NdA:
Attenzione, in questa
fan fiction ci sono riferimenti a eventi e personaggi presenti nei
fumetti. Usciti
in Italia e no. (“La Promessa”, “La
Ricerca”, “La Frattura”, “Fumo
e Ombra”,
“North and South”, “Imbalance”,
“Toph Beifong’s Metalbending Academy”;
“Suki,
Alone”; “Shells”)
Il primo capitolo prende luogo
dopo gli avvenimenti di “Imbalance”.
We
are (not) Alone
Capitolo
1: Cranefish Town (Suki’s POV)
I
suoi occhi
vagarono da una fila all’altra, concentrata. Muovendosi con
le braccia dietro
la schiena, lentamente, Suki si assicurava che ogni componente della
riga
avesse assunto la posizione corretta. Indossava un sorriso compiaciuto,
sotto
il sole della città, soddisfatta nel vedere i progressi
della sicurezza prendere
vita man mano che trascorrevano i giorni.
Erano
passati due
mesi da quando aveva iniziato ad allenare la nuova forza di polizia
non-dominatori ed era contenta di vedere quanto imparassero in fretta,
sempre desiderosi
di conoscere nuove tecniche.
Alcune
delle sue
sorelle l’avevano raggiunta a Cranefish Town, come promesso;
mentre altre erano
rimaste al palazzo, e con il raggiungimento di tutti quei progressi era
chiaro
che fosse solo questione di tempo prima che ripartissero. Le Guerriere
Kyoshi
e, di conseguenza, anche lei. Quel pensiero le lasciò
l’amaro in bocca.
Era
divertente
insegnare, ed era passato tanto tempo dall’ultima volta. Le
piaceva farlo a
casa, sull’Isola Kyoshi, e le piaceva farlo lì.
Suki lo trovava soddisfacente e
appagante. Per non parlare dell’espressione di gioia che
prendeva forma nei
visi dei suoi studenti, non appena la consapevolezza di aver eseguito
una mossa
in modo coretto li raggiungeva. Il rispetto con cui la guardavano e le
amicizie
che aveva stretto con loro, e doveva ammettere che erano davvero bravi.
Inoltre,
la città era ancora in subbuglio e non mancavano le
occasioni per lei di
entrare in azione e per i suoi studenti di mettere subito in pratica
ciò che
avevano imparato.
Non
che fare da
guardia del corpo al Signore del Fuoco non fosse altrettanto
soddisfacente. Senza
distinzioni, cercava sempre di dare il meglio in ogni compito che le
veniva
assegnato. Era consapevole che il suo ruolo al palazzo era altrettanto
importante ma, a volte, si chiedeva se lo stesse facendo di nuovo. Come
era
accaduto durante la guerra, sull’Isola Kyoshi; prima di
incontrare Aang e gli
altri, le sembrava di essersi rinchiusa in una bolla. Lo stare ferma
sempre
nello stesso luogo di nuovo, sembrava sbagliato.
La
guerra era
finita, ma c’erano ancora molte problematiche da risolvere.
Lei non si
intendeva di politica e lasciava volentieri quel compito a chi di
competenza ma,
guardando Cranefish Town, non poteva fare a meno di chiedersi se altre
città
fossero in quella stessa situazione. Quante altre città
avessero bisogno di
aiuto.
Ci
teneva a Zuko, e
questo aveva contribuito a rendere meno pesante il suo incarico nel
proteggerlo
ma, per fortuna, non sempre al palazzo era richiesto il suo intervento
e spesso
si era ritrovata ad ascoltare discorsi di uomini importanti fatti ad
altri
uomini importanti. Non esattamente eccitante come l’azione su
strada.
In
più, essere amica
del Signore del Fuoco aveva anche i suoi svantaggi. Come
l’insistenza di Zuko nel
non avere bisogno di tutta quella protezione, o almeno non sempre, e il
suo
chiederle di prendersi dei giorni di riposo anche se non richiesto.
Quando
accadeva, Suki non riusciva a frenarsi dall’innervosirsi. Non
che non
apprezzasse la preoccupazione dell’amico nei suoi confronti
ma, esattamente come
aveva detto a Sokka anni fa, era perfettamente in grado di cavarsela da
sola e
di capire quando il suo corpo avesse bisogno di riposo.
Non
avrebbe mai
accettato di prendersi una pausa, se non estremamente necessario.
Forse, era
quello il prezzo da pagare per essere dovuta diventare leader delle
Guerriere
Kyoshi quando era ancora solo un’adolescente. Per essere
quello tutto ciò che conosceva
fin da quando aveva otto anni. Il cercare sempre una nuova forma di
adrenalina,
il non sopportare che il proprio corpo stesse fermo troppo a lungo, il
cercare
la frenesia dello scontro.
Si
chiese se prima o
poi, con il trascorrere del tempo, quella ricerca sarebbe scemata fino
a
sparire. Lei sperava di sì. Si sentiva sporca ogni volta che
riconosceva quella
sensazione nascere nei meandri della sua mente. Avrebbe dovuto essere
contenta
che da un po’ di tempo nessuno avesse provato a fare
irruzione al palazzo,
eppure il suo corpo sembrava non capirlo.
O
forse, era solo il
suo modo di tenere la mente occupata. Le piaceva ancora divertirsi,
quando non
era in servizio ma, la notte, si sentiva come in costante attesa. Come
se
stesse aspettando che arrivasse qualcosa a destabilizzare la pace per
la quale
avevano tanto combattuto. Per questo non si era sentita di giudicare
Zuko
durante il suo crollo nei primi mesi da Signore del Fuoco, con il suo
timore
che ci fosse un assassino dietro a ogni angolo, ma gli era rimasta
vicina come
meglio le era stato possibile.
Non
aveva mai trovato
il coraggio di chiedere alle altre guerriere se anche loro si
sentissero in
quel modo. Se avesse scoperto che solo lei si sentiva così,
se loro non avessero
compreso? Forse c’era qualcosa che non andava in lei.
Le
uniche ragioni
per la quale si allontanava dal palazzo erano quella di tornare a casa
di tanto
in tanto, giusto il tempo di assicurarsi che il reclutamento e
l’insegnamento
delle nuove Guerriere Kyoshi stesse procedendo bene, e i suoi incontri
con
Sokka. Quella era l’altra motivazione per la quale si
innervosiva quando Zuko
le chiedeva di andare, perché una parte di lei era sempre
tentata di dargliela
vinta e correre ovunque il suo fidanzato si trovasse in quel momento.
Ma non
era giusto, e così lei non lo faceva mai.
Con
rammarico, Suki
si rese conto che la presenza di Sokka a Cranefish Town influenzava
parecchio sul
suo essere così restia a ripartire. Lui sarebbe rimasto
ancora lì, mentre lei
no.
Si
diede della
stupida. A cosa stava pensando?
Prima
di iniziare la
sua relazione con Sokka, si era sempre ripromessa che nessun ipotetico
fidanzato si sarebbe mai messa tra lei e il suo dovere, con o senza
guerra. Era
stato così e lo era ancora. Prima di lui, però,
non si era mai sentita così nei
confronti di qualcuno.
Sokka
la rispettava
e aveva stima del suo lavoro, e lei ne era eternamente grata, ma questo
non
significava che rendesse le cose più facili.
Il
loro prendere
strade diverse non era certo una novità. Sapeva che il
giorno della sua
partenza sarebbe arrivato, prima o poi, perché era
così che funzionava tra
loro. Era stato così fin dal giorno in cui avevano deciso di
portare avanti la
loro relazione, nonostante la distanza a dividerli. Non avevano dovuto
pensarci
molto, in realtà, era stata una scelta del tutto naturale ma
era stato comunque
bello sentirselo dire, grati che condividessero lo stesso desiderio.
Non
avrebbero mai potuto mettere da parte ciò che avevano
vissuto e condiviso durante
la guerra ma, soprattutto, non sarebbero mai stati capaci di ignorare
ciò che
provavano l’uno per l’altra. Lo sapevano entrambi.
Aveva
sempre saputo
che quello che li legava era un sentimento profondo, che quello che
provava per
lui non era qualcosa di passeggero o leggero. Non una semplice cotta,
ma
qualcosa di duraturo nel tempo. Suki non aveva alcun dubbio che fosse
amore. Lo
aveva capito anni fa.
Se
lo dicevano ogni
volta ne avevano occasione, attraverso i gesti. Nel modo in cui si
guardavano,
nel non vergognarsi a mostrare la loro vulnerabilità
l’uno all’altro e guadagnare
forza quando si coprivano le spalle a vicenda, nel calore del tono che
lui
riservava solo a lei e nel sorriso che lei riservava solo a lui,
attraverso i
baci e le carezze, durante i loro momenti di passione.
Nonostante
le
difficoltà, nessuno dei due aveva mai chiesto
all’altro di restare o di andare,
ben consapevoli dei loro ruoli e del loro dovere, in quei quattro anni
fatti di
incontri a metà strada.
Anche
lei era molto
orgogliosa di ciò che lui stava facendo, dei suoi viaggi per
dare una mano ad
Aang a ricostruire un mondo uscito dalla guerra e delle riunioni che
tenevano
in città. Aveva avuto occasione di ascoltare qualche suo
discorso, di tanto in
tanto, in camera sua alla locanda in cui alloggiavano. Quando era
così preso
dal suo rimuginare da non accorgersi di starlo leggendo ad alta voce,
intento
ad apportare qualche modifica, o quando lo recitava deliberatamente di
fronte a
lei per vedere se funzionava. Si sentiva molto onorata, in quei momenti.
Aveva
sempre pensato
che Sokka fosse un ragazzo intelligente e ingegnoso. Aveva
già dimostrato di
essere un abile guerriero e stratega, rivelandosi una persona dalle
mille
sfaccettature. Suki era costantemente curiosa di scoprirne di nuove, e
di
vedere in quale altro modo lui volesse mettere la sua mente al servizio
degli
altri.
Scioccamente,
durante
i primi mesi della loro relazione, aveva pensato che si sarebbe potuta
persino abituare
a tutte le volte che avrebbero dovuto separarsi ma, invece, ogni volta
era
sempre più dolorosa dell’ultima. Non riuscivano
nemmeno a dirselo, ‘addio’. Era
solo una parola, dirla o meno non avrebbe cambiato il fatto che da
lì a poco si
sarebbero dovuti dividere, eppure non pronunciarla sembrava persino
confortante.
Era
consapevole che
questa volta sarebbe stata devastante. Non erano mai stati
così a lungo insieme,
prima di doversi salutare di nuovo. Non che sarebbe cambiato poi molto.
Anche
solo poterlo vedere per pochi istanti le bastava per tornare di buon
umore e
farle tremare le ginocchia appena lui andava via ma, dopo essersi
abituata a
trovarlo accanto a lei la mattina e la sera quando andava a dormire per
due
mesi interi, sarebbe stata dura tornare alla normalità. Con
quei loro piccoli e
fugaci appuntamenti, quando entrambi avevano qualche minuto libero. A
volte, si
trattavano di attimi così brevi che non era certa di poterli
chiamare tali; eppure,
a lei non importava. Adorava ognuno di quei momenti.
Ripensò
al giorno in
cui si erano incontrati per strada, lei con le sue sorelle; al termine
di una
lezione, e lui accompagnato da Aang di ritorno da una riunione del
consiglio
d’affari. Lei gli aveva semplicemente sorriso mentre aveva
continuato a
camminare, consapevole che nessuno dei due poteva fermarsi ma non
appena lo
aveva superato, si era sentita picchiettare su una spalla. Si era
girata e aveva
trovato una peonia bianca a un soffio dal suo viso. D’istinto
l’aveva presa,
prima di alzare lo sguardo verso Sokka che le aveva mostrato un sorriso
compiaciuto
davanti alla sua espressione sorpresa. Si era avvicinato a posarle un
bacio
sulla guancia e poi, come se nulla fosse, aveva raggiunto Aang poco
più avanti ed
era sparito tra la folla.
Suki
sorrise al
ricordo. Non aveva mai pensato di essere una ragazza da fiori ma,
forse, tutto
stava nel chi fosse a regalarli.
Sokka
non le dava
mai l’opportunità di dimenticare quanto romantico
lui fosse, e lei non perdeva
mai l’occasione di dimostrargli quanto apprezzasse ogni suo
gesto. Piccolo o
grande che fosse.
Si
portò una mano
sul viso e si strofinò piano gli occhi, sospirando.
“Ancora
una volta!” Intimò
ad alta voce in modo da farsi sentire anche dal fondo della fila,
allontanandosi di qualche passo per avere una chiara visione di
ciò che aveva
davanti.
Prese
un respiro
profondo mentre osservava gli ufficiali ripetere il movimento,
finché sentì una
voce familiare chiamarla da lontano.
“Ty
Lee.” Suki la
salutò, girandosi verso di lei, notando come il suo luminoso
sorriso aveva
iniziato a vacillare non appena i loro occhi si incontrarono. Si
accigliò. “Cosa
è successo?”
Lei
scosse la testa,
alzando le mani per cercare di rassicurarla, una volta raggiunta.
“Non è
successo nulla, volevo solo chiederti se andasse tutto bene.”
Suki
inarcò un
sopracciglio. “Cosa?”
Lei
e Ty Lee
passavano molto tempo insieme ormai, non solo perché erano
le primarie guardie
del corpo di Zuko ma anche durante il loro tempo libero, eppure
rimaneva ancora
un mistero il più delle volte. Nonostante le loro
differenze, le piaceva la sua
compagnia e la sua allegria la metteva di buon umore. Persino con
quelle strane
domande all’improvviso, era difficile annoiarsi con lei.
“La
tua aura è un
po’ blu.” Disse, facendo una smorfia.
“Mi
piace il blu.”
Suki mormorò, ancora confusa.
“Ma
questo significa
che stai rimuginando su qualcosa, tipo un sacco.”
E
poi c’erano quei
momenti, in cui sembrava impossibile poterle nascondere qualcosa.
Suki
sbatté le
palpebre. “Oh.”
Vide
Ty Lee avvicinarsi,
portandosi una mano all’angolo della bocca come a volerle
confidare un segreto.
“Sei sicura di stare bene?”
“Sì,
sono sicura,”
sussurrò a sua volta, chinandosi verso di lei per
assecondarla “ma grazie.”
Ty
Lee si allontanò
di qualche passo ma dall’espressione che aveva assunto, Suki
si rese conto di
non essere riuscita a convincerla.
Si
morse la lingua e
fece vagare lo sguardo sulla figura dell’amica. Indossava
l’uniforme da
Guerriere Kyoshi. Suki aveva notato che spesso aveva la tendenza di
tirarla dal
tessuto del colletto come se soffocasse, o di strofinarsi le braccia
come se le
procurasse prurito, e si chiese se le desse ancora fastidio
l’idea di vestire
tutte allo stesso modo; a eccezione del copricapo a indicare il grado.
“Che
mi dici di te?”
Domandò, incrociando di nuovo il suo sguardo.
“Come ti senti al pensiero di
tornare a casa?”
“Alla
grande!” Ty
Lee esclamò battendo le mani, mentre un sorriso tornava
sulle sue labbra. “Non
vedo l’ora. La mia curiosità è stata
del tutto appagata e mi manca tanto Mai.”
Suki
ricambiò il
sorriso, soddisfatta della risposta. Avrebbe dovuto immaginarlo. Se
c’era una
cosa che aveva imparato sull’ex acrobata era che teneva molto
alle sue
amicizie. Non era dunque una sorpresa che fosse emozionata
all’idea di tornare
al palazzo, dove vi era tutta la sua vita e una delle sue
più care amiche.
Ricordava
ancora la
prima volta che l’aveva portata al dojo, per allenarla
insieme alle nuove
Guerriere Kyoshi e per imparare da lei come bloccare il chi.
Si era
fermata nel bel mezzo della lezione e le aveva chiesto se fossero
amiche. Suki
era rimasta sorpresa ma considerato tutto ciò che aveva
passato, non la
biasimava nel desiderare una conferma. Allora lei le aveva sorriso e le
aveva
detto che erano molto più di quello, erano sorelle. Ty Lee
aveva distolto lo
sguardo mentre un piccolo sorriso aveva preso forma sul suo viso.
Diverso dai
suoi soliti, ma sincero.
Suki
alzò la testa socchiudendo
gli occhi, quando i raggi del sole la colpirono. Era alto in cielo,
senza
alcuna nuvola a coprirlo. Probabilmente, doveva essere quasi ora di
pranzo.
“Va
bene,” Richiamò
all’attenzione i suoi studenti, con lo stesso vigore di prima
“facciamo una
pausa.”
Un
brusio si sollevò
non appena lo disse e mentre loro erano intenti ad asciugarsi il sudore
e a
scherzare gli uni con gli altri, lei si girò di nuovo verso
la sua amica.
“Quando partiamo?”
Ty
Lee fece
spallucce. “Sei tu la leader.”
Annuì.
Avrebbe
chiesto alle altre ragazze cosa ne pensavano, o se avessero delle
questioni in
sospeso prima di tornare al palazzo. Anche se era la leader, le piaceva
il
confronto con le sue sorelle ed era sempre pronta a sentire cosa
avessero da
dire. Aveva sempre dato loro la libertà di scelta, anche
quando in disaccordo,
come era accaduto quando aveva annunciato di voler lasciare
l’isola e alcune di
loro avevano deciso di non seguirla.
Suki
le sorrise.
“Dovresti andare a riposare anche tu.”
“Non
vieni a
mangiare con noi?”
“Oh,
no, scusami.
Io,” ridacchiò, indicando con fare distratto alle
sue spalle “io devo andare.”
Ty
Lee le mostrò un
sorrisetto sornione, prima di canticchiare. “Certo.”
Suki
corrugò la
fronte, ma non indagò. Era stanca e non vedeva
l’ora di raggiungere un posto
all’ombra. La sua mente era già altrove, persa a
fantasticare sull’attimo in
cui sarebbe salita in camera.
Salutò
gli altri e
si incamminò verso la strada principale, non riuscendo a
frenare il sorriso che
nacque sulle sue labbra.
Ty
Lee la chiamò di
nuovo, ridestandola dai suoi pensieri. Quando si girò, la
trovò con un braccio
alzato sventolandolo a destra e a sinistra per attirare
l’attenzione su di sé.
“Saluta
Sokka da
parte mia.” Urlò, tanto da far girare alcuni degli
ufficiali verso di loro.
Suki
arrossì,
lanciandole un’occhiataccia che sembrò non avere
alcun effetto sull’amica.
Scosse la testa e decise di ignorarla, accelerando il passo, mentre
sentiva una
risata risuonare alle sue spalle.
o
o o
Lasciò
che lo
sguardo si soffermasse sulla porta della locanda, non appena si
fermò davanti
l’ingresso. Si trovava in una delle strade più
colpite dalla rivolta, ancora in
ricostruzione dopo gli attacchi dei seguaci di Liling.
C’era
ancora
tensione tra i dominatori stessi e i non-dominatori, e anche se in
passato i
cittadini di Cranefish Town avevano rifiutato il loro aiuto, era
sembrata una
buona idea aiutare almeno un po’ l’economia del
luogo. Inoltre, era più facile
tenere la situazione sotto controllo in quel modo, rispetto
all’alloggiare in
un quartiere d’alto bordo. Niente più lussi non
necessari, con grande
dispiacere da parte del suo fidanzato, ma ne valeva la pena.
Toph
aveva deciso di
continuare a passare le notti negli alloggi di suo padre, anche se
trascorreva
le giornate alla locanda con loro. Non era mai stata il tipo di persona
che
faceva caso a quel genere di cose; la aveva vista dormire persino a
terra in
passato, e Suki sospettava che lo facesse solo per fare un dispetto a
Sokka e
vantarsene la mattina successiva. Doveva ammetterlo, era un
po’ divertente.
Si
guardò intorno. La
strada era affollata; piena di operari impegnati nelle riparazioni di
alloggi e
edifici nelle vicinanze, mentre i mercati avevano riaperto le loro
attività e
nella via riecheggiava il chiacchiericcio dei passanti. Sembrava tutto
tranquillo, ed era bello vedere che la città stava cercando
di riprendersi a
poco a poco.
Entrò
e ignorò gli occhi
che si sentì addosso da parte di alcuni clienti, ancora
davanti all’entrata, e
salutò la locandiera dietro il bancone che
ricambiò con un leggero cenno. Superò
i tavoli e si diresse verso le scale per recarsi al piano superiore,
dove si
trovavano le stanze.
Ne
avevano affittato
tre, una per le ragazze; una per Sokka e un’ultima per Aang.
Questa
disposizione le permetteva di sgattaiolare fuori dalla camera, non
appena
Katara si addormentava, per passare la notte con Sokka. Suki non aveva
idea di
quale bugia lui avesse raccontato ad Aang per convincerlo a prendere
una camera
separata, ma non era nemmeno certa di volerlo sapere.
Nessuno
dei due
voleva sprecare l’opportunità di stare
più tempo insieme e in più lui non
avrebbe mai permesso che sua sorella e il suo fidanzato dormissero
nella stessa
stanza, da bravo fratello maggiore; a suo dire. Nonostante Aang fosse
uno dei
suoi amici più intimi, c’era un limite a
ciò che riusciva a sopportare durante
i loro viaggi.
Sentì
i battiti del
cuore accelerare, non appena si avvicinò alla porta della
stanza di Sokka. Non
importava quanto tempo fosse passato, riusciva ancora a sentire le
farfalle
nello stomaco.
Bussò
e aspettò una
risposta, prima di fare il suo ingresso. Quando superò la
soglia, però, il
sorriso le morì sulle labbra.
Si
stupì di trovare
la camera sottosopra, con indumenti e oggetti che Sokka portava nei
suoi viaggi
sparsi in giro, compreso l’elmo tipico della Tribù
dell’Acqua che finalmente
era riuscito ad acquistare e che le aveva mostrato con tanta fierezza.
Non che
Sokka fosse un maniaco dell’ordine ma sicuramente era un tipo
organizzato. Forse,
tra i due, lei era la più disordinata e lei era stata
abituata fin da piccola,
al dojo, a tenere tutti i suoi effetti personali a posto; dalle armi
all’oggetto
più futile. Suki lo trovava buffo, considerato che era
l’esatto opposto del
modo in cui lui dormiva.
Facendo
vagare il
suo sguardo nella stanza, l’armadio aperto e i cassettoni
svuotati furono la
prima cosa che saltarono all’occhio. Sopra il letto, invece,
c’era una borsa
mezza vuota e un paio di sacche già riempite. Quella che le
era sembrata una
risatina nervosa, attirò la sua attenzione e notò
che Sokka si era congelato
sul posto con in mano una coperta. La guardava sorpreso, come se non si
aspettasse di vederla.
Suki
avanzò di
qualche passo, lasciando la porta aperta, e accennò un
sorriso.
“Ehi.”
Disse,
cercando di utilizzare il più possibile un tono di voce
neutro.
“Ehi.”
Lui la imitò,
lanciando la coperta sul materasso con fare distratto per potersi
avvicinare a
lei. “Scusa, devo aver perso la cognizione del
tempo.”
“Non
importa.” Lo
rassicurò. Al momento, c’era un’altra
questione che le premeva sapere di più al
riguardo. “Stai andando via.”
Sokka
sospirò,
sollevando le mani per accarezzarle le braccia dolcemente.
“Sì, mio padre ha
mandato una lettera. Torno a casa per un po’.”
Per
un po’,
rifletté, non un tempo prestabilito. Non
era un buon segno.
Suki
annuì, stringendogli
la tunica in risposta al suo gesto. D’istinto, anche lei alla
ricerca di un
contatto.
Distolse
lo sguardo
per rivolgerlo al tavolo, al centro della camera, dove vi era la peonia
bianca
che lui le aveva regalato, adagiata in un vaso. Aveva deciso lei di
lasciarla
nella sua camera, non solo perché era dove passava
più tempo e ogni tanto le
piaceva osservarla, ma anche per tenerla lontana da occhi indiscreti.
Per
quanto adorasse Katara, non aveva voglia di essere stuzzicata ogni
volta che i
suoi occhi ci finissero sopra o rischiare che Toph la facesse volare
dalla
finestra mentre era intenta a distruggere la camera quando si annoiava.
“Quando?”
Domandò,
non riuscendo a capire bene come si sentisse al riguardo. Era una
notizia un
po’ improvvisa. Non era quello il modo in cui pensava che si
sarebbero separati,
aveva sempre pensato che sarebbe stata lei quella ad andarsene per
prima. Il
suo cervello doveva ancora elaborare la novità.
“Domani
mattina.”
Sokka rispose, con un filo di voce. Poi, fece una smorfia.
“Urgh, non volevo
dirtelo così. Anche io l’ho scoperto poco
fa.”
Suki
emise una
risatina e tornò a guardarlo. “Non fa niente.
Parto anche io tra pochi giorni,
ricordi?”
Lui
alzò gli occhi
al cielo per qualche secondo, prima di incontrare di nuovo i suoi.
“Sì, ma
avrei potuto organizzarmi meglio. Saremmo potuti uscire come in un vero
appuntamento, prima di partire, e invece eccoci qua!”
Un
calore familiare
si espanse nel suo petto nel sentirlo, e dovette mordersi il labbro
inferiore
per evitare di lasciarsi sfuggire un lamento. Era dolce e sarebbe stata
una
bugia se avesse detto che l’idea la lasciava indifferente, ma
sapeva che Sokka
si sentiva sinceramente male al riguardo e non voleva in alcun modo
peggiorare
la situazione.
“Calmati,
ragazzo
pianificatore.” Cercò di sdrammatizzare,
picchiettando un paio di volte con
il palmo sul suo petto con fare giocoso, soddisfatta nel vederlo
accennare un
sorriso. “Sarebbe piaciuto anche a me. Magari la prossima
volta.”
“Già,
la prossima
volta.” Sussurrò e a Suki si strinse il cuore nel
riconoscere un velo di
tristezza nel suo tono.
Spiriti,
avrebbe
fatto qualsiasi cosa pur di farlo sparire. Imbottigliare quel dolore e
gettarlo
via, ma anche lei conosceva fin troppo bene quella sensazione. A volte,
anche
lei non sapeva come fare a gestirla.
“Vieni
qui.” Sokka aggiunse,
tirandola delicatamente in un abbraccio.
Lei
si lasciò
avvolgere sentendosi subito sciogliere, non appena la
avvicinò a sé. La tenne
stretta mentre portava una mano tra i suoi capelli, provocandole un
brivido.
Suki adorava quando la stringeva tra le sue braccia in quel modo,
passando le
sue dita tra le ciocche. Avevano quello strano potere di darle
l’impressione
che stesse imparando a respirare di nuovo, non importava in quale
situazione.
Persino quando l’aveva abbracciata dentro la cella alla
Boiling Rock, anni fa.
“Resti
qui,
stanotte?” Le chiese, a un soffio dall’orecchio.
“Certo.”
Lei
rispose, senza alcuna esitazione, facendo vagare una mano su e
giù sulla
schiena di lui.
Suki
lo sentì tirare
un sospiro di sollievo, mentre si lasciava cullare dalle sue carezze, e
si
distaccò per guardarlo in viso con affetto prima di posare
le labbra sulla sua
guancia. Lui sorrise, stringendole il fianco delicatamente. Quando i
loro
sguardi si incrociarono di nuovo, si incontrarono a metà
strada in un bacio.
Era
lento ed
esigente allo stesso tempo, e Suki fece risalire le mani fino a
intrecciarle
dietro al suo collo per poterlo sentire il più possibile
vicino a sé. Sokka
fece ricadere l’altro braccio lentamente lungo il suo corpo,
approfittandone
per passare il palmo lungo le sue curve, fino a cingerle i fianchi,
spinto
dallo stesso desiderio.
Lui
schiuse le labbra,
e tutto le sembrò perfetto ai suoi occhi. Come se,
all’improvviso, fosse facile
non pensare al mondo al di fuori di quelle mura, come se esistessero
solo loro.
Soli, in quella stanza.
I
due si
distaccarono per riprendere fiato ma Sokka continuò a
rubarle dei veloci baci
sulle labbra, facendola ridacchiare. Suki girò la testa nel
tentativo di
riprendersi, con scarsi risultati e ridendo più forte quando
ricevette un lungo
e rumoroso bacio sulla guancia come risposta al gesto.
“Ehi,
Sokka—whops.”
Nel
sentire la voce
di Aang, Suki si allontanò di scatto dando ancora le spalle
alla porta mentre
si portava una mano sul viso non appena sentì le guance
scaldarsi.
“Scusate,
non
intendevo disturbare, la porta è aperta e
pensavo…” Balbettò, in imbarazzo.
Sokka
si schiarì la
voce, interrompendo il suo borbottio, e lei si girò a
guardarlo.
“Va
tutto bene,
Aang, non preoccuparti.” Lei lo rassicurò,
sorridendogli. “Stavo giusto per andarmene.”
Suki
spostò lo
sguardo verso Sokka, allungando una mano verso la sua. “Ti
aspetto al piano di
sotto.”
Lui
annuì stringendo
la presa e lei non riuscì a fare a meno di notare il modo in
cui esitò nel
lasciarla andare, quando iniziò ad allontanarsi.
Salutò
Aang con un
veloce cenno e lo superò, uscendo dalla camera.
Attraversò il corridoio in
fretta e raggiunse le scale, fermandosi a metà della rampa.
Lo
sapevi già,
si ripeté, alla ricerca di conforto. Starai bene,
concentrati sui tuoi
doveri.
Prese
un respiro
profondo dal naso e lo lasciò andare dalla bocca, come se
stesse cercando di
riprendere fiato dopo un estenuante esercizio. Combatté
contro il desiderio di
girarsi e scese i restanti gradini.
o
o o
“…E
poi si è alzato
un polverone per nulla, hanno continuato a respingere ogni proposta e
nessuno ha
voluto prendersi la responsabilità delle proprie
azioni.”
Suki
ascoltò con
attenzione lo sfogo di Sokka, stringendogli la mano appoggiata sul
materasso.
Entrambi
erano sdraiati
a letto, in quel loro piccolo rituale che si erano ripromessi di
mantenere
durante quei mesi. Ogni notte, quando finalmente liberi da ogni
impegno, non
importava quanto stanchi, avevano preso l’abitudine di
raccontarsi come era
andata la giornata o ciò che avevano fatto
dall’ultima volta che si erano
visti.
Lui
fece intrecciare
le loro dita e continuò. “C’è
ancora così tanto da fare. So che tornerò qui con
Aang, prima o poi.”
Lo
vide abbassare lo
sguardo per un’istante. Illuminato solo dalla luce
proveniente dall’esterno, la
guardava dall’alto con la testa appoggiata a un pugno e le
lenzuola a coprirlo
dalla vita in giù.
“Sembra
dura.” Mormorò
lei. Ogni volta che Sokka le raccontava delle discussioni che nascevano
a quelle
riunioni, lei non poteva fare a meno di visualizzare
l’immagine di una persona
che parlava al muro o a una folla inferocita composta da persone
intente a
coprirsi le orecchie per non ascoltare. A quanto sembrava, ai politici
piaceva
tanto lamentarsi ma senza lottare davvero per far sì che
qualcosa cambiasse.
Doveva essere frustrante. “Tu non hai nulla di cui
rimproverarti. Hai proposto
tutte ottime idee.”
“Lo
so,” lui
sospirò, poi sorrise “ma grazie. Mi importa della
tua opinione, lo sai.”
“Certo,”
Suki ricambiò
il sorriso “come altro membro del team
non-dominatore.”
Sokka
corrugò la
fronte. “No, cioè, sì. Mi capisci e sai
cosa vorrei dire, ma non è solo
questo.” Portò la sua mano alle labbra e gliela
baciò. “Mi importa perché sei tu.”
Suki
spalancò gli
occhi, sorpresa. Non le era mai passato per la testa che potesse
esserci
un’altra ragione per la quale lui ci tenesse a farle sentire
i suoi discorsi.
Quel pensiero le fece saltare un battito.
Approfittando
della
vicinanza della sua mano al suo viso, gli accarezzò la
guancia mentre lui
chiudeva gli occhi per godersi la coccola. “Sei adorabile e
nemmeno sai di
esserlo.”
Sokka
le mostrò un
sorrisetto sornione, prima di scuotere leggermente la testa facendo
muovere i
capelli sciolti e posare la mano libera sul ginocchio per mettersi in
posa.
“Scusami, ma credo che tu volessi dire prestante.”
“No,
ho usato la
parola corretta.” Lei rise, sollevandosi per dargli un veloce
bacio. “Ma, per
tua fortuna, si può essere adorabili e prestanti allo stesso
tempo.”
Sokka
rise a sua
volta e, quando Suki appoggiò di nuovo la testa sul cuscino,
si girò verso di
lei e disse: “È il tuo turno.”
“Nulla
di nuovo,
davvero.” Sospirò, poi ci pensò su.
“Be’, credo che gli ufficiali siano pronti.
Ho insegnato loro le basi e loro le insegneranno a chi
entrerà in polizia,
quando sarò andata via. Sono davvero bravi.”
“Non
fatico a
crederlo, con un insegnate così straordinaria.”
Disse, orgoglioso.
“Grazie.”
Suki
sussurrò, avvicinandosi mentre teneva stretto il lenzuolo al
petto. Era ancora strano
sentire qualcuno, il suo fidanzato, parlare di lei con così
tanta fierezza. Era
imbarazzante, ma bello. Probabilmente, non si sarebbe mai abituata a
quello.
“So
di cosa parlo.”
Lui aggiunse, attirando la sua attenzione.
Giusto.
Aveva
insegnato anche a Sokka, in passato, al dojo. Si ritrovò a
pensare a quante
cose erano cambiate da allora, a quanto avessero imparato
l’uno dall’altro. Lui
che le ragazze potessero essere anche loro delle guerriere e che per
essere
leader non si doveva necessariamente rinunciare a se stessi,
all’adolescenza,
concedendosi anche il lusso del divertimento ogni tanto; e lei che
esisteva un
mondo al di fuori dell’isola e che la loro scelta di rimanere
isolati aveva delle
conseguenze.
Non
aveva mai
pensato che sarebbe finita in quel modo. A letto, mezza nuda, con quel
ragazzo
che aveva avuto persino l’ardire di sfidarla. Ma aveva
iniziato a sperarlo,
quando aveva avuto l’occasione di conoscerlo meglio e quella
era stata la prima
volta che aveva desiderato qualcosa che non fosse legato ai suoi
doveri,
all’essere una guerriera e alla volontà
dell’Avatar Kyoshi. Era lì, adesso,
innamorata e amata ma incerta su quale fosse il prossimo passo da
compiere sul
suo cammino.
Era
buffo ma
sembrava persino che la bambina di otto anni che era stata un tempo,
avesse le
idee più chiare. Aveva sempre pensato che il suo essere una
Guerriera Kyoshi
l’avrebbe protetta dall’incertezza del futuro.
“È
un peccato che tu
te ne vada senza essere riuscito a dare un nuovo nome alla
città.” Suki
cantilenò, sentendo il desiderio di volersi distrare.
“Lo
so, vero?” Sokka
esclamò. “Hanno rifiutato anche quelli ed erano
tutti ottimi nomi.”
“Oh,
lo so, ho letto
quella lista.” Sorrise. “Erano tutti
molto… creativi. Semplicemente non colgono
la tua vena artistica.”
Il
suo viso si
illuminò. “Esatto!” Poi si
fermò, socchiudendo gli occhi. “Aspetta, ti stai
prendendo gioco di me?”
Suki
scosse la
testa, ridacchiando. “No.”
“Sì,
invece.” Sokka
ribatté, fingendosi offeso. “Sai cosa succede ai
traditori.”
Lo
vide chinarsi su
di lei e non riuscì a trattenere, adesso, una risata quando
vide nascere un sorrisetto
malizioso sulle sue labbra. E sì; sapeva bene cosa stesse
per accadere ma,
nonostante ciò, Suki non si mosse nemmeno quando le mani di
lui si insinuarono
sotto le lenzuola per raggiungere i suoi fianchi.
“Preparati
ad
assaggiare la mia temibile dominazione del solletico!”
Non
appena le dita
di Sokka scivolarono sulla sua pelle nuda, lei non riuscì a
contenere la risata
che riecheggiò per la stanza. Si dimenò, mentre
la risata di lui si unì alla
sua, lasciando che la sua mente si svuotasse.
“Basta,
basta,”
disse, con le lacrime agli occhi “finirai per svegliare
tutti.”
“Io?”
“Sì,”
Suki rispose,
nonostante sapessero entrambi che, se solo avesse voluto, avrebbe
potuto
facilmente sottrarsi a quella punizione “sì,
tu.”
Sokka
diminuì i suoi
movimenti fino ad arrestarli del tutto e, quando la risata di lei
iniziò a
scemare, posò le labbra sulla sua fronte.
“Sei
bellissima.”
Lei
fece incontrare
i loro sguardi. “Sì?”
“Sì.”
Lui ripeté, chinandosi
a baciarla.
Era
un bacio casto
ma dolce e pieno di affetto. Le ricordava uno dei primi che si erano
scambiati,
come se stesse cercando di studiarla di nuovo, come se stesse cercando
di assimilare
ogni dettaglio per non dimenticarlo.
“Mi
mancherà la tua
risata.” Sokka sussurrò, ancora a un soffio dalle
sue labbra.
L’espressione
di
Suki si addolcì, alzando un braccio per passare una mano tra
i suoi capelli. Lo
condusse verso il basso con delicatezza, fino a quando fu sdraiato
completamente
sopra di lei e il suo respiro le solleticava il collo.
“Mi
mancherà il modo
in cui mi fai ridere.”
Sentì
il suo sorriso
sulla pelle e lei riprese le sue carezze, mentre con l’altra
mano faceva
scorrere le dita su e giù lungo la sua spalla.
“Mmh.”
Sokka
mormorò. “Se non smetti, mi
addormenterò.”
Suki
rise. “Ed è un
male?”
“Se
mi addormento,
la mattina arriverà più in fretta.”
Farfugliò, chiaramente assonato.
“Te
ne pentirai
domani.” Rise di nuovo, sentendo le palpebre appesantirsi a
sua volta.
“Dormirò
su Appa.”
“Scomodo.”
Suki
considerò. “Quindi, Toph e Aang verranno con te e
Katara?”
“Nah,
Toph è
impegnata con la sua accademia e Aang, non lo so, ci
accompagnerà a casa ma non
so se ha intenzione di restare. È ancora preoccupato per
ciò che gli ha detto
Liling anche se la situazione non sembra così grave, almeno
per ora.”
Non
faticava a
crederlo. Tenere dibattiti politici; per quanto ad Aang non piacessero,
erano
una cosa ma un’altra guerra? Nessuno di loro voleva che
accadesse.
Suki
non rispose e
il silenzio riempì la camera, tanto che credette che Sokka
si fosse
addormentato finché parlò di nuovo.
“Pensi che mio padre voglia parlarmi dell’idea
di prendere il suo posto, un giorno?”
Lei
sbatté le
palpebre più volte, cercando di riprendersi dal dormiveglia,
nel tentativo di
essere il più lucida possibile per affrontare
l’argomento. Sorpresa, da quella
domanda improvvisa.
Si
ritrovò incapace
di trovare una risposta, così domandò:
“Pensi che possa essere una possibilità?”
“Dopo
tutto quello
che è successo l’ultima volta che sono stato
lì, forse.”
Suki
sapeva a cosa
si stesse riferendo. Sokka le aveva raccontato di quanto fosse cambiata
la
Tribù dell’Acqua del Sud, non solo
perché fosse diventata una vera e propria
città, ma anche per i conflitti che si erano venuti a
creare. Ancora non
riusciva a credere che suo padre fosse stato accoltellato e che avesse
rischiato di morire, da colui che una volta era stato un suo fratello
d’armi
per di più.
Forse
era dovuto al
fatto che lui era mezzo addormentato, ma Suki non riuscì a
capire come Sokka si
sentisse al riguardo. Dal suo tono di voce, era sembrato speranzoso ma
anche
spaventato.
Lei
ingoiò, e non
riuscì a frenare la domanda che le era nata in gola.
“Lo vorresti?”
Suki
aspettò,
tenendo lo sguardo fisso sul soffitto. Il buio le impediva di metterlo
a fuoco,
costringendola a sbattere le palpebre più volte.
Il
Polo Sud era
lontano ma, in fin dei conti, cosa sarebbe cambiato? La loro era
già una
relazione a distanza. Si ritrovò a sorridere, con amarezza,
quando un pensiero
le sfiorò la mente. Era ironico, ma l’Isola Kyoshi
era più vicina alla Tribù
dell’Acqua del Sud rispetto alla Nazione del Fuoco dove lei
passava la maggior
parte del tempo adesso. Magari, avrebbe potuto persino usarla come
scusa per
passare più tempo a casa. In ogni caso, non spettava a lei
decidere.
“Sokka?”
Lo chiamò,
quando si accorse di non aver ricevuto alcuna risposta.
Suki
sorrise, non
appena lo sentì russare. Un chiaro segno che quella
conversazione fosse ormai
giunta al termine.
Fece
passare le dita
tra le sue ciocche un’ultima volta, prima di chiudere gli
occhi. “Buonanotte, ragazzo
guerriero.”
o
o o
Un
bussare alla
porta attirò la sua attenzione. Posò la borsa che
aveva in mano sul tavolo e si
girò verso l’entrata.
Era
rimasta ormai
sola, in quella camera. Katara aveva già portato via le sue
cose ed era adesso
fuori la locanda, occupata a posare i bagagli su Appa insieme agli
altri.
Vedere
la stanza
mezza vuota le aveva procurato un certo fastidio che non era riuscita a
spiegarsi e, così, aveva deciso di prepararsi anche lei
all’imminente partenza.
“Avanti.”
La
porta si aprì e
Suki non poté fare a meno di sorridere. Quella era una
sorpresa, una buona, e
quando i suoi occhi incontrarono quelli della ragazza che le stava
davanti, il
suo sguardo si addolcì.
“Ru!”
“Ehi,
Suki.” Lei
sorrise. “Ty Lee mi ha detto che andrete via, sono passata a
salutarti.”
“Non
sarei mai
partita senza incontrati prima.” Suki ammise, avvicinandosi.
“Come te la stai
passando?”
“Bene.”
Ru rispose,
ma il suo sorriso vacillò poco dopo. “È
ancora tutto così… strano. Ho provato a
parlare con mia madre e mia sorella, in prigione, ma non sembrano
ancora
capire. Sono ancora arrabbiate.”
“Mi
dispiace.” Lei
sussurrò, sincera.
“Non
esserlo. Non è
colpa tua.” Ru le prese le mani tra le sue.
“Infatti, sono venuta a
ringraziarti.”
Suki
strinse la
presa, cercando di donarle un po’ di conforto. Ammirava il
suo coraggio e, per
quanto fosse stata la cosa giusta da fare, poteva solo immaginare
quanto le
fosse costato doversi ribellare alla sua stessa famiglia.
All’inizio, era
rimasta sorpresa di sapere che Ru facesse loro visita. Non aveva mai
nascosto
la sua avversione verso la madre, dopo ciò che aveva fatto,
eppure; sembrava
determinata a cercare di fare capire loro il suo punto di vista.
In
un certo senso,
riusciva a capire quel desiderio. Suki era una persona orgogliosa, era
a
conoscenza del suo valore e non aveva paura di mostrarlo. Circondata da
non-dominatori fin dall’infanzia, però, non aveva
mai assistito a una
discriminazione, prima di lasciare l’isola. Il fatto di
essere una
non-dominatrice, non l’aveva mai fermata
dall’essere una grande guerriera ma
non riusciva a vedersi sedere con un dominatore e cercare di spiegare
che anche
lei era degna di rispetto. Non utilizzando le parole, almeno.
Che
importanza
poteva mai avere se era una dominatrice o una non-dominatrice? Era una
persona,
non era già abbastanza?
Forse
per Ru era
diverso, spinta da un desiderio più grande. I rapporti
famigliari la
confondevano sempre.
Suki
sperava che,
col tempo, Ru potesse riuscire nel suo intento. Sapeva che non sarebbe
stato
facile, ma Suki credeva nel cambiamento nelle persone. Il passato le
aveva
insegnato che era possibile ma anche che, a volte, non c’era
nulla da fare.
“Ho
pensato a ciò
che mi hai detto e avevi ragione. È inutile pensare alle
cose che avrei potuto
fare in passato, adesso ciò che verrà
dipenderà unicamente da me. Tu e Sokka mi
avete mostrato un mondo che non pensavo possibile per noi
non-dominatori.” Un
luminoso sorriso tornò sulle sue labbra.
“Continuerò ad allenarmi e ti prometto
che userò tutto ciò che mi hai insegnato a fin di
bene. Noi tutti lo faremo.
Grazie, Suki.”
Suki
sentì gli occhi
pizzicare e ricambiò il sorriso. Quello era inaspettato.
Essere
una guerriera
significava aiutare le persone. Era il suo dovere, agire le veniva
d’istinto,
era ciò che era. Era ciò che la gente si
aspettava che facesse. Eppure; Suki
non lo faceva mai per essere elogiata o per la gloria. Aveva sempre
agito
seguendo ciò che lei riteneva essere più giusto,
i suoi valori e ciò che aveva
imparato con l’esperienza, e proprio perché era
ciò che la gente si aspettava
da lei; spesso, non le veniva mostrata alcuna riconoscenza. In
realtà, le volte
in cui era stata ringraziata si potevano contare sulle dita di una mano
ma a
lei non era mai importato.
Ricordava
il giorno
in cui era stato richiesto il suo intervento sull’Isola
Kyoshi per la prima
volta. Ricordava lo sguardo di Oyaji su di lei, così diverso
da quello che le
aveva riservato da bambina.
Suki
ingoiò il
groppo che le si era formato in gola. Non era il momento adatto per
pensarci.
“Prenditi
cura di
te, Ru.” Le raccomandò, tirandola in un abbraccio.
“Anche
tu.” Ru
sciolse l’abbraccio. “Adesso va’, lo so
che c’è un’altra persona che vorresti
salutare.”
Suki
rise e la
ringraziò, prima di avviarsi lungo il corridoio e scendere
le scale di fretta.
Non
appena mise
piede fuori dalla locanda, delle voci familiari si distinsero dal
chiacchiericcio dei passanti. Si girò verso le fonti e
sorrise.
All’angolo
della
strada, Appa se ne stava sdraiato intento a sbadigliare ancora
assonato.
Accanto, Aang era girato verso Toph mentre Katara e Sokka, al lato
opposto,
erano impegnati in una discussione della quale le era impossibile
conoscere
l’oggetto, non riuscendo a distinguere le parole da
lì. Guardandosi intorno,
notò che, poco distante, c’era anche Ty Lee che
osservava la scena ridendo.
“Se
hai intenzione
di fare così per tutto il tempo del viaggio, dillo
subito.” Suki sentì Sokka
borbottare, quando iniziò ad avvicinarsi.
“Oh,
non sia mai che
di grazia al principe qui presente si rovini il riposino di
bellezza.” Ribatté
Katara.
“Esatto,
grazie per
la considerazione.”
Suki
scosse la
testa, divertita. Per quanto strano potesse sembrare, sapeva che le
sarebbe
mancato assistere a quei battibecchi; ormai ci aveva fatto
l’abitudine. A
volte, iniziavano per le motivazioni più sciocche; eppure,
bastava che
passassero pochi minuti e tutto tornava esattamente come era prima.
Doveva
essere una cosa tra fratello e sorella.
Le
era capitato di
litigare con le sue sorelle, di tanto in tanto, ma non era la stessa
cosa. Era
un po’ più complicato di così, loro non
avevano un vero legame di sangue. Non
che a Suki fosse mai importato, in ogni caso. Non aveva mentito a Ty
Lee, lei credeva
davvero che il legame che unisse lei e le Guerriere Kyoshi fosse molto
più
profondo di un’amicizia o di un banale rapporto tra colleghe
ma, a volte, si
chiedeva cosa significasse quella parola di preciso. Nonostante con
molte di
loro avesse anche condiviso l’infanzia, in fondo, lei non
aveva modo di
comparare essendo figlia unica. Be’, che lei sapesse almeno.
Erano
la sua
famiglia. La sua versione di una famiglia, ma non per questo meno
importante.
Katara
alzò gli
occhi al cielo, prima di incontrare i suoi. Un sorriso sornione nacque
sulle
sue labbra e, puntando un dito verso di lei, urlò.
“Guarda, c’è Suki!”
Vide
Sokka girare la
testa di scatto nella direzione in cui sua sorella stava indicando e il
suo
viso si illuminò. Suki si fermò e aprì
le braccia, in attesa, contagiata
dall’allegria del suo fidanzato.
“Suki!”
Lui esclamò,
correndo verso di lei.
Lei
sorrise. Non si
sarebbe mai stancata di sentire il suo nome pronunciato da lui, non in
quel
modo.
Rise
di cuore, non
appena l’avvolse stretta tra le sue braccia. Quando i loro
occhi si
incontrarono di nuovo, però, vide il suo sguardo farsi
più scuro come se si
fosse ricordato solo in quel momento che lei non sarebbe venuta con
loro.
Nel
viso di Sokka comparve
un’espressione avvilita, e la tirò subito in un
altro abbraccio. Suki ricambiò
con altrettanta energia, cercando di farsi il più vicina
possibile. Ed era
consapevole che la parte difficile doveva ancora arrivare.
Lui
le prese
delicatamente il viso tra le mani e le baciò i capelli,
prima di prendere un
respiro profondo, come a volersi impregnare con il suo profumo, mentre
Suki
chiudeva gli occhi lasciando che le accarezzasse gli zigomi con i
pollici.
“Sokka.”
Lo chiamò
ma ancor prima che potesse dire qualcosa, lui la baciò. Una,
due, tre volte,
finché lei ebbe l’impressione di perdere il conto.
“Ti
scriverò ogni
giorno.” Lui promise.
“Questo
è stupido, e
lo sai.” Suki rise. “Devi aspettare che il falco
messaggero arrivi a
destinazione, Sokka. Non puoi mandare lettere ogni giorno.”
“Ho
detto scrivere.”
Sokka specificò, mostrando un sorriso compiaciuto.
“Scriverò ogni giorno, poi
aspetterò che il falco faccia ritorno e ti
manderò quello che ho.”
“Questo
è…” lei
esitò “ancora stupido. Finirai solo per accumulare
fogli.”
Lui
alzò gli occhi
al cielo. “Va bene, bene, ti scriverò ogni volta
che posso.”
“Meglio.”
I
due risero, poi Sokka
le scostò i capelli dal viso e lei si appoggiò al
suo palmo.
“Sei
davvero
importante per me, Suki.” Lui sussurrò e Suki
sorrise, sapendo bene cosa
intendesse dire davvero con quelle parole. Per un’istante, la
sua mente tornò
al giorno in cui se lo dissero per la prima volta. All’Isola
Ember.
“Sei
davvero,
davvero, importante per me anche tu Sokka.”
Ti
amo anche io.
Lui
sorrise e la
strinse tra le sue braccia di nuovo. Le passò una mano su e
giù sulla sua
schiena e lei lo strinse un’ultima volta, prima che entrambi
sciolsero
l’abbraccio.
“Lascia
tutti senza
parole, ragazzo intelligente.” Suki
disse, mentre erano ancora mano
nella mano.
“Prendi
a calci
qualche sedere, ragazza tosta.” Sokka
rispose, facendola ridere.
Suki
svuotò i
polmoni in un sospiro, quando nessuno dei due si allontanò.
Avrebbe potuto
perdersi facilmente in quegli occhi che adorava tanto.
“Sokka!”
La voce di
Katara li raggiunse. Il suo tono non era esigente o impaziente; sapeva
che era
difficile per loro, ma era comunque un doloroso sollecito che il loro
tempo a
disposizione era finito.
“Arrivo!”
Lui alzò
la voce per far sì che sua sorella lo sentisse, senza
voltarsi.
Sokka
si chinò su di
lei e posò le labbra sulle sue per un’ultima
volta. Esitando, le assaporò piano
e lei alzò un braccio per accarezzargli il viso.
Suki
si sentì
cingere i fianchi e il calore del corpo di lui, la avvolse ancora una
volta
finché, all’improvviso, sentì freddo.
Aprì gli occhi e lo vide distaccarsi di
colpo, come in dolore e, nonostante si fosse sporta in avanti,
riuscì a
soffocare il desiderio di seguirlo.
Sokka
si girò e si
diresse verso la direzione opposta, dove gli altri lo stavano
aspettando.
Suki
fece per
girarsi a sua volta ma qualcosa, in lei, la frenò.
Avevano
stabilito
una regola, tempo fa. Era stupida, davvero, ma funzionava. Avevano
stabilito
che; ogni volta che dovevano prendere strade diverse, nessuno dei due
avrebbe
dovuto guardare indietro, una volta separati. Sapevano che, se la
avessero
fatto, il desiderio di corrersi di nuovo incontro avrebbe avuto la
meglio e, dividersi,
sarebbe stato solo più doloroso.
Suki
abbassò lo
sguardo. Non gli dava le spalle ancora del tutto ma, in quel modo,
tecnicamente
non stava infrangendo la regola.
I
suoi pensieri
tornarono di nuovo all’Isola Ember; a come entrambi avevano
deciso di
concedersi il lusso di un po’ di svago nonostante la guerra,
nell’assecondare il
desiderio di sentirsi adolescenti perché incerti su come
sarebbe andata a
finire, alla prima volta in cui avevano esplorato la loro
intimità.
Era
stato bello
lasciarsi andare completamente alle emozioni.
Suki
alzò lentamente
lo sguardo e, immediatamente, ricordò perché
quella regola fosse così
importante. Non poteva vedere il viso di Sokka, mentre continuava a
camminare ma
non ce n’era bisogno, la sua postura parlava per lui. Aveva
la testa
leggermente china e le spalle curve e, non appena lo vide sollevare un
braccio
per portarsi una mano al viso, sentì gli occhi pizzicare.
Spostò
lo sguardo
velocemente e lo diresse verso gli altri, in attesa su Appa. Gli occhi
di
Katara erano fissi sul fratello. Sembrava dispiaciuta.
Suki
sentì un
macigno sprofondare nel petto e si guardò le mani.
I
suoi ricordi vagarono
ancora più indietro, al loro primo bacio, a quando aveva
provato a scusarsi, e alla
notte precedente quando gli aveva confessato i suoi sentimenti. Si
chiese che
fine avesse fatto quella ragazza. Sembrava così coraggiosa e
sincera, e si
ritrovò a invidiarla un po’.
Era
stupido, era
sempre lei ma, allo stesso tempo, sapeva che non lo era.
All’epoca,
Suki si
era ritrovata davanti il ragazzo che non era riuscita a togliersi dalla
testa dopo
la sua partenza. Era stato un puro caso o, forse, destino. A lei
piaceva
pensare che un po’ lo fosse stato. Eppure, non aveva avuto
alcuna certezza che
si sarebbero incontrati di nuovo. Aveva voluto rischiare mettendo in
gioco il
proprio cuore. E adesso?
Non
c’era più la
guerra, ma si sentiva ancora incerta sul futuro. Avevano riportato la
pace,
eppure rischiavano ancora la vita. Ancora una volta, a prendere strade
diverse
e sperare che nulla di brutto accadesse mentre non erano insieme a
proteggersi
le spalle a vicenda.
Durante
il loro
primo bacio, Sokka la aveva sorpresa. Ricordava ancora il batticuore ma
anche
la gioia quando la realizzazione di cosa era accaduto, la aveva
raggiunta.
Spesso si era chiesta se lei fosse mai riuscita a farlo sentire allo
stesso
modo, cosa avrebbe potuto fare per far sì che accadesse.
Quella
ragazza era
ancora lei. Era solo un po’ diversa, cresciuta e sperava che,
forse, fosse
diventata persino una versione migliore della vecchia lei. Doveva solo
concedere a se stessa di lasciarsi andare alle emozioni, ancora una
volta.
Nonostante
sentisse ancora
l’incertezza sul futuro, c’era sempre stata una
cosa su cui non aveva mai avuto
alcun dubbio.
Suki
fece un passo
in avanti e si fermò.
“Suki?”
Sentì Ty Lee
chiamarla, adesso accanto a lei. Non si volse verso l’amica,
non voleva sapere
di che colore fosse la sua aura. Non in quel momento.
Alzò
la testa verso
l’alto. Appa era già alto in cielo, ma riusciva
ancora a vederli chiaramente. Sokka
era rivolto verso l’orizzonte, dando le spalle alla
città per continuare a
rispettare la loro regola. Forse, sarebbe riuscito comunque a sentirla.
Suki
prese un
respiro profondo e, con uno slancio deciso, iniziò a correre.
“Suki!”
Ty Lee
esclamò, sorpresa, ma lei la ignorò.
Continuò
a correre
dritta difronte a lei alzando lo sguardo, di tanto in tanto, per
assicurarsi
che non fossero troppo lontani.
“Sokka!”
Provò.
Nulla
accadde ma Suki
non si arrese continuando la sua corsa, evitando chiunque le si parasse
davanti. Se non altro, lei era veloce.
Si
fermò solo quando
raggiunse il porto, obbligata dalla fine del pontile. Si morse il
labbro
inferiore e riempì i polmoni in un altro tentativo.
Sorrise
quando
Katara si mosse, chinandosi leggermente in avanti mentre guardava
giù verso di
lei. La vide girarsi e picchiettare la spalla del fratello.
Dopo
qualche secondo
di incertezza, Sokka si girò verso Katara. Da lì,
le era impossibile sentire
cosa si stessero dicendo ma riuscì a vedere Sokka
affacciarsi quando Katara
indicò il porto.
“Sokka!”
Urlò, di
nuovo, sentendo il cuore battere all’impazzata. Consapevole
che non era dovuto
alla corsa. Si portò le mani agli angoli della bocca, come
se potesse aiutare a
farsi sentire meglio, e gridò. “Ti amo!”
Lui
rimase immobile
per qualche secondo mentre Aang stava già tirando le redini
per far segno ad
Appa di tornare indietro, e lei si chiese se avesse capito cosa avesse
detto, finché
si sporse verso il basso così tanto che sembrava volesse
buttarsi giù.
“Cosa?”
Domandò ad
alta voce, invece. “Non riesco a sentirti con il
vento.”
Suki
ridacchiò,
presa dall’euforia della situazione. “Ho detto che
ti amo!”
Lo
vide tirarsi su
di colpo e scuotere l’amico con vigore, come a intimarlo ad
andare più veloce.
Lei rise, indietreggiando quando Appa iniziò ad abbassarsi
alla ricerca di un
posto per atterrare.
Lo
trovarono poco
distante dal pontile e lei corse nella loro direzione, mentre Sokka si
lasciava
scivolare fino a terra. Lui prese a correre a sua volta verso di lei,
con così
tanta veemenza che quasi rischiò di inciampare sui suoi
stessi passi.
Si
scontrarono in un
abbraccio, e Suki si accorse di star ancora ridendo.
“Ti
amo.” Sokka
disse, senza fiato, a un soffio dal suo orecchio mentre la teneva
ancora
stretta. “Ti amo così tanto.”
“Lo
so,” lei disse
“lo so.”
“Volevo
essere io il
primo a dirlo.” Lui si lamentò. Suki non poteva
vederlo in viso, ma era certa
che avesse una adorabile broncio.
“Allora,
perché non
lo hai fatto?” Lo stuzzicò ma Sokka si
limitò a scuotere la testa, ancora
sorpreso.
“Se
stavi cercando
di farmi rimanere, sta funzionando.” Lui aggiunse, senza
alcuna cattiveria.
“Scusa.”
Suki
sorrise, un po’ colpevole ma sapeva che stava solo
scherzando. Non sarebbe mai
rimasto, per quanto, probabilmente, adesso gli dispiacesse un
po’ di più
partire.
Sokka
sciolse
l’abbraccio e la guardò negli occhi.
“Sei fantastica.”
Lei
scosse il capo,
nonostante riuscì a sentire le guance scaldarsi. Non aveva
idea di che
espressione avesse in quel momento, ma era certa di sembrare sciocca.
Riusciva
a sentire i muscoli del viso dolere, per quanto stesse sorridendo, e
così tanta
energia in corpo da poter scalare una montagna.
È
questo ciò che si
prova a dirlo ad alta voce?
E si chiese perché avesse atteso
così tanto a farlo.
“Devo
andare.”
“Sì,
devi.” Suki
concordò. “Devo andare anche io.”
Lui
annuì e sorrise.
La baciò, prima di dire ancora una volta: “Ti
amo.”
“Ti
amo anche io”
Lei susurrò. Dirlo da così vicino era persino
meglio.
Sokka
rise, felice,
e a Suki mancò un battito sentendo quella stessa
felicità invaderle il petto.
Le
diede un veloce
bacio sulle labbra, poi le prese una mano e le baciò il
dorso. Indietreggiò di
qualche passo, continuando a tenere lo sguardo su di lei, prima di
lasciarla e girarsi
per tornare dagli altri.
Suki
sentì dei passi
raggiungerla e fu come risvegliarsi da un sogno. Arrossì,
all’improvviso
consapevole di aver urlato i suoi sentimenti nel bel mezzo della
città, tenendo
la testa bassa per evitare di incrociare lo sguardo di qualcuno.
“Immagino
che partiremo
anche noi, adesso.” Tirò un sospiro di sollievo
nel vedere che si trattava solo
di Ty Lee.
In
effetti,
Suki rifletté, sembra il momento ideale.
Le
risse e i reati
per strada erano diminuiti, e confidava nella forza di polizia
non-dominatori a
cui aveva insegnato. Sapeva che gli ufficiali e Ru sarebbero riusciti a
cavarsela anche senza di lei, ormai. In più, rimandare non
sarebbe servito a
nulla. Le sarebbe mancato insegnare, ma sapeva anche che tornare al
palazzo le
avrebbe fatto bene. Doveva schiarirsi le idee.
“Sì,”
sorrise,
determinata, girandosi verso la sua amica “Zuko ci sta
aspettando.”
Suki
chiuse gli
occhi per qualche secondo e prese un respiro profondo mentre lasciava
che la
brezza salmastra che le stava offrendo il porto, le riempisse i
polmoni. Poi, si
volse per avviarsi verso la strada e, questa volta, non si
guardò indietro.
NdA: Eccomi
con
la seconda lettera d’amore verso questi due. Questa
sarà bella lunga.
In realtà, è una sorpresa anche per
me. Avevo deciso di continuare a scrivere prima le one-shot che ho in
mente ma
questa storia premeva troppo per uscire dalla mia testa e, alla fine,
ho deciso
di accontentarla.
Sono molto emozionata. Ho un sacco di
idee e spero che vi piacciano.
Quindi, che ne pensate di questo primo
capitolo? Spero di aver spiegato bene tutti i concetti che ho inserito,
inoltre
mi piace pensare che a Suki piaccia davvero insegnare e che non lo
faccia solo
perché deve. In fondo, l’abbiamo vista insegnare
così tante volte: alle
reclute, a Sokka, a Giya, a Ty Lee (credo), agli ufficiali e a Ru.
Insomma, mi
piaceva l’idea ed è una cosa che
ritornerà. L’incertezza sul futuro credo sia
uno degli argomenti che più accomuna tutti i protagonisti di
Atla (prima per la
guerra e ora per la vastità delle possibilità).
L’headcanon che Suki sia orfana è
semplicemente dovuta al fatto che non si vedano mai i suoi genitori in
“Suki,
Alone” nonostante vediamo la sua infanzia. Inoltre, mi
piacciano le idee che ho
creato per il suo background. Spero piaccia anche a voi. La famiglia
è un altro
argomento che tornerà spesso. Insieme, ovviamente,
all’amore. Tanto amore,
amore Sukka.
Fatemi sapere che ne pensate!
Grazie a tutti coloro che sono
arrivati fin qui.
A presto!
Inoltre, la peonia bianca viene molto utilizzata nei matrimoni.