We are (not) Alone

di Una_Ragazza_Qualunque
(/viewuser.php?uid=166739)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cranefish Town (Suki’s POV) ***
Capitolo 2: *** Southern Water Tribe (Sokka’s POV) ***



Capitolo 1
*** Cranefish Town (Suki’s POV) ***


NdA: Attenzione, in questa fan fiction ci sono riferimenti a eventi e personaggi presenti nei fumetti. Usciti in Italia e no. (“La Promessa”, “La Ricerca”, “La Frattura”, “Fumo e Ombra”, “North and South”, “Imbalance”, “Toph Beifong’s Metalbending Academy”; “Suki, Alone”; “Shells”)
Il primo capitolo prende luogo dopo gli avvenimenti di “Imbalance”.

 

 

 

 

 

 

We are (not) Alone

 

Capitolo 1: Cranefish Town (Suki’s POV)

 

 

 

I suoi occhi vagarono da una fila all’altra, concentrata. Muovendosi con le braccia dietro la schiena, lentamente, Suki si assicurava che ogni componente della riga avesse assunto la posizione corretta. Indossava un sorriso compiaciuto, sotto il sole della città, soddisfatta nel vedere i progressi della sicurezza prendere vita man mano che trascorrevano i giorni.

Erano passati due mesi da quando aveva iniziato ad allenare la nuova forza di polizia non-dominatori ed era contenta di vedere quanto imparassero in fretta, sempre desiderosi di conoscere nuove tecniche.

Alcune delle sue sorelle l’avevano raggiunta a Cranefish Town, come promesso; mentre altre erano rimaste al palazzo, e con il raggiungimento di tutti quei progressi era chiaro che fosse solo questione di tempo prima che ripartissero. Le Guerriere Kyoshi e, di conseguenza, anche lei. Quel pensiero le lasciò l’amaro in bocca.

Era divertente insegnare, ed era passato tanto tempo dall’ultima volta. Le piaceva farlo a casa, sull’Isola Kyoshi, e le piaceva farlo lì. Suki lo trovava soddisfacente e appagante. Per non parlare dell’espressione di gioia che prendeva forma nei visi dei suoi studenti, non appena la consapevolezza di aver eseguito una mossa in modo coretto li raggiungeva. Il rispetto con cui la guardavano e le amicizie che aveva stretto con loro, e doveva ammettere che erano davvero bravi. Inoltre, la città era ancora in subbuglio e non mancavano le occasioni per lei di entrare in azione e per i suoi studenti di mettere subito in pratica ciò che avevano imparato.

Non che fare da guardia del corpo al Signore del Fuoco non fosse altrettanto soddisfacente. Senza distinzioni, cercava sempre di dare il meglio in ogni compito che le veniva assegnato. Era consapevole che il suo ruolo al palazzo era altrettanto importante ma, a volte, si chiedeva se lo stesse facendo di nuovo. Come era accaduto durante la guerra, sull’Isola Kyoshi; prima di incontrare Aang e gli altri, le sembrava di essersi rinchiusa in una bolla. Lo stare ferma sempre nello stesso luogo di nuovo, sembrava sbagliato.

La guerra era finita, ma c’erano ancora molte problematiche da risolvere. Lei non si intendeva di politica e lasciava volentieri quel compito a chi di competenza ma, guardando Cranefish Town, non poteva fare a meno di chiedersi se altre città fossero in quella stessa situazione. Quante altre città avessero bisogno di aiuto.

Ci teneva a Zuko, e questo aveva contribuito a rendere meno pesante il suo incarico nel proteggerlo ma, per fortuna, non sempre al palazzo era richiesto il suo intervento e spesso si era ritrovata ad ascoltare discorsi di uomini importanti fatti ad altri uomini importanti. Non esattamente eccitante come l’azione su strada.

In più, essere amica del Signore del Fuoco aveva anche i suoi svantaggi. Come l’insistenza di Zuko nel non avere bisogno di tutta quella protezione, o almeno non sempre, e il suo chiederle di prendersi dei giorni di riposo anche se non richiesto. Quando accadeva, Suki non riusciva a frenarsi dall’innervosirsi. Non che non apprezzasse la preoccupazione dell’amico nei suoi confronti ma, esattamente come aveva detto a Sokka anni fa, era perfettamente in grado di cavarsela da sola e di capire quando il suo corpo avesse bisogno di riposo.

Non avrebbe mai accettato di prendersi una pausa, se non estremamente necessario. Forse, era quello il prezzo da pagare per essere dovuta diventare leader delle Guerriere Kyoshi quando era ancora solo un’adolescente. Per essere quello tutto ciò che conosceva fin da quando aveva otto anni. Il cercare sempre una nuova forma di adrenalina, il non sopportare che il proprio corpo stesse fermo troppo a lungo, il cercare la frenesia dello scontro.

Si chiese se prima o poi, con il trascorrere del tempo, quella ricerca sarebbe scemata fino a sparire. Lei sperava di sì. Si sentiva sporca ogni volta che riconosceva quella sensazione nascere nei meandri della sua mente. Avrebbe dovuto essere contenta che da un po’ di tempo nessuno avesse provato a fare irruzione al palazzo, eppure il suo corpo sembrava non capirlo.

O forse, era solo il suo modo di tenere la mente occupata. Le piaceva ancora divertirsi, quando non era in servizio ma, la notte, si sentiva come in costante attesa. Come se stesse aspettando che arrivasse qualcosa a destabilizzare la pace per la quale avevano tanto combattuto. Per questo non si era sentita di giudicare Zuko durante il suo crollo nei primi mesi da Signore del Fuoco, con il suo timore che ci fosse un assassino dietro a ogni angolo, ma gli era rimasta vicina come meglio le era stato possibile.

Non aveva mai trovato il coraggio di chiedere alle altre guerriere se anche loro si sentissero in quel modo. Se avesse scoperto che solo lei si sentiva così, se loro non avessero compreso? Forse c’era qualcosa che non andava in lei.

Le uniche ragioni per la quale si allontanava dal palazzo erano quella di tornare a casa di tanto in tanto, giusto il tempo di assicurarsi che il reclutamento e l’insegnamento delle nuove Guerriere Kyoshi stesse procedendo bene, e i suoi incontri con Sokka. Quella era l’altra motivazione per la quale si innervosiva quando Zuko le chiedeva di andare, perché una parte di lei era sempre tentata di dargliela vinta e correre ovunque il suo fidanzato si trovasse in quel momento. Ma non era giusto, e così lei non lo faceva mai.

Con rammarico, Suki si rese conto che la presenza di Sokka a Cranefish Town influenzava parecchio sul suo essere così restia a ripartire. Lui sarebbe rimasto ancora lì, mentre lei no.

Si diede della stupida. A cosa stava pensando?

Prima di iniziare la sua relazione con Sokka, si era sempre ripromessa che nessun ipotetico fidanzato si sarebbe mai messa tra lei e il suo dovere, con o senza guerra. Era stato così e lo era ancora. Prima di lui, però, non si era mai sentita così nei confronti di qualcuno.

Sokka la rispettava e aveva stima del suo lavoro, e lei ne era eternamente grata, ma questo non significava che rendesse le cose più facili.

Il loro prendere strade diverse non era certo una novità. Sapeva che il giorno della sua partenza sarebbe arrivato, prima o poi, perché era così che funzionava tra loro. Era stato così fin dal giorno in cui avevano deciso di portare avanti la loro relazione, nonostante la distanza a dividerli. Non avevano dovuto pensarci molto, in realtà, era stata una scelta del tutto naturale ma era stato comunque bello sentirselo dire, grati che condividessero lo stesso desiderio. Non avrebbero mai potuto mettere da parte ciò che avevano vissuto e condiviso durante la guerra ma, soprattutto, non sarebbero mai stati capaci di ignorare ciò che provavano l’uno per l’altra. Lo sapevano entrambi.

Aveva sempre saputo che quello che li legava era un sentimento profondo, che quello che provava per lui non era qualcosa di passeggero o leggero. Non una semplice cotta, ma qualcosa di duraturo nel tempo. Suki non aveva alcun dubbio che fosse amore. Lo aveva capito anni fa.

Se lo dicevano ogni volta ne avevano occasione, attraverso i gesti. Nel modo in cui si guardavano, nel non vergognarsi a mostrare la loro vulnerabilità l’uno all’altro e guadagnare forza quando si coprivano le spalle a vicenda, nel calore del tono che lui riservava solo a lei e nel sorriso che lei riservava solo a lui, attraverso i baci e le carezze, durante i loro momenti di passione.

Nonostante le difficoltà, nessuno dei due aveva mai chiesto all’altro di restare o di andare, ben consapevoli dei loro ruoli e del loro dovere, in quei quattro anni fatti di incontri a metà strada.

Anche lei era molto orgogliosa di ciò che lui stava facendo, dei suoi viaggi per dare una mano ad Aang a ricostruire un mondo uscito dalla guerra e delle riunioni che tenevano in città. Aveva avuto occasione di ascoltare qualche suo discorso, di tanto in tanto, in camera sua alla locanda in cui alloggiavano. Quando era così preso dal suo rimuginare da non accorgersi di starlo leggendo ad alta voce, intento ad apportare qualche modifica, o quando lo recitava deliberatamente di fronte a lei per vedere se funzionava. Si sentiva molto onorata, in quei momenti.

Aveva sempre pensato che Sokka fosse un ragazzo intelligente e ingegnoso. Aveva già dimostrato di essere un abile guerriero e stratega, rivelandosi una persona dalle mille sfaccettature. Suki era costantemente curiosa di scoprirne di nuove, e di vedere in quale altro modo lui volesse mettere la sua mente al servizio degli altri.

Scioccamente, durante i primi mesi della loro relazione, aveva pensato che si sarebbe potuta persino abituare a tutte le volte che avrebbero dovuto separarsi ma, invece, ogni volta era sempre più dolorosa dell’ultima. Non riuscivano nemmeno a dirselo, ‘addio’. Era solo una parola, dirla o meno non avrebbe cambiato il fatto che da lì a poco si sarebbero dovuti dividere, eppure non pronunciarla sembrava persino confortante.

Era consapevole che questa volta sarebbe stata devastante. Non erano mai stati così a lungo insieme, prima di doversi salutare di nuovo. Non che sarebbe cambiato poi molto. Anche solo poterlo vedere per pochi istanti le bastava per tornare di buon umore e farle tremare le ginocchia appena lui andava via ma, dopo essersi abituata a trovarlo accanto a lei la mattina e la sera quando andava a dormire per due mesi interi, sarebbe stata dura tornare alla normalità. Con quei loro piccoli e fugaci appuntamenti, quando entrambi avevano qualche minuto libero. A volte, si trattavano di attimi così brevi che non era certa di poterli chiamare tali; eppure, a lei non importava. Adorava ognuno di quei momenti.

Ripensò al giorno in cui si erano incontrati per strada, lei con le sue sorelle; al termine di una lezione, e lui accompagnato da Aang di ritorno da una riunione del consiglio d’affari. Lei gli aveva semplicemente sorriso mentre aveva continuato a camminare, consapevole che nessuno dei due poteva fermarsi ma non appena lo aveva superato, si era sentita picchiettare su una spalla. Si era girata e aveva trovato una peonia bianca a un soffio dal suo viso. D’istinto l’aveva presa, prima di alzare lo sguardo verso Sokka che le aveva mostrato un sorriso compiaciuto davanti alla sua espressione sorpresa. Si era avvicinato a posarle un bacio sulla guancia e poi, come se nulla fosse, aveva raggiunto Aang poco più avanti ed era sparito tra la folla.

Suki sorrise al ricordo. Non aveva mai pensato di essere una ragazza da fiori ma, forse, tutto stava nel chi fosse a regalarli.

Sokka non le dava mai l’opportunità di dimenticare quanto romantico lui fosse, e lei non perdeva mai l’occasione di dimostrargli quanto apprezzasse ogni suo gesto. Piccolo o grande che fosse.

Si portò una mano sul viso e si strofinò piano gli occhi, sospirando.

“Ancora una volta!” Intimò ad alta voce in modo da farsi sentire anche dal fondo della fila, allontanandosi di qualche passo per avere una chiara visione di ciò che aveva davanti.

Prese un respiro profondo mentre osservava gli ufficiali ripetere il movimento, finché sentì una voce familiare chiamarla da lontano.

“Ty Lee.” Suki la salutò, girandosi verso di lei, notando come il suo luminoso sorriso aveva iniziato a vacillare non appena i loro occhi si incontrarono. Si accigliò. “Cosa è successo?”

Lei scosse la testa, alzando le mani per cercare di rassicurarla, una volta raggiunta. “Non è successo nulla, volevo solo chiederti se andasse tutto bene.”

Suki inarcò un sopracciglio. “Cosa?”

Lei e Ty Lee passavano molto tempo insieme ormai, non solo perché erano le primarie guardie del corpo di Zuko ma anche durante il loro tempo libero, eppure rimaneva ancora un mistero il più delle volte. Nonostante le loro differenze, le piaceva la sua compagnia e la sua allegria la metteva di buon umore. Persino con quelle strane domande all’improvviso, era difficile annoiarsi con lei.

“La tua aura è un po’ blu.” Disse, facendo una smorfia.

“Mi piace il blu.” Suki mormorò, ancora confusa.

“Ma questo significa che stai rimuginando su qualcosa, tipo un sacco.”

E poi c’erano quei momenti, in cui sembrava impossibile poterle nascondere qualcosa.

Suki sbatté le palpebre. “Oh.”

Vide Ty Lee avvicinarsi, portandosi una mano all’angolo della bocca come a volerle confidare un segreto. “Sei sicura di stare bene?”

“Sì, sono sicura,” sussurrò a sua volta, chinandosi verso di lei per assecondarla “ma grazie.”

Ty Lee si allontanò di qualche passo ma dall’espressione che aveva assunto, Suki si rese conto di non essere riuscita a convincerla.

Si morse la lingua e fece vagare lo sguardo sulla figura dell’amica. Indossava l’uniforme da Guerriere Kyoshi. Suki aveva notato che spesso aveva la tendenza di tirarla dal tessuto del colletto come se soffocasse, o di strofinarsi le braccia come se le procurasse prurito, e si chiese se le desse ancora fastidio l’idea di vestire tutte allo stesso modo; a eccezione del copricapo a indicare il grado.

“Che mi dici di te?” Domandò, incrociando di nuovo il suo sguardo. “Come ti senti al pensiero di tornare a casa?”

“Alla grande!” Ty Lee esclamò battendo le mani, mentre un sorriso tornava sulle sue labbra. “Non vedo l’ora. La mia curiosità è stata del tutto appagata e mi manca tanto Mai.”

Suki ricambiò il sorriso, soddisfatta della risposta. Avrebbe dovuto immaginarlo. Se c’era una cosa che aveva imparato sull’ex acrobata era che teneva molto alle sue amicizie. Non era dunque una sorpresa che fosse emozionata all’idea di tornare al palazzo, dove vi era tutta la sua vita e una delle sue più care amiche.

Ricordava ancora la prima volta che l’aveva portata al dojo, per allenarla insieme alle nuove Guerriere Kyoshi e per imparare da lei come bloccare il chi. Si era fermata nel bel mezzo della lezione e le aveva chiesto se fossero amiche. Suki era rimasta sorpresa ma considerato tutto ciò che aveva passato, non la biasimava nel desiderare una conferma. Allora lei le aveva sorriso e le aveva detto che erano molto più di quello, erano sorelle. Ty Lee aveva distolto lo sguardo mentre un piccolo sorriso aveva preso forma sul suo viso. Diverso dai suoi soliti, ma sincero.

Suki alzò la testa socchiudendo gli occhi, quando i raggi del sole la colpirono. Era alto in cielo, senza alcuna nuvola a coprirlo. Probabilmente, doveva essere quasi ora di pranzo.

“Va bene,” Richiamò all’attenzione i suoi studenti, con lo stesso vigore di prima “facciamo una pausa.”

Un brusio si sollevò non appena lo disse e mentre loro erano intenti ad asciugarsi il sudore e a scherzare gli uni con gli altri, lei si girò di nuovo verso la sua amica. “Quando partiamo?”

Ty Lee fece spallucce. “Sei tu la leader.”

Annuì. Avrebbe chiesto alle altre ragazze cosa ne pensavano, o se avessero delle questioni in sospeso prima di tornare al palazzo. Anche se era la leader, le piaceva il confronto con le sue sorelle ed era sempre pronta a sentire cosa avessero da dire. Aveva sempre dato loro la libertà di scelta, anche quando in disaccordo, come era accaduto quando aveva annunciato di voler lasciare l’isola e alcune di loro avevano deciso di non seguirla.

Suki le sorrise. “Dovresti andare a riposare anche tu.”

“Non vieni a mangiare con noi?”

“Oh, no, scusami. Io,” ridacchiò, indicando con fare distratto alle sue spalle “io devo andare.”

Ty Lee le mostrò un sorrisetto sornione, prima di canticchiare. “Certo.”

Suki corrugò la fronte, ma non indagò. Era stanca e non vedeva l’ora di raggiungere un posto all’ombra. La sua mente era già altrove, persa a fantasticare sull’attimo in cui sarebbe salita in camera.

Salutò gli altri e si incamminò verso la strada principale, non riuscendo a frenare il sorriso che nacque sulle sue labbra.

Ty Lee la chiamò di nuovo, ridestandola dai suoi pensieri. Quando si girò, la trovò con un braccio alzato sventolandolo a destra e a sinistra per attirare l’attenzione su di sé.

“Saluta Sokka da parte mia.” Urlò, tanto da far girare alcuni degli ufficiali verso di loro.

Suki arrossì, lanciandole un’occhiataccia che sembrò non avere alcun effetto sull’amica. Scosse la testa e decise di ignorarla, accelerando il passo, mentre sentiva una risata risuonare alle sue spalle.

 

 

o o o

 

 

Lasciò che lo sguardo si soffermasse sulla porta della locanda, non appena si fermò davanti l’ingresso. Si trovava in una delle strade più colpite dalla rivolta, ancora in ricostruzione dopo gli attacchi dei seguaci di Liling.

C’era ancora tensione tra i dominatori stessi e i non-dominatori, e anche se in passato i cittadini di Cranefish Town avevano rifiutato il loro aiuto, era sembrata una buona idea aiutare almeno un po’ l’economia del luogo. Inoltre, era più facile tenere la situazione sotto controllo in quel modo, rispetto all’alloggiare in un quartiere d’alto bordo. Niente più lussi non necessari, con grande dispiacere da parte del suo fidanzato, ma ne valeva la pena.

Toph aveva deciso di continuare a passare le notti negli alloggi di suo padre, anche se trascorreva le giornate alla locanda con loro. Non era mai stata il tipo di persona che faceva caso a quel genere di cose; la aveva vista dormire persino a terra in passato, e Suki sospettava che lo facesse solo per fare un dispetto a Sokka e vantarsene la mattina successiva. Doveva ammetterlo, era un po’ divertente.

Si guardò intorno. La strada era affollata; piena di operari impegnati nelle riparazioni di alloggi e edifici nelle vicinanze, mentre i mercati avevano riaperto le loro attività e nella via riecheggiava il chiacchiericcio dei passanti. Sembrava tutto tranquillo, ed era bello vedere che la città stava cercando di riprendersi a poco a poco.

Entrò e ignorò gli occhi che si sentì addosso da parte di alcuni clienti, ancora davanti all’entrata, e salutò la locandiera dietro il bancone che ricambiò con un leggero cenno. Superò i tavoli e si diresse verso le scale per recarsi al piano superiore, dove si trovavano le stanze.

Ne avevano affittato tre, una per le ragazze; una per Sokka e un’ultima per Aang. Questa disposizione le permetteva di sgattaiolare fuori dalla camera, non appena Katara si addormentava, per passare la notte con Sokka. Suki non aveva idea di quale bugia lui avesse raccontato ad Aang per convincerlo a prendere una camera separata, ma non era nemmeno certa di volerlo sapere.

Nessuno dei due voleva sprecare l’opportunità di stare più tempo insieme e in più lui non avrebbe mai permesso che sua sorella e il suo fidanzato dormissero nella stessa stanza, da bravo fratello maggiore; a suo dire. Nonostante Aang fosse uno dei suoi amici più intimi, c’era un limite a ciò che riusciva a sopportare durante i loro viaggi.

Sentì i battiti del cuore accelerare, non appena si avvicinò alla porta della stanza di Sokka. Non importava quanto tempo fosse passato, riusciva ancora a sentire le farfalle nello stomaco.

Bussò e aspettò una risposta, prima di fare il suo ingresso. Quando superò la soglia, però, il sorriso le morì sulle labbra.

Si stupì di trovare la camera sottosopra, con indumenti e oggetti che Sokka portava nei suoi viaggi sparsi in giro, compreso l’elmo tipico della Tribù dell’Acqua che finalmente era riuscito ad acquistare e che le aveva mostrato con tanta fierezza. Non che Sokka fosse un maniaco dell’ordine ma sicuramente era un tipo organizzato. Forse, tra i due, lei era la più disordinata e lei era stata abituata fin da piccola, al dojo, a tenere tutti i suoi effetti personali a posto; dalle armi all’oggetto più futile. Suki lo trovava buffo, considerato che era l’esatto opposto del modo in cui lui dormiva.

Facendo vagare il suo sguardo nella stanza, l’armadio aperto e i cassettoni svuotati furono la prima cosa che saltarono all’occhio. Sopra il letto, invece, c’era una borsa mezza vuota e un paio di sacche già riempite. Quella che le era sembrata una risatina nervosa, attirò la sua attenzione e notò che Sokka si era congelato sul posto con in mano una coperta. La guardava sorpreso, come se non si aspettasse di vederla.

Suki avanzò di qualche passo, lasciando la porta aperta, e accennò un sorriso.

“Ehi.” Disse, cercando di utilizzare il più possibile un tono di voce neutro.

“Ehi.” Lui la imitò, lanciando la coperta sul materasso con fare distratto per potersi avvicinare a lei. “Scusa, devo aver perso la cognizione del tempo.”

“Non importa.” Lo rassicurò. Al momento, c’era un’altra questione che le premeva sapere di più al riguardo. “Stai andando via.”

Sokka sospirò, sollevando le mani per accarezzarle le braccia dolcemente. “Sì, mio padre ha mandato una lettera. Torno a casa per un po’.”

Per un po’, rifletté, non un tempo prestabilito. Non era un buon segno.

Suki annuì, stringendogli la tunica in risposta al suo gesto. D’istinto, anche lei alla ricerca di un contatto.

Distolse lo sguardo per rivolgerlo al tavolo, al centro della camera, dove vi era la peonia bianca che lui le aveva regalato, adagiata in un vaso. Aveva deciso lei di lasciarla nella sua camera, non solo perché era dove passava più tempo e ogni tanto le piaceva osservarla, ma anche per tenerla lontana da occhi indiscreti. Per quanto adorasse Katara, non aveva voglia di essere stuzzicata ogni volta che i suoi occhi ci finissero sopra o rischiare che Toph la facesse volare dalla finestra mentre era intenta a distruggere la camera quando si annoiava.

“Quando?” Domandò, non riuscendo a capire bene come si sentisse al riguardo. Era una notizia un po’ improvvisa. Non era quello il modo in cui pensava che si sarebbero separati, aveva sempre pensato che sarebbe stata lei quella ad andarsene per prima. Il suo cervello doveva ancora elaborare la novità.

“Domani mattina.” Sokka rispose, con un filo di voce. Poi, fece una smorfia. “Urgh, non volevo dirtelo così. Anche io l’ho scoperto poco fa.”

Suki emise una risatina e tornò a guardarlo. “Non fa niente. Parto anche io tra pochi giorni, ricordi?”

Lui alzò gli occhi al cielo per qualche secondo, prima di incontrare di nuovo i suoi. “Sì, ma avrei potuto organizzarmi meglio. Saremmo potuti uscire come in un vero appuntamento, prima di partire, e invece eccoci qua!”

Un calore familiare si espanse nel suo petto nel sentirlo, e dovette mordersi il labbro inferiore per evitare di lasciarsi sfuggire un lamento. Era dolce e sarebbe stata una bugia se avesse detto che l’idea la lasciava indifferente, ma sapeva che Sokka si sentiva sinceramente male al riguardo e non voleva in alcun modo peggiorare la situazione.

“Calmati, ragazzo pianificatore.” Cercò di sdrammatizzare, picchiettando un paio di volte con il palmo sul suo petto con fare giocoso, soddisfatta nel vederlo accennare un sorriso. “Sarebbe piaciuto anche a me. Magari la prossima volta.”

“Già, la prossima volta.” Sussurrò e a Suki si strinse il cuore nel riconoscere un velo di tristezza nel suo tono.

Spiriti, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farlo sparire. Imbottigliare quel dolore e gettarlo via, ma anche lei conosceva fin troppo bene quella sensazione. A volte, anche lei non sapeva come fare a gestirla.

“Vieni qui.” Sokka aggiunse, tirandola delicatamente in un abbraccio.

Lei si lasciò avvolgere sentendosi subito sciogliere, non appena la avvicinò a sé. La tenne stretta mentre portava una mano tra i suoi capelli, provocandole un brivido. Suki adorava quando la stringeva tra le sue braccia in quel modo, passando le sue dita tra le ciocche. Avevano quello strano potere di darle l’impressione che stesse imparando a respirare di nuovo, non importava in quale situazione. Persino quando l’aveva abbracciata dentro la cella alla Boiling Rock, anni fa.

“Resti qui, stanotte?” Le chiese, a un soffio dall’orecchio.

“Certo.” Lei rispose, senza alcuna esitazione, facendo vagare una mano su e giù sulla schiena di lui.

Suki lo sentì tirare un sospiro di sollievo, mentre si lasciava cullare dalle sue carezze, e si distaccò per guardarlo in viso con affetto prima di posare le labbra sulla sua guancia. Lui sorrise, stringendole il fianco delicatamente. Quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, si incontrarono a metà strada in un bacio.

Era lento ed esigente allo stesso tempo, e Suki fece risalire le mani fino a intrecciarle dietro al suo collo per poterlo sentire il più possibile vicino a sé. Sokka fece ricadere l’altro braccio lentamente lungo il suo corpo, approfittandone per passare il palmo lungo le sue curve, fino a cingerle i fianchi, spinto dallo stesso desiderio.

Lui schiuse le labbra, e tutto le sembrò perfetto ai suoi occhi. Come se, all’improvviso, fosse facile non pensare al mondo al di fuori di quelle mura, come se esistessero solo loro. Soli, in quella stanza.

I due si distaccarono per riprendere fiato ma Sokka continuò a rubarle dei veloci baci sulle labbra, facendola ridacchiare. Suki girò la testa nel tentativo di riprendersi, con scarsi risultati e ridendo più forte quando ricevette un lungo e rumoroso bacio sulla guancia come risposta al gesto.

“Ehi, Sokka—whops.”

Nel sentire la voce di Aang, Suki si allontanò di scatto dando ancora le spalle alla porta mentre si portava una mano sul viso non appena sentì le guance scaldarsi.

“Scusate, non intendevo disturbare, la porta è aperta e pensavo…” Balbettò, in imbarazzo.

Sokka si schiarì la voce, interrompendo il suo borbottio, e lei si girò a guardarlo.

“Va tutto bene, Aang, non preoccuparti.” Lei lo rassicurò, sorridendogli. “Stavo giusto per andarmene.”

Suki spostò lo sguardo verso Sokka, allungando una mano verso la sua. “Ti aspetto al piano di sotto.”

Lui annuì stringendo la presa e lei non riuscì a fare a meno di notare il modo in cui esitò nel lasciarla andare, quando iniziò ad allontanarsi.

Salutò Aang con un veloce cenno e lo superò, uscendo dalla camera. Attraversò il corridoio in fretta e raggiunse le scale, fermandosi a metà della rampa.

Lo sapevi già, si ripeté, alla ricerca di conforto. Starai bene, concentrati sui tuoi doveri.

Prese un respiro profondo dal naso e lo lasciò andare dalla bocca, come se stesse cercando di riprendere fiato dopo un estenuante esercizio. Combatté contro il desiderio di girarsi e scese i restanti gradini.

 

 

o o o

 

 

“…E poi si è alzato un polverone per nulla, hanno continuato a respingere ogni proposta e nessuno ha voluto prendersi la responsabilità delle proprie azioni.”

Suki ascoltò con attenzione lo sfogo di Sokka, stringendogli la mano appoggiata sul materasso.

Entrambi erano sdraiati a letto, in quel loro piccolo rituale che si erano ripromessi di mantenere durante quei mesi. Ogni notte, quando finalmente liberi da ogni impegno, non importava quanto stanchi, avevano preso l’abitudine di raccontarsi come era andata la giornata o ciò che avevano fatto dall’ultima volta che si erano visti.

Lui fece intrecciare le loro dita e continuò. “C’è ancora così tanto da fare. So che tornerò qui con Aang, prima o poi.”

Lo vide abbassare lo sguardo per un’istante. Illuminato solo dalla luce proveniente dall’esterno, la guardava dall’alto con la testa appoggiata a un pugno e le lenzuola a coprirlo dalla vita in giù.

“Sembra dura.” Mormorò lei. Ogni volta che Sokka le raccontava delle discussioni che nascevano a quelle riunioni, lei non poteva fare a meno di visualizzare l’immagine di una persona che parlava al muro o a una folla inferocita composta da persone intente a coprirsi le orecchie per non ascoltare. A quanto sembrava, ai politici piaceva tanto lamentarsi ma senza lottare davvero per far sì che qualcosa cambiasse. Doveva essere frustrante. “Tu non hai nulla di cui rimproverarti. Hai proposto tutte ottime idee.”

“Lo so,” lui sospirò, poi sorrise “ma grazie. Mi importa della tua opinione, lo sai.”

“Certo,” Suki ricambiò il sorriso “come altro membro del team non-dominatore.”

Sokka corrugò la fronte. “No, cioè, sì. Mi capisci e sai cosa vorrei dire, ma non è solo questo.” Portò la sua mano alle labbra e gliela baciò. “Mi importa perché sei tu.”

Suki spalancò gli occhi, sorpresa. Non le era mai passato per la testa che potesse esserci un’altra ragione per la quale lui ci tenesse a farle sentire i suoi discorsi. Quel pensiero le fece saltare un battito.

Approfittando della vicinanza della sua mano al suo viso, gli accarezzò la guancia mentre lui chiudeva gli occhi per godersi la coccola. “Sei adorabile e nemmeno sai di esserlo.”

Sokka le mostrò un sorrisetto sornione, prima di scuotere leggermente la testa facendo muovere i capelli sciolti e posare la mano libera sul ginocchio per mettersi in posa. “Scusami, ma credo che tu volessi dire prestante.”

“No, ho usato la parola corretta.” Lei rise, sollevandosi per dargli un veloce bacio. “Ma, per tua fortuna, si può essere adorabili e prestanti allo stesso tempo.”

Sokka rise a sua volta e, quando Suki appoggiò di nuovo la testa sul cuscino, si girò verso di lei e disse: “È il tuo turno.”

“Nulla di nuovo, davvero.” Sospirò, poi ci pensò su. “Be’, credo che gli ufficiali siano pronti. Ho insegnato loro le basi e loro le insegneranno a chi entrerà in polizia, quando sarò andata via. Sono davvero bravi.”

“Non fatico a crederlo, con un insegnate così straordinaria.” Disse, orgoglioso.

“Grazie.” Suki sussurrò, avvicinandosi mentre teneva stretto il lenzuolo al petto. Era ancora strano sentire qualcuno, il suo fidanzato, parlare di lei con così tanta fierezza. Era imbarazzante, ma bello. Probabilmente, non si sarebbe mai abituata a quello.

“So di cosa parlo.” Lui aggiunse, attirando la sua attenzione.

Giusto. Aveva insegnato anche a Sokka, in passato, al dojo. Si ritrovò a pensare a quante cose erano cambiate da allora, a quanto avessero imparato l’uno dall’altro. Lui che le ragazze potessero essere anche loro delle guerriere e che per essere leader non si doveva necessariamente rinunciare a se stessi, all’adolescenza, concedendosi anche il lusso del divertimento ogni tanto; e lei che esisteva un mondo al di fuori dell’isola e che la loro scelta di rimanere isolati aveva delle conseguenze.

Non aveva mai pensato che sarebbe finita in quel modo. A letto, mezza nuda, con quel ragazzo che aveva avuto persino l’ardire di sfidarla. Ma aveva iniziato a sperarlo, quando aveva avuto l’occasione di conoscerlo meglio e quella era stata la prima volta che aveva desiderato qualcosa che non fosse legato ai suoi doveri, all’essere una guerriera e alla volontà dell’Avatar Kyoshi. Era lì, adesso, innamorata e amata ma incerta su quale fosse il prossimo passo da compiere sul suo cammino.

Era buffo ma sembrava persino che la bambina di otto anni che era stata un tempo, avesse le idee più chiare. Aveva sempre pensato che il suo essere una Guerriera Kyoshi l’avrebbe protetta dall’incertezza del futuro.

“È un peccato che tu te ne vada senza essere riuscito a dare un nuovo nome alla città.” Suki cantilenò, sentendo il desiderio di volersi distrare.

“Lo so, vero?” Sokka esclamò. “Hanno rifiutato anche quelli ed erano tutti ottimi nomi.”

“Oh, lo so, ho letto quella lista.” Sorrise. “Erano tutti molto… creativi. Semplicemente non colgono la tua vena artistica.”

Il suo viso si illuminò. “Esatto!” Poi si fermò, socchiudendo gli occhi. “Aspetta, ti stai prendendo gioco di me?”

Suki scosse la testa, ridacchiando. “No.”

“Sì, invece.” Sokka ribatté, fingendosi offeso. “Sai cosa succede ai traditori.”

Lo vide chinarsi su di lei e non riuscì a trattenere, adesso, una risata quando vide nascere un sorrisetto malizioso sulle sue labbra. E sì; sapeva bene cosa stesse per accadere ma, nonostante ciò, Suki non si mosse nemmeno quando le mani di lui si insinuarono sotto le lenzuola per raggiungere i suoi fianchi.

“Preparati ad assaggiare la mia temibile dominazione del solletico!”

Non appena le dita di Sokka scivolarono sulla sua pelle nuda, lei non riuscì a contenere la risata che riecheggiò per la stanza. Si dimenò, mentre la risata di lui si unì alla sua, lasciando che la sua mente si svuotasse.

“Basta, basta,” disse, con le lacrime agli occhi “finirai per svegliare tutti.”

“Io?”

“Sì,” Suki rispose, nonostante sapessero entrambi che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto facilmente sottrarsi a quella punizione “sì, tu.”

Sokka diminuì i suoi movimenti fino ad arrestarli del tutto e, quando la risata di lei iniziò a scemare, posò le labbra sulla sua fronte.

“Sei bellissima.”

Lei fece incontrare i loro sguardi. “Sì?”

“Sì.” Lui ripeté, chinandosi a baciarla.

Era un bacio casto ma dolce e pieno di affetto. Le ricordava uno dei primi che si erano scambiati, come se stesse cercando di studiarla di nuovo, come se stesse cercando di assimilare ogni dettaglio per non dimenticarlo.

“Mi mancherà la tua risata.” Sokka sussurrò, ancora a un soffio dalle sue labbra.

L’espressione di Suki si addolcì, alzando un braccio per passare una mano tra i suoi capelli. Lo condusse verso il basso con delicatezza, fino a quando fu sdraiato completamente sopra di lei e il suo respiro le solleticava il collo.

“Mi mancherà il modo in cui mi fai ridere.”

Sentì il suo sorriso sulla pelle e lei riprese le sue carezze, mentre con l’altra mano faceva scorrere le dita su e giù lungo la sua spalla.

“Mmh.” Sokka mormorò. “Se non smetti, mi addormenterò.”

Suki rise. “Ed è un male?”

“Se mi addormento, la mattina arriverà più in fretta.” Farfugliò, chiaramente assonato.

“Te ne pentirai domani.” Rise di nuovo, sentendo le palpebre appesantirsi a sua volta.

“Dormirò su Appa.”

“Scomodo.” Suki considerò. “Quindi, Toph e Aang verranno con te e Katara?”

“Nah, Toph è impegnata con la sua accademia e Aang, non lo so, ci accompagnerà a casa ma non so se ha intenzione di restare. È ancora preoccupato per ciò che gli ha detto Liling anche se la situazione non sembra così grave, almeno per ora.”

Non faticava a crederlo. Tenere dibattiti politici; per quanto ad Aang non piacessero, erano una cosa ma un’altra guerra? Nessuno di loro voleva che accadesse.

Suki non rispose e il silenzio riempì la camera, tanto che credette che Sokka si fosse addormentato finché parlò di nuovo. “Pensi che mio padre voglia parlarmi dell’idea di prendere il suo posto, un giorno?”

Lei sbatté le palpebre più volte, cercando di riprendersi dal dormiveglia, nel tentativo di essere il più lucida possibile per affrontare l’argomento. Sorpresa, da quella domanda improvvisa.

Si ritrovò incapace di trovare una risposta, così domandò: “Pensi che possa essere una possibilità?”

“Dopo tutto quello che è successo l’ultima volta che sono stato lì, forse.”

Suki sapeva a cosa si stesse riferendo. Sokka le aveva raccontato di quanto fosse cambiata la Tribù dell’Acqua del Sud, non solo perché fosse diventata una vera e propria città, ma anche per i conflitti che si erano venuti a creare. Ancora non riusciva a credere che suo padre fosse stato accoltellato e che avesse rischiato di morire, da colui che una volta era stato un suo fratello d’armi per di più.

Forse era dovuto al fatto che lui era mezzo addormentato, ma Suki non riuscì a capire come Sokka si sentisse al riguardo. Dal suo tono di voce, era sembrato speranzoso ma anche spaventato.

Lei ingoiò, e non riuscì a frenare la domanda che le era nata in gola. “Lo vorresti?”

Suki aspettò, tenendo lo sguardo fisso sul soffitto. Il buio le impediva di metterlo a fuoco, costringendola a sbattere le palpebre più volte.

Il Polo Sud era lontano ma, in fin dei conti, cosa sarebbe cambiato? La loro era già una relazione a distanza. Si ritrovò a sorridere, con amarezza, quando un pensiero le sfiorò la mente. Era ironico, ma l’Isola Kyoshi era più vicina alla Tribù dell’Acqua del Sud rispetto alla Nazione del Fuoco dove lei passava la maggior parte del tempo adesso. Magari, avrebbe potuto persino usarla come scusa per passare più tempo a casa. In ogni caso, non spettava a lei decidere.

“Sokka?” Lo chiamò, quando si accorse di non aver ricevuto alcuna risposta.

Suki sorrise, non appena lo sentì russare. Un chiaro segno che quella conversazione fosse ormai giunta al termine.

Fece passare le dita tra le sue ciocche un’ultima volta, prima di chiudere gli occhi. “Buonanotte, ragazzo guerriero.”

 

 

o o o

 

 

Un bussare alla porta attirò la sua attenzione. Posò la borsa che aveva in mano sul tavolo e si girò verso l’entrata.

Era rimasta ormai sola, in quella camera. Katara aveva già portato via le sue cose ed era adesso fuori la locanda, occupata a posare i bagagli su Appa insieme agli altri.

Vedere la stanza mezza vuota le aveva procurato un certo fastidio che non era riuscita a spiegarsi e, così, aveva deciso di prepararsi anche lei all’imminente partenza.

“Avanti.”

La porta si aprì e Suki non poté fare a meno di sorridere. Quella era una sorpresa, una buona, e quando i suoi occhi incontrarono quelli della ragazza che le stava davanti, il suo sguardo si addolcì.

“Ru!”

“Ehi, Suki.” Lei sorrise. “Ty Lee mi ha detto che andrete via, sono passata a salutarti.”

“Non sarei mai partita senza incontrati prima.” Suki ammise, avvicinandosi. “Come te la stai passando?”

“Bene.” Ru rispose, ma il suo sorriso vacillò poco dopo. “È ancora tutto così… strano. Ho provato a parlare con mia madre e mia sorella, in prigione, ma non sembrano ancora capire. Sono ancora arrabbiate.”

“Mi dispiace.” Lei sussurrò, sincera.

“Non esserlo. Non è colpa tua.” Ru le prese le mani tra le sue. “Infatti, sono venuta a ringraziarti.”

Suki strinse la presa, cercando di donarle un po’ di conforto. Ammirava il suo coraggio e, per quanto fosse stata la cosa giusta da fare, poteva solo immaginare quanto le fosse costato doversi ribellare alla sua stessa famiglia. All’inizio, era rimasta sorpresa di sapere che Ru facesse loro visita. Non aveva mai nascosto la sua avversione verso la madre, dopo ciò che aveva fatto, eppure; sembrava determinata a cercare di fare capire loro il suo punto di vista.

In un certo senso, riusciva a capire quel desiderio. Suki era una persona orgogliosa, era a conoscenza del suo valore e non aveva paura di mostrarlo. Circondata da non-dominatori fin dall’infanzia, però, non aveva mai assistito a una discriminazione, prima di lasciare l’isola. Il fatto di essere una non-dominatrice, non l’aveva mai fermata dall’essere una grande guerriera ma non riusciva a vedersi sedere con un dominatore e cercare di spiegare che anche lei era degna di rispetto. Non utilizzando le parole, almeno.

Che importanza poteva mai avere se era una dominatrice o una non-dominatrice? Era una persona, non era già abbastanza?

Forse per Ru era diverso, spinta da un desiderio più grande. I rapporti famigliari la confondevano sempre.

Suki sperava che, col tempo, Ru potesse riuscire nel suo intento. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma Suki credeva nel cambiamento nelle persone. Il passato le aveva insegnato che era possibile ma anche che, a volte, non c’era nulla da fare.

“Ho pensato a ciò che mi hai detto e avevi ragione. È inutile pensare alle cose che avrei potuto fare in passato, adesso ciò che verrà dipenderà unicamente da me. Tu e Sokka mi avete mostrato un mondo che non pensavo possibile per noi non-dominatori.” Un luminoso sorriso tornò sulle sue labbra. “Continuerò ad allenarmi e ti prometto che userò tutto ciò che mi hai insegnato a fin di bene. Noi tutti lo faremo. Grazie, Suki.”

Suki sentì gli occhi pizzicare e ricambiò il sorriso. Quello era inaspettato.

Essere una guerriera significava aiutare le persone. Era il suo dovere, agire le veniva d’istinto, era ciò che era. Era ciò che la gente si aspettava che facesse. Eppure; Suki non lo faceva mai per essere elogiata o per la gloria. Aveva sempre agito seguendo ciò che lei riteneva essere più giusto, i suoi valori e ciò che aveva imparato con l’esperienza, e proprio perché era ciò che la gente si aspettava da lei; spesso, non le veniva mostrata alcuna riconoscenza. In realtà, le volte in cui era stata ringraziata si potevano contare sulle dita di una mano ma a lei non era mai importato.

Ricordava il giorno in cui era stato richiesto il suo intervento sull’Isola Kyoshi per la prima volta. Ricordava lo sguardo di Oyaji su di lei, così diverso da quello che le aveva riservato da bambina.

Suki ingoiò il groppo che le si era formato in gola. Non era il momento adatto per pensarci.

“Prenditi cura di te, Ru.” Le raccomandò, tirandola in un abbraccio.

“Anche tu.” Ru sciolse l’abbraccio. “Adesso va’, lo so che c’è un’altra persona che vorresti salutare.”

Suki rise e la ringraziò, prima di avviarsi lungo il corridoio e scendere le scale di fretta.

Non appena mise piede fuori dalla locanda, delle voci familiari si distinsero dal chiacchiericcio dei passanti. Si girò verso le fonti e sorrise.

All’angolo della strada, Appa se ne stava sdraiato intento a sbadigliare ancora assonato. Accanto, Aang era girato verso Toph mentre Katara e Sokka, al lato opposto, erano impegnati in una discussione della quale le era impossibile conoscere l’oggetto, non riuscendo a distinguere le parole da lì. Guardandosi intorno, notò che, poco distante, c’era anche Ty Lee che osservava la scena ridendo.

“Se hai intenzione di fare così per tutto il tempo del viaggio, dillo subito.” Suki sentì Sokka borbottare, quando iniziò ad avvicinarsi.

“Oh, non sia mai che di grazia al principe qui presente si rovini il riposino di bellezza.” Ribatté Katara.

“Esatto, grazie per la considerazione.”

Suki scosse la testa, divertita. Per quanto strano potesse sembrare, sapeva che le sarebbe mancato assistere a quei battibecchi; ormai ci aveva fatto l’abitudine. A volte, iniziavano per le motivazioni più sciocche; eppure, bastava che passassero pochi minuti e tutto tornava esattamente come era prima. Doveva essere una cosa tra fratello e sorella.

Le era capitato di litigare con le sue sorelle, di tanto in tanto, ma non era la stessa cosa. Era un po’ più complicato di così, loro non avevano un vero legame di sangue. Non che a Suki fosse mai importato, in ogni caso. Non aveva mentito a Ty Lee, lei credeva davvero che il legame che unisse lei e le Guerriere Kyoshi fosse molto più profondo di un’amicizia o di un banale rapporto tra colleghe ma, a volte, si chiedeva cosa significasse quella parola di preciso. Nonostante con molte di loro avesse anche condiviso l’infanzia, in fondo, lei non aveva modo di comparare essendo figlia unica. Be’, che lei sapesse almeno.

Erano la sua famiglia. La sua versione di una famiglia, ma non per questo meno importante.

Katara alzò gli occhi al cielo, prima di incontrare i suoi. Un sorriso sornione nacque sulle sue labbra e, puntando un dito verso di lei, urlò. “Guarda, c’è Suki!”

Vide Sokka girare la testa di scatto nella direzione in cui sua sorella stava indicando e il suo viso si illuminò. Suki si fermò e aprì le braccia, in attesa, contagiata dall’allegria del suo fidanzato.

“Suki!” Lui esclamò, correndo verso di lei.

Lei sorrise. Non si sarebbe mai stancata di sentire il suo nome pronunciato da lui, non in quel modo.

Rise di cuore, non appena l’avvolse stretta tra le sue braccia. Quando i loro occhi si incontrarono di nuovo, però, vide il suo sguardo farsi più scuro come se si fosse ricordato solo in quel momento che lei non sarebbe venuta con loro.

Nel viso di Sokka comparve un’espressione avvilita, e la tirò subito in un altro abbraccio. Suki ricambiò con altrettanta energia, cercando di farsi il più vicina possibile. Ed era consapevole che la parte difficile doveva ancora arrivare.

Lui le prese delicatamente il viso tra le mani e le baciò i capelli, prima di prendere un respiro profondo, come a volersi impregnare con il suo profumo, mentre Suki chiudeva gli occhi lasciando che le accarezzasse gli zigomi con i pollici.

“Sokka.” Lo chiamò ma ancor prima che potesse dire qualcosa, lui la baciò. Una, due, tre volte, finché lei ebbe l’impressione di perdere il conto.

“Ti scriverò ogni giorno.” Lui promise.

“Questo è stupido, e lo sai.” Suki rise. “Devi aspettare che il falco messaggero arrivi a destinazione, Sokka. Non puoi mandare lettere ogni giorno.”

“Ho detto scrivere.” Sokka specificò, mostrando un sorriso compiaciuto. “Scriverò ogni giorno, poi aspetterò che il falco faccia ritorno e ti manderò quello che ho.”

“Questo è…” lei esitò “ancora stupido. Finirai solo per accumulare fogli.”

Lui alzò gli occhi al cielo. “Va bene, bene, ti scriverò ogni volta che posso.”

“Meglio.”

I due risero, poi Sokka le scostò i capelli dal viso e lei si appoggiò al suo palmo.

“Sei davvero importante per me, Suki.” Lui sussurrò e Suki sorrise, sapendo bene cosa intendesse dire davvero con quelle parole. Per un’istante, la sua mente tornò al giorno in cui se lo dissero per la prima volta. All’Isola Ember.

“Sei davvero, davvero, importante per me anche tu Sokka.”

Ti amo anche io.

Lui sorrise e la strinse tra le sue braccia di nuovo. Le passò una mano su e giù sulla sua schiena e lei lo strinse un’ultima volta, prima che entrambi sciolsero l’abbraccio.

“Lascia tutti senza parole, ragazzo intelligente.” Suki disse, mentre erano ancora mano nella mano.

“Prendi a calci qualche sedere, ragazza tosta.” Sokka rispose, facendola ridere.

Suki svuotò i polmoni in un sospiro, quando nessuno dei due si allontanò. Avrebbe potuto perdersi facilmente in quegli occhi che adorava tanto.

“Sokka!” La voce di Katara li raggiunse. Il suo tono non era esigente o impaziente; sapeva che era difficile per loro, ma era comunque un doloroso sollecito che il loro tempo a disposizione era finito.

“Arrivo!” Lui alzò la voce per far sì che sua sorella lo sentisse, senza voltarsi.

Sokka si chinò su di lei e posò le labbra sulle sue per un’ultima volta. Esitando, le assaporò piano e lei alzò un braccio per accarezzargli il viso.

Suki si sentì cingere i fianchi e il calore del corpo di lui, la avvolse ancora una volta finché, all’improvviso, sentì freddo. Aprì gli occhi e lo vide distaccarsi di colpo, come in dolore e, nonostante si fosse sporta in avanti, riuscì a soffocare il desiderio di seguirlo.

Sokka si girò e si diresse verso la direzione opposta, dove gli altri lo stavano aspettando.

Suki fece per girarsi a sua volta ma qualcosa, in lei, la frenò.

Avevano stabilito una regola, tempo fa. Era stupida, davvero, ma funzionava. Avevano stabilito che; ogni volta che dovevano prendere strade diverse, nessuno dei due avrebbe dovuto guardare indietro, una volta separati. Sapevano che, se la avessero fatto, il desiderio di corrersi di nuovo incontro avrebbe avuto la meglio e, dividersi, sarebbe stato solo più doloroso.

Suki abbassò lo sguardo. Non gli dava le spalle ancora del tutto ma, in quel modo, tecnicamente non stava infrangendo la regola.

I suoi pensieri tornarono di nuovo all’Isola Ember; a come entrambi avevano deciso di concedersi il lusso di un po’ di svago nonostante la guerra, nell’assecondare il desiderio di sentirsi adolescenti perché incerti su come sarebbe andata a finire, alla prima volta in cui avevano esplorato la loro intimità.

Era stato bello lasciarsi andare completamente alle emozioni.

Suki alzò lentamente lo sguardo e, immediatamente, ricordò perché quella regola fosse così importante. Non poteva vedere il viso di Sokka, mentre continuava a camminare ma non ce n’era bisogno, la sua postura parlava per lui. Aveva la testa leggermente china e le spalle curve e, non appena lo vide sollevare un braccio per portarsi una mano al viso, sentì gli occhi pizzicare.

Spostò lo sguardo velocemente e lo diresse verso gli altri, in attesa su Appa. Gli occhi di Katara erano fissi sul fratello. Sembrava dispiaciuta.

Suki sentì un macigno sprofondare nel petto e si guardò le mani.

I suoi ricordi vagarono ancora più indietro, al loro primo bacio, a quando aveva provato a scusarsi, e alla notte precedente quando gli aveva confessato i suoi sentimenti. Si chiese che fine avesse fatto quella ragazza. Sembrava così coraggiosa e sincera, e si ritrovò a invidiarla un po’.

Era stupido, era sempre lei ma, allo stesso tempo, sapeva che non lo era.

All’epoca, Suki si era ritrovata davanti il ragazzo che non era riuscita a togliersi dalla testa dopo la sua partenza. Era stato un puro caso o, forse, destino. A lei piaceva pensare che un po’ lo fosse stato. Eppure, non aveva avuto alcuna certezza che si sarebbero incontrati di nuovo. Aveva voluto rischiare mettendo in gioco il proprio cuore. E adesso?

Non c’era più la guerra, ma si sentiva ancora incerta sul futuro. Avevano riportato la pace, eppure rischiavano ancora la vita. Ancora una volta, a prendere strade diverse e sperare che nulla di brutto accadesse mentre non erano insieme a proteggersi le spalle a vicenda.

Durante il loro primo bacio, Sokka la aveva sorpresa. Ricordava ancora il batticuore ma anche la gioia quando la realizzazione di cosa era accaduto, la aveva raggiunta. Spesso si era chiesta se lei fosse mai riuscita a farlo sentire allo stesso modo, cosa avrebbe potuto fare per far sì che accadesse.

Quella ragazza era ancora lei. Era solo un po’ diversa, cresciuta e sperava che, forse, fosse diventata persino una versione migliore della vecchia lei. Doveva solo concedere a se stessa di lasciarsi andare alle emozioni, ancora una volta.

Nonostante sentisse ancora l’incertezza sul futuro, c’era sempre stata una cosa su cui non aveva mai avuto alcun dubbio.

Suki fece un passo in avanti e si fermò.

“Suki?” Sentì Ty Lee chiamarla, adesso accanto a lei. Non si volse verso l’amica, non voleva sapere di che colore fosse la sua aura. Non in quel momento.

Alzò la testa verso l’alto. Appa era già alto in cielo, ma riusciva ancora a vederli chiaramente. Sokka era rivolto verso l’orizzonte, dando le spalle alla città per continuare a rispettare la loro regola. Forse, sarebbe riuscito comunque a sentirla.

Suki prese un respiro profondo e, con uno slancio deciso, iniziò a correre.

“Suki!” Ty Lee esclamò, sorpresa, ma lei la ignorò.

Continuò a correre dritta difronte a lei alzando lo sguardo, di tanto in tanto, per assicurarsi che non fossero troppo lontani.

“Sokka!” Provò.

Nulla accadde ma Suki non si arrese continuando la sua corsa, evitando chiunque le si parasse davanti. Se non altro, lei era veloce.

Si fermò solo quando raggiunse il porto, obbligata dalla fine del pontile. Si morse il labbro inferiore e riempì i polmoni in un altro tentativo.

Sorrise quando Katara si mosse, chinandosi leggermente in avanti mentre guardava giù verso di lei. La vide girarsi e picchiettare la spalla del fratello.

Dopo qualche secondo di incertezza, Sokka si girò verso Katara. Da lì, le era impossibile sentire cosa si stessero dicendo ma riuscì a vedere Sokka affacciarsi quando Katara indicò il porto.

“Sokka!” Urlò, di nuovo, sentendo il cuore battere all’impazzata. Consapevole che non era dovuto alla corsa. Si portò le mani agli angoli della bocca, come se potesse aiutare a farsi sentire meglio, e gridò. “Ti amo!”

Lui rimase immobile per qualche secondo mentre Aang stava già tirando le redini per far segno ad Appa di tornare indietro, e lei si chiese se avesse capito cosa avesse detto, finché si sporse verso il basso così tanto che sembrava volesse buttarsi giù.

“Cosa?” Domandò ad alta voce, invece. “Non riesco a sentirti con il vento.”

Suki ridacchiò, presa dall’euforia della situazione. “Ho detto che ti amo!”

Lo vide tirarsi su di colpo e scuotere l’amico con vigore, come a intimarlo ad andare più veloce. Lei rise, indietreggiando quando Appa iniziò ad abbassarsi alla ricerca di un posto per atterrare.

Lo trovarono poco distante dal pontile e lei corse nella loro direzione, mentre Sokka si lasciava scivolare fino a terra. Lui prese a correre a sua volta verso di lei, con così tanta veemenza che quasi rischiò di inciampare sui suoi stessi passi.

Si scontrarono in un abbraccio, e Suki si accorse di star ancora ridendo.

“Ti amo.” Sokka disse, senza fiato, a un soffio dal suo orecchio mentre la teneva ancora stretta. “Ti amo così tanto.”

“Lo so,” lei disse “lo so.”

“Volevo essere io il primo a dirlo.” Lui si lamentò. Suki non poteva vederlo in viso, ma era certa che avesse una adorabile broncio.

“Allora, perché non lo hai fatto?” Lo stuzzicò ma Sokka si limitò a scuotere la testa, ancora sorpreso.

“Se stavi cercando di farmi rimanere, sta funzionando.” Lui aggiunse, senza alcuna cattiveria.

“Scusa.” Suki sorrise, un po’ colpevole ma sapeva che stava solo scherzando. Non sarebbe mai rimasto, per quanto, probabilmente, adesso gli dispiacesse un po’ di più partire.

Sokka sciolse l’abbraccio e la guardò negli occhi. “Sei fantastica.”

Lei scosse il capo, nonostante riuscì a sentire le guance scaldarsi. Non aveva idea di che espressione avesse in quel momento, ma era certa di sembrare sciocca. Riusciva a sentire i muscoli del viso dolere, per quanto stesse sorridendo, e così tanta energia in corpo da poter scalare una montagna.

È questo ciò che si prova a dirlo ad alta voce? E si chiese perché avesse atteso così tanto a farlo.

“Devo andare.”

“Sì, devi.” Suki concordò. “Devo andare anche io.”

Lui annuì e sorrise. La baciò, prima di dire ancora una volta: “Ti amo.”

“Ti amo anche io” Lei susurrò. Dirlo da così vicino era persino meglio.

Sokka rise, felice, e a Suki mancò un battito sentendo quella stessa felicità invaderle il petto.

Le diede un veloce bacio sulle labbra, poi le prese una mano e le baciò il dorso. Indietreggiò di qualche passo, continuando a tenere lo sguardo su di lei, prima di lasciarla e girarsi per tornare dagli altri.

Suki sentì dei passi raggiungerla e fu come risvegliarsi da un sogno. Arrossì, all’improvviso consapevole di aver urlato i suoi sentimenti nel bel mezzo della città, tenendo la testa bassa per evitare di incrociare lo sguardo di qualcuno.

“Immagino che partiremo anche noi, adesso.” Tirò un sospiro di sollievo nel vedere che si trattava solo di Ty Lee.

In effetti, Suki rifletté, sembra il momento ideale.

Le risse e i reati per strada erano diminuiti, e confidava nella forza di polizia non-dominatori a cui aveva insegnato. Sapeva che gli ufficiali e Ru sarebbero riusciti a cavarsela anche senza di lei, ormai. In più, rimandare non sarebbe servito a nulla. Le sarebbe mancato insegnare, ma sapeva anche che tornare al palazzo le avrebbe fatto bene. Doveva schiarirsi le idee.

“Sì,” sorrise, determinata, girandosi verso la sua amica “Zuko ci sta aspettando.”

Suki chiuse gli occhi per qualche secondo e prese un respiro profondo mentre lasciava che la brezza salmastra che le stava offrendo il porto, le riempisse i polmoni. Poi, si volse per avviarsi verso la strada e, questa volta, non si guardò indietro.

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA: Eccomi con la seconda lettera d’amore verso questi due. Questa sarà bella lunga.
In realtà, è una sorpresa anche per me. Avevo deciso di continuare a scrivere prima le one-shot che ho in mente ma questa storia premeva troppo per uscire dalla mia testa e, alla fine, ho deciso di accontentarla.
Sono molto emozionata. Ho un sacco di idee e spero che vi piacciano.
Quindi, che ne pensate di questo primo capitolo? Spero di aver spiegato bene tutti i concetti che ho inserito, inoltre mi piace pensare che a Suki piaccia davvero insegnare e che non lo faccia solo perché deve. In fondo, l’abbiamo vista insegnare così tante volte: alle reclute, a Sokka, a Giya, a Ty Lee (credo), agli ufficiali e a Ru. Insomma, mi piaceva l’idea ed è una cosa che ritornerà. L’incertezza sul futuro credo sia uno degli argomenti che più accomuna tutti i protagonisti di Atla (prima per la guerra e ora per la vastità delle possibilità).
L’headcanon che Suki sia orfana è semplicemente dovuta al fatto che non si vedano mai i suoi genitori in “Suki, Alone” nonostante vediamo la sua infanzia. Inoltre, mi piacciano le idee che ho creato per il suo background. Spero piaccia anche a voi. La famiglia è un altro argomento che tornerà spesso. Insieme, ovviamente, all’amore. Tanto amore, amore Sukka.
Fatemi sapere che ne pensate!
Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui.
A presto!

Dove trovarmi:

Twitter   Tumblr

 

CURIOSITÀ SU QUESTO CAPITOLO:

Peonia bianca: dolcemente profumata e di lunga durata, viene definita “la rosa senza spine” dagli europei. In Oriente, essa è simbolo delle romantiche storie d’amore. Come per ogni fiore, il suo significato cambia a seconda del colore. In questo caso, la peonia bianca, è simbolo tradizionale delle giovani ragazze che si sono distinte per bellezza ma, soprattutto, per arguzia.
Inoltre, la peonia bianca viene molto utilizzata nei matrimoni.

Colore blu: Inizialmente, la ragione per la quale ho dato a Suki l’aura di colore blu era tutt’altra. Infatti, in Occidente il colore blu indica tristezza o, addirittura, depressione. Cercando su internet, però, ho scoperto che in Oriente il blu indica spiritualità, intelligenza e pensiero. Anche se avevo scelto questo colore perché avevo pensato alla tristezza, perché effettivamente Suki è un po’ triste in quel momento, ho deciso di lasciarlo e di fare dire a Ty Lee che le era chiaro che stesse rimugghiando su qualcosa e, quindi, pensando molto.

Soprannomi: Il fatto che loro non utilizzino soprannomi ma questo tipo di sincero complimento è un mio headcanon che potete leggere qui.

Fatto divertente 1: La scena in cui Suki e Sokka si dicono “ti amo” non era pensata per essere inserita nel primo capitolo ma mi dispiaceva finirlo con una nota amara, dove Sokka si portava la mano sul viso e Suki faceva un passo in avanti e poi si fermava. Non ci sono riuscita, sono debole. Per loro, sicuro.

Fatto divertente 2: “We are (not) Alone”, il titolo di questa fan fiction, è un riferimento al fumetto “Suki, Alone” e al ripetere di Suki di non essere sola. Tuttavia, questo titolo sarà collegato molto anche alla vita di Sokka in quanto, come detto prima, in questa storia ci sono molti temi (famiglia, futuro, amore ecc…) che faranno prendere ai due protagonisti decisioni come individui singoli e non.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Southern Water Tribe (Sokka’s POV) ***


Capitolo 2: Southern Water Tribe (Sokka’s POV)

 

 

 

 

 

 

Tirando un lungo sospiro, rimase con lo sguardo rivolto verso il cielo. Teneva le ginocchia al petto e i gomiti appoggiatovi sopra, lasciando le mani penzolare, mentre osservava con fare distratto le nuvole muoversi sopra di loro. Il viaggio stava procedendo senza troppi intoppi e, questa volta, non gli dispiaceva l’andatura pacata di Appa. Non sentiva la stessa fretta e impazienza che aveva percepito all’andata, quando si erano diretti verso il Regno della Terra per incontrare la sua fidanzata.

Sokka fece una smorfia, quando sentì un leggero senso di colpa risalire dallo stomaco. Certo, era contento di tornare a casa ma, inevitabilmente, questo lo costringeva a pensare a questioni che avrebbe preferito evitare di affrontare in quel momento. Non solo gli ricordava gli avvenimenti e i conflitti di cui era venuto a conoscenza l’ultima volta che avevano fatto visita alla Tribù dell’Acqua del Sud ma gli ricordava anche che non aveva un vero progetto per il futuro, lasciando che l’ansia gli stringesse la gola ogni volta che si domandava di cosa volesse parlare suo padre.

Avere un piano, uno scopo, era funzionale. Gli piaceva, rendeva tutto più semplice e le decisioni definitive. Avere un piano era efficace.

Ne aveva sempre avuto uno fin da quando era solo un ragazzino. Prima, quello di proteggere sua sorella; rimasto solo, quello di difendere l’intero villaggio e di insegnare ai bambini della tribù qualcosa che, all’epoca, nemmeno lui era certo di sapere.

Poi, aveva incontrato Aang e, anche in quel caso, il piano era sembrato piuttosto chiaro. Non subito, ma chiaro, inizialmente stranito dal suo comportamento bizzarro. Be’, a dire il vero, ripensandoci adesso, forse quelli bizzarri erano stati lui e Katara. Aang era stato giocoso e spensierato come avrebbe fatto qualsiasi bambino, come era giusto che fosse. Ma lui e sua sorella erano dovuti crescere in fretta, troppo in fretta e, prima di lasciare il villaggio, non si erano mai concessi il lusso di comportarsi come qualcuno della loro età.

Aveva seguito Katara; da bravo fratello maggiore, con un piano generale, più grande, che si era diviso in tanti piccoli compiti durante i loro viaggi.

Una missione, un obbiettivo, quello era ciò che serviva per poter progettare un futuro. Era quello, ciò di cui lui aveva bisogno. Non che avere un piano rendesse la realizzazione facile, lo sapeva fin troppo bene, ma lasciare tutto nelle mani del caso non era mai una buona idea. Cosa fare quando non si ha nemmeno più un obbiettivo, quello; quello non lo sapeva.

Dopo la cerimonia per l’incoronazione di Zuko, con la scusa di lasciare che la sua gamba guarisse completamente, aveva pensato di potersi prendere del tempo per riflettere. Ma il mondo non era rimasto ad aspettarlo, andando avanti senza che lui se ne fosse reso conto.

Il team aveva iniziato a prendere strade diverse, dopo la celebrazione organizzata dal Re della Terra Kuei. Toph sarebbe rimasta lì, nel Regno della Terra, con l’idea di aprire l’accademia che già aveva iniziato a ronzarle in testa, Zuko alle prese nel suo ruolo da Signore del Fuoco e alla rimozione delle colonie, e lui, Katara e Aang impegnati nei loro viaggi per assicurarsi che la decolonizzazione non disturbasse troppo la pace dei cittadini. Poi; ovviamente, Suki, tornata sull’Isola Kyoshi per accettarsi che stessero tutti bene e cercare di capire quale sarebbe stato il suo prossimo passo da compiere.

Il Movimento di Restauro dell’Armonia, per quanto era sembrata la cosa giusta da fare all’epoca; con insistenza di sua sorella, aveva smontato completamente tutti i suoi piani che includevano le sue visite all’Isola Kyoshi. Era stato in quel preciso istante che la consapevolezza che la sua relazione con Suki sarebbe continuata a essere una relazione a distanza lo aveva colpito in pieno petto. Si era girato a guardarla, persa tra i suoi pensieri fuori dal Jasmine Dragon, mentre il vento le aveva mosso i capelli, bella come sempre con i colori del Regno della Terra addosso. Era bastato che lei si fosse girata verso di lui e gli avesse semplicemente sorriso ed era tutto lì, lo aveva saputo. Suki era la sua persona.

Non avrebbero potuto fare altrimenti, non volevano fare altrimenti.

Certo, l’immagine di poterla rimpicciolire tanto da poterla mettere in tasca e portarla con sé gli sfiorava ancora la mente, ogni tanto. Sorrise a quello sciocco pensiero.

Era difficile, lo era stato fin da quando avevano deciso di portare avanti la loro relazione nonostante la distanza, ma Sokka aveva sempre pensato che ne valesse la pena e sapeva che lei si sentiva allo stesso modo. Avrebbe sempre preferito una settimana, un giorno, persino un’ora con Suki che nessuna.

Dopo un anno dall’incoronazione, avevano provato ad assassinare il Signore del Fuoco e quello era stato l’avvenimento che aveva iniziato a stravolgere la vita di tutti loro.

Quando Suki gli aveva fatto sapere che lei e le altre Guerriere Kyoshi avrebbero fatto da guardia del corpo a Zuko al palazzo reale, all’inizio era rimasto sorpreso. Non che aveva pensato che sarebbe rimasta a casa, o che avrebbe accettato di vivere di nuovo isolata. Nonostante la guerra fosse finita, lei non aveva intenzione di tirarsi indietro dai suoi doveri, desiderosa di aiutare. Sapeva che lei avrebbe fatto un ottimo lavoro e, anche se quello aveva significato prendere di nuovo strade diverse, era stato fiero di quella sua decisione e lo era tutt’ora.

Era una delle cose che amava di lei, la sua indipendenza, il suo seguire ciò che riteneva più giusto in modo altruistico. Lei era una donna d’azione, mentre lui era più un uomo da strategia; convinto che quello fosse uno dei motivi per la quale lavorassero così bene insieme, e rimanere ferma sarebbe stato come soffocare per lei.

Non le avrebbe mai chiesto di rinunciare a quel lato di lei, chiedendole di restare, così come sapeva che anche lei non lo avrebbe mai chiesto a lui. Grato, comunque, di sapere che se mai ci fosse stato un problema, come era accaduto con la guerra che era rischiata di scoppiare a causa del Movimento di Restauro dell’Armonia, avrebbe pensato ancora a lui. Non perché non fosse in grado di cavarsela da sola o, banalmente, perché lui faceva parte del team ma perché lei confidava davvero nelle sue abilità e per lui non esisteva altra persona al mondo della quale si fidasse di più per guardargli le spalle.

Da quel momento in poi, lui, Katara, Aang e; quando non era stata troppo occupata con l’accademia, Toph avevano ripreso a viaggiare insieme per cercare di ricostruire un mondo da poco uscito dalla guerra. Gli ostacoli in cui si erano imbattuti non erano state mai questioni di poco conto e stare fermi a guardare era sembrato ormai impossibile.

E poi, era stato come risvegliarsi da un sogno all’improvviso.

Quando lui e Katara si erano resi conto di quanto tempo avessero passato effettivamente lontani da casa, era stato quasi uno shock. Come erano potuti passare anni, senza che se ne accorgessero?

In quel momento, quindi, tornare alla Tribù dell’Acqua del Sud era sembrata la cosa giusta da fare e, anche lì, tutto aveva iniziato a cambiare.

Non aveva avuto nemmeno il tempo di assimilare ogni singolo cambiamento, quella visita era stata un su e giù di emozioni.

Vedere che il villaggio era diventato una città era stato eccitante per lui, a differenza di sua sorella che era stata restia ad accettarlo. Non la biasimava, i cambiamenti spaventano, ma come aveva spesso detto, non era qualcosa che si poteva fermare quindi tanto valeva abbracciarlo.

Aveva provato lo stesso entusiasmo che provava verso le innovazioni tecnologiche. Da non-dominatore non poteva non vederne i vantaggi, vedendo come li aiutasse a essere più indipendenti dai dominatori, a essere più alla pari. E capiva come questo avesse stravolto completamente il mondo del lavoro per molti, in alcune zone, ma nulla avrebbe mai potuto giustificare l’uso della violenza, qualsiasi fosse il motivo. Per questo credeva nel trovare una soluzione che mettesse d’accordo dominatori e non-dominatori, così come aveva provato a fare a Cranefish Town.

L’arrivo della fabbrica nella Tribù dell’Acqua del Sud, invece, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso per un gruppo di estremisti, contrari all’idea di vivere in una città e al progresso. Questo aveva incrementato la tensione tra il Nord e il Sud. Nel Sud anche nei confronti dello straniero in generale, causando una rivolta che si era alzata nel tentativo di mantenere l’indipendenza; dal Nord e dalla collaborazione con le altre Nazioni, mentre il Nord aveva intenzione di prendere il controllo del Sud e di appropriarsi del petrolio ritrovato. O almeno, quello sarebbe stato il piano di Maliq.

Non era colpa delle macchine, non era colpa del progresso, ma di coloro che avevano scelto di agire in modo ostile. Non c’erano alcune parti con cui doversi schierare. Dominatori e non-dominatori, tutte le Nazioni, dovevano lavorare insieme per trovare un equilibrio. La colpa era dei singoli, non si poteva pensare in generale, ma sembrava che fosse sempre più facile puntare il dito verso gli altri che verso se stessi.

Gli sembrava così semplice, eppure sembrava una verità che sfuggisse ancora a molti.

Aveva rischiato di perdere suo padre durante quei giorni a causa di quella rivolta, più di una volta, di nuovo, e solo il pensiero bastava a farlo sentire male.

L’incontro con Maliq gli aveva mostrato quanto potesse essere facile venire accecato dal desiderio di progresso ma quello con Malina che trovare un equilibrio era davvero possibile e quanto si potesse essere felice alla Tribù dell’Acqua del Sud, insieme.

Malina sembrava davvero rendere felice suo padre, ed era bastato quello per far sì che lui la accettasse. Era stato più facile per lui che per Katara ma era grato di vedere che avevano iniziato ad avvicinarsi. Ci stavano ancora lavorando.

Osservando suo padre, nel suo ufficio, si era chiesto se sarebbe mai riuscito a ricoprire il suo ruolo ma poi era rimasto due mesi a Cranefish Town, riuscendo a far sentire la sua voce ai membri del consiglio d’affari. Anche se sapeva che era ben diverso dall’essere Chieftain, non poteva negare che gli avesse fatto bene. Vero, non erano riusciti a far approvare una nuova forma di governo in città o una soluzione che portasse equilibrio tra dominatori e non-dominatori ma non perché le sue idee non fossero state valide, e quella era una consapevolezza certa.

Adesso, quando immaginava di dover fare un discorso, non pensava più al suo primo povero tentativo durante la guerra, ma riusciva a visualizzare le facce delle persone intente ad ascoltare prendendolo sul serio. Con Aang accanto, in veste di Avatar, ma senza mai pestargli i piedi mentre si fidava delle sue parole, sapendo che l’amico provava un genuino rispetto nei suoi confronti. Vedeva lo sguardo di Suki, nella sua camera alla locanda, non solo concentrata nell’ascoltarlo ma con una luce diversa nei suoi occhi, piena di molto di più, che gli riempiva il petto d’orgoglio. Aveva ancora tanto da imparare ma, almeno, aveva smesso di farfugliare davanti a un gruppo di persone.

Ora; ancora su Appa, Sokka si sentiva un po’ perso.

Si chiese se anche sua sorella sentisse la stessa ansia riguardo il futuro, ma ne dubitava. Non allo stesso modo, almeno.

Era ironico, ma la fine della guerra non aveva lasciato dietro di sé solo nuove problematiche da risolvere ma anche così tante possibilità da non sapere quale scegliere.

Seguire le orme di suo padre sembrava la strada più logica ma, allora, perché non gli veniva così naturale pensarci? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per vedere l’espressione orgogliosa di suo padre, ancora una volta, e aveva sempre pensato che sarebbe stato quello il suo destino fin da bambino; eppure, adesso non sembrava più l’unica strada percorribile.

Una parte di lui continuava a ripetergli che, se fosse rimasto nella Tribù dell’Acqua del Sud, avrebbe rinunciato a molteplici occasioni. All’occasione di imparare cose nuove, di vedere dove gli studi delle altre nazioni stessero portando, di viaggiare liberamente e progettare nuove invenzioni con gli ingegneri di tutto il mondo. C’erano così tante altre fabbriche da visitare, tutte diverse tra loro.

Quando era un bambino non avrebbe mai potuto nemmeno immaginarlo. La vita al di fuori il villaggio.

Il suo sguardo si spostò verso Katara, seduta difronte a lui. Teneva il mento appoggiato sul palmo e guardava l’orizzonte oltre le spalle di Aang. Accennò un sorriso nel vedere quanto fosse cresciuta. Non che l’avrebbe mai detto ad alta voce, ovviamente, una parte di sé la avrebbe sempre vista come la sua sorellina. Ma che lui era fiero di lei, lei lo sapeva.

I suoi occhi seguirono la stessa direzione di quelli di Katara poi, però, si soffermarono sulla figura del suo amico. Quanto ancora sarebbero durati quei loro viaggi insieme, era impossibile da dire ma dubitava che avrebbe potuto seguire Aang e aiutarlo con i suoi ‘problemi da Avatar’; come li chiamava lui, per sempre. Non lui, almeno.

I suoi occhi si posarono di nuovo su sua sorella. Si sarebbe fermata, un giorno, o le sarebbe andato bene continuare a seguirlo?

I suoi pensieri tornarono a Suki. Non che stesse provando a paragonare la loro relazione, sarebbe stato decisamente strano e anche inutile; considerò, dato che erano persone completamente diverse. Ma entrambe erano due delle donne più forti che conosceva, determinate e coraggiose, come gli avevano dimostrato più di una volta in passato. In tutti i sensi.

Ancora non riusciva a credere che Suki gli avesse detto di amarlo. Non che fosse stato necessario, lo sapeva già ma; spiriti, era stato bello sentirselo dire e dirlo a sua volta. Per quanto potesse essere insicuro sul futuro, quello era sempre stato certo. Sokka sentì il cuore martellare contro la gabbia toracica al solo pensiero, sentendo ancora la stessa felicità nel petto che aveva provato in quell’istante.

Suki sembrava aver trovato il suo posto, il suo obbiettivo. Ora che ci pensava, sua sorella non gli aveva mai detto cosa avesse intenzione di fare adesso.

“Che c’è?” Katara domandò, quando i loro sguardi si incontrarono.

Sbatté le palpebre un paio di volte, colto di sorpresa mentre la stava fissando, e provò a rilassarsi, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse teso. Fece spallucce, cercando di sembrare il più disinvolto possibile e allungò un braccio verso una delle sacche.

“Tieni,” Sokka disse, porgendole il parka “dovresti indossarlo, inizia a fare freddo.”

Katara alzò gli occhi al cielo, come a voler intendere che non avrebbe dovuto preoccuparsi, ma lo prese comunque seguendo il suo consiglio.

Sokka sorrise, soddisfatto, indossando il suo subito dopo.

Sospirò e sentì l’infrenabile desiderio di poter rimanere lì, in aria su Appa, ancora un po’. Sospeso e libero dai dubbi, dal dover prendere delle decisioni, solo con il vento freddo a colpirlo e con le sue certezze.

La schematicità degli haiku è catartica, mi manca la mia spada spaziale, il boomerang è la miglior arma, iniziò a contarle, la scienza trova le risposte, l’arte è un passatempo divertente, mia sorella sarà sempre una ragazzina per me, il cibo è una passione, lo spirito lunare è gentile, adoro la mia famiglia, io amo Suki.

Non era certo di quanto tempo in più di preciso, solo, un po’ di più.

 

 

o o o

 

 

Il suo braccio dondolava, a destra e a sinistra, sopra la distesa di bianco che aveva occupato la sua vista da ore. Curvo, affacciato nel vuoto come ipnotizzato, Sokka faticava a tenere gli occhi aperti. Sembrò tornare in sé solo quando Katara si era affrettata a raggiungere il suo fianco, con un ampio sorriso sulle labbra.

Sua sorella; però, non stava guardando lui e, imitandola, raddrizzò la schiena girando la testa verso la sua destra. Non appena gli edifici della città si fecero chiari all’orizzonte, si sentì leggermente sollevato. Grato di sentire l’ansia scivolare via dal suo petto per lasciare il posto alla gioia, all’idea di rincontrare la sua famiglia.

Appa iniziò ad abbassarsi alla ricerca di un posto per atterrare, e gli occhi di Sokka vagarono per le strade e gli edifici dove, di tanto in tanto, qualcuno alzava lo sguardo verso il cielo attratti dal passaggio dell’ombra del loro amico peloso. Notando la loro presenza, adulti e bambini iniziarono a salutarli e lui non riuscì a trattenersi dal sorridere davanti a quell’accoglienza.

Era bello essere a casa.

Una figura risaltò in mezzo alle altre, ferma, a pochi passi dal municipio. Quando si fecero più vicini, notò che si trattava di un uomo e lo vide alzare un braccio per salutarli con entusiasmo.

Il sorriso di Sokka si allargò non appena lo riconobbe.

“Papà!” Katara esclamò e, non appena Appa si posò a terra, lei saltò giù per correre verso di lui. “Sei venuto.”

“Certo,” Sokka lo sentì dire mentre seguiva sua sorella “l’ultima volta non sapevo che sareste venuti ma, questa volta, nessuna riunione avrebbe potuto impedirmi di accogliere i miei figli come si deve.”

Lo sguardo di Sokka si ammorbidì nel sentirlo, mentre Katara si lasciava avvolgere tra le braccia del loro padre.

“Ciao, papà.” Lo salutò a sua volta, una volta raggiunto, unendosi all’abbraccio.

Non appena quel calore lo avvolse, sentì i muscoli sciogliersi, a suo agio. Tirò un sospiro di sollievo.

Quando sciolsero l’abbraccio, Hakoda rivolse la sua attenzione alle loro spalle ancora sorridendo.

“Avatar Aang, è sempre un piacere averti qui.” Disse, portando un pugno sul palmo e chinandosi leggermente in segno di rispetto.

“È un piacere essere qui, Head Chieftain Hakoda, signore.” Aang ricambiò il gesto e Sokka si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo mentre si chiedeva se tutta quella formalità fosse davvero necessaria. Le abitudini erano dure a morire.

“A dire il vero, non resterò a lungo.” Aggiunse, mentre la preoccupazione prendeva forma sul suo viso. “Ripartirò tra un paio di giorni.”

“Certamente, prenditi tutto il tempo che ti occorre.”

Aang sorrise, grato, e Sokka guardò Katara con la coda dell’occhio. Lei aveva abbassato lo sguardo fino a indirizzarlo ai propri piedi. Durò solo un secondo ma lui non poté fare a meno di notarlo, sapendo bene cosa stesse provando in quel momento. Istintivamente, si avvicinò un po’ di più a sua sorella come se potesse aiutare ad alleviare quel dolore.

“Sono curioso di sentire cosa avete da raccontare su Cranefish Town,” Hakoda ammise, girandosi di nuovo verso i suoi figli “ma che ne dite se prima riponete i vostri bagagli? Ne riparleremo davanti a un pasto caldo.”

“Sì, per favore.” Sokka esclamò mentre si accarezzava l’addome con fare scherzoso, ottenendo una pacca affettuosa sulla spalla da suo padre.

Il gruppo si affrettò a scendere i bagagli e, dopo aver dato disposizione per un luogo in cui Appa potesse riposare tranquillo, Hakoda fece loro strada lungo la città.

Sokka accelerò il passo per distanziarsi dalla coppia e raggiungere il fianco di suo padre. Lo osservò per qualche secondo. Non sembrava preoccupato, o nervoso, e fino a quel momento il suo tono di voce era sembrato calmo come al solito; eppure, non riuscì a trattenersi dal chiedere: “Nella lettera hai scritto che volevi parlarci di qualcosa, cos’è?”

Hakoda rise. “Non essere impaziente, figliolo.” Si girò a guardarlo. “Come ho detto, parleremo più tardi.”

Quelle parole non sembrarono riuscire a rassicurare Sokka che si fermò di colpo, avendo l’impressione che il chiacchierio dei passanti si fosse fatto spaventosamente distante mentre lasciava che gli altri due lo superassero.

Sentì un brivido lungo la schiena, consapevole che non era dovuto al freddo.

 

 

o o o

 

 

Sokka lasciò andare un lungo sospiro non appena mise piede all’interno dell’edificio. Con il calore a prendere il posto del freddo, appoggiò i suoi bagagli sul pavimento per poter togliersi il parka.

Lo appese e recuperò la borsa e le sacche, dirigendosi verso la camera da letto. Le adagiò sul letto e si guardò intorno. Suo padre gliela aveva indicata, informandolo che da quando erano ripartiti aveva iniziato a organizzarsi per assicurarsi che i suoi figli avessero una casa tutta loro. Lui ne era grato, consapevole che fosse ormai abbastanza cresciuto da poter vivere da solo. In fondo, avevano viaggiato senza alcuna supervisione di un adulto in passato, per non parlare del fatto che aveva contribuito a porre fine alla guerra. In più, non aveva alcuna voglia di compromettere la privacy di suo padre e Malina; sarebbe stato strano. Preferiva in quel modo.

La casa sembrava confortevole. Modesta, rispecchiava gli interni degli altri edifici della Tribù dell’Acqua del Sud. Doveva ancora farci l’abitudine, ma gli piaceva.

Notò che la casa era leggermente grande per una persona sola, comprendeva persino uno studio e un’altra stanza piuttosto spoglia, e si chiese se suo padre se ne fosse accorto.

Non riuscì a evitare che i suoi pensieri andassero a Suki e, d’istinto, si portò una mano nella tasca. Magari avrebbero potuto stare lì insieme, quando l’avrebbe portata a visitare la città.

Ricordava quanto felice si fosse sentito, non appena avevano iniziato a parlarne a Cranefish Town.

Era accaduto un po’ per caso. Sokka lo aveva detto quasi per scherzo, cercando di non sperarci troppo, ma non era riuscito a trattenersi quando Suki aveva mostrato curiosità davanti all’elmo tipico della Tribù dell’Acqua che lui aveva appena comprato. Lei aveva sollevato lo sguardo per guardarlo negli occhi e gli aveva confessato che le sarebbe piaciuto visitare la Tribù dell’Acqua del Sud, la prossima volta che lei avesse avuto il tempo di prendersi una pausa. Solo se lui avesse voluto, si era affrettata ad aggiungere, ricordando ancora il rossore che le aveva colorito le guance. Lo aveva preso così di sorpresa che aveva sentito il cuore finirgli in gola e, preso dall’euforia, l’aveva abbracciata stretta. Eccitato all’idea di mostrale il luogo in cui era nato e cresciuto. Non desiderando altro che renderla partecipe anche di quel lato della sua vita, di sé.

Probabilmente, non avrebbe potuto comunque stare per molti giorni ma, per lui, era più che sufficiente; sapendo che lo intendeva davvero.

Riusciva già a vederlo. Loro due, davanti al fuoco, a raccontarsi la giornata e cosa avevano fatto dall’ultima volta che si erano incontrati; proprio come avevano preso l’abitudine di fare negli ultimi due mesi.

Sentì bussare alla porta e si ridestò dai suoi pensieri.

“È aperto.” Disse alzando la voce per farsi sentire da lì, mentre toglieva in fretta la mano dalla tasca.

“Sei pronto?” Sentì Katara chiedere, girandosi verso di lei quando si fermò sulla soglia della camera da letto.

“Tra un minuto.” Sokka rispose, avvicinandosi verso la borsa sul materasso.

Vide sua sorella prenderlo come un invito a entrare, avvicinandosi a lui.

“Non hai ancora disfatto i bagagli? Papà ci sta aspettando.” Katara disse, incrociando le braccia al petto.

“Lo so,” Sokka ribatté sconsolato, mentre iniziava a svuotare la borsa “stavo guardando in giro.”

Sua sorella annuì, facendo vagare lo sguardo per la stanza. “È carino qui.”

Si fermò a guardarla. Si era fatta seria in viso, mentre fissava un punto indefinito della camera, e lui si chiese a cosa stesse pensando in quel momento.

Ancor prima che lui potesse dire qualcosa, però, lei aggiunse: “È strano che mi senta più a casa qui che fuori? Intendo dire, non assomiglia affatto alla nostra casupola; eppure…”

“No,” Sokka rispose, sorridendole “non penso sia strano.”

Non lo era, ma ciò che provava lui era un po’ diverso. Casa, era dove era la sua famiglia. Il poter stare con suo padre, con sua sorella, con Gran-Gran e sua zia Ashuna. Casa, era tutta la Tribù dell’Acqua del Sud; con le tradizioni e i piatti tipici di cui aveva sentito la mancanza. Persino la robusta carne secca di foca, e il freddo che quasi mozzava il fiato di cui era tornato a farci l’abitudine. Ma riusciva a capire come si sentiva Katara; in un certo senso. La certezza confortevole di sapere cosa trovare quando facevano ritorno a casa, era sparita.

Era triste pensare che la casupola dove erano cresciuti, dove lui aveva visto per la prima volta sua sorella aprire i suoi piccoli occhietti, non esisteva più; o che per osservare l’aurora polare, come aveva fatto spesso da bambino, dovesse adesso uscire dalle mura e allontanarsi dalla città quel tanto che bastava per far sì che le luci non impedissero di vederla. Allo stesso tempo, non riusciva a non sentirsi eccitato, sentendo spesso queste due emozioni in conflitto tra loro. Erano però più i giorni in cui l’euforia per un futuro diverso prendeva il sopravento sull’altra mentre per Katara, probabilmente, era il contrario dove la nostalgia l’assaliva ogni volta che metteva piede fuori.

Katara ricambiò il sorriso, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi.

“Quindi,” Lei disse, cercando di cambiare argomento “di cosa pensi voglia parlare papà?”

Quella domanda lo colse di sorpresa. Quindi anche lei se lo stava chiedendo.

“Non lo so,” Sokka sussurrò, sincero “il futuro?”

Katara emise una risatina, poi abbassò lo sguardo. “Mi è davvero mancata casa.”

“Lo so.” Mormorò, amareggiato. Avrebbe voluto che la situazione fosse migliore per sua sorella.

Lei sospirò. “Be’, ti aspetto fuori.”

La guardò voltarsi e dirigersi verso l’ingresso ma quella sua confessione, aveva lasciato una strana tensione nell’aria. Non gli era piaciuta l’espressione che sua sorella aveva assunto, ancora vivida nella sua mente. Non volendo che lei uscisse da quella casa in quello stato, iniziò a pensare a qualcosa che potesse tirarla su di morale.

“Ehi, aspetta.” Sokka disse, avvicinandosi verso di lei.

Katara tornò a guardarlo, fermandosi con una mano già sulla maniglia della porta.

“Uhm,” mugugnò abbassando lo sguardo, ancora alla ricerca di qualcosa, e si mise entrambe le mani in tasca a disagio. Alzò la testa di scatto, sorridendo. “Vorrei parlarti di una cosa.”

Lei corrugò la fronte, confusa, ma mollò la presa sulla maniglia. “Cos’è?”

Sokka non rispose, ma nemmeno distolse lo sguardo. Sapeva che sua sorella sarebbe stata la prima persona a cui avrebbe voluto dirlo ma non aveva programmato di farlo in quel momento. Ingoiò e decise di darle comunque la notizia, sapendo che ne sarebbe stata felice. Almeno così sperava.

“In realtà, era da un po’ che volevo dirtelo.”

“Sokka?”

“Non so nemmeno quando lo farò.”

“Sokka.”

“Forse dovrei iniziare a pianificarlo.”

“Sokka!” Katara alzò la voce per interrompere il rimuginare di suo fratello. Adesso, di nuovo con le braccia incrociate, lo guardava con impazienza.

Sbatté le palpebre, come risvegliato all’improvviso da un sogno. Sospirò, sentendo la bocca secca, e disse: “Voglio chiedere a Suki di sposarmi.”

Il silenzio calò nella stanza, non appena le parole gli scivolarono dalle labbra, e Sokka poté giurare di sentire solo il suo cuore martellare così forte da sentirlo nelle orecchie. La vide spalancare gli occhi, come se avesse capito solo in quell’istante cosa lui avesse detto, aprire la bocca ma nessun suono uscire da essa, mentre si portava entrambe le mani al viso.

“Dì qualcosa,” Sokka sussurrò, preoccupato “per favore.”

Katara emise un gridolino di gioia e, dopo aver saltato sul posto un paio di volte, corse ad abbracciarlo.

Lui scoppiò in una risata liberatoria e ricambiò l’abbraccio. Amava Suki, ma vedere l’entusiasmo di sua sorella significava molto per lui.

“Mi hai spaventato per un attimo, lo sai?”

“Scusa, mi hai colto totalmente impreparata.” Katara ammise, sciogliendo l’abbraccio. “Sono davvero felice per te.”

“Grazie.” Sokka disse, ancora sorridendo.

Lei si allontanò di qualche passo, poi i suoi occhi scivolarono sulla sua tunica e lui dovette combattere contro l’istinto di infilarsi di nuovo le mani in tasca.

Sua sorella, però, sembrava averlo notato perché il suo tono si fece accusatorio quando chiese: “Da quanto tempo lo sai?”

Sokka emise una risatina nervosa, distogliendo lo sguardo. “Da un po’.”

“Da un po’ quanto?” Lei incalzò.

“Urgh,” lui grugnì, alzando le braccia, esasperato “me lo rimangio, preferivo quando non parlavi.”

La provocazione non ebbe l’effetto che lui aveva sperato e, quando non ricevette alcuna risposta, si arrese. “Dall’ultima volta che siamo venuti qui.”

“Ma è un sacco di tempo!” Katara esclamò, incredula. Poi, inarcò un sopracciglio prima di cantilenare divertita. “Oh, è per questo che credevi che Malina fosse la moglie di Maliq.”

“Ti prego, non ricordarmelo.”

“Aww, Suki è la tua persona più importante.” Lo provocò, mostrando un sorrisetto sornione.

Sokka arrossì. “Perché mi fai questo?”

“Perché sono tua sorella.” Lei rispose disinvolta, aprendo le braccia come a voler mostrare che fosse ovvio.

Lui si ammutolì, abbassando la testa, poi incatenò il suo sguardo a quello di lei di nuovo. “Non sei arrabbiata?”

“Riguardo cosa?”

“Riguardo al fatto che la persona più importante per Maliq è sua sorella, mentre io…” si fermò, sentendo un sapore amaro in bocca “non lo avevo nemmeno capito.” Provò.

“Certo che no.” Katara rise.

“Perché no?” Sokka domandò, con sincera curiosità.

“Perché so già che faresti qualsiasi cosa per me,” lei spiegò “in più so che il tuo essere fastidioso equivale perfettamente a quanto mi vuoi bene e, credimi, non potresti essere più fastidioso di così.”

“Ah ah.” Lui la prese in giro, ma non poté evitare di sorridere. “Allora chi è la tua persona più importante?”

“Non te lo dirò.” Ribatté Katara e, questa volta, fu il suo turno di arrossire.

“Sai cosa, hai ragione, non voglio saperlo.” Sokka disse, facendo una smorfia.

“Quindi,” lei canticchiò, portandosi le mani dietro la schiena e iniziando a camminare per la stanza “volevi farle la proposta a Cranefish Town?” indagò, tornando sull’argomento.

“No!” Sokka esclamò, quasi offeso all’idea. “Cioè, no! Non era il momento adatto, dopo le rivolte e quello che è successo dopo, siamo stati entrambi troppo impegnati e quando avevamo tempo di stare insieme, be’, volevamo stare insieme.”

Katara emise un grugnito di disgusto, fermandosi per girarsi di scatto come se non riuscisse più a guardarlo. “Schifo.”

Alzò gli occhi al cielo. “Non intendevo dire quello.”

A dire il vero, anche quello ma, ovviamente, non era qualcosa che voleva dire a sua sorella.

La verità era che aveva sentito la mancanza della sua fidanzata, come tutte le volte che non erano insieme. Certo, gli era mancata la loro intimità e non credeva che qualcuno avrebbe potuto biasimarlo per quello. Era Suki, lei era stupenda, era tutto ma era stata proprio la sua presenza a mancargli. Gli era mancato parlarle, non solo di questioni serie; nella quale sapeva di poter sempre contare sul suo orecchio attento, ma anche riguardo sciocchezze, gli era mancato scherzare con lei. L’adorabile broncio che prendeva vita sulle sue labbra, quando una battuta non veniva fuori come lei aveva sperato.

Si divertiva sempre con lei, nonostante non fosse brava con gli scherzi, aveva altri metodi per far scaturire una risata. Suki era davvero una persona divertente. Probabilmente, più di quanto lei pensasse.

“Ho già realizzato la collana di fidanzamento, è solo che…” Sokka sospirò “voglio che sia tutto perfetto.”

“Non esiste la perfezione, Sokka.” Katara lo avvisò. “Se aspetti il momento perfetto, potrebbe non arrivare mai.”

Lui indietreggiò fino a raggiungere di nuovo la soglia della camera da letto. “Ci sto lavorando.”

Katara scosse la testa, seguendolo di qualche passo per continuare quella conversazione. “Non posso credere che tu ti sia portato dietro la collana per altri due interi mesi. Cosa sarebbe successo se tu l’avessi persa?”

“Credevo di essere io il paranoico della famiglia.” Sokka borbottò, riprendendo a svuotare la borsa. Era stata lei stessa a dirlo, in passato.

“Bene.” Lei sentenziò. “La proposta è tua, fa’ come meglio credi.”

“Ti ringrazio.” Disse, con un po’ troppa enfasi.

Katara si girò per avviarsi verso la porta ma, poi, qualcosa sembrò farle cambiare idea. “Posso chiederti un’ultima cosa?”

Sokka borbottò sottovoce, fingendo fastidio, ma annuì.

“Perché hai deciso di volerle fare la proposta seguendo la tradizione…” lei esitò “del Nord?”

Si fermò di botto nel sentirlo e, quando fece incontrare i loro sguardi, trovò della preoccupazione sul viso di lei, come se temesse di essersi spinta troppo in là con quella domanda.

Sokka fece spallucce, volendo dare l’impressione di non dargli troppo peso. “Mamma la aveva. Ho solo pensato che potesse essere bello se Suki ne avesse una a sua volta.” Si schiarì la voce. “Immagino.”

Uno strano senso di vergogna gli colpì lo stomaco. Dirlo ad alta voce sembrava stupido e quel pensiero gli fece desiderare di dare le spalle a sua sorella ma, ancor prima che potesse muoversi, lei corse ad abbracciarlo di nuovo.

“Penso sia una bella idea.” Katara disse, con le lacrime agli occhi.

“Grazie.” Sokka sussurrò, questa volta, sincero.

Lei sorrise e fece per allontanarsi, quando lui la chiamò. “Oh, devi promettermi una cosa.”

“Non preoccuparti, non lo dirò a nessuno.” Sua sorella lo anticipò, cercando di rassicurarlo.

“Bene.” Lui ci penso su. Poi, aggiunse: “Non puoi dirlo nemmeno ad Aang.”

Katara si fermò. “Cosa? Perché no?”

“Perché non è in grado di mantenere un segreto.”

Lei aggrottò la fronte. “Di che parli?”

Sokka aprì la bocca per rispondere ma qualcuno bussò. Lui la superò in fretta per raggiungere l’ingresso e, quando posò una mano sulla maniglia della porta, girò la testa verso di lei. Alzò un dito dell’altra mano verso sua sorella per intimarla a non dire niente e lei lo fulminò con lo sguardo mentre lo raggiungeva.

“Ehi, ragazzi.” Aang li salutò, allegro, una volta che la porta si aprì. “Che state facendo, perché ci state mettendo tanto?”

“Niente.” Si affrettò a dire, girandosi a guardare Katara come alla ricerca di una conferma.

Invece, vide nascere un sorrisetto sornione sul viso di lei e capì che non sarebbe andata a finire bene per lui.

“A dire il vero,” Katara iniziò a dire, avvicinandosi al suo fidanzato “stavamo discutendo se tu riesca a tenere un segreto. Sokka dice di no.”

“Cosa?” Aang esclamò, voltandosi verso l’amico. “Sono un ottimo custode di segreti.”

“Non è affatto vero.” Sokka sbuffò incrociando le braccia al petto, arrendendosi all’idea di finire quella conversazione nel minor tempo possibile. “Hai dimenticato di tutte le volte che hai rivelato di essere l’Avatar, quando eravamo nel bel mezzo di una guerra?”

“Solo quando strettamente necessario.”

“Sì, certo.” Sokka ribatté, con sarcasmo.

“Non ho mai detto a Katara che è stata una tua idea quella di prendere camere separate a Cranefish Town—whops.” Si fermò di colpo, portandosi una mano alla bocca.

“Tu, cosa?” Katara si intromise, alzando la voce. “Sokka!”

“Vedi?” Domandò retorico, alzando le braccia al cielo. “Questo è l’esatto motivo per la quale non posso dirti niente.”

“Scusa.” Aang bisbigliò colpevole, con un filo di voce. Sembrava sinceramente dispiaciuto e quello bastò a Sokka per decidere di lasciar perdere, non senza avergli lanciato un’occhiataccia prima.

“Non ho più cinque anni, lo sai.” Sua sorella continuò, imperterrita.

“La la la,” lui quasi urlò, portandosi in fretta le mani a coprirsi le orecchie. Certo che lei lo avesse detto solo per punirlo “non lo voglio sentire.”

Katara sbuffò alla reazione esagerata del fratello. “Non ho detto niente, davvero.” Poi, si avvicinò afferrandogli delicatamente i polsi per allontanarli dal suo viso. “Ma se glielo dici, saremo pari.”

Sokka sussultò, come offeso. “Questo è un ricatto bello e buono.”

“Cosa, hai davvero un segreto? Oh, per favore, dimmelo.” Aang si avvicinò, cauto. “Farò più attenzione questa volta, lo prometto.”

Guardò l’amico con la coda dell’occhio. Aveva le mani giunte e un broncio così pronunciato che sembrava stesse per mettersi a piangere, da un momento all’altro.

“Non guardarmi così.” Sokka mormorò, nonostante sentiva di star già per cedere.

Era buffo, ma vederlo in quello stato gli fece venire in mente una delle loro vecchie avventure. Non che Aang si comportasse ancora come un dodicenne, ma la spensieratezza era sempre stata una delle sue caratteristiche, persino dopo aver saputo della guerra; la maggior parte delle volte almeno. Essendo proprio quello uno dei motivi principali per la quale erano finiti spesso nei guai, mettendo a dura prova la pazienza di Sokka. La cosa strana era che invece di irritarlo, quel ricordo, gli fece venire voglia di sorridere.

“Va bene, va bene.” Tentò di calmare l’amico ma, nonostante tutto, non riuscì a nascondere l’emozione quando disse: “Voglio chiedere a Suki di sposarmi.”

“Woah, Sokka! È fantastico, congratulazioni!” Aang esclamò entusiasta, con il viso illuminato da un ampio sorriso, poi vacillò. “Oh, questo sì che è un segreto.”

“Hai promesso.” Gli ricordò, serio.

“E intendo mantenere la promessa, non preoccuparti.”

Sokka tirò un sospiro di sollievo e fece scivolare lo sguardo tra i due difronte a lui, mentre si guardavano contenti e compiaciuti, adesso complici di avergli estorto quell’informazione. Non gli diede troppo peso. Dirlo era stato quasi liberatorio, si sentiva più leggero. Era bello dirlo a qualcuno e condividere quella gioia, nonostante ci fosse adesso il reale pericolo che Suki potesse venire a scoprirlo. Soprattutto con Aang in giro ma finché erano distanti, non correva alcun pericolo.

“Aspetta, volevi farle la proposta senza averle detto di amarla prima?”

Come non detto, è stata una pessima idea.

“Certo che no—adesso basta parlare della mia vita amorosa.” Sbottò, avvicinandosi alla porta. “Basta consigli, sono il più grande e so meglio, e dobbiamo andare!”

Recuperò il parka e abbassò la maniglia, lasciando che il freddo gli colpisse il viso, mentre sentiva sua sorella ridacchiare alle sue spalle.

 

 

o o o

 

 

Il chiacchiericcio dei clienti del Two Fishes Northern Cuisine gli riempì le orecchie, non appena mise piede nel ristorante. Era esattamente come lo ricordava. Semplice ma ancora un po’ estraneo, pieno di odori deliziosi che gli stuzzicarono l’appetito.

Si sfilò il parka, sotto la luce calda del lampadario, e cercò con lo sguardo suo padre. Lo trovò poco più distante, seduto al tavolo con Malina e altre tre sedie vuote.

Si soffermò a guardarli. Stavano semplicemente parlando, di cosa era impossibile da dire per lui, essendo troppo distante. Suo padre sorrideva, di tanto in tanto, seguito da Malina subito dopo. Sembravano felici.

Il rumore della porta che si apriva, dietro di lui, attirò la sua attenzione. Vide Katara lanciargli uno sguardo interrogativo, notandolo ancora fermo in piedi vicino l’ingresso, mentre Aang la raggiungeva poco dopo.

Sokka scosse la testa, come a dire che non era nulla, e insieme si avviarono per raggiungere il tavolo.

“Ah, eccovi qui.” Hakoda li accolse. “Vedo che Aang vi ha trovati.”

“Scusa, colpa mia.” Sokka spiegò.

Hakoda fece un disinvolto cenno con la mano. “Prima che venisse a cercarvi, aveva iniziato ad accennarmi riguardo Cranefish Town.”

Sokka si fermò, con ancora una mano sullo schienale della sedia per discostarla dal tavolo. “Davvero?”

Suo padre annuì, mentre loro si sedevano. “Sembra che ci sia stata una rivolta.”

“Sì ma siamo riusciti a fermarla, almeno per ora.” Aang rispose, poi aggiunse. “Questa è la ragione per la quale non posso rimanere a lungo.”

“Capisco.” Disse, apprensivo.

Nel viso di Aang tornò un’espressione allegra, non appena si girò verso la sua fidanzata e il suo amico. “Non abbiamo solo fermato il leader della rivolta, io e Sokka abbiamo fatto parte alle riunioni del consiglio d’affari. Ha avuto molte idee.”

Sokka lanciò una veloce occhiata ad Aang, che ricambiò sorridendo. Sentì la gola seccarsi, quando gli occhi di tutti coloro che erano seduti a tavola si rivolsero verso di lui. Buffo, si ritrovò a pensare, si sarebbe sentito più a suo agio davanti ai membri del consiglio, un gruppo di sconosciuti, piuttosto che spiegare a cosa si stesse riferendo.

“Uhm,” iniziò, incerto “sì, ho tenuto dei discorsi, anche se non siamo riusciti a raggiungere un accordo.”

“La politica è complicata. Tante teste da convincere.” Hakoda sospirò. “Ah, avrei voluto sentire uno di quei discorsi.”

Quello bastò a far sorridere Sokka.

“È stato intenso ma credo di essermela cavata piuttosto bene, se me lo chiedi.” Spiegò, adesso, con entusiasmo nel sentire l’approvazione di suo padre. “Ma non ero lì da solo, Aang era con me e, come ha già detto, abbiamo dovuto fermare una rivolta con Katara e Toph, e anche Suki. È stata fantastica, ha insegnato le basi per come bloccare il chi agli officiali di polizia in una notte sola—” si fermò, in imbarazzo “quello che intendo è che tutti noi abbiamo fatto la nostra parte.”

Hakoda rise. “Ne sono sicuro.”

Sua sorella gli lanciò un’occhiata compiaciuta, mentre Aang ridacchiava in sottofondo, ma Sokka riusciva ancora a sentire l’ampio sorriso dipinto sul suo volto.

“Mentre aspettiamo che ci portino da mangiare,” suo padre cambiò argomento “c’è una cosa di cui vorrei parlarvi.”

Hakoda e Malina si scambiarono un’occhiata d’intesa e, d’istinto, Sokka cercò di nuovo gli occhi di Katara. Sembrava confusa tanto quanto lui.

Che sta succedendo? Si domandò, sperando che sua sorella potesse dargli una risposta in qualche modo, Adesso ci diranno che vogliono sposarsi, è la serata delle proposte, niente più segreti da oggi in poi.

“Come sapete ci sono state delle elezioni per nominarmi Head Chieftain dell’intera Tribù dell’Acqua del Sud.” Hakoda iniziò a esporre.

Oh, giusto, Sokka pensò, quello.

“Ma voi siete ancora i miei figli e non c’è nessun’altro al mondo di cui io mi fida di più per quando non ci sarò più—”

“Sei malato?”

“Qualcosa non va?”

Esclamarono all’unisono Sokka e Katara, sporgendosi in avanti.

“No, no, calmatevi voi due. Sono perfettamente in salute,” provò a rassicurarli, mentre alzava le mani “ma, che gli spiriti mi aiutino, vorrei potermi ritirare un giorno e vivere i miei ultimi momenti; che sono ancora molto lontani, in tranquillità a casa.”

Sokka tornò ad appoggiare la schiena sulla spalliera della sedia. All’improvviso stanco, come se qualcuno gli avesse risucchiato l’aria direttamente dai polmoni.

“Ma, come stavo dicendo, siete i miei eredi e potreste comunque diventare Chiefman Locale, o…” spostò lo sguardo su sua figlia “Chiefwoman, per poi decidere voi cosa fare.”

Vide suo padre accennare un sorriso e non aggiungere nient’altro mentre faceva intrecciare le dita tra di loro, con le mani sopra il tavolo, in attesa. Malina, invece, continuava a spostare ripetutamente lo sguardo tra lui e sua sorella ancora sorridendo, emozionata.

“Io…” Fu Katara la prima a parlare, ma poi si fermò.

Sokka si girò verso di lei e poté notare, dalla sua espressione, quanto fosse sorpresa di essere stata presa in considerazione per il ruolo di Chiefwoman. Lui non lo era, e un moto di orgoglio si accese nel suo petto. Sua sorella se lo meritava e sapeva che sarebbe stata capace di grandi cose, se avesse accettato. Sarebbe stata anche la prima volta nella storia della tribù che una donna diventasse Chiefwoman, indipendentemente da chi sposasse, senza essere co-Chieftess.

L’orgoglio, però, venne presto sostituito da una morsa che gli strinse lo stomaco, quando si ricordò che la stessa proposta era stata fatta anche a lui. Avrebbe dato qualsiasi cosa, in quel momento, per sapere cosa passasse per la mente a Katara.

“La mia è solo una proposta, la scelta spetta solo a voi.” Hakoda disse, ridestandolo dai suoi pensieri.

Il silenzio calò di nuovo a tavola, interrotto solo dall’arrivo delle portate. Nonostante l’odore di carne grigliata gli solleticasse l’olfatto, Sokka sentiva di non avere più tanta fame.

 

 

o o o

 

 

Il resto della serata era passato in modo piuttosto piacevole. Tra i sapori confortanti della tradizione e nuove scoperte dei piatti del Nord, Sokka aveva fatto del suo meglio per evitare di pensare al futuro e godersi la compagnia della sua famiglia; nonostante lo stomaco chiuso.

Non appena avevano messo piede fuori dal ristorante, dopo aver salutato il loro padre e Malina, Katara lo aveva trattenuto per un braccio.

“Facciamo due passi, ti va?” Nonostante le fosse uscita come una domanda, lei non era sembrata aperta a un rifiuto.

Lui non si era opposto e aveva salutato Aang. Quando era stato il turno di sua sorella, la aveva sentita dire che aveva bisogno di parargli. Aang aveva sorriso, comprensivo, e senza fare alcuna domanda, li aveva lasciati soli.

Adesso, camminavano l’uno di fianco all’altra per le strade della città, ancora in silenzio.

Nonostante il freddo gli pungesse la pelle sulle guance, era piacevole.

Sokka indirizzò lo sguardo verso il cielo. Non c’erano molte stelle visibili, a causa delle luci degli edifici e in strada. Spostò lo sguardo, con ancora la testa rivolta verso l’alto; nonostante tutte quelle luci, la luna era ancora lì. Fiera, in tutto il suo splendore. Sorrise.

“Ho intenzione di prendere in considerazione la proposta di papà.” Non appena Sokka sentì Katara pronunciare quelle parole, i suoi occhi si abbassarono su di lei.

“Sì?” Riuscì solo a dire, un po’ sorpreso.

Lei annuì. “Volevo lo sapessi.”

Sokka sorrise. “Non dovresti preoccuparti per me.”

Katara gli lanciò un’occhiataccia poi, però, sorrise e lui ricambiò il gesto.

“Non fraintendermi, sono davvero interessata,” sua sorella spiegò fermandosi all’improvviso, obbligandolo a fare altrettanto “ma so anche che c’è qualcosa che ti frena.”

Sospirò e distolse lo sguardo. Per quanto apprezzasse la preoccupazione di Katara, non aveva alcuna voglia di aprire l’argomento. Avrebbe voluto dirle di fare ciò che la rendeva felice, di seguire il suo istinto e andare subito dal loro padre per dirgli che lei voleva accettare la proposta, se era davvero quello che voleva. Ma una parte di lui si chiese se volesse dirglielo solo per poter permettere a sua sorella di alleggerire il suo carico, così da evitare di scegliere lui stesso, e un po’ se ne dispiacque.

“Anni fa, saresti saltato dalla sedia al solo sentirlo.” Katara continuò, facendolo ridere. “Cosa è cambiato?”

Sokka fece spallucce. “Hai detto di essere interessata, lo avresti mai detto anni fa?”

“Be’,” mormorò, pensierosa “no, ma non avrei mai detto nemmeno che il nostro villaggio potesse diventare una città.”

“Già.” Lui concordò, in un filo di voce.

“E ho sempre pensato che saresti diventato tu il Chiefman del villaggio, dato che sei il più grande, ma adesso non sembra più essere ciò che vuoi.”

“Non lo so.” Sokka disse, sincero.

“Perché?”

“E se—” Provò a rispondere, poi si fermò. “Immagino di non essere pronto a rinunciare a niente. Forse, non sono l’uomo che papà crede che io sia.”

Katara corrugò la fronte. “Chi dice che dobbiamo rinunciare a qualcosa?”

Si girò a guardarla spalancando gli occhi, come se avesse sentito qualcosa senza senso. “È certo che sarà così. È così che funziona il mondo.”

“Abbiamo già rinunciato a così tanto.” Sussurrò abbassando lo sguardo, quasi stesse parlando a se stessa e; spiriti, aveva ragione.

“Non pensi che sarai costretta a rinunciare a qualcosa, se tu dovessi accettare?”

“A cosa ti stai riferendo?” Katara domandò sulla difensiva, quando i loro occhi si incontrarono di nuovo. “Ti riferisci alla mia relazione con Aang, non credi che possiamo farla funzionare come fate tu e Suki?”

“No!” Sokka, quasi urlò. “Intendo dire, no, lo so che potreste. È solo che—urgh, non era quello che volevo dire.”

Si diede dello sciocco per non aver previsto che la sua relazione sarebbe stata la prima cosa che le sarebbe venuta in mente. Lui e sua sorella erano persone diverse. Il motivo che spingeva Katara a viaggiare e agire era quella di non volere voltare mai le spalle a chi ne aveva bisogno; era una delle cose che lui stimava di lei, e aveva dunque senso che non le pesasse seguire Aang e aiutarlo. Doveva essere consapevole, però, che avrebbe potuto fare la differenza alla Tribù dell’Acqua del Sud e aiutare altrettante persone, senza contare che avrebbe smesso di sentire nostalgia di casa, e quindi l’unica rinuncia che rimaneva era la sua relazione. A differenza di Sokka, che l’idea di smettere di viaggiare e vedere il mondo continuava a pesargli.

Grugnì passandosi una mano sul viso, frustrato. Si sentì toccare, delicatamente, un braccio e quando le abbassò, si stupì di vedere il viso di sua sorella sereno.

“Mi sono sempre chiesta come ci riusciate, tu e Suki, sembra difficile.” Lei ammise con un velo di tristezza negli occhi poi, però, sorrise. “Ma non ho mai dubitato che sareste riusciti a farla funzionare. Poi oggi mi hai detto che vuoi chiederle di sposarti. Penso di averlo sempre saputo.”

“Davvero?” Sokka chiese, sorpreso, sentendo il cuore iniziare a martellargli il petto a causa dell’argomento.

“Oh, sì.” Katara affermò, riprendendo a camminare. “Mi hai comunque preso di sorpresa oggi, ma sapevo che sarebbe stata lei.”

“Cosa?” Sokka la seguì. “Chiedo scusa, e da quanto tempo lo sapresti?”

Facendo spallucce, sua sorella gli mostrò un sorriso compiaciuto. “Lei mi piace.”

“Lo so.” Lui disse, con affetto.

“Non farla scappare.”

“Non ne ho alcuna intenzione.” Sokka ribatté, serio.

“Bene.” Katara annuì. “Anche se, ancora non mi capacito di come non sia già scappata in questi quattro anni…”

“Ehi.” Lui esclamò, fingendosi offeso, facendo ridere entrambi.

“Sai, avevo già preso in considerazione questa ipotesi.” Lei disse, tornando seria. “Di me e Aang, intendo.”

“Perché?”

Lei si accarezzò un braccio, con fare distratto. “Che succederà se, un giorno, dovesse andare dove io non potrò seguirlo, o raggiungerlo, o se lui non riuscisse a tornare indietro. Intendo dire, lui è l’Avatar.”

“Katara.” Sokka sussurrò, sorpreso. La calma con cui lo disse, gli fece intuire che non era qualcosa che aveva realizzato solo di recente. “Lo hai detto ad Aang?”

Katara si girò a guardarlo, confusa.

Lui unì le labbra in una linea sottile, accigliandosi, ma si trattenne dal ribattere e chiese, invece, “Perché no? Credo che dovresti parlargli di ciò che ti spaventa. Credimi, ti sentirai meglio e, forse, dopo, ti accorgerai che non era niente.”

“Adesso mi dai consigli sulla mia relazione?”

“Ehi.” Sokka alzò un dito verso di lei. “Sei stata tu a chiedermi come facciamo io e Suki.”

Nel sentirlo Katara si ammutolì, facendo vagare lo sguardo difronte a lei. Poi, emise un lungo sospiro.

“Sto bene.” Lei provò a rassicurarlo. “Starò bene, forse voglio solo godermi il tempo che mi rimane.” Si corresse. “Immagino che sia questo il prezzo da pagare per avere una relazione con l’Avatar.”

“Non puoi saperlo con certezza. Solo perché ne hai paura non significa che accadrà sul serio.” Lui si lasciò sfuggire. “Continuo a pensare che dovresti parlargli, così come gli dirai che stai prendendo in considerazione di rimanere qui, giusto?”

“Certo!” Katara sbottò.

“Bene, non temere la sua reazione, sei libera di fare qualsiasi cosa tu voglia.”

“Lo so questo.” Lei alzò gli occhi al cielo. “E di che reazione stai parlando, in ogni caso? Sai bene quanto me che lui sarebbe entusiasta per me.”

“Già,” Sokka considerò “hai ragione. Be’ meglio per lui o avrebbe dovuto vedersela con me.” Aggiunse con il suo tono da fratello maggiore, indicandosi il petto con il pollice.

“Certo, grazie.” Katara sbuffò con sarcasmo. Poi, cambiò argomento. “Allora, cosa hai intenzione di fare con papà?”

“Gli parlerò domani mattina,” sospirò “e quando avrò capito cosa voglio fare, farò la proposta a Suki.”

“Mi sembra giusto.” Sua sorella gli sorrise. “Andrà tutto bene.”

“Adesso provi tu a consolare me? Quando si sono invertiti i ruoli?” Sokka scherzò.

“Di che parli?” Katara lo guardò sottecchi. “Sono sempre stati questi.”

 

 

o o o

 

 

Rimase con lo sguardo fisso sulle scale appena fuori il municipio per quello che gli erano sembrate delle ore. Guardava i gradini senza reale interesse mentre la sua mente cercava di elaborare un discorso, di trovare le parole giuste, da dire a suo padre. Sapeva cosa voleva chiedergli, ma questo non significava che sapeva come farlo.

“Sokka!”

Sussultò, colto di sorpresa, nel sentire il suo nome quasi urlato all’improvviso. Era sicuro di aver emesso anche lui un gridolino, piuttosto acuto. Girandosi verso la fonte di quella voce femminile, trovò Malina che lo guardava sorridendo. O almeno, questo prima di notare la sua espressione.

“Oh, scusami, non volevo spaventarti.”

“Va bene.” Lui la rassicurò. “Ero perso nei miei pensieri.”

Malina si girò verso il municipio, poi tornò a guardarlo. “Devi entrare a parlare con tuo padre?”

“Sì,” Sokka sospirò “quello o sto aspettando che le scale prendano vita per darmi consiglio o divorarmi, non so cosa sia meglio.” Si lamentò.

La sentì ridere. “Sei davvero divertente, Sokka.”

“Non era davvero una battuta— Non importa.” Decise di lasciar perdere, ancor prima di provarci davvero.

“Se lo cerchi, è nel suo ufficio.” Lei lo informò.

“Grazie, Malina.” Le accennò un sorriso. Non era sapere dove lui si trovasse il problema.

Sokka distolse lo sguardo ma non si mosse, ed era certo di poter sentire ancora gli occhi della donna su di sé. Infatti, non passò molto tempo che lei chiese: “Stai bene?”

Si morse l’interno della guancia, incerto su cosa rispondere. Aveva accettato Malina come nuovo componente della sua famiglia e le piaceva, davvero; per quanto trovasse strano che lei trovasse esilarante ogni cosa che lui dicesse, ma aprirsi con lei era qualcosa che non aveva mai fatto prima e l’idea lo metteva ancora un po’ a disagio.

Aveva da sempre avuto l’abitudine di mostrarsi forte per gli altri, per sua sorella e per le persone a cui teneva. Suki era stata la prima persona con cui si era lasciato andare, mostrando la sua vulnerabilità. Lei gli aveva mostrato che non c’era alcuna vergogna nell’essere un leader con dubbi e paure e, presto, aveva imparato a confidarsi con lei. Ma mentre con Suki era ormai diventato facile, aveva bisogno di tempo con gli altri. E con Malina, be’, sentiva che era ancora troppo presto per quello.

“Sì, sto bene.” Rispose, forse, in modo più brusco di quanto pensasse senza nemmeno volerlo. Così, si affrettò ad aggiungere: “Scusa, devo davvero andare.”

Iniziò a salire alcuni gradini a mezzobusto per continuare a guardarla e cercò di non dare troppa importanza all’espressione confusa di Malina.

“Ci vediamo dopo.” La salutò salendo i restanti gradini, dandole ora le spalle, senza aspettare una sua risposta ed entrò nel municipio.

Non appena mise piede dentro l’edificio, si diresse verso l’ufficio di suo padre cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno. Percorse velocemente il corridoio, accelerando il passo, come se temesse che se si fosse fermato non avrebbe trovato più la forza di riprendere a camminare.

Raggiunse la porta e prese un respiro profondo. Bussò e odiò il modo in cui la sua mano esitò, sentendosi di nuovo un bambino.

“Avanti.” Sokka sentì suo padre dire da dentro, con fare autoritario.

Fece capolino dall’uscio ma rimase dove era. Hakoda era seduto alla scrivania, chino, intento a leggere e firmare alcuni documenti.

I raggi del sole mattutino entravano dalla larga finestra, colpendo il centro dell’ampia camera. L’ufficio sembrava persino più grande di quanto ricordasse, o forse lo stava solo immaginando. Con ancora il parka addosso, sentì improvvisamente caldo.

I suoi occhi furono catturati dalla mappa della Tribù dell’Acqua del Sud appesa alle spalle di suo padre mentre, con passo esitante, si avvicinava facendo scricchiolare il pavimento in legno.

Hakoda alzò la testa, attirato dal rumore, e la sua espressione si rilassò immediatamente nel vedere chi si trattasse.

“Ehi, papà. Hai un minuto?”

Lui sorrise, raddrizzando la schiena. “Sempre, per i miei figli.”

Sokka ricambiò il sorriso, non appena lo sentì, sfilandosi il parka per appoggiarlo sopra una delle poltrone.

“A cosa devo la visita?” Hakoda domandò, alzandosi dalla sedia. “È per via di ieri sera, non è vero?”

Si trattane dal fare una smorfia. Sembrava che all’improvviso tutti sapessero cosa gli passasse per la testa, tranne lui. “Sì.”

Suo padre annuì, poi superò la scrivania per avvicinarsi. “Sembravi piuttosto nervoso.”

“Scusa.”

Hakoda rise. “Non era un rimprovero, Sokka. Va bene.”

Abbassò lo sguardo alla ricerca delle parole giuste di nuovo e si domandò, ancora una volta, perché fosse così difficile. Una parte di sé lo sapeva bene. Si trattava pur sempre di suo padre e non voleva deluderlo in nessun modo. Ciò che pensava di lui era importante e, quando suo padre gli aveva detto di essere orgoglioso di lui, aveva riempito il suo petto di gioia. Non voleva che quello che stava per dirgli cambiasse quel sentimento in qualche modo.

Sokka lo vide allontanarsi verso la finestra a fissare fuori, assorto.

“Ti ho lasciato molte responsabilità, quando sono partito.” Hakoda disse, attirando la sua attenzione. “Anni fa, ne avevo parlato a Katara ma non ho mai avuto l’occasione di parlarne con te.”

“Papà?” Sokka lo chiamò, sorpreso.

“Ci sono giorni in cui ci penso ancora.” Incrociò le braccia al petto, continuando a fissare difronte a sé. “Sentivo che era un mio dovere, per quanto doloroso, e voi siete dovuti crescere velocemente e da soli.”

“Non eravamo soli.” Sokka si affrettò a dire, sentendo la gola stringersi.

Era vero, non era stato facile, ma non voleva che suo padre continuasse a sentirsi in colpa per aver fatto ciò che riteneva più giusto. Se fosse stato al suo posto, all’epoca, probabilmente, avrebbe fatto lo stesso. Adesso, con ciò che sapeva e l’esperienza acquisita nel tempo, non ne era più certo ma non gliene aveva mai fatto una colpa. Aveva capito le intenzioni di suo padre, sapeva cosa volesse dire voler proteggere le persone amate. All’epoca, erano solo un piccolo villaggio e, in fondo, Sokka aveva sempre saputo che suo padre credesse che la Nazione del Fuoco non sarebbe mai più tornata, una volta raggiunto il loro scopo; nonostante gli avesse affidato il benessere di sua sorella e dell’intero villaggio. Nessuno avrebbe mai potuto prevedere che lui e Katara avrebbero trovato l’Avatar e attirato l’attenzione de il Principe del Fuoco.

In più, era grato di tutto ciò che Gran-Gran aveva insegnato a lui e a Katara in sua assenza.

“Mi dispiace, Sokka.” Hakoda sussurrò girandosi, adesso, a guardarlo.

No, pensò, non voglio sentirlo.

Ma le lacrime avevano già iniziato a pizzicargli gli occhi e, per evitare di incontrare quelli di suo padre colmi di dispiacere, abbassò la testa. Ingoiò a fatica mentre sentiva dei passi farsi più vicini finché sentì una mano sulla spalla. Alzò lo sguardo e trovò un sorriso caldo ad accoglierlo.

“Sei stato bravo. Ti sei preso cura di tua sorella.”

Sokka scosse la testa. “Katara ha fatto lo stesso con me.” Emise una risatina bagnata. “Ci siamo presi cura l’uno dell’altra.”

“Lo so.” Suo padre disse, fiero.

Hakoda strinse la presa, prima di abbassare il braccio. “La guerra vi ha obbligato a prendere molte decisioni difficili, in passato. Non voglio che vi sentiate più così, voglio che scegliate liberamente, che prendiate una decisione perché è quello che volete fare.”

Sospirò. “Ho proposto a te e a tua sorella di prendere il mio posto, non perché vi sentiate obbligati ad accettare ma perché voglio che abbiate un quadro completo delle opportunità che questo nuovo mondo ha da offrirvi. Il futuro che vi siete conquistato e meritato.”

Ascoltò suo padre in silenzio.

“La scelta spetta solo a voi.” Hakoda continuò. “È ora che pensi un po’ a te stesso, Sokka.”

Sokka chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, grato per quelle parole. Quando riaprì gli occhi, guardò suo padre con più determinazione e sorrise.

“Grazie, papà.” Disse, sincero. “A tal proposito, vorrei chiederti più tempo per prendere una decisione.”

“Certamente.”

“E anche un’altra cosa.” Sokka aggiunse, lanciando un veloce sguardo fuori dalla finestra. Da lì, si poteva vedere chiaramente il punto in cui era rimasto a rimuginare vicino alle scale prima di venire interrotto. Dove era stata Malina, adesso, non c’era più nessuno. Solo il vuoto. “Vorrei chiederti di concedermi dei mesi per viaggiare, prima di rispondere.”

“Sei sempre stato curioso.” Suo padre mormorò, con affetto. “Sei un adulto ormai, non devi chiedermi il permesso.”

Sokka lasciò andare una risata liberatoria. Si sentiva decisamente meglio adesso.

“Posso chiederti qualcosa anche io?”

Sentì il battito accelerare, ma annuì.

“Prima di partire, vorrei che ti prendessi del tempo per vedere ciò che potresti fare qui.” Hakoda spiegò. “Solo per assicurarti di fare la scelta giusta.”

Sokka sorrise. “Mi sembra un giusto compromesso.”

“Bene.” Suo padre esclamò cingendogli le spalle con un braccio per farlo voltare, così da avere i loro visi rivolti verso la mappa appesa al muro. “Da dove vuoi iniziare?”

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA: Eccomi di nuovo qui!
Questo capitolo mi ha preso più tempo del previsto per via di come si apre. Nel primo capitolo, con il Suki’s POV, dato che sappiamo poche cose su di lei e alcune cose del suo passato le ho create io, ho potuto sbizzarrirmi liberamente, così come con le sue ansie e le sue paure. Sokka lo conosciamo bene, invece, e avevo paura che potesse risultare una ripetizione continua ma spero che comunque non sia stato pesante da leggere. Inoltre, penso che questo abbia reso più chiaro lo stato d’animo in cui è quando arriva a casa. Spero comunque che la prima parte non sia risultata noiosa, dato che sappiamo già il background di Sokka. Magari è servito a qualcuno per ricordare, nel caso avesse letto i fumetti tempo fa.

 Innanzitutto, ci tengo a ringraziare tutti coloro che hanno letto e che stanno seguendo questa storia. Significa molto per me! Inoltre, ho visto che è uscito di recente “Nord e Sud” anche in Italia. Ottimo tempismo! Perdonatemi, però, se ho deciso di lasciare alcuni termini e nomi in inglese. Ho scritto questo capitolo prima dell’uscita del fumetto.

Cosa ne pensate di questo secondo capitolo? Sono parecchio agitata, come sempre in realtà, ma spero di aver reso giustizia a questo personaggio, come con Suki, dato che li amo molto entrambi.
Spero abbiate apprezzato il fatto che ho mostrato che Sokka ha intenzione di fare la proposta a Suki, nonostante sia solo il secondo capitolo. L’intenzione c’è, ma quando la farà? Chi lo sa eheheh.
Mi piaceva inoltre l’idea che la peonia bianca del primo capitolo adesso colpisce in modo diverso. Se ricordate, nelle curiosità a fine note, avevo spiegato che sono dei fiori molto utilizzati nei matrimoni e mi piace l’idea che si possano collegare gli indizi che lascio, ogni tanto.
Inoltre, perdonatemi se non vi ho mostrato la collana di fidanzamento adesso ma ci tengo che la vediate con gli occhi di Suki quando sarà il momento.

Katara che prende in considerazione di diventare Chiefwoman? Oh, sì! Katara merita meglio e io sono qui anche per questo. Come ho detto, questa storia rispecchia molto le paure e i dubbi sul futuro, anche delle persone che stanno intorno a Sokka e a Suki, ma solo perché temiamo qualcosa non significa che sia vero.

E non preoccupatevi, Suki e Sokka non staranno lontani per molto. Le parti in cui sono insieme sono le mie scene preferite da scrivere.

Spero di non avervi deluso in nessun modo con questo secondo capitolo e che vi sia piaciuto. Fatemi sapere che ne pensate!
Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui.
A presto!

Dove trovarmi:

 

Twitter   Tumblr

 

 

CURIOSITÀ SU QUESTO CAPITOLO:

 

Ansia: Una delle tecniche per gestire il panico che l’ansia scaturisce è quella di elencare le cose che si vedono, o si sentono, in quel momento così da far distrarre il nostro cervello da ciò di cui non siamo sicuri. Per questo, mi è venuto in mente di fare elencare a Sokka le cose di cui è certo. Non che lui stia avendo un attacco di panico sopra Appa, ma mi piaceva l’idea per cercare di calmare i suoi nervi.
Inoltre, se notate, le certezze diventano sempre più corte man mano che lui va avanti a elencarle per simboleggiare che quelle brevi siano quelle innegabili e che non servono tante parole per spiegare, quando si è certi di qualcosa. Infatti, l’ultima, è la più corta di tutte ma quella di cui lui non ha mai avuto alcun dubbio. (“Io amo Suki”, tre parole).
Quella su Katara che sarà sempre la sua sorellina, è unicamente umoristica. Sokka sa perfettamente che il tempo passa per tutti e che lei è cresciuta, per sua sfortuna, anche fisicamente. È solo un’altra cosa tra fratello e sorella. Come ho mostrato anche più avanti, lui è fiero della donna che lei è diventata.

 

Parallelismo: Per mostrare dove sono arrivati nella vita, fino a quel momento, Suki e Sokka, ho pensato di utilizzare alcuni parallelismi tra il primo e il secondo capitolo.
Il ripensare al passato (gli avvenimenti presenti nei fumetti);
la paura sul futuro che è data da una indecisione (Suki non sa se restare al palazzo e continuare il suo servizio da guardia del corpo o spostarsi dove c’è più bisogno e insegnare; Sokka non sa se vuole restare a casa e fare il Chiefman o viaggiare e scoprire il nuovo mondo);
la loro condizione famigliare (Suki con le sue sorelle, le Guerriere Kyoshi, e l’accenno di Oyaji; Sokka con sua sorella e suo padre con gli accenni di Malina);
gli amici con cui sono più vicini in quel momento (Suki con Zuko e Ty Lee; Sokka con Aang);
per evitare di ripetermi in questo capitolo ho evitato di raccontare di nuovo come Sokka e Suki vivono la loro relazione a distanza, anche se alcune cose sono rimaste; come il sapere per certo che lui ha sempre amato Suki e il rispetto reciproco per i loro doveri, ma mi piaceva anche mostrare che comunque restino umani ed è normale avere qualche pensiero egoistico ogni tanto, purché non lo si asseconda.
Dato che Suki è una donna di azione, ho proprio utilizzato nel primo capitolo l’immagine di un’azione per farvelo vedere (la tentazione di *correre* ovunque Sokka si trovasse, quando Zuko le chiede di prendersi una pausa. Ma non lo fa mai perché sa che non sarebbe giusto).

Dato che Sokka è un uomo di strategia, ho utilizzato l’immagine di un pensiero irrealizzabile in questo secondo capitolo (l’*idea* di poterla mettere in tasca e portarla con sé. Ovviamente è un pensiero sciocco e impossibile, infatti lui ride di se stesso, ma volevo creare il contrasto con la sua logica e razionalità per mostrare che lui non le chiederebbe davvero di venire con lui).

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4023677