Falling Snowflakes di Cida (/viewuser.php?uid=22415)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A game we have to win ***
Capitolo 2: *** Temptation ***
Capitolo 3: *** Prova a prendermi ***
Capitolo 4: *** In the Blood ***
Capitolo 5: *** (The world doesn't need another) Dream Girl ***
Capitolo 6: *** Mr. & Mrs. Frost ***
Capitolo 1 *** A game we have to win ***
A_game
Questa one-shot partecipa
alla
"Real Life Challenge" indetta da Ilminipony sul forum di EFP.
Dettagli in
fondo.
Rating: Verde
|
Se c’era una cosa che tutta la cittadina di
J.
sapeva era che l’energia scaturita dalla rivalità
fra la giovane Elsa Bleket e
il suo coetaneo Jackson Overland sarebbe stata in grado di sopperire al
fabbisogno elettrico di una settimana intera.
J. non era molto
grande ma neanche così piccola da non
potersi permettere un istituto
scolastico in cui ospitare i suoi bambini e ragazzi. Elsa e Jack
si
erano, così, incontrati per la prima volta fra i banchi
della stessa classe e
si erano bellamente ignorati come solo i bambini e le bambine piccoli
sapevano
fare, finché non si erano ritrovati, con gli scarpini ai
piedi, a gareggiare
sullo stesso campo di atletica.
Erano entrambi
davvero bravi e, gara dopo gara, dove l'uno perdeva poi
recuperava e così via in un circolo vizioso che li portava
a migliorarsi
ancora e ancora, senza che nemmeno se ne rendessero conto.
Vederli gareggiare era uno spettacolo: Jack era uno
spirito libero,
energico e frizzante mentre Elsa era precisa,
metodica e si
muoveva sulla pista con l'eleganza di una vera regina.
C'era una cosa,
però, che li accomunava, capace di rapire chiunque li
guardasse: nei loro
esercizi erano così leggiadri e rapidi che sembrava
godessero dei
favori del vento
stesso.
Ogni gara era accesa,
infiammata, dal loro spirito di competizione, il che era davvero buffo
date le ondate di gelo
che si riversavano addosso e il
risultato finale non era mai scontato, almeno finché i loro
fisici non avevano
iniziato a crescere e il loro cambiamento era diventato,
improvvisamente, un
ostacolo troppo difficile da superare.
In soccorso
dell'orgoglio ferito di Elsa, incredibilmente, era venuta
la
cittadina di J. stessa che ospitava, sì, un istituto
scolastico ma non arrivava
ad averne uno di grado superiore. Così, le loro strade si
erano separate e le
loro gare si erano concluse. Tuttavia, l'orgoglio in certi frangenti rischiava di
rivelarsi più un limite che uno sprone: capace di
saziare solo per un istante
ma, poi, la fame tornava inesorabile e implacabile[1]. Quei
frangenti,
però, sia Elsa che Jack erano ancora ben lontani dal
comprenderli, sebbene ne
fossero già - loro malgrado - inesorabilmente risucchiati.
Complici studi e giri
di amicizie diversi, i due ragazzi avevano
cominciato a frequentarsi sempre meno e gli anni erano passati, li
avevano visti
laurearsi e, al
momento, prendersi un meritato periodo di riposo prima di lanciarsi nel
frenetico mondo del lavoro.
Elsa uscì dalla porta e inspirò a fondo
l’aria di J., l’aria
di casa.
Era arrivata il giorno precedente, dopo un lungo viaggio e tutto quello
di cui
aveva avuto bisogno era stato un bel sonno ristoratore e la compagnia e
l’affetto della sua famiglia.
Come ad ogni suo
ritorno, però, il giro di rito in solitaria non poteva
mancare: era
un piacere constatare come certe
cose non cambiassero mai, dando quella
giusta
dose di sicurezza in contrapposizione alla curiosità che
sapevano accendere
quelle piccole novità come un nuovo negozio, ad esempio, o
dei
vicini
trasferitisi da poco.
«Bleket?»
una voce familiare, sebbene un poco diversa dall’ultima volta
che
l’aveva sentita, la fece voltare.
Il suo sguardo si
accese non appena si rese conto di non essersi sbagliata
«Overland…»
Il sorriso che si
disegnò sulle le labbra di lui ebbe il potere di confonderla
per un attimo «Allora è vero che sei tornata, ho
saputo dei tuoi risultati
eccellenti. Congratulazioni!»
«Grazie»
si schermì un poco, presa in contropiede «A quanto
pare le notizie
volano qui, eh?»
Jack
sghignazzò «Lo sai com’è
fatta J., le notizie sono sempre sulla bocca di
tutti, soprattutto quelle belle… o quelle piccanti»
Lei si
trovò a ridere con lui, constatando come il ragazzo non
fosse cambiato
per nulla… se non che era diventato più alto, i
lineamenti più marcati, il
fisico più definito… perché cavolo
stava pensando a quelle cose? «Tu, invece?»
buttò lì, cercando un pretesto per evitare che
l’imbarazzo si trasferisse sul
suo viso «Temo di essere arrivata da troppo poco e non ho
ancora ricevuto la
mia giusta dose di pettegolezzi»
Il ragazzo
scrollò le spalle «Anch’io sono
finalmente libero dall’università e,
visto che sono stato via a lungo, prima di scoprire cosa mi
riserverà il
futuro, ho preferito tornare a casa per un po’…
come te, immagino»
Elsa annuì
e lui pensò che non fosse cambiata poi granché:
sempre di poche
parole, riservata… bellissima. A ben guardarla, forse, in due o
tre punti era decisamente
cambiata…
«Ti ho
trovata!» la voce squillante della giovane Anna si intromise
di forza
fra i loro pensieri e due esili braccia circondarono il collo della
maggiore
delle sorelle «Ciao, Jack!» lo salutò
con un rapido cenno del capo, per tornare
subito a richiamare l’attenzione dell’altra
«Ti stavo cercando, prima non sono
riuscita a chiederti se volevi venire al pub di Oaken:
Kristoff e i Reindeers suonano
lì»
Elsa
tremò: non che non amasse Kristoff e i suoi amici ma,
talvolta, sapevano
essere davvero chiassosi e invadenti e, cielo, non era
psicologicamente pronta per affrontarli quella sera «Ti
ringrazio Anna ma ecco,
io, sì… avrei già un
impegno…»
«Un
impegno?» chiese quella sospettosa «E con
chi?»
Lei si
liberò dolcemente dalla sua presa e si spostò di
un poco «Con lui» buttò
lì, senza pensarci, disposta a tutto pur di cavarsi da
quella rogna.
«Con
me?» trasecolò il giovane ora al suo fianco, prima
di beccarsi una
gomitata secca nelle costole «Ouch… Sì,
sì… con me, certo. Ci
siamo incontrati e ci siamo detti, perché non rivangare un
po’ di sana rivalità
del passato?»
Il sorriso che si
allargò sulle labbra di Anna aveva un
che di
inquietante «Allora va bene, ci vediamo più tardi
a casa» le si avvicinò per
baciarle una guancia come saluto ma, quando fu abbastanza vicina al suo
orecchio,
le sussurrò «Dove mi racconterai tutto!»
Quando si fu
allontanata, Jackson – ignaro - sospirò
«Dato che hai scampato il
pericolo e, in effetti, io non ho niente da fare… che dici,
andiamo al Luna
Park?»
Elsa non era poi così sicura di averlo scampato quel
pericolo, considerando
lo sguardo di sua sorella acceso dall’eccitazione, non appena
aveva pronunciato
quelle due maledettissime parole: aveva la netta
sensazione di
essere appena saltata dalla padella alla brace. Impegnata nei suoi
ragionamenti, comprese con un attimo di ritardo quel che lui le aveva
appena
detto. Alzò un sopracciglio divertita
«E’ un invito?»
Lui si strinse nelle
spalle «Abbiamo un finto appuntamento, tanto vale
goderselo, no?» lo disse volutamente con un tono di sfida
perché, lo sapeva, ciò
avrebbe di molto alzato le possibilità a favore della
risposta desiderata.
«D’accordo»
E infatti.
Il Luna Park di J. non era molto grande e si presentava solo
nel periodo delle vacanze estive. Contava fra le sue attrazioni ben
poche
giostre, un carretto dello zucchero filato che vendeva anche le mele
candite,
uno di bibite e pop-corn e alcuni stand di giochi di abilità
in cui, con la
giusta dose di bravura e fortuna, si potevano
vincere i classici premi.
Fra una pesca alle ochette e l'immancabile tiro a segno, svettava una
grossa
insegna luminosa: Derby
Race.
I due, nella loro giovinezza, avevano speso fior di paghette a spingere
palline
in quelle buche gialle, blu e rosse, tutti intenti a far avanzare i
loro
fantini issati su cavalli meccanici tirati a lucido, in quella corsa
concitata
verso il
traguardo.
Non appena arrivarono lì davanti, Jackson si
voltò verso la ragazza al suo
fianco – fino a quel momento chiusa in un silenzio
imbarazzato - e trovò i suoi
occhi accesi dalla stessa sensazione che, era certo, brillava anche
nei
propri. Si frugò nella tasca dei pantaloni e tirò
fuori un dollaro sgualcito
«In memoria dei vecchi tempi?»
Elsa sorrise e annuì. Si avvicinarono al banco di gioco e
presero posto,
rigorosamente il solito di sempre.
«Due gettoni, per favore»
Nell’attesa che anche gli altri partecipanti fossero pronti,
lei ne approfittò
per legarsi i lunghi capelli biondi in una morbida treccia, in modo che
non la
infastidissero durante la gara. Lo scoprì a fissarla e si
imbarazzò «Sei pronto
a perdere?»
Lui sgranò gli occhi, comprendendo di essere stato colto in
flagrante ma, come
lei, ci mise giusto mezzo secondo a ripararsi dietro ad una giusta dose
di
spocchia «Come sarebbe? Se è il migliore quello
destinato a vincere, non ho
nulla da temere»
Elsa roteò gli occhi al cielo, nello stesso momento in cui
il padrone
dell’attrazione invitava a prepararsi per la partenza
«Staremo a vedere» sibilò fra i
denti.
Il suono di una tromba diede il via alla gara, lanciarono.
«Chi
vincerà? Il ragazzo o la ragazza?»
I due si scambiarono
uno sguardo di sfida, mentre le mani battevano frenetiche
sul bancone per far scendere più velocemente la pallina.
Ultimo lancio: cavallo
bianco contro cavallo grigio, gli altri ormai persi lungo i verdi
binari di
plastica. *Swiss*, le sfere rotolarono sul
piano di appoggio e
oscillarono perfide fra i buchi dai bordi colorati, dondolarono e
dondolarono ancora finché non caddero in quello designato:
uno rosso, l’altro
blu.
*Driiiiiiin*
L’assordante
suono del campanello decretò la fine della corsa ed elesse
il
vincitore: il muso del cavallo bianco era rimasto un centimetro - di troppo
- dietro a
quello del cavallo grigio.
«Sì!»
esultò Jack, mentre alzava entrambe le braccia
al cielo, senza
ritegno «Sono
il re del mondo!»
Si voltò
verso la sua sfidante e vi lesse in viso la stizza della sconfitta. Rapido
portò
una mano alla tasca dei pantaloni e ne estrasse il cellulare. Ancor
prima che
lei riuscisse a capire le sue intenzioni, lui le aveva già
scattato una foto.
«Perché
diamine l’hai fatto?» il suo nervosismo, se
possibile, aumentò.
«La tua
faccia…» sghignazzò l'altro impertinente «Me la voglio godere tutta!»
«Tu.Sei.Impossibile!»
sentenziò gelida, prima di voltargli le spalle e
allontanarsi.
Jackson scosse la testa e sbuffò: ovviamente l’avrebbe
raggiunta ma, prima,
c’era assolutamente un’altra cosa da fare.
Quando avvertì la sua mano sulla spalla, ad Elsa la
sconfitta bruciava ancora e
non poco «Hai intenzione di continuare a prendermi in giro a
lungo?»
Jack scosse la
testa in segno di resa «Assolutamente no, sono qui per
offrire un segno di pace» sorrise, rivelando quel che teneva
nell’altra mano,
fino a quel momento sapientemente nascosta dietro alla schiena.
«Non
penserai di comprarmi con un pupazzet… oh, ma è
troppo carino!» ogni
proposito battagliero crollò di fronte a quella morbidissima
salamandra di
peluche azzurro, con due adorabili occhioni dolcissimi[2]
«Questo non significa
che sei perdonato…»
L’altro
sogghignò divertito «Andiamo, vuoi dirmi che se
avessi vinto tu non mi
avresti tartassato da qui all’eternità?»
Finalmente anche lei
tornò a sorridere «Può
darsi…» concesse, dandogli un
leggero colpo alla spalla con la propria, mentre stringeva al petto il
dono
appena
ricevuto.
«Tutta
questa tensione mi ha messo una gran sete, ci beviamo qualcosa per
sugellare la tregua?»
Lei finse di pensarci
su per un attimo «Perché no?»
Elsa non beveva spesso: di
certo non disdegnava una
birra fresca per stemperare le afose temperature estive o un buon
bicchiere di
vino durante una cena al ristorante, ma da qui a dire che fosse una
gran
bevitrice ci passavano giusto quei quattro o cinque cocktail di mezzo.
Perciò
una volta finito quel liquido fresco, capace di andar giù
subdolamente come la
più innocente delle bevande, si era improvvisamente trovata
con i pensieri
rallentati, come ingrovigliati in un intruglio di melassa, e con le gote
della
stessa tonalità di quelle di un’adolescente alla
prima cotta. Il fatto che il
profumo di lui arrivasse - leggero e invitante - a solleticarle le
narici, non
c’entrava proprio niente di niente.
Improvvisamente la terra
sotto ai suoi piedi cominciò a sembrare non più così stabile,
perciò, decise di prendersi una pausa dalla loro passeggiata
e ritrovò sicurezza
posando le mani su un corrimano lì vicino. Lui si
fermò al suo fianco, poco
distante «Sai già dove andrai?»
chiese tutto d’un tratto.
Elsa si stupì di
quella nota malinconica che gli avvertì nella voce
«No, ma l’ignoto
non mi spaventa»
Jack sbuffò appena
«Già… è una sfida, no?
Perché dovrebbe?»
Lei sorrise e
annuì, l’aveva capita perfettamente «E
tu?»
Anche lui scosse il capo
«No: certo, l’idea di allontanarmi definitivamente
un
po’ mi destabilizza ma, forse, J. è un posto
troppo piccolo per tipi come noi»
Elsa sorrise di nuovo
«Hai
ragione ma ciò non significa che non possa rimanere il
nostro
posto sicuro in cui tornare»
«Hai altri posti
sicuri?»
Forse per colpa
dell’alcol, o forse perché non voleva capire, il
significato
nascosto in quelle parole le rimase oscuro «In che
senso?»
Jack non la guardò
più «Hai qualcuno che ti aspetta da qualche parte?»
Una domanda così
diretta non se l’aspettava, avvampò
«Assolutamente no…»
rispose in tutta fretta, nell’imbarazzo più totale
«Sei veramente uno stupido,
Overland» borbottò sottovoce poi, guardandolo di
sottecchi «In tutto questo
tempo non ti sei mai accorto che a piacermi eri
tu…» sgranò gli occhi e si
portò una mano alla bocca che, di fatto, si era appena
aperta contro la sua
volontà.
La speranza che lui non
l’avesse sentita s’infranse non appena
incontrò uno
scintillio di puro divertimento nel suo sguardo «Ah e
così ti piacevo…» le
disse, senza nemmeno cercare di trattenere quel sorriso sfacciato che
gli era
cresciuto sulle labbra. Si chinò quel tanto che bastava per
portare il viso
all’altezza di quello di lei e, poggiando il gomito sulla
staccionata, adagiò
il mento sulla propria mano «E sentiamo… ti
piaccio ancora?»
Lei assottigliò
gli occhi e inspirò col naso, gonfiando appena le guance
risentita… oh,
al diavolo:
gli arpionò il colletto della camicia e lo
attirò a sé. Quando le loro bocche si staccarono
si riscoprì senza fiato, con
un calore in corpo che niente aveva a che fare con quello che aveva
appena
bevuto «Tu che dici?» lo sfidò con lo
sguardo.
Lo stupore sul
viso di lui
durò solo per un istante «Dico che non sono io
l’unico stupido qui…» e, questa volta, non ebbe
bisogno di lasciarsi trascinare per un unire di nuovo le labbra alle
sue.
Ciao a tutti!
Riapprodo su questi lidi
approfittando dell'ispirazione che i trope legati al mio segno
zodiacale hanno saputo regalarmi, i quali prevedevano: fake dating, rivals to lovers
e drunken confessions.
Questa shot partecipa alla "Real
Life Challenge" indetta da Ilminipony(Leila91)
sul forum
EFP che richiedeva di inserire un episodio di vita vissuta all'interno
della storia. Ebbene sì, io amavo (e amo tuttora) alla
follia questo giochino dei cavalli del Luna Park e nella mia vita credo
di aver fornito al giostraio una buona parte di budget per i suoi
acquisti (Il "Chi vincerà? Il ragazzo o la ragazza?" era una sua
frase tipica). E, come dire, sono anche un tantinello competitiva
quando
c'è da mettersi in gioco ù_ù Ho anche provato
sulla mia pelle cosa significa essere in quello status leggermente
alterato in cui intimamente ragioni ancora lucidamente ma, di fatto, la
bocca va per i fatti suoi e ti ritrovi a pensare "Ma cosa cavolo sto
dicendo?". Come autosputtanarsi in tre, due, uno... XD
La challenge
prevedeva, inoltre, l'utilizzo facoltativo di alcuni prompt tratti da
citazioni e qui si sono praticamente inseriti da soli: il "Sono il re
del mondo" di Titanic pronunciato dai Jack (uazuazuaz XD) e il "Me la
voglio godere tutta" dal cartone animato Robin Hood.
Quando ho scritto della cittadina di J., lo ammetto, ho pensato al
paese di Jelsa che si trova in Norvegia (!) (ditemi voi se
non è un segno chiarissimo del destino) ma qui è stato
trasformato in questa non meglio definita località
americana. Si ringrazia infinitamente blackjessamine per
avermi fatto entrare questo espediente nella testa con il paesino
di B. della sua storia.
Come da specchietto, tutte le prossime AU (che non prevedano più
capitoli) che mi verranno in mente su questi due adorabili ghiaccioli verranno
inserite in questa raccolta.
Spero che questo inizio vi sia piaciuto: grazie per aver letto e
grazie a chiunque vorrà perdere un pochino del suo tempo a
farmi sapere cosa ne pensa.
Alla prossima
Cida |
[1] Tratto dalla canzone "Per Sempre" di Nina Zilli.
[2] Sì, è il
pupazzetto di Bruni (Più e più riferimenti ai rispettivi
film di appartenenza sono sparsi per tutto il testo. Sapreste trovarli
tutti?)
|
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Capitolo 2 *** Temptation ***
Temptation
Questa one-shot partecipa
alla
"AU!Week" di M a k o.
Prompt sviluppato: Angel/Demon!AU (in particolare GoodOmens!AU)
Rating: Giallo
|
Il rombo di una moto in avvicinamento portò la ragazza,
comodamente seduta al tavolino di un bar, ad alzare lo sguardo dalla
sua tazza
di tè fumante e posarlo su una naked dai colori arroganti
che aveva appena
parcheggiato a pochi passi da lei.
Soffiò
leggermente sul liquido caldo e rivolse uno sguardo tagliente al pilota
che, senza troppi complimenti, aveva preso posto sulla sedia accanto
alla sua
«Perché devi essere sempre così
teatrale? Ti guardano tutti… potevi metterti un
casco, almeno»
Il giovane si
portò una mano a sistemare i capelli argentei scompigliati
dal vento
della corsa
«Angelo, non dirmi che ti preoccupi per me?»
celiò, scostandosi
la bandana dal viso e mostrandole un sorriso sbieco. Non
c’era bisogno di
vedere i suoi occhi, al momento coperti da un paio di scuri occhiali da
sole,
per percepire l’ironia che li accendeva «E scusami
se ti correggo ma non è me
che stanno guardando» le regalò un sorriso
più ampio che mise in mostra due
canini sospettosamente più lunghi del
normale «Vestita così hai appena
condannato alla dannazione eterna i tre quarti degli uomini qui
presenti» piegò
appena il capo, come se fosse in ascolto di qualcosa «E anche
alcune donne, a
quanto pare»
Lei roteò
gli occhi al cielo, quasi esasperata, ma non si poteva negare che
l’altro avesse
pienamente ragione: con quel tubino bianco che lasciava intravedere la
schiena
pallida, sotto ad un intricato pizzo dal motivo floreale, e i lunghi
capelli
biondi magistralmente raccolti in un’acconciatura alta, era
senza ombra di
dubbio una visione paradisiaca - letteralmente - ma in grado di innescare
in chiunque la guardasse
pensieri tutt’altro che puri.
«Vuoi
ordinare o no?»
Lui sbuffò
appena e alzò una mano per richiamare l’attenzione
di una giovane
cameriera «Un bicchiere di Chateu Mont-Redon»
«Mi
dispiace, Signore, non lo abbiamo al bicchiere, solo a
bottiglia…»
«L’intera
bottiglia andrà benissimo»
«Sono solo
le dieci e devi guidare…» lo riprese lei, quando
l’altra era già
abbastanza lontana.
Lui alzò
le spalle con noncuranza «Miracolerò via gli
effetti, non temere»
Quando la cameriera
tornò con la bottiglia, lui aspettò che
l’aprisse e
confermò, con un cenno, il suo gradimento per
l’assaggio che gli aveva appena
offerto. Prima che potesse allontanarsi nuovamente, però, le
sfiorò
appena la mano «Ancora una cosa, cara…»
il rossore sul viso di lei si acuì
maggiormente quando lui si alzò e le sussurrò
qualcosa all’orecchio. Quella annuì
imbarazzata e sparì veloce all’interno del locale.
Sentire uno sbuffo
irritato gli causò l’insorgere di un nuovo sorriso
«Che c’è
Angelo, sei gelosa?»
L’altra
arrossì appena «Assolutamente
no…» bofonchiò risentita «Che
cosa le hai
detto?»
«Lo
scoprirai presto…» la invitò a voltarsi
con un cenno del capo, cosicché
potesse vedere la ragazza tornare con un piccolo piattino su cui erano
gradevolmente
adagiati cinque cioccolatini di pregevole fattura.
Suo malgrado, gli
occhi le si illuminarono davanti a quella vista invitante ma,
orgogliosa com’era, la sua espressione divenne subito torva
nell’incontrare
l’ilarità sul volto del compagno «Tu sei
un diavolo
tentatore»
Lui ghignò
«E’ proprio quello che sono, in effetti. Coraggio,
perché non ne
assaggi uno?»
Lei
tentennò indecisa ma, incapace di resistere,
allungò una mano dalle dita
affusolate e ne morse uno, scoccando un’ulteriore occhiata
infastidita allo sguardo tronfio dell’altro che non poteva
vedere ma riusciva,
senza ombra di dubbio, a sentire su di sé. Quando il
cioccolato le si sciolse
in bocca, però, la sua espressione non poté fare
a meno di distendersi
nuovamente e un mugolio di piacere le sfuggì dalle labbra.
Aveva ancora gli
occhi chiusi quando avvertì la sedia dell’altro
spostarsi e
farsi più vicina. Alzò le palpebre e, questa
volta, fu il suo turno di
regalargli un’espressione ironica, ben consapevole
dell’effetto che aveva
appena avuto su di lui «Problemi, Demone?»
Lui
abbassò appena le lenti per guardarla con i suoi occhi
glaciali ma la
pupilla felina che, di solito, li animava era ora pericolosamente
riempita dall’eccitazione
«Nessun problema» le rispose prima di andarle a
sfiorare la bocca con le dita
«Hai ancora un po’ di cioccolata qui, lascia che te
la tolga» e si chinò,
avvicinando pericolosamente le labbra alle sue.
«Siamo in
un luogo pubblico» gli ricordò lei ma non si
ritrasse.
Lui sorrise appena
«Vorrà dire che dovrò aggiungere
l’invidia alla lista
dei peccati dei presenti» e unì la bocca alla sua.
Ciao!
Ritorno con questa piccola shot che in realtà ha visto la
luce agli inizi di Maggio. Essendo molto corta non me la sono sentita,
al tempo, di pubblicarla in solitaria ma direi che questa raccolta sia
assolutamente il posto suo!
E' vero, Elsa e Jack in queste righe non vengono mai chiamati per nome ma spero
siate riusciti a sentirli
in queste righe come li ho sentiti io.
Non è stato facile decidere chi scegliere dei due per
interpretare Aziraphale e Crowley perché, diciamolo, sia
Elsa che Jack starebbero bene in entrambi i panni angelici e demoniaci
ma, alla fine, considerando l'amore di Elsa per il cioccolato,
trasformare lei in Aziraphale è venuto da sé ;)
L'aspetto di Jack è, per forza di cose, leggermente cambiato
per renderlo più creatura delle tenebre; Elsa, invece, non
ha avuto bisogno di modifiche per rendere il suo aspetto più
angelico.
Finiranno tutte con un bacio? Non lo so, giuro che è un caso
XD
Questa one-shot è dedicata a M a k o che, con i
suoi promt per la AU!Week, mi aveva fatto partire l'ispirazione a
schioppo e ha avuto il piacere - spero - di leggerla in anteprima. Il
prompt prevedeva una Angel/Demon!AU ma, grazie alle fluffosissime
storie di leila91
con Azi goduriosi, trasformarla in una GoodOmens!AU è stato
quasi un obbligo, perciò, questa storia è
dedicata anche a lei.
Al solito vi ringrazio per aver letto!
Alla prossima
Cida |
|
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Capitolo 3 *** Prova a prendermi ***
Prova_a
Cat'sEye!AU - OcchiDiGatto!AU
Elsa è una giovane donna che di giorno gestisce un locale
chiamato Ice
Café, mentre di notte è una ladra che,
supportata dalla geniale sorella Anna, ruba per scoprire quali segreti
si celino dietro il loro triste passato.
Jackson, Jack, Overland è un brillante detective del
distretto di
polizia della città, ha una cotta non poi troppo segreta -
probabilmente ricambiata - per la proprietaria del bar che è
solito frequentare e ha un solo e unico scopo nella vita: catturare la
ladra Snow Queen.
Rating: Arancione
|
L’umore
del detective Jackson, per gli amici Jack,
Overland era livido, così come il suo occhio destro.
Aveva passato la notte praticamente in bianco sulle tracce della ladra
che, da
diverso tempo, stava facendo ammattire tutti i corpi di polizia del
paese, lui
compreso. Snow Queen era il suo
nome e sembrava uscita
direttamente da un romanzo o da uno di quei cartoni animati giapponesi
dove il
ladro - o le ladre - inviava un biglietto di sfida alle forze
dell’ordine,
mettendo con arroganza i riflettori su quello che sarebbe stato il suo
prossimo
colpo e, nonostante questo, riusciva sempre ad andare a segno e farla
franca.
Nessuno l’aveva ancora ufficialmente avvistata per cui la sua
identità era
avvolta dal totale mistero, c’era anche chi era assolutamente
convinto che,
nonostante il nome, sotto quelle mentite spoglie ci fosse un uomo,
forse perché
pensavano, più o meno inconsciamente, che un essere umano di
sesso femminile non
avrebbe potuto mai
essere così scaltro. Jackson, però, non era fra
questi, il suo sesto senso gli
suggeriva chiaramente che si trattasse di una giovane donna e quella
figura
minuta avvolta da capo a piedi in un’aderente tuta scura, che
quella notte
aveva inaspettatamente attirato la sua attenzione, non aveva che
confermato i
suoi sospetti. Peccato che l’inseguimento, scattato subito
dopo, si era
concluso con la più grande figura da pollo della sua
carriera, grazie al quale
si era guadagnato l’occhio pesto e le risate di scherno dei
suoi agenti.
Per questo riservò uno sguardo tagliente alla porta a vetri
che si era appena
aperta docile al suo passaggio, consentendogli l’ingresso
all’Ice Café,
se non che la contrazione della guancia gli provocò una
scarica di dolore che
gli fece scappare un grugnito infastidito dalle labbra.
Dopo la caccia fallimentare era tornato a casa a lavarsi via
l’onta del
disonore e a cercare di recuperare alcune – poche –
delle ore di sonno perdute
ma, prima di tornare di nuovo al lavoro, aveva davvero bisogno di
mettere
qualcosa sotto ai denti e, sì, anche il solo passare qualche
minuto con una
persona in particolare non avrebbe di certo guastato. Quando la vide
dietro al
bancone, bellissima come sempre, improvvisamente si pentì
della sua scelta,
visto lo stato pietoso in cui si trovava, sembrava finito
sotto…
«Ehi, Jack!» esordì una giovane ragazza
dai capelli rossi, seduta ad uno dei
tavolini, mentre finiva di riempire la sua tracolla «Snow
Queen ti ha travolto
con una schiaccia-sassi, per caso?»
Ecco, appunto.
«Anna…» la riprese la sorella,
mentre finiva di asciugare un bicchiere «Non
si prendono in giro i clien… oddio!»
sgranò gli occhi non appena posò lo
sguardo su di lui «Che cosa ti è
successo?»
Jack trasalì «Infortunio sul
lavoro…» buttò lì,
arrossendo un poco
«Colluttazioni, cose così…»
di certo non le avrebbe detto che si era schiantato
contro ad una porta a vetri come un fesso.
Elsa, perché questo era il nome della ragazza dietro al
bancone del bar,
sghignazzò appena, come se fosse consapevole che le stesse
nascondendo qualcosa
di imbarazzante di proposito «Anna…»
disse inaspettatamente «Hai ancora qualche
minuto prima delle lezioni, giusto?»
Quella annuì «Sì, Kristoff non
passerà a prendermi prima di un quarto
d’ora…»
L’altra liberò la spalla dai capelli raccolti in
una morbida treccia
che vi era appena scivolata
sopra e si sfilò il grembiule «Allora bada un
attimo tu ai clienti, per
favore…»
«Agli ordini, capo» concesse la sorella minore,
facendole un occhiolino carico
più che mai di sottintesi eloquenti.
Elsa roteò gli occhi al cielo e si avvicinò al
detective, prendendogli una mano
con la sua «Coraggio, seguimi»
Jackson balbettò un imbarazzatissimo
«D’accordo…» per ritrovarsi,
poco dopo,
seduto su di un piccolo sgabello del bagno sul retro.
«Chiudi gli occhi…» la sentì
dire mentre gli dava le spalle, obbedì.
Ci fu un piccolo schiocco e il fruscio dei movimenti di lei che
armeggiava
con qualcosa «Se ti faccio male dimmelo…»
Annuì e cominciò ad avvertire il picchiettio di
una spugnetta morbida
sull’attaccatura del naso tumefatta, inevitabilmente
tirò appena l’occhio per
via del dolore. La vide sorridere dalle palpebre socchiuse
«Faccio
presto, te lo prometto…»
Fu assolutamente di parola.
«Allora? Che ne dici?»
Jack si guardò allo specchio, il livido sparito
«Wow…» e non era dato sapere se
lo disse perché era sinceramente ammirato dal suo lavoro o,
più che altro, dal
riflesso che lo specchio gli stava regalando.
Dovette fissarla un po’ più di quanto fosse
consono perché Elsa arrossì un poco
«Che c’è?»
«Niente…» scattò quello
sull'attenti all'improvviso, altrettanto in imbarazzo
«Grazie davvero… sembra proprio che non mi sia
successo niente»
Lei alzò le spalle divertita «Figurati,
è stato un piacere aiutarti… coraggio,
andiamo di là che ti preparo la colazione, non ti rimane
più molto tempo»
Lo anticipò per uscire da quella stanza che sembrava essersi
ristretta
misteriosamente, costringendoli a stare un po’ troppo
vicini rispetto a quel che erano di solito. Prima che potesse farlo,
però, lui la
bloccò, riportando la mano nella
sua «Posso offrirti una cena Sabato sera?»
Questo improvviso slancio di coraggio, da sempre nascosto dietro a
sguardi e
sorrisi fugaci, lasciò per un attimo entrambi perplessi.
Elsa fece scivolare impercettibilmente lo sguardo sulle loro mani unite
e
decise di rivestire l’imbarazzo con un bel cappotto
d’ironia «E’ solo per
ringraziarmi del trucco o vuole essere un vero appuntamento?»
gli chiese,
inarcando un sopracciglio. Sperò che il suo tono di voce
fosse fermo quel tanto
che bastava a nascondere il cuore che le rimbombava nel petto
all’impazzata.
Ormai era decisamente tardi per fare marcia indietro «Ti
darebbe fastidio se lo
fosse?»
Questa volta fu il turno di lei di spazzare via ogni timore,
ritornò verso di
lui e gli posò la mano libera sulla spalla, alzandosi in
punta di piedi per
andare a lasciargli un leggero bacio sulla guancia «Decifri
questo indizio
detective e, sono certa, lo scoprirà»
Il loro primo appuntamento era andato a gonfie vele. Inizialmente, il
mangiare il sushi al nastro non era sembrata ad Elsa un'idea
prettamente
romantica ma, con l’andare della serata, si era dovuta
ricredere perché
l’essere seduti affiancati li aveva privati
dell’imbarazzo di trovarsi occhi
negli occhi, evitando che inopportuni silenzi calassero tra loro,
riempiti
dalla foga dell’accaparrarsi al più presto le loro
pietanze preferite o il
disperarsi quando un vicino gliele soffiava per un pelo. La
necessità di
toccarsi, poi, veniva magistralmente celata dalle sedie troppo vicine,
per cui
non era strano se le spalle si sfioravano per caso o se le mani
scivolavano
contemporaneamente verso il contenitore della salsa e lo
sporgersi per
guardarsi negli occhi, regalarsi un sorriso, diventava qualcosa di
voluto e non
un’imbarazzante costrizione.
Dopo la cena avevano
camminato a lungo e parlato senza freni, ritrovarsi con le
mani allacciate una nell’altra era stata una conseguenza
quasi annunciata,
mentre gustavano una deliziosa crepe sul lungo mare e lui le
impiastricciava
bonariamente il naso con la copertura dell'impasto.
Il bacio che si erano
scambiati davanti alla porta di casa di lei era stata la
giusta conclusione di una serata magica e Jack se
n’era andato
con un sorriso ebete stampato sulla faccia che si era presto tramutato
in una
vera e propria risata quando, dal nulla, tutte le luci del salone si
erano
accese, rivelando come Anna non stesse affatto dormendo ma stesse
aspettando la
sorella per farle il terzo grado. Prima di salire in macchina per
tornarsene al
suo appartamento, si era morso appena le labbra a ricercare il sapore
di lei
che sapeva di gloss e zucchero a velo. In cuor suo, sperò
ardentemente che
quell’appuntamento fosse solo il primo di una lunga serie.
Il
secondo appuntamento, però, finì con l'andare
inesorabilmente in fumo perché Snow Queen aveva pensato bene
di far coincidere
quello che sarebbe stato il suo ennesimo colpo proprio con lo stesso
giorno e
Jackson era stato, per forza di cose, risucchiato dai suoi doveri di
poliziotto. Al telefono con Elsa si era sentito mortificato e visto che
nuovamente la ladra sembrava magicamente sparita, rendendo quella
serata
rovinata vana, era - al momento - anche molto arrabbiato.
A notte fonda, tutti
gli agenti si erano ormai ritirati mentre lui era rimasto
perché l’ennesima sconfitta gli bruciava talmente
tanto che non era ancora
riuscito ad allontanarsi da quel muro di cinta della villa residenziale
da cui
era stato appena sottratto un preziosissimo manufatto.
«Pare
proprio che ce l’abbia con me, detective»
Una voce metallica
alle sue spalle lo fece sobbalzare: seduta sul muretto, a
pochi passi da lui, c’era proprio la ricercatissima Snow
Queen. Come la prima
volta in cui l’aveva vista di sfuggita, era completamente
fasciata da una tuta
nera aderente e l’unica cosa che spuntava dal cappuccio era
un visore notturno
che le copriva interamente gli occhi, vederle anche solo un lembo di
pelle era
impossibile. Sul fatto che fosse una donna, beh, non c’era
più alcuna ombra di
dubbio.
«Tu…»
esordì preso completamente alla sprovvista «
…sei sempre stata qui, non
sei mai andata via»
La voce contraffatta
gli inviò una leggera risata «Perché darsi tanta pena
di scappare quando bastava aspettare che tutti se ne
andassero?»
«I cani non
ti hanno sentito…»
Lei saltò
agilmente giù dal muro «Detective, non
vorrà mica che le sveli tutti
i miei trucchi, adesso»
Jackson strinse i
denti «Perché mostrarti ora? Per
sfottermi?»
Snow Queen si mosse
in maniera deliberatamente lenta, sfrontata persino,
girandogli attorno «Così mi offende:
l’ho vista qui, tutto solo e abbattuto…
probabilmente con i piani per la serata rovinati. Non so, magari ha
dovuto dare
buca alla sua ragazza… e mi sono sentita in colpa»
gli passò un dito guantato
sotto al mento.
Lui si ritrasse
appena, facendo un paio di passi indietro e, quando le sue
spalle sfiorarono il muro, si rese conto di essere finito nella sua
trappola
«E’ il mio lavoro, lei lo
sa…»
La ladra
sembrò quasi delusa «Ah, allora una ragazza
c’è… che peccato»
Jack la vide
avvicinarsi nuovamente: questa volta non si sarebbe fatto cogliere
impreparato, l’avrebbe aspettata quel tanto che bastava per
sfoderare la
pistola e costringerla alla resa. Ancora un solo passo e avrebbe agito
ma,
prima di riuscire anche solo a portare la mano alla fondina, lei si era
abbassata agile come un leopardo delle nevi e lo aveva colpito alle
gambe,
facendolo cadere.
Aveva chiuso gli
occhi nel momento in cui la testa gli aveva sbattuto contro il
muro e, quando li aveva riaperti, se l'era ritrovata praticamente
addosso: le
gambe allacciate al bacino, il seno fasciato dalla tuta attaccato al
viso
mentre, con le mani, gli costringeva le braccia verso l’alto.
«Non
è per niente carino puntare armi contro ad una signora, non
la facevo così
maleducato, detective» lo rimproverò, mentre un
quasi impercettibile bip testimoniava
che avesse appena azionato qualche congegno. Ci fu come un leggero
sbuffo e
qualcosa di freddo avvolse i suoi polsi, incatenandoli ad un tubo
lì vicino.
«Manette di
ghiaccio?» chiese incredulo.
«Belle,
vero?» gongolò quella, riportando il volto coperto
all’altezza del suo
«Mi domando cosa direbbe la sua ragazza se ci vedesse
adesso… oh» disse,
stringendo appena le cosce, aumentando il contatto fra i loro bacini
già
estremamente vicini «Sono sicura che questo non lo
apprezzerebbe»
Jackson
arrossì violentemente, per l’imbarazzo e la stizza
di non riuscire a
contenere i fremiti che quel corpo tonico – praticamente nudo
- allacciato al
suo gli faceva scorrere sotto alla pelle, andandosi a concentrare in un
punto
ben preciso «Questo non significa
niente…»
Le labbra di Snow
Queen si tirarono sotto alla maschera, quasi stizzite «Non
sta a lei decidere…» gli diede un piccolo buffetto
sul naso e si alzò,
regalandogli ancora una volta una panoramica del suo corpo mozzafiato
«Fra un
paio d’ore si allenteranno…» lo
avvisò, con un leggero cenno del capo verso le
manette «E’ stato davvero un piacere, detective.
Chissà se ci sarà una prossima
volta…»
Jackson
scalciò «Fermati, maledetta, fermati!»
le urlò dietro, mentre cercava
invano di liberarsi dalla sua prigione di ghiaccio, ma quella non si
voltò più
e sparì nell’oscurità della notte.
Nonostante le ripetute scuse di Jack – e l’aver,
con
sapienza, deciso di tenere per sé
l’incontro ravvicinato con
Snow Queen - per via di quell'appuntamento mancato, Elsa era diventata
improvvisamente fredda e scostante nei suoi confronti. Il giovane
detective era
ben presto passato dal senso di colpa alla delusione per il
fatto che lei
sembrasse non comprendere i doveri che il suo mestiere comportava. Per
cui dopo
alcuni tentativi di ridistendere i rapporti miseramente falliti, aveva
semplicemente smesso di provarci. Tuttavia, non si era
precluso
la
possibilità di continuare a frequentare l’Ice
Café, un po’ perché la speranza
era l’ultima a morire e un po’ perché
non capiva come mai avrebbe dovuto
privarsi di andare in un posto che gli piaceva solo perché
la sua proprietaria
si ostinava a comportarsi da bambina dell’asilo e lui, al
momento, aveva
decisamente altro per la testa. I suoi ripetuti fallimenti nella
cattura di
quella ladra, ormai sulla bocca di tutti, gli avevano causato
l’affiancamento
di un altro detective proveniente dalla metropoli più
vicina, fresco fresco di
un bagno di gloria – di stampa e alti piani
dell’ordine – per l’aver
egregiamente concluso un caso davvero importante. Hans Westergaard era
il suo
nome e, con quegli attenti occhi verdi, sembrava sapere il fatto suo,
forse
anche troppo: infatti, anziché affiancarlo aveva –
a tutti gli effetti – preso
il suo posto, scavalcandolo e relegandolo a compiti che potevano essere
tranquillamente svolti da semplici agenti. Il ruolo defilato che gli
aveva
appena assegnato, per quello che sarebbe stato l’ennesimo
tentativo di cattura,
ne era una prova più che lampante. Decisamente aveva avuto
momenti migliori, su
tutti i fronti.
Ben
lontano dal farsi mettere i piedi in testa, però, si era
portato a
casa
le copie delle diverse planimetrie dell’hotel di lusso che,
da avviso, sarebbe
stato il luogo del prossimo colpo. L’asta di quadri e
gioielli si sarebbe
tenuta nell’enorme e sontuoso salone del pianterreno,
circondato dalla
vigilanza privata a cui la polizia avrebbe dato man forte, era quindi
improbabile che Snow Queen decidesse di agire sotto quelle luci
sgargianti e gli
occhi di centinaia di persone. No, molto probabilmente avrebbe agito
nei
magazzini, ad asta conclusa, prima che i nuovi proprietari potessero a
tutti
gli effetti accedere ai beni appena comprati. Quella stanza, tuttavia,
era cieca su
più
lati e aveva solo una porta, mentre il ricambio d’aria era
garantito
da un innovativo
processo di aerazione che precludeva ogni contatto con
l’esterno. Il
vecchio condotto era, invece, stato murato con due metri di cemento
armato. Come
diavolo
avrebbe fatto ad entrare e, soprattutto, uscire da lì? Si
sarebbe travestita?
Non ne aveva idea. Stanco morto scivolò nel sonno
direttamente sul tavolo della
propria cucina, con solo una convinzione nella mente: non avrebbe agito
come Hans si immaginava.
Per
il corpo agile e allenato di Snow Queen, scivolare
nei condotti di aerazione era un’azione quasi naturale.
Mentre saliva sempre
un po’ più in su, le venne
quasi da sorridere: fino a poco
tempo prima, la messa in atto di quel piano pareva impossibile
perché l’unico
modo per poter accedere a quel magazzino – e alle sue opere
– sembrava proprio
il vecchio condotto murato. Raggiungerlo e aprirlo senza farsi
scoprire, però, si
era rivelata un’impresa infattibile e stavano quasi per
rinunciarvi. Un aiuto
inaspettato era, incredibilmente, arrivato proprio dal cambio di
gerarchia
avvenuto sul suo caso. Nonostante fosse sollevata - e dispiaciuta al
tempo
stesso - che il detective Overland fosse stato ufficialmente
affiancato, e
ufficiosamente rimosso,
l’arrivo di Westergaard era
stato per lei una manna
dal cielo. Sebbene lo vedesse praticamente tutti i giorni e il loro
rapporto
fosse ben presto scivolato in qualcosa di più di una
semplice amicizia, Jackson
era sempre stato molto riservato sui dettagli di ciò che
avrebbe messo in atto
per contrastarla, rendendo di fatto ancora più eccitante l’idea
di sfuggire ai suoi tentativi di cattura ma Hans, al contrario, era un
vero e
proprio pavone: pienamente sicuro nelle sue capacità - che,
doveva ammettere,
sembravano notevoli – non aveva disdegnato di lasciarsi
andare a qualche
confidenza di troppo, dopo un paio di drink ingollati assieme ad
un’avvenente
ragazza dai capelli
corvini e
sognanti occhi
verdi, totalmente
rapiti dal suo acume e dalla sua bellezza. Era proprio così
che Anna,
sapientemente travestita, era venuta a conoscenza di ciò che
persino Jackson
ignorava: la collana di diamanti che doveva recuperare ad ogni costo,
non
sarebbe mai tornata nel magazzino dopo l'asta, lì avrebbero
portato una
semplice imitazione per attirarla in trappola, mentre quella vera
sarebbe stata
custodita in una delle suite dell’ultimo piano, in attesa che
il compratore
andasse a reclamarla.
In quella stanza,
beh, non c’erano condotti di aerazione
bloccati: immettere
del gas narcotico nell’aria condizionata era stato un gioco
da ragazzi; sfilare
la collana dal taschino di Westergaard che dormiva beato era stato
quasi
divertente; i ganci di ghiaccio con cui stava risalendo verso il tetto
si
sarebbero sciolti di lì a poco e non avrebbero lasciato
alcuna traccia, ancora
pochi metri e sarebbe uscita, pronta a fuggire.
Aprì la
grata sopra alla sua testa, sicura di averla fatta
franca ma non appena
mise mano sul pavimento per scivolare fuori, una manetta
scattò attorno al suo
polso sinistro e si sentì issare di peso sul cemento del
tetto.
«Snow
Queen, ti dichiaro in arresto»
Era lui: Jackson. Lo
stupore durò solo un istante,
d’altra parte, se si era
innamorata di lui – perché sì, lo amava
– un motivo doveva pur esserci: era
brillante, ok, anche irritante e talvolta sciocco ma possedeva un
coraggio e
una determinazione senza uguali, senza contare
quell’incredibile potere che
aveva di riuscire sempre a rallegrarle anche le giornate più
buie. Quell’unico
appuntamento che avevano avuto l’aveva fatta stare
così bene che si era
spaventata a morte: come avrebbero potuto stare insieme? Erano uno la
nemesi
dell’altra e il piano suo e di Anna veniva prima di tutto,
anche dell’amore.
Perciò, mandare tutto a rotoli le era sembrata la soluzione
migliore, sebbene
avesse fatto - e continuasse a fare - maledettamente male.
«Accidenti,
detective…» cercò
di ricomporsi «Questa volta mi ha proprio
fregato»
«Come hai
fatto a riaprire il condotto murato?»
chiese lui ignaro e, per
maggiore sicurezza, allacciò l’altra manetta al
proprio di polso.
Lei rise
«Suvvia, non mi faccia domande a cui sa
già non otterrà risposta» si
mosse appena e con la mano libera fece scattare qualcosa nella sua tuta
che
riavvolse velocemente il cavo a cui, fino ad un attimo prima, era
appesa «Piuttosto, come ha fatto lei ad indovinare che sarei
proprio uscita da qui?»
Jackson
assottigliò gli occhi «Non
muoverti» le intimò, senza soddisfare la sua
curiosità.
Snow Queen
aprì il palmo in segno di resa e sbuffò
«Giustamente anche lei ha i suoi segreti, lo comprendo. Sa
cos'altro mi domando, invece? E’
lei che ha preso me o sono io che ho preso lei?» e non appena
finì di
pronunciare quelle parole, si avventò su di lui, saltando
dal parapetto.
Jackson avrebbe
voluto darle della pazza ma il senso di vuoto che
s’impadronì
del suo petto gli tolse tutto il fiato per farlo. Sentì le
mani di lei che lo
guidavano a sistemarsi nella posizione corretta: durò tutto
una piccola manciata
di secondi, giusto il tempo di percorrere in un lampo quella distanza
che li
separava dalla terrazza con piscina, venti metri più sotto.
Scivolarono
nell’acqua dritti come fusi, toccando il fondale con i piedi.
L’impatto
improvviso e l’acqua ghiacciata dall’aria della
notte colsero il detective
completamente impreparato: avvertì a malapena i tentativi di
lei di trascinarlo
verso la superficie – i loro polsi ancora allacciati
– e scivolò nel
buio dell’incoscienza.
Riaprì gli
occhi solo grazie a delle spinte energiche di due
mani sul petto,
sputò l’acqua via dai polmoni senza ritegno.
Neanche perse tempo a domandarsi
come avesse potuto liberarsi dalle manette, l’unica cosa
su cui riusciva a
concentrarsi era quel mento delicato che spuntava dal cappuccio ora
leggermente
rialzato e poi c’erano loro: quelle labbra sottili che gli
avevano - molto
probabilmente – appena eseguito una respirazione bocca a
bocca salvandogli la
vita e, chissà perché, prima di richiudere gli
occhi, gli sembrò di avvertire
sulla lingua il sapore dello zucchero a velo.
Il fatto di aver deliberatamente disobbedito agli
ordini e di aver messo la sua stessa vita in pericolo era costato al
detective
Overland l’ufficiale estromissione dal caso e un lungo
periodo di ferie
forzate: da quel momento, Jack aveva smesso di frequentare
l’Ice Café. Elsa lo
aveva visto una volta soltanto: indaffarata com’era fra le
ordinazioni
mattutine, aveva alzato appena lo sguardo per via di quella costante
sensazione
di sentirsi osservata e lo aveva scorto fuori dalla vetrata, con
un’espressione
indecifrabile sul viso, mentre la fissava: non appena si era accorto di
essere
stato notato, aveva distolto lo sguardo e se n’era andato.
Era vero, non si era
presentata in ospedale quando l’avevano trattenuto un paio di
giorni per
assicurarsi che la caduta non avesse causato danni, soprattutto dato il
quasi
annegamento e la doppia perdita dei sensi, ma il fatto che Snow Queen
lo avesse
quasi ucciso – nonostante, poi, lo avesse anche salvato
– aveva definitivamente
aperto quella voragine di senso di colpa che la sua doppia vita aveva
scavato
pian piano.
Prima di inviargli un messaggio e chiedergli come stesse, si era
bloccata,
domandandosi per un attimo se lui avesse potuto riconoscerla ma,
scuotendo il
capo, si era detta che quell’eventualità era
impossibile: visto lo shock era
davvero improbabile che si ricordasse di quell’attimo in cui
aveva aperto gli
occhi prima di riscivolare nell’incoscienza e anche se
così fosse stato, alla
fin fine, che aveva visto? Giusto il suo mento per una piccola frazione
di
secondo.
Così aveva premuto invio e quel laconico Bene, che
aveva
ricevuto in risposta solo un paio di ore dopo, era stato un
po’ come ricevere
uno schiaffo in piena faccia, schiaffo che sentiva apertamente di
meritare.
Anna stava lavorando al computer su quello che sarebbe
stato il loro prossimo piano: nonostante le proteste di Elsa, al
momento di
sopra a concedersi un po’ di relax, sembrava non esserci
alternativa al far
entrare in azione anche la sorella minore, fino a quel momento geniale
spalla e
brillante supporto dalle retrovie. Dopotutto, bardate da Snow Queen,
nessuno
avrebbe mai potuto dire che sotto a quella tuta potessero esserci due
persone
diverse:
già si pregustava la stampa in visibilio per il fatto che
la famosa ladra sembrasse dotata anche del dono del teletrasporto. Certo, non
avrebbero mai dovuto farsi
vedere
vicine, in quel caso quei centimetri di altezza che le differenziavano
sarebbero stati più che mai rivelatori, ma lei sarebbe
dovuta essere l’esca per
distrarre gli inseguitori e permettere alla sorella di scappare, niente
di più,
niente di meno. Presa com’era dai suoi progetti, non
sentì subito il campanello
della porta, lo percepì solo quando suonò
più insistente. Si portò gli occhiali
da riposo sulla testa e mosse appena i lunghi capelli rossi dietro alle
spalle:
non aspettavano visite, prima di andare ad aprire abbassò
con cura lo schermo
del suo laptop.
Quando vide oltre lo spioncino e scoprì
l’identità del loro inaspettato
visitatore, ringraziò mentalmente quel riflesso automatico e
aprì la porta
«Ciao Jack, come mai qui?»
«Ciao…» la salutò lui senza
prestarle troppa attenzione, lo sguardo attento in
cerca di una certa chioma bionda «Dov’è
tua sorella?»
Lei si spostò per farlo entrare, ignara di quel turbinio di
pensieri che
vorticava nella mente del giovane detective «E’ di
sopra a fare il bagno, puoi
aspettarla qui se vu… ehi!» gli urlò
dietro quando lo vide prendere con
decisione la via delle scale. Lo rincorse e lo superò
decisa, impedendogli di
proseguire «Hai capito cosa ho detto? Bagno, mia sorella
nuda:
non credo sarà contenta di vederti
entr…»
«Anna» la interruppe lui, con
un’espressione che non gli aveva mai visto
riflessa negli occhi nocciola «Fammi passare… per
favore» quasi sospirò, come
se parlare gli costasse un immenso dolore.
E forse fu proprio per quello sguardo che la ragazza si
spostò e non gli impedì
di prendere il corridoio e sparire dietro l’angolo.
«Se poi ti uccide non dirmi che non ti avevo
avvisato…» borbottò e, con un'alzata di
spalle, tornò al piano di sotto.
Quando
sentì la maniglia della porta girare, i
riflessi di Elsa la portarono ad alzare la testa di scatto
«Anna, che succed…
Jack!»
Quasi
sobbalzò nel vederlo sulla soglia: si portò
immediatamente entrambe le
braccia a coprire il petto, ringraziando mentalmente la schiuma che
ancora non
si era dissolta. Rossa in viso come non mai, un po’ per il
calore e un po’ per
l’imbarazzo, scivolò un pochino di più
sotto il pelo dell’acqua per coprirsi
meglio di quel che già era «Che diavolo ci fai
qui? Come ti sei permesso di
entrare?» lo rimproverò arrabbiata.
Lui la
congelò con lo sguardo, non disse nulla e avanzò
risoluto verso la
vasca: si sedette sul bordo davanti alla sua espressione esterrefatta e,
rapido, tuffò un mano verso il basso, dritta verso il suo
petto, ancora coperto dalle
braccia, incurante di bagnarsi completamente la manica della camicia.
Elsa chiuse gli
occhi, umiliata, e li riaprì solo quando avvertì
il proprio
braccio sinistro – stretto nella morsa di lui –
fuori dall’acqua.
Jackson strinse i
denti: eccolo lì, quel segno roseo sul polso, prova
inconfutabile di un taglio recente che si stava rimarginando. Si era
più volte
chiesto di come potesse essergli finito quel sangue sulla camicia
bianca, il
giorno che era caduto in quella maledetta piscina assieme a Snow Queen:
lui non
aveva tagli o escoriazione di alcun genere, perciò quella
macchia rossa non
poteva che essere stata lei a lasciarla, probabilmente ferita
dall’acciaio
delle manette, mentre cercava di liberarsi dal peso del suo
corpo morto che aveva
rischiato di farli annegare entrambi.
«Come te lo
sei fatto questo?» sibilò.
C’erano
infinite scuse che lei avrebbe potuto usare per giustificarsi
– come
l’essersi tagliata nel preparare un panino per il bar, o le
verdure di una cena
sua e di Anna – ma, ormai, non aveva più senso
alcuno: Jack aveva capito. Puntò
lo sguardo nel suo, orgogliosa nonostante la nudità
«Lo sai…»
Il giovane detective
quasi ringhiò «Perché?» le
lasciò il braccio che ricadde mollemente
nell’acqua «Perché
non me l’hai detto?»
«E cosa
dovevo dirti?» obiettò sarcastica «Ehi,
sai quella ladra che ti sta
facendo ammattire? Beh, sono io!»
«Sono lo
zimbello della polizia, cazzo!» sbottò nuovamente,
sempre più alterato
«Mi hai anche quasi ucciso…»
«Io…»
balbettò «Non volevo: nessuna delle due
cose» chiarì «Non ti avrei mai
lasciato morire, anche se questo avesse significato farmi
catturare…»
La
sincerità che avvertì in quelle parole ebbe lo
strano potere di
tranquillizzarlo «Perché rubi tutte quelle
cose?»
Questa volta fu lei
ad alterarsi «Io non rubo niente!»
sbottò «Quelle cose sono
nostre!
Facevano tutte parte della collezione dei nostri
genitori…»
«Vostre?»
Elsa annuì
«Conosci la storia della famiglia Blekett?»
Certo che la
conosceva, la notizia dell’affondamento del loro yatch era
stata
sulle prime pagine di tutti i giornali: l’intera famiglia
reale del piccolo Stato autonomo di Arendelle
distrutta,
inghiottita dalle onde del mare, i corpi mai
ritrovati… non era
possibile «Voi
non potete essere... quelle
ragazze sono morte!»
«No,
invece! Noi non eravamo sulla nave. Quell’affondamento non fu
un
incidente, i
nostri genitori erano evidentemente di troppo e dovevano sparire.
Noi ci
siamo salvate solo perché un amico fidato ci ha permesso di
fuggire,
portandoci in un nuovo continente, nascondendoci dietro un nuovo
cognome e
regalandoci un’attività con cui poter
vivere in questa città»
sospirò «Pensavamo di aver
chiuso con il passato ma, dopo anni, abbiamo
visto in vendita una statuetta appartenuta ai nostri genitori e da
lì abbiamo
compreso che qualcuno aveva disperso la
loro collezione…»
puntò gli occhi velati di lacrime dritti nei suoi
«Riaverla indietro e scoprire
chi si cela dietro a tutto questo è l’unico modo
che abbiamo per arrivare alla
verità»
Tutto, gli aveva mentito su tutto:
Elsa non solo era Snow Queen, era
anche - di fatto - la regina
di un Paese disperso nel Nord Europa…
chi diavolo aveva frequentato
lui per tutto quel tempo? Di chi si era innamorato?
«Ero solo
un mezzo per te? Cosa ha significato il nostro appuntamento e tutte
quelle
moine che mi hai fatto dietro alla maschera di Snow Queen?»
le chiese, duro.
Avrebbe potuto
rispondergli di sì e spezzargli il cuore una
volta per tutte, sarebbe stato doloroso – certo –
ma era sicura che poi lui avrebbe
trovato il modo di andare avanti… su di lei, invece, non lo
era altrettanto.
Sospirò, Jack si meritava la verità anche se,
probabilmente, avrebbe fatto male
comunque «No…» sussurrò sul
pelo dell’acqua che, ormai, aveva perso quasi tutto
il suo calore. Attirò le gambe verso il petto, per
proteggere quello che la
schiuma ormai dissolta aveva smesso di coprire «Lo ammetto,
provocandoti a quel
modo come Snow Queen ho davvero esagerato ma la realtà
è
che quella sera che abbiamo passato assieme è stata
così perfetta da farmi paura e … come
potevano funzionare le cose tra noi con
quello che ti stavo nascondendo? Come potevo chiederti di scegliere fra
il tuo
lavoro e me?»
«E, quindi,
hai pensato bene di fare tutto tu: non solo mi hai messo da parte ma
hai anche deciso per me…»
«Mi
dispiace…» gli disse, sinceramente pentita.
Il giovane detective
rimase muto per alcuni interminabili secondi, il
suo respiro profondo era l’unico rumore percepibile
nell’intera stanza.
Incapace di resistere
oltre, Elsa ruppe il silenzio «Che vuoi fare adesso? Vuoi
denunciarmi?»
Jackson
aggrottò entrambe le sopracciglia stupito e poi
lasciò andare un sonoro
sospiro «C’è solo una cosa che voglio
fare adesso…» e prima ancora che lei
potesse comprendere le sue intenzioni, si buttò nella vasca
completamente
vestito: l’acqua fuoriuscì dai bordi, mentre le
loro bocche si cercavano – e
trovavano - con un’urgenza quasi bruciante.
Il fatto che Elsa
fosse completamente nuda perse d’importanza, anzi,
all’improvviso erano diventati gli abiti zuppi di Jackson ad
essere di troppo.
Liberarsene in quello spazio ristretto fu un’impresa
piuttosto complicata che
strappò ad entrambi più di un sorriso, tutte le
tensioni di un attimo prima
momentaneamente sepolte sotto a quella necessità di toccarsi
e
scoprirsi senza
più maschere. Indubbiamente il loro domani li avrebbe
accolti con ancora tante
domande e decisioni da prendere ma quello era, appunto, il futuro e
avrebbero
avuto tutto il tempo per pensarci, poi.
Ciao a tutti!
Ho questo specchietto in caldo da nemmeno io so più quanto
(sicuramente da ben prima che "La Notte del Lupo" vedesse la luce)
eppure tabula rasa, non riuscivo a buttare giù due righe in
merito e, inaspettatamente (forse complice anche la recente visione
della serie Lupin), è venuta fuori adesso.
Lo ammetto, la mia idea iniziale era quella di costruirci sopra una
mini-long, tuttavia, la mia ispirazione mi ha guidato verso questa
one-shot che spero vivamente vi sia piaciuta.
Il finale è volutamente aperto per omaggiare il manga grazie
a cui questa OS è nata, il quale si conclude con un finale
dolce/amaro per Hitomi(Sheila) e Toshio(Matthew) che rimane in bilico
ma fa presupporre come i due ragazzi, alla fine, riusciranno a stare
insieme nonostante tutto.
Povero Jack, ha resistito anche troppo con Elsa nuda lì
davanti XD
Invece, sono ragionevolemente sicura che Anna (che in questa storia
prende le vesti della più piccola delle sorelle: Ai(Tati) e
ha una piccola rivincita personale su Hans, ingannandolo lei per una
volta) abbia deciso di chiamare Kristoff e farsi portare a prendere un
gelato, visto come le cose al piano di sopra stessero andando per le
lunghe XD
Al solito sapere che ne pensate mi renderebbe molto felice ^^
Grazie per aver letto!
Alla prossima
Cida |
|
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Capitolo 4 *** In the Blood ***
In the Blood
Questa one-shot è
stata ispirata dalle meravigliose fan art di the.arctic.scarf su
Instagram.
Le dinamiche del Mondo delle Creature, qui appena accennate, richiamano
la serie "A Discovery of Witches".
Rating: Arancione |
It is said that blood is thicker than water. It
is what joins us, binds
us, curses us.
Dark
Shadows
E’ leggermente intontita che la strega del ghiaccio
si sveglia fra le lenzuola accaldate, intontita e soddisfatta. Non le
serve
nemmeno aprire gli occhi per comprendere che il suo compagno non
è più accanto
a lei: i segni che le ha lasciato sul corpo tirano appena, mentre
piccoli
rivoli secchi e scarlatti le macchiano ancora la pelle candida. Ne ha
tre, uno
per ogni volta in cui il culmine del piacere ha reso il suo sangue,
ebbro di
eccitazione, un richiamo impossibile da ignorare. Le ha marchiato il
collo, un
polso e l’inguine: quando i suoi denti
affilati le hanno lacerato la
carne non ha provato dolore, tutt’altro. Il solo ripensarci
le provoca una
fitta al bassoventre e stringe appena le cosce, più che mai
decisa a non
lasciarla andare. Rotola su se stessa, facendo leva sul materasso, per
alzarsi
e raggiungerlo, ovunque egli sia, e, magari, riprendere da
dove si
sono interrotti. Quando prova ad alzare la testa dal cuscino,
però, un forte
capogiro la fa sudare freddo e la gola le si riempie di saliva. Prima
che la
nausea diventi troppa da sopportare, due braccia fresche la sostengono
e
delicatamente la rifanno sdraiare.
«Non
muoverti» le dice e nei suoi occhi dorati ci legge tutta la
sua
preoccupazione «Sei così pallida.
Io…» quasi balbetta e, così, nella sua
espressione ci legge anche un’altra cosa: senso di colpa
«Ho davvero esagerato,
scusami»
Lei ha ancora un
brutto sapore in bocca ma l’istinto di rassicurarlo prende il
sopravvento e non può fare a meno di sorridere
«Pallida la sono sempre»
Le labbra di lui si
piegano appena, contagiate da quell’ironia, ma il suo umore
non cambia «Non così tanto…»
le risponde, passandole una leggera carezza sul
viso.
Non lo ha mai visto
così e la cosa la destabilizza, ha davvero avuto
così tanta
paura? «Ehi, smettila di crucciarti, io ero qui con te,
completamente conscia
di quel che stava succedendo e per niente contraria. Sono pur sempre
una strega
potente, se avessi temuto per la mia vita, mi sarei difesa»
Questa volta la sua
espressione si accende, furba e tentatrice mentre con un ghigno
da predatore, che mette in risalto i suoi canini affilati, la sovrasta
nuovamente «E sentiamo: come ti saresti difesa, strega? Mi avresti
lanciato addosso un incantesimo?» il suo sorriso si allarga
«Ho come il timore
che tutti quei mugolii di piacere ne avrebbero drasticamente
compromesso il
risultato»
Le sue labbra non
arrivano a destinazione ma si scontrano contro la mano di lei
«Mio caro vampiro, qualcuno qui è
un po’ troppo sicuro delle proprie
doti amatorie» le gote le si tingono di rosso ma cedere
all’imbarazzo è proprio
l’ultima cosa che farà «Passami la
vestaglia» gli ordina senza mezzi termini
«Basterà un decotto delle mie erbe e
tornerò più in forma di prima, sto già
molto meglio» non è neanche una bugia
così grossa quella che dice.
Lui sbuffa ma
obbedisce e le passa la setosa stoffa viola che sta cercando. La
guarda attentamente mentre si copre: un po’ perché
distogliere lo sguardo da
quel corpo nudo è un peccato mortale, un po’
perché non vuole perdersi neanche
un minimo cenno di un eventuale cedimento. Quando si sposta i capelli
biondi
per allacciarla meglio sul seno, il movimento le lascia scoperto il
collo
candido, ancora deturpato dal segno del suo morso: la scintilla
scarlatta, che
gli accende lo sguardo, la caccia via scotendo appena la testa.
E’ quando
la vede muoversi verso il bordo del letto, più che mai
decisa a
rimettersi in piedi, che istintivamente scatta, dimenticandosi per un
attimo di
quanto quel gesto potrebbe indisporla.
Infatti, non appena
si sente sollevata verso il petto nudo di lui, sussurri
incomprensibili le sfuggono dalle labbra e il gelo comincia a
condensarsi sulle
sue mani, pronte ad attaccare. Il potere, però, si dissolve
non appena il suo
sguardo mette a fuoco un nuovo particolare che, fino a quel momento, le
è
sfuggito: la caviglia, che spunta nuda dalla vestaglia, presenta i
segni di un altro
morso. Quando è successo?
E’ proprio
mentre se lo domanda che il ricordo irrompe nella sua mente e le
mostra l’immagine del suo amante su di lei, in lei, della sua mano che
scende per invitarle la gamba a salire e posarsi sulla sua spalla.
E’ quando lo
sente affondare ancora di più che perde totalmente il
controllo: i suoi denti
le lacerano la pelle tenera e il sangue che scorre via amplifica
talmente tanto
il piacere che, in quell’attimo, tutto ciò che la
propria mente e corpo
desiderano è quello di darglielo tutto.
Si porta la mano al
petto, scossa.
Lui si irrigidisce,
ha capito «Elsa» la chiama «Quello lo
avevi dimenticato,
vero?»
Sì,
è vero. Per quanto sia una strega magnificamente potente,
per
quell’interminabile, terribile e meraviglioso attimo è stata
alla sua
completa mercé: se solo lui avesse voluto,
avrebbe potuto ucciderla e lei
sarebbe stata ben felice di morire.
Il suo respiro
accelerato risponde per lei e lui si premura di accompagnarla
verso la cucina il più velocemente possibile: non
è scappata dalle sue braccia
ma è piuttosto sicuro che, in quel momento, non siano
propriamente il luogo in
cui è più desiderosa di stare. La adagia accanto
al fornello, in modo che possa
attingere dalla sua dispensa e prepararsi la pozione per rimettersi in
sesto.
Le lascia il suo
spazio, di cosa potrebbe seguirne non ne è sicuro.
Elsa sta zitta mentre
le sue mani si muovono sapienti sul piano cottura di
quell’appartamento che è uno dei loro rifugi
segreti: neanche sua sorella sa
dove si trova, celato da un incantesimo illusorio di rara
complessità. Perché
sì, i loro incontri sono proibiti: le razze che dominano il mondo delle
creature,
per legge, non dovrebbero mai mischiare il loro sangue e, per un
terribile attimo, Elsa crede di averne compreso il motivo.
Di quel pensiero,
però, se ne vergogna subito: non è più
quello che crede da
tempo, da quando Jack è entrato nella sua vita, per
l’esattezza.
Le creature non sono
poi così diverse dagli uomini con cui segretamente
condividono l’esistenza. Com’è che
dicono? L’abito
non fa il monaco.
Non
basta essere una fata o una strega per essere una creatura di
pura luce, così come essere un demone o un vampiro non ne fa di
te una di pure tenebre.
Jack non si
è mai spinto così oltre con lei: sebbene ogni
tanto avverta il suo
bisogno, non l’ha mai morsa al di fuori del sesso e anche
quel passo ha
richiesto tempo e la sua assoluta convinzione.
Quanto deve essersi
trattenuto in passato? E, soprattutto, cosa lo tormenta
così tanto adesso da fargli perdere il controllo a quel modo?
Beve un sorso del suo
decotto e si sente subito meglio. Inspira a fondo prima
di parlare «Che cosa c’è?» si
volta e lo guarda negli occhi.
Lui è
stupito, si è immaginato infiniti scenari diversi
– molti dei quali lo
vedevano ridotto ad un cumulo di ceneri fumanti – ma non
quella semplice
richiesta di spiegazioni che denota una fiducia che, in quel momento,
sente di
non meritare, non dopo quello che ha rischiato di fare.
Eppure
c’è qualcosa che lo blocca nel raccontarle di
quella sensazione che gli
fa contorcere le viscere in una morsa gelata, perché quel
dubbio che l’istinto
gli fa provare è talmente terrificante che vorrebbe solo
dimenticarlo,
sotterrarlo sotto alla convinzione di essere in errore. Si porta una
mano fra i
capelli bianchi e li scompiglia ancora di più di quanto non
abbia già fatto la
nottata appena trascorsa con lei «Potrebbe non essere una
cosa importante, non
ancora almeno»
Si rende conto di
aver dato la risposta sbagliata ancora prima di avvertire il
cambio di temperatura nella stanza. E’ tornata nel pieno
delle sue forze, la
tazza è ormai vuota nelle sue mani: forse, la posa con un
po’ troppo vigore
«Non è importante?» gli fa eco, delusa
«Credo che lo sia se rischia di
uccidermi mentre facciamo l’amore»
Non è
un’accusa ma un dato di fatto e l’ombra, che per un
attimo gli spegne gli
occhi, le fa comprendere di aver trovato subito la giusta leva: non lo
vuole
punire ma solo capire.
E’ con un
leggero sbuffo che Jack cede «Sta
tornando…» neanche sostiene il suo
sguardo mentre sussurra quelle parole.
Elsa sa
già a chi si riferisce ma non vuole crederci
«Chi?»
«Lui…»
dice soltanto e lei trema perché quella è
l’eventualità più terribile
che possa capitare, soprattutto dato ciò che il mondo delle
creature ha già
passato per colpa sua.
«Non
è possibile: Pitch Black è stato
sconfitto»
L’altro
sogghigna appena «Sconfitto e rinchiuso, ma non
ucciso» si porta una
mano al petto tonico e stringe le dita, con
un’intensità tale da ferirsi la
pelle «Non dovrebbe essere altro che un ammasso di tessuti
secchi ormai, eppure
ho questa orribile sensazione che si stia rafforzando»
Pitch Black: uno dei
vampiri più antichi, forse quanto il mondo stesso.
L’unico
di tutte le creature a non aver mai apertamente accettato la
parità raggiunta
fra le razze di questo nuovo millennio, convinto che i vampiri
– e lui in
particolare – siano gli unici degni di regnare su tutti gli
altri.
Esiliato dal Grande Concilio, aveva lavorato
nell’ombra, votando alla
sua causa le creature più terribili e assetate di potere,
perfino creandole
se necessario, e aveva dato il via alla più grande guerra
che il mondo magico
avesse mai visto. Lei aveva solo diciotto anni a quel tempo e,
così come tanti
altri, in quello scontro aveva perso moltissimo.
Jack,
invece…
«Io
l’ho tradito…» anticipa i suoi pensieri
«Ho come il timore che l’abbia
presa sul personale: vorrà vendicarsi e lo farà
in grande stile» ci prova a
fare il solito irriverente di sempre ma la voce che gli esce incrinata
non
glielo permette come vorrebbe.
Elsa smette di tenere
le distanze e gli si avvicina nuovamente, scostandogli la
mano insanguinata dal petto e prendendola nelle sue «Non devi
aver paura, il
concilio ti deve moltissimo: ti proteggerà»
Lui del concilio non
si fida, ci sono troppe facce che hanno condiviso le sue
stesse fila, ma non lo dice. Si limita a fare un mezzo sorriso,
sbuffando
appena «Sei proprio sciocca a volte,
sai…» la riprende bonariamente, passandole con
dolcezza le dita libere su una guancia «Non è per
me che ho timore. Uccidermi
per lui sarebbe troppo poco, vorrà torturarmi, farmi
soffrire, rimpiangere la vita eterna se necessario e ha un
unico modo per farlo:
prendersela con te»
Lei sorride
«Siamo stati molto bravi a nasconderlo fino ad ora, no?
Continueremo a farlo: se non saprà cosa ci lega, non
potrà usarlo contro di
noi»
Jack vorrebbe dirle
che se è riuscito a tradirlo quella volta è solo
perché era
talmente sicuro della sua vittoria da non averne colto i segnali. Pitch
Black è
colui che l’ha creato, colui che ha preso
quell’insignificante pastore che era e
lo ha trasformato nel mostro che è, il loro legame non si
può descrivere:
nascondergli qualcosa di così importante non sarà affatto
facile quando
se lo troverà davanti, perché lo sa che quel
momento arriverà, lo sente dentro,
come una profezia destinata a compiersi.
Avverte la sua paura nel sangue che le
scorre rapido sotto alla pelle ma quella determinazione che le legge
nello
sguardo non la vuole incrinare. Perciò tace ancora una volta
e la stringe in un
abbraccio, nasconde il volto nel suo collo – ora
perfettamente guarito – e
aspira a fondo il suo profumo, senza timore di diventarne schiavo. La
sente sospirare e ricambiare la stretta: Elsa ha tutto da perdere nel
difendere
ciò che li lega. Se solo la scoprissero, il ruolo di
matriarca del suo clan
andrebbe a sua sorella Anna, per lui sarebbe disposta a rinunciare al
prestigio, alla credibilità, al potere… a volte
teme di non riuscire a
comprenderne il motivo.
Pitch Black ha fatto di lui un vampiro, Elsa lo ha
trasformato nell’eroe e, al tempo stesso, nel traditore. Questa macchia se la
porterà
dietro per l’eternità, perché non
importa quanto possa essere giusta la causa per cui l'ha fatto: chi
tradisce non
sarà mai
più degno di fiducia. Quante sono le creature che lo
guardano con disprezzo non appena volta loro le spalle?
Troppe. Eppure in lui, lei ci crede. Jack non ha nulla da
perdere, se non lei. Nascosti dai suoi setosi capelli biondi, gli
occhi gli si
tingono di rosso, di rabbia e convinzione: non permetterà
a Pitch Black di
toccarla, a costo di staccargli il cuore dal petto con le sue stesse
mani.
Ciao!
Torno dopo mesi con questa shot. Sto passando un periodo
davvero complicato, per cui ho accettato con grande gioia questo
piccolo miracolo reso possibile dalle bellissime fanart di the.arctic.scarf con
Jack vampiro e Elsa strega.
Non so bene che cosa ne sia uscito ma spero sia stato comunque di
vostro gradimento.
Sexy-Vampire Jack mi ha anche incredibilmente spinto ad osare un po' di
più sotto certi frangenti, non che abbia scritto
chissà che cosa ma è effettivamente "molto" oltre
i miei standard ù__ù
Ancora una volta butto carne al fuoco per poter scrivere qualcosa di
più, sia un prima che un dopo addirittura, quindi
chissà. Considerando che dalle prime OS scritte, "Seasons"
ha visto la luce dopo ben quattro anni, direi che la speranza
è l'ultima a morire (la mia eh, voi ovviamente siete liberi
di decidere cosa farne della vostra).
Questo ritorno dopo un lungo periodo di silenzio lo vorrei dedicare a Padme83 perché,
nonostante la mia crisi mistica, mi ha spronato a non lasciare andare
le vibes che sexy Jack poteva regalare e, soprattutto,
perché lei sa ♥
Grazie a tutti per aver letto!
Qualunque segno del vostro passaggio vorrete lasciarmi sarà
ben accetto.
Alla prossima (che, anche se non so quando, spero ci sarà)
Cida
|
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Capitolo 5 *** (The world doesn't need another) Dream Girl ***
DreamGirl
OnceUponATime!AU
Rating: Giallo
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2023 indetti sul forum Ferisce più la penna
|
Tutto,
aveva ghiacciato tutto.
Piccola marionetta dai fili tirati, serrati,
in una morsa maledetta: troppo bella, troppo speciale.
Ironicamente, a quel ballo in maschera le avevano
messo addosso un costume con un magnifico paio
d’ali, certo, come
se volare via fosse stata
un’opzione possibile.
Non c’era più suo padre, morto tragicamente
troppo presto; non c’era più sua madre, morta di
crepacuore quando a sua
sorella era capitato quel terribile incidente, di cui lei
stessa era responsabile.
Il mondo non aveva bisogno dei suoi sogni di
ragazza, perciò li aveva presi, masticati e rigurgitati in
una melma mefitica,
che non dava conforto, al contrario, feriva con i suoi miasmi.
Era sola, relegata in quella che era sempre stata
la sua casa, assieme ad un patrigno e fratellastri che
odiava. Rimasta perché a detta di tutti era bellissima
– e lo era, con quei
fieri occhi azzurri e quei morbidi capelli biondi, così
chiari da sembrare neve
– e perché, beh, era destinata ad essere
la vera regina, una
preda così succulenta era quanto mai sciocco lasciarsela
scappare.
Era stata vestita di bianco, come una
sposa: il collo nudo, la pelle pallida esposta, offerta,
come
una vergine sacrificata alla sete di potere più bieca.
Quanti sguardi lascivi le si erano posati sul
seno messo in risalto dal corsetto magistralmente allacciato per quel
preciso proposito?
Persino il suo volto era coperto, per ricordarle che quella sera lei
non era
nemmeno una persona ma un oggetto, mera
moneta di scambio per
piani che non le appartenevano.
Perché sì, il sovrano delle Isole del Sud aveva
trovato in Elsa di Arendelle un vero tesoro e, come
tale, andava
gelosamente
custodito, seppellito, in un
matrimonio combinato, con un
marito fantoccio, perfetto per una
bambola da rigirare a
piacimento come lei.
Quando aveva sposato sua madre Iduna, alla morte
del re Agnarr, aveva trovato negli occhi della primogenita la fierezza
di una
vera sovrana. Per un attimo, aveva persino pensato di disfarsi di lei e
tenere
la minore, Anna, che con il suo animo romantico sarebbe stata
più facile da
irretire. Chissà, magari l’avrebbe addirittura
convinta a
sposare uno dei suoi fratellastri, il più giovane per
esempio. Gli anni, però,
tendevano a cambiare le persone e quello sarebbe stato un rischio che
il nuovo
re non poteva permettersi: lui e la sua famiglia sarebbero sempre stati
gli
ospiti, gli stranieri, la gente
del Sud e il
popolo non li avrebbe mai seguiti senza le redini del sangue della
famiglia di
Arendelle a tirarli. Lasciare quel regno agognato su cui era finalmente
riuscito a mettere sopra le mani, tuttavia, non era fra le sue
intenzioni.
Ed era allora che il destino gli aveva offerto il
più grande dei doni: facendogli scoprire, in maniera del
tutto inaspettata, il
grande segreto che Elsa custodiva gelosamente. La ragazza poteva
piegare al suo
comando il ghiaccio e la neve, era dotata di una grande magia ma, con
suo
enorme piacere, ne era anche immensamente terrorizzata. Per questo non
doveva
che ringraziare il defunto Agnarr che aveva passato i suoi ultimi anni
a
privare la maggiore delle sue figlie di ogni contatto umano, finendo
per farle
credere seriamente di essere quel mostro crudele che – da
bambina – aveva messo
in serio pericolo la vita della sorellina. Quello che poteva essere un
enorme
ostacolo per i suoi piani si era trasformato, invece, in
un fidato alleato.
Era talmente spaventata che farle perdere il controllo era stato un
gioco da
ragazzi e, difatti, proprio di questo i suoi figli si erano occupati,
tessendole una trappola in cui era scivolata senza sforzi, mettendola
contro
alla sua stessa sorella che ne aveva pagato lo scotto
più caro.
Iduna non era più riuscita nemmeno a guardare in faccia
quella figlia colpevole e
si era spenta pian piano, consumata dal suo stesso dolore. Lui non se
n’era
dispiaciuto, non l’aveva amata mai, ne era stato, anzi,
interiormente
rallegrato perché, con lei, anche l’ultima
speranza di Elsa era svanita e
trasformarla in quel meraviglioso sacco vuoto, che ora gli stava ritto
al
fianco, era stato ancora più facile. C’era una
cosa, però, che con gli anni si
era dimenticato e che, forse, non aveva del tutto compreso: nessun
infuso, con
cui lei accettava di farsi drogare giornalmente pur di reprimere quella
parte
che l’aveva trasformata in un’assassina,
avrebbe potuto estinguere
quella fierezza che ancora
languiva sul fondo del suo sguardo
liquido. E questo, Re Friederik delle Isole del Sud, lo avrebbe
scoperto molto
presto.
Sicuro di aver trovato il pretendente ideale,
aveva pensato che un ballo sarebbe stato perfetto per sugellare il
patto appena
stipulato. Davanti alla mano che le era stata porta in segno
d’invito, però,
Elsa si era ritratta e aveva gentilmente declinato l’offerta.
Il giovane futuro
sposo era rimasto alquanto interdetto e questo non aveva fatto altro
che
aumentare il suo disappunto. La forza che mise nel stringerle il polso
fu
abilmente coperta da un’espressione cordiale, con cui decise
di ricordarle che
non era così che si trattava un ospite, a maggior ragione
quello che sarebbe
presto divenuto suo marito. A
quella parola la ragazza
aveva alzato lo sguardo su di lui, le sue labbra si erano mosse appena,
sibilando un basta fra i denti
stretti: ancor prima di
percepire lo scrocchio dei cristalli di ghiaccio sulla sua pelle, il re
aveva
compreso che il disastro sarebbe stato imminente.
Tutto,
aveva ghiacciato tutto.
La magia aveva abilmente divelto le redini della
droga - fomentata dalla sua paura, dal suo odio, dalla sua rabbia
– esplodendo
in infinite e taglienti spade di ghiaccio che avevano letteralmente
invaso la
sala da
ballo. Il sangue del re, il suo patrigno che ora la guardava con un
misto di
collera e paura, aveva macchiato il prezioso tappeto ai loro piedi: non
c’era
più musica ma solo grida, solo terrore.
Mostro!
Urlò
qualcuno.
Strega!
Gli
fece eco qualcun altro.
Elsa si portò le mani alle orecchie nel vano
tentativo di respingere quelle parole, sicura che se non
l’avesse fatto
sarebbero riuscite a mandarla in mille pezzi. La disperazione,
però, venne
inaspettatamente in suo soccorso e le diede il coraggio di assecondare
quell’impulso che covava dentro di lei già da
lungo tempo: scappò.
Corse e corse ancora, mentre nuvole cariche di
neve si addensavano sulla sua testa e cominciavano a riempire
l’aria estiva con
i loro fiocchi. Il cuore le morì in gola quando, incalzata
dai suoi
inseguitori, si scoprì braccata: non poteva tornare indietro
e non poteva
andare avanti, il suo cammino bloccato dalle placide acque
dell’insenatura del
fiordo.
Disperata, azzardò sfiorare la superficie scura
con la suola di una delle scarpe e quella, incredibilmente,
gelò. Non perse
altro tempo prezioso e, passo dopo passo, corse via sulla superficie
ghiacciata. Ma quanto ancora avrebbe potuto scappare a quel modo?
Quanto ci
avrebbero messo i suoi fratellastri a prendere i cavalli per piombarle
addosso
con un intero esercito? Ora che tutti sapevano, non avevano motivo di
tenerla
in vita, anzi, uccidendola sarebbero stati gli eroi e Friederik avrebbe
finalmente ottenuto quello che voleva. Forse farsi uccidere sarebbe
stata la
soluzione più giusta, lei meritava di
morire per quello che
aveva fatto ad Anna, perché sì, lei un mostro terribile
lo era
per davvero. Eppure le gambe non accennavano a fermarsi, andavano
avanti
testarde in quella lotta per la sopravvivenza… se
solo i tacchi non
fossero stati così alti, il corsetto così stretto.
Caracollò senza fiato nel folto della foresta
che, dal limitare dell’altra sponda, si estendeva a perdita
d’occhio verso
l’entroterra. Il gelo creava nuvole di vapore acqueo con il
suo respiro
spezzato, il petto le si alzava e abbassava ad una velocità
allarmante e il
rantolo che le usciva dalla gola ben faceva comprendere come i polmoni
non
riuscissero più a riempirsi di aria vitale. Incapace di
trattenerle, alcune
lacrime cominciarono a solcarle le guance, sfinita roteò
appena gli occhi e le
sembrò di scorgere delle torce in lontananza…
No…
no, no, no…
Fu
allora che si accorse di non essere sola:
proprio accanto a lei, c’era una strana figura avvolta
dall’oscurità.
«Sembra proprio voi siate nei guai, Fiocco di Neve»
Era troppo buio per scorgere il viso sotto al
cappuccio, ma la voce che aveva parlato era quella divertita di un
giovane
uomo.
«Per favore…» rantolò
«Aiutatemi…»
«Aiutarvi? Potrei farlo, certo…»
celiò «Ma non
sono incline al niente per niente, mia cara,
nemmeno se a chiederlo
è una graziosa ragazza come voi»
«Qualsiasi cosa…» implorò
«Ma salvatemi, vi
prego»
«Qualsiasi cosa, Fiocco di Neve?» anche
nel buio lei fu certa di vedere un ghigno spuntare sulle sue labbra
pallide «Ne
siete sicura?»
«Sì…»
esalò con le sue ultime forze.
Gli occhi della misteriosa figura scintillarono
appena nell’oscurità «Allora questo
è il nostro patto, Elsa
di
Arendelle…»
Lei sgranò gli occhi, come poteva quello
sconosciuto sapere il suo nome?
Il bagliore di una lama la distrasse da quel
pensiero, riempiendola di paura. Un pugnale calò su di lei:
il corsetto cedette
lacerato e l’aria finalmente irruppe nei suoi polmoni, mentre
un’imponente
barriera di ghiaccio s’innalzava fra lei e i suoi
inseguitori, il rumore degli
zoccoli dei loro cavalli sempre più vicino.
Eppure
lei non aveva fatto niente, ne era sicura…
«Non
preoccupatevi, Fiocco di Neve…» le
sussurrò
lo sconosciuto, sfilandole la maschera dal viso «Ora a voi ci
penso io…»
Quelle
parole le risuonarono nella mente come
una minaccia, facendola tremare ma, quando le dita di lui le sfiorarono
la
fronte per percorrerle l’intera lunghezza del naso, non
riuscì più a tenere gli
occhi aperti e scivolò nel buio dell’incoscienza.
Elsa si risvegliò fra morbide coperte, in quella
che scoprì essere una stanza lussuosa. Si ritrovò
stupita di non provare alcun
dolore, quanto doveva aver dormito per non risentire più
degli effetti della
sua folle fuga? Al solo ripensarci avvertì la magia
agitarsi dentro di lei,
cercò di reprimerla concentrandosi sulla morbida seta viola
che le faceva da
camicia da notte… aspetta, che cosa? Lei
indossava il vestito da
ballo in quella foresta, qualcuno doveva
averla… avvampò.
Fu allora che una lieve risata ruppe il silenzio
della stanza «Non preoccupatevi» le disse la stessa
voce dello straniero nel
bosco «Non sono stato io a spogliarvi, o meglio,
sì, l’ho fatto ma non con
queste mani…» ridacchiò ancora
«Vi giuro che i miei occhi non hanno visto
niente di quello che non avrebbero dovuto»
Elsa riuscì, così, finalmente a vederlo: non
aveva più un cappuccio a coprirgli il volto e non portava
più un mantello.
Tutto ciò che indossava – stivali, calzoni,
camicia e panciotto – era
completamente nero, il che faceva risultare ancora più
pallida la sua
carnagione. Aveva i capelli argentati e, quando la luce gli si
rifletteva sul
capo e sul viso, sembrava scintillare come se fosse ricoperto di
infiniti
cristalli di ghiaccio. Gli occhi erano azzurri, talmente chiari da
sembrare
liquidi e ora la guardavano curiosi e divertiti al tempo stesso.
Sembrava
giovane, forse anche più di lei, ma nella Foresta Incantata,
lo sapeva, tutto
poteva essere un’illusione. E, se le storie che aveva udito su
di lui erano
vere, di anni doveva averne più di
trecento. «Voi siete Il Signore
dell’Inverno, l’Oscuro»
«Risposta esatta, mia cara…»
sospirò
quello, portandosi le mani dietro alla schiena «Ma,
come dire, mi sarei
aspettato un pochino di riconoscenza in più da una
principessa come voi»
Elsa
arrossì piena di vergogna «Grazie per
avermi salvata» concesse, riconoscente.
Lui mosse un paio di passi, sorridendo
divertito «Oh no, non
mi riferivo a quello...
salvarvi non era un favore ma la mia parte del contratto»
ghignò «Mi
riferivo al fatto di avervi rimesso in sesto, così che
possiate onorare la
vostra»
«La mia?» chiese lei non capendo.
L'Oscuro ignorò la sua domanda «Vi piace
qui?»
La ragazza aggrottò le sopracciglia, sempre più
confusa «Credo di sì, forse non
è come me lo sarei aspettato... »
«Un castello di ghiaccio magari?»
sghignazzò «Un po' scomodo, non
trovate?»
Lei si ritrovò contagiata dalla sua
ironia «Forse...»
«Non che abbia ospiti, di solito, ma visto che
dovrete rimanere qui per sempre è un bene che sia di vostro
gradimento»
«Che avete detto?» tremò
«Per
sempre?»
L’Oscuro annuì «Io ho rispettato la mia
parte
dell’accordo: salvarvi dai vostri inseguitori e da qualsiasi
piano avesse in
serbo per voi il vostro patrigno. Ora è il vostro turno di
pagare»
Elsa si ritrovò improvvisamente a corto di fiato, con la
magia che già premeva
per uscire, fomentata dal panico crescente. Incespicò con le
coperte e si alzò «Come
avete potuto? Voi…» sibilò
«Non
erano questi i patti…»
«Ah, no?» le sorrise lui con fare ferino
«Eppure in quella foresta avete detto
di essere disposta a qualsiasi cosa pur di
sottrarvi al vostro destino: la
magia ha sempre un prezzo, mia cara. Ebbene,
questo è il
vostro»
«Ma così sarò solo in
un’altra gabbia»
esalò
a fatica, mentre la paura le bloccava il respiro «Non
è giusto»
«Giusto, Fiocco di Neve?»
sghignazzò l’Oscuro divertito
«Indovinate:
la
vita non è mai giusta. Dove vi hanno portato tutte le vostre
speranze o quell’orgoglio
che ancora brucia dentro ai vostri occhi? Qui, mia cara…
non trovate
anche voi sia stata solo una stupida perdita di tempo?»
«Voi
siete un mostro!»
«Sì, mi chiamano anche
così…» puntò gli occhi
dritti nei suoi «Abbiamo molto in comune, non vi
pare?»
«No…» balbettò quella,
portandosi le mani al
petto pronto a scoppiare «Lasciatemi andare!» quasi
urlò, allargando le
braccia: rilasciò un’ondata di potere che si
trasformò in una scarica di
pugnali di ghiaccio. L’Oscuro si mosse con una
fluidità fuori dal comune e li
schivò tutti, tranne uno che andò a lacerare la
manica
della sua bella camicia nera come
la notte.
«Oh, no…» singhiozzò lei
affranta, ancora una
volta non era riuscita a contenersi «Mi
dispiace…»
Quale punizione le sarebbe spettata adesso?
Le labbra di lui si socchiusero appena per uno
stupore malamente celato: l’aveva appena fatta prigioniera e
si dispiaceva per essersi difesa? Quanto mai doveva aver paura?
«Fiocco di neve,
credo che voi in
prigione vi ci siate messa da sola molto tempo fa»
piegò appena la testa di
lato, seguendo con il suo sguardo quello di lei
«E
smettete di crucciarvi, è solo una
camicia…» girò i tacchi e si mosse
verso
la porta «La cena è alla sette»
Elsa lo vide andare via senza aggiungere altro:
non era impaurito, né incollerito, tantomeno sorpreso. Il
suo respiro si
regolarizzò.
«Perché io?» gli chiese un giorno,
rompendo
improvvisamente uno di quei lunghi silenzi che erano soliti cadere fra
loro.
Lui aveva distolto lo sguardo dalla finestra,
privandosi dello spettacolo che l’Inverno appena portato
sapeva regalare al di
là del vetro «Perché voi,
cosa?»
Elsa fece finta di credere alla sua confusione e sulle sue labbra si
dipinse un
lieve sorriso «Perché avete scelto me per farvi
compagnia? Perché non una
principessa, come dire, meno complicata?»
L’Oscuro ghignò appena «Magari vi ho
scelta
proprio per questo»
«Ma la mia magia è fuori controllo, non vi
intimorisce?»
Questa volta il suono di una vera e propria
risata rimbombò per tutta la stanza, facendola arrossire
«Mia cara, ci vorranno
ben più di qualche manciata di grandine e una spruzzata di
neve per
impensierirmi»
Poff!
Una
palla di neve lo colpì in pieno viso. Il
luccichio che gli accese gli occhi non fu facile da decifrare
«Voi avete
colpito me? Non si può dire che il coraggio vi
man… ah» alzò un dito per
bloccare quell’intenzione che le era lampante sul viso
«Non oserete provarci di
nuovo»
Elsa ricambiò il ghigno «Voi dite?»
Poff!
Questa volta fu lei
ad essere colpita.
«Dico…»
la sfidò l’Oscuro, omaggiandola con un
irriverente inchino.
E fu
così che l’Inverno arrivò anche dentro
a
quelle sale, imbiancando tutto l’androne e parte del primo
piano.
Elsa
schivò per un soffio l’ennesimo colpo del
suo avversario, aveva il fiato corto e, per una volta, non era la
paura a
spezzarglielo ma la stanchezza che solo il puro divertimento sapeva
portare.
Non era così spensierata e felice dai tempi della sua
infanzia, quando la sua
magia non era ancora una maledizione ma puro stupore, per lei e per
Anna… Anna…
sgranò di colpo gli occhi, fermando senza preavviso la sua
corsa e, proprio in
quel momento, il panico s’impadronì del suo petto,
bloccandole il respiro: fu
così che scivolò.
Una mano che
si strinse fulminea nella sua, però,
le impedì di cadere da quelle scale ghiacciate su cui aveva
appena intrapreso
una rocambolesca fuga. La consapevolezza di aver stupidamente rischiato
la
vita
l’aiutò a recuperare lucidità
«G-grazie…»
balbettò, sinceramente
riconoscente.
L’Oscuro
- sempre così irriverente, sempre così loquace
– rimase in silenzio.
Lei si
azzardò ad alzare gli occhi su di lui: era
sconvolto, lo sguardo totalmente rapito dalle loro mani allacciate. Da
quando
era arrivata al castello, quella era la prima volta che si toccavano.
«Voi…»
lo sentì dire, infine, con voce incerta «Voi non
provate freddo?»
Elsa
inarcò le sopracciglia confusa e,
improvvisamente, comprese: la mano del Signore dell’Inverno
doveva essere
gelida così come la più oscura delle notti ma
tutto quello che lei avvertiva
sulla pelle era una piacevole frescura, niente di più
«Il
freddo non mi ha
mai dato fastidio…»
L’altro
sgranò gli occhi e lasciò la presa, come
se quel contatto fosse diventato improvvisamente insopportabile. Mosse
un
braccio a far sparire ogni singolo passaggio delle loro magie che si
erano
battute e mescolate, poi si
voltò e se ne andò senza più
aggiungere una
singola parola.
Dapprima
furono solo piccoli sussurri che andavano a solleticarle i sogni, per
poi
sparire nella consapevolezza della veglia. Fu quando cominciarono a
tormentarle
anche le giornate che cominciò ad esserne allarmata. Per
quanto si sforzasse
non riusciva mai a capire cosa dicessero esattamente ma una cosa le era
perfettamente chiara: la stavano chiamando, attirandola come il canto
di una
sirena verso luoghi inesplorati. L’Oscuro non le aveva
mai proibito di
aggirarsi per il castello ma, solo da quando le voci avevano preso ad
accenderle la curiosità, si era resa conto che
c’era un’intera ala che non
aveva mai avuto il desiderio di visitare, come se fino ad allora
le fosse
stata celata. Non era una sciocca, di sicuro c’era un qualche
tipo d’incanto che, in un modo o nell'altro,
non le permetteva di cadere in tentazione. Proprio per questo
aspettò l'occasione giusta, assicurandosi di essere da sola
per tutto il tempo
necessario a
soddisfare quell’impulso che le voci fomentavano giorno dopo
giorno.
Quando
si ritrovò davanti alla grande porta chiusa, le mani le
tremarono un poco di
paura ed eccitazione. Si fece coraggio e poggiò i palmi su
entrambe le ante e
quelle si aprirono docilmente, come se avessero riconosciuto il tocco
della
loro padrona.
Non
appena entrò, la bocca le si schiuse per lo stupore: quella
stanza era piena di
oggetti di ogni tipo, come se l’Oscuro fosse
– fra le
altre cose – anche un
inguaribile collezionista. C’erano, sì, gioielli
ma anche cose dal nessun
valore apparente, come un vecchissimo bastone da pastore ricurvo, ad
esempio, e
non mancavano quadri, o statue, neppure molte armi. Le voci si fecero
più
insistenti, Elsa fu
costretta a girare il capo, seguendone la direzione e finalmente
scoprì che
cosa le emanava: su di un leggio, in un angolo remoto della stanza, vi
era
posato un pugnale. L’elsa di cuoio nero sembrava davvero
molto vecchia, mentre
la lama lunga e ondulata era incisa con intricati disegni, sembrava
quasi che
sopra ci fosse scritto qualcosa.
Si
avvicinò, trattenendo il fiato
«Jackson…»
sussurrò a fior di
labbra, l’acciaio
brillò e le voci si fecero sempre più intense.
Allungò
una mano per afferrarlo ma, prima di riuscire a farlo, il suo sguardo
venne
attirato da alcune ampolle su un tavolo lì vicino: il loro
liquido verde, ben
conosciuto – tanto odiato quanto amato al tempo stesso
– la gelò sul posto.
Bastò
un lieve fruscio alle sue spalle per farla scattare, le voci si
gonfiarono
nella sua mente fino a scoppiare in un silenzio assordante non appena
le sue
dita si serrarono attorno all’impugnatura.
«Come fate ad essere qui?» le chiese
l’Oscuro guardingo, gli occhi fissi su ciò che
aveva in mano.
«Perché?»
gli rispose lei rabbiosa, puntandogli contro il pugnale «Che
cosa mi celava
questa parte del castello, un incantesimo? Qualcosa che ho infranto?
Sono
diventata degna della vostra fiducia, per caso? Curioso che sia
successo
proprio quando ho perso la mia in voi»
Lui
parve non scomporsi, anzi, si avvicinò un poco
«Fiocco di Neve, come pensate sia
venuto a conoscenza della vostra situazione? Se non avessi accettato
questo scambio
con il vostro patrigno, voi sareste ancora con lui in questo momento.
Capisco
che adesso siate molto arrabbiata ma…»
Una
scarica di ghiaccio gelò il pavimento ai suoi piedi, ad un
soffio dalla punta
dei suoi stivali.
«Non fate un altro
passo…» gli intimò, rinsaldando la
presa
sul pugnale.
L’Oscuro
vanificò gli effetti del suo potere con noncuranza ma non si mosse più «Non
prendiamo decisioni affrettate, mia cara…» le
disse, alzando le mani in segno
di pace «Se mi uccideste adesso temo non riuscirei a dirvi
una cosa che, sono
ragionevolmente sicuro, vi interessi molto»
Lei
puntò la lama verso il suo addome, allungando appena il braccio poteva quasi lambirgli la
stoffa del panciotto con la
punta «Che cosa?» gli chiese, assottigliando lo
sguardo.
«Datemi
il pugnale e ve lo dirò»
«Ditemelo
e io valuterò se
darvi il pugnale»
Sulle
labbra dell’Oscuro comparve un sorriso di difficile
interpretazione «Si dia il
caso che il vostro patrigno vi abbia ingannato…»
cedette «Voi non avete ucciso
vostra sorella…»
«Io
non ho uccis…» sussurrò quella
incredula, mentre improvvise lacrime di
commozione le appannavano la vista «Provatemelo» si
ricompose subito.
L’altro
lasciò scivolare una mano su un grosso specchio
lì di fianco: la superficie si
mosse appena, come acqua increspata dalla caduta di un sasso e
un’immagine prese pian
piano forma. Mostrava una giovane ragazza, dai vivaci occhi azzurri,
aggirarsi
fra le bancarelle di un mercato. Aveva i capelli rossi raccolti in
un’acconciatura alta ma, nonostante ciò, la grande
ciocca bianca che le partiva
dalla tempia destra non veniva completamente celata. Era molto
cresciuta rispetto a
come la ricordava ma, senza ombra di dubbio, era…
«Anna!» esclamò incredula.
«Il
pugnale…» reclamò il suo pagamento il
Signore dell’Inverno.
La
mano di Elsa tremò appena: gli si avvicinò ancora
di mezzo passo, girando
appena il polso in segno di resa ma, quando lui allungò la
mano, voltò rapida
la lama verso l’alto, dritta verso la sua gola
«Dov’è?»
Questa
volta lui non sorrise «Per quanto la vostra intraprendenza di
solito mi
diverta, Fiocco di Neve, state abusando un po’ troppo della
mia gentilezza: un
patto è un patto»
«Noi
non avevamo nessun patto: io ho detto che avrei valutato se ridarvi o
meno il
pugnale e la mia risposta è no» rese la presa
più ferrea e accostò la punta
alla sua carne scintillante di ghiaccio «Non prendetemi per
stupida, Jackson»
lo ammonì, chiamandolo per nome «Non so bene
perché ma il fatto che questo sia
in mano mia vi spaventa e credo proprio che, al tempo stesso, ci sia
qualcosa
che vi impedisca di riprendervelo, altrimenti l’avreste
già fatto: perciò no,
non vi restituirò ciò che mi dà potere
su di
voi»
Lui
piegò le labbra in un ghigno sfrontato «Fiocco di
Neve, voi siete una sorpresa
continua. Sentiamo, cosa potrebbe mai fare questo umile servo per la
vostra deliziosa
persona?»
Elsa
drizzò il collo, avvicinandosi al suo viso, i nasi quasi a
sfiorarsi
«Insegnatemi»
Gli
occhi di lui brillarono assieme alla lama del pugnale «Che
cosa?»
«Insegnatemi
a controllare la magia» ripeté risoluta
«Così che non sia più un pericolo per
gli altri, in modo da poter tornare da mia sorella e riprendermi il
regno»
L’Oscuro
si ritrovò, suo malgrado, a guardarla ammirato «Mi
domando che fine abbia fatto
quella ragazza divorata dalle paure che ho incontrato quella notte
nella
foresta»
«L’ho
lasciata andare…»
Ciao a tutti!
Ebbene sì, sono tornata con un nuovo capitolo di questa
raccolta. A quanto pare un po' di ferie hanno giovato alla mia mente
sovraccarica e qualcosa dei mille progetti che mi frullano in testa
è finalmente uscito.
Era un po' che volevo calare Jackson nei panni di The Dark One, da
quando ho sentito Dream
Girl di Idina Menzel,
per l'esettezza. La canzone, facente parte della colonna sonora del
film Cinderella, ha prestato il titolo a questa shot e molto del suo
testo è incluso in queste righe, sia nel personaggio di Elsa
che
in quello di Jack.
Al solito c'è del canon di Frozen, del canon di ROTG e,
ovviamente, del canon di Once Upon a Time (in particolare ci sono
più riferimenti all'episodio 1x12 - Skin Deep), sebbene,
Jack nei panni del
Signore Oscuro sia qui, al tempo stesso, anche il Signore dell'Inverno:
già che è dotato di magia sarebbe stato un vero
peccato
privarlo proprio della sua.
Tutta la battaglia a palle di neve riprende gli avvenimenti di una mia
precedente shot: "Di
somme e palle di neve",
per chi l'avesse
già letta il senso di familiarità è
assolutamente
voluto, non so perché mi sentivo un po' nostalgica. Ci sono
nascosti, in realtà, anche un altro paio di riferimenti ad
altre
mie storie.
Per quanto riguarda Friederik - mio personalissimo headcanon per il
padre di Hans - ormai ci sono quasi affezionata a questo bel viscidone
XD
E' in effetti la prima shot che scrivo in cui Elsa e Jack non sono
amanti ma, di sicuro, la bella principessa ha già fatto
breccia
nel cuore del Signore Oscuro, però, converrete con me che
per il
bacio di vero amore ci sia ancora bisogno di tempo...
ciò non
implica che, magari, potrebbero stemperare la tensione in altri
modi ù_ù
Alla prossima e buon anno (anche se è iniziato da un po')
Cida |
|
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Capitolo 6 *** Mr. & Mrs. Frost ***
Mr&MrsFrost
Mr&MrsSmith!AU
Rating: Arancione
P.S. Non è un errore di battitura ;)
|
La casa sembra un campo di battaglia. Vasi, specchi e portafoto sono in
frantumi e i loro cocci invadono i pavimenti. I comò sono
divelti, i muri sfondati. La cucina è distrutta:
l’anta del grande frigorifero sta su per miracolo. A ben
guardare la casa non
sembra, ma è un
campo di battaglia.
Ilsa
Frost si gira appena, mugolando di dolore: ha, probabilmente, una o
più costole contuse. La testa le duole e fa fatica ad aprire
l’occhio sinistro: da come le tira la fronte è,
invece, certa di aver un bel taglio sul sopracciglio.
L’ultima esplosione è la causa delle sue orecchie
fischianti, che abbia una leggera commozione cerebrale?
Tutta
colpa di quell’idiota di Jack
Frost, suo marito.
Un
rantolo lì vicino le ricorda della sua presenza. Alza lo
sguardo, c’è una pistola accanto a lei. Non si
ferma a ragionare neanche per mezzo secondo, fa leva sulle braccia e
scatta. La raggiunge, arma il cane che non ha ancora finito di alzarsi,
punta, si blocca: Jack è già in piedi, proprio di
fronte a lei, e la tiene sotto tiro con un fucile.
Le
punte delle loro armi quasi si sfiorano.
Come
hanno fatto a ridursi così?
Ha
i capelli castani arruffati e il sangue gli sporca il viso,
così come i vestiti, di chi sia dei due non lo saprebbe
dire. Ha il respiro affannato e non le toglie gli occhi di dosso
neanche per sbattere le palpebre, in quel pericoloso gioco sul chi
preme il grilletto per primo.
Dal
canto suo, è
tesa come una corda di violino, eppure il suo dito non si muove: perché?
E’
in quel momento che Jack - lo stesso Jack che ha colpito duro ma mai troppo
a fondo - inspira, chiude gli occhi e abbassa il fucile.
«Non
ci riesco. » Sussurra, c’è del dolore in
quelle parole.
Ilsa
stringe i denti. «No! » Quasi lo urla, muovendo la
mano che impugna la pistola in una disperata incitazione.
«Fallo! Spara! »
Le
labbra di lui si piegano in un sorriso appena accennato.
«Fallo tu, se vuoi… » Si arrende.
Dovrebbe
davvero premerlo quel grilletto, maledizione: anni
fatti di menzogne possono valere il rischio di far incazzare le
rispettive agenzie? Certo che no, risparmiarsi a vicenda sarebbe una
dichiarazione di guerra, sarebbe morte
certa…
e per cosa, poi?
Eppure
non ci riesce: gli occhi le si riempiono di lacrime.
Jack
scatta: è quello il momento in cui dovrebbe sparargli,
invece non si oppone quando lui le strappa la pistola di mano e la
lancia lontano.
Ha
le labbra sulle sue ancor prima che riesca ad accorgersene: non lo
allontana, anzi, si ritrova a ricambiarlo con una passione che non
provava da tempo, seppellita com’era sotto coltri di bugie e
silenzi.
Il
bacio si fa più irruento, urgente, bruciante: gli affonda le
dita fra i capelli e si lascia spingere contro ad un muro.
Jack
quasi ringhia quando la innalza sul piano di un comò: le
libera le labbra e, con uno strappo deciso, lacera la parte superiore
del suo vestito, affondando il viso nella morbidezza dei suoi seni,
messa in risalto dal balconcino che porta. Il fiato le muore in gola,
quando sente la sua eccitazione premerle in mezzo alle gambe: inarca il
busto, esponendo il più possibile quella pelle che freme per
essere baciata, morsa, succhiata.
Lo
fanno direttamente lì sopra, senza nemmeno finire di
spogliarsi: l’orgasmo li travolge potente, risucchiando ogni
energia rimasta.
Scivolano
a terra con il fiato corto, l’una di fianco
all’altro e, finalmente, i loro sguardi
s’incrociano di nuovo.
Lui
le regala un sorriso così genuino che le fa chiedere che
diavolo fossero quelli che le ha rivolto negli ultimi anni.
Prima
ancora che se ne renda conto, il braccio scatta e la mano lo
schiaffeggia con un’intensità tale da fargli
girare la testa.
Quando
si rivolta verso di lei, Jack ha gli occhi sgranati per
l’incredulità: non è arrabbiato ma, per
lo più, curioso di scoprire il motivo di quel destro
inaspettato.
Dare
una spiegazione a quel gesto, però, è decisamente
troppo difficile: opta per un rancore che si porta dietro da qualche
giorno e che, di sicuro, un po’ lì dentro
c’è stato. «Per avermi sparato, quella
sera… » Accusa.
«Ti
ho già detto che è stato un incidente.
» Si difende l’altro. «Ti ricordo che hai
fatto saltare l’ascensore dove pensavi che fossi. »
Fa per alzarsi.
In
un attimo gli è addosso e lo costringe di nuovo spalle al
pavimento, bloccandolo col peso del suo bacino. «Non
l’ho premuto io quel pulsante. » Confessa.
Lui
forza la sua presa e la bacia ancora.
Forse,
le energie non erano poi così esaurite.
Quando
riapre gli occhi, questa volta, è completamente nuda, nel
tiepido calore del loro letto: il piano di sopra è stato per
la maggior parte risparmiato dalla loro furia. Devono solo ringraziare
il fato che ha voluto i loro vicini in vacanza: ben più di
un poliziotto sarebbe già arrivato a bussare alla loro
porta, altrimenti.
Il
fatto di essere sola le provoca una sensazione a cui si rifiuta di dare
un nome. Quanto ha dormito? Ore? Minuti?
Jack
appare sulla porta proprio in quel momento, indossa solo un paio di
boxer e ha un vassoio tra le mani. Sopra ci sono due bicchieri rotti
con del succo d’arancia, una mela già tagliata e
alcuni cracker.
Non
riesce a fare a meno di sorridere. «Ciao, straniero.
» Gli dice.
«Ciao, straniera.
» Le risponde lui, ricambiando il suo sorriso. «Non
si è salvato molto, temo. »
«Andrà
bene. » Lo rassicura, indossando al volo una delle sue
camicie bianche: chiude quel numero giusto di bottoni che la fa sentire
più a suo agio. «Grazie. » Aggiunge,
quando lo vede posare il vassoio sul materasso, proprio nel mezzo fra
loro due.
«Prego.
» Le dice lui, sporgendosi un poco per lasciarle un bacio
sulla guancia. Le sfiora, poi, i capelli biondi e mossi con la punta
delle dita. «Preferisco quando li porti sciolti. »
Le fa presente, prima di appropriarsi di un pezzo di mela.
Ilsa
finisce di bere il suo succo: un sorriso malizioso le piega le labbra.
«Lo so… »
«Vuoi
dire che li raccoglievi in quelle acconciature così rigide
di proposito? » Il frutto rimane sospeso a metà,
Jack è incredulo. «Perfida. »
«Sciocco.
»
Ridono
assieme.
«Sai…
» Dice lei, rompendo un cracker con entrambe le mani.
«Ho pensato ad un’infinità di possibili
scenari del perché ci siamo così allontanati in
questi anni, ma mai avrei pensato che fosse perché facessimo
entrambi lo stesso lavoro. » Ne mangia un pezzo.
«Credevi
avessi l’amante? »
Annuisce.
«Impossibile
anche solo da pensare. »
«Meglio
così. » Dice lei glaciale. «Altrimenti,
a quest’ora, sarebbe morta. » Sentenzia.
Jack
scoppia a ridere di gusto ma, poi, incrocia il suo sguardo: si gela.
«Scherzi, vero? » La
vede alzare le spalle ma senza dire niente. «Non
scherzi. » Rabbrividisce. «E’ per questo
che sei diventata così fredda con me? » Chiede.
«Voglio dire, non lo facevamo da… » Ci
pensa un po’ su. «Mesi? »
«Anche.
» Ammette lei. «D’altra parte che mi
tradissi non avevo prove ma sapevo con sicurezza che spesso mentivi e
che mi stavi nascondendo qualcosa. »
«Oh,
perché tu sei sempre stata un pozzo di sincerità,
non è vero? » La rimbecca lui, ironico sia nel
tono di voce che nell’espressione del viso.
Ilsa
non si scompone. «Non ti ho mai mentito. »
«Bugiarda.
»
Le
viene naturale sbuffare. «Magari ho reso la verità
più poetica, sì, omesso delle cose…
» Non demorde. «Ma non ti ho mai detto il falso.
»
Lui
assottiglia gli occhi. «Converrai che la differenza
è piuttosto sottile. »
«Però
c’è. »
Le
spalle di Jack si alzano e una mezza risata esce direttamente dalla sua
gola. «L’ultima parola dev’essere sempre
la tua, eh? »
«Sì.
» Conferma lei, con un sorriso che le nasce spontaneo sulle
labbra. «Adesso sono curiosa: » Continua.
«Dov’eri quella volta che hai perso il nostro
anniversario? »
«Parigi.
» Afferma subito, sicuro. «Claude Frollo.
»
Ilsa
sgrana gli occhi. «Sei stato tu? » Sbotta.
«L’avrei voluto io quel pazzo egomaniaco.
»
Lui
annuisce. «Convengo che se il suo assassino fosse stato una
donna sarebbe stato sicuramente più d’impatto.
» Si ferma un attimo a pensare. «E
quella volta che pensavo non fossi a casa e sei apparsa come un
fantasma in corridoio? »
Non
le viene in mente subito. «Ah! »
S’illumina, poi. «Tornavo dall’Africa: mi
ha lasciato un elicottero direttamente sul tetto e sono entrata dalla
finestra della soffitta. Avevo appena rimesso a posto la scala, quando
mi hai vista. » Ridacchia. «Davvero non te ne sei
accorto? »
Jack
scuote il capo. «Ma certo! » Ricorda.
«Nel pomeriggio stavamo testando i nuovi bazooka e mi sono
scivolate le cuffie: ero quasi sordo quella sera. »
«Ecco
perché mi hai ignorato tutto il tempo: non sentivi quello
che dicevo! » Sospira, divertita. «Dio, trovavo il
tuo atteggiamento insopportabile, hai rischiato seriamente che ti
accoltellassi. »
«Oh,
grazie. » Le risponde piccato. «Pensi davvero che
lo avrei fatto di proposito? »
«Diciamo
che non mi avrebbe stupito: sai essere estremamente irritante, quando
ti ci metti. »
«In
effetti, hai ragione. E’ che sei così rigida, a
volte, che argh!
» Le fa il verso di strozzarla con le mani.
«Che ci facevi in Africa, piuttosto? »
«De
Vil. »
«La
trafficante di persone e animali? » Un fischio gli sfugge
dalle labbra. «Wow! Gran bell’intervento quello.
» Si congratula.
«Grazie.
»
L’espressione
di Jack muta, si fa più seria. «E’ vero
che sei orfana? »
Lei
annuisce. «Sì, ma ho una sorella minore.
» Rivela. «Non la vedo da quando avevo otto anni.
»
«Sai
dove si trova? »
«Ho
ritenuto fosse più saggio non saperlo. » Afferma,
ma quella nota di dolore che le incupisce la voce è
impossibile da non notare. «E tu? »
«Anche
io avevo una sorella più piccola, ma l’ho persa,
così come il resto della mia famiglia. »
E’
un istinto naturale quello che porta Ilsa a coprirgli una mano con la
sua. «Mi dispiace. » Ed è davvero
sincera quando lo dice.
Jack
volta il palmo e stringe le dita alle sue. «Penso di averne
appena trovata un’altra. »
Lei
è incredula. «Abbiamo tentato di ammazzarci a
vicenda un attimo fa! »
«Un
attimo? » Le chiede di rimando, un sopracciglio inarcato.
Si
ritrova così a pensare alle ultime ore e non può
fare a meno di arrossire. «Scemo! » Lo riprende.
«Sai cosa intendo. »
L’altro
sorride bonario. «Chiamami scemo quanto vuoi. » Le
fa presente. «E’ vero: la coppia che formiamo
è una bomba pronta ad esplodere. Le nostre agenzie non
saranno contente e, probabilmente, saremo morti entro pochi giorni ma,
davvero, non
c’è altro posto in cui vorrei stare
se non con te. »
«Non
sai quello che dici. » Innesca il suo meccanismo di difesa
lei, ritirando la mano con uno scatto.
«Sì
che lo so. » Lui non demorde. «La tua mira non fa
così schifo: non mi hai preso nemmeno una volta. Vuoi farmi
credere che sia stato un caso? » La interroga, ironico.
«Ammetto, però, che hai un gancio micidiale.
» Conclude, massaggiandosi il viso.
«Tu
lo incassi bene. » Sorride, ma solo per un
attimo.
«Non può funzionare, lo abbiamo visto. »
«Non
sono d’accordo. » Jack s’impunta.
«Non ha più funzionato quando una montagna di
bugie e non detti si è frapposta fra noi. Quello che
c’è stato prima, però, non lo puoi
negare. »
«Per
favore. » Quasi lo implora, esasperata. «Non so
neanche se Jack sia il tuo vero nome. »
«A
questo rimediamo subito. » Si spinge in avanti e le si siede
accanto, facendola sobbalzare sul materasso. «Jackson
Overland. » Si presenta, tendendole una mano. «Jack
per gli amici… o per chi tenta di uccidermi. E tu sei?
» Chiede, sinceramente curioso.
Lei
guarda quella mano tesa titubante: sospira, la afferra.
«Piacere di conoscerti Jackson. » Punta lo sguardo
nel suo quando lo dice, sorride. «Io sono Elsa, Elsa Bleket.
»
Ciao a tutti!
Finalmente
riesco a tornare dai miei due ghiaccioli preferiti.
Mi rendo conto che questa piccola OS sia al limite del
fanservice ma avevo davvero bisogno di tornare da loro in questo 2024 e
volevo farlo con leggerezza (seppur con una piccola punta di angst che
non stona mai). Così, complice un recente rewatch del film
da cui questa OS trae l'ambientazione, è nato questo piccolo
divertisemment che
spero vivamente abbia intrattenuto anche voi.
Questo piccolo scorcio riprende l'iconica scena della battaglia in casa
o, almeno, la sua fine ma rimescola un po' di punti salienti del film
(sia nelle dinamiche che nei dialoghi), condensandoli in questo punto.
Grazie per aver letto sino a qui. Come sempre, un qualsiasi segno del
vostro passaggio mi renderà molto felice. <3
Alla prossima,
Cida |
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