Jason Grace and … the barbarians di RLandH (/viewuser.php?uid=330024)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il grosso grasso problema barbaro ***
Capitolo 2: *** I vicini non si scelgono, in particolare quelli che durano un’eternità ***
Capitolo 3: *** Combatti. Muori. Sciaqua. Ripeti. ***
Capitolo 4: *** Jason Grace in Edizione Limitata ***
Capitolo 5: *** Il Barbaro ***
Capitolo 6: *** Quando distribuivano “Buon senso” e “Profilo Basso”, Jason Grace doveva essere svenuto da qualche parte ***
Capitolo 7: *** Il ('Idromele)Party del Piano 20 ***
Capitolo 8: *** Non si va in missione senza una profezia – o i commenti enigmatici di un dio tutore ***
Capitolo 9: *** Un’idea stupida, ma con centrifuga ***
Capitolo 10: *** Il destino dei Nove Mondi può essere sull’orlo del collasso, ma il Karma non perde mai un colpo! ***
Capitolo 11: *** Chalet di lusso dotati di ogni confort per trascorrere vacanze indimenticabili tra Jotun che vorrebbero solo cuocerti allo spiedo. Offerta irripetibile della Utgard.Short.Rent. ***
Capitolo 12: *** Jason Grace spacca il cielo (e poi sviene, ovviamente) ***
Capitolo 13: *** Hai presente tutti quei miti sul non fare infuriare le divinità marine? Ecco, sì, forse andavano letti meglio ***
Capitolo 14: *** Ah, ecco, perché nei libri non ci sono mai due Bob ***
Capitolo 15: *** Be, almeno Jack ci ha guadagnato un appuntamento ***
Capitolo 16: *** Attenzione Spoiler! Anche se effettivamente questo potrebbe essere l’ultimo … ***
Capitolo 17: *** Non fidarti della Strige del Piano Quattrocento-dieci ***
Capitolo 18: *** Signori, Signore ed altre strane entità: è il momento di una crisi di nervi ***
Capitolo 19: *** Stellan si accende come una lampadina due volte, che non è molto, ma è strano che sia successo due volte ***
Capitolo 20: *** Tre dee e una testa ***
Capitolo 21: *** Jason Grace copia spudoratamente Wanda Maximos (non che lui sappia chi sia) ***
Capitolo 22: *** Nico Di Angelo presta la sua tavola Ouija a qualche spettro e una valchiria ***
Capitolo 23: *** Nonna Castoro raccontaci una storia (possibilmente quella del misterioso regno di Saguenay)! ***
Capitolo 1 *** Il grosso grasso problema barbaro ***
Buongiornissimo
Kaffèèè … Scrivo
così perché oggi è il mio compleanno,
quindi sono vecchia, ed
ho deciso di premiarmi con questa breve piccola storia.
I capitoli saranno 3, massimo 4 (perché sono prolissa) e
sono stati creati con
lo stesso concetto di Leo Valdez e … WTF?!?, ovvero come
idea carina per una What
If (Se può la Marvel, posso pure io).
Differentemente dalla storia di Leo, questa non fa da apripista ad una
vera e
propria storia, cioè magari se quella di Leo era un Pilot,
questa è tipo “un
prequelino” caso mai volessi. Ho deciso di spezzarla in
più capitolo a causa
dell’eccessiva lunghezza che la storia stava prendendo.
Comunque, nonostante la
storia sia breve, per poter scrivere i prossimi capitolo credo ci
vorrà un po’,
stesso discorso del Crepuscolo (un mese di fuoco).
Ho scelto Jason perché è un personaggio il cui
interesse per me è cresciuto da
zero a mille, nel crescendo dei libri.
Quindi sì, questo è un tributo al Golden Boy di
Percy Jackson, forse non il
migliore, ma prendetelo come tentativo.
Poi, dulcis in fundo, questa storia non è nata da
un’idea originale, qualcuno
su A3O l’aveva già pensata, vi lascio il link
della ff in questione, ma anche
solo leggendo l’inizio capirete che a parte l’idea
hanno poco altro in comune.
In realtà ho scoperto che oltre questa ne esistono ben altre
3 di ff con questo
tema, credo pubblicherò questa anche su A3O così
saranno quattro.
(Link: https://archiveofourown.org/works/15756735/chapters/36660399)
Detto
queste premesse, spero possiate apprezzare la ff.
Un bacio
RLandH
Ps1-
“PICCOLO”
SPOILER DI TOA (TBL & TToN) e spoiler minori su MC&TGOA
Ps2
– Ho disegnato
(MALE) Thrud:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Thrud-Thordottir-890978835
Jason Grace and … the barbarians
Il
grosso grasso problema barbaro
L’ultimo
ricordo di Jason era di essersi preso una bevanda fredda con suo
fratello …
Apollo, su una spiaggia.
E che era in pace.
Era un bel ricordo, non era come aveva sempre pensato avrebbe virato la
sua
vita – onestamente aveva cambiato idee più volte
su come si sarebbe direzionata
la sua esistenza – però era stato bello.
Era morto, ovviamente, quello non era bello, ma era successo.
Jason aveva sognato come sarebbe stato essere vecchio, sposato e con
dei figli.
La vita andava come doveva andare.
E lui non aveva rimpiatti – o meglio ne aveva – ma
molti meno di quanti
pensasse.
Ricordava la morte.
La sensazione di morire.
Apollo al tavolino che lo ascoltava.
Il sorriso divertito della ragazza di nome Silena.
E la pace.
“Avevi
detto che avrei potuto ucciderti io”
Quello lo ricordava come qualcosa di distorto.
Aveva
aperto gli occhi, aveva incontrato il viso pallido di una bella donna,
dalla
chioma rossa “Ascoltami” aveva detto lei.
Jason
aveva cercato di capire che coso stava succedendo.
La prima cosa che aveva messo a fuoco era stata la lama della spada
della
ragazza sulla sua gola, lei gli era a cavalcioni sul petto,
“Un fiato ed una
mossa e sei morto” gli aveva impartito.
Jason era sveglio, supino su una superficie morbida e stanco.
Non aveva osato muovere un muscolo dalla minaccia, mentre cercava di
elaborare
quello che stava succedendo e che poteva fare.
Gli imperatori!
Apollo!
… Piper!
Poteva provare ad evocare i venti e fulmini.
“Non ti farò niente, ma devi ascoltarmi
attentamente o entrambi la passeremo
male” le aveva detto lei, calma.
“I tuoi amici stanno bene, me lo ha detto Kym”
aveva chiarito quella.
“Kym?” aveva boccheggiato Jason, sentendo la
pressione della lama sulla gola.
Avevi detto che avrei potuto ucciderti io.
“Kymopoleia.
Siamo vecchie amiche, sei qui per un favore a lei” aveva
dichiarato quella,
“Lei ti vuole vivo” aveva dichiarato la sconosciuta.
“Ma sono morto!” era stata la risposta di Jason,
alterata.
“Sì, ma la morte ha tante facce” aveva
dichiarato.
“Kymopoleia ti spiegherà tutto ma tu dovrai
assecondarmi dopo. Se dirai la
verità nulla sarà valso e tu continuerai ad
essere morto – in quella maniera
sgradevole in cui lo siete voi – ed io
non avrò un bel quarto d’ora”
aveva chiarito lei.
Jason era rimasto in silenzio.
“Non pensare di usare i fulmini, noi sei l’unico
che sa fare questo trucco,
comunque” le aveva detto lei e lontano, come un eco, Jason
aveva potuto sentire
l’eco di un tuono.
“Hai capito?” aveva chiesto quella.
Jason aveva annuito, confuso e disorientato.
“Giuralo su … ehm … su cosa
giurate voi?” aveva domandato confuso. “Lo
Stige?”
aveva provato Jason, “Ecco, sì, giuralo su quello,
che non mi contraddirai”
aveva detto lei poi.
“E se non lo faccio sono morto?” aveva chiesto
Jason pratico.
Di nuovo morto.
Quella aveva annuito. Aveva un viso duro, bianco come l’acqua
neve e i capelli biondo
ramato, gonfi come un nido di rovi.
Indossava un’armatura, anche se Jason non ne aveva mai vista
una così, con
piastrine piatte di ferro lucente. Una manica, invece di essere coperta
dalla
corazza, portava allacciato un mantello, dove sarebbe dovuta esserci
una cappa
di pelliccia, c’erano piume bianchissime.
“Lo giuro sullo Stige” aveva
dichiarato, certo di aver commesso un
errore.
La ragazza aveva sorriso per la prima volta, “Ascoltami bene,
adesso, non dire
la verità. Fingiti un mortale, uno di quelli ciechi, proprio
ciechi e di che
non ricordi niente. Questo dovrebbe esserti famigliare” lo
aveva preso in giro
lei.
Sì, decisamente risvegliarsi in lungo sconosciuti con la
memoria a brandelli e
feroci ragazze che lo trattavano come se fossero conoscenti da una vita
era una
sensazione che conosceva piuttosto bene.
Solo che non era opera di Hera, ma Kymopoleia.
“Adesso?” aveva chiesto Jason, la ragazza aveva
allentato la pressione della
lama sul suo collo, permettendo a Jason di respirare bene, aveva
provato a
puntellarsi sui gomiti, per tirare su appena il busto.
Quella non aveva smesso di sorridere.
“Adesso” aveva esordito la sconosciuta,
“Io non sono mai stata qui e tu
asseconderai quello che dico” aveva dichiarato, “E
permettimi di scusarmi in
anticipo, ma farà male” aveva terminato.
Jason non aveva capito cosa intendesse, fino a che non aveva sentito il
freddo
della lama nel profondo, in lui.
Veloce e letale.
Poi era morto.
Ne era stato certo, perché era già morto.
Piper era ad
un bar, era con Leo,
stava raccontando qualcosa di divertente ed il suo amico ascoltava
assorto.
Sembravano felici.
Si era
svegliato di soprassalto, ancora una volta era steso supino su una
superficie
morbida. Era un letto a due piazze, si era sollevato stordito e
confuso,
realizzando di essere in una stanza.
Era capiente, sì, più grandi di qualsiasi stanza
singola avesse occupato nella
sua vita.
Oltre il letto, da due piazze, c’era un angolo cottura, un
piccolo soggiorno,
che con la camera compieva un unico ambiente.
C’era una finestra, coperta da tende stesse.
La prima cosa che aveva stordito Jason era stato però
l’odore delle lenzuola, sapevano
di fresco, un odore che Jason associava a qualcosa che non riusciva ad
identificare
e c’erano lupi sulla federa – nostalgico.
La stanza aveva due porte, una socchiusa dava su un piccolo bagno.
C’era una cassapanca di legno pallido, levigata e liscia, un
armadio a doppia
anta, dall’aspetto antico, massiccio e di legno scuro, sulle
legno davanti era
stata incisa finemente un albero rigoglioso, mezzo su un anta e mezzo
sull’altra.
C’era anche un camino, senza rialzo e il focolare sul
pavimento, coperto da una
cappa di mattoni quadrata, prima di essere assorbito nel soffitto in un
cono,
il mattonato creava un cornicione, che aveva la funzione di mensola, su
cui
erano state sistemate delle cornici.
Foto.
Una foto dove Jason – perché era lui –
piccolo come un bambolotto stava tra le
braccia di una sconosciuta, Beryl Grace, anche Thalia era nella foto,
minuscola,
cinque anni al massimo, mentre la loro madre provava
all’obbiettivo un sorriso
stanco, la piccola Thalia ne esibiva uno pieno di vita, le mancava un
dentino
da latte.
C’era una foto sua e di Piper anche, l’avevano
scattata dopo la sconfitta di
Gea, pochi giorni dopo aver lasciato il campo, quando le cose andavano
bene.
Pieni di aspettative per una vita che non si era mai concretizzata.
Fece male.
L’ultima foto non era mai stata scattata, ma Jason fu
ugualmente pregno di
gioia nel vederlo. Erano loro sette, però c’erano
anche Reyna, Nico ed il Coach
che sorridevano all’obbiettivo, parevano una schiera di
adolescenti normali in
campeggio – e un satiro incazzato – in una schiera
di arancione e viola.
Quella foto non era mai stata scattata, non erano mai stati tutti
assieme.
Non erano mai stati così felici.
Però era bella, perché Jason l’aveva
immaginata un milione di volte. C’era
anche lui in quella foto, questo lo rendeva più doloroso,
perché non sarebbe
mai stato così.
E poi c’era l’albero e Jason si era dannato che non
l’avesse notato prima,
eppure aveva gli occhiali inforcati.
Un angolo del soffitto era sfondato e rami spessi quanto braccia
scendevano da
lì, quasi invitandolo ad una salita, certo che avrebbero
potuto sostenere il
suo peso.
Il legno era d’uro, ma splendido, con foglie verdi grandi.
Dal foro del
soffitto scendeva una brezza piacevole, Jason aveva assottigliato gli
occhi per
poter spiare meglio, notando che non vedeva piani superiori solo il
resto dei
rami, lunghi e infiniti.
Fu quasi tentato di arrampicarsi, ma realizzò di non avere
armi con se – e non
aveva voglia di morire per la terza volta.
Cominciò ad aggirarsi per la stanza e lì sulla
cassa-paca trovò la sua moneta,
piccola e d’oro come era sempre stata.
Aprì l’oggetto trovandolo pieno di biancheria per
la stanza, lenzuola,
strofinacci e asciugamani.
Si diresse all’armadio, aprendolo lentamente,
c’erano appesi dei vestiti,
all’anta suoi, alcune magliette in verde petrolio nuove,
tutte recitavano la
stessa scritta.
Hotel Valhalla.
Ma prima che potesse interrogarsi su quello, ciò che lo
aveva stordito era
stata l’immagine restituita dallo specchio
nell’anta interna dell’armadio.
Era Jason ma non era Jason.
Era lui, sì, con gli stessi capelli biondi paglierino, la
statura, gli occhi
blu dietro le lenti di vetro, la stessa montatura d’orata.
Il naso dritto, le spalle … era lui e non lo era.
Mancava quell’infinitesimale piccolo dettaglio della
cicatrice, lì sul labbro,
quando da bambino aveva provato a mangiare
una cucitrice.
Era una ferita insulsa, una riga bianca appena visibile, ma era sua.
Era la cosa più vecchia che avesse mai posseduto, prima di
scoprire di aver
avuto una madre, una sorella, che ci fosse stato qualcosa prima della
Lupa e di
Roma, aveva avuto quella cicatrice.
Era cresciuta con lui.
Sempre sulla sua faccia.
Così il viso, senza di lei, l’immagine che
restituiva era estranea.
Si era guardato le braccia ed aveva notato che ogni ferita, ogni
graffio,
cicatrice che aveva raccolto da che era bambino ed aveva brandito una
spada era
scomparsa.
Avevano preso Jason ed avevano cancellato tutto quello che ne era stato
di
Jason.
Ed anche il suo aspetto non sembrava più suo.
Si era
allontanato
dallo specchio inorridito e si era seduto sul letto, incapace di
razionalizzare
quello che era successo.
Era morto, lo ricordava, contro Caligola.
La sconosciuta avevano detto che i suoi amici erano salvi, ma poteva
essere
vero?
Chi era?
Cosa c’entrava Kymopoleia?
Lui era nei
Campi Elisi, lo ricordava. Aveva avuto un contatto leggero con suo
fratello,
una sorta di connessione astrale. Ricordava di aver incontrato Silena
ed il suo
fidanzato e tanti altri.
Aveva anche giocato a carte con Menelao e Augusto, quell’Augusto.
‘Sono contento che di Roma sia rimasto ancora così
tanto di cui andare fiero’
gli aveva detto. Un imperatore di cui essere orgoglioso!
Ed in quel momento nulla aveva senso …
Dal suo vagabondare era stato risvegliato solamente dal bussare contro
la
porta.
Era rimasto congelato.
Aveva sentito un vociare appena.
‘Forse non se la sente?’
‘Forse è solo scioccato e non sa che sta
succedendo?’
“Avanti”
aveva miagolato Jason, recuperando dalla tasca dei suoi jeans, la
moneta,
pronta a lanciarla in alto.
“Imbarazzante ma se non mi apri non posso entrare”
aveva risposto una delle due
voci, con un tono più alto, era un ragazzo.
Jason si era alzato con fatica, con i riflessi tesi e la mano pronta al
lancio
ed aveva raggiunto la porta.
Dietro l’uscio c’erano due adolescenti.
Un maschio ed una femmina. Lui era alto, con le spalle larghe e i
bicipiti
prominenti, occhi verde pistacchio, pelle diafana e capelli biondo
dorato,
stretti una treccia che partiva dalla sommità del capo e
scendeva sulla
schiena, alla maniera di un moicano, rasato ai lati.
Lei era il suo opposto, tranne per l’altezza, era slanciata,
ma scura, con un
viso morbido, lunghi e sciolti capelli neri, composti da ricci stretti
e
leggeri.
Aveva occhi castani dolci.
Entrambi indossavano la maglietta verde greggio con la scritta Hotel
Vallalah.
“Ecco, io e Mel ti abbiamo preparato dei muffin, pensavamo
potessi averne
bisogno” aveva detto amichevole lei, allungando verso di lui
un cestino,
coperto da un fazzoletto. “Oh meglio, io ho fatto i cestini e
Mel ha fatto i
muffin, è bravo” aveva cinguettato poi.
Mel, il ragazzo era arrossito.
“Sì, ehm … io sono Thumelicus,
sì lo so è latino, ma è una lunga
storia,
chiamami Mel, mi
chiamano tutti Mel e lei è Madina” aveva
parlato di nuovo il ragazzo.
“Jason” aveva risposto meccanico lui, mentre
prendeva il cestino offertoli
dalla ragazza.
“Devi essere parecchio confuso, eh” aveva valutato
Mel.
Jason aveva annuito, sincero.
“Confuso molto, ma devo ammettere che svegliarmi in luoghi
sconosciuti senza
avere idea di come ci sia arrivato, mi è in
realtà famigliare” aveva scherzato.
Osservando poi l’espressione stranita dei due avventori.
“La
prima
cosa da accettare è che sei morto.
Probabilmente sei morto facendo
qualcosa di eroico, difendendo qualcuno, aiutando qualcuno
…” aveva cominciando
Madina, a raccontare, dopo che si erano accomodati nel piccolo
salottino sul divano
di quella che – da quel momento – doveva essere la
stanza di Jason.
“O semplicemente con una lama alla mano, abbastanza
perché fosse ritenuta
eroica” era intervenuto Mel cominciando a spostare la carta
da uno dei muffin
che aveva portato.
Jason aveva ricordato le parole della sua – seconda assassina
– “Io non credo
di ricordarlo bene” aveva cominciato a dire, non sapendo come
doversi destreggiare.
Non era un bravo bugiardo, perché non era un bugiardo.
Si era limitata ad imitare come si era comportato naturalmente, la
volta
scorsa.
“Ero con la mia …
ex-ragazza, mio
fratello ed una sua amica …” aveva detto alla fine
Jason, niente di tutto questo
era una menzogna alla fine.
Madina aveva sorriso con gentilezza, “Non ti preoccupare, la
tua valchiria dirà
tutto a cena” lo aveva tranquillizzato, con molta allegria,
“Adoro sempre il
momento della Valchiria” aveva aggiunto, accomodandosi
affianco a Jason sul
divano.
“Valchiria?” aveva chiesto Jason.
“Le guerriere che raccolgo le anime degli eroi”
aveva spiegato Madina come se
fosse stato ovvio.
“Sì. La Valchiria che ha raccolto la tua anima
mostrerà a tutti le tue gesta! Vedremo
probabilmente a grande schermo la tua morte, non è
piacevole, ma è
intrattenimento. Comunque, sii contento, non sei morto sei un
Einherjar,
uno dei guerrieri immortali di Odino. Sei morto, sì, ma sei
nella forma
migliore possibile” aveva detto orgoglioso Mal.
Odino?
Odino era una divinità nordica, “Odino, tipo il
padre di Thor?” aveva chiesto
Jason.
“Sì, ma non come nella versione della Marvel.
Più … ambiguo” aveva risposto
Madina, poi avevano proseguito il loro discorso.
Jason era un einherjar ora, un guerriero immortale, ogni giorno doveva
combattere nei campi in preparazione del Ragnarok – la fine
del mondo – e
mangiare alla tavola di Odino.
Non erano richieste altre funzioni.
“Quindi
è
una specie di aldilà” aveva valutato.
Era ancora morto.
Solo che sembrava terribilmente vivo, era difficile da spiegare, quando
si era
trovato nei Campi Elisi, non si era sentito così, si era
sentito leggero, privo
di ogni mal pensiero, ogni dubbio, incertezza, dissipato.
Era come vivere a mollo, nella gioia. In quel momento si sentiva vivo.
Nella
sua peggiore forma di vità.
“Si, solo che ecco, è un aldilà molto aldiquà”
aveva dichiarato Madina,
“Pensa che alcune volte riusciamo anche a farci una
scampagnata per i nove
mondi, sì, ne esistono nove. Midgard è comunque
il più bello” aveva esclamato
lei.
“Per questo ci teniamo aggiornati su come funziona il
mondo” aveva stabilito
Mel, ingurgitando un altro muffin, “Altrimenti saremmo un
po’ indietro. Madina
è nata nel milleseicento ed io sono un po’
più vecchio” aveva raccontato lui.
“Poi, sarà che sono figlia di Ullr – un
dio norreno, quello dello scii
– ma combattere, a me, diverte proprio, è una vera
botta di adrenalina!” aveva
raccontato Madina, “A me no, infatti non vengo a combattere
tutti i giorni,
siamo così tanti che non se ne accorgono mica”
aveva dichiarato Thumelicus.
“Comunque tranquilla a cena Odino e gli altri responsabili,
racconteranno tutto
molto meglio, anche i nostri doveri” aveva detto la ragazza,
lanciando uno
sguardo piuttosto critico all’amico.
Mel aveva riso con imbarazzo.
“Scusa, porto i segni di una vita con un’arma alla
mano” si era difeso il
ragazzo, alzando ambedue le mani.
Nonostante la sua affermazione, aveva la carne liscia priva di
qualsiasi
imperfezione.
Nessuna ferita, nonostante a loro dire combattessero ogni giorno.
“Mi è sparita una cicatrice” si era
lasciato sfuggire, toccandosi poi con le
dita li dove sapeva dovevano esserci i resti della sua impresa con la
spillatrice.
“La trasformazione in einherjar cura tutte le tue ferite,
letteralmente”
aveva raccontato Mel.
Madina aveva allungato una mano verso il suo amico, lui si era sfilato
dallo
stivaletto a mezza-gamba un coltello dalla lama sottile e le aveva
tagliato il
palmo della mano, secco. Lei aveva emesso un lamento, ma aveva cercato
di non
sgocciolare su Jason, sui muffin o sulla tappezzeria.
Jason aveva potuto osservare come il taglio, marginale, si fosse
rimarginato in
fretta sulla pelle della ragazza.
Mel aveva ripreso a parlare: “Di solito non è
sempre così veloce, il taglio era
superficiale e Madina è una semidea, loro ci mettono meno
tempo” aveva chiarito
subito lui.
Anche lui era un semideo.
“Questo, Jason, vale per tutte le ferite”
aveva dichiarato lei, “Anche
fuori di qui, siamo più veloci a rimarginare le nostre
ferite, siamo difficili
da riuccidere” aveva specificato.
“Ma fuori di qui siamo assolutamente mortali” aveva
chiarito immediatamente
Mel, “Se muori, bang, la tua anima … ehm
… si dissolve? Finisci nel regno di
Hell? Non ci teniamo a scoprirlo.
Jason aveva battuto gli occhi.
Madina aveva continuato il discorso del suo amico, “Ma qui
dentro siamo
praticamente immortali, si rimarginano ogni ferita, anche quelle
letali.
Letteralmente moriamo e torniamo in vita. Non è sempre
bellissimo, come
processo, ma prima ci fai l’abitudine, meglio è.
Anche perché preparati per i
prossimi dieci anni morirai un bel po’ di volte. Le battaglie
sono un casino”
aveva raccontato allegra lei, con gli occhi lucenti.
“Ora, forse, ti lasciamo ad elaborare le
informazioni” aveva cominciato Mel, ma
Jason aveva indicato loro l’albero che irrompeva nella sua
stanza.
Così era cominciata un’altra serie di nozioni
utili e terribilmente
confusionarie.
Quello era l’Yggdrasil l’albero
del mondo, che sorreggeva tutti i mondi.
“Quando diventi esperto è un buon modo per
spostarsi, ma ecco, non te lo
consiglio. L’Yggdrasill è animato da creature non
troppo amichevoli e se
dovessi cadere da lì finiresti nel Ginnungagap. Il
nulla” aveva detto gentile
Madina.
“Adesso, ha ragione Mal, ti lasciamo elaborare.
Così ti presentiamo anche gli
altri abitanti del nostro piano, siamo al ventesimo” aveva
aggiunto la ragazza.
“Sì con te siamo ufficialmente cinque, possiamo
finalmente organizzare una partita
di calcetto” aveva scherzato Mal, “Se non fosse che
Fred non esce mai” aveva aggiunto
con un tono più cupo.
“Ti richiamiamo per la cena va bene?” aveva chiesto
invece Madina alzandosi,
“Uhm, ecco, puoi fare un giro, ma fai attenzione ogni porta
potrebbe portarti
potenzialmente in un mondo pericoloso …” aveva
aggiunto lei con imbarazzo.
“Grazie” aveva risposto solamente Jason. Stanco.
Aveva
scoperto che il suo bagno aveva una vasca e memore dei tempi a nuova
Roma ne
aveva approfittato.
Era finito nell’oltremodo norreno, per desiderio di
Kymopoleia.
Stava mentendo a tutti, perché glielo aveva detto una
sconosciuta.
Ed era comunque morto, ma non abbastanza.
Sentiva la mancanza dei Campi Elisi, più della sua vita,
più dei suoi amici …
era strano, no?
Ma Jason aveva avuto l’impressione che tutta la sua vita
fosse un conflitto,
una sfida, una fatica e finalmente aveva potuto liberarsi ed in quel
momento,
eccolo, a combattere per il resto della sua vita fino alla fine dei
tempi.
Perché?
Si era
ammollato nella vasca, quando avevano bussato nuovamente alla porta,
Jason si
era mosso meccanico, per andare ad aprire, con l’asciugamano
allacciato alla
vita e gli occhiali dimenticati sulla cassapanca. Ci vedeva ugualmente,
bene,
abbastanza da aver creduto per una vita di vederci, ma ora si rendeva
conto che
la sua vita era un filo appannata.
Straniamento quello la resurrezione non lo aveva curato.
“Oh, Wotan!” aveva esclamato
Thumelicus quando lo aveva visto, “Scusa
ero in … bagno” si era giustificato Jason,
“Nessun problema, solo che è la tua
grande serata e dobbiamo andare” aveva detto quello,
grattandosi il capo.
Lui aveva annuito, recuperando dei vestiti nell’armadio,
aveva imitato Mel ed
aveva messo la maglietta dell’hotel, sembrava un
po’ come quella del campo, di
appartenenza.
Thumelicus gli aveva sorriso, poi erano uscita dalla stanza, Jason
aveva
osservato un lungo corridoio, con moquette ed una fila di porte che
sembrava
tendersi verso l’infinito.
Il suo cicerone aveva cominciato ad indicare il suo ingresso, quello di
Madina
e degli altri due avventori.
Si era fermato davanti ad una porta ed aveva bussato, carico di
aspettative.
Nessuna risposta.
“Fred, sono io Mel. Sto andando a cena,
c’è anche Jason, quello nuovo, e la sua
gran serata … non è che vorresti
venire?” aveva chiesto Mel con aspettativa,
“Le ragazze ne sarebbero contente” aveva aggiunto.
Era seguito del teso silenzio e poi una risposta, “No, je
… io credo
resterò qui …” piano, con lo stesso
tono miagolato di un gatto.
Thumelicus aveva chiuso gli occhi e sul viso si era dipinta
un’espressione
sconfitta.
Il ragazzo si era staccato ed aveva invitato Jason a seguirlo,
“Uhm … Fred non
esce molto. Ogni tanto lo fa, siamo un po’ preoccupati che si
dissolva. Può
succedere” aveva raccontato quest’ultimo.
Avevano
preso un ascensore e Mel aveva digitato uno dei primi piani, sebbene
l’ascensore avesse trovato il suo arresto subito dopo di loro.
Nel cubicolo erano entrati un ragazza che aveva ricordato a Jason
immediatamente Rachel, con un sorriso sbarazzino ed una matassa di
riccioli
rossi, sebbene se soluzioni finissero lì, ed un ragazzo
dall’incarnato scuro, i
riccioli, una baionetta legata alla schiena e vestito come se fosse
uscito da
una ricostruzione della guerra di secessione, per quanto fosse
probabile fosse
uscito direttamente da lì.
“Oh ciao, Mel, nuovo vicino?” aveva chiesto subito
quello.
“Sì. Jason loro sono Tj e Mallory, diciannovesimo
piano, praticamente delle
leggende qui,
più di Leif Eriksson e suo padre” aveva dichiarato
Mel, con un sorriso
bell’allegro.
“Devo dire che non ho idea di chi sia” aveva
ammesso Jason.
“Mortale, indovino? Hai proprio la faccia
da mortale” si era inserita
Mallory, con un sorriso da rana, l’amico le aveva tirato un
buffetto con il
gomito.
Jason aveva ricordato le parole della sconosciuta, annuendo, pieno di
vergogna
per la sua stessa menzogna. “Leif Eriksson è stato
il primo europeo a giungere
in America, ben quattro secoli prima di colombo” aveva
spiegato subito Tj. “Lo
vedrai a mensa, siede al tavolo di Odino!” aveva aggiunto
Mel, “Mi ricordo
ancora quando è arrivato” aveva scherzato poi.
Jason iniziava a farsi l’idea che non fosse solo un
po’ più vecchio di Madina.
La sala da
pranzo era enorme, piena di tavoli con altrettante persone, creando un
mare di
teste, su cui sopra scivolavano nell’aria splendide fanciulle.
Valchirie, le aveva definite Mel.
La sala era dominato da un enorme albero d’oro, il
più grande e bello che Jason
avesse mai visto, che faceva pendent con il
soffitto tempestato da tondi
clipei dorati.
Il tavolo
addossato alla parete era il più evidente, era rialzato
rispetto gli altri. Il
posto centrale era occupato da un vecchietto, con il sorriso arzillo e
l’occhio
coperto da una benda. Doveva essere Odino, il patriarca della mitologia
norrena, lo Zeus degli altri. La cosa che spiccava di più
era sicuramente
l’abbigliamento da allenatore di football che avrebbe trovato
l’approvazione di
Coach Hedge ed i due corvi, neri e grossi, appollaiati sulle sue
spalle. Al suo
fianco, era una corte di altri signori, più o meno
pittoreschi.
“Quello è Wotan, padre-tutto,
signore degli Asi e fondatore del Valhlala”
aveva dichiarato subito Mel.
“Pensavo si chiamasse Odino” aveva commentato Jason.
“Oh, sì, giusto è il nome ehm
… scandinavo. Io appartengo ai cherusci
ed
uso il nome nostro” aveva dichiarato.
“Sono un popolo germanico, vero?” aveva chiesto
Jason, se li ricordava i
cherusci, per un fatto storico, che dopo milleni Roma non aveva ancora
superato.
Mel aveva sorriso, “No. Sono i Romani ad averci chiamato
così, germani. Però sì
era un popolo, oltre il Reno, se lo ricordano in pochi” aveva
raccontato poi il
germano.
Jason aveva chiuso gli occhi per un secondo.
La sconosciuta aveva detto di mentire. “E cosa sono gli
Asi?” aveva chiesto per
non entrare nel discorso della romanità.
“Gli dei, gli dei della guerra, ci sono Asi e Vani, diciamo
che gli Asi
comandano, circa, cioè non credo che qualcuno lo direbbe mai
ad alta voce a
portata di orecchio della divina Freya”
aveva risposto con
allegrezza Mel, mentre lo guidava tra il dedalo di tavoli, appena dopo
essersi
congedati da Tj e Mallory.
“Quelli accanto ad Odino sono i Thegn,
gli alti funzionari, sono tutti
uomini che Odino ha scelto personalmente, quello lì,
è proprio Leif” Mel aveva
indicato quelli che sedevano al tavolo di Odino, anche se Jason non era
riuscito a distinguere bene quale fosse il famoso Leif Eriksson.
Però aveva riconosciuto subito Madina, che sventolava una
mano verso di loro.
Non era
sola al tavolo, con lei c’era un’altra ragazza, era
di origine nativo
americane, ma era diversa da Piper, quello fu il primo pensiero di
Jason. Aveva
il viso piatto, gli occhi allungati, verso la forma di una mandorla,
l’incarnato caramello e capelli nerissimi, lisci e dritti.
“Oh, tu sei quello nuovo!” aveva canticchiato lei,
sorridendo, aveva labbra
sottili, allungando una mano verso di lui, indossava guanti imbottiti.
Differentemente da loro non aveva la maglietta verde bottiglia, ma
sfoggiava un
abbigliamento di pelliccia ed una collana con le perline.
“Io sono Astrid” si era presentata.
Non era un nome che si aspettava, doveva ammettere.
“Jason” aveva detto lui, stringendole le mani.
“Spero Jason che la tua morte eroica non sia stata una
casualità, perché noi,
piano venti, abbiamo il minor numero di morti in battaglia e voglio
tenere
questo record” aveva dichiarato Astrid con fermezza.
Madina aveva scosso il capo sconsolato, “Scusala, Jason,
Astrid è molto
competitiva” aveva provato a giustificare l’amica.
“Anche oggi Fred non viene?” aveva chiesto, invece,
Astrid, a Mel, ignorando
Madina..
L’altro aveva fatto un cenno di diniego.
Astrid aveva arricciato le labbra contrite, infastidita da quella
notizia,
prima di distogliere l’attenzione della conversazione muta
che stava avvenendo
tra Mel e Madina.
“So combattere” le aveva detto Jason, insicuro
anche del perché l’avesse fatto.
Astrid aveva annuito, “Bene, perché noi due
passeremo molto tempo assieme, come
puoi immaginare” lo aveva avvertito lei, con una mano aveva
fatto cenno ai due
loro commensali.
Mel e Madina erano ancora assorti in una conversazione fitta,
sottovoce,
composta di gesti e sguardi.
Ah, erano una coppia!
Oh. Madina era lì almeno dal mille-e-seicento.
“Hai dovuto fare da reggi candele” aveva valutato
Jason.
Il suo pensiero era andato a Leo, che aveva sempre vissuto male quella
situazione.
Leo, chi sa se avrebbero potuto rincontrarsi. Madina e Mel avevano
detto che di
tanto in tanto potevano uscire.
“Quattrocento
anni” aveva risposto
Astrid, anche se non era una domanda, mentre sfilava da una delle
bretelle di
cuoio quello che aveva tutto l’aspetto di un corno potorio.
“La mia fortuna che
avevo questo” aveva dichiarato lei, “Lo avevo
addosso quando sono morta, ospita
molto più idromele dei bicchieri che danno qui”
aveva stabilito.
Jason non era sicuro fosse una battuta perché il viso di
Astrid era rimasto
ieratico.
Odino
aveva attirato l’attenzione di tutta la sala, aveva delle
notizie interessanti
prima di procedere con il pasto e con l’usuale giornaliero
bagno di sangue.
“Prima di tutto accogliamo i nostri nuovi ospiti”
aveva stabilito, lasciando la
parola ad un uomo che si chiamava Helgi, che Mel subito si era
predicato nello
spiegare fosse il receptionista dell’hotel e uno dei
guerrieri dell’elite.
“Sarah
Topika” aveva chiamato quello.
Da un tavolo si era alzato una giovane donna, più grande di
Jason, aveva occhi
grandi di un nero profondo, l’incarnato
caffè-latte e i capelli tinti di un
biondo piuttosto accesso. La donna aveva un espressione piuttosto
confusa,
differentemente da Jason lei doveva essere una mortale in tutto il suo
splendore.
“Ora, visioneremo dalla Valchiria-Cam la tua eroica morte,
Sarah” aveva detto
Hodi.
Vicino al tavolo, dal cielo era scesa una ragazza, “La
Valchiria che ha
raccolto la tua anima è Samirah Al-Abbas” nel dire
quell’ultima cosa, si era
levato dall’intera sala un brusio di applausi e fischi.
Jason aveva guardato la ragazza incriminata.
Poteva essere una sua coetanea, aveva un hijab verde, con una fantasia
di fiori
rosa, che copriva il capo, lasciando scoperto un viso bronzeo con un
espressione soddisfatta.
Gli abiti assolutamente civili, erano nascosti dietro un armatura con
placche argentee
sottili … come quelli della sconosciuta.
La ragazza che lo aveva salvato-ucciso era una valchiria.
Samirah aveva premuto qualcosa sulla sua armatura e subito davanti ai
loro occhi
aveva proiettato qualcosa.
Sembrava come un ologramma.
C’erano due bambine che piangevano, una era quasi
adolescente, ma non
esattamente e l’altra era più piccola, Sarah era
già ferita, ma brandiva
tremante un coltello contro qualcuno.
L’uomo si era fatto avanti, Sarah non era arretrata.
L’uomo le era balzato addosso, c’era stata una
colluttazione, era durante un
po’ , in qualche modo l’uomo aveva preso il
coltello ed aveva ferito Sarah al
ventre, le ragazzine avevano urlato.
Poi era successo qualcosa, c’era stato un po’ di
disturbo nella ricezione.
Quando la telecamera era tornata a registrare,
Sarah era livida, abbracciata alle ragazzina più piccola, la
più grande era il
telefono, forse a chiamare i soccorsi.
Una figura si era affacciata nella scena, era stata molto veloce
– ma brillava di
luce dorata
– ed aveva dato a Sarah il coltello da stringere nella mano.
La visione si era interrotta, mentre la donna spirava per la ferita ed
anche
lei si illuminava di una forte luminescenza aurea.
Helgi aveva sbuffato, esausto, che a Jason aveva ricordato Chirone,
mentre
Odino aveva ridacchiato.
“Valchiria, questo intervento è … irregolare”
aveva dichiarato Hodi
stanco, ma il sorriso soddisfatto di Samirah non aveva fatto una piega.
“Lei può fare tutto quello che vuole,
praticamente, non sarà una valchiria per
sempre ed ha il bonus dell’aver salvato il mondo …
due o tre volte” aveva
commentato Mel.
“Io adoro la Valchiria-Cam di Samirah,
c’è sempre qualche irregolarità”
aveva aggiunto Madina,
battendo le mani sul tavolo.
Jason
aveva guardato Sarah, era pallida e delle lacrime solcavano il suo
viso, “Non
ti preoccupare Helgi” aveva preso la parola Odino,
“Non possiamo che
riconoscere il coraggio mostrato da questa giovane donna, nel
proteggere quelle
due giovani. Erano le tue figlie?” aveva chiesto poi il padre
degli dei alla
diretta interessata.
“Le mie nipoti” aveva miagolato Sarah.
“Sei morta combattendo, sei morta valorosamente e con
un’arma alla mano,
Samirah non è stata forse molto ortodossa” Odino
aveva fatto una pausa
scoccando uno sguardo alla valchiria, che ora sembrava molto meno
convinta, e
fischiettava guardando in un’altra direzione, “E
neutrale. Ma questo luogo è
ora la tua casa. Benvenuta nella nostra Sala” le aveva detto,
alzando un calice.
Un’altra valchiria aveva subito allegato alla donna un calice
con cui brindare,
che quella aveva accettato tremante.
Helgi
aveva chiamato un’altra anima, con un nome per Jason
impronunciabile, questa
volta si era alzato un ragazzo, giovane come Jason, con i capelli neri
lisci ed
il trucco sugli occhi ed una maglietta di una band metal, aveva
un’espressione
dura ed arrabbiata, ma quando la valchiria che l’aveva
salvata – una dodicenne
con un sorriso frizzante – si era subito addolcito.
Il ragazzo aveva aiutato dei suoi compagni ad uscire da una finestra,
mentre la
loro scuola era in fiamme, era morto poi per l’esalazione del
fumo, ma l’aveva
fatto con il coltellino svizzero alla mano.
Anche lui era stato accolto nella Sala.
Jason
aveva cominciato a sudare freddo, cosa avrebbe inventato la sua
valchiria, per
lui …?
Helgi aveva ripreso a parlare:
“Jason Grace” il suo nome non gli era mai parso
più estraneo.
Astrid gli aveva messo una mano sulla spalla e lui si era alzato.
Percepiva tutti gli occhi dalla sala su di lui.
Tutti.
Nel mentre davanti al tavolo di Odino si era palesata la sua misteriosa
salvatrice.
“Oh, Thrud Thordottir, non porti molto anime tu
…” aveva valutato Helgi. Lei
aveva ridacchiato, prima di voltare il viso verso Odino.
“Oh, nonno!” aveva chiamato subito, con un tono in
falsetto e bambinesco.
Solo quando era stato appellato, Jason aveva notato che Odino aveva
tolto
l’occhio sano dalla sua figura per guardare quella che doveva
essere sua
nipote. “Durante il mio salvataggio, la Valchiria-cam
è rimasta … ehm … distrutta”
aveva dichiarato Thrud, fingendo vergogna.
Si era sollevato un brusio per la sala.
“Questo è altamente irregolare” aveva
commentato uno dei thegn di Odino, mentre
il tavolo principale cominciava a confabulare tra loro.
Jason aveva un problema.
Lo stava capendo.
Aveva vissuto abbastanza situazioni disagianti da riconoscere un
problema
quando lo vedeva.
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Capitolo 2 *** I vicini non si scelgono, in particolare quelli che durano un’eternità ***
BUONSALVE.
Dopo una scarpinata infinita, una giornata folle, una notte insonne, un
esame passato,
un girovagare senza metà ed un rientro, sono pronta a
mettermi nel letto e
dormire per le prossime settantadue ore.
Però ho deciso anche di aggiornare.
Un capitolo un po’ più ferraginoso di quello
precedente, che in realtà
comprenderebbe una seconda parte che avverrà più
avanti (ahimè i miei buoni
propositi mi stanno abbandonando per la lunghezza) non sto
“complicando” la
storia, sto solo allungando i tempi di scrittura (della trama). Ad un
certo punto
ho realizzato: ho creato degli oc ed ho deciso di usarli e
caratterizzarli
meglio (non tutti, non sarebbe possibile).
Insomma sì questo capitolo parla un sacco dei nostri
simpatici nuovi personaggi.
Vorrei ringraziare chi ha letto, ma soprattutto Farkas per la
recensione.
Buona Lettura
Ps –
Eccovi, qui, una simpatica Astrid
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Astrid-891761787
I vicini non
si scelgono, in particolare quelli che
durano un’eternità
La sala
era avvolta in un discreto brusio.
La valchiria Thrud aveva un’espressione mortificata sul viso
giovane.
Jason era granitico.
Cosa doveva fare?
Thrud aveva detto di non contraddirla, ma Thrud
l’aveva ucciso.
Il padre dei numi (Jason si chiese se era corretto chiamarlo
così), d’altronde,
era tranquillo ed aveva sorriso accomodante a sua nipote.
Anche Thrud aveva ricambiato il gesto con il nonno.
“Potremmo fare come ai vecchi tempi” aveva proposto
il signore degli Asi.
Altro mormorio si era alzato nella sala.
“Come ai vecchi tempi?” aveva chiesto uno dei
Thegn, sembrano tutti sconvolti
dalla proposta.
Thrud aveva preso la parola, “Certo, mio nonno, il saggio
Odino, propone, per
una volta di ritornare alle care vecchie usanze ed io potrei
raccontarvi le
eroiche gesta che Jason Grace ha compiuto” aveva ghignato
Thrud.
Ricordava quello che le aveva detto: Tienimi il gioco.
Non aveva solo messo Jason in pericolo, ma anche se stessa.
“E come sapremmo se sono vere?” aveva chiesto
qualcuno dei Theng.
“Nobile Jim Bowie, tu accusi me? La figlia di Thor e Sif? Di
poter mentire
davanti questa sacra Sala?” aveva chiesto con esagerata scena
la ragazza, “Mi
sento offesa! Come Valchiria, donna e discendente di
Padre-tutto” aveva
dichiarato poi Thrud, portandosi una mano al petto.
L’uomo che aveva parlato, non più così
giovane, con i basettoni calcati e
l’espressione d’un uomo che avrebbe voluto essere
in qualsiasi altro luogo che
lì.
“Non mi permettere Mia Signora” aveva dichiarato
Jim Bowie, mortificato,
sedendosi di nuovo al suo posto.
La valchiria aveva perso la sua espressione da bambola frastornata, per
riprendere su un certo compiacimento.
Jason aveva sentito sospirare Astrid, le aveva lanciato uno sguardo ed
aveva
visto la ragazza nascondere il viso dietro una mano.
“Io lo dico sempre, momento migliore della
giornata” aveva esclamato Madina
senza perdere il sorriso allegro.
Thrud
aveva gli occhi di tutti addosso, ma non sembrava affatto turbata da
questo,
aveva giocato appena con la punta della sua treccia, come a simulare un
nervosismo che non aveva. A Jason aveva ricordato Drew Tanaka, la
sorellastra
poco gentile di Piper, per quel suo modo di fare così
calcolato.
“Spero non vi dispiaccia se non sarò molto
poetica, ho tristemente ereditato
l’arte oratoria da mio padre” aveva cominciato
subito Thrud, strappando una
risata divertita dall’intera sala.
“Dunque, in un caldo giornata estiva sono stata attirata dal
nostro Jason
Grace, vi basta guardarlo per capire perché” aveva
aggiunto la valchiria,
sollevando la mano verso di lui.
In quel momento erano tornati tutti a puntare gli occhi su Jason, che
si era
sentito con le guance in fiamme, sicuro di essere rosso.
Aveva sentito Mel e Madina sghignazzare, da un tavolo non lontano
qualcuno
aveva anche fischiato.
Thrud aveva sorriso, con una punta di divertita cattiveria ed aveva
ripreso.
“Quindi eccolo Jason Grace, in compagnia nella sua bella
fidanzata” aveva
ripreso a parlare Thrud.
Il suo primo pensiero era andato a Piper, con quel suo modo che aveva
preso a
guardarlo nell’ultimo periodo, come se avesse voluto dire
qualcosa ma come se
le sue labbra fossero incapaci di tradurre i suoi pensieri e il dolore
che
aveva nel pensare a lei.
E quell’immagine di Piper e Leo al bar, come comuni
adolescenti.
E poi … poi aveva pensato che aveva raccontato a Mel e
Madina di essere con
Apollo e Meg, anche se non gli aveva nominati.
Thrud
aveva ripreso, “Dovevano incontrarsi con il di lui
fratellastro, Lester ed una
sua buon’amica, ma … ecco, che il nostro impavido
futuro eroe affronta un
problema che non aveva calcolato.
C’è questo uomo … un bruto, per quanto
appaia raffinato. Peccato la mia camera
si sia rotta, lo avreste apprezzato” aveva ghignato lei.
C’erano state un’altra serie di risatine divertite
nella sala.
Stava parlando di Caligola …
“Oh, il bruto voleva qualcosa da loro, qualcosa di bello e di
dorato” aveva
scherzato la valchiria, facendo una pausa, aveva sollevato le mani
all’altezza
del viso, circa, con i palmi rivolti verso il basso, poi aveva fatto
tremolare
le dita, per creare atmosfera, che era stato seguito da una serie di
‘uhh’
e ‘ohh’ dei commensali.
Elios ed Apollo. Thrud stava
facendo riferimento al suo
fratellastro e al titano.
Qualcosa di bello e dorato, scommetteva che Apollo avrebbe apprezzato
sicuramente la definizione, scommetteva anche che avrebbe apprezzato anche
Thrud.
La valchiria aveva ricominciato a parlare, “Allora, ecco,
Jason impavido è già
pronto a parare la sua bella, lei di rimando non è da meno.
Ottimo gusto,
signor Grace, a proposito, una che probabilmente tra qualche anno la
ritroviamo
qui in sala” aveva scherzato quella.
No, no, Jason voleva che Piper diventasse vecchia, rugosa e grigia e
andasse
nei campi elisi, nella pace, dopo una lunga vita. “E tra lui
e lei, il
belloccio se la passa proprio male, le sue navi pure peggio –
ebbene sì uno di
quei fastidiosi magnati convinti di avere il mondo tra le mani
perché manovrano
quello che ritengono l’unico metallo importante …
l’oro” – c’era stato un
momento di pausa, che aveva procurato degli ululati in sala.
Tutti gli occhi erano per Thrud, tranne qualcuno. Jason aveva
riconosciuto al
tavolo di Mallory e TJ, altre persone, tra di esse una di loro la stava
guardando. Non gli era chiaro se fosse un uomo o una donna, aveva un
visetto
vispo e bello, lo stesso sguardo divertito di Thalia quando aveva
un’idea, con
due scintillanti occhi diversi.
“… Lo scontro e aspro, brutale. E Jason muore
lì, su quella spiaggia e io lo
raccolgo luminoso d’oro come la luce d’un faro
nell’aspro oceano. Non potevo
lasciare un’anima così luminosa a
quell’accattona di Ran”, evidentemente Jason
si era distratto durante la sua epica morte, ma dalle facce degli
avventori,
che lo guardavano annuendo, sembravano tutti piuttosto soddisfatti
della sorte
che Thrud gli aveva dato.
“Mi pare giusto” aveva commentato
dall’altro del suo scranno Odino, Jason era
quasi certo di aver visto uno dei suoi corvi annuire.
Thrud aveva sorriso al commento del nonno.
“Ma che arma aveva?” aveva strillato qualcuno,
Jason aveva cercato nella sala
chi aveva parlato. Era
un uomo, aveva il
viso sbarbato ed i ricci scuri e nerissimi, aveva un accenno di gobba
ma della
fierezza nello sguardo, perdeva un po’ di regalità
perché indossava anche lui
l’armadietto verde petrolio.
Se Thrud fosse stata colta in fragrante, avrebbe dovuta essersi ripresa
in
fretta, “Ottima domanda, Richard!” aveva
canticchiato lei, “Forse una valchiria
un po’ irriverente potrebbe aver fatto cadere la sua
lama” aveva dichiarato con
un certo divertimento Thrud, strizzando l’occhio
all’uomo.
Helgi aveva aperto la bocca forse per esclamare quanto tutto quello
fosse
altamente irregolare, ma Odino l’aveva preceduto,
“Bene, bene” aveva stabilito.
“Jason Grace, benvenuto!” aveva
stabilito padre-tutto.
C’era stato un applauso e Jason aveva potuto sedersi
nuovamente al suo posto.
Per quella sera ne era uscito illeso.
“Questa
volta Samirah è stata derubata della gloria” aveva
scherzato Madina, “Sarò
onesta mi mancavano le odi vecchia maniera, certo una volta erano in
poesia ed
in una lingua vera” aveva dichiarato invece Mal. La fidanzata
gli aveva
strizzato una guancia, “Oh come fiero il mio
cheruscio” lo aveva
stuzzicato.
Una giovane Valchiria si era avvicinata per versare loro da bere, aveva
sorriso
a Jason con un certo compiacimento e lui era stato certo di esser
diventato
ancora più rosso.
Astrid aveva sollevato verso di lei il suo bel corno potorio di un
colore
alabastro, sporcato sulla punta di nero fuliggine.
“Quattrocento anni a vederli tubare più di quanto
farebbe un colombiere” aveva
scherzato Astrid, ferrea.
“Credo in vita di aver fatto passare questo ad un mio amico,
forse non è stato
molto gentile” aveva valutato Jason.
Astrid non lo aveva distolto lo sguardo, “Che
c’è?” aveva chiesto Jason, prima
di portarsi alle labbra un po’ del sidro che gli avevano
versato.
Era dolce.
Ed anche buono.
“Sto cercando di capire cosa sta complottando zia
Trudy” aveva risposto
poi Astrid.
Oh .. la valchiria …
Odino
aveva attirato l’attenzione alla sala, “Bene, mie
graditi ospiti, prima che
possiamo darci ai bagordi dell’idromele alle buone
carni” e nel dirlo aveva
ammirato con l’unico occhio sacro, l’albero
d’oro, tra i cui rami c’era una
capretta saltellate, che si era fatta piuttosto rigida alla menzione,
“Permettetemi
di spiegare ai nostri nuovi ospiti come funziona qui, per
l’occasione ho
presentato una breve presentazione in power point”
aveva detto Odino.
Si era sollevato in piedi ed aveva tirato fuori dalla tasca da
ginnastica un
telecomando, che aveva premuto, alle sue spalle era comparso un
quadrato di
luce, come se un proiettore si fosse accesso.
“Oh, per la gloria di mio padre!” aveva esclamato
Madina, senza quel suo tono
allegro.
“Riportatemi qualcosa dopo” aveva dichiarato invece
Mel, la ragazza stava per
rimproverarlo di qualcosa, quando il guerriero cheruscio si era
infilzato alla
giugulare con una forchetta.
Jason si era ritrovato sporco di sangue, mentre osservava Mel
afflosciarsi
atterra, tremare, sputare sangue e poi liquefarsi in una polvere
d’oro.
“Lo amo, eh, ma certe volte è un po’
melodrammatico” aveva dichiarato Madina,
mentre toglieva con un fazzoletto il sangue dalla faccia.
“Lo sai queste pellicce quanti anni hanno? Un millennio!
Dovrò andare al negozio
di Blitz per farle smacchiare. A nessuno piacciono le presentazioni di
Odino ma
Mel esagera, ogni volta” aveva strillato Astrid.
Nessuno sembrava dare peso a loro.
“Cosa è appena successo?” aveva chiesto
Jason.
“Hai presente quando sei in una di quelle situazioni in cui
pensi: cavolo
preferirei ficcarmi una forchetta in gola che essere qui. Questo.
Dopo
una vita in catene, Mel ha deciso che non permetterà
più a nessuno di costringerlo
a fare ciò che non vuole, anche assistere ad una
presentazione power point”
aveva scherzato Madina, il suo sorriso sembrava meno bello, quando il
viso era
rosso di sangue.
Jason era ancora interdetto.
“Tranquillo, è ancora vivo, si sta riformando
nella sua bella camera sul suo
comodo letto. Domani lo rivedremo per la colazione e la
battaglia” aveva detto
Astrid, ancora irritata, “Io invece stanotte dovrò
uscire di nascosto per farmi
sistemare da un elfo oscuro questo” aveva indicato le macchie
di sangue sulla
sua pelliccia. “Questa renna l’avevo cacciata ed
acconciata personalmente”
aveva rimarcato.
Il
lamentio di Astrid era stato soffocato dalla presentazione power point
in centoventi-tre
slide presentata da Odino, molto lentamente, decisamente logorante, al
punto
che Jason si era azzardato a togliere la forchetta dalle mani di
Madina, molto
cautamente, quando l’aveva vista tristemente interessata ad
imitare il
fidanzato.
Di rimando, lui cominciava a farsi un’idea del
perché del gesto di Thumelicus,
Odino sapeva essere più pedante di Terminus e del professor
Jakob alla scuola
maschile.
Le informazioni che aveva dato erano comunque molto interessati, aveva
parlato
di nuovo dei guerrieri immortali, del Ragnarok, ma poi si era dato in
un
attenta descrizione dell’universo, diviso dei suoi nove mondi
e di tutte le
creature che lo abitavano.
Era quasi rassicurante sapere che i giganti, di ghiaccio, erano cattivi
anche
in quel pantheon.
“E quindi sì, il Ragnarok avverrà
quando tre uova di gallo si schiuderanno”
aveva concluso, mostrando l’ultima slide: era il soggetto
dagli occhi eterocromi
che sedeva al tavolo di TJ e Mallory, esibiva un sorriso da gatto del
Cheshire,
in un selfie vicino ad un uovo, poi era apparsa una slide blu fluo con
la
scritta in azzurrino che ringraziava per l’attenzione.
Le parole di Odino, le finali, avevano ridestato la sala, dal quasi
sonno vegetativo
in cui erano atterrati.
“Prego, buon appetito” aveva dichiarato il signore
degli Asi.
“Oh,
grande Thor, stavo per ficcarmi una forchetta in un occhio”
aveva ammesso
Astrid.
“Io non sono sicuro di riuscire a memorizzare tutte le
informazioni” aveva
detto invece Jason, ottenendo uno sguardo stupido da ambedue le ragazze.
“Ma hai ascoltato?” aveva chiesto perplessa Madina,
“Nessuno ascolta tutti gli
interventi di Odino, finiremmo per morire di vecchiaia. Sì,
anche qui” aveva
dichiarato sprezzante Astrid.
“Be, non so niente di queste cose, informarmi è
importante, poi Odino, non è il
signore? Non ha fama di essere un dio … ehm,
colto?” aveva chiesto retorico.
Non sapeva niente di divinità norrene, quel poco che sapeva
era una specie di
refuso che Annabeth aveva vomitato mentre cercavano di progettare i
templi per
le divinità minore.
La sua amica era tornata da Boston, da poco, ed era tornata con una
strana
infatuazione per le divinità nordiche – prima di
fagocitare Jason su tutte le
informazioni possibili su nuova Roma e i college.
“Pensaci Jason … potremmo frequentare la
stessa università” aveva
dichiarato una volta, mentre Jason si divertita a disegnare un tempio
anfiprostilo per Eros – sebbene non avesse particolarmente a
cuore il dio in
questione, dopo la sofferenza che aveva dato a Nico, forse per questo
la sua
vita amorosa era andata a scatafascio?
Ma non solo quella, non avrebbe mai seguito i corsi a San Francisco,
non
sarebbe mai diventato un architetto con Annabeth.
Non avrebbe mai sposato Piper.
Non sarebbe mai diventato padre.
Non avrebbe mai più riabbracciato Leo.
E Nico … che finalmente si era aperto a qualcuno e lui era
morto …
Il forte
rumore d’un piatto sbattuto lo aveva ripreso.
Thrud aveva posato a loro tavolo un arrosto fumante, “Oh
sì, guerriera
cacciatrice immortale di anime e cameriera, sì”
aveva dichiarato stanca quella,
sedendosi davanti a loro.
“Ciao Zia Trudy” aveva dichiarato Astrid.
“Ciao dolcezza, ciao figlia di Ullr, vedo che continuato ad
essere tre, numero
magico” aveva dichiarato Thrud divertita.
“Per alcune culture quattro è il numero della
morte” aveva civettato Madina.
“Per fortuna siete già tutti morti”
aveva dichiarato la valchiria, “Adesso
servitevi, arrosto di cinghiale, il mio preferito” aveva
asserito Thrud.
Astrid non se l’era fatto ripetere due volte ed aveva
infilzato con la
forchetta un bel pezzo di arrosto.
“Be,
Jason
per domani, credo tu avrai bisogno di prendere un’arma
dall’armeria non posso
prestarti più la mia spada, capiscilo” aveva
espresso ad un certo punto la
Valchiria, nel farlo gli aveva preso una mano e l’aveva
stretta amichevole,
Jason aveva sentito chiaramente che Thrud aveva lasciato qualcosa nelle
sue
mani.
“Pensavo ci fosse sta sera” aveva valutato Jason,
la famosa battaglia
quotidiana.
“Oh, per la gloria, no, si combatte dall’alba al
tramonto”
aveva dichiarato Astrid,
“Facciamo mezza mattinata” aveva corretto Madina.
“Capito, trovati una spada nuova”
aveva ripetuto Thrud alzandosi, non
prima di aver riempito i due bicchieri ed il corno di sidro, gli aveva
anche
fatto l’occhiolino.
Non doveva usare la moneta – o almeno immaginava intendesse
quello.
Forse era troppo romana.
Poi Thrud si era congedato e Jason aveva infilato, cercando di non dare
nell’occhio, il biglietto nella tasca dei pantaloni sbiaditi.
“Devi aver proprio fatto colpo su zia Trudy” aveva
rimarcato Astrid, prima di
calarsi con pochi sorsi l’intero corno. Madina aveva
ridacchiato prima di
raccontare che la valchiria in questione non portava poi molto anime
lì.
Astrid si era sollevata in piedi, facendo oscillare la chioma, era nera
e
liscia come la seta, Jason doveva ammettere che si sposava male con
l’immagine
di una terribile guerriera einherjar vecchia di secoli che spendeva
giorni e
giorni a combattere. “Tutti a dormire, ora. Nella propria
stanza. Domani vi
voglio tutti vivi” aveva dichiarato, battendo le mani,
“Tranne io, dovrò
convincere Blitzen a darmi consigli per tirare via il sangue dalla
pelliccia di
wapiti.
Madina aveva scosso il capo, facendo oscillare la capigliatura afro,
“Sì, sì,
tranquilla, recupero solo un po’ di arrosto per i nostri due
fuggiaschi” si era
difesa quella.
Jason si era alzato con Astrid, non era sicuro di voler tornare in
camera per
leggere il biglietto – e cominciare a capirci qualcosa
– o per andare a
dormire.
“Jason” lo aveva richiamato la guerriera, mentre si
lasciavano alle spalle il
tavolo, seguiti da Madina che aveva raccolto su una ceramica una pila
di carne
con contorno di patate e carote, “Domani devi cercare di
uccidere loro” aveva
ammiccato verso il tavolo del piano diciannove.
Mallory Keen aveva fatto un segno verso di loro, un cenno del capo, che
Astrid
aveva ricambiato. Tj lo aveva salutato con gentilezza e Jason si era
ritrovato
a fare lo stesso.
Con loro c’era anche un enorme energumeno, che teneva una
mano sul fianco di
Mallory e con l’altra gesticolava. Di spalle vedeva un biondo
ed immaginava la
persona dagli occhi bicromi.
Anche la valchiria Samirah Al-Abbas si era unita alla combriccola.
“Sono stati
riconosciuti i migliori qui dentro, ucciderli è sempre segno
di prestigio”
aveva spiegato la guerriera.
Jason non aveva voglia di uccidere dei ragazzi che gli sembravano pure
simpatici, anche se per poco.
“Oggi il Momento della Valchiria è stato
emozionante, ma non abbiamo avuto le
tre norme, peccato” aveva sbuffato alle loro spalle Madina.
“Sono tre profetesse che annunciano il Destino
di ogni guerriero, di
solito alle iniziazioni si affacciano” aveva aggiunto quella.
Sì, una cosa che Jason non voleva era un’altra
possibile profezia su di lui. Ne
aveva avute troppe nella sua vita. Una aveva ucciso il suo migliore
amico –
anche se poi era risorto – ed un'altra aveva quasi ammazzato
la sua ex e
ridotto lui alla versione scandinava di uno zombie.
“Forse sono una persona troppo ordinaria” aveva
dichiarato Jason, più una
speranza che altro.
Erano finiti per lui i tempi delle brutte profezie.
Astrid aveva buffato, “Ad una gamba forse. Ignorando
l’eroica morte, se zia
Trudy ha spostato il culo dal suo fancazzismo militante
e perché deve
aver pensato che ne devi valere la pena” lo aveva pungolato
lei, mentre
raggiungevano le porte dell’ascensore.
“Anche le persone ordinarie sono capaci di atti
straordinari” aveva dichiarato
Jason, con un sorriso tranquillo.
“Ma sentilo Madina, con i suoi occhi blu, alto e
biondo” aveva replicato
Astrid, “Mr. Ordinarietà questo kavdlunait
bianco come la neve” aveva
aggiunto.
“Non sono particolarmente brillante, ma quella era
un’offesa” aveva dichiarato
Jason. “No, la parola di per sé no, come la ho
usata io? Può darsi”
aveva risposto Astrid serafica.
Jason si era voltato verso Madina, “Non è roba
germanica
… nope” aveva detto
quella, sorridendo tranquilla.
Quando era
stato solo nella sua stanza, Jason aveva aperto il biglietto.
C’erano scritte solo tre cose, in inglese: domani,
diciassette, lavanderia.
La grafia di Thrud era … insospettabilmente bella e
femminile, piena di lettere
tondeggianti dagli spazi ampi.
Si era seduto sul letto, tenendo quel bigliettino tra le mani, pieno di
confusione nel viso.
Cosa … cosa doveva fare?
Aveva estratto dalla sua tasca anche al sua moneta.
Thrud gli aveva detto di prendere una spada, probabilmente la sua arma
era
troppo romana e allo stesso tempo perché si stava fidando
ciecamente della
valchiria?
Che stava succedendo?
Era morto. Era nei campi elisi.
Era in pace.
Nervoso si era sollevato di nuovo lasciando biglietto e moneta sul
letto e
rigido come una stecca si era avvicinato ai rami dell’albero
dell’universo con
reverenziale timore.
Ne aveva toccato con solo la punta delle dita le foglie ed aveva
sentito un
brivido lungo la sua schiena.
Se si fosse arrampicato, forse avrebbe potuto trovare la via di casa.
Ma quale era?
Quale tra i nove mondi era la strada per casa?
E dove era Casa?
Di Argo non era rimasto niente, della casa di Beryl Grace neanche un
ricordo,
non gli piaceva la scuola, era troppo vecchio per stare con Lupa, si
sentiva un
estraneo a Nuova Roma e vedeva nel campo Mezzo-sangue tutti quei sogni
che non
aveva avuto, tutti quei progetti che non aveva realizzato.
Si fermò, colto da un pensiero, poteva realizzarli? In quel
momento, poteva?
Si
allontanò di fretta dall’albero, lanciandosi sulla
cassapanca ed aprendola,
all’interno, c’erano più cose rispetto
la biancheria domestica, rispetto a
prima.
La stanza esisteva per soddisfarlo. Questo spiegava le foto, quelle
della sua
infanzia che mai aveva visto, quella che non era mai stata scattata,
perfino il
bagnoschiuma all’aroma di pino silvestre che aveva trovato
nella doccia.
Il valhalla era un paradiso, a modo suo, era il luogo dove finiva i
giusti –
per i criteri dei nordici – non diverso, in un certo senso,
dai campi elisi o
le isole dei beati.
Aveva trovato dei fogli A3, delle squadre ed un set di matite a mine
dalla
punta spessa, c’era anche un goniometro ed un compasso.
Aveva cercato oltre ed aveva trovato un astuccio pieno di matite
colorate.
Aveva steso i fogli per terra e si era amato di squadrette e lapis.
Non aveva mai pensato a se stesso come un progettista, fino alla fine
dell’estate prima, quando aveva cominciato a lavorare
seriamente con Annabeth –
circa, vista la difficoltà logistica – al suo
progetto. Alla sua promessa.
Perfino il suo professore di edile, si era congratulato con Jason,
‘Hai un
talento’, aveva detto. E Annabeth gli aveva
proposto di frequentare la
stessa università a San Francisco e faceva ancora male
pensarci.
Era un einjerjar, ma poteva ancora disegnare.
Non ebbe la
chiara idea di quanto
si fosse addormentato, ricordava di star perfezionando un ingresso
siriaco per
un tempio da dedicare alla dea Iris, non lontano dalla casa dove
alloggiavano i
suoi fratelli, quando aveva capito di non essere più
dov’era.
Non era un sogno, era finito altrove, come durante la gigantomachia,
che a
volte, sfuggivano al controllo dei propri sogni.
Riconobbe subito il luogo, nonostante fosse notte, le acqua del lago
del campo
le avrebbe riconosciute, erano oscure, ma scintillati alla luce della
luna.
Will Solance era apparso sulla riva luminoso come una lampadina, senza
eufemismi. Indossava una felpa per ripararsi dal freddo.
Era finita l’estate. Jason non era reale e non riusciva a
percepire quanto
facesse in realtà freddo.
“Nico?” aveva chiesto timoroso Will.
“Sono qui” la voce di Nico, era venuta dalle spalle
di Jason, si era voltato
alla sua ricerca, ma era riuscito a scorgerlo solo quando Will lo aveva
raggiunto, illuminandolo.
Nella note, senza luci, Nico era parso solo una voce.
“Come sapevi che ero sveglio?” aveva indagato
subito il figlio di Ade, “Che
fidanzato sarei, se non mi accorgessi che non … me lo ha
detto Valentina” aveva
risposto Will, sedendosi accanto a lui, vicino alla riva ma non troppo.
“Cioè in realtà Valentina ti ha visto
uscire e lo ha detto a Rupert, che stava
tornando in casa dopo un’incuriose in cucina per cui
sarà punito severamente”
aveva spiegato Will.
Nico aveva riso – era un suono quasi estraneo per Jason
– “Questo posto si è
fatto molto più vivace, noto” aveva commentato.
“Lo è sempre stato, ma visto che tutti gli occhi
erano su Percy, Annabeth e te,
quando c’eri, era più facile passare
inosservato” aveva raccontato Will, senza
perdere lo smalto. “Oh, l’infinita faida
Apollo-Ares non sarebbe durata così a
lungo” il racconto del figlio di Apollo era stato sporcato da
qualcosa di
malinconico.
Nico aveva allungato una mano ed aveva preso quella del ragazzo,
cercando di
essere supportivo.
“Mi spiace di averti fatto preoccupare, sono io il
significativo fastidioso”
aveva dichiarato Nico, “Sì, infatti, abbiamo
stabilito che io sono l’abatjour”
aveva risposto per le rime Will.
I due avevano riso e Jason si era sentito molto impacciato; era
decisamente di
troppo e ricco di vergogna nello spirare quel momento di
intimità di Nico.
Ma era così dannatamente felice per lui, che se la stesse
cavando bene.
Quando aveva lasciato il campo, per cercare Leo, aveva lasciato un Nico
che
cominciava ad aprirsi al mondo, onesto con se stesso, ma ancora
spaventato di
ciò che lo aspettava.
“Vuoi dirmi che succede?” aveva chiesto delicato
Will.
Nico aveva annuito, “Jason, qualcosa non va” aveva
detto, la sua voce era
sottile, come un vetro crepato, “Gli è successo
qualcosa? Era lui che ti
chiamava dal Tartaro?” la voce di Will si era fatta
immediatamente ansiosa,
Nico aveva scosso il capo.
“No, non era lui. Quello che ho detto ad Apollo era vero. Jason stava
bene, non come Hazel
che era nel posto sbagliato o Leo che era così strano
… solo che adesso, adesso
… non lo sento più”
aveva dichiarato Nico.
“Ovunque sia non lo sento più … non lo
sento più in pace. Non so cosa
sia successo” aveva raccontato.
Will aveva fatto una pausa, il suo viso era ancora crucciato,
“Lui … uhm …
potrebbe aver passato il fiume Lete ed essere, ecco,
reincarnato?” aveva
chiesto, pieno di timore.
Nico aveva chinato gli occhi, quasi vergognoso, “No,
è successo con Bianca … la
sensazione è diversa. Devo dire che è stato
più brutale, come qualcosa spezzato
… un momento la percepivo e quella dopo non era
più lì. Jason c’è
… io lo
sento, ma è distante, distantissimo e non è
più in pace” aveva specificato
Nico, accompagnando l’azione con un certo gesticolare, per
dare decisione.
“Oh Nico” si era lasciato sfuggire Jason, pieno di
vergogna per quella
preoccupazione che stava creando.
“Hai provato ed evocare qualcuno? Nel senso per avere la
risposta … per vedere
come sta, se è sempre lì” aveva
proposto Will, il suo tono era cauto.
Nico lo aveva guardato con le sopracciglia crucciate, “Ero
uscito per farlo,
sai … di nascosto; tu, Chirone e Mr. D. non siete proprio
fan di me che pratico
la negromanzia; quindi, …” aveva risposto il suo
amico, con un tono un po’
rigido.
“Non sono fan di te che ne abusi e ti fai viaggi in solitaria
per il tartaro o
in compagnia di trogloditi,
non di te che lo usi
con giusta moderazione” si era difeso Will, stringendoli la
mano.
“Jason” qualcuno lo
aveva chiamato.
Jason non
aveva mai visto il resto di quel momento, perché aveva
aperto gli occhi,
stanco, affaticato, con il viso riverso sui fogli su cui si era
addormentato,
prono sul pavimento della sua stanza.
“Jason!” la voce di Astrid era raschiante da fuori
la porta, mentre batteva
contro il legno.
Lui si era tirato su a fatica, con il collo indolenzito …
bene, il valhalla
curava ogni ferita mortale ma non le posizioni scomode del dormire ed
era
andato a fatica ad aprire la porta.
“Hai la faccia di uno che pare stato colpito in faccia da uno
scudo” aveva
dichiarato Astrid, quando Jason si era palesato.
La ragazza aveva i capelli stretti in due trecce e non indossava
più gli abiti
di pelliccia, ma una maglia di ferro sopra un paio di calzoni e stivali
imbottiti. Aveva uno scudo largo in bronzo dorato, legato alla schiena
e
portava un’accetta allacciata alla cintura.
Jason aveva annuito, “Mi ci sento, ieri mi sono addormentato
sul pavimento”
aveva ammesso, sincero, spostandosi per far vedere ad Astrid i resti
della sua
follia artistica. Quella non aveva fatto una piega, “Non
varrà come
giustificazione per morire” aveva rimarcato la ragazza,
“Andiamo a fare
colazione” non pareva un invito.
Jason si era chiuso la porta alle spalle ed era uscito così
come era vestito,
aveva ancora indosso la maglietta ed i jeans sbiaditi del giorno prima.
Astrid che faceva da apri-fila si era chinata per raccogliere un piatto
davanti
la stanza di Fred, vuoto, Madina lo aveva lasciato lì pieno,
la sera prima.
“Be, non si è ancora disciolto” aveva
valutato la ragazza, prima di fermarsi a
dare due colpi alla porta.
Non aveva ricevuto risposta.
“Oh, Fred, per la gloria degli dei, sei una parodia di un anirniq
… a
nessuno importa di quella cosa, lo sai” aveva strillato
Astridi, prima di
allontanarsi.
“Cos’è un anirniq?”
aveva chiesto Jason, Astrid lo aveva guardato, ferma
in viso, “Uhm … noi, è il respiro e
l’anima che permane oltre la morte” aveva
risposto la ragazza con semplicità, “Solo che
spesso quando un anirniq
pervade nel mondo, lo fa più per la vendetta,
però ecco, entriamo in tutto un
altro campo adesso” aveva dichiarato lei, muovendo
circolarmente le dita delle
mani, ad indicare l’hotel.
“Non è scandinavo, come la parola di
ieri” aveva valutato Jason.
Astrid aveva chiamato l’ascensore, “Buon
osservatore, si non lo è, è il credo
di mia madre” aveva risposto la ragazza.
Forse anche lei era una semidea, aveva pensato Jason, padre dio e madre
umana,
nativa, l’opposto di Piper. Forse suo padre era un dio figlio
di Thor, giacché
aveva chiamato Thrud zia più volte.
“Hai risolto per la pelliccia, poi? Sai dopo il suicidio di
Mel?” aveva chiesto
Jason, mentre prendevano l’ascensore. “Oh, grazie
… Sono dovuta uscire di
nascosto e raggiungere il negozio dell’unico elfo oscuro che
sa qualcosa di
vestiario e forse domani riavrò le mie cose” aveva
dichiarato Astrid,
“Ovviamente non avevo soldi per pagarlo, mi è
costato una settimana di turno a
Casa-Chase. Grazie per averlo chiesto comunque” aveva ammesso
la ragazza,
l’ultima parte l’aveva aggiunta abbassando lo
sguardo.
“Oh, prego … aspetta hai detto
Casa-Chase?” aveva chiesto Jason.
Le porte dell’ascensore si erano aperte, ad investirli era
stato un vento quasi
artico, “Oh, chiudi-chiudi-chiudi!”
aveva strillato la ragazza
cominciando a premere ripetutamente contro il pulsante
dell’ascensore per la
chiusura delle ante.
“Cosa è appena successo?” aveva
domandato Jason, avendo ancora negli occhi l’immagine
dell’innevato spazio, che si erano lasciati dietro. Ed il
freddo penetrante che
aveva colpito il viso. Per un secondo aveva pensato di essere di nuovo
alla
corte di Borea – ma quella era un’altra vita.
“Mondo non esattamente simpatico” aveva dichiarato
Astrid spostandosi nervosa,
“Sì, io credo di aver digitato male”
aveva ammesso Jason pieno di imbarazzo.
Era sicuro di aver premuto il pulsante che aveva premuto Mel, il giorno
prima,
forse però si era confuso tra cinquecento e passa piani.
L’ascensore, d’altronde, offriva un pannello dei
pulsanti piuttosto notevole,
che occupava la lunghezza intera dell’ascensore ed era di
notevolmente larghezza.
Jason non riteneva fosse da lui un errore di questo genere,
però poteva
riconoscere la probabilità di caduta in errore.
“Quello
era
Jotnheim, il mondo dei giganti di ghiaccio. Si, uhm
… non è frequentato
esattamente da personcine simpatiche. Io e da un paio di secoli che
dico che certi
piani andrebbero bloccati, onde evitare spiacevoli incontri. Una volta
sono
finita a Muspellsheim, il regno del fuoco, ma
… ehi … io sono solo
Astrid Einardottir” aveva ammesso calma lei, sistemando i
capelli, che erano
sfuggite alle trecce, dietro l’orecchio.
“Da quanto tempo sei qui, se posso chiederlo?”
aveva chiesto Jason, mentre spazzava
via un po’ di neve che si era depositata sulla sua maglietta.
“Mille anni,
secolo più, secolo meno” aveva dichiarato Astrid,
“Il tempo poi si confonde”
aveva aggiunto, questa volta le porte si erano aperte sul piano giusto,
la sala
con i tavoli, l’albero d’oro spendente con la
capretta saltellante e le
valchirie a cavallo di destrieri fatti d’aria.
“Ascolta
il piano: adesso mangiamo, andiamo in armeria, vediamo se riusciamo a
tirare un
po’ di spada, poi combattiamo ed uccidiamo i ragazzi del
piano diciannove”
aveva dichiarato Astrid, tirando dritto verso il medesimo tavolo della
sera
prima. Non erano presenti né Mel né Madina.
In realtà Jason poteva notare che la sala sembrava
semideserta, anche al tavolo
dei Thegn mancavano più della metà.
“È presto, vero?” aveva chiesto,
aggiustandosi gli occhiali.
“Hai presente quella frase fatta da: mi riposerò
da morto? Dimenticala”
aveva dichiarato Astrid accomodandosi sulla panca.
Jason l’aveva imitata.
Una valchiria era venuta a servire loro da bere, succo di frutta ed un
piatto
di affettati, “Salume di cinghiale” aveva
dichiarato, prima di allontanarsi
dopo aver strizzato l’occhio a Jason.
Astrid aveva roteato gli occhi, “Non farti sedurre da una
valchiria, non
finisce mai bene, chiedi a Sigfrido … piano
centoventidue” aveva dichiarato
quella poi, piegando le labbra in un sorriso freddo.
Jason era avvampato, “No, io … no, ho
una… avevo, cioè …
c’è … questa
raga-Piper!” era riuscito a farneticare, mordendosi poi il
labbro, aveva
sospirato.
“Avevo una ragazza, Piper, c’eravamo già
lasciati, però non sono pronto a farmi
sedurre da … valchirie” aveva dichiarato Jason,
grattandosi il collo.
Piper.
Tra le sue morti l’aveva sognata, assieme a Leo –
stavano bene.
Stavano bene.
Astrid lo aveva guardato, intensamente, “Prendilo come
consiglio da applicare
per i prossimi secoli, ecco” aveva detto poi.
“Ma loro non sono tipo … uhm vergini
guerriere?” aveva chiesto Jason, dopo una
pausa, forse nella sua mente aveva inevitabilmente sostituito le
valchirie con
le cacciatrici …
Oh, Thalia.
Doveva … contattarla?
“Oh, per la gloria degli dei no. Sono quasi tutte zitelle, ma
per scelta, ma
sicuramente la castità non è una prerogativa.
Perché dovrebbe esserlo? L’imene
da maggiore capacità nell’utilizzo di
un’arma?” aveva replicato Astrid, lo
aveva fatto con un sorriso quasi spontaneo, perdendo
quell’alone di boria e
rigidezza che sembrava accompagnarla in ogni suo commento.
“Direi di no” aveva ammesso, rosso di imbarazzo
Jason.
Avevano
fatto colazioni, con una certa velocità, qualcuno aveva
chiacchierato con
Astrid, del più e del meno, la ragazza era stata molto
schietta nelle risposte
e poi aveva condotto Jason in un altro piano dell’hotel.
“A proposito sai dove
è la lavanderia?” aveva chiesto lui, mentre
riprendevano l’ascensore, “Provi
già la fuga?” lo aveva interrogato Astrid.
Jason aveva aggrottato la fronte, “Cosa?” aveva
chiesto, “Oh, be, oltre la porta
di ingresso … che tecnicamente non potremmo mai varcare e la
scarpinata
sull’albero, una delle uscite per midgard è in
lavanderia” aveva spiegato
Astrid.
Jason era rimasto in silenzio, “Oh, non ne avevi
idea” aveva valutato lei.
Jason aveva annuito.
Thrud voleva farlo fuggire?
“Allora deve essere un piano di zia Trudy” aveva
commentato Astrid, senza particolare
inflessione nella voce, doveva conoscerla bene evidentemente.
Astrid lo
aveva condotto in quella che doveva essere l’armeria,
“Non so come farti
vestire” aveva dichiarato lei, “Buona parte di noi
ormai combatte con quello
che ha addosso senza problemi, però ecco, per il ragnarok
dovremmo indossare
armature e co, ma appesantiscono tantissimo e se non ci sei abituato e
come
combattere dentro una pentola rovente che ti schiaccia a
terra” aveva
dichiarato la ragazza, mentre valutava tra le spade, una da dare a
Jason.
“Fa schifo anche non combattere con l’arma con cui
sei arrivato qui” aveva
aggiunto lei, nel dirlo aveva sfiorato la sua accetta, “Ma
succede: Lars
altrimenti dovrebbe combattere con un estintore. Una volta lo ha detto,
è stato
esilarante” aveva ammesso, sembrava divertita, nonostante il
suo tono fosse
piatto.
Jason aveva raccolto una spada.
Erano diverse dalle spathe e i gladi a cui era
abituato lui. Ne aveva
presa una, aveva l’elsa sottile, con un pomello polilobato
sulla cima. La parte
per proteggere la mano era stretta e dritta, la lama era pesante, lunga
ed
affilata da ambo i lati. Il metallo aveva delle notevoli sfumature
ocra, che
davano all’arma un aspetto suggestivo. La spada non era
particolarmente bella o
elegante, ma aveva qualcosa.
“Quello è in ferro di torba, dal colore direi
limonite” aveva commentato
Astrid, “Buono o cattivo?” aveva chiesto Jason, che
doveva ammettere che in
lame conosceva l’oro imperiale, il ferro di Stige ed il
bronzo celeste, oltre
che le armi standard, anche se non le maneggiava spesso, visto che
potevano
ferire i mortali. “Impermeabile, di solito viene utilizzato
per utensili e
navi. Se ci hanno fatto una spada e perché non avevano molto
altro ferro” aveva
valutato Astrid, prendendola e soppesandola, “Direi che
è americana, comunque,
anzi canadese” aveva fatto una pausa.
“Si chiama Panikpak” aveva
detto restituendola, “La ha fatta mio padre,
chiama tutte le sue spade così, o Atuat
… come buona parte delle spade
da queste parti, intendo le spade che trovi qui, buona parte le
fabbrica mio
padre, non che le spade da queste parti si chiamano
così!” aveva dichiarato
Astrid.
Jason aveva avuto una brutta analessi in relazione a Caligola e tutte
le navi
con il medesimo nome, della sorella, ormeggiate alla baia. Era
un’ossessione,
era un significato specifico.
Astrid lo aveva guardato con aspettativa.
Jason si era fatto rigido un secondo, stringendo l’elsa della
spada e poi aveva
chiesto: “Tuo padre è come Vul…Volevo
dire come un dio armaiolo?” aveva
chiesto.
Astrid aveva fatto oscillare le trecce nere, come aveva mosso il capo,
“Non
esiste un dio del genere, i nani sono i fabbricanti. Mio
padre è
semplicemente un fabbro, cioè in realtà
è un semidio, però non c’entra
nulla, è un fabbro, dicevo – uno bravo, istruito
da Dvalinn in persona” aveva
dichiarato con orgoglio Astrid.
Jason l’aveva guardata.
“Uhm … è uno dei nani più
celebri della mitologia, non che uno dei fabbri e
armaioli più notevoli dei nove mondi. Ha forgiato la Tyrfing.
È stato anche l’amante di
Freya, la dea più cazzuta di tutto il
reame?” aveva proposto Astrid.
Jason aveva annuito, “Questo è il momento in cui
ti confesso che degli dei
norreni conosco solo Odino, Thor e Loki?” aveva proposto.
“Ricordami di fare un’incuriose ad Adsgard
per andare alla biblioteca”
aveva dichiarato Astrid, “I potremmo andare anche a quella
pubblica di Boston”
aveva valutato lei.
“Panikpak vuol dire qualcosa?”
aveva domandato Jason, “Madre-asfissiante!”
aveva detto la guerriera prima di fare una pausa, “No,
è semplicemente il nome
di mia madre” aveva replicato mentre gli passava anche una
cotta di maglia ed
un elmo.
“Niente corna?” aveva chiesto Jason. Dagli occhi
tristi che Astrid aveva
assunto, per aver citato sua madre, Jason, figlio della sconosciuta
Beryl Grace
non aveva voluto, insistere. “Roba da galli” aveva
risposto Astrid – aveva
fatto una piccola smorfia che pareva un sorriso.
All’armeria
avevano incontrato anche Mel, che doveva essere in piedi da ore.
Non aveva i segni sul collo nudo della forchettata mortale, ma anzi
sembrava in
perfetta forma, nudo dalla vita in su, sudato, con le guance arrossate
ma
inflessibile, con scudo rettangolare ricurco al braccio e con una spada
corta
alla mano, indossava su un braccio una lorica di ferro lucidissimo,
sorretta al
busto da una spessa cinghia e degli schinieri coordinati.
“Mel sta cercando di
diventare un guerriero Berserk, ma non ci riesce. Troppo
disciplinato”
aveva dichiarato Astrid, con un filo di rabbia.
Jason aveva un solo pensiero in mente.
Mel combatteva come un mirmillone.
Una vita in catene, aveva detto Madina.
Ed era un cheruscio.
“Era un gladiatore” si era lasciato sfuggire Jason,
“Sì, ma a lui non piace
parlarne” aveva dichiarato Astrid, mentre si avvicinava a lui.
Jason ebbe un brivido, ricordando poi le parole di Thrud. Iniziava a
sospettare
che il tacere la sua identità non fosse solo dovuto al fatto
che aveva
sconfinato in un altro pantheon.
Il ragazzo aveva messo giù lo scudo ed aveva sorriso
raggiante verso di loro,
“Pronti a morire?” aveva chiesto tutto allegro.
“Mai” era stata la risposta fiera di Astrid.
Madina aveva
raggiunto loro, dopo, con calma, mentre beveva dal bricchetto di un
succo alla
pesca. Indossava gli spallacci, i para-gomiti e le ginocchiere. Gli
indisciplinati ricci erano sistemati in uno chignon mirabolante ed
aveva un’espressione
serena. Più che una guerriera pronta ad un combattimento
mortale, sembrava
pronta ad una gara di roller, senza roller e con faretra legata alla
cintola ed
arco alle spalle.
“Jason, caro” aveva detto Madina, mettendoli un
braccio attorno alla spalla,
“Probabilmente a parte quella brutta storia con il mafioso e
la tua ex, hai la
faccia di un bravo ragazzo che non si è mai messo nei guai.
Quindi non ti
preoccupare se sarai sopraffatto dal terrore, vorrai scappare e morirai
con
un’arma sulla schiena. Magati domani andiamo a fare yoga
mortale
così ti prepari meglio.
Però sai come si dice … La prima volta fa sempre
schifo” aveva dichiarato la
figlia di Ullr con tranquillità.
“Astrid te lo concederà questa volta. Io ti
coprirò nella fuga. Posso centrare
in mezzo agli occhi una formica” aveva aggiunto Madina,
tirando un paio di
colpi alla sua faretra piena di frecce.
Mel gli si era avvicinato, ancora vestito da mirmillone, “Io
invece ti dico:
scatenati. Non avere timori, niente di quel che succederà
oggi, avrà
conseguenze” aveva dichiarato con allegrezza ed un sorriso da
squalo.
“Grazie ad entrambi per i consigli” aveva
dichiarato Jason pieno di disagio,
aveva seguito Astrid con lo sguardo, era un po’
più avanti di lui.
Stava parlando con un nerboruto guerriero con un uniforme americana,
l’elmetto
e la faccia dipinta da verde che ricordava a Jason quei soldati nei
film sul Vietnam
ed una donna slanciata, biondissima e regale.
La
guerriera dai capelli scuri era tornata da loro, “Ho parlato
con Freydis,
il novantatreesimo piano,
organizzerà un colpo dall’alto. Loro vanno sul
boschetto a sud e noi prenderemo
a nord, insieme a Jemmy ed il centoventicinquesimo piano”
aveva dichiarato,
prima di spiegare per bene il suo piano.
Jason, terribilmente romano, trovava la strategia un po’
caotica.
“Quindi, sì, squadra
venti-novantatré-quarantacinque-centoventicinque”
aveva
valutato Madina con espressione seria. “Il piano
settantotto?” aveva chiesto
invece Mel.
“Hanno abbandonato il gruppo, per unirsi ai piani diciotto,
centosedici e trecento-novantanove”
aveva detto sdegnosa Astrid.
“Non è un problema” aveva dichiarato
Madina con calma.
“Occhi sul premio sempre” aveva ripreso la parola
Astrid, “Sopravvivere?” aveva
chiesto Jason.
“Sempre, a qualsiasi cosa e vincere. Quando combatteremo al
Ragnarok saremo un
unico esercito, ma oggi, troviamo nemici ideali, formiamo gang. Siamo
tutti
contro tutti” aveva spiegato Astrid.
“Ma soprattutto tutti contro il piano …”
aveva ripreso Madina, “Diciannove!”
l’aveva anticipata Jason, che gli aveva sentiti ripetere
quella cosa un certo
numero di volte, “Esatto, Jason, al momento sono considerati
i più forti e
benedetti da Odino in persona” aveva dichiarato Madina.
“Però” aveva attirato
l’attenzione Mel, “Ci stiamo, ehm, fidando di
Freydis?”
aveva chiesto preoccupato, “Sì, è una
figlia di buona donna ma è una delle più
vecchie amiche di mio padre” aveva risposto quasi indignata
Astrid.
“Ha ingannato i suoi amici e costretto suo fratello a
commettere degli omicidi
per coprirla” aveva risposto Mel, “Nessuno
può costringere un fratello a fare
niente, dovresti saperlo, visto come è finita la tua
famiglia” l’aveva offeso
senza ritegno Astrid, evidentemente.
Se Mel non l’aveva caricata di forza, era stato per il
tempestivo intervento di
Madina, “Lo hai fatto di nuovo” l’aveva
rimproverata.
Astrid aveva perso l’espressione di supponenza per una
più consapevole, “Scusa”
aveva ammesso, prima di cambiare repentinamente discorso,
“Fred piuttosto?”
aveva chiesto.
Madina si era morso il labbro.
“Ci fa da copertura dal cielo, ha detto. Si
apposterà sul balcone” aveva
dichiarato Mel, ancora rigido. “Be, spero non provochi un
terremoto come quello
che ha scatenato nel millesettecento-cinquantacinque che ha raggiunto
perfino Midgard”
aveva detto Astrid.
Madina le aveva tirato un buffetto a pugno chiuso – neanche
troppo gentile –
sulla spalla, “Astrid!”
l’aveva rimproverata.
“Sai perfettamente che non è per quello che non
esce! E tu sai anche che è una
paturnia inutile, abbiamo perfino la progenie di Loki di questi
tempi” aveva
risposto Astrid massaggiandosi la parte indolenzita della spalla.
“Se non
impari ad essere più gentile, resterai da sola ed immagino
non debba essere
bello per l’eternità” il rimprovero di
Madina era sembrato molto materno, accompagnato
con un sorriso stanco.
Jason non aveva potuto aspettare il resto della frase,
perché Mel lo aveva
preso in disparte, con gli occhi luccicanti, “Non
preoccuparti di loro. Madina
come me ha dovuto imparare come ci si comporta, con le cattive, ed
Astrid
invece è cresciuta sola come un cane e non ha mai imparato
l’educazione; dovevi
vederla un millennio fa cosa era!” aveva dichiarato il
guerriero cheruscio, “Adesso
andiamo. Jason, preparati a rimanere strabiliato” aveva
enunciato conducendolo
verso un ampio portone.
Bianco, a due ante, immenso quasi.
Si erano accodati all’uomo vestito da soldato, che aveva ora
un nutrito
gruppetto di persone alle sue spalle e la donna elegante dai capelli
biondi.
All’uomo vestito da soldato si erano aggiunti altri compagni, tutti suoi coetanei, così come alla regale donna bionda e tutta la sua troupe. Fredys, immaginava fosse quello il suo nome, aveva voltato lo sguardo verso di loro, aveva occhi azzurrissimi, uno sguardo affilato come un coltello. I capelli erano un biondo-ocra, come il grano ardente, stretti in una treccia severa. “Nuovo?” aveva valutato lei, guardando Jason; la voce di Freydis era dura come pietra che batteva contro altra pietra. Mel aveva annuito per lui, “Buona morte nýlidi!” aveva dichiarato lei, sorridendo, prima di spalancare le ante del portone. Jason era stato invaso dalla luce, del sole più forte che avesse mai visto.
Mel
aveva ragione: Jason avrebbe dovuto prepararsi ad essere stupito.
Dopo la vita – e la morte – che aveva avuto, i
luoghi che aveva visitato,
mitici e reali, il paradiso quasi, Jason non
credeva di poter ancora
essere meravigliato, ma lo era.
Quello
che si apriva davanti a lui, in quella che pareva la corte interna
dell’hotel,
era uno sconfinato campo verde, dalla forma quadrata. Quasi una
maestosa
Central Park, imprigionata ai bordi da alte mura in marmo bianco, da
cui si
affacciavano ringhiere d’oro. Da cui gente di ogni tipo si
affacciava, facendo
grida da stadio, stendardi di ogni genere pendevano. In un tripudio di
colori
che si riversavano sul bianco marmo come un carnevale.
Jason aveva seguito con lo sguardo il profilo del palazzo, perdendo i
contorni
in nebbia fitta e lontananza.
Davanti a lui il giardino, però era terra, incolta, con
colline, discese, zone
boschive e campi aperti, tutto in un ecosistema ampio, sì,
ma finito. Come un
piccolo mondo in miniatura.
Da porte, come quella che aveva attraversato Jason, centinaia e
centinaia di
soldati si riversavano all’interno del giardino, che
sembrava, anche pullulato
essere in grado di contenerli tutti e rimanere vasto.
Quello, sì disse, era diverso
dai panorami luminosi dei campi elisi,
dalle acque tranquille e le sabbie argentee … e
pensò anche: fosse
magnifico.
Poi vide un uomo correre davanti a lui e cadere atterra strangolato da
un
laccio, a cui erano legate due pietre, che gli era finito addosso.
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Capitolo 3 *** Combatti. Muori. Sciaqua. Ripeti. ***
ECCOMI.
Credeteci o meno, nonostante questo capitolo sembri come i precedenti
– e così
come gli immediati a seguire – iniziano ad esserci le basi
per una storia “seria”.
Vorrei ringraziare chi preferisce/segue ed in particolare Farkas ed
Edoardo811
per aver recensito! E ovviamente chi legge!
Una piccola promessa: la scena di battaglia è stata un parto
e la ho riscritta
sedici volte, con altrettante diverse conclusioni. Nessuna mi
soddisfaceva al
punto tale da aver pensato di bypassarla direttamente. Ma Jason
meritava il suo
battesimo di sangue.
Era un po’ che non scrivevo personaggi Riordiani
nell’universo Riordiano, quindi,
spero di aver reso giustizia a Magnus, Alex e Jack (SOPRATTUTTO JACK).
TW: C’è un po’ di MISGENDER per Alex, ma
perché Jason non sa – e cerca di fare
del suo meglio.
Inoltre: allego qui un’immagine di Thumelic, https://www.deviantart.com/rlandh/art/MEL-892729039
Ho molta difficoltà a fare gli uomini e si vede, ho dovuto
scegliere uno stile
diverso, palesemente copiato da una foto, a posta.
Buona Lettura,
RLandH
Combatti.
Muori. Sciacqua. Ripeti.
“Giù
nýlidi!”
aveva strillato Freydis,
facendolo piombare con la faccia contro l’erba fresca, prima
di buttare fuori
un po’ di rimproveri in una lingua nordica che Jason non
conosceva.
Da qualche parte dietro di loro era esplosa qualcosa. “Ancora
mi abituo a
queste cose!” aveva strillato la guerriera vichinga, mentre
si toglieva le mani
dalle orecchie.
Jason si era tirato sui gomiti, aveva le orecchie che fischiavano, il
sangue
che colava dal naso per l’urto, ma l’esplosione non
gli aveva colpiti.
“Hai miei tempi si usava solo spada e ascia” aveva
dichiarato lei con voce
ruggente.
Jason era ancora confuso dagli eventi per riuscire ad interpretare
correttamente le illazioni della donna. Non aveva neanche capito come
avesse
perso Mel nella bolgia.
Era solo successo.
Jason aveva combattuto, oh sì che lo aveva fatto, anche
contro eserciti di
mostri – ma non aveva mai visto un campo di battaglia
più caotico e nonsense di
quello.
“Sì, be è piuttosto nuovo anche per
me” aveva dichiarato Jason, cercando di
pulire con il braccio il sangue che era preso a colare dal naso, gli
faceva un
certo male. “Ma sì, immagino” aveva
valutato la donna, tirandosi in piedi,
mentre faceva oscillare la sua ascia, mogia, calma.
Poi aveva sorriso, inaspettatamente aveva sollevato l’ascia
verso di lui per
colpirlo. Jason era ancora reclinato per terra ed aveva cercato
Panikpak per
difendersi, ma la spada gli era ancora ostica.
Il colpo di Freydis non era mai arrivato, la donna era stata colpita in
piena
testa da una freccia, che l’aveva passata da parte a parte,
facendola esplodere
in polvere d’oro.
Jason era rotolato giù da una cunetta per togliersi dalla
prospettiva di essere
colpito anche lui.
Evidentemente aveva ragione Mel, doveva ricordarsi di dirglielo.
“Oh ti sei preso il tuo tempo” aveva dichiarato
Astrid, che era proprio lì.
Jason non l’aveva vista arrivare, “Credo che
Freydis abbia orchestrato la
nostra divisione” aveva dichiarato lui, tirandosi in piedi,
onestamente poteva
aspettarsi che anche la sua vicina di casa pensasse di piantargli la
sua bella
lancia in pancia.
“Lo so, quel dannato sassone non
farà altro che rinfacciarmelo” aveva
dichiarato Astrid. Aveva un labbro spaccato ed un occhio gonfio, ad una
mano
aveva la sua accetta, era diversa dalle asce che aveva visto
nell’armeria – o
quella di Freydis – era più piccola, con
l’orlo della lama più ampio e tondo.
“Se posso essere onesto non capisco” aveva
dichiarato Jason alla fine, quasi
sconfitto. “Freydis è un tipo particolare, non ha
una bella fama, ha tradito
due sue compagni, ma è un’amica di mio padre ed
è la madre di una persona a me
cara. Perciò io di lei mi fido, nonostante tutto. Non ho
dubbi che la sua lama,
quando verrà il Ragnarok sarà rivolta contro i
miei nemici” aveva dichiarato
Astrid, mentre lo conduceva per la vallata erbosa.
Jason l’aveva seguita, svelto, “Tuo padre le ha
dato una mano, vero?” aveva
chiesto poi alla fine. Non sapeva come lo aveva pensato, ma aveva avuto
questa
impressione, se pensava all’indignazione che aveva avuto
prima, mentre parlava
con Madina. “A tradire i suoi amici? No. Tradire i compagni
di Freydis? Quello
sì” aveva ammesso senza vergogna Astrid,
“Però non erano suoi amici. Lei lo
era, lo è ancora oggi” aveva dichiarato un
po’ più tesa.
Famiglia. Argomento ostico.
“Anche tuo padre è qui?” aveva chiesto
Jason, sollevando le sopracciglia. Non …
non sapeva se fosse il caso di parlare di famiglia. Jason Aveva notato
fosse
sempre una danza complicata, per quasi tutti i mezzosangue e per buona
parte
dei suoi amici. Avrebbe voluto dire che lo fosse anche per lui, ma
Beryl Grace
non era altro che un nome sorto nel tempo, una memoria vaghissima,
così come
Thalia e Giove … Giove era un’idea.
Lupa lo aveva cresciuto e poi Roma … e sì, non
avere una famiglia era stato
difficile, ma non più di ogni altre cose.
“Sì. Piano centododici, non scende
quasi mai a combattere. Te lo ho detto: forgia armi per lo
più. Ogni tanto
fugge su Nidavelir, il regno dei nani. Lui
è un buon guerriero, o non
sarebbe finito qui, ma è … un fabbro. Non
è certo Volund ma è un buon
fabbro” aveva dichiarato Astrid con voce rude, poi si era
voltata verso Jason,
facendo oscillare le trecce scure – nere come piume di corvo.
“Senti, io non ho problemi a parlare di mio padre, mia madre,
la mia famiglia
in generale, partendo da Nonna Sif e finendo con il mio defunto
pronipote Svane;
però, ecco, sappi che non è così per
tutti” aveva annunciato lei, seria, aveva
uno sguardo duro, ruggente come il metallo, occhi chiari come il
ghiaccio.
Jason si riteneva un bravo osservatore da sapere che non era del tutto
vero.
“Come Mel” aveva valutato Jason,
non era stato mai bravissimo nel capire
i sentimenti umani – la strategia, il combattimento, il corpo
ma non i
sentimenti – ma aveva ancora occhi.
“Come Mel e Fred, se mai
uscirà” aveva confermato Astrid, piena di
vergogna, almeno nella voce, con l’espressione invece ancora
fredda come il
ghiaccio. “Comunque, sì, te ne sei accorto
… ogni tanto sono sgarbata. Non lo
faccio a posta e non è una scusante” aveva
dichiarato la ragazza prima di
dargli nuovamente le spalle, Jason poteva immaginare che nelle sue
orecchie
quella frase fosse un mantra ripetuto ad oltranza da Madina.
“Mel ha detto che non hai mai imparato
l’educazione” aveva considerato Jason,
non era un rimprovero o altro, aveva anche detto fosse cresciuta sola
come un
cane. Questo lui lo poteva capire, aveva passato anni, come unico
bambino nel
branco della Lupa, c’era voluto tempo, quando era arrivato a
Nuova Roma ad
abituarsi agli altri, ad abituarsi ai comportamenti sociali degli
altri. Per un
anno aveva letteralmente ringhiato a chi si avvicinava di soppiatto.
Jason aveva visto una
serie di emozioni balenare dietro gli occhi chiari di Astrid, ma alla
fine
aveva ridotto le labbra in una fessura, “Uhm … mio
padre sapeva disciplinare il
ferro meglio di quanto sapesse fare con me” aveva concesso.
“Quanto
tempo dobbiamo restare vivi?” aveva domandato Jason, mentre
la seguiva, a
carponi, lungo la piana, a riparo dietro un’altura, diretti
verso la foresta.
C’era stata un’altra esplosione, più
lontana, ma non di molto.
“Fino a che non suona il corno” aveva dichiarato
Astrid, “Ma puoi morire,
tranquillo. Mel è già morto” aveva
dichiarato Astrid, prima di fermarsi.
“Primato rovinato?” l’aveva presa in giro
Jason. “Sì. Erano ben settantanove
giorni che nessuno del piano venti moriva durante il giorno, se si
esclude il
suicidio di Mel con la forchetta” aveva risposto Astrid,
“Adesso, alzati e
scatta veloce, dobbiamo entrare nel bosco” aveva dichiarato.
“Cosa c’è nel bosco?” aveva
chiesto Jason, invece. “Uhm … Un fortino e
… Alex
Fierro! Lo ho … ehm … la ho … ho visto
la sua persona entrare” aveva dichiarato
Astrid, piena di imbarazzo, “Penso sia una trappola,
ovviamente, ma … infondo
che importa?” aveva chiesto quella.
Jason si era lasciato sfuggire un sorriso, “Siamo qui per
morire infondo” aveva
concordato.
“Siamo qui per rischiare di morire e non farlo”
l’aveva corretta lei.
L’attimo dopo, Astrid si era sollevata in piedi ed era
scattata svelta come una
gazzella verso il boschetto, Jason l’aveva imitato.
Aveva gambe più lunghe rispetto la ragazza e
l’avrebbe superata, ma aveva
preferito rimanere alle sue spalle, riusciva a vedere oltre Astrid, la
ragazza alle sue
spalle. Aveva usato il
vento, poco, non sapendo come gestire quel potere, lì, per
non farlo vedere,
per creare delle correnti d’aria che rendessero la
traiettoria della frecce.
Una era vibrata pericolosa ad un passo dalle loro occhie.
“O tutti dei!” aveva dichiarato Astrid,
“Meno male che avevano il vento contro”
aveva valutato Jason, “Meno male … ma non
c’è vento qui” aveva risposto quella,
assottigliando gli occhi chiari.
Jason era avvampato.
Poi Astrid si era lanciata eclettica nel bosco.
Lui preferiva di solito il campo aperto, ma non aveva senso rimanere
scoperto
ad una pioggia di frecce, davanti a quel caos albergante, di lame e
scudi,
tutti contro tutti.
Terribilmente caotico.
Molto di più di quanto fosse stata la battaglia contro Gea,
dove almeno era
stato possibile distinguere chi fosse contro chi.
Il bosco nascondeva insidie, specie per lui, che non lo conosceva, ma
aveva
osservato come svelta ed attenta era Astrid.
Aveva passi sottili e leggeri come quelli di una cerbiatta, saltava da
un
albero all’altro, nascondendosi dietro le cortecce. Posava la
schiena contro il
tronco ed attenta che neanche un filo di capelli scuri sfuggisse alla
sua vita,
osservava più in là, per poi saltellare.
Erano anche mille anni che lo faceva.
“Allora … ti eviterò
l’impiccio del mentirmi, non chiedendoti niente”
aveva
esordito lei, il suo tono era basso, ma duro come l’acciaio.
“Cosa?” aveva chiesto Jason, aggrottando le
sopracciglia.
“Uhm … Non ti sei mosso sul campo come si muovono
quelli di oggi. Eri preciso
ed attento, a tutto. Ti ho visto intimidire Gunther del
quattrocentesimo piano
con una sola occhiata. Zia Trudy ha messo su una scenetta per te, oh
certo! Il
vento!” lo aveva pizzicato lei.
“Il vento …” aveva ripetuto Jason,
certissimo di non essersi fatto beccare, era
stato un movimento leggero di dita, una brezza forse si, ma veloce, per
deviare
la freccia.
Poi si era voltata verso di lui, l’espressione non
più così austera, “Oh! Il
tatuaggio, ovviamente!” lo aveva stuzzicato.
Gli occhi chiarissimi di Astrid avevano seguito il profilo del suo
braccio, lì
dove nella parte interna, era inciso in nero la sua inequivocabile
appartenenza
a Nuova Roma.
“Sono fan dei Romani; colpa di mia madre, ha fatto una
comparsa nella serie
degli anni Settanta, IO, Claudio … e poi
dai, siam tutti cresciuti con
il gladiatore” aveva provato Jason, mentendo, circa. Non
aveva mai visto il
secondo film, anche se Gwen una volta aveva tenuto una seduta durata
un’ora,
durante una riunione del senato, per lamentarsene. Beryl Grace di
rimando aveva
davvero fatto una comparsa nella serie da lui citata.
Jason l’aveva scoperto molto tardi nella sua vita, glielo
aveva raccontato
Thalia. Dopo aver dismesso la sua ricerca di Leo ed aver cominciato a
frequentare la scuola, aveva provato a procurarsela, così
alcuni suoi compagni
– decisamente più navigati di lui con internet, e
senza incorrere nel rischio
che qualche mostro fosse attirato dai loro macchinari –
gliela avevano
scaricata. Aveva visto tutti e tredici gli episodi, cercando, nello
sfondo, la
fugace figura di Beryl Grace – era quasi certo di averla
intravista, durante il
sesto episodio.
“Sì, come no” aveva ribattuto Astrid,
riportandolo con i piedi per terra, “Stai
tranquillo, ogni tanto capita che qualcuno il cui dominio non
è qui, ci finisca.
Una valchiria al momento giusto. Se non ricordo male, credo ci sia un
guerriero
figlio di Perun
da qualche parte” aveva replicato lei.
Jason non credeva fosse così semplice o Thrud non sarebbe
stata così
categorica.
“Quindi non ti chiederò niente” aveva
stabilito Astrid, “Anche perché ho
l’impressione
che zia Trudy potrebbe essersi messa nei guai”.
Jason si era morso le labbra, “Grazie” aveva
concesso alla fine.
Astrid aveva fatto qualcosa che somigliava ad un sorriso, ma Jason non
si
sentiva così audace da definirlo in quella maniera.
“Solo, ecco, magari terrei
la tua propensione alla romanità più nascosta.
Mel non ama molto i romani”
aveva esclamato lei.
“Immagino sia da imputare al fatto che fosse uno
schiavo” aveva valutato lui;
cheruscio e gladiatore, non vedeva molte altre possibilità;
Astrid aveva
sollevato le spalle, “Immagino sia per quello”
aveva concordato lei.
Jason aveva sentito un frusciare alle sue spalle, si era lanciato verso
Astrid,
facendola ruzzolare per terra, un fischio aveva tagliato
l’aria mentre un
laccio con due pesetti aveva colpito il tronco di un albero.
“Che riflessi” aveva constato Astrid,
“Sono stato cresciuto a test mortali”
aveva concesso Jason, stringendo le labbra. Non sicuro di quanto
potesse essere
onesto. Conosceva Astrid da poco meno di ventiquattro ore. Anche se lei
lo
aveva già scoperto.
“Anche io” aveva dichiarato Astrid, calma,
“Il mondo wicinga
non era gentile con una skraeling”
aveva aggiunto.
“Non capisco niente di quello che dici, lo sai?”
aveva chiesto Jason, poi.
Astrid si era lasciato sfuggire un sorriso divertito, “Devi
proprio cominciare
a studiare” aveva ammesso lei.
Lui aveva annuito, “Potresti alzarti?” aveva
chiesto poi Astrid. Jason, realizzando
di esser steso ancora sopra la ragazza, si era spostato, a
metà tra l’imbarazzo
e la consapevolezza che fossero ancora nel pieno di una battaglia.
Avevano
dovuto camminare per almeno un’altra ora nella foresta,
avevano ucciso il
lanciatore pazzo, due trapezisti armati di lancia ed un soldato della
Prima
guerra mondiale.
Jason ci aveva guadagnato anche un foro di proiettile fresco alla
spalla.
Però, aveva potuto osservare una cosa, Astrid era una furia.
Era davvero una
furia ed anche terribilmente brutale.
Però avevano trovato il famoso fortino.
“Ciao Magnus! Immaginavo che dove ci fosse Alex dovevi
esserci anche tu” aveva
commentato Astrid, aveva perso gran parte dell’allegrezza,
avendo recuperato la
sua espressione calma. Gli occhi cerulei erano quasi spaventosi, con il
viso
macchiato di sangue, rispetto alla sera prima non sembrava toccata dal
fatto
che probabilmente avrebbe dovuto bruciare i vestiti.
Anche Jason, per fortuna doveva già andare in lavanderia.
Magnus, la persona a cui Astrid si stava riferendo, aveva sorriso verso
di
loro.
Era sul tetto del fortino – se così poteva essere
chiamato, un’accrocchi di
pannelli in ferro ed altri metalli in un patchwork spaventoso. Leo lo
avrebbe
amato.
“Sì, abbastanza prevedibile” aveva
constato il ragazzo di nome Magnus. Era
giovane, aveva valutato Jason, sembrava suo coetaneo, ma lì,
non voleva dire
nulla, il ragazzo poteva avere quasi duemila anni, differentemente da
gran
parte dei membri dell’hotel, sfoggiava dei pantaloni di jeans
sbiaditi ed una
t-shirt, esibiva anche un paio di converse verde pistacchio. Aveva un
viso
bello, fresco, un po’ appuntito, capelli biondi, lunghi fino
alle spalle,
leggermente ondulati
sulle punte. Sembrava un po’ Kurt Cobain, o almeno Jason
imputava a quello, il
senso di famigliarità che il ragazzo gli suggeriva.
“Però non credo di
ricordare il tuo nome” aveva ammesso con somma vergogna
Magnus, grattandosi il
capo biondo.
Aveva gli occhi grigi.
“Sul serio?” aveva esclamato Astrid, offesa.
“Mango!
Sei pessimo!” aveva ghignato una voce alle loro spalle. Jason
si era voltato di
scatto, non lo aveva sentito, ma qualcun altro si era avvicinato.
Era la ragazza – Jason non ne era sicuro – con gli
occhi eterocromi, uno
scurissimo e l’altro biondo come l’oro fuso, aveva
uno sguardo affilato da
gatta ed un sorriso piuttosto divertito. L’incarnato era
zucchero cotto e i
capelli corvini, sporcati sulle punte di verde.
“Mi chiamo Astrid! Vivo da qui da MILLE ANNI.
Due settimane fa ti ho
ucciso” aveva ribattuto acida la ragazza. “Oh,
sì, sei quella che mi ha ucciso
con un arriccia capelli per
l’Epica-Guerriglia-Notturna!” aveva ricordato
Magnus, mentre con un movimento svelto era scivolato via dall’accrocchi-fortino,
per essere sull’erba.
Jason non aveva tolto lo sguardo dall’altra invece, che non
si era mossa di un
centimetro, indossava sgargianti pantaloni rosa ed una maglietta verde
brillante, non quella dell’hotel, ma gli occhi di Jason erano
per le mani, in
cui stringeva una garrotta fatta di un filo sottile, ma d’oro
lucente.
“Io sono Alex, immagino che tu non conosca ancora molte
persone” aveva
cinguettato lei – Jason non era davvero sicuro fosse una
ragazza, era molto
androgina – “Lui lo sapete chi
è!” aveva dichiarato Astrid, ammiccando a Jason.
Si era comunque presentato, per cortesia.
Magnus lo aveva studiato, come se stesse cercando qualcosa –
Jason ebbe il
timore di sapere cosa fosse e istintivamente aveva nascosto il braccio
con il
tatuaggio.
“La presentazione più originale da quella di Mango,
a quanto si dice”
aveva dichiarato Alex.
“Sono oggettivamente contento che mi abbiano rubato il
primato” aveva concesso
il biondo con un sorriso nervoso.
Astrid aveva stretto il manico sulla sua piccola accetta,
“Domanda veloce,
Jason” aveva detto, mentre faceva saettare gli occhi chiari
ad Alex ed il suo
fil di ferro.
“Quanto sei bravo come spadaccino?” aveva chiesto
lei, serissima. Per una
miglior coerenza con le menzogne di Thrud, Jason avrebbe dovuto dire
che era
pessimo o passabile o qualcosa del genere, ma la serietà
nello sguardo di
Astrid lo confondeva.
“Sono bravo” aveva dichiarato, con sicurezza.
Era cresciuto con spada e lancia alla mano. Era bravo.
Astrid aveva piegato appena le labbra, “Be, perché
dovrai essere maledettamente
bravo, perché l’alternativa è vederla
contro non so … un grizzly?” aveva
dichiarato lei, facendo saettare gli occhi contro Alex.
“Lo so, hai affrontato anche Mánagarm, una
volta” aveva dichiarato
l’altra, mettendo da parte la sua garrota, nella tasca
posteriore dei suoi
pantaloni.
Jason si era voltato contro Magnus, intuendo dovesse essere lui il suo
avversario, aveva stretto di più la presa su Panikpak,
trovandola ancora così
estranea.
Magnus si era slacciato la collanina che portava al collo e
l’aveva fatta
roteare in aria, quando l’aveva afferrata non aveva
più un laccio, ma una lama
d’oro splendente.
“Ei amico, era ora!” aveva
dichiarato qualcuno.
“Scusa amico” aveva dichiarato Magnus, riferendosi
alla sua spada. “Jason-Jack,
Jack-Jason” aveva dichiarato Magnus, inclinando il polso,
facendo oscillare la sua
lama, come se la stesse introducendo – probabilmente lo stava
facendo.
“Ei, Salve Jason. Scusa se dovrò ucciderti, poi
dopo possiamo scambiarci le
nostre playlist” aveva dichiarato ancora la voce, era la
spada. La spada
parlava.
Jason aveva schiuso le labbra.
“Lo so, fa uno strano effetto” aveva dichiarato
Magnus. Jason sapeva di armi
parlanti, Apollo aveva una freccia che gli sibilava cose, ma poteva
sentirla
solo lui.
“Jack, non credo che Jason voglia avere la tua playlist di
Katy Perry o Taylor
Swift” aveva provato il proprietario, riferendosi alla spada.
Era una situazione paradossale, “Sciocchezze Magnus, a tutti
piace Katy Perry,
giusto Jason?” Jack si era rivolto direttamente a lui.
“Ehm … mi piace Hot e Cold” aveva
provato Jason colmo di imbarazzo, “Vedi?” era
stata la risposta della spada con un tono anche piuttosto soddisfatto.
“Oh, dei del cielo, volete anche un po’ di idromele
a Kanelbullar?”
aveva richiamato la loro attenzione Astrid.
Non era più al fianco di Jason in quel momento,
“Magari dopo” aveva risposto
Alex, era stata lei la prima a rompere lo stallo, lanciandosi su
Astrid,
disarmata, ma quando l’aveva raggiunta non era umana, ma era
una bel puma dalla
forma snella e flessuosa.
L’altra non si era data per vinta ed anche se era finita
sotto le zampe
bestiali, aveva ficcato la lama all’altezza della spalla
della pantera.
“Alex
è uno
shapeshifter” aveva dichiarato Magnus, come
Frank, era stato il
pensiero dolce che aveva passato la mente di Jason.
“Quindi, vogliamo far qualcosa o chiacchieriamo
soltanto?” aveva domandato
Jack, “No, perché per me non dovrebbe esserci
nessun problema. Nei convenevoli
sono anche più affilato di quanto taglio” aveva
ripreso a blaterale la spada.
“Ti prego combattiamo o non starà zitto”
lo aveva letteralmente implorato
Magnus.
“Va bene” aveva ammesso Jason, più
rilassato.
Non aveva mai combattuto con così tanta rilassatezza,
neanche quando erano
semplici allenamenti a Campo di Giove. Tutto aveva uno scopo, tutto
doveva
essere preciso. Si allenava per il futuro, per quella profezia che
sapeva
essere per lui.
Ogni duello, anche il più sciocco, era stato vissuto con
… dolore.
Alla fine di quello scontro sarebbe probabilmente morto, solo che vista
la
situazione, la cosa non gli provocava brividi.
“Va bene!” aveva concesso rilassato,
“Inoltre: preferisco Florence e the Machine”
aveva aggiunto.
Quell’ultima frase era stata interpretata da Jack come
un’offesa personale visto
che aveva cominciato a vibrare nella mano di Magnus.
Ebbe quasi l’impressione che fosse la spada a guidare lo
spadaccino verso di
lui, che il contrario.
Jason si era quasi distratto quando aveva sentito un ruggito
– sicuramente non
da pantera – alle sue spalle, ma aveva intercettato il colo,
parando con Panikpak.
I due ferri avevano cantato insieme.
“Troppo rude, decisamente non il mio tipo” aveva
dichiarato Jack.
“Scusa è una spada un po’ … provolona?”
aveva provato, imbarazzato
Magnus, quasi danzando, mentre arretrava. “Panikpak terza
è troppo rude, sua sorella
Panikpak sedici è molto più dolce, prendi lei la
prossima volta, ti prego!” lo
aveva supplicato la spada.
Jason aveva
vissuto situazioni che faticava ancora a realizzare essere davvero
successe, ultima
essere rapito dal paradiso da una Valchiria Chiacchierona, ma la
conversazione
con la delirante spada parlante marpiona e fan di Katy Perry era in
cima alla lista.
Però Magnus era davvero un signor spadaccino, o meglio, era
molto bravo, ancora
un po’ grezzo, di chi probabilmente aveva imparato
l’arte della spada in modo
duro e crudo – probabilmente affinandosi nella lotta proprio
lì nel Valhalla,
fino alla morte – ma dove arrivavano i limiti di Magnus,
aggiustava le cose
Jack, che non era decisamente solo una spada chiacchierona.
Ne aveva avuto la conferma quando Magnus l’aveva lasciata ed
era stata la spada
a continuare il duello, non in autonomia, ma quasi.
L’altro enherjar la guidava da lontano. Jason, si sentiva sia
fuori
allentamento, sia pressato. Jack era diversa da qualsiasi spada avesse
mai
provato e doveva ammettere che Panikpak non era alla sua altezza, ne
ebbe la
conferma dopo una vibrazione, posteriore ad un impatto, fin troppo
forte, nel
vederla saltare via metà.
Aveva evitato l’affondo di Jack per poco, ritrovandosi un
taglio brutale sopra
la clavicola.
Anche con tre quarti di spada aveva continuato a menar la lama,
consapevole di
star combattendo ormai consapevole di aver finito.
Astrid e
Alex alle loro spalle avevano continuato il loro scontro, composto da
versi,
strazzi ed urli.
Magnus aveva fatto qualcosa con le mani, Jason, impegnato a guardare il
profilo
scintillate di Jack, non aveva visto bene, ma per un momento per quanto
breve
aveva sentito il bisogno di lasciar perdere.
Era la stessa sensazione dei campi elisi. Pace.
Pace fluttuante, eterea.
“IGNORALO!” aveva sentito urlare Astrid,
“È opera dell’alf siedr!
È la
pace di Frey!” aveva specificato.
Jason aveva lasciato scivolare dalla sua presa Panikpak.
Era forte il potere di Magnus, era forte la pace di Frey, ma lui era
stato
educato con il dilectus,
per quanto l’avesse poi trovata insofferente.
Onore e disciplina.
Oh Marte Ultore!
Aveva mosso la mano svelto, richiamando gli spiriti del vento, o i
venti, molto
di più di quanto avesse fatto per cambiare le direzioni
delle frecce. Sapeva ci
fossero. Lì sentiva nell’aria, così
come la sera prima aveva visto le valchirie
cavalcarle. Non era certo affatto di poterli dominare, non era nel suo
dominio,
però lo era, da quel momento lo era. Aveva evocato delle
piccole turbine, aveva
disorientato Jack così e sbalzato Magnus, che era finito a
terra, poco lontano
dal fortino.
“Amico che è successo?” aveva chiesto
Jack, mentre tornava tra le mani del suo
proprietario, “Confesso una certa confusione anche
io” aveva ammesso quello,
tirandosi su, massaggiandosi la nuca.
Jason aveva guardato i resti di Panikpak sull’erba nuda
… e già che aveva
ballato, valeva la pena continuare.
Aveva recuperato la moneta e l’aveva fatta scattare verso il
cielo, quando l’aveva
afferrata, aveva afferrato il gladio di Giunone.
“Oh! Per l’ultimo fidanzato di Taylor Swift, un
nuovo amico!” aveva ghignato
Jack su di giri, “Ed anche … be, come
me!” aveva esclamato Jack felice.
“Uhm?” aveva provato Magnus, “Forgiata
per un dio!” aveva dichiarato Jack
soddisfatto, “Ed ovviamente non abbandonato dal suo BRO per
infilarsi sotto le
gonne di una donna” aveva aggiunto infastidito.
Magnus aveva roteato gli occhi, Jason indovinò dovesse
essere una situazione
ricorrente.
Jason aveva
avanzato, rincuorato, si sentiva più forte, accompagnato dal
vento, dalla sua
spada – romana – e dal tempo. Il sole luminoso del
campo, che filtrava dalle
fronde degli alberi, cominciava ad offuscarsi.
Prima venne una luce, il lampo, poi il tuono.
“Jason!” la voce di Astrid era arrivata
inaspettata, si era voltato verso la
sua amica, aveva un colorito esangue, giacché buona parte di
esso le imbrattava
il viso ed il corpo. I vestiti erano stracci e tagli le deturpavano la
pelle.
Ma non stava chiamando per avere il suo aiuto, gli occhi chiari di
Astrid erano
scintillanti di rimprovero.
Era stato stupido … e aveva esagerato.
Si era voltato ed era andato contro Magnus, mentre i raggi del sole
tornavano a
fluire su di loro. L’altro era rimasto sconvolto per un
secondo, confuso, ma
aveva presto risposto allo scontro, senza perdere.
Jason dovette ammettere fosse stanco, esausto, drenato … ma
libero.
Magnus era letale e capace e Jason rispondeva.
Ebbe l’impressione che nulla avrebbe potuto fermare quello
scontro che nessuno
avrebbe potuto sovrapporre l’altro, che avrebbero lottato in
eterno.
Senza che Jason potesse disporre dei suoi altri poteri e come aveva
l’impressione
l’altro stesse rispondendo.
Ed ebbe anche la sgradevole illuminazione che se Magnus non lo avesse
ucciso,
Jason non sarebbe riuscito ad ucciderlo ugualmente. Una parte di lui
sapeva che
quel combattimento non poteva essere davvero per la vita e …
Magnus non era un
mostro, non era un nemico, non era un imperatore pazzo, era un ragazzo
come lui
…
E Jason … Jason non ci era abituato.
Era stato
ferito alla gamba da Jack e con Giunone aveva affettato una parte della
faccia
del ragazzo ed erano andati avanti così, ripetutamente,
finché non era finiti
ad essere altro che dei colabrodi, incapaci di stare in piedi. Jason si
ara
accasciato per primo, Magnus aveva fatto un po’ di passi, ma
poi era caduto
anche lui.
Esausto e morente, senza riuscire a stillare il corpo mortale.
Jason si era trascinato verso di lui, “Uhm
…” aveva provato Magnus, sputando un
po’ di sangue e tossicchiando, “Potremmo
suicidarci?” aveva proposto.
Jason aveva provato a ridere, ma continuava a sentire dolore in ogni
centimetro
di se, mentre con gli occhi sfiorava la luce dietro le fronde. Era
quasi …
liberatorio.
“Sei bravo” aveva riconosciuto Jason,
“Grazie, tu di più” aveva risposto
Magnus.
Poi erano rimasti lì, pallidi e dissanguati.
Il sole era stato oscurato dalla figura di Alex, la maglietta era quasi
disintegrata, i pantaloni verde erano macchiati di rosso e respirava a
fatica.
Mancava l’occhio nero e parte della faccia.
“Devo uccidervi io? Eh?” aveva chiesto, nonostante
tutto con il sorriso
soddisfatto di un gatto sornione – con meno denti.
“Sarebbe fantastico, amore” aveva risposto Magnus.
Nico era in
contemplazione,
non era al campo, Jason sapeva dove fosse: era nel labirinto. In
qualche
maniera ancora vivo. Per sempre vivo. Una creatura a sé che
non poteva essere
soffocata.
Nico era seduto per terra, teneva tra le mani una maschera di Medusa.
Stava
provando un’invocazione.
Il suo amico aveva rovesciato sul fuoco una coca-cola, una cool-aid, delle
patatine fritte,
due hamburger ed una fetta di cheesecake ai lamponi, anche un paio di
ossa di costine,
ricoperte di grasso. Una delle più sostanziose offerte che
avesse mai visto.
“Ho bisogno di parlare con loro. Con uno di loro”
aveva dichiarato, la sua voce
era dura, inflessibile. Nico era sempre stato potente, il
più potente, ma in
quel momento, la sua forma rispettava la sua forza.
Il fuoco era scintillato, da rosso, a blu, a verde, era divampato, si
era
alzato colonne di fumo, fuliggine, storto.
Poi un viso era affiorato, “Il nostro sonno non
può essere disturbato” aveva
dichiarato una voce, era gentile, Jason la conosceva. Viso pallido,
occhi blu e
crine nerissimo, un sorriso dolce decorava un volto attraente. La
ragazza di
nome Silena.
Nico stava evocando uno spirito dei Campi Elisi.
“Voglio sapere di Jason Grace, era uno di voi ed ora non lo
è più” aveva
dichiarato il suo amico.
Jason si era
svegliato di soprassalto.
Era nella sua bella camera al piano venti dell’hotel.
Era morto una quarta volta, questa volta ci aveva pensato Alex a
mettere fine
alla sua piuttosto lenta agonia. Fino a quel momento era stata
l’unica morte
vagamente piacevole che aveva avuto, per i canoni
del morire.
Però stava bene in quel momento, si sentiva in forze ed
anche riposato.
Se escludeva Nico dalla sua testa ovviamente – non che
volesse farlo.
Si era alzato, scostando le coperte, i suoi vestiti erano nuovi e non
una
traccia delle ferite che aveva addosso erano presenti.
Aveva comunque deciso di buttarsi in doccia e cambiarsi, guidato
più dal fatto
di sentirsi addosso i suoi vestiti da più tempo del
necessario.
Aveva indossato dei jeans ed una maglietta, recuperato
dall’armadio della
stanza. Non era sua. Però era di un vibrante viola che
ricordava la maglietta
del Campo di Giove senza esserlo.
Aveva osservato il pavimento della sua stanza dove erano ancora sparsi
fogli in
tutti i luoghi.
Doveva finire, realizzò.
Ma non era quello il momento a dargli manforte, ci fu anche un tocco
alla sua
porta.
Jason aveva
aperto.
Mel era lì, con indosso la maglietta dell’hotel ed
i pantaloni cachi di trekking,
tutt’altro che con l’aspetto di un feroce
gladiatore – doveva essersi abituato
bene allo stile moderno.
Inoltre, non aveva
più i capelli sistemati in
una treccia, ma lì portava sciolti, coprendo la rasatura
sulle tempie. Non
sembrava più un terribile guerriero mirmillone ma appariva
un adolescente
trasandato degno di una comunità hippy – circa.
Jason non ne aveva mai vista
una, ma lo immaginava così.
“Come
è
stata la prima giornata a Idavol?” aveva chiesto allegro, con
un sorriso bello
luminoso.
“Dove?” aveva domandato Jason, “Il campo,
si chiama Idavol!” aveva chiarito
subito l’altro, mentre si faceva da parte per farlo uscire
dalla stanza.
“Sono morto di stenti, letteralmente” aveva
raccontato Jason, aggiustandosi gli
occhiali sugli occhi. “Meglio che a me, “Mi hanno
decapitato, con una spada,
solo che ci hanno messo tipo tre o quattro colpi, ha fatto davvero
schifo ed un
male cane” aveva raccontato l’altro.
Madina era uscita dalla sua stanza, indossava un abito bianco, con la
gonna a
campana che arrivava fino a metà polpaccio. Anche Astrid si
era palesata, Jason
aveva sentito il rumore della porta che si chiudeva alle loro spalle.
Si era voltato per cercare la ragazza, aveva ancora i capelli
inumiditi,
raccolti in due trecce severe, era vestita in maniera piuttosto
bislacca,
sfoggiava una casula di pelliccia, dall’aria pesante e
datata, lunga fino a
metà delle cosce, da cui uscivano pantaloni a palazzo.
Doveva essere la sua
versione borghese.
“Tu non dire niente!” aveva subito esordito
indicando Mel.
Probabilmente si riferiva alla questione relativa a Freydis.
“Oh, povera, sei morta vero?” aveva chiesto Madina,
prendendola in giro, “Perché
io no!” aveva gongolato. Astrid l’aveva ignorata a
pie pari preferendo
superarli per fermarsi davanti la consueta porta di Fred, solo che alla
fine
non aveva bussato, scoraggiata.
Madina aveva pensato a riempire il silenzio che era aleggiato nel
corridoio, “Jason.
Io e Mel andiamo a fare un doppio a Tennis-Mortale con Halfborn e
Mallory, due
ragazzi del diciannove” aveva dichiarato subito quella,
“Se vuoi puoi venire a vederci”
aveva aggiunto la figlia di Ullr.
“Tennis mortale?” aveva chiesto
Jason perplesso. “Oh, è fantastico! Una
volta abbiamo utilizzato una bomba a chiodi come palla! La prossima
volta
prenoto la stanza per un singolo, sarà
divertentissimo” aveva stabilito Mel, facendoli
l’occhiolino.
“Io invece devo andare ad aiutare al Rifugio” aveva
attirato la loro attenzione
Astrid, “Come pegno a Bltiz per smacchiare la mia pelliccia
di wapiti che un idiota
ha insozzato con il suo sangue” aveva rimarcato la ragazza,
assottigliando lo
sguardo verso Mel. “Siamo nel ventunesimo secolo, Astrid, non
hai sentito tutti
i discorsi che fanno quei due del novantasettesimo piano?”
aveva chiesto
retorico.
“No, io indosso pellicce e mangio carne di balena”
aveva risposto Astrid.
Jason aveva declinato l’invito di Madina, per quanto doveva
dichiararsi
interessato a vedere cosa fosse il Tennis-mortale, “Comunque
vorrei andare in
lavanderia” aveva aggiunto.
La figlia di Ullr l’aveva guardato attenta, come se volesse
capire per bene
quello che nascondeva, ma poi aveva scosso il capo,
“Sì, certo, ti spiego la
strada” aveva concesso.
“Ma no, dai lo accompagno io, sarebbe una tragedia se
sbagliasse strada ed
aprisse una porta per Helheim” si era
intromesso Mel con un sorriso
tranquillo.
Jason faceva davvero fatica a recuperare tutti i nomi, mitologici.
“Poi ti
raggiungo per il tennis” aveva rincuorato la fidanzata.
Astrid aveva imboccato la via verso l’ascensore, forse non
interessata a fare
da guida a Jason anche nel pomeriggio; lui sospettava fosse risentito
per come
era andata la battaglia.
Madina si era mossa per imitarla, quando una voce li aveva tenuti
incollati lì.
“Uhm … ragazzi?” l’invocazione
era venuta dalla stanza di Fred.
Tutti e tre gli altri ragazzi del piano erano saltati su immediatamente.
“Oh! Fred!” aveva esclamato Madina avvicinandosi
subito all’uscio, “Avete
notato che ad un certo punto oggi ha quasi piovuto, ho visto un lampo e sentito
un
tuono” aveva fatto notare Fred da dietro la porta.
“Dovevo essere già morto” aveva valutato
Mel.
Sì lo era.
“Ma si, Otto o Lars oppure qualche altro figlio di Thor si
sarà divertito” aveva
proposto Medina; “Mi sembrava diverso” aveva
suggerito il ragazzo dietro la
porta. “Io scommetterei su Vladimir, quello figlio di Perun;
quello di un altro
pantheon” aveva mentito subito Astrid, prontissima. Fred era
rimasto in
silenzio, “Può essere” aveva concordato
Fred, ma non era sembrato molto convinto.
“Senti, Fred, perché non vieni a vedere la
partita, questa è la volta buona che
vediamo ad Halfborn esplodere la barba” aveva proposto lei
gentile, materna,
mettendo una mano sulla porta. “Uhm … no, io credo
che starò qui sta sera”
aveva risposto quello, prima di allontanarsi dalla porta, Jason aveva
sentito
dei passi distanti.
“Non
esce
mai-mai?” aveva chiesto il romano.
“No, l’ho fa, di tanto in tanto” aveva
risposto Mel, amareggiato.
Astrid era rimasta in silenzio per un attimo, “Che si secchi
l’Hvergemir!
Fred, a nessuno importa di chi sei figlio, parola di
Skraeling!” aveva
dichiarato, riprendendo a marcia dura verso l’ascensore.
Madina aveva gettato un ultimo sguardo alla porta di Fred con
tristezza, prima di
imitare l’amica e Jason e Mel l’avevano imitate.
“La famiglia è un tema sempre delicato, in
particolare da queste parti” aveva asserito
Mel, Jason aveva annuito, poi aveva commentato: “Padre
assento, sorella scappata-di-casa
e matrigna …sui generis.”
Jason non aveva parlato di Beryl, sembrava strano parlare di lei, la
conosceva
pochissimo.
Il gladiatore barbaro aveva annuito, “Io avevo un rapporto
molto altalenante
con mio cugino” aveva dichiarato quello; grattandosi il capo.
Avevano
preso l’ascensore tutti insieme, si erano aggiunti altri
inquilini dell’hotel e
piano, piano, avevano cominciato a separarsi.
“Di qua!” lo aveva chiamato Mel, mentre lo
conduceva per un corridoio, fuori dalle
ante dell’ascensore.
Il corridoio era semi vuoto, con alcune piccola eccezione.
Erano passati dei figuri, con indosso la maglietta verde
dell’hotel con l’aggiunta
della scritta Staff, che avevano lanciato ai due una serie di sguardi
poco
amichevoli.
“Perché siete qui?” uno
si era fermato.
Era lo stereotipo del vichingo, alto, spesso, con i cappelli
biondissimi lunghi
ed una barba bionda e curata.
Aveva occhi chiari e rudi.
“Oh, ciao Askr!” aveva dichiarato Mel, con una
faccia di bronzo, alzando anche
la mano per segno di saluto. “Solo lo Staff può
entrare, Thumelicus” aveva
stabilito Askr senza perdere un minimo della sua rigidità.
Mel aveva voltato il viso verso Jason, “Ho un appuntamento
con un membro dello
staff” aveva provato Jason – era una mezza
verità.
“Con un membro dello staff? Non sarà la mia
Embla!” aveva risposto subito
quello, stringendo i pugni. “Oh, no, no!” aveva
dichiarato subito Jason, “Non
conosco nessuna Embla” aveva aggiunto.
Possibilmente quella cosa aveva fatto arrabbiare Askr anche di
più – a quanto
pare.
“Jason è appena arrivato, non sa niente dei
miti” si era inserito Thumelicus, “Ah,
si, sei quello senza video, giusto?” aveva chiesto Askr
recuperando un po’ di
calma, sebbene avesse ancora l’aspetto rigido e duro.
Jason aveva annuito. “Comunque non me ne importa, questo
è solo per lo staff –
levatevi di torno” aveva ruggito Askr, a salvarli
dall’essere cacciati dal
grosso vichingo, era arrivata giusto Thrud in persona.
“Oh, uomo, ci penso io” aveva
squittito quella con un sorriso rilassato,
palesandosi.
Indossava ancora l’armatura a piastrine sottile, ma sotto si
vedeva la
maglietta verde petrolio dell’Hotel. La gonna di pelle, gli
anfibi e i capelli
biondo rosso lasciati sciolti.
Askr aveva chinato il capo, rispettoso, “Certamente Lady
Thrud” aveva
dichiarato quello, “Inoltre, se cerchi Embla oggi
è di turno alle piscine”
aveva avvertito subito quello. Askr si era fatto esangue in viso, aveva
chinato
il capo, mormorato qualcosa – che Jason non era sicuro fosse
un grugnito, prima
di scomparire a gran velocità.
Mel aveva subito detto a Jason: “Askr ed Embla sono i primi
due esseri umani
creati. Lui è molto geloso, perché sai un tempo
erano solo loro due, invece,
ora ci sono così tanti uomini nuovi. Non si è
ancora abituato” aveva raccontato
subito.
“Sì, sono tipo Adamo ed Eva nostrani,
un’immagine che possa risultarti più
chiara” aveva dichiarato Thrud, attirando nuovamente la sua
attenzione, “Certo
un po’ diverso, niente serpenti e mele del peccato”
aveva aggiunto.
“Ah, faccende cristiane!” aveva dichiarato Mel,
“Se mi chiedi di Cura e
Pandora, forse qualcosa ne so” aveva aggiunto lui, con
nervosismo.
Thrud aveva sorriso ferace, “Non ci serve, guerriero, grazie
per aver scortato
Jason, ma puoi andare guerriero” lo aveva congedato Thrud.
L’ultima parte non
era sembrata molto un invito. Nonostante l’aspetto giovanile
e l’aria
sbarazzina, Thrud era una dea, Jason lo riusciva a percepire, non una
potentissima,
forse era prima una valchiria e poi un membro di una stirpe divina, ma
lo era,
a tutto tondo. Emanava quella riottosità lucente.
Mel aveva annuito ed era scappato, dopo aver salutato Jason, alla
stessa
velocità di Askr. “Buona fortuna per il
tennis” aveva strillato Jason alla sua
schiena.
Jason aveva
seguito la valchiria, nella stanza delle lavasciuga, “Allora Jason
Giovesson”
lo aveva interrogato lei, facendo chiudere la porta alle sue spalle,
“Quale
parte del fingiti mortale, uno particolarmente, cieco hai
perso?” aveva chiesto
retorica la valchiria.
Lui aveva abbassato lo sguardo, colmo di senso di colpa.
“Credo che Astrid lo
abbia capito” aveva dichiarato subito Jason poi.
Thrud aveva sollevato un sopracciglio, “Tu dici?”
aveva chiesto sarcastica, “Io
credo l’abbia capito pure Odino dall’alto del suo
trono” aveva stilettato, “Ma
siamo fortunati … perché starà in
silenzio” aveva aggiunto, la sua valutazione
sembrava più un pensiero tra sé e sé.
L’espressione sempre smaliziata si era
cristallizzata in un tono serio e pensieroso.
“Senti Jason, non pensiamoci ora, abbiamo altro da
fare” aveva dichiarato poi
Thrud, spogliandosi della sua espressione seria ed anche della cotta di
piastrine.
La porta alle loro spalle si era aperta, lei si era fatta rigida e
Jason si era
voltato di scatto.
“Oh! Non sapevo fosse occupato” aveva civettato la
voce falsamente gentile di
Freydis Erikdottir, che differentemente da prima pareva molto meno una
guerriera vichinga ma più una regina, con la gonna blu
pavone, collane e
bracciali d’oro ed i capelli biondi lasciati sciolti.
Alle sue spalle c’erano altre due persone, uno era uno dei
compagni di piano
della donna, l’altro non lo conosceva.
“Molto occupato” aveva risposto Thrud, con
espressione maliziosa.
Freydis aveva ricambiato il gesto, analizzando Jason con ogni
centimetro degli
occhi, “Sì, oggi valutavo non male il nuovo
acquisto del piano venti” aveva
aggiunto.
Jason doveva dichiarare di sentirsi profondamente a disagio davanti una
donna,
per quanto attraente, ma così adulta, essere così
sfacciata con lui. “Hai cercato
di uccidermi con un’ascia” aveva guaito.
“E domani probabilmente lo farò” aveva
tubato di rimando la donna.
“Adesso se potresti per caso …
lasciarci” aveva dichiarato Thrud, attirando
nuovamente l’attenzione su di lei.
“Certo, andiamo via subito” aveva dichiarato con
una certa fretta, uno dei due
uomini, era alto, ma non molto spesso, aveva capelli chiari, quasi
bianchi,
lunghi fino alle spalle, la barba anche quella lunga, curata ed avvolta
in una
treccia. Jason fu catturato dagli occhi: stanchi, il colore era un
ceruleo
intenso, ma macchiati di rosso. Tutto nell’uomo urlava:
stanchezza. Nonostante
vivere nel valhalla rendeva gli einherjar più luminosi di
qualsiasi altro
spettro, Jason non avrebbe faticato nell’immaginare
l’uomo vagare nei Prati d’Asfodelo,
“Buona continuazione Lady Thrud e Jason”
aveva aggiunto quello chiudendo
la porta. C’erano stati mugugni dietro l’uscio,
simbolo di un bisticcio.
“Come sapeva il mio nome?” aveva chiesto Jason.
“Per le viscere di Ymir, Kym aveva detto tu fossi
intelligente” aveva risposto
Thrud. Jason aveva incassato l’offesa, “Giusto la
mia pittoresca presentazione”
aveva considerato.
“Comunque al di là di come Einar sappia il tuo
nome, il problema è Freydis”
aveva valutato Thrud.
“Mel non ha una grande opinione di lei” aveva detto
Jason, ed onestamente
neanche lui. “Vuoi la verità? È
una donna malvagia. Non dovrebbe esistere
una persona fatta di sola cattiveria, tutti siamo
l’equilibrio, sì, ma Fredys
punta decisamente tanto da un lato” aveva considerato.
Jason si era sentito inquietato, “Pensi … ecco,
lei volesse lasciare l’hotel?
Astrid mi ha detto che qui c’è una delle
uscite” aveva dichiarato Jason.
“Si. Spero sia per andare in qualche casino a derubare gente,
però” aveva
considerato, “Ma questo sarà un problema per un
altro giorno e un’altra persona”
aveva squittito, prima di prendere Jason per mano e guidarlo verso le
lavatrici.
Era un Intera parete, la più Alta che Jason avesse mai
visto, e lunghissima.
Tutte le lavatrici erano impilate lunga sopra l’altra, in
colonne altissime,
che si susseguivano in fila quasi infinite. “Non è
mica facile lavare la
biancheria di tutto l’hotel. Si fa un sacco di ricorso al Alf
Seidr, ma
nessuno ha ancora inventato l’incantesimo per ammorbidire le
lenzuola” aveva
dichiarato la Valchiria.
Jason aveva riso.
Thrud aveva cominciato a camminare al fianco delle lavatrici, si era
fermata
alla quindicesima colonna partendo da destra ed aveva schioccato le
dita, una traballante
scala di legno era sfrecciata verso di loro. “Vai, entra
nella sesta” gli aveva
ordinato.
“Cosa?” aveva chiesto Jason.
“Astrid non ti ha mentito, questo è uno dei modi
per lasciare l’hotel, le acque
che vengono usate qui sono quelle provenienti da Hvergelmir
– e dai suoi
affluenti – che è il calderone primordiale. Alcune
di queste lavatrici sono
collegate a specifici fiumi che si connettono ai nove mondi. Il
Valhalla è
pieno di porte, semplicemente alcune non lo sembrano. Da quella
lavatrice puoi
prendere il Vina, uno dei fiumi che scendono nel
mondo degli uomini”
aveva dichiarato tranquilla lei.
“Sono … confuso” aveva ammesso Jason.
“Hai la faccia di uno che lo è spesso,
eh” lo aveva preso in giro Thrud.
Jason non poteva contraddirla.
Thrud aveva ripreso: “Viaggiare seguendo i fiumi è
difficile, tre quarti dei
norreni non sanno farlo. Non chiedermi perché ma solo gli
egizi sono pratici.
In
particolare, i fiumi che vanno nel regno mortale, se non si esce in
tempo si
finisce in quello dei morti – che è un problema
anche per te” aveva sottolineato.
“Ma tranquillo” aveva ripreso subito la valchiria,
quando aveva visto il viso
di Jason, “L’acqua non sarà il tuo
elemento ma di qualcuno lo è” gli aveva
strizzato un occhio.
Jason non era stato molto rincuorato, “Okay, romano di
malafede, ho scelto il Vina
perché l’unico fiume di cui non si conosce la
foce. Quindi non finirai nei
domini di Hela” aveva chiarito.
“Immagino di non avere molta scelta” aveva
ponderato Jason.
“Ma che sciocchezze, ne abbiamo sempre una, anzi ne abbiamo
sempre milioni”
aveva dichiarato Thrud.
Jason aveva preso a salire lungo la traballante scala di legno, seguito
dalla
Valchiria.
Aveva aperto l’oblo della sesta lavatrice.
“Mel e Madina hanno detto che se muoio fuori di qui. Muoio di
nuovo” aveva ricordato
Jason. “Sì, ma sei un caso molto particolare,
cerchiamo di non scoprire cosa ti
succederebbe” aveva stabilito la Valchiria.
“Tu puoi morire?” aveva chiesto Jason, guardando
l’interno della macchina,
sembrava il classico interno di ferro di una lavatrice, senza se e
senza ma. “Sì,
tutti possiamo morire, anche gli dei, siamo solo maledettamente
più difficili
da uccidere. Tranne lo zio Baldr, con lui è stato molto
facile” aveva ridacchiato.
“Il lavaggio va impostato in runico, quindi dovrai fidarti di
me” aveva ripreso
Thrud, “Quindi entra” lo aveva invitato.
Jason si era finilato nel cestello, era abbastanza ampio
perché ci stessero in
due.
“Allora sì, Vina. Boston. Le coordinate”
aveva sentito bisbislgiare la valchiria
mente pigiava i dati, “Ma si, dai, lavaggio a
freddo” aveva aggiunto.
Poi si era chinata ed era entrata nello scompartimento con lui,
“Ho impostato
la chiusura automatica” aveva spiegato, “Comunque
io non dovevo venire, però
hai visto come sono buona” aveva ripetuto la valchiria.
L’oblo si era chiuso di scatto e l’acqua aveva
cominciato ad uscire e riempire
lo spazio, così come il cilindro in cui erano aveva
cominciato a giurare.
Jason avrebbe mentito, in seguito, dichiarando di non essere stato
preso dal
panico – ma era una menzogna.
Presto si era ritrovato in un vortice d’acqua letale.
Aggrappato a Thrud con una mano.
Sballottato da corretti fortissime.
Era riuscito a schiudere gli occhi, solo per vedere
azzurre acque e armi d’oro.
Poi come in una giravolta onirica aveva visto altro, era passato sotto
qualcosa, sembrava un galleggiante, grande come una testa umana
… e con
capelli. sentiva voci distorte.
“Oh, si, stai diventando un ottimo utilizzatore del
Seidr, non c’è da
stupirsi, sei un figlio di Frey, in fondo” aveva
commentato il
galleggiante.
Jason aveva allungato una mano, per sfiorarlo, ma le correnti del Vina
avevano trascinato
lui e Thrud lontano, a fondo, con violenza.
Aveva
pensato di morire soffocato, ma quando i suoi polmoni in fiamme lo
avevano
costretto a respirare ancora, aveva trovato l’aria e
l’inconfondibile odore di
stagnazione dei fiumi di città.
“Eccoci! Vivi sull’ansa del Charles”
aveva ghignato Thrud, sollevandosi in
piedi, in un attiamo, differentemente da Jason era di nuovo asciutta e
perfetta.
Lui era zuppo, appesantito e tossicchiante.
“Trovo questo sempre molto affascinante” aveva
commentato una donna.
Jason aveva sollevato gli occhi, aveva fatto fatica a riconoscerla,
visto l’aspetto
così umano.
Una donna dal viso pallido e levigato, occhi grandi, di un verde mare,
capelli
scuri, neri, che sotto il sole freddo di quella giornata, riflettevano
di un
verde scuro.
E l’espressione dura ed inconfondibile.
Jason aveva rantolato: “Divina Kymopoleia.”
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Capitolo 4 *** Jason Grace in Edizione Limitata ***
ECCOMI.
Avevo detto 3 o 4 capitoli massimo?
Mentivo, come Loki, più a me stessa che a voi.
Questi ultimi trenta giorni per me sono stati mortali, ma ne sono
uscita viva,
sfortunatamente mi aspettano brutte monete pompeiane da classificare
(ed un
sacco di Giano, Giano come il prezzemolo, aspettatevelo pure qua,
perché ne ho
fin sopra i capelli). Però eccoci.
Come avevo detto a qualcuno: capitolo di sole chiacchiere.
Quindi si, chiacchiere.
Oltre a Kymopoleia (che forse non fa una figura esattamente brillante,
in un momento, ma aveva le sue attenuanti. Quando mai i figli di
Poseidone hanno mai brillato per furbizia?), Jason fa conoscenza
ambigue, alcune, credeteci,
fondamentali.
Spero possiate apprezzare, vorrei ringraziare chi legge/segue/ricorda e
preferisce e chi ha recensito (grazie Farkas, grazie Edoardo811).
Inoltre, comunico che da questo capitolo comincio a introdurre
informazioni,
probabilmente assodate per chi ha letto la saga di Magnus Chase, ma
ignote a
chi non la ha ancora fatto (principalmente perché siamo
nella sezione “Percy
Jackson”, vi prego possiamo avere il Riordan-verse come
abbiamo il
Grisha-verse?) sfruttando la famosa presentazione di Odino del capitolo
due.
Qui abbiamo una piccola Freydis selvatica:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Freydis-Eirikdottir-894948333
A proposito di tale personaggio, come ho detto in una nota in
precedenza,
Freydis è elencata tra i guerrieri immortali ed
effettivamente ho scoperto che
la donna appare nella raccolta “9 From the Nine
Worlds” a questo punto non se …
ehm … fingere che non sia successo e continuare come un
treno con la mia
Freydis o dover aggiustare con una piccola operazione (nel senso, fare
un
evento che colleghi meglio il canone alla mia storia, che
può essere fatto
molto velocemente *coffcoff*mele-di-Idunn*coffcoff*.
Comunque, nel frattempo:
Buona Lettura.
baci
RLandH
P.S.
-
Probabilmente nei prossimi giorni sistemerò i capitoli
(azione molto più
fattibile qui che in altre mie storie).
Jason
Grace in Edizione Limitata
Thrud era
scomparsa nella maniera in cui sapevano fare così bene gli
dèi.
Così Jason era rimasto con le ginocchia nel fango
dell’ansa del fiume Charles. “Sei
stato fortunato sai, una decina di anni fa … probabilmente
saresti uscito da
quel fiume con più braccia del mio sgradevole
marito” aveva dichiarato con
immenso divertimento la divina.
“Poi lo spirito del fiume è andato a lamentarsi
con mio padre e quel vegliardo
ha tirato su il suo culo dal suo bel trono ed
è venuto a mettere a posto
le cose … circa” aveva raccontato Kymopoleia,
allungando una mano verso Jason,
per aiutarlo ad alzarsi, lui l’aveva seguita.
In piedi, era alto tanto quanto lei.
Kymopoleia era diversa da come l’aveva vista
l’altro anno – era l’altro anno? O
era morto da più tempo – era, come poteva dirsi,
molto meno divina. Quando
l’aveva veduta, era una gigantessa dalla pelle di madreperla
e capelli di alghe
fluttuosi, in quel momento era molto più umana, con una
pelle pallida, ma pur sempre
rosa carne, capelli scuri con riflessi verdi, gli occhi meno grandi, ma
sempre
dalla forma a nespola, ma terribilmente umani. Di un bel verde
acquamarina.
Somigliava a Percy, in qualche maniera.
Aveva ancora la sua espressione austera, che era decisamente smorzata
dalla
camicia leggera blu mare decorata con stelle marine e pesci stilizzati
colorati.
Kymopoleia lo aveva colpito, con gentilezza, con ambedue i palmi sulle
spalle e
Jason era stato immediatamente asciugato. “Uhm
…” aveva commentato solamente il
ragazzo, colpito da quell’azione.
“Lo so, la camicia è orribile” aveva
valutato la dea poi, rude, notando come l’occhio
di Jason doveva essere rimasto troppo sulla stoffa.
“Ma è un gesto di pace da parte di mio padre
… e non so … lui non fa mai nei
gesti di pace, quindi …” aveva cominciato a
farneticare la dea.
Jason non era sicuro di doverla interrompere, così
l’aveva lasciata lamentarsi
della sua famiglia con calma, inclusi padre, fratelli, marito ed una
certa
anche di Percy, che era il diretto responsabile del famoso gesto di
pace di
Poseidone.
Perché, a detta di Kymopoleia, Poseidone non si sarebbe mai
mosso in una
carineria se non fosse stato imbeccato dal suo figlio prediletto.
“In realtà era per l’aspetto in
generale. Anche per la situazione. Probabilmente
più per la situazione” aveva provato Jason, poi,
quando la terribile dea delle
tempeste aveva dato lui il tempo di parlare.
“Per gli abissi, Jason Grace, la nebbia fa miracoli ma i
mortali non sono
completamente ciechi, se fossi apparsa enorme sulla riva del Charles
avrebbero
pensato di trovarsi in un racconto di J. G. Ballard” aveva
dichiarato la dea,
stizzita.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Non hai letto The
Terminal Beach,
immagino” aveva considerato Kymopoleia.
“Riguarda le divinità norrene?” aveva
chiesto Jason, genuinamente.
La dea aveva stretto le labbra in una linea dritta, “No. Ma
immagino non mi
stupisca che tu voglia parlare di questo” aveva considerato,
“Accompagnami. Abbiamo
bisogno di qualcosa di forte” aveva dichiarato quella.
Il ragazzo aveva aggrottato le sopracciglia, “Le
divinità bevono?” aveva chiesto
poi.
“Che romano imbarazzante che sei …”
aveva dichiarato la dea acre, mentre gli
dava le spalle.
Jason aveva ricordato il viso divertito di Bacco che osservava lui e
Percy
combattere contro i gemelli.
Jason aveva
seguito Kymopoleia lontano dall’ansa, verso l’Aubudun
Square, nella
direzione di un plesso di edifici, su cui capeggiava
l’insegna: Università di
Boston.
“Questo è il regno di Atena – non ho
idea del perché di tutti i luoghi del
mondo, trovi così interessante questo, considerando che
dall’altro lato della
riva c’è il M.I.T.”
aveva dichiarato la dea, mentre tagliava la piazza
del campus in obliquo.
Kym spiccava tra la gente solo per il colore vivace della sua camicetta
e dal
fatto che fosse vestita come in una giornata primaverile, circondata da
gente
in cappotto. Anche Jason non sentiva il freddo. Probabilmente
doveva
essere un effetto collaterale della sua condizione di
non-così-morto.
“Quindi è l’unica caffetteria
in tutta Boston dove puoi trovare qualcosa
adatto al palato divino; credo sia opera di un accordo tra quella vecchia
ciabatta
e Kiv…Kva…Il tipo norreno
dell’Idromele” aveva dichiarato
Kymopoleia, indicando
a Jason, un chioschetto carino, nel centro della piazza.
Nessuno degli indaffarati studenti dell’università
di Boston sembrava notarlo.
I pochi avventori del bar, erano come Kymopoleia belli vistosi.
C’era un uomo con una lunga barba, troppo lunga per essere
mortale, visto che
scendeva fino ai suoi pedi, raccolta in una treccia austera, il viso
però era
tranquillo, rilassato, mentre agitava le mani raccontando qualcosa di
divertente ad una giovane donna, con orecchie lunghe da mucca e coda
abbinata.
“Oh, non si vedono greci così a nord di
solito” aveva dichiarato l’uomo dalla
lunga barba.
Kymopoleia si era sistemata su una sedia con mera
tranquillità, inclinando il
capo con un sorriso freddo e circostanziale, “Sono figlia del
mare, seguo la
corrente” aveva risposto.
Jason l’aveva imitata.
“Chi è?” aveva chiesto Jason, spiando
l’uomo, che era tornato a godersi la sua
cheescake in compagnia della ragazza dai dettagli bovini.
Kymopoleia aveva fatto un cenno di diniego, “La sua
accompagnatrice è un
huldra, credo, lui non so … non conosco tutti gli
dèi del nord. Sono stata a
cena a casa di Aegir, sarebbe la versione nordica di mio padre, circa,
è un
gigante ed ama tutte le sue figlie, le sue onde. E
lui adora avermi a
cena! Differentemente da quel simpaticone del mio vecchio”
aveva risposto con
acredine la dea.
Jason aveva cercato di fare mente locale, sulle divinità,
cercando l’informazione
nel lungo power point che Odino aveva presentato durante la sua prima
cena al Valhalla.
Aegir era il signore dei mari, sposato con la dea Ran, anche lei
divinità
marina ed avevano avuto nove figlie. Ran raccoglieva tutto
ciò che finiva nelle
acque e Aegir dava delle feste epiche.
Ecco le sue informazioni.
Un cameriere era venuto a prendere la loro ordinazione.
Jason a primo acchito avrebbe pensato ad una ninfa, maschio, se fossero
esistiti, ma non lo era, nonostante il forte odore di pino silvestre
bacche,
era alto, chiaro e luminoso – quasi un raggio di sole
– con orecchie appuntite
e occhi splendenti.
“Cosa posso portarvi?” aveva indagato subito
quello; nonostante il tono gentile,
gli occhi chiari avevano lanciato a Kymopoleia uno sguardo di terrore e
a Jason
uno di stizza.
“Quella Gotlandsdricka
così buona che fate qui” aveva dichiarato
Kymopoleia. L’Elfo – Jason supponeva
fosse quello – aveva chinato il capo verso di lui, con un
sorriso annoiato, di
chi doveva essere abbastanza seccato, con le palpebre calate, appena
assonnate,
“Una Doctor Pepper alla ciliegia?” aveva provato
Jason, incerto.
L’uomo aveva segnato ambedue le ordinazioni e si era
allontanata, aveva una
camminata leggera e priva di rumori.
Lui aveva guardato la dea, che se ne stava a braccia conserte, con il
viso granitico.
Jason era seduto ad una caffetteria carina, di fronte
un’università, a prendere
una bevanda con una terribile dea – che qualche tempo prima
aveva cercato di
ucciderlo. La sua vita aveva preso una piega decisamente surreale.
In quel momento non poteva che evocare nella sua mente, quel momento,
inesistente,
sfiorato appena, in cui aveva condiviso da bere con Apollo,
lì, dove si
riposava. Lì nella pace.
“Allora?” aveva rotto il silenzio la dea delle
tempeste.
“Allora?”
aveva risposto Jason.
“Non hai niente da chiedermi?” aveva chiesto
Kymopoleia, come se fosse ovvio,
come se non avesse fatto tutto lei e lasciato Jason in mezzo alla marea
–
letteralmente, era arrivato lì da una lavatrice magica con
annesso fiume
mitologico.
“Hai fatto
tutto tu!” aveva risposto, di rigetto,
“Mia signora” aveva aggiunto,
cercando di ricomporsi, di essere cortese, ricordando che stava ancora
parlando
con una dea.
Kymopoleia lo aveva guardato con espressione contrista, prima di
tranquillizzarsi, con la successiva aggiunta di Jason.
“Oh, sì, lo so che ho fatto tutto io. Ho
partecipato, d’altronde. Tu non hai
domande? Pensavo ne avessi. Di solito voi semidei ne avete sempre un
sacco”
aveva valutato Kymopoleia.
Lui aveva
cercato di trattenere il sospiro, che sarebbe probabilmente risultato
sfrontato
alla dea, “Oh sì, ne ho molte. Come?
Perché? In che maniera? Che sta succedendo?
Perché?” aveva ammesso Jason.
Kymopoleia aveva sorriso, mentre la cameriera tornava verso di loro,
per portare
loro le ordinazioni che avevano chieste.
“Il come è stata la parte più semplice:
Le Valchirie sono le uniche creature a
poter andare avanti e indietro dai regni dei morti senza problemi,
tranne le
divinità inerenti a quel capo, tipo zio Ade, e i loro figli.
Sì, parlo anche
del ragazzino emo che passa il tempo a cacciare lucertole”
aveva cominciato Kym.
“Chi?” aveva domandato Jason, genuinamente confuso.
“Nico. Nostro cugino, non so
perché, ultimamente Leto e Stige mi hanno
detto che si è dato alla caccia di rettili; probabilmente
è una forma per
combattere il lutto” aveva dichiarato Kymopoleia.
“Strano” aveva valutato
Jason, non riuscendo ad immaginare Nico, darsi ad un tale hobby, ma
d’altronde,
quanto lo conosceva nel profondo?
Lutto?
“I miei amici … qualcun
altro?” aveva chiesto Jason alla fine. Kymopoleia
aveva sbuffato, “Sono sopravvissuti tutti, fortunatamente per
loro. Il tuo
amico Frank Zhang ti ha reso onore, uccidendo Caligola. Io ho aiutato,
ho
divorato quasi tutte le sue navi” aveva dichiarato lei alla
fine, soddisfatta.
Jason aveva sentito il suo cuore scaldarsi a quelle parole.
Era rimasto in silenzio per un po’, mentre portava una mano
sul petto,
rincuorato. “Oh, che dolcezza” lo aveva preso in
giro Kymopoleia, “Stavo dicendo:
oltre le divinità ctonie e i loro figli, sono poche le altre
creature a cui è
concesso andare e tornare dal regno dei morti intonsi. Perfino Hermes
ha zone
specifiche dove può arrivare, come il palazzo di Ade. Tra le
poche, esistono le
valchirie” aveva spiegato la dea delle tempeste.
Lui aveva bevuto un po’ della sua bevanda, era dolciastra e
chimica, credeva di
preferire di gran lunga il sidro che aveva consumato nel valhalla, era
dolce,
ma molto meno stucchevole. “Sì, ma
perché una valchiria?” aveva chiesto Jason.
“Non mi sembravi stupido Jason Grace, te lo ho spiegato: loro
possono andare e
venire da questo mondo all’aldilà senza
ripercussioni e portare fuori le anime,
da qualche tempo abbiamo scoperto che non si limita solo alla loro
sfera” aveva
dichiarato Kymopoleia con ovvietà. “Sì,
ho capito … ma perché una creatura di
un altro pantheon? Non c’era nessun altro?” aveva
chiesto Jason.
“Evidentemente lo sei, allora” aveva dichiarato
Kymopoleia, “Immagini la figlia
di Poseidone che chiede a Zio Ade di liberare il figlio prediletto di
zio Zeus
dalla morte? O pensi che qualcuno avrebbe tentato l’impresa,
nel nostro
pantheon?” aveva domandato lei.
“Nessuno ne avrebbe avuto il coraggio,
sì” aveva risposto Jason, considerando quanto
più ipotesi, prima di proseguire: “E se fossi
andata tu, Plutone ti avrebbe
detto di no, mentre mio padre avrebbe potuto averla presa sul
personale, perché
tende a prendere le cose sul personale. Probabilmente anche Giunone
avrebbe
detto la sua” aveva valutato Jason, davanti quella
confessione.
Kymopoleia avrebbe annuito, “Zio Ade avrebbe anche potuto
cedere, sei una
persona importante per il piccolo rettilofono-in-erba
ma è una persona
terribilmente rigorosa. Uno strappo qui per te e poi chi sa che sarebbe
successo” aveva raccontato lei. “Quindi da un lato:
un domino divino che avrebbe
portato presso al collasso del confine tra vita-e-morte; e
dall’altro: un
possibile scontro tra i tre pezzi grossi, di nuovo”
l’aveva anticipata Jason. “Ecco
sì, intelligente, dicevo, non solo bello” aveva
stabilito Kym, mentre
ingurgitava un po’ della sua gotlandsdricka,
che sembrava una birra ma
dalla consistenza più densa.
Jason aveva fatto saltare la sua linguetta dalla sua lattina di Dr.
Pepper, per
nervosismo, “Così hai seguito il buon esempio di
Trivia ed hai scelto una terza
via” aveva dichiarato lui, riconquistando lucidità.
Kym aveva posato il boccale, dopo averne svuotato mezzo,
“Sì, be, ho conosciuto
Thrud qualche secolo fa, sa cosa si prova ad essere la figlia di
troppo. Suo
padre venera quei due … Modi e Magni, e uno dei due non
è ancora nato,
credo,
sua madre adora quell’altro figlio Ullr” aveva
cominciato a spiegare Kymopoleia.
Ullr? Il padre di Medina! Aveva considerato Jason.
Questo … questo voleva dire che Medina e Astrid,
giacché sua nonna era Sif,
erano cugine?
Ambedue nipoti di Thrud?
Il pensiero lo
frastornò per un secondo,
prima di ricordare che la cosa probabilmente doveva essere decisamente
normale
anche da quelle parti, i legami di parentela erano sempre strani e
diversi
quando riguardavano gli dei.
Se ci pensava bene, Percy, Hazel e Nico erano suoi cugini ed Annabeth e
Frank
suoi nipoti e … Leo suo nipote acquisito.
E Chirone era suo zio!
Ringraziava gli dèi a non avere avuto parentele con Piper.
Sarebbe stato strano, ripensandoci.
“Così io ho mamma che adora Tritone e quelle due
svenevoli delle mie sorelle
Roda e Bentesicima; mio padre ha Percy, Tyson e Polifemo, dei, Polifemo
sul
palmo della mano. Ripeto Polifemo, quello pensa che mangiare le persone
con il
formaggio sia accettabile” aveva dichiarato Kymopoleia.
“Senza formaggio, lo sarebbe?” aveva chiesto Jason.
Sua cugina lo aveva guardato con un’espressione confusa, poi
aveva ridacchiato,
“Oh, sei anche divertente” aveva considerato,
“Strano. Ti ho sempre visto come
un ragazzo piuttosto noioso” aveva valutato la dea.
Jason aveva sospirato, incassando l’offesa con
tranquillità, era una dea
infondo, meglio non turbarla.
“Sì, oltre questo, Thrud sa che vuol dire avere
spasimanti non richiesti. Certo
suo padre non la ha ceduta come premio ad un gigante con cento braccia
e una
spiccata allergia alle faccende domestiche” aveva considerato
Kym, “Però in
compenso ha un nano malvagio che cerca di insidiarla da millenni. Ci
siamo
conosciuti secoli fa, quando una volta hanno sconfinato nelle mie zone
e io la
ho aiutata, da lì è stato tutto in discesa. Una
volta lei ha decapitato Briareo”
aveva dichiarato Kymopoleia, divertita.
“Rispetto quanto si possa pensare, i pantheon si scontrano
spesso. Puoi
chiedere a tuo fratello, adora raccontare quella volta che stava
cercando di
trombarsi un dio nordico ma è stato ghiacciato da
una spada parlante”
aveva dichiarato Kym.
Immaginava fosse Apollo, doveva essere Apollo.
E le spade parlanti dovevano essere qualcosa di molto comune tra i
norreni,
evidentemente.
“O gli
incontri clandestini tra Chirone,
Mimir e Bastet” aveva aggiunto Kymopoleia.
Quanto segreti potevano essere se lei li sapeva?
“Sì, Astrid mi ha detto che può
capitare; nel Valhalla c’è un figlio di Perun,
che a quanto pare è una divinità di un altro
pantheon” aveva considerato Jason,
non sapeva quale.
“Un villano! Non mi sorprende che abbiano deciso di affogarlo
e bastonarlo”
aveva concesso Kym, prima di mandare giù un altro
po’ della sua bevanda, “Giusto;
questo mi ricorda che devo spiegarti perché la tua
situazioni è particolare”
aveva considerato Kym.
“Immagino riguardi il fatto che nonostante le contaminazioni
siano normali,
Thrud mi abbia minacciato di non dire niente a nessuno” aveva
considerato Jason.
Togliendo che Astrid lo aveva già scoperto e che a detta
stessa della valchiria
anche Odino lo sapeva.
Kymopoleia aveva ridacchiato, “Certo sì;
tecnicamente se tu fossi morto, su
quella spiaggia, contro Caligola – come è successo
– e una valchiria, tipo
Thrud, avesse raccolto la tua anima per caso. Non sarebbe successo
niente.
Okay, zio Zeus starebbe ancora brontolando, ma zio Ade avrebbe fatto,
cito, ‘spallucce’”
aveva raccontato immediatamente lei.
“Ma io sono finito nei Campi Elisi” aveva ricordato
Jason.
“Sì, Thrud ha derubato la tua anima dai Campi
Elisi e le ha portata dal
Valhalla, da dove idealmente non puoi andare via” –
Kym aveva finito la sua
bibita – “Ora, zio Ade non fa il censimento delle
anime nei Campi Elisi, ma si
occupa solo di chi è condannato agli eterni supplizi,
Tantalo, Sisifo se
capisci il genere. Quelli che tentano le fughe, di
solito. Quindi non
dovrebbe succedere nulla” aveva valutato subito Kym,
“Ma adesso immaginati se
per caso: Zio Ade, personcina sempre a modo e per nulla rancorosa,
scoprisse
che la figlia di uno dei suoi amati fratelli li ha rubato
un’anima e la ha data
a Wotan. Aggiungici che è
l’anima del figlioccio preferito di Era, che
non brilla in simpatia, sposata con quel carattere di miele di tuo
padre.
E onestamente non conosco bene Wotan, è uno abbastanza
strano, ma non ti
darà mai indietro. È un vichingo, gli
unici che concordano al cento per
cento con i romani sul ‘se vis pacem para
bellum’, e poi c’è Thor
– che è
un signor guerriero e padre di Thrud” aveva raccontato
Kymopoleia.
Jason era
rimasto in silenzio, “Sono … posso essere la causa
di una guerra tra …
Pantheon?” aveva proposto lui. “Oh, sì, Lyanna
Stark, quindi devi stare
in silenzio” lo aveva ammonito Kymopoleia, come se non fosse
stata lei ad aver
organizzato tutto. Jason trovò auspicabile, per se stesso,
non chiedere chi
fosse Lyanna Stark, specie per non confondersi ulteriormente; il
giovane
semidio preferì chiedere:“Okay; ma
perché?” alla fine.
Kym aveva sorriso, soddisfatta e compiaciuta, come una gatta sorniona,
“Oh,
ovviamente perché voglio la mia dannata Action
Figure” aveva replicato l’altra.
Jason era
rimasto
in silenzio. In un lungo silenzio.
“Cosa?” aveva esclamato alla fine. “Per i
ricci di mari, Jason Grace. Tu mi hai
promesso una action figure, un tempio ed anche uno stendardo, a me ed
ogni dio
minore mai considerato fino ad oggi” aveva dichiarato lei,
battendo l’indice
sulla superficie del tavolo, “Inoltre, mi avevi detto che se
non fossi stata
soddisfatta … avrei potuto ucciderti … ma come
posso farlo se sei già morto?”
aveva dichiarato Kymopoleia.
Logica ineccepibile – aveva pensato.
“Quindi hai chiesto a Thrud di portarmi in questo stato
sospeso tra la vita e
la morte per farti un action figure?”
aveva chiesto Jason, perplesso.
Prima che Kymopoleia potesse rispondere, qualcuno si era seduto al
tavolo con
loro. Era una donna, dal viso acuminato e severo, con occhi e capelli
nerissimi, come piume di corvo. “Scusate non ho potuto non
sentire: parlavate
di Thrud? Come sta la fanciulla?” aveva chiesto quella.
Aveva un sorriso zigrinato ed un’espressione piuttosto folle.
“Era una conversazione privata”
le aveva risposto di rimando Kymopoloia,
con la sua espressione letale, quella che Jason aveva ricevuto su di
sé, quando
si erano incontrati nell’egeo.
La sconosciuta aveva ridacchiato, “Ma io e Thrud siamo
praticamente una
famiglia. A breve le darò un bel fratellino, per ora io e la
sua simpatica
madre ci dividiamo l’affidamento del mio cavallo, Gulfax
splendida bestia”
aveva dichiarato la donna.
Jason era sconcertato.
“Quale parte di conversazione privata ai perso?”
aveva chiesto retorica Kymopoleia,
con una voce algida, di chi pareva pronta a rovesciare uno tsunami
sulla
sconosciuta.
La sconosciuta aveva riso con amarezza, “Io non sono sicura
che una bella deuccia
greca che si fa chiacchierine con un einherjar mentre discutono di far
portare
ad una valchiria qualcuno in uno stato così …
peculiare” aveva dichiarato quella,
“In questo posto vige la regola della Non Chiedere
Non Dire” aveva dichiarato
Kymopoleia, senza battere un ciglio.
“JARNSAXA!”
un’altra voce si era aggiunta alla mischia,
un’altra bella donna era
giunta. Per Jason fu stupido, ma il primo pensiero che ebbe fu quella
che la
sconosciuta dovesse essere Proserpina. Una bella ragazza, vestita con
un abito
floreale, il viso a cuore e ondulati capelli rossi spartan;
meno
aggrovigliati di quelli di Thrud o di Rachel Dare.
“O sei arrivata Gerd!” aveva
tubato subito la sconosciuta – il cui nome
doveva essere dunque Jarnasaxa – con espressione civettuola.
L’altra l’aveva guardata con una punta di amarezza,
“Ti prego non tormentarli;
ho lasciato il cinghiale al giardiniere ed ho solo mezza-giornata,
prima che …
non so … Alfheimer vada in fiamme. Ho bisogno di
caffè e di lamentarmi del mio
matrimonio, per favore” aveva dichiarato Gerd.
Jarnsaxa aveva inclinato il capo, “Almeno tu hai un marito e
non fai l’amante
del giovedì
sera” si era lamentata quell’altra, alzandosi, non
senza aver
lanciato uno sguardo di sfida a Kymopoleia.
“Dannate Jotunn” si era lamentata la dea della
tempesta marina. Jason aveva
sbattuto le palpebre, “Quelle erano due
gigantesse?” aveva chiesta.
Decisamente diverse da come le aveva figurate, faceva davvero fatica ad
associarle ai figli di Gea, del calibro di Polibote e Porfirione con i
loro
aspetti grotteschi e le fattezze animali.
Kym aveva ridacchiato, “Uhm … diciamo che giganti
è un po’ una traduzione
fallace. Alcuni di loro sono giganti e altri assolutamente
raccapriccianti, del
genere che Polybote potrebbe apparire quasi attraente, ma …
non affiancarli ai
nostri giganti. Sono Jotun” aveva
spiegato lei.
“Credo che nonostante l’eccessiva lunghezza della
presentazione fatta da Odino,
io abbia ancora un certo numero di mancanze” aveva stabilito
Jason.
Kym aveva riso, “Quel simpatico monocolo ti dirà
che tutti i giganti sono malvagi,
nonostante ne abbia una per madre e diverse amanti di quella stirpe.
Non che
ricordo molto, faccio fatica a stare dietro agli intrecci amorosi di
zio Zeus e
papà, figurati di … altri pantheon”
aveva spiegato la dea.
Jason aveva osservato le due gigantesse, avevano occupato il tavolo che
era
stato lasciato libero dall’uomo barbuto e dalla huldra, che
avevano preso a
conversare in una maniera fitta.
“Passeggiamo – dopo averti lasciato vorrei
partecipare ad un convegno che si
tiene qui e mi piacerebbe che Atena non ti vedesse, è una
vecchia ciabatta ma
non a caso ha uno sguardo da rapace” aveva scherzato
Kymopoleia lasciando sul
bancone un paio di dracme.
“Non
capisco, comunque” aveva dichiarato Jason, mentre
ballonzolavano per i corridoi
interni dell’edificio, sarebbero potuti apparire come due
studenti
universitari, probabilmente. Lui una matricola del primo anno e lei
probabilmente una studentessa dell’ultimo anno, se si
escludeva la camicia
variopinta della ragazza e la maglietta verde bottiglia con scritto
Hotel Valhalla
che sfoggiava Jason.
“La storia dell’Action Figure. Cioè in
realtà, ho lasciato tutto nella mia
camera al collegio. Melinoe
mi aveva
detto che Apollo e Meg avevano raccolto e portato tutto a Nuova Roma e
ne ho
parlato molto con Annabeth, sono sicura che stia lavorando anche
lei” aveva
valutato Jason.
“La mia futura cara sorella, ha cominciato
l’università, adesso pensa solo a
come progettare edifici che sembrano fatti di plastica; i romani
d’altronde
stanno facendo il loro lavoro, molto lentamente e non hanno cominciato
mica da
me, ma da divinità più note. Poi, sai
c’è stata una nuova gestione e guarda un
po’ siamo tornati sotto Marte Ultore … i greci
invece non stanno facendo niente”
aveva replicato Kymopoleia, dando uno sguardo piuttosto infervorato ad
un
povero studente che aveva osato avvicinarsi troppo.
“Solo che non capisco … rischiare di scatenare una
guerra tra pantheon per … un
action figure” aveva dichiarato Jason.
Per me, voleva dire.
Kym aveva
fermato
bruscamente la sua avanzata, “Jason Grace” lo aveva
chiamato con lo stesso tono
accondiscendente che usavano di solito le madri – nel caso di
Jason, era lo
stesso di Lupa, quando lo richiamava da bambino perché aveva
mangiato qualcosa
che non doveva mangiare.
“Apollo mi ha detto della promessa che gli hai fatto
stringere ed è stata
onorevole da parte tue, chiedere tutta quella considerazione per i tuoi
simili …
però anche tu hai fatto una promessa a me” aveva
dichiarato lei.
“Ho bisogno di quei templi, abbiamo bisogno di quei templi
… Sai, no, esistiamo
in funzione di quanto i mortali credono in noi” aveva
dichiarato Kymopoleia;
eppure Jason trovava qualcosa di sbagliato, incerto. “La mia
pagina di Wikipedia
è più breve di quella Otone. Tu sai chi
è Otone?” aveva chiesto retorica.
“Sì, è stato un imperatore romano, si
certo è stato in carica solo tre mesi”
aveva provato Jason, prima di fermarsi, osservando
l’espressione indignata della
dea.
“Non è questo il punto”
aveva rettificato lei, “Tu mi hai fatto una
promessa; come hai costretto Apollo a farne una. Non puoi
dimenticare” aveva
replicato Kymopoleia.
“E come dovrei fare?” aveva chiesto Jason, confuso,
mentre le porte delle aule,
si aprivano facendo fluire un mucchio di studenti su di loro;
“Nel senso mi
sembra ovvio che non posso contattare nessuno dei miei vecchi
amici” aveva
ripreso a parlare, “Ne essere, be, me stesso” aveva
aggiunto.
Astrid lo aveva capito, ma se lo avesse detto ad alta-voce rischiava di
farsi
uccidere da Mel.
Kym aveva sorriso serafica, “Questo è un problema
tuo, ma adesso posso di nuovo
ucciderti e non è detto che questa volta tu finisca nelle
isole beate, è ancora
molto dubbio dove finiscano gli einherjar” aveva rimarcato
lei.
Jason aveva avuto una brutta sensazione, pensando al regno di Hel o il
Nulla
Cosmico.
Poi Kymopoleia
aveva fatto l’ennesima cosa che Jason non si era aspettata ed
aveva accarezzato
gentilmente la guancia di Jason, “Sii speranzoso, hai
l’eternità” aveva
dichiarato lei.
“Sempre se non mi uccidi brutalmente prima” aveva
dichiarato Jason con un certo
divertimento, lei aveva annuito.
“Phaínetaí moi
kènos ísos
theoisin”
aveva sussurrato Kymopoleia, poi, come un congedo.
“Non so il greco” aveva provato Jason –
aveva provato ad impararlo, alla scuola
militare, ma non era mai riuscito – il suo cervello era
settato sul latino ed
il greco … era difficile.
Kymopoleia aveva sorriso, poi aveva allungato verso di lui un foglietto
riccamente ripiegato, “Vai al punto rosso, da lì
troverai un modo per tornare
al Valhalla. Nel resto della mappa ci sono alcune zone interessanti di
Boston,
le ha segnate Thrud quindi non so cosa siano” aveva
dichiarato lei.
“Siete molto amiche” aveva valutato Jason.
“Sì, è una persona fantastica da avere
a fianco, non andarci a bere, però, la chiamano
Thrud la Potente per una ragione” aveva scherzato,
“Ora devo andare, Thoth farà
un intervento sull’Importanza delle Vie Fluviali durante la
guerra di
Secessione” si era congedata lei. “Thoth?
Intendevi Thor?” aveva
chiesto Jason, confuso. Kymopoleia aveva riso, di lui, con un certo
divertimento.
“Intendevo quello che intendevo, fidati. Ricorda, comunque: tieni
nascosta
la tua storia e se per caso non sarò soddisfatta ti
ucciderò” aveva
aggiunto lei, sparendo tra la moltitudine di studenti.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, confuso da quello scambio.
Poi era
rimasto lì, imbambolato, mentre il corridoio si svuotava di
quel cambio dell’ora.
A risvegliarlo era stata la presenza dell’uomo con la barba,
intrecciata
elegantemente, che svettava in maniera piuttosto netta sul completo
composto da
maglioncino senza maniche, camicia a maniche lunghe e pantaloni cachi,
che lo
aveva chiamato: “Giovane Einherjar”.
Creando così l’ambigua immagine a
metà tra lo stereotipo di un professore di filosofia ed uno
stregone delle
leggende. “Scusa non volevo avvicinarmi troppo furtivamente,
i giovani
guerrieri hanno un atteggiamento ruspante ed anche se è
difficile uccidermi una
spada nel ventre fa ancora male” aveva dichiarato quello.
“Certo?” aveva provato titubante Jason.
“Io sono Bragi dalla Lunga Barba, signore della
poesia” aveva dichiarato
quello, “E professore di Esegesi della Poesia
Germanica” aveva aggiunto il dio,
“Tengo dei corsi anche ad Asgard; se lo chiederai a mio
padre, egli permetterà
anche a te giovane abitante del Valhalla di partecipare”
aveva proposto
quello, allungando verso di lui un bigliettino.
“Uhm … grazie” aveva provato il giovane
einherjar, raccogliendo il biglietto, “Io
sono Jason Grace” aveva ammesso solamente lui, osservando poi
il biglietto, c’era
scritto qualcosa in caratteri runici, che lui non comprendeva.
Bragi si era accarezzato
la lunga barba,
“Hai compagnie pittoresche Jason Grace, una terribile signora
delle tempeste. Appartenente
alla stirpe dei Romei per lo
più” aveva dichiarato quello.
Jason sapeva che quel termine era il modo in cui ci si riferiva ai
greci
durante l’impero bizantino, quando non c’era
distinzioni tra elleni e romani.
“Le relazioni tra diversi pantheon non finisco mai molto
bene” aveva dichiarato
Bragi il dio della poesia, con un sorriso lesto.
Jason era arrossito, “No! Lei è … una
dea che ha deciso di … tormentarmi”
aveva dichiarato Jason con disagio; non potendolo spiegare in altra
maniera.
“Spero che Idunn non mi senta, ma di sicuro sarai ben
invidiato per i tuoi
tormenti” lo aveva preso in giro il dio della poesia.
Era stato certo di esser diventato di fuoco, “Devo
andare” aveva dichiarato
alla fine, “Con permesso, divino Bragi” aveva
aggiunto. L’altro aveva annuito, “Torna
a casa giovane einherjar, sei fuori dal tuo mondo, ma torna presto a
trovarmi,
qui o di là; sto pensando di istituire un corso di scrittura
creativa. Pensi
che ai tuoi compagni piacerebbe?” aveva chiesto,
“Magari puoi sottoporre un
questionario?” aveva chiesto allora Bragi.
Jason aveva avuto un’immagine di Mel e Madina che passavano
le loro giornate a
giocare a Tennis-Mortale in un corso di scrittura
creativa.
O anche Jason – non era mai stato un uomo particolarmente
dedito alla poesia o
la creatività; forse avrebbe dovuto iscriversi lui al corso
di scrittura
creativa.
Bragi era sul punto di allontanarsi, quando Jason lo aveva richiamato.
“Mio signore
Bragi” aveva esordito, “Oh certo, dimmi giovane
guerriero Jason” aveva risposto
quello, “Esattamente … chi è
Jarnsaxa?” aveva chiesto; ricordando la jotunn che
aveva interrotto in precedenza il suo discorso con Kymopoleia e che
aveva
ascoltato parte della loro conversazione.
Con quel sorriso quasi seghettato.
“Oh la terribile Jarnsaxa! La personale spina nel fianco di
mio padre, l’incubo
che ha ogni volta che si corica a letto” aveva raccontato con
estremo
divertimento Bragi.
Jason aveva deglutito, immaginando Odino, vestito da ginnastica e
l’espressione
rilassata, mentre era torturato dagli incubi di una Jotunn spettrale.
“Il mio
caro fratellino, Thor, nonostante sia sposato con una donna bellissima,
ha
sempre avuto un certo gusto per le signore. Di norma predilige giovani
damigelle dai costumi delicati, ma stranamenti egli ha un cuore
palpitante per
Jarnsaxa, brutale guerriera e moglie di lancia” aveva
spiegato.
“Pericolosa?” aveva domandato Jason.
Bragi si era accarezzato la barba, con calma, “Con la lama e
lancia può essere
mortale; una jotunn che non conosce paura e raramente chi non conosce
terrore è
nemico affrontabile … ma ciò che teme mio padre
di più è il suo ventre” aveva
aggiunto il dio, “Il figlio di Thor e Jarnsaxa
avrà tre anni, quando avverrà il
Ragnarok, così mio padre Odino guarda al ventre della jotunn
con lo stesso
spavento con cui aspetta la liberazione del lupo” aveva
raccontato.
Fenris! La sua liberazione era uno dei passaggi
chiavi per l’inizio
della fine, lo ricordava dalla presentazione.
Jason aveva stretto le labbra, questo non aiutava i suoi propositi.
“Quindi,
ovviamente, mio padre, uomo saggio, fa tutto ciò che
è in suo potere per tenere
mio fratello e la donna jotunn lontano l’uno
dall’altra, cosa che, ammetto non
vada a genio a nessuno delle due parti” aveva soppesato Bragi.
Jason sia era morso un labbro, “Probabilmente non
è niente” aveva stabilito,
non credendoci anche lui. Se Jarnsaxa era l’amante di Thor
… non doveva avere
molta simpatia per Sif la moglie, madre di Thrud.
Thrud che aveva azzardato qualcosa di pericoloso e molto stupido per
aiutare un’amica ...
“Sicuramente” aveva concordato
Bragi, serafico, “Ma se Jarnsaxa ti ha
preso in antipatia, comunque, io comincerei a guardarmi le spalle. Il
suo nome
vuol dire, letteralmente, armata con spada di ferro”
lo aveva avvertito.
Jason si era sentito mortificato, “Comunque, ecco, tieni il
programma delle
lezioni di quest’anno sull’Esegesi” aveva
detto il dio, tirando fuori dalla
tasca un foglio ripiegato, “Ci sono anche segnate delle
ottime monografie” lo
aveva avvertito Bragi, strizzandoli un occhio.
Aveva iridi dello stesso colore del miele denso.
La mappa di
Kymopoleia
lo aveva guidato verso, il quartiere di St. Elizabeth, lungo la strada
nota
come Commonwealth Avenue. Ci aveva impiegato quasi un’ora
nonostante la sua
prestanza fisica, per attraversare quanto richiesto; almeno aveva
potuto godere
di un giro panoramico della città, non era mai stato a
Boston prima di quel
momento. Lupa aveva fatto tante raccomandazioni a Jason, che erano
andate ad
accrescersi a Nuova Roma: evita New York, evita Boston, evita
Memphis.
Immaginava che fosse per non turbare le sedi principali degli
altri
pantheon.
Jason seppe doveva dovesse
andare, ancora
prima ancora di raggiungere il corrispettivo del cerchio rosso sulla
mappa.
Era una maggiore di dimensioni notevoli, in mattoncini scuri,
evidenziate anche
dalla presenza di gargoyles sui doccioni agli angoli del tetto. Con
finestre a vasistas
colorate, con rifiniture in legno.
L’ingresso era composto da una larga scalinata in marmo,
composta di pochi
gradini.
Ma ciò che la rendeva più che riconoscibile,
prima ancora della sua imponenza,
era la moltitudine di giovani ragazzi che affollavano
l’ingresso.
E dal cartello lì, sul ciglio della strada, che a caratteri
cubitali recitava: Spazio
Chase.
Nel momento in cui aveva letto quelle parole, aveva ricordato le
lamentele a
denti stretti, della mattina stessa, che Astrid aveva fatto in
ascensore: Casa-Chase.
Chase.
Poteva essere una coincidenza?
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Capitolo 5 *** Il Barbaro ***
ALLORA ALLORA,
nessun disegno bello questa volta (sto decidendo se farvi Madina o
Jarnsaxa).
Cosa posso dire di questo capitolo?
CHIACCHIERE, ma si entra nel vivo, circa. La verità
è che questo capitolo
doveva essere spaccato a metà ed accorpato una parte allo
scorso ed una parte
al prossimo.
MA SONO PROLISSA.
Comunque, se vi chiedete il perché, di una scena, la
risposta è contenuta nel
primo romanzo della casa di Magnus Chase:
“Hearthstone passes out even more than Jason Grace
(tough i have no idea who
that is)”, che è anche il momento per
cui ho pensato a questa ff.
Sarò onesta, fino a prima dell’ultima di TOA ero
davvero convinta che Jason
sarebbe finito al Valhalla.
MA ECCO a che servono le ff, no?
Vorrei ringraziare chi legge, chi segue/preferisce/ricorda ed
ovviamente chi
legge.
Grazie Farkas; grazie Edoardo811.
Spero possiate apprezzare questo capitolo,
un bacio
RLandH
Il Barbaro
Astrid aveva
fatto la sua comparsa mentre scendeva da una vertiginosa scala a
chioccia, in pantaloni
morbidi e maglietta dell’hotel, sprovvista della sua
pelliccia, appariva
incredibilmente attuale. Con le trecce sottili, i
pantaloni morbidi e la
t-shirt, Astrid sembrava una ordinaria ragazza degli anni duemila, di
origini miste,
con una chiara discendenza nativa. Qualcosa di assolutamente ordinario,
nel
senso positivo del termine.
I capelli erano un po’ arruffati, ma mentre portava
giù grossi scatoloni non
sembrava particolarmente provata dalla fatica, doveva essere
un’altra gentile
conseguenza della non-morte.
“Oh! Ciao Jason!” aveva dichiarato lei, notandolo
sul fondo della scala, “Hai
già finito con i piani malefici con zia Trudy?”
aveva chiesto poi.
“Così pare. Per oggi” aveva risposto
lui, allungando le braccia per raccogliere
lo scatolone, ma Astrid l’aveva ignorato a pie pari,
percorrendo gli ultimi gradini
e superandolo, per dirigersi verso il soggiorno, “Spero non
stia combinando
niente di troppo pericoloso” aveva valutato la giovane
guerriera.
Jason si era aggiustato gli occhiali, tremolante, “Non ti
preoccupare” le aveva
detto, cercando di rassicurarla.
“Menti proprio male, sai?” aveva risposto Astrid,
posando lo scatolone al
centro della stanza.
C’erano una serie di diviani, sistemati in due L affrontate,
che creavano un
rettangolo nella stanza, intorno erano pieni di scaffali, con tazze,
posate e
quant’altro, c’era anche un sacco di poster che
andavano da nomi di bad,
incontri a messaggi propositivi.
“Carico di libri!” aveva dichiarato Astrid,
attirando l’attenzione di tutti.
Dei ragazzini sui dodici e tredici anni si erano subito fiondati, non
aspettando che la guerriera aprisse la scatola.
“Come piccoli piranha” aveva dichiarato Jason,
osservando i ragazzini. Giovani
come i bambini che venivano riconosciuti al campo e come quelli
costretti al
primo anno di prova a Roma, più magri e grigi, con occhi
grandi e spaventati.
“Cos’è questo? Una specie di campo per
semidei norreni?” aveva chiesto subito
Jason. Astrid lo aveva guardato parecchio stupida, “No? Che
idea bislacca!”
aveva dichiarato, “No, questo è un rifugio per
ragazzi senza tetto” aveva
dichiarato Astrid, come se fosse stata la cosa più ovvia del
mondo.
Jason aveva annuito, anche se animato da una certa
perplessità.
“È stata un’idea di Magnus e Alex,
quando erano ancora in vita, vivevano come barboni,
il che è parecchio strano considerando che questa magione
era di Magnus” aveva
spiegato poi Astrid, “Onestamente il loro pensiero
è stato comunque molto carino,
se ci rifletto. Avevo un amico che ne avrebbe giovato parecchio da
vivo, di un posto
del genere, ma ai miei tempi dormire sotto il cielo con un occhio
aperto,
sperando non ti uccidessero nel sogno era abbastanza comune”
aveva aggiunto la
guerriera.
Jason l’aveva guardata, “So, cosa si
prova” aveva dichiarato alla fine.
Non era mai stato senza un tetto, per quanto non avesse mai trovato un
luogo da
chiamare casa, ma era stato un semidio, dove anche a Nuova Roma non
aveva mai
trovato pace.
Non esisteva tranquillità per loro, neanche da morti.
“Ti prego ricordati che sei un ragazzo ordinario”
aveva sottolineato Astrid.
Magnus si era affacciato verso di loro, aveva un espressione cotta,
mentre
stava distribuendo da una cesta delle sciarpe.
Aveva salutato Jason facendo oscillare i capelli biondi, “Ehi
là! Sei venuto a
dare una mano ad Astrid?” aveva inquisito proprio il padrone
di casa.
“No, è venuto a prendermi. Il piano venti senza di
me è perduto” lo aveva
anticipato la guerriera, con espressione inflessibile.
Un ragazzino di dodici anni si era avvicinato furtivo ed aveva rubato
un paio
di sciarpe dalla cesta di Magnus, che non ci aveva dato troppo peso.
Erano fatte a maglia, di quella lana grezza tremendamente urticante,
anche solo
per guardarla, di colori sgargianti. “Non sono opera di
Blitz, vero?” aveva
chiesto con un tenue paura Astrid, ammiccando proprio agli indumenti.
“Oh, no, le ha spedite qui mio zio, sua moglie le ha fatte
lei. Ha imparato a
fare la maglia, così mi ha detto mia cugina” aveva
spiegato Magnus.
“Direi che ‘imparato a fare’
sia molto generosa come definizione” aveva
dichiarato Astrid, mordace. Jason invece aveva battuto le ciglia,
realizzando
quell’informazione, “Sei … sei ancora in
contatto con la tua famiglia?” aveva
chiesto, stupito.
Magnus aveva scosso il capo, “Complicato. La zia che ha fatto
questo non la ho
mai vista, per lei e per mio zio, il fratello di mia madre, pensa che
io sia
morto … cioè sono morto, ma pensa che sia
morto-morto. Ho contatti solo con mia
cugina, ma perché il tragico giorno del mio funerale la ho
incontrata, quindi
era un po’ difficile, ecco, inventare una scusa
plausibile” aveva raccontato Magnus.
“Lei tiene il segreto?” aveva chiesto Jason.
“Ne ha anche lei. Abbiamo trovato un terreno comune ed
un’ottima amicizia”
aveva dichiarato Magnus, il suo tono era pieno d’amore, ma
anche tristezza e
nostalgia, un tono che Jason conosceva bene, perché lo usava
anche lui, quando
parlava o pensava a Thalia.
Dedizione ed amore, ma anche rimpianto per il tempo perso.
“Legalmente questo posto è suo, sia la casa, sia
il centro, i suoi genitori
pensano che qui ci siano dei collaboratori. Parlano con Alex per lo
più” aveva
spiegato Magnus.
Jason aveva annuito.
Aveva una sola domanda da fargli. Sembrava anche un’ottima
domanda,
ricollegando le informazioni che aveva raccolto nella sua vita.
Chase.
Magnus aveva una cugina con dei segreti. Annabeth aveva sviluppato un
interesse
per la mitologia norrena negli ultimi tempi.
Prima che potesse porre la domanda, però il giovane
guerriero del Valhalla lo
aveva invitato a fare un giro.
Jason si era lasciato trascinare.
Lo Spazio
Chase era grande.
La sua grandezza gli permetteva di ospitare un numero di persone
abbastanza
numeroso, cosa che non avrebbe dovuto essere poi granché
positiva – faceva quasi
impressione quanti ragazzi vivessero per strada.
“Non riusciamo a convincere tutti a venire, o oppure tornare
a scuola o … non
so è complicato. Almeno qui hanno un pasto ed un letto,
l’inverno dormire fuori
è letale. Se non fossi morto come sono morto probabilmente
sarei morto
assiderato” aveva raccontato Magnus, lo aveva fatto con la
stessa tranquillità
di come avrebbe commentato il sole.
Jason era rimasto interdetto: Magnus era il proprietario di una villa,
ma
viveva per strada …
“Come sei morto? Se posso chiederlo. Non so come funziona
l’etichetta?” aveva
valutato Jason.
“Oh, be, tre quarti degli abitanti del Valhalla sono
felicissimi di raccontare
della loro gloriosa morte, gli altri sono persone normali. La mia morte
ha
fatto parecchio schifo: era coinvolta una palla di fuoco, un arco da
cupido giocatolo
e Jack” aveva raccontato Magnus, cercando di forzare un
sorriso che non era
arrivato agli occhi grigi.
“Oh” aveva dichiarato Jason, “E
già. Pensa che avevano mano messo la telecamera
di Sam, quindi si è vista una versione anche più
imbarazzante. Grazie, Jason,
mi hai salvato dalla Presentazione Più Pittoresca di questo
secolo” aveva
aggiunto Magnus, sorridendo in maniera più sincera.
“Merito di Thrud” aveva provato Jason, incerto.
“A proposito della tua
valchiria, Halfborn mi ha detto che non si palesava con un anima da
secoli e
perfino Sam, che è una sua compagna, si è
dichiarata parecchio stupita, Thrud sta
spesso da sola” aveva raccontato Magnus.
Si era fermato davanti ad una porta.
All’interno della stanza dove si erano fermati, Alex regnava
come una maestà.
Indossava una gonna rosa, con del pizzo sull’orlo verde
pistacchio, in tinta
con un maglioncino;
stava lavorando con un tornio a pedale, mentre modellava a mani nude
dell’argilla
ancora morbida.
Davanti ad Alex, c’era un gruppo di giovani ragazzini, che
andavano dai dieci a
diciassette anni, esigui, che tentavo la stessa impresa, con molta meno
convinzione e maestria.
“Alex adora … modellare” aveva
dichiarato Magnus pieno d’orgoglio.
“Posso fare una domanda … indelicata?”
aveva chiesto Jason.
Magnus si era voltato verso di lui, perdendo di vista il suo amore, per
sorridere sornione, “Al momento è una ragazza,
dopo potrebbe non esserlo.
Chiedile sempre come vuole essere chiamarla e rispetta quello che ti
dice,
consiglio spassionato, se non vuoi che ti decapiti” aveva
risposto Magnus,
anticipando la domanda di Jason.
Sì, avrebbe voluto chiederli del genere della sua compagna,
lo confondeva
infinitamente e non voleva … sbagliare.
Era comunque arrossito per la sua ingenuità, “Io
… va bene” aveva dichiarato
alla fine Jason.
Alex cambiava fisicamente? Cambiava animo? Era importante in fin dei
conti?
“Non essere imbarazzato, lei non ama parlarne
particolarmente, non per
vergogna, ma perché si è stufata parecchio;
però … ecco, non ha problemi a spiegare
a chi vuole imparare” aveva sottolineato Magnus, studiandolo,
con gli occhi
grigi, attento.
In quel momento Jason era stato certo, che dovesse avere qualcosa a che
fare
con Annabeth.
“Se stai pensando che potrei avere pregiudizi? Non
è il caso, con la mia
famiglia non è il caso” aveva dichiarato alla fine
Jason, con tranquillità.
Pensando a suo padre e le sue infinite stranezze.
Magnus aveva sorriso compiaciuto e poi era tornato a guardare la sua
ragazza.
Alex stava spiegando come mettere le mani ad un ragazzo, con una certa
irruenza,
di chi non era molto pratico con la calma, però muoveva le
dita precise ed
attenta, sotto le sue mani, l’argilla si modellava come
… be, argilla.
Era brava Alex, contava solo quello, stava creando un alabastron
dal corpo allungato, con una terra di un rosso aranciato.
Brava, brava davvero. A Nuova Roma esistevano dei vasai, fuori dal
Campo di
Giove, uno dei mezzi di sostentamento – e pochi contatti con
l’esterno – era
direzionato proprio nella vendita di vasellame. Sia nuovo sia antico,
esistevano figli di Trivia capaci di incantare gli oggetti con
così tanta
maestria da farli apparire come vasi di epoca romana; erano gli incubo
di tutti
gli autenticatori del mondo.
Alex avrebbe superato anche i migliori, realizzava …
Ebbe un’idea. Stupida, ma un’idea.
“Fa … ehm … solo vasi?” aveva
chiesto Jason a Magnus. “No, i vasi sono la cosa
che le piace di più, ma non fa solo vasi” aveva
risposto, “Però, ecco, si puoi
chiederlo a lei, no. Alex è capacissima di
rispondere” aveva cinguettato
Magnus.
Jason aveva annuito.
Nonostante la promessa che aveva fatto a Kymopoleia, Jason non sapeva
come si
realizzasse un action figure, però
sapeva come si faceva un votivo –
sperava che alla dea delle tempeste andasse bene, ugualmente.
“Andiamo
a
mangiare dei falafel” quella di Magnus Chase non era stata
una domanda, quando
un’affermazione, “Il mio amico Amir fa i migliori
della città” aveva aggiunto
propositivo.
Jason era seduto su un divano che stava spiegando ad Alex Fierro
– quello era
il suo cognome – la sua proposta; la ragazza sembrava
intrigata, “Aspetta, Mango:
gli adulti stanno discutendo” aveva dichiarato lei.
“Senti, amico, perché non
mi fai un disegno di come vuoi questa statuina? Così non
sbaglio. Cioè non
fraintendere, verrebbe probabilmente più bella, ma sembri
tenerci proprio ai
dettagli” aveva dichiarato con tranquillità Alex,
infilando una ciocca di capelli
verdi dietro l’orecchio.
“Falafel?” aveva proposto Magnus, questa volta,
ammiccando ad Astrid che
sosteneva una cesta piena di prodotti per la pulizia. “Uhm
… verdura contro stufato
di maiale, sono già morta Magnus Chase, non infierire su di
me. Poi devo andare
a ritirare la mia pelliccia da Blitz; come se avessi
accettato” aveva dichiarato
Astrid, volgendo gli occhi chiari verso Jason.
“Sì, certo, ti farò un disegno. Faccio
schifo con le figure umane e so fare
solo disegno tecnico ma posso provarci” aveva detto Jason,
prima di notare lo
sguardo affilato di Astrid su di lui.
Jason lo riconosceva.
“Io … ehm … la mia fidanzata era
vegetariana, quindi, ecco, sì per un po’ sto
riscoprendo la natura cacciatrice in me” aveva dichiarato
Jason, osservando l’espressione
delusa formarsi sul viso di Magnus. “Tranquillo, Mango, ti
accompagno io” aveva
cinguettato Alex.
Il sorriso era tornato a splendere sul viso dell’altro
ragazzo, se fosse stato
un mezzosangue della sua ‘parte di mondo’,
Jason avrebbe immaginato
fosse un figlio di Apollo.
“Bene, io ho pulito tutti i bagni di questa magione. Sette, a
chi servono,
sette bagni?” aveva chiesto retorica Astrid, posando il
secchio per terra.
“La famiglia Chase era molto numerosa un tempo”
aveva dichiarato Magnus, il suo
tono di voce era allegro, ma la felicità non aveva raggiunto
gli occhi. Astrid doveva
averlo capito perché non aveva fatto altre battutte,
“Ci vediamo domani” aveva
dichiarato la guerriera, “Tornate?” aveva chiesto
Magnus guardando sia Astrid sia
Jason.
“Uhm … sì?” aveva provato
Jason, confuso; “Lo ho promesso a Blitz, quindi
sì,
per una settimana ci sono” aveva dichiarato Astrid con
fermezza.
Magnus aveva annuito, “Allora ci mettiamo d’accordo
per farti fare un turno di
notte. Di solito viene un adulto dai servizi sociali oppure Blitz o
Heartstone,
ma ogni tanto sta uno di noi” aveva dichiarato
l’einherjar. “Non vedo l’ora”
aveva dichiarato Astrid, poco convinta.
“La
tua
pelliccia?” aveva dichiarato Jason, mentre osservava la
giovane abbandonare il
manor, con le trecce al vento lungo la schiena, senza la casula di
pelliccia. Indossava
una sacca di pezza legata di traverso sul busto. “Uhm
… lo ho data ad un
ragazzo, che probabilmente cercherà di venderla per
comprarsi della droga – si usa
ancora in questi tempi, come negli anni ottanta?” aveva
risposto Astrid.
“Credo di sì, non so, non frequentavo molto
… la vita mondana?” aveva risposto
incerto Jason.
Astrid non aveva fatto una piega, “Comunque non vale niente,
la pelliccia è
rovinata ed acconciata male, per questo preferisco l’altra.
Non ha neanche
valore nell’essere vecchia di mille anni – nel
Valhalla si conserva tutto come
nuovo” aveva dichiarato lei, mentre scendeva gli ultimi
gradini del patio di
ingresso dello Spazio Chase.
Qualche ragazzo che si attardava fuori, ancora, al calar del tramonto
li aveva
guardati ancora.
“Perché non volevi che restassi con
Magnus?” aveva chiesto Jason,
raggiungendola.
“Perché tu sei tremendamente ovvio
e lui è un ragazzo … be, lui è
sensibile ed Alex è sveglia” aveva dichiarato
Astrid con assoluta calma.
Lui aveva sentito la vergogna attraversarlo.
“Giusto, ho preso queste cose per te dalla biblioteca della
casa” aveva
dichiarato Astrid poi, mettendo una mano dentro la sacca di pezza,
tirando
fuori dei libri.
Li aveva porti verso Jason; e lui aveva sorriso al gesto.
“Grazie” aveva detto prendendo i libri, con
gentilezza. Erano due, uno era di
una dimensione notevole, l’altro era un po’
più affrontabile. “Edda Poetica
e Edda In Prosa” aveva letto.
“Tutto quello che hai bisogno di sapere sul mondo e la
poetica norrena” aveva dichiarato
Astrid, mentre imboccava la strada, Jason l’aveva affiancata.
“Oh! Questo mi ricorda che ho conosciuto Bragi”
aveva dichiarato Jason.
“Mi è molto simpatico, a volte è un
po’ pedante, però riesce a rendere
interessante la poesia. Ha scritto lui l’Edda Poetica anche
se i mortali non ne
hanno idea. Pensano siano una semplice raccolta di miti”
aveva raccontato Astrid.
Jason aveva annuito ed aveva osservato i libri, erano belli,
appartenevano alla
stessa collezione, uno era rilegato in una copertina rigida rossa e
l’altro in
una verde, sulle due copertine in tintura d’oro era scritto
il nome dell’opera
ed era raffigurato un albero, inscritto in un cerchio, su cui erano
intessuti
una fantasia di trecci viminei. Jason immaginava fosse una
rappresentazione stereotipata
dell’Yggdrasil.
Aveva osservato le edizioni, erano pregiate, curate, però
anche di una certa
età. Non così tanto antiche, ma abbastanza da
essere più vecchie di Jason – più
vecchie di quanto Jason sarebbe mai stato.
Aveva aggrottato le sopracciglia quando aveva letto il nome del
curatore di quella
edizione: M. Chase. Aveva aperto la prima pagina di
uno dei due libri
per cercare il nome completo e lo aveva trovato: Magni Robert
Chase.
“Pensi che fosse il nonno di Magnus?” aveva chiesto
Jason ad Astrid.
“Può darsi. Quella era casa sua prima”
aveva replicato quell’altra, “Caso mai
ti fossi dimenticata, oggi, lui non sapeva neanche il mio nome. Non
siamo
esattamente amici per la pelle” aveva aggiunto Astrid.
“Comunque grazie per i due libri. Ci metterò un
po’ a mettermi in pari, sono
dislessico, ma grazie” aveva dichiarato alla fine Jason,
grato.
“Be, hai l’eternità. Non aspettarti che
legga per te, però. Chiedi a Madina,
lei adora fare queste cose” aveva dichiarato Astrid, nel
farlo si era lasciata
sfuggire un sorriso.
Jason l’aveva guardata.
“Sono un figlio di Giove” le aveva detto.
“Pensa, io credevo Raijin”
aveva replicato Astrid per nulla stupita, con un sorriso sornione
stavolta ben
visibile sulle labbra, “Potevo anche essere un figlio di
Perun, a quanto pare”
aveva dichiarato Jason, non era sicuro che il dio in questione fosse un
signore
dei fulmini, ma in base a come la stessa Astrid aveva cercato di
scaricare la
colpa sul figlio di quell’ultimo dio, per il maltempo
provocato da Zeus. “Troppo
appariscente, fidati. Anche se ammetto che quando hai usato il vento ho
pensato
tu potessi essere un Uccello del Tuono”
aveva dichiarato Astrid, “Sono enormi uccelli con ali
colorate che spostano il
vento con le ali ed emettono saette dagli occhi. Mia madre spergiurava
di
averne visto qualcuno quando era giovane.” aveva aggiunto
lei, con espressione pensosa,
aveva rilassato la postura solo dopo ed aveva aggiunto: “Poi
ho visto il
tatuaggio” aveva stabilito, indicando l’avambraccio
di Jason. Doveva trovare un
modo per coprirlo, per evitare di scatenare su sé stessa
l’ira funesta di un
gladiatore cheruscio e perché il suo segreto doveva restare
tale … o si sarebbe
scatenata una guerra tra pantheon.
“Immagino
anche l’assenza di ali multicolore”
aveva provato Jason. Astrid aveva ridacchiato, “Saprai
abbastanza che gli dèi
sono in grado di ottime messe in scena” aveva detto lei.
Jason l’aveva guardata, “Te lo ho detto
perché non lo potrò più dire, per
tanto
tempo, forse per l’eternità. Ed insieme alla
cicatrice che non ho più, essere
figlio di Giove era una delle poche cose che … mi rendeva
me. Ora sono un
einherjar – e non sono neanche sicuro di poterlo pronunciare
bene – in un mondo
che non conosco” aveva buttato fuori.
Astrid lo aveva guardato, aveva allungato una mano e gli aveva
accarezzato il
viso, gentile, poi gli aveva anche pizzicato una guancia.
“Non piangerti
addosso, non sta bene ad un guerriero. Sei una skraeling come me. Ti
abituerai”
aveva detto lei, il suo tono era stato calmo, ma nel fondo Jason aveva
percepito
dolcezza.
“Vuol dire estraneo, vero?” aveva chiesto Jason.
“Oh, be, vuol dire: barbaro, in islandese.
I norvegesi
di Groenlandia e Islanda
chiamavano così la gente di mia madre, i thule
–
nessuna relazione con i nazisti misterici. Di rimando loro chiamavano
la gente di
mio padre kadvkunait, che era pressoché
la stessa cosa, anche se alla
fine è finito per diventare il termine
‘danesi’ per i groenlandesi il che è
assurdo, perché non erano danesi”
aveva raccontato lei con una punta di
divertimento.
Astrid era una creatura a metà; un po’ come Piper.
Solo nata, probabilmente, quando i due popoli erano in guerra
… la
rappresentazione vivente di una convivenza che poteva esistere e che
mai era
avvenuta.
“Ieri mi hai chiamando così” aveva
ricordato Jason. “Certo! Sei uno straniero bianco
e biondo” lo aveva imbeccato lei.
Jason aveva riso.
Lo era.
Era uno straniero, più di quanto fosse mai stato.
“Senti, come dicono i Sioux: Non è come
nasci, ma come muori, che rivela
a quale popolo appartieni” aveva esclamato
Astrid.
Jason aveva sorriso, “E che si dica quel che si vuole, il
Valhalla accettata tutti
gli uomini coraggiosi”
aveva terminato lei.
Jason l’aveva guardata per un secondo, poi si era sporto per
abbracciarla,
aveva usato un braccio solo ed i due libri erano finiti per fare da
scudo tra
di loro.
Astrid era rimasta rigida, però aveva ricambiato poi.
Si erano staccati l’uno dall’altro abbastanza in
fretta.
Lei era arrossita sulle guance e non riusciva a guardarlo negli occhi e
Jason
si sentiva a disagio.
“Per il resto non posso dirti altro, intendo su mio padre e
la mia condizione,
ma solo perché la situazione sarebbe così
delirante da essere quasi imbarazzante”
aveva ammesso Jason, grattandosi dietro la nuca, cercando di non far
cadere le
due Edda e tentando di eliminare l’atmosfera che era nata tra
lui ed Astrid. Faceva
ridere se ci pensava, ridere per isteria, era stato portato in una
condizione
di non morte, rischiando di scatenare una guerra tra pantheon,
perché sua
cugina voleva una action figure ed il diritto di
ucciderlo alle sue
condizioni.
“Immagino riguardi il votivo che vuoi far fare ad
Alex” aveva considerato
Astrid.
“Sì. Questo è un altro problema, nel
senso, finché si tratta di progettare sono
bravo, ma poi disegnare a mano, probabilmente farò un
piccolo obbrobrio
…” aveva aggiunto colmo di disagio.
Fortunatamente, Kym, lo avrebbe ucciso presto.
Astrid aveva chiuso gli occhi, quasi in contemplazione,
“Sai … sai …
potremmo … unire l’utile al dilettevole”
aveva considerato lei, “Ma prima devo
recuperare la mia pelliccia di Wapiti e progettare l’omicidio
di Mel per vendetta”
aveva aggiunto lei.
Astrid lo
aveva condotto ad un bel negozio di abbigliamento, o così
pareva dai vestiti
dietro la vetrina, per quanto le luci fossero spente e la saracinesca
d’ingresso
abbassata.
Jason aveva indentificato delle sagome al suo interno.
La sua compagna si era messa a battere contro il vetro di una vetrina.
La porta si era aperta giusto un secondo dopo, rivelando un elfo,
doveva
esserlo, dall’incarnato chiaro come la carta lucida, gli
occhi grigi, stanchi,
e capelli chiarissimi. Rispetto l’elfo che lavorava al bar,
quello che aveva
davanti, aveva un aspetto più spento e terribilmente umano.
Era vestito anche in colori scuri, tranne che per una accesa sciarpa a
doppio
colore. “Oh! Tu non sei Blitz, sei Hearthstone, giusto?
L’elfo stregone?” aveva
domandato subito Astrid.
Quello li aveva guardato, aveva annuito poi. “Sono venuta a
riprendere la mia
pelliccia, da Blitz” aveva specificato Astrid,
l’altro aveva annuito, aveva
guardato Astrid ed aveva fatto una smorfia, frustrato, aveva anche
sollevato
gli occhi al cielo.
“Posso aspettare qui, se vuoi, mentre lo ehm … vai
a chiamare” aveva detto la
ragazza, ma Hearthstone si era fatto da parte e gli aveva lasciati
entrare.
Il negozio non era molto grande, ma era interessante, da un lato
c’erano
vestiti casual, affrontato a quello, una parete di abiti lunghi da
cerimonia,
per uomini e donne.
La terza parete, quella
che si vedeva
entrando dalla porta, esibiva un bancone, dietro al quale erano esposte
cotte
di maglia. Considerando che il resto dell’abbigliamento
pareva molto mortale,
era certo che quei particolari capi fossero occultati dalla foschia.
Sul bancone c’erano delle scatole di cibo cinese, non ancora
aperto.
Hearthstone aveva chiuso la porta, a chiave, e si era congedato con un
gesto
della testa, aveva guardato con gentilezza ambedue, sebbene avesse
trattenuto
lo sguardo su Jason più del necessario.
Astrid lo aveva chiamato Elfo Stregone.
“Non parla?” aveva chiesto Jason.
Astrid aveva sollevato le spalle, “Può darsi,
probabilmente … Mi pare di aver
capito che non possa sentire, forse non può neanche
parlare” aveva proposto
lei.
Hearthstone era apparso di nuovo, da dietro una porta laterale, che
Jason non
aveva notato, ma era tornato tranquillo, seguito da un nano
dall’incarnato
scuro, con i capelli stretti in una serie di rasta a loro volta,
costretti in
una coda alta. Sfoggiava un completo gessato porpora molto evidente, ma
sicuramente pregiato, mentre teneva tra le braccia la pelliccia di
wapiti di
Astrid.
Per essere un nano, non che Jason ne conosceva molti, poteva valutare
che lo
sconosciuto fosse incredibilmente proporzionato ed armonico.
“Oh! Giovane Astrid Figlia di Panikpak!”
l’aveva salutata quello.
“Oh, rispettabile Blitz figlio di Freya” aveva
ripiegato Astrid, prima di
voltarsi verso Jason, “Lui è un nuovo acquisto,
Jason figlio di …” aveva fatto
una pausa la ragazza, guardandolo.
“Beryl” aveva dichiarato lui, seguendo il
ragionamento.
“Nuovo amico del Valhalla?” aveva domandato Blitz,
osservandolo. “Sì, piano
venti, arrivato ieri” aveva spiegato Jason.
“Blitz invece è uno svartalfar,
un elfo oscuro. Troverai tutto nell’Edda”
aveva dichiarato Astrid, riferendosi a Jason.
Blitz aveva annuito, prima di chiamare Astrid con lui, per discutere di
qualcosa relativa alla pelliccia ‘troppo preziosa per essere
trattata così’.
Lasciando Jason un po’ in disparte, con l’elfo
Hearthstone che aveva preso una
delle scatoline di cibo cinese, aveva allungato verso Jason, mostrando
dei
ravioli al vapore. Un’offerta.
“No, ma grazie mille” aveva detto Jason in
imbarazzo.
L’altro aveva annuito, tornando a guardarlo, come se lo
stesso valutando. Forse
lo stava facendo.
Jason sapeva di fare una bella impressione, almeno era così
quando era in vita.
“Ho qualcosa in faccia?” aveva chiesto alla fine
Jason. L’elfo aveva scosso il
capo in senso di diniego.
Astrid era tornata subito, rilassata ed allegra, mentre sfoggiava la
sua
pelliccia castano-dorata di Wapiti – sembrava molto
più lucida e brillante di
quanto avesse fatto il giorno passato, prima del suicidio di Mel con la
forchetta; “Bene, ora che sono di nuovo completa, Jason
Grace, ci aspetta del
cinghiale e sidro!” aveva esclamato lei.
“Quindi
quei
due erano?” aveva chiesto curioso Jason, mentre si lasciavano
il negozio alle
spalle, “Non li troverai nelle Edda, ma sono due eroi. Hanno
salvato il mondo.
Blitz è il miglior stilista dei nove mondi e
l’altro è un elfo stregone. Sono
ammessi al Valhalla. Veramente a pochi vivi, fuori le valchirie,
è concesso tale
onore” aveva spiegato subito Astrid, mentre continuava a
passare le mani sulla
sua pelliccia. “Blitz ha detto che il modo di trattare la
pelle e come ho fatto
le cuciture è stato sublime” aveva aggiunto piena
di soddisfazione la
guerriera. “Questo è stato il primo lavoro che ho
fatto completamente da sola, caccia
all’animale incluso – mio padre forgiava il ferro,
non aveva idea di come si
tenesse un ago in mano” aveva raccontato.
Jason le aveva sorriso.
“Non ti ci vedo impiegata nelle opre femminili”
aveva ammesso Jason.
“Certo; la gente quando pensa alle guerriere vichinghe pensa
a tutte queste
potenti virago. Non è sbagliato, esistevano valchirie e le
mogli di lancia”
aveva raccontato Astrid, “Ma io non ero ne l’una
nell’altra, cioè sapevo
cacciare e menare di spada, ma più per difesa che per vera
passione” aveva
dichiarato quella.
Jason aveva fatto schioccare le labbra, “Avrei giurato fossi
autentico
materiale da valchiria” aveva aggiunto. “Oh, be,
nel corso dell’ultimo millennio,
lo sono diventata, zia Thrud, Aslaug ed anche Guinilla mi avevano
chiesto di
unirmi, ma non fa per me. Non ho la pazienza di stare a raccogliere
anime o a
servire da bere” aveva raccontato Astrid.
“Nel nostro … il mio … nel pantheon
greco romano abbiamo … le cacciatrici, sono
un gruppo di guerriere immortali che accompagnano Artemide nella caccia
e nelle
battaglie” aveva raccontato Jason, non era sicuro di sapere
perché.
“Lo so!” le aveva risposto Astrid, stupendolo,
“Giro il mondo da un millennio e
non lo ho passato confinato nella mia cameretta. Ho conosciuto una
cacciatrice,
fammi pensare, si chiamava Zoe Nighshade … credo, qualcosa
come trecento o
quattrocento anni fa, chi li conta più i secoli”
aveva detto quella.
“Una cacciatrice, quello mi sarebbe piaciuto, ma ero
decisamente inadatta”
aveva aggiunto Astrid. “Giusto già
morta” aveva commentato Jason. “Tra le altre
cose” aveva risposto serafica Astrid.
Dopo il silenzio, non troppo lungo, prolungato e pesante, Jason aveva
chiesto
come sarebbero rientrati all’Hotel.
“Dall’Ingresso. Non possiamo usarlo per
uscire – senza previa autorizzazione di Odino, su richiesta
delle Norne o affari
del genere – ma possiamo rientrare senza problemi. Immaginalo
come una
prigione, a nessuno importa come entri ma solo come tenti di
uscire” aveva raccontato
Astrid, con divertimento.
Jason aveva sospirato, “Spero di abituarmi da qui a mille
anni” aveva
esclamato.
Jason aveva
sentito che qualcosa sarebbe andato storto prima ancora che andasse.
Non sapeva
come classificare la sensazione, ma era stato certo che anche Astrid
l’avesse
sentita nel momento stesso in cui l’aveva percepita lui. Si
era fermato d’improvviso
attirato da qualcosa, un rumore, un’energia … era
difficile da spiegare. “Possiamo
far finta di niente” aveva suggerito Astrid.
Un uggiolato spaventato aveva attirato la loro attenzione, accompagnata
da un
urlo roborante: “Ti ho trovato”
Jason si era voltato verso la ragazza, “Non fa per me.
Intendo, far finta di
niente” aveva dichiarato Jason.
“Tutti gli uomini coraggiosi”
aveva borbottato Astrid. “Jason … se ti
lanci in questa cosa e muori … sei morto” aveva
specificato lei.
Jason le aveva sorriso, “Ho vissuto per quasi diciassette
anni della mia vita così;
mi è andata male una sola volta, in fondo” le
aveva detto.
Astrid aveva sbuffato, “Solo oggi sei morto di
stenti” aveva ricordato lei.
Jason aveva seguito l’inquietante fonte di potere ed il
vociare.
“Oh te immonda bestia!” aveva
esclamato ancora la voce.
Jason aveva riconosciuto chi era il proprietario. Era un uomo, anzi un
ragazzo,
non più vecchio di Jason, nonostante la sua voce imperiosa.
Il viso pallido,
gli occhi furbi, aveva capelli biondo cenere, fluenti. Indossava una
camicia di
jeans, in coordinato con i pantaloni chiari, oltre una camicia rosa
pastello. A
guardarlo sembra un giovane idolo degli anni Ottanta. Se si ignorava
l’arco,
con la freccia incoccata, puntato perentoriamente contro un lupo
uggiolante,
che tentava senza successo di scomparire, appallottolandosi su
sé stesso, ma la
sua massa lo rendeva praticamente impossibile.
Astrid aveva sbuffato, “Ti prego, quello è un
lupo. Fidati non è una buona idea”
aveva dichiarato la ragazza.
Ma Jason a guardare la bestia, che forse sarebbe apparsa minacciosa e
pericolosa in altre circostanze, in quel momento sembrava un
cuccioletto,
latrante, con un una ferita rosso vermiglia sulle zampe ed il manto
grigio
cenere.
Aveva pensato a Lupa.
Lupa potente e guerriera, che si era presa cura di lui.
“Che succede?” aveva strillato Zeus. Lo sconosciuto
si era voltato
immediatamente verso di loro, “Vi pregherei di non
interrompermi. Io
sono Váli l’Ardito e devo
uccidere
questa bestia” si era dichiarato immediatamente quello.
Lo aveva detto con un tono chiaro, ma tracotante di superbia, a Jason
aveva ringorgato
la spocchia e la boria di Caligola, il suo assassino.
E sapeva come comportarsi – circa.
“Scusa non credo di conoscerti” aveva dichiarato
Jason.
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Capitolo 6 *** Quando distribuivano “Buon senso” e “Profilo Basso”, Jason Grace doveva essere svenuto da qualche parte ***
EHILA’!
Indovinate chi ha finito di catalogare le monete? Sì, io.
ALLORA, parliamo un po’ di questo capitolo: mi sono accorta
di averlo scritto “troppo
presto” ma avevo già cominciato, così
sono andata avanti. Ho finito per
accorpare a questo capitolo il prossimo, in un pessimo Frankestain. Vi
prego,
comprendetemi, con questo capitolo siamo, circa al “capitolo
2” che avevo
originariamente pensato quando avevo ipotizzato di stare sui 4/5 ahaha.
Un paio di note, fuori dal testo, gli dèi norreni non hanno
sempre un ruolo
preciso (es: Thor è il signore dei tuoni e quindi viene
considerato il
responsabile del mal tempo etc … però Frey
è il dio della pioggia, ad esempio)
perciò ho dato io a Vali il suo “ruolo”
visto che nell’Edda non è specificato.
Secondo punto, non sapevo se mettere o meno tutte le note per ogni dio,
nel
senso, Jason non conosce tutto, quindi mi sembrava corretto
non-inserirlo.
Comunque, tre su quattro, dei “servi” sono
mitologici, uno è mio. Non dico
altro.
Anche oggi non ho un disegno, cioè si lo ho, ma non mi piace
… quindi non so se
postarlo.
Detto questo: vorrei ringraziare chi legge, preferisce, ricorda e
segue, ma
soprattutto chi recensisce. Grazie Farkas! (E grazie ad Edoardo811 per
la lettura, ps - Astrid se ne è pentita 2 minuti dopo.)
Baci,
RLandH
Quando
distribuivano “Buon senso” e “Profilo
Basso”, Jason Grace doveva essere svenuto da qualche
parte
Váli
l’Ardito aveva occhi oro come lo champagne, molto belli,
anche se sgranati in
un’espressione di puro stupore.
“Come?” aveva domandato cupo lo sconosciuto.
“Sì, ecco, io non credo di conoscerti”
aveva risposto Jason con tranquillità,
chiedendosi se il suo piano avrebbe avuto o no, qualche vago affetto.
Astrid al
suo fianco aveva trattenuto il respiro.
“Ah” si era lasciato sfuggire Váli,
“Questo è molto imbarazzante” aveva
dichiarato l’altro, l’espressione di pura boria che
aveva animato il suo viso
fino a quel momento era venuto a sopprimersi, “Davvero?
Neanche una menzioncina
piccola-piccola?” aveva chiesto Váli, speranzoso.
“Tabula
rasa” aveva risposto Jason,
mentre inclinava il capo, nel tentativo di spiare oltre le spalle di
tale Vali,
per osservare il lupo.
Quello ferito, se possibile, si era ancora più arricciato su
se stesso,
assumendo l’aspetto di una macchia di pelo ispido ed
arruffato.
Vali sembrava leggermente abbattuto, “Io …
è così ingiusta la vita di noi Dei,
un tempo i mortali tremavano alla sola menzione del nostro nome ed ora
eccomi
qui, che vedo due liceali … aspetta! Quella è
l’Edda” aveva dichiarato Váli,
recuperando barlume di gioia.
Jason aveva abbassato lo sguardo sui due tomi,
“Così pare” aveva dichiarato
strozzato Jason.
Váli aveva sorriso soddisfatto, come un gatto pasciuto,
“Io ci sono! Appaio
proprio ne La Voluspa! Il primo canto dell’Edda
Poetica” aveva spiegato subito,
con contentezza.
“Oh buono. Lo ho appena preso, qualche spoiler?”
aveva recuperato compostezza
Jason. Vali aveva sorriso soddisfatto, al giovane einherjar aveva
ricordato un
po’ suo fratello Apollo, prima della fase lesteriana.
“Ovviamente” aveva
risposto subito Váli con molta soddisfazione, “Ne
la Voluspa sono anche
descritto quasi al meglio di me: letale e veloce” aveva
gongolato il dio.
Il lupo ferito, non si era ancora spostato, “Ovviamente,
posso raccontarvi
tutto io. Non ho la lingua sciolta di Bragi, ma quando sei
l’ardito cosa
serve?” aveva dichiarato Váli con soddisfazione.
Aveva abbassato l’arco e la
freccia, non sembrava più intenzionato a terminare
l’immonda bestia. “Vi
racconterò tutto su di me, così poi potrete
adorarmi” aveva stabilito il dio.
“Non vedo l’ora” si era lasciata sfuggire
Astrid, carica di sarcasmo, ma la cui
affermazione non aveva sfiorato minimamente il dio, ancora appagato
all’idea di
soddisfare il suo ego.
“Possiamo anche adesso, davanti un bel boccale di idromele e
cinghiale arrosto”
aveva proposto Jason con scioltezza.
Váli aveva annuito, facendo muovere i capelli biondi
sbarazzini, Jason aveva
sorriso, poi il dio aveva parlato di nuovo: “Prima
però devo uccidere questa
immonda bestia” aveva dichiarato.
Ovviamente.
Vali aveva
dato loro le spalle ed il lupo che fino a quel momento si era calmato,
aveva
ripreso una posa più spaventata possibile, presto si sarebbe
ridotto ai minimi
termini, nascondendo anche la testa sotto le zampe.
Jason aveva voltato lo sguardo verso Astrid.
Lei aveva scosso il capo.
Lui aveva infilato una mano in tasca per prendere la sua moneta.
Astrid aveva sospirato stanca, “Ehm … Ora che ci
penso, tu non sarai mica quel
Váli?” aveva chiesto lei, con tono alto.
Il dio non aveva potuto resistere.
“Ti sono tornato in mente?” aveva chiesto pieno di
speranza Vali, voltandosi
nuovamente verso di loro, dimenticandosi completamente del lupo.
Jason aveva chinato lo sguardo verso Astrid, la ragazza sembrava aver
palesato
sul viso la consapevolezza di aver appena commesso
un’imprudenza. “Io …” aveva
provato Astrid schiudendo le labbra, “Certo che ci
è tornato in mente” aveva
dichiarato Jason, “Infondo lo hai detto tu stesso, no, sei
Váli L’Ardito … il
Dio più glorioso … ehm … di
Asgard?” aveva aggiunto, pieno di insicurezza,
Jason.
Vali aveva aggrottato gli occhi, “Ovviamente!”
aveva ammesso quello, pieno di
orgoglio, “Tyr sarà terribilmente geloso che due
giovanotti come voi mi abbiano
chiamato il più glorioso” aveva stabilito. Vali
con allegrezza.
“Sono stato definito il Vendicatore, lo Spettinato
… Freya mi ha chiamato anche
il puzzolente, una volta, ma è una
vecchia baldracca; quindi, non conta”
Aveva ripreso a parlare Váli con un tono rilassato.
A parere di Jason, Vali aveva un ottimo odore, una di quelle acque di
colonie
che ispiravano, con l’olfatto, la sensazioni di posti freschi
– come l’alito
dome una gomma da masticare – ed aveva capelli biondo cenere
lucenti e puliti
di fresco. Quindi sì, nessuno dei soprannomi sembrava
adattarsi a Váli.
Eccetto, il vendicatore, ad occhio, Jason immaginava che arco e frecce
non
fossero per sola gloria. “Ma ovviamente Glorioso mi si
addice, anche più di Ardito.
Sì, da ora, mi presenterò così: Váli
il Glorioso” aveva stabilito
quello.
Il lupo aveva smesso di cercare di ridurre la materia di cui era
composto,
preferendo di finalmente cominciare con il darsi alla fuga. Era
più grosso di
un lupo normale, anche più di lupa. Aveva un manto grigio
platino, che sarebbe
sicuramente apparso maestoso e bellissimo, se non fosse stata la
pelliccia
chiara coperta di sangue – Jason non poteva esserne sicuro
perché il colore era
più luminoso e vibrante del rosso naturale –
così come la peluria era un
groviglio di nodi e sporcizia, di chi non doveva aver passato momenti
felici.
Nonostante la bestia fosse, appunto, più grande di un
semplice lupo grigio,
aveva un ventre scarno e zampe sottili, legate ad un evidente inedia.
L’arto
anteriore destro era sollevato, putrida carne macellata, attraversata
da due
frecce scrosciante di rosso vivido.
Le tre zampe sane, secche come fuscelli, non avrebbero mai potuto
sopperire
alla mancanza della loro sorella e per il lupo una fuga non era
possibile.
Jason lo aveva osservato con attenzione, si era accorto anche di Astrid
che
aveva emesso un singulto strozzato alla vista del lupo.
Con il suo gesto aveva attirato l’attenzione di
Váli, “Certo, Glorioso ha
decisamente un tono più epico di Spettinato” aveva
ammesso Jason attirando
nuovamente l’attenzione su di lui. Il dio si era spostato un
ciuffo di capelli
da davanti al viso in un gesto perfettamente calcolato come naturale,
ma che
grondava di bisogno d’attenzione.
Sì, aveva pensato Jason ingenuamente, avrebbe dovuto
presentarlo a suo fratello
Apollo.
“Ovviamente, anche perché ora non lo sono mica
più, una volta adempiuto il mio
proposito. Ci tengo tantissimo ai miei capelli, sono sempre lisci,
perfetti e
senza nodi. Uso solo balsami di qualità” aveva
precisato il dio.
“Oh, come ci piacerebbe conoscerli” aveva
bisbigliato Astrid.
Il lupo nel frattempo, titubante, aveva cominciato a fare qualche
passo, tenue
ed incerto, con lo stesso andamento di un camaleonte, cercando di non
fare
rumore.
“Questo che sto usando ora è balsamo al bianco
spino, lo ha prodotto Lady Sif,
riesce a malleare anche i suoi capelli e sono d’oro
… oh quanto mi
piacerebbero” aveva spiegato subito Váli, prima di
svestire i panni del
terribile dio Ardito e Vendicatore per indossare quelli di un aitante
idolo
anni ottanta che presentava con allegrezza una pubblicità di
prodotti da bagno.
Jason si stava sforzando di guardare Váli e non deviare lo
sguardo verso il
lupo, che ancora arrancante come un camaleonte aveva fatto che pochi
metri.
Aveva occhi gialli come miele denso che di tanto in tanto voltava verso
di
loro.
Erano occhi stranamente umani. Colmi di riconoscenza e
terrore.
“Quindi al bianco spino e agrifoglio …
niente vischio, immagino”
aveva commentato Astrid, in una maniera incredibilmente naturale.
“Ovviamente” aveva risposto stizzito
Váli, “In onore del più meritevole dei
miei fratelli … Il vischio è bandito dalla mia
dimora” aveva stabilito
quest’ultimo.
“Oh, non vi era alcun dubbio che tale pensiero vi avesse
attraversato” aveva
cinguettato Astrid, la sua espressione sempre ieratica, si era
modificata in
una versione più stucchevole e dolce. Non fosse stata per la
pesante pelliccia
di wapiti che aveva indosso, in quel momento, Astrid Einardottir
sarebbe potuta
passare per una adolescente bostoniana in piena regola, che faceva
sorrisi
languidi al dio super strano davanti a loro.
Tutto regolare.
Il lupo aveva approfittato di quell’ulteriore distrazione di
Váli, per
proseguire, era quasi arrivato al fondo dell’isolato, ad un
passo dallo sparire
tra le ombre di una città che andava ad imbrunirsi.
Sarebbe stata notte presto.
Presto sarebbero state ventiquattro dalla sua presentazione alla Sala
dei
Caduti.
Sembrava che quella giornata fosse stata infinita … era
perfino morto due
volte.
Váli aveva perso quella sua espressione bonaria e piena di
gioia per riprendere
un tono più grave, “Questo mi ricorda che ho da
consumare un’altra vendetta”
aveva stabilito il dio, voltandosi di scatto verso la bestia.
Il lupo però aveva approfittato delle ultime parole di miele
di Astrid per
scomparire in un vicolo buio. “Dove è
andato?” aveva strepitato Váli.
Jason ed Astrid si erano voltati l’uno verso
l’altra, di scatto. Inventa
qualcosa, aveva usato il labiale la guerriera, senza un fiato
di voce.
“Il lupo, mio signore?” aveva provato Jason.
“Sì, il lupo mezzo jotun che
era qui, che cacciavo da eoni. Difficile
non vederlo: grosso e grigio” aveva risposto Váli,
leggermente spazientito.
Astrid aveva sbuffato ed aveva tirato un buffetto a Jason, se voleva
essere affettuoso,
non lo era sembrato per niente.
Oh Jotun.
Come Jarnasaxa.
E quelli cattivi.
“Credo sia andato a … sinistra” aveva
provato Jason, il lupo era andato a
destra, forse era uno Jotun, ma era ferito … e come aveva
detto Kymopoleia non
tutti erano cattivi, o meglio … aveva riportato che Odino
avrebbe dipinto i
jotun come tutti cattivi, ma egli aveva delle amanti di quella stirpe,
così
come Kym era andata a cena da Aegir che organizzava feste favolose.
Quindi non
potevano essere tutti cattivi, no?
Jason aveva bisogno di crederci se aveva appena permesso ad un mostro
crudele
di fuggire da un dio vendicatore.
Vali li stava guardando, i suoi occhi chiari avevano perso la dolcezza
ed erano
freddi come due lamine di ghiaccio – nonostante il colore
così caldo. “Lo avete
fatto a posta, vero? Voi vili adulatori!” aveva sentenziato.
“Servi degli ingannatori! Voi adulate Loki e la sua schiatta!
Non osate
mentirmi oltre” gli aveva aggrediti senza remore il dio.
Astrid aveva parlato per prima, senza grazia, “Nobile
Váli! Noi siamo Einjhair,
i caduti, coloro che servono Odino, tuo padre!” aveva
risposto con schietta
onesta.
“Come se fosse la prima volta che nelle Sala si insidiasse
qualche infame”
aveva
replicato sagace il dio.
Jason aveva potuto vedere l’espressione sul viso di Astrid
colorarsi di rabbia,
piena di indignazione, “Io sono Astrid figlia di Einar,
nipote di Sif La Bella,
da più di mille anni combatto ad Idavoll, per seguire Odino
fino alla fine; vi
sono fedele da quando ancora gli uomini vi veneravano sotto lo sguardo
di Sol e
lui è Jason Grace morto con orgoglio per salvare i suoi cari
e protetto di Lady
Thrud, tua nipote” aveva stabilito Astrid fiera. Gli occhi
verdi erano
rifulgiti come gemme.
Vali aveva assottigliato lo sguardo, infastidito, probabilmente da non
poter
accusare i due di molto, “Nipotastra”
aveva bofonchiato solamente.
“Bene, divino Váli, noi ora ci congediamo, ci
aspetta il banchetto alla sala e
combattere, domani, come nel prossimo avvenire” aveva
commentato Jason,
avvolgendo le mani attorno alle spalle di Astrid.
Váli li aveva studiato, “Ma voi lo avete fatto
… vero? Distrarmi per permettere
alla bestia di scappare” aveva considerato il dio.
Astrid aveva ancora l’espressione crucciata e labbra strette.
Jason aveva sospirato profondamente.
Basso profilo, giusto?
Così si erano raccomandate Thrud e Kymopoleia, giusto?
“Sì” aveva ammesso, “Astrid
non c’entra niente, il suo è stato
cameratismo”
aveva dichiarato Jason.
Vali si era fatto vicino, pericolosamente vicino, con
un’espressione poco felice
sul viso – per usare un eufemismo.
“Perché?” aveva chiesto con voce sottile
ed acuta, letale come la stilettata di
un coltello.
“Perché era ferito” aveva ammesso Jason,
“E spaventato … e non c’è
onore nel
braccare una preda ferita” aveva risposto onesto Jason,
“O lo sarebbe stato,
forse … se la tua non fosse stata
un’esecuzione” aveva dichiarato.
Astrid aveva trattenuto il respiro, Jason non aveva bisogno di
guardarla per
sapere che la sua espressione dovesse essere dipinta di orrore.
Jason era stato tante cose: strategico, intelligente, di tanto in
tanto, buono
forse, ma su tutti era sempre stato … leale.
Ai suoi amici.
Al suo credo.
E a se stesso.
Vili aveva fatto un azione, uno scatto netto ed aveva afferrato il
colletto di
pelliccia di Astrid. “Ragazza” l’aveva
avvertita con solamente quella parola.
“No” aveva risposto Astrid, aveva riacquisito la
sua espressione calma,
scostandosi, “Non avrai la mia pelliccia ne
romperò bastoni per te. Siamo
einherjar non puoi ucciderci” aveva dichiarato lei.
“Fuori dal Valhalla potrei … e lo farò,
legittimamente” aveva stabilito Váli.
“Non puoi perché siamo gli uomini di Odino,
Padre-Tutto, signore della Guerra e
della Morte” aveva stabilito lei con certezza.
“Tu parli con parole furbe. Sei certa di non essere figlia di
Loki” le aveva
detto Váli fredda, “Mia madre era solo una donna e
mio padre era un mezzo-dio,
figlio della rigogliosa Sif dai capelli d’oro”
aveva stabilito Astrid senza
perdere un battito.
Váli aveva sorriso freddo, “Solo un mezzo-dio,
dici?” l’aveva stuzzicata.
La guerriera aveva aggrottato le sue sopracciglia a quella
constatazione,
“Comunque lingua argentina, hai ragione” aveva
stabilito Váli, “Avrei tutto il
diritto di uccidervi per aver aiutato lo jotun mio nemico, ma potrei
avrei problemi
con papà. Quando si arrabbia con te sa essere tremendamente
creativo, non
auguro a nessuno un padre esperto di trasformismo con un carattere
facile al
rancore” aveva dichiarato il dio.
Sicuramente quello Jason poteva capirlo bene.
“Ma se tutti i conflitti si fossero risolti con la morte
… allora saremo molto
meno” aveva aggiunto, aveva perso l’occhio freddo,
per un’espressione più
amichevole.
Jason, doveva essere onesto, non era sicuro alla precisione dove stesse
andando
a parare, ma poteva immaginarlo. “Voglio proporre un
Holmagag” aveva dichiarato
Vali.
“Un dio, contro due mortali” aveva aggiunto Astrid.
“Un dio, contro due einherjar di stirpe divina. Non mentitevi
li riconosco i
miei simili” aveva soffiato Váli con calma.
“Non hai appena detto di non volerci uccidere?”
aveva domandato Jason.
“Ovviamente. Vi sfido ad un Holmagang;
ovviamente a primo sangue. Non
avrebbe senso comunque. Vincerei io!” aveva stabilito il dio
con un sorriso
calmo.
Astrid aveva voltato lo sguardo verso Jason, aveva sillabato qualcosa
con le
labbra, somigliava moltissimo ad un ‘Io ti
odio’; poi aveva aggiunto:
“La sua non è spocchia, il glorioso
Váli sopravviverà al Ragnarok” aveva
spiegato Astrid, con un tono didascalico, ma colmo di rabbia
– indirizzata
tutta a lui.
“Se non la nostra morta cosa vuoi?” aveva chiesto
allora Jason, guardandolo.
Non sapeva esattamente cosa fosse un holmagang, ma immaginava dovesse
somigliare ad un duello – almeno. “Be, dovreste
ripagare il guidrigildo
qualcosa dello stesso valore della vita di quel mezzo-jothun
… direi quindi la
vostra esistenza. Se dovessi vincere io, sareste miei schiavi fino al
Ragnarok;
poi potremmo ridiscuterne. Se quella testa vuota di Thor può
avere servitori me
li merito anche io” aveva decretato Vali.
Jason si era voltato verso Astrid, “Siete dunque due nithigir”
aveva
dichiarato il dio, “Non osare chiamarci in quella maniera.
Siamo onorevoli
Caduti, morti con una spada alla mano e degni del Valhalla”
aveva replicato
Astrid.
“Quindi accettate?” aveva chiesto Vali,
“Un secondo” aveva stabilito Astrid,
prendendo Jason per mano e portandolo da parte, ma sempre sotto
l’occhio vigile
del dio.
“Ho
fatto un
macello, vero?” aveva chiesto Jason.
“Oh, be, vediamo un po’: hai salvato un lupo
Jothun, che tra tutte le dannate
creature a questo mondo sono quelle che mi piacciono di meno. Ringrazia
che non
fosse Managarm o ti avrei fatto ingoiare il mio corno. Ah, giusto
… hai fatto
incazzare il dio della vendetta, non il dio dei fiori di campo e delle
buone
intenzioni, ma il dio della vendetta. Lui è letteralmente
nato con l’unico
scopo di Vendicare. Che ci ha sfidato a risolverla alla vecchia maniera
e se
perdiamo saremo suoi schiavi. Io, Jason Grace, sono una donna libera! E
se per
caso dovessimo vincere e non succederà, avremmo il dio
più rancoroso
dell’eternità addosso fino alla fine dei tempi
– Váli sopravviverà al
Ragnarok”
aveva ringhiato Astrid.
Jason le aveva messo le mani sulle spalle, “Mi dispiace di
averti messo in
questo macello. Se ne dovessimo uscire vivi … circa vivi,
troverò il modo di
sdebitarmi, ma ora devi spiegarmi cosa è esattamente un
Holmagang e come
funziona” aveva chiesto chiaro, soffocando tutte le
preoccupazioni che gli
stavano salendo.
Non aveva mentito, prima, ad Astrid, gli era andata male solo una volta.
Aveva affrontato giganti, mostri … e dei.
Ad ucciderlo era stato un uomo, indipendentemente da come Caligola
volesse
considerarsi, solo un uomo.
Non aveva paura di un dio, neanche del dio della vendetta.
“Perché sei così tranquillo?”
aveva chiesto Astrid.
“Perché come ti ho detto: le volte che mi
è andata bene sono maggiori di quelle
dove è andato” aveva dichiarato Jason.
“Ma basta una” aveva risposto Astrid rigida.
“Ma siamo ancora qui” aveva replicato lui.
La guerriera si era morsa le labbra, timorosa, spaventata, poi aveva
annuito:
“Tralasciando tutta la storia. È un modo di
risolvere un conflitto, ci si sfida
in un quadrato delimato da quattro legni e su una pelle, di solito, ma
insomma
… credo che anche la mia pelliccia andasse bene”
aveva cominciato a spiegare
lei, facendo scivolare la mano sulla pelliccia che indossava, per
spiegare
perché Vali l’avesse afferrata.
“Si piò sfidare chiunque, indipendentemente dallo
status, sai per onore,
debiti, disaccordi … una volta nel Valhalla due persone si
sono sfidate per
stabilire chi avesse trovato la mela più rossa. Chi non
accetta la sfida o la
disattende diventa un nithingr, uno svergognato,
nomea che può portare
alla sanzione di fuori legge” Astrid aveva chiuso le labbra,
trattenendo il
fiato, ricordando probabilmente qualcosa di lontano. “Per i
norreni la condanna
di fuori legge è … difficile, vuol dire esilio e
nessuna considerazione. Morte,
per lo più. Fame, stenti, mostri” aveva sussurrato
lei.
Jason aveva ricordato quello che Astrid aveva detto a lui, quando erano
all’interno dello Spazio Chase, aveva un amico che avrebbe
giovato di avere un
tetto sotto la testa … forse?
“Comunque” aveva recuperato lucidità
Astrid, “Gli Holmagang andrebbero, per
tradizione, combattuti su isola, all’incrocio di tre vie
… ehm … ma sono
elastici. In realtà si può trovare un campione,
tipo a noi per battere Váli
servirebbe non so … Thor? Di solito la sfida avviene dai tre
ai sette giorni
dopo che è stata lanciata. Tecnicamente ci si accorderebbe
sulle regole adesso,
sai, numero e tipologia di armi, o se andare senza.
Ma non tutti gli Holmagang si risolvono in
combattimenti, una volta … ehm … lo hanno fatto
anche a scacchi, non molto
vichingo, ma possibile” aveva aggiunto lei.
“Be, io sono un bravissimo spadaccino ed un ottimo
giavellottista” aveva
provato Jason, Astrid lo aveva guardato, “Sei bravo pure a
progettare cose, no?”
aveva provato Astrid, “Cioè non so quanto
Váli sia bravo con la matita.
Sicuramente è uno spadaccino ottimo, un arciere fenomenale e
brutale guerriero
a pugni crudi” aveva aggiunto la guerriera.
“Possiamo accettare la sfida ora per sette giorni da ora ma
tipo prendere tempo
alla sfida?” aveva proposto Jason, “No. Ora o
niente” aveva stabilito Astrid.
“Prima di tutto se lui è un Dio della Vendetta,
chiediamo come pagamento del guidrigildo
di non portare rancore” le aveva suggerito Jason.
Lei aveva annuito, “Sono concessi di norma tre scudi e si
deve decidere chi
avrà il primo colpo” aveva aggiunto Astrid.
“Lasciamo a lui il primo colpo e scegliamo noi il
luogo?” aveva chiesto Jason.
“E chi di noi due combatterà o se fare un due
contro uno” aveva sottolineato
Astrid.
Jason aveva sorriso: “Conosco il luogo giusto”
aveva dichiarato Jason, lei non
sembrava ricambiare la sicurezza che lui stava ostentando.
“Se
dovessimo vincere noi, non ci porterebbe rancore divino o valente
Váli” aveva esordito
Astrid quando aveva raggiunto il dio, quello aveva sorriso,
“Improbabile, ma va
bene” aveva stabilito quest’ultimo, “Hai
una mente veloce” aveva considerato.
Astrid era arrossita, guardando di sfuggita Jason.
“Prima dello scontro tutti quanti giureremo sul nostro
impegno” aveva
sottolineato la guerriera, approvato dal dio.
“Combatteremo entrambi” aveva provato Jason,
“In cambio di questo ti daremo il
primo colpo, visto che sei lo sfidante” aveva dichiarato lui.
Vali aveva sollevato le spalle con disinteresse, “Che mi
importa. Armi?” aveva
provato.
“Lancia e Ascia” aveva risposto Astrid.
“Accetto … e propongo anche la spada,
niente fa sanguinare meglio di una bella spada” aveva
aggiunto Váli
compiaciuto.
Avevano accettato entrambi.
“Voglio che la pelle sia di lupo, uno bello che
avrò sacrificato per
l’occasione” aveva gongolato Váli.
Jason aveva sentito di odiarlo con ardimento, così aveva
preso la parola: “Sette
giorni?”
Il dio aveva annuito, “Sì, purché sia
sette giorni precisi, all’imbrunire. I
legni dovranno essere di quercia, sacra benedetta, insomma dei pezzi
dell’Yggdrasil
e toccherà a voi prenderli. Dal tronco … speriamo
non scivoliate
accidentalmente nel vuoto” aveva aggiunto Vali soddisfatto.
Astrid aveva
annuito, rigida; Jason aveva parlato di nuovo: “Allora
sceglierò io il campo.
Deve essere un’isola? Che sia Manhattan” aveva
dichiarato.
Váli lo aveva fulminato con lo sguardo, anche Astrid lo
aveva guardato, con
confusione, “Non possiamo combattere a Manhattan”
aveva risposto il dio.
“Perché? È un’isola e al suo
interno c’è un parco molto grande dove
è possibile
combattere e dove certamente è possibile trovare tre vie che
si incontrano”
aveva replicato Jason facendo il finto tonto.
“Scegli un altro luogo” aveva ringhiato il dio,
Astrid aveva schioccato le
labbra, “Forse …abbiamo trovato noi un
nithingr” aveva ammesso lei, dando man
forte a Jason. “Lo so che stai cercando di manipolarmi lingua
argentina” aveva
ringhiato Váli, lei era rimasta ieratica nella sua
espressione: “Non sono io
che mi sto comportando come un … pollo. Mio Signore Vali
L’Ardito” aveva
aggiunto lei.
Váli aveva sorriso, forzatamente, “O come
godrò della vostra compagnia quando
mi apparterrete. Ho infinti calzini da farti rammendare”
aveva asserito.
“Sette giorni da ora, all’imbrunire a Central Park,
dove si incontrano tre vie”
aveva ricordato il dio, allungando ambedue le mani verso di loro,
“Giuratelo
sul vostro onore” aveva stabilito Váli.
Jason stava per allungare una mano, “Uhm … se
disattendi il giuramento finisci
ad Heleheim … se sei un Einherjar è proprio in
direttissima” lo aveva
avvertito.
Jason aveva preso la mano destra del dio, con la sua, “Lo
giuro sull’onore”
aveva sancito.
Chiedendosi se funzionasse per lui … come per gli altri.
Thrud lo aveva fatto giurare sullo Stige, forse … era stato
per renderlo
famigliare.
Astrid lo aveva imitato con la mano sinistra.
Váli se n’era andato in un abbaglio
d’oro, pieno di sadico divertimento.
“Mi dispiace per tutto questo” aveva dichiarato
Jason, “Se ti dispiace ora …
pensa dopo” aveva risposto sterile lei.
Non avevano più parlato, per tutto il resto del tragitto
fino all’Hotel. E dopo.
Astrid aveva
parlato di nuovo solo a cena, quando lo aveva raccontato a Madina e
Mel. “Come
vi è venuto in mente? Siete completamente pazzi?”
aveva esclamato sconvolto
Mel. Jason doveva dichiarare che quella non era la reazione che si
sarebbe
aspetta dal suo compagno di piano.
Di rimando Madina sembrava quasi su di giri, “Oh,
perché a me queste cose non
capitano mai?” aveva chiesto.
“Di essere sfidata per aver salvato uno jotun?”
aveva chiesto retorica Astrid,
mentre inforcava con una certa rabbia una patata, quasi fosse la faccia
di
Jason.
“A proposito, quale era l’Utile e Dilettevole con
la storia del votivo?” aveva
domandato Jason, “Tu scherzi?” aveva replicato lei,
con rabbia.
“Ragazzi … no, adesso parliamo con Odino,
troverà una scappatoia” aveva
stabilito Mel, invece; nel loro breve scambio Mel aveva tirato un
pizzicotto
alla sua fidanzata. “Se volete posso fare da
campione” aveva dichiarato Madina,
sotto lo sguardo contrariato del suo fidanzato. “Compagni; io
adoro combattere
e guardare scontri eclatanti, come deve essere voi due contro
Váli Odinsson in
un terzetto” aveva ricominciato a parlare Mel, serio,
“Ma voi non potete diventare
schiavi” aveva stabilito.
Jason aveva conosciuto Mel da pochissimo tempo, pochissimo, poco
più di
ventisei ora, però gli era sembrato un ragazzo sempre sul
… pezzo, un po’ come
Leo, con la battuta pronta a fiorire sulle labbra, nonostante la
situazione
orribile in cui fossero finiti.
Mel si era letteralmente tirato una forchetta in gola per evitare una
presentazione Power Point, il Re del Melodramma, eppure in quel
momento, sul
suo viso, c’era solo serietà.
Madina aveva allungato una mano per prendere quella del suo fidanzato
in una
maniera amorevole e confortante, si era avvicinato a lui ed aveva
sussurrato
qualcosa al suo orecchio, dolcemente.
Mel era uno schiavo, aveva ricordato Jason, spostando il braccio con il
tatuaggio per poterlo nascondere sotto il tavolo, con un certo disagio.
Erano stati interrotti dall’arrivo di Thrud, che aveva
versato loro del vino,
“Oh, questo è nuovo” aveva scherzato
Mel, riacquisendo il suo buon umore,
almeno fittizio, dopo una bella sorsata, soddisfatto.
Jason non si era potuto assaporare, visto che la sua valchiria non
aveva avuto
la creanza di servire a lui.
Forse era ancora troppo giovane, per i loro canoni. “Oh,
è un rosso greco, Nostos
Bled da Creta, invecchiato un paio d’anni nel fondo
marino,
me lo
ho portato un’amica” aveva risposto Thrud con
allegrezza.
Poi aveva guardato meglio gli altri, “Cosa sono queste facce
lunghe? Siete più
tristi di mio padre quella volta che ha perso il finale di stagione di
Battle
Star Galattica” aveva dichiarato lei.
“Oh, niente, durante il Tennis-mortale, sono morto. E sono
morto anche durante
la battaglia ad Idavoll, ci hanno messo quasi cinque colpi a
decapitarmi” aveva
ribadito subito Mel.
“Io sono arrabbiata con Jason” aveva risposto
Astrid, prima di ingurgitare una
patata. “Ma come, con quel faccino da bravo
ragazzo?” aveva indagato Thrud,
strizzando una guancia di Jason.
Quando nessuno era rimasto al suo scherzo la valchiria aveva continuato
il suo
giro da cameriera divina, non senza lanciare uno sguardo preoccupato a
Jason,
forse in relazione a quanto detto da Astrid o al pensiero di come fosse
finita
tra lui e Kym.
Oh cielo, Giove Divino, come si sarebbero infuriate
sia lei sia Thrud.
“Comunque sei stato fortunato Jason, se avessi trascinato
Madina in uno scherzo
del genere ti avrebbe già ucciso un paio di volte”
aveva considerato Mel.
“Non stuzzicarmi” aveva scherzato rudemente Astrid,
“Oh, sì, ti avrei ucciso
fuori dal Valhalla” aveva stabilito Madina, era sorta,
leggera, e rassicurante
una risata.
Per un secondo la situazione si era allentata.
“Stavo pensando una cosa sai … Vali ha detto
… uhm … mezzo-jotun?” aveva
considerato Jason. “Molto comune in realtà.
Tecnicamente Thrud è jotun per tre
quarti, Fred tecnicamente lo è.
Wotan è
mezzo-jotun” aveva dichiarato Mel.
“Sì, però ha ragione il nostro nuovo
amico, non ho mai sentito la denominazione
per un lupo quale mezzo-jotun. O sono Jotun o sono ecco …
grossi lupi normali,
no?” aveva valutato Madina.
“Non aveva il pelo di Skoll e Hati,
i lupi che inseguono Sol e
Mani; così come non aveva il pelo irsuto di Managarm
… o gli occhi blu
della stirpe di Frenrir” aveva considerato Astrid, doveva
essere la lista di
tutti i cattivi lupi Jotun che aveva incontrato o conosceva.
Poi era sceso il silenzio,
“Be, comunque è stata una cosa stupida e comunque
vada a finire, non è valsa la
pena” aveva stabilito Astrid, “Da domani
dimenticati Idavoll e le scorribande,
da domani io te ci alleneremo nella stanza dei duelli mortali, fino
all’Holmagang” aveva stabilito Astrid, poi aveva
pugnalato con molta decisione
la sua bistecca al sangue, Jason era stato certo fosse la sua faccia la
prossima cosa che sarebbe stata a contatto con quel coltello.
Quando era
rientrato
nella sua stanza, aveva trovato ancora i disegni che aveva lasciato
dalla
mattina sul pavimento, gli aveva raccolti e messi nella panca, aveva
sistemato
i libri sopra di esso, intenzionato a leggere qualcosa, Vali stesso
aveva detto
di essere presente in una delle due Edda.
Prima si era fatto la doccia.
Kymopoleia aveva dichiarato la sua intenzione di ucciderlo se avesse
fallito.
Jarnasaxa incubo di Thor … sì, Jason non credeva
che la scortesia della figlia
di Poseidone ed il coinvolgimento i quella di Thrud sarebbero passate
inosservate alla Jotun.
Avrebbe dovuto affrontare un dio per evitare di essere schiavo.
E Astrid avrebbe dovuto pagare con lui, per via della sua
sconsideratezza.
Aveva tirato una testata contro le mattonelle del bagno, con un solo,
stupido
pensiero, perché non era potuto rimanere nel Campi Elisi?
Lui si trovava bene … si trovava in pace.
Con ancora i
capelli bagnati, si era infilato nel pigiama e poi sotto le coperte,
con la
fantasia dei lupi, con l’Edda poetica sotto
l’ascella.
Aveva inforcato gli occhiali – che strano, no? Ogni ferita,
ogni difetto
aggiustato, tranne che quella piccola imperfezione che era la sua vista.
Aveva aperto le prime pagine ed aveva cominciato a leggere, con gli
occhi: La
Voluspa, la profezia della veggente.
Ascolto io
chiedo a tutte
le sacre stirpi, maggiori e minori, figli di Heimdallr!
Tu vuoi che io, o Valföthr,
come si deve racconti
l’antica
storia delle creature
quelle che io remota
ricordo.
Jason si era addormentato, esausto con in mente l’immagine
dei figli di Bor –
uno Jotun, per l’appunto – che creavano Midgard.
Secondo le note, uno di questi era Odino, che era anche il soggetto a
cui si
appellava la veggente, mentre Midgard era la terra, il mondo in mezzo,
come
aveva ascoltato nel power point della cena prima. Aveva immaginato
Odino
giovane e possente, senza la tuta e quel sorriso storto un
po’ ambiguo, ma
valente e potente, con gli stessi capelli biondi di Vali.
Erano stati sogni agitati, animati di corpi, sangue ed un albero
immenso che
dalla terra si stagliava verso il cielo, così in alto da non
potersi vedere. E
le radici che si allungavano in ogni dove, come una rete, una trappola.
Era stato su quei rami per un secondo … e poi aveva aperto
di nuovo gli occhi.
… Ma non si era svegliato.
Jason si era
abituato, dopo tutto quel tempo, a capire quando ciò che
viveva era un sogno, o
un ricordo, o la
vita di qualcun altro o
qualche momento che gli dei, per qualche ragione, gli suggerivano di
conoscere.
Dopo anni, ci si faceva l’abitudine.
Istintivamente, la prima cosa che aveva fatto, era stata cercare Nico,
negli
ultimi tempi era stato il protagonista di quasi tutti i suoi viaggi
onirici, ma
era stato deluso.
Era in un luogo che non conosceva, una ampia stanza si apriva davanti a
lui,
lunga, spaziosa, con finestre colorate ed una luce forte, sebbene
diversa,
troppo luminosa per essere naturale.
Al suo fianco piante di ogni tipo decoravano l’ambiente. La
stanza era
affiancata, ai lati, da due soppalchi che seguivano la lunga stanza.
Con un
tetto a capanna.
Era una casa lunga!
Jason aveva riconosciuto le fattezze di una casa a modo suo, con un
tavolo in
legno, un divanetto, c’era perfino una televisione ma
ciò che aveva attirato la
sua attenzione era stato il trono. Davanti ad un muro, sollevato su un
palchetto c’era un trono, il più bello e degno che
Jason avesse visto, anche quello
di suo padre o di Odino, composto tra corni di cervo intrecciati.
Magnifico e selvaggio, si era avvicinato, attirato.
L’aveva quasi toccato, quando una voce lo aveva ridestato da
quell’incanto.
“O divini dei, che dramma, mia signora, che dramma”
aveva sentito qualcuno
languire, si era voltato di scatto Jason.
A piangere era un elfo, con i capelli biondi come la birra chiara.
Indossava
una salopette verde sozza di sangue e guanti bianchi e rossi sbucciati.
“Stellan!” lo aveva rimproverato una foce
femminile, ma anche quella era colma
di terrore, “Non possiamo andare nel panico
entrambi” aveva guaito la donna.
Jason l’aveva riconosciuta, era la Jotun Gerd. Indossava
ancora il vestitino a
fiori, solo che gli occhi erano lucidi ed i capelli invece che riccioli
perfetti erano un nido di rondine. “Va tutto bene”
aveva cercato di rincuorarlo
lei, materna, prendendo le guance dell’elfo.
“Oh, ma non capisce mia signora, sono sempre stato quello
strano, un poco di
buono, ma poi ho cominciato a lavorare per lei signora, un lavoro umile
ma che
incarico … e invece” aveva pianto l’elfo.
Gerd lo aveva abbracciato.
“Stellan, non puoi piangere così, o lo
farò anche io” aveva dichiarato quella,
poi allontanandosi. “Non facciamoci prendere dal panico, mio
marito non tornerà
dalla caccia tra più di una settimana, con Thor
lì presente il ritardo è
assicurato” aveva stabilito lei, cercando di recuperare
lucidità.
“Quel fastidioso di Skírnir sarà con
lui, tutto il tempo, gli altri due
possiamo gestirli no” aveva proposto lei. “Mia
signora … si accorgeranno
dell’assenza, lui … lui si sente” aveva
dichiarato Stellan.
“Stellan! Cosa ho detto? Non possiamo essere nel panico
entrambi” aveva
stabilito lei, con il labbro tremolante e gli occhi lucidi di chi era
pronta ad
una crisi di nervi.
Gerd aveva cominciato a fare respiri brevi, come una donna partoriente,
“Adesso,
potrei autoinvitarmi a colazione da Frigga per parlare un po’
e potrei
provare a sedermi
sul trono di Odino,
magari …” aveva provato lei, incerta.
“Mia signora se è stato usato il Seidr”
aveva proposto Stellan, il
giardiniere.
Gerd era caduta sulla pedana, portandosi le ginocchia al petto,
“Devo-pensare-devo-pensare” aveva singhiozzato.
Stellan era rimasto impalato come uno stoccafisso.
Jason era semplicemente confuso da quello che stava vedendo.
Lei aveva steso le gambe e si era tirata su, “Okay”
aveva sentenziato, incerta,
“Ho un piano o una cosa che ci somiglia” aveva
camminato spedita verso un
alberello piccolo, che occupava la porzione di un angolo. Aveva foglie
verdi ed
allungate, aveva afferrato con forza un rametto e l’aveva
staccato.
“No, signora, no, ci metto tanto amore a crescere
Aidan!” aveva languito
Stellan.
“Gli hai dato un nome?” aveva chiesto Gerd
sconvolta, “Ad ogni pianta e
giardino della dimora” aveva detto con orgoglio Stellan.
La jotun aveva scosso il capo, “Lascia perdere, allora,
ascoltami attentamente,
stiamo per fare qualcos-” ma il discorso della donna era
stato interrotto.
Il cigolio di una porta, gli aveva distratti, una giovane era apparsa,
“Mia
signora, sono tornata!” aveva dichiarato con allegrezza,
“Oh, Beyla, sei qui!
Ora! Proprio ora! Pensavo che tu … be, sì, non
serve che riprendi il servizio
proprio ora, puoi prenderti anche la serata. Byggiy non è
ancora tornato dalla
sua giornata alla SPA e Skínir sarà fuori con mio
marito per almeno una
settimana” aveva dichiarato Gerd, nervosa.
“Come sempre, la signora è sempre piena di grazia
e gentilezza” aveva
dichiarato Beyla sospirante, “Ma sarei una serva sciatta se
vi lasciassi da
sola senza tutte le dovute riverenze, specie quando Lady Sif
è qui” aveva
dichiarato subito quella.
“Sif è qui?” aveva chiesto Gerd confusa,
poi dopo un respiro profondo, aveva
chiuso gli occhi sconsolata, e sconsolata aveva detto:
“Ovviamente. Ho incontrato
Jarnsaxa e ora Sif è qui.”
Stellan era dritto come una pala, ma tremolante come un aspic.
Beyla aveva guardato la sua signora con aspettativa. Jason non riusciva
a
capire di che stirpe fosse, aveva orecchie tonde come quelle degli
uomini, mancava
della radiosità degli dèi, ma aveva una bellezza
a modo suo luminosa, come
quella degli elfi – in rapporto ai pochi elfi che Jason aveva
visto.
Se la sua pelle fosse stata verde, avrebbe pensato fosse una ninfa.
“Allora
… sì … uhm … Magari
potresti
sistemare il gazebo, fuori, farla accomodare lì, io arrivo
subito!” aveva
cominciato incerta Gerd, Byla aveva annuito pacata ed aveva annuito
rispettosa,
prima di potersi però congedare, la sua signora aveva
parlato di nuovo: “Mi raccomando,
Beyla, lontano dal recinto!” la voce di
Gerda era stata pregna di
isteria.
“Oh, signora, o signora” aveva dichiarato Stellan
disperato, appena Beyla era
scomparsa dietro la porta.
“Ora che ci penso, l’invito di quella serpe di
Jarnsaxa mi sembra troppo coincidenziale,
visto quanto successo” aveva valutato la gigantessa, poi si
era voltata verso
Stellan.
“Mio buon servitore, ascoltami, con Sif qui, non posso
allontanarmi, Beyla e Byggivi
saranno costretti a servirci e riverirci, quindi non avranno tempo per
pensare
a lui, ma questo ci da un’unica
soluzione: dovrai andare tu”
aveva stabilito Gerd, prendo una mano di Stellan.
L’attimo dopo, l’elfo aveva tra le sue mani il ramo
di sorbo, “Dove, mia
signora?” aveva chiesto titubante.
Probabilmente terrorizzato di doversi sedere sul torno di Odino
– se il signore
degli Asi ne era geloso come Giove, Jason poteva provare empatia.
“Nel Valhalla” aveva dichiarato Gerd. Stellan aveva
cominciato a piangere, “No,
no, non piangere. Non ti preoccupare, starai lontano dalla Sala dei
Caduti e
quel trono maledetto,
devi dare negli alloggi, al piano venti, risiede uno skraeling,
il sorbo
lo riconoscerà” aveva dichiarato con gentilezza
lei.
Stellan aveva annuito, ancora con le lacrime sulle guance.
Jason aveva sentito il fiato spezzarsi in gola.
Gerd la jotun lo sapeva?
Era stata Jarnsaxa?
“Ma come mia signora?” aveva chiesto
l’elfo, “Nello stanzino c’è il
kit da
arrampicata di mio marito, e delle cuffie per evitare lo scoiattolo e
sei … un
servo di Frey, l’albero non ti sarà
ostile” aveva cercato di rassicurarlo, ma
non lo sembrava neanche lei.
“Per lei mia signora questo ed altro” aveva ammesso
Stellan, pieno di tremori.
La jotun aveva messo le mani sulle sue spalle, e con sicurezza, per
quanto
potesse smembrarla una ragazzina, tremolante con gli occhi lucidi di
pianto e
la nevrosi ad un passo; Gerd aveva detto, allora, solenne:
“Per tutte le
alleanze politiche e perché i sacrifici fatti non diventino
vani, Stellan, dobbiamo
ritrovare quel cinghiale!”
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Capitolo 7 *** Il ('Idromele)Party del Piano 20 ***
E LO SO CHE
SONO IN RITARDISSIMO.
MA: Sono
stata in vacanza, cosa che non succedeva da eoni.
Quindi perdonatemi, pls.
Per l’illustrazione, uhm … ho fatto Gerd e
Jarnsaxa ma non mi piace e non so se
postarla, però ho finalmente fatto una caricaturale dei
nostri giovani eroi.
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Jason-Grace-and-the-Barbarians-898018264
Non sono una gran far di questo style, però, sì
dai ci stava.
Come sempre ringrazio chi legge/segue/preferisce/ricorda ed un grazie
di cuore
a Farkas e Edoardo811.
Questo capitolo mi ha preso un po’ la mano, devo ammettere e
non è andato
esattamente dove doveva andare. Però giuro, la parte
introduttiva e finita (a
capitolo 7 era anche ora) e finalmente possiamo procedere con la
missione.
(Abbiamo anche il limite di tempo canonico del mondo di PJO per fare le
cose).
E niente spero lo possiate apprezzare.
Un Bacio
RLandH
Ps –
I due
personaggi all’inizio potranno sembrare molto WTF, ma giuro
avranno il suo
senso. Prima o poi :^
Il
(‘Idromele)Party del Piano Venti
“Io
ti odio”
aveva sillabato Astrid prima di colpirlo dritto sul naso con
l’elsa della sua
accetta.
Jason era ruzzolato atterra, dolorante e con fiotti di sangue che
scendevano
giù da un naso maciullato. “Lo so” aveva
dichiarato lui, calmo.
La conversazione tra lui ed Astrid stava andando così da
tutta la mattina.
Jason aveva anche cercato di introdurre il suo sogno, relativo alla
notte
scorsa, ma la guerriera non aveva voluto ascoltare una parola, aveva
preferito
cercare di uccidere Jason in ogni modo possibile.
In realtà … non stava cercando di ucciderlo.
Se Jason fosse morto, si sarebbe riformato nella sua piccola stanzetta
al piano
Venti e sarebbe sfuggito allo sguardo diligente di Astrid.
Quindi, sì, la sua compagna stava cercando di farlo a pezzi
– senza ucciderlo.
E Jason non le portava neanche un po’ di rancore.
Infondo era colpa sua e del suo, dannatissimo, senso di giustizia, che
lo aveva
già ucciso una volta.
“In piedi, di nuovo” aveva impartito lei.
Jason si era tirato su, aveva un occhio gonfio, la bocca impastata ed
il sapore
ferruginoso del sangue. Non vedeva benissimo Astrid, ma anche lei non
era una
rosa di campo.
Aveva un grosso taglio sulla tempia, le mancava un pezzo di treccia ed
un
orecchio.
“Comunque, volevo dirti …” aveva
cominciato Jason. “Non mi interessa” lo aveva
smontato lei per l’ennesima volta, prima di lanciarsi su di
lui con l’accetta
alla mano ed un grido di battaglia, che la faceva somigliare davvero ai
nativi
americani dei film stereotipati degli anni Sessanta.
Quel pensiero aveva distratto Jason, abbastanza da evitare per un solo
soffio
la lama che aveva avuto tutta l’intenzione di conficcarsi
nella sua spalla.
Jason aveva
risposto con un fendente della sua spada – Panikpak VI, visto
che nei confini
del Valhalla, era meglio non sfoggiare troppo Giunone – che
aveva avuto un
bacio piuttosto rumoroso con la lama dell’accetta di Astrid.
La sua compagna era feroce, ed attenta, non aveva la stessa maestria e
tattica
che Jason poteva sfoggiare, dopo tutta la vita modellata secondo la
rigida
educazione di Roma, ma si sapeva difendere bene.
D’altronde, per anni, Astrid aveva millantato una vita
all’insegna della morte.
Jason aveva infilzato la ragazza, su un fianco, abbastanza defilato da
non aver
colpito nessun organo vitale. Astrid lo aveva maledetto in una lingua
che Jason
non conosceva.
Lei gli aveva tirato una testata, il ragazzo era barcollato un
po’
all’indietro, ma non aveva abbandonato la presa
sull’elsa della spada, ma aveva
deciso di affondare ancora di più nella carne.
Astrid aveva
afferrato con difficoltà la sua ascia, Jason doveva averle
reciso qualche
legamento, perché era piuttosto indecisa nei movimenti e
mancava di forza, ma
alla fine era riuscita a colpire Jason con la lama lungo la coscia.
Lui era indietreggiato.
“Oh ma che bravi che siete ragazzi” qualcuno aveva
disturbato il loro arrancare
per terra, con tanto di battito di mani.
Jason si era voltato osservando due guerrieri che li guardavano. Erano,
alti e
grossi. Uno sfoggiava una lunga barba spessa, scura ed ispida,
l’incarnato di
porcellana e capelli acconciati in trecce con anelli d’oro. Indossava quella che aveva
tutta l’aria di
essere una cotta di maglia, ma che era composta da quattro anelli,
collegati da
un singolo anello, allacciato ai pantaloni di cuoio portava un machete,
ma
Jason sapeva fosse uno scramasax – lo
ricordava in relazione alle
lezioni sull’utilizzo di armi bianche che aveva ricevuto a
Campo di Giove, nessuno
la usava mai … era un arma barbara.
Su un braccio teneva fermo uno scudo tondo in legno, su cui era dipinto
un
cerchio rosso pieno, attraversato da una croce greca oro che divideva
in quattro
spicchi identici su cui scintillavano delle B speculari.
L’altro uomo aveva un aspetto più ordinato, con i
capelli scuri portati corti
ed una barba rada, aveva una pelle olivastra ed un naso importante. Ma
erano le
vesti che avevano attirato Jason, indossava una maglia di ferro ad
anelli
sottili, almeno così di poteva vedere, sopra una camicia
morbida arancione con
clavi dorati, la veste raggiungeva le ginocchia e sotto sfoggiava calze
bianche
e sandali … anche lui aveva uno scudo con la croce e le B.
“Ottima
tecnica ragazzo, sicuro di essere morto di recente?” aveva
domandato il più ordinato
dei due uomini, se così avessero potuto essere chiamati,
ambedue sarebbero
parsi a Jason sulla ventina, ma … più vecchi dei
giovani di quell’età che si
vedevano in giro, o che almeno lui aveva visto. “Ma lei
è più carina” aveva
ridacchiato il barbuto.
“Direi invece che voi siate variaghi” aveva
stabilito Astrid, sfilandosi la
lama di Jason dalla pancia, sulla maglietta si era cominciata ad aprire
una
macchia bruna, che progrediva sulla stoffa come inchiostro rovesciato.
“Lui”
aveva detto il ragazzo ordinato, “Io sono romano dalla testa
ai piedi” aveva
stabilito l’altro, parlava inglese, ma il suo tono era
più musicale e di miele.
Jason aveva avuto un brivido a quella notizia, due sentimenti opposti
avevano tormentato
la sua anima, il sollievo di non essere solo ed il terrore di essere
scoperto.
Per testimoniare le sue parole, quello aveva mostrato il braccio,
portava
legata un’armilla che copriva la parte del dorso, ma la parte
interna, coperta
solo da lacci, per un tratto, esponeva la carne nuda, svettava una
scritta.
Che confuse Jason, non poco.
S P Q R; sotto la scritta, oltre le bande che
segnavano i suoi anni al
Campo di Giove, vi era il disegno di una spira di grano, il cui gambo
si
intrecciava in un anello, tempestato di gioielli.
Jason non lo conosceva.
“Che tatuaggio strano” aveva dichiarato
ingenuamente, mentre si premeva una
mano sulla gamba ferita; quella mattina aveva coperto il suo tatuaggio
con una
banda, che aveva trovato nel suo armadio.
“Ti prego non dargli spago” aveva dichiarato il
variago, scuotendo il capo.
“Questo è simbolo di mio padre, Pluto”
aveva dichiarato il suo interlocutore
con orgoglio.
Non era lo stesso tatuaggio che aveva Hazel.
“Intendevi Plutone, non si chiama così?”
era intervenuta Astrid. “Oh, no,
quello è il Signore dei Morti. Mio padre è il dio
dell’Abbondanza”
aveva
specificato quello, “Sì, sì ma tu sei
morto povero e solo esattamente come me”
era intervenuto il variago, dando un colpetto sulla spalla del suo
amico,
interrompendo la sua spiegazione. O che Jason potesse sottolineare
fossero
praticamente lo stesso dio.
“Volevamo avere la stanza dei duelli, in vero, visto che sono
ore che siete qui
dentro” aveva dichiarato il Variago.
Jason doveva concordare, non aveva neanche fatto colazione. Astrid
aveva
annuito, alla fine, “Sì, ho bisogno di risanare la
mia ferita” aveva stabilito
lei, annoiata, restituendo Panipak VI a lui, che l’aveva
ripresa con
incertezza. La testa aveva smesso di pulsare ed un occhio aveva
cominciato a
sgonfiarsi appena, le ferite si stavano rimarginando, sapeva che
sarebbe
successo, ma quella era la prima volta che accadeva, tutte le altre
volte, era
morto prima.
I due avevano annuito, “Perfetto, grazie bella
ragazza” aveva stabilito quello
con la barba lunga, passandosi proprio una mano tra i peli ispidi,
“Se volessi
dividere con me un giaciglio e vino dolce, non mi tirerei
indietro” aveva
stabilito con un certo orgoglio il variago.
Astrid era arrossita, anche Jason l’aveva fatto, giurava
anche che il romano
figlio di Pluto lo stesse facendo. “Oh, déi,
Esben” si era lamentato giusto
quest’ultimo.
“Grazie passo, Jason impegna tutto il mio tempo”
aveva dichiarato Astrid,
indicandolo, sfacciatamente, lo aveva detto con il suo tono calmo e
l’espressione austera. Jason si era fatto ancora
più paonazzo, mentre Esben il
variago lo studiava con una certa criticità.
“Ora è meglio che andiamo” aveva
stabilito il figlio di Pluto, spintonando il
suo amico, verso la piccola arena attrezzata nella stanza dei duelli.
Jason quando l’aveva vista, quella mattina preso, aveva avuto
un mancamento. Al
centro, in una forma che ricordava un quadrato, con molto impegno, era
steso un
tappetto di pelle acconciata, fermato, sul pavimento, agli angoli da
quattro
bastoni di legno, che delimitavano il campo e tendevano la pelle al suo
massimo. Esistevano tre porte per accedere alla stanza.
Era sistemato come il campo per un holmagag.
“Ho
fatto un
sogno-non-sogno” aveva ripetuto Jason, mentre percorrevano il
corridoio verso
l’ascensore, “Me lo hai già detto e ti
ho risposto che non mi interessa, ora.
Prima dobbiamo pensare a Váli l’Ardito che
affronteremo tra sei giorni. Sei”
aveva rettificato Astrid, mentre si arrestava davanti
l’ascensore.
Le porte si era aperte, rivelando il viso fin troppo compiaciuto di
Freydis
Erikdottir, che esibiva un sorriso da gatta dello Cheshire.
Differentemente da come l’aveva veduta Jason, il giorno
prima, il suo viso era
leggermente diverso, un paio di zampe di gallina spuntavano
all’angolo degli
occhi – era strano?
Affianco a lei, c’era uno dei due uomini del giorno prima,
quello biondo, con
l’aspetto stanco, sbiadisco, che si addiceva ad un fantasma
che ad un guerriero
einherjar.
Astrid aveva sussultato quando gli aveva visti, ambedue. “Ma
guarda un po’ cosa
c’ha portato il carro di Freya” aveva stabilito
Freydis. Osservandoli con
interesse.
Astrid aveva forzato un sorriso sulle sue labbra, che le dava
un’espressione
ancora più caustica, “Ti stanno sputando di nuovo
le rughe” aveva dichiarato.
Freydis non aveva perso il suo sorriso compiaciuto,
“Inevitabilità del caso.
Troverò un’altra mela” aveva dichiarato,
nonostante l’espressione rilassata, il
suo tono tradiva un certo fastidio.
“Mi chiedo come tu possa” aveva valutato Astrid,
Fredydis aveva roteato gli
occhi.
“Hjarta”
si era introdotto l’uomo-spettro, attirando
l’attenzione su di lui. Aveva un
tono grave, cavernoso. Aveva parlato guardando Astrid, allora Jason
aveva
notato, che gli occhi dell’uomo, dietro la stanchezza e le
screziature rosse e
lucidi, esibivano un colore verde ghiaccio, come quelli di Astrid.
Lei aveva però una forma allungata, stretta,
eredità probabilmente di sua madre
thule. “Fathir”
aveva risposto la ragazza, con un tono pregno d’emozione.
Jason non conosceva la lingua norrena, ma riusciva ad interpretare
quella
parola, senza molti dubbi. L’uomo aveva detto
qualcos’altro in quella lingua e
la figlia aveva annuito; Freydis aveva roteato gli occhi,
“Come siete sentimentali”
si era lamentata, in inglese, quel commento era bastato
perché Astrid
cominciasse a parlare con suo padre in un'altra lingua ancora, suo
padre era
più incerto nei termini. Jason indovinava fosse una lingua
nativa. Riusciva ad
individuare il tema del discorso, però, visto che aveva
sentito l’uomo
pronunciare un nome piuttosto noto: Váli.
“Possiamo muoverci, stiamo bloccando
l’ascensore” aveva dichiarato Freydis con
un tono seccato.
Astrid si era voltato verso Jason, “Vai avanti, io arrivo tra
poco” aveva
dichiarato.
Jason aveva annuito, con incertezza, mentre entrava
nell’ascensore, Einar –
così doveva chiamarsi
– era
invece uscito per raggiungere sua Astrid.
I due si somigliavano come la luna e la lana, vedendoli insieme nessuno
avrebbe
mai potuto indovinare fossero padre e figlia.
Lui era rimasto in ascensore con la belva.
“Non preoccuparti se la tua avventura con Thrud ha avuto
risvolti così
drammatici. Uno dei suoi pretendenti è finito pietrificato,
una volta” aveva
tubato subito Freydis appena le porte si erano chiuse.
“Immagino abbia saputo di Váli” aveva
valutato Jason. Lei aveva ridacchiato,
“Mio fratello siede tra i Thegn … tal volta
carpisco le notizie ancora prima
che avvengano” aveva dichiarato Astrid con un certo
divertimento.
Jason aveva annuito, quasi esausto, “Váli
è un bel tipo. Troppo arrogante,
sapere che non morirà lo rende stupido. La morte non
è l’unico modo in cui
qualcuno può essere annientato” aveva dichiarato
Freydis, strizzandoli un
occhio, sfacciata.
“Potrei averlo notato, ma è pur sempre un dio e i
sono un uomo” aveva stabilito
Jason. “Ed un bel uomo come te andrebbe a raccogliere delle
mele per me?” aveva
domandato Freyds.
“Parli delle mele di Idunn, quelle che rendono
immortali?” aveva chiesto Jason.
Non era arrivato a leggere nell’Edda di loro, ma le ricordava
– citate molto
parzialmente e velocemente – dalla presentazione di Odino.
Mele d’oro, che
coincidenza, che esistessero anche in quella mitologia. Solo che le
loro
rendevano immortali.
“Sì. Nonostante io sia morta da vera virago,
armata e coraggiosa, ero anche
vecchia. Tragicamente vecchia” aveva esclamato Freydis,
“Il che è un peccato,
perché come puoi vedere da giovane ero un bel bocconcino,
per questo di tanto
in tanto mangio una bella succulenta meletta”
aveva
raccontato, “E la mia anima torna bella e giovane. Le mele
non rendo
semplicemente immortali” aveva aggiunto con un certo
divertimento.
“Ma non dura molto” aveva constato Jason.
“Meno di quanto durerebbe per un dio –
ovviamente” aveva aggiunto con una punta
di rassegnazione la donna, passando le dita sulla lunga chioma
bionda-bianca,
alcuni fili d’argento brillavano. “Ieri cercavi un
modo per andare a prendere
una mela?” aveva indagato Jason.
Freydis aveva ridacchiato, con una punta di cattiveria, “Non
chiedere mai ad
una donna la sua età e i suoi piani segreti” aveva
stabilito lei, con un
sorriso lezioso.
Jason aveva
lasciato l’ascensore con una cattiva sensazione addosso, con
il sorriso di
Freydis ad inseguirlo lungo il corridoio.
Aggiunto, al sogno della notte prima. Era sparito un cinghiale e la
jotunn Gerd
serviva uno skraeling del piano venti
dell’Hotel Valhalla.
Per Jason, lo skraeling, il barbaro, a cui la
gigantessa poteva fare
riferimento poteva riguardare solamente solo lui o Astrid. Lei era
letteralmente la skraeling per eccellenza, lo era letteralmente,
riguardo a
Jason, lui era anche più barbaro e straniero di lei.
Aveva incontrato Gerd quel giorno stesso, mentre era con Jarnsaxa, che
aveva
origliato almeno una piccola parte della conversazione tra lui e Kym,
che ai
loro occhi, doveva essere straniera.
Gli faceva male la testa.
“Ehilà!”
lo
aveva salutato subito Mel, che era appoggiato allo stipite della sua
porta,
indossava la maglietta verde dell’hotel sopra dei pantaloni
rossi a rombi verdi
e stivali di pelliccia, creando uno strano patch-work di stili.
“Non sei a Idavol?” aveva chiesto Jason,
realizzando l’orario, “Oh, oggi ho
saltato. Ti ho fatto i cupcake, pensando che probabilmente Astrid ti
farà
saltare anche il pranzo” aveva dichiarato quello, indicando
con il dito un
cestino quadrato che era ai suoi piedi.
“Madina?” aveva indagato Jason, “Lei
è andata. Combattere le fa bene, se resta
troppo tempo tranquilla si innervosisce. Ieri sembrava divertita dalla
situazione, ma non lo è per nulla, ha passato la nostre
sveglia ad intrecciare
cestini” aveva risposto Mel, recuperando proprio il cestino,
sembrava uno di
quelli da picknick che si vedevano nei film romantici.
Jason aveva aperto la porta della sua stanza ed aveva lasciato
l’ingresso
libero anche a Mel, che lo aveva seguito con passo svelto.
“Grazie per il cibo” aveva dichiarato Jason.
“Prego. Te lo dovevo! Infondo se non mi fossi suicidato
l’altra sera, tu e
Astrid probabilmente non avreste mai incontrato Vali. Come una partita
di genga
finito male” aveva cominciato Mel.
Jason aveva scosso il capo, “Credo sia più colpa
della mia lealtà cieca e
dell’ego smisurato di Vali” aveva stabilito lui.
Senza remore di offendere il dio in questione.
“Oh, be, Adoro cucinare, comunque; quando ero piccolo, era
uno dei pochi
ambienti della domus dove potevo nascondermi per non lavorare. La
schiava che
la gestiva aveva un certo debole per me, credo le ricordassi un figlio
che
aveva perso” aveva raccontato Mel con tranquillità.
Lavorare.
Jason si era toccando la banda, sotto cui era nascosto il suo marchio,
il suo orgoglio.
“In realtà credo piacessi un po’ anche
alla Domina” aveva aggiunto, “Anche se
era difficile da dire, dopo essere diventata vedova era diventata come
quelle
persone che paiono avere sempre un limone in bocca” aveva
raccontato, mentre
lasciava il cestino a Jason.
Mel si era accomodato sul divano, mentre lui, di rimando, si era
mangiato tre
cupcake fatti con fragola e crema di cioccolato da solo, prima di
raggiungerlo.
Mel era stato uno schiavo domestico di un lanista e poi era divenuto
gladiatore? O era stato venduto?
Nella mente di Jason vorticavano queste domande, ma si era reso conto
fosse
meglio non farle, anche Astrid si era raccomandata.
“Meglio ovviamente del giovane padrone di casa. Lui era
… è brutto se dico
fosse sbagliato?” aveva domandato il germano, crucciando le
sopracciglia
pallide.
Jason aveva scosso la testa.
Mel gli era sembrato un ragazzo allegro, uno di quelli
dall’aria spensierata,
che nascondeva i suoi traumi per bene sotto a un tappetto metaforico,
che di
solito ricordava un sorriso. Un po’ come Leo.
La nostalgia si era fatta prepotente dentro di lui ed era stato
difficile, si
era reso conto, trattenere le lacrime.
“Sei … tutto bene?” aveva chiesto Mel,
aggrottando le sopracciglia bionde.
“Ho fatto un sogno … sai un sogno molto
strano” aveva dichiarato Jason,
fingendo che il suo improvviso umore fosse da imputare a quello, cosa
che in
parte non era del tutto sbagliato, “Che non mi aiuta con
questa storia
dell’Holmagang” aveva chiarito.
Voleva parlare del suo sogno, era ovvio, che se avesse visto qualcosa,
doveva
avere un significato. Queste cose non capitava a lui per caso.
Gerd aveva bisogno di un eroe del loro piano.
“Imparerai che in questo posto raramente un sogno
è conseguenza di un
indigestione di arrosto di cinghiale” aveva stabilito Mel,
prendendo uno dei
suoi cupcake, “Parla” aveva impartito. In quel
momento, nonostante fosse
vestito in quella maniera improbabile e come globo poteva offrire solo
un
pasticcino, Mel aveva tutta l’austerità degna di
un Re.
Jason aveva annuito ed aveva raccontato, cercando di essere quanto
più preciso
possibile, lui non aveva idea di metà di quello che aveva
visto, ma forse se
fosse stato esauriente, Mel avrebbe potuto tradurre per lui.
Alla fine del racconto, per Jason, era stato ovvio che Thumelicus
avesse avuto
una visione più chiara di quella che aveva avuto lui.
“Oh, Mentula!”
aveva esclamato Mel, preoccupato. Jason era rimasto piuttosto sorpreso
da un
imprecazione in latino, ma non aveva fatto commenti.
Il suo compagno si era alzato come una scheggia, “Vuoi
spiegarmi?” aveva
chiesto Jason, pregno di perplessità.
“Sì, ma prima devi raccontare questa storia ad
un'altra persona” aveva
dichiarato Mel.
“Se ti riferisci ad Astrid non mi vuole sentire”
aveva risposto Jason, anche se
era ovvio che il suo amico avesse in mente una persona precisa, forse
Madina.
Jason aveva imitato Mel, quando questi si era fiondato fuori dalla sua
stanza
per raggiungere la porta più vicina a quella di Jason e
mettersi a battere
contro di essa.
Fred, come aveva fatto per i due giorni precedenti non aveva dato segni
di
vita.
“Ascoltami figlio di … Frederick! Questo
è davvero, davvero, importante” aveva
stabilito Mel, continuando a picchiare contro la porta.
“Jason ha avuto un sogno e credo possa riguardare
te” aveva strillato Mel.
Lui aveva aggrottato le sopracciglia, “Ma sicuramente
riguarda la tua
famiglia!” aveva stabilito Mel.
La serratura della porta era scattata, se Fred avesse avuto
l’intenzione di
lasciare solo uno spiraglio aperto, non era stato accontentato,
perché Mel
aveva usato tutta la sua forza per irrompere nella stanza, Jason
l’aveva
seguito ed avevano tramortito e travolto nel mezzo lo sconosciuto del
piano
venti.
La stanza di
Fred era piena di piante.
Un albero dal tronco chiaro e le foglie rosse, faceva da sovrano nella
stanza,
ma in ogni dove, in ogni angolo, era possibile trovare piante di ogni
genere,
da veri e propri cespuglietti a piane grasse in vasetti della
dimensione di
pugni di bambino.
Quello che non era occupato da piante era occupato da fogli. Se Jason
aveva pensato
a se stesso, come disordinato con il suo materiale da disegno, se aveva
pensato
a Leo come confusionario, Jason doveva riscrivere il suo concetto di
disordine
e caos.
“Sei peggiorato” aveva constato Mel con
tranquillità, mentre allungava una mano
per raccogliere un foglio di carta, Jason aveva osservato
l’oggetto, era in
carta rigida fatta in percentuale di cotone e sopra era raffigurata un
immagine
in carboncino.
Era la jotun Gerd, vestita come la Vergine Maria – strano.
Aveva uno stile di disegno strano, diverso da quello che aveva visto
nella sua
amica Hazel, che riusciva con i suoi colori a dipingere una
realtà magnifica,
filtrata dai suoi occhi pieni di vita e di ardore. I disegni di Fred
erano
cupi, avevano delle forme allungate, profonde, oscure, come di qualcuno
che
aveva perso da tempo la luce.
Erano belli, ma inquietanti.
A parte quelli con le croci. Ce n’erano un sacco.
“Stavo aprendo la porta” si era lamentato Fred,
ancora seduto sul suo pavimento
che si massaggiava il naso, dove la porta aperta da Mel lo aveva
colpito dritto
sul naso.
Jason aveva guardato lo sconosciuto vicino, “Ciao, io sono
Jason Grace” si era
presentato.
“Oh, be, Madina non potevi essere” aveva replicato
quell’altro, sollevandosi.
Fred era più alto di lui, anche di Mel, ma era sottile come
un giunco, con
braccia senza muscoli e gambe dritte come pertiche, sembrava un
fuscello.
La sua carnagione era bronzea, come se fosse stato fino a quel momento
esposto
alla luce del sole, aveva capelli scuri e ricci, lunghi fino alle
spalle ed
occhi neri come il caffè.
La cosa che attirava di più lo sguardo però era
il fatto che il ragazzo sfoggiava
una camicia da notte di un bianco panna, con lo scolo a barca che
metteva in
evidenza le clavicole. “Io sono Fred di Clermont”
si era presentato, pulendo il
sangue con la manica della camicia da notte.
Se l’urto lo avesse storto, il naso sarebbe tornato
immediatamente dritto.
“Abbiamo i cupcake, dai” aveva provato Mel, Fred
aveva borbottato qualcosa in
francese, Jason aveva abbastanza famigliarità con le lingue
romanze – in
particolare quella – da sapere che non erano complimenti.
Anche Mel vista la smorfia che aveva manifestato.
“Non fare caso a lui. Era uno di quei guerrieri-monaci con la
croce sullo
scudo. Non ha superato bene questa cosa del paganesimo” aveva
bisbigliato Mel,
per chiarezza.
Fred si era
voltato verso il suo piccolo soggiorno, differentemente da Jason non
aveva un
divano davanti ad un camino, ma aveva un tavolo tondo con delle sedie,
anche se
tutte erano sepolte di fogli, pergamene e piante.
Il proprietario della stanza aveva cominciato a spostare fogli da tutte
le
parti, alcuni li aveva impilati in una torre più cadente di
quella di Pisa sul
tavolo, altri erano caduti rovinosamente a terra in fruscio di fogli.
“Perché dici questo, Thumelicus?” aveva
chiesto retorico Fred, “Avevo undici
anni quando mi hanno messo una spada in mano. Vai, uccidi gli infedeli,
riconquistiamo la Sacra Gerusalemme. Oh, cielo, siamo finiti a
Costantinopoli e
niente paradiso per te, Fred, per te … i pagani!”
aveva raspato quello, assieme
ad un’altra serie di rimproveri in francese; nel mentre aveva
sgomberato tre
sedie.
“Non è tipo che tutta la mia vita è
stata una menzogna e che ho commesso azioni
indicibili in virtù del nulla cosmico. E sono figlio di una
gigantessa … una
degna sposa di Satana, direbbero, non so se è un
miglioramento, rispetto la
presunta meretrice che credevo inizialmente. Cioè lo
è lo stesso, visto che è
sposata ed io sono un bastardo. Ma, ehi, è una gigantessa ed
io sono in un
posto che le odia” aveva scherzato forzatamente Fred,
c’era ferocia nel suo
sguardo.
“Oh, oh, stai parlando con lo schiavo gladiatore cheeeruscioo”
aveva
ridacchiato Mel, spostando una sedia per potersi accomodare.
Jason lo aveva imitato.
Fred aveva roteato gli occhi,
“Sì…sì …
blablabla … ero uno schiavo … blabla …
il mio domino era il male puro con il pallino dell’incesto
… blabla …ecco,
perché non esco mai” aveva stabilito quello.
Mel non aveva perso il suo sorriso rassicurante, come se i commenti
appena
fatti non riguardassero affatto lui.
Fred aveva lanciato lo sguardo su Jason, “Uhm …
tu? L’Aldilà è come te lo
aspetti?” aveva chiesto.
No.
“Pensavo a spiagge caraibiche e fiumi di martini”
aveva raccontato Jason.
Mel aveva ridacchiato, “Adoro come evolva così
stranamente il concetto di
Paradiso nel corso dei secoli e per i vari popoli” aveva
ammesso.
“Esiste un solo paradiso e noi siamo solo in perpetuo
inferno” aveva stabilito
Fred, sedendosi anche lui, “Cosa è successo a Mia
Madre?” aveva chiesto poi il
proprietario della stanza.
Fred era figlio di Gerd, la jotun che aveva sognato e l’amica
di Jarnsaxa; Mel
si era riferito al sogno di Jason con problemi relativi alla famiglia
di Fred,
lo stesso si era dichiarato figlio di una gigantessa.
Pareva, quasi, ovvio.
“Amico, prego” Mel aveva invitato Jason a parlare.
Jason aveva raccontato di nuovo il sogno; Mel aveva annuito ad ogni
parte,
mentre Fred lo aveva guardato con occhi allarmati.
Appena terminato, il figlio di Giove aveva aggiunto,
“Però, ecco, mi servirebbe
una spiegazione ampia. Chi sono queste persone, che vuol dire che hanno
perso
un cinghiale?” aveva chiesto.
“Breve storia: Gerd è mia madre. La moglie di
Frey, il dio dell’estate” aveva
cominciato Fred, “Il padre di Magnus Chase, per
intenderci” si era inserito
Mel, ma il figlio della jotun aveva continuato dritto come una spada.
“Sì, ecco, il matrimonio tra Jotun e dei, Asi o
Vani, ma anche tra Asi e Vani …
non distraiamoci, è sempre stato caldeggiato per la pace e
la prosperità. Frey
per sposare Gerd ha dovuto rinunciare alla sua Spada, Sumarbrander,
contro
cui perirà durante al Raganarok. E no, non la ha offerta al
padre della sposa
come Dote, è una storia lunga e complicata …
quindi facciamo finta di niente.
Comunque, immagino che mia madre pensasse alla rinuncia della spada
quando
faceva riferimento ai Sacrifici compiuti. Beyla e Skirin sono due servi
di
Frey, anche l’altro con la B … non è
che posso ricordarli tutti” Fred aveva
fatto una pausa, per osservare la foglie, a piatto largo, di una
piantina che
era rimasta sul tavolo.
“Idromele?” aveva chiesto per un secondo.
“Magari sì” aveva ammesso Jason.
Così, Fred si era alzato, per recuperare da quello che
pareva un piccolo
frigo-bar delle boccette – sì, Jason doveva
pensare anche lui a procurarselo.
“Non so chi sia Stellan. Ma non mi sorprende che mia madre
abbia preso un
giardiniere per aiutarla, quei tre sono servi di Frey” stava
raccontato Fred,
il pensiero di Jason era galoppato a Vali, servi, forse era solo un
altro modo
per dire schiavi, come rischiavano di diventare lui e Astrid,
“… mia madre è la
dea del cortile, dei campi, queste cose qui” aveva dichiarato
Fred.
“Pensavo quella fosse Sif” era intervenuto Jason.
Odino nel Power Point l’aveva definita così, lui
l’aveva catalogata come una
Demetra giovane dai cappelli d’oro, la nonna di Astrid e
Madina e la shampista
di fiducia di Vali.
“Hai una mente troppo rigida, amico mio, la mitologia norrena
è fluida” aveva
cercato di spiegare Mel, “La situazione è
complicata, perché è stata la
confluenza di due pantheon” aveva dichiarato.
“Come Greci e Romani?” aveva chiesto Jason,
genuinamente confuso.
“Oh, no. Greci, Romani ed Etruschi hanno avuto circa gli
stessi dei a cui hanno
cambiato nomi, qualche particolare la e qua e discreta importanza. Nel Ludos
con me, c’era un ragazzo figlio di Feronia, praticamente
Proserpina etrusca,
che per i tusci era importante mentre per i romani … oh, be
… meno. Però, sì,
insomma, gli stessi Dei … con gli Asi e i Vani è
stata una somma. Due Pantheon
in uno”
aveva
dichiarato Mel.
“Tanto satanasso più, satanasso meno”
aveva dichiarato sprezzante Fred,
versando da bere per tutti e tre, “Comunque mia madre
è la Dea del Cortile.
Lei ama
le piante, ed io ho un pollice verde invidiabile. Mi piace far crescere
le
cose” Fred aveva detto l’ultima cosa, con un magone
nella voce.
Magone di chi probabilmente aveva dovuto falciare vite.
Fred aveva portato sul tavolo, oltre piccole bottigliette, alte quanto
un pugno
chiuso, anche un set di porcellane per prendere il tè.
“Servitevi” aveva
dichiarato spento il proprietario.
Jason aveva bevuto il suo idromele, “Una cosa orribile di
questa situazione è
l’incapacità di ubriacarsi. Mi manca. Il vino era
una delle poche cose belle
della mia vita” aveva dichiarato Mel, per spezzare il
silenzio che era venuto a
crearsi tra loro.
“Oh, sì” aveva considerato Fred.
Probabilmente doveva essere una sfortunata condizione
dell’essere einherjar –
male per Jason, non credeva di aver mai bevuto alcolici nella sua vita
e questo
non spiegava perché Thrud non aveva dato lui il vino.
“Vogliamo andare avanti?
Vogliamo parlare del cinghiale? Dello Skraeling? Di Stellan che viene a
cercare
uno di noi?” aveva chiesto Jason.
“Oh, giusto il Verro D’Oro”
aveva commentato Fred, sorseggiando un po’
del suo idromele. “Vello?” aveva
indagato Jason, sentendo un nome
famigliare.
Aveva pensato all’albero di Thalia.
“No, Verro con la R” aveva spiegato Mel,
più gentile dello sguardo, non
esattamente velato, di scontentezza di Fred.
“Non hai preso l’Edda?” aveva chiesto poi
il germano.
“Nell’altra stanza” aveva dichiarato
Jason, “Inoltre, sono arrivato ai nani che
creano i Dvergar,
qualunque cosa siano” aveva aggiunto lui. Fred aveva
sollevato un sopracciglio,
“Non è proprio così, sono i Nani che
sono Dv …” aveva cominciato,
“Diciamo che ora, questa cosa è …
complicata. Però, restiamo concentrati” era
intervenuto Fred, prendendo un’espressione seria, che non gli
si addiceva
molto.
“Una volta avevo l’Edda qui dentro, credo di averci
disegnato sopra” aveva
constato Fred, Mel lo aveva ignorato a pie pari.
“Allora, Il cinghiale di Frey, è noto anche come
verro, che è un tipo di
maiale, d’oro per il colore ed il materiale del manto, si
chiama Gullinbursti.
Super-veloce, in grado di correre sull’aria e
sull’acqua e, inoltre, emette
luce propria. Nessuna notte lo è veramente,
finchè c’è Gullinbursti, che con le
sue setole d’oro può illuminare qualsiasi
ambiente” aveva spiegato, pratico
Mel.
Jason aveva immaginato, nella sua testa, una scena molto ridicola,
pensando a
questo cinghiale luminoso che correva al fianco di Tempesta o Arione.
“Sì, be, Frey ha avuto questa lanterna pelosa come
regalo da Brokkr, un nano,
su commissione di Loki. Storia molto in breve, Loki ha rasato i
cappelli di
Sif, ha fatto infuriare suo marito Thor, così lui ha
costretto il dio infame a
metterci una pezza” aveva cominciato Fred.
“Perché ha rasato Sif?” aveva chiesto
Jason. “Loki e la sua progenie fanno cose
a caso tutto il tempo, non fidarti mai di loro e la risolvi”
aveva detto schivo
Fred. Mel aveva mimato con le labbra un ‘non-è-vero”.
“Comunque Loki incarica i Nani di forgiare una nuova
capigliatura d’oro per la
dea. Fanno una
sfida, noioso e blasfemo,
quindi andiamo avanti, morale della favole ne viene fuori la parrucca
più
costosa del mondo, un’altra serie di roba più o
meno utile, tra cui il Verro
d’Oro” aveva dichiarato Fred, bevendo un altro
sorso del suo idromele.
Questo, a pensiero di Jason, era dolciastro.
“Quindi, mentre i servi erano fuori, Gerd ad un appuntamento
con Jarnsaxa … il
cinghiale luminoso è scomparso?” aveva
ricapitolato lui, pensando al suo sogno.
In quel momento capiva perché l’elfo Stellan
avesse affermato che il cinghiale
era notabile.
Mel aveva
annuito, “E, adesso, il povero giardiniere sta venendo qui
per cercare lo skraeling
tra noi … ecco, io pensavo potessi essere tu, sei suo figlio
… e un … ti senti
sempre estraneo qui” aveva provato Mel,
“Però potrebbe essere anche Astrid,
visto che lei è una skraeling, o Madina che è di
origini di capoverdiane, anche
se figlia di Ullr, o io che non sono ne germano ne romano o Jason per
un
qualsivoglia ragione” aveva affermato Mel.
Come essere un’anima strappata dai Campi Elisi?
“Può darsi” aveva bisbigliato lui.
Fred aveva sbuffato, “Tutto possibile. Sicuramente non mi
arrampico sull’albero
dell’Universo per cercare un elfo in missione … Se
Mamma ingoia l’ansia e dice
a suo marito che si è perso il cinghiale risolve
tutto” aveva stabilito Fred
calmo, “Io non voglio farne parte” aveva detto
pieno di acidità.
Mel aveva tirato un buffetto sulla spalla del mezzo-jotun.
“Be, io dovrei comunque raccogliere i legni per
l’holmagang” aveva valutato
Jason, ricordando una delle condizioni di Vali. “Giusto tu
devi pensare a
quello” aveva ricordato Mel, con espressione seria.
Fred aveva osservato la scena, “Oh, cosa mi sono
perso?” aveva chiesto, “Esci
dalla stanza più spesso e lo saprai” aveva
scherzato Mel, ma non sembrava
particolarmente pieno di allegrezza.
Il mezzo jotun aveva fatto una smorfia e bisbigliato qualcosa in
francese, che
somigliava ad imboccare la strada per un certo paese.
“Io
credo
che le cose siano più complicate, di un certo cinghiale
scomparso. Gerd
sembrava davvero terrorizzata” aveva considerato Jason,
“Inoltre, Gullinbrusti
non è un semplice cinghiale superveloce-fiaccola. Lui
è un portatore di luce,
senza di lui … le notti, credo, diventeranno più
buie? Ha senso? Si
registra il rapimento del cinghiale di Frey in qualche
cronaca?” aveva chiesto
Mel, preoccupato.
“Nessuna, affare senza precedenti. Probabilmente nessuno lo
ha rapito, avranno
lasciato il recinto aperto; Mamma è terribilmente
distratta” aveva dichiarato
Fred, con un tono pacato, prima di sollevarsi dalla sua sedia.
“A prescindere da come debba evolversi questa storia, i sogni
sono il modo in
cui il diavolo si insidia … scusate volevo dei gli
dèi comunicano con noi,
circa. Come aveva scoperto un tale infame,
esperto di seidr, i sogni più consistenti per noi einherjar
sono quelli che
facciamo quando risorgiamo” aveva deliberato Fred,
cominciando a frugare per la
sua stanza, anche dentro i vasi delle piante.
“Chiaramente se il nostro Jason, qui, ha avuto una visione
è perché in questa
storia c’è più dentro della carne in un
pasticcio” aveva raccontato chiaro
Fred.
Aveva rovesciato una pila di fogli che raffiguravano una Gerd-Madonna
con
braccia oranti, con un corpo esageratamente allungato, che richiamava
nella
pose una croce.
Fred doveva vivere un profondo disagio intimo …
“No, no” aveva farfugliato Fred, prima di
avvicinarsi ad un ficus e cominciare
ad estrarre della terra, aveva trovato un elsa, e da lì,
aveva tirato fuori una
lama bastarda, lunga, – decisamente più del vaso
in cui era contenuta – aveva
delle rune incise sopra di esse,
emettevano delle luci fievoli. “Elle est
là!” aveva strillato
soddisfatto Fred, lasciando ondeggiare la spada.
“Non
mi
piace” aveva considerato Jason.
“A me sì, guarda che lama, che affinatura
…
Quella è Angurvadal!”
aveva esclamato eccitato Mel, rispetto
Jason, con un sorriso da orecchio ad altro, “Unica e sola, lo
ho rubata un paio
di secoli fa! La Spada dell’Angoscia, ottima filatura, ma
ciò che la resa nota
è la luminescenza: fioca …
perché siamo in tempi di pace” aveva
stabilito Fred.
La cosa sembrava aver rilassato Mel, un po’. Fred si era
avvicinato a loro, con
ancora il ferro ondeggiante, era splendida come lama, lunga, di un
ferro così
chiaro da sembrare bianco, lucido, bellissimo.
“Comunque
via il dente, via il dolore … vediamo
se le Norne, immagino siano loro, le signore del fato e del futuro
… abbiano
qualcosa per noi” aveva dichiarato, sollevando la spada.
“Non lo decapitare, ci vorrà un sacco e
farà male” era intervenuto Mel, “Fidati
di me, andrà dritto come con il brie”
aveva dichiarato Fred.
Jason aveva sospirato e teso il collo.
Era stato netto. “Voglio assolutamente quella
lama!” era tutto quello che Jason
era riuscito a sentire, da parte di un super eccitato Mel.
Fred aveva
avuto ragione, era
finito altrove. Non aveva subito compreso dove fosse, non conosceva
l’ambiente
ma era certo non fosse la casa di Gerd e Freyr. Però era una
casa, accogliente,
calda e piena di voci.
Aveva messo a fuoco bene l’ambiente, aggiustando i suoi
occhiali, e l’aveva
vista.
Una ragazza, bella, con un’espressione corrucciata, con gli
occhi piegati su un
foglio e capelli biondo cannella. “Non riesco a capire questa
cosa … che senso
hanno gli integrali?” aveva chiesto lei, con un tono
amareggiato ed un sospiro
pesante.
Lei era in un soggiorno, di una casetta accogliente.
“Mi chiedo se in questa casa ci sia qualcuno capace in una
materia astrusa come
la matematica” aveva dichiarato una voce, Jason si era
voltato, alle sue
spalle, su un divanetto, c’era un ragazzo che stava cercando
di accordare una
chitarra. Aveva capelli scurri, ritti sulla testa, tenuti con una
bandana di
spugna. Jason lo conosceva, ne era certo, certissimo, ma non lo
ricordava.
“Uhm … ho già provato a chiederlo a
Giorgina, con l’ipotenusa è stata una
forza, ma lo studio di funzioni sono troppo anche per lei” si
era dichiarata
lei.
Il ragazzo aveva riso, “Dee, Cal sei imbarazzante”
aveva stabilito quello.
“Lit!” lo aveva ammonito lei, decisamente irritata.
Quello aveva ridacchiato, divertito da quella reazione.
Lit … Lit … Certo … Lityerses, il
mietitore di uomini.
Jason era stato responsabile di una sua parziale trasformazione in Oro,
mentre
cercavano Era, con Piper e Leo. Sembrava tutto così lontano.
Cal aveva sbuffato, poi aveva raccolto i suoi pensieri. “Lo
sai che è complicato”
aveva ammesso lei. “Lo so, io e Giorgina stiamo facendo i
piccioni viaggiatori”
aveva stabilito l’altro, “Ma vedo la situazione
complicata solo da un lato”
aveva aggiunto Lit.
Cal aveva annuito, “Va bene … allora
…” si era sollevata, chiudendo di scatto
il libro.
Prima che potesse fare altro, però era stato Lit a parlare,
una genuina
imprecazione, Jason aveva seguito il suo sguardo, così come
Calypso, allarmata,
ma dalle ombre era apparso un pallido Nico di Angelo.
“Calypso!” aveva chiamato subito quello.
“Nico!” aveva risposto lei, preoccupata,
“Devo parlare con Leo” aveva
dichiarato Nico.
Jason era
tornato dal regno onirico, trovandosi comodo sul suo letto nella sua
stanza.
Fred aveva avuto torto.
Le Norne – se erano davvero loro, chiunque fossero
– non avevano altro da dire
a Jason, almeno sulla questione Gerd e cinghiale.
Ma avevano da dire su Nico.
Nico che aveva raggiunto Leo, chi sa … se fosse riuscito a
rimanere un altro
po’ avrebbe potuto vedere il suo amico. Non vedeva Leo da
quella battaglia, non
riusciva a ricordare l’ultima cosa che gli avesse detto.
Perché non doveva essere l’ultima cosa.
Si era tirato su, con fatica, sentendosi pesante, ed era sceso dal
letto, per
raggiungere l’esterno della sua stanza, si era aspettato di
trovare Fred e Mel
ansiosi, ma ciò che aveva incontrato era stato Astrid.
Braccia conserte ed espressione dura.
“Cosa stai facendo?” aveva chiesto lei.
“Oh mangiato qualche cupcake e poi sono andato a
dormire” aveva raccontato
Jason, tranquillo.
Astrid aveva stretto gli occhi, “Ti ho già detto
che menti male” aveva
stabilito lei.
Jason aveva schiuso le labbra, “Non hai mai, mai, pensato che
potresti essere
tu incredibilmente brava nel leggere le persone?” aveva
provato Jason.
“Nel senso, nessun altro … ha notato il mio blef”
aveva dichiarato
Jason.
“Sei nel Valhalla da due giorni! E lo ho scoperto io! Hai
sfidato un dio
all’Holmagang!” aveva replicato lei, nonostante il
tono fosse leggermente
allarmato, l’espressione di Astrid poteva essere descritta in
una sola maniera:
stanca.
“Come è andata con tuo padre?” aveva
domandato Jason, “Male, chiaramente. Lui è
arrabbiato con me e io sono arrabbiata con lui. Ma niente di nuovo
sotto il
Carro di Sól, va avanti così da quando Urbano II
reclutava per la Crociata – e no,
io non sono Vali. Che hai combinato?” aveva sentenziato
Astrid.
“Sono morto” aveva ammesso alla fine Jason,
“Fred mi ha decapitato” aveva
specificato.
L’espressione dura di Astrid si era sciolta, il suo viso era
tatuato dalla
confusione. “Cosa? Perché? Fred!” aveva
esclamato. “Sei riuscito a vedere Fred?
Lo hai fatto uscire?” aveva esclamato lei.
Jason si era sentito inghiottito da tutte quelle domande,
“No. Sono entrato io.
Vieni, ti aggiorno. Non chiedermi come ma le cose si sono
complicate” aveva
raccontato Jason, ammiccando verso la stanza del mezzo-Jotun.
Astrid lo aveva seguito, con le sopracciglia scure arricciate, pregna
di
perplessità, “Perché ogni volta che ti
vedo, la situazione è peggiorata?” aveva
interpellato lei.
Jason si era morso il labbro, pieno di disagio. E questo era
niente.
“Sul serio” aveva aggiunto Astrid, la sua
espressione era marziale – per un
secondo aveva ricordato Reyna quando sentiva qualche stupidaggine.
“Ti ho detto che oggi ho avuto un sogno, no?” aveva
provato lui, prendendo la
direzione per la porta della stanza di Fred.
“Ti ho detto che non lo volevo sapere” aveva
sottolineato lei, stanca, “Perché
sapevi che i sogni non sono mai sogni” aveva considerato
Jason, “Volevi fare lo
struzzo” aveva aggiunto, con un sorriso leggermente
divertito. “A volte lo
sono, capita di rado, ma succede. Una volta ho sognato di essere
inseguito da
un Caciotta di Formaggio Gigante” aveva raccontato lei.
Jason aveva riso a quell’inaspettata confessione, era davvero
un’immagine
parecchio strana a cui pensare. Astrid che scappava da una caciotta.
“Smettila di ridere” lo aveva rimproverato lei,
“Riguardava Váli?” aveva
chiesto lei, mentre Jason bussava alla porta.
Lui aveva fatto un segno di diniego.
“Je ne … Non è che
devo recuperare tutti quanti oggi” aveva sentenziato
Fred, quando aperto la porta aveva identificato la figura di Astrid.
“Anche io sono felice di sapere che non sei
sbiadito” aveva risposto lei. “Ma
ci ho provato intensamente” aveva replicato Fred, facendosi
da parte per fargli
entrare.
Mel era ancora al tavolino che beveva idromele da una tazzina da
caffè, aveva
salutato Astrid con un sorriso da orecchio all’altro.
“Questo posto è peggiorato. Lo sai che
l’Hotel ha anche un servizio di pulizia
sì?” aveva dichiarato Astrid. Fred le aveva
sorriso – aveva un modo freddo di
farlo, “Be, magari tra una settimana posso chiedere al divino
Váli di mandarmi
la sua domestica” aveva scherzato acido.
Astrid gli aveva mollato una ginocchiata sull’inguine,
seguita da un colpo
secco di palmo sul naso, che aveva fatto ruzzolare il proprietario
della stanza
per terra, tra le cartacce.
“Sai cosa odio di più dopo i lupi?”
aveva chiesto retorica lei.
Mel si era alzato per aiutare Fred a tirarsi su.
A Jason sembrava così strano il guerriero, nei due giorni
che era stato
all’Hotel aveva a malapena interagito con gli altri, sebbene
tutti, ogni giorno
si fermassero – almeno una volta per uno – alla sua
porta nel tentare di farlo
uscire. Madina li aveva sempre riportato da mangiare.
Jason si era fatto l’idea di qualcuno di fragile …
forse non aveva torto, anche
se la fragilità di Fred era diversa. Infondo era un uomo che
aveva dedicato la
sua interezza a qualcosa che in qualche modo si era dimostrato falso,
falso
almeno per lui – visto come era finita la sua vita e
non-morte, Jason non si
sentiva così audace da escludere l’esistenza di
qualsiasi cosa, incluso il
Paradiso Cristiano.
“Gli Jotun? Perché mi ricordo che con Gunilla
potevi andarci a braccetto” aveva
sentenziato Fred, tirandosi su, “O gli uomini? Visto che
scappano tutti a gambe
levate” aveva aggiunto, con una punta di cattiveria.
“I cristiani” aveva replicato
lapidaria Astrid, tirando dritto verso il
tavolo.
“Bambini, non litigate. Fred è uscito dalla sua
vita ascetica e Jason ha avuto
un sogno importante” si era intromesso Mel, “O se
volete risolverla lo sapete: faccio
un quadrato con quel tappetto” aveva aggiunto, con un sorriso
rassicurante.
Astrid si era voltata di nuovo verso Fred, “Inoltre, per tua
informazione, un
aitante variago, giusto, oggi mi ha invitato a dividere il giaciglio
con lui”
aveva dichiarato.
Fred aveva sorriso, “Oh, confessami i tuoi peccati,
infedele” aveva ghignato,
avvicinandosi a lei. Nonostante il tono dei due fosse rimasto
inalterato,
cattivo, Jason poteva vedere chiaramente la sinergia tra i due.
Quello doveva essere il loro modo di comunicare – se ben
ricordava, anche la
volta che aveva visto Astrid fuori dalla porta di Fred, lei non aveva
usato
toni gentili.
“Sono ottocento anni che fanno così”
aveva cercato di giustificarli Mel, con un
bel sorriso stampato in faccia.
“No, voglio sapere cosa è successo
perché tu abbia deciso di aprire le porte del
tuo tumulo” aveva replicato Astrid, prendendo un
po’ di idromele dal tavolo,
invece di usare le tazzine di porcellana di Fred, aveva preferito
ricorrere al
suo corno – Jason cominciava a sospettare che quella fosse
l’arma che aveva con
se alla morte, più dell’ascia.
“Ah, sì, giusto, questo ci ricorda. Hai visto
qualcosa?” aveva chiesto Fred.
“No, solo un mio caro amico che andava a trovare il mio
migliore amico” aveva
dichiarato Jason.
Avrebbe potuto rivedere Leo …
“Oh, sì, anche a me capitava continuamente, vedevo
o mio cugino o Gaio
Giulio. In un paio di volte anche visioni decisamente intime
che sarebbe
stato meglio non vedere ma di cui Madina ha giovato parecchio
– poi” aveva
raccontato Mel, senza peli sulla lingua.
Jason si era
seduto attorno al tavolo, abbastanza certo di non voler conoscere i
racconti
piccanti del cugino di Mel, di Gaio Giulio o Madina, particolarmente
l’ultima,
sarebbe stato imbarazzante poi, quando l’avrebbe incontrata.
Astrid lo aveva salvato, “Raccontatemi, che cosa è
successo. Siate veloci, devo
requisire Jason per degli allenamenti, come sapientemente ricordato da
questo
lestofante qui, tra una settimana potrei davvero essere a pulire casa
di un dio
famoso per non lavarsi neanche le mani” aveva dichiarato
Astrid, “Senza
dimenticare che devo già fare la sorvegliante allo Spazio
Chase” aveva
aggiunto.
“Ah, sì, credo di aver letto quella parte
sull’Edda” aveva considerato Jason,
“Ma credevo che Váli
avesse già raggiunto i suoi
propositi”
aveva valutato, l’occhiataccia di Astrid era bastata
perché decidesse,
saggiamente, di non contraddirla oltre.
“Vai, faccia-pulita, racconta a questa bestia il tuo
sogno” l’aveva invitato
poco garbatamente Fred.
Astrid non si era degnata neanche di scomporsi.
“Possiamo aspettare Madina così non
dovrò raccontarlo ancora una volta?” aveva
chiesto Jason.
“Il fatto che non invecchiamo non vuol dire che Elli non
possa prenderci”
aveva
spillato Astrid, “Non so più come dirti che non
capisco quello che dici” aveva
ripetuto Jason.
“Non è più colpa mia. Ti ho fornito il
materiale e tu mi hai messo in un
pasticcio” aveva risposto.
Jason aveva alzato le mani in segno di resa, consapevole di non poter
dire
molto altro, così aveva ripetuto il suo songo per la terza
volta.
L’espressione sul viso di Astrid era passa da boria, poi era
virata per
l’interesse, caduta nella genuina preoccupazione ed in ultimo
in una maschera
di dura, irrigidita a quel termine che le pesava ancora sul cuore.
“Gothri Mathr!”
aveva
esclamato Astrid, alla fine.
“Come
vedi
niente di importante, mamma si è persa il
cinghiale-lampadina del marito,
niente di più disdicevole rispetto a quando lui ha perso il
telecomando della
televisione e lei non ha potuto assistere all’incoronazione
di quell’eretica di
Elizabeth II” aveva liquidato la faccenda Fred.
“Ed invece no!” aveva risposto subito Astrid.
“Non è mai successa una cosa del genere, il nostro
mondo è ciclico, avvengono
sempre le stesse cose ed avvengono in un preciso ordine. Letteralmente
la
nostra vita è una gara continua contro il Ragnarok. Disfare
l’inevitabile”
aveva raccontato la guerriera.
Come la Tela di Persefone, aveva pensato Jason,
anche se non ne era
certo.
Per i Romani, e i greci, le profezie erano ineluttabili, ma non erano
mai
chiare, mai precise, era sempre un mistero, continuo. Quasi mai
l’interpretazione data era corretta.
Le profezie erano assolute e contemporaneamente nulla più
che linee guida.
Jason non sapeva come fossero le profezie per loro, esseri comuni
– se così
potevano essere definiti, ma se qualcosa che aveva capito Jason dalla
profezia
della Veggente presente nell’Edda e dalla presentazione di
Odino la prima sera:
l’universo norreno era stato già tutto previsto,
per filo e per segno.
Senza margine di errore – almeno per chi era citato.
Il Ragnarok stesso era già cominciato, o almeno il processo
che lo avrebbe
avviato, con la morte del dio di nome Baldr, da quel momento in poi,
gli
einherjar stavano disfacendo l’inevitabile, in un continuo
tentativo di
ritardare la fine.
Ineluttabile.
Aveva pensato a Jarnsaxa che era costretta a stare lontana da Thor
così da non
partorire un bambino, che avrebbe avuto tre anni nel Gran finale. Un
altro
piccolo tassello da sfasciare prima che fosse incancellabile.
Mel aveva schioccato le dita davanti alla sua faccia, “Scusa,
amico, ma parevi
aver preso il Bifrost con la mente”
aveva dichiarato con innocenza. “Lo
avevo fatto” aveva ammesso Jason.
“…Quindi, evento, fuori dal programma …
mai successo. Non riguarda il Ragnarok
o direttamente noi, ma è strano. Forse è un nuovo
ciclo, ma io sono in giro da
mille anni e Mel ne compie duemila tra un po’”
aveva rettificato Astrid.
“Ho intenzione di organizzare un’orgia di
combattimenti” aveva stabilito
Thumelicus, “Non per vantarmi ma potrei effettivamente essere
il più vecchio
residente del Valhalla, o giù di lì”
aveva detto estasiato.
Duemila anni.
Mel si svegliava tutti i giorni ed andava a combattere ad Idavol
aspettando la
fine da duemila anni.
Sembrava il pensiero più spaventoso che Jason fosse riuscito
a fare.
Duemila anni.
“Sì, di norma la gente ha il buon senso di
dissolversi prima. Gli esseri umani
non sono fatti per la vita eterna, cioè questo tipo di vita
eterna” aveva
dichiarato Fred.
“Non so perché dite così. Io adoro
stare qui. Certo è stato un po’ triste
vedere quasi tutti i miei amici nel tempo dissolversi, ma da seicento
anni a
questa parte non è capitato frequentemente. Poi ho
voi” aveva dichiarato Mel,
“Anche tu Fred sei qui da ottocento anni” aveva
sottolineato.
“Solo perché non riesco a disciogliermi. Aveva
ragione Fratello Philippe sono
un mulo testardo” aveva ringhiato Fred.
“Per favore, voi, concentrati” era intervenuto
Jason.
disciogliersi … come gli dèi dimenticati, chi
sa che cosa accadeva davvero?
Sì andava nel nulla o … lui sarebbe
potuto tornare ai Campi Elisi?
“Sì,
ha
ragione, Jason. Concentrati. Parleremo dell’Orgia di Mel,
dopo.
Indipendentemente dal fatto che il ciclo sia nuovo o sia un fuori
programma, la
cosa ci riguarda. Tua madre, Fred, vuole uno di noi” aveva
ricordato lei.
Jason aveva guardato Astrid attentamente, lei aveva ricambiato.
Entrambi erano consapevoli di essere papabile indossatori del ruolo di
Skraeling.
Il che, ovviamente, arrivava nel momento meno propizio possibile
– quello,
assolutamente, sembrava molto più in linea alla vita di
Jason di qualsiasi
evento avvenuto negli ultimi due giorni.
Mel aveva bevuto un po’ del suo idromele, “Inoltre,
Astrid, dimmi, se sbaglio …
ma, ecco, Gullinsporti è un portatore di luce, no? E vive ad
Alfheim, il regno
senza notte … non so, ecco, ci pensavo, le cose potrebbero
essere correlate?”
aveva proposto.
Astrid aveva fatto un verso strozzato, somigliate ad un singulto. Jason
aveva
allungato una mano per metterla sulla sua spalla, lei non si era
ritratta come
fosse stata incandescente, segno di una seria preoccupazione.
Però era stato Fred a parlare, con un tono che mischiava il
divertito e
l’isterico: “Oh Saul sulla strada di Damasco,
immagina se davvero qualcuno avesse
appena staccato la spina al regno degli Elfi.”
Tra di loro
era caduto un silenzio teso come la corda di un’arpa.
Pensante; anche la risata
forzata di Fred si era assopita.
“Non è così, vero?” aveva
chiesto Jason, che non sapeva neanche come o dove
fosse il Regno degli Elfi, ma che la questione non pareva possibile.
Nel dirlo aveva guardato Astrid.
Lei aveva ancora l’espressione spaventata di una cerva sul
bordo di una strada,
“Probabilmente non sarà così”
aveva provato, ma l’algida sicurezza che sembrava
sempre permeare Astrid, in quel momento somigliava ad un ghiacciolo in
una
giornata d’estate in California.
“Alfheim esisteva da prima che fosse di Frey ed è
stata di Frey molto a lungo
prima di ricevere il Cinghiale” aveva considerato la ragazza,
giocando con
nervosismo contro una punta delle sue trecce.
“Vero. Come dicevo, la mamma che fa la mamma” aveva
replicato Fred.
L’atmosfera non sia comunque alleggerita, stranamente. Il
pensiero, per quanto
infondato, si era insediato in tutti, in qualche maniera.
Onestamente Jason non aveva idea se la cosa potesse essere possibile.
Il Mondo
degli Elfi funzionava ed esisteva da prima del cinghiale; quindi, non
avrebbe
neanche dovuto essere discusso il problema ma se aveva turbato i suoi
compagni …
“Sì, infatti, preoccupazione inutile”
aveva dichiarato Mel.
Tutti aveva annuito, “Cioè non sarà
mica come il mjolnir senza in quale
il Grande e Potente Thor diventa utile come una carrozza ad un pesce.
Non è
come che gli dèi ed il mondo si impigriscano fino a
dipendere da cose che un
tempo erano loro a malapena appendici vestigiali” aveva
borbottato Fred.
Come quando avevano rubato la folgore a suo padre ed era dovuto andare
Percy,
dodicenne a recuperarla – se l’avevano raccontata
correttamente a Jason – perché
senza quello, il divino Giove era inutile.
L’ultima frase di Fred aveva riportato su di loro, pesante
come il cielo
sostenuto da Atlante, la consapevolezza.
“Penso di star per svenire” aveva considerato Mel,
aveva un viso bianco
lenzuolo e gli occhi spalancati, pieno di timore e pregno di
consapevolezza.
Astrid si era sollevata, di scatto, nervosa; nell’azione
aveva fatto anche
rovesciare la sedia alle sue stanze; Jason era trasalito al colpo
improvviso.
Fred aveva avuto intenzione di dirle qualcosa, ma poi forte rumore si
era espanso
per tutta la stanza, per tutto l’hotel, per essere preciso.
Jason conosceva quel suono, lo aveva sentito a Campo di Giove, di tanto
in
tanto, non era molto Romano.
“È un olifante!” aveva considerato
infatti.
A Nuova Roma avevano sempre elefanti, e per quanto brutto fosse,
capitava che
quando qualcuno di essi si spegnesse – per vecchiaia, a Nuova
Roma tenevano
tantissimo a quegli animali – qualche figlio di Vulcano si
cimentasse nel lavoro
gli avori.
Per lo più statuine dedicati agli dei – forse Kym
avrebbe più apprezzato di una
statuina di ceramica? Decise comunque di accantonare il pensiero
– ed ogni
tanto qualche olifante.
“L’ultima volta che ha suonato è stato
quando Gunilla ha capito chi fosse
la spia” aveva bisbigliato funereo Fred, ricordando forse
qualcosa di
spiacevole.
Jason non aveva idea chi fossero le due persone a cui loro si stavano
riferendo.
Il suo pesante, ombroso e grave dell’Olifante aveva
continuato a riempire l’ambiente.
“Sì, ma questo allarme vuol dire che i confini del
Valhalla sono stati violati.
Qualcuno che non ha il promesso di essere qui, è
entrato” aveva raccontato Astrid.
“Tecnicamente qualcuno che Odino non si aspettava. Qualche
settimana fa è
entrato Big Boy
ma non è suonato l’Olifante, ma quando
mille-trecento anni fa un’anima da Helheim
ha tento di entrare qui, dovevate sentire che tuoni” aveva
raccontato Mel.
“Ragazzi, è Stellan” aveva dichiarato
Jason.
Doveva essere Stellan, l’elfo giardiniere
di Gerd.
Astrid aveva annuito, “Se l’Olifante sta ancora
suonando vuol dire solo una
cosa” aveva cominciato a dire, “Non lo hanno ancora
trovato”.
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Capitolo 8 *** Non si va in missione senza una profezia – o i commenti enigmatici di un dio tutore ***
ECCOCI.
Scusate se sono scomparsa ma sono dovuta partire per
località ignota per un po’
(dovuta poi – lo ho scelto io ahah) e poi, be, il mio cane ha
deciso di
mangiare la fibra del wi-fi, quindi indovinate chi ora è
attaccata con il
router improbabile del telefono?
Sì. Io.
Comunque vorrei ringraziare per le recensioni, ed il supporto, Farkas
ed
Edoardo811, ma chi ve lo fa fare?
Anche un cuore per chi legge/segue/ricorda/preferisce.
Ora, faccio una premessa, adesso, per come si conclude questo capitolo,
il prossimo
probabilmente sarà un po’ WTF (Non lo ho ancora
scritto, ma sto decidendo se
cominciare in media-res o continuare cronologicamente).
Oggi, abbiamo un disegno nuovo, ma lo posterò alla fine.
Un bacio
RLandH
Non si va in
missione senza una profezia – o i
commenti enigmatici di un dio tutore
“Stavo
pensando ad una cosa” aveva dichiarato Mel, attirando
l’attenzione di Jason,
che era riemerso da un armadio – avevano deciso di cercare
Stellan nel locale
caldaie (sì, ne esistevano uno; Jason Grace aveva smesso di
farsi domande).
“Dimmi” aveva dichiarato.
Mel lo aveva guardato con espressione seria, aveva una ditata di
fuliggine nera
che gli attraversava la fronte. “La Signora di Alfheim
… ha incaricato Stellan
di trovare uno skraeling, no. Uno di noi, nel
ventesimo piano” aveva
considerato.
“Hai idea di chi sia?” aveva chiesto Jason, da come
aveva capito lui, che al
venti fossero tutti a modo loro, stranieri. Mel
aveva scosso il capo,
nel farlo la treccia dritta era oscillata, “No. Penso Fred,
lui è il figlio di
Gerd. Da come mi hai raccontato il sogno, non credo che lei stesse
pensando ad
un barbaro uscito fuori da una profezia” aveva considerato
Mel.
“Ha semplicemente dato l’indicazione a
Stellan” aveva considerato Jason, “Forse
non ha esplicitamente detto il nome di suo figlio perché
… uhm … il
Giardiniere, tecnicamente, lavora per Frey?” aveva proposto
lui. Mel aveva
sollevato le spalle, “Sì, può darsi, ma
non volevo parlare proprio di questo. Gerd
ha chiesto al suo servitore uno skraeling
da trovare … pensando forse a suo figlio, ma non credo che
quello sia lo
skraeling di cui ha bisogno” aveva sottolineato.
Jason si era morso il labbro, “Perché il sogno lo
ho avuto io” aveva
considerato.
Mel aveva annuito, “Probabilmente questo è il tuo wyrd,
amico. Váli o
meno” aveva dichiarato, prima di proporli di cambiare stanza.
Wyrd.
Jason non sapeva cosa significasse ma scommetteva che la
traduzione fosse
pesantemente vicina a: non ci interessa se devi pensare
all’Holmagang il
fato ha deciso che dovrai cacciare un cinghiale.
L’Olifante stava ancora suonando e tutto
l’hotel stava cercando
l’infiltrato – questo aveva trasformato
l’intero posto in una bolgia con gente
che strillava a destra e manca e correva in ogni dove.
Jason doveva dire che quello che lo aveva colto più di
sorpresa era stata la
felicità che aveva pervaso gli abitanti del Valhalla.
Sembrano tutti
eccitatissimi a quella personale piccola caccia, come se nessuno fosse
sul
serio impensierito all’idea di un’effrazione in
quel luogo.
Avevano
intrapreso
la strada per le piscine, quando una figurava aveva fermato il loro
avanzare,
“Finalmente! È un po’ che vi
cerco!” aveva esordito la voce. Era una valchiria.
Una giovane ragazza, forse coetanea di Jason, con un viso di rame,
occhi scuri
ma luminosi, il capo coperto da un hijab verde con fiori rosa,
indossava solo
parzialmente un’armatura, spallacci, ginocchiere,
proteggi-gomito, per il resto
sfoggiava una maglia di lana e pantaloni di jeans. Aveva anche
un’ascia
allacciata alla cinta, che le dava un’area minacciosa.
“La grande Samirah Al-Abbas!” aveva dichiarato Mel,
con un sorriso aperto sul
viso e tanto riconoscimento.
Jason la ricordava come la valchiria che spesso girovagava intorno al
tavolo
del piano diciannove e come quella che aveva portato
un’anima, la stessa sera
che Jason era arrivata.
La preferita di Odino.
“Thumelicus di Confluentes
e Jason Grace, giusto?” aveva domandato retorica
Samirah. “In carne e
spirito” aveva risposto subito Mel, facendo anche un inchino.
Samirah lo aveva guardato con un certo stoicismo, “Il divino
Bragi vuole
vedervi” aveva dichiarato serafica.
“Ora?” aveva chiesto Jason, facendo una
circonferenza, appena, accennata, con l’indice, per indicare
il caos che si
stava stagliando ai loro lati. “Lungi sapere da me come
funzionano il tempismo degli
dèi” aveva risposto Samirah, nonostante il tono
calmo della valchiria, Jason ci
aveva letto dentro tanta compressione.
“Quindi il buon vecchio Bragi è tornato, eh? Si
è stufato di tenere corsi agli
universitari?” aveva chiesto Mel, affiancando Samirah.
“Non saprei, ‘stamattina si è presentato
a colazione. Odino era felicissimo di
vederlo, fino a che il figlio non gli ha sussurrato qualcosa”
aveva spiegato
subito la valchiria, “Ed ora questo” aveva
aggiunto, ammiccando al suono
cavernoso dell’Olifante che si dipanava in ogni dove.
“Hai paura di essere trascinata in un'altra missione
pericolosa?” aveva
domandato Mel. Samirah aveva riso, “Se il mio sesto senso
funziona, questa
volta non capiterà a me” aveva dichiarato,
oscillando un po’ la testa,
“Inoltre, sebbene stia ancora facendo il mio lavoro di
valchiria, quest’anno ho
gli esami finali, devo scrivere elaborati per
l’università e sono entrata nella
banda della scuola, per i crediti extra” aveva dichiarato.
“Oh, alle prossime cene, ci delizierai con qualche
strumento?” aveva chiesto
subito Mel.
Jason avrebbe giurato che il suo amico fosse stranamente accomodante ed
interessato alla valchiria, tanto che questa si era fatta rigida per un
secondo, “Oh, no è così con tutti. Non
ci sta provando, inoltre, ha una
fidanzata che adora il tennis-mortale” era intervenuto Jason.
“Oh, no, certo che no!” aveva strillato Mel,
allontanandosi con un balzo dalla
valchiria. Samirah era anche arrossita, immaginava più per
il nervoso che per
l’imbarazzo. “Non fa niente. Ma ho delle regole di
vicinanza” aveva dichiarato,
“Comunque, suono il triangolo, non credo allieterei
molto” aveva stabilito lei.
“Meglio di questo” aveva caldeggiato Jason.
“Credo che un lamantino in amore sia comunque un suono
migliore” aveva
dichiarato Mel, l’attimo dopo averlo pronunciato, quasi come
una presa in giro,
l’Olifante aveva smesso di roborare per l’hotel.
“Sia grazie” aveva dichiarato
Samirah, solenne.
Avevano
seguito la valchiria dentro l’ascensore, nonostante Jason lo
avesse preso ormai
un certo numero di volte, doveva dichiararsi sempre stupefatto. Sam
aveva
sbuffato, chiudendo pollice e indice sull’attaccatura del
naso, “Odio questo
posto” aveva bisbigliato.
Doveva avere problemi a ricordare bene il piano, poi aveva sciolto la
mano ed
aveva digitato un tasto.
Piano quattro centonovantadue.
Per un secondo non era successo nulla, poi da una parete
dell’ascensore, era
sputato un cilindrino, sistemato in orizzontale, dove Samirah aveva
posato il
pollice.
Un campanello svelto aveva suonato. Il tubicino era rientrato e la
salita era
ripresa. “Una delle stanze ad accesso limitato, oh”
aveva cominciato Mel. “Non
ci entravo da quasi mille e cinquecento anni” aveva asserito
Mel, pieno di
gioia.
Jason guardava invece i piani. Erano in alto.
Voleva dire qualcosa?
Quando
l’ascensore era arrivato, erano stati accompagnati da un
campanello, di nuovo,
e dall’apertura delle ante.
Davanti loro era apparsa un’ampia camera.
C’erano delle persone sedute su dei divanetti ad
L, affrontati l’un
l’altro. “Io vi lascio qui. Ho il giro di
ricognizione da fare e devo andare al
corso di volo; inoltre non potrei proseguire oltre. Buona fortuna,
ragazzi”
aveva dichiarato Samirah, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Grazie” aveva dichiarato Jason, anche Mel
l’aveva imitato ed ambedue erano
usciti dall’ascensore.
Non era stato necessario avvicinarsi troppo per riconoscere almeno una
persona.
Madina era in piedi vicino ad un divanetto, indossava la maglietta
dell’hotel,
mancava una manica ed era completamente insozzata di sangue.
Lei però sembrava stare bene, anche se aveva un ematoma su
una guancia e le
mancava qualche porzione di corpo.
“Ehi! Siete arrivati!” aveva dichiarato subito,
saltellando, letteralmente,
verso Mel quasi saltellando. Aveva schioccato un bacio sulle labbra del
fidanzato ed aveva abbracciato Jason. “Che giornata folle,
che è stata oggi;
ero lì, con una lama nella pancia quando è
cominciato a suonare quel coso. Serio,
ho proprio sperato di non morire; sapevo che ci sarebbe stato qualcosa
di fantastico”
aveva dichiarato Madina.
Jason aveva ricambiato l’abbraccio, trovandolo stranamente
catartico.
Mel aveva intrecciato le dita a quelle della sua fidanzata, o almeno a
quelle
che rimaneva, “Oh, dèi meravigliosi!”
aveva esclamato poi lei, girando con lo
sguardo verso i divanetti.
C’era Bragi, seduto, con le gambe accavallate. Con i
pantaloni cachi, il
maglioncino sopra la camicia e le scarpe crema squadrate, dando
l’impressione
di un tranquillo bibliotecario.
In una mano teneva una piuma d’oca e nell’altra un
quadernino, con un
rilegatura in pelle.
Sembrava interessato ai loro scambi.
Affianco a Bragi, c’era Stellan, che iper-ventilava, mentre
teneva tra le mani
un ramo di sorbo. Il suo aspetto dal vivo era leggermente diverso dal
sogno,
nonostante tutti tremori che aveva avuto, era sembrato più
in salute. Ora
pareva, quasi, opalescente.
I capelli biondi erano sparati da tutte le parti, aveva il viso
graffiato ed …
emanava un forte odore di pino silvestre.
“Mio divino, signore, perdonate la mia figura”
aveva manifestato subito Madina.
“Loro sono il mio ragazzo Thumelicus e il mio buon amico
Jason” li aveva
presentati subito la ragazza con un certo nervosismo. “Ho
conosciuto già
entrambi, cara” aveva dichiarato con gentilezza
l’uomo, facendo oscillare la
penna.
“Lui invece è il giovane Stellan, Brightflower, la
causa del trambusto di
questo pomeriggio” aveva dichiarato Bragi, calmo, indicando
l’elfo.
Mel si era voltato immediatamente verso di lui, Jason aveva annuito,
impercettibilmente. “Si è infiltrato qui da
Alfheim” aveva dichiarato Bragi.
“Lo ha fatto lungo l’albero, non so neanche come
sia scappato allo Scoiattolo!”
aveva esclamato Madina piena di ammirazione.
“Cera d’api” aveva bisbigliato il diretto
interessato.
Bragi aveva annuito, “Stellan, ci delizierà con un
racconto preciso, appena
sarà finita. Prima sedetevi con calma, manca ancora
qualcuno” aveva dichiarato
il dio.
I tre avevano eseguito l’ordine, accomodandosi al divano
affrontato a quello di
Bragi.
“Così è tornato nel Valhalla”
aveva dichiarato Mel.
Jason non aveva ascoltato la risposta con attenzione, nello scambio che
si era
susseguito. Aveva osservato Stellan, con una gamba tremolante e gli
occhi
spalancati come quelli di un animale all’angolo di una strada
che vedeva i
fanali.
Ovviamente, Bragi doveva aver saputo della vicenda del Cinghiale. I
piani di
Gerd di tenerla nascosta dovevano essere sfumati.
L’Elfo continuava a far saettare lo sguardo da loro, al sorbo
e alle ante
dell’ascensore.
Il suono della campanella, che segnava l’arrivo di
quest’ultimo, aveva
distratto anche Jason, che si era voltato verso di esso.
Dietro le porte era apparsa la figura slanciata di Thrud, ai suoi
fianchi, come
piloni, c’erano due figure: Astrid, con quella sua
espressione rigida come il
ferro, e Fred, che aveva smesso la camicia da notte.
“Ciaooo ziooo Braaagiiiii! Mia madre
è ancora arrabbiata perché non sei
venuto al pranzo due martedì faaa” aveva strillato
Thrud, facendo ondeggiare la
mano.
Bragi aveva sorriso, “Uhm … che ragazza
adorabile” aveva sospirato Bragi,
“Certo, tesoro, di a tua madre che io e Idunn saremo felici
di venire la
settimana prossima” aveva dichiarato a gran voce.
Come per Samirah, anche Thrud non era entrata, lasciando a Fred e
Astrid fuori
alla porta. Nessuno dei due aveva un aspetto sereno.
Avevano percorso i metri che li separavano come due condannati a morte.
“Oh
bene,
tutto il piano venti e qui al completo, mi pare di capire”
aveva considerato
Bragi, osservando i due nuovi venuti. “Astrid, giusto? Ci
siamo conosciuti
qualche secolo fa, alla mia gara di poesie” aveva ripreso il
dio della poesia
prima di dirottare lo sguardo verso Fred. “Sì. Ho
scoperto che le rime baciate
non piacciono poi molto” aveva risposto tetra Astrid.
“Temo invece che io e te non abbiamo mai avuto
l’onore di conoscerci” aveva
considerato Bragi, passandosi le mani sulla lunga barba intrecciata,
con la
stessa dedizione di un vecchio sapiente, “Ma immagino tu sia
il figlio di Gerd,
hai i suoi stessi occhi dolci” aveva dichiarato.
Quell’affermazione aveva fatto strabuzzare i, suddetti, occhi
a Fred ed
inarcare un sopracciglio scuro di Astrid.
“Sì” aveva dichiarato il ragazzo,
“Frédéric di Clermont, monaco della
chiesa di
Santa Maria Principale”
si era
presentato con un certo melodramma il mezzo-Jotun. Bragi aveva sorriso,
mesto, “Se
non ricordo male, fu distrutta una volta dai normanni” aveva
considerato quello.
“Sì, la mia vita è uno stand-up
comedy senza fine” aveva detto pigro
Fred.
Mel aveva sciolto la presa dalla mano del suo fidanzato e si era
lanciata
letteralmente sul mezzo Jotun, quasi lo aveva fatto cadere, ma non lo
aveva
lasciato. Fred si era ritrovato anche una serie di baci sulle gote e
adorabili smancerie
varie. “Sono così felice di vederti!”
aveva dichiarato Madina, piena di gioia.
Davanti a tutta quella bontà, anche il viso sempre
indisponente di Fred aveva dovuto
sottomettersi. Era arrossito con vigore ed era riuscito a malapena a
trattenere
un sorriso; aveva ceduto, alla fine, ed aveva abbracciato la ragazza di
rimando. “Sì anche io, Madina, ora staccati,
però” aveva dichiarato,
riconquistando un po’ del suo contegno.
Bragi non si era scomposto; essere un dio immortale doveva aver dato
lui una
certa tolleranza nel trattare adolescenti eterni. “Prego
ragazzi, sedetevi” li
aveva invitati dolcemente, prima di illustrare ai due nuovi venuti la
presenza
di Stellan.
Questi aveva sollevato una mano guantata, con un certo nervosismo,
ancora
incerto della sua posizione lì.
“Volete
dell’Idromele, ragazzi?” aveva chiesto
Bragi, calmo. “Io no, grazie, signore”
aveva risposto per primo Jason, che aveva ancora in bocca il sapore di
quello
che aveva bevuto, prima di essere decapitato, da Fred.
Anche gli altri avevano declinato, rigidi e preoccupati.
L’unica che aveva
accettato era stata Madina, con un sorriso disteso. Non era sciocca e
da come stringeva
la mano del suo fidanzato, Jason aveva dedotto avesse compreso la
preoccupazione che albergava in loro, ma pareva più
rilassata rispetto tutti.
Forse perché non aveva partecipato all’idromele
del primo-pomeriggio assieme a
loro, o forse era la sua natura.
“Allora, mie giovani eroi, siamo qui, per una serie di
situazioni spiacevoli
che ci hanno coinvolto” aveva cominciato il dio, posato.
“Oggi,
sfortunatamente, dovrò fare le veci del mio caro padre che
ha avuto altro intoppo.
Nulla che interessi noi, per ora” aveva dichiarato quello.
Madina aveva ridacchiato, “Intende che sarà
affidato ai ragazzi del piano
diciannove” aveva commentato lei, senza malizia.
Bragi aveva fatto schioccare le labbra, “Non ho avuto modo di
conoscerli, ma ho
sentito solo belle storie” aveva commentato, mentre allungava
una mano poi, per
dare una pacca sulla spalla di Stellan.
“Ma voi siete qui per questo giovane elfo qui e la sua
signora, Gerd” aveva
aggiunto Bragi, putando gli occhi, chiari, sulla figura di Fred.
“Una missione! Oh, dei del cielo, una missione”
aveva dichiarato Madina, quasi
saltando su dalla poltrone, “Sono passati cento anni
dall’ultima” aveva raccontato,
piena di vita.
Poi aveva dato uno sguardo ai suoi compagni,
“Perché non parete sopresi?” aveva
chiesto, confusa.
“Effettivamente, sì” aveva considerato
anche Bragi. Jason si era fatto rigido
ed aveva direzionato il suo sguardo verso Fred, il monaco lo aveva
preceduto, “Riguardava
mia madre” aveva stabilito lui cupo.
Bragi aveva accettato la menzogna di buon gaudio, “Be,
sì … Ecco lascerò a
Stellan spiegare cosa è successo” aveva dichiarato.
L’elfo aveva raccontato la vicenda che Jason aveva sognato,
evitando di citare
l’uscita pomeridiana di Gerd con la jotun Jarnsaxa
– sebbene Jason scommetteva
fosse una manovra inutile, Bragi aveva preso il caffè nello
stesso posto delle
due – si era però premurato di aggiungere del suo
tentativo di incursione nel
Valhalla, senza molto successo.
“Sul serio? Hai scalato Yggdrasill con i rampini?”
aveva chiesto stupita Astrid,
aveva gli occhi scuri quasi luccicanti, cosa che aveva fatto avvampare
Stellan –
curiosamente gli elfi non arrossivano rosso sangue, ma una
tonalità più tenue.
“Poi, sì, ecco, non sono un grande stregone, ma mi
destreggio nell’Alf Seidre,
almeno in quanto modo di comunicare con la natura” aveva
dichiarato, facendo
oscillare il ramo di Sorbo, ancora sano nella sua mano –
Jason ricordava che lo
aveva chiamato Aiden.
“Bene, cerchiamo il barbaro che vuole la bella
Gerd” aveva stabilito Bregi.
Stellan aveva passato il ramo di sorbo a Madina, che era stata la prima
a
raccoglierlo; non era successo nulla di particolare, lei lo aveva
ondeggiato,
quasi speranzosa accadesse qualcosa, ma non era capitato.
“Peccato” aveva sbuffato, prima di allungare il
ramo verso il fidanzato. Mel lo
aveva preso senza particolare enfasi, sicuro che non sarebbe accaduto
nulla,
così era stato infatti.
Aveva allungato il rametto verso Jason, lui di rimando, lo aveva preso
con una
mano tremolante. Non era successo nulla, si era sentito,
vergognosamente, più
leggero.
Astrid lo aveva raccolto dopo di lui, anche lei rigida, “Oh,
grazie alla gloria
degli Asi!” aveva ammesso lei poi, quando nulla era successo.
“Oh, Saul a Damasco” era stato il commento spento
di Fred, strappando il ramo
dalle mani della sua amica. Tra le sue dita olivastre, il ramo aveva
quasi
preso vita, cominciando prima a vibrare e poi ballare, quasi.
“Bene perfetto!”
aveva stabilito Astrid.
“Io e Mel ti accompagneremo alla riceva di
Gullinsburti” aveva stabilito Madina
invece, mettendo una mano sulla spalla del suo fidanzato.
“Tecnicamente, verrei anche io” aveva dichiarato
Stellan con coraggio, “Quattro
è un numero sfortunato, no” aveva dichiarato
Madina, allora; poi si era rivolta
verso il suo fidanzato, “Duello mortale, amore, per decidere
chi accompagnerà
Fred?” aveva chiesto Madina, prima di crucciare le
sopracciglia.
Mel sembrava pensieroso, molto pensieroso.
Jason lo aveva guardato ed aveva trovato il germano ricambiare il suo
sguardo;
aveva ricordato la conversazione che avevano avuto nel locale caldaie
neanche
un’ora prima. Mel aveva annuito, quasi ad invitarlo.
“Dovrei dire una cosa” aveva dichiarato Jason,
sentendo l’attimo dopo la presa
ferrea – e le unghie, anche oltre i jeans dei pantaloni
– di Astrid sulla
coscia, però, quello non l’aveva affatto fermato.
Jason aveva raccontato il suo sogno, o almeno il suo coinvolgimento in
esso,
anche se da semplice spettatore.
“Molto curioso” aveva commentato
Bragi, anche se il suo tono sembrava in
qualche modo distante, i suoi occhi erano puntati da qualche parte
oltre le
loro spalle, Jason non aveva bisogno di voltarsi per scoprire che fosse
un
semplice punto vuoto. Era con la mente che galoppava veloce, con
qualcosa che
loro non dovevano capire.
“Hai sognato altro?” aveva chiesto poi curioso,
Jason aveva risposto con una
parziale onestà, raccontato di aver sempre e solo veduto i
suoi amici. “Ho
anche cercato di indurre una visione post-mortem”
era intervenuto Fred,
posando la mano sull’elsa della sua spada Flusso di Angoscia.
“Un caso unico …” aveva esaminato Bragi,
aveva distolto lo sguardo dal
rassicurante vuoto per puntare gli occhi su quelli di Jason. Era
passato molto,
moltissimo, dall’ultima volta che un dio aveva guardato Jason
così, con serietà
immensa e dritto negli occhi – anche il suo precedente
incontro con il medesimo
Bragi, o quello con Kym, non lo avevano scosso così.
Aveva sentito brividi saltargli lungo la schiena.
Sapeva cosa stava per succedere … Lo sapeva anche Astrid
visto che aveva stretto
la presa sul suo ginocchio, così tanto da aver fatto
impallidire le nocche,
così tanto che Jason aveva potuto sentire le unghie
raschiare la carne,
attraverso il tessuto dei jeans.
“Io credo che tu, giovane Jason Grace, debba accompagnare
Stellan e Fred” aveva
stabilito.
Anche l’elfo lo stava guardando, dal momento che non
possedeva più il sorbo,
non faceva altro che tendere ed arricciare le dita preda di un tic
nervoso.
“Credo fosse come avevo detto io” aveva considerato
ad alta-voce Mel.
Fred era lo skraeling di cui Gerd aveva bisogno, ma non quello che il
destino
aveva scelto … quell’infame compito toccava a
Jason, ancora. Anche dopo la
morte.
Astrid si era lamentata in una lingua aspra e dura, probabilmente
quella dei
Thule.
“Probabilmente era Skuld che sussurrava nei tuoi
sogni” aveva considerato
Madina, “La Norna addetta alle predizioni del
futuro” aveva spiegato poi, dopo
aver colto la confusione – che ormai doveva essere parte
integrante della sua stessa
natura – sul viso di Jason.
“Questo mi ricorda che … credo voi abbiate bisogno
della profezia di una Vǫlva.
Penso, che per una facezia come questa, le norne non si
scomoderanno” era
intervenuto Bragi.
Jason aveva deviato lo sguardo dal dio, quando aveva sentito quella
parola, con
un certo imbarazzo.
Jason si era voltato verso Mel e Madina, preferendo, vigliaccamente,
evitare lo
sguardo tetro – più tetro – di Fred che
ancora guardava il ramo ballerino e
Astrid che probabilmente lo stava maledicendo in tutte le lingue che
aveva
imparato nell’ultimo millennio.
“Conosco la Vǫlva giusta. Visioni profetiche precisissime.
Sono settecento anni
che non può più Scommettere alla Battaglia Reale
di Natale” aveva dichiarato
Mel, alzandosi in piedi.
“Be, sì, prima cominciamo a fustigarci, prima
finiremo di sanguinare” aveva
dichiarato tetro Fred, alzandosi anche lui. Stellan li aveva imitati,
con un
certo nervosismo.
“Oh, ragazzo, tieni, finché sei qui indossa questo
… così la gente si ricorderà
di non cercare di ucciderti” aveva dichiarato Bragi,
lasciando all’elfo
giardiniere un elmetto, era di ferrò molto lucido,
nonostante il colore fosse
un’panna opaco, sulla parte frontale, c’era un
simbolo, probabilmente una runa,
composta da una stanga dritta, attraversata d’obbliquo da un
altro trattino,
più breve.
“Not” aveva letto Stellan,
osservando il simbolo, “Il bisogno”
aveva aggiunto.
Bragi aveva annuito, “Mie giovani eroi, è stato
per me un piacere parlare con
voi, vi invito a proseguire per questa missione, di cui godrete di
tutto l’appoggio
che Asgard in tempi complicati, come questi, può
darvi” aveva dichiarato, prima
di congedarli, passandosi le mani sulla portentosa barba.
Astrid si era morsa un labbro, “Jason tra sei giorni deve
essere presente ad un
holmagang con me” aveva dichiarato.
Bragi non era sembrato poi molto stupito da quella confessione,
probabilmente già
conoscente. “Sì, avevo sentito qualcosa.
Fanciulli, posso tentare di mitigare l’animosità
di Váli, forse posso convincerlo a posticipare
l’incontro per darvi il tempo,
visto il grande sacrificio che Asgard ti sta ora chiedendo”
aveva ponderato il
dio della poesia.
“Abbiamo giurato di essere lì” aveva
ricordato Jason, avendo finalmente il
coraggio di guardare Astrid, che di rimando aveva deciso di puntare
tutte le
attenzioni sul dio.
“Sull’onore?” aveva chiesto Bragi,
c’era angoscia ed un po’ di speranza –
che non
lo avessero fatto – nella sua voce. “Lo abbiamo
fatto” aveva confermato Jason,
lugubre, mentre Astrid ispirava profondamente.
“Io … io sono certo, Jason Grace, che tutto abbia
una ragione” aveva provato il
dio, “E non vedo l’ora di scrivere i miei nuovi
versi su di voi. Giovedì terrò
un convegno sull’introduzione alla mia nuova opera, comunque:
Edda-in-Versi2.0
se voleste partecipare” aveva dichiarato.
“Spero di essere morto” aveva risposto sfacciato
Fred.
Astrid aveva sospirato.
Jason era rimasto calmo, Madina aveva aggrottato le sopracciglia.
“Be,
tranquillo, amico; la morte è una delle poche ragioni che
viene accettata per
la mancata partecipazione ad un duello” aveva sussurrato Mel
al suo orecchio.
Stellan sembrava oltremodo sconvolto.
“La
state
facendo tutti tragica” aveva dichiarato Fred, incrociando le
braccia sotto al
seno, “Io non ho tempo, io non c’entro niente.
Aiutare qualcuno mi ha già messo
abbastanza nei guai” aveva stabilito arrabbiata Astrid.
“Sei troppo buona,
tesoro, per pensarlo davvero” aveva squittito Madina, tirando
una guancia della
sua amica, facendola ridere.
“Sentite, io non vi conosco, se siete qui, siete certamente
tutti degni di ogni
merito” aveva cominciato a parlare tremolante Stellan.
Mel stava invece guardando il frenetico scorrere dei piani. Il Valhalla
aveva cinque
centoquaranta piani sicuri ed altrettante porte per i vari mondi, per
cui,
prendere l’ascensore era come farsi un giro nel labirinto
– o almeno così aveva
capito Jason.
“Però per la mia signora è importante;
il matrimonio tra lei e suo marito non è
sempre …” aveva cominciato Stellan, ma Fred aveva
parlato più forte, “Ti prego,
non voglio sapere della vita sessuale di mia madre” aveva
dichiarato
perentorio. L’elfo aveva taciuto, “Comunque
è necessario ritrovare Gullinbursti,
non solo perché è una creatura dolce. Ma
è una creatura forgiata da Brokkr, lo
stesso che ha creato il Martello di Thor, non credo, ecco, che sia da
prendere
così sottogamba una sua sparizione” aveva
dichiarato l’elfo.
Era caduto nell’ascensore un momento di puro silenzio;
nonostante il loculo
fosse spazioso, Jason lo sentiva affollato.
“Lo ritroveremo” aveva rassicurato
l’elfo, sorridendoli e posandoli una mano
sulla spalla. Stellan aveva annuito, “Inoltre, ecco, io, temo
davvero quello
che possa succedere. Gullinbursti è una delle luci dei
nove-mondi” aveva
bisbigliato quest’ultimo.
Fred si era voltato di scatto verso Mel, con un dito puntato,
“Non dire niente!”
aveva strillato. Mel, aveva fatto una smorfia e sollevato le mani in
senso di
resa.
Madina aveva guardato la scena confusa – ignorante
dell’ipotesi del suo
fidanzato sul fatto che il cinghiale del verro potesse essere uno dei
motivi
dell’eterno giorno della terra degli elfi.
Jason aveva
rivolto uno sguardo ad Astrid, l’espressione austera sul viso
e gli occhi verdi
tumultuosi. “Mi dispiace” aveva sussurrato.
“Lo dici, spesso, vero?” aveva risposto Astrid,
fredda, come una stilettata.
Jason aveva annuito, colpevole.
“Non è colpa tua, la storia di Gullinbursti
… se le Norne ti hanno scelto, non
puoi sottrarti. O meglio puoi farlo e pagarne il peso” aveva
detto Astrid, “Ma
di Váli, sì. Di Váali
sì” aveva sottolineato lei, burbera.
“Sì, quello è colpa
mia. Abbiamo giurato solo di presentarci lì –
chiederò al divino Váli di cambiare
le condizioni, dicendo che lo servirò fino al Ragnarok e
oltre” aveva stabilito
Jason. Lo aveva detto di getto, ma pensava che fosse giusto.
Astrid era stata buona con lui, le aveva fatto da Pigmalione, lo aveva
aiutato ad
Idavol, lo aveva fatto sentire meno solo, nella sua condizione e lo
aveva
aiutato, anche quando Jason stava combinando qualcosa di stupido
– come salvare
un lupo mezzo-jotun.
Astrid lo aveva guardato, intensamente, “No” aveva
stabilito perentoria. “Forse
tu godrai nel fare il cavalier servante, ma io mi prendo le mie
responsabilità”
aveva aggiunto. “La situazione di Váli
è colpa tua, ma il mio coinvolgimento è
colpa mia. Ho questo brutto vizio non riuscire ad abbandonare le
persone” aveva
dichiarato lei.
Madina si era sporta per abbracciarla, “Perché sei
buona come il pane” aveva
dichiarato, dandole un bacio sulla guancia “E per questo ci
stia comunque accompagnando
dalla volva” aveva aggiunto.
“Un pane un po’ bruciato ai bordi, così
ha un sapore cattivo” aveva aggiunto
Fred, guadagnando una pestata di piede letale.
“Avevo un amico con lo stesso, be … difetto
fatale” aveva considerato Jason,
pensando a Percy.
Lui invece, lui era quello che non agiva mai tempestivamente e
rifletteva
troppo sulle sue decisione, rimuginava troppo;
decisamente, decisamente la morte lo aveva cambiato.
Con Váli ed il lupo era stato l’istinto, lo stesso
atavico istinto che Lupa lo
aveva sempre invitato a seguire e che al campo aveva cercato di
limitare,
mitigare.
Era stupido e nonostante tutte le conseguenze, Jason non si sentiva in
colpa – si
sentiva in colpa per aver coinvolto Astrid, ovviamente, ma non per aver
salvato
il lupo-jotun.
Senza considerare che si era sentito, letteralmente, trainato in quella
direzione,
ancora prima concretizzare quello che stava facendo.
“Solo fino alla Vǫlva, poi andrò allo Spazio-Chase
e probabilmente chiederò alla
combriccola del piano diciannove di allenarsi” aveva
stabilito Astrid, ricomponendosi.
Quando le
porte dell’ascensore si erano aperte, la prima cosa che aveva
investito Jason
era stata una zaffata di carne cruda miste a spezie, poi gli occhi
erano venuti
in suo soccorso.
In puro ferro luccicante, si poteva vedere, chiaro come sotto il sole,
una
cucina industriale ed un mucchio di valchirie intente a lavorarci
dentro, in
una cacofonia di chiacchiere, urletti ed ordini gridati a gran voce.
“Benvenuti nel posto più bello del
Valhalla” aveva dichiarato Mel, entrando in
cucina.
Un sibilo aveva tagliato l’aria ed un coltello aveva sfiorato
l’orecchio del
germano, evitato Jason per altrettanti pochi centimetri e si era
conficcato
nell’ascensore.
Stellan aveva urlato senza vergogna – giacché lui
da un coltello poteva essere ucciso
“Non sono ammessi Einherjar qui” aveva impartito
subito una voce. Era stata una
donna a parlare, capelli rosso fiammante, che scendevano dritti fino ai
fianchi, viso duro e di ferro ed occhi fiammeggianti. Era molto alta,
con
spalle ampie ed il fisico di una body-builder, aveva delle fattezze
eleganti, a
modo suo, sebbene l’aspetto somigliasse a quello di qualcuno
abituato a piegare
persone come fossero sedie sdraio – a Jason aveva ricordato
un po’ Clarisse.
Indossava una cotta di ferro, sulle spalle un pesante mantello fatto di
piume
bianchissime, a rovinare l’immagine da virago era in
grembiule nero con la scritta
in rosa shocking: Bacia la Cuoca – ma solo quello.
Sfoggiava una collana d’oro, larga e
dall’aria pesante, attorno al collo
taurino.
“Salve mie meravigliose signore!” aveva
dichiarato con scioltezza Mel, “Non
vi disturberò, avrei bisogno solo di qualche
porro” aveva provato.
La valchiria aveva le sopracciglia, altrettanto rosse peperone, crucciate, “Cosa
devi farci Thumelicus
figlio di Harmin?” aveva chiesto, mentre una
valchiria, una ragazzetta
giovane e magra scivolava fra loro per recuperare il coltello dalla
parete dell’ascensore.
Si era salutata sia con Mel, sia con Madina come vecchie amiche ed
aveva
lanciato uno sguardo interessato a Stellan.
“Be, lo sai Boudicca, sono pazzo per i porri” aveva
dichiarato lui, avvicinandosi
– Jason aveva deglutito al nome della valchiria –
“No, in realtà devo andare da
una vǫlva” aveva ammesso.
Boudicca aveva sbuffato, “E vieni a prendere dei porri, da
me? Sai, cosa, piccolo
screanzato? Vai. Non voglio neanche sapere, ma se tu o i tuoi amici mettete in disordine la mia
dispensa, vi
pentirete di non essere a passare lo straccio a casa della divina
Hela” aveva
dichiarato la valchiria.
Mel le aveva ringraziata di cuore, spronando gli altri a farlo anche.
“Tranquilla, faccio io da scorta” era intervenuta
una voce per Jason, nota.
All’angolo dei suoi occhi, seduta allo spigolo di una lunga
tavola di ferro, c’era
Thrud, armata di pela-patate ed una piramide di tuberi al fianco.
“Quando c’è da lavorare la piccola dea
fugge sempre” aveva ghignato un’altra
valchiria, ma Thrud non aveva dato cenni di esserne infastidita in
alcuna
maniera.
Beudicca aveva annuito, “Sì, tanto quando peli le
patate con la buccia tiri via
pure tre quarti della parte buona” aveva sentenziato.
Era stata
Thrud a condurli nella dispensa. “Mi avete proprio salvato
– odio i turni in
cucina” aveva dichiarato la valchiria, “Speravo che
lo zio Bragi mi tenesse a
chiacchierare con voi” aveva aggiunto, con le braccia
conserte.
Jason era ammirato dalla dispensa che il Valhalla offriva, era grande
come un
ipermercato, composta da scaffali, celle frigorifere ed ogni reparto
immaginabile. Solo la sezione per i cereali occupava quattro scaffali
in
altezza ed almeno un chilometro in lunghezza. “Non si sfamano
fino all’eternità
infinite anime con solo un cinghiale, anche se al nonno piace
dirlo” aveva
chiarito Thrud, notando il suo sguardo.
Mel era
sparito nella sezione orto-frutta in cerca dei suoi porri, Stellan li
era
andato dietro – guidato dal fatto che probabilmente Mel
sembrava l’unico
consapevole di ciò che faceva.
Madina ed Astrid erano ammirate tanto quanto lui. “Non ero
mai entrata qui”
aveva dichiarato la seconda, “Be, ora so da dove tira fuori
Mel la farina;
quella che la stanza produce quando la immagini non ha lo stesso buon
sapore di
quella che usa lui” aveva dichiarato la figlia di Ullr.
Thrud si era avvicinata a Jason, dopo aver lanciato uno sguardo, non
poì così ammonitorio
a Fred, che stava prendendo senza pietà delle barrette di
cioccolata da
nascondere sotto il farsetto.
“Ti va di parlarmi del pasticcio in cui ti sei infilato con i
miei zii?” aveva
chiesto, non c’era molta dolcezza nella sua voce.
“Bragi mi ha reclutato per una missione” si era
giustificato Jason, “Oh, be,
sei nel Valhalla da due giorni … ma non sono
stupita” aveva confessato lei,
grattandosi sotto il mento, “Con quel simpaticone di
Váli?” aveva chiesto.
“Ho avuto un alterco … tra sei giorni avremmo un
holmagang a primo sangue”
aveva cercato di minimizzare la cosa.
Thrud gli aveva tirato un buffetto sulla collottola, “Profilo
Basso,
Jason! Avevo detto profilo basso!” aveva
ringhiato, stava tenendo un
tono basso e quello era l’unico motivo per cui non stesse
gridando. “Cosa
racconto a Kym?” aveva sussurrato quella.
“Kym?” aveva domandato confuso Jason, non che la
terribile signora dei mari non
fosse da tenere in considerazione, ma a lui, pareva una delle ultime
personalità di cui doversi preoccupare, o almeno sicuramente
dopo Vali o Gerd.
“Sì!” aveva risposto Thrud,
“Cosa le dico? Scusa, hai presente il semidio per
cui rischiamo di scatenare una guerra infra-pantheon, sì,
lui si è messo a
sfidare mio zio, quello a cui ne mare ne fuoco possono arrecare
danno?” aveva
chiesto retorica Thurd.
Ne mare ne fuoco?
Jason aveva avuto un brivido, perché aveva ricordato lui, i
versi della Profezia
dei Sette,
ma allo
stesso modo, dopo un primo momento di panico, aveva …
calmato. Ne il mare, ne
il fuoco; nessun accenno alla tempesta.
“Perfetto ragazzi, ho i porri” aveva dichiarato
Mel, tornando da loro, con le
braccia piene di pori, alle sue spalle il giovane Stellan lo stava
imitando.
“Okay, vi scorto fuori, non voglio sentire Beodicca
lamentarsi poi” aveva
dichiarato Thrud, attirando l’attenzione, “In
realtà dovremmo andare nelle
stanze delle valchirie” aveva considerato Mel.
“Chi vuoi incontrare?” aveva chiesto Thrud.
“Kráka” aveva
risposto Mel; la figlia di
Thor aveva emesso una risata soffocata, “Oh poveri
voi!” aveva dichiarato.
I piani
ordinati per le valchirie, sia quelle einherjar sia quelle appartenente
alla
stirpe degli dei – ed anche quelle mortali che non potevano
vivere nel loro
mondo – erano molto diversi dagli altri piani
dell’hotel. Ne occupavano tre,
con corridoi lunghissimi.
Differentemente dagli altri piani, tutte le camere delle valchirie
erano senza porte,
tra i soffitti e le pareti c’erano scale a chioccia che
collegavano gli spazi
senza bisogno di ricorrere all’ascensore. Per il resto
c’erano un sacco di cianfrusaglie
in giro e ragazze, alcune passeggiavano da un parte all’altra
in pigiama e
altre non erano neanche del tutto vestite.
Jason nel vederle aveva avuto un ricordo del suo tempo nel Collegio
Maschile, i
piani dedicati alle Valchirie sembravano un grande dormitorio.
“Questo posto è fantastico” aveva
dichiarato senza mezzi termini Madina, “Anche
se mi dispiacerebbe non averti intorno sempre, saresti un ottima
valchiria”
aveva concordato il suo fidanzato, si era sporto per darle un bacio
sulla
tempia, un porro era fuggito alla fuga ma era stato intercettato da
Jason.
“Scusate, io non posso proseguire” aveva dichiarato
perentorio Fred, quando una
giovane donna, dalla pelle caramello, curve generose e capelli biondo
tinto,
umidi e gocciolanti, aveva appena attraversato il corridoio con solo un
asciugamano addosso.
“Peccato che la profezia serve a te” aveva
dichiarato Astrid, prendendolo a
braccetto.
“Kráka è la centotreesima porta sulla
destra. Mi raccomando non entrate in
quella a sinistra” si era raccomandata Thrud.
“Non vieni con noi?” aveva chiesto Jason.
“Oh, no, vi aspetterò nella mia
stanza, duecento dodici B del piano superiore, mi farò una
bella vasca rilassante,
tanto Kráka ha il vizio di tirarle per le lunghe”
si era congedata, tirando con
una mano indietro i voluminosi capelli.
“Ah, non pensarci, bella, sei di turno in cucina, solo
perché sei la figlia del
Potente Thor non te la caverai!” era stata immediatamente
rimproverata da un’altra.
“Stavo
pensando una cosa” aveva detto Jason, mentre percorrevano il
corridoio, poco
prima di dover evitare un arriccia capelli abbandonato per terra,
vicino una spada
corta che somigliava interessatamente ad un gladio. C’erano
anche valchirie
romane?
“Ho paura di chiedertelo” aveva risposto subito
Astrid. “Sappiamo, scusa
Stellan, che una delle preoccupazione della divina Gerd fosse quello di
essere
uscito con la Jarnsaxa” aveva considerato Jason.
L’elfo era arrossito – in quella
maniera sinistra che non era rosso – degli elfi, per essere
stato colto sulla
sua palese omissione. “Ma ovviamente la Jotun
c’entra qualcosa. Non può mica
essere che non sia così, no?” aveva chiesto con
tono retorico Fred.
“Anche Gerd è una jotun” aveva
dichiarato Madina, tirandoli una gomitata
leggera e complice, “Nessuno sta saltando a
conclusioni” aveva specificato.
“La mia signora sì, notava che la cosa fosse
troppo coincidenziale” aveva
dichiarato l’elfo timoroso, lanciando sguardi di sottecchi a
Jason, realizzando
quanto la portata del suo sogno significasse. Lo aveva letteralmente
spiato. “Magari,
hanno solo lasciato il cancello aperto ed il maiale è
scappato” aveva
dichiarato Fred, “Ed adesso è ad Alfheim ha
grufolare in giro” aveva aggiunto.
Stellan lo aveva guardato, pieno di imbarazzo,
“Magari” aveva bisbigliato – lui
e Gerd non avevano testato quella possibilità.
“Aspettiamo la profezia? Non ha senso fare il conto senza
l’oste” aveva stabilito
Mel, sicuro di se, mentre contava le porte.
“La conosci bene questa vǫlva?”
aveva domandato Mel, non c’era gelosia o incertezza nella sua
voce, “Oh,
be, sua madre, come lei era una valchiria ed è stata la mia
valchiria” aveva
dichiarato con un certo calore nella voce il guerriero Germano.
“È sempre speciale
il rapporto tra una valchiria e la sua anima salvata” aveva
considerato Mel, “Per
i primi tre anni … poi si dimenticano completamente di
te” aveva sentito il
bisogno di sottolineare Fred, guadagnando un’altra pedata
brutale da Astrid.
“Be, sono comunque oberate di lavoro” aveva
giustificato la cosa Madina.
“Poi non è vero … io sono rimasto in
contatto con la mia Valchiria fino a che
non è morta, circa, pace al suo spirito, e poi con sua
figlia” aveva sottolineato
Mel, con voce piena di dolcezza.
“Anche io” aveva considerato Astrid, “E
capiterà anche a te Jason, visto che
era zia Thrud” aveva precisato.
“Sempre se non finite schiavi di
Vá-ahhhh” Fred non era riuscito a finire la
sua cattiveria, quella volta.
“Ma esattamente con Vulva
a cosa vi stare rifendo?” aveva chiesto Jason, sicuro di aver
pronunciato male
la parola; ne era stato certo l’attimo dopo che un
ilarità infantile aveva inondato
tutti quanti, incluso Stellan.
“Non quello che stai pensando!”
lo aveva rimproverato Astrid, “Devi cominciare
a studiare meglio l’Edda” lo aveva rimproverato
Astrid, “Indovina!” aveva invece
risposto Mel, “Nel senso Volva è
l’indovina; loro sono in grado di interpretare
i sogni, scorgere spicchi di future e leggere le rune” aveva
specificato.
Jason ancora rosso di imbarazzo aveva annuito.
Immaginava la Vǫluspá, la veggente che aveva riportato la
profezia del Ragnarok
come la Sibilla Cumana e le Vǫlve come aruspici o …
sì, indovini.
“Comunque avrebbe fatto ridere una vulva
che prevede il futuro” aveva
commentato Mel; aveva perso un porro, dopo una gomitata ammonitrice
della sua fidanzata.
Avevano
raggiunto la porta, come le altre era una quadratura in un muro senza
la porta.
Sì poteva vedere l’interno, notevolmente
più grande della stanza di Jason, con
buoni due ambienti. In quello visibile, che appariva come un soggiorno
c’era
una donna.
Aveva alzato gli occhi verso di loro, erano di brace, un castano
ribollente da
apparire quasi rosso. Jason era rimasto intimorito. Kráka,
se quello era il suo
nome, non era la donna più bella che Jason avesse mai visto
– aveva visto
Venere, aveva visto le sue figlie, nessuna donna arrivava per lui alla
bellezza
di Piper, probabilmente mai una avrebbe raggiunto quello, ai suoi occhi
– ma aveva
qualcosa che aveva visto raramente, la compostezza e la
regalità.
Guardandola, Jason aveva pensato all’aurea austera di Reyna
quando si presentava
in senato con il manto porpora alle spalle e alle lezioni storia,
così,
pensava, Livia Drusilla doveva apparire.
L’incarnato di Kráka non era bianco come la
polvere, come una donna del nord,
ma era scottato dal sole, un po’, una sfumatura
più crema.
Non indossava un abito elegante, in vero, non indossava neanche un
vestito,
erano reti da pesca, di corda, di infiniti e diversi colori, con maglie
fitte,
che drappeggiavano il suo corpo.
la donna aveva un corpo snello, con braccia toniche senza grasso, ma un
accenno
di muscolatura, un collo di cigno, dita lunghe acconciate al grembo.
Era seduta vicino un’arpa, con una gran cassa incredibilmente
grande.
I capelli erano castano-dorati, erano portati sciolti e liberi come la
natura
voleva, come aveva notato raramente alle donne nel Valhalla fare.
“Mel” aveva detto la donna alzandosi, in piedi era
flessuosa e più alta di
quanto Jason avesse immaginato, era più alta di lui, di
Thrud, forse
rivaleggiava con Boudicca, “Sono felice di vederti”
aveva dichiarato con voce melodioso.
“Kráka anche io” aveva esclamato lui,
con gioia, chinandosi su ginocchio. Poi
gli aveva presentati tutti con garbo ed in ultimo aveva presentato la
donna a
loro, non l’aveva chiamata però come si era
rivolta fino a quel momento.
“Lei invece è la mirabolante Aslaug
Sigurdsdottir” aveva detto con orgoglio.
Fred e Stellan aveva trattenuto il respiro, Astrid aveva chinato
rispettosa il
capo, mentre Mel si era sbracciata in ode di ammirazione per una tale
valente
valchiria, guerriera e regina.
Lei aveva sorriso accomodante, senza perdere quella sua aria
però imperiale, “Come
posso aiutarvi?” aveva chiesto.
“Sì, mia buona amica, non veniamo qui per piacere.
Al mio amico Fred serva una
predizione per il futuro, abbiamo portato dei porri come pagamento, so
quanto
ti piacciono” aveva dichiarato Mel.
“Qualcosa che posso avere quando voglio e come
voglio?” aveva scherzato Aslaug,
facendo arrossire tutti, “Non preoccuparti, Mel, per un
vecchio amico … posso
provare ad aiutarvi” aveva considerato, mentre dava cenno ai
due giovani di
scaricare i porri sul tavolo.
“Non ho avuto sogni, ne il mio occhio vede bene, qualcosa
temo sia accaduto”
aveva considerato, “Ma posso, provare ad interpretare le
rune” aveva valutato.
Si era voltata verso di loro, con aspettativa.
“Vuoi … Lei non ha personali?” aveva
chiesto Astrid, “Ne ho, legno, pietra,
ferro … materiali magici impronunciabili, ma
è il vostro di futuro. Il
legame personale aiuta incredibilmente” aveva risposto la
Volva.
“Uhm … io non ho quelle cose, lo sai”
aveva risposto Fred, mortificato,
guardando Astrid.
Jason non sapeva neanche a cosa stessero facendo riferimento.
“Io … ehm … non
le ho portate” aveva dichiarato Stellan grattandosi il
dietro, Madina aveva
scosso il viso e Mel si era guardato le scarpe.
“Grande Odino” si era lamentata Astrid, da una
tasca della sua pelliccia messa
a nuovo aveva tirato fuori un sacchetto di pelle, “Adesso,
sarò ufficialmente tirata
in mezzo” si era lamentata.
“Le hai comprate? Le hai fatte? Con cosa?” aveva
chiesto Aslaug.
“Olmo. Le ha create un mio amico, per me, lui era un
praticante di seidr e alf-seidr
… io no, però” aveva ammesso Astrid,
cupa in viso, con un tono melanconico.
Kráka aveva annuito, raccogliendo il sacchetto,
“Legno potente. Da quello che è
nata la prima donna; quale runa manca?” aveva domandato,
“Nessuna” aveva
risposto la guerriera. Le sopracciglia perfettamente curate della Volva
si
erano incrinate, “Non va bene. Ogni set dovrebbe avere una
mancanza a
testimoniare della sofferenza subita” aveva dichiarato.
“Sono morta prima di compiere diciassette anni, direi di
averlo ampiamente
dimostrato” aveva risposto burbera Astrid. La Volva non aveva
fatto una piega,
se non un sorriso mesto, poi si era voltata verso di loro,
“Chi è il più
coinvolto?” aveva chiesto.
Fred aveva indicato Jason, lui Stellan e l’elfo il
mezzo-Jotun. “Stellan e Fred
sono stati incaricati dalla Signora di Alfheim, mentre Jason ha sognato
l’incarico”
aveva spiegato Madina.
Kraka aveva annuito, “Va bene, allora, il figlio di
…” aveva cominciato,
poi si era interrotta, venendo l’espressione di panico che si
era dipinta sul
viso di Jason e di Astrid, “… Dello
straniero” aveva concluso la Vǫlva, ma un guizzo
di curiosità era salito sul viso, prima di concentrarsi su
Mel, che li guardava
interrogativi. “Dicevo, lo straniero, sì, il
figlio dello straniero, pescherà
la runa da togliere” aveva dichiarato, facendo ticchettare il
sacchetto come se
fossero i numeri della tombola.
Jason aveva allungato una mano, infilandola nella bisaccia, aveva
sentito sotto
le punta delle dita il legno freddo, era stato tentato di raccogliere
la prima tessera,
ma poi aveva sentito qualcos’altro a spingerlo infondo,
così aveva cercato fino
a che con il tatto non aveva trovato quella che secondo lui era giusta.
“Non dirmela” aveva dichiarato Aslaug.
“Cosa è, tipo, un trucco da mago da
strada” aveva dichiarato Fred, offeso. “Meglio.
Molto meglio” aveva risposto Kráka, prima di
richiudere il sacchetto ed
agitarlo nelle sue mani, si era alzata e si era diretta verso il tavolo
della
stanza, facendo accatastare tutti i porri da un lato, “Mi
raccomando ragazze,
non sembra ma con questo ortaggio si posso accalappiare ottimi
partiti” aveva
detto, strizzando l’occhio ad Astrid – che era
arrossita. La donna si era allontanata,
recuperando poi da un lato, posata, ad un muro una scopa a cui aveva
fatto
cadere la parte della sagina, rivelandosi così come un
bastone con una
biforcazione finale, “Sì, non mi rende molto
onore” aveva ricominciato.
Aslaug aveva aperto il sacchetto ed aveva fatto rovesciare le rune, ma
queste
non avevano toccato il tavolo, erano rimaste sospese a
mezz’aria, come le mani
della indovina, in posizione orante.
Aveva mosso le dita della mano libera, mentre un sibilo era uscito
dalla sua
gola, parole troppo basse e veloci per essere interpretate, il bastone
da
stregona era luccicato di una luce dorata accecante.
“Ragazzi, giù” aveva gridato Aslaug, non
avevano ricevuto il comando fino a che
i tasselli di rune avevano cominciato a schizzare per la stanza come
schegge impazzite.
Jason si era lanciato a terra, afferrando Astrid con lui.
Fred era caduto nell’azione, ma aveva evitato i proiettili.
Madina li aveva evitati
con grazia, Mel era stato colpito su una spalla, causa la vicinanza con
la
strega, mentre Stellan in pieno petto, finendo poi a terra tra i
lamenti.
“Interessante” aveva esordito Aslaug, osservando il
tavolo.
Stellan, Jason e Fred si erano avvicinati, l’ultimo
massaggiandosi il gomito su
cui era caduto. L’elfo invece era sorretto da Madina, che lo
aveva aiutato ad
alzarsi. Astrid e Mel erano rimasti in silenzio, dietro.
Jason aveva spiato alcune rune erano finite sul tavolo,
anziché in giro per la
stanza.
“So cosa c’è scritto, ma …
cosa vuol dire?” aveva chiesto Stellan, con ancora
la voce impastata di dolore e la mano sullo stomaco.
Aslaug aveva annuito, voltandosi verso l’elfo,
“Parliamo del pagamento prima”
aveva dichiarato, “Pensavo i porri lo fossero”
aveva dichiarato Fred.
“I porri erano per leggere il vostro futuro, non per
dirvelo” aveva dichiarato
ovvia lei.
Astrid aveva sospirato pesantemente.
Jason era cereo, guardando quei simboli che per lui erano ignoti,
mentre
sentiva quasi bruciante nella mano la runa esclusa. “Cosa
vuole?” aveva chiesto
Stellan, pieno di timore.
Kráka aveva sorriso: “Facile. Un paio di brache
villose.”
Kráka,
di cui non sono molto felice; https://www.deviantart.com/rlandh/art/Kráka-the-Seer-899338267
Fred
in tutto il suo cupo splendore; https://www.deviantart.com/rlandh/art/Frederic-of-Clermont-899511843
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Capitolo 9 *** Un’idea stupida, ma con centrifuga ***
BUON NATALEEEEE
A titolo del tutto eccezionale, troverete le note nel fondo.
Come avevo preannunciato, troverete in questo capitolo un deragliamento
rispetto al precedente. Scusate.
Buona Lettura.
Un’idea
stupida, ma con centrifuga
“Mi
sono
perso puoi ripetere” aveva ammesso Jason.
Astrid lo aveva guardato, non c’era giudizio nei suoi occhi,
“Sì, devo
concordare” aveva stabilito, dando uno sguardo,
più severo, a Mel.
Il ragazzo era seduto sul suo letto con espressione incerta, al suo
fianco era
sistemata la sua ragazza a gambe incrociate.
La stanza di Mel era … spartana. Non aveva il cammino
né particolare mobilio, solo
alcuni cassoni, il letto era praticamente una branda di legno, su cui
sopra
c’era un materasso sottile.
Come Jason aveva uno spazio unico che non divideva due ambienti: la
cucina, che
sembrava molto più grande di quella di Jason, con tanto di
una mensa a sigma, e
la camera da letto che comprendeva anche l’ambiente di
ricevimento. Anche lui
aveva dei rami che fuoriuscivano dal soffitto.
I colori delle pareti erano tinte piatte di un rosso scuro, le uniche
variazioni erano nei piccoli quadrati,
nel
mezzo della parete dove erano disegnate delle rune – ormai
Jason era in grado
di riconoscerle.
“Kráka è stata la terza moglie di
Ragnar Lothbrok – sì quello a cui la serie tv
si è ispirata”
aveva cominciato Mel, “L’eroe della Ragnarssaga”
era intervenuta calma
Madina.
Per Jason nessuna delle due cose aveva un significato.
Mel aveva
dato un bacio alla sua fidanzata, mentre Fred aveva virato lo sguardo
verso
Astrid, “So chi è Ragnar, voglio solo sapere cosa
c’entra Richard
Cuor-di-Leone” aveva dichiarato lei, offesa. “Quel Batard
è sempre in
mezzo” aveva replicato Fred, riscoprendo il suo nazionalismo.
Jason si era perso un po’ di nomi prima rispetto Richard
CuorDiLeone. “Ma alla
fine è importante? Nel senso, sappiamo che le Braghe le ha
Richard Cuordileone,
giusto?” era intervenuto timidamente Stellan, era la prima
volta che parlava da
quando avevano lasciato l’alcova dell’indovina.
“Credo che sapere per bene le cose, serva a dare alle persone
una prospettiva
maggiore e più completa” aveva dichiarato Jason.
“Cielo … dove lo avete trovato questo?”
aveva chiesto Fred, “Non so. Ieri ha
accettato un duello mortale a scatola chiusa” lo aveva
piccato Astrid. “Pensavo
avessimo fatto pace” aveva considerato Jason, ricordando la
loro conversazione
in ascensore. “Se non diventiamo thrall
– no, non ti spiegherò il
significato” aveva dichiarato lei, ieratica.
“Bene, sì” aveva attirato nuovamente
l’attenzione Mel, “Ragnar Lothbrok, che
vuol dire proprio Braghe Villose, era in possesso di questo portentoso
paio di
pantaloni in grado di resistere ai morsi di un Lindworn con cui
poté salvare
Thora, la sua seconda moglie-e sto andando fuori tema di nuovo. Scusate.
Comunque quando Ragnar morì, in una fossa di serpenti, la
sua eredità fu
spartita tra i suoi figli … che non erano pochi, ha avuto
tre mogli, tra cui la
mia buon’amica Kráka”
(Fred aveva sentito il bisogno di interrompere la narrazione,
sottolineando che
se fosse stata davvero una buona amica, avrebbe letto loro la profezia.)
I pantaloni sono passati a: Ubbe, che era il figlio bastardo
… sì,
nonostante le tre mogli” aveva fatto una pausa Mel.
“Forse Kráka lo rivuole perché dovevano
essere proprietà dei suoi figli” aveva
considerato Jason, pensando alla sua matrigna. “Uhm
… Kráka non è il tipo.
Amava i figli di Thora come amava i suoi; però anche vero
che Ubbe aveva un
rapporto complicato con suo padre” aveva risposto Mel,
sollevando le spalle,
prima di riprendere.
“Allora … comunque Ubbe ottiene i pantaloni, fa la
sua meravigliosa vita nella
Grande Armata Danese, era un Berserk, ho grande stima per loro
– okay, mi sono
perso di nuovo.
Ubbe morì nella Battaglia di Cynuit,
così i pantaloni sono diventati di
Odda Del Devon come Spoglie di Guerra. L’aldermanno ha dato i
pantaloni al Re
del Wessex Alfred il Grande, che ovviamente come un bravo cristiano non
li ha
mai indossati. Le Braghe sono al suo erede, fino a suo nipote Athelstan
che è
diventato Re degli Inglesi” aveva fatto una pausa,
“Troppe informazioni?” aveva
chiesto Mel.
“Decisamente troppe informazioni”
aveva risposto Jason.
“Tagliando la testa al toro; i Pantaloni sono passati per
tutta la casa del
Wessex ed oltre, passati da un re ad un altro, fino anche alla dinastia
dei
Normanni. Credo che ad una certa si siano persi ma poi Henry
II il Plantageneto
li ha recuperati. I pantaloni sono andati a Richard I, suo figlio.
Insomma, il CuordiLeone.
Qui è successo il fatto. Nessuna delle braghe ha mai
raggiunto i Re inglesi
finiti nel Valhalla, per qualche ragione. Forse perché
nessuno di loro lì
indossava alla morte o non saprei.
Fatto sta che Riccardo quando ha compreso che sarebbe morto, dopo una
balestrata finita male, ha deciso di mettersi avanti ed ha organizzato
un
banchetto degno del Valhalla con indosso le braghe. Quindi è
morto vestito con
i pantaloni durante il banchetto. Ora, la sala dei Caduti accetta tutti
coloro
che hanno avuto una morte gloriosa” aveva detto Mel.
Tutti gli uomini coraggiosi, aveva ricordato Jason,
le parole di Astrid.
“Però, ecco, chiunque ha avuto una vita degna
… o almeno che Odino ritenga tale”
aveva dichiarato Mel. “Quindi tutta questa lezione di storia
serviva solo per
dire che i Pantaloni li ha Richard CuordiLeone e
che è qui?” aveva
chiesto Fred.
Mel aveva annuito. “Più breve, amore” lo
aveva rimproverato gentilmente Madina.
“Certo; o ci perderemo Jason per una buona volta”
era intervenuta Astrid.
“Grazie eh” aveva replicato lui.
“Ora come togliamo i pantaloni a Richard
Cuordileone?” aveva domandato Jason.
“Con un holmagang?” aveva provato Stellan.
“Non dire quella parola” aveva dichiarato Astrid.
“Io stavo pensando anche a quella cosa di Jarnsaxa”
si era introdotta Madina,
“Quella che ha detto Jason, prima” lo aveva
interpellato.
“Che la signora Gerd trovava strano la coincidenziale
presenza di Jarnsaxa
all’appuntamento?” aveva ripreso retorico Jason.
“Ne parliamo dopo la profezia” aveva dichiarato
Astrid.
“No, potremmo non avere tempo … Dobbiamo vincere i
pantaloni da Re Richard
perché Kráka ci legga la profezia e da quello
cominciare” aveva considerato
Jason.
“Senza dimenticare che probabilmente il verro è in
giro per Alfheim” aveva
sottolineato Fred, alzandosi dalla sedia in cui era seduto.
“Dividiamoci in tre gruppi” aveva proposto Madina,
“Ognuno con un ehm … ragazzo
della profezia?” aveva proposto, “Uno
andrà a dare un occhio ad Alfheim, uno a
Jotunheim ed uno da Richard, per metterci avanti” aveva
dichiarato pratica la
figlia di Ullr.
“Non posso tornare ad Alfheim a mani vuote!” aveva
esclamato Stellan, “Sarò
mezzo Jotun ma non andrò a Jotunheim” aveva
strillato Fred.
Madina aveva voltato il viso verso Jason, “Non so se il caso
che lui venga a
Jotunheim … è qui da due giorni, è
morto contro un uomo mortale” aveva
dichiarato lei con leggero imbarazzo. “In realtà
potrebbe essere l’ideale. Kráka
lo ha definito figlio di un dio straniero … è un
semidio come te, vi
rimarginate più in fratta di chiunque altro –
perché immagino tu voglia andare”
aveva considerato Mel, “In vero, sono più
preoccupato che una persona audace
come te vada in giro per il regno dei giganti” aveva
valutato, ricevendo un
buffetto. “Per favore, Thumelicus di Confluentes,
sono figlia del dio
dell’inverno, praticamente. Non c’è
più niente a Jotunheim che mi spaventi”
aveva stabilito lei, con una risata fresca.
Mel aveva sorriso, ma gli occhi erano leggermente cupi. “E
che ultimamente sei
così … agitata” aveva valutato lui,
accarezzando la schiena della sua
fidanzata. Lei aveva roteato gli occhi con un leggero tocco di
melodrammatica
esasperazione, “Sono una semidea, amore mio, io sono sempre in-movimento”
aveva scherzato poi lei, stampando un bacio sulla guancia del fidanzato.
“A proposito di Jason figlio di un dio straniero …
non mi sei sembrato molto
sorpreso?” aveva valutato Fred, passandosi le dita sul mento
meditabondo.
Thrud aveva consigliato a Jason di fingersi un mortale completamente
cieco, lui
stesso aveva adottato fino a quel momento quella versione, ma in quel
momento, “Io
… io credo che una parte di me lo avesse sempre
saputo” aveva balbettato.
Non era stato così, non era mai stato così, aveva
saputo di chi fosse figlio ancora
prima di imparare a gattonare, ma ricordava, distante, a Nuova Roma
alcuni
ragazzi essersi giustificati, di volta in volta così.
Una parte di me lo aveva sempre saputo.
La giustificazione sembrava aver soddisfatto gli altri
abitanti del
Valhalla, meno Fred che lo aveva guardato con una certa supponenza.
“Quindi
…
cosa vogliamo fare?” aveva attirato nuovamente
l’attenzione Astrid, salvando
Jason, in angolo, dagli occhi scuri e penetranti del mezzo-Jothun.
“Bene, io andrò a parlare con mia madre
… così dimostrerò che quel Verro
è
probabilmente a grufolare in giro” aveva dichiarato Fred, ben
distratto dalla
sua amica.
“Oh! Sei
passato in una mattinata da: non
esco dalla stanza a cambio mondo”
aveva sottolineato Astrid colpita.
Il ragazzo aveva ricambiato con una stoccata come sguardo,
“Vieni con me, infedele.
Vedi un po’ i Nove Mondi, prima di ritrovarti china come un
uncino a lavare i
pavimenti” aveva considerato lui, con un sorriso divertito.
“Va bene, ma
chiederemo un permesso al Divino Bragi, nessuna folle scalata per
l’albero,
giro improbabile di ascensore o fiumi mortali” aveva
stabilito Astrid. “Non
dovremmo comunque raccogliere i legni per fare il … ehm
… ring?” aveva chiesto
Jason, ricordando quella parte fosse integrante nell’accordo
con Vali.
“Tu non ci pensare neanche, Jason caro. Nessuno
può avere un lascia passare per
il Regno dei Giganti, probabilmente solo Magnus Chase, ora come
ora” lo aveva
avvertito Madina.
“Fai tu con Richard, Mel, visto che sei praticamente un
professore di storia”
era intervenuta Astrid, “Dovresti essere capace nel vincere
un combattimento
contro un quarantenne ubriacone” era intervenuto Fred.
“Parla così solo perché
è finito al nostro piano anziché quello destinato
ai crociati” aveva
ridacchiato la ragazza dai capelli scuri. “Sono finito sul
vostro piano solo perché
noi siamo lo scarto della società norrena” aveva
risposto piccato Fred.
Jason si era lasciato un sorriso vedendoli interagire.
“Questo non mi era
mancato per nulla” aveva squittito Madina, invece,
“A me sì!” aveva replicato Mel,
sorridendo.
Astrid aveva tirato la guancia del suo amico crociato con un
pizzicotto, senza vergogna;
“Sai, vero, che anche dormire sulla graticola di San Lorenzo
sarebbe meglio che
voi” aveva risposto acido Fred.
Gli altri lo avevano tranquillamente ignorato, Mel aveva riso con un
certo
divertimento, prima di rispondere: “Tranquillo, Fred. Io e il
qui presente
Stellan lasceremo il Re di Inghilterra in mutande – letteralmente.”
“Non mi farai combattere nell’Holmagang,
vero?” aveva chiesto l’elfo, quasi
spaventato, nonostante prima lo avesse proposto lui stesso.
“Oh, no, fidati di
me! Sarà fantastico” aveva esclamato con occhi
luccicanti Mel, alzandosi dal
suo letto per recuperare da sotto il letto un altro baule, che aveva
aperto,
sbirciandosi dentro Jason aveva riconosciuto un paio di lame.
“Poi quella agitata sono io, sì” aveva
scherzato Madina.
“Morire
prima di un holmagang è una legittima scusa per evitare
l’infamia di nithigir”
aveva detto Astrid, guardandolo bene. Jason stava raccogliendo, da
terra, tutti
i disegni relativi ai templi che aveva cercato di progettare negli
ultimi
giorni.
“Cercherò comunque di non morire”
l’aveva rassicurata Jason, tenendo i fogli in
bilico, per raggiungere la cassapanca dove andavano riposti.
Astrid lo aveva guardato ancora, prima di sollevare appena
l’angolo della bocca
in un piccolo sorriso: “Questo non vuol dire che non
cavalcherò fino a Gjallarbru
per ripescare la tua anima da Hellheim”
aveva asserito lei, nella voce
non c’era stata nessuna particolare inflessione, ma Jason
poteva sbirciare il
sorriso timido.
“Senza molta originalità: non so cosa voglia dire
lo sai … ma credo potrei
farmi un’idea” aveva considerato Jason.
“Lascerò la tua fantasia galoppare”
aveva asserito Astrid, mentre li dava le
spalle, per osservare con curiosità le fotografie sul
caminetto di Jason. Si
era soffermata su quella che riguardava lui e Piper. “Direi:
Porta degli
inferi” aveva provato il figlio di Giove.
“Qui, siete carini. Sembrate proprio una bella
coppia” aveva considerato
Astrid, “Lei è come me?” aveva chiesto
Astrid voltandosi.
“Skraeling? A metà tra due mondi? Forte e
combattiva?” aveva chiesto retorico
Jason, “Comunque, no. Nessuno è come
lei” aveva dichiarato Jason, senza
cattiveria.
Astrid si era voltata verso di lui, stranamente aveva un sorriso,
“Ne sei
ancora innamorato?” aveva valutato.
“Io penso lo sarò per sempre”
aveva ammesso Jason, non sentendo menzogne
nelle sue parole. Astrid aveva inclinato il capo, facendo oscillare le
trecce,
“Forse sì, forse no. Certi amori bruciano
più della fiamma di Lopt … certi
sbiadiscono come stinge la memoria” aveva considerato lei.
“A te non è successo” aveva valutato
Jason; era stato dal modo in cui l’aveva
detto, da quella melanconia che Jason pensava di conoscere bene.
“Non so di
cosa stai parlando” aveva replicato Astrid senza battere
ciglio, “Ieri hai
parlato di un tuo amico che viveva sotto le stelle
…” aveva cominciato lui, che
aveva avuto probabilmente l’accusa di nithigir.
Astrid lo aveva interrotto, “Sono venuta a portarti
questa” aveva
dichiarato, allungando verso di lui una giacca di pelliccia, era di un
grigio
scuro con macchie scure – non aveva idea di che animale fosse
– lunga
almeno fino ai fianchi.
“Non sono i pantaloni villosi di Ragnar Lothbrok, non possono
resistere al
veleno di un lindworm ma sono incantanti
affinché possano tenerti al
caldo dall’inverno di Jothueim” aveva stabilito lei.
“La maglia interna è irrobustita dai capelli di
mia nonna Sif e le cuciture
delle maniche dai capelli d’oro di Freya” aveva
spiegato Astrid.
“Creazione di tuo padre?” aveva chiesto Jason,
“Una parte. Una parte invece è
opera di uno stregone” aveva raccontato. “Pensavo
che come Einherjar non
potessi percepire il freddo” aveva considerato Jason,
raccogliendo la
pelliccia.
“Non a Jotunheim” aveva detto lei.
Jason aveva
raccolto la pelliccia, era morbida, ma non sembrava molto pesante, ma
anche
solo nel toccarla aveva sentito una scarica elettrica pervaderlo.
Sentiva la
magia, la sentiva chiaramente. Si era seduto sul suo divanetto davanti
al
camino, continuando a passare il palmo sulla pelliccia morbida,
trovandolo
quasi rilassante.
Astrid si era seduta accanto a lui, “Non è senza
pagamento” aveva determinato
lei; Jason aveva aggrottato le sopracciglia,
“Dimmi” aveva dichiarato alla
fine, oggettivamente stupito. Astrid lo aveva guardato con
serietà, con gli
occhi acquamarina freddi ed intensi, “La runa che hai preso
da Asluag” aveva
dichiarato lei.
Quando avevano lasciato le stanze di Kráka, Astrid aveva
recuperato tutte le
tessere proiettile che la volva aveva sparato in giro per la stanza,
meno
quelle che erano rimaste sul tavolo – erano comunque una
profezia – e quella
che aveva lui.
Jason aveva infilato una mano nella tasca dei sui jeans, aveva sentito
prima il
calore ribollente di Giunone, poi aveva cercato ancora trovando la
tessa. C’era
potere, era meno di quello della sua moneta, ma c’era
comunque, era più
elettrico, meno ribollente.
Giunone sembrava un esplosivo, una miccia infuocata che aspettava di
esplodere,
mentre la tessera era meno ribollente. Più intrigante. E di
qualche modo più
pensante, d’altronde aveva senso, agli occhi di Jason, quella
era la scrittura
del destino.
“Eccola” aveva detto, dandola ad Astrid. La tessera
era di legno lucido, trattato,
un lato era liscio e levigato, mentre l’altro aveva
un’incisione rubricata
sopra, sembrava una N, sebbene le due barrette
laterali fossero
notevolmente più lunghe.
“Cos’è?” aveva chiesto Jason,
incuriosito, “Halgaz” aveva
dichiarato
Astrid, “Non so leggere le Rune nella maniera di
Kráka, le leggo come una
persona informata. Loro sono il linguaggio della natura, della magia
…” aveva
cominciato lei, prima di un sospiro: “Però conosco
i significati, non posso
tirare fuori una profezia ma posso dirti che cosa
significano. Halgaz ha
più di un significato …Grandine,
per esempio; un altro è Rottura,
intesa come Cambiamento” aveva
considerato Astrid, la sua voce si era
dipinta di un tono lugubre.
“Direi calzante” aveva considerato di rimando lui,
“Visto che, ecco, … stanno
succedendo cose fuori dal preciso programma del Ragnarok …
oltre che, be, me”
aveva dichiarato Jason. Anche lui era abbastanza esterno al tracciato,
probabilmente.
Astrid aveva guardato la Runa e l’aveva restituita a Jason,
lui non aveva
compreso bene perché, ma aveva accettato la tessera
indietro. “Bene, cambiati,
adesso andiamo a mangiare così potremmo fare anche questa
cosa il prima
possibile e tornare ad occuparci di Vali” aveva considerato
Astrid,
sollevandosi dal divano con un movimento fluido. Il suo tono,
nell’ultimo
commento, era stato distaccato, rispetto quanto prima.
“Grazie mille” le aveva detto Jason, rimettendo a
posto la runa nella sua tasca.
“Oh, prego. Non morire” si era sentito rispondere.
C’era
un’aria diversa nella Sala dei Caduti. Jason lo aveva capito
appena messo piede
nella stanza, un brusio sommesso, che veniva soffocato a malapena
dall’arpa di
Bragi, che aveva deciso di allietare la stanza.
Probabilmente stavano ancora tutti parlando del tentativo di invasione
avvenuto
quel giorno, eppure nessuno sembrava aver notato troppo Stellan ed il
suo
elmetto con la runa.
Jason con indosso la pelliccia calda e stranamente non ingombrante di
Astrid,
aveva raggiunto i suoi amici.
“È quello” stava farfugliando Fred
nell’orecchio di Mel, mentre con gli occhi
cercavano qualcosa alle spalle di Jason – probabilmente
Riccardo Cuor di Leone.
“Oh, stai proprio bene” aveva detto Madina con un
sorriso divertito, anche lei
si era cambiata, indossava dei pantaloni lucidi ed una giacchetta
leggera,
“Pensavo che Jotunheim il clima fosse mortale”
aveva considerato Jason,
ricordando il breve incidente con l’ascensore.
“Oh sì, ma io non lo sento. Vantaggi
dell’essere figlia di Ullr” aveva
scherzato lei.
Jason aveva annuito, “Allora come andiamo? Con
l’ascensore?” aveva chiesto poi
Jason.
“Noi sì” aveva replicato Astrid,
“Sì, ecco, il fantastico permesso di Bragi, in
vece di Odino” aveva dichiarato Fred facendo oscillare un
bellissimo foglio di
pergamena.
“L’Ascensore è la via
ufficiale” aveva dichiarato Madina, “Ma io ho
… premuto
il tasto per lì” aveva ricordato Jason, giusto il
giorno prima, assieme ad
Astrid.
“Il Wyrd” aveva commentato
Madina – anche Mel aveva usato quella stessa
parola, in precedenza – guadagnandoci
un
cinque con il suo fidanzato. “No, sì, le porte
sono sempre apribili, ma se tu
lo prendessi suonerebbe di nuovo l’Olifante e poi avreste una
squadriglia di
valchirie alle calcagna” aveva spiegato Astrid.
“Possiamo provare con le lavatrici? Con una sono arrivata ad
Asgard” aveva
proposto Jason, non sapeva bene come arrivare nella terra dei giganti,
visto
che sapeva solo quella che giungeva verso la terra.
“Oh, sì. Sarebbe una buona idea, ma prima dovremmo
… sapere dove è di preciso
Jarnsaxa” aveva considerato Madina.
“Nessuno di voi due è abbastanza vichingo
per farlo” aveva sentenziato
Fred, senza particolare brio. “Le abilita di navigazioni
delle acque magiche
sono difficile anche per gli uomini scandinavi abituati a
farlo” aveva tradotto
Astrid, “Persino io farei fatica. Ed avevo nove anni quando
ho attraversato
l’Atlantico” aveva raccontato lei.
“Perché il Romano ci sta guardando?”
aveva interrotto il flusso del discorso
Mel, attirando la loro intenzione, mentre indicava con un coltello
verso un
tavolo. Jason aveva seguito lo sguardo, voltandosi, alle sue spalle
c’erano i
due guerrieri della mattina, seduti ad un tavolo non lontano: Esben il
Variago
e il Figlio-di-Pluto. I due commentavo a mezza bocca prima di tornare a
guardare verso il loro tavolo. “Calmati Mel” si era
introdotta Astrid, “Il suo
amico ha una cotta per me, credo” aveva detto. “Una
volta ci hai litigato,
vero?” aveva domandato Madina, grattandosi sotto il mento;
“Come con chiunque
si dica fieramente figlio di Roma! Lo ho anche ucciso, asciata nel
collo, molto
divertente” aveva raccontato con gaudio Thumelicus.
Jason aveva fatto saettare lo sguardo verso Astrid, lei aveva
ricambiato la sua
occhiata, “Ritorniamo all’imminente problema
chiamato Jotunheim? Oppure a non
andare” aveva attirato l’attenzione la skraeling.
Quel commento aveva fatto tuffare il tavolo nel silenzio.
“Potreste
sedervi su Hilthskjalf” aveva considerato
Stellan, introducendosi nel
discorso, fino a quel momento era rimasto in religioso silenzio.
“Intendi il Trono
di Odino, su Asgard?” aveva chiesto retorica
Madina, “Quello da cui è
possibile vedere ogni cosa” aveva risposto Stellan. Jason non
la riteneva un’idea
molto oculata, non se il Padre-Tutto era geloso del suo trono quanto lo
era il
suo buon padre.
Il loro discorso era stato introdotto dalla presenza di Thrud, che si
era
avvicinata verso di loro, con due vassoi in mano, piene di ciotole
fumanti.
“Zuppa di Porri per voi” aveva dichiarato subito
lei, posando le ciotole, “Boudicca
ha uno strano senso dell’umorismo … in
realtà ci sono anche un po’ di patate”
aveva dichiarato.
Jason l’aveva guardata attentamente, “Puoi sederti
con noi?” aveva chiesto.
Thrud non se lo era fatto ripetere due volte, accomodandosi al suo
fianco,
immediatamente, dando un colpo a Stellan per farlo spostare.
“Ho dovuto pelare
patate tutto il giorno – un po’ sono in quella
zuppa assieme alla mia pelle”
aveva ridacchiato quella, facendo oscillare le trecce grano ardente
spesse.
Un’altra valchiria era passata da quelle parti, dando uno
sguardo pregno di
veleno a Thrud che si era seduta lì con loro. Fred
l’aveva fermata per
prendersi una bella coppa di vino caldo speziato, anche Jason lo aveva
imitato,
ma aveva preferito dell’acqua – nonostante non
potesse avvelenarsi con il vino.
“Per le tette di Freya, Jason, che splendida mis che
indossi” aveva scherzato
la valchiria, tirando un ciuffetto della pelliccia.
L’invocazione aveva avuto l’effetto collaterale di
far arrossire – bluire?
– violentemente Stellan e far sbiancare Fred, che di rimando
si era fatto anche
un segno della croce.
“Di questo volevamo parlarti” aveva rivelato Jason.
Madina aveva aggrottato le
sopracciglia, confusa, forse chiedendosi perché Jason fosse
così aperto con una
Valchiria, praticamente uno dei seguici di Odino. “Dobbiamo
trovare la jotun
Jarnsaxa” aveva detto il figlio di Giove, omettendo di citare
jotunheim, anche
perché non era detto, in fin dei conti, che dovessero
arrivare fino alla terra
del gelo.
Thrud aveva chinato il capo, “Oh, interessante …
Volete il suo indirizzo di
casa?” aveva chiesto Thrud. “Tu … lei
… sa dove abita?” aveva chiesto Madina.
“Oh, certo. Vostra madre non vi ha mai mandato a spiare a
vostro padre e la sua
amante? La mia sì ed ha mandato anche un sacco di volte tuo
padre” aveva
raccontato Thrud con nonchalance, ammiccando a Madina.
Astrid aveva inclinato il capo, “In effetti … una
volta, ma non era la sua
amante, era solo Freydis” aveva risposto neutra. Mel aveva
riso di gusto, anche
Jason aveva sorriso, sebbene non fosse sicura che quella fosse una
battuta.
“Lo sapete però che la cara vecchia Jarnsaxa vive
a Jotunheim?” aveva chiesto
Thrud.
Madina si era morsa un labbro, “Ne avevamo un vago
sospetto” aveva ammesso, con
espressione fintamente innocente.
“Oh, è avete anche un piano per
arrivarci?” aveva chiesto divertita la
valchiria, “Lavatrici?” aveva proposto Jason. Lei
aveva riso, “Va bene, vi darò
una mano a raggiungere il mondo dove non dovreste andare …
Ma sfortunatamente
non posso venire con voi – il nonno vuole parlarmi”
aveva dichiarato Thrud
lanciando uno sguardo alla tavolata principale. Il seggio di Odino era
vacante.
“Thrud,
tu
sai leggere le Rune?” aveva chiesto Jason,
“Chiaramente so leggere le rune, ma
non so leggere il linguaggio dell’universo!
Io con
il Seidr e la Magia Runica non voglio averci niente a che fare. Pugni
crudi e
fulmini” aveva rimbeccato lei subito.
Jason aveva scosso il capo, mentre sistemava meglio sulla spalla il
laccio
della bisaccia, con il cibo che aveva riempito, per il viaggio.
Thrud aveva dato loro appuntamento un’ora dopo il pranzo,
così potevano
sistemare tutti quello che serviva loro. Jason aveva recuperato del
cibo, dalle
cucine, con la gentile assistenza di Mel – anche in quel caso
avevano dovuto
evitare un paio di coltellata dalla Signora della Cucina – e
per la prima volta
la compagnia del suo vicino di stanza non lo aveva rassicurato.
Jason aveva cercato di fare un po’ di conversazione in
riferimento al
Figlio-di-Pluto. “Non c’è nulla
da dire. Odio i Romani, in particolari
quelli che adorano riempirsi la bocca sulla grandiosità di
Roma … e Roma non
l’hanno neanche vista con i loro occhi. La vera
Roma” aveva ottenuto
come risposta.
Jason si sentiva davvero uno di loro, ne era sempre stato felice, ma
aveva
percepito per la prima volta la vergogna per quel sentimento, nelle
parole di
Mel, piene di rancore ma anche annegate nella tristezza.
Madina era
tornata dalla sua stanza, con un paio di scii allacciati alla schiena,
assieme
ad un arco. Faretra e frecce legate alla vita. Aveva anche un pugnale
allacciato alla coscia. L’indomabile massa di riccioli neri,
erano stati
sistemati in una treccia leggermente ordinata, che tagliava la schiena
dritta
come una spada.
“Degna di una figlia di Ullr” aveva considerato
subito Thrud, osservandola,
c’era della vaga ammirazione nella sua voce.
“Grazie” aveva cinguettato Madina, pienamente
soddisfatta di quel complimento.
“Allora fanciulli, ho impiegato quest’ora per
recuperare qualcosa dalla
biblioteca della mia nonnastra … Non ho
potuto prendere tutte le
pergamene che riportavano Jotunheim, ma ho preso quello con la casetta
della
sg…amante di mio padre” aveva esordito Thrud,
prima di infilare una mano
nell’orlo dello scollo e tirare fuori un foglio di pergamena,
piegato.
“Grazie” aveva detto onesto Jason.
“Adesso prenderemo un fiume per Jotunheim … ma
come ho detto, il nonno mi
vuole. Comunque, voglio che se sappiate che se dovessero scoprirvi: io
non vi
coprirò e, soprattutto, vi svenderò come un
stoccafisso appena pescato” aveva
dichiarato subito Thrud.
“Non mi aspettavo diversamente” aveva replicato
Madina, senza perdere neanche
un centimetro del suo sorriso.
“Perfetto, andiamo” aveva attirato nuovamente
l’attenzione su di se la
valchiria, schioccando anche le dita, prima di imboccare la strada per
la
direzione opposta all’ascensore.
Jason l’aveva guardata titubante, ma aveva deciso di
seguirla. Madina però, in
un gesto inconsulto, lo aveva preso delicatamente per un braccio.
“Sei sicuro?
Possiamo aspettare per la profezia” aveva valutato lei, il
suo tono non tradiva
nessun nervosismo, non era preoccupata per sé stessa, ma per
… lui.
“Se stanno accadendo cose fuori dall’ordinario, una
profezia potrebbe non
servire e … inoltre, io non so se ho tempo” aveva
valutato Jason, lasciando
sfuggire la malinconia.
Madina aveva sorriso, “In realtà nessuno di noi ha,
davvero, tempo.
Sembra assurdo detto da una che vive da secoli in un hotel dove non si
può
morire, ma, ehi, la fine è inevitabile – e non
solo perché lo dice la Vǫlva.
Come è che si dice, Jason? Cogli l’attimo!”
aveva esclamato lei, con un
sospettoso divertimento nella voce, Jason aveva scosso il capo
sconsolato e si
era limitato a seguire le due donne.
“…Quam minum credula postero”
aveva bisbigliato tra sé e sé.
Thrud aveva
fatto prendere loro le scale nascoste, come quelle che aveva preso nel
mattino
con Mel. Solo per raggiungere la lavanderia avevano dovuto prendere una
scala,
quasi infinita … nonostante fossero partiti solamente dal
ventesimo piano.
Una volta Annabeth le aveva detto che l’Olimpo si trovava al
seicentesimo piano
dell’Empire State Building, si chiedeva, se da percorrere a
piedi, la
sensazione che si provava fosse vagamente simile.
Avevano raggiunto il piano dedicato alla Lavanderia con più
tempo di quanto
Jason avesse preventivato, ma almeno erano riusciti ad evitare Askr
quella
volta.
Avevano raggiunto la stanza delle lavatrici ed ancora una volta Jason
si era
dovuto dichiarare confuso ed atterrito da quell’immagine
parete di oblo
lucenti.
“Allora … allora” aveva considerato
Thrud, sollevando l’orlo della manica della
sua maglietta, che indossava sotto l’armatura a lamine. Sul
polso era scritto
qualcosa, anche se in runico. Jason aveva aggrottato le sopracciglia,
“Non
posso ricordare mica tutte le porte. Il Valhalla ne ha troppe e la
terra dei
Giganti non è la mia meta preferita di vacanze” si
era giustificata lei.
Madina aveva ridacchiato della battuta, “Allora: Lavatrice
Otto in altezza e
dodici in lunghezza” aveva dichiarato lei, prima di crucciare
il viso, “Questo
sarà complicato. La lavatrice si collega ad uno dei bracci
dell’Ǫrmt,
uno dei fiumi che corrono verso Asgard. È uno dei quattro
che mio padre deve
prendere al posto del Bifrost sennò prenderebbe
fuoco” aveva cominciato a
raccontare Thurd, prima di fare un movimento con la mano, per scacciare
il
pensiero, “Comunque mio padre lo prende, casualmente, ogni
volta che deve
ritornare da Jarnsaxa” aveva dichiarato quella.
“dovremo guadare il fiume come Salmoni” aveva
considerato Madina.
“Cosa che potrebbe non essere
semplice
senza la barca pieghevole di Frey, o quella di unghia di Hel o
… anche solo un
Drakkar” aveva dichiarato Thrud.
Madina aveva arricciato le labbra. La giovane dea aveva roteato gli
occhi,
prima di posarli su Jason, “Forse, sareste molto
più fortunati se aveste una
forza tempestosa al vostro fianco” aveva dichiarato lei.
Jason era confuso.
Thrud gli stava chiedendo di usare i suoi poteri per darsi la spinta? O
di
invocare Kym?
E se fosse stato la seconda, Kym avrebbe avuto potere sui fiumi sacri
norreni?
“Preghiamo una delle nove onde?” aveva chieste
Madina, “Magari una tempesta vi
risponderà. Cercherò di darvi una bella spinta
io. Sono una figlia di Thor ed
una valchiria, vento e fulmini mi sono amici” aveva
considerato quella, “Metti
anche una bella centrifuga” aveva provato Jason.
“Che bello, inizi ad avere del senso
dell’umorismo” aveva detto Thrud, prima di
avvicinarsi ed abbracciarlo,
“Per-favore-non-fare-altri-danni” aveva
bisbigliato, prima di sciogliersi ed abbracciare anche sua nipote.
“Mi fido più
di te che di lui” aveva dichiarato Thrud, lasciandole la
mappa.
“Mi raccomando fate attenzione. Sarete a Jotunheim quando non
vadrete più acqua
sopra di voi, ma ghiaccio. Non così forte che due einerjhar
non possano
spezzarlo ma ecco … non credo che potreste morire
assiderati, ma non mi
sbilancerei, sicuramente però, se non sarete veloci, la
corrente potrebbe
riportarvi ad Asgard. Dritto nelle sale degli dèi”
aveva chiarito la valchiria.
Jason aveva
sistemato la scala, piuttosto sbilenca, per raggiungere
l’oblo che Thrud aveva
indicato. Aveva aperto lo sportelo e si era infilato nel cilindro,
Medina lo
aveva seguito subito e si erano acquattati l’un
l’altro, nell’azione, Jason era
stato colpito dritto sulla tempia da uno degli scii della sua amica.
“Mi
dispiace!” aveva dichiarato subito lei, mortalmente
preoccupata. “Tranquilla,
non è peggio della volta che mi hanno tirato un
mattone” aveva risposto lui.
Thrud aveva cominciato a trafficare con i programmi della lavatrice,
“Ora vi
metto un po’ di spirti nei venti al muschio” aveva
asserito la valchiria, prima
di chiudere l’oblo alle loro spalle. Madina era stata colpita
sul fondo della
schiena e la ragazza era finita diretta su Jason, urtandolo con la
testa sul
naso. “Scusa ancora!” aveva trillato,
“Sì, non credo che queste porte siano
progettate per due persone” aveva considerato lui.
“Oh, be, non con le mie
gambe lunghe e tu con i tuoi muscolacci” aveva ghignato lei,
senza vergogna.
Jason aveva riso, “Sono un po’ nervosa, non ho mai
viaggiato tramite fiume
divino senza … be, senza una barca” aveva detto
lei, mentre l’acqua cominciava
a filtrare e riempire lo spazio.
“Fa schifo” aveva assecondato Jason, onesto.
L’acqua aveva raggiunto il suo mento, quando il cilindro
aveva cominciato a
girare, l’attimo dopo non c’era più
niente alle loro spalle solo acqua
ripidissima e fredda.
Una spinta forzuta alle loro spalle gli aveva sparati come proiettili
in
avanti, finendo però schiacciati dalla forza ripida
dell’acqua stessa.
Jason con fatica, i polmoni infuocati e gli occhi aperti in due
spiragli
appena, si era allungato per afferrare la mano di Madina.
Oh! Kym ti prego! Aveva supplicato Jason, con gli
occhi chiusi e le
labbra serrate. Una spinta alle loro spalle era venuta a dar forte ai
venti che
aveva Thrud aveva dato loro.
Davvero Kym? Aveva pensato.
Jason si era sforzato di aprire gli occhi, ricordandosi di dover vedere
il
ghiaccio sulla sua testa, ma vedeva solo luce, violenta luce.
Si era avvicinato alla superficie, per un secondo, aveva sentito
infiniti
sussurri portati dalle acque, come milioni di voci insieme.
“Così, tu è quel…
che cos’è esattamente?” Jason
aveva riconosciuto la
voce di Fred.
“Problemi, ecco cosa è … Poi
lo sai no, ho ancora …Erik” la voce di
Astrid era stata molto più lontana, infinitamente, aveva
perso il momento.
Jason aveva
tenuto sollevato lo sguardo verso la superfice, mentre un cielo di luce
lampeggiante e macchie blu scorrevano feroci sopra la sua testa.
Nessun
accenno di ghiaccio. Solo cielo e correnti ruggenti che virano contro
di loro.
Jason aveva tenuto strettissima la mano di Madina, spaventato all'idea
di
perderla.
Le correnti
fredde e frastornati lo avevano costretto a chiudere gli occhi, aveva
avuto non
poco fastidio nel riaprirli, aveva intravisto nel letto del fiume
ancora una
volta armi dorate che avevano riflesso la luce del mondo.
Per un
secondo, uno solo, aveva avuto la tentazione di allungare una mano e
afferrare
un'elsa di vibrante oro.
Non lo aveva
fatto; la corrente brutale lo aveva riportato verso la superficie.
Anche questa
volta, come l'ultima aveva sfiorato con la testa quella che aveva avuto
l'impressione fosse una boa pelosa - per quanto sembrasse assurdo anche
solo
pensarlo.
"Curioso
come oggi tu sia in ritardo e ieri tu fossi così ansioso di
andare via"
"Mi perdoni
mio signore Mimir"
La voce era
sembrata così cupa da aver lasciato anche su Jason, che
l'aveva sentita lontana
come un eco attraverso le rapide, un profondo senso d'angoscia.
"Sarò
onesto, figlio di Frey: ci aspettano tempi ... sconosciuti"
aveva
detto ancora la prima voce, quella di Mimir, apparteneva ad un uomo,
maturo,
cavernosa e profonda, ma terribilmente lontana ormai da Jason. La
risposta che
Mimir aveva ottenuto era stata un semplice e vago suono distorto da
fiume.
Le correnti
avevano virato con forza in una direzione e quelle dell'Ǫrmt si erano
fatte più
portentose, quasi schiaccianti, ma ciò che maggiormente
aveva preoccupato Jason
era stata Madina.
La sua amica
aveva cominciato ad agitarsi inspiegabilmente, come scossa da
convulsioni,
forse era stata la lunga mancanza di aria.
Jason l'aveva
afferrata per tenerla stretta, spaventato. Gli occhi di Madina erano
spalancati
ma non vi era iride, solo bianca sclera.
Aveva tenuto
stretta la sua amica, contro il suo petto, con un braccio e con vigore
aveva
teso l'altro ... non aveva mai evocato il vento sotto l'acqua, aveva
solo
respirato Dylan, una volta, quando aveva incontrato Kym.
L'Acqua
apparteneva a Nettuno e suo zio non era un uomo generoso con i suoi
nipoti. Ma
nonostante l'aiuto di Kym, quelle acque non rispondevano a nessuno, se
non al caos.
I venti come
cavalli marini, le correnti, gli avevano risposto.
Avevano dato
la spinta che serviano a Jason ed una bolla d'aria per Madina e poi il
suo
soffitto aveva smesso di essere intessuto di luci e voci ma si era
aperto in
una rigida coperta di bianco.
Era
Jotunheim.
Aveva
sollevato una mano ed aveva realizzato di non poter invocare alcun
fulmine, o
Madina sarebbe morta folgorata, forse i venti, aveva pensato.
E poi aveva
sentito Haglaz pesante nella sua tasca.
La rottura.
Aveva
ignorato Panikpak appesa alla sua cintola ed aveva afferrato Giunone,
senza
lancio l'arma si era comunque trasformata in un gladio a Jason era
bastato che
la usasse per colpire il ghiaccio, attraversata da giusto un impulso
elettrico.
Il ghiaccio
si era rotto e Jason aveva approfittato dello squarcio per potersi
aggrappare
ed issare con Madina. Le correnti alle loro spalle si erano assopite
lasciandoli in balia delle vampate opposte.
Con fatica
si era tirato fuori dal ghiaccio, lanciando malauguratamente Madina via
da lui.
"La prossima volta una barchetta" aveva commentato Jason, tremolante
...l'aria di Jotunheim era davvero algida. Aveva sentito un calore,
dalla
pelliccia pervadere il suo corpo.
Madina si
era tirata su, il freddo del regno dei giganti doveva averla
rinvigorita.
"Lo hai
sentito?" aveva chiesto Madina, il suo tono era agitato e pregno di
preoccupazione. "Fred? Mimir?" aveva chiesto Jason
incerto,
non era neanche sicuro della correttezza del nome che aveva detto.
"Mimir?
No! Odino!" aveva replicato Madina; Jason aveva
scosso il capo dopo
aver aggrottato le sopracciglia. "Odino e le Norne!" aveva dichiarato
subito la figlia di Ullr, "Hanno... hanno detto che una tavola del
destino
si è scheggiata".
Allora,
eccomi, come ho detto: questo capitolo
è stato molto “Whaaat” rispetto al
precedente, perdonatemi. Presto, avremo la
profezia, lo prometto.
Ci ho messo una vita intera ad aggiornare, ma perché nelle
vacanze natalizie
mentre tutti sono felici, io lavoro, anche se oggi mi sono goduta
almeno il
natale.
Yeah.
Come sempre, ringrazio Farkas ed Edoardo 811, sul serio mie giovani
fanciulli,
chi ve lo fa fare? Grazie di cuore.
Prima di abbandonarvi vi lascio:
MADINA:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Madina-Ullrdottir-901404232
THRUD
(Il mio soggetto preferito): https://www.deviantart.com/rlandh/art/Thrud-Thordottir-900845244
STELLAN:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Stellan-Brightflower-900844375
Inoltre,
sotto consiglio di Farkas, ho stilato
una lista di tutti i personaggi apparsi/citati fin’ora
(cioè in realtà ho
dimenticato i servi di Frey):
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Jason-Grace-and-the-barbarians-Until-Now-901414722
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Capitolo 10 *** Il destino dei Nove Mondi può essere sull’orlo del collasso, ma il Karma non perde mai un colpo! ***
Eccomi
tornata.
Spero abbiate passato tutti buone vacanze, le mie lo sono state circa,
all’insegna
del lavoro.
Scusate per un capitolo no-sense, vorrei riuscire a scrivere
più velocemente e
non essere così vacua, ma sembra impossibile per me. Siamo
al capitolo 10, nessuna ombra di profezia, nessun cinghiale. Niente.
Comunque, come sempre, grazie a chi segue/legge/ricorda/preferisce e a
chi
recensisce. Un grazie di cuore a Farkas, chi ti fa subire questo
strazio?
Un bacio
Buona Lettura!
Il destino dei
Nove Mondi può essere sull’orlo
del collasso, ma il Karma non perde mai un colpo!
“Le
Norne incidono
il destino degli uomini su delle tavole, realizzate dal legno
dell’Yggdrasil.
Se una tavola si scheggia … ecco, sembra una cosa piccola,
ma sembra, proprio,
un segno di malaugurio” aveva dichiarato Madina, mentre
avanzavano nella neve.
Mentre Jason affondava ad ogni passo, lei sembrava immune alla gravita,
saltellando quasi come una fata, mentre teneva tra le mani la pergamena
che
Thrud le aveva dato.
Jason aveva guardato gli scii appesi alle spalle delle sua vicina,
“Quando eri
ad Idavoll, noi abbiamo notato una cosa” aveva esordito
Jason, riportando a
Madina la loro preoccupazione.
La scomparsa del cinghiale aveva segnato un punto mai successo prima.
Una deviazione dall’ordinario.
“Ecco sì, l’inizio di un ciclo diverso,
assieme a … be, la tavola che si
incrina e … quello che ha detto Mimir” aveva
considerato lei.
Tempi sconosciuti … aveva considerato
Jason, che aveva raccontato alla
ragazza, anche quello che i sussurri avevano portato a lui. Inoltre,
aveva
scoperto che a quanto pareva la sua boa pelosa, era il retro della
testa di un
dio senza corpo.
Non doveva più stupirsi.
“Potrebbe essere cominciato un nuovo ciclo? Sarebbe assurdo,
no? Però, ora che
ci penso, Kráka
aveva detto che … non aveva ricevuto
più sogni” aveva considerato Madina.
“Speriamo sia tutto … una brutta
coincidenza” aveva dichiarato Jason, ma non ci
credeva molto neanche lui. “Quando mai lo
è?” aveva chiesto retorica Madina,
voltandosi verso di lui con un sorriso raggiante – non
sembrava minimamente
preoccupata dell’eventualità della nascita di
quella rottura.
“Ciò che mi da pensare però
… è il momento” aveva dichiarato
Madina, prima di
portare gli occhi sulla mappa, “Se si è scheggiata
la tavola e perciò si sono
persi il verro o il contrario?” aveva chiesto con una certa
confusione Jason.
“O …” aveva proposto.
Madina lo aveva guardato, “Non esistono coincidenze nel
nostro universo, tutti
è terribilmente deterministico, anche nel suo fuori
programma” aveva chiarito
lei, voltandosi verso di lui.
Jason aveva annuito.
“Quindi, quello che mi interessa è il rapporto
causa-effetto. Scompare il
cinghiale, perciò si incrina il cammino del mondo o
… il contrario?” aveva
chiesto Madina.
Jason ebbe una spiacevole sensazione … era anche lui parte
di quel sistema, era
una causa o un effetto. Era un’anima dell’Elisio
trapiantata nel Valhalla.
Forse la sua presenza era stata possibile a causa della scheggiatura
delle
tavole del destino, oppure la sua stessa presenza l’aveva
provocata.
“Potrei … potrei essere io”
aveva mormorato.
Sapeva di dover mantenere un profilo basso, ma questo era prima che un
ciclo
perfetto e ben organizzato da millenni cominciasse a cambiare.
“Non preoccuparti Jason, capita continuamente che figli di
divinità straniere
capitino qui. Pensa solo a Maes, il figlio di Pluto! O quello di
Perun” lo
aveva tranquillizzato lei, immediatamente.
Jason non era stato rincuorato, perché continuava a pensare
che lui era
arrivato prima, un giorno sì, ma un giorno prima rispetto la
sparizione del
cinghiale.
Un rumore,
un frusciare quasi sottile gli aveva distratti, erano scattati
entrambi, Madina
aveva incoccato l’arco pronta a saettare una freccia, mentre
Jason aveva
sfilato subito Panikpak; alle loro spalle si era materializzato un
lupo. Come
Jason affondava nella neve, per questo tre quarti delle zampe sparivano
nel
bianco, lasciando libero solo un corpo enorme con una pelliccia grigio
chiaro.
Era una creatura immensa, splendida, con un manto luminoso ed occhi
dorati come
coppe di champagne. Era il lupo che aveva salvato da Váli,
Jason ne era certo.
“Non sembra bellicoso” aveva constato Madina con
l’arco ancora incoccato, “Non
dovrebbe esserlo … è il Lupo mezzo-jotun che ho
salvato” aveva ammesso Jason.
Quello sentendosi preso in causa aveva inclinato la testa, in una
maniera quasi
buffa.
Madina non aveva comunque abbassato la freccia, mentre Jason aveva
fatto un
passo verso di lui, non molto abituato ad avanzare nella neve,
“Se ti apre la
giugulare morirai lo sai?” aveva domandato retorica lei. Il
Lupo aveva fatto un
balzetto verso di lui, facendo attenzione a non annaspare nella neve,
la sua
espressione era giocosa e divertita, dopo quell’azione, un
po’ più vicino a
Jason, aveva steso le zampe anteriori e sollevato il posteriore,
chinando il
muso, quasi nel farlo affogare nella neve, aveva infilato la coda tra
le gambe,
in un atto che pareva di sottomissione.
Jason aveva fatto un altro passo, avanzando, cauto, aveva allungato una
mano
mostrando il dorso, “Non vuoi azzannarmi la mano,
vero?” aveva chiesto.
“Se torniamo in tempo al Valhalla prima che si cicatrizzi,
potrebbe ricrescerti
immediatamente, oppure aspettare la prossima morte” aveva
esclamato Madina.
Ma Jason era certo, il Lupo non lo avrebbe morso.
Aveva sfiorato al testa del Lupo, aveva sentito il morbido pelo sotto
la sua
mano, nella zona tra le orecchie, il lupo si era spinto contro il suo
palmo.
“Sei amichevole, eh” aveva constato Jason, il Lupo
si era ritratto per un
secondo prima di rimettersi in posizione normale, facendo ondeggiare
felice la
coda. “Tranquillo per ieri, non è stato un
problema” aveva commentato Jason.
Il Lupo aveva avvicinato ancora la testa, per farsi accarezzare tra le
orecchie, cosa che lui aveva accettato di fare di buon grado,
“Sei un
coccolone, eh” aveva scherzato divertito. Il Lupo si era
prodigato nel lappare
la sua mano affettuosamente.
Aveva sentito alle sue spalle Madina ridere, con un certo gusto,
“Apprezzo
davvero che tu abbia trovato un nuovo amico” lo aveva
richiamato, aveva
abbassato le armi.
“Adesso dobbiamo andare, puoi venire con noi,
amico” aveva considerato Jason,
il Lupo si era allontanato, poi aveva inclinato il capo, prima di
volgere e
sparire via veloce in una serie di balzi, così come era
venuto.
“Strano?” aveva detto Jason, voltandosi verso
Madina. “Hai salvato un lupo
mezzo-jotun, Jason … ho l’impressione che lo
rivedremo” aveva esclamato la
ragazza mentre sistemava nuovamente freccia ed arco nella faretra.
Jason aveva guardato le tracce del lupo nella neve, esistevano solo
nella
direzione in cui era andato via e non ve n’erano in quelle in
cui era venuto,
come se fosse apparso dal nulla.
Magari era un potere da Jotun.
“Riprendiamo?” aveva chiesto Madina, poi, attirando
nuovamente l’attenzione di
Jason.
“Ci
siamo
quasi, comunque” aveva affermato Madina. Dopo
l’incontro con il lupo avevano
fatto il resto del viaggio in un silenzio tranquillo.
Davanti a loro era apparsa una casa, aveva una forma lunga, ma
piuttosto
stretta, la facciata era a capanna ed il tetto era fatto interamente di
fieno
La porta era l’unica cosa che spiccava, era di un legno
lucido e di classe, con
istoriato in oro, la rappresentazione dettagliata di una battaglia, ma
sopra,
attaccato con un chiodo c’era una tavoletta di legno chiaro,
con rune
scarabocchiate sopra.
“Uhm” Jason si era voltato verso Madina, in cerca
di spiegazioni, “Tipo un
incantesimo? Un avvertimento?” aveva chiesto.
Madina aveva
messo via la mappa, “Uhm … premettendo che ho
imparato a leggere le rune solo
qualche secolo fa e che so leggere il futhpark
recente e questo è più
complesso, essendo quello antico,
direi
che c’è scritto: Sono ad Utgard, viola la
mia proprietà e farò dei tuoi
genitali gioielli” aveva dichiarato Madina, allegra.
“Utgard?” aveva chiesto Jason,
“È il palazzo di Utgard-Loki, in un certo senso
è la capitale di Jotunheim” aveva risposto Madina.
Chi sa se era il Loki rappresentato nei film della Marvel, non
ricordava avesse
un nome così lungo; decise che quello non era la
priorità.
“Che facciamo?” aveva chiesto Jason allora,
“Oh, be, potremmo tornare indietro
o dare un’occhiata all’interno della casa, visto
che ci siamo già … almeno non
facciamo sprecare il viaggio” aveva considerato lei.
Jason aveva annuito, “Hai un piano per entrare?”
aveva chiesto, “Nel seno gli
Jotun sono stregoni, vero?” aveva chiesto lui.
“Sì, quasi tutti ma non tutti,
Jarnasaxa è una guerriera non credo che
si sia abbassata ad usare il seid” aveva
risposto la sua amica, facendo
le virgolette con le dita sull’utilizzo del seid.
“Pensavo fosse un potere da
donne” aveva considerato Jason, “No, il seid
è per tutti, viene lasciato alle
donne perché non è considerato virile e tal
volta, guarda caso, chi ne fa
utilizzo è visto in maniera piuttosto ambigua. Anche il
nostro buon signore
Odio Padre-Tutto pratica il Seid ma si guarda bene dal dirlo”
aveva risposto
onesta Madina.
Jason lo vedeva davvero ambigua, da quel punto di vista; Roma educava
all’onore, alla disciplina ma anche all’utilizzo di
ogni mezzo per la vittoria,
per la gloria.
Inoltre, nel poco tempo che aveva speso nel Valhalla, Jason aveva visto
Magnus
Chase utilizzare l’alf seid e da quel che sapeva lui, il
ragazzo era l’eroe del
momento.
“Non chiedere, non ha senso. Se potessi leggere il futuro e
praticare le magie
lo avrei fatto bendata, ho qualche potere, ma decisamente irrisorio
rispetto ad
altri” aveva dichiarato Madina, aveva mosso le dita, un
turbinio sottile di aria
si era avvolto intorno alle sue dita, con piccoli cristalli di ghiaccio.
“Controlli il vento!” aveva esclamato Jason,
ammirato, “Sì, ma non abbastanza
da richiamare i venti, controllare un cavallo d’aria come le
valchirie” aveva
detto demoralizzata la ragazza, sciogliendo il piccolo tornando.
Jason avrebbe voluto prenderle la mano e dirle che poteva insegnarle,
che era
sicuro di poterlo fare, ma aveva sentito nelle orecchie l’eco
delle parole di
Thrud.
“Dai, proviamo ad entrare” aveva rotto il silenzio
Madina, con un sorriso dolce
sul viso, avendo recuperato la sua abituale allegrezza.
Jason non
aveva avuto certezze della teoria di Madina, riguardo
l’utilizzo del seid da
parte di Jarnsaxa; però aveva cominciato a nutrire dei
dubbi, quando aveva
osservato che a bloccare il catenaccio della porta c’era un
semplice catenella
sottile come un nastro. “Oh!” aveva commentato
Madina, schiudendo le labbra.
“Immagino che non si rompa facilmente” aveva
valutato Jason, “No” aveva
constato Madina, prendendo la catena tra le mani,
“È come Gleipnir …
una
catena realizzata con elementi impossibili, viene dritta dalla forgia
di
Nidavellir. Ovviamente non è così resiliente”
aveva spiegato Madina.
“Come la catena che tiene il lupo Fenris
incatenato” aveva considerato Jason, ricordando
la nozione, non ricordava se venisse dall’Edda o dal Power
Point di Odino. “Sì
e no. Effettivamente il lupo era incarcerato proprio con Gleipnir
… ma adesso
hanno cambiato catena, anche le catene impossibili si
usurano” aveva dichiarato
nozionistica.
“E se il Lupo si libera, verrà il
Ragnarok” aveva dichiarato Jason. “Esatto, un
continuo rincorrere l’impossibile … fratture a
parte” aveva raccontato Madina.
“Se … ecco … la catena si è
usurata vuol dire che nonostante la forza è …
tecnicamente
distruttibile? No?” aveva domandato Jason, soppesandola con
le dita, era
leggera …
“Certo, magari se avessimo degli strumenti giusti credo
… magati qualcosa
forgiato a Nidavellir pure, oppure non so uno strumento
eccezionale” aveva
valutato lei
Leo avrebbe avuto sicuramente una soluzione più chiara e
pratica, oltre che
capace …
“Io …” aveva cominciato Jason,
“Tu?” aveva chiesto lei, “Ho
un’idea” aveva
ammesso alla fine Jason, dopo aver pensato al suo amico Leo.
“Non importa quanto improbabile sia il ferro … se
riscaldato diventa morbido o
una cosa del genere, vero?” aveva chiesto Jason.
“Oh, be, se riuscissimo a riprodurre il calore della fucina
di Nidavellir,
forse … ma si servirebbe anche qualcosa con cui romperlo,
oltre i tuoi bicipiti
si intende. Io ho un pugnale, che si difende benissimo, ma non
è una spada leggendaria,
neanche … Panikpak credo” aveva dichiarato.
Giunone, sì.
Però … se avesse tirato fuori Giunone
probabilmente avrebbe dovuto dire la
verità, o una parzialità di verità,
che era Romano o Greco, a Madina – la
fidanzata di Mel.
Aveva stretto la sua moneta in una mano, e poi aveva ricordato una
cosa. “Sotto
la pelliccia, c’è tipo una grata di oro fatto con
i capelli di Sif … anche
quelli sono opera nanica? Non erano stati fatti insieme a
Gullinbursti” aveva
dichiarato Jason.
“Sì, certo … ma sei sicuro di voler
fare a pezzi il cappotto di Astrid? Non so
se lo hai notato, ma ci tiene moltissimo alle sue pellicce”
aveva considerato
Madina.
Jason aveva strusciato le mani sul pelo morbido del suo vello,
ricordando come
per due giorni avesse continuato a fare storie per la pelliccia di
wapiti che
Mel aveva sporcato di sangue, per cui erano finiti per incontrare
Váli. “Non ci
avevo pensato” aveva considerato Jason.
“Sai quando arriviamo nel Valhalla, la stanza ci
dà tutto quello di cui abbiamo
bisogno, qualcosa che abbiamo avuto o qualcosa che abbiamo sempre
desiderato,
sai … e lei ha un sacco di pellicce” aveva
considerato Madina.
“Va bene” aveva valutato Jason,
“Però se avessimo un calore così forte
da
riuscirsi con la limonite o il tuo ferro?” aveva chiesto.
O la mia spada di Oro Imperiale.
“Be, Jason, io sono figlia dell’Inverno
… se il tuo padre misterioso fosse Logi
o una qualche divinità straniera legata alle
fiamme” aveva considerato Madina.
“No” aveva dichiarato Jason senza esitazione, poi
l’aveva guardata.
Madina era giovane, forse sua coetanea, con la pelle scura come il
pecan, alta
e flessuosa, con un’espressione buona, così buona,
che Jason credeva di averla
vista poche volte sul viso di una persona.
Frank.
Hazel.
Dakota.
“Non so se funzionerà” aveva dichiarato
Jason, incerto su come dosare le sue
parole, incerto di quella gentile fiducia che impropriamente Madina
stava
facendo dono, “… è qualcosa che sento
dentro che non so spiegare” aveva mentito
alla fine.
“Se non dovesse funzionare, ci prepareremo per
un’ulteriore bagno ghiacciato …”
aveva dichiarato lei, “Oppure mi schianterò sul
legno con gli scii …” aveva
aggiunto Madina con una punta di divertimento.
Jason le aveva sorriso, un pensiero si era affacciato su tutti gli
altri,
avrebbe voluto presentare Madina – ed anche Mel –
ai suoi amici.
Aveva preso
con le mani le catene, era leggera e sottile, aveva preso un respiro
profondo e
poi un altro ed un altro ancora, cercando di focalizzarlo, dentro di
lui, in
cielo.
Jotunheim era un altro regno, un altro mondo, non rispondeva alle
regole di suo
padre, ma c’era comunque un cielo sopra la loto testa e
così aveva raccolto
quell’energia, quella bolla e poi era venuto giù
dal cielo, una folgore degna
della potenza di Giove, e lì, la saetta aveva toccato la
catena, nel punto
preciso lasciato libero dalle sue mani e ….
La catena di cui era fatta non era di semplice metallo, che ad una tale
potenza
e calore si sarebbe fusa, ma aveva comunque arrossato uno degli anelli
tanto da
averlo reso malleabile. Aveva afferrato la catena da entrambi i lati
tirandola
con forza, prima che il freddo della terra dei giganti la solidificasse
ancora.
“Per la gloria degli Dei! Jason sei … quello era
un fulmine!” aveva gridato
Madina completamente strabiliata da quella azione.
“Sì … puoi darmi una mano?”
aveva esclamato di rimando Jason, mentre osservava il pulsante metallo
rosso
cominciare ad allungarsi, quasi come gomma.
Madina aveva raccolto Panikpak dalla sua cintola e l’aveva
fatta calare sul
metallo incandescente, la lama si era spezzata, ma anche uno un piccolo
frammento dell’anello, aveva finalmente avuto una piccola
apertura.
“Scusa!” aveva dichiarato lei
offesa, guardando i resti della spada di
ferro di palude, piena di vergogna. “Non è
importante … credo ci siano
centinaia di queste spade” aveva considerato Jason,
ricordando che Astrid aveva
detto fossero opera del suo padre armaiolo, “Inoltre
è la seconda che rompo”
aveva dichiarato.
“Ci credo!” aveva esclamato Madina piena di
stupore, “Jason hai bisogno di
un’arma divina, con questo potere” aveva aggiunto.
“Sei un semidio, sei un semidio
potente” aveva considerato, “Io ho un pugnale di
ferro normale, ma ho l’arco
realizzato con tasso sacro a mio padre e gli scii sono presi dalla
corteccia
dell’Albero del Cosmo” aveva raccontato lei.
Jason aveva annuito, “Io … lo
sospettavo” aveva ammesso, “Non è
discriminazione
o altro, i semidei non sono migliori degli altri guerrieri per
qualcosa, in uno
scontro diretto Astrid e Mel mi farebbero appezzi. Ma i semidei
possiedono un
potere che non può essere incanalato in oggetti …
be, qualsiasi” aveva
dichiarato lei, mentre recuperava le catene ammirata, poi aveva cercato
di far
scivolare via un anello dalla serratura, riuscendo poi ad eludere
definitivamente la catena.
Jason aveva aperto la porta con una spallata.
“Potresti essere figlio di Taara,
di
Perkunas
o Zeus,
chissà. Qualche idea?” aveva chiesto Madina.
Jason si era fatto rigido come una tavola, “Io
….” aveva annaspato.
Madina che era buona aveva messo una mano sulla sua schiena calma,
“Tranquillo,
tranquillo” aveva dichiarato.
La casa di
Jarnsaxa era stata vittima di un tornado. “Credo che o ci sia
stata una lotta o
la nostra Jotun è stata vittima di una furia”
aveva considerato Madina, mentre
schivava i resti di un tavolo di legno fatto a pezzi.
L’intera casa era stata rivoltata, a primo acchito aveva
pensato che qualcuno
si fosse introdotto per cercare qualcosa, ma la furia che imperiava
dava
manforte alla visione di Madina.
“Io … penso la seconda” aveva
dichiarato, non c’erano urti contro un muro
significativi, non c’erano i segni di una lotta, ma
sicuramente di una furia.
Furia di una frustrata donna Jotun.
“Sai … questa situazione diventa ogni momento
più strana” aveva considerato
Madina, osservando per terra i cocci di una ceramica e di un corno
sfregiato;
una cassettiera era stata rovesciata a terra, avendo fatto cadere una
pioggia
di posate in ferro argentato ed altre stoviglie, anche una serie di
letalissimi
pugnali.
“Non sono sicuro che qui dentro ci sia il cinghiale, ma
potrebbe esserci
passato” aveva considerato Jason, avanzando, qualcosa si era
attaccato alla soletta
della sua scarpa, l’aveva sfilato subito, trovando della
carta rigida che aveva
inumidito.
Sopra, sbiadito, c’erano delle rune. Jason riconosceva sicura
la figura dell’halgaz,
con il simbolo della mutina maiuscola con la stanghetta orizzontale
posta
invece in obliquo. Era un foglio strappato.
“Madina” aveva dichiarato, sventolandolo.
Lei si era alzata, abbandonando una pianta che era stata svasata, per
osservarla, “Chi sa se ci sono altri pezzi” aveva
considerato.
“Questa è la Grandine” aveva dichiarato
Jason, indicando il simbolo, “Direi più
la Acca” aveva risposto Madina, prima di strizzare gli occhi.
“Uhm … c’è scritto... a
questa parola manca un pezzo, non riesco a capire, il
resto sì: dai tuoi servigi. H” aveva
spiegato Madina.
“H?” aveva domandato Jason, confuso, “O
Halgaz?” aveva insistito.
“Halgaz come parola è la grandine, ma è
anche la runa che simboleggia il suono
[H], credo sia una firma puntata, come io userei mannaz,
la runa che
simboleggia l’uomo” aveva spiegato Madina.
“Quindi H … H cita dei servizi, che possiamo
presuppore riguardassero
Jarnasaxa” aveva considerato Jason osservando il foglietto,
“E dalla
devastazione in questo posto mi viene da pensare che la cosa potrebbe
averla
vagamente irritata” aveva considerato Madina, tirando un
cacio ad una cesta di
frutta secca rovesciata.
“Troviamo
il
resto della lettera” aveva stabilito Jason con sicurezza,
ottenendo un cenno
d’assenso di Madina, che aveva cominciato a cercare in giro.
“Il nostro mondo
non ha coincidenze” aveva dichiarato la figlia di Ullr,
“Scompare il cinghiale
della signora di Alfheim dopo che lei è andata a prendersi
qualcosa da bere con
una Jothun … ed ora, la suddetta è fuggita ad
Utgard, casa sua e rovesciata ed
un biglietto fatto a pezzi” aveva ripercorso i fatti.
“Vuoi vedere come la cosa diventa ancora più
insostenibilmente coincidenziale?”
aveva chiesto Jason avvicinandosi a lei, “Questa è
la runa che Kraka mi ha
fatto pescare” le aveva detto, mostrandoli la tessera
dell’halgaz.
Madina aveva guardato la runa incantata, quasi sconvolta. Aveva
allungato una
mano ed aveva sfiorato con i polpastrelli l’incisione sulla
tessera.
“Rúnar
munt þú finna
ok ráðna stafi,
mjǫk stóra stafi,
mjǫk stinna stafi”
Aveva
mormorato
Madina, i suoi occhi erano stati vacui e la sua voce era stata piana, a
Jason
per un secondo aveva ricordo Rachel Elizabeth Dare, ma Madina,
nonostante
tutto, era consapevole. Non era una profezia, era una litania
– a modo suo.
“Cosa hai detto?” aveva chiesto Jason, Madina aveva
rivolto gli occhi verso di
lui, per un secondo lui aveva immaginato che la sua compagna avrebbe
risposto
di non aver parlato, ma non era stato così: “Sono
delle strofe del Discorso
di Har, un’opera letteraria, parla di Rune, ma
niente di troppo rilevante”
aveva liquidato la faccenda, sembrava sincera.
“Rune tu troverai, lettere chiare, lettere grandi,
lettere possenti”
aveva spiegato poi Madina. “Azzeccato” aveva
considerato Jason, “Mi piace un
sacco la letteratura, il che fa ridere, prima della mia morte ero
praticamente
analfabeta, sapevo scrivere solo il mio nome: Madina Modja …
e non ero sicura
della differenza tra una i e una j” aveva risposto con
allegrezza.
“Penso che citare passi letterari ad hoc sia una
capacità che trovo molto
interessante” aveva considerato Jason, “Piper, la
mia rag–la mia ex-ragazza
aveva una storia cheeroke praticamente per ogni occasione”
aveva riferito lui
con calma, con un sorriso carico di melanconia.
“Avrei voluto essere così ferrata anche io
così, ma anche nei salmi ero
piuttosto scadente” aveva raccontato Madina, il suo tono
sembrava leggermente
intristito, ma non così tanto, poi recuperando il sorriso,
aveva aggiunto: “Io
ho recuperato, infondo la cultura norrena è comunque la mia,
se non per
nascita, sicuro per morte”.
“Non
è come nasci,
ma come muori, che rivela a quale popolo appartieni, mi pare che
così dicano i Sioux” le
aveva detto Jason; Madina
le aveva sorriso in una maniera piuttosto sorniona,
“Però questa non è della
tua Piper ma della nostra Astrid” lo aveva beccato.
Jason aveva annuito, “Vediamo se troviamo altri
frammenti” aveva considerato.
Avevano
trovato altri biglietti del foglietto, nulla che potesse essere
ricomposto,
qualche runa che componeva una parola, il nome di Thor.
“Dignità tua” aveva
letto Madina, sventolando un pezzo della lettera,
“Secondo me questo va o prima o dopo amore
e thor. Qualcosa sul
genere: Dignità tua e l’amore,
probabilmente, che nutri per
Thor o Thor nutre per te” aveva
spiegato la figlia di Ullr.
Jason aveva annuito, “Forse è troppo ardito
perché di questo mondo non so
nulla, ma se, ecco, Jarnsaxa avesse prestato i suoi servigi per rapire
il
verro, motivata dall’amore che prova per Thor, inoltre, Bragi
mi ha detto che
Odino fa di tutto per tenere i due amanti divisi, quindi forse,
Jarnsaxa si è
sentita offesa nella dignità? Troppo ardito?”
aveva proposto Jason.
Madina aveva sollevato le spalle, cupa in viso, “Non saprei.
Forse. Dietro
questa storia c’è H?”
aveva proposto di rimando.
“Sei tu l’esperta di mitologia norrena tra noi due,
c’è una qualche H che
potrebbe avere un conto in sospeso con Gerd, o Frey o anche gli dei in
generale?” aveva chiesto Jason.
Perché aveva come l’impressione di star chiedendo
se ci fosse una creatura al
mondo che suo padre non avrebbe volentieri posseduto.
“La H è un’iniziale molto in voga per
gli Jotun, inoltre, ecco, potrebbe non
esserci un gigante, ma chiunque, perfino Odino ha nomi che iniziano con
la H.
Potrebbe anche un lattaio che decide di rovesciare gli dei …
Una volta
Padre-Tutto è stato torturato pure da un re
umano!” aveva risposto Madina, con
visibile incertezza nel viso.
Jason aveva annuito, “Sicuramente, come pensato da Gerd,
Jarnsaxa centra
qualcosa, H o meno, per quanto la mia Runa mi faccia pensare di
sì. A questo
punto le soluzioni sono due: o torniamo all’Hotel, sperando
che Mel e Stellan
abbiano recuperato i pantaloni e Kráka possa darci indizi,
piano che mi sembra
ottimo, o …” aveva cominciato Jason, anche solo
per avere tutti gli amici
insieme, “… o potremmo raggiungere Astrid e Fred
per parlare con Gerd è vedere
se un certo H. ha un conto in sospeso con lei” aveva
concluso, anche quello
sembrava accettabile.
“O …” aveva cominciato Madina,
“Andiamo ad Utgard a chiederlo alla diretta
interessata” aveva detto, ammiccando al foglietto nelle sue
mani, su cui
capeggiava la parola dignità.
Jason
l’aveva guardata; realizzava improvvisamente che Madina
sarebbe stata un’ottima
compagna di merende. “Ecco … avevo
l’impressione che Utgard, da come lo hai
definito, sia tipo una rocca-forte jotun impenetrabile” aveva
provato Jason.
Come cercare di raggiungere il mediterraneo nonostante ci fosse un veto
su di
loro. Madina aveva inclinato il capo, facendo oscillare la treccia
spessa e
scura, “Ecco” aveva cominciato,
“Sicuramente è una roccaforte, è qui
nello
Jotunheim ma si trova ai confini di Midgard” aveva dichiarato
Madina, mettendo
da parte il messaggio frastagliato, per raccogliere invece la vecchia
pergamena
di Thrud. “Non sono due mondi diversi? Nel senso Midgard non
è la terra?” aveva
chiesto Jason.
“La geografia dell’universo è
terribilmente strana, amico!” aveva risposto
Madina, liquidando la faccenda, “Se vuoi posso entrare nel
cuore è cominciare a
spiegarti come Utgard oltre al palazzo sia anche il recinto di Midgard.
Letteralmente: il recinto esterno.
L’ultimo avamposto …” aveva cominciato
Madina, con l’intenzione di essere
interrotta.
Troppe informazioni per Jason.
“Sei sicura?” aveva domandato Jason, “Sei
sicura di voler andare?”
“Eri sicuro quando hai deciso di sfidare Vali?”
aveva domandato retorica lei.
Jason aveva annuito, alla fine.
“Sai arrivarci?” aveva chiesto Jason, mentre Madina
dava uno sguardo alla
mappa, “Qui è menzionato. Con i miei scii potrei
portarci entrambi, ci
metteremmo un bel po’ in più
…” aveva constato poi, prima di sollevare lo
sguardo verso qualcosa alle sue spalle, con un sorriso bello splendente
sulle
labbra.
“Però forse qualcuno può
aiutarci” aveva considerato Madina, ammiccando con il
mento.
Jason si era voltato ed il lupo era lì, in piedi sulla
soglia.
“Ci stiamo fidando del mezzo-jotun?” aveva
domandato Jason, ma non era sul
serio una richiesta.
“Sei tu che due minuti fa lo stavi coccolando come fosse il
tuo barboncino”
aveva dichiarato Madina, scrollando le spalle, con un sorriso allegro
ad
illuminarle il viso.
Jason aveva guardato il lupo nei suoi occhi d’oro, sembravano
buoni e limpidi.
La creatura si era tirata indietro per permettere loro di uscire;
“Ehm … Madina
esiste un modo per avvertire gli altri?” aveva domandato
Jason, “Per mandare un
messaggio” aveva provato.
Come i messaggi di Irisi, o le Aquile …
“A meno che tu non abbia un Gonfiabile a forma di
gorilla,
no”
aveva dichiarato Madina, Jason aveva sbattuto le ciglia e si era anche
aggiustato gli occhiali, come se quel gesto avesse potuto aprire di
più le sue
orecchie. “Cosa?” aveva chiesto.
“Me lo ha raccontato Mallory. Comunque, no, nel senso, se uno
di noi due fosse
bravo nel seid potremmo mandare un messaggio con la magia”
aveva dichiarato
Madina poi.
Jason si era morso il labbro, “Immagino, perciò,
nessun dio dei messaggi nel
pantheon?” aveva chiesto alla fine, Madina aveva annuito,
“Esatto. Dici che è
strano? So che i greci ed i romani lo hanno, me l’ha detto
Mel, aspetta …
Mercurio, come il metallo” aveva valutato la figlia di Ullr.
Jason era uscito dalla piccola casa di Jarnsaxa, seguito dalla sua
amica. Anche
se la pelliccia di Astrid lo riscaldava naturalmente, fuori dal tepore
dell’abitazione, aveva sentito di nuovo, come schiaffi sulla
carne, l’aria
gelida di Jotunheim.
“Lo stiamo facendo davvero?” aveva chiesto Jason.
“Chi sei tu e che ne hai fatto del ragazzo che salva jotun da
divinità
spaventose, senza remore?” aveva domandato Madina, retorica.
Già, aveva pensato stancamente Jason,
adesso si riconosceva più in sé
stesso.
“Mi sono già messo nei guai” aveva
dichiarato stancamente.
“Già …” aveva concesso
Madina, “Siamo qui e siamo senza permesso, le tavole del
destino si sono rotte ed il cinghiale luminoso che probabilmente
illumina
Alfheim la terra senza notte è scomparso. Sai cosa succede
agli elfi quando
cala il sole? Se non lo sai, non è bello” aveva
risposto lei, cominciando a
sfilarsi gli scii.
Per l’ultimo periodo da lei pronunciato Madina aveva perso
quella verve di
gioia che sembrava impregnare ogni sua parola, le era rimasto il
sorriso e gli
occhi dolci, ma il suo tono era stato perentorio.
A Jason fu subito chiara una cosa: Madina sarebbe andata.
Forse smaniava per una missione, per qualcosa da fare, o come lui, con
Váli ed
il Lupo, aveva sentito un richiamo incontenibile.
“Vengo con te” aveva concordato e lei aveva
sollevato il pollice verso di lui
entusiasta, “Penso che i miei scii possano portare entrambi,
anche se …” la
ragazza aveva fatto cadere la frase, inclinando il capo ed indicando il
lupo.
Il mezzo-jotun si era avvicinato a Jason ed aveva piegato le
articolazioni delle
zampe, per dar lui un facile accesso alla sua schiena. “Vuole
essere
cavalcato?” aveva domandato Jason. Madina si era sistemata i
suoi scii di legno
dell’albero di Yggdrasill ai piedi,
“Così pare. Magari sei un futuro
Ulfhethinn!” aveva dichiarato lei.
Jason aveva guardato il lupo, lui aveva uggiolato, non molto contento
di quella
prospettiva, neanche Jason lo era in quel momento, anche se non sapeva
cosa
significasse. “Lui non è concorde” aveva
dichiarato infatto, indicando il Lupo
mezzo-jotun.
“Non mi sorprende!” aveva riso Madina,
“Sono i Guerrieri vestiti di Lupo –
animaleschi e con la furia guerriera donata da Padre-Tutto in persona.
Combattono in braco. Nel Valhalla i piani cinquanta-tre e
cinquanta-quattro
sono occupati da loro. Ne vivono tre a camera. Se hai miei tempi la
gente
credeva ai lupi mannari è perché loro hanno dato
una bella mano” aveva racconto
subito lei, piena di gioia, “Mel lo vuole diventare
vero?” aveva ricordato
Jason.
“No, Mel vuole essere un Berserker; combattono da soli e
spesso vestiti di
pelle d’orso” aveva raccontato Madina,
“Ma povero amore mio, è terribilmente disciplinato
e riflessivo per cadere nella berserksgang”
aveva raccontato.
Figlio della rigida educazione della scuola gladiatoria.
“Troppo Romano” aveva
commentato Jason, “Spettacolare, ma
padrone di sé. Almeno in quello”
aveva soppesato Madina, il suo tono era stato distante,
“Andiamo?” aveva
recuperato la sua allegrezza lei.
Jason aveva annuito, voltandosi verso il Lupo, era decisamente
più imponente di
qualsiasi creatura avesse mai visto fino a quel moneto, anche di Lupa.
“Spero
di non farti male” aveva dichiarato Jason, allungando una
mano per afferrare la
pelliccia morbida e folta della bestia e con uno slancio si era issato
sul
dorso della bestia.
Si era sentito sicuro.
“Andiamo?” aveva ripetuto Madina.
Sebbene
fosse il Lupo a guidare la corsa, con falcate ampie, guidati da balzi
così
forti e degni di un canguro, anziché di uno della sua specie
– cosa che aveva
preoccupato non poco Jason, se una bestia di tale potenza era stata
ferita da Váli,
cosa attendeva lui? – Madina
di tanto in
tanto scivolava al loro fianco e lì superava.
Jason nel vederla nella neve aveva la stessa impressione di vedere uno
spirito
della natura.
Era rapida, leggera ed assolutamente a suo aggio, tra il vento freddo e
la
bianca coltre di neve. Di tanto in tanto Madina muoveva le dita, un
piccolo
sfarfallio e il manto di neve davanti a lei si modificava un poco,
appiattendosi o irrigidendosi per permetterle di scattare un salto che
lei voleva
particolarmente. Jason aveva conosciuto la signora della neve nella sua
vita,
la fredda e terribile Khione, eppure in quel momento, non avrebbe
potuto
immaginare quel titolo per nessun’altra che per Madina.
Il che era surreale, realizzava, lei che era una personalità
così solare e
luminosa.
“Be … pff … amico … pff
… grazie” aveva bofonchiato Jason, tra un colpo di
tosso ed un altro. Il lupo aveva emesso un verso gutturale, ma
soddisfatto.
Jason si era tenuto stretto al manto della bestia.
Il lupo si
arrestato di fretta, usando tutte le sue forze per frenare
l’avanzata nella
neve e cercare di non cadere e rotolare via, con Jason sulla groppa.
Madina era
scivolata al loro fianco con grazia ed eleganza, anche se quando
l’aveva avuta
vicino, Jason aveva potuto osservare che la sua amica aveva il fiatone,
ma gli
occhi scuri luccicavano come stelle.
La sua amica aveva sgranato gli occhi, così Jason aveva
seguito il suo sguardo,
per vedere cosa aveva fatto arrestare il Lupo.
Si era aspettato di vedere Utgarda o qualcosa di strabiliante, come
quando
aveva veduto Idavoll, invece, non lontano da loro, su un altura non
troppo
distante da loro, erano ferme delle donne a cavallo.
Solo che i loro destrieri erano fatti di ossa e tenebre,
così come i loro
manti. Visi bianchi e spigolosi. Erano cinque.
“Oh, immagino che non siano niente di buono” aveva
considerato Jason. Aveva da
loro la stessa impressione, quando da ragazzino, durante
l’assalto a Monte
Othro
aveva
visto sul campo di battaglia aveva intravisto i Makhai – gli
spiriti della
Battaglia, alcuni con loro, alcuni contri, ma tutti ugualmente spaventosi.
“No! Tranquillo, non ci diranno niente …
credo” aveva dichiarato Madina
riprendendo colore e così era stato, le donne non avevano
dedicato a loro
niente più di uno sguardo distante, prima di girare i loro
destrieri ed
allontanarsi da lì.
Solo una di loro era rimasta lì a guardarli, Jason si chiese
come avesse fatto
a non notarla bene tra le sue compagne, spiccava anche solo per i
capelli,
tinti – presumeva – di un colore innaturale. La
donna aveva alzato una mano ed
aveva fatto un cenno di saluto.
Madina aveva risposto timidamente con un movimento appena accennato
delle dita,
poi aveva guardato Jason, “Amico!” lo aveva
rimproverato – lui si era sentito
colto in imbarazzo ed aveva eseguito un saluto forse troppo eccessivo,
muovendo
entrambe le braccia.
La cavallerizza aveva tirato le briglie della sua bestia ossuta ed era
scomparsa nella neve, impresa ardua visto i capelli sgargianti e il
lungo
mantello nero.
“Chi erano? Cosa è appena successo?”
aveva chiesto Jason confuso.
Il lupo aveva uggiolato e tremolato per tutto il tempo, terribilmente
spaventato. “Erano le Dísir …
diciamo che puoi figurartele come le
valchirie di Hellheim
e
Nilfheim.
Erano
qui a raccogliere anime, probabilmente” aveva dichiarato
Madina.
Jason non lo aveva trovato molto rassicurante, da come avevano spiegato
le cose
la stessa Mel e Madina il primo giorno, non esisteva una seconda vita
da
einherjar per loro.
“Sono spaventose” aveva considerato Jason, Madina
aveva riso, “Non sono mai
uscite dalla fase Viking Metal. Ma sono simpatiche, sul serio, solo che
se per
caso hai la sfavorita idea di inimicartele … ecco,
sì, non finisce bene” aveva
asserito Madina con tranquillità. Jason aveva aggrottato le
sopracciglia, il
lupo aveva latrato, neanche lui molto rincuorato. Madina aveva infilato
una
mano nella sua giacchetta ed aveva estratto la mappa di Jotunheim data
da
Thrud. “Allora secondo questa carta ci aspetta ancora un
po’ di arranco nella
neve” aveva considerato Madina, “Tu come stai
Jason?” aveva chiesto poi con più
dolcezza, “Reggi bene il freddo?” aveva chiesto.
“La pelliccia magica di Astrid funziona divinamente. Sono
contento di non averla
distrutta” aveva risposto Jason con un sorriso gentile.
Madina aveva annuito e
poi si era data uno slancio, aiutata con un movimento di dita dai suoi
poteri,
sfilando nella neve. Jason aveva chinato lo sguardo verso il lupo,
ancora un
po’ segnato dalla presenza delle Dísir, Jason
aveva aperto una mano ed aveva
accarezzato il manto con gentilezza, “Sì, anche io
sono preoccupato” aveva
confessato, empatico.
Il lupo aveva inclinato il capo per dare a Jason un accesso
più facile ad una
zona di pelo sotto le sue orecchie, così Jason aveva
eseguito il consiglio.
L’azione aveva calmato la bestia, abbastanza
perché decidesse di riprendere la
sua corsa.
Utgard era
comparsa davanti a lui, improvvisamente; Jason avrebbe giurato che
l’attimo
prima non ci fosse e dopo un battito di ciglia era lì.
Enorme. Immensa. Grandiosa.
Jason dovette dichiararsi piuttosto stupito, perché invece
della lunga casa
rettangolare in legno con tetto di paglia – e muschio
– come quella di
Jarnsaxa, davanti a loro si era aperta la visione di uno Chalet
iper-moderno,
con tre piani, di cui uno interamente fatto con una facciata di vetro.
Era su un pendio, non troppo in alto, rispetto loro, ma abbastanza da
dominare
Jutland.
Alle sue spalle spiravano enormi montagne, come un muro di roccia.
Jason intravedeva una faccia, accennata, sulle montagne, la riconobbe
come il
viso – ancora in fase di completamento – di Cavallo
Pazzo, come aveva ascoltato
distrattamente al Collegio.
Quelle erano le Black Hills!
“Valicate quelle montagne, saremmo a Midgard. Sì,
al contrario non funziona.
L’universo è un posto da pazzi” aveva
dichiarato Madina, smontando dagli scii
con scioltezza.
Poi aveva fatto un respiro profondo, “Tutte le montagne a
modo loro sono
Utgard, non solo le Black Hills” aveva spiegato subito
Madina, prima di
prendere un respiro.
“Nel peggio potremmo fuggire direttamente da
lì” aveva borbottato Jason.
“Sì, peccato non finiremo sul versante del
Wyoming. Ci sono vissuta lì … Ho
imparato a ciaspolare prima di camminare”
aveva raccontato con
un’espressione divertita. Il Lupo aveva chinato le zampe per
permettere a Jason
una discesa agevolata e leggera.
“Pensavo ci vivessero i nativi” aveva dichiarato
Jason alla fine, ricordava che
le montagne del Wyoming erano terre degli autoctoni. Una nozione del
collegio, anche
quella.
“Oh, be, così è ora, così
è stato. Tranne per un certo periodo durante la
Caccia all’Oro! Però, nel settimo secolo, le
alture vertiginose, le temperature
letali e gli Arapaho tenevano lontani gli uomini bianchi, cosa che mia
madre
gradiva mooolto” aveva scherzato Madina
con un bel sorriso.
“Pensavo fossi di Capoverde” aveva commentato
Jason, mentre affondava nell’alta
neve fino alle rotule, “Mia madre è nata
lì e, be, gli indigeni ci hanno
permesso di star lì, ma non eravamo molto integrati. Ho
conosciuto solo la sua
cultura, sono morta che parlavo portoghese e credevo nel Signore, in
parte
credo di crederci ancora adesso”
aveva
raccontato senza malizia.
Jason aveva annuito, pensando a Fred ed invece a sua crisi mistica che
lo
spaccava, ancora, dopo ottocento anni. Per lui sembrava difficile
comprendere
ambedue i sentimenti, tra Madina e Fred.
“Io sono cresciuto a vicino San Francisco. Molti
terremoti” aveva dichiarato
Jason, colmo fino all’orlo di disagio, grattandosi la nuca.
Spesso provocati
anche degli scontri tra mezzosangue e mostri.
Al campo e prima ancora quando era con il branco.
Ricordava, quasi dolcemente, il periodo con loro; dormiva abbracciato
al pelo
morbido di Lupa quando sentiva freddo; a quel pensiero aveva declinato
lo
sguardo al loro amico a quattro zampe, ma il mezzo-Jotun era scomparso
…
“Oh!” aveva dichiarato Madina, notando anche lei
l’assenza, “Senza neanche
salutare” aveva sottolineato Jason, facendola ridere.
Ma come aveva valutato Madina stessa, anche lui ne era certo, avrebbero
rivisto
il Lupo.
La salita
per Jotunheim era stata più snervante e faticosa di quanto
fosse apparsa,
almeno per lui, che era affondato ad ogni passo, la fatica lo aveva
così tanto
stremato, che aveva cominciato anche a sudare. Il che era surreale
rispetto
l’aria glaciale che albergava lì, se fosse stato umano
a Jason sarebbero
esplosi i polmoni. Madina era tranquilla di rimando, Jason sospettava
fosse una
combo della sua vita nelle alture delle Black Hills e la sua origine
divina.
Quando erano stati vicino lo Chalet modello-Saint-Moritz, Jason aveva
visto che
era preceduto da uno striscione, sorretto da due pali, issati nella
neve. C’era
una vistosa scritta in caratteri futhark runico, immaginava antico.
“Penso che se non diventerò schiavo di Vali,
dovrò proprio imparare questa
benedetta lingua” aveva considerato Jason.
“Oh! Che gioia!” aveva esclamato Madina, piena di
vitalità, Jason l’aveva
guardata: “Annuale Gara di Biathlon per gli Audaci”
aveva dichiarato
piena di gioia.
“Cosa è?” aveva chiesto Jason,
“Scii di fondo e tiro con l’arco in un'unica
competizione, cosa che puoi immaginare è fatta su misura per
me” aveva risposto
lei, facendo ondulare l’arco e gli scii che portava appesi
alle spalle.
“In notturna?” aveva domando Jason,
“Contro degli Jotun?” aveva aggiunto.
“L’ho
già fatto, duecento-trentacinque anni fa e sono qui per
raccontarlo” aveva
risposto lei, strizzando un occhio e continuando dritto verso il
palazzo.
Jason, in quel momento, si sentiva terribilmente in empatia con Astrid
quando
era accorso a salvare il Lupo.
Chi di comportamenti audaci ferisce di comportamenti audace perisce, si
disse.
Jason seguì Madina.
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Capitolo 11 *** Chalet di lusso dotati di ogni confort per trascorrere vacanze indimenticabili tra Jotun che vorrebbero solo cuocerti allo spiedo. Offerta irripetibile della Utgard.Short.Rent. ***
Eccomi! Con
più
note che mai.
Confessione: questo capitolo ed il prossimo dovevano essere uno solo e
invece
poi no (a questo punto: DOVE E’ LA NOVITA’?). In
realtà tutta la parentesi Jotunheimiana
dovevano essere solo due capitoli. Mi odio.
Comunque, qualche gigante, siate preparati, alcuni importanti, altri
molto
meno. ED OVVIAMENTE IL PERSONAGGIO CHE NON POTEVO NON METTERE.
BIGBOY, disegnato da me, qui: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Utgard-Loki-898407003
Ci sono decisamente troppe poche fanart su di lui!
Vorrei sempre ringraziare Farkas <3 e chiunque
legga/ricordi/preferisca.
Buona Lettura!
Baci
RLandH
Chalet di
lusso dotati di ogni confort per trascorrere
vacanze indimenticabili tra Jotun che vorrebbero solo cuocerti allo
spiedo.
Offerta irripetibile della Utgard.Short.Rent.
“Oh, Ymir marcescente, pensavo che oggi avrei avuto una buona giornata” aveva
commentato una donna con un tono lugubre.
Jason l’aveva guardata cercando di studiare se fosse o meno
una minaccia, anche
Madina era stata sullo stesso avviso.
La donna indossava un abito che pareva morbido ma fatto interamente di
legno,
con spalline composte di rami che circondavano la sua testa.
“No! Non voglio
intervenire” aveva stabilito lei, alzando le mani in segno di
resa, dando loro
le spalle e sparendo verso lo Chalet.
Jason aveva guardato Madina, ma quella aveva sollevato le spalle.
“UTGAAARD-LOKIII!” aveva gridato la donna, sparendo
dietro il portone
principale; lasciando i due davanti uno spiazzo semicircolare che
precedeva
l’uscio.
“Utgard-Loki è il signore dei giganti di brina. Il
padrone di casa” aveva snocciolato
Madina, anticipando la sua domanda.
Prima che Jason potesse commentare oltre, un enorme aquila dal manto
castano
lucente, con sfumature rossastre, degne di bellezza ed
imperiosità di quelle di
Roma, era atterrata davanti a loro, affondando gli artigli neri nella
neve
bianca.
“Oh!” aveva esclamato Madina piena di emozione.
L’aquila aveva spalancato le ali, creando
un’effusione di aria che aveva costretto
Jason a chiudere gli occhi, l’attimo dopo non vi era
più un uccello davanti a
lui, ma un uomo, vestito di piume d’aquila.
Un viso appuntito e capelli nerissimi, portati lunghi fino alle spalle,
un
sorriso seghettato e poco rassicurante. L’uomo era
affascinante, spaventoso, ma
affascinante.
Indossava un gilet lungo fino a metà polpaccio, composto da
piume castano
lucido brillante, lasciato aperto su una camicia bianca e pantaloni
nero
lucido; tutto nel suo vestiario cozzava con il clima artico intorno a
loro.
“Oh, buongiorno sua maestà” aveva
dichiarato subito Madina, chinando anche il
capo. “’Sera, caso mai. Sol è sfuggito
anche oggi a Skoll” aveva risposto lui, seccato,
“Inoltre, figlia di Ullr non ti era stato cortesemente detto
di non
avventurarti più da queste parti?” aveva chiesto
retorico l’uomo.
“Ho difficoltà con la cortesia” aveva
ribeccato Madina, prima di far oscillare
gli scii, “Ho sentito di una gara di Biathlon”
aveva
cinguettato innocente.
“Non ho intenzione di invitarvi ad entrare. La gara si
terrà domani all’alba …
se saprete sopravvivere qui di notte, non vi
fermerò” aveva dichiarato il
signore, guardando sia Madina, sia lui.
Jason aveva sussultato quando aveva visto quegli occhi scuri su di lui.
Quello aveva inclinato il capo, “Tu sei
…?” aveva domandato, cercando di
mascherare una certa confusione. “Jason Grace, sono un
… einherjar” aveva
risposto Jason.
“Un nuovo adepto, lo prepariamo subito ai Nove
Mondi” si era intromessa Madina.
“Di solito la gente impiega più secoli per venirsi
a suicidare … ma, sapete
cosa? Non mi interessa. Non vi inviterò
nella mia dimora e non dovrò
preoccuparmi di tenervi in vita” aveva dichiarato quello,
alzando una mano in
segno di sdegno.
Un gigante, attirato dalla loro presenza si era palesato, grosso e
nerboruto,
con una barba lunga biondo-argentea, chiusa in una treccia, con anelli
morbidi,
aveva un viso duro come l’acciaio, attraversato da cicatrici
e rughe pesanti,
anche i capelli erano biondi, anche quelli lunghi ed ordinati in una
treccia
disciplinata. “Non ho potuto non notarli, Big Boy”
aveva detto con una voce
profonda e cavernosa.
Big Boy aveva sorriso, “Oh, nobile Fornjotr, questi due
einherjar volevano
partecipare alla competizione di domani, cosa che io non ho intenzione
di
fermare. Le mie gare sono sempre aperte a tutti” si era
scansato il gigante.
“Ma Domani” aveva sottolineato Fornjotr.
Jason aveva guardato diverse facce, che si palesavano dallo chalet per
osservarli, interessati. La donna vestita di legno era ancora sulla
porta con
espressione insofferente. Jason lo stava comprendendo, aveva visto
quello
sguardo centinaia di volte sul viso di tutti i mostri che aveva
incontrato
nella sua vita, stavano valutando chi dovesse fare loro al barbecue.
“E non li stai invitando?” aveva sottolineato
Fornjotr allusivo. “Io no, non
sono miei ospiti. Siete forse ospiti di qualche mio ospite?”
aveva chiesto Big
Boy, smettendo di guardare loro per rivolgere lo sguardo allo chalet. Lui non aveva ancora del
tutto chiaro tutti
gli usi e i costumi della scuola, ma aveva l’idea che i
norreni avessero un
loro rito per gli ospiti, forse non protocollato come i tessera
hospitalis,
ma aveva il sospetto, piuttosto concreto, che se avessero avuto un
invito per
la notte, nessuno avrebbe potuto ucciderli – o almeno non
avrebbe potuto farlo
platealmente.
“Tipo un più-uno?” aveva chiesto Jason,
guardando le facce contorte da sorrisi
affilati. Diffidava che qualcuno dei giganti si sarebbe offerto di
assicurare
la loro sopravvivenza fino al mattino dopo.
C’era stato un minuto, uno intero, di imbarazzante e pesante
silenzio si era
premuto su di loro.
Lo Jotun Fornjotr non aveva smesso di sorride famelico, mentre sul viso
di Big
Boy si era palesata una genuina irrequietezza. Madina continuava a
sorridere
rilassata invece, come se la cosa non la tangesse affatto.
Forse vivere tutto quel tempo nel Valhalla e morire ogni giorno,
rendeva
impermeabili alla preoccupazione.
Altri giganti si erano avvicinati a loro, erano creature strane di
forme e
dimensioni diversi.
Alcuni erano umani come altri, alcuni brutti, altri belli, qualcuno era
enorme,
come montagne.
Jason aveva infilato una mano nella sua tasca, trovando la rassicurante
presenza di Giunone nel palmo della sua mano.
“Oh sì, io! Che smemorato che sono!” si
era sentita una voce.
Tutti gli occhi si erano rivoltati in una direzione, inclusi quelli di
Jason.
Tra un mormorio di: Chi è stato? Come ha potuto? Ma che
problemi ha?
La folla si era schiusa, permettendo a Jason di intravedere il suo
presunto
salvatore.
Quando la figura, sgomitando ed a fatica, era emerso tra loro Jason si
era
dovuto dichiarare: stupito.
Lo sconosciuto, dalla voce presumeva fosse un uomo, indossava una tuta
d’apicoltore arancione vibrante, aveva un capello come il suo
mestiere
richiedeva abbinato, da cui scendeva un velo scuro che ne copriva i
connotati.
Il velo, i guanti azzurri e gli scarponi marroni erano
l’unica cosa che si
distingueva dalla macchia arancione.
Era una creatura dalle spalle sottile, ma alta ed allampanata, come un
giunco.
“Bee?” aveva domandato Big Boy,
incerto.
“Oh, sì, avevo invitato la figlia di Ullr qualche
giorno fa, son proprio
smemorato” aveva ripetuto quello con voce colma di
ingenuità.
Altro mormorio si era alzato nella folla. Big Boy aveva assottigliato
gli occhi
cattivi, “Fárbauti?” aveva domandato poi.
Dalle spalle dell’apicoltore era comparso un’altra
figura. Per un secondo Jason
ebbe un mancamento, pensando che davanti a lui si fosse palesato Giove,
ma non
lo era. L’inganno era stato guidato dalla folta barba
attraversata di fulmini.
Fárbauti era imponente, massiccio. Spaventoso.
Aveva una barba folta attraversata di fulmini e la testa calva,
indossava una
cotta di maglia pesante e pantaloni di ferro.
Al fianco di Fárbauti era scivolata la donna vestita di
legno, a Jason era
parsa alta e flessuosa, ma accanto allo jotun appariva piccola come una
bambina.
Nel vederla, così sottile e delicata, lui ebbe
un’illuminazione: lei era una
dea. C’era qualcosa, si rese conto, nel vedere giganti e dei
di fianco, nella
loro aurea, che lì rendeva diversi.
Fárabauti aveva guardato la donna con
intensità, lei aveva ricambiato, si
era morsa un labbro, aveva guardato poi loro, con odio, poi
l’apicoltore e poi
di nuovo Fárbauti, aveva sbuffato ed abbassato le braccia.
Il gigante aveva guardato Big Boy, “Se mio figlio dice che
sono suo ospiti,
loro sono suoi ospiti” aveva dichiarato l’uomo con
voce dura come il ferro.
C’era stato un sospiro frustrato che collettivamente aveva
accolto l’intero
gruppo. “Spero tu sappia ciò che fai
Laufey” aveva dichiarato, frustrato
Fornjotr, guardando la piccola donna – intuendo dovesse
essere lei ad aver
deciso. Laufey – Jason era certissimo di aver già
sentito quel nome – aveva
sorriso graziosa verso lo jotun, “Non è sempre
così, Fornjotr?” aveva chiesto
sibillina.
“Bene” aveva concesso Big Boy, con un tono calmo,
“Giacchè siete venuti con il
nobile Býleist e, visto, che lui è mio ospite,
per estensione lo siete voi.
Finchè sarete sotto il mio tetto, sarete protetti. Io sono
Utgard-Loki – no
nessuna relazione con l’altro Loki – e benvenuti
nella mia umile dimora” aveva
dichiarato.
“Grazie” aveva cinguettato Madina.
“Grazie” aveva detto, incerto, Jason, ma
anziché guardare il gigante vestito
d’aquila, aveva guardato l’apicoltore.
“Ascoltami
Bee” aveva esordito Laufey, appena si erano diretti
nelle stanze che
l’apicoltore doveva aver ricevuto come ospite di Utagard.
Jason non era riuscito a vedere neanche metà degli interni
della dimora, tanto
che erano stati spinti velocemente nella camera.
L’Apicoltore si era fatto nervosismo sotto lo sguardo della
donna, “Tre quarti
della mia famiglia è sotto chiave, non ho intenzione di
passare la prossima
festa della mamma solo con Helblindi!” aveva dichiarato lei
furente, prima di
chiudersi la porta alle spalle, non dando all’altro la
possibilità di reagire.
Fárbauti, il gigante con la barba elettrica aveva riaperto
la porta, “Lo sai,
Bee, la mamma si agita sempre. Fai attenzione, non hai una moglie che
raccolga
il veleno per te” si era congedato più gentile
l’uomo.
“Siete consapevoli che lei è lo stoico albero e tu
l’imponente fulmine e non il
contrario?” aveva urlato Bee a quelli che dovevano essere i
suoi genitori, non
ricevendo risposte.
“Quelli erano Fárbauti e Laufey … i
genitori di Loki, di quel Loki”
aveva commendato Madina, con gli occhi quasi luccicanti.
“Sì, nessuno se li aspetta mai così.
Specie la mamma, colpa della Marvel, la
hanno travisata un po’ – e dagli anni Sessanta che
è arrabbiata per questa
cosa, non parlatene con lei”
aveva
dichiarato subito Bee, sfilando via il cappello con il velo protettivo.
Sotto la retina era apparso un viso giovane e fresco, una pelle rosa,
cosparsa
di lentiggini delicate, un paio di occhioni ambra caldi ed una matassa
di
riccioli oro-rosso.
“Mentre io sono Býleist Laufeyson, il fratello di quel
Loki, quello
decisamente meno famoso. Potete chiamarmi Bee se volete”
aveva
dichiarato quello allegro, posando il copricapo sul tavolo.
“Oh, salve Bee, io sono Madina e lui e Jason” aveva
dichiarato subito Madina,
presentandolo.
“Grazie Bee per l’aiuto” si era
intromesso lui, con nervosismo.
“Già, sì, grazie mille! Ma
perché?” aveva domandato Madina con
tranquillità, “Cioè
non vorrei sbagliarmi. È un po’ che non leggo la
Voluspa ma, ecco, mi pare che
tu-Lei guiderà l’esercito di Hellheim assieme ai
suoi fratelli” aveva
considerato.
Bee aveva ridacchiato, dirigendosi con un passo morbido verso il
piccolo
frigobar personale. “Sì, sì, ma quello
sarà al Ragnarok, tra spero ancora un po’
di tempo” aveva dichiarato, chinandosi sul piccolo frigo e
tirando fuori, con nonchalance
un corno potorio, “Un po’ di Idromele?”
aveva chiesto.
Jason stava per rifiutare, ma il suo stomaco lo aveva tradito.
“Penso preferiate un po’ di pane tostato e
miele” aveva dichiarato Bee,
rimettendo a posto il corno, un battito di mani secco e la stanza era
stata
invasa da un certo ronzio.
Una nuvola di api si era palesata, portando sul tavolo rotondo della
stanza un
piatto con pane abbrustolito e tirando un barattolino di miele.
“Grazie ragazze”
le aveva congedate l’apicoltore – le api erano
scomparse così come erano
arrivate.
“Ah sì dicevo – Ragnarok. Lontano! Anche
Big Boy spesso scende a compromessi
con gli einherjar quando vuole, ma solo con quelli che dice
lui” aveva
dichiarato Bee, facendo loro l’occhiolino.
Jason lo aveva guardato confuso, “Potrei averlo sentito in
giro” aveva
dichiarato Madina, allusiva.
Bee aveva sviato il baratolo di miele e stava spalmando con
tranquillità sul
pane, “Mangiate su, è miele molto speciale. Le
ragazze raccolgono il nettare
dai fiori che crescono sui rami dell Yggdrasill e lo producono ad
Alfheim.
Invece, io lo conservo a Myrkheimr”
aveva
dichiarato tutto tronfio Bee, allungando verso di loro il vassoio.
Jason lo aveva guardato, “Siamo ospiti, giusto? Non
può avvelenarci, vero?”
aveva chiesto Jason, Madina aveva annuito, “E sarebbe anche
molto maleducato
rifiutare” aveva sottolineato Bee.
Jason aveva preso una fetta di pane tostato ed aveva dato un morso.
Il miele di Bee era il miele più dolce che Jason avesse mai
mangiato, ma non
era stucchevole, era delizioso. Nel profondo, dietro lo zucchero,
poteva
sentire un retrogusto diverso, nostalgico, famigliare, a cui non sapeva
dare
nome.
“Fantastico” aveva dato voce ai suoi pensieri
Madina.
“Grazie, le ragazze ne sono molto soddisfatte!”
aveva dichiarato Bee, battendo
le mani, pieno di vita.
Jason aveva dato manforte, mentre l’uomo li invitava a
prendere posto intorno
al tavolo.
“Okay, diciamo che io posso credere che tu sia uno di quei
giganti che non
aspetta il Ragnarok leccandosi i baffi” aveva cominciato a
parlare Madina.
“Lo sono! Ho il cinquanta per cento di probabilità
di non sopravvivere, sapete,
la veggente mi ha abbastanza evitato. Però, diciamo, vivere
mi piace un sacco”
aveva dichiarato lui, spalmando un po’ di miele anche per
sé stesso.
Jason e Madina aveva sorriso a quell’affermazione.
“Sì, credo che su questo
possiamo concordare tutti e tre” era intervenuto lui. Era
strano, non si
sentiva minacciato da Bee, non si sentiva addosso
quell’angosciante senso di
pericolo.
“Comunque, devo ammettere, che raccogliere mezzosangue
einherjar non sia nella
mia lista di cose preferite da fare e che il mio aiuto non sia stato
esattamente
disinteressato” aveva chiarito subito Bee, con calma, dando
un morso alla sua
fetta di pane.
“Ovviamente” aveva dichiarato subito Madina, con un
tono di voce calmo; Jason
aveva annuito, “Cosa possiamo fare per lei?” aveva
domandato.
“Prima di tutto: datemi del tu. Secondo: niente. Qualcuno
pagherà per voi”
aveva stabilito Bee con tranquillità. Jason aveva dovuto
dichiararsi sorpreso, uno
solo nome tuonava nella sua mente.
Kym!
Solo Kym poteva essere stata – chi altro, se no?
Ma non avrebbe potuto chiederlo, non con Madina lì.
“Bragi?” aveva azzardato allora Jason,
“Gerd?” aveva proposto invece Madina.
“E come potrebbe ripagarmi quel poetuccio? Gerd? Be,
sì, mi lascia andare ad Alfheima
a smielare quando voglio, quindi sì, se me lo avesse chiesto
lo avrei fatto ma
no …” aveva risposto lo jotun con estrema calma,
prendendo tempo, quasi a voler
tenere alta la suspense.
Jason aveva ascoltato attentamente, così come Madina, alla
fine Bee aveva
ceduto senza le loro domande: “È stato Váli,
ovviamente” aveva dichiarato, come se la cosa fosse stata
lapalissiana.
“Váli?” aveva
domandato Jason, pieno di confusione.
“Davvero?” aveva chiesto confusa Madina; anche a
lei doveva sembrare strano.
“Chi se, no?” aveva rincarato Bee.
“Letteralmente, chiunque altro al mondo?” aveva
domandato Jason, retorico, sbalordito
dall’espressione sconcertata di Bee, nel vedere la loro
palese curiosità.
“Ma che strano” aveva considerato Bee, dando un
morso alla sua fetta di pane.
Jason si era voltato verso Madina, lei aveva sollevato le spalle.
“Possiamo …” aveva cominciato Jason.
“Non vi consiglio di uscire da questa stanza, non potete
essere attivamente
uccisi, ma potreste essere vittima di un fatale incidente.
Però se volete c’è
il bagno, ma non posso promettere di non ascoltare” aveva
risposto lo Jotun.
“Forse
Váli
vuole essere certo che tu combatta all’holmagang”
aveva proposto Madina, “Certo,
non posso diventare il suo schiavo se muoio ucciso da un gigante,
no?” aveva
risposto Jason.
“Può darsi … ma” aveva
cominciato Madina, “Ma Jason, tu sei nuovo da queste
parti, nuovissimo, ma fidati che a me pare abbastanza strano
l’idea che Váli,
il dio venuto al mondo per vendicarsi…”
– Sì, Jason aveva afferrato abbastanza
bene quel concetto – “ … Decida di
venire a Jotunheim per chiedere a Býleist,
uno jotun, fratello di Loki, quel Loki che ha
orchestrato la morte di
Balder, fratello che Váli, su tutti, vuole
vendicare… per chiedergli di salvare
l’einherjar che lo ha sfidato, non permettendoli di uccidere
la sua preda mezza-jotun”
aveva buttato fuori Madina.
Onestamente no, non aveva senso, il minimo senso, ma Jason era figlio
di una
mitologia che a lui pareva non avere senso neanche un secondo del tempo.
La stessa esistenza di Jason sembrava un brutto lancio di dadi.
“Madina, è
scomparso il cinghiale luminoso, si è rotta una tavola del
destino, Mimir
prevede tempi straordinari, forse anche Váli si è
ridotto a misure eccezionali”
aveva provato.
“Non so, se almeno fosse stata Gerd, insomma
…” aveva borbottato Madina.
Jason aveva recepito quell’informazione ed aveva aperto la
porta del bagno, se
si fosse aspettato lo Jotun con un orecchio alla porta, sì
dovette riconoscere
deluso.
Bee stava bevendo dal suo bel corno potorio con calma.
“Sì?” aveva chiesto
quello, osservando lo sguardo di Jason.
“Prima hai detto che Gerd ti permette di andare ad
Alfheim?” aveva chiesto
Jason.
“Sì” aveva risposto con
tranquillità l’altro. Bene, ma non benissimo.
“È difficile
avere accesso ad Alfheim?” aveva chiesto. “Be, se
sei bravo no, immagino, ma di
norma gli elfi sono un gruppo di perfettini, boriosi ed intolleranti e
non
prendono di buon occhio le novità, specie quelle che portano
diversità. Penso
sia impossibile entrata ad Alfheim senza ritrovarsi due piedipiatti
alle
costole” aveva risposto Bee. “Ma tu puoi andare?
Hai tipo un permesso speciale?”
aveva chiesto allora Madina.
“Sì, ho un salvacondotto. Perché mi
state facendo queste domande?” aveva
chiesto poi.
Jason aveva richiuso la porta, “Alfheim ha più
controlli di un’ambasciata, mi
pare di capire” aveva valutato il romano, “Direi
Nilfheim, ma lì è più
all’uscita”
aveva replicato Madina. “Questo vuol dire che, ecco, chi ha
fatto il
tu-sai-cosa doveva avere un permesso …O qualcuno si sarebbe
accorto di un
arrivo non previsto?” aveva chiesto retorico Jason.
Madina aveva annuito, “Chiunque fosse, aveva il
permesso” aveva ripetuto lei.
“Adesso abbiamo uno jotun che arriva misteriosamente a
salvarci, per conto del
più improbabile dio che potrebbe farlo, con un salvacondotto
della Signora
degli Elfi” aveva sottolineato Jason.
“Senza dimenticare, che Bee è il fratello di Loki,
cioè non voglio dire che se
un tuo parente è infame, lo devi essere per forza anche tu,
Mel mi ucciderebbe
se mi sentisse dire questo. Però, ecco, Loki è
famoso per le sue arti elusive, probabilmente
anche Bee ne ha un po’ … inoltre, non hai sentito
prima la signora Laufey? Loki
e Bee hanno un terzo fratello” aveva sottolineato Madina.
“Helblindi” le era andato dietro
Jason, “Con la H, immagino”.
Madina
sembrava condividere la sua preoccupazione, “Solo
perché aiutarci?” aveva
chiesto lei, poi. “Non so, forse abbiamo preso un
granchio” aveva dichiarato
lui.
Madina aveva preso un respiro profondo, “Dobbiamo parlare con
Jarnsaxa” aveva
dichiarato.
Jason era d’accordo.
Quando erano usciti dal bagno, Bee li stava aspettando con braccia
conserte. “Non
so cosa stiate complottando, non ho intenzione di ostacolarvi, ma ho
giurato
sul mio onore di tenervi in vita fino a domani
all’alba” aveva stabilito
quello.
“Fantastico” aveva detto Madina, fingendo
credibilissimo entusiasmo, “Dobbiamo
parlare con una jotun” aveva detto invece Jason, anche solo
per studiare l’espressione
di Bee, quello non aveva fatto una piega, “Qui ce ne
sono” aveva risposto.
“Jarnsaxa. Ci serve lei” aveva detto, solenne,
Jason. Nessuna reazione aveva
attraversato Bee.
“Questo
è
molto … imbarazzante” aveva commentato Jason,
contento, per la prima volta, di
potersi sfilare gli occhiali e tornare ad una visione leggermente
offuscata del
mondo. Era vulnerabile, certo.
Madina di rimando non sembrava condividere un’oncia del suo
nervosismo e non
aveva avuto problemi a scivolare via dai suoi pantaloni sportivi e
rimanere con
la pelle nuda in vista.
“Non siate timidi” aveva dichiarato Bee, mentre
toglieva la sua tuta arancione
da apicoltore, non avendo vergogna a mostrare la sua nudità.
Appena Jason aveva
tolto via la giacca di Astrid, aveva sentito il freddo di Jotunheim
pungerli
anche le ossa.
Jarnsaxa, a quanto pareva, aveva deciso di passare la serata in una
sauna.
Sauna che si configurava in una casetta di legno, all’esterno
dello chalet di
Utgard.
“Tranquilla, non permetterò di bollirci
vivi” aveva detto Madina, prima di aprire
la porta, come Jason era rimasta in intimo, forse non così
folle da lasciarsi
completamente nuda ed il pugnale legato al cuoio, allacciato alla gamba.
Jason era entrato in boxer, una mano chiusa a pugno con dentro Giunone
e Halgaz.
“Oh, cosa c’hai portato Bee” aveva
cinguettato una voce, di donna, non era
stata Jarnsaxa, che era lì, Jason l’aveva
riconosciuto subito.
Una donna intrigante, aveva braccia e cosce sode, il ventre piatto,
definito, un
petto voluminoso, capelli neri come l’ebano scuro e
l’espressione rognosa sul
viso, di chi, neanche un giorno di pace aveva incontrato.
Oltre lei, seduta in disparte sul gradone di legno, nella sauna
c’erano già altre
due persone.
Una bella donna dai capelli oro-bianco, offerente di curve morbide in
ogni
posto che Jason avesse mai immaginato una donna dovesse averle. E
l’uomo,
grosso, con addominali scolpiti e bicipiti spessi come acciaio. Un
po’ in disparte
era davanti l’ara infuocata che riscaldava la stanza.
“Mia signora Grid, loro sono Madina e Jason. Ragazzi, loro
sono Grid – forse l’unica
persona qui dentro che vi può prendere il simpatia
– Logi il signore del fuoco
e Jarnsaxa Spada di Ferro” aveva detto Bee.
“Lei è la madre del divino Vidar!” aveva
esclamato con allegrezza Madina,
rivolgendosi a Grid, “Oh, sì, il mio bambino
però ora è ad Asgard” aveva
dichiarato quella.
“Come dovrebbe mio figlio se ne avessi uno” aveva
replicato Jarnsaxa, puntando
gli occhi su di loro, erano dello stesso colore della brace.
“Tu … Jason … tu, eri con la romeia,
l’altro giorno, l’amica di Thrud!”
aveva dichiarato Jarnsaxa.
Madina aveva saettato lo sguardo verso di lui, pregna di
perplessità.
“Sì” aveva ammesso Jason, che senso
aveva mentire? “E lei era con Gerd” aveva
considerato poi.
Nel sentire pronunciare il nome della signora di Alfheim, Jarnsaxa si
era
irrigidita, cosa che non era passata inosservata ai presenti.
“Logi, credo che la temperatura si sia fatta troppo alta per
noi giganti di
brina, sembra di essere a Mullspheim” aveva dichiarato Grid
alzandosi e
recuperando un asciugamano per coprire la sua nudità.
Logi aveva soffiato sul braciere per alzare ulteriormente la fiamma,
“Sì, io
inizio ad avere una certa fame. Scommetto che sono il doppio
più veloce di te a
mangiare” aveva dichiarato Bee, guardando il signore del
fuoco. “Anche tuo
fratello ai tempi ci provò e non fu fortunato” lo
aveva rimproverato Logi, “Ma
io sono quello sveglio della famiglia” si era giustificato
Bee.
Era riuscito a sbarazzarsi dei due, lasciando loro con Jarnsaxa.
“Deboli” aveva commentato a mezza-voce la Jotun,
con la bocca chiusa in una
linea dritta. Non stava parlando di loro, ma dei suoi amici che
l’avevano
abbandonata.
“Che volete?” aveva chiesto poi Jarnsaxa,
“Tanto siete qui per me. Lo ho capito”
aveva detto quella, guardandoli in maniera cruda.
“Siamo colpevoli” aveva ammesso Jason, mentre
cercava di raccogliere le idee,
come dire ad una gigantessa che volevano sapere se era coinvolto con il
furto
di un cinghiale luminoso?
“Vi ha mandato Thrud? Cosa sta complottando?” aveva
chiesto Jarnsaxa.
“No, Gerd” aveva mentito Madina.
Il nome della signora di Alfheim aveva di nuovo irrigidito Jarnsaxa,
che aveva cercato
di riacquisire controllo distogliendo lo sguardo da loro e passandosi
le mani
sui capelli per lisciarli.
“Oh! Tu sai qualcosa” aveva stabilito Jason,
“Io so molto di molte cose” aveva
risposto lei, senza particolare efficacia nel dissimulare.
“È stato H a dirti di distrarre Gerd?”
aveva domandato Madina avvicinandosi
subito, con sicurezza. Jarnsaxa si era ritratta indietro ed era
scivolata via,
per paura che la figlia di Ullr si avvicinasse troppo. I suoi occhi si
erano
spalancati per un secondo, Jason aveva visto nelle iridi scure, anche
offuscato
dall’assenza degli occhiali, un chiaro sentimento: paura.
Ma non credeva fosse rivolta a loro.
“Hai paura di H” aveva stabilito Jason; Jarnsaxa lo
aveva guardato, distante,
con gli occhi vacui, “Sì” aveva detto,
senza colore, poi aveva recuperato
lucidità, “Non so di che parlate” aveva
detto alzandosi, immediatamente, riacquisendo
lucidità.
Solo allora Jason aveva realizzato che era completamente nuda. Jason
aveva
sentito una vertigine nel vederla e l’imbarazzo era esploso
sul suo viso
brutale. Madina aveva chiuso la mano a tunnel e l’aveva
portata alle labbra soffiando
con vigore, una folata di vento aveva investito a pieno la gigantessa,
riportandola a sedere.
“Oh, maledetta, hai portato la temperatura decisamente sotto
lo zero!” aveva
ringhiato offesa Jarnsaxa, incrociando le braccia.
“Cosa hai combinato con Gerd?” non aveva demorso
Madina. Jarnsaxa aveva sciolto
la sua espressione crucciata in un sorriso sardonico, “Gerd
è una mia buon’amica”
aveva dichiarato, ma non sembrava affatto sincero,
“Però … potremmo fare un
accordo” aveva proposto quella.
Jason si era messo sull’attenti, così come aveva
fatto Madina, “Cosa vuoi in
cambio?” aveva chiesto lui.
“Se domani vincerete al Biathlon vi dirò cosa mi
ha chiesto di fare H” aveva affermato
Jarnsaxa; “Ma se vincerò io, dovrai dirmi cosa ha
combinato la Piccola-Sif” nel
dirlo, la jotun aveva guardato Jason.
“Astrid?” aveva domandato lui confuso, pensando
alla nipote della dea.
Jarnsaxa aveva aggrottato le sopracciglia nere, “No,
Thrud!” aveva ricevuto come
risposta.
Jason aveva sentito un certo brivido correre lungo la sua schiena.
“Non
sappiamo niente di Thrud” aveva detto lui alla fine, cercando
di sembrare più onesto
possibile; “Sei proprio un boy-scout, vero? Non hai mai
mentito nella vita,
vero?” aveva chiesto quella, facendo oscillare i capelli neri.
Fu tentato di risponderle che una volta aveva finto di essere un ghoul
ed aveva
pranzato anche con loro, ma non poteva
“Se non vinciamo, noi?” aveva chiesto allora Jason
per prendere tempo. “Allora
ognuno si terrà i propri segreti e voi
dovrete preoccuparvi solo a come sopravvivere. Bee non vi
salverà due volte”
aveva risposto Jarnsaxa. “Accettiamo” aveva detto
Madina, di getto.
“Formalizziamolo?” aveva proposto la donna jotun;
“Lo giuro sul mio onore”
aveva dichiarato.
“Lo giuro sull’anello di Ullr” aveva
dichiarato Madina, senza incertezza.
Jason aveva avuto il sentore che sarebbe svenuto.
“E tu, boy-scout?” aveva chiesto Jarnsaxa,
guardandolo, “C’entra H? Quanto è
pericoloso?” aveva chiesto Jason.
La sua domanda aveva confuso Madina, che gli aveva tirato una gomitata,
“Non
funziona così” aveva detto la gigantessa.
“Tu parlerai delle tue motivazioni,
io devo tradire la fiducia di un’amica” aveva detto
Jason.
Non era stato reticente per quello, non fino a quel momento almeno
– era più
preoccupato che il suo segreto avrebbe portato ad una guerra tra
pantheon – ma
dopo aver pronunciato quelle parole aveva realizzato, con orrore, che
era vero.
Vero.
Thrud. Kym.
Madina aveva stretto gli occhi, realizzando la portata delle parole di
Jason ed
aveva abbassato lo sguardo, con una certa tristezza negli occhi.
“Eh va bene. Diciamo che quando Odino, la notte, si stende
nel suo talamo e va
a dormire con il timore di cosa verrà ad ucciderlo il giorno
dopo: non pensa al
mio ventre florido, né Loki che porta caos, né la
gola di Fenris, ma pensa
ad H” aveva risposto.
Forse H era
davvero la rottura, lo spezzarsi dell’equilibrio.
“Lo giuro sul mio onore” aveva confermato Jason.
Quando erano
usciti fuori dalla capanna riscaldata, Jason aveva potuto osservare un
nerboruto gigante fuggire via strillando, coperto di sangue. Il Lupo
mezzo-Jotun
teneva con orgoglio era lì impettito, con il muso insozzato,
che sorvegliava i
loro vestiti.
“Oh, grandi dei, ha fatto la guardia” aveva detto
Madina, recuperando i suoi pantaloni.
Jason si era chiuso la pelliccia addosso ancora prima di infilarsi la
maglia,
tanto il freddo pungente lo aveva colto.
Lupo aveva sentito le parole di Madina ed aveva scodinzolato
soddisfatto.
Immaginava che una pelliccia magica come quella di Astrid, potesse fare
gola.
Si erano incamminati tutti e tre lungo la passeggiata di legno che
collegava la
sauna al resto di Utgard. “Stavo pensando: tu sei una figlia
di Ullr, dio della
neve, degli scii e della caccia. Letteralmente la prova di domani per
te è un
gioco. Quindi o Jarnsaxa è la presunzione fatta persona, o
è molto sciocca o
sta progettando qualcosa” aveva considerato Jason.
Era sceso il sole ed una notte quasi soffocante era calata su di loro.
“La
terza, Jason. Siamo ad una competizione di Utgard-Loki, non
è l’abilita con
scii ed arco che sarà valutata ma quella con lo Siónhverfingar”
aveva
detto Madina.
“Ovvero?” aveva chiesto Jason, spaventato.
“Un tipo di seid, il più ingannevole. Le visioni
fasulle, la confusione. Le illusioni
– o almeno quelle sono le arti di Utgard-Loki, ognuno usa il
suo” aveva detto
quella, calma, “L’unica regola e non farsi beccare.
Tipo, se domani, per caso,
dei fulmini cadessero dal cielo …” aveva detto lei.
Jason aveva annuito, “Ma se il Sion-on-so-pronunciarlo
è in grado di
creare visioni fasulle non potrebbero nascondere e creare finti
bersagli?”
aveva chiesto Jason, sapeva che nel biathlon si dovevano colpire
bersagli.
“Sai Jason, mi sei simpatico, anche perché mi stai
facendo fare sostanzialmente
un’avventura… però non ti conosco
così bene da poterti svelare tutti i miei segreti.
D’altronde una ragazza ha bisogno di mantenere una
po’ di mistero” aveva
risposto Madina strizzandoli l’occhio.
Questo aveva guidato Jason ad un’altra riflessione: era
arrivato nel Valhalla
solo tre giorni prima.
Avevano
raggiunto il portone di Utgard, lasciato aperto, sotto lo sguardo di
alcuni
giganti, alcuni interessati a loro ed altri, decisamente, colmi di
acredine
nella loro direzione.
Anche il padrone di casa era lì, indossava un completo da
sera, composto di
piume d’aquila, con un’espressione piuttosto
placida. “Oh, siete riusciti a far
scendere la temperatura anche nella mia sauna” aveva detto
leggermente piccato.
“Ho un talento per raffreddare le situazione” aveva
giocato Madina con un
sorriso onesto sul viso.
“Non avevo dubbi, Madina Ullrdottir. La cena sarà
servita a breve, se ve la
sentite, siete i benvenuti” aveva esclamato, senza colpo
ferire, Utgard-Loki
facendosi da parte.
Jason era entrato, osservando il signore dei giganti, seguito da una
molleggiante Madina; l’espressione placida e divertita del
gigante si era
congelata appena i suoi occhi si erano posati sul Lupo.
“Lui no” aveva detto, “Lui non
è ammesso qui” aveva dichiarato,
nonostante il tono di Utgard-Loki fosse stato privo di ogni artifizio,
di ogni
malia, ma duro come il martello contro il ferro, Jason aveva visto sul
viso
sempre divertito un’espressione colma di tristezza. Lo stesso
Jotun era
infelice del suo bando. Il Lupo aveva uggiolato, ferito da quelle
sferzate, ma
prima che Jason potesse intervenire lo aveva visto chinare il muso e
fari da
parte, sparendo nell’alta neve.
“Questo spiega perché se n’era andato
prima” aveva commentato Madina; Jason
aveva sentito una stretta allo stomaco, il lupo era solo, non aveva
dimora, non
era amato dagli dèi, né dagli jotun.
Un esiliato.
BEE: https://www.deviantart.com/rlandh/art/BEEBOY-901403878
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Capitolo 12 *** Jason Grace spacca il cielo (e poi sviene, ovviamente) ***
EHILA’
stranieri!
Come va? Spero bene!
Io ovviamente no: mi si è rotto il telefono; quindi, ho
vissuto nei meravigliosi
anni ’90, poi sono stata male (ma no, niente covid) e per due
settimane sono
stata trincerata in casa. Inoltre, ho avuto un'altra serie di problemi
personali, che mi hanno stressato parecchio ...
Morale della favola, i capitoli che ho scritto in questo tempo sono
stati tutti
influenzati dalla febbre (e dalla rabbia). Help.
Un grazie di cuore a Farkas per le recensioni, davvero, grazie
<3 e a tutti
colore che seguono/preferisco o anche solo leggono questa epopea
delirante che
è questa storia.
Spero che questo capitolo non vi deluda. Davvero.
Nel frattempo vi allego due disegnini fatti:
- La nostra
bellissima signora di
Alfheim: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Gerd-905591821
- Lady Laufey: https://www.deviantart.com/rlandh/art/Laufey-mother-of-Loki-905591472
Buona Lettura,
baci RLandH
Jason Grace
spacca il cielo (e poi sviene, ovviamente)
La cena era
andata relativamente bene, qualcuno aveva cercato di ucciderli
lanciando dei
coltelli, con la scusa di passarli a qualcun’altro vicino
loro, ma era finita
abbastanza bene. Erano ancora tutti vivi, anche grazie al
provvidenziale
intervento di Bee e Grid, che si era mostrata ben disposta alla loro
presenza –
Jason aveva visto anche Madina scambiarci un paio di parole, quando la
sua
amica era tornata le aveva detto che la madre di Vidar avrebbe fatto
sapere a
Bragi che erano vivi e salvi e che sarebbero tornati
l’indomani – o almeno così
sperava.
Madina si era raccomandata con la gigantessa di non essere molto
specifica sul
luogo in cui erano, ma non godevano di molte speranze.
“Adesso
ci
metteremo a dormire in una casa piena di giganti. Tu ci
credi?” aveva esclamato
Madina, piena di vita, quasi elettrizzata all’idea.
“Che ne dici se facciamo dei turni, per ogni
evenienza?” aveva chiesto Jason.
Mentre Bee si palesava da loro con una bella tazza di latte-e-miele,
indossando
un guardaroba notturno. “Non sono molto entusiasta, inoltre,
ecco, per la legge
dell’ospitalità nessuno cercherà di
farci del male attivamente, ma comprendo il
tuo scetticismo” aveva considerato Madina,
“Comunque, ecco, spero, di riuscirmi
a riposare adeguatamente per competere domani” nel dirlo
aveva passato le mani
per lisciare la superficie dei suoi splendidi scii.
Erano di legno lucidissimo, ma erano stati dipinti con rune e figure
dragonesche.
“Complottate come volete, io ho bisogno di dieci ore di
sonno, probabilmente
non sentirò la chiamata dell’alba” aveva
dichiarato Bee, recuperando una
mascherina da mettersi sugli occhi, prima di scostare le coperte del
suo letto.
Aveva fatto capire, neanche troppo sottilmente, che non aveva
intenzione di
dividere il suo giaciglio con loro, affidando a loro il suo divano.
“Comincio io, con i turni di guardia, così
sarò più riposata per questa
mattina” aveva detto Madina, dando a Jason una pacca gentile
sulla spalla.
Jason
lo aveva saputo, dal primo momento,
quando si era steso sul divano, che i suoi sogni non sarebbero state
nubi nere.
Ne era stato certo quando i suoi occhi si erano aperti davanti un
piccolo
acquario pieno di pesciolini insospettabilmente colorati, si era
guardato
intorno cercando di indovinare in quale parte dei nove mondi fosse
finito,
quale divinità avrebbe visto quell’oggi, senza
averne una minima idea. Ma
l’ambiente aveva restituito a lui solo l’immagine
di una piccola casa caotica,
piena di libri, fogli e vestiti sparsi. Aveva scavalcato biancheria
sospetta,
fino a raggiungere la finestra, unica fonte di luce, tramite le fioche
luminarie di una città addormentata. Aveva dovuto abituare
gli occhi al buio,
ma forse anche grazie alla sua condizione di Einherjar era stato
più facile.
Aveva riconosciuto nella notte il profilo monumentale di un ponte, il
Golden
Gate Bridge … era a San Francisco, non lontano da Nuova Roma
e il Campo di
Giove.
Perché era lì?
Un rumore alle sue spalle, lo costrinse a voltarsi, allarmato. Nico Di
Angelo
era scivolato via dalle ombre senza fare una piega, “Spero di
essere nel posto
giusto” aveva commentato a mezza bocca, osservando
l’ambiente circostante con
spirito critico. Aveva un dito di fuliggine sulla guancia magra e
bianca.
Jason avrebbe voluto correre in contro ed abbracciarlo, ma sapeva di
non
poterlo fare, però si era avvicinato, non era stato
minimamente preparato a ciò
che era accaduto dopo. Nico si era lanciato in avanti, una figura
oscura si era
fatta spazio. Jason aveva assistito alla colluttazione, aveva sentito
il suono
del ferro fendere l’aria, ma tutto era cessato con uno
strozzato urlo di Nico.
“Fermati cretino! Sono io!”
“Dii Imortales, Nico! Ma suonare il
campanello, no?” aveva risposto
esausto Percy.
Qualche attimo dopo la casa era stata illuminata dalla luce calda di
una
lampadina. Nico, non più avvolto dalle ombre, pareva
più emaciato che mai, era
bianco, coperto di fuliggine. Indossava una maglietta rosso sgargiante
su cui
era scritto a caratteri cubitali: El Perro Caliente;
che per qualche inspiegabile
ragione Jason vedeva bene nell’armadio di Leo.
Percy era affannato, ma in pigiama di pile azzurro
su cui erano
stilizzati sopra mitili e pesciolini – come la camicia di Kym.
“Scusa Percy, ma non posso più fare le cose da
persona civile” aveva detto
Nico, a disagio, guardandosi intorno. Aveva puntato gli occhi
sull’acquario nel
soggiorno. “Ti fidi di loro?” aveva chiesto.
“Di chi?” aveva detto Percy,
guardando, casualmente, nella direzione di Jason – che era
frapposto tra lui e
l’acquario.
“Dei Pesci!” aveva detto Nico, come se fosse ovvio.
Percy lo aveva guardato,
poi l’indignazione si era dipinta sul suo viso,
“Certo! Sono i miei
pesci!” aveva esclamato protettivo.
I pesciolini, sentendosi presi in causa, avevano nuotato furiosamente a
destra
e manca.
Nico non era sembrato convinto.
“Ma, mi vuoi dire che succede?” aveva chiesto Percy.
Nico si era fatto ancora più bianco in viso, “Io
… non volevo coinvolgerti, so
quanto ci tieni alla tua vita normale
…” aveva detto Nico, “Strano, sei
piombato nel mio soggiorno come un ladro” aveva replicato
Percy. Nico aveva
assottigliato lo sguardo, “Sì, io non volevo
coinvolgerti prima, ma ora,
be, una divinità marina, credo, stia cercando di uccidermi.
Ad Indianapolis
sono quasi morto affogato in una doccia. In una doccia! Percy! La gente
non si
affoga in una doccia!” aveva raccontato Nico, sedendosi sul
divano del loro
amico, dopo aver calciato via, la scatola di una pizza.
Percy lo aveva seguito, “Immagino non sia successo solo
lì” aveva valutato,
“Ah, no. Ho quasi pensato di emigrare in Nevada, nel deserto.
Ho quasi fatto
fuori anche Leo e Lyt. Per questo, be, sì, potrei averli
lasciati … altrove”
l’ultima parola Nico, l’aveva detta guardando a
disagio l’acquario di Percy.
“Sono venuto da te, perché magari puoi aiutarmi a
capire” aveva detto Nico,
“Insomma; è il tuo campo” aveva aggiunto
il figlio di Ade, un filo di rosso
aveva imporporato le guance, quando aveva realizzato quanto Percy si
fosse
avvicinato a lui. Forse, il loro amico non era più il suo
tipo, forse aveva una
felice relazione, ma come sapeva bene Jason, certe cose non passavano
mai
velocemente.
“Fantastico, chiamo Annabeth” aveva detto Percy.
Nico lo aveva fermato, “No, io, ecco, ho la strana sensazione
che non dovrei
dirlo a nessuno” aveva detto il figlio di Ade.
Percy aveva sollevato un sopracciglio, “Chirone, non sa che
sei in giro, vero?”
aveva chiesto.
“Immagino che ora sia lui sia il Signor D. avranno notato che
non sono al
campo, ma nessuno sa perché” aveva risposto Nico,
nel farlo aveva guardato
ancora i pesci.
Stava mentendo, lo sapeva Will e lo sapeva la sorridente Silena, nei
Campi
Elisi.
Lo sapeva anche Jason, perché ne era la causa e …
sospettava lo sapesse
anche Kym.
Doveva essere Kym.
“Be. Nico, qualche anno ed una decina di missioni mortali fa,
ho imparato una
cosa: senza Annabeth sono perso, spesso letteralmente” aveva
replicato Percy.
Inopinabile.
Madina lo
aveva svegliato con tocchi gentili ed amichevoli.
“Sogno agitato?” aveva chiesto lei.
“I miei amici, loro non stanno passando un bel
momento” aveva raccontato,
parzialmente, Jason. Un’espressione di dolcezza aveva
inondato il viso di
Madina, “Un giorno passerà. Un giorno, loro
saranno altrove e lontano. Da un certo
punto di vista è bello, perché, ecco, non ti
senti più così frustrato dalla
loro lontananza, da un altro … i ricordi cambiano ogni volta
che li
ripercorriamo” aveva detto, accarezzandoli, la fronte gentile.
Era stanca.
“Facciamo cambio” le aveva detto Jason, tirandosi
su dal divano, per
permetterle di stendersi. Madina aveva ubbidito senza lamenti.
Jason si era alzato dal divano, raggiungendo la piccola cucina della
suite,
stanco, con il sogno ancora pesante sul cuore.
Da che la sua anima era stata strappata dalle isole aveva avuto diversi
sogni
su Nico …
Nico che realizzava lui non fosse più nel regno di sua
competenza, che lo
raccontava al suo ragazzo, aveva avuto contatti con Leo ed era ovvio,
si disse
stupidamente, che Kym avrebbe tenuto d’occhio la situazione.
Una figlia di Poseidone aveva fatto rapire l’anima del figlio
di Giove
dall’Orco, per consegnarlo ad Odino, ponendo un fiammifero
vicino al barile di
fuoco greco che avrebbe potuto incendiare una guerra sociale tra gli
Olimpi ed
una tra due pantheon diversi.
Kym doveva aver ignorato l’abitudine di Nico del sorvegliare
i suoi cari,
affidandosi solo al loro zio, e l’abitudine di controllare
solo i regni
immortali dove risiedevano le anime di chi aveva avuto sfortuna.
Chi scapperebbe mai dai campi elisi, infondo?
Ma doveva aver saputo di Nico e doveva aver valutato che provocare la
morte di
Nico, fosse un prezzo accettabile …
E, dei immortali, Jason si sentiva responsabile anche di quello.
Non aveva
svegliato Madina per il resto della notte, decidendo che il suo riposo
era più
importante di quello di Jason. Si era tirato su, tutta la mattina,
grazie a
caffè e miele di Bee.
Nonostante ciò che aveva detto lo Jotun prima di
addormentarsi, si era
svegliato anche lui, poco prima che sorgesse l’alba.
“Pensavo avessi bisogno di
dieci ore di sonno” aveva detto Jason.
Quello aveva sorriso esausto, “Sì, ma prova ad
avere per famiglia un gruppo di
mentalisti con poteri ingannevoli. Dieci ore di sonno sono pura
utopia” aveva
dichiarato quello, mentre raggiungeva il suo minibar per recuperare il
suo
grande corno.
“Allora, avete bisogno di uno stregone, per fare qualche
malia?” aveva
domandato quello, “Cosa ci guadagni?” aveva chiesto
Jason.
“La vita di un apicoltore è insospettabilmente
noiosa” aveva replicato Bee,
senza colpo ferire; Madina li aveva raggiunti, con il sonno ancora
impastato
sul viso, “Ho sognato gli altri” aveva dichiarato
senza particolare cupezza. “O
meglio, ho sognato Mel e Stellan. Stanno bene, hanno recuperato le
braghe; a
quanto pare è una storia divertente” aveva
dichiarato lei, calma. Fino al
giorno prima, a Jason era parsa rilassata e tranquilla, ma in quel
momento
pareva quasi leggera.
“Vinciamo la sfida, filiamo dritti nel Valhalla e
continuiamo” aveva dichiarato
ristorata Madina; Jason aveva annuito – “Oh
potremmo filarcela ora, visto che è
andata” aveva soppesato Jason.
Avevano deciso di andare ad Jotunheim per guadagnare tempo, caso mai
non
avessero saputo della profezia. “Negativo, amico mio, abbiamo
giurato” aveva
ricordato lei.
“Giusto!” aveva concordato
Jason, passandole una tazza di tè caldo con
il miele.
“Allora” aveva esordito Madina, “Io
competerò alla prova, mentre Jason, caro,
tu dovrai occuparti del resto” aveva spiegato subito lei.
“Nelle competizioni di Utgard-Loki ogni atto è
permesso, purché non sia
rilevabile” li aveva avvertiti Bee, con un sorriso tranquillo.
“Ecco,
tesoro, tu sarai Eihwaz” aveva detto Grid dando a Madina una
pettorina su cui era
presente una runa, sembrava un uncino acuto, che lei aveva indossato
sopra la
maglietta verde bottiglia ed i pantaloni elastici. La runa Eihwaz era
visibile sia
dal petto che dalla schiena.
Portava gli scii su una spalla, arco e frecce infilate nella faretra,
legata
alla schiena da una cintola che le tagliava il ventre in obliquo.
“Grazie” le aveva detto gentile Madina,
congedandosi, aveva strizzato uno
sguardo a Jason, prima di mettersi in fila con gli altri partecipanti.
Non lontano da Jarnsaxa, in tuta da scii ed occhialini protettivi.
Erano sulla cima di una montagna, ma non vi erano saliti, era arrivata
lì, si
era scavata intorno a loro, con Utgard sul suo cucuzzolo.
“È un illusione?” aveva domandato subito
Jason a Bee, “No, sì. Forse qualcuno
ha solo modellato il mondo” aveva risposto l’uomo
con calma, “Bene, sei pronto
a fare la tua magia” aveva dichiarato Bee.
Utgard-Loki stava spiegando a gran voce le regole, il percorso era di
una certa
vastità, terminava in un luogo riconoscibile da una lunga e
luminosa banda
rossa, passava due diverse alture – e Jason non aveva idea
come fosse previsto
per i partecipanti risalire con gli scii – uno slalom in una
foresta, venti
bersagli in movimento. Ognuno dei partecipanti avrebbe avuto frecce su
cui
inciso la propria runa di riconoscimento.
“Il
primo
che taglierà la linea segnerà la fine della
competizione. Nessun bersaglio
toccato dopo sarà conteggiato” aveva dichiarato
Utgard-Loki, “Inoltre: non si
vola e non sono ammesse magie” aveva riso
nell’ultima frase da lui
affermata.
Aveva sollevato le braccia verso il cielo, “Adesso miei
Giganti e Gigantesse …
ed ovviamente Einherjar di fortuna, potete cominciare” aveva
gridato
Utgard-Loki e dalle sue mani erano eruttate scintille.
L’attimo dopo era cominciata la folle discesa.
“Andiamo su-su” aveva detto subito Bee, cominciando
a correre e Jason aveva
osservato come anche altri jotun, che non avevano partecipato alla gara
di scii
stavano cominciando a scendere.
“Ragazze mi raccomando seguite la figlia di Ullr”
aveva detto Bee, ad una
piccola ape che aveva presto deciso di scomparire nella neve.
Il gigante,
come lui, affondava ad ogni passo, ma sembrava decisamente
più a suo aggio di
quanto avesse mai fatto Jason. Un fruscio alle loro spalle li aveva
disturbati.
Era un gigante, quello del giorno prima, grosso, che era stato poco
felice
della loro presenza lì. Fornjotr. “Oh, Bee, qui
fuori la tua protezione non ha
valore” aveva ringhiato, tirando fuori un’ascia.
“Io non sono un combattente” aveva dichiarato Bee,
“Cioè lo sono ma faccio
schifo” aveva precisato. Jason aveva infilato una mano nella
tasca ed aveva
lanciato Giunone in aria, quando l’aveva ripresa, lei si era
trasformata in un
gladio scintillante.
“Fai la magia illusoria, io mi occupo di lui” aveva
detto Jason, calmo.
Calmissimo.
Stava affidando a Bee, di cui non si fidava affatto, l’aiuto
che Madina aveva
chiesto, cosa che Jason non poteva permettere.
Kym stava progettando l’omicidio di Nico.
Nico aveva trascinato Percy.
Jason non avrebbe lasciato da sola anche Madina.
“Tu non sei uomo da cicatrici sulla schiena, vero,
Einherjar?” aveva domandato
il gigante, sollevando la sua ascia, “Io so che è
un modo di dire sul fatto che
sono coraggioso, ma in realtà sono morto pugnalato alla
schiena, due volte”
aveva risposto Jason.
“Be, sicuramente sei divertente” aveva dichiarato
lo jotun.
O i nordici avevano un senso dell’umorismo raccapricciante,
perché Jason non
era mai stato divertente.
Fornjotr aveva
sollevato l’ascia e si era lanciato verso di lui, Jason lo
aveva
evitato per un miracolo, i suoi riflessi pronti erano stati gravemente
inficiati dalla coltre di neve su cui erano.
Aveva approfittato del fianco libero del Gigante, per colpirlo
sull’anca.
La lama d’oro era scintillata alla luce tiepida del mattino,
ma la punta aveva
avuto uno scontro netto con l’armatura di cuoio.
Fornjotr aveva riso, di lui. Jason aveva fatto scattare
l’altra mano, a palmo
aperto, con violenza ed una fonte d’aria bruciante lo aveva
attraversato
irrompendo contro il petto del gigante che era stato sbalzato via.
Quello era
finito con forza contro un tronco, finendo per spezzare
l’albero.
“Questo è stato inaspettato” aveva
dichiarato lo jotun con un colpo di tosse,
tirandosi su con fatica, “Sei un figlio di Njord?”
aveva chiesto poi, con una
risata.
“No” aveva risposto Jason, mentre l’uomo
aveva fatto passi pesanti per
recuperare la sua ascia, Jason aveva sentito l’aria farsi
più fredda, quasi
elettrica.
“Meglio per te, perché il suo vento non
è nulla rispetto la mia tempesta” aveva
ringhiato, impregnando l’aria di una risata piena; aveva
alzato nuovamente la
lama verso il semidio, lanciandola. Jason non aveva usato il vento per
deviarla, lo aveva sfruttato per sollevarsi dalla neve,
“Esattamente: quanti
dei della tempesta esistono in questa mitologia?” aveva
domandato lui,
stringendo la presa su Giunone.
“Non importa. Io sono il più vecchio!”
aveva specificato Fornjotr con vigore,
“E non mi interessa da chi tu sia schizzato fuori”
aveva ruggito.
Jason aveva sentito i venti su di lui, nemici, non era come Dylan, che
era suo
opponente, ma che a Jason era comunque possibile domare, no, questi
venti
queste energie erano per lui estranee.
Aveva visto creature come Tempesta, solo che invece di essere maestosi
cavalli
di vento, erano lupi. Enormi, aggressivi.
Jason era schizzato nel vento evitandoli. Fornjotr aveva raggiunto
invece il
tronco dove si era ficcato l’ascia per recuperarla. Il figlio
di Giove aveva
fenduto l’aria con un taglio d’oro di Giunone,
aveva decapitato un lupo, che si
era dissolto in una folata d’aria. Jason aveva evitato gli
altri, a balzi, fino
a tornare sulla neve, tenendosi sollevato però dalla terra,
di meno di un
centimetro, abbastanza per non affondare.
Fornjotr lo aveva caricato ancora, Jason aveva usato Giunone per
intercettare
la lama, avevano cozzato l’un l’altra un paio di
volte.
Prima che Jason con uno slancio, posasse una mano sul pettorale dello
Jotun,
stringendo le dita sulla clavicola, l’attimo prima che un
lupo di vento
addentasse con denti glaciali come schegge di ghiaccio sul braccio
armato.
Nonostante la pelliccia di Astrid, aveva sentito il dolore del morso.
Jason aveva stretto le labbra e i denti, resistendo al dolore e
all’urlo.
“Io.sono.la.tempesta” aveva
stabilito, fissando gli occhi dritti nello
sguardo verso lo jotun, prima che sentisse un’energia potente
fluire dentro di
lui, fulmini brucianti erano scintillati nelle sue vene, prima di
riversarsi
sullo jotun, folgorandolo in pieno.
Fornjotr era caduto per terra, decisamente scosso, tanto era bastato
perché
perdesse il controllo sulle sue bestie di vento, la morsa sul braccio
di Jason
si era allentata del tutto, lasciando solo il dolore, aveva guardato il
suo
braccio, la pelliccia era sbrindellata e Jason poteva vedere la maglia
di ferro
d’oro scintillante sotto. Astrid si sarebbe infuriata.
Lo Jotun si
era tirato su, c’era stanchezza nel suo viso, nel suo corpo,
“Sei bravo
ragazzino! Questo non è Thor – roba da Signore.
Forse Odino? Un tempo
anche lui sapeva giostrarsi nelle tempeste, ma no: Perkunnas? Perun?
Zeus?”
aveva chiesto retorico. “Giove. Io sono un figlio di Giove
Ottimo Massimo”
lo aveva corretto Jason, sentendo l’elettricità
correre sotto la sua pelle.
Se lo jotun avesse avuto intenzione di tirarsi su ancora, era stato
fermato da
una grossa zampa lupesca che aveva spinto Fornjotr a terra.
Il Lupo esiliato era apparso dal nulla, davanti a lui, ed aveva messo a
terra Fornjotr.
“Ah, che strani amici, che ti sei fatto, Drefabróker”
aveva sospirato quello. Il Lupo aveva ringhiato senza arretrare di un
solo
passo. Aveva girato il muso verso Jason, ed aveva sollevato il collo,
come ad
accennare un proseguimento.
Jason aveva annuito, recuperando la sua spada, le ferite avevano
cominciato a
rimarginarsi.
Drefabróker, non sapeva
perché, ma non li pareva fosse un nome. Non
veramente.
Jason si era
rimesso a correre, cercando di identificare Madina, ma dopo tutto quel
tempo
non sapeva come trovarla, intorno a lui era sceso il silenzio, tutti i
competitori della sfida erano scomparsi.
Jason fatto un balzo, sollevandosi nell’aria per riuscire a
non affondare nella
neve, cercando di destreggiarsi per la foresta, in cerca di un indizio.
Poi
l’aveva vista ronzante davanti a lui, una grossa ape gli era
volata davanti per
allontanarsi.
Jason l’aveva seguita, certo fosse una delle ragazze
di Bee.
La sua fede era stata ricompensata, perché, luminoso ed
arancione aveva trovato
l’apicoltore. “Su, Ilda, pungi
quell’energumeno lì” aveva sussurrato lo
jotun
ad un’ape che era schizzata subito verso un gigante,
l’attimo dopo quello era
caduto per terra.
“I pungiglioni delle ragazze sono piuttosto
potenti” aveva scherzato Bee,
strizzando verso di lui l’occhio; “Sai che ogni
volta che un’ape punge
qualcuno, muore?” aveva chiesto retorico Jason. “Le
altre api sì, le mie no”
aveva risposto Bee, indignato, con una mano sul petto.
Aveva pensato a Percy difensivo verso i suoi pesci.
“Sono tipo caricate al sonnifero?” aveva chiesto
Jason, “Nì – Io sono
un
dio calma-tempeste, le mie ragazze portano la quiete e
…” aveva risposto lui.
“Sarebbe stata utile contro Fornjotr” lo aveva
interrotto Jason seccato,
“Probabile, ma tu andrai via. Io domani sarò
ancora qui, con Mr Gigante
Ancestrale… e tu stai lievitando” era
stata la risposta onesta e sconvolta
di Bee. Jason era atterrato sulle piante dei piedi e poi era affondato
successivamente nella neve. “Madina?” aveva chiesto.
“Oh, la tua amica sta andando una furia, evita alberi e
frecce, modella la neve
sotto di lei ed ha preso tutti i bersagli fino a ora, neanche mezza
illusione
la ha ingannata” aveva dichiarato subito Bee, ammirato,
“Utgard-Loki aveva
preparato certe sottigliezze impossibili da vedere, perfino per uno
attento
come me” aveva raccontato, prima di ammettere che
l’aveva persa di vista.
Un frusciare
veloce aveva annunciato l’arrivo di Drefabróker,
che li aveva guardati
interessato, chinando la testa di là. “Riusciamo a
cavalcarti in due?” aveva
chiesto lo Jotun, “Non importa, io volo” aveva
dichiarato Jason, prima di
sollevarsi di nuovo in cielo.
“Piccola peste in che casino mi hai messo?” aveva
sentito, lontano, Bee
lamentarsi, aveva ricevuto in risposta un ululato.
Jason si era sollevato appena oltre le fronde, cercando dal cielo la
sua amica.
Aveva osservato gli ultimi jotun che affrontavano la discesa boschiva,
una era
appena caduta colpita in pieno da una lancia.
Aveva osservato invece i giganti rimasti ancora in piedi che avevano
smontato
dagli scii e li avevano issati sulle spalle per poter arrampicarsi
sulla salita
prevista nel discorso.
Aveva individuato, subito, Jarnsaxa, slanciata e decisa, con passo
spedito
verso la vetta – a guardarla da quella distanza pareva
più alta e grande –
affondava nella neve, ma teneva il ritmo battente, più
avanti degli altri.
Jason non aveva la minima idea di dove fossero finiti gli scii, ma
aveva l’arco
teso ed una freccia incoccata, pronta a colpire.
Lui non si era perso d'animo; Jason aveva cercato Madina tra le persone
rimaste
indietro. Aveva impiegato del tempo per trovarla, ma aveva
riconosciuto, alla
fine, la chioma disordinata di riccioli scuri della sua amica.
L’ordinata treccia pareva un pallido ricordo. Madina aveva
sistemato gli scii
sulla schiena, nella custodia, aveva però l’arco
alla mano. Aveva notato che
alcuni jotun, come la sua amica, non affondavano nella neve –
nell’Edda, aveva
letto, oltre i giganti di fuoco, che vivevano in tutt’altro
modo, c’era una
differenza: quelli di ghiaccio e quelli di roccia – ma
nessuno sembrava così
svelto come lei.
Jason l’aveva vista arrestarsi improvvisamente, poi senza
esitazione aveva teso
l’arco alla sua destra e lesta aveva scoccato una freccia.
Aveva osservato il
dardo fendere l’aria verso il niente, l’azione
aveva attirato l’attenzione di
alcuni Jotun. La confusione di Jason, però, si era dissipata
un momento dopo,
quando aveva visto che Madina non aveva mirato verso il nulla; la
freccia si
era conficcata nell’aria, l’attimo dopo al posto
del nulla era apparsa una
cerva di legno, immobile, su cui il dardo era piantato.
Madina lo aveva veduto nonostante l’illusione.
Jason aveva sorriso, rincuorato, la sua amica aveva rivelato, in
precedenza,
che aveva ancora dei segreti su se stessa.
Il pensiero l’aveva distratto, abbastanza da non vedere un
grosso jotun
infuriato lanciare una lancia verso la sua amica, neanche Madina lo
aveva notato,
Jason si era concentrato ed aveva chiamato il vento, forte e potente
per cui un
destriero fatto d’aria aveva deviato di molto la mira,
evitando la ragazza.
Madina non se n’era neanche accorta.
Jason fece un respiro profondo; Madina era spedita nella sua salita, a
superarla, oltre Jarnsaxa vi erano solo pochi altri giganti, la maggior
parte
era alle sue spalle; lui doveva darle un vantaggio.
Il figlio di
Giove aveva chiuso gli occhi ed aveva fatto un lungo e profondo
respiro, Sapeva
di poter far qualcosa, lo sapeva, perché aveva ricordi
– sbiaditi – degli anni
di Roma di averlo letto negli annali, dei poteri strabilianti che erano
stati
mostrati da alcuni figli di Giove. Non lui, non fino a quel momento.
Però, in cuor suo, stranamente, sapeva di potere.
Forse prima, in vita, no, ma in quel momento non era più un
semplice
mezzosangue, era un einherjar.
“Lo
sai che nel 1888 un figlio
di Giove ha scatenato un Temporale di Neve
di proporzioni apocalittiche sulla east-cost?” aveva chiesto
retorica Reyna.
“Cosa faceva lì?” aveva domandato Jason,
genuinamente confuso. “Non so. Era
finita la guerra di secessione da un ventennio, magari c’era
ancora qualcosa in
pasto” aveva valutato quella, tranquilla, “Tu pensi
di poterlo fare?” aveva
domandato lei interessata.
“Sembra … Forse” aveva risposto,
insicuro, Jason.
Prima
però
di tentare alcuna cosa, aveva ricordato le regole del gioco. Non era
questione
di barare ma di non farsi notare. Così, Jason aveva cercato
con lo sguardo Bee
e Drefabróker, lì aveva trovati, stavano
risalendo l’altura spediti, lo Jotun
sulla groppa del lupo. Lui era arrivato al loro fianco, ma volando non
era in
grado di reggere l’andatura veloce della bestia.
“Jason!” aveva esclamato Bee, vedendolo.
“Devo fare una cosa: pericolosa per
me, per tutti” aveva dichiarato Jason, mentre Drefabróker
si era arrestato, per permettere a Jason di issarsi sul suo dorso,
proprio
dietro Bee – per un secondo aveva ricordato Festos con Piper
e Leo.
“Fantastico. Ti odio, perché mi metti sempre in
queste situazioni” aveva
ringhiato Bee, nel dirlo aveva tirato un buffetto con il tallone sul
fianco del
lupo, che ne era stato piuttosto infastidito.
“Bee, tu sei un’illusionista, vero?”
aveva chiesto poi Jason, “Sì. Be, mi
diletto. Mio fratello Loki dice che sono a malapena un mago
prestigiatore
impiegabile per una festa di bambini, ma lui ora è legato
tra due rocce con
degli intestini e un serpente che gli cola veleno in faccia ed io sono
libero.
Così penso sia ovvio chi sia l’incantatore
più bravo” aveva raccontato
trionfante Bee, ricevendo in risposta un ringhio da parte di
Drefabróker.
Jason lo aveva ignorato a pie pari, “La gara funziona per Swa-Incantesimi
Illusori, che però non devono essere scoperti. Devi
nasconderci” aveva
esclamato Jason, perentorio.
Bee aveva annuito, aveva slacciato un poco il colletto, per prendere
aria.
“Secondo te, cosa è meglio: seid o magia
runica?” aveva domandato Bee poi. Il
figlio di Giove si era fatto rigido, “Non ne ho-”
aveva provato Jason, ma
presto era stato chiaro che la domanda fosse stata posta al lupo,
quello aveva
emesso un ululo, preciso, come se avesse espresso un’opinione
chiara. “E Rune
sia! Allora... Odio la magia runica, sono un dannato jotun!”
si era lamentato
Bee, prima di infilare una mano nella fessura sul davanti della tuta
per
estrarre un sacchetto, “Spero di non perderle” si
era lamentato, mettendosi a
frugare. Per Jason era eccezionale che riuscisse a farlo mentre
cavalcavano il
lupo, Jason era letteralmente arpionato al pelo, con il viso
schiacciato sulla
schiena di Bee.
“Perfetto! Algiz, la
protezione” aveva dichiarato il gigante,
recuperando una tessera. Aveva una forma esagonale ed era di un
materiale di
pietra levigata, liscia e luminosa, su cui era inciso qualcosa, in
oro-bronzo.
Bee aveva sussurrato qualcosa, con un tono basso e veloce, come una
cantilena,
poi una luce brillante li aveva avvolti, “Ecco,
sì, ora siamo ben schermati”
aveva dichiarato tronfio.
Jason aveva annuito, forzandosi a lasciare la presa dalla pelliccia
grigia del
lupo, per sollevare le braccia al cielo, spaventato.
Aveva richiamato ogni vento su cui avesse percezione, anche se erano
ostili,
diversi, selvaggi, ma lui ci aveva provato, si era appellato ad ogni
del suo
corpo forza per tirarli giù, i più freddi ed
acuti, dalle altitudini più
lontane, fino alla terra. E lo aveva fatto, gli aveva domati tutti,
più feroci
di Tempesta, di Dylan, di chiunque.
Freddo.
Era venuto giù il freddo, così come le correnti,
forti, che si scontravano l’un
l’altro, i gelidi venti delle alture e quelli più
miti delle quote terrestri. E
quella lotta aveva fatto scivolare il mondo in un algido clima,
così freddo,
come neanche Jotunheim era mai stato, così forte che anche
tramite la pelliccia
di Astrid lo poteva sentire. Poi era cominciata la neve, neve, pesante
e dura
come proiettili, sferzata in ogni direzione, come una bufera. Era neve,
come
pioggia.
E i fulmini, prodotti dai venti termici differenti, alimentati da
Jason, dal
suo potere, dalla sua vitalità, qualsiasi tipo di
vitalità.
“MA …” si era lasciato sfuggire Bee,
mentre il figlio di Giove si era
impegnato, profondamente, per tenere il temporale di neve controllato,
nella
zona che a lui serviva.
E fulmini e tuoni erano crollati sulla neve, sull’altura,
bloccando ogni
avanzata, ogni possibilità.
Jason aveva tenuto su il Temporale di Neve fino a che aveva potuto,
fino a che
il suo corpo aveva retto, la sua energia lo aveva sostenuto. Aveva
sentito il
sangue gocciolare via dal naso, la testa rimbombare e la vista farsi
oscura.
Aveva sentito il lupo ululare, pieno di terrore. Bee si era voltato
verso di
lui, con un viso quasi granitico, gli occhi spalancati, ammirato, ma
anche
terrorizzato, “Cavoli, amico, sei un Ergi.
Un ergi maledettamente potente” aveva valutato. Jason lo
aveva ignorato, anche perché
volendo non sarebbe riuscito altrimenti, sentiva ogni muscolo del suo
corpo,
ogni centimetro della pelle, andare a fuoco. Bruciava. La testa pulsava
come
percorsa da un martello, ma non poteva cedere.
Il roborare del vento e il picchiare dei tuoni aveva offuscato ogni
altro
suono, perfino quello dei suoi stessi pensieri. Jason aveva sentito il
sapore
del ferro, del sangue, sulle labbra.
“Sai
Jason, tu sei
terribilmente potente, ma a volte, ho l’impressione che tu
non ti renda neanche
conto che hai dei limiti”
“Se tu che mi hai chiesto di farlo, Reyna”
“No ti ho solo chiesto se potevi”
Aveva tenuto su la tempesta fino a che aveva potuto, fino a che non era
collassato.
Fino a che i suoi arti non si erano fatti di gelatina ed aveva perso la
presa
con le gambe sul dorso del lupo.
E quando non era riuscito a reggere più i venti e i fulmini,
era crollato.
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Capitolo 13 *** Hai presente tutti quei miti sul non fare infuriare le divinità marine? Ecco, sì, forse andavano letti meglio ***
ECCOMI!
Prima di tutto: ho risolto tre quarti dei miei problemi (questo vuol
dire che
avrò tre quarti in meno del tempo per scrivere, ma non
importa, possiamo
farcela).
Questo capitolo come l’ultimo (e metà del
prossimo) è stato scritto sotto il
flusso della febbre, ma ho avuto modo di sistemarlo un po’
per dargli un po’
più di coerenza. Non ci sono riuscita, a metà
c’è un enorme, anzi gigantesco,
nodo gordiano che è stato riscritto dodici volte senza
successo.
Bene, riguardo al titolo, per scriverlo sono state prese in causa
diverse
persone, cioè ho tormentato tutte le mie amiche lol, il
titolo originale, ve lo
lascio, perché mi piaceva troppo: La
Cat(fish)fight Divina.
Detto questo sempre un enorme grazie di cuore a Farkas per le
recensioni e a
chiunque segua/preferisca o anche solo legga.
Oltre questo, finalmente la povera Jarnsaxa ha anche il suo disegno e
ne ho
anche un altro, che metterò al fondo.
Comunque, ecco, la nostra ‘Saxa nella Sauna:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Jarnsaxa-the-rival-of-Sif-907217284
Baci
RLandH
Hai presente
tutti quei miti sul non fare
infuriare le divinità marine? Ecco, sì, forse
andavano letti meglio
Jason era nel
Valhalla. Aveva
riconosciuto la camera da letto spaziosa di Kráka,
aveva riconosciuto anche la valchiria. Era seduta al suo tavolo da
pranzo che
osservava con incredibile attenzione le rune di Astrid. La donna aveva
al suo
fianco una serie di fogli su cui stava scrivendo fittamente in
linguaggio
runico. “Quindi hai creato tutti quei casini ai piani dei Re
solo per non ammettere
che non avevi idea di cosa dicesse il futuro?” aveva chiesto
un’altra voce,
Jason aveva potuto vedere un’altra valchiria raggiungere
Kráka e posando una
tazza di te freddo con ghiaccio alla sua con-sorella. Era
alta, quasi quanto Boedicca,ma più snella
della cuoca valchiria. La donna esibiva una folta capigliatura bruna,
discinta,
che scendeva sulla schiena dritta come una spada e le spalle ampie.
C’era
qualcosa di profondamente ruggente in lei. La stessa
imperiosità di Reyna.
“Lagherta
come sei mal
pensante!” aveva risposto Kráka fintamente
indignata.
Lagherta aveva sollevato un sopracciglio nero, con uno sguardo
piuttosto
critico, “Va bene, è successo qualcosa. Il mio
dono è oscurato, devo farlo alla
vecchia maniera e la vecchia maniera prevede un’attenta
analisi di tutti i
significati” aveva raccontato Kráka,
“Devo valutare l’ordine, la distanza, il
modo in cui sono cadute, le inclinature” aveva riportato,
sembrava stanca.
Lagherta le aveva posato una mano sulla spalla, gentile, “Va
bene, ma dovrai
rispondere tu alle domande del bel cherusco” aveva dichiarato
con estremo
divertimento l’altra. “Laghertaaaa!”
si era lamentata Kráka voltandosi sconvolta verso
l’altra
valchiria, che di rimando aveva aperto la porta, aveva lasciato entrare
Mel,
prima di scivolare fuori.
Mel indossava la maglietta dell’hotel, i suoi capelli erano
lasciati sciolti,
invece che nella treccia severa, ed indossava un paio di pantaloni di
pelle del
colore del cuoio. “Belle le tue braghe nuove”
aveva commentato Kráka,
“Quando le aveva Richard erano pelose, ma appena le ho messe
sono diventate
così” aveva risposto scanzonato il suo amico,
“Le rivuoi?” aveva chiesto. “No,
serviranno più a voi che a me” aveva dichiarato
con nonchalance Kráka, con un
sorriso mesto. “Sai? Prima che andasse verso la sua morte, ho
cucito per il mio
Ragnar una tunica resistente a qualsiasi arma – ora
è con lui a Nilfheim”
nel pronunciare il nome del regno dei morti, Kráka aveva
assunto un tono
lugubre; suo marito era stato un grande guerriero e, forse lei non
doveva
accettare che non stesse lì, nella Sala dei Caduti;
“E be, allora lui ha dato i pantaloni resistenti a qualsiasi
veleno al piccolo
Ubba” aveva commentato, con voce spenta, “Alla fine
è stato ucciso a causa dei
morsi di centinaia di serpenti, divertente no?” aveva
scherzato forzatamente
lei, gli occhi pregni di dolore. Mel si era fatto colmo di disagio,
abbassando
gli occhi sui suoi nuovi pantaloni di pelle. “Ti stanno
meglio che ad Ubba”
aveva recuperato calore Kráka.
Mel aveva annuito, poi con tranquillità, recuperando
lucentezza, aveva chiesto:
“Quindi mi serviranno un paio di pantaloni a prova di
veleno?” desideroso forse
di cambiare argomento.
“Può darsi. Devo farti una confessione, vecchio
amico, non sta andando
benissimo. È chiaramente successo qualcosa. Però
di una cosa sono certa; guarda
qui” aveva considerato Kráka, indicando una Runa.
Mel l’aveva guardata, anche
Jason si era sporto per osservarla. Il simbolo inciso sulla tessera
somigliava
ad una F con le stanghette laterali oltre ad essere fra loro parallele,
e della
medesima lunghezza, non erano perpendicolari a quella verticale, ma
obblique.
“Fehu” aveva letto Mel,
“Fehu. La runa di Frey” aveva ripetuto
Kráka,
“Tra i suoi infiniti significati: la ricchezza”
aveva aggiunto la volva.
“Se ci troviamo a doverci confrontare con un vasto tesoro
probabilmente
incontreremo un drago, dici?” aveva chiesto Mel retorico,
dando un pizzico
all’orlo dei suoi pantaloni. “Può darsi,
può darsi. Forse incontrerete
semplicemente un figlio di Frey, è un dio della
fertilità, non mancano” – Mel
aveva borbottato qualcosa, che Jason non aveva capito. La volva aveva
continuato dritta come una frecci: “Oppure vuol dire che
troverete il dannato
cinghiale luminoso” Kráka aveva fatto una pausa,
stanca. “Inoltre, la tessera è
inclinata, è un presagio non felice, Mel. Il desiderio di
Ricchezza porta gli
uomini in vie infelici, lo ho visto con la mia famiglia”
aveva raccontato con
un tono di voce calmo. “Questa canzone la conosciamo
entrambi” aveva sussurrato
Mel, allungando una mano per metterla sulle spalle della donna, calmo.
“A proposito, quando sei salito nei piani dei Re, hai parlato
con tuo padre?”
aveva chiesto Kráka,
improvvisamente. Mel era
avvampato.
Jason non aveva sentito la risposta.
Jason si era
svegliato grazie al sapore zuccherino sulle sue labbra. Aveva aperto
gli occhi
con fatica, incontrando il viso lentigginoso e pieno di aspettativa di
Bee. “Buongiorno
Ergi” aveva dichiarato lo Jotun allontanandosi.
Jason aveva battuto le
ciglia, ricordava che lo Jotun lo avesse chiamato così anche
un’altra volta.
Ormai esausto di tutte quelle informazioni vorticanti, Jason aveva
deciso di
mandare giù tutto. Si era tirato su, realizzando di essere
stato steso nella
neve fino a quel momento. “Spero non tenessi troppo alla tua
pelliccia, la hai
intrisa del tuo sangue” aveva commentato Bee, aggiustandoli
il colletto del
cappotto. Jason aveva abbassato lo sguardo, osservando le macchie scura
intessute nella pelliccia. Astrid non sarebbe stata affatto contenta.
“La
prova?” aveva chiesto subito Jason, scacciando velocemente il
pensiero della
sua compagnia di piano, armata d’ascia e piuttosto
infervorata.
“Tranquillo, Jason caro, ho vinto” aveva sentito
Madina alle sue spalle. Jason
si era voltato, subito, vedendo la sua amica. Le mancava una manica
della
maglietta, i capelli erano sciolti, ad uno scii mancava un pezzo, non
aveva più
l’arco, aveva uno strappo sul ginocchio sinistro ed indossava
due scarpe
diverse. “Alla fine eravamo rimasti sono io, Jarnsaxa e
l’ennesimo Thrym, ma la
provvidenziale comparsa di uno sciame d’api e di un maestro
del seid mi hanno
aiutato” aveva spiegato subito lei, prima di correre
immediatamente da lui, per
abbracciarlo, stretto.
“Quando non ti svegliavi, mi sono preoccupata
tantissimo” aveva sussurrato nel
suo orecchio, dolcemente, “Ti avevo chiesto un fulmine, non
di aprire il cielo”
aveva aggiunto, staccandosi Madina, prima di stringerlo di nuovo.
“Quanto ho
dormito?” aveva chiesto Jason, con del panico. Da quanto
tempo erano a
Jotunheim?
“Un paio d’ore. Il miele delle ragazze ti ha
rimesso su” si era inserito Bee,
nel discorso.
“Tardi, ovviamente, ti abbiamo dovuto trascinare via da
Utgard, prima che i
giganti si decidessero ad uccidervi” aveva affermato Bee,
“Ma Utgard-Loki mi ha
dato una medaglia, con tanto di coccarda” aveva esclamato
Madina, mostrando con
orgoglio il suo premio.
Jason non sapeva se ridere, davvero, “Il nostro altro
premio?” aveva chiesto poi,
invece. Madina aveva riso con un po’ di imbarazzo ad
imporporarle le guance,
prima di ammiccare ad una direzione. Drefabroker stava tenendo un dialogo
con
Jarnsaxa.
Si erano
avvicinate alla jotun, “Allora, sono rimasta anche troppo.
Qualcuno potrebbe pensare
che abbia preso in simpatia i thrall di
Odino” aveva asserito, subito,
Jarnsaxa, sollevando ambedue gli indici delle mani, per sottolineare la
situazione.
“Siamo Onorabili Guerrieri” l’aveva
corretta Madina e per Jason era stata la
prima volta che la sentiva perdere la sua giocosità. Jason
ricordava quel
termine usato anche da Astrid, ma non conosceva il significato, ma non
doveva
essere bello. “Sottigliezze” aveva dichiarato
Jarnsaxa.
Jason aveva preso la parola, puntando gli occhi dritti in quelli della
gigantessa, “Facciamo velocemente, allora?” aveva
proposto, attirando il
consenso di quest’ultima.
“Bene, il vostro accordo, Boy-Scout, prevedeva che io vi
dicessi quello che H
mi ha chiesto: distrarre Gerd, perché lei doveva prendere
qualcosa … non ho
idea di cosa fosse” aveva dichiarato Jarnsaxa.
Quello, lo sapevano loro.
“Lei? H è una donna? Non è
Helblindi?” aveva chiesto Madina, subito.
Bee si era interessato alla menzione del fratello ed anche il Lupo
aveva
ululato, contrariato. “Helblindi? Ah, come si vede che non lo
conoscete” aveva
riso di loro Jarnsaxa. “Helblindi? Ragazzi non so che idea vi
siate fatti della
mia famiglia, ma mio fratello probabilmente ora è
nell’isola di Pasqua in
compagnia di un’aitante dea polinesiana. A lui non importa di
inimicarsi
nessuno mai; è letteralmente l’Immortale”
aveva
dichiarato Bee.
Jason si era
voltato verso Bee; non poteva fidarsi completamente, ma aveva avuto
l’impressione che Jarnsaxa quando avesse usato il femminile
parlando di H, lo
avesse fatto quasi sopra a pensiero.
E se dunque, Bee, era del tutto disinteressato alla questione, li aveva
davvero
aiutati, per richiesta di Váli.
“Quindi chi è H?” aveva chiesto Madina,
non perdendosi nei pensieri, differentemente
da lui.
“Quando ho
detto che H è l’incubo di
Odino quando si mette nel suo lettuccio, intendo dire fa paura anche a
me. Non
vi dirò chi è!” aveva considerato
Jarnsaxa. “Non ci hai praticamente detto
nulla” aveva valutato Jason, senza particolare accusa nella
voce.
La jotun aveva fatto una smorfia, “Questo era il vostro
accordo, Boy-scout, non
è colpa mia se avete accettato una proposta imbarazzante;
però il vostro amico è
più sofista di voi, sarà nel sangue, e mi ha
convinto a scucire qualcosa in più”
aveva considerato la jotun, voltando il capo verso il lupo, che si era
fatto
cortesemente da parte.
Sebbene, Jason ne era certo, aveva lanciato uno sguardo al vetriolo
verso la
gigantessa.
Grazie, aveva bisbigliato lui, rivolto alla bestiola.
Jarnsaxa aveva ripreso, “Be, comunque, dite ad Odino che non
lavoro più per H”
aveva ripreso lei, Jason
iniziava a
sospettare che la lettera che Jason e Madina avessero letto,
riportassero un
licenziamento dai servigi.
“Non vi dirò cosa mi ha offerto o altro. Se
qualcuno vorrà risposte, sarà Thor
a dover venire da me” aveva sottolineato subito la signora.
Madina aveva
inclinato il capo, “Non facevo la donna di Thor
un’affarista” aveva
considerato. “Sono una lama di ferro, in ogni
senso” aveva risposto pratica
Jarnsaxa, “Ma voglio essere gentile, dite grazie al vostro
amico; H ha un
galoppino, il suo porta lettere e tutto fare, come dire”
aveva aggiunto,
enigmatica.
Jason aveva osservato le labbra rosse come ciliegie delineate in un
sorriso
sardonico, “Ci vuoi tenere a lungo sulle spine?”
aveva chiesto. “Calma,
Boy-Scout, non si è mai presentato ovviamente,
però, ho un certo occhio. Un
mezzo-dio, un po’ troppo brillante” aveva
considerato. Jason ebbe un brivido
lungo il suo corpo, a quel pensiero.
“Un einerjhar?” aveva chiesto Madina, con orrore
nella voce, dando voce ai suoi
pensieri. “Giovane, sì fa per dire,
dall’aspetto vostro coevo, bellino,
luminoso. Sì, un einherjar bello splendente, ma direi meno
spigoloso rispetto a
voi” aveva sottolineato Jarnsaxa, strizzando un occhio verso
di loro. Jason
aveva aggrottato le sopracciglia, voltandosi verso la sua amica, che si
era
morsa un labbro, “Un einherjar di Folkvang,
giusto?” aveva domandato
retorica Madina, ignorando a pie-pari Jason.
“Cos’è Folkvang?” aveva
chiesto,
ignorante, Jason – anche Jarnsaxa lo aveva ignorato; Madina
aveva liquidato la
faccenda con un te-lo-spiego-dopo.
La gigantessa aveva sollevato le spalle, come a scrollarsi di dosso la
questione, “Come ho detto: non si è presentato. E
fossi in voi, andrei via, c’è
un’orda di giganti che vi ha trovato” aveva riso di
gusto Jarnsaxa.
Jason si era
voltato, vedendo un’orda di giganti correre verso di loro,
discendendo dal
versante di una vallata – a quanto pare Jotunheim era
composta di alture e
discese, degne di montagne russe.
“Bene, fantastico, io vi lasciò qui. I miei
obblighi finiscono ora, verso
tutti, tutti voi” aveva detto Bee, ammiccando a lui, Madina e
il Lupo.
Jarnsaxa aveva mosso le dita come cenno di saluto. Bee aveva sorriso di
nuovo,
“Bene, salutami la tua cara mamma e stai lontano dai tuoi
fratelli” aveva
aggiunto, guardando specificatamente il lupo, prima di scomparire con
uno
schiocco di dita. “Odio il seid, a me toccherà
camminare” aveva detto Jarnsaxa,
come ultimo congedo.
Madina aveva inserito di nuovo gli scii, “Sali su
… ehm … il lupo, non credo tu
sia nelle condizioni di evocare un fulmine” aveva dichiarato
la sua amica.
La creatura si era prostrata in modo che Jason potesse issarsi su,
sentiva le
ossa fatte di vetro. Madina aveva tirato fuori la mappa,
“Dobbiamo ritrovare
una vena d’acqua dei fiumi cosmici” aveva detto,
con espressione confusa,
probabilmente la mappa di Thrud non doveva essere utile, se non si
sapeva dove
si fosse.
Il lupo
aveva messo il turbo e Madina l’aveva affiancato velocemente.
“Puoi guidarci?”
aveva provato Jason, accarezzando il collo del Lupo, quello aveva
continuato la
sua corsa, non era sicuro potesse rispondere affermativamente.
Madina non si era persa d’animo, alla fine.
Peccato, i giganti si fossero dimostrati incredibilmente più
veloce e motivati
di quanto loro stessi avessero valutato.
Madina aveva tirato fuori il suo arco, a questo punto Jason aveva
valutato
fosse un’arma proteiforme, con cui aveva scoccato delle
frecce contro alcuni
loro avversari, non smettendo di sciare. Come nella prova.
“Non manchi mai il
bersaglio, è tipo un potere da figlia di Ullr?”
aveva chiesto Jason.
“No! Solo pratica, pratica, pratica. Il
sangue di mio padre mi aiuta a
scoccare e scivolare contemporaneamente” aveva risposto
Madina, con
divertimento. “Ti ho vista colpire un bersaglio
invisibile” aveva valutato
Jason, “Non lo era per me” aveva risposto lei,
“Appena torniamo all’Hotel ti
spiego tutto e tu mi spieghi come hai svergognato Thor in
persona” aveva
valutato Madina.
Un’ascia era schizzata vicino all’orecchio di
Jason, quasi mozzandoglielo. Un
gigante li aveva raggiunti, piuttosto agguerrito, con una spada ed una
Morgenstern alla mano, oscillato ad un passo dalla testa di Madina,
Jason aveva
chiamato il nome della sua amica, prima che un lampo dorato seccasse il
gigante
da lato a lato, era ruotato attorno a loro e così Jason era
riuscito a identificare
cosa fosse: una spada.
Jack.
“Ho scaricato l’album Lungs di Florence
and The Machine, buoni
gusti, amico” aveva esclamato la spada. “Grazie?”
aveva provato Jason.
“Jack tieni lontano i giganti!” qualcuno aveva
ordinato.
“Grazie a tutti gli dei!” aveva esclamato Madina,
davanti a loro, sospeso in
aria, c’era uno splendido cavallo, enorme, incantevole, con
otto zampe – con
l’esclusione di quel dettaglio, aveva ricordato a Jason
l’Arion, lo stallone
maestoso di Hazel – e cavalcato da due einherjar con un viso
famigliare. Magnus
Chase ed Alex Fierro.
La runa di Fehu.
“Tu stai cavalcando un lupo!” aveva esclamato
Magnus, vedendolo, guadagnando
una sonora pacca dal partner, “Avete bisogno di una
mano?” aveva chiesto Alex,
“Stanley è veloce come il vento e può
portare quattro persone” aveva
sottolineato.
Il lupo aveva annuito, guardandolo con i grandi occhi d’oro,
facendolo
scendere. “Grazie di tutto amico” aveva detto
Jason, di cuore, accarezzandolo,
si era anche chinato e l’aveva baciato tra le orecchie.
Madina si era slacciata
gli scii, “Grazie! Grazie!” aveva esclamato lei,
scoccando un bacio sia sulle
labbra di Magnus sia su quelle di Alex, grata.
Era salita in sella e Jason l’aveva seguita, “Come
sapevate?” aveva chiesto
pratico Jason, “Oh, ci ha informato l’innamorato
di Mango!” aveva
risposto con un certo divertimento Alex, pizzicando il fianco del
figlio di
Frey. “Utgard-Loki non è il mio
innamorato!” aveva dichiarato Magnus,
sconvolto, “Non faccio io le regole”
aveva
ottenuto come risposta da Alex. Il fidanzato aveva ignorato
quell’ultima
affermazione ed aveva dato una scossa al cavallo, che era partito ad
una
velocità ruggente.
Chi sa come sarebbe stata davvero una sfida tra Stanley e Arion!
“Dobbiamo arrivare ad un fiume cosmico. Sarebbe meglio
l’Ǫrmt porta ad Asgard
ed ha un affluente al Valhalla!” aveva esclamato Madina,
sventolando la mappa.
Jason vedeva poco, con i capelli ricci della compagna che lo
schiaffeggiavano
in faccia ripetutamente. “Ottima idea, servirà che
Mango ci salvi con la sua grossa
banana!” aveva esclamato Alex.
Jason era arrossito fino alla punta dei capelli, per
quell’uscita inaspettata,
“Ti prego!” aveva strillato Magnus, anche lui cotto
di imbarazzo, “È una barca,
una barca pieghevole gialla, per questo la chiamiamo la Grande
Banana!”
si era affrettato a giustificarsi subito il figlio di Freyr.
La Grande
Banana grazie alle sue doti pieghevoli poteva prendere forme e
dimensioni
diverse, così aveva spiegato Magnus.
Quando era servito a loro, così avevano detto a Jason, aveva
preso le
dimensioni di un modesto vascello, in quel caso era una barca stretta e
slanciata, con una sola fila di remi, della giusta lunghezza per
quattro
persone. Una delle due estremità aveva una testa di cavallo
scolpita nel legno.
Di un giallo accecante come un limone. “Un piccolo dreki
in miniatura!”
aveva
detto ammirata Madina mentre saliva su, soddisfatta.
“Non si chiama Drakkar?” aveva
chiesto Alex, sedendosi nella panca
dietro Madina, con genuina confusione, “Oh, no, errore di
trascrizione
francese. Me lo ha assicurato Astrid!” aveva spiegato
didascalica la loro
amica.
Jason si era seduto alla coda, Magnus alla prua.
Sotto il loro peso la nave aveva oscillato, ma aveva ugualmente
spaccato il
ghiaccio che ricopriva i fiumi di Jotunheim. Dei decisi colpi di remi
avevano
aiutato la situazione.
“Spero sia il fiume giusto” aveva detto Jason,
osservando le acque cristalline,
che scorrevano ai loro fianchi. “Almeno questa volta siamo
sopra l’acqua e non
dentro una centrifuga” aveva provato Madina, per rialzare
l’umore. “Finché
nessuno di questi va a Nilfheim, va tutto bene. Non muoio dalla voglia
di incontrare
mia sorella maggiore. Ogni volta che incontro un parente la situazione
diventa
più strana” aveva cinguettato Alex.
“Tecnicamente Stanley è tuo nipote ed è
adorabile” aveva provato Magnus, debolmente.
“Oh sì! Io e Jason abbiamo conosciuto tuo zio Bee,
molto gentile anche lui”
aveva detto subito Madina, mentre continuava a remare con assoluta
calma.
Di rimando sul viso di Alex era sorta genuina confusione e rivolgendosi
a
Madina aveva chiesto: “Davvero? Gentile?
Un membro della mia famiglia?”.
“Sì, ci ha salvato. Ci ha dato da mangiare, dove
dormire e ci ha aiutato con la
competizione” si era introdotto Jason, ripeterlo lo rendeva
surreale.
“Sì, tua nonna era abbastanza arrabbiata con
lui” aveva considerato Madina “Hai
conosciuto anche mia nonna?” Jason non poteva vedere Alex in
viso, ma dal tono
della voce, riusciva a leggere genuina ammirazione. “Una tipa
un po’ legnosa”
aveva scherzato Madina, anche Jason aveva ridacchiato di sottecchi a
quel
commento, “Abbiamo conosciuto anche tuo nonno”
aveva raccontato lui.
“Quindi, dicevate, uno dei miei zii vi ha aiutato senza
tentare di rifilarvi
una polpetta avvelenata?” aveva chiesto Alex, con interesse,
voltando il capo
per guardare Jason.
Lui aveva annuito, “Sì, a quanto pare era un
favore per Váli”
aveva raccontato, perché continuava a parere del tutto
folle, dirlo anche ad
alta voce.
“Váli, chi?” aveva chiesto Magnus,
“Come Váli chi?” aveva chiesto Alex con
genuina confusione. “Sì”, aveva risposto
brevemente Jason, prima di procedere a
raccontare quanto era successo con il dio-nato-per-vendicarsi e la
brutta
faccenda dell’Holmagang.
“E quindi Váli ha deciso di tenerti in vita. Ha
senso, Big Boy si comporta così
com me ogni due per tre” aveva considerato Magnus.
Alex di rimando aveva ridacchiato, come se avesse ascoltato una battuta
divertente, ma che nessun altro aveva potuto sentire. “Ti
prego non fare altre
battute su di me e Utgard-Loki, ti prego” aveva supplicato il
figlio di Frey.
“Mango mi fai passare per una fidanzata pessima”
si era
difesa Alex.
C’era stato un momento dolce, un silenzio rassicurante,
ancora carico della
risata provocata dalla battuta, per Jason era stato stranamente
famigliare. Si
era sentito un semidio in missione, un’immagine che lo aveva
sempre angosciato,
ma in quel momento sembrava bello.
“Oh, il lupo, è tornato!” aveva
esclamato Madina, attirando l’attenzione
proprio verso il loro amico a quattro zampe, stava galoppando
sull’ansa del
fiume a loro fianco.
“Oh, non mi piacciono molto” aveva commentato
Magnus con un tono di voce
lugubre, osservando la bestia che teneva a pieno regime il loro remare.
“Immagino dopo la disavventura con Fenris” aveva
commentato Madina, Magnus
aveva deciso di dare le spalle, “Sì,
sì” aveva detto, calmo, ma la sua voce era
incrinata da un certo dolore, che sapeva a Jason di altro.
“Però, lui è buono,
ci ha dato una mano” aveva dichiarato Madina perentoria.
“Volete farlo salire a bordo?” aveva chiesto Alex,
“Magnus, a te andrebbe
bene?” aveva chiesto gentile poi al suo fidanzato,
differentemente dal suo tono
pieno di divertimento e leziosità, in quel momento era
apparsa quasi dolce.
“Non tutti i Lupi hanno gli occhi blu, no?” aveva
proposto Magnus, sembrava che
quelle parole fossero uscite dalla sua bocca con una tenaglia.
“Be, amico, se fosse un problema ci penseremo noi”
aveva stabilito Jack,
vibrando da qualche parte sotto i vestiti di Magnus.
Jason aveva preso quell’ultimo commento come un assenso,
“Sali a bordo!” aveva
invitato il lupo che con un balzo si era lanciato sulla piccola
banana
in miniatura, tra il posto di Jason e quello di Alex Fierro, facendo
oscillare
pesantemente l’imbarcazione. Jason aveva allungato una mano
per grattare la
creatura sotto il mento; non credeva che avrebbe potuto portare un lupo
mezzo-jotun nel Valhalla, ma sapeva che a Jotunheim non poteva essere
felice,
era un esiliato.
Probabilmente, per questo, era a Midgard la prima volta che lo aveva
visto.
“Mango, tranquillo, non ha decisamente gli occhi
blu” aveva considerato Alex,
voltandosi il più possibile per poter vedere bene la
creatura. Il lupo, Jason
ne era stato certo, aveva lanciato uno sguardo diffidente, verso Alex e
poi
anche Magnus.
Il figlio di Frey aveva guardato il lupo per poco, aveva aggrottato le
sopracciglia pallide ma poi era tornato a guardare di fronte, verso lo
scorrere
del fiume, “Mi sembra che l’atmosfera si sia
riscaldata” aveva dichiarato Magnus,
con un certo nervosismo addosso.
Alex aveva guardato per un ultimo secondo il lupo, poi aveva detto:
“Podemos
llevarnos bien, hermano?”
Jason aveva dello spagnolo un vago ricordo del farfugliare di Jason, ma
aveva
realizzato quasi subito che la domanda -
se lo era – non era per lui, ma per il lupo, questo aveva
inclinato il capo,
quasi incuriosito. Alex aveva strizzato un occhio, ma poi, era tornato
a
guardare il mondo rivolto al fiume.
“Mango, mi spieghi perché dobbiamo remare la tua
banana magica? L’ultima volta
non è stato così” aveva sottolineato.
Magnus aveva sospirato, “Alex, non ne ho idea”
aveva risposto, prima di
mettersi a ridere.
“In realtà mi chiedo perché stiamo
viaggiando lentamente, quanto io e Jason
abbiamo preso la centrifuga siamo andati velocissimi” aveva
considerato Madina.
“Forse, appunto perché eravamo dentro la
centrifuga” aveva considerato Jason.
“Be, comunque, a me non dispiace questa lenta uscita in
barca” aveva ammesso
Magnus, “Questa è una delle poche volte che sono
in giro senza dovermi
preoccupare che forze occulte cerchino di far cadere il
mondo” aveva aggiunto,
rilassato.
Oh, aveva pensato Jason.
“Oh” aveva detto Madina.
“Ma per voi sì, vero?” aveva indagato
Alex sfacciata, “Non eravate a Jotunheim
per una gita di piacere” aveva commentato. “No, in
effetti” aveva ammesso
Jason, non credeva avesse senso mentire, a quel punto. “Siete
usciti di
nascosto, vero? Ce lo ha confermato quel ragazzo del vostro piano,
quello con
il taglio alla moicana” aveva raccontato Magnus.
“Oh, Mel!” aveva sclamato
Madina, il suo tono si era impregnato di gioia.
“Sì; non eravamo convinti che
avremmo avuto un permesso per andare a Jotunheim” aveva
confermato Jason.
“Siete stati fortunati, una volta sono uscito di nascosto e
mi hanno
sguinzagliato dietro una squadriglia di Valchirie” aveva
raccontato subito
Magnus, “Sarò onesto, quando è arrivata
una delle aquile di Big Boy non eravamo
molto convinti” aveva esposto il figlio di Frey.
“Oh, be, immagino che il
signore dei giganti di brina che scrive: Scusa Magnus puoi
venire a
recuperare due mezzosangue fuor d’acqua a casa mia?
Possa risultare
piuttosto ambiguo” aveva valutato Jason.
Avevano riso del suo commento. “Poi, però, in
effetti, quando siamo andati a controllare
al vostro piano e Mel ci ha confermato che eravate
lì” era intervenuta Alex,
probabilmente aveva voglia di fare una battuta sul suo fidanzato, ma
alla fine
aveva rinunciato, perché anticipata dallo stesso.
“Bene, quel che finisce bene”
aveva detto Magnus.
Jason aveva sorriso.
Il Lupo aveva drizzato le orecchie e si era tirato su dalla posizione
cucciata,
in cui aveva cercato di appallottolarsi per permettere la
comodità a Jason –
era davvero enorme e la Grande Banana non lo pareva così
tanto. Aveva
cominciato a guardare a destra e sinistra, con un certo allarmismo.
“Il lupo si sta
agitando” aveva esclamato Jason
e quello era bastato per scuotere, in effetti, tutti i presenti.
L’attimo dopo la nave aveva cominciato ad andare
più velocemente, decisamente
più velocemente, condotta da correnti agitate.
“Ma che sta succedendo?” aveva esclamato Alex,
mentre cercava di tenere un
remo, ma l’acqua era più potente di quanto fossero
i loro tentativi di
annullare la corrente.
“Forse siamo nell’Ǫrmt?” aveva domandato
Jason, non erano più a Jotunheim visto
l’aspetto verdeggiante al loro fianco – fin troppo
magico e bucolico.
“No” aveva detto Madina, “Non
è l’Ǫrmt. Questa è la valle
dei veleni.
Siamo nel Slidr, il fiume che viene da oriente. Di
buono c’è, che fa
tappa a Midgard prima del regno di Hel” aveva considerato
Madina, ma la
corrente si era fatta ancora più audace; come se una forza,
come una calamita,
li stesse trascinando verso qualcosa.
“Be, riesci a riconoscere quando saremo a Midgard,
così evitiamo di pranzare da
mia sorella oggi?” aveva chiesto Alex, cercando di sollevarsi
in piedi, ma non
era stato necessario che Madina rispondesse, perché la
corrente gli aveva
guidati in un piccolo affluente, erano finiti dritti in un mulinello.
Jason aveva visto onde alte, coprire quasi il cielo, poi era stato la
volta
delle rapide, tutta una serie di infinti sballottamenti e acqua in ogni
dove.
Non aveva capito nulla, era stato solo caos. Lui era riuscito a sentire
sulle
labbra, quando l’acqua era crollata su di lui come una
colonna crollata,
brutale, il sapore del sale.
Poi il caos si era quietato.
Erano su una lunga superficie di un blu intenso, piatta come una
tavola. Nel
bel centro del blu dell’acqua. Lontano, ma non
così lontano, Jason
riusciva ad intravedere il profilo di una costa. “Direi che
siamo a Midgard”
aveva commento Alex, “L’odore di Midgard
è assolutamente riconoscibile” aveva
aggiunto.
Jason sentiva solo il forte odore di mare impregnare le sue narici.
Forse, aveva pensato, Kym era venuta in suo aiuto.
L’attimo
dopo la barca aveva tremato, Lupo aveva cominciato a ringhiare ed
abbaiare,
spaventato, un pilastro d’acqua si era alzato, il loro
piccolo Dreki era
oscillato pericolosamente e Jason aveva potuto osservare come
l’onda che era
emersa dalle acque, non era quello che sembrava, ma una figura era
affiorata dal
mare
Enorme. Gigantesca.
Era una donna: capelli biondo lucente, raccolti in ciocche umide, con
grumi
brumosi, da cui gocciolava rosso scuro, a metà tra una
terribile tinta, che l’acqua
stava lavando, e sangue ancora fresco. La donna esibiva una cotta di
cuoio ed
una lunga gonna, che spariva tra le acque dell’oceano. Quello
che aveva colpito
Jason era stato il viso, grigiastro e deformato in una maschera di
furore.
“Dei” aveva sussurrato Alex.
“Dimmi che non è Blóthughadda.
Dimmelo” aveva sussurrato Magnus, quasi
speranzoso.
“Una delle figlie di Aegir, giusto?” aveva provato
Jason, titubante. Immaginava
che la grande signora degli abbissi, potesse essere una delle Onde, o
Ran, ma
Magnus l’aveva chiamata in quel modo.
“Mango posso anche dirtelo se ti fa stare meglio, ma resta
lei” aveva risposto
Alex. Il suo fidanzato si era voltato verso di loro,
“Ragazzi, mi dispiace sul
serio, non ho immaginato che i miei vecchi problemi vi avrebbero messo
nei
guai” si era scusato il figlio di Frey.
“Magnus Chase!” aveva tuonato
Blóthughadda, “Jason Grace!” aveva
chiamato anche
lui, cogliendolo di sorpresa, “Voi avete mancato di rispetto
alla mia nobile
famiglia!” aveva stabilito.
“Anche io?” aveva chiesto confuso Jason.
“Il possente Fornjotr è mio nonno, la
tempesta”
aveva spiegato spazientita la gigantessa, “Ed ora io,
Blóthughadda Aegirdottir
riparerò la sconfitta di mio nonno e l’affronto di
mia madre” aveva stabilito.
“Ed ecco è così che moriremo”
aveva commentato Alex, “Tu non puoi diventare un
delfino?”
aveva chiesto Madina, Alex aveva sorriso, “Certo. Allora
è così che morirete”
aveva corretto il tiro, “Meglio?” aveva chiesto con
sarcasmo all’altra ragazza,
che aveva sorriso imbarazzata. Quasi era ammarato dalla loro scioltezza
davanti
una situazione così pericolosa.
Jason poteva
catturare un vento, sapeva come respirare sott’acqua, si
chiese se potesse
imporre ad uno spirito di permettere a Madina e Magnus di sopravvivere.
Poi si era alzato subito, “Madina ed Alex sono
innocenti” aveva gridato,
“Tragico. Il mare non guarda questo” aveva
replicato Blóthughadda,
con assoluto disinteresse.
La situazione sembrava inevitabile, quando la donna aveva sollevato le
sue
enormi braccia per permettere al mare di alzarti. “Pensavo
che gli dèi non
potessero intervenire direttamente” aveva considerato Jason,
almeno così era con
gli dei greco-romani; forse per i norreni era diverso.
Blóthughadda aveva
sorriso, piena di sarcasmo, “Oh, certo. Ma io sono
mezza-jotun” aveva risposto
poi.
Magnus aveva sfoderato Jack. “Amico! Mi stai dicendo che
avremo uno scontro
epico? Che bello! Ormai cominciavo ad annoiarmi” Aveva
esclamato subito la
spada, “Ho preparato la mia play-list da battaglia”
aveva aggiunto agguerrito.
Il figlio di Frey aveva guardato la sua spada, “Jack, amico,
siamo in una
situazione di per sé abbastanza critica, possiamo evitare
Katy Perry, per
favore” aveva stilettato alla sua arma, prima di voltare lo
sguardo verso la
gigantesca dea. “Roar sarebbe stata
perfetta” si era difeso, offeso,
Jack.
Magnus era stato sul punto di urlare qualcosa, che immaginava
prevedesse un
holmagang, quando l’acqua sollevata era riscesa
giù nel mare, delicatamente.
“Fatto cilecca?” aveva chiesto Alex, con un certo
divertimento.
Blóthughadda si era guardata intorno circospetta ed incerta,
“Tranquilla,
l’ansia da prestazione capita a tutti” aveva
aggiunto Magnus, seguendo la
battuta del suo partner.
Un’altra colonna d’acqua si era sollevata, alle
loro spalle, che aveva quasi
fatto rovesciare la nave, di nuovo. “Questo è il
brutto momento per ricordare
che Aegir ha nove figlie” aveva
commentato Madina, ma dalle acque non
era spuntata nessuna sconosciuta.
Kymopoleia si erigeva spettrale e spaventosa.
Aveva dismesso la camicia fantasiosa, indossava una lorica squamata di
bronzo e
rame, con placche verde ruggine, su cui erano cresciute escrezioni
marine, con
bande di ferro, più pesanti e larghe sulle spalle, una pteruges
di
cuoio, schinieri di bronzo con motivi marini e loriche maniche
d’oro lucente.
Lo scudo issato sulle spalle, legato da bande di cuoio morbido ed un
giavellotto alla mano. Era la solita Kym, spaventosa come solo la
tempesta
violenta poteva essere, ma più romana – ma sempre
Kym.
“Kymopoleia, mia buona amica, cosa ti porta qui?”
aveva detto civettuola Blóthghadda;
“Quella non è decisamente del nostro
universo” aveva considerato Alex, mentre
Madina cominciava a prendere i remi per mettersi a vogare per portare
via la
nave da lì. “Sì, spero che nessuno di
noi abbia irritato una divinità
straniera” aveva commentato Magnus,
“Cioè, spero di non essere io, tendo a
farmi più nemici di quanti io sia consapevole”
aveva aggiunto, spento.
“Sì, ho questo talento anche io” aveva
detto Jason. Il Lupo aveva tremolato
spaventato. “Niente, Blóthghadda cara, sei
semplicemente nel mio territorio”
aveva stabilito.
“Credevo il tuo territorio fosse nel vecchio mondo”
aveva risposto l’Onda.
La dea romana aveva sorriso forzatamente, “Io e mio padre
stiamo tentando un
riavvicinamento” aveva raccontato, “Anche con tuo
marito?” aveva chiesto Blóthghadda,
“Può darsi” aveva risposto Kym, di
rimando la mezza-jotun aveva fatto una
smorfia.
“Comunque mi spiace di essere entrata nel territorio di
Nettuno, ma di solito
ti vedo bazzicare senza problemi dalle parti di mio padre e mia
madre” aveva
commentato la norrena.
“Perché tuo padre differentemente dal mio
è una brava persona e non un taccagno
rancoroso” aveva cinguettato Kym.
Alex, Magnus e Jason avevano preso i remi ed avevano cominciato a far
spostare
la nave dalla traiettoria delle due dee. “Ti prego Grande
Banana puoi andare
più veloce?” aveva supplicato Magnus alla sua
imbarcazione.
“Tolgo subito le tende, fammi solo uccidere questi quattro
semidei qui” aveva
dichiarato Blóthghadda, “Tuo padre può
anche reclamare i loro corpi e tesori,
mi dispiacerà non portare Magnus e Sumarbrander
a mia madre, ma credo che
con un po’ di elasticità possiamo
accordarci” aveva commentato Blóthghadda,
aveva un sorriso parecchio tirato sulle labbra.
Jason percepiva l’elettricità tra le due dee, si
era sporto, “Ho sempre saputo
che le divinità marine fossero molto gelose” aveva
considerato ad alta-voce. “Sì,
lo sono” aveva risposto Alex. Bene, aveva
pensato Jason, aveva considerato, non sarebbe finito con una
chiacchierata.
“Perché continuano tutti a cedermi via?”
aveva chiesto infervorato Jack, che
svolazzava irritato accanto a loro. “Non ho intenzione di
farlo, amico, vorrei
solo non morire” si era giustificato Magnus, alla sua spada.
Kymopoleia aveva chinato il capo verso di loro. Jason aveva sentito
quegli
occhi verde mare su di lui, specificatamente su di lui.
Phainetai
moi kenos isos theosin
… Così
aveva
detto, qualsiasi cosa significasse.
Kym aveva
sorriso, poi aveva riportato lo sguardo su Blóthghadda,
“Temo di non poterlo
fare, amica mia. Come ho detto, mio padre sa essere un uomo rancoroso
ed ho già
vissuto con il suo rancore per millenni” aveva mentito.
Era lui. Kymopoleia stava cominciando una faida con una dea straniera
per lui.
“Non rendiamo una buona amicizia una sgradevole
inimicizia” aveva dichiarato la
dea norrena, Kym aveva sorriso, “Sono d’accordo.
Fatti da parte, ucciderai
questi mezzosangue quando vorrai fuori dalla mia vista” aveva
risposto calma.
“Abbiamo giocato ad Aliossi insieme, Kym, vedo il tuo
inganno. Cosa stai
nascondendo? In che affari ti stai infilando?” aveva
replicato Blóthghadda, con
estremo divertimento, un sorriso cattivo, “Siamo
divinità acquifere, Adda, ci
immettiamo in ogni spazio disponibile” aveva scherzato
l’altra.
L’attimo dopo l’acqua sotto di loro era esplosa.
Jason era riuscito a vedere le due Dee affrontarsi, la spada lunga di
Blóthgadda
aveva urtato lo scudo di Kymopoleia e il mare intorno a loro si era
sollevato
in mulinelli d’acqua come piedritti ondulati. Tifoni
d’aria, sale e acqua, e
gorghi profondi fino ai baratri della terra.
Se Jason, quel giorno, aveva spaccato il cielo, Kym e
Blóthgadda stavano
squarciando quello, la terra ed anche il mare.
“Dobbiamo raggiungere la costa!” aveva esclamato
Magnus, l’attimo prima che un
tornado sbalzasse la loro nave. Prima che schiantassero di nuovo sopra
la
superficie dell’acqua, Jason aveva cercato di usare i venti
per attutire
l’urto, per rallentare, ma ogni forza del vento non
rispondeva più a lui,
attirato come falena ad una fiamma, dallo scontro delle due dee.
Jason si era preparato all’urto brutale, “Questo
è il momento in cui avrei
dovuto prendere quelle lezioni di magia runica da Hearth”
aveva commentato
Magnus, si era stretto ad Alex, “Potrei trasformarmi in uno
pterodattilo? Un
drago?” aveva chiesto lei. Jason aveva serrato gli occhi.
Piper, aveva visto. Il sorriso dolce di Piper, la
sua risata
cristallina, capace di scaldare l’inverno più
freddo e quegli occhi splendenti.
“Posso provare, non mi sono mai trasformata in un animale
così grande!” aveva
esclamato Alex.
“Una balena?” aveva strillato Madina, “La
tua dimensione dovrebbe inficiare
sull’impatto con la superficie, no?” aveva aggiunto.
Alex aveva allungato una mano, quando la barca si era completamente
rovesciata,
afferrando Magnus, preoccupata. Jason si era stretto al lupo e Madina
aveva
afferrato lui.
“Ci penso io” una voce, udibile appena aveva
parlato. Jason aveva aperto gli
occhi, trovando occhi ambra fissarlo.
Poi avevano urtato l’acqua.
Non aveva
fatto male, quando erano riemersi, Jason si era accorto che con le
ginocchia
poteva toccare il fondo e che l’acqua non superava il suo
bacino.
Era zuppo.
Si era guardato intorno, non era più nel pieno
dell’oceano, ma era nei pressi
di una spiaggia: nera e fangosa.
Madina era piegata a vomitare acqua, tossicchiando, ma ancora
cosciente. “Wow.
Pazzesco” aveva detto appena aveva potuto parlare, tirandosi
su. Le ciocche dei
capelli appesantite dalla salsedine. Alex era in piedi, con
l’acqua fino alle
ginocchia, zuppa, che sosteneva il suo fidanzato, “Che
è successo?” aveva
domandato, pieno di confusione Magnus; in una mano reggeva il suo
foglio di
carta giallo, che era la Grande Banana nella sua forma in
borghese.
“Le dee stanno ancora combattendo, la giù. Dove
dovremmo essere noi!” aveva
esclamato Jack, alle loro spalle, nel pieno delle acque, un ciclone
d’acqua
dominava la scena.
Jason le aveva guardate, le aveva intraviste: sagome magistrali,
ruggenti nella
tempesta, non erano più sole. Blóthgadda aveva
due persone al suo fianco,
siluette sinuose ma imponenti, lo stesso poteva essere per Kym. Erano
altre dee
…
Forse erano altre figlie di Aegir che si erano aggiunte alla mischia,
forse Kym
aveva bisogno di una mano. Aveva infilato una mano nella tasca,
toccando prima
la runa halgaz e poi la moneta di Giunone. Non poteva lasciare la dea,
così.
Aveva osservato una delle dee colpirne un’altra che non era
Kymopoleia.
La sua amica aveva delle alleate.
Forse le sue
sorelle? Sapeva che ne doveva avere, certamente divinità
marine non bastavano
affatto.
“Sarà una strana giornata per i mortali”
aveva parlato una voce. Si erano
voltati di scatto, a pochi passi da loro. Era un giovane uomo,
indossava una giacca
a vento verde petrolio, da cui sfuggiva un cappuccio di pelliccia
grigio-scuro.
La giubba era aperta sul davanti, lasciando scoperta una maglietta
scura con il
logo dei Wolf e jeans larghi, sopra un paio di
stivaletti con i lacci e
la suola a carrarmato. Un viso smunto e bianco, in contrasto con il
colore dei
capelli ferrugine. Aveva una spruzzata d’efelidi delicata
sulle gote magre.
“Oh, salve” aveva detto Madina, con il suo solito
tono allegro, alzando la mano
come saluto; “Salve a te, Madina Modja Ullrdottir”
aveva detto quello
tranquillo. Madina non aveva perso il suo sorriso, ma Jason aveva visto
un
lampo di preoccupazione attraversare gli occhi scuri. Il ragazzo non
era parso
particolarmente pericoloso – ma di quei tempi le cose non
erano mai così ovvie.
“Accendo un fuoco o vi raffredderete troppo; anche se siete
Einherjar” aveva
considerato lo sconosciuto, guardandoli con una certa
criticità. Aveva occhi
ambrati come lo champagne. Famigliari. Lo
sconosciuto li aveva invitati
a raggiungerli sulla spiaggia. Madina aveva voltato il capo verso
Jason, aveva
allungato una mano per stringere quella di lui. Jason aveva annuito,
prendendo
la mano della sua amica, in ingenuo gesto di sicurezza
“Hola
hermano,
sei tu che ci hai salvato?” aveva domandato Alex, mentre si
avvicinava alla
spiaggia con il suo ragazzo. Jason aveva guardato ancora lo
sconosciuto,
sentendo quella sensazione di familiarità, un po’,
pensava Nico, bianco in
viso, ombroso nell’espressione, ma poi si era concentrato
sugli occhi zafferano
e la pelliccia grigia che lo avvolgeva, calda e morbida, come quella
del suo
bestiale amico. Lì, assente.
“Sei il Lupo!” aveva constatato.
Il lupo aveva sorriso, aveva un’espressione ferace, in
qualche modo, “Sì. Non
posso restare in questa forma molto a lungo, è troppo
faticoso” aveva risposto
quello, poi si era voltato verso Alex, “Ciao sorella o
fratello? Mi confondo”
aveva replicato. “Sorella in questo momento,
grazie” aveva detto la suddetta,
mentre raggiungevano la spiaggia.
“Aspetta lo hai chiamato Fratello in maniera amichevole o
è davvero tuo
fratello?” aveva chiesto Magnus, perplesso.
Lupo aveva trovato dei legni dalla spiaggia ed aveva dato loro fuoco,
come un
braciere, per le fiamme che aveva imposto sopra. “Sei
uno stregone!”
aveva rivelato Madina, “Come tutta la mia stirpe”
aveva risposto quello.
Jason lo aveva guardato, “Grazie mille, sul serio, grazie per
tutto” aveva
dichiarato Jason avvicinandosi a lui, a sorpresa lo stregone si era
lanciato
verso di lui e lo aveva stritolato in un abbraccio intenso, che gli
aveva fatti
cadere sulla fanghiglia. Astrid lo avrebbe, per davvero,
ucciso.
(Ed ecco il disegno: Kym vs Adda:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/An-Epic-Fight-905593161
)
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Capitolo 14 *** Ah, ecco, perché nei libri non ci sono mai due Bob ***
Buona sera,
scusate l’orario davvero strano, ma ho deciso di aggiornare
con questo capitolo
per più di una ragione.
Da domani in poi non avrò molto tempo, già per
una settimana sarò senza pc – e scrivere
da altro è complicato – comunque mi dispiace
lasciare senza aggiornare per
tantissimo tempo. Il capitolo in realtà era molto, molto,
più lungo, ma
editarlo in poco tempo sarebbe stato impossibile (già
normalmente, editati, i
miei capitoli sono un bordello, figuriamoci senza), perciò
ho scelto il punto
dove poteva essere interrotto.
Perciò il capitolo, per i miei standard, è
terribilmente corto.
Dopo questo, oggi nessun disegno (ne avrei fatto uno, ma non mi piace).
Però ci tengo a ringraziare ovviamente chi ha letto, chi
ricorda e preferisce e
soprattutto Farkas, per la recensione e la sua presenza. Grazie.
Detto questa,
buona lettura.
Ah, ecco,
perché nei libri non ci sono mai due
Bob.
“Wow, Jason, pare
tu gli piaccia proprio”
aveva ghignato Alex, con una punta di divertimento. Mentre si arenava
sulla
sabbia, assieme a Magnus, raggiunti anche da Madina, che pareva
l’unica di loro
a non percepire il tremore del freddo. “Sono contento anche
io, però, ora sono
una cotoletta” aveva ammesso Jason. Il Lupo si era sentito
pieno di imbarazzo
ed era balzato via, “Sì, sì
scusa” aveva detto, allungando una mano verso di
lui, per aiutarlo ad issarsi su.
Poi avevano raggiunto gli altri intorno al fuoco.
“Dove siamo?” aveva chiesto Alex, “Nello
specifico? Vicino ai vostri cugini
slavi; siamo a Fort Ross Cove, da qui, prendendo quella strada
sull’altura
potreste raggiungere il sito di Fort Ross. Dietro quegli arbusti si
vede un
po’” aveva spiegato il Lupo, indicando una
direzione sulla parte più a nord
dell’insenatura, in cui si trovavano. “Non so se lo
sapete, ma dentro il sito
c’è nascosto uno degli ingresso per il Campo
Segreto degli Slavi, il Jav
Club, o un nome simile, da quello che so è, tipo,
posizionato in un piano
della realtà diverso, all’interno del tronco del
loro albero sacro, o una cosa
così assurda anche da pronunciare. ” aveva
spiegato Lupo, “Più in generale
siamo in California a nord di San Francisco” aveva aggiunto.
Due pensieri avevano attraversato Jason: Il campo di Giove
e Nuova
Roma, che erano stata la sua casa, aveva chinato lo sguardo
sul suo
braccio, dove sotto la pelliccia sbrindellata di Astrid e la benda
c’era il suo
tatuaggio, la sua appartenenza e i suoi anni dedicati al campo. A
quella vita.
E San Francisco … Nico! Nico, che era
lì, o almeno lo era ieri notte.
“Oh,
wow!”
aveva esclamato Madina, “Perché tutti hanno un
campo tranne noi norreni?” aveva
chiesto invece Magnus, ottenendo un paio di alzate di spalle di Lupo,
“Non
chiedetemi perché gli dèi trattino i loro figli
come fanno” aveva detto acre,
pieno di rancore.
Jason lo aveva guardato.
Mezzo-Jotun. Váli aveva definito Lupo mezzo-jotun,
immaginava, che in quel
momento dovesse essere anche un mezzo-dio. Esiliato ed inviso
a dei e
giganti. “Radigost vi
darà
del cibo e Trojan
un passaggio sicuro per Boston. Non sono abbastanza bravo nel
tele-trasportare
me ed altre quattro creature per tutto il paese” aveva
rivelato, “Cioè magari
potrei anche esserlo, ma non sono sicuro di volerci provare”
aveva aggiunto,
con un tono più cupo lui.
“Grazie!” aveva detto Madina, “Dobbiamo
essere nel Valhalla il prima possibile,
senza dimenticare che Jason deve essere a New York tra quattro
giorni” aveva
valutato lei.
Quattro giorni e qualcosa, aveva pensato Jason, cupamente. Troppe cose.
Troppe
cose.
Il cinghiale, H, Vali, Blothghadda, Kym e Nico. Troppo. Troppo per tre
giorni e
mezzo.
Il viso di lupo si era ingrigito, “A proposito di quello
… posso, posso,
parlarti in privato?” aveva chiesto quello, ammiccando a
Jason.
Lui aveva annuito.
Jason si era
allontanato dal suo gruppo, assieme al ragazzo-lupo; il figlio di Giove
era più
basso, ma il mezzo-jotun aveva un fisico più filiforme, di
chi probabilmente
non mangiava abbastanza. “Per quella storia. Grazie. Io ti
sono debitore, ti
sarò debitore fino alla fine dei tempi, anche se non
dovessero arrivare mai”
aveva dichiarato quello, con un tono saldo. Guardandolo, qualcosa,
seppur poco,
Jason riusciva davvero, davvero, a vedere della similitudine con Alex,
probabilmente era davvero suo fratello. L’occhio ambra di
Alex era uguale ai
due occhi del mezzo-jotun.
“Oh, wow, grazie. Non credo di meritare tutta questa
devozione, mi hai aiutato
a trovare Utgard, hai convinto Jarnsaxa ed hai evitato che diventassimo
frittelle. Credo che siamo ampiamente pari” aveva considerato
Jason. Quello aveva
risposto con un sorriso allegro,
“Non è per la mia vita che ho un debito con te. La
mia vita non vale nulla, ma
è per la gentilezza, qualcosa che non provavano da un bel
po’. Sei un estraneo,
ma mi hai aiutato, sei stato carino” aveva osservato quello.
Jason non sapeva come dover reagire a quella confessione.
“Io … io …” aveva
boccheggiato.
Lui aveva sorriso, “Non ti preoccupare. Comunque, anche non
volendo avresti la
mia imperitura fedeltà, è un brutto vizio che ho
ereditato da mia madre” aveva
dichiarato quello, “Sai è la dea della
Fedeltà” aveva precisato.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia a quell’ultimo
commento, poi aveva fatto
una considerazione, una piuttosto stupida. “Ho appena
riflettuto che non
abbiamo avuto tempo di presentarci” aveva detto Jason, prima
di allungare una
mano verso di lui e ripetere il suo nome.
L’altro aveva ricambiato la stretta, con delicatezza
“Giusto, sì, Váli Lokison”
aveva aggiunto, con un sorriso divertito.
“Aspetta…” aveva sputato fuori Jason.
“Un terribile caso di omonimia – cioè
non del tutto, credo che Odino lo abbia
fatto tragicamente a posta”
aveva
scherzato Váli, anticipandolo. Jason era rimasto in
silenzio, per un secondo,
poi aveva realizzato: “Lo hai detto tu a Bee. Sei tu il suo Váli”
aveva ragionato.
“Sì. Caso mai fossi un po’ manchevole in
mitologia, Bee è mio zio, Alex è –
momentaneamente
– mia sorella. Loki, quel dio con una pessima fama, signore
degli inganni, è
mio padre, mia madre si chiama Sigyn, lei è la dea della
fedeltà” aveva
raccontato.
Per Jason aveva decisamente più senso da questo punto. Il
Váli che li aveva
fatti entrare ad Utgard era lui e non il figlio di Odino.
Figlio dell’Inganno e della Fedeltà, sembrava
così strano.
“Grazie ancora” aveva ripetuto Jason.
“Come ho detto, avrai la mia imperitura amicizia”
aveva replicato l’altro, “Se
a Central Park avrai bisogno di una mano per gonfiare quel pallone
gonfiato, io
ci sarò. So che mi hai visto in una condizione piuttosto
debole, ma era diverso”
aveva stabilito.
Jason aveva annuito, incerto, decisamente non abituato a tutta quella
devozione. “Adesso devo andare, la sfiga
dell’essere esiliato e che non posso
mai stare troppo a lungo nello stesso posto e anche dopo aver mangiato un
cuore di un altro ergi, non possiedo ancora il potere di
resistere contro
il potere ti tutti quegli aesir … e … be,
è un po’ imbarazzante, ma quando riprendo
l’aspetto di un lupo, dopo essere stato umano, torno sempre
molto affamato e
quattro einherjar semidei, tra cui uno con cui condivido il sangue,
sono un
banchetto molto prelibato e vorrei che tu rimanessi vivo”
aveva dichiarato Váli,
lasciando Jason, piuttosto sconvolto e confuso.
“C…certo” aveva bisbigliato Jason,
“Credo dovrei proprio finire di leggere
l’Edda” aveva considerato,
“Sì, sono nel capitolo cinquanta, dopo la morte di
Baldr. Scusa per lo spoiler!” aveva
risposto Váli con tranquillità, prima
di allacciare le braccia attorno al busto di Jason in un abbraccio
amichevole,
lui era rimasto per un secondo fermo, poi aveva ricambiato la presa.
Non era
decisamente abituato a tutta questa affettuosità –
specie dai Lupi. Erano
creature da branco, ma non così generose
d’affetto, in particolare Lupa, lei
voleva guerrieri.
“Senti Váli” aveva detto Jason
sciogliendo la presa, “Scusami se approfitto
ancora di te, ma tu hai qualche idea di chi possa essere H?”
aveva chiesto.
Váli aveva inclinato il capo da un lato, come avrebbe fatto
nella sua forma
canina, “Forse. Ma non voglio tirare a caso, scomodando
magari qualcuno che non
dovrei” aveva risposto, “Ti consiglio, a proposito,
di non accusare nessuno di
cospirare contro Odino o di cercare di derubare qualche dio. La mia
famiglia
gode di una sfilza di orribili punizioni guidate da supposizioni
– alcune vere
come me e te ora, altre meno” aveva aggiunto Váli,
con un tono ricco di dolore.
Jason era avvampato, pensando a come lui e Madina avessero ipotizzato
che H
fosse Helblindi. Jason aveva annuito, “Se avrò
conferme, sarai il primo a
saperlo” l’aveva rassicurato Váli,
strizzando l’occhio verso di lui. “Buona
permanenza con i cugini Slavi; sono simpatici” aveva
dichiarato il mezzo-jotun,
prima di licenziarsi, l’attimo era scomparso dalla sua vista,
lasciando Jason
solo nella spiaggia
“È
andato
via?” aveva domandato Madina, con un pizzico di delusione
nella voce quando
l’aveva visto tornare da solo, “Sì,
altrimenti ci avrebbe mangiato o una storia
simile” aveva affermato Jason, sedendosi al loro fianco.
Madina lo aveva guardato con un’espressione confusa,
così come Magnus, le cui
sopracciglia pallide erano schizzate, per dipingere
un’espressione di pura
perplessità.
“Sì, be, lui non gode esattamente di buoni
precedenti” aveva notato Alex. “Era
davvero tuo fratello per caso?” aveva chiesto Magnus, poi,
osservando la
fidanzata, con un certo sospetto – infondo, da come aveva
compreso Jason, il
figlio di Frey non aveva avuto molte buone esperienze con i famigliari
della
sua partner. “Una persona pensa di aver un limitato numero di
animali per
parenti e invece no. Sì, Mango, era un mio
fratellastro” aveva risposto Alex.
“Váli” aveva detto Jason, guardando
Madina, “Váli Lokison”
aveva
specificato, sperando che la sua amica capisse bene.
“Il nipote di Bee, quindi. Ha senso, non è stato
il figlio di Odino a
raccomandarci, ma lui” aveva detto lei, cogliendo in pieno.
Jason aveva
annuito.
Magnus aveva guardato la sua ragazza, “Váli
è quello … sai, di cui ci ha
raccontato tuo pa-tua madre,
quella volta?” aveva domandato lui, riferendosi a qualcosa
legato al loro
passato. Lei aveva annuito, “L’altro”
aveva risposto, “Poi ti spiego
bene a casa” aveva sussurrato.
C’era stato un momento di silenzio tra loro, i forti venti ed
i vortici,
nell’oceano si erano placati, le dee dovevano aver portato a
termine il loro
scontro.
Kym aveva sfidato una dea norrena per salvarlo, Kym stava cercando di
uccidere
Nico. Nico stava indagando su di lui.
Jason li stava trascinando in una guerra fra pantheon.
Senza dimenticare
gli slavi.
“Bene, bene, andiamo ad incontrare i cugini slavi?”
aveva chiesto Madina,
alzandosi, cercando di tirare via un po’ di melma dai
pantaloni.
Magnus si era sollevato anche lui, “Oppure, senza scomodare
un altro pantheon,
a San Francisco, un po’ più a sud,
c’è mia cugina Annabeth ed il suo ragazzo.
Sono due semidei che io conosco” aveva detto Magnus.
Jason lo aveva sospettato, ma sentirlo, chiaramente, lo aveva scosso.
Era un sogno
che impattava sulla realtà.
“Ovviamente io voto Percy e Vortice. Mi manca la mia
ragazza” aveva
squittito Jack.
“Riusciranno a riportarci a Boston, velocemente?”
aveva chiesto Madina,
“Diciamo che dalla camera di Annabeth possiamo
farlo” aveva raccontato Magnus.
Jason era rimasto in silenzio, per un lungo momento.
“Tutto bene?” aveva chiesto Madina, guardandolo con
quei suoi grandi occhi
buoni. Jason era rimasto in silenzio teso, aveva chinato lo sguardo nel
suo
avambraccio dove, sotto la pelliccia, sapeva esserci il suo tatuaggio.
Aveva sospirato, stanco, davanti l’ineluttabilità
del fato. Esisteva un modo
per evitare una guerra tra pantheon? Annabeth non avrebbe mai, mai,
creduto che
morto fosse semplicemente finito nel Valhalla ed avesse aspettato mesi
prima di
palesarsi – specie se un Nico vagante
avesse per caso accennato che la
sua anima fosse scomparsa dall’idilliaco aldilà
greco.
Jason aveva annuito, guardando la sua amica, in particolare ed aveva
confessato: “Devo dirvi una cosa.”
Non avrebbe
avuto senso mentire ancora, scappare dagli slavi o altro.
Oh, Fortuna,
assistimi.
Be,
fanciulli e fanciulle, niente Pantheon
Slavo, mi spiace, lo ho introdotto solo per scopi futuri (mi piacerebbe
scrivere
Mario Rossi e gli dei del Prav Club o qualcosa di simile).
Comunque, detto questo, qui ci salutiamo per un
po’, spero di poter
comunque scrivere un po’ di più in qualche modo.
E che, be, la situazione che stiamo affrontando passi.
|
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Capitolo 15 *** Be, almeno Jack ci ha guadagnato un appuntamento ***
Facciamo
collettivamente finta che questo
capitolo non esista, si?
Un grazie di cuore a Farkas <3 e a chiunque spenda tempo
leggendo questa baraonda.
Comunque,
ecco a voi un Vali Sfigato:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Vali-Lokison-910062970
Be, almeno
Jack ci ha guadagnato un
appuntamento
Avevano
utilizzato la Grande Banana per spostarsi lungo la costa fino a San
Francisco,
non si erano mai allontanati dalla terra, onde evitare altre dee marine
poco
socievoli.
Madina lo guardava di sottecchi, non era sembrata particolarmente
arrabbiata
per la confessione della romanità di Jason, quanto
più perché il ragazzo aveva
mentito più e più volte.
Da un lato aveva detto che comprendeva perché avesse evitato
di dirlo a Mel,
visto il suo poco amore per i romani, dall’altro non riusciva
neanche a
capacitarsi perché anche Thrud avesse continuato con quella
menzogna. “La
storia è più complicata”
aveva ammesso Jason, non avendo il coraggio di guardarla
negli occhi.
“Quindi sei tu il Jason che ha salvato la vita di Percy con
un Action Figure?”
aveva chiesto invece Magnus, “Nel senso, la divina Kymopelia
è venuta a
salvarci per quello?” aveva insistito. Jason aveva annuito,
pensando come
quella proposta assurda, avesse letteralmente fatto deragliare tutta la
sua
esistenza. “Siamo vivi grazie ad un Action Figure!
Fantastico!” aveva
esclamato Alex, realmente ammirata.
“Sì, per questo mi serve il tuo aiuto”
aveva confessato Jason, “Vuoi che io ti
faccia un ex-voto della terribile dea Romana delle
Tempeste?” aveva
chiesto la figlia di Loki, “Adesso, non credo ti
servirà il disegno” aveva
considerato Jason.
Astrid aveva detto che poteva dargli una mano nel fare il disegno,
visto che
Jason sapeva fare solo oggetti inanimati simili a case e templi
– aveva detto
due cose insieme, probabilmente avrebbe voluto utilizzare
l’inquietante abilità
di disegno di Fred, così da farlo uscire dal suo isolamento. Però, quello
era prima che Jason avesse un
sogno profetico e trascinasse tutti nel caos.
Madina lo aveva guardato di sottecchi, indecisa, probabilmente su
tutto, prima
di parlare, “Io sono immune alle magie illusorie. Uno dei
vantaggi dell’essere
figlia di mio padre, Ullr è il signore
dell’equilibrio” aveva rivelato.
Jason l’aveva fissata con un certo spaesamento, “Io
… wow” aveva ammesso, “Ti
avevo detto che te lo avrei detto, dopo” aveva spiegato
subito la ragazza per
chiarire la sua confessione. “Questo spiega come hai visto i
bersagli
invisibili” aveva provato Jason, “Perché
per me non lo sono mai stati” aveva specificato
Madina. “Sarebbe stata un’abilità
dannatamente utile durante la partita a Bowling
Mortale” aveva considerato Magnus, prima di
raccontare le sue vicissitudini
con Utgard-Loki.
“Sapete no, quando ho salvato Váli Lokison da
Váli Odinson pensavo di aver
fatto un vero sbaglio. Mi sono ritrovato bloccato in una sfida con un
dio ed ho
trascinato Astrid in questo” aveva detto Jason. Stavano
tagliando il mare,
lungo la costa, nessun mortale, o mostro marino, sembrava essersi
accorto di
loro. L’acqua era piatta come una tavola, come se, neanche
qualche ora prima,
due dee non si fossero combattute non lontano dalla faglia di San
Andrea –
forse i mortali l’avrebbero imputato a quello.
“Però, poi c’è stata la
missione, se non avessi salvato Váli,
lui non ci avrebbe mai aiutato. Strano, no? Forse anche
divertente?” aveva
ripreso Jason e probabilmente non avrebbero scoperto niente da Jarnsaxa
–
considerando come stava reagendo alla lettura della profezia
Kráka – almeno
aveva un indizio. Un Einherjar di Folkvang.
A proposito doveva chiedere a Madina cosa significasse.
“Wyrd. Non strano, ma Wyrd,
permettimi il gioco di parole” si era inserito Magnus.
“Solo per questa potrei lasciarti” aveva
sottolineato Alex, “Posso perdonarti
l’essere bianco e morto,
ma non l’essere poco divertente” aveva aggiunto.
“Jason non sa cosa è il Wyrd. Credo”
aveva commentato Madina, guardandolo,
attentamente, Jason aveva annuito, confermandolo. Non era neanche la
prima
volta che lo sentiva in quei giorni.
“Il Wyrd è la legge superiore” aveva
risposto Magnus, “è la rete che intesse il
mondo, il passato che influenza il futuro ed il futuro che influenza il
passato” aveva spiegato calmo, “Quello leggibile
con le rune” aveva proposto
Jason, ricordando tutte le conversazioni che aveva avuto in quei
giorni. Magnus
aveva annuito.
“Il wyrd è il fato?” aveva chiesto
Jason. Alex aveva risposto, “Circa. Credo
vada bene, ciò che bisogna ricordare è che: il
Wyrd va come vuole” aveva
spiegato, “Nel bene e nel male, accadrà
ciò che deve accadere” aveva terminato.
Jason era stato spinto ad aiutare Váli, si era sentito
calamitato lì, senza
averne idea. Era il Wyrd?
‘Aiuta il mezzo-jotun, così che possa
restituire il favore a tempo debito’.
Quindi … aveva pensato, che ne era stato il Wyrd davanti ad
una delle tavole
del destino scheggiate? L’intervento di Jason, guidato
lì, da una cosa minuscola
come la pelliccia di Astrid rovinata da Mel, era tutto parte di un
piano?
Era avvenuto, prima o dopo, la scheggiatura?
Jason era parte integrante di quella macchina perfettamente oliata che
era
l’ordine cosmico norreno, quindi?
Tutti quei pensieri avevano affollato la sua mente, brucianti, una
valanga.
Le chiacchiere di Madina, Alex e Magnus si erano assopite, vuotate
nelle sue
orecchie, mentre quella cacofonia di pensieri si rovesciava in lui.
Quando
avevano tagliato con la Piccola Banana il Golden Gate, Jason aveva
sentito l’aria
sparire dai suoi polmoni quando aveva riconosciuto il profilo imponente
di San
Francisco, della sua vita.
San Francisco era il posto più vicino dove era possibile
andare da Nuova Roma,
era sempre necessario avere un permesso, ma era
più facile ed era meglio
che essere in missione. Non aveva potuto trattenere il sorriso che era
sorto
sulle sue labbra a quel dolce ricordo.
“Non ero mai stato a San Francisco” aveva rivelato
Magnus, “Nonostante mio zio
non abiti così lontano – certo, lui ha pagato per
il mio funerale, quindi
immagino non si aspetti di vedermi alla porta, però,
sì, ecco, contavo di
venirci prima o poi, Annabeth vive qui” aveva considerato,
prendendo il
telefono dalla sua tasca con tranquillità – era un
miracolo che fosse
sopravvissuto a tutto il marasma della giornata.
“Come faremo a tornare a Boston da San Francisco? Siamo
letteralmente
dall’altra parte del paese” aveva considerato
Madina. Jason aveva deglutito
pensando al suo imminente incontro, così come il terrore di
dover attraversare
il paese e tutto il pericolo che avrebbero incontrato. Essere
mezzosangue era
essere una calamita per mostri, immaginava fosse anche per i norreni e,
scommetteva, che essere einherjar fosse ancora più
pericoloso.
Magnus le aveva risposto, “Oh, be, vedi quanto siamo cacciati
dai jotun e
mostri noi?” aveva domandato retorico il figlio di Frey,
Madina aveva annuito,
“Sono morta così” aveva rivelato quella.
“Per i Greci ed i Romani è venti volte
peggio”
aveva anticipato
Alex, guadagnando un piccolo rimprovero dal suo fidanzato.
Madina aveva invece guardato Jason, “Oh, be, non so le
proporzioni precise, ma
è, tipo, impossibile evitare creature e dei.
Ho un amico che è stato espulso da non so
quante scuole a causa dei mostri
ed uno a cui Giunone faceva la baby-sitter” aveva raccontato
Jason. La sua
amica sembrava davvero ammirata. “Ecco,
sì” aveva ripreso il discorso Magnus,
“Spostarmi per me con l’albero è
pericoloso, ma non quanto per Annabeth senza,
è infinitamente più rischioso” aveva
raccontato, “Così, Hearthstone ha
utilizzato la runa Raido per creare un passaggio
tra una sua porta e
quella sul retro del negozio di vestiti di Blitz … non
può essere usata spesso
e quando viene usata, impiega ventiquattro ore per ricaricarsi, da quel
che mi
ha detto è stato ispirato dalla magia dei maghi
egizi” aveva spiegato.
“Maghi egizi. Ecco, questi ci mancano nel Valhalla”
aveva sogghignato Madina.
“Quindi, sì, Annabeth ha un passaggio sicuro per
Boston” aveva aggiunto Alex
con un tono calmo.
Avevano
attraccato con la nave, nella Baia di San Francisco.
Jason era rimasto sconvolto dalla visione che si era palesato davanti a
loro.
C’era un gruppo di genti marine, tritoni e
quant’altro che stavano spostando
rottami verso il litorale e valutando oggettistica varia, mentre la
baia ed il
golfo erano invasi da relitti, del tutto assenti agli occhi dei mortali.
“Che è successo qui?” aveva commentato
Alex a mezza-bocca, “Mia cugina mi aveva
detto che c’era stata una battaglia nella baia ma non mi
aspettavo che fosse
così grave” aveva considerato Magnus, prendendo la
mano della sua ragazza.
Madina guardava l’ambiente con una certa apprensione,
“Ora è molto meglio, mesi
fa era molto, molto, peggio” aveva dichiarato invece lei.
Aveva la voce, calma, tranquilla. Jason si era voltato immediatamente
verso di
lei, imitato dagli altri. “Tu … tu eri
qui?” aveva domandato alla fine. “Dopo
la battaglia” aveva risposto Madina, con calma, come se fosse
ovvio. “Io … lo
ha voluto Mel” aveva detto calma. Jason era confuso.
“Sai Jason, mia madre, reduce dalla sua esperienza, riteneva
che certe catene
non si sciogliessero mai, specie se ci nasci” aveva aggiunto
con voce lugubre
Madina, a rispondere ad una domanda che lui non aveva posto.
Mel era nato schiavo? Stava dicendo quello Madina? Era giovane ed era
stato
educato nell’arte gladiatoria e era difficile che uno schiavo
nato come tale finisse
nelle arene, a meno che non fosse venduto come punizione ad una scuola
gladiatoria, dove non sarebbe stato più protetto da quel
poco che aveva.
Ricordava che Mel avesse parlato di una Domina quando era bambino
…
“Ma parlane con lui, se vuoi … potresti anche
accennarli che sei un Romano. Sì,
Mel non ama i romani, ma ancora meno i bugiardi” aveva
terminato Madina,
dandoli un buffetto sulla spalla – con gentilezza.
Prima di
poter attraccare, sul bordo della Piccola Banana si era posato un
grosso
gabbiano, che ovviamente, non lo era. “Ei voi”
aveva strepitato una voce.
Jason era saltato osservando la figura davanti a loro, era un uccello,
dalle
dimensioni di un condor, con le piume di un grigio sporco ed il viso
più bello
che Jason avesse mai visto, quello di Piper.
“Tu … tu sei una Sirena!”
aveva esclamato Jason.
“Oh, be, complimenti Capitan Ovvio” aveva risposto
la Sirena, “Io sono Jia e
sono il questore di Baia. Sono
stata incaricata di sorvegliare i
territori limitrofi a Nuova Roma, specie dopo gli ultimi tempi.
Identificate
voi stessi e la ragione della vostra visita” aveva asserito
quella con voce
secca e raschiante.
Madina aveva preso la mano di Jason preoccupata, “Chi ti ha
incaricata?” aveva
chiesto Alex, coraggiosa. “Sono stata selezionata
personalmente dal Pretore
Zhang e se non risponderete alle mie domande con le buone
dovrò ricorrere
alle cattive” aveva dichiarato Jia.
Jason aveva sussultato alla menzione del nome del suo amico, un gran
calore
aveva avvolto il suo petto nel ricordare il sorriso chiaro, buono e
pieno di
luce del figlio di Marte. Frank era ancora pretore – titolo
che Jason aveva
dato lui, pieno di fiducia – ed era riuscito a far
collaborare anche una
sirena. Jason non credeva che le sirene potessero voler collaborare con
i
semidei.
Prima che Jason potesse rispondere era stato Magnus a parlare,
“Oh, non ci
serve!” aveva esclamato subito Magnus, “Immagino
che questo valga solo per i
non-mortali” aveva considerato il figlio di Frey, indicando
le imbarcazioni
mortali che attraccavano con assoluta calma.
“Immagini bene, ma non puoi intortare a chiacchiere me,
ragazzino. Incanto gli
uomini da prima che i tuoi avi sapessero di essere al mondo”
aveva dichiarato
la sirena senza perdere smalto, “Immagino!” aveva
risposto prontamente il
figlio di Frey, “Io sono Magnus Chase, un einherjar del
Valhalla, sono in
visita a mia cugina” aveva dichiarato con
tranquillità.
“Oh, il famoso Magnus Chase, l’uomo che ha battuto
ad una gara di insulti
Loki Laufeyson” aveva valutato Jia, leggermente ammirata.
Jason era davvero
sorpreso da quanto velocemente le informazioni si fossero disseminate
tra i
vari pantheon, considerando che fino a quel momento Jason non aveva
neanche
avuto idea esistessero i norreni.
In effetti aveva vissuto tutta la vita senza sapere neanche dei Greci
– doveva
essere una specie di gioco degli dèi, quello di tenere i
mezzosangue all’oscuro.
“… Un uomo che potrebbe provare a raggirarmi ed
avere solide possibilità” aveva
considerato Jia, interessata, con gli stessi strabilianti occhi di
Piper,
stretti in un’espressione sospettosa. “Colpevole di
quello! Ma ho usato solo la
mia buona parlantina e molti complimenti, ad insultare faccio schifo.
Dicevo,
siamo qui in visita da mia cugina Annabeth, anche lei credo sia
piuttosto
famosa” aveva ripreso Magnus.
“Sì, sì, potrei averla incontrata
qualche anno fa” aveva replicato Jia.
Jason aveva drizzato la schiena, abbastanza colpito da quella notizia,
di cui
non aveva mai saputo nulla. Non lo sorprendeva, Annabeth aveva vissuto
più
avventure di chiunque lui avesse mai conosciuto, più di lui
– Deì, aveva anche
un cugino einherjar figlio di Frey – ma era così
strano scoprire cose nuove di
persone che pensava di conoscere come i palmi delle sue mani.
Poi, riflettendoci, aveva valutato che non doveva sorprendessi poi
troppo, in
fin dei conti, pensava genuinamente che lui e Piper si amassero e che
avrebbero
passato la vita insieme.
“Tranquilla Jia, puoi andare, garantisco io per
loro” aveva salmodiato una
voce.
Jason si era voltato subito, sull’attenti.
Per un secondo aveva intravisto Kymopoleia, fermato da quegli occhi, ma
ad
un’occhiata più attenta, si era dovuto ricredere.
Aveva gli stessi occhi verde
mare della dea della tempesta e di Percy, ma la somiglianza finiva
lì. Il viso
della sconosciuta era più dolce ed infantile di quello di
Kym, il tono della
sua pelle era di un azzurro chiaro, la sua forma era più
morbida ed appesantita,
sfoggiava inoltre una chioma riccioluta di un verde rame. Jia aveva
sbuffato, “Come
lei desidera, mia signora Bentesicima” aveva detto, prima di
spiccare il volo
ed abbandonarli, non senza aver lasciato un ricordino sul bordo della
barca.
“Ehm … Grazie?” aveva detto Jason.
“Sì, Grazie” aveva dichiarato
l’altra con un tono basso piuttosto infastidito,
“Oggi, io e le mie sorelle abbiamo dovuto affrontare le
figlie di Aegir per
voi. Non ho idea di cosa voi abbiate fatto per aver fatto muovere la
mia
istrionica sorella. Kymmi ha detto che lo ha fatto per te, Magnus
Chase, perché
a breve saremo tutti una grande famiglia felice. Ovviamente io conosco
Kym e le-”
aveva aggiunto Bentesicima, interrompendosi bruscamente, quando Magnus
aveva
aperto la sua bocca.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, non sembrava una scusa molto
credibile
e sicuramente un’altra divinità interessata a
quella storia non aiutava Jason,
ne Kym, ne Nico.
“Oh,
certo. Quando Annabeth e Percy si
sposeranno. Sarà un matrimonio fantastico, un po’
affollato, penso, dovremmo
tenere su due pantheon. Pensi che il divino Poseidone
permetterà di celebrare
le nozze ad Atlantide? No, perché io ho, problemi con tutte
le divinità marine
del mio Pantheon, incluso il Serpente, forse non mio nonno
…” aveva parlato
sparato dritto come una macchinetta Magnus.
Jason si era perso.
Anche Madina a giudicare dalla sua espressione. Alex invece sfoggiava
un bel
sorriso sornione dal soliloquio del suo fidanzato. “Ahhh
… chiudi la bocca e
sbarcate, prima di inimicarvi anche le divinità di questo
pantheon!” aveva
strillato Bentesicima.
“Annabeth
è
parecchio strana, a quanto pare abbiamo avuto un tempismo
perfetto” aveva
considerato Magnus, sarcastico, mentre leggeva un messaggio sul
telefono,
l’altra mano in quella della sua fidanzata.
Madina seguiva loro calma, affiancata da Jason.
Se i primi due parevano una coppia di fidanzatini adolescenti standard,
Jason e
la sua amica, attiravano non pochi sguardi.
Jason indossava una lurida pelliccia sbrindellata e Madina indossava
dei
vestiti a strappi. La foschia, d’altronde, riteneva che
intervenire sulla moda
dei mezzo-sangue non fosse suo dovere, portava a molti mortali confusi
a
guardarli.
“Bella San Francisco. Piena di salite, sarebbe fantastico
farci jogging” aveva
esclamato Madina, comunque, piena di meraviglia negli occhi,
guardandosi a
destra e manca. “La mia solita fortuna” aveva
commentato Jason ad alta voce,
rispondendo a Magnus, con un’espressione crucciata sul viso,
confuso e timoroso
di quello che avrebbe dovuto dire.
“Annabeth dice che ci incontrerà subito e ci
porterà alla porta, ma prima deve
capire come sistemare una piccola crisi che sta affrontando”
aveva spiegato
Magnus leggendo il messaggio di sua cugina. Jason aveva annuito,
“Io, ecco,
dille che puoi aiutarla” aveva commentato Jason, con un
sospiro pesante.
Sapeva di non poterlo fare, anzi, sapeva quasi di non doverlo fare, Kym
si
sarebbe infuriata, Thrud ne avrebbe pagato le conseguenze. “E
può?” aveva
chiesto Alex al posto del suo ragazzo.
Jason aveva annuito.
Annabeth
aveva dato loro appuntamento ad una caffetteria vicino il suo
dormitorio, non
lontano dall’Università di San Francisco. Come
quando aveva raggiunto
l’università di Boston, Jason aveva sentito un
mancamento attraversarlo.
“Sei nervoso, vero?” aveva domandato Madina, con
gentilezza, “Tecnicamente dopo
il trapasso, non possiamo incontrare i nostri famigliari, le regole
vorrebbero
che stessimo ad Idavoll ogni giorno. Però, alla fine, tutti
sgattaiolano per
vedere i propri cari” lo aveva rassicurato con gentilezza.
A fermarlo dall’abbracciare la ragazza era stato guidato
solamente dalla
consapevolezza di averne ricevuti troppi in quella giornata.
“Madina … io … non
voglio mentirti oltre” aveva ammesso Jason, alla fine.
Madina lo aveva guardoto, con gli occhi scuri, carichi prima di
angoscia e poi
di dolcezza, prima di un sospiro, “Non mentivi, per paure,
eh?” aveva chiesto
retorica, senza malizia.
“Credi che qui faranno qualcosa da mangiare?” aveva
chiesto Magnus, “Spero non falafel,
se ne mangio ancora …” aveva risposto Alex,
“Io spero che Percy si porti la mia
dama, non la vedo da mesi, se non trovasse la mia affilatura
più attraente?”
aveva chiesto Jack, la voce era venuta dalla gola di Magnus. Al suo
collo,
portava allacciata una collanina con il simbolo di Fehu.
Kráka lo aveva interpretato come negativo, o quasi.
Annabeth non
ci aveva messo molto a palesarsi dopo. Jason l’aveva
riconosciuta subito. Era
Annabeth ma non lo era – un po’ come era stato per
lui, quando si era rivisto
allo specchio dopo il trapasso – era un’adulta.
I mesi dall’ultima volta
che Jason l’aveva vista dal vivo sembravano, in quel momento,
improvvisamente più
lunghi. Della ragazza in blue jeans e maglia arancione non era rimasto
molto.
Era una bella ragazza, con una camicia scozzese e pantaloni in velcro;
l’incarnato ambrato, capelli biondi raccolti in una coda
bassa, da cui
sfuggivano ciuffi incontrollati.
Annabeth aveva avuto una camminata dritta e fiera, come Jason sapeva
fosse lei,
alle sue spalle c’erano Percy e Nico.
Il figlio di Poseidone aveva un aspetto piuttosto tranquillo e
rilassato, con
la felpa slacciata sul davanti ed i jeans chiari, Nico al suo fianco
era ingobbito
con gli occhi scuri spalancati, guardingo. Aveva abbandonato i vestiti
di Leo,
per qualcosa di Percy, in cui sembrava esserci caduto dentro. Nel
vederlo, così
spaventato, come sperava non l’avrebbe più visto,
dopo Spalato, dopo la guerra,
il cuore di Jason si era spezzato.
Nico fu il primo a vederlo.
Mentre Annabeth aveva riconosciuto subito la testa del cugino e si era
diretta
con un sorriso cristallizzato e nervoso verso di lui, Nico aveva visto
lui. Gli
occhi scuri si erano spalancati, un lampo di confusione, di terrore, di
gioia,
tutto insieme dietro le iridi.
Aveva abbandonato il fianco di Percy per correre verso di loro, quasi
urtando
Annabeth nel mentre. “Nico!” lo aveva rimproverato
lei, ma quando si era
accorto di Jason il fiato le era sparito.
Jason si era alzato ed era andato da loro.
Nico lo aveva guardato negli occhi, quasi tremante.
“Manca la cicatrice” aveva sospirato, con le mani
quasi tremolanti, allungando
una mano sul suo viso.
“Sono io, Nico; sono io” aveva commentato con voce
calma Jason, timoroso che
quella correzione sul viso, che aveva rovesciato il suo aspetto, lo
rendesse in
quel momento una copia ai suoi amici. Nico aveva abbozzato un sorriso,
“Lo so.
Lo so” aveva risposto Nico, “Riconosco la
tua traccia vitale – e che sei
ancora morto” aveva terminato.
“Sì, ora ti spiego tutto. Vi spiego
tutto” aveva risposto Jason.
“Direi che ovvio, sei un Einherjar” aveva detto
Annabeth, quando gli aveva
raggiunti, abbracciandolo, stretto, come un serpente. Jason aveva
ricambiato.
Nico era arrossito alla consapevolezza di non averlo fatto anche lui e
così era
stato.
Ultimo era stato Percy, “Sono così felice di
sapere che sei vivo, circa, amico”
gli aveva sussurrato.
“Sì anche io” aveva ammesso Jason.
Madina, Alex e Magnus erano rimasti a guardare la scena.
Annabeth si era voltata verso il cugino ed aveva tirato un buffetto
sulla nuca,
“Potevi dirmelo!” lo aveva
rimproverato. “Cosa ti scrivevo, credo che il
tuo amico sia nel Valhalla? Non si danno queste notizie a cuor
leggero” aveva
risposto Magnus sulla difensiva.
“Potevi dircelo tu, Jason. Mesi fa!” aveva detto
allora Annabeth, voltandosi
verso Jason.
Ovviamente, era quello che chiunque si sarebbe aspettato da un buon
amico; lui
stesso lo avrebbe fatto, se fosse finito nel Valhalla mesi a dietro.
“Penso sia molto complicato” aveva risposto Jason.
Madina lo guardava con sguardo pieno di confusione, “Mesi?”
aveva
chiesto, confusa.
“Non sono morto quattro giorni fa” le aveva
risposto Jason, “Ma molti mesi fa”
aveva raccontato. Ringraziava, quasi, in quel momento, che Thrud lo
avesse
fatto giurare sullo Stige di non urlare e non di mantenere il segreto,
forse lo
aveva fatto proprio per quello, consapevole che un giorno avrebbe
dovuto
rendere i conti.
Forse quel giorno non lo pensava così vicino.
“Okay, penso sia il caso che ci sediamo tutti e parliamo per
bene, se Jason se
la sente” aveva attirato l’attenzione di tutti
Alex, sollevandosi dalla sedia,
nel tentativo di racimolare anche altre sedute per permettere di
sistemare
tutti.
“Percy hai portato la mia ragazza?” aveva chiesto
invece Jack, Magnus aveva
sbuffato liberandosi la sua spada dal ciondolo. Il figlio di Poseidone
aveva
annuito, sfilando dalla tasca la sua biro a cui aveva fatto saltare il
cappuccio. Qualche mortale si era girato, “Dannati ragazzini
e i loro cannoni
spara-coriandoli” aveva sentito un vecchio borbottare, mentre
beveva il suo
caffè con un’espressione contrariata.
“Scusate un secondo” si era congedato Percy, mentre
adagiava Vortice, dritta,
su una sedia ad un tavolino di distanza, Magnus non aveva dovuto fare
la stessa
manovra con Jack che ci era volato accanto da solo. Anche
quell’azione aveva
guadagnato qualche confuso sguardo dei mortali, ma che si era
acquietato quando
Percy si era allontanato, segno che la Foschia aveva corretto la
percezione.
Jason si chiedeva cosa dovessero percepire le persone nel vedere la
scena,
perché a Jason pareva surreale – ed era morto e
risorto. Due spade, attorno ad
un tavolo, una delle due parlanti che riempiva l’aria di
chiacchiere con un
soliloquio di tutto rispetto.
“Okay, sì, questa è la cosa
più strana che ho visto questa settimana e non ne
ho viste poche” aveva rivelato Madina, alzando le mani.
“Tranquilla, lo facciamo quasi una volta ogni due settimane
… appuntamento tra
spade” aveva liquidato la faccenda Annabeth. Lo aveva detto
con l’assoluta
serietà con cui diceva le cose lei, anche in una situazione
così pittoresca.
Jason aveva un singulto nel petto, perché in quel momento,
l’unica cosa che
avrebbe voluto dire era: mi siete mancati tantissimo.
Ma non riusciva a muovere la lingua.
“Parliamo delle cose serie: Jason?” aveva
dichiarato la figlia di Atena,
rivolgendosi verso di lui, distogliendolo dai suoi tremori.
“Sempre se te la senti con noi tutti ...” Si era
intromessa Madina gentile.
Aveva sorriso di nuovo, in quella maniera delicata e dolce, di chi
sapeva
comprendere bene i turbamenti degli altri.
Era una ragazza esuberante, di quelle capaci di portare il colore in
ogni
stanza, ma aveva anche un’empatia incredibile.
Jason le aveva sorriso, di rimando, incoraggiato.
“Non è non sentirmela, ma è il pericolo
in cui vi metterei” aveva risposto
Jason e nel dirlo aveva voltato lo sguardo su Nico.
“Sono morto del tempo fa, non so esattamente quanti mesi,
combattendo contro …
be, non un boss criminale, quasi, contro un Imperatore
Romano” aveva raccontato
Jason.
Nessuno era parso particolarmente sconvolto dalla notizia, tranne
Madina, “Oh,
per la gloria di Asgard, sei morto nella battaglia della
Baia?” aveva chiesto subito,
con espressione apprensiva negli occhi scuri.
“No, prima, a Santa Barbara” aveva asserito Jason,
con uno sguardo cupo,
recuperando quel ricordo, pieno di dolore.
“Però
è stato comunque un membro del
triumvirato?” aveva chiesto Madina, sembrava incerta di che
parole dovesse
usare. Questo aveva confuso decisamente Percy e Nico, di rimando
Annabeth aveva
inclinato la testa e studiato la ragazza con interesse. Alex e Magnus
reduci
della confesssione alla Baia non erano parsi molto sopresi.
“Madina è in giro
da qualche secolo, si è fatta il suo bagaglio di esperienze
e conoscenze” aveva
giustificato la cosa Jason. Madina aveva annuito, “Inoltre il
mio ragazzo è
stato molto interessato agli avvenimenti” aveva spiegato con
calma.
“Ah, davvero? Noi l’abbiamo scoperto praticamente a
cose fatte” si era
lamentata Alex, “Stavate anche salvando il mondo,
voi” aveva ricordato Madina,
con delicatezza.
“Quante volte negli ultimi anni il mondo è stato
in pericolo?” aveva chiesto
Nico, con genuina confusione.
“Se contiamo: tre noi, in cinque anni, una volta Carter, una
volta Magnus …”
aveva cominciato ad elencare Percy.
La cosa aveva inavvertitamente provocato una risata, che aveva disteso
la
situazione leggermente pungente che si era creata.
“No, fidatevi, questo è niente. Dovevate esserci
alla fine del ‘settecento,
credevo che il mondo finisse tre volte a settimana” aveva
replicato lei.
Jason aveva
sospirato, guardando la sua nuova amica, “So, che
può sembrare brutto, forse,
qui è il momento in cui …” aveva
cominciato a raccontare in imbarazzo Jason.
Madina aveva sorriso incoraggiante, “Qui è dove
vuoi fermarti e raccontarlo
solo ai tuoi amici” era intervenuta Alex, “Chiaro,
semplice, comprensibile”
aveva spiegato per lui.
Jason aveva sorriso cotto di imbarazzo, “Sei anche tu mia
amica” aveva detto
guardando Madina, perché fosse chiaro.
“In realtà, vorrei dirlo solo a Nico,
cioè volevo dirlo solo a Nico, ma con
Annabeth e Percy qui mi sembrerebbe stupido …”
aveva specificato Jason, senza
contare che si rendeva conto, egoisticamente, di non volerlo fare.
“Inoltre,
non voglio mentirti ancora ed è una situazione lunga e
forse, sarebbe il caso
che te la racconti dopo, anche con gli altri. Magari con Mel”
aveva detto,
prima di voltarsi verso Alex e Magnus che non sembravano turbati dai
suoi
segreti.
“Jason” aveva detto Madina, “Ho vissuto
seicento anni, ormai ho capito come
inquadrare le persone. Mi hai mentito, ma capisco che non sei una
cattiva
persona. Con il tuo buon cuore hai spinto due jotun e due dee ad
aiutarci”
aveva sottolineato lei, carica.
Jason era arrossito, anche se non sapeva bene perché.
“Dii Immortales,
amico, non hai perso tempo!” aveva fischiato Percy.
“Allora, facciamo così, noi ci ordiniamo un bel
piatto di falafel ed una diet
coke, mentre voi discutete” aveva invitato Magnus
carinamente. Nel guardarlo in
quel momento, non lontano da Annabeth, Jason si chiedeva come non
avesse notato
prima quanto evidente fosse la loro somiglianza.
Avevano lo stesso attento sguardo intelligente, Jason non credeva di
poter
descrivere in altro modo. “Grazie cugino” aveva
dichiarato la stessa Annabeth,
guardando lui.
“Sì, be, io non mangerò
Falafel” aveva dichiarato Alex, mentre si alzava per
attirare l’attenzione del cameriere, che con suo sommo
stupore, stava
raccogliendo l’ordinazione di Jack.
Jason,
invece, con Nico, Annabeth e Percy si era seduto, momentaneamente, a
qualche
tavolino di distanza, sotto un’ampia finestra da cui si
vedeva bene il
quartiere, pieno di universitari.
“Deve essere bello” aveva commentato a mezza-bocca
Jason con voce sognante;
aveva sentito la mano di Annabeth sulla sua, con gentilezza,
“Diciamo di sì, ma
solo di martedì, giovedì e
venerdì” aveva risposto con una risata. Jason
aveva
contraccambiato con divertimento. “Possiamo riprendere questa
scena da Friends
dopo e parlare del fatto che Jason è passato dai Campi Elisi
al Valhalla?”
aveva chiesto retorico Nico.
“Tu sai cosa è Friends?” aveva domandato
Percy, quasi con curiosità, come se
vedesse una fiera rara; l’altro lo aveva guardato con un
certo biasimo negli
occhi, quasi a sottolineare non fosse quello il punto, ma lo sguardo di
Percy
non era cambiato di una virgola, “Will dice che devo
recuperare qualcosa come ottanta
anni di cultura pop” si era giustificato Nico, rosso in viso,
come un peperone;
“Ora possiamo parlare di Jason?” aveva chiesto.
Percy si era fatto scattare una risata.
Tutti gli occhi erano poi tornati su Jason, “Allora, amici
miei, la questione è
pericolosa, si rischia una guerra tra i nostri genitori” e
nel dirlo, aveva
guardato sia Nico, sia Percy, quasi singolari, “E non
provocherebbe non pochi
problemi con il mondo norreno” aveva raccontato con una pausa.
Senza considerare quel piccolo incidente delle tavole del destino
scheggiate.
Gli altri avevano annuito attenti, “E questo ti
spiegherà anche perché hai
l’impressione che un dio marino sta cercando di
ucciderti” aveva aggiunto con
calma, attirando l’attenzione del suo amico, che si era
drizzato come una
freccia, “Perché lo sta facendo,
probabilmente” aveva aggiunto.
Annabeth lo aveva guardato, con gli occhi grigi, dritti su di lui,
quasi
rapaci, “In quale casino sei finito Jason?” aveva
chiesto posata.
“Amici, è un segreto. Dico davvero, fino a questa
mattina eravamo in tre a
saperlo, più una quarta che aveva i suoi dubbi, adesso
saremo in sei a saperlo,
e quattro con troppe informazioni” aveva raccontato nervoso;
“Quindi nessuno –
nessuno – dovrà saperlo oltre” aveva
rivelato lui, per un secondo i suoi
pensieri erano galoppati verso Thalia, Piper e Leo, certo anche Hazel e
Frank,
ma per primo sua sorella, che doveva aver affrontato, di nuovo, la sua
morte,
poi per la donna dei suoi sogni ed il suo migliore amico, che non lo
avrebbero
mai dovuto sapere. Per la pace. “Non volevo neanche dirlo a
tutti voi – avevo
pensato di dirlo a Nico perché si stava mettendo nei guai,
ma non volevo,
perché non volevo darvi questo peso” aveva
spiegato Jason.
“Non sei Atlante, amico, non devi tenere il peso del mondo
sulle spalle” lo
aveva rassicurato Percy.
Jason aveva sospirato e alla fine aveva raccontato tutto.
Aveva omesso il ruolo di Thrud, descrivendola come una valchiria, sia
per non
esporre la sua amica ulteriormente, sia perché sarebbe stato
inutile ai fini
della storia, per i suoi amici. Non aveva potuto fare per Kym la stessa
cortesia.
“Mia sorella? Mia sorella Kym? Alta venti piedi, incazzata
come una faina e poco
simpatica?” aveva chiesto Percy sconvolto, “Ha
convinto una valchiria ad andare
nel regno di Zio Ade a rubare l’anima di un figlio di Giove
da portare nel
Valhalla per un Action Figure?” aveva materializzato Percy,
sconvolto.
“Questo non ha parecchio senso” aveva ammesso
Annabeth.
“Sarò onesto” aveva considerato Jason,
“Credo che Kym abbia una sua agenda, ma
non ho idea di quale sia, non sono neanche sicuro di volerla sapere
– in realtà
ora sono in missione – però questo non cambia
quello che ha fatto” aveva
spiegato.
“Certo una figlia di Poseidone è entrata nel regno
di Ade per prendere l’anima
di un figlio di Giove. Solo questo basterebbe a far arrabbiare i
tre” aveva
soppesato Annabeth.
“Mio padre potrebbe andare sul piede di guerra per questo.
Non la prese molto
bene quando Sisifo si diede alla fuga” aveva raccontato Nico.
“Io credo che Kym puntasse molto all’idea che tuo
padre non lo avrebbe notato.
Di solito immagino non presti attenzione alle anime in fuga delle Isole
dei
Beati o dei Campi Elisi, chi vorrebbe mai andare via da
lì?” aveva risposto
retorico Jason.
Nico aveva annuito, “Sì, decisamente sono i campi
della pena i posti dove c’è
grande attenzione a chi esce di straforo. Immagino che la divina
Kymopoleia
avesse preso leggermente sotto-gamba la mia … la mia
… preoccupazione” aveva
confessato Nico, con un po’ di rossore sulle gote.
Jason aveva allungato una mano per posarla sulla spalla del suo amico,
“Sono
grato e onorato della tua amicizia Nico, così come della tua
preoccupazione”
aveva raccontato, “Non cercare più di scoprire
dove è la mia anima e credo che
Kym ti lascerà in pace, nel dubbio, proverò a
contattarla, anche se non so bene
come” aveva raccontato, grattandosi la nuca.
Kymopoleia si era inimicata la figlia di Aegir per lui, forse avrebbe
potuto
smetterla di tormentare Nico – se fosse stata davvero lei.
Nico aveva annuito, “Tutta questa situazione è
surreale” aveva considerato
Annabeth, “Ma va bene, lavoriamo con quello che
abbiamo” aveva considerato
pragmatica.
“Smetterò di fare domande … anche
perché ora non è più
necessario” aveva
ammesso Nico, aveva sorriso verso Jason, i suoi occhi erano quasi
lucidi, “Io
sono contentissimo che tu stia bene. Quando … quando non ti
ho sentito più in
pace è stato terribile” aveva raccontato.
Jason gli aveva arruffato i capelli, “Va bene, non devi
più preoccuparti, io
ora sto bene, circa, sono già in missione, come dicevo,
niente di nuovo sotto
Sol” aveva scherzato – mentendo.
Non era il caso, si disse, di tirarli in mezzo alla questione di
Gullinsporti,
di H e dell’altro Váli.
“Dei, tutti uguali, neanche nella morte ti
lasciano in pace” aveva scherzato Percy.
La risata sulle loro labbra era stata gelata solo da Annbeth, delicata,
per
quanto possibile, “Con gli altri, Jason, so che hai detto che
deve essere un
segreto, ma sei davvero sicuro? Neanche a Thalia?” aveva
chiesto.
“Nessun altro” aveva risposto Jason, con dolore.
“Perfetto, mi inventerò qualcosa con Lit, Leo e
Calypso per il mio
comportamento” aveva provato Nico – Jason avrebbe
dovuto dirgli di tacere anche
con il suo ragazzo, ma aveva dubbi che il suo amico lo avrebbe fatto
davvero,
“Credo che nessuno dei tre mi crederà a pieno, ma
Leo si è abituato alle mie stranezze,
Calypso è più strana di me e a Lit non frega
nulla” si era giustificato Nico.
“Sei proprio sicuro, amico?” aveva chiesto, invece,
Percy guardando Jason, “Nel
senso, noi vorremmo incontrarci prossimamente, sarà strano
dover mentire” aveva
considerato con un’espressione cruciata. Annabeth aveva messo
una mano sul
braccio del suo fidanzato, con calma, “Percy, questa
è una decisione di Jason e
noi dobbiamo rispettarla. Capisco la tua scelta, il bene
dell’equilibrio del
mondo prima di quello personale, però, è
ingiusto, mi rendo conto … magari
quando la situazione sarà diversa, tu potrai incontrare
anche gli altri, ne
sarebbero pieni di gioia” aveva considerato Annabeth, con
quel suo tono
rassicurante, calmo e gentile. “Amici, mettervi in questa
situazione è l’ultima
cosa che avrei voluto. Questa situazione è
l’ultima cosa che avrei voluto”
aveva rivelato Jason, “Se posso essere veramente sincero: io
stavo bene, perché
ero certo che nelle vostre mani sarebbe andato tutto bene”
aveva aggiunto.
Jason aveva sentito il bisogno di piangere e gli altri erano stati
così cortesi
da avergli dato il suo tempo, raggiungendo gli altri.
L’ultimo ad alzarsi era
stato Nico, lo aveva fissato con intensità, con i suoi occhi
scuri,
“Egoisticamente: io sono felice” aveva sancito il
figlio di Ade, prima di
congedarsi. Jason aveva sorriso, prima di tirar via gli occhiali e
nascondere
le lacrime con una mano.
Quando era arrivato, Annabeth stava raccontando qualcosa di divertente
a
proposito dei suoi fratelli minori – ne aveva? Jason non lo
sapeva, pensiero
che gli aveva dato le vertigini – al cugino, mentre Alex e
Percy dibattevano su
come stesse andando l’appuntamento tra Jack e Vortice, la
spada era arrivata a
cantare l’intera discografia di Enya.
Madina stava spietatamente interrogando Nico, con quel suo sorriso
pieno di
divertimento, poteva osservare come il suo amico fosse così
rosso d’imbarazzo,
da parere quasi su una graticola.
“Jason caro, è così bello mangiare
qualcosa che non ha dei miele dentro –
nonostante fossero sante quelle api”
aveva dichiarato, mostrando con
orgoglio il suo kebab. “I falafel di Amir però
sono meno speziati e più buoni”
aveva considerato Magnus, mentre si guadagnava un buffetto sulle dita
dalla
ragazza quando aveva cercato di prendere una manciata delle sue
patatine. Jason
aveva sorriso, “Sai sto proprio sognando l’arrosto
di cinghiale di questa sera”
aveva raccontato, aggiustandosi gli occhiali. I suoi occhi erano ancora
arrossati
e lucidi, dal pianto.
Gli altri avevano ridacchiato, “Okay questa andrebbe
approfondita” aveva detto
Percy.
Jason
sarebbe voluto rimanere di più, sarebbe voluto rimanere per
sempre; anche
Magnus e Jack sarebbero voluti rimanere di più, ma il
destino del pantheon
norreno non prevedeva quell’attesa.
Avevano seguito Annabeth nel suo dormitorio – che a Jason
aveva ricordato,
senza alcun dubbio, i piani delle valchirie all’Hotel
Valhalla – fino alla sua
piccola stanza.
“Fate attenzione” aveva dichiarato la proprietaria.
La stanza di Annabeth era spartana, ordinata, senza un grammo fuori
posto, ma
il pavimento era occupato da un plastico tridimensionale di
un’acropoli
moderna. Jason aveva riconosciuto alcuni dei suoi templi, di cui i
disegni
erano rimasti nella sua camera al collegio.
“Sto unendo l’utile al dilettevole, un progetto per
una mostra e la creazione
di un’acropoli al campo mezzo-sangue, ne faremo anche uno per
Nuova Roma ma li
è più complicato perché ha una
geografia più ordinata ed ha già dei templi. Il
Campo ha molti spazi ampli e vuoti che potremmo sistemare
bene” aveva
raccontato la sua amica, guardandolo, “Tranquillo, ti ho
citato nel progetto;
sei tra i ringraziamenti, senza il quale niente di
tutto questo sarebbe
possibile” aveva spiegato subito.
“Grazie Annabeth” aveva detto Jason, non per la
citazione, “Apollo e Meg hanno
portato i disegni a Nuova Roma ed Hazel a me. Non avremmo mai lasciato
la tua
opera incompiuta” lo aveva rassicurato con fermezza.
“Di positivo c’è che ora, puoi
partecipare attivamente, Magnus può farmi avere
i tuoi disegni” aveva aggiunto Annabeth, indicando suo cugino.
Jason lo aveva ringraziato di cuore.
Annabeth aveva sorriso, “Okay, adesso, proveremo ad aprire
questo portale,
cercando di seguire le istruzioni del tuo amico elfo” aveva
spiegato con
tranquillità.
La sua amica aveva recuperato un pennarello e con linee dritte, sicure,
aveva
scritto delle rune, copiate da un foglietto.
“Quali sono?” aveva chiesto Jason, a Madina.
“La prima, quella che sembra una
B, è Berkenna; poi c’è Raido, la R,
Kenaz, quello che sembra il simbolo del
maggiore-minore” aveva spiegato
prontamente Madina; Annabeth lo aveva guardato, “Da quello
che ho capito: Creazione-Movimento-Segreto”
aveva detto con semplicità, indicando le varie rune.
L’armadio di Annabeth si era illuminato, poi la luce si era
affievolita,
trasparendo solo dalle ante socchiuse, “Da quello che ho
capito, ora il
passaggio sarà aperto fino a che saranno aperte le porte,
poi ci vorranno
ventiquattro ore per ricaricarlo” aveva spiegato didascalica
Annabeth.
Magnus aveva dato un forte abbraccio alla cugina ed aveva battuto il
pugno con
Percy, Jack aveva piagnucolato di voler avere più tempo con
Vortice.
Annabeth aveva aperto le ante dell’armadio, lasciando che una
calda luce d’oro
li investisse. Alex aveva salutato tutti ed era stata la prima a
saltare,
seguita dal suo ragazzo che dibatteva con la sua spada emotivamente
sconvolta.
Madina aveva guardato Jason un secondo e poi era balzata dentro anche
lei.
“Non è un addio” Nico aveva parlato
prima degli altri, esponendosi, “Io posso
muovermi nell’ombra, New York e Boston sono vicine. Non
è un addio” aveva
ripreso, “E qualsiasi cosa tu stia per dire sul: non
dovremmo, è pericoloso,
risparmiatela, sono andato e tornato dal tartaro così tante
volte che nessuna
situazione mi sembra più pericolosa”
aveva stabilito con sicurezza.
Annabeth aveva sorriso, colpita, “Hai sentito il capo, non
è un addio” aveva
considerato Percy, “Sempre se mia sorella non decide di
ucciderci tutti prima”
aveva aggiunto con divertimento. “Risolvo io” li
aveva rassicurati Jason, con
il cuore pesante, sofferente all’idea di doversi separare
ancora.
“Allora, arrivederci” aveva
asserito Jason – ma non ne era sicuro –
prima di attraversare anche lui la porta.
Non era
stato diverso dal passare una soglia, una qualsiasi altra, se non fosse
stato
per il calore e l’attimo. In un battito di ciglia era passato
dalla stanza del
dormitorio di Annabeth a quello che pareva un piccolo magazzino
straripante di
roba.
Jason aveva urtato contro un appendiabiti morbido, pieno di piumini.
“Ecco, ben arrivato” lo aveva chiamato una voce.
Jason aveva riconosciuto
subito l’elfo oscuro Bltizen, “Cosa ti ha fatto di
male quel cappotto?” aveva
chiesto, ammiccando ai resti del vestito di Astrid, “Nulla
rispetto a quello
che mi farà la proprietaria” aveva risposto lui.
Blitzen aveva allungato una mano, per invitarlo a consegnarli
l’indumento,
“Tanto non posso permetterti di uscire così dal
mio negozio, ho una
reputazione. I Nove Regni sono pettegoli e non si dica che Blitzen
Freyason
permetta a gente scapigliata di uscire dal suo negozio” aveva
aggiunto con
estrema professionalità.
Jason si era sfilato la pelliccia per dargliela.
Infondo, l’elfo oscuro aveva restaurato l’altra.
Blitz gli aveva dato una camicia a rombi, pulita, per sostituire la
maglietta.
Quando lo aveva accompagnato fuori dal magazzino, all’interno
del suo negozio.
Jason aveva avvisto i suoi compagni tirati a lucido, Madina con gli
scii legati
alla schiena, sopra un abito a fiori spezzato alla vita. Magnus con una
camicia
di flanella ed Alex che curiosava invece al reparto pantaloni, per
prenderne un
paio verde pistacchio.
C’era anche l’elfo muto, stava parlando a Magnus,
con movimenti precisi ed
eleganti delle mani, il figlio di Frey stava osservando tutto
attentamente,
“Sì, amico, ha funzionato perfettamente”
aveva risposto con un sorriso pieno
d’orgoglio, l’altro aveva gesticolato qualcosa,
“Ah, sì, meno male che non ci
siamo disintegrati nel vuoto cosmico” aveva detto Magnus,
meno convinto.
“Come stai?” aveva chiesto Madina, invece, venendo
verso di lui, con un tono
dolce e preoccupato, “Come se fossi finito in una lavatrice
emotiva” aveva
risposto Jason, “Non molto romano” aveva aggiunto.
Anche se lui non lo era mai stato veramente.
“Dovremo accantonare lo stereotipo che i romani non hanno
cuore, allora” aveva
risposto lei con gentilezza.
“Ehm ehm …” aveva attirato
l’attenzione Magnus, “Noi, ecco, pensavamo di
restare qui con Heart e Blitz a fare quattro chiacchiere, siete
invitati
ovviamente” aveva aggiunto.
“Grazie dell’invito Magnus, ma abbiamo una missione
da terminare” lo aveva
anticipato Madina. Il figlio di Frey aveva annuito, ma Jason aveva
potuto
osservare un’espressione preoccupata palesarsi sul viso
dell’elfo, che
immediatamente aveva cercato con lo sguardo il suo amico proprietario
del
negozio.
Blitz aveva parlato, interpretando l’espressione di
Heartstone, “Missione? È
successo qualcosa di grave?” aveva chiesto.
Madina aveva guardato Jason, “Non so, può darsi?
Un dio si è perso qualcosa –
nella norma credo” aveva ammesso, non era ne una menzogna ne
la verità. “Spero
non sia quel dannato martello di nuovo” aveva replicato Alex,
“Perché io un
altro abito da sposa non lo metto” aveva sottolineato.
Jason non aveva idea di cosa stessero dicendo, “Magari,
quando avremo scansato
il Ragnarok per l’ennesima volta, potete
raccontarmelo?” aveva invece chiesto
Madina.
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Capitolo 16 *** Attenzione Spoiler! Anche se effettivamente questo potrebbe essere l’ultimo … ***
EHILA’
sono tornata.
Chiedo scusa per l’assenza prolungata, ma ho la
giustificazione della vita: Ho
avuto il covid. Mi ha messo davvero, davvero K.O. e ci ho
messo dodici mila
anni a scrivere questo capitolo. Poi dopo che è passato il
covid (di cui porto
ancora addosso i segni, con la tosse più spaventosa del
mondo) mi è ripiombato
addosso tutto quello che avevo da fare – tra cui infiniti
progetti (che devo
realizzare e non ho idea di come fare).
E niente, quindi, ho scritto questo capitolo ed è uscito
fuori straordinariamente
lungo, con qualche evento importante e …
TW: Una cosa
di cui non ho mai parlato, i discorsi tra Fred e Astrid potrebbero
risultare a volte offensivi, vi posso assicurare che i due personaggi
si
vogliono molto bene, ma sono figli del loro tempo (nonostante sono
ormai in
giro da quasi un millennio, per arrotondare): Astrid è
vissuta nell’epoca in
cui il cristianesimo cominciava ad infiltrarsi nel mondo norreno (e la
cosa non
era sempre visto positivamente), mentre Fred è un
monaco-crociato (anzi morto
durante la quarta crociata – che è molto
particolare) cresciuto a pane ed odio
verso i non-cristiani (anzi i non cattolici, ricordiamo sempre come
è finita la
quarta crociata). Comunque, ripeto, i due personaggi si vogliono molto
bene.
Oltre questo, vorrei ringraziare Farkas per il
sostegno e le recensioni.
Buona Lettura!
RLandH
Vi
regalo la profezia: https://www.deviantart.com/rlandh/art/The-Prophecy-912853174
(avevo voglia di sperimentare con la prospettiva)
Attenzione
Spoiler! Anche se
effettivamente questo
potrebbe essere l’ultimo …
“Dove
è la
mia giacca?” aveva chiesto la ragazza con una punta di
veleno, “Intendo quella
bellissima, cucita con l’oro dei capelli di mia nonna e della
Signora della
Magia che ti ho prestato” aveva specificato.
“Un lupo di vento la ha rovinata, la ho lasciata da
Blitzen” aveva risposto
Jason, pregno di vergogna, Astrid si era ammorbidita un po’.
“Sono contenta che
tu non sia morto, Jason” aveva aggiunto lei, un po’
più dolce.
Jason era stato sul punto di fare una battuta, abbastanza scontata
sulla sua
partecipazione all’holmagang, quando aveva osservato come era
vestita la
ragazza. “Stai … indossando una corona di
fiori?” aveva domandato, notando la
ghirlanda sulla sommità corvina della testa della ragazza,
“Me ne ero dimenticata.
Comunque, sì, la signora di Alfheim quando è
nervosa si diverte a fare queste
cose” aveva detto colma di imbarazzo, aveva mosso le mani,
come a voler
togliere la ghirlanda dalla testa, ma poi aveva lasciato perdere.
“Ti sta bene” aveva commentato Jason, non era una
menzogna. Con i capelli
sciolti, lunghi e neri, dritti sul viso tondo caramello, la ghirlanda
con
petali gonfi di rosa e pervinca, creavano un’ottima crasi.
Astrid lo aveva
guardato insicura, “Grazie?”
aveva provato Astrid, con le gote
leggermente arrossate; “Immagino non si sposi bene con il kyrtill
di lana” aveva detto lei, pizzicando la sua maglietta.
“No, funziona bene”
aveva considerato Jason, “Tu funzioni bene” aveva
specificato.
Astrid aveva ridacchiato, con nervosismo e le gote rosse,
“Oh, Jason certo di
non essere figlio di un dio della poesia, eh?” aveva
rimediato lei.
“Solo fratello” aveva declinato Jason,
“Ma fa degli Haiku pessimi, quindi …”
“Come
è
andata con Lei, con Gerd?” aveva chiesto Jason, cambiando
argomento, “Nulla di
che, ha parlato per lo più con Fred. Devo dire che
è isterica e stressata, come
l’aveva descritta il figlio. La divina Gerd non ha idea di
chi possa essere
stato. Io però ho guardato il cancello del cortile del
cinghiale e il sigillo
magico – sì, Frey ne aveva fatto uno –
non è stato rotto” aveva raccontato la
ragazza, “Vuol dire che chiunque sia stato: o è un
maestro nel seid così
esperto da ingannare il Signore del Alf Seid in persona
o era
contemplato nel vincolo” aveva sottolineato Astrid.
Jason aveva annuito, un brutto presentimento lo aveva colto,
“Inoltre, be, tutti
e tre i servitori di Gerd e Frey quel giorno non erano presenti. Tranne
Stellan
che si occupa del Giardino, che è nella parte frontale della
casa, rispetto il
cortile del cinghiale” aveva buttato fuori la giovane,
“Abbastanza strano
anche questo” aveva sottolineato lei.
Jason aveva annuito, concordando; “Sì, nel sogno,
la donna, Bayla o Beyla,
non ricordo, era ritornata. Uno era con Frey a caccia e
l’altro era ancora
assente”
aveva
considerato, ricordandosi quel dettaglio.
Troppo coincidenziale. Si chiese se H avesse organizzato per bene le
cose, per
assicurarsi che non ci fosse nessuno in casa, se non un piccolo Elfo
– forse
per questo Jarnsaxa aveva avuto il compito di invitare fuori la sua
amica
proprio in quell’occasione.
Se era stato preparato da tempo, allora, forse Jason ed il suo arrivo
non
significavano nulla, erano solo una coincidenza.
Anche se non esistevano, secondo lui. “Ho
sognato Kráka, tra le rune
c’era quella di Fehu … forse era in relazione a
questo?” aveva proposto.
La nipote di Sif aveva annuito, con gli occhi chiari rivolti verso di
lui, “Hai
avuto un altro sogno? Pare proprio che il wyrd ti
abbia scelto Jason –
che mi piaccia o meno” aveva commentato Astrid, spenta. Non
doveva gradire
troppo la distrazione rispetto la sfida.
Jason aveva dovuto confermare la cosa, dopo un momento di silenzio la
skraeling
aveva domandato: “Con Jarnsaxa, voi? In generale con
Jotunheim … sono stupita
di vedervi tutti interi”; con gli occhi verdi aveva raggiunto
anche gli altri,
“Sarà meglio raccontarlo tutti insieme”
aveva considerato, “Comunque, posso
assicurarti che dei Lupi di vento hanno provato a prendersi qualche
pezzo”
aveva terminato Jason.
Non lontano Stellan stava raccontano con orgoglio qualcosa, mentre Mel
continuava a fare piroette per far vedere a Fred e Madina i suoi
nuovissimi
pantaloni. “Certo che ci avete messo tempo, voi”
aveva ghignato il monaco
cristiano, con un sorriso sarcastico, interrompendo la narrazione
dell’elfo.
Anche lui indossava una coroncina di fiori, sembravano gigli.
Inspiegabilmente sembrava un Bacco Rinascimentale.
“Sì,
abbiamo
cenato con i giganti” aveva raccontato Madina piena di
soddisfazione, “La bontà
di cuore di Jason ha pagato – visto che il suo bel Lupo ci ha
garantito
l’ingresso” aveva raccontato Madina,
“Abbiamo partecipato ad una gara ed ho
vinto una coccarda” aveva aggiunto orgogliosa, mostrando
anche l’oggetto in
questione.
Astrid sembrava particolarmente colpita, “Sì, a
quanto pare era l’altro Váli”
aveva dichiarato Jason, raccontando poi brevemente le dinamiche con il
lupo.
Aveva visto sul viso della Skraeling dipingersi un sorriso consolatorio
–
qualcosa sembrava filare dritto.
“La nostra avventura è stata fantastica”
aveva esordito Mel, “La prova che in
questo posto ci si può ancora divertire” aveva
aggiunto pienamente soddisfatto.
“Sì!” aveva confermato Stellan con gli
occhi luccicanti come astri, “Per metà
del tempo io ho pianto e strillato” aveva raccontato con meno
divertimento
l’elfo.
“Ai piani dei Re parleranno di noi per molti
secoli” aveva scherzato il
guerriero ceruscio, ignorando apertamente il commento
dell’altro, prima di
alzare una mano per darsi il cinque con l’elfo, che aveva
ceduto incerto. “Ovviamente
io ho rischiato di morire-morire ed è stato fottutamente
spaventoso” aveva
spiegato Stellan, ma era stato ignorato apertamente.
“Bene, noi abbiamo sprecato il nostro tempo, come avevo detto
mia madre è
semplicemente isterica, voi?” aveva asserito Fred, nel
parlare il suo tono era
stato particolarmente roccioso ed aveva lanciato uno sguardo ad Astrid,
che lo
aveva guardato in maniera tesa. C’era
qualcosa di volutamente taciuto in quello scambio.
“Abbiamo
scoperto diverse cose” aveva aggiunto invece Jason, prima di
chiedere della
profezia e se la veggente fosse riuscita ad interpretarla.
“Come lo sai?” aveva chiesto Mel, stupido, sotto lo
sguardo piuttosto confuso
di tutti gli altri, “Ovviamente, l’avrà
sognato” si era inserito Fred nella
questione, con più vigore, “Metà delle
cose che non sappiamo le scopriamo così”
aveva ricordato, “Inoltre, il nostro buon amico ha
già avuto sogni” aveva
stabilito.
Jason aveva annuito confermando le parole di Fred,
“Incredibile, Jason, gli dèi
stanno investendo un sacco in te” aveva considerato Mel come
aveva fatto Astrid
prima di lui; “Comunque, crede di aver risolto qualcosa, ma
non è del tutto
certa” aveva stabilito il germano, parlando della veggente.
“Allora, forse le
nostre informazioni possono aiutarla meglio” aveva
considerato Madina,
soppesando, “Quando vi deciderete a dirle. Credo,
sicuramente, che anche le
nostre” si era intromessa Astrid.
Fred aveva spalancato gli occhi scuri, “Sì, tra un
te, una ghirlanda e le urla
isteriche di tua madre, io ho scoperto qualcosa” aveva
sottolineato il lascito
di Sif.
“Congratulazioni Nancy Drew”
aveva risposto Fred facendo la linguaccia
alla sua amica, ma la sua espressione non era mutata di un centimetro.
Jason non aveva idea di come Fred un’einherjar che viveva
come ascetico da due
secoli, conoscesse Nancy Drew.
Si erano
così decisi a raggiungere il piano delle valchirie,
“Comunque, quando Magnus
Chase è venuto a dirci del messaggio di Utgard-Loki mi sono
spaventato da
morire, volevo andare con loro, ma Bragi mi ha fatto rimanere
qui” aveva detto,
punto sul vivo Mel.
La sua fidanzata gli aveva tirato un delicato buffetto sulla
collottola, “Oh,
amore mio, io ti appaio come una damigella in pericolo? O Jason?
Nessuno di noi
due sta bene con una gonna, comunque” aveva chiesto divertita
Madina, prima di
sporgersi per dargli un bacio sulla guancia. Mel era alto, con spalle
impostate, ma Madina al suo fianco lo ridimensionava, essendo
altrettanto lunga
e fiera.
“Quindi hai conosciuto Utgard-Loki? Complimenti è
come se avessi perso la tua
verginità mitologica” aveva dichiarato Fred, con
una punta di cattiveria. “Stai
alludendo a qualcosa di specifico, Fred?” aveva risposto
ferace Astrid.
La prima istintiva risposta del monaco era stato farsi il segno della
croce, ma
prima che potesse dar fiato alla bocca, Madina aveva ripreso il
controllo della
situazione, parlando lei: “Abbiamo fatto anche una sauna con
Jarnsaxa, Grid e
Logi!”
“Nuda in una stanza con tre giganti, Madina tu corteggi con
vigore la morte” le
aveva dato manforte Astrid, dandole una genuina pacca sulla spalla.
“Non
eravamo proprio nudi” aveva sentito il bisogno di intercedere
Jason,
occhieggiando Mel. Il suo amico aveva boccheggiato qualcosa verso di
lui,
sembrava sul genere: non-sono-geloso. Si era
chinato sulla sua fidanzata
ed aveva stampato un bacio sulla sua tempia, “Avrei voluto
decisamente essere
lì, dopo questa” aveva considerato.
“Oh,
giusto come ho fatto a dimenticarlo:
abbiamo incontrato un gruppo di Dísir!” aveva
raccontato Madina, come se fosse
una cosa divertente.
“Magari erano sicure che avresti tirato le cuoia”
aveva scherzato Fred, Madina
aveva sollevato le spalle, “Sai, Fred, sono proprio contenta
che tu abbia
smesso di fare l’eremita, ma i tuoi commenti non mi erano
mancati per nulla” aveva
replicato la figlia di Ullr.
Fred aveva allungato una mano e le aveva scompigliato i capelli,
“Io invece
stavo benissimo senza di te, senza nessuno di voi – incluso
anche chi non
conoscevo” aveva sottolineato, mentendo.
I corridoi
dell’hotel erano stati abbastanza vuoti, segno che gran parte
degli einherjar fossero
impegnati nel combattere ad Idavoll.
Fred aveva fatto un breve resoconto della loro avventura ad Alfheim,
che aveva
previsto, molte tazze di tè corretto, corone di fiori e
piagnistei da parte di
Gerd – e qualcosa che non volevano dire,
visto gli scambi continui di sguardi
con Astrid.
Mel aveva raccontato concitato e pieno di brio invece il putiferio che
aveva
creato nei piani dei Re per sfilare i pantaloni di Richard I, con
interventi di
Stellan; in realtà Jason si era perso nel discorso diverse
volte.
Stellan così cotto dall’eccitazione era inciampato
nelle parole molteplici
volte, Mel, invece, come sempre, si era concesso infinite digressioni
su tutti
i personaggi coinvolti. “Sì, tesoro, mi sono
persa” aveva dichiarato Madina,
piena di confusione, “Dopo aver perso
all’Holmagang” si era intromesso Stellan,
con più sicurezza, “Ovviamente è stata
una vittoria impropria” si era difeso
Mel; “Richard III ci ha detto che il primo aveva un debole
per il forte-sesso?”
aveva raccontato tutto pieno di imbarazzo l’elfo.
“Il nostro Stellan lo ha sedotto!” aveva terminato
trionfale per lui Mel.
L’elfo era diventato del colore delle more, “Lo ho
solo convinto di una mia
disponibilità e che fossi molto francese”
si era
difeso.
Fred lo aveva bruciato con lo sguardo e lo aveva offeso in francese.
Jason lo
aveva sempre trovata una lingua molto delicata ed elegante, almeno
quando
sentiva Frank e Piper usarla, di rimando Fred sapeva renderla spietata.
“Comunque, quando si è sfilato le braghe, Stellan
è fuggito con loro e quando
Re Richard ha provato ad inseguirlo io lo ho decapitato”
aveva terminato Mel,
“Ora, dovrò guardarmi da lui per il resto
dell’eternità” aveva aggiunto con una
punta di divertimento.
“Sì, ma il vostro viaggio?” aveva
chiesto Astrid, rivolgendosi a Jason e la
figlia di Ullr, “Siete tornati da Jotunheim!” aveva
dichiarato, “E Madina ha
anche una coccarda!” aveva aggiunto con ironia Fred.
Madina aveva fatto un sunto molto veloce di tutta
l’avventura, limitando
moltissimo la capacità di spaccare il cielo di Jason, non
che l’essere
screditato lo avesse rattristato, doveva ancora cercare di capire come
elaborare un discorso con Mel a proposito della sua romanità.
“Divinità
Romane?” aveva chiesto subito Mel, essendosi concentrato su
quella parte del
discorso, per l’appunto.
Jason aveva sentito
i brividi lungo la
sua schiena, così come aveva osservato il respiro di Astrid
farsi stretto. “Oh,
sì, una delle figlie di Aegir voleva uccidere Magnus, solo
che ci ha trascinato
per sbaglio nel territorio di una figlia di Nettuno” aveva
risposto senza
particolare preoccupazione. “Ah, le divinità
marine bisticciano sempre” aveva
considerato Mel.
Prima che l’argomento potesse essere ripreso, però
avevano raggiunto il caotico
piano delle valchirie.
Quando le porte dell’ascensore si erano aperte con un sonoro din,
Kráka era
già lì. Indossava ancora l’abito di
reti e
masticava con furore un porro crudo, “Penso che sia
inevitabile” aveva
considerato esecra, guardandoli.
“Ci sei riuscita?” aveva chiesto speranzoso Mel,
“Forse” aveva concesso la vǫlva,
“Abbiamo delle informazioni per te, forse possono
aiutarti” aveva commentato
Jason.
“Informazioni che in realtà tu avresti dovuto dare
a noi” aveva sottolineato
Astrid. Kráka l’aveva guardata con una punta di
fastidio, “Be, skraeling, il
wyrd è impazzito, scusa per lo spoiler, a proposito
è l’ultimo che riceverai per
un bel po’” l’aveva rimproverata.
Si erano
diretti nelle stanze di Kráka, lì
c’erano altre due valchirie, una delle due
era Lagherta, ma quando avevano visto loro sei entrare si erano
volatilizzate
in un attimo. La donna bruna non aveva però risparmiato uno
sguardo eloquente verso
la veggente. “Uhm … ditemi, vediamo se
c’è un senso più chiaro”
aveva
commentato Kráka, con un sorriso nervoso, quasi chiudendo in
faccia la porta a
Lagherta.
La donna li aveva fatti accomodare attorno al tavolo tondo, dove ancora
erano
sistemate le rune, circondati da foglietti di ogni genere, riempiti da
fitte
scritture. La veggente aveva fatto cadere tutti gli appunti per terra,
dando
poi loro la parola.
Jason aveva cominciato: “Allora, dietro tutta questa storia
c’è qualcuno che si
fa chiamare H, è una Lei, Odino la teme ed onestamente anche
Jarnsaxa, ha
chiesto a quest’ultima di distrarre Gerd mentre un suo minions
andava a
rapire il cinghiale …” i suoi amici stavano
ascoltando attentamente, “Minions?”
lo aveva interrotto Kráka. “Si, i piccoli
omini gia…servitori?” aveva
provato Jason, incerto, Kráka aveva annuito,
“Ecco, sì, un suo servitore, che
Jarnsaxa ha detto essere un einherjar ma più
morbido” aveva considerato, per
quanto fosse vacua quella descrizione.
“Io credo intendesse un caduto di Folkvang” aveva
ripreso Madina, Jason
ricordava lo avesse detto anche a Jarnsaxa, poi si era voltata verso di
lui,
“Folkvang è l’altro valhalla, possiamo
chiamarlo così? Dove finiscono i
coraggiosi, metà qui, metà
lì” aveva spiegato didascalica la figlia di Ullr.
Bene, se Jason aveva tenuto bene il conto, i norreni avevano quattro
regni
della morte.
“Perché un einherjar dovrebbe fare
questo?” aveva domandato Astrid, stanca, “Io
punto su un figlio di Loki” aveva detto Fred, guadagnando una
gomitata sul
fianco da Mel.
“No, ma questo ha senso” aveva esclamato
Kráka, portandoli alle rune, “Ah,
giusto anche questa. La mancanza che volevi” aveva detto
Jason, infilando una
mano nella tasca dei pantaloni ma trovandoci solo Giunone –
la moneta lo aveva
seguito, ma la tessera era rimasta nella pelliccia di Astrid
– “Come non detto.
La runa era Halgaz, la grandine, ma anche la rottura o la H”
aveva dichiarato
Jason.
“Stai imparando” aveva considerato Kraka,
Jason aveva sorriso allietato dal complimento, “Meno di una
decina d’anni e
passerai per un norreno perfetto” aveva aggiunto.
“Alto e biondo lo è già”
aveva commentato a mezza-bocca Fred.
Kráka aveva rivolto lo sguardo a loro, invitandoli a
sistemarsi attorno al
tavolo ovale del suo soggiorno, su cui dal giorno prima le rune
continuavano a
vegetare. Erano sei.
Astrid aveva palesato quel dato ad alta-voce, “Oh,
sì, credo sia indicativo,
sei come sei siamo noi” aveva considerato.
“Sant’Agostino diceva che sei era il numero
perfetto” aveva valutato Fred, “Ma
non era il numero del diavolo?” aveva chiesto Madina,
guardandolo interessata.
“Ecco, perché non mi piacciono i cristiani, tutto
con loro è il controsenso di
tutto” aveva commentato Astrid a mezza voce,
“Quello è tre volte sei” aveva
specificato Fred, ignorando apertamente la sua amica skraelinger.
“Questa è Berkenna, la
creazione” aveva detto Jason, indicando la runa
con il simbolo che somigliava ad una B dalle pance
acuminate.
“Anche sì, ma non in questo caso” aveva
considerato Kráka con voce sicura, “A
meno che tu non consideri le donne solo come fattrici” aveva
precisato.
Guardandolo dritta, nei suoi occhi magnetici.
“No?” aveva risposto Jason, sembrava una risposta
semplice, ma la donna rendeva
le cose difficili con quegli occhi, “No?” lo aveva
provocato lei, “No.
Decisamente no!” era stato più specifico Jason.
Kráka aveva sorriso con una
punta di cattiveria.
“Bene sì, questa è Berkenna, la
creazione ma non in questo caso, qui è la
Signora. Però andiamo con ordine!” aveva
richiamato l’attenzione sulla tavola
la valchiria.
“La
prima
Runa da leggere è Dagaz, in questo caso:
completamento” aveva esordito
quella, indicando una delle tessere, Jason l’aveva osservata,
sembrava un segno
dell’infinito, solo molto squadrato, quasi come una
farfallina stilizzata, “Poi
abbiamo Ewhaz, sono indecisa lo ammetto tra il
significato di movimento
o collaborazione. Direi movimento” il dito si era mosso verso
un’altra tessera,
somigliava ad una M – Jason sapeva non fosse Mannaz, il
corrispettivo della M –
Jason la ricordava sulla pettorina di Madina, durante il biathlon. Kráka aveva
guardato Astrid, aspettandosi che
lei dicesse qualcosa, ma quella aveva alzato le mani in un segno di
resa.
“Berkenna, il potere e la
signora” aveva detto la veggente poi,
indicando la runa famigliare a Jason e direzionandosi ancora, quella
volta
aveva indicato un segno difficile da identificare con una lettera,
erano due
stampelle parallele, però sfalsate, congiunte
all’estremità superiori da una
stecca obliqua, “Ur: la forza primitiva
– qualcosa di bestiale e
selvaggio” aveva fatto una pausa.
“Il cinghiale” aveva valutato Mel, dando fiato ai
pensieri di tutti.
Kráka aveva annuito, poi aveva concentrato le ultime
attenzioni: “Qui viene la
belva, metaforica. Questa runa è Algiz”
– la tessera che aveva indicato
somigliava ad un tridente – “la
Protezione” aveva spiegato. Jason la ricordava
come la runa che aveva evocato Bee prima che Jason invocasse i fulmini
di neve.
“Ed infine abbiamo Fehu. Potrebbe riferirsi
all’abbondanza e la ricchezza, ma,
ora, credo di no” aveva spiegato paziente Kráka.
“Grazie
per
il breve corso di lettura futhpark, dovresti
proporlo a Bragi, vuole
creare una classe di letteratura” aveva commentato acido
Fred, Jason lo aveva
guardato di sottecchi aspettandosi il solo rimprovero di Astrid
abbattersi sul
figlio di Gerd, ma la ragazza fissava con sguardo vacuo le rune.
Kráka lo aveva guardato con estremo fastidio,
“Figlio di un gigante, vero? Le
buone maniere mi sembrano quelle!” aveva domandato con una
voce leggermente
infastidita, “La Signora è una regina di
portamento ed eleganza” era
intervenuto feroce Stellan.
“Comunque”
aveva ripreso la ragazza,
“L’interpretazione che ritengo più
corretta di questa profezia sia: Per
completare il vostro incarico, dovrete andare, probabilmente
collaborando, nel
regno della Potente signora e lì troverete la possente
bestia, ma dovrete proteggervi
dal figlio di Frey” aveva spiegato
Kráka, “Senza interruzioni: mi sembra
auspicabile immaginare che Folkvang sia il Regno della Potente Signora
e che il
figlio di Frey sia l’einherjar” aveva spiegato con
un tono calmo.
Jason vedeva proprio nella sua voce un reverenziale timore nel doversi
confrontare contro un futuro relativamente incerto, lei che aveva
sempre
posseduto la chiara vista – un po’ come era
capitato agli oracoli in
precedenza. “Ed Halgaz?” aveva chiesto Jason.
“Non fa parte di questa serie, non fa parte di questo. Non
sto dicendo che non
sia connesso. Lo hai detto tu stesso Halgaz è la rottura ed
H è l’artefice di
questa storia. Ma la profezia parla del verro d’oro di Freyr.
Se vuoi qualcosa
di più esteso, dovremo provarci di nuovo!” aveva
considerato Kráka. “Facciamo
una cosa alla volta, meglio!” aveva dichiarato Fred, ma la
sua voce era stata
soffocata da quella di Mel.
“Fantastico, grazie Kráka” aveva detto
il germano, con gentilezza ed un sorriso
allegro ad illuminare il suo viso. La volva sembrava essersi sciolta
per un
secondo davanti a quella gentilezza, “Vorrei essere stato
più d’aiuto in
realtà. Un figlio di Frey a Folkvang è come una
goccia nel mare” aveva detto
con un tono piuttosto interrotto. “Sì, Magnus
è vagamente l’unica eccezione,
di
solito le loro anime finiscono di là” aveva
spiegato Madina con calma, a voce
bassa, a Jason. “Oh, ma dai. La solita fortuna,
vero?” aveva domandato con
gentilezza Kráka, con un sorriso storto sulle labbra.
“Be, sì. Ovviamente se è stato un
einherjar figlio di Frey, immagino avesse le
capacità di rompere il sigillo ed il permesso per entrare ad
Alfheim” aveva
considerato Jason, guardando prima Astrid, con il suo racconto, poi
Madina,
rimembrando quanto dedotto con i racconti di Bee e Jarnsaxa.
“Non so, miei giovani caduti. Io non posso aiutarvi
più di così; ovviamente,
sento il bisogno di ricordarvi che Folkvang, anche se è
locato su Vanheim, è
come il Valhalla, tecnicamente, è inaccessibile”
aveva raccomandato Kráka, “In
ogni modo se voleste andare, comunque, salutatemi il mio Ivarr
vive lì.
Buona Fortuna, signori miei!” aveva cinguettato,
accompagnando la cosa
lanciando loro un bacio. Poi erano stati gentilmente cacciati dalla
stanza,
lasciando ad Astrid appena il tempo di recuperare le sue rune.
Aveva ancora quello sguardo vacuo e confuso.
“Non
siamo
neanche riusciti a chiedere chi sia H secondo lei!” aveva
commentato Madina,
con una leggera frustrazione nella voce. “Credo che non abbia
modo di leggerlo,
amore” aveva detto Mel, avvolgendo con un braccio le spalle
della fidanzata,
“Poteva darci una sua teoria” aveva comunque
proposto Stellan, assecondando
Madina. “Sciocchi barbari! Mi pare palese!” aveva
dichiarato Fred, attirando
l’attenzione su di loro, lo avevano guardato tutti, tranne
lui che aveva tenuto
lo sguardo su Astrid e la sua improvvisa lividita.
“Hel ovviamente. Una H. Donna, che fa paura a Odino. Hel!
Come ho detto in
precedenza; prole di Loki” aveva dichiarato con assoluta
sicurezza.
Mel aveva sbuffato, “Non so, non sono convinto, Hel
è machiavellica, infida
anche, ingannatrice, malevola” aveva cominciato ad elencare
il guerriero
cheruscio, “Io non parlerei così di una
dea” aveva commentato Stellan,
timoroso, “…Ma è anche schietta. Hell
non si nasconde dietro altri” aveva
sottolineato Mel.
“Stai bene?” aveva chiesto Jason, guardando Astrid
invece.
Lei lo aveva osservato con attenzione, “Sono leggermente
preoccupata, Jason.
Dobbiamo trovare il cinghiale, dobbiamo andare a Folkvang, abbiamo un
nemico
pericoloso, un altro di cui diffidare. Dobbiamo affrontare
Váli, non abbiamo
ancora raccolto i quattro legni per il campo” aveva
dichiarato Astrid, con voce
incerta, quasi spaventata, sollevando una mano.
Jason lo percepiva, che nella sua voce, nel suo pathos e nella sua
stanchezza
c’era qualcosa di storto e ne ebbe la conferma dallo sguardo
che Fred le aveva
lanciato.
“Un problema alla volta Astrid” aveva dichiarato
Mel, gentile, sciogliendo la
presa dalla sua ragazza, per mettere ambedue le mani sulle spalle
dell’amica,
“Andrà tutto bene” aveva dichiarato,
“Sì, sì, mio madre ha detto che ti
regalerà un’arma se le riportiamo il
cinghiale” aveva asserito Fred attirando
l’attenzione.
“Bene; qualcuno, per caso, conosce la lavatrice per andare a
Folkvagen?” aveva
chiesto Jason.
“Sì, sono otturate. Per Folkvagen ci sono solo due
vie: l’Ascensore che si
aprirà al Ragnarok per permettere alle sue armate di
riunirsi e l’Yggdrasill”
aveva raccontato Mel, didascalico, recuperando la sua solita certezza.
“E se non si ha il benestare di Freya non si può
entrare, tecnicamente. Nel
senso, è come un paradiso, ci sono solo situazioni
eccezionali” aveva
bofonchiato Stellan. “Come questa?” aveva chiesto
retorico Jason, ammiccando
non solo al contesto in cui erano finiti, ma anche alla presenza stessa
dell’elfo
ancora vivente lì. “Diciamo che fra la Signora di
Alfheim e la Regina di
Folkvang non scorre esattamente buon sangue” aveva spiegato
Stellan con un tono
incerto.
“Non sono stupita!”
aveva commentato Astrid seccata.
Erano cognate, giusto?
“Non
importa, prima faremo le cose per
bene. Chiederemo a Bragi il permesso. Come abbiamo fatto con
Alfheim” aveva
chiarito Mel, con un certo nervosismo. Astrid aveva perso
quell’espressione un
po’ vacua che l’aveva dominata fino a quel momento,
per scoccare uno sguardo
sinistro a Mel.
“Ragazzi,
temo di no” aveva dichiarato Bragi, con voce spenta.
Li aveva accolti in una stanza diversa rispetto quella della loro
riunione la
prima volta. Era una piccola stanza ricavata da una biblioteca.
Jason sospettava fosse la sua camera nel Valhalla. Appoggiata ad una
parete
c’era una grossa arpa d’oro massiccio, con fili
sottili scintillati. Sopra
svettava la foto sorridente di una bella donna.
“Io non sono mio padre” aveva detto il dio,
passandosi le dita sulla lunga
barba stretta in una perfetta treccia ordinata –
l’aveva decorata anche con
degli anelli di ferro lucido – “Non posso obbligare
Freya ad accettarvi, posso
chiederlo, ma non posso convincerla senza tradire il segreto di Gerd.
Freya ama
molto suo fratello, ma disprezza molto sua cognata” aveva
spiegato il dio, “E
Folkvagen è il suo regno, è suo diritto scegliere
chi accettare o meno” aveva
considerato.
Loro erano rimasti in silenzio, “Ci manderà una
squadra di valchirie alle calcagna
se proviamo ad andare senza permesso?” aveva chiesto Fred con
un po’ di
coraggio.
“Dei! No!” aveva risposto subito Bragi,
“Al momento, mio padre si è dovuto
assentare, non sono stato formalmente nominato vicario, ma mi considero
tale,
in qualità di unico dio presente. Per me avete il permesso
di andare ovunque, nessuna
valchiria è venuta a disturbarvi quando avete raggiunto il
Jotunheim, ma non
posso promettervi che Freya vi farà entrare o vi
permetterà di restare, come
anche Hell. A dispetto di tante cose, ragazzi miei, i mondi non sono
recinti,
ma gli aldilà, quelli sono un’altra
cosa” aveva detto con un tono calmo e pieno
d’amarezza.
“Ma se spiegassimo a Freya che le tavole del destino si sono
spezzate?” aveva
provato Madina, “Freya è la più valente
maga dei nove regni, si sarà già resa
conto che qualcosa non va” aveva dichiarato.
“Questo è indubbio, ma spesso
l’egocentricità di noi dei, è il nostro
peggior
nemico” aveva considerato Bragi.
Jason aveva sollevato un sopracciglio, colpito da tanta spontanea
autocritica.
“La
smettiamo?” aveva chiesto Astrid, cogliendoli tutti di
sorpresa, “Noi
abbiamo un invito” aveva stabilito con voce dura
come un sasso, attirando
la loro attenzione.
“Davvero?” aveva chiesto Fred, genuinamente
perplesso.
“Noi abbiamo un invito?” aveva chiesto Jason,
“Non noi, noi come piano venti.
Mel ha un invito con un più uno molto
variabile” aveva risposto Astrid,
non aveva voltato lo sguardo verso l’interrogato,
differentemente da Jason, che
invece lo aveva fatto, il suo amico era dritto come una spada e
legnoso. “Ah?”
aveva chiesto Madina, voltandosi verso il suo fidanzato. Sul viso della
ragazza
era dipinta un’espressione di puro caos.
“Aspetta!” aveva esclamato Fred, “Questa
è la prima volta che vedo in
quattrocento anni, il nostro buon Thumelicus mentire alla sua dolce
metà” aveva
dichiarato con sfacciato divertimento.
“Non ho mentito” aveva risposto netto Mel, quasi
offeso.
“Mia madre dice che omettere è come
mentire” aveva risposto Stellan, l’elfo si
era guadagnato uno sguardo piuttosto colmo di confusione da tutti loro
– Bragi
incluso.
“Tua madre è una donna molto saggia”
aveva risposto il dio della poesia con
assoluta calma. “Possiamo tornare al mio fidanzato che ha
detto qualcosa ad
Astrid e non a me?” aveva chiesto Madina, per la prima volta
Jason non vedeva
sul suo bel viso quell’espressione allegra e rilassata.
“Non lo ho detto ad Astrid!” aveva replicato Mel,
voltandosi verso la nipote di
Sif.
La ragazza aveva ancora l’espressione dura sul viso, quasi
seccata, “Sì, me lo
disse … ehm … come si chiamava: Clodoveus?
Clodovicus? Son secoli che si è
dissolto! L’abitante della stanza due prima di
Fred!” aveva spiegato,
ammiccando al ragazzo in questione.
“Oh, wow. Io sono ottocento anni che sto nella mia
stanza!” aveva considerato
quello.
Qualcuno davvero, davvero, vecchio.
“Quel Longobardo traditore! Come tutta la sua
risma!” aveva replicato Mel,
pieno di furore, per il tradimento portato verso di lui.
“Oh, Mel che esprime odio verso qualcuno di diverso da
Romani!” aveva
considerato Fred.
“Certo che sono indignato verso i Longobardi,
quell’infami traditori si sono
uniti ai Marcomanni!”
aveva dichiarato indignato Mel.
“Hanno ripudiato Odino e i nostri dei”
aveva
considerato Astrid, Fred aveva sollevato un sopracciglio,
“Erano nemici del
Sommo Imperatore”
aveva valutato.
“Erano in guerra con l’Esarcato”
aveva osservato
Jason a mezza-bocca, prima di realizzare ciò che aveva
detto, si era voltato
verso gli altri, ma erano ancora tutti macerati dall’odio per
una popolazione
piuttosto vecchia, per badare a lui, anche Madina non lo stava
guardando,
ancora confusa dall’omissione del fidanzato.
“Io credo di non avere nulla contro di loro, ma, ecco,
è bello che abbiate
qualcosa in comune, anche se è odiare arbitrariamente un
popolo!” aveva
commentato Stellan, colmo di imbarazzo.
Dopo quel suo messaggio c’era stato un lunghissimo momento di
silenzio, che
aveva scatenato poi una risata breve, ma in qualche modo liberatoria.
Mel si era
voltato verso la sua fidanzata, un paio di ciuffi biondi, scivolati
alla
treccia erano finiti sul viso bello, “Ecco” aveva
cominciato a dire, “Tecnicamente
mio cugino, non so come abbia fatto, è un fottuto
ammagliatore degno della
stirpe di Utgard-Loki, ha convinto Freya a farmi andare in visita
lì. Quando
avrei voluto, con chi mi aggradava” aveva raccontato cotto di
imbarazzo, Jason
vedeva vero e proprio disagio su quel viso.
Ricordava distrattamente che Mel avesse detto a Jason di aver avuto
problemi
con suo cugino.
Certo, era interessante che il germano avesse un padre nel Valhalla ed
un
cugino a Folkvang.
“Ma praticamente la tua famiglia sforna solo prodi guerrieri!
Un padre ed un
cugino einherjar” aveva esclamato Stellan, attirando
l’attenzione di tutti, e
dando voce ai pensieri di Jason.
Mel si era voltato verso di lui, aveva visto negli occhi scuri una luce
diversa, strana, quasi splendida. Poi il cerusco aveva sorriso stanco,
“Sì, la
nostra stirpe è degna dei déi. Anche mio nonno e
mio zio erano guerrieri, però
non sono qui …” aveva raccontato Mel, con fatica,
ma anche ammirazione.
Stellan aveva annuito. Forse erano morti vecchi, dopo una lunga vita,
aveva
pensato Jason.
“Perfetto; quindi, rispondi a tuo cugino con duemila anni di
ritardo per dirgli
che vai a prenderti un tè?” aveva chiesto Astrid,
quasi impaziente.
Mel si era fatto rigido, come una spada, “È
complicato” aveva dichiarato, “Non
ho un buon rapporto con mio cugino!” aveva reso chiaro.
“Okay, non importa, Mel. Siamo stati ad Alfheim, no? Abbiamo
dimenticato di
dirti che il sole era alle tre del pomeriggio? Alfheim ha sempre il
sole
zenitale. Complimenti avevi ragione. Entro tre giorni saranno al
tramonto”
aveva dichiarato Astrid.
Mel era sbiancato, anche Jason. Anche Bragi pareva turbato.
Madina aveva trattenuto un singulto. “Sai Astrid, sei passata
da: tutto questo
è esagerato, devo pensare alla mia sfida a …
Priorità massima trovare il
cinghialotto” aveva considerato Fred, “Questo era
prima che andassero in
tragedia le tavole dell’universo” aveva esclamato
lei, sulla difensiva.
“Okay, ragazzi, devo interrompere questo discorso, immagino
che abbiate tanto
di cui discutere. Fatemi sapere se devo organizzare un trasporto per
Folkvang!”
aveva dichiarato Bragi attirando la loro attenzione, prima di cacciarli
dal suo
salottino.
L’interruzione
di Bragi aveva fatto dimenticare completamente il dibattito tra Fred e
Astrid,
ma non quello che riguardava Mel.
“Quindi?” aveva chiesto Astrid con calma,
“Accetterai l’invito con tuo cugino?”
aveva chiesto a bruciapelo, osservando attentamente.
Mel si era morso un labbro, nervoso, “Va bene!”
aveva concesso alla fine, quasi
con fatica, come se le parole bruciassero sulle labbra.
“Risponderò alla missiva vecchia di duemila anni,
sempre se mio cugino nel
mentre non si è dissolto!” aveva aggiunto Mel, nel
dirlo aveva sciolto la mano
da quello della sua fidanzata, “Non ci credi neanche
tu!” aveva considerato
Fred, ad alta-voce.
“Be, io, ecco, devo andare a recuperare l’invito,
è una vecchia pergamena,
chissà dove l’avrò messa”
aveva detto evasivo al massimo Mel, prima di balzare in
avanti e vaporizzarsi alla velocità della luce … letteralmente.
Per
risparmiare tempo, si era colpito con la spada che teneva legata alla
cintola,
in un movimento fluido e leggiadro, nel pieno petto. Era morto
velocemente e
con un lamento a malapena.
“Vedo
che durante
il mio confino, lui non ha perso la sua vena melodrammatica”
aveva considerato
Fred, con un tono piuttosto asciutto. “Almeno questa volta
non ci ha inondato!”
aveva considerato Astrid. Jason aveva ancora lo sguardo ai residui di
polvere
d’oro in cui era scomparso il suo amico, sul tapetto del
corridoio, assieme ad
una macchia di sangue. “Si … si è app
… che … è …
successo?” aveva chiesto
sbigottito Stellan, indicando il punto vuoto dove un tempo era Mel,
legittimamente sconvolto.
“Tranquillo, sta bene, si è riformato nella sua
stanza, penso abbia ritenuto
più conveniente che prendere
l’ascensore” aveva commentato Madina, con un
sorriso tirato, cercando di tranquillizzare Stellan, posando anche una
mano
sulla sua spalla. Le sue spalle però erano rigide,
così come i suoi occhi scuri
erano pregni di preoccupazione ed il sorriso che aveva sulle labbra era
di
vetro, diverso da quello caloroso che aveva sempre.
“Voleva una visione da defunto” aveva dichiarato
con leggero sdegno Astrid,
Jason si era voltato verso di lei, “Penso tu ti sia accorto
che quando siamo
morti siamo più sensibili alle visioni, al linguaggio
dell’universo …” aveva
spiegato la nipote di Sif.
Jason aveva annuito, doveva dichiararsi abbastanza ignorante da quel
punto di
vista, era sempre stato sensibile ai sogni, da
vivo, da morto
nell’elisio, nel Valhalla, addormentato e quanto transitava
da una morte alla
vita. Astrid aveva crucciato le sopracciglia scure, probabilmente non
del tutto
convinta dell’espressione che doveva aver sfoggiato Jason,
“Sono sempre stato
tormentato dai sogni. Più o meno da quando avevo due
anni” le aveva spiegato
lui, con un tono di voce basso, ricordando che Astrid conosceva il suo
segreto
– almeno a metà.
Aveva parlato con un’intonazione placida, timoroso di essere
udito da Fred e
Stellan, ma i due stavano parlando con Madina.
Astrid aveva inclinato il capo, con genuina curiosità,
“Non importa” aveva
stabilito poi, secca, “Madina, recupera il tuo fidanzato,
qualsiasi cosa stia
cercando di tergiversare. Non credo riusciremo a partire prima della
cena, tra
poco suoneranno le campane di fine battaglia ad Idavoll”
aveva considerato la
nipote di Sif, prima di prendere il polso di Jason, “Noi
andiamo ad ucciderci,
quindi. Per ingannare il tempo!” aveva considerato.
Lui, stranamente, non era trasalito a quel commento, aspettandoselo.
“Con quella ghirlanda sul capo, sei ancora più
inquietante!” le aveva risposto
Fred, “Io non ti dico cosa sembri tu!” le aveva
risposto venefica la skraeling,
ammiccando alla medesima corona di fiori sfoggiata dal
monaco-guerriero. Madina
aveva voltato lo sguardo verso di loro, gli occhi scuri ancora pieni di
preoccupazione, “Ah. Giusto, allenatevi!” aveva
detto, riprendendo nella voce,
il suo solito calore, “E a Jason serve un’arma
adeguata. Ricordate cosa ha
detto Kráka, è il figlio di un dio straniero
… ed ho visto la sua potenza!”
aveva commentato lei, omettendo di proposito le informazioni.
“Tra di noi, l’unico a possedere un’arma
magica è il cristiano al tuo fianco”
aveva considerato Astrid. “Me la sono guadagnata!”
aveva risposto senza
nascondere l’acidità Fred.
“Tranquilli!” si era intromesso Jason, infilando
una mano in tasca, sentendo Giunone
bruciante nella mano, “Troveremo una soluzione” nel
dirlo aveva guardato
Madina, pagliuzze negli occhi, in pagliuzze negli occhi,
perché lei capisse.
Lui ed
Astrid si erano staccati perciò dal gruppo ed avevano
raggiunto la sala per il
Duello Mortale. L’avevano momentaneamente trovata occupata da
due energumeni,
vestiti di pelle-di-orso, indemoniati, che tiravano fendenti a destra e
manca.
Jason non aveva mai visto un duello più caotico di quello.
Perfino nelle
strategie di solo attacco di Lytersis figlio di Mida aveva percepito
più
logica. “Chi è H per te?” aveva chiesto
alla fine Jason ad Astrid. La ragazza
aveva inclinato il capo come se la domanda l’avesse colta di
sprovvista,
soprappensiero, “Non so? Hyrrokkin?
Hel? Fred
potrebbe avere ragione. Oppure, una principessa con H come iniziale
furibonda
con Odino. I nomi con la H vanno per la maggiore. Per non parlare dei
soprannomi!” aveva valutato Astrid. Il suo tono era stato
distante ed incerto,
i suoi occhi erano rivolti al duello, dopo quel commento non aveva
detto altro,
inerente alla faccenda; di tanto in tanto parlava, gridando
all’uno o l’altro
di metterci più grinta. Jason era certo che presto
l’avrebbe trascinato a
combattere in corridoio, ma non avrebbe scucito altro delle sue teorie.
C’era qualcosa di strano in Astrid, c’era da prima
della profezia, ma
era solo peggiorata dopo.
“Senti,
Astrid, c’è un bagno, qui?”
aveva chiesto poi, con un po’ di imbarazzo, “Segui
il corridoio a destra,
prendi la terza porta, poi il quarto ingresso da sinistra. Non
sbagliare, non
ti piacerebbe ciò che c’è nel terzo
ingresso a sinistra o nel quarto a destra”
aveva replicato lei, prima di maledire in una ambigua lingua uno dei
due che
aveva affettato solamente un braccio dell’altro.
Jason aveva annuito defilandosi in fretta e furia.
Aveva trovato il bagno, che componeva di una pavimentazione di lucide
mattonelle nere, sul pavimento, e rosa raso sulle quattro pareti, su
cui erano
intarsiati anche dei fiori. Per il resto era un gabinetto piuttosto
standard,
Jason si era immaginato lo spogliatoio di una palestra, ma era
più l’angolo
casa di una casetta carina.
Jason aveva aperto l’acqua del lavello, facendola scorrere,
si era tolto gli
occhiali ed aveva raccolto l’acqua mettendo le mani a coppa
sotto il getto,
prima di lanciarla contro la sua faccia, per rinfrescarsi.
Non credeva di aver
bisogno di acqua,
dopo il bagno non previsto nell’oceano, ma li aveva fatto
inaspettatamente
bene, davvero, aveva sentito la stanchezza premere sulle palpebre,
mentre
aspettava che la
stanza fosse libera per
il duello. Onestamente non sapeva perché Astrid non si fosse
messa a combattere
anche in mezzo al corridoio – le sembrava proprio il tipo.
Dovevano andare nell’altro paradiso, per recuperare il
cinghiale, doveva
affrontare Váli e non doveva dimenticare di contattare Kym.
Come doveva fare? Poteva fare una chiamata tramite
arcobaleno alla
Signora delle Tempeste?
Poteva chiedere un incontro con una dea in quella maniera.
Non era irrispettoso?
Inoltre, così Iris avrebbe saputo fosse vivo, per un secondo
aveva anche
pensato di pregare suo fratello Apollo.
Era così egoista pensare quanta pace aveva sentito
nei campi elisi?
Jason Grace
era morto poco più tardi quel pomeriggio, non era stato per
mano di Astrid, che
era rimasta invece uccisa da un affondo in pieno petto –
quasi accidentale – da
parte sua. Per Jason era stato quasi angosciante,
quell’azione. Anche se non
aveva ucciso per davvero la sua compagna, era stato così
estraniante, quasi
disgustoso, vedere la lama di Giunone affondare nel suo petto.
Jason non uccideva mezzosangue.
Astrid era scomparsa velocemente, era riuscito appena, ad intravedere,
sulle
labbra della sua compagna un piccolo sorriso soddisfatto – di
chi probabilmente
non vedeva più così tragicamente lo scontro con
un dio.
Jason era morto poco dopo, mentre abbandonava la Sala dei Duelli
Mortali. Era
stato colpito alla gola da un nunchaku volante lanciato dai due
duellanti
posteriori.
Su una cosa, Madina aveva avuto ragione, alla morte era possibile
abituarsi.
Anche Astrid, comunque, non aveva torto, la morte li rendeva sensibili.
Jason non
aveva idea di dove fosse, ma non erano
i suoi amici che stava guardando. Davanti a lui, in fila come lapidi
stavano alti
pilastri di legno chiaro, tavole, su cui rune incandescenti brillavano.
Su, una, si apriva uno squarcio, come se il legno fosse stato
scheggiato. La
prima scheggiatura era sottile, appena, come se qualcuno avesse urtato
il legname,
all’angolo, senza influenzare le rune, senza influenzare
nulla. Ma da lì, come
una ragnatela schegge di legno si aprivano come punte irte di un
istrice. Jason
ebbe l’impressione che una delle tavole stesse per piegarsi
su sé stessa,
quella dove una lunga scheggiatura, attraversava un’intera
riga di rune.
“Ho vissuto per millenni e proprio non riesco a
comprendere” aveva ringhiato
una voce. Una donna era comparsa nel campo visivo di Jason, lui aveva
sollevato
lo sguardo, per osservarla.
Era elegante, adulta, con un’espressione severa ed una
matassa di capelli rossi,
come quelli di Mallory del Piano Diciannove. “Cosa
è successo?” aveva domandato
la donna, allungando una mano verso la più scheggiata delle
tavole.
“Mia signora Frigga” si era introdotta una voce
famigliare, Jason si era
voltato, riconoscendo Samirah la Valchiria, con l’hijab verde
con fiori rosa ed
un impermeabile verde bottiglia, sopra un paio di leggings. Il viso
aveva
un’espressione profondamente mortificata. “Oh,
Samirah ben arrivata … hai avuto
difficoltà a trovare questo posto?” aveva chiesto
la regina degli dèi – o
almeno così aveva compreso Jason dalla lettura
dell’Edda. “No, mia signora”
aveva confermato la valchiria, “Ma non ho trovato
Mimir” aveva rivelato la
ragazza.
Un’espressione indicibile si era palesata sul viso della dea,
prima di
recuperare calma. “Certo … Non hai trovato Mimir
… non è che possa andarsene in
giro, non ha le gambe” aveva detto, cercando di mantenersi
con un’espressione
serafica.
Mimir … Mimir … Jason l’aveva sentito
parlare mentre era nel fiume cosmico, lo
ricordava come il dio-boa-peloso.
Samirah si era morsa un labbro, comprendendo lo stato d’animo
della dea.
“Samirah so che mio marito, in passato, ti ha chiesto molto
…” aveva ripreso la
dea, “Investigherò” l’aveva
anticipata la valchiria, “Non mi scomoderò nel
chiederti di non dirlo ai tuoi amici … sarebbe
controproducente” aveva
confidato Frigga. Aveva un sorriso dolce, materno, non somigliava a
Giunone.
Non sapeva perché, quella realizzazione dava a Jason le
vertigini, fino a che
non aveva realizzato la portata delle sue parole …
Mimir era scomparso.
Il cinghiale.
Le tavole del destino.
Samirah si era congedata, mentre Frigga era rimasta immobile davanti le
tavole,
con sguardo pieno d’apprensione sul volto antico, aveva
allungato una mano
verso una di esse e in quell’occasione l’aveva
sfiorata. “Perché non riesco
a leggerti?” aveva chiesto a mezza-bocca la Regina
degli Asi.
Jason aveva spalancato gli occhi ed una realizzazione lo aveva colto:
non
esisteva più il futuro.
Il mondo norreno era già determinato, dalla mano del Wyrd,
il cui passato e
futuro si influenzavano … qualcosa si era definitivamente
spezzato.
Anche Mimir lo aveva detto! Tempi sconosciuti,
aveva detto. Così come Kráka
aveva dichiarato che non ci sarebbero state altre profezie!
Mimir era scomparso, ma dopo la prima scheggiatura … che era
avvenuta dopo il
cinghiale.
Gullinbursti andava ritrovato! Aveva esclamato con
sicurezza.
Un’altra
figura si era avvicinata alla
dea Frigga. Jason aveva distinto il profilo di un giovane uomo, per un
secondo
aveva pensato fosse suo fratello Apollo – nei suoi fasti,
lontano dall’incerta
incarnazione di mortale, come lo aveva veduto l’ultima volta
– ma aveva
qualcosa di meno scanzonato, più sacrale. Era giovane, con
il viso ambrato, i
capelli vividi come l’argento lucente, bello, ma non
accecante. “Nonna!” aveva
salutato Frigga, con un inchino rispettoso, “Mi hai forse
chiamato?” aveva
chiesto quello, gentile.
“Sì, mio caro nipote” aveva dichiarato
Frigga con un tono materno, allungando
un braccio ed avvolgendolo attorno alle spalle del ragazzino,
“Tuo nonno
padre-tutto ha bisogno di te, ora, Forseti”
aveva
dichiarato.
Il giovane dio aveva annuito, prima di posare gli occhi, due biglie
d’argento,
verso le tavole scheggiate. “Davvero, dunque, il futuro
è … scomparso?” aveva
chiesto, con un timore nello sguardo.
“Temo” aveva ammesso Frigga colma di dolore,
“Nonna, forse, oggi, parlo
scioccamente e con il cuore pesante di chi sente ogni giorno il
fardello
dell’essere orfano … ma … Nonno da
anni, secoli, tenta di evitare il ragnarok,
sarebbe così terribile se esso non arrivasse mai?”
aveva chiesto con timore
Forseti.
“Bambino mio, la veggente mi disse che avrei pianto solo due
volte, una alla
morte di tuo padre ed una a quella di tuo nonno. Vorrei mai, mai
più, provare
un dolore così intenso come quello che provai alla morte di
Balder …” aveva
commentato lei con una voce calma, piena di rimorsi.
“… sarebbe meraviglioso non dover vedere tutta
quella morte e distruzione,
Forseti, ma tu più di tutto che sei signore della Giustizia,
dovresti sapere
che il nostro egoismo non è giusto. Il mondo è un
otre che si riempie d’acqua,
una volta che è piena fino all’orlo, ogni altra
goccia sarà sprecata e l’acqua
che ristagna diventa marcia, solo il cambiamento, il rinnovo, Forseti,
porta
alla vita. Spero che la fine avvenga più lontano che mai, ma
spero sempre
avvenga” aveva commentato Frigga.
“Solo la morte da valore alla vita” aveva
considerato Forseti, pieno di
vergogna.
Frigga aveva sorriso con fatica.
Si era
svegliato con la voce lontana di Forseti nelle orecchie. Era steso nel
suo
letto, comodo, nella stanza del Valhalla.
Aveva sentito lontano un vociare fuori dalla porta, abbastanza sicuro
che fuori
stesse capitando qualcosa che doveva avere come protagonista Mel ed il
suo
imminente viaggio a Folkvang. Probabilmente anche Astrid doveva essersi
riformata e lui aveva da raccontare la visione che aveva appena avuto.
Non aggiungeva
niente a ciò che avevano scoperto, ma rendeva tutto
tragicamente più perentorio
– oh certo, era scomparso Mimir, di cui Jason aveva percepito
la presenza.
La cosa doveva avere un senso, erano gli ultimi disperati tentativi del
wyrd di
aggiustare le cose?
Si era alzato dal letto, facendo scivolare lo sguardo sulle due Edda al
suo
fianco.
Avevano senso in quel momento? Si chiese.
Allungò una mano e raccolse l’Edda Poetica,
sfogliando le pagine veloci fino al
capitolo di Váli, anzi dei due Váli, prima
l’uno e poi l’altro.
E
Váli poterono legare
con ceppi di battaglia.
Molto vennero stretti
i lacci di budello.
Jason
dovette dichiararsi piuttosto confuso.
Un tocco
sulla porta lo aveva distratto, “Avanti!” aveva
detto, senza particolare gioia,
aspettandosi di vedere far capolinea Astrid, oppure una furiosa Thrud;
invece
era Mel, bianco in viso, seguito da uno Stellan piuttosto interessato.
“Ehi amico!” aveva detto Mel, con un tono allegro,
che non raggiungeva i suoi
occhi. “Ehi!” aveva risposto Jason, chiudendo il
libro. “Ti disturbo?” aveva
chiesto Mel, circostanziale.
“Ne approfittavo per istruirmi, anche se ho un brutto
presentimento… Comunque,
siamo pronti a partire?” aveva chiesto Jason, tirandosi su,
si era seduto di
nuovo sul letto senza accorgersene. “No”, aveva
risposto imbarazzato Mel, “Ho
perso l’invito, o meglio non lo ho perso-perso,
penso di sapere chi …
dove possa essere, però, ecco, mi serve una mano
per recuperarlo” aveva
ammesso colmo di imbarazzo Mel, prima di indicare Stellan.
“Squadra che vince non si cambia!” aveva scherzato
Stellan, alzando una mano,
con discreto nervosismo.
Jason aveva annuito, “Non dobbiamo tornare a
Jotunhaim?” aveva chiesto
retorico, “No, no. Solo fino al piano quattrocentodieci!”
aveva
risposto Mel, con ancora un po’ di imbarazzo ad adornare le
guance rosse. Non
era certo del perché, ma il pittoresco numero di quel piano
dava una sensazione
piuttosto sinistra. “Certo
amico!” aveva detto comunque Jason, se
quell’invito era necessario per ritrovare la bestia e
rimettere a posto
l’ordine cosmico dell’universo norreno, non
c’era nulla che si potesse fare.
Aveva infilato comunque una mano nella tasca dei pantaloni di jeans per
sentirsi rassicurato dalla presenza di Giunone. “Non mi
chiedi perché lo sto
chiedendo proprio a te?” aveva domandato comunque il
guerriero germanico, Jason
aveva sorriso: “Pensi che Madina sia arrabbiata con te, cosa
assolutamente non
vera, e quello che devi fare ti imbarazza, temi che Astrid ti
giudicherebbe,
probabile, e Fred ti prenderebbe in giro, sicuramente. Io sono
abbastanza nuovo
perché il mio parere non ti influenzi, lo stesso per
Stellan” aveva dichiarato
Jason, “Credo” aveva aggiunto incerto.
“Penso anche che tu sia un gran figo e molto bravo, sei qui,
invece che nel
nulla cosmico” aveva dichiarato Mel, con un sorriso,
leggermente più sincero.
Jason era arrossito a quel complimento assolutamente spontaneo. Stellan
aveva tossicchiato,
“Io sono qui perché serve il terzo membro. Numero
magico” aveva considerato, “No,
no, avevi ragione prima: squadra che vince non si cambia!” lo
aveva rassicurato
Mel.
L’elfo non era stato molto convinto.
“Comunque tranquilli: avremo finito prima che suoni il corno
della cena!” aveva
aggiunto Mel, recuperando il suo buon umore.
Jason non ne era stato molto convinto.
“Io spero sia prima che tramonti il sole nel mio
mondo” aveva miagolato Stellan
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Capitolo 17 *** Non fidarti della Strige del Piano Quattrocento-dieci ***
BACK
FROM THE DEAD.
Non
è vero,
sono ancora morta, ma non nel Valhalla, più ad Hellhaim.
Comunque spero che tutti abbiate passato una buona Pasqua, almeno
migliore
della mia ahah.
Devo confessare che ultimamente sto facendo una fatica infernale a
scrivere,
non solo questa ff, ma le storie in generale (ed il fatto che
prossimamente mia
aspettino settimane di fuoco mi uccide) però,
cercherò di aggiornare il più
possibile; comunque devo dire che rispetto al precedente, mi sono
divertita a
scrivere questo capitolo.
Vorrei ringraziare come sempre Farkas per la
gentilezza mostrata nel
sorbirsi questa epopea.
Ed ovviamente a chiunque legga/ricordi/segua/compagnia bella.
Buona Lettura ed un bacio a tutti <3
Non fidarti
della Strige del piano quattrocentodieci
“Mimir
è
scomparso. Questo non va bene” aveva commentato Mel, sentito
il racconto di
Jason.
“Sì, ripensandoci bene, nelle uniche due volte che
ho incrociato Mimir
lui stava parlando con una persona e si è riferita a lui
come figlio di
Frey” aveva ricordato Jason, grattandosi il capo.
Non ne poteva essere assolutamente sicuro, anche perché, per
quanto stupido
apparisse non aveva mai dato troppa importanza a quei due sfioramenti
con il
dio scomparso. Ma se i fiumi cosmici avevano ritenuto importante
guidarlo lì,
anche se per un solo momento, doveva accettare che dovessero esserlo.
“Sai, Jason, quattro giorni fa, pensavo proprio che questo
posto fosse
diventato noioso” aveva replicato Mel, “Non andavo
in missione dalla seconda
metà del settecento, praticamente” aveva aggiunto,
rincuorato in qualche
maniera.
Poteva sembrare rilassato Mel, differentemente da Stellan, appoggiato
ad un
angolo dell’ascensore, che si teneva serrato il suo elmo da
vivo, sulla testa,
ma non lo era. “E secondo te il figlio di Frey da cui
dobbiamo guardarci e lo
stesso con cui Mimir parlava, ora che anche lui è
scomparso?” aveva chiesto
retorico l’elfo. Retorico perché non
c’era una risposta chiara.
Jason aveva guardato i grandi occhi, come laghi, di Stellan, pieni di
incertezza,
senza poter in alcuna maniera trovare una soluzione al suo quesito, che
sembrava
logico, così aveva rivolto lo sguardo a Mel.
“Da chi stiamo andando?” aveva chiesto. Non pensava
davvero che Mel
rispondesse, era sembrato evasivo, fino a quel momento, ma non poteva
fare
altro che provarci lo stesso.
Mel si era morso un labbro, “Uhm … la mia Sorella
di Latte?” aveva
provato il germano, incerto delle sue parole.
“Una cosa?” aveva chiesto Jason, confuso,
“Conosco i fratelli di sangue, di
giuramento” aveva provato. “Quando nascono due
bambini ed una persona non può o
non vuole allattare il suo. I due bambini che condividono lo stesso
latte sono
chiamati così” aveva raccontato Mel incerto,
“Il nostro caso è stato un po’
particolare” aveva ammesso.
Jason aveva annuito, “Quindi è come un membro
della tua famiglia?” aveva
chiesto, non del tutto convinto di quanto potesse entrare in questo
discorso.
Stellan aveva schiuso le labbra, “Anche la tua amica di
infanzia è un
einherjar? Vive qui!” aveva esclamato l’elfo
stupefatto. “Sì, ha avuto la
graziosa idea di morire con un’arma alla mano e proprio non
ho idea di che
diamine ci facesse una valchiria lì” aveva
raccontato Mel. C’era qualcosa di
strano nella sua voce.
L’ascensore aveva raggiunto il suo piano, annunciandolo con
il suo abituale din
confortevole. “Dei, mihi vires dabis”
aveva ringhiato Mel, quando le porte si erano schiuse.
“Ohh …” aveva esclamato Stellan confuso,
Jason era rimasto irretito.
Perché quel posto sapeva di casa, come se un piccolo pezzo
di Nuova Roma fosse
stato spalmato nel Valhalla, incluso l’enorme striscione
rosso vibrante, su cui
era dipinto in oro, con caratteri latini: S P Q R, che dava il
benvenuto al
corridoio. “Questo è il piano dei
romani” aveva dichiarato Jason sconvolto,
chiedendosi perché non fosse finito lì.
“Sì, quelli morti nei campi di battaglia contro i
germani, per la maggior parte,
le valchirie non fanno troppe distinzioni, ma anche quelli che
combattevano con
e contro i variaghi o altri in generale. Insomma, l’Hellheim
del Valhalla”
aveva detto indignato Mel, uscendo dall’ascensore.
“Oh! Il piano quattrocentodieci, come il Sacco!”
aveva commentato Jason, “Be, il piano esisteva da prima del
Sacco, ma rimane
una felice coincidenza” aveva considerato Mel, mentre
percorreva il corridoio.
Alcune porte erano aperte e Jason non aveva potuto fare a meno che dare
una
spiata, sentendo un rivoluzionario moto di infanzia.
Aveva anche spiato un paio di uomini giocare ad Aliossi.
Qualcuno li aveva notati ed aveva riservato non pochi sguardi
agonistici contro
Mel, il suo odio per i romani doveva essere ormai ben noto a tutti, in
duemila
anni.
Mel si era
fermato davanti ad una porta, “Ora, vorrei essere
faccia-a-faccia contro
Nidhoggr
che
incontrare lei” aveva ammesso, “Perché
ci hai chiesto di venire? Nel senso,
abbiamo appurato perché hai chiesto a noi,
ma perché volevi compagnia?”
aveva domandato Jason.
“Non potevo farlo da solo” aveva
ammesso Mel, calmo, per quanto le sue
labbra tremolassero, “Lei … mi
annichilisce” aveva ammesso. Aveva sospirato ed
aveva bussato alla porta.
Quella si era aperta dopo un momento, senza annunci di particolare
evidenza;
Jason, doveva ammettere, si sarebbe aspettato una gorgone con tanto di
zanne da
cinghiale e chele di granchio, ma ciò che lo aveva accolto
era stato diverso.
Era una bella donna, sulla quarantina, ma ancora piacente, con
l’incarnato
olivastro, un viso a cuore incorniciato da riccioli neri e serpentini.
Non era
molto alta, ma neanche minuta, con un seno florido e fianchi larghi,
con una
vita sottile come quella di una clessidra. Indossava una tunica porpora
lunga
fino alle caviglie con un generoso scollo a V – che non
lasciava spazio all’immaginazione
– ed una stola rosso amianto. L’unica cosa che non
la faceva apparire come una
creatura perfetta, era un naso leggermente pronunciato – che
non le toglieva
niente.
Jason era rimasto stregato, da lei, ma non per il
suo aspetto incantevole,
ma per gli occhi … erano
castani e letali come quelli di un barracuda.
“Sono innamorato” si era lasciato sfuggire Stellan
senza vergogna
“Oh! Chi non muore si rivede!” aveva esclamato la
donna. “Tecnicamente siamo
tutti morti!” aveva biascicato Mel, con un tono
insospettabilmente
insicuro.
La donna aveva sorriso, come il suo sguardo, anche quello era
raccapricciante e
poco amichevole, “Entrate, entrate” aveva concesso
la donna, “Mi annoio
molto di questi tempi!” aveva detto senza
mezzi-termini.
La stanza della donna era incantevole, era della stessa dimensione di
quella di
Jason, divisa in due ambienti, uno doveva essere la camera da letto, ma
l’altra
era una stanza che riproduceva, in una versione ridotta, un triclinio
di
rappresentanza. Al posto del ninfeo, al centro c’era un
quadrato con della
terra ed un albero: il suo collegamento con l’Yggdrasill.
C’erano i tre kline d’uopo, che
circondavano da tre lati il piccolo
giardino. “Accomodatevi miei cari!” aveva stabilito
la donna, occupando quello
centrale, stendendosi su un fianco.
Mel si era seduto su quello sinistro, Stellan si era seduto
lì accanto, non
rispettando la tradizione del letto. Jason si era seduto in quello
libero, non
imitando la parola di casa.
“Non posso offrivi nulla da mangiare, non ho niente qui e
nonostante tutte le
mie richieste, Odino trova indecoroso darmi una valchiria
personale” aveva
cinguettato la donna, “Come se una signora dovesse servirsi
da sola” aveva
considerato quella.
“Non serve, tra poco serviranno il cinghiale” aveva
detto Mel, la sua voce era
sottile come quella di un topolino, “Inoltre sono qui da
poco, ma mi pare di
aver capito che la stanza ti da tutto quello che vuoi” aveva
sottolineato
Jason.
Era stata la prima volta che aveva parlato alla donna, questa aveva
subito
fatto saettare i suoi occhi predatori verso di lui, come se lo notasse
davvero
per la prima volta in quel momento.
“Tu sei?” aveva chiesto, ringalluzzita,
“Ehm … Jason Grace” aveva risposto lui,
sentendo per la prima volta il suo tono amaro sulla lingua.
L’espressione sul
viso della signora si era illuminato. Jason si disse che non poteva
conoscerlo,
certo, Jason era romano, era figlio di Giove, era stato uno dei ragazzi
della
profezia, ma quella signora era nel Valhalla da quasi duemila anni, era
sorella
di latte di Mel.
“Lui
è un nuovo avventore del piano
venti!” si era intromesso il suo amico attirando
l’attenzione nuovamente sulla
sua persona. La signora non aveva deviato gli occhi scuri da Jason come
se lo
stesse sondando attentamente, “Va bene!” aveva
detto, volgendosi poi finalmente
verso Mel, “Perché sei qui? Non che mi dispiaccia
vedere il tuo bel visino”
aveva chiesto con mestizia.
La bocca di Mel si era curvata in una smorfia insofferente, prima di
parlare, “Per
quello che è mio” aveva dichiarato, ci
aveva messo almeno un minuto buono,
lungo, come se avesse dovuto processare attentamente ogni parola.
La donna aveva sorriso, come una fiera, “Oh, Thumelicus ma tu
non possiedi
nulla” aveva risposto lei, con voce graffiante. “L’invito
di mio cugino!”
aveva replicato Mel, senza perdere il suo tono, come se le parole di
lei non
l’avessero toccato, sebbene Jason, poteva chiaramente vedere
l’infelicità nel
suo viso.
Quella aveva schiuso le labbra, “Oh!” aveva
esclamato stupita, “Perché lo vuoi?
L’ultima volta che ci siamo visti hai dichiarato che lo
odiavi e non volevi
avere più niente a che fare con lui” aveva
dichiarato.
“Sono passati anche duemila anni” aveva
sottolineato Mel.
“Improvvisamente voglia di amore familiare? Cose che non
posso capire” aveva
considerato quella.
“Sì. So che hai tu l’invito”
aveva insistito Mel, “Sei una delle poche persone
che avrebbe saputo dell’invito e che non avrebbe avuto dubbi
a prenderlo per il
solo gusto di poterlo fare” aveva terminato.
La donna aveva
ridacchiato, “Sono felice
che ricordi” aveva dichiarato quella, inclinando il capo,
facendo oscillare i
capelli riccioluti. C’era qualcosa di magnetico in quella
donna, letale e
famigliare.
“Sai un po’ ti invidio, guardati: sei bello e
giovane, invece, eccomi qui, come
una mela ammaccata” aveva dichiarato la donna.
“Penso mia signora, che lei sia ancora incantevole”
aveva dichiarato Mel sempre
rigido; Jason aveva un altro sospetto, aveva pensato alla conversazione
che
aveva avuto con Freydis in ascensore qualche giorno prima:
“Vuole delle mele di
Idunn” si era lasciato sfuggire. Le Mele non ridavano
semplicemente la
giovinezza, restituivano la forma migliore, anche ai non-morti.
“Bello ed anche intelligente!” aveva ridacchiato la
donna, indicandolo,
“Sicuramente non lo hai ereditato da tuo padre”
aveva decantato. Jason aveva
trattenuto il fiato; Stellan lo aveva guardato con discreta
perplessità e anche
Mel era confuso, lo vedeva dipinto sul suo viso.
“Ah” aveva esclamato la donna leggendo la
situazione, “Va bene, non importa.
Thumelicus, visto che sono di buona lena, procurami almeno uno spicchio
di mela
e ti darò l’invito” aveva asserito.
“L’invito è mio!” aveva
replicato Mel, il suo tono non era agitato, ma era
lontano dalla calma. “Non avevamo stabilito che tu non
potessi possedere nulla?
Tutto ciò che hai è mio. Tutto ciò che
sei è mio” aveva replicato la donna
senza battere ciglio – una voce imperiosa.
Mel aveva avuto un singulto.
Jason aveva ispirato ed aveva capito. “Lei era la tua
padrona” voleva solo
pensarlo, ma lo aveva detto ad alta voce. Erano stati fratelli di
latte,
avevano diviso lo stesso latte materno, sospettava che fosse quello
della madre
di Mel … lui era stato schiavo da ragazzino, Madina aveva
detto fosse nato in
catene, probabilmente la sua stessa madre era stata una schiava.
“No!” aveva esclamato Mel,
“Sì!” aveva replicato lei.
“Eri un … thrall?”
aveva domandato Stellan, piuttosto confuso. Mel lo
aveva ignorato guardando la donna: “Non è mai
stata la mia domina. La sua
bisnonna lo era, suo prozio lo è stato, ma non
lei” aveva stabilito, “Lei è
la mia sorella di Latte” aveva ribadito Mel.
“Be,
sì, non ha torto, tecnicamente.
Provai a comprarlo, avevo sedici anni, ma ero sotto la mano
di mio
marito, nonostante il mio sangue notevolmente più nobile. E
quello non ha
voluto. Quindi, si, certo, Mel ha ragione, non ero la sua padrona, ma
lui era
un bene della mia famiglia … per il resto, sì,
eravamo pari. Tutti e due piccoli
bambini, nati a due mesi di distanza l’uno
dall’altro – nella Germania Magna”
aveva replicato la donna, con una punta di cattiveria.
Jason ricordava che Samirah avesse chiamato Mel: Thumelicus
di Confluentes,
doveva essere il nome latino di una città tedesca. Forse
quando era nato lui,
si chiamava ancora così.
“Questo non cambia. Era duemila anni fa e io sono morto.
L’unico che ora
ha i miei servigi è il sommo Wotan ed io scelgo, come libero
uomo, di servirlo”
aveva dichiarato alzandosi.
“Provo una gran pace nel vederti ancora così pieno
di illusioni, Thumelicus”
aveva detto la donna, roteando gli occhi, davvero stizzita.
“Iulia tu mi sei
stata più cara di chiunque per molto tempo” aveva
commentato Mel, con voce
quasi colpevole – Jason fu certo che Madina non avrebbe
apprezzato – “So
chi ero e cosa ero, ciò che eri tu, ma ho
bisogno di quell’invito” aveva terminato Thumelicus.
Nel farlo si era inginocchiato davanti a lei. Mel aveva usato il tono
dolce e
gentile di un amante, quasi. Iulia
sorrise, in una maniera fredda come il ghiaccio, “Oh,
Thumelicus” aveva
cominciato, melensa, “Le prime volte che mi hai rivolto
parole così di miele,
avevamo tredici anni. Tu eri uno schiavo e la cosa era decisamente
sbagliata, a
modo suo era elettrizzante per questo. Quante fustigate mio fratello ha
convinto l’Archimagirus
a darti per questo?” aveva chiesto, con cattiveria lei.
“Venti. Ma ora non ho
più le cicatrici” aveva risposto Mel, vibrando
nella voce e nel corpo. “Sì, lui
tendeva a reagire male a queste cose. Era un ragazzino così
problematico,
pensava che noi fossimo tutto quello che aveva” nel dire
quell’ultima cosa Iulia
aveva preso una nota malefica.
“Ti prego” aveva ripreso Mel, con un tono ancora
dolce, ma sbavato di
incertezza. “Dicevo, Thumelicus, avevo tredici anni quando mi
parlasti con così
tanta dolcezza … e da quel momento, mio caro, gli uomini che
lo hanno fatto non
sono mancati. Mariti, amanti, fratelli … Ma non si diventa
me, ascoltando tutti
gli idioti infatuati che ti dicono parole di miele” lo aveva
atterrato Iulia,
sciogliendo con un movimento secco la mano di Thumelicus dalle sue.
Mel si era allontano da quella confessione con terrore, quasi scottato.
Il sorriso di Iulia era cattivo, una falce di luna come la scure di
un’ascia.
La donna si era alzata dal suo kline, “Ti ho preso
l’invito, perché potevo, che
sia giusto o meno. Non sono senza cuore ed accetto volentieri di
ridartelo in
cambio di una mela di Idunn, diciamo mezza-mela, giusto per essere
giovane per dei
simpatici lustri” aveva scherzato lei.
Jason si era
tirato su, “La prego” aveva dichiarato con voce
stanca lei, “Stiamo affrontando
una situazione terribilmente drammatica – ed avremmo bisogno
di “quell’invito”
aveva dichiarato con voce perentoria Jason, alzandosi anche lui.
Sovrastava in
altezza Iulia di parecchi centimetri, ma tra i due, lei era certamente
la più
spaventosa. “Dici?” aveva domandato lei, con
divertimento, “La cosa dovrebbe
riguardarmi?” aveva chiesto retorica.
“Sì, ne va del mondo in cui viviamo?”
aveva risposto Jason.
“Be se è nel mondo in cui viviamo … Be,
Jason, forse non hai esattamente capito
chi io sia: ho cospirato contro mio fratello, ma penso che tu
non possa
darmi torto per questo, ho ucciso mio marito –
forse più di uno – e, potrei
o non potrei, aver complottato contro anche il mio stesso figlio. Pensi
mi
importi di esplodere come una supernova? Ho duemila anni!”
aveva risposto Iulia
con divertimento, “Se anche dovessi morire, mi sono comunque
divertita più di tutti
e tre sommati insieme” aveva aggiunto, scoccando uno sguardo
prima a Mel e Stellan,
che aveva sussultato.
Jason ebbe la bruttissima sensazione di sapere chi fosse Iulia in quel
momento.
La donna aveva sorriso della confusione e dell’orrore che si
era manifestata
sul viso di Jason, voltando il capo verso Mel di nuovo, “Come
ho detto:
portatemi una mela d’oro e tutto andrà
meglio” aveva commentato, con un tono di
miele.
Jason si era
seduto stanco affianco a Thumelicus, “Te lo ho detto. Ha
questo potere di
annichilire la gente, è un lascito di Apollo,
forse per quello” aveva
provato Mel, per rincuorarlo.
Jason aveva scosso il capo, “No” aveva dichiarato,
era qualcosa di peggio della
sua discendenza di Apollo, Jason lo conosceva come una
divinità svagata,
egocentrica sì, pure molto melodrammatica, ma era ‘a
posto’, ma
immaginava che ai tempi in cui Mel doveva vivere a Roma, come schiavo,
Apollo
dovesse essere nel massimo del suo fulgore e quindi anche un narcisista
egomaniaco
con l’abitudine di punire chiunque lo guardasse storto.
Perciò era possibile che con quest’ottica Iulia,
nome di una gens romana
piuttosto celebre, discendente da Apollo e Venere, potesse risultare
compatibile, con il suo indomito carattere sprezzante, ottimo materiale
come
lascito di Apollo.
Come d’altronde suo fratello –
e Jason sapeva a chi si stava riferendo.
Sorrise
stanco, arreso e, quasi, nauseato. “Freydis” aveva
esordito, “Lei consuma le
mele d’oro, magari ne ha una in più o sa come
raggiungere il giardino dell’Esperidi?”
aveva provato.
“Non è facile da rag … Giardino
dell’Esperidi? Quello è greco! Non ha un nome,
questo, è solo il frutteto di Idunn” lo aveva
corretto con gentilezza. Jason si
era morso il labbro, “Credo sia il nome più
famoso” aveva considerato, “In
realtà anche i celtici ne hanno uno di giardino”
aveva considerato Mel.
Iulia si era accomodata di nuovo sul suo letto, accavallando le gambe,
con espressione
piuttosto annoiata, “Se potete recuperare le mele dalla mia
stanza va bene … ma
lo credo difficile” aveva detto casualmente.
Jason si era
alzato, così come Mel, che lo aveva seguito, con espressione
abbattuta, “Ti
odio, Iulia” aveva dichiarato il germano, con una voce
sottile, spiando la donna,
che aveva sorriso di pura circostanza, “Non essere
così duro con me. Ho fatto
recuperare il tuo corpo dall’arena a Ravenna e ti ho
tributato tutti gli onori”
aveva considerato. “Grazie, se avessi incontrato Caronte
avrei dato la moneta
con il faccione di Tiberius” aveva detto Mel, imboccando la
strada per la
porta, seguito da Jason.
“Avete dimenticato qualcosa … Potete lasciarlo
qui, se volete. Trovo gli elfi
gradevoli da guardare” aveva considerato Iulia, attirando la
loro attenzione.
I due ragazzi si erano voltati, subito, notando Stellan ancora seduto
sul
letto. Con gli occhi rivolti alle punte degli stivali da giardinaggio
di plastica.
“Amico?” lo aveva chiamato.
Stellan aveva sollevato lo sguardo, i suoi occhi erano biglie accese di
un
azzurro intenso, come fil fuoco da gas.
Iulia aveva drizzato le spalle, con una leggera preoccupazione sul
viso, ed allora
Stellan si era alzato, le mani invece di essere morbide lungo il
fianco, erano
tese e rigide a quarantacinque gradi, con i palmi rivolti verso di
loro. Con una
voce sottile, appena un sussurro, aveva ripetuto qualcosa. Alle
orecchie di
Jason era parso nulla più che un borbottare. Una luce
vibrante d’azzurro si era
dipanato dalle mani di Stellan e poi lo aveva avvolto. Era
così accecante, che
Jason aveva dovuto chiudere gli occhi, quando la luce era venuta a
scemare, lo
spettacolo che l’aveva accolto era stato sorprendente.
L’albero che occupava il soggiorno di Iulia, al posto di un
ninfeo, non era più
un piccolo alberello dalle foglie verde bruno a spilli, ma una creatura
quasi
viva.
Il tronco era rimasto piccolo, ma i rami si erano estesi come
rampicanti, come zampe,
fino a raggiungere Iulia e farla prigioniera in spire di legno e foglie.
“Sta tramontando il sole nel mio mondo. Non può
succedere. La notte ci
distrugge, la notte ci uccide” aveva dichiarato Stellan
grave. Gli occhi erano
ancora scintillanti come lampadine al neon.
“Adesso ho capito perché Gerd lo ha preso come
giardiniere” aveva esclamato
Mel, sconvolto, ma non meno di Jason.
Il figlio di Giove aveva guardato Iulia, un ramo, vivo, come un
serpente le
stringeva la gola sottile, “Pensi mi importi? Qui non posso
morire … e di certo
se Alfheim muore non è un problema mio” aveva
rantolato lei, prima che Stellan
stringesse un pugno e la corda intorno al suo collo si facesse un filo
più
stretta. “Non posso tenerla così a
lungo” aveva dichiarato lui con voce più incerta
voltandosi verso di loro, “E lei non
parlerà” aveva considerato. “No, non lo
farà. Una volta rubò la spilla più
cara dell’Imperatore, dono della sua
amatissima prima moglie, e non volle mai rivelare dove fosse”
aveva raccontato
Mel, “Il caro prozio aveva anche minacciato di farmi tagliare
una mano, come ai
ladri” aveva detto la donna.
La frase sarebbe risultata molto più d’effetto, se
la giovane non l’avesse
detta con un disperato tono raschiante.
“Però … “ aveva cominciato
Jason, dopo uno sguardo veloce con Stellan, “Tu sei
il suo fratello di Latte, tu la conosci meglio, almeno tre noi tre, da
sapere
dove terrebbe l’invito” aveva considerato Jason.
Mel si era morso il labbro, “Certo,
le sistemavo la camera, tanto da sapere dove sistemava il suo tesoretto
segreto
– incluso la spilla di Vipsania Agrippina
- ma sono passati anche duemila anni. Ho smesso di lavorare per lei che
avevo
quattordici anni” aveva espresso Mel,
“Sì, ma avete vissuto entrambi qui. Tu
sei la persona che conosce questo posto come le sue tasche e conosci
lei, non
come le tue tasche, ma abbastanza, no, per provare?” aveva
domandato retorico
Jason.
“Oh … potreste prendere la mel-”
l’invettiva di Iulia, era stata soffocata da
un bavaglio di legno.
Mel si era voltato verso Jason, “Allora: Agrippina
è troppo paranoica per
permettere che una leva – anche se così blanda e
con molta incertezza come
quella – potesse essere fuori dal suo controllo. Deve essere
qui, ma in un
posto improbabile, assolutamente impensabile e probabilmente anche
irraggiungibile”
aveva stabilito Mel, cercando di recuperare il controllo.
“Bene, mettiamo a soqquadro questo posto” aveva
esclamato Jason, pieno di
furore. Iulia Agrippina aveva lanciato verso di
loro uno sguardo al
vetriolo.
Jason aveva
smontato il letto, tirando via lenzuola, coperte e rovesciando il
materasso.
Aveva tolto anche le assi di legno ed aveva cominciato a scoperchiare
il pavimento,
tessera dopo tessera, del mosaico arzigogolato che lo componeva, fino a
rivelare il calcestruzzo sotto – era sorprendente come il
Valhalla fosse
preciso nelle ricostruzioni – Mel invece aveva cominciato dal
soffitto, cercando
di intercapedini e fessure. Poi aveva cominciato a spostare i mobili,
“La prima
volta nascondeva un porta-gioie, in una botola, sotto il
baule” aveva detto,
prima di cominciare a fare a pezzi ogni cosa.
E poi era andato nel bagno, cominciando a smontare tubi, spostare la
vasca,
rompere specchi.
Jason era passato all’ambiente del triclinio.
Aveva sentito sul suo collo nudo l’occhio predatorio della
donna, ma lui aveva
guardato solamente Stellan.
L’aria era impestata di un odore così intenso, da
risultare quasi stucchevole,
di pino. Jason aveva visto gocce sottili di sudore, scivolare dal naso,
dal
viso dell’elfo, così come i capelli
d’oro, sotto l’elmo erano unti e posticci.
La sua posa non era più rigida, ma scossa da lievi tremori,
in ultimo gli occhi
luminescenti, erano più opachi. Stava soffrendo. Non sarebbe
riuscito a
controllare la piccola piantina ancora a lungo … e Jason
sospettava che per
quanto farlo sembrasse semplice – ne aveva conosciuti nel
corso della sua vita
di clorocinetici, alla mente balenava la ruggente Meg, figlia di
Demetra, l’ultima
che aveva incontrato, sapeva non fosse un potere gentile con cui
confrontarsi,
ma portentoso, ma Stellan non stava semplicemente controllando un
albero, stava
controllando un’estremità
dell’Yggdrasill, l’albero che sorreggeva i mondi.
Non immaginava quanto potere dovesse star usando, quanta energia
dovesse star
drenato da se stesso …
E soprattutto non avrebbe retto.
Aveva sventrato i tre kline, utilizzando la forma di spada di Giunone,
cercando
di non farsi notare troppo dagli altri.
Prima di rovesciare anche i supporti in legno. Mel era arrivato subito
dopo,
zuppo come se avesse fatto un bagno, “Splendida spada,
amico!” aveva dichiarato
mentre cominciava a far saltare le prime mattonelle in marmo della sala
di rappresentanza.
“Non ha un frigidarium qui. L’ultima volta, dopo
che la domina Livilla l’aveva
trovata l’aveva spostata nella stanza del bagno, ma era
durata poco, fratelli
insospettabili. Non ho più nascondigli.
D’Altronde, dopo essersi sposata e dopo
che io sono stato venduto-e-morto, lei ha potuto vivere oltre trenta
anni”
aveva considerato Mel piuttosto spento.
Stellan aveva mosso la mano, liberando Iulia Agrippina del suo
bavaglio. “Tutto
inutile, mi credi stupida? Non avrei mai, mai, messo qualcosa dove tu
potessi
trovarlo!” aveva considerato quella, con un tono oppresso.
Jason la guardò attentamente, “Certo!”
aveva detto, “Quando ero al collegio,
avevo un compagno di corso con una passione assolutamente inconcepibile
per
Edgard Allan Poe” aveva esordito.
Un espressione confusa si era dipinta sul viso di Iulia Agrippina e su
quello
di Mel, “Una sua massima mi è rimasta molto
impressa, perché, ecco, si adattava
a molte situazioni della mia vita: Il posto migliore per
nascondere una cosa
è in piena vista” aveva dichiarato Jason.
“Forse sarebbe stato meglio saperlo prima che riducessimo
questo posto ad una
discarica ecco” aveva valutato Mel, “Adesso
dovremmo aspettare due ore”
aveva aggiunto.
Lui aveva guardato il suo amico, osservando l’espressione
frustrata sul suo
volto, ma poi si era rivolto alla donna, non pareva più una
bestia famelica, ma
di una persona preoccupata; il ragionamento di Jason la
preoccupava. “Non
sarà necessario. Lei è la Securitas”
aveva declinato Jason. Mel aveva aggrottato le sopracciglia,
“Si … uhm … credo”
aveva mormorato, per nulla certo delle sue parole. In quel momento era
già
morto, se Jason aveva fatto bene i conti – doveva ammettere
che i numeri a
volte, a mente, non erano facili, così come i fatti storici.
“Lei è Iulia Agrippina
Augusta, nota come Agrippina Minor;
consacrata come la dea Securitas,
la sicurezza” aveva spiegato.
Agrippina aveva ridacchiato, “Grazie per non avermi definita
solo come la madre
di Nero. Comunque, sì, consacrata dea-vivente,
da quel cucchiaino di miele di mio fratello Gaius Caesar,
che entrambi
conoscete bene” aveva considerato, l’attimo prima
che la corteccia che le
avvolgeva la gola, aveva serrato la stretta. Jason aveva sentito un
dolore
fantasma, bruciare sulla sua schiena, lì, dove sapeva che la
lancia lo aveva trapassato.
Caligola, non voleva pensare a Caligola.
La bile era risalita lungo l’esofago.
Mel si era voltato di scatto verso di lui, Jason aveva ricambiato pieno
di
nervosismo, “Madina mi ha detto che conosci il Triumvirato
… ed è capitato
anche a me. Ne parliamo dopo, se vuoi” aveva provato. Mel
aveva inclinato il
capo, “Va bene, amico. Riconosco le mie
priorità” aveva sottolineato il
barbaro, voltando il capo verso Agrippina, “Quindi secondo
te, ha addosso il
mio invito?” aveva chiesto perplesso.
“Sì, certo. Forse è anche un
po’ tardi per chiederlo: ma come è
fatto?” aveva domandato
Jason, ricordandosi che la cosa poteva essere imbarazzante.
Probabilmente, avrebbe
dovuto pensarci prima, ma trovava davvero difficile, che un invito
di
origine divina passasse inosservato. Jason aveva un vero radar per
quello.
“Ehm …” aveva cominciato Mel,
“È come una delle fibule di Domagnano,
sai
quelle a forma d’aquila, solo che al posto delle paste vitree
ci sono vere gemme,
sul retro c’è inciso il messaggio di
Italicus” aveva spiegato il germano.
Jason non aveva idea di che forma avessero le fibule di Domagnano, ma
il
pensiero stesso era stato silurato da un altro.
“Hai detto Italicus?” aveva chiesto.
“Mio cugino” aveva risposto Mel, con
ovvietà. Fino a quel momento, Jason non
aveva mai associato un nome ad un cugino
– così come quel nome era per
lui, in qualche maniera un piccolo campanello.
Italicus … cheruscio … Italicus … Oh!
“Italicus Re dei Cherusci?”
aveva chiesto alla fine, “Il figlio di Flavus?”
l’ultima parte l’aveva chiesta con terrore,
recuperando tutte le sue conoscenze
romane, da riallineare nella sua mente.
Sperava davvero, ma davvero, tanto di sbagliare.
“Sì?” aveva confermato tutti i suoi
timori Mel, “Inizio a sospettare tu sia un
vero esperto di storia romana” aveva chiesto.
“Raagaaazzi” aveva piagnucolato alle loro spalle
Stellan, salvandolo
inconsciamente da una situazione decisamente più spinosa. Si
erano voltati
verso di lui; i tremori dell’elfo si erano fatti decisamente
più fitti. Non
avrebbe resistito ancora!
“Concentrati, dobbiamo cercare
l’oggetto!” aveva detto Jason, riacquisendo
lucidità, Mel aveva annuito, “E che facciamo? La
perquisiamo?” aveva chiesto
Mel, ammiccando al vestito piuttosto lascivo della donna, che non
lasciava
presagire nessun nascondiglio, che non fosse particolarmente scomodo.
Jason era avvampato tale e quale a Mel.
“Oh Padre dei Numi! Da un barbaro un comportamento
così villano me l’aspetto,
ma da un romano!” si era beffata di loro Iulia Agrippina, con
un tono
terribilmente melodrammatico.
“Non sono un romano!” aveva
gridato Mel, come se quelle parole l’avessero
offeso più di qualsiasi ingiuria mai detta.
Jason aveva pensato a quanto fosse maledetta la sua vita, fin da quel
momento,
quando a due anni sua madre l’aveva dato a Lupa.
“Oh, sarà una cosa divertente di cui parlare nei
prossimi secoli, sempre se saremo
ancora qui” aveva commentato Agrippina – sebbene
dallo scintillio sinistro nei
suoi occhi, Jason fu certo, che gli avessero dato un’arma per
il futuro, così
come il fatto che non lo stesso usando per una ragione –
“Adesso c’è un’altra
cosa di cui parlare. Mia nonna, Iulia Augusti Filia,
aveva come nonno il grande e potente Apollo e tutta la mia stirpe ne ha
sempre
fatto un gran vanto. Insomma, conoscete mio fratello, preferiva farsi
chiamare Neo
Helios che Stivaletti, però
… La mia cara nonnina ha sposato in
seconde nozze mio nonno: Marcus Vipsanius Agrippa,
di cui porto il nome.
Lui non era un lascito, lui era un semidio: figlio di Marte Ultore!”
aveva
esclamato con divertimento Agrippina.
I due ragazzi l’avevano guardata con estrema
perplessità, “Grazie per la lezione!”
aveva provato Mel, ma il suo tono divertito non lo sembrava molto.
“E mentre
tutta la mia famiglia si è sempre vantata con amore del
divina discendenza dal
signore del sole – ed onestamente questo aspetto è
opera suo, ma io ho
onorato tutti i miei avi” aveva ringhiato, con un
movimento potente delle
braccia era riuscita a far saltare qualche legaccio vimineo,
“Per questo, be,
sono sopravvissuta a tutti i miei fratelli! E a quasi tutte le
congiure. Non perché
sia particolarmente più intelligente di loro, forse di
qualcuno sì, ma perché io:
sono un lascito di Marte” aveva stabilito, più
libera nei movimenti era riuscita
a sciogliere gli ultimi ostacoli.
“Scusatemi ragazzi non riesco!” aveva provato
stremato Stellan, sollevando una
mano, tentando di riprendere il controllo della pianta, ma Agrippina
aveva spezzato
un pezzo di legno spesso come un avambraccio, come fosse stato un
fuscello, “Inoltre,
già che sono nata nella Germania Magna,
mia
madre che non era una donna stupida, mi ha esposto anche ai loro
dei… Wotan
veglia su di me!” aveva esclamato divertita, portando una
mano all’orecchio,
dove scendeva un pendente d’oro, l’aveva sfilato
poi questo era esploso nella
sua mano.
Non aveva più un orecchino, ma una spatha
d’oro imperiale.
Mel, nervoso, aveva sfilato il suo gladio dalla fodera, mentre Jason
dopo un
momento aveva lanciato la sua spada in aria, afferrando a sua volta il
giavellotto.
“Io mi siedo” aveva squittito Stellan, trovando un
posticino nella stanza.
“Non ricordavo che nell’Antichità alle
donne romane fosse concesso di potersi
allenare” aveva considerato Jason, ricordava che durante il
suo tempo a Nuova
Roma, aveva studiato che permettere alle donne di poter accedere alle
cariche
era stato un argomento discusso, ma approvato solo dopo
l’Incoronazione a Imperatore
del Sacro Romano Impero
di Carlo Magno.
Per loro, i discendenti degli dei: la Grande Roma
era finita,
definitivamente, i semidei non erano più così
tanti e la gloria di quella
Roma, incarnata dalla dodicesima legione andava protetta.
Al meglio.
Per Jason non c’era nulla di così astruso
(così come non lo era sembrato quando
lo aveva studiato), conosceva donne combattenti capaci di picchiare
duro come Vulcano
sul ferro, come Reyna, sua sorella, Annabeth.
“Che vuoi che ti dica, sono sempre sui generis!”
aveva risposto con
cattiveria Agrippina, “Giusto perché tu lo sappia,
al momento ho un record di
morte incredibilmente basso ad Idavoll” aveva aggiunto.
Nb: Perché
ho messo Agrippina nel Valhalla?
Perché è una figona che ha
combattuto i ruoli di genere per tutta la
vita. Scherzo, circa. Agrippina nasce in Germania (nella
città di Ara, come
detto nelle note), le hanno anche alzato una statua e la
“festeggiano” ancora
oggi. Inoltre, è davvero sopravvissuta a qualsiasi cosa (la
guerra in Germania,
la morte di tutta la sua famiglia, Tiberio, Caligola,
l’esilio, Messalina [che
fece uccidere sua sorella Livilla]) tranne a suo figlio Nerone (che
comunque
dovette organizzare tre diversi complotti per ucciderla). Inoltre,
è morta indicando
agli assassini di colpire il ventre che aveva generato Nerone (e
potrebbe aver
avuto un’arma alla mano visto che erano andati ad ucciderla).
Insomma, nulla mi toglie, che se fosse stata una barba germanica,
Agrippina
sarebbe stata una Donna-di-Scudo … E poi Wotan le fa queste
cose.
COMUNQUE,
ecco a voi un disegno di IAA (In questo disegno non ha
l’orecchino pendente
citato nella storia, ma uno molto più bellino con un
uccellino blu, che è ispirato
a quello trovato in una campagna di scavo, sebbene fosse di
epoca repubblicana):
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Iulia-Agrippina-Augusta-913951647
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Capitolo 18 *** Signori, Signore ed altre strane entità: è il momento di una crisi di nervi ***
Allora gentili
lettori, sono tornata? Non proprio.
In questo momento non sto vivendo, diciamo, quello che sarebbe
definito: Best
time of my life.
Sarò onesta: scrivere mi crea molta fatica. Moltissima.
Mi sono dovuta forzare per scrivere questo capitolo e credo si veda, la
parte
onirica è stata scritta infinite volte, continuando a
cambiare soggetto.
Mi sento drenata da ogni forza, però ho deciso che dovevo
aggiornare, anche
solo per uscire da questo sentimento.
Però si vede, il capitolo è brutto (e forse
alcune narrazioni si sentono
forzatissime). Quindi, non è improbabile, che in futuro io
possa rimetterci
mano, infinite ed infinite volte.
Prima di andare avanti:
1.
GRAZIE A
FARKAS. SUL SERIO
GRAZIE <3
2.
TRIGGER WARNING: Il capitolo
contiene sangue,
non roba gore, ma sangue, però si fa
riferimento anche alla morte, ci sono morti (molte) in maniera non
valhalliana
anche se la cosa è trattata molto da lontano.
E gli Dei, gli dei sono un TW a se stante.
Detto
questo, perdonatemi per questo schifo,
Buona Lettura,
RLandH
Signori,
Signore ed altre strane entità: è il momento di
una crisi di nervi
“Allora,
chi
vuole cominciare le danze?” aveva domandato Iulia Agrippina,
muovendosi
sinuosamente, con la spatha alla mano. “Due contro
uno?” aveva chiesto Mel,
incerto.
“Oh, be, siete un gladiatore quindicenne piuttosto sfigato e
… be, Jason non ha
proprio una morte che depone a suo favore” aveva ridacchiato
la donna.
Lui aveva sentito la rabbia a quelle parole. “Potrei essere
più forte di quanto
mi valuti” aveva considerato, cercando di mantenersi calmo.
“Oh, sì, ti prego non considerare la mia
spavalderia per incoscienza. Sono
l’unica persona qui dentro a sapere esattamente quanto
sia corretto
valutarti” aveva risposto lei, senza particolare enigma.
“Mi sembra abbastanza evidente che sai esattamente chi sia
Jason” aveva considerato
Mel.
Iulia Agrippina aveva sorriso, piena di soddisfazione,
“Ovviamente! Il Valhalla
mi piace, ma quando ho compreso che non avrei avuto la mia gloriosa
scalata, ho
cominciato a tenere le orecchie dritte per il mondo esterno! Non potevo
lasciare alla mia famiglia tutto il divertimento” aveva
raccontato, sollevando l’arma,
pronta alla difesa, “Comunque, fa molto ridere: io so chi
è Jason, so chi
sei tu Thumeliculus,
e voi?” aveva chiesto retorica.
Su una cosa Iulia Agrippina non aveva mentito era un lascito di Marte
fatto e
finito, dopo aver lasciato appesa quella frase, provocando confusione
nel viso
di Mel, si era lanciata con vigore contro di lui, spada tesa.
Jason aveva cercato di intercettare la lama con la sua lancia, ma Iulia
Agrippina aveva deviato il movimento all’ultimo minuto,
scendendo in scivolata
e colpendo con un piede lo stinco di Jason, con la letale combo che
poteva
esserci tra l’essere un einherjar e di chi doveva aver avuto
la benedizione di
Marte. Jason era finito faccia a terra, con un dolore atroce allo
stinco, aveva
sentito lo sferragliare delle spade, si era voltato notando come Mel
avesse
incrociato il suo gladio con la spatha di lei, prima che Agrippina lo
colpisse
alle spalle.
“Un po’ delusa, ma ti concedo il beneficio della
sorpresa. Lo so, mi vedi
vecchia e molle…e come tutti quanti mi
prendi sottogamba” aveva riso di
lui Iulia, prima di mollare una ginocchiata a Mel, che si era scansato
in
tempo, perdendo la tensione delle spade e quasi rischiando di farsi
affettare
la faccia – impedito solo dalla spinta che Jason era riuscito
a dargli.
“Sai vero che se fosse morto non sarebbe stato
permanente?” aveva chiesto
Agrippina, divertita. “Non abbiamo tempo!” aveva
ringhiato Mel, recuperando la
spada con nervosismo, “Allora vai a prendere quello che ti ho
ordinato. Certo,
ora sono incazzata, quindi ne vorrei una intera!” aveva
ringhiato.
Jason aveva sentito il dolore allo stinco farsi molto più
leggero, il suo
corpo, in quel luogo, si stava riprendendo alla velocità
della luce.
Si era alzato, assottigliando lo sguardo.
Agrippina era potente. Il potere divino nei lasciti
era sempre ambiguo,
ogni tanto si manifestava meno, altre molto, come se fossero stati
semidei;
Frank era un proteiforme come il suo avo, così come Octavian
possedeva la
capacità di interpretare il futuro. Agrippina doveva essere
così, doveva
possedere la forza di Marte, come Frank doveva esserne stata benedetta.
Aveva
notato Jason, che, come Einherjar, era più potente,
più scattante, di quanto
fosse stato da semplice semidio – altrimenti non avrebbe mai
evocato la bufera
di fulmini – e così doveva essere per lei; se
Jason avesse ricordato bene, per
uccidere Iulia Agrippina avrebbero dovuto ricorrere a diversi
espedienti.
Una volta avevano affondato la barca su cui era, non solo lei era
sopravvissuta
a quello ma era stata costretta fuggire a nuoto dai finti pescatori,
mandati dall’imperatore,
che l’avevano bersagliata con le lance.
Ed avevano fallito. Agrippina non era morta neanche così.
Jason ebbe un’altra angosciante rivelazione: Agrippina era
più forte di loro,
nella bruta maniera del dio della guerra.
Avrebbe usato la sua forza e non ne avrebbe fatto vergogna –
e Jason in quel
momento sapeva perché non avesse detto nulla sulla sua
origine. Voleva che
Jason usasse i suoi poteri, voleva che li palesasse davanti a Mel e si
dovesse
giustificare dopo.
Era la sorella di Caligola, in fin dei conti.
“La
smetti
di prenderci in giro?” aveva chiesto Mel, sfacciato.
“Siete voi che perdete tempo, avete anche messo fuori uso
l’elfo” aveva
risposto divertita Agrippina, chinando il capo e facendo oscillare una
cascata
di riccioli. Prima, aveva raccolto la maggior-parte di loro in una
crocchia,
lasciando solo due ciuffi dalla nuca pendenti, ma dopo la corsa,
diverse
ciocche avevano abbandonato la posizione.
Mel aveva tentato un attacco, non molto convinto, nonostante i duemila
anni
spesi a Idavoll, doveva aver tenuto il suo stile di combattimento
gladiatorio.
I mirmilloni erano una fortezza, si riparavano dietro gli scudi e si
scoprivano
solo per attenti, precisi e mortali affondi, ma Mel non aveva lo scudo.
La sua difesa, in quell’occasione, si traduceva nella
lontananza.
Jason si era guardato intorno, in cerca di uno scudo da passare.
“Vuoi davvero lasciare tutto in mano al ragazzino morto al
suo secondo
combattimento in arena? A Ravenna?” aveva detto con biasimo
Agrippina, verso di
lui.
Agrippina era per l’attacco, come strategia, non lasciava il
tempo di
respirare, ma non era vorace come Lit, era una danza.
Attacco, passo indietro, attacco, passo indietro. E
se fosse stata bloccata, avrebbe morso con
quel che poteva. Ginocchiate, pugni, calci negli stinchi.
“Oh,
mia
Augusta cosa sta succedendo?” aveva esclamato una voce alle
loro spalle, Jason
si era voltato in tempo, per vedere un paio di giovani uomini, vestiti
da
legionari romani, di diverse epoche, che guardavano la scena. Tra loro,
non
c’era il famigliare volto di Maes figlio di Pluto, forse i
bizantini avevano un
altro piano, o forse come Jason era finito altrove; magari in un piano
con la
guardia variaga.
“O niente, mie prodi, do una lezione ad un paio di
barbari” aveva replicato
divertita lei. “Oh, Thumelicus sei passato per la decennale
scazzottata?” aveva
chiesto uno di loro, “Un po’ in anticipo”
aveva valutato quello. Indossava
un’armatura di secondo secolo, con la lorica manicata
scintillante.
“Oh, ciao! Alexius” aveva risposto Mel, con un tono
insospettabilmente gentile,
“Sì … no è un fuori
programma” aveva aggiunto.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, voltandosi verso il suo amico,
“È
un’ausiliare dacio! Ci scambiamo le ricette dei
biscotti” aveva specificato,
pieno di imbarazzo. Jason lo aveva guardato con ancora più
confusione in viso,
Mel aveva alzato le spalle pieno di vergogna.
“Augusta, dovremmo intervenire?” aveva chiesto uno
dei soldati, “Oh Seppius!
Non ti preoccupare posso gestire entrambi” aveva dichiarato
con innocenza Iulia
Agrippina.
Mel aveva digrignato i denti, “Niente di tutto questo
è importante” aveva
considerato con una certa rabbia, “Ti prego” aveva
aggiunto, con un tono di
disperazione.
“Mia signora” aveva commentato uno degli altri
uomini, ne Alexius, ne Seppius,
“Io ho servito vostro padre con orgoglio e non posso
permettere che due barbari
si facciano scempio di voi” aveva commentato. Iulia Agrippina
aveva roteato gli
occhi, “Ma lo sapete vero che nessuno di voi
morirà, veramente?” aveva chiesto
per loro Jason.
Era strano come pensiero, ma … si potevano letteralmente
uccidere senza
morire. Era una
delle prime cose che
aveva detto Mel: scatenati, qui nulla a conseguenze.
Era un pensiero estraniante.
“Sì ma il tempo!” aveva uggiolato
Stellan dai resti del divano, era ancora in
stato comatoso, con gli occhi semichiusi e il viso più
livido che mai.
“Bene, allora cominciamo” aveva esclamato Iulia
Agrippina piena di soddisfazione.
I guerrieri romani si erano lanciati nella mischia con incredibile
soddisfazione, “Lasciate in pace l’elfo!
È vivo!” aveva provato Mel, quando
qualcuno si era avvicinato per vedere quello, ancora steso sul divano.
E poi era cominciata la mischia pesante.
Jason era
riuscito ad intercettare con la lancia una spada, aveva colpito lo
scudo
dell’altro con un pugno, l’elettricità
delle sue nocche si era riversato nel
ferro in una maniera così impetuosa da renderlo
incandescente, sorpreso Alexius
lo aveva fatto cadere, Jason lo aveva colpito dritto sul naso,
prendendo lo
scudo e lanciandolo a Mel.
Mel aveva appena preso una coltellata sulla spalla da Seppius, ma aveva
risposto
con un pugno sul naso del romano. “Attento,
scotta!” lo aveva avvertito Jason.
Mel aveva raccolto l’oggetto, con pura confusione sul viso.
Jason era caduto colpito allo stinco da Alexius, che si era tirato su,
con il
naso maciullato e sangue grondante. Jason aveva mosso la mano, come se
avesse
schiaffeggiato l’aria e questa aveva colpito in pieno il
soldato dacio, che si
era ritrovato sbalzato.
“Non credo avessero capito il tuo potenziale” aveva
detto Iulia Agrippina,
affondando precisa la lama, Jason l’aveva intercettata in
tempo. “Hai avuto la
benedizione di Marte” aveva considerato Jason,
“Sì, sai super forza e grande
resistenza. Utile non indispensabile. Ho sempre trovato mediocre che il
grande
Marte Ultore non possedesse tra i suoi poteri non so: fuoco e fiamme? I
romani
sono sempre stati bravi in quello” aveva considerato
Agrippina, “Ma tu hai
molti doni. I figli di Giove che possiedono i fulmini sono portentosi,
quelli
che comandano i venti poi, ma insieme” aveva considerato
divertita lei, “Roma
doveva essere fiera di avere un capo così notevole. Mi
chiedo come tu abbia
accettato di rinunciare, di come tu non sia diventato: Princeps”
aveva
scherzato.
“Non ho attitudine al comando, sono più un
mediatore” aveva considerato Jason, affondando
con la lancia. Aveva colpito di striscio il fianco
dell’Augusta, che aveva
sferzato la sua spatha verso di lui. “Vediamo che ne pensa
Thumeliculus!” lo
aveva avvertito; Agrippina aveva spiccato un salto notevole, provando a
colpirlo dall’alto, Jason aveva usato Giunone per difendersi,
intercettando il
colpo, fermando la lama, non prevedendo il calcio in pieno sterno che
aveva
ricevuto poi.
Sentendo diretto il dolore sulle sue costole, accompagnato dal rumore
secco di
qualcosa spezzato, come se fosse stato colpito da una statua di pietra.
Il colpo l’aveva sbalzato, aveva usato i venti, sottili, i
pochi che poteva
richiamare lì, per attutire la caduta, ma era capitato
dritto contro un pezzo
di legno scheggiato, che era finito dritto sul suo braccio ed aveva
perso la
presa di Giunone che aveva finito per rotolare via.
“Oh, be, sono abbastanza delusa” aveva commentato
Agrippina sollevando la mano,
Jason aveva intercettato il fendente con l’unica cosa che
aveva libera: la mano
destra, sentendo, dritto, sulla carne l’oro imperiale. La
lama era stata così
affilata e potente che non aveva potuto sentire altro che un cieco e
sordo
dolore, alcune dita erano saltate e l’oro aveva scavato la
pelle, fino a
scontrarsi con l’osso.
Jason aveva sentito la mano andare a fuoco, così come aveva
sentito il sangue
esplodere.
“Ma cos …” aveva boccheggiato Agrippina
rimasta sorpresa da quel gesto, “Tanto
tra un’ora e due sarà integra” aveva
commentato Jason, incerto su cosa avrebbe
dovuto fare in quel momento.
Il pezzo di legno nella spalla rendeva i movimenti del braccio sinistro
impossibili, doveva aver reciso qualcosa di importante, il dolore alla
mano
destra era esasperante. Anche lo sterno era spappolato e la
rigenerazione stava
lavorando lentamente.
Giunone era rotolata lontano.
“Sì, diciamo che combattere qui può
essere molto creativo” aveva considerato
Agrippina, cercando di recuperare la sua lama, incastrata
nell’osso di Jason.
“Certo, adesso morirai dissanguato” aveva
considerato, comunque, Agrippina, “Miracolo
che non sia di shock. Si dice
così?” aveva aggiunto. Faceva strano
sentirle sulle labbra una parola così odierna.
Jason le aveva sorriso, rinvigorito. Aveva avuto
un’idea!
Agrippina l’aveva suggerita, implicitamente.
“Può darsi, ma non sarò il
solo” aveva ripreso Jason, cominciando a sentire
terribilmente fastidioso respirare. Agrippina aveva aggrottato le
sopracciglia,
“Fisica base, qualcosa che non andava di moda ai tempi di
Roma” aveva
considerato. Poi lo aveva sentito, montare dentro lui,
quell’energia crescere,
vibrare nel sangue, la stessa che aveva sentito a Jotunheim, era stato
un
semidio potente, lo sapeva, ma ora lo era anche di più.
Agrippina aveva capito troppo tardi quello che era successo, “Iovis
filius
Irrumatur!”
aveva esclamato l’augusto prima del colpo. Jason aveva
evocato un fulmine, non
uno potente, non uno di quelli dal cielo, ma da lui dalla sua
elettricità, da
dentro. L’oro imperiale aveva fatto ciò che
doveva, fino a raggiungere il
lascito di Marte.
“L’oro è uno dei migliori conduttori in
natura” aveva tossicchiato Jason,
sputando sangue – abbastanza sicuro che una delle sue costole
dovesse aver
fatto danno – mentre Agrippina si rovesciava a terra, con le
dita nere,
contorta. Una mortale sarebbe morta, una semidea forse no, un einherjar
di
sicuro no.
Ma il colpo elettrico e le urla, avevano attirato
l’attenzione di tutti. “Che
le hai fatto?” aveva domandato Alexius tenendola per le
spalle, “La ho
folgorata” aveva risposto Jason ovvio.
Seppius continuava a sanguinare ma aveva raccolto la sua spada, pronto
a
prendersela con Jason, ma era stato attirato da un pugno di Mel.
Jason si era sforzato di parlare; “Sei stata
sconfitta” aveva dichiarato; l’evocazione
del fulmine lo aveva devastato. “Non finché
respir-” la frase di Agrippina era
stata tranciata da una lama nella gola, era stato Alexius il dacio a
farlo.
“Ma cosa fai?” aveva strepitato il terzo uomo,
Jason non sapeva il suo nome,
“Ero un pretoriano, uccidere imperatori e famigliari
è il nostro passatempo
preferito” si era giustificato quello.
Agrippina era esplosa in una nuvola di fumo d’oro brillante.
“Capisci perché
amo questo romano?” aveva detto pieno di vita Mel.
Al posto del corpo della donna era rimasta un’altra cosa, un
oggetto piatto,
dalla forma di un’aquila, con le ali strette – non
ancora spiegate – con il
collo e la testa di profilo, come i dipinti di Horus, ed un unico
occhio sano.
Era attraversato da fili d’oro che dividevano gemme preziose.
“Immagino che quella sia la spilla” aveva
considerato Jason.
“Sì” aveva sentito una voce femminile
alle sue spalle, si era voltato ed aveva
visto che nella parte di camera notturna di Agrippina, il letto era
tornato a
posto e sopra di esso stava la donna. “Sei stata
veloce?” aveva commentato
Jason stupito, “Spiegaglielo tu” aveva commentato
quella, ammiccando a Mel.
“Quando è parecchio che stai qui diventa sempre,
sempre, più veloce” aveva
spiegato il germano.
“Prendiamo la spilla ed andiamo via, l’abbiamo
vinta” aveva detto Jason,
togliendosi finalmente la lama dalla mano, “O almeno, Mel e
Stellan lo faranno,
io credo resterò a morire qui” aveva considerato
Jason. “Alexius, cortesemente,
fai quello che ti piace ed uccidi il pretore Jason
Grace” aveva detto
Agrippina, vendicativa.
Mel si era irrigidito, mentre raccoglieva la spilla.
“Ah, non te lo ha detto? È un romano! Figlio di
Giove addirittura” aveva
esclamato la donna, ma Jason non riusciva a sentire bene, iniziava ad
avere le trabecole,
come quando dimenticava di mettere gli occhiali e si sentiva perso.
Aveva
osservato la mano, trovandola nulla più che una macellazione
di sangue e
putridume, che aveva raccolto sotto di sé una forte macchia
rossa sulla calce.
Anche il dolore allo sterno aveva cominciato a farsi piuttosto serio,
dandoli
un po’ di problemi a respirare. “Ho abdicato
…” era riuscito a dire, sentiva
anche male alla spalla dove si erano infilate le schegge di legno, ma
rispetto
al resto era nulla, assolutamente nulla. “Ex-pretore di
Roma” aveva specificato
Agrippina, ma la sua voce era distorta e lontana.
Jason si era sforzato di tenere gli occhi aperti, mentre osservava Mel,
guardarlo, con gli occhi verde scuro, aveva in mano
l’aquilotto d’oro. “Penso …
penso …” aveva provato a dire, “Non
è semplicemente un ex pretore, è un eroe
della grande Nuova Roma, Apollo, il dio in persona, ha celebrato i suoi
riti
funebri. Hanno fatto una statua in suo onore!” aveva
raccontato Agrippina,
“Fidati tengo d’occhio la mia gente”
aveva esclamato.
Aveva intravisto come macchia sfocata Stellan, avvicinarsi. Aveva
sentito le
sue mani calde sul torace, “Io credo che una costola abbia
perforato un
polmone. Il mio alf seidr nel curare le persone
umane, lascia a
desiderare, forse, ecco, potremmo ucciderlo, così
morirà subito … o rischia di
soffocare nel sangue” aveva borbottato.
Mel si era chinato, continuando a guardare Jason ed aveva messo una
mano
attorno alla spalla di Stellan, “Ci vediamo a cena, Jason,
tra poco suoneranno
il corno” aveva commentato Mel, con freddezza, raccogliendo
l’elfo, come se
fosse stato leggero come una piuma.
“Penso si sia arrabbiato” aveva considerato
Agrippina, con un tono quasi
divertito, “Nessun problema, farete pace, unendovi
nell’odio verso mio
fratello” aveva detto, accarezzandoli i capelli quasi materna.
Alexius si era sollevato, “Taglietto veloce alla
gola?” aveva proposto.
Jason era
morto per la seconda
volta in quella giornata.
Il mondo si
era tinto di un colore azzurro intenso,
ma non aveva alcuna idea di dove fosse. Aveva riconosciuto davanti a
lui, alte
colonne, immense, con circonferenze così larghe che Jason
non sarebbe mai
riuscito a coprire la grandezza, abbracciandole. Le colonne terminavano
in
immensi capitelli ionici, con volute grandi come ruote di una macchina.
Ogni
cosa era coperta di licheni, conchiglie marine e un pesce aveva
sfiorato il
viso di Jason, nuotandoli accanto.
Si era voltato di scatto, era sotto l’acqua, realizzava, per
questo il mondo
era tinto di questa foschia blu e nera, ma ovviamente non lo percepiva,
non
veramente. Lui era una proiezione, uno spirito.
Aveva potuto osservare allora che il colonnato enorme non faceva altro
che
incorniciare un cortile, gigante, solo che non era erba, ma composto di
alghe e
varietà marine. La luce era data dalla bioluminescenza delle
creature.
Vorticavano intorno a lui come lucciole. Era uno spettacolo suggestivo
e
splendente.
“Ammetto che questo posto ha il suo fascino” aveva
chiocciato una voce
femminile, Jason aveva potuto vedere una donna.
Capelli biondissimi come argento, che sfoggiava una lunga tonaca
azzurra, che
le gonfiava ad ogni passo, scoprendo le gambe bianche e le calze
vermiglie.
“Be, Kolga non ha il fascino della sala dei banchetti di tuo
padre ma ci si può
lavorare” aveva scherzato una voce famigliare. Jason aveva
riconosciuto subito
Benetescima, vestita con una toga elegante di un vibrante color
corallo. Kolga
aveva rivolto uno sguardo sprezzante alla dea marina, “Mi
dispiace per averti
tirato addosso un relitto” aveva dichiarato Bentescima,
“Mi dispiace di averti
scatenato un tornado” aveva replicato Kolga.
Doveva essere una delle Nove Onde di Aegir. “Pensi che
faranno pace quelle due
bisbetiche?” aveva chiesto alla fine Bentescima, sedendosi su
una panchina
fatta di pietra, che somigliava ad un sarcofago, “Adda porta
tanto rancore, ma
mi pare che tua sorella sia anche brava in questo gioco”
aveva scherzato Kolga.
Jason ebbe un brivido, seguendo lo sguardo delle due dee, aveva trovato
le due
figure di cui parlava.
Jason aveva fatto dei passi veloci, scoprendo di poter fluttuare come
in acqua,
sebbene non sentisse il freddo e l’acqua.
Kymopoleia
aveva indossato di nuovo la sua
camicia con la fantasia con le figure marine, i capelli verdi come
alghe
fluttuanti. Al suo fianco ondeggiavano anche le treccioline
d’oro, coperte di
sangue, da esse, in vero, fuoriusciva una macchia di rosso, che
colorava
l’acqua, di Blóthughadda, anche lei indossava
abiti più moderni: una maglietta
nera con qualche scritta oscena sopra. “Scusami, amica mia,
prima mi sono fatta
prendere la mano. Avevo litigato con mio marito” aveva detto
Kym, la sua voce
era dura come l’acciaio ed ogni parola sembrava costarle una
fatica. “Non mi
importa, Kym! Ti sei frapposta tra me e la mia vendetta, se lo avessi
fatto
io?” aveva chiesto retorica. “Non era la tua
vendetta, ma quella di tua madre”
aveva sottolineato fredda Kymopoleia, “Se dovessi mettermi a
pareggiare tutti i
conti di mio padre farei prima a smettere di avere una vita”
aveva considerato.
Blóthughadda le aveva lanciato uno sguardo al vetriolo,
“Non somigliano a delle
scuse queste” aveva dichiarato la dea dell’onde
insanguinate.
Kym aveva sorriso con la stessa freddezza dell’acqua gelida,
“Per la mia buona
fede, ho intenzione di farti un bel regalo, so che non può
acuire la tua rabbia,
ma spero possa placare un po’ del tuo rancore verso di
me” aveva detto Kym.
Sembrava volesse mantenersi dolce e gentile, ma il suo tono era algido,
così
come i suoi occhi. Stava recitando una parte, probabilmente costretta
dalla sua
famiglia, che voleva evitare possibili scontri tra pantheon divini.
E per se stessa, perché il suo segreto non fosse esposto.
Che non si sapesse di lui
Che si scoprisse che la figlia di Aegir avesse da recriminare anche
contro di
lui e non solo Magnus.
Blóthughadda sembrava improvvisamente più
interessata, “Cosa?” aveva chiesto,
con la stessa curiosità di una bambina,
“Quello!” aveva detto Kym, indicando
verso il cielo.
Sopra di loro, attraverso il foro dell’Impluvium,
si vedeva il soffitto
del mare, nel suo denso blu che andava sempre più a
rischiararsi. Una visione
di pura magnitudine.
Ma tra le onde, tra i pesci, le creature, calava, spezzata in due come
un
grissino una nave da crociera da cui povere anime rimanevano appese nel
buio. Jason
sentiva l’orrore crescere in sé, ogni parte del
suo corpo dove aveva ricevuto
una ferita mortale era pulsata. “Ognuna di quelle anime
è un’offerta per te,
Sangue delle Onde, per la rete di tua madre” aveva dichiarato
incolore Kym,
come se tutte quelle morti non la riguardassero per nulla.
Perché così era!
Kym era una dea delle tempeste, divoratrice di navi, uomini e terre,
così
crudele e distruttiva che Poseidone stesso, che ferocemente amava tutti
i suoi
figli, l’aveva costretta al duro esilio. Kym che aveva scelto
di unirsi a Gea e
non aveva avuto remore a uccidere, annegare ed avrebbe dato lo stesso
fato a
lui, se non l’avesse persuasa. “Te lo concedo Kym,
è un grande dono” aveva detto
la mezza-Jotun. “Certo! Non da perdonarti ma non da pungolare
mio padre a chiamare
un Thing tra Pantheon” aveva concesso Blóthughadda.
Ma ciò a cui Jason riusciva a pensare era che quelle morti,
tutte quelle morti,
erano a causa sua, al di là della fame di rabbia della
figlia di Aegir, della
testardaggine di Kym, della loro spietatezza, del loro sorridere
davanti a
quell’orrore, era la vita innaturale di Jason, in quel
momento ad aver guidato
quella carneficina.
“Be, sì questo è farlo bene!”
aveva ghignato Kolga, soddisfatta, affiancandosi
alla sorella, con i capelli biondi, aperti come quelli di un anemone,
con un
sorriso pregno di gusto.
Sul viso di Bentesicima, delle onde gentili, invece, vi era dipinta
un’espressione
di nausea ed orrore.
Aveva afferrato sua sorella e l’aveva portata via, erano
passate al fianco di
Jason come un turbinio veloce, ma le aveva seguite galleggiando nel
nulla,
nello sconvolgimento più puro.
“Cosa hai fatto? Tutte quelle persone! Nostro
padre…” aveva ringhiato piena di
livore Bentesicima, “Ho fatto ciò che andava
fatto, poche centinaia di vite, al
posto di un mondo dilaniato tra una guerra tra pantheon”
aveva risposto fredda
Kym “Sono la signora del mare violento, nostro padre lo sa,
prenderò la sua
furia a testa alta” l’aveva freddata.
Bentesicima non aveva lasciato la presa sul polso di sua sorella, aveva
sul
viso, la stessa rabbia che aveva visto molte volte balenare in Percy,
davanti
le ingiustizie. “Questo tuo comportamento è
ingiustificabile e senza senso!”
l’aveva rimproverata.
“Ho fatto ciò che dovevo” si era
giustificata irreprensibile Kym. Un'altra
figura si aggiunta a loro, occhi verdemare, un viso spigoloso e spento,
capelli
ruggine come quella dei battelli e l’espressione sul viso del
dolore, vestita
come una rispettabile matrona greca. Doveva essere Rodo, la terza
figlia.
“Hai visto ciò che ha fatto?” aveva
chiesto Bentesicima con l’ardore bruciante
di dolore ed ingiustizia, “Ho visto” aveva risposta
l’altra, con la voce cupa.
“Esageri” aveva detto piccata Kym,
“Nostro padre ha fatto ben di peggio e molte
altre volte” aveva ringhiato.
“Ma sono le ragioni che hanno mosso nostro padre ben
diverse” l’aveva
rimproverata Rodo, “Poseidone, non agisce in virtù
di alcuna giustizia che non
sia la sua” aveva detto Kym, inopinabile.
“Vero” aveva detto Rodo, “Ma mai in
maniera gratuita, dunque, Kym, a quale
torto ti stai appellando?” le aveva detto, il suo tono era
incolore, ma gli
occhi verdissimi no.
Kym si era allontanata, dalle sorelle con un balzo, quasi scottata,
“Abbiamo
delle ospiti da intrattenere” aveva commentato recalcitrante.
Bentesicima l’aveva lasciata andare, “Non
sarà per quella storia?” aveva
chiesto pregna di turbamento, Rodo aveva sollevato le spalle magre e
spigolose,
prima di rispondere.
Quando aveva
aperto gli occhi, Jason aveva visto sfumare davanti ai suoi occhi il
blu
dell’oceano e distante, come se le sue orecchie fossero state
piene d’ovatta,
la risposta di Rodo.
Poi il mondo aveva preso il contorno abituale della sua stanza. Tranne,
si era
accorto dai rumori, che non era solo.
Si era tirato subito su, con l’urgenza del vomito a premere
nella sua gola,
disgustato e colpevole di sé stesso. Ma la sua urgenza era
stata placcata dallo
spettacolo che si era aperto davanti a lui: Fred che ispezionava la sua
stanza.
“Che stai facendo?” aveva chiesto Jason, tenuto
ancora in ostaggio dalle nebbie
della morte.
“Cerco indizi!” aveva risposto pratico il figlio di
Gerd, senza preoccuparsi di
turbarlo. “Indizi su cosa?” aveva chiesto Jason.
“Su cosa sei veramente!” aveva risposto senza
perdere un briciolo di posizione
Fred, mentre apriva la sua cassapanca. Sono un mostro, un
imbroglione, una
persona la cui sola esistenza ha portato solo sciagure!
Avrebbe voluto
rispondere, ma aveva detto, duro come il ferro: “Sono un
semidio” e visto che
ormai la cosa era andata fuori controllo aveva aggiunto:
“Figlio di Giove” e
nel farlo aveva mostrato il braccio, spostando la fascia per vedere il
tatuaggio.
Fred lo aveva osservato critico.
“Non mi basta” aveva stabilito, “Cosa
intendi?” aveva chiesto Jason.
“Erano due secoli che non uscivo dalla mia stanza, ma sono
sempre rimasto in
ascolto. In ottocento anni che sono stato nel Valhalla, Loki e gli
altri Jotun
hanno tentato infiniti giochi per anticipare il Ragnarok, ci sono stati
momenti
molto drammatici. Tipo nel millenovecentoquattordici quando ci siamo
andati
vicinissimo a non poter fermare la catena o l’altro anno.
Però, poi sei
arrivato tu e letteralmente il giorno dopo, sono cominciati i problemi.
In ordine: è sparito un cinghiale magico – che a
quanto pare era diventato la
corrente per il sole eterno di un mondo che non può
permettersi il tramonto, è
sparito il dio della conoscenza, gli dei romani e norreni hanno
cominciato a
bisticciare, si sono rotte le tavole dell’universo”
Fred aveva fatto un respiro
profondo, dopo quello sciorinamento di fatti.
“Come sai di Mimir?” aveva chiesto Jason, che non
aveva avuto modo di parlarne
con nessuno tranne Stellan e Mel. “Pensi di essere
l’unico che sogna? L’unico
sensibile? Sono mezzo jotun sono un parafulmine per le stranezze, sono
sensibile al seidr meglio di quanto sarai tu in mille anni, sono uno
stregone
che mi piaccia o meno” aveva spiegato Fred, “E
questo mi riporta ad altro: il
giorno dopo che sei arrivato hai evocato un fulmine ed era diverso da
quelli di
Gunilla e lo hai rifatto ora. La tua energia è sbagliata. Tu
sei sbagliato e da
quando sei qui hai solo fatto casino” aveva dichiarato.
Jason si era alzato, “Smettila” aveva detto
all’altro. Perché non voleva
sentire quella verità, perché aveva ragione,
perché Kym aveva appena affogato
centinaia di persone per tenere al sicuro il segreto di Jason.
“Hai trascinato Astrid nelle tue lotte. Ma tu lo sai che
è stata uccisa e
divorata da un lupo-jotun? No, è! E la hai costretta ad
inimicarsi un dio. Hai
mentito a Mel, per i tuoi sogni sono due giorni che si crea nemici.
Signore mio
buono, hai anche portato Madina a Jotunheim per i tuoi
sospetti” aveva
sclerato.
“Quelle sono state scelte di tutti. La missione era la
missione, andava
soddisfatta. Se non lo facessimo … tramonterebbe il mondo su
Alfheim e da come
è scritto nell’Edda mi pare di capire che gli Elfi
non possano permetterselo”
aveva dichiarato Jason, sentendo i nervi a fior di pelle.
Ma sentendo anche le parole più fastidiose, più
difficili da pronunciarsi ogni
momento.
Stanco, esausto, spossato.
“Sì, ma tutto è cominciato nel momento
in cui sei arrivato. Astrid
mi ha raccontato delle tue menzogne.
Quindi, Jason Grace, presunto figlio di Giove, chi sei
veramente?” aveva
chiesto Fred a denti stretti, “E chi ti manda?”
aveva aggiunto. “Ho mentito
solo perché Thumelicus mi è parso abbastanza
contrario all’idea di avere un
romano in giro!” aveva gridato Jason, spazientito. Fred aveva
riso, “Non è vero!
Hai cominciato da prima!” aveva stabilito il figlio di Gerd,
come se fosse
stato in giro tutto il tempo con loro e non chiuso nella sua stanza,
“Non mi
manda nessuno!” aveva dichiarato Jason, “E se sono
la causa di questo non ne
sono consapevole!” aveva strepitato. Realizzando la menzogna
nelle sue stesse
parole.
Ne aveva sempre avuto il sospetto – ma, in quel momento, ne
aveva la certezza.
Prima che Fred perdesse definitivamente il buon senso, la porta della
sua
stanza si era spalancata, “Per gli dei, che state
combinando?!” aveva
strepitato Astrid, comparendo sulla soglia.
Non aveva più la corona di fiori ed i capelli erano chiusi
nelle trecce,
indossava una pesante giacca di pelle, con il bordo di pelliccia e
sotto
calzoni da uomo.
“Mi assicuro non ci sia un altro Ned!” aveva
dichiarato Fred, pieno di rancore.
“Jason non è Ned!” aveva stabilito
Astrid sicura, “Chi è Ned?” aveva
chiesto
Jason, confuso.
“Il precedente inquilino di questa stanza. Era un figlio di
Loki, lavorava con
sua madre per provocare il Ragnarok.
Non lo
vediamo in giro da duecento anni ormai, presumo sia
scomparso” aveva spiegato
didascalica Madina, comparendo alle spalle di Astrid.
“Certo!
Infatti, non hai notato che letteralmente il destino ha cominciato a
dissiparsi
appena lui è arrivato. Lui che come tu mi hai detto
è arrivato senza un video?
Perfino Magnus Chase ne aveva uno, anche se contraffatto”
aveva stabilito Fred,
che per essere un eremita era ben informato.
“Jason non è un figlio di Loki venuto qui a
portare caos. Al massimo è vittima
di una cospirazione” aveva dichiarato Astrid calma,
“Presumo ad opera di mia
zia Thrud. Niente di questa storia è colpa sua, tranne la
cosa di Váli” aveva
spiegato subito, cristallina Astrid.
Jason l’aveva guardata, i suoi occhi verde-acqua erano
piantati su Fred, lui
aveva chinato il capo, “Non sei obbiettiva in questo
momento” le aveva detto.
“No” aveva risposto Astrid, poi aveva continuato
– stupendo probabilmente tutti
i presenti – “Non lo sono. Non lo sono per nulla
– ma non credo che Jason sia
responsabile. Guardalo, è palesemente sull’orlo di
una crisi di nervi. È qui da
tre giorni e gli è capitato di tutto” aveva
considerato lei. “Non mi sento di
contraddirla” aveva commentato Jason.
“Fidatevi!” aveva preso la parola Madina,
“Ho conosciuto Jason bene ed ho visto
come è” aveva considerato quella,
“Più trasparente del vetro soffiato”
aveva
detto.
“Il vetro soffiato non è molto
trasparente” aveva soppesato Fred, “Tutti hanno
diritto ai loro segreti” aveva dichiarato Madina, strizzando
l’occhio verso di
lui.
Jason aveva sentito il suo petto riscaldarsi,
“Grazie” aveva detto calmo, pieno
di amore e riconoscenza, “Ma Fred ha ragione. Tutto questo
è colpa mia” aveva
dichiarato alla fine.
Il figlio di Gerd non gli aveva concesso neanche un sorriso trionfale,
se
possibile il viso olivastro era impallidito, Astrid era diventata
ieratica e
l’espressione di Madina si era gonfiata di lutto,
“Ma ha ragione anche Astrid,
non è colpa mia” aveva considerato.
“O lo è o non lo è” aveva
insistito il monaco crociato.
“Io … credo che la mia presenza abbia scatenato
tutto questo, ma la mia
presenza qui non è dipesa da me. Questo intendo”
aveva considerato Jason.
Non poteva dirlo.
Aveva detto a Thrud e Kym che non lo avrebbe fatto – e
già Nico, Percy ed
Annabeth conoscevano la verità – ma iniziava a
chiedersi se le due avessero
avuto reale coscienza delle loro azioni. Erano dee e mai gli dei
pensavano a
lungo alle conseguenze delle loro azioni.
E per tenere quel segreto Kym aveva compiuto un massacro.
“Pensavo avessi detto fosse meglio non parlarne”
aveva cominciato Madina,
circospetta, “Non lo so più. Poco fa Fred ha detto
che prima del mio arrivo le
cose si erano fatte tranquille. Ed ora? Possono essere cambiate le cose
da anche
solo questa mattina?” aveva chiesto Jason.
Quella mattina si era svegliato a Jotunheim.
Aveva affrontato un gigante.
Aveva spaccato il cielo.
Aveva acquisito un nemico e scatenato un conflitto tra dei Romani e
Norreni.
Aveva rivisto i suoi amici – e li aveva messi in pericolo,
mortale.
Aveva scoperto fosse scomparso un dio.
Aveva affrontato un’Augusta romana – sorella
dell’Imperatore-Dio che l’aveva
ucciso.
Aveva assistito imponente ad una strage, fatta in suo nome.
Fred aveva scoperto tutto.
Si era seduto sul letto, stanco, quando il corno della cena aveva
suonato,
segno che la giornata ad Idavoll fosse conclusa e che ai Caduti fosse
concesso
il loro meritato pasto.
“Il Valhalla non è mai tranquillo. Andiamo a
cenare” aveva detto Astrid,
perentoria, “Qualsiasi discorso sarà meglio a
pancia piena” aveva concordato
Madina, tentando di risistemare il morale.
Jason si era alzato, Fred lo aveva guardato, con ancora diffidenza nel
suo
sguardo. “Qualunque sia la ragione: io non la ho
voluta” aveva detto,
guardandolo. Ed era sincero.
Era felice nei Campi Elisi, era felice davvero, così felice
da aver deciso di
non bagnarsi nel fiume Lete, non fino a che non avesse visto Piper e
Leo
palesarsi lì, con lui, in un lontano –
lontanissimo – futuro.
Il figlio di Gerd si era morso un labbro, poi aveva sospirato,
“Non ti conosco
abbastanza da fidarmi, pagano” aveva dichiarato alla fine.
Jason aveva annuito,
accettandolo.
Thumelicus
era già a cena, con Stellan dall’altro lato.
L’elfo aveva tolto l’elmo dei vivi
e stava bevendo con ingordigia una coppa di vino-e-miele, per
riprendere
colore.
Mel aveva sciolto la treccia, perciò capelli d’oro
chiaro, scivolavano su un viso
imbronciato. Le ferite dello scontro si erano assorbite totalmente,
sembrava
solo un’adolescente normale, con un venerdì girato.
Tra le mani aveva la spilla a forma d’aquila di Italicus.
Madina era corsa verso di lui schioccando un bacio sulla guancia,
“Spero non
sia per me, mi piacciono solo chincaglierie delicate e con motivi
floreali”
aveva dichiarato allegra, “È l’invito
per Folkvang” aveva risposto lui,
cercando di apparire divertente come sempre, ma con occhi vacui.
“Stai bene,
tesoro?” aveva chiesto Madina a disagio, quasi oscillando da
un piede
all’altro, prima che lui l’afferrasse per la vita e
la portasse in braccio sul
suo bacino e dandole un lungo bacio sulle labbra, ravanante
d’affetto.
Qualcuno nella stanza aveva fischiato impunemente.
Fred si era trascinato accanto a Stellan, così anche Astrid
accanto a lui.
Jason aveva preso posto sulla panca accanto a Mel, tenendosi ad una
certa distanza
se Madina avesse voluto accomodarsi su di essa, invece che sulle cosce
del
fidanzato.
Mel non lo aveva guardato.
“Bene portiamo quell’affare a Bragi, andiamo a
farci un giro a sodoma-e-gomorra
e poi recuperiamo quel cinghiale” aveva considerato Fred,
mentre una valchiria
si avvicinava verso di loro, con un piatto grande pieno di arrosto di
cinghiale.
Jason ci mise un momento per riconoscere i tratti eleganti ed un
po’ spigolosi
di Lagherta. Si era guardato intorno, osservando tutte le immortali
cameriere
della sala.
Non riconosceva da alcuna parte l’hjab verde pistacchio a
fiori rosa shocking
di Samirah, che immaginava fosse in cerca di Mimir, così
come Jason voltando
veloce lo sguardo, aveva potuto vedere che il tavolo di solito occupato
dal
tavolo diciannove, poteva contare della sua focosa rossa e del gigante
vichingo.
Aveva ripreso a guardare le valchirie.
Kráka stava versando da bere e scherzava con un uomo, ma tra
tutti i visi di
donne, il secondo che cercava – dopo Samirah – non
c’era.
Thurd.
“Bene, giovani sfortunati eroi, mangiate” aveva
cinguettato Lagherta, versando
delle sonore coppe di spezzatino nei loro piatti, “Ho sentito
che oggi hai
fatto il bis. Dopo i reali, sei andato a portare caos anche al piano
dei
romani” aveva cinguettato divertita la valchiria.
“Oggi i Romani, domani
Asgard” aveva scherzato Mel.
Lei aveva ridacchiato, prima di allungarsi verso l’altro
tavolo, ma Jason
l’aveva intercettata.
“Mia signora” aveva affermato,
“’Mia signora’ chiamaci tua madre, al
minimo io
sono ‘sua altezza’” aveva dichiarato la
valchiria, cogliendolo di sorpresa, “Scherzo,
puoi chiamarmi Lagherta, ha un bel suono e non lo sciuperai”
aveva ghignato
quella.
“Volevo … sapere dove fosse Thrud” aveva
ammesso Jason.
“Ovviamente a marinare i suoi doveri, come sempre. Lady Thrud
si nasconde
sempre dietro il fatto che è figlia del potente
Thor” si era lamentata
Lagherta, “Io non la vedo da … quando vi ha
portato da Kráka” aveva dichiarato,
prima di riprendere il suo servizio.
Jason aveva sospirato.
“Questo non ci aiuta per nulla” aveva detto Astrid,
giocando con un cubetto di spezzatino
con la forchetta.
Non avevano detto niente poiché Bragi, in veste di Odino,
aveva attirato
l’attenzione ed aveva dato il benvenuto ai nuovi arrivati.
“Spero si godano il cinghiale e l’idromele prima
che il tessuto di cui sono
composti i mondi si sfaldi” aveva considerato Fred con un
tono pregno di
sarcasmo, “Spero accada presto, ho bisogno di movimentare un
po’ la mia vita”
aveva scherzato Mel forzatamente.
Stellan aveva voltato gli occhi verso di lui ed aveva sillabata senza
emettere
suoni un: come-stai.
Jason aveva annuito, incerto di cosa volesse dire.
Aveva mangiato un po’ del suo spezzatino, nonostante sapesse
fosse ottimo,
sulla sua lingua sapeva di cenere. Aveva cercato con gli occhi per la
sala,
cercando ancora, inutilmente, Thrud, quando aveva trovato qualcuno
guardarlo.
Non lontano, Freydis – in quel momento – giovane
con la pelle liscia come una
pesca ed i capelli biondi sciolti, lo guardava mentre sbocconcellava
del cibo.
Al suo fianco c’era Einar padre-di-Astrid spettrale come
sempre. Lui sembrava
indossare l’espressione più infelice del mondo,
meno la donna, che stava lì
come una gatta sorniona.
“Freydis ha avuto le sue mele” aveva dichiarato
Jason.
“E allora? Hai detto tu stesso che poteva averle”
aveva chiesto Mel, il suo
tono era sembrato seccato. Questo aveva attirato lo sguardo degli
altri. “Ieri
non le aveva – ci ho pensato solo ora. L’altro ieri
aveva cercato di andare a
prenderle ma non c’era riuscita” aveva raccontato.
“Quindi il piano che avevi avuto era stupido? Oh,
wow” aveva commentato Mel.
“Bene, mi pare di aver capito che qualcuno ha scoperto che ti
inginocchi
davanti all’idolo di un’Aquila” aveva
sogghignato Fred.
“Stercore! Non ci credo che lo sapeste
tutti” aveva commentato spento
Mel, “Io lo ho scoperto con te” aveva squittito
Stellan, “Io probabilmente dopo
di te” aveva ammesso Fred, sollevando le braccia.
“Oh, potente Thor, per i primi due giorni girava con la
scritta SPQR in bella
vista” si era giustificata Astrid. Mel era arrossito pieno di
vergogna. Jason
aveva guardato il suo braccio scoperto in quel momento, senza
particolare remora.
“Io lo ho scoperto oggi” aveva ammesso Madina,
“Era dovere di Jason dirti la
verità” aveva sottolineato.
“Pensi che Freydis possa entrare qualcosa con tutta questa
storia?” aveva
domandato invece Astrid, mentre lasciavano Mel ad elaborare la notizia.
C’era
qualcosa di rigido nella voce della skraelinger.
“Non lo so, non la conosco. Solo che …”
Jason si era morso un labbro, non lo
sapeva, aveva guardato Astrid, “Mi stai chiedendo se la donna
che mente,
inganna e sfrutta la gente da duemila anni può essere
coinvolta in un divino
furto? Può darsi ma se Freydis voleva le mele
d’oro e basta?” aveva chiesto con
un’onestà quasi disarmante l’altra.
“Però è vero che ci sta
guardando” aveva commentato Madina, “Conoscendola
avrà
fatto una qualche scommessa sulla nostra esistenza” aveva
chiuso il discorso
Astrid.
“Vado a consegnare questo a Bragi” aveva dichiarato
Mel, mostrando la sua
spilla, Madina si era sollevata per permettere al fidanzato di
scivolare via.
Stellan si era voltato subito verso Jason, “Non ha detto una
parola da quando
siamo andati via” aveva dichiarato, “Ma cosa
è successo?” aveva domandato
Astrid, allora, notando per la prima volta come era tesa
l’aria, forse.
“Abbiamo affrontato la sua sorella di Latte” aveva
risposto per lui Stellan,
“Parlare della sua famiglia e della sua vita prima della
morte, rende Mel
sempre nervoso. Specie ora che stiamo per incontrare suo
cugino” aveva cercato
di giustificare Madina.
“No, è arrabbiato perché ha scoperto
che sono un romano, figlio di Giove ed
ex-pretore di Nuova Roma” aveva dichiarato Jason con un tono
basso, perché
quella confessione – ormai priva di valore perché
nota all’intero tavolo – non
superasse le loro orecchie.
“Digli che hai combattuto contro il Triumvirato”
aveva detto Madina, gentile e
comprensiva, posandoli una mano sulla spalla.
Certo, lo aveva detto anche Agrippina, avrebbero potuto riunirsi
sull’odio
verso l’imperatore Caligola, che a questo punto, visto la
vicinanza con la
madre di Nero, Jason immaginava anche lui dovesse averlo conosciuto. Un
brivido
lo attraversò, “Siete andati a San Francisco per
Caligola” aveva detto,
sottovoce, mentre occhieggiava Mel al tavolo principale, dove era Bragi
con i
Thenn.
Uno di loro, si accorse Jason, con spaventoso ritardo, somigliava a
Mel, lo
stesso biondo chiaro e viso bello – ma anche terribilmente
più famigliare. Thumelicus
figlio di Harmin, così lo aveva chiamato Boedicca,
che risiedeva al piano
dei Re.
“Sì anche” aveva ammesso Madina,
“Gli imperatori Dei hanno riportato in vita
molti germani, galli ed altri nel corso del tempo per riformare il loro
esercito ausiliare, ogni tanto son venuti a pescare anche da queste
parti.
Ovviamente non Caligola, lui preferiva automi e mostri vari, ma voleva
parlare
con Mel. Non so cosa si sono detti” aveva sussurrato
– Jason era abbastanza
certo stesse mentendo – “Ma è
così. Dopo La Battaglia alla Baia, siamo andati a
tributare gli onori ai germani caduti due volte, ma io so che voleva
farlo
anche per Caligola. Come ti ho detto, certe catene non scompaiono
mai” aveva
ripetuto.
Jason aveva annuito.
Ovviamente se era stato cresciuto con Agrippina – coetanei
– Caligola aveva
vissuto con loro, nella stessa casa, doveva averlo visto crescere, lo
aveva
anche fatto frustare, ma doveva essere il suo domino. Ricordava Jason,
quando
aveva parlato dei sogni, come Mel avesse detto fosse rimasto
imbrigliato nella
vita di Gaio Iulio.
Agrippina Minor era nata a ridosso con le campagne germaniche di suo
padre –
dove Caligola si era guadagnato il suo tenero
nomignolo – così come
doveva aver fatto Thumelicus. Erano nati ambedue nel quindici dopo
cristo,
circa, se Jason avesse aggiunto i sedici anni che Agrippina aveva detto
Mel
avesse, avrebbe portato la data di morte del suo amico al trentuno.
Anno della morte di Seiano, per mano dell’Imperatore Tiberio
… e l’ingresso di
Caligola a Capri. O almeno Jason pensava di ricordare. Aveva studiato
quelle
cose, ricordava, il tempo, come rarefatto nella sua memoria. Lui,
Dakota, Gwen
ed un sacco di Dr. Pepper per non addormentarsi.
Una vita che somigliava sempre di più ad un sogno.
Mel era
tornato con l’espressione più truce del mondo,
scivolando silenzioso al fianco
di Madina, “Bragi ha detto che levato il desco, potremmo
partire, sta
disponendo un mezzo” aveva chiarito subito. “Spero
ci facciano cavalcare
cavalli di vento” aveva esclamato Stellan, subito, con un
sorriso allegro sulle
labbra, attirando l’attenzione di tutti. “Scusate,
io … mi piacerebbe un sacco”
aveva ammesso. Jason aveva sorriso verso di lui, “Devo dire
che è una cosa
molto piacevole” aveva raccontato.
In quel momento stavano guardando tutti lui, “Puoi evocare i
venti?” aveva
chiesto Astrid, confusa, quasi, “Sì avevo un
cavallo di vento di nome Tempesta”
aveva detto pieno di dolcezza.
Non aveva idea se avesse potuto evocarlo ancora. L’ultima
volta che aveva
evocato i venti avevano risposto dei Lupi. Erano figure positive per
lui, Lupa
era madre di Roma, ma non in quel Pantheon.
“Fantastico, recuperato il cinghiale, Jason
porterà tutti in giro su cavalli di
vento” aveva esclamato Madina, con un tono di voce sprizzante
di divertimento,
ma la sua allegrezza non aveva contagiato il resto del tavolo.
“Finiamo di mangiare e muoviamoci” aveva detto
tetro Mel.
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Capitolo 19 *** Stellan si accende come una lampadina due volte, che non è molto, ma è strano che sia successo due volte ***
RLandH
dove
eri finita?
Ho passato le ultime settimane o a scavare quaranta-gradi
all’ombra (senza
ombra) come una talpa o a identificare ceramica romana (spoiler non
sono
esattamente bravina in questo campo), quindi semplicemente sono cotta.
Poi sono
tornata a casa ed ho ripreso a lavorare. VIVA ME.
Ho usato ogni momento libero per scrivere questo capitolo e, bho,
cioè è finito
così, non so se è bello o brutto.
La situazione sta delirando un po’, al punto che il titolo
originale era: La
situazione nel frattempo è delirata, seguito dal secondo
titolo, che forse
avrei preferito: ‘EX on the FIELD’
Edizione Folkvang, che un riferimento
al programma trashissimo “Ex on the Beach” per
questo in inglese (anche in
italiano si chiama così), di cui, spergiuro, non ho visto
neanche un episodio
(nonostante io non sia manchevole nei programmi trash). Poi dopo un
edificante
conversazione con LarcheeX (se siete fan di Inuyasha vi prego leggete
le sue
storie) ne mezzo di una stazione, si è optato per questo.
Ringrazio di cuore Farkas perché perde ancora tempo a
recensire questo piccolo
delirio, che finalmente posso dire, con gioia, aver cominciato la sua
parabola
finale.
Un bacio e buona lettura, lascio due disegni infondo.
RLandH
Stellan
si accende come una lampadina due
volte, che non è molto, ma è strano che sia
successo due volte
“Benvenuti
sulla Glamexpress, qui parla Glam”
aveva dichiarato una voce
piuttosto allegra, alzando anche le braccia come segno di saluto.
Era una ragazzina, Jason non le avrebbe dato più di quindici
anni, con un viso
tondo, i capelli lunghi fino alle spalle di un eccentrico turchese.
Indossava
un paio di pantaloncini rosa, lunghi fino a mezza-coscia, con le
sneakers
abbinate. La maglietta era colorata con una scritta piuttosto vivace: Han
Solo spara per primo!
“Sono confuso” aveva dichiarato Mel ad alta voce.
“Tu … Lei è una Disir” aveva
commentato a mezza-bocca Jason, ricordando le dee
trasportatrici di anime, con i loro mantelli oscuri come la notte ed i
cavalli
di ossa, eppure c’era quella con i capelli pastello, che li
aveva salutati.
“Sì, amici miei. Lei è
Glaumvör, una delle dìsir.
Non ero sicuro che le valchirie avrebbero potuto ricevere il permesso
di
spostare anime dal dominio di Odino a quello di Freya. Una valchiria
che ufficialmente
come valchiria
porta un’anima da un oltretomba all’altro potrebbe
creare un pericoloso
precedente, secondo la mia adorabile matrigna” aveva spiegato
Bragi.
Jason aveva sentito ogni nervo del suo corpo tendersi a quel commento,
“Ma le dìsir,
in quanto, anche dee del destino, possono essendo al disopra di
tutto” aveva
commentato didascalico e rispettoso Bragi.
La piccola dea aveva sorriso, “Preferisco Glam” si
era presentata questa, “E
sarò felicissima di scortarvi!” aveva ridacchiato.
Nonostante il tono pieno di giocosità e divertimento di
quest’ultima, la stanza
si era fatta insostenibilmente più pesante.
Jason non ne aveva avuto l’impressione la prima volta che le
aveva viste –
forse solo una sensazione – ma aveva accomunato le
dìsir alle valchirie, le
devote di Odino, ora realizzava fossero creature ben al di
là, erano vere e
proprie signore del destino.
“Quanto sarebbe problematico come precedente?”
aveva chiesto con gentilezza
Madina, il suo tono sembrava disinteressato, ma i suoi occhi tradivano
tutta la
sua insicurezza. Jason non aveva detto quella parte della storia, non
esplicitamente, ma Madina doveva aver dedotta il resto della storia da
sola –
d’altronde aveva scoperto che Jason era morto da mesi.
Bragi aveva sollevato le spalle, “Ah non saprei
sull’immediato. Ma immagino che
molti, potrebbero appellarsi a questo per cercare di cambiare
paradiso” aveva
cominciato Bragi, “O i vivi potrebbero corrompere le
valchirie, quelle ancora
mortali, per cambiare luogo ai propri cari” aveva considerato
Astrid, “Oh, sì,
ti prego, facciamolo così posso andare all’inferno
che dico io” aveva
considerato Fred, guadagnato una spallata dalla sua buona amica.
“Oh! Ymir Marcescente! Speriamo proprio
di no! Se già lo spostamento di
un’anima da un nostro mondo all’altro sarebbe
tragico, ma se le valchirie si
mettessero a spostare anime tra un aldilà e
l’altro di diversi Pantheon
potrebbe divenire la miccia di un vero conflitto” aveva
considerato il dio
della poesia.
Jason si era fatto rigido come una spada, anche Madina aveva strozzato
un
singulto, guadagnandoci un’occhiata dal suo fidanzato.
“Per evitare questa spiacevole situazione, me ne
occuperò io” aveva dichiarato
Glam, invitandoli verso l’Ascensore per seguirla,
“Ti prometto mio buon Bragi
che li riporterò qui entro ventiquattro ore
asgardiane” aveva aggiunto.
“Andiamo” aveva detto alla fine Fred, essendosi
tolto dalla testa l’idea di
essere portato in un inferno di fuoco e dolore, “Togliamoci
questo dente.”
“Buona fortuna mie prodi eroi, gli dei vi sono grati per il
vostro contributo”
aveva detto Bragi quando li aveva congedati,
“Scriverò dei versi in vostro
onore.”
“Questo mi sembra piuttosto famigliare” aveva
commentato a mezza-bocca Jason,
ricordando ciò che aveva subito nel corso della vita, per
smorzare l’aria,
cercando di soffocare l’immagine che Bragi aveva aperto nella
sua mente.
Dei celesti, Thrud e Kym!
“Sì, ma io non ho mai avuto una canzone personale,
vorrei qualcosa come: Madina
Ullrdottir La Coraggiosa” aveva raccontato con il suo solito
tono felice
Madina, ma con una voce un filino troppo acuta, prendendo la mano del
suo fidanzato,
“Che ne dici di Madina La Sconsiderata?” aveva
commentato a mezza-bocca Fred –
era stato ignorato a pie-pari.
Mel non si era
ritratto dal gesto della
fidanzata, “Io sono finito negli Annali di Tacito,
conta?” le aveva chiesto,
“Be, probabilmente è più di quanto
avrò mai io” aveva considerato Fred.
“Tranquillo Fred, con la mia incredibile abilità
nel fare rime baciate scriverò
la canzone di Fred il Rompiscatole” lo aveva preso in giro
Astrid, “Parla
quella che è stata tagliata fuori dalla Vinland
saga”
aveva replicato il monaco.
Le porte dell’ascensore si erano chiuse, mentre Glam
cominciava a digitare
tasti – probabilmente non – casuali dei piani.
“Il mio fratellastro ha scritto una canzone tragica per il
mio funerale” aveva
commentato Jason, l’aveva ascoltata dalla playlist di Spotify
della dea
Melione, molto toccante.
La dìsir aveva fatto saettare lo sguardo incuriosito verso
Jason.
“Mi ricordate i vostri nomi? Passano un sacco di persone
sotto il mio sguardo”
aveva commentato Glam alla fine.
Si erano presentati, incerti, mentre le porte dell’ascensore
con un sonoro
‘ding’ si apriva sul nulla cosmico.
“Jason Grace, hai detto? Molto interessante!” aveva
esclamato quella.
“Interessante?” aveva chiesto Jason pieno di
preoccupazione.
“Attenti ai piedi, o potreste cadere nel nulla cosmico
… cosa che a questo
punto non so cosa potrebbe comportare” aveva dichiarato Glam,
uscendo per prima
dall’ascensore, ignorando la domanda che le era appena stata
posta, solo allora
Jason si era accorto che davanti a loro, c’era un grosso
ramo, con un diametro
di almeno due metri, dalla corteccia grande, nodosa, di un colore
castano
vibrante d’oro. Quando erano usciti tutti, tenendosi in fila
indiana,
aggrappati alla maglietta della persona di fronte – a Fred
era capitato
l’ingrato compito di reggersi alla dìsir., Jason
aveva avuto il coraggio di
guardare il mondo davanti a lui, c’erano rami, infiniti ed
eterni altri rami che
si dipanavano e perdevano nel nulla, come grosse autostrade di legno,
tutti
però, come raggi sbilenchi si riunivano al tronco, che da
quella distanza a
Jason pareva solo un muro eterno alto di cui non si vedeva la cima ne
il fondo.
“Lo Scoiattolo?” aveva chiesto Astrid, con un certo
nervosismo. Jason sapeva
dello scoiattolo maledicente che poteva entrare nella tua mente e
tormentarla
con verità scomode e menzogne.
“Oh! Tranquilli quel birbante non ci proverà
affatto ad avvicinarsi a me” aveva
detto Glam con tranquillità. Jason aveva visto la schiena di
Mel, davanti a
lui, irrigidirsi come fosse fatto di ferro.
“Stellan Brighstide, giusto?” aveva chiesto Glam,
da capofila, l’elfo aveva
avuto un singulto, “Sì, certo!” aveva
detto con un nervosismo ben netto, “Sei
per metà un Liósálfar,
giusto?” aveva chiesto la dea.
“Sì” aveva risposto pieno di vergogna il
ragazzo. Jason non aveva mai sentito
quel nome prima, “Vorrei che tu passassi avanti?
Riesci?” aveva chiesto con
gentilezza. “P-posso” aveva detto Stellan, ma le
sue parole sembravano
profondamente incerte.
Astrid si era fatta da parte, mentre Madina lasciava la presa sulla
salopette
dell’elfo, così il ragazzo aveva cercato di
scavalcare prima la nipote di Sif,
poi Fred, aveva quasi preso la mano della Dísir, quando era
scivolato su una
parte curva e ripida del tronco ed era quasi caduto, a salvarlo era
stato il tempestivo
intervento della dea stessa e dei venti di Jason, che si erano mossi
prima
ancora delle sue mani.
Nessuno aveva detto nulla.
“Calmo, calmo, va tutto bene” aveva sussurrato
dolce Glam, tenendolo
saldamente.
Stellan aveva ricambiato la stretta della dea, aggrappandosi a lei con
una
morsa serrata.
“Va meglio, ora?” aveva chiesto con gentilezza la
disir, “Sì, si” aveva ammesso
rincuorato Stellan, “Va bene, passeremo per i mondi bui, a me
non fa effetto,
ma temo che un’oscurità profonda come quella del
nulla cosmico potrebbe avvilirvi.
Questo luogo, infondo, non vi appartiene. Quindi, ho bisogno che tu
rischiari
questo scuro mondo, con la tua magia, che tu dia un calore
paliativo” aveva spiegato
calma.
“Cosa sono i Liósálfar?”
aveva chiesto Jason calmo, alla persona a cui era
aggrappato: Mel, perché la sfortuna era sempre sua amica.
Mel si era voltato di profilo, con gli occhi verde oliva, ancora
collerici,
“Dovrei …” aveva cominciato,
“Ricordati che le missioni mortali non ammettono
ignoranza, amore” lo aveva richiamato, con un tono carico di
gentilezza Madina,
“Sono gli elfi della luce” aveva sbuffato Mel.
“Pensavo che tutti gli elfi fossero elfi della
luce” aveva considerato Jason,
“Se così fosse non avrebbero bisogno di questa
denominazione, no?” era stata la
pigra risposta di Mel.
“Senti” aveva detto Jason dopo un sospiro,
“Amico, mi dispiace tantissimo di
non averti detto che sono un Romano figlio di Giove” aveva
ammesso, “Non
dimenticare ex-pretore” aveva considerato Thumelicus.
“Sì, scusami. Non sono stato corretto”
aveva ammesso Jason; “Ma mettiti nei
miei panni. Sono nell’aldilà
vichingo…” era stato interrotto da Mel stesso, che
aveva replicato: “E hai finto di essere un mortale scemo come
un altro”; “Quello
me lo ha detto Thrud. Forse si è accorta sia stata una cosa
stupida raccogliere
la mia anima, che dovevo finire non so nelle Isole Beate, nei Campi
Elisi o
degli Asfodeli” aveva insistito lui.
Mel aveva cercato di guardarlo, dandoli un profilo velenoso, ma gli
occhi
cominciavano ad essere un po’ meno scuri. Una parte di Jason
avrebbe voluto
dire a Mel che neanche lui era stato del tutto sincero, certo aveva
detto di
essere un guerriero cheruscio, ma non aveva mai detto tutto il resto
– incluso
suo cugino o che la sua sorella di latte fosse la dannata Agrippa
Minor. Ma non
era giusto si rese conto, “Amico, mi dispiace. Quando ho
capito che eri un
gladiatore e quanto odiassi Roma, ho avuto paura. Anche
perché io amo Roma, non
tutta e non tutta insieme, per i miei amici sono molto più
greco. Ma sono
sicuro di una cosa: la Roma che amo non è la stessa che odi,
sono passati
duemila anni ed altri tanti regni, imperi e sovrani. A Nuova Roma non
ci sono
schiavi, di nessun genere, non ci sono gladiatori né
combattimenti all’ultimo
sangue. Anzi se vuoi sapere l’ultimo ludo che ho visto sono
stato costretto io
a parteciparci, con un mio amico, contro due giganti” aveva
spiegato.
“La tua Roma è la Roma di Augusto, Tiberio e
Caligola – e, fidati, quelli che
sono venuti dopo non sono migliori. Ma la mia Roma è la Roma
di Reyna, Frank,
Dakota che sono persone meravigliose” aveva ammesso,
“Ed, ecco, se non cadiamo
nel nulla cosmico, spero tu possa perdonarmi, anche perché
si prospetta una
vicinanza piuttosto lunga” aveva aggiunto.
“Con una capacità dialettica così
pessima sei riuscito a diventare Pretore di
Roma?” aveva chiesto retorico Mel, sembrava una battuta, una
battuta alla Fred
che stonava sulle labbra di Mel, ma era comunque una battuta.
“Lasciavo a
Reyna l’incombenza di scrivere i discorsi, io ero il braccio
armato e lei la
testa” aveva ammesso Jason, con un sorriso gentile, anche se
Reyna avrebbe
potuto essere ambedue senza problemi, “Infatti, dopo di me,
si è beccata altri
tre pretori.”
“Wotan, che imbarazzo. Ricordo che Caio Iulio passava un
sacco di tempo da
ragazzino a provare discorsi da megalomane in camera sua”
aveva considerato
Mel.
“Oh, devo dire che è diventato davvero bravo. Sul
serio, spaventoso” aveva
aggiunto Jason, un lieve sorriso complice aveva attraversato i due
ragazzi, ma
era stato breve le labbra di Mel erano tornate dritte e gli occhi cupi.
“Oh!
Mon
Deu!” aveva esclamato Fred, prima di
un’altra serie di improperi in
francese che Jason non aveva compreso, ma aveva invece individuato
ciò che lo
aveva sconvolto.
Stellan era luminoso, di una luce bianca e fredda – non
sapeva perché ma aveva
immaginato che la sua luce avrebbe dovuto essere calda – ma
non era quello che
attirava l’attenzione, ma la cosa a cui era accanto.
Era l’unico punto di luce in quel buio pesto, ma il ramo su
cui era una
biforcazione più piccola di un altro, ben più
grande, enorme, come
un’autostrada a sette-corsie, che doveva essere collegata
direttamente al
tronco, parcheggiata, come se fosse stato un posteggio, c’era
un destriero da
incubo.
Un enorme cavallo fatto di ossa e mantato di oscurità,
agganciato ad un carro
nero come l’ossidiana, scoperto sulla cima, con due ruote,
oscure, con i raggi
fatti di ossa, abbastanza spazioso per ospitarli tutti e sette.
“Lei è la mia Judy” aveva detto Glam con
orgoglio, con gli occhi luccicanti pieni
di amore, accarezzando il muso del cavallo. Jason aveva pensato alla
grossa
signorina O’Leary.
“Bene, Stellan caro, sali sul carretto, la tua luce
terrà illuminato l’ambiente
ed i tuoi amici saranno al sicuro. Io siedo sul cocchio
davanti” aveva
dichiarato Glam spingendo leggermente l’elfo, “Chi
di voi mi farà da copilota?”
aveva domandato gentile, Jason aveva ponderato la cosa e quando Madina
aveva
fatto scattare la sua mano in cielo, l’aveva fatto anche lui,
anche Mel li
aveva imitati subito.
“Oh! Così tanti volontari” aveva
esclamato estasiata la dísir, “Ma credo
prenderò il giovane monaco” aveva detto, battendo
una mano sulla spalla di
Fred, “Noi due abbiamo un po’ di cose di cui
discutere” aveva considerato
quella, “Ah sì?” aveva chiesto il figlio
di Gerd, privo della sua abituale
pesantezza emotiva a favore di genuina confusione,
“Sì, sì, di quella volta che
ho quasi raccolto la tua anima a Costantinopoli, ma tu sei rimasto
stoicamente
in vita” aveva commentato a mezza-bocca quella, mettendoli
una mano sulla
spalla.
“La mia anima è stata raccolta da una valchiria di
nome Tomris” aveva
considerato Fred, con una leggera acredine nella voce; “Oh,
sì, ma è una storia
molto più divertente” aveva scherzato Glam.
Stellan era
salito sul carro, seguito da Madina, dritta con un balzo, Mel le era
stato
dietro immediatamente, pronto a riprenderla se fosse caduta, poi si era
issato
su anche lui.
Astrid si era voltata verso Jason, facendo oscillare le trecce nere,
“Come va
con il nostro germano preferito?” aveva chiesto,
“Ho notato una certa tensione,
ma anche un paio di risate.”
“Be, va bene direi: Fred mi odia, Mel mi odia e tu sei
arrabbiata con me” aveva
scherzato lui, “Almeno ho Madina e Stellan” aveva
aggiunto.
“Nah, non sono arrabbiata con te, te lo ho detto. Hai fatto
un casino con Váli
ma è anche colpa mia che ti ho spalleggiato, come
ho detto: difetto mortale. Inoltre, se tu non avessi salvato
l’altro Váli, tu e
Madina sareste permanentemente morti” aveva commentato
Astrid, salendo sul
carro e guardandolo, “E mi piace avere intorno Madina, rende
il mondo un posto
leggermente più colorato. Riguardo a Mel, gli
passerà, è una persona troppo
buona per odiare arbitrariamente qualcuno solo per chi è e
Fred … odia tutti,
indiscriminatamente” aveva aggiunto.
Jason l’aveva raggiunta.
“Lo sai, vero, che Fred vi ama tutti?” aveva
chiesto retorico Jason, “Sì, ma
non glielo dire, gli permettiamo di vivere nell’illusione che
pensiamo ci odi
tutti” aveva scherzato lei.
Jason le aveva sorriso, “Ti prometto che usciremo fuori
dall’Holmagang da
uomini liberi” aveva considerato lui, Astrid lo aveva
guardato, “No,
probabilmente no, ma ci proveremo” aveva risposto lei.
Era stupido, ma gli era mancato parlare con Astrid.
Glam aveva dato una sferzata alle briglie e la sua Judy aveva preso la
corsa
sul nulla, loro erano stati colti all’improvviso da un
singulto, che gli aveva
quasi fatti ruzzolare orizzontalmente, e poi erano partiti alla
velocità, nel
nero, tra i rami, le bestie e l’infinito.
Jason vedeva
piccole luci sottili, “Quelli sono i mondi, credo”
aveva raccontato Astrid,
mentre Madina si sollevava per sporgersi ed osservare meglio tutto,
sostenuta
dal suo fidanzato se avesse avuto la sgraziata idea di cadere di sotto.
“Non
sono nove” aveva considerato Jason, “Certo, i rami
portano a diversi, diversi,
portali nei nove mondi” aveva spiegato Astrid, “E
tu ti sei arrampicato sul Yggdrasil
da solo?” aveva chiesto Jason, ammirato, a Stellan.
Pensando a come lo aveva visto controllare i rami, “Oh,
sì, sono un
giardiniere, possiedo l’alfseidr” aveva
considerato, “E sei mezzo- elfo della
luce, qualsiasi cosa significhi” aveva commentato Jason.
“Tutti gli elfi sono
elfi della luce” aveva risposto Stellan calmo.
Jason si era voltato
verso Mel, un po’
in cerca di spiegazioni, un po’ ricordando la conversazione
che avevano avuto
in precedenza; “Se vuole che segua questo dogma non lo
contraddirò” aveva risposto
Mel con una leggera incertezza sulla voce. Lui aveva deciso di annuire,
dopo
tutto il discorso fatto sembrava stupido mettersi a pontificare su
quello. Lo
sguardo sul viso dell’elfo si era fatto vacuo, arrivando a
distogliere gli
occhi per destinarli al nulla cosmico.
Il figlio di
Giove si era voltato verso Astrid, “Pensavo di aver risolto
con elfi, elfi
oscuri e nani” aveva rivelato lui, con un leggero imbarazzo.
La skraeling aveva
fatto roteare gli occhi, “Sono nell’Edda in Prosa,
l’altra” aveva spiegato poi
pratica, prima di continuare dopo aver avuto un segno
d’assenso da Jason,
“Esistono i dvergar che sono i nani, gli
Elfi Oscuri, i Svartálfar,
nani ma discendenti di
Freya, poi ci sono gli alf, elfi, la maggior-parte
sono efli della luce,
ma esistono anche Dökkálfar gli
elfi neri, che no non sono elfi oscuri”
aveva terminato
Astrid.
Un solido minuto era intercorso tra loro.
“Penso dovrò prendere degli appunti”
aveva spiegato Jason, con un certo
imbarazzo.
Astrid aveva scosso le trecce nere, “Oh, tranquillo, questa
cosa non è chiara
neanche a loro e a gli elfi, che sono un bel po’
perfezionisti e forse un po’
razzisti, piace far finta di nulla” aveva raccontato lei,
calma.
Un pensiero, dopo quell’ultima nota, aveva attraversato la
mente di Jason:
mezzo- Liósálfar, voleva dire metà di
qualcos’altro? Era lì, il vero problema?
Judy di
tanto in tanto posava i piedi su qualche legno, facendo sobbalzare il
carro e
cadere loro. “Oh cielo divino, il tronco!” aveva
strillato Madina, indicando
qualcosa, erano vicini alla corteccia centrale, del grande albero del
mondo,
ancora, davanti a loro si apriva un muro di legno esterno, solo che da
così
vicino, non aveva né fine ne inizio anche lateralmente. “Ti fa
sentire infinitamente piccolo” aveva considerato
Mel esterrefatto. “Ma no! Intendo dire che a Jason ed Astrid
servono dei legni,
giusto?” aveva considerato la ragazza, recuperando il punto.
“Me n’ero quasi
dimenticata” aveva considerato Astrid, guardando anche lei il
tronco.
Sia Astrid, sia Mel avevano ragione: anche lui aveva dimenticato quella
piccola
condizione per la sfida – quattro legni che dovevano essere
raccolti da loro –
ed il fatto che il tronco dell’Yggdrasil fosse davvero
così enorme e potente da
lasciare senza fiato. Appariva anche così l’Olimpo?
Qualcosa di così mastodontico da farti percepire
immensamente piccolo?
“Ragazzi
reggetevi,
brusca virata!” aveva squittito la dea, attirando nuovamente
la loro
attenzione, prima che la cavalla scendesse, improvvisamente, in
picchiata,
accompagnata da un urlo poco virile di Fred.
E poi erano stati invasi dalla luce.
Una luce diversa.
Quasi sbagliata.
Calda, forse troppo, annebbiante.
“Il Glamexpress finisce la sua
corsa!” aveva esclamato la Dísir.
Jason aveva messo a fuoco il mondo davanti a lui, era come una
gigantesca
Idavoll, solo più bella, campi d’oro e verde, con
alberi da frutto, pace.
L’aspetto che un glorioso doveva avere.
Fiori di ogni tipo.
Tutto di una bellezza travolgente.
E luce, “Se dovessi nascondere un verro luccicante, questo
sarebbe il luogo
giusto” aveva considerato Madina, “Non si noterebbe
per nulla con tutta questa
luce”.
“Questo è il giardino
dell’Eden?” aveva chiesto Fred, scivolando
giù da
cocchio, “No, sciocchino!” aveva cantato una voce
femminile.
Si erano voltati tutti, per vedere chi aveva parlato.
Jason era rimasto senza fiato, il primo pensiero era stato: Venere. Ma
Venere
aveva sempre qualcosa di qualcuno, gli occhi
iridescenti di Piper, il
sorriso divertito di Thalia, i biondissimi capelli di Annabeth, le
movenze
gentili di Hazel ed era un continuo puzzle di tutte le donne a cui era
stato
legato, la donna davanti a lui era semplicemente splendida, in una
maniera
superba, senza possibilità di difesa.
Alta, flessuosa, dalla pelle d’ambra, i capelli biondi,
imbevuti del sidro del
sole, ed un sorriso smaliziato, composto la labbra piene e denti
perlacei
perfetti; indossava un prendisole bianco, con le spalline sottili e la
gonna
corta che scopriva le cosce. Alle orecchie, tonde, perfettamente
uguali,
piccole e graziose, scintillavano orecchini dalla forma di gatti.
“Giovani Einerjar lei è la divina
Freya!” si era apprestata subito a introdurla
Glam, “Non che fosse necessaria la presentazione”
aveva aggiunto, prima di
elencare i loro nomi.
Freya si era mostrata abbastanza interessata a Thumelicus, ma tutte le
sue
attenzioni erano finite su Fred, appena Glam aveva pronunciato il suo
nome.
“Il bastardo della mia cara sorella acquisita”
aveva commentato Freya e tutta
la sua eleganza era scomparsa, succhiata in un gelido freddo.
“Sì” aveva squittito
Fred, cercando di non guardare troppo la dea, “Hai suoi
stessi occhi da
pes-occhi gentili” aveva detto la dea senza dolcezza,
“Grazie mia signora”
aveva risposto Fred incolore.
“Perfetto, mia signora, io mi congedo, verrò a
riprenderli tra ventiquattro ore
midgardiane” aveva concesso la dísir,
“Certo, ovviamente Glam se per quell’ora,
qualcuno di loro sarà rimasto qui; di al caro Odino che li
considererò
acquisiti al mio dominio. Si è preso Magnus, mi deve ancora
qualcosa” aveva
soffiato la dea.
“L’accordo non mi sembra così male, qui
è bellissimo” aveva considerato Madina,
“Probabilmente verrei ucciso tutti i giorni solo per rendere
felice la dea” aveva
detto Fred.
Stellan che era rimasto in silenzio tutto si era fatto rigido, Jason
l’aveva
visto incerto, cercare con lo sguardo Mel, da che era arrivato nel
Valhalla era
la persona con cui aveva stretto di più, ma il germano aveva
uno sguardo di
ferro rivolto fuori.
“Potrebbe non essere così semplice, ma
lascerò a voi due signori queste
quisquiglie” si era congedata con quelle parole Glam.
“Bene ragazzi, immagino
avrete già cenato, ma mi sono
permessa di organizzare una festa per l’arrivo di Thumelicus
figlio di Harmin,
cugino di Italicus re dei Cherusci” aveva dichiarato la dea,
posando lo sguardo
su tutti loro.
“Ne siamo immensamente riconoscenti, mia signora”
aveva detto Astrid con
gentilezza e posatezza, chinando il capo, assecondata da tutti loro.
Freya aveva sorriso, “Snorri vi aiuterà a
sistemarvi” aveva chiocciato la dea,
prima di farsi da parte per far bassare un baldo vichingo.
Jason aveva pensato immediatamente allo Snorri dell’Edda, ma
l’uomo viveva tra
i Thenn nel Valhalla, sedendo alla tavolata di Odino.
L’uomo davanti a loro era molto diverso, alto e spesso, con
una lunga barba bianca
con striature di grigio, stretti in una treccia, così era
per i capelli. La
possanza del corpo si era piegata con il tempo.
Era ansiano, ma ancora vigoroso, a modo suo.
Forse era semplicemente un altro caso di omonimia.
Astrid aveva emesso un singulto, prima di correre verso Snorri, sotto
cui i
baffi spessi si era aperto un sorriso, pieno,
“Astrid!” aveva detto pieno di
gioia, anche la ragazza lo aveva chiamato.
S’erano abbracciati.
“Dei come sei bella, così tragicamente
giovane!” aveva detto lui, con una voce
a metà tra la gioia pura ed il dolore, “E tu
invece sei un vecchio bacucco! Che
gioia vederti così vecchio” aveva ammesso lei.
Allora Jason aveva capito e si era sentito stupido per non averlo fatto
subito.
Nel Valhalla, così come doveva essere a Volkfang, si
giungeva con l’aspetto
della propria morte. Astrid, come Jason, Fred e gli altri doveva essere
tragicamente morta giovane, il suo amico invece doveva aver avuto una
lunga
vita.
Astrid l’aveva preso per mano, “Loro sono i miei
amici” aveva detto elencandoli
tutti per bene. Anche Stellan, era diventato viola come un mirtillo
quando si
era sentito apostrofare così, “Lui è,
invece, Snorri Thorfinnson il mio più
vecchio amico” aveva raccontato,
“Letteralmente” aveva precisato il vecchio,
“Non avevo neanche due anni, quando posavo
l’orecchio sulla pancia di Panikpak
per sentire questo diavoletto scalciare” aveva ammesso lui,
scompigliando
l’acconciatura di Astrid.
“È un piacere conoscerla signor Thorfinnson, ho
letto tanto di lei” aveva detto
invece Fred, prendendo la mano dell’uomo con estrema
ammirazione.
“Svolta inaspettata” si era lasciato sfuggire
Jason, “Direi di no, Snorri
Thorfinnson è, praticamente, l’iniziatore della
cristianizzazione del mondo
vichingo” aveva spiegato Mel.
“Io sto con Jason, comunque, Fred non è mai
così gentile, non lo sarebbe
neanche con il papa in persona. Sul serio ha preso a sberle quello
del Drago
una volta” aveva replicato Madina.
“Quello del Drago?” aveva
chiesto Jason confuso, “Giwargis è una persona
molto meno piacevole di quanto la gente intenda” aveva detto
Mel, “D’altronde
lavorava per Diocleziano.”
Jason decise di non informare il suo belligerante amico che quello era
il suo
imperatore preferito.
“Forse … forse … vuole fare bella
figura con un amico di Astrid” si era
intromessa la dea Freya, con un sorriso di chi la sapeva lunga,
“Vado a
direzionare meglio per la festa. Volevo assoldare il dj migliore dei
Nove
Mondi, ma a quanto pare Bragi era impegnato a fare il Baby Sitter
così ho
dovuto ripiegare su altro” aveva detto la dea, leggermente
sconsolata,
“Ricordatevi di non lasciare i confini
dell’aldilà, o potreste morire male e potrebbero
esserci molti problemi burocratici per me, e scoprireste che anche Hela
è più
gentile di me, quando mi arrabbio” aveva detto Freya con
scioltezza, prima di
voltarsi verso Stellan, e del tutto a sorpresa aveva pigiato il naso
dell’elfo.
Una vibrante luce, calda, amichevole, era esplosa nel ragazzo, come se
fosse
stata una lampadina, poi si era assopita.
“Come ti senti?” aveva chiesto lei, gentile,
“Rinvigorito” aveva ammesso l’elfo
con disagio, “Non permetterei mai ad un cittadino di mio
fratello di ferirsi.
Ti ho donato la mia benedizione, giovanotto, per almeno ventiquattro
veglie
sarai come un einherjar” aveva spiegato la dea.
“Ah!” avevano detto all’unisono Jason,
Mel e Stellan, “Non prendete a male,
Bragi. Solo Odino avrebbe potuto farlo e non è uomo da
dispensare magia così
gratuitamente, ha una reputazione” aveva stabilito quella
quasi divertita.
“Sì, giusto, la magia la praticano solo le donne,
circa” aveva commentato
Jason, “O almeno così piace dire loro, conosco
molti uomini che fanno
trucchetti. Inoltre, se mi permettete: è uno spreco
utilizzare un dono solo a
metà” aveva risposto Freya.
Jason concordava.
Loro quattro
avevano seguito diligentemente il vecchio Snorri, che parlava
amorevolmente con
Astrid, con gli interventi tal volta molesti di Fred.
Per un po’ aveva pensato che Snorri potesse essere lo
stregone di Astrid,
quello che le aveva donato la pelliccia e le rune.
Ma visto come Freya aveva ricordato che la magia fosse affare da donne
– o da
Jotun – e dal fatto che quello Snorri fosse un
così devoto cristiano da avere
pure l’ammirazione di Fred, dubitava potesse anche essere uno
stregone, ma la
vita era piena di sorprese.
“Come è riuscita ad organizzare una festa
così velocemente? Neanche un’ora fa
lo abbiamo detto ufficialmente a Bragi” aveva considerato
Jason, certo lo
avevano accennato al dio prima, ma ne avevano avuto conferma solo dopo
lo
scontro con Iulia Agrippina.
Mel sollevato le spalle, “Uhm … è la
dea Freya, signora dell’amore, della magia
ed altre cose, probabilmente ha una festa nel corno
da tirare fuori ad
ogni occasione” aveva raccontato, il suo tono era rigido, con
gli occhi
saettava a destra e manca, forse teso del dover incontrare suo cugino.
Jason a quella descrizione non aveva potuto che evocare
l’immagine di Piper con
la sua cornucopia che rovesciava bicchierini da cocktail e stuzzichini.
“Oh dei di Asgard!” aveva esclamato Madina,
attirandolo fuori dai suoi
pensieri.
Ovviamente la festa della divina Freya non somigliava ai cocktail con
gli
ombrellini e gli stuzzichini che Jason aveva appena ipotizzato.
Non somigliava neanche alla prima immagine di festa che aveva avuto
quando la
dea ne aveva parlato, aveva teorizzato qualcosa nello stile del campo
mezzosangue - gente
da campeggio che
canta il corrispettivo norreno delle canzoni country, intorno al fuoco
- non
sapeva perché, non il coachella.
Davanti Jason si apriva un mare di carne, teste e gioielli al
neon, che si
muoveva al ritmo di una musica profonda.
Doveva dichiararsi confuso, Jason perché non riusciva a
distinguerne i suoni.
“Io … wow … non mi invitano
mai alle feste, sono tutte così?” aveva chiesto
Stellan.
“Somiglia a Woodstock!” aveva esclamato Mel,
“Oh me la ricordo. Anche quella
l’aveva organizzata Freya vero?” aveva considerato
Madina.
“In mezzo a tutta questa gente … trovare
Gullinsburti sarà come cercare l’ago
in un pagliaio” aveva riconsiderato Jason, avrebbero potuto
riversarsi sulla
luce, ma il Folkvang sembrava una terra in eterno giorno, anche se un
giorno,
caldo e nostalgico, come se fosse il pensiero di una bella giornata che
una
rappresentazione reale di un meriggio soleggiato.
“Seguitemi, che vi darò degli abiti più
consoni” aveva detto Snorri.
“Abiti, io vedo vestita pochissima gente” si era
lamentata Astrid, Madina aveva
già cominciato a sfilare la maglietta, “Freya non
è mica la dea dell’amore per
gioco” si era giustificata. Davanti alle spalle nude, coperte
da solo le
spalline sottili della canottiera di Madina, Fred era diventato rosso
come un
pomodoro, finendo per doversi nascondere gli occhi e finendo dritto
contro
Stellan, invece, molto curioso di guardarsi intorno.
“Ti prego Madina: non uccidere Fred” aveva
dichiarato Astrid.
“Amico, sei morto da seicento anni, puoi sopravvivere a una
spalla nuda” aveva
replicato Madina, strizzando l’occhio verso il monaco.
“Ma ai tuoi tempi le
donne non rischiavano di passare per sgualdrine anche se facevano
vedere solo
una caviglia?” aveva risposto Fred, “Non so, sono
sempre stata fuori tempo”
aveva risposto pratica la giovane.
Snorri li
aveva condotti in un ambiente molto più riservato, non era
proprio una casa
lunga ma ci somigliava abbastanza. Era fatta di legna e paglia, dentro
era
piena di bauli di ogni genere.
Appena passato il capolinea dell’infisso, Jason aveva
riconosciuto una
valchiria, non poteva essere altrimenti. Era longilinea e bellissima,
con un
viso di rame, capelli nerissimi e vestita di piume. “Oh! Hai
portato i devoti
di Odino” aveva commentato con voce rude.
“Questa splendida fanciulla, qui è Amenza.
È una strega-valchiria” aveva
spiegato subito Snorri, “In vita è stata un’Amazzone
di Dahomay”
aveva spiegato pratico, “Sì, be, mi è
capitato il giro sfortunato. Avrei
preferito il Valhalla” aveva ammesso Amenza senza perdere
verve, prima di
chinarsi, “Prendete! Qui, a Folkvang abbiamo
un’etichetta” mostrando loro l’interno
di un baule.
“Vi lascio nelle sapienti mani di Amazena. Nel frattempo, io
andrò a preparare
la stanza di ricevimento per il nostro giovane guerriero”
aveva dichiarato
Snorri, ammiccando a Mel. Giusto, aveva pensato Jason, formalmente
erano lì per
la spiacevole riunione di famiglia del suo amico, anziché
per cercare il
cinghiale.
A quell’affermazione il guerriero germano si era fatto teso
come la corda di
un’arpa.
Jason aveva preso i vestiti con un certo timore, mentre Madina
esclamava piena
di gioia davanti ad una stoffa piena di lustrini.
“Certo! Diamoci ai bagordi … non è come
se avessimo fretta” si era lamentato
con nervosismo Fred, mentre osservava con un cipiglio piuttosto confuso
un paio
di pantaloni di pelle lucida. Francesi, aveva detto
l’amazzone, facendo
roteare gli occhi, diretta a Fred.
“Io
terrò i miei. Sono i pantaloni di
Ragnar Lothbrok” aveva dichiarato Mel, nervoso. Amenza aveva
sorriso verso di
lui, “Oh, certamente! Thumelicus Harminsson, per te,
c’è altro. Non vorremmo tu
apparissi meno davanti al nobile Re
Italicus” aveva chiosato, senza
vergogna.
Le guance di Mel si erano tinte di un fortissimo rosso porpora
imbarazzo. “Sarò
sempre meno” aveva detto lui, insoddisfatto, “Siete
entrambi morti con un’arma
alla mano, tale vi rende degni in egual misura” aveva
dichiarato Amenza con un
rinnovato vigore.
Non è come si vive, ma come si muore che stabilisce
il popolo a cui
appartieni, così aveva detto Astrid. Jason si era
voltato verso la ragazza,
trovando uno sguardo corrisposto. Si erano fissati per un secondo, poi
ambedue
avevano distolto gli occhi.
Avevano dato
a Jason dei pantaloni d’oro lucido, luccicanti, tristemente
appariscenti, così
come un Fedora coordinato. “Si abbinano ai tuoi
occhiali” aveva scherzato
Astrid, che aveva tolto la sua lunga toga blu a favore di un abito
corallo
dalle spalline scoperte, che la faceva apparire più una
odierna adolescente che
una mezza-vichinga dell’undicesimo secolo. “Tu
sembri molto moderna” aveva
considerato Jason, perdendosi forse troppo a guardare il corallo
risaltare con
la pelle d’ambra scura.
Astrid aveva aggrottato le sopracciglia. Sì, faceva schifo
nel fare i
complimenti, “Sei bellissima” aveva ammesso Jason
alla fine.
Era vero, ma aveva sentito le sue parole come un tizzone ardente sulla
lingua.
Astrid lo aveva fissato per un secondo con un’espressione
intensa, prima che un
leggero rossore animasse le guance, “Grazie” aveva
risposto, quasi timida.
“Sembra una meretrice!” si era infilato subito nel
discorso Fred senza colpo
ferire, osservando Jason con espressione turpe. Astrid aveva tirato un
buffetto
sulla collottola del suo amico.
Il monaco indossava lo stesso stile di pantalone e cappello di Jason,
ma invece
di essere d’oro lucido, erano di un rosso scarlatto,
ugualmente luccicante.
Niente di tutto quello sembrava molto vichingo, a prescindere.
“Non ho una maglietta?” aveva chiesto Jason
speranzoso, osservando che a Fred
era stato dato anche quel lusso; “Gloria ai Vanir no! Sarebbe
uno spreco” aveva
risposto Amenza senza esitazione.
Jason era arrossito.
“Forse … ha ragione” aveva considerato
Astrid, ondeggiando una mano il palmo
aperto davanti Jason, con una notevole incertezza.
Fred aveva guardato la sua amica con lo sguardo più
accusatorio del mondo,
mentre Jason aveva disperatamente agognato una maglietta.
Qualcuno era
entrato all’interno. “Troppo presto!”
aveva strillato Amenza, mentre tutti gli
occhi erano al nuovo arrivato.
Era magro, un po’ emaciato, luminescente come solo gli
einherjar potevano
essere, con l’incarnato quasi fluorescente, i capelli
così biondi da sembrare
bianchi, gli occhi azzurri come il vetro. Più che una
persona sembrava un
fantasma.
Un fantasma famigliare!
Lo sconosciuto aveva ignorato Amenza, aveva ignorato tutti loro, tranne
Astrid.
Il suo sguardo era inchiodato su di lei, come se il resto del mondo non
fosse
esistito all’infuori di lei.
La sua amica era rimasta in silenzio. I suoi occhi erano penetranti,
ancorati
al nuovo arrivato.
Una conversazione da infinite parole stava avvenendo nei loro sguardi,
senza
bisogno che una sola parola fuggisse alle loro labbra. Improvvisamente
tutti,
all’infuori di Astrid e lo sconosciuto, sembravano di troppo.
“Che … che sta succedendo?” la voce di
Stellan era stata l’unica cosa che aveva
interrotto quel silenzio quasi spettrale. “Oh, il giovane
Er-” aveva cominciato
a spiegare Amenza, ma era stata superata dal ragazzo stesso,
“Atuat!”
aveva chiamato, il suo tono era un tumulto di sentimenti: gioia,
rimpianto,
amore, tristezza. La sua voce era profonda, quasi cavernosa, che mal si
sposava
con il suo aspetto efebico.
Eppure un campanello, sottile, appena udibile, era suonato nella mente
di Jason
– a cui non riusciva a dare una spiegazione.
Astrid l’attimo dopo lo stringeva già,
l’aveva raggiunto con uno slancio e se
l’abbraccio che aveva dato al vecchio Snorri era sembrato
intimo, quello,
quello lo era di più. Per un secondo, uno solo, aveva
immaginato non fossero
quei due, ma così stretti fossero lui e Piper – lo
avrebbe abbracciato così?
“Oh grande Odin, Erik!” aveva sentito Jason
bisbigliare.
“Oh quello è Erik!” aveva esclamato
Madina, con lo stesso tono illuminato che
avevano gli studenti al collegio quando risolvevano un integrale,
“Sì” la voce
di Fred era stata veloce, quasi raschiante, strappato tra i denti.
“Decisamente
non male il ragazzino” aveva considerato la figlia di Ullr.
“Chi è Erik?” aveva chiesto Stellan al
suo posto.
Anche Jason aveva avuto quel pensiero, brevissimo, ma era bastato uno
sguardo
più attento, più a lungo, agli zigomi alti, il
viso di carta-da-zucchero ed i
capelli biondo-quasi-argento.
“Il figlio di Freydis” aveva esclamato.
Chiamato con lo stesso nome del nonno.
Somigliava a sua madre e Jason ricordava ciò che Astrid le
aveva detto.
Freydis
è un tipo particolare, non ha una bella fama, ha tradito due
suoi
compagni, ma è un’amica di mio padre ed
è la madre di una persona a me cara
“Il fidanzato di Astrid” aveva detto Madina,
“Credo che il termine corretto sia
Ex, ma non sono ferrato in questo gergo
giovanile” aveva risposto
spietatamente Fred.
“Tecnicamente non si erano lasciati quando sono
morti” aveva insistito Madina,
“Sì, avevano litigato da ben due ore”
aveva risposto pratico il monaco.
Jason aveva perso interesse per quelle facezie, o almeno
nell’ascoltare i due
bisticciare, non potendo evitare di guidare i suoi pensieri a Piper e
l’ambigua
situazione in cui erano stati interrotti.
Dei, Jason l’amava e lei pensava che il loro amore fosse
fittizio. “Io li trovo
carini” aveva squittito Stellan
Astrid si
era sciolta dall’abbraccio con Erik e si era voltata
immediatamente verso di
loro, con le gote leggermente arrossata e gli occhi colpevoli.
“Ehm … miei buoni amici, quest’uomo
è il mio … Erik” aveva detto, cercando
di
recuperare la sua compostezza. Loro quattro si erano presentati a
turno, il
primo era stato Jason che aveva detto solo il suo nome, poi Madina che
si era
presentata orgogliosa della sua genealogia paterna, Stellan che come un
essere
umano – elfo – normale aveva declinato il suo nome
ed il suo cognome ed in
ultimo era stato il figlio di Gerd.
“Io sono Frederic da Clermont, cavaliere
dell’ordine equestre del Santo
Sepolcro e spada di Dio sceso in terra” aveva detto tronfio.
“Perché ho l’impressione che non
è la Spada che voglia confrontare ora?” Madina
aveva bisbigliato all’orecchio di Jason, che aveva trattenuto
a stento una
risata.
“Oh, io sono Erik Freydisson! Ero un godijan”
aveva spiegato pratico il
ragazzo, “Cosa che è una stupidaggine, visto che è
uno stregone” aveva
replicato subito Astrid.
“Sai che non conosco questa roba da pagani” aveva
esclamato Fred, anche se dal
sopracciglio scuro sollevato della skraelinger e dal tono stesso
utilizzato dal
monaco non sembrava affatto convinto della sua affermazione.
“Io non lo so davvero” aveva commentato Jason.
“Ti ho detto che devi
documentarti!” lo aveva rimproverato Astrid, “Sono
passati solo quattro-giorni
e due li ho spessi a Jotunheim” si era difeso Jason.
Stellan era intervenuto, didascalico: “Godijan è
il sacerdote, colui che è immune
alla magia.”
“O Prete”, “Io sono un prete in
realtà” avevano parlato in contemporanea Astrid
ed Erik.
Jason aveva aperto le labbra ad O, mentre Madina si era trattenuta dal
ridere,
“Ed, ecco, scoperto perché ad Astrid non piacciono
i cristiani” aveva sibilato
Fred.
“Ebbene sì, il clero mi ha rubato il
marito” aveva ammesso Astrid,
occhieggiando Erik, che era diventato viola melanzana.
“Buon Odino, se avete finito con queste chiacchiere, sarebbe
ora che vi recaste
dal nobile Italicus, per la festa” aveva ghignato la
Valchiria, attirando la
loro attenzione.
Era seguita da Mel, che ne aveva approfittato subito per parlare:
“Io, ecco,
vorrei … che ci fosse solo Madina” aveva ammesso,
“Infondo una riunione di
famiglia occuperà molto tempo e sarebbe un peccato per i
miei amici non godere
di questa festa” aveva ammesso poi più calmo, per
quanto non sembrasse affatto
il solito Mel.
C’era qualcosa nel suo sguardo; era distante.
Rivedere la sua famiglia doveva destabilizzarlo tanto.
“Certo, certo!” aveva detto Madina, con una gioia
abbastanza fittizia, “Godetevi
la festa, ballate per me, bevete idromele … insomma, noi vi
raggiungiamo” aveva
aggiunto, un po’ più sincera, intrecciando
confortante le dita con quelle del
fidanzato.
Tutti avevano guardato la valchiria, “Come vi pare! Io non
faccio la Party
Planner ma raccolgo le anime dei caduti” aveva risposto secca
Amazena.
“Mentre
noi
nel Valhalla moriamo ogni giorno, qui fanno festa, che
disgusto” si era
lamentato Fred ad alta-voce, mentre scivolavano tra i colpi accalcati
delle
persone.
Una miriade di teste oltre loro c’era un palco montato in
legno, che aveva
Freya in persona sulla cima ed altre persone a cui Jason non aveva
tirato che
un occhio a pena.
Lui camminava tenendo la mano di Stellan, timoroso di perdere
l’elfo secco tra
la folla, e tenendo la maglia del monaco.
Astrid era un paio di teste dietro di loro in compagnia del suo
ex-fidanzato
prete.
“Mi chiedo come possiamo trovare un cinghiale qui”
aveva commentato Jason;
c’era una calca infinita di persona, coprivano
l’interezza di un campo grande
quando Idavoll.
Inoltre la luce non rendeva affatto chiaro, riconoscere una qualsiasi
altra
fonte di luminosità. “Io ed il demonietto qui
presente uniremo le nostre mani e
fungeremo da ferro per pietra di Magnesio” aveva spiegato
subito Fred, “Egli è
a quanto pare un demonio fatto di luce ed io sono uno stregone, come
abbiamo
appurato” aveva aggiunto. O Jason sospettava avesse detto
questo, una musica
composta di suoni ritmici e parole stridenti si erano alzate sulle loro
orecchie, otturando ogni possibile suono.
“Davvero?” aveva chiesto Stellan, che non sembrava
affatto turbato dall’essere
stato appellato in maniera poco gentile dal monaco, “Si me lo
ha detto Glam”
aveva confermato.
C’era sempre la possibilità che una dea del
destino mentisse.
“Oh, wow! Non sono abituato alle cose semplice”
aveva ammesso Jason.
“Non sarà semplici, sicuramente;
ma questa è la nostra missione” aveva
considerato Fred, con gli occhi verde oliva aveva declinato lo sguardo
verso la
confusione di teste che era alle loro spalle, Jason sapeva
istintivamente cosa
stesse cercando, si era voltato anche lui allora.
Astrid era rimasta un po’ indietro, muoveva il capo a destra
e sinistra, mentre
Erik le teneva una mano sulla spalla della ragazza quasi possessivo.
“Tu sei innamorato di Astrid” aveva detto Jason,
voleva essere un pensiero ma
era sfuggito alle sue labbra quel pensiero, “Ti prego non
dirmi che eri tu
quello sveglio della cucciolata” aveva replicato Fred,
“No quello era
Coriolanus” aveva replicato Jason.
Ottenendo uno sguardo stranito da Fred, che non si era affatto
aspettato quella
risposta, “Era un lupo, con cui vivevo quando ero piccolo;
sapeva aprire le
maniglie delle porte con le zampe” aveva ammesso lui.
“Sei stato cresciuto con un Lupo?” aveva chiesto
Stellan, incuriosito ed
intimorito, la cosa aveva messo in allarme anche Fred, che si era
subito
irrigidito, “Sono stata cresciuta da
Lupa, che è una divinità
protettrice di Roma, con tutto il suo branco, composto da altri lupi e,
no, nessuno
Jotun cambia forma malefico, solo una madre selvaggia” aveva
dichiarato Jason
rigido.
Lupa era stata una madre, ferace e feroce, decisamente meno abituata ai
connotati materni di quelli che la gente si auspicava, ma erano giusti
per la
severa Madre di Roma ed era stata migliore di Beryl Grace.
“Una meretrice, lo sai” aveva risposto Fred, con
una crudeltà fredda.
“Anche” aveva replicato Jason senza scomporsi,
“Lei lo sa?” aveva chiesto
Jason.
Fred aveva sollevato un sopracciglio: “Che la tua dea
è una meretrice? Spero
per lei di sì” aveva risposto.
Jason lo aveva guardato piccato, profondamente legato a Lupa,
“No, Astrid”
aveva risposto pratico.
“Sei diventato il mio padre confessore? Perché in
caso, dovrei dirti che non è
cambiato niente in queste ore” aveva stabilito venefico Fred.
“Miei
buoni
ospiti e caduti onorevoli!” aveva gridato Freya, attirando
l’attenzione sul
palco, agitando le braccia. Si era cambiata ed era ancora
più splendida
dell’ultima volta che Jason l’aveva vista
un’oretta prima, “Sono così felice di
vedervi tutti qui in questa mai festicciola” aveva squisito
divertita.
Al suo fianco c’erano due figuri, uno era vestito
assolutamente per bene, con
un completo gessato a tre pezzi ed un paio di vistosi baffi argenti a
mezzaluna
rovesciata, l’altro era uno splendido e biondo …
Apollo.
“Essendo Bragi impegnato a fare la balia agli altri caduti,
quelli noiosi, ho
dovuti chiedere aiuto a due miei vecchi amici” aveva
commentato Freya mettendo
le braccia attorno alle spalle dei due dei.
“Posso presentarvi Febo Apollo e Weles”
aveva esclamato a gran
voce, “Signori della Musica, decisamente molto più
capaci e soprattutto carini di
Bragi” aveva esclamato.
A Jason sembrava proprio che non avesse preso bene che il signore della
Musica
fosse rimasto al servizio di Odino.
“Quello è roba, tua vero?” aveva chiesto
Fred, ammiccando ad Apollo in giacca
di pelle e maglia con Icarus. “Direi di sì,
è mio fratello” aveva ammesso.
Si chiedeva se Apollo sapesse che lui era lì e se avesse
rispettato quanto
Jason aveva chiesto, con l’ultimo fiato: non dimenticare.
“Non perdiamo tempo” aveva stabilito Fred,
declinando Freya ed i suoi affari.
Jason aveva cominciato a pensare, che quella situazione dovesse
raggiungere del
surreale.
Fred gli
aveva condotti dietro una bancherella che vendeva drink alcolici e
carne di
squalo marinato, con un’assoluta faccia di bronzo. Stellan si
era fermato
chiedendosi se avesse potuto averne un po’ da mangiare, ma
era stato
strattonato di malavoglia da Fred. “Non aspettiamo
Astrid?” aveva chiesto
Jason, volgendo lo sguardo verso la folla, realizzando di non riuscire
a vedere
affatto la sua amica, “No, dalle il tempo di stare con
l’unico amore della sua
vita. Con la fortuna che si ritrova tra quattro giorni, sarà
schiava di un dio”
aveva declinato Fred.
Non erano lontani dalla musica ma Jason riusciva a sentire i propri
pensieri in
quell’occasione.
Fred aveva sfilato la sua spada magica dal fodero ed aveva guardato la
lama,
emanava un bagliore sottile, ma chiaramente visibile nella luce
morigerata del
paradiso di Freya.
“Una guerra si sta avvicinando?” aveva chiesto
Jason.
“Ah, non so se una guerra, romano, ma qualcosa
sicuramente” aveva replicato
duro, sistemando nuovamente la spada nel fodero ed allungando una mano
verso
l’elfo, “Prendila” aveva ordinato con un
punta di insofferenza.
Stellan aveva avuto un tremito, prima di allungare una mano e prendere
quella
che gli era stata tesa ed aveva preso quella del monaco. Fred aveva
sussurrato
qualcosa, ma Jason non aveva compreso le parole, erano state dette a
denti
stretti, con un tono basso, come un sussurro.
Jason non aveva compreso le parole ma aveva sicuramente compreso il
potere
dietro di esso.
L’elfo si era illuminato nuovamente, come quando si erano
trovati sull’albero,
ma in quell’occasione, lo scintillio che
l’ammantava si era spostato, come una
curva sinusale, che aveva attraversato il braccio, scintillato sulle
mani che
lo univano con il figlio di Gerd e poi avevano invaso a pieno il figlio
dello
jotun.
Stellan si era affievolito, mentre la luce bianca e luminosa che
avvolgeva Fred
si era tinta di un colore violaceo, come una lampadina al neon.
“È la seconda volta che divento una lampadina in
una giornata. Non è strano?”
aveva chiesto Stellan, ma era stato ignorato a pie pari da Fred.
“Bene …” aveva detto il monaco, anche se
non sembrava andare affatto in quella
maniera, “Adesso dovremmo cercare il cinghiale,
più saremo vicini, più sembrerò
una torcia” aveva ammesso con voce spenta Fred.
“Sarai, ehm … tipo attirato?” aveva
chiesto Jason, “Sì, di solito funziona
così” aveva ammesso Fred. “Possiamo
lasciarci le mani?” aveva domandato invece
Stellan.
“No. Siamo una cella galvanica, ora” aveva
replicato Fred, “Sai cosa è una
cella galvanica?” aveva chiesto Jason sorpreso,
“Ottocento anni sono un mucchio
di tempo per scoprire che non tutte le diavolerie lo sono fino in
fondo” aveva
commentato sprezzato il monaco.
Jason aveva alzato le mani, in segno di resa.
“Ohh! Sento qualcosa” aveva detto l’elfo,
attirando la loro attenzione, aveva
chinato lo sguardo davanti ai suoi scarponcini di plastica da
giardiniere, dove
era appena spuntato un fiore pieno di petali bianchi, poi un altro.
“Perché i
fiori?” aveva chiesto Jason.
“Siamo stati incaricati da mia madre, la signora del cortile,
forse” aveva
ipotizzato Fred, “No, io credo sia il mio potere che
… interagisce con la
natura. Credo …” aveva provato l’elfo,
incerte. “Va bene, seguiamo il sentiero
di fiori” aveva concesso Fred.
I primi fiori avevano cominciato ad appassire ma nuovi erano sorti,
creando
così un percorso di petali bianchi da seguire.
“No!
Stiamo
rientrando nella bolgia” aveva detto Stellan, mentre
osservava i fiori sparire
tra i piedi della massa sudata, “Non possiamo lasciare le
nostre mani” aveva
dichiarato Fred con sicurezza, Jason si era sporto per prendere la
maglietta
del monaco, ma era stato fermato da quello stesso, “No.
Interferiresti con il seidr
e l’alfseidr con la tua magia”
aveva spiegato subito il monaco, per la
prima volta il suo tono non era stato pieno di insofferenza e
maleducazione, ma
era di una serietà implacabile.
“Cercherò di non perdervi di vista”
aveva promesso Jason, “Cerca di non farti
un nemico mortale, anche qui” era stato rimbeccato.
Jason aveva sorriso con una certa amarezza, “Non posso fare
promesse in merito”
aveva dichiarato.
Come i tre si erano avvicinati, la folla si era spostata un
po’, interessata
alla luce che emanavano i due, ma la cosa non aveva suscitato poi
troppo
interesse e presto la gente aveva ricominciato a chiudersi a tenaglia
su di
loro, per inghiottire loro tre nel corpo unico.
Ci aveva
provato sul serio, Jason, a non perderli di vista; ma tra tutte quelle
teste
era stato difficile, tra la gente che lo inondava, sgomitava, oltre che
la
musica così forte da impedire ai suoi stessi pensieri di
affacciarsi … e poi
era arrivata la schiuma da un cannone. Che aveva confuso ancora di
più Jason.
Il cantante lo aveva visto con la coda dell’occhio, era
l’uomo vestito per
bene, con i baffi a mezza-luna rovesciati verso il basso e la voce
più ipnotica
e magica che avesse mai sentito, mai nella vita.
Si era sentito frastornato, incantato, completamente rapito ed ammirato
da
quella voce. Weles così lo aveva
chiamato Freya.
Era rimasto così incanto da quelle parole sconosciute, quel
tono così profondo,
da annegarci dentro. Tutti erano lì, presi da un ballo
tribale, quasi
viscerale. Jason aveva sentito delle mani toccarlo, si era sentito
praticamente
divorato da quello, ma non aveva avuto alcun impulso
dell’andare via. Di
cercare i suoi amici.
Era completamente in balia di quella musica.
Non evocava niente in lui se non la fame, se non il bisogno intero, di
restare
lì, di lasciarsi trascinare, di svuotare la mente. Era come
nei Campi Elisi,
nessun pensiero, nessun peso, era libero. Libero.
E poi una mano lo aveva preso.
“Jason! Jason! Dei! Jason!” una voce lo aveva
chiamato, una mano lo aveva
preso, più reale e tattile di chiunque altro al mondo.
Astrid? Era una voce di donna infondo?
No!
Si era voltato.
Piper.
Assolutamente senza senso.
“Non puoi essere tu Jason. Jason tu … non
… può” aveva mormorato piena di
dolore.
Ma era Piper con i suoi occhi dai mille colori, la pelle di rame i
capelli
sfilacciati con le piume e le perle.
E dei, bellissima
“Piper, tu …” aveva provato, ma non
sentiva niente, oltre i suoi pensieri.
Piper lo aveva stretto in un abbracciato quasi soffocante, prima di
staccarsi,
con il terrore nei suoi occhi cangianti.
“Cosa … chi sei tu?” aveva detto lei,
spaventata, prendendo una mano sul suo
viso, toccando con il pollice il labbro, dove non esisteva
più alcuna ferita,
“non sei Jason” aveva considerato, piena di
angoscia, scappando poi.
Jason l’aveva inseguita, “No! Piper! Sono io! Lo
giuro sullo Stige!”
aveva gridato inseguendola.
Perché Piper era lì?
Cosa era successo?
Era stato un regalo di Apollo? Sapendo tutto l’aveva portata
lì?
Era un gioco a caso di Freya dea dell’amore che doveva darsi
una mano con
Afrodite?
Non aveva senso.
Eppure questi pensieri che un tempo lo avrebbero costretto a fermarsi,
a
riflettere, non erano nulla, assolutamente nulla davanti
all’unico pensiero che
divampava nella sua mente: quella era Piper.
Aveva
inseguito la ragazza sgomitando tra la folla.
Piper era uscita dalla ressa, si era voltata verso di lui ed aveva
estratto katoptris
dalla fondina puntandola verso di lui. “Chi sei? Sei il demone
del dito di
ferro,
vero?” aveva chiesto Piper piena di ardore.
“No sono io! Sono Jason!” aveva esclamato lui!
Cos’era il demone del dito di ferro?
“Non ti credo. Ho visto Jason morire! Ho pianto sul suo corpo
e tu non sei
neanche riuscito ad imitarlo bene!” aveva ringhiato Piper,
“Perché siamo qui?
Dove siamo? Pensi che mi farò ingannare?” aveva
chiesto Piper senza perdere
mordente.
Jason aveva sentito la sua schiena farsi dritta come spilli, era ovvio
che
Piper fosse finita in una situazione tragica come lui.
“Io … sono io … io posso
provarlo!” aveva detto Jason.
Perché se non avesse potuto provare di essere sé
stessa a qualcuno che non
fosse Piper, non avrebbe potuto provarlo a nessun altro.
“Puoi chiedere a Nico, Percy ed Annabeth, inoltre”
aveva aggiunto Jason più
tranquillo, sollevando le mani in segno di resa.
Piper aveva ancora il pugnale verso di lui, ma la sua mano tremolava,
“Jason
non si vestirebbe mai così” aveva considerato
Piper, “Jason non mangerebbe
neanche ad una cena con dei ghoul ma lo ha fatto ad Itaca”
aveva provato lui.
“Risaputo” aveva risposto Piper, ma il suo tono
sembrava più cedevole.
Jason aveva sorriso, “Ti ho detto, dopo la battaglia contro
Gea che da quel
momento cominciava la nostra vera storia e tu mi hai baciato, decidendo
che
quello sarebbe stato il nostro primo bacio. E siamo stati felici e poi
in un giorno
di pioggia, il tredici di gennaio, mi hai chiesto spazio e, dei, se era
spazio
che volevi, ti dissi: sarei andato anche sulla luna, senza
ironia” aveva ammesso
Jason.
Piper aveva deglutito.
“Jason” aveva sospirato, lanciandoli le braccia al
collo, stretta, amichevole,
materna e famigliare.
Jason aveva odorato i suoi capelli, aveva recuperato quella dolcezza.
“Perché sei qui? Chi è il demone del
Dito di ferro?” aveva chiesto.
“Perché sei qui tu? Dove è qui? Come
sei vivo? Che è successo alla tua faccia?”
aveva chiesto di rimando.
“Allontaniamoci dove potremmo parlare meglio!”
aveva considerato Jason.
Aveva fatto
un riassunto a Piper, molto stringato, evitando di citare la fine del
mondo ed
il coinvolgimento di Thrud e Kymopoleia, riferendosi solo a questo
strano
evento che era capitato senza ragione, che una valchiria avesse
raccolto la sua
anima. Si era sentito un vermo, ma aveva anche percepito la
necessità di quella
menzogna.
“Se è mai esistito un uomo coraggioso da meritare
questo onore nella morte, questo
sei tu” aveva detto Piper, carica di dolcezza e affetto.
Jason le aveva sorriso, “E tu?” aveva chiesto.
“Oh, be. Dopo che mi sono trasferita a Tahoma le cose avevano
cominciato a
funzionare, in maniera molto mortale. Ma poi sono cominciate delle
strane morti
… ed a quanto pare il Demone del Dito di Ferro, un farabutto
cambia-faccia
mangia fegati si è insediato nella nostra
comunità così ho cominciato ad
investigare, insieme a Shell, lei è la mia rag-amica e
Barnabas, un tipo strano
è figlio di uno scarabeo-d
’Acqua” aveva cominciato a spiegare,
“Be,
investigare omicidi commessi da un demone mutaforme non è
come affrontare un
gigante. Paradossalmente è molto più difficile,
specie quando incastrano una
tua amica degli omicidi e i nativi non vivono esattamente il tempo
migliore
della loro vita … senza dimenticare che è morto
un bel ragazzo bianco come la
neve” aveva dichiarato Piper con rabbia.
“E come sei finita qui?” aveva chiesto Jason.
Piper lo aveva guardato, con i suoi intensi occhi d’oro, con
dei riflessi verde
giada, i più bei che aveva visto, “Oh quello
è stato molto divertente!” aveva
detto Piper ed il suo tono era cambiato improvvisamente.
Jason aveva sentito freddo – uno glaciale lungo la schiena,
“Vivo qui!”.
Il sorriso era storto, arcigno e cattivo.
“Sei tu a non essere Piper!” aveva esclamato
indignato, sentendosi stupido.
“No, però l’imitazione era abbastanza
convincente!” aveva replicato la Finta
Piper, passandosi la mano sulla camicia a quadri di flanella.
“Cosa è successo a Piper?” Jason
l’aveva chiesto recuperato Giunone dalla sua
tasca, “Quella parte era vera. Per tenere una menzogna devi
farla vicina alla
verità. Sta dando la caccia ad un demone della consunzione.
A mio avviso, gente
poco simpatica, ma nulla che una lingua ammagliatrice non possa
gestire” aveva
dichiarato quella in modo annoiato.
“Non sono incline a crederti” aveva declinato
Jason, con nervosismo.
La Finta Piper aveva sorriso piena di cattiveria, “Questo
è un problema tuo”
aveva ammesso.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, facendo schioccare la moneta in
aria ed
afferrando la lancia – anche lì non sarebbe morto,
giusto? – osservando con
nervosismo la donna, “tu sei H, vero?” aveva
chiesto. La domanda era sorta
spontanea come i fiori bianchi di Stellan.
“H? Sì, anche se tecnicamente
io sono colei che è chiamata Heidi”
aveva detto la Finta Piper con un tono pieno di gioco, aveva lasciato
Jason
elaborare la notizia. Dopo un buon minuto di silenzio era stato ovvio
al romano
che Heidi si era aspettata una reazione che non c’era stata.
“Non ti dice niente?” aveva chiesto, con un
po’ di incertezza.
“No, dovrebbe?” aveva chiesto Jason,
“Sono nuovo in queste cose” aveva ammesso.
Ovviamente, avrebbe dovuto conoscere Heidi, Jarnsaxa aveva detto fosse
l’incubo
di Odino.
“Hai letto l’Edda?” aveva chiesto la
donna, “Sì, non tutta però”
aveva risposto
Jason
Quella situazione stava prendendo una piega paradossale.
“La Vǫluspá?” aveva insistito la donna,
“Si certo!” aveva detto Jason. L’inizio
e la fine del mondo, anche se a quel punto, stava andando tutto a
rotoli.
“Io sono lì” aveva insistito Heidi.
Jason aveva sentito l’inquietezza darsi una
mano con l’imbarazzo, perché quella situazione era
quasi soffocante.
“Nessun campanello? Sul serio? Capo-verso ventuno?”
aveva chiesto Heidi quasi
indignata. “Mi dispiace?” aveva provato Jason, che
si era ritrovato a corto di
parole, “Non ora, ma stai sicuro che lo farai, che ricorderai
il mio nome e mai
lo dimenticherai Jason Iovisson” aveva risposto lei, con una
punta di
spietatezza.
Jason aveva stretto il pungo sulla lancia, pronto a combattere.
Poi l’espressione collerica di Heidi si era addolcita,
“Aspetta …” aveva
cominciato, “Per caso la hai letta in inglese?”
aveva chiesto.
“Sì” aveva risposto Jason.
“Oh, per tutti i vanir, quale atrocità. Leggeresti
mai l’Eneide in inglese? I
testi vanno letti in lingua originale per apprenderli e goderne al
meglio”
l’aveva bacchettata.
“Non so l’antico norreno ma avevo messo in conto di
impararlo, grazie” aveva
replicato Jason.
Heidi aveva riso divertita, “Ne parleremo meglio dopo, ma
adesso, Jason
Iovisson, dobbiamo andare. Prima che la festa degeneri in
un’orgia che potrebbe
scandalizzare i tuoi occhi puri – abbastanza ironico per un
romano, se ci penso”
aveva dichiarato lei. “Perché dovrei venire con
te?” aveva chiesto Jason.
“Perché non hai scelta … Forse ti ho
mentito sulla tua fidanzatina? O forse
dovrai prepararti ad affrontare Bei-Capelli senza la tua compagna se
non fai
come ti dico” aveva replicato Heidi quasi divertita.
Un freddo brivido aveva attraversato la schiena.
Si era voltato alla ricerca di Astrid ed Erik, ma in tutta quella
marmaglia di
persone non sarebbe mai riuscito a vederla, non vedeva neanche i suoi
amici
luminosi.
Heidi poteva star mentendo, ma poteva anche star dicendo la
verità, non solo su
una o sull’altra, ma su entrambe. Piper!
O mentiva, usando l’amore della sua vita come leva ed Astrid,
che in quel
momento poteva essere in cerca del cinghiale in compagnia del suo
fidanzato-prete.
Era rimasto fermo, ondeggiando da un tallone all’altro, nel
dissidio più
totale. “Eccolo, il proverbiale difetto fatale: il
temporeggiare. Fai la tua
scelta, Jason Iovinsson, le lancette del fato scorrono
veloci” lo aveva
incalzato Heidi, “Presto il wyrd non potrà
più indirizzarti dove vuole e dovrai
assumerti la responsabilità delle tue scelte” lo
aveva stuzzicato.
Jason si era voltato di scatto, “Posso impiegare eoni a
prendere una scelta, ma
è una mia scelta sempre” aveva ringhiato; anche se
non sentiva del tutto
sincerità nella sua voce – era corso a salvare
Váli Lokison perché lo aveva
sentito, quasi un insistito atavico, prima ancora della ragione
– “Oh, calma
Ragazzone” lo aveva preso sfacciatamente in giro Heidi.
“Ma visto che il wyrd sta implodendo, questa volta la scelta
la prendo io, giacché
non ho voglia di vederti soppesare tutto, mentre ti mordi il labro e
sfoggi un
viso da lupetto bastonato” lo aveva avvertito la donna,
l’attimo prima di
soffiare sul viso della polvere d’oro. Jason non era riuscito
ad opporre alcuna
resistenza, neanche vocale; “Fratelli miei, speriamo che
Santa Lucia non mi
faccia causa per copyright” era stata
l’ultima cosa che Jason aveva
udito prima di perdere i sensi.
Regolare.
Glaumvör:
https://www.deviantart.com/rlandh/art/Pop-Art-910062642
(Che inizialmente doveva avere un ruolo molto più ampio di
quello che le è
stato destinato)
H(eidi): https://www.deviantart.com/rlandh/art/Golden-Lady-923693983
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Capitolo 20 *** Tre dee e una testa ***
Buongiorno.
Al momento sono fuori porta a catalogare materiale ceramico di
età romana
repubblicana e sono molto triste.
Nell’ultimo capitolo del Crepuscolo avevo detto che sarei
probabilmente
rientrata in una wave-Jacksoniana presto perché era uscito
TSATS ma in realtà
non lo ho ancora letto (cioè, non lo ho ancora finito e sto
andando lentissima).
Se sono rientrata a scrivere è merito più di
qualche ff letta che di Riordan.
Comunque, in fondo al capitolo vi lascio una nota lunga e prolissa.
Tre dee e una
testa
“Ovviamente
Aldermann non ci ha
invitato alla sua festa. Come tutti gli altri. Siamo paria!”
aveva
commentato con estrema tristezza una donna, Jason l’aveva
osservata. Era un’elfa,
indovina Jason dalle orecchie puntute, dalla pelle chiara e lucida,
fredda, in
contrasto a cappelli rosso-oro, mossi che le incorniciavano il viso a
cuore.
Era incantevole ma tremendamente triste, mentre continuava a battere
con le
dita sulle sue cosce. Era vestita con una camicetta floreale vecchia e
dei
jeans sbiaditi, molto mondana. Jason non capiva
bene, poi aveva visto
Stellan, più magro, più basso, più
giovane, con la salopette verde bottiglia
sopra una maglia arancione. “Recuperò la vergogna
di nostro padre, Ingrid”
aveva dichiarato Stellan, prendendo la mano della giovane,
“Che anche Adermann
ed ogni elfo di Alfheiman saprà della gloria dei
Brightflower” aveva dichiarato
convinto Stellan. Ingrid si era chinata ed aveva baciato il fratello
sulla
fronte, “Come sei dolce, fratellino. Ma nulla di
ciò che faremo ci restituirà
la dignità …” aveva dichiarato Ingrid,
ma era stato interrotto da Stellan, “Noi
abbiamo la nostra dignità!” aveva dichiarato con
vigore, con gli stessi occhi
chiari lampeggianti di furore e giustizia che Jason aveva visto contro
Agrippina. “In noi abbiamo il sangue dei Myrkálfar
…”
E poi la scena si era come sciolta davanti ai suoi occhi. Era stato
accecato
dal bianco, della neve. Tutta intorno, come una coperta di silenzio sul
mondo.
Una donna, diversa, era apparsa nei suoi occhi, era alta e scura,
vestita di
vesti pesanti, i capelli riccioluti sistemati sotto un fazzolo e lunghe
gonne
ampie, le teneva sollevate, perché ogni passo la fece
scivolare più giù nella
neve. “Està frio! Madina, venha para casa!”
aveva gridato quest’ultima. Non
era spagnolo. Jason, aveva cercato con lo sguardo Madina e
l’aveva vista, unica
macchia di colore nelle bianche montagne del Wyoming. I capelli scuri
scompigliati e liberi e vestita di turchese. Indossava un vestito
antico, non
era così esperto da riuscire a capire, di quanto lo fosse,
con un corpetto
dritto che le schiacciava il seno ed una lunga gonna, gonfia sui
fianchi che si
apriva come un bocciolo sulla neve, con merletti a tombolo che
attraversavano
la scollatura a barca e le maniche strette. Non indossava altro, i
piedi nudi e
le caviglie immerse nella neve. Jason vedeva il suo sorriso, mentre con
gli
occhi spiava le vette innevate.
“Estou em casa, mãe. estou em casa na neve”
aveva urlato Madina, con i
fiocchi di neve che le danzavano intorno.
E la scena era cambiata ancora.
Dal freddo bruciante al caldo. Un caldo devastante ed un mondo pieno di
rumore,
odori e colori. Una piccola finestrella su una città
caotica, con tetti d’oro
bombati, e … chiasso. Aveva
riconosciuto, lì, lontano un edificio
famigliare, ma non sapeva perché …
“Ciel, Frederic! Tout cela est magnifique! La
puissance de Dieu!” aveva
detto una voce maschile. Era un giovane, aveva il viso pieno e tondo,
chiaro
con le guance scottate dal sole, la parte alta della testa era fasciata
e le
bende erano luride ed insozzate, non stava bene, perché i
suoi occhi erano
lucidi, ma si sforzava di mantenersi allegro. Jason si era voltato
nella stanza,
seguiva uno stile di decorazione che gli era estraneo. Riconosceva
però, il
ragazzo sul triclinio. Fred. Aveva una cicatrice quasi estranea che
tagliava il
viso, portando via un pezzo di naso. L’incarnato olivastro
era chiaro come la
polvere e gli occhi lucidi. Come il suo amico anche lui aveva delle
bende,
sulla testa, sul braccio. “Aucun dieu n'a fait
ça! Que les hommes!”
aveva detto solamente tetro Fred, con il tono pregno della sua rabbia.
E l’immagine era cambia ancora ed ancora.
Jason stava guardando un catino pieno d’acqua.
C’era un ragazzo, era giovane. Era bello. Con il viso di
alabastro ed i capelli
biondi delle querce. I suoi occhi erano chiari e luminosi, come
l’estate – non
avrebbe potuto descriverli in altra maniera. Era Erik Freydisson, senza
quell’alone spettrale da einherjar, ma vivo. Erik aveva
sorriso ed aveva detto
qualcosa. Jason si era guardato intorno, riconoscendo pareti di
terra-argilla e
legno. Era una capanna una specie. E poi aveva visto Astrid. E per un
secondo
era rimasto senza fiato. Sembrava più piccola, non
nell’aspetto, quasi gemello
a come la conosceva Jason, ma negli occhi. Erano giovani. Lei aveva
allungato
le mani ed aveva preso quelle di lui, aveva detto qualcosa, con un tono
basso,
quasi un sussurro, in una lingua che non conosceva, così
dura da non riuscire a
percepirne le parole. Lui le aveva sollevato il viso e
l’aveva baciata con
dolcezza prima su una guancia poi sull’altra. C’era
gentilezza nella sua voce,
ma anche dolore. Astrid era arrossita ed aveva deviato lo sguardo,
occhi verdi
colmi di tristezza, verso il catino, aveva allungato una mano e
l’aveva
immersa. Lui aveva allungato una mano ed aveva cominciato a far
scivolare una
manica del grembiule arancione della nipote di Sif.
Jason non aveva visto altro di quell’intimità,
perché era altrove.
Aveva riconosciuto un impluvium, che dominava la
scena. Era una giornata
terribilmente umida, lo respirava nell’aria. Pioveva, sia dal
rumore dell’acqua
che batteva sul tetto, sia dai rivoli d’acqua che scivolavano
dal compluvium –
il foro nel soffitto – fino alla vasca per riempirla.
L’acqua cheta della impluviun
continuava a ticchettare. Jason sapeva per certo chi avrebbe
visto, se non
per il luogo, almeno per logica.
E poi aveva visto Mel, aveva circa la stessa età che nel
Valhalla, aveva un
occhio pesto e gonfio di un viola invadente, un labro aperto ed il naso
schiacciato in più punti; portava i capelli biondi ed
indisciplinati, lunghi
sulle spalle e sfatti. Zoppicava ed alcune ferite sembravano fresche.
Sembrava
passato in un frullatore; Jason non lo avrebbe mai riconosciuto non
fosse stato
per gli occhi oliva-scuro.
Mel era in compagnia di un’ancella, vestita con una lunga pretexa.
“Ecco, sì, mio signore. Il gladiatore che avevate
chiesto” aveva detto pieno di
incertezza.
Jason aveva visto il suo interlocutore. Occhi cattivi, predatori,
dietro un
viso all’apparenza gradevole, carino, quasi ingenuo, ma Jason
conosceva la
verità.
Caligola. Uno giovane e tremendamente diverso dal mostro che lui
conosceva.
“Mio signore, non pensavo di rivedervi” aveva detto
Mel, ma la sua voce era
cedevole ed impastata, come se parlare fosse doloroso. Aveva parlato in
latino,
ma Jason aveva compreso. “Sono sorpreso quanto te”
aveva dichiarato Caligola,
con un sorriso cattivo disegnato sul viso giovane.
Era in una casa accogliente e calda, una che Jason non aveva mai
provato nella
sua breve vita mortale. C’era una splendida donna dai capelli
chiari, quasi
bianchi e la pelle chiara e luminosa che gironzolava per la casa
canticchiando,
poi aveva urlato qualcosa.
Se non avesse conosciuto uno di quei suoni, Jason non avrebbe capito
fossero
nomi: Narfi e Váli.
Due uccellini erano da una finestra aperta, uno aveva un delicato
piumaggio
rosso ed uno azzurro, che si erano inseguiti, sembravano passerotti che
era poi
esplosi in due figuri umani, bambini. Un Váli Lokinsoon con
i suoi occhi gialli
come lo champagne era apparso davanti a lui, assieme ad una sua piccola
copia
di lui.
La dea della fedeltà – doveva essere lei
– aveva detto qualcosa e Jason aveva
distinto il suono della parola ‘padre’ ricordando
come Astrid aveva appellato
suo padre. I bambini avevano ripagato con qualche commento che Jason
non aveva
capito, ma davanti al sorriso caldo della loro madre avevano riso i due
bambini,
vibranti di gioia. Oh, come infausto era stato il destino a spegnere la
gioia
dal viso di Váli. Jason aveva sentito la stessa atavica
rabbia che aveva
provato per Cupido quando aveva spezzato l’animo di Nico.
E
poi era
cambiato tutto ancora, ed ancora, in un vortice infinito di frammenti
ed
immagini senza alcun senso.
“Perché?” aveva chiesto Jason confuso.
Chiedendo un senso a quelle visioni.
Erano i suoi compagni, tutti. E poi si era aperta un’altra
scena …
Era il caffè all’università di Boston,
la stessa dove aveva incontrato Jarnsaxa
la prima volta. Ma era autunno ed un tappeto di foglie rosse e marroni
decorava
tutto. Poi l’aveva riconosciuta bella e letale, Kym!
Jason lo aveva capito subito che quello che stava vedendo era una
visione
diversa. Prima aveva avuto una visione della vita dei suoi compagni, un
piccolo
scorcio, dal più recente – Stellan vivente
– a Mel, il più antico. Ma quel
momento era diverso.
Kym non era nella sua fulgida forma divina, ma pareva nella sua forma
umana.
Era seduta al tavolino che sorseggiava un alcolico di fortuna.
Aveva sollevato gli occhi verde-mare e per un secondo Jason aveva avuto
la
netta impressione che lo potesse vedere, ma non era vero, guardava
nella sua
direzione, ma non lui, si era voltato ed aveva visto Thrud arrivare.
Sembrava una collegiale qualsiasi, anziché una divina
valchiria, con i capelli
crespi e fulminanti in ogni direzione, avvolta in un pesate giaccone
con un
collo di … piume?
“Thrud ben arrivata” aveva detto Kym pigramente,
mentre la ragazza faceva
strisciare una sedia prima di accomodarsi.
“Kym” aveva replicato la figlia di Thor.
“Hai fatto quello che ti ho chiesto?” aveva chiesto
la valchiria, aveva fatto
passare diversi minuti, si era guardata intorno circospetta.
“Intendi recuperare quel pezzo di arredamento da giardino del
tuo fidanzato?
Sì” aveva risposto Kym stizzita. Thrud aveva
gonfiato le guance, leggermente
offesa, “Alvis è una persona adorabile!”
aveva difeso il suo amore Thrud, “Solo
che papa non lo capisce” aveva aggiunto.
Jason era stato per un momento terribilmente confuso, credeva che Kym
avesse
aiutato Thrud a sbarazzarsi del suo fastidioso spasimante.
Kym aveva riso con un divertimento quasi cattivo, “Per mio
padre è il
contrario. Lui trova fantastico il mio marito, con mille mani che non
mette
neanche il sottobicchiere sul tavolo di vetro” aveva
replicato offesa la dea.
Thrud aveva riso, complice, “Ah, come siamo sfortunate amica
mia: tuo padre ti
ha imposto un uomo che non vuoi, mentre il mio mi nega quello che
voglio” aveva
commentato quasi tragica.
Kym aveva sbuffato, “Anche a me hanno negato quello
che volevo” aveva
detto lapidaria.
Thrud le aveva sorriso, le sue labbra erano cattive ed i suoi occhi
erano
scintillati quasi di una luce sinistra, “Sai,
però, cara, Kymopoleia io … potrei
avere una soluzione per il nostro problema” aveva commentato
Thrud.
Kym aveva sollevato un sopracciglio scuro.
“Ho parlato con una Flagd”
aveva spiegato Thrud. “Sai che non ho idea di cosa dici?
Adesso cominciò a
sciorinarti anche io termini greci a caso … tipo kamelopardalis”
aveva risposto schietta ed irritata Kym, “Perché
ora parli di giraffe?” aveva
chiesto Thrud, “Hai capito!” aveva abbaiato Kym. La
figlia di Thor aveva
sbuffato ed aveva risposto poi, seccata: “Un strega.”
“Va bene, cosa ti ha detto questa strega?”
aveva domandato Kym.
“Come possiamo ottenere tutto quello che vogliamo senza
incorrere nel Ragnarok”
aveva detto la Valchiria, “E nell’ira dello zio
Ade” aveva replicato Kym.
Oh, stavano parlando di lui!
“Devo
dire che tutto questo è molto caotico” aveva
sentito una voce femminile alle sue spalle, per un secondo aveva
pensato ad
Heidi quando si era voltato, ma aveva incrociato gli occhi pieni di
buone
intenzioni di Glam, la dísir.
Le palpebre erano coperte da un sottile strato colorato di un viola
accecante
che urtava da morire con il caschetto blu brillante.
Erano sistemati in un piccolo bar, composto da un bancone –
dove nessuno era
presente – e dei tavolini bianchi, tre, mentre la parete
straripavano di libri,
fumetti e quant’altro di ogni genere. Jason non aveva dea di
che posto fosse.
“Non siamo abituati al caos da queste parte, siamo soggetti
al Wyrd, tutto già
scritto … a modo suo, lui va come vuole” aveva
ammesso Glam, “Ma qui stiamo
andando completamente fuori i binari” aveva ammesso quella.
Jason
aveva boccheggiato, avrebbe dovuto rispondere
alla Dísir che era colpa sua, ma aveva il sospetto che la
donna lo sapesse già.
“So cosa stai per dire” lo aveva anticipato Glam,
“Diciamolo al tre” aveva
squittito.
Jason aveva sospirato.
“Uno …” aveva cominciato a contare,
“Aspetta … così non è
chiaro, dillo dopo
che ho detto tre” aveva specificato.
“Quindi: uno” aveva ripreso Glam, “Due
…”
“… Tre …”
“ È colpa mia se sta succedendo tutto
questo” aveva ammesso Jason, non aveva
senso negare niente ad una dea del destino nel mezzo di un delirio
onirico.
“È un personaggio apparso troppo tardi
per essere effettivamente rilevante
nella storia” aveva canticchiato allo stesso tempo
Glam. “Cosa?” aveva
chiesto confuso Jason, “Non è realmente colpa tua,
penso sia ovvio. Non sei realmente
colpevole” aveva specificato Glam,
“Questo purtroppo non ti rende estraneo”
aveva spiegato calma, “Avevo detto che eri interessante,
no?” aveva chiesto
retorica Glam.
Sì, lo aveva detto prima di portarlo a Folkvagen. “Siamo
marionette che
ballano guidate dai fili di chi è venuto prima di noi”
aveva ripetuto
Jason, “Oh, George R.R. Martin … sei un
po’ nerd anche tu?” aveva squittito
divertita Glam, “Io … no? Lo ho sentito da un mio
compagno al college” aveva
ammesso Jason colmo di imbarazzo, “Ho una DSA”
– sapeva che restare sul vago
non era giusto, ma non era neanche una bugia, forse Jason non aveva un
disturbo
dell’apprendimento base, ma il suo cervello era settato su
altro – “Ho una
certa difficoltà nel leggere” aveva sottolineato.
Una volta aveva speso ben un
quarto d’ora a cercare di interpretare una scritta prima di
rendersi conto che
non era scritta in latino.
“Esistono gli audio libri” lo aveva stuzzicato la
dea, “A proposito, perché ti
sei definita personaggio?” aveva chiesto,
ricordando quella strana
frase. Glam aveva ridacchiato divertita, “Meta-narrazione
Jason! Tutti
noi, senza eccezioni siamo protagonisti di una
storia, che sia stata
vomitata fuori assieme a fumo verde, pescata da un pozzo o da una sfera
di
cristallo,
tutti protagonisti di una storia” aveva ammesso la
Dísir, “Ed io mi sono
infilata nella tua abbastanza in ritardo” aveva considerato
quella.
Diverse risposte erano venute in mente a Jason, la sua storia era stata
già
raccontata da una profezia, da una canzone, dalle memorie. La sua
storia era
finita, Glam non era in ritardo, era fuori tempo massimo.
Era Jason che
stava rubando il tempo. “Sei il mio Deus ex machina?”
aveva indagato
alla fine Jason, decidendo che dovesse essere la cosa a cui postare
più
attenzione. Glam era una dísir, una signora del fato, una
guardiana delle anime
che potevano spostarsi da un paradiso ad un altro.
“Sì … a proposito di questo, non sono
proprio sicura di poter intervenire fino
in fondo, oltre che, be, non so esattamente quale sia la tua
situazione. Il
futuro è un mistero, oggi”
aveva raccontato quella, facendo oscillare il
caschetto azzurro.
“Non è la prima volta che viene detto,
sì” aveva ammesso Jason, ricordando
anche la profezia a fortuna di Kráka. “Quasi una
sensazione elettrica” aveva
squittito Glam e sembrava stranamente sincera, mentre spostava le sedia
per
accomodarsi.
Aveva invitato Jason per seguirla, “Tranquillo siamo in un
non-tempo, ora stai
dormendo ma tranquillo dormirà decisamente molto meno tempo
di quanto
impiegheremo qui” aveva soffiato.
“Di solito mi capita il contrario, sogni relativamente brevi
e poi scopro di
aver praticamente raggiunto il coma” aveva ammesso calmo,
“Probabilmente
sarebbe successo anche qui, il wyrd ti voleva mostrare i tuoi amici,
tutti i
tuoi amici … rifletti su questo, probabilmente cerca di dire
qualcosa, ma io
lo ho intercettato” aveva ammesso Glam con totale
no-chalance.
Jason aveva annuito, “Credo abbia senso” aveva
considerato, anche se non era
sicuro che perdere il flusso di informazioni che una forza primordiale
voleva
mostrarli fosse furbo, “Certo che ha senso, chi tra me e te
è la dea che serve
il destino?” aveva inquisito quasi divertita.
“Touchè” aveva ammesso Jason,
“Quindi, cominciamo” aveva considerato la ragazza
battendo le mani.
“Come rimettiamo a posto le tavole del destino?”
aveva proposto lui.
“Dritto al punto, mi piace” aveva scherzato la dea,
“Ma no, cominceremo da una
storia molto più interessante: Star Wars,
hai presente?” aveva chiesto,
per dare anche più enfasi, Glam si era indicata la maglietta
rosa e bianca con
la scritta: Han Solo spara per primo.
Jason doveva dichiararsi piuttosto stupito, “ È
dove ci sono quelli con le
orecchie a punta? I Vulcaniani?” aveva chiesto poi, cercando
di recuperare
dalle sue memorie qualcosa che aveva detto Leo una volta.
“Quello è Star Trek”
lo aveva corretto Glam. “Quello con gli orsetti
carini-bruttini, allora” aveva
proposto Jason, anche quello veniva da una memoria con Leo, ‘Ascoltami,
fratello, sicuramente il De Bello Gallico ha il suo perché,
ma la cultura pop
merita di essere conosciuta anche da chi è cresciuto dai Lupi”
aveva
scherzato Leo.
‘Va bene, sono pronto alla cultura pop’
aveva scherzato Jason,
accettando, ma poi era stato tempo di costruire l’Argo II, di
raggiungere Nuova
Roma e poi l’Europa e poi non c’era stato
più tempo.
Jason aveva cercato Leo per un po’ dopo la battaglia al Campo
Mezzosangue e poi
si era arreso, per un po’.
Ci sarebbe stato tempo, si era detto, per recuperare tutta la cultura
pop che i
confini di Nuova Roma lo avevano privato, con Piper e con Leo quando
sarebbe
tornato.
Ma aveva avuto torto: non aveva avuto tempo.
“Il fatto che tu riconosca Star Wars dagli Hewok è
indecente, ma possiamo dire
così” aveva concesso Glam, “Per farla
breve e riducendo una trama composta di
film, libri, fumetti e canoni diversi – nel primo film, che
è il quarto, i
ribelli combattono contro un oscuro imperatore” aveva
spiegato lei. Questo
suona familiare, aveva pensato Jason, ma non aveva avuto il coraggio di
dirlo
ad alta voce, “L’Imperatore governa
l’universo intero, ma esiste un’alleanza
ribelle che cerca di rovesciarlo, ora lasciamo da parte Luke, Han e
Leia, okay”
aveva ripreso.
“Abbastanza facile, non so chi siano” aveva
soffiato lui.
Glam aveva sorriso come un gatto del Cheshire, “Be tesoro, un
po’ sembri Luke
Skywalker” aveva soffiato divertita lei, prima di riprendere
a parlare: “Ora l’alleanza
ribelle deve sconfiggere l’Imperatore, quello è il
loro grande obbiettivo, ma
nel frattempo questi ha fatto costruire una macchina distruggi pianeti
di nome
Morte Nera, che non esita ad usare” aveva spiegato.
Jason era solamente più confuso, ma aveva ascoltato
nuovamente le parole,
“Rovesciare l’Imperatore è ancora
necessario, ovviamente si rovescia
l’Imperatore probabilmente si risolveranno tutti i problemi,
o quasi … ma
sospetto che questa Morte Nera sia diventata effettivamente
prioritaria” aveva
considerato.
L’Imperatore era ancora il cattivo, ma l’arma
capace di distruggere pianeti era
probabilmente più prioritaria, come lo era stato per loro
dover svolgere tutte
quelle missioni mentre cercavano di raggiungere Atene, come
… recuperare
l’Atena Partenone, per ricucire la frattura. “Mi
piacciono i ragazzi svegli”
aveva ammesso Glam, “Le tavole del destino sono
l’Imperatore” aveva considerato
Jason, “Ed Heidi è la Morte Nera”
aveva concluso Jason.
“Il che fa ridere per più di una
ragione” aveva soffiato Glam, prima di
inclinare la testa, “Oh, in questa metafora Váli
Odinsson dove lo metteresti?”
aveva indagato tutt’altro che lieto Jason, quasi nel tentavi
di sdrammatizzare,
“Darth Vader, sicuramente” aveva detto Glam,
schioccando le dita.
“Se entro ventiquattro ore riesco a tornare al Valhalla,
giuro che recupero
tutti i film” aveva ammesso lui. La piccola dea aveva
ridacchiato, mentre
faceva oscillare il polso, per eseguire un movimento della mano,
simile, era
una riproduzione di Gebo, la runa del dono. Tra le
sue mani era apparsa l’Edda
Poetica, una coppia diversa da quella che Astrid aveva preso
in prestito
per lui dalla biblioteca dei Chase. La copia di Glam era più
vecchia, bella ed
elegante, con carta sottile, le rune vergate in raffinate con pennino e
calamaio, accompagnate da disegni e miniature esplicative.
“Ora Hannibal Lecter
aveva costruito un pulsate di distruzione per
l’autodistruzione,
sfortunatamente nessuno lo ha fatto per Heidi, ma ha
anche molto altro”
aveva squittito Glam. Jason aveva schiuso le labbra, ma alla fine aveva
deciso
di tacere.
“Cominceremo
da lei, come posso … per
proseguire poi, a Váli, ai Váli,
fino alle tavole, per quel che posso,
si intende, resto ancora una misteriosa dea del destino”
aveva ripreso Glam, “E
non dimentichiamo il cinghiale” aveva considerato Jason,
“Non dimentichiamo il
cinghiale, no no” aveva dato man forte Jason.
Jason aveva recuperato il libro che Glam aveva evocato.
“Cominciamo da Heidi”
aveva sospirato, “Che di sicuro non è quella a cui
le caprette fanno ciao”
aveva commentato Glam divertita, Jason aveva sollevato un sopracciglio,
“Oh,
Odino Padre-Tutto hai delle serissime lacune da sistemare”
aveva aggiunto.
Jason aveva sospirato, stanco, passando le dita sulla copertina
delicata
dell’Edda, ricordando le parole di Heidi stessa.
Nella Vǫlupsa, lei era lì,
così aveva detto.
“Capo-verso
ventuno” aveva ricordato.
Glam aveva sorriso soddisfatta: “Bene, mio giovane Padawan,
stai recuperando
punti …”
Jason aveva aperto il libro cercando il capoverso ventuno della
Vǫlupsa,
notando che il libro che Glam li aveva fornito ospitava tre colonne a
pagina,
una era in inglese, una era scritta in caratteri runici ed una doveva
essere la
trascrizione in caratteri latini della scritta runica.
“Forse … è la domanda
sbagliata” aveva ripreso Jason, “Ma la
maglietta?” aveva
indagato, Glam aveva sorriso serafica: “Vuol dire che anche
le canaglie possono
essere eroi o gli eroi possono giocare sporco.”
Jason
aveva aperto gli occhi.
La prima sensazione che aveva provato era stato estraniamento, una
confusione
pesante sulle sue palpebre, ma poi tutto il sogno con i suoi amici e la
lunga
conversazione con Glam era venuta alla sua memoria, poi aveva
realizzato di
essere da qualche parte.
Era seduto per terra, circondato da un anello di rune.
Alcune avevano un aspetto famigliare ma altre decisamente no.
In una stanza completamente vuota, senza arredi, senza finestre
– neanche inferiate
– con l’unica compagnia di una porta di legno
spesso.
Il pavimento era nuda terra battuta e le pareti erano muro stuccato con
cui si
dipanavano grottesche scene, che Jason riusciva a distinguere male
nella
penombra.
L’unica fonte di luce nella stanza era il tiepido chiarore
tendente al rosso
emanato dal cerchio di rune.
Jason sospettava di sapere cosa fosse, ma decise di tentare ugualmente,
stendendo una gamba, trovando un muro d’aria ad impedire di
passare il cerchio.
Era costretto in quella posizione seduta, senza potersi muovere, oltre
il metro
scarso.
“Bene, come mi libero di questo?” aveva pensato ad
alta voce.
“Non lo puoi fare; sono rune futhorc,
rune due-punto-zero”
aveva risposto una calma voce maschile a Jason, comunicandoli che non
era
l’unico nella stanza. Si era voltato da dove veniva il
rumore, incrociando però
solo buio. “Non ti vedo” aveva dichiarato.
“Sfortunatamente non ho bisogno di sigilli magici per essere
messo in castigo”
aveva dichiarato stanco la voce. “Anche lei rapito da
Heidi?” aveva chiesto
Jason, “Più dalla mia
stupidità” aveva considerato la voce maschile,
“Anche le
menti più acute possono essere fallaci” aveva
sospirato quello stanco.
Jason aveva roteato gli occhi, intuendo che attitudine avesse il suo
compagno
di stanza. “Sono felice che tu ti sia svegliato comunque, da
solo cominciava ad
essere esasperante” aveva commentato la voce,
“Immagino, magari in due
riusciamo anche ad escogitare un modo per uscire” aveva
considerato Jason,
prima di presentarsi poi.
“Oh, sì, io sono Mímir, il consigliere
di Odino, il dio del sapere” aveva
risposto tronfia la voce.
“Oh” si era lasciato sfuggire Jason, “Il
dio scomparso” aveva considerato.
Ricordava di aver sognato l’incontro tra Frigga e Samirah a
proposito della
sparizione del dio in questione. Scomparso.
Stranamente non ne avevano parlato con Glam, forse la Dísir
non lo aveva
ritenuto importante, non quando Gullinsbursti e Heidi.
“Il dio senza corpo giusto? Samirah Al-Abbas la sta
cercando” aveva comunicato
Jason, “Samirah? Odino di tutte le valchirie doveva proprio
mandarmi quella
ragazzina bisbetica” si era lamentato Mímir,
“Però questo vuol dire che saremmo
salvi a breve” aveva considerato piuttosto soddisfatto,
“Samirah e Magnus
potranno anche essere poco collaborativi, ma sono decisamente bravi nel
loro
lavoro. Salvi presto, sicuramente”.
Jason non ne era del tutto sicuro, senza deprivare Magnus del suo
talento, era
venuto in soccorso di Jason solo qualche ora prima – o forse
giorno.
“Posso chiederle come è stato rapito?”
aveva domandato Jason, mentre riprendeva
ad osservare le rune che lo circondavano, cercando qualcosa che lo
potesse
aiutare. “Oh, sono stato molto stupido, dopo aver perso i
miei due apprendisti,
ho avuto bisogno di qualche nuovo aiuto, sarebbe sciocco lasciare
sprecare
tanta sapienza, ma, ahimè ho scelto male, e non mi sono
accorto che quella
stregaccia vanir aveva già messo gli artigli sul mio
protetto” aveva spiegato
il dio, pieno di vergogna. C’era qualcosa nel fondo della
memoria di Jason che stava
gridando qualcosa, ma non sapeva dove cercare, dopo
il tiro-mancino
della divina Giunone la sua mente non era più stata la
stessa. Se mai la era
stata.
“Non
conosco molto bene le rune,
sapresti indicarmele, riconosco solo Mann … e Rad”
aveva ammesso stanco Jason,
oltre la lettura dell’Edda avrebbe dovuto chiedere a Glam
qualche ripetizione
in runico. La prima
la ricordava per
Madina, era l’uomo ma era anche la M,
la sua iniziale. Non doveva
esistere nelle rune vichinghe o essere uguale, la stessa cosa doveva
valere per
Rad, il viaggio, che era una delle rune del set di Astrid.
Le rune erano sei, la prima era una stanga dritta attraversata da una
barra
obliqua con il lato alto a sinistra,
verticali, la seconda era era la R tutta acuminata di Rad,
ma era
rovesciata – e Jason sapeva doveva significare qualcosa
– seguita da Mann con
le due stangate oblique della M che si incrociavano continuavano fino
alle
barre, poi c’era una F con le barre orizzontali spezzate in
due segmenti che
formavano la v, la seconda, poi c’era quella che sembrava una
C composta di
segmenti dritti e freddi e l’ultima era una semplice I
maiuscola.
“Be, questo è grave per un einerhjar, ma ti
aiuterò, così tu aiuterai me” aveva
spiegato pratico Mímir, “Sono Nyd, Rad,
Mann, Oss, Peorth e Is”
aveva spiegato pratico, “Tutte le rune sono leggibili dal tuo
punto di vista,
tranne Rad che è al rovescio. Dunque,
sono Bisogno, trasporto ma
al rovescio, uomo, dio, contenitore da
riempire e ghiaccio”
Il
cigolio della porta in quercia aveva distratto
Jason e Mímir dalla loro conversazione.
La luce dell’altra stanza aveva accecato per un momento gli
occhi di Jason, che
si era ormai abituato al tenue bagliore della stanza e una silhouette
era
emersa, più luminosa della luce stessa, per un momento, solo
quando la porta si
era richiusa Jason aveva potuto distinguere la figura.
Una donna era apparsa, illuminata di una fredda luce dorata. Quando la
luminescenza era divenuta abitudine ai suoi occhi, Jason era riuscita a
distinguere le forme.
Era una splendida donna, slanciata, con un corpo snello e curve
generose, come
la più perfetta delle creature, aveva un viso splendido da
diva degli anni
Venti della Hollywood dell’Epoca d’Oro, che Beryl
Grace aveva incorniciato alle
pareti della sua stanza. La donna aveva capelli biondi, ondulati che
scendevano
sul viso bellissimo, fino alle spalle. Occhi d’oro puro, un
oro diverso da
quello di Piper, ma come monete sonanti.
Indossava un abito che non sembrava fatto di stoffa, ma di lamina
d’oro che
aderiva al suo corpo come un guanto. Jason si era sentito stordito
davanti a
quella visione.
“Heidi” aveva ammesso come un sospiro, consapevole
di chi fosse
veramente.
Dopo averla studiata, Jason l’avrebbe riconosciuta senza
neanche bisogno di una
sua presentazione …
“Oh, be, stiamo facendo progressi” aveva
considerato Heidi divertita, “Immagino
che l’assenza di flanella possa aver aiutato” aveva
squittito divertita, “Ben
sveglio, comunque … spero che Mímir non ti abbia
annoiato troppo” aveva
considerato Heidi, avvicinandosi all’angolo buio dove
risiedeva il dio senza
corpo, “A volte può essere fin troppo
indisponente” aveva considerato.
Quando Heidi aveva raggiunto l’angolo si era chinata per
raccogliere qualcosa,
dando le spalle a Jason, quando si era voltata, lui aveva potuto
osservare che
la dea teneva tra le sue mani aveva un boccia per pesci rossi, dove
galleggiava
una testa, con capelli rossastri.
Gli occhi di Mímir erano aperti, neri e profondi che si
erano fossilizzati su
Jason, sembravano cercare di comunicare qualcosa, se avesse imparato il
codice
mors da Leo forse avrebbero potuto comunicare
così. “Lo abbiamo decapitato
per questo” aveva canticchiato.
“Tu non hai fatto proprio nulla e non è stato per
questo” si era difeso
prontamente il dio nella boccia.
Heidi aveva raggiunto Jason e si era inginocchiata di fronte a lui,
facendo
attenzione a non far rovesciare la boccia o spiegazzare il vestito. Due
imprese
ardue in cui era riuscita, “I tuoi compagni erano sciocchi e
per questo che la
memoria li ha mangiati” aveva aggiunto il dio.
La dea non era sembrata per nulla turbata da quei commenti, mentre
sistemava la
boccia sul pavimento di fronte Jason, con un sorriso che non prometteva
nulla
di buono.
La lettura della Vǫlupsa con Glam aveva preparato Jason meglio di
quanto avesse
fatto la presentazione infinita di Odino, sapeva esattamente quello di
cui
stavano discutendo i due e le ragioni che avevano portato i Vanir a
decapitare Mímir,
ma aveva deciso di tacere – consapevolmente.
Preferiva che la sua ignoranza, per una volta, non fosse
un’arma contro di lui.
“Mímir è il saggio per eccellenza,
è ciò che più si avvicina
all’onniscienza
nel nostro mondo. Nessun dio è, ovviamente, onnisciente ma
Mímir è la cosa più
vicina che si potrebbe avere” aveva spiegato Heidi ignorando
il dio, prima di
infilare una mano nella vasca ed afferrare i capelli rossi fluttuanti
come
alghe lunghe e tirandolo fuori. Gli occhi di Mímir si erano
allargati in neri
pozzi e la pelle rosa era divenuta di un verde lugubre, quando aveva
tirato
fuori la testa dalla vasca e l’aveva buttata via come se
fosse stata una
vecchia palla.
Jason aveva sentito un suono doloroso e bagnato quando questa era
caduta sul
pavimento battuto, “Ma con le tavole del destino crepate,
quasi rotte, non c’è nulla
da sapere. Il futuro è nebbia, appartiene a tutti”
aveva riso Heidi.
“Perché hai rapito Mímir?”
aveva indagato Jason, “Uhm … caos?”
aveva proposto
Heidi, “Godo del caos che posso creare Jason
Iovisson” aveva ammesso, “E poi mi
serviva la sua acqua” aveva aggiunto oscillando la mano
ancora zuppa, facendo
schizzare alcune goccioline anche sul viso di Jason, che aveva cercato
di
ritrarsi. “Certo avrei potuto raccogliere direttamente
l’acqua, ma sarebbe
stato altrettanto divertente?” aveva aggiunto. “Lo
hai usato come una bustina
da tè?” aveva chiesto Jason perplesso, osservando
la testa ancora gorgogliante
di Mímir per terra, “Non darmi meriti che non ho,
Odino è stato il primo, lo ha
anche bello-bello marinato. Gli Aesir sono così volgari,
così ovvi … quasi
impensabile che siano rimasti così a lungo” aveva
risposto Heidi.
“Pensavo che i Vanir vivi fossero solo tre: Freya, Frey e
Njord” aveva
ponderato Jason, decidendo su che sentiero muoversi, pensando alla sua
conversazione con la dísir. L’espressione
rilassata di Heidi si era incrinata,
“Sì, circa, ma una volta, Jason Iovisson, eravamo
molti molti di più e
governavamo su questo mondo” aveva sospirato la dea,
“Ma Mímir non sbagliava:
eravamo deboli ed abbiamo permesso al tempo di logorarci fino a
divorarci”
aveva commentato.
“Sai quando mi hanno raccontato dei due pantheon che si
univano dopo la guerra
mi era sembrato strano ed avevo ragione … è stato
un lento annichilimento”
aveva detto con una certa cattiveria, che non si sposava in lui. Lui
che era
figlio di Roma che aveva accolto ogni dio che aveva incrociato, o
quasi, che
aveva fatto di dei stranieri i suoi dei. “Molto Romano non
trovi?” lo aveva
interrogato Heidi.
“Direi no” aveva risposto Jason, non aveva senso
mentire, lei aveva preso il
viso di Piper, lo conosceva, “Tipico commento da romano,
anche se ti piace
fingerti greco” aveva squittito lei, “Prima
dell’Impero Romano nei loro
territori esistevano cinquecento lingue, dopo che è finito
solo cinque. Avete
preso quello che dovevate e lasciato solitudine”
aveva replicato.
Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant,
così aveva scritto Tacito.
“E quello che hanno fatto ai Vanir? Hanno preso quello che
volevano e poi vi
hanno lasciato sfumare, dimenticati” aveva replicato lui,
calmo, cercando di
non arretrare da quello sguardo famelico.
“Sì, si sono presi il Seidr e qualche altra cosa e
lasciato il nulla.
Però ti prego, Jason, non pensare che lo faccia per qualche
fine nostalgico;”
aveva scherzato Heidi, “Allora sei la classica cattiva che
vuole vedere solo il
mondo bruciare” aveva detto Jason.
“Per favore, Jason Iovisson, non scambiarmi per una Loki
qualsiasi” aveva
risposto Heidi, drammatica.
“Dov’è Astrid? Come
sai chi sono?” aveva chiesto rabbioso lui, “Dei, un
altro cambio di discorso netto, non sei proprio bravo nei giochi mentali,
vero? Tu sei proprio il ragazzo d’oro, sì
… quello onesto e sempre sincero, noioso,
probabilmente mi sarei divertita di più con i tuoi cugini,
sai quello
sarcastico e quello melodrammatico” aveva scherzato Heidi.
Jason aveva provato rabbia e indignazione per primi nel sentire parlare
di
Percy e Nico così sguaiatamente e poi mortale preoccupazione.
Heidi sapeva tutto di lui. E non voleva che raggiungesse loro.
“Sei tu quella che ha detto che voleva il caos”
aveva ammesso Jason. Heidi
aveva ridacchiato, “Touché. Diciamo che Loki
prospera nel caos perché vuole
solo l’attenzione: ma io non voglio l’attenzione
… non ne ho bisogno, fidati”
aveva detto serafica lei. “E cosa vuoi?” aveva
domandato con mordente Jason,
“Lascerò la tua fantasia galoppare”
aveva ridacchiato lei.
“Astrid?” aveva chiesto Jason, decidendo che non
aveva molto di cui parlare con
Heide, era probabilmente solo affamata di caos, per fini che lui non
comprendeva. “Ah, la nipote di Lady Sif, sì,
sì … il tuo è un feticismo?
Sai donne skrælingjar?” aveva chiesto divertita.
Jason era arrossito imbarazzato, “Cosa? No!” aveva
risposto, Heidi aveva riso
di lui, “Uhm … Hai ragione è stato poco
carino” aveva ricominciato la dea
sollevandosi, con una espressione piuttosto divertita, “Dove
è Astrid? Come
sai chi sono? Perché sono qui?” aveva
deciso di ringhiare solamente Jason.
Heidi aveva ridacchiato, “Perché sei qui-qui o
perché sei finito in questo
pasticcio?” aveva indagato Heidi. Jason aveva schiuso le
labbra, “Entrambe?”
aveva risposto lui, “Me lo stai chiedendo?” aveva
proposto lei con
divertimento.
“Entrambe” aveva replicato Jason, “Sei
finito in questo pasticcio per tante
ragioni diverse, ma la più importante: eri necessario. Sai
è bello, essere
necessari, nessuno mai lo è veramente, ma tu
sì” aveva replicato. “Così
può
scoppiare una guerra tra pantheon” aveva replicato Jason,
“tra le altre cose”
aveva ammesso Heidi. Altre cose … non prometteva bene.
“E perché sono qui-qui?” aveva indagato
Jason, ammiccando al cerchio di rune
che lo teneva prigioniero. “Perché nonostante tu
sia noioso come poche cose al
mondo, sei riuscito ad incasinare le cose e se non capisco come
risolvere la
cosa potresti rovinare tutto” aveva considerato Heidi, con un
tono piuttosto
secco. “Come?” aveva chiesto, “Ti sembro
il super cattivo che rivela i piani
prima che siano conclusi? Anche solo dirti come lo hai quasi mandato a
monte
potrebbe darti troppi indizi” l’aveva rimproverato
Heidi.
Sollevandosi Heidi lo aveva guardato con una punta di divertimento,
“Quindi non
mi dirai che cosa vuoi fare, come ti sto ostacolando, dove sia Astrid,
perché
tu abbia rapito Mímir” aveva considerato Jason.
“Il fascino del mistero” aveva scherzato lei,
“Magari potresti dirmi anche solo
perché il cinghiale” aveva quasi scherzato lui.
“In effetti quello posso dirtelo, le ragioni sono due: la
più superficiale
volevo punire Freya e Frey” aveva detto subito Heidi,
“Per questo hai nascosto
il cinghiale qui, sì, ha senso” aveva valutato
Jason, “Sì, senza contare che
era l’unico posto dove la sua luce non sarebbe stata
notata” aveva esclamato
divertita la donna, prima di proseguire: “La seconda, la
più importante: vedere
se potevo” aveva aggiunto.
“La rottura del ciclo” aveva sospirato Jason.
“Un piccolo esperimento” aveva ammesso Heidi,
“Che potrebbe avere come
conseguenza la morte di un intero mondo” aveva ringhiato
Jason. “Oh, dei, mi
chiedo dove altro sia successo” aveva risposto seccata la
donna.
Nonostante Heidi avesse detto non fosse stato per nostalgia, Jason non
credeva
fosse stata sincera. Heidi era sopravvissuta a tutta la sua gente,
considerando
che Njord, Freya e Frey erano stati formalmente adottati dagli Aesi,
Heidi era l’ultima
dei vanir.
“Comunque, nonostante io sappia della tua noia dilagante e
della tua passione
del temporeggiare, Hera e Lupa ti hanno donato tanta di quella
resilienza”
aveva scherzato, “Quindi mi prenderò
un’assicurazione” aveva detto la dea e poi
aveva fatto qualcosa che Jason non si era aspettata.
Era entrata nel cerchio, era stato scioccante perché
ingenuamente aveva pensato
che se nulla poteva uscire, nulla poteva entrare.
Aveva richiamato i suoi poteri ma si era ritrovato inerme e quando
Heidi si era
avvicinata, qualcosa dentro di lui si era sciolto e la
luminosità sottile da femme
fatale, si era fatta iridescente come neon. Heidi lo aveva
afferrato per il
mento con le sue mani, delicate all’apparenza ma dure come
tenaglie e Jason
aveva sperimentato qualcosa che da molto tempo – da prima
della sua morte o
forse anche antecedete – non provava: un desiderio divorante,
per quanto la
fame fosse priva di discernimento.
Sentiva fluire in lui lo stesso inebriante sentimento che aveva provato
quando
aveva indossato per la prima volta la corona d’alloro dei
pretori e la toga
viola, lo stesso sentimento incendiario di quando Piper lo aveva
baciato dopo
la battaglia, o quando i fulmini lo avevano animato a Jotunhaimer; ma
ancora
più affamato di quello, di tutto quello.
“Sazia la tua fame” aveva ordinato Heidi e Jason
aveva ubbidito, senza neanche
accorgersene. “Devi essere vocale, Jason Iovisson, che tu
voglia saziarti”
aveva insistito la dea.
“Sì” aveva confessato Jason, senza
vergogna, “Devi dirlo” aveva insistito,
“Voglio saziarmi” aveva mormorato quasi ebete.
C’erano voluti tre sorsi prima che l’arsura del suo
cuore fosse appagata e
realizzasse che ciò che impastava come sapore la sua bocca
era l’acqua della
boccia di Mímir.
Heidi era sfuggita al suo campo visivo, la sua luce era appena una
fiammella,
come se si fosse consumata lei stessa, e la stanza era tornata in buio
quasi
soffocante.
Come macchia indistinta Heidi si era chinata recuperando qualcosa, un
lamento
l’aveva accompagnata; Mímir.
“Devi sapere Jason Iovisson” aveva cominciato la
donna con voce calma, “Che
chiunque beva dalla fonte di Mímir – e si intende
qualsiasi acqua dove lui sia
immerso o lo sia stato recentemente e non solo quella baciata dalle
radici
dell’Ygrdasill – guadagna poteri senza eguali, ma
non senza dare nulla in
cambio” aveva spiegato la dea, “E finché
sarai lì dentro non potrai pagare il
conto” aveva scherzato la dea con un divertimento quasi
crudele.
“Cosa mi accadrà se non …
pago?” aveva chiesto Jason con un leggero panico,
“Oh
be, niente, perché l’equilibrio si è
completamente sballato” aveva risposto la
donna, facendo ricadere la testa nella vasca,
“Finché avrai tu Mímir non
potrò
pagare il conto” aveva considerato Jason, realizzando la
portata della cosa,
“Sì e a te converrà che
l’equilibrio non si ristabilizzi o mi chiedo cosa possa
accadere da chi prende senza dare” aveva riso Heidi.
“Incantò,
dovunque poteva,
incantò i sensi” Jason aveva fatto una pausa nella
sua lettura, “Vuol dire
quello che temo?” aveva chiesto spaventato. Glam
aveva cambiato leggermente
il suo aspetto, nel momento in cui lui aveva letto la Vǫlupsa,
“Sì, lei è la
strega più potente che potrai mai conoscere e credo che al
mondo solo in tre
possano resistere ai suoi poteri: Loki, Odino e Freya” aveva
spiegato Glam,
“Neanche tu?” aveva chiesto speranzoso Jason,
“O mio giovane Padawan io sono
solo una serva del destino, non una tiratrice di fili” aveva
scherzato Glam.
“Come resisto al suo potere?” aveva domandato
Jason, “Non lo fai, speri solo di
non trovarti tra lei e i suoi incanti” aveva risposto la
dísir.
“Ero sotto il tuo incantesimo”
si era difeso Jason, “Sarebbe fantastico
se a qualcuno fregasse effettivamente qualcosa,
parlane con il tuo amico
Váli quando lo vedi, potrà spiegarti una o due
cose sulla bontà del wyrd” aveva
ricevuto come risposta e poi aveva abbandonato la stanza.
E Jason si era ritrovato di nuovo in un buio pesto, senza neanche la
compagnia
della testa parlante.
Aveva sbuffato, non poteva neanche invocare l’aiuto di Glam,
la dísir era stata
chiara: poteva intervenire solo in non-luoghi.
“Bene, come … esco da qui” aveva
valutato Jason, osservando le fievoli luminose
rune aggiornate di Heidi.
Le aveva riguardate: bisogno, trasportare ma al rovescio ,dio, uomo,
contenitore da riempire e ghiaccio, aveva ripetuto ancora ed ancora.
Bisogno, fermare – era quello, no? Il
contrario di trasportare – dio,
uomo, contenitore e ghiaccio.
E poi lo aveva capito, o almeno aveva pensato di capirlo: Bisogno
di tenere
l’uomo-dio nel contenitore di ghiaccio.
Probabilmente il ghiaccio ed il
contenitore erano solo un modo diverso per esprimere la prigionia.
Bisogno di tenere il semidio della prigione.
Sì, doveva essere quello, per questo Heidi aveva potuto
varcare la sua
prigione, o forse poteva perché era la sua maledizione.
“Rune tu troverai, lettere chiare, lettere grandi, lettere
possenti”
aveva ripetuto Jason, ricordando le parole che qualche giorno prima
erano state
dette da Madina a Jothunahim.
Le rune erano la magia più potente del mondo norreno, anche
più del seidr e
dell’alf seidr. Erano come i numeri, come
la matematica dell’universo,
erano il modo corretto per esprimere in magia le funzioni che
esistevano ed il
modo giusto per manipolare le cose.
Erano diverse da qualsiasi altro tipo di magia.
Non sapeva come
contraffare il potere di
Heidi, era una delle streghe più potenti in circolazione,
l’ultima dei vanir e
l’incubo di Odino e lui era solo un figlio di Giove bravo a
volare.
Non aveva bisogno di fare molto per rendersi conto che in quel cerchio
non
poteva usare ne fulmini ne aria, probabilmente il ghiaccio significava
quello: la
deprivazione.
Non sapeva come uscire da quella situazione, aveva ringhiato con
nervosismo e
si era battuto stupidamente le mani sulle cosce in un indesiderata
ricerca di
calma per la sua frustrazione.
Aveva infilato le mani in tasca alla ricerca di Giunone, aveva estratto
la
moneta e l’aveva fatta schioccare in alto, quando era caduta
sulla sua mano era
ancora una moneta, non sapeva neanche perché
l’avesse fatto, aveva rimesso
Giunone a posto e per questo aveva sentito qualcos’altro
nella sua tasca,
trovando poi cosa era. Hagalaz, la runa che
Kráka gli aveva fatto
estrarre dal gruppo di Astrid. Erano fatte di legno d’olmo,
il legno della
prima donna, create da un praticante di magia – sia seidr
sia alf-seidr
– così aveva spiegato Astrid. Immaginava fosse
stato Erik Freydisson, che erano
stregone ed un prete.
Rune potenti.
“H” aveva ricordato Jason, “Come
Heidi” aveva valutato guardando quella specie
di N, con le bande verticali più allungate,
“Grandine” aveva ricordato anche,
“Tristemente simile al ghiaccio” aveva aggiunto e
poi “… Un altro è Rottura”
aveva ricordato le parole di Astrid, nella sua camera, dopo
l’estrazione.
Jason aveva preso la runa di Hagalaz perché la serie della
sua amica doveva
avere una mancanza, doveva avere una sofferenza. Jason aveva rotto
l’equilibrio, in qualche maniera, soprattutto quello di
Astrid.
Aveva guardato ancora la runa, il legame personale lo rendeva
più potente,
erano rune fatte di magia pura, di un legno potente, realizzato da un
giovane
per la sua innamorata – Jason aveva visto il loro amore
imperituro da morti e
da vivi – e lui lo aveva spezzato.
Ed era una magia possente.
“Perché ho l’impressione che tu sia
rimasta con me per questo momento?”
aveva chiesto retorico. Era stato il Wyrd.
Hagalaz era la grandine, la H, il cambiamento ma
lui aveva bisogno della
rottura.
“Padre, Giunone, Kym … Odino, Glam …
Váli” aveva invocato quasi pieno di
vergogna prima di avvicinare la tessera alle rune disegnate.
Aveva sentito la sua mano incendiarsi, il calore, più
potente di un fulmine,
più bruciante, ma non si era fermato, le rune di Heidi si
erano illuminate
ancora di più di un rosso vermiglio senza vergona, mentre
quella di Astrid
ardeva di un fuoco verde intenso, ma Jason non aveva ceduto ed aveva
posato la
tessa su Peorth. Per un secondo il mondo era stato avvolto da un
brillante
colore giallo, che aveva accecato i suoi occhi, e poi era stato il
buio, le
rune si erano spente, tutte, e la stanza era scesa nel buio.
Aveva allungato le mani sul pavimento battuto al buio, prima di usare
la logica
ed aveva creato tra indice e pollice della mano sinistra un rivolo
elettrico
per illuminare qualcosa.
Aveva trovato hagalaz spezzata e rotta.
La rottura.
“Immagino io non sia stato creato per tenere unito
niente” aveva considerato
spento e stanco, quel gesto lo aveva drenato di ogni suo potere.
Non aveva riunito i romani e i greci, non aveva ritrovato Leo, non
aveva
aiutato Nico, non aveva creato i templi … non era riuscito
neanche a farsi
amare da Piper.
Jason Grace non era mai stato l’unificatore, era
sempre stato la grande
rottura.
Aveva raccolto i due pezzi in cui si era rotta la runa e gli aveva
messi in
tasca, un flebile guizzo di energia li animava ancora e così
aveva cercato la
porta al buio.
L’aveva trovata, forse eccedendo nella sua sicurezza Heidi
non aveva pensato a
blindarla di magia e l’aveva aperta, era stato poi avvolto
nella tenue luce del
giorno.
Un piccolo soggiorno, lo aveva accolto. Un divanetto basso, con sopra
una
trapunta, cassettiere in legno, vetrinette piene di cianfrusaglie ed un
tavolino basso al centro della stanza pieno di riviste. Non sembrava la
tipica
casa di una dea distruttrice, più di una casalinga degli
anni Cinquanta, ma …
immaginava che ognuno avesse le sue stranezze.
“Che sfortuna, speravo davvero tu non ti liberassi”
aveva sospirato una voce
femminile a lui nota. Non era Heidi.
Heidi non aveva lasciato un allarme di sicurezza, ma un mastino.
Jason si era voltato verso la voce, sotto l’uscio di
un’altra stanza aveva
incontrato un viso una giovane donna con indosso una lunga tunica blu
egiziano,
stretta alla vita da una cintola di cuoio, un mantello di piume di
cigno legato
ad una spalla e arruffati ed elettrici capelli biondi grano ardente.
Aveva sospirato, “Fantastico” aveva detto
sarcastico.
“Ciao Jason, mi dispiace davvero tanto” aveva detto
piena di imbarazzo la
donna, “Ciao a te, Thrud” aveva risposto stanco
Jason alla sua valchiria.
NOTA NECESSARIA: Non so quando
aggiornerò perché … ho perso
la voglia.
Poi, personalmente questa storia è tragicamente vicina al
finale, è ora di tirare
tutti i nodi al pettine e cercare di risolvere le questioni (Sappiamo
dove è il
cinghiale, anche se non lo *abbiamo* ancora trovato –
c’è da dire che Stellan e
Fred erano sulla buona strada, abbiamo scoperto chi ha preso
Mímir, chi è H e
all’incirca cosa vuole), prima fra tutti l’incontro
di wrestriling di Jason con
Váli l’altro. Detto questo, non tutte le questioni
trattate saranno risolte
direttamente (tipo i lunghi piani di H), ci tenevo a dirlo.
Detto questo, il capitolo appena letto è stato un delirio ed
in origine
dovevano essere due capitoli ben distinti ma ho deciso di unirli in uno
per
stringere il tempo.
Forse la rivelazione su Thrud
può sembrare un po’ OUT OF THE
BLUE, ma così è così è
sempre stato pensato. Prossimamente avremmo qualche
spiegazione.
Riguardo a Glam, il personaggio doveva apparire molto prima ed avere un
ruolo
molto più esteso (la sua prima comparsa è
effettivamente durante le vacanze a
Jothunheim) che avevo deciso di tagliare, essendo lei comparsa
tardivamente, ma
poi ho deciso di ‘ridimensionare’ soltanto,
perché nessuno poteva fare il Deus
ex machina come lei.
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Capitolo 21 *** Jason Grace copia spudoratamente Wanda Maximos (non che lui sappia chi sia) ***
EDIT:
Ho modificato leggermente il
testo; nessun cambiamento a livello di trama/forma.
Pensavo
che
dopo aver letto The Sun and The Star mi sarebbe tornata voglia di
scrivere in
questo fandom, ma non è stato così. Devo
ammettere che il Calice degli Dei mi
aveva ridato un po’ più di voglia e
metà di questo capitolo lo avevo scritto
dopo l’uscita del libro, la serie mi ha dato la spinta
definitiva per finirlo.
Però sarò onesta: non è un capitolo
che mi ha divertito scrivere ed ho trovato
la cosa molto pesante e un po’ mi dispiace perché
il mio “Riordan” preferito è
quello comico-divertente, cercherò di fare meglio
prossimamente, anche se, be,
ormai siamo al momento “buio” della trama.
Detto questo, spero possiate comunque apprezzare questo brano.
Un
bacio
RLandH
BUONA
LETTURA
Jason
Grace copia spudoratamente Wanda Maximoff
(non che lui sappia chi sia)[1]
Jason
si era voltato verso uno degli usci della stanza
– uno che conduceva ad una vecchia cucinina –
trovando la sua Thrud, con
indosso il mantello di piume di cigno, che scendeva su una sola spalla,
ma
invece degli abiti da guerriera indossava una lunga tunica blu egizio
ed i
capelli elettrici grano ardente erano liberi ed arruffati,
anziché nelle
abituali trecce.
Thrud
aveva lasciato l’Hotel quella mattina senza aver
avvertito nessuno su dove sarebbe andata. Jason non ci aveva dato
particolare
peso fino a che il Wyrd gli aveva mostrato la sua valchiria dopo aver
parlato
con una strega- Thrud gli aveva mentito, non avrebbe dovuto stupirsi
infin dei
conti Jason l’aveva vista mentire, senza battere ciglio,
davanti tutta la gran
sala di Odino, davanti le valchirie, gli einherjar, gli dèi
e i thane. Thrud
aveva complottato con Kym.
Jason avrebbe dovuto aspettarselo, con l’aggiunta di
ciò che aveva scoperto di
Heidi nella volupsa, ma la verità, la verità nuda
e cruda, era che Jason si era
fidato della sua valchiria e, per tal ragione, non
se lo era aspettato
affatto. Aveva boccheggiato per dire qualcosa, ma aveva richiuso le
labbra
perché si era reso conto di non avere parole. Aveva
osservato in un silenzio
quasi religioso la valchiria, Thrud aveva gli occhi azzurri velati
della
medesima tristezza, di chi non avrebbe voluto essere lì.
Jason si chiese se la
sua melanconia fosse guidata dalla situazione in cui era finita o
perché fosse
stata scoperta.
“Be,
alla fine ti sei già scusata in anticipo per dovermi
fare male” aveva cercato di sdrammatizzare Jason,
ricordando quella prima
conversazione che avevano avuto, nella sua stanza nel Valallah, quando
Thrud lo
aveva sovrastato con una lama alla gola. Si era sentito stupido, subito
dopo,
era completamente privo della vena di sarcasmo di Percy o
dell’arguzia
brillante di Leo; Jason era di per sé poco incline a quei
giochi, era solo,
terribilmente, stanco. “Oh Jason” aveva sussurrato
colpevole Thrud e il suo
nome pronunciato così sembrava quasi una supplica.
Era
strana Thrud, da vedere, senza le sue trecce
l’armatura di placche argentee, sembrava quasi una creatura
dolce. “Solo:
perché?” aveva chiesto Jason stanco.
“Perché cosa?” aveva chiesto con una
gentilezza che non le si addiceva Thrud, mentre faceva roteare il suo
polso,
tra le dita magre si era formato un piccolo lampo folgorante che si era
addensata in una lancia elettrica. Era una cosa stupida, ma si era
quasi
aspettato un martello. Ricordava alcune delle prime parole che Thrud
aveva
detto, non era l’unico che poteva fare scherzi con i fulmini.
D’altronde
la Potente Thrud era figlia di Thor signore
dei fulmini. “Perché questo? Perché
distruggere l’equilibrio?” aveva indagato
lui, chiedendosi come potesse non essere ovvio.
Ma
dall’espressione più scioccata che Thrud aveva
assunto, la domanda doveva averla colta parecchio di sorpresa,
“Non è ovvio?”
aveva indagato lei, retorica.
“No?”
aveva risposto Jason, “Ti sei alleata con la
Splendente! Ha rapito Mimir il signore della sapienza, rubato
Gullinsburti
provocando il tramontare del sole ad Alfheim, rapito Astrid-tua-nipote
e
maledetto me! O certo è stai attivamente cercando di rompere
l’Equilibrio”
aveva gridato Jason.
Thrud
lo aveva guardato con un certo imbarazzo,
“Primo: Astrid sta bene, secondo non succederà a
nulla a quel verro, lo
riporterò io stesso se necessario, e il sole
continuerà a splendere
indisturbato a casa di Frey; era solo un esperimento” aveva
risposto pratica la
dea; “Perché?” aveva insistito Jason.
“Non
è ovvio?” aveva chiesto delusa Thrud,
“No!” aveva
detto Jason, frustrato dall’insulsaggine di quello scambio,
sembravano un cane
che cercava di mordersi la gola. L’espressione della
valchiria però non tradiva
che legittima confusione, come se davvero fosse stato ovvio,
così Jason aveva
cominciato a raschiare nella sua memoria per cercare una risposta,
aveva
ricordato la conversazione che aveva origliato, nel sogno, tra Kym e
Thrud,
“Non sarà mica per il tuo fidanzato?”
aveva chiesto sconvolto.
“Sì!”
aveva risposto la valchiria con un furore che la
faceva apparire davvero la Possente Thrud, aveva però avuto
pietà di Jason ed
aveva proseguito: “Certo, sì, per avere il mio
fidanzato che amo da più di
mille anni e che mio padre non vuole per nessuna specifica ragione, se
non
perché è così-e-basta, ma anche
perché non voglio che il Ragnarok accada perché
nonostante tutto amo mio padre, amo mio nonno ed amo la mia grande ed
incasinata famiglia. Forse non apparirò nel Ragnarok, ma non
voglio che la mia famiglia
muoia, che i miei fratelli siano orfani!”
Man
mano che aveva parlato il suo tono si era fatto da
possente a stridulo, ma pregno di realistico dolore.
“Che bilioni di anime e uomini debbano morire così
perché è già scritto e
perché io non credo e non voglio più vivere in un
mondo deterministico” aveva
aggiunto, riacquistando della pacatezza.
Jason
aveva aggrottato le sopracciglia, “Questo …
questo è sensato” aveva ammesso Jason di
malincuore, “Ma non si può evitare
l’inevitabile” aveva aggiunto incerto.
“Certo! Questo lo so, Jason!” aveva
risposto Thrud, “Ma Jason ognuno di noi conosce la data della
propria morte e
nessuno dovrebbe possedere un tale conoscenza. So la tua storia, so le
profezie
che ti hanno visto protagonista” aveva ringhiato lei. Jason,
Jason sapeva
quello di cui stava parlando: la parte migliore della vita era
l’attimo e l’ignoto
di quello che sarebbe accaduto, no?
Per
questo le profezie del mondo mediterraneo erano
così sibilline, si conoscevano squarci, piccoli spiragli, ma
mai fino a che il
futuro non era diventato passato, ma i norreni conoscevano tutto,
già tutto.
Gli era venuto in mente Bee che alla fine dei tempi avrebbe governato i
morti
con Loki ed Helblindi anche se non ne aveva alcun interesse
perché così era
scritto, Vali Odisson così audace che era sicuro di vincere
ogni sfida perché
sarebbe sopravvissuto al Ragnarok e Jarnsaxa che doveva rimanere
lontana
dall’uomo che amava perché non poteva avere un
figlio che non solo era
destinato a nascere e sopravvivere – ma che lei voleva.
“Lo so che ogni cosa
deve avere una fine. Ma dovrebbe essere una cosa spontanea, una cosa
misteriosa” aveva soffiato Thrud.
“Okay,
sì mettiamo caso che un ciclo già scritto sia
una realtà terribilmente distopica in cui vivere
… tu pensi che Heidi, l’ultima
dei Vanir, una volta che avrà rotto l’equilibrio
non procederà ad uccidere
tutta la tua famiglia Aesir?” aveva chiesto senza vergogna
Jason.
“Probabilmente
sì, ma a quel punto probabilmente sarà
mortale anche lei. Perché, se per caso ti fosse sfuggito, non
possiamo
sconfiggere Heidi” aveva specificato,
“Ogni volta che è stata uccisa e
tornata in vita. È stata infilzata, bruciata e non ti dicono
cosa le hanno
fatto negli ultimi secoli, ma lei sopravvive Jason, sopravvive ad ogni
cosa. Sopravvive
sempre.”
“Stai
giocando il destino del mondo su delle
probabilità?” aveva chiesto Jason quasi rabbioso.
“Non tutti, Jason Grace,
possono vivere la propria vita come una partita a scacchi, qualcuno
gioca anche
a bocce” aveva replicato quasi offesa Thrud.
“Non
ha senso” aveva replicato Jason, “Qualcuno ogni
tanto deve agire” aveva sospirato. Jason si era morso un
labbro, “Ovviamente,
Thrud non posso rimanere qui ad aspettare. Devo distruggere la Morte
Nera!”
aveva esclamato. Thrud aveva aggrottato le sopracciglia biondo ardente:
“Cosa?”
aveva chiesto.
“È una metafora” aveva spiegato Jason,
“Da un programma che si chiama Star Wars
o Star Treck, mi confondo sempre” aveva risposto, sapeva che
era quello senza i
vulcaniani ma la cosa finiva lì.
“Devo ammettere che ora sono confusa io
… ma non, credo, sia importante”
aveva ponderato la figlia di Thor, “Il mio scopo è
tenerti qui, fino a che le
tavole del destino saranno irreversibili … poi potremmo
riportare il verro a
casa, lo faremo insieme” aveva aggiunto. “E conti
che le tavoli si danneggino
per sempre prima che ad Alfheim tramonti il sole o no?” aveva
risposto Jason,
senza particolare calma. Thrud si era guardata il polso, dove indossava
un
bracciale loricato, ma lo aveva trattato come un orologio,
“Abbiamo almeno
altri cinque o sei giorni prima che il sole tramonti” si era
giustificata.
“Bene, ma devo comunicarti che non ho intenzione di rimanere
cinque o sei
giorni qui” aveva considerato lui, “Non solo
perché voglio salvare Alfheim,
aiutare Astrid e perché no evitare il mondo collassi, ma ho
un appuntamento a
Manhattan tra quattro giorni” aveva replicato Jason.
“Tre
e mezzo in realtà” aveva risposto Thrud
arricciando le labbra, “Mi dispiace davvero, ma temo sarai
costretto a perdere
quell’appuntamento” aveva ammesso lei,
“Di positivo Jason: non avresti mai
vinto contro Vali” aveva sospirato.
“Ho
affrontato di peggio” aveva ponderato Jason,
pensando giusto a Fortnojir il giorno prima, così come tutti
i mostri, imperatori
e giganti che avevano affollato la sua breve vita.
“Non mio zio, fidati,
non mio zio” aveva sospirato lei, quasi affranta.
“Non
ho comunque intenzione di rimanere qui e non
scoprirlo” aveva soffiato Jason, guardandola audace e rigido,
con gli occhi
putati su quelli di lei. “Ammiro il tuo ardore e sono
sentitamente dispiaciuta
di non poterti dare la sfida che ti meriti. Anche se non ho idea di
come non
farti male, perché non voglio e … non voglio
avere la furia di Kym addosso,
poi” aveva considerato.
“Quanto
Kym sa di questa storia?” aveva inquisito
Jason, improvvisamente, pensando alla terribile signora del mare.
“Un po’ ma
non abbastanza. Non prenderla male, eh, voglio un gran bene a Kym ma
come tutte
le dee del mare è tremendamente meschina e guarda solo il
suo orticello … o
qualsiasi cose ci sia in fondo al mare come corrispettivo”
aveva risposto
stizzita Thrud.
Comprensibile.
“E Kym vuole me” aveva valutato Jason, non del
tutto corretto, voleva il suo
ingegno, la sua promessa, la sua Action Figure e perfino la
possibilità di poterlo
uccidere. “Questo è indubbio, Jason
Grace, sei la prima persona o cosa che
io abbia mai sentito Kym non solo volere ma pretendere”
aveva ammesso
Thrud. “Cosa non si fa per un action figure
personale” aveva risposto
lui derisorio – a Percy sarebbe venuta meglio la battuta, ma
lui era Percy.
Thrud
aveva ridacchiato, “Ah, Ymir marcescente, voi
uomini non capite mai niente” aveva ridacchiato lei con una
risata così fresca
e frizzante che aveva dato quasi la nausea a Jason, mentre sollevava la
sua
lancia.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Però
penso sia il momento di smettere
di ciarlare e cominciare a ballare” aveva proposto Thrud,
“Sì, penso sia ormai
inevitabile” aveva risposto Jason cupo.
“Giusto per la cronaca: sono una valchiria ma sono
anche una dea” aveva
sorriso a tutto denti Thrud.
Lui aveva recuperato Giunone dalla sua tasca e l’aveva fatta
schioccare in
cielo, quando era ricaduta nella sua mano non era più una
moneta, era un
giavellotto, contro la lancia di Thrud. Lei aveva un’arma da
corpo a corpo,
spessa, dall’approssimativa lunghezza di circa tre metri,
mentre il suo giavellotto
era sottile e più leggero.
Jason
si sentiva ancora lo sconosciuto al Campo Mezzosangue
contro l’esplosiva Clarisse La Rue, solo che sospettava Thrud
sarebbe stato
tutto un altro paio di maniche, più elettrica e pericolosa, come
Thalia.
Roma contro Germania Magna[2].
Jason
aveva mosso per primo, con la sua lancia,
sentendo l’elettricità che attraversava il suo
corpo, differentemente dal suo
scontro con Iulia Agrippina sarebbe potuto morire, differentemente
dalla
augusta romana, Thrud non lo volva uccidere.
Kym
era la sua assicurazione.
E
se fosse morto … in quel caso sarebbe morto come era
accaduto in precedenza: facendo ciò che riteneva giusto!
Non
era così che aveva detto ad Apollo? Se un eroe
non è disposto a perdere tutto per una grande causa, allora
era davvero un eroe?
E
Jason era un eroe, era l’unica cosa che sapesse per
certo di sé stesso.
Thrud
aveva raccolto la sua sfida e intercettato il
suo giavellotto con la sua lancia, un fulmine azzurro si era
confrontato contro
una scarica elettrica rosso rampante, che aveva reso l’aria
incandescente. “Ho
affrontato titani, giganti, dèi e jotun!” aveva
ricordato Jason senza perdere
d’animo, mentre osservava intorno a lui sottili fuochi
essersi accessi intorno
a loro, cominciando a mangiare la piccola casa anni Cinquanta di Heidi.
L’Oro
Imperiale per quanto potente aveva subito non poche alterazioni,
essendosi
deformato leggermente, questo non lo aveva scosso.
Aveva
soffiato e mosso le mani, utilizzando l’aria ed
il vento per gonfiare le fiamme. I venti di … Vanaimer erano
molto meno
forastici ed imperiosi di quelli di Jotunheim, per quanto fossero
sempre
estranei.
Erano
venti sediziosi, volubili, ma ancora plasmabili.
Thrud aveva stretto la mano libera in un pugno e rubato
l’aria dal fuoco,
costringendolo ad una resa implacabile. “Ti prego, noi
siamo la tempesta”
aveva esclamato la valchiria, senza cattiveria.
“Stessi
poteri, sì” aveva realizzato Jason, potevano
controllare i fulmini e le correnti, ambe due probabilmente potevano
comandare
le tempeste. Inoltre, se per puro caso, Thrud non avesse potuto per
caso volare
come figlia di Thor, sicuramente avrebbe potuto come valchiria.
Figli
della tempesta, figli dei signori dei fulmini.
“Be,
quasi” aveva soffiato Thrud, “Come figlio di
Giove sei più forte e come einherjar il tuo potere
è ancora più eclatante, ma
non sei ancora al livello di una dea” aveva scherzato lei,
“Questo non mi può
fermare … questo non mi ha mai fermato” aveva
aggiunto Jason.
Thrud
aveva infilato la punta elettrica, rompendo il
pavimento in mattonelle di maiolica, ficcandosi nella terra battuta,
“Sai quale
è la differenza tra un dio e un semidio?” aveva
chiesto senza cattiveria,
“Direi di sì” aveva detto Jason
piuttosto seccato, “Due genitori divini”
aveva specificato, comunque, Thrud, un impulso elettrico aveva scosso
la lancia
e poi la terra e senza vergogna, erbacce di ogni genere avevano
cominciato a
crescere a dismisura spaccando il pavimento e viticci senza controllo
avevano
cominciato ad arrampicarsi sui suoi pantaloni d’oro
luccicanti.
Jason
era scoccato in cielo, sentendo ancora le radici
risalirlo come animali vivi ed usando la lancia per spaccare il
soffitto ed
alzarsi. “Pensavo che Gerd fosse la dea della
terra!” aveva gridato.
Thrud lo aveva raggiunto nel cielo, con la mantella di piume di cigno
svolazzante; sembrava un’autentica dea guerriera, una Bellona
nordica. “Gerd è
una jotun! Mia madre è la dea delle messi!”
aveva chiarito Thrud.
Sì,
Sif era la Cerere norrena, questo faceva della sua
avversaria una figlia di Giove e una figlia di Cerere, un potenziale
distruttivo immenso.
Jason
aveva evocato un tornando, preso dal panico
dell’unica azione che potesse fare, guidato dagli spiriti
eccitati del mondo di
Freya, intessendo nell’aria fili elettrici, sapendo fosse una
maniera piuttosto
sciocca di affrontare. Thrud aveva quella sua gamma di poteri e quelli
ereditati di sua madre. Tutto un altro campo.
“Onestamente, non
fraintendere, preferisco le nocche crude che i germogli di mia madre,
ma si può
far di tutto alle giuste condizioni” aveva risposto Thrud,
rubando i suoi
spiriti e guadagnando bruciature elettriche che avevano scalfito solo i
suoi
vestiti, “E questo è il mio mondo,
Jason, questi sono i miei venti”
aveva replicato “Tra uno skraelingar ed un norreno loro
sceglieranno di
ubbidire sempre a me.”
Jason
l’aveva guardata, “No, Thrud gli anemoi
non conoscono padrone” aveva guidato le sue parole sentendo
gli spiriti
dell’aria frizzanti sotto le sue nocche. Creature tempestose
si erano annidiate
ai fianchi di Jason, emettendo rumori foschi e temporaleschi, dalle
forme
imponente e arruffate, sembravano lupi composte di venti ed acque
piene, “che
non sia per loro scelta” aveva
considerato. Jason aveva pensato a
Favonio che serviva Amore, per sua scelta, per gentilezza.
Dylan
così iroso che si era lasciato sottomettere.
Tempesta
che era un cavallo imbizzarrito che si era
lasciato domare.
Eppure,
nessuno di loro era devoto fino alla fine, ma
solo fino ai propri desideri.
Così
erano gli anemoi.
I
venti non conoscevano padrone o fedeltà che non fosse
quella che più li appagava, per natura, erano creature
audaci, volubili e
selvagge. Le più libere per eccellenza su
tutte le altre.
Nessuno
che non avesse mai volato nella pura aria
poteva comprende quel sentimento di leggerezza e furtività
e, forse, anche chi
poteva farlo non lo comprendeva a pieno.
“Questo
è un discorso da mortali Jason, io sono
una dea” aveva replicato con voce elettrica, i capelli biondo
ardente erano
percorsi da piccoli fulmini sottili e come i lupi temporaleschi
– simili a
quelli che lo avevano aiutato a Jotunheim – avevano risposto
a Jason, mentre
cavalli rombanti – come Tempesta
– avevano risposto a Thrud.
I
lupi erano creature avulse agli dèi germani, per la
maggior parte, loro nemici, come erano stati per i greci. Ma la Lupa
era la
Madre di Roma e Jason era un fiero figlio della Lupa. E lui era fiero
di quelle
bestie.
“Una
dea che sta volutamente conducendo il mondo alla
distruzione” aveva considerato Jason e quella situazione
aveva ricordato a lui
Kym che si era alleata con Gea perché voleva
attenzione; Thrud voleva il
suo fidanzato e non vedere la sua famiglia morire per la fine del
mondo.
Jason non sapeva neanche come affrontare la cosa, neanche come parlare
con
Thrud, ma non poteva, perché era ovvio che la sua amica
avesse già risposto a
tutte le sue domande e si fosse convinta
dell’eccepibilità della sua tesi.
I
cavalli di Thrud avevano dato la carica, in una
sfuriata di tonanti zoccolate che avevano roborato il cielo
d’oro di Vanaheimr,
mentre i lupi con furiosi ringhi aveva ricambiato la
cavalcata.
Jason non avrebbe potuto perdere, non contro Thrud anche se ella era
una dea,
aveva sconfitto giganti, Percy più giovane di lui aveva
vinto anche dei, e
Jason non sarebbe stato da meno.
Mentre
tra nitriti ed ululati l’aria si impestava di
tempesta, aveva cercato di racimolare da ogni piccola porzione della
sua
memoria qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse guidarlo su Thrud. Ma
niente
sembrava guidarlo in tal senso, sentendo solo rabbia zampillare in lui,
ripensando a tutti i sorrisi allegri e divertiti, così come
le volte che la
giovane valchiria l’aveva sempre confortato ed aiutato a modo
suo – per quanto
non fosse stata guidata da nessuna altruistica ragione.
Jason
avrebbe voluto urlare di rabbia mentre
continuava a ripetere nella sua mente le stesse scene, in eterno, come
in un
brutto film di cui Glam avrebbe sicuramente saputo il nome …
e mentre una
rabbia elettrica sorgeva in lui, Jason aveva sentito
un’energia diversa.
Qualcosa
era squillato letteralmente dentro di lui,
dritto dalla sua ghiandola pineale!
Non aveva mai sentito una sensazione simile, neanche quando il Wyrd lo
aveva
guidato dai due Vali, non riusciva neanche a spiegare quella sensazione
era
come un incendio che bruciava nell suo corpo, dalla sua testa e si
manifestava
anziché in fuoco vivo, in una idea!
Era
come se la proverbiale lampadina si fosse accesa
della sua testa, dalle sue folgori e per un momento si era sentito come
Leo,
quando aveva una di quelle sue trovate inaspettate.
Aveva
avuto un’idea.
Qualcosa
che sembrava leggermente fuori da se stesso, ma
era un’idea.
Aveva
evocato un fulmine nella sua mano, una piccola
palla di incandescente energia elettrica blu luccicante che aveva poi
scagliato. Thrud l’aveva evitata svelta, con un verso di
scherno, “Palle,
Jason? Prova con delle saette!” lo aveva provocato
lanciandoli di forza una
tromba di vento.
Jason
non si era dato per vinto e ne aveva sfornato un
altro, che aveva mancato Thrud di nuovo, mentre con fatica cercava di
non
disperdere il potere.
Era
difficile manovrare tutta quell’energia, forse era
meno potente della tempesta di fulmine a Jotunheim, ma era
più prolungato.
Durante la competizione di biathlon aveva squarciato il cielo, ma era
stato un
momento, in quell’occasione era molto, molto, peggio. Aveva
formato un altro
fulmine e lo aveva lanciato, questa volta non aveva neanche cercato di
colpire
Thrud.
E
la valchiria aveva realizzato qualcosa, “Che stai
combinando Jason?” aveva chiesto, osservando come la palla
d’energia era
esplosa in un nervo di saetta.
“Quella
è … Oss?” aveva chiesto riconoscendo la
forma
che il fulmine aveva preso, “Circa” aveva mormorato
Jason, creando Peorth con i
fulmini, la conca vuota da riempire. Thrud aveva chetato i suoi venti
per
allontanarlo, ma Jason era riuscito a creare un altro per imprigionarla.
Thrud
aveva provato ad evocare un fulmine ma aveva
fallito. Oltre questo si era accorta di non avere più la
presenza dei venti a
sorreggerla e se non era crollata al fianco come una frittella era
perché Jason
aveva ordinato ai grossi lupi di vento di sorreggerla.
Con
fatica Thrud si era aggrappata al garrese di un
grosso lupo composto di venti e vapore così denso da averle
permesso una presa.
“Come
… come è possibile?” aveva chiesto
spaventata.
“Nyd,
Rad capovolto, Oss, Peorth e Is” aveva
spiegato netto. “Cos … Sono rune
anglosassoni” aveva esclamato lei con terrore,
“Sì. È una prigione per un
dio” aveva detto pratico Jason, “Ho copiato dalla
signora Heidi.”
L’espressione di Thrud era passata dal puro orrore di non
poter evocare i suoi
poteri a puro stupore. “Tu non puoi aver padroneggiato
l’arte delle rune! Non
puoi aver imparato le rune per osservazione” aveva esclamato
la figlia di Thor
con stupore e indignazione negli occhi.
“Ho
bevuto dalle acque di Mimir, merito del tuo capo,
quindi sì, ho acquisito una conoscenza che non
possedevo” le aveva spiegato – e
avrebbe dovuto pagare prima o poi quel sapere –
“Inoltre, be, sono romano, la
nostra forza principale è basata sul prendere qualcosa è
migliorarlo!”
aveva detto sfacciato. Aveva sollevato una mano e comandato al lupo di
vento di
scendere di quota fino a che entrambi non fossero stati con i piedi a
terra.
Erano però ancora prigionieri del cerchio aereo di rune
elettriche, Jason si
chiedeva quanto ancora avrebbe potuto reggere senza consumarsi.
“Gullveig
ti ha fatto abbeverare alla fonte della
conoscenza?” aveva esclamato Thrud tirandosi in piedi, aveva
le gambe che le
tremavano, “Non ha senso” aveva ammesso.
“Sì,
be, ho imparato che il wyrd raramente lo ha”
aveva risposto schietto lui, “Tipo tu che rischi di far
morire un mondo intero
e scatenare una guerra tra pantheon per avere un appuntamento con il
tuo
ragazzo” aveva ammesso, “Cioè, non
potevi parlare con tuo padre e basta? Lo so
perfino io e mio padre è Giove!” aveva esclamato
quasi indignato.
“Hai
rimosso la parte sull’universo deterministico e
la mia famiglia che morirà?” aveva chiesto
retorica e leggermente indignata la
valchiria. “No, ma sono arrabbiato con te” aveva
ammesso lui, “Tu sei la mia
valchiria!” le aveva detto.
Un’espressione
di pentimento e vergogna si palesa sul
viso di Thrud, “Comunque avrei riportato il cinghiale in
tempo” cerca di
giustificarsi. “Bene, adesso dimmi dove è Astrid?
E i piani di Heidi? E come
hai buttato in mezzo Kym!” aveva esclamato.
Kymopoleia
poteva essere una terribile signora dei
mari, poteva aver agito per le più egoistiche ragioni e solo
qualche ora prima
commesso un massacro – ma anche Thrud doveva risponderle.
“A proposito di
questo lo sai che una nave da crociera di persone è morta
per colpa di questo
casino con la mia anima?” aveva aggiunto. Anche se immagino
non ti interessi,
aveva pensato. Perché Thrud poteva sembrare terribilmente
umana, ma era ancora
una dea figlia di due dee.
“Mia
nipote è con quel ragazzo, il figlio di Frey, il
suo fidanzato” aveva soffiato, “E onestamente non
so i piani di Gullveig, non è
che sia proprio una cattiva di James Bond che annuncia i suoi piani ai
tirapiedi, tipo me. Un giorno è venuta è mi ha
detto: ei ho un piano per
annullare in Ragnarok e per permetterti di stare con il tuo fidanzato,
ma
abbiamo bisogno della tua amica straniera” aveva
raccontato, impegnandosi
anche ad imitare la voce di Heidi; sfortunatamente non era somigliata
per
niente.
“E
tu hai pensato: sì, certo. Diamo retta alla strega
cattiva?” aveva chiesto retorico Jason. “Forse non
hai mai sentito la vera voce
di Gullveig, Jason. Ma lei ti entra dentro, lei
è la signora dei Seidr,
la prima, più potente di Freya e Frigga” aveva
spiegato Thrud con un tono acuto
e infastidito, “È lei che ha portato la magia dei
vani agli aesi per prima”
aveva spiegato.
Jason
l’aveva sentita la suadente voce di Heidi, più
potente della lingua ammaliatrice di Piper, più potente
delle volontà insidiosa
di un eidolon. Quando Jason
era stato posseduto dallo
spirito, era stato come essere prigionieri in un corpo che non
rispondeva e
quando aveva sentito la lingua ammaliatrice della progenie di Venere
era stato
come se la sua mente non fosse più riuscita a raggiungere il
suo corpo, ma la
lingua dorata di Heidi era stata diversa. Jason si era semplicemente
sentito
spinto a volere quello che lei voleva.
Era
rimasto in controllo del suo corpo per tutto il
lasso di tempo e la sua mente non era naufragata in liti lontani, era
solo che
dentro di lui si era accesa morbosa e senza controllo una sete. Una
sete di
qualsiasi cosa lei avesse gradito. Era stato arsito dal bisogno e lei
lo aveva
dissetato.
‘incantò,
dovunque poteva, incantò i sensi’
così Glam lo aveva costretto a studiare durante il loro
incontro onirico. Gulveig
era la corruzione fatta in carne e magia.
Jason
aveva cominciato a sentire le gambe farsi molli,
mentre cominciava a sentire il potere che stava esercitando cominciare
a
drenare fuori la sua energia.
Un
roboante rumore lo aveva distratto, ambedue avevano
fatto schizzare gli occhi nella medesima direzione, lontano, ma sempre
più
vicino, velocemente, una colonna di fumo, terra e aria stava tagliando
i campi
verdi folti e pieni, nella loro direzione, accompagnato da uno
scalpitare
furioso.
“Cos’è?”
aveva chiesto Jason con una preoccupazione
evidente nella voce, stringendo la presa su Giunone, “La
cavalleria” aveva
detto spenta Thrud, “La tua cavalleria” aveva
specificato, offesa, candendo
sull’erba poi a gambe incrociate.
Jason
aveva aguzzato gli occhi dietro le lenti d’oro
ed aveva visto una mostruosa figura correre verso di loro. Era una
bestia
quadrupede rande come un orso grizzly il cui manto era giallo come
l’oro e
luccicante sotto la luce calda del sole di Vanhaimer …su cui
a malapena si
vedevano due figure umanoide sulla groppa. Ed erano splendenti come
stelle. La
creatura sembrava davvero una lampadina luccicante.
“Hanno trovato il verro” aveva esalato Jason, con
il cuore leggero.
“Ti
ho detto che era una situazione sotto controllo;
il maiale era perfettamente al sicuro qui nella terra dei
vani” aveva
biascicato Thrud, che si era accomodata come una quaglia
sull’erba, con le
gambe accavallate all’indiana, e le braccia incrociate sotto
il seno.
“Sono
contento di sapere che un mondo che è sempre
illuminato non morirà a causa di un buio perenne”
aveva risposto Jason al suo
commento.
“Il
sarcasmo non fa per te” aveva ridacchiato Thrud,
“Lo so” aveva sospirato Jason, “Se
riuscirò a sopravvivere a questa settimana
chiederò a mio cugino di darmi ripetizioni.”
Thrud
aveva riso, “Il fratello di Kym, vero? Lei dice
che è uno moccioso irritante” aveva commentato.
Jason si era morso l’interno della guancia.
Gullinbursti
non sembrava un vero verro, non solo per
la stazza da orso – che da vicino sembrava ancora
più immenso – e con la
peluria composta di setole d’oro scintillanti sotto la luce
del sole, ma
sembrava somigliare più ad un cyborg-verro, con giunzioni in
metallo dorato,
bulloni e ingranaggi e luminoso come una lampadina. “Non
è …naturale”
aveva esclamato Jason, insicuro delle sue parole. “Dillo a
qualcun altro!”
aveva ringhiato il maiale dopo un grugnito poco amichevole.
Jason
aveva sollevato le sopracciglia – non sapeva
neanche perché dovesse dichiararsi stupito, aveva visto cose
più strane. “Ti
prego non provocarlo!” aveva sibilato Fred con la sua voce
opaca e fredda,
mentre smontava dall’immane bestia, “Gullinsbursti
è senziente, Jason!” lo
aveva rimproverato bonariamente Stellan. “Ovviamente, non
sono nato da Scrofa
ma sono stato creato dalle portentose forge di Nidavellir”
aveva ammesso
imperioso il verro, “Non come la bestiaccia che soggiorna
qui” aveva aggiunto tronfio.
“Parla di Hildisvíni il cinghiale da battaglia
della Signora Freya, lo abbiamo
trovato nel suo recinto” aveva spiegato pratico Stellan, che
era rimasto a
cavallo della bestia, rispetto qualche ora prima sembrava
più emaciato e
spento, ma non scintillava più come una fiaccola.
“Freya di solito utilizza una
slitta trainata da gatti e cavalca il cinghiale solo in battaglia, ma
ultimamente non ci sono state guerre e per tal ragione il cinghiale
è stato
lasciato un po’ a sé. In realtà era
molto contento di avere compagnia e … credo
che anche a Gullinbursti andasse a genio” aveva spiegato
concitato Stellan.
Jason
nel mentre era scivolato per terra, sull’erba
fresca, incapace di reggersi più sulle gambe, ma ben attento
a non perdere
controllo sui suoi fulmini, che erano rimasti sfrigolati nel cielo.
“Quel
cinghiale è pomposissimo e non ha neanche un
pelo bello e irsuto come il mio” aveva soffiato il verro
magico. “Un ottimo
nascondiglio, in un mondo molto luminoso, nell’unico altro
recinto abbastanza
resistente per contenere un verro magico. Chiunque sia dietro questa
storia è
stato bravo. Proprio sotto il naso di Freya” aveva
considerato Fred. Degno di
Heidi.
Jason
avrebbe dovuto metterli al corrente di tutto, ma
aveva chiesto invece: “Come mi avete trovato?”,
sapeva di essere ancora
Vanaheimr, il mondo era luminoso e sorprendentemente bello e calmo, ma
non
erano più nei campi di battaglia dell’oltretomba
governato da Freya.
“Ho
percepito una concentrazione di magia così forte
che è stata impossibile ignorarla” aveva risposto
Fred, prima di sollevare gli
occhi verde-oliva verso il cielo.
Lì
nel cielo terso, senza neanche una nuvola, forme –
rune – elettriche scintillavano in cerchio sopra le loro
teste. Anche Stellan
aveva seguito il suo sguardo, boccheggiando qualcosa –
leggeva le rune
probabilmente, era un praticante di alf seidr ma probabilmente non era
ignorante su nessun tipo di seidr.
“Costa
sta succedendo qui?” aveva chiesto inquisitorio
Fred, deviando lo sguardo dal cielo per far saettare lo sguardo tra lui
e
Thrud.
Jason
aveva fatto un breve rendiconto, accertandosi di
riportare tutto – meno qualcosa, meno la
cosa di Astrid.
“Dietro tutta questa storia c’era Guillveig detta
Heidi, che ha rapito prima il
cinghiale poi Mimir. E vuole distruggere il tessuto spazio-temporale
del nostro
mondo, ma non per vendetta. Ti ha costretto a bere dalla fonte di
magica, hai
imparato la magia runica per osmosi e Thrud, rinomata valchiria, figlia
di Thor
e Sif, lavora per la strega delle streghe. E tu sei qui
perché lei in combutta
con una dea marina romea ha lavorato per questo” aveva
esclamato Stellan,
ammirato, spalancando gli occhi azzurri luccicanti.
Fred
si era focalizzato su altro: “Stellan, ti prego non
essere così entusiasta” lo aveva rimproverato,
“Jason; primo: quanto pensi
possa durare la tua prigione? Mi sembri già a
terra” aveva chiesto, “Secondo:
hai di nuovo la faccia di uno che sta nascondendo qualcosa”
aveva asserito.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Primo: non lo
so” aveva ammesso, “Per
ora posso resistere, ma chiaramente la cosa mi sta
consumando” aveva spiegato
pratico, mentre sentiva gli occhi cominciare a farsi liquidi
“Sì ti sto
nascondendo ancora qualcosa. Diverse cose, in vero” aveva
ammesso Jason.
“Sei
colpevole di tutte le cose che stanno accadendo”
lo aveva preso in giro Fred, “Anche” aveva risposto
lui. “Ma perché? Non sei il
primo figlio di dio straniero che finisce dalle nostre parti”
aveva valutato il
ragazzo chiudendosi le dita sul mento, attento e riflessivo.
Il
figlio di Gerd era stato il primo a riconoscere
nella presenza di Jason qualcosa di sospetto, prima di lui stesso,
“Pensi
centri con l’intervento della dea romea?” aveva
considerato poi, “In realtà
vorrei concentrarmi su un'altra cosa: Astrid” aveva detto.
L’espressione di
Fred era passata da riflessiva a rapace, “Cosa?”
aveva chiesto con una voce
sottile come lo scricchiolio di un vetro. Jason aveva spiegato loro
l’inganno
con cui Gullveing lo aveva catturato: aveva usato Piper e Astrid.
“Astrid
potrebbe essere in pericolo, quanto potrebbe
essere tutto falso, ma credo che potrebbe essere vero, ma Thrud ha
detto che
ora è con il suo fidanzato ma credo che anche Erik lavori
per Heidi” aveva
considerato Jason. “Erik è un cristiano”
aveva replicato Fred, ma non sembrava
particolarmente offeso dalla prospettiva. “Ci
sono oltre duemila anni di storia che ti
dicono che credere in qualcosa non ti rende una brava
persona” aveva soffiato
Thrud. “Il punto è che, quando ho nuotato nei fiumi
magici ho sentito
Mimir – allora non sapevo fosse lui, mi sembrava
più una boa pelosa, ma ora lo
so – parlare con un figlio di Frey, che era venuto in
ritardo, il dio si era
poi lamentato di essersi fidato della persona sbagliata. Jarnsaxa ha
detto che
il messaggio di Guilveig le era arrivato da un einherjar di
Fólkvang Astrid
aveva detto che il sigillo che proteggeva il cortile di Gerd non era
stato
rotto, Bee ha detto che ci voleva l’esplicito permesso della
signora per
arrivare. Quindi o chi è entrato aveva il permesso di Frey e
Gerd o un maestro
del seid, come Astrid lo ha presentato. Lui ha detto di essere un godijan,
ma lei ha detto che era un ergi. E giusto due
minuti fa Thrud lo ha
appellato come figlio di Frey” aveva spiegato tecnico,
“Quindi, ecco, soddisfa
molte delle condizioni necessarie.”
Inoltre,
c’era la questione delle mele, che Jason non
aveva esplicitato, perché sembrava ancora una teoria rada.
Quando Jason aveva lasciato l’Hotel Valallah la prima volta
con Thrud – quando
Jarnasaxa aveva di proposito allontanato Gerd dalla sua casa
– avevano
incontrato Freydis ed Einar, con un loro compare, che avevano cercato
di
abbandonare l’hotel.
Sempre
era la delizia di spose malvagie,
così aveva
detto Glam riferendosi ad Heidi.
Sembrava un po’ sessista dirlo ma Guilveig agiva tramite le
donne, forse perché
erano quelle che facevano più uso della magia, rispetto gli
uomini.
“Putain!”
aveva esclamato Fred con una rabbia e
rancore; Jason si era voltato verso Thrud che era ancora seduta per
terra con
espressione insofferenza, “Non guardate me. Parte del suo
fascino è non
condividere i dettagli. Pensi che io avrei mai collaborato con
l’amante di mio
padre?” aveva chiesto ironica.
“Avresti potuto, avete un paio di cose in comune”
aveva considerato Jason, “Tuo
padre vuole tenerti lontano dal tuo amato, quanto tuo nonno vuole
tenere tuo
padre lontano da lei.”
Un’espressione
confusa si era dipinta sul volto bello
di Thrud, “Non l’avevo mai vista
così” aveva ammesso.
Stellan si era voltato verso il verro, “Venerabile
Gullinbursti potrebbe
raccontarci la storia di come è stato rubato?”
aveva chiesto con un tono di
voce reverenziale.
“Non
lo avevate ancora chiesto?” aveva indagato Jason,
“Ti sei mai trovato ad un quadrello di distanza da un grosso
cinghiale magico
infervorato?” aveva ringhiato Fred, “No, ma ho
affrontato sei giganti in cinque
diverse occasioni, anzi facciamo sette buttandoci dentro anche un
jotun” aveva
risposto.
“Devi
lavorare sull’acume delle tue risposte” lo aveva
preso di nuovo in giro Thrud – no, Jason non pensava che
avrebbero avuto
l’idilliaco rapporto tra Einerjhar e Valchiria
che avevano Mel e Kráka o
Magnus e Samirah. “Rubato? Ti paio, giovane elfo,
un paio di calzari che
possa essere rubato? Al massimo rapito! E anche con la giusta dizione,
ti paio
una bestia che possa essere rapibile? Io sono il potente Gullinbursti,
dal
verro d’oro, così veloce da non affondare sulle
acque” aveva replicato offeso
il cinghiale ed un'altra serie di improperi avevano seguito quelle
frasi, “Cosa
è successo?” aveva chiesto Jason,
“Nobile Gullinbursti” aveva aggiunto
rispettoso poi, notando il tono con cui prima si era rivolto Stellan.
“Oh, be,
il giovane figlio del padrone si è palesato ed ha detto che
suo padre lo aveva
mandato a prendermi, perché facessi un po’ di
compagnia a quella tronfia bestia
di Hildisvíni. Odio quel cinghiale, ma il padrone
è buono ed ama molto sua
sorella” aveva spiegato il verro, “Aveva senso, mi
sono detto: il padrone era
andato a caccia con i suoi servi, la cameriera era in licenza e la
signora
aveva abbandonato la casa” aveva aggiunto, “Con me
era rimasto solo il
giardiniere, ma il giovane elfo esce poco in cortile.”
Stellan
si era fatto viola-blu in viso.
Il
tono del verro aveva avuto una sfumatura un po’
melanconica e triste e Jason aveva intuito che l’animale non
gradisse stare da
solo, ma fosse orgoglioso. Probabilmente aveva interpretato le azioni
del suo
signore come una scusa: era lui ad aver bisogno di compagnia e non il
cinghiale
di Freya.
“Non
è che per caso il figlio del signore si chiama
Erik Freydisson?” aveva provato Jason, “Quello il
suo nome è. Il giovane Erik
dai capelli d’oro” aveva ammesso il verro,
“Il signore non ha mai avuto molto
acume nello scegliersi le donne” aveva proferito,
“La sua ardita sorella, la
sua bisbetica Signora moglie, l’affamata Liv Dagsdotter[3]
e quella donna Chase maledetta[4]
ma sicuramente Freydis Eriksdottir era la più serpe delle
serpi” aveva spiegato
il cinghiale.
Jason
aveva guardato Fred con un sopracciglio alzato,
“Vuoi gongolare? Questa storia è possibile per
colpa tua” aveva liquidato la
questione l’altro, “Mi importa più di
Astrid” aveva aggiunto, “Andiamo a
cercarla”, “Non così in
fretta” lo aveva richiamato Jason,
“Cioè, volevo dire:
andiamo subito, però prima forse recuperiamo Mel e Madina e
… aiutatemi ad
uscire da questa situazione” aveva spiegato, ammiccando alla
giovane donna
prigioniera del cerchio magico.
“Dobbiamo
riportare anche Gullibursti a casa” aveva
aggiunto agitato Stellan, “Astrid ha la precedenza”
aveva soffiato Fred. “Sì,
ha la precedenza, ma nel momento in cui allenterò la
pressione, lei sarà libera
e …” aveva provato Jason. “Ho imparato a
riprodurre le rune non la magia
runica” aveva aggiunto imbarazzato. Stellan si era voltato
verso Fred, lo stava
guardando alla stessa maniera di Jason, con una certa aspettativa. Il
figlio di
Gerd li aveva guardati con espressione confusa, sotto il loro medesimo
sguardo,
“Voi … voi volete che lo faccia io?”
aveva chiesto retorico.
“Sei
un ergi, no?” aveva provato Jason, incerto, “Hai
fatto quella cosa con le luci prima” aveva aggiunto.
“Odio ricorrere ai talenti di mia madre” aveva
detto offeso.
Poi
si era voltato verso Stellan, “Dammi una verga”
aveva soffiato, l’elfo aveva fatto germogliare da terra una
pianta dal tronco
verde, troppo giovane per essere un albero, “Scusa”
aveva detto imbarazzante
quello, davanti l’acido sguardo accusatorio di Fred. Jason si
era chiesto dove
fosse finito tutto il potere distruttivo che aveva tirato fuori contro
Agrippina Minor.
“Lasciamo
perdere” aveva soffiato il monaco francese,
sfoderando dal suo fianco la sua spada magica, quella aveva emesso
un’intensa
luce rossastra – la guerra era vicina.
“Non
conosco bene queste rune, quali sono?” aveva
chiesto Fred, “Anglosassoni” aveva ricordato Jason.
Fred si era voltato con gli
occhi spalancati verso di lui, sconvolto, “Ah già
che c’era la prossimità volta
scrivilo anche con l’alfabeto fenicio, eh” lo aveva
rimproverato.
“Scusami,
quando torniamo all’Hotel chiedo a Bragi se
mi insegna a progettare una prigione per un dio con rune più
di tuo gusto”
aveva replicato Jason. “Questa volta ti è venuto
bene” lo aveva lodato Thrud,
non aiutando la situazione.
Fred
aveva sbuffato, stanco, “Sai è difficile di per
se gestire una magia, il seidr è il più
grande potere ma può disperdere
morte, se usato inconsciamente o male; io sto utilizzando una spada
come
seidrstaf[5]
quindi non sto esattamente seguendo le regole, inoltre io, contro la
mia
volontà, pratico il seidr che è ben diverso dalla
magia runica” aveva
cominciato a spiegare Fred mentre incideva
sull’erba fresca le rune che
erano presenti in cielo fatte di fulmini, “Inoltre, le rune
anglosassoni mi
sono piuttosto ignote” aveva aggiunto arrabbiato, mentre
osservava attentamente
i movimenti di Thrud, che era ancora seduta per terra.
“Per
nulla rassicurante” aveva detto Stellan nervoso,
“… ma fortunatamente, si fa per dire, le regole di
un mondo assai preciso ora
stanno collassando. Quindi forse funziona” aveva scherzato
forzatamente Fred.
“So
già la risposta, ma lo chiederò comunque, non
abbiamo modo per mandare un messaggio?” aveva chiesto Jason,
ricordando la
conversazione che aveva avuto con Madina, dove lei aveva citato un
gorilla
gonfiabile. “Così possiamo avvertire
Samirah” aveva aggiunto, pensando al sogno
in cui la dea Frigga aveva incaricato la giovane valchiria di ritrovare
la
testa scomparsa di Mimir.
“Skirnir
è la cosa più simile ad un dio messaggero, ma
non credo che ci darebbe molto retta” aveva considerato
Stellan, “Un ergi
particolarmente dotato potrebbe usare la magia per mandare messaggi. Ma
ehi, io
non sono uno particolarmente dotato, penso che voi due siate
più talentuosi di
me” si era lamentato Fred.
Le
rune che stava incidendo nella terra erano
abbastanza grandi, quanto due palmi di un uomo adulto affiancati e
profonde
nella terra almeno cinque centimetri.
Dopo
ogni runa, che Fred aveva inciso, si impegnava a
spostare la terra con le unghie per essere sicura non si deformasse di
neanche
un millimetro. “Non esiste davvero un modo per
comunicare?” aveva chiesto Jason
con un tono quasi lacrimoso, sconvolto da quel caotico sistema.
Tra
greci e romani esistevano almeno tre-quattro
mezzi: le Aquile, i messaggi di Iris e Fiocca, le raccomandate di
Hermes e la ferrovia
dei sogni dei figli di Morfeo e Hyponos. “Davvero? Nessuna
magia? Creatura,
incantesimo? Dio?” aveva chiesto di nuovo.
“Sei
sordo? La magia stessa. Se sei un mago abbastanza
bravo puoi mandare un messaggio” aveva risposto Fred
infervorato. Stellan si
era morso un labbro, soppesando bene qualcosa, prima di schiudere le
labbra,
“Forse” aveva ammesso.
Jason
aveva fatto scattare la testa verso di lui,
anche Thrud, sinceramente interessata, e anche Fred, stupito e confuso.
Stellan
era diventato lo stesso color blu dei mirtilli e il verde delle sue
vene era
risaltato come sulla carta, “Mi sento molto
imbarazzo” aveva ammesso, “Mia
sorella” aveva ricominciato a parlare. Jason aveva pensato
all’elfa del suo
sogno, con l’espressione carica di rabbia e rancore,
“Mi ha detto che in alcune
parti dei nove mondi, al di là, del nostro cortile, diciamo,
esistono degli
esseri che portano messaggi” aveva cominciato imbarazzato,
“Non solo persona ma
anche tra vivi e morti” aveva spiegato. “Ingrid
è una personalità focosa e come
me è capitato che lasciasse Alfheim … una volta
ha conosciuto della gente di Túatha
Dé Danann” aveva spiegato.
“Ti prego non raccontarci tutta la tua vita, voglio solo
sapere le creature”
aveva replicato Fred, senza particolare cortesia. Jason lo aveva
fulminato con
lo sguardo per la scortesia ma non aveva voluto dire nulla,
perché comprendeva
la necessità di velocità.
Astrid poteva essere stata rapita, Jason doveva prepararsi ancora
all’Holmagang.
“Le api” aveva spiegato Stellan.
“Api?” aveva chiesto Fred confuso,
“Api?”
aveva ripetuto Jason, “Oh!” aveva esclamato Thrud,
“Come pensate di chiamarle?
Ballando la samba?” aveva chiesto poi divertita.
“Abbiamo almeno un dio delle api?” aveva chiesto
invece Fred arrestando le sue
incisioni nella nuda terra, Stellan aveva annuito,
“Sì. È un amico della
signora Gerd, anche se non è proprio un …
dio” aveva considerato Stellan. “Chi
lo avrebbe mai detto che come sempre in questo mondo le cose sono
sempre mai
come dovrebbero essere?” aveva chiesto Fred retorico.
Gli
occhi di Thrud si erano ridotti a due spilli,
forse confusa, forse no, ma Jason sapeva di chi stava parlando.
“Bee” aveva
detto attirando l’attenzione.
“Cosa?”
aveva chiesto Stellan, “Stai parlando di Bee,
volevo dire Bylest!” aveva risposto.
Lo jotun che aveva sempre le api con se e che permetteva alle sue
ragazze di
passare da un mondo all’altro e raccogliere il polline dai
fiori del cortile di
Gerd.
Sì.
“Oh!
Il fratello di Loki Laufysson!” aveva esclamato
Thrud, dando voce ai suoi pensieri.
“Bene, come lo chiamiamo questo Jotun che sicuramente non
vedrà l’ora di
aiutarci?” aveva chiesto Fred.
“Come si fa sempre? Ti siedi e preghi sperando che qualcuno
arrivi?” aveva
proposto Stellan.
Faceva abbastanza schifo come piano.
“Credo
che senza un sacrificio non verrà nessuno”
aveva sospirato Jason. “Di solito nei Blot”
aveva parlato Fred, “Così mi
ha detto Astrid si chiamano i riti che prevedono agli dèi,
si sacrificano, per
l’appunto, animali e-o persone, ma non solo, anche
oggetti” aveva cominciato
Fred. “C’è bisogno di un godijan,
un sacerdote, come Erik, ma forse
anche un ergi, come me, può andare bene.
L’importante è ciò che si sacrifica,
qualcosa che abbia valore, qualcosa che gli dèi possano
consumare” aveva
ricordato. “Inoltre, ecco, credo che tu sia comunque un
godijan? Sei un monaco,
giusto? Alla fine, Erik era un prete cristiano, pure” aveva
ponderato Jason,
quasi rimpiangendo di non aver ascoltato i consigli di Terminus e non
aver
intrapreso il corretto corsus honorum e non essere
diventato Pontifex
Maximus.
“Ad
Alfheim non facciamo più queste cose, la gente
preferisce i cocktail party e i video di piccoli gnomi che fanno i
buffi” aveva
cominciato Stellan, “Ma di solito deve essere un luogo
sacro” aveva mormorato.
“Non posso credere che un cristiano debba spiegarvi che ogni
luogo è sacro se è
ritenuto tale. Comunque, siamo alla presenza di una dea”
aveva detto,
ammiccando a Thrud. “Sapete? Nessuno mi definisce mai
così” aveva considerato
quella, con un’espressione leggermente adirata.
“Ti
sei chiamata dea tutto il tempo” aveva considerato
Jason, “Sì, io mi considero tale, ma per tutti
sono solo una valchiria
estremamente potente. La Possente Thrud, mai la Dea Thrud e nessuno mi
ha mai
definito sacra” aveva quasi gongolato. “Ovunque
risieda un dio e un luogo di
culto, sì” aveva ammesso Jason, ricordando una
vecchia lezione e decidendo di
ignorare apertamente la sua valchiria.
Rimane,
perciò, insoluta una domanda era: cosa
offrire? Oltre la sua vita?
Aveva
la sua libertà ma era già in palio per
qualcos’altro, restava solo Giunone e … aveva
abbassato lo sguardo sul suo
avambraccio, dove sapeva esserci il suo tatuaggio.
La
morte lo aveva privato dell’unica perla che Chirone
gli aveva dato, per celebrare la sua prima e unica estate di campo, e
il taglio
sul suo labro, che avevano reso il suo viso la Faccia di Jason Grace,
non
ricordava un giorno che non l’avesse avuta sul suo viso,
troppo piccolo per
ricordare un tempo prima.
Non
aveva più niente, solo quattro lettere, una saetta
e le bande che segnavano il suo tempo a Nuova Roma e a Campo di Giove.
Sapeva
che cosa sacrificare a Bee e sapeva che lo
Jotun se ne sarebbe nutrito con sommo gusto e divertimento.
Fred aveva inciso l’ultima runa ed aveva infilato la spada
nella terra, dove le
sue rune luccicavano di un rosso tempestoso e poi aveva detto con voce
cupa: “Frederic
da Clermont, cavaliere dell’ordine equestre del Santo
Sepolcro e spada di Dio
sceso in terra, figlio di Gerd, ho eretto questa prigione per Thrud La
Possente, figlia di Thor e Sif, ne stimata e traditrice del suo signore
Odino”
e nel farlo aveva usato il filo della lama per tagliare un palmo della
mano,
imbevendone il sangue che era gocciolato lungo il ferro, fino
a bagnare
l’erba e la terra.
Le
rune si erano illuminato dello stesso vibrante
rosso della sua spada, prima di affievolire in tenue rosso che era
rimasto
acceso, come una luce tenue e soffusa. “Va bene, Jason,
preparati a togliere il
tuo potere” aveva stabilito Fred.
Jason
aveva sollevato le mani ed aveva richiamato i
fulmini che si erano dissipati in schioppetti di luci e folgori fino ad
assopirsi e tutto quello che caricava l’aria di magia si era
rotto. Ed
improvvisamente lui si era ritrovato con l’aria dei polmoni,
come se fosse
uscito da una tomba, di nuovo vivo.
Fred
aveva impugnato la lama e Stellan sollevando le
mani pronto ad attaccare nel caso che Thrud si fosse liberata. La
valchiria
aveva allungato una mano ed aveva incontrato un muro d’aria
davanti a lei,
“Preferivo quella di Jason era più larga ma
… questa è decisamente più
respirabile” aveva considerato, “Mi dispiace
Frederik ma credo che Jason sia un
semidio più potente e forse anche un ergi più
promettente.”
Fred
l’aveva guardata: “J’en ai rien
à foutre.
Sono un seguace dell’unico vero Dio e del tuo parere non mi
importa” aveva
risposto seccato e cattivo.
“Bene,
pensiamo al sacrificio” aveva considerato
Jason, riuscendo a sollevarsi dalla posizione in cui si era seduto,
quando
aveva sentito i muscoli ricominciare a funzionare bene ed essere capaci
di
sostenerlo nella posizione eretta.
Fred
l’aveva guardato con i suoi occhi verdi intensi,
“No” aveva stabilito poi, “Avevo pensato
fosse una buona idea perché non
credevo di avere abbastanza abilità per tenerla prigioniera,
“Pensavo che
avrebbe dovuto combattere fino all’arrivo della Squadra
Suicida di Samirah. Ma,
ecco, con Gullinbursti potremmo essere a Fólkvang in
pochissimo e lì avremmo
tutte le valchirie che vuoi Jason. Oltre Madina e Mel” aveva
considerato
l’uomo, “E se dobbiamo affrontare uno stregone
esperto di alf seidr e figlio del
diavolo come Erik Freydisson abbiamo bisogno di tutto l’aiuto
che possiamo”
aveva terminato.
“Quindi
la lasciamo così?” aveva chiesto Jason,
ammiccando alla dea seduta tra le rune. “Non hai paura che la
tua prigione si
sciolga appena ti allontani?” aveva chiesto preoccupato,
“Jason, che mi piaccia
o no, sono un Ergi, non sarò uno bravo,
non sarò uno potente e non avrò
il potenziale, ma sono uno stregone. Un incantesimo non decade solo
perché ti
allontani, il tuo lo avrebbe fatto perché era fin troppo
arzigogolato, le rune
erano letteralmente fulmini che hai creato con le tue forze. Ma queste
sono
rune incise e sigillate con il sangue, forse Heidi potrebbe liberarla
sì” aveva
considerato Fred, “Ma lo farà? Tornerà
qui ad aiutarla? E se così fosse? Tutto
quello che Thrud doveva fare era chiuderci qui. Ora sappiamo il suo
segreto e
se non moriamo definitivamente, be, il suo segreto sarà
pubblico” aveva
stabilito con fierezza.
“Allora,
ciao Thrud e addio” aveva detto Jason,
guardando la sua valchiria con voce triste, “Per quello che
vale, Jason, mi
dispiace. Sul serio, volevo solo che la mia famiglia vivesse, che la
fine del
mondo non arrivasse mai e che io potessi stare con l’uomo che
amo” aveva
sospirato lei. “Lo fai sembrare molto ragionevole”
aveva ammesso Jason, triste.
Perché
Jason comprendeva quel sentimento, davvero,
nella sua forma più pura, era morto per quello, sarebbe
morto ancora ed ancora
per quello.
Avrebbe
fatto ciò che era possibile per un solo altro
minuto con Piper, per rivedere i suoi amici e per … evitare
che il mondo
finisse. Era pronto ad essere la tempesta che avrebbe fatto cadere il
mondo.
Avrebbe
dato tutto per salvare i suoi amici … anche
Thrud.
Ma
unirsi ad una terribile strega della vendetta?
Avvelenatrice
di menti?
“È
lastricata di buone intenzioni la strada per
l’Inferno” aveva considerato Fred,
nonostante le sue parole e la sua solita
attitudine, non c’era malizia né ferocia nelle
parole del monaco, ma erano solo
una fredda costatazione.
Forse
nel mondo norreno non c’era un inferno vero e
proprio in cui le anime avrebbero dovuto fare i conti – o
forse sì, con i
quattro aldilà Jason era confuso, come era confuso dalla
scala dei valori di
quel mondo – ma sembrava una risposta appropriata.
Thrud
aveva abbassato gli occhi e per la prima volta
non era sembrata una terribile valchiria ma una giovane ragazzina piena
di
sensi di colpa.
“Magari,
quando torniamo al Valhalla possiamo chiedere
a Bragi di mettere una buona parola con …” aveva
provato Jason, ma era stato
interrotto da Fred, “Non prendertela troppo a cuore, Jason,
le daranno massimo
una bacchettata sulle mani” aveva detto, “Non
è una ragazzetta senza arte né parte,
è una dea, figlia di Sif e Thor.”
Lui
si era morso il labbro, aveva pensato a suo
fratello Apollo, che era stato punito da loro padre con la
mortalità e
costretto a lavorare come servo. ‘Non dimenticare’
gli aveva detto e Jason
sperava non dimenticasse, così come guardando Thrud non
sapeva cosa sperare.
Capiva
le sue motivazioni, ma le sue azioni erano
state avventate e quasi criminose, eppure …
“Come stavo dicendo, parlerò con Bragi
perché metta una buona parola con tuo
padre sulla cosa di Aviss” aveva ripreso a parlare ignorando
il commento del
monaco e tutto quello che frullava nella sua testa.
Thrud
lo aveva guardato, spalancando gli occhi pieni
di sorpresa, aveva schiuso le labbra, come se avesse voluto dire
qualcosa, ma
alla fine aveva taciuto, preferendo regalare loro un sorriso quasi
dolce, molto
meno folle, ma quasi adorabile – Jason
si chiese come fosse possibile
essere così volubili – e contro ogni previsione
aveva parlato ancora: “Prima
devo dire di no, ma ora lo capisco bene cosa lei veda in te.”
Jason
pensava di sapere di chi stesse parlando.
Fred
aveva fatto roteare gli occhi, piuttosto
insofferente, dirigendosi verso il verro d’oro che era stato
ben felice di non
curarsi di tutta quella storia per gironzolare in giro con un certo
gusto,
probabilmente Gullibursti era il tipo di creatura a cui piaceva stare
in mezzo
agli altri senza doverci interagire.
“Prima
che tu lo dica Jason, probabilmente non è un
addio” lo aveva anticipato Thrud, scivolando supina
sull’erba, quasi rilassata,
“Va bene” aveva detto solamente Jason, “Ava
atque vale, come si dice
dalle mie parti” le aveva detto.
Ciao
e ti saluto.
“Farvel[6],
Lady Thrud” disse posato Stellan, facendole quasi un inchino.
Lei aveva
annuito, con gli occhi chiusi, quasi come se si stesse condendo una
pausa
rilassante, stesa in un campo, e non in una prigione di rune e poi
aveva
parlato, congedandosi da loro: “Farvelir[7],
prodi guerrieri.”
[1]
E’ un riferimento allo scontro tra
Wanda e Aghata in Wandavision!
[2]
Il Javelin come arma è molto romana
– ed era una lancia più da lancio che altro
– mentre la Spear è proprio la
lancia da combattimento e la più antica al mondo (di
età del Bronzo) è stata
trovata in Germania e possiamo valutare che gli dei aesi siano di
origine
germanica.
[3]
Questo è un delirio. Storicamente
Liv Dagsdotter di Vestmar, era la moglie di Halfdan il Mite Re di
Vestfold e
madre di Guðröðr
il Cacciatore Hálfdansson che è
stato a sua volta re di Vestfold e anche Re di Romerike (due regni in
territorio norvegese); era di origine sueone, apparteneva al clan dei
Yngling.
Questo particolare Clan si diceva discendente da Frey nella forma del
dio
Yngvi. I primi re di questa dinastia scadono molto nel mito (insomma
come
Romolo e Remo figli di Marte o Enea etc), nonostante ciò,
è una dinastia
storicamente esistita. Dunque, gli storici hanno deciso di porre la
linea di
demarcazione tra mito e storia nel momento in cui anche cronache non
epiche
hanno cominciato a parlare di loro, proprio con
Guðröðr il Cacciatore,
ponendolo come fondatore storico della stirpe dei Figli di Frey.
Così, ehi, ho
deciso che sua madre si è dilettata con il dio.
[4]
Si sta parlando di Natalie Chase,
il cinghiale che è molto critico, ha una bassa opinione
della donna anche in
base a ciò che sappiamo della sua famiglia, che era molto
intessuta con il
mondo “nascosto”. Personalmente adorerei se Riordan
ci raccontasse un po’ di
più dei Chase.
[5]
un bastone di metallo che veniva
probabilmente usato durante i rituali; alla Gandalf intendiamoci.
[6]
Era l’addio norreno (in uso fino al
1000 d.C.) quando ci si congedava da una donna.
[7]
L’addio norreno (in uso fino al
1000 d.C.) quando ci si congedava da un gruppo di uomini.
.
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Capitolo 22 *** Nico Di Angelo presta la sua tavola Ouija a qualche spettro e una valchiria ***
Ho
modificato il capitolo precedente, davvero solo due cosette.
Oltre questo, ho trovato piuttosto fastidioso scrivere questo capitolo:
ma
andava fatto.
Voglio comunicarvi che a livello “narrativo” la
storia si sta appropinquando al
finale, ma a livello di “narrazione” non ho idea di
quanto ci vorrà, devo
ammettere che una parte che avevo considerato breve potrebbe
effettivamente
essere più lunga di quanto avessi preventivato, nonostante
questo ho deciso di
tagliare diverse cose.
Detto questo, ho scritto più di metà del prossimo
capitolo, penso sia stata “colpa”
della serie tv, nonostante abbia più criticità
che altro, mi ha decisamente
rimesso voglia di scrivere, sto anche pensando di concludere la saga
dei Kane
(mi manca giusto l’ultimo).
Un bacio, se tutto va bene, dovrei tornare presto!
Ps
- https://www.deviantart.com/rlandh/art/Thumelicus-Mel-from-Confluentes-1022859992
(Ecco a voi un Mel selvatico)
Nico Di
Angelo presta la sua tavola Ouija a qualche spettro e una valchiria
La cavalcata del
verro era forte e impetuosa, per
questo non ci avevano impiegato molto a raggiungere la folle festa
– ben lungi
da essere conclusa – che si erano lasciati dietro ore prima e
abbandonare Thrud
alla sua prigione.
I venti erano aspri e cattivi contro il loro viso, quasi irritati da
quanto era
stato fatto alla loro padrona; Jason aveva detto che gli anemoi, o come
si
chiamassero il corrispettivo norreno, non conoscevano
fedeltà che non fosse al
più forte, ma erano comunque turbati da quanto era accaduto
tra lui e la
possente Thrud. Anche lui d’altronde era turbato, la
Valchiria era la sua
valchiria, per quanto poco ortodosso fosse stato il loro incontro, non
era
dunque normali aspettarsi tra i due un legame imprescindibile?
“Tutto bene?” aveva strillato Stellan, appena dopo
che il verro avesse appena
spiccato un salto, “Si!” aveva risposto.
Jason aveva sellato
cavalli alati,
venti, per fino l’indomito cavallo di Hazel, ma non pensava
di aver mai montato
una bestiaccia simile. La velocità era imponente e brutale,
da farlo quasi
sbilanciare e le setole d’oro erano fredde, un metallo duro e
rigido, che si
conficcavano come lamelle sui suoi polpacci.
Jason non aveva avuto idea quanto lontani fossero finiti prima di quel
momento,
si chiese quanto Stellan e Fred avessero dovuto camminare prima di
raggiungere
il recinto, seguendo il percorso di fiori.
Quando erano giunti nei pressi della festa, Jason aveva scorso una
figura che
imponeva loro di fermarsi; era una valchiria, dal lungo mantello fatto
di
candide piume di cigno, ma armata di una paletta tonda rossa da vigile
urbano.
“Bite!” aveva sospirato Fred con
un tono quasi sconfitto. Il Monaco
crociato era incastrato tra Stellan – che teneva le
metaforiche redini del
verro – e Jason che era l’ultimo sulla grossa sella
di cuoio e per tutto il
viaggio che gli aveva separati dal luogo dello scontro con la divina
Thrud non
aveva pronunciato mezza parola, cosa che non era decisamente da lui.
“La
conosci?” aveva chiesto Stellan titubante e preoccupato.
La valchiria si era avvicinata a loro, era la più giovane
che Jason avesse mai
visto, sembrava una ragazzina di tredici anni massimo, con i capelli
ricci,
pieni di boccoli, di un biondo lucente come l’oro lustrato e
un visetto a forma
di cuore, con occhi grandi e splendenti come pietre preziose, il
sinistro era azzurro
zaffiro e il destro rosa quarzo.
“Sì” aveva risposto pigramente Fred,
scivolando giù dalla groppa del maiale con
un movimento felpato e agile, “Sai con chi stai parlando
ragazzina?” aveva
grufolato proprio Gullinbursti.
La valchiria aveva ignorato a pie pari il verro per concentrare
l’attenzione su
di loro; nonostante la giovane età, mostrava un aspetto
imperioso e sicuro.
Anche se Jason era stato poco nel Valhalla aveva imparato a riconoscere
le
opportune differenze: la valchiria non era né viva
né un einherjar ma una
dea, come Thrud.
“Bonjour, ma noble dame” aveva
proferito Fred con una gentilezza
stuzzicante, così strana da sentire con il suo tono
usualmente secco e
infastidito.
La ragazzina aveva battuto le ciglia bionde un paio di volte, prima di
arrossire improvvisamente, “Oh! Frédéric!”
aveva esclamato e lo aveva
pronunciato in quella maniera elegante con cui solo il monaco cristiano
chiamava sé stesso, quando si presentava per esteso,
rispetto il più basico
Fred o Frederik. “Non ti avevo riconosciuto” aveva
ridacchiato piena di
imbarazzo, prima di prestare attenzione anche a Jason e Stellan,
salutandoli
con un cenno della mano breve. “Non sapevo partecipassi a
feste così dissolute
… e con Gullibursti!” aveva ridacchiato con le
gote arrossate. La piccola
guerriera armata di paletta aveva una piccola infatuazione
per il
dispotico Fred.
“Il Wyrd non è smette mai di
sorprenderci” aveva considerato il monaco,
grattandosi una guancia nervoso, “Tu sei stata messa a fare
la
guardiana-di-porta?” aveva indagato, “Oh,
sì. Non mi piace la musica forte né
questo Freyachella… lo hanno chiamato
così, che cosa buffa” aveva
risposto la ragazzina, “Ma mi piace un sacco picchiare la
gente! Lo sai” aveva
chiarito con un luccichio più sinistro negli occhi
eterocromi.
“Ah, sì, so chi sei, una delle nobili
nipoti” aveva grufolato il verro,
perdendo presto interesse. “Siamo stati invitati alla
festa” aveva considerato
Stellan con nervosismo, “Io sono Stellan Brightflower, figlio
di Ubbe
Brightflower e loro sono due nobili guerrieri della Sala dei
Caduti”. In realtà
la festa l’avevano praticamente fatta per loro, aveva pensato
Jason, ma aveva preferito
dire: “E cercavamo giusto una valchiria!”
“Oh! Be, ne avete trovata una! Hnoss figlia di Othr e
Freya!” si era
presentata, pizzicandosi il mantello di piume bianche, prima di fare un
generoso inchino rispettoso. “E sì, riconosco due
nobili caduti” aveva
considerato voltando il sorriso carico di gioia verso Fred.
“Hnoss è la mia
valchiria” aveva detto leggermente insofferente.
“Io sono Jason Grace” si era presentato,
“E come posso aiutarvi?” aveva chiesto
la ragazzina incuriosita, “Andiamo abbastanza di fretta, uno
dei … una nostra
amica è stata rapita e noi dobbiamo mandare un messaggio
alla valchiria Samirah
Al-Abbass” aveva parlato di fretta Fred.
“Inoltre, dovremmo ricongiungerci a due nostri
compagni” aveva parlato Jason,
“Madina Modja e Thumelicus di Confluentes. Erano con il Re
Italicus dei
Cherusci” aveva aggiunto.
“Credo siano ancora a Sessrúmnir e non siano mai
venuti alla festa” aveva
valutato la ragazzina, giocando con un ricciolo biondo.
“È il corrispettivo della Sala dei Caduti di
Freya, dove si tengono i
banchetti” Stellan aveva anticipato la domanda che pensava
Jason stesse per
porre; in realtà lo sapeva, Odino l’aveva spiegato
nella sua lunga
presentazione la prima sera al Valhalla, mentre riportava il sistema di
partizione delle anime dei guerrieri, ma ringraziò di cuore
l’elfo per la
premura.
“Vi guido io” si era offerta Hnoss, “Puoi
lasciare la tua postazione?” aveva
chiesto Fred, la ragazzina aveva ridacchiato come se le fosse stata la
situazione più colma di imbarazzo del mondo, “Io
posso fare tutto quello che
voglio, Frédéric” aveva sciorinato con
allegrezza.
“Quindi
tu sei la Valchiria di Fred?” aveva inquisito
Jason mentre seguivano la ragazzina per un pertugio un po’
meno chiassoso,
verso la sala di Freya.
Avevano lasciato Stellan con il cinghiale, il giovane Elfo aveva deciso
di non
voler in alcuna maniera abbandonare il cinghiale una volta di troppo e
nessuno aveva
deciso di giudicarlo per quello, infondo era la sua missione;
così lui e Fred
avevano seguito la giovanissima.
“Oh, sì! Lo ho visto la prima volta a
Constantinopoli!” aveva raccontato ben
felice la ragazza, giocando con una ciocca di ricci biondi, aveva
ricordato a
Jason un po’ Hazel, ma solo un po’. “Mi
sono affezionata alla città durante gli
anni che la guardia variaga era lì … ho deciso di
rimanerci e quando ho visto Frédéric
combattere mi sono emozionata …” aveva cominciato
a spiegare lei.
Jason si era voltato verso il suo amico, che aveva
un’espressione ieratica,
Jason ricordava bene che quando Mel aveva spiegato la sua relazione con
Kráka,
figlia della sua valchiria, il figlio di Gerd aveva detto che la
mietitrice
della sua anima lo avesse considerato solo per un breve periodo di
tempo, prima
di dimenticarsi di lui. Hnoss, però, non sembrava essersi
per nulla dimenticata
di lui.
“… quindi è rimasto ferito in battaglia
e sapevo che le ferite presto o tardi
lo avrebbero ucciso. Il milleduecento non era proprio un secolo
particolarmente
luminare per la medicina” aveva recuperato il filo del
discorso Hnoss, “Se
fosse morto in battaglia sarebbe stato più
semplice” aveva considerato, “Mi
perdoni mia signora, la prossima volta cercherò di morire
quando è più d’uopo”
aveva risposto colmo di sarcasmo Fred, ma la sua parlata velenosa era
scivolata
completamente alla valchiria, “Non ti preoccupare. Solo che
penso meritassi una
morte più gloriosa che la setticemia” aveva
considerato la ragazzina, con una
voce lacrimosa. Jason aveva ricordato il suo sogno, di un Fred
malandato,
bendato e ferito, su un letto, incapace anche solo di raggiungere la
finestra per
guardare il mondo fuori.
“Mi ero incaponita però con l’idea che
un tale splendido guerriero, meritasse
gli onori dell’aldilà. Così per lui ho
dovuto bisticciare con una dísir per
raccogliere la sua anima. Lei lo voleva portare ad Helheim, ma
ammettiamolo:
sarebbe stato uno spreco” aveva detto trionfale la ragazza.
“Non lo sapevo” aveva ammesso Fred, con una punta
di reverenza.
“Non potevo permettere che un’anima luminosa coma
la tua appassisse in quel
mondo grigio” aveva risposto secca la ragazzina, putando il
naso all’insù con
sicurezza, Jason aveva sorriso, per l’espressione pregna di
sorpresa e dolcezza
di Fred, per quanto luminoso fosse l’ultimo aggettivo che
avrebbe usato per
l’anima di Fred.
Però, forse Fred era un po’ come Nico, un anima
tormentata che nascondeva un
cuore grande e amorevole, desideroso solo di un legame.
“Oh, era Glam!” aveva considerato poi Fred,
cogliendoli di sorpresa, “Intendo, Lady
Glaumvör” aveva specificato,
“Ah, sì. L’unica di loro che non sembra
essere
uscita da una band viking metal” aveva concesso Hnoss,
“La signora ha detto che
c’eravamo già incontrati” aveva
ricordato Fred. Era stato quando aveva dato
loro un passaggio sul suo carro.
Inoltre, Jason trovava decisamente probabile che la sua dea-ex-machina
rinunciasse ad un’anima per permettere che venisse portata da
una valchiria. “La
dísir mi ha concesso di prendere l’anima di
Frédéric, con la condizione che la
portassi nel Valhalla e non qui” aveva aggiunto con un tono
un po’ spento, “Di
solito porto, ovviamente, tutte le anime che raccolgo qui, ma forse
è stato
meglio così, non avevo idea in quel momento
che egli fosse figlio della
mia venerabile zia” aveva ponderato.
“Penso che se fossi finito in questo mondo dissoluto mi sarei
buttato giù dei
rami dell’ Yggdrasill”
aveva esclamato il mezzo-Jotun, facendo
sfuggire una risata a Jason, “Quasi più
melodrammatico di Mel” aveva ponderato.
“Invece, la tua valchiria, chi è?” aveva
chiesto con gentilezza Hnoss, la
domanda aveva fatto sprofondare Jason in un principio di angoscia,
chiedendosi
come avesse fatto a cacciare via in fretta dalla mente la dea
prigioniera,
“Questo è un altro problema, dobbiamo contattare
la valchiria Samirah Al-Abbas”
aveva ricordato, evitando la domanda.
Era Samirah incaricata di recuperare Mimir. Hnoss
aveva accettato la sua svicolata con
grazia, o forse non aveva compreso il suo desiderio e si era
concentrata sulla
parte importante, ed aveva detto: “Ah, Samirah! Non la
conosco molto, ma mia
madre ne ha una buona opinione, poi è la valchiria di Magnus
Bane … è stata
anche la valchiria di Odino
a modo suo.” Jason non conosceva questa storia, ma
scommetteva fosse qualcosa
di interessante, “Oh, no no. Samirah non è la mia
valchiria, la possente Thrud
lo è” aveva riferito, non sapendo neanche
perché. Fino ad un momento prima non
aveva voluto dirlo ad alta-voce, ma poi gli era sembrato ingiusto
lasciare che
si credesse il falso, “Solo che Lady Thrud potrebbe aver
voltato la causa degli
dei ed essersi addestrata con una strega ancestrale ed aver aiutato a
rapire un
dio e una nostra amica” aveva chiosato Fred, lasciando fuori
la questione del maiale
di Gerd.
Probabilmente per proteggere sua madre, perché la storia del
verro non
arrivasse alle orecchie della divina Freya.
“Ah, sì, mi sembra proprio affare della squadra
suicidio” aveva
soppesato Hnoss, il suo tono aveva perso tutto l’infantilismo
che aveva avuto
fino a quel momento. “Squadra Suicidio?” aveva
chiesto Jason, “Sì, dopo la
morte della povera Gunilla; Padre-Tutto aveva bisogno di avere un nuovo
C.O.O.
per le valchirie, ovviamente scelte tra le sue signorine del Valhalla,
ma non
ha avuto molta fortuna, voleva Samirah Al-Abbas ma lei ha rifiutato il
ruolo
diverse volte e alla fine ha finito ad ammaestrare la Squadra Suicidio,
quella
addetta alle missioni potenzialmente stupide o mortali o mortalmente
stupide”
aveva considerato, “Ovviamente ho fatto richiesta”
aveva ridacchiato.
Hnoss li aveva
condotti dentro la Grande Sala di
Freya.
Era molto meno caotica di quella del Valhalla, ma era molto
più elegante e
bella, sembrava più una gigantesca sala da tè
elegante, in stile liberty. Con tavolate
tonde e sedie di ferro con ricami floreali e cuscini morbidi
trapuntati. Lucidi
pavimenti di marmi colorati, e fiori da ogni lato.
Jason ne era elettrizzato.
Anche le Valchirie sembravano più leggiadre e meno stressate
I rami dell’ Yggdrasill che si
diramavano dal soffitto erano
lussureggianti e pieni di foglie verde-oro grandi e sane, sembravano
più un
arredo che l’accesso ai Nove Mondi. Nessun animale sembrava
zampettarci in
mezzo, se non graziosi uccellini colorati.
I tavoli erano quasi tutti vuoti, con l’eccezione di una
grande tavolata tonda,
coperta da una tovaglia bianca elegante, imbandita di ogni leccornia
immaginabile. Cinque persone erano sedute sulle ricche sedie di legno
imbottite; quattro erano uomini ed erano tutti inequivocabilmente
pareti:
biondi, alti con carnagioni pallide e con gli occhi verde oliva.
L’ultima
figura era Madina, che in tutto quel biancore spiccava particolarmente.
Era stata la prima a vederli, aveva aperto la bocca in un sorriso
luminoso e si
era alzata subito lasciando la tavolata, con in mano un pasticcino
colmo di
crema e una spolverata di granella di pistacchio. Loro avevano lasciato
indietro Hnoss che gli aveva rassicurati che avrebbe chiamato
prontamente
Samirah.
“Oh! Siete qui” aveva detto Madina stampando loro
due baci a testa, sulle
guance, “Dove è Astrid? Stellan?” aveva
indagato subito, “Stellan è fuori con
Gullinbursti” aveva risposto schietto Jason, “Meno
male” aveva sospirato lei; “Astrid
si è fatta rapire dal su ex ragazzo che lavora per Gullveig,
come Thrud” aveva
riassunto spietatamente Fred, “A proposito
c’è Gullveig dietro a tutto questo.”
“Vi ho lasciato soli per poche ore” aveva
considerato Madina, schiudendo le
labbra, sorpresa, ma cotta di preoccupazione, “Un
po’ di più di un paio” aveva
ponderato Jason, anche se non aveva idea di quanto tempo fosse
effettivamente
passato.
“Bene, penso dobbiamo muoverci” aveva stabilito
Madina, prima di voltare lo
sguardo verso la tavolata con espressione un po’ triste.
Jason aveva riconosciuto Mel, aveva sciolto la treccia da moicano e
sembrava un
ragazzino in barbe, con pantaloni di pelle da metallaro, ma con un
sorriso
dolce ad adornare il viso. “Vedo che è andata
bene” aveva considerato,
rincuorato, ricordando le cose che Iulia Agrippina aveva detto.
“Chi sono gli
altri tre?” aveva chiesto, poi, Jason, “Astrid
è stata rapita, direi che non è
il momento di parlare della felice famiglia di Mel” aveva
detto Fred, con il
suo tono secco.
“Sì, hai ragione” aveva considerato,
“Ma è un momento così bello,
è come quella
cosa strana di cui parla Magnus Chase … la terapia. Tipo
quando guarisci una
ferità dell’anima” aveva ammesso Madina,
girando lo sguardo. “Comunque, sono
Italicus, il cugino di Mel, e il figlio di lui, Chariomerus e il padre,
cioè lo
zio di Mel, Flavus” aveva spiegato, “Gli ultimi re
dei Cherusci” aveva
considerato melanconica.
La fine della famiglia di Mel e del suo popolo e della sua
eredità.
“La famiglia del tuo ragazzo è fuori dal comune.
Sono tutti Guerrieri Caduti”
aveva concesso Fred, con un tono stizzito; aveva ragione se si
considerava che
anche il padre ne era uno. “E sono in piedi da quasi duemila
anni … nessun’anima
dura così tanto. Il genere umano si corrode prima, ma non
loro, loro
resisteranno fino al Ragnarok e anche oltre ne sono certa”
aveva commentato
Madina.
“Tutto molto bello, andiamo a salvare Astrid” aveva
sottolineato Fred, “Certo.
Sai dov’è?” aveva risposto Jason, non
voleva essere fastidioso, ma era un
problema da considerare.
Un lampo di luce d’oro lo aveva distratto, aveva attirato
anche gli altri
quattro avventori del tavolo, che subito erano balzati in piedi con
armi alle
mani.
Tre valchirie si erano manifestate davanti a loro e Jason aveva
percepito
immediatamente la differenza con Hnoss, trovandole molto meno delicate
e
luminose, erano invece: acute, dure e sferzanti.
Samirah era al centro con una maglia di ferro, sopra una felpa e un
jumper di
piume di cigno, indossava l’hijab verde con le decorazioni
floreali rosa e un’espressione
funerea, al suo fianco c’era una ragazzina
dall’espressione nervosa, il taglio
a scodella, che indossava un impermeabile di piume, stretto alla vita,
da cui
sotto spuntavano pantaloni morbidi con una fantasia da pied-de-poule
aderenti a
gambette ossute e la terza: statuaria e ingombrante, con i ricci pieni
era
Lagherta – l’amica di Kráka.
“La Squadra Sucida immagino” aveva considerato
Jason, “Salve. Sono felice di
rivedervi” aveva detto Samirah, alzando il polso per mostrare
qualcosa di
simile ad un orologio, “Siamo state chiamate qui di gran
carriera … e non per
essere scortese ma siamo impelagate in una missione precaria”
aveva riportato.
Hnoss era apparsa, il suo aspetto non era più quello di una
ragazzina di
tredici anni, ma si era invecchiata un po’ –
utilizzando qualche malia – che
l’aveva fatta apparire più alta e leggermente
più donna, “Sì, sono stata io.
Hnoss figlia di Freya” si era presentata, “Questi
ragazzi hanno una
comunicazione urgente per voi.”
Jason aveva riassunto a grandi linee quello che era accaduto
– lasciando fuori
il rapimento di Gullibursti e l’intervento massiccio di Glam
nei suoi sogni – e
rivelando che una visione aveva aggiornato Jason sul ruolo di Samirah.
“Ah” aveva detto il capo della Squadra Suicidio,
“Sylvie”
aveva detto girandosi verso la ragazza con i capelli a scodella,
“Aggiorna
subito la divina Frigg di questa svolta degli eventi” aveva
ordinato, quella
aveva annuito ed era sparita in una nuvola di oro e polvere, come un
mostro.
“Noi andiamo a recuperare quella screanzata di
Thurd?” aveva inquisito
Lagherta, con un sorriso fin troppo soddisfatto.
Sempre era la delizia di spose malvagie, ricordava
le parole di Glam.
“Fate attenzione” le aveva ammonite Jason,
“La lingua ammagliatrice di Heidi è
la più … forte che io abbia mai
sentito” aveva ammesso cupo, e gli era sembrato
poi che le donne fossero più facilmente vittima del suo
incanto – o almeno così
diceva l’Edda, forse era perché erano avvezze
all’arte magica, sicuramente
Jason non lo avrebbe mai detto ad alta voce, non dopo essere finito
vittima di
quel incantamento. “Gulveig è piuttosto abile ad
avvelenare i cuori delle
donne, specie quelle con i tuoi precedenti” aveva parlato per
lui Fred, senza
vergogna alcuna.
Jason si era aspettato che la donna lo fulminasse con lo sguardo, ma
Lagherta
aveva solamente ridacchiato, l’espressione insofferente era
stata manifestata
da Samirah, “Grazie per la preoccupazione” aveva
detto Samirah senza
gentilezza, prima di rivolgersi a Jason ed addolcire il suo sguardo,
“Abbiamo
portato dei tappi e non abbiamo bisogno di parlare per
sentirci” aveva
spiegato, muovendo le mani con movimenti lesti e veloci delle dita
– linguaggio
dei segni.
“Come vedete bambini” aveva detto Lagherta,
strizzandoli l’occhio, “Samirah ha
sempre tutto sotto controllo e io sono già una buona figlia
di puttana senza
bisogno di una strega che mi sussurri nell’orecchio, inoltre
…” Lagherta aveva
fatto una pausa, prima di infilare la mano nell’orlo della
sua veste per tirare
fuori una lunga collana di perline di vetro – a Jason aveva
ricordato quelle
del campo mezzosangue, anche se la sua aveva solo due perle –
al cui centro
svettava un amuleto di legno su cui era stata bruciato sopra tre
simboli, uno
era una attraversata da una banda obliqua e l’altro sembrava
un incrocio tra
una Y maiuscola e un tridente, l’ultimo sembrava una F con i
bracci obliqui, “Naudhiz,
Algiz, Ansuz” aveva letto Madina,
“Bisogno, protezione e prosperità” aveva
soppesato Fred, “Circa” aveva replicato la
valchiria, “Non ti misuri con ergi
e gothi senza un sospensorio.”
“Stercore.
La situazione è peggiorata in
fretta” aveva stabilito Mel quando avevano raccontato tutto,
Jason aveva
osservato attentamente gli altri tre avventori, piuttosto incuriositi.
Un uomo
era anziano, ma i suoi capelli erano ancora di un fulgido biondo
luccicante, si
teneva con un bastone, con un corpo curvo, ma il suo aspetto trasudava
ancora
una certa regalità. Uno era un uomo adulto, il cui corpo
cominciava ad
infiacchirsi, ma conservava un’austerità fredda e
romana, era vestito come un
ausiliare, indossava loriche d’oro ed aveva un occhio bendato
– la cosa lo
aveva lasciato confuso per un momento, pensava che la condizione di
einherjar
dovesse guarire ogni ferita. L’ultimo, il più
giovane, comunque due volte più
vecchio di Mel, era un uomo più secco e nervoso, ma aveva
gli stessi capelli
biondi e occhi verde scuro-castano del suo parente, a Jason
più famigliare.
Mel però sembrava molto più rilassato.
“Thrud ha detto che Astrid non è in
pericolo” aveva considerato Jason, “Se le
storie su Erik sono vere, probabilmente non è in pericolo,
probabilmente non sa
neanche di essere stata rapita” aveva ponderato Madina,
“Come la troviamo?”
aveva chiesto.
“Non sai fare, esempio, un incantesimo rintraccia
persone?” aveva chiesto
Jason, “Ti ho già spiegato che sono uno stregone
piuttosto carente” aveva
soffiato Fred, “Letteralmente dieci minuti fa hai costruito
una gabbia per
chiuderci un dio” aveva replicato Jason. “Lo hai
fatto tu, in realtà” aveva
risposto Fred piccato.
Hnoss si era avvicinata, “Io forse potrei farlo”
aveva ammesso la valchiria,
“Non so solo picchiare duro con la lancia, ma posso eseguire
anche incantesimi
complessi” aveva raccontato orgogliosa, occhieggiando Fred,
“Puoi trovare
qualcuno?” aveva domandato Jason, “Se avessi
qualcosa di suo” aveva ammesso.
“I vestiti!” aveva strillato Madina,
“Quelli che ci siamo tolti” aveva
sottolineato. A Jason non sarebbe dispiaciuto riavere la maglia verde
dell’hotel e dei pantaloni che non scintillassero.
“Probabilmente sono stati
bruciati e rispediti al Valhalla, non per cattiveria, ma mamma ha una
forte
allergia alle cose brutte” aveva spiegato imbarazzata.
Astrid – una volta salvata – non sarebbe stata per
nulla contenta di sapere che
avevano dato fuoco ad una delle sue pellicce.
Fred aveva cominciato a tastarsi le tasche dei pantaloni e Jason aveva
avuto
un’illuminazione, recuperando dalla tasca dei pantaloni Hagalaz.
“Questo?” aveva detto, mostrando la tessera della
runa spaccata a metà, “Che
cosa hai combinato?” aveva chiesto con sorpresa Mel,
“Ho usato questa per rompere
il giogo di Heidi” aveva spiegato con una certa calma,
“Apparteneva al set di
rune di Astrid e, pensandoci, le aveva avute dal suo amico stregone che
presumo
fosse Erik” aveva ponderato.
Se non avesse trovato l’una, magari avrebbe potuto trovare
l’altro.
Hnoss aveva raccolto le due schegge dalle sue mani, per poter valutare,
“Uhm.
Olmo, buona scelta, hanno un ottimo potenziale incantato”
aveva considerato la
valchiria – la stessa cosa che aveva detto Kráka.
“Sono impregnate di una forte
energia magica” aveva ammesso, “Una che puoi
sentire nero su bianco, una forza
naturale e trascendentale, decisamente più esplosiva di
quella del povero Erik
figlio di Frey, che ha un energia vitale sempre calma e rasserenante,
per caso
la vostra amica Astrid è una figli di Thor o Odino o una
diretta discendente?”
aveva chiesto Hnoss, “Discende da Sif” aveva
spiegato Madina, pratica, “Ah, be,
all’ora questa tessera ha assorbito il potere di qualcun
altro” aveva detto
leggermente sconsolata la valchiria, “Qualcuno come un figlio
di Giove, eh?”
aveva detto ironico Fred occhieggiandolo, “Non ho mai sentito
una loro energia,
ma è più probabile che se appartenesse a un
lascito di Sif” aveva considerato.
“D’altronde Kráka lo aveva detto che la
runa dovesse essere la mancanza di
Astrid” aveva ponderato Mel, d’altronde hagalaz
come Giunone aveva
seguito Jason in tutte le sue disavventure.
“Mi dispiace all’ora, forse se avessi le
abilità di mia madre, potrei, ma …”
aveva soffiato Hnoss, prima di riconsegnare la runa spezzata a Jason.
Madina si era voltata verso Fred, “Tu dove pensi che andrebbe
Astrid se dovesse
avere un incontro intimo non sapendo di essere stata rapita?”
aveva inquisito.
“Nessuna parte, Madina” aveva risposto Fred,
“Non con noi qui, non senza sapere
del verro e non prossima ad un Holmgang” aveva aggiunto con
fermezza, sì,
realizzava Jason, “Andarsene non sembra qualcosa da
Astrid” aveva considerato.
Forse non era davvero in pericolo, ma sicuramente non li avrebbe mai
lasciati
così. “Sì, lo so, Freddie, ma devo
cercare di pensare trasversalmente” si era
difesa Madina, incrociando le braccia sotto al seno, “Io
andrei a casa” aveva
risposto Mel, cogliendoli di sorpresa, “Lì, sul
Palatino, nascosto nelle cucine
per non dover spazzare il pavimento” aveva confessato emotivo.
Jason aveva ricordato il suo sogno, quando Mel pestato e rovinato era
stato
portato all’attenzione di Caligola e tutti gli altri suoi
compagni nei sogni,
le alture di neve del Wyoming, la calura distruttiva di Costantinopoli
… e la
capanna di terra, legna e argilla di Astrid e Erik.
“Se posso intromettermi” aveva parlato uno dei tre
uomini, avvicinandosi,
quello dall’aspetto più vecchio, aveva una voce
calma e posata.
Da vicino, dietro le rughe calanti del viso, la somiglianza con Mel
sembrava
appassire, aveva un naso più adunco ed
un’espressione più solenne, ma gli
stessi ridenti occhi verde come olive pressate. I capelli biondi, quasi
bianchi
per la vecchiaia, portati lunghi e scriminati in due, sul capo.
“Ragazzi, lui è mio cugino Italicus”
aveva spiegato pigro Mel, “Re dei
Cherusci” aveva aggiunto, “Famiglia loro sono i
miei compagni di piano: Fred,
depresso e cristiano, e Jason, bugiardo patologico e romano”
aveva aggiunto,
senza reale cattiveria.
“Ciao famiglia di Mel” aveva risposto pigro Fred,
“Ave Italicus, cheruscōrum
rex” aveva commentato invece Jason, ignorando la
frase pungente di Mel.
Italicus aveva annuito cortese e colpito, “Dunque,
dicevo” aveva ripreso poi il
re, “Nel corso dei miei duemila anni in giro ho conosciuto
diverse entità di
indistinguibile acume e valore … e capacità
ovviamente. C’era questa vǫlva con
abilità oltre ogni immaginazione” aveva
raccontato, “Hai ancora il
suo numero di telefono per caso?” aveva chiesto Madina con
una punta di
curiosità.
“Oh, be, la giovane Groá è morta da
tempo e sfortunatamente la sua anima non
riposa né in questi lidi, nè nella Sala dei
Caduti di Padre-Tutto” aveva
considerato Italicus cupo, “Ma anche nella morte, come si
direbbe in questi
pazzi tempi moderni, Groá non ha mai mancato la
chiamata” aveva sentenziato.
“Stiamo davvero per fare un invocazione?” aveva
considerato Fred con un tono
leggermente ansioso, ripensando a quella che avevano quasi fatto per
Bee,
davanti la prigione di Thrud, “Più un
evocazione” aveva ponderato.
“Io non so come si fa” aveva miagolato Hnoss,
“Chiamare un’anima dal regno di
Hell è un affare pericoloso di per se, ma chiamarla da un
regno dei morti ad un
altro è
tutta un’altra faccenda” aveva
spiegato, “Sì, per questo ci ha portato qui una
dísir” aveva considerato Mel,
grattandosi il capo. Certo, rubare un anima da un’oltre tomba
ad un altro era
una questione che poteva scatenare una guerra.
Jason aveva schiuso le labbra ed un pensiero invadente e brutale si era
manifestato nella sua mente ed era sceso fino alle sue labbra, quella
sicurezza, quelle certezze, come la creazione della prigione di Thrud,
non
erano completamente sue e Jason cominciava a sospettare che fosse per
colpa
dell’abbeverata alla fonte della magia.
Doveva pagarne il prezzo.
“Hai la faccia di uno che ha appena avuto
un’idea” aveva considerato Fred,
“So, come fare un invocazione, so come farlo a grandi linee
almeno – o almeno
so a chi chiedere” aveva spiegato subito pratico,
“Nelle mie ormai piuttosto
innumerevoli e bizzarre morti, ho avuto un certo numero di
sogni” aveva
raccontato – “Sì probabilmente sei il
semidio con i sogni più vividi fra tutti”
era intervenuto Mel a sorpresa – “e tra questi ho
visto un mio amico invocare
l’anima di un morto dai Campi Elisi, un posto da cui
raramente si possono
chiamare i morti” aveva spiegato.
“Indovino: il ragazzo che gira con gli anelli a tema teschi e
le camice con i
parrocchetti?” aveva scherzato Madina, alludendo a Nico
– per un secondo Jason
aveva dimenticato che Madina aveva conosciuto i suoi amici.
“Bene, come ha
fatto?” aveva chiesto Fred, mettendo una mano sulla sua
spada, amichevole e
nervoso, “A grandi linee, ma potremmo chiedere direttamente a
lui” aveva
specificato, “I semidei greci hanno un modo di comunicare
piuttosto veloce
… non ero sicura potesse funzionare con Samirah, ma sono
sicuro che con Nico
sì” aveva ammesso.
Era una sicurezza difficile da spiegare.
Forse in futuro ne avrebbero potuto fare buon uso anche i norreni,
infondo
Jason aveva letto che Heimidall il dio che poteva vedere tutto,
soggiornava nei
pressi del ponte arcobaleno … forse un nesso, la
comunicazione, poteva
significare qualcosa.
Inoltre Jason era stato un pretore del Campo di Giove e membro del
Senato di
Nuova Roma, ma era stato anche un membro della Cabina 1 e Consigliere
del Campo
Mezzosangue, era sia greco, sia romano, era un romei come
Kym … ed era
anche norreno.
Non è come nasci, ma come muori, che
rivela a quale popolo appartieni –
aveva detto Astrid, neanche una
settimana fa, prima che tutto andasse in malora.
“Mi serve qualcosa d’oro, una moneta, un ninnolo,
qualsiasi cosa … e una
bacinella d’acqua, una parete bianca e uno
specchio” aveva commentato, “Forse
una fonte di luce luminosa bianca a raggio” aveva aggiunto.
Si era rivolto
particolarmente ad Hnoss, ma aveva osservato la famiglia reale della
casa dei
Cherusci darsi da fare in un batter d’occhio.
Flavus aveva dato a Jason il suo bracciale d’oro, Chariomerus
era tornato con
un bacile di legno colmo d’acqua e Hnoss aveva tirato fuori
uno specchietto per
il trucco da qualche parte. “Potresti non riavere il
bracciale” aveva avvertito
Jason, guardando la lorica romana. l’uomo aveva ridacchiato,
“L’oro aveva
valore nella vita, ora non è nulla …”
aveva sentenziato, senza impiccio.
Jason aveva annuito, osservando il viso orgoglioso dell’uomo,
vestito come un
armigere romano e non un germano, nonostante il crine e i baffi biondi,
“Forse
è il momento sbagliato, ma perché la
benda?” aveva domandato.
Forse Flavus la indossava come tributo a Odino,
“Perché mi manca un occhio,
no?” aveva risposto con ovvietà, questo aveva
confuso ancora di più Jason, che
aveva aggrottato le sopracciglia. “Wotan ha sacrificato un
occhio per la
conoscenza e io l’ho fatto per il mio onore ad Andetrium”
aveva risposto orgoglioso, “Chi ti è davanti Jason
Grace pretore di Nuova Roma
è il praefectus
cohortis Marcus Iulius
Flavus,
centurione di Roma”
aveva
stabilito con orgoglio.
Jason aveva sorriso – ma il tossicchiare di Mel aveva fatto
presto scemare
l’azione.
“Per la
parete bianca va bene quella?” aveva chiesto
Italicus, ammiccando ad un lato della parete, che era compostata di
cassettoni
e marmi chiari, “Sì” aveva ammesso Jason.
“Ci serve solo una fonte luminosa ora” aveva
ponderato, “Forse potrei
incanalare un fulmine” aveva considerato, ma avrebbe potuto
produrre una luce
bianca? “Ma preferire aiutare con lo specchio.”
“Diciamo che la mia spada esplode in intensità di
colore in base a quanto
vicini ad uno scontro siamo ma il colore è sul mio stato
d’animo. Ultimamente è
rossa, ma potrei riuscire a renderla bianca?” aveva
considerato Fred, “Ti
prego” aveva sospirato Madina.
“Cosa stai cercando di fare?” aveva inquisito Mel,
“Creare un arcobaleno,
usando la diffrazione dello specchio nell’acqua
…lasciamo perdere, è una cosa
che ho imparato in collegio. Lo facevamo per passare il tempo quando
pioveva e
non potevamo uscire in cortile e la segreteria aveva scoperto le VPN
per il-
non è importante” aveva fatto una pausa arrossando
a quella strana confidenza,
prima di ricominciare il discorso, “Comunque con
l’arcobaleno possiamo
contattare chiunque” aveva rivelato, “Certo,
pagando un dazio alla dea Iride,
sì” lo aveva anticipato Mel.
Per un secondo lo aveva dimenticato, nonostante la sua fierezza di uomo
germano, Mel era cresciuto a Roma, nella casa del Princeps, con la
nozione
degli dei classici.
Fred aveva
estratto la sua spada magica e una rossa
luce sinistra si era dipanata davanti a loro, il ragazzo aveva fatto
lunghi
sospiri, come a calmare il suo animo agitato e lentamente la luce era
passata
un rosso incendiario ad un bianco quasi accecante.
Tutta quella luce non era decisamente positiva – una guerra
si era fatta più
vicina.
“Bene e ora?” aveva chiesto Madina con interesse.
“Dobbiamo immergere lo specchio in acqua ed inclinarlo a
quaranta-due gradi con
la superficie riflettente verso il muro e dobbiamo irradiarlo con un
fascio di
luce” aveva spiegato bene, osservando come Hnoss aveva
allungato il suo
specchio per darlo a Mel.
Era uno di quelli dalla forma circolare, rivestito in argento lucido da
un
lato, da cui spuntava un piccolo anello per sorreggerlo.
“Ai miei tempi, Jason avresti potuto convincere molti uomini
di essere un
messaggero degli dei” aveva ghignato divertito il guerriero
germanico mentre si
accucciava per terra per immergere l’artefatto nella tinozza,
“Lasciando da
parte i fulmini” aveva detto piccato Fred.
Nessuno aveva badati a lui.
Fred si era spostato per puntare il fascio di luce verso lo specchio,
senza un
figlio di Frey o di Apollo non era stato molto facile, ma Hnoss era
riuscita a
dargli una mano in qualche modo, mentre Madina aiutava il fidanzato a
trovare
l’inclinazione perfetta.
I tre guerrieri germano-romani osservavano la scena con un certo gusto
ed
interesse, “Che giornata interessante, eh?” aveva
ghignato divertito Flavus.
C’era voluto un po’ – e non senza
improperi in francese dalle labbra di Fred –
quando finalmente un tenue e piccolo arcobaleno aveva trovato la sua
strada nel
cassettone di marmo, pratico Jason aveva offerto l’oro di
Flavus e richiesto
l’invocazione.
Sfocato e leggermente scuro, il viso di Nico Di Angelo era apparso nel
suo
campo visivo.
“Jason!” aveva esclamato vedendolo, spalancando gli
occhi scuri sorpreso; “Lo
hai detto tu stesso che il nostro non era un addio” aveva
scherzato Jason, “Oh,
be, non mi aspettavo così presto” aveva ammesso
Nico, nervoso, prima di
aggiungere frettolosamente, “Non che mi dispiaccia sono
sempre felice di
vederti” aveva ammesso con un tono più allegro.
“Ciao Nicoo!” aveva strillato Madina, che era fuori
dall’inquadratura, “Oh,
ciao!” aveva risposto l’altro aggrottando le
sopracciglia, prima che Jason
spiegasse chi aveva parlato, “Ah, certo” aveva
ammesso, “Sei stato fortunato,
se chiamavi due minuti prima mi avresti trovato con Will e non sopporto
mentirli, ma è andato in infermeria … non puoi
mai sapere quanto uno scorpione
decide di pungerti” aveva buttato fuori.
“Stanno tutti bene?” aveva chiesto preoccupato,
“Uno scorpione ha punto Drew,
uno scorpione standard intendo, non un mostro velenoso, quindi a parte
le sue
lamentele che si sentono fino alla cabina 13, sì stanno
tutti bene, ma io odio
mentire al mio ragazzo. Ah, sì, la doccia ha smesso di
cercare di uccidermi”
aveva ammesso.
“Volete anche un cazzo di tè?” aveva
chiesto Fred che stava ancora direzionando
la sua lama, “Questo è Fred che mi ricorda che non
ti abbiamo chiamato per
piacere, ma ho bisogno del tuo aiuto Nico” aveva ammesso. Il
suo amico aveva
annuito, “Tutto quello che vuoi Jason” lo aveva
rassicurato, “Devi spiegarmi
come hai fatto l’invocazione a Silena” aveva detto,
“Come-come lo sai?” aveva
domandato retorico, “Lo ho visto in un sogno” aveva
ammesso e si chiedeva se
non lo avesse visto all’ora per questo – se davvero
ogni sogno, ogni immagine,
più banale che avesse visto, fosse un messaggio del Wyrd.
“E se possibile molto in fretta!” aveva ringhiato
Fred. “Jason la necromanzia
non è una pratica consigliata a chi non è
affiliato alle divinità ctonie” aveva
considerato Nico nervoso, “Be, sono morto quindi un certo
grado di famigliarità
dovrei averlo ora” aveva provato, “Riflettendoci
dobbiamo evocare lo spirito di
una profetessa per avere una lettura del futuro, quindi più
che una necromanzia
dovremmo fare una psicagogia – dovrebbe essere questo il
termine” aveva provato
Hnoss, affiancandosi a lui e salutando audace Nico –
“Oh anche lui è carino!”
aveva ridacchiato nell’orecchio di Jason.
“Sì” aveva considerato Nico,
“Ma quanta gente siete?” aveva chiesto poi
confuso, “Uhm, sette einherjar e una valchiria!”
aveva risposto contenta la
guerriera. “Sicuramente l’energia dei morti non vi
manca” aveva valutato
ironico il suo amico.
“Nico,
abbiamo davvero bisogno di questa
cosa” aveva supplicato Jason. Il suo amico si era morso il
labbro, “Va bene –
ma Jason non vorrei tu morissi di nuo-permanentemente.
Promettimi di non
farlo” aveva stabilito il suo amico con sicurezza.
“Tutto per te” aveva replicato Jason, con un
sorriso calmo.
Nico era arrossito, “Va bene …” aveva
concesso alla fine, sebbene la sua
espressione fosse tutt’altro che serena “Prima di
tutto, vi servirà uno
specchio d’acqua …”
“Quindi
facciamo una psicagogia greca officiata da un
einherjar romano in un regno vichingo per richiamare una vǫlva da
Hellheim?” aveva chiesto sconvolto Stellan, mentre Madina lo
aggiornava. La piccola congregazione composta da un elfo, sette
spettri, un verro
gigante meccanico e una valchiria dea aveva lasciato le calde stanze di
Sessrúmnir
per raggiungere il luogo adatto, guidati dalla giovane Hnoss,
che conduceva la fila come una maestra in gita scolastica conduceva un
gruppo
di studenti distratti – quello che rendeva più
comica la scena era che la
giovane aveva ripreso il suo aspetto un po’ più
infantile, che la faceva
apparire la più giovane del gruppo.
A chiudere la fila c’era il grufolante Gullinbursti
più seccato che mai – che
millantava che avrebbe potuto portare tutti sulla sua groppa.
Ognuno di loro aveva qualcosa tra le mani utile per
l’invocazione.
“Stavo pensando Stellan …” aveva
cominciato Jason, “Tu potresti andare … la tua
missione è finita” aveva ponderato.
Thrud aveva detto che il sole sarebbe tramontato ad Alfheim non prima
di un
paio di giorni, però sarebbe stato il caso di riportare il
verro il prima
possibile, “Lo so” aveva detto l’elfo con
le gote blu come due mirtilli,
“Dovrei, ma non riesco ad andarmene e voltare le spalle a voi
e Astrid” aveva
considerato.
“Ma come sei dolce, ti mangerei di baci” aveva
detto Madina, tirandoli una
guancia e facendo quasi cadere il barattolo di miele che aveva tra le
mani –
era uno dei barattoli prodotti dalle ragazze Bee, Jason non sapeva
perché ma lo
aveva trovato esilarante.
“Sentite so che è una cosa assolutamente di
troppo, ora, ma mi chiedevo come fa
Flavus a mantenere la sua cicatrice?” aveva domandato Jason,
mentre osservava
il retro della nuca dell’uomo che aiutava il suo vecchio
figlio a progredire –
Italicus era un vecchio baldanzoso, ma era pur sempre un vecchio,
“Lo stato di
Einherjar non dovrebbe cancellare tutte le cicatrici e
menomazioni?” aveva
chiesto, toccandosi il labbro integro.
“Ah, non so” aveva ammesso Mel, sollevando i palmi
in alto, mentre Madina aveva
ridacchiato, “Nella stessa maniera in cui il Valhalla
mantiene il tuo tatuaggio
Jason … anche i quelli sono ferite, intagliate con
l’inchiostro sulla pelle …
dovrebbero rimarginarsi, ma il Valhalla le lascia perché sa
che sono tue scelte,
sono importanti, basta desiderare di averle per conservarle”
aveva
spiegato, “Di solito nessuno vorrebbe tenersi addosso una
cicatrice o una
menomazione” aveva considerato Jason, se non avesse avuto tra
le mani una
cassetta piena di ossa di pollo e cinghiale dello scarto della cena,
non
avrebbe esitato nel toccarsi la cicatrice.
“Oh, tesoro come fai a saperlo?” aveva invece
indagato Mel divertito, “In
duemila anni non ci ho mai pensato” aveva considerato poi. La
sua fidanzata
aveva ridacchiato: “Oh, be, amore, sarebbe fastidioso se dopo
ogni morte mi
guarisse l’imene” aveva risposto Madina senza
alcuna vergogna, strizzando l’occhio
verso il fidanzato.
Jason era arrossito e anche Stellan – o la sua versione blu
– mentre Mel aveva
ridacchiato, colpendosi in faccia con la mano.
Si era morso un labbro, nervoso, pensando a quella stupida cicatrice
che si era
fatto a due anni.
Fred si era voltato verso di loro con uno sguardo cattivo e arrabbiato,
Jason
si era aspettato un commento indisponente sulla natura libertina di
Madina, ma
l’altro aveva proferito tutt’altre parole:
“Sono contento che vi divertiate,
non è come se Astrid fosse stata rapita” aveva
ringhiato.
La vergogna aveva colpito tutti e quattro.
“Eccoci,
qui!” aveva stabilito
Hnoss, ammiccando al lungo fiume che si apriva davanti a loro, aveva
acque
azzurre luccicanti sotto la luce del sole di Vanheim da sembrare che
diamanti
grezzi ne luccicassero sulla superficie. Il fiume aveva delle anse poco
sinuose
e si apriva in una biforcazione d’acqua. “Questo
è il fiume Tanais che divide
la terra in tre” aveva aggiunto con orgoglio.
“Forse lo ricordo male, ma il
Tanais non era il nome antico del Don?” aveva considerato
Jason, “E
percorrendolo probabilmente vi ritrovereste
nell’oblast’ russo” aveva ammiccato
divertita Hnoss, “Vanhaimer è il regno a oriente”
aveva spiegato.
“Jason” lo aveva chiamato Madina,
“Sì ho capito, la geografia dei fumi e delle
montagne dei Nove Mondi non ha senso e tutto esiste su piani
diversi” aveva
ponderato.
A Jutheim avevano trovato le montagne del Wyoming e avevano preso un
fiume che
era passato per una terra velenosa e poi li aveva condotti fino alle
coste
della California, vicino a Fort Russ.
“Comunque è l’unica grande fonte
d’acqua qui. E il bel ragazzo nell’arcobaleno
ha detto che ci serviva” aveva stabilito la valchiria,
mettendo le mani sui
fianchi, “Pensate andrà bene?” aveva
inquisito, “Lo faremo andare bene” aveva
stabilito Jason, “Procediamo.”
“La
regola è che non si possa entrare nel regno del
morti…” – “Siamo
già morti” lo aveva interrotto Flavus,
“… ma si chieda al
defunto di uscire” Jason aveva ricordato a tutti le parole di
Nico, prima di
passare la pala a Stellan, “Perciò bisogna scavare
una buca” aveva stabilito.
“E devo farlo io?” aveva chiesto l’elfo,
“Be, Stellina tu sei l’unico
sicuramente vivo al cento per cento e, be, uma…mortale”
aveva
sottolineato Fred, ammiccando alla valchiria che era figlia di due dei
a quanto
Jason aveva capito – di Freya e il di lei marito –
“Tecnicamente la nostra
categoria di dei è mortale” aveva sottolineato
Hnoss, ma era stata ignorata.
“Il rituale è pensato per i vivi” aveva
commentato Jason, forse avrebbe
funzionato anche per loro, ma era meglio limitare le stranezze.
Stellan aveva annuito, prendendo il badile dalle sue mani e cominciando
a
scavare, avevano scelto il luogo non lontano dall’ansa limosa
del fiume.
“Quanto dovrei proseguire?” aveva chiesto poi,
“Una tomba … più o meno”
aveva
considerato, “Va bene” aveva detto sconsolato
l’elfo.
“Bene, adesso dobbiamo preparare una triplice libagione:
prima latte e miele,
seguito da vino e in ultimo acqua … e tutto dovrà
essere cosparso di farina
d’orzo” aveva spiegato Jason, ricordando le parole
che aveva ascoltato da Nico.
Nel frattempo Italicus stava ordinando a padre e suo figlio di disposto
una
maschera – Jason aveva ricordato che il suo amico aveva usato
una di Medusa –
sul fondo della buca e altre ossa di creature morte. “Ora
dovremmo immolare un
olocausto, ma Nico ha detto che patatine e coca-cola andrebbe bene lo
stesso,
soddisferà la fame comunque, anche se non di
sangue” aveva ponderato Jason.
“Non capisco, non abbiamo già portato il
cibo” aveva chiesto Madina, “Nel
dubbio ho preso un sanguinaccio con sangue di cinghiale”
aveva esclamato Hnoss
con un certo orgoglio. “Un banchetto è per
l’anima di Groá, un banchetto è per
la fame di Hela” aveva spiegato Italicus, stupendoli
– Nico non aveva
effettivamente spiegato quella parte, ma aveva senso pensandoci, era
agli dei
che si facevano sacrifici di solito.
“Perfetto” aveva considerato
Jason,
“Stellan: prendi le patatine e la coca-cola e buttale nella
tomba tra le ossa
unte di grasso, poi rovescia il sanguinaccio dicendo le parole che ti
dirò tra
poco, dopo butta la candela accesa nella tomba” aveva
ponderato Jason.
Mel aveva recuperato la candela tra il materiale che avevano portato e
si era
occupata di accenderla con una pietra focaia, “Noi ci
metteremo attorno al
tumulo per respingere le anime dei morti che non sono be …
quella che ci serve.
Purtroppo, non possediamo i doni di un figlio della morte”
aveva ponderato,
“Dovremmo anche ripetere una litania: noi amiamo
l’uomo, noi amiamo il
tumulo”
aveva spiegato Jason.
“Per nulla inquietante, no no” aveva detto
Chariomerus, “Più che altro questo
non è un tumolo, è una tomba piuttosto
basica” aveva valutato confuso Fred, “E
stiamo evocando una donna.” “Allora: noi amiamo la
donna, noi amiamo la tomba?”
aveva proposto Madina.
“Qualcuno potrebbe farlo anche con noi?” aveva
chiesto invece Flavus mentre
prendeva posto attorno alla tomba, chinandosi sulle ginocchia,
“Essere a
Midgard e invocare le nostra anime?” aveva aggiunto.
“Sì … credo” aveva
risposto Hnoss, “Ma non so come funzionerebbe tecnicamente:
nel Valhalla e a
Sessrúmnir
le anime sono più corporee? Possono lasciare il dominio e
essere
creature di carne e sangue, ma chi riposa a Nilfheim e Hellheim non
può. Sono
spettri e ombre dei vivi … non so cosa succederebbe se
qualcuno richiamasse
l’anima di un einherjar” aveva ponderato.
“Ritengo che queste disquisizioni di teoria magica potrebbero
essere fatte
quando qualcuno non è scomparso, no?” aveva
interrotto Fred la questione, la
piccola valchiria era saltata colta dalla vergogna,
“Perdonami tantissimo”
aveva uggiolato come un cucciolo ferito e tanto era bastato per far
sorgere uno
scrupolo di colpa sul viso indisposto di Fred.
“Spero davvero funzioni … deve”
aveva ammesso Jason, “Stellan: ecco le
parole che dovrai dire …”
“…
ma, dea, ti supplico, regina di sottoterra, di far
uscire l’anima dai confini della terra, mostrando agli
iniziati il volto buono
della signora Groá” aveva
terminato Stellan,
lanciando poi la candela nella fossa.
Era un bene che la signora della morte norrena fosse una donna, avevano
potuto
riciclare un’invocazione alla dea dei fantasmi greca.
Loro avevano continuato la loro litania, erano rimasti sul classico,
senza
successo.
Per un lungo momento non era successo nulla, la luce tenue della
candela si era
assopita nella terra umida. “Abbiamo fallito” aveva
ammesso con vergogna
Madina, “Forse questo incantesimo vale se siamo a Midgard non
su … regno dei
morti?” aveva provato, “Non siamo più a
Sessrúmnir,
Madina, siamo a
Vanhaimer è una terra viva quanto Asgard e
Midgard” le aveva risposto suo ragazzo,
“Ma non è terra dei mortali” si era
inserito Stellan incerto, “Midgard e
Alfheim lo sono.” “No, ha funzionato, lo
sento” si era intromesso Fred lugubre,
“Sì, è qualcosa che interferisce
nell’aria” aveva ammesso la valchiria.
Appena le parole di Hnoss si esaurirono, il fuoco aveva divampato dalla
fossa,
prima rosso, poi era marcito in un sinistro verde perverso. Dalle
fiamme si era
condensata una figura, Jason ne vedeva solo il profilo, era una
creatura morta
ed avvizzita, dai lunghi capelli neri e il corpo scheletrico.
“Hela!” aveva
sussurrato ammirato e spaventato Flavus, “Questo …
questo è poco ortodosso, ma molto
interessante” aveva concesso la dea, la sua voce era fredda
come una notte d’inverno,
accompagnata da una bufera di neve.
Non somigliava a né a Vali, né a Alex,
né a Samirah. “Accetto la tua
richiesta, Stellan Brightflower, della stirpe dei
Dökkálfar” aveva sentenziato.
Stellan si era fatto rigido davanti quell’appellativo.
Hela era bruciata in fiamme verdi e quando il fuoco si era esaurito,
era
rimasto solo fumo grigio verdastro e poi tra le volute di fumo si era
manifestato altro. Una figura ingobbita nera, da mani nodose e
scheletriche,
con il viso scolorito e grigio. Si erano alzati tutti per raggiungere
Stellan,
l’unico di loro a fronteggiare la strega fino a quel momento.
Il viso di Groá era bianco come l’osso di una
seppia, con capelli grigi sottili
come fili di ragnatela e occhi infossati neri come pozzi senza fondo,
ne iride
e ne pupilla. Sembrava emanare un’aura oscura che nascondeva
il sole raggiante
di Vanheimer. Ne giovane ne vecchia, ne viva ne morta, ne tangibile ne
fumosa,
tutta una serie di metà e nullezza.
“Qui è Gróa, moglie di Aurvandill
l'ardito, che risponde sempre alla chiamata”
aveva risposto la voce della donna, con una voce cavernosa, ma
distante, come
se non avesse parlato dalle sue labbra – che si erano
sì mosse – ma da un posto
oscuro e profondo, lontano, come il centro della terra.
“Oh, che orribile vista” aveva commentato
Gullibursti, “Oh, che lingua
insolente” aveva risposto lo spettro con un atteggiamento
leggermente
indisponente.
“La prego ignori il verro” aveva miagolato Stellan,
con pieno disagio, prima di
voltarsi verso Jason, in cerca d’aiuto, ma prima che lui
parlasse era stata
Fred a palesarsi per primo, facendo un passo in avanti: “Mia
rispettabile Groá
ti offriamo latte-e-miele, vino e acqua per dissetare la tua
fame” aveva
soffiato, “E cosa chiedi guerriero per questo lauto
banchetto?” aveva chiesto
la spirito, che senza vergogna si era poi avventata sul calice colmo di
latte,
“Prima che tu ponga la tua manda e bene che tu sappia che il
futuro è una
coltre di nubi della tempesta” lo aveva avvertito con quella
sua voce profonda,
da scavare le ossa.
“Nessuna profezia, nessun presagio, noi cerchiamo una persona
che ci è cara e
che ci è stata sottratta” aveva ammesso Fred,
“Ella risiede ad Nilfheim e
volete che io parli per voi?” aveva chiesto Groá,
“No, mia signora, lei risiede
nel Valhalla e mangia al tavolo di Odino, ma ora è
scomparsa” aveva spiegato.
Groá aveva bevuto il vino rosso, che era colato dalle sue
labbra avvizzite,
come sangue viola, “Il suo nome?” aveva domandato
la strega.
“Ella è Astrid Einardottir, nata come Auat
occhi-di-ambra-verde, dalle trecce
nere e il cuore impavido. Figlia di Einar Acre-acciaio figlio di
Sif” aveva
recitato Fred, come un poeta, con colore e calore.
Groá aveva abbandonato la coppa di vino vuota ed aveva
bevuto l’acqua, “Essa è
corrente di ogni energia e magia” aveva ammesso con voce
cupa, “E dalle acque
dovrete passare” aveva ponderato, “Lì
nella
terra della metà dove ogni cosa vive e muore assieme, dove
il tempo scorre e
l’inevitabile accade” aveva spiegato,
“Lei riposa tra le viti
selvatiche, lì alla baia dei pianori, nel Regno di
Saguenay” aveva
stabilito la strega.
“E?” aveva provato Fred, “E questo
è tanto e tutto guerriero” aveva detto
Groá,
poi era scomparsa in un fumo verde e polvere nera, senza alcuna altra
parola.
La fossa era rimasta vuota, senza ne ossa, ne maschera, il cibo, tutto
il cibo,
era stato consumato e solo la candela spenta e consumata era rimasta
nella
fossa.
“Non è stata molto chiara” aveva
ponderato Flavus, “Un po’ lo è
stata” aveva
considerato Italicus, “Dobbiamo andare a Midgard mi sembra
ovvio” aveva dato
man forte Mel, “La terrà a metà dove si
vive e muore assieme” aveva
specificato.
“Sì, ma dove?” aveva chiesto Madina,
“Forse le acque ci porteranno lì …
comunque credo sia in Canada” aveva provato Jason, era stato
fortunato
ultimamente con i fiumi magici.
“Canada?” aveva chiesto Hnoss confusa,
“Sì, è una città del Canada,
l’abbiamo
studiata a Geografia perché è stata creata
all’inizio degli anni 2000
unificando altre tre città” aveva risposto Jason,
rispolverando le sue
conoscenze di geografia e quella particolare relazione in collegio.
Come cittadino di Nuova Roma aveva sempre trovato interessate la
geografia,
conoscere i limites era fondamentale.
“È in Quebec
comunque”
aveva aggiunto Jason, “Non ricordo molto altro, tranne che
è un luogo turistico.”
“Be, se è l’unico indizio che abbiamo,
io lo prendo” aveva considerato Fred,
“Bene andiamo in questo posto noto come Canada”
aveva ammesso Stellan,
grattandosi una guancia, “In realtà ho sempre
desiderato andare a Midgard”
aveva ammesso.
“Be, se è l’unica cosa che sappiamo,
penso sia il caso di cominciare da lì
…”
aveva rivelato Jason, “La strega ha detto che le acque ci
avrebbero portato,
nella città c’è un fiume con lo stesso
nome” aveva ponderato, ammiccando alla
forca d’acqua davanti loro – era stato fortunato
con le acque nelle ultime
volte.
“No, troppo … semplice” aveva ponderato,
prima di voltare lo sguardo verso Mel.
“Perché mi guardi?” aveva chiesto
confuso il gladiatore, “Questo è il momento
in cui intervieni spiegando tutto per filo e per segno” aveva
risposto, “Mi
sembra un po’ troppo moderno per i miei canoni”
aveva risposto il guerriero,
leggermente imbarazzato. “Per favore, tesoro, sei uno dei
pochi che ha capito
cosa è l’internet” aveva detto Madina,
“Oh, mi lusingate, non smettete” – si
era pavoneggiato Mel – “Ma devo ammettere che in
questo caso non ho idea a
cos’altro si possa riferire.”
“Vedi perché una cosa non mi torna?
Perché Mel non la conosce” aveva sottolineato
Fred.
Il cheruscio era arrossito colto in imbarazzo da tutti quei
complimenti, Jason
aveva annuito, comprendendo il punto del crociato: niente era mai
così
semplice.
Ricordava che la città si trovava nello Scudo Canadese,
protetto dalle
intemperie naturali ed una zona temperata anche negli inverni,
un’oasi verde …
non aveva neanche idea perché al suo professore di geografia
così importato
così tanto studiare quell’insignificante
città nel Canada francese.
Però, iniziava a sospettare che forse, in qualche modo, il
Wyrd doveva aver
avuto il suo ruolo – ben, prima che ricevesse anche la
profezia sulla sua
morte.
Fin da allora.
Madina si era morsa un labbro, “Cosa succede?”
aveva chiesto Jason preoccupato,
“Lo sai che sono morta nel 1600, vero?” aveva
chiesto retorica Madina, “Sì”
aveva ammesso lui confuso, “Anche se andava scemando il
fenomeno in quegli anni
si parlava sempre di El Dorado – non sai quanta gente
europea, americana e quant’altro
si è persa in amazonia per cercare le ricchezze di El
Dorado” aveva ammesso,
“Anche su nelle alture fredde del Wyoming, erano arrivate le
voci” aveva
raccontato. Jason aveva annuito, non molto stupito, il mondo era stato
costellato di terre leggendarie e uomini che avevano fatto quanto era
necessario per trovarle: alcuni per la gloria, alcuni per
l’avventura e alcuni
per la ricchezza. Alcune di quelle terre erano davvero esistite ma la
nebbia le
aveva celate agli uomini, altre erano leggende, altre erano posti a
metà – come
Ogigia. Immaginaria e reale.
“E ricordo che c’era questo ragazzo apachese che
diceva sempre che era nella
natura dei bianchi morire per la loro fame dell’oro
– non prenderla male,
riporto solamente quello che aveva detto” aveva raccontato,
“Nessuna offesa”
aveva ammesso Jason, “Sono romano, ricordi? Uno dei popoli più
affamati
di sempre” aveva ricordato, “E questo ragazzo, non
ricordo il suo nome … è
passato tanto tempo da quando ho saputo quella storia. A mia madre non
piacevano gli uomini e le persone in generale” aveva
raccontato.
“Madina mi sto perdendo” aveva ammesso Jason,
“Sai ci sono persone come Mel che
hanno vissuto quasi duemila anni e la loro mente è una
biblioteca che può
immagazzinare volumi e volumi senza essere mai piena, ma io? Io molto
meno”
aveva detto, “Diciamo che il giro era lungo e non ricordo
perché stavo pensando
a El Dorado ma ho sentito parlare del Regno
di Saguenay e
decisamente non relativo a una cittadina del Quebec” aveva
ammesso.
Lo aveva detto solo a Jason, ma probabilmente il loro discorso era
arrivato
anche agli altri, “Non ricordi altro?” aveva
chiesto preoccupato, “El Dorado
del Nord America? Può avere senso?”.
“Comunque sia, questo è il momento in cui vi devo
interrompere” aveva miagolato
Hnoss, tutti avevano guardato la Dea-Ragazzina. “Tecnicamente
non potete
lasciare i domini di mia madre fino al ritorno della Dísir
che vi ha condotto
qui. Avete il permesso di Bragi di venire qui e di mia madre di
restare, ma
formalmente …” aveva provato imbarazzata Hnoss,
“… Non possiamo andare via”
aveva concluso Jason.
“Sì, se vi accadesse qualcosa: mia madre e Odino
potremmo entrare in conflitto.
Non litigano spesso ma un tempo c’è stata una
guerra tra Vani e Aesi prima che
io nascessi” aveva ammesso Hnoss.
Ecco, sì, quello che serviva in quel momento non era
sicuramente una guerra tra
pantheon norreni.
Forse, Heidi aveva organizzato anche quello.
“Be, Hnoss mi piacerebbe proprio vederti provare a
fermarci” aveva risposto
Fred.
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Capitolo 23 *** Nonna Castoro raccontaci una storia (possibilmente quella del misterioso regno di Saguenay)! ***
Per
favore,
leggete la nota in fondo.
Buona lettura!
Nonna Castoro
raccontaci una
storia (possibilmente quella del misterioso regno di Saguenay)!
“Sarebbe
stata utile la Banana
Gialla di Magnus!” aveva soffiato Madina, mentre si
accoccolava sulla schiena
del suo fidanzato. “Lo dici tu?” si era lamentato
il verro, mentre correva così
veloce da sfiorare solo le vorticose acque dei Tanai. La sua
velocità era
immensa, ma Jason non sembrava percepirla affatto!
Erano tutti e cinque in groppa alla bestia, sebbene Jason non ne avesse
avuto
la percezione, aveva la sensazione che la bestia fosse aumentata di
volume,
così che tutti quanti potessero cavalcare il garrese.
“Tuo cugino è stato molto gentile” aveva
sospirato Stellan, voltando la testa
per poter guardare oltre la sua spalla, rivolgendosi a Mel.
Il gladiatore
si era fatto
rigido, “Sì” aveva ammesso.
Italicus e il
resto della sua
famiglia si erano mostrati ben disposti a trattenere la vivace Hnoss
– la
piccola-dea sembrava molto interessata a piacere a Fred ma molto meno
disposta
a permettergli di fuggire; Jason aveva gridato alla ragazza, mentre la
vedeva
affrontare l’impavido Flavus, che sarebbero tornati in tempo.
Ricordava che anche Freya si fosse raccomandata di non lasciare il suo
oltre-tomba, all’inizio della festa.
“Mi
ha detto che per tutta la
vita non ha fatto altro che pensare a me” aveva ammesso Mel,
“Mi ha detto che
aveva chiesto che le mie ossa fossero restituite a lui, che fossero
seppellite,
lì al di là del reno, con i miei avi”
aveva ammesso Mel, “Ma Iulia mi aveva
bruciato e tumulato dove voleva lei, senza nome e senza effige, dove
poteva trovarmi
sempre” aveva ammesso cupo e angosciante,
“Perché per lei non avevo avi, ero
solo suo” aveva ammesso cupo.
Ricordava le
parole che
Agrippina aveva usato quando aveva parlato di Mel: Tutto
ciò che hai è mio.
Tutto ciò che sei è mio. “Ho
odiato Italicus. Quando sono morto io avevo
sedici anni e lui solamente sette … lo avevo visto una sola
volta prima di quel
momento; mio zio lo aveva portato da me per conoscerlo; avevo tredici
anni.
Trovavo orribile, anche solo guardarlo. Io indossavo questa tunica,
corta, ero
uno schiavo e lui, dèi, lui era vestito come un bel bambino
romano, di rosso amianto,
e mio zio gli aveva dato questa … effige di Freya che
portava al collo e io lo sapevo
fosse di mia madre” aveva ammesso con cupo disturbo,
“Non potevo averne la
certezza, ma lo sapevo che era di mia madre.”
Erano rimasti
tutti in lungo
silenzio, mentre Thumelicus cercava di venire a capo dei suoi
sentimenti.
“Poi
sono morto lì, sulla
sabbia nell’arena. Solo, sotto lo sguardo di persone venute e
a godere del mio
dolore e il pollice alzato
del
governatore della città – non ricordo neanche il
nome dell’uomo che ha scelto
il mio destino – e mentre morivo, mio cugino viveva e
cresceva, ereditava la
terra, il sangue e la gloria che erano stati destinati a me”
aveva ammesso Mel.
“Ero
nel Valhalla, ero felice,
avevo ottenuto quello che ogni uomo germano avesse mai desiderato
… eppure, non
ho fatto altro che provare rabbia nel pensare a mio cugino che
diventava il Re
di un popolo che era mio, fantoccio di un governo che aveva messo mia
madre in
catene e me a morire in una fossa per il ludibrio del
pubblico” aveva aggiunto
arrabbiato. “Mio padre era un Re, uno dei pochi ad aver fatto
saggiare la scure
a Roma, quando ella era inarrestabile e sono stato concepito principe,
ma sono
nato schiavo e morto schiavo” aveva ammesso e poi aveva
cominciato a piangere,
in singhiozzi quasi incontrollabili.
“E
… ho pensato ... lui voleva
seppellirmi con mio … padre, nella mia terra … e
mi ha pensato e io ho-ho
passato duemila anni …” e il resto delle parole
erano singhiozzi difficili da interpretare,
un po’ in inglese, un po’ in latino.
Madina lo
stringeva forte e la
situazione si era sentita quasi pesante. Jason non aveva detto nulla,
Stellan
neanche e perfino Fred aveva avuto il buon gusto di tacere la sua
lingua
velenosa.
“Comunque
non per rovinare
questo momento di pace e tranquillità mentre
draghiamo” aveva cominciato a
parlare Fred, dopo che i singhiozzi di Mel si erano fatti
più assopiti.
L’ambiente aveva cominciato a mutare, non c’era
più quella dolce atmosfera
luminosa e calda di Vanaheim. “Ma ci sono alte
probabilità che possiamo finire
a metà da qualche parte tra il rialto centrale della Russia
e il mar Nero. Il
Tanai non è un fiume della vita e una manifestazione
sovrapposta del Don, in due
mondi” aveva sospirato Fred,
“Tecnicamente nei territori della Scizia” lo
aveva corretto Mel, “Nell’Ynglinga saga,
Snorri pone Vanaheim nella
Grande Svezia, cioè la Scizia” aveva spiegato
meglio, con il suo tono ancora un
po’ umorale.
Jason aveva sorriso: quello sembrava molto di più Mel.
“Scizia,
Rialto Russo … cosa
vuoi che cambi? Saremmo comunque in mezzo al continente
eurasiatico!” aveva
risposto Fred. “Be, abbiamo preso
la biforcazione
che andava a sud-ovest, quindi forse saremmo più vicini al
versante europeo”
aveva provato Madina, “Per caso mio prode Gullinbursti, lei
sa dove siamo?”
aveva chiesto Stellan, passando una mano sulla testa
dell’automa, “Questo non è
Venaheim” aveva ammesso il cinghiale.
Jason si era guardato intorno, il calore della luce d’oro di
Vanaheim si era
assopita, a favore di un clima più grigio e umido.
La natura
davanti ai loro
occhi era mutata in un verde più inteso con alti alberi,
sembrava meno il
lussureggiante ambiente di Vanaheim, con quella sua natura ambigua,
lucente e
sconosciuta – quasi più creata dall’idea
di piante e alberi che vere e proprie
specie animali note – e
più una folta
natura a Jason famigliare.
“Quello è un acero” aveva riconosciuto,
ammiccando ad un albero, che aveva
riconosciuto tra gli altri e poi … ne aveva notati di simili.
“Sei
un erborista?” aveva
chiesto sarcastico Fred, “Sì, be, una volta mia
sorella è stata trasformata in
un Pino e dopo che lo ho scoperto mi è venuto in mente di
documentarmi. Sai
caso mai succedesse ancora qualcosa di simile” aveva risposto
Jason pratico,
cosa, che se ci pensava, era successa ancora, visto che una volta Nico
era
stato trasformato in un fiore, in base a quello che aveva raccontato
Hazel.
“Oh, dèi, sta bene, ora?” aveva chiesto
Madina con preoccupazione, “Sì. Mio
cugino la ha ritrasformata in una donna ed ora è una
Cacciatrice immortale che
fa il culo ai mostri per hobby” aveva risposto schietto
Jason, sorridendo.
Thalia era
immortale e,
tecnicamente, anche Jason lo era, forse dopo che avessero risolto
quella
situazioni e quando le acque si fossero calmate, forse in un ventennio,
avrebbe
potuto trovarla. Quella
prospettiva l’aveva
improvvisamente messo di umore ottimo.
“Buon
per l’acero, possiamo
farci lo sciroppo” aveva commentato Fred acido,
“Non è semplicemente un acero”
era intervenuto Stellan con un certo orgoglio, “Ha foglie
verde scuro, opposte
caduche! È un acero zuccherino!”
aveva esclamato, “Gli avete anche ad
Alfheim?” aveva inquisito Mel, “Sì, sono
presenti nei grandi parchi delle zone
dove abito, sono molto particolari, perché non prendono
piede ovunque” aveva
raccontato Stellan con un certo divertimento, “Sono
così anche da voi?” aveva inquisito.
“No,
in Francia siamo pieni di
Aceri e ci sono anche in Giappone; sono letteralmente
ovunque” aveva risposto
Fred, “Ma non l’acero zuccherino!” lo
aveva corretto Jason, “Si chiama così
perché è la linfa è dolce!”
aveva spiegato, “È quello da cui si ricava lo
sciroppo … come dicevi Fred” aveva detto,
“E come a Alfheim non si trovano
ovunque, anzi hanno un territorio piuttosto limitato!” aveva
spiegato.
Forse era
perché aveva bevuto
dalle acque di Mimir che il suo cervello stava correndo così
velocemente, che
tutte le conoscenze che aveva accumulato nel corso del tempo, anche
superficialmente, ora tornassero così prorompenti.
“C’è una città,
bambini!” aveva chiamato Gullimbursti.
Da oltre le
fronde degli
alberi, si iniziavano ad intravedere edifici moderni, “Non mi
sembra il Rialto Russo”
aveva detto Mel, “Non ci vado dalla Rivoluzione di Primavera,
quindi non sono
molto affidabile” aveva aggiunto, grattandosi il capo, la
voce aveva perso la
sua vena melanconica.
“Perché
non siamo in Russia o
in Scizia o alla foce del Mar Nero. Siamo in Canada” aveva
risposto Jason.
“Non possiamo essere il Canada! Non possiamo essere
così fortunati da essere in
Canada!” aveva esclamato Fred, “Eravamo sul Don,
come siamo finiti in Canada?”
aveva chiesto retorico. “Perché il mondo ha altri
due fiumi Don, oltre il Don
di Russia!” aveva esclamato Mel, anticipandolo,
“Uno in Inghilterra, uno in Ontario!”
aveva aggiunto, “Questa abitudine degli yankee di rinominare
le cose in base a
quelle esistenti” aveva spiegato divertito,
“Probabilmente tra il nostro
bisogno di dover andare in Canada o forse il fatto che i piani dei
mondi
convivano, siamo accidentalmente finiti nel Don canadese?”
aveva ponderato Mel,
“Be, la strega lo aveva detto no? Ci avrebbe condotto
l’acqua” aveva sospirato
Madina.
“Probabilmente
è così. Forse
nel resto dei mondi le distanze non sono uguali alle nostre, ma dei
punti
devono coincidere” aveva ponderato Jason.
“Come
se per tutto il tempo
fossimo stati nello spazio del nord America, ecco” aveva
ponderato Jason,
“Forse se avessimo preso l’altro braccio del fiume
saremmo finiti nel Don Russo
o Inglese” aveva considerato.
“Jason potresti avere un’affinità
piuttosto divertente con le acque” aveva
ponderato Madina.
“Quindi siamo in Canada!” aveva detto Stellan,
“Ed è un bel posto?”
Non erano
semplicemente in
Canada, erano a Toronto.
A nove
ore di macchina
da Saguenay – meno a cavallo di un verro-automa-senziente.
“Tourtier
con carne e
patate – secondo la gentile cameriera è il piatto
tipico” aveva annunciato Mel,
sembrava stare decisamente meglio, gli occhi non erano più
neanche lucidi. “Non
ho molta fame” aveva ammesso Fred,
“C’è qualcosa di vegetariano?”
aveva chiesto
Stellan, “Patatine fritte” aveva risposto il
germanico.
Jason non si
era fatto troppi
complimenti.
Si erano
fermati in un piccolo
ristorantino non lontano dalle acque del Don. Avevano sistemato
Gullibursti in
un posto d’auto lungo fiume – mentre il verro si
lamentava della mancanza di
verde da grufolare – sperando che i mortali potessero vederlo
come una macchina
ben lucida che un verro con il pelo d’oro brillante.
Mentre Mel e Madina avevano potuto mangiare durante il loro tempo con
Italicus
e il resto della famiglia, loro non toccavano cibo dalla cena nella
Sala dei
Caduti.
Jason non
sapeva neanche
quanto tempo avessero speso da all’ora.
Fred aveva
un’espressione
conflittuale, ma alla fine aveva ceduto ed aveva mangiato un
po’ del suo
tourtier. Madina stava invece studiando una cartina con interesse.
“Quanto
tempo abbiamo prima dell’incontro con Glam?” aveva
chiesto alla fine.
Madina si era
morsa un labbro,
“Non è stato facile tenere conto del tempo, ma
credo ci siano rimasti, circa,
otto ore per andare a Sanguay, trovare Astrid e ritornare a Vanaheim,
se non
vogliamo che Freya passi un brutto quarto d’ora con
Odino” aveva ammessa Mel.
“Andiamo
dunque” aveva emesso
Fred, prima di infilare in bocca un generoso pezzo di cibo.
Stellan si era
sollevato
tenendo ancora la sua confezione di patatine fritte.
“Sono
d’accordo” aveva detto
Mel, “Ma prima, visto che siamo in Canada, potremmo
raccogliere qualche
informazione sul Regno di Saguenay. No?”
aveva inquisito, “Come stavo
dicendo prima a Jason, Saguenay è una città
giovane, duemila due, praticamente
l’altro ieri; anche se il fiume e la regione no”
aveva ponderato, “Ed io nel
lontano mille-seicento-diciassette ho già sentito questo
nome” aveva sospirato
Madina.
“Cosa stai proponendo?” aveva chiesto Fred.
“Sto
pensando, ecco, che forse
… esiste una Saguenay mitologica a cui quella reale fa
riferimento, come in
Alabama esiste la città di Troy” aveva ammesso
lei, “Troy è una città molto
reale” aveva risposto Fred, “Avete capito il
punto” aveva risposto Madina.
“Abbiamo
solo otto ore”
aveva ponderato Stellan, “Per questo non vorrei piombare in
una città del
Quebac per cercare Astrid e scoprire che altrove” aveva detto
Madina, “Gróa ha
parlato del Regno di Saguenay, non della
città, del territorio o del
fiume. Regno”
“Va
bene, facciamo così,
diamoci un’ora di tempo per scoprire qualcosa di
utile” aveva proposto Mel. “Sprechiamo
tempo, sì” aveva considerato Fred quasi rancoroso,
“Posso accettare, ma non
dividiamoci. La mia amica Hazel diceva che il Canada era la terra dei
mostri”
aveva spiegato. “Faremo a gruppetti” aveva proposto
Madina, “Magari tre-e-due o
due-due-uno” aveva aggiunto, “Io non posso stare da
solo, non sono mai stato
nel mondo mortale, non conosco gli usi e i costumi” aveva
esclamato Stellan,
“Perché lo schiavo romano, il crociato e la
ragazza dei seicento li sanno?”
aveva ponderato Fred retorico, “Parla per te, eremita. Io e
Mel abbiamo passato
molto tempo nel mondo mondano, Freddy” aveva ridacchiato
Madina.
“Va bene, uno di voi due prendete l’elfo. Io e
Jason ci faremo una chiacchierata”
aveva buttato fuori.
Questo Jason
non se lo era
aspettato.
Madina aveva
preso senza
vergogna Stellan sotto braccio, “Fantastico, io e te non
abbiamo passato tanto
tempo assieme” aveva cinguettato.
In effetti:
Jason, Mel e
Stellan avevano affrontato Iulia, Fred e Stellan avevano trovato il
cinghiale, Mel
e Stellan affrontato Richard I – “Ne sono
felice” aveva ammesso l’elfo.
“I
posti migliori dove fare
ricerche sono quasi sempre le biblioteche. Dei miei amici ci hanno
trovato
un’arpia che sputava pezzi di profezie” aveva
raccontato Jason, con un tono
leggermente vago, mentre attraversavano l’arco sorretto dai
due grigoni in
pietra nera della Biblioteca Pubblica di Toronto.
“Pensi
che Hnoss passerà dei
guai?” lo aveva sorpresa Fred di rimando, “Non
credo” aveva ammesso Jason,
“Siamo in missione per il Wyrd alla fine” aveva
considerato, “Sai, la voglio
odiare. Sarei stato ben felice di rimanere bloccato in un inferno
perenne che
dover affrontare la crisi della mia fede” aveva ammesso Fred,
“Ma continuo a
ricordare il suo visino di bambina, avvolta nella luce
d’oro” aveva soffiato “È
avrei dovuto ringraziarla.”
“Per averti dato un’altra
possibilità?” aveva chiesto Jason.
Hnoss aveva
detto di aver
combattuto con Glam perché l’anima di Fred potesse
diventare quella di un einherjar.
Fred aveva scosso il capo in segno di diniego, “Per
Astrid” aveva risposto,
“Senza … Hnoss non avrei mai conosciuto Astrid e
se non mi sono dissolto negli
ultimi anni e solo perché non potevo sopportare di non
vederla mai più” aveva
ammesso, “Anche se ogni giorno è un agonia in
questo circo.”
Jason
conosceva quel
sentimento, Giunone lo aveva ingannato, preso e rapito, gettato,
cancellato e
ricostruito, ma gli aveva dato Piper, anche se era durata poco, anche
se non
era del tutto vero. Jason aveva avuto Piper ed era morto
per lei, come
Fred sarebbe vissuto per Astrid.
“Questo
è molto dolce” aveva
ammesso Jason, “Non siamo amici e non mi piaci
ancora” aveva stabilito. “Non
hai mai pensato di confessarti?” aveva indagato,
“Jason, io ho fatto tre voti:
obbedienza, povertà e castità” aveva
ammesso, “Un voto è un impegno imperituro,
fino alla cessazione, essere morto e risorto non è una scusa
per cedere. Così
come il mio ruolo: io sono un monaco, anche da morto” aveva
stabilito.
“Sono sicuro che possa trovarsi un compromesso”
aveva ponderato Jason, “Il mio
compromesso è sbarazzarmi del suo orrido
fidanzato” aveva risposto.
“Scusate
giovanotti, ma devo
chiedervi di fare silenzio. Queste è la casa del sapere e il
silenzio è la
prima regola” erano stati disturbati da una signora che si
era avvicinata a
loro. Era piccola di statura, con la pelle marrone e i capelli
grigio-bianco,
tirati indietro in una crocchia perfetta. Doveva avere sangue nativo
americano
ma Jason non era così informato da riconoscere la
tribù, anche se aveva dei
decori in pittura rossa sul viso. I suoi occhi erano leggermente
allungati, di
un bel castano dolce ed aveva un naso leggermente ingombrante, che la
faceva
sembrare dolce indossava un maglioncino di kashmire, su cui era cucita
l’immagine di una marmotta, e al collo pendevano degli
occhiali tondi da una
cordicella di perle. “Ci perdoni signora” aveva
detto pieno di vergogna Jason,
mentre Fred aveva incrociato le braccia sotto il petto, ben
disinteressato ad
apparire contrito.
“Cercavamo informazioni” aveva cominciato lui,
“Oh, siete decisamente nel posto
giusto” aveva risposto divertita la signora, “Non
lavoro qui, ma conosco questo
luogo come ogni angolo della mia sacca” aveva risposto lei
con voce piatta ed
una punta di divertimento. “Forse posso aiutarvi”
aveva aggiunto, “Cerchiamo
informazione sul Saguay” aveva risposto Jason,
“Probabilmente un agenzia di
viaggi sarebbe stata meglio, ma posso lavorarci” aveva
ridacchiato quella,
strizzando l’occhio verso di loro.
“Bene,
osservando
quell’orologio – abbiamo venticinque
minuti” aveva stabilito Fred, “Poi andremo
a Sagueay o come si chiama” aveva risposto Fred.
La signora
aveva riportato
loro un paio di libri, sembrava caricarli con tranquillità
nel suo piccolo
corpo con estrema tranquillità.
“C’è molto materiale” aveva
considerato Jason,
“Molto ma non abbastanza” aveva detto la signora
anziana, “Non esisterà mai
abbastanza materiale rispetto quanto dovrebbe essercene, su qualsiasi
cosa. Il
mondo è così misterioso” aveva aggiunto
con allegrezza la donna.
“La
ringrazio, io sono Jason e
lui è Fred” aveva risposto, indicando il suo
amico, mentre raccoglieva i libri
dalle mani della signora, per guidare lui e il suo amico verso un posto
dove
poter studiare. “Io sono A-gaskw” aveva risposto la
donna con tranquillità.
“Bene”
aveva detto Fred
sedendosi su una sedia, “Alcuni libri sono in francese, io
prendo questo” aveva
aggiunto, allungando una mano per raccogliere alcuni testi.
“Saguenay deriva
dalla parola Saki-nip della lingua Innu: dove
l’acqua scorre”
aveva letto Jason, osservando Fred, quello aveva annuito:
“Gróa lo aveva detto:
le acque ci avrebbero condotto” aveva considerato,
“Inoltre, in questo articolo
c’è scritto che la città è
stata fondata dall’unione di altre quattro: una di
queste era Baia” aveva aggiunto rincuorato Fred, “E
se ricordi …” aveva provato,
“ , sì” aveva
terminato per lui Jason, recitando le parole della strega.
“Madina
aveva torto!” aveva
esclamato Fred, tirandosi subito in piedi, Jason lo aveva guardato e
aveva
voltato la pagina quasi distrattamente, prima di osservare il testo
scritto
sulla pagina, “Non per abbatterti, ma tecnicamente Saguenay
è su un fiordo”
aveva riportato, il testo del libro recitava proprio le meraviglie del
Fjordo,
“ma il quartiere di La Baia no, è una zona
pianeggiante, una baia sabbiosa”
aveva risposto Fred senza perdersi d’animo, mostrando un
brano del libro che
stava leggendo lui.
A-gaskw si era
avvicinata di
nuovo a loro, “Ragazzi, i toni, per favore” li
aveva rimproverati bonariamente,
Jason era arrossito di imbarazzo, “Ci scusi” aveva
sussurrato. Fred di rimando
aveva preferito sbuffare.
“In quelle zone ci sono anche le viti selvatiche?”
aveva chiesto Jason, poi
sottovoce, “Sulla sabbia, intendo. Perché non mi
pare che le viti crescano sulla
renella” aveva replicato, “Dirmi che non hai mai
bevuto un Carbenet Franc,
senza dirmi di aver mai bevuto un Cabernet Franc” aveva
replicato Fred, pungolandolo
con cattiveria. “Oh, scusami se non sono un esperto di
vini!” aveva replicato
con un tono punto Jason. “Giovanotti!” aveva
ribadito A-gaskw, con un tono meno
gentili, e la terra aveva leggermente tremato, i due si erano
immobilizzati, dritti
come lame e tutti i loro sensi si erano svegliati improvvisamente. La
gente
intorno a loro aveva cominciato a vociare allarmata, affrettandosi a
lasciare
la struttura. Un allarme pragmatico si era dipanato per tutta la
biblioteca
invitando gli avventori ad abbandonare le aule celermente ma in maniera
ordinata.
“Andiamo anche noi” aveva stabilito Fred,
“Come, ora che si è liberato il posto
e potete far baccano?” aveva chiesto la donna, perplessa,
“No, no. Restate qui”
aveva aggiunto A-gaskw.
“Lei
non è semplicemente una
vecchina gentile, vero?” aveva chiesto Jason, guardandola
guardingo,
“Ovviamente no, giovanotto, io sono una Nonna!”
aveva ripetuto imperitura,
sedendosi al loro tavolo, la gente aveva cominciato a lasciare la
struttura
senza badare a loro, probabilmente mascherati dalla Foschia emanata
dalla
donna.
“Toronto
non ha un piano
sismico, questa cosa è molto imbarazzante,
sapete?” aveva comunicato la donna
con un tono leggermente apprensivo, come se avesse parlato dei suoi
figli o
nipoti e non di una città intera.
“È
stata lei?” aveva chiesto
Fred, “Sì, circa. Non è nelle mie
corde, ma posso far tremare i miei santuari.
I poteri posso fare cose grandiose e spaventose, bisogna solo capire
come
adoperarli” aveva ammesso con gentilezza, “Ogni
luogo di sapienza e un mio
luogo” aveva ammesso. “Lei è, come
…” Jason si era interrotto, sembrava
sgradevole dire qualcosa sulla falsa riga della ‘Dea Minerva
dei Nativi
Americani?’
Primo a nessun
dio piaceva
essere comparato ad altri, secondo definire l’insieme dei
gruppi autoctoni come
un’unica identità sembrava sbagliato.
“Una dea della
Sapienza?” aveva chiesto Fred,
anticipandolo, leggermente più diplomatico. A Jason non era
mai parso che il
suo compagno di corridoio fosse una persona abile a comunicare, fino a
che non
lo aveva visto con Snorri Thorfinnsson – probabilmente gli
anni in monastero
avevano insegnato a Fred qualche educazione o guizzo di empatia.
“Io sono A-gaskw,
del popolo degli Algonchini,
nonna di Glooskap” aveva risposto, come se quella definizione
avesse dovuto
chiarire ogni cosa, mentre i suoi contorni cominciavano a cambiare ma
invece di
un orrido mostro, come si sarebbe aspettato Jason, davanti loro si era
formato
l’aspetto di un animale antropomorfo, una marmotta gigante,
con un visetto
dolce ed amichevole, con ancora i capelli grgio-bianchi chiusi nella
crocchia e
il trucco rosso sul muso. “E come tutte le Nokemis
so molte cose. La
vecchiaia da saggezza” aveva ammesso la dea bonaria.
“Penso sia la prima volta
che mi trovo così a mio agio con una dea” aveva
sospirato Fred, “Nessun atavico
terrore o freddo disagio” aveva ponderato. “Ne sono
lieta. Odio quando i miei
colleghi scuotono il capo e fanno la voce grossa, è
così soffocante” aveva
detto gentile la dea marmotta.
“Lei può aiutarci a risolvere un
arcano?” aveva chiesto Jason, consapevole che
avrebbero ricevuto una missione improbabile, che avrebbe fatto perdere
loro
ancora più tempo, ma non aveva dubbi che una dea non avrebbe
potuto palesarsi
davanti a loro senza pretendere qualcosa in cambio. “Io posso
fornirvi gli
strumenti, ma non le soluzioni” aveva risposto con gentilezza
la dea. “Aiutati
che dio ti aiuta” aveva sospirato Fred, “Dai ad un
uomo un pesce e domani sarà
affamato, insegna ad un uomo a pescare e non avrà
più fame” aveva recitato
Jason.
“Bene.
Due ragazzi pragmatici
– ne sono felice” aveva concesso la dea,
“Cosa cercate?” aveva inquisito. “Un
luogo che abbia una baia con dei pianori, viti selvatiche e corrisponda
al Regno
di Saguenay” aveva spiegato Jason.
“Oh, be, avete un bel problema da mettere nel sacco
– era dai tempi di John
Cartier che non vedevo qualcuno cercare il Regno di Saguenay”
aveva
considerato.
“Quindi
non è la città omonima?”
aveva chiesto Fred, con una leggerà irritazione,
“Forse. Non lo so” aveva
ammesso la vecchia, “Lasciate però che vi racconti
una storia. Una storia
antica …” aveva risposto. “Possiamo
averla nella versione breve, non per
cattiveria o mancarle di rispetto ma hanno rapito una nostra
amica” aveva
insistito Fred.
L’espressione
dolce del viso
di A-gaskw si era fatta leggermente acida e indisposta, “Ah,
l’impazienza, la
colpa più grande dei giovani. Scoprirete con il tempo che a
far di fretta le
cose non ci si guadagna nulla, ogni secondo va assaporato,
perché è vero che il
tempo non ci aspetta, ma anche correndo non riusciremo mai a
raggiungerlo”
aveva ammesso.
“Amica.
Prigioniera” aveva
ribadito lapidario Fred.
“Touché”
aveva risposto la dea
marmotta, “Procederò con la versione breve
…”
“…Molti
anni, secoli fa, tra i
popoli che abitavano queste terre si era intessuta una leggenda, di un
luogo:
Saguenay, una terra ricca di ori, diamanti e abitata da un popolo
estraneo e
diverso da tutti gli altri. Nessuno ovviamente aveva mi cercato
Sanguenay con
così tanta insistenza, fino all’arrivo degli
europei, in particolare dei
francesi” – la dea castoro aveva lanciato un lungo
sguardo di ammonimento a
Fred, che era arrossito ed aveva deviato gli occhi –
“E nessuno più dei
francesi era stato interessato a questo leggendario luogo. Ne avevano
sentito
parlare per la prima volta da Donnacoda, un capo irochese che era stato
fatto
prigioniero nel vecchio continente, egli aveva intrigato gli uomini
affamati di
ricchezze con questa terra leggendaria”
“El Dorado del Nord America” si era lasciato
sfuggire Jason, ricordando il
discorso che Madina aveva cercato di fare sulle rive del Tanais, la dea
lo
aveva guardato, “Scusi, non volevo interromperla”
aveva ammesso Jason
vergognoso, “Non preoccuparti ragazzo, ma hai
ragione” aveva confermato A-gaskw.
“Le
parole di Donnacoda erano
una maledizione, ovviamente” aveva
ripreso a parlare, “Francesco I di
Francia comandò che questa leggendaria terra fosse trovata.
Molti partirono per
conto del re, ma molti altri partirono per loro stessi. E nel tempo,
nello
spazio, la ricerca continuò, quella fame d’oro e
ricchezze aveva infettato la
mente degli uomini come una malattia” la dea castoro aveva
fatto una pausa.
Jason aveva
pensato a Heidi,
la signora dell’oro, che poteva avvelenare la mente con le
sue parole.
“Tanti
di quegli uomini si
sono persi alla ricerca di quella terra al nord che prometteva ori e
ricchezze.
Si è arrivati a pensare che quella di Donnacoda fosse un
inganno, che i nativi
avevano permesso di proseguire, per vendicarsi della loro ingordigia
che gli
aveva cacciati e rovinati” aveva detto con un tono di voce
spento e pieno di
dolore. Era la sua terra, era il suo popolo, quello che era stato
decimato,
cacciato e perseguitato.
Fred aveva abbassato il capo pieno di vergogna, “Qualcosa che
ci caratterizza
da sempre” aveva sospirato poi – lui che era morto
combattendo per conquistare
una terra al posto di un'altra. “Per molti, per molto tempo,
quella di
Donnacoda era sembrata una vendetta; il Regno di Saguenay è
stato cercato in
lungo e largo, questa terra è stata sezionata, scaglionata e
ispezionata in
ogni cubito, ma niente è mai stato trovato” aveva
detto A-gaskw.
“Il mio amico Percy diceva che certi miti sono davvero solo
miti, come Atlantide”
aveva parlato Jason, “Una terra piena di flutti e frutti,
magica e ricca che
era esistita ingurgitata dal mare, scomparsa”, come era
scomparsa Saguenay,
aveva valutato, “Solo un’altra chimera che gli
uomini inseguono” aveva ammesso
Fred, c’era frustrazione della sua voce,
“Sì” aveva ammesso la dea, “Ma
la
leggenda di Saguenay esisteva ben prima della maledizione di Donnacoda,
esisteva tra le leggende dei popoli e dei clan con un solo
avvertimento” aveva
fatto una pausa eccessivamente drammatica: “State lontani da
quella terra e da
quelle genti.”
“Si
aveva una descrizioni
delle genti?” aveva inquisito Fred, A-gaskw aveva sorriso
compiacente, prima di
rispondere: “Sì, si diceva che gli abitanti del
Regno di Saguenay fossero
pallidi come la neve, dai lunghi capelli biondi come il sidro del sole
e
vestissero oro e argento” aveva spiegato.
Fred aveva annuito.
“Vi
lascio riflettere, mentre
vi porto del tè. Non si potrebbe bere qui, ma visto che non
c’è anima qui,
credo possa aiutarvi” aveva detto la dea castoro
sollevandosi, “Abbiamo su-per-giù
dieci minuti” le aveva detto Fred, “Ho un ottimo
bollitore” aveva risposto
quella pragmatica.
“Il
tuo cervello potenziato
dall’acqua di Mimir ti ha fatto giungere alla mia stessa
conclusione?” aveva
chiesto Fred, retorico. “Può darsi”
aveva ammesso Jason. “Ti dicevo, quello,
che mi ha detto il mio amico” aveva cominciato,
“Esattamente Jason quanti amici
hai?” aveva chiesto Fred a brucia-pelo, era una domanda
strana ma era una bella
domanda.
“Molti”
aveva schiuso le
labbra Jason, rischiarato a quel pensiero, anche se molti di loro non
li
avrebbe mai più incrociati, “Dicevo: Percy mi
raccontò di Atlantide, che è un
mito della mitologia greca che è un vero mito
…” stava dicendo, ma era stato interrotto
da Fred. “Saguenay non è
un’allegoria! È un posto
reale” aveva ponderato
il figlio di Gerd. “Potrebbe essere un luogo dove le cose si
uniscono?” aveva
borbottato Jason, “Sai dove i piani delle esistenze si
uniscono, come il Don,
la terra dei Veleni o le montagne del Wyoming” aveva spiegato
meglio.
Fred aveva
aggrottato le sopracciglia
scure, “Cos-lascia perdere” aveva stabilito, prima
di grattarsi una guancia,
“Dici?” aveva chiesto perplesso,
“Uhm” aveva provato Jason,
“Váli …Lokisson mi
ha spiegato che gli dèi Slavi hanno predisposto un campo per
i loro semidei che
non esiste in questa realtà, quindi non so, forse Saguenay
potrebbe essere una tasca
nello spazio?” aveva proposto, ricordando quello
che il giovane mezzo-Jotun
aveva raccontato loro. “Sì, hai davvero tanti
amici” aveva ponderato Fred con
un tono leggermente invidioso, “Ma non credo. Gròa
ha detto che il Regno di Saguenay
è qui, nel luogo dove si vive e muore allo stesso
tempo” aveva ricordato.
“Quindi
un luogo sulla terra,
a nord, di qui, abitato da uomini pallidi biondi e ricchi di
gioielli” aveva
ponderato Jason con un tono angustiato. “Un luogo con viti
selvagge e pianure”
aveva ricordato Fred, “Che è stato cercato in
lungo e in largo”, Jason aveva
terminato per lui: “E mai trovato.”
A-Gaskw era
tornata, con
un’espressione colorita, “Vi ho portato un tè
all’agrifoglio, ha molta
caffeina” aveva affermato con estrema gentilezza,
“Molto gentile” aveva ammesso
Jason con un tono gentile, raccogliendo la tazza che aveva steso verso
di loro,
“Siete giunti a qualche conclusione?” aveva
domandato.
“Oh,
sì, Saguenay è un luogo
molto reale che non esiste” aveva risposto Fred turbato.
Jason aveva bevuto un
po’ del suo tè, era buono ed era forte,
“Oh, dei che buono” aveva esclamato,
facendo ridacchiare la dea, “Grazie caro” aveva
squittito.
Fred aveva
aggrottato le
sopracciglia, il suo viso era insofferente e non aveva neanche toccato
il tè.
Jason sapeva quello che stava provando. “Forse state
guardando dalla
prospettiva sbagliata” aveva ponderato la dea.
“Ah
sì?Quale è quella giusta?” aveva
indagato
Fred. “Questo è un mito algonchino, o forse Innu
visto che è dalla loro lingua
che viene il nome, che ha preso piede negli altri popoli, tanto che
è arrivato
fino al Wyoming da Madina più di un abbondante secolo dopo,
dove sono i Siux”
aveva spiegato la dea.
Jason aveva
ricordato il mantra
che Astrid gli aveva detto prima di ritrovarsi nel pasticcio
dell’Holmagang,
che apparteneva al popolo Siux.
“Ma
perché Erik e Astrid
dovrebbero ripararsi in un mitologico regno algonchino? Astrid
appartiene al
popolo Thule, i più vicini a loro per cultura sono gli
odierni eschimesi” aveva
risposto Fred, “Quindi dovremmo cercare un mito
eschimese?” aveva chiesto poi
stanco lo stesso. “Ti direi di sì, ma non credo.
Astrid è una vichinga, è stata
cresciuta da quel mondo lì, da suo padre” aveva
considerato Jason, “Pensa che quando
ha avuto bisogno di citarmi un aforisma ne ha scelto uno Siux, non uno
Thule. Inoltre
Erik è in tutto e per tutto un vichingo” aveva
ricordato.
“Non
è un vichingo, è un prete”
aveva ricordato Fred, “Per cultura resta un
vichingo” aveva risposto Jaosn,
trovandolo ovvio. “Prima cosa, i vichinghi non sono un popolo
Jason, sono un
ruolo sociale” lo aveva corretto.
“Okay, non lo sapevo. Come ho detto, sono in questo posto da
cinque giorni
solamente, due dei quali li ho spesi a Jotunheim e uno a
Vaneheim” aveva
risposto sulla difensiva. “Comunque, non hai torto, per
cultura appartiene ai
popoli scandinavi. La famiglia di Erik è norvegese, mentre
quella di Astrid alle
colonie islandesi” aveva ammesso Fred.
“Credo
dovremmo guardare dalla
prospettiva norrena della faccenda” aveva considerato Jason,
voltandosi verso
A-gaskw in cerca di conferma.
“I
thule vivevano anche
in Groenlandia, comunque” gli aveva riferito la dea A-gawask,
“Quindi Saguenay
è in Groenlandia?” aveva chiesto Fred,
“No, è un luogo Innu o loro vicino”
aveva ricordato Jason, interogando poi la dea castoro, “Non
ha detto che il
nome veniva da una parola di quel popolo?” aveva chiesto.
“Così ho detto” aveva confermato
A-gaskw, “Allora, è probabile considerare che
Saguenay dovesse essere una terra loro vicina, forse nel loro
territori;
probabilmente loro stessi sono stati gli iniziatori della
leggenda” aveva
ammesso Jason, voltando lo sguardo verso Fred. Il figlio di Gerd era
stato
leggermente titubante, ma poi aveva annuito, “Ha
senso” aveva concesso.
“Non è che avrebbe un libro che parli di questo
popolo e dove erano stanziati?”
aveva inquisito Jason, poi volgendosi verso la donna, “Mia
signora” aveva
aggiunto più rispettoso, l’attimo dopo nelle zampe
pelose della dea si era
manifestato proprio un tomo, “Ecco a te, caro”
aveva detto.
“Non
potrebbe aiutarci è
basta?” aveva chiesto Fred, leggermente spazientito,
“Primo: se lo facessi come
imparereste? Secondo: non ho davvero idea, sono sempre stata troppo
pragmatica
per cercare luoghi leggendari” aveva risposto la dea, mentre
offriva il libro a
Jason.
“Niente
in cambio?” aveva
chiesto, “Di solito gli dèi vogliono sempre
qualcosa?” aveva considerato, “La
compagnia di due baldi giovani, mentre si tiene il naso sui libri e
quanto più
una nonna possa desiderare, sono diventata vecchia e sbiadita e sono
pochi a
ricordarsi di me” aveva detto con un tono bagnato.
Jason aveva sorriso con gentilezza, “Grazie”
aveva ammesso alla fine,
prendendo il libro e cominciando a studiare le mappe.
Gli Innu
occupavano una
regione a nord, nella zona di Charlettowon, nei territori del Labrador,
a nord
di Saguenay aveva visto, dal novecento al millecinquecento almeno.
Un luogo che
fosse vicino agli
Innu e fosse legato al mondo norreno, in qualche maniera.
“Sicuramente
Mel conoscerebbe
il mito in questione, lui sa tutto – non so come
faccia” aveva soffiato Fred, quando
lo stesso guerriero germano aveva schivato la responsabilità
dicendo di non
avere idea. Certo, forse dal punto di vista norreno, avrebbe potuto
dare di più
– duemila anni erano tanti per informarsi su vari miti.
“E
credo tu sappia molto di
Astrid” aveva cercato di consolarlo Jason, “Non
così tanto” aveva ammesso Fred,
“Starle vicino mi faceva male quasi quanto starle
lontano.”
Dopo quella
frase erano
rimasti in un silenzio lungo e pesante, alternato solo dallo sfogliarsi
delle
pagine dei tomi e dai commenti incoraggianti della dea, che ad una
certa aveva
tirato fuori dei biscottini da dividere con loro. Jason era a
metà di un
dolcetto, con ancora il sapore dell’agrifoglio in bocca,
quando aveva osservato
gli occhi neri di Fred scintillare come stelle. Il ragazzo stava
mormorando
qualcosa a mezza bocca in francese, che somigliava ad una preghiera al
suo Dio,
quando improvvisamente si era tirato su dal libro come una molla, con
una parola
a metà della bocca e l’espressione illuminata.
“Hai
avuto un’idea?” aveva
chiesto Jason, anche se era una domanda inutile.
“E
se fosse una questione come
la Migdàl Bavèl?”
aveva chiesto retorico Fred, ignorando a pie pari la sua
questione, “Cosa?” aveva domandato Jason
incuriosito, “La Torre di Babele, sai la
manifestazione fisica della hybris degli uomini
distrutta da Dio? È un
passaggio piuttosto famoso della Genesi 11, versetti da 1 a 9
cristiana” aveva
spiegato, “Sono confuso ma interessato. Sono ignorante in
questioni … religiose”
aveva ammesso, “Lo so me lo hai detto, ti hanno cresciuto i
lupi, lupi pagani”
aveva ponderato Fred.
Aveva anche definito Lupa una meretrice; sperava la dea non lo
scoprisse mai.
Fred poi aveva
ripreso a
parlare: “…e nel Libro dei Giubilei, per quanto io
lo abiuri. Però, la Torre è
presente anche in altri simpatici brani non molto cristiani, il cui
più famoso
è sicuramente un poema sumerico con un nome impronunciabile,
che non ricordo né
mi interessa ricordare” aveva detto Fred con un tono freddo.
“Due miti
condivisi in due mitologie diverse” aveva considerato Jason,
notando le similitudini
in quella circostanza, “La mia fede non è una
mitologia, ma sì” aveva risposto mantenendo
calmo un tono collerico, “Però non era qui che
volevo arrivare” aveva rivelato.
“Oh” aveva ammesso Jason, “Per avere
bevuto dalle acque di Mimir non sei
particolarmente brillante” aveva soffiato Fred,
“Riconosco la mia ignoranza. Penso
che come aspirante costruttore di templi avrei dovuto sapere di
più di una Torre
di Babele” aveva ammesso Jason, con un sorriso di circostanza.
Era divertente
però che la hybris
degli uomini riguardasse una costruzione, Annabeth avrebbe apprezzato
l’ironia,
visto che riteneva la sua ambizione il suo difetto fatale e la
capacità di
immaginare costruzioni il suo più grande pregio.
“Sei
ancora giovane, ragazzo, sono
sicura avrei molti modi e molto tempo di ampliare la tua
conoscenza” lo aveva
consolato A-gaskw, “L’importante è che
la tua fame di sapere non trovi mai acquiescenza.”
Jason le aveva sorriso grato.
“Etemenanki”
aveva
sospirato Fred poi, “Questa la conosco” aveva
ammesso Jason, “La pietra
angolare del Cielo e della Terra. La ziqqurat più
famosa di Babilonia. La
mia amica Annabeth dice che a oggi abbiamo solo la ricostruzione data
da
Erodoto” aveva ricordato Jason, chiedendosi da dove venisse
quella memoria così
netta e certa. Forse erano le acque?
“Mattoni
cotti colorati e quasi
centro metri per lato ed altre tanto alta:
un capolavoro.
Una torre così alta da essere vicina agli dei”
aveva riportato, “Da sfidare il
Signore” lo aveva corretto Fred, con un luccio negli occhi,
“Capisci?”
aveva chiesto.
“Un
luogo condiviso da due
miti ma reale e fattuale” aveva realizzato Jason.
“Sì. Se questo Saguenay fosse
come la torre di Babele? Non una tasca nello spazio, non una
sovrapposizione di
mondi né una chimera inarrivabile. Un luogo molto reale che
ha dato origine a
interpretazioni mitologiche successive” aveva esplicitato
Fred.
Jason aveva
annuito.
“Quando
gli Ebrei furono deportati
a Babilonia, durante il regno di Nabopolassar, trovarono la torre alta
solo venti
metri o circa, probabilmente in restauro, probabilmente scoprirono che
in
precedenza era stata alta il quadruplo e e davanti l’opulenza
del popolo dei
Babilonesi elaboreranno il loro – mio signore perdonami
– mito, che prevedeva
che il loro Dio aveva punito quell’audacia”
aveva
stabilito Fred. “Sei stranamente ferrato in storia”
aveva ponderato, “Non ero
certamente un monaco amanuense, ma come religioso studiare era
praticamente un
obbligo” si era difeso Fred, arrossendo sulle guance.
“Potresti dare
ripetizioni a Mel” aveva ponderato, “Ah, non
ancora. Quel barbaro suicida ha
una memoria eclettica” aveva sospirato Fred.
“Quindi
Saguenay potrebbe
essere un luogo reale che si è stabilizzato nella mitologia
nativo americana e,
probabilmente, vichinga” si era inserita la dea Castoro.
“Quindi
ci serve un luogo
reale, vicino alle zone degli Innu dove gli algonchini possano aver
incontrato
degli stranieri alti e biondi e pieni d’oro?” aveva
domandato retorico Jason.
Ed
improvvisamente la cosa gli
era parsa ovvia.
“Vinland”
lo aveva
anticipato Fred, “Una terra calda, ricca, aldilà
del male con viti selvatiche”
aveva aggiunto.
Certo: Vin-land la terra del vino, aveva considerato Jason,
“Viti selvatiche
come quelle citate nella profezia di Gróa” aveva
ricordato.
Dopo quello,
tutto stava nel
ritrovare dove esattamente fosse sorta una civiltà vichinga
nell’America del
Nord: Boston? Jason sapeva che la statua di Leif Erikson – il
nonno di Erik
Freydisson – era nella cittadina americana, dove esisteva uno
dei portali, c’era
passato davanti proprio il giorno in cui aveva avuto un appuntamento
con Kym e
poi aveva raggiunto Casa Chase e ricordava qualcosa del genere anche
nella
presentazione di Odino.
“Aveva
ragione Mel: sono
tornati a casa” aveva esclamato Fred.
“Che
giorno è oggi, Madina?
Possiamo inciderlo sulle tavole sacre? Fred mi ha dato
ragione” aveva sentito
una voce maschile strillare.
Evocato come
uno spirito, Mel
si era palesato.
“Oh,
abbiamo compagnia!” aveva
detto A-gawska felice, ammiccando alla nuova presenza: le nuove, in
vero. Mel
era apparso, accompagnato da Madina. Lui indossava ancora i pantaloni
di pelle
di Ragnarok, ma sopra non indossava più la camicia da festa,
ma una giacca
imbottita. Madina non indossava niente di troppo pesante ma aveva
smesso gli
abiti da festa, teneva tra le mani delle buste con la marca di un
negozio
sportivo.
“Ragazzi, lei è la divina A-gaskw, dea della
sapienza e nonna di Glooskap”
aveva spiegato subito Jason ricordando l’onomastica della dea
castoro e sollevandosi
in piedi, “Mia signora, loro sono: Madina Modja figlia di
Ullr e Thumelicus
Herminsson da Confluentes, due nobili caduti di Odino” aveva
spiegato calmo.
“Siete
andati a fare compere?
Non dovevate fare delle ricerche” aveva inquisito Fred
confuso, “Be, ci
sembrava una buona idea” aveva risposto subito Mel,
“Anche se è bellissimo
vedere te e Jason in pantaloni di lustrini, avevamo pensato forse
avreste
voluto qualcosa di meno scintillante, ma se non vuoi” aveva
scherzato Madina. “Dammi
subito quelle buste” aveva risposto Fred, frustrato. “Grazie”
aveva ammesso Jason, indossava ancora
i pantaloni luccicanti d’oro in accordo ai suoi occhiali, per
fortuna, era
riuscito a recuperare una maglietta mentre operavano il rituale di
invocazione –
o avrebbe continuato a stare a petto nudo fino a quel momento. E si era
accorto
che anche Fred, continuava ad indossare i pantaloni rossi scintillanti.
“Stellan?”
aveva chiesto, “Sta facendo la guardia al verro. Dei
simpatici turisti pensano
sia un Moster-Truck e continuano a farsi foto. Gullinbursti
è in realtà molto
felice di questo” aveva ammesso Mel.
“Come
ci avete trovato?” aveva
chiesto Fred, “Oh, be, il tempo che ci eravamo dati era
finito, quindi le
ipotesi erano: o vi aveva trovato un mostro o eravate stati rapiti o
avevate
trovato qualche indizio” aveva buttato fuori Madina,
“Quando non abbiamo
sentito nessun dramma in giro, abbiamo sperato nella terza e quale
migliore
posto della Biblioteca?” aveva inquisito Mel, aprendo le
braccia, “Adoro questo
odore; mi riporta al portico di Ottavia. Non ci andavo spesso, ma ogni
tanto ho
accompagnato Iulia e le sue sorelle” aveva detto squisito
Mel, prima che la sua
espressione dolce si inasprisse.
“Inoltre,
be, l’abbiamo
trovata chiusa a seguito di una scossa di terremoto che il resto della
città
non ha sentito” aveva ponderato Madina, “E quanto
pare avete effettivamente
trovato qualcosa!”
“Sono
stati molto bravi” aveva
concesso loro la dea castoro, “E a quanto pare Fred mi stava
dando ragione su
qualcosa” aveva gongolato Mel.
“Sì.
Non darti troppe aree” aveva
sbuffato Fred, “Abbiamo capito dove è il regno di
Saguenay” aveva ammesso
Jason, “Ai miei tempi conoscevo un mucchio di persone che
sarebbero andati in
brodo di giuggiole a questa notizia. C’è gente che
ci ha perso il senno per l’El
Dorado del Nord America” aveva ammesso Madina divertita.
“Mi correggo comunque.
Non sappiamo geograficamente dove è il Regno di Saguenay, ma
abbiamo capito che
è il corrispettivo per la Vinland” aveva spiegato
Jason di nuovo, “Quindi, sì, Mel,
avevi ragione: Erik e Astrid sono tornati a casa loro” aveva
concesso Fred.
“Be,
sì, figo. Quindi torniamo
a Boston?” aveva chiesto Madina, “Non credo. Le
acque ci hanno portato qui, no?”
aveva ponderato Jason, “Inoltre: Saguenay è una
leggenda Algonchina, ma è una
parola Innu, quindi dobbiamo pensare a quel territorio” aveva
aggiunto.
“Senza
dimenticare che Vinland
non è un posto specifico, è una delle regioni
– regioni perciò non città –
con cui
i norreni indicavano il Nord America, insieme al Markland
ed Helluland”
aveva spiegato calmo Mel. Jason sorrise davanti quella sicurezza, non
c’era
occhio asciutto e la sua espressione era calma e decisa, quasi allegra,
avrebbe
osato dire: Mel sembrava Mel.
“Inoltre,
Astrid non è di
Boston. Ha sempre detto di essere nata su in sola” aveva
ammesso Fred, “Come ho
detto: sai molto di lei” aveva ponderato Jason, sorridendo
verso di lui.
“Quindi
ricapitoliamo:
cerchiamo un posto in nord America, in territorio Innu o vicino, che
sia un’isola
e che abbia – o avesse – il clima abbastanza mite
da avere terra florida” aveva
provato Madina mentre lasciava a Jason e Fred i vestiti da indossare.
“Posso
dire da quello che
ricordo degli studi recenti, la colonizzazione è
probabilmente avvenuta in
Canada che negli Stati Uniti” aveva ricordato Mel.
“Bene, meno male che siamo
in biblioteca” aveva soffiato Madina, “Vi prendo
una cartina” aveva detto la
dea.
Jason aveva
guardato la mappa
storica delle popolazioni native che aveva già preso,
“Sappiamo già che gli
Innu erano nel territorio del Labrador e Terranova, dove condividevano
lo
spazio, parzialmente, con i Thule, la popolazione di Astrid”
aveva detto Jason,
puntando il dito verso la cartina.
Proprio a
nord, di dove erano.
La dea Castoro
aveva steso una
mappa geografica del Nord America, senza confini civili, ma solo con
gli
elementi ambientali. “E proprio sicura di non volere qualcosa
in cambio?” aveva
chiesto Fred questa volta, “Per favore” aveva
sospirato solamente la dea
castoro, “Non dimenticatevi di me.”
“Mai” aveva rassicurato Jason – aveva
già cominciato a costruire e progettare
templi per dei minori, perché non aggiungere anche una dea
algonchina?
“Lo
giuro sullo Stige, mia
signora, non la dimenticherò” aveva insistito e la
dea castoro si era congedata
con quelle parole ed un inchino gentile e cortese, “Allora vi
lascio. Avete
tutti i mezzi per risolvere questo enigma” aveva ammesso.
Nessun reale e
concreto aiuto,
solo supporto e strumenti.
In un certo
senso lei era il
corrispettivo di Minerva e … di Bragi, eppure era sembrata
così diversa, così
calorosa. Non era stata la saggetta rigida ed eterna della dea romana,
né della
caos e creatività del dio norreno, era stata calma e
rassicurante.
“Questa
parte lasciatela a me”
aveva dichiarato Madina, “Vivevo in una casa nel mezzo delle
montagne del
Wyoming, guardare carte era l’unico modo per vedere
il mondo!” aveva
squillato, mentre posava il dito sul punto in cui erano in quel
momento. Jason
non era sicura di sapere esattamente dove Toronto fosse in una mappa
senza
limiti scritti, ma riconosceva le coste de Lago Ontario.
Fred aveva
sbuffato: “Lungi da me offenderti, Madina” aveva
cominciato a parlare con un
tono leggermente supponente, “Sembra che tu lo voglia
fare” aveva risposto l’altra
con una punta di cattiveria ben evidente.
“Sì,
be, c’era una ragione per
cui ai miei tempi alle donne non era permesso di parlare”
aveva risposto
piccato, “Adesso ti ficco un pugno in gola” aveva
replicato Madina, “Questo non
cambia che la soluzione, ora è ovvia” aveva
ponderato.
“Ah
sì? E quale sarebbe?”
aveva chiesto di rimando quella, “Non ti sembra
ovvio?” aveva risposto,
ammiccando alla mappa, “Seguiamo il San Lorenzo, che parte
proprio da questo
lago, passiamo vicino alla
Nuova Saguenay
e … oh,
irrompiamo nella Baia di San Lorenzo, dove c’è
… oh, guarda” aveva cominciato
Fred sarcastico, seguendo il corso del fiume fino alla baia, doveva
aveva fatto
vagare il dito fino ad una terra insulare, prima di finire:
“Ah, eccola qui: Terranova,
nel territorio di Terranova e Labrador, un’isola proprio
sotto i territori
Innu.”
Ed era proprio
lì: Terranova.
Sì,
sembrava abbastanza ovvio,
visto così.
“Bene,
andiamo prima di trovarci
un gruppo di valchirie alle calcagna o qualcuno decida di voler provare
un
Moster-truck in piena città” aveva sentenziato
Madina.
“Sì”
aveva ponderato Jason, “Andiamo
a salvare Astrid.”
NOTA
IMPORTANTI: Scrivere
questo capitolo è stato super macchinoso, principalmente
perché non succede
niente e questi parlano – e neanche di loro, ma di miti a
cas. Forse avrei
dovuto inserire uno scontro, ma non ne avevo voglia (tranquilli ci
saranno,
ricordiamo che siamo quasi pronti all’Holmagang). Detto
questo il capitolo
esiste e non hanno risolto subito l’inghippo di Saguenay
perché mi dopo essermi
vista la serie tv ho capito che non potevo farlo.
Il più grande difetto della serie tv è stato il
fatto che praticamente i
ragazzi riuscissero a risolvere ogni mistero dopo praticamente due
minuti (vedi
Medusa, vedi quello dei materassi, vedi Crono, VEDI LUKE) e per me ha
tolto
molto pathos. Da un lato mi dispiace di avergli fatti sembrare degli
stupidi perché
la soluzione a me sembrava ovvia, però ho pensato: se non ne
hanno sentito mai
parlare e non hanno accesso ad Internet, forse così ovvia
non era.
Diciamo che già partivano avvantaggiati con Madina che la
conosceva come El
Dorado del Nord America e Jason conosceva la città
‘perché il Wyrd’ (che
probabilmente potrebbe essere la più pigra forma di
scrittura di sempre).
E quindi niente, per scusarmi di un capitolo assolutamente macchinoso.
Inoltre,
non so, volevo dare un po’ di luce a Fred; mi dispiace di
aver “sidelato”
Stellan, ma capite che ormai è incollato a quel verro.
Riguardo ad A-gaskw non ha avuto un gran ruolo e poteva essere quasi
cancellata, ma alla fine ho deciso di tenerla perché
è una dea adorabile e perché
nei suoi miti è davvero la “Nonna
gentile” che ti aiuta senza chiedere nulla in
cambio ma il suo aiuto non è mai diretto, ma sempre
indiretto; nei miti da a
suo nipote gli indizi e gli strumenti di cui ha bisogno e permette a
lui di
imparare/sbagliare come deve. Quindi, sì, un piccolo cameo
mi sembrava carino
(sono pessima: ho evitato gli slavi per non appesantire e poi ho
disturbato gli
dei algonchini).
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