La giovanissima perla

di crazy lion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno sguardo al passato ***
Capitolo 2: *** Emiko ***
Capitolo 3: *** Nel regno di Lucia ***
Capitolo 4: *** Lezione di musica ***
Capitolo 5: *** La lettera ***
Capitolo 6: *** Giornata al mare ***
Capitolo 7: *** Ninnananna ***
Capitolo 8: *** Un giorno speciale ***
Capitolo 9: *** La sofferenza di Kaito ***
Capitolo 10: *** La terra trema ***
Capitolo 11: *** Matrimonio ***
Capitolo 12: *** Luna di miele ***
Capitolo 13: *** Amore e famiglia ***
Capitolo 14: *** L'inizio di un momento difficile ***
Capitolo 15: *** Il dolore di Lucia e Kaito ***
Capitolo 16: *** Il processo ***
Capitolo 17: *** La battaglia ***
Capitolo 18: *** Le due feste ***
Capitolo 19: *** Il travaglio ***
Capitolo 20: *** Un dono dal cielo ***



Capitolo 1
*** Uno sguardo al passato ***


LA GIOVANISSIMA PERLA





PREMESSA
 
Prima di lasciarvi alla lettura di questa storia vorrei scrivere alcune note.
1. Non ho ancora visto tutta la seconda serie dell'anime, sono all’inizio, quindi questa storia è ambientata alla fine della prima.
2. L'ispirazione mi è venuta dalla sigla e da altre canzoni, e dall'episodio 36 che, se non avete visto, vi consiglio di guardare, perché è molto bello.
3. La storia sarà più seria e tratterà temi più adulti dell’anime, come l’adozione.
4. Per questioni di trama, ho alzato l'età dei personaggi, che qui sono adulti.
5. Mi sono inventata come sono le fatine dei coralli, dato che non vedendo no so se nell'episodio 36 ce ne fosse una. C'era una neonata che in realtà era una fatina, ma non so se si è trasformata.
6. Non ho trovato informazioni su come funzionano l’adozione e l’affidamento in Giappone, se non il fatto che in quello Stato ci vorrebbero più famiglie affidatarie che istituti. Per questo, mi sono rifatta al sistema americano e italiano.
7. Le citazioni in corsivo sono tratte da varie puntate, nei credits spiegherò quali e darò anche i nomi delle autrici e i titoli delle canzoni citate.
8. Le parole in giapponese sono in corsivo per distinguerle dalle altre.
9. Il punto di vista principale sarà quello di Lucia, anche se nel primo capitolo ce ne sarà uno di Kaito. Questo perché, mentre lei era impegnata a combattere le Dark Lovers, lui parlava con Gaito, e Lucia è venuta a sapere di quella conversazione soltanto dopo.
10. La principessa sirena che è nata, Seira, nella seconda serie è protetta da Lucia, ma qui non comparirà perché la storia si riferisce alla prima serie. Ho solo scritto che è nata e che è nel suo regno.
Credo di aver detto tutto. Spero che la storia, per quanto lunga, vi possa piacere.




CAPITOLO 1.
 
UNO SGUARDO AL PASSATO
 
Lucia era seduta sul divano che lei e Kaito condividevano da qualche mese. Lui non c’era, si trovava a scuola a insegnare, nello stesso liceo dove i due avevano studiato. La sirena aveva già sbrigato tutte le faccende domestiche e adesso non aveva nulla da fare. Guardò il cellulare, soprattutto le previsioni del tempo e le notizie più importanti su internet, ma non trovando nulla che attirasse la sua attenzione si immerse nei ricordi.
Tempo prima lei, Hanon e Rina avevano trovato una neonata nel loro giardino. Lucia se n'era presa cura fino al ritorno di Nikora, la manager del Pearl Piari Hotel dove le tre abitavano e lavoravano. Lucia si era divertita a portare la bambina a fare una passeggiata al mare e lì aveva incontrato Kaito, il ragazzo che le piaceva e che ancora non sapeva che lei, Rina, Hanon e Nikora erano delle sirene. In ogni caso, si erano presi cura della piccola, che aveva capelli e occhi marroni, dandole il latte, e poi la bambina si era addormentata. Sulla spiaggia Lucia aveva sentito qualcuno che le parlava nella testa, ma non era riuscita a capire. Hanon aveva detto che le fate dei coralli proteggevano il regno di Lucia mentre lei era qui sulla Terra. E Nikora aveva aggiunto che una di loro, curiosa di vedere la Terra, era diventata un neonato. A Lucia erano venute le lacrime agli occhi all'idea che quel dolce angelo potesse ritrasformarsi in fata, ma la piccola le aveva detto, nella mente:
“Resterò una neonata perché voglio che tu sia la mia mamma.”
L’avevano sentito anche Hanon, Kaito, Rina e Nikora.
“Eh?” chiese Rina. “Ma puoi farlo?”
“Sì, posso. Al regno ci sono tante altre fatine come me, ma non hanno bisogno che io sia presente. Se me lo permettete, vado a fare un salto nel regno per dirlo loro.”
“E così è una fatina dei coralli? Ma com’è possibile, non esistono” aveva detto Kaito.
“Vai pure, Lucia, ci pensiamo noi a convincerlo” disse Nikora.
La sirena aveva portato al mare la piccola e lei si era trasformata in una fatina. Aveva due alucce bianche, la pelle candida e le pinne per nuotare. Era così carina anche in quella forma! Anche le altre erano così, ricordò Lucia. Le aveva sempre trovate bellissime.
Kaito aveva raggiunto la ragazza.
“Mi hanno convinto che esseri simili esistono. Del resto, una sirena mi ha salvato anni fa, quindi non dovrei stupirmi più di niente.”
Lucia aveva avuto un tuffo al cuore.
“Sì, quando i miei genitori morirono in un naufragio, ti ricordi che te ne ho già parlato?”
“Sì.”
E si era zittita, perché non poteva dirgli che era lei quella sirena.
“Stai bene?” le aveva chiesto Kaito.
“Sì, perché so che tornerà.”
Dopo un’ora, la piccola era di ritorno e si trasformò in una bambina di pochi giorni.
“Eccoti qui, tesoro!” Lucia l’aveva prese in braccio e, assieme a Kaito, l’aveva riportata all’hotel. “Non so se sarà possibile che io sia la tua mamma, piccola” aveva detto la sirena dalla perla rosa.
“Perché? E voglio che Kaito è il mio papà.”
La sirena aveva sorriso sentendo quel verbo sbagliato.
“Ci sono cose che sei troppo piccola per capire” aveva concluso.
Da quel giorno, la bambina non aveva più parlato. Non perché fosse arrabbiata con Lucia, ma perché voleva comportarsi come una neonata. La bambina era stata affidata agli assistenti sociali e Lucia si era detta disponibile a prenderla in affidamento.
Kaito avrebbe dovuto partire per le Hawaii, perché era lì che suo padre l’aveva portato a fare surf la prima volta. Avrebbe anche voluto scoprire le sue origini. Ci era andato e le aveva scritto una lettera.
La ragazza la tirò fuori da un cassetto e la lesse a mente.
Cara Lucia,
come stai?
Io non sono mai stato meglio, qui è un vero paradiso. Non smetto mai di fare surf e mi diverto a cercare onde sempre più alte.
 
Ho conosciuto ragazzi che vengono da tutto il mondo per affrontare queste onde straordinarie. Io adoro fare surf!
 
Qui per salutare dicono “Aloha”. È più carino di “Ciao”, non trovi? Le Hawaii ti piacerebbero molto.
 
Ora devo tornare in spiaggia, ma ti scriverò ancora.
Aloha Lucia.
A presto.
Kaito
Ricordò che quella volta ci era rimasta un po’ male. Si era aspettata che lui la chiamasse “amore mio” e che le dicesse che stava tornando, e che la lettera sarebbe stata più lunga, ma aveva dovuto accontentarsi.
A un certo punto Lucia aveva sentito che Kaito aveva bisogno di lei e l’aveva raggiunto alle Hawaii. E mentre lei, Hanon, Karen e Rina liberavano Noelle e Coco, le due principesse sirene prigioniere di Gaito, quest’ultimo parlava con Kaito. Lui aveva raccontato tutto a Lucia riguardo cosa si erano detti una volta finito tutto.
 
 
 
“Ti sto offrendo la possibilità di sfruttare il tuo potere di luce” aveva detto Gaito in un incubo che Kaito aveva fatto.
Poi se n’era dimenticato, ma Gaito l’aveva portato sul mare, promettendogli che la ragazza di cui era innamorato sarebbe stata protetta se si fosse unito a lui. Non aveva accettato, ma scoperto che discendeva dalla tribù dei Panthalassa.
Quando Kaito era tornato, un mese dopo, aveva deciso di farlo per amore di Lucia. Lei l’aveva raggiunto, assieme a Hanon e Rina, giorni prima, perché aveva sentito che era in pericolo. Ed era così, infatti. Gaito l’aveva portato nel suo palazzo.
“Ma dove sono?” si era chiesto Kaito. “Si può sapere chi sei?”
“Io sono Gaito e questo è il mio palazzo. Sei venuto qui per scoprire come ottenere i nuovi poteri che ti spettano dalla nascita. Finalmente hai capito che non ce la puoi fare da solo a proteggere la ragazza che ami. Te l’ho già detto in sogno: solo unendoti di nuovo a me potrai cambiare la tua natura.”
“Ora basta!” aveva ribattuto lui.
“E va bene, forse… forse non sei ancora consapevole delle tue potenzialità, ma scommetto che questo te lo ricordi.” Una grande luce lo aveva avvolto. “È la prova che anche tu discendi dalla tribù dei Panthalassa.”
“Tribù dei Panthalassa? Non l’ho mai sentita.”
“Tra non molto tutto ritornerà al suo stato originale e allora nessuno potrà più fermarci, mio caro alter ego. Questo palazzo è anche tuo, e vorrei che ti piacesse, mio alter ego di luce. Non appena torneremo ad essere una persona sola governeremo il mondo e i sette oceani.”
“Lucia.”
“L’attrazione che provi per lei è dovuta alla tua natura. Tu, come me, discendi dia Panthalassa. Quella sirena ti affascina per un solo motivo: in un certo senso ti ricorda le tue origini e risveglia in te il desiderio di tornare negli abissi.”
Io ho risposto che era un bugiardo e lui mi ha detto che quello che provavo non era amore, ma non ci ho creduto, per me lo era eccome. Io sapevo di amarti, Lucia.”
“Siamo rimasti lontani per troppi anni, ma ora sei arrivato. La Regina dei Mari, prima di essere definitivamente sconfitta, riuscì a separarci. Mise alcuni poteri in te ed altri in me per evitare che guidassimo i Panthalassa verso la distruzione della Terra. Da quel triste momento abbiamo vissuto lontani senza sfruttare tutte le nostre potenzialità, ma per fortuna possiamo rimediare e riunire i nostri spiriti. Tu sei il mio alter ego e discendi dai Panthalassa. Non dimenticherò mai quelle parole.”
“No,” aveva ribattuto Kaito, “io non ti credo. Non ho niente a che fare con uno come te. Non so chi tu sia veramente, però io mi chiamo Kaito e sono figlio di due musicisti molto famosi. Questa è l’unica verità che conosco.”
“Ti sbagli di grosso. Tu sei un Panthalassa e il tuo compito è quello di catturare le sette principesse sirene e di prendere le loro perle.”
“Le sette sirene, ma che cosa dici?” E ho urlato: “Mi stai facendo impazzire!”
“Mi spiace,” ha continuato lui, “ma non puoi sfuggire al tuo destino. E il motivo è molto semplice: io ho bisogno di te.”
 
 
 
 
Poi gli aveva fatto del male, tanto male. Lui aveva urlato, ma nessuno l’aveva sentito, tranne forse Lucia, che però era impegnata a liberare le principesse sirene e a combattere contro le Dark Lovers.
Gaito voleva le sette perle delle sette principesse sirene per conquistare il mondo. E Kaito aveva resistito, aveva salvato Lucia avvolgendola con la sua luce, e lui aveva gridato il suo nome. Gaito aveva scatenato una tempesta sulla Terra.
“Vento e acqua abbattetevi sulla Terra!” aveva esclamato Gaito.
“Ora smettila” aveva detto Lucia.
“Non puoi distruggere intere città!” aveva ribattuto Hanon.
“Davvero? Ce n’è anche per voi, eccovi delle simpatiche compagne di gioco.”
Erano le Dark Lovers, che loro avevano sconfitto.
Nel frattempo Taro, prigioniero di Sara, che lo amava e voleva tenerlo lì per sempre, aveva continuato a suonare la melodia che Hanon conosceva benissimo. Sara aveva provato a scontrarsi con lei, ma a un certo punto si era messa a piangere per Taro, ricordando i vecchi tempi vissuti con lui. Così aveva cambiato canzone. Anziché cantare Assoluto amore aveva scelto Dolce melodia.
Taro le aveva detto che aveva capito che, se lei voleva svolgere il suo compito di principessa sirena, lui avrebbe dovuto allontanarsi, e che gli dispiaceva che lei avesse sofferto. Sara aveva capito che l’aveva lasciata per il suo bene, per amore. Taro si era scusato con Sara e gli aveva promesso di restare una principessa sirena. I suoi capelli neri erano diventati arancioni, perché il suo odio per Taro era svanito. Hanon aveva capito che doveva lasciare Taro, anche se la cosa le dispiaceva.
“Ma io,” disse Lucia tornando al presente, “Rina, Hanon e Karen – pur non avendo un buon rapporto molto buono con lei, anche se non abbiamo capito da cosa derivava il suo astio –, siamo scese nel palazzo, abbiamo liberato le altre principesse sirene, Coco e Noelle, la gemella di Karen, e, assieme a Sara, abbiamo sconfitto Gaito e il palazzo è sprofondato negli abissi, crollando, è questa la cosa più importante.”
Ma Sara, per rispetto di Taro e Hanon, aveva deciso di seguire lo stesso destino di Kaito, donando a Lucia la sua perla arancione affinché la desse alla nuova principessa sirena, quando questa sarebbe nata.
Lei e Kaito si erano messi insieme dopo che lui aveva capito che lei era una sirena. Lucia lo ricordò in quel momento. Non l’avrebbe mai dimenticato e ci pensava ogni giorno. Era stato il giorno in cui si era ritrovato, assieme alle sette principesse sirene, nel palazzo di Gaito.
“Kaito, ti prego, se mi senti apri gli occhi. Svegliati!” aveva esclamato Lucia dopo che lui aveva combattuto con Gaito usando il suo potere. “Ti supplico Kaito, mi hai sentito? Apri gli occhi.”
Lui si era svegliato e Lucia aveva sospirato di sollievo.
“Per fortuna sei qui con me. Dimmi, come ti senti?”
“Ora sto bene, Lucia.”
“Ma come… tu hai pronunciato il mio nome, mi hai chiamato Lucia!” aveva esclamato lei, sorpresa.
“Adesso ho capito che la sirena a cui ho sempre pensato, la principessa sirena dell’Oceano Pacifico del Nord, sei proprio tu, Lucia” aveva detto lui, ancora debole. “Che bella sorpresa!”
Lucia aveva sorriso.
“Oh Kaito, sono contenta! Finalmente hai capito, sono felice!” aveva esclamato, con le lacrime agli occhi.
“Eri sempre accanto a me,” continuò lui, “ma ero cieco. Come ho fatto a non vedere che la sirena che ho cercato per tutta la vita era lì vicino a me, ogni giorno? Che stupido che sono. Perdonami!”
“Scusami, mi dispiace, Kaito. Non potevo proprio dirtelo, davvero. Ma credimi, più di una volta sono stata sul punto di svelarti il mio segreto. Desideravo tanto farti sapere che ero io la sirena che stavi cercando” aveva detto, piangendo.
“Ti prego Lucia, perdonami. Adesso so che, se me ne fossi accorto prima, avrei evitato di metterti in questa situazione pericolosa. Mi dispiace davvero tanto. Lucia, tu non hai nessuna colpa. Hai cercato di farmelo capire ogni volta che mi guardavi, ma io ero troppo stupido per rendermene conto.”
“Non sai quanto ho aspettato e sperato! Ero convinta che prima o poi, guardandomi negli occhi, ti saresti reso conto di chi ero veramente.”
“Ti prego Lucia, abbracciami.”
Lei l’aveva fatto, esclamando:
“Kaito, sono così contenta.”
I loro cuori avevano battuto all’’unisono, Alla fine Gaito, persa la sua forza, aveva accettato il suo destino ed era sprofondato con il proprio palazzo. Lucia e Kaito erano tornati sulla terra e si erano fidanzati ufficialmente.
 
 
 
CREDITS:

le parti dialogate in corsivo (lettere comprese, anche quella di un capitolo futuro) vengono dagli episodi 46, 47, 49, 50 e 52.

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Capitolo 2
*** Emiko ***


CAPITOLO 2.
 
EMIKO
 
“Lucia?”
La ragazza sussultò sul divano.
“Oh, ciao Kaito, non ti avevo sentito arrivare.”
“Me ne sono accorto, ti ho chiamata tre volte.”
“Cosa? Dici davvero? Scusami, non ti ho nemmeno preparato la cena.”
“Come mai eri così assorta?”
“Ho pensato a quanto è stato difficile sconfiggere Gaito.”
“Già, ma ora non riflettiamo più su questa storia. Preparo un’insalata al volo.”
“No, ci penso io. Ti va bene se ci metto anche fagioli, mozzarella e tonno?”
“Va benissimo.”
Quella sera guardarono Il Re Leone 2 in inglese e cantarono insieme la canzone che Kiara e Kovu cantano a un certo punto.
“Pronto?” gli chiese Lucia.
“Prontissimo, la canteremo tutta insieme, anche se la prima parte è solo di Kiara.”
“D’accordo.”
In a perfect world
One we've never known
We would never need to face the world alone
They can have their world
We'll create our own
I may not be brave or strong or smart
But somewhere in my secret heart
 
I know
Love will find a way
Anywhere I go
I'm home
If you are there beside me
Like dark turning into day
Somehow we'll come through
Now that I've found you
Love will find a way
 
I was so afraid
Now I realize
Love is never wrong
And so it never dies
there's a perfect world
Shining in your eyes
And if only they could feel it too
The happiness
I feel with you
[…]
Poi si misero a ridere come i protagonisti, così, senza motivo. Era bello ridere davvero, senza preoccupazioni o problemi, come Gaito, le Dark Lovers o le Black Beauty Sisters.
“Che bella canzone!” esclamò Lucia alla fine del film, poi sbadigliò.
“È meglio se andiamo a dormire, che dici?” le chiese Kaito prendendola per mano.
“Dico che è una buona idea.”
Dopo tre mesi di fidanzamento, sicuri del loro amore, lei e Kaito avevano contattato un'assistente sociale per diventare genitori affidatari.
“Voi convivete, se foste sposati sarebbe più facile, ma non è impossibile. State insieme da poco, ma vi conoscete da molto.”
“Esatto, sappiamo tutto l’uno dell’altra” rispose Kaito. “E sappiamo che tre mesi di convivenza sono pochi, ma ci conosciamo da molto tempo, stiamo insieme da quasi un anno e siamo sicuri del nostro amore.”
Lucia sorrise a quelle parole. Lo pensava anche lei.
L’assistente sociale continuò.
“Voi avete una solida posizione finanziaria?”
“Io lavoro come insegnante di musica, lei come tuttofare in un hotel” rispose
 Kaito.
“Quindi, se il bambino fosse piccolo, Lucia potrebbe restare a casa ad occuparsene mentre Kaito lavora.”
“Esatto” rispose la ragazza.
“Bene. È improbabile, però, che vi affidino la bambina che avete trovato. I neonati vengono adottati subito, è probabile che abbia già trovato una famiglia. Voi non potrete decidere né l'età, né il sesso, né l'etnia del bambino o della bambina che vi verrà affidato.”
Poi avevano proceduto con le pratiche burocratiche e, e, nel giro di qualche altro mese, erano diventati disponibili ad accogliere un bambino. Ora avevano una casa loro, nella quale convivevano. Ricevettero una chiamata dall'assistente sociale una domenica, mentre erano seduti sul divano a guardare la televisione.
“Ho una bellissima notizia per voi!” esordì. Era passato solo un mese da quando erano diventati genitori affidatari. “La bambina che avete trovato è ancora in attesa di una famiglia e abbiamo scelto voi come genitori affidatari. Se tutto andrà bene potrete anche adottarla.”
“E quando possiamo venirla a prendere?”
“Anche subito.”
L'assistente sociale spiegò loro dove si trovava l'orfanotrofio e disse che li avrebbe raggiunti lì. Tutti ci arrivarono in mezz'ora di auto.
“Salve” li salutò l'assistente sociale, che si chiamava Akane.
“Buongiorno” risposero all'unisono Lucia e Kaito.
Akane suonò il campanello e una voce rispose al citofono:
“Chi è?”
“Siamo l'assistente sociale Akane, Lucia e Kaito” rispose la donna.
Venne loro aperto subito.
Tanti bambini giocavano in giardino.
“Tutti aspettano una famiglia” disse Lucia. “Me li porterei a casa a uno a uno solo per dar loro una mamma e un papà.”
“Anch'io, ma almeno sappiamo che c'è una bambina che ci sta aspettando.”
“Infatti, Kaito ha ragione, e poi ci sono tante coppie che vogliono adottare” disse Akane.
Aveva i capelli ricci e lunghi e gli occhi nocciola. Era molto alta, quasi un metro e novanta giudicò Lucia, e indossava, come sempre nei loro incontri precedenti, abiti semplici, quel giorno jeans e maglietta visto il periodo estivo.
Quando entrarono nell'edificio, con alle pareti i disegni dei bambini - principalmente montagne, animali, il mare o alcuni pesci -, furono accolti dalla direttrice. Era sulla quarantina e li accolse con calore.
“Vi stavo aspettando” disse. “Seguitemi.”
Aveva capelli e occhi nerissimi e la pelle lattea, tutte caratteristiche che saltavano all'occhio, soprattutto il colore della pelle, visto che si trovavano in Giappone.
Li accompagnò in una camerata nella quale c'erano tanti lettini. I bambini, di diverse età, dormivano beati.
“Quella là in fondo è Emiko, la bambina che avete salvato” disse. “Andate pure a prenderla in braccio.”
Quando i due si avvicinarono al lettino si resero conto di quanto la bambina fosse diventata grande. Adesso aveva undici mesi, li informò la donna, e si chiamava Emiko. Aveva i capelli castani più lunghi e i suoi meravigliosi occhi maroni che avevano conquistato Lucia quando l’aveva presa in braccio per la prima volta, e il ciuccio in bocca. Era così carina.
“Abbiamo dovuto darle un nome quand'è arrivata qui. L'hanno portata gli assistenti sociali. Abbiamo anche stabilito la data di nascita il 14 settembre, il giorno in cui è arrivata. Gli assistenti sociali hanno cercato i suoi genitori ma senza alcun risultato, così è diventata una bambina adottabile.”
“E come mai non è stata adottata prima? L’assistente sociale ci ha spiegato che i neonati vengono adottati subito” disse Kaito.
“Non lo so,” gli rispose la donna, “forse era destino che vi incontraste di nuovo.”
Il desiderio di Lucia di prendere in braccio Emiko era fortissimo, ma non voleva svegliarla.
“Che aspetti?” le chiese Kaito. “Prendila.”
La ragazza si chinò e la sollevò piano, stringendola a sé. La bambina si svegliò e iniziò a piangere, ma non appena vide Lucia si calmò.
“È come se ti avesse riconosciuta! Incredibile” disse Kaito.
“Già, assurdo” rispose la ragazza.
Ma sapeva, fin dal giorno in cui si era presa cura di lei, che tra loro due si era stabilito un legame profondo, che niente e nessuno avrebbe potuto spezzare.
“Ah!” esclamò la piccola e le sorrise.
“Emiko, hai un nome bellissimo” le disse la ragazza.
Il giorno in cui l'aveva trovata si era chiesta come si chiamasse e aveva detto a Kato che la piccola doveva avere un bellissimo nome. Era così, infatti.
“Chissà dov'è la sua mamma” disse Lucia e sospirò.
“Forse era troppo povera e l'ha abbandonata perché non poteva occuparsene” disse l'assistente sociale.
“E non avrebbe potuto chiedere aiuto a qualcuno?” chiese Kaito.
“Forse si vergognava” disse la direttrice.
“Avrete Emiko in affidamento per un periodo che va dai sei mesi all'anno e mezzo, queste cose vanno per le lunghe, e poi ci sono varie opzioni: o Emiko sarà affidata a un’altra famiglia, cosa che ritengo improbabile, o sarà rinnovato l’affidamento a voi, o, più probabilmente, se non ci sono parenti che si fanno vivi e la vogliono con loro, potrete adottarla.”
“Davvero? Sul serio potremmo adottarla? Ci assicura che tutto andrà bene?” chiese Kaito.
“A meno che i suoi genitori o alcuni parenti si presentino in aula, cosa che ormai ritengo poco probabile, dovrebbe andare tutto liscio. Verrò a casa vostra per dei controlli mensili. Vi ricordo, comunque, che per il momento si tratta di affidamento temporaneo, non di adozione.”
Un altro assistente sociale li aveva fatti anche prima, quando stavano cercando di diventare genitori affidatari.
“Ce ne rendiamo conto” disse Lucia.
I due tirarono un sospiro di sollievo, soprattutto Lucia che era affezionatissima alla piccola. I mesi nei quali non l'aveva vista erano stati i più duri per lei. Aveva pianto ogni giorno ed era diventata inconsolabile. Né Nikora, né Kaito, né le amiche Hanon e Rina erano riuscite a calmarla. Ma adesso era tutto finito.
“D'accordo, abbiamo capito” disse Kaito.
Firmarono alcuni documenti, poi la donna che aveva parlato loro di Emiko, quella che lavorava all’orfanotrofio, disse che avrebbero dovuto lasciare lì tutti i suoi vestiti e anche il pannolino.
“Non vogliamo che i bambini abbiano il ricordo di questo posto. Per quanto li trattiamo bene, non siamo i loro genitori.”
“Ma non abbiamo vestiti per bambini, dobbiamo ancora organizzarci” disse Lucia.
“Andremo a comprarne qualcuno in fretta, penseremo dopo al resto” disse Kaito.
Così fecero e acquistarono anche una confezione di pannolini. Lucia spogliò la bambina e le mise un altro pannolino – quello che indossava era, tra l’altro, bagnato di pipì – e le fece indossare un completino rosa, poi lei e Kaito portarono a casa la piccola, non prima di essere andati a comprare tutto ciò che le serviva: vestitini, altri pannolini, un fasciatoio, un passeggino, un ciuccio e molto altro. Poi andarono a fare la spesa. Kaito spingeva il carrello ed Emiko si guardava intorno per cercare la mamma, che era andata a prendere un po’ di cioccolatini.
“Non riesci proprio a resistere al cioccolato, eh, Lucia?” le chiese lui.
Lei gli tirò una gomitata scherzosa, poi il ragazzo riprese a spingere, e la bambina disse:
“No, papà no, mamma.”
Lucia sorrise e prese il carrello.
Una volta arrivati, sistemarono tutto e montarono il fasciatoio e il seggiolone.
“Benvenuta a casa, piccolina!” esclamò Kaito.
Lucia la mise seduta per terra, sul tappeto, e la bambina prese a gattonare raggiungendo il cesto dei giocattoli. I due si erano preparati nel caso il bambino fosse stato piccolo. Avevano anche una cameretta per lei.
“Ti piace, eh?” chiese Kaito alla bambina, che muoveva fra le piccole mani paffute un orsetto bianco.
Lucia le accarezzò i capelli.
“Sei una meraviglia, lo sai? Grazie per non esserti ritrasformata in una Fata dei Coralli per essere rimasta con me. Alla fine ci siamo ritrovate.”
Kaito non disse niente: aveva capito tutto.
All'improvviso la bambina cominciò a piangere.
“Forse ha fame, è quasi ora di pranzo” disse Kaito.
Per fortuna avevano in casa del latte in polvere, anche quello preso nel caso il bimbo avesse avuto meno di un anno. Lucia aveva letto molti libri sui bambini in quel periodo e aveva scoperto che il latte vaccino va dato ai piccoli dopo il primo anno di età. Quando il latte fu pronto, prese in braccio la bambina, si accomodò su una sedia della cucina e prese a darglielo. Le labbra della bambina formarono un cerchio perfetto attorno alla tettarella e la piccina prese a succhiare avidamente, prendendo anche il biberon con le sue manine.
“No, poi ti sbrodoli tutta” disse Kaito.
“Esatto, non si fa” aggiunse Lucia.
Poco dopo, la bambina si addormentò fra le braccia della ragazza e con il ciuccio in bocca.
“Guardala, Kaito. È così beata!”
“Già, sembra un angioletto.”
“La porto a fare la nanna.”
Kaito guardò, con occhi pieni di gioia, Lucia mettere a letto Emiko con gesti dolci.
“Ecco fatto piccola, buon riposino” le sussurrò, prima di baciarle la fronte.
“Sei così brava con lei, ti comporti proprio come una mamma” disse Kaito quando furono in salotto, accarezzando i capelli biondi di Lucia.
Lei gli sfiorò la barba rifatta da poco.
“Beh, ora lo sono, no? Diamo genitori.”
“Sì, lo so, ma anche quel giorno, quando l'abbiamo trovata, tu eri fantastica con lei. Come fai?”
“Amo i bambini, tutto qui, e ho sempre desiderato di averne uno tutto mio. Non credevo sarebbe successo a ventisette anni, ma si sa, la vita a volte ti sorprende.”
“Hai ragione. Nemmeno io pensavo di avere figli alla tua stessa età, anche se prima di diventare genitori affidatari ne stavamo parlando.”
“Sì, è vero. Beh, ora abbiamo una figlia, ma nulla ci vieta di averne di naturali.”
“No, infatti, ma io direi di aspettare un po'. In fondo Emiko è ancora piccola.”
“Hai ragione.”
Quando Emiko si svegliò, richiese altro latte.
“Dovremmo anche comprarle gli omogeneizzati e la pastina per prepararle la pappa per il pranzo e la cena” disse Lucia. “Oggi me ne sono dimenticata e le ho dato solo il latte, ci credo che ora abbia fame.”
“Dovremmo avere degli omogeneizzati di mela o pera e degli yogurt in frigo. Controlla” disse Kaito.
Lucia lo fece e optò per lo yogurt. Glielo diede, ma la bambina non era ancora sazia. Volendo variare, Kaito prese una marmellatina alla fragola e gliela diede. La piccola la gradì moltissimo.
“Pancia piena” disse Lucia.
“Perché non la portiamo un po' al mare, amore? Così io faccio surf e voi mi guardate. E poi, stare al mare farà bene alla piccola.”
Lucia si trovò d'accordo, Kaito si cambiò e si diressero alla spiaggia. All'inizio videro il mare e lo sentirono appena, ma più si avvicinavano più lo udivano.
“Quando sei arrivata da me ti ho portata qui, sai piccola?” le disse Lucia. “E abbiamo incontrato il papà.”
Intanto Kaito era entrato in acqua con la sua tavola e faceva surf come sempre con grande abilità.
“Vedi com'è bravo il papi?” chiese Lucia a Emiko, facendo una vocina acuta.
Si sedette sulla sabbia e la posò davanti a sé, sostenendola, anche se la bambina sapeva farlo da sola e, se fosse caduta, non si sarebbe fatta male.
“Com’è bello il mare, vero?” le chiese, dato che la bambina osservava l'oceano come rapita. “Come ti ho detto quando ti ho trovata, io lo adoro e quando posso faccio il bagno. Vuoi vedere una cosa molto bella?”
Pur essendo estate non c'era nessuno in giro, così Lucia decise di agire.
“Kaito, mi trasformo!” gridò, in modo che lui potesse sentire.
“D'accordo, ti aspetto qui.”
La piccola era una fata dei coralli trasformata in neonata, le Dark Lovers l’avevano portata sott’acqua e aveva respirato tranquillamente, quindi non aveva bisogno di un boccaglio per respirare, lo faceva benissimo da sola anche se era diventata una bambina normale. La nuotata fino all’Oceano Pacifico del Nord sarebbe stata lunga e faticosa, ma le due non avrebbero avuto fame sott’acqua.
“Guarda, adesso ci immergiamo nel mare. Ti porterò in un posto bellissimo, anche se come fata dei coralli lo conoscerai già.”
Esclamò:
“Voce di Perla rosa!”
Si riferiva alla perla che aveva perso e poi ritrovato anni dopo. Era rimasta con Kaito e lei aveva ritrovato lui e la perla in una sola volta.
Quando toccò l’acqua si trasformò in sirena, si immerse con in braccio la piccola, se la mise sulla schiena e cominciò a nuotare. La piccola le si aggrappò alle spalle. Pesci multicolore e molluschi passavano loro vicino, che la bambina indicava con un ditino e rideva. Poi Lucia cominciò a cantare, per farla rilassare.
Lalalala
Lalalala
Lalalala
lalala
Ciao sono Lucia
Sono una sirena
Può sembrare strano
Ma è una storia vera
Noi viviamo in un palazzo giù
Nel mare Blu
 
Ci accompagna sempre
una perla rara
che ci da magia
e una forza strana
la sua luce ci difenderà
che felicità.
 
Blue song love dream
Mermaid Melody
Siamo principesse sirene si!
Blue sea blue sky
Tu con noi vivrai
Mille avventure tu sognerai
 
Sotto negli abissi
Ci minaccia Gaito
Ma noi vinceremo
Con il nostro canto
Un segreto nascondiamo noi
Insieme a voi
 
Per i nostri amici
Diamo il nostro cuore
Dietro ai nostri sguardi
Crescerà l’amore
La leggenda su di noi è già
La verità
 
Blue song love dream
Mermaid Melody
Siamo principesse sirene si!
Blue sea blue sky
Tu con noi vivrai
Mille avventure tu sognerai
Mille avventure tu sognerai.
[…]
La bambina rise e batté le manine alla fine della canzone.
“Ah lalalalalala” disse.
Lucia sorrise e lo trovò adorabile, non c'erano altre parole per descriverlo. Nuotare con la bambina, che continuava a muoversi su di lei, era difficile e stancante, ma la principessa del mare ci riuscì. Raggiunse lo stretto di Tsugaru, a est, che metteva in comunicazione il Mar del Giappone e l’Oceano Pacifico.
 
 
 
CREDITS:
Heather Headley, Kenny Lattimore, Love Will Find A Way
Sol Boltempi, Sigla

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Capitolo 3
*** Nel regno di Lucia ***


CAPITOLO 3.
 
NEL REGNO DI LUCIA
 
Arrivò alle porte di un pesante cancello. Alcune guardie vi stavano davanti.
“Identificatevi” disse una di loro in tono imperioso.
“Sono Lucia, principessa dell'Oceano Pacifico del Nord. Desidero entrare nel mio regno.”
Le venne aperto ed entrò. Si avviò per il cortile e arrivò a un pesante portone che si aprì dinnanzi a lei.
“Desidero conferire con mia madre e mio padre” disse a una guardia.
“Seguitemi. Saranno molto felici di vedervi, Lucia, non tornate da tempo qui al regno.”
“Sono stata via molto, è vero, ma ora sono qui in visita.”
Arrivarono alla Sala del Trono, con la porta di legno intagliata con figure di scene di battaglia, che l guardia aprì.
“Maestà, vostra figlia è qui.”
Hiroko si alzò subito dal suo trono e, dimenticando la compostezza, andò ad abbracciare la figlia,
“Tesoro della mamma!” esclamò. “Sei tornata.”
Hiroko era bellissima. Aveva lunghi capelli biondi e occhi azzurri come la figlia, anche se Lucia li aveva marroni quando era umana.
“E tu chi sei?” chiese Takeo, il re, alla bambina che Lucia teneva in braccio.
“Mia figlia” rispose la ragazza.
“Hai una figlia? Con chi? Sei rimasta incinta e non ce l'hai detto? Ti sei sposata?”
“Mamma, calmatevi.” Lucia rise per quella sfilza di domande e raccontò tutto su Emiko.
“Una fatina dei coralli, dunque” disse Takeo, raggiungendo la figlia e cingendole le spalle con un braccio. “Se ha voluto rimanere un neonato, si dev'essere affezionata molto a te.”
“Già, è così, e io a lei. Anche Kaito la adora.”
La regina Hiroko sorrise alla piccola.
“Posso prenderla in braccio?”
“Certo che potete, madre.”
Gliela passò e la regina si commosse.
“Per tutti i mari, è come la prima volta che ti ho presa in braccio, che ho guardato il tuo visetto e i tuoi occhi ancora chiusi, solo che lei è più grande, ma è così bella”
“Non credevo l'avreste accettata tanto in fretta” disse Lucia.
I genitori le lanciarono uno sguardo interrogativo.
“Insomma, ce l'ho solo in affidamento, non so se riuscirò ad adottarla e non è mia figlia biologica.”
“Per noi è tua figlia, e quindi la figlia di una principessa. Stasera daremo un ballo per annunciare la sua entrata in questo regno come tua figlia e di… Come si chiama il tuo fidanzato?”
“Kaito. Anche lui ha dei poteri, si concentra ed emana un fascio di luce calda dalla fronte. Ha poteri diversi da Gaito, i due erano fratelli. Kaito è il lato buono di Gaito.”
“L'abbiamo saputo” disse la regina. “Come siamo venuti a conoscenza del fatto che Sarah si è lasciata morire con lui.”
Lucia sospirò.
“Sì, è stato un momento tristissimo. Ora le principesse sono sei e io sto conservando la perla arancione di Sara per darla alla prossima principessa, quando nascerà. Voi per caso sapete in che momento accadrà?”
“Purtroppo no” risposero i reali all'unisono.
“Madre, secondo voi sarò una brava mamma?”
“Una mamma eccellente” disse Hiroko accarezzando i capelli della figlia. “Sei gentile, dolce, sensibile e paziente, tutte qualità che una madre deve possedere.”
“E poi,” aggiunse Takeo, “nonostante tu sia troppo giovane, sei anche responsabile.”
“Giusto, marito mio. Quindi sì, sarai una brava mamma, e non solo per questa piccolina, ma anche per gli altri bellissimi figli che, te lo auguriamo con tutto il cuore, metterai al mondo.”
“Vi ringrazio” rispose Lucia con le lacrime agli occhi.
Qualcuno bussò alla porta.
“Avanti” disse la regina.
“Kaito, mia signora. È qui per porgervi i suoi saluti e per vedere Lucia e la bambina.”
“Fatelo entrare” ordinò il re.
Si era cambiato, non aveva più la tuta da surf. Indossava dei jeans corti e giacca e cravatta, nonostante fosse estate. Ma lì, negli abissi, faceva più fresco. Kaito si inchinò di fronte ai troni.
“Vi porgo i miei saluti, re Takeo e regina Hiroko, e vi ringrazio per aver messo al mondo una creatura stupenda come Lucia.”
I due sorrisero.
“E noi,” disse la regina, “ti ringraziamo per esserle rimasto accanto tutto questo tempo, anche se non sapevi che lei era una sirena, e soprattutto di esserle rimasto vicino dopo.”
“Non tutti l'avrebbero fatto” continuò il re. “Molti si sarebbero spaventati e sarebbero scappati.”
“Io no, non l'avrei mai fatto. La mia vita e quella di Lucia sono state legate fin da quando lei mi salvò da quel naufragio nel quale morirono i miei genitori e lo saranno per sempre. Sono venuto a chiedervi una cosa.” Si inginocchiò. “Lucia Nanami, mi vuoi sposare?”
La ragazza rimase senza fiato. Non si aspettava una proposta e soprattutto non lì, avanti ai suoi genitori.
“Mi concedete la mano di vostra figlia?” chiese Kaito ai reali.
“Sì, se lei è d'accordo.”
“Certo che sono d'accordo. Sì, sì, sì, sì!” esclamò, correndo ad abbracciarlo. Non si baciarono solo perché c'erano i reali.
“Quando vi sposerete?” domandò Hiroko.
“In autunno, a settembre o ottobre magari” disse Lucia.
“La primavera e l’autunno sono le stagioni migliori per sposarsi” disse Kaito, “ma non riusciremo a organizzare un matrimonio shintoista in così poco tempo.”
“È agosto, non è detto” disse Takeo.
“Infatti” affermò Lucia.
Lei aveva compiuto gli anni il 3 luglio e l’aveva festeggiato in una casa sulla spiaggia con i suoi amici e poi nel suo regno con i genitori. Un mese e mezzo dopo era stata contattata dall’assistente sociale e aveva ritenuto ciò che era capitato dopo il regalo più bello e importante della sua intera vita.
I reali diedero loro una stanza e la culla di Lucia per mettere la bambina a dormire.
“Quanto staremo qui?” chiese Kaito a Lucia, mentre si distendeva sul letto matrimoniale. Aveva lenzuola bianchissime.
“Solo per stanotte, domani torneremo nel mondo degli umani. Perché me lo chiedi?”
“Non ti offendere Lucia, lo domandavo solo perché dovrei andare a insegnare.”
Qualcuno bussò alla porta. Erano due camerieri personali che aiutarono Lucia e Kaito a vestirsi per il ballo. I due lo ritennero necessario, ma soprattutto la cameriera, Amelia, disse a Lucia che indossare il corsetto e quel vestito non era così facile da fare da sola, così i ragazzi si lasciarono aiutare. Il vestito di Kaito era nero, una lunga tunica semplice abbinata a scarpe e calze bianche, mentre quella di Lucia era rosa, come il colore della sua perla, con le maniche a sbuffo e le scarpe con i tacchi. La piccola Emiko venne agghindata di tutto punto, con un vestitino rosa e azzurro e una coroncina in testa che non faceva che togliersi.
“Forse proprio non la vuole” disse Lucia, che la appoggiò sul comodino lì accanto.
Il ballo iniziò poco dopo e i due camerieri non fecero che chiacchierare e ricordare alla coppia e alla bambina quale serata meravigliosa li avrebbe attesi-
“Siamo sicuri di voler portare la piccola al ballo? Non vorrei che la musica alta la spaventasse” disse Lucia.
“Portiamola almeno per presentarla, poi non credo che dovremo rimanere tutto il ballo.”
Se volete, posso farle io da babysitter” si intromise Amelia. “Ho quattro figli e ci so fare con i piccoli.”
“Vi ringrazio” rispose Lucia.
Era restia a darla in mano a una sconosciuta, ma Amelia sembrava gentile e aveva un bel sorriso.
I due scesero una lunga scala e attraversarono un dedalo di corridoi, scortati da alcune guardie, fino a raggiungere la Sala del Trono. C'erano già molti nobili lì dentro. Una zona era stata adibita a pista da ballo, proprio al centro della stanza, mentre lunghi tavoli erano stati posti tutt'intorno.
“La principessa Lucia, il fidanzato Kaito e la figlia Emiko” annunciò la voce di un maggiordomo.
L'orchestra intonò una melodia per la loro marcia. Si inchinarono davanti ai reali e poi si sedettero a tavola con loro. Lucia e Kaito furono investiti da una pioggia di domande sul mondo umano. Una sirena era andata a recuperare dell'omogeneizzato ed era stata preparata una minestra per la piccola Emiko, che la gradì moltissimo.
“Grazie per quello che hai fatto” le disse la sirena dalla perla rosa. “Come ti chiami.”
“Masako. Il mondo degli umani è strano.”
Lucia rise.
“Sì, anche a me è sembrato così la prima volta che ci sono stata.”
“E a me sembra strano il vostro, anche se ci sono già stato” disse Kaito.
Poco dopo vennero serviti pesci di tutte le fatture e cucinati in mille modi.
“Ma è buonissimo!” esclamò Kaito, cacciandosi in bocca un calamaro fritto.
Lucia assaggiò i gamberetto. Aveva riportato Emiko di sopra, perché la piccola si era messa a piangere quando aveva sentito la musica alta, proprio come Lucia aveva previsto. Così l'aveva lasciata ad Amelia. La donna aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri ed era di mezza età. Qualche ruga solcava il suo viso, ma non spegneva la sua bellezza. L'aveva lasciata mentre Emiko giocava con alcuni giochini di legno su una coperta.
“Ci vediamo dopo, piccola.”
La bimba le aveva sorriso.
“Dai, vieni” disse Kaito a Lucia.
La prese per mano e la portò sulla pista da ballo. In quel momento iniziò un lento e i due ballarono l'uno di fronte all'altra tenendosi per mano. Alla fine uno scroscio di applausi, tutti per loro, riempì la sala.
La regina chiese silenzio.
“Emiko è una bambina meravigliosa, ma voglio che sappiate tutti, e che a ciascuno sia chiaro, che anche se non è figlia biologica di Lucia e Kaito per noi è come se lo fosse, e quindi anche lei è nobile.” Tutti applaudirono composti e la coppia sorrise. “Il ritorno di mia figlia è motivo di grande gioia per me, anche se lei e il fidanzato si fermeranno solo una sera. Per me è abbastanza. Sono sicura che torneranno. E ora, che le danze continuino, a meno che mio marito non voglia aggiungere altro.”
Il re si alzò, come aveva fatto la moglie.
“Sono molto felice che mia figlia sia tornata a trovarci assieme alla sua famiglia. Io e mia moglie la amiamo con tutto il cuore e abbiamo accettato che lei viva sulla terra, per il momento. Alla nostra morte, che speriamo ancora lontana, si vedrà cosa fare. Lucia è principessa del regno e dovrà diventare regina, ma quel giorno è ancora lontano, quindi non pensarci per ora, figlia mia.”
Le danze ripresero e Kaito e Lucia ballarono molti altri balli: tanghi, mazurche, polche, lenti come quello di prima e poi, stanchi, uscirono dalla sala.
“Non ne posso più, mi fanno male i piedi” disse Lucia.
“Andiamo a dormire. Domani ci aspetta una lunga giornata.”
Dissero ai reali che sarebbero andati a letto e loro salutarono Kaito con calore e la figlia con amore.
“Ci rivedremo presto, ve lo prometto” disse la sirena, poi seguì il suo amato.
Quando arrivarono, Amelia era vicino a Emiko, che dormiva nella culla.
“Come si è comportata? sussurrò Kaito.
“Benissimo, è stata bravissima. Abbiamo giocato e poi si è addormentata.”
I due la ringraziarono ancora, prima di lasciarla andare. Poi si tolsero gli abiti eleganti e il corsetto, si infilarono la camicia da notte e andarono a letto.
“Kaito?” gli chiese Lucia nel buio.
“E se ce la portassero via? Se dopo l'affidamento la dessero o a qualcun altro? Noi sappiamo che non ha genitori, essendo una fatina dei coralli è nata dal mare, ma l'assistente sociale non lo sa e non deve saperlo, o ci prenderebbe per pazzi. Comunque, mi stavo domandando cosa succederebbe. Perché ne morirei se ce la portassero via!” esclamò, gli occhi già umidi di lacrime.
“Sì, anch'io” rispose Kaito, accarezzandole una guancia bagnata. “Ma sono sicuro che andrà tutto bene.”
“Come fai?”
“Non lo so, lo sono e basta. Stai tranquilla, Lucia. Godiamoci questa piccolina e non pensiamo al futuro, d'accordo?”
“Nemmeno se ci fa paura o se il pensiero di perderla ci spezza il cuore?”
Lui sospirò.
“Ci saranno dei momenti nei quali ci rifletteremo, ma sono sicura che la vivacità di Emiko e il suo sorriso ne faranno spuntare sempre uno sui nostri volti-”
“Speriamo sia così. Ti va se canto una canzone? Lo farò a bassa voce, per non svegliare la piccola.”
“Va bene, mi piace sentirti cantare, e anche a Emiko, ne sono sicuro.”
Lo sguardo mio
è rapito ormai
da un cielo che ha
milioni di stelle
accese nel blu
che mi spingono
nell'oceano
Di chi sarà
la voce che
tra venti e maree
mi chiede un aiuto?
Il grido di chi
ha bisogno di
una luce nel buio
Dal destino non puoi scappare mai
ed il cuore mi dice di non arrendermi.
 
Proteggerò chi
più puro sarà
La paura non vincer?.
Torno nell'oceano più blu
tra le onde a cui davo del tu!
Creature del male,
vi posso fermare ancora
e non vedervi più.
Torno nell'oceano più blu
tra i ricordi che amo di più
Con questa mia perla
difenderà il mare ancora
cantiamo insieme e non molliamo mai!
 
Un sole c'è nel cuore mio
che riscalderà chi mi sta vicino
e chi come me sa combattere
un attacco nemico
[…]
“Per fortuna Gaito, le Dark Lovers e le Black Beauty Sisters sono stati sconfitti, e ora c’è pace in mare e in terra” disse Kaito.
“Già, grazie al cielo!”
“Comunque questa canzone è bellissima. E sono sicuro di averla già sentita.”
“L’hai fatto, quando sentivi nella testa la mia voce che ti diceva:
“Continua a cercarmi.”
Ricordi?”
“Come potrei dimenticarlo? Avrei solo voluto capirlo prima.”
I due si addormentarono abbracciati e la piccola non si svegliò mai, quella notte.
 
 
 
CREDITS:
Denise Misseri, Torno nell’oceano

 

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Capitolo 4
*** Lezione di musica ***


CAPITOLO 4.
 
LEZIONE DI MUSICA
 
Il giorno dopo, quando sulla Terra spuntava l'alba, la coppia si vestì, Lucia cambiò il pannolino a Emiko e le infilò una tutina rosa pastello e poi i tre partirono per tornare sulla terraferma, quando il palazzo era ancora addormentato. Mentre camminavano videro tante fatine dei coralli che li salutarono e lo fecero anche con Emiko. Avevano la stessa grandezza – quella di una bambina di cinque anni – ma età diverse, spiegò Lucia a Kaito, che si distinguevano a seconda della voce.
“Perché lei non è con noi ed è in quella forma?” chiese una di loro avvicinandosi a Lucia.
“L'ha scelto, per stare con noi come genitori.”
“Tanto voi non avete bisogno di me, qui” disse Emiko e anche Kaito e Lucia udirono la sua dolce voce.
“Sì, ma ci mancherai, ci manchi già tantissimo!” esclamarono tutte.
Saranno state una ventina.
“E poi il tuo compito è quello di proteggere il regno mentre Lucia è via, devi aiutarci” insistette una di loro, con la voce di una donna adulta.
“Ve la caverete benissimo anche senza di me” rispose Emiko. “Non voglio mancare ai miei doveri, ma desidero stare con Lucia e Kaito e che loro siano la mia mamma e il mio papà.”
Le altre fatine accettarono a fatica la sua scelta, provarono a insistere, ma Emiko fu irremovibile.
I tre uscirono dal palazzo e risalirono velocemente in superficie, poi Lucia si ritrasformò in umana.
“Devo andare al lavoro” disse Kaito.
“Non fai nemmeno colazione?”
“Hai ragione, mi stavo perfino dimenticando di avere fame.”
Tornarono a casa. Lucia mise Emiko sul tappeto a giocare e, mentre Kaito la guardava affinché non si facesse male, lei andò a preparare la colazione.
“Vieni, è pronto.”
A Emiko, Lucia diede il latte con dei biscotti sciolti dentro, mentre lei e Kaito mangiarono riso in bianco, pesce alla piastra, natto, ovvero fagioli di soia fermentati con sopra un uovo crudo, zuppa calda di miso e Tsukemono, ovvero i sottaceti.
“Ho esagerato?” gli chiese lei, mentre lavava i piatti.
“Un po', mi sento scoppiare. Domani prepara metà roba, okay?”
“Sarà fatto.”
“Io vado, ci vediamo stasera.”
“Buon lavoro, tesoro.”
Lucia si era presa un congedo di maternità di un anno, così non doveva andare a lavorare in hotel e avrebbe avuto tutto il tempo per stare con Emiko.
“Che dici, giochiamo?” le chiese, sedendosi accanto a lei.
La bambina rise e tirò fuori uno scoiattolo di peluche, che passò alla mamma. Ne prese uno anche lei.
“Ciao, io mi chiamo Aya, tu chi sei?” disse Lucia, facendo una voce in falsetto.
La bambina emise suoni incomprensibili e Lucia sorrise.
“Guarda, il tuo ha anche una ghianda che tiene con le zampine. che carino!”
Ma era anche pesante, coì la sirena lo prese e diede alla bambina il suo, per non farla piangere. Aprì la zip della ghianda e dentro vi trovò dei cioccolatini a forma di scoiattolo.
“Come sono belli!” esclamò.
e scartò uno e lo mangiò. Era fondente.
Buono pensò.
Poi ne prese un secondo, lo scartò, lo spezzò in due e ne diede un pezzettino a Emiko, che sembrò gradirlo. Lucia lo annusò: era al latte. Ne mangiarono altri, ma non troppi o sarebbe venuto un mal di pancia atroce a entrambe.
La giornata passò tranquilla, fra giochi e coccole. A Emiko piaceva stare in braccio e Lucia sbrigava le faccende che poteva tenendola fra le braccia.
“Andiamo al parco?” le chiese nel pomeriggio.
La portò in un parco giochi vicino casa e la mise sull'altalena dei piccoli. La dondolò avanti e indietro e lei sembrò gradire molto il movimento. La bambina alzava e abbassava le braccine lanciando gridolini di gioia.
“Vuoi andare più in alto, vero?”
Emiko rise.
Lucia la spinse ancora più su ed Emiko agitò braccia e gambe, segno che le piaceva da matti.
La portò di nuovo in spiaggia a vedere il mare, quel pomeriggio.
“Vedi com'è calmo e piatto il mare a quest'ora? Non è bellissimo?”
“Oh!” esclamò la bambina, guardandolo con gli occhi sbarrati.
Lucia sorrise, ma all'improvviso fu assalita da un senso di panico. Cominciò a sudare, il battito del suo cuore accelerò e le parve di non riuscire a respirare. La bambina, fra le sue braccia, si agitò. L'attacco di panico che la sirena stava avendo era riferito al fatto che, per fare il bagnetto alla piccola, o portarla dentro il mare, si sarebbe sempre trasformata in sirena e molti l'avrebbero notato.
“Lucia!” si sentì chiamare, da una voce grave e profonda. “Avvicinati al mare.”
La sirena obbedì. Aveva riconosciuto quella voce: era la regina die mari.
“Mia signora!” esclamò, vedendola in acqua. Era sempre bellissima, con i capelli lunghi e neri che le ricadevano sulla schiena come una cascata lucente.
“Ho capito che stavi male e sono venuta in tuo soccorso. Voglio farti un dono, un regalo speciale, vista la tua situazione. Un'aura rosa circondò Lucia e la bambina. “Potrai toccare l'acqua senza trasformarti in una sirena. Per trasformarti ti basterà dire:
“Voce di perla rosa!”
Così potrai fare il bagnetto alla piccola e giocare con lei nell'acqua.”
“Ma perché mi avete fatto questo dono, mia regina? Io non sono più speciale delle altre principesse. Me lo merito davvero?”
“Te lo meriti perché assieme alle altre principesse sirene hai salvato la bambina dalle Black Beauty Sisters, e perché sei una fantastica mamma.”
La regina sorrise.
“Vi ringrazio” disse Lucia. “Sono onorata del dono che mi avete fatto. Come potrò mai sdebitarmi?”
“Non devi. Lo farò anche alle altre principesse, se avranno dei figli con un umano. La nuova principessa sirena è nata e ora è nel suo regno.”
Si chiamava Seira e Lucia le aveva consegnato la perla arancione datale da Sara.
La Regina Dei Mari uscì dal mare e si trasformò in una semplice umana.
“Scusami, volevo vedere più da vicino la bambina. È bellissima, lo sai? Come si chiama?”
“Emiko.”
“È davvero un bel nome. Sai che significa bellissima bambina o bambina sorridente?”
“No, non lo sapevo-”
Lucia era quasi senza respiro. Stava davvero parlando con la Regina Dei Mari! Era incredibile.
La regina allungò una mano dalle lunghe dita aggraziate e sfiorò il visino della bambina. La bambina gorgogliò e sorrise, puntando i suoi occhi marroni su di lei. La regina sorrise a sua volta, segno che quei gorgogli e quello sguardo l'avevano riempita di gioia.
“Ella mi diletta, principessa sirena. Concedimi l'onore di prenderla in braccio.”
Lucia era un po' restia a farlo, anche se non capiva perché - in fondo la Regina Dei Mari era buona -, ma per timore di adirarla o di rattristarla gliela passò.
La bambina rise ancora di più e la regina con lei.
“È davvero dolcissima. Ciao, piccola!”
“Voi avete figli, Maestà?” chiese la sirena.
“No, né figli né marito, ma è stata una mia scelta.”
“Capisco.”
“Ora devo andare.” Le riconsegnò la piccola, che si aggrappò con entrambe le manine alla camicia di Lucia. “A presto, principessa sirena, e usa bene e con saggezza il dono che ti ho dato.”
“Lo farò, mia signora.”
Era troppo freddo per fare il bagno, ma Lucia volle comunque provare. Appoggiò la bambina sulla sabbia, si tolse i sandali e toccò l'acqua con un piede. Non accadde nulla.
“Voce di perla rosa!” esclamò, e si trasformò in sirena, poi riuscì a ritrasformarsi in umana. “Funziona! Funziona davvero!” esclamò.
Non vedeva l'ora di raccontarlo a Kaito.
“Sai che facciamo adesso? Andiamo a trovare papà” disse Lucia mentre camminava sulla sabbia.
Era difficile con i sandali. La scuola finiva alle tre in Giappone, ma poi c'erano le attività ricreative e Kaito, quale insegnante di musica, dava lezioni a quei ragazzi che volevano approfondire il loro strumento. Quando entrò nel complesso dopo che le fu aperto notò alcuni ragazzi correre e altri giocare a pallavolo e a calcio. Li osservò per un po' con la piccola, poi entrò a scuola. Il complesso era grande e l'atrio aveva le pareti dipinte di un giallo intenso che rendevano l'ambiente accogliente. Conoscendo il luogo come le sue tasche, Lucia si diresse al piano superiore e sentì della musica provenire dall'aula adibita a quella materia. Era di pianoforte. Quando entrò notò anche due ragazzini che seguivano Kaito, al piano, con una chitarra e un basso, mentre una ragazzina suonava il flauto. Era un mix strano, ma che creava un'atmosfera quasi magica. La musica era bellissima, tranquilla e rilassante. A loro si aggiunse anche un violino, che rese il tutto ancora più suggestivo. Kaito suonava piano, toccando appena i tasti, come se avesse paura di disturbare gli altri. Lucia non fece un fiato e nemmeno la bambina disse niente. Anche lei era rapita da quella musica meravigliosa, che ti entrava nel cuore e nella testa e non usciva più. A Lucia venne la pelle d'oca per l'emozione. Quando l'esibizione, se così si poteva definire, terminò, la ragazza sorrise e guardò Kaito. I loro sguardi si incontrarono e i due si sorrisero.
“Lucia, non pensavo di vederti qui” disse lui.
“Siamo passate a vedere cosa stavi facendo. Complimenti per questa musica a tutti, era fantastica.”
“Grazie” dissero i ragazzi.
“Allora vi lascio al vostro lavoro, avrete sicuramente molto da fare.”
“No, aspetta Lucia. Tu sai suonare il piano?”
“Sì, perché me lo chiedi?”
“E canti anche molto bene, per cui, se non ti spiace, perché non ci fai sentire qualcosa?”
Lei lo guardò sorpresa, ma poi annuì, passandogli la bambina.
Cambierà con l'amore riuscirò a spegnere il male che c'è qui che non può più dividerci.
E le bugie che qualche volta sentirò
le trasformerò in gioielli di purezza e fedeltà.
Mare che incanti come il cielo blu,
le tue principesse lottano,
non le abbandonare mai.
Tu guidaci e il nostro sogno arriverà
sulla stella del destino la giustizia tornerà.
 
L'assoluto di un amore può rendere caldo un vento freddo
vincendo le difficoltà che nella vita incontrerà
Riaccende ogni cuore che da troppo tempo ormai si era spento.
 
Stringimi e la paura passerà
guardiamo le stelle amiche che ci sorridono lassù. Mare tu, severo e dolce padre mio
fai placare l'uragano di giustizia che c'è qui.
[…]
Tutti applaudirono. Erano rimasti incantati, con gli occhi fissi su di lei e dissero di non aver mai sentito una cosa così bella. Kaito aveva ascoltato più volte la voce di Lucia, la trovava sempre meravigliosa e melodiosa. La canzone era cantata da Sara – perché il mare avrebbe dovuto far placare l’uragano di giustizia, fra l’altro? Kaito non capiva – il che gli riportava alla mente brutti ricordi, ma non importava, amava Lucia e la sua voce, era questa la cosa importante.
“È una canzone molto bella” disse la ragazzina. “Ma chi sono le principesse del mare?”
Lucia non poteva dire la verità, così rispose, vaga:
“Chi lo sa? Magari esistono.”
“Mi chiamo Ashihei” disse il ragazzo che suonava il basso. “Hai davvero una bella bambina. È vostra figlia, immagino.”
“Per ora in affido ma speriamo che lo diventerà presto anche di fronte alla legge.”
La ragazzina di poco prima si alzò e si avvicinò a Kaito.
“Posso prenderla in braccio?”
Lui annuì dopo aver guardato Lucia.
“Mi chiamo Tsukiko” disse la ragazzina quando Kaito le ebbe sistemato la bambina sulle gambe.
Lei le mise le mani sotto le ascelle per sostenerla.
“E sono stata adottata quando avevo sette anni. Sono stata in orfanotrofio parecchio tempo.”
Aveva i capelli castani e ricci e due bellissimi occhi marroni.
“Mi dispiace” disse Lucia. “Dev'essere stata dura.”
“I genitori venivano a prendere il bambino che era stato loro affidato e speravo sempre di essere io, ma la direttrice non mi diceva mai che ero stata adottata.” La voce dolce di Tsukiko si spandeva per la stanza come una musica soave e tutti, anche Emiko, la ascoltavano con piacere. “Poi, un giorno, quando iniziavo a non sperare più, mi ha detto che ero stata adottata. I miei genitori sono sempre stati dolci e dopo qualche anno mi hanno regalato un fratellino.”
“Adottato o no?” chiese Kaito.
“No, Yuji è loro figlio biologico”
“Grazie per aver condiviso la tua storia con noi, Tsukiko” mormorò Lucia avvicinandosi. “Dev'essere stata molto dura, per te.”
La ragazzina le raccontò che ogni sera pregava di venir adottata e piangeva in silenzio per non svegliare la camerata nella quale si trovavano altri bambini.
“Ma alla fine ho trovato una famiglia e sono stata felice. Ho avuto qualche problema a scuola, ho scoperto di essere dislessica e celiaca e il fatto di non sapere niente sui miei genitori adottivi è brutto e mi fa ancora male, ma ho una famiglia meravigliosa che mi ha sempre sostenuta mandandomi anche da una psicologa, quindi non mi posso lamentare.”
Gli altri ragazzini, amici di Tsukiko, dissero che sapevano già che lei era stata adottata, ma non conoscevano tutta la storia.
“Sembra una bambolina, è bellissima!” esclamò Tsukiko riferendosi a Emiko e facendole il solletico al pancino.
La bambina rise.
Quando la ragazzina la ridiede a Lucia, la ringraziò.
“È così bello prendere in braccio un bambino” disse.
“Già,” si intromise il ragazzino che suonava il basso, “quando è nata mia sorella l'ho presa in braccio che aveva un giorno, ed è stato fantastico!”
Lucia sorrise a tutti.
“Vi lasciamo lavorare e togliamo il disturbo.”
Kaito si avvicinò, diede un bacio sulla guancia a Lucia e alla figlia, poi le lasciò andare.
 
 
 
CREDITS:
Valeria Caponnetto Delleani, Assoluto amore
 
 
NOTA:
nella seconda serie Lucia capisce che deve proteggere Seira, ma io ho cambiato le cose e ho fatto in modo che si incontrassero negli abissi, per far andare avanti la storia. Inoltre, come ho già spiegato nelle note all’inizio della fanfiction, questa si concentra sulla prima serie, quindi anche se Seira compare nella seconda, non è un personaggio che apparirà qui.

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Capitolo 5
*** La lettera ***


CAPITOLO 5.
 
LA LETTERA
 
Le due tornarono a casa ed Emiko si addormentò subito dopo nel suo lettino. Lucia accese l'orsetto di plastica che utilizzava per sentire se la piccola piangeva e si sdraiò sul divano. Fece zapping, ma era troppo stanca per guardare la televisione, così la spense e si rilassò. Si addormentò senza rendersene conto.
Si svegliò con Emiko che piangeva e, a mano a mano, il pianto diventava sempre più rabbioso.
“Tranquilla, arrivo, la mamma è qui” disse, correndo nella sua cameretta.
Trovò le coperte in disordine e la bambina completamente scoperta che scalciava e muoveva le braccine. Lucia la prese in braccio, la cambiò, le diede la frutta per merenda e oi si sedettero entrambe sul divano a guardare i cartoni. La ragazza mise due grandi cuscini a destra e a sinistra di Emiko affinché non cadesse, ma non la perdeva mai di vista. Le diede anche un giocattolo, un unicorno, affinché si divertisse. Il cartone che stavano guardando era Il Re Leone. La bambina si spaventò e pianse quando ci furono le iene.
“Sono finte, tesoro!” esclamò Lucia, che la prese in braccio e la cullò. “Ora la scena brutta finisce e staremo tranquille, te lo prometto.”
Andò in cucina lasciando la bambina sola quando quella scena finì e si aprì un pacchetto di patatine. Ne lasciò un pezzettino sulle labbra e la piccola lo prese e lo mise in bocca. Dal suo sorriso, Lucia intuì che le piaceva da matti. Gliene diede altri pezzettini, stavolta spezzati con le mani, ed Emiko li mangiò volentieri, poi Lucia si godette il pacchetto e lo finì.
“Cavolo, come al solito ho esagerato!”
Si diede della stupida. Il pacchetto non era molto grande, ma si trattava pur sempre di cose fritte, che non facevano bene alla salute.
Quando Kaito tornò a casa, quella sera, lei gli aveva preparato il riso alla cantonese, che anche Emiko riuscì a mangiare senza difficoltà.
“Vuoi che la imbocchi io? Ti diventerà tutto freddo se aspetti troppo a lungo.”
“Va bene, grazie.”
Lucia coprì il piatto di Kaito con un altro fondo e vuoto, in modo da mantenere caldo il cibo.
Quando la cena finì, i tre si trovarono in salotto a giocare. Kaito aveva comprato, uscendo da scuola, dei cubi di legno con i quali costruirono delle torri. La bambina le buttava giù e i genitori ridevano. Ma erano tutti stanchi, così andarono a letto presto.
Il giorno dopo era sabato, quindi niente scuola per Kaito. Sarebbero rimasti insieme.
Una volta a letto, Lucia gli raccontò ciò che le aveva detto e quel che aveva fatto la Regina Dei Mari.
“Ma è meraviglioso!” esclamò Kaito.
“Abbassa la voce, la piccola dorme.”
“Scusa. Comunque è bellissimo, potrai entrare in acqua senza trasformarti in sirena, è fantastico!”
“Già, domani potremo fare il bagno insieme. Però ci serve un costumino per Emiko e abbiamo anche bisogno dei braccioli, dato che è troppo piccola per restare a galla da sola.”
“Li compreremo, anche se…”
“Anche se?”
“Avresti potuto pensarci prima di portarla nel tuo regno, non ti pare?”
“Non ci ho pensato.”
Kaito diventò improvvisamente triste.
“Domani è l’anniversario della morte dei miei genitori. So che faccio parte del clan dei Panthalassa, di cui faccio parte, e che quindi loro non erano i miei veri genitori, ma per me lo sono stati, capisci?” chiese, parlando a macchinetta.
“Sì, posso immaginarlo. Vuoi che andiamo a comprare loro dei fiori e al cimitero, domani?”
“Se mi accompagnassi mi farebbe molto piacere, ma a chi affidiamo la bambina?”
“A Nikora e Madame Taki. Sono sicuro che saranno felici di occuparsi di lei. Tu stai bene?”
“Sono solo un po’ nostalgico per i miei, ma è una tristezza che passerà presto. Ormai sono passati tanti anni.”
“A chi sei stato affidato quando i tuoi sono morti? Una volta mi hai detto che eri rimasto solo e che te l’eri cavata, ma eri piccolo quando è successo ed è illegale rimanere soli quando si è piccoli. Inoltre, come avresti fatto a cucinare, a pulire, a fare la lavatrice, a stendere…”
“Ehi, ehi, calmati. Sono stato affidato a uno zio e a sua moglie, che mi hanno tenuto con loro e con il mio cuginetto, che è nato undici anni fa.”
“Makoto, quello che ho conosciuto al corso di bellezza sulla spiaggia.”
“Esatto. Si sono presi cura loro di me, e mi hanno anche mandato da uno psicologo per affrontare la morte dei miei genitori. Ti dirò la verità: è stata la cosa migliore che abbiano fatto per me. La psicologa era bravissima e mi ha aiutato tantissimo. Ovviamente ho dovuto lavorare molto su me stesso, ma credo che se non fosse per lei non starei come mi sento adesso.”
“Bene, sono felice che ti abbia aiutato.”
“Mia zia mi ha consegnato una lettera scritta dai miei genitori, che le hanno chiesto di darmela quando fissi diventato grande. Vuoi che te la legga, Lucia?”
Lei rifletté per un momento.
“Non vorrei entrare in cose troppo intime della tua vita. Ti ricordi il giorno in cui ti ho chiesto di vedere una tua fotografia e tu mi hai chiesto chi mi dava il diritto di entrare in cose che non mi riguardavano? Ecco, non voglio rifare lo stesso errore.”
In quel momento Emiko si svegliò e Lucia andò nella sua cameretta.
“Che cosa c’è?” le chiese con dolcezza.
Le cambiò il pannolino e le diede del latte e la piccola si riaddormentò.
“Bene, è tutto a posto” disse rientrando in camera.
“Mi fa piacere che ora dorma tranquilla. Lucia, mi fa piacere leggerti la lettera, davvero.”
“Se lo vuoi, allora ascolto volentieri.”
Era curiosa di vedere cos’avevano scritto i genitori di Kaito. Il ragazzo aprì il primo cassetto del suo comodino e tirò fuori una busta, che aprì, e iniziò a leggere.
Tesoro,
non sappiamo quanti anni avrai quando leggerai questa lettera e come sarai diventato. La prima volta che ti abbiamo visto è stato un mattino dopo una tempesta. Eri bellissimo, sulla spiaggia, avvolto dalla luce del sole. Eri solo e ti abbiamo portato con noi. Ci siamo presi cura di te come se fossi nostro figlio e hai riempito di gioia le nostre vite. Eravamo orgogliosi di vederti crescere forte e allegro.
 
Kaito, siamo i tuoi genitori, ti abbiamo amato più di ogni altra cosa, e ti ameremo per sempre, no dimenticarlo.
Con immenso affetto,
Mamma e papà.
“È una lettera bellissima, Kaito, i tuoi sono stati molto dolci.”
“Sì, lo so. Per tanto tempo mi sono chiesto chi fossero i miei genitori, finché non ho scoperto di essere un membro del clan dei Panthalassa.”
“E ti è dispiaciuto? Non sapere chi sono i tuoi genitori, intendo.”
“Beh, sì, onestamente. Ma mamma e papà sono stati fantastici e considero quelli i miei genitori.”
“Come hanno fatto ad adottarti così senza che nessuno si insospettisse? Voglio dire, prendere un bambino e portarlo a casa è illegale.”
“Non so dirtelo, Lucia. Questo è quanto scrivono loro e a me sta bene. Mi hanno salvato, è questa la cosa importante. Mi hanno amato con tutti loro stessi ed è questa, per me, la cosa che conta.”
“Già, hai ragione.”
I due si accontentarono di quella spiegazione.
“Ora dormiamo, domani con la bambina sarà una giornata lunga-”
“Già.”
“Ti amo, Lucia!” esclamò Kaito con ardore.
“Ti amo anch’io.”
Il clan dei Panthalassa era una razza originaria del regno Panthalassa, i cui membri, molti anni orsono, volevano invadere e distruggere varie zone della Terra per creare una conquista degli oceani. La Regina Dei Mari uccise la maggior parte di quella razza e li distrusse e li confinò in fondo al mare, per portare pace grazie alla chiave dal sigillo dorato. Fu allora che decise di affidare la chiave a Hippo affinché la tenesse e la custodisse. Qualcuno, probabilmente la sirena dell’Oceano Indiano Sara, alleata di Gaito, riuscì a sottrargliela e il suo palazzo sottomarino ricominciò a muoversi nell’oceano, cambiando ogni volta posizione. Sara aveva confinato Taro, l’insegnante di musica del liceo dove andavano Lucia, Rina e Hanon e del quale la sirena era innamorata, era stato rinchiuso sotto il mare, nel palazzo di Gaito, ma era stato trovato e liberato dalle principesse sirene. Grazie al cielo, ora che Terra e mare erano in pace, la chiave era tornata a Hippo. L’unico superstite dei Panthalassa era Kaito.

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Capitolo 6
*** Giornata al mare ***


CAPITOLO 6.
 
GIORNATA AL MARE
 
“Non ti sembra strano che la bambina non si sveglia mai di notte?” chiese Lucia a Kaito, mentre giravano per negozi.
“No. Ci sono molti bambini della sua età che dormono tutta la notte senza fare un fiato. Quelli che si svegliano di frequente sono più piccoli.”
“Ho capito” rispose Lucia.
Doveva imparare ancora molte cose sul mondo degli umani, a quanto pareva, soprattutto per quanto riguardava il rapporto con i bambini. Ma era sicura che con Emiko ce l'avrebbe fatta. Comprarono un costumino, dei braccioli, un secchiello e una paletta, poi corsero a casa a cambiarsi e andarono al mare. Quel giorno, il mar del Giappone orientale era più bello e calmo che mai.
“Che bello il suono delle onde” disse Lucia con voce sognante.
“Già, è meraviglioso, il migliore che esista secondo me.”
“Sono d'accordo, Kaito.”
Nonostante ci fossero altre persone in spiaggia, i due si strinsero, con la bambina lì di fianco nel passeggino, e si baciarono sulla bocca. Poi approfondirono il bacio e le loro lingue si toccarono.
“Ti amo così tanto!” esclamò Kaito con enfasi.
“Anch'io ti amo, e non sai per quanto tempo ho desiderato sentirti dire queste parole.”
“Che ne dici di una passeggiata in riva al mare?”
“Ci sto.”
Tornarono a casa a portare il passeggino - non potevano lasciarlo incustodito in spiaggia, o qualcuno avrebbe potuto rubarlo - e poi tornarono al mare. Misero la bambina in piedi sulla sabbia. Li barcollò e cadde.
“Ti sei fatta male, piccola?” le chiese la mamma.
Che sciocca! pensò. Ancora non cammina bene e io che cosa faccio? La metto in piedi sulla sabbia.
La bambina, dopo un primo momento di smarrimento, si era messa a piangere. Kaito l'aveva presa in braccio e ripulita dalla sabbia, ma la piccola non smetteva di lamentarsi.
“Forse ha bisogno di una canzone per tranquillizzarsi del tutto.”
“Prova, magari funziona.”
Lucia iniziò. Era una canzone in inglese che le piaceva molto.
Come stop your crying
It will be alright
Just take my hand
Hold it tight
I will protect you
From all around you
I will be here
Don′t you cry
For one so small
 
You seem so strong
My arms will hold you
Keep you safe and warm
This bond between us
Can't be broken
I will be here, don′t you cry
 
'Cause you'll be in my heart
Yes, you′ll be in my heart
From this day on
Now and forever more
[…]
“Mmm” disse la bambina durante la canzone, poi si calmò del tutto.
“La tua voce tranquillizza e rilassa sempre Lucia, è proprio vero che il canto delle sirene è meraviglioso. E poi canti molto bene in inglese.”
“Grazie, ma abbassa la voce, o qualcuno potrebbe sentire. Gli umani non devono sapere che sono una sirena.”
“Hai ragione, scusa.”
Lucia prese la bambina per mano e notò che, così, riusciva a camminare.
“Bene,” disse, “possiamo procedere.”
Camminarono in riva al mare mentre l'acqua lambiva loro i piedi ed Emiko si piegava per toccarla.
“Auahuahuahuah!” esclamò a un certo punto.
“Che cosa c'è?” chiese Lucia, incuriosita da quel suono.
“Che cos'hai, piccola?” le domandò Kaito.
Lei alzò una manina e mostrò loro qualcosa.
“Oh, hai trovato una conchiglia!” esclamò suo papà. “Beh, è molto bella.”
“Ma non si mette in bocca” la ammonì la sirena dalla perla rosa, “serve solo per giocare.”
La bambina la lasciò cadere in acqua e la conchiglia sparì.
“Ne troveremo delle altre la spiaggia ne è piena” disse Kaito. “E le insegneremo a giocarci.”
Kaito teneva in mano una borsa nella quale avevano tutto l'occorrente per far divertire Emiko. Camminarono ancora un po' e poi arrivarono a un bar sulla spiaggia.
“Ho sempre pensato che i bar sulla spiaggia fossero molto romantici, non credi anche tu, Kaito?”
“Quando sono con te, tutto mi sembra romantico.”
Lei arrossì e si sentì le guance in fiamme.
Che stupida. Sto arrossendo come un'adolescente innamorata.
Innamorata lo era, adolescente non più da un pezzo, ma non importava. Kaito le sorrise.
“Entriamo, Lucia?”
“Sì, mangiamo un gelato.”
Lui lo prese al caffè, lei alla vaniglia e al cioccolato, e per Emiko trovarono dei cioccolatini con il gelato dentro che, con i suoi due dentini, la piccola sarebbe stata in grado di mangiare, anche perché erano proprio piccoli.
“Dobbiamo stare attenti che non si soffochi.”
“Gliene do io uno alla volta.”
“Ma così ti si scioglierà il gelato, Kaito.”
“Farò in fretta.”
Emiko gradì tantissimo quel gelato e alla fine, prima che il papà le pulisse la bocca, si leccò le labbra.
“L'ha divorato!” esclamò Lucia e diede un morso al suo cono.”
“Sì, infatti.”
Kaito aveva parlato a bocca piena. Non era educato, ma non importava.
“Dobbiamo cominciare a organizzare i preparativi per il matrimonio, Kaito.”
“Hai ragione, se vogliamo sposarci a settembre o ottobre dobbiamo sbrigarci. A cosa pensavo?”
“A uno Shinzenshiki, matrimonio shintoista. Sei d'accordo?”
“Vuoi fare un matrimonio tradizionale?”
“Pensavo di sì, uno shinsenshiki. Sai che significa cerimonia davanti agli dèi?”
“Sì, lo so, conosco il giapponese, lo stiamo parlando.”
Lucia si diede una manata in fronte.
“Hai ragione, che stupida!”
Ma perché faccio certe figuracce? Sembro una ragazzina imbranata.
“Comunque, mi piacerebbe dare un tocco di modernità al tutto indossando un abito bianco con tanto di strascico e non un kimono.”
“D'accordo. Allora in questi giorni compiliamo la lista degli invitati e mandiamo gli inviti.”
“Sì. Chiederò a Nikora di portare per me l'invito ai miei genitori.”
“Non ci vuoi andare tu?” le chiese il fidanzato mentre, dopo aver pagato, uscivano dal bar.
“No, è troppo lontano e non voglio che la piccola resti senza di me. So che sarebbe in buonissime mani con te, ma non riesco a separarmi da lei.”
“D'accordo, come vuoi.” Kaito le sorrise. “Ti sposerei anche in questo momento.”
“Anch'io!”
Una volta tornati al punto di partenza si allontanarono dall'acqua e si avvicinarono all'ombrellone che, per fortuna, nessuno aveva preso. Lo piantarono e lo aprirono, poi Kaito prese dalla borsa un asciugamano e lo distese sulla sabbia, dove Lucia fece sedere Emiko. Le portarono un secchiello colmo d'acqua. La bambina lanciò gridolini di gioia e si divertì da matti a giocare con l'acqua. Scoprì anche, da sola, che se ci metteva dentro sabbia e conchiglie il tutto si addensava e poi lo mescolava con la paletta.
“Hai fatto una torta?” le chiese Kaito, che fino a quel momento aveva preso il sole.
“Direi di sì” disse Lucia, che invece era rimasta all'ombra con la piccola.
“Me ne daresti un pezzettino?”
Kaito stava al gioco.
“Sì, ne vorrei uno anch'io” disse Lucia,
La bambina parve capire, perché tirò fuori una paletta di sabbia e conchiglie, ma anziché darla ai genitori la gettò loro addosso.
“Poveri noi!” esclamarono i due all'unisono, mentre si ripulivano dalla sabbia e si asciugavano. L'asciugamano era bagnato, ma per fortuna ne avevano un altro, così lo cambiarono.
“Che disastro, piccola” disse Lucia. “Pensavo che ci dessi la torta da mangiare, non che ce la buttassi addosso.”
Lei e Kaito scoppiarono a ridere assieme alla bambina per quella scena esilarante.
“Vostra figlia è davvero meravigliosa” disse una donna bionda avvicinandosi. Aveva un accento strano, non era giapponese. “Mi chiamo Madeleine Dubois e sono francese. Sono qui in vacanza con mio marito e nostra figlia, Colette, che ha più o meno l'età della vostra. La mia ha un anno.”
“La nostra undici mesi. Mi domandavo, non sarebbe bello se le due bambine giocassero insieme?”
In effetti, pensò Lucia, da quando ce l'abbiamo Emiko non è entrata in relazione con altri bambini, per cui le farà bene.
“Ma sì, certo!” esclamò Kaito. “Lucia, tu che dici?”
“Che è un'ottima idea.”
Poco dopo le due bambine erano sedute l'una vicina all'altra, ognuna con il proprio secchiello, e mescolavano e tiravano fuori sabbia e conchiglie. Poi giocarono con delle biglie di plastica facendole correre sulla sabbia. In teoria per giocarci bisognava costruire una pista, ma il ragazzo lasciò che le bambine si divertissero come volevano.
“Ah!” esclamò Colette, quando lanciò una biglia lontano.
“No, tesoro, non così in là” le disse il padre, un uomo alto e dai capelli rossi come quelli della figlia.
Andò a riprendere la biglia e gliela consegnò.
“Eh, eh, eh, eh, eh” diceva intanto Emiko, che gattonava sulla sabbia seguiva da Colette.
Le due bambine si divertirono tutta la mattina, poi Madeleine disse che sarebbero andati in albergo a mangiare e a riposare.
“Magari ci rivedremo, staremo qui ancora qualche giorno” disse Jacques, suo marito.
“Speriamo!” esclamò Lucia.
Emiko si mise a piangere quando fu separata dalla sua compagna di giochi, Kaito e Lucia avevano visto quanto si era divertita con quella bimba, ma un'altra canzone, stavolta di Kaito, calmò la piccola e le fece tornare il sorriso.
“Non credevo sapessi cantare, non te l’ho mai sentito fare prima.”
“In effetti non accade spesso. Questa era una canzone che mi cantava sempre mia mamma quand'ero piccolo, per farmi addormentare la sera.”
“Oh, è bellissima!”
Era una canzone tranquilla e rilassante.
“Mi piace tantissimo, Kaito.”
“Grazie, anche se dovrei ringraziare mia madre. Grazie mamma” disse guardando il cielo.
“Tra qualche giorno, il 16 settembre, sarà il loro anniversario di morte. Sono morti da vent'anni ormai e ho fatto pace con quella realtà, ma mi mancano ancora molto. Ti farebbe piacere venire in cimitero con me, Lucia? Come abbiamo fatto quella volta, ti ricordi? Tu mi hai raggiunto.”
“Sì, come potrei dimenticarlo? Certo che mi piacerebbe, ma dobbiamo lasciare Emiko a qualcuno. I cimiteri non sono il posto ideale per una bambina piccola.”
“Hai ragione, ma sono sicuro che Nikora se la caverà benissimo come babysitter.”
Dopo essersi riposati e rifocillati, i due tornarono in spiaggia.
“Che dici, facciamo il bagno?” gli chiese Lucia. Lui assentì. Fecero indossare i braccioli a Emiko ed entrarono in acqua. Fu meraviglioso, per Lucia, non trasformarsi in sirena. Almeno poteva godersi quel momento con la sua famiglia. E poi, ora che Gaito, le Dark Lovers e le Black Beauty Sisters erano stati sconfitti, non aveva più nulla da temere e nessuno contro cui combattere.
Emiko agitava le gambine e le piccole braccia nell'acqua. Le piaceva da impazzire, era evidente. Kaito nuotò un po' e si allontanò da loro prendendo il largo, ma tornò subito indietro,
“Là l'acqua è troppo fredda, preferisco stare qui con voi” disse.
“Facendo surf, non credevo ti facessi problemi per l'acqua fredda.”
“Di solito no, ma oggi non so che mi succede.”
Rimasero nell'acqua bassa, ma andarono anche dove Emiko non toccava, visto che aveva i braccioli. Anche Lucia nuotò, ma restò nei paraggi. Era così bello farlo da umana e strano al tempo stesso. Kaito si divertiva a schizzare Emiko e la bambina gli ributtava l'acqua. Erano così carini insieme ed era bellissimo vederli giocare. Ma all'improvviso si alzò un vento forte e fresco che portò alcuni nuvoloni neri.
“Non possono essere le Dark Lovers o le Black Beauty Sisters” disse Lucia andando verso riva. “E poi non ce la farei a sconfiggerle da sola, non sono abbastanza forte.”
Hanon e Rina erano nei loro regni, così come le altre principesse. Ma non si vedeva nessuno nemmeno sotto il mare, quindi Lucia, Kaito ed Emiko risalirono. La tempesta imperversava. Pioveva, grandinava e c'era vento.
“Presto, andiamo via!” esclamò Kaito.
La grandine era piccola, per fortuna, o avrebbe fatto loro male. Raccolsero in fretta le loro cose e, come tutte le altre persone, corsero via. Lucia aveva preso in braccio Emiko per essere più veloce. In quel momento le venne in mente una canzone e nella tempesta cominciò a cantare.
Anche se il mare è in tempesta
e mi spinge violento verso la sconfitta,
guardo negli occhi l'amore
che mi fa lottare con la forza che da!
 
Per ogni volta che cado
io posso rialzarmi e così
mantenere
quella promessa che ho fatto
con voce sincera credendo all'amore.
 
È una luce incandescente
che riscalda più del sole,
così chiara che rivela la realtà!
Voci unite per cantare
per sconfiggere il silenzio,
sarà forte,
sarà chiara
la verità!
 
Guarda in uno specchio
il tuo riflesso è limpido
(e tutto questo ci sarà!)
 
Sarà quel battito forte d'amore
che
ci da la forza e la speranza
per affrontare
questa tempesta
che porta con se
il vento forte
che ci sorprende dal mare!
Ma unendo le nostre voci
in un canto che
si sentirà
nel profondo più vero del cuore.
Io voglio lottare soltanto per te
e voglio essere il battito
forte d'amore con te.
Puoi sentirlo!
Puoi sentirlo
Se lo vuoi!
[…]
La tempesta si placò un po' con la canzone, ma non del tutto. In realtà Lucia l'aveva cantata solo perché si riferiva al vento che la sorprendeva dal mare, non per un'altra ragione. Il vento scompigliava i suoi capelli e quelli della bambina, che erano diventati lunghi fino alla base del collo. Il cielo era plumbeo, pieno di nuvole basse e cariche di pioggia che continuava a scrosciare e sembrava non finire mai. Gli abiti inzuppati rendevano anche difficili i movimenti ai due fidanzati, quindi non riuscivano a correre veloci. La loro giornata al mare si era conclusa male, ma non importava, si erano comunque divertiti.
 
 
CREDITS:
Phil Collins, You’ll Be In My Heart
Valentina Pozzone e Claudia d’Ulisse, Battito d’amore

 

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Capitolo 7
*** Ninnananna ***


CAPITOLO 7.
 
NINNANANNA
 
Entrarono in casa fradici e infreddoliti e si sbrigarono, uno alla volta, a fare la doccia e a cambiarsi. Lucia andò per prima, e sotto l'acqua disse:
“Voce di perla rosa!”
Si trasformò in sirena e le spuntò la coda. Ricordò i tempi nei quali combatteva con le sue amiche, nei quali il ciondolo che portavano al collo, e che non toglievano mai, nemmeno di notte, si apriva e si illuminava, mostrando la perla. La indicavano e poi appariva davanti a loro un microfono, con il quale iniziavano a cantare. Lucia doveva ammettere che le mancava combattere contro qualcuno, ma era anche felice che mare e terra fossero in pace. Quando uscì dall'acqua fece scomparire la coda. Poi si avvolse i capelli biondo scuro in un asciugamano e si asciugò il corpo, dopodiché lo fece con i capelli usando il phon. Poi fu il momento di Kaito di lavarsi e lei giocò con la bambina con i cubi di legno. Costruirono un quadrato, poi un triangolo, e o a ogni forma che creavano Lucia ne diceva i nomi.
“Questo è un cerchio” disse, tirando fuori un pezzetto di legno di forma diversa. Oltre ai cubi, nel secchio dove si trovavano, c'erano anche altre forme. “E questo è un rombo.”
“Bobo” disse la bambina.
“Più o meno. Prova adire mamma.”
“Ma” mormorò la piccola.
“No tesoro.” La razza avvicinò la sua bocca alla guancia della bambina. “Mamma” disse, con lentezza, calcando su quelle m.
“Mama!” esclamò la bambina.
“Quasi. Riproveremo, d'accordo?”
“Lucia, se vuoi cucino io stasera. Lo fai sempre tu.”
La ragazza sussultò. Era stata così concentrata sulla bambina che non si era accorta che lui aveva sceso le scale.
“V-va bene” mormorò con il batticuore. “Io resto con la piccola.”
Quella sera, a cena, dandole la minestra la ragazza si accorse che la bambina aveva già il secondo dentino che, a quel che ne sapeva, spuntava verso l'anno. Meno male, almeno non avrebbero avuto Emiko che piangeva tutta la notte per il dolore.
“Le facciamo il bagnetto prima di cena, che dici?”
“Sì, va bene” disse Lucia.
Andarono in bagno e misero nel lavandino una vaschetta che avevano comprato, apposta per fare il bagnetto ai bambini. Kaito la riempì d'acqua e Lucia ci aggiunse la schiuma, poi spogliarono la bambina. Non portava il pannolino sotto il costume ed era stata una fortuna che non avesse fatto cacca o pipì mentre erano fuori, altrimenti sarebbe stato un problema. Lucia le aveva già messo degli abiti comodi, che avrebbero usato per rivestirla. Poi lei e Kaito la misero in acqua. Trovandosi nel liquido caldo e con quella schiuma profumata al gelsomino la bambina fece mormorii di approvazione.
“A quanto pare le piace!!” disse Lucia.
“Sì, e molto.”
Le diedero una paperella di gomma con la quale iniziò a giocare. La faceva sprofondare nell'acqua e poi tornare in superficie all'improvviso, oppure la strizzava e le faceva uscire, da un buco che aveva sulla pancia, l'acqua che aveva trattenuto.
“Si diverte proprio, dovremmo farglielo più spesso” disse Lucia.
Mentre lei giocava, i due la lavarono e scoprirono che, se l'acqua le andava nelle orecchie, Emiko diventava isterica e non si controllava, piangendo e scalciando. Li bagnò d'acqua, ma i due non se ne curarono e ì, quado la tirarono fuori, la bambina si calmò. Alla coppia dispiacque averle fatto vivere una bella esperienza che poi si era trasformata in qualcosa di gruppo, ma non avrebbero mai avuto idea che la piccola si sarebbe comportata così. La rivestirono e Lucia le asciugò i capelli.
“Ecco, ora sei pulita e profumata.”
Dopo cena andarono tutti a letto. Era stata una bella giornata, ma erano stanchi.
“Guardiamo un po' di televisione?” chiese Kaito a Lucia, visto che ce l'avevano anche in camera.
“Va bene.”
Davano L'era Glaciale quella sera su un canale, il primo dei tanti film, tre, quattro, Lucia aveva perso il conto. Il secondo era il più belo, a suo giudizio, ma anche il primo non era male. Era bello vedere come, alla fine, anche la tigre Diego si affezionasse al bambino, e come il piccolo ritrovasse il padre.
“È davvero un bel cartone!” esclamò Lucia alla fine e sbadigliò.
“Sì, è piaciuto anche a Emiko, non ha staccato gli occhi dallo schermo.”
L'avevano tenuta nel lettone in mezzo a loro.
“Ora, però, è il momento di fare la nanna” disse Lucia. “E ti canterò qualcosa per farti addormentare.”
Si alzò in piedi, prese la bambina in braccio e cominciò a camminare piano per la stanza, dondolandosi a destra e a sinistra, poi iniziò il suo canto.
L'arcobaleno è la mia scia
Che navigo in cerca di quella montagna
Le luci all'alba, melodia
Mi portano indietro
Ad un tempo passato
Colori immersi nella scia dell'arcobaleno
Che gioca nel cielo
Il vento mi sospinge via
Raggiungo le onde dei sette mari
 
Gli uccelli che volano alti nel cielo d'oriente
La rotta è sicura quell'isola cela un tesoro
 
All'alba io vedrò le sette terre che
Il destino vuole farmi trovare davvero
Oh dolce melodia
Sprigioni vita e mi fai cantare forte un messaggio d'amore
Per sempre tu sarai in fondo all’anima
Così che neanche il tempo ci può separare.
Oh dolce melodia, sprigioni vita e mi fai cantare forte un messaggio d’amore
[…]
“Mmm, mmmm” mormorò la bambina, sbadigliò e si addormentò.
Lucia la mise nel lettino e poi si infilò a letto.
“Incredibile, basta una delle tue canzoni e lei si calma. Hai una voce bellissima, Lucia, so che te l'ho già detto, ma non riesco mai a stupirmi abbastanza di quanto tu sia brava.”
“Ti ringrazio, ma ho fatto solo quello che era necessario.”
Si addormentò vicino a lui, ricordando i tempi nei quali sognava di poterlo stringere.
 
 
 
CREDITS:
Elisabetta Cavalli e Francesca Daprati, Dolce melodia

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Capitolo 8
*** Un giorno speciale ***


CAPITOLO 8.
 
UN GIORNO SPECIALE
 
Le due settimane seguenti volarono in un lampo. Emiko migliorava ogni giorno di più e per la metà di settembre riusciva a camminare da sola tenendosi su qualcosa, come il divano o un muro. Era bello vederla fare progressi, anche se ancora non aveva detto “Mamma”, ma Lucia era sicura che l'avrebbe fatto presto. Quel giorno, il 14 settembre, ci sarebbe stata la visita mensile dell'assistente sociale. Lucia aveva pulito la casa da cima a fondo e controllato con Kaito che tutto fosse in sicurezza. Avevano anche messo un cancelletto vicino alle scale, così che la bambina no pensasse di salirci con il rischio di farsi male.
Akane arrivò alle nove di quella mattina e li trovò tutti e tre - Kaito si era preso un giorno di permesso.
“Oggi è anche il compleanno della piccola, giusto?” chiese Akane.
“Sì, è esatto. Abbiamo già pensato a cosa organizzare per la festa” disse Lucia.
“Mi fa piacere. Come va con lei? Vedo che si trova a proprio agio con voi.”
“Sì, di noi si fida e ci vuole bene” disse Kaito.
A dimostrare questo, Emiko si avvicinò a Lucia tenendosi su una poltrona, poi si lasciò andare e la abbracciò.
L'assistente sociale sorrise, mentre la ragazza prendeva in braccio la bambina.
“Ho visto che avete messo un cancelletto per sicurezza. Avete fatto bene, non si sa mai. Posso vedere il resto della casa?”
Quando si rese conto che tutto era in ordine e che la bambina con loro stava bene se ne andò soddisfatta.
“Evviva!” esclamò Lucia. “Siamo due bravi genitori.”
“Sì, ed è bellissimo” disse Kaito. “Che ne dici se andiamo da Nikora per presentarle la piccola e iniziare a organizzare la festa di compleanno?”
“Sì, è una buona idea.”
Lucia non ricordò a Kaito che due giorni dopo sarebbe stato l'anniversario dei suoi e che sarebbero dovuti andare in cimitero. Lui lo sapeva già e non voleva rattristarlo.
Quando Nikora vide la piccola e si fece spiegare cos'era successo sbiancò.
“Volete dire che adesso è una neonata e che vi è stata affidata? Non state scherzando, vero?”
“No, affatto” disse Lucia, mentre un sorriso radioso le illuminava il volto.
“Prima lei e Kaito si mettono insieme e adesso questo. Beh, sono felice per voi!”
“Anch'io.”
Hippo, il pinguino di Lucia, uscì fuori da chissà dove.
“Ma quell'animale parla?” chiese Kaito, sempre più impressionato.
Prima le sirene, poi i suoi poteri e ora un pinguino parlante.
“Di solito solo con le sirene, non l'avevo mai sentito farlo davanti a un umano.”
“Tanto Kaito ormai mi conosce, quindi è meglio che sappia tutto. Non sai quante volte ho detto a Lucia di non mettersi con te e a Hanon di non farlo con Taro, ma loro due non mi hanno mai dato ascolto.”
“Beh, almeno per me e lei è andata bene, alla fine” disse Kaito, ancora sbigottito, ma non scioccato.
Dopo aver scoperto l'esistenza delle sirene, niente poteva più turbarlo.
Emiko volle essere messa sul tappeto e gattonò verso Hippo.
“Oh no, che cosa vuoi farmi? Aiuto!”
Il pinguino cominciò a tremare.
“Tranquillo, Hippo.” Lucia gli sorrise. “Vuole solo conoscerti.”
Emiko lo accarezzò, poi gli tirò una penna.
“Ahia!” esclamò il pinguino. “Beccati questo, bambina maleducata.”
La beccò ed Emiko scoppiò a piangere. Kaito la prese in braccio.
“Shhh, tranquilla. Fammi vedere la manina. È tutto a posto, non c’è nemmeno il segno.”
Lucia le diede un bacino sulla mano.
“Ecco” disse, “la bua non c’è più.” Poi si rivolse a Hippo e lo ammonì. “Non avresti dovuto beccarla. Le hai fatto male e l’hai spaventata. È piccola e non sa che non deve tirarti le penne.”
“E va bene, la perdono, ma solo perché è piccola, sia chiaro.”
“Io l'avevo visto nella sfera” disse Madame Taki, entrando in quel momento. “Avevo visto che tu e Kaito vi sareste messi assieme. Volete che vi legga il futuro, ragazzi?”
“Sei gentile, Madame Taki, ma le tue previsioni si avverano poco, per cui preferiamo di no, grazie” disse Lucia
“Come volete. Me ne torno in camera mia” disse sorridendo, per far capire a Lucia che non si era offesa.
Nikora si passò una mano fra i capelli scuri, di colore viola, raccolti in una coda.
“Non ci posso ancora credere. Come vi trovate nel ruolo dei genitori?”
“Sembri la nostra assistente sociale” disse Kaito e rise. “No, scherzavo. Ci troviamo bene. Non è sempre facile, ma ce la mettiamo tutta.”
“E la adotterete?”
“Speriamo di sì” disse Lucia. “Ah, quanto vorrei che Rina e Hanon fossero qui oggi!”
Una porta sai aprì e ne uscirono proprio le due sirene appena citate. Gli occhi grigi di Rina si puntarono subito su Lucia.
“È tutto vero quello che abbiamo sentito?” chiese in tono gentile.
Di solito Rina era molto seria, ma quel giorno sorrideva. Lo fece con la piccola Emiko, pizzicandole una guancia per gioco e la bambina rise. Hanon arrivò poco dopo.
“Ci sono anch'io!” esclamò.
“Come mai siete qui? Non dovreste essere nei nostri regni?”
“Sì, ma abbiamo pensato di fare un giro sulla terra per vedere come ve la stavate cavando tu e Kaito, siamo arrivate oggi” disse Hanon.
“E vi aiuteremo a preparare la festa di compleanno per la piccola, se ce lo lascerete fare” disse Rina.
Spiegando la loro situazione, Kaito aveva detto che quel giorno cadeva il primo compleanno della piccola.
“Grazie, ne saremmo molto felici” disse Lucia.
“Si potrebbe organizzare una festa sulla spiaggia” suggerì Nikora.
“In realtà,” disse Kaito. “noi pensavamo a qualcosa di più… intimo, familiare ecco.”
“Allora torta e biscotti e poi festeggeremo tutti insieme!” esclamò Hanon, che si esaltò e prese a saltare per la stanza.
“Ti vuoi dare una calmata?”
Rina le tirò un piccolo schiaffo. Era tornata quella di sempre.
“Scusa se sono felice per il compleanno della mia nipotina.”
Affidarono la bambina a Nikora, che non era sicura di poter essere una brava babysitter, e andarono a fare spese. Comprarono una torta al cioccolato già pronta, di quelle che basta versare in una teglia e poi mettere in forno, gli ingredienti per preparare i biscotti al cioccolato e tornarono all’hotel.
“Rina, fai tu da babysitter a Emiko mentre io, Hanon e Kaito prepariamo tutto? Nikora deve occuparsi dei clienti” disse Lucia.
“Io la babysitter? Ma non so neanche come si tiene un bambino.”
“Te lo mostro, guarda.”
Prese in braccio Emiko e si sedette su un divanetto nella hall dell'hotel, poi le mise le braccia sotto le ascelle così che le mani le coprissero il pancino.
“Ma non dovrò tenerla sempre in braccio, spero.”
“No, sta imparando a camminare e ci riesce se qualcuno la tiene per mano, e poi sono sicura che ti inventerai un gioco per farla divertire.”
“Sì, ne sono convinto anch'io” disse Kaito. “Ah, Rina, nonostante i nostri contrasti in passato, sono felice che tu sia qui con Hanon, perché fa contenta Lucia.”
“Non potevamo perderci quest'occasione.”
“Vi sto aspettando in cucina!” esclamò Hanon.
“Arriviamo!” esclamò la sirena dalla perla rosa.
“E va bene, mi avete convinta, farò da babysitter a questa piccolina.”
Rina la prese in braccio e la bambina cominciò ad agitarsi e a piagnucolare.
“Le ho fatto male?” domandò la principessa dalla perla verde.
“No, è solo che non ti conosce e ha bisogno di farlo con calma. Dalle tempo” disse Kaito.
Intanto Lucia si era abbassata all'altezza di Rina e della piccola, che si mise a giocare con il suo ciondolo.
“Visto che carina?”
“Moltissimo!” esclamò Rina, sincera.
Lucia aveva pensato che la principessa dalla perla verde sarebbe stata più restia a fare da babysitter a Emiko, invece aveva accettato e le sorrideva felice. In fondo Rina era dolce e sensibile, nonostante non lo dimostrasse sempre.
“Guarda,” disse Rina alla piccola, “ti mostro una cosa.”
Anche lei aveva un ciondolo, proprio come la sua mamma. La bambina si mise a giocarci e a scuoterlo.
Nel frattempo, Hanon aveva già versato la torta nella teglia e l'aveva messa in forno.
“Ora prepariamo i biscotti al cioccolato” disse. “Lucia, trita il cioccolato fondente e mettilo a bagnomaria.”
“Sì, d'accordo.”
“Io che cosa faccio?” chiese Kaito, che sussurrò a Lucia di sentirsi un po' inutile in quella situazione.
Lucia fece attenzione che l'acqua del pentolino non entrasse a contatto con il cioccolato.
“Tra poco potrai fare qualcosa anche tu, non ti preoccupare” disse Hanon a Kaito e gli sorrise.
Lui ricambiò il sorriso.
Kaito tagliò il burro, freddo da frigo, grossolanamente e versò la farina nel mixer. Il resto del procedimento non fu difficile e ci misero circa una ventina di minuti a preparare tutto, poi misero i biscotti in forno. Quando tutto fu cotto, si accorsero che Nikora aveva riempito la casa di palloncini, appendendoli ovunque potessero essere appesi, e i clienti le chiede ano se ci sarebbe stata una festa.
Mentre Hanon controllava che la cottura dei biscotti e della torta al cioccolato procedesse bene, Kaito e Lucia tornarono da Rina. C'era anche Nikora con lei.
“Allora, com'è andata? Sono curiosa!” esclamò Lucia.
“Bene direi, le ho regalato questo sonaglio che avevo fin da bambina.”
La bambina lo scosse e il ciondolo si illuminò di verde.
“Che bello!” esclamò Kaito. “Grazie per questo regalo, Rina, sei stata gentile.”
“Figurati, sono contenta di rendere felice questo piccolo mostriciattolo.”
Le fece il solletico ai fianchi e la bambina rise, poi si alzò in piedi e mosse un passo da sola, poi un altro e un terzo, fino ad arrivare dalla sua mamma.
“Hai camminato!”
Lucia la prese in braccio e la riempì di baci.
“Bravissima, piccola. Ce l’hai fatta!”
Kaito le diede un bacio sulla testolina castana.
Per pranzo non mangiarono altro che i biscotti e la torta appena fatti, erano buonissimi, e siccome c'era tanta roba ne offrirono anche i clienti che apprezzarono molto il gesto. Tutti cantarono Tanti Auguri A Te alla piccola, anche chi non la conosceva. Le fecero soffiare la candelina sulla torta e applaudirono di nuovo. Poi, quando i clienti uscirono per una passeggiata sulla spiaggia o qualche giro, e altri si ritirarono nelle proprie stanze, Nikora disse che era arrivato il momento dei regali.
“Prima i genitori” disse.
Lucia tirò fuori una scatolina che aprì con l'aiuto della piccola.
“Oh!” esclamò la bambina, estraendo un braccialetto di perline bianche, con una più grossa e rosa.
“Il rosa è il mio colore, così ho pensato di fare questo braccialetto con papà per simboleggiare il nostro amore per te” le disse.
La bambina non capì, ovviamente, ma sorrise.
Era troppo piccole per indossarlo, però. Se si fosse rotto avrebbe potuto mettere una perlina in bocca e mandarla giù e quello sarebbe stato un problema.
“Lo terrò io finché non sarai abbastanza grande da portarlo da sola” disse Lucia.
“Ti è piaciuto, piccola?” chiese Kaito e la bambina sorrise. “Direi di sì” Ne sono contento. Io e la mamma abbiamo lavorato in questi giorni per preparartelo, mentre tu dormivi.”
“Io, Rina e Hanon ti abbiamo regalato un'altra cosa, Emiko” disse Nikora.
“Esatto, siamo andate a comprarla appena siamo arrivate qui” disse Hanon con entusiasmo.
Aprirono con lei uno scatolone ce Rina portò dentro e del quale né Kaito né Lucia si erano accorti.
“Dove l'avevate messo?” chiese lui.
“Dietro l'hotel, così nessuno avrebbe potuto vederlo” gli rispose Rina.
Lo aprirono assieme alla bambina e, quando vide il suo regalo, la piccola restò a bocca aperta. Era un unicorno a dondolo rosa con la base in legno, le manigliette per tenersi e tutto il resto di peluche, con una poltroncina su cui la bambina avrebbe potuto sedersi e dondolarsi. Lo provò subito e si dondolò avanti e indietro per diversi minuti.
“È bellissimo, e sembra che le piaccia da matti!” esclamò Kaito.
“Già, non avreste potuto farle un regalo migliore, davvero. Grazie ragazze, siete come le sorelle per me.”
“Abbraccio di gruppo” disse Hanon abbracciando le due amiche, che ricambiarono con affetto.
“Che ne dite se cantiamo qualcosa senza trasformarci?” chiese Lucia. “Non vorrei che ci vedesse qualcuno.”
“Hai ragione,” mormorò Rina, “non possiamo farci vedere dagli umani trasformate in sirene.”
Decisero che sarebbe stata Lucia a cantare, essendo la mamma della piccola, e che le altre due l'avrebbero seguita solo durante il ritornello.
Nessuno l'ha vista sparire
La stella che un giorno ritroverò
Ma se il mio cuore è triste
La speranza non perderò, lo so
La pioggia non posso fermare
Ma sempre più forte io canterò
Cercando sette luci
Tutto il mondo io girerò
E le troverò
 
Pioggia di smeraldo
Grido al vento un desiderio
Stella a cui appartengo, fatti vedere
Destino che mi guida
Col tuo aiuto so che non mi arrenderò
Più fortuna avrò
 
Ornata da pietre preziose
La stella che cerco, dove sarà?
Ma son sicura la fiducia sempre mi aiuterà
Perché
Sorride serena la luna
Promette che ancora mi salverà
E il sole acceso questa mia passione non spegnerà
Che forza mi dà
 
Raggi di brillante
Il mio sogno è importante
Mare che mi avvolge, non mi tradire
Destino che mi guida
Col tuo aiuto so che non mi arrenderò
Più fortuna avrò
[…]
Avevano cantato benissimo, proprio come se fossero state delle sirene.
“Brave!” esclamarono Nikora e Kaito e la bambina, in braccio a lui, batté le manine felice.
“Volete che vi legga il futuro?”
“Madame Taki, non ti avevamo sentita arrivare. Come ti abbiamo detto, non ti offendere, ma le tue previsioni non sono proprio corrette” disse Lucia, cercando le parole giuste da usare per non ferirla.
“Posso leggerlo alla bambina, se volete.”
“Se proprio ci tieni…” disse Kaito.
La donna guardò prima la bambina e poi la sua sfera.
“Vedo un periodo roseo davanti a te e poi difficoltà in arrivo, difficoltà che saranno difficili da superare.”
“Di quali difficoltà parli?” chiese Lucia e pensò:
Oh no, e adesso che cosa succederà? Stava andando tutto così bene, nella nostra vita!
“Non lo so, ma non sarà facile da superare.”
“Non crederci, saranno sciocchezze” disse Kaito.
Poco dopo i due, dopo aver preso i regali, salirono in macchina con la bambina, la misero nel seggiolino e andarono a casa.
Una volta tornati, e dopo averle cambiato il pannolino, Kaito e Lucia misero a letto Emiko, che crollò non appena toccò il cuscino.
“Era proprio stanca. Non è stato bello oggi vederla mangiare i pezzettini di torta e biscotti che le abbiamo dato?” chiese Lucia.
“Sì, aveva tutta la bocca marrone” rispose Kaito e i due risero insieme prima di lasciare la stanza della piccola.
 
 
 
CREDITS:
Elisabetta Cavalli, Stella preziosa

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Capitolo 9
*** La sofferenza di Kaito ***


CAPITOLO 9.
 
LA SOFFERENZA DI KAITO
 
I due giorni seguenti passarono in fretta. Kaito andava sempre a scuola e Lucia rimaneva a casa a occuparsi della piccola, la portava in giro per la città, al mare, al parco e da Kaito nel pomeriggio.
Arrivò il giorno più triste per lui, quello dell'anniversario della morte dei suoi genitori. Quella mattina il ragazzo aveva un'aria cupa.
“Non ti chiedo come stai, lo capisco dalla tua espressione” disse Lucia, mentre faceva assaggiare a Emiko un po' di riso.
“Grazie. Sai, non pensavo di sentirmi così triste. Insomma, sono passati tanti anni e ormai pensavo di aver superato il lutto.”
“Io non ho mai perso una persona cara, per fortuna, ma credo che un lutto non si superi mai del tutto. Si va avanti e si impara a conviverci, con i propri tempi.”
“Hai ragione. Quindi dici che questa mia tristezza non è strana? Nemmeno se li sento accanto a me ogni giorno?”
“No, non lo è, è perfettamente normale. Dai, andiamo, dobbiamo affidare la bambina a Nikora, Hanon e Rina e poi andare al cimitero.”
“Sì,” disse Kaito alandosi, “vorrei anche comprare dei fiori.”
“D'accordo.”
Dopo aver lasciato la bambina all'hotel, i due si diressero da un fiorista. Kaito comprò delle dalie bianche, proprio come aveva fatto quel giorno, tanti anni prima, in cui Lucia aveva scoperto che quello era l'anniversario della morte dei suoi. Arrivarono davanti alla tomba e Lucia lesse i nomi dei genitori di Kaito: Akemi la madre e Akihiko il padre.
“Sono nomi molto belli.”
“Grazie.”
“Ti lascio un po' da solo con loro.”
Lucia si allontanò e guardò Kaito parlare ai genitori. Sentiva cosa stava dicendo loro.
“Adesso ho una famiglia. Ricordate? Il mio sogno era quello di farmi una famiglia e avere dei bambini, anche se ero piccolo pensavo già al mio futuro. E adesso ho una fidanzata fantastica che si chiama Lucia e che è qui con me, e una bambina di nome Emiko in affidamento. Speriamo di riuscire ad adottarla. Vi prego, se potete, aiutateci affinché questo sogno si realizzi. Loro due sono le persone più importanti della mia vita e le amo con tutto il cuore.”
Lucia si sciolse nel sentire quelle parole, poi lo guardò inginocchiarsi e pregare. Kaito pianse, ma lei lo lasciò sfogare, non si avvicinò per consolarlo. Voleva che buttasse tutto fuori, anche i sentimenti più tristi e negativi. Quando il ragazzo si rialzò, aveva ancora gli occhi pieni di lacrime. Raggiunse Lucia.
“Ecco fatto, ho posato anche i fiori.”
“Ne vuoi parlare?” gli domandò lei, con tutta la dolcezza di cui fu capace.
“Mi sono messo a piangere come un bambino, che stupido.”
“No, aspetta, non è un difetto” gli disse, mentre uscivano dal cimitero. “Questa cosa che gli uomini non dovrebbero piangere perché il pianto è un segno di debolezza è una cazzata. Gli uomini hanno il diritto di piangere quanto e quando vogliono, come le donne e i bambini. E poi ricorda che coloro che piangono sono forti, non deboli.”
“Non so se sono così forte” disse Kaito, cupo.
Il suo viso era una maschera di dolore e tristezza.
“Lo sei. Ne hai passate tante, ma non ti sei mai arreso.”
Lui le sorrise.
“Grazie. Mi mancano molto, sai? Anche se li sento vicini, è come se quando sono morti il mio cuore fosse stato spezzato a metà, lasciando una ferita sanguinante ancora aperta. So che non si chiuderà mai. Certi giorni riesco a controllarla, a stare meglio, altri meno. Ma tu e la piccola mi aiutate molto e poi ho altre cose belle nella mia vita, per esempio i miei zii e il mio cuginetto Makoto.”
Lucia non rispose, non sapeva cosa dire, ma sorrise, poi ci pensò e disse:
“Sei straordinario, Kaito. Ci sono persone che rimangono fossilizzate nel proprio dolore per tutta la vita e non riescono a riprendersi. Non gliene faccio una colpa, ma tu ci stai provando ed è questo l'importante.”
“Sì, credo che tu abbia ragione. Dai, andiamo a riprendere la bambina.”
Dopo essere andati a prenderla decisero di fare una passeggiata e poi andarono a pranzare un pranzo in rosticceria.
Mangiarono riso, arrosto e patate al forno. Diedero alla piccola il riso e qualche pezzettino piccolo di carne e di patata, poi tornarono a casa. Lucia preparò per Emiko una minestra perché sentiva che il suo pancino brontolava ancora, poi la mise a letto.
Quel giorno la coppia passò il tempo a guardare giocare la bambina con l'unicorno a dondolo e gli altri giochi, mentre loro guardarono qualche film per distrarsi.
“Stai bene?” gli chiese lei quella sera, a letto. “O sei ancora triste.”
“Diciamo che sto meglio, grazie.”

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Capitolo 10
*** La terra trema ***


 
CAPITOLO 10.
 
LA TERRA TREMA
 
Quella notte vennero svegliati da qualcosa. Emiko si mise a piangere nella sua stanza e sembrava che tutto si muovesse.
“Un terremoto!” esclamò Kaito.
I due si alzarono in piedi di scatto e andarono da Emiko. Sopra la culla avevano messo un quadro con la foto di loro due, così che, guardandola, la bambina li avrebbe sempre visti. Ora le era caduto in testa. Non si era rotto, ma la bambina aveva già un bernoccolo che cominciava a formarsi.
“Presto, usciamo di qui” disse Kaito, mentre Lucia prendeva in braccio Emiko che piangeva.
“Che sia il caso di portala in ospedale?” chiese Lucia.
Piatti, e bicchieri tintinnavano e vibravano, uno di quelli posti sul lavandino cadde nel lavello e si ruppe.
“Intanto andiamo fuori e aspettiamo che passi la scossa.”
I vicini erano già fuori, le luci delle case erano accese e la terra continuava a tremare.
“Hanon, Rina!” esclamò Lucia, vedendole arrivare.
“Siamo corse qui per vedere come stavate” disse la seconda.
C'erano anche Nikora e Madame Taki.
I vicini si riunirono in una folla che si ingrandiva sempre di più, finché fuori ci fu l'intero quartiere. Lucia mise per terra Emiko e la tenne stretta per mano, ma mentre parlava con Rina non si accorse che la piccola gliela lasciò e andò via. Nessuno dei suoi conoscenti se ne rese conto, erano troppo impegnati a parlare del terremoto, che ora si era fermato.
“Emiko! Dov'è la mia bambina?” urlò Lucia, quando si rese conto di quello che era successo.
“Perché le hai lasciato la mano, Lucia?” chiese Kaito, pieno di rabbia.
“Non l'ho fatto, è stata lei a lasciare me, ma io non me ne sono accorta.”
“Dai ragazzi, cerchiamola! Ha anche preso una botta, potrebbe essere svenuta!” esclamò Hanon.
Iniziarono a girare per le strade e si fermavano ogni volta che vedevano qualcuno con un bambino, oppure domandavano se avevano visto una bambina con gli occhi e i capelli marroni.
“Una bambina di un anno, che ha appena imparato a camminare da sola” disse Lucia.
La sua voce era roca, venata per la paura.
“Mi dispiace cara, ma non ho visto la bambina che tu descrivi” le rispose la vecchia.
“Grazie lo stesso.”
A un tratto sentirono piangere.
“Viene dal mare!” esclamò Lucia-
Il mare si trovava vicino a dove abitavano lei e Kaito. La bambina era distesa sulla sabbia e piangeva disperatamente.
“Oh tesoro! Non so cos'avrei fatto se non ti avessi trovata!” Lucia corse da lei, la prese in braccio e la bambina si calmò subito. “Non devi mai lasciare la mano della mamma, capito? Mai!”
“Tesoro, ci hai fatti spaventare lo sai, e anche preoccupare molto” disse Kaito, poi le diede un bacio. “Per fortuna stai bene.”
In quel momento, un'altra scossa di terremoto si fece sentire. Perlomeno non erano le Dark Lovers o le Black Beauty Sisters a causarlo, ma si trattava di un fenomeno naturale. Tutti gridarono, anche perché le onde si alzavano alte.
“Se toccheremo l'acqua ci trasformeremo in sirena, andiamo Lucia.”
“Io no, la Regina dei Mari mi ha fatto un dono.” E lo spiegò alle amiche. “Così posso fare in bagno a Emiko o andare con lei senza trasformarmi.”
“Wow, che bel dono!” esclamò Hanon. “Molto utile, vista la tua situazione.”
“Infatti, è per questo che me l’ha dato.”
La terra riprese a tremare, le macchine si mossero da sole, spinte dalla potenza del terremoto, poi tutto si fermò e per quella notte non ci furono più scosse, ma nessuno dormì né rientrò in casa. Kaito e Lucia, che avevano temuto di perdere Emiko, rimasero seduti su un muretto mentre la bambina dormiva fra le braccia della sua mamma.
Quella stessa notte la portarono in ospedale, il bernoccolo era cresciuto e temevano un trauma cranico. Il quadro che era caduto aveva una cornice lavorata con dei fiori, era pesante.
“Non avremmo dovuto metterla lì, Kaito” disse Lucia, mentre aspettavano che la bambina tornasse.
I medici l'avevano portata via per farle una TAC e una risonanza magnetica.
Lì in sala d'attesa molti altri aspettavano. Chissà come stavano i loro bambini o i loro cari. Lucia sperò che, qualsiasi cosa avessero, sarebbero guariti tutti presto, ma era soprattutto preoccupata per la sua bambina.
“La vostra piccola sta bene, ha solo preso una botta, ma non ha avuto un trauma cranico” disse un medico in camice bianco, mentre un'infermiera riconsegnava la bambina alla madre.
I due tirarono un lunghissimo sospiro di sollievo. Avevano temuto il peggio.

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Capitolo 11
*** Matrimonio ***


CAPITOLO 11.
 
MATRIMONIO
 
Il giorno dopo Kaito andò a lavorare. Durante la giornata ci furono piccole scosse, ma niente di allarmante. I telegiornali dicevano che si era trattato di un terremoto a grado quattro sulla scala Mercalli.
“Meno male che non si è fatto male nessuno!” esclamò Lucia guardando la sua piccola giocare.
Rideva. Probabilmente aveva già dimenticato tutto quello che era successo la notte precedente.
Meglio così, pensò la ragazza, almeno non le resterà il trauma.
I due fidanzati avevano anche compilato la lista degli invitati e spedito gli inviti. Sarebbero stati presenti Hanon, Rina, Nikora, Madame Taki, Hippo, Makoto – il cuginetto di Kaito – e i suoi genitori e i genitori di Lucia, che per l'occasione si sarebbero trasformati in umani.
“Lucia, sbrigati!”
Rina la svegliò bruscamente quel giorno di fine settembre.
“Che c'è? E come sei entrata?”
“Mi ha fatta entrare Kaito. Ti sei dimenticata che oggi dobbiamo fare la prova del vestito?”
“Giusto!”
Dopo essersi lavata, vestita e aver fatto una veloce colazione, Lucia uscì con Rina, mentre Kaito ed Emiko giocavano sul tappeto con il sonaglio magico di Nikora. Era sabato, quindi lui non lavorava.
Le due sirene furono raggiunte da Hanon, che Lucia aveva scelto come sua testimone, mentre Kaito aveva scelto Ryo, un suo amico.
Entrarono in un negozio di abiti da sposa e dissero a una commessa che volevano trovarne uno per Lucia. Lei gliene presentò uno color crema, con un lungo strascico. La ragazza lo provò, ma le andava troppo stretto. Da quando Emiko era entrata nella sua vita come figlia affidataria, aveva camminato molto, ma mangiato anche di più ed era un po' ingrassata.
Allora ne provò uno bianco, con il cuore che le batteva. Anche quello aveva un lungo strascico, più di quello del precedente, ed era ornato di perline d'argento. Era bellissimo. Lucia non era più in sé dalla gioia. Entrò nel camerino e lo indossò. Le calzava a pennello.
“Scelgo questo” disse.
“Sei stupenda!” esclamò Hanon.
“Incantevole, davvero” disse Rina.
“Grazie ragazze!”
Anche Kaito aveva preso un abito, ma non lo mostrò a Lucia come lei non gli fece vedere il suo.
Organizzarono il pranzo nuziale all'hotel Pearl Piari e la cerimonia del tè prima del pranzo, poi nei giorni seguenti una cena di fidanzamento a casa loro, come voleva il rito shintoista. Invitarono le amiche di Lucia, Nikora, Madame Taki e tutte regalarono alla coppia oggetti che simboleggiavano fertilità, prosperità e felicità, sempre seguendo il rito shintoista, come dei fiori, una pietra che secondo Madame Taki avrebbe dato loro molti figli e molto altro. Li raggiunsero anche i genitori di Lucia.
“Mamma, papà!” esclamò vedendoli entrare e corse loro incontro.
“Come sta la mia piccola principessina?” chiese la madre alla figlia.
“Ti riferisci a me o a Emiko?” chiese la ragazza sciogliendo l'abbraccio.
“A entrambe.”
“Stiamo bene, grazie. Vuoi vedere la bambina? È lì, guarda.”
“Ciao, tesoro!”
La nonna la prese fra le braccia, poi si accomodò a tavola con il marito.
“E così mancano pochi giorni al vostro matrimonio, eh?” disse lui.
“Già, e siamo emozionati” confessò Kaito.
Il giorno del matrimonio arrivò prima di quanto Lucia e il suo fidanzato si sarebbero aspettati. Una settimana dopo la cena a casa loro era già ora di sposarsi. La sera prima del matrimonio, Lucia, Rina e Hanon uscirono a far festa. Le due amiche la portarono a parlare in discoteca. Alla ragazza la musica alta non piaceva molto, la metteva a disagio, ma per far felici le sue amiche sopportò. In realtà si divertì a ballare e a cantare e a urlare tutto quello che le venne in mente. Bevve anche alcuni cocktail al mango o all'ananas.
“Ma è buonissimo!” esclamò bevendone un altro.
“E analcolico, così domani non arriverai al matrimonio ubriaca” scherzò Hanon, meritandosi una gomitata da parte di Lucia.
“Devo guidare tornando a casa, l'hai dimenticato? Non berrò stasera.”
Mangiarono arachidi e patatine e si divertirono. Anche gli amici di Kaito erano venuti a prenderlo per portarlo a festeggiare e l'avevano affidata a Nikora e Hippo.
“Come se la staranno cavando con la mia bambina?” chiese Lucia.
“Bene, vedrai, sono dei bravi babysitter!” urlò Hanon, per farsi sentire sopra la musica.
“Ehi, ragazze, volete ballare?” chiesero loro dei tizi poco raccomandabili.
Sembravano ubriachi, e uno, pallidissimo, pareva drogato.
Le tre non risposero e si allontanarono in fretta da quella gente, mescolandosi alla folla. Dopo andarono in un locale più tranquillo dove consumarono una vera cena e si godettero musica giapponese tradizionale.
“Grazie per questa serata, ragazze” disse Lucia.
“Ricorda che stasera dormi da Nikora, la sposa non può vedere lo sposo fino al giorno delle nozze” disse Rina, seria.
“Hai ragione.”
Domani mi sposerò con Kaito! Che emozione. Ho sognato per anni questo momento e ora le mie preghiere si stanno trasformando in realtà, non mi sembra vero!
“Ehi Lucia, mi stai ascoltando?”
“Eh? Cosa Hanon? Stavi dicendo qualcosa?”
“Che domani sarà fantastico, vivrai dei momenti magici.”
“Sì, lo so. Ragazze, dopo tutto questo ballare mi fanno male i piedi e sono stanca, che ne dite se andiamo a casa a riposare? Domani sarà una giornata lunga.”
“Va bene,” disse Hanon, “in effetti io ho sonno.”
“Anch'io” aggiunse Rina.
Salirono in macchina e tornarono all'hotel di Nikora.
“La tua bambina è stata un angioletto ed ora è nella tua camera che dorme beata” le disse la sirena.
“Grazie per averla tenuta, ma dove l'hai fatta sdraiare?”
“Non avendo il lettino, ho usato una grande cesta di vimini con cuscini e coperte, spero non ti dispiaccia.”
“No affatto, se dorme vuol dire che sta comoda. Ha mangiato la pappa?”
“Tutta quanta.”
“Bene, allora io vado a letto. Buonanotte, ragazze.”
Le sue amiche e Hippo le diedero la buonanotte, poi Lucia si ritirò in camera sua. La bambina era sveglia e stava gorgogliando felice.
“Ciao mio piccolo tesoro!” esclamò Lucia facendo quella vocina dolce che si utilizza con i bambini.
Emiko la riconobbe e agitò braccia e gambe sotto le coperte.
Lucia la prese in braccio e la cullò.
“Adesso è ora di dormire, non di giocare” le disse, guardandola con occhi adoranti mentre la piccola giocava con il suo ciondolo. “Facciamo la nanna, va bene?”
La bambina si riaddormentò presto e Lucia la rimise con delicatezza nella cesta, coprendola bene, poi si infilò il pigiama e sotto le coperte. Quella notte non riuscì a chiudere occhio, era troppo emozionata per domani, L sue guance erano in fiamme, il cuore non la smetteva di battere forte fino a farle male al petto e non riusciva a stare ferma e a trovare una posizione comoda.
Chissà se anche Kaito si sente al mio stesso modo. Immagino di sì.
Il giorno dopo avrebbero coronato il loro sogno d'amore con la loro piccola accanto. Sarebbe stato meraviglioso. E quando l'assistente sociale sarebbe venuta a saperlo, sarebbe stata molto contenta.
Lucia si svegliò prestissimo quella mattina. Si infilò il vestito da sposa e Hanon si alzò con lei.
“Sei pronta?” le chiese.
Nikora e Rina le aspettavano nel salone dell'hotel per fare colazione.
“Ti sei già infilata il vestito?” domandò Nikora a Lucia. “Potresti macchiarlo.”
“Non succederà, starò attenta.”
Nikora, Hanon e Rina la guardarono come a dire:
“Conoscendoti non ci crediamo.”
Ma lei non le badò e si riempì il piatto di zuppa di miso e di riso in bianco. Alla fine mangiò due piatti di zuppa.
“Devo essere in forza per oggi” si giustificò.
“Mangiando così lo sarai di sicuro” disse Rina,
“La smettete di prendermi in giro?”
Tirò uno schiaffo a Rina e uno a Hanon.
“Ti ricordo che io sono la tua testimone di nozze” disse quest'ultima, “e le persone così importanti non si picchiano.”
“Hai ragione, scusa.”
Qualcuno suonò al campanello dell'hotel. Erano Kaito, Makoto, Ryo e i genitori di Lucia trasformati in umani.
“Mamma, papà!”
Corse ad abbracciarli.
In quel momento Emiko si svegliò e Rina andò a prenderla e riuscì anche a farla mangiare.
“Sembri una mammina” la prese in giro Ryo.
Era un ragazzo alto, con capelli e occhi castani e la pelle abbronzata. Chissà, forse anche lui faceva surf come Kaito.
“Non sono una mammina” rispose Rina. “Mi limito ad aiutare Lucia, ma non chiedetemi di cambiare il pannolino alla bambina, per favore.”
“Tranquilla, ci penso io” disse la sirena dalla perla rosa.
Dopo i l cambio, Nikora, Rina e Hanon andarono a prepararsi e ala fine tutti erano pronti. Kaito era vestito in giacca e cravatta e sotto portava una tunica bianca. Anche gli altri avevano scelto il bianco come vestito.
Uscirono dall'hotel e si avviarono verso il santuario. Quando arrivarono, seguendo le regole del matrimonio shintoista, fecero una piccola processione con i parenti e gli amici e gli sposi in testa. La processione fu accompagnata dalla musica giapponese tradizionale gagaku, una musica che saliva fino a note alte e poi discendeva. Non essendo abituati a sentirla fece un po' male alle orecchie a tutti, ma Lucia e Kaito avevano scelto quel rito e dovevano seguirlo passo dopo passo. Sorpassarono il portale e fecero delle abluzioni per purificarsi prima del matrimonio, Lucia lavò la faccia di Emiko e gliela asciugò con un asciugamano che aveva portato da casa, poi, affidandola a Nikora, si lavò anche lei. Poi un prete uscì dal santuario e accompagnò tutti all'interno, dove c'erano l'altare e il tabernacolo. Una volta che i parenti e gli amici della sposa furono seduti a sinistra e quelli dello sposo a destra, il prete fece un altro rito di purificazione agitando sulle teste dei presenti delle ghirlande di carta. Tutti erano in silenzio.
“Sei bellissima” sussurrò Kaito a Lucia.
“Anche tu.”
Il prete chiese silenzio con gentilezza.
Le preghiere ebbero inizio. Tutti invocarono gli dèi affinché il matrimoni andasse bene anche in futuro e la famiglia si ingrandisse. Emiko, fra le braccia della mamma di Lucia, si agitò e pianse, ma le bastò essere cullata per calmarsi.
“Ora giurate davanti ai Kami il vostro amore” disse il prete.
I Kami erano gli spiriti, le rocce, le piante, gli animali, i fiumi e i laghi, tutto ciò che consisteva nella natura.
“Abbiamo scritto le promesse matrimoniali” disse Kaito.
“Bene, allora leggetele.”
“Inizio io” disse Kaito. “Lucia, io ti amo. Tu sei incredibile. Sei dolcissima e hai un grande cuore. Sei sensibile e mi piace la tua personalità a tratti frizzante, a tratti dolce. Amo quando mi guardi con gli occhi pieni d'amore. Sono felice quando, dopo una giornata passata con te, ho ancora il tuo profumo addosso. Ho deciso di sposarti per mille motivi che sarebbe troppo lungo spiegare, ma sappi che non smetterò mai di amarti.”
“Oh, Kaito, è una promessa bellissima!” esclamò Lucia, poi prese il suo foglio e cominciò a leggere. “Kaito, io ti amo perché sei la prima persona con cui mi sveglio la mattina, a meno che Emiko non richieda le mie attenzioni, e l'ultima con cui chiacchiero quando vado a letto la sera. Amo la tua personalità tranquilla e la dolcezza con la quale ti occupi di me e di nostra figlia. Adoro quando giochi e ridi con lei, è una scena dolce che mi fa sciogliere il cuore. Quando ti sposi con la persona che ami, vorresti che questo momento arrivasse il più presto possibile. Ci abbiamo messo un po', ma alla fine ce l'abbiamo fatta. Amore è una parola troppo debole per descrivere cosa provo per te. Io ti amo con tutto il cuore, con la mia mente e la mia anima, con ogni fibra del mio essere.”
“Anche la tua è bellissima” disse Kaito a Lucia e le prese la mano.
A quel punto gli sposi si scambiarono tre coppe colme di sakè di diverse dimensioni. Questo gesto, che prendeva il nome di San-san-ku Do, serviva a unire la coppia in matrimonio.
Finalmente io e Kaito siamo sposati pensò Lucia. Anni fa mi sarebbe bastato stare con lui anche solo un momento, e se qualcuno mi avesse parlato di un possibile matrimonio con lui mi sarebbe sembrato solo un sogno, invece alla fine si è trasformato in realtà. Oh, Kaito, quanto ti amo!
Dopo una danza delle sacerdotesse miko, il matrimonio ebbe fine, e tutti
andarono in una piccola stanza vicino al santuario, chiamata Cha Shitsu, o casa del tè. L'arredamento era essenziale: un tavolino e un divanetto stavano al centro della stanza dalle pareti spoglie, proprio a simboleggiare l'abbandono di ogni forma di ogni forma superflua terrena, per elevarsi a un livello di spiritualità superiore. Il rito, infatti, aveva più un significato spirituale che altro. La luce era soffusa e c'era silenzio. Emiko era rimasta fuori con Rina, che quindi non avrebbe partecipato, perché il maestro aveva paura che la piccola potesse piangere e rovinare il silenzio che regnava nella stanza, rendendola quasi magica. La prima fase della cerimonia consistette nel mangiare alcuni dolcetti, i wagashi. Lucia ne mangiò tre, tenendo a freno la sua golosità, Kaito due e gli altri quanti ne volevano. Nessuno eccedette, comunque, sapevano che il pasto doveva essere leggero.
Poi il maestro cerimoniale porse a ognuno una tazza di tè che tutti contemplarono, lo ammirarono e lo gustarono a piccoli sorsi, prima di porgere il tutto all'ospite vicino. Quando Lucia lo passò a Kaito gli sorrise e lui ricambiò. Dopodiché, il maestro cerimoniale offrì un'altra tazza di tè a tutti. Ognuno la bevve, ne asciugò i bordi con un tovagliolo e la restituì al maestro. Egli la lavò e la asciugò, prima di porgerla all'ospite successivo.
Nella parte finale della cerimonia gli astanti si inchinarono fino al pavimento, uscirono dalla stanza e chiusero la porta scorrevole dietro di loro.
“È stato bellissimo!” esclamò Makoto.
“Infatti, fantastico” disse Ryo.
“Sono felice che vi sia piaciuta. Abbiamo voluto farla per dare un altro tocco giapponese al nostro matrimonio, ma ora andremo al ristorante” disse Lucia.
Gli sposi avevano prenotato un ricco buffet e anche un pranzo con otto portate, quindi tutti mangiarono a sazietà. Dato che Emiko era con i nonni, che volevano godersela un po' prima di andare, Kaito portò Lucia a ballare. In un angolo, un'orchestrina suonava canzoni giapponesi. Lucia seguì i passi di Kaito. Non aveva mai preso lezioni di ballo e non era di certo brava come alcune altre coppie che volavano sulla pista,, ma fece del suo meglio e, alla fine, tutti applaudirono. La coppia ballò fino a quando le fecero male i piedi, così si fermarono e fecero portare la torta, al cioccolato e panna. Piacque tantissimo a tutti, anche a Emiko, che con la bocca sporca di panna faceva tenerezza.
“Io e Hanon vorremmo cantare una canzone agli sposi” disse Rina.
Le due si misero l’una vicina all’altra.
“Lucia la conosce già,” disse la sirena dalla perla blu, “ma non importa.”
Vola la mia mente è scintillio suadente
che libera mi libera e va!
Gioia incandescente il cuore mi si accende
magicamente amore sarà!
Sciolgo le mie vele al vento del mio cuore tu stai con me, con me!
Come una carezza mi sfiora già l'ebbrezza
se è amore sei, amore sarai!
 
Sogno non c'è, più grande di te!
Mare in tempesta dentro di me.
È melodia, fantastica poesia,
questo bisogno di te!
Sogno non c'è, più vero di te!
Cielo d'argento dentro di me.
È melodia, fantastica poesia.
Ho bisogno di te… di te!
[…]
Tutti le applaudirono ed Emiko emise gridolini di gioia.
“Se vuoi te la tengo io per stanotte” disse Hiroko a Lucia. “Io e Takeo abbiamo prenotato un albergo qui vicino, ti scrivo l'indirizzo così domani la vieni a prendere.”
“Ma… mamma, non so. Emiko non ha mai dormito con altri da quando è con noi.”
“Su, dai, andrà tutto bene” disse Takeo. “Chiederemo se hanno una culla dove metterla, o la faremo dormire nel letto con noi.”
“No papà, quello no!” esclamò Lucia, improvvisamente spaventata. “Ho letto che molti bambini sono morti soffocati in questo modo.”
“D'accordo, allora chiederemo un lettino” disse il tritone. “Ora calmati, Lucia.”
Kaito le poggiò una mano su una spalla con fare rassicurante.
“E poi,” si intromise Hanon, “voi due vorrete passare la notte come due piccioncini, giusto?”
“Giusto!” esclamò Kaito.
Una volta finita la festa, tutti tornarono a casa. Arrivati alla loro abitazione, Kaito prese in braccio Lucia e la portò in camera da letto.
“Sei pronta?” le chiese con dolcezza e le accarezzò il viso.
“Non lo so, ho un po' paura” ammise, somigliando a una bambina.
“Di che cosa? Non succederà niente di male.”
“Vedi, il fatto è che… che io non ho mai…”
“Fatto l'amore?”
“Esatto.”
“Anche per me è la prima volta.”
“Non ci credo, con tutte le ragazze che ti giravano intorno al liceo.”
“Devi crederci, invece, è la prima volta.”
“Va bene, ti amo, quindi ti credo.”
Si spogliarono a vicenda, poi ricaddero nudi sul letto.
“Se ti faccio male dimmelo, okay?”
“Okay.”
Fecero l'amore con passione e ardore, come non avrebbero mai creduto di fare. Si toccarono, si accarezzarono, si sfiorarono, e quando lui la penetrò la ragazza sentì dolore. Glielo disse, ma gli diede comunque il permesso di andare avanti, perché voleva godersi ogni momento di quella notte, anche a dispetto del dolore. Quando giacquero sfiniti, sul materasso, Lucia notò del sangue sulle coperte. Andò a lavarsi e aprì l'acqua del bidet girando la manopola sul caldo.
“Tutto bene?” le chiese Kaito bussando alla porta.
“Sì, fa un po' male, ma sto bene. Arrivo. Tu, intanto, potresti cambiare le lenzuola?”
“Certo. Mi spiace averti fatto male.”
“Kaito, questa è stata la note più magica di tutta la mia vita, non la dimenticherò mai, non importa se ho provato dolore.”
Quando finì di lavarsi, il dolore all'inguine e alla parte più critica e nascosta di sé si ridusse notevolmente. Lei e Kaito dormirono abbracciati, quella notte, e il mattino dopo andarono a prendere Emiko.
“Ora io e tuo padre dobbiamo andare, tesoro” disse Hiroko a Lucia.
“Così presto? Credevo si sareste fermati qualche giorno.”
“Purtroppo il dovere ci chiama” le disse Takeo, “e non possiamo lasciare il nostro regno con un reggente a lungo.”
“Allora ci vediamo presto, vi voglio bene!”
Si abbracciarono e Kaito li ringraziò per essere venuti,
“Figurati, non ci saremmo mai persi il matrimonio di nostra figlia” disse Takeo, poi i due si allontanarono verso il mare.
 
 
 
CREDITS:
Elisabetta Cavalli, Fantastica poesia

 

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Capitolo 12
*** Luna di miele ***


CAPITOLO 12.
 
LUNA DI MIELE
 
Era lunedì, ma Kaito si era preso tre settimane di ferie per stare con Lucia.
Andarono a comprare un dondolo e lo misero in giardino, poi si dondolarono con la bambina fra loro, che gradiva molto quel movimento.
“Dove andiamo in luna di miele?” le chiese Kaito. “Non ci abbiamo ancora pensato.”
“A me piacerebbe vedere l'Italia, o almeno una città di quel Paese.”
“Che ne dici di Roma?”
“No, a quel che so è molto trafficata. Sarà anche bellissima, ma vorrei qualcosa di più tranquillo.”
“Allora Venezia.”
“Va bene.”
Prenotarono un volo per la mattina seguente, anche se avrebbero dovuto fare uno scalo, ma non importava. Lasciare Emiko a Nikora, Hanon e Rina, che non erano ancora tornate nei loro regni fu doloroso per Lucia e Kaito, ma sapevano che la bambina sarebbe stata in buone mani.
“Non preoccuparti piccola, io e papà torneremo presto. Tu intanto resta qui con le zie.”
La riempirono di baci, abbracci e carezze, poi Kaito disse che sarebbe stato meglio andare in aeroporto.
Dopo il check-in dovettero aspettare un bel po', ma alla fine salirono sull'aereo e partirono. Il secondo sul quale montarono li portò proprio a Venezia.
Una volta arrivati lì comprarono una guida della città, che per fortuna era anche in inglese, e una cartina, poi prenotarono una camera in un hotel con vista sul mare. Costò parecchi euro – avevano convertito le monete prima di partire –, così i due si dissero che avrebbero risparmiato i giorni seguenti. Il receptionist, che parlava inglese, disse che quella era una delle stanze più belle e grandi dell'hotel. Aveva una meravigliosa vista sul mare, una terrazza e il bagno con la vasca.
“Kaito, siamo in Paradiso!” esclamò Lucia.
Dopo aver disfatto le valigie e aver fatto un bagno insieme, i due si rivestirono e decisero di fare un giro per la città.
Seguirono la cartina e si guardarono intorno. Le case erano in pietra, con le case antiche e variegate.
“Che bel posto!” esclamò Kaito.
“Già.”
Arrivarono a piazza San Marco. Era bellissima, Due enormi palazzi di marmo bianco si aprivano su di essa, composti da tre piani di arcate a tutto sesto. All'interno, diceva la guida, si trovavano i ristoranti più famosi e lussuosi della città. Ma i due non avevano i soldi necessari per pranzare o cenare lì, e poi il loro albergo dava la pensione intera. Alla fine della piazza si trovava, maestosa, la basilica di San Marco. Aveva cinque cupole disposte a formare una croce, mentre il candore della basilica le conferiva un'aura di purezza. Sotto le sottili guglie, che sembravano voler bucare le nuvole e lasciare che splendesse il sole, c'erano cinque archi a tutto sesto, di colore bianco. Quattro erano occupati da mosaici, che dalla loro posizione i due non riuscivano a vedere, mentre quello centrale aveva una vetrata colorata. Anche i cinque portoni avevano altrettanti archi, impreziositi da bassorilievi e intervallati da pilastri. Le colonne sostenevano il peso della struttura.
“Mai visto niente del genere” disse Kaito.
Tirò fuori il telefono e cominciò a fare qualche foto, mentre Lucia lo fece con la macchina fotografica. Ma i due decisero di non farne molte, per godersi appieno la città.
Il campanile di San Marco si trovava a destra, con le sue pareti scanalate di mattoni rossi. Non era bianco come la basilica, ma non importava, era comunque maestoso, e le sue pareti culminavano nella cella campanaria e nella cupola piramidale. La statua d'oro sulla sua punta sembrava vegliare sulla città.
“È tutto stupendo!” esclamò Lucia.
Nei giorni seguenti visitarono il Palazzo Ducale, il Palazzo del Doge, il Ponte dei sospiri e tutti i monumenti e i musei più importanti di Venezia. Ma andarono anche in posti più tranquilli. Una volta capitarono su un molo circondato da imbarcazioni di diverse dimensioni e si sedettero sulla struttura solida in legno, appoggiando la schiena a un palo, probabilmente un ormeggio. Rimasero lì, ad ascoltare il suono delle onde che faceva oscillare le barche.
“Anche se sono una sirena non mi stupisco mai di quanto sia bello il mare.”
“Già, nemmeno io.”
Una seconda volta arrivarono davanti a una fermata di un vaporetto. Si trattava di una casetta grigia collegata al marciapiede da una stretta passerella. I due superarono la soglia della casetta, cava all’interno, che aveva una piccola stazione che vendeva biglietti. Un'apertura, sbarrata da una grossa catena, dava sul canale. Kaito frugò nella tasca dei suoi pantaloni e condusse Lucia fino alla catena, poi tirò fuori due biglietti.
“Me li sono procurati stamattina, mentre dormivi” le disse.
“E cosa sarebbe un vaporetto?” chiese lei.
“Una sorta di autobus acquatico, una braca che attraversa Venezia e si ferma in vari posti in modo che la gente salga e scenda.”
Lucia era elettrizzata. Finalmente sarebbe salita su un vaporetto, non su una di quelle gondole ce avevano utilizzato per spostarsi, tutte nere, che portavano in giro la gente per pochi spiccioli. Il rombo di un motore fece increspare le acque del canale. Una barca bianca venne nella loro direzione. Lucia era emozionata e vide quella stessa emozione anche negli occhi di Kaito. Quella ce stavano per compiere era un'esperienza nuova.
“Preparati, tesoro, tra poco saliremo” disse Kaito a Lucia.
Lo fecero dopo aver m mostrato i biglietti al conducente, e tramite una traballante passerella. Una volta saliti andarono alla loro sinistra, il più vicino possibile alla prua. Alla loro destra i due videro i motoscafi che solcavano le ac1que e l'acqua che rifletteva il cielo limpido il parapetto del vaporetto e i loro volti meravigliati.
“Sediamoci” disse Lucia. “Se la barca partisse e io restassi in piedi cadrei.”
Lo fecero, ma continuarono a guardarsi intorno. La barca a motore iniziò la sua corsa e Venezia sfilò sotto di loro. Vedevano palazzi, piccoli porticcioli in legno e altri porti più grandi coperti di muschio. Le altre imbarcazioni si fermavano per lasciare loro spazio, e la gente si fermava a guardare il vaporetto. A Lucia piacque pensare che lo stessero salutando con le loro menti. Il vento umido le faceva ondeggiare i capelli lunghi, ma non era una brutta sensazione. Goccioline d'acqua le colpivano le guance e lei le asciugava con il dorso della mano. A Mano a mano che il canale si ingrandiva, il vaporetto accelerava, creando sull'acqua una schiuma biancastra. Ora andavano così veloci, che riuscirono a scorgere Piazza San Marco solo tramite il campanile. Il paesaggio cambiò, Le case lasciarono spazio a un'isola con vari ponti e tanto verde. Se già erano in una città sull'acqua, quanto li avrebbe sconvolti camminare su un parco sospeso sull'acqua.
?
“Siamo arrivati” disse Kaito consultando la cartina.
“Mi vuoi portare in un parco?” gli chiese Lucia, meravigliata.
“Sì, ma non è un parco qualsiasi. Vieni con me.”
Il vaporetto si diresse verso una casetta bianca e grigia. Il vaporetto attraccò e i ragazzi riuscirono a scendere.
Si ritrovarono su un terreno ghiaioso, dal quale partivano tre vie. La prima, a sinistra, saliva su un ponte di pietra con numerose statue, la centrale superava un alto cancello nero e si perdeva tra i tronchi di un bosco, e quella a destra costeggiava la laguna. Nuvole grigie, basse e vaporose davano a quello spettacolo unaria struggente. Quando il vaporetto si allontanò, ci fu un totale silenzio, ma ai due non dette assolutamente fastidio, anzi, piacque a entrambi, perché contribuiva a rendere l'atmosfera ancora più malinconica.
“Allora,” disse Kaito, “questi sono i giardini napoleonici, o i giardini della Biennale, perché più avanti c'è l'esposizione della Biennale, ma ti voglio portare in un altro posto, Oggi non c'è nessuno, staremo tranquilli. Ne abbiamo bisogno, dopo tutta la gente che abbiamo visto i giorni scorsi.”
“Hai ragione, avevo proprio bisogno di tranquillità” disse Lucia.
I due camminavano per i giardini vuoti, per gli ampi viali, ai cui lati si trovavano panchine senza alcuna persona seduta. Sopra le loro teste, i rami degli alberi si allungavano come grandi braccia pronte a proteggerli. L'erba ai loro piedi era imperlata di brina, che scintillava ogni volta che ogni nuvola passava sopra il parco e lasciava spuntare un pallido sole. C'erano anche delle aiuole con fiori dei quali Lucia non ricordava il nome. Un leggero vento faceva frusciare gli alberi e cadere le poche foglie superstiti. Lucia si sentiva all'interno di una fiaba, in un bosco magico. Perfino gli uccelli non cantavano, volavano o correvano sul viale senza emettere alcun cinguettio. I due camminarono per ore, sempre senza parlare, ma quel silenzio non era imbarazzante. Poi si sedettero su una panchina e rimasero lì un po' Lui la giudò oltre alte querce, fino a una radura, e si sedettero su un masso sotto un albero.
“Sai che pianta è?” le chiese Kaito-
“Ehm, veramente no” rispose lei.
“È un ciliegio. Ora è un po' brutto, ma in primavera e in estate è meraviglioso. Ne ho visti molti, in Giappone. Tu no?”
Lucia sorrise, poi il suo volto si incupì e chiese, in silenzio, scusa alla natura. Scusa perché spesso era troppo presa dai suoi pensieri e non si guardava intorno, scusa perché non si godeva abbastanza le bellezze che offriva.
“Hanami in giapponese significa ammirare i fiori. Immagina: il sole ti accarezza la pelle, mentre sopra di te i ciliegi sono così carichi di fiori bianchi e rosa che si piegano. Il vento li trasporta e loro svolazzano fino a terra.”
Kaito era stupito dell'espressione meravigliata di Lucia. Possibile che non avesse fatto caso al meteo, gli anni precedenti, che avvertiva la popolazione della fioritura dei ciliegi? Forse non ci aveva fatto troppo caso.
“Ti è piaciuto?” chiese Kaito a Lucia.
“Tantissimo! Ma ora ho fame.”
Ritornarono alla stazione del vaporetto, ne presero uno e tornarono al punto di partenza, poi cercarono un bar dove mangiarono un panino e una brioche al cioccolato.
Un'altra volta finirono su un ponticello, lungo quasi cinque metri, e rimasero lì a guardare l'acqua di un canale che scorreva.
“Sentire l'acqua scorrere è meraviglioso” disse Kaito e la moglie fu d'accordo con lui.
Passarono lì l'ultima sera della luna di miele. Era stato tutto bellissimo e non avrebbero più dimenticato quella vacanza. Mentre guardavano le stelle, dopo aver mangiato all'albergo, ripromisero di tornare in quella città con Emiko, quando sarebbe stata più grande e se fossero riusciti ad adottarla, in modo che anche lei vedesse tutte quelle bellezze.
Tornarono a casa e riabbracciarono la loro piccola. Raccontarono agli amici quello che avevano visto e mostrarono le foto.
“Ah, Venezia sembra così rilassante da queste foto!” esclamò Hanon. “Magari potessi andarci con il mio Taro.”
I due si erano fidanzati pochi mesi prima, tanto adesso lui non era più il suo professore. Lei gli aveva aperto il suo cuore e lui aveva ricambiato.
“Chiediglielo, magari ti ci porterà” disse Lucia.
“Sì, lo farò, prima di tornare nel mio regno.”
“A proposito, quando avete intenzione di tornarci? E per quanto starete via?” chiese Kaito.
Gli dispiaceva che le amiche di Lucia se ne andassero, perché lei non se n'era fatte altre.
“Tra qualche settimana, ma torneremo presto” disse Hanon. “Non vogliamo perderci la crescita di nostra nipote.”
“Infatti. Non temere Lucia,” disse Rina, “faremo parte della vita di Emiko.”
“Grazie ragazze, siete le migliori amiche che una persona possa avere.”
Lei, Kaito ed Emiko tornarono a casa. Finalmente erano di nuovo insieme.

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Capitolo 13
*** Amore e famiglia ***


CAPITOLO 13.
 
AMORE E FAMIGLIA
 
Era passato un anno, Emiko cresceva sana, forte e soprattutto felice. Non andava ancora all'asilo – in Giappone la scuola materna iniziava a tre anni –, ma era molto contenta di giocare con gli altri bambini al parco. Lucia era rimasta incinta e adesso era all’inizio dell’ottavo mese di gravidanza, alla trentesima settimana, perciò Kaito usciva prima dal lavoro per occuparsi di Emiko o Nikora la aiutava.
“Come ti senti?” le chiese.
“Stanca, mi sembra di essere una culla ambulante.”
“Lucia! Non si parla così della maternità” disse Rina, venuta per darle una mano con alcune faccende domestiche e con la bambina.
“Hai ragione, scusa, sembrava che non volessi il mio bambino, invece lo voglio tantissimo! Il fatto è che con questo caldo sono sempre più stanca. Uffa, è settembre, non potrebbe piovere di più e fare un po' più fresco?”
“Mamma!” esclamò la bambina e corse verso Lucia e la abbracciò. “Mamma e fatellino qui dento” disse.
“Sì, il tuo fratellino è qui dentro” disse la ragazza, marcando la r che la bambina aveva saltato.
Aveva iniziato a chiamarla mamma a tredici mesi, prima aveva detto “Papà”. Era stato emozionante, per Lucia, sentirsi chiamare così.
“Se appoggi una mano qui lo senti, o la senti.” Lei e Kaito avevano deciso di non sapere il sesso del nascituro, così, tra le altre mille cose che si devono comprare per un neonato, avevano acquistato anche vestitini rosa e azzurri. Avevano finito di preparare ogni cosa proprio pochi giorni prima.
In quel momento il bambino scalciò.
“Visto? Lui ti ha sentita e si è mosso.”
La prima volta che aveva percepito un calcetto del suo bambino era stata una sensazione stranissima, difficile da descrivere ma meravigliosa.
Dopo pranzo le tornò la nausea, ogni tanto ritornava anche se era all'ottavo mese di gravidanza, e dovette sdraiarsi a letto e prendere una pastiglia contro la nausea gravidica che le aveva consigliato il suo ginecologo, il dottor Frank Adams, un inglese che era venuto a vivere in Giappone e parlava benissimo il giapponese. La ragazza azionò il telecomando e alzò la parte inferiore del letto, per sollevare le gambe. Aveva crampi fortissimi a volte, e tenerle alzate la aiutava a calmarli. Per i crampi il dottor Adams le aveva consigliato di prendere del magnesio, quindi se ne fece portare una pastiglia da Kaito, la bevve e poi si risdraiò. Le aveva anche detto di prendere delle vitamine, che Kaito andò a comprare in farmacia.
Quel pomeriggio andarono insieme al corso preparto.
“Innanzitutto, presentiamoci” disse l'ostetrica che teneva il corso.
Quando fu il turno di una donna sola, tutti la guardarono,
“Mio marito non c'è. Il mio fidanzato è scappato come una furia quando h a saputo che ero incinta, ma io volevo il bambino, così sono rimasta sola. Mi chiamo Aki.”
Lucia trovò estremamente coraggioso quel gesto e ammirò la donna.
“Il corso preparto,” ricominciò l'ostetrica, una donna giovane e dai capelli biondi, “vi aiuterà a capire meglio il percorso che vi porterà a diventare genitori. Lo scopo è favorire la salute della donna e del neonato.”
La prima lezione consistette nello spiegare dove si trovasse in bambino in quello stadio della gravidanza, cos’era la cervice, cos’era il collo uterino e i partner fecero dei massaggi alle mogli o fidanzate, sia alla pancia che alla schiena. Lucia si rilassò molto e anche il bambino, che diede qualche piccolo calcetto. L'ostetrica parlò poi del dolore del parto, della possibilità di chiedere l'epidurale, della cura del neonato nei primi giorni di vita.
Poi la donna disse alle mamme di inspirare ed espirare, facendo attenzione al respiro. Lucia si concentrò. Quando inspirava si sentiva come quando le onde del mare risalivano verso la sabbia, mentre nel momento in cui espirava provava la sensazione che esse tornassero in giù.
“Dovete pensare a un’onda che va su e giù” disse la donna.
Ecco, ci avevo azzeccato pensò la sirena dalla perla rosa.
“Ci saranno sei lezioni, una la settimana” disse l'ostetrica prima di lasciarli andare.
Quello stesso pomeriggio l'assistente sociale telefonò. Le visite a casa erano andate sempre bene e Akane aveva visto che la bambina cresceva ed era felice di stare con i suoi genitori.
“Ho delle buone notizie” disse la donna, facendo sorridere Lucia.
“Vi devo dare alcuni documenti da riempire. Nessuno si è presentato come genitore o parente della piccola, quindi potrete adottarla.”
“Stai… stai dicendo sul serio?” chiese Lucia, mettendo in vita voce in modo che anche Kaito potesse sentire.
“Certo. Non c'è motivo di rinnovare l'affidamento, la bambina sta bene con voi e potrete godervela per sempre.”
Lei e Kaito si sorrisero.
Che gioia! pensò Lucia. Finalmente Emiko sarà nostra per sempre anche di fronte alla legge.
L'assistente sociale continuò:
“Le visite a casa vostra da dopo l'adozione sono andate sempre bene e i documenti che vi devo dare servono a riassumere un po' la vostra storia adottiva, a dire i vostri nomi, quello della bambina, il vostro stato civile, cose semplici, insomma, ma che al giudice saranno molto utili. Domani potrai portarli al Tribunale dei Minori in città e darli a un giudice, assieme ai miei vari rapporti scritti dopo ogni visita a casa tua, che come sai sono tutti positivi. Molto probabilmente vi verrà fissata la data per finalizzare l'adozione. Sarebbe meglio, però, che voi quel giorno vi faceste accompagnare da un avvocato di cui ti fidi, o uno che conoscono i tuoi genitori. Anche lui, oltre al giudice, potrà farvi delle domande.”
“L’avvocato ce l’ho già, e d’accordo, lo contatterò.”
La telefonata si chiuse poco dopo.
“Lucia, porti tu i documenti domani? Io ho la scuola.”
“Sì, non c'è problema.”
“Io andrò con lei, guiderò io ovviamente” disse Rina.
“Grazie, sei molto gentile.”
“Dovrete compilarli e portarli appena puoi al Tribunale dei Minori. Chiedi del Direttore di quel posto; è un giudice abbastanza anziano, il signor Ayama. Comunque dovrete consegnare a lui i documenti e poi sarete chiamati non appena verrà fissata una data per la finalizzazione dell'adozione.”
“Posso venire solo io? Mio marito deve lavorare e non può proprio liberarsi.”
“Sì, non è necessario che ci siate entrambi domani, ma dovrete esserlo qui da me per i documenti.”
“Kaito, puoi farti dare un permesso?”
“Telefono e ci provo.”
“Potete portare anche Emiko con voi, siam o sempre molto felici di vedere i bambini qui.”
Poco dopo, i due salirono in macchina dopo aver legato il seggiolino di Emiko. Ora erano passati a quello in cui lei stava solo seduta, non come quello per bambini piccoli.
Una volta arrivati scesero dall'auto e si presentarono nell'agenzia dove erano già stati per firmare delle carte per l'affidamento.
“Ciao!” li salutò Akane uscendo dal suo ufficio. “Entrate.”
Fece leggere e firmare loro i documenti.
“Come va la gravidanza?” chiese Akane per rompere il ghiaccio, mentre Emiko giocava con una matita posta sul tavolo.
“Molto bene!” esclamò Lucia. “Ormai ci siamo.”
“Speriamo tu riesca a finalizzare l'adozione prima del parto.”
“Lo spero anch'io.”
Il giorno dopo c'era traffico e lei e Rina ci misero un'ora e mezza a portare i documenti al Tribunale dei Minori dall'altra parte della città. Il giudice Ayama fu molto gentile con loro.
“Come mai non c’è suo marito? C’è anche la sua firma, sui documenti.”
“Doveva lavorare e non poteva proprio liberarsi, ha già chiesto ieri un permesso per firmarli dall’assistente sociale.” E Lucia si affrettò ad aggiungere: “Ma ama nostra figlia con tutto il cuore.”
“Capisco. Analizzerò i documenti prima del caso. Stia tranquilla, ne avrò molta cura e sono sicuro che andrà tutto bene.”
“Quindi è sicuro che sarà lei a finalizzare la mia adozione.”
“Sì, sarò io.” Lucia gli sorrise, poi lui le disse che poteva andare, aggiungendo:
“Tanti auguri per il nascituro. Sapete già se è maschio o femmina?”
“No, sarà una sorpresa.”
Dieci giorni dopo, proprio quando Lucia e Kaito iniziavano a temere che la ragazza avrebbe dovuto presentarsi in aula dopo il parto, la seduta per la finalizzazione dell'adozione venne fissata per il giorno dopo.
Kaito e Lucia si vestirono a festa, di bianco e anche Rina e Hanon, appena tornate dai loro regni, erano vestite così. I genitori di Lucia, trasformatisi in umani non appena avevano ricevuto la lettera della figlia, portavano semplici jeans e maglietta. La ragazza fu felicissima di vederli.
“Ci siete anche voi!” esclamò abbracciandoli.
“Siamo venuti al tuo matrimonio, volevi che non venissimo a questo evento?” le chiese la madre.
“Esatto,” disse il padre, “non potevamo mancare.”
Nikora indossava un vestito giallo e Hippo, essendo un pinguino, non avrebbe potuto partecipare, ma Lucia gli promise che gli avrebbe raccontato tutto una volta finito.
Dovettero aspettare perché altre famiglie vennero chiamate prima di loro. La sala d'attesa, se così poteva essere definita, aveva tante famiglie con bambini di diverse età.
“La corte chiama Lucia Nanami e Kaito Domoto.”
L'aula di tribunale era grande e con ampie vetrate. Un giudice sedeva dietro un banco assieme ai giurati.
Lucia procedette con Emiko in braccio, il suo avvocato vicino, Kaito dall'altra parte e la sua famiglia e gli amici dietro di lei.
“Signorina Nanami, signor Domoto, alzatevi, prego.”
I due lo fecero e osservarono il giudice. Era sulla cinquantina e aveva i capelli e gli occhi neri. Il suo sguardo era penetrante, ma sorrise gentilmente ai due.
“Ho letto tutto ciò che riguarda l'adozione di Emiko. So che oggi voi siete qui per finalizzarla.”
“Sì, esatto, Signor Giudice” disse Kaito.
“Avvocato Suzuki, presenti il caso, prego.”
“Sì, Signor Giudice.” L'avvocato si alzò in piedi e si avvicinò al banco. “Rina e Hanon, due amiche di Lucia, hanno trovato con lei una bambina abbandonata nel loro giardino. Se ne sono prese cura fino al ritorno di Nikora, la signora che gestisce 'hotel Pearl Piari dove lavorano, che ha chiamato gli assistenti sociali. Loro l'hanno portata in orfanotrofio. Dopo pochi mesi Kaito e Lucia si sono messi insieme e hanno voluto diventare genitori affidatari nella speranza che avrebbero potuto affidare loro proprio la bambina che avevano conosciuto.”
“Quindi anche Kaito ha contribuito a curare la piccola” disse il giudice.
“Sì, Signor Giudice” disse il diretto interessato. “Con l'aiuto di Lucia ho preparato il latte in polvere e le ho cambiato il pannolino.”
“Capisco. Continui pure, avvocato.”
“È stata affidata loro proprio Emiko, in orfanotrofio l'avevano chiamata così, e loro se ne sono presi cura come veri genitori.”
“Come sta la bambina con voi?”
“Molto bene, è felice” rispose Lucia.
“Signor Domoto, anche lei è della stessa opinione?”
“Sì, è molto contenta.”
 “Ora vi farò due domande che pongo sempre agli aspiranti genitori adottivi: siete felici di aver avuto la bambina in affidamento?”
“Moltissimo!” risposero i due all'unisono.
“È stata la cosa più bella che ci sia capitata nella vita” aggiunse Lucia con gli occhi che luccicavano di lacrime di gioia.
“Conoscendo i vostri doveri, cioè di fornire alla bambina cibo, amore e istruzione, volete adottare Emiko?”
“Sì, lo vogliamo!”
Il giudice fece firmare ai due il nuovo certificato di nascita della bambina, che ora prendeva il cognome Domoto.
“Questo documento resterà in tribunale, ma ve ne farò una copia così potrete portarla a casa e aggiungerla agli altri documenti sull'adozione.”
Dopo aver fatto questo, il giudice sorrise ed esclamò:
“Congratulazioni!”
Una volta usciti dall'edificio, la famiglia e gli amici di Lucia e Kaito applaudirono.
“Ci sta una cioccolata calda, che ne dite?” propose Hanon.
Tutti accettarono e andarono su un bar sulla spiaggia. Si sedettero vicino al mare per poterlo guardare e ordinarono tutti la stessa cosa: cioccolata calda con panna. Emiko mangiò qualche cucchiaino di panna dalla tazza di Lucia, usandolo da sola, e poi anche uno di cioccolata, che più che quello sembrava un budino tanto era densa.
“Alla fine è andato tutto bene e si è trattato solo di una formalità, avete visto?” chiese Takeo.
“Sì, pensavamo sarebbe stato più difficile” rispose Kaito.
Poi tutti si misero a parlare fitto fitto della finalizzazione e di quanto erano felici che tutto fosse andato bene, poi ognuno tornò a casa propria.
“È nostra per sempre!” esclamò Lucia.
“Sì, amore mio, e tra poco avremo il bambino.” Si chinò per baciarla, mentre Emiko li guardava. “Ti amo così tanto.”
“Anch'io Kaito, sono felice.”
Poi anche loro fecero ritorno nella loro abitazione, dopo aver dato un ultimo sguardo al mare.
 

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Capitolo 14
*** L'inizio di un momento difficile ***


CAPITOLO 14.
 
L’INIZIO DI UN MOMENTO DIFFICILE
 
Il giorno dopo, mentre Emiko giocava sul tappeto e Lucia svolgeva qualche piccolo lavoro di casa, evitando di stancarsi, il telefono squillò.
“Salve” disse la voce dall'altra parte.
“Buongiorno avvocato” disse Lucia.
“Arriverò subito al punto. Oggi si è presentata da me una ragazza di trent’anni che dice di essere la sorella della bambina. Ha una lettera scritta dalla madre prima di morire che dice che gliela affidava dopo la sua morte. Poi le cose sono andate diversamente perché l'ha abbandonata, ma orala sorella la rivuole. L'ha cercata in lungo e in largo per il Giappone e alla fine l'ha trovata da voi, vi ha visti passeggiare un giorno.”
“E come può essere sicura che si tratti proprio di sua sorella?”
“Perché allegata alla lettera c'era una foto della piccola, e anche se era più grande quand'era con voi, l'ha riconosciuta.”
Ma Emiko era una fatina dei Coralli, non aveva genitori. Solo che lei non poteva dirlo all'avvocato. Ma allora chi era quella ragazza? Ora che ci pensava bene, tutte le fatine dei coralli si consideravano sorelle. Quindi il suo obiettivo era riportarla al mare. Non gliel’avrebbe permesso.
“Le domande che ti poni tu sono anche le nostre” dissero Kaito e Rina all'unisono.
La cosa avrebbe fatto sorridere Lucia, se si fossero trovati in un contesto diverso, ma non in quell'occasione.
“Non puoi dire che sono una fatina, o svanirò” disse la piccola nella sua testa, anche se la sentirono anche Kaito e Rina nella loro.
“Signorina Nanami, è ancora lì?”
“Sì, ci sono, è che mi sono dovuta riprendere. Quindi questa ragazza ci citerà in tribunale?”
“Esatto. Tra una settimana c’è la prima udienza, alle nove. Le mando l'indirizzo via mail.”
“D'accordo, grazie.”
E adesso questa chi era? Che cosa voleva?
“Non potrebbe essere una delle Dark Lovers o delle Black Beauty Sisters?” chiese Rina.
“No, credo che stavolta sia qualcosa di diverso, come una fatina dei coralli. E non mi piace, non mi piace per niente” disse Kaito.
Quando Rina andò a casa era tardi ed Emiko dormiva nel suo lettino.
“Come credi che andrà fra una settimana?” chiese Lucia a Kaito.
“Dipende da chi è quella ragazza. Non possiamo rivelare a nessuno che tu sei una sirena, ma dobbiamo capire se lei è una fatina dei coralli o è un'umana. Nel secondo caso, l'unica cosa che mi viene in mente è che voglia rapire la bambina, nel primo non saprei che cosa può volere. Emiko è sulla Terra da anni ormai, il tuo regno l'ha accettato.”
“Ma come facciamo a scoprire se è un’umana o di una fatina dei coralli?” chiese Lucia.
“Prima o poi si trasformerà, lontana dagli altri umani, per dirci che vuole portare la bambina al mare, ma aspetterà di essere lontana dagli umani” disse Kaito.
“Mi sa che Madame Taki aveva ragione quella volta che ci aveva detto in cui ci sarebbero state delle difficoltà, credo si riferisse a questo” disse Lucia.
Nessuno dei due dormì quella notte e fece fatica nelle seguenti. Quella settimana Lucia entrò nella trentaduesima settimana di gravidanza. Ne mancavano otto al parto. Le ecografie andavano bene, il bambino cresceva sano e forte e non aveva nessun problema. Almeno su questo poteva stare tranquilla.
Il mattino dopo si alzarono tutti alle sette. Uno alla volta, gli adulti andarono a fare la doccia, poi fecero il bagnetto a Emiko. Lucia indossò una tuta, i jeans non le stavano più, mentre Kaito scelse un paio di pantaloni e una maglietta di colore giallo acceso. Vestirono Emiko con una gonnellina rosa, tanto fuori faceva caldo, nonostante fosse solo marzo e l'inverno dovesse ancora finire.
Inspira, espira. Inspira, espira. Ancora.
Era strano, per Lucia, ricordarsi di respirare. Generalmente era un'azione naturale che non veniva dimenticata dal corpo. Ma lì, in un'aula di tribunale, seduta accanto a Kaito che le teneva una mano sulla spalla mentre i due tremavano e con Emiko fra le braccia, pronunciava sottovoce delle preghiere ai Kami.
“Vi prego, spiriti della natura, fate in modo che mia figlia resti con me, per favore” sussurrò, abbastanza forte perché Kaito potesse sentire.
Il giudice doveva ancora arrivare, ma il tribunale era già pieno di gente. C'erano Hanon, Rina, Nikora, Hippo – che si era trasformato in ragazzo per l'occasione e dare il suo contributo, se ce ne fosse stato bisogno –, Maki, il gestore di un ristorante per il quale Lucia, le sue amiche e Kaito avevano lavorato, i genitori di Lucia trasformati in umani e Makoto e i suoi genitori. La sirena dalla perla rosa fece un cenno di saluto ai suoi. Si alzò per andare ad abbracciarli, ma in quel momento entrò il giudice. Lucia, temendo di essere chiamata per prima, passò la bambina a Kaito che la portò dai nonni, poi tornò da lei.
“Perché l'hai fatto?” gli chiese.
“Perché dopo di te probabilmente ci sarò io.”
“In piedi” ordinò il giudice. “Io sono il giudice Bakin Takashimaya e condurrò questo processo. Signorina Lucia Nanami, si alzi, prego.”
Lei obbedì senza dire una parola e lo guardò. Non avrebbe saputo dire, dato che era seduto, se era un uomo alto, ma di sicuro era di bell'aspetto, con i capelli neri e corti e due splendidi occhi marroni. Ma non doveva farsi incantare così, lui era il giudice che avrebbe deciso il destino suo e della sua famiglia.
Con loro c'era anche l'avvocato Suzuki.
“Ora dovete giurare, tutti quanti. Potremmo farlo uno alla volta, ma se giurerete tutti insieme ci sbrigheremo prima e potremo andare avanti.”
Mella stanza si levò un coro di voci.
“Giuro sui Kami che la testimonianza che rilascerò sarà la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità.”
Erano tutti shintoisti, quindi, anche la ragazza che era seduta di fronte a lei con il suo avvocato. Doveva essere la presunta sorella di Emiko, aveva il suo avvocato vicino.
“Si sieda, signorina Nanami” riprese il giudice. “Vedo che è incinta e non vorrei farla stancare.”
“La ringrazio.”
Si sedette, espirò e si mise le mani sul grembo, come per proteggere la creatura che portava da chissà quali pericoli.
L'avvocato della donna si avvicinò al suo banco, fermandosi a metà strada fra lui ed esso. A Lucia ricordava tanto una sua professoressa del liceo, con quei capelli neri sempre raccolti in una crocchia e quegli occhi dello stesso colore che sembravano leggerti dentro. Le aveva sempre fatto paura. Sperò che non fosse anche stronza come lei.
“Signorina Nanami, sono Aki Shimizu, l’avvocato della controparte. Può spiegare alla corte come mai si trova qui oggi?” le chiede la donna guardandola con sfida.
“So che riguarda la custodia di mio figlio, ma, a parte questo, non so dirle altro.”
“Lei è qui perché la signorina Ritsuko Takahashi ha riconosciuto Emiko come sua sorella. Come prova ha una lettera dei genitori e una foto di quando era neonata. I suoi genitori all'epoca erano molto malati, entrambi di cancro.” A Lucia sembrava strano che entrambi i genitori di quella ragazza, che non avrà avuto più di venticinque anni, fossero malati entrambi nello stesso momento, anche se poteva accadere. Le dispiaceva, doveva essere stato difficile per lei, ma non voleva che le portassero via Emiko. “Ora leggerò la lettera che i genitori le hanno lasciato.”
L'avvocatessa prese un foglio dal suo posto, tornò al banco e cominciò a leggere.
Dolcissima Ritsuko,
io e tuo padre stiamo per morire. Sappiamo che tu sei a Kyoto, all'università, e non vogliamo darti un dolore. Sappiamo che ora non puoi tornare a causa dell'uragano ce si è scatenato. Io sto per partorire, ma non vivrò a lungo. Ne ho discusso molto con papà, e non potendoti affidare la bambina perché sei lontana, non ci resta che abbandonarla vicino a una casa sperando che qualcuno se ne prenda cura e la affidi agli assistenti sociali. La amiamo con tutto il cuore, ma non possiamo fare altro.
 
Sappiamo che è un atto scellerato, ma come sai non abbiamo altri parenti. I tuoi nonni sono morti anni fa e non abbiamo né fratelli, né sorelle. Potremmo affidarla ai vicini, ma non li conosciamo molto bene e non ci fidiamo.
 
Perdonaci, se puoi, per quello che stiamo per fare, e sappi che ci odiamo profondamente per questo. Sarà il momento più difficile della nostra vita, anche più della malattia. Ti lasceremo, allegata a questa lettera, una foto della neonata, se ci riusciremo, così potrai cercarla. Non smettere mai di farlo Ritsuko, perché lei è tua sorella e deve stare con te.
Con grandissimo affetto,
Mamma e papà”
“Come vedete,” continuò la donna, “questa lettera spiega chiaramente le motivazioni che hanno spinto i genitori di Ritsuko ad abbandonare Emiko. Signorina Nanami, che ne pensa della lettera?”
“Ovviamente mi dispiace per quello che è successo ai genitori di Emiko.”
Kaito si alzò.
“Avvocato, posso parlare? Dovrei dire una cosa molto importante.”
“Sto interrogando la signorina Nanami, non può aspettare un po'?”
“No, non posso.”
Sembrava agitato, parlava anche più forte del normale.
“Io condanno l'abbandono. Ci sarebbero stati altri mille modi nei quali avrebbero potuto farlo, per esempio metterla nella ruota degli esposti di un ospedale, almeno sarebbe stata al caldo, o la signora avrebbe potuto partorire in anonimato e lasciare la bambina in ospedale. Invece no, hanno scelto di lasciarla nel giardino di una casa.”
“Però questo le ha permesso di avere Emiko come figlia.”
“Sì, dico solo che abbandonare un bambino no mi sembra giusto”
“Ha ragione, e sono sicura che anche tutti gli altri qui presenti gliela daranno.”
Si levò un coro di “Sì”.
Kaito si sedette.
“Perché si arrabbia tanto con i miei?” Ritsuko si era alzata e si era messa a gridare. Emiko scoppiò a piangere e la nonna la cullò. “Anch'io condanno l'abbandono, ma hanno fatto quello che potevano.”
Kaito si alza.
“Non è mia intenzione offenderla o farlo con i suoi genitori, ci mancherebbe. Ho solo dato la mia opinione in merito.”
Il giudice batté il martelletto.
“Andiamo avanti” ordinò. “Non potete parlare fra di voi.”
“L'unica cosa che possiamo fare adesso, prima di procedere,” disse il giudice, “è fare il test del DNA per capire se Emiko è davvero la sorella di Ritsuko. Dopodiché, una volta avuti i risultati, la corte si riunirà per decidere della custodia della bimba. Per questo periodo, la bambina non potrà stare con i genitori adottivi, né con la presunta sorella.”
“Non è giusto!” esclamò Ritsuko.
“Me la volete togliere?” chiese Lucia con le lacrime agli occhi e la voce strozzata.
Un peso al petto la schiacciò e sembrò impedirle di respirare.
“Sì, finché non avremo i risultati del DNA, cosa che avverrà fra sette giorni, non può stare con nessuna delle due.”
“Non potete, è mia sorella!” protestò Ritsuko, scoppiando in p pianto.
Cercò di andare verso Emiko, ma il suo avvocato la fermò.
Aspetta, non è ancora detto che sia tua sorella. Non puoi toccarla, se non hai il permesso dei genitori adottivi.”
“Genitori adottivi? Quelli me l'hanno portata via!” urla la ragazza, facendo spaventare Emiko che scoppiò a piangere.
“Calmati” le disse l'uomo.
“Inoltre,” continuò il giudice, “la bambina dovrà parlare con uno psicologo, che più che altro la farà giocare, prima di essere affidata a qualcuno. Potremmo farle qualche semplicissima domanda durante il processo.”
Lucia e Kaito corsero verso la bambina e l'uomo la prese in braccio. Anche lui aveva gli occhi lucidi.
“Devi fare la brava bambina, d’accordo? Lo farai per il papà?” chiese.
“Sì, ma io no capire” disse la bambina.
Non capiva. Era ovvio che non comprendesse quello che stava succedendo.
Lucia la prese in braccio.
“Lo so che non capisci, ma fidati di mamma e papà. Dovrai andare per un po' da delle persone che ti vorranno bene.”
“E poi tonno da voi?”
La sirena sorrise per quel verbo sbagliato.
“Non lo so, piccola” le disse, cercando di trattenere le lacrime.
Poi dovette dare la bambina in braccio a una poliziotta, seguita da altri suoi colleghi, che disse alla signorina Ritsuko di seguirli in centrale per fare il test del DNA.
“Poi chiameremo gli assistenti sociali che la daranno in affidamento a una famiglia” spiegò la donna a Lucia,
Perlomeno non la volevano riportare all'orfanotrofio.
“No! No, la mia bambina!”
Intanto Emiko urlava:
“Mamma! Mamma!”
e ciò straziava il cuore di Lucia.
La sirena dalla perla rosa si lanciò all’inseguimento dei poliziotti, così come Ritsuko, mentre i loro avvocati le seguivano ricordando loro che avrebbero fatto resistenza al pubblico ufficiale, e le due si andarono addosso.
“Sta' più attenta” le disse Ritsuko con voce astiosa.
“Fa' più attenzione tu. Sei stata tu a venirmi addosso.”
Le due si guardarono con odio e sentirono le sirene della polizia accendersi e le macchine partire. Lucia piangeva così tanto che Kaito dovette portarla fuori, mentre l'avvocato consolava Ritsuko.
Intanto, mentre uscivano, i testimoni che non erano stati chiamati si domandavano come mai li avessero fatti andare lì. Ma a Lucia e Kaito questo non importava. Loro erano afflitti per la perdita della loro bambina e una settimana, ora, sembrava così lunga.

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Capitolo 15
*** Il dolore di Lucia e Kaito ***


CAPITOLO 15.
 
IL DOLORE DI LUCIA E KAITO
 
Lucia scoppiò in un pianto quasi convulso e Kaito la portò, tenendola con delicatezza per mano, fino alla macchina. Guidò lui e andò piano, affinché i dossi o gli scossoni non la spaventassero troppo. Anche lui soffriva, ma cercava di non piangere per il bene di lei.
Una volta arrivati a casa e trovandola vuota, si sentirono svuotati di ogni forza. Lucia crollò sul divano e pianse con la faccia nel cuscino.
“Calmati, tesoro, sono sicuro che andrà tutto bene.”
“Non puoi saperlo” ribatté lei con rabbia.
Kaito cercò di essere paziente. Sapeva che Lucia non era davvero arrabbiata con lui.
“Hai ragione, non posso. Posso solo sperare.”
Lui le si sedette vicino e le asciugò le lacrime, ma poi scoppiò a piangere.
“Kaito!”
Lucia si mise a sedere a fatica, a causa del pancione, e gli circondò le spalle con un braccio. Piansero insieme, piansero per il dolore, la frustrazione, la devastazione che riempiva i loro cuori. Si strinsero le mani sudate e piene delle lacrime che continuavano ad asciugarsi.
“Sono ansiosa, Kaito. Non ce la faccio, così. Devo andare dal medico a farmi dare qualcosa.”
“Non puoi prendere farmaci, sei incinta.”
“Ce ne sarà uno che potrò prendere per l'ansia, no?”
“Prima di andare, fammi provare una cosa.”
Il ragazzo tirò su col naso e poi andò in cucina. Lucia lo sentì trafficare, ma non guardò quello che stava facendo. Dopo un po' il ragazzo tornò con una tazza fumante in mano.
“Tisana alla Melissa, ce l'avevamo in credenza.”
“Grazie.”
“Me ne sono preparata una anch'io; è contro l'ansia, ci aiuterà a distendere un po' i nervi ed è naturale, così non fa male al bambino.”
Lucia fece un mezzo sorriso, che però non le arrivò agli occhi.
“Hai avuto una bella idea” disse, con voce incolore.”
“Già. Oggi pomeriggio abbiamo l'ecografia.”
“Chiamerò per disdire.”
“Cosa? Tesoro, capisco che tu sia sconvolta, lo sono anch'io, ci hanno appena tolto la nostra bambina. Ma non puoi saltare l'ecografia. Bisogna farla per il bene del nostro bimbo, dobbiamo pensare anche a lui.”
“Hai ragione, sono una sciocca. Vado a farmi una doccia, allora. Prepari tu il pranzo oggi?”
“Tranquilla, ci penserò io.”
Non era ancora ora, era mattina, ma Lucia non se la sentiva di cucinare. Non avrebbe nemmeno voluto farsi la doccia, ma doveva presentarsi pulita all'appuntamento con il ginecologo. Il getto dell'acqua calda contribuì a farla rilassare, anche se i suoi pensieri erano sempre rivolti a Emiko e a Ritsuko. Non l'aveva nemmeno osservata bene, ma ora che ci pensava assomigliava molto alla bambina, sia nel colore dei capelli e degli occhi, sia ne i lineamenti del volto.
“Ma allora,” disse ad alta voce parlando con se stessa, “se la somiglianza è così forte, significa che sono sorelle. No, Lucia, non saltare a conclusioni affrettate.”
Non si era nemmeno resa conto che stava grattando più forte il suo corpo con la spugna imbevuta di bagnoschiuma.
Kaito bussò alla porta del bagno.
“Tutto bene? Sei lì da un po'.”
Sì, ora mi risciacquo ed esco.”
Quando spense l'acqua e tirò su il rubinetto per lasciarlo sgocciolare ebbe subito freddo. Per fortuna, una volta fuori fu accolta dal tepore della stufetta elettrica che aveva acceso prima di fare la doccia. Si asciugò il corpo, si avvolse i capelli attorno a un asciugamano più piccolo, si infilò il pigiama - s i sarebbe vestita più tardi - e uscì.
“Eccomi.”
Kaito la stava aspettando sul letto. Lei gli si sdraiò accanto e rimasero tutti e due in silenzio. Non avevano niente da dire, se non che erano distrutti per la perdita di Emiko.
“Ti asciugo i capelli” disse Kaito. “Anche questo, spero, ti aiuterà a rilassarti.”
Com'era gentile. Lucia avrebbe voluto dirgli che non ce n'era bisogno, ma lui era già entrato in bagno e aveva acceso il phon. La ragazza lo seguì e si lasciò asciugare i capelli. Le mani di Kaito si muovevano delicate sulla sua testa. Dato che la ragazza non poteva piegarsi a causa della pancia, Kaito ci mise un po' di più ad asciugarli, ma alla fine ce la fece.
Per il resto della mattinata fecero zapping, senza guardare niente in particolare e a un certo punto spensero la televisione. Provarono a leggere un libro, una rivista, ma niente li distoglieva dal pensiero di Emiko.
“Dove sarà adesso?” chiese Lucia a Kaito, triste più che mai.
“Da una famiglia affidataria, probabilmente. E sarà più con fusa che mai.”
“Povera piccola!”
Kaito si era preso un permesso per tutta la giornata, per cui rimase vicino a Lucia in un momento difficile come quello. Preparò il pranzo e i due mangiarono controvoglia, poi Lucia lavò i piatti. Non voleva che fosse Kaito a fare tutto. Dopodiché le venne sonno e si addormentò sul divano. Suo marito la svegliò dopo un paio d'ore.
“Devi vestirti, dobbiamo andare a fare l'ecografia.”
Lei indossò una tuta elasticizzata – ormai poteva portare solo quelle –, mentre Kaito optò per shorts e maglietta. Faceva ancora caldo, pur essendo settembre. C'erano giornate nelle quali faceva un po' più fresco, ma erano rare. Si trovavano in una delle regioni centrali del Giappone, dove il clima era temperato. Quando uscirono, lo fecero con l'ombrello perché c'era una pioggia torrenziale. Era normale, il paese era spesso investito da quelle piogge.
“Wow! Meno male che ci siamo portati l'ombrello, non credevo piovesse così tanto” disse Lucia.
“Nemmeno io me n'ero accorto” commentò Kaito,
Salirono in macchina e Lucia chiuse l'ombrello. Partirono e dovettero procedere a passo d'uomo - o di lumaca – come preferiva dire lei – perché la pioggia era davvero forte. Arrivarono in ritardo all'appuntamento con il dottor Adams, tanto che lui aveva fatto entrare un'altra paziente. Kaito e Lucia sperarono che non ci sarebbero stati allagamenti, ma soprattutto che il bambino stesse bene.
“Ah, ci siete!” esclamò il dottor Yoshida.
Era sulla quarantina ed era molto gentile. Li fece entrare nel suo studio e Lucia, senza che il ginecologo dicesse niente, si sdraiò sul lettino dopo essersi tolta i pantaloni e aver tirato su la maglia, mostrando il suo pancione enorme. Mise i piedi e le gambe sulle strutture a destra e a sinistra del lettino.
“Come sempre sentirà un po' di freddo” disse il dottore a Lucia e le sorrise, mentre passava una sonda sopra la sua pancia. Sullo schermo comparve l'immagine del loro bambino.
“Eccolo qui!” esclamò il ginecologo. “È in ottima forma. La quantità di liquido amniotico è nella norma e il bambino è lungo quarantacinque centimetri e pesa un chilo e cinquecentocinquanta grammi.”
“Come fa a saperlo?” chiese Kaito che, come Lucia, guardava lo schermo con un sorriso.
“Dalla lunghezza, è un calcolo approssimativo. Siete sicuri di non voler sapere il sesso?”
“Sicurissimi!” esclamarono insieme.
“Molto bene, allora dite ciao al vostro piccolo.”
Dopo che i due l'ebbero salutato, il dottore tolse la sonda e l'immagine del bambino sparì. Il ginecologo mandò in stampa l'ecografia.
“Questa è per voi.”
Loro lo ringraziarono, Lucia si rivestì e se ne andarono.
Una volta fuori, i loro volti tornarono ad essere tristi.
“Guarda come piove, Kaito. È come se anche la pioggia piangesse con noi” disse Lucia, con gli occhi acquosi.
Lui sospirò.
“Hai ragione. Vuoi che accendiamo la radio? Magari un po' di musica ci farà bene.”
“Okay” mormorò lei con voce arrochita.
La prima canzone che ascoltarono fu una dei OneRepublic, che a Lucia piaceva molto. In particolare rimasero colpiti da alcune parole.
Oh, I know that this love is pain
But we can't cut it from out these veins, no
 
So I'll hit the lights and you lock the doors
We ain't leaving this room 'til we break the mold
Don't walk away, don't roll your eyes
They say love is pain, well darling, let's hurt tonight
Ah-ooh-ooh, ah-ooh-ooh
 
When, when you came home
Worn to the bones
I told myself, “this could be rough”
 
Oh, I know you're feeling insane
Tell me something that I can explain, oh
[…]
“Descrive un po' la nostra situazione” disse Kaito con un singulto.
“Sì, infatti. Kaito, sono coì stanca, voglio la mia bambina.”
“Lo so, anch'io, quanto lo vuoi tu. Ora andiamo a casa e ti riposi.”
Mentre lei era sdraiata sul divano, lui preparò per entrambi una tazza di cioccolata calda.
“La vuoi?” le chiese, quando lei lo sentì avvicinarsi e si mise a sedere.
“Ho pensato che ci addolcirà un po' la giornata.”
La notte, Lucia prese a respirare con affanno. Ansimava, sudava e le sembrava di far fatica a respirare. Era un atttacco di panico. Andò in bagno e si lavò il viso. Kaito bussò alla porta.
“Stai male?”
Lei non riusciva a parlare, così lui entrò e le lavò il viso, poi le disse di respirare come il mare.
“Le onde vanno su e giù, su e giù, su e giù.”
Lucia non ci riuscì all'inizio, anzi, respirò ancora peggio, ma piano piano iniziò a respirare regolarmente, di pancia, inspiirando ed espirando.
“Va meglio” mormorò.
Ma quella notte non dormì.
Quando Kaito, il giorno dopo, andò al lavoro, Lucia rimase sola e non fece che piangere per tutto il giorno. A un certo punto Rina la chiamò e dovette rendersi conto della situazione, perché disse:
“Adesso io e Hanon veniamo da te.”
“No, vi prego, ho un aspetto orribile, non mi sono nemmeno vestita, né pettinata.”
“A noi non importa che aspetto hai. Ti prego, lascia che ti aiuti un attimo.”
“Siete dei tesori, ma vorrei rimanere da sola, se non vi dispiace, almeno per oggi.”
Andò a finire che le amiche le lasciarono un mazzo di fiori fuori dal cancello con un bigliettino sul quale c'era scritto:
Sei una guerriera, non dimenticarlo mai. Ti vogliamo bene.
Lucia sorrise e portò dentro i fiori, che appoggiò sul tavolo del salotto, poi ricadde sul divano. Mangiò sempre controvoglia, ma lo fece per il bene del bambino.
 
 
 
Kaito era in classe con i suoi studenti. Si erano spostati nell'aula di musica e aspettavano che il professore iniziasse la lezione. Kaito li ascoltava parlare mentre sistemava lo spartito vicino al pianoforte.
“Che cos'ha stamattina?” diceva una ragazza di nome Aeri.
“Sembra stordito” sussurrava qualcun altro.
Dopo dieci minuti passati a sfogliare quei fogli senza vederli davvero, sentì qualcuno toccargli la spalla.
“Professore?” gli chiese un ragazzo. “Ha intenzione di insegnarci qualcosa o staremo qui tutta l'ora a non fare niente?”
Lui si girò, scuro in volto-
“Non ti azzardare mai più a parlarmi in questo modo!” tuonò.
Il ragazzo, forse temendo di ricevere una punizione, si affrettò subito a scusarsi.
“È che la vediamo stanco e distratto, prof.” disse una ragazza. “C'è qualcosa che non va?”
“No, è tutto a posto. Datemi qualche minuto e vi prometto che tornerò subito.”
“Aeri, seguilo a distanza” disse una ragazza mentre Kaito usciva.
Non gli importava che qualcuno ascoltasse la sua conversazione telefonica, non gli interessava più niente se non Lucia e la bambina. Perfino il suo lavoro andava in secondo piano in quel momento, anche se aveva sempre messo al primo posto la famiglia. Si rendeva conto di non essere in sé, di comportarsi in modo distratto e poco professionale, ma cosa poteva farci?
Il telefonino squillò due o tre volte, poi Lucia rispose.
“Pronto?”
La sua voce era arrochita dal pianto.
A Kaito si spezzò il cuore, tanto che gli parve di sentirne lo schiocco. L'aveva già provato quando i poliziotti avevano portato via Emiko, ma ora aveva provato di nuovo quella sensazione orribile.
“Come stai?”
“M-male, mi manca la mia piccola!” esclamò la ragazza.
Aeri, a poca distanza, ascoltava. Kaito la vide con la coda dell'occhio. Era maleducato origliare, ma in quel momento a Kaito non poteva importare di meno. Che ascoltasse pure e riferisse ai suoi compagni.
“Ascolta, Lucia, stavo pensando che potremmo andare da uno psicologo. Lui potrebbe aiutarci in questo momento difficile.”
Lei sospirò.
“Sì, forse parlare con qualcuno ci farà bene, hai ragione, almeno per questa settimana.”
“Perfetto, allora parlo con la psicologa della scuola e mi faccio dare il nome e il numero di un suo collega. Fisso già un appuntamento?”
“Sì.”
“Va bene. C'è Rina con te?”
“Sì, mi fa compagnia e svolge qualche lavoro di casa.”
“Bene, mi fa piacere che tu sia da sola. Ma Lucia, devi reagire, devi lottare, anzi, dobbiamo farlo insieme.”
“Hai ragione, basta piangere” disse e poi si soffiò il naso.
“Non ti sto dicendo di non piangere più, sarei un insensibile se lo facessi, ma se rivogliamo indietro la nostra bambina dobbiamo combattere. Tu sei forte, io lo so. Nr abbiamo passate tante insieme, possiamo superare anche questa.”
“Hai ragione.”
Non sembrava molto convinta, ma forse in futuro lo sarebbe stata. Kaito non sapeva che altro dirle per convincerla.
“Ora devo lasciarti, amore. Riposati, okay? Non farmi preoccupare.”
“D'accordo. A dopo.”
“Oggi vedo di tornare prima, così ti faccio compagnia.”
“Non devi, ma va bene se è quello che vuoi.”
Si sarebbe preso un altro permesso, non voleva lasciarla sola in un momento come quello per troppo tempo. Certo, c'era Rina con lei, il che lo confortava, era felice che le sue amiche si prendessero cura di lei, ma lui era suo marito, era anche suo dovere occuparsi della moglie.
Rientrò in aula.
“Credo che parlassero della bambina” disse Aeri sottovoce ai compagni, ma Kaito sentì benissimo. “Dicevano che dovevano lottare per lei.”
“Sentite ragazzi,” disse lui alzandosi in piedi, “è maleducato origliare, ma visto che non parlate d'altro vi racconterò tutto.”
E disse ogni cosa di quegli ultimi giorni.
“Mi spiace di aver origliato, professore, non capiterà più” disse Aeri.
“E a me dispiace per voi, chissà quanto sta male sua moglie e ance lei. Ora capisco perché oggi è così distratto” disse Tsukiko.
Lui sospirò.
“Già. Ma ora mettiamoci al lavoro, vi prometto he mi concentrerò e ce la metterò tutta per fare una bella lezione di musica. Ho dimenticato di farvi le fotocopie del testo della canzone che andremo a cantare, torno subito.”
Era stato uno stupido. Per fortuna la fotocopiatrice era libera e fece presto. Lui iniziò a suonare il piano e i ragazzi a cantare.
Every night in my dreams
I see you, I feel you
That is how I know you go on
Far across the distance
And spaces between us
You have come to show you go on
 
Near, far, wherever you are
I believe that the heart does go on
Once more, you open the door
 
And you're here in my heart
And my heart will go on and on
Love can touch us one time
And last for a lifetime
And never let go 'til we're gone
Love was when I loved you
One true time I'd hold to
In my life, we'll always go on
[…]
Mentre suonava quelle note malinconiche, non poteva non pensare allo sguardo triste di Lucia e al dolore che le deformava il volto. Ma rifletteva anche sulla sua sofferenza e sul fatto che non poteva vivere, come Lucia, senza Emiko. Non ce l'avrebbero fatta a farsi affidare un altro bambino per poi vederselo portare via. Emiko era la loro figlia e, nei cuori di entrambi, lo sarebbe sempre stata,, anche se non l'avessero più vista. Kaito non aveva idea di quanto sarebbe durato il processo, orse mesi o anni, ed era preoccupato per Lucia e per Emiko. Sua moglie avrebbe partorito nove settimane dopo, se tutto fosse andato bene, e di certo tutto quello stress le faceva male. Inoltre, Emiko avrebbe potuto cambiare ancora famiglia affidataria e ritrovarsi bloccata nel sistema, o andare addirittura in orfanotrofio, com'era successo quand'era piccola. Kaito se la immaginava sola, triste e spaventata, mentre non si ricordava più di loro. Ma il processo sarebbe potuto durare anche meno tempo, chi poteva saperlo? L'importante era superare quella settimana.
Dopo pranzo, Kaito andò a parlare con la psicologa della scuola e le spiegò la situazione.
“Che momento difficile state passando! Mi dispiace” disse la donna, poi gli scrisse un bigliettino. “Ecco nome e numero di una brava psicologa. È mia amica, è dolce e molto empatica, vi troverete bene con lei.”
Poi Kaito si fece dare un permesso e tornò a casa.
“Non ha quasi mai smesso di piangere” gli disse Rina aprendogli la porta. “Ora è a letto, le ho dato del latte con il miele per calmarla. Si è addormentata.”
“Grazie per quello che hai fatto, sei un'amica anche per me.”
Lei sorrise.
“Figurati, lo faccio volentieri. Domani verrà Hanon, così Lucia non starà da sola.”
Prima che Rina se ne andasse, Kaito le chiese:
“Ha mangiato qualcosa?”
“Il riso con del pollo dentro. Non tutto il piatto ma tre quarti.”
“Bene, almeno ha del cibo nello stomaco.”
“Si è dovuta sforzare perché le venivano i conati di vomito. Abbiamo chiamato il ginecologo, ma ha detto che è normale averli anche a questo stadio della gestazione. Ha avuto nausea dopo il pranzo, così l ho dato acqua e limone e dopo una mezz'oretta il latte col miele.”
Quando Rina se ne andò, Kaito si diresse in camera sua facendo il meno rumore possibile. Lucia dormiva profondamente, con una mano sul grembo e l'altra sotto le coperte. Vedendo che il braccio le tremava. lo prese con delicatezza e lo mise sotto le coltri.
“Ecco, così starai bella calda” le mormorò all'orecchio prima di andare in cucina e chiamare la psicologa. La donna fu molto gentile e disponibile. Disse di chiamarsi Kaori e che, essendo lui e Lucia giovani, avrebbero potuto darle del tu.
“Sei molto gentile, grazie” disse Kaito.
Diede loro appuntamento la sera dopo alle otto.
“Perfetto, io finisco a quell'ora. Mangeremo qualcosa al volo in macchina.
Era tardi, in effetti, ma le attività ricreative della scuola finivano a quell'ora e a Kaito andava benissimo. Andò bene anche per Lucia che, quella sera, preparò tramezzini e tartine per la sera dopo e li mise in frigo.
Lo studio della dottoressa Kaori aveva varie poltroncine di velluto rosso sulle quali sedersi, era arioso e aveva al centro un tavolo con alcune sedie.
“Prendete pure posto dove volete disse la donna.
Era sulla trentina, forse anche qualcosa di più, e aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri. Colori strani per una giapponese, si dissero Kaito e Lucia.
“Se ve lo state chiedendo, mia madre è italiana. Ho preso da lei i capelli e gli occhi. Come posso aiutarvi?”
Le spiegarono la situazione.
“Se il test dovesse risultare positivo, secondo voi cosa succederà?”
“Che Emiko sarà affidata a sua sorella, che ne avrà la custodia” disse Lucia mentre tremava e cercava di non scoppiare a piangere, ma non ci riuscì.
Non voleva essere considerata una persona che piangeva pero ogni cosa, ma la psicologa le allungò una scatola di fazzoletti con i quali la ragazza si asciugò gli occhi e le guance umidi.
“Ma comunque voi l'avete adottata, conterà pure qualcosa. Dovete farlo capire al giudice, secondo il mio parere” disse la donna.
“Lo faremo di certo” rispose Kaito.
“Come vi sentite all'idea di perdere Emiko?”
“La trovo una domanda abbastanza sciocca” disse Lucia.
“Scusami, ma voglio solo scavare nei vostri sentimenti per capirli meglio.”
“Devastati” rispose Kaito.
“Sì, ormai ci eravamo abituati all'idea di stare con lei e adesso ce la portano via! Io sto soffrendo da morire. Piango tutti i giorni, mi agito e non trovo pace nemmeno la notte.”
“Hai provato a bere delle tisane rilassanti, Lucia?”
“Sì, quelle aiutano in effetti. La notte dormo abbastanza bene, è durate il giorno che sono ansiosa. Le mie amiche mi preparano delle tisane alla Melissa per l'ansia e un po' mi calmano, ma non tantissimo.”
“Io a scuola mi distraggo spesso.” Raccontò quand'era accaduto il giorno precedente. “Non sono concentrato, penso sempre a Lucia e a Emiko e ho paura del processo.”
“Anch'io, ne sono terrorizzata” disse Lucia.
“Cosa vi fa più paura, oltre a perdere Emiko?”
“L'avvocato della controparte” disse Kaito. “Sembra molto determinata e ci ha guardati con sfida, come se ci odiasse.”
“Infatti” disse Lucia. “È stato brutto da vedere. Pensavamo fosse una persona più… pacata, ecco. Capisco che debba difendere la sua cliente, ma non c'era bisogno di guardarci così.”
“E siamo terrorizzati all'idea delle domande che potrebbe farci.”
“Esatto, temiamo ci faccia dei trabocchetti o cose del genere.”
La psicologa rifletté un momento.
“Sì, potrebbe tendervi qualche trappola, ma il vostro avvocato non vi ha preparati alle domande che potrebbero farvi?”
“No, in effetti no” disse Lucia.
“Potreste chiederglielo.”
Kaito sorrise.
“Sì, potremmo, così saremmo più preparati.”
“Avete mai provato la tecnica dell’ABC?” chiese loro la psicologa.
“No” dissero entrambi e Kaito aggiunse: “Quando io andavo dalla psicologa, non ho mai sentito parlare di questa tecnica. Di che si tratta?”
“È un modo per capire meglio le proprie emozioni e i propri pensieri che si provano in certe situazioni. Immaginate tre righe, l’una sotto l’altra. Disegnatele.”
Diede a ognuno dei due un foglio e una penna e i due fecero quanto era stato loro detto.
“Sulla prima scrivete A, sulla seconda B e sulla terza C. Nella colonna delle A dovrete scrivere gli antecedenti, cioè gli stati emotivi che provate. Fatelo insieme.”
Lucia e Kaito ne parlarono un po’, poi scrissero:
A: provo ansia e preoccupazione. Ho paura di perdere Emiko. Mi manca moltissimo, vorrei averla sempre accanto a me, ma non posso. Forse non potrò più essere la sua mamma.
Kaito, ovviamente, scrisse il suo papà.
“Poi passiamo alla colonna del C, perché è più facile così che scrivere la B” riprese la psicologa, “e qui dovrete scrivere le conseguenze, in termini di emozioni, per cui cosa provate e i comportamenti che mettete in atto, quindi cosa fate.”
I due scrissero parole simili:
C: mi sento agitata, ho attacchi di panico notturni, mi fa male il petto, sudo, mi sembra di far fatica a respirare. Sono preoccupata, preoccupazione legata all’ansia.
Ovvio che Kaito l’avesse scritto al maschile, ma i loro pensieri erano simili.
“Nella colonna del B dovete inserire le credenze, i pensieri che vi capita di avere in questa determinata situazione.”
I due scrissero:
B: sono triste, forse non rivedrò più Emiko, mi manca, ho nostalgia. Mi preoccupa il processo. Ho paura di perdere la causa.
La psicologa lesse.
“Quindi queste sono le emozioni che provate. Come vi sentite dopo averle scritte?”
“Più leggera” disse Lucia.
“Meglio” rispose Kaito. “Un po’ meglio” precisò, per non dare l’impressione che tutto fosse passato.
La seduta si concluse poco dopo e i due decisero di non tornare più dalla psicologa.
Non era stata loro molto d'aiuto. Sì, con lei si erano aperti riguardo le loro emozioni e, di sicuro, scriverle era stato importante e li aveva fatti riflettere e sfogare, rendendoli più consapevoli delle loro emozioni e sensazioni, ma a parte questo lei non era riuscita a diminuire le loro preoccupazioni e il loro dolore. Non aveva calmato la loro ansia. Purtroppo, si erano illusi che li avrebbe fatti stare meglio, ma non era colpa sua, era loro. Erano loro che, forse, non si erano impegnati abbastanza nel descrivere le loro emozioni. Però, aver parlato delle paure era stato liberatorio.
Il giorno seguente contattarono il loro avvocato ed ebbero un appuntamento con lui che li preparò alle domande generali che i giudici fanno in questi casi.
“Pensate molto bene alle risposte” disse alla fine.
I due ci rifletterono a lungo e quella settimana i loro pensieri furono occupati da quello e dalla bambina. Non comprarono nemmeno nulla per il bambino. Avevano acquistato quasi tutto, mancavano solo loro la culla con qualche lenzuolino e dei vestiti.
I giorni si facevano sempre più lunghi, ma finalmente arrivò lunedì.
“Andiamo Lucia, è ora” le disse Kaito.
Lui era già vestito, mentre lei si trovava ancora a letto.
“E se oggi perdiamo Emiko?” gli chiese in un sussurro.
“Non è ancora detto. Dai, alzati.”
La aiutò a mettersi seduta, a vestirsi e le allacciò le scarpe, dato che lei non poteva a causa del pancione. Poi, dopo una veloce colazione leggera, partirono entrambi in auto.
 
 
 
NOTA:
la tecnica dell’ABC esiste, me l’ha insegnata la mia psicologa. È molto utile.

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Capitolo 16
*** Il processo ***


CAPITOLO 16.
 
IL PROCESSO
 
Quando entrarono in tribunale, Kaito lasciò la mano di Lucia.
“Vado un momento a parlare con i miei zii. C'è una cosa che devo dire loro assolutamente.”
I suoi zii erano venuti apposta dal nord del Giappone per assistere al processo e per parlare, se fosse stato necessario. Lucia non capì cosa si stavano dicendo, ma intese le parole sirene e non dite.
L'aula di tribunale era sempre la stessa, eppure a Lucia sembrò ancora più grande e spaventosa. Il giudice richiese silenzio usando il martelletto quella volta era già lì.
“Innanzitutto, buongiorno” disse il giudice.
“Buongiorno” risposero tutti.
“La prima cosa che vorrei fare è aprire il test del DNA, per capire finalmente se Emiko è o no sorella di Ritsuko.” L'uomo aprì una busta bianca e lesse: “Dall'esame fatto risulta che le due persone in questione sono al novantanove virgola nove, nove, nove, nove, nove per cento…” Fece una pausa in cui Lucia non respirò. “Compatibili.”
“Sì!” esclamò Ritsuko.
“La custodia andrà a lei se dimostrerà di averne le capacità, anche se la bambina è già stata adottata da Kaito Domoto e Lucia Nanami. Questo è un caso limite, una cosa che succede raramente, ma capita.”
“Signor Giudice, può darci un minuto?” chiese Lucia.
“Certo.”
I due uscirono e si chiusero la porta alle spalle.
Lucia piangeva. Calde lacrime silenziose le correvano giù per le guance.
“Non lo so. Se Emiko è sua sorella, abbiamo tutte le carte in tavola per perdere la causa.”
“E allora cosa facciamo? Ci arrendiamo? Io non riesco a vivere senza di lei!”
Kaito la abbracciò.
“Shhh, calmati. Tutto questo stress non fa bene né a te, né al bambino.”
“Non posso evitarlo, mi dispiace.”
“Secondo me quella donna mentirà, c'è qualcosa che non mi convince in lei.”
“Dici? E pensi che gli avvocati se ne accorgeranno?”
“Non lo so, staremo a vedere.”
“Comunque mi pare strano che non si sia mai fatta viva prima” disse Lucia quando il loro avvocato uscì'. “L'altra volta ha detto che l'ha cercata per tutto il Giappone, ma mi sembra assurdo.”
“Eppure, è così” disse l'avvocato.
“Può portarcela via  anche se l’abbiamo adottata?”
“Sì, può, anche se succede di rado.”
“Cazzo” disse Lucia.
“Ho avuto qualche caso in cui i bambini sono tornati alla loro famiglia biologica.”
Dopo averne parlato un altro po' anche con l’avvocato, lei e Kaito decisero di provare comunque a lottare e rientrarono in aula.
Il giudice li fece giurare tutti davanti ai Kami com'era già avvenuto. Dopo il giuramento, iniziò l'interrogatorio. L'avvocato della querelante, quella donna che li aveva guardati con sfida, lo rifece e li chiamò al banco.
“Perché entrambi, avvocato? Le persone si interrogano una alla volta” le fece notare il giudice.
“Lo so,” disse Aki Shimizu, “ma loro sono una coppia e vorrei fare loro domande insieme, se me lo consente, ovvio.”
“Concesso” disse lui.
“Signorina Nanami, quanti anni ha?”
Il suo cuore perse un battito nel vedere Emiko in compagnia di una donna seduta in fondo all'aula. Era in braccio a lei e agitava le manine verso Lucia, piagnucolando per venire da lei. Anche Kaito se n'era accorto, perché seguì il suo sguardo.
“Signorina, risponda alla domanda, prego.”
“Mi scusi. Ne ho ventotto, li ho compiuti il 3 luglio.”
“E lei, signor Domoto?”
“Io e Lucia abbiamo la stessa età.”
“Come vi siete conosciuti?”
Il loro avvocato si alza.
“Obiezione, Vostro Onore. Non è rilevante.”
“Respinta. Rispondete.”
Kaito dovette inventarsi una storia sul momento. Non poteva dire che Lucia l'aveva salvato quando era piccolo, altrimenti l'avvocato avrebbe pensato che fosse piccola anche lei e sarebbe risultato irrealistico. E poi entrambi non potevano rivelare che lei, Hanon, Rina e Nikora, tutte presenti come l'altra volta, erano delle sirene, o sarebbero stati presi per pazzi.
“Quando avevo quindici anni sono andato a fare un giro in barca a vela in mare con i miei genitori. È stato bellissimo fino a un certo punto.”
“Poi cos'è successo?”
“Si è scatenata una violenta tempesta e la nave è naufragata. I miei genitori sono morti, ma una ragazza si è buttata in acqua per salvarmi. Dopodiché ha chiamato l'ambulanza per farmi portare in ospedale.”
Almeno questo era vero.
“E poi?”
“Poi sono stato affidato ai miei zii, che sono qui presenti in aula oggi, e dopo alcuni anni è nato il mio cuginetto, Makoto, anche lui qui, a cui voglio molto bene. Poi ho rivisto quella ragazza, ci siamo conosciuti meglio ed è nato il nostro amore.”
Come storia reggeva, pensò Lucia. L'avvocato gli avrebbe creduto.
“Capisco, Allora direi che è stato fortunato. Se non fosse stato per quella ragazza sarebbe morto.”
“Infatti, è così.”
“E come si è trovato con la sua famiglia affidataria?”
“Vene. Mio zio era fratello di mia madre e, fin da bambino, sono stato legato a lui e a mia zia. Li vedevamo spesso.”
“E ora, quante volte li vede”
“Una o due all'ano, perché loro abitano nel nord del Giappone ed è lontano da qui.”
“Quindi prima lei abitava là. Quando è venuto qui? E soprattutto, perché?”
“No, non sono venuto qui, siamo venuti insieme. Io volevo fare surf e loro, nonostante Makoto fosse ancora piccolo - aveva solo pochi mesi - mi hanno accontentato. L'acqua, al nord, è tropo fredda per surfare. Così siamo venuti qui e io ho iniziato a frequentare il liceo, dove ho incontrato Lucia.”
“Dev'essere stata dura lasciare famiglia e amici.”
Kaito sorrise e si grattò la nuca in segno di agitazione.
“Non ne avevo molti, non è stato così difficile.”
“E lei, signorina Nanami, come ha reagito quando ha visto la scena che le si parava davanti il giorno in cui morirono i genitori di Kaito?”
“È successo di notte” precisò lei. “Comunque d'istinto. Mi sono buttata e per fortuna sono riuscita a salvare lui. Ha sputato fori tantissima acqua, ma stava bene per il resto. In ospedale - io non ci sono andata, me l'ha raccontato dopo – gli hanno detto he, se fossi intervenuta anche solo qualche minuto dopo, Kaito avrebbe potuto avere danni cerebrali permanenti. Mi sono venuti i brividi solo a sentirlo.”
Lucia tremò e Kaito le poggiò una mano su un fianco per tranquillizzarla.
“Signorina Nanami, mi descriva una giornata tipo di Emiko.”
“Ci alziamo verso le sei e trenta o le sette, dipende quando si sveglia, la cambio e le preparo la colazione che consiste in latte e cereali. Qualche volta si sbrodola nonostante il bavaglino, ma è molto brava perché mangia con il cucchiaio da sola.”
“Quanti anni aveva quando ha trovato la bambina?”
“Ventisei.”
E a Lucia non fregava un cazzo che la donna pensasse che era troppo giovane per prendersi cura di un neonato.
“A ventisei anni, per la prima volta, si è presa cura di un bambino.”
“Una bambina” precisa Lucia.
“Sì, lo so, dicevo in generale” afferma l'avvocatessa, spazientita.
“Mi scusi” sussurra Lucia.
“E lei, signor Domoto, le ha dato una mano?”
“Non a cambiarle il pannolino, a questo hanno pensato lei, Rina e Hanon, ma a darle il latte sì.”
“Non ho altre domande” disse la donna e si sedette.
L'avvocato Suzuki si avvicinò a loro, disse a Lucia di sedersi e di non affaticarsi e incominciò l'interrogatorio.
“Lucia, continua con la giornata tipo di Emiko. Prima non avevi finito.”
“Sì, hai ragione. Dopo la colazione di solito giochiamo sul tappeto, poi la porto al parco, o a fare una passeggiata in spiaggia per sentire e toccare l'acqua del mare, e di nuovo a casa per il pranzo.”
“A che ora mangia?”
“A mezzogiorno ed io con lei, poi si addormenta e fa un pisolino di circa due ore. Quando si sveglia è molto attiva e ha tanta voglia di giocare. Lo facciamo fino a sera, fino al ritorno del papà, oppure guardiamo i cartoni animati. Le piacciono molto.”
“Capisco. Ora, Kaito, puoi descrivermi tu una tua giornata tipo?”
“Mi alzo verso le sei e trenta e vado a scuola. Insegno musica e faccio lezione fino alle tre, pranzo escluso ovviamente, fino a quando i ragazzi hanno le attività ricreative. Allora mi fermo per giocare con loro a calcio, a pallavolo, a tennis, abbiamo i campi per tutti questi giochi e torno a casa la sera verso le otto.”
“Un po' tardi, quindi. E ceni da solo?”
“No, con Lucia che mi aspetta. Emiko a quell'ora ha già cenato.”
“E sei troppo stanco per stare con lei?”
“Sono stanco, ma non mi perderei mai dei momenti con mia figlia. Gioco con lei nonostante la stanchezza e andiamo tutti a dormire alle ventuno o alle ventidue.”
“Non ho altre domande.”
“Io sì” riprende l'avvocatessa della controparte. “Avete mai avuto contatti con la mia cliente, prima d'ora?”
“No” risposero insieme i due.
“È la prima volta che la vediamo” disse Lucia.
“Quindi lei non vi ha contattati in nessun modo.”
“No,” disse Kaito, “ma come è già stato detto una settimana fa ha riconosciuto Emiko.”
“E se vi avesse contattati in qualche modo, voi che avreste fatto?”
“Il test del DNA e poi, se fosse stato positivo, le avremmo permesso di vedere la bambina. Non gliel'avremmo mai impedito.”
“Cosa fareste se la bambina dovesse ammalarsi?”
“Uno dei due resterebbe a casa” disse Lucia.
“Mettiamo caso che Emiko sia un po' più grande e vada all'asilo e ci sia una bambina o un bambino che ha due genitori gay. Come spieghereste a vostra figlia questo concetto?”
“Obiezione Vostro Onore. Non è rilevante ai fini del caso.”
“Accolta. La trovo una domanda interessante, rispondete pure, signori.”
“Le spiegheremmo che ci sono diversi tipi di genitori, non solo mamma e papà” disse Lucia.
“Esatto, le diremmo che ci sono anche due papà o due mamme e che, anche se queste sono famiglie diverse, non sono inferiori” disse Kaito.
“Non ho altre domande.”
“Chiamo al banco la signorina Ritsuko Takahashi” disse il giudice.
La ragazza si avvicinò e più lo faceva, più Lucia si accorgeva che la somiglianza fra lei ed Emiko era forte. Non c'era da stupirsi, erano sorelle.
“Finalmente!” esclamò lei. “Cominciavo a non poterne più”
“Signorina, le chiedo di avere rispetto per gli avvocati, i testimoni e il sottoscritto che si trovano in quest'aula.
“Scusate, non volevo essere scortese” disse, e sembrava davvero dispiaciuta.
Lucia trovò ironico che l'avvocatessa della controparte e Ritsuko si somigliassero un po'. Anzi no, non era ironico. Come diceva un proverbio che le aveva insegnato Hanon, le persone di merda camminano sempre sottobraccio. Lei non conosceva Ritsuko e forse sbagliava a giudicarla, ma aveva stravolto così tanto la sua vita e quella di Kaito che non poteva non odiarla. E lo stesso, lo sapeva, valeva per lui.
“Ritsuko,” inizia la sua avvocatessa, “che lavoro fai?”
“Sono una fiorista, lavoro in un negozio in centro città.”
“Quindi saresti in grado di prenderti cura di una bambina di due anni?”
“Potrei ridurre il mio orario di lavoro, o tenerla con me in negozio, o pagare una tata per mezza giornata e passare il resto del tempo con lei.”
“Perché solo ora vuoi chiedere la custodia di tua sorella?”
“L'ho cercata per tutto il Giappone per mesi e alla fine l'ho trovata, ecco perché non mi sono fatta viva prima, perché non sapevo dove fosse. E non è stato facile, sai, trovarla. Ho chiesto a tutti gli uffici dell’anagrafe, a tutti i comuni, a tutti gli ospedali, sono stata negli orfanotrofi, finché una donna mi ha detto che c'era stata una bambina di nome Emiko che corrispondeva alla foto che avevo in mano. Ne avevo incontrate altre con lo steso nome, ma o erano più grandi di mia sorella, o non le assomigliavano.”
“E poi cos'hai fatto?”
“Ho chiesto se potessero dirmi chi l'aveva in affidamento o l'aveva adottata, e mi hanno risposto:
“Non possiamo dirglielo.”
Allora ho domandato se le donne con cui stavo parlando sapessero dove abitava la coppia che aveva in affidamento o in adozione mia sorella, ma una di loro mi ha detto:
“Anche se lo sapessimo non potremmo dirglielo.”“
“E questo come ti ha fatta sentire?”
“Devastata. Ho speso tanti soldi per i miei numerosi viaggi in giro per il Giappone, e badate che non sono una persona ricca. Ho fatto dei lavoretti, come le pulizie in qualche casa per esempio, per avere più soldi per viaggiare. Non è stato facile. Poi un giorno, in un parco, ho visto una bambina di circa due anni che assomigliava tantissimo a Emiko e ho avuto un tuffo al cuore. Ho visto che era con un uomo e una donna. Sembravano dolci, ma lei era mia sorella e non potevo no riaverla.”
“Perché la vuole così tanto?” chiese l'avvocato Suzuki, quello di Lucia e Kaito-
“Obiezione Vostro Onore, stavo parlando io” risponde la donna, acida.
“Accolta. Risponda alla domanda, signorina.”
“Perché è mia sorella e mi sono persa già tante cose della sua vita, tanti avvenimenti: il primo dentino, la prima parola, i primi passi. Non voglio perderne altri.”
“Non ho altre domande” disse il suo avvocato.
“Signorina Takahashi,” disse il signor Suzuki, a quanto pare i miei clienti trovano strano che lei ci abbia messo così tanto tempo a trovare sua nipote.”
“Obiezione Vostro Onore! Sta travisando le parole!” esclamò l'avvocato Suzuki e alzò una mano.
“Accolta. Dove vuole arrivare con questa domanda, signor Suzuki?”
“Due anni che ha sua sorella nei suoi pensieri. Due anni che ha promesso ai suoi genitori che l'avrebbe ritrovata.”
“Esatto, l'ho promesso loro quando ho trovato la lettera.”
“Sì, ma mi lasci finire. Due anni nei quali ha voluto vederla almeno durante le feste e i compleanni. Due anni nei quali è stata in viaggio per il Giappone per trovarla. Hai per caso un secondo fine? Non è che il viaggio sarà stato per lei più un divertimento e uno svago che una ricerca spasmodica di sua sorella?”
“No,” rispose Ritsuko, sicura di sé, “non c'è nessun secondo fine.”
“Come ha reagito vedendo tua sorella, o quella che credevi fosse tua sorella, in compagnia dei suoi genitori affidatari.”
“La verità? Sarei andata là e gliel'avrei strappata dalle braccia.”
Nell'aula si levò un mormorio che si fece sempre più alto-
“Quindi sta dicendo che l'avrebbe rapita?”
“Sì.”
Lucia era scioccata. Davvero sarebbe arrivata a compiere un gesto simile?
L'aula rumoreggiava di tante voci insieme, per cui il giudice dovette chiedere silenzio con il martelletto. Tutti si zittirono.
“E perché non l'ha fatto?” continuò l'avvocato.
“Perché la ragione ha avuto la meglio sul cuore e ho capito che, se fossi stata trovata, sarei finita in prigione.”
“Signorina Takahashi,” chiese il signor Suzuki, “non è che vuole portare via Emiko ai suoi genitori perché li ritiene troppo giovani per crescere un bambino?”
“Beh, se l'hanno trovata quando ne aveva ventisei in effetti erano giovani. Sì, li ritengo troppo giovani per occuparsi di un bambino. Io ho trent'anni, e questa secondo me è l'età giusta per avere un figlio, in qualsiasi modo. La signorina Nanami è incinta, mi chiedo come farebbe a prendersi cura di una bambina di due anni e di un neonato.”
“Signorina Takahashi, si limiti a rispondere alle domande senza commentare, per favore” disse il giudice.
“Scusate.”
“E lei vuole togliere dalla sua casa questa bambina che è in un'età ancora molto impressionabile e delicata per recuperare il tempo che avete perso?”
“Non credo che si ricorderebbe dei suoi genitori affidatari, ha soltanto due anni.”
“Non è questo il punto. Il problema è che strapparla ai suoi genitori adottivi, non affidatari, potrebbe invece procurarle un trauma. Vero, signor Kimura?” chiese, rivolgendosi allo psicologo che teneva in braccio Emiko. L'uomo la lasciò sulla sedia e lei rimase lì dov'era, a guardarsi in giro spaventata. Non capiva di sicuro cosa stava succedendo.
“Potto abbacciare la mia mamma? È triste” disse la bambina e Lucia si sentì sciogliere il cuore.
“No, mi dispiace Emiko, non puoi” disse il giudice.
E sembrava davvero dispiaciuto.
Lo psicologo andò al banco. Era sulla cinquantina e aveva i capelli grigi e gli occhi marroni e sorridenti. Sembrava gentile.
“I bambini di due anni, se vengono strappati dalla madre, soffrono terribilmente. Certo, anche i più grandi lo fanno, ma anche quando sono piccoli ci stanno male. Se la signorina Takahashi avesse la custodia, la bambina non la riconoscerebbe come sorella ma come un'estranea e, trovandosi lontana dal suo papà e dalla sua mamma, potrebbe scalciare, piangere, addirittura non mangiare.”
“In questi giorni come si è comportata?”
“È stata affidata a una famiglia affidataria che io sono andato a trovare. La piccola piangeva molto spesso. L'ho fatta giocare per spiegarle in modo semplice cosa stava succedendo, ma non credo abbia capito bene, in fondo è piccola.”
“Grazie, non ho altre domande. Lei, avvocato?”
“Non ho domande da fare al signor Kimura.”
“Bene allora, procediamo con l'interrogatorio della signorina Ritsuko” disse il giudice.
“Quindi, lei ritiene che la sua età sia quella giusta per occuparsi di un bimbo, è corretto?”
“Sì.”
“E pensa che i genitori che hanno figli a diciannove, venti o venticinque anni siano degli incoscienti?”
“Assolutamente. Sono troppo giovani per avere un bambino, anche Kaito e Lucia lo sono. Non capisco come siano riusciti a farsi affidare mia sorella e ad adottarla e nel frattempo lei abbia portato avanti una gravidanza. Io non ce l'avrei fatta al suo posto.”
“Quindi, lei vuole togliere questa bambina ai suoi genitori adottivi perché sono troppo giovani per averne uno.”
“Esatto, e spero che perdano quello che hanno in grembo.”
Lucia lanciò un'occhiata carica d'odio a Ritsuko e lo fece anche Kaito, mentre i mormorio ricominciava.
“Ha detto una cosa molto grave. Se ne rende conto?”
“Sì, so cos'ho appena pronunciato, non sono stupida.”
“Qui nessuno dice che lo sia.”
“Sto solo pensando alla sicurezza di Emiko prima di tutto.”
“La sicurezza di Emiko? Questa è una nuova aggiunta per il caso. Non ha detto che ha viaggiato per tutto il Giappone per riaverla con Sé? Cosa intende per la sicurezza di Emiko”
L'avvocato, pensò Lucia mentre il bambino scalciava, come se anche lui avesse voluto dire la sua, era davvero bravo in ciò che faceva.
“Kaito è il campione di surf del Giappone orientale e ho visto delle foto sui giornali nelle quali appariva anche Emiko. Non credo che questo sia sano per una bambina.”
Era vero, era stato fotografato dopo qualche gara di surf.
“Quindi sta dicendo che ha visto altre foto della piccola. Come mai non ne ha parlato prima?”
“Non ci ho pensato, ma ora mi è venuto in mente.”
“Continui.”
“La bambina è stata assalita?”
“Esatto. Un bambino non dovrebbe vivere una situazione del genere.”
“Sa che il signor Domoto, assieme all'avvocato, ha appena finito di stipulare un ordine che è entrato in vigore che impedisce a qualsiasi giornalista anche solo di avvicinarsi a Emiko? Che sia in compagnia del signor Domoto o meno.”
“No, non lo sapevo” disse la donna.
“Come vede, si sono presi cura della sicurezza della loro figlia. Non ho altre domande.”
“Vorrei chiamare Hanon Hosho al banco” dice l'avvocatessa di Ritsuko. “A meno che la signorina non abbia qualcosa da nascondere” affermò, sorridendo malignamente.
“Non ho nulla da nascondere” replicò la diretta interessata e si avvicinò al banco.
“Signorina Hosho, quanti anni ha?” le chiese l'avvocatessa.
“Ne ho ventotto, come Lucia.
“Anche lei è di cognome Nanami, e anche Nikora. Siete sorelle?”
“No, solo amiche. Il fatto che i cognomi siano uguali è solo una coincidenza.”
Hanon si girò e sorrise a Lucia per incoraggiarla. L'altra ricambiò con un mezzo sorriso.
“Signorina Hosho, guardi solo me, per favore.”
“Mi scusi, avvocato.”
“Com'è il rapporto tra Lucia e Kaito?”
“Si amano moltissimo.”
“Non ci sono mai stati litigi o battibecchi, che lei sappia?”
“Sicuramente, tutte le coppie litigano. Lucia una volta mi ha detto che si sentiva un po' trascurata e che avevano discusso per questo, ma a parte ciò nulla di grave.”
“Non hanno litigato su quale decisione prendere per la bambina, che ne so, sui vaccini da farle o su altro?”
“Che io sappia no.”
“Non ho altre domande.”
L'avvocato di Lucia e Kaito si alzò e andò verso Hanon.
“Com'è il suo rapporto con Emiko?”
“Emiko è una bambina dolcissima. Mi piace giocare con lei e raccontarle delle storie.”
Storia! Storia!” esclamò la bambina.
“Tra un po' lei farà un lungo viaggio assieme a Rina, è vero?”
“Sì, ci trasferiremo a nord, dai nostri parenti.”
Non poteva dire che sarebbero tornate nei loro regni per un po', prima di ritornare sulla Terra.
“Non pensa che questo allontanamento possa confondere Emiko? Non vedervi più potrebbe sembrarle strano.”
“Le spiegherò che dovremo fare un lungo viaggio, ma che torneremo. Emiko sa che le vogliamo bene e non se ne dimenticherà.”
“Ne è sicura?”
“Più che sicura!”
“Non ho altre domande Vostro Onore.”
Vennero interrogate Nikora e Rina, alle quali l'avvocatessa fece più o meno le stesse domande. Quando arrivò il turno del signor Maki lui disse che Kaito, Lucia, Rina e Hanon l'avevano aiutato più volte al suo ristorante e che erano dei bravissimi camerieri.
“Li ho pagati, ovviamente” aggiunse alla fine.
Vennero interrogati anche i genitori di Lucia, sempre dall'avvocatessa.
“Quante volte vedete vostra figlia durante l'anno?”
“Due o tre, ma abitiamo lontano” disse Hiroko.
“Due o tre soltanto? Non vi sembra un po' poco, considerando che vostra figlia ha una bambina in adozione e sta per avere un bimbo?”
“Infatti ci trasferiremo qui per un po'“ disse Takeo, “per starle accanto ed aiutarla.”
“Com'è il vostro rapporto con Emiko quando siete insieme?”
“Lei sa che siamo i suoi nonni e ci vuole bene. In casa Lucia ha molte foto dove siamo insieme e, comunque, ci teniamo in contatto con lei con lettere, telefono e Skype.”
Lucia si stupì che sua madre sapesse cos'era Skype, ma forse l'aveva imparato stando lì sulla Terra.
Poi vennero interrogati Makoto, il cugino di Kaito, che disse:
“Lui è una brava persona e, a quel che ne so, un bravo papà.”
Gli zii aggiunsero he era un padre straordinario e che anche loro si vedevano poco, ma si tenevano in contatto molto spesso.
“Com'è stato avere Kaito nella vostra vita?”
“Kaito ha riempito la nostra vita e la nostra casa di gioia, ma soprattutto l'ha fatto con il nostro cuore” rispose la zia, Tamiko.
Il marito, Kenji, disse:
“Era molto turbato dopo la morte dei suoi genitori, all'inizio nemmeno parlava. Così lo abbiamo mandato da uno psicologo che faceva sia terapie familiari che individuali. Ci sono voluti quattro anni, ma alla fine è stato meglio.”
“Quattro anni? Sono tanti.”
“Ognuno ha i suoi tempi per affrontare un lutto, avvocato” disse Tamiko in difesa del nipote. “Noi glieli abbiamo lasciati, non l'abbiamo mai forzato a reagire, perché lo trovavamo sbagliato.”
Il giudice si alzò.
“Bene, ora ci sarà una sospensione dell'udienza di quindici minuti e poi Emiko verrà chiamata al banco con il dottor Kimura, con cui ha lavorato per affrontare le domande che gli verranno poste. Il caso è sospeso.”
Il giudice batté il martelletto, si alzò e uscì dall'aula, mentre altri lo seguivano.
“Vuoi qualcosa da bere?” chiese Rina a Lucia, con tutta la dolcezza di cui era capace.
“Una cioccolata, mi sento svenire.”
Era vero. La testa le girava e si sentiva mancare.
“Te la porto subito.”
Con il bicchiere colmo di cioccolata tra le mani, solo a sentire il profumo lucia si sentì meglio. Kaito andò a prendersi un caffè. I due bevvero in silenzio, poi buttarono i bicchieri e si precipitarono verso quella che era ancora la loro figlia.
“Papi, mami!” esclamò la bambina, saltando giù dalle gambe dello psicologo che l'aveva tenuta in braccio fino a quel momento.
“Ciao piccola!” Lucia la prese in braccio. “Stai facendo la brava con il signor Kimura?”
“Sì.”
“Sei una bambina meravigliosa, Emiko, non dimenticarlo mai” le disse Kaito, dandole un bacio in testa.
Lucia la riempì di baci sulle guance.
“Stai andando alla grande, tesoro” disse Lucia a Kaito.
“Sì, anche tu sei stata bravissima.”
“Come pensi che stia andando?”
“Credo bene, per noi intendo. L'avvocato Suzuki ha smascherato i suoi piani. Ti rendi conto che ha pensato di rapirla?”
“Sì, è assurdo. Non dovrebbero dargliela soltanto per questo.”
“Infatti.”
“Mami, andiamo a compare cioccolata o gelato dopo?”
“Sì, prima finiamo qui e poi andiamo a prendere tutta la cioccolata o il gelato che vogliamo.”
“Yay! Vi voglio bene!” esclamò la piccola.
Kaito circonda Lucia ed Emiko con le braccia e le tiene strette.
“Dobbiamo tenere unita la nostra famiglia” le sussurrò all'orecchio.
“Sì” rispose lei, risoluta e inspirò il profumo fresco di Kaito.
“Odio interrompere questo momento ma staremmo per iniziare di nuovo” dice l'avvocato Suzuki.
I tre si separarono con grande sofferenza di Emiko, che scoppiò a piangere una volta tornata fra le braccia dello psicologo, e dei suoi genitori, che tornarono al proprio posto con le lacrime agli occhi. Dopo un po' di parole di rassicurazione Emiko si calmò.
“Emiko, ora devi andare con il dottor Kimura a parlare dove sono stati la tua mamma e il tuo papà, capito? Ti faranno qualche domanda semplice.”
“Va bene.”
La bambina scende dalle gambe dello psicologo e corre dai genitori.
“Ciao mami, ciao papi, vi boglio bene!” esclamò, sbagliando teneramente.
“Anche noi te ne vogliamo, piccola. Ora vai con l'avvocato Suzuki e il dottor Kimura, d0accordo?” le disse Lucia.
“Va bene.”
La bambina diede a entrambi un bacio su una guancia e Lucia la poggiò a terra.
Il signor Suzuki allungò una mano e la piccola la afferrò. Lucia e Kaito la guardarono mentre si avviava verso il banco e Lucia si girò guardando Kaito in viso e scoppiando a piangere. Lui la fece sedere sulle sue gambe, nonostante il pancione, e le asciugò le lacrime.
“Ehi, ehi, andrà tutto bene. Ti amo e amo nostra figlia.”
“Anch'io!” disse Lucia.
Anche Kaito pianse con lei, ma cercarono di nasconderlo per non farlo vedere a Emiko. Tutti e due stavano soffrendo terribilmente. I due non respirarono quando il giudice rientrò in aula, prese il martelletto e disse:
“La corte torna a riunirsi!” ottenendo l'attenzione di tutti quanti con la sua voce tonante. “Vorrei chiamare Emiko Domoto al banco, accompagnata dal dottor Kimura.”
Lo psicologo raggiunse la bambina e l'avvocato Suzuki.
Lucia e Kaito deglutirono così forte che pensarono che anche gli abitanti della Russia li avessero sentiti. La loro bambina sembrava così piccola seduta lassù, ma non avevano voluto spaventarla dicendole che Ritsuko avrebbe potuto portarlo via, quindi la bambina non capiva perché era lì, ma i due speravano che fosse lassù perché accadesse un miracolo. Pregarono i Kami e qualsiasi Dio esistente nei cieli affinché la bambina restasse a loro.
“Signor Suzuki, può avvicinarsi e cominciare a porre le sue domande” annunciò il giudice.
Mentre si aggiustava la cravatta, l'avvocato camminò fino ad arrivare davanti a Emiko.
“Emiko, sai quanti anni hai?”
Lei gli mostrò due dita.
“Dillo” gli sussurrò l'avvocato con gentilezza.
“Due” rispose la piccola.
“Ah, che bella età. Sai, quando avevo due anni ero un po' furbetto, almeno questo mi dicono i miei genitori.”
“Anch'io furbetta” dice la piccola.
“Davvero? E dimmi, quali marachelle combini?”
L’avvocato stava cercando di mettere Emiko a suo agio, quindi nessuno obiettò nulla.
“Tilo le penne a Hippo per giocae.”
“Tiri le penne a Hippo per giocare? E chi è Hippo?”
Oh no, pensò Lucia, se dice che è un pinguino vero siamo fottuti.
“Il pinguino peluche della tua mamma.”
“Tua mamma ha un pinguino di peluche? Ce bello! Ma sai, gli animali vanno trattati bene, che siano peluche o veri. Mi prometti che ci giocherai senza tirargli più le penne?”
“Scì” rispose la bambina, sbagliando di nuovo.
“Brava. Ora, sapresti indicarmi il tuo papà e la tua mamma?”
“Papà e mamma sono lì!” esclamò, indicandoli.
“Che sia messo agli atti che Emiko ha riconosciuto Lucia Nanami e Kaito Domoto come suoi genitori” disse l'avvocato. “Non ho altre domande.”
“Loro mi hano adoptata.”
“Che sia messo agli atti che Emiko sa che Kaito Domoto e Lucia Nanami l'hanno adottata. Senti tesoro, quella là in fondo la riconosci?” chiese l'avvocatessa indicando Ritsuko.
Lucia si irritò per quella domanda e anche Kaito, ma non lo diedero a vedere.
“No” disse solo la piccola, dopo averci riflettuto un momento.
“È tua sorella e ti ha cercata tanto. Ti piacerebbe incontrarla?”
“Obiezione!”
L'avvocato Suzuki si alzò.
“La signora Shimizu non può entrare in queste questioni, che non la riguardano affatto.”
“Accolta. Rispondi pure, Emiko. Ti piacerebbe conoscere tua sorella?”
“Sorella” disse la bambina a voce bassa. “No, io voio mami e papi.”
“Quindi non la vuoi conoscere? Nemmeno u pochino?”
“No!”
“Va bene, hai la tua mamma e il tuo papà. Ma non vorresti che anche tua sorella ti volesse bene e che venisse, non so, ai tuoi compleanni?”
“No, io ho mamma e papà, loro mi voiono bene.”
La bambina si mise una mano sul cuore e Kaito Lucia dovettero sforzarsi di trattenere le lacrime.
“Non vorresti nemmeno salutarla?”
“No, io no conoscerla, lei paura.”
“Ti fa paura? Perché?”
 “Pecché è brutta, e folse anche attiva. Come le stleghe delle favole.”
Tutti risero, non riuscirono a trattenersi. Tutti tranne Kaito e Lucia, che non ce la fanno proprio.
“E poi mamma e papà baciati giolni.”
“I tuoi genitori si sono baciati davanti a te giorni fa? Non credo si appropriato per una bambina della sua età vedere una cosa simile, o sbaglio?” chiese alla corte.
Lucia si alzò di scatto.
“È stato un bacio sulle labbra, non con la lingua, e lei era in braccio a me. Non è successo altro.”
L'avvocato Suzuki si alzò.
“Stiamo davvero parlando a una bambina di baci e altri argomenti simili solo perché ha detto che i suoi si sono dati un bacio giorni fa? Probabilmente non ha nemmeno capito cosa significa. Ora riportiamo l'argomento di questo caso, ovvero la custodia di Emiko.”
L'avvocato fumava di rabbia per come l'avvocatessa della querelante aveva gestito l'interrogatorio di Emiko. Le si avvicinò e le chiese:
“Emiko, sei felice quando ti trovi a casa?”
“Shì, e anche quando parco o mare con mamma. Papà lavora tanto, mamma sta con me.”
“E ti dispiace che tuo padre lavori così tanto?”
“A volte lui manca me.”
“A volte ti manca?”
“Shì, un po'.”
Kaito si sentì stringere il cuore in una morsa. Forse avrebbe dovuto valutare l'opzione di fare meno ore a settimana. Ne avrebbe parlato con il Preside della scuola una volta finito il processo.
“E cosa mi dici del fatto che ti hanno scattato delle foto?”
“Io sono bellissima come mamma.”
“Ti hanno scattato delle foto perché sei bellissima?”
“No, pecché papà doveva fae una gaa di surf.”
“Tuo padre doveva fare una gara di surf. Ma le foto te le hanno scattate prima o dopo?”
“Dopo.”
“E come ti sei sentita quando sono uscite sui giornali?”
“Io contenta. Tutti vedee foto me.”
“Quindi eri felice che tutti vedessero le tue foto? Non eri arrabbiata o triste?”
“No, io felice.”
“D'accordo. Secondo te i tuoi genitori si vogliono bene?”
“Shì shì, tanto. Io con loro felice, mamma felice, papà felice. Famiglia felice” dice la bambina, battendo le manine contenta.
Kaito dovette nascondere il volto girandosi dall'altra parte per trattenere le lacrime e lo stesso faceva Lucia.
“Se posso dire una cosa, Signor Giudice,” dice Lucia alzandosi a fatica e aspettando il consenso, che arriva, “la famiglia è fatta dalle persone che ti amano, dall'amore, e non solo da legami di sangue.”
“Già” dice la bambina. “Mia famiglia sono anche zia Rina, zia Hanon, zia Nikora, zia Karen, Zia Coco e zia Seira. Io no vedee loro sempe, ma spesso Hanon e Rina tornano dopo un viaggio lontano.”
“Quando tornano tu sei felice?”
“Shì, io felicissima!” esclamò la piccola.
“Che sia messo agli atti che Emiko ha riconosciuto come famiglia le persone che la amano e che lei ama loro. Con alcune di queste non ha legami di sangue e nemmeno le vede spesso, con altre invece sì, ma ha capito che sono comunque tutte la sua famiglia. Vogliamo davvero togliere questa dolce, vivace, felice e intelligente bambina dalle persone che la amano? Come ha detto in precedenza la mia cliente, la famiglia non è fatta solo dal sangue ma anche dall'amore, ed è questo che ha insegnato a sua figlia. Io sono cresciuto con una mamma e un papà che mi hanno amato. Perché allontanare Emiko da quella che lei considera la sua famiglia?”
Il giudice si alzò.
“Adesso la giuria si ritirerà nella camera per decidere il verdetto e poi ritornerà. Dottor Kimura, può riportare Emiko al signor Domoto e alla signorina Nanami.”
Batté il martelletto e la giuria si diresse verso una porta chiusa.
Quando Kaito la prese in braccio, la bambina si aggrappò al suo collo.
“Sei stata meravigliosa lassù, sai? Sono così fiero di te!” esclamò l'uomo.
“Sei stata bravissima, piccola,” disse Lucia accarezzandola, “hai risposto alle domande con molto coraggio.”
“Shì, io oraggio come le principesse.”
Lucia le aveva insegnato che, anche se nelle favole le principesse venivano sempre salvate, non significava che non fossero coraggiose e gliene aveva letta una dove la principessa si salvava da sola.
Kaito si tirò più vicino Lucia, per stringere anche lei in un delicato abbraccio. La sua famiglia e le amiche di Lucia lasciarono ai tre quel momento tutto per loro, non volendo interromperlo per nessuna ragione al mondo.
“Io seduta vicino a signore in viola” disse la bambina, indicando il posto dov'era seduto i giudice.
“Ti è piaciuto sederti vicino al giudice? Non faceva poi così paura, vero?” le chiese Lucia.
“No. Lui bello sorriso” dice la piccola.
“È vero” disse Kaito. “Che ne diresti se dopo andassimo tutti a festeggiare?” chiese a Lucia.
“Tesoro, non so ancora come andrà e non… non me la sento di promettere a Emiko queste cose.”
“Okay, hai ragione, sono stato uno sciocco. Questa situazione è stressante per entrambi. Perdonami.”
“Non preoccuparti.”
Ma quel loro piccolo momento di intimità si spezzò quando sentirono la porta aprirsi. Lucia perse un battito e smise di respirare.
“Ehi, respira. Inspira, espira. Ecco, così” le disse Kaito. “Questa piccolina non ci perderà, mi hai capito? Qualsiasi cosa succederà, non smetteremo di lottare per tenerla con noi.”
“Ora è il momento che il querelante e i querelati si alzino” disse il giudice.
“Signori della giuria, se siete rappresentanti alzatevi.”
Un uomo con lunghi capelli neri, occhi neri e vestito nero si alzò. Era un po' sovrappeso e doveva avere una ventina d'anni più di loro. Lucia e Kaito lo videro prendere in mano un pezzo di carta, quel pezzo di carta che avrebbe potuto distruggere la loro vita per sempre.
“Nella decisione per la questione della custodia di Emiko tra la signorina Ritsuko Takahashi e i signori Kaito Domoto e Lucia Nanami, avete raggiunto un accordo? Avete deciso a chi andrà la custodia di Emiko Domoto?”
La voce del giudice rimbombò, ma Lucia la sentì ovattata, lontana, come se si trovasse in fondo al mare. L'uomo aprì la bocca per pronunciare il verdetto. Si ritrovò a pregare qualsiasi Dio, gli angeli, i santi, il Dalai Lama, qualsiasi entità le venisse in mente.
“La giuria ha deciso che la custodia andrà ai signori Lucia Nanami e Kaito Domoto, in quanto ritenuti capaci di fare i genitori e di crescere al meglio la loro figlia. Sarebbe traumatico, per Emiko, vivere con una sconosciuta. La signorina Ritsuko potrà comunque vedere la sorella secondo visite programmate con i querelati e gli avvocati di ambo le parti.”
“Così è deciso. L'udienza è tolta” disse il giudice e sbatté ancora il martelletto.
Quando uscirono dal tribunale, la famiglia di Kaito e gli altri applaudirono. Finalmente era finita e la loro figlia era con i suoi genitori.
“Ritsuko, aspetta, dobbiamo metterci d’accordo per le visite!” esclamò Lucia vedendola correre via.
“Non mi interessa, non era quello che volevo” disse la donna, poi se ne andò.
“Lasciala, evidentemente Emiko non le interessava abbastanza” disse Kaito. “Non roviniamoci questo momento.”
Emiko era in braccio a lui, e vederli così uniti fece piangere Lucia di gioia. Non poteva credere che fosse tutto finito, che avessero vinto la causa, eppure era vero. Emiko era la loro figlia e lo sarebbe stata per sempre.
 
 
 
NOTA:
so che i processi sono molto più lunghi di così, possono durare anche anni. Ho accorciato il mio per la storia. È vero, comunque, che in certi casi i  familiari possono riavere indietro i bambini che hanno dato in adozione.

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Capitolo 17
*** La battaglia ***


CAPITOLO 17.
 
LA BATTAGLIA
 
“Festa? Festa?” chiese Emiko. “Gelato!” esclamò, battendo le manine.
I genitori non avrebbero voluto deluderla, ma Lucia le disse:
“Tesoro, siamo tutti stanchi. Facciamo domani la festa, promesso. Tanto è sabato, papà è a casa.”
“Io devo andare, Lucia” le disse il padre. “Tua madre resterà qui, ma c'è bisogno che almeno un regnante torni negli abissi.”
“Bissi” disse Emiko.
Il nonno le pizzicò piano una guancia paffuta e lei rise.
“Hai ragione. Vai, non importa se non parteciperai alla festa.”
“Sei sicura?” le chiese.
Non voleva ferirla in nessun modo, Lucia lo vedeva dal suo sguardo. Se lei gli avesse chiesto di rimanere, lui sarebbe rimasto.
“Ma sì, sicurissima! Assaggerai un'altra volta il gelato, ne sono convinta.”
“Grazie. Allora vado.”
Abbracciò la figlia e la nipote e le riempì di baci e carezze, poi salutò Kaito e strinse a sé la moglie. Disse ciao ai parenti di Kaito e agli altri amici di Lucia e poi si allontanò.
“Però, una cioccolata possiamo concedercela” disse Kaito. “È vero che siamo stanchi, ma se ti va, possiamo farlo, magari restando poco nel bar.”
“Sono sfinita e avrei bisogno di sdraiarmi, ma va bene. Restiamo poco, però.”
“Promesso.”
Informarono gli altri dei loro piani e si diressero tutti nel bar vicino. Quando Lucia ebbe davanti la sua cioccolata con panna, si rese conto che era la seconda che prendeva e che avrebbe potuto fare a meno della panna montata. Non era salutare, per il bambino, riempirsi così di dolci, ma per una volta non sarebbe successo niente. Per tutta la gravidanza aveva seguito una dieta specifica e l'aveva fatto alla lettera, sgarrando solo ogni tanto con qualche dolcetto o cubetto di cioccolata nel pomeriggio.
Anche Emiko aveva la sua tazzina di cioccolata. La sollevava con le sue manine e beveva, sporcandosi le labbra, così i genitori dovevano pulirgliele ogni volta.
“A questa meravigliosa famiglia!” esclamò Tamiko e ognuno alzò la propria tazza a mo' di brindisi.
“Festeggeremo anche domani mattina in gelateria, come colazione. Speriamo ci siate tutti” disse Kaito.
Gli chiesero in quale andare e lui glielo spiegò. Era vicino all'hotel dove lavorava Lucia.
Tutti pagarono e uscirono, poi si separarono. Hanon, Rina e Nikora tornarono all'hotel e gli altri li seguirono, per farsi dare una stanza, mentre Maki fece ritorno a casa propria.
I tre tornarono a casa, vicino alla spiaggia, e si sdraiarono a letto. Emiko si addormentò subito. Dopo un pisolino si sentirono tutti e tre molto meglio e decisero di andare al mare. Piaceva a tutti e tre e li rilassava.
Non c'era nessuno e il tempo era bellissimo. Il cielo era azzurro e limpido , non solcato da nemmeno una nuvola bianca. Per un po' ascoltarono il suono delle onde rimanendo il silenzio, mentre un vento caldo accarezzava i loro visi.
“Come si sta bene!” esclamò Kaito. “Ora che è finita, non vedo l'ora di ricominciare a fare surf. Domenica pensavo di farne un po'.”
“E noi saremo lì a guardarti” disse Lucia. “Vero, Emiko?”
“Shì” disse la bambina, anche se non aveva capito bene di cosa i genitori stessero parlando.
Ma mentre si avvicinavano all'acqua, da essa uscì qualcosa, o per meglio dire, qualcuno. Era Ritsuko, in tutta la sua statura, con due ali come le fatine dei coralli, ma nere.
“Non ho mai visto una cosa del genere!” esclamò Lucia, facendo un passo indietro e poi un altro per allontanarsi da quella creatura la cui apparizione non prometteva nulla di buono.
“L'avevamo detto che poteva essere un'altra creatura” mormorò Kaito al suo orecchio, mentre la fata usciva dal mare.
“Sì, ma le fatine dei coralli sono grandi come bambine di cinque anni, non così tanto.”
“È stato facile crescere” disse Ritsuko. “Mi è bastato rubare fora alle fatine dei coralli del tuo regno.”
“Perché l'hai fatto'“ chiese Lucia.
“Ho cominciato a odiare tutte le sirene quando ho scoperto che Emiko era con voi.”
“Perché tutte? Che cosa ti hanno fatto le altre?”
“Perché Rina e Hanon ti hanno aiutata, stupida, e comunque hai incontrato le altre. Ora dammi la bambina.”
“Mai! Non si trasformerà in una fatina dei coralli toccando l'acqua.”
“Oh, davvero? E perché mai?”
“Non sono affari che ti riguardano. Emiko è mia figlia, l'ha deciso il giudice, e resta con me! Resta con me!” gridò Lucia.
“Vattene, sparisci negli abissi e non tornare mai più a disturbarci” disse Kaito.
“Ma sentili , mi vogliono mandare via in malo modo e non sanno nemmeno di cosa sono capace. Pioggia di ghiaccio!” esclamò la fata, e dalle sue mani alzate si sprigionò una pioggia di grandine che cadde sulla testa dei due. Kaito e Lucia, pieni do botte a causa delle grosse palle di grandine, si piegarono su loro stessi per il dolore e Ritsuko, approfittando di quel momento di debolezza di Lucia, le prese la bambina.
“No!” gridò. “Ritsuko, ragiona. Il giudice ha stabilito che la bambina deve viver con noi, ma tu puoi comunque vederla. Possiamo metterci d'accordo. Perché sei scappata dopo il processo?”
“Perché non mi basta vederla ogni una o due settimane. Io voglio averla tutta per me, perché è mia sorella, e ritrasformarla in fatina dei coralli. Non so come farò, ma mi inventerò un modo. Acqua bollente!” esclamò e, dopo essersi messa Emiko sulle spalle, mentre la bambina piangeva, dalle sue mani uscirono getti d'acqua bollente che colpirono il viso e le braccia, quasi del tutto scoperte – indossavano solo una maglietta – dei due. Le loro braccia e i loro volti diventarono rossi e si formarono delle vescicole.
“Fa male” disse Lucia. “Non so nemmeno se riuscirò a cantare in questo modo, ma ci devo provare.”
Doveva salvare sua figlia, non poteva lasciarla nelle mani di quella perfida fatina dei coralli.
“I reali mi hanno espulsa dal regno quando hanno visto cos'ho fatto alle altre fate, che ci metteranno molto tempo a recuperare le forze. Ma non importa, io voglio solo Emiko e basta. Troveremo un angolino nell'oceano anche per noi.”
“Ritsuko, fermati, stai sbagliando tutto!” esclamò Kaito. “La bambina non ti riconosce come sua sorella ma come un'estranea, non puoi portarcela via.”
“Le mie ali sono nere, così come il mio cuore, pieno di odio. Mia sorella è l'unica che amo veramente.”
Emiko pianse ancora più forte quando Ritsuko toccò l'acqua con i piedi, poi si immerse sempre di più.
“Emiko annegherà!” esclamò.
Ma in quel momento, una forte luce partì dalle mani di Ritsuko ed Emiko si ritrasformò in una fatina dei coralli.
“Ma cosa…” disse Lucia, non riuscendo a credere a quello che stava vedendo.
“Mio Dio, ora ci sfuggiranno. Che facciamo?” chiese Kaito.
“Seguiamole.”
“Ci siamo anche noi” dissero due voci alle loro spalle.
Erano Rina e Hanon.
“Come avete fatto ad accorgervi che avevamo bisogno di aiuto?” chiese Kaito-
“La nostra perla si è illuminata, così abbiamo pensato che Lucia fosse in pericolo e il radar di Hippo ha captato la presenza di una sirena proprio qui” disse Rina.
“Esatto. Ora trasformiamoci.”
Ma Lucia non cela fece più e svenne.
“Lucia!” esclamarono tutti.
La ragazza riprese conoscenza dopo alcuni secondi.
“Dov'è la mia bambina?” ,mormorò.
“Sembra in stato confusionale. Io chiamo un medico” disse Hanon.
“Ed Emiko?” chiese Rina.
“La cercheremo dopo. Almeno sappiamo che Ritsuko le vuole bene e la proteggerà.”
Kaito era preoccupato sia per Lucia sia per la bambina, ma pur essendo il principe del madre, discendente dei Panthalassa, non poteva lasciare sola la moglie in un momento del genere.
“Vai dalla bambina, Kaito” le disse Lucia, indebolita.
“No, io resto con te.”
“Sei un genitore, tua figlia dovrebbe essere più importante di tutto, anche di tua moglie.”
“E di mio figlio?” gli chiese lui.
“No, ma sono sicura che il bambino sta bene. Vai dalla bambina, ti prego. Cercala.”
“Momo!” esclamò Kaito vedendo avvicinarsi il delfino alla riva.
Era un delfino che avevano riconosciuto all'acquario e che avevano riportato alla sua mamma.
“Che cosa c'è?” gli chiese Lucia.
Lui fece una sorta di fischio.
“Non le hai trovate?” chiese Hanon.
“Capite la sua lingua?” si informò Kaito.
“Sì” rispose Rina.
“Come facevi a sapere che cercavamo Emiko?” gli chiese Hanon.
Lui fischiò ancora.
“Hai sentito la conversazione fra Kaito, Ritsuko e Lucia? Allora eri qui vicino!”
Lui disse di sì.
“Grazie Momo. Continua a cercare, per favore” gli disse Rina.
Il delfino si immerse e sparì.
Hanon intanto aveva chiamato un'ambulanza. Lucia fu portata in ospedale e Kaito andò con lei.
“Ci occupiamo noi della bambina” gli dissero Hanon e Rina.
In ospedale le fecero gli esami del sangue, controllarono la glicemia e altri parametri, fecero un’ecografia per essere sicuri che il bambino stesse bene, ma era tutto a posto. La tennero in osservazione per qualche ora, poi la lasciarono andare, dicendo che la sincope era stata causata da uno spavento, come aveva spiegato lei.
“Come ve le siete fatte?” chiese una dottoressa indicando le vescicole.
“Ci siamo scottati con l’acqua calda” disse Kaito.
Lei spalmò su braccia e viso di entrambi una crema lenitiva e poi fece una ricetta.
“Andate in farmacia e prendetene una confezione. Dovete metterla per una settimana.”
“Grazie” rispose Lucia. “Mi sento già meglio.”
Lucia, seppur ancora più stanca dopo essere andata in ospedale, tornò al mare con Kaito.
“Non abbiamo trovato niente” dissero Hanon e Rina ritornando umane.
“Perché mi sono nascosta, stupide!” esclamò una voce.
Era quella di Ritsuko e sembrava provenire da molto lontano. Momo tornò e disse che l'aveva trovata.
“Dice che è su una serie di scogli che affiorano dal mare e che ci indicherà la strada.
“Vengo con voi” disse Kaito e Lucia, Hanon e Rina si trasformarono in sirene. La Regina Dei Mari apparve e disse:
“Lucia, ti do il permesso di trasformarti in sirena toccando l'acqua, ma finita questa battaglia non potrai più farlo, a meno che non ci siano altre emergenze.”
“Vi ringrazio, mia regina” le disse.
Appena le tre toccarono l'acqua spuntò loro la coda, il loro ciondolo a conchiglia si aprì e la loro perla brillò. Ne indicarono il colore, e una luce dello stesso colore della perla le avvolse. Poi davanti a loro compare un microfono e su loro corpo un costume.
“Voce di perla rosa!” esclamò Lucia mentre si trasformava.
“Voce di perla blu!” disse Hanon.
“Voce di perla verde!” esclamò Rina.
“Voce di perla viola!”
“Karen?” chiese Lucia. “Che ci fai qui?”
“Non ho mai visto Emiko, ma la sento comunque come mia nipote, per cui vorrei salvarla anch'io.”
“Vedo che vi siete preparate. Bene, allora perderete!” esclamò Ritsuko, che si era avvicinata a loro-
Ora erano nell'acqua bassa del mare. La ragazza conservava ancora la sua forma da adulta e teneva in braccio Emiko, che ora sembrava avere cinque anni e aveva due alucce bianche sulla schiena.
“Quella è la mia bambina. Ridammela. È stata una sua scelta trasformarsi in neonata!” esclamò Lucia.
“Non l'hai costretta? Secondo me sì.”
“Ti assicuro di no. Mi ha parlato e me l'ha detto.”
“È vero, sorellina, lasciami andare” disse la bambina ritrasformandosi in neonata.
“Non è possibile! Così non potremo mai stare insieme. Barriera corallina” disse Ritsuko, con tutta la rabbia che aveva in corpo, e, appunto, una barriera corallina si formò intorno a Lucia, bloccandole i movimenti.
“Fermati” disse Emiko. “Sei ancora in tempo.”
“E ora la magia della voce Pichi Pichi!” esclamarono le tre sirene e iniziarono a cantare.
Se un giorno i sogni tuoi tutti si avverassero
Non pensi mancherebbe ancora qualche cosa in te
Di soli sogni, sai, io non posso vivere perciò
Io ti seguirò, tu non mi abbandonare così
 
Che senso ha buttare via il nostro grande amore?
Mille stelle lassù
Fari accesi nel blu
Siamo noi!
 
Portami con te, non aspettare più
Scopriamo insieme le sfide che ogni giorno ci propone
Io e te, che forza brillerà
Tra terra e mare l'amore vincerà
 
Vorrei che i sogni miei tutti si avverassero
Ma senza amore dimmi come posso crederci
L'unione che cancellerà il male con il bene
Strizza l'occhio anche a noi un destino che non cambierai!
 
Portami con te, non indugiare più
Vivremo insieme le gioie che ogni giorno ci regala
Io e te, per sempre canterai questa canzone
L'amore vincerà!
L'amore vincerà, vincerà!
[…]
“Perché la canzone non funziona?” chiese Lucia, esasperata, alla fine.
La barriera corallina non si era ancora distrutta, ma almeno poteva cantare.
“Perché io sono più forte di voi” disse Ritsuko e provò a ritrasformare la sorella in una fatina dei coralli ma Emiko resisteva.
“Ma allora la lettera, tutto il processo…” disse Lucia.
“Erano una farsa per arrivare a questo. Avanti, Emiko, trasformati in una fata!”
Ma la bambina sembrava, stranamente, essere più forte della magia.
“Brava, amore” sussurrò Lucia. “Resisti, ti prego.”
“Proviamo con un'altra” disse Hanon. “Non possiamo arrenderci.”
Luce brillante di stelle,
Fari luminosi lassù,
Vi chiamiamo tutti a raccolta,
Costruiamo un mondo migliore insieme noi
Da qui
Ripariamo terra e mare perché
Lo scrosciare della pioggia così
Si fermerà,
Finirà
 
È un concerto d'amore per
Vivere e sperare in una grande emozione,
Da un palco di luci e ombre
Sentirò la melodia
Del nostro cuore
 
Stringimi ancora più forte,
Seguimi nel mare perché
Mi trasmetti tutto il coraggio
Di lottare e continuare a vincere
Io e te
Emozioni sempre più magiche
Questo amore vero supererà
Le avversità,
Volerà
[…]
Mentre cantavano la seconda canzone, la barriera corallina intorno a Lucia si distrusse. Ritsuko doveva essersi indebolita, perché aveva cominciato a gridare, spaventando Emiko che era ancora una bambina umana, dicendo che non sopportava più quella musica.
“Magia d’amore Pichi!” esclamò Lucia.
“Se vuoi ti concediamo il bis” dissero le quattro sirene all’unisono.
“Avete vinto” ammise Ritsuko con voce grave. “Siete state più forti di me. E poi mi sono resa conto, anche in tribunale, che tra voi tre c'è tanto amore, quindi mi arrendo. Non posso portare via Emiko dalla sua famiglia, per quanto lo vorrei, perché con me non sarebbe felice.”
Kaito e Lucia si commossero.
“Grazie!” esclamarono.
“Sapevo che c'era del buono nel tuo cuore, che non era completamente nero” disse Lucia.
Ritsuko le diede la bambina.
“Vi auguro tanta felicità, anche con il bambino in arrivo. Non sono degna di vedere ancora Emiko dopo quello che ho fatto e detto in tribunale. Addio.”
E sparì nel mare.
“È nostra, abbiamo vinto!” esclamò Lucia.
“Per sempre” disse Kaito.
Dopo essersi ritrasformate, le sirene tornarono a casa. Kaito, Lucia ed Emiko rimasero a guardare il tramonto sul mare, poi andarono nella loro abitazione. Lucia era un po’ debole dopo la trasformazione, ma le bastarono venti minuti di riposo sul divano per riprendersi. Giocarono tutta la sera e si addormentarono felici, sapendo che niente e nessuno avrebbe più cercato di rovinare la loro famiglia.
 
 
 
CREDITS:
Elisabetta Cavalli, Portami con te
Francesca Daprati, Concerto d’amore
Le parole che le sirene dicono quando si trasformano e quando iniziano a cantare sono tratte da vari episodi.

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Capitolo 18
*** Le due feste ***


CAPITOLO 18.
 
LE DUE FESTE
 
Era passata una settimana e Kaito e Lucia non avrebbero saputo descrivere come si sentivano in quel momento. Non avevano perso Emiko. Non avevano perduto la loro bambina. Pareva loro troppo bello per essere vero.
Lucia era alla trentaquattresima settimana di gravidanza e continuava ad andare al corso preparto con suo marito. Era molto utile a entrambi perché li aiutava a capire come respirare e come avrebbero dovuto comportarsi durante il parto.
“Il sostegno del compagno o del marito è fondamentale” aveva detto l’ostetrica alla lezione di quella settimana. “Lui deve sostenere la donna, aiutarla, massaggiarle la schiena che, probabilmente, sarà bloccata dal dolore.”
“Gelato!” continuava a ripetere Emiko.
“Sì, oggi andiamo in gelateria tutti quanti, contenta?” le chiese la mamma.
“Shì.”
“Si dice sì, tesoro, sì” ripeté Lucia, affinché lo imparasse.
“Sì.”
“Brava.”
Uscirono di casa e trovarono la mamma di Lucia, Hanon. Rina e Nikora ad aspettarli.
“Andiamo?” chiese Hanon l''amica.
“Sì.”
Hiroko, che non possedeva una macchina perché era una sirena, salì in auto con Lucia e Kaito, mentre gli altri salirono sulle loro auto.
“Mi sembra assurdo che delle sirene abbiano una macchina” disse Hiroko ridendo.
“In effetti anch’io ci ho messo un po' ad abituarmi,” disse Lucia, “ma quando senti i tuoi amici parlare di patenti di guida tutto il tempo, ti viene voglia di farla anche tu.”
“Immagino” disse la madre di Lucia.
Arrivarono alla gelateria Eden, così si chiamava.
“L'abbiamo prenotata, è tutta per noi” disse Kaito, che scese e slegò Emiko dal seggiolino, prendendola poi in braccio.
“Davvero? Figo! Si dice così qui sulla Terra, no?!
“Sì, mamma” disse Lucia.
Il locale aveva dei tavolini fuori, ma faceva un po' troppo fresco per stare lì, così decisero di entrare. Kaito e Lucia avevano chiesto ai proprietari una festa a tema gelato, pagandoli perché la organizzassero.
“Ma è un capolavoro!” esclamò Lucia ad alta voce una volta entrata.
C'era una parete tutta dedicata ai gelati. C'era un cartoncino ritagliato a forma di cono con un palloncino in cima, colorato di rosso e marrone a simboleggiare la fragola e il cioccolato e sotto un baso dipinto di blu a fungere da coppetta. In più, sopra c'erano dei palloncini bislunghi che servivano come codine di zucchero colorate.
“È bellissimo” disse Kaito.
“Davvero originale!” esclamò la mamma di Lucia.
Emiko si guardava intorno con gli occhi sbarrati.
“Vi piace?” chiese loro il proprietario del locale in tono gentile.
“Se ci piace? Lo adoriamo! E anche Emiko sembra apprezzare.”
“Posso prenderla in braccio?” chiese l'uomo a Kaito.
Lui gli diede la bambina e questi si avvicinò alla parete rivestita per fare il gelato. Qui, sulla coppetta, c'è scritto Emiko con il nume ro due, che sono i tuoi anni.
“Sì, io due anni” disse la bambina.
“Esatto. Ora torna da papà.”
“Accomodatevi.”
Ordinarono tutti il gelato. Lucia assaggiò il suo, un misto di riso soffiato, cioccolato e topping al cioccolato, una sorta di salsa.
“È buonissimo!” disse a bocca piena.
“Non si parla a bocca piena, Lucia” la rimproverò bonariamente la mamma.
Lei mandò giù.
“Scusa.”
Kaito si stava godendo il suo gelato al limone e fragola, mentre Emiko cercava di tirare su da sola, con il cucchiaino, il suo al cioccolato.
“Forse dovresti aiutarla, o si sporcherà” disse Nikora.
Lucia le diede una mano a finire la sua coppa e la piccola sembrò soddisfatta.
“Non mi pare vero che stiamo vivendo questo momento tutti insieme” disse Lucia. “Mamma, nel pomeriggio ho un'ecografia. Vuoi venire con me e vedere tuo nipote?”
Hiroko ne fu felicissima.
Brindarono con un bicchiere di coca cola.
“A Lucia, Kaito ed Emiko. A questa bella famiglia!” esclamò Nikora.
Tutti brindarono e Hiroko assaggiò la coca cola per la prima volta.
“Com'è?” le chiese Lucia.
“Frizzante e fresca, mi piace.”
Nel pomeriggio, mentre Emiko era con Nikora, Hanon, Rina e Hippo all'hotel Pearl Piari, Lucia, Kaito e Hiroko andarono in ospedale a fare l'ecografia.
“C'è meno liquido amniotico del normale” disse il dottor Adams.
“E questo cosa può comportare?”
“Lo vedremo nelle prossime ecografie, signorina Nanami. Per il resto, il suo bambino sta benissimo. Quella che lei sta vivendo è una condizione chiamata oligoidramnios.”
Le spiegò meglio cosa fosse e le disse che il liquido amniotico proteggeva il bambino in vari modi.
Lucia fece anche il bilancio di salute, un esame che serviva a capire se c’erano anomalie nel feto, ma tutto andava bene.
Poi il ginecologo pesò la madre, le misurò la pressione, che era nella norma e le chiese se nella sua famiglia c’erano stati casi di infarto, diabete, diabete gestazionale, ma Lucia rispose di no e anche Kaito lo fece.
“Bene. Questo esame serve per avere una cartella clinica completa e già compilata, in modo da non doverlo fare la momento del travaglio.” Il dottor Adams controllò anche tutti gli esami che Lucia aveva fatto in quei mesi. “Vedo che non ne ha saltato uno” disse con un gran sorriso a illuminargli il volto. “Nessun esame è obbligatorio e alcune donne ne saltano qualcuno.”
“Io no, perché voglio che il mio bambino stia bene.”
“Ecco, vedi? Ragioni già come un genitore!” Avevano deciso di darsi del tu da lì in avanti. “Ci vediamo alla prossima ecografia e al prossimo bilancio di salute. A presto” li salutò il dottore.
Alla successiva ecografia, tre giorni dopo, alla quale partecipò ancora Hiroko, il dottor Adams disse a Lucia che c'era stato un errore di misurazione e che il liquido amniotico era nella norma.
“Io non ho dormito per tre notti e tu mi dici questo?” sussurrò a Kaito.
“Anch'io sono stato agitato, ma anche i medici possono sbagliare. Ora guardiamo il bambino.”
“Il vostro bambino è lungo quarantasei centimetri e pesa all’incirca un chilo e settecento grammi” disse loro il dottor Adams.
Hiroko si emozionò ancora una volta nel vedere il bambino. La prima volta si era concentrata di più sul problema della figlia. Il ginecologo le fece un elettrocardiogramma e l’esame delle urine e del sangue per controllare che fosse tutto a posto. I risultati sarebbero arrivati nel giro di qualche giorno. Una volta a casa, Hiroko aveva dovuto consolare Lucia perché si era messa a piangere.
“Vedrai che andrà tutto bene”, le aveva detto, e per fortuna era stato così.
Ma in quell'ecografia si erano emozionati tutti.
Il cuore del bambino aveva battuto velocissimo.
“So che sono mesi che vengo qui,” aveva detto Kaito, “ma è normale che il cuore batta così veloce? Sembra che abbia bevuto dieci caffè.”
Il ginecologo, Hiroko e Lucia avevano riso.
“È normalissimo, stai tranquillo.”
L'immagine del loro bambino sullo schermo era sempre bellissima. Da un piccolo puntino si era trasformato in un bambino formato.
“È perfetto” aveva detto Kaito.
Lucia aveva annuito.
Quella sera, a cena all'hotel, i genitori annunciarono che avrebbero voluto fare un baby shower per il loro bambino.
“Abbiamo già preso moltissime cose, ma sicuramente ce ne mancano” disse Lucia.
Per fortuna gli esami del sangue e delle urine erano nella norma.
Dopo qualche giorno i genitori di Lucia - Takeo aveva deciso di fare un'altra capatina sulla Terra -, le sue amiche e Hippo si presentarono a casa loro.
“Vediamo cos'avete comprato” disse Hiroko.
C’erano una carrozzina e un ovetto in salotto e vestitini negli armadi.
“Ma questi sono tutti da neonato!” esclamò la madre di Lucia.
“Sì, perché sarà un neonato. Dov'è il problema?”
“Tesoro, i bambini crescono in fretta.”
“E tutti noi abbiamo la soluzione!” esclamò Nikora.
Tirarono fuori sacchetti colmi di vestiti per bambini di uno, due o tre mesi.
“Ti stupirai di quanto crescerà in fretta” disse Takeo alla figlia.
A lei regalarono un marsupio, così avrebbe potuto fare le faccende di casa mentre teneva in bambino.
“Sarà utilissimo!” esclamò.
“E non hai ancora visto niente” disse Kaito. “Ti ricordi che stamattina ho mandato te ed Emiko in spiaggia?”
“Sì, ma credevo fosse per una passeggiata.”
“No, sono tornato prima dal lavoro e ho fatto questo. Vieni a vedere.”
Tutti li seguirono. Entrarono nella camera degli ospiti, e quello che si trovò davanti stupì Lucia.
“Oh, per tutti i Kami!” esclamò.
I muri erano dipinti di un giallo pastello con piccoli animali, soprattutto gattini, cagnolini e orsetti. Addossato a un muro c'era un lettino, con dei pesciolini appesi. C'erano giocattoli, una sedia a dondolo, un unicorno a dondolo uguale a quello che aveva Emiko, e una piccola libreria vuota.
“Ti abbiamo portato anche dei libretti da leggere” disse Nikora e li diede a Lucia perché li mettesse nella libreria.
“Questa sarà la camera di nostro figlio quando avrà sei mesi o un anno, decideremo poi quando metterlo a dormire da solo” disse Kaito.
Il colore sui muri si doveva ancora asciugare, ma per il resto era tutto perfetto.
“E hai fatto tutto questo in una mattinata?” gli chiese Lucia.
“Sì. Ti piace?”
“È meraviglioso!”
Lo abbracciò e lui la strinse forte.
“Avresti dovuto vederlo, mentre la sistemava” disse Nikora. “Io ero qui perché ero passata a vedere come stavi, Lucia. E Kaito diceva:
“Quale animale è il più carino? Quale sfumatura di giallo dovrei usare?”
Tutti risero.
Sul soffitto erano anche dipinte delle nuvole e ai muri erano appese delle foto con scritto, sotto ognuna, Papà, Mamma, Nikora, Rina, Hanon, Karen, Noel, Coco e Seira.
“La adoro” disse Lucia, stupefatta.
Non avrebbe mai creduto che suo marito sarebbe stato capace di una cosa simile.
“Grazie a tutti!” esclamò la ragazza.
Poi scesero a mangiare tramezzini, tartine, patatine e arachidi che la coppia aveva preparato. Rimasero a cena, e quando se ne andarono Kaito e Lucia misero nell'armadio tutto quello che gli invitati avevano portato.
“Aiutaci” disse la mamma a Emiko. “Mettiamo questi vestitini qui dentro.”
Lo fecero insieme, e anche con i pacchi doppi di pannolini he Rina aveva regalato loro. Erano state due belle feste e se le erano godute al massimo.

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Capitolo 19
*** Il travaglio ***


CAPITOLO 19.
 
IL TRAVAGLIO
 
Il tempo era trascorso più velocemente di quanto gli adulti si sarebbero aspettati. Settembre era terminato ed era iniziato ottobre, che aveva portato, insolitamente, freddo e venti forti. In televisione, i meteorologi dicevano che presto sarebbe arrivata la neve, ma Lucia e Kaito non ci credevano. Lei era alla trentanovesima settimana di gravidanza ed era appena andata, assieme al suo ragazzo, a fare il tracciato, un esame che serviva per controllare il battito cardiaco del bambino e le contrazioni dell'utero. Per fortuna era tutto a posto. Ogni tanto aveva qualche piccola contrazione, ma passava subito. L’ostetrica che faceva il corso preparto aveva detto che quella era la fase prodromica, in cui il corpo si prepara a far nascere il bambino. Lucia faceva il tracciato dalla trentasettesima settimana, nella quale si trovava. Tutto era pronto, il borsone per l'ospedale, con tutto quello che l'ostetrica del corso preparto aveva detto, già pronto.
“Abbiamo l'ultima lezione del corso, oggi” disse Kaito.
“Già. Sicuro di potermi accompagnare? Non vorrei mai che, chiedendo tutti questi permessi, avessi problemi a scuola.”
“Non preoccuparti. Conoscono la nostra situazione e sanno che hai bisogno di assistenza e che, come ha detto l'ostetrica nel corso preparto, il sostegno del padre è importante.”
Lucia sorrise per ringraziarlo e lui la cinse con le braccia. Emiko era all'hotel Pearl Piari, con Nikora, Hanon e Rina, che ogni tanto si occupava del bambino della vicina per darle una mano, Era venuta a prenderla quella mattina per lasciare i due un po' di privacy.
“Mi manca la mia piccolina” disse Lucia.
“Stasera sarà di nuovo con noi, non preoccuparti.”
La mattina si riposarono e guardarono la televisione, anche se Lucia continuava a cambiare canale.
“Potresti metterne uno e basta?” le chiese Kaito con gentilezza.
“Allora decidi tu cosa guardare!” ribatté la ragazza, lanciando il telecomando verso di lui.
“Ahi” disse Kaito quando l'oggetto gli colpì il braccio.
Lucia sospirò.
“Scusa, ho ancora sbalzi d'umore a volte.”
Nelle settimane seguenti le si erano gonfiate e addormentate le mani, l'anello che Kaito le aveva dato le stava stretto, ma non l'avrebbe mai tolto. Ora le mani erano ancora gonfie, ma per fortuna non formicolavano più e la ragazza ne era felice, perché quella sensazione le aveva dato davvero fastidio, soprattutto quando, svolgendo qualche lavoro di casa, senza piegarsi o fare sforzi, il formicolio continuava.
“Sì, lo vedo” rispose Kaito.
“Sei arrabbiato?”
Lui le prese una mano e gliela strinse forte.
“No, non preoccuparti.”
“Kaito?”
“Sì?”
“Mi stai facendo male.”
Lui le lasciò subito la mano e lei gli prese il telecomando.
“Scherzo!” esclamò.
Lui si inalberò.
“Lucia” disse, serio, “non scherzare su queste cose.”
“Hai ragione, ho fatto una cazzata. Scusa.”
Alla fine guardarono un documentario sui leopardi. Fu molto interessante. Parlava di un leopardo, una femmina, che aveva ucciso un babbuino, ma nel suo pelo aveva trovato un cucciolo e se n'era presa cura. Purtroppo, il freddo notturno aveva ucciso il piccolo babbuino e lei non era riuscita a scaldarlo abbastanza con il suo corpo.
“Ma l'Africa può riservarci ancora delle sorprese nella sua natura selvaggia” terminò il documentario.
“Wow!” esclamarono i due.
“Incredibile” disse Lucia.
“Infatti, la natura ci sorprende e a volte fa delle cose meravigliose.”
Mangiarono riso in bianco e Lucia si concesse un bicchiere di succo d'arancia, poi si misero il pigiama e andarono a letto. Il bambino aveva scalciato per tutto il pranzo. Era sempre così: quando si muoveva o restava ferma il piccolo scalciava, quando invece eraa sdraiata non lo sentiva quasi per nulla, come se anche lui si tranquillizzasse. Dormirono per un paio d'ore, poi si alzarono e prepararono e andarono al corso preparto. La stanza in cui entrarono era sempre la stessa, dipinta di un giallo che donava al tutto un'atmosfera calda e accogliente. C'era come sempre l'ostetrica ed erano presenti le solite tre coppie: una molto giovane, di diciannove anni, loro e una di mezza età. Dopo i consueti massaggi e la respirazione, l'ostetrica che li seguiva, che si chiamava Yukino, fece rilassare le mamme con una ginnastica dolce. Era sempre stata molto disponibile sia con le mamme che con i papà.
“Oggi parleremo del travaglio e del parto” iniziò e tutti la fissarono e si concentrarono. È fondamentale come si arriva psicologicamente al travaglio e la presenza dei papà. L'ansia gioca un ruolo importante durante la fase del travaglio completamente rilassate. La respirazione deve avvenire di pancia, facendo respiri lunghi e profondi. Non è scontato vedere un cambio di comportamento della donna durante la fase del travaglio, perché non bisogna dimenticare che in quel momento non è solo la donna a lavorare, ma anche il bambino.”
“C'è qualcosa che aiuta a diminuire il dolore?” chiese la ragazza più giovane.
“L'ossitocina, che aiuta l'utero a contrarsi e le endorfine permettono di affrontare il dolore. Ci sono degli ormoni che giocano un ruolo negativo durante il travaglio, come l'adrenalina. Se si ha uno sbilanciamento tra ossitocina ed endorfine aumenta il dolore.”
Poi parlò delle fasi del parto.
“La fase prodromica è la prima, inizia qualche giorno prima con contrazioni irregolari. I dolori sono dovuti dal movimento del bambino nel collo dell'utero. Quando, nella fase prodromica, le contrazioni saranno quattro contrazioni ogni dieci minuti in un paio d'ore finisce la fase prodromica. Non sarà la mamma a calcolare quanto tempo passa ma una persona esterna come il papà.”
“E si può stare a casa?” chiese Lucia.
“Se la madre se la sente sì. Se ci fossero delle grandi perdite di sangue, è bene andare nell’ospedale più vicino. Nella fase dilatante si entra nel travaglio attivo quando la dilatazione è a cinque centimetri e qui si entra in ospedale. Può capitare di arrivare in ospedale e le contrazioni regolari che poi si bloccano. Questo perché c'è un cambio di ambiente e la donna non si sente a suo agio, ma non preoccupatevi, partiranno dopo. Ogni madre è diversa e può metterci di più o di meno. Le contrazioni si possono bloccare quando la dilatazione è completa, questo perché il corpo chiede una tregua.”
“E poi?” chiese Kaito.
“E poi c'è la fase espulsiva, quella della nascita del bambino. Sarà la donna a decidere quando spingere, è un istinto naturale. Può avvenire in due o tre ore. Anche la posizione della mamma durante il parto può cambiare. Il cesareo va fatto se, per esempio, il bambino è troppo grande o ci sono altre complicazioni. Poi c'è la fase del secondamento, nella quale viene espulsa la placenta. Se la rottura delle acque compare dopo le contrazioni e sono di un colorito chiaro. È meglio andare un po' prima in ospedale e ricordare quando sono iniziate per comunicarlo al reparto.”
Spiegò poi cosa poteva far bene alla mamma durante il travaglio e la lezione finì lì.
Passate due settimane, andarono all’ultima lezione.
“Avete domande?” chiese la donna.
Gliene avevano fatte già in passato, ma la donna riteneva che fosse importante farne il più possibile.
“Potrò mangiare o bere durante il travaglio?” chiese la ragazza giovane.
“Sì, ma cibi leggeri, come biscotti. Al massimo qualche cubetto di cioccolato. Bevete molta acqua.”
“Potrò camminare nella stanza e per i corridoi?” chiese Lucia.
“Camminare è molto importante. Vi faranno anche usare una palla gigante per dondolarvi in modo da alleviare il dolore delle contrazioni.”
“C'è un numero massimo di persone che posso avere con me durante il parto?” chiese la donna più anziana.
“Una o due al massimo, non di più. In sala parto può entrare solo il papà, mentre quando avrete le contrazioni potrà venire anche un'altra persona.”
Lucia si sentì salire un senso di nausea. E se il parto avrebbe fatto troppo male? E se non fosse riuscita a dare alla luce il bambino naturalmente? Iniiò a respirare affannosamente.
“Tutto bene?” le chiese Kaito.
“Sì, ho solo un po' d'ansia per il parto.”
“È normale,” disse Yukino, “ma vedrai che andrà tutto bene.”
“L'ospedale accetta che i padri facciano fotografie e video?” chiese Kaito.
“Questo sì” rispose la donna, “sia foto che video.
“Quali sono gli orari di visita?” chiese il fidanzato della ragazza giovane, dei quali Lucia non ricordava i nomi.
“Si può venire dalle sei alle otto di sera” rispose Yukino, sorridendo alla coppia.
“I partner possono stare con le mogli o fidanzate durante la notte?” chiese l'uomo più anziano. “Noi abbiamo già una figlia grande e allora non si poteva, ma magari le cose sono cambiate.”
“Sì, qui è permesso. Potete stare con vostra moglie e vostro figlio quanto volete.”
Tutti sorrisero.
“Il bambino starà nella stanza con noi o resteranno nella nursery?”
“Una volta stavano nella nursery, ma negli ultimi anni le cose sono cambiate e i bambini stanno con le mamme in stanza per molto tempo.”
Le tre coppie sorrisero ancora.
Le fecero molte altre domande sulla cura del neonato nei primi giorni e primi mesi, poi la donna disse:
“Ora, siccome è l'ultima settimana che ci vediamo, vorrei fare una cosa con voi. Mi piacerebbe domandarvi come vi siete preparati all'arrivo del nascituro.”
“Il mio non era cercato, è arrivato” disse la ragazza più giovane. “Ero spaventata e non sapevo cosa fare. Avevo anche pensato di abortire, ma poi ho trovato il coraggio di parlarne con il mio fidanzato e i miei genitori e loro mi hanno detto che mi avrebbero supportata e aiutata a crescere il bambino. Quando ho sentito battere il suo cuore per la prima volta, m sono domandata come ho fatto anche solo a pensare di abortire.”
“Anche il mio non era cercato” disse la donna di mezza età. “Avevo già una figlia di vent'anni e, quando le ho detto che aspettavo un bambino e che lei avrebbe dovuto fare un po' da mamma oltre che da sorella, è rimasta abbastanza sconvolta, ma poi ha capito che amavamo questa creatura.”
“Sapevamo che sarebbe stato rischioso, ma non abbiamo pensato nemmeno per un momento di non tenerla. Perché sì, è un'altra femminuccia” disse l'uomo, sorridendo con orgoglio.
Yukino ricambiò il sorriso.
“E voi?” chiese a Kaito e Lucia. “Quello che mi state spiegando non è ciò che intendevo, ma visto che ci siamo parliamone, poi arriveremo al dunque.”
“Noi abbiamo adottato una bambina un anno fa, quando aveva undici mesi. Ora ha due anni ed è bellissima. Questo bambino, di cui non sappiamo ancora il sesso, è stato cercato e voluto. Prima di restare incinta ho assunto molto acido folico mangiando cibi che lo contenesse acido folico.”
“Beh, forse prima mi sono spiegata male. La mia domanda era un'altra: come vi siete preparati, psicologicamente, all'arrivo del nascituro? Eravate felici? Spaventati? Che emozioni provavate?”
“Ora ho capito” disse la ragazza più giovane. “Come ho detto ero molto spaventata, non sapevo cosa fare all'inizio, perché andavo ancora a scuola e anche il mio ragazzo, e non avevamo un lavoro. Ma il supporto del mio fidanzato e della mia famiglia, nella quale viviamo, mi hanno tranquillizzata. Temevo che lui mi lasciasse, dato che eravamo insieme solo da un anno, ma lui è rimasto accanto a me. E credetemi se vi dico che non è una cosa da tutti.”
“Io ero confuso ma anche felice” disse il padre del bambino. “Confuso perché non sapevo quale fosse l'opzione migliore, perché non avevo un’occupazione, perché non sapevo dove avremmo vissuto, felice perché la mia fidanzata aspettava nostro figlio, perché una vita stava crescendo dentro di lei.”
“Anch'io ero molto spaventata” disse Lucia. “Sono stata in ansia per metà gravidanza perché solo il mio ragazzo lavorava e io stavo a casa con la bambina più grande, Emiko. Temevo che al bambino potesse succedere qualcosa, per esempio di partorirlo troppo prematuramente, o che ci fossero complicazioni come la preeclampsia, di cui abbiamo parlato qui. Ma mio marito mi è stato accanto e abbiamo affrontato tutto insieme.”
“È vero” disse Kaito. “Io l'ho presa molto più serenamente di lei, ma capivo le sue paure e le rispettavo, cercando di aiutarla e di starle accanto.”
“Io ero terrorizzata!” esclamò la donna più anziana. “Non riuscivo a capacitarmi del fatto che aspettavo un bambino, mi sembrava così strano che, dopo le analisi di laboratorio, ho fatto cinque test di gravidanza ed erano tutti positivi. Quando l'ho detto a mio marito lui mi ha risposto che mi avrebbe supportata, mentre per mia figlia ci è voluto un po' più di tempo per abituarsi. Ma siamo rimasti uniti e ce l'abbiamo fatta.”
“Mi fa piacere che tutti abbiate trovato la serenità” disse Yukino. “Eè importante arrivare sereni al parto.”
Poco dopo li lasciò andare e la ragazza più giovane disse:
“Visto che è l'ultima volta che ci vediamo, che ne dite di bere qualcosa tutti insieme?”
“Per me va bene” disse Lucia.
Anche gli altri accettarono.
Si diressero in un bar lì vicino e, se gli uomini ordinarono un caffè, chi nero e chi macchiato, le donne optarono per una cioccolata calda con dei pasticcini.
“Come ti chiami? Non mi ricordo” chiese Lucia alla ragazza più giovane.
“Reiko” rispose. “E a dire il vero, il parto mi spaventa.”
“Anche a me, ma vedrai che saremo assistite da ostetriche e personale medico che ci sapranno aiutare.”
“Tranquille, andrà tutto bene” disse loro la donna più anziana, che si presentò di nuovo dicendo di chiamarsi Chiaki. “Io ci sono già passata ed è andato tutto benissimo, sarà così anche per voi. Come ha detto Yukino negli scorsi incontri, chi è al primo figlio ci mette di più a farlo nascere, anche otto o dodici ore, ma onn dovete preoccuparvi, sono sicura che ve la caverete benissimo.”
E se lo diceva lei che aveva avuto anche un'altra figlia, le due ci creeettero.
Lucia e Kaito andarono a prendere Emiko.
“Come ta fatellino o sorellina?” chiese la bambina quando vide la mamma.
“Bene. Vuoi accarezzarlo?”
“Sì.”
La ragazza le mise una manina sulla sua pancia e il bambino scalciò.
“Visto? Ti ha salutata!”
Emiko rise felice.
“Ha fatto la brava?” chiese Kaito a Nikora.
“È stata un angelo.”
“Tranne quando mi ha tirato le penne!” esclamò Hippo sgusciando fuori da sotto il divano. “Mi sono nascosto per questo.”
“Devi accarezzarlo piano, come ti ho insegnato” disse Lucia alla figlia e le spiegò di nuovo come doveva fare.
Hippo si godette quelle coccole senza fiatare, poi i tre ringraziarono Nikora.
“Dove sono Hanon e Rina? Avrei voluto salutarle.”
“A fare una nuotata. Hanno detto che, visto che c'ero io qui, la loro presenza non era fondamentale” spiegò loro Nikora.
“Beh, salutamele quando tornano.”
Poi i tre tornarono a casa.
“Giocae, mamma” disse Emiko una volta rientrati.
“Non posso, tesoro. Se mi siedo sul tappeto on mi alzo più, in queste condizioni!”
“La pancia della mamma è troppo grande” spiegò il papà alla bambina. “Gioco io con te, mentre lei si riposa.
Giocarono con le bambole e con i peluche per circa un'ora mentre Lucia, sdraiata sul divano, li guardava. Dopodiché Emiko sbadigliò.
“La porto un po' a letto” disse Kaito.
La ragazza li seguì. Adorava vedere il marito mettere a letto la bambina, con quei gesti dolci che utilizzava anche lei. Poi i due andarono in cucina a bere una tazza di tè bollente. A un certo punto, qualcuno suonò il campanello. Quando Lucia andò ad aprire, una folata di vento gelido la investì. Era Rina.
“Ciao, che ci fai qui? Non fraintendermi, mi fa piacere vederti, ma…”
“Lucia, calmati. Sono venuta per darti una mano, nel caso ti servisse, per fare le pulizie o altri lavori pesanti mentre tu ti riposi o fai altro.”
“Se la aiuti tu, io andrei un po' al lavoro” disse Kaito. “Hanno un insegnante di musica che fa il supplente quando sono assente, ma non credo che per loro sarà un problema che io mi aggiunga a lui.”
Il ragazzo uscì, non prima di aver dato un bacio a Lucia. Rina si girò per dare loro un po' di privacy. I due si baciarono per qualche minuto, poi quando i baci si fecero più intensi si fermarono, ricordandosi della presenza della ragazza.
“Scusaci” disse Lucia.
“Lu, Nevica!”
Kaito si precipitò in casa come una furia.
“Cosa? Nevica?”
Lucia e Rina guardarono fuori dalla finestra. Il cielo era ancora grigio e dalle nuvole basse cadevano fiocchi grandi, che con il passare delle ore si fecero piccoli e fitti. Dapprima fecero un tappeto sulle strade e sui campi, poi si accumularono. Ne l frattempo, mentre Emiko riposava, Lucia lavò i piatti. Era un lavoro semplice, che poteva svolgere senza fare particolari sforzi. Rina, invece, pulì la sala, la cucina e il bagno, ma senza toccare l'aspirapolvere per non svegliare Emiko.
“Ecco fatto.”
“Grazie, Rina, davvero!” esclamò Lucia. “Mi hai dato una gran mano.”
Salirono le scale e andarono nella cameretta del bambino,. Lucia mise a posto alcuni vestitini che aveva lasciato indietro.
“Non è una camera bellissima?” chiese Lucia a Rina,
“Sì, lo è, e tutto è così ordinato e pulito!”
Lucia si sedette sulla sedia a dondolo, sperando reggesse. Fu così e la ragazza prese a dondolarsi avanti e indietro. Il bambino scalciò, segno che gli piaceva, probabilmente.
“Si è mosso” disse Rina.
Ormai si vedeva se il piccolo si muoveva.
“Già. Non è abituato a questo movimento, ma sembra che gli piaccia.”
Lucia andò in bagno e vide un po’ di sangue sulle mutandine e una sostanza gelatinosa al centro. Il tappo mucoso si era tolto, proprio come aveva spiegato loro Yukino. Si lavò e si cambiò, mettendo le mutande sporche a lavare.
Si dondolò ancora un po', quando si portò le mani al ventre.
“Che ti succede?”
Rina scattò e la raggiunse.
“Ho una contrazione! Ne ho da qualche giorno, sono molto irregolari, proprio come mi spiegavano al corso preparto.”
Si rilassò quando finì.
“Dobbiamo andare in ospedale?”
“No, solo quando saranno a tre o quattro minuti di distanza, così ci ha detto l'ostetrica durante il corso.”
“Va bene, allora forse è meglio che tu ti distenda un po', eh? Penso io a Emiko.”
“Sei sicura?”
“Sicurissima, non preoccuparti.”
Lucia andò a sdraiarsi nel suo letto, con le coperte candide come la neve, sperando che fuori avesse smesso di nevicare. Non avrebbe mai voluto ritrovarsi inglobata nel traffico con le contrazioni. Erano a distanza di venticinque minuti, contò guardando l'orologio, quindi sarebbe passato ancora molto tempo prima che arrivassero a tre o quattro minuti. Poi, a un certo punto, si fermarono. Non ne ebbe più per tutta la giornata, e solo il mattino dopo, quando Kaito era uscito per andare al lavoro, ritornarono. Peer fortuna c’era Hanon con lei, che giocò con la bambina, le cambiò il pannolino e se ne prese cura al meglio. Lucia non lo diceva, ma era grata alle sue amiche per quello che stavano facendo per lei e la sua famiglia. L'aveva scritto su WhatsaApp la sera prima, in un gruppo che aveva creato tempo prima, dal titolo Amiche unite. Loro le avevano riposto in ritardo, quella mattina, probabilmente perché, a causa della neve, i messaggi erano arrivati in ritardo.
“Mi piace il gruppo che hai creato” disse Rina, entrando con il braccio Emiko. “Così stiamo tutte insieme.”
“Esatto, è per questo che l'ho fatto. Possiamo scambiarci messaggi e parlare anche se siamo lontane. E poi siamo unite, quindi il titolo ci sta.”
“Ci sta benissimo!” esclamò Rina.
Il suo volto appariva stanco, mentre osservava fuori dalla finestra.
“Sta continuando a nevicare” disse. “Non ha mai smesso, credo. Ce ne saranno già cinque centimetri per terra.”
“Allora deve aver smesso, o nevicato di meno” disse Lucia. “Io adoro la neve, ma non in questo caso. Potresti portare Emiko fuori a giocare? Sono sicura che si divertirà moltissimo. Il suo giaccone da inverno è appeso nell'antibagno, e i suoi guantini son o sopra. I doposci, invece, son o sotto il cassettone, vicino alle altre scarpe.”
“D'accordo, grazie.”
Il vento soffiava impetuoso, facendo muovere le imposte delle finestre.
“Mamma!” esclamò Emiko. “Saluto mamma.”
“Va bene,” concesse Rina, “ma fa' piano.”
La bambina salì sul letto e mise una mano sulla pancia della mamma.
“Ciao” disse al fratellino, con la bocca sul pancione.
Lui scalciò.
“Ti ha detto ciao!” esclamò Lucia.
“Quando arrivare?” chiese la bambina.
“Quando arriva, non quando arrivare” la corresse Rina.
“Quando arriva?”
“Ah, allora la sai dire la r. Tra poco, tesoro. Ore o giorni, onn lo so, ma sicuramente sarà qui molto presto.”
“Vieni Emiko, andiamo a vestirci.”
Da dentro, Lucia sentiva le risate della bambina e quelle di Rina, Probabilmente si stavano lanciando palle di neve o stavano solo passeggiando in mezzo ad essa. Anche a lei sarebbe piaciuto, ma non se la sentiva di alzarsi e di vestirsi. Non riusciva più a piegarsi per allacciarsi o mettersi le scarpe da sola, né a infilarsi i pantaloni senza aiuto, per cui non ce l'avrebbe fatta a uscire da sola. Ma più che altro non voleva prendere freddo e rischiare di ammalarsi in un commento simile. Si stancava presto e, di sicuro, stare fuori con una bambina di due anni l'avrebbe distrutta. Adorava Emiko, era la sua bambina, ma era anche vera la diceria che definiva la sua età i terribili due anni. Emiko era un vero terremoto. Sembrava avere sempre energia e voglia di giocare. infatti, quando rientrò, chiese a Rina se avrebbero potuto giocare. Rina la accontentò. Poi arrivò anche Hanon, che andò a salutare Lucia.
“Come va?” le chiese.
“Le contrazioni sono distanti quindici minuti luna dall'altra. Ci vorrà tempo. Le acque non si sono ancora rotte.”
Passarono quattro ore, e le contrazioni si fecero sempre più ravvicinate. Ora erano a dieci minuti di distanza e nel primo pomeriggio le si ruppero le acque, con quattro contrazioni ogni dieci minuti.
“Oh santo cielo, che disastro!” esclamò Lucia. “Il letto è fradicio, ora dove mi sdraio?”
“Faccio io, alzati.”
Hanon la fece sedere in una delle due poltroncine della stanza. Era quella di Kaito, pensò Lucia, ma non faceva niente. Hanon, intanto, tolse le coperte e andò a metterle a lavare.
“Hai un altro materasso matrimoniale?”
“In garage. È impolverato, ma per il resto è utilizzabile, basta pulirlo.”
Hanon e Rina lasciarono Emiko alla sua mamma, andarono a prendere il materasso, lo pulirono alla bell’e meglio e lo rimisero sul letto.
“Era meglio di quanto mi aspettassi” disse Hanon.
Lucia poté finalmente sdraiasrsi di nupovo e trovò il materasso estremamente comodo. Le coperte che Hanon e Rina le misero sopra erano bianche come quelle di prima, ma profumavano di fresco e pulito. La ragazza si coprì fino al mento e dormì qualche ora. Sentiva qualche piccola contrazione e si lamentava, ma non si svegliava mai.
“Chiamiamo l'ospedale” disse Hanon a Rina a un certo punto. “E Kaito. Ha contrazioni ogni cinque minuti.”
Infatti si era svegliata e si lamentava.
“D'accordo.”
Rina uscì per fare quelle telefonate.
Lucia si contorceva dal dolore e sudava.
“Kaito ha detto di stare tranquilla e che arriva subito. In ospedale sono già pronti per accoglierti.”
“Ma con tutta la neve che c'è…” mormorò Lucia.
“Speriamo che arriviate in tempo. Per Emiko non preoccuparti, ci pensiamo noi” disse Hanon.
“Grazie.”
Lucia si fece aiutare per alzarsi in piedi e andò nella camera del bambino. Si dondolò un po' sulla sedia perché l'ostetrica le aveva detto che questo aiutava a sentire meno dolore, e in effetti stette meglio. Squillò un cellulare.
“È il mio” disse Rina. “Non sto scherzando Kaito, è la verità.”
Era vicino a Lucia, che le strappò il telefono di mano e urlò, con tutto il fiato che aveva in corpo e mentre una nuova contrazione le faceva male:
“Kaito, porta il tuo culo qui immediatamente, il bambino sta per nascere! Sono stata abbastanza chiara?”
“Okay, pensavo mi stessero facendo uno scherzo, arrivo.”
Lucia sentì che spiegava a un altro professore cosa stava succedendo.
“Ma come cazzo puoi pensare di scherzare su una cosa del genere?” urlò Lucia.
“Hai ragione, ora calmati” le rispose lui con dolcezza.
In condizioni normali si sarebbe tranquillizzata subito, ma non in quel caso.
“Calmarmi? Come faccio a calmarmi se il nostro bambino sta per venire al mondo? E poi abbiamo sbagliato, saremmo dovuti andare in ospedale un po’ prima della rottura delle acque, come aveva detto l’ostetrica.”
“Non potevi sapere quando sarebbe successo, non fartene una colpa. Sto arrivando, sono salito in macchina. Ho le catene e le ruote da neve, ma ci vorrà un po'.”
I fiocchi erano diventati più fitti, spiegò Kaito a Lucia. Ora c'erano quindici centimetri di neve.
“Non faremo mai in tempo” mormorò la ragazza.
“Non è detto. L'ospedale più vicino è a mezz’ora di distanza, possiamo farcela.”
“Con tutta questa neve? Ci metteremo molto di più” disse Lucia.
“Questo bambino vuole nascere” disse Rina a Kaito nel momento in cui entrò.
Il ragazzo raggiunse Lucia e la aiutò ad alzarsi, poi con l'aiuto di Hanon le fecero scendere le scale e la portarono in macchina.
“Aspettate!”
Una voce conosciuta li bloccò tutti Era una donna di circa quarant'anni, con i capelli e gli occhi neri.
“Mi chiamo Aeri, sono un'infermiera. Se volete, posso salire in macchina con voi e aiutare Lucia a respirare.”
I due non la conoscevano molto, non parlavano un granché con i vicini, ma si fidarono e la fecero salire. Hanon li salutò e rientrò. Gli spazzaneve erano venuti a buttare sale sulle strade e la gente aveva spalato la neve dai vialetti e dai marciapiedi, ma nevicava così tanto che fare in quel modo non era servito a niente.
La prima cosa che Aeri fece fu far sdraiare Lucia sui sedili posteriori dell'auto, le tolse le scarpe. le calze, i pantaloni e le mutande e le alzò la canottiera e la maglia.
“Sei dilatata di cinque centimetri, tesoro. Ci vorrà ancora tempo.”
Ancora tempo? Ancora tempo? E come diavolo faceva ad aspettare? Le contrazioni erano forti. Arrivarono in ospedale dopo un'ora e mezza perché la macchina sprofondava nella neve e la dilatazione era di sette centimetri. Lucia aveva urlato parecchie volte durante quel tragitto. Le contrazioni erano come un'onda che cresceva e cresceva, e le bloccava il collo, la schiena, le gambe, le braccia, tutto. Si sentiva immobilizzata e non sapeva cosa fare.
“Respira” le disse l'infermiera. “Ricorda quello che ti hanno insegnato al corso preparto.”
Respirò di pancia, a lungo, con respiri profondi, per poi rilassarsi quando l'ennesima contrazione passò.
Arrivarono in ospedale dopo un’ora a causa della neve, ma Lucia non scese nemmeno dall'auto. Kaito andò dentro a dire che c'era la sua ragazza in travaglio e tornò indietro subito.
“Ho tanto freddo. Tanto, tanto freddo” disse.
Kaito accese il riscaldamento al massimo e l'infermiera infilò di nuovo le calze a Lucia.
“Cavolo, hai i piedi congelati. Non avrei dovuto togliertele.”
“Non ti preoccupare.”
“Ora arriveranno i medici, non preoccuparti” le sussurrò Kaito e le accarezzò una guancia rigata di lacrime. Un’infermiera arrivò con una sedia a rotelle e Aeri, che disse a Kaito che lavorava lì, e il ragazzo aiutarono Lucia a sedervisi sopra. Il freddo la colpì sferzandola con una folata di vento e di neve che le finì sui capelli. Nevicava meno di prima, ma non aveva ancora smesso.
“Quando… quando racconteremo al nostro bambino che è nato con la neve no ci crederà” disse la ragazza.
Kaito fece una foto con la neve al cellulare.
“Ecco, ora abbiamo una prova.”
L’infermiera, seguita da un dottore, portò Lucia in sala travaglio.
“Potrebbe volerci ancora un’ora e mezza, o di più, ma la terremo comunque qui” le disse l’infermiera. “Le contrazioni sono regolari.”
Aeri e gli altri uscirono per lasciare la coppia da sola per un po’.
“Vado a compilare i documenti, amore, faccio presto” le disse. “A che ora ti si sono rotte le acque?” “Alle quattro-”
“D’accordo, lo comunicherò al personale.”
Vennero a controllarla di frequente e la trovarono sempre più dilatata col passare delle ore. Ne erano trascorse cinque da quando era arrivata in ospedale ed era sempre a sette centimetri di dilatazione. Kaito aveva sentito così tante urla che non ne poteva più, ma era Lucia quella più stanca. Si rilassava quando una contrazione passava e si tendeva nel momento in cui una nuova iniziava. Il suo volto si deformava e aveva le lacrime agli occhi, che Kaito le asciugava. In tutto quel tempo urlava quando una nuova contrazione si presentava.
“Sei un bastardo!” esclamò a un certo punto a Kaito. “Sei tu che mi hai messa in questa situazione.”
“Hai ragione, Lucia, mi dispiace.”
Cercava di seguire i suoi ragionamenti contorti, sapendo che non pensava davvero quelle cose.
“Ti dispiace? Stiamo per avere il nostro bambino e ti dispiace?” gridò lei, mentre un’ennesima contrazione si faceva sentire.
“Non questo. Mi dispiace di non poterti aiutare di più.”
Le asciugò il sudore dalla fronte e dal collo.
“Vorrei camminare” disse e Kaito la aiutò ad alzarsi.
Fecero insieme il giro della stanza tre volte, poi lei tornò a letto.
“Ho fame” disse. “Portami qualcosa.”
Kaito tornò dopo poco con delle barrette di cioccolato, visto che al corso preparto l’ostetrica aveva detto che la donna poteva mangiarlo. Lucia mangiò tutte e tre le barrette e bevve un bicchiere di tè caldo che il marito le portò. Si sentì molto meglio, nonostante le contrazioni.

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Capitolo 20
*** Un dono dal cielo ***


CAPITOLO 20.
 
UN DONO DAL CIELO
 
Passarono altre tre, lunghissime, estenuanti ore, e a quel punto entrambi erano stanchissimi.
Un medico venne a controllare.
“Ci siamo” disse. “È a nove centimetri. Portiamola in sala parto.”
Dopo un’altra mezz’ora era arrivata a dieci centimetri.
“La assisto io” disse l’ostetrica. “La chiamerò se ci saranno problemi, dottore.”
“D’accordo.”
Lui uscì e rimasero loro tre. In una stanza vicina, una donna stava lanciando improperi contro il marito. Anche Lucia aveva sclerato, come le piaceva dire, e ora capiva cos’aveva voluto dire l’ostetrica del corso preparto quando aveva parlato del cambio di comportamento della donna.
Qualche mese prima lui e Lucia avevano avuto due discussioni.
2E se fosse una femmina e fosse una sirena?” aveva chiesto lei una sera, mentre erano seduti sul divano ed Emiko giocava ai loro piedi. “Quando la laverebbero capirebbero che è una sirena, le spunterebbe la coda.”
“Merda!” aveva esclamato Kaito. “Non possiamo impedire ai medici o agli infermieri di lavarla, dovranno tirarle via il sangue.”
“E se non fosse umana e avesse preso da me? Che faremmo?”
“Non lo so” aveva risposto lui e poi le aveva confessato di non averci mai pensato.
Lucia si era dimostrata molto angosciata per questa cosa nei mesi precedenti, fino alla fine della gravidanza, ma ne aveva parlato solo con lui.
La seconda discussione che avevano avuto era riguardo il nome.
“A me piace Hiro, per un maschio” aveva detto Kaito una sera, a letto, accarezzando i capelli di sua moglie.
“Ma ti prego!” aveva risposto lei.
“Toyo?”
“Sì, Toyo mi piace. Per una femmina pensato ad Aki, corto ma dolce. Oppure a Mi Sun, anche se non è un nome giapponese.”
“Teniamoli entrambi.”
Il giorno dopo avevano compilato una lista con tutti quei nomi e ne avevano aggiunti altri a mano a mano che venivano in mente a entrambi.
“Mi piace Hana per una femmina” aveva detto Lucia.
Le piaceva perché significava fiore.
“Anche a me.”
Ne avevano scelti altri di femminili.
“Fa… un male… cane” disse Lucia a fatica e quella frase riportò Kaito al presente.
“Lo so, cara, lo so” le rispose l'ostetrica. “Ma tu sei forte, okay? Puoi farcela. Il tuo bambino vuole nascere.”
“Non ce la faccio. Il travaglio mi ha stremata!” esclamò e scoppiò a piangere.
“Shhh, tranquilla.” L'ostetrica fece il giro del letto e le prese una mano. “So che sei stanca, dopo un travaglio di sette ore, ma per il bambino non fa bene che le contrazioni passino e basta, d'accordo?” le fece capire, con tutta la delicatezza possibile, mentre l'ennesima contrazione la faceva dolere e passava.
“Va bene” disse Lucia, la stanchezza si vedeva sul suo bel viso e sugli occhi infossati.
Kaito non poteva fare a meno di guardarla: i capelli legati in una crocchia disordinata, alcuni dei quali erano sfuggiti all'elastico ed ora le stavano appiccicati alla fronte, le guance rosse e gli occhi umidi mentre respirava rumorosamente. Gli occhi di Lucia che lo fissavano la riportarono al presente. Era terrorizzata per quello che stava per accadere.
“Kaito?” lo chiamò, con un filo di voce.
“Sono qui, amore” sussurrò lui al suo orecchio.
“Ho paura” gli confessò, mentre una lacrima partiva dal suo occhio destro per finirle sul collo.
La sua voce era roca.
“Andrà tutto bene” cercò di tranquillizzarla lui. “Sai che ti amo, vero?”
“Anche io ti amo” gli rispose con voce strozzata.
Poi affondò la testa nel cuscino e chiuse gli occhi e li strinse, segno che una nuova contrazione stava per arrivare.
Fuori, il vento soffiava forte e lo si sentiva ululare. Lucia si voltò verso la finestra. Nevicava ancora. Si umettò le labbra secche ed ebbe un'altra contrazione.
“Okay Lucia, ci siamo. Devi essere tu a decidere, collaborando con il bambino, come, quando e quanto spingere” le disse l'ostetrica. “Coraggio, cara!”
Lucia prese la mano di Kaito, che l'aveva allungata verso di lei, e gliela stritolò. Con quella libera strinse il bordo del letto mentre, con un grugnito grottesco che proveniva dal fondo della sua gola, cominciò a spingere. Aveva le guance bordeaux e le lacrime che le scendevano dagli occhi fino al collo.
Quando la prima spinta terminò, Lucia cercò di rilassarsi riaffondando la testa nel cuscino.
“Ancora, Lucia” disse l'ostetrica. “Respira.”
Lei lo fece, ma in quel momento l’ennesima contrazione arrivò e lei affondò talmente i denti nel labbro inferiore che Kaito temette che le uscisse sangue e che se lo spaccasse.
“Okay. Adesso.”
Le sue dita si strinsero ancora di più attorno alla mano del marito, fino a diventare bianche. La sua bocca si spalancò per far uscire un grido di puro dolore. Quando anche la seconda spinta passò, si risdraiò sul materasso, consapevole di avere pochi secondi per riprendersi.
Lanciò a Kaito un'occhiata truce che non prometteva niente di buono.
“Scordati altri figli!” lo ammonì. “Il tuo pene non entrerà ,mai più nella mia vagina senza un cazzo di preservativo, chiaro? Non sfornerò altri figli per te, d'accordo?”
“C-chiarissimo” balbettò Kaito.
Lui fece appena in tempo a dirglielo che gli occhi di Lucia si strinsero nuovamente. L'urlo agghiacciante che uscì dalla sua bocca fece accapponare la pelle a Kaito.
“Bravissima, Lucia. Stai andando alla grande. Sì, vedo la testina!” esclamò l'ostetrica.
La ragazza tornò a distendersi sul materasso e poi si rialzò per dare la terza spinta di quella contrazione.
Diede altre spinte, che i due non seppero quantificare. Uscirono le spalle, prima una e poi l’altra, e poi il corpo. Kaito non poteva fare niente per aiutare Lucia o alleviare il suo dolore, se non lasciare che Lucia gli stritolasse la mano. Si sentiva impotente e in ansia per lei, ma cercava di non darlo a vedere e, per fortuna, ci riusciva piuttosto bene. Lucia gli conficcò le unghie nella mano fino ad arrivare alla carne e a farlo sanguinare.
“Scusami” gli disse, respirando a fatica.
“Non ti preoccupare. Vado a lavarmi.”
“Si faccia disinfettare da un medico” gli consigliò l'ostetrica.
Dopo poco Kaito tornò e, con l'ultima spinta, Lucia fece uscire le gambine del bambino e regalò a Kaito uno dei pianti più dolci del mondo. Un pianto forte e chiaro si fece sentire nella stanza.
E se fosse una bambina? pensò Lucia.
Non le sarebbe dispiaciuto avere una femmina, ma aveva paura che fosse una sirena e che gli umani potessero scoprirlo. Si lasciò andare, ormai senza forze, sul materasso, chiuse gli occhi e lasciò gradualmente la presa della mano del marito. In quel momento smise di nevicare e il vento di soffiare. Tutto si calmò, tranne il pianto del bambino. Un rumore forte fece voltare tutti verso la finestra. Uno spazzaneve stava passando per liberare le strade.
“Speriamo siano sgombre per quando tornerò a casa” disse Kaito.
Ma la cosa più importante, adesso, era il suo bambino, o la sua bambina.
L’ostetrica tagliò il cordone ombelicale.
“Congratulazioni, è un maschietto!” esclamò.
E, per quanto a Lucia e Kaito non sarebbe affatto dispiaciuto avere una femmina, quella notizia li riempì di gioia. Almeno il bambino non si sarebbe trasformato in una sirena quando gli avessero fatto il bagno.
L'ostetrica si avvicinò ai neogenitori e posò il bambino fra le braccia di Lucia.
“Ehi, ciao! Sei bellissimo” gli disse, e la voce le si ruppe per l'emozione. Era incredibile: era diventata mamma. “E che bella voce forte che hai.”
“Eh sì, è proprio forte” disse Kaito, che accarezzò la testa bionda. “Ha i tuoi capelli.”
Lucia riempì il piccolo di baci e coccole.
“E sono sicura che avrà i tuoi bellissimi occhi.”
Il bambino li guardò entrambi. “Oh, grazie per il complimento!”
Aveva ancora gli occhi blu come tutti i neonati, ma presto si sarebbe visto il loro vero colore.
Il piccolino urlava ancora a squarciagola.
“Shhh, buono” gli sussurrò Lucia. “Buono.”
Quando gli disse così, il bambino diminuì il pianto fino a smettere di piangere.
“Il potere della mamma è insuperabile” disse l'ostetrica, mentre compilava alcune carte. “Che nome gli diamo?”
“Toshi?” domandò Kaito a sua moglie.
Era uno di quelli che avevano scritto nella lista.
“Va bene.”
“Toshi Domoto, allora?” chiese conferma l'ostetrica.
“Sì.”
Lo scrisse su un foglio:
Toshi Domoto, nato il 23 ottobre 2021.
“Per tutti i Kami, è così piccolo!” esclamò Lucia. “Vuoi prenderlo in braccio?”
“Ho paura di romperlo” disse Kaito.
“Oh, dai, non succederà niente.”
“Non preoccupatevi,” intervenne l’ostetrica, “i bambini sono molto più resistenti di quanto crediate.”
Lucia alzò il bambino e lo passò la marito, che se lo appoggiò sull'avambraccio.
“Hai ragione, è minuscolo” disse Kaito, stando attento a non farlo cadere. “Ehi, ma lo sai che sei dolcissimo?”
L'ostetrica li guardava sorridendo, mentre i cuori dei due battevano all'impazzata. Non avrebbero saputo descrivere l'emozione che provavano in quel momento, sapevano solo che era una delle più forti che avessero mai sentito in vita loro.
Kaito unì le sue labbra a quelle di Lucia per un dolce bacio, ma il pianto del bambino li divise.
“Ti vuole tutta per sé” disse il marito con un sorriso.
Anche Lucia sorrise.
“Come ti senti?”
“Fisicamente stanca ma felice.”
“Anch’io sono felice.”
“Non vorrei interrompere questo bel momento, ma Lucia ha bisogno di alcune flebo per reidratarsi e il bambino va visitato, quindi, signor Domoto, le chiedo di aspettare fuori.”
Lui diede il bambino all'ostetrica e uscì. Avvisò la sua famiglia della nascita del bimbo.
“A chi somiglia di più?” chiese sua zia.
“Credo che sia una perfetta combinazione tra me e Lucia. Ha i suoi capelli, il mio sorriso e il mio naso.”
“Non posso credere di essere diventata di nuovo nonn!” esclamò Hiroko quando rispose al telefono dell'hotel.
“Siete già arrivati?”
“Quando Hippo ci ha avvertiti abbiamo fatto più in fretta che abbiamo potuto. Di' a Lucia che domani veniamo a trovarla e che abbiamo dei regali per lei e la bambina.”
“Abbiamo già tutto quello che ci serve, Hiroko, davvero.”
“Li porterò lo stesso.”
Poi Kaito parlò con Takeo e gli altri.
Quando l'ostetrica lo fece rientrare, Lucia aveva il bambino sdraiato sopra di lei e il piccolo stringeva il seno della ragazza con le sue manine e succhiava.
“Il latte si formerà fra poche ore, ma è importante che si attacchi fin da subito” spiegò la donna ai neogenitori. “Poi si formerà il colostro, una sostanza che il bambino succhierà prima della montata lattea, che avverrà fra qualche giorno.”
Disse che bastavano poche gocce di colostro per riempirgli la pancia, perché il piccolo aveva lo stomaco grande quanto una nocciola. Kaito e Lucia risero a quell'affermazione.
“Vado a casa, ti lascio riposare” disse il ragazzo alla moglie quando l'ostetrica portò la bambina nella nursery. “È tardi e sarai stravolta.”
“In effetti lo sono, e molto.”
“Dormi tranquilla. Ci vediamo domani mattina.”
“Ce la fai con il lavoro?”
“Vengo almeno a farti un saluto.”
“La dottoressa mi ha detto che mi porterà Toshi alle sei per l'allattamento.”
“Sarò qui a quell'ora. Non voglio perdermi quel momento.”
I due si sorrisero.
“Ti amo, Lucia Nanami!” esclamò Kaito.
“Ti amo anch'io, tantissimo.”
“Io di più.”
Risero, poi lui le augurò la buonanotte e uscì. Lucia si girò su un fianco e, in meno di cinque minuti, era già addormentata. Il travaglio e il parto erano stati estenuanti e l'avevano sfinita. Doveva riposare un po' per essere in forze. Il suo bambino necessitava che lei lo fosse.
Il mattino dopo, come aveva detto, l'ostetrica portò Toshi a Lucia.
“Ha fatto il bravo?”
“Ha pianto solo un paio di volte perché doveva essere cambiato, per il resto ha dormito. Ma non illuderti: una volta a casa sarà diverso.”
“Sì, lo immagino” disse la sirena dalla perla rosa e sospirò. “Non so se ce la farò da sola. Ho anche un'altra bambina e lei è a casa con me perché non va ancora all'asilo. Come farò a gestire due bambini piccoli?” chiese, mentre si spogliava, si sdraiava e si apppoggiava il bambino con il naso davanti al seno.
Il piccolo si attaccò subito.
“Kaito non si prende qualche giorno di permesso?”
“Sì, ma dopo? Il problema della bambina resta.”
“Con chi è adesso?”
“Con le mie amiche che lavorano all'hotel Pearl Piari.”
“Allora chiedi a loro di tenertela mentre tu ti occupi di Toshi.”
Il bambino aveva già cominciato a succhiare quando Kaito arrivò. Il primo risucchio fece male a Lucia, tanto che si lamentò per il dolore, ma durò solo un istante.
“Non ci avevo pensato” mormorò Lucia mentre il suo compagno entrava.
“A cosa?” chiese.
“Mi stavo un po' organizzando per i prossimi giorni.”
“Sai che sarò a casa con te per due settimane, no? A partire da quando tornerai a casa dall'ospedale.”
“Sì, lo so, e ti ringrazio per questo. Ma io parlavo del dopo.”
“Chiederemo a Nikora e alle altre di prendersi cura di Emiko. A proposito, te la porto stasera, così conoscerà il fratellino.”
Lucia sorrise.
“Non vedo l'ora di vedere la sua faccia quando lo guarderà per la prima volta!”
“Già, anch'io. Stanotte l'ho tenuta con me, adesso è all'hotel.”
“È stata buona?”
“Sì, ha dormito tutta la notte senza mai svegliarsi.”
“Al contrario di questo piccolino, a quanto mi ha detto l'ostetrica.”
Lucia gli fece il solletico al pancino. Il bambino non rise - era troppo piccolo per riuscirci -, ma continuò a succhiare con avidità. Sentendo il contatto pelle a pelle Lucia rabbrividì. Era un momento importante, quello, per lei e il suo bambino, che creavano un legame indissolubile. Certo, Lucia sapeva, avendolo letto su un quotidiano, che alcuni dati scientifici dimostravano che il bonding madre-bambino non si forma durante l'allattamento, anche se questo è un momento importante, ma che al contrario è l'amore a creare questo legame. In effetti, con Emiko era stato così. Una volta che il bambino si staccò da un seno, andò sull'altro e succhiò, ma dopo un po' scoppiò a piangere.
“Credo sia arrivata l'ora di cambiare il pannolino” disse Lucia.
“Dammelo, lo porto alle infermiere.”
Loro glielo riportarono pulito e profumato.
“Da domani iniziamo a mostrarle come si fa a cambiarlo” disse una di loro sistemando una culla accanto al letto della mamma.
“Ho già esperienza con mia figlia adottiva.”
“Quanto aveva quando l'ha adottata?”
“Undici mesi.”
“Allora è meglio fare un ripasso. Ve lo lasciamo un po', prima di portarlo nella nursery.”
I due genitori si persero a guardare il loro bambino che ora sonnecchiava.
“È perfetto, Lucia. Un maschio perfetto. Ma sai che, se fosse stata una femmina, io l'avrei amata allo stesso modo, vero?”
“Certo che lo so, stai tranquillo.”
Il bambino si svegliò e si mise a piangere, così Kaito lo prese in braccio.
“Cosa c'è, ometto? Ti sei già svegliato?”
Il bambino si calmò subito e guardò il padre, mentre Lucia sorrideva.
Dopo poco, però, Kaito dovette lasciarla perché doveva tornare a casa e prepararsi per andare al lavoro.
“Ci vediamo stasera.”
“Sì, a stasera.”
Lucia ebbe il bambino in camera per la maggior parte della giornata. Le infermiere le insegnarono come cambiare il pannolino quel giorno, non quello dopo come avevano detto in precedenza. La ragazza si stupì di quanto fosse difficile. Nemmeno Emiko era stata ferma durante i primi cambi, ma Toshi si muoveva in continuazione.
Si svegliava spesso per le poppate frequenti o perché voleva essere cullato, e Lucia seguì il consiglio delle infermiere: dormire quando lui dormiva.
Quella sera, i primi ad arrivare furono Kaito ed Emiko.
“Ecco il tuo fratellino” disse Kaito alla bambina.
Era nella nursery, quindi potevano vederlo solo tramite il vetro. Lucia li raggiunse.
“Mamma!” esclamò la bambina.
“Amore! Ti sono mancata?”
“Tanto. Posso toccare fratellino?”
“Si chiama Toshi, sai?” le disse Lucia. “E sì, credo che tu possa, chiediamo alle infermiere.”
Loro li fecero entrare in una stanza dove alcune donne stavano allattando i figli. Si chiamava stanza dell’allattamento.
“Accomodatevi” disse loro un'infermiera, indicando loro un divano.
I tre lo trovarono estremamente comodo e confortevole. Quando un'altra infermiera portò Toshi ai genitori e lo diede a Lucia, Emiko esclamò:
“Faccino piccolo!”
Tutti risero.
“Sì, è piccolo” disse Kaito.
Lucia lo mise sule gambe di Emiko.
“Devi tenergli una mano sotto la collo, così, e l'altra fra le gambe, in questo modo.”
“Hai visto quanto è piccolo?” chiese Lucia a sua figlia.
“Tanto” disse la bambina. “Posso giocae con lui?”
“Per il momento no, perchè è troppo piccolo, ma dopo sì!” esclamò la sirena, facendo sorridere la piccola.
Emiko si stancò presto di tenere il bambino in braccio, così la mamma lo prese in braccio.
“Lu, ci sono i nostri parenti nella tua stanza, vogliamo andare?”
“Sì.”
Rimisero il bambino nella culla a rotelle che l'infermiera aveva dato loro e tornarono in stanza.
“Ciao, mamma!” esclamò Lucia.
“Ciao. Ti trovo bene. Come ti senti?”
“Un po' stanca, ma sto bene, grazie.”
“E questo è il mio nipotino! Ma è bellissimo, tesoro.”
“Sì, è meraviglioso” disse Takeo. “Posso prenderlo in braccio?”
“Sei suo nonno, non devi nemmeno chiederlo!”
L'uomo lo prese fra le braccia e se lo appoggiò sull'avambraccio.
“Toshi è un bel nome, avete scelto bene.”
“Grazie, papà” disse Lucia.
Poi la ragazza andò a salutare gli zii e il cuginetto di Kaito. Makoto volle prendere in braccio Toshi.
“Non ho mai tenuto in braccio un bambino così piccolo!” esclamò il bambin, emozionato.
“E come ti fa sentire?” gli chiese Kaito.
“Come se dovessi proteggerlo.”
I due genitori sorrisero.
“Anche noi ci sentiamo così.”
Tutti avevano portato un regalo: vestitini per il bambino, copertine di lana fatte a mano dalla mamma di Lucia e dalla zia di Kaito, shampoo e bagnoschiuma.
“Grazie a tutti!” dissero Kaito e Lucia.
Avevano già molte cose di quelle che avevano ricevuto in dono, ma non importava. Un regalo era sempre tale ed era importante. I parenti, dopo aver preso in braccio uno a uno Toshi, se ne andarono per lasciare la famiglia da sola.
Quando uscirono, il piccolo si mise a piangere.
“Forse avrà fame” suggerì Kaito.
Lucia lo allattò e il piccolo succhiò con avidità.
“Guarda come divora! È proprio goloso!” esclamò la ragazza.
Emiko guardava la mamma.
“Coca fa?” chiese, rivolta al padre.
“Dà da mangiare al tuo fratellino, Quando sono molto piccoli i bambini non mangiano come te, me o la mamma, ma bevono latte dal suo seno, questa parte qui” le disse e le mise le mani sul petto.
“Oh” rispose solo la bambina.
Kaito si domandò se avesse capito il discorso e si rimproverò di non aver utilizzato parole più semplici per spiegarle ogni cosa.
Dopo poco il ragazzo, stanco per la giornata di lavoro, portò a casa Emiko. La bambina piangeva. Era stanca e aveva fame e sonno.
“Scusami se vado via così presto, tesoro, ma domani mattina devo portare questo mostriciattolo dalle tue amiche.” Fece il solletico al pancino della bambina, che rise. “E poi devo andare al lavoro.”
“Non ti preoccupare, sei rimasto qui parecchio tempo. Ci vediamo domani sera, all'orario di visita.”
“Certo. Porterò anche Emiko.!
E fu così che Lucia rimase sola con il bambino, che dormiva fra le sue braccia. Non osò muoversi per paura di svegliarlo e, al solo guardarlo, una singola lacrima le rotolò giù per la guancia. Era già diventata mamma quando aveva avuto Emiko in affidamento e poi l'aveva adottata, ma adesso che aveva avuto un figlio che era cresciuto nel suo ventre si sentiva ancora più donna. Non si era quasi resa conto di quella trasformazione fino a quel momento.
“Ti amo!” esclamò e poi gli diede un bacio in testa.
I suoi capelli morbidi le solleticarono le labbra.
Lo mise nella culla e poco dopo un'infermiera venne a portarlo nella nursery. Poi per Lucia arrivò il momento di cenare e dopo andò a letto. Avere lì i parenti era stato bello, soprattutto perché aveva visto i suoi genitori. Tutti erano statti molto educati e avevano parlato piano per non spaventare o far piangere Toshi, ma il parto l'aveva sfinita e si diceva che la stanchezza che ora provava era sempre frutto di quanto accaduto il giorno prima. Si addormentò quasi subito, anche se dopo due ore dovette svegliarsi per allattare, e dopo altre due ore un'altra volta, così per tutta la notte.
Rimase in ospedale per altri due giorni, e uno di questi Kaito, che venne senza Emiko, le regalò un mazzo di ventitré rose rosse.
“Perché ventitré?” gli chiese Lucia.
“Perché è il giorno in cui è nato nostro figlio.”
Lei sorrise.
“Grazie.”
La mattina in cui la dimisero, Kaito le disse che la macchina era nel parcheggio dell'ospedale. C0era anche Emiko con loro. Lucia stava infilando a Toshi una tutina a righe che le aveva regalato sua madre. Uscirono dall'ospedale salutati dalle infermiere che augurarono loro buona fortuna.
Una volta arrivatial parcheggio, Lucia mise Toshi nel seggiolino che avevano comprato, che aveva anche una protezione per il corpo in modo che, se ci fosse stato un incidente, il bimbo non si sarebbe fatto male. Il viaggio fino a casa fu tranquillo, ma quando arrivarono il bambino richiese altro latte. Non mangiava da tre ore. Lucia si ritirò in camera sua e lo allattò,, poi lo fece addormentare e lo mise nella culla accanto al letto che condivideva con Kaito. Scese e accese lo stesso orsetto che aveva utilizzato per Emiko, così che, se il bambino si fosse svegliato, l'avrebbe sentito.
Quel giorno, nessuno venne a trovarli, nemmeno Hanon, Rina e Nikora. Probabilmente volevano lasciare loro un po' di privacy e Kaito e Lucia furono loro grati per questo. Coccolarono i loro bambini, giocarono con Emiko e si occuparono di Toshi, che doveva mangiare ed essere cambiato spesso.
La prima notte fu difficile. Il bambino si svegliò dieci volte, alcune per mangiare, altre per essere cambiato, altre ancora solo per le coccole.
“È il tuo turno” disse Lucia a Kaito.
“No, il tuo.”
“No, il tuo.”
Il bambino smise di piangere e i due ricaddero sui cuscini.
Le notti successive non furono da meno, ma dato che Kaito si era preso due settimane di ferie per stare con lei, Emiko e il piccolo anche lui si alzava per controllarlo.
Lucia aveva l’impressione di conoscere il suo bambino ora per ora, e tutta se stessa era dedicata alle sue cure e a quelle di Emiko. Li prendeva in braccio entrambi, ognuno su una gamba, e faceva il cavalluccio. Toshi era tranquillo, Emiko ridacchiava.
Una mattina di metà novembre, a colazione, mentre Toshi era nella carrozzina vicino a loro, Emiko disse:
“Famiglia.”
“Cosa, tesoro?” le domandò Kaito, che crecdeva di aver sentito male.
“Famiglia. Noi famiglia” disse, e mostrò un disegno che aveva fatto.
Erano schizzi infantili di quattro persone, due grandi, una piccola e una ancora più minuscola.
“Noi” chiarì, facendo commuovere i genitori.
“È un disegno bellissimo, tesoro!” esclamò Lucia.
Lo attaccarono con lo scotch a una delle pareti del salotto.
Sì, loro erano una famiglia, una famiglia unita. E non c'era cosa più bella di questa.

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