfratti e letto le perle, conosco bene il luogo in cui
riposa tuo figlio».
Zatanna rimase interdetta, facendo
scorrere lo
sguardo su entrambi gli uomini prima di soffermarsi su suo padre.
«Che significa, papà?» le venne
spontaneo chiedere,
ma Zatara indugiò, gli occhi al di sotto dell’elmo
fissi
sulla figura di Bruce, il loro re.
«Il nostro principe
è nelle mani fidate del nipote di Jonathan Kent».
«Quel Jonathan
Kent?» replicò immediatamente Zatanna, sgranando i
grandi
occhi bianchi. La lampada sulla sua testa divenne più
luminosa,
quasi a voler riflettere la sua incredulità mentre
l’acqua
tornava a ribollire intorno a loro.
«Ragione in più per
riportarlo sott'acqua,
Zatara». La voce di Bruce suonava tesa e nervosa, la sua coda
non
aveva smesso di muoversi avanti e indietro e a colpire
l’acqua.
«La tua magia aveva una falla. Esigo che tu faccia tornare
Damian
esattamente come prima».
«Non mi è
possibile»,
sentenziò l’anziano mago, ignorando le occhiate
incredule
che gli vennero rivolte da entrambi.
«Cosa diavolo
significa che non ti è possibile?»
berciò Bruce nel
far esplodere una roccia alla sua destra con l’energia
scaturita
dal suo corpo, ma il mago non ne parve impressionato.
«Significa, mio re»,
cominciò, enfatizzando soprattutto sull’ultima
parola,
«che qualcosa ha interferito con la mia magia e ha permesso
al
principe di spezzare il sigillo che non consentiva alla sua coda di
scindersi. Qualunque cosa fosse, è risultata più
potente
persino della mia stessa magia».
Il silenzio che susseguì fu
più
terrificante della furia stessa del re. Nessuno dei tre
proferì
ulteriormente parola, osservandosi con attenzione come se il solo
pensiero che la magia di Zatara, il mago più potente del
fondale
marino da quando era entrato in possesso dell’elmo del Dottor
Fate, fosse stata infranta fosse oltremodo inverosimile. E, qualunque
cosa stesse pensando Bruce in quel momento, non era sicuramente
qualcosa di piacevole.
«…cosa possiamo
fare?» chiese
infine Bruce, con la voce ridotta ad un lieve sussurro. La sua rabbia
era ancora presente, ma sembrava essersi in parte sgonfiata al pensiero
che persino uno stregone come Zatara non aveva idea di cosa fosse
accaduto.
Nuotando verso di lui con la lunga coda
nera, Zatara
osò sfiorargli la fronte con la punta delle dita, premendo
l’indice contro il centro di essa. «Controllarlo e
assicurarci che stia bene, mio re», replicò
Zatara.
«Riponga fiducia nei Kent come l’aveva riposta in
loro
vostro padre».
«I Kent mi hanno
già tradito una volta, Zatara».
«Apra il suo cuore e
capirà che le cose
non sono sempre come sembrano, sire», affermò nel
nuotare
all’indietro qualche momento dopo, il tutto sotto lo sguardo
stranito della figlia che non aveva proferito parola. «Ora
vada.
Non cerchi qui risposte che non ci sono, il tempo stringe. Protegga il
ragazzo».
La sua voce divenne un’eco
lontana, uno strano
strato di polvere e sabbia si innalzò fra loro e, mulinando
nell'acqua, avvolse completamente Bruce, il quale cercò di
muovere le braccia per scacciare quei granelli che gli si infilavano in
bocca e nel naso, facendolo tossire mentre cercava di urlare il nome di
Zatara; quando tutto finì, Bruce si rese conto di trovarsi
nel
grande salone del palazzo, riverso sul pavimento ricoperto di
conchiglie levigate e con delle voci che gli riempivano le orecchie.
Gli ci volle un po’ per mettere a fuoco le figure che
torreggiavano su di lui, e una di esse trasse un lungo sospiro nel
vederlo sveglio.
«Accidenti, vecchio, ci hai
fatto prendere un
colpo», grugnì quella che registrò come
la voce di
Jason. «Si può sapere che diavolo ti è
preso?»
«Co…
cosa?» riuscì a dire
nel deglutire rumorosamente, sentendo la gola secca e ferita. Era come
se quei granelli di sabbia gli avessero perforato la trachea.
«Ti abbiamo trovato qui
disteso mentre
urlavi», spiegò la voce di Tim, e Bruce lo
sentì
aiutarlo a tirarsi su e a nuotare verso il trono con attenzione.
«La tua coda era così arricciata che Alfred
è stato
costretto a mantenerla».
Bruce si prese un momento, accasciandosi
sul trono e
accettando di buon grado la coppa che gli venne porta da Dick prima di
cominciare a bere avidamente, senza azzardarsi a proferire una sola
parola finché non ebbe finito tutto fino
all’ultima
goccia. «Ho parlato con Zatara». Un brusio
sconnesso si
agitò intorno a lui come un’onda, ma
sollevò subito
la mano per fermare ogni replica che i figli avrebbero potuto fare.
«Non può aiutarci con Damian».
Dick digrignò i denti, le
pinne sul suo dorso
fremettero come se avessero una vita a sé stante.
«Allora
cosa possiamo fare?» chiese, sentendo su di sé lo
sguardo
degli altri fratelli. Erano tutti preoccupati, ma come si faceva a dar
loro torto? Il minore di loro era praticamente bloccato in superficie.
«Non lo so», ammise
Bruce nello
stringere una mano sul bracciolo del trono. «Ma, qualunque
cosa
sia, è magia che nemmeno il più grande mago tra
noi
può infrangere», sentenziò.
E proprio in quel momento, in
superficie, gli occhi di Damian si spalancarono.
_Note inconcludenti dell'autrice
Ed
ecco che qualche nodo sta cominciando a venire al pettine, ma tanti
altri se ne stanno creando e stanno lasciando qualche dubbio che
sembrava essersi dissipato... oltre al apssato di Bruce, che non
è stato esattamente facile (aveva un'nfatuazione per Clark e
quello che è successo ha irrigidito in parte il suo cuore),
che
cosa sanno tutti che Damian non sa? E
che cosa succederà la prossima volta?
Stanno cercando di tenerlo all'oscuro per proteggerlo da sua madre,
certo... ma non tutte le cose stanno andando come avevano sperato,
quindi come avrà fatto Damian a sciogliere in parte
l'incantesimo di Zatara?
Anche questa è una domanda alla quale non si avrà
presto
risposta, ma spero che la storia fino a questo momento vi abbia
interessati e che vi abbia fatto venir voglia di continuare a leggere
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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