Storia di un Cacciatore

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13-Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
Prologo
 
 
Maggio 2010 – Bradford
 
Aveva fatto bene, a scegliere di cambiare? La sua routine settimanale si sarebbe drammaticamente ribaltata, così facendo? E i suoi bambini, ne avrebbero sofferto?

Con questi pensieri errabondi, Lorainne Simmons raggiunse il Centro Diurno Rainbow, sorto nei pressi della St. Patrick Church e l’Infirmary Park grazie alle sovvenzioni dei parrocchiani.

L’idea di un Centro Diurno accessibile ai bambini, soprattutto a coloro che erano affetti da disabilità, era nata più di quindici anni addietro. Grazie a Padre Christopher Hansen che, all’epoca, aveva avuto sulle spalle la gestione di quella parrocchia nella periferia di Bradford, era nato quell’utopistico progetto al solo scopo di aiutare i bambini meno fortunati.

Di fronte agli evidenti problemi di non poche famiglie della zona, soprattutto mono genitoriali o con gravi disagi economici o sociali, il parroco aveva lanciato l’idea di costruire una sorta di rifugio per tutti i minori più bisognosi.

La collettività si era resa più che disponibile a dare una mano e, nel giro di poco più di un anno, il Centro Diurno Rainbow aveva visto la luce.

Nel corso degli anni, e con il succedersi dei parroci – Padre Christopher era deceduto alcuni anni dopo l’apertura del Centro – il progetto si era via via allargato, fino ad annoverare una decina di dipendenti e numerosi volontari.

Avendo a sua volta vissuto per anni in condizioni disagiate, sballottata di casa in casa dopo essere stata abbandonata dalla madre senza uno straccio di spiegazione, Lorainne aveva accolto con favore l’invito di un’amica a partecipare al progetto.

Di buona lena, aveva quindi riprogrammato i suoi impegni quotidiani e, una domenica mattina di due anni addietro, si era presentata assieme a Kathleen – l’amica che l’aveva invitata a diventare una volontaria – per parlare col direttore del Centro.

Due settimane dopo, aveva iniziato a partecipare agli eventi organizzati in loco e, di buona lena, aveva svolto un corso di preparazione per il suo nuovo compito, oltre a uno di primo soccorso.

A quel punto, si era resa disponibile ogni lunedì mattina e questo era continuato fino a poche settimane prima, quando una nuova incombenza, all’interno del branco, le aveva reso impossibile proseguire.

Uno dei lupi più anziani di Alec Dawson, Fenrir di Bradford e suo capoclan, si era dato alla macchia, morendo per il mondo degli umani e allontanandosi da quello dei licantropi, pronto a non farvi più ritorno.

Non che fosse una stranezza. Capitava spesso che i licantropi, specie in tarda età, decidessero di tornare alla Natura, lasciando che il mondo umano si dimenticasse di loro. Veniva perciò approntata una fine dignitosa per ognuno di loro e, grazie a medici compiacenti, ne veniva dichiarata la morte per il mondo civilizzato.

A questi lupi veniva quindi data libertà di allontanarsi dal branco e di non rispettare più l’autorità del proprio Fenrir e, di loro, non si sapeva più nulla. Justin Crawford era stato l’ultimo, in ordine di tempo, a prendere questa decisione, e Lorainne era stata deputata a prendere il suo posto come Sentinella.

Quel ruolo, per quanto guadagnato con lotte al primo sangue sempre andate a suo favore, l’aveva però costretta a rivedere i suoi piani, onde per cui si era vista costretta a cambiare il suo turno al Centro Diurno.

Turno che ora la vedeva, la domenica mattina, dinanzi alla porta secondaria del Centro, con le braccia ricolme di scatoloni e l’indecisione dipinta in volto.

Non che avesse difficoltà a fare amicizia con le persone, ma aveva dovuto ripartire così tante volte, nella sua vita, che simili stravolgimenti la mettevano sempre un tantino in ansia.

“Ho idea che tu abbia bisogno di una mano” esordì una voce alle sue spalle, strappandola alle sue giravolte mentali.

Volgendosi a mezzo, Lorainne intercettò lo sguardo caldo e color nocciola di un uomo piacente, sui trenta - trentacinque anni, abbigliato con jeans e maglioncino di cotone e che, come lei, stava entrando al Centro.

Un volontario?, si chiese Lorainne prima di sorridere e ammettere: “In effetti, stavo decidendo se lasciare qui uno scatolone oppure tentare di aprire a suon di gomitate.”

L’uomo sorrise divertito e, ammiccando all’indirizzo della porta, dichiarò: “Credimi, posso agevolmente semplificarti la scelta.”

Ciò detto, la oltrepassò e aprì per lei il battente in vetro satinato, dopodiché si esibì in un frivolo inchino, cui fece seguire un mormorio roco che la sorprese e sì, la stuzzicò.

“Prego, entri pure, miss…”

“Lorainne Simmons, molto piacere” replicò lei, entrando e attendendolo nel corridoio perché la seguisse.

Lui non si fece pregare e, nel liberarla di uno dei due scatoloni, disse per contro: “Kennard Palmer, piacere mio. Sei nuova, per caso?”

“Sono volontaria qui da almeno due anni ma, per esigenze personali, ho cambiato turno dal lunedì mattina alla domenica. E tu?” gli spiegò lei, camminando tranquilla lungo il corridoio fino a raggiungere la stanza dei giochi.

Lì, entrò assieme a Kennard mentre l’uomo, ammiccando leggermente, asseriva: “Oh, quindi sei qui da molto anche tu. Io ho sempre avuto il turno domenicale, invece. Da oggi, quindi, lavoreremo assieme.”

“Già” annuì lei, sistemando su un tavolo i propri lavori di cartapesta.

“Cos’hai portato, per curiosità?” domandò a quel punto lui, indirizzando un’occhiata interessata al contenuto delle scatole.

“Alcuni lavori in cartapesta che i bambini possono usare per giocare. Non costano nulla, visto che li preparo io e, con questi, ben difficilmente potrebbero farsi male” sorrise Lorainne, estraendone uno per mostrarglielo.

Kennard lo prese in mano con espressione ammirata e, rigirandolo dinanzi agli occhi, esalò: “Beh, Lorainne, hai una manualità spettacolare. Io riuscirei sì e no a fare una palla.”

Esibendosi in un sorrisino divertito, la donna replicò: “Non credere che sia facile fare una sfera. Il più delle volte, ne esce un fagiolo.”

Risistemando l’oggetto – una casetta dal tetto rosso – Ken assentì con un risolino, asserendo: “Io, allora, sarei bravissimo nel fare fagioli.”

“Di solito, chi si denigra tanto, è anche molto umile. Dubito tu sia così terribile” replicò lei.

Lui allora rise, una bella risata calda e corposa, una risata che portò Lorainne ad accentuare il proprio sorriso e a godere delle reazioni della propria lupa al suono così morbido di quella voce.

Per quanto Kennard fosse solo un semplice umano, la sua voce vibrante e roca pareva solleticare gli istinti della sua lupa, portandola a gongolare a ogni sua nuova parola.

Non le accadeva spesso ma, quando succedeva, Lorainne ne godeva a piene mani poiché, quando la sua lupa era contenta e appagata, l’istinto predatorio scemava di colpo, lasciandole campo libero per poter vivere come un’umana.

Erano ormai cinque anni che conviveva con questa sua doppia natura e, per quanto il suo battesimo del fuoco fosse stato traumatico, ora le piaceva essere una mannara. Quando, però, doveva aver a che fare con i periodi di fertilità, le riusciva ancora difficile trattenere la lupa e la sua sete di accoppiamento.

Stare con i bambini, oltre a piacerle da sempre, l’aveva aiutata a contenere la sua parte ferina perché, a quanto pareva, anche alla lupa piaceva prendersi cura dei cuccioli. Umani o mannari che fossero.
 
Scoprire che, da quel giorno in poi, avrebbe avuto un’altra distrazione dai suoi istinti lupeschi più marcati, fu una gradevole sorpresa.

Quando poi, questa distrazione, aveva il viso piacente di un uomo all’apparenza intelligente e dai tempi comici perfetti, non poteva che essere un vantaggio.
 
***

Kennard aveva sempre dato per scontato che una chioma fluente, in una donna, fosse una caratteristica quasi imprescindibile. Lui, per lo meno, aveva sempre apprezzato i capelli lunghi, nel genere femminile.

Per quanto non potesse definirsi un latin lover, aveva avuto diverse ragazze, in passato, e tutte avevano potuto vantare una chioma stupenda e lunghissima.

Quando, però, quella mattina vide per la prima volta il viso di Lorainne Simmons, incorniciato unicamente da una corta capigliatura di biondissimi capelli, si ricredette all’istante.

Quando un volto era speciale, cesellato in maniera sopraffina e corredato di splendidi occhi di un grigio scuro e fumoso, i capelli passavano in secondo piano.

Per quanto, i suoi, fossero comunque belli, di un bel color paglierino, tagliati in modo da far risaltare gli zigomi alti e l’ovale del volto.

Saperla a sua volta volontaria lo sorprese e quando scoprì che, da quel giorno in poi, si sarebbero visti al Centro Diurno, Ken non poté che esserne lieto.

Non aveva molto tempo per fare amicizia, il lavoro e gli impegni di famiglia lo tenevano più impegnato di quanto non volesse, ma non poteva farci nulla, perciò il Centro Diurno era divenuto in fretta la sua valvola di sfogo.

In primis, perché poteva darsi da fare davvero per rendere felici i bambini, bambini che non sempre, sul lavoro, era in grado di proteggere, come addetto ai servizi sociali per il comune di Bradford. In seconda istanza, perché quel genere di attività riusciva a rasserenarlo, a rendergli meno difficile affrontare la vita di ogni giorno che, di carino e coccoloso, aveva ben poco.

Stare in compagnia con i bambini, cercare di renderli felici e sereni e ricevere in cambio i loro sorrisi e il loro affetto, era per lui il balsamo migliore del mondo.

E, a giudicare da come Lorainne si prendeva cura dei bambini del Centro, non doveva essere molto diverso neppure per lei.

La mattina era volata via leggera, tra l’arrivo dei ‘clienti fissi’ del Centro e i giochi che Lorainne aveva messo in atto per distrarli, coadiuvata sia da lui che da un altro paio di volontari.

Verso mezzogiorno, avevano quindi dato il pranzo ai presenti dopodiché, uno per uno, i bambini erano stati fatti sdraiare sui materassini per un riposino pomeridiano.

Fu in quel momento di relativa tranquillità, con il silenzio a farla da padrone e la calma ad avvolgere ogni cosa, che Kennard si sistemò accanto a Lorainne e mormorò: “Non sembrano neanche lontanamente le pesti di un’ora fa.”

Lorainne sorrise dolcemente nell’osservare la distesa di bambini a poca distanza da loro e, nello scuotere il capo, ammise: “Possono essere delle autentiche tempeste un attimo prima e, l’istante successivo, dei teneri agnellini. Sanno trasformarsi dinanzi a noi con sorprendente facilità.”
“Eppure, tu non mi sembri particolarmente stanca” le fece notare lui.

Ammiccando al suo indirizzo, Lorainne replicò: “Oh, ma lo sarò stasera! Quando metterò piede a casa, mi lascerò cadere sul divano e dormirò fino a domattina, quando andrò a farmi una bella passeggiata per i boschi.”

“Niente lavoro, il lunedì?” domandò lui, curioso.

“Il lunedì, apro il mio negozio di articoli musicali solo al pomeriggio” gli spiegò lei, lanciando un’occhiata distratta alla pianola che si trovava sul fondo della stanza. “Quella, l’ho portata io.”

Sorpreso, Kennard esalò: “Hai portato una … Yamaha PSR-RX600 a titolo gratuito?”

Sbattendo le palpebre per la sorpresa, Lorainne mormorò: “Oh… abbiamo un conoscitore di strumenti, qui?”

Lasciandosi andare a un risolino sommesso, lui ammise: “Non posso negare di averla suonata più di una volta, in questi due anni, ma colpevolmente non mi sono mai chiesto da dove fosse saltata fuori.”

“E posso sapere se la pianola è stata felice di essere suonata da te?” gli domandò a sorpresa lei, spiazzandolo.

Kennard la fissò basito per alcuni istanti, prima di vederla ridere silenziosamente e accendere il volto di ilarità.

Sì, Lorainne non aveva affatto bisogno di una chioma fluente, per apparire affascinante. La pelle di pesca del suo viso riluceva candida, alla luce diafana del pomeriggio – oscurata dai tendaggi tirati dinanzi alle porte-finestre – e le sue labbra morbide, a forma di cuore e ora piegate in un sorriso, catturavano l’attenzione anche del più distratto tra gli uomini.

E lui, volente o nolente, non era mai distratto.

“Scusa, la domanda deve esserti sembrata davvero assurda” riprese a dire Lorainne, tergendosi una lacrima di ilarità. “Nel mio negozio ho un pianoforte che non suona quasi nessuno, a parte me e pochissimi eletti, e mi chiedevo se tu potessi diventare un suo nuovo fruitore.”

“E come mai questo pianoforte è così schizzinoso?” le domandò a quel punto Kennard, incuriosito da quella storia davvero stramba.

“Clarisse, il nome del pianoforte, tende a emettere note stonate, se chi lo usa non è di suo gradimento” ammiccò lei con fare da cospiratore. “Non so dirti se sia posseduto o meno dallo spirito di mia nonna, a cui è intitolato lo strumento, ma tant’è. Infatti, al momento siamo solo in tre a poterlo toccare.”

Sinceramente sorpreso da quella storia, Kennard si esibì in un sorrisetto furbo e, nel massaggiarsi il mento, domandò: “Lunedì pomeriggio sei aperta, eh?”

“Uhm… vuoi tentare la sorte?” domandò allora lei, sollevando le sopracciglia con espressione divertita.

“Mi tenti, Lorainne, davvero” ammise lui prima di notare un movimento tra i bambini.

Subito, Lorainne si volse a propria volta e, nel vedere la piccola Ana agitarsi nel sonno, si affrettò a raggiungerla per inginocchiarsi al suo fianco. Dolcemente, e con movimenti così sinuosi e morbidi da far pensare alla fluidità dell’acqua, Lory la raccolse tra le braccia e la cullò contro il seno, sussurrando una nenia a bassa voce.

Rapito da quel suono, delicato come il frusciare del vento tra le fronde di un bosco, Kennard rimase in religioso silenzio, cullato a sua volta da quella voce di contralto che, lentamente, trasportò Ana nuovamente tra le braccia di Morfeo.

Quando fu certa che la bimba si fosse chetata, Lorainne le baciò la fronte con un sorriso dopodiché, sistematala sul materassino, la coprì con una coperta color cielo e tornò accanto a Kennard, su una comoda panca imbottita.

Kennard, allora, lasciandosi andare contro il muro, mormorò: “Stavo per addormentarmi anch’io. Canti davvero bene.”

Lei sorrise grata, replicando: “Non è nulla di che. Non ho una voce abbastanza potente per poter cantare certi brani, ma le nenie non hanno bisogno della potenza vocale di Whitney Houston, per cui…”

“Se avessi cantato questa nenia a mia sorella quando era piccola, probabilmente non sarebbe cresciuta come l’Anticristo personificato” chiosò a quel punto Kennard, portandola a coprirsi la bocca per non esplodere in una corposa risata.

I suoi occhi, però, gli dissero quanto quell’accenno l’avesse fatta divertire e, nello scorgere lacrime d’ilarità illuminare il suo sguardo fumoso, si sentì innaturalmente felice al pensiero di averla resa felice.

L’istante seguente se ne chiese il perché ma, quando la sua mente gli presentò il conto, mostrandogli immagini fuggevoli di Lorainne e delle sue forme squisite, preferì cancellare alla svelta quei pensieri.

D’accordo, era da un bel po’ che non stava con una donna e che non aveva una relazione stabile, ma da lì a sbavare di fronte a una sua collega volontaria, ce ne correva.

Eppure, altre immagini cospirarono contro di lui, costringendolo a distogliere lo sguardo per puntarlo sui bambini che, saporitamente, stavano ancora riposando.

Magari si fosse trovato al loro posto! Forse, avrebbe evitato di fare la figura dello scemo.

Lorainne, però, mise in serio pericolo il suo autocontrollo, poggiando una mano sulla sua spalla come a voler darsi una spinta per alzarsi in piedi dopodiché, ammiccando al suo indirizzo, gli domandò: “Vado a prendere una bibita al distributore. Posso portarti qualcosa?”

“Ah… no, grazie. Sto bene così” riuscì a dire lui, raggranellando un minimo di cervello per poter rispondere con proprietà.

Lei allora ammiccò, se ne andò con passo elegante e maledettamente sensuale, pur se non sembrava farlo di proposito e Kennard, finalmente – finalmente? – solo, riuscì a riprendere a respirare normalmente.

Che dipendesse dall’astinenza, dal suo naturale fascino, dal profumo di rose o da qualcosa che ancora non era riuscito a inquadrare, ma Lorainne riusciva a destabilizzarlo in un modo del tutto nuovo.

Quando, però, vide Bob Withacker entrare nella saletta per scambiare due chiacchiere, notò anche sul suo volto la stessa espressione stordita che, quasi sicuramente, doveva avere anche lui e, in parte, si tranquillizzò.

Non era lui nello specifico a essere impazzito, era Lorainne a instupidire gli uomini. Che fosse meglio o peggio, non era in grado di dirlo, ma almeno non si sentiva più un idiota totale.

“Perché ho l’impressione che tu abbia incrociato Lorainne lungo il corridoio?” chiosò Kennard, indicandogli poi un’immaginaria gocciolina di bava su un lato della bocca.

Bob ridacchiò nel mandarlo beatamente al diavolo e, accomodatosi sulla panca accanto alle finestre, mormorò roco: “Dovrei essere diventato cieco, per non vederla.”

“Mi consolo, perché pensavo di essere rincitrullito di colpo” sospirò allora Ken, sistemandosi al suo fianco.

“No, tranquillo. Ci sono parecchi cuori infranti, qui al Centro” ammise a quel punto Bob, allungando gli avambracci sulle cosce, lo sguardo perso in direzione dei bambini addormentati. Alcuni di loro si mossero nel sonno ma, ancora, nessuno diede segno di volersi svegliare.

“Nessuna conquista, però?” si informò Kennard.

“Non che io sappia e comunque, se fosse successo, il fortunato si sarebbe vantato” ammiccò Bob. “Lo-Lo è dolce e gentile con tutti perché, immancabilmente, ci tratta tutti come se fossimo bambini.”

“Lo-Lo?” ripeté incuriosito Kennard, facendo tanto d’occhi.

“E’ il nomignolo che le hanno affibbiato i bambini e, in tutta onestà, le sta bene. Esprime tutta la sua dolcezza, se ci pensi” asserì Bob, ammiccando al suo indirizzo.

Kennard assentì pensieroso e, tra sé, si immaginò coccolato come la bambina che, in precedenza, Lorainne aveva preso tra le braccia perché si riaddormentasse. Sarebbe stato un bel modo, per essere trattato come un bambino.

Al solo pensarlo, un sorriso divertito gli sorse spontaneo sul volto ma, quando avvertì dei passi lungo il corridoio, se lo tolse immediatamente dalla faccia, temendo assurdamente che lei potesse comprenderne i motivi.

Non era davvero il caso di apparire un tale assatanato, anche se lei avrebbe dovuto essere una veggente per capire quali fossero i suoi pensieri.

Nel vederla rientrare, tra le mani tre lattine di tè freddo, Lorainne sorrise nel vedere Bob e, dopo avergli passato una lattina, si andò a sistemare sul lato libero di Kennard – facendo segretamente la sua felicità – e passò la seconda lattina a lui.

“Grazie, ma non dovevi” mormorò Ken, facendo tintinnare la sua lattina contro quella di Lorainne e poi quella di Bob, giusto per non fare differenze.

“Mi andava” scrollò le spalle lei, sorseggiando il suo tè alla pesca prima di irrigidirsi leggermente, passargli la lattina e alzarsi in piedi proprio nel momento in cui un bambino si risvegliava di soprassalto, forse scosso da un incubo.

Prima ancora che Kennard e Bob potessero comprendere la situazione, lei si accucciò accanto al bambino gorgogliante, lo prese in braccio perché non svegliasse anche gli altri e, nel tenerselo stretto, uscì dalla stanza per coccolarlo in privato.

Bob, a quel punto, ammiccò all’indirizzo di Kennard e mormorò: “Hai capito cosa intendevo? Dolce e gentile.”

“E percettiva. Ha capito subito che qualcosa non andava” sussurrò ammirato Kennard, colpito dalla rapidità con cui si era accorta del risveglio nervoso del bambino.

“C’è un motivo se i bambini la adorano” motteggiò Bob mentre, dal corridoio, le parole tenere e rassicuranti di Lorainne accompagnavano il bambino a un risveglio più sereno e tranquillo.

Inspiegabilmente, anche Kennard si sentì rasserenato da quel tono tenero e materno, quasi stesse parlando a lui e non tanto al bambino tra le sue braccia.

Lorainne sapeva intessere davvero magie, con la sua voce.
 
***

D’accordo, aveva accettato la sfida del pianoforte più per curiosità, che per reale interesse nei confronti di quello strumento – all’apparenza – stregato ma, quando si trovò dinanzi allo Stereophonics, Kennard indugiò dubbioso dinanzi alla porta.

Le persone presenti nell’ampio negozio erano diverse e, in tutta onestà, lui non aveva molta voglia di fare la figura dell’idiota, piazzandosi sulla panchetta dinanzi al piano per poi scoprire di non saper strimpellare una sola nota decente.

Quando, però, Lorainne lo inquadrò oltre lo specchio della porta e gli sorrise, invitandolo poi a entrare, non poté più defilarsi. Ormai, doveva farsi coraggio e sperare che il pianoforte di Lorainne non gli giocasse un brutto tiro.

“Ciao! Come promesso, eccomi qui” esordì lui, salutandola con un cenno della mano.

Lorainne gli sorrise ampiamente, consegnò lo scontrino e la scatola contenente un flauto a una eccitata ragazzina undicenne e alla madre dopodiché, nell’uscire da dietro il bancone, disse: “Sono lieta tu abbia accettato di venire. Clarisse sembra irrequieta, oggi. Neppure io riesco a suonarla bene.”

Oh, ottimo, un pianoforte con le paturnie, pensò tra sé Kennard, cominciando davvero a preoccuparsi.

Mostrandoglielo con un certo orgoglio, Lorainne poggiò una mano con naturalezza sulla schiena di Kennard per sospingerlo dolcemente verso lo strumento e l’uomo, nonostante tutto, provò un brivido improvviso. Ma non certo di freddo.

Quel tocco casuale, leggero e amichevole, ebbe su di lui l’effetto di un’autentica scossa a basso voltaggio e, in cuor suo, sperò che la donna al suo fianco non si fosse resa contro della sua reazione incontrollata.

Sarebbe stato imbarazzante spiegarle quanto sembrava essere preso, quando stava vicino a lei. Gli dava quasi l’impressione che Lorainne potesse piegarlo alle sue volontà con il semplice suono della sua voce, quasi sapesse quali corde suonare all’interno del suo animo.

Il che, di per sé, era un’autentica follia.

Quando, però, raggiunsero il piano e la sua mano sfiorò i legno lucido e nero della cassa armonica, anche la presenza di Lorainne andò a sparire, almeno per un attimo, sostituita dall’ammirazione per quel magnifico pianoforte a coda.

Accarezzandolo con reverenziale timore, si accomodò sul panchetto sotto gli occhi di alcuni clienti dall’aria sorpresa ma, disinteressandosi completamente del loro eventuale giudizio, poggiò le dita sui tasti in avorio e pigiò il tasto del la.

Il suono che ne scaturì vibrò elegante all’interno del locale, attirando altri sguardi curiosi e l’interesse della padrona del negozio che, sorridendo incoraggiante a Kennard, mormorò: “Suona.”

Fu un sussurro, niente più che una richiesta, eppure Kennard si sentì spinto a obbedirle, preda di un calore che si sviluppò dall’interno del suo corpo fino a raggiungere la sua mente, ora iperattiva.

Come guidato da fili invisibili, le mani si mossero agili sulla tastiera, intonando le prime note di Per Elisa. Subito, il suono si trasmise in ogni angolo del negozio che, come una cassa di risonanza, amplificò la melodia fino a renderla l’unico rumore udibile.

Nessuno fiatò, rapito da quei suoni armonici e strutturati e Lorainne, quasi inconsapevolmente, si avvicinò a Kennard per poggiare una mano sulla sua spalla, mentre l’uomo continuava a suonare come preda di una magia.

Soltanto a brano ultimato, Ken parve risvegliarsi dalla trance in cui era parso cadere e, nell’osservare sorpreso e colpito Lorainne, esalò: “Beh… schifo non ha fatto, ti pare?”

Un applauso spontaneo si levò tra i presenti e la giovane, nel sorridergli, replicò: “Direi che era più di non ha fatto schifo. Sei stato meraviglioso.”

Meraviglioso.

No, per niente. Era spacciato, piuttosto. Bell’e che spacciato, si disse lui mentre scrutava inebetito il volto sorridente e pieno di felicità di Lorainne.

Come avrebbe fatto, a quel punto, a non desiderare di veder replicare altre mille e mille volte quel sorriso? Davvero non lo sapeva.

 


N.d.A.: come promesso, ricominciamo a viaggiare nel mondo dei licantropi e, stavolta, torniamo dai nostri vecchi amici inglesi, e con personaggi che già conoscete, anche se abbiamo già incontrato la prima new entry, che è Kennard. Come proseguirà la sua novella storia d'amicizia con Lorainne? Scoprirà il suo segreto, o sarà lei a dirglielo? Si accettano scommesse. ;-)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


1.
 
 
Luglio 2010 – Bradford
 
La sveglia suonò, come sempre, alle cinque. 

Non importava se fuori vi fosse ancora buio, o se stesse o meno albeggiando. Sia che fosse inverno inoltrato, oppure estate piena, la sveglia sarebbe sempre stata alle cinque. 

Ogni santa mattina.

Tutto ciò perché? Di certo, non perché il suo orario di lavoro coincidesse con quell’ora antelucana quanto piuttosto perché, se si nasceva nella casa di un Tribuno, era così che iniziava sempre la giornata; allenarsi al meglio e prepararsi al peggio.

I Tribuni erano le guide indiscusse delle Centurie e delle Decurie, piccoli drappelli di uomini e donne sparsi per mezzo continente europeo al solo scopo di trovare – ed eliminare, se possibile – la minaccia posta in essere dai licantropi.

Licantropi, sì. Per quanto la sola parola potesse far pensare a film di serie B o a oscure quanto terrificanti storie dell’orrore, la minaccia dei lupi mannari era reale quanto la luce del sole o lo splendore etereo della luna.

I figli della stirpe maledetta del dio-demone Fenrir, supremi nemici del genere umano, calpestavano da migliaia di anni le terre dell’emisfero nord del pianeta e per millenni i beadurincas, i guerrieri di Fryc, si erano battuti per eliminarli.

Naturalmente, lottare contro nemici sommamente più forti e veloci di un essere umano, era costato moltissimo in termini di vite ma, nel corso del tempo, la lotta era comunque perdurata.

Lo scopo ultimo di quella battaglia era parso troppo importante, troppo sommamente onorevole, per desistere di fronte alle innegabili difficoltà. La scomparsa dei licantropi dalla faccia della Terra era un imperativo per qualsiasi guerriero di Fryc, imperativo che veniva portato avanti fino all’ultimo respiro.

Fin da quando aveva memoria per ricordare, nella vita di Kennard Leopold Palmer vi era sempre stata un'unica legge da tenere bene a mente; imparare a contrastare i lupi mannari a qualsiasi costo, e proteggere gli ignari da una simile, terribile realtà.

Tutto era cominciato, per lui come per sua sorella Eve, con storie della buonanotte che avrebbero fatto accapponare la pelle anche ai Fratelli Grimm, ma che in lui avevano fatto sorgere sia orgoglio che curiosità.

Essere ligio ai precetti e rendere fiero il proprio zio, Tribuno della Centuria di Bradford, era sempre stato molto importante, per Kennard, fin da quando aveva imbracciato il suo primo stiletto d’argento.

Rintracciare il nemico, fare rapporto e, nel caso, unirsi alla lotta per mettere fine all'odiato avversario, era ciò che aveva imparato a fare nel corso degli anni, addestrato dai genitori prima, e dallo zio poi.

A ogni suo nuovo studio sul passato dei beadurincas, divenuti poi Legionari di Fryc, aveva fatto propri i racconti dei crimini commessi dal dio-demone Fenrir per comprenderne meglio le dinamiche e le eventuali logiche tattiche.

Era rimasto sgomento di fronte alla sua efferatezza, a come avesse insozzato la terra di Albion – l’attuale Gran Bretagna – e a come il suo immondo sangue fosse stato trasmesso alle generazioni future.

Lo scoprire che, in giovane età, una donna umana si fosse resa partecipe del perpetrarsi della sua discendenza, lo aveva lasciato sgomento e pieno di domande, a cui però nessuno aveva potuto rispondere.

Chi mai avrebbe potuto spiegargli, infatti, come una donna avesse potuto piegarsi al volere di Fenrir per concepire il frutto di quella immonda unione?

Eppure, ciò era avvenuto e, a causa dei due figli avuti dalla coppia, era nata la guerra intestina tra i successori di Fryc - fratello della donna che aveva dato alla luce le creature demoniache - e i licantropi.

Ben poco era stato scoperto, nel corso dei millenni, sui reali poteri di quelle terribili creature e, pur se il tempo e gli incroci ne avevano indebolito la razza, erano rimasti in ogni caso dei nemici temibili e pericolosi.

Quanto ai beadurincas, purtroppo, erano divenuti sempre meno, così come ancor meno motivati e pronti a dare battaglia fino all’ultimo brandello di energia.

Il mondo era cambiato, così come le genti, i pensieri e la percezione del pericolo, e questo aveva minato nel profondo ogni gruppo, riducendo così di secolo in secolo l’esercito dei combattenti di Fryc.

Di una cosa, però, Kennard era sempre stato certo; essere una Vedetta, un laniatum excubiarum, era un impegno che lui non avrebbe mai accantonato. Qualcosa, nel suo sangue, gli gridava a gran voce che, presto o tardi, i suoi sforzi sarebbero stati ripagati.

Facendo parte di una Centuria, però, il suo gruppo poteva contare soltanto su un centinaio di membri all’effettivo, di cui facevano parte solo sedici Vedette. Un numero davvero esiguo, su una città multiforme e variegata come Bradford.
 
***

Ci pensi? Ha ucciso suo padre con un coltello! Io non ci sarei mai riuscito!

Ha avuto un coraggio incredibile! Pensa a quello che suo padre faceva alla piccola Patty! Che mostro orrendo! Ha fatto bene!

La sveglia suonò come sempre alle cinque, strappandolo a quelle ultime parole, retaggio di un passato lontano e che, per qualche recondito motivo, erano tornate ad aleggiare nella sua mente già da qualche tempo.

Kennard aveva avuto all'incirca dodici anni quando una mattina, nel raggiungere la Bradford Academy per recarsi a lezione come al solito, aveva sentito parlare di ciò che era avvenuto a un loro compagno di corso.

Di un anno più grande, Alec Dawson aveva assassinato il padre per legittima difesa, reo di aver commesso atti di violenza reiterata e terribile contro la moglie e i figli.

La sola idea che un ragazzo così giovane avesse avuto il coraggio di levare la mano contro un uomo grosso il doppio di lui - perché Roland Dawson era stato un Marcantonio spaventoso e dell'aria burbera - glielo aveva fatto sembrare subito un eroe.

Kennard si era persino spinto a stringergli la mano per dargli il suo appoggio morale, pur non conoscendolo bene e, forse per la prima volta, aveva avuto paura.

Quel ragazzo non gli aveva fatto nulla di male, si era limitato ad accettare la sua stretta di mano e a biascicare qualche frase di circostanza ma, nei suoi occhi, aveva visto la morte.

Nei mesi successivi, il processo si era dipanato veloce e a favore del giovane, le colpe del padre erano state ampiamente riconosciute - anche tramite prove che, a molti, avevano fatto accapponare la pelle - e, poco alla volta, la notizia era svaporata.

Roland Dawson era stato riconosciuto come violentatore seriale – i poliziotti avevano addebitato all’uomo anche l’assassinio di una bambina, avvenuto poco meno di un anno prima. Un terribile molestatore era morto, la famiglia era salva e tutto poteva riprendere a girare come al solito.

A quel punto, però, il suo addestramento come futura Vedetta aveva iniziato a metterlo in allarme, pur se il suo sesto senso non lo aveva mai portato da nessuna parte.
Pur non volendo, aveva tenuto d'occhio Alec - quando si vede tante volte alla televisione una faccia, ci si abitua a cercarla con lo sguardo anche senza volere - e, nel corso dei mesi, aveva notato in lui un netto, enorme cambiamento.

Non solo la cerchia ristretta dei suoi amici aveva finito con l’essere composta da ragazzini dalla taglia XXL, ma il suo modo di fare era diventato più adulto e freddo, quasi raggelante.

Con un retroterra come il suo, aveva ipotizzato che avrebbe finito con il diventare a sua volta un bullo e, nel darsi questa spiegazione come motivazione per i suoi dubbi sul coetaneo, aveva proseguito a tenerlo d’occhio.

Nel corso degli anni, invece, e in maniera inversamente proporzionale alla crescita del suo fisico, Alec Dawson si era fatto silenzioso e attento a non farsi notare, sempre lesto a tenersi lontano da qualsiasi guaio.

Guardingo come pochi, il coetaneo era avanzato a passo di marcia fino al giorno del diploma, ottenendo dei buoni risultati scolastici ma mantenendosi perennemente nell'ombra, nonostante la sua mole lo rendesse quasi impossibile.

Proprio a causa di questo comportamento schivo, si era però fatto notare da lui che, per qualche motivo che non era mai stato in grado di spiegare, si era sempre sentito attratto da quel giovane ombroso e feroce.

Non avendo però nessuna prova contro di lui, né avendo all'attivo comportamenti che avrebbero potuto farglielo credere un licantropo, non aveva fatto menzione a nessuno dei suoi sospetti.

La prima cosa che si imparava a fare, come Vedette, era non lasciarsi andare all’illusione di aver trovato un potenziale nemico. La superbia e la vendetta erano da bandire, la rabbia e il risentimento erano assolutamente vietati e, più di tutto, non si poteva rischiare di far del male a un innocente.

Per tutti questi motivi, Kennard non aveva mai fatto menzione allo zio delle strane sensazioni da lui provate a ogni nuovo incontro con Alec.

Come spiegarle, d’altronde?

Il diploma, infine, li aveva separati e, senza più pensare a quello strano compagno di scuola, Ken aveva intrapreso studi umanistici e si era dato da fare per superare gli esami per divenire una Vedetta a tutti gli effetti.

Per due settimane, compiuti i diciotto anni, era stato lasciato solo nel bel mezzo della Foresta di Gisburg, a nord-ovest di Bradford. Privo di qualsiasi attrezzatura moderna - cellulari, accendini o coltellini svizzeri – aveva dovuto dimostrare di sapersi orientare, sfamare e sopravvivere senza l’altrui aiuto.

Naturalmente, in pieno inverno.

Aveva rischiato il congelamento, era caduto con un piede nella tana di un tasso - maledicendone la razza per i successivi due giorni - e si era ridotto a mangiare radici ma, alla fine delle due settimane, era uscito dalla foresta con ancora tutti i pezzi attaccati al corpo.

Suo padre lo aveva abbracciato, lo aveva avvolto in una calda coperta e, una volta raggiunta la loro casa su Lynton Drive, avevano festeggiato assieme alla sorella Evelin, la madre Liberty – o Libbie, come la chiamavano tutti – e lo zio Cassian.

In quell’occasione, era stato insignito del titolo di laniatum excubiarum e, da quel momento in poi, si era impegnato a portare il risultato dei suoi appostamenti ai Segugi - o Tracciatori - della Centuria.

Kennard Leopold Palmer, dopo tanti sacrifici, era infine diventato una delle sedici Vedette di Bradford.

Questo era il nome che era stato apposto nel registro della loro Centuria pur se, da quel momento, non avrebbe mai potuto usarlo con i suoi compagni di lotte.

La segretezza era parte integrante della vita di qualsiasi legionario, e lui non era esente da questa regola, pur essendo il nipote del Tribuno locale.

Inoltre, non usare i propri nomi proteggeva le famiglie da eventuali retate da parte dei licantropi, poiché nessun legionario avrebbe mai permesso che, a causa di un loro errore, i propri affetti venissero colpiti dal nemico.
 
***

Il Centro Diurno Rainbow non era soltanto un luogo in cui poteva rilassarsi e, per qualche ora, non pensare al suo perenne stato di legionario. Per Kennard, era anche un posto in cui dare libero sfogo al suo bisogno di aiutare le persone e, nel caso specifico, i bambini affetti da disabilità motorie.

Già da un paio d’anni, ogni domenica pomeriggio, dedicava il suo tempo a quell’attività di volontariato. Per ogni bambino che aveva aiutato, una parte del suo cuore si era sentito meno in colpa per quelli che non aveva potuto salvare.

Lavorando come operatore dei Servizi Sociali, gli era capitato spesso di non poter intervenire per salvare coloro i quali avevano avuto bisogno del suo intervento. In parte, a causa delle leggi che legavano loro le mani, in parte a causa della furbizia con cui certi genitori sapevano circuire – e spesso ingannare – il sistema.

Più volte aveva desiderato lanciare tutto alle ortiche e scaricare un destro in faccia a qualche padre troppo violento, o a fratelli così scellerati da non capire i danni psicologici lasciati sui fratellini minori.

Il rispetto inflessibile per la legge, però, lo aveva sempre fermato e, per lui, il Centro Diurno era divenuto un’ancora di salvezza che gli aveva impedito di impazzire dalla frustrazione.

Occuparsi di quei bambini – amati, ma debilitati dalle malattie o da malformazioni congenite – lo aveva aiutato a sentirsi meno inutile, meno schiavo di un mondo che non ruotava per il verso giusto.

I suoi compagni legionari lo avevano spesso canzonato, per questo suo lato così dolce e delicato (come lo avevano definito loro), ma Kennard non li aveva mai presi davvero sul serio.

Sapeva che il loro era solo un tentativo di sdrammatizzare un problema che, ormai da tempo, sapevano lo stesse angustiando.

Il suo lavoro ufficiale gli stava divenendo stretto ogni giorno di più, e la frustrazione non portava mai a nulla di buono. Quando, poi, dovevi dare la caccia a dei lupi mannari, non si poteva mai abbassare la guardia e lui sapeva bene che, negli ultimi tempi, era stato ben più che distratto.

Il fatto di essere sommamente pochi, per controllare una città come Bradford, non aiutava né la causa né lui a sentirsi adeguatamente adatto al compito di Vedetta che gli era stato affidato.

Suo zio Cassian si era spesso spiaciuto per questo lento degradarsi delle forze messe in campo, e questo aveva altresì portato la loro Centuria a non ottenere nessun risultato utile, negli ultimi vent’anni.

Il Legatus Legionis di Londra, somma guida di ogni gruppo della sacra terra inglese, non si era mai speso in loro favore perché ottenessero nuovi membri, troppo impegnato a difendere la capitale per pensare al resto di loro.

Questo non lo aveva mai pienamente accettato, né suo zio Cassian aveva mai approvato pubblicamente quel comportamento e, in totale autonomia, aveva stretto un’alleanza con le Centurie delle città vicine per ottimizzare i loro sforzi.

Erano praticamente tutti certi che, a Bradford, vi fossero dei licantropi – e un recente omicidio dalle tinte fosche, aveva rinfocolato quella certezza – ma l’evidenza dei loro insuccessi era palese.

Erano dannatamente pochi per coprire un’estensione di territorio pari alla città di Bradford e, anche se suo zio Cassian non ne aveva mai fatto un loro demerito, Kennard si era sentito spesso inadeguato al proprio compito.

Inoltre, ed era inutile che vi girasse intorno, c’era anche un altro motivo per cui, il Centro Diurno, era divenuto per lui un luogo in cui ritemprarsi e scacciare pensieri e incertezze..

Lorainne Simmons era, come lui, una volontaria del Centro, e i ragazzi letteralmente la adoravano.

Non soltanto i ragazzi, a voler essere del tutto onesti.

Si erano conosciuti un paio di mesi addietro, quando lei aveva cambiato il suo turno del lunedì per presentarsi la domenica pomeriggio al pari suo e, da quel momento, per Kennard quel giorno era diventato ancor più speciale.

Come sempre, la vide entrare dalla porta secondaria che dava sul parcheggio, imbracciando un paio di voluminose borse ricolme di formine di cartapesta e, nell’accostarsi a lei, la liberò in parte dell’ingombro asserendo: “Hai svaligiato una cartoleria, stavolta?”

Lei sorrise allegra – mettendo in evidenza due graziose fossette sulle gote rosee – e, nello scuotere il capo, asserì: “Una mia amica aveva degli avanti di magazzino, e così ho preparato degli aeroplani di carta e delle casette colorate perché i bambini ci possano giocare.”

“Io non ho la tua manualità…” si lagnò Kennard, afferrando una casetta color cannella e verde lime per ammirarla pieno di sorpresa. “…e, se mai dovessi cimentarmi in tal senso, i bambini rimarrebbero inorriditi dal risultato.”

Ancora, Lorainne sorrise ma, nello scuotere il capo, replicò: “Dubito che tu possa essere questo gran disastro, visto come sai suonare la pianola.”

Ciò detto, indicò lo strumento che si trovava in un angolo del grande salone dei giochi e Kennard, sorridendo imbarazzato, si grattò nervosamente la nuca per poi replicare: “Suonare non implica avere fantasia, e tu dimostri di averne molta.”

“Continuerò a pensare che ti sminuisci” ribatté allora lei prima di piegarsi su un ginocchio, aprire le braccia ed esclamare: “Mi chica! Buenos dias!

Volgendosi per capire chi fosse arrivato, Kennard sorrise nel veder giungere una bambina di chiara discendenza ispanica, che si gettò tra le braccia di Lorainne zoppicando fino a lei a causa della protesi che portava alla gamba sinistra.

La madre della bimba, dalla porta principale, sorrise commossa nell’osservare la scena dopodiché, nello scambiare un paio di parole con la titolare del Centro Diurno, si defilò per andare al lavoro.

Doversi impegnare in tre lavori per sbarcare il lunario, comportava lasciare la piccola Luna Maria in Centri come il Rainbow e Kennard, nel conoscerne i motivi, fu portato a digrignare i denti per la rabbia.

L’ex marito di Carmen, la madre di Luna Maria, era scappato di casa portandosi via fino all’ultimo centesimo e lasciando la moglie in un mare di guai, unica depositaria dei suoi debiti.

Il Tribunale dei Minori aveva più volte minacciato di toglierle la bambina, ma lui si era variamente impegnato perché tutto ciò non avvenisse, anche aiutandola economicamente perché riuscissero a rimanere assieme.

Venuta a sapere della cosa, Lorainne aveva quindi organizzato una colletta all’interno del Centro Diurno e, da parte sua, aveva contribuito a pagarle anche un paio di mesi d’affitto. A quel punto, però, Carmen si era rifiutata di accettare altri regali, e nessuno se l’era sentita di criticarla.

Il senso dell’onore era un’arma pesante da portare con sé, e Carmen non voleva sentirsi in debito anche con loro, che già molto stavano facendo per la piccola Luna Maria.

Luna Maria che, arrancando fino a raggiungere Kennard dopo aver abbracciato Lorainne, lo tirò per i pantaloni e disse: “Lo-Lo mi ha detto che oggi suonerai. E’ vero?”

Lo-Lo. I bambini la chiamavano tutti così e, in fondo, Kennard era dell’idea che una persona con un viso tanto dolce, così come dai modi tanto materni e protettivi, ben si prestasse a un nomignolo così carino.

Ken era più abituato a chiamarla Lore, ma era capitato più volte che anche lui, sovrappensiero, si fosse lasciato andare a quel nome così infantile. Quando era capitato, Lorainne gli aveva sorriso con calore, e Kennard non si era sentito poi così stupido, nell’averlo usato.

Quel sorriso, però, aveva avuto anche un effetto collaterale che, da principio, lui non aveva considerato ma che, almeno ultimamente, stava iniziando a dargli qualche problema.

Quando Lorainne sorrideva, il suo cervello andava in tilt.

Anche in quel caso, quando lui levò lo sguardo per incrociare quello color fumo di Londra di Lorainne, faticò non poco a non lasciarsi andare a un sospiro e, dubbioso, domandò: “Ho davvero promesso questo?”

“Ma certo” ammiccò lei, accentuando sorriso e fossette.

Bene,… tradito da me stesso, pensò tra sé, sentendosi un emerito idiota al solo pensiero di essere stato piegato ai voleri di una donna da un semplice sorriso.

Andava però detto che, in primo luogo, il sorriso di Lore non aveva nulla di semplice e, in seconda istanza, lui amava suonare la pianola e, più di una volta, si era lasciato tentare dal pianoforte che Lorainne teneva nel suo negozio di strumenti musicali.

“Allora suonerò” dichiarò a quel punto Kennard, offrendo la mano a Luna Maria perché lo seguisse.

Lorainne li accompagnò a sua volta e, con fare distratto, si sistemò su un cuscino nei pressi della pianola, senza notare come le sue movenze aggraziate procurassero un brivido segreto nell’animo di Kennard.

E’ così maledettamente sexy che mi verrebbe voglia di baciarla qui, ora, alla faccia di tutto il resto, brontolò tra sé, sedendosi sulla panca imbottita dinanzi alla pianola per attaccare un brano di Ed Sheeran.

Luna Maria, nel frattempo, si accomodò in grembo a Lorainne, subito abbracciata dalla donna dopodiché, sorridente e sognante, contemplò Kennard in trepidante ascolto della sua melodia.

Kennard, a quel punto, cercò di non pensare a come mettere le mani addosso a una bella donna come Lorainne perché, a onore del vero, non era il sistema migliore per suonare in maniera decente. Così, tralasciando quel pensiero piuttosto piacevole – anche se fuori luogo – si concentrò sul brano e sulla sua giovane spettatrice.

Cercando di dimenticarsi di quella adulta, almeno per qualche minuto.
 
***

Ascoltare Kennard mentre era impegnato a suonare era un ottimo metodo per non apparire una completa idiota ai suoi occhi, o almeno così Lorainne sperava.

Ogni qualvolta lo incontrava al Centro Diurno, le risultava sempre più difficile distogliere gli occhi da lui e, quando Ken la guardava, la cosa si faceva addirittura quasi impossibile.

I suoi occhi nocciola avevano lo stesso calore del sole e, quando parlava con la sua voce profonda e leggermente roca, i suoi sensi di lupa si risvegliavano come per magia. Le dava quasi l’impressione che Kennard fosse in grado di pizzicare i suoi nervi quasi che lei fosse un’arpa, e lui un abile musicista.

E, a ben vedere, un bravo musicista lo era davvero, ma Lorainne non era del tutto sicura di cosa avrebbe voluto dire farsi pizzicare come un’arpa da lui. Da donna a uomo.

Se fosse stata soltanto la Lorainne Simmons di cinque anni prima, non vi sarebbero stati problemi e, anzi, suo padre e sua madre avrebbero ben visto un eventuale fidanzato capace ed elegante come Kennard.

Dopo anni e anni passati a cambiare case e famiglie, sballottata da un sistema di adozioni imperfetto e freddo alla sensibilità dei bambini, era finalmente giunta in quella dei Simmons. Di comune accordo, l’anziana coppia aveva deciso di adottarla ufficialmente, facendo di lei la loro adorata figlia.

Per dieci anni era stata tenuta al sicuro tra le calde braccia di Winston e Mia Simmons e, grazie al padre adottivo, aveva imparato l’arte della musica e a diventarne padrona.

Divenuta adulta, aveva poi intrapreso un corso di laurea triennale a Londra, così da diventare insegnante di musica e, come ultimo regalo a lei, Winston e Mia l’avevano aiutata ad aprire un negozio di strumenti musicali a Bradford.

Un terribile cancro al pancreas le aveva però strappato il padre nel giro di pochi mesi e Mia, neppure un anno dopo, l’aveva seguito, divorata dal dolore per la perdita dell’amato marito.

Nuovamente sola e senza più appoggi parentali nel mondo, Lorainne era stata facile preda dell’allora fidanzato Paul e, a lui, si era quindi attaccata come una disperata alla ricerca d’amore.

Paul l’aveva a quel punto introdotta nel mondo dei lupi, raccontandone meraviglie e dandole la speranza di poter riavere una nuova famiglia a cui appoggiarsi per il futuro.

Fiduciosa e piena di un desiderio insaziabile di essere amata, gli aveva permesso di ribaltare del tutto la sua esistenza, e questa aveva fatto una giravolta su se stessa, catapultandola in una nuova realtà di cui non sapeva quasi niente.

A quel punto, Paul aveva tradito la sua fiducia in tutti i modi possibili e l’aveva ferita come pochi altri erano stati in grado di fare.

Aveva sofferto le pene dell’inferno, quando aveva mutato forma per la prima volta ma, più ancora, aveva patito un dolore inimmaginabile quando Paul, ridendole in faccia, le aveva dato della stupida per aver ceduto alle sue lusinghe.

Trasformare un’umana in mannara senza il permesso del capoclan, soprattutto se il tuo capoclan si chiamava Alec Dawson, era però equivalso a Paul lo scavarsi la fossa con le proprie mani.

Tradita in tutti i modi possibili, Lorainne aveva infatti preso il coraggio a due mani e, pur temendo una sonora punizione, si era rivolta all’ombroso e terribile capoclan di Bradford per ottenere giustizia.

Non soltanto, però, Alec Dawson si era dimostrato più umano di quanto lei non avesse immaginato, ma aveva comminato a Paul una punizione esemplare, cacciandolo poi dal branco per sempre.

Ciò fatto, si era quindi preso il personale incarico di addestrarla perché lei diventasse una brava lupa, in grado di sostenere qualsiasi impiccio e, grazie a questa stretta vicinanza, erano ben presto divenuti amici.

Da quel momento, il branco era davvero divenuto davvero la sua casa e il suo negozio – lo Stereophonic – la sua ragione di vita.

Alec le aveva permesso di essere se stessa nel suo nuovo corpo di lupa, e questo le aveva permesso di trovare una ragione d’essere in quella sua nuova esistenza.

Vedere come, l’arrivo di Brianna, avesse smosso qualcosa nel cuore del loro Fenrir, l’aveva infine riempita di speranza per un più luminoso futuro per tutti loro. E, pur se ora il suo capobranco era impegnato in una pericolosa Cerca al fianco della potente wicca, lei confidava che sarebbero tornati vittoriosi.

Quando, però, si perdeva negli occhi di Kennard, né il pensiero del capoclan, né di qualsiasi altra cosa al mondo, sembrava turbarla.

Tutto, grazie a un umano.

Davvero, sapeva scegliersele bene, le situazioni complicate.




N.d.A.: alcune note tecniche. L'uso dei termini latini deriva da un antico patto stretto tra i Cacciatori e le legioni romane che, all'epoca dell'invasione della Britannia, si trovarono a combattere contro il popolo britanno dei Pitti. Se ricordate in Figli della Luna, quando Duncan spiega la loro storia a Brianna, si fa menzione a una alleanza tra licantropi e Pitti. E con chi potevano stare, i Cacciatori, se non coi romani?
Da qui il passaggio "di testimone", per così dire. I Cacciatori passarono dal termine old english "Beadurincas" (che significa guerriero), al titolo di Legionari di Fryc e all'utilizzo delle terminologie militari romane per identificare le loro coorti.



 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 
2.
 
 
Dicembre 2010 - Bradford
 
 
 
La neve non soltanto aveva imbiancato le campagne e i tetti delle case; aveva reso le vie impraticabili e i marciapiedi dei potenziali viatici per catastrofi immani, oltre che per visite al reparto di ortopedia.

Fortunatamente, essendo un licantropo, Lorainne poteva contare su un equilibrio pazzesco e riflessi ottimi, ma le sarebbe spiaciuto che qualche suo cliente finisse lungo riverso sulla strada.

Anche per questo, di buonora, si era messa a ripulire per bene la zona antistante lo Stereophonic, anticipando persino il passaggio degli addetti del comune.

Con un saluto e un ringraziamento, aveva quindi rifiutato gentilmente il loro aiuto e, con olio di gomito e tanta attenzione, aveva proseguito nel suo lavoro, ben decisa a fare del suo meglio.

Per quanto potesse apprezzare l’intervento dei tecnici comunali, preferiva occuparsi di persona di certe questioni. L’essere cresciuta in una marea di famiglie affidatarie l’aveva abituata a sbrigarsela da sola, senza chiedere l’aiuto di nessuno.

Quando, però, due piedi muniti di scarpe da ginnastica in gore-tex si fermarono dinanzi a lei, Lorainne sollevò il capo per comprendere chi fosse il nuovo venuto e, sorpresa, esalò: “Kennard?”

Quanto si era distratta, per non sentirlo arrivare?

“Sei mattiniera” esordì lui, ammiccando all’indirizzo dell’orologio in stile shabby chic che Lorainne aveva montato poco fuori la porta del negozio.

Tergendosi la fronte e posizionando la pala da neve contro una spalla, lei replicò: “Direi anche tu. Sono solo le sei e trenta del mattino.”

“Amo correre, la mattina” chiosò lui, tralasciando il reale motivo per cui correva. Dirle che faceva parte del suo allenamento quotidiano come Vedetta, avrebbe voluto dire ammettere con lei l’esistenza di un mondo che, gelosamente, loro tenevano segreto da secoli.

Se le persone avessero conosciuto i reali pericoli che li circondavano giornalmente, sarebbero impazzite e, quasi per certo, si sarebbero scatenate delle autentiche cacce alle streghe, motivo per cui il loro compito era rimasto all’oscuro dei più da generazioni.

Parlare con Lorainne, però, gli piaceva un sacco ed era per questo che, sempre più spesso, si era ritrovato a correre nella direzione in cui si trovava il suo negozio.

La segreta speranza di trovarla già lì – pur passando sempre a orari infausti per un incontro casuale – lo aveva spinto, giorno dopo giorno, in quella via ricca di negozi.

Vederla alle prese con la neve lo aveva sorpreso, vista soprattutto la presenza degli uomini del comune impegnati nella medesima attività. Questo, però, gli aveva dato la possibilità di guardarla indisturbato e in un’attività che, di solito, non svolgeva mai.

Al Centro Diurno, ben difficilmente avrebbe potuto vederla impegnata in un lavoro di fatica come quello, poiché di simili impedimenti si occupavano i factotum della struttura.

Lì, invece, la proprietà era sua e, evidentemente, l’idea di lasciare quell’impegno a qualcun altro, doveva averla messa a disagio. O forse, desiderava che le cose fossero fatte al meglio e di proprio pugno.

A giudicare da come aveva pulito in maniera meticolosa – o maniacale? – fino a quel momento, Kennard propense per la seconda ipotesi. Lorainne doveva essere una donna puntigliosa.

"Vuoi una mano?" chiese dopo alcuni istanti Kennard, tornando a posare lo sguardo su di lei.

"Ho quasi finito ma, se vuoi, puoi entrare e suonare per me, così mi terrai compagnia. Inoltre, Clarisse si sente un po' sola" ammiccò Lorainne, citando il pianoforte a coda che teneva gelosamente nel mezzo del negozio, e che solo i clienti speciali potevano usare.

Clarisse era stato il nome della madre di Winston e l'unica donna che, con lei, si fosse mai comportata da vera nonna. Alla sua morte, una mattina di sette anni addietro, aveva voluto dare il suo nome al primo strumento che avesse messo piede nel suo negozio.

Per puro caso, la prima consegna nel suo nuovissimo quanto agognato negozio era stata un pianoforte - lo strumento preferito di Clarisse, tra l'altro. Piena di eccitazione e soddisfazione, Lorainne aveva quindi fatto incidere una placchetta in ottone con il nome della nonna, che poi aveva apposto sul piano.

Winston e Mia ne era stati felicissimi e, finché erano stati in vita, lei aveva suonato per loro con il pianoforte dedicato all'amata nonna Clarisse.

"Tu mi tenti... ma non mi sembra molto giusto lasciarti qui fuori al freddo, mentre io sono dentro a suonare al caldo" mormorò Kennard, strappandola a quei ricordi dolceamari.

"Lascia la porta socchiusa. Ti ascolterò mentre suoni, e così sarà più piacevole terminare il lavoro" gli propose a quel punto lei, ammiccando nuovamente all'indirizzo della porta del negozio. “Mi riscalderai con i tuoi brani.”

"Andata. Ma dopo ti offrirò la colazione" dichiarò per contro Kennard, fermo dinanzi a Lorainne e in attesa di una sua risposta.

Non potendo rifiutare di fronte a un simile sorriso spavaldo e, più ancora, al pensiero di godersi un po' la compagnia di Ken, la donna acconsentì e lui, con un 'sì!' soddisfatto, si avviò verso il negozio e lasciò la porta socchiusa come richiesto.

Non che Lorainne ne avesse bisogno; avrebbe potuto sentirlo suonare anche a un miglio di distanza ma, per salvare le apparenze, si dovevano usare anche mezzucci simili.

Con rinnovato vigore, quindi, la donna riprese nella sua opera di pulizia mentre le calde note di Bohemian Rapsody iniziavano a diffondersi nell'aria. Poco lontano, un paio di operai si fermarono per un istante ad ascoltare dopodiché, sorridendo, ripresero il loro lavoro di pala e sale antighiaccio.
 
Lorainne sorrise spontaneamente, nell’udire quel brano. Non soltanto amava i Queen, ma Kennard sembrava avere un feeling particolare, con le loro canzoni e, quando le suonava, l'alchimia raggiunta tra musicista, brano e strumento rasentava la perfezione.

Per quanto lui si ritenesse un semplice hobbista della musica, lei era più che certa che, in un complesso, non avrebbe affatto sfigurato. Quando però, durante uno dei loro turni al Centro Diurno, glielo aveva fatto notare, lui ne aveva riso, chiosando che, per poter fare il musicista a tempo pieno avrebbe dovuto avere, per l'appunto, tempo.

Cosa che, a quanto pareva, non aveva.

Certo che, se si alzava tutte le mattine così presto per tenersi in forma, e poi andava a lavorare tutto il giorno negli uffici dei Centri Sociali di Bradford, Lorainne poteva anche capire perché non gli rimanesse spazio da dedicare alla musica.

Di sicuro, lei comunque approvava la sua scelta di tenersi in allenamento. Non era così ipocrita da non trovare piacevole la vista di un bell'uomo con, altresì, un fisico prestante. Pur essendo abituata ai licantropi del suo branco, che potevano vantare - in buona parte - dei fisici atletici e possenti, non disdegnava la vista di un umano piacente.

Kennard, infatti, faceva parte di quella fascia di uomini, inoltre le era simpatico e apprezzava molto la sua compagnia.

Bohemian Rapsody terminò con un medley di altre tre canzoni dei Queen, cui seguì un vecchio brano di David Bowie, legato al film Labyrinth. As the world falls down, se la memoria non la ingannava.

La scelta la sorprese un po', visto che il brano era essenzialmente romantico e un po' affettato ma, di sicuro, non se ne spiacque.

Se Ken voleva flirtare un po' con lei, suonandole qualcosa del genere, non avrebbe di sicuro protestato. Le piacevano le sue attenzioni, perché non erano mai volgari né soffocanti.

Dopotutto, lei era single e, da quel che sapeva, anche lui lo era perciò, se si divertivano a punzecchiarsi un poco con accenni leggeri di seduzione, nessuno avrebbe potuto dire nulla.

Certo, doveva sempre tenere bene a mente chi lei fosse, per non cacciarsi nei guai ma, finché avesse apprezzato un brano musicale ben suonato, o l'invito a scaldarsi al bancone di un bar davanti a un caffelatte, non ci sarebbero stati problemi.
 
***

Non fu un caffelatte, quanto piuttosto un cappuccino spolverato di cioccolata fondente e accompagnato dal croissant più grande e guarnito che lei avesse mai visto, ma fu di sicuro ben accetto.

Addentando il proprio - ricoperto di glassa al pistacchio - Kennard dichiarò: "Bernardo fa i croissant migliori della città, posso giurartelo. Per questo ho insistito per venire qui, a fare colazione. L'arte dolciaria italiana è imbattibile."

"Devo dedurre che tu abbia girato molti bar, qui a Bradford, per essere certo di questa tua esternazione" celiò Lorainne, sorseggiando il suo cappuccino. In effetti, era davvero buono.

Quando giri per ore e ore, spesso la notte, a caccia di nemici, un bar con buoni dolci e un ottimo caffè sono il premio ideale dopo tanta fatica, pensò tra sé Kennard, dicendo però a voce alta: "Mi piace vagliare le offerte e, si dà il caso, io amo molto la colazione al bar."

"Di certo, questo croissant è speciale. Immagino che i pistacchi siano italiani" asserì Lorainne, mordicchiando la propria pasta, dalla quale debordò morbida e profumata crema color verde pallido.

"Bernardo dice spesso che, se non può avere prodotti di qualità per le sue produzioni, allora piuttosto non le prepara" dichiarò Kennard, sospirando deliziato quando sorseggiò il suo espresso italiano. "Ah, grazie, Dio, per la nostra dose quotidiana di caffeina."

Lorainne rise sommessamente di fronte alla sua espressione e, nel poggiargli con naturalezza una mano sul braccio, celiò: "Dovrò prendere anch'io un caffè, a questo punto, se la reazione è questa."

"Se sei un'estimatrice, ti consiglio di berlo senza zucchero, così da apprezzare appieno il suo gusto" replicò lui, cercando di non pensare al dolce peso di quelle dita sul suo braccio.

Poco importava che lei stesse sfiorando soltanto la sua felpa. Il suo calore sembrava permeare il tessuto e raggiungere la sua pelle, incendiandola.

Di' piuttosto che sei infoiato, disse una vocetta perfida dentro di lui.

Quando l'aveva invitata per quella colazione improvvisata, aveva pensato - forse scioccamente - di poter essere in grado di stare accanto a lei come avveniva, solitamente, al Centro Diurno.

Il fatto di essere praticamente soli - a quell'ora, gli avventori erano pochi - e di poter stare quasi spalla contro spalla con Lorainne, così da poter assaporare il suo profumo di pesca, lo stava mandando lentamente, ma inesorabilmente, in briciole.

Aveva avuto altre esperienze, con le donne, non poteva certo dirsi un neofita del mestiere, a trentaquattro anni, eppure nessuna di loro gli aveva mai fatto l'effetto che, invece, era in grado di fargli Lorainne.

La sua voce morbida e di contralto, che ben si sposava per il canto - cosa in cui lei era davvero portata, tra l'altro -, i suoi occhi indescrivibili che sapevano accendersi d'amore genuino ogni volta che guardava un bambino, i suoi modi gentili, tutto lo attirava come un magnete.

Inoltre, inutile illudersi di essere così superiori e asceti. Lorainne era una bellissima donna e, in tutta onestà, il suo taglio corto e sbarazzino le donava più di una chioma folta e fluente, cosa per cui era sempre stato appassionato ma di cui, su di lei, non sentiva la mancanza.

Quei soffici e biondi capelli lo intrigavano al punto da voler abbandonare qualsiasi reticenza per affondare la mano in essi, carezzare il candido e lungo collo e sospingerla verso di lui per...

Sbattendo le palpebre come dopo un risveglio improvviso, Kennard si diede mentalmente dell'idiota per essersi lasciato andare a simili pensieri. C'era un motivo molto semplice per cui, con le altre donne che aveva avuto, non aveva funzionato nulla.

Lui era una Vedetta, la sua vita era votata alla caccia e all'eliminazione dei licantropi e per quanto, fino a ora, non ne avessero trovato neppure uno, suo primario dovere - e quello dei suoi compagni - era vigilare.

Certo, essere poco più di una dozzina, in una città grande e variegata come Bradford, portava inevitabilmente a demoralizzarsi, ma loro non demordevano, pur di fronte agli insuccessi e agli errori commessi.

Zio Cassian rammentava spesso loro quando, per diversi anni, lui e i Tribuni di Leeds e Manchester avevano creduto che il fantomatico Squartatore dello Yorkshire fosse un licantropo, a causa dell'efferatezza degli omicidi da lui commessi.

Scoprire che, non solo le loro indagini avevano puntato sulla razza sbagliata, ma che l’assassino seriale era poi risultato essere un comune umano, aveva fatto capire una volta di più quanto fosse vitale, per loro, non accusare le persone senza avere prove.

Troppe volte, negli anni, nei secoli precedenti, questi errori di identità avevano portato a morti inutili di innocenti senza colpe, e il caso eclatante dello Squartatore ne era stato la prova ultima.

Gettarsi a capofitto su un’indagine, non di rado, portava all’errore. Ponderare sempre le prove, soppesare ogni minimo particolare, invece, li avrebbe portati alla sospirata vittoria. Pur se, questa assenza ormai pluridecennale di risultati, aveva portato a inevitabili scoramenti e a qualche addio.

Più di qualche, in effetti.

Kennard poteva in parte capirne i motivi - la caccia era diventata sempre più difficile, con il progredire della civiltà e delle leggi sulla privacy - ma, in cuor suo, pensava ancora che la battaglia fosse giusta e necessaria.

"Terra chiama Ken. Dove sei, al momento?" chiese a un certo punto Lorainne, sorprendendolo.

Sobbalzando leggermente, lui rise imbarazzato e replicò: "Mi sono perso a pensare a un caso di violenza familiare che dovrò affrontare oggi, e così ho divagato con la mente."

Subito, Lorainne si rabbuiò in volto, mormorando: "Non so davvero come tu faccia a mantenere la calma, di fronte a certe persone. Io li riempirei di pugni."

"Credimi. A volte vorrei davvero farlo, ma spero sempre che la giustizia conti ancora qualcosa, e che io riesca ad applicarla al meglio" ammise lui, terminando di bere anche il suo succo di frutta all'arancia. "Gradisci altro?"

"Te" disse a sorpresa lei, cogliendolo del tutto in fallo.

"Oh, beh... si può anche fare. Andiamo da me, o vuoi tornare al negozio?" buttò allora lì Kennard, cercando di pensare in fretta a cosa potesse aver voluto dire Lorainne con quelle due semplici, mefistofeliche letterine.

Non disdegnava l’intraprendenza delle donne, ma non era del tutto sicuro che Lorainne fosse tra quelle che si lanciavano in un’avventura senza prima avervi pensato attentamente.

Forse, se lei fosse stata interessata ad approfondire la loro conoscenza in quella direzione, gli avrebbe lanciato qualche avvertimento, qualche messaggio subliminale... ma una richiesta così diretta? Non sapeva davvero che pensare, ma non gli sembrava il suo modo di fare abituale.

D'altronde, lui non avrebbe di sicuro pianto lacrime amare, se le cose fossero invece andate proprio nel modo in cui stava goliardicamente pensando. Comunque, qualcosa non gli quadrava.

Un attimo dopo, infatti, Lorainne scoppiò in una risatina argentina, scosse una mano con aria divertita e disse: "Scusa... detta così era ovviamente provocatoria e un tantino a doppio senso, come richiesta. Volevo sapere se saresti disposto a suonare in negozio per la festa che darò la settimana prossima, in vista delle festività natalizie."

"Oh... in quel senso, mi volevi..." sospirò Kennard, allargando il proprio sorriso e lasciando subito perdere il suo infinitesimale – ma neanche poi tanto, a dir la verità – desiderio di averla voluta per sé.

"Se vuoi, facciamo anche nell'altro modo" lo punzecchiò a quel punto lei, facendolo scoppiare a ridere.

"Non mi tentare, donna, o potrei mandare all'aria la buona educazione e accettare" celiò lui, sospingendole la fronte con un dito e scatenando in lei una risata più accesa della precedente, che letteralmente lo fece tremare... ma non di freddo.

"Okay, abbiamo detto scemenze a sufficienza" asserì a quel punto lei, tornando del tutto seria. "Ti spiego cosa succederà, così potrai decidere. Tutti gli anni organizzo una sorta di party, e concedo ai clienti di suonare gli strumenti che ci sono nel negozio. O meglio, quasi tutti gli strumenti. Solo tu avrai libero accesso a Clarisse, oltre a me, ovviamente, perciò volevo sapere se la cosa poteva interessarti."

"Gli altri non saranno gelosi di questa preferenza sfacciata?" le domandò curioso, sentendosi assurdamente felice all’idea di avere questo diritto di prelazione sul quel meraviglioso pianoforte.

"Te l'ho detto. Clarisse suona bene con te. Non so come spiegartelo, visto che parliamo solo di un pianoforte, ma c'è affinità, tra voi due, e solo chi ha affinità con lei, può suonarlo" scrollò le spalle Lorainne.

"Uhm... la metti sul piano mistico" chiosò Ken, levando le sopracciglia per la sorpresa.

"Forse, mia nonna si è impossessata di quello strumento e vuole essere suonata solo da uomini bruni e dalla parlantina sciolta" ironizzò a quel punto la donna.

Kennard rise divertito e, nell'annuire, disse: "Suonerò volentieri, promesso. Hai un orario?"

"Sabato tengo aperto tutto il giorno, perciò vedi tu. Quando hai tempo. Naturalmente, anche la famiglia è invitata."

"Li informerò, promesso" assentì lui, levandosi in piedi con aria spiacente. "Ora devo scappare. L'ufficio chiama."

"E io devo aprire il negozio. A sabato prossimo, allora, e grazie per la colazione" replicò Lorainne, levandosi a sua volta in piedi per poi dargli un rapido abbraccio.

Kennard ne rimase stupito e sì, un tantino travolto. Non solo sentirsi avvolgere dalle sue braccia gli fece venire voglia di avvinghiarla a sé per non lasciarla più andare, ma percepire i suoi seni sfiorargli la giacca, fu quasi uno shock.

La sensazione di essere travolto da un'ondata di calore e di benessere, per poco, non lo fece inciampare e, anche quando in seguito riprese la sua corsa verso casa, quel piacevole tepore non se ne andò, cullandolo per tutto il tempo.

Ciò, però, lo mise di fronte a un pericolo che non aveva messo in conto. Lorainne era pericolosa, per lui, perché avrebbe potuto tranquillamente trascinarlo in una realtà del tutto diversa da quella che stava vivendo in quel momento, e forse lui non avrebbe fatto neppure una piega.

Di una donna simile rischiava di innamorarsi davvero, mandando così all’aria la sua seconda vita a cui, comunque, teneva molto.
 
***

Non era la prima volta che Lorainne salutava Kennard con un abbraccio, eppure quella mattina era stato diverso… si era sentita diversa.

Era stato di malavoglia che era tornata sui suoi passi per rientrare in negozio e, quando vi aveva messo piede, aveva dovuto appoggiarsi alla porta a vetri per non cadere, preda di un istinto predatorio primordiale.

La sua lupa chiedeva di accoppiarsi perché, in quei maledetti giorni, era fertile, e l’aroma muschiato di Kennard – ancora presente nel negozio – stava risvegliando in lei un appetito difficilmente gestibile.

“Maledizione, Lorainne, datti una calmata” brontolò tra sé, già pronta ad aprire la porta per dare aria al locale e far sparire quel profumo tentatore.

La mano, però, rimase bloccata sulla maniglia e se ne fregò degli ordini ricevuti, impedendole così di liberarsi di Kennard e del suo spettro truffaldino.

Non potendo fare altro, a quel punto, inspirò quell’aroma buonissimo a pieni polmoni, si avvicinò al pianoforte che, fino a un’ora addietro, lui aveva suonato e, nello sfiorarne i tasti, mormorò roca: “Perché mi fa questo effetto, nonna?”





 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 
 
3.
 
 
 
Quel giorno, aveva preferito aggirarsi per la città in piena notte ed evitare il turno diurno, piuttosto che perdere l’opportunità di vedere Lorainne. Il punto era che, di fronte allo specchio, Kennard stava osservando il più brutto caso di occhiaie da mancanza di sonno che gli fosse mai capitato di vedere.

Neppure sua sorella Evelin, quando rientrava dai turni di notte passati su una volante della polizia, era ridotta peggio di lui in quel momento.

Il motivo? Quando era rientrato dal pattugliamento, intorno alle quattro del mattino, non aveva chiuso occhio al pensiero di poter suonare ancora per Lorainne, e questo era l’indegno risultato.

Essere in ansia per un appuntamento – e di appuntamento non si trattava, tra l’altro – non gli capitava da quando aveva quindici anni e, al solo rendersi conto di questo, si sentì un completo imbecille.

Eppure, il pensiero di poter passare un pomeriggio con Lorainne che non volesse dire il dividerla con i bambini del Centro Diurno, gli era parsa un’idea così piacevole da avergli, per l’appunto, tolto il sonno.

Disgustato da se stesso, scese a pian terreno per fare colazione – abitando in una villetta a pochi passi da quella dei genitori, capitava che loro fossero lì, a volte – ma non trovò nessuno, a parte Evelin.

Girava come suo solito in maglietta e slip, indipendentemente dal fatto che vi fossero quaranta gradi o due e Ken, schifato, borbottò: “L’idea di vestirti, prima di presentarti in cucina, non ti passa mai per l’anticamera del cervello, vero?”

Lei ghignò al suo indirizzo, si mise in posa maliziosa e replicò: “Oh, poverino! Il mio fratellone è inorridito al pensiero di vedere sua sorella senza vestiti addosso… sei così puritano?”

“Non penso” bofonchiò lui, servendosi del caffè appena fatto dalla brocca che Evelin ancora teneva in mano. “Diciamo che preferirei risparmiarmi la vista.”

Per nulla desiderosa di lasciarlo in pace, Eve allora celiò: “Pensi a un fantomatico uomo che potrebbe mettermi le mani qui…” e, nel dirlo, si toccò le natiche. “…oppure qui?”

Ciò detto, si premette i palmi sui seni e scoppiò in una risata sguaiata, che martellò il cranio di Kennard quasi mandandolo al tappeto.

Bene, dopo le occhiaie cadaveriche, stava per esplodergli anche un bel mal di testa.

“Davvero non capisco come tu possa essere una poliziotta così tanto apprezzata dai tuoi superiori. Sei scostumata e sboccata come un trafficante di droga della peggior specie” sbuffò Kennard, dandole un pugno leggero sul capo bruno.

Lei gli fece la linguaccia per bella posta, si accomodò al tavolo della cucina e, nell’accavallare le lunghe gambe toniche, replicò: “E’ ovvio che, in Centrale, non mi comporto così. Ma da qualche parte dovrò pur dare libero sfogo alla mia vena di insaziabile guastafeste. Sono scappata dalla casa di papà e mamma anche per questo.”

“Diciamo piuttosto che mamma mi ha chiesto in ginocchio di ospitarti, perché non ne poteva più di te” ammiccò a quel punto Kennard, ricevendo per diretta conseguenza un pugno volante, che però lui schivò.

“Sei il solito stronzo!” sbottò lei prima di guardarlo con occhio attento e borbottare: “Perché sei ridotto così da schifo?”

“Non ho dormito bene” bofonchiò lui, sorseggiando il caffè. Niente a che fare con quello di Bernardo ma, per svegliarsi, poteva anche andare.

“Non hai affatto dormito, per conto mio! Hai due occhiaie da spavento” replicò lei, facendo tanto d’occhi.

Kennard storse il naso a quell’appunto per nulla carino e, dopo alcuni istanti di dubbiose riflessioni, le domandò: “Qualche rimedio femminile per eliminarle?”

Evelin scoppiò in un’altra risata sguaiata che non migliorò affatto il mal di testa sempre più forte di Kennard. Ugualmente, l’uomo si guardò bene dal rabberciarla come avrebbe fatto di solito perché, alla fine dei conti, aveva bisogno del suo aiuto e fare incazzare Eve era il modo migliore per avere una vendetta in cambio.

Ergo, niente rimbrotti… per un po’.

Asciugandosi una lacrima di ilarità, Evelin si levò dalla sedia e, nell’uscire dalla cucina, gorgogliò: “Devi aver conosciuto una donna pazzesca, per avere bisogno di me per farti bello! Chi è questa Wonder Woman?”

“Perché ci deve essere di mezzo una donna?!” esplose lui, urlando dalla cucina mentre lei, ancora ghignante, si era rifugiata nel bagno a pianterreno per recuperare la sua trousse.

“Da quando in qua ti serve una maschera facciale, Kenny?” ironizzò allora Eve, osservando soddisfatta il necessario per far sparire le occhiaie del fratello.

“Cosa dovrebbe servirmi, scusa?” bofonchiò allora lui, cominciando a preoccuparsi.

Tornandosene in cucina con passo trotterellante, Eve allora mostrò il suo necessaire  di bellezza e, con un ghigno che nulla avrebbe avuto da invidiare a quello di un lupo, ciangottò ironica: “Ma naturalmente, una maschera sgonfiante ai cetrioli!”

“Neanche morto” decretò lapidario lui, facendosi di ghiaccio.

Lei non lo ascoltò minimamente, lo sospinse verso una sedia con ancora la tazza del caffè in mano e, con un tono che non ammetteva repliche, disse: “Se non vuoi che ti segua per scoprire chi ti sta facendo preoccupare tanto per la tua bella faccia, non solo ti metterai la maschera, ma mi lascerai lavorare sulle tue sopracciglia.”

“Cos’hanno che non vanno?” esalò Kennard, fissandola iracondo.

Eve lo fissò con aria di sufficienza e, nello scuotere il capo, borbottò: “Questi uomini… in realtà non lo usate, lo specchio, altrimenti non dovresti neppure chiedermelo.”

Preferendo non indagare in merito alle sue sopracciglia – che aveva sempre creduto perfette – Ken si lasciò andare a un lungo, lento sospiro dopodiché, reclinando indietro il volto, borbottò: “Non farmi sembrare il Joker.”

“La tua donna sbaverà, dopo il mio trattamento” ghignò per contro lei.

“Non è la mia donna” sottolineò acido Kennard.

Eve allora si aprì in un largo sorriso, gli diede un buffetto sulla guancia e, nell’estrarre tutto il necessario per la maschera facciale, replicò arguta: “Ma hai appena ammesso che c’è, una donna.”

Ken fece per replicare ma, dopo un momento di attenta riflessione, preferì tacere. Evelin era una maga, negli interrogatori, e lui si era fatto abbindolare come un allocco. Meglio non ammettere nient’altro o, presto o tardi, avrebbe scoperto anche il numero di scarpe di Lorainne, di quel passo.

Che, per la cronaca, era il quaranta… anche se si sentiva mille volte fesso al solo pensiero di saperlo.
 
***

Ogni cosa era stata predisposta al meglio, nel negozio, e il profumo della frutta candita si accompagnava a quello dello zucchero a velo cosparso come neve sui biscotti. Succhi di frutta si affiancavano a bevande alcoliche per i più grandicelli e, mentre lei sistemava gli ultimi dolci al pan di zenzero, si volse allegra quando udì la porta d’entrata aprirsi.

“Benvenuti! Che bello vedervi tutti!” esordì lei, dando il benvenuto alla famiglia Dawson.

Da quando Alec era tornato dalla sua missione in Irlanda con la piccola Penny, il suo costante e ormai collaudato umor nero era quasi diventato un ricordo del passato.
Quasi.

Di lì a poco, da quel che aveva saputo dalla stessa Penny, la madre – Erin – sarebbe giunta da Belfast per diventare a tutti gli effetti la compagna di Alec e, tra le lupe, questo fatto aveva scatenato non solo cori di giubilo, ma autentiche ovazioni.

Nessuna di loro aveva nascosto, nel corso degli anni, un seppur minimo desiderio di diventare Prima Lupa, anche solo per aiutare Alec nella gestione del branco, non tanto per essere la sua compagna fissa.

Il fatto che lui non volesse per nessun motivo una donna nella sua vita si era palesato più che bene, nel corso degli anni, e la rottura con Beverly aveva messo i chiodi sulla bara di quel sogno agognato da diverse lupe.

Venire a sapere della presenza di Erin – e notare l’affetto palese di Alec nei confronti della figlia di quest’ultima – aveva però ridato speranza a tutti. Speranza che il loro Fenrir potesse, finalmente, liberarsi dai fantasmi di un passato terribile per poter pensare a un futuro più roseo e sereno per tutti, in primis per lui.

Perché, checché potessero aver pensato di Alec gli altri clan, negli anni precedenti, i membri del branco di Bradford avevano sempre tenuto in altissima considerazione il loro Fenrir, pur se a volte era stato duro e inflessibile. Saperlo felice, perciò, aveva fatto piacere a tutti.

Penny le corse incontro per abbracciarla con calore, strappandola ai suoi pensieri errabondi e Lory, nel darle un bacio sui biondi capelli, le sorrise e disse: “Hai già in mente cosa fare, oggi?”

“Vorrei provare il violino. Papà Marcus aveva iniziato a insegnarmi, e papà Aleksej ha detto che posso anche continuare a prendere lezioni” si limitò a dire con candore la bambina, lanciando poi uno sguardo adorante all’uomo oggetto dei suoi pensieri.

Alec si limitò a storcere il naso e annuire – il fatto che la bambina fosse l’unica a poterlo chiamare con il suo vero nome, la diceva lunga – così Lorainne, nell’indicargliene uno, disse: “Conosco un ragazzo in gamba, che potrà darti tutte le lezioni che vuoi.”

“Di chi si tratta?” borbottò immediatamente Alec, mentre Irina – la madre di Alec – si lasciava andare a un sorrisino comprensivo.

Lorainne non se la prese affatto per il tono burbero di Alec e, nell’indirizzare la bimba perché prendesse lo strumento, si avvicinò al suo Fenrir e disse: “E’ uno dei miei ex studenti. Studia al Royal Northern College of Music di Manchester e, nei fine settimana, torna sempre a casa dai suoi. Posso garantire per lui, inoltre è molto bravo coi bambini, e sa come tenere vivo in loro l’interesse per la materia.”

“Voglio conoscerlo comunque” brontolò l’uomo, pur rilassandosi un poco.

“Non avevo dubbi” ammiccò lei prima di indirizzare figlio e madre presso il tavolo dei rinfreschi.

Con Alec, o imparavi a deviare i colpi, o ti riempivi di lividi. L’infanzia terribile che aveva dovuto affrontare aveva lasciato su di lui cicatrici visibili – e altre no, ma ugualmente orrende – ma, almeno nell’ultimo anno, qualcosa aveva iniziato a cambiare.

Il suo regime duro e totalitario, per quanto giusto e corretto, aveva sempre tenuto sul chi vive ogni membro del branco ma, da quando Alec era venuto a più miti consigli con il branco di Matlock, un lento cambiamento era iniziato a venire a galla.

L’arrivo di Penny gli aveva dato il colpo di grazia e, in cuor suo, Lorainne era curiosa di conoscere Erin, l’unica donna in grado di aprire uno squarcio nell’animo buio del loro Fenrir.

La campanella della porta suonò proprio in quel momento e, inconfondibile come il suo dolce preferito, l’aroma di Kennard le solleticò il naso, portandola a volgere lo sguardo e sorridere al tempo stesso.

Quel giorno aveva indossato un morbido maglione di lana color crema a collo alto, jeans schiariti e degli scarponcini di pelle. Sul braccio teneva poggiato il cappotto e, quando lei si avvicinò per prenderlo, disse: “Ben arrivato. Hai fame, spero. Ho cibo per un reggimento.”

“Non rifiuto mai il cibo, credimi” le sorrise lui, dando un’occhiata in giro prima di inquadrare un uomo alto e nerboruto nei pressi degli strumenti ad arco.

Accanto all’uomo, simile a un folletto dei boschi, una bambina stava inscenando un balletto tenendo in mano un violino e mimando di suonarlo mentre, dalle labbra, sgorgava una melodia in una lingua a lui sconosciuta.

Una donna canuta batteva le mani al ritmo con la sua melodia, sul volto un oceano di rimpianti, ma anche la speranza di poterli cancellare proprio grazie al folletto biondo che la stava incantando.

“Sono miei amici” mormorò al suo fianco Lorainne, osservando a sua volta la scena con un caldo sorriso sulle labbra. “La bambina si chiama Penny, e l’uomo accanto a lei e il suo patrigno.”

“E’ davvero splendida” sussurrò Kennard prima di domandare: “Spero che non sia un caso di…”

“Oh, no. Nessun divorzio violento, o cose simili. Il padre della piccola è morto lo scorso anno, e la madre si è presa cura di lei da sola finché, nelle loro vite, non è apparso Alec” gli spiegò lei, accentuando il proprio sorriso. “Alec la adora, e penso che aprirebbe in due la Terra, se lei gli chiedesse di farlo.”

Accennando un risolino, Kennard esalò: “Con un fisico simile, credo ne sarebbe in grado.”

Lorainne annuì in risposta ma, quando Alec si volse verso di loro per seguire con lo sguardo Penny – ora impegnata a sfiorare con reverenziale timore una fila di violini appesi al muro – Kennard venne colto alla sprovvista. Di colpo, neanche si fossero aperte le cateratte del cielo, antiche reminiscenze lo colpirono come fitta pioggia, riportandolo indietro di vent’anni.

Tornò a un altro tempo, a un altro luogo, agli affollati corridoi della sua scuola, al cacofonico via vai dei compagni e a lui… al bambino che il padre aveva sfregiato al volto.

All’epoca, tutti loro ne erano rimasti sconvolti – quale ragazzino non sarebbe rimasto basito di fronte a una simile crudeltà? – ma, quel che più aveva colpito Kennard, era stato vedere quel ragazzino.

La vittima.

Alec Dawson.

Di un anno più grande di lui, Alec era apparso imperturbabile nonostante lo squarcio che suo padre gli aveva procurato al volto. Il suo sguardo gli era parso come morto, inattaccabile in alcun modo da nessun tipo di sciagura o patimento.

Persino i sentiti auguri di una pronta guarigione che tutti loro gli avevano tributato – e la speranza che il padre non tornasse mai più – erano sembrati scorrergli addosso come acqua fredda.

Quel colpo di coltello, probabilmente, aveva ucciso la sua fanciullezza e, nel parlarne con il padre e lo zio, si era dichiarato impressionato dalla forza di volontà di quel ragazzo.

E ora, a distanza di vent’anni, Alec Dawson era lì … perché era sicuro che fosse lui! Quella cicatrice che gli percorreva la guancia era inconfondibile – l’aveva fissata per troppe volte, per non ricordarne anche la più piccola increspatura –,   anche se tutto il resto era cambiato. Inoltre, dubitava fortemente che, in tutta Bradford, vi fosse un altro uomo con uno sfregio del genere in volto.

Perché ricordarsene, però? Dopotutto, non si erano mai frequentati molto, né Alec era mai stato propenso a starsene in compagnia con i bambini più piccoli di lui.
Forse perché quell’episodio aveva sconvolto tutti loro, all’epoca, e lui in particolar modo?

Kennard non seppe spiegarselo ma, quando incrociò gli occhi grigi dell’uomo, vide un altro particolare in netto stridore con l’Alec del passato. Il suo sguardo non era più morto, ma viveva. Viveva per il folletto biondo che, in quel momento, raggiunse tutta sorridente proprio lui, gli strinse una mano e domandò: “Tu sei un amico di Lory?”

“Eh? Oh… sì” assentì Ken, distogliendo a fatica lo sguardo da Alec per posarlo sulla bambina.

“Come l’hai conosciuta?” si informò a quel punto Penny, picchiettandosi l’archetto del violino sul mento, lo sguardo indagatore e attento.

Spalancando leggermente gli occhi per la sorpresa, Kennard si volse a mezzo quando sentì Lorainne ridacchiare divertita e, nello scrollare le spalle, disse: “Io e lei lavoriamo insieme al Centro Diurno.”

“Allora ti piacciono i bambini!” esclamò trillante Penny, balzellando allegra attorno a lui.

“Non disturbare il signore, ranocchietta” intervenne con tono blando Alec, gli occhi grigio ghiaccio ora puntati sulla bimba.

Lei assentì subito, si esibì in una riverenza di fronte a Kennard e disse per contro: “Scusa. Parlo sempre molto… a volte, troppo. Ma non posso farci niente. E’ bello conoscere le persone, e penso che…”

Alec si schiarì la voce e Penny, interrompendo nuovamente il suo fiume di parole, rise con dolcezza di se stessa, fece la lingua a mo’ di scusa e borbottò: “Ecco,… appunto…”

Kennard allora le sorrise comprensivo, scosse il capo e replicò: “Amo molto le persone ciarliere, non temere.”

“Oooh, papà! Allora posso…” iniziò col dire Penny, lanciando uno sguardo speranzoso all’indirizzo di Alec.

A quel punto, Alec sospirò e disse, rivolto a Kennard: “E’ la tua condanna a morte. Non me ne prenderò la responsabilità.”

“Esagerato” chiosò Lorainne, sospingendo poi Ken verso il pianoforte. “Tieni impegnata Penny con un tuo brano, forza. Clarisse ti stava aspettando.”

Lui può usare il piano?!” esalò sconvolta Penny, illuminandosi in viso di fronte a quella notizia inattesa.

“Sì. Clarisse lo adora” ammiccò Lorainne prima di tornare da Alec e Irina, che si erano sistemati accanto al tavolo dei rinfreschi.

Mentre Kennard si sistemava sul panchetto di fronte a Clarisse, Penny si appoggiò con delicatezza al pianoforte e domandò con reverenziale timore: “Ma davvero te lo lascia suonare?”

“Lorainne è davvero così permalosa, riguardo a questo piano?” ironizzò a quel punto Ken, trovando quella domanda un po’ strana.

“Mia mamma dice che alcuni oggetti trattengono parte dell’anima di coloro che più li ha amati e, di sicuro, deve essere successo questo, se Lorainne non vuole che le persone tocchino questo piano. Mi ha raccontato che la sua nonna adottiva lo amava molto.”

“Nonna… adottiva?” mormorò sorpreso Kennard, iniziando ad accennare l’aria di Per Elisa.

Annuendo, Penny lanciò una rapida occhiata in direzione di Lorainne – che stava amabilmente chiacchierando con due nuovi avventori – e, con aria da cospiratore, borbottò: “Il mio papà è morto, e ora Alec è il mio nuovo papà, così come Irina è la mia nuova nonna. Clarisse, invece, divenne la nonna di Lorainne quando fu adottata. Me l’ha detto lei.”

Quell’ultima specifica fece sorridere Kennard, che replicò: “Tranquilla, ti credo.”

Penny allora sorrise grata e mormorò: “A volte, gli adulti non credono ai bambini.”

“Lo so” assentì con tono triste lui, lasciando scivolare con abilità le mani sui tasti d’avorio.

Socchiudendo gli occhi, permise alla musica di sfiorare il suo animo perché lo trasportasse in un luogo più tranquillo. Lì, dove guerre e nemici non erano presenti,  fu con sorpresa che intravide il volto di Lorainne in quel calmo ambiente boschivo ove, di solito, si rifugiava per meditare.

Fu solo una fugace apparizione, subito cancellata dal sospiro incantato di Penny, che lo strappò a quel mondo pacifico per riportarlo al presente.

“Ora capisco perché piaci tanto a Clarisse” mormorò Penny, poggiando il capo sul bordo del pianoforte per tributargli un sorriso tutto fossette.

Kennard ne rimase incantato per un istante, prima di chiederle: “Senti la mancanza del tuo papà? Suonava, per caso?”

“Papà Marcus? Sì, lui suonava il pianoforte, e la mamma passava un sacco di tempo ad ascoltarlo suonare” mormorò pensierosa Penny, giocherellando con una ciocca di capelli mentre la musica di Kennard lentamente si trasformava in un allegro valzer viennese.

“E il tuo nuovo papà suona?”

Penny a quel punto sorrise maliziosa, scosse il capo ma asserì: “Papà suonerebbe il primo che si permettesse di farmi del male. Questo sì.”

Kennard a quel punto rise divertito, mutò il valzer in una spensierata giga spagnola e disse: “Scommetto che ti piace sapere che il tuo nuovo papà è così protettivo con te.”

“Oh sì” ammise con candore Penny prima di avvertire il peso di una mano sulla sua spalla.

Volgendosi a mezzo, sorrise sbarazzina ad Alec, che li aveva raggiunti al pianoforte, e aggiunse: “Adoro il mio nuovo papà perché è forte, mi vuole bene e ne vuole tantissimo alla mamma.”

Alec ammiccò leggermente al suo indirizzo, se la caricò tra le braccia con facilità – nonostante Penny fosse già abbastanza grande per quel genere di servizio – e dichiarò: “E io adoro te, ranocchietta. Hai stordito abbastanza le orecchie di questo pover’uomo?”

“Penso di sì” gorgogliò la bambina, lanciando poi un sorriso pieno di malizia a Kennard prima di salutarlo e allontanarsi tra le braccia del padre.

Alec lo salutò con un cenno e a Ken non restò altro che guardarli allontanarsi, con la certezza che quella bambina fosse finita tra le mani di un buon patrigno.

Nei suoi occhi non aveva scorto dolore per la morte del padre, ma solo il dolce ricordo di lui unito all’amore spassionato e leale nei confronti della sua nuova figura paterna.

Di meglio non si poteva sperare, per un bambino.

Lorainne si sostituì a Penny quand’anche l’ultimo degli avventori – e dei suoi amici – fu uscito dal negozio e, nel poggiare i gomiti sul piano, sorrise a Kennard e disse: “Clarisse sta letteralmente facendo faville, con te. Mi sembra che il suo suono sia addirittura migliore del solito.”

“Non ti so dire… però mi piace suonarlo” mormorò lui, lasciando degradare il suono per poi trasformarlo in una melodia dolce, leggermente melanconica e dai toni antichi, quasi dimenticati dai più.

Lorainne sorrise nell’udire quel brano – un’antica ballata norrena – e, scrutando piena di curiosità Ken, domandò: “Come mai conosci questa melodia?”
Lui allora rispose al suo sguardo e replicò: “E tu, come la conosci?”

“Amo la musica folkloristica” asserì Lorainne scrollando le spalle. “Tu, invece, che scusa hai?”

“Mia nonna la cantava spesso, quando io e mia sorella eravamo piccoli” mormorò Kennard, ripensando ai lunghi Natali passati a Glasgow, dinanzi al focolare dei nonni, intenti ad ascoltare storie di folletti, draghi e lupi.

Nonna Arabell era morta l’anno addietro a causa di una brutta polmonite e, da quel momento, suo nonno si era chiuso in se stesso fin quasi a non parlare più. Inutili erano stati i tentativi di suo padre e dello zio di convincerlo a venire a Bradford; lui sarebbe rimasto dove aveva sempre vissuto con la sua Bells, e niente gli avrebbe fatto cambiare idea.

Gli mancava, ma sapeva che andare a trovarlo proprio in quel periodo lo avrebbe fatto soltanto infuriare. Sarebbe andato da nonno Kieran in un momento meno delicato dal punto di vista emotivo e, da bravo Palmer, avrebbe fatto valere i suoi diritti di nipote.

Checché ne dicesse lui.

A quel pensiero fece un mezzo sorriso, interruppe la melodia e, nell’osservare Lorainne, disse: “Penny è un uccello canterino dalla lingua lunga.”

“Oh… cos’ha spifferato, quella fatina ammaliatrice?” si incuriosì lei, volgendosi a mezzo per poggiare il fianco contro il pianoforte e stringere le braccia sotto i seni.

“Mi ha detto che sei stata adottata. Spero che la cosa non ti disturbi” ammise lui, giocherellando coi tasti e inventandosi un brano lì per lì.

Scrollando una spalla, Lorainne replicò: “Non è un segreto nazionale. Solo, non è un argomento che approccio con tutti.”

“Ti turba che io lo sappia?” volle allora sapere Kennard.

“No” disse soltanto lei, e all’uomo bastò.

Era lieto di aver aperto uno spiraglio nella vita di Lorainne e, al tempo stesso, non era del tutto certo di voler aprire ancor di più la porta che dava sul suo mondo. Sarebbe stato in grado di tirarsi indietro, all’occorrenza, o avrebbe ceduto al suo fascino, lasciando quindi perdere la sua importante missione?

Avrebbe avuto il coraggio di mettere da parte lei per portare avanti la sua lotta contro i licantropi?

Lanciando uno sguardo di sottecchi al volto rilassato di Lorainne, al suo sorriso accennato, a lungo collo inarcato all’indietro – quasi che la sua musica strampalata le stesse dando un piacere inaspettato – Kennard non fu del tutto sicuro dei suoi intenti.

Ma non voleva smettere di suonare per lei, di vedere quel viso disteso e rilassato per merito suo. Il che, di per sé, era già una risposta ai suoi mille quesiti.

Il fatto che volesse o meno rendersene conto, era secondario.
 
***

Sorseggiando un po’ di aranciata mentre Lorainne era intenta a impacchettare un ottavino per una dodicenne dall’aria eccitata e piena di aspettativa, Kennard sollevò leggermente il suo bicchiere di plastica nel veder giungere sua sorella.

Eve si presentò verso le sette di sera, evidentemente appena smontata dal suo turno alla Stazione di Polizia, un borsone sulle spalle e gli anfibi ancora ai piedi.

Il suo abbigliamento, in effetti, era una strana miscellanea di eleganza e trasandatezza, il che era un’autentica stranezza, per Eve. Di solito, non voleva apparire meno che perfetta, quando si trovava fuori casa.

Il lungo impermeabile della polizia, abbinato ai pantaloni della tuta, gli anfibi e una felpa col cappuccio, non erano gli abiti con cui era solita uscire. Perciò, cos’era successo?

Sorprendendosi nel vederla attraversare il negozio per raggiungerlo, lo sguardo corrucciato e ombroso, Kennard le domandò: “Ehi, Eve! Come mai così conciata?”

“Non me ne parlare, Ken…” brontolò Eve, poggiando la sua sacca a terra prima di servirsi un bicchiere di coca-cola, guardarsi intorno incuriosita e aggiungere: “… bel posto. Non ci ero mai entrata ma, passandoci davanti, mi ha sempre incuriosito.”

“Stai cambiando discorso” sottolineò il fratello, offrendole un biscottone alle noci e zenzero.

Addentandolo, Eve se lo gustò con piacere prima di ammettere: “Una perdita nelle tubature dello spogliatoio. Quando sono rientrata dal giro di pattuglia, lo spogliatoio era allagato… e gli abiti negli armadietti erano zuppi.”

"Una tubatura scoppiata?" esalò Kennard prima di esibirsi in un sorrisino vagamente derisorio.

Eve lo frizzò con lo sguardo, accigliandosi non poco, e borbottò: "Non osare aprire bocca, razza di damerino che non sei altro. Pensa piuttosto a passarmi un altro biscotto."

Ken la accontentò subito e, quando vide giungere una incuriosita Lorainne, la avvertì dicendo: "Attenta ad avvicinarti. Mia sorella morde, al momento."

Levando le sopracciglia con aria sorpresa, Lorainne replicò: "Non sapevo che avessi una sorella... e che fosse una poliziotta. Buonasera, io sono Lorainne Simmons, la proprietaria."

"Eve Palmer... gran bel posticino. Ci passo sempre davanti la mattina con l'autopattuglia, ma non ho mai avuto il tempo di entrare" asserì la giovane, allungando la mano libera dal biscotto prima di aggiungere: "Chi ha fatto questa squisitezza?"

Lorainne accennò un sorriso e un cenno del capo ed Eve, nell'afferrare un terzo biscotto, chiosò: "Sarei tentata di requisirli per eccesso di bontà, ma credo che mio fratello si incazzerebbe."

"Eve..." sospirò Kennard, lanciando un'occhiata alla porta d'ingresso, dove avevano fatto capolino un paio di bambini adulto-muniti.

"Ops" sussurrò birichina Eve, ammiccando all'indirizzo di Lorainne, che scrollò appena le spalle.

"C'è musica in sottofondo. Dubito abbiano sentito" replicò in un mormorio Lorainne prima di scusarsi con loro per accogliere i nuovi arrivati.

Volgendo lo sguardo di nero acciaio in direzione del fratello, Eve miagolò: "E' lei, vero, che ti ha obbligato a fare una maschera facciale?"

Kennard tentò con ogni mezzo di non arrossire - ce la mise davvero tutta - ma il profuso calore che avvertì alla base del collo cospirò contro di lui, smascherandolo.

Sbuffando, perciò, si limitò a dire: "Non vederci del marcio. Mi piace stare in sua compagnia, tutto qui."

"E' carina..." mormorò Eve con fare da cospiratore. "... e sa fare ottimi biscotti. Quasi quasi le chiedo se vuole uscire con me."

Passandosi una mano sul volto con espressione esasperata, Kennard squadrò da capo a piedi la sorella e, disgustato, borbottò: "Mangi come un cavernicolo, eppure non metti su un chilo. Dovresti vergognarti. Di solito sono gli uomini che si conquistano col cibo, eppure tu svieni ogni volta che ti si offre una cena."

"Che ci vuoi fare. Sono debole" ammiccò lei, afferrando una tartina di pesce e trovandola squisita. "Dio! Se ha fatto anche questa, me la sposo!"

"Sei pessima" sbuffò Kennard, tornando da Clarisse per rilassarsi un poco.

Eve lo seguì con movenze feline e, poggiandosi al piano, mormorò maliziosa: "Cosa suonerai per me, bell'uomo?"

"Piantala di fare l'idiota e ricordati che indossi ancora i colori del tuo Corpo. Sii un po' più seria di così" borbottò Kennard chiudendo gli occhi e poggiando le mani sulla tastiera d'avorio.

Eve allora ridacchiò, si ammutolì nel rimettersi diritta e in posizione di riposo dopodiché, strizzato l'occhio a uno dei bambini testé entrati in negozio, sussurrò: "Pronto per sentire un artista all'opera?"

Il bambino osservò incuriosito la figura di Kennard e quest'ultimo, nel sogghignare all'indirizzo della sorella, mugugnò: "Meriteresti che non suonassi, ma farò un'eccezione giusto perché ho un pubblico."

Ciò detto, accennò il jingle di Mission Impossible e subito il bambino si illuminò in viso, battendo piano le mani al ritmo con la musica intonata da Kennard.

Dal bancone della cassa, Lorainne sorrise e il padre del bambino, nell'osservare il figlio così preso dall'ascolto, asserì: "Quasi quasi assolderei il tuo fidanzato per tenerlo calmo durante il giorno. E' per caso disponibile?"

Lorainne allora rise, scosse una mano e replicò: "Oh, ma Kennard non è il mio fidanzato. E' solo un amico."

"E gli permetti di suonare Clarisse?" ironizzò allora l'uomo, strizzandole l'occhio.

"Papà, papà... chi è Clarisse?" domandò la figlioletta di cinque anni, aggrappata timidamente ai suoi pantaloni.

"E' il nome che Lory ha dato al pianoforte, tesoro. E lei è mooolto gelosa di quello strumento" ironizzò l'uomo mentre Lorainne lo fissava con espressione accigliata e divertita al tempo stesso.

"Dovrei picchiarti, Conrad, per quello che hai detto, ma non lo farò mai davanti a May" brontolò la giovane, piantando le mani sui fianchi.

"Allora userò May come escamotage per raggiungere il tavolo dei rinfreschi ed evitare i tuoi artigli" ammiccò l'uomo, prendendo in braccio la figlia per poi avventurarsi verso il fondo del negozio.

Lorainne scosse esasperata il capo e sorrise. Persino i neutri del branco erano preoccupati che lei rimanesse sola. Non bastavano le attenzioni assidue di Penny; a quanto pareva, la malattia di Cupido si era estesa a macchia d'olio in tutto il clan.

A quel punto, temeva che per Natale le presentassero dinanzi alla porta un uomo infiocchettato in tutto e per tutto, con tanto di auguri infilati in bocca a mo' di mela come per i porcellini arrosto.

La sola idea la fece scoppiare a ridere e, subitaneo, lo sguardo di Kennard la cercò, quasi che quella risata liberatoria lo avesse sorpreso.

E, in parte, ne aveva anche ben d'onde. Se ne stava da sola, al bancone della cassa, e rideva di cose solo sue. Niente di strano che l'avesse trovata una scena bizzarra.

Per evitare altre pessime figure, quindi, si avviò per raggiungere gli altri e, nell'affiancarsi a Eve e al figlio di Conrad, Peter, domandò a quest'ultimo: "Allora, come ti pare che suoni?"

"Il tuo ragazzo suona davvero bene!" esclamò Peter, facendo avvampare in viso Lorainne e scoppiare a ridere il resto dei presenti.

"Conrad!" esclamò a quel punto Lorainne, fissando l'amico con espressione vendicativa mentre l'uomo cercava di non strozzarsi con la coca-cola e, al tempo stesso, tentava di non far cadere a terra la figlia.

Eve si asciugò una lacrima di ilarità, diede il cinque al bambino ed esalò: "Oddio, è davvero venuta benissimo, come scena. Scusa, ma è così."

Lorainne si passò una mano sul volto ancora arrossato e borbottò: "Sono circondata da complottisti."

Kennard le sorrise complice e dichiarò: "Dovremmo sorprenderli davvero e metterci insieme, che dici?"

"Non ti ci mettere anche tu, Ken, ti prego, o non la finiranno più di ficcanasare!" esalò Lorainne, aprendo così le danze per un nuovo giro di risate. "Oooh,... siete impossibili. Tutti quanti!"

L'istante seguente, si avviò al tavolo dei rinfreschi, si preparò un mix di coca-cola e sprite e lo ingollò in un colpo solo.

A quella vista, Conrad storse naso e bocca e borbottò: "Dio, che schifo, Lory..."

"L'ho fatto apposta. Lo so che odi quando lo faccio" ghignò lei, facendo il bis.

"Non sai stare agli scherzi" si lagnò comicamente lui.

"Quando ne sono la vittima? No. Per niente" ammise con candore la giovane, tornando a osservare il trio accanto al pianoforte.

Peter stava praticamente conducendo un interrogatorio in piena regola a Kennard, mentre Eve lo assecondava, offrendogli sempre nuovi spunti per altre domande.

Ken, per contro, svicolava con abilità qualsiasi argomento troppo personale, lanciando nel contempo occhiate venefiche alla sorella, che però sembrava immune ai suoi strali.

Nel complesso, Lorainne trovò il tutto esilarante e, anche se l'idea di essere presa in mezzo a quel gioco sentimentale ancora le bruciava un po', le piacque conoscere quel lato di Kennard che, ancora, non aveva scoperto.
 
***

Nel chiudere il negozio, Lorainne si volse per ringraziare Eve e Kennard - rimasti con lei per sistemare gli avanzi nei rispettivi contenitori ermetici per alimenti - e, quando si fu assicurata di aver serrato per bene la porta sul retro, disse: "Siete stati davvero gentili a rimanere con me fino a ora. Non ce n'era davvero bisogno."

"Oh, credimi, Lorainne... a casa ci aspetta una noiosissima riunione di famiglia perciò, più me ne tengo lontana, meglio è" chiosò Eve, scrollando le spalle.

Kennard la guardò esasperato, replicando: "Le dai l'idea che la nostra famiglia sia pessima."

"Non sia mai... papà, mamma e lo zio sono a posto... ma quando arrivano i cugini da Manchester, mi darei per morta molto volentieri" sospirò Eve con fare melodrammatico.

"La solita esagerata" celiò Kennard prima di rivolgersi a Lorainne per domandarle: "Hai bisogno di uno strappo a casa?"

"No, tranquillo. Passano a prendermi tra poco" lo rassicurò lei prima di aprirsi in un sorriso quando vide avvicinarsi un pick-up scuro.

Kennard ne seguì lo sguardo e, per poco, non lanciò un'imprecazione quando un vichingo alto poco meno di due metri scese da un pick-up tirato a lucido e munito di roll-bar cromati davvero degni di nota.

"Carico la roba e andiamo" asserì laconico il nuovo arrivato, accennando un saluto con il capo a Kennard ed Eve prima di avviarsi in direzione delle scatole nei pressi della porta sul retro.

"D'accordo" acconsentì Lorainne prima di mormorare: "Lui è William, un mio caro amico."

Ciò detto, aprì lo sportello posteriore del pick-up per permettere a William di caricare le scatole con il cibo rimasto ed Eve, con un sorrisino malizioso, prese sottobraccio il fratello e disse con casualità: "Noi allora andiamo. Buon Natale, e grazie ancora per i biscotti."

Nel dirlo, sollevò la scatola che Lorainne le aveva lasciato e quest'ultima, nel salutarli mentre Eve, letteralmente, trascinava via un accigliato fratello, esclamò: "Ti darò la ricetta, visto che ti piacciono tanto!"

"Sono più buoni se me li preparerai ancora tu!" replicò con una gran risata Eve prima di spingere quasi a pedate Kennard dentro la sua utilitaria.

Lorainne rise divertita di fronte a quella scenetta e, per l'ennesima volta, sentì la mancanza di un fratello o una sorella con cui condividere un simile cameratismo.

Certo, nel suo branco erano tutti più o meno gentili e prodighi di attenzioni nei suoi confronti,  ma non era la stessa cosa.

"Hai notato che puzzavano d'argento?" le domandò a sorpresa William, passandole accanto.

"Eh? Oh, sì. Ken porta un anello di famiglia sul mignolo, mentre Eve ha una collana con un pendente di Swarovsky" assentì Lorainne, chiudendo per lui la sponda prima di salire sul pick-up.

William annuì distrattamente, a quell'accenno, e borbottò: "Stacci attenta, caso mai volesse prenderti per mano, quel bell'imbusto."

Lorainne scoppiò in una grassa risata ed esalò: "Ma pensi che sia nata ieri?"

"Non si sa mai" scrollò le spalle William, mettendo in moto per allontanarsi dal negozio e dal centro città. Quella sera, avevano un'importante riunione al Vigrond e non era il caso che tardassero troppo.

Finalmente avrebbero incontrato Erin, perciò era il caso non tardare. Quell’evento avrebbe anche potuto essere segnato negli annali, e lei non voleva perdersi un solo attimo.
 
***

"Che peccato, fratellone... a quanto pare è già impegnata con Mister Norvegia 2010" chiosò maliziosa Eve, imboccando la via per uscire dal centro città.

Kennard sbuffò al suo indirizzo, replicando: "Sei tu che ti sei fatta dei castelli in aria, pensando a chissà che cosa. Io te l'avevo detto che non dovevi vederci del torbido."

"E' per questo che ti sono cascate le palle, quando hai visto quel concentrato testosteronico di muscoli e bellezza da paura?" ironizzò ancor più maliziosamente la sorella, lasciandosi poi andare a un sospiro di apprezzamento.

"Se ami il genere 'palestrato e steroidato', sono affari tuoi. A me non fa né caldo né freddo" precisò Kennard, pur sentendosi rodere dentro dal tarlo del dubbio.

Quella sorta di armadio a quattro ante era davvero il fidanzato di Lorainne? E se sì, a lui cosa ne sarebbe importato?

Importa, importa, disse una vocetta nella sua testa. Dal tono, poteva essere lo spirito diabolico di Eve che si era infiltrato nel suo cervello al solo scopo di tormentarlo.

"Povero, povero il mio fratellone. L'unica volta che dimostra davvero interesse per una donna, questa è impegnata" ironizzò con ancor più sarcasmo Eve.

Kennard la fissò malissimo e replicò gelido: "Quando mamma ti ha partorito, deve averti dato cicuta, al posto del latte, sennò non si spiega."

Eve scoppiò in una grassa risata di gola e Ken non poté che dichiararsi sconfitto. La sorella era impermeabile a qualsiasi insulto e, soprattutto quando poteva prenderlo in giro per via della sua vita amorosa piuttosto scarsa, non conosceva rivali.

Tanto valeva far finta di niente e pensare ad altro. Semmai vi fosse riuscito.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 
 
 
 

 
4.
 
 
Giugno 2011 - Bradford
 
Dopo aver chiuso il negozio ed essersi sincerata che l'allarme fosse in funzione, Lorainne raggiunse il suo appartamento attraversando il parco pubblico che la divideva dal centro città.

Adorava fermarsi a osservare il tramonto nei pressi della Mirror Pool, nel mezzo del Citypark di Bradford e, ogni sera, si perdeva in contemplazione dei giochi d'acqua delle fontanelle e dei riflessi che il sole creava con esse.

Il cicaleggio delle persone, così come le risate dei bambini, la rilassava a tal punto da perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Osservare i cagnolini che saltavano allegri assieme ai loro padroncini, poi, la divertiva un mondo.

A volte le mancava quella parte della sua vita. Da piccola, pur passando da una casa affidataria a un'altra, aveva potuto godere per qualche tempo della compagnia di alcuni animali domestici, tra cui un paio di gatti particolarmente affettuosi.

Il solo fatto di non poterne tenere nessuno, ora, le pesava, perché aveva amato passare le dita nel loro soffice e folto pelo. E con un cane non era la stessa cosa, almeno per lei.

Quella sera, però, diversamente dai suoi sabati classici, sarebbe uscita con William e non voleva fare tardi, soprattutto perché l'invito era venuto da lui, e ben sapeva quanto l’Hati fosse restio a darsi agli appuntamenti galanti.

Era stato davvero comico scoprire come Penny avesse incastrato anche lui in quel gioco alla Cupido che la bambina si era intestardita nel voler fare, avendo lei come vittima sacrificale.

Il possente, ombroso e seriosissimo William si era lasciato abbindolare da una bimba di otto anni, il che era di per sé assai esilarante. 

Will, però, ci aveva tenuto a sottolineare quanto, quell'invito, non c'entrasse nulla con le strategie di Penny. E in fondo, dopotutto, che male c'era a uscire con un uomo?

William era un licantropo come lei, era single e nessuna lupa aveva interessi palesi nei suoi confronti, pur se sospettava che alcune ci avessero fatto più di un pensiero ma che, per paura, non avessero mai tentato approcci.

In fondo, da quando Paul l'aveva tradita, lei non aveva più permesso a se stessa di uscire con nessuno e, complice anche la mancanza di una famiglia vera e propria, spesso si era sentita sola.

Il branco era un buon mezzo per non sentirsi isolati, ma troppe volte si era sentita in prestito, come se non sentisse di meritare completamente la disponibilità e l'appoggio che le venivano offerti dal clan.

Al sesto minuto di permanenza nei pressi delle fontane - cinque le erano parsi pochi, dopotutto - Lorainne si decise quindi ad allontanarsi per rientrare a casa e, quando infine raggiunse il suo appartamento, lasciò cadere la borsetta sul divano per poi raggiungere la doccia.

Lì, si deterse con un sapone neutro - aveva faticato un sacco a trovarne uno che le piacesse - e lasciò che l'aura la asciugasse mentre, con gesti leggeri della spazzola, si sistemava i corti capelli biondi.

I suoi fumosi occhi scuri la scrutarono curiosi attraverso lo specchio, quasi chiedendosi se fosse realmente convinta di quell'uscita ma, dandosi dell'idiota, lasciò perdere quelle peregrinazioni mentali per concedersi il lusso di essere eccitata.

Non le capitava spesso di pregustare un’uscita e, soprattutto, un’uscita con un uomo e, il più delle volte, avveniva con la persona sbagliata.

Perché, checché ne dicessero le regole - e cioè che si poteva mutare un umano in lupo, se esso era ritenuto idoneo - lei non voleva rischiare di inguaiare una persona buona come Ken soltanto perché aveva le fregole ogni volta che lo vedeva.

In fondo, la sua poteva essere benissimo semplice smania sessuale. Essere un lupo metteva addosso certe voglie più spesso di quanto non avesse pensato all'inizio, e il fatto di essere sempre preda dell'istinto animale, l'aveva non di rado lasciata spaesata e insoddisfatta.

L'istinto di accoppiarsi giungeva feroce, quando era in calore, e lei aveva sempre dovuto sopprimere quegli istinti poiché, per nessun motivo, aveva voluto copulare con il primo lupo disponibile.

Non che molte lupe non lo facessero, e svariati lupi non si prestassero a simili servizi. Essere dei mutaforma con esigenze di quel genere imponeva di avere o un ferreo autocontrollo, oppure qualcuno con cui sfogare simili pulsioni.

Il pensiero si unirsi carnalmente a un umano durante quel periodo poteva portare molto facilmente all'omicidio. Nessuna lupa sarebbe stata in grado di trattenersi dall'usare artigli e zanne, e per il malcapitato sarebbero stati davvero guai.

Fino a quel momento, perciò, lei si era data all'ascetismo più totale, ringraziando cordialmente per gli eventuali inviti maschili, ma declinando ogni volta.

L'incontrare Kennard, e lo scoprire quanto lui sapesse smuoverla a svariati livelli, l'aveva messa nell'incresciosa situazione di non sapere più come tenere a bada i suoi istinti lupeschi.

La sua lupa bramava di assaggiarne le carni e, per quanto la sua parte umana fosse debitamente d'accordo - Kennard era un uomo degno di nota, e lei amava stare in sua compagnia - non aveva nessuna intenzione di divorarlo durante una notte di sesso.

Perché, lei temeva, sarebbe successo proprio questo se avesse osato accoppiarsi con lui durante il suo periodo di calore.

Indossati jeans schiariti e una camiciola leggera e smanicata, Lorainne infilò un paio di sandali infradito e, dopo aver afferrato la borsetta, lasciò in casa i suoi sordidi pensieri su Kennard e si diresse all'appuntamento con William.

Avrebbe fatto in modo di divertirsi, lasciando Ken fuori dall'equazione.
 
***

Costruito all'interno di un vecchio capannone industriale dalla struttura in metallo, con ampie arcate a tutto sesto in solido acciaio a sorreggere le alte vetrate, il Sir Titus Salt era il locale preferito dai licantropi, a Bradford.

Non tanto perché fosse più o meno pulito rispetto ad altri luoghi, o perché i prezzi fossero convenienti, ma perché servivano il miglior hamburger con onion rings del circondario. E loro amavano quella combinazione di sapori, soprattutto se abbinata a una salsa davvero speciale.

Stordiva i loro palati, rendendoli temporaneamente insensibili agli odori più sgradevoli, e tutto grazie alla salsa fatta in casa e preparata dallo chef del locale.

Quando perciò William e Lorainne si accomodarono al secondo piano, accanto a una delle arcate di fattura industriale e colorata di un acceso rosso fuoco, entrambi ordinarono quel sostanzioso piatto, abbinandolo a due birre ghiacciate.

La cacofonia del luogo permetteva loro una certa libertà di parola - nessuno avrebbe capito un accidente, a una distanza di più di un metro da loro - e, poiché i tavolini erano distanti, non c'era il rischio di venire scoperti.

William, perciò, dopo aver sorseggiato la birra, le disse: "Kelly mi ha detto che la prossima settimana dovresti essere la garante della sicurezza durante un combattimento. Sei sicura di volerlo fare? Se ne esce a ossa rotte, con tutte le onde di reflusso delle auree che sbattono contro la tua."

Scrollando una spalla, Lorainne si limitò a dire: "Mi sembrava carino rendermi utile. In fondo, finora non mi sono mai offerta volontaria per quel ruolo e, visto che sono almeno un paio d'anni che non affronto combattimenti, penso di potermelo permettere."

William le sorrise comprensivo, replicando: "Ancora con questa storia del rendersi utili? E dire che Alec è bravo a inculcare le proprie idee nella testa della gente, ma con te pare non esserci riuscito molto bene. Quante volte dovremo dirti che non c'è necessità di sentirsi in debito? Sei un membro effettivo del clan, sei una delle lupe più forti tra le neo-nate e hai fatto il culo a strisce a un paio di maschietti nativi. Più di così, cosa vorresti dimostrare?"

"Non lo so, in effetti. Ho sempre l'impressione di non avervi dato nulla, mentre voi mi avete dato tutto" si limitò a dire Lorainne, giocherellando con alcune gocce di condensa sulla bottiglia di birra che teneva tra le mani.

A rigor di logica, sapeva che il discorso di William non faceva una grinza ma, sul piano inconscio, lei sentiva di dover fare ancora molto per dimostrare di essere all’altezza del clan che l’aveva accolta.

Forse, dipendeva dal fatto che, essendosi fidata ciecamente di Paul, sentiva di non aver dimostrato di essere una persona accorta, e questo la faceva sentire inadatta ad accettare tanto e altruistico sostegno.

Will allora sbuffò derisorio, asserendo: "Ragazza, quando mutasti, capitasti in un branco in cui, per dirla gentilmente, la Triade era simile a un incrocio tra il Generale Patton e Gengis Khan. Non era il luogo più bello e allegro del mondo, in cui capitare, eppure ti attenesti alle regole fin dal primo giorno. Nel corso degli anni, hai imparato a essere una brava lupa e non hai mai tentato di rompere le palle a noi Gerarchi. Credimi, ci sono lycan nativi non altrettanto obbedienti."

"Lycan?" ironizzò a quel punto Lorainne, strabuzzando gli occhi. "Non m dire che sei un fan della saga di Underworld!"

"Un fan? No. Mi piace solo la Beckinsale" asserì lui prima di bloccarsi, ridacchiare e aggiungere: "Che non è molto carino da dirsi, dinanzi a una donna."

"E perché? Mica devo credere che tu abbia occhi solo per me, o che le altre donne non esistano" ironizzò lei. "Uhm, quindi ti piace il tipo pallido e corvino?"

"Direi più cazzuto e armato" asserì lui, facendola scoppiare a ridere. "Scherzi a parte, la saga non sarebbe neanche male ma, a un certo punto, ha preso una deriva assurda e la trama si è un po' persa."

"Però, ti piace il termine lycan" sottolineò Lorainne, incuriosita da quel lato insospettabile di William. Era davvero un tipo da cinema e pop corn?

"Il termine in sé non è male, onestamente. Ogni tanto mi piace usarlo, soprattutto se la controparte sa di cosa sto parlando" sorrise beffardo William, azzittendosi quando vide giungere la cameriera con le loro ordinazioni.

"E dimmi, oltre al genere horror fantasy, cos'altro ti piace?" domandò Lorainne afferrando un anello di cipolla per poi affogarlo nella famosa salsa speciale del locale.
"Tolti i film romantici - scusa, proprio non ce la faccio a guardarli - direi che guardo un po' di tutto. Spazio dai polizieschi ai film d'inchiesta, non disdegnando gli storici e i classici in bianco e nero" le spiegò lui, dando un morso all'hamburger prima di mugolare di piacere. "Dio, quanto è buono!"

Sorridendo divertita, Lorainne lo imitò e, dopo un sospiro di puro piacere, dichiarò: "Quindi, non hai mai visto Titanic. Ma Harry Potter?"

William allora levò un sopracciglio con aria divertita, ghignò al suo indirizzo e domandò furbo: "Tu, a che Casa appartieni?"

Lorainne gorgogliò una risata di puro piacere e, per il resto della serata, non fecero che confrontarsi sulle rispettive passioni cinematografiche, oltre che su commenti più o meno piccanti in merito agli attori di grido.

Fu in quel clima sereno e leggero che, intorno a mezzanotte, presero la via di casa e, come sempre, Lorainne decise di passare dal Citypark.

Quella sera, in città si svolgeva uno spettacolo di luci multicolori, e le imponenti costruzioni gotiche che circondavano la Mirror Pool erano lo sfondo monocromatico adatto per simili esibizioni.

Mano nella mano, e passeggiando tranquilli tra la folla che, eccitata, osservava il dipanarsi di immagini sempre più belle riflesse sui palazzi del centro, Lorainne e William trovarono un angolino appartato in cui osservare lo spettacolo.

La serata era stata così gradevole, e la brezza leggera che spirava da nord così fresca, da invogliare a rimanere fuori ancora per un po'.

Inoltre, nessuno dei due voleva realmente terminare quell'uscita o, per lo meno, non con un semplice buonanotte.

Quando, perciò, William si chinò su di lei per darle un bacio a fior di labbra, non soltanto Lorainne lo accettò, ma carezzò la sua nuca per invogliarlo a continuare.

L'istante seguente, però, sorrise divertita al pari dell’uomo, si scostò in preda a una risatina leggera e, assieme a William, si lasciò andare contro lo schienale della panchina dove si erano accomodati.

Asciugandosi una lacrima di ilarità, William quindi la osservò contrito ed esalò: "Troppo strano, vero?"

"Oddio, sì! Non ho mai avuto fratelli, ma è come se tu lo fossi!" assentì lei, dandogli una gradevole carezza sulla spalla. "Scusami. Sembra terribile da dire, soprattutto perché mi sono divertita molto, con te, ma..."

"Tranquilla. E' parso anche a me di baciare mia sorella. E l'idea di farlo con Angie mi dà il voltastomaco" asserì lui, pensando alla sua sorellona maggiore che, al momento, risiedeva nel clan di Londra.

Lorainne rise ancor più forte, e William con lei.

La cosa era paradossale, perché William aveva sinceramente pensato potesse funzionare ma, quando l'aveva baciata, non aveva sentito nulla.

"Beh, non possiamo dire che non ci abbiamo provato, ti pare?" esalò a quel punto Lorainne.

"Mi sento comunque un po' idiota, lo ammetto."

"Se vuoi, possiamo fare sesso in ogni caso e toglierci il pensiero, ma sarebbe ridicolo, secondo me" gli propose lei, ben sapendo che la sua proposta non sarebbe stata mal interpretata.

Anche per questo, avere rapporti con i licantropi era più facile. I mannari sapevano esattamente cosa stavano a significare simili profferte, e non c'era il rischio di venire fraintesi.

"Per quanto la cosa possa intrigarmi, temo che non combineremmo niente" sospirò William, scuotendo il capo. 

"Già... temo tu abbia ragione" sospirò a sua volta la giovane, guardandolo a mezzo. "Ti scoccia? Sì, insomma, non aver terminato la serata in quel modo?"

"Ho passato una bellissima serata, Lory. Il sesso sarebbe stato solo la ciliegina sulla torta, ma non è indispensabile" scrollò le spalle William. 

"Allora, se ti invitassi al cinema, verresti?"

"Senza nessun problema" acconsentì lui, con un sorriso.

"Bene" mormorò Lorainne prima di irrigidirsi e sgranare lentamente gli occhi.

William avvertì immediatamente il cambiamento fisico di Lorainne e, nello scrutarla dubbioso, le domandò: "Che succede?"

"Niente" mentì spudoratamente la giovane, portando William a seguire lo sguardo di Lorainne in mezzo alla folla per comprendere cosa l’avesse turbata a quel modo.

Nell'inquadrare una figura a lui conosciuta, e che in quel momento stava passeggiando amabilmente in compagnia di una donna dall'aspetto grunge, William si accigliò leggermente e disse: "Quella faccia la riconosco. Non era con te alla festa di Natale?"

"Colpita e affondata" mormorò a quel punto Lorainne.

"E' un umano, o sbaglio? Gli odori mi confondono un po', in questo caos" le domandò allora William.

"E' un umano, sì. E, se ti sei accorto che lo stavo guardando, sono meno brava di quel che pensassi a mascherare la cosa" borbottò contrariata Lorainne.

"Amica, credimi, non hai nulla da rimproverarti. Hai solo accelerato i battiti del tuo cuore, ma l'aura era perfettamente sotto controllo. Sei stata anche troppo brava" replicò lui, avvolgendole le spalle con un braccio. "Quindi, il tizio ti fa arruffare il pelo?"

"Già. Parecchio. Ma ho il terrore di commettere un errore, e perciò mi tengo alla larga" sospirò scocciata Lorainne, passandosi una mano sulla fronte come per scacciare un principio di emicrania.

Non voleva assolutamente farsi rovinare la serata dal pensiero di Kennard e da ciò che sentiva per lui, eppure il semplice vederlo le aveva rimescolato il sangue a dovere. Era mai possibile che fosse così succube del suo fascino?

"Temi possa non accettare il fatto che hai zanne cazzutissime, sotto quel sorriso fascinoso?" le domandò a quel punto lui, ammiccando comicamente e facendola sorridere.

"Non siamo neanche lontanamente così intimi da poter parlare di cose simili!" esalò sconcertata lei, cercando di non ridere della sua aria sarcastica.

"Cioè, fammi capire... sbavi per lui a distanza?" sgranò gli occhi William, sinceramente basito.

"Non sbavo" protestò Lorainne, vedendolo sorridere divertito.

"Se controllo bene, potrei trovare una gocciolina di saliva che scende dalle tue belle labbra" ironizzò per contro William, chinandosi per essere sicuro del proprio dire.

Lorainne lo scacciò con un risolino e una spintarella e William, nel rimettersi comodo, tornò serio e disse: "Non devi farti condizionare da ciò che fece Paul. Si può benissimo affrontare una relazione interspecie, se lo si vuole. Ma, se non tasti neppure un po' il terreno per capire se lui potrebbe essere un tipo papabile, rimarrai col dubbio a vita. E mi pare che la tua lupa non sia molto d'accordo."

Lorainne annuì silenziosa, intenta a osservare Kennard che, dopo un saluto all'amica, si avviava solitario verso l'uscita del parco. Non si erano dati nessun bacio, nessun abbraccio, solo un semplice cenno con la mano e un sorriso.

Come due amiconi di vecchia data, non due amanti.

Il solo pensarlo, però, la mandò in bestia e, furente, borbottò: "Perché non puoi piacermi tu? Sarebbe tutto più semplice, e io non dovrei frantumarmi dall'ansia ogni volta che lo vedo!"

"Perché l'amore non è mai semplice, amica. Lo scopri solo ora?" ironizzò dolcemente lui, alzandosi per poi offrirle una mano. "Ti accompagno a casa, coraggio."

"Ho rovinato la serata, scusa." 

"Non hai rovinato un bel niente" sottolineò William, attirandola a sé per un rapido abbraccio consolatorio. "Parlane con Erin, se ti va. E' lei a essere deputata per risolvere questi problemi, a voler essere precisi."

"E se ne parlassi con te, invece?"

"Va bene anche così. Ma non mi venire a dire se farete sesso. Mi farebbe un po' schifo sapere una bella lupa come te a letto con un senza pelo" ironizzò quindi William, facendola ridere nuovamente. 

"Non ti potrò neppure dire se bacia bene?"

"Mah, quello sì. Dopotutto, ti devo pur consigliare se vale la pena o meno andare a meta con un tipo come lui" scrollò le spalle William, avvolgendo con un braccio quelle di lei.

Lei allora sorrise soddisfatta, si lasciò avvolgere dal calore di William e, assieme a lui, rientrò a casa con il cuore un po' più leggero e la sensazione di avere, finalmente, compiuto il primo passo per riavere una vera famiglia  attorno a sé.
 
***

Uscire in squadra con Keira significava, solitamente, finire nei pressi di qualche pub per ascoltare della buona musica e, spesso e volentieri, rischiare di fare a botte con energumeni più o meno mastodontici.

Sapeva perfettamente perché l’amica Vedetta – e infermiera presso il Bradford Royal Infirmary – puntasse a luoghi simili, ma ogni volta rischiavano di essere malmenati.

Tra le regole d’oro di un cacciatore ve n’era una che doveva essere sempre messa alla prova; gli uomini grandi e grossi e particolarmente litigiosi potevano essere potenziali licantropi.

Scatenare delle risse, e controllare le reazioni di coloro i quali avessero partecipato con maggiore foga a tali sfracelli di mandibole e articolazioni varie, era uno dei metodi preferiti da Keira per confutare le sue teorie.

Peccato che, almeno fino a quel momento, non fossero riusciti a cavarne un solo ragno dal buco. L’idea era stata ritenuta eccellente anche da Cassian, a guida della Centuria, eppure nella pratica non erano riusciti a trovare conferma di nessuno tra coloro i quali erano finiti al pronto soccorso dopo tali risse.

“Ero più che certa che quella sorta di armadio a muro coi riccioloni bruni fosse uno di loro!” sbottò Keira, dandosi un pugno sul palmo per la frustrazione.

Kennard le sorrise comprensivo, sapendo bene cosa volesse dire essere sicuri di una cosa, e poi fallire clamorosamente nel momento della messa in pratica.

Erano anni che cercavano di ottenere buoni risultati dai loro continui e assidui pattugliamenti, ma nessuno di loro faceva finta di non conoscere l’ovvio. Controllare una città quasi seicentomila abitanti, che diventavano quasi un milione, tenendo conto dei turisti e dei pendolari quotidiani, rasentava l’impossibile.

Le Centurie vicine, però, non potevano dar loro una mano, avendo per le mani il medesimo problema e, per quel che riguardava i Clan del Sud, c’era una competizione così feroce da rasentare l’odio. Non era insolito che, anzi, i beadurinc di Londra remassero loro contro per farli fallire nei loro intenti.

La corsa ai vertici del potere si era fatta spietata e ottenere risultati serviva a far salire di grado i Tribuni, che ambivano all’alto grado di Praefectus, che vedeva in carica l’attuale capoclan di Londra.

Il Praefectus e il Legatus Legionis erano già da tempo la medesima carica, infatti, perciò l’esponente più alto in grado tra i clan di beadurinc era Raphael Peters, Praefectus della Coorte di Londra, che contava quasi mille adepti al suo interno.

Come però sosteneva zio Cassian, le continue defezioni dei membri delle Centurie più lontane, come quelle di Edimburgo e Inverness, rischiava di rendere necessario un rimpasto di potere, rimpasto che forse Peters non sarebbe riuscito a vincere.

Perdere così tanti uomini – soprattutto dopo il caos avvenuto a Glasgow l’anno precedente, dove il Manipolo guidato da Albert O’Keefe aveva quasi rischiato l’implosione – aveva portato molti Tribuni a dubitare della guida di Peters.

Se fosse avvenuto qualche altro incidente simile, molto probabilmente vi sarebbe stata una sollevazione dei vertici del potere, che avrebbe spinto i membri dei clan a richiedere delle libere elezioni.

“Ehi, Ken… dove sei?” domandò per la quarta volta Keira, scrollandolo leggermente per poi guardarlo con un sorriso.

Lui si scusò, asserendo meditabondo: “Stavo solo pensando a come la nostra opera stia diventando sempre più difficile, e a quali tempi bui ci stiamo avvicinando.”

“Pensieri leggerini, per il sabato sera” ironizzò lei, indicandogli in lontananza i colori vivaci delle proiezioni che stavano succedendosi al Citypark. “Visto che dobbiamo darci il cambio con Ali e Martin, tanto vale aspettare dove c’è anche un bello spettacolo. Ti va?”

“Andiamo pure” acconsentì lui, avviandosi lungo Channing Way per raggiungere la centralissima Mirror Pool del Citypark di Bradford.

Le persone erano già moltissime, nonostante lo spettacolo vero e proprio fosse previsto per la mezzanotte e mezza e, quando loro si trovarono circondati da una marea cacofonica di gente urlante e giocosa, Kennard sorrise divertito.

Tutti i presenti non avevano la ben che minima idea di cosa stessero rischiando, in quel momento, di quali predatori terrificanti potessero esservi tra di loro, e soltanto le misere forze della Centuria potevano frapporsi a difesa degli ignari.

A volte, sentiva il bisogno di imprecare dalla frustrazione, al pensiero di essere così solo di fronte a un nemico invisibile e tanto più potente di lui ma, quando ciò avveniva, rammentava a se stesso anche l’importanza della sua missione.

Non poteva lasciare sole e sguarnite di protezione quelle persone, perché lui e i suoi avi avevano dato ogni cosa, per evitare che lo sterminio si perpetrasse.

Non doveva cedere allo sconforto. Mai.

“Non sarebbe bello se, una volta tanto, potessimo portare la testa di un lupo a tuo zio?” mormorò al suo fianco Keira, rigirandosi distrattamente con la lingua il pearcing che aveva sul labbro.

Lui assentì debolmente, ammirando le immagini susseguirsi sulle pareti dei palazzi, in un veloce andirivieni di animali, paesaggi, scorci lunari e illusioni marine.

Riuscire nell’impresa sarebbe stato il degno coronamento di una vita spesa nella nobile missione di proteggere Bradford dai licantropi ma, almeno fino a quel momento, zio Cassian non aveva potuto vantare quel merito per sé.

“Prima o poi ci riusciremo” le promise Kennard, guardando l’orario per poi annuire tra sé. Data una pacca sulla spalla a Keira, la salutò con un cenno e aggiunse: “Tu vai pure a casa. Raggiungo io Ali e Martin davanti al Cake’ole.”

“Come vuoi. A domani, allora” ammiccò lei, allontanandosi tra la folla con il suo passo sfrontato, sottolineato dai pesanti anfibi e dall’atteggiamento spavaldo con cui era solita affrontare il mondo.

Keira era stata l’ultima a entrare a far parte del loro cerchio ristretto delle Vedette ma, fin da subito, aveva avuto una grinta e una decisione pari a tutte le loro messe assieme.

Era divenuta in breve tempo il collante del gruppo e, per quanto la sua determinazione li avesse spesso e volentieri cacciati nei guai, Kennard non poteva fare a meno di pensare che, se mai avessero vinto, sarebbe stato per merito suo.

Con un mezzo sorriso, allontanò lo sguardo da Keira per raggiungere gli amici presso il vicino locale da asporto presso cui avevano appuntamento ma, nel farlo, una stretta improvvisa al cuore lo bloccò a metà di un passo.

Impossibilitato a impedirselo, l’istinto gli fece volgere a mezzo lo sguardo e, sgomento e sorpreso al tempo stesso, vide la figura di Lorainne appresso al vichingo biondo che, il Natale scorso, l’aveva accompagnata a casa dopo la festa.

Scorgerli assieme, sorridenti entrambi e bellissimi a vedersi, fece nascere in lui un impulsivo quanto pericoloso desiderio di rivalsa, quasi quell’immagine sfidasse qualsiasi logica.

O, per meglio dire, la sua logica. Perché non v’erano dubbi, almeno per lui, che quella vista fosse assolutamente e totalmente sbagliata.

Non poteva accettare che Lorainne si vedesse con qualcuno di così deplorevolmente bello, perfetto e dannatamente adatto a lei, perché questo avrebbe voluto dire che lui, per contro, non lo era affatto.

E questo sì che era davvero inaccettabile.

Ligio ai propri doveri, però, distolse in fretta lo sguardo per raggiungere gli amici pur se, con la mente, rimase ancorato a quella vista, a quei sorrisi complici, a quel braccio protettivo che avvolgeva le spalle di lei.

“Maledizione!” sibilò tra sé, bloccandosi nuovamente per poi tornare sui suoi passi e seguire la coppia.

Sapeva che era sbagliato, che non aveva nessun diritto di farlo, che Lorainne poteva fare quello che voleva, e vedere chiunque desiderava, ma lui… lui…

Doveva sapere! Doveva scoprire a ogni costo cosa vi fosse tra loro e cosa, la giovane donna che ormai lo stava facendo impazzire, provasse per quel gigante biondo dalla faccia da fotomodello.

Era inconcepibile che anteponesse i suoi bisogni personali alla Centuria, ma il suo corpo sembrava animato da una volontà propria, e fermarlo sembrava impossibile.

Fu così che imboccò nuovamente Channing Way e, dopo essersi sincerato di non essere visibile – la folla presente per le strade aiutava molto, in quei casi – li seguì fin quasi a raggiungere Sunset Close.

Lì, si nascose all’angolo con la confluenza di quella piccola e tranquilla stradina, su cui si affacciavano gradevoli case a schiera in mattoni bianchi e, cupo, osservò la coppia avvicinarsi all’ultima abitazione sul fondo della via.

Fu a quel punto che il cuore cominciò a battergli rabbioso nel petto e, quando l’energumeno biondo si piegò per baciare sulle guance Lorainne, il desiderio di spaccargli la faccia quasi surclassò qualsiasi altra cosa.

Il cellulare vibrò nei calzoni – probabilmente, i suoi amici si stavano chiedendo dove fosse finito – ma lui lo ignorò bellamente, temendo ciò che sarebbe seguito a quel casto bacio.

Quando, però, vide Lorainne allontanarsi e lasciare solo il gigante biondo, che lentamente si volse per andarsene, Kennard provò un istantaneo moto di gioia sfrenata, cui seguì un più preoccupante panico.

Aveva appena mandato alla malora ogni cosa, ogni suo precetto, per comportarsi come un adolescente in preda alla sua prima cotta e, quel che era peggio, per nulla.

Non era successo niente, tra Lorainne e quel fascinoso vichingo ma, quel che era peggio, era che lui ne era felicissimo.

Se questo non voleva dire che era in guai seri, non sapeva cosa altro potesse voler dire.

Di corsa, quindi, se ne tornò verso il Citypark, pensando in fretta a una scusa da propinare ai suoi amici e, al tempo stesso, si chiese come avrebbe affrontato Lorainne, da quel giorno in poi.

Aveva appena violato la sua privacy e, come se non bastasse, stava gioendo come un emerito bastardo al pensiero che la sua serata si fosse conclusa con un nulla di fatto.

Anche solo per questo, suo zio avrebbe dovuto castrarlo.





N.d.A.: direi che, tra Kennard e Lorainne, non so chi sia messo peggio, quanto a coinvolgimento... comunque, la gelosia manifesta di Ken, che lo spinge a seguire Lory per sincerarsi che William se ne stia alla larga da lei, ha quasi del tenero... quasi. Fa anche un po' stalker, in effetti, ma possiamo anche perdonarglielo. 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


5.
 
Settembre 2011 - Centro Diurno Rainbow
 
L'estate era stata terribilmente afosa, pur se Kennard aveva potuto contare su un ambiente lavorativo climatizzato come il suo ufficio. Non aveva però potuto evitare le sue consuete uscite per i controlli  presso le famiglie che seguiva giornalmente, e questo aveva voluto dire essere testimone di ambienti tra i peggiori e desolanti mai visti.

Presentarsi nei luoghi più disagiati di Bradford in cravatta e mocassini gli aveva quasi fatto perdere il senno, perché era difficile respirare quando avevi quel maledetto capestro di seta stretto attorno al collo.

Il suo capo, però, era stato lapidario. Ci si doveva presentare impeccabili, a casa delle famiglie, per dare l'idea che loro sapessero esattamente cosa fare, e come farlo.

Cosa c'entrasse l'essere vestiti come pinguini, Kennard ancora non lo capiva. Inoltre, era complicato difendersi da hooligan mezzi ubriachi, quando eri tirato a lucido come un penny nuovo di zecca.

Quando, perciò, le giornate avevano cominciato ad accorciarsi e il sole a farsi meno terribile, era tornato a respirare davvero.

Quel giorno, poi, la brezza che spirava dalla Scandinavia portava con sé frescura e cieli limpidi e alti, dandogli l'idea di giornate finalmente piacevoli e non più costellate da umidità e temperature assassine.

Anche per questo, quella mattina era uscito poco prima delle sette per recarsi al Centro Diurno Rainbow. Quel luogo era una valvola di sfogo per i suoi pensieri, oltre che l’unico posto in cui si sentisse al sicuro dove incontrare Lorainne.

Da quella serata al Citypark non aveva più osato mettere piede neppure nei pressi del suo negozio e, ogni qualvolta lei gliene aveva chiesto il motivo, lui aveva accampato ogni genere di scusa.

Incontrarla al Rainbow, però, lo metteva al sicuro da imbarazzanti silenzi, vista la presenza costante dei bambini, perciò gli era parso l’unico luogo adatto in cui vederla senza dare di matto.

Perché era ormai sicuro che sarebbe successo questo, se l’avesse incontrata senza qualcosa – o qualcuno – a frapporsi tra loro.

Nell'entrare nel Centro Diurno per la sua consueta giornata insieme ai bambini, si diede comunque mentalmente dell’idiota e sperò che anche quella domenica potesse svolgersi al meglio.

Ergo, vedere Lorainne senza dover però rimanere solo con lei.

Un controsenso in termini ma, almeno per il momento, non poteva permettersi altro, se non voleva rischiare di saltarle addosso come un maledetto animale senza alcun controllo.

La vista di quel biondo vichingo che le faceva la corte lo aveva quasi mandato al manicomio e, suo malgrado, dopo quella sfortunata serata di giugno, si era ritrovato spesso a bazzicare nei dintorni della casa di Lorainne.

Ufficialmente, si era detto che lo faceva per tenerla al sicuro, ma sapeva bene che le sue azioni erano dettate unicamente dal desiderio di essere certo che lei non avesse altri appuntamenti con Mister Universo formato gigante.

Questo aveva automaticamente causato problemi coi suoi colleghi della Centuria, che spesso gli avevano chiesto se, per caso, non si fosse fatto una donna.

Pur negando, aveva dovuto però spiegare i suoi frequenti ritardi, così come le sue improvvise fughe anticipate o i suoi strani quanto alternativi percorsi lungo le vie di Bradford.

“Dovrei davvero trovarmi una donna, così almeno la pianterei di comportarmi da imbecille” mormorò tra sé, aggirando la hall per dirigersi verso le aule ludiche del Centro.

Lungo i corridoi, una brezza leggera spirava come se si fosse trovato all'esterno, segno che qualcuno aveva pensato bene di aprire le finestre per arieggiare l'intero ambiente.

Il profumo dei gelsomini piantati in giardino riusciva ad arrivare fino al punto in cui si trovava e, quando imboccò il corridoio che portava all'aula di didattica in cui solitamente svolgeva i suoi compiti di volontario, non poté che sorridere.

Quel giorno, si sarebbero sicuramente divertiti e avrebbero potuto giocare all’aperto senza morire di caldo.

Nell'udire il canto allegro di Lorainne, però, i suoi passi si bloccarono e la gola inaridì all’improvviso.

Lei. Lei era lì. Assieme a lui. Ma gli altri? Gli altri dov’erano?!

Evidentemente, anche Lore aveva pensato di venire prima per sbrigare alcune faccende, e stava approfittando dell'assenza di gran parte del personale per darsi a qualche canzone spesa in totale libertà.

Già pronto a darsela a gambe per non dover rimanere solo con lei, si diede però dello sciocco bambino pauroso così, con tutto il coraggio che gli riuscì di trovare, avanzò verso l’aula per salutarla.

E solo dopo, darsela a gambe.

Sul punto di salutarla e farle i complimenti per la bella voce, Kennard si bloccò a metà di un passo quando la vide piegata su un ginocchio, le cuffie dell’iPhone alle orecchie, mentre sollevava senza problemi un cassettone per recuperare una pallina.

Quella vista lo raggelò, portandolo a nascondersi immediatamente dietro la parete del corridoio, mentre il cuore gli balzava nel petto e la mente correva a mille miglia orarie nel tentativo di comprendere ciò che aveva visto.

Non... non poteva essersi sbagliato. Aveva davvero visto Lorainne sollevare un mobile di legno che aveva richiesto la presenza di tre uomini, per essere sistemato nel salone!

Se ciò che i suoi occhi avevano registrato era vero, non potevano esservi molti dubbi sulla reale identità di Lorainne, a quel punto. O lei era la figlia di Hulk, oppure... oppure...

A denti stretti, e sentendo il cuore andargli in frantumi, sibilò: "E' un licantropo."

Chi altri avrebbe potuto vantare una simile forza? Chi, se non una creatura con sangue demoniaco nelle vene?

Il solo pensarlo, però, lo fece tremare di rabbia e rifiuto.

La Lorainne che conosceva non era affatto demoniaca. Sapeva essere gentile, generosa, buona e affettuosa, e i bambini la adoravano.

Sgranando gli occhi per l'orrore, Kennard arrivò a chiedersi se anche i bambini del centro fossero tutti licantropi ma, rammentando che tra loro vi erano anche i figli di persone che conosceva da una vita, si tranquillizzò un poco.

Cosa doveva fare a quel punto, però? Non aveva prove concrete, per condannarla e, senza prove, suo zio non avrebbe mai mosso la Centuria contro di lei.

Inoltre, lo voleva realmente?

Perché non aveva ancora sollevato il telefono per avvisare lo zio in merito ai suoi dubbi? Perché la mano ancora tremava accanto alla tasca dei suoi pantaloni, impossibilitata ad afferrare lo smartphone?

Sospirando, Kennard si allontanò in fretta dalla stanza per rifugiarsi in uno dei bagni del centro e lì, dopo aver afferrato il telefono, sospirò e ammise con se stesso di non poterla denunciare.

Per quanto l'istinto gli dicesse di farlo, di mettere fine a uno degli odiati licantropi, la testa e il cuore gli stavano raccontando ben altro. Gli rammentarono i momenti passati con Lore, le volte in cui avevano condiviso i pasti lì al Centro Diurno, o quando lui aveva suonato Clarisse nel suo negozio.

C'erano troppe cose, troppi sentimenti a legarli e, ora che aveva scoperto anche questo, di lei, non riusciva a vederla come una nemica.

Fu per questo che, invece di chiamare zio Cassian, digitò il numero di Lorainne e attese che lei rispondesse.

Quando lei accettò la chiamata al quinto squillo, la sentì esalare divertita: "Ciao! Scusa se ho risposto in ritardo. Stavo ascoltando la musica con l’iPhone e mi hai colta di sorpresa. Dimmi tutto, Ken."

"Ciao, Lore. Sto arrivando al Centro, e volevo sapere se potevi darmi una mano con le lampadine del lampadario dell’aula n.6. Bob mi ha chiamato, ieri, dicendo che se ne erano fulminate un paio, perciò contavo di cambiarle stamattina, quando arriverai."

"Sono già qui, non temere. Se vuoi, le cambio anche da sola" si propose lei, allegra e pimpante.

Kennard si sentì stringere il petto, al suono di quella voce che lui era arrivato ad amare e, pur detestandosi, disse per contro: "No, aspetta che io arrivi. Non bisogna mai salire su una scala da soli."

"Come preferisci" mormorò allora lei con tono più morbido. "Ti aspetto."

Ciò detto, chiuse la chiamata e Ken, nello stringersi il cellulare al petto, si piegò in avanti e cercò di non piangere. Se lo avesse fatto, Lorainne se ne sarebbe di sicuro accorta, e lui non voleva sembrare diverso dal solito.

Cercò quindi di scacciare amarezza e rabbia e, quando si ritenne sufficientemente al sicuro da eventuali crisi di nervi, uscì dal bagno e la raggiunse.

Lei, nel frattempo, si era tolta le cuffie dalle orecchie e, nel vederlo, sorrise e gli venne incontro per salutarlo con il suo solito abbraccio cameratesco.

Ken lo accettò nonostante tutto e, maledicendosi, replicò a quella stretta con calore autentico perché, era inutile negarlo, lei ancora gli piaceva e non poteva fare a meno di stringerla a sé, quando poteva.

Indipendentemente dal fatto che lei fosse la cosa che lui sospettava essere.

Sciogliendosi inconsapevole da quell'abbraccio, Lorainne gli mostrò la scala che, nel frattempo, aveva recuperato, e domandò: "Allora, ci mettiamo al lavoro?"

Essendosi inventato il problema delle lampadine di sana pianta, Kennard la invitò quindi a seguirlo nella stanza accanto e lì, aperto che ebbe la scala, domandò: "Ti scoccia salire al posto mio? Io soffro di vertigini anche da due pioli di scala."

Con un risolino, Lorainne assentì e disse: "Ora capisco perché volevi che fossimo in due. Ti terrorizza il pensiero che qualcuno possa salire senza che ci sia almeno un’altra persona che controlli la scala?"

"Esattamente. Do sempre per scontato che anche gli altri la trovino un’esperienza terrificante" cercò di ironizzare lui, osservandola mentre saliva con passo spedito e toglieva la plafoniera di vetro dai suoi agganci.

Passatala a Kennard, Lorainne svitò una dopo l'altra le lampadine a incandescenza, borbottando: "Andrebbero cambiate tutte con quelle a fluorescenza. Queste, sprecano un sacco di energia e basta."

"Hai ragione" mormorò distratto Kennard, osservandola dal basso e scrutando con la morte nel cuore il gancio di sicurezza che teneva bloccati i pioli a scorrimento della scala in alluminio.

Se si fosse sbagliato, avrebbe rischiato di romperle l'osso del collo ma, dopo quello che aveva visto, non poteva non sapere. Doveva farlo a ogni costo.

Allungata perciò una mano mentre Lorainne sistemava la seconda lampadina svitata nella tasca della sua felpa, Kennard sbloccò la sicura senza essere visto e, subitanea, la scala perse la sua stabilità.

Con uno strillo spaventato, Lorainne scivolò verso il basso puntando verso di lui e Kennard, allargando istintivamente le braccia per prenderla, crollò sui materassini alle loro spalle, sentendo distintamente un dolore tremendo alla schiena.

Per quanto i materassini fossero morbidi, non erano fatti per simili atterraggi.

"Oddio, Ken!" esclamò terrorizzata Lorainne, sollevandosi immediatamente sulle ginocchia per non far gravare il proprio peso sull'uomo.

Lui si sollevò sui gomiti in un gran mugugnare e, nell'osservarla in viso, desiderò urlare.

Lorainne appariva rossa in volto, spaventata a morte e bellissima, e due splendidi occhi verdi lo stavano osservando al colmo del panico e pronti a rilasciare lacrime di sollievo.

Il cuore perse un battito, a quella vista ma, ligio al suo dovere di Sentinella, mantenne una calma olimpica di fronte al proprio nemico e mormorò roco: "Vedi, perché serve sempre qualcun altro?"

"H-hai ragione" tentennò lei prima di gettargli le braccia al collo e piangere per lo scampato pericolo. "Non avrei mai sopportato di averti fatto del male!"

Me lo hai fatto, ma non immagini neppure perché, pensò tra sé Kennard, provando un calore inimmaginabile dentro di sé, nonostante si trovasse tra le braccia di un mostro.

Un mostro che, però, non riusciva a vedere come tale, perché era lei. Perché era Lorainne.

Pur volendo allontanarla, pur volendo che lei se ne andasse dalla sua vita e sparisse per sempre, Ken continuò a tenerla stretta, accentuò il loro contatto e si lasciò andare contro la sua spalla, distrutto.

Lei allora si fece cedevole, lo carezzò sulla schiena e, con la sua voce morbida e roca, sussurrò: "Ti sei spaventato per me?"

Ken si limitò ad assentire, non avendo cuore di parlare così Lorainne, nel sorridere - perché lui sentì che stava sorridendo - aggiunse: "Mi ha fatto piacere essere salvata da te."

L'attimo seguente si scostò e, nel prendere il viso di Kennard tra le mani, gli diede un bacio leggero sulle labbra, mormorando: "Grazie."

Per lui fu troppo. Crollò lungo disteso sui tappetini e Lorainne, male interpretando il suo cedimento, sorrise divertita, si rialzò e disse: "Cielo! Ho avuto l'effetto contrario del principe di Biancaneve!"

Non potendo evitarselo, lui allora rise, si passò una mano sul volto per nascondere un principio di lacrime e, trovando la forza di mettersi nuovamente a sedere, esalò: "Andiamo bene! Sono passato da eroe a principessina."

"Temo di aver fatto una gaffe" ammise allora lei, solare come poche altre volte e accesa da una fiamma interna che Kennard, semplicemente, trovò maledettamente affascinante. Perché doveva continuare a fargli quell'effetto, pur sapendo cos’era?

"Vado a prenderti una bibita, così almeno mi sdebiterò con te. Tu, però, controlla di non aver dolori strani, oppure dovrò medicarti" gli propose a quel punto lei, avviandosi verso la porta.

Kennard non poté evitarselo. La guardò con occhi pieni di desiderio e disse: "Mi fa male il cuore. Conta?"

Lei si bloccò, gli sorrise maliziosa e mormorò: "Potrebbe." Ciò detto, lo salutò e corse via per fare quanto detto mentre Kennard, distrutto, si piegava in avanti per riprendere aria e capire cosa diavolo fare con lei.

Non poteva sbagliarsi. Gli indicatori c'erano tutti.

La forza smisurata, gli occhi eterocromatici, l'estrema agilità. Ma c'era anche altro, in lei, che non riusciva a spiegarsi.

Perché, ogni qualvolta l'aveva vicino a sé, lui si sentiva protetto, come avvolto da un calore così desiderabile da spingerlo a gettare al vento ogni cosa?

Inoltre, cosa di non poco conto... lui era in grado di vederla come un nemico, visto ciò che sentiva per lei?

Tornando a distendersi - il colpo alla schiena doveva avergli fatto più male di quanto non si fosse immaginato - Kennard si passò una mano sul volto, si asciugò alcune lacrime ribelli e strangolò in gola un singhiozzo di pura frustrazione.

Perché, in nome di tutti i santi del paradiso, lui doveva amare un licantropo?
 
***

Quando Lorainne tornò con il necessario per Kennard, emise un singulto strozzato dalla paura non appena lo vide nuovamente sdraiato a terra, e con un braccio a coprirne gli occhi.

Terrorizzata, affrettò il suo passo per poi accucciarsi accanto a lui e, turbata, lo sfiorò a un gomito per domandargli: "Non stai bene, Ken?"

Lui sobbalzò leggermente, forse non essendosi accorto del suo ritorno e, nello scostare il braccio, la guardò con occhi lucidi e una leggera smorfia a piegarne la bella bocca.

Il turbamento di Lorainne aumentò a dismisura, a quella vista e, nel mordersi il labbro inferiore, mormorò: "Devo chiamare l'ambulanza? Forse hai preso uno strappo."

"N-no... non temere. Doveva esserci un giocattolo a terra, e io sono atterrato su quello, ma non è niente di grave" borbottò lui, cercando di rimettersi seduto.

Lorainne lo aiutò con gesti teneri delle mani e, premurosa, gli disse: "Lascia che controlli la schiena. Prometto di non toccare nulla."

Lui acconsentì prima ancora di rendersene conto e, mentre la giovane passava dietro di lui per sollevargli la camicia, borbottò roco: "Mi sa che la prossima volta faccio cambiare le lampadine a Bob."

Sorridendo divertita, lei assentì e, dopo aver sollevato l'orlo della camicia, notò subito una macchia rossastra a metà schiena, segno inequivocabile di uno scontro spiacevole con qualcosa.

"Se me lo permetti, ti applicherò un po' di crema antidolorifica. Hai un bel segno rosso, sotto la scapola" gli spiegò lei, tastando leggermente il punto incriminato.

Lui mugolò e, subito, Lorainne ritrasse la mano mormorando una scusa.

Già pronta a prendere il necessario per curarlo, la giovane venne però bloccata dalla presa al polso di Kennard che, turbato, la guardò negli occhi in cerca di un ultimo, disperato segnale di non colpevolezza.

Come aveva però temuto, i brillanti occhi verdi che l'avevano fissato durante la caduta erano spariti, soppiantati dai più familiari occhi color fumo di Londra, che tanto aveva imparato ad apprezzare per la loro dolcezza.

In quel momento, erano pieni di contrizione e dubbi e, quando lui vi affondò con lo sguardo, desiderò perdersi in essi per sempre, pur di non dover affrontare la realtà che gli si era presentata dinanzi nel modo peggiore.

"Cosa c'è, Ken?" domandò lei turbata.

Sapeva che Lorainne avrebbe potuto fuggire senza problemi, ucciderlo senza battere ciglio, ma non lo fece. Ristette lì dinanzi a lui, come qualsiasi altra donna, incerta su cosa volesse dire il suo gesto.

Era per questo che non riuscivano a trovarli? Erano dunque così bravi a camuffarsi, così sfuggenti a qualsiasi tipo di controllo? E poi, alla fine, erano davvero crudeli?

Coi bambini, lei era sempre stata gentile e dolce, e loro letteralmente la adoravano. Se fosse stata una creatura malvagia, loro se ne sarebbero sicuramente resi conto, no?

I bambini, dopotutto, si rendevano conto di cose che gli adulti, spesso e volentieri, non notavano.

Oppure, molto semplicemente, lui voleva credere che fosse buona per non dover ammettere di essersi invaghito di una creatura terrificante?

Accentuando inconsapevolmente la stretta, Kennard continuò a rimanere in silenzio e Lorainne, nel carezzare quella mano che stringeva così veemente il suo polso, sorrise appena e mormorò: "Lascia che ti curi. Il dolore deve essere davvero forte... più di quanto tu non voglia ammettere."

Ken allora calò il volto a scrutare quelle mani che si sfioravano, il calore rinvigorente di Lorainne che, come un flusso energetico, passava da lei a lui con il semplice contatto della loro pelle.

Solo a quel punto, riuscì a dire: "Sì. Fa male. Un male cane."

"Stenditi prono. Curerò il tuo dolore, promesso" gli sorrise allora lei, svincolandosi quando lui la lasciò andare.

Lasciandosi quasi cadere sui materassini mentre lei si apprestava a prendere il necessario dalla cassetta del pronto soccorso che si trovava nella stanza, Kennard si volse senza più forze.

Diede le spalle al suo nemico, ben deciso a lasciare che lei gli facesse quello che voleva. Se aveva ceduto al fascino del maligno, meritava di morire per mano di quest'ultimo.

Nessun guerriero suo pari meritava di sopravvivere, dopo un simile scorno.

Lorainne, però, non lo divorò affatto.

Si accucciò accanto a lui, sollevò nuovamente la camicia e, con carezze delicate mescolate all'antidolorifico, lo curò con gentilezza, canticchiando per lui una nenia come avrebbe fatto per un bambino malato.

Il massaggio durò cinque minuti buoni, minuti in cui Kennard rimase in assorto silenzio, completamente avviluppato dal calore piacevole che le carezze di Lorainne avevano fatto calare su di lui.

Le sue mani, così calde sulla sua pelle raggelata dalla verità, sembravano un balsamo capace di lenire il suo sconforto, la sua rabbia e il suo dolore ma, al tempo stesso, lo rendevano sempre più consapevole della donna al suo fianco.

Un perverso istinto animale lo spronava a volgersi verso di lei per accoppiarsi selvaggiamente e, per quanto fosse disgustato da se stesso e da quelle pulsioni, non poté esimersi dal lasciarsene avviluppare.

Immagini di lui e Lorainne avvinghiati su un letto e in preda a una folle frenesia sessuale lo spinsero a sospirare roco.

Mal interpretando quel gorgoglio, Lorainne si bloccò per piegarsi su di lui e, nel poggiare una mano bollente sulla sua fronte, mormorò: "Sei sicuro di sentirti bene?"

"Meglio che non ti dica cosa vorrei fare ora" si lasciò sfuggire lui prima di guardarla spiacente e darsi dell'idiota.

Lei, però, si esibì in un sorrisino tutto fossette, che di solito elargiva unicamente ai bambini, e replicò sorniona. "Oh... di prima mattina? Così focoso, Kennard?"

A ben vedere, sarebbe stato meglio rimanere prono ancora per un po', visto ciò che quei massaggi erano stati in grado di risvegliare.

Vergognandosi di se stesso e delle sue reazioni scomposte in presenza di un licantropo - era mai possibile che non si ricordasse che doveva odiarla?! - Kennard volse il volto dalla parte opposta e borbottò: "Ti ringrazio, Lorainne, ma ora vorrei stare solo."

"Non mi sconvolge se sei eccitato, sai?" precisò lei, pur levandosi in piedi. "Ma mi allontanerò come hai chiesto. Sappi solo che, se hai bisogno di me, sarò a portata di urlo."

Dopo un altro istante di tentennamento, uscì finalmente dalla stanza e Kennard, nel volgersi finalmente supino, dovette affrontare l'amara realtà dei fatti.

Aveva un'erezione spaventosa e, a causargliela, era stata una licantropa che sembrava averlo totalmente in suo potere.

Che diavolo doveva fare, adesso?
 
***

Kennard aveva fatto in modo di riprendere una parvenza di calma, dopo quella terrificante mattinata e, come se niente fosse, aveva giocato con i bambini, li aveva aiutati durante il pranzo e li aveva fatti stendere per il riposino pomeridiano.

Nel pomeriggio, aveva aiutato Lorainne e un altro paio di volontari nel preparare le attività ricreative e, tra una fetta di torta e una bibita, la giornata era trascorsa senza altri incidenti.

Lorainne non aveva affatto menzionato con gli altri il loro piccolo incidente, forse per risparmiare a lui una figuraccia, o forse per non dover dare spiegazioni ai colleghi.

La sera era quindi giunta senza ulteriori scossoni e, quando infine i genitori furono passati a riprendere i bambini e il Centro fu chiuso, loro poterono andarsene.

Con la promessa di risentirsi il lunedì successivo per sincerarsi delle sue condizioni, Lorainne salutò Kennard per poi correre verso casa, dichiarandosi in ritardo per un appuntamento al cinema.

Kennard la lasciò fare, ben deciso a seguirla per confutare così le sue teorie e, nel pedinarla tenendosi sempre sottovento, la seguì fino a raggiungere il Bradford Citypark, attraverso cui lei amava sempre passare prima di recarsi a casa.

Attese paziente finché non raggiunse i portici di Channing Way dopodiché, cogliendola di sorpresa e approfittando della poca gente presente, la afferrò a un braccio e la condusse in un punto ombreggiato e quasi invisibile dalla piazza.

Sgomenta e confusa, Lorainne lo lasciò fare finché Kennard non la schiacciò contro la parete del palazzo da cui si sviluppavano i portici e lì, fissando costernata la sua espressione terribile, esalò: "Ken! Ma che ti prende?"

"Dimmi che non sei così, Lore... ti prego!" singhiozzò rabbioso lui, estraendo da una tasca un corto stiletto d'argento che fece rizzare i peli sulla nuca della donna.

Subito, gli occhi le tornarono verdi come le giade più pure e, con un movimento fulmineo che quasi Kennard non vide, lei lo disarmò e si allontanò a sufficienza perché non potesse più afferrarla.

I sensi allerta, Lorainne lo fissò quindi piena di frustrazione e rabbia mentre lui, basito, osservava lo stiletto gettato a terra dalla sua mossa e la posa attendista della donna che, ora, sapeva essere un licantropo.

Prima ancora di poter dire qualcosa, però, una mano enorme calò su di lui, sorprendendolo così come sorprese Lorainne, che sibilò furiosa prima di ringhiare: "Piantala, Will!"

Kennard non riuscì a capire un accidente. Si ritrovò sollevato di peso da terra, con un braccio torto dietro la schiena, mentre un energumeno biondo lo tratteneva senza il minimo sforzo, ringhiandogli addosso furente.

"Hai abbassato la guardia, amica... e questi sono i risultati. Questo cane è un Cacciatore!" sibilò William, snudando un arsenale di zanne che fecero quasi andare Kennard in red out.

"Potrà anche essere vero, ma non puoi ammazzarlo qui!" sussurrò sconvolta Lorainne, afferrando il braccio di William con cui tratteneva Kennard.

Pur controvoglia, Will la accontentò e, dopo aver lasciato cadere a terra uno sconcertato Kennard, gli ringhiò contro e disse letale: "Non si sollevano armi contro di noi senza passare dei guai, Cacciatore."

Lorainne osservò addolorata Kennard che, a sua volta, non aveva occhi che per lei. Non gliene importava nulla di morire, ma l’ultima cosa che voleva vedere era il volto di Lorainne. Era stupido, masochistico, ma non poteva farci proprio nulla.

Nel rendersene conto, William imprecò spudoratamente e, dopo aver dato una pacca sulla spalla a Lorainne, domandò roco: "Vuoi che lo sbudelli per te?"

"Decisamente no" esalò la donna, lanciando un'occhiata di sfida all'imponente licantropo. "Lui è mio."

"In tutte le declinazioni possibili?" 

"Direi di sì" sospirò a quel punto Lorainne, vedendolo scuotere il capo per il dissenso. "Devo sbrigarmela da sola."

"Come preferisci" dichiarò a quel punto l'Hati prima di fulminare con lo sguardo Kennard e sibilargli addosso: "Se la ritrovo con un graffio, non esisterà pianeta nell'Universo in cui io non verrò a cercarti per farti fuori."

Ciò detto, diede un buffetto sulla guancia a Lorainne e se ne andò com'era apparso, in un semplice batter di ciglia.

"Lui è..." tentennò Kennard, riuscendo in qualche modo a ritrovare la voce.

Allungandogli una mano con espressione burbera, Lorainne borbottò: "Non è svanito nel nulla, esattamente così come non è apparso su due piedi. Era venuto a cercarmi perché stavo tardando, così è intervenuto."

Lui la squadrò confuso e, pur accettandone la mano, dopo essersi rimesso in piedi rimase a debita distanza dalla donna che aveva saputo piegarlo in tutti i sensi possibili.

Lorainne, a quel punto, sospirò affranta e, nel passarsi le mani sul viso, mormorò: "Dobbiamo parlare. Ma non qui."

"E' l'unica cosa su cui posso essere d'accordo" dichiarò Ken, fissandola ombroso.

"E' inutile che mi guardi a quel modo. Se avessimo voluto ucciderti, lo avremmo già fatto" gli sibilò contro lei prima di tamburellarsi nervosa il mento alla ricerca di una soluzione. "Andremo al The Bradford Hotel. E' qui vicino, e tu sarai al sicuro. Come ben immaginerai, non potrei mai permettermi di inscenare Arancia Meccanica in un luogo simile, ti pare?"

"Potrebbe essere gestito da lupi" replicò accigliato lui, mettendo a parole per la prima volta la realtà dei fatti.

Lei si accigliò, al suo dire, perciò ribatté: "Decidi tu, allora. Poco importa, a questo punto."

"Andremo al The Great Victoria Hotel" disse Kennard dopo alcuni istanti, avviandosi fuori dai portici prima di attenderla sotto la luce di un lampione.

"Sei stazzonato. Sistemati, se vuoi entrare in quel mega hotel senza dare nell'occhio" borbottò Lorainne, procedendo prima di lui lungo la via per poi imboccare il marciapiede che li avrebbe condotti a quel lussuoso albergo del centro città.

Kennard si sistemò alla bell'è meglio la leggera giacca di pelle che indossava e, silenzioso, la seguì lungo il marciapiede senza più aprire bocca.

Niente di quanto aveva ipotizzato si stava svolgendo secondo i suoi piani ma, la cosa più assurda di tutte, era una, e una sola. Non lo avevano ammazzato, nonostante avessero capito chi fosse in realtà.

Andava contro a tutto ciò che sapevano sui licantropi, e questo stava rapidamente creando nella sua mente iperattiva una serie di domande a cui non riusciva a dare una risposta.

Inoltre, cosa da non sottovalutare, avvertiva un tale calore e un tale prurito da chiedersi se, per caso, il suo cervello non fosse per caso rimasto ammaccato durante la colluttazione con quell'energumeno biondo.

Quando infine raggiunsero l'hotel e Lorainne si recò alla reception per chiedere una suite, lui non riuscì a fare in tempo a pagare, troppo stordito da quella situazione assurda per riuscire a comportarsi come un cavaliere.

Il solo pensiero, però, fu ancor più assurdo rispetto alle altre cose assurde che gli stavano capitando e, quando Lorainne lo chiamò perché salisse con lei in ascensore, lui si ritrovò a dire: "Dovevo pagare io."

"Oh, pagherai. Credimi" dichiarò lei sibillina.

Kennard non seppe come prendere quelle parole e, di sicuro, Lorainne non avrebbe aggiunto altro, in un luogo in cui erano presenti dei microfoni per le emergenze e, potenzialmente, dei curiosoni all’ascolto.





N.d.A.: direi che è una situazione piuttosto incasinata, al momento... voi che ne dite? Come andrà a finire la loro discussione? ;-)

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


6.
 
 
 
 
Appoggiandosi a una delle pareti dell'ascensore mentre le porte si chiudevano dinanzi a loro, Lorainne squadrò arcigna Kennard, rigido e serio mentre, guardingo, se ne stava sul lato opposto dello spazio ristretto in cui si trovavano, quindi ringhiò: "Sono proprio un'idiota. E dire che avevo sentito l'odore dell'argento, su di te. Stupida a essermi fidata della tua buona fede."

"Buona. Fede?" gracchiò per contro lui, strabuzzando gli occhi. "Sbaglio o sei tu che divori le persone?"

"E' questo che vi dicono? Che siamo delle bestie dissennate e assetate di sangue?" esalò a quel punto lei, scoppiando subito dopo a ridere beffarda. "Andiamo bene!"
Offeso, Kennard si trincerò dietro un mutismo regale che, però, Lorainne liquidò con un secco 'bambinone'

Non appena le porte si aprirono, consentendo loro di imboccare l'elegante corridoio ricoperto di moquette color cioccolato, la coppia uscì quasi a passo di carica.

Raggiunta che ebbero la porta della loro stanza, quindi, entrarono senza esitazione e, dopo averla chiusa a chiave, Lorainne si lasciò cadere su una poltroncina di pelle.

Accavallate le gambe, attese qualche attimo per riordinare le idee ma, non sapendo bene quale direzione far prendere ai propri pensieri, sbottò: "Bene. Sentiamo quante idiozie riuscirai a dire nella prossima mezz'ora."

"Idiozie? Cosa ci sarebbe, di idiota, nel dire che sei una licantropa? Cosa ci sarebbe, di idiota, nel dire che siete predatori assetati di sangue? Su, spiegamelo!" sbottò allora lui, cominciando a passeggiare nervosamente per la stanza.

"Vale la prima, ma la seconda è una scemenza, se pensi che siamo tutti così. Diresti che il genere umano è universalmente predatore e assetato di sangue?" replicò piccata lei.

"Certo che no, è ovvio!" sbottò lui, scuotendo le braccia con fare nervoso.

"Idem per noi. O realmente credete che in noi prevalga solo il richiamo della guerra e della carne?" domandò cupa la donna, fissandolo bieca.

"Beh, magari non in te..." brontolò controvoglia Kennard. "... ma forse, perché hai avuto dei bravi genitori che ti hanno insegnato fin da piccola che uccidere le persone inermi non andava fatto."

"Ken... non ci sono nata, lupa" sottolineò lei, sorprendendolo oltremodo.

Bloccandosi a metà di un passo, lui la squadrò da capo a piedi senza comprendere pienamente le sue parole e Lorainne, con un sospiro, si chetò a forza e, più calma, aggiunse: "Sono sei anni che sono una lupa. Mi hanno trasformata."

"Cioè... hai accettato coscientemente di diventare un mostro?" replicò sconvolto lui, passandosi le mani tra i folti capelli.

Com'era possibile che quella splendida creatura avesse deciso in piena coscienza di entrare a far parte di un mondo così cupo e violento?

Sospirando, Lorainne scosse il capo e, mostrando la mano destra, mise in evidenza una vecchia ferita biancastra quindi disse: "Paul, il mio ex, mi parlò di quanto fosse bello vivere come un licantropo, di come il branco fosse coeso, una vera e propria famiglia. Io avevo appena perso i genitori, e questa cosa mi piacque molto. Inoltre, pensavo di amare veramente Paul, e il pensiero che lui si fosse aperto con me, mi avesse rivelato ogni cosa pur di non farmi sentire sola, mi fece cedere."

"Ergo, ha approfittato di un tuo momento di debolezza per portarti dalla loro parte" dichiarò sprezzante Kennard. "E tu mi dici che non sono dei mostri?"

"Non pensare mai, mai, che siamo tutti così" sibilò per contro Lorainne, accigliandosi paurosamente. "Credo che tu sia tardo, se non vuoi capire che esistono persone buone e cattive in ambo le razze, non soltanto nella tua. Inoltre, per il suo gesto è stato degnamente punito."

Dopo aver replicato al suo attacco verbale, Lorainne lo invitò a ribattere, a dire la sua una volta per tutte. Accavallò quindi le gambe e, disperata, attese.

Attese di sentire le parole che mai avrebbe desiderato udire, ma che sapeva benissimo sarebbero scaturite da quelle labbra che era arrivata a sognare anche di notte.

Ma era mai possibile che lei si innamorasse sempre degli uomini sbagliati? Non avrebbe potuto innamorarsi di William, invece di trovarlo solo un brillante e simpatico amico e compagno di bevute, ma niente di più?

"Cosa intendevi dire, prima, riguardo al fatto che il tuo ex ti ha trasformata?" domandò a sorpresa Kennard, lasciando fuoriuscire la sua voce roca e calda.

Lorainne ebbe il consueto brivido, nell'udirla, ma cercò di non farci caso e sollevò una mano per mostrargli il segno bianco e lineare che aveva poco sopra al pollice destro.

Sospirando pesantemente, poi, disse: "E' il punto in cui il mio ex mi ferì con il suo artiglio, mutandomi per sempre in lupa. Fui così sciocca da credere alle sue vanesie promesse, all'amore che credevo ci fosse tra noi, e lo seguii nel suo mondo, accettando ogni cosa, ogni regola. Fu solo allora, a mutazione compiuta, che lui mi lasciò."

Kennard si accigliò immediatamente, a quelle parole, trovando quel racconto per nulla dissimile da uno stupro e, sputando un'imprecazione tra i denti, sibilò: "E tu vieni a dirmi che non sono tutti così, i licantropi?"

Il volto di Lorainne si trasfigurò, divenendo pallido come alabastro, mentre gli occhi - sempre stati di un profondo grigio Fumo di Londra - divennero di un cupo verde giada.

Quel cambiamento repentino sgomentò non poco Kennard, che sobbalzò sul letto su cui si era assiso e, roco, gorgogliò: "I... i tuoi occhi... allora, non mi ero sbagliato!"

Lei se ne sorprese per un istante, prima di ringhiare: "Te l’ho detto! Non osare mai pensare che tutti i licantropi siano così!"

L’istante successivo, prese un gran respiro per chetarsi e borbottò: "Quanto agli occhi, mutano perché ho perso la pazienza. Sono i miei occhi di lupo, se vuoi saperlo."

Ciò detto, sbuffò sonoramente, si fece aria con le mani e, pian piano, gli occhi tornarono a essere del consueto color fumo.

Strabiliato da quell'inatteso sviluppo, di cui era già stato testimone, ma che continuava a stupirlo enormemente, Kennard si schiarì la voce per riprendere un po' di contegno.

Riprendendo quindi da dove si erano interrotti, domandò più cautamente: "Quindi, lui ha tradito la tua fiducia."

"Sì. E, per azioni come queste, sono previste pene molto severe. Esiste un iter specifico da seguire, se si vuole mutare un umano in lupo, poiché il cambio di razza non è il semplice mutamento interspecie, ma l'adeguamento a un nuovo e totalitario regime di vita" gli spiegò atona Lorainne, chiedendosi cosa stesse passando nella mente di Kennard.

Appariva guardingo e attento - come avrebbe dovuto essere qualsiasi Cacciatore in presenza di un lupo, immaginò - ma non era propriamente spaventato, solo avido di risposte. Questo, per lo meno, era quello che immaginava lei.

O forse lo sperava. Desiderava con tutta se stessa che lui non la odiasse, che comprendesse quanto, in fondo, anche lei fosse una creatura che provava sentimenti, che poteva gioire o piangere, arrabbiarsi o ridere,... esattamente come lui.

"Iter... specifico? Una sorta di esame?"

"Anche. Ma io e Paul saltammo qualsiasi passaggio, ci lasciammo guidare dagli impulsi del momento - almeno io, con il senno di poi - e così, in barba alle regole, lui mi mutò senza il permesso di Fenrir. Divenni lupa senza sapere veramente cosa sarebbe successo, e lui ottenne ciò che voleva. Tradire la fiducia di una sciocca umana" sospirò Lorainne, facendo spallucce.

"Fenrir, quindi, è colui che decide per tutti" chiosò Kennard, annuendo pensieroso. "Ne avevamo il sospetto ma, come immaginerai, non abbiamo mai potuto chiedere conferma a nessuno."

Ciò detto, arrossì suo malgrado e Lorainne, con un leggero sorriso, replicò: "Non andiamo in giro ad affiggere manifesti, in effetti. Quando il mio Fenrir lo seppe, non soltanto si infuriò con Paul, ma lo punì con il bando dal branco e la menomazione a vita di un arto."

Kennard sgranò gli occhi, di fronte a quella notizia e, lappandosi nervosamente le labbra, esalò: "Menomazione... a vita?"

"Se una ferita ad argento lede organi, o nervi, la condizione è definitiva. Ugualmente, se la ferita viene inflitta da artigli o zanne. Il nostro Geri - il sicario umano del branco - fendette il tendine d'Achille a Paul su ordine del mio Fenrir, dopodiché venne scacciato, e Freki si assicurò che se ne andasse il più lontano possibile da qui. Da quel che sappiamo, un paio di anni fa si trovava nel Galles, come lupo errante."

"Geri e Freki, eh? Hai parlato di un sicario umano, ma mi sembra strano pensare che vi siano membri umani in un branco mannaro" replicò cauto Kennard.

Il sorriso di Lorainne, a quel punto, si accentuò e, con tono dolente, asserì: "Gli incroci tra famiglie hanno creato dei geni recessivi e, sempre più spesso, il gene mannaro salta una generazione, facendo nascere bimbi del tutto umani, o neutri, che cioè non potranno essere mutati neppure dopo lo sviluppo sessuale, quando di solito avviene la mutazione spontanea. Questi bimbi, per noi, sono più preziosi dell'oro e vengono doppiamente protetti e amati da tutto il branco. Essi sono i depositari del nostro futuro al pari degli altri, ma hanno più bisogno di noi perché non possono difendersi come i fratelli mannari."

Kennard sbatté le palpebre confuso per alcuni istanti prima di domandare: "Tra i bambini del Centro, per caso..."

"No, non ve ne sono. Ma li amo ugualmente, come se appartenessero al branco" scosse il capo Lorainne. "Amo essere un licantropo, nonostante il modo brutale in cui sono diventata tale. Tra loro trovai una famiglia - sono cresciuta tra mille famiglie affidatarie, per la cronaca, per questo mi occupo dei bambini più deboli - e, grazie al mio Fenrir, mi sentii protetta."

"Il tuo Fenrir è... è il vichingo biondo che mi ha quasi staccato un braccio?" domandò Kennard, sollevando un poco la manica della felpa per controllare l'avambraccio. Un bel segno violaceo stava emergendo, pulsante, sulla sua pelle ambrata.

"No, non è lui. Tu conosci il mio Fenrir" replicò lei, sorridendo sorniona.

Kennard  storse appena la bocca prima di imprecare sonoramente ed esalare: "Alec? Alec Dawson, vero?!"

"Chi altri, sennò?" scrollò le spalle lei. "Chi, se non colui che difese la propria famiglia dai soprusi di un padre violento, avrebbe potuto farmi sentire protetta come io mi sento?"

L'uomo si passò le mani sul volto e tornò a quegli anni in cui si era svolto il processo, alla cicatrice sul viso di quel ragazzino gracile ma che, nel breve decorrere di pochi mesi, si era sviluppato fino a diventare un Marcantonio degno di tale nome.

La stampa ci aveva navigato per mesi, denigrando Roland Dawson con i peggiori epiteti possibili e arrivando addirittura a chiedere una medaglia al valore civile per il piccolo Alec. Persino i giudici avevano voluto sbrigare alla svelta la faccenda.

Suo padre, che aveva seguito il caso e gliene aveva parlato in casa con toni disgustati, era arrivato a dire che sì, il ragazzo aveva fatto bene a difendere la madre a quel modo.

La stampa aveva ovviamente usato toni blandi, in merito ai due figli dell'uomo morto, ma lui aveva poi saputo tutto da suo padre, venendo a sapere ciò che nessun ragazzo vorrebbe mai sentire.

Stupri reiterati all'interno della casa, sia ai danni della figlia che del figlio, oltre alle botte e alle ferite da arma da taglio inferte alla moglie, di cui si era parlato molto di più, alla televisione.

No, Alec non era davvero cresciuto in un bell'ambiente... e Lorainne diceva che, da lui, si sentiva protetta? Che un simile passato, quindi, non avesse avuto nessun riflesso negativo sull'uomo che era diventato?

"Alec, quindi... è una sorta di angelo sceso in Terra, per te?"

La sola idea lo fece rabbrividire. Non gli andava affatto che la donna che lo interessava vedesse a quel modo un uomo che non fosse lui ma, d'altro canto, lui aveva appena cercato di ferirla, perciò non aveva molte frecce al suo arco per apparirle come un angelo.

Lorainne, comunque, rise divertita, scosse il capo e asserì: "I primi anni di governo di Alec furono un autentico campo di battaglia. Fece divenire mantra ogni regola del branco, e chi sgarrava veniva punito severamente, pur senza sfociare mai nella crudeltà. Tutti sapevano che, con lui, non si poteva fare i furbi. Alec e i suoi amici ne avevano avuto abbastanza del padre e delle sue angherie, per volere un governo senza regole, perciò finirono con il seguirle fin troppo alla lettera."

"Tu ne fosti testimone?"

"Non proprio. All'epoca dei fatti, Alec si era già ammorbidito un po', rispetto agli inizi ma, il vero cambiamento, avvenne con l'arrivo di Erin e di sua figlia Penny. Hai conosciuto anche loro... al negozio."

"Però... non è la sua vera figlia" esalò sorpreso Kennard.

"Non dirlo a lui. Per Alec, Penny è sua figlia al cento percento. Ha un'autentica adorazione per quella discoletta, e tutti nel branco siamo estremamente protettivi con lei" sorrise Lorainne.

Kennard si lasciò andare sul letto, tramortito da quella marea di informazioni e Lorainne, con un sospiro, domandò: "Ci pensavi dei mostri pronti unicamente a divorare la gente?"

Nell'udire il dolore insito in quelle parole, l'uomo si raddrizzò subito e, fissandola leggermente stizzito, replicò: "So benissimo che tu non sei così, ma hai idea di quello che ci viene insegnato, fin da quando abbiamo abbastanza sale in zucca per capire?!"

"Non ho mai avuto il piacere di parlare con un Cacciatore, in effetti" ribatté lei, ammiccando con leggera perfidia.

Lui si accigliò un poco e ammise: "Beh, sì, è scontato che tu non lo sappia. Era un modo di dire. Comunque, ci insegnano che sì, siete dei mostri pronti unicamente a divorare la gente, che il vostro sangue è demoniaco e via discorrendo."

Lorainne accusò leggermente il colpo, si morse il labbro inferiore e mormorò: "Sangue... demoniaco?"

"Sì, beh, è per via delle leggende che vi credono figli di Fenrir, ma so bene che non è così" scosse una mano Kennard come per liquidare quell'ultima, infelice uscita.

"Non è così?" ripeté sibillina Lorainne, mettendolo immediatamente in allarme.

"Ora non scherzare. Già la situazione è assurda, ma se poi cerchi di fare dell'ironia quando non è necessaria..." borbottò Kennard, passandosi nervosamente una mano sulla nuca, quasi questa sfrigolasse a causa di una corrente a basso voltaggio.

"Uhm... sei percettivo, a quanto pare..." mormorò ancora Lorainne, alzandosi dalla sedia per avvicinarsi a lui con lentezza esasperante.

A Kennard parve di vedere un puma avvicinarsi alla preda, anche se il pensiero gli parve immediatamente paradossale. Lei non era un gatto troppo cresciuto!

Impossibilitato a muoversi, Kennard rimase imbrigliato a quegli occhi magnetici, ora tornati verdi come gli smeraldi più puri mentre la voce, morbida come velluto e roca come la carezza di un'amante, mormorava: "Sei avvolto dal mio potere, dalla mia aura, dal mio sangue divino, e ogni più piccola parte di te lo avverte. Forse in te c'è qualcosa di latente che neppure tu conosci o forse, per tua fortuna - o sfortuna, vedi tu - sei un Percepente e avverti che c'è qualcosa di diverso, in me."

"Che vai dicendo?" gracchiò Kennard, sobbalzando quando la sua mano rovente sfiorò il suo volto.

Un'onda di piena lo avviluppò, riscaldandolo e portandolo a guardarla pieno di meraviglia e sì, di paura. Lorainne, allora, rilasciò l'ondata di energia e allontanò la mano, asserendo con tono più normale: "Ti sembra il tocco di un demone?"

"Eri... eri veramente tu?" esalò a quel punto Kennard, sbattendo confuso le palpebre.

"Sì." 

Disse solo questo. Dopodiché crollò a sorpresa in ginocchio e scoppiò in lacrime. Tutto aspettandosi tranne questo, Kennard rimase basito e immobile per diversi istanti, prima di riuscire a recuperare un minimo di lucidità mentale.

Accucciandosi accanto a lei, accennò quindi a sfiorarle le spalle, solo per ricordarsi che, forse, se lo avesse fatto, lei avrebbe potuto mandarlo al Creatore con un pugno.

L'attimo seguente, però, ricordò la sua dolcezza con i bambini, il modo in cui lo aveva guardato quando aveva consolato la piccola Meg, e lanciò alle ortiche qualsiasi precauzione.

La avvolse tra le braccia, sentendola irrigidirsi per alcuni istanti, e disse: "Non devi piangere. Davvero. So che non sei un demone."

"Ma lo pensi degli altri, e questo non posso accettarlo" replicò lei, puntando i pugni contro il suo torace, pur non spingendo per liberarsi dalla sua stretta.

Avrebbe potuto farlo in qualsiasi momento, perché Kennard sapeva che era molto più forte di lui, ma non lo fece. Rimase lì, accanto a lui, nel cerchio del suo abbraccio e, con calma, smise di piangere.

Nel frattempo, lui le carezzò la corta chioma bionda e liscia, assaporò il profumo di sapone e di donna che veniva da lei e, con un sospiro tremulo, mormorò: "E' assurdo, ma voglio baciarti. Lo desidero anche adesso che so chi sei, che so cosa potresti farmi... al tempo stesso, però, non voglio farlo perché sarebbe da bastardi baciare una donna che ha appena..."

Kennard non terminò mai la frase.

Lorainne lo afferrò per il colletto della felpa e tirò. Schiacciò le sue morbide labbra contro quelle di lui e, muovendosi sinuosa, lo invogliò ad accettarla, ad accettare ciò che lei gli stava donando spontaneamente.

Quella sorta di aggressione finì col farli crollare a terra. Ansimanti entrambi e con gli occhi sgranati per la passione e l'ansia accumulate, si guardarono vicendevolmente in silenzio, i corpi che vibravano in risonanza a ciò che volevano a tutti i costi portare a galla.

Come guidato da fili invisibili, Kennard le avvolse la vita per sospingerla contro il proprio corpo eccitato e, a quel tocco, Lorainne gorgogliò un ringhio basso, gutturale che, per poco, non lo mandò al Creatore.

Era così eccitato che avrebbe potuto perdere il controllo da un momento all'altro e il corpo febbricitante di Lorainne, premuto contro il suo, lo stava mandando al manicomio.

Eppure, non voleva altro che questo e, a giudicare dal respiro affannoso di lei, neppure Lorainne sembrava contraria.

Il punto era un altro. Anzi, erano mille altri. 

Era attratto da una licantropa, e lei era attratta da lui. Desiderava quella donna, nonostante sapesse cosa nascondesse dietro quei bellissimi occhi color giada, quella bocca dolce e al sapor di pesca, quegli splendidi capelli color del miele.

"Ti voglio" mormorò lei, gorgogliando quella richiesta contro la sua gola.

Per Kennard fu troppo.

La sollevò da terra come se ne andasse della propria vita e, senza attendere un solo istante, la sospinse sul morbido letto e la guardò con occhi bramosi, del tutto privi di autocontrollo.

Lorainne, allora, si stiracchiò al pari di un gatto, sorrise e, sollevatasi a sedere, lo afferrò per il bordo dei jeans e lo attirò a sé con un leggero strattone.

Lui le crollò sopra e, l'istante seguente, le sue labbra già cercavano quelle della donna, mentre le mani sollevavano freneticamente il bordo del suo maglione per trovare la sua pelle bollente e morbida come velluto.

"Stai... andando... a fuoco..." riuscì a dire in qualche modo Kennard, mentre Lorainne gli strappava quasi di dosso i pantaloni.

"E' la temperatura della nostra pelle. E'... normale" sussurrò lei roca, cercando frenetica il suo membro. 

Fosse stata anche l'ultima azione della sua vita, ma voleva Kennard. In seguito, se ne sarebbe sicuramente pentita, ma ora lo voleva con tutta se stessa, e con una frenesia che non riusciva a contenere.

Non le importava nulla se era un Cacciatore, se aveva tentato di accoltellarla, se lui era il suo nemico naturale.

Si era innamorata dell'uomo che si nascondeva dietro la sua corazza di avversario primigenio, e non poteva farci un accidente di niente.

Per una volta, voleva essere lei a guidare il gioco, e non farsi guidare da esso.

Quando perciò lo sentì affondare in lei, gorgogliò di piacere e si lasciò andare a quell'antica danza assieme a lui, prendendo e dando in egual maniera, ma senza mai trascendere da se stessa.

Non voleva ferirlo per errore, pur se era sempre più difficile contenere la lupa dentro di lei, che agognava ad accoppiarsi completamente, totalmente con quell'uomo.

Kennard, al tempo stesso, non pensò mai un attimo ai morsi che lei gli stava dando, o alle unghie che stavano segnando la sua schiena o le natiche contratte dallo sforzo.

Il suo unico pensiero era lei, era darle ciò che tanto sembrava volere... e ciò che lui stesso aveva desiderato per tutto il tempo, e che neppure la scoperta della verità aveva fatto scemare.

Che fosse dannato, ma lui voleva quella donna nella sua vita.

E al diavolo il fatto che fosse anche una licantropa.

Ora non gli interessava un accidente di niente. Né gli sarebbe interessato in seguito.

Ormai lo sapeva.

Quando infine crollò su di lei, stremato e appagato al tempo stesso, Kennard scivolò subito dopo su un fianco, le sfiorò le labbra con un bacio e mormorò: "Stai ancora facendo quella cosa coi tuoi poteri, vero?"

"Sì. L'amplesso è più piacevole, se l'aura sfiora il proprio compagno" assentì lei, poggiandosi su un gomito per poi guardarlo dolente. "Scusa se ti ho spinto a cedere... ma volevo almeno questo ricordo, prima di chiudere la questione con te."

Sobbalzando, Kennard ne imitò la postura e borbottò contrariato: "Chiudere in che senso?!"

Ora sinceramente sorpresa, Lorainne esalò: "Beh... pensavo che avresti preferito dimenticare ogni cosa."

"Che?!" esclamò lui, facendo tanto d'occhi. "D'accordo, non ti ho dato l'idea di avere un autocontrollo ferreo, visto che ti sono bastate due paroline sussurrate per farmi capitolare, ma lo volevo anch'io!"

Lorainne a quel punto si passò le mani sul viso, lo guardò al colmo della costernazione e gracchiò: "Ricordi chi sono? Ne sei ben consapevole?"

"Me ne sono fatto un'idea abbastanza chiara e, in merito a questo..." replicò lui, indicandosi una spalla, dove balzava evidente allo sguardo il segno di un morso. "... devo cominciare a preoccuparmi?"

"No. Non ho usato né zanne né artigli, perciò non corri rischi. Neanche se mi avessi morso un labbro, avresti rischiato. Il sangue corrompe - per così dire - solo se siamo in forma animale" gli spiegò lei, non sapendo esattamente come sentirsi.

Kennard le aveva veramente detto che la desiderava?

"Merda..." bofonchiò lui, strappandola a quel pensiero. "... il fatto di sentirti parlare della tua controparte..."

"...ti ha turbato?" ipotizzò lei prima di notare il sorriso beffardo di Kennard.

Controllando quindi un punto preciso del suo corpo nudo, scoppiò a ridere - una vera, calda risata – ed esalò: "Oh... direi di no."

"Mi hai fatto una fattura?" domandò l'uomo con un mezzo sorriso.

"Non siamo capaci, mi spiace" scrollò le spalle lei, sentendosi stranamente leggera, nonostante si trovasse in una situazione potenzialmente mortale.

"Beh, allora dovrai sistemare le cose. Me lo devi" la provocò lui, sospingendola nuovamente verso le lenzuola stazzonate.

Lei, però, scosse il capo, assottigliò le palpebre e, ribaltando la situazione, lo fece distendere sotto di essa e, solleticando la sua carne con le unghie, discese fino a incontrare il suo membro.

A quel punto, Kennard perse del tutto ogni contatto con il mondo e solo molto tempo dopo riuscì a emettere una frase di senso compiuto... o che non sembrasse qualche idiozia disarticolata e grottesca.

Soddisfatta e sogghignante come un gatto che stesse leccandosi i baffi, Lorainne scese dal letto con un balzo, raggiunse in fretta il bagno per recuperare una salvietta, la inumidì e, dopo essere tornata a letto, la gettò su di lui e mormorò: "Ripulisciti. Sei un disastro, e dobbiamo ancora parlare seriamente, noi due."

Fissando accigliato l'asciugamano deplorevolmente freddo - lo aveva fatto apposta a non usare l'acqua calda? - Kennard fece come richiestogli dopodiché, avvoltosi con un lenzuolo, la osservò mentre lei si sistemava candidamente su una poltrona, a gambe accavallate.

"Tu non ti rivesti?"

"Non abbiamo tabù sessuali, tra noi" si limitò a dire lei, come se nulla fosse.

Kennard strabuzzò gli occhi, gracchiando: "Cioè... vuoi dirmi che hai visto nudi tutti i membri maschili del tuo branco? Scusa il gioco di parole..."

Lei sorrise appena, assentì e disse: "Sei nella media, non temere. Comunque sì, come loro hanno visto tutte noi senza nulla addosso. Quando mutiamo, è meglio farlo da nudi, se non vuoi far esplodere gli abiti. Niente sparizioni magiche... esplodono e basta."

Lui, però, non la stava affatto ascoltando, limitandosi a guardarsi con espressione torva.

A quel punto, Lorainne lo guardò dubbiosa e domandò: "Cosa c'è? Ti ho per caso ferito senza accorgermene?"

"Non in senso letterale" sottolineò lui. "Che intendi... nella media?!"

Lorainne esplose in una calda risata, nel sentirlo così irritato al pensiero di non avere un fisico particolarmente eccezionale, o fuori dagli standard. Era così tipicamente e squisitamente maschile!

Tornando da lui, gattonò sul letto, gli si inginocchiò dinanzi e aggiunse: "Kennard, tu per primo mi hai detto che tendete a tenere sott'occhio gli uomini troppo alti e robusti, no?"

"Sì, beh, ma..." tentennò lui, sentendosi un emerito idiota al solo pensiero di stare facendo i capricci come un bambino.

Lei, allora, addolcì lo sguardo, gli carezzò una guancia e mormorò: "Se può consolarti, tolto Paul, non sono più stata a letto con nessun altro, da quando mi sono trasformata. Ero troppo demoralizzata e triste, per farlo."

"Neanche con..."

"William ti è proprio rimasto impresso" ironizzò a quel punto Lorainne, scuotendo il capo con ironia. "No. Ci siamo baciati una volta, per dovere di cronaca ma, quando è parso a entrambi di baciare un fratello - o una sorella -, abbiamo convenuto che fosse preferibile rimanere amici. E così è tutt'ora."

Kennard a quel punto assentì, sospirò nel reclinare il capo e mormorò: "Che abbiamo combinato, Lore?"

Quel nomignolo. Lei sorrise nel sentirglielo usare. Lo aveva sempre fatto, da quando erano diventati amici, durante le loro lunghe domeniche al Centro Diurno. Il fatto che fosse tornato a usarlo proprio in quel momento le fece sperare, per un folle istante, che tutto potesse andare a posto.

Ma il fatto che lui fosse una Sentinella Cacciatrice, e lei un licantropo, non era affatto cambiato.

"A quanto pare, nel nostro caso, l'istinto di sopravvivenza funziona al contrario. Tu sei un Percepente, ormai ne sono sicura, e quindi puoi avvertire attorno a te i licantropi, se non hanno l'aura azzerata. Potresti essere un pericolo per tutti noi ma, al tempo stesso, potresti essere tu stesso in pericolo, perché altri gruppi di Cacciatori potrebbero volerti per i tuoi poteri." 

"Ci chiamate davvero cacciatori?"

"In mancanza di un termine migliore..." scrollò le spalle lei. "Voi come vi definite?"

"Nel nostro caso, Centuria. Neanche troppo difficile capire il perché. Siamo un centinaio, e prendiamo i nomi dall'esercito romano."

Sollevando un sopracciglio con interesse, Lorainne domandò: "Motivo? Dopotutto, Fryc è antecedente all'arrivo dei Romani."

"Il nome mutò da beadurinc, termine anglosassone che identificava i guerrieri, a titoli e acquartieramenti romani dal momento in cui i nostri avi parteciparono alla guerra tra Romani e Pitti."

"Oh, giusto. Noi parteggiammo per i Pitti, e voi per i Romani. Noi fondemmo il nostro sangue con l'antico popolo anglosassone, e voi con l'invasore del sud" chiosò Lorainne, ammiccando al suo indirizzo per stemperare il tono di quell'appunto.

"Tant'è. Il punto focale, comunque, non sono i nostri nomi, o i titoli altisonanti, ma il fatto che io e te abbiamo un problemino un tantino più pratico" soggiunse lui, indicando entrambi prima di sfiorare con un dito il segno di morso che Lorainne aveva sulla spalla destra. "Paul?"

"Ah, no... una lupa del branco. Si combatte al primo sangue, per scalare la gerarchia sociale, e lei mi lasciò una bella cicatrice. Io, però, le tirai la coda e vinsi" si limitò a dire lei, vedendolo sobbalzare in risposta.

"Le tirasti... la coda?"

"Coi denti. Rischiai di staccargliela, ma lei si dichiarò vinta prima che portassi a termine i miei propositi, così passai di categoria. Ormai sono più di due anni che non combatto più" scrollò le spalle Lorainne.

Kennard si passò le mani sul viso per schiarirsi le idee, cercò di concretizzare nella mente il pensiero di due lupe che si azzannano in una sorta di torneo ma, non riuscendovi, le domandò costernato: "Ma davvero dovete farlo?"

"Siamo una società piramidale e, più sei in alto, più hai privilegi. Nel caso specifico, ci serve più che altro per rimanere attivi e allenati, non tanto per ottenere favori da Fenrir, visto che lui ci tratta pariteticamente. Tendiamo a diventare nervosi, se non snudiamo le zanne, per così dire, così ogni tanto sfidiamo o veniamo sfidati. Più sei alto in grado, però, più è difficile essere sfidati, perché nessuno desidera veramente prenderle di santa ragione."

"Quindi, tu sei molto forte?"

"Come donna, sì. Ho messo sotto anche diversi uomini, ma posso davvero contarli sulla punta delle dita di una mano. Con alcuni, poi, non ci proverei neppure" ironizzò lei, scrollando una mano con fare negligente prima di tornare seria, sospirare e domandargli: "Sei spaventato?"

"Se mi togliessi il lenzuolo, vedresti quanto sono spaventato" celiò lui, portandola a fare proprio questo. "Questo fa di me un folle?"

"Forse, solo un Cacciatore che non ha più paura del licantropo che ha innanzi" mormorò lei, sfiorandogli con un dito la vena giugulare, ben evidente sul suo collo. "Vorrei morderti, leccare il tuo sangue e farti mio in ogni senso. Mutarti in lupo e sfruttare tutta la mia forza per darti il massimo piacere possibile, ma sarebbe la cosa più sbagliata e ingiusta possibile."

Lui ansimò in risposta, si passò una mano sul viso e gorgogliò roco: "Parla ancora con quel tono e ti butterò sul letto di nuovo... e stavolta non ribalterai la situazione."

"Non ti è piaciuto quello che ti ho fatto?"

"Tutt'altro!" esclamò lui, facendo tanto d'occhi. "Ma voglio marchiarti come mia... e so che è da trogloditi, del tutto inutile e anche un tantino maschilista. Ma quando parli della tua parte animale, fai uscire la mia."

"I lupi marchiano le proprie lupe... e viceversa" sottolineò lei, assottigliando le palpebre e leccandosi bramosa le labbra.

A Kennard non servirono altri stimoli. Prima di riprendere da dove si erano interrotti, però, le domandò: "Toglimi una curiosità... qual è la vostra resistenza?"

Lei rise sommessamente, lo accolse dentro di sé e mormorò roca: "Ti stancherai prima tu, te lo assicuro. Ma io saprò risvegliarti ogni volta."

"Cazzo... mi sa che stanotte ci rimarrò secco" sbottò lui.

Ma non gliene importò nulla. Se non era un bel modo di andarsene quello...





N.d.A.: è chiaro che la situazione è ancora ben lontana dall'essere risolta visto che, in pratica, non hanno sviscerato il "piccolo" problema che li divide... comunque, per lo meno, non è finita a coltellate. ^_^
Ora resta da capire come la prenderà Alec, e come reagiranno i familiari di Ken...

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


 
7.
 
 
 
L'acqua calda della doccia gli sembrò la cosa più bella del mondo.

Dopo Lorainne che lo insaponava, ovviamente.

Alla fine, aveva mantenuto la parola. Non solo lei non aveva mostrato alcun segno di cedimento o stanchezza, ma ogni volta aveva saputo far rifiorire il suo desiderio finché, davvero stremato, non era crollato a dormire lungo riverso sul letto.

Verso le quattro della mattina.

Solo molte ore dopo, e con il sole ben alto nel cielo, era riuscito a tornare dal mondo di Morfeo e unicamente per trovare Lorainne già sveglia e con un vassoio colmo di leccornie poggiato tra loro due.

"Servizio in camera" aveva detto con un sorriso e lui, per un istante, si era domandato se fosse andata alla porta senza nulla addosso.

Nel vedere un accappatoio gettato con negligenza su una vicina poltrona, si era però tranquillizzato e, scusandosi con lei, era andato al bagno per riprendersi dalla lunga maratona notturna.

Lei l'aveva seguito poco tempo dopo e ora, in piedi nel box doccia assieme a Lorainne, stava assaporando un nuovo genere di piacere.

"Trovo tutto questo bellissimo, Lore... ma non abbiamo più parlato del nostro problemino. E non possiamo di certo bivaccare qui dentro in eterno. Pur se sarebbe davvero piacevole" mormorò lui, insaponandole i capelli.

"Pensi che i tuoi potrebbero avere un travaso di bile, se mi presentassi da loro e accennassimo anche a loro il nostro problemino?"

Kennard si bloccò all'istante, la squadrò negli occhi più che mai seri e borbottò: "Dici sul serio?"

Aprendo su di loro il getto del sifone, Lorainne replicò: "Segui il mio discorso, Ken, e dimmi se sbaglio. E' assodato che c'è qualcosa di serio, tra di noi, o nessuno dei due sarebbe passato sopra ai nostri evidenti ...dissapori reciproci? Vogliamo chiamarli così?"

"Niente da dire... non me ne è fregato un accidenti, lo ammetto. E non può essere soltanto perché sei una bella donna e sei brava a letto" asserì lui, vedendola sorridere divertita per un istante.

"Grazie. E' reciproco, comunque. Tolto il discorso puramente fisico che c'è tra noi, abbiamo appena ammesso che esiste un legame emotivo che ci unisce e, se è sopravvissuto alla verità, dubito possa subire scivoloni improvvisi."

"Credo anch'io. Quindi?"

"Non so dove ci porterà questo legame, ma so cosa potrà succedere a te. Sei un Percepente, quindi una minaccia per i licantropi e una golosissima arma per qualsiasi Cacciatore da qui alla fine del mondo. Se per disgrazia si sapesse che tu hai questo potere, saresti in pericolo su entrambi i fronti.”

"Ma, se tu non parli, chi potrebbe mai saperlo, dei miei?"

Sospirando, Lorainne mormorò: "Se restiamo insieme, dovrò gioco forza presentarti al mio Fenrir, e poi al branco. Ma, a tua volta dovrai presentarmi ai tuoi, e prima o poi noteranno qualcosa che non va in me."

"Merda, merda, merda" ringhiò lui, dando dei leggeri colpi con il capo alla parete della doccia. 

"Pensi che i tuoi genitori potrebbero ascoltarmi senza snudare prima le armi?"

"Onestamente? Non lo so" ammise lui, sospirando e chinandosi per poggiare la fronte contro quella di Lorainne. "Potrei cercare di difenderti, ma non so se riuscirei a levare la mano su di loro."

"Neppure lo vorrei. E' la tua famiglia... ma non possiamo mentire loro."

"Ma possiamo farlo coi tuoi?" replicò leggermente piccato Kennard.

"Non mi pare che tu sia morto... eppure William sa di te" sottolineò per contro Lorainne. "Credimi... a quest'ora, non soltanto il mio Fenrir sa che ero con te, ieri sera, ma penso persino che sappia che non sono tornata a casa, stanotte. Quindi, o mi dà per morta... o per qualcos'altro."

"Si incazzerebbe, se sapesse che abbiamo fatto sesso?" borbottò leggermente preoccupato Kennard.

"Se mi vedesse appagata, neanche tanto. Magari ti strapazzerebbe un po' perché sei un Cacciatore ma, alla fine, ti lascerebbe in vita, visto che mi hai regalato un sorriso."

Ciò detto, ne sfoderò uno tutto fossette, che però non fece sentire Kennard più tranquillo.

"Così... come se nulla fosse" gracchiò lui, per nulla convinto.

"Siamo piuttosto diretti e molto poco machiavellici. Su certe cose amiamo il bianco e il nero, lo ammetto ma, se io garantisco per te, sei più o meno a posto."

"E' il 'più o meno' che mi preoccupa un po'" sottolineò lui.

"Sorriderei molto" ci tenne a precisare Lorainne.

Kennard allora le sorrise, le carezzò il viso bagnato e, dopo averle dato un bacio leggero, mormorò: "Ti amo. Che, alla fin fine, avrebbe dovuto essere la prima cosa da dire, prima di saltarti addosso... ma non abbiamo fatto le cose in maniera molto ortodossa."

"C'è ben poco di ortodosso, in quello che stiamo facendo, ma mi fa piacere che tu me lo abbia detto, visto che lo penso anch'io, di te" replicò lei, avvolgendogli le braccia intorno al collo per aderire completamente a lui. "Mi sono innamorata di un Cacciatore. Quando il mio Fenrir lo saprà, o riderà fino a disarticolarsi la mandibola, o mi urlerà dietro delle cose innominabili, prima di calmarsi."

"Poteva andarci peggio, no?"

"In che senso, scusa? Pensi ci siano situazioni più complicate delle nostre?" esalò Lorainne, sgranando perplessa gli occhi.

"Se mi ci fai pensare, sono sicuro che troverò qualcosa di peggio, ma ora vorrei uscire da qui. Comincio a lessare" ironizzò lui, sollevando una mano dove erano ormai evidenti diverse piegoline sulla carne.

Lorainne rise divertita, annuì e chiuse l'acqua, sospingendolo poi fuori dal box.

Lì, gli gettò un salviettone e Kennard, curioso, le domandò: "Non ne hai bisogno anche tu?"

"No" ammiccò lei, iniziando a far evaporare l'acqua sul proprio corpo con il semplice utilizzo dell'aura.

Kennard sorrise un po' scioccamente e, nel frizionarsi col salviettone, esalò: "Questo sì che è fico."

"Aiuta" ammise lei, uscendo dal bagno per raggiungere in fretta il cellulare e chiamare Alec.

Era più che sicura che, ormai, William avesse già fatto rapporto e, vista l'ora, il suo Fenrir poteva aver già sguinzagliato qualche sentinella al solo scopo di cercarla. Non voleva per nessun motivo che piombassero lì a far fuori Kennard prima di aver chiarito tutto.

Richiamato perciò il numero breve di Alec, attese impaziente di sentire la sua voce burbera rivoltarla come un calzino ma, quando il suo Fenrir accettò la chiamata al secondo squillo, si sorprese nel sentirlo sì turbato, ma per nulla infuriato.

La sua voce era ansiosa e velata da qualcosa di simile alla paura, cosa per Lorainne del tutto nuova. Che si fosse preoccupato così tanto? O William aveva esagerato con il suo resoconto?

"Ehm, ciao, Alec. Come va?" esordì con tono neutro.

"Io. Come va" borbottò per contro l'uomo, tornando al suo solito tono burbero. "Da quel che Will mi ha raccontato la notte scorsa, temevo di trovarti legata e imbavagliata in un covo di Cacciatori... ma non mi sembra tu stia male."

Sbuffando, Lorainne borbottò: "Il solito esagerato... anche quanto, era un solo Cacciatore, e avrei potuto sistemarlo senza problemi, anche senza l'intervento in stile 'Jason Statham' di William. Comunque, la faccenda è un tantino più complicata di me che incontro un nemico."

"Ehi, Lore, con chi parli?" domandò dietro di lei Kennard, sopraggiungendo dal bagno, il salviettone stretto attorno ai fianchi.

Lorainne sospirò a quella vista e Alec, insospettendosi, domandò: "Hai inscenato 'A letto con il nemico', Lorainne?"

"Neanche sapevo che avessi mai visto questo film, capo" esalò scioccata la donna. "Comunque, non sono saltata da una barca in mezzo a una tempesta, per la cronaca. Il letto, però, c'entra."

Uno sbuffo, un'imprecazione tra i denti e il silenzio.

Lorainne non seppe come interpretare quei messaggi subliminali da parte di Alec ma quando, tre secondi dopo, le giunse la bordata delle sue urla, seppe che il suo Fenrir non era svenuto.

"CHE DIAVOLO TI E' SALTATO IN MENTE?! SE AVEVI COSI' TANTA VOGLIA DI FARTI UN UOMO, AVEVI LA FILA ALLA PORTA!" sbraitò Alec mentre, a poca distanza, la voce di Erin cercava di portarlo a più miti consigli.

Lorainne allontanò in tutta fretta il cellulare dall'orecchio, comunque martoriato da quell'urlo titanico e Kennard, che non si era perso una sola parola di quella reprimenda, fissò curioso la donna, che si limitò a scrollare le spalle.

"Nessun tabù sessuale, in linea di massima..." si limitò a dire lei, sorridendo tesa prima di ricevere la seconda stoccata.

"COSA FAI?! ANCHE LE LEZIONI DI GUIDA AL TUO CUCCIOLO SENZA PELO?! DOVRESTI SBUDELLARLO, INVECE DI SPIEGARGLI CON CHI ANDIAMO A LETTO!"

Kennard rabbrividì leggermente, di fronte a quella minaccia per nulla velata e Lorainne, con un sospiro, asserì: "Guarda che ti sente."

"COSA VUOI CHE ME NE FREGHI, DI UN SENZA PELO CHE VUOLE ACCOPPARMI?!" sbraitò Alec.

"Lo voglio, Fenrir" mormorò a quel punto Lorainne.

Alec si azzittì subito, a quelle parole e, nuovamente calmo - ma con un tono di voce che lasciava trapelare tutta la sua preoccupazione - replicò: "Dio, Lorainne... e lui che dice?"

"Ha detto di amarmi. Ma il punto è un altro. E' un Percepente."

"Cristo! Niente di meno! Ma un amante più semplice non potevi trovartelo, Lo-Lo?"

Lorainne scoppiò a ridere, nonostante tutto, quando sentì usare ad Alec lo sciocco nomignolo che Penny le aveva dato all'inizio della loro amicizia. Era ben raro che Alec si piegasse a simili giochi ma, se era arrivato al punto di usarlo, doveva essere davvero in ansia per lei.

Addolcendo perciò il suo tono, asserì: "Tutta la mia vita è stata un percorso in salita, Fenrir. Niente di strano se, anche in questo ambito, continua a esserlo."

"Ed essendo un Percepente, ti è facile capire se mente, visto che è una cosa a doppio senso" brontolò Alec, pur mantenendo un tono di voce abbastanza controllato.

"Già" assentì Lorainne, sorprendendo non poco Kennard, che si indicò con aria confusa. "Che devo fare, Fenrir?"

"Non può semplicemente sbattersene della famiglia e rimanere con te. Non è una situazione come le altre" sospirò a quel punto Alec. "Il tuo uomo che ne pensa?"

"Gli ho proposto di andare a parlare coi suoi genitori, ma non mi sembra molto d'accordo" gli espose lei, scrollando le spalle.

"Perché dimostra un minimo di assennatezza. Il punto è che, purtroppo, temo sia l'unico sistema di saltarci fuori. Se anche voi cambiaste città, lui dovrebbe spiegargliene i motivi e, prima o poi, dovrebbe presentare loro la sua donna... il che ti porterebbe in ogni caso tra le loro braccia" mormorò pensieroso Alec. 

"La proteggerei" si permise di intervenire Kennard, avvicinando il viso al cellulare di Lorainne.

"Sei in vivavoce, ragazza?" sbottò Alec, ma con tono divertito.

"Ho dovuto farlo. Sbraitavi così tanto che ho dovuto allontanare il cellulare dal mio orecchio" sottolineò Lorainne.

"Sentimi bene, senza pelo. Questa ragazza ne ha passate anche troppe e, pur se mi piange il cuore al pensiero che abbia voluto donare il proprio cuore a un Cacciatore, non posso frappormi tra te e lei. Al cuor non si comanda, e l'ho imparato a mie spese. Ti credo, se dici che la difenderai, ma bada... se le verrà torto un capello, non esisterà luogo, sulla Terra, in cui tu potrai nasconderti. Troverò il tuo culo e lo farò a strisce, poi ti mangerò. Anche se mi fate schifo."

Alec parlò con tono misurato, come se stesse parlando del tempo atmosferico, ma Kennard non dubitò un solo attimo che lui stesse dicendo sul serio. Ancora una volta, gli tornarono alla mente quegli occhi colmi di morte, quell'espressione seria e vuota che tante volte aveva visto a scuola, e rabbrividì.

Ora, però, era certo che il suo sguardo fosse incendiato di furia, al solo pensiero che una sua protetta fosse in pericolo. Aveva parlato d'amore, perciò era piuttosto certo che fosse così innamorato della sua donna da poterne parlare senza sentirsi in imbarazzo.

Pur intimorito dalla minaccia, Kennard riuscì comunque a dire: "Davvero facciamo così schifo?"

"Non posso neppure dire quanto. La carne umana è insapore, dura e nervosa. In pratica, fa schifo" brontolò Alec. "Chi ti dice il contrario - e penso che i tuoi te l'abbiano detto spesso - allora non ha mai morso il culo di un umano per farlo scappare a gambe levate."

"So di uomini divorati vivi, però" sottolineò per contro Kennard.

"Ehi, sbaglio o anche tra voi umani esiste il cannibalismo?" replicò sarcastico Alec.

"Vero" ammise suo malgrado Kennard. "Quindi, se proteggo Lore, non mi mangerai?"

"Andata" acconsentì Alec. "Visto che Lorainne si fida di te, non ti chiederò chi sei. Aspetterò che sia lei a presentarci."

Kennard, però, disse: "Mi conosci. Andavamo alla stessa scuola. Eri di un anno più grande di me. Ero presente, quando successe... beh, quando uccidesti tuo padre."

"Conoscevo un sacco di ragazzini, in quella scuola. Sii più specifico" borbottò Alec.

"Kennard Palmer. Ti è più chiaro?"

"Palmer. Tuo padre faceva parte del collegio di avvocati della difesa, giusto?" mormorò pensieroso Alec.

"Esatto. Rimase inorridito da ciò che vi fece vostro padre, per la cronaca e, credo, lo sarebbe comunque, anche se sapesse la verità su di te."

"Non è il caso di aprirsi così tanto" sottolineò per contro Alec.

"Non lo avrei fatto in ogni caso. Era solo per dirti che uomo è" precisò Kennard, annuendo.

"So che uomo è. Regalò un giocattolo sia a me che a mia sorella Patricia, alla fine del processo" asserì laconico Alec. "Ho una buona memoria e, visto che fu gentile con noi, non me la prenderò troppo, sapendo che è anche un Cacciatore."

Kennard non seppe esattamente cosa dire, di fronte a quell'esternazione, perciò si limitò a mormorare: "Ti faremo sapere."

"Me lo auguro" borbottò Alec prima di aggiungere: "Chiama anche Will, dopo. Era preoccupato per te."

"Lo immaginavo" asserì Lorainne, sorridendo. "Ci sentiamo, Alec."

Ciò detto, chiuse la chiamata e, guardando Kennard, mormorò: "Hai rischiato, dicendo il tuo nome al mio capoclan. Hai messo volutamente a rischio la tua famiglia."

"Da qualche parte dovremo pure cominciare a fidarci l'un l'altro, no? Altrimenti, non ne arriveremo mai a capo" si limitò a dire lui, scrollando le spalle.

Lei assentì suo malgrado e, nell'osservare i loro abiti gettati a terra negligentemente, sospirò e disse: "Saranno tutti stazzonati, ma ci possiamo fare ben poco."

"Vuoi passare da casa a cambiarti?"

"Ti spiace?"

"Affatto. Così, vedrò il covo di un lupo mannaro" ironizzò lui, mimando grandi artigli e zanne.
 
***

Il 'covo' di Lorainne si rivelò essere un comunissimo appartamento nei pressi del Citypark in cui lui aveva tentato di aggredirla - cosa per cui Kennard, ora, si sentiva tremendamente in colpa.

Al suo ingresso, avvertì un debole sentore di pachouli, oltre a un famigliare aroma di limone, che Kennard associò a detersivo per i pavimenti.

Il mobilio era moderno, senza fronzoli e, su diverse pareti, poster di concerti e stampe di vecchi gruppi si intervallavano ad alcune chitarre elettriche di mirabile pregio.

Evidentemente, il negozio di musica non era solo un lavoro, ma anche una passione.

Su una credenza, l'uomo vide le foto di alcuni dei bambini del Centro Diurno e, a sorpresa, anche una sua assieme a Lorainne, probabilmente scattata il dicembre precedente, durante le festività natalizie.

Appariva splendida, nel suo bianco cappotto bordato di morbido pile, la sciarpa attorno al collo e la cuffia sui corti capelli. A quel punto, conoscendo ormai la verità su di lei, si chiese se le fosse davvero servito, quel vestiario, o se lo avesse indossato solo per conformarsi agli altri.

Lei lo raggiunse dopo essersi cambiata - aveva indossato comodi jeans, un maglioncino di viscosa color cielo e stivaletti alla caviglia - e, nel vedere quella foto in particolare, sorrise e ammise: "Mi piace vestirmi così, ma stavo morendo di caldo."

"L'avevo sospettato" ammise Kennard, prendendole le mani per stringerle tra le proprie. "Sei sicura di volerlo fare?"

"Non vedo grandi alternative. Sei orfano come me?"

"No."

"Allora abbiamo già detto tutto" si limitò a dire lei, avviandosi assieme a lui per uscire dall'appartamento.

In effetti, non c'era molto altro da dire.
 
***

La casa dei Palmer era la classica abitazione in mattoni rossi tipica del middle england, circondata da basse mura perimetrali e un'alta siepe di bosso.

Il giardino interno, in quel momento sfiorito a causa dell'inverno, appariva comunque in ordine, mentre un cespuglio di agrifoglio, nei pressi di una piccola fontana dalla forma ottagonale, dava un tocco di colore a una natura altrimenti a riposo.

Una modesta veranda proteggeva la porta d'ingresso e lì Kennard, bloccandosi al pari di Lorainne, prese un gran respiro e domandò: "Pronta?"

"Ora o mai più."

Ciò detto, lo osservò aprire la porta d'entrata con le chiavi e, assieme a Kennard, penetrò nella casa di un Cacciatore per la prima volta in vita sua.

La mano stretta a quella dell'uomo, Lorainne si guardò intorno con aria preoccupata ma, un po' a sorpresa, trovò soltanto un comune ingresso abbellito da un paio di credenze in legno chiaro. Un lampadario a gocce pendeva dal soffitto a botte mentre, dinanzi a lei, un lungo tappeto percorreva il corridoio illuminato da applique a forma di foglia.

Da una porta sbucò all'improvviso Eve, i capelli stretti in una coda disordinata e gli abiti abbinati a caso. Vedendo Kennard, quindi, esclamò: "Beh, allora sei ancora vivo! Potevi anche chiamare, ieri sera!"

Vedendo poi Lorainne dietro di lui, leggermente intimidita e guardinga, si bloccò subito, sorrise maliziosa e aggiunse: "Oh... ma forse eri impegnato..."

Kennard sbuffò all'indirizzo della sorella e borbottò: "Ricordi mia sorella Evelin, vero?"

"Sì. Ciao" mormorò Lorainne, rimanendo saldamente al fianco di Kennard.

"Le hai detto cose orribili su di noi? Mi sembra terrorizzata" esalò preoccupata Evelin, avanzando con una mano protesa e su cui spiccava un bellissimo anello... in argento. "Non preoccuparti. Non mordiamo."

Lorainne fissò quella mano con espressione turbata e Kennard, nell'avvedersi del motivo, si spostò preventivamente dinanzi alla donna e disse: "Eve, dai, lasciala in pace."

"Che c'è? Non vuoi presentare finalmente alla famiglia la tua donna? Perché l'hai portata qui, allora?" replicò la sorella, sbuffando all'indirizzo del fratello.

Delle voci dal piano superiore avvertirono Kennard che, non solo i genitori erano a casa, ma era presente anche suo zio. Imprecando sottilmente tra i denti, l'uomo avvolse le spalle di Lorainne per tirarla indietro e, nervoso, disse: "E' stata una pessima idea. Andiamo via."

"Oh, ma dai, piantala di fare il fifone, Ken!" lo prese allora in giro Eve, mentre il resto della famiglia li raggiungeva, scendendo con calma le scale.

Eve, nel frattempo, si allungò per afferrare la mano di Lorainne ma lei, allontanandosi di scatto, si scusò con lo sguardo e aggiunse contrita: "Scusa. Sono allergica."

Quelle semplici parole scatenarono la giovane cacciatrice che, fissandola con occhi che sapevano di dubbio e risentimento, indietreggiò di colpo, afferrò una piccola ciotola dalla vicina credenza e, apertala, vi soffiò sopra con forza prima di gridare: "Mannara!"

L'aconito in polvere contenuto nella ciotola si levò come una nuvola attorno al trio nell'atrio e, mentre Lorainne si copriva in tutta fretta con il cappuccio del Barbour che indossava,  Kennard esplose in un grido rabbioso contro la sorella.

Dalle scale, pietrificati da quella scena del tutto assurda, i membri senior di casa Palmer rimasero impalati per pochi secondi prima di passare all'attacco e dare man forte a Evelin.

Mentre Lorainne tentava di togliersi l'aconito dalle mani - gettando nel frattempo il Barbour a terra - Kennard le si pose innanzi e, con un urlo disumano, ringhiò: "FERMATEVI! TUTTI QUANTI!"

"Perché mai dovremmo farlo!?" sbraitò per contro Eve, aprendo uno stipetto della credenza per estrarre uno stiletto argentato che fece sibilare Lorainne per diretta conseguenza. "Hai idea di chi ci hai appena portato in casa, fratello?!"

"Certo che ce l'ho! E' la donna che amo! Ecco chi è!" le sputò addosso, schiaffeggiandola a una mano per farle cadere lo stiletto e, al tempo stesso, schiacciare Lorainne contro il muro per farle da scudo umano.

Quella bomba raggelò completamente qualsiasi replica - sia fisica che verbale - e Kennard, un tantino più controllato, aggiunse: "Ora che vi siete azzittiti, provate a pensare a questo; credete davvero che avrei portato in casa un'assassina? Credete davvero che non vi voglia più bene, per fare una cosa simile?"

In un sussurro, poi, domandò a Lorainne: "Come vanno le mani?"

"Addormentate. Ne avrò per almeno un'oretta" si lagnò lei, scrollando le dita nel vano tentativo di far riprendere sensibilità ai muscoli e ai nervi.

La schiena premuta contro i seni di Lorainne, Kennard percepì senza sforzo il battito frenetico del suo cuore, il suo leggero tremore e, irritandosi leggermente, ringhiò: "Avete il cervello foderato di melassa, per non capire che non farei mai nulla contro di voi?"

"Kennard, calmati... cosa vuoi che pensino, ora come ora?" replicò Lorainne, poggiando il capo contro la spalla di lui prima di sbadigliare sonoramente.

"Merda! Ne hai respirato un po'?" esalò Kennard, voltandosi a mezzo per prenderla in braccio.

Lei crollò contro di lui, assentì fiacca e disse: "Tua sorella è stata molto veloce."

"Kennard" esordì Cassian, zio del giovane e Tribuno della Centuria di Bradford. 

Il nipote si volse a mezzo, con Lorainne ancora tra le braccia e, fissando ombroso lo zio, disse: "Desideriamo parlarti. E' sorto un problemino non da poco... e non riguarda soltanto quello che vi ho detto prima."

Accigliandosi leggermente, Cassian lanciò un'occhiata al fratello e alla cognata dopodiché, scrutata in viso Eve - che ancora li osservava guardinga e ferita - disse: "Evelin, spranga le finestre di casa, poi vieni in salotto con noi."

Lei assentì rapida, raccolse in fretta lo stiletto per infilarselo nella cintola ma suo zio Cassian glielo requisì subito, sistemandolo per contro nel primo cassetto utile dopodiché, indicato a Kennard di seguirlo, si avviò verso il salone delle cene.

Forse, non il luogo più adatto in cui incontrare un nemico – lì, le armi di certo non abbondavano – ma, visto che tutta quella situazione era assurda, anche un tavolo in stile chippendale poteva andare bene per parlare.

Se mai quella visita ai limiti dell’inverosimile fosse rimasta civile, ovviamente.



 



N.d.A.: Che dite, Evelin si calmerà o combinerà qualche altro guaio?

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


 
8.
 
 
 
Avvolto dal silenzio più assoluto, e scrutato a vista dal resto della sua famiglia, Ken si incamminò alle spalle di zio Cassian, seguito a pochi passi dai genitori, mentre Lorainne borbottava insonnolita tra le braccia del suo uomo: "Mi serve un bourbon. O del whisky."

"Ti dai alle bevute mattutine?" ironizzò Kennard, ricevendo per direttissima le occhiate venefiche e disgustate dei genitori.

Lui non vi badò affatto e Lorainne, accennando un sorriso, replicò: "Serve a smaltire prima gli effetti dell'aconito."

"Oh, ecco" annuì lui, deponendola delicatamente su una sedia prima di avvicinarsi alla credenza contenente i liquori. Lì, versò una dose abbondante di Cognac in un bicchiere panciuto, vi aggiunse un pezzo di ghiaccio e infine tornò da Lorainne.

Lei lo ringraziò con un sorriso mentre Cassian, nell’accomodarsi a capotavola, la scrutò con attenzione e cautela, ma non necessariamente odio. Non ancora, per lo meno.

Evelin arrivò giusto in quel momento, si lanciò praticamente su una sedia accanto ai genitori, sul lato opposto del tavolo rispetto al fratello dopodiché, fissando aspramente la coppia, sibilò: "Sei una serpe in seno, Ken."

"Piantala di dire scemenze. Se avesse voluto farci del male, avrebbe ammazzato me, preso i miei documenti e poi convocato mezzo branco per far fuori voi" le rinfacciò aspro Kennard, accomodandosi al fianco di Lorainne per sorreggerla.

Lorainne si appoggiò a lui con naturalezza, sorseggiò il liquore aromatico dalla mano protesa di Kennard e Cassian, nell'intrecciare le mani sul tavolo, domandò cauto, con tono fermo ma non necessariamente scortese: "Posso sapere il suo grado?"

"Non sono così alta in grado da avere un titolo, mi spiace. Né sono qui per farvi del male. Se avessi voluto, avrei fatto esattamente quello che ha detto Ken un minuto fa" mormorò Lorainne, sbadigliando subito dopo. "Mi scusi... gli effetti dell'aconito sono terribili."

"Ne siamo a conoscenza. Per questo, ne teniamo sempre una scorta in casa" assentì cauto Cassian. "Quindi... posso sapere perché è venuta - scusi la battuta - nella tana del lupo?"

Lorainne sorrise appena e replicò: "Le stringerei la mano, se non fosse addormentata, e solo per la battuta che ha appena fatto. Comunque, per citarla, sono venuta nella tana del lupo perché sarebbe stato assurdo non farlo. Ciò che ha detto Ken corrisponde al vero e, prima o poi, la cosa sarebbe saltata fuori... più o meno con i risultati di oggi. Quindi, tanto valeva non procrastinare."

"E da quanto va avanti questa... liaison?" domandò quindi Cassian, ora rivolgendosi al nipote con tono abbastanza duro da farlo irrigidire.

"Ci conosciamo da più di un anno. Siamo entrambi volontari al Centro Diurno Rainbow" gli spiegò telegrafico Kennard. 

"Puah! Vuol dire che ti sei preso cura di sporchi mannari per tutto questo tempo?!" protestò velenosa Eve.

Lorainne si irrigidì immediatamente, a quelle parole, ma fu Ken a risponderle, e con una rabbia quasi palpabile.

"La prossima parola che dirai qualcosa contro quei ragazzi, ti farò ingoiare ogni parola a suon di schiaffi, Eve. Sono bambini! E no, non c'è neppure un mannaro, tra di loro, se vuoi saperlo! Ora lo so per certo."

Eve sbuffò irritata e fece per rispondere a tono ma, a uno sguardo gelido dello zio, tacque immediatamente, arrossendo suo malgrado. Solo il Tribuno era deputato a parlare, in quei casi, e lei aveva bellamente infranto le regole.

"E sai che lei è una mannara da..." continuò Cassian con tono estremamente professionale.

"... ieri sera" dissero in coro entrambi.

Cassian sospirò per diretta conseguenza, passandosi una mano sul volto dopodiché, rivolgendosi a Lorainne, domandò: "Kennard ha parlato di un altro problema oltre a quello, abbastanza ovvio, della vostra dubbia relazione."

"Quanto sapete di noi? Dal punto di vista metapsichico, intendo" replicò allora lei, storcendo appena la bocca.

Accigliandosi a quell’accenno, Cassian asserì dubbioso: "Non si hanno notizie di una vostra qualche capacità extrasensoriale."

Lorainne allora scosse il capo, si volse a mezzo per guardare Kennard e domandò: "Ci tenete, a quel candeliere in mezzo alla tavola?"

Ken lanciò un'occhiata ai presenti in attesa di una risposta e Cassian, con una scrollata di spalle, si limitò a dire: "Viene dal supermercato. Ma non capisco il motivo della domanda."

Lorainne preferì agire, piuttosto che spiegare a parole. Avrebbe potuto rimanere in quel salone anche mezza giornata e, pur con tutte le sue spiegazioni cosmiche e mistiche, non avrebbero creduto a una sola parola.

In certi casi, i fatti contavano molto più di articolare dissertazioni filosofiche.

Sospinta perciò a fatica la mano addormentata verso il centro della tavola, stese un dito per concentrare su una superficie poco estesa la propria aura dopodiché, adocchiando il candelabro, lo sospinse via.

Questo, schizzò come un proiettile verso la parete opposta, andando a schiantarsi con violenza per poi spezzarsi in due. Con un tintinnio stridente, quindi, cadde a terra sotto gli occhi sgomenti e sorpresi di tutti e Lorainne, nel recuperare la mano mezza addormentata, chiosò: "Questo lo potete mettere a verbale."

Evelin schizzò in piedi per recuperare i pezzi e, nel guardarli con occhi sgranati e pieni di incredulità, esclamò: "Come diavolo hai fatto, razza di.."

Kennard la fulminò con lo sguardo, ringhiando: "Non ci provare, Eve, o giuro che ti sculaccio."

"Ragazzi, volete piantarla?" intervenne Dylan, il padre di entrambi, richiamandoli all'ordine.

Cassian assentì al fratello e, con aria alquanto sorpresa, fissò la loro strana ospite prima di domandare: "Non credo che vuoi due abbiate manomesso la stanza per mettere in scena questo spettacolo di magia, perciò le chiedo... cos'ha fatto, esattamente?"

"Voi date per scontato che il nostro sangue sia demoniaco perciò, tralasciando l'aspetto più o meno bello di questo particolare, soffermiamoci su quello prettamente metapsichico. I demoni non sono umani, no? Hanno poteri. Ecco, questo è un retaggio del mio antenato famoso" sospirò Lorainne prima di domandare: "Posso averne un altro bicchiere? Uno non basta, e non voglio continuamente sbadigliare. Sono cose troppo serie da spiegare, e non voglio apparire menefreghista o superficiale."

Kennard si affrettò ad accontentarla e Cassian, a sorpresa, si alzò dalla sedia per sorreggere Lorainne, che lo fissò stranita prima di ringraziarlo debolmente.

Lui, per contro, disse: "Per quanto mi spiaccia ammetterlo, Kennard ha ragione. Avrebbe potuto ucciderci tutti, se lo avesse voluto, e questo non solo lo accetto, ma apprezzo che lei non lo abbia fatto."

Annuendo, Lorainne si riappoggiò a Kennard quando egli tornò e, nel sorseggiare il liquido ambrato, disse: "Ho avuto il discutibile piacere di innamorarmi di suo nipote, perciò il minimo che potevo fare era non affettare la sua famiglia."

"Ehi, dico! Discutibile?!" protestò Kennard, fissandola indispettito.

"Stiamo spaventando due clan interi, Ken, ammettilo. Il tuo e il mio e, onestamente, non era proprio quello che volevo fare, ieri mattina, quando sono andata al Centro Diurno" sottolineò Lorainne, ammiccando al suo indirizzo. "Quanto alla sua domanda... ah, come devo chiamarla?"

"Tribuno. Può usare il mio titolo" asserì quieto Cassian.

"Va bene. In merito alla sua domanda, Tribuno, è presto detto. Kennard appartiene alla categoria dei Percepenti, umani in grado di cogliere le sfumature dell'insondabile e, tra le altre cose, di sentire noi. In particolari condizioni, ovviamente, o ci avrebbe scoperto molto tempo addietro."

"Per condizioni particolari, intende come quelle che ci ha mostrato prima?"

"Esatto. Normalmente, non emettiamo... frequenze, per così dire, così da non causare danni accidentali a cose o persone. Lupi particolarmente forti potrebbero abbattere una casa con la sola aura personale, se lasciata senza freni" spiegò loro Lorainne, sperando di essere creduta. "Nel caso in cui, però, queste energie vengano emesse - per rabbia, paura o affetto - esse diventano captabili da persone come Kennard."

"Beh, tanto meglio per noi!" esclamò allegra Evelin.

Cassian, a quel punto, la fissò gelido e dichiarò: "Un'altra parola, Eve, e giuro che ti spedirò in camera come una dodicenne."

Evelin impallidì visibilmente, a quella minaccia e, tappandosi la bocca con entrambe le mani, fece segno con la testa di aver capito.

Tornando a Lorainne, Cassian allora le domandò: "Perché dice che è un problema? Per noi, sarebbe vantaggioso."

"Non per Kennard, però. I lupi avvertono un simile potere, e lui sarebbe alla mercé di qualsiasi lupo senza scrupoli che si trovasse nei paraggi. Inoltre, se la notizia trapelasse tra le vostre fila, non dubito che altri gruppi sarebbero interessati a lui, e non credo che tutti i Cacciatori siano persone disposte a essere cortesi e oneste col prossimo" replicò Lorainne, seria in volto. "Non raccontatemi che siete universalmente duri e puri, perché ho ampie prove del contrario."

"Per quanto mi spiaccia ammetterlo, temo che potrebbe aver ragione. Quanto ai lupi, mi sorprende che lei ammetta che ne esistano di senza scrupoli" asserì a quel punto Cassian, leggermente sorpreso.

“Non sono così ipocrita da dire che siamo angelici e perfetti. Inoltre, ora che Kennard è venuto in contatto profondo con me, il suo potere aumenterà ancora, rendendolo metaforicamente una sorta di pasticcino per chiunque voglia dare un morso. Cosa che preferirei evitare.”

Lorainne, quindi, gli spiegò di Paul, giusto per mettere le cose in chiaro. Non voleva che pensassero che lei fosse una semplice integralista, convinta della purezza della razza o quant'altro.

Cassian assentì più volte al suo racconto, assorbendo come una spugna il suo dire e, quando la giovane lupa ebbe terminato il suo racconto, disse: "Beh, ora sappiamo come avviene il mutamento."

"Ho pensato che non ne foste al corrente, e a noi non fa differenza che lo sappiate o meno. Continueremo in ogni caso a mutare gli umani consenzienti, se loro lo vorranno" scrollò le spalle Lorainne.

"Immagino che, prima di venire qui, lei si sia ragguagliata con il suo capoclan" le fece notare a quel punto Cassian.

"Ci ha parlato anche Kennard, se è per questo" assentì Lorainne, sorprendendo non poco l'uomo, che fissò sbalordito il nipote. "Non pretendo che voi mutiate l'odio in amore da un giorno all'altro, o che smettiate di fare ciò che fate... anche se, sicuramente, mi farebbe piacere. Desidero, però, che voi tutti comprendiate che amo sinceramente Kennard, e ne sono riamata. Non mi interessa che lui sia un Cacciatore, e a lui non interessa che io sia una lupa."

"Mi pare evidente, o non la stringerebbe così a sé" assentì Cassian, osservando le braccia che, protettive, avviluppavano Lorainne. "Ergo, cosa vuole da noi?"

"Kennard" disse semplicemente lei. "Con la promessa che lo proteggerò da chi potrebbe avere interessi verso di lui a causa di ciò che è. Sia che il nemico appartenga al vostro fronte, come al nostro."

"Sa bene che, se anche noi accettassimo, i suoi compagni potrebbero notarla, prima o poi. E non potremmo impedire loro di attaccarla" sottolineò per contro Cassian, accigliandosi.

Scambiando uno sguardo con Kennard, lei assentì torva e ammise: "Ho praticamente dato per scontato che entrambi avremmo dovuto trasferirci altrove, dove non sono presenti gruppi di Cacciatori che vi conoscono."

"Ha già usato prima, questo termine. Ci chiamate così, quindi?" esalò sorpreso Cassian.

"Beh... come ho detto a suo nipote, in mancanza di altri termini, andava bene quello. Dopotutto, voi ci cacciate, o sbaglio?"

Libbie, la madre di Kennard, intervenne per la prima volta e disse: "Insomma... vorresti portarmi via mio figlio."

"Mamma... con tutto il rispetto, ho trentaquattro anni, e giusto un tantino di indipendenza economica alle spalle. Solo per puro caso, abito nella casa accanto alla vostra" sottolineò per contro Kennard, ammiccando al suo indirizzo.

"Immagino senza fatica che non mi voglia come futura nuora, signora, e me ne spiace. Ma amo suo figlio, e posso fare ben poco per cambiare le cose. Anzi, per la verità ci ho anche provato, ma non ha funzionato molto bene" ci tenne a dire Lorainne, volgendosi a mezzo prima di aprire e chiudere le mani, soddisfatta. "Bene. Sono tornate a posto."

Evelin alzò una mano, piena di desiderio di parlare e Cassian, suo malgrado, le concesse di dire ciò che pensava. D'altra parte, prima o poi sarebbe esplosa, visto che non era in grado di tacere, perciò era meglio che lo facesse subito, quando ancora controllava le sue emozioni.

"Vuoi farci credere che, una volta uscita di qui con mio fratello, noi non verremo attaccati e trucidati dai tuoi?"

Il tono fu querulo, ma nascondeva un sottofondo di panico che Lorainne comprese. Chi non sarebbe stato spaventato, di fronte al proprio nemico e, soprattutto, di fronte a un nemico che era in cima alla catena alimentare?

"Sanno già chi siete. Gliel'ho detto io" intervenne a sorpresa Kennard. "Conosco il suo capoclan già da molti anni, in effetti, anche se non avevo idea di chi fosse in realtà e, a ben vedere, lo conosci anche tu, papà."

Dylan sobbalzò sulla sedia, più che mai sorpreso da quella notizia e Kennard, dopo l'assenso di Lorainne, aggiunse: "Gli regalasti un videogioco, dopo che il processo contro suo padre ebbe termine, e alla sorellina regalasti una Barbie."

Gli occhi turchesi di Dylan si spalancarono lentamente, come messo di fronte a una verità mai sospettata prima e Lorainne, seria in volto, aggiunse: "Il mio capoclan la ringrazia per la gentilezza con cui trattò la sua famiglia e, proprio per questo, ha permesso a Kennard di farvi conoscere la sua identità. Quid pro quo." 

"Alec... Dawson..." mormorò sgomento Dylan. "Ricordo bene quel caso. E tu mi dici che..."

Kennard assentì e Lorainne proseguì dicendo: "Siete gli unici a sapere di lui, come lui è l'unico a sapere di voi. A parte me. Lo definirei uno scambio equivalente ma, se non vi fidate della nostra parola, allora sarà guerra e, onestamente, non siete al primo posto della catena alimentare. Mi spiace dirlo con così tanta leggerezza, ma non mi piace girare intorno alle cose, e questa è la pura verità. Inoltre, oggi come oggi, possediamo armi in grado di cancellare qualsiasi traccia di noi dalle vostre menti, perciò comprenderà bene quanto, una vostra eventuale ritorsione, poco ci possa spaventare."

"Non saremmo i primi a sottoscrivere una tregua coi lupi, quanto a questo" dichiarò a quel punto Cassian con un sospiro, sorprendendo tutti, Lorainne compresa. "Ve n'è menzione in uno dei registri più antichi dell'archivio. Se non erro, era il millecinquecento e trenta, anno più anno meno. E sempre per lo stesso motivo."

"Il mio capoclan non ha bisogno di sottoscrivere niente. Inoltre, questo metterebbe in allarme i suoi sottoposti, immagino" replicò Lorainne. "Se lei dicesse, da domani, di non cercare più i mannari in giro per la città, cosa le direbbero?"

Cassian, a quelle parole, le sorrise pieno di tristezza, intrecciò nuovamente le mani sul tavolo e, passando a tono di voce più personale, disse: "Dimmi una cosa, ragazza... non ti ho nemmeno chiesto il tuo nome."

"Lorainne."

"Bene, Lorainne, cosa mi diresti se ti dicessi che, fuori da queste mura, ci sono soltanto quindici Sentinelle, a cercarvi?"

Lei fece tanto d'occhi – Kennard le aveva accennato al fatto che la Centuria di Bradford contasse un centinaio di affiliati, ma non aveva immaginato fossero così pochi, coloro che li cercavano!

Dopo un attimo di stordimento, quindi, ammise: "Le direi che, su una popolazione come quella di Bradford, che cambia continuamente dalla notte al giorno a causa di tutti i pendolari che conta, non riuscireste a trovare nessuno per anni e anni interi. Noi siamo molti di più, e ben mimetizzati. Il nostro capoclan è sempre stato inflessibile, su questo. Il nostro addestramento è il migliore in assoluto, oserei dire, e la riprova lo è lo stesso Kennard, che non ha mai avvertito nessun genere di segnale da parte nostra."

Kennard assentì, mormorando: “Credimi, zio. Avrei capito al volo se avessi avuto nei paraggi un lupo… se questo avesse trasmesso, ovviamente.”

"Ti credo sulla parola visto che mio nipote, pur con il dono che tu dici lui possiede, ha potuto riconoscerti solo ieri... e, immagino, per un errore" replicò Cassian, con un mezzo sorriso.

Arrossendo suo malgrado, Lorainne asserì: "Ah, beh... diciamo che suo nipote mi ha proprio gabbata, e io sono stata così sciocca da mostrare i miei poteri quando pensavo di essere sola."

"Potrebbe sollevare quella credenza con una mano, solo per darvi un’idea" intervenne Kennard. "Quanto al resto delle cose che ho scoperto, penso le terrò per me."

Sorridendo suo malgrado a Kennard, di fronte al leggero rossore che andò a imporporargli le gote, Lorainne disse: "Sì, mi ricordo bene quante cose hai imparato stanotte, credimi.”

Ciò detto, e notando solo fuggevolmente l’aria scioccata dei genitori di Ken, Lorainne domandò a Cassian: “Vuole dire, signor Palmer, che siete così pochi da non costituire una minaccia per noi?"

"Voglio dire che, nei prossimi anni, avremo molte altre defezioni e ben poche persone disposte a sacrificarsi per la causa. Causa che, a questo punto, immagino sia imprecisa, almeno sulla base storica" asserì Cassian, sospirando di nuovo.

"Potrei citarle a memoria tutta la storia dei licantropi, dal primo nato Hati e il suo gemello Sköll, alle loro mogli Sylvi e Lyka, ma mi crederebbe?" replicò Lorainne, muovendo con naturalezza una mano verso il braccio dell'uomo.

Kennard non la fermò, e neppure Cassian.

L’uomo lasciò che Lorainne gli sfiorasse il braccio con quella carezza piena di comprensione e, con un sospiro, disse: "E' forse la prima volta che ricevo compassione dal mio nemico."

"I vostri avi ebbero terrore di ciò che considerarono un'aberrazione, poiché furono mossi dalla paura del diverso, del non conosciuto. Avya, la madre della razza, combatté contro suo fratello Fryc per paura che i figli venissero uccisi. Così si creò lo scisma. Per la paura che si generò su ambo i fronti."

Lorainne quindi sospirò, ritirò la mano e aggiunse: "I miei veri genitori mi abbandonarono in una scatola di cartone quando avevo pochi mesi. Sul biglietto che lasciarono, v'era scritto che non avevano i soldi per mantenermi, così preferirono lasciarmi davanti a una caserma della polizia. Fui sballottata da una famiglia all'altra per anni. Mai amata, mai desiderata, finché non incontrai i coniugi Simmons, che mi resero parte di una famiglia finché, sei anni fa, loro morirono. Sconvolta dal dolore, lasciai che Paul tradisse la mia fiducia, nonostante mia madre non si fosse mai fidata di lui. Mi disse che avrei avuto una famiglia enorme, unita, protettiva, tra i licantropi. E lo fu, per me. Ma non comprese più lui, perché Paul tradì la fiducia di tutti."

"Vuoi dire che ci sono brave persone e cattive persone da ambo le parti?E’ a questo che vuoi arrivare?" ironizzò stancamente Cassian.

"Direi di sì. Una Cacciatrice tentò di uccidere un membro molto importante di un clan del sud e, per farlo, lo fece innamorare di sé, così da colpirlo nel momento di maggiore intimità. Fu devastante, per lui e, come immaginerete, la Cacciatrice venne uccisa, così come coloro che sapevano della sua missione" gli spiegò Lorainne, atona. "Il licantropo tradito impiegò anni, per riprendersi, ma ora è sposato con una donna che era umana, esattamente come lo ero io."

Cassian assentì pensieroso e Lorainne, un poco più tranquilla, poggiò una mano su quelle intrecciate di Kennard, quasi a suggellare la buona riuscita della loro missione.

"Manterremo il segreto su di voi ma, almeno per il momento, dovrete andarvene. Come dici tu, non è sicuro per voi due rimanere e, se iniziassimo a usare i doni di Kennard per trovare coloro che tu chiami lupi erranti, visto che è lampante che non troveremmo mai voi, presto o tardi qualcuno di poco fidato potrebbe accorgersene. Già ora, le lotte per il potere sono terribili e, se un qualche Tribuno scoprisse questa nostra potenziale arma, potrebbe tentare di fare cose non del tutto… umane.

Lorainne si accigliò, a quelle parole, e mormorò: “Lotte intestine anche tra di voi, eh?”

“Non siamo duri e puri. Per nulla” ammise laconico Cassian.

“In tutta onestà, sapere mio figlio protetto da un mannaro è quasi comico, ma preferisco saperlo vivo e libero, piuttosto che soggiogato da qualche genere di droga" decretò a quel punto Dylan, sollevandosi in piedi.

"Non sono una principessa sul pisello, sai, papà?" tenne a precisare Kennard.

"E' per questo che hai un livido grosso come un melo che ti sbuca dal bordo della felpa?" replicò Cassian con una certa ironia.

"Ehm,... questo è perché ho incrociato i pugni con un suo amico."

Kennard si grattò la guancia per l'imbarazzo al solo ammetterlo e, per un attimo, avvertì nuovamente il terrore provato dinanzi alla figura terribile di William. Quel lupo era davvero temibile. 

"E ti ha lasciato solo un livido? Allora, doveva essere proprio un bravo mannaro educato" ironizzò a quel punto Dylan, vedendo arrossire il figlio.

"Cioè, no, scusate... non vorrete forse dirmi che adesso mi devo pure scusare con lei?!" sbottò Evelin, piccata.

Lorainne sollevò un sopracciglio, la fissò bieca e disse: "Quasi quasi provo una cosa..."

Eve, allora, la fissò pallida in viso, si allontanò di qualche passo e, scuotendo le mani, esclamò: "Stai lontana da me, pelliccia ambulante!"

"Eve, insomma, basta!" sbraitò Kennard, già sul punto di afferrare la sorella.

Lorainne, però, lo precedette. Lasciò andare una bordata di potere tutt'attorno a sé ed Eve, con uno strillo, crollò col sedere a terra, le braccia attorno al corpo tremante mentre Kennard, rabbrividendo per tutt'altro motivo, esalava: "Oh, cielo, che bello..."

"Ma che mi hai fatto?!" urlò ancor più stridula Eve, quasi sul punto di piangere.

"Due?" esalò a quel punto Lorainne, sbattendo confusa le palpebre prima di guardare Cassian e chiedergli: "Siete assolutamente certi di non avere un qualche avo dotato di pelliccia? Due Percepenti nella stessa casa sono più unici che rari e, onestamente, sono doti legate al nostro retroterra, non certo al vostro."

"Che vuoi dire?!" sbraitarono in coro i due fratelli. "Che io sono come lei?"

"...come lui?" esclamò nel mentre Evelin, mentre Kennard fissava malevolo la sorella.

"A questo punto, dobbiamo assolutamente mantenere il segreto. Se si sapesse di questa cosa, potremmo addirittura essere additati come traditori" esalò sconvolta Libbie, sollevando la figlia da terra prima di aggiungere: "Ho bisogno di un calmante. Ne ho sentite veramente troppe, in così poco tempo."

Nel vederla prendere la via della cucina, appoggiandosi alla figlia per non crollare, Lorainne sospirò e disse: "Non era mia intenzione sconvolgere tua madre, Ken, ma continuavo a sentirmi pizzicare la nuca, e non eri tu a provocare quel disagio continuo."

"Mi fa schifo pensare che ho la stessa dote di mia sorella" borbottò contrariato Kennard.

Lorainne, allora, sorrise maliziosa e replicò: "Beh... direi proprio di no."

"Oh... già" ammise un attimo dopo lui, prima di ritrovarsi addosso lo sguardo cupo del padre. "Scusa. I lupi hanno tabù diversi."

"Se Kennard vorrà, potremo accertarci o meno della presenza di lupi nel suo retroterra ma, a questo punto, dubito vi interessi. La cosa mi pare evidente" disse a quel punto Lorainne. "Non so se spiacermi o meno, scusate."

"Credo che andrò anch'io a prendere un calmante" dichiarò a quel punto Dylan prima di guardare storto Lorainne, sospirare e asserire esasperato all’indirizzo del figlio: "Hai sempre avuto dei gusti difficili, in fatto di donne, ma qui si travalica."

Ciò detto, se ne andò dalla stanza e Kennard, grattandosi nervoso la nuca, brontolò: "Solo perché gli ho portato a casa due ragazze che non erano cattoliche, non può farmi ancora la predica."

"Se non altro, ho ancora tutti gli arti al posto giusto" chiosò Lorainne, scrollando le spalle per poi guardare Cassian, sospirare spiacente e aggiungere: "Se e quando vorrà affondare le mani nella nostra storia, non ha che da chiedere. In fondo, le sto rubando un nipote. Mi sembra il minimo."

"Lo muterai?" domandò a quel punto Cassian.

"Solo se lo vorrà. Conosco un sacco di coppie miste, e che non hanno nessun problema a rimanere tali. Certo, con il suo dono sarebbe più al sicuro da lupo, ma lo sceglierà lui. Io fui sciocca, e mutai senza avere una conoscenza reale di quello a cui andavo incontro ma, con lui, sarò il più schietta e diretta possibile. Solo allora deciderà e, io spero, voi lo vedrete comunque come un figlio e nipote" gli spiegò Lorainne.

Cassian non rispose. Sospirò, diede una pacca sulla spalla a Kennard e, silenzioso, raggiunse i parenti nella vicina cucina per prendere a sua volta un calmante.

"Che dici? E' andata bene?" domandò a quel punto Ken, guardandola con espressione dubbiosa.

Lorainne sospirò, poggiò il capo contro la sua spalla e ammise: "Mi sento da cani. Detesto essere motivo di scontro... anche se ho sobillato tale scontro in una famiglia di Cacciatori."

"Sapevamo che non sarebbe stato semplice ma, onestamente, avevi davvero voglia di mentire ancora?"

"Su noi due? No" scosse il capo lei. "Ora, forse, vorrei un calmante anch'io, ma non funziona niente, con noi, a parte l'aconito e, onestamente, non mi va di fare il bis."

"Niente niente? Neppure la morfina?" domandò sorpreso Kennard mentre, assieme, presero la via per raggiungere la porta di casa.

"Nada. Ma il raffreddore ci stende" gli spiegò Lorainne prima di guardare il suo Barbour ancora a terra e coperto di aconito in polvere.

Rabbrividendo, perciò, domandò: "Io non lo tocco. Lo prendi tu?"

Kennard annuì con un sorriso, lo ripiegò su un braccio e infine le chiese: "Che facciamo, ora?"

"Andiamo dal mio capo, è ovvio. Chi lo sente, se non gli faccio sapere le novità in tempo reale? E' peggio di una comare, non ti credere..." dichiarò Lorainne prima di snudare zanne e artigli, volgersi a mezzo con espressione rabbiosa e pararsi dinanzi a Kennard per proteggerlo.

Evelin si bloccò prima di arrivare a tiro, la mano levata a mezzo e armata di stiletto argentato dopodiché, con un gran respiro, emise uno starnuto degno di tale nome proprio sul volto di Lorainne, che rimase letteralmente interdetta dal gesto.

"Eve! Ma insomma!" urlò furioso Kennard, già pronto a malmenarla.

Evelin, però, scoppiò a ridere, gettò lo stiletto sulla credenza e, guardando una sconvolta Lorainne, poggiò le mani sui fianchi e celiò: "Devi stare attenta alle dritte che mi dai, cognata, perché io ne approfitterò sempre. E ora, spero che ti venga il raffreddore così come è venuto a me."

"Ora ti ammazzo" ringhiò Kennard, trattenuto alla vita da Lorainne che, con la mano libera, estrasse un fazzoletto dai pantaloni e si ripulì il viso. "Dai, lasciami... la ucciderò solo un po'."

“Sai benissimo che non te lo lascerò fare. Dopo, te ne pentiresti amaramente” replicò Lorainne con un sospiro, lanciando un’occhiata esasperata all’indirizzo di Evelin.

Evelin che, in un borbottio, lanciò uno sguardo vacuo alla parete e si ritrovò a dire: "Irlanda. L’Irlanda è un territorio vergine. Potreste andare lì. Oppure, la Cornovaglia. Vedete voi."

"Ah, sì?" esalò sorpresa Lorainne.

Evelin non aggiunse altro, fece loro la linguaccia e se ne tornò in cucina, dove Lorainne avvertì il pianto sommesso di Libbie e i sospiri dei due Palmer.

Le spiaceva sinceramente che stessero soffrendo a causa loro - Cacciatori o meno, rimanevano persone che stavano perdendo il proprio figlio - ma Kennard, nell'accompagnarla fuori di casa, le diede una stretta alle spalle e dichiarò: "Andrà bene. La faremo andare bene."

Lei si limitò a un cenno di assenso e, senza attendere oltre, si avviarono lungo il marciapiede per allontanarsi da casa Palmer.

Non era detto che tutti i Cacciatori fossero dei liberi pensatori come la famiglia di Kennard, ed era più sicuro non farsi trovare in giro con uno di loro, e proprio nei pressi della sua abitazione.

Questo avrebbe attirato troppe attenzioni, e fatto porre troppe domande, perciò era preferibile evitare incontri casuali.



 

N.d.A.: se non altro, possiamo dire che non ne sono usciti con le ossa rotte... anche se temo che qualcuno avrà bisogno di ansiolitici per un po'. ^_^''

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


 
9.
 
 
 
Trattandosi di un lunedì, l'officina di cui Alec era proprietario era aperta, perciò Lorainne e Kennard dovettero attendere la sera per recarsi nel suo ufficio e discorrere con lui del problema sorto in seno al branco.

Per quell'incontro del tutto fuori dagli schemi, infatti, Alec aveva preferito incontrare Lorainne e il suo uomo ben lontano da casa, così come dal Vigrond. Neppure Erin doveva ascoltare ciò che si sarebbero detti.

Solo a William aveva concesso di accompagnarlo - essendo suo Hati, e unico testimone della presenza di Kennard nella vita di Lorainne - perciò, quando avvertì la presenza dei loro due ospiti all'esterno della struttura, Alec scrutò il suo sottoposto e domandò: "Sei certo che non gli staccherai la testa a morsi?"

Sbuffando, William replicò caustico: "Sei tu che di solito accogli così la gente. Inoltre, per rispondere a quello che non mi hai chiesto, no, non sono innamorato di Lory, e perciò non staccherò la testa al suo uomo... anche se è un Cacciatore."

"D'accordo... mi avrebbe rotto le palle dover ripulire l'ufficio dal suo sangue. Sai quante me ne direbbe, Glory, se domani trovasse il caos qui dentro?" si lagnò Alec, ascoltando distrattamente i passi sempre più vicini di Lorainne e del suo uomo.

"Non mi dire che ti spaventa quello scricciolo di ragazzina dai capelli ricci" ironizzò William.

"Le sue urla. Sono le sue urla a terrorizzarmi" precisò Alec, estendendo per puro dispetto un'aura gelida e piena di sottintesi terribili.

Persino William rabbrividì istintivamente e, fissando bieco il suo capo, borbottò: "Sei proprio uno stronzo, quando fai così."

"Grazie" ghignò per contro Alec, mentre la porta dell'anticamera dell'ufficio veniva aperta da Lorainne, chiaramente infastidita dalla sua ondata di potere.

Appariva torva in viso e contrariata ma, chi stupì maggiormente Alec, fu il suo uomo. Sembrava essere stato sorpreso all'improvviso da una tormenta di neve in pieno agosto, e tremava come una foglia scrollata dal vento, pallido in viso e con l'aria di chi non riusciva a capire cosa stesse succedendo.

Sbattendo la porta dietro di sé, Lorainne osservò piena di rimprovero il suo Fenrir ma, saggiamente, non disse nulla. Alec, a quel punto, annullò di colpo l'aura ed esordì dicendo: "A quanto pare, è davvero un Percepente. Sembra che abbia visto un fantasma."

"Lo hai quasi congelato" sottolineò atona la donna, stringendo Kennard tra le sue braccia per scaldarlo un poco.

"Oh, sì, mia bella stufetta..." mormorò piacevolmente Kennard prima di domandare: "Eri tu, prima?"

"Esatto, Cacciatore. O dovrei chiamarti Kennard Palmer?" dichiarò Alec, alzandosi dalla poltrona che, di solito, occupava Glory. 

William, ancora silenzioso, rimase impalato a fianco della scrivania, lo sguardo imperscrutabile fisso su Kennard che, nel riconoscerlo, bofonchiò: "Ho un sacco di lividi, per la cronaca."

"Bene" sogghignò allora William.

Alec si avvicinò silenzioso alla coppia, lanciò un'occhiata a Lorainne perché si scostasse da Kennard e infine, faccia a faccia con l'uomo che aveva saputo piegare le ritrosie della sua lupa più giovane, tra le non-nate tali, Fenrir domandò aspro: "Hai idea di quanti e quali problemi tu abbia creato?"

"Abbiamo" precisò subito Lorainne.

"Tu non sarai mai un problema" disse per contro Alec, sorridendole a mezzo prima di tornare a scrutare gli occhi color cannella di Kennard Palmer. "Quanto a te... buon per il tuo culo che tu sia un Percepente, perché altrimenti avrei chiamato qui la mia streghetta preferita e ti avrei fatto aprire il cervello come solo lei sa fare, per scoprire la verità sui tuoi intenti reali."

Kennard lanciò un'occhiata dubbia a Lorainne che, però, non fece che confermare le parole del suo Fenrir.

Assottigliando un poco le palpebre, quindi, Kennard domandò: "Ho un dubbio... è così che avete nascosto le vostre azioni, nel corso degli anni? Grazie a questa... streghetta?"

Accigliandosi in un solo batter di ciglia, Alec replicò gelido: "Solo io posso chiamarla così. Né a te né a nessun altro, è concesso. Per te, sarà sempre e solo Lady Fenrir e ti basti sapere che, in confronto a quello che hai sentito oggi, quel che può fare lei è inimmaginabile."

Ancora uno sguardo a Lorainne, e ancora un assenso. Kennard si fidava di lei e vedere quanto, il solo sentir nominare questa fantomatica Lady Fenrir, le avesse procurato un sincero timore, lo convinse dell'autenticità delle parole di Alec.

Evidentemente, questa Lady Fenrir era una delle armi di cui aveva parlato Lorainne quella stessa mattina, di fronte a zio Cassian. Cosa potesse voler dire, però, Kennard non ne aveva idea e, sul momento, non aveva neppure intenzione di scoprirlo, perché aveva il dubbio che la verità lo avrebbe atterrito.

O reso pazzo.

Deglutendo perciò a fatica, lui ritentò: "Questa... Lady Fenrir è alla base della vostra segretezza, dunque?"

"No. Neanche lontanamente. Alla base della nostra segretezza c'è un addestramento meticoloso che dura tutta la vita, c'è l'impegno di ognuno di noi a salvaguardare l'altro e, coloro che volontariamente mettono a rischio questo equilibrio, vengono puniti" grugnì Alec, accigliandosi non poco.

"Paul" mormorò soltanto Kennard.

"Bene. Vedo che te ne ha parlato. Faciliterà di molto le cose. Sì, Paul fu punito e, se quell'esempio non ti basta, te ne citerò decine di altri. Non ho problemi. Nel mio clan, le regole vanno rispettate per il benessere di tutti, anche se non sono più lontanamente bastardo come in passato, nel far digerire le regole a tutti, il che ti va di culo, senza pelo" gli spiegò Alec, passandosi poi una mano tra i corti capelli tagliati a spazzola.

Spalancando lentamente le palpebre, Kennard cominciò a comprendere cosa vi fosse dietro a quella riunione più che segreta e, fissando spiacente Lorainne, esalò: "Lei... Lore ha trasgredito le regole... a causa mia?"

"Come ho detto, Lorainne non sarà mai un problema" precisò Alec, pur storcendo il naso. "Il dilemma, però, sorge nel momento stesso in cui vado a cozzare contro le mie stesse regole, e non so come eluderle."

Lorainne, a quel punto, sorrise mesta e citò serafica: "L'unica fine, per un Cacciatore, è l'obitorio."

"Avrei dovuto correggerla a tempo debito ma, onestamente, neppure pensavo che a Bradford vi fossero Cacciatori, per cui..." sbuffò contrariato Alec.

Inclinando un poco il capo, Kennard chiosò: "Non puoi cambiare le regole a uso e consumo di Lorainne perché sarebbe abuso di potere. Anche se sei tu che decidi."

"E' più o meno così. Farei dei favoritismi, se la cambiassi proprio ora, e solo dopo spiegassimo perché è stata cambiata" gli spiegò Alec. "Perché, a meno di non essere quel puttaniere schifoso di mio padre, un bravo Fenrir non si limita a cambiare le leggi d'imperio, ma ne spiega anche i motivi."

"Una sorta di dittatura illuminata" convenne Kennard.

"Qualcosa del genere, in effetti" assentì Alec, grattandosi il mento. "Perciò, anche se mi si rivoltano le budella, devo bandire Lorainne dal branco, oppure chiedere asilo per lei in un branco che non sia confinante con il mio."

"Che ne dici dell'Irlanda? Ci hanno garantito che è libera da Cacciatori" intervenne a quel punto Lorainne. “Oppure la Cornovaglia, ma ho già idea che non chiederesti mai un favore a lei.”

Alec rabbrividì al solo pensiero e, scuotendo il capo, borbottò: “Col cazzo che chiederò un favore a quella psicopatica. Piuttosto, secco il tuo uomo qui e ora.”

“Preferirei di no, grazie” sottolineò subito Lorainne, levando le mani in segno di resa totale.

"Bene. Quanto all’informazione di prima, immagino te lo abbiano detto i suoi famigliari" sbottò Alec. "Ti fidi di quel che ti hanno riferito?"

"Sua sorella mi ha appena attaccato il raffreddore, come pegno per questa notiziona" buttò lì Lorainne, facendo scoppiare a ridere per alcuni istanti Alec.

"E' la dichiarazione di pace più assurda che io abbia mai sentito!" gracchiò Fenrir, cercando di contenersi.

"Perché mia sorella è pazza" bofonchiò Kennard, scuotendo esasperato il capo.

Alec, a sorpresa, gli disse: "Me la ricordo... ti scorrazzava sempre intorno, al vostro arrivo a scuola, e tu facevi di tutto per fare finta di non conoscerla."

Colpito da quel ricordo e dalla sua veridicità – Eve era stata un’autentica cozza attaccata allo scoglio, all’epoca –, Kennard assentì lentamente ed esalò: "Sì... è vero. Era una vera piattola. Ma perché te lo ricordi? Non eravamo neppure in classe assieme."

"Perché, ogni qualvolta perdevo la pazienza e l'aura cominciava a sfrigolare - e tu eri nelle vicinanze - sentivo un pizzicore alla nuca, perciò recuperavo subito il controllo di me stesso. Non ho mai collegato direttamente te a questa sensazione, altrimenti avrei capito che eri in qualche modo speciale, ma finii comunque col tenerti d'occhio proprio per i motivi di cui sopra, e così notai anche quella sottospecie di diavoletto incarnato di tua sorella" gli spiegò Alec, con una scrollata di spalle.

"Sì, diavoletto incarnato le si addice. E anche lei è una Percepente, per la cronaca" sottolineò Kennard, sorprendendo entrambi i licantropi leader.

"Merda... ci mancava soltanto un'antenna parabolica in mezzo alla città" brontolò William.

"E' un'Archivista, non una Sentinella, perciò non è mai sul campo e, dopo quello che i miei hanno saputo, si guarderanno bene dal mandarla mai in giro come Sentinella" ci tenne a precisare Kennard. "Si occupa della nostra... beh, della Storia dei miei antenati."

Levando curiosamente un sopracciglio, Alec domandò: "Non te la senti più di sentirti chiamare Cacciatore?"

"Non posso negare di esserlo stato, ma sto cominciando a comprendere che, molto di quello che ci è stato detto, non corrisponde a verità, e questo mi mette un po' in difficoltà."

"Abbassare la guardia non è un bene, ragazzo. Io sono pericoloso. Lo sarò sempre" precisò per contro Alec, adombrandosi. "Ma ho la coscienza di capire quando usare la mia forza, e se usarla. Quello che i tuoi antenati non capirono, di Fenrir, fu innanzitutto questo. Lui non abusò mai del suo potere o, a quest'ora, neanche staremmo parlando."

"Ne parli come se fosse esistito davvero" celiò Kennard, lasciandosi andare a un mezzo sorriso, che però gli morì sulle labbra quando vide quello beffardo di Alec.

"Dio! Quasi quasi farei venire qui la streghetta solo per farti cacare sotto dalla paura" celiò Fenrir, subito squadrato malissimo da Lorainne. "Ma dai, Lory, è divertente!"

"Per niente. Abbiamo avuto una mattinata piuttosto pesante, e non abbiamo bisogno anche dei tuoi discutibili divertimenti serali" sottolineò la donna, sbuffando.

William sorrise divertito e, lanciata un'occhiata ad Alec, chiosò: "Lei avrebbe dovuto nascere lupa, non quell'inetto di Paul."

"E' assodato che abbia più sangue di lupo lei, rispetto a quell’imbecille, o non avrebbe mai avuto il coraggio di baciare un Cacciatore" asserì a quel punto Alec, facendo spallucce prima di ghignare, e aggiungere malizioso: "E ringraziatemi perché non ho detto di peggio."

"Come?" gracchiò a quel punto Kennard, notando solo qualche istante dopo il profuso rossore di Lorainne. "Cosa mi sono perso?"

"Avrete anche fatto una doccia - il profumo del sapone si sente ancora - ma gli aromi del sesso sono inconfondibili e, visto quanto è impregnata la tua pelle dell'odore di lei, ho idea che ci abbiate davvero dato dentro" chiosò William con tono atono.

Kennard non riuscì a parlare. Faticò persino a comprendere fino in fondo ciò che il licantropo biondo gli aveva appena detto. Quando, però, il suo cervello atrofizzato riprese a funzionare correttamente, avvampò in volto ed esclamò: "Ma sono cose da dire davanti a una signora?!"

"E' una lupa" sottolineò per contro Alec. "Sa che non ci andiamo per il sottile, su argomenti come questo. Lory, infatti, non è imbarazzata per sé, ma per te, che non sei abituato a una simile schiettezza."

Ciò detto, gli batté a sorpresa una mano sulla spalla - quasi spezzandogliela - ed esclamò: "E bravo ragazzo! Ci sappiamo fare, a letto, eh? E' difficile soddisfare una lupa, per un senza pelo, sai?"

"Cristo, Alec!" esclamò Lorainne con uno sbuffo.

"Neanche questo è divertente? Ma sei di colpo diventata bacchettona?" brontolò a quel punto Alec.

"Ha la delicatezza di un caterpillar" ci tenne a dire William, rivolto a Kennard.

"Comincio a notarlo" assentì sconvolto Kennard.

"D'accordo, d'accordo... visto che non si può scherzare, con voi, passerò subito alle vie di fatto" sbuffò Alec, tornando alla scrivania per afferrare il telefono.

Dopo aver digitato in fretta un numero, attese impaziente che all'altro capo rispondessero e, quando udì una voce a lui famigliare, disse: "Richard, sei tu? Sono Alec Dawson."

"Fenrir di Bradford. Qual buon vento?"

"Un vento curioso, credimi. Il tuo Fenrir è libero?"

"Te lo chiamo subito. Penso sarà lieto di scappare dalla delegazione di alfa che si è presentata oggi in villa" ironizzò Richard, mettendolo in pausa per alcuni istanti.

Dopo pochi istanti, la voce squillante del giovane Fenrir di Belfast, Kirill O'Reel, fece sorridere istintivamente il più navigato Alec.

Aveva conosciuto quel giovane giusto l'anno precedente e, in diverse occasioni, dopo quel primo incontro, si erano sentiti per telefono o in videochiamata per chiarire alcune cose, o per domande di vario genere.

Alec lo trovava allegro, frizzante e molto ben disposto verso le persone, ma con una spiccata leadership che gli impediva di apparire debole, pur con così tante doti legate alla facezia.

Il fatto che avesse a malapena compiuto diciotto anni glielo rendeva ancor più simpatico, visto soprattutto perché - proprio a causa sua - era dovuto assurgere al ruolo di Fenrir prima del tempo.

Se non si fosse innamorato di Erin - a sua volta riamato - Kirill avrebbe potuto aspettare i ventun anni per assurgere alla vetta del branco ma, essendosi trasferita la capoclan ad interim, il ragazzo aveva dovuto anticipare la sua entrata in scena.

Diciotto anni potevano sembrare pochi ma, per Kirill, gli erano parsi bastare, e il tempo pareva avergli dato ragione. Il suo branco procedeva sulla retta via, a gonfie vele, e i lupi sembravano adorarlo.

Almeno, stando a quello che Richard gli riferiva.

"Che bello risentirti, Alec. Cosa posso fare per te?"

"Avrei un piccolo favore da chiederti. Una mia lupa e il suo compagno umano vorrebbero sapere se possono entrare a far parte del tuo branco. Esigenze di lavoro li hanno portati a trasferirsi in Irlanda, e preferirei che venissero da te, piuttosto che nel branco di Cork, che io conosco meno" gli spiegò a grandi linee Alec.

"Non c'è nessun problema. Posso organizzare tutto io, se vuoi. Se hanno idea di dove voler andare ad abitare, posso anche cercare qualche offerta per una casa indipendente, o un appartamento" si offrì subito Kirill.

Sorridendo, Alec replicò: "Ti ringrazio, ma penso si siano già messi in pista da soli. Hanno lasciato a me solo l'aspetto burocratico legato ai lupi."

"Allora, mi basterà sapere i nomi, e li manderò a prendere da Richard perché dia loro il benvenuto. Un umano, comunque? E' fantastico! Lui sa già tutto?"

Lanciata un'occhiata derisoria all'indirizzo di Kennard, celiò: "Oh, è appena caduto nella Tana del Bianconiglio, ma sembra piuttosto elettrizzato all'idea di scoprire il resto. E' anche un Percepente, per la cronaca."

"Wow. Niente di meno" esalò sorpreso Kirill. "Mi stai mandando due elementi davvero interessanti, quindi."

"La lupa, di sicuro. L'umano... vedremo" ghignò Alec, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Lorainne.

Kirill scoppiò a ridere e disse: "Mi diverto sempre, a parlare con te, Alec. Mandameli pure. Sarò lieto di prenderli in seno al mio branco."

Dopo essersi salutati, Alec mise giù la cornetta e, nell'osservare Kennard, domandò: "Avrai problemi nel cambiare lavoro?"

"I servizi sociali sono ovunque. Mi basterà chiedere trasferimento a Belfast" scrollò le spalle lui.

"Quanto a me, posso aprire un negozio di musica un po' ovunque" asserì Lorainne, prima di sospirare. "Dovremo però abbandonare i nostri ragazzi."

Kennard assentì con un sospiro identico a quello di Lorainne e Alec, nel dare un'altra pacca sulla spalla all'uomo, celiò: "Vi siete proprio trovati, eh?"

Fu molto difficile non tirargli un destro ma, alla fine, Kennard riuscì a trattenersi.

Non seppe mai se per autocontrollo personale, o a causa dell'occhiata letale che William gli lanciò, ma avvenne.

Non gioì mai abbastanza, comunque, quando uscì dall'officina di Alec.
 
***

L’appartamento di Lorainne li accolse con il consueto profumo di pachouli e rose e, quando la donna si chiuse la porta blindata alle spalle, sospirò e vi si appoggiò contro.

Kennard aveva preferito non tornare a casa, per quel giorno.

In ufficio, aveva avvertito che si sarebbe assentato per un paio di giorni a causa di un problema di famiglia, dopodiché era passato un momento nella sua abitazione per preparare una piccola valigia e, infine, se n’era andato con Lorainne.

Ora, a tarda sera e con una stanchezza manifesta a piegargli le spalle, si lasciò cadere sul divano del salottino mentre Lorainne, acceso che ebbe il bollitore, preparò per entrambi delle tisane.

Guardandosi intorno curioso, Kennard notò oggetti comuni a qualsiasi giovane donna ma nulla che potesse rimandare anche solo lontanamente alla sua appartenenza a un branco.

Le tende in organza erano perfettamente stirate e cadevano verso il basso formando morbidi fiocchi di tessuto, a cui erano state applicate piccole perline grigio ghiaccio.

Sul tavolo del salotto, un centro tavola a uncinetto sorreggeva un bel vaso panciuto di stampo orientale, entro il quale erano state sistemate delle rose fresche color sangue.

Poco più in là, nei pressi del televisore a schermo piatto, un bell’impianto home theatre e uno stereo corredato da piatto per dischi si accompagnava a una ragguardevole collezione di vinili.

Sulle pareti accanto alla TV, foto della famiglia di Lorainne si inframmezzavano a scorci di paesaggio montano e a volti che lui non conosceva, ma che immaginò essere molto importanti, nella sua vita.

Seguendone lo sguardo, lei sorrise e mormorò: “Bambini che, come me, erano stati dati in affido. Due di loro, fanno parte del branco. Altri li ho persi di vista ma, con alcuni, sono ancora amica.”

“Non posso immaginare cosa voglia dire essere sballottati da una parte all’altra, senza sapere dove si andrà a finire. Anche per questo, mi impegno tanto perché ai bambini venga offerta tutta l’assistenza possibile, pur se spesso devo scontrarmi con una burocrazia ottusa e miope” ammise lui, allungando gli avambracci sulle cosce, la testa pesante e le braccia ormai deprivate di ogni forza.

I lividi che William gli aveva lasciato ormai dolevano così tanto da renderlo quasi insensibile ma, con tutto ciò che avevano dovuto affrontare quel giorno, non aveva avuto tempo di curare nessuno di essi.

Ora che aveva il tempo di pensarci, si sentiva come se fosse stato calpestato da una schiacciasassi.

Quando vide tornare Lorainne con le tisane e un blister di antidolorifico, le sorrise grato ma, nel vederla prendere la via della zona notte subito dopo avergli consegnato il tutto, si chiese cosa avesse in mente.

Vedendola tornare con una crema all’arnica, rise spontaneamente e Lorainne, sorridendo maliziosa, mormorò roca: “Spogliati, Cacciatore, e asserviti a me.”

Kennard non si fece pregare, pur se le braccia urlarono disperate a ogni suo movimento.

Nel vedere a che punto i lividi si fossero estesi lungo i suoi arti, Ken fu preso dal desiderio di nasconderli perché lei non si preoccupasse ma Lorainne, scuotendo il capo, replicò: “So quali danni può lasciare la presa di un licantropo, non temere. Mi spiace soltanto che tu debba soffrire tanto.”

Ciò detto, sfiorò con dita leggere i segni bluastri che Kennard portava sulla pelle e, lentamente, iniziò a spargere crema lenitiva un po’ ovunque, massaggiando e frizionando perché venisse assorbita.

Nel farlo, estese la propria aura per dare sollievo all’uomo che l’aveva tanto scombussolata e che, ora, l’avrebbe strappata al suo branco. Non gliene faceva una colpa, né la spaventava l’idea di cambiare ancora vita.

C’era abituata.

Si spiaceva soltanto che lui dovesse provare ciò che, per tanti anni, era stata la sua routine.

Impulsiva, lo baciò in corrispondenza di uno dei lividi e Kennard, sospirando, chiuse gli occhi nel lasciarsi andare contro lo schienale del divano per poi mormorare: “Questa è la cura più spettacolare che esista. E’ un peccato che in pochi possano sperimentarla.”

Lei gli sorrise, continuando a massaggiarlo con l’unguento e Ken, sorridendo malizioso, aggiunse: “Sai… credo di avere un livido anche più in basso… ti andrebbe di controllare?”

Lorainne rise e, nel lasciare da parte l’unguento, gli aprì i calzoni per controllare come stessero effettivamente le cose, trovandolo già pronto per lei.

Non vi fu bisogno d’altro.
 
***

Sdraiati scompostamente sul letto di Lorainne, le coltri rilasciate ai loro piedi e i corpi caldi che ancora si sfioravano lascivamente quanto teneramente, i due amanti sembravano restii ad abbandonare la bolla che li avvolgeva.

Le tensioni fin lì accumulate erano svaporate poco alla volta e, quando i loro corpi erano tornati a danzare all’unisono, cose come cacciatori o licantropi erano state dimenticate, cancellate per qualche momento dalle loro vite.

Non sarebbero certamente scomparse, questo lo sapevano entrambi, ma essere riusciti a evitare una lotta per la supremazia tra i loro due clan era già un risultato.

Volgendosi prono per succhiarle con delicatezza un seno, Kennard mormorò tra un bacio e l’altro: “A me puoi dirlo, sai? Non c’è bisogno che tu e Alec diciate che Fenrir è esistito davvero, se non lo è realmente. Non avete bisogno di impressionarmi. Sono sorpreso e meravigliato già così.”

Lei sorrise deliziata e, allungando una mano per stringere tra le dita una natica soda di Ken, replicò roca: “Credimi… non solo è esistito, ma esiste tuttora. Il titolo di Lady Fenrir non è stato dato a caso. La donna che detiene quel titolo, oltre a essere la maga più potente che si conosca, alberga in sé l’anima rediviva del nostro capostipite e… oh, sì, fallo di nuovo, ti prego…”

Kennard ridacchiò divertito, titillando con la lingua il capezzolo fino a farla inarcare verso di lui.

Avvolgendola con un braccio, volse se stesso e lei perché le montasse cavalcioni e, nell’affondare nuovamente nel suo corpo affamato, gorgogliò di piacere e sussurrò: “O-okay… oh, questo è fantastico… e così, c’è un dio… oh, santo cielo…”

Lorainne rise nel notare quanto Kennard cercasse di rimanere sul filo del discorso, ma il piacere gli stesse facendo perdere il controllo su ciò che intendeva chiederle.
Mordicchiandogli il mento mentre, con morbidi movimenti, lo accompagnava al climax, Lorainne sussurrò: “Non un dio, ma quattro divinità camminano tra noi. Altri due, invece, sono stati rispediti al mittente a tempo indeterminato. La tua gente non ha neppure idea di ciò che si è rischiato, e quanto dovete a Fenrir e ai suoi figli, in termini di sicurezza globale.”

“P-perché tu riesci a parlare… coerentemente…” brontolò lui, portandola sotto di sé con un mezzo giro per poi approfondire le spinte.

Lei mugolò di piacere, artigliò il letto per tenere lontane da lui le unghie ormai allungatesi oltre la soglia di sicurezza e, reclinando all’indietro il capo, espanse la sua aura per avvolgerlo pienamente.

Kennard crollò su di lei al colmo del godimento, venne nel suo corpo pronto e caldo e, solo quando riacquistò un minimo di autocontrollo, le domandò: “Perché non mi hai ricordato il preservativo, Lore?”

“Non è un problema” ammiccò lei, sorprendendolo.

“Ma come… già ieri sera…” esalò lui, più che mai sorpreso.

Lorainne assentì e, nel sistemarsi meglio sul letto, ammise: “So esattamente quando posso rimanere incinta o meno e, grazie al mio DNA mutato, non posso più prendere alcun tipo di malattia virale o batterica tranne, purtroppo, il raffreddore.”

Balbettando vistosamente, Kennard fece tanto d’occhi e balbettò: “N-no, a-aspetta. S-sei… in calore? Cioè, le licantrope vanno in calore?”

“Non sono in calore, per questo ti dico che non è un problema. E sì, risentiamo molto della nostra parte animale perciò, l’altra notte, ti ho accolto pienamente perché sapevo che non ti avrei messo nei guai in nessun caso, anche se tu avessi deciso di andartene, in seguito” mormorò lei, carezzandolo sul viso.

Lui baciò il palmo di quella mano, scosse il capo e replicò stordito: “Cioè… sei riuscita a essere abbastanza lucida da pensare a questo?”

“Ma certo. L’amore per te non sarebbe di certo scemato dopo quella notte assieme,  perciò sarebbe stato crudele avere un figlio da te senza poter dire a lui, o a lei, chi fosse suo padre. Per questo, sapendo di non essere in calore, ho potuto unirmi a te senza alcuna paura.”

“Wow… io sono sì e no riuscito a capire come slacciarmi i pantaloni. Davvero segno di grande maturità” scosse il capo lui, facendola ridere spensierata.

“Beh, se non altro non sei dovuto uscire dall’albergo senza pantaloni addosso” asserì lei prima di notare la sua aria seria. “Cosa succede, Ken?”

“Onestamente? A dirti la verità, in questi mesi ho fatto più di un sogno in cui noi due, beh… insomma, ci occupavamo dei nostri figli, perciò… ecco, sentirti parlare di un nostro potenziale figlio insieme, me l’ha fatto tornare in mente.”

Sorridendo sorniona, allora lei gli domandò: “Oh, e quanti erano?”

“Almeno quattro, ma credo che uno potrebbe bastare, per ora” ammise Kennard prima di sorridere speranzoso e domandarle: “Ma allora… sei assolutamente sicura che tu… che noi…”

“Se vorrai, ti dirò esattamente quando. Al novantanove percento, non dovremmo avere problemi. Certo, potrei anche essere sterile, o tu ma, dando per scontato che siamo entrambi sani e senza problemi, per nove mesi non potrò mutare in lupa perché porterò in grembo il nostro cucciolo, quando tu mi dirai che ti senti pronto” annuì lei.

La notizia lo rese assurdamente felice e, nello stringerla in un forte abbraccio, gorgogliò: “E’ tutto maledettamente assurdo, ma non vedo l’ora di stringere il nostro cucciolo tra le braccia. Sempre se vada a te, è ovvio.”

“Non te ne avrei parlato, diversamente” mormorò lei prima di domandargli: “Indipendentemente da chi sarà?”

“Sarà nostro” annuì lui.

A Lorainne non servì sapere altro.






N.d.A.: per quanto Alec si sia dimostrato il solito Alec, non si può dire che si sia un po' ammorbidito. :)
In ogni caso, penso che Kennard possa baciare la terra su cui cammina Erin, visto che ha potuto conoscere questa versione di Fenrir di Bradford, e non quella precedente!

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


 

Cap.10

 

 

 

Nel breve decorrere di un paio di settimane, la coppia approntò tutti i necessari cambiamenti all'interno delle rispettive vite.

Il bando – in quel caso, non ufficiale – da un branco non era cosa da prendersi alla leggera, infatti, anche se si aveva Fenrir dalla propria parte.

Proprio perché Alec aveva sempre fatto rispettare alla lettera le regole, non poteva chiudere un occhio perché voleva bene a Lorainne e capiva la situazione.

Al clan, molto semplicemente, era stato detto che Lorainne si sarebbe trasferita per motivi sentimentali, senza minimamente parlare di esclusioni dal branco, o altro. Per quanto Alec incutesse timore, gli attacchi di follia non si potevano controllare, e la notizia di un Cacciatore all’interno del branco avrebbe fomentato l’ira di molti.

Per questo motivo, una fuga d’amore era parsa la soluzione meno dolorosa per tutti, e la più facile da accettare.

Cosa che tornò utile non solo nel clan di Alec, ma anche tra la cerchia di Cacciatori di Kennard.

Mentre Lorainne era impegnata a imballare le ultime chitarre del padre adottivo - che l'aveva instradata alla musica - Kennard si apprestò a salutare i suoi amici per l'ultima volta.

Era stato strano avvisarli del suo prossimo cambiamento di status ma, per non lasciare nulla al caso, aveva preferito presentare loro Lorainne prima di cambiare città.

Una delle regole previste per non essere più un Cacciatore, infatti, era formare una famiglia e non porre nel mirino i propri famigliari, spesso non informati della seconda vita del partner.

Di comune accordo con Lorainne, quindi, si era recato nel bar dove era solito trovarsi con gli amici per scambiare quattro chiacchiere, così da spiegare loro la sua decisione così repentina di trasferirsi.

Ovviamente, non era stato semplice mentire a persone che conosceva da anni, ad amici con cui aveva condiviso la segreta missione di Sentinella, ma non aveva avuto altra scelta.

Il patto stretto con Alec era questo; nessuno del branco avrebbe saputo di lui, e nessuno della Centuria avrebbe saputo di Lorainne. Parenti esclusi, ben inteso.

Se, per Lorainne, questo aveva voluto dire ammettere ogni cosa con il proprio Fenrir, per lui era stato l'esternare i propri sentimenti alla famiglia, presentando loro la donna che aveva imparato ad amare.

Pur con la richiesta di conoscere la fortunata almeno prima della loro partenza, nel gruppo di Kennard non vi erano state domande specifiche o pressioni per rimanere in seno alla Centuria. Si erano soltanto stupiti della sua estrema reticenza a parlare loro di Lorainne prima di quel giorno ma, anche in quel caso, Ken aveva trovato un’ottima scusa.

Essendo una Sentinella, meno persone sapevano di eventuali fidanzate o fidanzati, meglio era, così da non metterli in pericolo in caso di scontro coi licantropi.

Aveva odiato mentire su tutto ma, proprio come aveva sperato, di fronte alla sua spiegazione non avevano avuto nulla da eccepire.

A riprova del fatto che, ciò che lo zio aveva detto a Lorainne, corrispondeva al vero; anche senza essere decimati dai licantropi, il movimento messo in moto da Fryc si sarebbe estinto per mancanza di combustibile.

Sempre meno persone credevano nella causa e, anche lui che era nato a pane e licantropi, non aveva faticato molto a cedere le armi, quando era stato messo di fronte alla verità.

Il fanatismo non faceva più parte di molte Centurie, e la sua non faceva eccezione.

Forse, nella cultura moderna, era davvero molto più difficile mantenere un odio duro e puro come doveva essere stato quello di Fryc, ai tempi dello scisma. La conoscenza e la globalizzazione non avevano soltanto aperto le frontiere del mondo, ma anche le menti delle persone. 

Fu questo che disse, quando Lorainne gli chiese come si fosse svolta la riunione coi suoi amici e, quando lei si mostrò d'accordo nel conoscerli, Kennard tirò un sospiro di sollievo.

In fondo, ci teneva a mostrare all'amata che le persone con cui aveva convissuto per anni non erano solo suoi nemici, ma anche ottimi compagni di vita e di cui avere stima.

***

Approfittando del cattivo tempo e del freddo che imperversava ogni dove, in quei primi giorni di ottobre, Lorainne indossò un bel maglioncino a coste e il suo adorato cappotto bianco latte.

Stava morendo di caldo ma, per apparire una ragazza qualunque, avrebbe dovuto sopportare anche questo. Per Kennard ne valeva la pena, ormai le era chiaro.

Da quando si erano detti la verità, il rapporto con lui era scivolato via fluido, gli impegni pressanti di entrambi non erano stati affatto d'ostacolo e ogni preparativo per la partenza era stato svolto senza problemi.

Per evitare crisi in famiglia, Kennard si era trasferito da lei con armi - letteralmente - e bagagli e, dopo averle deposto ai piedi la scatola con tutto ciò che lo riconosceva come Sentinella, le aveva anche spiegato come distruggere ogni cosa.

Insieme, quindi, avevano portato le armi in discarica e, di nascosto, Lorainne le aveva gettate nell'angolo più nascosto del comparto metalli, scivolando poi verso l'esterno con l'agilità di un'acrobata del circo.

Di fronte a quell'ultimo gesto di rifiuto del precedente Credo, Kennard le aveva infine promesso che, se mai lei lo avesse voluto, lui avrebbe accettato di mutare in licantropo. Di fronte a quell’esternazione, però, Lorainne aveva negato una simile possibilità a breve termine, replicando che avrebbe dovuto essere solo e unicamente una sua scelta, e non un favore fatto a lei.

Con quell'ultima confessione, quindi, erano tornati a casa per prepararsi all'uscita con gli amici di lui.

"Sei pronta?" le domandò Kennard, affacciandosi sull'entrata della camera da letto.

Lorainne si stava infilando lo stivale destro e, nel vederlo in jeans, maglione e scarpe da ginnastica, storse il naso e borbottò: "Sembrerò troppo elegante, a questo punto."

Kennard però rise, scosse il capo e replicò: "Il tuo cappotto piacerà da matti a Keira. Lei adora gli indumenti bianchi, anche se sembra sempre un membro della band dei The Verve."

"Oh... buono a sapersi" esalò Lorainne prima di domandare: "E tu lo sai, per quale motivo?"

Kennard fece un sorriso furbo nell'avvicinarsi lei, le diede un bacio piuttosto serio sulle labbra morbide e al sapor di frutta, dopodiché mormorò: "Perché ce lo ha detto fino a sfinirci, ecco perché."

"D'accordo... allora non la sbranerò" motteggiò Lorainne, ammiccando maliziosa.

"Detto da te, è un sollievo" replicò lui, strizzandole l'occhio prima di afferrare la sua giacca imbottita e uscire dalla camera assieme alla licantropa.

Raggiunsero il Parry Lane Tavern Pub poco prima dell'orario prestabilito e, quando la coppia entrò nel grazioso locale tradizionale, Lorainne spalancò leggermente gli occhi ed esalò: "Oh, cielo! Ci sarà da divertirsi, stasera."

"Perché?" domandò Kennard, dubbioso.

"Qualcuno ha bisogno di lavarsi" ironizzò lei, tastandosi il naso prima di stamparsi in viso un sorriso elegante.

"Ops... l'ho dimenticato. Forse era meglio qualcosa di meno affollato" esalò lui, spiacente.

"Va bene così. Me la so cavare" replicò lei, prendendolo sottobraccio mentre percorrevano lo stretto corridoio dalla moquette blu che conduceva al bancone centrale del locale.

Lì, uno dei barman riconobbe Kennard, levò una mano a salutarlo e disse: "Ehi, Ken! Sei il primo ad arrivare... e in ottima compagnia, pure! Vi ho riservato il solito tavolo, nella zona rossa!"

"Grazie, Graham!" esclamò Kennard, salutandolo un pugno contro pugno prima di condurre Lorainne in un'altra area del locale.

La moquette, com'era logico supporre, da blu divenne rossa, e anche i cuscini sulle sedie in legno e sulle panche a muro, si tinsero del medesimo colore. Sorridendo, perciò, Lorainne chiosò: "Non devo nemmeno chiederti il perché del nome della zona."

"Le cameriere fanno prima. Il locale è suddiviso in zone di colore, così si spartiscono i tavoli in base alle tonalità" le spiegò Kennard, scostando per lei la sedia perché si accomodasse.

Lei si sedette dopo essersi tolta il cappotto e i guanti e, tra sé, si lagnò per non averli potuti usare per salutare gli amici di Kennard. Preventivamente, quindi, disse: "Facci portare un paio di drink ghiacciati, mentre aspettiamo."

Kennard levò un sopracciglio con aria interrogativa prima di comprendere dove fosse il problema e, annuendo, chiamò una delle cameriere per ordinare un paio di scotch con molto ghiaccio per entrambi.

"Avremmo dovuto arrivare per ultimi, scusa. Devo ancora familiarizzare con tutti questi particolari" sospirò Kennard, scuotendo il capo.

"Non fa niente. Avrei dovuto ricordartelo" gli sorrise lei, dandogli una pacca sul braccio mentre i due cocktail vennero loro prontamente serviti.

"Era questo che Alec intendeva dire, per costante allenamento?" le domandò quindi Ken.

"Tra le altre cose" ammise lei prima di vederlo irrigidirsi appena.

Istintivamente, Lorainne afferrò il bicchiere ricoperto di fredda condensa con entrambe le mani e, nel volgersi a mezzo, mormorò a mezza bocca: "Amici tuoi?"

"Sì" sussurrò lui, levando poi una mano per esclamare: "Ehi, Ali! Ciao! Keira! Martin! Ben arrivati!"

"Scusa il ritardo, amico... abbiamo trovato traffico, e Ali non voleva parcheggiare di fianco a un chiaro tifoso del Leicester, quindi..." ironizzò Martin, dandogli il cinque prima di sorridere a Lorainne e aggiungere: "Spero tu non sia una tifosa di quella squadra, altrimenti ho appena fatto una gaffe."

Sorridendo di rimando, Lorainne scosse il capo, allungò una mano - che lei reputò essere abbastanza fresca - e replicò: "Non ti preoccupare... non seguo il calcio. Perciò spero di non aver fatto io una gaffe, ammettendolo."

"Nessun problema. Sono solo loro, i fanatici" strizzò l'occhio Keira. "Io preferisco il rugby."

"Concordo" ammiccò allora Lorainne.

Kennard, a quel punto, la presentò ufficialmente e, di rimando, presentò i propri amici, sistemandosi poi accanto a Lorainne mentre i compagni prendevano posto sulla panca a muro.

In breve, vennero servite birre e altri drink e, per tutta la serata, Lorainne colloquiò gradevolmente con coloro che, in un'altra occasione, avrebbero potuto essere i suoi più acerrimi nemici, il tutto senza destare il minimo sospetto.

Anche se Kennard ne conosceva l'identità, non riuscì a notare in lei alcun tentennamento, neppure il seppur minimo errore e, ancora una volta, rimase colpito dall'estrema compostezza e preparazione di Lorainne.

Pur non essendo nata licantropa, aveva imparato alla perfezione a gestire il proprio lato nascosto, la sua parte più animale, perché il mondo esterno - e neppure coloro i quali erano deputati a smascherarli - non la potesse notare.

Capisco perché Lore insista tanto perché io pensi alla decisione da prendere. Non deve essere facile vivere così, pensò tra sé Kennard prima di sentire Martin rivolgere la domanda fatidica a Lorainne.

"Allora, abbiamo saputo che ce lo ruberai definitivamente" chiosò il giovane gallese, tamburellando le dita sulla pinta di birra che teneva tra le mani.

"Temo proprio di sì. Mi è stata offerta l'opportunità di gestire un negozio di musica di tenere dei corsi, ma a Dublino. In tutta onestà, non potevo farmi sfuggire l'occasione, e Ken è stato così gentile da insistere perché accettassi... dicendomi subito dopo che non me ne sarei potuta andare senza di lui, ovviamente" ammiccò Lorainne, sorridendo maliziosa a Kennard.

"E' stato così riservato, su di te, che neppure immaginavamo avesse un'innamorata" chiosò Keira, dandole di gomito. "E' stato romantico, almeno, quando ti ha detto che voleva venire con te perché ti ama troppo per lasciarti?"

"E' caduto ai miei piedi" celiò Lorainne, facendo un po' arrossire il diretto interessato.

In effetti, ai suoi piedi ci era finito letteralmente, ma non per farle la dichiarazione quanto, piuttosto, perché era rimasto travolto dalla passione per lei, oltre che a causa della sua forza.

Martin e Ali ghignarono spudoratamente all'indirizzo dell'amico che, però, replicò atono: "Fate meno gli spavaldi, voi due, visto che siete ancora all'asciutto."

Keira, a quel commento, scoppiò in una grassa risata di gola e Martin, fissandola bieco, replicò: "Lei se la ride, ma io ce l'avrei anche, una ragazza, se Keira mi avesse accontentato."

"Spiacente... il mio amore va solo ai miei gatti, per ora" replicò Keira con tono falsamente altezzoso.

Martin scosse disgustato il capo e Ali, nel battergli una mano sulla spalla, chiosò: "Come vedi, Lorainne, siamo un gruppo un po' sconclusionato."

"Un bel gruppo sconclusionato" sottolineò lei, stringendo la mano di Kennard sotto il tavolo.

Lui replicò alla stretta e, per il resto della serata, le chiacchiere corsero da un argomento all'altro, senza lasciare il tempo alla coppia di avvertire il leggero senso di nostalgia che, altrimenti, avrebbe avuto quella riunione amichevole.

Diverse ore dopo, nel confort del loro letto, Lorainne mormorò contro il torace di Kennard: "E' stato strano parlare con dei Cacciatori e trovarli simpatici. Abbiamo sempre il preconcetto che siate brutti, cattivi e odiosi, ma in realtà non è affatto così."

"Alcuni di noi, lo sono. Ci sono persone che sono totalmente dedite alla causa, non si sposano per non avere intoppi di alcun genere, oppure trattano la famiglia al pari di uno specchietto per le allodole, da mostrare solo per apparire normali. Pensano solo e unicamente a cercarvi per uccidervi" replicò lui, volgendosi a mezzo per stringerla a sé. "Non parlo dei membri della Centuria a cui appartenevo, quanto piuttosto a membri di una Coorte che si trova a Glasgow. Alcuni di loro, morirono un paio di anni addietro in un terribile incendio che ne distrusse la casa e, con loro, vennero persi anche decenni e decenni di documentazione. Non che mi dispiaccia, ora come ora, ma era per darti un'idea di come possano essere certe persone."

Irrigidendosi un poco, a quell'accenno, Lorainne assentì e disse: "Conosco quella storia, credimi, e so cosa intendi. Ma ci sono estremisti anche tra di noi. Nessuno è perfetto, ma fa sentire davvero strani rendersi conto che i nemici di una vita, a volte, non sono così mostruosi come si pensa."

"Lo so" mormorò lui, dandole un bacio sul naso. "Pronta per domani?"

"Non mi fa paura cambiare. L'ho già fatto una volta."

"Credo che stavolta sarà più semplice e spero, per sempre" ammiccò lui, stringendola a sé prima di addormentarsi nel tepore piacevole del suo corpo morbido.

***

All'aeroporto, naturalmente, non vi fu nessuno a salutarli. In parte, per ovvie ragioni di sicurezza - nessuna delle due controparti voleva mostrarsi al nemico - e, in parte, perché entrambi avevano preferito così.

Non v'era nulla che potessero dire per rendere le cose più semplici a coloro che lasciavano a Bradford, e solo il tempo avrebbe calmierato eventuali malumori o le dolenti ferite lasciate nell'animo della famiglia di Kennard.

Quanto ad Alec, lui non avrebbe sofferto in senso stretto, ma avrebbe sicuramente sentito la mancanza di un'amica fidata. Da quando Brianna ed Erin lo avevano aperto ai sentimenti, Lorainne sapeva che Alec l'aveva annoverata nella cerchia ristretta dei suoi amici più sinceri, e non poteva che esserne felice.

Ugualmente, doveva e voleva seguire il suo cuore, a discapito dell'affetto che provava per il suo Fenrir, perciò partire era la scelta più giusta, almeno finché le cose non si fossero un po’ calmate.

Quando si accomodò al suo posto, quindi, si soffiò dolcemente il naso e, rivolta a Kennard, chiosò: "Spero che tua sorella sia contenta. Questo raffreddore mi sta facendo ammattire."

L'attimo successivo, risollevò il fazzoletto, starnutì al suo interno e, dopo aver asciugato lacrime rabbiose dovute all'infreddatura, borbottò: "Odio il raffreddore."

"Ti capisco" ammiccò lui, dandole un buffetto sulla mano libera mentre i motori, in sottofondo, aumentavano il loro rombo.

In breve, l'aereo fu pronto per partire e prendere quota e, quando finalmente le ruote si staccarono da terra, Lorainne sorrise e disse: "Si comincia."

***

Aprendo la seduta con i membri della Centuria, Cassian Palmer esordì dicendo: “Come molti di voi hanno sicuramente saputo, mio nipote è uscito dalla cerchia delle Sentinelle per formare una sua famiglia e, la scorsa settimana, si è trasferito assieme alla sua compagna per iniziare una nuova vita.”

Molte voci di assenso si unirono ad alcune di sorpresa e Cassian, nell’attendere che esse si fossero calmate, lanciò un rapido sguardo a fratello e cognata per sondarne i sentimenti.

Apparivano ancora ombrosi e scossi all’idea di aver perso il figlio per un tanto odiato licantropo, ma era evidente anche a lui quanto, le notizie emerse dal colloquio con Lorainne, avessero scosso le certezze di tutti loro.

Sapere che, non solo i licantropi non erano semplicemente bestie assetate di sangue umano, ma possedevano anche un’umanità pari, se non superiore, alla loro, li aveva destabilizzati nel profondo.

Cassian, inoltre, aveva trovato in Lorainne una donna paziente e pronta a rendersi disponibile anche con un nemico, pur di portare del bene nella vita dell’uomo che aveva deciso di amare.

Senza dire nulla a Kennard, infatti, aveva voluto incontrarsi in separata sede con la donna e, dopo averla invitata a vedersi nei pressi dell’Akroyd Park di Halifax, aveva cercato dentro di sé le domande giuste da porre alla licantropa.

Lei non solo aveva accettato, ma si era dichiarata ben lieta di ricevere quell’invito e, quando l’aveva trovata all’imbocco del parco, a fianco della villa signorile da cui partivano i vari sentieri, non si era sentito intimorito dalla sua vera natura.

Camminando fianco a fianco, si erano quindi addentrati nel parco, a un passo di distanza l’uno dall’altro e, dopo aver raggiunto le panchine che sorgevano attorno all’ampio quadrifoglio in muratura creato nel mezzo del giardino, si erano fermati.

Lì, Cassian l’aveva ringraziata per quell’incontro, chiedendole quindi cosa pensasse il suo capobranco della decisione presa.

Lorainne non era stata avara di spiegazioni e, pur ammettendo quanto la sua partenza avrebbe messo a disagio Alec, si era premurata di assicurargli che nulla sarebbe stato fatto contro di loro, per questo.

A quell’accenno, Cassian le aveva raccontato del processo a carico di Ronald Dawson, e del dolore che il fratello aveva patito nel documentare le oscenità compiute a carico dei figli di quest’ultimo. Lorainne aveva assentito grave, conoscendo in parte la storia del suo capobranco.

Pur non avendo conosciuto l’Alec bambino, lei era stata testimone del cambiamento avvenuto in lui quando, finalmente, il cuore dell’uomo si era nuovamente aperto ai sentimenti. A quegli stessi sentimenti che avevano permesso a lei di avere Kennard, e a Kennard di sopravvivere.

Stringendo le mani in grembo, aveva poi ammesso di non dolersi affatto della morte terribile a cui era andato incontro il padre di Alec e, suo malgrado, Cassian le aveva dato ragione.

Per quanto tutti loro dovessero seguire le regole della società, pena il rischio dell’anarchia più indiscriminata, di fronte a simili ed efferati eventi, la Legge del Taglione sembrava la più adatta in ogni caso.

Maggiormente disposto ad ascoltare la storia di Lorainne, Cassian le aveva infine chiesto cosa sapessero loro degli eventi passati e, suo malgrado, la giovane aveva ammesso di sapere fin troppo.

Sorpreso da quella risposta, aveva chiesto ulteriori spiegazioni e la donna, dopo un lungo tentennare l’aveva accontentato, premurandosi di premettere che, nulla di quanto avrebbe da lì in poi saputo, lo avrebbe fatto dormire.

Così era stato e, pur ritrovandosi a non credere alle sue parole, aveva scorto nei suoi occhi solo verità, e questo gli era bastato per far nascere in lui il tarlo del dubbio.

Per notti intere aveva visionato gli antichi testi, aveva cercato, bramato notizie, conferme o smentite alle parole di Lorainne ma, alla fine, aveva dovuto ammettere quanto, la premonizione di lei, fosse risultata reale.

Solo la fede avrebbe potuto dargli risposte.

Nel tornare al presente, Cassian si ritrovò a dire: “Come molti sapranno, vi sono state diverse defezioni, tra i clan del nord e, a causa di ciò, il Legatus Legionis di Londra ha deciso di imporre la propria volontà per creare un Manipolo unico, concentrando gli uomini di Inverness e Aberdeen in un’unica corporazione, che avrà sede a Inverness, sotto il comando del Tribuno Wallace Grant.”

“Ma così, il Tribuno di Aberdeen perderà il controllo sui suoi uomini!” protestò un beadurinc, accigliandosi non poco. “Rischiamo a nostra volta di essere accorpati a Leeds o a Manchester, per caso?”

“E’ un’ipotesi che non mi sento di scartare, visto che siamo una Centuria solo di nome, ma non di fatto, e già da molto tempo prima che Kennard decidesse di andarsene” assentì Cassian, atono. “Per quanto io possa credere nella nostra battaglia, mi sto rendendo conto di quanto stia costando a tutti noi, in termini di libertà personale e, con numeri così miserrimi, non riusciremo mai a scovare il nemico, né tanto meno a sconfiggerlo.”

“Non possiamo cedere! I figli del demonio vanno annientati!” esclamò un Archivista con tono concitato.

Evelin strinse i denti, a quelle parole e Cassian, nell’osservare di straforo la nipote, si domandò turbato se fosse in grado di sostenere un’assemblea di quel genere. Sentire le velate accuse lanciate contro il fratello non doveva essere piacevole, specie in considerazione del fatto che, l’allontanamento di Kennard, dipendeva proprio dal loro nemico giurato.

Ugualmente, Eve parve resistere, così Cassian replicò calmo: “E’ pur vero che nessun evento infausto è avvenuto in questi anni, nella cittadina, se non la criminalità classica che esiste in qualsiasi luogo civile di questo mondo, perciò potremmo anche desumere da questo che, almeno per quel che ci riguarda, Bradford potrebbe essere libera dal nemico.”

Sia Dylan che Libbie lo guardarono per un istante, sorpresi, prima di ricomporsi mentre Evelin, impegnata a redigere il verbale dell’assemblea, rimase ostinatamente a capo chino, le dita sulla tastiera del notebook e gli occhi socchiusi.

Era chiaro quanto, alla giovane, l’intera situazione stesse pesando molto, pur se Cassian non sapeva bene in che modo.

“Vorresti dire, Tribuno, che dobbiamo cercare altrove i nostri nemici?” domandò Ali, una delle Sentinelle del branco, oltre che uno dei migliori amici di Kennard.

Cassian assentì, asserendo: “Parlando con i Tribuni di Manchester e Leeds, abbiamo convenuto che, in mancanza di dati diversi, le nostre città possono essere ritenute libere da pericoli derivanti dalla presenza di licantropi, in quanto in nessuno dei tre centri urbani si sono evidenziati episodi anomali o non verificati attentamente dalla polizia.”

“Quindi, cosa vi proponete di fare?” domandò turbata Keira, sgranando leggermente gli occhi.

“Alla luce di ciò che abbiamo convenuto noi Tribuni, abbiamo deciso ufficialmente di sciogliere il Corpo delle Sentinelle delle tre città, poiché non si ritiene più necessario pattugliare le strade. La Coorte di Birmingham, però, ha chiesto che le nostre forze non venissero sprecate e si è resa disponibile ad accogliere coloro i quali vorranno proseguire con la caccia, e così avverrà per la Centuria di Liverpool, dove mancano i numeri per creare un vero e proprio Corpo di Sentinelle” spiegò loro Cassian, stringendo leggermente la mani a pugno, ben conscio di aver appena dichiarato la resa.

Il brusio si levò lesto, nella sala, e molti si dichiararono in dissenso con una simile decisione, perorando la loro causa e adducendo come spiegazione a una tale presa di posizione la convinzione che vicini di casa o amici fossero in realtà lupi.

Cassian lasciò parlare e sfogare i presenti per un po’ ma, quando si iniziò a parlare di epurazione, levò una mano e, con voce tonante, esclamò: “Siamo migliori di così, e voi lo sapete bene! Se non riuscite a vedere in voi gli stessi difetti o storture, ma pensate di essere superiori a tutti, allora abbiamo un problema!”

“Ma noi siamo superiori a delle bestie dissennate!” sbottò un beadurinc, rosso in viso per l’ira.

“Quindi, condanneresti a morte un tuo vicino di casa, pur di provare che è un licantropo? Perché debbo ricordarti che lo ioduro d’argento è letale anche per gli uomini, soprattutto se ingerito” sottolineò aspro Cassian, azzittendo quell’assurda proposta. “In mancanza di prove, non possiamo condannare nessuno, e voi lo sapete bene. Il rischio di fare del male a degli innocenti fu la causa per cui la Santa Inquisizione fallì, secoli addietro. Furono condannate donne che nulla avevano a che fare con il nemico e, per questo, all’interno delle Legioni vi furono scismi così terribili da condurre quasi alla distruzione totale la nostra genia. L’odio rancoroso non porta che a questo.”

“Dovremmo dunque cedere?” domandò Martin, una delle Sentinelle.

Cassian ricordava bene quante volte, il giovane, fosse passato a casa di Kennard per guardare film assieme nei giorni di riposo, o quante vacanze si fossero presi per raggiungere il Peak District per lunghi percorsi a trekking. Gli spiaceva mentire a ragazzi come loro, ma doveva farlo.

Quella guerra aveva causato già fin troppo dolore, e il più delle volte, un dolore del tutto inutile. Di fronte alla verità offerta da Lorainne, inoltre, continuare la lotta sembrava davvero assurdo, per non dire crudele.

“Vi sarà concesso agire a livello individuale ma, almeno per quel che riguarda le città di Leeds, Manchester e Bradford, il Legatus Legionis ha convenuto con noi che non vi sia più bisogno di un pattugliamento continuo. Se le cose cambieranno, agiremo di conseguenza ma, almeno per ora, non vi è più bisogno del vostro sacrificio. Al termine della seduta, vi verranno forniti i numeri di telefono dei Tribuni di Birmingham e Liverpool, qualora vi voleste unire alla loro lotta ma, per quel che ci riguarda, continueremo solo con il lavoro di archiviazione dei dati.”

Un paio di membri se ne andarono disgustati, sbattendo sonoramente la porta del piccolo teatro che avevano affittato per quella riunione, ma Cassian non se ne sorprese. Aveva messo in conto fin dall’inizio che diversi beadurinc avrebbero mal digerito simili decisioni.

Quanto al Corpo delle Sentinelle, i suoi membri si limitarono ad assentire, accettando dalle mani di Evelin i cartoncini coi numeri di cellulare dei Tribuni di Liverpool e Birmingham, dopodiché se ne andarono alla chetichella.

Solo Keira ristette fino al termine dell’espletamento formale delle ultime attività amministrative, attendendo paziente di poter parlare con Cassian che, dopo aver consegnato le proprie carte a Evelin, la raggiunse per chiederle: “Qualcosa ti turba, cara?”

Scuotendo il capo, Keira si limitò a dire: “Vorrei solo che sapesse che noi non diamo la colpa a Kennard, delle decisioni che avete preso con gli altri Tribuni. Abbiamo conosciuto Lorainne, e tutto si può dire tranne che sia una persona che ci ha rubato un membro della Centuria.”

Sorpreso, Cassian assentì muto per lasciarla parlare, e questa aggiunse: “Sulle prime, la notizia ci aveva turbati molto ma, quando abbiamo visto Lore – adoro, tra l’altro, quando Kennard la chiama così – abbiamo capito che, non solo Ken aveva fatto bene a seguirla, ma che sarebbe stato felice, con lei. Penso di non averlo mai visto con gli occhi così limpidi. E non può mai essere un male, no?”

Sorridendo, si passò una mano sulla nuca prima di terminare dicendo: “So che può sembrare sdolcinato, ma anche Ali e Martin la pensano come me. D’altra parte, è vero anche quello che ha detto lei. Se vi fossero stati eventi anomali, avremmo anche potuto indagare ma, non essendoci mai stato nessun fatto strano, a parte quel casino dell’anno scorso in casa di quel tizio di Clayton, avremmo potuto continuare con il pattugliamento ma, stando così le cose…”

Scrollando le spalle, Keira smise di parlare e Cassian, nell’annuire, le batté una mano sulla spalla, asserendo: “Sono lieto che abbiate potuto conoscere Lorainne. E’ una ragazza speciale.”

Keira annuì convinta e, nell’ammiccare, disse: “Una donna che può radere al suolo un tipo tosto come Kennard, non può che essere speciale.”

Più di quanto tu creda, pensò tra sé Cassian, salutandola quando la vide infine allontanarsi per raggiungere gli amici.

Sospirando, Cassian uscì a sua volta dal teatro, accompagnato dai suoi famigliari ma, non appena salirono in macchina, Evelin esplose dicendo: “Cos’è, questo? Un regalo di nozze per la lupa, per caso?!”

“Eve, contieniti, per favore” mormorò Dylan.

“No, che non mi contengo! Che storia è questa, zio?!” sbottò la giovane poliziotta, picchiando un pugno sul sedile dell’auto.

“E’ esattamente quanto ho riportato durante l’assemblea e, se non vuoi credermi, ti darò le copie delle e-mail che ho ricevuto da Londra. Semplicemente, il Legatus Legionis ritiene ormai inutile il nostro ruolo e ha deciso di riunire i beadurinc in gruppi più folti, e nelle città che lui ritiene più idonee.”

“Peccato che i licantropi siano qui, e noi lo sappiamo per certo!” ringhiò furente Evelin.

“Siamo vivi perché abbiamo stretto un patto con loro, Eve, e non parlo solo della nostra famiglia. Parlo di ogni singolo membro della Centuria” sottolineò lapidario Cassian, sfidandola con lo sguardo dallo specchietto retrovisore dell’auto. “Inoltre, come ho sostenuto, e sosterrò sempre, non ci hanno dato motivo di credere che siano pericolosi, perciò non ha senso combatterli.”

Eve strinse le mani a pugno, trattenendo a fatica la rispostaccia che le salì alle labbra e Dylan, nell’osservare il fratello al suo fianco che, ombroso, stava guidando, mormorò: “Non lo hai fatto per Kennard, vero?”

“Non solo. L’ho fatto perché, alla fine dell’opera, stiamo combattendo una guerra per ragioni che non esistono più. E una guerra senza scopo è assurda e basta” sospirò Cassian, passandosi una mano sul volto per riprendere il controllo di sé. “Se non mi credi, Eve, studia il tuo passato. Sei un’Archivista, perciò hai accesso a tutta la documentazione. Guardati indietro, e capirai.”

Evelin non aprì bocca, si limitò ad assentire pur se, dentro di sé, il fuoco dell’ira bruciò per molto tempo ancora.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


 
 
11.
 
 
 
Zio Cassian era stato lapidario. Eve avrebbe dovuto smetterla di pensare che, a causa di Lorainne, la loro Centuria si stesse sgretolando poco alla volta.

Coscientemente, lo sapeva anche lei; i numeri parlavano chiaro. Quando avevi solo sedici Sentinelle - anzi quindici, visto che Ken non ne faceva più parte - e gli altri membri avevano solo compiti di archiviazione, il significato era uno solo. Nessuno aveva più il coraggio, o il desiderio, di sopportare l'addestramento più intensivo della Centuria.

Lei si era offerta spesso di sottoporsi a un simile allenamento, ma zio Cassian glielo aveva vietato, e tutto a causa della stupida regola che voleva solo una Sentinella per ogni famiglia.

Poiché il ruolo di Sentinella era il più pericoloso tra tutti, per salvaguardare il futuro di ciascuna famiglia, non veniva mai permesso a più di un membro per ogni nucleo familiare di far parte di quel corpo.

Ora che Kennard se n'era andato e la memoria delle parole di Lorainne era ben sedimentata nella sua mente, lei non sentiva più il bisogno di diventare una cacciatrice di lupi.

Sapeva bene che tali sentimenti non dipendevano interamente dalla lupa che si era innamorata del fratello quanto, piuttosto, ma in parte nascevano da ciò che Eve aveva scoperto grazie alla licantropa.

Il pensiero di avere poteri speciali, provenienti da un retroterra a lei sconosciuto e quasi sicuramente nati proprio da coloro che erano stati addestrati a odiare, non la faceva dormire bene da settimane. Era inaccettabile non sapere da dove potessero venire quei doni così strani, e il fatto che il suo ruolo di Archivista non le avesse permesso di scoprire quel particolare, l'aveva imbestialita.

Lei, che conosceva a menadito il loro albero genealogico, si era fatta sfuggire un particolare così importante? Come poteva essere stata così sciocca?

Il consiglio dello zio, quindi, non solo le era parso giusto, ma necessario, anche soltanto per ritrovare pace mentale ormai persa.

Di buon mattino, e prima di montare di servizio in Centrale, si era dunque recata nella biblioteca dei genitori, dove venivano conservati tutti i documenti riguardanti la Centuria.

Accompagnata da una tazza enorme di caffè e qualche biscotto, Eve si era messa quindi a spulciare schedari e annotazioni e, competente quanto volenterosa, aveva preso appunti su un notes per rimuginare su ogni particolare emerso da quella ricerca.

A quel primo giorno se ne erano sovrapposti molti altri finché, un mattino, Libbie le aveva fatto trovare una colazione abbondante sul tavolo della biblioteca, corredata da un biglietto:

Non impazzirci sopra. E' giusto essere scrupolosi, ma senza sfiancarti.

Eve aveva sorriso di fronte a quel gesto tenero - lei non era solita essere una coccolona, ma apprezzava simili carinerie - e, con rinnovato vigore, aveva ripreso le sue ricerche.

Ricerche che culminarono, un mattino di novembre inoltrato, in una scoperta che le fece rizzare i capelli sulla nuca.

Senza dire nulla a nessuno, ricopiò i nomi che le interessava porre sotto esame dopodiché, raggiunta la casa di Kennard in cui, ormai, viveva da sola, entrò in garage e osservò ombrosa la propria auto.

Afferrata quindi la mazza da baseball di Ken, che era rimasta lì assieme alla sua divisa scolastica di baseball, strinse i denti e borbottò: "Scusa, tesoruccio."

Ciò detto, scagliò un diretto contro il fanale posteriore sinistro della sua Alfa Romeo Giulia, mandandolo in frantumi dopodiché, afferrato il telefono, compose il numero dell'officina Dawson e attese.

All'altro capo, rispose la voce gioviale e allegra di una donna che, cordialmente, domandò: "Autofficina Dawson, in cosa posa posso esserle utile?"

"Ah, buongiorno. Ho appena scoperto, uscendo dall'ufficio, che qualcuno ha infranto il mio fanalino posteriore e ha avuto la cortesia di non lasciarmi neppure un numero di telefono per l'assicurazione" si inventò lì per lì Evelin, osservando dolente i pezzi di plastica colorata che giacevano mesti a terra.

"Oh, cielo! Questo sì che è un tiro mancino" sospirò spiacente la donna. "Se mi lascia il numero di telaio, posso controllare subito se abbiamo il pezzo in magazzino, altrimenti le prendo appuntamento per la sostituzione."

Nell'annuire, Eve le dettò il numero di telaio, dopodiché attese alcuni istanti che la donna controllasse le scorte di magazzino. Nel frattempo, ripulì il garage dalle prove del suo misfatto, gettò tutto dentro un cestino dopodiché, paziente, si sedette sul sedile anteriore dell'auto.

"Eccomi qui. Allora, il pezzo è disponibile. Se vuole passare, nel giro di mezz'ora le sostituiremo lampadine e vetro" le disse la segretaria con tono partecipativo.

"La ringrazio. Sarò lì tra una mezzora" dichiarò Evelin, chiudendo la comunicazione per poi guardarsi dubbiosa.

Doveva recarsi là in divisa, giusto per chiarire le idee al lupo che gestiva l'officina - e il branco - oppure, più semplicemente, doveva fidarsi della buona parola di Lorainne?

La lupa aveva assicurato a tutta la sua famiglia che non vi sarebbero state rappresaglie, e in effetti così era stato. Nessuno aveva cercato di far loro del male, così come non vi erano stati incontri intimidatori o altro.

A ben vedere, quella che stava cercando rogne era lei. Quindi, che fare?

Con uno sbuffo, Evelin aprì il portone con il telecomando dopodiché, uscita che fu in cortile, prese la via della periferia mandando in malora qualsiasi tipo di logica.

Suo fratello non l'aveva certo usata, quando si era fidanzato con una lupa e, in quattro e quattr’otto, si era trasferito in Irlanda con lei.

Non che non capisse la logica dietro quel trasferimento frettoloso; se le regole del branco – stando a quello che aveva riferito loro Lorainne – prevedevano la morte di ogni Cacciatore giunto alle orecchie di Fenrir, Kennard avrebbe dovuto morire.

Andarsene, lo aveva salvato, e non solo per via delle regole del branco, ma anche perché il suo essere Percepente lo avrebbe messo in serio pericolo. Quanto a lei, però?

Pur se lei non si vedeva con dei pelosi terminali – né l’avrebbe mai fatto! – era a sua volta una Percepente e, se voleva capire cosa davvero si nascondeva nel suo passato, doveva appoggiarsi alle uniche persone che ne capivano qualcosa.

Ma si sarebbe ben guardata dall'innamorarsi di uno di loro!

Quando, perciò, raggiunse l'ampio parcheggio antistante l'officina di Alec Dawson, Evelin parcheggiò nel primo posto utile, dopodiché si diresse verso l'accettazione con passo guardingo e lo sguardo attento a qualsiasi particolare.

Il rumore dell'officina la raggiunse quando fu in prossimità della porta che conduceva agli uffici e, mentre i suoi sensi cercavano spasmodicamente di percepire qualcosa, nulla le giunse in soccorso.

Era mai possibile che Lorainne avesse avuto ragione anche su questo, e che i lupi di quel branco fossero così controllati da non lasciar trapelare nessun genere di potere, anche in un luogo appartato come quello?

A giudicare dalla totale mancanza di frequenze che il suo stranissimo dono poteva captare, Eve dovette immaginare di sì. Quei lupi erano peggio di un esercito di marines perfettamente addestrati.

Dopo aver raggiunto l'ufficio percorrendo un breve tratto di scale, Evelin bussò a una porta a vetri dopodiché entrò e si presentò alla segretaria con cui aveva parlato al telefono.

Questa la accolse con un bel sorriso, pregandola di accomodarsi mentre lei avvertiva il titolare del suo arrivo.

Eve accettò l'invito - le gambe le stavano tremando non poco - e, dopo essersi sistemata sul comodo divano della sala d'attesa, iniziò a giocherellare con le dita col chiaro intento di darsi una calmata.

Il trottare di passi veloci lungo la scala, però, interruppe il suo disastroso giochetto antistress e, quando Evelin vide un marcantonio dall’aria truce entrare nell'ufficio, deglutì in preda al panico e si diede mentalmente dell'idiota.

Di fronte a un simile gigante, lei sarebbe sicuramente morta, questo era certo come l'aria che respirava.

Alec ammiccò a mo' di saluto alla sua segretaria prima di volgere lo sguardo verso Evelin, addolcire un poco i tratti del viso naturalmente ruvidi e dire: "Allora, è lei che ha subito un brutto scherzo?"

"Già. Qualcuno ha pensato bene di distruggere il fanalino della mia Alfa" esordì Evelin, levandosi in piedi e sperando di non crollare a terra come una pera cotta.

"Cosa che meriterebbe un anno di prigione a prescindere" chiosò Alec, sbuffando contrariato. "Le Alfa si toccano solo coi guanti di velluto."

Eve assentì nervosa e Alec, cercando di addolcire ulteriormente i tratti del proprio volto - pur sapendo che la cicatrice che gli solcava la guancia non avrebbe mai potuto farlo apparire docile - aggiunse: "Vedrà che gliela ripareremo in men che non si dica, signorina..."

Allungando una mano leggermente tremante, lei disse: "Evelin. Evelin Palmer."

L'unico accenno di sorpresa di Alec fu il lieve sollevarsi di un sopracciglio. Nello stringere la mano protesa dell’uomo, Eve infatti non avvertì nulla, neppure il più piccolo sentore di potere.

Quel lupo doveva essere davvero potente, oltre che assai controllato.

"Molto bene, Evelin... posso darti del tu?"

"Assolutamente" annuì la donna.

"Andiamo a vedere la tua auto, così potremo capire l'entità del danno" dichiarò Alec, atono, prima di aggiungere per la sua segretaria. "Nel frattempo, Glory, chiama Spike e digli di venire più tardi, perché ora sono occupato e non lo voglio tra i piedi."

Sorridendo divertita, Glory assentì e replicò: "Sarà felicissimo di saperlo. Devo proprio usare le tue parole, capo?"

"Fai del tuo peggio, tesoro" ghignò Alec prima di aprire la porta per Evelin e indicarle di scendere.

Lei acconsentì, pur se non apprezzava l'idea di dare le spalle a un lupo e, dopo essere uscita dall'ufficio, discese in fretta le scale per poi trovarsi nell'ampio piazzale dell’officina dove, in quel momento, non stava transitando nessuno.

Alec, a quel punto, infilò le mani in tasca, la fissò di straforo e borbottò: "Cosa ci fai qui, senza pelo?”

Evelin si guardò intorno dubbiosa, ma Alec aggiunse: "Gli unici due lupi presenti siamo io e il mio sottoposto, quello che ha malmenato tuo fratello per difendere Lorainne. Quanto al resto della ciurma, sono tutti senza pelo, e solo Glory sa di noi… ma non di te."

Lei assentì nervosa prima di mormorare: "Non voglio creare guai, ma ho bisogno di sapere una cosa. E’ molto importante e, mio malgrado, voi siete gli unici che potete confermare o meno i miei dubbi."

Sbuffando, Alec si guardò intorno fino a inquadrare una Alfa rosso fiammante dopodiché, avviatosi verso l'auto, domandò: "E' la tua?"

"Sì. Non sai quanto io abbia sofferto, nel farle questo, ma dovevo avere una buona scusa per venire, e così..." borbottò Evelin, carezzando il lunotto dell'auto con fare disperato.

Alec sospirò scocciato, afferrò il portatile che teneva allacciato alla cintura e, dopo aver digitato un paio di numeri, disse: "Ehi, Will... vieni a sistemare l'Alfa di cui ci ha parlato Glory. Io devo dire due parole alla proprietaria."

"Sei uno scocciatore, Alec. Devo finire la Camaro di Alfred! Non puoi farlo tu?" brontolò William all'altro capo.

"Ma come, non vuoi dare una mano alla sorellina di Kennard?" ironizzò Alec, lanciando un'occhiataccia a Evelin, che rabbrividì.

Quel nome raggelò William che, ombroso, disse subito dopo: "Vengo immediatamente."

"Oh, ma che bravo!" ciangottò querulo Alec, chiudendo la comunicazione.

L'attimo seguente, attraverso una porta di servizio, William avanzò a grandi passi verso la coppia ed Evelin, nel vedere il gigante che aveva malmenato Kennard, non seppe se sospirare di piacere o strillare di paura.

Perché, un simile concentrato di bellezza testosteronica, doveva essere anche un licantropo?

Bloccandosi a un paio di passi da loro, William inspirò disgustato l'aria e borbottò: "Dio! Ha anche il suo odore!"

Accigliandosi leggermente, a quelle parole, Evelin gorgogliò indispettita: "Ehi, ma sono cose da dirsi?"

"Ho detto la verità, senza pelo. Tu e tuo fratello avete lo stesso odore, il che non vuol dire necessariamente che sia spiacevole, ma semplicemente che vi identifica come cuccioli della stessa nidiata" replicò più calmo William prima di grattarsi la nuca e aggiungere: "Piantala di testare il tuo dono... mi fai venire il prurito."

"Tanto non serve a molto. Siete impermeabili" sbuffò lei, lasciandosi andare a un sospiro.

William scosse il capo esasperato e, nell'osservare l'Alfa, storse la bocca e domandò: "E' un danno reale o voluto?"

"Voluto. Ho pianto, se ti può fare felice" sottolineò lei.

"Non può mai farmi felice vedere un'auto danneggiata" precisò lui, allungando una mano. "Le chiavi, per favore."

"Non lasciarci sopra il tuo pelo" si arrischiò a dire Evelin, porgendogliele.

Sia Alec che William rimasero basiti per alcuni attimi, di fronte a tanta sfacciataggine e, quando quest'ultimo esplose in una fragorosa risata, Alec non poté che unirsi a essa.

Passandosi una mano sul volto per il gran ridere, Will aprì quindi l'auto e, dopo aver sistemato a fondo corsa il sedile, gracchiò ridanciano: "Il mio... pelo... ohsignoresantocielo... questa vuole morire..."

Osservandolo mentre portava l'auto in officina, Evelin borbottò a un ancora ridente Alec: "Per la verità, la frase voleva essere vagamente offensiva."

"Oh, lo sappiamo entrambi. Ma ci piacciono, i kamikaze" chiosò lui, tergendosi una lacrima di ilarità prima di indicarle un lato del piazzale, dove era stato creato un angolo giochi ed era stata sistemata una panchina all’ombra di un gazebo in metallo.

Leggermente sorpresa, Evelin la raggiunse con passo un tantino rigido e, dopo essersi accomodata, domandò: "Hai un figlio?"

"Una bambina" mormorò lui telegrafico, poggiandosi contro il sostegno dell'altalena per poi osservarla dubbioso quanto imperscrutabile.

Ancora, Evelin non avvertì nulla e, con un leggero sospiro, ammise finalmente il motivo per cui era giunta proprio lì.

"Lorainne ci ha detto che, molto probabilmente, quello che siamo in grado di fare io e Ken appartiene al vostro mondo così, essendo io un'archivista - e su consiglio di mio zio, che guida la Centuria di Bradford - ho iniziato a scavare a fondo nel nostro passato. Avevo bisogno di capire."

Annuendo cauto, Alec la pregò di continuare e lei, stringendo le mani tra loro fin quasi a far sbiancare le nocche, aggiunse: "Ci sono passaggi che non mi tornano ma, senza un controllo incrociato, non potrò mai sapere se ho ragione o meno. Se sono davvero qualcosa di... di..."

Reclinando il capo per la rabbia, Evelin mormorò roca: "Non mi piace affatto questa verità, ma devo accettarla per forza, visto quello che so fare."

"Fossi in te, non andrei in giro a dare fastidio alla gente. Io posso dire ai miei di comportarsi bene e, quando avrò cambiato le leggi che riguardano i Cacciatori, se tu non danneggerai noi, noi non danneggeremo te, ma non posso controllare ogni singolo lupo errante che passa di qua. Neppure io sono così veloce" sottolineò Alec, sorprendendola.

"Lupo ...errante?" esalò Evelin, facendo tanto d’occhi.

Sospirando, Alec si grattò una guancia con fare infastidito e aggiunse: "Senti, ragazza, non sono come Lorainne, che ha una pazienza olimpica e sa spiegare le cose come una brava maestrina di scuola, perciò prendi quel che ti dico per quel che è, e non per il tono che userò. Ci siamo noi, e poi ci sono loro. I lupi erranti non seguono nessun leader, fanno quel che gli pare e, il più delle volte, ci schivano come la peste. I più educati avvisano le nostre Sentinelle del loro passaggio, così che i capibranco ne siano al corrente e non sbrocchino, ma non tutti sono carini e coccolosi, è chiaro?"

Eve assentì rapida, replicando: "Quindi, c'è chi vive fuori dalle regole?"

"Esattamente come i criminali umani" assentì Alec. "Perciò, anche se sei in grado di afferrare i pulviscoli di potere che emaniamo, non farlo come hai fatto finora. I miei lupi sono addestrati fin dal primo vagito animale a trattenerli, quindi non ci troverai mai, ma se incappassi in un lupo errante, nessuno potrebbe proteggerti perché loro non hanno leggi e, proprio come ti ha fatto notare Will, noi ce ne accorgiamo, quando lo fai."

"D-d'accordo" acconsentì Evelin, deglutendo a fatica.

Alec a quel punto sospirò esasperato e, nell'intrecciare le possenti braccia sul torace, domandò: "Che indizi hai ricavato, dalle tue ricerche?"

Nuovamente speranzosa, Eve lo mise quindi al corrente di ciò che le era parso strano, all'interno del loro albero genealogico e Alec, dopo averla ascoltata silenzioso, annuì e afferrò il suo cellulare.

Dopo alcuni istanti, disse: "Ehi, Scott, ciao. Dovresti controllarmi un paio di nomi in archivio, se hai tempo. A quanto pare, ci sono dei potenziali eredi di un membro del nostro clan  che dicono di poter accampare qualche diritto sulle mie proprietà, perciò voglio essere sicuro che sia vero o meno."

"Caspita! E' raro che compaia qualcuno!" esalò Scott Whiler, archivista ufficiale del branco. "Comunque, dimmi pure i nomi."

Alec snocciolò uno dopo l'altro i nomi che Evelin aveva trovato durante le sue ricerche dopodiché, paziente, attese una risposta dal suo archivista.

Archivista che, dopo meno di due minuti, esalò sorpreso: "Beh, che mi venga un colpo, Alec, ma pare che gli eredi abbiano ragione. Si tratta di poca cosa... un campo incolto a nord di Allerton e un vecchio fienile dismesso. Se non erro, lo avevi usato per il foraggio, l’anno scorso. Vuoi che rediga un contratto di compravendita?"

"Non ancora, grazie. Sai dirmi qualcosa di più, sui nomi che ti ho detto? Gli eredi non conoscono bene la storia dei loro trisavoli, e sono curiosi."

"Ti manderò la documentazione via e-mail, non temere. A presto, capo" dichiarò l'archivista.

"A presto, Scott" mormorò Alec, chiudendo la comunicazione. 

"Ebbene?" domandò turbata Evelin.

"Da quel che ho capito, siete imparentati mooolto alla lunga con uno dei miei lupi. Parliamo di dodici generazioni circa, se non ho capito male. Il fatto strano è che, nella famiglia di quel lupo in particolare, sono nate ben sei völur, o veggenti. Il ramo di quella famiglia era significativamente prolifico, in quell'ambito" dichiarò atono Alec.

Evelin si lasciò scivolare sulla panchina, coprendosi il volto con le mani per impedire al lupo di vederla piangere, pur se sapeva benissimo che lui avrebbe potuto comodamente percepire le sue lacrime con l'olfatto e l'udito.

Era dunque tutto vero. Qualcuno, nella sua famiglia, aveva tradito i propri simili  e si era allontanato dai licantropi, generando una nuova linea di nascita nel loro albero genealogico. Pur lontano dal suo mondo natio, però, il traditore aveva portato con sé il retaggio della sua famiglia, generando anche tra di loro delle persone dotate di Potere.

"Non avertene così a male. Non sei la prima ad avere letteralmente sangue misto. La nostra strega più potente è figlia di una wicca, una saggia, e di un Cacciatore. Di uno di voi che, disgustato da ciò che la sua famiglia stava facendo, abbandonò tutto pur di proteggere l'amata e i suoi figli" le spiegò Alec, sorprendendola.

Tergendosi le lacrime, Evelin replicò irritata: "Pensi sia facile da accettare?!"

Ciò detto, però, si morse il labbro inferiore, colpevole, e reclinò il capo. Proprio a lui andava a dire una cosa del genere? Sapendo ciò che il padre gli aveva fatto?

Lui più di altri poteva capire quanto il Fato, a volte, potesse essere crudele, perciò non aveva nessun diritto di alzare la voce con quel licantropo in particolare.

"Come se ne esce? Da simili batoste, intendo" domandò a quel punto Evelin, sospirando tremula.

"A me lo chiedi?" la irrise Alec. "Ragazza, ho ammazzato mio padre a coltellate, per evitargli di uccidere me, mia sorella e mia madre, ma nel frattempo lui aveva già tolto la vita alla mia sorellastra. Come pensi che ne sia uscito, secondo te?"

"Male?" ipotizzò lei.

"E' dire poco!" sbottò lui, innervosendosi.

Per la prima volta, Evelin percepì una crepa nel suo mantello inossidabile e, rabbrividendo per diretta conseguenza, esalò: "Merda, che freddo!"

Immediatamente, Alec si ricompose e, nel recuperare il controllo di sé, aggiunse: "C'è chi ha sbarellato, guardando nell'abisso dei miei ricordi, perciò non te lo consiglio. Ciò detto, senza pelo, ti svelerò un segreto. Incazzarsi col mondo come stai facendo tu, non serve a una beneamata mazza di niente. Ci ho provato, e ne ho ricavato solo mal di testa e nemici."

Già pronto a dire altro, Alec impallidì leggermente quando vide Penny giungere dal cancello d'ingresso, tutta sola e con la cartella tra le mani.

La figlioletta trotterellava allegra verso di lui, i corti capelli che danzavano attorno al viso da fata mentre, col suo sorriso birichino, avanzava sicura di sé.

Passandosi una mano sulla zazzera di capelli neri, Alec cercò in tutti i modi di non svenire per l’ansia ed esalò roco: "Dimmi che ti hanno lasciato a due metri da qui, sennò darò di matto."

Scoppiando a ridere, Penny avanzò tutta sorridente, salutò cordiale Evelin e infine disse: "La mamma di Kyle mi ha lasciato qui dietro. Volevo farti una sorpresa, papà."

Alec, a quel punto, sembrò spezzarsi di fronte a Evelin e, nel piegarsi per prendere tra le braccia la figlia, la sollevò senza sforzo e borbottò: "Non farmi più venire simili infarti, ranocchietta. Sai che non sopporto di vederti girare da sola per strada."

"Ho fatto solo una decina di metri" sottolineò per contro la bambina, baciandolo teneramente sulla cicatrice.

"Sono già troppi. La prossima volta, facciamo tre. Non di più" precisò Alec, rimettendola a terra per poi sistemarle il cappotto, sdrucito dal suo abbraccio.

"E va bene" annuì Penny, ammiccando poi a Evelin. "Il mio papà mi vuole sempre proteggere."

"Fa bene. Il mondo è strano e cattivo, a volte" chiosò Evelin.

Penny allora la guardò più attentamente e, storcendo la bocca, domandò: "E' successo qualcosa di brutto?"

"Un cattivone ha rotto un fanale della sua auto, ma Will la sta rimettendo a posto" le spiegò Alec.

Tornando a sorridere, allora, Penny strinse con foga entrambe le mani di Evelin ed esclamò: "Zio Will farà un lavoro fantastico. Sono sicura!"

Ciò detto, salutò entrambi con la promessa che avrebbe raggiunto Glory dopodiché corse verso le scale che conducevano agli uffici e sparì dalla loro vista.

Non appena fu svanita, Eve scrutò il volto del licantropo accanto a lei e, vagamente sorpresa, esalò: "Non è tua, vero?"

"Lo è in tutte le declinazioni possibili tranne, ovviamente, che per la linea di sangue. Per quella ragazzina potrei distruggere città intere, così come per sua madre. Per questo ti ho detto che incazzarsi e basta non serve a niente. Se il tuo fine è solo la rabbia, non approderai a nulla" dichiarò lapidario Alec.

"Dimmi una cosa, lupo... voi cacciate noi?" domandò a quel punto Evelin.

"Perché dovremmo perdere tempo in un'attività così assurda?" replicò lui con un sogghigno. "Siete una spina nel fianco, un brufolo sul culo, a voler essere gentili, perciò l'unica cosa che facciamo è eliminarvi quando ci comparite davanti anche se, a causa di tuo fratello, ho dovuto cambiare questa regola."

"E perché?" borbottò lei, non essendo particolarmente lieta di essere stata appena paragonata a qualcosa di così miserevole come un brufolo.

"Perché, per permettere alla mia lupa di rientrare nel branco, un domani, ho dovuto correggere la regola che vi voleva morti al solo venire a conoscenza di uno di voi" sottolineò Alec, vedendola impallidire leggermente. "Nel mio branco vigeva la regola che, non appena si trovava un Cacciatore, lo si doveva seccare. Con il tempo, però, ho dimenticato di aver scritto quella maledetta regola che, ovviamente, mi si è ritorta contro nel momento stesso in cui la mia lupa si è innamorata di quel pisquano di tuo fratello."

"E perché non l'hai cambiata subito, visto che tu sei il capurione della tua banda di teppisti?" replicò Evelin, sentendosi in dovere di calcare la mano, visto che il licantropo stava bellamente insultando Kennard.

Alec la fissò ghignante, replicando: "Sei fortunata che Will non sia qui, o ti avrebbe messa a cavalcioni sulle gambe per sculacciarti ben bene. Non si parla a questo modo a un Fenrir."

Evelin lanciò una rapida occhiata al portone chiuso dell'officina e Alec, con un risolino, esalò subito dopo: "Oh, oh... a quanto pare, ti sarebbe anche piaciuto, come trattamento!"

Arrossendo suo malgrado, la giovane sbottò: "E piantala! Non è carino che tu ti accorga di quello che penso!"

"Non posso leggerti la mente, nanerottola. Posso solo avvertire le sensazioni che provengono da te grazie al tuo odore e al battito del tuo cuore, che mi dicevano a chiare lettere quanto, l’idea che Will ti mettesse le mani addosso, ti stesse attizzando. Per questo mi sono fidato dei sentimenti di tuo fratello. Era chiaro quanto un dozzinale film d'amore che pendeva anima e corpo dalla mia lupa. E viceversa, per la cronaca" brontolò lui, mimando l'atto di rimettere.

"Oh" mugugnò lei per tutta risposta.

"Per rispondere alla tua insolente domanda, comunque, ... no, non potevo cambiarla d'imperio e senza spiegazioni, perché questo avrebbe voluto dire fare delle differenze tra i miei lupi, e questo non lo farò mai. Anche se Lory mi manca, come amica" le spiegò a quel punto Alec. "Ho sottoposto la mia idea ai Gerarchi, e così ai miei alfa, e alla fine si è stabilito che la legge era vetusta e fuori luogo, perciò l'abbiamo cambiata."

"Quindi, potrebbero anche tornare, a questo punto?"

"Non credo lo vogliano. Tuo fratello è tutt'ora in pericolo, perché il suo potere è molto più forte del tuo e, ora che è accanto a una lupa, lo si nota anche quando lui non cerca di usarlo. Ne è come drogato e, finché non imparerà a gestirlo, reagirà alla presenza di Lorainne, spesso in modi incontrollati. Potrebbe rimanere vittima di lupi erranti solo per il fatto di essere una minaccia, in quanto umano senziente, perciò Lorainne deve addestrarlo, per quanto possibile, e deve farlo in un ambiente il più possibile sicuro. Devono rimanere lontani da qui gioco forza, almeno per ora."

"In Irlanda non ci sono lupi erranti?" domandò a quel punto Evelin, curiosa.

"No. E' vietato dai nostri Statuti, e tutti lo sanno. Nessuno oserebbe infrangere questa regola perché la pena è la morte perciò, per la maggiore, i lupi erranti sono in Inghilterra, Scozia, Galles, oppure oltremare" ammise Alec.

"Per questo, non hanno scelto la Cornovaglia?" domandò ancora Evelin.

"Per questo, e per un altro motivo che non ti dirò" ghignò Alec in risposta. "Sono stanco di parlare di questo argomento, senza pelo, e il tuo odore mi ricorda troppo Kennard, e questo mi fa venire prurito alle mani. Lasciami la tua e-mail. Ti manderò la documentazione che hai cercato dopodiché, se avrai altre domande, scrivimi pure."

"Tralasciando i tuoi modi da cavernicolo… perché sei così disponibile con qualcuno che ti odia?" domandò a quel punto lei, sinceramente confusa.

"Se mi odiassi davvero, avresti un arsenale d'argento, con te, eppure non ne sento neppure il minimo odore, sul tuo corpo" sottolineò lui, sorprendendola. "Inoltre, prima hai detto potrebbero. Non hai parlato soltanto di tuo fratello, ma hai citato inconsapevolmente anche Lory. In te non c'è più odio, quanto piuttosto una profonda confusione, e io la conosco bene perché ci ho convissuto per anni."

Reclinando il viso di fronte a quella lettura attenta del suo comportamento, lettura che lei stessa non era stata in grado di fare, Evelin non poté che assentire e, nell'alzarsi dalla panchina, disse: "La Centuria si sfalderà perché a Londra credono che voi non siate presenti, a Bradford. Complimenti."

"Londra, eh? Cos'è, il vostro quartier generale?" domandò Alec, curioso.

"Non dirò altro" scrollò le spalle Eve.

"Né io chiederò altro. Fatti comunque questa domanda, Cacciatrice. Se siamo tanto pericolosi e crudeli come sostengono i tuoi capi, perché non abbiamo mai commesso reati da voi perseguibili?"

Sospirando, Evelin mormorò: "E' la stessa cosa che ha detto lo zio."

Alec annuì prima di sollevare il cellulare, leggere un messaggio e borbottare: "Quel rompipalle di Spike. Ti converrà andare in ufficio da Glory e aspettare lì la tua auto. Ormai, Will dovrebbe aver finito. E mi raccomando, se mi vedrai parlare con un uomo bruno e dai capelli ricci, non usare il tuo cazzo di dono. Siamo in due a sapere della vostra famiglia, e così le cose devono rimanere, d'accordo?"

"Va bene" acconsentì lei prima di bloccarsi a metà di un passo, volgersi verso il licantropo e allungare nuovamente la mano. "Grazie."

Alec accettò la stretta nel più completo silenzio e, solo quando la vide entrare nell'edificio, si permise di imprecare.

Non ci si vedeva nella parte del pacificatore, eppure sapeva che quella grana doveva risolverla da solo. Meno persone sapevano dei Palmer, meglio sarebbe stato per tutti.





N.d.A.: Diciamo che Evelin non conosce il concetto di "muoversi con cautela".... ^_^''
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


12.
 
 
Due anni dopo – Dublino
 
Aver a che fare con certi genitori poteva essere sfiancante e, in tutta onestà, a volte Kennard si chiedeva perché avesse scelto quel mestiere. D'altra parte, l'idea di aver salvato un bambino dal pestaggio continuativo e serrato del padre - e dal silenzio colpevole della madre - era per lui fonte di estrema soddisfazione.

Specialmente ora che, a sua volta, era diventato padre.

La sua splendida Madison, ormai, aveva compiuto sei mesi e si apprestava a diventare la bambina più bella del Creato. Almeno, ai suoi occhi di papà.

Dalla madre aveva preso gli splendidi occhi color acquamarina mentre, da lui, la folta chioma ondulata e castano ramata, che incorniciava un volto dalla pelle eburnea e perfetta.

Quando entrò dalla porta sul retro del negozio di Lorainne - un ampio stabile in mattoni rossi nel centro di Dublino - sentì in sottofondo il rumore attutito di un pianoforte e la voce soffusa di Lore che indirizzava il novello musicista a più alte ambizioni.

A quell'ora, il negozio era già chiuso e perciò la moglie si occupava delle lezioni private degli allievi che, tre volte alla settimana, si recavano da lei per imparare pianoforte e clarinetto.

Passando dinanzi alla porta a vetri che nascondeva l'aula di musica, salutò con un cenno Lorainne dopodiché si avventurò verso la vicina stanza adibita a nursery dove, di solito, si trovava Madison mentre la madre era impegnata con il lavoro.

A sorpresa, però, udì delle voci provenire dalla stanza e, quando aprì la porta per scoprire chi vi fosse con la figlia, niente poté prepararlo alla vista della sua famiglia, alle prese coi gorgoglii della nipote.

Chiudendo lentamente dietro di sé la porta, osservò la madre che, con dita esitanti, giocherellava con le mani protese di Madison, mentre Evelin e il padre la scrutavano dubbiosi, se non addirittura timorosi.

"Questa sì che è una sorpresa" esordì Kennard, spaventandoli a sufficienza da farli sobbalzare in sincrono.

"Accidenti, Ken! Avvisa!" esalò Evelin, poggiando le mani sul torace come se temesse di veder schizzare fuori il cuore.

Lui ghignò per tutta risposta, si avvicinò alla culla e salutò con un bacio la figlia prima di sollevarla tra le braccia e dire: "Guardate che non morde. Anche se fosse una licantropa nativa, non avrebbe artigli e zanne prima dei dodici-tredici anni."

Padre e madre lo fissarono accigliati mentre Evelin, sbuffando, replicava: "Veramente, la mamma aveva paura di farle male perché pensava di non essere più capace di prendere in braccio un bambino. D'altronde, come darle torto? Tu sei caduto di testa dal seggiolone, e infatti guarda come sei venuto su."

"Sei sempre la solita scocciatrice, vedo" chiosò Kennard, imperturbabile, mentre Madison giocava con la sua barba perfettamente tagliata. "Come mai qui, comunque? Non mi avete avvisato che sareste venuti in visita."

Sia Dylan che Libbie si guardarono vicendevolmente prima di ammettere la verità.

La madre, rigirandosi nervosa le mani, asserì: "Lorainne ci ha mandato un paio di foto di Madison, qualche tempo fa, dicendoci che, se avessimo voluto conoscere nostra nipote, avremmo potuto venire in ogni momento."

"Sai già se..." tentennò Dylan, lanciando occhiate dubbiose al figlio e alla nipote, che stava gorgogliando un discorso tutto suo all'indirizzo del padre.

"... se diventerà oppure no una licantropa? Sì, lo so. Il punto è questo, però. Siete disposti ad amarla e accettarla come parte della famiglia indipendentemente dal fatto che lei metta su pelo, o meno?" replicò Kennard, facendosi del tutto serio. "Ho visto, e vedo, fin troppi bambini bistrattati da famiglie che non li meritano, e non voglio la stessa cosa per mia figlia. Lei avrà un nucleo famigliare unito, attorno a sé, e il branco già le dà questo. Se siete disposti a fare altrettanto, sarà un piacere annoverarvi tra di loro, altrimenti dite chiaramente ora cosa volete fare, e io agirò di conseguenza."

"Certo che, come benvenuto, ho preferito quello della tua lupa" sottolineò a quel punto Evelin, sbuffando. "Almeno, lei ci ha offerto tè e pasticcini."

"A te avrebbe dovuto dare cicuta e polonio, giusto per stare sul sicuro" replicò beffardo Kennard, guadagnandosi un gestaccio da parte della sorella.

Libbie, a quel punto, si avvicinò al figlio e, allungate le braccia, domandò: "Posso tenerla in braccio un momento?"

Kennard assentì, passandogliela con delicatezza e Madison, raggiunta finalmente la donna che tanto l'aveva incuriosita, si strinse a lei con un sorriso soddisfatto e lanciò uno strilletto pieno di compiacimento che fece ridere persino Evelin.

Arrossendo di piacere, Libbie le carezzò la schiena e i morbidi capelli profumati di miele prima di dire: "Io sono la nonna, sai? Nonna Libbie. E' un nome facile da ricordare. Libbie."

La bimba la fissò con i chiari e limpidi occhi, sorrise mettendo in mostra le gengive rosee e, sbracciandosi, tastò goffamente le labbra di Libbie sporcandosi così con il suo rossetto.

Subito, la donna ridacchiò, afferrò in fretta un fazzoletto dalla borsetta e le ripulì le dita paffute prima di lasciarsi andare a un pianto silenzioso e liberatorio.

Madison, a quel punto, la squadrò preoccupata, allungò di nuovo le mani verso il suo viso e cercò come meglio poté di cancellare le sue lacrime, prima di esibirsi in un labbro tremolante degno di tale nome.

"Oh, no, no, cara... non ce l'ho con te. Non piangere, Madison" sussurrò immediatamente Libbie, dandole d'istinto un bacio sulla gota paffuta e morbida.
Il suo intenso profumo di miele le invase le narici e, stringendosi la bimba al petto, squadrò il marito con espressione ribelle e disse: "Tu fai come vuoi, ma io voglio fare da nonna alla piccolina. Anche se sarà come la madre!"

Un gridolino eccitato da parte di Madison strappò un sorriso a Libbie, che subito dopo disse: "Sì, piccolina, nonna Libbie ti vuole già molto bene."

Kennard osservò l'intera scena con un sorriso grato stampato in viso e, quand'anche Lorainne li raggiunse, ammiccò al suo indirizzo e disse: "Non mi hai avvertito. Volevi farmi morire d'infarto?"

"Non pensavo che vedere i tuoi genitori fosse così traumatico" replicò lei, sorridendo poi nell'osservare come Libbie stesse coccolando la loro figlia. "Spero non abbia fatto i capricci, quando ero di là. I dentini le danno un po' fastidio, ora che stanno nascendo."

Libbie scosse il capo mentre mostrava una scalciante bambina a un più che imbarazzato marito e, volgendosi a mezzo, asserì: "E' una bimba molto allegra e piena di vitalità. Niente affatto noiosa."

"Vuole fare bella figura" dichiarò ironica Lorainne, affiancandosi a Kennard. "Ken vi ha già detto che..."

Preventivamente, il marito le tappò la bocca e, scuotendo il capo, asserì: "Voglio che scelgano se amarla o meno indipendentemente da quello che diremo noi."

"Oh... li hai già messi alle corde? Sei brutale" esalò Lorainne, facendo tanto d'occhi.

Kennard si limitò a una scrollata di spalle, ben deciso a rimanere fermo nei suoi propositi così Lorainne, con un leggero sospiro, disse: "Devo cambiarla. Ha fatto la pipì."

"Alla faccia del naso" celiò Evelin.

"E' una delle parti più complicate dell'averla in casa. La pupù travalica qualsiasi mia esperienza passata" sospirò Lorainne, riprendendola dalle braccia di Libbie per raggiungere il fasciatoio.

Lì, la seguì in blocco tutta la famiglia Palmer e Lorainne, senza far caso a loro, svestì la bimba, che sgambettò felice e soddisfatta mentre la madre si prendeva cura di lei.

Lorainne la pulì per benino, cantando una nenia a bassa voce mentre ripeteva a memoria quelle azioni ormai a lei famigliari. Già sul punto di recuperare un pannolino, però, se lo vide passare da una mano maschile che non era quella del marito e, sorridendo appena, lanciò un'occhiata grata all'indirizzo di Dylan prima di dire: "Molto gentile da parte sua."

"Dammi pure del tu, ragazza. Ormai è perfettamente inutile mantenere le distanze" replicò l'uomo.

"Non voglio essere un obbligo, Mr Palmer. Può anche apprezzare nostra figlia senza apprezzare me. So bene che la nostra storia vi ha messo in seria difficoltà, perciò comprenderò più che bene se lei non mi vorrà come figlia" ci tenne a dire Lorainne, sistemando il pannolino prima di fare un grattino sulla pancia alla figlia, che rise allegra.

"Non si tratta di te..." sospirò Dylan. "... o di lei. E' difficile accettare che... che..."

"...che non siamo bestie feroci e dissennate?" terminò per lui Lorainne, sorridendogli piena di comprensione. "La capisco. Più di quanto possa dirle a parole. Conosco lupi crudeli che hanno fatto cose inenarrabili, come persone che hanno compiuto atti indicibili, eppure non credo che tutti i lupi o tutti gli uomini siano crudeli e cattivi. Così come credo che il pregiudizio sia duro a morire, ma non indistruttibile."

Dylan si limitò a un assenso silenzioso e Kennard, nel riprendere in braccio la figlia, disse: "Pensaci su, papà... non mi sembra che Lore ti abbia chiesto chissà che cosa. In fondo, sono due anni che non vi assillo… il tempo per pensare lo avete avuto, mi pare."

"Veramente, quello più permaloso sembri essere tu" sottolineò per contro il padre.

Lorainne sorrise a entrambi gli uomini, diede una pacca sulla spalla al marito e domandò: "Saliamo? Ormai, l'impasto per la pizza dovrebbe essere lievitato al punto giusto."

"La guarnirò io. Non voglio che mi avveleni" ci tenne a dire Evelin, tirandosi su le maniche della camicia.

"Potrei avere avvelenato l'impasto, no?" precisò Lorainne con tono affabile.

Evelin la fissò torva per qualche istante, salì dubbiosa le scale assieme alla cognata ma, quando avvertì il buon profumino di impasto lievitato e di pomodoro fresco, borbottò: "Beh, correrò il rischio. Un'Archivista è pur sempre una combattente, solo che lo fa con penna e calamaio."

Ciò detto, si avviò verso il bancone della cucina e, aiutata dalla madre, si mise all'opera per preparare delle pizze che valessero la pena di essere mangiate con gusto.

Lorainne, nel frattempo, accese il forno e osservò marito e padre impegnati in una silenziosa battaglia di sguardi, seduti comodamente sulle poltrone del salotto mentre Madison li scrutava per ottenerne l'attenzione.

Non faticava a comprendere i bisogni del marito, ma Lorainne sapeva bene quanto fosse inutile spingere una persona ad accettare un fatto, quando non lo si voleva realmente fare.

E la licantropia, per un Cacciatore, era un argomento piuttosto indigesto da mandare giù.

D'altronde, Kennard desiderava che la famiglia allargata della figlia potesse contare anche i membri umani del suo clan, e questo Lorainne non poteva negare che fosse una mancanza quasi fisica, nella loro vita.

Kirill e il branco di Belfast erano stati calorosi e ben disposti ad accettarli e, alla nascita di Madison, era stata celebrata una sontuosa cerimonia al Vigrond, in cui la piccola era stata riconosciuta membro indiscusso del branco.

Inoltre, il particolare dono di Kennard aveva suscitato curiosità e ammirazione nei licantropi, e in molti si erano impegnati per aiutarlo a prendere piena coscienza della portata dei suoi poteri, così come a gestirli nel modo migliore.

Ciò aveva richiesto tempo, qualche crisi di nervi da parte di Kennard – che era arrivato a piangere di dolore a causa del primo mutamento di un giovane licantropo – ma alla fine la sua eccessiva empatia, dovuta al suo dono di Percepente, era infine stata imbrigliata.

Lo scoglio rappresentato da una famiglia assente, però, non era mai del tutto scomparso dalla sua anima e Lorainne, proprio per questo motivo, aveva deciso di intervenire quando era nata Madison.

Sapeva che, per Kennard, era difficile accettare di avere un padre e una madre in vita ma che non erano parte attiva nella sua esistenza, o in quella della sua adorata piccolina. Quell’incontro, perciò, era d’obbligo, indipendentemente da come si fosse risolto.

"L'origano dov'è?" domandò Libbie, avvicinandosi a Lorainne prima di fissare a sua volta gli uomini seduti in poltrona.

"Nella credenza sopra il lavandino" mormorò assorta la giovane.

Lei era stata sballottata da una famiglia all'altra per anni, prima di finire tra le braccia dei Simmons, disposti a tutto pur di avere la possibilità di dare una chance a una ragazza come lei, figlia di genitori irresponsabili ed egoisti.

L'affido era durato più di tutti gli altri messi assieme e, finalmente, era sfociato nell’adozione tanto agognata da entrambe le parti. L'arrivo dei diciotto anni, e della maturità sia fisica che civile, le aveva permesso di ripagare in svariati modi l’amore e il calore che le erano stati dati.

Il padre l’aveva aiutata ad aprire il negozio che, da sempre, aveva sognato di poter avere, e lì Lorainne aveva dato voce fisicamente a ciò che i genitori adottivi le avevano insegnato ad amare come prima cosa.

La musica. L'amore per la musica che il suo daddy e la sua mommy, come li aveva sempre chiamati, le avevano trasmesso, permettendole di trovare la forza necessaria per iscriversi a una scuola legata a tale disciplina, uscendone con una laurea triennale all'ICMP (institute of contemporary music performance).

Negli anni, si era via via spinta più avanti, aveva ingrandito il negozio e iniziato a dare lezioni private di violino e, suo malgrado, aveva conosciuto Paul, che l'aveva spinta a diventare ciò che non aveva mai pensato di poter essere. 

Per quanto Alec le fosse sembrato terrificante - e ripensare a lui come era allora, la fece sorridere - il suo Fenrir era stato attento alle sue esigenze e aveva punito in maniera esemplare Paul, reo di averne tradito la fiducia e averla spinta a mutare senza averle detto tutto sul loro mondo.

Alec stesso l'aveva addestrata perché diventasse una brava lupa, dopo ciò che era successo con Paul, e si era assicurato che almeno un paio di lupe le stessero accanto in quella prima fase di transizione.

Era così che era venuta a sapere dei trascorsi di Alec, e di come il loro Fenrir avesse acquisito quel carattere gelido e ferreo, pur se protettivo nei confronti di tutti.

Kirill, al confronto, era un pan di spagna, eppure sapeva tenere al guinzaglio anche i più riottosi tra i licantropi, e la sua giovane età non inficiava affatto sulle sue scelte. Aver avuto dei maestri come Marcus, prima, ed Erin, dopo, aveva dato i suoi buoni frutti.

"Lorainne..." mormorò al suo fianco Libbie, strappandola a quei pensieri.

La giovane sobbalzò leggermente, fissò la suocera con espressione interrogativa e domandò: "Sì, mi dica, Libbie ... avete bisogno di me in cucina?"

La donna scosse il capo con un sorriso triste, le poggiò timida una mano sulla spalla e, un po' sorpresa, mormorò: "Cielo! Sei così calda! Si sente anche attraverso la camicia!"

"Ci attestiamo intorno ai trentanove, quaranta gradi. Per questo, abbiamo sempre una fame indiavolata. Metabolismo super accelerato" scrollò le spalle la lupa.

Libbie scosse una mano come per cancellare quel discorso, asserendo: "Sto divagando, scusa. Volevo solo chiederti se Ken è... beh, è come te, ora, o se ancora non ha deciso. Dubito me lo direbbe, visto come sta litigando con lo sguardo con il padre, ma sarei curiosa di saperlo. Anche soltanto per non ferirlo con gli anelli."

Ciò detto, indicò la mano con cui Libbie non l'aveva toccata e, arrossendo un poco, ammise: "E' stato più forte di me. Li ho indossati per abitudine."

"Non è un problema. Anch'io adoravo gli oggetti in argento e, lo ammetto, mi manca non poterli indossare" dichiarò con un sorrisino Lorainne. "Quanto a Ken, se si è preoccupata nel vedere il cerotto che ha sul collo, è tutto merito di Madison, che lo ha graffiato ieri mentre lui tentava di tagliarle le unghie."

"Oh... beh, in effetti, le unghie dei bambini sono micidiali" esalò sorpresa Libbie.

"Vuoi dire che non hai ancora smozzicato il tuo uomo, finora? E' così scarso a letto da non averti mai portato in errore?" entrò in scena Evelin a sorpresa, puntando il mattarello contro un fianco di Lorainne.

"Dio, Eve!" gracchiò Libbie, guardando la figlia con aria sconvolta.

Lorainne, però, non fece alcun caso alle sue parole e, serafica, replicò: "Certo che l'ho morso, Evelin, e con vero piacere... ma non l'ho azzannato. Sta tutta lì la differenza."

"Merda! E io che pensavo di sconvolgerti..." brontolò la cognata, tornandosene al piano da lavoro per ultimare l'ultima pizza. "... non si possono fare allusioni sessuali, con te. Sei impermeabile."

"Perché non abbiamo tabù. Ergo, non mi sconvolge praticamente nulla, in tal senso" ribatté Lorainne, avvicinando la cognata per poi sorriderle maliziosa e aggiungere: "Vorrei tanto che conoscessi un lupo del sud. Non se la farebbe mai con una umana, ma potrebbe spiegarti più cose del Kamasutra. E' talmente sensuale da far cadere ai suoi piedi tutte le lupe che incontra."

"Anche te?" domandò Evelin, che era diventata purpurea in viso.

"All'epoca? No. Non ci era concesso, perché i rapporti tra i nostri clan non erano dei più distesi, e lui ricopre una posizione di spicco, perciò non poteva fare l'idiota in giro ma, in tutta onestà, un pensiero ce lo avrei fatto" ammise Lorainne con un sorrisino prima di estrarre il cellulare dalla tasca dei pantaloni e cercare una foto in particolare.

Evelin curiosò interessata le manovre della cognata, e anche Libbie si avvicinò alla coppia dopo aver udito quell'ultimo scambio di battute piuttosto piccanti.

Quando infine Lorainne trovò la foto incriminata, la mostrò a entrambe le donne e disse: "Lui è il lupo di cui vi ho appena accennato."

La cognata afferrò un canovaccio per farsi aria mentre Libbie, tamburellandosi il mento con un dito, esalava: "E... beh, ecco... lui sarebbe single?"

"E’ uno scapolo impenitente" sottolineò Lorainne. "Ma è molto generoso nell'elargire gioia a noi signore. Solo lupe, però, mi spiace."

"Questa è discriminazione!" sbottò Evelin, avvicinando maggiormente il volto all'immagine per meglio osservare quel concentrato di bellezza e mascolinità.

"Per come fa sesso lui, è protezione. Vi ucciderebbe, nella foga dell'amplesso, e lui non ci tiene ad avere simili pesi sull'animo" scrollando le spalle Lorainne, rimettendo infine via il telefono.

Evelin aumentò il moto del canovaccio, ormai vermiglia in viso e Libbie, a occhi sgranati, esalò: "Cielo! E'... è così... focoso?"

"Sì" si limitò a dire Lorainne, lasciando che pensassero loro al resto della storia. Parlando di Keath, aveva fondamentalmente evitato di rispondere alla scomoda domanda di Libbie riguardo alle scelte di Kennard. Visto, però, che il marito aveva preferito non dire nulla su Madison, sapeva che anche ciò che lo riguardava non poteva essere affrontato con leggerezza. Doveva essere lui a decidere cosa – e quanto – dire.

Tornando a scrutare i due uomini nel salotto, infine, domandò: "Ma staranno in silenzio ancora per molto?"

"Per Dylan è difficile accettare che Ken sia... beh, sia sposato con te. Ma non te nello specifico. Con una licantropa" sottolineò Libbie. "E' stato lui ad addestrarlo, prima ancora di zio Cassian, perciò sente di aver fallito in qualche modo. Con tutto il rispetto parlando, s'intende."

Lorainne assentì, replicando: "In un certo qual modo, posso capire. Io sono stata bandita più o meno per lo stesso motivo. Nel mio branco vigeva una regola... ‘il cacciatore è buono solo se morto’. Suo malgrado, il mio Fenrir ha dovuto cacciarmi perché era vietato mantenere in vita un Cacciatore, se lo si trovava, e non poteva cambiare la legge solo per favorirmi. Sarebbe stato iniquo nei confronti degli altri."

"E ora, grazie a voi due, questa regola non esiste più" chiosò Evelin, incuriosita dal suo dire.

"Esatto. Subito dopo la nostra partenza, il mio Fenrir presiedette una riunione tra lupi alfa, decidendo che la morte di un Cacciatore doveva essere subordinata a gravissimi motivi, tra cui l'uccisione di un lupo da parte dello stesso Cacciatore" spiegò loro Lorainne. "Naturalmente, nessuno sa il perché di questa modifica, poiché il patto era di non far sapere chi fosse in realtà Kennard ma, in generale, la mozione è passata senza grossi drammi. In molti hanno ammesso che, senza motivazioni valide, sarebbe stato solo un assassinio a sangue freddo... e noi non siamo killer."

Libbie assentì pensierosa e, tornando a guardare il marito - che ancora fissava il figlio con espressione dura -, mormorò: "Pregiudizi di lunga data sono difficili da smaltire, ma da qualche parte bisogna cominciare."

Lorainne annuì al suo dire ma, prima di commentare a sua volta, il campanello di casa suonò e, curiosa, la donna si recò ad aprire la porta.

Sorpresa, si ritrovò quindi a fissare Einar Magnusson sul pianerottolo del primo piano, dove si trovava l'entrata del loro appartamento.

"Scusa il disturbo, Lorainne, ma Stephan voleva che ti portassi assolutamente un suo regalo, e così..." esordì l'enorme berserkr prima di notare, dalla porta d'ingresso, i volti di alcune persone a lui sconosciute. "...oh, ho scelto il momento sbagliato. Scusa ancora."

Sorridendo per contro, Lorainne lo invogliò a entrare replicando: "Non preoccuparti. Sono solo venuti i miei suoceri e mia cognata in visita, perciò non c'è problema."

"Buonasera... e scusate il disturbo, ma mio figlio ha insistito tanto che..." mormorò il colosso, mostrando poi a Lorainne un piccolo pianoforte intagliato nel legno. "... è il suo regalo per te, per avergli permesso di entrare a far parte del complesso musicale della scuola."

Grata e commossa, Lorainne prese in mano il prezioso oggetto finemente lavorato - sia Einar che Stephan, per quanto piccolo, lavoravano egregiamente il legno - e replicò: "Non doveva. Mi ha fatto piacere insegnargli... comunque, è davvero bellissimo."

"E' il minimo" dissentì Einar con un sorriso. "Siamo appena arrivati, e tu ci hai presi subito in simpatia, dando a Stephan l'opportunità di coronare il suo sogno. Mi riterrò in debito con te ancora per molto, Lorainne."

La giovane fece per ribattere alle sue parole piene di gratitudine, ma gli sguardi sconvolti e curiosi di suocera e cognata la portarono a sobbalzare leggermente per poi esalare: "Ma che fate?"

Evelin si riscosse il tempo necessario per fissare la cognata e replicare sconcertata: "Come faccio a non guardarlo?!"

Sospirando esasperata, Lorainne allora osservò spiacente Einar prima di dire: "Sono un po' confuse, scusale. Stanno ancora facendo fatica a digerire me, figurarsi poi vedere te."

Arrossendo a sorpresa, Einar sorrise nel portarsi una mano dietro la nuca per poi dire imbarazzato: "Perdonatemi. Non volevo causare problemi."

"Ma sei un lupo anche tu?" gracchiò a quel punto Evelin, facendo tanto d’occhi.

"Razza sbagliata" chiosò Lorainne, ammiccando furba. "E' un orso."

Le due donne, a quel punto, sobbalzarono per lo sconcerto e persino Dylan si discostò dal suo incontro silenzioso di boxe virtuale con il figlio per esclamare: "Cos'hai detto, scusa?!"

"Ho creato guai, Lorainne?" domandò a quel punto Einar, dubbioso.

"No, affatto. Anzi, mi stai dando una mano, in effetti" replicò la donna, battendogli affettuosamente una mano sul bicipite robusto. "Mostra loro i tuoi tatuaggi rituali, per favore."

"Tutti?" ironizzò a quel punto Einar, facendola scoppiare a ridere.

"Meglio di no" intervenne a quel punto Kennard, levandosi in piedi per raggiungerli. "Basterà togliere la camicia."

"Nessun problema" dichiarò l'uomo, slacciando i bottoni con agilità per poi mettere in bella mostra il torace ampio e muscoloso... e un tappeto di tatuaggi rossi e neri riguardanti i berserkir e la loro travagliata storia millenaria.

"Ohsignoresantocielo!" esclamò Evelin, facendo tanto d'occhi.

Fu il turno di Libbie, di farsi aria con un canovaccio mentre Dylan, del tutto sconcertato, esalava: "Ma che significa?"

"Sono simboli rituali dei berserkir, gli uomini-orso della mitologia nordica" spiegò loro Lorainne, indicando un punto in particolare sull'avambraccio destro di Einar. "Questo è il più recente, e riguarda l'incontro tra Odino e Fenrir, avvenuto un anno e mezzo fa."

"Come... un anno e mezzo fa?!" sobbalzarono i tre Palmer, letteralmente sconcertati da una tale notizia.

Orgoglioso, Einar disse: "Fui presente all'evento e posso dire che mai, nella vita, potrò vedere una cosa altrettanto potente. Fenrir che viene intrappolato nella nostra gabbia anti-dèi, e il nostro signore Odino che accetta di parlare con lui. Giuro... pensavo di svenire."

"Ci prendi in giro?" gracchiò Evelin, fissandolo al colmo dell’incredulità.

Lorainne allora sorrise maliziosa, replicando: "I berserkir non mentirebbero mai, riguardo al loro signore Odino."

"Era questo, che tentavo di farti capire, prima!" esclamò a quel punto Kennard, fissando bieco il padre. "Ci sono un sacco di cose che non sapete, e la licantropia o meno di nostra figlia è solo la punta dell'iceberg!"

"Ma se sei stato zitto tutto il tempo!" sbottò per contro il padre.

Accigliandosi, Ken replicò in un mugugno: "Beh, avresti dovuto... capire dall'intensità del mio sguardo."

"Ho bisogno di un drink" dichiarò a quel punto Libbie, allontanandosi per raggiungere il frigorifero.

Evelin, però, non la seguì, restando accanto all'imponente berserkr con un'espressione molto simile all'adorazione.

Facendosi sospettosa, Lorainne domandò a Einar: "Stai emettendo feromoni releaser, per caso?"

"L'ansia... scusami" ridacchiò Einar, lanciando poi un'occhiata curiosa all'indirizzo di Evelin. 

"E' una Percepente come il fratello... si vede che li ha avvertiti" scrollò le spalle Lorainne prima di aggiungere: "Va un po' meglio, Evelin?"

Scuotendo il capo, la cognata lanciò un'altra occhiata ammirata all'indirizzo di Einar e infine domandò: "Cavolo... ma sei stato tu?"

"Sono poco abituato a stare in mezzo a persone che non appartengono alla mia famiglia, perciò vado un po' in agitazione, quando succede, e l'istinto di sopravvivenza prende il sopravvento. Devo ancora farci il callo" le spiegò spiacente lui.

"Quindi... inganni il loro olfatto?" esalò Dylan, completamente strabiliato.

"Non è solo l'olfatto, come ha potuto notare. In qualche modo, colpisce anche la sfera emotiva, e non li fa percepire come nemici. Li camuffa, in qualche modo" spiegò Lorainne, scrollando le spalle con aria impotente. 

Madison scelse quel momento per lanciare uno strillo acuto e allungare le braccia verso Einar e Kennard, sorridendo, concesse alla bimba di raggiungerlo, chiosando: "Adora guardare i tuoi tatuaggi."

"E io adoro lei" replicò l'enorme berserkr, prendendo in braccio con delicatezza la bambina per poi portarla in giro per il salotto, facendola saltellare con le possenti braccia.

Inspiegabilmente, Evelin si accodò a loro e Kennard, nell'osservare quella scena assurda, chiosò: "Ha davvero tanta importanza come crescerà, papà? E' già in un mondo pieno di magia. Una più, una meno, che differenza fa?"

Dylan osservò la nipote tastare allegra i disegni riportati sulla pelle dell’imponente berserkr, scrutò dubbioso lo strano comportamento della figlia e infine domandò: "Ma è davvero la verità? Ciò che ha detto?"

"Non posso che narrarle ciò che altri dissero a me. O potrebbe chiedere a Einar di raccontarle quello che vide lui. Il punto è un altro, però. Né Odino né Fenrir si presenteranno qui per darle la conferma della loro esistenza. Dovrà credere che esiste qualcosa che esula da quello che le hanno insegnato" si limitò a dire Lorainne, ora del tutto seria.

Annuendo silenzioso, Dylan si passò una mano sul viso contratto dalla difficoltà ma Libbie, raggiuntolo con un secondo bicchiere, bofonchiò: "E' il caso di berci sopra."
 
***

La pizza era ormai finita da tempo, ed Einar aveva avuto il tempo di andare a prendere il figlioletto a casa per poi tornare con lui e proseguire nel racconto che, con dovizia di particolari, aveva iniziato a narrare in casa Palmer.

Ora, il giovane Stephan e la piccola Madison erano spaparanzati su un enorme cuscino ed erano prossimi a crollare per il sonno, mentre Einar e il suo uditorio erano perfettamente svegli e pronti ad andare avanti per ore ad ascoltarlo.

Seduta a gambe incrociate dinanzi alla poltrona di Ken, Lorainne stava disegnando su un quadernone una sorta di albero genealogico piuttosto stilizzato delle varie parentele fin lì esposte dal loro ospite.

Di contro, Dylan e Libbie ascoltavano assorti e sconcertati la narrazione dell'enorme berserkr, mentre Evelin pareva più interessata a scrutare i tatuaggi di Einar, oltre che il suo profilo volitivo ed elegante.

Quando infine il berserkr giunse agli ultimi sviluppi dell'epopea del suo popolo, si fece torvo e ammise: "Commettemmo un errore di valutazione assai grossolano, e prendemmo per oro colato ciò che gli antenati ci avevano tramandato. Rischiammo così di scatenare il Ragnarök perché incapaci di discernere realtà da mito e, solo pagando con la vita di molti miei compagni, giungemmo infine alla verità."

Ciò detto, indicò il tatuaggio raffigurante Odino e Fenrir, aggiungendo: "In totale sprezzo del pericolo, e disposta a tutto per evitare una guerra tra i nostri due popoli, Lady Fenrir giunse fino al nostro villaggio per perorare la sua causa, ma la barriera anti-dèi, eretta per proteggere il ricettacolo del nostro dio Odino, le causò immenso dolore, spingendo lo spirito divino dentro di lei a palesarsi."

"E' dunque possibile tutto ciò? Sì... che gli dèi ritornino e..." tentennò Dylan, stringendo le mani a pugno sulle cosce.

"Non sono addentro allo studio della metafisica, né conosco i Misteri come mio cugino Thor, ma posso dirle questo, signor Palmer. Ciò che vidi quel giorno è ben impresso sia sul mio braccio che nella mia mente, e so di non essermelo sognato. Molte anime non hanno memoria del loro passato, ma ve ne sono alcune abbastanza potenti che possono sopravvivere al contrappasso e rinascere con piena consapevolezza di sé. Solo berserkir e licantropi, però, hanno coscienza di ciò."

Dylan si lasciò crollare contro lo schienale della poltrona dov'era assiso mentre Libbie, al suo quarto scotch, era già abbastanza imbambolata per non lasciarsi sconvolgere più da nulla.

Sospirando, Kennard poggiò una mano su un braccio del padre e mormorò: "Capisci quanto ci è stato nascosto? Quanto non sappiamo del mondo che ci circonda? La nostra è sempre stata una visione limitata della realtà."

Dylan fissò il figlio con espressione intelligibile e, senza dire nulla, si levò in piedi e uscì di casa dopo un breve cenno di scuse a Lorainne.

Kennard fu sul punto di seguirlo, ma Einar lo bloccò con un gesto della mano e, levatosi a sua volta in piedi, disse: "Certe cose non possono essere dette da un figlio. Sarebbe troppo difficile accettarle. Lascia che gli parli io."

Il giovane assentì grato al suo dire e, con la promessa di badare a Stephan, la famiglia Palmer lo osservò uscire di casa per poi discendere le scale che, poco prima, aveva imboccato Dylan per allontanarsi.

In cuor suo, Kennard sperò che l’amico trovasse le parole che lui, fino a quel momento, non era riuscito a trovare per gettare un ponte tra il suo mondo e quello del padre.





N.d.A.: Scopriamo finalmente cosa sia successo alla nostra coppia e a come, nel frattempo, la famiglia Palmer abbia cercato di venire a patti con quello che la moglie di Kennard, ha fatto scoprire loro. L'arrivo di Einar non fa che mettere altra carne al fuoco, ma presto scopriremo come Evelin abbia sfruttato il suo colloquio con Alec e come abbia seguito il consiglio di suo zio Cassian. Che dite... Kennard è ancora umano, o è diventato un lupo?


 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13-Epilogo ***


 
13.
 
 
 
 
Chinandosi per scrutare pensierosa i due bambini stesi su un gigantesco cuscino fiorato - ora profondamente addormentati - Evelin mormorò: "Non sembra somigliare molto a Einar. Somiglia più alla madre?"

"Non saprei dirti. Non l'ho conosciuta. Morì circa un anno dopo la nascita di Stephan, a causa di un banale incidente nei boschi che, però, si rivelò fatale. Erano troppo distanti da qualsiasi ospedale, e lei morì dissanguata prima che potessero salvarla" le spiegò Lorainne, sollevando delicatamente il bimbo di otto anni per depositarlo sul divano. 

Kennard si occupò di portare in camera la piccola Madison e Lorainne, nell'accomodarsi accanto a Stephan, gli carezzò il capo rossiccio, aggiungendo: "Einar fu infuriato col mondo per anni, non comprendendo perché gli dèi gli avessero chiesto un simile prezzo, per poter avere un figlio ma, con l'arrivo di Odino, si sentì come riscattato, quasi quella perdita fosse stata compensata dalla venuta del loro Protettore. Loki, però, ci mise nella condizione di andare molto vicini allo scontro totale e, a causa sua, molti berserkir e molti licantropi morirono. Da quel giorno, dal momento in cui Odino e Fenrir siglarono la tregua, desiderò per Stephan un futuro in un mondo più integrato alle altre forme di vita, e non solo stretto nell’abbraccio dei suoi compagni berserkir."

"La lontananza dalla civiltà aveva ucciso sua moglie, e la mancanza di contatti con qualsiasi altra forma di vita mistica, aveva fomentato in loro l'odio verso di voi" chiosò pensierosa Libbie, dando l'idea di non essere affatto ubriaca come si sarebbe potuto credere.

Lorainne assentì, chiosando: "Vivere isolati ha creato problemi a tutti, non soltanto a loro. Alcuni nostri branchi hanno vissuto per decenni, per non dire secoli, senza mescolarsi con gli umani, e hanno finito con il soccombere. La genetica non perdona nessuno."

"Quindi, zio Cassian ha ragione nel dire che ci stiamo estinguendo" borbottò Evelin.

"Nel vostro caso, sono le idee restrittive che stanno svaporando come neve al sole, a favore di un modo di vedere più ampio e variegato. Come successe per il movimento LGBT+, che divenne sempre più forte e inclusivo nel corso dei decenni, così siamo noi per voi. E' sempre più difficile, per voi, credere che siamo solo bestie senza cervello e pronte a uccidere chiunque, no?" le fece notare Lorainne.

Evelin la scrutò in silenzio per diversi attimi, reclinò lo sguardo a scrutare il piccolo Stephan e infine domandò: "Diventerà come il padre, una volta adulto?"

"Essendo un maschio, sì. Se fosse stata una donna, non avrebbe subito alcuna mutazione, perché il gene berserkr è solo XY. Anche per questo, Einar era così felice di aver avuto un figlio... è molto complicato, per loro, procreare e, spesso e volentieri, nascono solo femmine, che però non possono diventare guerriere, ma hanno l’unica possibilità di portare il loro patrimonio genetico alla successiva generazione."

"E' una lotteria a loro sfavore, insomma" chiosò Libbie, reclinandosi in avanti per poggiare gli avambracci sulle cosce. "Ti dobbiamo delle scuse, Lorainne."

"Come?" esalarono praticamente in coro sia la diretta interessata che Evelin, ma con toni diametralmente opposti.

Libbie sorrise beffarda alla figlia - riconoscendo in lei lo stesso carattere difficile e mordace del marito - e asserì: "Tolto il risvolto più ovvio della situazione, e cioè che nessuno di noi è stato divorato come promesso..."

Lorainne scrollò le spalle in risposta e la donna, imitandola, proseguì dicendo: "...posso ben vedere quanto mio figlio sia felice, con te, e quanto ami sua figlia."

Nel dirlo, sorrise a Kennard che, nel frattempo, era tornato in salotto.

"Lo scoglio più duro da superare, forse, non è stato neppure tanto quello di sapere che tu eri una licantropa quanto, piuttosto, ammettere che tutti noi eravamo cresciuti credendo in una bugia" asserì a quel punto la donna, reclinando stanca il capo di bruni capelli tagliati alla paggetto. "E' dura accettare di aver sbagliato, soprattutto quando questo errore avrebbe potuto comportare la morte di qualcuno."

Kennard si piegò accanto a lei per stringerla in un abbraccio, ma Evelin bofonchiò disgustata: "Io non vi abbraccio. Detesto le scene melense."

Lorainne si lasciò andare a un sorrisino e, ammiccando al suo indirizzo, celiò: "Sbaglierò ma, se ad abbracciarti fosse Einar, lo accoglieresti eccome, invece."

"Beh... de gustibus, cognata" scrollò impenitente le spalle Evelin.
 
***

Poggiato contro il muretto di cinta della Dundrum Library - che si trovava proprio al termine di Main Street, dove era locata la casa del figlio e della nuora - Dylan ascoltò assorto le parole di Einar, la sua storia, il suo personale dramma.

Poteva comprendere il suo smarrimento o, per lo meno, avrebbe reagito con la stessa veemente rabbia, se Libbie gli fosse stata strappata via a quel modo. Non faceva specie che, per il figlio, avesse desiderato di vivere in un mondo meno isolato dagli altri.

In altre condizioni, sua moglie Gerda avrebbe potuto salvarsi senza alcun problema, ma l'isolamento l'aveva condannata a morte.

Esattamente come stava accadendo a tutti loro. Non pretendeva di avere tutte le risposte, né di dire come vivere agli altri, ma iniziava a comprendere le parole del figlio e sì, anche quelle della nuora.

Lorainne era stata gentile ad accoglierli in casa senza alcun preavviso, a dare loro la possibilità di conoscere la nipotina ma, più di tutto, a permettere loro di mantenere le proprie ideologie nonostante tutto.

E a questo si erano attenuti, per quasi due anni.

Evelin, però, da brava zuccona quale sapeva essere - avendo preso tutto da lui -, in qualità di Archivista aveva scandagliato come un'ossessa nei recessi della documentazione in loro possesso. Aveva studiato, ricercato, era finita in vicoli ciechi e si era persa nei meandri di una storia più vecchia del mito stesso, e solo per comprendere una cosa; l'incomprensione e la cieca e sorda rabbia erano state - forse - l'unica causa di quella faida millenaria.

Come aveva detto Lorainne, esistevano i buoni e i cattivi in ambo gli schieramenti e, di sicuro, presto o tardi qualche Cacciatore avrebbe incrociato la strada di un licantropo, e viceversa. Ma tutto stava a compiere il primo passo nel modo giusto, per evitare un eccidio.

Ora che sapeva dei motivi che avevano distrutto il vertice della Legione presente a Glasgow, non faticava a comprendere anche molte altre cose.

Perché la rabbia era perdurata e perché, di contro, i Cacciatori stavano pian piano estinguendosi. Perfino, perché loro potevano anche accettare una licantropa in famiglia.

"Pensieri profondi?" domandò a un certo punto Einar.

"Il cambiamento è alla base della sopravvivenza. Se non si è resilienti, si deperisce fino a morire" chiosò Dylan con un mesto sorriso.

"Credo proprio di sì" assentì Einar. "Per secoli abbiamo creduto che il nostro dio fosse al di sopra di qualsiasi critica ma, alla fine, abbiamo scoperto che lui aveva ingannato Fenrir, e questo aveva portato al ferimento di Tyr e al conto alla rovescia che ci porterà al Ragnarök, un domani."

Dylan sorrise vagamente sconcertato e, passandosi le mani sul volto, esalò con voce roca: "Dio! Ti sto ascoltando mentre parli di dèi e gesta di eroi... e ti credo!"

"Non avrei motivi per dirti una bugia" disse con semplicità Einar. 

"No... non avresti davvero nessun motivo" ammise Dylan con un sospiro. "Quindi? Cosa dovrei fare?"

"Darti il tempo di decidere... anche se questo vorrà dire vedere il broncio sul viso di tuo figlio. E' una decisione che spetta solo a te e, se presa in modo coercitivo, non porterà a nulla di buono."

Dylan assentì alle parole di Einar, trovando stranamente tranquillizzante starsene in quel parchetto, la sera, in compagnia di un mastodontico berserkr.

Con quelle mani enormi avrebbe potuto ucciderlo senza che lui se ne accorgesse, eppure Dylan era convinto che quell'uomo non avrebbe torto un capello a nessuno,... se non per difendere il figlio, ovviamente.

Kennard stava facendo questo, per Madison. Si stava comportando da vero padre di famiglia, difendendo a spada tratta la figlioletta, senza per questo perdere di vista i suoi precetti. 

Era ancora un brav'uomo, il brav'uomo che lui aveva contribuito a crescere, ma ora il figlio aveva una visione d'insieme diversa e sapeva vedere oltre la verità che gli avevano insegnato fin da piccolo.

Inoltre, il suo essere un Percepente, come lo aveva chiamato Lorainne, gli consentiva di avvertire a pieni polmoni quel mondo che lui, solo a stento, comprendeva, o avrebbe mai compreso.

Passandosi le mani sul volto, Dylan perciò disse: "Dovrò davvero dormirci sopra."

"Credo sia la scelta migliore" dichiarò Einar, levandosi in piedi per poi osservare Dylan con aria interrogativa.

L'uomo allora rispose a quella domanda inespressa alzandosi a sua volta e, con calma, tornarono presso l'abitazione del figlio e della nuora, i pensieri costellati da mille domande e, forse, qualche risposta.

Quando rientrarono, però, ogni pensiero si azzerò e, confuso, Dylan osservò Evelin mentre, a cavalcioni di Lorainne, stava controllando qualcosa nella bocca della cognata.

La posizione in cui Lorainne stava tenendo la testa, molto probabilmente, le avrebbe causato un torcicollo terribile ma, almeno a giudicare dalla sua espressione, non sembrava avercela con Evelin.

Piuttosto, appariva divertita.

Di tutt'altra opinione era invece Kennard, che sembrava sul punto di uccidere la sorella, a causa di quel trattamento indecoroso nei confronti della moglie.

Libbie, per finire, se ne stava a qualche passo di distanza, meditabonda, in assorta contemplazione di quello spettacolo tutt'altro che normale.

Non accorgendosi minimamente del loro ritorno, Eve borbottò contrariata: "Maledizione, Lore, devi andare più piano! Non riesco a capire come fanno ad allungarsi!"

Lorainne, per tutta risposta, raddrizzò il capo fino a trovarsi a un centimetro dal naso di Evelin, sbuffò e disse: "Guarda che non c'è una capsula che li fa uscire, impiantata da qualche parte nella mia bocca. E' inutile che la cerchi. Si allungano perché si devono allungare. Punto."

"E' impossibile!" sbottò allora Eve, dandole un pizzicotto sulla fronte.

"Eve... ma cosa stai facendo?" esalò a quel punto Dylan, attirando così l'attenzione su di lui.

La figlia si volse a mezzo per scrutarlo e, senza scendere dalle gambe della cognata, disse: "Non pensare male. Io e la lupetta non stiamo facendo cose sconce in casa, ma era l'unico modo per curiosarle in bocca da una posizione privilegiata. Solo che Ken non la smette di brontolare."

"Lo credo. Stai usando sua moglie come un bambolotto" borbottò Dylan, avvicinandosi a loro.

"Il punto è che sua figlia non vuole credere che zanne e artigli, proprio come tutto il resto, non sono frutto di strani impianti, ma di pura, semplice magia" disse a quel punto Lorainne, sollevandosi a sorpresa e trattenendo con facilità Evelin alle spalle perché non cadesse.

La giovane sbuffò contrariata ma si lasciò poggiare a terra come se fosse stata un fuscello, dopodiché mise un broncio pazzesco e fissò in cagnesco la cognata.

Kennard, a quel punto, le diede un pugno in testa e ringhiò: "Devi piantarla di pensare che ti sia tutto dovuto solo perché vuoi fare la parte della vittima. Lore non ti deve niente!"

Evelin fu sul punto di protestare ma Dylan, nel poggiarle una mano sulla spalla, la trattenne per poi chiedere: "So che ti chiedo molto, Lorainne, ma potresti mostrare a mia figlia come puoi diventare un lupo? Forse, a quel punto, si riterrebbe soddisfatta e ti lascerebbe in pace."

"Se è per questo, potete vedere anche voi. Io non mi scandalizzo" replicò con naturalezza lei, guardando per un attimo anche Libbie, che parve piuttosto interessata alla cosa.

Dylan arrossì leggermente, di fronte a quella proposta, mormorando: "Ma... avevo capito che dovete, ecco..."

"Se non le turba guardare una donna senza abiti addosso, io non ho problemi. Sono cose a cui noi lupi non badiamo" replicò con candore Lorainne.

L'uomo, a quel punto, osservò il figlio, ma neppure Kennard parve disturbato all'idea che lui potesse vedere la moglie senza vestiti a proteggerne le carni, e questo gli disse molto sull'intera faccenda.

Einar, a quel punto, sorrise e disse per contro: "Penso che io prenderò Stephan e andrò a casa. Sono faccende private, e io so già cosa succede."

"Già" ironizzò Lorainne. "Steph sta dormendo nella cameretta di Madison. Mentre vai a prenderlo, io preparo il necessario per l'esibizione."

La famiglia Palmer la fissò con aria sorpresa e Kennard, sbuffando, borbottò al loro indirizzo: "Siete veramente pessimi. La state trattando come un giocattolo."

Dylan preferì non replicare, ben sapendo che in parte il figlio aveva pienamente ragione. Stavano approfittandosi del buon cuore di Lorainne, e lui lo sapeva perfettamente, ma ormai non poteva più tornare indietro.

Doveva sapere. Toccare, per quanto possibile, quel mondo a lui così alieno per comprendere davvero suo figlio e, a questo modo, sentirlo nuovamente una parte di sé.
O almeno, era ciò che sperava succedesse.

Mentre osservava Lorainne stendere sul pavimento in gres porcellanato un enorme telone plastificato, Dylan perciò si avvicinò al figlio e mormorò: "Non voglio darti l'impressione che ci stiamo prendendo gioco di lei. Desideriamo capire."

"Ma lo fate nel modo sbagliato" replicò scocciato Kennard, sorridendo per un attimo a Einar quando lo vide salutarli prima di uscire.

Evelin lo seguì per qualche istante con sguardo ammirato prima di tornare a osservare Lorainne e domandare: "E' impegnato, per caso?"

"Dio, Eve!" ansimò sconvolta Libbie.

"Ehi, mamma... mica abbiamo contenziosi con gli orsi, noi..." sottolineò per contro Evelin, scrollando le spalle.

Lorainne sorrise a quel commento, e replicò: "Che io sappia, Einar è single."

"Buono a sapersi" ammiccò maliziosa lei per poi tornare a guardare Lorainne, impegnata a togliersi maglione e scarpe, che sistemò in buon ordine subito dopo.

Dylan, a quel punto, reclinò pudico il capo ma Kennard, gelido, sibilò: "Guardala. Volevi sapere, no? Bene. Questa è la verità che non ci è mai stata detta."

L'uomo sollevò il viso proprio mentre Lorainne sistemava sul tavolo i suoi indumenti intimi e, pur trovando assurdo osservare la moglie di suo figlio senza abiti addosso, si rese conto che Kennard non sembrava affatto turbato dalla cosa.

Si limitava a scrutare la moglie con amore infinito, orgoglioso di quanto stesse facendo per quella famiglia che ancora non l'aveva accettata del tutto.

Dylan, quindi, tornò a osservarla cercando di cancellare il pudore istintivo che si provava di fronte a una donna che non fosse la propria moglie e, suo malgrado, fu colpito dal corpo scultoreo e ferino di Lorainne.

Pur se all'apparenza poteva sembrare solo una donna molto bella e atletica, a un occhio più attento si potevano notare le fasce muscolari potenti, la flessibilità corporea, la forza a stento controllata.

Quando si piegò su un ginocchio, poggiando i pugni a terra e reclinando in avanti il capo, trattenne il fiato, non sapendo bene cosa aspettarsi. Fu per questo che, quando udì il primo schiocco, sobbalzò.

Una dopo l'altra, le ossa di Lorainne si spezzarono dinanzi ai loro occhi sconvolti mentre un fluido dorato simile al miele iniziava velocemente a ricoprire ogni centimetro di pelle.

Kennard fu costretto a bloccare la sorella, già pronta a gettarsi su Lorainne per interrompere a qualsiasi costo quella che, per lei, appariva come una tortura.

Atono, il giovane quindi disse: "Non sente alcun dolore. E il liquido che vedete è come un lubrificante che impedisce al corpo di sovraccaricarsi di tossine, permettendo il cambiamento in maniera innocua. Solitamente, si impiega meno tempo, ma lei sta rallentando volutamente il mutamento per mostrarvi cosa succede."

Il pelo grigio ghiaccio e nero di Lorainne iniziò a fuoriuscire, coprendo quel corpo che velocemente stava divenendo quello di un lupo della grandezza di un pony. Quand'anche la coda fu fuoriuscita, il licantropo che ne nacque si sedette sulle zampe posteriori e infine osservò il suo variegato pubblico.

Incredulo, Dylan scrutò scioccato la figura animale dinanzi a lui, ne studiò la bellezza selvaggia, gli occhi di un intenso verde smeraldo – così diversi da quelli grigi della Lorainne-donna – e, confuso, esalò: "Ma... non abbiamo mai trovato tracce di..."

"Aspetta. Ora vedrai perché non vi sono mai state tracce di quel liquido" lo prevenne Kennard, indicandola la pozza ai piedi di Lorainne.

Dopo alcuni minuti, il corpo del licantropo riassorbì il liquido ammorbidente fino a farlo sparire e Kennard, con una scrollata di spalle, asserì: "In natura, non avremmo mai potuto trovare nulla di simile perché, semplicemente, il terreno lo riassorbe come se fosse acqua. In ambito umano, invece, o viene spazzato via dall'acqua, oppure riassorbito, anche se richiede un certo dispendio di energie, perciò i licantropi preferiscono usare olio di gomito e straccio, spesso e volentieri, se capita loro di mutare in ambiente domestico."

Leccandosi una zampa con fare tranquillo, Lorainne scrollò il muso per sistemare il pelo ancora un po' umido dopodiché, indirizzato uno sguardo di giada a Evelin, esibì un arsenale di zanne che fece rabbrividire la poliziotta.

Lasciando quindi ciondolare la lingua, la lupa lanciò un'occhiata a Kennard che, per tutta risposta, le sorrise e le fece un grattino dietro l'orecchio, che la portò a socchiudere gli occhi per il piacere.

"Ma... le fai i grattini come a un cane?" gracchiò Evelin, ancora in ansia di fronte a un simile spettacolo.

"Le prudeva" scrollò le spalle lui, come se niente fosse.

"E tu... come potevi saperlo?" domandò turbata Libbie.

"Percepente" si limitò a dire Kennard, tastandosi una tempia.

Eve rabbrividì visibilmente, a quella parola ma, più di tutto, a ciò che nascondevano le parole del fratello così, con coraggio, fissò la sua strana cognata prima di avvicinarsi a lei, allungare una mano e affondarla nella gorgiera corvina e argento.

Sorpresa, affondò ulteriormente la mano e, nello sbattere confusa le palpebre, esalò: "E' ruvida solo fuori. Dentro, il pelo è morbido come velluto."

"Ci sono due strati. Quello esterno difende dagli agenti atmosferici e quello interno è termico" mormorò Kennard, chinandosi leggermente per dare un bacetto sulla fronte di Lorainne.

Sorridendo, quindi, annuì alla moglie e, dopo aver lanciato un'occhiata intimidatoria alla famiglia, si diresse verso la zona notte, sparendo alla loro vista.

Evelin, a quel punto, si portò di fianco a Lorainne e cominciò a carezzarle la lunga schiena fino a raggiungere la coda dopodiché, per puro dispetto, le fece il contropelo, portandola a scrollarsi per diretta conseguenza.

La giovane poliziotta ridacchiò mentre Lorainne si sistemava il pelo con un’ultima scrollata e, divertita, esalò: "Ti comporti proprio come un cane."

"Eve, non essere sgarbata" la richiamò Dylan, lo sguardo ancora fisso sulla creatura che, per una vita, aveva considerato malvagia e portatrice di morte.

"Chiamala cane ancora una volta, e giuro che affilerò i miei denti su di te" sottolineò alle loro spalle Kennard, tenendo in braccio Madison che, nuovamente sveglia, sembrava eccitata e piena di vigore.

Evelin lo fissò malissimo ma, quando lo vide avvicinarsi a Lorainne con la figlia, impallidì visibilmente ed esclamò: "Cosa vuoi fare?!"

Kennard, però, non la degnò di uno sguardo e Madison, nel riconoscere la madre, allungò le braccia paffutelle verso di lei, tastandole il muso e dandole tanti baci.

"Madison la riconosce a prescindere. Lei sa chi è, indipendentemente dalla forma che Lore assume" mormorò Kennard mentre Lorainne, accucciandosi a terra, poggiava il capo sul pavimento per essere a completa disposizione della figlia.

Lasciatala andare, Madison gattonò fino a raggiungerla e, tra gridolini acuti e festanti, cominciò a giocare col pelo folto della madre, con le sue orecchie o tastandole le zanne con fare tranquillo.

Il tutto sotto gli sguardi interdetti della famiglia Palmer che, senza poter emettere fiato per lo sconcerto, osservarono figlia e madre mentre interagivano in quel modo unico.

"Tutti i lupi alfa del branco hanno fatto la stessa cosa, quando è stata riconosciuta come membro del clan" mormorò assorto Kennard, sul volto un sorriso pacifico e sognante. "Madison rideva come una pazza e passava da un lupo all'altro, giocherellando con le loro code. Le adora."

Dylan assentì silenzioso e, sotto gli occhi attenti del figlio, - già pronto a intervenire,  se necessario -, si accucciò accanto a una sorridente Madison dopodiché, carezzandole il capo, mormorò: "Vuoi salire in groppa alla mamma, Madison?"

La bimba lo osservò curiosa, sorrise nell'allungare fiduciosa le braccia e Dylan, per la prima volta, prese in braccio la nipote per poi poggiarla a cavalcioni sulle spalle di Lorainne, che lo osservò meditabonda con i profondi occhi di giada.

Dylan allora sorrise a entrambe e, sempre tenendo Madison, mimò una cavalcata con lei, che rise allegra e lanciò in aria le braccia, inconsapevole di cosa fosse appena riuscita a compiere intorno a sé.

Secoli di incomprensioni, odio, terrore e rancore erano stati spazzati via dal sorriso sdentato di una cucciola nata da due eterni nemici e, anche se ciò era successo solo entro le mura di quella casa, quell’evento rappresentava un faro per il futuro.
 
***

Sistemato che ebbe la colazione in tavola, Lorainne sorrise divertita quando, per l'ennesima volta, Dylan distolse lo sguardo da lei e, ammiccando, domandò: "Non mi dirà che sta ancora pensando a ciò che è successo ieri sera?"

"Temo che quella parte mi rimarrà impressa in mente ancora per un bel po'" ammise lui, cercando di affrontare i suoi occhi fumosi.

Accentuando il proprio sorriso, Lorainne allora disse: "Beh, lo riterrò un complimento. Significa che i segni del parto se ne sono andati."

"Come se tu avessi bisogno di avere rassicurazioni in merito al tuo aspetto" ironizzò a quel punto Kennard.

"Tesoro, il fatto che tu mi ami non vuol dire che tu sia anche obiettivo, quando ti chiedo pareri in merito" precisò Lorainne, servendo del tè caldo a Libbie. "Spero che lei non si sia offesa, per lo spogliarello."

"Lorainne, non sono così sciocca da pensare che mio marito abbia visto solo i miei, di seni, nel corso della sua vita" ironizzò a quel punto la donna, facendo scoppiare a ridere la nuora.

Dylan si passò una mano sul volto, imbarazzato, esalando: "Dio, cara! Ti prego!"

"Oh, santo cielo! Cosa vuoi che sia? Lorainne ha chiarito che a lei non interessava e, visto che ormai sappiamo che ai lupi certe cose non toccano neppure di striscio, perché mi devo offendere?"

"Avrei preferito che a spogliarsi fosse Einar" protestò debolmente Evelin, rincarando la dose.

Il padre la fissò costernato ed Eve, per tutta risposta, aggiunse: "Papà, è inutile che mi guardi così. Posso ben dire che è un gran pezzo d'uomo, no?"

"Oh, lo è" assentì Lorainne, guadagnandosi un'occhiata interessata da parte del marito. "Su, Ken... ammettilo. Einar è un bell'uomo, e ci sono molte lupe che sono interessate a lui."

"Uhm, questo non mi piace per niente" brontolò Evelin, ingollando in fretta il suo caffè per poi domandare: "Dove abita? Voglio andare a trovare Stephan."

Scoppiando a ridere, Lorainne le lasciò l'indirizzo dopodiché, nell'avvicinarsi a Madison, che stava pasticciando con il suo biberon, mormorò: "Hai sentito, Maddie? La zia Eve vuole correre dietro a un orso.”

"Prima che io vada a caccia di orsi, c'è una cosa che devo dirvi" dichiarò Evelin, picchiettando imbarazzata la punta di una scarpa contro il pavimento, parimenti a quanto avrebbe fatto una bambina di fronte a una marachella appena compiuta.

I presenti la guardarono curiosi e sorpresi al tempo stesso e lei, nel rivolgere uno sguardo a Lorainne, ammise: "Avevi ragione. Dodici generazioni orsono, un lupo tradì la vostra gente per passare dalla nostra parte e, da lì, ebbe origine il ramo della famiglia a cui apparteniamo noi... ed è grazie a lui, a quel traditore, che abbiamo il dono della Percezione."

"E tu lo sai perché..." mormorò lei, rosa dal dubbio.

Con un profondo sospiro, Eve scrutò la propria famiglia e asserì: "Se ricordate, zio Cassian mi ordinò di fare ordine nelle mie idee, seguendo il passato per comprendere il presente e tracciare il futuro per me stessa, e questo feci. Scandagliai ogni ramo, ogni più piccola foglia del nostro albero genealogico, finché non incappai in un nostro avo per parte maschile, che saltò fuori dal nulla, senza mai aver avuto alcuna connessione con nessun'altra famiglia di beadurinc. Visto che, secoli addietro, i matrimoni avvenivano quasi esclusivamente tra membri del clan, ho dedotto che vi fosse qualcosa di strano, e così ho chiesto aiuto."

Lorainne fece tanto d'occhi, di fronte a quella confessione e, nel prendere in braccio Madison, esalò: "Non mi dire che hai chiesto ad Alec?"

"Esatto" mormorò Evelin, sconvolgendo non poco i genitori. "Era l'unico che potesse confutare i miei dubbi, e così ho chiesto a lui di controllare. E' saltato fuori che siamo imparentati alla lunghissima con una lupa del suo branco che, tra le altre cose, è una veggente e pare che, tra i nostri e i suoi antenati, ve ne siano stati molti, perciò questo spiegherebbe perché ben due membri della stessa famiglia presentino lo stesso tratto genetico."

"Mi venisse un colpo! So esattamente di chi stai parlando, ma non me lo sarei mai aspettata" esalò sorpresa Lorainne, lanciando poi uno sguardo ai suoceri per sincerarsi della loro condizione.

Come prevedibile, sia Dylan che Libbie apparvero scioccati e senza parole, ma fu Kennard a sorprenderla.

Sorridendo divertito, dichiarò: "Beh, a quanto pare, io ho chiuso il cerchio. Un lupo passò al nemico, e ora un Cacciatore è passato dalla parte dei lupi."

Evelin scosse il capo, però, replicando: "Zio Cassian non la vede così. Per quanto le nostre trascrizioni siano manchevoli di molte parti del mito che vide nascere i Guerrieri di Fryc, resta chiaro un punto; Fryc mosse contro la sorella perché voleva uccidere i suoi figli. Furono l'odio e la paura, a muoverlo, non un reale pericolo documentato."

"E questo sapere ti viene da dove?" le ritorse contro il fratello.

Evelin sospirò contrita, ammettendo: "Dagli archivi di Londra. Ho millantato un problema al nostro server, con una perdita sostanziale dei documenti, così ho chiesto di poterne fare coppia di persona, quindi mi sono recata là e ho... copiato più del necessario."

Dylan e Libbie la fissarono pieni di sorpresa e quest'ultima, a occhi sgranati, esalò: "Ma Eve! Cosa ti è saltato in mente di dire una bugia al nostro Legatus?"

"Loro sanno, mamma, ma nonostante questo ci hanno propinato la balla che il problema nasceva solo e unicamente dai licantropi" replicò aspramente Evelin. "Hanno portato avanti secoli, anzi millenni di caccia indiscriminata per il solo gusto di fomentare ancora e ancora l'odio, quando avrebbero potuto semplicemente cogliere il senso della questione e chiuderla quando era il tempo."

"Il senso della questione?"

"Il semplice fatto che, quando attacchi due genitori per uccidere i loro figli, è ben difficile che i genitori in questione non vogliano farti il culo a strisce" sospirò Evelin, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. "Se poi ci aggiungi che i genitori in questione avevano potere a bizzeffe, e dei figli altrettanto potenti, cosa può saltarci fuori se non una guerra spaventosa?"

"Chi altri sa quello che hai fatto?" domandò turbato Dylan.

"Solo lo zio. Ho preferito non mettere nei guai nessun altro" asserì Eve, scrollando le spalle per poi guardare Lorainne e ammettere: "Non so se il mito sia vero oppure no, ma sta di fatto che tu e io possediamo una magia in comune, e non è cosa di tutti i giorni. Ti devo delle scuse, per essermi comportata in modo odioso."

"Sei stata educata a credere che fossimo tutti malvagi" si limitò a dire Lorainne con semplicità.

"Beh... prima di dire altro che potrebbe imbarazzarmi ancor di più, penso che andrò a chiedere a Einar se vuole pranzare con me" borbottò lei, fuggendo a gambe levate dalla casa del fratello e lasciando dietro di sé un silenzio carico di sorpresa e sconcerto.

Dylan tornò a sedersi al tavolo della cucina in assoluto silenzio mentre Libbie, quasi fosse stata deprivata della parola, boccheggiò come un pesce fuor d'acqua prima di imitare il marito e piegarsi su di lui per abbracciarlo.

Kennard osservò l'intera scena senza sapere bene cosa dire e Lorainne, nello sbattere le palpebre perplessa, esalò: "E' esplosa una bomba, o sbaglio?"

"Qualcosa del genere" ammise Ken, lanciando un'occhiata all'orologio prima di sospira e ammettere: "Devo scappare, Lore. Ce la fai a evitare che si suicidino?"

"Direi di sì" assentì la donna, allungandosi per un bacio, che lui diede a entrambe le sue donne prima di andarsene a sua volta.

Sola coi suoceri, a Lorainne non restò altro che raggiungerli e, dopo aver sorriso a Dylan, gli pose tra le braccia la nipotina e mormorò: "Pensi solo a lei. Il resto, passerà presto."
 
***

Cornovaglia – luglio 2025
 
Con un sospiro, Alec terminò il suo racconto e, nell'osservare l'aria sconvolta di Brianna, scrollò le spalle e domandò: "Beh? Niente da dire, streghetta? Secondo te, potevo agire diversamente?"

Dando una pacca sulla spalla all'amico, mentre il fuoco sfrigolava allegro nel mezzo del campo di tende che avevano eretto, la sera precedente, nei pressi delle Land's End in Cornovaglia, Brianna esalò: "Alec, neanche sapevo che fossi dotato del dono della diplomazia!"

Sbuffando contrariato, lui si accigliò e borbottò: "Non esagerare."

Lei ghignò in risposta, replicando: "Hai fatto tutto benissimo, non temere."

"Ho pensato che interpellarti all'epoca, quando avevamo appena terminato la nostra missione e tu e Duncan eravate impegnati a ricostruire il branco dopo i casini del Consiglio e l'attacco dei berserkir, fosse troppo, così ho pensato di risolvere la cosa da solo" scrollò le spalle Alec.

Brianna assentì, lanciando uno sguardo in direzione dei loro ospiti irlandesi, che avevano innalzato una serie di tende a poca distanza dal clan gallese, con cui avevano stretti rapporti anche grazie alle comuni amicizie con i fomoriani.

Accanto a Kirill, Fenrir di Belfast e vecchio amico di Alec, stava la sua futura Freki e Brianna, nell'annuire, disse: "Grazie a te, Madison ha potuto nascere e crescere, e sarà una valida alleata sia dell'attuale Fenrir che del prossimo, di cui sarà il sicario. Non mi pare poco."

Scrutando a sua volta l'alta tredicenne dai corti capelli castano dorati, Alec assentì, mormorando: "Mai avrei pensato di dover ringraziare un Cacciatore, ma ora posso dirlo tranquillamente. Kennard ha salvato Lory in molti modi, e non solo perché le ha regalato una splendida figlia."

Brianna assentì pensierosa, chiedendogli subito dopo: "Quanto a Evelin, com'è poi andata a finire la sua caccia agli orsi?"

Scoppiando in una risatina, Alec asserì: "Beh, se pensi che sono già al terzo figlio..."

"Come?" esalò stupefatta Brianna.

"Non scherzo. Quella ragazza è di una testardaggine unica e ha praticamente sbaragliato la concorrenza. Per stare più vicina a Einar, si è trasferita a Belfast - tanto, è pur sempre polizia della Regina, la sua, no? - e gli ha fatto una corte serrata. Einar, per parte sua, è sembrato essere molto felice di come lei apprezzasse e trattasse Stephan e, a onor del vero, Eve non è una brutta ragazza, quindi..."

"Da cosa nasce cosa..." annuì Brianna con un risolino prima di bloccarsi a metà del riso per fissare confusa due giovani in cerca di aiuto.

Nathan giunse quasi di corsa assieme Gareth, entrambi sporchi di fango e con l'aria assai corrucciata così i genitori, dubbiosi, chiesero spiegazioni in merito alla loro strana condizione.

"E' stata Hannah!" sbottarono in coro i due bambini.

Brianna fece tanto d'occhi, a quella notizia, prima di accigliarsi leggermente, ispezionare la mente della figlia e, dopo un attimo, sospirare esasperata.

"Ho capito cos'è successo. Nat, torna da Hannah e prega Frigga di non accontentarla sempre, se vuole farvi i dispetti. E' già abbastanza viziata di suo... non peggioriamo le cose mettendoci in mezzo anche le divinità" mormorò esasperata la donna.

"Non è giusto. Lei bara" brontolò il figlio maggiore, pur accettando le parole della madre.

Gareth, allora, la salutò rispettoso con un inchino e un lady Fenrir’ mormorato docilmente, dopodiché seguì a ruota l'amico per tornare nel punto in cui alcuni adulti stavano facendo giocare i bambini.

Alec, a quel punto, indirizzò un'occhiata curiosa all'amica e domandò: "Ma come? Frigga interviene già nella vita di tua figlia?"

"Dice di averla molto a cuore e che le piace viziarla, ma il punto è un altro. Se i favori te li fa una dea che ha dalla sua la magia dell'illusione, può succedere di tutto" dichiarò Brianna, scuotendo il capo per lo sconforto.

Alec, allora, rise divertito, le diede una pacca sulla spalla e chiosò: "Sei messa bene anche tu, streghetta!"

"Già" borbottò lei. "Lory e Ken, comunque, sono ancora a Belfast?"

"Si trovano bene lì, e trovandosi in loco anche la famiglia di Ken, non penso torneranno più. A quanto pare, i Palmer hanno digerito abbastanza bene l'idea di avere dei licantropi come parenti, anche se non hanno mai chiesto di fatto di far parte del branco" dichiarò Alec.

"Beh, non è obbligatorio" ammise Brianna. "Dopotutto, quindi, ora Lory ha una famiglia numerosa come ha sempre desiderato."

"Sì. Esattamente come noi" mormorò Alec, scrutando la sua novella Triade impegnata a chiacchierare con quella di Londra.

Kyle teneva un braccio attorno alla vita di Penny mentre Blair, affiancata dalla sua fida Freki - e compagna - discorreva con Winnie, la futura Fenrir del branco di Londra.

Il futuro camminava loro a fianco e Alec, non avendone più paura, riuscì a sorridere e dire: "Chi l'avrebbe mai detto, quando ci incontrammo la prima volta?"
"Penso nessuno, altrimenti, credo che una delle nostre veggenti avrebbe avuto qualche genere di visione, ti pare?" ammiccò Brianna.

Lui assentì silenzioso, si levò in piedi e, dopo essersi piegato un istante per deporle un bacio sul capo, si allontanò per raggiungere Erin.

Brianna lo osservò per alcuni istanti prima di sorridere a Duncan che, con due birre alla mano, si accomodò al suo fianco per domandarle: "Tutto bene, con Alec?"

"Sì. Ho finalmente scoperto la sconvolgente storia di Madison, così potrò raccontartela a mia volta. Alec ha dimostrato davvero di essere maturato, occupandosi di una faccenda complicata come quella della sua famiglia" dichiarò Brianna, sorseggiando la sua birra.

"Quel lupastro mi sorprende di più ogni giorno che passa, ma sono felice di averlo potuto annoverare tra i nostri amici" chiosò lui prima di sorridere e aggiungere: "Nat si è lamentato anche con te, per via di Hannah?"

"Già. Dovrò scambiare quattro chiacchiere con Frigga, più tardi ma, per ora, voglio godermi questa birra con te, osservando la nostra meravigliosa, gigantesca famiglia" replicò lei, poggiandosi contro la sua spalla e lasciando che lo sguardo spaziasse tutt'attorno.

Erano passati quasi sedici anni da quando lei aveva conosciuto Duncan, se n'era innamorata e, con lui, aveva iniziato un nuovo percorso di vita. Molte cose erano cambiate, aveva dovuto affrontare terribili lutti e accogliere nuove vite, ma il loro amore non era mai venuto meno.

Speriamo sia per sempre.

"Lo spero davvero. Ma ciò che avete fatto tu e Odino ha cambiato molte cose, e tutte in positivo, perciò non fatico a sperare", replicò Brianna a Fenrir.

Ci siamo impegnati, sì.

Lei assentì con un sorriso, chiuse gli occhi e lasciò che suoni, profumi e sentimenti la inondassero, perché non vi fosse più alcun vuoto, dentro di sé.

La morte dei genitori l'aveva spezzata ma, poco alla volta, aveva rimesso insieme ogni pezzetto di sé, lo aveva sistemato in modo diverso per creare una nuova Brianna e ora, in quel luogo lontano da dove era cresciuta, in mezzo alla sua nuova famiglia, seppe di essere di nuovo un tutt'uno con se stessa.







N.d.A.: qui termina il breve racconto di Lorainne e Kennard, dove ho voluto comunque inserire anche Brianna, Alec e Duncan, che sono sempre nel cuore di tutti e so ormai che fa piacere rivederli, anche se solo per un cameo.
Per chi se lo chiedesse, ai tempi della visita dei genitori, Kennard era già un lupo, e lo si poteva evincere da due piccoli particolari. Uno, quando gli viene chiesto dai familiari come potesse aver capito cosa voleva la moglie, e lui risponde con un laconico "Percepente". Sappiamo bene, però, per bocca di Alec, che i Percepenti non possono leggere nella mente, ma solo percepire sensazioni ed emozioni. 
L'altro, quando Lorainne è mutata in lupa e Kennard scambia uno sguardo con lei, poi va a prendere la figlia in camera sua senza che tra i due si scambino parola. Semplicemente, ha letto la mente della compagna.
In ogni caso, spero che questo breve viaggio nel mondo dei Cacciatori sia servito a sedare eventuali dubbi o curiosità sulla loro organizzazione.
Con il prossimo racconto, intitolato "La Spada Fiammeggiante", torneranno i nostri eroi storici - Brianna, Duncan e la Triade tutta - oltre a nuovi amici provenienti da uno dei Nove Regni che ancora non abbiamo toccato. La nuova avventura sarà perciò interplanetaria, e spero possa incuriosirvi abbastanza da portarvi a leggerla.
Alla prossima, e Buona Pasqua!

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