Rumori di fondo

di sissir7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo sapore ***
Capitolo 2: *** Un nuovo colore ***
Capitolo 3: *** Tra due fuochi ***
Capitolo 4: *** Calore ***
Capitolo 5: *** Il ragazzo in rosso ***
Capitolo 6: *** Affari ***
Capitolo 7: *** Il passato (e il futuro?) ***



Capitolo 1
*** Un nuovo sapore ***


La musica faceva vibrare i vetri sottili delle finestre 
di quel piccolo appartamento che ormai odorava di alcool e spensieratezza adolescenziale, quella che ti fa rimanere 
fino alle 4 di mattina ballare e sudare con gente sconosciuta 
che ti sorride e ha negli occhi la stessa voglia che hai tu di vivere quella notte come se fosse l’ultima della tua vita. 
Yoongi si sentiva così, si sentiva come se dopo quella notte avrebbe anche potuto morire, non importava. 

Stava ballando con Jimin, quel ragazzo così raro e con le labbra 
più morbide e baciabili del mondo che tutti in città desideravano… compreso lui. 
Era saccente, silenzioso, sarcastico fino a dar fastidio, anticonformista e dallo sguardo gelido, ma non era diverso 
dagli altri ragazzi quando si trattava di sesso. 
Teneva un bicchiere di birra in mano che si svuotava quasi ad ogni salto. 
Yoongi rideva come un matto mentre Jimin faceva lo stesso cantando a squarciagola quella canzone terribilmente dance che in altre occasione avrebbe subito stoppato. 
Ma era appena diventata la loro canzone. 
Sentiva che era così. 
Gli fece un cenno con il capo e lo prese per mano dando a spallate altri ragazze e ragazzi che continuavano a ballare. 
Uscirono dall’appartamento e la luce fredda del corridoio li accecò, dentro invece era praticamente buio se non per qualche luce psicadelica colorata.
 “O mio dio, lì dentro non si respira.” 
disse Jimin lasciando cadere il bicchiere di plastica vuoto a terra. Barcollò un attimo, ma le mani grandi di Yoongi lo presero 
per le braccia e lo tirarono a sè per un bacio dal sapore amaro come la birra corretta appena bevuta. 
Le pareti gialle scolorite di quel squallido edificio di certo non rendevano la situazione romantica ma loro, per fortuna, 
non erano tipi romantici. 
Erano liberi, randagi, passionali e ciò che avevano intorno non gli importava molto. 
Jimin lo prese per il colletto della giacca di pelle nera e lo sbattete al muro da cui cadde un po' di intonaco. 
“Fai piano, sennò quando avremo finito questo schifo di palazzo cadrà giù.” 
Ricevette come risposta un sorriso malizioso che presto si trasformò in un bacio più intenso, più bagnato. 
La t-shirt bianca gli era appiccicata addosso per il sudore 
e Jimin poggiò le mani su quel petto forte e mentre 
una mano viaggiò lungo la sua coscia, la alzò  bruscamente. 
Si guardavano sospirando affannosamente, la giacca di jeans lasciava scoperte le spalle di Jimin. Era così sexy. 

“Jimin-ah…” 
Una voce profonda lo chiamò e sentì il suo corpo congelarsi non appena capì di chi fosse quella voce.
Camminava infuriato verso di loro, mentre stringeva i pugni lungo
 il corpo atletico e asciutto. 
Prese Jimin per il polso e lo strattonò via da Yoongi 
che alzò gli occhi al cielo.
 “Hey! E fa piano coglione!” 
Jimin biascicò quelle parole, mentre si appoggiò a quel ragazzo 
più alto di lui. 
Poggiò la testa sulla spalla e chiuse gli occhi. 
“Cristo, ma quanto hai bevuto.”
 Jungkook gli prese il volto nelle mani e Jimin rise mentre Yoongi rideva di rimando, totalmente tranquillo. 
“Stronzo, fossi in te non riderei.” 
“Senti bello, il tuo ragazzo mi si è buttato addosso e, insomma, lo hai visto com’è? Con quel culo lo dovresti rinchiudere in casa.” 
Detto questo fece spallucce e fece per andarsene. 
“Sono i ragazzi come te che rovinano la società.” 
rispose il moro, che prese Jimin in braccio e si incamminò verso l’ascensore. 
Yoongi fece un ringhio dopo quelle parole, incazzato come poche volte. 
Quel ragazzino gli aveva mancato di rispetto e neanche lo conosceva. Aprì la porta del suo appartamento e la richiuse alle sue spalle.

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Capitolo 2
*** Un nuovo colore ***


“Dannazione, Jimin.”
Lo poggiò al posto del passeggero nella sua auto sportiva che non passò inosservata in quel quartiere di periferia.
Entrò anche lui e lo guardò; ormai dormiva, tutto sudato e maleodorante di alcool. Jungkook sospirò preoccupato.
La sua fronte era corrugata e stringeva i pugni al volante con tanta di quella forza che dovette accostare per non sbandare.
“Kookie…?”
Jimin si strofinò gli occhi e si drizzò sul sedile in pelle, sentendo la testa girare e realizzando che era in macchina.
“Mi…sei venuto a prendere…”
“Certo che sono venuto a prenderti.”
E in realtà aveva saputo dove il suo ragazzo fosse per dei suoi informatori in giro per la città.
Informatori che non erano per Jimin, ma per altri affari.
Tuttavia, ogni tanto quando si preoccupava, con una telefonata riusciva a sapere dove fosse.
Gli porse la mano e Jimin la strinse e la baciò con qualche difficoltà.
“Mi…fa male lo stomaco.”
“Cristo, devi vomitare?”
Jimin sospirò. La sua pelle liscia si riempì di brividi e si tolse velocemente la giacca di jeans.
“Andiamo a casa.”
“Sicuro? Se guido non ti”
“Arriviamo presto.”
disse chiudendo di nuovo gli occhi.
“Arriviamo presto ti prego.”
Jungkook mise in moto senza più esitare.

L’ascensore arrivò al piano del suo appartamento e una signora li guardò di sottecchi mentre Jungkook strinse un po' d più Jimin tra le sue braccia.
Lo portava come fosse una principessa, ma di certo quella non era una favola.
Entrati, lo portò direttamente in bagno e Jimin si inginocchiò di fronte al water sperando con tutto sé stesso che quel dolore
al centro del suo corpo passasse il prima possibile.
Jungkook si inginocchiò al suo fianco, scomodo in quel pantalone stretto del completo da lavoro d’ufficio, tenendogli la fronte.
Gli mise un asciugamano introno al collo, gli diede dell’acqua, passò quasi mezz’ora ma Jimin non riusciva a vomitare.
“Jungkook, ti prego…”
“Che cazzo hai bevuto…”
“Non…mi ricordo. Ma non ti incazzare ora, aiutami.”
Jimin poggiò le mani ai lati del water e fece due respiri profondi, poi annuì.
Jungkook capì e mentre con una mano gli teneva la fronte, con l’altra gli infilò due dita in gola guardando dall’altra parte.
Appena sentì che finalmente Jimin stava vomitando tolse le dita e cercò di sostenerlo il più possibile.
Scaricò e pulì Jimin da quello schifo.
"Voglio morire…”
“Non nel mio appartamento.” Sorrisero.
“Ce la fai a farti una doccia?”
Fece di no con la testa.
“Va bene.”
rispose dolcemente mentre lo aiutò ad alzarsi e sedersi sul suo letto in quella camera che profumava di pulito,
con una vista su Seoul come poche in città.
Jimin guardava quelle luci, ascoltava quel silenzio che sapeva di protezione e sospirò.
Jungkook si tolse la maglietta, indossò un paio di pantaloni della tuta e si avvicinò a lui accarezzandogli i capelli.
“Jungkook, non ce la faccio a scopare, davvero io non-”
“Cristo, ma che dici.”
Scuoteva la testa in disappunto e anche dispiacere nel pensare che potesse pensare che volesse una cosa del genere in quel momento.
“Vieni qui.”
Jimin si alzò piano, come se fosse rotto e dovesse un attimo rincastrare i pezzi mentre si sentì uno schifo non solo fisicamente.
Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi.
Jungkook lo abbracciò.
“Ora ti svesto per metterti qualcosa di pulito e rimboccarti le coperte.”
Fece come detto mentre Jimin non disse una parola per tutto il tempo.
Una volta a letto, il moro si sedette al suo fianco cantandogli sottovoce una canzone che potesse conciliare il sonno.
“Mi dispiace Kook-ah.”
Smise di cantare e vedendo una lacrima bagnare quella guancia rimase in silenzio.
Strinse le mascelle.
“Non deve dispiacerti per me, ma per te stesso. Se volevi divertirti in quel…modo assolutamente irresponsabile, me lo potevi dire.
Conosco luoghi più adatti e sicuri in cui farlo.”
Ed era vero.
Era il ragazzo più ricco della città, conosceva cose, luoghi, che i cittadini “comuni” non conoscevano.
Una chiamata e sapeva dove rimediare una festa come si deve.
Jimin questo lo sapeva, ma era quello il problema.
Lui voleva qualcosa di più, voleva un’avventura senza lustrini e champagne.
Voleva ragazzi come lui che facevano cose immorali in un appartamento malandato in cui si stava tenendo un rave clandestino
dove ci si sentiva problematici, soli, con la voglia di svuotare la testa da tutto, con la consapevolezza di non sapere come sarebbe andata a finire.
E di certo Jimin non avrebbe immaginato di rimorchiare uno come Yoongi, con cui pensò che sarebbe andato a letto molto volentieri.
Era l’opposto di Jungkook, era un colore nuovo, e quella sera cercava esattamente quello.
Ma il suo principe è perfetto, e l’ha salvato.
Era felice di stare in quel letto con le lenzuola morbide e quel lusso, ovviamente.
Era felice di avere Jungkook nonostante il loro rapporto fosse sugellato da un contratto, perchè alla base di quel contratto in fondo l’amore c’era
ed era vero.
In realtà, non contava più nulla quel foglio firmato quasi tre anni fa perché la loro relazione era cresciuta,
si era consolidata e le loro posizioni erano naturali, erano loro stessi.
Non era più un gioco. 

Dopo colazione, una doccia e un’aspirina, Jimin si sentì rinato.
Indossava un babydoll in seta color carta da zucchero e Jungkook lo guardava come un angelo merita di essere guardato.
“Ti sta…davvero d’incanto.”
Jungkook si godette il sorriso e quel velo di rossore che baciò il volto del suo ragazzo che lo ringraziò e diede un altro morso al cornetto
che stava mangiando.
Il sole rendeva tutto bianco, candido e sul grande tavolo di cristallo c’erano pancakes, cornetti, spremute e caffè.
I camerieri e i cuochi facevano proprio un bel lavoro.
“Vieni qui.”
Jimin, che era con le gambe incrociate sul tavolo a mangiare posò il cornetto e si pulì bene le mani sotto gli occhi bramosi del moro
che a capotavola inclinò un po' la testa vedendo le dita di Jimin entrare nella sua bocca ed essere succhiate e pulite dallo zucchero
e dalla glassa al miele che ricopriva la colazione che Jimin aveva appena mangiato.
Jungkook si morse il labbro inferiore.
Il petto nudo tremò al suono bagnato che la lingua di Jimin faceva attorno alle due dita.
“Jimin, ti prego…”
Un sussurro che lo raggiunse e smise subito quella scenetta erotica, con un mezzo sorriso sulle labbra.
Si mise in ginocchio su quel tavolo di cristallo e con quel velo trasparente ad accarezzargli la pelle chiara, quei boxer in pizzo celesti
che aderivano alla sua esile vita, sembrava un angelo per davvero.
Le spalline bianche sempre in pizzo caddero dalle sue spalle al suo tocco e dopo un sorriso, il centesimo in tutto quello show mozzafiato,
iniziò a gattonare verso il suo ragazzo con delicatezza, lentamente, e un po' di paura di frantumare quel cristallo sotto di lui.
Quella paura rendeva ancora più tesa l’atmosfera, ed era bellissimo.
“Sei leggerissimo, non rompi nulla. Sbrigati.”
Non lo disse cattivo, ma sicuramente era una frase di incoraggiamento molto forte che Jimin non ascoltò affatto e continuò a gattonare piano.
Un paio di falcate ed era davanti al suo daddy, ma voleva giocare.


“Da quanto non facciamo sesso?”
Oltre il babydoll si vedeva il petto morbido di Jimin e gli occhi di Jungkook fissavano solo quello e i capezzoli che si intravedevano,
così piccoli, delicati, dolci, lo sapeva benissimo che lo erano.
Non rispose e gli pose una mano.
“Vieni qui amore.”
Stavolta lo guardò negli occhi e a Jimin mancò il fiato.
Si avvicinò e si sedette di fronte a lui su quel tavolo freddo.
“Pensavo volessi giocare un po', daddy.”
Gli mise le mani intorno al collo mentre quelle di Jungkook scesero dal petto fino a cingergli la vita.
"E' da tre anni che non è più un gioco, Jimin. Lo sai."
Fece un piccolo sorriso mentre Jimin alzò gli occhi al cielo.
"Lo so, lo so ma è da tanto che non facciamo cose strane, mi mancano. So che il nostro rapporto non si basa più sui nostri ruoli eccetera ma...
vorrei solo divertirmi di più."
La voce delicata di Jimin in realtà lo colpì come un pugno in faccia.
Jimin si rese subito conto del cambiamento d'umore del suo ragazzo, ma non si pentì di aver detto quelle cose che ultimamente
lo facevano sentire in gabbia. ù
Jungkook prese le distanze e poggiò la schiena al velluto blu della sedia.
"Capisco...Quindi, è questo il motivo per cui la sera esci e.…"
Ci fu qualche secondo di silenzio durante il quale Jimin pensò che per niente al mondo lo avrebbe rotto con delle sue scuse.
Si limitò a tenere basso lo sguardo; il disappunto e la delusione del moro di certo non gli erano indifferenti.
"Io mi preoccupo solo dei luoghi che frequenti, Jimin. Sono venuto a prenderti già tre volte nel giro di due mesi in tre dei luoghi più malfamati di Seoul, lo capisci questo vero? Capisci che potrebbero farti di tutto ed io non me lo perdonerei.
Io...sono disponibile a lasciarti libero di fare esperienze con altri ragazzi se è questo che vuoi, lo sopporterò, ma"
"Non far sembrare questa situazione solo un mio problema però. Sì, lo so, non sono stato il fidanzato perfetto negli ultimi due mesi
e dio solo sa come fai a non incazzarti come una bestia per quello che ti ho fatto e"
"E' questo il punto Jimin! Non lo fai a me, non solo a me. Lo fai a te stesso. Certo che mi incazzo ma penso prima a te, a noi.
Perchè non puoi fare lo stesso..."

Jimin rimase senza parole e anche se le aveva, non aveva più la voglia di dirle.
"Senti, tu oggi devi lavorare e anche io ho da fare con il gruppo di ballo. Possiamo prenderci queste ore per...non lo so, onestamente.
Ma non ne voglio parlare ora."
Scese dal tavolo e gli posò un bacio sulla fronte, accarezzandogli la testa.
Jungkook annuì e si preparò per le riunioni che aveva in programma.
Entrambi quel giorno sembrarono molto distratti a tutti.
Gli amici più stretti di Jimin cercarono di penetrare quell'armatura che conoscevano bene ma senza risultati.
Jungook finì nel pomeriggio e tornò in appartamento dando buca al solito appuntamento dopo il lavoro tra colleghi.
Si tolse la cravatta e la buttò sul letto insieme alla giacca mentre si versava un bicchiere di latte alla banana.
Lui l'alcool poco lo beveva.
Non che non gli piacesse, ma i ricordi legati a quel profumo non erano mai stati belli sin dall'infanzia.
"Jungkook?"
Sorrise involontariamente alla voce squillante di Jimin.
"Sono in camera." gli urlò di rimando.
"Puoi venire un attimo in salotto, per favore."
Quando lo raggiunse, rimase di pietra.
Yoongi, che nella mente di Jungkook era semplicemente il ragazzo dai capelli color menta, si guardava intorno quasi allibito per il lusso che si poteva permettere.
"Prima che tu dica qualsiasi cosa, lui è Min Yoongi, il ragazzo... dell'altra sera." S
i schiarì la voce e continuò: "è un compositore e produttore molto importante qui a Seoul."
"Perchè è qui..."
"Perchè il tuo ragazzo, caro perspicace ragazzino, è incapace di esprimere ciò che prova e ha problemi di bisogno di attenzione che tu giustamente ignori perchè, insomma, guardati intorno, pensi che uno come"
"Yoongi! Ma che cazzo dici eh?! pensi di aiutarmi così? Che ti prende!"
Jimin gli era davanti ad urlargli contro queste parole ma Yoongi lo spostò violentemente.
"Cosa cazzo credi, di poter fare quello che vuoi a casa mia?!"
Jungkook urlò, e prese Jimin per mano e lo tirò a sé.
"Voglio che se ne vada. Ora. Capito Jimin? All'istante."
"S-Scusami amore, ok? Scusami, ma dovete parlare. Lui...sa meglio di me come mi sento, ne abbiamo parlato tanto e mi ha capito così bene e ti prego, TI PREGO, parlaci.
Jungkook serrò le mascelle e mille pensieri gli bombardarono la testa.
Quell'indisponente teppista lo aveva...capito?
E come? Che ne poteva capire di un angelo come Jimin?
Che diamine potevano avere in comune quei due... 

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Capitolo 3
*** Tra due fuochi ***


Jimin cercò di calmare il rapper inutilmente.
"Yoongi, abbassa i toni."
"Chi ti credi di essere moccioso? Il mio assistente sociale? Non dirmi mai più una cosa del genere con quel tono."
Jimin si limitò solo a sospirare e ingoiare il magone che sentiva in gola.
Si sentiva come tra due fuochi e ancora non era successo nulla.
"Se mi offre un bicchiere di champagne può darsi che ci parlo." disse scocciato incrociando le braccia.
Jungkook si massaggiò le tempie e teso come una corda di violino gli versò un calice di champagne.
Magari se avesse assecondato quella situazione, tutto sarebbe finto senza troppo problemi.

Si sedettero sul grande divano che faceva da padrone su un tappeto pregiato dalla stampa indiana.
"Hai temperamento." esordì Yoongi, continuando.
Scusami per quello che ho fatto e detto poco fa. Jimin, scusami se ti ho spinto."
"C-Come?"
Lo stesso Jimin era a dir poco esterrefatto per quella dimostrazione di gentilezza.
"Siamo qui per parlare di un aquestione seria, Jimin, faccio il saccente e il duro là fuori ma quando si tratta di te, è un'altra cosa.
Non pretendo che tu capsica, ma il tuo ragazzo deve esserci abituato per il lavor che fa no? Fare buon viso a cattivo gioco.
Ma so benissimo che anche lui deve gestire due facce, almeno. Magari anche cinque. Puoi smentirmi se vuoi.
Comunque, volevo solo vedere fino a che punto il tuo principe avrebbe resistito prima di divenate il cattivo della favola, ma non ha ceduto al mio giochetto."
Jungkook alzò gli occhi al cielo ridendo quasi di gusto e gli disse, guardadolo dritto dritto negli occhi:
"Io voglio solo che tu mi dica quanto vuoi. E desidero solo non vederti mai più qui o vicino Jimin."
"Pensi che sia venuto per soldi?!"
"Per cos'altro altrimenti? Jimin, davvero pensi che alla fine di questa sceneggaita non chieda soldi evitando che tu lo venga a sapere?
È per questo che vorrei solo"
"Cosa, uh? Tenerlo qui rinchiuso in una gabbia d'oro e avere il tuo animaletto amorevole quando e come vuoi?" disse Yoongi con nonchalant, beccandosi uno sguardo di ghiaccio da parte di Jungkook che però mantenne la calma rispondendogli:
"Come hai detto tu, ti capisco. Capisco fin troppo bene il mondo lì fuori e la persona come te. Non so come facciate ad andare avanti e nel mio profondo incoscio nutro anche ammirazione in un certo senso. Ma entrare a far parte della sua vita, della nostra vita, non se ne parla.
Ti sei divertito per due mesi. Ora basta."

Yoongi scuoteva la testa pensando di stare in qualche drama da due soldi.
Jimin, dal canto suo, si sentiva come un pesce fuor d'acqua perchè le cose dette dal suo fidanzato avevano senso, si fidava e stava mettendo in discussione il rapporto, seppure strano, che aveva costruito con Yoongi in quei sessanta giorni.
Un rapporto nato come un fulmine a ciel sereno, ma che aveva portato nella sua vita la luce giusta.
Gli aveva confidato tante cose, gli aveva raccontato del suo passato e Yoongi lo scoltava con quei suoi occhi sottili ma che ti scrutano
e ti fanno sentire preso in considerazione come poche volte Jimin si era sentito preso in considerazione.
Si fidava di quell'esile ragazzo che componeva delle canzoeni struggenti e piene di rabbia verso il chaos che aveva dentro e in cui Jimin ci stava benissimo.
Desiderava così tanto quel chaos e lo ave atrovato in lui.
Ora però, era come se la realtà gli fosse stata sputata in faccia e non si era mai sentito così stupido.
"Jimin, non posso aiutarti. Lui non la penserà mai dversamente su di me e qualsiasi cosa io possa dire, tutto quello che io e te ci siamo detti, non lo capirà. Posso solo augurarti buona fortuna e... onestamente penso che questa è l'utma volta che ci vediamo."
Dette queste parole con non poco amaro in bocca, si alzò e fece per andarsene, ma le lacrime che stavano scendendo sulle guance di Jimin
lo incollarono al pavimento.
"Jimin, amore, cerca di tranquillizzarti, non"
"Basta! Ok Jungkook? BASTA! Basta trattarmi come un animale ferito, non lo sono affatto."
"Jimin, io"
"No. Tu...tu mi hai detto che non dovrei fare certe cose per il mio bene. Beh, come tu mi tratti io non me lo merito, non è quello che voglio. Non più." Jungkook aveva le piccole labbra rosse socchiuse e negli occhi grandi neri un velo di lacrime.
Sentiva cosa stava succedendo: lo stava perdendo.
E per cosa? 
"Jimin, ti prego, so che è un momento difficile, ma non ne abbiamo ancora parlato per bene e... solo stamattina ci siamo resi conti che abbiamo un problema,ti prego, TI PREGO, lasciamo che Yoongi vada via e parliamone. Perchè davvero non accetto che la nostra relazione
sia messa in crisi da uno del genere."
"Ok, ehm, non starò certo qui a sentrimi dire certe cose. Me ne vado."
"Ed io vengo con te."
Yoongi a quelle parole si fece una grossa risata.
Alzò gli occhi al cielo e rivolse poche parole a un Jimin tremante e con l’espressione di un bimbo a cui è stato negato un gioco.
“No, principessa, tu non vieni con me e”
Jimin gli diede un rumoroso schiaffo in faccia.
“Non. Chiamarmi. Principessa. Mai più.”

Il menta era rimasto interdetto dalla convinzione che i tratti duri del viso di Jimin emanavano.
Sembrava cresciuto di 10 anni.
Non lo aveva mai visto così serio.
Così grande.
“Vengo con te.”
Ripetette voltandosi verso Jungkook per incrociare il suo sguardo cercando di fargli capire che non avrebbe mai accettato obiezioni.
Il più piccolo dei tre strinse i pugni andando verso l’ascensore e chiamandola per loro, facendogli il gesto di entrare e dicendo:
“Andate pure. Jimin ti aspetto tra qualche giorno visto che non reggerai un minuto in più senza quello che ti do io.”
Cristo, lo aveva detto davvero.
Nessuno die due rispose, e semplicemente sparirono dietro quelle porte d’acciaio.

Jungkook aveva appena detto una cosa orribile e si pentì nel momento esatto in cui finì di dirla vedendo il volto arrabbiato del suo amore non degnarlo di uno sguardo.
Urlò, diede calci al divano, alle sedie.
Si sedette a terra, su quel marmo bianco e freddo e pensò solo che doveva asciugarsi le lacrime e andare a fermare Jimin.
Non mosse un muscolo.
Nel profondo sapeva che avrebbe peggiorato la situazione e soprattuto lo stato d’animo di Jimin.
Quindi, accettò il fatto che doveva lascare le cose fare il suo corso e agire quando fosse stato il caso.
Tutto quello andava oltre all’amore, perché sapeva che loro si amavano, ma c’era di più.
C’era una questione che Jimin doveva prima risolvere con se stesso a quanto pare.
Si alzò e si mise il pigiama svogliatamebte, sentendosi solo stanco.
Scrisse un messaggio a Jimin da cui non pretendeva nemmeno una risposta, ma lo scrisse lo stesso.
“Io sarò sempre qui.” 

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Capitolo 4
*** Calore ***


Dopo qualche giorno Yoongi ancora non lo calcolava, anche se ormai viveva nel suo appartamento che tra l’altro condivideva
con altri due ragazzi e una ragazza.
Lo stesso appartamento dalla musica dance in cui tutto era iniziato.
Era una casa enorme, con cinque stanze, un salotto adiacente a una cucina però piccolissima e due bagni.
C’era umidità e macchie sul soffitto, gli infissi facevano pena per quanto marcio era il legno e il vetro dell’anta del balcone della cucina era rotto
così come il pavimento in salotto, proprio al centro; mattonelle grigie quasi sradicate dal pavimento.
Un tappeto più che economico faceva il suo umile lavoro di coprire le tracce dell’usura del tempo che faceva apparire tutto l’edificio come
un relitto sul fondo dell’oceano.
Le camere da letto si salvavano, almeno quelle erano in uno stato vivibile e Yoongi si ritrovò a condividere la sua con Jimin
che era una presenza fastidiosa per gli altri tre ragazzi.
Li aveva sentiti discutere con Yoongi per la sua permanenza lì e si sentì davvero a disagio e in colpa, ma Yoongi lo aveva rassicurato
e dopo quasi una settimana non ci pensava più. 
Si stava facendo voler bene da quei ragazzi randagi, del tutto simili a Yoongi per estrazione sociale, eppure erano molto meno maturi del rapper
e lo aveva capito da subito.
I due ragazzi erano più grandi di Yoongi invece la ragazza era piccola, aveva appena 14 anni e a Jimin quella cosa non piaceva affatto.
Una bambina con due trentenni e un 25enne?
Dove diamine erano i genitori e se non i genitori almeno i servizi sociali.
Per lui era impensabile una situazione del genere eppure…
Eppure quel mondo aveva i suoi ritmi, la sua quotidianità, le sue regole e un fascino moralmente riconosciuto sbagliato che Jimin voleva.
Voleva averlo anche lui quell’ alone di rassegnazione introno alla sua persona.
Voleva essere come Yoongi: un ragazzo che non poteva avere nulla, senza pretese o speranze per il domani, ma che andava avanti tra quell’immondizia e brillava, dio se brillava.
In realtà, Yoongi poteva permettersi qualcosa di  meglio per quanto era famoso tra i produttori a Seoul, ma lui non voleva cambiare nè se stesso nè
il suo stile di vita.
“Se mi faccio diventare tutto facile da dove prendo la voglia di non morire e scrivere musica?”
Questo gli aveva risposto quando gli chiese perchè non se ne andava da quel quartiere fantasma.
Non voleva neanche stare a pensare a tutto quello che significava quella farse e gli disse solo che aveva senso e che si fidava di lui.

Yoongi però non gli parlava da due giorni.
Mangiavano insieme, uscivano quasi per tutta la mattinata insieme ma non gli preferiva parola.
Forse perchè cerano anche i suoi coinquilino con loro, forse perché non voleva esporlo a quelle persone.
Era molto protettivo in fondo e certe accortenze tradivano quanto in realtà tenesse a Jimin.
Poi, non lo vedeva fino alla mattina seguente perché lavorava, lavorava e lavorava o incontrava qualche produttore per discutere di lavoro comunque. “Sta sbiadendo il menta.”
Gli fece notare mentre masticava del pollo fritto.
Se ne stava con la schiena appoggiata al bracciolo del divano in velluto verde, un verde oliva orribile, con le gambe al petto.
“Domani li tingo.” rispose a bassa voce come sempre il maggiore che intanto stava facendo dei conti con le bollette davanti a sé su
un tavolo al centro del salotto, illuminato solo da una lampadina grande e rotonda che oscillava dal soffitto tristemente.
“Perchè non li fai neri? Nero corvino. Come la notte. Come i tuoi occhi.”
“Zitto. Sto facendo dei conti.”
Jimin fece un broncio che ovviamente Yoongi non vide.
Continuò a mangiare il pollo più rilassato del solito perchè quella sera gli altri tre ragazzi non c’erano.
Prese il bicchiere di vetro e buttò giù il vino con un verso di approvazione.
“E’ proprio buono.”
“E’ proprio il sesto bicchiere che ti scoli, Jimin-ah. Proprio il sesto bicchiere del MIO vino.” disse la voce dura ma non troppo dietro le sue spalle.
Rise.
Yoongi sistemò dei fogli e li ripose in cartelle strappate agli angoli per poi prendere quei plichi e riposarli nell’ultimo cassetto di un vecchio mobile.
Si stiracchiò per bene, alzando le braccia al cielo.
Sentì il suo corpo stretto dall’abbraccio di Jimin che dietro di lui emanava l’odore dell’alcool e dell' aroma tipico del suo vino preferito.
Si diede la libertà di fare un piccolo sorriso perché Jimin non l’avrebbe visto.

“Andiamo a dormire.” disse
“No no.”
Si lamentò il minore ancora ancorato al suo corpo mentre strisciava il volto sul suo collo.
Yoongi si voltò prendendolo per i polsi.
Non era più forte di quell’abile ballerino, ma quest’ultimo era ubriaco e la forza non era decisamente dalla sua parte.
Jimin indossava una t-shirt bianca, boxer economici di un blu osceno e un paio di calzini.
Nient’altro.
Era la cosa più bella che Yoongi aveva mai avuto davanti agli occhi e imprecò pensandolo.
Non voleva avere punti deboli, dannazione.
Non li aveva mai avuti, fino a Jimin.
E non era solo il suo corpo proporzionato e morbido e quella pelle liscia e curata e quel profumo delicato da fiore fragile, no,
era anche quel sorriso particolare per il dente che si sovrapponeva all'altro giusto al centro di quel sorriso, erano quelle labbra illegali,
quel suo fare da ragazzo ribelle che di ribella non aveva quasi niente.
Il suo punto debole: un ragazzo insoddisfatto della sua vita amorosa che poteva avere tutti ai suoi piedi ma che non voleva nessuno,
un ragazzo che cercava altro e anche se gli aveva fatto credere che lo aveva capito, Yoongi di Jimin non ci aveva capito proprio un cazzo.
Era la persona più insicura, dolce, autoconsapevole, rumorosa che aveva mai incontrato ed era ancora una sorpresa ogni giorno.
Vederselo ubriaco che si sporgeva per baciarlo non era affatto una situazione facile per lui.
“Non fare così.”
Lo strinse a sé cercando di fermarlo dal baciarlo, ma quella testa castana proprio non demordeva.
“Uno solo, hyung.”
Sussurrava ad occhi chiusi.
“Uno solo.” gli disse a fior di labbra, cacciando un po' la lingua per leccarlo e Yoongi in quel momento era indifeso,
si sentiva come una preda appena catturata, in fin di vita, che guarda negli occhi il suo assassino e lo vede divorarlo.

Quel bacio era il più voglioso e passionale che aveva mai ricevuto e dato e non si sorprese se chi glielo dava era Jimin,
con quei due canotti morbidi al posto delle labbra.
Dio, era come essere accarezzati da mille petali vellutati, era gentile ma anche intenso.
Aveva senso?
Fanculo, pensò, non voglio razionalizzare anche questo.
Lo prese al livello delle costole con le sue grandi mani e lo tirò di più a sé.
Il corpo di Jimin era bollente, accaldato per l’alcool e quel calore si trasmise a lui mentre Jimin scendeva con le mani sul suo ventre,
lo accarezzava e lo stringeva e gli gemeva praticamente in bocca perchè le labbra di Jimin non osavano spostarsi.

Lo portò in camera sua e furono i secondi peggiori della sua vita quelli in cui dovette interrompere il contatto dei loro corpi.
Il letto matrimoniale giaceva su una struttura in ferro battuto che face rumori striduli appena si buttarono sopra.
Jimin fu nudo in un lampo e incominciò a spogliare il suo hyung che tra un morso alle sue labbra gonfie e qualche gemito lo lasciava fare.
“Cazzo se ti voglio nella mia bocca.” disse Jimin appena lasciò cadere i boxer neri a terra.
Yoongi ebbe una sorta di infarto a quella frase, lo sentiva.
Poteva rimanerci se Jimin continuava in quel modo, in ginocchio tra le sue gambe e piegato sulla sua erezione che massaggiava
mentre non distoglieva lo sguardo dai suoi occhi.
“Cristo, Jimin”
Il minore sorrise.
Lo vedeva un po' sfocato, sbatteva in continuazione le palpebre, scosse un attimo la testa si concentrò su cosa aveva in mano
per poi prenderlo in bocca senza se e senza ma.
Yoongi afferrò l’asta di ferro battuto sopra la sua testa per fare forza spingere il bacino contro la bocca bagnata di Jimin e con l’altra mano si accarezzò il petto,  con i polpastrelli strinse i suoi capezzoli e si bagnò le labbra istintivamente.
I rumori che faceva Jimin erano illegali, gli sembrava di non aver mai avuto un pompino primo di quello.
Quello era un livello che non pensava potesse mai raggiungere.

“Ora scopami.”
Jimin si mosse lento, mentre gli uscirono piano queste parole.
Voleva mettersi su di lui, ma barcollava, non sarebbe mai resistito a cavalcarlo così Yoongi, sapendolo, lo fece stendere sulla pancia
e Jimin sorrise mentre il maggiore gli alzò il sedere.
“Grazie caro hyung, sempre così intelligente.”
Rise divertito e il maggiore fece di rimando.
Jimin era un adone.
La schiena sinuosa era solcata al centro e le fossette di venere gli donavano così tanto, dio mio.
Le leccò, erano così sexy, e scese tra le natiche fino al dolce punto in cui presto si sarebbe inserito.
Nonostante non avesse occhi per nient’altro in quel momento, quel barlume di razionalità che lo caratterizzava da sempre e in ogni situazione
si fece strada nella sua testa.
Jimin era quasi incosciente per quanto era ubriaco e il maggiore proprio non riusciva ad accettare quello che stava per fare.
“Jimin-ah…” disse con la voce spezzata del piacere, ed ebbe come risposta dei gemiti e un corpo immobile.
Fece finta di nulla e continuò a leccarlo piano e accarezzare i glutei morbidi del ballerino.
Passò qualche minuto e si fermò.
Sfiorò piano quel corpo amorevolmente, un tocco leggerissimo che diede con occhi chiusi.
Sentiva il tepore salire dalla pelle del castano sulle guance.
Sorrise.
Baciò piano all’altezza delle scapole, la nuca, tra i capelli di quel piccolo indisponente.
Riuscì nella sua impresa.
Lo fece rilassare fino a farlo addormentare.
Gli infilò i boxer e lo coprì con la trapunta leggera.
Guardò il profilo di Jimin e quel nasino adorabile e sentì una stretta allo stomaco.
Non era amore e lo sapeva.
Era…qualcosa come un senso di protezione che gli crebbe d’un tratto, rivolto verso quel ragazzo che si stava autodistruggendo.
Pensò che lui ne stava facendo parte e un po' gli dava fastidio, ma quella era la sua vita e Jimin voleva anche quella parte orribile e difficile e destabilizzante.
Yoongi sospirò.
“Lascerò che tu faccia il tuo corso, ma sappi che se questa idiozia dura per troppo tempo ti impacchetto e ti spedisco da quel coniglio riccone, intesi?” Sapeva che non lo poteva sentire, ma lo disse ad alta voce, non si sa mai, pensò.
Era già disteso su di un lato al suo fianco e gli accarezzava i capelli più per rilassare se stesso che Jimin, ormai già bell’andato nel mondo dei sogni. Poco dopo sbadigliò e gli si chiusero gli occhi. 

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Capitolo 5
*** Il ragazzo in rosso ***


“Non sembra passarsela così male.”
Il polpastrello dell’indice percorreva il bordo del calice di vetro finissimo creando un sibilo quasi fastidioso.
Il poco vino scuro rimasto sul fondo faceva presumere che quella serata era appena finita dopo un' elegante cena in quel ristornate
semivuoto all’ultimo piano di un grattacielo futuristico che tagliava il cielo scuro su una Seoul viva.
Erano quasi le due di notte quando Jungkook, a quelle parole che avrebbero dovuto essere rassicuranti, sbuffò insoddisfatto.
Stretto in quaella t-shirt nera stonava tra la clientela che sembrava essere appena uscita da una fiaba di principesse.
“Dovresti esserne se non felice, almeno rasserenato.”
Continuò quella voce profonda eppure rassicurante, una di quella voce scure ma anche avvolgenti e per niente minacciose.
Abbinata a quegli occhi grandi color mogano, facevano di Kim Taehyung uno dei più bei ragazzi che si può solo sperare di avere
la fortuna di incontrare.
Perché se lo si vedesse solo in foto, si metterebbe in dubbio la sua esistenza.
“Non è per quello che sbuffo. È perché ne ho abbastanza di questa pagliacciata.”
“No, è perché ti annoi senza di lui. Perché la tua vita non ha calore umano senza lui. Sei solo.”
Jungkook lo uccise con lo sguardo.
“Tieni.”
Disse poi, facendo scivolare piano sulla tovaglia bianca e ricamata una busta gialla che il castano prese velocemente e infilò nella tasca interna
della giacca rossa di velluto che indossava.
Se l’aggiustò con fare solenne schiarendosi la voce.
“Ora se non ti spiace, io andrei.”
“Fermo.”
Il moro era più piccolo di lui, ma aveva una presa sulla sua persona, una sorta di incantesimo su di lui che gli faceva abbassare la testa
ed eseguire gli ordini, sempre.
Da sempre.
Era una cosa innata in Jungkook, nel tono che usava, nel suo corpo statuario, nella sua aura; se parlava tu eseguivi quello che diceva.
Taehyung, fermo come ordinato, aspettava gli ordini con il labbro inferiore morso dai denti e una speranza nel cuore: che lo facesse rimanere.
Che scegliesse lui, almeno quella sera.
“Stavo pensando che…”
Il moro fece spallucce sembrando tutt’altra persona, completamente rilassato.
“…che potresti dare un avvertimento a quel Yoongi. Fai tu. Niente di troppo plateale o grave, lo sai come lavoro.”
Qualcosa dentro il maggiore si congelò.
Perché continuava a sperare di poter far innamorare quel ricco fighettino egecentrico non lo sapeva neanche lui.
Sperava anche che prima o poi si arcogesse di quello che rischiava per lui, che tutti i favori loschi e pericolosi che gli ha fatto in passato
li faceva solo per lui, che avrebbe sempre rischiato per lui.
Ma ora si stava proprio scocciando di assecondarlo dopo che non aveva raccolto nessun frutto.


“Senti, non sono la mafia okay? Non do avvertimenti,non faccio dispetti, non mi  comporto male con chi non conosco. Sarò anche il capo di un club non prorpio pulito legalmente, ma abbiamo dei limiti.”
“Sei l’unico di cui mi fido. Sei l’unico che conosco.”
“Mi dispiace.”
Disse assertivo alzandosi e abbottonandosi la giacca.
“Taehyungie”
A quel nomignolo gli si sgranarono gli occhi e rise divertito.
“Fare gli occhioni e il labbruccio non mi convincerà questa volta. Stammi bene.”
Neanche due passi che Jungkook gli era affianco a tenerlo per il polso.
“So che lo reputi un capriccio da maniaco del controllo, lo so. Ma non so cosa altro fare. Sto davvero…uno schifo, hyung. Ho paura.
Ho una paura immensa che Jimin non tronerà e come hai detto tu, sono solo. Dolorosamente solo.”
Quelle paole gli fecero male più di quanto volesse.
Se aesse avuto il coraggio, gli avrebbe risposto che non lo era mai stato, che avrebbe dovuto aprire gli occhi e vedere chi gli era semrpe stato di appoggio in tutto, chi gli ha guaradto sempre le spalle, chi lo riportava a casa ubriaco asscurandosi che stesse bene.
Strinse le mascelle preso un po' dalla rabbia un po' dalla tenerezza che non voleva provare verso quel bastardo.
“Ti darò tutti i soldi che vuoi. Il triplo, il quadruplo, non mi interessa. Aiutami a riportare Jimin a casa.”
Quello era il colmo.
Aiutare di chi ti sei innamorato ad avere un lieto fine con un altro.
Strattonò via la mano di Jungkook e smeplicemente scosse la testa mentre sentivano entrambi gli occhi di alcuni fissarli.
“La ricompensa che vorrei non si può comprare.”
Sussurrò, e se ne andò via con quel passo elegante che da sempre lo distingueva.
Il minore sbattè il pugno sul tavolo con un’espressione amareggiata.
Non gli piaceva perdere. Affatto.

“Taehyung!”
Il marciapiedi era umido per la leggera pioggia improvvisa e nella penombra di quella strada la giacca di velluto rosso si fermò al suono di quell’inconfondibile voce.
Alzò la mano per fare segno ai due omoni vicino a lui di fermarsi e aspettarlo mentre lui si incamminava verso un Jungkook un po' affannato
per la corsa.
“Non demordi eh?”
“Ti darò qualunque cosa tu voglia.”
Calò il silenzio tra i due mentre poche macchine passavano.
“Devi solo dirmi cosa.”
Sembrava proprio diperato quel ragazzino, neanche troppo più piccolo di lui, ma era cresciuto nella bambacia, ricco, bello.
Non sapeva cosa era doversi fare la pelle dura per sopravvire, che sciocco che era.
Eppure in quella bellezza accecante che aveva e in quella ingeniutà, Taehyung vedeva qualcuno capace di amare e prendersi cura dell’altro,
qualcuno responsabile, anche molto intelligente e fastidiosamente dolce quando gli chiedeva qualcosa con quei sioi occhi scuri e le labbra
un po' arricciate.
Gli scappò un sorriso ma non lo poteva evitare, mai potrebbe evitare di sorridere per Jungkook.
“Non puoi darmi ciò che voglio. È già di qualcun altro.” disse serio, ritornando in sé dicendosi che non doveva cedere.
“Apetta, cazzo, hyung!”
“Modera i toni!”
“Allora tu asocltami!”
“No tu ascoltami razza di viziato narcisista, non mi volgio immischiare in questa cosa è chiaro? Finiscila.”
Non voleva trattarlo così, ma voleva stragli il più lontano possibile d’ora in poi.
“Ti prego. Ti supplico.”
E quando lo vide inginocchiarsi, Tae perse un battito.
“Jungkook, alzati…c-cosa”
“Non capisco cosa intendi quando dici che qesta cosa è di qualcun altro ma lo posso corrompere. Lo sai che con i soldi si può fare tutto.
Hyung, ti prego.”


Mai aveva sentito la voce di quel ragazzo suonare così dolce ma allo stesso tempo tremante.
Gli porse la mano e il minore la prese e si alzò.
Gliela lasciò subito.
Deglutì dicendo controvoglia quella parola.
“Te.” 
Lo disse quasi scocciato, pronto ad andarsene e chiudere quella storia nascondendo così il grande imbarazzo che in realtà stava provando.
Il moro capì subito.
“Va bene.”
“Non credo tu abbia capito cosa intendo se”
“No, hyung, Ho capito benissimo. Domani sera, Hotel Venus, 24esimo piano, la suite Gold.”
Le labbra di Taehyung erano ancora semiaperte.
Incredulo, non sapeva se accettare.
“Jungkook, sei un’idiota! Insomma, l’ho detto perche pensavo ti saresti tolto di mezzo, dannazione.”
Fece una falsissima risata nervosa e il moro non se la beveva.
“Non mi tolgo d mezzo fin quando non ottengo ciò che voglio e tu lo sai benissimo. Io sarò li domani, dalle nove in poi. Mi trovi lì. Se non verrai allora, va bene, la finiamo qui e risolverò la cosa da solo.”
Guarda di che razza di stronzo mi dovevo invaghire, pensò l’altro.
“Aspetterai per un bel po' allora, baby.”
Pronunciò con una punta di malizia, non facendo crollare la sua facciata di chi ha il controllo mentre dentro gli tremava ogni globulo rosso in circolo.
Un lato della bocca di Jungkook si alzò mentre lo fissava deciso.
Tae per poco non gli cadde ai piedi per quanto era sexy.
Mi inginocchierei io ora e molto volentieri, pensò.

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Capitolo 6
*** Affari ***


Sentiva un calore fastidioso su tutto il corpo.
Si rigirò per qualche secondo nel letto prima di aprire gli occhi e venire come preso a martellate sulla testa.
“Dannazione.” imprecò con un filo di voce.
La pelle era imperlata di sudore.
Quel rosa delicato era bellissimo tutto luccicante.
Sembrava di guardare la luce che emanava un angelo.
“Che caldo.” disse con più forza, notando la figura di Yoongi davanti alla cassettiera mentre piegava dei vestiti e li riponeva dentro.
“Scusa, pensavo avessi freddo e ho acceso la stufa elettrica."
La spense subito, sorridendogli.
“Che…ore sono?”
“L’una. Ti Ho lasciato il pranzo nel forno.” gli disse tranquillo continuando a piegare dei pantaloni.
Jimin alzò le lenzuola e vide che era nudo.
Si passò la mano sulla fronte accaldata asciugandosi il velo di sudore.
Il sole accecante gli dava fastidio.
Le lunghe finestre erano aperte, ma non passava un filo d’aria.
Aveva bisogno di una doccia fredda e di un’aspirina.
Si tirò su mettendosi a sedere e rimase così per un po', con gli occhi chiusi sperando che le forze gli tornassero magicamente.
“Magari prima un caffè? Che dici?” gli disse, ridendo piano, il maggiore.
Lui si limitò ad annuire.
Sentì la porta della camera aprirsi e chiudersi.
Aprì piano gli occhi.
Portò una mano alla sua apertura, dietro, che però non sentiva come immaginava che fosse.
Si sentì avvampare.
Ricordava del vino della sera prima, di un abbraccia dato a Yoongi e poi loro sul letto e il pompino che gli aveva fatto e poi solo buio.
Altre volte, quando aveva fatto sesso da ubriaco, la mattina dopo sentiva che lo aveva fatto, ma quella mattina no.
Tuttavia, non ne era certo, poteva essere accaduto di tutto.

La porta si aprì e Yoongi gli porse la tazza.
“Ho pensato che non lo volessi molto caldo.”
“Grazie.” gli disse non incrociando lo sguardo.
Yoongi sentiva a un metro di distanza il nervosismo di Jimin e sapeva anche il perché.
“Non abbiamo scopato.”
“Lo so.” rispose, cercando di essere il più convincente possibile.
Il maggiore alzò le sopracciglia sorpreso.
“Lo sai, mh?”
Jimin bevve un sorso e gli disse che era buono cercando di cambiare discorso.
Il maggiore incrociò le braccia e iniziò a parlare.
“Eri ubriaco fradicio. Roba che non ti reggevi neanche sulle ginocchia. Ed eri mezzo addormentato.”
Jimin si fece piccolo piccolo portando le gambe al petto.
Sembrava una vera e propria ramanzina di un genitore.
Yoongi sospirò gettando la testa all’indietro.
“Spero non ti abbia causato troppi problemi, hyung.”
La voce sinceramente dispiaciuta di quella testolina castana lo faceva incazzare perché odiava come i nervi gli si rilassavano.
“No, no, non iniziare a scusarti okay?”
Lo disse più duro di quanto voleva suonare.
“Jimin, io voglio solo tu sappia che non farei mai una cosa del genere. E non lascerei che nessuno ti tocchi in quello stato. Volevo solo…
solo dire che mi dispiace vedere che ti riduci così. E per cosa? Eh? Cosa cazzo hai guadagnato?”
“Te.”
Si guardavano e per la prima volta Yoongi capì che forse lui non era un capriccio per quel ragazzino.
Che forse, forse, davvero contava qualcosa e davvero aveva visto qualcosa in lui.
“Mi avresti anche se non ti ubriacassi, idiota.” disse con voce flebile e quasi dolce.
Sul volto di Jimin apparse un sorriso.
Se ne andò non approfondendo quel discorso anche se quel “te” gli ronzò nella testa per tutto il santo giorno. 


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Hotel Venus, 24esimo piano, suite Gold.
Nove e quarantacinque.
Jungkook stava per perdere la pazienza che non era mai stata un suo pregio, anzi.
Si mise anche un completo quella sera per Taehyung, per fare un buon lavoro e convincerlo davvero ad aiutarlo, con tutti i mezzi possibili.
Se doveva scoparlo voleva farlo in gran stile così che quel pretenzioso di Tae non avrebbe avuto nulla da ridire.
L’Hotel era il più costoso della città, vini costosi quasi quanto quella suite brillavano sul tavolo di marmo di carrara bianco al centro della camera
di fronte al letto; poi calici di cristallo, lenzuola di seta pura, e dio sa chissà cos’altro.
Tutto per Taehyung.
Ed effettivamente quel capolavoro di ragazzo non si meritava niente di meno.
La sua bellezza avrebbe messo in ombra tutto quel lusso comunque, pensò.

Si stava per togliere la cravatta quando bussarono alla porta.
Lui, sempre sicuro di stesso che quasi mai si dava un’ultima occhiata prima di uscire per quanto era consapevole della sua bellezza, si guardò allo specchio per aggiustarsi i capelli e la giacca.
“Buonasera,  hyung.”
Tae notò quanto si era messo in tiro e la bocca gli si seccò.
“Ciao, piccolo bastardo.” disse, facendosi spazio entrando.
Jungkook alzò gli occhi al cielo mordendosi l’interno della guancia.
Sapeva che quella sera sarebbe stato ancora più insopportabile del solito avendo Tae il coltello dalla parte del manico e proprio non riusciva
a farsene una ragione.
Il maggiore era una visione, come sempre d’altra parte.
Indossava un cappotto lungo fino alle caviglie, nero, con ricami damascati di velluto.
Non era abbottonato, ma al colletto aveva una catenina argentato che collegava i due estremi per non farlo scivolare così che era solo poggiato
sulle spalle.
Sotto si intravedeva un completo in seta verde smeraldo, pantaloni con taglio a palazzo da cui spuntavano i mocassini Gucci, la sua firma distintiva.
La camicia era color panna, trasparente, senza bottoni e con uno scollo a V che lasciava intravedere quelle bellissime clavicole
su cui si poggiava una catenina color argento con un ciondolo rosso, un rubino, regalo della nonna a cui Tae era molto affezionato.
Lo aveva cresciuto praticamente lei.

“Mi fissi sempre in quel modo.”
Jungkook, mezzo imbambolato, mise  nervosamente le mani nelle tasche dei pantaloni.
Le labbra del maggiore si curvarono un po' con espressione soddisfatta.
“Ti piace il mio completo.”
“Sei bellissimo, come sempre.”
Si limitò a dire, anche se davvero era rimasto senza fiato.
“Verso del vino.” disse, per poi aprire la bottiglia preferita dal suo amico.
Taehyung si guardò in giro, era tutto perfetto, come in quelle foto da catalogo che ti fanno sempre sognare.
“Non ero mai stato in questa suite. In quella Polaris sì, ed è molto bella. Più semplice.”
“Se preferisci quella io”
“No, JK, questa è più che alla mia altezza.”
“Niente è alla tua altezza.” gli rispose sincero porgendogli il calice, e lo sguardo di Tae si addolcì un po'.
“Jeon Jeon Jeon, si dice di tutto pur di raggiungere il proprio scopo.”
Il minore sospirò alzando gli occhi al cielo.
“Stai facendo lo stronzo sarcastico saccente istigatore e superiore del cazzo di proposito perché io i complimenti te li faccio sempre.”
E finì con un’alzata di spalle.
“Uno a zero per te allora.” rispose calmo l’altro, accavallando le gambe una volta seduto sul letto.

La sua espressione si incupì un po' e grattando nervosamente l’osso sporgente del ginocchio, confessò a Jungkook che in realtà era stanco
di quella facciata forte che si metteva su spesso quando era con lui e che per una volta voleva essere lui quello debole,
quello  con la faccia triste e non perfetta, quello solo, quello che di bello non aveva proprio niente.
Quello che dietro quell’aura d’oro celava solo tante paure e cicatrici di guerra interiore.
Quello che in quel momento era come se stesse esalando un grido d’aiuto, un <>
Un po' si odiava per tutto quello. 

“Ti ho visto poche volte esitare ed essere quello debole, Tae. Forse solo due. Ma se vuoi esserlo, con me sei al sicuro e non devi fare nessun preambolo e darmi nessuna giustificazione. Forse ti rendo le cose più difficili essendo così gentile perché so che non sai cosa rispondere
e odi non avere l’ultima parola. Ma questo…quello che vuoi fare, il modo in cui ti vuoi sentire, va bene. Siamo solo io e te, voglio dire, Tae, andiamo.
Ti voglio troppo bene per farti sentire a disagio, è l’ultima cosa che voglio. Tu…dimmi solo cosa e come vuoi farlo ed io farò il mio meglio.”
Gli era seduto a fianco e gli aveva preso la mano.
Taehyung poggiò la testa sulla sua spalla e dopo qualche secondo mosse piano il volto, baciandogli il collo piano.
“Sono fortunato ad avere te in questo mondo senza pietà. Tu ne ha tanta per me, in modo positivo.”
Jungkook gli accarezzò la guancia.
Quegli occhi scuri color mogano erano così difficili da reggere.
“JK…”
Il minore si sentì inebriato da quel suono, da quel profumo.
“Ho la persona che può fare questo lavoro nel modo giusto.”
Si scostò e si alzò veloce, aggiustandosi la giacca.
“C-come scusa? Non…non vuoi”
“No.”
“Era…una sorta di test o qualche tuo stratagemma per vedere come mi sarei comportato? Perché, cazzo Tae, io ero serio.”
“Lo so e no, nessun giochetto. Ho capito che...” Gli tremò la voce e si fermò.
“...che siamo già perfetti così come siamo, non ho bisogno di nient’altro da te.”
“Mi fai venire il mal di testa.”
Si sorrisero.
“Mi volevi scopare, mh? Aish, che ragazzino vivace che sei.” disse, guardandogli il cavallo dei pantaloni che mostrava una presenza interessante.
Il minore lo uccise con lo sguardo e si buttò sul letto.

“Alzati. Non vorrai farti una sega proprio ora”
“Come se non l’avessi già fatta davanti a te.”
“Quella volta eri ubriaco. Dio, puoi concentrarti?”
JK si alzò contro voglia.
Quasi non gli interessò più di pedinare Jimin, di tappare la bocca a quel Yoongi, perché aveva il suo migliore amico lì con quel culo da paura e lui non scopava da quando Jimin se n’era andato e si stava chiedendo come faceva a non essere ancora impazzito.
“Si chiama MinHee” disse Taehyung serio.
“Che devo sapere di lei?”
Si versò un altro bicchiere di vino per reggere quella conversazione.
“Sai cosa significa il suo nome?”
“No.”
“Astuzia. Questa è l’unica cosa che devi sapere.”
“Quanto vuole?”
“Ho patteggiato per un buon prezzo, mi conosci.”
Jungkook finì il vino e iniziò a togliersi quel completo costoso ma scomodissimo.
“Voglio più dettagli, che ha intenzione di fare.”
“Chiedilo a lei.”
E bussarono alla porta.
“Cristo” disse disperato JK, incamminandosi verso la porta con la camicia fuori dai pantaloni e mezza aperta.

“Ciao. MinHee, giusto?”
Entrò così silenziosamente che pareva volare.
Era bassina, magra, vestita tutta di nero con un cappellino con la visiera e una sciarpa le copriva il volto.
Poteva avere anche 13 anni per JK.
“I soldi spero siano già dove ti ho detto che voglio trovarli finito questo incontro tedioso.”
Jungkook alzò le sopracciglia e disse piano:
“Mi ricorda proprio qualcuno.” riferendosi a Yoongi.
“Vuoi un po' di vino?”
“No grazie.”
“Sei almeno maggiorenne?”
“Sei almeno intelligente da fare qualche domanda più utile?” 
E quando si tolse la sciarpa scoprendo il pallido volto, Jungkook per poco non cadde per quanto sentì le ginocchia deboli.
Tae rise di gusto e poi disse:
“Cosa c’è meglio di una sorella con sete di vendetta per mettere al suo posto una volta per tutte Min Yoongi? Due gocce d’acqua.
Ma lei è più cazzuta.” 

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Capitolo 7
*** Il passato (e il futuro?) ***


Quanto era triste vedere i ragazzi a bordo strada a quell’ora.
Gli faceva venire il prurito al dorso delle mani.
In cuor suo, tutto quello che inconsciamente lo faceva incazzare era che non poteva salvarli.
Non poteva prenderli e portarli a casa con sé e fargli una bella paternale inutile che loro avrebbero capito solo quando sarebbero stati
grandi come lui o di più.
Gli buttavano occhiate languide e sorrisi maliziosi, ma lui semplicemente li ignorava.
“Hey, bel micetto. Ti va di bere un po' di latte?”
Fissò la punta delle sue Nike e per poco non andò a prenderlo a pugni.
Chiuse gli occhi e pensò a Jimin che lo stava aspettando a casa e si calmò.
Arrivò con la cena e Jimin mangiò con gusto.
“Hai fatto tardi anche oggi.”
“Sì, e ho dovuto pure pagare un extra all’inserviente del piano del palazzo per farlo stare zitto, sennò spiattella al proprietario
che non abbiamo chiuso lo studio all’orario stabilito.”
Gettò la giacca di jeans scuro sul divano e dopo aver aperto una birra, si sedette lì a berla.
Si massaggiò le tempie.
“Sei stanco, mh?”
“Un po'.”
“Non torni mai così stanco.”
Lo ignorò.
Jimin finì il pollo e il ramen e tolse tutto di mezzo.
“So che tocca a te fare i piatti e l’essere stanco non è una giustificazione.” disse incrociando le braccia.
Yoongi alzò gli occhi al cielo.
“Va bene, va bene”
Mentre si alzò le maniche davanti al lavandino, sentiva il corpo di Jimin vicino al suo.
Una mano gli accarezzò piano i capelli.
“Ti aspetto a letto, se ti va.”
Il cuore iniziò a tartassargli il petto.
Fece spallucce perché la gola gli si chiuse e non seppe che rispondere.
Jimin gli lasciò un bacio al centro della nuca e andò via.
Yoongi tornò a respirare.


Bussarono alla porta e per poco non gli venne un altro infarto.
Nessuno dei suoi coinquilini era in casa e andò lui senza voglia di vedere nessuno, voleva solo riposare.
“Sì?” chiese, senza avere alcuna risposta.
Sembrava davvero non ci fosse nessuno.
La porta non aveva lo spioncino, era già tanto che stava saldata al muro.
Non era neanche una porta di entrata, tra l’altro, ed era il proprietario che ebbe la premura di aggiungerne una per poter alzare
un po' il prezzo dell’affitto.
Poi, sentì qualcuno schiarirsi la gola.
“Si può sapere chi è?”
“Se sei curioso, apri.”
Sentì da una voce femminile che era stata da sempre la voce che meno sopportava al mondo.
“Hyung, chi è?”
Il sangue gli si gelò nelle vene.
Gli fece cenno di stare zitto e gli disse piano:
“Vai via. Scendi dalle scale anti incendio, in camera mia.”
“Hyung ma…ma cosa dici.” disse Jimin ridendo, anche se la serietà dell’amico gli fece venire l’ansia.
“Jimin. Vai via, ADESSO cazzo!”
Jimin rimase ancora per qualche secondo impietrito, ma poi corse a mettersi i jeans.
“Mi hai stancata!”
Sentì urlare, e la porta cadde come se fosse stata la cosa più fragile al mondo.
Yoongi si ritrovò schiena a terra.
Jimin sobbalzò al rumore e iniziò a tremare.
“Corri!”
Sentì dire dal suo hyung, e fece di tutto per smettere di tremare e scendere quelle dannate scale in ferro.
“Oh, bene bene bene. Sempre il più intelligente rimani, mh fratellino?”
“L’ospedale psichiatrico ci ha rinunciato e ti ha sbattuto fuori vero?”
“Pessima scelta di parole.”
Lo prese per il polso e lo sbattette al muro.
Lui cercò di spingerla ma dio se era veloce, e si ritrovò con una mano al collo. Una presa salda.
“Non posso perdere tempo con te.” gli sussurrò glaciale all’orecchio e corse verso le camere da letto, sfondando la porta di ognuna.
“Cazzo MinHee smettila!”
La prese da dietro ma lei gli incassò una gomitata allo stomaco.
Andò subito a cercare quale stanza avesse le scale fuori al balcone e una volta trovate fu velocissima.
Yoongi si alzò e le corse dietro ma invano.


Era buio e quel quartiere malfamato era già tanto che aveva un lampione ogni tanto.
Non vedeva né sua sorella né Jimin.
Quando respirava gli faceva ancora male la pancia per il colpo di sua sorella.
La testa gli pesò e si sentì svuotato.
“Jimin…”
Sentì il cellulare vibrare nella tasca e lo prese subito.
Era un messaggio.
“Sono in camera tua.”
Corse come un pazzo e neanche lui sapeva di avere così tanta forza in quelle esili gambe.
“Jimin!”
Stava piangendo, il suo volto era tutto bagnato e le labbra gli tremavano.
“No, ti prego…” sussurrò Yoongi.
E di nuovo: “Ti prego, non fargli del male.”
Gli occhi felini come i suoi lo guardavano senza ombra di emozione.
“MinHee…”
Deglutì a fatica, non sapendo cosa dire perché la conosceva, conosceva il suo sangue freddo apprezzato dalle peggiori gang della città,
sapeva che lavorava con i peggiori criminali e con diversi gruppi della yakuza lì a Seoul.
Sapeva tutto di lei.
Sapeva che non scherzava mai, lo aveva sempre saputo, fin da piccolo, fin da quando anche lui si era ritrovato con la lama di un coltello
a fior di pelle sotto il mento, sapeva cosa si provasse, cosa stava provando Jimin con quel coltello puntato alla gola.
Lei chiuse gli occhi e inspirò forte.
“Non lo uccido, non lo uccido.”
Ma Yoongi aveva imparato a non credere ad una singola lettera che usciva da quella bocca.
Jimin strinse gli occhi e gli venne da vomitare.
“Non è il mio ragazzo, è solo un caro amico. Se vuoi farmi soffrire sai che non è lui che…”
“Cristo, lo so! Che mi prendi per scema? Ti ricordo che ho una laurea in matematica.”
“Lascialo, lo so che vuoi vedermi stare male, ma lascialo, farò quello che vuoi.”
Lei alzò un sopracciglio perché la cosa la allettava, ma ricordò che non era una questione personale ma un lavoro da portare a termine.
“Non sai quanto vorrei divertirmi come ai vecchi tempi, ma ho delle priorità.”
Yoongi fissava il coltello e tremava ad ogni minuscolo movimento che gli vedeva fare.
“Ha proprio un buon odore.”
Jimin sentì il fiato della ragazza tra i capelli e poi sulla guancia.
“MinHee!”
“Oh, qualcuno è geloso”, e rise in modo acuto e fastidioso.

Posò le labbra sulla guancia di Jimin e Yoongi strinse i pugni istintivamente.
Diede un piccolo morso alla guancia e le lacrime bagnarono di nuovo il viso di Jimin.
“Più hai paura, più la porterò alle lunghe questa sceneggiata.”
A quelle parole, Yoongi ebbe come il sentore che davvero non gli avrebbe fatto del male, e iniziò a ragionare.
“Sceneggiata…” ripetè.
La sorella lo guardò.
“E’ un lavoro.” disse calmo.
“Sei qui…per conto di qualcuno. Sei qui…”
“Oh, Yoongi, ma la smetti di vedere cose dove non ci sono! Avevo la serata libera e”
“Oh no…”
I pensieri di Yoongi andarono a manetta, aveva capito tutto.
“Che c’è dio santo! Non puoi stare al gioco e farmi divertire!”
“Jimin, mi dispiace.”
Jimin lo guardò con sempre più paura in corpo.
“L’ha mandata Jungkook. L’ha mandata per spaventarci e fare in modo che io ti faccia allontanare da me per colpa di mia sorella.”
MinHee lasciò Jimin e iniziò sbattere i  piedi come una bambina capricciosa mentre lui  corse tra le braccia di Yoongi che gli sussurrò:
“Scusami.”
“Pure la scenetta romantica no, vi prego.”
“Dì a Jungkook che è un pessimo fidanzato se pensa che con questo comportamento io possa-”
“Sì, sì, ho capito, dio mio, che seccatura che siete. Mi state facendo arrabbiare, avete fatto saltare tutto. Meno male che mi ha pagato in anticipo.”
Yoongi avrebbe voluto prenderla a schiaffi.


“Sentite, io non ci voglio entrare in questa storia e non ho intenzione di fare da intermediaria quindi, se hai qualcosa da dire a quel bambino,
chiamalo. E risolvi questa questione con lui. Vi state ferendo e ignorando come persone immature che non si vogliono prendere la responsabilità
delle proprie decisioni ed emozioni. Mi date il voltastomaco.”
“Vattene.”
“Vi ho dato solo un consiglio sincero da sorella maggiore” disse, e fece un sorrisetto compiaciuto.
Si voltò, riposò il coltello nella custodia che aveva alla cintura e sospirò.
“Ah, e solo per la cronaca…Non mi hanno cacciato dall’ospedale psichiatrico, sto davvero meglio.”
“Aspetto fra qualche giorno la chiamata dalla dottoressa Choi che mi dirà che ti hanno internata di nuovo. Non avrai mai la mia fiducia.”
Dopo qualche secondo, lei sparì da dietro la porta.


Jimin era ancora scosso, ma anche molto arrabbiato.
Parlò molto con Yoongi sul da farsi, ma non decisero nulla.
Yoongi si sentiva esausto.
Esausto di rivivere momenti del genere.
Esausto del suo passato che si ripresentava davanti alla sua porta e proprio non poteva evitarlo per quanto cercasse di risolvere le cose da solo,
come sempre.
“Domattina chiamo qualcuno per far mettere una serratura a quella porta.”
“Già, dovremmo.”
Jimin si avvicinò di più al suo compagno spingendo la guancia sul suo petto.
“Ora non pensiamoci, okay? Onestamente quello che ha detto tua sorella ha senso. Risolverò la cosa al più presto.”
“Dovrebbe essere lui a venire da te.”
“Non lo farà. Al massimo mi manderà un messaggio per vederci e vorrà andare in qualche ristorante di lusso dove cercherà di convincermi
con chissà quale scusa, mi dirà che cambierà e si scuserà mille volte e…”
Gli venne il nervoso solo a pensarci.
“Che cazzo gli è passato per la testa, dio mio.” commentò Yoongi.
“E’ sempre stato così. Perde la testa a volte.”
“La perde quando si tratta di te e questa cosa non è sana, per nessuno di voi due, solo per dire eh.”
“Basta, non ne voglio parlare. Ormai Jungkook è il passato, chiuderò la questione e andremo avanti.”
“Dovremmo vendicarci.”
“Yoongi!”
“Come minimo dovremmo farlo.”
“Quello che dovremmo fare è occupare le nostre energie facendo qualcosa per noi, okay? Non voglio portare avanti questa storia e istigarlo peggiorerebbe solo tutto. Dandogli corda ci abbassiamo al suo livello.”
“Mh.”
Jimin spense la luce fioca della piccola lampada che poggiava a terra.
Yoongi lo strinse un po' di più.
“Non ti lascerò solo in tutto questo comunque. Che mi mandi il peggiore degli assassini, non sa di cosa anche io sono capace."
"Non fare l'eroe, hyung. Jungkook vince sempre."
Lo disse così rassegnato che in Yoongi crebbe ancora di più la rabbia.
"Jimin."
"Mh?" rispose lieve, anche se aveva già chiuso gli occhi.
"Jimin, ascoltami."
Il minore gli rivolse lo sguardo attento. 
"Partiamo. Andiamocene da qui."
"Ma...ma il tuo lavoro e, e i soldi...Io ho pochissimo da parte. E poi qui ho la compagnia di ballo, ho dei progetti con loro che sto portando avanti."
Yoongi si incupì ed effettivamente, nonostante tutto, anche Jimin aveva una vita lì a Seoul.
"Capisco, ma...pensaci, okay? Solo...pensaci."
Gli rispose annuendo perchè in fin dei conti era una cosa che non gli sarebbe dispiaciuta, partire, cambiare vita. 
Ma Jungkook gli ronzava ancora in testa, in quel preciso momento, anche mentre stava ancora guardando i bellissimi occhi di Yoongi.
Lo amava. 
Amava quel ragazzino con tutto se stesso e doverlo lasciare per davvero...non voleva in fondo. 
Che fosse vero amore o il risultato di una relazione tossica e di malsana dipendenza ancora non lo aveva capito. 
Yoongi sì. 
Quella notte nessuno dei due dormì, anche se fecero finta di farlo. 
 

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