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di Clementine84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Where It All Began ***
Capitolo 2: *** When you wish upon a star ***
Capitolo 3: *** A new adventure ***
Capitolo 4: *** Day 1: Something’s changing ***
Capitolo 5: *** Day 2: Confessions ***
Capitolo 6: *** Day 3: It’s always been you ***
Capitolo 7: *** Day 4: Secrets are hard to keep ***
Capitolo 8: *** Coming home ***



Capitolo 1
*** Where It All Began ***


Stavo uscendo di casa per andare al locale quando sentii il cellulare suonare. Lo presi dalla borsa e controllai la notifica del messaggio mentre chiudevo la porta e scendevo le scale.

Nate.

Istintivamente, sorrisi. Non lo sentivo da due settimane, ma era a Los Angeles a registrare il nuovo album e sapevo che era molto impegnato, quindi non ci avevo dato peso, certa che, non appena avesse avuto un attimo libero, si sarebbe fatto vivo. E, comunque, non è che non sapessi cosa stava combinando. Era molto attivo sui social, anche troppo, per i miei gusti, e potevo avere una panoramica piuttosto dettagliata della sua vita solo seguendolo su Instagram. Io e il resto del suo milione e cinquecentomila follower, ovviamente. Aprii il messaggio e lessi quello che aveva da dirmi.

Ehi, pulce. Mi serve il rifugio. Posso?

Sospirai. Ti pareva. Aveva passato le scorse settimane a fare dirette Instagram in cui si faceva vedere mentre era in palestra, faceva shopping o preparava la colazione, ma adesso aveva bisogno di staccare la spina e nascondersi nella mia casa in montagna, che chiamavamo ‘il rifugio’. Salii in macchina, allacciai la cintura e gli risposi, prima di mettere in moto.

Certo. Passa dal locale a prendere le chiavi. Mi trovi lì fino all’una.

La sua riposta arrivò immediatamente: Grazie e un’emoticon che mandava un bacio.

Sorrisi e misi in moto, dirigendomi verso il Wild Blue Yonder Brewing Co., di cui la mia famiglia, e ora io, era proprietaria da circa trent’anni, pensando che le cose non sarebbero mai cambiate, tra Nate e me.

Io, Elizabeth Taylor, e Nathaniel Brown, detto Nate, eravamo amici da sempre. Avevamo la stessa età e abitavamo relativamente vicini, a Castle Rock, in Colorado. Io, figlia unica di una coppia di genitori non giovanissimi, avevo conosciuto Nate, figlio di mezzo di una coppia disastrata, con la madre che faceva dentro e fuori di prigione e il padre che tentava di mandare avanti la baracca, nonostante qualche problemino con l’alcool, alle scuole elementari e in maniera piuttosto insolita. Nate avrebbe dovuto essere il mio compagno di banco ma, dopo il primo mese di scuola, si era assentato per un lungo periodo. La maestra ci aveva spiegato che aveva dovuto sottoporsi a un’operazione delicata perché il suo cuore aveva qualcosa che non andava e che ora era a casa in convalescenza. Poiché ero quella che abitava più vicina a lui, mi aveva pregato di portargli i compiti così io, da brava scolara obbediente, mi ero presentata a casa sua, quel pomeriggio, accompagnata da mia mamma. Scortata in camera di Nate da suo padre, il mio compagno si era rivelato sinceramente stupito di vedermi, ma anche piuttosto felice. Mi aveva fatto sedere sul suo letto e avevamo iniziato a chiacchierare. Mi aveva chiesto della scuola, dei compagni e di cosa facevamo e io gli avevo domandato come stava e quando sarebbe tornato. Mi aveva detto che non lo sapeva, perché l’operazione era stata davvero brutta e doveva attenersi alle istruzioni dei dottori se voleva veramente guarire del tutto, così mi ero offerta di andare a trovarlo più spesso per portargli i compiti e tenergli compagnia. Prima di salutarci, mi aveva chiesto se volevo vedere la cicatrice. Credo che si aspettasse che dicessi di no, spaventata o schifata, invece avevo annuito, curiosa. Così si era sollevato la maglietta e mi aveva mostrato i segni dell’operazione, chiaramente visibili sul suo piccolo torace di bimbo. Invece di indietreggiare, inorridita, avevo chiesto se potevo toccarla o se gli faceva ancora male. Lui aveva scosso la testa, mi aveva preso la mano e l’aveva appoggiata sulla cicatrice, su cui avevo fatto scorrere le mie piccole dita. Poi gli avevo sorriso, lui aveva ricambiato e da lì eravamo diventati inseparabili. Ogni pomeriggio andavo da Nate con la scusa dei compiti e passavamo ore insieme. La cosa era andata avanti anche quando lui era finalmente ritornato a scuola, con l’unica differenza che, a volte, era lui a venire da me. Crescendo, invece di perderci di vista, eravamo diventati ancora più uniti, tanto che tutti ci prendevano in giro perché dove c’ero io, c’era Nate e viceversa. Il mio amico amava stare a casa mia perché la mia famiglia era normale, mentre la sua era un disastro, e i miei genitori l’avevano praticamente adottato come secondo figlio. I fratelli di Nate, Jason e Zoey, non sembravano patire la situazione tanto quanto lui. Jason, di tre anni più grande, si era buttato nello sport, diventando capitano della squadra di football del liceo, e puntava a una carriera nella NFL. Zoey, quattro anni più piccola, sognava di diventare una grande attrice e passava ore chiusa in camera a provare battute davanti allo specchio. A Nate, invece, piaceva cantare e scrivere canzoni. Suonava la chitarra e aveva una bella voce, tanto che spesso i miei genitori gli permettevano di suonare al locale.

Quando avevamo diciassette anni, aveva letto un’inserzione che diceva che a Los Angeles si sarebbero svolti i provini per formare una nuova boyband, stile Backstreet Boys, ed era tipo impazzito. Mi aveva convinta ad accompagnarlo, anche se i miei genitori non erano d’accordo e i suoi nemmeno sapevano cos’avesse in mente, tanto che, alla fine, non riuscendo a convincerlo a cambiare idea e preoccupati che io potessi scappare di casa per accompagnare il mio amico, mio padre aveva ceduto e ce l’aveva portato lui, in un viaggio in macchina della speranza che ricordavamo ancora con nostalgia. Contro ogni aspettativa, Nate era stato preso e una nuova fase della sua vita era iniziata. Aveva conosciuto gli altri tre ragazzi che avrebbero fatto parte del gruppo e che sarebbero diventati non solo i suoi migliori amici, ma anche la cosa più simile a una famiglia che avesse mai avuto: Benjamin Miller, detto Ben, un tipo bassino, con capelli castani ricciolini e occhi verdi, di quattro anni più grande di Nate; Alexander Davis, detto Alex, tre anni più grande, capelli scuri, un accenno di pizzetto e fantastici occhi azzurri e David Wilson, detto Dave, moro, capelli a spazzola, e occhiali da intellettuale che incorniciavano dei profondi occhi marroni, che, con i suoi sei anni più di Nate, era l’adulto del gruppo. Il mio amico, invece, era il piccolo della band, il pasticcione combinaguai da gestire ma che, con i suoi capelli biondi, gli occhi azzurri e quella corporatura massiccia, che lo faceva somigliare a un orsacchiotto gigante, aveva fin da subito fatto breccia nei cuori delle ragazzine che avevano iniziato a seguire la band. Sì perché i New Horizons, così si chiamava il gruppo, avevano avuto immediatamente successo, con il loro pop orecchiabile e le coreografie da boyband. Pur non essendo il mio genere musicale preferito, ero molto più interessata al country e al rock, ero ovviamente entusiasta del successo del mio amico e seguivo ogni suo passo con ammirazione. Lui, di contro, non si era dimenticato di me, nonostante avesse trovato dei nuovi amici. Anzi, non mi mollava un attimo, portandomi con lui tutte le volte che poteva e chiamandomi ogni giorno, per raccontarmi le novità. I ragazzi lo prendevano in giro e mi chiamavano ‘la ragazza di Nate’, ma mi volevano bene e avevano imparato a considerarmi il membro femminile dei New Horizons.

Crescendo, le cose si erano ovviamente complicate. Io ero andata al college e non potevo più seguirlo tanto spesso come facevo prima. I New Horizons erano diventati sempre più famosi e spesso erano in tour in giro per il mondo, quindi non avevamo occasione di vederci assiduamente com’eravamo soliti fare. Non ci eravamo mai persi di vista, però. Nate mi chiamava spesso e lo stesso facevo io. La tecnologia ci aiutava a tenerci in contatto e ogni volta che aveva del tempo libero tornava a casa e riprendevamo la nostra amicizia dove l’avevamo lasciata. Ora, quindici anni dopo la sua audizione, Nate era più famoso che mai, ma continuava a considerarmi una parte importante della sua vita e io ne ero felicissima perché, anche se spesso mi faceva impazzire e avrei voluto picchiarlo, la verità era che non potevo fare a meno di lui. Era testardo, sbadato e per nulla costante, ma sapeva essere dolce e sensibile e non l’avrei cambiato con nessuno al mondo. Lui, d’altro canto, diceva sempre che ero il suo faro nella tempesta e che, qualsiasi cosa gli fosse successa nella vita, l’unica certezza che aveva era che io non l’avrei mai abbandonato. Aveva ragione, non l’avrei mai fatto e, negli anni, glielo avevo dimostrato più volte.

Intorno ai ventidue anni, Nate aveva avuto un brutto periodo. Sballottato qua e là dal suo lavoro, senza altri punti di riferimento che non fossimo io e gli altri ragazzi del gruppo, e con troppi soldi a disposizione, per un ragazzo della sua età, aveva sperato di ricostruire il rapporto con i suoi genitori usando il denaro che aveva guadagnato per comprargli una casa e aprire una società con suo padre. Quando aveva scoperto che, in realtà, lo stavano manipolando e il padre falsificava i conti della società in modo da poter passare soldi alla moglie per alimentare la sua tossicodipendenza, Nate era andato fuori di testa. Gli aveva fatto causa, vincendo, e aveva troncato ogni rapporto con i genitori, continuando a tenersi in contatto solo con i fratelli che, nel frattempo, si erano fatti una vita lontano da Castle Rock. Jason era diventato un giocatore di football professionista nei Denver Broncos e Zoey recitava della soap Days of Our Lives, quindi si vedevano di rado ma, almeno, Nate aveva ancora una parvenza di radici. Quell’episodio l’aveva sconvolto più di quanto voleva dare a vedere, però, e aveva iniziato a bere un po’ troppo. La situazione era degenerata e, quando gli altri ragazzi l’avevano minacciato di buttarlo fuori dal gruppo, se non avesse risolto i suoi problemi, era arrivato a casa mia, in lacrime, chiedendomi aiuto. Senza dover nemmeno spiegare nulla ai miei genitori, l’avevo caricato in macchina ed eravamo andati Leadville, dove i miei avevano uno chalet di montagna. Ci eravamo chiusi lì dentro, dove non prendeva nemmeno il telefono, senza una goccia di alcool, per tre settimane, e non avevo ceduto a pianti, urla e minacce. Era stata una terapia d’urto, ma aveva dato i suoi frutti e, il mese successivo, Nate si era presentato alle prove per il nuovo tour del gruppo completamente sobrio e senza potersi nemmeno avvicinare a una birra perché gli veniva la nausea solo a sentirne l’odore. Erano passati dieci anni e la situazione era decisamente migliorata. Adesso Nate poteva uscire a bersi una birra con gli amici senza rischiare di ricadere in quel circolo vizioso, ma ancora raccontava in giro di come l’avessi salvato dall’autodistruzione.

Da parte sua, non era stato da meno. Quando i miei genitori erano morti, a distanza di qualche anno uno dall’altro, e io mi ero ritrovata sola, con il cuore lacerato e un locale da gestire, Nate aveva mollato tutto ed era tornato a casa per aiutarmi a mettere a posto le cose. La sua esperienza in campo economico e burocratico, tra il gruppo e la società – fallita – con il padre, mi era stata indispensabile per capire da che parte girarmi e non avrei veramente saputo che pesci pigliare senza di lui. Anche gli altri ragazzi mi erano stati molto vicini, in particolare Ben, con cui avevo un rapporto speciale, e Alex, per cui avevo una cotta fin dal primo momento in cui l’avevo conosciuto. Lui mi aveva sempre considerata come la sorellina di Nate, era gentile e spesso faceva battute idiote per farmi ridere, ma nulla di più. Durante il periodo successivo alla morte di mio padre, però, era venuto a Castle Rock con Nate, con la scusa di dover scrivere i brani per il nuovo album ma, in realtà, per dare una mano al suo amico nel rimettere in piedi me e il locale dei miei genitori, che necessitava una messa a nuovo per poter continuare l’attività. Ci eravamo avvicinati molto e, alla fine, avevamo iniziato una relazione. Mi sembrava troppo bello per essere vero, perché Alex era sempre stato il bad boy della band, quello con mille ragazze ma nessun legame, invece, con me, sembrava voler fare sul serio. Nate non era entusiasta della nostra storia e avevamo quasi litigato perché non capivo perché non potesse essere felice per noi. Poi, dopo sei mesi di idillio puro, Alex aveva iniziato a essere insofferente e irritabile e, alla fine, aveva chiuso la relazione, lasciandomi in lacrime, tra le braccia di Nate che, invece di rinfacciarmi che era proprio quello il motivo delle sue perplessità, si era preso cura di me, aiutandomi a rattoppare il mio cuore infranto.

Saputo quello che era successo, Ben era accorso in nostro aiuto e il suo intervento era stato provvidenziale perché era la persona più empatica e sensibile che avessi mai conosciuto. Già lo adoravo prima ma, successivamente al periodo trascorso con Nate a Castle Rock, era diventato il mio secondo migliore amico e io la sua confidente, il che aveva complicato un po’ le cose con Nate. Lui e Ben erano sempre stati molto legati, fin dal loro primo incontro. Ben si era preso cura di Nate, considerandolo un po’ il suo fratellino minore, da educare e viziare, e Nate vedeva in lui un punto di riferimento, quella figura maschile che non aveva mai trovato nel padre. Il loro rapporto era diventato sempre più simbiotico, tanto che gli altri ragazzi, e anch’io, li prendevamo in giro dicendo che sembravano quasi una coppia. Il problema si era posto quando avevo scoperto che la cosa non era più solo uno scherzo e Ben mi aveva confessato di essere innamorato di Nate. Purtroppo, era un amore destinato a essere a senso unico, perché ero abbastanza sicura che al mio amico piacessero le ragazze, quindi mi ero ritrovata in una posizione abbastanza scomoda. Ben mi aveva pregato di non dire nulla a Nate, ma era difficile fare finta di niente, sapendo una cosa del genere. Conoscendomi come le sue tasche, Nate si era reso conto che qualcosa non andava e, quando mi ero rifiutata di dirgli cosa, avevamo avuto la peggiore lite della nostra vita, finendo per non rivolgerci la parola per tre settimane, cosa inimmaginabile per noi. Alla fine, Ben si era sentito tremendamente in colpa e aveva confessato a Nate i suoi sentimenti, consentendoci di fare pace, ma sentendosi rispondere che non potevano essere ricambiati. I due avevano continuato a essere amici, anche perché dovevano lavorare insieme, ma spesso Nate mi confidava che si accorgeva di come Ben lo guardava e si sentiva uno schifo a sapere che l’amico stava male per lui. Ultimamente, la situazione stava diventando sempre più pesante per il mio amico e, dopo aver passato lunghi periodi gomito a gomito con Ben, per lavoro, era sempre più frequente che tornasse a Castle Rock e mi chiedesse di potersi ritirare per un po’ nella mia casa in montagna, nascosto dal mondo. Come quella volta.

Nel frattempo, ero arrivata in centro, avevo parcheggiato sul retro del locale ed ero entrata, pronta a mettermi al lavoro.

“Ciao, Mike. Ciao Susan” salutai, rivolta ai miei due collaboratori, che ricambiarono il saluto, sorridenti.

Misi il grembiule, pronta a mettermi al lavoro, e scossi la testa, quasi a volermi schiarire la mente da tutti quei ricordi. Poi mi ricordai delle chiavi della casa in montagna, che avevo in tasca, e le posai vicino al registratore di cassa, in attesa che Nate venisse a prenderle, più tardi.

 

Erano circa le dieci quando lo vidi entrare nel locale. Capelli biondi spettinati, occhi talmente azzurri che sembrava luccicassero, e quel perenne broncio, che continuava a far innamorare le donne di mezzo mondo, ma che poteva trasformarsi in uno splendido sorriso, soltanto curvando gli angoli delle labbra in modo leggermente diverso. Era impossibile non notarlo, anche perché Nate non era mai stato mingherlino e la sua figura riempiva lo spazio dove si trovava, come quella sera, entrando nel locale. Mi notò subito, al bancone, e sorrise, quel sorriso furbo che adoravo. Ricambiai il sorriso e lo osservai avvicinarsi al bancone, con la sua camminata lenta e quasi molleggiata. Mi venne da ridere, pensando a quanto si arrabbiava quando gli dicevo che somigliava a Nick Carter dei Backstreet Boys, ma la verità era che gli somigliava davvero, anche se non voleva ammetterlo.

“Ehi, pulce” mi salutò, sedendosi su uno sgabello.

“Ehi, star” risposi, appoggiando le mani sul bancone, davanti a lui.

“Non chiamarmi star” si lamentò.

“E tu non chiamarmi pulce” replicai.

“Ma ti ho sempre chiamata pulce”.

“Appunto,” osservai “mi sembra arrivato il momento di smettere”.

Lui sbuffò, ma non disse nulla.

“Bevi qualcosa?” gli chiesi.

Scosse la testa. “No. Se non ti dispiace, prendo le chiavi e scappo. Mi aspettano ancora due ore di macchina”.

Annuii. “Come vuoi” dissi e, prese le chiavi da dove le avevo lasciate, feci il giro del bancone per andare a portargliele. Quando gli arrivai davanti e gliele misi in mano, mi abbracciò stretta, sussurrandomi “Grazie”.

“Di nulla” risposi, nascondendo il viso nella sua maglietta e respirando quel profumo che mi era tanto famigliare.

“Tu non vieni?” domandò, prima di alzarsi.

Feci segno di no con la testa. “Devo lavorare”. Poi, vedendo la sua espressione delusa, che avevo previsto, aggiunsi “Ma mi sono organizzata con i ragazzi e posso prendermi il weekend libero. Ti raggiungo domani mattina”.

“Perfetto” commentò, regalandomi un enorme sorriso. “Ti aspetto allora”.

“Sì. Non distruggere la casa, nel frattempo” lo ammonii.

“Certo, pulce. Non preoccuparti” mi rassicurò, facendomi il saluto militare.

Alzai gli occhi al cielo e nemmeno lo sgridai per avermi chiamata di nuovo pulce. Agitai una mano e gli sorrisi, guardandolo uscire dal locale. Non riuscivo ad essere arrabbiata con lui, era più forte di me. Lo adoravo e non vedevo l’ora di passare il weekend in sua compagnia.

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Capitolo 2
*** When you wish upon a star ***


Parcheggiato il pick-up davanti a casa, scesi e andai a prendere il borsone dal bagagliaio. Me lo misi sulla spalla, poi aprii la portiera dal lato del passeggero e afferrai il sacchetto di carta contenente i dolci per colazione, che mi ero fermata a comprare al negozio del paese. Tenendolo con i denti, presi i caffè, richiusi la portiera con un piede e mi avviai verso la porta di casa. Facendo attenzione a non rovesciare i bicchieri, infilai la chiave nella serratura ed entrai, chiudendo la porta dietro di me con un colpo di sedere. Mi diressi subito verso la cucina, dove appoggiai i caffè e il sacchetto con i dolci, poi salii le scale e andai al piano superiore, dove c’erano le due camere da letto. Sapevo esattamente quale aveva scelto Nate, perché era sempre la stessa, fin da quando eravamo ragazzini, quindi entrai nell’altra e lasciai cadere il borsone sul letto. Andai in bagno a lavarmi la faccia e scesi di nuovo in cucina, per vedere in che stato l’aveva lasciata Nate la sera prima. Ero lì da appena un paio di minuti quando sentii una voce, alle mie spalle.

“Ehi”.

Mi voltai e trovai il mio amico, in boxer e maglietta di Superman, appoggiato allo stipite della porta.

“Ehi” risposi. “Ben svegliato. Ho portato la colazione” annunciai, indicando i caffè e la busta con i dolci, sul tavolo.

Lui mi sorrise, alzando appena un angolo della bocca. “Cos’hai portato?”

“Caffè e cinnamon bun”.

“Wow” commentò, avvicinandosi al tavolo e iniziando a frugare nel sacchetto. “Adoro i cinnamon bun”.

“Lo so,” dissi, prendendo uno dei due caffè e bevendo un sorso “per questo li ho presi”.

“Sei un amore” farfugliò, con la bocca piena, mentre masticava il dolce.

“Certo, ma non ti ci abituare” ribattei, soffocando una risata e pensando che, se tutte le sue fan l’avessero visto in quel momento, con i capelli arruffati, i segni del cuscino in faccia e le labbra sporche di glassa e briciole, forse non l’avrebbero più trovato così attraente. Io, invece, lo trovavo adorabile. Ma era tutta un’altra storia.

“Sai,” mi disse, posando il dolce su un tovagliolino che aveva trovato nel sacchetto e prendendo un sorso di caffè “tutte le volte che mi trovo in una relazione disastrosa – cosa che, come ben sappiamo, mi succede piuttosto spesso” e mi rivolse uno sguardo eloquente a cui risposi con una risatina “poi mi ritrovo a pensare a quanto sto bene con te e mi chiedo perché darmi pena a trovare qualcuno con cui passare l’esistenza, quando potrei semplicemente sposare te, che già conosci tutti i miei moltissimi pregi e quei due o tre difettucci”.

Spalancai gli occhi, sforzandomi di non scoppiargli a ridere in faccia. “Ah-ha molto divertente” commentai. “Soprattutto la parte dei moltissimi pregi e due o tre difettucci”.

“Sei un’ingrata” sentenziò, ricominciando a masticare. “Sai quante donne vorrebbero essere al tuo posto, in questo momento? Sole, in un posto sperduto tra le montagne, con Nate dei New Horizons”.

“Non ne dubito,” convenni, alzando un sopracciglio “ma è solo perché non ti hanno mai visto appena sveglio”. Poi posai il bicchiere vuoto sul bancone della cucina e mi avvicinai lentamente, fino ad arrivargli davanti. Lui alzò lo sguardo su di me, io gli presi il viso tra le mani e, con un dito, gli pulii la glassa che gli era rimasta sul labbro inferiore. “E tutto sporco di glassa, tra l’altro” aggiunsi, scuotendo la testa. Feci per allontanarmi e andare in camera a cambiarmi, ma Nate mi trattenne per un polso, dicendo “Vieni qui” e facendomi sedere sulle sue gambe.

“Cosa c’è?” chiesi, sorpresa.

“Niente” rispose, abbracciandomi. “Solo che mi sei mancata e sono contento di essere qui con te”.

Gli accarezzai i capelli e mi lasciai sfuggire un sorriso. Mi faceva sempre piacere sentire che gli ero mancata. A me, ovviamente, lui mancava moltissimo, ma non ero io quella con la vita entusiasmante, quindi era bello sapere che, nonostante le mille distrazioni, avesse tempo di sentire la mia mancanza.

“Anch’io sono contenta di passare un po’ di tempo con te” confessai, dandogli un bacio sulla testa. “Adesso, però, fammi andare a cambiare” esclamai, sciogliendomi dal suo abbraccio e alzandomi. “Poi parliamo un po’, okay?”.

Lui sorrise e annuì, per poi restare a guardarmi mentre mi allontanavo verso le scale.

 

Quando scesi nuovamente, trovai Nate, che si era vestito, con pantaloni della tuta e una felpa rossa con il cappuccio, seduto nel portico su uno dei due dondoli. Mi accomodai sull’altro, accanto a lui, e, nonostante avessi anch’io i pantaloni della tuta e una felpa gialla, mi avvolsi una coperta intorno alle spalle. Era già marzo, ma a quell’altitudine, faceva ancora freddino.

Nate si voltò e mi sorrise. “Allora, pulce” esordì. “Cosa mi racconti?”

Gli rivolsi un sorrisetto scettico. “Io?” domandai, sarcastica. “Niente di che, lo sai. La mia vita è più piatta dell’elettrocardiogramma di un moribondo. L’unica cosa che sconvolge la mia esistenza è se aumenta il prezzo della birra”.

Si mise a ridere e io lo imitai, felice di averlo divertito. Mi era sempre piaciuto fare il pagliaccio per Nate, fin da piccola. Di solito, anche lui era piuttosto bravo a farmi ridere, ma diceva che io avevo un talento naturale.

“Uomini?” mi chiese, sinceramente interessato.

Alzai le spalle e sospirai. “Nulla da dichiarare”.

Lo vidi alzare un sopracciglio, come se non mi credesse, così mi giustificai “Sono uscita un paio di volte con un tipo che si è trasferito da Denver, ma non eravamo compatibili. Per questo non te l’ho nemmeno detto”.

“Perché?” domandò, iniziando a far muovere lentamente il dondolo.

“Innanzitutto era una situazione complicata, divorziato con figlia a carico” spiegai. “Poi, ha passato tutta la prima serata a farmi il terzo grado sulla mia vita e, quando gli ho detto di te, ha iniziato a elencare tutte le persone famose che aveva incontrato, come se fosse stato quello il punto. Diciamo che gli ho concesso un secondo appuntamento solo per scaricarlo”.

Nate scosse la testa, ridacchiando. “Non troverai mai un marito, se continui così, lo sai vero?”

Sbuffai. “Chi se ne frega. Non voglio accontentarmi. E poi, a cosa mi serve un marito, quando ho già te che mi assilli?” sentenziai, dandogli un colpetto sulla mano.

“Hai ragione,” concordò lui “non devi accontentarti. Voglio il meglio per la mia pulce”.

“Grazie” risposi, sorridendo e mandandogli un bacio da lontano. Poi chiesi “Tu, invece? Che mi racconti?”

“Abbiamo finito di registrare l’album,” annunciò “esce il mese prossimo”.

“E poi?” domandai. “Tour?”

Scosse la testa. “Prima promozione. Stanno cercando di inventarsi qualcosa di speciale e d’effetto”.

“Un’altra cazzata del tipo visitiamo tutti i cinquanta stati in una settimana?” chiesi, ridacchiando, riferendomi a ciò che avevano fatto una volta, all’inizio della carriera, per promuovere il loro secondo album.

Anche Nate rise e scosse la testa. “No. Dio, spero di no!” esclamò, spaventato. Lo ricordava ancora come un incubo, aveva dormito tre giorni di fila dopo quell’esperienza.

“Come stanno i ragazzi?” mi informai. “È un po’ che non li vedo”.

“Stanno bene. Mary dovrebbe partorire a giorni e Dave non sta più nella pelle” mi disse.

Sorrisi, immaginando l’impazienza del ragazzo, e commentai “Me lo vedo”.

“Alex è sempre fuori di testa” proseguì. “Adesso ha deciso di imparare a pilotare l’elicottero”.

“Oddio!” sbottai, portandomi una mano alla bocca.

“Già” convenne Nate, ridacchiando. “Che poi, a cosa diavolo potrà mai servirgli?”

Alzai le spalle. “A nulla. Ma è Alex. È fatto così”.

Nate restò in silenzio, senza dire nulla di Ben, che sapevo essere il suo migliore amico, quindi immaginai fosse un tasto dolente e anche, forse, il motivo per cui si era rintanato in montagna. Sapendo che aspettava soltanto una mia parola per potersi sfogare, decisi di andare in suo aiuto.

“E Ben?” chiesi, osservandolo con la coda dell’occhio.

Il mio amico sospirò e, fissando un punto imprecisato davanti a sé, mi domandò “Non l’hai sentito, ultimamente?”

Scossi la testa. “No. Ogni tanto mi scrive, ma non gli parlo come si deve da un po’”. Poi, vedendo che non accennava a voler parlare, lo spronai “Perché, è successo qualcosa?”

“Non esattamente, no” mi rassicurò. “Solo che la situazione non cambia di una virgola e sta diventando snervante”.

“In che senso?” cercai di capire.

“È sempre più innamorato di me, ormai l’hanno capito tutti. Non tenta più nemmeno di nasconderlo, o forse non ci riesce più, non saprei”.

“Gli altri cosa dicono?”

“Sono preoccupati che possa diventare di dominio pubblico” spiegò. “Sai, in modo ufficiale intendo, non solo le storie su di noi che scrivono le fan per divertimento”.

“Sarebbe un bel casino” osservai, immaginando le conseguenze.

“Un bel casino davvero” concordò.

“Gli hai parlato?”

Nate fece no con la testa. “No. Non so più cosa dirgli. Tengo troppo a lui per rinunciare alla sua amicizia ma, allo stesso tempo, mi sento una merda perché so che sta male a causa mia”. Sospirò e aggiunse “A volte, vorrei essere gay per poter ricambiare il suo amore e non farlo soffrire”.

Mi ritrovai a guardare il mio amico, pensando a quanto era speciale. Al mondo, aveva sempre regalato l’immagine di un ragazzo esuberante e sicuro di sé, a volte addirittura un po’ arrogante, ma io sapevo che era solo una faccia della medaglia e, invece, era anche estremamente sensibile e vulnerabile, e odiava vedere soffrire le persone a cui teneva. Mi venne voglia di abbracciarlo, ma non era il momento adatto, volevo che prima finisse di sfogarsi. L’avrei fatto dopo.

“Ma non lo sei” dissi, semplicemente. “E non puoi farci niente”.

“Lo so” bisbigliò, abbassando lo sguardo sulle mani, che teneva in grembo.

“Nate, non puoi fartene una colpa” lo rimproverai, sapendo quello che gli stava passando per la testa.

“Lo so” sbottò lui, voltandosi a guardarmi. “Cioè, razionalmente lo so, so che hai ragione. Ma non riesco a fare a meno di pensarci e sentirmi da schifo”.

Non riuscendo a resistere oltre, mi alzai dal dondolo, mi avvicinai alle spalle di Nate e gli cinsi il collo con le braccia, dandogli un bacio sulla guancia. “Smetti di colpevolizzarti” gli sussurrai, all’orecchio. “Non ci puoi fare niente. È lui che deve capire che da te può ottenere solo amicizia e andare avanti con la sua vita”.

Lui chiuse gli occhi e appoggiò la guancia contro la mia, posandomi le mani sulle braccia, che ancora gli cingevano il collo. “Grazie” disse. “Sono fortunato ad avere un’amica come te. Vorrei che anche Ben potesse avere qualcuno con cui sfogarsi, come faccio io”. Poi, come folgorato da un’illuminazione, spalancò gli occhi e si voltò a guardarmi.

“Che c’è?” domandai, preoccupata.

“Provi a parlarci?” mi pregò.

“A chi?” farfugliai, confusa.

“A Ben” spiegò. “Una volta, si confidava con te”.

Annuii. “Sì, lo faceva”.

“Magari puoi aiutarlo”.

Alzai le spalle. “Posso provare a parlarci, se vuoi” acconsentii. “Ma non so se gli va di sfogarsi con me. Credo che sia ancora spaventato dalla volta che abbiamo litigato”.

“Ma è stato cinque anni fa!” esclamò, stupito.

“Lo so,” replicai “ma ci è rimasto talmente male all’idea che avessimo litigato per causa sua, che non credo voglia ripetere l’esperienza”.

“Ma non litigheremmo, questa volta. Voglio dire, ti ho chiesto io di parlarci e non mi aspetto che tu venga a raccontarmi cosa ti dice, ovviamente” insistette.

Sorrisi. Era questo il lato di Nate che adoravo, quello che si preoccupava dei suoi amici fino a stare male. Mi dispiaceva che mostrasse così poco al mondo quella che consideravo la parte migliore di lui.

“Okay,” promisi “vedrò di farglielo presente”.

Nate sorrise e, approfittando del fatto che fossi ancora vicinissima a lui, mi prese il viso tra le mani e mi stampò un bacio sulle labbra. “Grazie. Sei fantastica”.

“Prego” ribattei, ridacchiando. “Ma non mi baciare”.

“Sì, scusa. È stato un impulso” bofonchiò. Poi si alzò di scatto e propose “Vado a preparare la griglia così stasera ci facciamo un barbecue, ti va?”

Annuii, entusiasta. “Okay. Più tardi andiamo in paese a comprare carne e birre, allora”.

 

“Nate?”

“Sì?”

“Oggi abbiamo parlato di me, ma non mi hai detto nulla della tua situazione sentimentale”.

Lo sentii sospirare. Eravamo sdraiati su una coperta, stesa in mezzo al prato, avvolti dal buio della notte, con solo le luci del portico che si vedevano in lontananza. Dopo cena, ci eravamo rintanati lì, con un paio di birre, perché volevamo vedere le stelle cadenti. Non sapevamo neanche se ce ne sarebbero state, ma era una cosa che facevamo sempre da ragazzini, quando venivamo in montagna con i miei genitori, per le vacanze estive, e volevamo ripetere l’esperienza. Faceva freddo, ma ci eravamo imbacuccati nelle giacche ed eravamo stesi abbastanza vicini da percepire il calore emanato dal corpo dell’altro. Lo trovavo molto confortante.

“C’è poco da dire” rispose. “Colleziono un fallimento dopo l’altro, ma sono giunto alla conclusione che non è colpa loro, sono io quello sbagliato”.

“Complimenti, Mr. Brown. Hai appena formulato la famosa frase cliché non sei tu, sono io” lo canzonai, riuscendo a strappargli una risata.

“No, seriamente, Beth. Mi sono convinto che non riesco a trovare l’amore perché, in fondo, non credo che esista”.

Mi voltai su un fianco, sostenendomi la testa con una mano, in modo da poterlo guardare. “Mi sembra un po’ forte come affermazione” osservai.

Si voltò anche lui, mettendosi nella mia stessa posizione e guardandomi negli occhi, con espressione seria. “Beh, ammetterai che non ho avuto grandi esempi di amore, nella mia vita”.

Sospirai, capendo subito dove voleva andare a parare. “Hai ragione, Nate. La tua famiglia faceva schifo” convenni con lui. “Ma vogliamo davvero tornare su questo argomento?”

“No, non vogliamo. Se no tu ricominci con la storia che non posso lasciarmi rovinare la vita da due coglioni e finiamo per litigare” replicò, facendomi sorridere. “Ma ammetti che può avere influito”.

Annuii. “Solo se tu ammetti che hai avuto anche altri esempi di amore, molto più positivi”.

Nate sorrise, sapendo a cosa mi riferivo. “I tuoi genitori sono il mio prototipo di coppia perfetta. Vorrei avere un amore come il loro: semplice, puro ed eterno”.

Sorrisi anch’io, ricordando i miei. “Sì,” concordai “loro si amavano da morire”. Poi, dopo averci pensato un istante, aggiunsi “Mi sa che hanno fissato uno standard troppo elevato, per noi due. Forse è per quello che non riusciamo a far funzionare una relazione”.

“Già, forse hai ragione” convenne, ridacchiando. “Ma, chiamami illuso, io sogno ancora di trovare qualcuno con cui avere un amore così”.

“A me basterebbe trovare una persona con cui poter essere me stessa al cento per cento, senza filtri e senza preoccuparmi di poter essere presa per pazza” ribattei, tornando a sdraiarmi sulla schiena.

“Se è difficile per te, figurati per me” disse Nate, lasciandosi cadere sulla coperta e rotolando nella posizione in cui era prima. “Non so mai se vogliono conoscere Nate Brown o Nate dei New Horizons”.

“Perché, non sono la stessa persona?” domandai, lanciandogli un’occhiata perplessa.

Lui sorrise e, girando la testa per incontrare il mio sguardo, rispose “Solo quando sono con te”.

Mi voltai e tornai a fissare il cielo, senza dire nulla. Non volevo darlo a vedere, ma le parole di Nate mi avevano fatto tremendamente piacere. Adoravo sapere che si sentiva completamente a suo agio, con me, soprattutto perché era esattamente quello che provavo anch’io, quando ero con lui. Il passare del tempo e la sua popolarità non ci avevano cambiati e restavamo sempre i ragazzini iperattivi che amavano andare sullo skateboard nel parchetto dietro casa.

In quel momento, notai un bagliore in cielo. Non riuscendo quasi a credere ai miei occhi, allungai di scatto una mano, fino ad afferrare il braccio si Nate, ed esclamai “Ehi, guarda! Una stella cadente”.

“Sì, l’ho vista” disse lui. “Adesso dobbiamo esprimere un desiderio”.

“Lo diciamo ad alta voce o ce lo teniamo per noi?” mi informai.

“Lo diciamo. Io non ho segreti, con te” sentenziò.

“Nemmeno io, quindi okay” acconsentii.

“Bene. Vorrei che Ben smettesse di soffrire a causa mia” disse, con la voce che tradiva una profonda tristezza.

Prima di esprimere il mio desiderio, feci scivolare la mano, che era ancora posata sul suo braccio, verso il basso, fino ad arrivare a stringere la sua, come a volerlo confortare. Nate capì la mia intenzione e intrecciò le dita con le mie, stringendo appena, quasi a volermi ringraziare per il supporto silenzioso che gli stavo offrendo. Guardai ancora un istante il cielo stellato e annunciai “Vorrei trovare una persona con cui sentirmi a mio agio come mi sento con te”.

Nate non disse nulla e restò in silenzio per un po’, tanto che iniziai a preoccuparmi che ci fosse qualcosa che non andava, dato che, normalmente, avrebbe commentato di sicuro un’affermazione del genere. Stavo per chiedergli costa stava succedendo, quando si decise a parlare.

“Non credo che sia possibile, pulce. Di Nate Brown ce n’è uno solo”.

Scoppiai a ridere e, tirandogli una pacca sul petto con l’altra mano, commentai “Scemo”.

“Ahia” si lamentò lui, bloccandomi la mano, prima che potessi colpirlo di nuovo. “Ferma con le mani che, se mi fai male, i manager ti chiederanno un risarcimento a sei zeri”.

“Sono convinta che, conoscendoti, capiranno che è stata una sorta di legittima difesa e avrò tutte le attenuanti del caso” ribattei, tentando di divincolarmi. Lui me lo impedì e mi tirò vicina a lui, avvolgendomi in un abbraccio. Mi diede un bacio sulla testa e sussurrò “Sai, ogni volta che mi lascio sopraffare dagli eventi e perdo lucidità, mi basta venire qui, con te, e tutto torna in prospettiva. Finché ci saremo l’uno per l’altra, non potrà mai succedere niente di irreparabile”.

Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo, beandomi della sensazione di benessere e sicurezza che provavo quando Nate mi abbracciava, come stava facendo in quel momento.

“Hai ragione” concordai. “Finché saremo uniti, le cose funzioneranno”.

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Capitolo 3
*** A new adventure ***


Entrai nel locale e la individuai subito, dietro al bancone. Capelli biondo miele, legati in una coda di cavallo che le dondolava sulle spalle a ogni movimento, grembiule nero sopra ai jeans chiari e la maglietta azzurra del locale. Tolsi gli occhiali da sole e mi avvicinai, con passo lento, godendomi la vista di Beth al lavoro. Era girata di spalle e stava tagliando qualcosa con mani esperte. Mi sedetti su uno sgabello, facendo attenzione a fare il minor rumore possibile. Non le avevo detto che sarei tornato e volevo farle una sorpresa. Dopo un istante, vedendo che non si era minimamente accorta di me, decisi di attirare la sua attenzione.

Ehi, straniera”.

Si voltò di scatto, probabilmente riconoscendo la mia voce, e mi regalò uno splendido sorriso, che fece luccicare e diventare più chiari i suoi occhi grigi.

Nate!” esclamò, sorpresa ma felice. “Non mi hai detto che tornavi”.

Mi strinsi nelle spalle e feci un sorrisino. “Volevo farti una sorpresa”.

Lei passò le mani sotto l’acqua, per pulirle dal succo del lime che stava tagliando, e se le asciugò in uno strofinaccio. Poi fece il giro del bancone, fino ad arrivarmi davanti. Mi alzai dallo sgabello e la abbracciai stretta, nascondendo il viso nel suo collo.

Sono due mesi che non ti fai vedere da queste parti” mi rimproverò. “Mi sei mancato”.

Anche tu mi sei mancata, pulce” bisbigliai. “Sentirti al telefono non è la stessa cosa”.

Decisamente no” concordò, staccandosi da me. Peccato, avrei voluto stringerla ancora un po’.

Allora, quanto ti fermi?” mi chiese, incrociando le braccia e restando a fissarmi, con la testa leggermente piegata di lato.

Un paio di settimane” risposi “poi devo ripartire”.

La conoscevo abbastanza bene da indovinare che ci era rimasta un po’ male. Probabilmente sperava di poter passare un po’ più di tempo insieme, prima dell’inizio del nostro tour mondiale, a luglio. Sorrisi, certo che quello che stavo per dirle, l’avrebbe resa felice.

Ma, forse, puoi venire con me” aggiunsi.

Beth alzò un sopracciglio. “Dove?” domandò, incuriosita.

Invece di risponderle, le posi un’altra domanda. “Riesci a prenderti una settimana di ferie, il prossimo mese?”

Suppongo di sì” disse, pratica. “Perché? Cos’hai in mente?”

Ti porto in crociera” annunciai.

Spalancò gli occhi. “In crociera? Sei impazzito?”

Non ti piace l’idea?” chiesi, stupito. Ero certo che sarebbe stata entusiasta.

Lei scosse la testa. “No, non è che non mi piaccia,” mi rassicurò “ma...io e te in crociera? Non sembra il nostro tipo di vacanza”.

Hai ragione. Ma non saremo proprio solo io e te”.

Aggrottò la fronte, confusa. “Non ti seguo, Nate”.

Ti spiego. I manager hanno deciso di farci fare questa crociera in Europa, un po’ come hanno fatto anni fa i Backstreet Boys, hai presente?”

Annuì, attenta, e io proseguii con la spiegazione.

Ecco. Partiamo da Barcellona e stiamo cinque giorni in giro per il Mediterraneo, toccando Francia e in Italia, per poi tonare in Spagna. Ci saranno giochi, interviste, meet&greet con i fan e, ovviamente, concerti tutte le sere. Ma riusciremo anche a ritagliarci un po’ di tempo libero, così ho pensato di invitarti a venire con noi. Sarà divertente”.

La mia amica restò un attimo in silenzio, come ponderando l’offerta. Poi chiese “Cinque giorni su una nave con i New Horizons?”

Annuii, sorridendo. “Figo eh?”

Non ci pensare nemmeno” mi freddò.

Il sorriso scomparve immediatamente dal mio viso e restai a bocca aperta. “Perché?”

Te lo devo dire veramente? Non ci arrivi da solo?” domandò, fissandomi con espressione seria.

Alzai le spalle e scossi la testa. “Ehm...no. Temo di no”.

Dio, sei veramente ottuso a volte” sentenziò lei, con un sospiro esasperato.

Grazie” commentai, ironico. “Vuoi spiegarmi?”

Non posso stare cinque giorni bloccata su una nave con Alex, Nate!” sbottò, allargando le braccia in un gesto piuttosto eloquente che voleva dire ‘possibile che non ci arrivi?’

Oh. Non ci avevo pensato” ammisi, lasciandomi ricadere sullo sgabello su cui ero seduto prima.

L’avevo immaginato” osservò lei, appoggiandosi allo sgabello di fronte al mio.

Beh, ma...la nave è grossa, non dovrai vederlo per forza” tentai di obiettare, sperando di convincerla.

Certo, come no? Il fatto che sia amica di un suo collega non implica che passerò la maggior parte del vostro tempo libero con voi, vero?” ironizzò, lanciandomi un’occhiata scettica.

Sì, in effetti…” cedetti.

Appunto” tagliò corto Beth.

Ma ci sarà anche Roxy” dissi, senza veramente riflettere su come avrebbe potuto prendere la notizia che la moglie di Alex sarebbe stata presente alla crociera. Infatti, lei spalancò gli occhi e commentò “Dovrebbe farmi sentire meglio?”

No. Ma almeno Alex sarà occupato con lei e non baderà a te” spiegai.

Molto confortante, grazie Nate” continuò a ironizzare.

Decisi che dovevo cambiare strategia e passai alle suppliche. “Dai, ti prego. Prometto che farò in modo di non lasciarti sola con lui”.

Ma come farai?” domandò, perplessa.

Non ti mollerò un attimo” promisi.

Beth si lasciò scappare una risatina. “E quando dovrai andare in bagno?”

Ti porto con me” risposi, rivolgendole un sorrisino malizioso.

Scordatelo” mi liquidò, acida, ma mi accorsi che stava sorridendo.

Dai, pulce. Ci tengo veramente. Sono anni che non facciamo una vacanza insieme” insistetti, facendo gli occhi da cerbiatto impaurito a cui, sapevo, non riusciva a resistere.

Lei sospirò. “Non lo so, Nate. Sento puzza di catastrofe”.

Era arrivato il momento di giocarmi l’ultima carta, con cui ero certo che l’avrei convinta.

Se dico Firenze, riesco a convincerti?” buttai lì, in maniera quasi casuale.

La vidi spalancare gli occhi e restò un attimo immobile, in silenzio, senza sapere cosa dire. Poi si riscosse e farfugliò “Ommioddio. Davvero? Farete tappa a Firenze?”

Annuii, sorridendo. “Fremo tappa a Livorno, ma Firenze è a un’ora e mezza da lì e hai sempre voluto andarci, fin da quando eri all’università” le rammentai. Elizabeth aveva studiato arte ed era particolarmente interessata all’architettura, quindi l’Italia, e Firenze in particolare, per lei erano come Disneyland per un bambino.

Sì, è il mio sogno da tutta la vita” confessò, con aria sognante.

Ora puoi. Ti ci porto io” mi offrii. “È solo per un giorno, ma meglio di niente no?”

Beth restò un attimo a fissarmi in silenzio, mordicchiandosi il labbro inferiore. Vedevo che era combattuta, ma ero quasi certo di averla convinta e che avrebbe ceduto. Dopo quasi un minuto intero di silenzio, disse solamente “Ti odio”.

Strabuzzai gli occhi, incredulo. “Scusa? Dovresti amarmi, dopo una proposta del genere”.

Ma certo che ti amo, stupido” ribatté, ridendo. “Ma allo stesso tempo ti odio perché riesci sempre a convincermi a fare quello che vuoi”.

Quindi vieni?” chiesi, speranzoso.

Certo che vengo” rispose, mentre un enorme sorriso le si allargava sul viso.

Mi alzai di scatto, la presi tra le braccia e la feci girare, urlando “Evviva!” mentre lei rideva, felice. Per un istante, un solo, minuscolo istante, pensai che il suono della sua risata fosse una musica più bella di qualsiasi sinfonia, ma non ebbi tempo sufficiente per fermarmi a riflettere su quanto fosse strano quel pensiero, perché, mentre ancora la stringevo tra le braccia, mi chiese “Allora, quando si parte?”

Partiamo il 4 di giugno per Barcellona e saremo in crociera dal 5 al 10”.

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Capitolo 4
*** Day 1: Something’s changing ***


Prima di scendere dall’auto, alzai lo sguardo per osservare l’enorme nave che si stagliava davanti a me, sulla banchina. C’era solo una parola per descriverla: imponente. Pur piegando la testa più che potevo, dal finestrino non riuscivo nemmeno a vedere la cima. Sentii distrattamente Jane, la manager dei New Horizons, che era in macchina con noi, dire a Nate e Ben “Okay, ci siamo. Adesso aspettiamo che arrivi l’altra auto con Dave e Alex e farete la salita ufficiale a bordo, davanti alle fan”.

Il mio cervello ci mise un attimo a registrare cosa sarebbe successo di lì a poco ma, quando lo fece, mi voltai a guardare Nate, spaventata.

“Io cosa faccio?” gli chiesi, con il cuore che mi batteva.

“Vieni con noi, no?” mi rispose lui, tranquillo. “Ti ho fatto riservare una cabina vicino alle nostre, quindi sali con noi”.

“Ma…” farfugliai “cosa diranno le fan, vedendomi?”

Nate sorrise. “Cosa vuoi che dicano, pulce? Sanno benissimo chi sei. Scommetto che non si stupiranno nemmeno di vederti”.

“Stai tranquilla, Beth” mi rassicurò Ben, dandomi un colpetto sulla mano. “Guarderanno tutte noi, non faranno nemmeno caso a te”.

Lanciai un’occhiata fuori dal finestrino, alla lunga fila di fan, quasi tutte ragazze, che aspettavano pazientemente di poter salire a bordo e, ovviamente, di poter vedere i New Horizons fare il loro ingresso ufficiale. Senza nemmeno rendermene conto, sospirai. Dopo tutti quegli anni come migliore amica di Nate, avrei dovuto essere abituata a quel genere di situazioni e, in un certo senso, lo ero. Sapevo esattamente cosa dire e cosa, invece, fare attenzione a non lasciar trapelare – potevo parlare del nostro rapporto senza problemi, ma qualsiasi cosa relativa alla famiglia di Nate era off limits – ma l’idea di essere al centro dell’attenzione delle fan solo perché il loro idolo era mio amico, mi metteva sempre in imbarazzo. Non era come se avessi qualche merito particolare, semplicemente il mio amico era diventato famoso e, se volevo passare del tempo con lui, dovevo dividerlo con metà della popolazione femminile del globo. E non solo femminile, in realtà, pensai, guardando Ben con la coda dell’occhio. I ragazzi avevano alloggiato tutti allo stesso albergo, a Barcellona, ma, essendo arrivati tutti a orari diversi, l’unico che avevamo visto era Ben. Non avevo ancora avuto modo di incontrare Dave e Alex, il che, dovevo ammetterlo, mi aveva tranquillizzata molto. Sapevo che non avrei potuto fare a meno di vederlo, una volta sulla nave, ma contavo sul fatto che, essendo una crociera in loro onore, i ragazzi sarebbero stati piuttosto impegnati e, con un po’ di fortuna, non avrei dovuto trovarmi a tu per tu con Alex fino a cena quando, comunque, ci sarebbe stato Nate a supportarmi. Speravo, invece, di riuscire a fare due chiacchiere con Ben, che mi aveva assicurato di non vedere l’ora di parlare con me e che avrebbe fatto in modo di trovare un attimo di tempo il prima possibile.

Mentre ero distratta da quei pensieri, sentii la voce di Jane dire “Okay, si va”.

La mano di Nate strinse la mia e, prima che me ne rendessi conto, fui trascinata fuori dall’auto, verso il passaggio riservato per salire sulla nave. Non appena ci avvicinammo alle ragazze in fila, il vociare sommesso, che avevo sentito quando ero uscita dall’auto, si trasformò in un mormorio sempre più chiassoso, fino a diventare assordante quando Nate e Ben si avvicinarono per stringere qualche mano. Io restai in disparte, per quanto me lo consentisse il fatto di avere ancora la mano saldamente incollata a quella di Nate. Mentre ci avviavamo verso la passerella, lanciai uno sguardo alle mie spalle, dove notai Dave, che salutava le fan con il suo solito fare calmo e misurato, e Alex, abbracciato a sua moglie Roxanne, che, come al solito, faceva il pagliaccio per far ridere le ragazze. Quando lo vidi, il mio cuore fece una capriola e mi tornarono in mente tutti i bei momenti che avevamo passato insieme. Immediatamente dopo, però, rammentai anche quanto ero stata male quando mi aveva lasciata senza apparente motivo, solo perché, probabilmente, si era stufato della routine e aveva bisogno di nuovi stimoli, e il battito tornò pressapoco normale. Sì, era ancora dannatamente affascinante, se non addirittura più attraente, ma non avrei ceduto un’altra volta al suo fascino perché sapevo che era pericoloso e non volevo soffrire di nuovo. Senza contare che, ormai, era un uomo sposato, sebbene lui e Roxy si fossero sposati d’impulso, a Las Vegas, dopo un solo mese di relazione. Ma, anche quello, era tipico di Alex. Era impulsivo, imprevedibile e terribilmente incostante e, forse, faceva tutto parte del suo fascino.

Dave e Alex raggiunsero Nate e Ben alla fine della passerella, poi i quattro ragazzi si girarono verso le fan e salutarono, in modo da permettere di scattare delle foto ricordo del gruppo che saliva a bordo della nave. Io e Roxy ci scostammo di lato, per non intralciare. Ci eravamo già incontrate in altre occasioni ma, a differenza di Mary, la moglie di Dave, con cui mi sentivo regolarmente, non avevamo legato un granché. Non che non fosse simpatica, la sua compagnia era tutto sommato piacevole, ma eravamo due mondi completamente opposti, io semplice cameriera del Colorado che, per uno scherzo del destino, era amica d’infanzia di una celebrità, e lei, ballerina e make up artist di Las Vegas, che, prima di conoscere Alex, aveva girato il mondo con le Cirque du Soleil. Gli argomenti di conversazione scarseggiavano, ecco. Nonostante questo, non appena mi vide, mi sorrise e venne a darmi un bacio sulla guancia.

“Ciao, Beth” disse. “Sono contenta che ci sei anche tu, così non sono l’unica donna del gruppo”.

Ricambiai il sorriso e commentai “Già. Peccato non ci sia anche Mary, ci saremmo divertite”.

“Hai ragione, ma Jake è troppo piccolo per un viaggio del genere” osservò.

Annuii e convenni “Assolutamente. Posso capire perché abbia deciso di restare a casa”.

In quel momento, fummo raggiunte dai ragazzi che, espletati gli obblighi lavorativi, erano pronti ad essere accompagnati nelle rispettive cabine dai membri dell’equipaggio.

Quando si avvicinarono, Dave e Alex vennero subito a salutarmi. Abbracciai Dave e gli feci le congratulazioni per la nascita del piccolo Jake, che avevo visto solo in fotografia, promettendogli che sarei andata a trovare lui e Mary a Los Angeles il prima possibile. Poi fu il turno di Alex. Mi si avvicinò, con fare noncurante, e mi strinse in un abbraccio, sussurrandomi, con quella voce roca per cui andavo matta “Ciao, baby. Ti trovo bene”.

Costringendomi a restare lucida e cercando di non lasciarmi inebriare dal suo profumo, che ricordavo così bene, risposi “Ciao, Alex. Anche tu stai molto bene”.

Attesi che si allontanasse, ma non sembrava intenzionato a lasciarmi andare. Iniziai a sentirmi in imbarazzo. Fortunatamente, Nate mi posò una mano sulla spalla, dicendo “Vieni, pulce. Ci portano alle cabine”, così Alex fu costretto a spostarsi, permettendo a Nate di riprendermi per mano, e mi avviai con lui verso le nostre cabine.

 

Dopo aver salutato Beth davanti alla sua cabina e aver fatto una toccata e fuga nella mia, fummo subito portati a cambiarci perché, non appena le operazioni di imbarco si fossero concluse, avevamo un meet&greet con il primo gruppo di fans. Era una cosa semplice, due chiacchiere e foto ricordo, tutto quello che dovevo fare era essere gentile, disponibile e sorridere. Solo che non riuscivo a concentrarmi. Continuavo a pensare all’incontro tra Alex e Beth, a come lui l’aveva salutata e abbracciata, trattenendola decisamente più di quanto avrebbe dovuto. Non sapevo perché mi avesse dato tanto fastidio, forse era che sapevo quanto l’aveva fatta soffrire e non volevo che potesse succedere di nuovo. Beth meritava una persona che fosse sempre lì per lei e che apprezzasse le sue molte qualità. Mi domandai se, anch’io, avrei mai trovato una persona così, che mi apprezzasse come faceva Beth ma che, ovviamente, non fosse Beth.

Perché non poteva essere Beth, giusto?

L’enormità di quella domanda mi colpì come un pugno nello stomaco. In tutta la mia vita, nonostante le mie numerose relazioni, non avevo mai trovato nessuno di cui potermi fidare ciecamente e incondizionatamente e che, allo stesso tempo, nutrisse la stessa fiducia in me. Nessuno, a parte Beth.

Lei c’era sempre stata e sapevo che avrebbe continuato ad esserci, mi aveva spronato, guidato, supportato e aveva creduto in me anche quando nessun altro, compresi i miei compagni e io stesso, sembrava in grado di farlo. Se pensavo al mio lontano futuro, quando i New Horizons si sarebbero incontrati solo una volta l’anno, per qualche esibizione nostalgica, mi vedevo a Castle Rock, ma non perché fossi legato a quel luogo da piacevoli ricordi d’infanzia, piuttosto perché lì c’era l’unica persona che volevo restasse nella mia vita. Beth.

Fui strappato alle mie riflessioni dalla voce di una ragazza, che reclamava la mia attenzione per un bacio e una foto. Sorrisi, meccanicamente, e mi concentrai su di lei, chiedendole come si chiamasse e da dove venisse. Non era il momento per perdermi in pensieri così profondi, non potevo distrarmi. Eppure, una piccola parte del mio cervello, continuava a pensare a Beth e al fatto che, in quel momento, avrei voluto che fosse lì con me.

 

Aprii la porta della mia cabina e mi guardai intorno. Il corridoio sembrava deserto. Sospirai di sollievo, presi l’asciugamano e gli occhiali da sole e uscii, diretta verso il ponte. Volevo godermi un po’ di raggi di sole prima di dovermi preparare per la cena di gala di quella sera, ma non avevo potuto uscire dalla cabina perché alcune fan avevano praticamente bloccato il corridoio, in attesa che i ragazzi tornassero dal meet&greet. Avevo tentato di uscire comunque, certa che non fossero interessate a me e non mi avrebbero infastidita, ma uno degli addetti alla sicurezza mi aveva bloccato il passaggio, sostenendo che fosse troppo pericoloso, per me, addentrarmi in mezzo al gruppo di fan. Avevo protestato un po’, ma era stato irremovibile. Sospettavo che ci fosse lo zampino di Nate e l’uomo agisse dietro sua esplicita indicazione. Dovevo ricordarmi di fare due chiacchiere con lui, non avevo intenzione di passare tutta la crociera rinchiusa in cabina perché il mio amico era paranoico e temeva che le fan potessero farmi chissà cosa.

Mentre percorrevo il corridoio, diretta all’ascensore, incontrai un gruppetto di ragazze, che mi salutò, gentilmente. Risposi al saluto, sorridendo, e una di loro mi chiese “Scusa, tu sei l’amica di Nate, vero?”

Mi fermai e annuii. “Sì, sono Beth. Piacere” mi presentai, porgendole la mano.

Per quanto stupita dalla mia reazione, la ragazza me la strinse, presentandosi a sua volta. “Piacere mio, sono Sofia”.

“Sei spagnola?” chiesi, cercando di indovinare dall’accento.

La ragazza annuì. “Sì, sono di Madrid”.

Nel frattempo, le amiche si erano avvicinate, incuriosite e, una di loro, dopo avermi salutato, aveva commentato “Non credevo fosse così facile avvicinarti. Pensavo fosse come con Roxanne e Mary, che raramente si fermano a parlare con le fan”.

Alzai le spalle e osservai “Sono una persona normale che, per caso, è amica di uno che è diventato famoso. Non c’è motivo di tirarmela”.

Le ragazze scoppiarono a ridere, alla mia affermazione, e io aggiunsi “Se non mi vedete spesso, è perché Nate è paranoico e mi fa tenere prigioniera”.

“Ci tiene molto a te, vero?” domandò Sofia, con una punta di gelosia nella voce.

“Sì, anch’io tengo molto a lui, ma non è un buon motivo per obbligarlo a chiudersi in camera” obiettai.

“A proposito, sai dove sono adesso? Sono già tornati dal meet&greet?” si informò un’altra delle ragazze.

Scossi la testa. “Mi dispiace, non ne ho idea” ammisi. “Spero di no, così posso andare a farmi una nuotata in piscina senza essere braccata dalla sicurezza che Nate mi ha sguinzagliato dietro”.

Risero di nuovo e mi ringraziarono comunque per la disponibilità.

“Ti scoccia fare una foto con noi?” mi chiese Sofia, prendendo il cellulare dalla borsetta.

Sorrisi. “Ma no, figurati”. Poi, guardando il mio abbigliamento, shorts di jeans e maglietta di Spiderman, ironizzai “La mia maglietta di Spiderman farà un figurone in mezzo ai vostri vestitini eleganti”.

Scattata la foto, salutai le ragazze e, finalmente, presi l’ascensore. Raggiunsi il ponte superiore e mi avvicinai alla piscina notando, con piacere, che non era molto affollata. D’altra parte, la maggior parte della gente che si trovata sulla nave, era lì per vedere i New Horizons, non per farsi una vacanza, quindi era ovvio che non sprecassero il tempo in piscina. Posai l’asciugamano su un lettino a bordo piscina, mi tolsi shorts e maglietta e lasciai gli occhiali accanto ai vestiti, poi mi immersi nella vasca, beandomi del refrigerio dato dall’acqua. Feci un paio di vasche, poi tornai verso il lettino. Quando posai le mani sul bordo, pronta a darmi la spinta necessaria per uscire dalla piscina, mi ritrovai davanti il viso di Ben, a pochi centimetri dal mio.

“Ehi!” esclamai, stupita.

“Ehi” ribatté lui, porgendomi una mano per aiutarmi a uscire.

La accettai e mi issai fuori dalla vasca. “Mi hai spaventata” lo rimproverai.

“Scusa. È che abbiamo appena finito il meet&greet e ho pensato di approfittare di questo tempo morto per fare due chiacchiere con te” si giustificò.

“Hai fatto bene” osservai, avvolgendomi l’asciugamano intorno al corpo e sedendomi sul lettino. “Come hai fatto a trovarmi?”

Ben sorrise. “Mentre andavo in cabina, ho incontrato alcune fan spagnole, molto gentili, che mi hanno detto di aver fatto due chiacchiere con te, mentre stavi andando in piscina” spiegò.

Sorrisi. “Sofia e le sue amiche”.

“Sai già i loro nomi?” chiese, alzando un sopracciglio.

Annuii. “Non è difficile, se ci si presenta”.

Ben rise e scosse la testa. “Lo sai che, se Nate viene a saperlo, ti mette addosso uno della sicurezza 24h su 24, vero?”

Sbuffai, alzando gli occhi al cielo. “Nate è paranoico” mi lamentai. “Nessuna delle vostre fan mi vuole uccidere. Sono tutte molto carine”.

“Lo so,” ammise lui “ma ti vuole bene e si preoccupa per te”.

“Sì, forse un pochino troppo” commentai, ridacchiando.

Nel frattempo, alcune ragazze si erano avvicinate al posto dove ci trovavamo. Non ci avevano disturbati, ma era chiaro che stavano aspettando il momento buono per interagire con Ben. Lui se ne accorse e propose “Ti va se ci spostiamo a parlare in un posto un po’ più tranquillo? Altrimenti temo che verremmo interrotti ogni cinque minuti”.

“E, soprattutto, ci sarebbero un sacco di orecchie indiscrete ad ascoltare cos’abbiamo da dirci” aggiunsi, facendolo sorridere.

Il ragazzo mi porse una mano, io la presi e mi alzai dal lettino, raccattando vestiti e occhiali da sole. Poi lo seguii, passando attraverso il gruppo di fan che si era assembrato lì accanto, verso una zona del ponte delimitata da un nastro bianco e rosso con scritto ‘Staff only’. Mi condusse fino a un punto appartato e ci sedemmo su due sdraio, uno accanto all’altra.

“Allora,” esordì, con un timido sorriso “qui va meglio”.

“Decisamente più tranquillo” concordai, ricambiando il sorriso.

“Come stai?” mi chiese, prendendomi una mano.

“Io sto bene, Ben” risposi, tranquilla. “Tu come stai, piuttosto?”

Lui fece un sospiro e aumentò la stretta sulla mia mano. “Sto bene. Credo. È dura, ma sto mettendocela tutta per rassegnarmi”.

Posai l’altra mano su quella di Ben e gli sorrisi. “Mi dispiace che tu debba stare così male e, credimi, dispiace da morire anche a lui”.

Ben annuì. “Lo so. Lo vedo da come mi guarda” confessò. “Ma non è colpa sua”.

“Non è nemmeno colpa tua” obiettai.

“Sicuramente è più mia che sua, Beth. Non dovevo innamorarmi di lui, sapevo fin dall’inizio che sarebbe stata una cosa a senso unico” ribatté, diventando improvvisamente serio.

Sospirai. “Dio, mi sembra assurdo dover spiegare una cosa del genere a qualcuno che scrive canzoni d’amore, ma non si può scegliere di chi innamorarsi” ironizzai.

Ben si lasciò scappare una risata, al mio commento e io gli sorrisi, felice di averlo fatto distrarre un pochino. Stavo per aggiungere che Nate gli voleva comunque bene come un fratello, anche se ero certa che Ben lo sapesse perfettamente, ma il ragazzo fu più rapido e mi chiese “C’è qualcosa di autobiografico nella tua affermazione, per caso?”

Alzai gli occhi al cielo e ridacchiai. “Oh, c’è molto di autobiografico, sì” ammisi, riferita alla mia storia passata con Alex.

“Non è cattivo, sai?” disse Ben, lasciandomi andare la mano.

Scossi la testa. “Non l’ho mai pensato, in realtà. Credo che sia una delle persone migliori che conosco e sicuramente tra le più generose. È solo che non siamo compatibili”.

Ben annuì, facendomi capire che concordava con me. “Mi dispiace che sia finita così, tra voi”.

Mi strinsi nelle spalle e sorrisi. “Non importa. Non era destino”.

“Peccato però. Mi sarebbe piaciuto se fossi entrata a far parte ufficialmente della famiglia dei New Horizons” sentenziò e, con sguardo ammiccante, aggiunse “Dave purtroppo è già occupato, Alex non faceva per te e io, ovviamente, sono fuori gara. Mi sa che ti resta solo il caro vecchio Nate, come opzione”.

Scoppiai a ridere, abbassando lo sguardo. “Oddio, te lo immagini io e Nate insieme?”

Ben mi fissò per un istante, serio. Poi disse “In realtà, sì”.

Strabuzzai gli occhi, stupita. “Stai scherzando, vero?” chiesi.

Lui scosse la testa. “No, per niente. Se devo essere onesto, sei l’unica ragazza con cui non mi dà fastidio vederlo”.

“Beh, ma è perché sai che siamo amici e non potrebbe mai succedere niente, tra noi” ribattei, tentando di trovare una giustificazione alla sua affermazione.

“No” obiettò. “Invece sareste una coppia perfetta, se solo ve ne rendeste conto”.

Lo guardai, a bocca aperta, senza sapere cosa replicare. Non mi aspettavo una simile dichiarazione da Ben. Conoscevo i ragazzi da talmente tanto tempo che ero convinta che, ormai, avessero dato per scontata l’amicizia tra me e Nate e non immaginavo che a qualcuno potesse venire in mente di vederci come coppia. Prima che riuscissi a riprendermi dallo shock, fummo interrotti da una voce fin troppo nota che, nonostante tutti i miei buoni propositi, mi faceva ancora venire i brividi lungo la schiena.

“Ehi, cosa fate qui appartati, voi due?”

Mi voltai e vidi Alex avvicinarsi, con i suoi inseparabili occhiali da sole, jeans strappati, una canotta nera, che metteva in mostra i numerosi tatuaggi sulle braccia e una sigaretta spenta tra le dita.

Mi sforzai di sorridere, senza pensare a quanto continuasse a essere tremendamente affascinante ai miei occhi.

“Facevamo due chiacchiere” spiegò Ben, alzandosi per salutare l’amico con una pacca sulla spalla. “Tu che ci fai qui, invece?”

Alex alzò la mano, mostrando la sigaretta. “Mi prendo cinque minuti di pausa, prima del prossimo impegno”.

“A questo proposito,” disse Ben, dando un’occhiata all’orologio “dovrei andare. Beth, tu che fai? Vieni con me?”

Lo guardai, riconoscente. Era chiaro che stava tentando di portarmi via con lui per non lasciarmi sola con Alex.

Aprii la bocca per rispondere, ma Alex si intromise, dicendo “Fammi compagnia mentre fumo, baby. È un sacco che non facciamo due chiacchiere”.

Spiazzata da quella proposta, mi voltai di nuovo verso Ben, senza sapere cosa fare. Non volevo essere scortese con Alex e pensai che, dopotutto, non poteva succedere nulla a parlare con lui. Sospirai e sorrisi a Ben. “Io resto ancora un po’. Grazie Ben, ci vediamo a cena”.

Lui ricambiò il sorriso e annuì, allontanandosi. Dopo averlo guardato andare via, scortato da un bodyguard, mi voltai verso Alex, che si stava accendendo la sigaretta. Notai che non aveva rinunciato al suo immancabile smalto nero, nemmeno in crociera e, istintivamente, sorrisi. Lui se ne accorse e mi chiese “Che c’è?”

Scossi la testa. “Nulla. Notavo lo smalto”

Alex sorrise. “È il mio tratto distintivo, lo sai”.

“Lo so,” convenni “infatti mi fa piacere vedere che non sei cambiato”.

“Hai ragione,” commentò, voltandosi a guardarmi “non sono cambiato. Ti trovo sempre bellissima”.

Distolsi lo sguardo, appoggiando i gomiti al parapetto e mettendomi a fissare il mare. “Grazie” farfugliai, imbarazzata ma, allo stesso tempo, felice del suo commento.

Lui fece un passo verso di me, appoggiandosi a sua volta al parapetto con la schiena, e restò in silenzio a osservarmi, sbuffando il fumo della sigaretta dalle narici. Sentivo il suo sguardo su di me e non sapevo cosa fare per togliermi dall’imbarazzo. A un certo punto, decisi che non riuscivo più a sopportare i suoi occhi puntati su di me.

“Smettila di fissarmi, per favore” lo pregai.

“Non ci riesco” ribatté.

Sentii qualcosa sfiorarmi il viso e mi voltai di scatto, accorgendomi che Alex aveva avvicinato una mano alla mia guancia e mi stava toccando con la punta di un dito.

“Mi sei mancata, baby” disse, con quella voce roca, che trovavo così sensuale, in un tono piuttosto basso, che la rendeva ancora più eccitante.

“Cosa stai facendo?” domandai, incapace di muovermi e con il cuore che batteva all’impazzata. “Possono vederci”.

“Non c’è nessuno” mi tranquillizzò.

“Roxy?” chiesi, rammentandogli della moglie.

“È in cabina, non preoccuparti”.

Mi voltai di scatto e gli afferrai la mano, allontanandola dal mio viso. “Sì che mi preoccupo, invece” replicai. “Roxy sarà anche in cabina, ma c’è. Esiste. Siete sposati e sono certa che non apprezzerebbe se sapesse che stai facendo il cretino con la tua ex”.

Alex sospirò, poi spense la sigaretta contro il ferro della balaustra. “Da quando ti ho vista, non riesco a fare a meno di pensarti e mi chiedo se non ho fatto una cazzata” confessò.

Mi lasciai scappare una risatina sarcastica. “Anche fosse, non ti pare un po’ tardi?” commentai.

“Non necessariamente” osservò. “Finché c’è vita, si può sempre rimediare”.

“Non c’è nulla da rimediare, Alex” tagliai corto. “Torna da Roxy”.

“Sei sicura?” insistette. “Perché…”

“Mi sembra che sia stata piuttosto chiara, Alex. Lasciala in pace”.

Riconoscendo immediatamente la voce di Nate, alle mie spalle, mi voltai di scatto, ritrovandomelo dietro alla schiena. Mi posò le mani sulle spalle, con fare protettivo, e io gli sorrisi. Lui non ricambiò, continuando a tenere lo sguardo fisso su Alex, un’espressione di sfida negli occhi.

“Stavamo solo parlando” tentò di giustificarsi lui.

Nate lo freddò subito. “Beh, credo che abbiate finito. Tu devi andare a prepararti per la cena e Beth deve andare a farsi una doccia e a vestirsi, se non vuole ammalarsi, a girare per la nave tutta bagnata”. Afferrò i miei vestiti, che avevo abbandonato sul lettino quando mi ero seduta con Ben, e me li porse. Io li presi, farfugliando un “Grazie”, poi mi lasciai prendere per mano e trascinare via, senza nemmeno voltarmi a salutare Alex.

Quando fummo soli, Nate si fermò, mi guardò negli occhi e chiese “Ti ha importunata?”

Scossi la testa. “No. Stava solo…”

“Cercando di farti ricadere nella sua ragnatela, l’ho visto” concluse, al mio posto.

Sorrisi. “Una specie, temo”.

“Mi dispiace, Beth. È colpa mia. Ti avevo promesso che non ti avrei lasciata sola” si scusò.

“Non importa. Ero con Ben, non potevo immaginare che sarebbe arrivato” lo rassicurai. “E, comunque, sei arrivato a salvarmi al momento giusto”.

“Ottimo” disse, sorridendo anche lui. “Senti pulce, ci vediamo a cena, okay? Mando Luke a chiamarti”.

Annuii. “Okay. A dopo”.

Nate mi salutò con un bacio sulla fronte e corse via. Mi ritrovai a fissare il punto in cui era sparito, mentre in testa mi risuonavano le parole di Ben: Sareste una coppia perfetta, se solo ve ne rendeste conto.

 

Tornato in cabina, mentre mi preparavo per la cena di gala, mi sforzai di non pensare a quello che era appena successo, senza riuscirci del tutto. L’immagine di Alex che toccava Beth mi si ripresentava davanti agli occhi ogni volta che abbassavo la guardia e sentivo il sangue ribollirmi nelle vene dalla rabbia, pur senza sapere esattamente perché. Ero sempre stato un tipo impulsivo e facilmente irascibile ma potevo affermare di essere molto migliorato con gli anni e, ormai, erano rare le occasioni in cui perdevo il controllo. Prima, sul ponte, era quasi successo. Avevo dovuto fare appello a tutto il mio self control per impedirmi di prendere a pugni il mio amico. Nonostante continuassi a ripetermi che la ragione di quella rabbia incontrollabile fosse la paura che Alex potesse fare di nuovo del male a Beth, dentro di me sapevo che stavo mentendo a me stesso e che quell’impulso di spaccargli la faccia doveva nascondere ragioni più serie della pura volontà di proteggere la mia amica. Sorrisi, tra me. Ormai ero in terapia da così tanti anni che parlavo come la mia psicologa. Era sua la voce nella mia testa che mi ripeteva di smetterla di raccontarmi frottole e decidermi ad affrontare la realtà. Sì, ma quale realtà? Che fossi molto legato a Beth non era una novità. Lei era sempre stata l’unico punto fermo della mia vita, l’unica persona che sapevo con certezza che non mi avrebbe mai né deluso né abbandonato. Tanto meno mentito.

E io? Cos’ero per lei?

Anche lei prova lo stesso per te’ mi ripeté la voce della mia coscienza – che, per qualche strana ragione, continuava a somigliare a quella della mia terapista.

Sì, ma io cosa provo veramente per lei?

Non mi ero mai posto quella domanda o, meglio, non avevo mai avuto dubbi sulla risposta. Beth era la mia migliore amica, la mia anima gemella, colei a cui avrei messo in mano la mia vita senza pensarci due volte. Anzi, a voler essere onesto, l’avevo già fatto, in passato, ed era solo grazie a lei se ero uscito dal mio periodo buio ed ero diventato una persona migliore. Era sicuramente una parte essenziale della mia vita e non riuscivo a immaginare un futuro senza averla intorno.

Ma perché dovrei, poi? Mi domandai. Non è che improvvisamente Beth smetterà di essere tua amica.

Sì, ma potrebbe trovare qualcuno con cui crearsi una famiglia e non considerarti più l’uomo più importante della sua vita’ mi bisbigliò la solita vocina.

Improvvisamente, fui preso dal panico. Era stupido, me ne rendevo conto, ma l’idea di essere l’uomo più importante nella vita di Beth era qualcosa che mi faceva stare bene e che non volevo perdere. Il che, ne ero certo, doveva avere delle implicazioni molto più profonde di quelle giustificabili da una semplice gelosia tra migliori amici. Un migliore amico sarebbe stato felice di vedere la sua amica innamorata e serena con l’uomo della sua vita. Al solo pensiero, a me veniva la nausea, invece.

Cosa significava?

Milioni di risposte diverse affollavano la mia mente, ma nessuna era sufficientemente semplice da poter essere presa per buona in quel momento. Andavano tutte analizzate a fondo. Con calma. E, ora, non avevo tempo. Dovevo finire di prepararmi e andare alla cena di gala, onde evitare di arrivare in ritardo e sentirmi rimproverare da Dave. E dovevo anche mandare Luke a prendere Beth alla sua cabina. La sola idea di rivederla mi tranquillizzò e mi fece pervadere da una sensazione di calore.

Sorrisi.

Decisamente qualcosa stava cambiando, anche se non riuscivo bene a identificare cosa e in che modo. Avrei dovuto rifletterci a mente fredda, da solo. Adesso, però, era ora di andare. Qualunque cosa fosse, poteva aspettare qualche ora.

 

Quando sentii bussare alla porta, diedi un’ultima occhiata al mio riflesso nello specchio, prima di andare ad aprire. In linea teorica, mi piaceva quello che vedevo. Indossavo un vestito lungo color corallo, dal taglio morbido ma arricciato in vita, con le maniche lunghe e leggermente a palloncino, scollo a V piuttosto profondo – che lasciava in vista il tatuaggio sullo sterno – e uno spacco sul lato sinistro. Nonostante non fossi abituata a indossarli, avevo deciso di azzardare un paio di sandali dorati con un po’ di tacco e una borsetta abbinata, che al momento giaceva abbandonata poco elegantemente sul letto. Mi ero truccata con più cura del solito, realizzando anche una riga di eyeliner che, dovevo ammettere, mi era riuscita discretamente bene, e mi ero lisciata i capelli con la piastra. Volendo essere totalmente oggettiva, non mi potevo proprio lamentare. Ero carina. Solo che non ero per niente a mio agio, dato che, tendenzialmente, vestivo sempre in modo molto casual. Costringendomi a non perdermi in paranoie inutili e ripetendomi che, tanto, si trattava solo di quella sera, dopodiché avrei potuto tornare a indossare i miei soliti pantaloncini, maglietta e sneakers, presi un respiro profondo, afferrai la borsetta e mi decisi ad aprire la porta, sorridendo a Luke, la guarda del corpo di Nate, che era venuto a prendermi.

Fui scortata fino all’atrio principale, dove c’era l’ascensore, intorno al quale si era già radunato un discreto numero di fan, che speravano di ottenere una foto con i loro idoli prima di cena. Nate mi dava le spalle, quindi non si accorse subito del mio arrivo. Chi lo notò immediatamente, invece, fu Alex, che abbassò gli occhiali da sole, da cui non si era separato nemmeno in quell’occasione, per squadrarmi da capo a piedi, incurante del fatto di avere sua moglie accanto – bellissima, in un vestito rosso scollato, con uno spacco vertiginoso che metteva in mostra le gambe snelle. Mi sentii avvampare e il cuore accelerò i battiti, facendomi venire le vertigini. Come se fosse l’unico appiglio per non cadere nelle sabbie mobili in cui lo sguardo di Alex mi aveva trascinato, cercai istintivamente la mano di Nate e gliela strinsi, facendolo voltare verso di me. Non appena i nostri sguardi si incrociarono, gli sorrisi, sperando capisse che avevo bisogno di supporto. Nel frattempo, non potei fare a meno di notare quanto fosse affascinante con il completo nero elegante e il papillon. In certi momenti riuscivo davvero a capire come mai tutte le ragazze cadessero ai suoi piedi a un solo sguardo ammiccante.

Non fu, però, uno sguardo ammiccante quello che lui mi rivolse. Non appena mi vide, spalancò gli occhi e mi guardò con espressione tra lo stupito e l’estasiato. Non mi aveva mai guardata così, in tanti anni di amicizia, e mi preoccupai.

“Cosa c’è?” gli bisbigliai, alzandomi in punta di piedi per raggiungere il suo orecchio.

Nate scosse la testa, non sapevo se per riprendere possesso delle sue facoltà mentali, che sembrava aver momentaneamente perso, o per rassicurarmi, e rispose “Niente. Sei...sei bellissima”.

Non potevo vedermi, ma ebbi la certezza di essere arrossita dal calore che sentii divampare sulle mie guance. Nate non mi faceva mai complimenti per il mio aspetto, cosa gli era preso?

Invece di rispondergli con una battuta sciocca o addirittura rimproverarlo perché si stava comportando come se volesse farmi il filo, mi ritrovai a farfugliare un “Grazie. Anche tu stai molto bene, tutto elegante” che non sapevo nemmeno bene da dove mi fosse uscito.

Ma era la verità. Quella sera era bellissimo e non potei fare a meno di chiedermi se fosse normale pensare certe cose del proprio migliore amico.

‘Ma certo,’ mi dissi ‘è una semplice constatazione estetica, nulla di più’.

Ma lo era davvero?

Lui mi strinse più forte la mano e, dopo avermi sorriso, annunciò “Andiamo” e mi guidò verso l’ascensore insieme agli altri.

Mentre ci avviavamo verso la sala dove si sarebbe svolta la cena, la mano ancora stretta in quella di Nate, non riuscivo a smettere di pensare a quanto quella situazione fosse strana. E non aveva niente a che fare con il mio vestito elegante, era una questione di sensazioni come, ad esempio, il cuore che aveva preso a battermi forte quando Nate mi aveva fatto quel complimento, o la pelle che sembrava bruciare nei punti in cui le nostre mani erano a contatto l’una con l’altra. Non mi era mai successo prima, non mi ero mai sentita così.

Cosa diavolo mi stava succedendo? Cosa voleva dire?

Mi sedetti al tavolo, tra Nate e Ben, e cercai di concentrarmi su quello che stava succedendo attorno a me ma, nelle orecchie, continuavano a ronzarmi le parole che Ben mi aveva detto quello stesso pomeriggio sul ponte e che, all’improvviso, stavano assumendo significati completamente diversi: Sareste una coppia perfetta, se solo ve ne rendeste conto.

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Capitolo 5
*** Day 2: Confessions ***


Mi svegliai in un bagno di sudore e spalancai gli occhi, iniziando a fissare il soffitto della mia cabina, senza vederlo realmente. Sospirai rumorosamente e mi lasciai sfuggire un gemito di frustrazione ripensando alla nottata appena passata e all’agenda fitta di impegni che mi aspettava per quella giornata.

Non avevo chiuso occhio tutta la notte. La cena di gala si era protratta fino a tardi e, dopo quello, avevamo anche dovuto trattenerci per una sorta di festa privata, riservata alle fan che avevano prenotato le suite e che, quindi, avevano ottenuto il diritto di passare il resto della serata con noi. Era stato a quel punto che avevo perso di vista Beth, che mi aveva salutato dicendo che se ne andava a dormire. La sua immagine, in quel vestito elegante, con la scollatura che metteva in mostra quel tatuaggio che, normalmente, era sempre nascosto da strati di vestiti, mi era rimasta davanti agli occhi per tutta la sera.

E la notte.

Nelle poche ore di sonno che ero riuscito a concedermi, avevo sognato Beth.

In tanti anni di amicizia, non era ovviamente la prima volta che succedeva. Ma mai così. Mai in quelle circostanze.

Il ricordo del sogno appena terminato mi fece rialzare nuovamente la temperatura corporea, e mi fiondai giù dal letto per chiudermi in bagno e buttarmi sotto alla doccia.

Fredda. Gelata, possibilmente.

Mentre il getto d’acqua mi scorreva lungo il corpo, seguendo le linee dei muscoli e raffreddando i miei bollenti spiriti, mi ritrovai a domandarmi, per l’ennesima volta, cosa diavolo mi stesse succedendo. La sera precedente avevo accantonato quelle riflessioni per mancanza di tempo, ma sapevo che stavo solo posticipando il problema.

Il fatto che Beth fosse la donna più importante della mia vita era un dato di fatto. Non mi vergognavo ad ammetterlo. Così come non mi vergognavo di desiderare che facesse sempre parte della mia vita. Quello che mi metteva decisamente in imbarazzo, invece, erano i pensieri che avevo fatto su di lei quando l’avevo vista venirmi incontro la sera precedente, pensieri che il mio inconscio aveva poi sublimato nel sogno molto poco amichevole e casto di quella notte.

Per la prima volta, dopo tanti anni di conoscenza, avevo sognato di fare l’amore con Beth. E mi era piaciuto. Mi era piaciuto così tanto da desiderare di poterlo provare veramente. Il che era impensabile. O, almeno, lo sarebbe stato fino a un paio di giorni prima.

Da quando avevamo messo piede su quella nave, era come se fossi caduto vittima di un incantesimo e non riuscivo a smettere di pensare a Beth. Non come amica.

Scossi la testa, schizzando i vetri della doccia con le gocce rilasciate dai miei capelli bagnati, e mi passai le mani sul viso, emettendo un lamento di frustrazione. Perché? Mi domandai. Perché dovevo sempre complicare le cose? ‘Cosa c’è da complicare?’ Mi disse una vocina, che continuava a somigliare a quella delle mia terapista. ‘Stai parlando di Beth, la tua amica, colei che hai sempre considerato la tua anima gemella. Cosa ci sarebbe di male?’.

Che è Beth, per la miseria!” sbottai, ad alta voce, come se stessi veramente parlando con me stesso. E mi diedi dell’idiota. Ero arrivato al punto di parlare da solo. Quanto ero messo male?

Calmati’ mi dissi. ‘Se anche i tuoi sentimenti verso di lei stessero cambiando, ne potete parlare da persone civili. Puoi dirglielo. Capirebbe’.

Razionalmente, sapevo di avere ragione ma, inconsciamente, avevo paura di correre il rischio di rovinare la più bella amicizia della mia vita, quel rapporto così speciale che tutti ci invidiavano.

Avrei tanto voluto parlarne con Ben, ma sapevo che non era possibile. Non più. Una volta l’avrei fatto, ma era prima di scoprire che lui era innamorato di me.

E temevo che potesse succedere lo stesso anche tra me e Beth. Se lei non avesse ricambiato? E, poi, ero proprio sicuro di essermi innamorato di Beth?

Dio, che casino.

Proprio in quel momento, il mio stomaco decise di ricordarmi che non mangiavo nulla dalla sera prima, quindi uscii dalla doccia e, ancora avvolto nell’accappatoio, chiamai il servizio in camera per farmi portare la colazione. Mentre mi gustavo un croissant e una tazza di caffè, decisi di non farmi prendere dal panico e di procedere con raziocinio e discrezione. Punto uno: andare a chiamare Beth e trascorrere con lei più tempo possibile, per fare chiarezza sui miei sentimenti, senza raccontarmi frottole o negare l’evidenza. Solo in seguito, quando sarei stato sicuro al cento per cento, avrei potuto, eventualmente, parlarle e vedere se, per caso, anche lei non avesse iniziato a nutrire dei dubbi sulla nostra amicizia.

 

Ero seduta tranquillamente a un tavolo della grande sala dove veniva servita la colazione a buffet, intenta a sorseggiare il mio caffè, ripensando alla notte appena trascorsa, che potevo definire solamente come singolare, quando la mia attenzione fu catturata da un certo trambusto all’ingresso del locale. Alzando gli occhi, individuai immediatamente una zazzera bionda piuttosto alta, attorniata da una miriade di donne e ragazze adoranti, e sorrisi, intuendo subito cos’aveva causato il caos.

Nate aveva fatto il suo ingresso nella sala.

Dopo qualche minuto, infatti, lo vidi liberarsi dalle fan che lo assediavano per venire verso di me, a passo spedito.

“Ehi” lo salutai, sorridendo.

“Che cosa ci fai qui?” mi domandò, sedendosi di fronte a me e cercando di ignorare tutti gli sguardi che aveva puntati addosso. “Sono passato a chiamarti in cabina ma non c’eri”.

Gli rivolsi un’occhiata perplessa. “Colazione?”

“Te l’avrebbero portata in cabina, se avessi chiamato” sentenziò lui, in tono di rimprovero.

Iniziando a spazientirmi, replicai “Forse, se me l’avessi detto, avrei chiamato”.

In quel momento, fummo interrotti da un gruppetto di ragazze che si era avvicinato, chiedendo educatamente se era possibile scattare un paio di foto con Nate. Pur non essendone entusiasta – lo potevo notare dalle vene del collo diventate improvvisamente paonazze – le accontentò, gentile, e io restai ad osservare la scena, finendo di bere il caffè. Quando riuscì a liberarsi e le ragazze si allontanarono, Nate si voltò nuovamente verso di me, con aria scocciata.

“Visto cosa mi tocca fare, di primo mattino, per colpa tua?” si lamentò.

Mi lasciai sfuggire un sospiro volutamente esagerato. Era evidente che doveva essersi svegliato con la luna storta e sapevo per esperienza che poteva diventare insopportabile.

“Puoi anche disturbarti a fare un paio di selfie, Nate. Ti ricordo che ti pagano lo stipendio” commentai, acida.

“Ah-ha molto divertente” ribatté lui, sarcastico, ma doveva aver realizzato che stava esagerando perché notai subito un cambiamento nel tono di voce, che divenne più conciliante.

“A te non hanno dato fastidio?” mi chiese, riferito alle fan.

Scossi la testa. “Certo che no. Qualche foto e due chiacchiere, nulla di che” lo rassicurai.

“Molto bene. Hai finito?”

Annuii. “Uh uh”.

“Bene, allora vieni” mi spronò, alzandosi in piedi e allungando una mano verso di me.

“Dove?” domandai, confusa, senza muovere un muscolo.

“Devo prepararmi per l’intervista” mi spiegò, come se fosse ovvio.

Gli rivolsi un sorrisino crudele e osservai “Hai detto bene: devi. Io posso bermi un’altra tazza di caffè”.

Nate strabuzzò gli occhi, il ritratto dell’incredulità. “Come? Non vuoi assistere?”

“Per sentirvi ripetere sempre le stesse risposte? No, grazie. Ci vediamo poi per pranzo” lo liquidai, sbrigativa.

Alzando gli occhi al cielo, ma evitando di insistere – mi conosceva troppo bene e sapeva che non avrei ceduto facilmente a quello che consideravo un mero capriccio – si informò “Cos’hai intenzione di fare?”

“Mi metto a leggere sul ponte” risposi. “Mi rilassa” aggiunsi, a mo’ di giustificazione.

Lui mi rivolse uno sguardo scettico. “Non ti permetteranno di leggere, lo sai vero?” disse, lanciando un’occhiata in giro per la sala e ignorando le ragazze che continuavano a fissarlo.

Alzai le spalle. “Ci proverò comunque”.

“Come vuoi, testona” cedette, alla fine. Ma stava sorridendo, quindi non era veramente offeso. E la cosa, per qualche strana ragione, mi tranquillizzò molto.

Non volevo farlo arrabbiare. Non volevo discutere con lui.

“Comunque, se ti danno fastidio…” aggiunse, prima di andarsene.

“Non mi daranno fastidio, Nate” lo rassicurai, ricambiando il sorriso. “Al massimo vogliono fare due chiacchiere e non mi importa. Davvero. Sono carine”.

Lui annuì e, dopo avermi dato appuntamento per pranzo, se ne andò, seguito da una processione di fan adoranti.

Restai a fissare il punto in cui era sparito e la sua immagine si confuse con quella del sogno che avevo fatto quella notte. Un brivido mi percorse la schiena, non sapevo dire se fosse eccitazione o paura. Forse un mix delle due. Mi portai una mano al petto e, con la punta dell’indice, sfiorai, senza guardarlo, il tatuaggio che avevo sullo sterno e che spuntava dalla camicetta lasciata leggermente sbottonata.

Breathe. Respira.

L’avevo fatto dopo la morte dei miei, per ricordarmi di non lasciarmi sopraffare dall’ansia. Ma, in quel momento, mi risultava difficile. Molto difficile.

Perché non riuscivo a smettere di pensare a Nate? Cioè, lo pensavo spesso, ovvio. Era il mio migliore amico, senza dubbio l’uomo più importante della mia vita. Ma non così assiduamente e, comunque, non in quel modo. Mentre mi parlava, poco prima, i miei occhi si erano soffermati sulla sua bocca, su quel labbro inferiore più carnoso e quello superiore più sottile, ma con quella forma a cuore quasi perfetta. Erano caratteristiche che avevo avuto davanti agli occhi ogni giorno della mia vita e che conoscevo come le mie tasche, ma che mai mi erano sembrate così attraenti. Per non parlare dell’azzurro dei suoi occhi, quasi tendente al celeste. Quante volte ci eravamo guardati negli occhi? Infinite. Ma non mi era mai successo di perdermici dentro, di trovarli così magnetici da non riuscire a concentrarmi sulle sue parole. E di sentire le gambe tremare e il fiato corto.

Abbassai la testa e mi passai una mano dietro al collo, mentre sentivo un sorriso spuntarmi inaspettatamente sul viso. Nonostante l’assurdità della situazione, mi sentivo felice, come se avessi aspettato quel momento per tutta la vita. Mi sembrò di sentire qualcosa muoversi, dentro di me, come se le tante tessere del puzzle che componevano il mio essere stessero andando ognuna al proprio posto, finalmente.

Ecco perché non riuscivo a far funzionare una relazione per più di sei mesi. Ecco perché non avevo mai sognato di sposarmi o, comunque, di sistemarmi in qualche modo. Continuavo a ripetermi che stavo aspettando il momento giusto, la persona giusta quando, in realtà, l’avevo sempre avuta davanti agli occhi, senza vederla realmente. Adesso, però, per una qualche congiunzione astrale che mi risultava difficile da comprendere, era come se quel velo di nebbia si fosse alzato da davanti ai miei occhi e riuscissi finalmente a vedere la realtà in modo chiaro.

E la realtà era che mi ero innamorata di Nate.

Forse lo ero sempre stata, nel profondo, ma avevo scambiato quel sentimento per un semplice affetto fraterno. Doveva essere per forza così. Non ci si innamorava di qualcuno dalla sera alla mattina, men che meno di qualcuno che si conosceva da tutta la vita. Adesso, però, ciò che mi legava a Nate non era più affetto fraterno. Non mi bastava più. Volevo di più. Volevo stare con Nate, non come amica. Volevo toccarlo, abbracciarlo, baciarlo. In passato, le rare volte in cui un pensiero del genere aveva attraversato la mia mente, mi ero detta che era solo una questione di attrazione fisica. Nate era oggettivamente un bel ragazzo, sebbene non ricalcasse i canoni di bellezza che avevo sempre trovato interessanti nell’altro sesso. Come dimostrava chiaramente la mia storia con Alex, ero sempre stata attratta da ragazzi mori con gli occhi chiari. I biondi non mi avevano mai attirata particolarmente. Nonostante ciò, era innegabile che Nate fosse affascinante e capivo tutte quelle ragazze che fantasticavano davanti alle sue foto. Ripensai ai capelli biondi, sempre spettinati ad arte, gli occhioni celesti e quelle labbra perennemente imbronciate che, però, diventavano irresistibili quando si piegavano in un sorriso. E quel suo modo ammiccante di sorridere, come a voler dire ‘so di avere un certo potere su di te e ho intenzione di usarlo per farti innamorare’. Lo prendevo sempre in giro per quella sua capacità di trasformarsi nell’essere umano più sexy del mondo quando era sul palco, con quegli sguardi penetranti e quei movimenti di bacino che avrebbero risvegliato gli ormoni di una moribonda. Nella vita normale non era così, quella era una parte che recitava per lavoro. Ma sapeva comunque essere molto sensuale, pur senza impegnarsi. Come la sera precedente, ad esempio, in quel completo elegante, con la camicia che metteva in risalto i muscoli delle braccia.

Ma non desideravo Nate solo per il suo corpo. Volevo la sua anima. In parte, già l’avevo e lo sapevo. Conoscevo tutto di lui, anche cose talmente private che avevo giurato che mi sarei portata nella tomba. Non avevamo segreti, l’uno con l’altra.

Tranne ora. Non potevo dirgli quello che avevo appena capito. Di certo, lui non provava lo stesso per me, altrimenti me l’avrebbe detto. Era sempre stato molto sincero e diretto e, in più, era totalmente incapace di nascondermi qualcosa. Lo beccavo subito. Confessargli i miei sentimenti avrebbe soltanto rovinato la nostra amicizia. E non volevo perderlo. Non me lo sarei mai perdonato.

Mi alzai dal tavolo, con un sospiro, e mi diressi alla mia cabina, per prendere il libro che avevo intenzione di leggere.

Avrei voluto parlare con qualcuno, ma chi? Nate, ovviamente, era fuori discussione e anche Alex. Restavano Dave e Ben. A cose normali, la mia scelta sarebbe andata su quest’ultimo, con cui avevo un legame particolare. Ma si trattava di Nate, di cui lui era innamorato a sua volta. Potevo confessargli di esserne innamorata anch’io, pur sapendo che l’avrei fatto soffrire? Non era il caso. Rimpiangendo che Mary non fosse presente, decisi di tenermi la cosa per me e comportarmi come se nulla fosse.

Persa in quelle riflessioni, mi accorsi a stento di essere arrivata sul ponte e mi lasciai cadere su un lettino a bordo piscina. Alzai lo sguardo e i miei occhi si posarono su una gigantografia con la foto dei New Horizons che troneggiava sulla parete davanti a me. Osservai Nate, il cui sguardo ammiccante, a torso nudo, occupava buona parte del lato sinistro del poster e sospirai di nuovo.

Fare finta di niente. Sarebbe stato difficile, dannatamente difficile.

 

Non riuscii a stare con Beth fino alla sera, preso tra meet&greet con le fan e una serata di giochi a quiz che vide la squadra formata da me e Ben, con due fan, perdere rovinosamente contro Dave e Alex dato che l’argomento delle domande erano i supereroi della Marvel e Alex era un vero esperto in materia. Ci eravamo incontrati velocemente a pranzo, ma io e i ragazzi non avevamo molto tempo, quindi ci eravamo limitati a raccontarci le rispettive mattinate. C’era stato un momento in cui le nostre mani si erano casualmente sfiorate, mentre entrambi tentavamo di prendere la bottiglia dell’acqua nello stesso momento, e avevo distintamente avvertito una scarica elettrica corrermi lungo la spina dorsale. Avevo avuto la sensazione che anche Beth avesse provato qualcosa perché l’avevo vista trasalire e si era affrettata ad allontanare la mano. Non era da lei. Normalmente avrebbe tentato di rubarmi la bottiglia, magari picchiandomi o facendomi il solletico. Invece, si era scostata, quasi non sopportasse il contatto delle nostre pelli, come se avesse paura a toccarmi. Era strano. Ma temevo di leggere nel suo comportamento significati che in realtà non c’erano, soltanto perché mi ero accorto di provare per lei qualcosa che andava oltre l’amicizia, quindi decisi di non darci troppo peso. Speravo di poter passare del tempo con lei, da solo, per poter capire una volta per tutte cosa mi stava succedendo e pianificare la prossima mossa. Il prima possibile.

Purtroppo, non riuscii a vederla nemmeno a cena: la serata gioco si era protratta più del dovuto e avevamo dovuto tornare in cabina per cambiarci. A quel punto, l’ora di cena era passata da un pezzo, così avevamo deciso di mangiare una cosa veloce tra di noi, per poi presentarci direttamente alla festa che si sarebbe tenuta dopo. Solo allora riuscii finalmente a ritagliarmi un momento, tra una canzone e una foto con le fan, per parlare con Beth. La presi per mano, mentre stava chiacchierando con Roxy, e la trascinai in un angolo.

Ehi” le dissi, a voce piuttosto alta, per sovrastare il volume della musica.

Ehi” rispose lei, con un sorriso.

Sentii qualcosa muoversi, nel mio stomaco, e strinsi le mani a pugno, conficcandomi le unghie nella carne, per impedirmi di prenderle il viso tra le mani e, probabilmente, baciarla.

Deglutii. La situazione stava decisamente sfuggendo dal mio controllo.

Non ci siamo visti tutto il giorno” buttai lì, cercando di riprendere possesso delle mie facoltà mentali, prima di fare qualche cazzata. “Scusa”.

Beth mi sorrise di nuovo e scosse la testa. “Figurati. Io sono in vacanza, ma tu stai lavorando. Lo capisco”.

Domani stiamo insieme, però” le promisi, improvvisamente eccitato da quella prospettiva. “Ti porto a Firenze, come promesso”.

Le vidi il viso illuminarsi all’idea, ma cercò di contenere l’entusiasmo. “Nate, se non puoi non importa. Posso andare da sola”.

Scossi la testa. “Non ci penso nemmeno. Voglio visitare Firenze con te. Non me lo perderei per niente al mondo”.

Beth sorrise. Poi si avvicinò e, alzandosi sulle punte dei piedi, per contrastare la differenza di altezza che c’era tra noi, mi posò le mani sulle spalle e mi diede un bacio sulla guancia.

Grazie” mi sussurrò, all’orecchio, e io percepii i peli dietro al collo rizzarsi al solo sentire il suo fiato sulla mia pelle.

La situazione era più seria di quello che credevo. Non mi serviva un’intera giornata con lei per confermare i miei sospetti. Ci ero dentro fino al collo.

Aprii la bocca per dirle qualcos’altro ma fui intercettato da un gruppo di fan che mi reclamava per un selfie. Rivolsi a Beth uno sguardo dispiaciuto ma lei sorrise e fece un gesto con la mano per farmi intendere di non preoccuparmi. Poi mi mimò con le labbra le parole ‘Ci vediamo domani’ e si allontanò, lasciandomi nelle grinfie delle ragazze che erano venute a cercarmi, ma con la testa – e il cuore – ancora totalmente concentrati sulla sensazione di totale stordimento che avevo provato quando Beth mi aveva soffiato nell’orecchio.

 

“Io sono stufo. Che ne dici se ci dileguiamo?”

Mi voltai di scatto, trovandomi davanti il viso di Ben, gli occhi verdi scintillanti e leggermente lucidi e un sorrisino furbo stampato sul viso.

Conoscendolo abbastanza bene da capire che stava architettando qualcosa, sollevai un sopracciglio e gli domandai “Cos’hai in mente?”

Lui sollevò una mano, mostrandomi una bottiglia di champagne, e mi bisbigliò, all’orecchio “Qui c’è troppa gente e troppo rumore. Ti va una festa privata?”

Annuii, ridacchiando, e mi lasciai prendere per mano e trascinare fuori dal salone, attraverso la porta di sicurezza.

Passando per una serie di porte secondarie, con il preciso intento di eludere sia le fan che la sorveglianza, arrivammo, non so come, fino al corridoio delle nostre stanze. A quel punto, Ben iniziò a trafficare nelle tasche dei pantaloni per cercare la tessera che apriva la sua cabina, ma non la trovò, così passò a quelle della giacca, ma nemmeno lì ebbe fortuna.

“Dannazione!” sbottò. “Devo averla persa”.

Ridacchiai, constatando “Sei ubriaco”. Poi lo presi per mano e lo trascinai fino alla porta della mia camera, sentenziando “Andiamo da me”.

Solo a quel punto mi accorsi di non avere con me la borsetta e realizzai che, probabilmente, l’avevo lasciata sul tavolo vicino a cui stavo parlando con Roxy. Mi diedi una manata sulla fronte ed esclamai “Dannazione! Ho dimenticato la borsa di sotto”.

Ben scoppiò a ridere e commentò “Bella coppia, io e te”.

Risi anch’io, cosciente dell’assurdità della situazione. “Che facciamo?” gli chiesi.

Lui si strinse nelle spalle. “Se torniamo a cercare le chiavi, non riusciremo più a sgattaiolare via senza farci vedere. Siamo stati fin troppo fortunati”.

Annuii. Aveva ragione. “Quindi?”

Senza dire nulla, Ben si lasciò scivolare sul pavimento coperto di moquette, le spalle appoggiate alla parete e le ginocchia piegate. Poi prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni – almeno lui ce l’aveva, il mio era rimasto nella borsa – e iniziò a digitare qualcosa.

“Cosa fai?” domandai, incuriosita.

“Possiamo stare qui a proseguire la nostra festa” propose, mostrandomi la bottiglia che ancora teneva in mano. “È tranquillo e l’ingresso alle fan è vietato. Intanto ho mandato un messaggio a Nate dicendogli di cercare la mia chiave e di portare la tua borsa, quando sale”.

Sospirai e, scuotendo la testa rassegnata, mi lasciai scivolare sul pavimento accanto a lui, allungando le gambe, in modo che la gonna non mi intralciasse.

Ben mi passò la bottiglia e bevvi un sorso di champagne, prima di ridargliela.

“Alla festa più noiosa nella storia dei tempi” brindò, prima di bere anche lui.

Ridacchiai e gli diedi una pacca sulla spalla, rimproverandolo “Dai. Non era così terribile”.

Lui spalancò gli occhi e scosse la testa. “Sì, invece. Lo era. Finiti i selfie con le fan e quella specie di concerto improvvisato, non sapevo più cosa fare. Ho passato almeno venti minuti a guardare Nate che faceva gli occhi dolci alle ragazze che gli ronzavano intorno. Non che mi lamenti, sia chiaro. È sempre un gran bel vedere, ma perfino io mi sono accorto che stavo scadendo nel masochismo e ho preferito andarmene” confessò, prendendo un’altra golata dalla bottiglia.

Mi lasciai sfuggire una risatina e allungai un braccio per prendergli la bottiglia dalle mani e bere un lungo sorso. Ben non poteva saperlo, ma anch’io avevo passato buona parte della serata a osservare Nate e capivo perfettamente come si sentiva.

Quasi stesse parlando tra sé, Ben aggiunse “So che non dovrei fare certi apprezzamenti sul tuo migliore amico e che avevo promesso di togliermelo dalla testa, ma stasera Nate era un gran figo con quella camicia bianca che gli tirava sui muscoli delle spalle”.

Senza nemmeno riflettere, mi ritrovai a sorridere e ad annuire. “Confermo e sottoscrivo. Anzi, aggiungo anche che avrei tanto voluto vederlo senza la camicia” mi lasciai sfuggire.

Non avrei saputo dire se fosse l’effetto dell’alcool o se semplicemente avevo bisogno di confidarmi con qualcuno, ma non ero riuscita a trattenermi.

Ben si voltò di scatto a guardarmi, negli occhi un’espressione tra la sorpresa e il divertimento. “Non ti ho mai sentito fare certi apprezzamenti su Nate. Cosa succede?”

Alzai le spalle e tentai di minimizzare. “Sono ubriaca”.

“Ubriaca o innamorata?” insistette lui, sollevando un sopracciglio.

Sospirai. Ben era perspicace e mi conosceva bene. Non sarei riuscita a mentirgli a lungo nemmeno da sobria.

“Forse tutti e due” ammisi.

“Sei seria?” mi domandò, smettendo improvvisamente di sorridere.

Annuii e mi decisi a confessare. “Credo di sì. Non lo so, è strano. Ultimamente non riesco a smettere di pensare a lui. E non sempre sono pensieri...amichevoli, diciamo”.

Ben mi rivolse uno sguardo incuriosito e io mi affrettai ad aggiungere. “Dio, scusa Ben. Oltre a ubriaca sono anche un’idiota. Non avrei dovuto dirti certe cose”.

“E perché?” chiese lui, confuso.

“Beh, perché tu...insomma…” farfugliai.

“Perché sono innamorato di Nate?” venne in mio aiuto.

Annuii, distogliendo lo sguardo.

“È vero, lo amo” confermò. “Ma io non ho speranza, con lui, mentre tu sì”.

Scossi la testa. “Non credo”.

“Perché no?”

“Perché per lui sono solo Beth, la sua amica. La sua pulce. Nient’altro” spiegai, rassegnata.

Ben restò a fissarmi, serio nonostante gli occhi leggermente lucidi – speravo per colpa del vino e non di eventuali lacrime che combattevano per uscire. “Non ne sarei così sicuro”.

Presi un respiro profondo, prima di rispondere. “Non darmi false illusioni, per favore. È già abbastanza complicato così” lo pregai.

“Non ti sto dando false illusioni” replicò, deciso. “Dico solo che non mi sembra proprio indifferente”.

Strabuzzai gli occhi, incredula. “Come fai a dirlo?”

Ben incrociò le gambe e si mise comodo, poi iniziò a parlare. “Beh, ieri sera, ad esempio. L’ho incontrato prima di cena e mi sono accorto che era incredibilmente nervoso. Faccio caso a queste cose, sai. Gli ho chiesto cosa c’era e mi ha detto che aveva appena beccato Alex che faceva il cascamorto con te. Era nero, Beth. Mentre me lo raccontava, stringeva i pugni talmente forte che le nocche gli erano diventate bianche. Erano anni che non lo vedevo così arrabbiato”.

Aprii la bocca per ribattere ma Ben non me ne lasciò il tempo e aggiunse “E non provare nemmeno a dire che è perché è tuo amico e si preoccupa che Alex possa farti soffrire di nuovo perché non ci credi nemmeno tu. Quella era gelosia, dai retta a me. Gli avrebbe staccato la testa a morsi, se avesse potuto”.

Non risposi subito, mi serviva del tempo per assimilare quelle nuove informazioni. Poi mi lasciai sfuggire un gemito di frustrazione e mi lamentai “Sarà, ma allora perché non mi dice niente?”

Ben sorrise, dolcemente, e mi posò una mano sulla spalla. “Perché si starà facendo le stesse paranoie che ti fai tu. Beth è la mia amica, non posso essere innamorato di lei. Blah, blah, blah”.

Mio malgrado, mi trovai a ridere e Ben mi fece compagnia. Quando ci calmammo, gli rivolsi uno sguardo serio e domandai “Sicuro che non ti scoccia?”

“Cosa?”

“Che mi sia innamorata di lui”.

Ben mi sorrise, benevolo, e scosse la testa. “No. Te l’ho detto, tu sei l’unica donna per cui potrei accettare di averlo perso per sempre”.

Senza dire nulla, mi misi a carponi e, quando gli fui abbastanza vicina, gli buttai le braccia al collo, farfugliando “Grazie”.

Ben mi strinse, a sua volta, accarezzandomi la schiena, e mi sussurrò, all’orecchio “Non mollare. E non avere paura. Siete fatti per stare insieme e sono contento che l’abbiate finalmente capito”.

 

Era ormai piuttosto tardi quando riuscii a liberarmi dalle fan che mi avevano assediato e a dare un’occhiata al cellulare. Trovai un messaggio di Ben e mi stupii. Perché diavolo mi scriveva se era lì con me? Mi guardai intorno, per cercare il mio amico, ma non lo trovai. Quando aprii il messaggio, tutto divenne chiaro.

Io e Beth volevamo proseguire la festa nella mia cabina ma ho perso la chiave e lei ha dimenticato la borsa di sotto. Appena puoi, vieni in nostro soccorso. Grazie.

Sorrisi. Se si fosse trattato di chiunque altro, quell’allusione a continuare la festa in cabina mi avrebbe fatto andare su tutte le furie, ma sapevo che con Ben potevo stare tranquillo.

Localizzai subito la borsetta di Beth abbandonata su un tavolo e, guarda caso, la chiave della cabina di Ben era nascosta sotto. Afferrai entrambe e feci un cenno a Luke, perché mi accompagnasse di sopra. Salutai ancora un paio di ragazze e mi fermai a scattare qualche foto con un gruppetto di fan che incrociai per caso davanti all’ascensore. Poi, finalmente, arrivai al piano dove c’erano le nostre cabine. Salutai Luke, che sarebbe restato di guardia all’imbocco del corridoio, e mi diressi a passo spedito verso la cabina di Ben, che si trovava qualche porta prima della mia.

Individuai subito i miei due amici. Erano seduti sul pavimento, schiena contro schiena, le gambe allungate e una bottiglia di champagne – presumibilmente vuota – abbandonata per terra accanto a loro. E stavano ridendo. Sguaiatamente.

Sospirai. La situazione era più grave di quanto credevo.

Mi avvicinai con passo deciso e annunciai la mia presenza, schiarendomi la voce. Entrambi alzarono immediatamente lo sguardo su di me, esclamando, quasi all’unisono “Nate!”

Vedo che vi state divertendo” osservai, alzando un sopracciglio.

Non ci lamentiamo” replicò Ben.

Sì, ma ci sei mancato” aggiunse Beth, guardandomi con gli occhi lucidi.

Oh, sì” concordò il mio amico. “Immensamente”.

Si guardarono tra loro e scoppiarono nuovamente a ridere.

Sospirando di nuovo, mi passai una mano davanti agli occhi, poi la porsi a Ben, che la afferrò, e lo aiutai a mettersi in piedi. Gli consegnai la tessera per aprire la sua cabina e gli domandai “Ce la fai?”

Lui annuì, serio. “Tranquillo. Sono stato peggio”.

Mi lasciai sfuggire una risata. “Sì, ne ho un vago ricordo”.

Grazie, amico” mi disse, dandomi una pacca sulla spalla. “E buonanotte”.

“’Notte, Ben” ricambiai, controllando che riuscisse ad arrivare alla porta della sua cabina e ad aprirla.

Fuori uno’ pensai, quando lo vidi richiudersi la porta alle spalle. ‘Adesso occupiamoci dell’altra’.

Abbassai lo sguardo su Beth, che era ancora seduta a terra e mi guardava con un mezzo sorrisino e gli occhi velati.

Andiamo, pulce” la spronai, allungando una mano verso di lei. “Ti porto a letto”.

Con te?” mi chiese, mentre afferrava la mia mano e si rimetteva in piedi.

Il mio cuore mancò un battito a quella domanda e mi domandai se, per caso, non me lo fossi soltanto immaginato.

C-come, scusa?” balbettai, stringendo le sue mani nelle mie, un po’ per paura che cadesse e un po’ perché il contatto della mia pelle con la sua mi stava provocando una sensazione di calore che, partendo dalle mani, si diffondeva lungo le braccia, fino ad avvolgermi tutto il petto.

Ti ho chiesto se mi porti a letto con te” ripeté lei, seria.

Iniziai a sudare freddo. Dio solo sapeva quanto avrei voluto portarla a letto con me. Quanto avrei voluto andare a letto con lei, accarezzare ogni centimetro di quel corpo che conoscevo così bene ma che non avevo mai esplorato in modo così intimo. La desideravo, ma non era solo quello. La amavo, immensamente. Probabilmente da sempre, dato che un sentimento di quella portata e verso colei che avevo sempre considerato la persona più importante della mia vita, non scoppiava all’improvviso. Se solo me ne fossi accorto prima, se non fossi stato così cieco e concentrato su me stesso, forse non avrei perso tutti quegli anni in relazioni inutili, per non dire tossiche, e saremmo già stati insieme da una vita. Ma non importava. Meglio tardi che mai. Potevo ancora rimediare, poteva ancora essere mia. Potevamo essere felici. Dovevo solo studiare con attenzione le prossime mosse, in modo da non rovinare tutto commettendo qualche stupido errore.

Come, per esempio, cedere all’istinto e portarmela a letto mentre era ubriaca, tanto per iniziare.

Deglutii e cercai un modo per tirarmi fuori da quella situazione.

Se vuoi che resti con te, non c’è problema” acconsentii, sperando che capisse che mi riferivo semplicemente al fatto di dormire insieme, come avevamo fatto mille altre volte. Niente di più.

Beth annuì e mi sorrise, poi, improvvisamente, barcollò e, per non farla cadere, me la ritrovai praticamente tra le braccia. La sentii stringere le dita attorno al cotone della camicia – avevo tolto la giacca e la tenevo posata su una spalla – e il mio cuore accelerò i battiti.

Andiamo” le dissi e, senza smettere di sorreggerla, la accompagnai fino alla sua cabina. Presi la chiave dalla borsetta, aprii la porta ed entrammo. Accesi la luce e richiusi la porta dietro di me, poi la feci sedere sul letto.

Dove hai il pigiama?” le chiesi, guardandomi intorno.

Beth indicò un punto imprecisato alle mie spalle. Mi voltai e notai una maglietta abbandonata sullo schienale di una poltroncina. La presi e notai – con un certo piacere, devo ammettere – che si trattava di una mia vecchia t-shirt con disegnata la copertina dell’album di uno dei miei gruppi preferiti, gli Aerosmith. Sorrisi e mi avvicinai nuovamente a Beth che, nel frattempo, si era tolta le scarpe e si era lasciata cadere sul letto.

Le presi le mani e la feci rimettere seduta. “Alzati” le ordinai “e lasciati mettere il pigiama”.

Lei obbedì, docile.

Ora ti tolgo i vestiti. Non picchiarmi, per favore” scherzai, facendola ridacchiare e ridendo a mia volta.

Sforzandomi di non indugiare troppo con lo sguardo sul suo corpo, le sfilai il top e le feci indossare la maglietta che usava per dormire. Poi la ripresi per le mani e la feci alzare in piedi, per poter farle scendere la gonna. Quando riuscii a toglierle tutti gli indumenti e rimase con solo la mia vecchia t-shirt, la feci sedere nuovamente sul letto e le spostai le gambe, in modo che si sdraiasse.

Ecco fatto” annunciai. “Pronta per la nanna”.

Beth si voltò su un fianco e mi guardò, i grandi occhi grigi spalancati. “E tu?” domandò. “Non vieni a letto?”

Inspirando profondamente per controllare il ritmo accelerato del mio cuore, le sorrisi e annuii. “Adesso arrivo. Vado solo un attimo in bagno a svestirmi”.

Il mio corpo mi diceva che non era il caso di spogliarmi davanti a lei, per quanto ubriaca potesse essere. Mi serviva un momento da solo.

Mi chiusi in bagno e, dopo essermi tolto la camicia e i pantaloni, restai in boxer e canotta. Appoggiai le mani al lavandino e aprii il rubinetto, facendo scorrere l’acqua. Misi le mani sotto al getto freddo, poi me le passai sulla faccia, restando ad osservare il mio riflesso allo specchio. A parte le occhiaie, dovute alla mancanza di sonno accumulata in quei giorni, potevo considerarmi soddisfatto di quello che vedevo. C’era stato un tempo – quando mi ero lasciato trascinare nel vortice dell’alcool da cui Beth mi aveva aiutato a uscire – in cui avevo odiato la mia immagine. Mi guardavo allo specchio e non riconoscevo quel ragazzo sovrappeso, con la barba incolta – non la sottile ombra che avevo in quel momento e che, a detta delle fan, mi rendeva ancora più sexy, ma ispidi fili disordinati che mi davano un’aspetto trasandato – e mi chiedevo come potessi piacere ancora a qualcuno. Eppure, anche in quel periodo, in cui avevo toccato decisamente il fondo, Beth non mi aveva abbandonato. Mi era rimasta vicina, mi aveva supportato e, soprattutto, non mi aveva mai fatto sentire sbagliato o in colpa. Aveva creduto in me, dimostrandomi una fede che non aveva mai vacillato.

Avrei dovuto capire già allora che quello che ci legava non poteva essere solo amicizia. Ma non l’avevo fatto. Mi ero nascosto dietro all’etichetta di migliore amico, forse perché avevo troppa paura di quel sentimento, che all’epoca faticavo ancora a comprendere.

Adesso, però, ero pronto. Non avevo più paura. Ero maturato e avevo conquistato consapevolezza del mio valore. Finalmente, anch’io avevo fiducia in me stesso, e ne ero così convinto da essermi fatto tatuare quelle cinque lettere sulla schiena, lungo la spina dorsale. Non le vedevo, ma sapevo che erano lì, a coprirmi le spalle. E non mi avrebbero mai abbandonato.

Esattamente come Beth.

Con un ultimo sospiro, mi asciugai il viso con un asciugamano e tornai in camera, dove trovai Beth rannicchiata su un fianco, su un lato del letto, apparentemente addormentata.

Facendo attenzione a non svegliarla, mi stesi accanto a lei e le diedi un bacio sui capelli prima di voltarmi dall’altro lato, dandole le spalle.

Avevo appena chiuso gli occhi, sperando di riuscire a dormire e cercando di non pensare al fatto che mi trovavo nello stesso letto con la donna che avevo appena scoperto di amare, quando mi sentii sfiorare un fianco e, un istante dopo, le braccia di Beth mi stavano cingendo la vita. Restai immobile, trattenendo il respiro, spaventato da qualsiasi reazione spontanea il mio corpo avrebbe potuto avere, mentre sentivo il respiro di Beth sulla mia schiena, la fronte appoggiata nell’incavo tra le mie scapole.

Devo confessarti una cosa”.

La sua voce mi arrivò in un sussurro, chiaramente udibile nel silenzio della stanza.

Dimmi” bisbigliai di rimando, spronandola a parlare.

Sei la persona migliore che conosca e sono così orgogliosa di te”.

Sentii un sorriso allargarmisi sul viso e fui pervaso da una sensazione di calore e benessere che poco aveva a che fare con le mani di Beth strette attorno alla mia vita e molto di più con l’effetto che le sue parole avevano sul mio spirito. Se mai avessi avuto ancora dei dubbi su me stesso, quella semplice frase li aveva dissipati senza condizioni.

E tu sei speciale” risposi. “Sei così speciale e nemmeno te ne rendi conto”.

E, se una persona speciale come Beth era così orgogliosa di me, qualcosa di buono dovevo pur farlo, giusto?

Non ottenni risposta e, aguzzando le orecchie, mi accorsi che il respiro di Beth si era fatto regolare, segno che si era probabilmente addormentata. Appoggiai le mani sopra alle sue, che erano adagiate sul mio stomaco, e feci in modo che le nostre dita si intrecciassero. Poi chiusi gli occhi, concentrandomi sul suo respiro regolare sulla mia schiena e, inaspettatamente, mi addormentai quasi subito, cadendo in un rilassante sonno senza sogni.

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Capitolo 6
*** Day 3: It’s always been you ***


Quando aprii gli occhi, il mattino successivo, mi accorsi subito che c’era qualcosa di strano ma, sulle prime, non capii di cosa si trattasse. Poi realizzai che la mia mano era posata sul fianco sinistro di Nate, le dita strette attorno alla stoffa della sua canottiera, e il mio cuore fece una capriola.

Ovviamente non era la prima volta che io e Nate dormivamo insieme e, in passato, era già successo di addormentarmi abbracciata a lui, specialmente nel periodo successivo alla rottura con Alex, quando passavo buona parte del tempo a piangere, disperata, e Nate mi consolava. Ma, a quel tempo, non ero innamorata di lui. O, almeno, non sapevo ancora di esserlo. Adesso, invece, la sola idea di aver passato la notte al suo fianco, con le mie mani che toccavano quel corpo che mai mi era sembrato così attraente, mi faceva ribollire il sangue nelle vene.

Non riuscii a resistere, lasciai la presa e ritrassi bruscamente la mano, mettendomi a sedere.

Nate si voltò, mettendosi supino e, stropicciandosi gli occhi con i pugni, mi salutò “Buongiorno, pulce. Dormito bene?”.

“B-buongiorno” balbettai, cercando di riprendere possesso delle mie facoltà mentali e distogliendo lo sguardo, che si era immediatamente posato sul lembo di pelle scoperta dove la canotta sollevata lasciava intravedere le ossa del bacino che, più in basso, venivano poi nascoste dai boxer.

“Ho dormito bene, grazie. E tu?”

“Non c’è male” rispose, sollevandosi sui gomiti fino ad appoggiare la schiena alla testata del letto.

“Cos’è successo ieri sera?” gli domandai, sperando che la voce non lasciasse trapelare la preoccupazione.

“Dove ti sei persa?” ribatté lui, ridacchiando.

Trattenendo a stento un sorriso, replicai “Non mi sono proprio persa. Voglio dire, ricordo che mi hai portata in camera e che mi hai messa a letto, ma non so cos’è successo dopo”.

Nate alzò le spalle. “Niente di che. Ci siamo messi a dormire. E, prima di addormentarti, mi hai detto delle cose carine”.

Spalancai gli occhi, sentendo il panico impossessarsi di me. Cosa diavolo gli avevo detto? “Cose carine? Del tipo?”

“Non te lo dirò mai” rispose, scuotendo la testa.

“Dai” lo pregai, afferrandogli un braccio con entrambe le mani e rivolgendogli lo sguardo da cerbiatto accecato dai fari dell’auto con cui, di solito, riuscivo a corromperlo.

Lui, però, fece nuovamente no con la testa e incrociò le braccia. “Neanche per sogno”.

“Non vale!” piagnucolai “Ero ubriaca, non me lo ricordo”.

“Peggio per te” sentenziò, sforzandosi di non ridere.

“Sei cattivo” lo rimproverai, mettendo il broncio.

Nate sollevò un sopracciglio e mi rivolse uno sguardo scettico. “Ieri sera non la pensavi così”.

Sbuffai. “Ero ubriaca, te l’ho detto. Probabilmente neanche pensavo le cose carine che ho detto. Non ti montare la testa”.

“Invece è proprio perché eri ubriaca che ci credo” replicò lui, sorridendo e toccandomi il naso con la punta di un dito. “I bambini e gli ubriachi sono la bocca della verità”.

“Non erano i bambini e pazzi?” obiettai, tentando di ricordare il proverbio.

“Pazzi, ubriachi...è lo stesso” minimizzò Nate, facendo un gesto evasivo con la mano.

“No che non è lo stesso” ribattei, decisa a non mollare.

Quel battibecco, come tanti avvenuti prima e altrettanti a seguire, sarebbe potuto durare molto più a lungo e, come lo sapevo io, lo sapeva anche Nate. Per questo decise di tagliare corto e mi disse “Smetti di tergiversare e preparati. Ci aspetta una giornata a Firenze”.

Sentii l’eccitazione crescere dentro di me, vuoi per l’idea di poter finalmente visitare la città dei miei sogni, vuoi per il fatto di passare l’intera giornata con Nate, da soli. Senza riflettere, mi alzai di scatto dal letto, con l’intento di andare a prepararmi. Poi ci ripensai, tornai indietro, mi avvicinai a Nate e gli buttai le braccia al collo sentenziando “Oddio, non vedo l’ora”.

Sarebbe stata una giornata fantastica, ne ero certa.

 

Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. La osservavo, mentre si guardava in giro con gli occhi luccicanti di un bambino in un negozio di giocattoli, ammirando le bellezze artistiche di Firenze, che facevano capolino a ogni angolo, e mi ripetevo che, per me, non c’era cosa più bella di lei. Nulla, nemmeno l’affresco più bello o la statua più realistica, poteva eguagliare quel sorriso estasiato che non aveva abbandonato il suo viso da quando avevamo messo piede in città. Non mi stancavo mai di vederla sorridere e desideravo poter essere, allo stesso tempo, l’unico destinatario di quei sorrisi, ma anche colui che li faceva comparire. Non mi ero mai sentito così. Era spaventoso ed eccitante insieme. Bramavo di poterla sfiorare, sentire la sua pelle a contatto con la mia, anche solo per un istante. Per questo trasalii quando mi sentii afferrare la mano e, d’istinto, intrecciai le mie dita alle sue.

Sei felice?” le domandai, sorridendole.

Beth annuì. “Molto. Firenze è splendida come immaginavo. Anzi, anche meglio. E sono contenta di poterla visitare con te”.

Non sono un grande esperto d’arte, mi dispiace” mi scusai, sentendomi improvvisamente inadeguato.

Lei scosse la testa e mi strinse più forte la mano. Poi dichiarò, sicura “Non c’è nessun’altra persona al mondo con cui vorrei essere qui, ora”.

Mentre ancora cercavo di contenere l’emozione che quelle parole mi avevano suscitato, mi accorsi che eravamo arrivati su Ponte Vecchio. Senza smettere di tenermi per mano, Beth si avvicinò alla vetrina di una delle numerose gioiellerie che costeggiavano entrambi i lati del ponte e iniziò a curiosare tra gli oggetti esposti.

Colpito da un’urgenza improvvisa, annunciai “Voglio farti un regalo”.

Beth si voltò a guardarmi, sorpresa, e chiese “Perché?”

Alzai le spalle. “Voglio che tu abbia un ricordo di questa giornata”.

Non mi serve un regalo per ricordarmene” mi assicurò. “Non la dimenticherò tanto facilmente, stai tranquillo”.

Lo so, ma ci tengo lo stesso a farti un regalo. Scegli qualcosa che ti piace” insistetti.

Beth, che mi conosceva bene e sapeva che, quando mi mettevo in testa qualcosa, era inutile tentare di opporsi, sospirò, rassegnata, e tornò a guardare la vetrina.

Avvicinai il viso al suo e mi misi a curiosare, a mia volta. Dopo un istante, lei si voltò di scatto per dirmi qualcosa e i nostri visi si ritrovarono all’improvviso vicinissimi, le labbra quasi a contatto. Percepii il soffio del suo fiato sulla mia pelle e d’istinto chiusi gli occhi, deglutendo e conficcandomi nel palmo le unghie della mano che non era stretta nella sua, in modo che il dolore mi distraesse dall’urgenza di baciarla che sentivo crescere sempre più forte dentro di me.

E se ci comprassimo qualcosa di uguale?” propose.

I-in che senso?” farfugliai, ancora preso della confusione causata dalla sua vicinanza.

Non lo so, qualcosa che ricordi a entrambi che siamo stati qui, insieme” spiegò. Poi, guardando nuovamente la vetrina, posò l’indice della mano destra sul vetro e indicò un oggetto. “Tipo quello. Cosa ne dici?”

Seguii la direzione indicata dal dito di Beth e individuai un bracciale rigido, di un materiale che poteva essere argento o oro bianco, non riuscivo a distinguere. Accanto era posizionato un piccolo cartello che spiegava – fortunatamente sia in italiano che in inglese – che era possibile far incidere le coordinate del proprio luogo del cuore.

Sorrisi. Era decisamente il tipo di cosa che poteva piacerle perché non si trattava di un semplice gioiello, ma aveva un significato più profondo.

Vuoi fare incidere le coordinate di Firenze?” le domandai, voltandomi a guardarla.

Beth scosse la testa. “In realtà, pensavo più alla mia casa di Leadville” confessò. “Non è quello il nostro posto del cuore?”

Annuii, sorridendo. “Sì, hai ragione. È decisamente quello” concordai.

Quindi? Ti piace come idea?” mi chiese, speranzosa.

Feci di nuovo sì con la testa ed esclamai “Compriamolo”. Poi la trascinai all’interno del negozio, con nelle orecchie il suono della sua risata.

 

Quando tornammo sulla nave, Nate si affrettò ad andare nella sua cabina a cambiarsi per il concerto acustico che avevano in programma prima di cena. Mi salutò frettolosamente davanti alla porta, dandomi un bacio sulla guancia – che, nella fretta, si posò molto vicino alle mie labbra e mi fece tremare le gambe – e mi diede appuntamento nell’auditorium, dove si sarebbe tenuto il concerto.

Mentre mi dirigevo verso la porta della mia cabina, sfiorando il bracciale che avevamo comprato a Firenze, incrociai Dave che usciva dalla sua stanza, già pronto per il concerto. Gli sorrisi e lo salutai, facendo per passare oltre, ma lui mi trattenne per un braccio, costringendomi a voltarmi e a rivolgergli uno sguardo stupito.

“Beth, posso parlarti un secondo?” mi domandò, serio.

Annuii, cercando di mantenere la calma. Io e Dave avevamo sempre avuto un ottimo rapporto. Fin da ragazzina, nonostante i sei anni di differenza, mi aveva sempre trattato alla pari, a differenza di Nate, che considerava un po’ il suo fratellino minore, di cui si sentiva responsabile e con cui, quindi, tendeva a ricoprire il ruolo di padre/fratello maggiore. Nonostante questo, avevo sempre temuto il suo giudizio e l’idea che potesse rimproverarmi per qualcosa mi terrorizzava.

‘Stupida’ mi dissi, tentando di tranquillizzarmi. ‘Non hai fatto niente di male’.

“Certo, Dave. Dimmi” risposi, con il cuore che batteva velocissimo.

“Possiamo andare da te?” chiese, dato che eravamo davanti alla porta della mia cabina.

Annuii, di nuovo, e mi affrettai ad aprire la porta e a farlo entrare.

“Accomodati” gli dissi, indicandogli una delle poltroncine ai piedi del letto.

Lui scosse la testa e declinò l’invito. “No, grazie. Non ho molto tempo”.

“Come vuoi” commentai, dopodiché restai a fissarlo, in attesa che mi dicesse qual era il motivo che l’aveva spinto a volermi parlare.

Senza perdersi in convenevoli, com’era nel suo stile, Dave andò dritto al punto e mi domandò “Cosa sta succedendo tra te e Nate?”

Il mio cuore mancò un battito, i palmi delle mani iniziarono a sudarmi e, quando parlai, uscì un suono flebile e roco perché la salivazione mi si era completamente azzerata. Dave sapeva. Non comprendevo come avesse fatto, ma aveva capito tutto. Ero in trappola. Non avevo scampo. Mentire non sarebbe servito a niente. Ma non ero pronta a condividere i miei sentimenti e le mie emozioni con lui, non quando ero ancora piuttosto confusa a riguardo. Così, tentai la via della dissimulazione.

“Tra me e Nate?” balbettai.

“Esatto” confermò lui, fissandomi con espressione concentrata.

“Scusa, non ti seguo” dissi, rivolgendogli quello che – speravo – fosse uno sguardo innocente.

Dave prese un respiro e spiegò, come se parlasse a una bambina un po’ lenta di comprendonio. “Vi comportate in modo strano. Non siete più i soliti Nate e Beth”.

“C-cosa intendi?” chiesi, iniziando a farmi prendere dal panico.

“Lui ti copre di attenzioni, molto più del solito. E sembra quasi che tu stia flirtando con lui” osservò.

“Io?” farfugliai, spalancando gli occhi.

Dave annuì. “Sì, tu”.

“Ma non è vero” mi affrettai a negare. “Mi comporto come al solito”.

“A me non sembra” insistette lui, scuotendo la testa.

Decisi di passare all’attacco, in un debole tentativo di metterlo in difficoltà. “Cosa te lo fa pensare?”

“Ti faccio un esempio. L’altra sera a cena. Ti ha fatto un sacco di complimenti per il vestito. A cose normali, tu gli avresti detto di smettere di fare il cretino o qualche altro commento piccato. Invece hai sorriso, hai evitato il suo sguardo e sei arrossita” ricordò. “Non è da te”.

Sospirai. Se n’era accorto. Non potevo sperare che i nostri impacciatissimi comportamenti a cena fossero passati inosservati allo sguardo attento di Dave.

“Non è nemmeno da lui farmi tutti quei complimenti” replicai, sperando si spostare l’attenzione su Nate.

“Infatti” sentenziò lui, laconico.

Aveva parlato in modo talmente ovvio che restai spiazzata e, per un attimo, non seppi cosa rispondere. Poi deglutii e mi rassegnai ad abbassare le difese. Non aveva senso resistere, mi avrebbe scoperta comunque.

“Io...non lo so, Dave” ammisi. “Ci siamo avvicinati molto, ultimamente”.

Dave sollevò un sopracciglio, scettico. “Più vicini di quanto già eravate la vedo difficile” commentò. Poi, quando credevo che il discorso fosse chiuso e stavo iniziando a sorridere, rilassata, aggiunse “A meno che non andiate a letto insieme”.

Se prima la salivazione mi si era azzerata, adesso mi sembrò che la mia gola fosse diventata un deserto arido e sterile. Spalancai gli occhi ed esclamai “Ma cosa ti viene in mente?”

Dave sorrise, sornione, e disse, semplicemente “L’hai fatto di nuovo”.

“Cosa?” domandai, confusa.

“Sei diventata rossa”.

Mi portai istintivamente le mani sulle guance. “Davvero?”

Lui annuì. “Uh-uh”

“Non l’ho fatto apposta” mi giustificai.

“Lo immagino” mi rassicurò. “Forse hai pensato come poteva essere andare a letto con Nate”.

“Dave!” lo rimproverai, scioccata. Non mi sarei mai aspettata un commento del genere da parte sua. E, soprattutto, non avrei mai confessato che la sua supposizione era vera.

“L’hai fatto davvero?” mi chiese, stupito

Incrociai le braccia e distolsi lo sguardo, dichiarando “Mi rifiuto di rispondere”.

Dave si lasciò sfuggire una risatina e commentò “Non credevo fosse il tuo tipo, Beth. Cioè, vedendo Alex...lui e Nate non c’entrano nulla uno con l’altro, sono come il giorno e la notte”.

Al solo pronunciare il nome di Alex, sentii lo stomaco che si contorceva ma, per la prima volta, non venni colta dalla nostalgia e dai rimpianti per ciò che non era stato, bensì da un leggero panico, ricordando la spiacevole situazione in cui mi ero venuta a trovare con lui alcuni giorni prima.

“Preferirei non parlare di Alex, se non ti dispiace” lo pregai.

“Okay, scusa. Torniamo a Nate” acconsentì, riportando la conversazione sull’argomento originale.

Presi un respiro profondo e cercai di essere il più onesta possibile, senza, però, rivelare troppo.

“Hai ragione, non è il mio tipo. Cioè, capisco cosa ci trovino le fan, non sono cieca. È oggettivamente un bel ragazzo, ma non l’ho mai guardato in quell’ottica”.

“E adesso sì, invece?” si informò Dave, incuriosito.

“No!” esclamai, subito. Poi, dopo un brevissimo istante di riflessione, ritrattai “Cioè...forse un pochino. Non lo so…” conclusi, lasciandomi cadere seduta sul letto e nascondendomi il viso tra le mani.

Dave si avvicinò e si sedette accanto a me. Mi posò una mano sulla spalla e, in tono basso e dolce, mi sussurrò “Cosa succede, Beth? Lo sai che con me puoi parlare”.

Gli rivolsi uno sguardo riconoscente e un mezzo sorriso. Era Dave, lo conoscevo da quindici anni e sapevo che potevo fidarmi di lui. Nonostante l’aria estremamente seria e composta, era dolce e comprensivo e mi voleva bene. In più, era la persona più riservata che conoscessi ed ero certa che qualsiasi cosa gli avessi confidato non sarebbe uscita dalle quattro mura della mia cabina.

“Lo so. Ma non capisco bene nemmeno io cosa stia succedendo. Un minuto prima è il mio amico Nate, con cui ho condiviso tutta la vita, che sa tutto di me e, probabilmente, mi ha anche vista nuda in più occasioni”.

“Ti ha vista nuda?” mi interruppe Dave, strabuzzando gli occhi.

Alzai gli occhi al cielo e spiegai “Da piccoli. Ci piaceva giocare a tentare di toglierci il costume a vicenda, in piscina”.

“Co…”

“Non chiedere!” lo bloccai, alzandogli una mano davanti al viso.

Dave sospirò e scosse la testa. “Okay. Non voglio sapere. Vai avanti” mi spronò facendomi cenno di continuare a parlare.

“Un minuto dopo, mi ritrovo a fissargli le labbra mentre canta e a trovare terribilmente intrigante quando fa quel sorrisino, soltanto sollevando leggermente un angolo della bocca” proseguii. “E, sì, ho sognato di andare a letto con lui, l’altra notte” confessai, arrossendo.

“E com’è stato?” mi domandò, con un sorrisetto malizioso.

Mi strinsi nelle spalle. “E che ne so? Era un sogno, mica l’ho fatto veramente” gli ricordai, lanciandogli un’occhiata infastidita.

“Com’era nel sogno?” insistette.

Sentendomi le guance in fiamme, fui costretta ad ammettere “Bello…”.

“Cosa c’è di male? Probabilmente ti stai innamorando di lui” osservò, pratico.

“Cosa c’è di male, mi chiedi?” sbottai, puntandogli gli occhi addosso. “C’è che è Nate. Il mio amico Nate. Non posso essermi innamorata di lui. Non è neanche il mio tipo, l’hai detto anche tu”.

“Evidentemente, quello che ti piace di lui, non è strettamente legato all’aspetto fisico” mi fece notare, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Certo che no. Ho sempre apprezzato la sua personalità, non il fatto che somigliasse a Nick Carter” sentenziai, quasi offesa che avesse potuto anche soltanto pensarlo.

Sentendo il mio riferimento alla somiglianza di Nate con il biondino dei Backstreet Boys, Dave si affrettò ad ammonirmi “Non dirglielo, se la prende a morte”.

Sorrisi. “Lo so. Ma è vero”.

Dave si lasciò sfuggire una risatina. “Sì, è vero” concordò. “Ma non dirglielo”.

Attesi un istante che la risata che ci aveva colti si spegnesse, poi ripresi il discorso. “Comunque, non posso essere innamorata di lui. Sarebbe un gran casino”.

Dave alzò le spalle. “Come ti pare. Ma a me sembra l’unica spiegazione per il vostro cambiamento”.

“Vostro? Non si stava parlando di me?” domandai, sollevando un sopracciglio.

Il mio amico scosse la testa. “Anche lui si comporta in modo strano, con te. Complimenti a parte, è sparito per un giorno intero, lasciandoci a gestire tutto il lavoro, solo perché voleva visitare Firenze con te, e non l’aveva mai fatto prima. Senza contare le occhiate di fuoco che lancia ad Alex ogni volta che lo becca a fissarti. E, credimi, non possono avere a che fare solo con il fatto che ti ha ferito. Quella è gelosia. Ha paura che tu sia ancora innamorata di lui”.

“Ma non lo sono” mi affrettai a obiettare.

“Lo devi dire a lui, non a me” sentenziò Dave, con un’alzata di spalle.

Sospirai. “L’ho già fatto. Lo sa”.

“E sa anche che ami lui?” mi chiese, rivolgendomi uno sguardo colmo di tenerezza.

Non risposi, mi limitai a fare no con la testa.

“Non ti sembra il caso di dirglielo?” azzardò Dave, guardandomi intensamente negli occhi.

“Non lo so. E se ti sbagli e non è interessato?” replicai, incerta.

Questa volta fu Dave a scuotere la testa. “Non mi sbaglio” obiettò. “Ma, se fosse, almeno glielo avrai detto”.

Mi alzai di scatto dal letto, iniziando a misurare il piccolo spazio della cabina con lunghi passi, per sfogare la mia frustrazione in qualche modo. “Certo, così lo mando completamente in crisi. Non gli basta già la situazione con Ben, adesso anche la sua migliore amica si è innamorata di lui. Penserà che c’è una congiura contro di lui” osservai, sentendo il panico ricominciare a salire.

“Non credo proprio” ribatté Dave, cercando di tranquillizzarmi. “E, comunque, vorrei farti notare che hai appena ammesso di essere innamorata di Nate” aggiunse poi, con un sorrisino divertito.

Mi bloccai di colpo in mezzo alla stanza e fissai gli occhi nei suoi. “Non è vero” mi affrettai a negare. “Stavo parlando per ipotesi”.

Dave alzò gli occhi al cielo e si lasciò sfuggire un sospiro rassegnato. Poi decise di darmi corda, senza, però, rinunciare a sottolineare il suo punto di vista. “Beh, sempre per ipotesi, io proverei a parlarci. Magari viene fuori che anche lui prova lo stesso per te e, sempre ipoteticamente, potreste essere felici, insieme”.

Con il cuore che mi batteva forte all’idea di poter davvero stare con Nate, non solo come amica, diedi voce a uno dei timori che mi attanagliavano le viscere da quando avevo realizzato di essere innamorata di colui che avevo sempre considerato il mio migliore amico e domandai “Dici che lo saremmo?”

Dave si alzò lentamente dal letto e mi si avvicinò. Mi posò le mani sulle spalle e, fissandomi negli occhi con uno sguardo carico di significati nascosti, rispose “Beth, aspetto il giorno in cui vi metterete insieme dalla prima volta che vi ho conosciuti, quindici anni fa. È destino che vada così, lo credevo allora e lo credo ancora adesso. Siete fatti l’uno per l’altra, mi chiedevo quanto ci avreste messo ad accorgervene”.

Poi, senza nemmeno darmi il tempo di ribattere, mi fece una leggera carezza sulla guancia e uscì dalla mia stanza, salutandomi con un “Ci vediamo al concerto” e lasciandomi lì impalata a domandarmi se, per caso, non potesse avere ragione e come diavolo fosse possibile che tutti se ne fossero accorti da tempo tranne io e Nate.

 

Il concerto era quasi terminato e io l’avevo seguito da un angolino nelle prime file, a lato del palco. I ragazzi erano stati bravissimi, specialmente in alcuni brani che, riarrangiati in versione acustica, diventavano assolutamente eccezionali. Sapevo che, alla fine, avrebbero chiesto a qualcuno del pubblico di scegliere una canzone che non faceva parte del loro repertorio, da cantare in stile cover. Ovviamente era stato divulgato un elenco di titoli, in modo che potessero prepararsi, ed ero proprio curiosa di sentire su quale brano sarebbe ricaduta la scelta della fortunata fan.

Improvvisamente, vidi Nate alzarsi in piedi e avvicinarsi al pubblico. Sorrisi. Dovevo immaginare che avrebbero mandato lui, dato che era il più amato dalle fan. Mentre scendeva dal palco intercettò il mio sguardo e mi sorrise. Mi sforzai di ricambiare, sebbene il fatto che mi avesse rivolto quel sorrisetto ammiccante, con solo un angolo della bocca sollevato, aveva fatto aumentare notevolmente il ritmo del mio cuore.

Tutta presa a cercare di controllare le mie reazioni al gesto di colui che, fino a pochi giorni prima, credevo di considerare solo il mio migliore amico mentre, adesso, sognavo di portarmi a letto, quasi nemmeno di accorsi che, invece di addentrarsi tra il pubblico, Nate aveva fatto una serie di passi verso di me, avvicinandosi. Quando me lo ritrovai davanti, quindi, fui colta di sorpresa e bisbigliai “Cosa ci fai qui?”

Lui mi ignorò e, impugnando il microfono che teneva in mano, annunciò “Ma guarda chi abbiamo qui. Credo che stasera potremmo far scegliere la canzone di cui fare la cover a questa bella signorina”.

Nonostante sentissi gli sguardi di tutti i presenti su di me, non riuscii a fare a meno di ridere e, quando Nate mi piazzò il microfono davanti al viso, commentai “Scelta assolutamente spontanea e per niente calcolata, Nate, vero?”

Lui scoppiò a ridere, seguito dalla maggior parte delle fan storiche dei New Horizons, che mi avevano riconosciuta subito.

“Sì, beh, volevo evitare di fare una figuraccia e mi fido abbastanza dei tuoi gusti musicali” ammise. Poi mi passò un braccio intorno alle spalle e spiegò “Per quelle quattro e cinque persone che non lo sapessero, la biondina qui presente è la mia amica Beth. L’unica persona al mondo che conosce tutto di me e per cui non ho segreti. Oserei dire la donna più importante della mia vita”.

Distolse lo sguardo dal pubblico, che nel frattempo aveva iniziato ad applaudire, e si voltò verso di me, gli occhi fissi nei miei. Gli sorrisi, costringendomi a ignorare quanto sentirgli dire che ero la donna più importante della sua vita mi avesse fatto piacere. Strinsi la mano intorno alla sua, con cui stava tenendo il microfono, avvicinandomelo alle labbra, e sentenziai “Se qualcuna volesse essere messa a conoscenza dei segreti più scabrosi di Nate Brown, non esiti a contattarmi. Sono a disposizione”.

Si sentì un boato di urla e risate e anche i ragazzi sul palco scoppiarono a ridere. Nate posò la sua mano sulla mia e, con un guizzo divertito negli occhi, riavvicinò il microfono alla sua bocca, minacciandomi “Non ci provare. Se no io spiffero tutti i tuoi”.

Gli lanciai un’occhiataccia, poi mi alzai in punta di piedi, per contrastare la differenza di altezza, e avvicinai le labbra al microfono, che ancora teneva davanti alla bocca. “L’unica differenza è che dei miei segreti non importa un fico secco a nessuno, mentre immagino che tutta la nave sia molto interessata ai tuoi” sentenziai.

Ignorando qualche commento urlato che mi spronava a vuotare il sacco, io e Nate restammo a guardarci negli occhi, i visi vicinissimi e i respiri che si fondevano uno con l’altro. Ogni mio singolo nervo era teso e all’erta, pronto a reagire a qualsiasi minimo movimento di Nate. Non sapevo cosa aspettarmi, ma di sicuro non avrebbe fatto gesti avventati. Non era così pazzo. E, soprattutto, non poteva essere così sicuro di come avrei risposto io. Con la coda dell’occhio, lo notai staccare una mano dal microfono e avvicinarla al mio viso. Trattenni il respiro, pregando e allo stesso tempo temendo di sentirla posarsi sulla mia guancia. Invece, percepii un peso sulla spalla e capii che era lì che la mano di Nate era andata a fermarsi.

“Inizia confessando a tutti qual è la tua canzone preferita” suggerì, in un tono roco che non solo io, ma di sicuro tutte le sue fan, trovammo molto sensuale.

Presi un respiro profondo e azzardai un sorriso. Sapevo che sapeva esattamente cos’avrei risposto. Mi conosceva troppo bene. E, per la prima volta, mi ritrovai a pensare che, purtroppo, quel nostro leggerci nel pensiero era assolutamente inutile quando c’entravano i sentimenti. Quanto avrei pagato per sapere cosa gli stava passando per la testa – e per il cuore – in quel preciso momento.

Crazy degli Aerosmith” risposi, senza il minimo tentennamento.

Lui mi sorrise, confermando la mia convinzione che sapesse perfettamente quale sarebbe stata la mia risposta. Poi mi stampò un bacio sulla guancia e mi sussurrò, all’orecchio “Grazie, pulce” prima di risalire velocemente sul palco, per prendere di nuovo il suo posto tra Ben e Dave e iniziare a cantare quella canzone che entrambi amavamo tanto.

 

Passai la serata molto distratto, anche se feci del mio meglio per essere carino e gentile con le fan. Quella sera era prevista una festa in maschera e io e i ragazzi avevamo deciso di travestirci dai componenti degli Abba. Dave e Alex impersonavano, rispettivamente Björn e Benny, mentre io e Ben dovemmo rassegnarci a essere Agnetha e Frida. Ad essere onesti, ci divertimmo come matti e, per la prima volta in ormai qualche anno, mi sembrò di aver ritrovato con il mio amico quella complicità e quell’affetto fraterno che caratterizzava il nostro rapporto prima che lui si innamorasse di me.

A un certo punto della serata, ci eravamo trovati soli, in un angolo del salone. Ben mi aveva guardato e, dopo essersi assicurato che nessuno potesse sentirci, mi aveva detto “Scusami, Nate”.

Avevo strabuzzato gli occhi, stupito da quell’offerta di scuse. “Per cosa?” avevo domandato.

Per essermi…”

No” l’avevo interrotto. “Non ho intenzione di sentirti chiedere nuovamente scusa per esserti innamorato di me. L’hai già fatto e ti ho già detto che non è colpa tua. È successo e basta. E odio non poterti ricambiare perché sei una delle persone migliori che conosca e chiunque dovrebbe considerarsi fortunato a essere amato da te”.

Ben mi aveva sorriso, prima di abbassare lo sguardo sulle sue scarpe, poi aveva replicato “Grazie, Nate. Non hai idea di quanto le tue parole mi facciano piacere. Ma non volevo scusarmi per essermi innamorato di te. Voglio chiederti scusa per averti tenuto lontano, in questi anni, solo perché non ero abbastanza forte da sopportare un rifiuto. Non potevo avere il tuo amore e ho rinunciato anche alla tua amicizia. Ma non voglio più farlo. Voglio tornare a essere tuo amico. Me lo permetti?”

Avevo annuito, felice come non mai di aver finalmente ritrovato colui che, oltre a Beth, avevo sempre considerato il mio migliore amico, specialmente adesso che mi ero accorto che, invece, Beth non era più solo quello, per me.

Il chiarimento inaspettato con Ben sollevò come un peso dalle mie spalle e mi permise di concentrarmi al cento per cento sul problema attuale, cioè i miei sentimenti per Beth.

Quando me l’ero ritrovata così vicina, durante la mia sceneggiata al concerto, avevo dovuto fare appello a tutta la mia forza di volontà e razionalità per non baciarla davanti a tutti, mandando al diavolo prudenza e riservatezza, con buona pace dei nostri addetti stampa. Non solo la desideravo come mai avrei creduto possibile, ma più di tutto volevo confessarle i miei sentimenti, ne sentivo il bisogno. Non avevo mai avuto segreti con lei e il fatto di tenerle nascosta questa cosa, per quanto spaventosa potesse essere, mi stava distruggendo.

Dovevo dirglielo e dovevo farlo il prima possibile.

Se, nella peggiore delle ipotesi, non avesse ricambiato i miei sentimenti, almeno mi sarei tolto quel peso dalla coscienza e avrei potuto occuparmi di leccarmi le ferite.

Non temevo di rovinare la nostra amicizia, non più. Quel breve scambio di battute e occhiate che avevamo avuto durante il concerto aveva dissipato ogni eventuale dubbio e mi aveva convinto, se fosse stato necessario, che nulla, nemmeno la più tremenda litigata, avrebbe mai potuto scalfire l’affetto che c’era tra noi. Io la amavo ma, se lei non mi amava a sua volta, le avrei promesso di restarle comunque vicino, come amico, anche perché l’idea di passare il resto della vita senza di lei era assolutamente inconcepibile. Se ce l’avevo fatta con Ben, potevo farcela anche con Beth, no?

All’improvviso, decisi che non potevo più resistere e che l’avrei fatto subito, quella sera, non appena terminata la serata in maschera. Non avevo un piano preciso, contavo semplicemente di portarla in un posto appartato e aprirle il mio cuore, sperando di non bloccarmi.

Una piacevole brezza frizzantina mi accarezzò il viso, facendomi alzare gli occhi al cielo. Osservando il maestoso manto nero della notte, puntellato di stelle luccicanti, sorrisi. Sapevo esattamente cosa dovevo fare.

 

Fui svegliata da un rumore alla porta, come un tonfo ripetuto. Aprii gli occhi, sfregandomeli con i palmi delle mani, nel tentativo di cacciare via i rimasugli di sonno, e mi rizzai a sedere sul letto, domandandomi che ore fossero. Non ne avevo idea ma, considerato che quando avevo lasciato la festa era già l’una passata, doveva essere piuttosto tardi.

Il rumore alla porta non accennava a smettere, quindi mi alzai in piedi e, accendendo la luce sul comodino, andai ad aprire.

Quando mi trovai davanti Nate, ancora vestito da Agnetha degli Abba, parrucca bionda compresa, strabuzzai gli occhi, stupita.

“Cosa ci fai qui?” gli chiesi, incrociando le braccia e appoggiandomi allo stipite della porta.

Lui mi sorrise, quel suo sorrisetto ammiccante che, anche mezza addormentata, aveva il potere di farmi contorcere le budella. Allungò una mano verso di me e annunciò “Ti porto in un posto”.

Gli rivolsi un’occhiata confusa. “Adesso?”

“Mi sono liberato solo ora” si giustificò, facendo spallucce.

“Perché sei vestito così?” chiesi, non riuscendo a trattenere un sorrisino divertito.

“C’è stata la festa in maschera e abbiamo fatto gli Abba, non ti ricordi? Hai bevuto, pulce?” ribatté Nate, lanciandomi un’occhiata incuriosita.

Scossi la testa. “No che non ho bevuto. O, meglio, ho bevuto ma non sono ubriaca. Mi ricordo della festa”.

“Meno male” commentò lui, ridacchiando.

“Proprio tu dovevi fare Agnetha, vero?” indagai, ironica.

“Ero l’unico biondo” spiegò, rivolgendomi di nuovo quel sorriso furbo.

“Comunque, pensavo ti fossi cambiato a un certo punto” obiettai.

“Nah, ormai sono piuttosto comodo così” confessò, con un gesto noncurante.

Risi, scuotendo la testa. Nate ne approfittò per afferrarmi un polso, spronandomi “Dai, vieni con me”.

“Ma dove?” domandai, curiosa.

“Lo vedrai” disse lui, criptico.

Sospirai, rassegnata. Temevo che per quella notte il sonno sarebbe stato solo un miraggio. “Okay. Fammi prendere una maglia” cedetti, avvicinandomi alla poltroncina su cui avevo abbandonato una felpa e approfittandone anche per infilarmi le scarpe da tennis.

Chiusi la porta e mi lasciai trascinare lungo il corridoio da Nate, che ancora teneva le dita strette sul mio polso. Il cuore mi batteva forte solo per il fatto di essere con lui, di sentire la sua pelle a contatto con la mia, e non mi curai minimamente del fatto che stavo aggirandomi per la nave in camicia da notte – o forse avrei fatto meglio a dire t-shirt oversize – e con capelli scarmigliati. L’unica cosa su cui riuscivo a concentrarmi erano le dita di Nate strette attorno al polso.

Cercai di sdrammatizzare e, notando che anche lui era conciato in maniera assurda, commentai “Non ti si può guardare, Nate. Davvero”.

Senza smettere di camminare, lui si voltò, lanciandomi un’occhiata divertita. “Grazie! Anche tu sei molto affascinante, stasera” ricambiò, ridacchiando.

Dopo un percorso che mi parve interminabile, Nate aprì una porta che dava sull’esterno e mi resi conto che ci trovavamo in un punto appartato del ponte superiore. Davanti a noi c’erano due lettini di quelli che, di solito, erano posizionati attorno alla piscina, con sopra due coperte accuratamente piegate.

“Cos’è tutto questo?” domandai, guardandomi intorno con aria incuriosita.

Nate non rispose alla mia domanda, si limitò a sorridermi e a svolgere una coperta, aprendola davanti al viso e annunciando “Da qui le stelle si vedono benissimo”.

“Okay” risposi. Poi mi avvicinai a lui e mi lasciai avvolgere la coperta intorno alle spalle.

Nate fece lo stesso e ci sdraiammo ognuno su un lettino, con lo sguardo rivolto al cielo.

Restammo in silenzio per un po’, ognuno perso nelle proprie riflessioni, poi mi voltai a guardare Nate, soffermandomi sulla camicia luccicante e la lunga parrucca bionda, e non riuscii a fare a meno di ridere. Era proprio ridicolo.

“Cosa c’è?” mi chiese, infastidito

Scossi la testa. “Nate, puoi almeno toglierti la parrucca, per favore? Non riesco a smettere di guardarti”.

“Come vuoi” acconsentì, ridendo a sua volta e liberando i suoi capelli biondi naturali dalla buffa parrucca. Poi mi lanciò un’occhiata impertinente e aggiunse “Comunque, mi fa piacere sapere che non riesci a togliermi gli occhi di dosso”.

Risi, tentando di ignorare il tuffo al cuore che avevo avuto al sentirgli pronunciare quelle parole. “Sì, ma non è una cosa positiva, in questo caso specifico” lo presi in giro.

Dopo il breve scambio di battute, tornammo a fissare il cielo, anche se io continuavo a pensare a come e se fosse il caso di provare a parlare a Nate, per confessargli quello che mi stava succedendo, come mi aveva suggerito Dave.

Mentre ero impegnata in queste riflessioni, una folata di vento mi fece rabbrividire, nonostante la felpa che indossavo e la coperta avvolta intorno alle spalle. Nate si accorse del mio scatto perché si voltò verso di me e allungò una mano, dicendo “Vieni qui a sederti davanti a me”.

“Perché?” domandai, iniziando a sentire il cuore che accelerava i battiti al solo pensiero di stargli così vicina.

“Ti scaldo”.

Non trovando nulla di sensato da obiettare – nulla, almeno, che fosse vagamente plausibile senza confessargli quello che provavo per lui – mi alzai, lentamente, e andai a sedermi sul lettino di Nate, portandomi dietro la coperta. Lui allargò leggermente le gambe, in modo che mi sistemassi in mezzo, e mi passò le braccia attorno alla vita, facendo aderire la mia schiena al suo petto. Ripetendomi di restare calma, che ci eravamo trovati in quella posizione mille altre volte, iniziai a inspirare ed espirare lentamente. Intanto, Nate posò il mento sulla mia spalla. Sentire il suo respiro sul collo, e le sue labbra che quasi sfioravano la pelle non coperta dalla felpa, fece aumentare ulteriormente il ritmo del mio cuore e mi ritrovai a imprecare silenziosamente contro di lui.

Perché doveva rendere tutto più difficile, senza nemmeno accorgersene?

Incapace di mettere insieme una frase di senso compiuto e troppo concentrata a controllare le reazioni del mio corpo, restai in silenzio, guardando il cielo, in attesa di vedere una stella cadente. Nate fece lo stesso e, per un tempo imprecisato, nessuno dei due parlò. Poi, non riuscendo più a sopportare quel silenzio carico di tensione, decisi di rompere la quiete, domandandogli “Se la vediamo, cosa chiedi?”

Lo sentii scuotere impercettibilmente la testa. “Non saprei. Tu?”

Sospirai. “Non lo so nemmeno io. In questo momento, sono felice e non riesco a pensare a nient’altro che vorrei” mentii. In realtà, una cosa c’era, ma non potevo dirgliela. Avrei voluto, ma non riuscivo a trovare il coraggio.

Nate non replicò subito. Lo sentii sospirare, poi mi chiese, semplicemente “Nemmeno questo?”

Sentii la sua mano sul mio viso, mi prese il mento tra il pollice e l’indice, facendomi voltare verso di lui, e posò le sue labbra sulle mie.

Sulle prime, non riuscii a reagire, preda di un turbinio di emozioni contrastanti. Sorpresa, prima di tutto, per quel gesto così inaspettato. Imbarazzo all’idea di ciò che stavo facendo con il mio migliore amico, ma anche sollievo perché Nate aveva trovato il coraggio di fare ciò che io non mi sarei mai sognata di mettere in pratica, sebbene lo desiderassi moltissimo. Incredulità per la svolta inaspettata che aveva preso la situazione, ma soprattutto felicità nel vedere realizzato quello che era diventato il mio più grande desiderio. E, ovviamente, un pizzico di paura per ciò che quel gesto avrebbe comportato, per la discussione che ne sarebbe inevitabilmente seguita e per le implicazioni che tutto ciò avrebbe avuto sul nostro rapporto.

Avrei voluto ricambiare quel bacio, l’avrei voluto con tutta me stessa. Ma, prima, dovevo sapere. Avevo bisogno di una spiegazione. Nate non era un ragazzo qualunque, che potevo decidere di baciare per divertimento. Era l’uomo più importante della mia vita, colui a cui volevo più bene in assoluto al mondo e di cui, ormai ne ero certa, ero profondamente innamorata. E, nonostante tutto, restava sempre il mio migliore amico. Baciarlo significava imbarcarmi in qualcosa di serio e importante e, prima di farlo, dovevo sapere.

Gli posai una mano sul petto e mi allontanai, voltandomi lateralmente per poterlo guardare negli occhi, nei quali lessi una velata incertezza.

“Nate, cosa fai?” gli chiesi, in un tono che speravo fosse il più neutro possibile. Non volevo che la mia domanda suonasse come un rimprovero, ma nemmeno che lasciasse intendere quanto, in realtà, desiderassi sentirmi dire che anche lui aveva iniziato a provare qualcosa per me.

“Ti bacio” rispose lui, constatando l’ovvio.

“Lo vedo. Ma perché?” insistetti.

Nate alzò leggermente le spalle. “Volevo farlo da giorni” confessò. “Ti basta come risposta?”

“Sì e no” concessi.

“Cosa intendi?”

“La tua risposta spiega l’azione ma non la motivazione” osservai, decisa a restare concentrata sul punto focale del discorso, senza accontentarmi di mezze spiegazioni.

Lui sospirò. “Non lo so, Beth” ammise. “Io...ho la sensazione di essermi innamorato di te”.

Facendo di tutto per ignorare il groppo in gola che mi si era formato al sentire uscire quelle parole dalla sua bocca, domandai, ancora “E te ne sei accorto adesso?”

Nate scosse la testa, deciso. “No. Forse lo sono sempre stato e, inconsciamente, l’ho sempre saputo. Non so spiegartelo. So solo che, da quando siamo qui, è scattato qualcosa e non riesco a pensare ad altro che a stare con te”.

“Ma stai con me” obiettai, chiedendomi se fosse possibile che il cuore mi saltasse fuori dal petto, considerato quanto stava battendo forte.

“Non come amico, Beth. Voglio stare con te come una coppia” specificò.

Ciò che avevo sognato per giorni si stava finalmente avverando ma, incomprensibilmente, invece di buttargli le braccia al collo e confessargli che anch’io lo amavo, probabilmente da sempre, mi ritrovai a chiedergli “Sei sicuro, Nate? Lo sai che, se non funziona, mandiamo a puttane l’amicizia di una vita?”

Subito, Nate spalancò gli occhi, stupito dalla mia domanda. Poi la sua espressione si addolcì, mi posò una mano sul braccio e replicò “Perché non deve funzionare? Siamo tu e io. Siamo inseparabili da sempre. Conosciamo tutti i pregi e i difetti l’uno dell’altra. Siamo fatti per stare insieme. Non riesco a pensare a nessun’altra con cui voglio passare il resto della vita a parte te. Quando sono con te, mi sento completo, sereno e in pace con l’universo, come se niente potesse colpirmi. Non è lo stesso, per te?”

Annuii. “Sì. Sì che lo è”.

“E, allora, non vorresti stare con me, non solo come amica?” insistette, senza smettere di guardarmi negli occhi. Anche al buio, l’azzurro dei suoi luccicava come se fossero illuminati da una luce interiore.

“Io…” farfugliai, incapace di proseguire la frase a causa del groppo in gola che mi rendeva difficile perfino deglutire.

Nate sospirò e distolse lo sguardo. “Sii sincera. Se non provi lo stesso, non importa” sussurrò, interpretando quel mio tentennamento come un gesto dettato dall’imbarazzo di non sapere come dirgli che non ricambiavo. Non poteva essere più lontano dalla verità.

Presi un respiro profondo e mi feci coraggio. “Mi stai chiedendo se ti amo?”.

Nate annuì, riportando lo sguardo su di me.

Feci sì con la testa, a mia volta. “La risposta è sì”.

“Davvero?” domandò, spalancando gli occhi per la sorpresa.

Annuii, di nuovo, e confermai “Davvero”.

Lui sorrise e passandomi una mano dietro alla nuca, mi tirò a sé, commentando “E allora vieni qui e fatti baciare di nuovo, come si deve”.

 

Non sapevo da quanto ci stavamo baciando, il tempo aveva smesso di avere importanza nel momento esatto in cui Beth aveva ammesso di amarmi. Da quell’istante, era come se fossimo entrati in una realtà parallela, dove c’eravamo solo io e lei e dove le leggi del tempo e della fisica non rispettavano più i canoni a cui eravamo abituati. Era l’unica spiegazione possibile per giustificare il fatto che i nostri corpi, che ormai aderivano l’uno all’altro come se non ci fossero più confini stabili, tra di noi, non si fossero ancora fusi tra loro, diventando una cosa sola.

Quando sentii le labbra di Beth sul mio collo, appena al di sotto della mandibola, capii che dovevo prendere in mano la situazione, se non volevamo finire a fare l’amore, per la prima volta, sul ponte di una nave dove tecnicamente chiunque avrebbe potuto vederci.

Intercettai le sue mani, che erano passate sotto alla camicia glitterata che indossavo, disegnando linee e cerchi sulla mia schiena, e gliele bloccai, allontanandola da me dolcemente, ma con fermezza. Avvicinai le labbra al suo orecchio e sussurrai “Un attimo di pazienza, pulce. Andiamo da me”.

Lei annuì e si lasciò prendere per mano e guidare di nuovo all’interno della nave, attraverso corridoi che, all’andata, non mi erano sembrati così lunghi mentre, adesso, parevano interminabili, fino a che non raggiungemmo la porta della mia cabina. Feci scattare la serratura e la spinsi dentro, richiudendomi la porta alle spalle.

Per qualche attimo, rimanemmo immobili a osservarci, scrutando i lineamenti così famigliari ma che, da quel momento, vedevamo sotto una luce nuova, alimentata da quel sentimento che avevamo, finalmente, ammesso di provare l’uno per l’altra.

Nella mia vita, ero stato guardato da migliaia di occhi. Alcuni mi avevano giudicato, altri mi avevano intimidito, altri ancora mi avevano eccitato, facendomi capire, senza mezzi termini, cosa avrebbero voluto fare con me. Nessuno sguardo, però, mi aveva mai fatto sentire come mi stava facendo sentire Beth in quel momento. I suoi occhi mi scrutavano, mentre le mani si erano nuovamente posate su di me, aiutandomi a togliere quei buffi abiti che indossavo. Quando tutti i vestiti che si frapponevano tra le sue mani e la mia pelle furono eliminati, fece scorrere le dita sul mio corpo, accarezzandone ogni centimetro e lasciando sulla mia pelle segni infuocati, che accendevano ogni mio nervo, facendomi fremere e aggrapparmi a lei.

La aiutai a liberarsi della felpa e della maglietta che indossava per dormire, posandole poi le mani sui fianchi, mentre restavo immobile, inebriato dalle sensazioni che il suo tocco provocava sul mio corpo.

Beth continuò la sua dolce opera di tortura, senza mai smettere di scrutarmi, con quello sguardo che mi faceva sentire come se fossi l’uomo più affascinante e desiderato del mondo. Altre donne mi avevano guardato con desiderio, in passato, ma mai nessuna mi aveva osservato nel modo in cui lo stava facendo Beth. A differenza delle altre, che desideravano solo il mio corpo, Beth voleva la mia anima, ed era chiaro dal modo in cui i suoi occhi correvano sulla mia pelle, scrutandone ogni centimetro, quasi a volerselo imprimere in modo indelebile nella memoria.
Era uno sguardo che mi faceva sentire amato come mai ero stato, accompagnato da quei tocchi e quelle carezze, che sembravano tatuaggi con lo scopo di marchiare ogni fibra del mio essere, per renderla sua, indefinitamente e completamente.
Nonostante, con il passare dei minuti, il bisogno di unire i nostri corpi e diventare una cosa sola crescesse sempre di più, Beth non sembrava avere fretta e si prese il tempo necessario per far scorrere le dita su ogni muscolo. Non appena ci sdraiammo sul letto, uno nelle braccia dell’altra, alle dita seguirono le labbra, che ricalcarono le linee tracciate dalle mani, quasi a voler ribadire un concetto che non era stato espresso in maniera sufficientemente chiara.

Per quanto i miei sensi fossero completamente assuefatti da quello spettacolo pirotecnico di sensazioni, non restai inerte per molto. Fin da subito, iniziai a rispondere a quelle carezze, sfiorando ogni centimetro del corpo di Beth con la punta delle dita e accompagnando quei tocchi con lievi baci e innocenti morsi, nei punti che immaginavo essere più sensibili. Ogni volta che la sentivo fremere, sotto il tocco delle mie mani, la mia eccitazione cresceva e ritardare il momento in cui i nostri corpi si sarebbero fusi uno con l’altro diventava sempre più difficile.
Eppure, assaporammo ogni momento, mentre le nostre mani esploravano centimetri di pelle fino ad allora rimasti inaccessibili e solo immaginati e imparavamo a conoscerci in modo nuovo.

Mai, nemmeno per un istante, pensai che fosse strano o sbagliato, anzi, sembrava che l’ultimo tassello del puzzle che componeva la mia vita, quello più importante, fosse finalmente andato al suo posto, mentre osservavo, estasiato l’unico lato di Beth che ancora non conoscevo, stupendomi della sua intraprendenza, che non avevo mai sospettato, e di come potesse trasformarsi da perfetto maschiaccio all’essere più sensuale su cui avessi mai posato gli occhi, cosa su cui, a essere onesto, avevo sempre fantasticato.

Non ci fu bisogno di molte parole, tocchi, baci e carezze parlavano un linguaggio universale, dicendosi tutto ciò che era necessario sapere. Ogni tanto, quando un nervo particolarmente sensibile veniva percorso dalla scarica elettrica provocata dal continuo rincorrersi delle nostre mani, un gemito sfuggiva dalle labbra di uno dei due e i rispettivi nomi venivano sussurrati e ripetuti, scandendo le lettere più o meno lentamente a seconda del livello di eccitazione raggiunto.

Quando il fuoco del desiderio divampò in tutta la sua forza, facendoci assaporare quello che doveva per forza essere un assaggio di paradiso, nemmeno quelle poche semplici sillabe che componevano i nostri nomi riuscirono più a sfuggire dalle nostre labbra, incollate le une alle altre, quasi a voler risucchiare dall’altro l’aria di cui i polmoni avevano bisogno per funzionare.

Una volta ridiscesi dall’apice, restammo distesi, una tra le braccia dell’altro, attendendo che i nostri cuori tornassero a battere con un ritmo normale. Posai un bacio sui capelli di Beth e chiusi gli occhi, ancora incredulo di ciò che avevo appena vissuto e di cui mi sembrava di non avere ancora abbastanza.

Ripetendomi che avremmo avuto tutto il tempo del mondo, sospirai e appoggiai il mento sulla spalla di Beth, addormentandomi beatamente.
 

Quando riaprii gli occhi, dopo un tempo imprecisato passato a riposarmi dopo l’imprevista, ma graditissima, ginnastica in cui io e Nate ci eravamo cimentati, mi ritrovai girata su un fianco, un braccio posato sul corpo di Nate, che era steso sulla pancia, le braccia strette attorno al cuscino e il lenzuolo che lo copriva solo a metà, lasciandomi libera di ammirare la sua schiena nuda. I miei occhi si posarono sul suo corpo, assaporando i muscoli della schiena e delle spalle e riportando alla memoria le sensazioni provate quando le mie mani li avevano accarezzati, come mai avrei sperato di poter fare, per poi scorrere lungo la linea della spina dorsale, soffermandosi su quel tatuaggio che conoscevo così bene, perché l’avevo visto prendere forma sotto le mani esperte del tatuatore. Quelle cinque lettere in stampatello spiccavano, con il loro colore scuro, sulla pelle di Nate, resa leggermente dorata dal sole preso in quei giorni. Rispondendo a un impulso che non ero riuscita a soffocare, feci risalire la mano lungo la sua schiena, passando i polpastrelli su quelle lettere e tracciandone i contorni.

Il mio gesto svegliò Nate dal sonno e, quando i nostri sguardi si incrociarono, istintivamente ci sorridemmo.

Contro ogni previsione, non c’era imbarazzo, tra noi. Entrambi eravamo perfettamente consapevoli di ciò che era successo e delle implicazioni che comportava, e ne eravamo soddisfatti.

Forse avremmo dovuto parlare, ma non c’era poi molto da dire. Ci eravamo innamorati o, più probabilmente, lo eravamo sempre stati, nel profondo, solo che non riuscivamo ad ammetterlo. Quella crociera aveva sconvolto il nostro rapporto, cambiando le carte in tavola e costringendoci a scendere a patti con la realtà dei nostri sentimenti.

E l’avevamo fatto. Avevamo affrontato quel salto nel vuoto non solo senza farci male, ma uscendone addirittura vittoriosi. Perché se c’era una cosa di cui ero totalmente certa era che, ora che avevamo finalmente deciso di essere pronti a stare insieme come coppia, non ci saremmo più lasciati. Come aveva detto Nate, conoscevamo già tutti i pregi e i difetti l’una dell’altro e non c’era modo in cui quella relazione potesse andare male.

Eravamo fatti per stare insieme, dovevamo solo capire come farlo funzionare a livello pratico. Ma ci saremmo riusciti. Avevo fiducia che ce l’avremmo fatta e saremmo stati felici.

Faith.

Nate si voltò, stendendosi sulla schiena e attirandomi a sé. Senza dire nulla, mi posò un bacio sulla testa e io appoggiai il viso sul suo petto, ricominciando a fare scorrere le mani sulla sua pelle. Lui non disse nulla, ma sentii i suoi muscoli tendersi, sotto le mie dita. Divertita ed eccitata al tempo stesso dallo speciale potere che esercitavo su di lui, nemmeno mi accorsi che la mia mano si era soffermata sulla cicatrice che spiccava al centro del torace di Nate, ricordo di quell’operazione a cui era stato sottoposto da bambino.

Lentamente, lui sollevò la mano che non mi stava stringendo e la posò sulla mia, fermandomela su quel punto così delicato.

“Ti ricordi la prima volta che l’hai toccata?” chiese, in un sussurro.

Annuii. “Come potrei dimenticarmelo? È il giorno che siamo diventati amici” rammentai.

“Volevo metterti alla prova, sai?” confessò. “Credevo che non avresti avuto il coraggio nemmeno di guardarla, figurati toccarla”.

Mi lasciai sfuggire un sorrisetto compiaciuto. “Invece ti ho stupito”.

Anche Nate sorrise e concordò “Ho capito subito che eri speciale”.

Restammo un attimo in silenzio, ad ascoltare il battito dei nostri cuori, accordando i respiri e godendo del contatto delle nostre pelli. Poi Nate disse “Migliori amici, amanti, compagni. Tutto nella stessa persona. Quanti possono dire lo stesso?”.

“Dici che siamo fortunati?” domandai, incuriosita dal suo ragionamento.

Lui annuì. “Io mi sento molto fortunato ad averti trovata e a poterti considerare mia”.

“Pensa a quanto posso sentirmi fortunata io, a poter considerare mio uno degli uomini più desiderati d’America” scherzai.

Nate rise, alla mia battuta, e mi diede un buffetto sul braccio, rimproverandomi con uno “Scema”.

Risi anch’io, pensando a quanto mi piaceva prenderlo in giro per la su fama di sex symbol, ma anche permettendomi di ammettere, per la prima volta senza vergognarmene, che era decisamente meritata. Se solo le sue fan avessero saputo cos’erano in grado di fare quelle mani e quelle labbra….

Rabbrividii, ripensando alla notte appena passata e alle sensazioni che Nate mi aveva fatto provare. E non si era trattato solo di sesso, anche se, ovviamente, anche quello era stato magnifico. Era come mi aveva guardata, facendomi sentire, forse per la prima volta nella mia vita, come la donna più bella e desiderabile del pianeta, soltanto perché lui, l’essere più speciale che esistesse, aveva scelto me.

“Se le tue fan vedessero quello che che visto io stanotte” lo canzonai.

Lui abbassò il viso, incollando le labbra alle mie, in un vano tentativo di zittirmi.

“La vuoi piantare?” si lamentò.

Ridacchiai, sentenziando “Tanto non glielo permetterei mai. Dovranno passare sul mio cadavere”.

“Addirittura?” commentò Nate, ridendo. “Non ti credevo così possessiva”.

“Non potevo esserlo, dato che non eri mio,” osservai “ma sono sempre stata piuttosto gelosa di tutte quelle ragazze bellissime che ti ronzavano attorno”.

“Mai belle quanto te” ribatté lui, dandomi un bacio sulla punta del naso.

“Bugiardo” obiettai, alzando gli occhi al cielo. “Ma apprezzo il tentativo”.

“Non sto scherzando” insistette. “Per me sei davvero bellissima e non ti cambierei con nessun’altra donna al mondo. Potevo avere chiunque e ho scelto te. Vorrà pur dire qualcosa, no?”

Sorrisi e annuii, crogiolandomi nel pensiero che Nate mi considerasse così perfetta, anche se non lo ero.

“Okay, te lo concedo” cedetti.

“Senti, piuttosto” esordì Nate, dopo un istante. “Cosa facciamo con gli altri?”

Chiusi gli occhi, riflettendo. “Immagino che dovremo dirglielo” osservai. “Tanto secondo me lo sospettano già”.

“Dici?” mi domandò, stupito.

“Dave si è accorto che era cambiato qualcosa tra noi” annunciai. “Ieri mi ha fatto un discorsetto”.

“E bravo il vecchio Dave” commentò Nate, ridacchiando.

“E potrei aver accennato qualcosa a Ben” confessai.

“Cosa gli hai detto?” volle sapere.

“Che sono innamorata di te” risposi.

Nate restò un istante in silenzio, poi chiese “Davvero mi ami?”

Sorrisi e alzai il viso per poterlo guardare negli occhi. “Mi sembrava di essere stata abbastanza chiara, ieri sera”.

“Sì,” ammise lui “lo sei stata. Ma mi piace sentirtelo dire”.

“E tu mi ami?” domandai, a mia volta. Avevo usato un tono ironico, ma in realtà non volevo dare a vedere quanto la sua risposta mi mettesse ansia. La sera prima mi aveva detto di essersi innamorato di me, ma non l’avevo mai sentito dire ti amo. Forse era sciocco e infantile, ma desideravo sentirgli pronunciare quelle parole.

“Sì,” annunciò, accarezzandomi una guancia con un dito “ti amo. Immensamente”.

Mi sentii pervadere da una sensazione di calore che poco aveva a che fare con la temperatura della stanza e pensai che non avrei potuto essere più felice di così.

“Quindi, ricapitolando” disse Nate, iniziando a far scorrere le dita sul mio avambraccio, mentre mi teneva stretta a sé. “Dave lo sospetta, Ben lo sa. Manca solo Alex”.

Annuii.

“Come ti fa sentire l’idea che lo venga a sapere?” mi chiese, con una punta di apprensione che traspariva dalla voce.

Mi strinsi leggermente nelle spalle. “Non mi interessa” risposi, sincera. Ed era vero. Per la prima volta, non mi importava cosa ne pensasse Alex, non mi importava cosa ne pensasse nessuno. Amavo Nate e volevo stare con lui. Per sempre. Che il mondo se ne facesse una ragione.

“Dovremo anche dirlo alla stampa” considerò. “E alle fan”.

Sospirai. Quello era un lato della vita di Nate a cui ero in parte già abituata, ma che non avevo mai dovuto gestire in prima persona e con cui avrei dovuto incominciare a scendere a patti, per quanto fosse difficile e, per certi versi, perfino fastidioso per una persona relativamente riservata come me. Ma ce la potevo fare. Nate mi sarebbe stato vicino, mi avrebbe insegnato e tutto sarebbe andato per il meglio.

Nonostante i miei buoni propositi, mi sentii supplicarlo “Possiamo aspettare che sia finita la crociera?”

“Vuoi tenerlo nascosto fino ad allora?” mi domandò, incredulo.

“Non voglio tenerlo nascosto” precisai. “Voglio solo evitare di sbandierarlo ai quattro venti finché non saremo tornati a casa. Ho la sensazione che sarà più facile da gestire, in un posto che conosco e in cui mi trovo a mio agio”.

“Come vuoi,” acconsentì lui “ma non cambierà niente. Fidati. I riflettori saranno puntati su di te, qui sulla nave o a Castle Rock”.

Presi un respiro profondo e socchiusi gli occhi. “Grazie Nate” commentai, sarcastica. “Tu sì che sai come tranquillizzare e mettere a proprio agio la gente”.

“Scusami,” replicò lui, ridacchiando “ma è vero. Non ha senso tentare di indorarti la pillola. Sono famoso, lo sai, e, se decidi di stare con me, lo diventerai anche tu, di riflesso. Vorrei proteggerti, evitarti di essere esposta sotto i riflettori, ma purtroppo non posso farci nulla”.

Scossi la testa. “Non fa niente” lo rassicurai. “È un piccolo prezzo da pagare per poter stare con te”.

Nate mi diede un bacio sui capelli e mi concesse “Comunque aspetteremo di essere tornati a casa per renderlo pubblico, se è questo quello che vuoi”.

Facendo leva su un gomito, mi sollevai quanto bastava per riuscire a sfiorargli le labbra in un bacio e sussurrai “Grazie”. Poi mi misi a sedere e, liberandomi dal lenzuolo, mi alzai dal letto, dirigendomi verso il bagno.

Nate mi rivolse uno sguardo sorpreso e domandò “Dove stai andando?”

Con un’espressione maliziosa e un braccio appoggiato allo stipite della porta del bagno, inclinai la testa di lato, a indicare il luogo dov’ero diretta.

“A fare la doccia” risposi, in tono basso e roco.


Perché...?” incominciai a chiedere, ma ogni altra parola mi morì sulla lingua non appena lo sguardo mi cadde sul suo corpo nudo. Anche volendo, non avrei potuto distogliere gli occhi da quel corpo. Quella pelle che avevo sognato di poter toccare e che, la sera precedente, ero finalmente riuscito a marchiare con baci e carezze, lasciando la mia firma su ogni centimetro e beandomi della sensazione di potere che mi provocavano i brividi che percorrevano il suo corpo sotto il tocco delle mie mani. Ogni dettaglio era ancora impresso nella mia mente dalla sera prima, ma non potevo fare a meno di osservarla come se fosse quella la prima volta che la vedevo.

E ora, quel corpo, che tanto avevo desiderato, quella stessa pelle che avevo assaporato, era lì ad attendermi sulla porta del bagno e il mio corpo si mosse in maniera quasi automatica verso di lei. Percorsi i pochi passi che mi separavano da lei e le mie mani iniziarono subito a scorrere sulla pelle di Beth, accarezzandole le spalle, per poi scendere lungo il busto, fino ai fianchi, seguendo linee immaginarie, mentre brividi di piacere la facevano tremare a ogni passaggio. Abbassai il viso e posai le labbra sul suo collo, lasciando baci umidi e pieni di desiderio e ricevendo, in cambio, gemiti sommessi che mi fecero fremere di piacere ed eccitazione.
Beth non mi lasciò giocare da solo per molto. Le sue dita iniziarono a percorrere il mio corpo, seguendo le linee dei muscoli tesi e accendendo ogni singolo nervo. La temperatura della stanza divenne all’improvviso incandescente e, mentre cercavo di resistere all’attacco delle sue labbra sul mio collo, mi ritrovai a balbettare “Non dovevi fare la doccia?”

Dopo avermi dato un tenero morso tra il collo e la spalla, che mi provocò, allo stesso tempo, un picco di dolore e un brivido di piacere lungo la spina dorsale, costringendomi ad affondare le mani tra i suoi capelli, Beth si sollevò in punta di piedi in modo da potersi avvicinare al mio orecchio e bisbigliare “Chi ti ha detto che voglio farla da sola?”

Con un guizzo divertito negli occhi, le bloccai il viso tra le mani e proposi “Pensiamo all’ambiente e risparmiamo acqua?”

Beth annuì, sollevando un angolo della bocca in un sorrisino malizioso, e aggiunse “Per non parlare del fatto che ci metteremo molto meno tempo”.

Scossi la testa e obiettai “Su questo non sarei così sicuro”, poi mi lasciai prendere per mano e trascinare in bagno, nella doccia, con lei.

 

Quando uscii dalla doccia e tornai in camera, avvolta nell’accappatoio, trovai Nate ad aspettarmi, con indosso soltanto i boxer e un paio di jeans. Aprii la bocca per dire qualcosa, ma le parole mi morirono in gola nell’istante in cui i miei occhi si posarono sullo spettacolo che avevo di fronte. Nate era seduto sul letto, la schiena appoggiata alla testata, la gamba destra allungata e la sinistra piegata, la pianta del piede posata sul materasso. Aveva le labbra rosse per gli infiniti baci che ci eravamo scambiati, i capelli spettinati e ancora bagnati e un’espressione di totale appagamento dipinta in viso. Quei dettagli bastarono ad eccitarmi e sentii crescere di nuovo il desiderio dentro di me.

Mi avvicinai, lentamente, e salii sul letto, fino ad inginocchiarmi davanti a lui. Nate alzò lo sguardo e mi sorrise, prima di posarmi le mani sulle spalle e incollare gli occhi nei miei.

“No” disse, deciso.

“Cosa?” chiesi, fingendo di non capire cosa intendesse.

“Lo sai” rispose lui, sbrigativo.

“Non so di cosa stai parlando” insistetti, con aria innocente.

“Sì, invece” ribatté “e non ci pensare neanche”.

“Perché?” piagnucolai, facendo vibrare il labbro inferiore nella perfetta imitazione di un bimbo sull’orlo delle lacrime.

“Perché, per quanto mi costi ammetterlo, non usciremo mai di qui, se ti lascio fare quello che hai in mente”.

“E ti sembra una così brutta idea?” domandai, allungando una mano verso di lui.

Nate la intercettò e se la portò alle labbra. “Assolutamente no,” concordò “ma tienila in serbo per stanotte” aggiunse, in un sussurro vicino al mio orecchio, che mi fece rizzare i peli dietro alla nuca.

Sorrisi e cedetti “Come vuoi”.

“Dai, adesso rivestiti e andiamo a fare colazione. Abbiamo ancora un giorno di lavoro, poi potremo tornarcene a casa e allora potrai mettere in pratica tutte le tue fantasie senza che nessuno, men che meno io, provi nemmeno a lamentarsi”.

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Capitolo 7
*** Day 4: Secrets are hard to keep ***


Quel giorno, Beth non si staccò da me un solo istante. Invece di andarsene a leggere sul ponte, come faceva di solito, mi seguì nelle varie attività, osservandomi da lontano e sorridendomi ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano.

Io, d’altra parte, non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso e fui piuttosto distratto per buona parte della giornata, tanto che, a un certo punto, Dave mi rimproverò.

Per la miseria, Nate, concentrati!” sbottò, dopo l’ennesima richiesta di scuse a una fan a cui avevo inavvertitamente pestato un piede mentre ci posizionavamo per la foto di gruppo. “Mi sembra di essere tornato a quando avevi diciassette anni e dovevo farti da balia”.

Scusa, Dave. Hai ragione” farfugliai, in imbarazzo, guardandomi la punta delle scarpe.

Capendo che, forse, era stato troppo duro con me, Dave mi posò una mano sulla spalla e mi chiese “Cos’hai oggi?”

Alzai le spalle. “Ho...la testa da un’altra parte” risposi, lanciando un’occhiata a Beth, seduta in un angolo che chiacchierava con la nostra manager.

Dave seguì il mio sguardo e, quando capì verso chi era rivolto, sospirò. “Senti, so che non sono affari miei e non voglio intromettermi nel vostro strano rapporto, ma è chiaro che c’è qualcosa che non quadra, tra voi due. Non sarebbe il caso di parlarvi?” propose, incerto.

Mi lasciai sfuggire una risatina. “Oh, l’abbiamo fatto” gli assicurai.

Lo vidi spalancare gli occhi, sorpreso. “Sul serio?”

Annuii.

E…?” mi incalzò.

Ed è per quello che sono distratto” spiegai, guardando Beth per l’ennesima volta. “Come faccio a non esserlo, quando vorrei solo chiudermi in camera con lei?”

Dave rise e rafforzò la presa sulla mia spalla. “Molto bene” commentò. “Era ora”.

Sorrisi, felice che il mio amico – che consideravo come un fratello maggiore – approvasse la nostra relazione.

Ho sempre pensato che fosse l’unica capace di farti mettere la testa a posto” sentenziò ancora Dave, guardandomi di traverso.

Potresti stupirti di quanto sia audace e intraprendente, invece” dichiarai, con una punta di malizia nella voce.

Il mio amico strabuzzò gli occhi e mi rivolse un’occhiata divertita, prima di replicare “Non credo di volerlo sapere”.

Scoppiammo entrambi a ridere, attirando l’attenzione di Beth, che ci rivolse uno sguardo incuriosito. Facendo attenzione a non farmi beccare, le mandai un bacio e Dave le mostrò il pollice alzato, sorridendo. Beth ricambiò il sorriso e scosse la testa, rassegnata alla nostra mancanza di disciplina.

Sospirai e mi ritrovai a pensare che sarebbe stata una lunga giornata, ma poi, finalmente, avremmo potuto stare insieme. Per sempre.

 

Il concerto era quasi terminato, mancava solo la canzone richiesta dalle fan. Sorrisi, dal mio angolino al lato del palco, da dove avevo seguito lo spettacolo senza mai togliere gli occhi di dosso a Nate, curiosa di scoprire quale avrebbero scelto.

Dio, come avevo fatto a resistere senza toccarlo, abbracciarlo e baciarlo, fino a ieri? Le mani mi prudevano dal desiderio di far correre le dita su quella pelle dorata e mi morsicai il labbro inferiore, sperando che il dolore mi distraesse da quei pensieri decisamente poco casti.

Nate si alzò in piedi ma, invece di scendere dal palco e mischiarsi tra il pubblico, alla ricerca di qualcuno a cui far scegliere il prossimo brano che avrebbero cantato, fece un paio di passi in avanti, in modo da ritrovarsi proprio al limitare del palco, esattamente sotto ai riflettori. La mia attenzione fu subito catturata dai muscoli delle sue braccia, che spuntavano dalla maglietta, e da quegli occhi celesti, messi in risalto dalle luci.

“Oggi voglio scegliere io la prossima canzone, se non vi dispiace” annunciò, voltandosi a lanciare un’occhiata agli amici, seduti sugli sgabelli dietro di lui.

Dave sorrise e annuì. Ben gli fece un cenno con la mano, come a spronarlo a continuare, e Alex si strinse nelle spalle, togliendosi gli immancabili occhiali da sole, per poter vedere meglio l’amico.

“Nell’elenco che vi abbiamo proposto c’è un brano a cui sono particolarmente legato, non soltanto perché è una gran bella canzone, ma soprattutto perché si chiama come la persona più importante della mia vita, a cui voglio dedicarla” proseguì Nate. Poi si voltò verso il punto in cui ero seduta io e mi sorrise. “Beth, questa è per te”.

In quel momento, mentre il mio cuore faceva una capriola e dovevo costringermi a non saltare sul palco e buttargli le braccia al collo, nell’auditorium si diffusero le note di Beth, dei Kiss, accompagnate da un boato di apprezzamento da parte del pubblico. Nate tornò al suo posto e iniziò a cantare, catalizzando subito su di sé tutta l’attenzione delle fan, estasiate dalla sua voce.

Chiusi gli occhi e mi concentrai anch’io sulla melodia e sulla dolce voce di Nate, continuando a ripetermi quanto fossi terribilmente fortunata ad avere conquistato il cuore di quell’uomo così straordinario.

 

Accompagnati dalle urla delle fan, e rivolgendo loro un ultimo saluto, tornammo nel backstage, diretti verso i camerini, dove ci saremmo cambiati per la cena.

Ero rimasto per ultimo. Lo facevo sempre, mi piaceva fermarmi a sfiorare le mani delle fan nelle prime file, le faceva andare in visibilio. Quando imboccai il corridoio, gli occhi puntati sulle schiene dei miei amici, davanti a me, mi sentii afferrare un polso e, voltandomi di scatto, mi ritrovai Beth di fianco.

Ehi” la salutai, sorpreso.

Ehi” sussurrò lei, avvicinandosi al mio orecchio e facendomi correre un brivido lungo la schiena. “Grazie per la canzone”.

Piaciuta?” domandai, appoggiandole le mani sui fianchi.

Beth annuì, con gli occhi che luccicavano. Poi mi circondò di nuovo il polso con le dita e, dopo essersi guardata intorno furtivamente, mi trascinò oltre la porta di uno dei camerini che davano sul corridoio.

Una volta dentro, si appoggiò con le spalle contro la superficie di legno e, con la mano, fece scattare la serratura.

Cosa fai?” le chiesi, per quanto avessi una vaga idea di cosa le stava passando per la testa, dedotta dal modo malizioso in cui mi guardava. Quello sguardo aveva il potere di farmi sentire l’uomo più desiderato sulla faccia della Terra e, allo stesso tempo, era come se spegnesse tutti i miei neuroni, rendendomi totalmente incapace di ragionare.

Beth mi sorrise e, prima di appoggiare le labbra sul mio collo, rispose, in tono basso e sensuale “Ti ringrazio come si deve”.

Mi lasciai sfuggire un gemito di piacere e chiusi gli occhi, mentre le sue dita si facevano strada sotto alla mia maglietta, iniziando a seguire il profilo dei muscoli della schiena, e risalendo poi fino alle spalle.
Le mie mani presero di nuovo posto sui suoi fianchi, sollevandole leggermente la maglietta, e sorrisi quando lei inarcò la schiena, fremendo sotto il mio tocco. Quando le mie dita iniziarono a trafficare con il bottone degli shorts che indossava, Beth mormorò “Nate…”.

Il suo tono era un misto tra un gemito e un sussurro, mentre le sue labbra non si staccavano dal mio collo, continuando a torturare la mia pelle, lasciando umidi tocchi che accendevano ogni singolo nervo.

... ci beccheranno” concluse, avvicinando la bocca al mio orecchio.

Un brivido di piacere corse lungo il suo corpo mentre le mie dita abbassavano lentamente la cerniera dei pantaloncini.

Hai iniziato tu” puntualizzai, lasciando che le mie mani si facessero strada al di sotto del tessuto dei jeans, accarezzandole il fondoschiena. “Ma, se vuoi, posso fermarmi” aggiunsi, in un sussurro molto vicino al suo orecchio.

Adesso sarebbe crudele, non ti pare?” ribatté, abbandonando la mia schiena e iniziando a far scorrere le dita lungo il bordo dei miei jeans. “Credo che correrò il rischio”.

Il bottone dei jeans venne slacciato dalle dita esperte di Beth e la cerniera iniziò ad abbassarsi, con una lentezza esasperante. Le sue mani scesero lungo le mie gambe, accompagnando i pantaloni, che caddero a terra con un leggero fruscio, seguiti subito dopo dai boxer. Poi le sentii risalire, lentamente, tracciando linee immaginarie che mi incendiavano i nervi e facevano guizzare i muscoli. Prima di giungere a quella che, ero certo, fosse la loro destinazione finale, le mani di Beth si fermarono, passando sul retro e stringendomi le natiche. Poi si alzò, scostandosi leggermente da me e restando a fissarmi con un’espressione impertinente.

Senza parlare, anche perché non ne sarei stato in grado, dato che la salivazione mi si era completamente azzerata e la mia gola somigliava sempre di più al deserto del Sahara, posai le mie mani sul bordo dei suoi shorts, abbassandoli e lasciandoli cadere a terra, insieme agli slip.

Mi guardai intorno e individuai un divanetto, in un angolo della piccola stanza, dietro di noi. Avvolsi le dita intorno ai polsi di Beth e la trascinai verso la destinazione che avevo trovato, poi mi lasciai cadere sul divano, trascinandola giù con me.

Beth rise, poi alzò le braccia sopra la testa e si sfilò la maglietta, per poi avventarsi di nuovo sul mio collo, ricominciando a baciarlo con sempre più passione, mentre le mie mani correvano su e giù lungo la sua schiena.
Le mordicchiai il lobo dell’orecchio, suscitando un brivido che non fece altro che alimentare la mia eccitazione. Avevo avuto molte compagne ed ero convinto di aver già provato quello che veniva definito da tutti sesso paradisiaco, ma nessuna mi aveva mai fatto sentire come Beth. Nessuna aveva mai avuto quel potere totalizzante su di me. Tutto ciò che desideravo e a cui riuscivo a pensare era renderla mia, sentirmi di nuovo un tutt’uno con colei che costituiva l’altra metà della mia anima.

Quando, finalmente, Beth si mise a cavalcioni su di me, unendo i nostri corpi e rendendoli un’unica essenza, ogni cosa divenne sfocata, il tempo smise di avere importanza e l’unico suono che riempiva la stanza era costituito dai nostri respiri affannati, alternati a gemiti di piacere e a sussurri strozzati di semplici sillabe affermative.
Dopo aver raggiunto ed essere ridiscesi dall’apice del piacere, restammo per un attimo abbracciati, Beth ancora stesa sopra di me, mentre le mie mani le accarezzavano la schiena.

Dovremmo smetterla, lo sai?” bisbigliai, arrotolandomi una ciocca dei suoi capelli tra le dita.

E perché?” chiese lei, senza staccare la guancia dal mio petto.

Perché non facciamo altro da ieri sera e, per quanto mi piaccia da morire e non mi lamenti assolutamente di questa nuova versione di te, che non conoscevo, finiremo nei guai, se non stiamo attenti”.

Beth rise, e annuì. “Hai ragione,” concordò “ma, a nostra discolpa, c’è da dire che abbiamo almeno quindici anni da recuperare”.

Sogni di fare l’amore con me da quando avevamo diciassette anni?” la presi in giro.

Lei mi diede un pizzicotto sul braccio, dicendo “Scemo”.

Ahia!” mi lamentai. “Guarda che non ci sarebbe niente di male”.

Lo so, ma non è da così tanto, tranquillo. Non credo che avrei resistito così a lungo” ammise, facendomi ridacchiare.

Le posai un bacio sui capelli e sospirai. “Andiamo, pulce. Dobbiamo rivestirci e raggiungere gli altri, prima che ci diano per dispersi e vengano a cercarci. E, per quanto sia entusiasta di saperci finalmente insieme, non vuoi vedere la faccia di Dave se ci trovasse così, vero?”

No, decisamente no” concordò, lasciandosi sfuggire una risatina. Poi si alzò e mi porse una mano, invitandomi ad afferrarla per aiutarmi ad alzarmi a mia volta, e disse “Andiamo”.
 

All’ora di cena, la notizia che io e Beth ormai stavamo insieme si era diffusa tra gli altri componenti dei New Horizons. Ben si congratulò con entrambi, felice di vederci finalmente insieme, mentre Alex si limitò a darmi una pacca sulla spalla, borbottando un poco convinto “Congratulazioni”, prima di allontanarsi e concentrarsi sulla cena, a cui sembrò particolarmente interessato per tutta la sera.

Chiedemmo a tutti riservatezza, per evitare che la notizia si diffondesse tra le fan, e i ragazzi ci assicurarono che non si sarebbero lasciati scappare una parola.

Dopo cena, era stata organizzata un’altra serata quiz, così ci dirigemmo tutti verso il teatro.

Beth si sistemò nel suo solito angolino al lato del palco, accanto a Roxy, mentre le fan scelte per accompagnarci nel gioco venivano fatte salire e formavamo le squadre. Questa volta, mi ritrovai con Alex, il che non sarebbe stato un male, non fosse che l’argomento delle domande si rivelò essere i film e i cartoni animati della Disney, che io non guardavo più da quando ero un ragazzino e Alex, per sua stessa ammissione, non aveva mai visto in vita sua. Ben e Dave, invece, avevano entrambi fratelli più grandi con nipoti piccoli che li costringevano a guardare i cartoni Disney a ogni festa comandata, quindi le competenze delle due squadre risultavano essere decisamente impari. Ero piuttosto competitivo di natura, e avevo già perso rovinosamente un paio di sere prima. Non ci tenevo a ripetere l’esperienza. Mi avvicinai alle due fan che erano in squadra con noi e chiesi loro com’erano messe a conoscenza dei cartoni della Disney. Entrambe si strinsero nelle spalle, scuotendo la testa.

Forse mi ricordo qualcosina da quando ero piccola” azzardò una e l’altra annuì, concordando “Sì, anch’io. Se le domande non sono troppo difficili”.

Sospirai. Se conoscevo bene la nostra manager, che si era occupata di inventarsi i giochi, le domande sarebbero state molto cattive, dato che il suo scopo era metterci in imbarazzo per far divertire le fan.

All’improvviso, l’illuminazione. Io conoscevo una persona che sapeva tutto, ma proprio tutto sui cartoni della Disney.

Avanzai verso il centro del palco e mi misi il microfono davanti alla bocca, urlando “Time out! Time out!”

Gli occhi di tutti i presenti, dalle fan ai miei amici, furono su di me.

Cosa c’è, Nate?” chiese Jane, la nostra manager, alzando gli occhi al cielo. Mi conosceva da quando ero un ragazzino ed era abituata ai miei colpi di testa, ma non riusciva a fare a meno di mostrare il suo disappunto ogni volta che ne combinavo una delle mie.

Le squadre sono sbilanciate” mi lamentai. “Io e Alex non sappiamo un tubo della Disney e nemmeno le ragazze sono molto ferrate” spiegai.

Jane sospirò e mi domandò. “Quindi? Cosa proponi per risolvere il problema? Rimescolare le squadre?”

Scossi la testa e le rivolsi un sorriso furbo. “No, ho un’idea migliore”.

Mi spaventi, quando mi guardi così” replicò lei, suscitando una risata da parte del pubblico.

Risi anch’io e mi avvicinai alle sue spalle, cingendole la vita con le braccia e posando il mento sulla sua spalla, sfoderando un’espressione innocente. “Posso sostituire uno dei componenti della squadra? Per favore” la pregai, iniziando a farle il solletico.

Lei si divincolò, ma io tenni salda la presa delle mie braccia sulla sua vita, finché non cedette.

Okay, okay” acconsentì, per sfinimento. “Chi vuoi sostituire e, soprattutto, con chi?” mi chiese e poi, avvicinandosi al mio orecchio, bisbigliò “Se scegli un’altra fan, assicurati che ne sappia qualcosa, prima”.

Sorrisi e la liberai dalla mia presa. “Voglio scambiare Alex – che tanto ha ammesso di non saperne un fico secco di roba della Disney – con Beth, che invece è un’esperta” annunciai.

Jane spalancò gli occhi. “Beth?”

Annuii. “Sì. È la mia migliore amica da sempre e fa parte della famiglia dei New Horizons dagli inizi. Praticamente è come se fosse il quinto componente del gruppo” spiegai, per giustificarmi.

Jane si voltò verso il punto in cui era seduta Beth, che ci fissava con espressione stupita e confusa. Quando i nostri sguardi si incrociarono, mi mimò, con le labbra ‘Cosa diavolo stai facendo?’.

Decisi di ignorarla e mi limitai a sorriderle, compiaciuto.

Beth, cosa ne dici?” le domandò Jane, avvicinandosi a lei con un microfono. “Ti va di dare una mano a quel rompipalle del tuo amico?”

Beth non poté fare a meno di scoppiare a ridere. Poi mi lanciò un’occhiata divertita e annuì. “Okay” acconsentì “ma sarà meglio che inizi a pensare al modo di sdebitarti, caro il mio Nate. E vedi di fare in modo che sia qualcosa di epico” scherzò, con un luccichio malizioso negli occhi che, fortunatamente, soltanto io sembrai cogliere.

Risi e mi avvicinai a lei, afferrandole le mani e trascinandola sul palco con me.

Grazie” le bisbigliai, all’orecchio.

Mi ringrazierai più tardi. In privato” ribatté lei, in un sussurro.

Bene,” ricapitolò Jane, tornando al centro del palco “quindi le due squadre sono formate, rispettivamente, da Ben, Dave, Fiona da Dublino e Jaqueline da Marsiglia, da una parte, e Nate, Beth, Maria da Siviglia e Ana da Stoccolma, dall’altra”.

Io cosa faccio?” domandò Alex, in tono lamentoso.

Tu puoi leggere le domande” proposi.

Jane annuì e gli porse il foglio con le domande, che Alex prese e iniziò a studiare, dopo essersi prima tolto i suoi inseparabili occhiali scuri.

Siete pronti?” ci chiese Jane.

Annuimmo tutti quanti.

La squadra che pensa di sapere la risposta per prima, deve schiacciare il pulsante blu di fronte a voi” ci ricordò.

Okay, afferrato” tagliò corto Ben, impaziente di iniziare. “Dai, Alex. Vai con la prima domanda”.

Alex si schiarì la voce e lesse, nel modo più chiaro possibile “Domanda numero uno: Quale di questi oggetti Mary Poppins NON tira fuori dalla borsa? Un appendiabiti, uno specchio, una pianta o un furgone dei pompieri?”.

Senza nemmeno dare all’atra squadra il tempo di consultarsi, Beth allungò una mano davanti a me e schiacciò il grosso pulsante blu.

Si è prenotata la squadra di Nate” dichiarò Jane. “Chi risponde?”

Scossi la testa, rivolgendole uno sguardo scioccato e confuso al tempo stesso. “Suppongo Beth, anche perché io non ho la più pallida idea di quale sia la risposta” ammisi, scatenando un boato di risate da parte del pubblico.

Certo che rispondo io” si intromise Beth, afferrandomi una mano per avvicinare il microfono alle sue labbra. “Un furgone dei pompieri”.

Risposta esatta!” esclamò Alex, sinceramente colpito. “Brava Beth. Dieci punti alla squadra di Nate”.

Beth sorrise, soddisfatta, e io le cinsi la vita con un braccio, baciandole una tempia e sussurrando “Brava pulce”.

Grazie” fece lei, di rimando.

Niente smancerie” ci ammonì Alex, ridacchiando. “Passiamo alla seconda domanda: come si chiama il pesciolino di Geppetto in Pinocchio?”

Beth allungò di nuovo la mano per pigiare il pulsante ma, questa volta, Ben fu più veloce.

Lo sappiamo noi” annunciò. “Si chiama Cleo”.

Risposta esatta. Bravo Ben!” commentò Alex. “Questa volta i dieci punti vanno alla squadra di Ben e Dave”.

Vidi Beth lanciare a Ben uno sguardo di sfida e mi venne da ridere. Era estremamente competitiva, lo era sempre stata, specialmente nelle cose in cui si riteneva un’esperta. Da quel momento, si sarebbe data da fare per distruggere Ben, che aveva osato sfidare il suo dominio, e non avrei voluto essere nei panni del mio amico. Ben che, d’altro canto, conosceva Beth bene quasi quanto me, riconobbe quello sguardo e ricambiò con la stessa moneta, dichiarando “A noi due, signorina”.

Beth accolse la sfida con entusiasmo e, sporgendosi verso di me per poter parlare al microfono, sentenziò “Tu non sai contro chi ti sei messo, Ben”.

A questo punto, le urla del pubblico diventarono talmente forti che ci volle qualche minuto per farle calmare e poter riprendere il gioco. Quando, finalmente, nel teatro tornò un po’ di silenzio, Alex si apprestò a proseguire.

Domanda numero tre: di che colore è il vestito della fata di nome Flora nella Bella Addormentata?”

Con la coda dell’occhio, vidi Ben confabulare con Dave, mentre le due ragazze in squadra con loro contavano sulle mani, tentando di abbinare i nomi delle fate ai colori dei vestiti.

Di nuovo, Beth si sporse davanti a me e schiacciò il pulsante.

Oh, guarda” commentò Alex, ironico. “A quanto pare Beth sa anche questa”.

Il colore del vestito di Flora è rosso” disse lei, tranquilla, e Alex non potè fare a meno di strabuzzare gli occhi ed esclamare “Esatto! Dieci punti per la squadra di Nate”.

Beth e Ben si scambiarono un’occhiataccia, mentre io mi avvicinavo alle due fan in squadra con noi e bisbigliavo “Abbiate pazienza, ragazze. Beth è un filino competitiva. Ma non sentitevi escluse, intervenite pure!” facendole ridere e arrossire, solo per il fatto di avermi vicino.

Bene, proseguiamo con la quarta domanda” Alex riportò l’attenzione su di sé. “Completa la seguente battuta tratta dal film Mulan: disonore su di te, disonore sulla tua____?”

Ma che domanda è?” sbottò Ben, dando una manata di frustrazione al pulsante e schiacciandolo di conseguenza.

È una domanda come un’altra, Ben” lo canzonò Beth, con un sorrisino beffardo. “Avanti, rispondi dato che ti sei prenotato”.

Ma non ne ho idea!” si lamentò lui “Ho schiacciato il pulsante per sbaglio”.

Quindi posso rispondere io?” si informò lei, serafica.

Ma certo!” si rassegnò il mio amico, incredulo “Voglio proprio vedere come te la cavi. È impossibile sapere una battuta precisa, dai”.

Beth si schiarì la voce e annunciò “La frase è: disonore su di te, disonore sulla tua mucca. E la pronuncia Mushu durante il primo incontro con Mulan”.

Dal pubblico partì un applauso che durò un minuto buono e addirittura le due ragazze in squadra con noi si avvicinarono a Beth per congratularsi.

Ben si passò una mano sugli occhi, mugugnando “Non ci posso credere” mentre Dave gli dava un’affettuosa pacca sulla spalla, dicendogli “Non te la prendere. È un portento. Non c’è nulla da fare”.

Quando il brusio si fu placato, Alex richiamò l’attenzione dei presenti e andò avanti con il gioco.

Domanda numero cinque: di quali due divinità greche è figlio Hercules?”

Ben si affrettò a pigiare il pulsante per prenotarsi e Alex gli diede subito la parola.

Dunque, il padre è Zeus, mentre la madre...non mi ricordo il nome, ma è la dea bionda tutta d’un pezzo” disse.

Alex alzò un sopracciglio e scosse la testa. “Spiacente, Ben, ma non posso dartela buona”.

Perché?” protestò il mio amico.

Perché la dea bionda tutta d’un pezzo ha un nome ed è quello che mi devi dire” spiegò Alex, intransigente.

Ben sbuffò, incrociò le braccia davanti al petto e mise il broncio. Io mi voltai verso Beth e le chiesi “Lo sai?”

Lei annuì, calma, e mi spronò “Premi il pulsante”.

Non appena sentì il suono del nostro allarme, Alex si rivolse a Beth, con un sorrisino divertito. “La nostra campionessa sa anche questa?” domandò.

Puoi scommetterci” confermò lei, con un sorriso sicuro. “I genitori di Hercules sono Zeus ed Era”.

Alex batté le mani, entusiasta, esclamando “Bravissima! Altri dieci punti per la squadra di Nate. E con questi siamo quaranta a dieci”.

Ignorando le lamentele di Ben, il gioco proseguì con la domanda numero sei.

Quante sorelle ha Ariel nella Sirenetta?” chiese Alex.

Il pulsante della squadra di Ben e Dave suonò e Ben rispose subito “Sette”.

Sbagliato” lo informò Alex, serafico.

Come sbagliato?” insistette Ben. “Sono sette! Lo dice anche la canzone”.

Lentamente, come se lo stesse facendo per passare il tempo e non con lo scopo di vincere, Beth allungò una mano e pigiò il pulsante. Alex le diede la parola e lei rispose “Ariel ha sei sorelle. Le figlie di Tritone sono 7 COMPRESA Ariel” precisò, rivolgendo a Ben uno sguardo compassionevole.

Scoppiai a ridere, specialmente quando il mio amico commentò “Girami al largo, Beth. In questo momento vorrei ucciderti”.

Niente spargimenti di sangue, per favore” lo ammonì Alex, prima di continuare con il quesito successivo.

Domanda sette: dov’è ambientato Le follie dell’imperatore?”

La so, la so!” urlò Ben, premendo compulsivamente il pulsante per prenotarsi.

Alex sospirò e gli diede la parola. “Ben?”

È ambientato in Perù” rispose il ragazzo.

Giusto” annunciò Alex, mostrandogli un pollice alzato. “Dieci punti alla squadra di Dave e Ben che, in questo modo, arriva a venti punti, contro i cinquanta di Nate e Beth”.

Adesso rimontiamo” sentenziò Ben, con sguardo deciso.

Vedremo” replicò Alex. “Intanto passiamo all’ottava domanda: cosa c’è disegnato sulla porta di Boo in Monsters & Co.? Stelle, fiori, cavalli o gatti?”

Ben si prenotò subito, ma iniziò a borbottare “Dunque, fammi pensare...Boo è una bimba e ricordo che chiama Sully ‘gatto’, quindi suppongo che sulla sua porta possano esserci disegnati dei gatti?” tentò.

Vidi Beth scuotere la testa e, d’istinto, allungai la mano per premere il pulsante, sapendo con certezza che la risposta data da Ben era sbagliata. Infatti, Alex annunciò “Risposta errata. Nate, volete provare voi?”

Annuii e misi il microfono davanti al viso di Beth, che rispose “Fiori”.

Esatto!” confermò Alex. “E con questa andiamo a sessanta per Nate e Beth contro i venti di Ben e Dave”.

Vai con la prossima domanda, Alex” lo spronò Dave, cercando di contenere il disappunto del suo compagno di squadra.

Okay, domanda nove: come si chiama il gatto di Cenerentola?” chiese il mio amico.

Dai, Ben. Questa è facile” lo canzonò Beth, generando una risata generale tra il pubblico.

Ben le fece la linguaccia, prima di premere il pulsante e rispondere “Infatti la so: si chiama Lucifero”.

Molto bene” disse Alex “Altri dieci punti alla squadra di Ben e Dave, che rimonta a trenta”.

Poi si voltò verso il pubblico e annunciò “Bene, siamo arrivati alla domanda finale. La più difficile”.

C’è qualcosa di più difficile di quella sulla mucca?” commentò Ben, sarcastico.

Alex lo ignorò e, quando le risate delle fan si calmarono, proseguì “Questa domanda vale ben 40 punti quindi, se la squadra di Ben e Dave dovesse rispondere in maniera corretta, potrebbe ancora vincere la gara, superando Nate e Beth nelle battute finali”.

Si voltò verso di noi e domandò “Siete pronti?”

Annuimmo tutti, concentrati.

La domanda prevede che citiate un luogo, ma sappiate che non mi basta un’indicazione generica del continente, voglio la città precisa” ci informò.

Okay” dissi, pur senza avere la benché minima idea di che cosa stava parlando.

D’accordo, ecco l’ultima domanda: nel film Alla ricerca di Nemo, dove viene portato Nemo dopo essere stato catturato?”

Vidi Ben battersi un pugno sul palmo della mano e pestare un piede per terra, mentre dichiarava “Dannazione! Mi sembra fosse in Australia, ma la città chi se la ricorda?”

Nel frattempo, Beth si sporse per premere il pulsante. Lo sapeva, ne ero certo.

Beth?” la spronò Alex, con un mezzo sorrisino di aspettativa.

Beth prese un respiro profondo, prima di rispondere. Poi sorrise e disse “Viene portato dal signor P. Sherman, il cui indirizzo è 42 Wallaby Way, Sidney, Australia”.

Ciò che successe dopo era paragonabile solo al gran finale dei nostri concerti. Tutto il pubblico si alzò in piedi e iniziò ad applaudire, compreso Dave e le fan sul palco, indipendentemente dalla squadra a cui appartenevano, mentre Alex commentava “Strabiliante” e Ben si lamentava “Bastava solo la città, ma la signorina ha voluto strafare”.

Guardai Beth, colmo d’orgoglio, e sentii il cuore scoppiarmi d’amore per quella creatura fantastica che mi fissava con gli occhi luccicanti per la felicità di aver vinto la gara.

Agii d’impulso, senza riflettere. Mi avvicinai, la presi tra le braccia e le feci fare una giravolta, beandomi del suono delle sue risate. Poi, quando la rimisi a terra, incollai le labbra alle sue.

 

Sulle prime, non realizzai esattamente cosa stava succedendo. Certo, mi accorsi che Nate mi stava baciando, come avrei potuto non farlo, considerate le sensazioni che le sue labbra riuscivano sempre a risvegliare ogni volta che sfioravano la mia pelle? Ma, nell’euforia del momento, non misi a fuoco il fatto che lo stesse facendo davanti a tutti, su un palco, in un teatro gremito di gente. Me ne accorsi soltanto dopo, quando alle orecchie mi arrivò un tremendo boato, applausi, misti a urla e fischi, così forti che sembravano voler abbattere le pareti. A quel punto, quando l’entità – e le implicazioni – di ciò che era appena successo divennero chiare, spalancai gli occhi e puntai le mani sul petto di Nate, tentando di allontanarmi da lui che, nel frattempo, doveva essersi a sua volta reso conto del casino che aveva generato il suo gesto avventato, almeno a giudicare dallo sguardo colpevole e imbarazzato che mi rivolse.

“Io...Dio, scusami Beth” sbottò, certo che nessuno potesse sentirci, in mezzo al caos che regnava nel teatro. “Non so cosa mi sia preso”.

Pur sconvolta da quel gesto e preoccupata per la situazione, sospirai e mi strinsi nelle spalle. Sarebbe successo, prima o poi. L’avrebbero saputo. Certo, avrei preferito aspettare di essere al sicuro, nel mio paesino, prima di dare la notizia della nostra relazione in pasto alla stampa, ma alla fine cosa cambiava? Amavo Nate e volevo passare con lui il resto della mia vita. Non mi importava cosa ne pensassero le sue fan o la stampa.

“Non fa niente” lo rassicurai, rivolgendogli un timido sorriso.

“Davvero?” chiese lui, sorpreso dalla mia reazione. “Sicura?”

Annuii. “Ti amo” dissi, posandogli le mani sul torace e seguendo con i pollici le linee dei pettorali “ed è giusto che tutti lo sappiano”.

Lui ricambiò il mio sorriso, fissandomi con gli occhi luccicanti di felicità, poi mi appoggiò le mani sui fianchi e mi strinse a sé, facendo aderire di nuovo le nostre labbra.

Non pensai minimamente a scostarmi, questa volta. Feci scorrere le mani verso l’alto, fino ad affondare le dita tra i suoi capelli, mentre ricambiavo quel bacio cercando di trasmettergli tutto l’amore che provavo per lui, incurante delle urla, degli applausi e dei commenti di Jane, che stava tentando di mettere a tacere le fan scatenate che riempivano il teatro.

Quando le nostre bocche si allontanarono, alla disperata ricerca di aria, Nate mi tenne una mano stretta intorno alla vita e, con un sorriso impertinente dipinto sul viso, si voltò verso il pubblico, che ci fissava in preda all’entusiasmo misto a curiosità, e annunciò, parlando al microfono, in modo che tutti potessero sentire “Ah, per la cronaca, io e Beth non siamo più solo migliori amici”.

 

Attraverso le tende, che avevo lasciato volutamente aperte, guardai il cielo tingersi di varie tonalità di lilla e rosa, per poi virare all’arancione e al giallo, finché la palla incandescente del sole non fece capolino sulla linea dell’orizzonte. Era l’ultimo giorno di crociera, tra poche ore saremmo sbarcati a Barcellona, per poi tornarcene negli Stati Uniti, dove ci aspettava circa un mese di pausa, prima dell’inizio del tour, a metà luglio. Non sarebbero state vere vacanze, perché avremmo dovuto fare regolarmente le prove per gli spettacoli, ma sapevo di potermi ritagliare del tempo da passare a casa mia, a Castle Rock.

Distolsi lo sguardo dalla splendida alba che stava sorgendo oltre la finestra della mia cabina, e lo posai sulla persona che dormiva tra le mie braccia e che, per i miei gusti, costituiva uno spettacolo ancora migliore. La guancia posata sul mio petto, i capelli biondo miele sparsi sulla mia pelle, le labbra ancora arrossate dai baci che ci eravamo scambiati durante la notte, Beth sembrava serena e felice come non la vedevo da tempo.

Sorrisi, domandandomi se anch’io avessi la stessa espressione sognante e appagata, e mi risposi che probabilmente sì, e forse dovevo sembrare un idiota. Ma ero di sicuro l’idiota più felice del mondo, quindi non mi importava.

Volevo stare con lei per sempre, passare insieme tutto il tempo possibile, ma sapevo che non sarebbe stato semplice. Il mio lavoro mi portava spesso lontano da casa per lunghi periodi e, sebbene potessi permettermi di saltare sul primo aereo disponibile per tornare da lei anche solo per un paio di giorni, sapevo che avrei sentito moltissimo la sua mancanza. Già la sentivo prima, quando mi ostinavo a convincermi che Beth fosse solo la mia amica, ora sarebbe stata insostenibile. D’altra parte, non potevo chiederle di mollare tutto e seguirmi in tour, come facevano Mary e Roxy. Beth aveva il locale e sapevo che era la sua vita, non soltanto perché era appartenuto ai genitori e ci teneva a portare avanti l’attività di famiglia, ma soprattutto perché amava lavorarci. Servire i clienti, intrattenersi con loro e assicurarsi che se ne andassero soddisfatti e, possibilmente, con un sorriso sulle labbra, era la sua missione nella vita. Non mi sarei mai sognato di chiederle di rinunciarci per me. Nonostante questo, sapevo che ci avrei messo un bel po’ per venire a patti con il fatto di non potermi svegliare stringendola tra le braccia, come mi ero ormai abituato a fare in quei due giorni.

La mia attenzione fu richiamata da un movimento di Beth e, osservandola, mi accorsi che si era svegliata.

Buongiorno” mi salutò, stropicciandosi gli occhi con le mani.

Buongiorno a te, bella addormentata” risposi, baciandole la testa.

Da quanto sei sveglio?” mi domandò, mettendosi a sedere.

Circa un’oretta, credo. Ho visto l’alba” la informai.

Davvero?” mi chiese, stupita, per poi rimproverarmi “Potevi svegliarmi. L’avrei vista volentieri anch’io”.

Scossi la testa. “Dormivi troppo bene per svegliarti” mi giustificai.

Lei mi sorrise. “Sì, ma quando mi ricapita di vedere sorgere il sole sul mare?” si lamentò “Viviamo in mezzo alle montagne”.

Soffocando una risatina, le sfiorai una guancia con un dito e le promisi “Quando vuoi. Possiamo organizzare una vacanza in qualche posto esotico, non appena finito il tour. Ti piace l’idea?”

Beth annuì. “Sì, mi piace” concordò. Poi allungò una mano e me la posò sul petto, aggiungendo “Ma iniziamo ad andare a casa, prima. Tu non hai voglia di tornare?”

Feci un segno affermativo con la testa e ammisi “Da una parte sì. Dall’altra, invece, so già che mi mancherà tutto questo”.

La crociera?” domandò Beth, sollevando un sopracciglio.

Ma no, sciocca” la rimproverai. “Noi. Svegliarmi con te. Vorrei portarti a casa con me, quando torniamo a Castle Rock”.

Beth sorrise e, posandomi una mano sulla guancia, chiese “E cosa te lo impedisce?”

Strabuzzai gli occhi, sorpreso, mentre il cuore accelerava il ritmo dei battiti. “Verresti?” le chiesi, non osando nemmeno sperare una risposta positiva.

Contro ogni aspettativa, lei annuì. “Certo. Perché non dovrei?”

“Non è...affrettato? Vivere insieme, intendo” farfugliai, ancora incredulo.

“Forse” concordò, stringendosi nelle spalle. “Ma direi che ci conosciamo abbastanza bene da provarci, non trovi?”

Sforzandomi di contenere la felicità che mi aveva contagiato nel momento esatto in cui aveva acconsentito a venire a vivere con me, decisi di essere onesto fino in fondo ed esternare le obiezioni che costituivano le mie più grandi paure. “E se non funziona?”

“Perché non dovrebbe funzionare?” replicò Beth, confusa.

“Perché...perché tu non sai com'è vivere con me. Sono un disastro. Quando cucino, faccio sempre un casino assurdo…” iniziai a elencare.

Beth mi interruppe. “Esistono i detersivi. Puliremo”.

Non diedi cenno di aver registrato la sua obiezione e continuai “...e, quando faccio la spesa, dimentico sempre qualcosa di fondamentale, come l'acqua o la carta igienica...”

“Faremo una lista, allora” mi rassicurò lei. “E poi, dimentichi che ho un pub: sarà difficile restare senza cibo” scherzò.

“...e non so fare la lavatrice. Credo di non averlo mai fatto in vita mia, di solito ci pensa qualcuno dello staff, quando siamo in tour, e quando torno porto tutto a lavare” aggiunsi, vergognandomene un po’.

“Ti insegnerò” si offrì subito Beth. “Oddio, non che sia un'esperta. Perdo sempre qualche calzino e a volte le cose escono di un colore diverso da quello con cui erano entrate, ma tutto sommato me la sono cavata per tutti questi anni, quindi se non ti scoccia comprare qualche vestito in più di tanto in tanto…”

Questa volta fui io a interromperla. “Non me ne importa niente” le assicurai, sincero.

Beth mi prese una mano e, dopo avermi rivolto un sorriso rassicurante, sentenziò “Funzionerà, Nate. Siamo tu e io. Lo faremo funzionare. Stai lontano così tanto tempo che, le poche volte che torni a casa, voglio stare con te il più possibile”.

Ricambiai il suo sorriso e feci intrecciare le dita delle nostre mani, annunciando “Non vedo l'ora di tornare a Castle Rock e andare a vivere con te”.

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Capitolo 8
*** Coming home ***


Parcheggiai l’auto davanti al locale e mi affrettai ad entrare, stupendomi del venticello fresco che mi aveva accolto. Era fine ottobre e a Denver, dov’ero atterrato qualche ora prima, ci dovevano essere almeno tre o quattro gradi in più che a Castle Rock.

Sollevandomi il colletto della giacca – troppo leggera – che indossavo, mi affrettai a spingere la porta d’ingresso del Wild Blue Yonder Brewing Co., ritrovandomi subito avvolto dalla penombra che regnava all’interno.

Dovetti sbattere gli occhi un paio di volte, per abituarli all’assenza di luce, ma, non appena riuscii a vedere chiaramente, la localizzai subito. Era in piedi accanto al bancone e stava asciugando dei bicchieri. Dava le spalle all’ingresso, quindi non si accorse del mio arrivo. Per quanto non desiderassi altro che stringerla tra le mie braccia, mi trattenni e restai per qualche istante fermo sulla soglia, ad osservarla: le mani che lavoravano, rapide e sicure, la testa che oscillava a destra e a sinistra, accompagnata dal movimento dei fianchi, seguendo il ritmo della musica. Istintivamente, il cuore accelerò il ritmo e dovetti deglutire un paio di volte, obbligandomi a scacciare dalla mente immagini decisamente poco appropriate di cosa avrei potuto farle, su quel bancone, se non ci fosse stato nessuno nel locale.

Datti una calmata’ mi rimproverai, mentalmente, inumidendomi le labbra.

Lentamente, mi avvicinai al bancone con passo sicuro e le avvolsi le braccia intorno alla vita, baciandole il collo.

Lei si voltò di scatto, spalancando gli occhi, e mi buttò le braccia al collo, esclamando “Sei tornato!”

Mi sei mancata da morire” confessai, nascondendo il viso nell’incavo tra il collo e la spalla e stringendola forte a me.

Anche tu” ammise lei, iniziando a far scorrere le mani sulla mia schiena, passando sotto alla giacca. Poi mi chiese “Sei passato da casa?”

Casa. Da quando stavamo insieme, quella parola aveva assunto un significato diverso. Era sempre casa mia, quella dove avevo vissuto da quando avevo troncato i rapporti con i miei genitori, eppure non era la stessa. Prima, casa era un edificio bello ma freddo, dove sapevo che avrei passato le ore da solo e che consideravo solo un appoggio tra un impegno lavorativo e l’altro. Adesso, casa era Beth. Era il luogo in cui sapevo che l’avrei trovata ad aspettarmi e dove potevo svegliarmi vedendo il suo viso come prima cosa, quando aprivo gli occhi.

Scossi la testa. “No. Sono venuto subito qui” risposi. “Non mi andava di stare a casa da solo e sono venuto a prenderti” confessai.

Beth sollevò un sopracciglio. “Ma io ho ancora del lavoro da finire, qui” protestò.

Non puoi lasciare finire Mike e Susan?” insistetti, rivolgendole il mio miglior sguardo da cucciolo indifeso. “Per favore”.

Forse” cedette lei, con un sospiro di rassegnazione. “Ma lasciami almeno sistemare alcune cose per domani, prima di andare”.

Annuii. “Okay, fai pure. Ti aspetto qui” annunciai, sedendomi su uno sgabello del bancone.

Beth mi sorrise e, prima di tornare dietro al bancone con il vassoio pieno dei bicchieri che aveva appena finito di asciugare, mi propose “Sai cosa potresti fare, mentre mi aspetti?”

Cosa?” domandai, preoccupato. Non volevo risultare scortese, ma ero reduce da una serie di voli che mi avevano portato da New York and Atlanta, e poi ancora a Denver, per tornare a casa, ed ero stanco morto. Sognavo solo di potermi rotolare nel letto con lei, non avevo per niente voglia di essere incastrato in qualche lavoretto al locale.

Beth si sporse oltre il bancone e avvicinò le labbra al mio orecchio, indicando un punto del locale con un cenno del capo. “Vedi quelle ragazze laggiù?”

Mi voltai per osservare il punto che stava indicando e notai tre ragazze sedute a un tavolo, che sorseggiavano una birra e guardavano nella nostra direzione. Non appena notarono i miei occhi su di loro, si affrettarono a distogliere lo sguardo, con una serie di risolini imbarazzati.

Sono tue fan” spiegò Beth. “Sono arrivate oggi, nel pomeriggio, e mi hanno chiesto se fossi in città. Quando ho risposto che saresti tornato in serata, hanno deciso di fermarsi a cena, sperando di vederti”.

Spostai lo sguardo dalle ragazze a Beth e la canzonai “Non ci hai litigato, questa volta?”

Lei alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “Ancora con questa storia?” si lamentò. “Per quanto andrai avanti a rinfacciarmelo?”

Scoppiai a ridere e ammisi “Credo per sempre”.

Lei mi diede una sberla sul braccio, sentenziando “Sei cattivo”.

Io sarò anche cattivo, ma tu ammetti di non aver gestito proprio benissimo la situazione, quando hai insultato quella fan, su Instagram, un mese fa?” osservai.

Okay, hai ragione” concordò. “Ma mi aveva dato della puttana, augurandomi di morire tra atroci sofferenze, e solo perché sto con te” si giustificò.

Lo sai che le mie fan possono essere un filino possessive” le feci notare.

Un filino?” ripeté lei, scettica. “E, comunque, non riesco a capire perché, finché ero la tua migliore amica, mi adoravano, mentre adesso che sono la tua ragazza, mi mandano minacce di morte”.

Mi allungai sul bancone, fino a sfiorarle la punta del naso con le labbra. “Perché adesso vieni a letto con me” sussurrai “e loro no”.

Ah, tutto chiaro” commentò lei, ridendo. “Comunque,” proseguì, riportando il discorso sull’argomento iniziale “queste fortunatamente sono state molto carine ed educate, quindi cosa ne dici di andare a fare due chiacchiere e qualche foto con loro, mentre io finisco qui e mi preparo per andare a casa?”

Sospirai, rassegnato. Sapeva che non ero capace di dirle di no. “Operazione ‘serata migliore della loro vita’?” domandai.

Beth annuì, raggiante. “Glielo devi, dopotutto. È grazie a loro se puoi fare il lavoro che hai sempre sognato”.

Appoggiai il palmo della mano sul legno del bancone e mi alzai in piedi, pronto a ricoprire il mio ruolo di celebrità disponibile e alla mano. Prima di dirigermi verso il tavolo delle ragazze, che mi avevano visto alzare e avevano già iniziato ad agitarsi, alla sola idea che mi avvicinassi, rivolsi a Beth un sorrisino malizioso e dissi “Ti approfitti troppo del fatto che non riesca a dirti di no”.

Lei rise e, sporgendosi nuovamente per essere più vicina al mio viso, sussurrò “Lo so. Ma non lamentarti troppo: ho intenzione di usare questo potere anche più tardi, a casa”.

Con il cuore che batteva e la salivazione azzerata all’idea di ciò che mi aspettava dopo, sorrisi e mi avvicinai al tavolo delle ragazze, con le mani nelle tasche dei jeans e fischiettando la melodia della canzone che stava suonando nel locale. Prima di rivolgere la parola alle fan, mi voltai e notai Beth che mi osservava, sorridente, le mani appoggiate al bancone e un’espressione di orgoglio e approvazione disegnata sul viso. Fu in quel momento che realizzai di essere totalmente e indiscutibilmente felice: facevo il lavoro dei miei sogni, insieme a degli amici che, ormai consideravo una famiglia, e, finalmente, avevo l’amore che avevo sempre sognato e cercato per tutta la vita, senza rendermi conto che era proprio lì, davanti a me, in quella ragazza che conoscevo fin da bambino e che continuava a essere, nonostante tutto, la mia migliore amica, oltre che la mia anima gemella.

Con la consapevolezza di essere estremamente fortunato, posai una mano sullo schienale della sedia di una delle ragazze, sfoderando il mio miglior sorriso ammiccante, e salutai “Ehi, ragazze. Che si dice? Beth mi ha detto che mi stavate aspettando. Vi va di fare qualche foto?”.

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