EDIT:
Ho modificato leggermente il
testo; nessun cambiamento a livello di trama/forma.
Pensavo
che
dopo aver letto The Sun and The Star mi sarebbe tornata voglia di
scrivere in
questo fandom, ma non è stato così. Devo
ammettere che il Calice degli Dei mi
aveva ridato un po’ più di voglia e
metà di questo capitolo lo avevo scritto
dopo l’uscita del libro, la serie mi ha dato la spinta
definitiva per finirlo.
Però sarò onesta: non è un capitolo
che mi ha divertito scrivere ed ho trovato
la cosa molto pesante e un po’ mi dispiace perché
il mio “Riordan” preferito è
quello comico-divertente, cercherò di fare meglio
prossimamente, anche se, be,
ormai siamo al momento “buio” della trama.
Detto questo, spero possiate comunque apprezzare questo brano.
Un
bacio
RLandH
BUONA
LETTURA
Jason
Grace copia spudoratamente Wanda Maximoff
(non che lui sappia chi sia)[1]
Jason
si era voltato verso uno degli usci della stanza
– uno che conduceva ad una vecchia cucinina –
trovando la sua Thrud, con
indosso il mantello di piume di cigno, che scendeva su una sola spalla,
ma
invece degli abiti da guerriera indossava una lunga tunica blu egizio
ed i
capelli elettrici grano ardente erano liberi ed arruffati,
anziché nelle
abituali trecce.
Thrud
aveva lasciato l’Hotel quella mattina senza aver
avvertito nessuno su dove sarebbe andata. Jason non ci aveva dato
particolare
peso fino a che il Wyrd gli aveva mostrato la sua valchiria dopo aver
parlato
con una strega- Thrud gli aveva mentito, non avrebbe dovuto stupirsi
infin dei
conti Jason l’aveva vista mentire, senza battere ciglio,
davanti tutta la gran
sala di Odino, davanti le valchirie, gli einherjar, gli dèi
e i thane. Thrud
aveva complottato con Kym.
Jason avrebbe dovuto aspettarselo, con l’aggiunta di
ciò che aveva scoperto di
Heidi nella volupsa, ma la verità, la verità nuda
e cruda, era che Jason si era
fidato della sua valchiria e, per tal ragione, non
se lo era aspettato
affatto. Aveva boccheggiato per dire qualcosa, ma aveva richiuso le
labbra
perché si era reso conto di non avere parole. Aveva
osservato in un silenzio
quasi religioso la valchiria, Thrud aveva gli occhi azzurri velati
della
medesima tristezza, di chi non avrebbe voluto essere lì.
Jason si chiese se la
sua melanconia fosse guidata dalla situazione in cui era finita o
perché fosse
stata scoperta.
“Be,
alla fine ti sei già scusata in anticipo per dovermi
fare male” aveva cercato di sdrammatizzare Jason,
ricordando quella prima
conversazione che avevano avuto, nella sua stanza nel Valallah, quando
Thrud lo
aveva sovrastato con una lama alla gola. Si era sentito stupido, subito
dopo,
era completamente privo della vena di sarcasmo di Percy o
dell’arguzia
brillante di Leo; Jason era di per sé poco incline a quei
giochi, era solo,
terribilmente, stanco. “Oh Jason” aveva sussurrato
colpevole Thrud e il suo
nome pronunciato così sembrava quasi una supplica.
Era
strana Thrud, da vedere, senza le sue trecce
l’armatura di placche argentee, sembrava quasi una creatura
dolce. “Solo:
perché?” aveva chiesto Jason stanco.
“Perché cosa?” aveva chiesto con una
gentilezza che non le si addiceva Thrud, mentre faceva roteare il suo
polso,
tra le dita magre si era formato un piccolo lampo folgorante che si era
addensata in una lancia elettrica. Era una cosa stupida, ma si era
quasi
aspettato un martello. Ricordava alcune delle prime parole che Thrud
aveva
detto, non era l’unico che poteva fare scherzi con i fulmini.
D’altronde
la Potente Thrud era figlia di Thor signore
dei fulmini. “Perché questo? Perché
distruggere l’equilibrio?” aveva indagato
lui, chiedendosi come potesse non essere ovvio.
Ma
dall’espressione più scioccata che Thrud aveva
assunto, la domanda doveva averla colta parecchio di sorpresa,
“Non è ovvio?”
aveva indagato lei, retorica.
“No?”
aveva risposto Jason, “Ti sei alleata con la
Splendente! Ha rapito Mimir il signore della sapienza, rubato
Gullinsburti
provocando il tramontare del sole ad Alfheim, rapito Astrid-tua-nipote
e
maledetto me! O certo è stai attivamente cercando di rompere
l’Equilibrio”
aveva gridato Jason.
Thrud
lo aveva guardato con un certo imbarazzo,
“Primo: Astrid sta bene, secondo non succederà a
nulla a quel verro, lo
riporterò io stesso se necessario, e il sole
continuerà a splendere
indisturbato a casa di Frey; era solo un esperimento” aveva
risposto pratica la
dea; “Perché?” aveva insistito Jason.
“Non
è ovvio?” aveva chiesto delusa Thrud,
“No!” aveva
detto Jason, frustrato dall’insulsaggine di quello scambio,
sembravano un cane
che cercava di mordersi la gola. L’espressione della
valchiria però non tradiva
che legittima confusione, come se davvero fosse stato ovvio,
così Jason aveva
cominciato a raschiare nella sua memoria per cercare una risposta,
aveva
ricordato la conversazione che aveva origliato, nel sogno, tra Kym e
Thrud,
“Non sarà mica per il tuo fidanzato?”
aveva chiesto sconvolto.
“Sì!”
aveva risposto la valchiria con un furore che la
faceva apparire davvero la Possente Thrud, aveva però avuto
pietà di Jason ed
aveva proseguito: “Certo, sì, per avere il mio
fidanzato che amo da più di
mille anni e che mio padre non vuole per nessuna specifica ragione, se
non
perché è così-e-basta, ma anche
perché non voglio che il Ragnarok accada perché
nonostante tutto amo mio padre, amo mio nonno ed amo la mia grande ed
incasinata famiglia. Forse non apparirò nel Ragnarok, ma non
voglio che la mia famiglia
muoia, che i miei fratelli siano orfani!”
Man
mano che aveva parlato il suo tono si era fatto da
possente a stridulo, ma pregno di realistico dolore.
“Che bilioni di anime e uomini debbano morire così
perché è già scritto e
perché io non credo e non voglio più vivere in un
mondo deterministico” aveva
aggiunto, riacquistando della pacatezza.
Jason
aveva aggrottato le sopracciglia, “Questo …
questo è sensato” aveva ammesso Jason di
malincuore, “Ma non si può evitare
l’inevitabile” aveva aggiunto incerto.
“Certo! Questo lo so, Jason!” aveva
risposto Thrud, “Ma Jason ognuno di noi conosce la data della
propria morte e
nessuno dovrebbe possedere un tale conoscenza. So la tua storia, so le
profezie
che ti hanno visto protagonista” aveva ringhiato lei. Jason,
Jason sapeva
quello di cui stava parlando: la parte migliore della vita era
l’attimo e l’ignoto
di quello che sarebbe accaduto, no?
Per
questo le profezie del mondo mediterraneo erano
così sibilline, si conoscevano squarci, piccoli spiragli, ma
mai fino a che il
futuro non era diventato passato, ma i norreni conoscevano tutto,
già tutto.
Gli era venuto in mente Bee che alla fine dei tempi avrebbe governato i
morti
con Loki ed Helblindi anche se non ne aveva alcun interesse
perché così era
scritto, Vali Odisson così audace che era sicuro di vincere
ogni sfida perché
sarebbe sopravvissuto al Ragnarok e Jarnsaxa che doveva rimanere
lontana
dall’uomo che amava perché non poteva avere un
figlio che non solo era
destinato a nascere e sopravvivere – ma che lei voleva.
“Lo so che ogni cosa
deve avere una fine. Ma dovrebbe essere una cosa spontanea, una cosa
misteriosa” aveva soffiato Thrud.
“Okay,
sì mettiamo caso che un ciclo già scritto sia
una realtà terribilmente distopica in cui vivere
… tu pensi che Heidi, l’ultima
dei Vanir, una volta che avrà rotto l’equilibrio
non procederà ad uccidere
tutta la tua famiglia Aesir?” aveva chiesto senza vergogna
Jason.
“Probabilmente
sì, ma a quel punto probabilmente sarà
mortale anche lei. Perché, se per caso ti fosse sfuggito, non
possiamo
sconfiggere Heidi” aveva specificato,
“Ogni volta che è stata uccisa e
tornata in vita. È stata infilzata, bruciata e non ti dicono
cosa le hanno
fatto negli ultimi secoli, ma lei sopravvive Jason, sopravvive ad ogni
cosa. Sopravvive
sempre.”
“Stai
giocando il destino del mondo su delle
probabilità?” aveva chiesto Jason quasi rabbioso.
“Non tutti, Jason Grace,
possono vivere la propria vita come una partita a scacchi, qualcuno
gioca anche
a bocce” aveva replicato quasi offesa Thrud.
“Non
ha senso” aveva replicato Jason, “Qualcuno ogni
tanto deve agire” aveva sospirato. Jason si era morso un
labbro, “Ovviamente,
Thrud non posso rimanere qui ad aspettare. Devo distruggere la Morte
Nera!”
aveva esclamato. Thrud aveva aggrottato le sopracciglia biondo ardente:
“Cosa?”
aveva chiesto.
“È una metafora” aveva spiegato Jason,
“Da un programma che si chiama Star Wars
o Star Treck, mi confondo sempre” aveva risposto, sapeva che
era quello senza i
vulcaniani ma la cosa finiva lì.
“Devo ammettere che ora sono confusa io
… ma non, credo, sia importante”
aveva ponderato la figlia di Thor, “Il mio scopo è
tenerti qui, fino a che le
tavole del destino saranno irreversibili … poi potremmo
riportare il verro a
casa, lo faremo insieme” aveva aggiunto. “E conti
che le tavoli si danneggino
per sempre prima che ad Alfheim tramonti il sole o no?” aveva
risposto Jason,
senza particolare calma. Thrud si era guardata il polso, dove indossava
un
bracciale loricato, ma lo aveva trattato come un orologio,
“Abbiamo almeno
altri cinque o sei giorni prima che il sole tramonti” si era
giustificata.
“Bene, ma devo comunicarti che non ho intenzione di rimanere
cinque o sei
giorni qui” aveva considerato lui, “Non solo
perché voglio salvare Alfheim,
aiutare Astrid e perché no evitare il mondo collassi, ma ho
un appuntamento a
Manhattan tra quattro giorni” aveva replicato Jason.
“Tre
e mezzo in realtà” aveva risposto Thrud
arricciando le labbra, “Mi dispiace davvero, ma temo sarai
costretto a perdere
quell’appuntamento” aveva ammesso lei,
“Di positivo Jason: non avresti mai
vinto contro Vali” aveva sospirato.
“Ho
affrontato di peggio” aveva ponderato Jason,
pensando giusto a Fortnojir il giorno prima, così come tutti
i mostri, imperatori
e giganti che avevano affollato la sua breve vita.
“Non mio zio, fidati,
non mio zio” aveva sospirato lei, quasi affranta.
“Non
ho comunque intenzione di rimanere qui e non
scoprirlo” aveva soffiato Jason, guardandola audace e rigido,
con gli occhi
putati su quelli di lei. “Ammiro il tuo ardore e sono
sentitamente dispiaciuta
di non poterti dare la sfida che ti meriti. Anche se non ho idea di
come non
farti male, perché non voglio e … non voglio
avere la furia di Kym addosso,
poi” aveva considerato.
“Quanto
Kym sa di questa storia?” aveva inquisito
Jason, improvvisamente, pensando alla terribile signora del mare.
“Un po’ ma
non abbastanza. Non prenderla male, eh, voglio un gran bene a Kym ma
come tutte
le dee del mare è tremendamente meschina e guarda solo il
suo orticello … o
qualsiasi cose ci sia in fondo al mare come corrispettivo”
aveva risposto
stizzita Thrud.
Comprensibile.
“E Kym vuole me” aveva valutato Jason, non del
tutto corretto, voleva il suo
ingegno, la sua promessa, la sua Action Figure e perfino la
possibilità di poterlo
uccidere. “Questo è indubbio, Jason
Grace, sei la prima persona o cosa che
io abbia mai sentito Kym non solo volere ma pretendere”
aveva ammesso
Thrud. “Cosa non si fa per un action figure
personale” aveva risposto
lui derisorio – a Percy sarebbe venuta meglio la battuta, ma
lui era Percy.
Thrud
aveva ridacchiato, “Ah, Ymir marcescente, voi
uomini non capite mai niente” aveva ridacchiato lei con una
risata così fresca
e frizzante che aveva dato quasi la nausea a Jason, mentre sollevava la
sua
lancia.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Però
penso sia il momento di smettere
di ciarlare e cominciare a ballare” aveva proposto Thrud,
“Sì, penso sia ormai
inevitabile” aveva risposto Jason cupo.
“Giusto per la cronaca: sono una valchiria ma sono
anche una dea” aveva
sorriso a tutto denti Thrud.
Lui aveva recuperato Giunone dalla sua tasca e l’aveva fatta
schioccare in
cielo, quando era ricaduta nella sua mano non era più una
moneta, era un
giavellotto, contro la lancia di Thrud. Lei aveva un’arma da
corpo a corpo,
spessa, dall’approssimativa lunghezza di circa tre metri,
mentre il suo giavellotto
era sottile e più leggero.
Jason
si sentiva ancora lo sconosciuto al Campo Mezzosangue
contro l’esplosiva Clarisse La Rue, solo che sospettava Thrud
sarebbe stato
tutto un altro paio di maniche, più elettrica e pericolosa, come
Thalia.
Roma contro Germania Magna[2].
Jason
aveva mosso per primo, con la sua lancia,
sentendo l’elettricità che attraversava il suo
corpo, differentemente dal suo
scontro con Iulia Agrippina sarebbe potuto morire, differentemente
dalla
augusta romana, Thrud non lo volva uccidere.
Kym
era la sua assicurazione.
E
se fosse morto … in quel caso sarebbe morto come era
accaduto in precedenza: facendo ciò che riteneva giusto!
Non
era così che aveva detto ad Apollo? Se un eroe
non è disposto a perdere tutto per una grande causa, allora
era davvero un eroe?
E
Jason era un eroe, era l’unica cosa che sapesse per
certo di sé stesso.
Thrud
aveva raccolto la sua sfida e intercettato il
suo giavellotto con la sua lancia, un fulmine azzurro si era
confrontato contro
una scarica elettrica rosso rampante, che aveva reso l’aria
incandescente. “Ho
affrontato titani, giganti, dèi e jotun!” aveva
ricordato Jason senza perdere
d’animo, mentre osservava intorno a lui sottili fuochi
essersi accessi intorno
a loro, cominciando a mangiare la piccola casa anni Cinquanta di Heidi.
L’Oro
Imperiale per quanto potente aveva subito non poche alterazioni,
essendosi
deformato leggermente, questo non lo aveva scosso.
Aveva
soffiato e mosso le mani, utilizzando l’aria ed
il vento per gonfiare le fiamme. I venti di … Vanaimer erano
molto meno
forastici ed imperiosi di quelli di Jotunheim, per quanto fossero
sempre
estranei.
Erano
venti sediziosi, volubili, ma ancora plasmabili.
Thrud aveva stretto la mano libera in un pugno e rubato
l’aria dal fuoco,
costringendolo ad una resa implacabile. “Ti prego, noi
siamo la tempesta”
aveva esclamato la valchiria, senza cattiveria.
“Stessi
poteri, sì” aveva realizzato Jason, potevano
controllare i fulmini e le correnti, ambe due probabilmente potevano
comandare
le tempeste. Inoltre, se per puro caso, Thrud non avesse potuto per
caso volare
come figlia di Thor, sicuramente avrebbe potuto come valchiria.
Figli
della tempesta, figli dei signori dei fulmini.
“Be,
quasi” aveva soffiato Thrud, “Come figlio di
Giove sei più forte e come einherjar il tuo potere
è ancora più eclatante, ma
non sei ancora al livello di una dea” aveva scherzato lei,
“Questo non mi può
fermare … questo non mi ha mai fermato” aveva
aggiunto Jason.
Thrud
aveva infilato la punta elettrica, rompendo il
pavimento in mattonelle di maiolica, ficcandosi nella terra battuta,
“Sai quale
è la differenza tra un dio e un semidio?” aveva
chiesto senza cattiveria,
“Direi di sì” aveva detto Jason
piuttosto seccato, “Due genitori divini”
aveva specificato, comunque, Thrud, un impulso elettrico aveva scosso
la lancia
e poi la terra e senza vergogna, erbacce di ogni genere avevano
cominciato a
crescere a dismisura spaccando il pavimento e viticci senza controllo
avevano
cominciato ad arrampicarsi sui suoi pantaloni d’oro
luccicanti.
Jason
era scoccato in cielo, sentendo ancora le radici
risalirlo come animali vivi ed usando la lancia per spaccare il
soffitto ed
alzarsi. “Pensavo che Gerd fosse la dea della
terra!” aveva gridato.
Thrud lo aveva raggiunto nel cielo, con la mantella di piume di cigno
svolazzante; sembrava un’autentica dea guerriera, una Bellona
nordica. “Gerd è
una jotun! Mia madre è la dea delle messi!”
aveva chiarito Thrud.
Sì,
Sif era la Cerere norrena, questo faceva della sua
avversaria una figlia di Giove e una figlia di Cerere, un potenziale
distruttivo immenso.
Jason
aveva evocato un tornando, preso dal panico
dell’unica azione che potesse fare, guidato dagli spiriti
eccitati del mondo di
Freya, intessendo nell’aria fili elettrici, sapendo fosse una
maniera piuttosto
sciocca di affrontare. Thrud aveva quella sua gamma di poteri e quelli
ereditati di sua madre. Tutto un altro campo.
“Onestamente, non
fraintendere, preferisco le nocche crude che i germogli di mia madre,
ma si può
far di tutto alle giuste condizioni” aveva risposto Thrud,
rubando i suoi
spiriti e guadagnando bruciature elettriche che avevano scalfito solo i
suoi
vestiti, “E questo è il mio mondo,
Jason, questi sono i miei venti”
aveva replicato “Tra uno skraelingar ed un norreno loro
sceglieranno di
ubbidire sempre a me.”
Jason
l’aveva guardata, “No, Thrud gli anemoi
non conoscono padrone” aveva guidato le sue parole sentendo
gli spiriti
dell’aria frizzanti sotto le sue nocche. Creature tempestose
si erano annidiate
ai fianchi di Jason, emettendo rumori foschi e temporaleschi, dalle
forme
imponente e arruffate, sembravano lupi composte di venti ed acque
piene, “che
non sia per loro scelta” aveva
considerato. Jason aveva pensato a
Favonio che serviva Amore, per sua scelta, per gentilezza.
Dylan
così iroso che si era lasciato sottomettere.
Tempesta
che era un cavallo imbizzarrito che si era
lasciato domare.
Eppure,
nessuno di loro era devoto fino alla fine, ma
solo fino ai propri desideri.
Così
erano gli anemoi.
I
venti non conoscevano padrone o fedeltà che non fosse
quella che più li appagava, per natura, erano creature
audaci, volubili e
selvagge. Le più libere per eccellenza su
tutte le altre.
Nessuno
che non avesse mai volato nella pura aria
poteva comprende quel sentimento di leggerezza e furtività
e, forse, anche chi
poteva farlo non lo comprendeva a pieno.
“Questo
è un discorso da mortali Jason, io sono
una dea” aveva replicato con voce elettrica, i capelli biondo
ardente erano
percorsi da piccoli fulmini sottili e come i lupi temporaleschi
– simili a
quelli che lo avevano aiutato a Jotunheim – avevano risposto
a Jason, mentre
cavalli rombanti – come Tempesta
– avevano risposto a Thrud.
I
lupi erano creature avulse agli dèi germani, per la
maggior parte, loro nemici, come erano stati per i greci. Ma la Lupa
era la
Madre di Roma e Jason era un fiero figlio della Lupa. E lui era fiero
di quelle
bestie.
“Una
dea che sta volutamente conducendo il mondo alla
distruzione” aveva considerato Jason e quella situazione
aveva ricordato a lui
Kym che si era alleata con Gea perché voleva
attenzione; Thrud voleva il
suo fidanzato e non vedere la sua famiglia morire per la fine del
mondo.
Jason non sapeva neanche come affrontare la cosa, neanche come parlare
con
Thrud, ma non poteva, perché era ovvio che la sua amica
avesse già risposto a
tutte le sue domande e si fosse convinta
dell’eccepibilità della sua tesi.
I
cavalli di Thrud avevano dato la carica, in una
sfuriata di tonanti zoccolate che avevano roborato il cielo
d’oro di Vanaheimr,
mentre i lupi con furiosi ringhi aveva ricambiato la
cavalcata.
Jason non avrebbe potuto perdere, non contro Thrud anche se ella era
una dea,
aveva sconfitto giganti, Percy più giovane di lui aveva
vinto anche dei, e
Jason non sarebbe stato da meno.
Mentre
tra nitriti ed ululati l’aria si impestava di
tempesta, aveva cercato di racimolare da ogni piccola porzione della
sua
memoria qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse guidarlo su Thrud. Ma
niente
sembrava guidarlo in tal senso, sentendo solo rabbia zampillare in lui,
ripensando a tutti i sorrisi allegri e divertiti, così come
le volte che la
giovane valchiria l’aveva sempre confortato ed aiutato a modo
suo – per quanto
non fosse stata guidata da nessuna altruistica ragione.
Jason
avrebbe voluto urlare di rabbia mentre
continuava a ripetere nella sua mente le stesse scene, in eterno, come
in un
brutto film di cui Glam avrebbe sicuramente saputo il nome …
e mentre una
rabbia elettrica sorgeva in lui, Jason aveva sentito
un’energia diversa.
Qualcosa
era squillato letteralmente dentro di lui,
dritto dalla sua ghiandola pineale!
Non aveva mai sentito una sensazione simile, neanche quando il Wyrd lo
aveva
guidato dai due Vali, non riusciva neanche a spiegare quella sensazione
era
come un incendio che bruciava nell suo corpo, dalla sua testa e si
manifestava
anziché in fuoco vivo, in una idea!
Era
come se la proverbiale lampadina si fosse accesa
della sua testa, dalle sue folgori e per un momento si era sentito come
Leo,
quando aveva una di quelle sue trovate inaspettate.
Aveva
avuto un’idea.
Qualcosa
che sembrava leggermente fuori da se stesso, ma
era un’idea.
Aveva
evocato un fulmine nella sua mano, una piccola
palla di incandescente energia elettrica blu luccicante che aveva poi
scagliato. Thrud l’aveva evitata svelta, con un verso di
scherno, “Palle,
Jason? Prova con delle saette!” lo aveva provocato
lanciandoli di forza una
tromba di vento.
Jason
non si era dato per vinto e ne aveva sfornato un
altro, che aveva mancato Thrud di nuovo, mentre con fatica cercava di
non
disperdere il potere.
Era
difficile manovrare tutta quell’energia, forse era
meno potente della tempesta di fulmine a Jotunheim, ma era
più prolungato.
Durante la competizione di biathlon aveva squarciato il cielo, ma era
stato un
momento, in quell’occasione era molto, molto, peggio. Aveva
formato un altro
fulmine e lo aveva lanciato, questa volta non aveva neanche cercato di
colpire
Thrud.
E
la valchiria aveva realizzato qualcosa, “Che stai
combinando Jason?” aveva chiesto, osservando come la palla
d’energia era
esplosa in un nervo di saetta.
“Quella
è … Oss?” aveva chiesto riconoscendo la
forma
che il fulmine aveva preso, “Circa” aveva mormorato
Jason, creando Peorth con i
fulmini, la conca vuota da riempire. Thrud aveva chetato i suoi venti
per
allontanarlo, ma Jason era riuscito a creare un altro per imprigionarla.
Thrud
aveva provato ad evocare un fulmine ma aveva
fallito. Oltre questo si era accorta di non avere più la
presenza dei venti a
sorreggerla e se non era crollata al fianco come una frittella era
perché Jason
aveva ordinato ai grossi lupi di vento di sorreggerla.
Con
fatica Thrud si era aggrappata al garrese di un
grosso lupo composto di venti e vapore così denso da averle
permesso una presa.
“Come
… come è possibile?” aveva chiesto
spaventata.
“Nyd,
Rad capovolto, Oss, Peorth e Is” aveva
spiegato netto. “Cos … Sono rune
anglosassoni” aveva esclamato lei con terrore,
“Sì. È una prigione per un
dio” aveva detto pratico Jason, “Ho copiato dalla
signora Heidi.”
L’espressione di Thrud era passata dal puro orrore di non
poter evocare i suoi
poteri a puro stupore. “Tu non puoi aver padroneggiato
l’arte delle rune! Non
puoi aver imparato le rune per osservazione” aveva esclamato
la figlia di Thor
con stupore e indignazione negli occhi.
“Ho
bevuto dalle acque di Mimir, merito del tuo capo,
quindi sì, ho acquisito una conoscenza che non
possedevo” le aveva spiegato – e
avrebbe dovuto pagare prima o poi quel sapere –
“Inoltre, be, sono romano, la
nostra forza principale è basata sul prendere qualcosa è
migliorarlo!”
aveva detto sfacciato. Aveva sollevato una mano e comandato al lupo di
vento di
scendere di quota fino a che entrambi non fossero stati con i piedi a
terra.
Erano però ancora prigionieri del cerchio aereo di rune
elettriche, Jason si
chiedeva quanto ancora avrebbe potuto reggere senza consumarsi.
“Gullveig
ti ha fatto abbeverare alla fonte della
conoscenza?” aveva esclamato Thrud tirandosi in piedi, aveva
le gambe che le
tremavano, “Non ha senso” aveva ammesso.
“Sì,
be, ho imparato che il wyrd raramente lo ha”
aveva risposto schietto lui, “Tipo tu che rischi di far
morire un mondo intero
e scatenare una guerra tra pantheon per avere un appuntamento con il
tuo
ragazzo” aveva ammesso, “Cioè, non
potevi parlare con tuo padre e basta? Lo so
perfino io e mio padre è Giove!” aveva esclamato
quasi indignato.
“Hai
rimosso la parte sull’universo deterministico e
la mia famiglia che morirà?” aveva chiesto
retorica e leggermente indignata la
valchiria. “No, ma sono arrabbiato con te” aveva
ammesso lui, “Tu sei la mia
valchiria!” le aveva detto.
Un’espressione
di pentimento e vergogna si palesa sul
viso di Thrud, “Comunque avrei riportato il cinghiale in
tempo” cerca di
giustificarsi. “Bene, adesso dimmi dove è Astrid?
E i piani di Heidi? E come
hai buttato in mezzo Kym!” aveva esclamato.
Kymopoleia
poteva essere una terribile signora dei
mari, poteva aver agito per le più egoistiche ragioni e solo
qualche ora prima
commesso un massacro – ma anche Thrud doveva risponderle.
“A proposito di
questo lo sai che una nave da crociera di persone è morta
per colpa di questo
casino con la mia anima?” aveva aggiunto. Anche se immagino
non ti interessi,
aveva pensato. Perché Thrud poteva sembrare terribilmente
umana, ma era ancora
una dea figlia di due dee.
“Mia
nipote è con quel ragazzo, il figlio di Frey, il
suo fidanzato” aveva soffiato, “E onestamente non
so i piani di Gullveig, non è
che sia proprio una cattiva di James Bond che annuncia i suoi piani ai
tirapiedi, tipo me. Un giorno è venuta è mi ha
detto: ei ho un piano per
annullare in Ragnarok e per permetterti di stare con il tuo fidanzato,
ma
abbiamo bisogno della tua amica straniera” aveva
raccontato, impegnandosi
anche ad imitare la voce di Heidi; sfortunatamente non era somigliata
per
niente.
“E
tu hai pensato: sì, certo. Diamo retta alla strega
cattiva?” aveva chiesto retorico Jason. “Forse non
hai mai sentito la vera voce
di Gullveig, Jason. Ma lei ti entra dentro, lei
è la signora dei Seidr,
la prima, più potente di Freya e Frigga” aveva
spiegato Thrud con un tono acuto
e infastidito, “È lei che ha portato la magia dei
vani agli aesi per prima”
aveva spiegato.
Jason
l’aveva sentita la suadente voce di Heidi, più
potente della lingua ammaliatrice di Piper, più potente
delle volontà insidiosa
di un eidolon. Quando Jason
era stato posseduto dallo
spirito, era stato come essere prigionieri in un corpo che non
rispondeva e
quando aveva sentito la lingua ammaliatrice della progenie di Venere
era stato
come se la sua mente non fosse più riuscita a raggiungere il
suo corpo, ma la
lingua dorata di Heidi era stata diversa. Jason si era semplicemente
sentito
spinto a volere quello che lei voleva.
Era
rimasto in controllo del suo corpo per tutto il
lasso di tempo e la sua mente non era naufragata in liti lontani, era
solo che
dentro di lui si era accesa morbosa e senza controllo una sete. Una
sete di
qualsiasi cosa lei avesse gradito. Era stato arsito dal bisogno e lei
lo aveva
dissetato.
‘incantò,
dovunque poteva, incantò i sensi’
così Glam lo aveva costretto a studiare durante il loro
incontro onirico. Gulveig
era la corruzione fatta in carne e magia.
Jason
aveva cominciato a sentire le gambe farsi molli,
mentre cominciava a sentire il potere che stava esercitando cominciare
a
drenare fuori la sua energia.
Un
roboante rumore lo aveva distratto, ambedue avevano
fatto schizzare gli occhi nella medesima direzione, lontano, ma sempre
più
vicino, velocemente, una colonna di fumo, terra e aria stava tagliando
i campi
verdi folti e pieni, nella loro direzione, accompagnato da uno
scalpitare
furioso.
“Cos’è?”
aveva chiesto Jason con una preoccupazione
evidente nella voce, stringendo la presa su Giunone, “La
cavalleria” aveva
detto spenta Thrud, “La tua cavalleria” aveva
specificato, offesa, candendo
sull’erba poi a gambe incrociate.
Jason
aveva aguzzato gli occhi dietro le lenti d’oro
ed aveva visto una mostruosa figura correre verso di loro. Era una
bestia
quadrupede rande come un orso grizzly il cui manto era giallo come
l’oro e
luccicante sotto la luce calda del sole di Vanhaimer …su cui
a malapena si
vedevano due figure umanoide sulla groppa. Ed erano splendenti come
stelle. La
creatura sembrava davvero una lampadina luccicante.
“Hanno trovato il verro” aveva esalato Jason, con
il cuore leggero.
“Ti
ho detto che era una situazione sotto controllo;
il maiale era perfettamente al sicuro qui nella terra dei
vani” aveva
biascicato Thrud, che si era accomodata come una quaglia
sull’erba, con le
gambe accavallate all’indiana, e le braccia incrociate sotto
il seno.
“Sono
contento di sapere che un mondo che è sempre
illuminato non morirà a causa di un buio perenne”
aveva risposto Jason al suo
commento.
“Il
sarcasmo non fa per te” aveva ridacchiato Thrud,
“Lo so” aveva sospirato Jason, “Se
riuscirò a sopravvivere a questa settimana
chiederò a mio cugino di darmi ripetizioni.”
Thrud
aveva riso, “Il fratello di Kym, vero? Lei dice
che è uno moccioso irritante” aveva commentato.
Jason si era morso l’interno della guancia.
Gullinbursti
non sembrava un vero verro, non solo per
la stazza da orso – che da vicino sembrava ancora
più immenso – e con la
peluria composta di setole d’oro scintillanti sotto la luce
del sole, ma
sembrava somigliare più ad un cyborg-verro, con giunzioni in
metallo dorato,
bulloni e ingranaggi e luminoso come una lampadina. “Non
è …naturale”
aveva esclamato Jason, insicuro delle sue parole. “Dillo a
qualcun altro!”
aveva ringhiato il maiale dopo un grugnito poco amichevole.
Jason
aveva sollevato le sopracciglia – non sapeva
neanche perché dovesse dichiararsi stupito, aveva visto cose
più strane. “Ti
prego non provocarlo!” aveva sibilato Fred con la sua voce
opaca e fredda,
mentre smontava dall’immane bestia, “Gullinsbursti
è senziente, Jason!” lo
aveva rimproverato bonariamente Stellan. “Ovviamente, non
sono nato da Scrofa
ma sono stato creato dalle portentose forge di Nidavellir”
aveva ammesso
imperioso il verro, “Non come la bestiaccia che soggiorna
qui” aveva aggiunto tronfio.
“Parla di Hildisvíni il cinghiale da battaglia
della Signora Freya, lo abbiamo
trovato nel suo recinto” aveva spiegato pratico Stellan, che
era rimasto a
cavallo della bestia, rispetto qualche ora prima sembrava
più emaciato e
spento, ma non scintillava più come una fiaccola.
“Freya di solito utilizza una
slitta trainata da gatti e cavalca il cinghiale solo in battaglia, ma
ultimamente non ci sono state guerre e per tal ragione il cinghiale
è stato
lasciato un po’ a sé. In realtà era
molto contento di avere compagnia e … credo
che anche a Gullinbursti andasse a genio” aveva spiegato
concitato Stellan.
Jason
nel mentre era scivolato per terra, sull’erba
fresca, incapace di reggersi più sulle gambe, ma ben attento
a non perdere
controllo sui suoi fulmini, che erano rimasti sfrigolati nel cielo.
“Quel
cinghiale è pomposissimo e non ha neanche un
pelo bello e irsuto come il mio” aveva soffiato il verro
magico. “Un ottimo
nascondiglio, in un mondo molto luminoso, nell’unico altro
recinto abbastanza
resistente per contenere un verro magico. Chiunque sia dietro questa
storia è
stato bravo. Proprio sotto il naso di Freya” aveva
considerato Fred. Degno di
Heidi.
Jason
avrebbe dovuto metterli al corrente di tutto, ma
aveva chiesto invece: “Come mi avete trovato?”,
sapeva di essere ancora
Vanaheimr, il mondo era luminoso e sorprendentemente bello e calmo, ma
non
erano più nei campi di battaglia dell’oltretomba
governato da Freya.
“Ho
percepito una concentrazione di magia così forte
che è stata impossibile ignorarla” aveva risposto
Fred, prima di sollevare gli
occhi verde-oliva verso il cielo.
Lì
nel cielo terso, senza neanche una nuvola, forme –
rune – elettriche scintillavano in cerchio sopra le loro
teste. Anche Stellan
aveva seguito il suo sguardo, boccheggiando qualcosa –
leggeva le rune
probabilmente, era un praticante di alf seidr ma probabilmente non era
ignorante su nessun tipo di seidr.
“Costa
sta succedendo qui?” aveva chiesto inquisitorio
Fred, deviando lo sguardo dal cielo per far saettare lo sguardo tra lui
e
Thrud.
Jason
aveva fatto un breve rendiconto, accertandosi di
riportare tutto – meno qualcosa, meno la
cosa di Astrid.
“Dietro tutta questa storia c’era Guillveig detta
Heidi, che ha rapito prima il
cinghiale poi Mimir. E vuole distruggere il tessuto spazio-temporale
del nostro
mondo, ma non per vendetta. Ti ha costretto a bere dalla fonte di
magica, hai
imparato la magia runica per osmosi e Thrud, rinomata valchiria, figlia
di Thor
e Sif, lavora per la strega delle streghe. E tu sei qui
perché lei in combutta
con una dea marina romea ha lavorato per questo” aveva
esclamato Stellan,
ammirato, spalancando gli occhi azzurri luccicanti.
Fred
si era focalizzato su altro: “Stellan, ti prego non
essere così entusiasta” lo aveva rimproverato,
“Jason; primo: quanto pensi
possa durare la tua prigione? Mi sembri già a
terra” aveva chiesto, “Secondo:
hai di nuovo la faccia di uno che sta nascondendo qualcosa”
aveva asserito.
Jason aveva aggrottato le sopracciglia, “Primo: non lo
so” aveva ammesso, “Per
ora posso resistere, ma chiaramente la cosa mi sta
consumando” aveva spiegato
pratico, mentre sentiva gli occhi cominciare a farsi liquidi
“Sì ti sto
nascondendo ancora qualcosa. Diverse cose, in vero” aveva
ammesso Jason.
“Sei
colpevole di tutte le cose che stanno accadendo”
lo aveva preso in giro Fred, “Anche” aveva risposto
lui. “Ma perché? Non sei il
primo figlio di dio straniero che finisce dalle nostre parti”
aveva valutato il
ragazzo chiudendosi le dita sul mento, attento e riflessivo.
Il
figlio di Gerd era stato il primo a riconoscere
nella presenza di Jason qualcosa di sospetto, prima di lui stesso,
“Pensi
centri con l’intervento della dea romea?” aveva
considerato poi, “In realtà
vorrei concentrarmi su un'altra cosa: Astrid” aveva detto.
L’espressione di
Fred era passata da riflessiva a rapace, “Cosa?”
aveva chiesto con una voce
sottile come lo scricchiolio di un vetro. Jason aveva spiegato loro
l’inganno
con cui Gullveing lo aveva catturato: aveva usato Piper e Astrid.
“Astrid
potrebbe essere in pericolo, quanto potrebbe
essere tutto falso, ma credo che potrebbe essere vero, ma Thrud ha
detto che
ora è con il suo fidanzato ma credo che anche Erik lavori
per Heidi” aveva
considerato Jason. “Erik è un cristiano”
aveva replicato Fred, ma non sembrava
particolarmente offeso dalla prospettiva. “Ci
sono oltre duemila anni di storia che ti
dicono che credere in qualcosa non ti rende una brava
persona” aveva soffiato
Thrud. “Il punto è che, quando ho nuotato nei fiumi
magici ho sentito
Mimir – allora non sapevo fosse lui, mi sembrava
più una boa pelosa, ma ora lo
so – parlare con un figlio di Frey, che era venuto in
ritardo, il dio si era
poi lamentato di essersi fidato della persona sbagliata. Jarnsaxa ha
detto che
il messaggio di Guilveig le era arrivato da un einherjar di
Fólkvang Astrid
aveva detto che il sigillo che proteggeva il cortile di Gerd non era
stato
rotto, Bee ha detto che ci voleva l’esplicito permesso della
signora per
arrivare. Quindi o chi è entrato aveva il permesso di Frey e
Gerd o un maestro
del seid, come Astrid lo ha presentato. Lui ha detto di essere un godijan,
ma lei ha detto che era un ergi. E giusto due
minuti fa Thrud lo ha
appellato come figlio di Frey” aveva spiegato tecnico,
“Quindi, ecco, soddisfa
molte delle condizioni necessarie.”
Inoltre,
c’era la questione delle mele, che Jason non
aveva esplicitato, perché sembrava ancora una teoria rada.
Quando Jason aveva lasciato l’Hotel Valallah la prima volta
con Thrud – quando
Jarnasaxa aveva di proposito allontanato Gerd dalla sua casa
– avevano
incontrato Freydis ed Einar, con un loro compare, che avevano cercato
di
abbandonare l’hotel.
Sempre
era la delizia di spose malvagie,
così aveva
detto Glam riferendosi ad Heidi.
Sembrava un po’ sessista dirlo ma Guilveig agiva tramite le
donne, forse perché
erano quelle che facevano più uso della magia, rispetto gli
uomini.
“Putain!”
aveva esclamato Fred con una rabbia e
rancore; Jason si era voltato verso Thrud che era ancora seduta per
terra con
espressione insofferenza, “Non guardate me. Parte del suo
fascino è non
condividere i dettagli. Pensi che io avrei mai collaborato con
l’amante di mio
padre?” aveva chiesto ironica.
“Avresti potuto, avete un paio di cose in comune”
aveva considerato Jason, “Tuo
padre vuole tenerti lontano dal tuo amato, quanto tuo nonno vuole
tenere tuo
padre lontano da lei.”
Un’espressione
confusa si era dipinta sul volto bello
di Thrud, “Non l’avevo mai vista
così” aveva ammesso.
Stellan si era voltato verso il verro, “Venerabile
Gullinbursti potrebbe
raccontarci la storia di come è stato rubato?”
aveva chiesto con un tono di
voce reverenziale.
“Non
lo avevate ancora chiesto?” aveva indagato Jason,
“Ti sei mai trovato ad un quadrello di distanza da un grosso
cinghiale magico
infervorato?” aveva ringhiato Fred, “No, ma ho
affrontato sei giganti in cinque
diverse occasioni, anzi facciamo sette buttandoci dentro anche un
jotun” aveva
risposto.
“Devi
lavorare sull’acume delle tue risposte” lo aveva
preso di nuovo in giro Thrud – no, Jason non pensava che
avrebbero avuto
l’idilliaco rapporto tra Einerjhar e Valchiria
che avevano Mel e Kráka o
Magnus e Samirah. “Rubato? Ti paio, giovane elfo,
un paio di calzari che
possa essere rubato? Al massimo rapito! E anche con la giusta dizione,
ti paio
una bestia che possa essere rapibile? Io sono il potente Gullinbursti,
dal
verro d’oro, così veloce da non affondare sulle
acque” aveva replicato offeso
il cinghiale ed un'altra serie di improperi avevano seguito quelle
frasi, “Cosa
è successo?” aveva chiesto Jason,
“Nobile Gullinbursti” aveva aggiunto
rispettoso poi, notando il tono con cui prima si era rivolto Stellan.
“Oh, be,
il giovane figlio del padrone si è palesato ed ha detto che
suo padre lo aveva
mandato a prendermi, perché facessi un po’ di
compagnia a quella tronfia bestia
di Hildisvíni. Odio quel cinghiale, ma il padrone
è buono ed ama molto sua
sorella” aveva spiegato il verro, “Aveva senso, mi
sono detto: il padrone era
andato a caccia con i suoi servi, la cameriera era in licenza e la
signora
aveva abbandonato la casa” aveva aggiunto, “Con me
era rimasto solo il
giardiniere, ma il giovane elfo esce poco in cortile.”
Stellan
si era fatto viola-blu in viso.
Il
tono del verro aveva avuto una sfumatura un po’
melanconica e triste e Jason aveva intuito che l’animale non
gradisse stare da
solo, ma fosse orgoglioso. Probabilmente aveva interpretato le azioni
del suo
signore come una scusa: era lui ad aver bisogno di compagnia e non il
cinghiale
di Freya.
“Non
è che per caso il figlio del signore si chiama
Erik Freydisson?” aveva provato Jason, “Quello il
suo nome è. Il giovane Erik
dai capelli d’oro” aveva ammesso il verro,
“Il signore non ha mai avuto molto
acume nello scegliersi le donne” aveva proferito,
“La sua ardita sorella, la
sua bisbetica Signora moglie, l’affamata Liv Dagsdotter[3]
e quella donna Chase maledetta[4]
ma sicuramente Freydis Eriksdottir era la più serpe delle
serpi” aveva spiegato
il cinghiale.
Jason
aveva guardato Fred con un sopracciglio alzato,
“Vuoi gongolare? Questa storia è possibile per
colpa tua” aveva liquidato la
questione l’altro, “Mi importa più di
Astrid” aveva aggiunto, “Andiamo a
cercarla”, “Non così in
fretta” lo aveva richiamato Jason,
“Cioè, volevo dire:
andiamo subito, però prima forse recuperiamo Mel e Madina e
… aiutatemi ad
uscire da questa situazione” aveva spiegato, ammiccando alla
giovane donna
prigioniera del cerchio magico.
“Dobbiamo
riportare anche Gullibursti a casa” aveva
aggiunto agitato Stellan, “Astrid ha la precedenza”
aveva soffiato Fred. “Sì,
ha la precedenza, ma nel momento in cui allenterò la
pressione, lei sarà libera
e …” aveva provato Jason. “Ho imparato a
riprodurre le rune non la magia
runica” aveva aggiunto imbarazzato. Stellan si era voltato
verso Fred, lo stava
guardando alla stessa maniera di Jason, con una certa aspettativa. Il
figlio di
Gerd li aveva guardati con espressione confusa, sotto il loro medesimo
sguardo,
“Voi … voi volete che lo faccia io?”
aveva chiesto retorico.
“Sei
un ergi, no?” aveva provato Jason, incerto, “Hai
fatto quella cosa con le luci prima” aveva aggiunto.
“Odio ricorrere ai talenti di mia madre” aveva
detto offeso.
Poi
si era voltato verso Stellan, “Dammi una verga”
aveva soffiato, l’elfo aveva fatto germogliare da terra una
pianta dal tronco
verde, troppo giovane per essere un albero, “Scusa”
aveva detto imbarazzante
quello, davanti l’acido sguardo accusatorio di Fred. Jason si
era chiesto dove
fosse finito tutto il potere distruttivo che aveva tirato fuori contro
Agrippina Minor.
“Lasciamo
perdere” aveva soffiato il monaco francese,
sfoderando dal suo fianco la sua spada magica, quella aveva emesso
un’intensa
luce rossastra – la guerra era vicina.
“Non
conosco bene queste rune, quali sono?” aveva
chiesto Fred, “Anglosassoni” aveva ricordato Jason.
Fred si era voltato con gli
occhi spalancati verso di lui, sconvolto, “Ah già
che c’era la prossimità volta
scrivilo anche con l’alfabeto fenicio, eh” lo aveva
rimproverato.
“Scusami,
quando torniamo all’Hotel chiedo a Bragi se
mi insegna a progettare una prigione per un dio con rune più
di tuo gusto”
aveva replicato Jason. “Questa volta ti è venuto
bene” lo aveva lodato Thrud,
non aiutando la situazione.
Fred
aveva sbuffato, stanco, “Sai è difficile di per
se gestire una magia, il seidr è il più
grande potere ma può disperdere
morte, se usato inconsciamente o male; io sto utilizzando una spada
come
seidrstaf[5]
quindi non sto esattamente seguendo le regole, inoltre io, contro la
mia
volontà, pratico il seidr che è ben diverso dalla
magia runica” aveva
cominciato a spiegare Fred mentre incideva
sull’erba fresca le rune che
erano presenti in cielo fatte di fulmini, “Inoltre, le rune
anglosassoni mi
sono piuttosto ignote” aveva aggiunto arrabbiato, mentre
osservava attentamente
i movimenti di Thrud, che era ancora seduta per terra.
“Per
nulla rassicurante” aveva detto Stellan nervoso,
“… ma fortunatamente, si fa per dire, le regole di
un mondo assai preciso ora
stanno collassando. Quindi forse funziona” aveva scherzato
forzatamente Fred.
“So
già la risposta, ma lo chiederò comunque, non
abbiamo modo per mandare un messaggio?” aveva chiesto Jason,
ricordando la
conversazione che aveva avuto con Madina, dove lei aveva citato un
gorilla
gonfiabile. “Così possiamo avvertire
Samirah” aveva aggiunto, pensando al sogno
in cui la dea Frigga aveva incaricato la giovane valchiria di ritrovare
la
testa scomparsa di Mimir.
“Skirnir
è la cosa più simile ad un dio messaggero, ma
non credo che ci darebbe molto retta” aveva considerato
Stellan, “Un ergi
particolarmente dotato potrebbe usare la magia per mandare messaggi. Ma
ehi, io
non sono uno particolarmente dotato, penso che voi due siate
più talentuosi di
me” si era lamentato Fred.
Le
rune che stava incidendo nella terra erano
abbastanza grandi, quanto due palmi di un uomo adulto affiancati e
profonde
nella terra almeno cinque centimetri.
Dopo
ogni runa, che Fred aveva inciso, si impegnava a
spostare la terra con le unghie per essere sicura non si deformasse di
neanche
un millimetro. “Non esiste davvero un modo per
comunicare?” aveva chiesto Jason
con un tono quasi lacrimoso, sconvolto da quel caotico sistema.
Tra
greci e romani esistevano almeno tre-quattro
mezzi: le Aquile, i messaggi di Iris e Fiocca, le raccomandate di
Hermes e la ferrovia
dei sogni dei figli di Morfeo e Hyponos. “Davvero? Nessuna
magia? Creatura,
incantesimo? Dio?” aveva chiesto di nuovo.
“Sei
sordo? La magia stessa. Se sei un mago abbastanza
bravo puoi mandare un messaggio” aveva risposto Fred
infervorato. Stellan si
era morso un labbro, soppesando bene qualcosa, prima di schiudere le
labbra,
“Forse” aveva ammesso.
Jason
aveva fatto scattare la testa verso di lui,
anche Thrud, sinceramente interessata, e anche Fred, stupito e confuso.
Stellan
era diventato lo stesso color blu dei mirtilli e il verde delle sue
vene era
risaltato come sulla carta, “Mi sento molto
imbarazzo” aveva ammesso, “Mia
sorella” aveva ricominciato a parlare. Jason aveva pensato
all’elfa del suo
sogno, con l’espressione carica di rabbia e rancore,
“Mi ha detto che in alcune
parti dei nove mondi, al di là, del nostro cortile, diciamo,
esistono degli
esseri che portano messaggi” aveva cominciato imbarazzato,
“Non solo persona ma
anche tra vivi e morti” aveva spiegato. “Ingrid
è una personalità focosa e come
me è capitato che lasciasse Alfheim … una volta
ha conosciuto della gente di Túatha
Dé Danann” aveva spiegato.
“Ti prego non raccontarci tutta la tua vita, voglio solo
sapere le creature”
aveva replicato Fred, senza particolare cortesia. Jason lo aveva
fulminato con
lo sguardo per la scortesia ma non aveva voluto dire nulla,
perché comprendeva
la necessità di velocità.
Astrid poteva essere stata rapita, Jason doveva prepararsi ancora
all’Holmagang.
“Le api” aveva spiegato Stellan.
“Api?” aveva chiesto Fred confuso,
“Api?”
aveva ripetuto Jason, “Oh!” aveva esclamato Thrud,
“Come pensate di chiamarle?
Ballando la samba?” aveva chiesto poi divertita.
“Abbiamo almeno un dio delle api?” aveva chiesto
invece Fred arrestando le sue
incisioni nella nuda terra, Stellan aveva annuito,
“Sì. È un amico della
signora Gerd, anche se non è proprio un …
dio” aveva considerato Stellan. “Chi
lo avrebbe mai detto che come sempre in questo mondo le cose sono
sempre mai
come dovrebbero essere?” aveva chiesto Fred retorico.
Gli
occhi di Thrud si erano ridotti a due spilli,
forse confusa, forse no, ma Jason sapeva di chi stava parlando.
“Bee” aveva
detto attirando l’attenzione.
“Cosa?”
aveva chiesto Stellan, “Stai parlando di Bee,
volevo dire Bylest!” aveva risposto.
Lo jotun che aveva sempre le api con se e che permetteva alle sue
ragazze di
passare da un mondo all’altro e raccogliere il polline dai
fiori del cortile di
Gerd.
Sì.
“Oh!
Il fratello di Loki Laufysson!” aveva esclamato
Thrud, dando voce ai suoi pensieri.
“Bene, come lo chiamiamo questo Jotun che sicuramente non
vedrà l’ora di
aiutarci?” aveva chiesto Fred.
“Come si fa sempre? Ti siedi e preghi sperando che qualcuno
arrivi?” aveva
proposto Stellan.
Faceva abbastanza schifo come piano.
“Credo
che senza un sacrificio non verrà nessuno”
aveva sospirato Jason. “Di solito nei Blot”
aveva parlato Fred, “Così mi
ha detto Astrid si chiamano i riti che prevedono agli dèi,
si sacrificano, per
l’appunto, animali e-o persone, ma non solo, anche
oggetti” aveva cominciato
Fred. “C’è bisogno di un godijan,
un sacerdote, come Erik, ma forse
anche un ergi, come me, può andare bene.
L’importante è ciò che si sacrifica,
qualcosa che abbia valore, qualcosa che gli dèi possano
consumare” aveva
ricordato. “Inoltre, ecco, credo che tu sia comunque un
godijan? Sei un monaco,
giusto? Alla fine, Erik era un prete cristiano, pure” aveva
ponderato Jason,
quasi rimpiangendo di non aver ascoltato i consigli di Terminus e non
aver
intrapreso il corretto corsus honorum e non essere
diventato Pontifex
Maximus.
“Ad
Alfheim non facciamo più queste cose, la gente
preferisce i cocktail party e i video di piccoli gnomi che fanno i
buffi” aveva
cominciato Stellan, “Ma di solito deve essere un luogo
sacro” aveva mormorato.
“Non posso credere che un cristiano debba spiegarvi che ogni
luogo è sacro se è
ritenuto tale. Comunque, siamo alla presenza di una dea”
aveva detto,
ammiccando a Thrud. “Sapete? Nessuno mi definisce mai
così” aveva considerato
quella, con un’espressione leggermente adirata.
“Ti
sei chiamata dea tutto il tempo” aveva considerato
Jason, “Sì, io mi considero tale, ma per tutti
sono solo una valchiria
estremamente potente. La Possente Thrud, mai la Dea Thrud e nessuno mi
ha mai
definito sacra” aveva quasi gongolato. “Ovunque
risieda un dio e un luogo di
culto, sì” aveva ammesso Jason, ricordando una
vecchia lezione e decidendo di
ignorare apertamente la sua valchiria.
Rimane,
perciò, insoluta una domanda era: cosa
offrire? Oltre la sua vita?
Aveva
la sua libertà ma era già in palio per
qualcos’altro, restava solo Giunone e … aveva
abbassato lo sguardo sul suo
avambraccio, dove sapeva esserci il suo tatuaggio.
La
morte lo aveva privato dell’unica perla che Chirone
gli aveva dato, per celebrare la sua prima e unica estate di campo, e
il taglio
sul suo labro, che avevano reso il suo viso la Faccia di Jason Grace,
non
ricordava un giorno che non l’avesse avuta sul suo viso,
troppo piccolo per
ricordare un tempo prima.
Non
aveva più niente, solo quattro lettere, una saetta
e le bande che segnavano il suo tempo a Nuova Roma e a Campo di Giove.
Sapeva
che cosa sacrificare a Bee e sapeva che lo
Jotun se ne sarebbe nutrito con sommo gusto e divertimento.
Fred aveva inciso l’ultima runa ed aveva infilato la spada
nella terra, dove le
sue rune luccicavano di un rosso tempestoso e poi aveva detto con voce
cupa: “Frederic
da Clermont, cavaliere dell’ordine equestre del Santo
Sepolcro e spada di Dio
sceso in terra, figlio di Gerd, ho eretto questa prigione per Thrud La
Possente, figlia di Thor e Sif, ne stimata e traditrice del suo signore
Odino”
e nel farlo aveva usato il filo della lama per tagliare un palmo della
mano,
imbevendone il sangue che era gocciolato lungo il ferro, fino
a bagnare
l’erba e la terra.
Le
rune si erano illuminato dello stesso vibrante
rosso della sua spada, prima di affievolire in tenue rosso che era
rimasto
acceso, come una luce tenue e soffusa. “Va bene, Jason,
preparati a togliere il
tuo potere” aveva stabilito Fred.
Jason
aveva sollevato le mani ed aveva richiamato i
fulmini che si erano dissipati in schioppetti di luci e folgori fino ad
assopirsi e tutto quello che caricava l’aria di magia si era
rotto. Ed
improvvisamente lui si era ritrovato con l’aria dei polmoni,
come se fosse
uscito da una tomba, di nuovo vivo.
Fred
aveva impugnato la lama e Stellan sollevando le
mani pronto ad attaccare nel caso che Thrud si fosse liberata. La
valchiria
aveva allungato una mano ed aveva incontrato un muro d’aria
davanti a lei,
“Preferivo quella di Jason era più larga ma
… questa è decisamente più
respirabile” aveva considerato, “Mi dispiace
Frederik ma credo che Jason sia un
semidio più potente e forse anche un ergi più
promettente.”
Fred
l’aveva guardata: “J’en ai rien
à foutre.
Sono un seguace dell’unico vero Dio e del tuo parere non mi
importa” aveva
risposto seccato e cattivo.
“Bene,
pensiamo al sacrificio” aveva considerato
Jason, riuscendo a sollevarsi dalla posizione in cui si era seduto,
quando
aveva sentito i muscoli ricominciare a funzionare bene ed essere capaci
di
sostenerlo nella posizione eretta.
Fred
l’aveva guardato con i suoi occhi verdi intensi,
“No” aveva stabilito poi, “Avevo pensato
fosse una buona idea perché non
credevo di avere abbastanza abilità per tenerla prigioniera,
“Pensavo che
avrebbe dovuto combattere fino all’arrivo della Squadra
Suicida di Samirah. Ma,
ecco, con Gullinbursti potremmo essere a Fólkvang in
pochissimo e lì avremmo
tutte le valchirie che vuoi Jason. Oltre Madina e Mel” aveva
considerato
l’uomo, “E se dobbiamo affrontare uno stregone
esperto di alf seidr e figlio del
diavolo come Erik Freydisson abbiamo bisogno di tutto l’aiuto
che possiamo”
aveva terminato.
“Quindi
la lasciamo così?” aveva chiesto Jason,
ammiccando alla dea seduta tra le rune. “Non hai paura che la
tua prigione si
sciolga appena ti allontani?” aveva chiesto preoccupato,
“Jason, che mi piaccia
o no, sono un Ergi, non sarò uno bravo,
non sarò uno potente e non avrò
il potenziale, ma sono uno stregone. Un incantesimo non decade solo
perché ti
allontani, il tuo lo avrebbe fatto perché era fin troppo
arzigogolato, le rune
erano letteralmente fulmini che hai creato con le tue forze. Ma queste
sono
rune incise e sigillate con il sangue, forse Heidi potrebbe liberarla
sì” aveva
considerato Fred, “Ma lo farà? Tornerà
qui ad aiutarla? E se così fosse? Tutto
quello che Thrud doveva fare era chiuderci qui. Ora sappiamo il suo
segreto e
se non moriamo definitivamente, be, il suo segreto sarà
pubblico” aveva
stabilito con fierezza.
“Allora,
ciao Thrud e addio” aveva detto Jason,
guardando la sua valchiria con voce triste, “Per quello che
vale, Jason, mi
dispiace. Sul serio, volevo solo che la mia famiglia vivesse, che la
fine del
mondo non arrivasse mai e che io potessi stare con l’uomo che
amo” aveva
sospirato lei. “Lo fai sembrare molto ragionevole”
aveva ammesso Jason, triste.
Perché
Jason comprendeva quel sentimento, davvero,
nella sua forma più pura, era morto per quello, sarebbe
morto ancora ed ancora
per quello.
Avrebbe
fatto ciò che era possibile per un solo altro
minuto con Piper, per rivedere i suoi amici e per … evitare
che il mondo
finisse. Era pronto ad essere la tempesta che avrebbe fatto cadere il
mondo.
Avrebbe
dato tutto per salvare i suoi amici … anche
Thrud.
Ma
unirsi ad una terribile strega della vendetta?
Avvelenatrice
di menti?
“È
lastricata di buone intenzioni la strada per
l’Inferno” aveva considerato Fred,
nonostante le sue parole e la sua solita
attitudine, non c’era malizia né ferocia nelle
parole del monaco, ma erano solo
una fredda costatazione.
Forse
nel mondo norreno non c’era un inferno vero e
proprio in cui le anime avrebbero dovuto fare i conti – o
forse sì, con i
quattro aldilà Jason era confuso, come era confuso dalla
scala dei valori di
quel mondo – ma sembrava una risposta appropriata.
Thrud
aveva abbassato gli occhi e per la prima volta
non era sembrata una terribile valchiria ma una giovane ragazzina piena
di
sensi di colpa.
“Magari,
quando torniamo al Valhalla possiamo chiedere
a Bragi di mettere una buona parola con …” aveva
provato Jason, ma era stato
interrotto da Fred, “Non prendertela troppo a cuore, Jason,
le daranno massimo
una bacchettata sulle mani” aveva detto, “Non
è una ragazzetta senza arte né parte,
è una dea, figlia di Sif e Thor.”
Lui
si era morso il labbro, aveva pensato a suo
fratello Apollo, che era stato punito da loro padre con la
mortalità e
costretto a lavorare come servo. ‘Non dimenticare’
gli aveva detto e Jason
sperava non dimenticasse, così come guardando Thrud non
sapeva cosa sperare.
Capiva
le sue motivazioni, ma le sue azioni erano
state avventate e quasi criminose, eppure …
“Come stavo dicendo, parlerò con Bragi
perché metta una buona parola con tuo
padre sulla cosa di Aviss” aveva ripreso a parlare ignorando
il commento del
monaco e tutto quello che frullava nella sua testa.
Thrud
lo aveva guardato, spalancando gli occhi pieni
di sorpresa, aveva schiuso le labbra, come se avesse voluto dire
qualcosa, ma
alla fine aveva taciuto, preferendo regalare loro un sorriso quasi
dolce, molto
meno folle, ma quasi adorabile – Jason
si chiese come fosse possibile
essere così volubili – e contro ogni previsione
aveva parlato ancora: “Prima
devo dire di no, ma ora lo capisco bene cosa lei veda in te.”
Jason
pensava di sapere di chi stesse parlando.
Fred
aveva fatto roteare gli occhi, piuttosto
insofferente, dirigendosi verso il verro d’oro che era stato
ben felice di non
curarsi di tutta quella storia per gironzolare in giro con un certo
gusto,
probabilmente Gullibursti era il tipo di creatura a cui piaceva stare
in mezzo
agli altri senza doverci interagire.
“Prima
che tu lo dica Jason, probabilmente non è un
addio” lo aveva anticipato Thrud, scivolando supina
sull’erba, quasi rilassata,
“Va bene” aveva detto solamente Jason, “Ava
atque vale, come si dice
dalle mie parti” le aveva detto.
Ciao
e ti saluto.
“Farvel[6],
Lady Thrud” disse posato Stellan, facendole quasi un inchino.
Lei aveva
annuito, con gli occhi chiusi, quasi come se si stesse condendo una
pausa
rilassante, stesa in un campo, e non in una prigione di rune e poi
aveva
parlato, congedandosi da loro: “Farvelir[7],
prodi guerrieri.”
[1]
E’ un riferimento allo scontro tra
Wanda e Aghata in Wandavision!
[2]
Il Javelin come arma è molto romana
– ed era una lancia più da lancio che altro
– mentre la Spear è proprio la
lancia da combattimento e la più antica al mondo (di
età del Bronzo) è stata
trovata in Germania e possiamo valutare che gli dei aesi siano di
origine
germanica.
[3]
Questo è un delirio. Storicamente
Liv Dagsdotter di Vestmar, era la moglie di Halfdan il Mite Re di
Vestfold e
madre di Guðröðr
il Cacciatore Hálfdansson che è
stato a sua volta re di Vestfold e anche Re di Romerike (due regni in
territorio norvegese); era di origine sueone, apparteneva al clan dei
Yngling.
Questo particolare Clan si diceva discendente da Frey nella forma del
dio
Yngvi. I primi re di questa dinastia scadono molto nel mito (insomma
come
Romolo e Remo figli di Marte o Enea etc), nonostante ciò,
è una dinastia
storicamente esistita. Dunque, gli storici hanno deciso di porre la
linea di
demarcazione tra mito e storia nel momento in cui anche cronache non
epiche
hanno cominciato a parlare di loro, proprio con
Guðröðr il Cacciatore,
ponendolo come fondatore storico della stirpe dei Figli di Frey.
Così, ehi, ho
deciso che sua madre si è dilettata con il dio.
[4]
Si sta parlando di Natalie Chase,
il cinghiale che è molto critico, ha una bassa opinione
della donna anche in
base a ciò che sappiamo della sua famiglia, che era molto
intessuta con il
mondo “nascosto”. Personalmente adorerei se Riordan
ci raccontasse un po’ di
più dei Chase.
[5]
un bastone di metallo che veniva
probabilmente usato durante i rituali; alla Gandalf intendiamoci.
[6]
Era l’addio norreno (in uso fino al
1000 d.C.) quando ci si congedava da una donna.
[7]
L’addio norreno (in uso fino al
1000 d.C.) quando ci si congedava da un gruppo di uomini.