Stelle di cannella

di Gaia Bessie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rosa selvatica, dopobarba, erba appena tagliata, melograno ***
Capitolo 2: *** L'ultimo motivo ***
Capitolo 3: *** La torta di mele ***
Capitolo 4: *** Stelle di cannella ***
Capitolo 5: *** La fine delle favole ***
Capitolo 6: *** Disincanto ***



Capitolo 1
*** Rosa selvatica, dopobarba, erba appena tagliata, melograno ***


Stelle di cannella
 
 
1. Rosa selvatica, dopobarba, erba appena tagliata, melograno
 
[Cannella]
 
La vede.
Sola come un calzino spaiato, si erge sulla scogliera come fil di ferro (ed è altrettanto dura): non muove mai un passo per gettarsi nell’abisso in un turbine di gonne bianche a righe azzurre, non lo fa mai. Qualcuno direbbe che le manca il coraggio ma, la verità, è che ne ha sempre avuto fin troppo ed è questo che le evita un tuffo tra le rocce acuminate.
C’è qualcosa di inquieto, in Ginny Weasley, qualcosa che s’agita ed è indomabile come la cresta delle onde e che, quando si volta a guardarlo, non gli lascia scampo – si concede quell’ora d’aria, Smaterializzandosi tra gli scogli di Dover, e non lo dice a nessuno: ma lui, che percepisce la sua anima come tocca e riconosce la propria, sa già dove trovarla. Ginny è un miscuglio di inquietudine e insoddisfazione che spezza il cuore – la guerra è finita, le ha detto Harry Potter porgendole un anello e una promessa, almeno per me.
Lei l’ha indossato con flebile speranza ma, all’alba del giorno dopo, l’inquietudine era ancora tutta lì, non s’era smossa. E se la divorava, pezzo dopo pezzo, boccone dopo boccone, fino a lasciarne qualche briciola smangiucchiata ai piedi della scogliera.
E, adesso che l’anello l’ha spostato dal dito a una catenina al collo, Draco ride e le porge una fiaschetta di vino rosso: quand’è che ti sei fatta mettere un collare, Weasley?
Lei sorride, ma solamente per finta – non risponde mai alle sue provocazioni e, quando le mette in mano quella fiaschetta, non beve mai: le rimane ancorato un sorriso in volto e ha ancora il grembiule che ha indossato per pulire casa. Come ti sei ridotta così, le domanda in un sussurro, dove sei finita.
Ginny lo sa. Che il matrimonio le calza male come una scarpa di due taglie più grandi e, allora, è forse quello il vero significato di crescere: il giorno in cui s’è resa conto che tutti i suoi sogni, dopo la guerra, non le cadevano più addosso con le giuste pieghe ed era tutto da ricucire, tutto da tagliare e da riassemblare.
Lo sa, ma con lui non è abbastanza stanca e disperata da ammetterlo: Draco Malfoy ha una moglie che cucina biscotti alla cannella e, quando lui non la guarda, si scioglie in lacrime al primo sorriso che le si rivolge.
Astoria Greengrass-Malfoy canticchia in lontananza – ha voluto trasferirsi a Dover con tutta sé stessa e non le pesa, così dice, rimanere sola per gran parte della settimana: suo marito lavora alla Gazzetta del Profeta per cinque giorni su sette, il sabato torna a casa stanco come un foglietto ripiegato e si nasconde sotto le coperte e non riemerge più.
Quando risorge, all’alba della domenica mattina, si sveglia per il profumo di biscotti a forma di stelle (un po’ spezzettate) e con sua moglie che siede in giardino, le gambe accavallate sotto la gonna e le mani a coprire quel ventre un po’ sporgente, come per proteggerne l’esserino (desiderato, desideratissimo) che vi abita dentro.
Astoria non domanda mai – perché lui sparisca per metà settimana e, quando torna, cieca insofferenza ne sfiguri i lineamenti alteri, così simili a quelli di sua madre: Draco non saprebbe rispondere, lei se n’è resa conto da chissà quanto tempo, e allora tutto lentamente inizierebbe a scivolar via. Così inghiotte i dubbi, le rimostranze, le legittime domande: li stipa in un angolo del suo cuore e, in quell’armadio di sentimenti impacchettati, Draco non inizia mai a rovistare.
Non ha mai saputo dire di cosa è fatta, Astoria Greengrass – se fil d’acciaio, perché sotto gli occhi inclementi di sua suocera non s’è spezzata, o semplicemente raso sfilacciato da forbici in un doloroso fiocco. Non ha mai saputo dirlo, nemmeno quando Ginny ha riso e gliel’ha domandato: di cosa diamine è fatta, tua moglie, per non accorgersene.
Draco aveva sorriso, quella volta, amaramente: certo che se n’è accorta, le aveva risposto, cosa credi, che sia stupida?
Perché da quel giorno ha iniziato a mettergli pacchetti di stelle di cannella nella borsa da lavoro e, quando gli stira i vestiti (niente Elfi, insiste per farlo lei), chissà cosa ci mette sopra ma, quando alla mattina Draco si riveste nel proprio appartamento nella Londra Magica, sa tutto di lei: zucchero e cannella, come se quella vendetta venefica si radicasse a ondate fin dietro il confine della pelle.
Ginny sorride, in lontananza, non gli dice mai a cosa sta pensando – se al marito che aspetta di tornare a casa, dopo gli straordinari della domenica, per una cena che verrà consumata nel silenzio dell’abitudine, o se a quell’odore di cannella che si spande tutt’attorno a Draco Malfoy.
Respira aria di mare, si prende in volto la carezza di un’onda che si schianta lì vicino, e gli sussurra che non ha paura. Non ne ha mai avuta.
Lui sospira, fa per rimettere la fiaschetta in tasca, quando lei gliela ruba dalle dita in uno sfioramento che non ha senso, portandosela alle labbra – ha preso l’abitudine del rossetto rosso, lei, quand’ha capito che non ci sarebbe più stato posto, nella sua vita, per un bacio che non fosse programmato. È un buon compromesso, il rossetto rosso, qualcosa che vorrebbe sbavarsi sul suo viso e che, invece, si secca sulle pellicine delle labbra e non si smuove di un millimetro.
Svita il tappo, ha le unghie tutte mangiucchiate: anche quando Hermione, Fleur e le sue altre cognate hanno scoperto i piaceri di una buona manicure, Ginny ha continuato a rosicchiarsi le dita come fossero merendine, strappando con forza le pellicine dalla loro sede naturale. A volte, quando il sangue fa capolino dalla pelle lacerata, le viene da sorridere (sorridere per davvero) e si domanda se, alla fine di tutto, non sia ancora una questione di sangue: in giro si dice che, Draco Malfoy, prendendo in moglie Astoria Greengrass si sia abituato a convivere con i Traditori, che si sia ammorbidito come fil di cera riscaldato. Ginny sospira, prende un sorso di vino rosso e storce la bocca.
Sa di melograno e cannella.
 
***
 
Astoria è la mascotte della redazione della Gazzetta del Profeta quando, all’alba di ogni mercoledì pomeriggio, si prende una pausa dalle sue giornate senza fine e si reca nell’ufficio del marito con le braccia piene di ninnoli e regalini per tutti i suoi colleghi: è come fosse Natale, mormora la stagista appena diciottenne, dev’essere bello aver sposato una donna così generosa, così buona. Draco stringe le labbra e accoglie sua moglie con un bacio ma, quando finalmente Astoria ritorna a casa con lo schiocco della Smaterializzazione, appare immensamente sollevato.
Non lo dice mai – che sua moglie la notte piange la propria disperazione a ogni rintocco di mezzanotte e, allora, lui prende pigiama e cuscino per andare a dormire nella stanza di quello che sarà loro figlio: non mi ami, sussurra Astoria al silenzio, perché non puoi farlo?
Lui non risponde: si rigira in quel letto minuscolo, così che i piedi comicamente gli penzolano fuori dal materasso come l’impiccato con la sua corda, e cerca di prender sonno. Ma Astoria piange anche nel dormiveglia e, quando finalmente sprofonda in un mondo di sogni troppo affilati per essere reali, lo chiama e lui finge di non riuscire a sentirla.
Gli dicono che è stato fortunato: che molti dei matrimoni tra Purosangue vengono condizionati dalla famiglia e, sul finire, si rivelano un fallimento su ogni fronte – Cissy Malfoy non s’è voluta immischiare nella vita sentimentale del figlio, Lucius Malfoy (ad Azkaban) ha stretto le labbra ma non ha detto una parola: sei stato fortunato, gli dicono, hai sposato l’unica donna disposta a perdonarti.
Draco non domanda: perdonare chi, perdonarmi cosa? – ci sono peccati che non è stato intenzionato a commettere, come possono avergli lasciato macchie indelebili fin dentro l’anima?
Ginny Weasley sorride, seduta alla propria scrivania, giocherellando con la fede nuziale che, alla fine, s’è risolta a portare al dito: comunque un collare, le ha detto lui passandole di fianco con aria piena di sdegno, e nemmeno te ne rendi conto.
Lei scuote il capo e, così, la lunga treccia di capelli rossi pare solamente una colata di sangue che le incendia il viso – Ginny sorride, scoprendo i denti in un ghigno da lupo, e glielo dice: e pensi che tu non ne hai uno identico, Malfoy?
Hai la camicia che profuma di cannella e un pacco di biscotti che sporge dalla tasca della borsa, non te ne rendi conto?
«Prendine uno» ringhia lui, porgendole una stellina miracolosamente integra. «Mia moglie non ha molti interessi, ma questi biscotti… sono speciali».
Ginny Weasley sorride, lo annusa con aria sospettosa, prima di scoppiare a ridere in un sussurro che non gli lascia scampo: lo guarda negli occhi, e non ha niente della forzata innocenza con cui Astoria si trucca il bel viso alla mattina (eppure, è sempre sola) e lo sciacqua alla sera, cancellandosi il rossore dalle gote.
«Hai detto che sono alla cannella» commenta, lei, sbriciolandone leggermente la punta con le dita. «Perché non li mangi mai?».
Draco si passa una mano in fronte, cancellandovi ogni traccia d’espressione, al pari del belletto usato da sua moglie.
«Non amo i biscotti, o i dolci in generale» commenta, infine, calmo. «Ma è l’unico passatempo che ha, infornare torte e robe simili, come potrei toglierglielo?».
Ginny pensa che potrebbe – d’altronde l’amore toglie ciò che la vita ti dà ma, Astoria Greengrass, ha solamente uno spruzzo di farina che le ridisegna lo zigomo in neve sciolta: lei non l’ha vista mai, ma se la immagina davanti come una figurina minuta, pallida come una luna piena, sciolta nel tuorlo delle uova e nello zucchero a velo.
Quando Astoria va a trovare suo marito, ogni mercoledì pomeriggio, Ginny trova sempre qualcosa da fare per non doverla vedere: lo sospetta – se ne incontrasse quello sguardo limpido, d’un verde chiarissimo, probabilmente i sensi di colpa se la spolperebbero viva.
Draco Malfoy non l’ha notato o, se lo ha fatto, non le ha chiesto il perché: d’altronde lui, le scarne volte in cui Harry si presenta alla redazione del Profeta con un mazzo di fiori e un invito a cena, sparisce in un vortice di malcontento. Con Harry, dopo un momento di iniziale distensione successivo al processo, i rapporti si sono fatti più tesi che mai: non pongo limiti alla provvidenza, ha ammesso il Prescelto quando sua moglie gli ha domandato se avrebbe continuato a guardare in cagnesco Malfoy ogni volta che ne avrebbe avuto la possibilità, ma Draco Malfoy non fa mai niente per farsi amare da qualcuno.
Lei non ha saputo dargli torto: gli ha sussurrato, sul finire squallido e insensato di una sigaretta alla rosa selvatica, che sarebbe bello lavorare in un ambiente di lavoro dove suo marito non detesta i suoi colleghi. Non i tuoi colleghi, ha risposto Ron all’unisono con il proprio migliore amico, Draco Malfoy.
Ginny ha stretto le labbra e non ha domandato perché suo fratello dovesse per forza metter becco nelle loro questioni coniugali – non si è lamentata. D’altronde sua madre le ha chiesto se non potesse semplicemente essere contenta, di aver ottenuto quello che aveva desiderato per tutta la propria vita, se non potesse sorridere ed esser grata.
E lei, grata, lo è per davvero. Ma quando suo marito volta le spalle Ginny, la mano macchiata d’inchiostro come un’anima infelice, è ancora inquieta.
«Non li mangi perché te ne sei accorto, non è vero?» domanda lei, posando il biscotto. «Non è vero?».
Lui alza un sopracciglio, ripone nella borsa l’involucro con i biscotti (li getterà in un cestino a fine giornata, senza farsi vedere da nessuno).
«Non profumano di cannella» prosegue Ginny, quieta. «Per me sanno di rosa selvatica, dopobarba, melograno ed erba appena tagliata».
«Fatti visitare da un Medimago, Weasley» commenta Malfoy, acido. «Mi pare evidente che c’è qualcosa che non va, nel tuo naso».
«Cos’hai che non va, Malfoy?» ribatte lei, con lo stesso tono. «Tua moglie cerca di propinarti biscotti all’Amortentia e tu nemmeno riesci ad ammetterlo con te stesso».
Lui china il capo, non dice una parola.
 
***
 
Quella sera, Malfoy non torna a casa.
Manda un Patronus a sua moglie in cui le comunica d’essere stato incastrato in una cena di lavoro e poi in una riunione straordinaria, di sabato mattina, per cui tornerà di domenica e non ne è nemmeno troppo sicuro: Astoria non risponde, sicuramente starà piangendo la propria frustrazione sull’impasto di una torta pere e cioccolato.
Ginny, la testa china sulla propria scrivania, lo sente borbottare qualcosa, ora dopo ora, quando il tempo si lima sulla superfice dell’esistenza e sua moglie non gli manda indietro un Patronus anche solamente per dirgli ha compreso e che va bene, lei lo aspetterà.
«Se ti rende così inquieto, faresti meglio a tornare a casa» commenta lei, facendo cenno alla propria Penna Prendiappunti di smettere di scrivere. «Si tratta pur sempre di tua moglie, Malfoy».
Lui non è in vena di confessioni (non lo è mai), ma scuote il capo e, controluce, sembra solamente stanco e disperato: vorrebbe dirle, certo che lo vorrebbe, che non è la moglie che si sarebbe scelto – ha sposato Astoria perché era giusto così: perché l’aveva amata, da ragazzina, e lei gli era rimasta accanto quando tutto il Mondo Magico gli aveva voltato le spalle.
Ma, sebbene ci fosse stato amore alla base della sua scelta di sposare Astoria Greengrass, come neve s’era sbrinato: e, quando Draco s’era reso conto che non aveva più amore da darle, lei gli aveva detto che aspettava loro figlio. Che poteva sopportare la sua mancanza d’amore, ma la sua indifferenza, quella mai.
«Non t’immischiare, Weasley» la rimbrotta lui ma, quando si lascia cadere sulla sedia di fronte alla propria scrivania, c’è disperazione in ogni suo movimento. «Lo so, che è mia moglie, ma…».
Non trova le parole per dirglielo: l’ho sposata perché era quello che tutti si aspettavano da me – mia madre non me l’ha detto mai, ma il matrimonio con Astoria ha contribuito a risollevare nome e spirito dei Malfoy: mi è stata grata, anche se conosceva (lo aveva immaginato) il prezzo da pagare.
Ginny sospira, passandosi una mano sul viso struccato e domandandosi silenziosamente cosa glielo faccia fare. Ma Draco Malfoy ha una tale aura di disperazione attorno, come le ondate venefiche di un fiore velenoso, che non riesce a lasciar perdere.
«Sarà tua moglie, ma rimane illegale» commenta Ginny, calma. «Almeno, hai idea del perché possa aver fatto un simile tentativo?».
Draco sorride, a disagio – una maschera di vetro che si modella perfettamente sui suoi lineamenti affilati, rendendolo acuto come quel cristallo che riesce a riflettere le rocce.
«Credo che Astoria sia infelice» ammette, infine, passandosi una mano tra i capelli un po’ radi. «Questo matrimonio non era tutto quello che aveva sempre sognato».
Lo dice senza rancore – è conscio che sua moglie, prima d’esser tale, aveva avuto un baule pieno di sogni e, per amor suo, li aveva piegati e messi da parte: Astoria Greengrass si era innamorata di lui per gioco, a sedici anni, mai aveva smesso. Eppure, gli aveva detto Daphne la sera prima del matrimonio, prima o poi tutti pensavano che si sarebbero resi conto che non faceva per lei, quell’amore sprecato, che sul finire avrebbe semplicemente logorato entrambi.
Astoria aveva una brutta cotta per Fred Weasley, gli aveva raccontato Daphne, una fantasia, se vogliamo chiamarla così: era tutta uno sciogliersi quando lui la guardava, nei corridoi, era tutta uno scrivere il suo nome nel margine di ogni pergamena, con dei cuoricini al posto dei puntini sulle i.
Draco non aveva domandato se, sul finire, Astoria fosse riuscita ad attirare l’attenzione del gemello Weasley: avrebbe spiegato troppe cose e, al contempo, non avrebbe spiegato assolutamente niente. Però riusciva a comprendere che, all’indomani nella sbiaditura di quella fantasia che aveva provato per Fred Weasley, Astoria avesse bisogno di un nuovo amore cui aggrapparsi.
Solamente che, e se n’era convinto al secondo anno di matrimonio, non poteva essere lui, quello cui aggrapparsi.
«Sai, a volte mi domando se, se avesse avuto un’altra scelta, avrebbe potuto amare qualcun altro» commenta Draco, pensieroso. «Daphne, mia cognata… una volta mi ha detto che Astoria aveva una sorta di fantasia per tuo fratello».
Ginny sorride, spezzetta le briciole di biscotto con la punta delle dita.
«Una fantasia, a tredici anni, l’abbiamo avuta tutti» commenta, pensierosa. «Non significa niente, alla fine: senza contare, che non so nemmeno di che fratello tu stia parlando».
Lui non ne ha mai pronunciato il nome prima di quel momento: è un esercizio di stile, di aplomb, pronunciare quelle quattro lettere e lasciarsele scivolare come acqua addosso durante la doccia. Acqua acida, salina, che s’innesta tra le ferite e prende fuoco come Ardemonio.
«Fred» sussurra, vergognandosi di quel dolore che le tinge il volto come una ferita aperta.
Vorrebbe chiederle scusa, per averlo nominato invano, non ne ha il coraggio: di tutte le sue qualità, è sempre stato quello più sfuggente – ma Ginny si sistema i capelli, e le trema un po’ la mano, e sorride.
«A tredici anni erano tutte innamorate di Fred» commenta, con calma glaciale. «Non… so che, per un periodo, lui s’era preso una sbandata per una ragazza più piccola. Ma non so dirti se fosse o meno tua moglie».
Lui sospira – non le dice che, alla fine di quella frase, v’ha scorto più verità di quella che lei non sia disposta ad ammettere: e lo rincuora, sapere che la fantasia di sua moglie potesse essere stata in qualche modo ricambiata.
«Non correre con la fantasia, Malfoy» commenta Ginny, tornando a maciullare briciole di biscotti. «Credo che Fred non gliel’abbia mai detto».
«Ma perché?» domanda lui, con urgenza. «Non…».
«Tu hai bisogno di pensare che il vuoto di tua moglie venga da qualcun altro» risponde lei, placidamente. «Potrebbe, non potrebbe: so solo che Fred deve aver pensato che non era tempo e, alla fine, non lo è stato mai. Succede. A volte non vuoi, ma le cose brutte capitano comunque, e non ci puoi fare niente, Malfoy: non ti servirà immaginarti una storia d’amore per tua moglie, credimi, né a lei basterebbe imbottirti di Amortentia».
Lui lo sa – forse per Fred Weasley non era ancora tempo,  ma per lui non lo sarà mai più.

 

Questo dicembre, per me, significa riscoperta: ho vissuto nella consapevolezza di essermi fossilizzata su alcune stelle fisse della mia scrittura (la Dramione, la Frastoria) e, seppur senza rigettarle in quanto le considero parte di me e della mia crescita, mi sono presa questo mese per sperimentare.
Da oggi, fino al sei gennaio, avrete online i miei regali di Natale, questa long e una mini di tre capitoli. Troverete coppie di cui non ho trattato mai, qualche tematica insolita e spero con tutto il cuore che sia il successo che spero.
Non uscirà su IG la solita programmazione settimanale, sebbene io abbia pronta quella fino al 6 gennaio, per il semplice fatto che i miei regali sono pugnalate: non te le aspetti, ma arrivano.
E lo so, io scrivo sempre note meno stringate, ma oggi mi andava di aprirmi un attimo con voi (anche se sono pessima nel rispondere alle recensioni, sappiate che per una chiacchierata ci sono i miei social in pagina autore) riguardo questi programmi.
Bene, torno a lavorare sui regali. 
Un bacio, spero che la lettura vi abbia resi un po' più contenti.
Gaia
P.S. Questa storia non è un regalo di Natale, ma spiritualmente la dedico a Nirvana per il suo aiuto nella stesura di questo capitolo.
 
Note:
Il titolo fa riferimento all'omonimo romanzo di Helga Schneider

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Capitolo 2
*** L'ultimo motivo ***



Stelle di cannella



2. L’ultimo motivo
 
[Miopia]
 
Finisce che a casa non ci torna nemmeno, mostrando alla moglie la settimana dopo un’agenda che rigurgita impegni: una visita al San Mungo, cene di lavoro, interviste, articoli da consegnare e mille altre scritte che Astoria nemmeno comprende fino in fondo – stai bene, gli domanda, cosa sei andato a fare al San Mungo?
Lui le mostra degli occhiali tondi, in corno, e si mette a ridere: tutta la vita a cercare di essere migliore di Potter, commenta con astio, e poi Zabini si mette a dire che sono miope e se voglio vederci devo mettere questa roba.
Astoria ride, si copre la bocca con una mano – è sempre stata insicura, di quel sorriso, quando qualcuno le ha detto che sorrideva troppo poco (e poi, a un certo punto, per un po’ non l’ha fatto più): ti stanno bene, gli dice, davvero.
«Tu come stai?» le domanda, stancamente. «Il bambino?».
Non si rende nemmeno conto che, ogni volta che menziona quell’esserino che le cresce dentro, Astoria si rabbuia: e cede alla malinconia, alla sera, quando una lacrima le sfregia il sorriso (dietro la mano) e non sa cosa farci. Draco si sistema gli occhiali sul naso, con aria comica, ma lei non ride già più.
«Lunedì abbiamo il controllo con la Medimaga» gli ricorda, atona. «Ti andrebbe di accompagnarmi?».
Lui non dice mai di no – ha il sapore di infanzia ritrovata, quel bambino o bambina, ha il sentore di un sorriso che si sposa con il rossetto di sua moglie e con quei biscotti alla cannella che lei si ostina a portargli a lavoro.
«Certo» risponde, infatti, con un sorriso stanco. «Chiederò un giorno di permesso per poterti accompagnare, non è un problema».
Lei annuisce – ha qualcosa di inconcluso, quando gli volta le spalle e s’avvicina al ventre della cucina per preparare la cena. È il loro patto: Astoria Greengrass, che è cresciuta nella famiglia meno Purosangue tra i Purosangue, ha detto sì, lo voglio, ma alle mie condizioni.
E Draco, che le ha infilato un anello al dito senza rendersi conto delle conseguenze, non le ha nemmeno mai domandato del perché fosse disposta ad amare dietro condizioni.
«Astoria» non si rende nemmeno conto d’averla chiamata, finché lei non si volta e ne scorge il dubbio in quegli occhi verdissimi. «So dei biscotti».
Lei sorride, rigorosamente a bocca chiusa – si passa una mano tra i capelli bruni, con aria stanca. Quando si volta, e Draco non saprebbe dire se lo sente per davvero o se lo sta solamente immaginando, si ode distintamente un tintinnio di boccette che frusciano nella tasca della gonna di sua moglie.
«Immaginavo» commenta Astoria, con tono svagato. «Tu non sei completamente miope e io non sono una stupida, pare».
Draco sospira, non sa che parole rivolgerle: Astoria Greengrass-Malfoy s’è ridipinta in tocchi di nero scuro e disperato e, ogni volta che lui prova a scrostarle da dosso quella pellicola di tintura troppo secca, scopre solamente altri strati di carbone sotto la pittura. C’è qualcosa di cupo e oscuro, in sua moglie quando gli sorride senza scoprire i denti, qualcosa che si aggrappa alla vita con ardore – ma è già caduta giù e non se ne sa nemmeno rendere conto.
«So anche di Fred Weasley» commenta, cercando di non ferirla con quelle parole (impossibile, impossibile). «Perché non me ne hai mai parlato prima?».
Lei si volta, sembra una bambina in una posa da ritratto, con il mento poggiato sulla spalla e i capelli che in onde dolcemente le decorano le spalle.
Sorride, questa volta scopre i denti e quell’incisivo scheggiato che non le piace per niente, sorride per davvero.
«Cosa importa?» domanda, insolitamente serena. «Tu non ti sei mai innamorato, a tredici anni?».
«Certo che no» risponde lui, con aria perplessa. «A tredici anni che ne puoi sapere, di cosa sia l’amore?».
«A tredici anni?» chiede lei, con aria un po’ svampita. «E se poi muori a quattordici?1».
A Draco si gela il sangue nelle vene – lui lo sa: che Daphne è fuggita in Francia per reinventarsi e godersi gli anni di vita che le restano. Le Greengrass hanno in sangue fragile come resina vetrosa, ha commentato Blaise quando lui gli ha domandato perché non l’avesse seguita, Daphne me l’ha detto che voleva morire da sola.
Una morte orribile, aveva commentato Zabini, ma comunque migliore che annegare tra le lacrime mie e di sua madre, non trovi?
Astoria adesso ha una malinconia inconsueta nello sguardo e, allora, lui deve domandarselo: non gliel’ha mai domandato, se anche il suo sangue è teso come corda sottilissima tra le vene e, a ogni passo, rischia di spezzarsi.
«Non sei morta a quattordici» sussurra, allungando una mano per sfiorarle i capelli. «E nemmeno a quindici».
«Ma non è per sempre» risponde lei, dolcemente. «Ho fatto una scommessa e finora l’ho vinta, domani chissà. Domani sono ancora in tempo per perdere».
Lui non l’abbraccerà. Ha le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni, strette in un pugno, e non le muoverà per allungarsi ed abbracciare la donna che ha voluto sposare – nemmeno mentre lei gli dice che non è morta a quattordici anni, ma potrebbe farlo il giorno dopo domani o quello prima.
«Va bene così, Draco» commenta Astoria, dirigendosi verso la cucina. E voltandosi solamente a pochi passi dalla porta, le labbra strette in un sorriso a denti coperti. «Draco?».
Alza lo sguardo, incontrando gli occhi verdissimi di sua moglie: Astoria inclina il capo, poggiata sullo stipite della porta della cucina, e lo guarda con un’intensità devastante.
Lui lo comprende in quel momento – ha sempre pensato d’esser bravo a tenere i propri segreti (e quelli degli altri) e oggi scopre che sua moglie ne ha sempre saputa una più di lui, che forse non sarà il demonio, ma ci si è avvicinato a sedici anni a scoprire quante egli potesse conoscerne.
Ha sempre pensato di conoscere sua moglie in ogni noiosa sfumatura di nero che la caratterizzava, finché lei non l’ha colto in contropiede, sorprendendolo.
Perché Astoria sorride, dietro la mano, e ha quell’espressione di trionfo che non gli lascia scampo.
«Io lo so» commenta, in un sussurro. «Anche quello che ti neghi da solo, io lo so».
Lui non comprende – si dice che non può, in realtà non vuole.
 
***
 
I bambini dormono, lei è un treno che corre da una stanza all’altra, torcendosi le mani – dimmi che sei felice, perché non me lo dici mai?
Harry ha mandato un Patronus per avvisare che farà tardi a cena (come ogni sera) e di mettere a letto James, con la promessa della favola della buonanotte al mattino successivo, e di dare un bacio sulla fronte del neonato Albus.
Lei ha sorriso, digrignando i denti, e gli ha risposto di non preoccuparsi – d’altronde, quando mai Harry riesce a preoccuparsi di qualcosa? La fine della Guerra gli ha restituito serenità, quel senso di casa che un vagabondare di un anno gli aveva tolto, i propri sogni.
E cosa ne sarà dei miei, vorrebbe chiedergli sua moglie, cosa ne è stato dei miei?
Harry Potter non avrebbe risposta a una simile domanda: le direbbe, perché lo farebbe, che pensava che fosse quello, il suo sogno. Una casa, una famiglia con lui.
Sì, risponderebbe Ginny di rimando, ma adesso non mi basta più: ci hai mai pensato, Harry, che potevo non essere felice quanto lo sei tu?
Harry Potter ha inseguito i suoi sogni, sua moglie ha lasciato marcire i suoi in acqua stagnante – ha dovuto abbandonare il Quidditch alla prima gravidanza e, per quanto James Sirius le possa far sciogliere il cuore quando gorgoglia quel suo mamma sdentato, lo rimpiange ancora.
Non il Quidditch in sé: vedere il cielo come fosse vicino, sentirsi libera di sbagliare, cadere, ricominciare da zero.
Dimmi che sei felice, perché non me lo dici mai?
Molly passa da sua figlia, alla sera, portandole la cena quando sa che Harry si attarderà a lavoro: mani di mamma che le sistemano i capelli, domandandole il perché di quell’inquietudine che le separa il cuore in frammenti filamentosi e insensati cui nemmeno Ginny stessa saprebbe mettere in ordine.
«Mi sembri scontenta» sussurra sua madre, mettendo a scaldare lo stufato di funghi. «Ti andrebbe di dirmi perché?».
Ginny non risponde mai – tira su con il naso, si massaggia le tempie: va bene così, mamma, non ti preoccupare più. Ti giuro che stasera non faccio tardi, e appendo via tutti i miei drammi, e domani sarà diverso.
Molly annuisce, ha i capelli striati di rosso e grigio. Vuole crederle, lo vuole disperatamente, ma a sua figlia non riesce a dirlo – di non infrangere in un mare di frammenti quel suo sogno della famiglia perfetta, almeno lei.
«Se sei stanca, domani posso tenere io i bambini» propone Molly, calma. «Non è il tuo giorno libero da lavoro? Riposati, vai a fare compere, esci con le amiche: ci penso io, ai piccoli».
Ginny sorride, non riesce a far altro – socchiude gli occhi, come se non riuscisse a distinguere i contorni di sua madre, e sospira.
«Va bene» cede. «Pensavo di andare a fare una passeggiata, niente di impegnativo… ma chiamami, se dovessero darti problemi».
James ha quasi due anni e non riesce a star fermo per più di due minuti: Harry sostiene di non sapere da chi abbia preso, ma sua nonna ne ha piena consapevolezza – ha la stessa irrequietezza della madre, la stessa anima inquieta che lo soffia come foglia tra le pozzanghere. Stanco, fradicio, James Sirius s’addormenta alla sera come se lo avessero spento con un telecomando: ma, nei suoi sogni, corre ancora e gioca, parla, cerca quella sensazione di benessere e tranquillità che prova solamente in braccio a sua madre.
Ginny è così – ma, adesso che ha perso quella sensazione e non sa più dove ritrovarla, il suo cuore non ha pace e nemmeno il suo animo un po’ scompigliato: e pensava che fosse amore, si ripete silenziosamente, quando invece (forse lo era stato) s’era scolorato in abitudine e sopportazione. L’anticamera della pietà, pensa con cinismo, gli occhiali scuri di un cieco messi su di me che non sono nemmeno miope – ci vedo benissimo: Harry è cieco, ma la moglie di Malfoy mette Amortentia nei biscotti e lui è inquieto e angosciato almeno quanto lo sono io.
Ha imparato a conoscerlo, in quei mesi passati uno di fronte all’altra, alla Gazzetta del Profeta: l’ha visto tiepidamente contento di un articolo accettato dal caporedattore, scontento, frustrato, con le occhiaie, riposato. Draco Malfoy in tre stagioni s’è girato, è mutato fino a diventare una persona che né lei né Hermione o Harry o Ron saprebbero riconoscere più.
«Non stare tutto il pomeriggio da sola» la rimbrotta sua madre, muovendo la bacchetta per mescolare lo stufato. «Chiama Luna o qualche collega».
Ginny sorride, annuisce – dentro di sé, sa già chi chiamerà: se lo figura, nel proprio giorno libero, solo come quel calzino spaiato che lei trova sempre nella cesta del bucato, a osservare sua moglie che si riempie di farina fino ai gomiti e non riesce a pulirsi senza sporcarsi di più. Se lo vede camminare fuori da casa sua, le ha detto che si sono trasferiti a Dover, per andare incontro alle onde come fossero pensieri sfuggenti.
«Sì, va bene» acconsente Ginny, con un sorriso. «Chiederò a qualche collega se ha voglia di un gelato e una passeggiata per Londra».
Molly sorride, improvvisamente rasserenata – ma Ginny, seduta al tavolo della cucina, si sta ancora torcendo le mani: non amare più è come essere miopi, pensa distrattamente. Tutto quello che le appariva come chiaro e perfettamente definito è adesso totalmente sfocato e indistinto e, quando cerca di raccapezzarsi in mezzo a quella frantumaglia scomposta che è la sua visione, non ci riesce mai.
«Fai bene, tesoro» sussurra Molly, avvicinandosi al caminetto per poter tornare alla Tana. «Molte volte, una mamma e una moglie ha bisogno di ritornare padrona dei suoi spazi».
Ginny sorride e la saluta con la mano – non le dice quel che annega nei suoi pensieri: che, molte volte, una madre non nasce per esser madre e una moglie per esser moglie. E lei, che pensava di esser nata per far la moglie di Harry, adesso non ne riesce più a essere così sicura.
Erano sogni di bambina, nitidi come ogni convinzione – adesso si sfumano in lontananza e lei non ci si raccapezza più.
 
***


Le dice: ti porto in un posto.
Lei non risponde mai di no – come una bambolina di pezza si lascia trascinare fino a un caffè divorato tra due palazzi, nella parte più periferica della Londra Babbana: Ginny posa i piedi sui suoi passi, mentre Draco Malfoy cammina a passo sostenuto.
Ha le occhiaie scavate sotto gli occhi come un’incisione su una lapide e, nel momento in cui la guarda, lei ne riesce a sentire la stanchezza come fosse la propria: non gli domanda il perché ma, quando si siede all’esterno e chiama con un cenno il cameriere, gli tremano le mani.
Ginny non domanda: vive nella consapevolezza cieca ed annichilente che, anche se lo facesse, Draco Malfoy non direbbe una parola – dovrebbe scucirla dal tessuto del proprio orgoglio e, allora, non ci riuscirà mai: non è stato smistato nella Casa sbagliata, ma ha qualcosa di Grifondoro anche lui, come uno smeraldo che riflette sangue rosso, rossissimo.
«Non mi hai detto perché siamo venuti qui» commenta lei, rigirando una tazza di tè tra le mani. «Non pensavo che fossi il tipo da un caffè in centro».
Lui sorride, mastica quelle parole come fossero bollenti e dovesse raffreddarle con la saliva e aria gelida, mentre glielo dice senza calma, senza dolcezza.
«Qui non conoscono mia moglie» dice, semplicemente. «Prima di sposarsi con me, Astoria cantava nei locali: musica Babbana, per lo più, ma poi ha smesso. Non so perché».
Ginny lo sa, ma non glielo può dire – il matrimonio e la morte cambiano moltissime cose e, al pari di lei stessa, Astoria Greengrass deve aver rinunciato a quel che credeva esser la parte dimenticabile di sé per divenire macchia sfocata sotto gli occhi grigi di suo marito.
«Si tratta di scelte, Malfoy» commenta, stringendo i denti. «Tutte rinunciano a qualcosa, con il matrimonio».
Lui sospira, si passa una mano tra i capelli biondissimi. «Ed è per questo che pensavo che non mi sarei sposato mai» risponde, atono. «O che l’avrei fatto solamente se ne fosse valsa la pena».
Lei gli indica la mano, sfiorandogli appena il dorso con l’indice, e scrolla le spalle. «Ma lo hai fatto» constata. «Forse, ne valeva la pena».
«Ho sposato Astoria perché era giusto così» commenta Draco, quietamente. «Perché era quello che ci si aspettava da me, perché avrebbe riabilitato il nome dei Malfoy e perché mi amava».
Ginny alza un sopracciglio color tramonto, socchiudendo la bocca in una smorfia scontenta.
«Non dici da nessuna parte che tu l’amavi» commenta, senza dolcezza. «Che dovrebbe essere il primo motivo».
Lo fa sorridere – maschera un risolino, quando glielo dice in un sussurro, come se nemmeno lui credesse  a quell’affermazione.
«O l’ultimo» risponde, senza scomporsi minimamente. «Non ho mai pensato di doverlo fare, amare qualcuno: Astoria è stata una buona scelta, nonostante tutto».
Ginny giocherella con il cucchiaino, lo muove sul fondo della tazza con aria pensierosa, tirando su un pezzetto di zolletta di zucchero semi-sciolta.
«Una buona scelta» ripete, pensierosa. «Non fatico a comprendere perché abbia cercato di propinarti biscotti all’Amortentia, sai?».
«Lei non mi ama per davvero» precisa Draco, a disagio. «Ama l’idea che si è fatta di me, che è tutto meno che vera».
«Che ne puoi sapere» sibila Ginny, assottigliando lo sguardo. «Ne parli come se sapessi tutto, ma gliel’hai mai domandato, cos’è che prova?».
Draco alza un sopracciglio, con aria perplessa. «Perché devi sempre prendere tutto così a cuore?» domanda, stizzito. «Non la conosci nemmeno, mia moglie».
«Siete tutti così» prosegue Ginny, torcendosi le mani. «Si può sapere perché dovete sempre dare tutto per scontato?».
«Astoria viveva una vita all’ombra di sua sorella maggiore e pensava che io fossi il principe azzurro venuto a salvarla» commenta Draco, senza scomporsi minimamente. «E, adesso che ha scoperto che non è così, le rimane solamente una fantasia che non si può realizzare».
Ginny lo sa – che non dovrebbe sentire quella dolorosa pietà per Astoria Greengrass ma, quando guarda la durezza con cui Draco Malfoy parla di lei, non riesce a non sentirsi rimescolare lo stomaco di comprensione mista a pena.
«Ed è per questo che tu speri che lei abbia avuto una meravigliosa storia d’amore con Fred» commenta Ginny, storcendo la bocca in una smorfia disgustata. «Per liberarti dai sensi di colpa: è squallido, Malfoy».
«Comunque meno squallido di poter pensare che io sia in grado di salvare qualcuno che non sia io» risponde lui, risentito. «Astoria non mi conosce. Siamo sposati da anni e non mi conosce».
Lei vorrebbe dire di poter provare pietà anche per lui – ma, quando l’osserva storcere il naso mentre parla di sua moglie, nella sua mente si dipinge Harry mentre fa la medesima cosa.
«Spero anche io che abbia avuto una meravigliosa storia d’amore con Fred» sputa insieme alle virgole nella tazza da tè. «E non per salvarti la coscienza, Malfoy, ma perché se lo merita e tu sei così miope nel non renderti conto di quello che vuoi gettare via: hai una moglie che non pensa che il vostro matrimonio sia la tomba del vostro amore e non le dai nemmeno una possibilità».
«Tu lo pensi?» domanda lui, alzando un sopracciglio. «Che l’amore sia la tomba del tuo matrimonio».
Ginny spalanca gli occhi castani, sorpresa.
«A volte» sussurra. «Ma chi è che non pensa qualcosa di negativo, qualche volta?».
Lo fa sorridere – una maschera di cera spezzata che ne deforma i lineamenti e lascia traccia macchiata e stracciata tra la bocca e il naso, come una ruga incancellabile che gli scrive addosso di .
«Non una persona che ha amato suo marito per tutta la sua vita» commenta Malfoy, acido. «A volte, Weasley?».
Ginny vorrebbe rispondere, ma tutto quello che riesce a dire è quel a volte ripetuto una seconda, una terza volta.
Lo fa sorridere – un sorriso vero, sincero, che lo illumina leggermente dalle labbra agli occhi e lo costringe a socchiudere gli occhi, come se facesse fatica a vederla.
Lei sorride di rimando – i suoi occhi, sono sulla sua bocca.

 

1Riadattata da Stefano Benni, Margherita Dolcevita
 

Eccomi qui, con il secondo capitolo di questa breve (si fa per dire) storia. Sono molto contenta dei pareri ricevuti, in questi giorni risponderò con calma: per una volta, è un piacere permettermi di sperimentare.
Grazie per avermi letta.
Gaia

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Capitolo 3
*** La torta di mele ***


Stelle di cannella


 
3. La torta di mele
 
[Orologio che segna il tempo al contrario]

 
Comincia con una caduta.
Il giorno in cui Astoria Malfoy si arrampica sopra il tavolo della cucina, a piedi nudi, per riavviare quel dannato orologio che continua a segnare il tempo al contrario: borbotta che non è possibile, non è possibile che in quella casa vada tutto male – quel giorno è maledetto, lei ne ha solamente la pallida percezione.
Con la bacchetta, sembra riuscire a farlo ripartire, lo rimette al proprio posto quando, poi, sceglie di voltarsi per prendere un pacchetto di farina integrale.
Pochi attimi dopo, tenendole la mano sul lettino del San Mungo, suo marito le domanderà: perché non hai usato la magia?
Lei lo guaderà, gli occhi pieni di lacrime e un monitor che mostra i battiti cardiaci di loro figlio, e non saprà cosa rispondergli se non: volevo solamente fare una torta, Draco. Sarebbe stata alle mele, sai, la tua preferita.
Non comprende nemmeno come fa a perdere l’equilibrio, quando si sporge per prendere il cartone con la farina, non era nemmeno in bilico sul bordo del tavolo – eppure, Astoria, crolla giù sbattendo la fronte contro lo spigolo del piano cottura della cucina e tagliandosi un sopracciglio.
Mi dispiace, signora, le dice la Medimaga di turno, ricucendole il taglio con un colpo di bacchetta, temo le rimarrà il segno.
Ma a lei non importa niente delle cicatrici che le sfregeranno il volto, al pari di Harry Potter: così sia, pensa distrattamente, prima di chiedere notizie di quel bambino che silenzioso le dorme nel ventre.
Le dicono che dovrà stare a riposo, se non vuole rischiare di perdere il bambino: vuol dire passare tutto il resto della gravidanza stesa a letto, con l’aiuto di una Medimaga a domicilio e di sua suocera, vuol dire basta torte e biscotti alla cannella e Amortentia.
Astoria non si lamenta, non piange – dice che farà tutto ciò che è necessario, per quel bambino, e sorride dolcemente.
Ma, quando Draco la riporta a casa sulla sedia a rotelle e la solleva tra le braccia, per posarla sul letto, finalmente sua moglie si scioglie in un fiume di lacrime – glielo dice così.
Che i Medimaghi hanno indagato sul perché sia caduta e le hanno detto che è finita così, che non potrà nemmeno iniziare: in un momento storico in cui il sangue è tutto pulito, tutto da rivalutare, una maledizione del sangue è ciò che ti rende inferiore a tutti gli altri. Perfino a Ginevra Weasley.
A suo marito lo dice così.
Che Daphne aveva ragione, a fuggire in Francia da sola: una morte orribile ma, almeno, sua sorella si stava godendo le ultime giornate di sole, sulla costa d’oltralpe. Che, quando hai il sangue che ti indebolisce, l’unico modo per essere forte è la speranza (lei non ne ha nemmeno una briciola) e la perseveranza: Astoria dichiara che sarà forte per loro figlio ma, quando lo dice, le trema un po’ la voce.
«Dimmi cosa ti serve» sussurra Draco, carezzandole il capo. «Ti darò tutto quello di cui hai bisogno, te lo prometto».
Lei sorride – ha le mani tutte escoriate dalla caduta, con una densa mappa di taglietti minuscoli che le sfregiano il palmo – ma mai per davvero: è solamente una cortesia che gli riserva, il fingersi felice, per permettergli di ripulirsi la coscienza al mattino come fa con il viso fresco di rasatura.
«Vorrei vederti più spesso» dice, semplicemente. «Potresti tornare a cena, qualche volta, potremmo giocare a scacchi o chiacchierare un po’».
Draco china il capo – non oserà negarglielo: perché Astoria lo guarda con occhi lucidi di speranza e, quando gli sfiora il braccio, si rende conto che le tremano le mani.
«Certo» sussurra, sedendosi sulla sponda del letto. «Mia madre verrà a farti compagnia ogni giorno, finché non sarò tornato a casa: sarà dura, con gli orari dell’ufficio, ma farò il pendolare per un po’».
Lei non lo ringrazia – affila lo sguardo, fulminandolo leggermente, e Draco allora se lo ricorda: lei sa anche quello che lui ignora, ma cosa?
«Ti posso chiedere un’altra cosa?» domanda sua moglie, pacata. «Chi ti ha detto di Fred Weasley?».
Draco sospira, passandosi una mano tra i capelli biondissimi, con aria stremata.
«Che importa?» le domanda, quieto. «L’hai detto anche tu: a volte semplicemente capita di innamorarsi a tredici anni?».
E se poi muori a quattordici?
Lei sorride, ricordando quella risposta – e forse non era morta a quattordici anni ma, adesso che la stanchezza le mastica le vene e il sangue come una vecchia amica, Astoria Malfoy si rende conto che è finita.
«Vorrei liberarti da questo peso, dirti che ho amato qualcuno più di te» sussurra, massaggiandosi le tempie. «Se ti dicessi che ho amato Fred Weasley più di quanto non abbia fatto con te, ti sentiresti meglio?».
Draco sorride, amaramente – le hanno detto che il suo orologio ha cominciato una corsa senza fine verso i suoi ultimi battiti eppure, sua moglie, è di una calma che spezza l’anima.
«Sarei contento di sapere che sei stata felice, un tempo» dice, calmo. «Tutto qui».
«Vorrei poterti dire che è stato l’amore della mia vita e che, ancora oggi, non lo so dimenticare» sussurra. «Ma sarebbe troppo semplice, Draco, esonerarti da ogni tipo di responsabilità».
«Cosa intendi dire?» domanda lui, alzando un sopracciglio. «Non devi esonerarmi da niente, Astoria, di che responsabilità stai parlando?».
Lei sospira.
Comincia con una caduta – quando Astoria Greengrass perde l’equilibrio, piombando sul pavimento della cucina di casa sua in un tonfo sordo.
Comincia, per Draco, con il Patronus di sua moglie – ho bisogno di andare al San Mungo, ti prego Draco, non riesco a Smaterializzarmi.
Finisce così.
Con lei che lo guarda con quegli occhi vetrosi come biglie trasparenti e sorride come se non avesse altra scelta: voltarsi dietro di lui, bagnandosi della sua ombra, sorridere e perdonare.
«So di Ginny Weasley» commenta Astoria, con un sospiro stremato. «Lo so da mesi e, giorno dopo giorno, ho imparato a perdonartelo: non sei l’unico, ad aver amato un’ombra».
Lui fa per domandarle, lei si mette a ridere, mescolandovi un sussulto pieno di dolore per quello sforzo.
«Non sono morta a quattordici anni, morirò adesso» commenta, calma. «E mi ricordo di Fred Weasley, Draco, tu no?».
 
***
 
Draco Malfoy diviene un’ombra.
Lentamente, passo dopo passo, si sfuma nell’indefinito e ingrigisce, diventa sempre più magro e nevrotico: a lavoro, è impossibile collaborare con lui, è sempre stanco e nervoso, sempre pronto ad abbaiare contro il primo disposto ad avvicinarsi a lui.
«Posa la bacchetta, Malfoy» commenta Ginny, sedendosi alla propria scrivania, mentre lui sta letteralmente gridando contro una delle stagiste. «Non incolpare Isabelle dei tuoi malumori, ti va?».
Lo fa sbuffare, mentre la ragazza corre via con un sorriso grato – sono le sette di sera, l’ufficio si svuota ma lui, che pur sa di dover tornare a casa, non riesce a schiodarsi dalla propria postazione. Non ne ha la forza.
«Mia moglie sta morendo» lo dice come fosse una comunicazione istituzionale, il meteo delle dodici e una pubblicità alla radio. «I Medimaghi dicono che non le resta più molto da vivere».
«Mi dispiace».
Draco ride, passandosi una mano in viso. «Non sono riuscito a dirlo a lei, che mi dispiace» ammette. «Ho desiderato così tanto che avesse amato anche qualcun altro che, quando me l’ha detto, mi sono sentito sollevato».
«Quindi ti ha dato una scusa per scappare dai tuoi sensi di colpa» commenta Ginny, divertita. «Mi sembra ottimo».
«La tua sensibilità mi colpisce come ogni volta, Weasley» ringhia lui, con aria piccata. «Cosa pensi che importi dei miei sensi di colpa? Mia moglie sta morendo».
Lo sguardo di lei s’ammorbidisce – ma sempre legno rimane e, per quanto Draco possa picchiarvici sopra, rimarrà con le mani piene di schegge e niente di più: ammorbidita, comunque dura come un portone blindato, Ginny Weasley lo guarda e scuote il capo.
«Lei come sta?».
«Continua a ripetere che voleva solamente fare una torta di mele» sussurra Draco, piano. «Non riesce a crederci».
«Nemmeno tu» constata lei, atona. «Nemmeno tu».
«E come potrei fare?» sibila lui, con aria stremata. «L’ho data per scontata per tutto il nostro matrimonio e, adesso che so che non ci sarà più, io…».
«Ti sei magicamente innamorato di lei? Non funziona così, Malfoy».
«E come funziona, allora?» domanda Draco, con aria stravolta. «Sta morendo e vuole solamente essere amata. Cosa pensi che dovrei fare io?».
«Il fatto che lei voglia essere amata non basta a far sì che tu la ami» risponde Ginny, quieta. «Non conta niente, Malfoy: o la ami o non la ami, ma questo devi dirlo tu».
Lui nasconde il viso tra le braccia, sfiorando con il naso il piano da lavoro della scrivania – lei non s’avvicina ma, da un respiro più pronunciato degli altri, lo comprende: Draco Malfoy sta piangendo.
Quando, dopo una manciata di minuti, riesce a rialzarsi da quella posizione, glielo dice in un singhiozzo: voleva solamente fare una torta di mele.
«Lo so» sussurra Ginny, con una comprensione che non le appartiene. «Potresti farne una tu, per restituirle il favore».
Ma lui scuote il capo, chissà che pensieri gli camminano tra quei capelli biondi – voleva solamente fare una torta di mele – e gli si tuffano in quegli occhi arrossati, nelle occhiaie che livide gli spaccano il viso.
«Che idea del cazzo, Weasley» sibila, contrariato. «Astoria adora fare i dolci per gli altri, non per sé stessa. Adesso che ci penso, non penso che lei faccia mai niente per sé stessa».
«Encomiabile» commenta lei, giocherellando con una piuma sporca d’inchiostro. «Viene da pensare che tua moglie sia Tosca Tassorosso o qualcosa del genere».
«Smettila».
«Non puoi cancellare il vostro matrimonio fino ad ora perché lei sta morendo» sussurra Ginny, senza scomporsi. «Lei non lo cancellerà e saprà, ogni singolo e inutile minuto, che lo stai facendo perché sai che potrebbero essere i vostri ultimi minuti insieme. È terribile, Malfoy».
Lui spalanca gli occhi, non osa darle ragione – ma, dal sorriso trionfante della Weasley, si rende conto che ha compreso pienamente cosa gli sta frullando nel capo.
«Non è una stupida, Astoria» mormora, più a sé stesso che a lei. «Non lo è stata mai. Ha detto che sa di te».
Lei scrolla le spalle, i capelli biondi le ballonzolano sulle scapole, mordicchiandogliele – quando sorride, non c’è traccia in lei di quella maniacale inquietudine che solitamente la anima: Ginny è quieta, pensierosa, e un dito continua a picchiettarle la guancia al ritmo di una vecchia canzone (la ninnananna di Molly).
«Che vuol dire che non sa niente di niente» commenta, quieta. «Tua moglie lo sa, che io ho un marito, una bella famiglia. O se ne è dimenticata?».
«Penso sappia anche che non ti basta».
La fa sorridere – ma, quando Ginny incontra i suoi occhi color tempesta, è ormai dura come acciaio temperato.
«Perché il matrimonio è comunque la tomba di ogni sentimento» ammette, senza vergogna. «Ma non il mio».
«Certo, come se tu e Potter non poteste non essere speciali» sibila lui, oltraggiato. «Figuriamoci, se il Santissimo Harry Potter non poteva fare eccezione».
La fa ridere – quella sua insulsa rivalità con Harry la fa sorridere, dopo anni passati a condividere con il marito l’ostilità verso Malfoy – ma, quando apre la bocca, Ginny lo stordisce con una singola frase.
«Perché, tua moglie non fa eccezione?» domanda. «Chi è che non ama Tosca Tassorosso, anche dopo il matrimonio?».
Lui sospira – stremato, la guarda ed è ombroso e inquieto quanto lei, se non di più: e forse Astoria sarà Tosca Tassorosso, si dice, ma lui non è Salazar Serpeverde. Non gli bastano degli occhi glaciali e un bel sorriso, per riesumare l’amore dalla propria tomba.
«Mia moglie fa eccezione» si tira fuori dalla gola, tossendoglielo davanti. «Ma, forse, non per me».
«Solamente perché speri con tutto il cuore che abbia amato Fred più di quanto non abbia mai fatto con te».
«Spero che abbia avuto l’amore che merita» commenta Draco, vergognandosene. «Anche se non da me».
«Molto altruistico, Malfoy» commenta Ginny, divertita. «Sicuro di stare bene?».
Lui la guarda e non si rende conto di cosa sta per domandarle – e, si sorprende, quando lei annuisce e gli dice sì, certo che puoi.
Le ha domandato di parlare con George Weasley e lei ha detto di sì.
 
***
 
C’è qualcosa di noioso, nell’immobilità forzata, qualcosa che ti solleva l’anima e poi la lascia cadere, come un coltello che prova a porzionare una torta e ciaf! quella si spiaccica sul piatto senza grazia alcuna, senza possibilità di redenzione che non sia il gusto (e se facesse schifo?).
Le hanno proibito perfino di alzare la bacchetta – così, Astoria passa le proprie giornate stesa a guardare il soffitto, sonnecchiando o ascoltando le chiacchiere di sua suocera, contando i minuti che la separano dal ritorno di suo marito a casa.
Draco è sempre puntualissimo, le prime due sere della settimana: ma, dal mercoledì in poi, si rende conto che non può farcela per cinque giorni di fila, a rientrare per cena – e si prende mezz’ora, un’ora, due ore e il weekend trova sempre degli straordinari per svignarsela. Lei non si lamenta.
Sorride alla Medimaga che viene a controllarla ogni mattina, per assicurarsi che il piccolo che le cresce dentro stia bene: mio marito lavora molto, sa? Lo fa per noi.
Ma, quando Draco rientra e lei gli fa cenno di giocare l’ennesima partita a scacchi magici, una smorfia di disapprovazione le ridisegna i lineamenti – non gli dice mai di impegnarsi un po’ di più, ma lo guarda come per ricordargli quel che continua a ripetere ogni mattina, quando Narcissa le domanda come si senta: volevo solamente fare una torta di mele.
«Ciao» sussurra Draco, stendendosi accanto a lei sul letto. «Credo di aver esagerato, stasera. Scusami, ho fatto davvero tardissimo».
Non gli dice di sì – inclina solamente la testa, sfiorandogli la spalla con la propria fronte, e sorride leggermente.
«Domani porto qualcuno con me, a trovarti» continua lui, carezzandole il capo. «Spero che una visita ti faccia piacere, magari ti farà sentire meno…».
Sola. Annoiata. Stanca.
Lei non completa la frase – sorride dolcemente e aspetta che sia lui a svelarle l’arcano, dicendole il nome di sua sorella (impossibile) o di Pansy Parkinson (difficile) o chissà quale altra sua dimenticata amica di Hogwarts.
«Ho parlato con la Weasley, oggi» spiega Draco, a disagio. «Mi ha detto che a suo fratello farebbe piacere vederti. All’altro gemello, intendo».
Astoria ride – così forte che deve sforzarsi di smettere, perché le costole le fanno male e teme che, se la Medimaga fosse lì, le direbbe che non le è più permesso nemmeno di ridere. Forse, pensa distrattamente, è così: le direbbe che, com’è finito il tempo delle stelle di cannella e delle torte di mele, allora è terminato anche quello delle risate.
«George Weasley?» domanda, alzando un sopracciglio. «Mi stai prendendo in giro o qualcosa del genere?».
«Perché dovrei?» chiede Draco, perplesso. «Pensavo ti avrebbe fatto piacere».
«Io non so cosa tu stia pensando, Draco, non lo so per davvero» sussurra Astoria, sottovoce. «Ma ti assicuro, te lo posso giurare su Salazar, Godric o chi vuoi tu, che Fred Weasley è passato».
Ma lui, che paradossalmente le domanderebbe di giurarlo su Tosca, scuote il capo e glielo dice – non puoi rinnegare te stessa, Astoria, tu sei stata anche quella ragazzina di tredici anni.
«Certo che lo sono stata, Draco. Ma adesso pensi che io non sia cresciuta, che non sia cambiata come te?».
«Astoria…».
«No, Draco, ora mi ascolti» sibila lei, con il fiato corto. «Tu vuoi regalarmi un finale da favola, una morte con un motivo solamente per sentirti a posto con te stesso. Sai cosa? La morte non ha mai senso, nemmeno se tu mi dicessi che c’è Fred Weasley pronto ad aspettarmi nell’aldilà».
«Non si tratta della mia coscienza» risponde lui, a disagio. «Io vorrei per davvero che lui ti aspettasse nell’aldilà, io… non voglio saperti da sola, lì, senza di me».
Lei non ride – scopre i denti: un lupo.
«Senza di te» ripete. «Oh, Draco. Non ti permetterò di lavarti la coscienza solamente perché sai che non ti perdonerai mai dell’avermi lasciata sola per stare con la Weasley».
Lui non replica – Astoria scuote il capo, con aria stanca.
«George Weasley è un contentino, il migliore che potessi darmi, ma un contentino» sussurra. «Non te lo perdonerò nemmeno da morta, Draco, e vorrei che tu questo lo tenessi bene a mente».
«Le persone sbagliano» sussurra lui, pentendosi di quelle parole. «E io non ti ho tradita».
«Non ancora. Quasi» commenta Astoria, pacata. «Si può tradire anche con i pensieri, se non con le azioni, lo sai questo? Ed ecco perché mi vuoi regalare una favola nera, Draco: perché speri che, tornando tredicenne, io sia in grado di perdonarti».
«Potresti farlo comunque. Perdonarmi».
«Ti giuro su quello che vuoi, che sia Tosca o Corinna, che non ti perdonerò nemmeno da morta» risponde Astoria, lapidaria. «E niente mi fermerà dal pensare che tutto questo è successo per un cazzo di orologio che girava al contrario e per una torta di mele. Che avrei preparato per te».
Lui le chiederebbe comunque di giurare su Tosca – chissà se Astoria sarebbe ancora disposta a farlo.
«Non volevo questo per te, quando ti ho sposata» commenta Draco, atono. «Speravo saremmo stati felici».
Ma sta mentendo, lo sa anche lui: ha sposato Astoria perché era giusto così – e, adesso che la giustizia non basta più, cos’è che rimane?
Sua moglie ride, piano per non farsi male, e non gli dice il perché.
«E, adesso che sappiamo che sono io quell’orologio che scorre al contrario, che rimane?» domanda, quieta. «Siamo su una zattera in mezzo alla tempesta, Draco, e io devo cadervi giù per forza: speravi che saremmo stati felici, non lo sei stato mai».
«Avrei voluto».
«Avresti potuto» ribatte lei, fredda. «Ma non me ne hai mai dato l’occasione, di permetterti di dimenticare».
Lui apre la bocca, non ne escono parole: perché sua moglie sorride, si asciuga una lacrima che dolorosa le lambisce il viso, ustionandola.
«Va bene così» sussurra. «Domani vedrò George Weasley e tu sarai contento con la tua coscienza smacchiata».
Draco china il capo, lei vi posa sopra una mano, come per benedirlo da ogni peccato (detto, commesso, pensato) che gli ha lordato l’anima.
Volevo solamente fare una torta di mele, Draco pensa. Non lo dice.


 
Passo di volata a dire che in serata risponderò alle bellissime recensioni che mi avete lasciato: grazie, siete il più bel regalo di Natale che potessi chiedere.
Ora, scusate, ma sono cinque giorni che vivo con due ore di sonno a notte e devo necessarismente svenire da qualche parte.
Un bacio,
Gaia

 

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Capitolo 4
*** Stelle di cannella ***


Stelle di cannella



4.
Stelle di cannella
 

[Cenere]
 
Draco Malfoy si presenta al capezzale di sua moglie con il capo cosparso di cenere e George Weasley che lo segue, passo dopo passo – Astoria sorride ma, quando s’accorge che suo marito non s’è presentato per implorare perdono, storce il naso in una smorfia scontenta. Quando vede George, un sorriso imbarazzato sul volto, le si dipinge in fronte quel che ripete ogni sera come una preghiera quando Draco si alza per andare a dormire nella stanza del loro futuro figlio.
Volevo solamente fare una torta di mele, Draco.
Ma, quando George le rivolge addosso uno sguardo quieto, sorridente, Astoria non riesce a dire niente che non sia.
«Draco, tesoro, perché non gli offri una fetta di torta?» domanda. «L’ho preparata con la Magia, ieri sera».
«Adesso hai cominciato a preparare dolci senza alzarti dal letto?» chiede Draco, pensieroso. «Weasley, ti andrebbe…».
George scuote il capo, con gentilezza – dai capelli gli cadono fili di cenere e vetro soffiato – e rimane fermo sulla soglia, immobile, il volto animato dall’ombra di un sorriso: un tempo ero io quella che non sorrideva mai, pensa Astoria nostalgicamente, da quando i ruoli si sono invertiti in questo modo.
«Siediti» sussurra, facendogli segno di accomodarsi sulla sponda del letto. «Non stare lì in piedi, ti prego: mi ricorda che io, ferma in piedi, non ci posso stare più».
George obbedisce – le porge una mano, come per autorizzarla a infrangere quell’alone di estraneità che gli anni hanno scavato tra di loro. Lei la prende, con un sorriso dolcissimo, senza esitazioni.
Ma, le parole che le escono dalla bocca sono amare come quella consapevolezza polverosa che Astoria si ricama sul cuore, giorno dopo giorno (volevo solamente fare una torta di mele, Draco).
«Adesso sarai contento, Draco, hai ottenuto quello che volevi» sussurra, astiosa. «Volevi sperare che avessi avuto una meravigliosa storia d’amore, eccotela qui: puoi fartela raccontare tutta o a metà, per quel che m’importa».
George Weasley le stringe la mano, scuotendo il capo – Draco Malfoy è senza parole, ne ha solamente un paio: stai calma, non dovresti affaticarti (Astoria ride, così tanto che diviene un colpo di tosse che le squassa la cassa toracica).
«Sai, George, non avrei mai voluto che tu mi vedessi in questo stato» sibila, a corto di fiato. «Ma per mio marito era importante, immagino te lo abbia accennato, sapere che ho avuto una vita prima di lui».
«Astoria…».
«No, Draco, ora basta» sussurra sua moglie, a fatica. «Hai coinvolto George in tutto questo solamente perché volevi una scusa e, da qualche parte dentro di te, lo sai anche tu».
Draco sospira, si passa una mano in volto come per cancellare le tracce della verità espressa da sua moglie. «Astoria, io…».
«Non mi farò accusare da te di aver amato troppo» lo interrompe lei, con il fiato corto. «Hai scommesso e hai perso, Draco: non ti basterà scavare nel mio passato, per scusare il tuo comportamento».
George tossicchia, a disagio, con Asteria che gli stringe la mano con forza insospettabile – è cresciuta, pensa distrattamente, non è quella ragazza che aveva vergogna di fare anche solamente mezzo passo verso Fred.
E suo marito, i capelli impastati di cenere e lacrime, continua a scuote il capo per cercare delle parole adatte da rivolgerle – ma George lo sa, che Draco Malfoy è andato da Ginny chiedendogli di lui solamente per lavarsi la coscienza: George è fratello maggiore e, che Ginny abbia un pezzo che le si incastra male tra i pensieri e, allora, questi risultano perennemente incompleti.
Quel pezzo è Harry: che il loro matrimonio sia meno bello della favola che Ginny s’era dipinta è, oramai, cosa ovvia – due figli, una bella casa, un lavoro da scrivania: era davvero questo quello che sua sorella aveva sempre desiderato dalla propria vita?
Ma, quando pensa all’inquietudine con cui Ginny affronta la vita, George si deve anche domandare perché Draco Malfoy abbia dipinta in viso la stessa espressione di una Weasley, perché abbia quella smorfia insoddisfatta a sfigurargli i lineamenti.
«Vi lascio da soli» sibila Malfoy, senza guardare in volto sua moglie, con le mani in tasca e lo sguardo basso (cenere). «Immagino avrete molto di cui parlare».
Astoria non replica, ha ancora la mano intrecciata a quella di George – come fai a innamorarti a tredici anni, se non sai niente dell’amore?
Semplice: come fai a non innamorarti sapendo che potresti morire a quattordici?
«Grazie per essere venuto, George» sussurra la signora Malfoy, piano. «Non avresti dovuto sentirti obbligato, lo sai».
Lui sorride – c’è un riflesso doloroso, in quel sorriso, che Astoria avverte come un arto mancante (e, per un momento, ha di nuovo tredici anni e la segreta speranza di poter arrivare ai quattordici).
«Sei cresciuta, Ria» sussurra, scuotendo il capo con aria divertita. «Malfoy, eh? Non pensavo di dovermelo aspettare, da te».
La fa ridere – piano, con attenzione, sapendo che anche quel movimento così naturale può prosciugarla da ogni energia: Astoria ride, ha la polvere che le crolla giù dal capo (polvere siamo e polvere ritorneremo) mentre scrolla i capelli dalle spalle, graffiandosi con l’aria smossa.
«Tutti cresciamo, George» commenta, dolorosamente. «E iniziamo accettare l’amore che ci viene proposto, sapendo che difficilmente ne otterremo altro».
«Draco Malfoy…».
«Lo so, George» sussurra Ria, stringendogli leggermente la mano. «Draco desidera per me l’amore delle favole solamente perché lui pensa di non essere in grado di farmelo avere, a dispetto di ogni promessa».
Pare pensarci – quando rivolge al giovane uomo uno sguardo intenso, che gli cola tra le ossa come sangue e midollo, e in una frase se lo mangia vivo: George se lo aspetta, perché ha imparato a conoscerla a tredici anni e, guardandola, non la trova cambiata.
Sei sempre tu, Ria – ricordi?
Lei annuisce, socchiudendo gli occhi, stanca, la stretta sulla mano si allenta.
«Resta» mormora, quando George borbotta che forse è meglio che si riposi un po’. «Almeno tu, resta con me. Per favore».
Lui s’immobilizza, seduto sulla sponda del letto, gli occhi spalancati sul sorriso quieto, un po’ stanco, di lei.
«Draco ha ragione» sussurra, stanca. «Io la mia favola l’ho già avuta, anche senza di lui».
 
***
 
Non la cerca, così almeno si dice per convincersene, ma la trova comunque: Ginny passa il proprio tempo libero appollaiata tra gli scogli biancastri, i capelli legati in una treccia scompigliata e i pensieri altrettanto spettinati dal vento.
Non la cerca, si ripete mentre si siede accanto a lei tra i sassi acuminati, ma continua a sapere esattamente dove si trova: Ginny Weasley, sempre sola come un calzino spaiato (e bucato sulle dita), s’ostina a cercare di rigettare la propria inquietudine in un paesaggio che sa essere ancora più inquieto di lei. Non ci riesce.
Ma, quando Draco Malfoy si siede di fianco a lei, i capelli resi umidi da un frammento di pioggia, Ginny ne percepisce un tormento che supera perfino il suo – Malfoy ha il cuore che salta i battiti, quando si nasconde il viso tra le ginocchia e gli scappa un singhiozzo (infranto, nel silenzio) pieno di frustrazione.
«Malfoy» lo chiama Ginny, incerta. «Si può sapere cosa ti è successo?».
Draco sospira, ha il viso rigato di lacrime quando si volta per guardarla – Ginny finge di non notarlo, ma gli tremano le mani.
«Astoria non l’ha presa bene» sussurra, calmo. «Il fatto che le abbia portato tuo fratello, intendo, io… non so più come fare, per renderla un po’ meno infelice di così».
Ginny sorride – le si strappa la faccia, quando lo fa: non dice, non ne ha la forza, che lui non ha mai fatto niente per rendere felice nessuno (nemmeno sé stesso).
Pensa ai biscotti a forma di stelle che Astoria Malfoy portava, una volta a settimana, in ufficio: delle stelline di cannella che tutti amavano e che Ginny s’era sempre rifiutata di toccare, come s’è sempre rifiutata di provare qualunque sorta di comprensione nei confronti della moglie di Malfoy. Non farà di Astoria Greengrass una martire (ma la tentazione è tanta), non riuscirebbe a sopportarlo.
Per questo, ha rifiutato a priori la possibilità di darle l’ombra di una favola con Fred ma, quando George ha accettato senza proteste di andare a trovarla, senza alcuna domanda, Ginny ha cominciato a sentire il rimorso masticarle le ossa, con i denti che scricchiolano sul midollo.
George sapeva di Astoria Greengrass – ha spalancato gli occhi, quando l’ha sentita menzionare, non ha fatto una piega quando Ginny gli ha riferito che lei volesse incontrarlo: sapevo che prima o poi sarebbe successo, ha commentato George, siamo pronti.
Il capo nero di cenere, suo fratello aveva acconsentito a Smaterializzarsi a casa Malfoy con le mani in tasca e un sorriso sul volto (ciao, Fred, avrebbe sussurrato Astoria nel vederlo – o, almeno, così Ginny aveva immaginato), lasciandola sola a combattere con quel crescente senso di disagio a smangiucchiarsela lungo la scogliera.
«Dovresti costringerti ad amarla, per farlo» commenta Ginny, masticando quelle parole. «Il che vuol dire che tua moglie morirà infelice».
Draco inghiotte quella consapevolezza – Astoria non è morta a quattordici anni ma, comunque, la propria favola non l’ha mai potuta vivere: per Fred Weasley non era tempo, forse, o forse l’avevano vissuto per una manciata di secondi. Poi, non era stato più.
«Ho sposato Astoria perché era giusto così» sussurra Draco, guardandola negli occhi. «Perché era la sorellina di Daphne, perché i Greengrass erano ciò che ai Malfoy serviva per ricostruirsi e perché lei mi amava».
Ginny alza un sopracciglio rosso, con aria perplessa. «Ed è bastato?» domanda, quietamente. «A fartela riamare?».
«No» ammette Draco, in un sussurro. «Non penso basterà mai».
Ginny sospira, cerca una manciata di parole da dedicargli – non ne trova nemmeno una: Draco Malfoy, annaffiato da quelle onde che si schiantano sulla scogliera, è così disperato da toglierle le parole e, quando ne ha trovato una lieve parvenza, è lui a scolorargliela via in un sussurro.
Le cinge il viso con le mani, rese secche dal freddo che avanza e fragili come foglie bagnate, Draco Malfoy le sfiora lo zigomo con il pollice, facendole spalancare gli occhi.
Ginny lo sa.
Che la loro rispettiva infelicità non è una scusa (non lo sarà mai) ma, quando finalmente lo guarda negli occhi, rivede quel giovane uomo che l’ha baciata la prima volta, quasi per sbaglio, mesi fa – lei ancora si stava riprendendo dalla nascita di Albus e, quando lui s’era ritrovato a dirle una parola (per primo, sorpreso da quel gesto), Ginny aveva perso ogni tipo di speranza.
Era stata fagocitata dal silenzio di Malfoy – non più, Weasley, ricordatelo – e, per tutti gli altri non più che si erano scontrati tra le labbra nei mesi successivi, aveva sempre taciuto.
Avevano entrambi un coniuge, una casa, una famiglia da costruire. Molti sogni, infranti, e una vita che si srotolava davanti a loro piena di sogni in frantumi.
«Non più, Malfoy, ricordi?».
Lui sorride, le assaggia le labbra – ricordo.
E lei, che è sempre sola e inquieta come quel calzino spaiato che sua madre non ha saputo identificare, non riesce a dirgli di no: è così stanca e bisognosa di ricominciare che, quando Malfoy le sfiora il viso con il proprio, ogni precauzione conta niente – ogni rimorso di coscienza: zero.
Astoria Greengrass ha avuto la favola che pensava di meritare, nulla di più e niente di meno: non è morta a quattordici anni ma, a conti fatti, forse lo avrebbe preferito rispetto a quell’amore bugiardo che suo marito le aveva concesso.
Harry Potter aveva costruito la vita che aveva sempre desiderato – quella stessa vita che a lei, Ginny, stava così stretta da regalarle un senso di soffocamento.
«Non ci credi nemmeno tu, non è vero?» sussurra lui, che sa di cenere e rimpianto. «Che è l’ultima».
Lei non lo sa contraddire – Draco Malfoy, illuminato da un sole che sanguina sull’orizzonte speranze frantumate, la guarda e aspetta una risposta (che non arriva).
Ginny non gli sa rispondere – è che c’è il cielo punteggiato di stelle che precocemente iniziano a intravedersi nel tessuto sfilacciato del cielo e, con i loro spigoli smussati, feriscono la visuale.
Se si potessero assaggiare, ne rimarrebbe inevitabilmente delusa – anche lui.
Saprebbero di cannella e promesse infrante.
 
***
 
Quella sera, è Ginny a presentarsi a casa con il capo cosparso di cenere – Harry non se ne rende conto, mentre gioca insieme a James e alla sua scopa giocattolo e sorride alla moglie, vedendola rincasare con i capelli spettinati dal vento e mille pensieri che le affollano la mente.
Ginny non parla spesso: è come se, il fiume in piena che era stata in adolescenza, si fosse infine seccato nell’abitudine, lasciandola senza parole. Mai, nel prescelto, s’insinua il tarlo che sua moglie possa non amarlo più.
Ginny è umana, spiega ad Hermione il giorno in cui lei gli confessa che la cognata le sembra infelice, nessuno è felice per sempre: qualche volta ci smarriamo ma, alla fine di tutto, torniamo indietro. E io ho fede che Ginny impari, un giorno che è oggi o dopodomani, a essere felice con sé stessa.
E lei lo sa – che Harry le sta dando tempo e spazio ma che, alla fine di tutto, l’impazienza logora anche lui.
Ginny ne è consapevole: che forse suo marito non ha abbastanza fantasia per immaginare ma che, quando ne legge il sorriso stanco e insoddisfatto, forse qualcosa è in grado di subodorare. Harry non è l’uomo più intuitivo del mondo ma, quando le carezza il capo (sai di cannella, sai?) con aria consolatoria, Ginny deve domandarsi se suo marito non sappia più di quanto non sia disposto ad ammettere, perfino con sé stesso.
«Ti vedo stanca» commenta Harry, con affetto. «Forse domani potrei rimanere a casa con i bambini, mentre tu passi il pomeriggio con Luna o Hermione o… fai quello che preferisci, insomma, ti prendi del tempo per te».
Ginny annuisce – teme che, se anche solamente si lasciasse sfuggire una singola parola, sarebbe quella di troppo (quella disposta a tradirla) e cadrebbe, cadrebbe, quel castello di carta e pergamena su cui ha costruito il proprio matrimonio.
«Se il lavoro al Profeta non ti piace più o hai problemi con i colleghi…» mormora Harry, a disagio. «Non devi per forza lavorare, possiamo cavarcela comunque».
Ginny digrigna i denti – ha speso così tanto amore e sopportazione, nei confronti di suo marito che, sul finire, ogni sua gentilezza gli è divenuta intollerabile.
«Ho bisogno di quel lavoro, Harry» sussurra, non senza una dose di inflessibilità. «Credo sia l’unica cosa che mi impedisce di impazzire definitivamente».
Harry non la contraddice – le deposita un bacio sul capo, stringendola a sé (Ginny digrigna i denti).
«Vorrei solamente che tu fossi felice» le sussurra, con affetto. «Se c’è qualcosa che posso fare, dimmelo. Ti ho promesso che ti avrei dato tutto e…».
«Lo hai fatto».
Se solamente il suo tutto fosse stato abbastanza – Ginny sospira, stretta a suo marito, con quell’odore di biscotti e cannella che le demolisce ogni pensiero: Astoria Greengrass si è addormentata con la mano stretta a quella di George e, quando Ginny gli ha domandato una spiegazione, suo fratello non ha saputo dirle molto.
È l’ultima persona che Fred ha amato – chissà se, se avesse avuto più tempo, l’avrebbe amata ancora o di più.
George ha sospirato, quando Draco Malfoy gli ha stretto la mano in un cenno di ringraziamento: tu non la meriti, gli ha detto. Mi dispiace, Malfoy, ma tu non la meriti più di lui.
Draco Malfoy ha riso e scosso il capo (forzato, innaturale) e gli ha dato ragione: ha sposato Astoria perché era giusto così ma, all’alba di quel nuovo giorno, inizia a non esserne più così sicuro.
«Eppure, qualcosa ti turba» commenta Harry, quietamente. «Ti andrebbe di dirmi di cosa si tratta?».
Ginny sospira – a volte, si dice, sarebbe così facile dire la verità: ma, quando sei la moglie di colui che ha salvato il Mondo Magico, tutto vuoi meno che essere colei che gli spezzerà il cuore. S’è sempre detta d’esser stata coraggiosa, a combattere contro tutti gli ostacoli che la vita (e Voldemort) le ha messo davanti.
Meno uno – il fatto che, nonostante tutto, il suo amore per Harry Potter si sia consumato come cera al sole.
«Conosci la moglie di Malfoy?» domanda, senza prender fiato. «Astoria».
«Sì, lavorava con Hermione, fino a poco tempo fa» commenta Harry, pensieroso. «Mi pare di ricordarla vagamente, sì».
«Sta morendo».
Lo dice così, con calma innaturale – Harry spalanca gli occhi, a disagio, mentre sua moglie sospira lacrime amare (amarissime) su quell’informazione.
«Manderò un biglietto a Malfoy» sospira, il Prescelto. «Se dovesse avere bisogno di aiuto, la nostra porta è aperta: d’altronde, è pur sempre un tuo collega, no?».
Ginny sospira – la gentilezza di suo marito è francamente snervante – e scuote il capo rosso, mentre snocciola qualche altra informazione.
«George mi ha detto che la moglie di Malfoy era innamorata di Fred» sussurra. «E che anche lui lo era e io… non so come comportarmi, Harry».
«Quanti anni avrà avuto, Astoria Malfoy, quando Fred era a Hogwarts? Tredici?» domanda Harry, pensieroso. «Si può davvero dire di amare qualcuno, a tredici anni?».
Ginny vorrebbe replicare che no, non si può amare qualcuno a tredici anni – e vorrebbe dirlo alla sé stessa di parecchi anni fa, che non avrebbe dovuto fossilizzarsi in quello che credeva essere amore: si è sciolto come nebbia al sole, eppure.
Eppure – quando ha guardato George negli occhi, l’ha visto: suo fratello ci crede per davvero, anche se lei non ci riesce più.
«E se muori a quattordici?».
Harry sospira, si gratta pensieroso la cicatrice, non trova risposta da darle se non che Astoria Greengrass non è morta a quattordici anni – ma Fred, ingiustamente, a venti sì.
È che, a volte, la vita è così ingiusta dal toglierti il respiro quando più ne hai bisogno: Fred è esploso in rimpianti (degli altri) e una risata (la sua), i Weasley non si sono mai ripresi da tale perdita.
Nemmeno Astoria Greengrass deve averlo fatto, ha suggerito Malfoy con ardore (e un pizzico di interesse).
Nemmeno Astoria Greengrass deve averlo fatto, ha risposto George Weasley dopo averla guardata negli occhi. E tu?
Ginny sospira, nasconde il volto nell’incavo della spalla di suo marito – ma, quando finalmente una lacrima le sfiora le labbra, sa ancora maledettamente di stelle di cannella e zucchero bruciato.

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Capitolo 5
*** La fine delle favole ***


Stelle di cannella



5.
La fine delle favole
 
[Occhi]
 
Un giorno, poi, Draco Malfoy non si presenta a lavoro – Ginny alza lo sguardo ma, al posto di incontrarne gli occhi, si trova a fare i conti con la sua assenza.
Un giorno, poi, Draco Malfoy non si presenta a lavoro – ma nemmeno quello dopo e quello dopo ancora: e, quello che in Ginny è sospetto che le prude sulla nuca, in George è amara consapevolezza. Ginny sospira, il giorno in cui suo fratello la guarda negli occhi e glielo confessa in un sussurro (non posso pensare che potrebbe non farcela).
Ginny non lo sa consolare, George, il giorno in cui si Smaterializza a casa sua e si siede su una delle sedie della cucina: nasconde gli occhi dietro i palmi delle mani e, quando Ginny gli domanda cosa sia successo, ha perso le parole.
Astoria Greengrass è stata ricoverata al San Mungo – con i polmoni annegati in acqua stagnante e il battito cardiaco che pian piano si stava spegnendo: quando suo marito le ha teso la mano, lei non l’ha stretta: accettiamo l’amore che crediamo di meritare1, gli ha detto, e per questo io oggi so di meritare qualcosa di più di così.
«A te chi lo ha detto?» domanda Ginny, incerta. «Malfoy è due giorni che non viene a lavoro, io non ne sapevo niente».
Lo scopre così – che Astoria Greengrass ha dettato a Draco una lettera e le proprie ultime volontà (tra cui non figura il marito), entrambe indirizzate a George Weasley con un timbro verde smeraldo e la carta da lettere macchiata di lacrime.
Ha spartito equamente i propri gioielli e averi tra cugine di secondo grado e altri parenti ma, la propria fede nuziale, risulta essere indirizzata a Ginevra Weasley con una sonora risata: guardandola negli occhi, Draco Malfoy, sicuramente avrà percepito l’ombra di una risata a sfigurarle lo sguardo – Astoria Greengrass forse s’è persa, ma di perdonare proprio non le riesce.
A George Weasley, ha scritto Draco masticando con orrore quelle parole, Astoria ha lasciato i suoi libri, un cofanetto pieno di lettere e un album di fotografie della propria adolescenza: Draco non le aveva mai viste prima – lui capirà, ha sussurrato sua moglie, vedrai che George capirà perché gli sto lasciando tutto questo.
E aveva capito, per davvero, nel momento in cui Astoria aveva sorriso e gli aveva detto: non so quanto tempo mi rimane da trascorrere qui, Draco, penso che tu possa iniziare a disfarti della mia roba – almeno quella destinata a George Weasley: Malfoy aveva obbedito senza dire una parola e, così, quel venerdì mattina George s’era visto il marito di Astoria bussare alla porta con una scatola che gli levitava accanto.
Draco Malfoy non aveva versato una lacrime, gli si erano bloccate tutte quante in gola, quando aveva detto a George che ormai l’orologio stava scoccando gli ultimi rintocchi: Astoria Greengrass rimarrà per sempre speranze sprecate e sogni infranti e, lui, tutto quel che lei si sarebbe meritata.
«Non capisco, George» mormora Ginny, incerta. «Cosa c’era in quella scatola?».
George sospira – ha gli occhi arrossati di pianto e, quando finalmente incontra lo sguardo di sua sorella, gli tremano le labbra.
Le lettere di Fred ad Astoria, dice così: tutti i bigliettini, i ritagli di tempo che Fred le aveva dedicato, quando era andato via da Hogwarts.
«Malfoy aveva ragione, sai?» sussurra George, passandosi una mano in volto. «Sua moglie l’ha accettato solamente perché, una favola migliore, l’aveva già avuta».
Le lettere di Fred ad Astoria, con le risposte di lei che George conserva gelosamente nella scatola dove ha rinchiuso tutti gli effetti personali del suo gemello, scampati all’epurazione di Molly: non ha avuto mai il coraggio di rileggerle – gli sarebbe sembrato, controvoglia, di poterlo riportare in vita.
Ma, quando George estrae dalla tasca del mantello un oggetto, non è il plico di lettere che la moglie di Malfoy aveva ricevuto da Fred: George estrae un album di fotografie, porgendolo alla sorella con aria stanca, stremata.
«Non capisco cosa dovrei vederci» commenta Ginny, sfogliando le fotografie. «Sono i ritratti di una ragazzina ad Hogwarts, niente di più».
Eppure, George sospira e, con la punta della bacchetta, sfiora una fotografia: Astoria, in posa nel proprio abito color cipria al Ballo del Ceppo, volteggia da sola sulla pista da ballo – ma, sotto la punta della bacchetta magica, si delinea una seconda figura (Ginny trattiene il fiato).
Non Draco, Fred.
Non ti puoi innamorare a tredici anni, pensa Ginny osservando sgomentata suo fratello sorridere dolcemente a quella ragazzina – e chi lo ha detto? E se poi muori a quattordici?
«Io ho bisogno che lei continui a vivere, Ginny» sussurra George, quietamente. «Ho bisogno di sapere che qualcosa di Fred è rimasto, oltre a noi, che esiste qualcuno in grado di ricordarlo».
«Oh, George».
Non riesce a cavarsi via altre parole, Ginny – la vita di Astoria Greengrass è ciò che debolmente si frappone tra lei e la rovina della sua, di vita: Draco Malfoy spende le proprie ore al capezzale della moglie e, allora, la mancanza scava Ginny come silenziosa dipendenza. Ma se improvvisamente cessasse?
George spalanca gli occhi, una smorfia disgustata sul viso stanco, quasi come se le avesse letto i pensieri.
«Non puoi pensarlo davvero» mormora, sconcertato. «Lei è una persona, come lo sei tu, come lo era Fred e perfino come lo è Malfoy: non puoi volerla morta solamente perché non hai abbastanza coraggio da rovinarti la vita da sola».
Ginny sospira – suo fratello, per l’ennesima volta, ha scoperchiato il vaso di Pandora: non gli chiede come abbia fatto a comprenderlo, che ha cominciato a nutrire dolorosa insoddisfazione per la propria vita, non osa farlo.
Perché George rimpicciolisce l’album di fotografie, tornando a nasconderlo nella tasca del proprio mantello, con un sorriso amaro, amarissimo.
«Mi dispiace, George» cerca di recuperare lei, a disagio. «Capisco cosa lei significhi per te, ma…».
«Ma non ti basta per non volerla morta» commenta George, atono. «Non è colpa della moglie di Malfoy, se tu ti senti infelice, lo sai?».
Non le dà il tempo di rispondere – George sospira, muove un passo avanti e si Smaterializza con uno schiocco.
 
***
 
Quando dicono a Draco che hanno bisogno di far nascere suo figlio, per cercare di mantenere Astoria nel mondo dei vivi ancora per un po’, il giovane Malfoy spalanca gli occhi e sembra non riuscire a credere a quelle parole: chiede ai Medimaghi come sia possibile che un bambino così piccolo possa sopravvivere – e gli dicono quella che è la semplice verità: può se è tanto fortunato, signor Malfoy, può se prega abbastanza da convincerlo a lottare anche se è minuscolo come un pugno chiuso.
E Draco prega. Si siede sulla sponda del letto di sua moglie e, quando lei apre gli occhi lucidi di febbre, prega lei: le dice che farà tutto ciò che è in suo potere per renderla felice, se solamente riuscirà a salvare loro figlio. Astoria sembra non comprendere ma, il giorno in cui Draco scoppia a piangere (perché i Medimaghi si preparano a far nascere suo figlio), lei gli stringe la mano con tiepida consapevolezza e sorride.
Lui non sa dirle nemmeno una parola – ma, quando i Medimaghi la portano via da lui, lo sguardo di Astoria gli si incolla addosso come una maledizione velenosa: Draco rimane a osservare la stanza vuota, contando i secondi. Scivolano dalla sua bocca, uno dopo l’altro, finché qualcuno non si siede al suo fianco.
George Weasley sospira, quando Draco Malfoy spalanca gli occhi in cerca di una spiegazione, e scuote il capo: non penso che Ginny verrà, commenta atono, credo che tutto questo sia un po’ troppo per lei.
«Non gliel’avrei mai chiesto» commenta Malfoy, calmo. «Sono consapevole di quale sia il mio posto, Weasley».
Ai suoi piedi – con Ginny che si consuma di incertezza come una candela incendiata e fil di cera infranto – Draco Malfoy rivaluta la propria esistenza alla luce di una nuova consapevolezza: sebbene sia stata smistata a Grifondoro, la Weasley ha meno coraggio di quel che lui le ha sempre attribuito.
Ai suoi piedi: e non solamente perché lei è la moglie di un altro (di Potter, si deve ricordare lui, di Potter), ma anche perché Draco riconosce in lei una forza d’animo che lui in sé non trova – Ginny si bagna della propria infelicità, la comprende (la accetta?). Draco è ancora sepolto dai sensi di colpa.
«Avresti dovuto» commenta George, calmo. «Ginny non è esonerata dal dover compiere una scelta, Malfoy: non sei il solo che deve rinunciare a qualcuno, sai?».
Draco alza un sopracciglio, incerto – non glielo domanda, perché si stia schierando in sua difesa ma, quando alza gli occhi su di lui, George Weasley sta ridendo.
«Non la meriterai mai, sai?» commenta, pacato. «Tu e Ginny vi siete trovati in uno sbaglio comune e, per quanto non lo condivida, posso comprenderlo. Ma Astoria non te la meritavi, Malfoy, non al posto di Fred».
«Penso di saperlo» mormora Draco, passandosi una mano sul viso. «Ho sposato Astoria perché credevo fosse giusto così ma, sul finire, ho solamente sperato che avesse avuto un amante, una storia parallela, una consolazione. Ma non le ho mai augurato…».
Una favola spezzata e nessuna speranza: George china il capo, come per pronunciare quelle parole ma, quando Draco lo guarda negli occhi, non v’intravede niente che non sia dolorosa delusione. Ha sposato Astoria perché era giusto così ma, sul finire, forse l’aveva logorata più lui della sua malattia – se lo doveva chiedere: era una liberazione, per sua moglie, il pensiero di dover morire?
Volevo solamente fare una torta di mele, Draco – in un giorno fatto di lancette rovesciate, sua moglie aveva scoperto che i suoi secondi si erano infine consumati su una consapevolezza dolorosa: che il tempo che aveva guadagnato, dai suoi quattordici anni in poi, era infine stato eroso come quella mancanza che le scalcinava il cuore.
«Speravi che ti tradisse per sentirti autorizzato a fare lo stesso?» domanda George, tagliente. «Non capirò mai cosa ci veda Ginny, in te: aveva tutto quel che aveva sempre desiderato, perché rincorrere il marito di un’altra?».
Draco non glielo sa spiegare – che hanno quell’inspiegabile inquietudine che li accomuna e che, il giorno in cui ha compreso che il matrimonio di Ginny Potter s’avviava verso fine certa, s’è sentito compreso: quello di Ginny è sul finire, il suo quando mai è cominciato?
Non gli sa dire che, inizialmente, l’attraeva l’idea di fare a Potter l’ennesimo sgarbo: ma, sul finire, aveva scoperto troppi punti di contatto con Ginny Weasley per poterla superare – è stato lì, che ha cominciato a tessere nella propria fantasia un finale da favola per Astoria. Ma, adesso che George Weasley sospira e gli confessa che l’ha avuto quel finale da favola, Draco Malfoy non è per questo meno insoddisfatto.
«Penso sia mancato il tempismo» commenta Draco, amaramente. «Se fosse successo prima, io…».
Avrei pensato che sposare Astoria era meno giusto di quel che credevo, pensa, forse avrei tenuto la proposta in serbo per chiunque altra: e lei magari si sarebbe trovata una seconda favola da compilare e, George Weasley, non lo guarderebbe con aria piena di rammarico.
«Quando si sveglierà, spero che le chiederai scusa» sibila George, affilando lo sguardo. «Perché poteva avere chiunque e macerarsi nel ricordo di Fred e, invece, ha scelto te».
Draco annuisce – non gli fa notare, non ne ha proprio la forza, che non ha detto se ma quando: eppure, quando i Medimaghi entrano nella stanza con l’espressione costernata e lo sguardo vuoto, Draco si sorprende ben più di George.
Mi dispiace, signor Malfoy – è il momento in cui George Weasley chiude gli occhi e, alzandosi in piedi, si Smaterializza con uno schiocco – ma sua moglie non ce l’ha fatta.
Draco non dice una parola, ha le corde vocali bruciate nello sforzo di trovare un pensiero da dedicare a sua moglie (quando ti ho resa infelice, perdonami: non se, quando) – e non chiede di vederla: teme che, se la vedesse pallida e affranta su delle lenzuola troppo bianche, potrebbe sognarla per tutte le notti che gli rimangono da vivere.
Riesce solamente a borbottare un nome per suo figlio e a chiedere di vederlo, quel bimbo minuscolo che respira a malapena, e a domandargli perdono per non avergli potuto dare una madre.
Astoria Greengrass è morta oggi.
 
***
 
Ginny resiste per dieci giorni e una manciata di ore quando, dopo l’ennesima occhiata sconcertata di suo fratello George (che da dieci giorni trova scuse per andarla a trovare), finalmente s’arrende e decide di lasciare James e Albus allo zio, per concedersi un pomeriggio di riposo: Harry le sorride, quando lei glielo dice, e le risponde che se lo merita, se lo merita per davvero – George sospira, facendo il solletico a un irrequieto James, come a domandarle: tu pensi di meritarlo?
Astoria Greengrass ha scavato una voragine, tra Ginny e George, tra Ginny e Malfoy – Draco ha dovuto cambiare casa, dove i passi (e la caduta) di sua moglie non gli risuonavano nelle orecchie: ha raccolto le proprie cose in una bisaccia, lasciando quelle di Astoria a casa, ha preso ed è tornato nel proprio appartamento di Londra. Blaise Zabini, che si è occupato di far nascere il piccolo Scorpius, gliel’ha domandato: e dove pensi di metterlo, un neonato, quando potrai finalmente portarlo a casa? Chi pensi che se ne occuperà?
Draco non ha saputo rispondere – ha chiesto dei giorni di ferie alla redazione e, vista la notizia della morte di sua moglie, non ha faticato a ottenerli: poi è sparito e non è tornato più. Ha arrangiato una nursery per Scorpius e pagato una Medimaga per occuparsi di lui.
L’ha guardato solamente una volta e, segretamente, ne ha avuto paura: in quegli occhietti ancora ciechi, ancora incolori, per un momento Draco vi ha visto il riflesso di sua moglie.
Si è occupato del funerale per inerzia – come si aspettava, non aveva molte persone a cui comunicarlo: la maledizione del sangue ha fatto strage della famiglia Greengrass e, quando solamente George Weasley s’è presentato tra i Malfoy, Draco ha sospirato pesantemente.
Non che s’aspettasse Ginny: ha imparato ad avere zero aspettative, su di lei, e la sua assenza fa comunque meno male della presenza silenziosa di suo fratello – George Weasley ha aspettato la fine della cerimonia, per avvicinarsi alla lapide e sfiorarne la foto con la punta delle dita. È chiaro che vi sareste meritati di più tutti e due, sussurra, ma non sempre quest’esistenza è nota per la giustizia.
Draco l’ha ringraziato per essere venuto, George ha chinato il capo e gli ha detto: avrei preferito saperla viva, felice, anche con te, perfino con te. Era tutto quel che mi rimaneva di Fred, l’unica che avesse qualche ricordo di lui da regalarmi, e adesso?
Draco vorrebbe piangere, ma sente che i suoi occhi non gli abbuonerebbero nemmeno una lacrima – George scuote il capo e si scioglie in una giornata di sole (non lo riesce a vedere, ma forse lui sta piangendo).
Si stupisce, ancora di più rispetto a quando ha intravisto George Weasley sussurrare qualcosa alla fotografia di sua moglie, quando Ginny bussa alla sua porta dieci giorni dopo: la trova con i capelli scarmigliati e le mani che tremano e, quando le apre la porta, lei fa un passo indietro, socchiudendo gli occhi come se vi fosse troppa luce.
«Ciao».
«Ciao» sussurra Draco, facendole cenno di entrare. «Non mi aspettavo di trovarti qui: scusami per il disordine, ma…».
Si ferma lì – non ha alcuna scusa da fornirle ed è grato, lo è per davvero, quando il pianto del piccolo Scorpius squarcia l’aria: non si muove per andare a prenderlo, attendendo i passi della Medimaga e il rumore gorgogliante della risata dell’infante.
«Come stai?» domanda Ginny, a disagio. «Pensavo che saresti tornato a lavoro, ma non l’hai ancora fatto».
Lui scrolla le spalle – sono dieci giorni che dimentica di radersi e, ormai, ha quell’aria di trasandata disperazione che gli scolla i lineamenti dal viso, deformandoli.
«Mia moglie è morta» commenta, atono. «Mia moglie è morta e io ho un figlio che non so come fare a crescere e…».
Lei sospira, è chiaro – il rimpianto se lo sta mangiando vivo e, all’alba di quell’undicesimo insensato giorno, Draco Malfoy sta ancora cercando i pezzi: la conclusione di quella favola infranta che era sua moglie, una giustificazione, qualcosa che lo assolva (quantomeno per sé stesso).
«Mi dispiace» sussurra Ginny, amara. «Ma sapevi che sarebbe successo, che era questione di tempo e… tuo figlio ha bisogno di te, Malfoy, più di quanto non ne abbia mai avuto bisogno tua moglie».
Lui sa che lei, sebbene più affilata del necessario, ha ragione – che Scorpius piange alla mattina quando si sveglia e cerca la mamma, ma non è mamma e nemmeno papà che lo sollevano adagio dalla culla, per permettergli di osservare il carillon che gli penzola di sopra.
«Ci ha già pensato tuo fratello, a offrirmi il suo aiuto».
Non lo faccio per te, ha commentato George Weasley nell’unica lettera che un Weasley abbia mai scritto a un Malfoy, ma per lei: forse tu non l’amavi nemmeno un po’, ma io lo so che questo bambino deve averlo voluta con tutta sé stessa. Draco gli ha risposto grazie, con quella consapevolezza che gli scolava tra i denti, me non ha detto né sì né no.
«Non ti sto offrendo il mio aiuto» commenta lei, calma. «Ti sto dicendo che lo avrai, a prescindere: forse non possiamo lavarci la coscienza, ma hai un figlio che ha bisogno di te, okay? Non lo puoi abbandonare».
Draco sospira, sopprime l’istinto di attirarla a sé (e morderla, stracciarla, farle male) e soffocare quelle parole, che comunque fanno meno male della consapevolezza del fatto che Ginny Potter abbia insospettabilmente ragione.
«Io…».
«Tua moglie ha avuto la fine della sua favola, molto tempo prima che arrivassi tu» commenta Ginny, quieta. «Non puoi santificarla solamente perché…».
È morta prima di te – lui stringe le labbra, vorrebbe domandarle in che punto del proprio matrimonio ha cominciato a sviluppare tutto quel cinismo. Ma Ginny sospira, lo prende per mano e lo tira verso le viscere dell’appartamento.
Draco la segue, quasi inerzialmente, inciampando sui suoi passi – lei lo tira verso suo figlio, un futuro, ma c’è Astoria che prende polvere nelle foto del matrimonio e sorride, nel loro primo ballo insieme: è la fine delle favole, Draco, prendila per quel che è.

 
Passo di volata a ringraziarvi per le recensioni, appena starò meglio (per chi non mi segue su IG e Facebook: non dormo da un numero indecente di giorni), risponderò con calma.
Grazie per avermi letta,
Gaia

1Ragazzo da parete

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Capitolo 6
*** Disincanto ***


Stelle di cannella



6.
Disincanto
 
[Ossessione]
 
Ginny comincia a pensarci, alla sera, quando il sonno pesa sulle palpebre e inizia ad aver posto in sé per le fantasie: comincia a vagare con la mente, accarezzando quella possibilità come fa con la testolina di James quando corre ad abbracciarla (dopo aver combinato una marachella). Ci pensa e le squarcia la sanità mentale, alla mattina, quando prepara la colazione per sé e per il primogenito e, allora, le mani vagano ma è la mente ad abbracciare ogni nuova possibilità.
E ci pensa mentre lavora, mentre si trucca per uscire a cena fuori, mentre ascolta Hermione lamentarsi del disordine mentale di Ron, mentre Luna la guarda e ha il cipiglio di chi ha colto un petalo e intuito il resto del fiore. Costantemente, quel pensiero diviene la sua ossessione.
E lo condisce con sale e pepe a pranzo e lo versa come la salsa dell’arrosto, sul piatto, quello straborda e le cola tra i denti come speranze spezzate. Lo stende insieme ai panni, al pomeriggio, lo stira con la punta delle bacchette.
Qualche volta, muove le mani stancamente e cerca di cacciarlo via – ma niente, alla fine di tutto, quel pensiero è ancora lì, sepolto tra i ricordi: la consapevolezza che Astoria Greengrass riposa sotto un ciliegio dai rami spezzati e Draco Malfoy è libero di ricostruirsi da zero.
Cerca di non darci troppo peso – Malfoy torna a lavoro, a respirare e, quando lei lo guarda, sta sorprendentemente bene. Se non fosse che, talvolta, quando è troppo preso dal pezzo che sta buttando giù e i pensieri sfuggono dal suo controllo, un po’ si rabbuia. E lei lo sa, lo sente dannatamente come fosse sua la pelle che si tira in una smorfia scontenta, lo sente: sta pensando a quel fantasma che bussa a tutte le porte del suo appartamento di Londra, soffiando come il mare a Dover sulle scogliere.
Un giorno si presenta con la camicia slacciata e l’ombra di una chiazza di latte sui bottoni, facendo sorridere la stagista – Ginny, che pure ha due figli che le pesano addosso come un inestinguibile senso di colpa, lo guarda ed è lei, questa volta, a storcere la bocca.
Non gliela sa concedere, la possibilità di avere una famiglia, una vita che sia ancora legata al ricordo di sua moglie: Scorpius Malfoy è un neonato che pesa come una foglia accartocciata, eppure si frappone tra suo padre e Ginny come un ostacolo insormontabile.
E lui, di rimando, non le sa concedere l’opportunità di provare a ripararlo – buffo, gli sussurra lei una sera che escono insieme dalla redazione della Gazzetta del Profeta, che tua moglie t’importi così tanto adesso che non c’è più. Lui inghiotte una rispostaccia e un sorso di senso di colpa: non le dice che, in fondo a quel suo cuore bugiardo, sa che ha ragione.
Si allontana, lei ne ha percezione chiarissima: cosa fare per impedirglielo, che non sia palese supplica (e altrettanto disperata), non lo sa. Tutto in lei grida negazione.
Se l’orgoglio, quel terribile difetto che le scorre nel sangue e le sfigura il volto come quella matassa di capelli troppo rossi, glielo concedesse Ginny si getterebbe ai suoi piedi per domandargli di rimanere. Non lo fa.
Non lo fa e, quando Draco Malfoy inizia a decorare la propria scrivania con fotografie del proprio matrimonio, stringe i denti e non dice una parola: Astoria Greengrass sorride, dolcemente, in un abito color avorio. Sente Malfoy spiegarlo alla stagista – Astoria non aveva voluto l’abito bianco, lui non le ha mai domandato il perché.
Il bianco ingrassa, borbotta la ragazza con aria pensierosa, Draco sorride e scrolla le spalle.
Che verginità avrebbe dovuto dimostrare, pensa Ginny acidamente, che voti doveva pronunciare se s’era già votata a un’infelicità presofferta?
A lui non lo sa dire – Draco Malfoy accarezza le fotografie di sua moglie come lei fa con quel pensiero (può sorridere malinconicamente, lui, ma è evidente che Astoria non ci sia più) e, quando si rende conto che lo sguardo di Ginny indugia troppo sulle spalle, perforandogli il cuore dal retro, scuote il capo e non osa proferir parola.
A lui non lo sa dire, che la vita di ognuno è illuminata dai fantasmi di chi non riesce a rimanere – e qual è il tuo, potrebbe domandare Malfoy, alzando un sopracciglio.
Non direbbe Fred, Ginny: non avrebbe la forza di poter condividere anche suo fratello con Astoria Malfoy, né George le permetterebbe di appropriarsi di quel dolore che, sebbene sia condiviso, gli appartiene in larga parte.
Non direbbe Harry, Ginny – anche se suo marito, quando alla sera si corica in punta di piedi per non svegliarla, sospira tutta la propria esasperazione sul cuscino e si fa pallido e nevrotico quando si rende conto che tutto ciò su cui ha costruito la propria felicità è fragile come fil di lana bruciata.
E non direbbe nemmeno Draco, perché l’orgoglio se la mangia viva e lei non riesce a sentirne la mancanza, anche se lui manca anche quando le sta vicino e le chiede di passargli della pergamena o dell’inchiostro, anche se lui è mancanza quando la guarda e sa di non riuscire a trovare le parole. Ma non ne pronuncia mai il nome, nemmeno nei propri pensieri: se lo facesse, renderebbe reale quel pensiero che le pungola le fantasie e i sogni e, quando apre gli occhi, si imprime comunque nel retro delle palpebre.
Ma, il giorno in cui Draco Malfoy deve mangiarsi un bacile di lacrime (il patto di sangue che ha stretto dicendo quel sì, lo voglio) di fronte a un vassoio di stelle di cannella portate da una moglie di un collega, Ginny implode.
Ginny implode ma, quando le offrono un biscotto, ringrazia con un sorriso dolcissimo – e dentro urla basta, basta, basta.
Perché Draco Malfoy ha riscoperto l’amore nell’assenza e, adesso che Astoria Greengrass riposa sotto un cumulo di terra smossa, amarla risulta essere estremamente più facile – e, quando lo vede sbocconcellare lo spigolo di una stella biscottata, Ginny mangia un sospiro e s’alza per consegnare il proprio articolo al caporedattore.
Vado a prendere una boccata d’aria, sussurra – la tentazione di non tornare più le si staglia come una possibilità sconfinata e dolorosamente inattuabile.
 
***
 
Con la coda dell’occhio, Draco la vede – una macchietta d’inchiostro rosso che s’agita sulla sedia: Ginny Weasley non sa scrivere composta, non ha niente della fredda calma della Granger o della spensieratezza con cui la Lovegood faceva dondolare le gambe sulla sedia. Lei sbuffa, gratta l’orecchio, cambia posizione, intreccia le caviglie, si macchia d’inchiostro il polso.
E, quando finalmente le vengono le parole, sorride come se avesse trovato la chiave di volta per la vita eterna. Un po’ la invidia.
È così che si spiega perché la tiene così in alta considerazione, nonostante le sue scelte matrimoniali (chiaramente sbagliate), nonostante il suo cognome, nonostante il passato che l’avvolge come un velo opaco. Opachi, i pensieri che Draco deve riordinare per averci a che fare.
La invidia per davvero – ne invidia la tranquillità con cui s’approccia a sé stessa, quando un tremore le squarcia il viso, l’angolo della bocca che spinge per contrarsi in una smorfia: ma Ginny Potter sorride e, in lei, non s’intravede nulla di quell’inquietudine che Draco conosce così bene (d’altronde, gli appartiene).
A lei non lo confessa. Della sua convinzione di non sapere amare ma, al massimo, della consapevolezza d’esser sempre stato diviso tra odio e appartenenza: e con lei il punto della questione è esattamente questo – che la odia, ma sente d’appartenerle.
E la odia perché, Ginny Weasley, racchiude in sé tutto ciò che s’è sempre impegnato a disprezzare: racchiude l’amicizia della Granger, l’amore di Potter, racchiude ogni brandello di quel coraggio che lui non ha avuto mai. Per questo, quando ancora gli capita di scoprirsi l’avambraccio per non macchiare i polsini della camicia d’inchiostro, Draco sobbalza – può fingere d’esser cambiato, ma lui è ancora lì.
Il Marchio Nero non fa male, ma la ferita nell’anima è rimasta, nonostante tutto: il Mondo Magico dice d’aver perdonato, a piene mani, chi se lo meritava. Draco, che ha beneficiato di quella clemenza, quand’è uscito dall’aula del Wizengamot dopo il processo lo ha detto: non esistono pentiti, esistono i sopravvissuti, sì, e chi non sopravvivrà più.
Draco a volte se lo domanda – sopravvivrà finché non verrà la morte a stanarlo o toccherà ai Mangiamorte rimasti vendicare la promessa fatta a nostro Oscuro Signore?
Non c’è cura ai propri sbagli, ha sussurrato quando il Wizengamot s’è raccolto attorno a lui come una corona di spine, anche quando li hai commessi per il bene d’altri. La vita di Draco Malfoy s’è annodata a sedici anni e, adesso che con le forbici in mano cerca di districarne i fili, scopre che solamente un taglio netto vi porrebbe rimedio.
Astoria Greengrass ha intricato quel che rimaneva. Quando si siede davanti alla sua tomba, sporcandosi di terra o fango i pantaloni, Draco glielo dice che se n’è andata troppo presto – non amore, le sue complicanze. Crescere un figlio senza di lei, chiedere perdono per i propri peccati senza speranza di poter ricevere perdono o assoluzione.
Lei non risponde mai. Lui non lo ammetterà mai nemmeno con sé stesso che, quando gli hanno comunicato ch’era finita (e lui era dolorosamente libero) per un momento ha sperato che sua moglie tornasse come spettro a tormentarlo.
Ma, quando l’hanno sepolta nel parco della sua casa d’infanzia, la foto di Astoria sembrava suggerirglielo con un sorriso – che forse, più del suo tormento, sua moglie aveva bramato l’oblio.
Draco ci è dovuto venire a patti e, adesso che la sua vita è un biscotto da ricomporre inzuppandolo in glassa appiccicosa, si deve domandare come farà a tenere insieme tutto il resto: perché Ginny Weasley, che continua ad agitarsi sulla sedia come l’avesse punta una tarantola, è sempre più inquieta.
E non solamente per quel matrimonio che s’ostina a tenere in vita con deboli sorrisi e altrettanto scarne giustificazioni, ma perché si riflette in quell’ansia che assale Draco quando si rende conto che è arrivato esattamente dove più temeva. Al capolinea, in quel punto del mondo dove ci sono due strade e non ti puoi sdoppiare per percorrerle entrambe: scegli, sembra urlargli Ginny Potter, destra o sinistra?
Lui le decisioni non le sa prendere – mai stato in grado: è sempre stato un campione nel temporeggiare, nel prendersi il suo tempo e qualcosa di più. E, adesso che lei silenziosamente gli grida scegli me, Draco tentenna.
Si dice di non aver la coscienza sporca – macchiata, però, quando vi si siede davanti e scopre che il proprio riflesso è ombreggiato come la pelle sul suo braccio: non per Potter, si dice con astio, ma per tutto ciò che lei sa rappresentare. Ginny Weasley è una rottura che lui non sa come accettare, l’amore che crede di non poter meritare, uno iato dolorosissimo tra un prima e un dopo di cui non conosce anticipazione.
Sibilla Cooman gliel’aveva predetto in una fondina di tè – avrai sempre paura d’amare, signor Malfoy: e lui, che a quei tempi covava sentimenti perfino per i respiri di Pansy, non s’era posto alcuna domanda. Ma, adesso che la vita gli ha srotolato davanti il conto da pagare, la risposta gli è chiara.
Che quei giorni, quei momenti che le ha rubato dal suo matrimonio con Potter, alla fine di tutto non contano niente – che Ginny Weasley lo guarda pretendendo quell’amore che è conscia di meritare ma che lui, oh no, lui non sa come fare a restituirle.
E lui inizia a nascondersi dietro la gonna di Astoria, le foto del matrimonio, il sorriso triste di un vedovo inconsolabile. Ma, e lo sa come è conscio di avere una cicatrice nera sul braccio, lei non ci crede nemmeno un po’.
Non ci crede nemmeno il giorno in cui va via prima da lavoro, borbottando qualche scusa generica, e gli lascia sul tavolo un pacchettino di biscotti fatti in casa – e lei, a differenza di sua madre, detesta cucinare come poche altre cose al mondo.
Draco, che le nasconde in un cassetto della propria scrivania come fossero la lettera scarlatta e la propria condanna a morte, sospira tra i propri pensieri.
Sono stelle di cannella.
 
***
 
Quando finalmente si risolve a parlarle, Draco Malfoy perde il coraggio in un’occhiata: perché, appollaiata tra gli scogli, Ginny Weasley ha il sorriso di Astoria – quel misto di innocua rassegnazione e dolcissima speranza che, giorno dopo giorno, nei suoi ricordi gli ha svuotato il cuore a cucchiaiate, rendendolo cavo e inutile. E, adesso che ha posto dentro di sé per una nuova luce, Ginny s’è oscurata.
Si stringe nel proprio mantello azzurro chiaro, che sembra fare a pugni con il colore dei capelli e al contempo stesso volerli abbracciare, e non dice una parola: s’è Smaterializzata con i vestiti da casa e il mantello che usa per andare a lavorare, che cela un grembiule sporco di farina e zucchero a velo.
«James voleva fare i biscotti» commenta, quando lui si siede al suo fianco. «Dice di voler cucinare meglio della nonna, quando gli permetterò di avvicinarsi al forno: è buffo, sai, non sembra nemmeno così piccolo».
Lui vorrebbe domandarle quando s’è risolta ad essere madre di figli che forse ha desiderato ma che, sul finire di ogni favola in corso, le hanno solamente drenato via i rimasugli di amore che provava per suo marito. Ma, quando nomina il primogenito, c’è tenerezza in Ginny Weasley, c’è quel sapore di mamma che Draco ha talvolta visto nello sguardo della sua, di madre, che Astoria incinta emanava a ondate come l’odore di biscotti e cannella che la seguiva come una maledizione (qualche volta, lo sente ancora).
«Io…».
Ginny scuote il capo, facendo oscillare i capelli – è intenzionata, al pari di Astoria, a togliergli le parole dalla gola e le speranze della mente: come quel pensiero un po’ ossessivo che la anima, alla sera, la sua via di fuga. Se Draco parlasse, rovinerebbe ogni cosa.
«Non ti schieri mai, non è vero?» domanda lei, che s’è sempre schierata, con aria annoiata. «Nemmeno quando ti tocca, pare».
«Hai una famiglia» commenta Draco, cautamente. «Due figli e tu…».
La fa ridere – un sorriso che gli entra dentro, come una pugnalata, squarciandogli i pensieri: la fa ridere e Ginny, che ancora si sente sola come quel calzino spaiato che trova a ogni bucato, non ha più la volontà di fargli comprendere.
«Non pensavo fossi in grado di avere dei rimorsi di coscienza, Malfoy» risponde, quieta. «Pensavo che fossi viziato, egoista e abituato a prenderti ciò che volevi: ma che potessi voler tornare indietro, questo no».
Lui vorrebbe domandarglielo – quand’è che ti sei disincantata in questa maniera? – ma Ginny Potter ha la risposta scritta tra le efelidi che le colorano il viso.
Un matrimonio da favola che avrebbe reso felice chiunque, ma non lei che s’era sbiadita e scolorata nella tranquillità, prima, nell’abitudine, poi, e nella noia infine. Una vita costruita ad arte, di una perfezione sbalorditiva, un puzzle di diamante che non taglia mai.
Ma lei, che siede vicina al mare come se potesse entrar dentro la curva delle onde, vorrebbe urlarlo: tagliami, feriscimi, strappami a metà. Basta che tu mi faccia sentire qualcosa.
«Non è per la mia coscienza» balbetta lui, a disagio. «Ma per la tua».
«Oh, Malfoy» sussurra lei, senza scomporsi. «Penso sia tardi, per pentirmi: Harry è disposto a concedere il perdono a chiunque sia abbastanza bravo ad elemosinarlo. Ma io? Io saprei perdonarmi?».
Per aver preso i sogni della Ginny di undici anni e averli gettati via come carta straccia, per avere fatto a pezzi quell’amore sprecato per cui aveva lottato tutta la vita, per.
Siamo più predisposti a rovinare le persone cui teniamo per davvero, aveva confessato Hermione dopo una dura lite con Ron, perché diventiamo pazzi nel cercare di trattenerle sempre uguali: ma le persone cambiano, Ginny, e se non ti sai adeguare al cambiamento rischi di distruggere tutto quanto.
E lei, che aveva graffiato, combattuto e pregato per quell’amore amarissimo, alla fine aveva fatto esplodere i propri sogni di bambina, odiandone ogni singolo dannato coccio. A volte, quando quel pensiero (Astoria Greengrass è sparita) le s’affaccia in mente, se lo deve domandare: ad Harry importerebbe, capirebbe, ha già capito?
Harry che ha mandato un biglietto di condoglianze a Malfoy, Harry che le perdona anche quel che lei gli nasconde, che le perdona malumori, ansie, sfuriate. Harry.
«Potresti imparare a perdonarti» commenta Draco, quieto. «Tornare indietro. Noi… cosa stiamo distruggendo, Weasley? Astoria non meritava di essere ferita in questo modo».
«Lo so» concede lei, la voce piena di veleno. «D’altronde, diventa sempre più facile amare una persona dopo che è morta, non è vero?».
Lui spalanca gli occhi – quand’è che sei diventata così disincantata? – e realizza: che l’ha tesa, tormentata, sformata e, adesso, se Ginny Weasley di qualche mese fa si guardasse negli occhi, non saprebbe come fare a riconoscersi.
«Mi dispiace, Weasley. Mi dispiace davvero tanto».
Questa volta, è di lei la perplessità che sfregia i lineamenti come un’inutile ferita – perché Draco lo dice con sincerità imbarazzante, le porge quelle scuse che non ha saputo dedicare a sua moglie, e così le si confessa: ti ho strappato l’incanto del mondo dagli occhi e non so come fare a restituirtelo. Non per Potter, per me.
(Perché Draco si domanda come farà Ginny ad amare di nuovo, se rompe ogni cosa che s’azzarda a sfiorare, se morde e avvelena come biscia trasfigurata in vipera, se brucia tutto a ogni tocco, se).
Non aggiunge altro – Draco sospira, passandosi una mano tra i capelli, e muove un passo tra le rocce per smaterializzarsi in un sussurro.
Ginny rimane immobile, la schiena ritta nel vento che le taglia la pelle, a sentire l’eco della sua assenza che si spande a ondate (e sa di salsedine, con un retrogusto di biscotti alla cannella).
Non per un secondo, nemmeno per la frazione più minuscola e insignificante di tempo, Ginny si domanda se tornerà indietro.
Due cose muovono il mondo: l’incanto verso di esso, che lei ha smarrito sulla via per tornare a casa, e l’ossessione che Ginny nutre per l’idea dell’amore. Anche se, ormai, anche in quello inizia a far fatica a credere.

 

Aggiorno di volata, con un capitolo che ho scritto a tempo record (le l'ora e mezza più fast della mia vita), scusandomi se ancora non ho risposto alle recensioni: se qualcuno fosse accarezzato dal dubbio, no, ancora non sono riuscita a dormire e perdo metà giornata a domandarmi il perché AHAHAH
Però vi leggo sempre e sono felicissima che questa storia vi piaccia e, spero, sarà lo stesso per questo capitolo che, vi confesso, essere il mio preferito fino ad adesso.
Un bacio e buona notte, giorno o pomeriggio,
Gaia

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