Soundtrack e pop corn. Lettere ad un amante che non fu mai tale.

di LadyStone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Peotica ***
Capitolo 2: *** Vivere il mio tempo ***
Capitolo 3: *** L'ultima notte ***
Capitolo 4: *** Zafon ***
Capitolo 5: *** Il Silenzio Grande ***
Capitolo 6: *** Celeste Nostalgia ***
Capitolo 7: *** La Stranezza ***



Capitolo 1
*** Peotica ***


1. Poetica

E poi arriva Cesare.

Sei sdraiata sul letto, ti rilassi con un giochino del cellulare, di quelli semplici che usano le nonne perché non è più di un solitario, non pensi a nulla e poi, all’improvviso, SBEM!

Un bel dritto in faccia. Dolce, delicato, come uno schiaffo dato con una rosa, ma che fa male come un destro da KO.

Cazzo Cesare, solo tu ci riesci! 

Ma come fai? Come? E maledetta Alexa tua complice. Vabbè, masochista anch’io, che senza pensarci le dico di riprodurre i tuoi brani, così mentre vinco l’ennesima partita da idolo delle vecchie del centro anziani, arriva Poetica, che mi strappa dagli allori e mi rigetta nella mia versione di Stoccolma privata.

Quelle spine cominciano a pungermi lente lente , una per una, ed ogni spina ha la forma un’espressione, di una foto, di un sorriso, di una delusione, di un’illusione, ma che tutte insieme sono un tornado di emozioni che mi crocefiggono e mi ritrovo pugile alle corde davanti a loro. Vorrei poter gridare TIME OUT, ma l’arbitro è palesemente sordo ed io continuo a cadere vittima dei colpi che mi sono autoinferta. Sì, autoinferta, perché l’avversario ha il mio stesso volto e nel riflesso dei mie stessi occhi c’è il volto di lui, perché quando permetti a qualcuno di farti del male, alla fine il mandante sei sempre tu. 

Provo a non ascoltare, a pensare che tra poco dovrò uscire, mi preparo che è meglio.  Neanche guardo cosa prendo dall’armadio, lo indosso solamente e vado a truccarmi, ma allo specchio quello che vedo è una mano tesa, una mano tesa fatta di tessuto elasticizzato e fiori in paillettes, che mi sussurra “Ricordati come ti sentivi quando lo hai comprato, le speranze che avevi, i sogni che hai fatto e ricordati cosa hai vissuto un paio di giorni dopo che lo hai comprato. Eri lì e lui volutamente non c’era. Ne vale la pena?”

Mi avvicino allo specchio non solo per mettermi la matita che mi donerà quello sguardo che mi piace tanto, ma anche per vedere se scovo qualche altra cosa, qualcun’altro.

No, non c’è nessuno stavolta. 

Prendo le chiavi della macchina ed esco, stavolta te ne sei andato, per oggi sono di nuovo libera. 

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Capitolo 2
*** Vivere il mio tempo ***


Polvere, sudore, terra che si attacca alle scarpe e trasforma il loro colore, vabbè poi le laverò, per ora sono ipnotizzata. Quelle note mi isolano dalla folla, ci sono solo io e i miei tanti, troppi Perché. Nei due giorni precedenti ho cercato di non pensarti, di non pensare a dove fossi, mi ripetevo che alla fine non ero gelosa, che chiunque tu avessi incontrati erano affari solo tuoi…solo.  Questa parola è un mantra in questi due minuti scarsi. Ho volato, sì, ho volato, ma sola. 
Anche Piero lo sta cantando “Soli si vola” ed io come un’idiota pensavo di star volando con te, in formazione, sempre insieme, contro qualunque corrente, contro qualunque vuoto d’aria e, invece, era solo un volo in solitaria. Eppure mi sono voltata per guardarti, per vedere se ci fossi, e tu eri lì, c’eri. Più lontano, più vicino, ma c’eri.  
Che fosse solo un’allucinazione? Un’oasi illusoria nel mio deserto?
Forse sì…la mia miopia non mi ha permesso di coglierne la differenza…probabile, chi lo sa. Tanto non lo saprò mai, non dici mai tutta la verità, non dai mai un nome alle cose e senza un nome, alla fine, le cose non esistono.
Noi non siamo mai esistiti.
Avrei voluto avere davvero l’opportunità di dirti “Guardami…hai ancora voglia di nuotare in questo mare?”
Forse, anche in questo momento, nell’esatto momento in cui ti sto pensando, vorrei potertelo dire, però mi rendo conto che non servirebbe a nulla.
Scrollo la home del tuo profilo di Facebook e mi rendo conto che un sorriso simile a me, con me, non lo hai mai fatto e si sorride così solo dove e con chi si è felici. Ergo, non ho necessità di rispondermi.
Imparerò a riprendermi il mio tempo, quel tempo che ti avevo donato, quel tempo che mi portava vicino a te. Re imparerò a farci amicizia, a renderlo la parte migliore di me, a legarmelo stretto stretto in vita, così, nel momento in cui ci incontreremo di nuovo, sarà il mio salvagente e mi proteggerà da quel “Guardami” che ora vorrei tanto gridarti.
Dei ragazzi cominciano a pogare, mi risvegliano da questo torpore, un sorso alla  birra e di nuovo occhi al palco.

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Capitolo 3
*** L'ultima notte ***


L’ULTIMA NOTTE
 
 
Le cicale fuori dalla finestra fanno un casino inimmaginabile, ma ne dovrebbero fare molto di più, tanto da non permettermi di sentire i miei pensieri. Tanto da disturbare la frequenza dei miei ricordi, come quando in tv tutto diventa un mare di righe e l’immagine è incomprensibile, irriconoscibile. Però forse non basterebbero tutte le cicale del mondo. 
Il ricordo è troppo forte.
“Ti passo a prendere?”
Ancora ricordo quel messaggio alla fine di una lunga chiacchierata.
“Andiamo in spiaggia, che ne dici?”
Sapevi già la mia risposta, la sapevi anche prima di formularla, ma era bello anche solo poterlo immaginare, poter strusciarci tra i desideri che non potevamo soddisfare nonostante gli scarsi chilometri che ci dividevano.
È l’ultima notte e la passo con te. È l’ultima notte e siamo solo io e te”
Era l’ultima notte di una vacanza che ci aveva uniti come non mai, che ci aveva permesso di annusarci, di sfiorarci, d guardarci dopo mesi e mesi, sentire la grana della nostra pelle, scostarci i capelli bagnati dalle spalle.
La nostra ora, ogni giorno. 
Se riavvolgo il nastro della memoria posso ancora rivederti in ognuno di quei giorni, i tuoi occhi, il tuo mezzo sorriso.
Ero certa che tu fossi lì per me, per noi, perché non potevamo più non viverci, perché era la giusta ricompensa dopo tanti, troppi mesi ed io, ti assicuro, ci ho creduto veramente che fosse così, che fosse l’inizio, anche fisico, di un amore che avrebbe vinto tutto.
Bella sfiga nascere negli anni ’80, eh?! 
Film su film che ci hanno riempito il cervello dell’idea per cui se delle persone sono fatte l’una per l’altra, alla fine, dopo tutto, il loro posto e l’uno al fianco dell’altra.  Prendi Harry e Sally, anni ed anni di incontri e perdite di vista per poi essere quello che avrebbero sempre dovuto essere.
E noi?
 Ah, giusto, mi dimentico sempre un Noi non ci è mai stato, me lo hai spiattellato in faccia meno di un mese fa “E che volevi una relazione? Con tutta questa distanza?”
Così quei giorni, che per me rappresentavano l’inizio di tutto, non erano che l’ennesima farsa, l’ennesimo teatrino. 
Eri solo, preso a schiaffi ed umiliato da quella che in meno di quindici giorni era diventata la tua ex moglie, ed io una comparsa con cui farti compagnia e magari essere visto.
Diametralmente opposti.
Ma io continuo a ricordare quella notte come quella che avrebbe dato una svolta a quel noi inesistente e il ricordo mi fa sentire stupida, più stupida che mai.
Io non sono Sally e tu non sei Harry, ed Ariete, con questa canzone che mi hai fatto conoscere tu, sembra prendermi per il culo ancora di più.

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Capitolo 4
*** Zafon ***


Pensare che qualche mese fa avevo pronto un asso nella manica da sfoggiare appena ce ne sarebbe stata l’occasione giusta: Un happy ending di una serata speciale, un bon bon per una serata un po’ più triste, insomma un vero e proprio colpo di scena.
“Ti va di venire con me a Barcellona?”
Sono anni che manco da Barcellona, sono anni che voglio tornare, sono anni che mi manca e che sento il suo richiamo.
 La città che mi ha rapito il cuore.
La città in cui mi ero sentita subito a casa ed io non mi sento mai a casa. 
Uno dei miei posti nel mondo, seconda solo alla mia Roma, ma prima di Toronto. Solo in queste città posso dire di essermi sempre sentita a casa e Barcellona mi chiama, mi chiama, mi chiama.
Non sono una che crede alle coincidenze, alle casualità, per tutto c’è una ragione e tutto è dominato dal Fato.
In uno dei nostri periodi di siccità sentimentale, gironzolando in una libreria, scovai lui, Zafón. Ho sempre pensato che i libri parlino e sussurrino il mio nome se sono in un periodo in cui ho bisogno di una determinata storia, di emozionarmi, di un confronto.
Con lui, Zafón, ho rivissuto in tre volumi la mia Barcellona, passo passo, dietro ogni angolo, lungo ogni via; la rivedevo in quelle frasi, era lì, bella, misteriosa, affascinante, terrificante.
Mi sono detta che non poteva essere un caso, noi vivevamo una delle nostre crisi e la mia Barcellona era lì in tutta la sua maestosità con quel suo Barrio Gotico, che mi ha sempre rapito gli occhi e l’anima.
Cosa voleva dirmi?
Che era ora di tornare, magari con te?
Così ho cominciato a fantasticare su io e te a spasso per il Barrio, una stanza lì, in una calle stretta, per poi lasciarci rinfrescare da la Barceloneta e schivare i mille turisti sulle Rambla, perché noi non saremmo stati turisti, noi saremmo stati a casa, la nostra casa.
Due giorni? Tre giorni? Quattro?
Chi lo sa, ma sarebbe comunque stata la nostra casa, un sigillo sull’amore che ci univa.
Se ci penso ora mi viene da ridere!
Un riso amaro perché sarebbe stato un sigillo sul nulla, che sarebbe precipitato nel vuoto fino ad infrangersi in mille pezzi, come me ora.
“Vuoi venire con me a Barcellona?” e sarebbero cominciate le tue infinite tiritere “Ma quando?”; “Eh, ma costa, lo sai che devo stare attento”; “Non lo so”. Perché tanto sarebbero state queste le tue non risposte alla mia richiesta e a nulla sarebbero valsi i miei svariati preventivi con cifre ridicole, perché tu con me e per me non avresti speso neanche dieci euro.
Chi spenderebbe soldi per qualcosa che non ne vale la pena?
Nessuno! 
E tu non avresti atto eccezione, ed io per te non faccio eccezione.
“Vuoi venire con me a Barcellona?”
No, non te l’ho mai fatta questa domanda.
No, non siamo mai partiti.
No, non ho infettato la mia meravigliosa città con il ricordo tossico di te.
Ti ringrazio per non avermi dato l’opportunità, la voglia, la gioia di farti questa domanda, di non aver rovinato quel luogo che posso chiamare casa.

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Capitolo 5
*** Il Silenzio Grande ***


Ho pensato tante volte a questo momento, a quando avrei realizzato che era ormai finito tutto. Che il mio nome ti sarebbe stato indifferente, che il mio sorriso, il mio “Quando vuoi, io ci sono”, per te sarebbero state parole qualunque , gesti qualunque.
Ho sempre pensato che sarei sprofondata nel pianto, quel tipo di pianto che nasce spontaneo alla fermata dell’autobus o al semaforo  mentre attendi che scatti il verde, che scoppia così, irrefrenabile e violento. 
Invece no. 
Solo qualche lacrima, qualche manciata di righe che mi hanno solcato il viso e poi il silenzio. Un silenzio assordante, continuo, perpetuo, come un’assenza di luce, di battito, un buio intenso che non fa quasi provare nulla, tranne che mancanza.
Non c’è dolore, non c’è disperazione, non c’è rabbia né malinconia, solo un assoluto e profondo senso di abbandono.
Ti  mai successo di perdere la mano di tua madre al supermercato?
Ecco, hai presente quel preciso momento in cui non senti più il tocco della sua pelle?
Quell’esatto attimo prima del terrore di non ritrovarla più?
Io sono proprio in quel limbo. 
So che ci sei, so che da qualche parte stai parlando, ridendo, mangiando, pensando, ma l’idea di me non ti tocca più, sono solo un nome nella sfilza infinita di nomi che hai imparato a conoscere. Una volta che piano piano sbiadirà, si sgretolerà fino a non avere più significato.
È un silenzio assordante quello che mi circonda, tra noi il suono è sempre stato un’utopia, ma c’era comunque. Riuscivo a sentirti in ciò che scrivevi, nelle foto che mi mandavi. 
Ora c’è solo silenzio, un silenzio che si accumula e come una slavina mi travolge.
Mi chiedo se meditassi già da un po’ tutto questo, se non fosse una lunga miccia che hai atteso che io accendessi, in una raffinata trappola in cui io, cerva distratta, sono caduta.
Pensavo, sinceramente, di essere più intelligente, più furba, invece ho affrontato questa guerra completamente disarmata, ed ora che abbiamo firmato questo armistizio, sento di aver perso la guerra. Ne esco sconfitta, ferita, una reduce che, forse, potendo scegliere, non avrebbe voluta salva la vita in questo modo.

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Capitolo 6
*** Celeste Nostalgia ***


Celeste Nostalgia
 
“Vederti un istante sopra un treno..”
Ti ho ancora negli occhi mentre, sacca alla mano e chitarra in spalla, ti mettevi in fila per salire su quella carrozza. I tuoi capelli legati, il mio maglione preferito che spuntava da sotto il giaccone e il tuo profumo sul mio cappotto.
Era il giorno dopo i morti, ma per me era stato il paradiso.
“Faccio scalo a Roma, sto solo mezz’ora o poco più”  e cosa me ne importava? Per me fossero stati anche solo dieci minuti, mai me li sarei fatti sfuggire.
Finalmente soli nella moltitudine di persone che affollano la stazione ogni giorno, una folla di volti sconosciuti che non avrebbero mai badato a noi, alle tue braccia che mi tenevano stretta a te, ai nostri occhi che si accarezzavano lieti finalmente di potersi guardare come volevano. 
Ricordo ancora quel giorno, sono passati solo una manciata di mesi, eppure sembra una vita fa. 
Come mi hai stretta quel giorno! Come mi hai tenuta vicina a te! Come non avevi mai potuto fare prima, come entrambi desideravamo. 
Eri vero quel giorno, dovevi esserlo, non posso essermi ingannata così…eppure non hai mai sorriso come in quella foto di pochi giorni fa.
“Allora me lo dai questo bacio?”
“Sicura che non ci siano pericoli?”
Non si dovrebbe mai chiedere un bacio, non si dovrebbe spronarlo, neanche con un paranoico come te.
Mi hai baciata quel giorno, in quella mezz’ora abbondante mi hai baciata tre volte.
Un bacio è qualcosa di intimo, simbolo di grande appartenenza, molto di più di una scopata…e allora perché?
Perché mi hai detto che i miei occhi ti parlavano, che ti dicevano tante cose? 
Perché non mi hai portata in un bagno e non hai goduto in me? 
Perché hai scelto di unirci in un legame profondo che poi, da li a poco, hai cominciato a spezzare?
Se chiudo gli occhi posso ancora sentire le tue labbra soffici, morbide, calde. Posso rivedere lo sguardo che avevi quando mi hai baciata nuovamente prima di passare i tornelli del binario.
Poteva essere solo un gioco? No, non lo era.
Siamo stati noi e nostri per quella mezz’ora e per le tre ore seguenti, tu nella tua carrozza ed io nella mia casa.
Nostri…nostri…nostri.
Ma come dice Cocciante “ La vita non dura mai una sera, il tempo di una follia, che breve fugge via” perché dopo la nostra mezz’ora è iniziata l’inesorabile corsa verso il baratro.
Perché non mi hai fermata? 
Perché hai inclinato sempre di più il piano?
Non si dovrebbe mai chiedere un bacio, questa è stata la nostra maledizione, da lì è cominciata la fine.
“Un lampo negli occhi, ciao, d’accordo fa male ciao, ma tu…”
Tu? 
Ancora me lo sto domandando e forse me lo domanderò per sempre.
 

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Capitolo 7
*** La Stranezza ***


Oggi guardavo una tua foto, un primo piano. 
Non ne ho mai visti di tuoi primi piani, non ne hai, non ne fai, invece oggi il tuo volto era lì e mi fissava. 
In quello sguardo, in quegli occhi, in quelle labbra chiuse, quella mascella dolce e maschia c’eri tutto tu. C’era la tua essenza, tutto quello che sei. C’era la tua solitudine, la tua malinconia, la tua sicurezza, la dolcezza che tieni ben nascosta, ma che sfugge al tuo controllo quando stai bene, quando ti senti bene. 
Ho osservato ogni linea, ogni poro, ogni espressione sovrastata da un’altra e un’altra ancora e mi sono smarrita. 
Ho rivisto ogni mia riga scritta, ogni sfumatura data, ogni pennellata accennata e mi sono smarrita, ho avuto l’impressione di averti creato io, di averti dato vita in una delle notti febbrili in cui scrivevo senza sosta, nei tragitti interminabili dei percorsi in tram, in metropolitana. 
Per un istante e un solo istante ho pesato che tu avessi mosso i tuoi primi passi nella realtà dopo un punto, alla fine di un capitolo, che se tu esisti, che se io ti ho trovato, se tu ti sei subito attaccato a me ed io, ora, non riesco a staccarmi da te è perché tu altro non sei che una mia costola, una materializzazione di un mio pensiero, di un mio gioco: Troppo perfetto per essere vero, troppo imperfetto per essere immaginato. 
Che poi: Quando mai un mio personaggio è stato mai veramente positivo? Vivo di antieroi, di personaggi irrisolti o arresi al proprio destino, che non combattono più e, se lo fanno, senza crederci, senza un vero scopo. 
Te. 
Mi sono fermata a chiedermi se su quella spiaggia, su quella terrazza, su quel prato fossi stata davvero in tua compagnia o se in realtà non fossi sola e davanti ad una mia illusione. Se fosse questo il motivo dei tuoi dinieghi e dei tuoi silenzi alle mie molteplici richieste di essere noi, di viverci anche per un solo giorno. Cosa avrei mai potuto dire ad un portiere che mi chiedeva “Lei e chi?” o a un cameriere che si domandava perché volessi un tavolo con due coperti. 
Però poi la realtà, le persone che ti conoscono, mi hanno fatta tornare in me. Il destino gioca strani scherzi a volte, ti porta chi sembra uscito dalla tua fantasia e ti mostra che, forse, la tua immaginazione non è poi così sciocca, ma sarebbe stato meglio se fosse stata meno tetra, meno dannata. I
Se fosse stata più normale, più banale, non così, non una stranezza. 

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