A Queen for the Kingdom - Una regina per il Regno

di ShanaStoryteller
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Note della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: E dopo un periodo di silenzio causa sessione estiva... siamo tornate e portiamo doni! Insieme a Nereisi abbiamo deciso di lanciarci in un nuovo progetto (come se non bastassero le altre traduzioni a cui ci dedichiamo) ed ecco a voi la storia in 10 capitoli di Shana ispirata a La Sirenetta di Andersen.

Ringrazio moltissimo Nereisi, che si è offerta di betare la traduzione in mezzo al caos di traduzioni in cui si è infilata! Speriamo che vi piaccia! <3

Per aggiornamenti sui nuovi progetti di traduzione e sulle uscite dei capitoli (non solo di Shana) seguitela su Tumbrl (Nerewrites)! E non dimenticatevi di dare un'occhiata al suo profilo autore qui su EFP!

 


 

Non dovrebbero salvare nessuno. Se lo facevano, se proprio dovevano, potevano salvare solo le donne. Sua nonna aveva proibito loro di salvare gli uomini dalle onde dell’oceano.

Ma la regina piangeva e il principe era bello, le piaceva la tenerezza che c’era nei suoi occhi marroni perfino mentre l’acqua gli riempiva i polmoni. Cercava di nuotare verso di loro, di raggiungere sua madre, ma veniva costantemente risucchiato verso il fondo dal mare.

“Ti prego!” Singhiozzò la donna, tenendosi alle spalle di Tuyet. “Ti prego, va… Va da lui. Dovresti aiutarlo! Nei libri… nei libri si dice che dovreste aiutarci!”

Si domandò di che libri si trattasse. Le sirene di solito non aiutavano nessuno. Non dovrebbero aiutare nessuno.

Sua nonna si sarebbe infuriata con lei.

Tuyet guardò la regina negli occhi, esitò solo un momento e poi disse: “Morirai.” Non era abbastanza forte né veloce da poterli salvare entrambi. La regina sarebbe stata sommersa dai flutti prima che riuscisse a tornare da lei e non sarebbe riuscita a immergersi per cercarla senza trascinarsi dietro suo figlio.

“VA’!” Urlò lei, affondando le unghie ma incapace di ferire la pelle di Tuyet.

“Posso renderla veloce.” Disse Tuyet, perché quella era un’offerta che poteva fare a coloro che stavano per affogare.

Una morte dolce.

Affogare sembrava doloroso. Quando era una bambina, si copriva le branchie e tratteneva il fiato per provare la sensazione dei polmoni in fiamme e della vista che si oscurava lentamente dai bordi. Spezzare il collo agli umani le sembrava più dolce che osservarli mentre si dimenavano, sempre più lenti, per poi fermarsi; più dolce che guardare la vita che li abbandonava.

“Mio figlio.” Insisté la regina.

Tuyet si limitò a sospirare e poi le baciò la guancia, lasciandola andare. La donna sprofondò sotto le onde e Tuyet osservò la sua testa fare capolino in superficie, ma non perse tempo per vederla scomparire di nuovo.

Aveva un principe umano da salvare.

Lo trovò molto a fondo, i suoi polmoni si erano già riempiti d’acqua e lei non aveva più tempo.

“Non ancora.” Disse, e lo afferrò per l’avambraccio, tirandolo a sé, posando la propria bocca sulla sua. Fu semplice aspirare l’acqua dai suoi polmoni, inghiottirla e soffiare al suo posto l’aria. Gli coprì la bocca e le narici quando si scostò per prendere un altro respiro, in modo da non dover ripetere tutto d’accapo; poi, premettere la bocca sulla sua per riempirgli nuovamente i polmoni dell’aria di cui la sua specie sembrava avere un così disperato bisogno. Si passò il suo braccio attorno al collo e lo riportò in superficie, riaffiorando in modo che avesse tutta l’aria possibile per respirare.

La nave era in pezzi e dozzine di corpi galleggiavano sulla superficie dell’oceano. Si domandò dove fosse la regina, se fosse già morta o se avrebbe potuto lasciare il principe su un pezzo del relitto e andare a cercarla.

Ma le onde erano violente e i suoi sforzi sarebbero stati vani se il principe fosse morto.

In realtà, se l’avesse lasciato lì a morire non avrebbe disubbidito a sua nonna, non avrebbe dovuto affrontare suo padre e dirgli che aveva infranto una delle poche regole che le erano state imposte.

La testa del principe ciondolò contro la sua spalla e le sue ciglia scure si appiccicarono alla pelle abbronzata delle sue guance. Aveva le labbra morsicate e Tuyet sollevò una mano per toccare quella pelle screpolata, sentendo il ruvido delle sue labbra con il cuscinetto del pollice.

Lui aprì gli occhi di scatto e lei scostò la testa all’indietro sentendo il volto in fiamme. Si sentì come quando da piccola sua nonna la scopriva a fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare. “Ma-” Iniziò, poi tossì, premendo il volto contro il suo collo, come un bambino.

Qualcosa di tenero, ma non materno, si risvegliò nel suo cuore e si sentì colpire da un’acuta fitta di gratitudine verso la regina, per aver scelto suo figlio, per aver donato a Tuyet quel momento, quel sentimento di tenerezza.

Se avesse potuto scegliere, sua madre sarebbe morta per lei? Se ne era pentita quando, con Tuyet appena adagiata sul petto, la vita l’aveva abbandonata – qual era stato l’ultimo pensiero di sua madre, maledire la figlia per cui era morta, mettendola alla luce, o felicità? Era stata triste di andarsene, ma felice di vedere sua figlia al mondo?

Il principe svenne di nuovo, il suo respiro caldo contro le sue clavicole, e lei lo strinse ancora di più a sé, giurando che l’avrebbe riportato a casa. Sua madre era morta per salvarlo proprio come sua madre era morta mettendola al mondo e Tuyet non avrebbe reso vano quel sacrificio.

Era più difficile nuotare a quel modo, tenendo un umano tra le braccia, impossibilitata a immergersi al disotto della superficie increspata dalle onde, dove il mare era più calmo, ma riuscì a raggiungere la terraferma proprio quando il sole iniziò a fare capolino all’orizzonte, mentre il torbido grigio dell’alba si striava di sgargianti macchie arancio.

Lo trascinò a riva e digrignò i denti alla sensazione della sabbia asciutta che le grattava le scaglie. Doveva lasciarlo abbastanza in là, in modo che la marea non lo trascinasse via, e le sembrò che a destreggiarsi goffamente sulla terraferma ci avesse impiegato tanto quanto l’intera nuotata e il sole era alto nel cielo, abbagliante e arancione e così terribilmente caldo. Si sentiva cuocere e si umettò le labbra, trovando niente più che cristalli di sale sulla sua pelle screpolata.

Udì qualcosa e sollevò la testa di scatto con sforzo.

“Principe Elias!” Udì della gente gridare. “Principe Elias, dove siete?”

“Elias.” Ripeté lei, guardando l’uomo che aveva salvato. Si piegò su di lui e premette le sue labbra screpolate e incrostate di sale sulla sua guancia; poi, rotolando, tornò nel mare e lasciò che le onde la sommergessero, trascinandola sempre più lontano.

Rimase rannicchiata nell’insenatura fino a quando le voci non si fecero più vicine, fino a quando gli umani non corsero lungo la spiaggia verso il principe. Sapeva che avrebbe dovuto andarsene, ma non lo fece; e aspettò e li osservò mentre trascinavano il principe Elias lontano dalla costa, fino a quando non divenne un puntino in lontananza e poi ancora fino a quando non scorse più nulla di lui.

In quel momento, Tuyet seppe che se mai qualcuno le avesse chiesto qualcosa, se le avessero chiesto cos’aveva fatto e dove era stata, avrebbe fatto qualcosa che non aveva mai fatto prima.

Mentire.

***

“La mia voce?” Tuyet si portò una mano alla gola. Si immaginava che la strega del mare le avrebbe chiesto la conchiglia della sua famiglia, che l’avrebbe usata per controllare tutte le creature del mare, ed era pronta a rifiutare se il potere e la sicurezza della sua famiglia fossero stati messi a repentaglio, rinunciando alla possibilità di camminare sulla terraferma. In quel momento, quella grotta le sembrava molto più fredda e piccola. “Ma ne ho bisogno. Non- il principe non mi ha vista, se non potremo parlare lui non saprà chi sono!”

Caligula le girò intorno e Tuyet non poté trattenere una fitta di gelosia. La strega del mare camminava su due piedi, muovendosi nell’acqua come se si trovasse sulla terraferma, la pelle pallida e i capelli chiari che brillavano nella luce fioca dei coralli bioluminescenti. I suoi occhi blu, assottigliati, erano dello stesso colore del cielo sopra il mare e la rete da pesca attorcigliata al suo corpo era annerita e incrostata, ma il tridente contorto che teneva in mano era alto e slanciato, anche se sembrava meno potente di quello che doveva essere stato un tempo. Anche suo padre aveva un tridente, ma il suo era luccicante e d’argento e sembrava emettere una luce fioca. Quello, invece, era coperto da uno spesso strato di ruggine e lerciume.

“Beh, se sei così affezionata alla tua lingua,” disse, e la sua voce graffiante fece correre un brivido lungo la schiena di Tuyet, “c’è un’altra cosa di valore che potresti darmi in cambio.”

“Ho delle perle!” Disse, porgendole un sacchetto sformato di iuta che aveva portato con sé in quell’angolo dell’oceano. Lo aprì, rivelando una fortuna in perle nere e rosa.

Caligula fece una smorfia e lo fece cadere dalla sua mano con uno schiaffo. Il sacchetto cadde a terra e le perle dal valore incalcolabile rotolarono dappertutto. Tuyet sobbalzò e fece per raccoglierle, ma la strega le afferrò il polso abbastanza forte da spezzarglielo e la strattonò, tirandola così vicina a sé che Tuyet avrebbe potuto contarle i denti spezzati uno a uno. “Che me ne faccio delle perle, ragazzina?” Sogghignò. “Non mi interessano i proventi dei tuoi furtarelli al tesoro reale.” Tuyet avvampò. Caligula avvicinò il polso alla bocca e la ragazza trasalì quando i denti della strega le perforarono la pelle, facendo uscire un sottile ricciolo di sangue. Caligula lo inspirò e qualcosa di simile all’euforia le attraversò il volto.

“Vuoi- vuoi il mio sangue?” Le chiese Tuyet, cercando di nascondere quanto tremava, e si allontanò da lei quanto poteva senza metterla in allarme.

L’espressione della strega cambiò e sbatté Tuyet a terra; la ragazza si contorse e trascinò dolorosamente la coda sul pavimento,  il terreno sconnesso che le pizzicava e tirava le scaglie. Avrebbe voluto recuperare le perle, ma non osava muoversi con la strega del mare che torreggiava sopra di lei. “Stupida ragazza! Sei la figlia del re del mare. La magia scorre nel tuo sangue, generata nel tuo piccolo e freddo cuore.” Passò il tridente in quello che rimaneva della nuvola di sangue e, dove quello si poggiava, la ruggine si scrostava. “Sono diventata vecchia e debole.” Tuyet non la percepiva affatto come debole e sicuramente non lo sembrava. “Coltiva la magia nel tuo cuore e riporta il mio tridente a quello che era un tempo. Quando mi avrai fornito abbastanza magia, una volta che sarò di nuovo in forze, ti darò le gambe che tanto desideri.”

“Quanto- quanto ci vorrà?” Sussurrò. Il pensiero di trascorrere anche solo un altro minuto in presenza della strega del mare la terrorizzava. Forse non avrebbe dovuto andarci, forse era stato tutto uno sbaglio.

Se lo era, non importava. Era già lì, pronta.

Caligula la squadrò dall’alto e cambiò tra un respiro e l’altro, dominandosi fino a quando non fu più spaventosa, fino a quando non sembrò una vecchia avvolta da reti da pesca, fino a quando i suoi lunghi capelli bianchi non le ricaddero attorno alle spalle, non più sollevati attorno al capo come una medusa. Le porse una mano e Tuyet esitò solo un momento prima di posare la sua in quella della strega del mare, riuscendo a malapena a trattenere uno scatto al contatto con la sua pelle gelida. “Beh, mia cara, questo dipende solamente da te e da quanto lavorerai sodo.”

***

Tuyet sapeva di essere fortunata, di avere quello che altri non avevano. La sua vita non era perfetta, certo, sua madre era morta e lei era la più giovane di sei sorelle: aveva cinque sorelle maggiori che sicuramente la amavano, ma la prendevano anche in giro, le facevano i dispetti e facevano un sacco di cose senza di lei. Aveva una nonna che si era presa cura di lei e delle sue sorelle per tutta la sua vita, raccontandole della superficie negli anni che avevano preceduto il suo sedicesimo compleanno, quando poté andare a vederla di persona. L’aveva anche presa per un orecchio e sgridata per aver trascurato il suo giardino e le aveva strappato le scaglie morte con così tanta forza da farla sanguinare, ma, beh, niente e nessuno è perfetto.

Le sue sorelle erano andate in superficie una volta ciascuna. Erano affiorate sul pelo dell’acqua il giorno del loro compleanno e quella era stata la loro unica volta; sembravano tutte soddisfatte dell’occhiata che avevano dato al mondo degli umani.

Tuyet non si era mai accontentata di niente. Forse era quello il suo problema.

Non era contenta di essere una sirena, di vivere secoli più a lungo di un qualunque umano, di far parte della famiglia reale, amata e piena di privilegi, di essere la figlia del re del mare.

No, era una creatura bramosa, e quella brama l’aveva guidata fin lì, a eseguire gli ordini della strega del mare.

Sapeva di possedere la magia, certo; era quello che le garantiva una vita lunga, che le permetteva di nuotare nelle più oscure profondità dell’oceano, dove la pressione e il freddo avrebbero ucciso qualunque sirenide non di sangue reale.

Ma Tuyet aveva sedici anni, era impulsiva e talmente piena di bramosia da lasciarsi trascinare in situazioni come quella, cercando l’impossibile anche quando non c’erano zone del mare che le erano proibite.

Beh, una zona c’era, ma quella regola l’aveva già infranta seduta com’era proprio nelle grotte che suo padre e sua nonna le avevano sempre detto di evitare.

“Non so come usarla.” Disse a Caligula, lanciando un’occhiata alle sue unghie acuminate, unghie che sembravano più artigli, e sperò che la strega le tenesse lontane da lei. “Succede e basta.”

“Lo so.” Mormorò Caligula, arricciando le labbra in quello che avrebbe potuto essere un ghigno o un sorriso. “Per te è facile come respirare, non è vero, principessa?

Era perfino più facile. Poteva trattenere il fiato, ma non sapeva come fermare il flusso di potere che le scorreva sottopelle.

Non disse niente. Caligula sbuffò col naso, voltandosi, e disse: “Non importa. Non mi è utile in questo stato, compiacente e placida. Dovrai allenarti fino a quando non sarà forte abbastanza da aggiustare il mio tridente.”

Tuyet lanciò uno sguardo al tridente arrugginito nell’angolo. Il minuscolo punto che il suo sangue aveva ripulito brillava così intensamente da sembrare un diamante incastonato.

Avrebbe potuto scappare, no? Suo padre e sua nonna sarebbero stati furiosi e per lei sarebbero stati guai, ma sicuramente meno di quelli in cui era in quel momento. Meno pericoloso che i guai in cui si sarebbe cacciata legandosi alla strega del mare. Ma l’avrebbero rinchiusa, messa in punizione per anni, se non decadi.

Quando le avrebbero permesso di risalire in superficie per vederlo di nuovo, il suo umano sarebbe stato un vecchio e non poteva… non voleva che accadesse. Doveva rivederlo. Se voleva rivedere il suo principe, avrebbe dovuto restare.

Caligula si voltò, tenendo qualcosa di rosso e luminoso tra le mani, e Tuyet non comprese che era bollente se non quando lo sentì premuto contro la pelle del braccio. Lanciò un urlo e tentò di nuotare via, ma Caligula la afferrò per i capelli e la tenne ferma. “Prima impari a controllare il tuo potere e prima finirà.” Disse, fredda.

Tredici ore dopo, con il corpo coperto di vesciche e bruciature sanguinanti, Tuyet era esausta e con la pelle coperta di ferite grondanti. Pensava che avrebbe provato sollievo quando Caligula esaurì ogni lembo di pelle da bruciare, ma la strega si limitò a guarirne una parte e ricominciò di nuovo.

“Che cosa vuoi?” Singhiozzò, tentando inutilmente di contorcere il suo corpo lontano dal ferro rovente.

Caligula lo premette nella pelle delle clavicole, incurante dell’urlo gutturale che le aveva strappato. “Non ti piace? Fermami, allora. Sei la figlia di Proteus, nato da Pallas. Il potere del mare scorre nel tuo sangue, eppure non riesci a rubare il calore dalla mia mano?” La colpì come a tirarle uno schiaffo e a Tuyet quasi si annebbiò la vista per il dolore, sentendo la terribile sensazione del suo volto sfregiato e bruciato da quel singolo colpo.

“Basta!” Urlò, solo che quella volta non si ritrasse e si buttò in avanti. Afferrò il ferro rovente; anche se le avrebbe bruciato le mani, era meglio che lasciare che la riducesse a brandelli.

Sulle prime, pensò di essersi spostata male e di essersi spezzata la spina dorsale. La sua schiena scrocchiò così forte da mozzarle il fiato, come se avesse passato ore ingobbita e le sue vertebre si fossero improvvisamente mosse in una posizione diversa. Poi, il ferro fu tra le sue mani invece che in quelle di Caligula, freddo come il fondale dell’oceano dove lo toccava ma rosso e rovente lì dove affondava nella coscia della strega.

Caligula non sembrava più brutta, non sembrava malvagia né arrabbiata, e non allungò la mano per afferrarla o farle del male. Afferrò il ferro e lo scostò dal suo corpo, indifferente alla nuvola del suo stesso sangue che le turbinava intorno tanto quanto lo era stata di fronte al dolore di Tuyet.

“Scusami!” Urlò Tuyet, e lasciò cadere il ferro nella sabbia, spalancando gli occhi. “Scusa, mi dispiace così tanto-”

“Brava.” Mormorò Caligula, trascinando un dito freddo come il ghiaccio lungo la guancia di Tuyet che lei stessa aveva martoriato. Tuyet percepì un’ondata di sollievo ricoprirle il corpo, generata da una magia curativa. Quando svanì, il suo corpo era intatto e illeso come quando era entrata nella caverna.

Tuyet allungò una mano verso la ferita che aveva inferto alla coscia di Caligula, verso la pelle annerita e incrostata che circondava la ferita da cui colava lento il sangue. “Scusami.” Caligula aveva guarito le sue ferite, ma lei non poteva fare altrettanto.

“Non importa.” Disse, passandole le dita tra i capelli come faceva sua nonna. Come avrebbe fatto un tempo.

Non ci sarebbero più state le sgridate di nonna, il suo affetto, le sue storie o la sua vergogna. Tuyet aveva rinunciato a tutto per la possibilità di tornare in superficie, per avere una possibilità con il suo principe.

La momentanea dolcezza di Caligula svanì e la strega la afferrò per i capelli, tirandola a sé. Nei suoi pallidi occhi blu brillava l’avarizia. “Sei stata brava, molto brava. Molto più di quanto mi aspettassi. Continua così e presto avrai le tue gambe e il tuo umano.”

Lo sguardo di Tuyet saettò verso le pallide gambe umane della strega e soffocò proteste e paura.

Prima aggiustava il tridente di Caligula e prima poteva andarsene.

***

La maggior parte delle persone non era abbastanza coraggiosa da cercare la strega del mare, non si avvicinava al suo covo. Molti non potevano. Era così vicino al fondale oceanico da non poter resistere alla pressione; li avrebbe uccisi il viaggio e non la destinazione.

La evocavano, piuttosto.

Mescolando insieme acqua salata e sangue salato e lacrime salate dentro una conchiglia, versandoli poi nelle onde. Se voleva, Caligula poteva resistere alle evocazioni e Tuyet non pensava che potesse essere possibile per lei, ma i poteri della strega non erano uno scherzo. Poteva anche non avere la magia innata di una sirena di sangue reale, ma riusciva a fare cose che Tuyet non avrebbe neanche mai sognato, che non avrebbe mai potuto fare neanche se ci fosse la sua vita in gioco.

Era il motivo per cui si trovava lì, dopotutto.

“Mi piace quando mi evocano.” Le confidò Caligula poco prima di uscire picchiettandole il naso, stranamente di buonumore. Forse era stata evocata da qualcuno di importante. “Mi dà un vantaggio.”

Tuyet si chiese se significava che aveva  avuto un vantaggio quando era entrata nella sua caverna. Di certo non le era sembrato così.

Quei momenti, quando evocavano Caligula, erano una benedizione per lei. A volte, la strega si assentava per un paio d’ore. Altre, per giorni. Tuyet avrebbe dovuto rimanere nella caverna, praticando gli incantesimi e gli esercizi che Caligula le aveva insegnato per accrescere il suo potere.

E lo faceva.

A volte.

Addirittura il più delle volte. Ne comprendeva l’importanza, sapeva che prima riusciva ad aggiustare il tridente e prima avrebbe ottenuto le sue gambe.

Però, a volte aveva bisogno di ricordarsi perché voleva quelle gambe.

E il principe Elias era di ronda ogni tre mattine.

Era un equilibrio delicato, avvicinarsi alla riva abbastanza da poter vedere e rimanere al tempo stesso abbastanza lontana da non farsi catturare. La barca del principe era piccola e agile, per essere una barca, e fendeva l’acqua con la bandiera battente al vento. Elias stava sempre al timone, anche se era pericoloso, visto che volevano ucciderlo in molti. Tuyet aveva udito i suoi consiglieri urlargli che era un incosciente, che metteva in pericolo la loro piccola nazione. Il parco del suo castello era più grande dell’intera isola del principe ma, in ogni caso, non era quello il motivo per cui era interessata a lui. Non le sarebbe importato se fosse stato un povero pescatore. L’avrebbe addirittura preferito, perché in quel caso non avrebbe avuto bisogno di gambe per prenderlo. Avrebbe potuto rovesciare la sua barca e tagliare le sue reti e renderlo suo.

Ma non poteva farlo. Anche se fosse riuscita ad afferrarlo non l’avrebbe riconosciuta e, anche se l’avesse riconosciuta, non avrebbe potuto seguirla. Era un uomo troppo buono per abbandonare il suo paese in un momento simile.

Erano in guerra, dopotutto.

Tuyet non era granché interessata a quello che gli umani facevano in superficie, ma spiando Elias non aveva potuto fare a meno di notarlo. Sembrava che tutti i pirati del mare si fossero concentrati lì, in quella piccola isola-nazione, intenzionati a reclamarla come loro.

Era strano, se non altro, come trovare un branco di squali stretti insieme come sardine, visto che gli squali non si comportavano a quel modo. Non erano creature sociali.

Beh, uno squalo sì, ma immaginava che non fosse ben disposto nei suoi confronti in quel momento. Suo padre le aveva sguinzagliato alle calcagna gli squali goblin più di una volta quando tardava a tornare a casa, ma per il momento non l’avevano ancora trovata. Non sapeva cosa avrebbe fatto se l’avessero trovata.

Non potevano farle del male. Poteva anche non avere la conchiglia che la sua famiglia usava per controllare tutte le creature marine, ma era comunque di sangue reale. Quando parlava, dovevano obbedirle. Le sue sorelle non avevano ancora scoperto quel trucco. Venivano sempre scoperte quando tentavano di sgattaiolare via, mentre a lei non accadeva quasi mai.

Forse sarebbe stato meglio se l’avessero scoperta. Non si sarebbe indebitata con Caligula, non starebbe scambiando il potere del suo sangue per delle gambe; invece sarebbe nelle profondità dell’oceano, in un castello grande quanto l’intera isola del suo principe. La nave di Elias non era neanche delle dimensioni della sua pupilla quando nuotava rasente al fondale dell’oceano. Era più facile resistere alla pressione quando era grande quanto il vuoto che la circondava, quindi più andava in profondità e più si ingigantiva.

Una volta gli umani avevano fatto una statua di suo nonno e l’avevano laminata d’oro, chiamandolo Collases. Nessuna sirena riusciva ad aumentare la sua stazza sopra la superficie dell’acqua. Erano troppo grandi e pesanti. Senza il favore dell’acqua i loro corpi collassavano a terra. Probabilmente suo nonno li aveva portati in profondità, aveva salvato un marinaio o rapito una moglie umana che poi aveva riportato in superficie.

Si strinse alla roccia dietro la quale si stava nascondendo e appoggiò il capo contro la sua superficie dura, concentrandosi sulla bella figura in piedi sul bordo della barca.

Il principe Elias non era qualcuno che poteva rapire o prendere in prestito.

Gli aveva salvato la vita e aveva deciso che, dunque, apparteneva a lei o che perlomeno aveva il diritto di tentare di renderlo suo ma… come avrebbe potuto amare un disertore, un traditore, come avrebbe potuto amare un uomo che avrebbe abbandonato il suo stesso regno?

Per lei era diverso. Era la più giovane di sei sorelle, suo padre aveva le sue cinque zelanti sorelle tra cui scegliere per farne la futura regina. Ma l’isola del suo principe non aveva nessun’altro.

Neanche più un re o una regina.

Il principe Elias era solo con le speranze di un’intera isola che poggiava sulle sue spalle e, anche se lo avesse trascinato nel mare con lei, se si fosse presa un marito umano, non lo avrebbe amato se avesse deciso di restare. Se avesse scelto lei piuttosto che il suo regno, Tuyet non l’avrebbe più desiderato.

Era impossibile che lui andasse da lei, anche se l’avesse voluto, anche se avesse saputo della sua esistenza.

Dunque, sarebbe stata lei ad andare da lui.

Le sue incursioni segrete per vedere il principe erano costruttive. In un certo senso, beneficiavano anche la strega del mare dopotutto.

Rinforzavano la sua convinzione, le ricordavano cosa voleva e la riempivano di determinazione per portare a termine il suo compito, per aggiustare il tridente in modo da poter ricevere le sue gambe, posare i piedi sulla sabbia soffice e camminare verso il suo principe.

***

Dopo un paio di cicli di luna, non era più così sicura che ne valesse la pena.

“Di nuovo.” Ordinò Caligula.

Tuyet digrignò i denti, sapendo bene che alla strega non sarebbe importato delle sue suppliche o del suo dolore. Si guardò le mani, al modo in cui non riusciva a impedire alle dita di contrarsi e tremare. Le braccia dal gomito in giù le sembravano di gelatina. Alzarle era faticoso e usarle neanche a parlarne.

“Se sbaglio, siamo morte.” Sottolineò. Appellarsi alle tendenze egoistiche di Caligula era l’unico modo di ottenere qualcosa.

Aveva smesso di guarire bene Tuyet, dicendo che era uno spreco di magia, ad esempio. La ragazza era coperta di cicatrici frastagliate, la pallida pelle delle ferite che contrastava con il resto della sua pelle.

Al suo principe non sarebbero importate un paio di cicatrici, giusto?

 A una parte di lei non importava neanche più del principe, non in quel momento. Voleva solo andarsene, correre il più lontano possibile da Caligula. Voleva le gambe per poter correre.

Non c’era più posto per lei in quell’oceano. Non riusciva a convincersi a tornare a casa e non poteva rimanere lì. Non era neanche sicura di riuscire ad andare dal suo principe. Come poteva incontrarlo dopo quello che aveva fatto Caligula? Dopo quello che lei aveva lasciato fare a Caligula?

Erano stati due mesi lunghi e dolorosi.

L’unica cosa che desiderava era di andare in un posto dove suo padre non avrebbe potuto trovarla, dove Caligula non avrebbe potuto trovarla. Voleva strisciare sulla terraferma e non fermarsi fino a quando non avrebbe trovato intorno a sé acqua fresca di fiume, fino a quando il sale e il sangue e il dolore non avrebbero potuto raggiungerla.

Caligula la afferrò per la mascella, affondando il pollice e l’indice nelle gengive. Tuyet non si accorse del sangue che aveva in bocca se non quando la pressione delle dita della strega ne spinse un fiotto giù per la sua gola e lei tossì, soffocando nel suo stesso sangue.

La strega del mare non allentò la presa e si limitò a dire: “Se sbagli, sarai tu a morire. Quindi non sbagliare. Ho sprecato fin troppo tempo con te perché sia stato tutto vano.”

Tuyet sospirò e si guardò le mani, osservando gli anfratti rocciosi che giacevano in rovina intorno a lei. Prese un respiro profondo e posò le mani sulla parete di roccia, sentendone la ruvidità contro i palmi delle mani, cercando, sentendo.

“Perché ci metti tanto?” Sbottò Caligula.

Tuyet la ignorò. La strega del mare le avrebbe imposto di far esplodere quelle rocce fino a quando non sarebbe stata soddisfatta, fino a quando l’esplosione non sarebbe stata abbastanza potente da convincerla che i suoi poteri stavano crescendo a un ritmo accettabile.

Ma era esausta e tremava ed era terribilmente stanca del fatto che Caligula la squarciasse solo per vederla sanguinare.

Quindi cercò qualcosa da poter sfruttare, qualcosa che c’era già, invece di dover far affiorare il suo potere alla cieca.

Le ci volle un altro mezzo minuto per trovarla, una crepa che si snodava all’interno della roccia, troppo stretta perché anche il più minuscolo dei pesci potesse infilarcisi dentro, appena percepibile. Ma si trovava proprio al centro ed era proprio quello di cui aveva bisogno.

“Principessa.” Ringhiò Caligula, affondando gli artigli nel muscolo della sua spalla.

“Afiago!” Urlò all’improvviso, spingendo la sua magia dentro quella crepa e forzandola per aprirla.

Ebbe salva la vita solo perché Caligula la trascinò lontano, solo perché i poteri della strega del mare le allontanarono entrambe abbastanza da non farle finire impalate dalla scheggia di roccia.

Il fondale tremò e collassò. Ma non solo. Tuyet vide come il fondale soffriva e cambiava, vide gli effetti del suo incantesimo saettare attraverso l’oceano come un’onda sulla riva.

“Molto bene.” Mormorò Caligula con la mano ancora sulla sua spalla, con gli artigli ancora nella sua spalla.

Tuyet si portò una mano alla bocca, incurante della fatica che richiese alla sua spalla, e non si preoccupò più del dolore e dell’intorpidimento che pulsavano nel suo corpo. “No- devi- ti prego, devi fermarlo! La gente morirà!”

Già vedeva uno tsunami formarsi all’orizzonte e gli effetti di quello che aveva fatto. Non aveva capito…. Non sapeva che avrebbe raggiunto le grandi placche che si spostavano sottoterra, altrimenti non l’avrebbe fatto.

“Sì.” Disse Caligula, e Tuyet si spostò con uno scatto al sentire il piacere che c’era nella sua voce. “Moriranno.”

“Ti prego, fermalo.” La supplicò Tuyet. “Farò tutto, qualunque cosa tu voglia, ma- ti prego!”

“Fai già tutto quello che voglio.” Disse con distacco Caligula, divertita. “Ma mi duole ammettere che, anche se volessi, non potrei.”

Tuyet sbatté le palpebre. “C-che cosa?”

“Congratulazioni, cara.” Mormorò, con la gioia che le brillava negli occhi. “Hai fatto quello che io non posso fare. Presto, tutta questa tua deliziosa magia sarà mia.”

Per la prima volta, a Tuyet venne in mente che non le aveva mai chiesto perché volesse tutto quel potere. La strega non aveva mai fatto nulla di veramente terribile, isolata ed emarginata com’era ai limiti della società. Certo, aveva commesso atti oscuri e viscidi e vili, ma niente di così orribile da costringere suo padre a intervenire.

E se non fosse stato mancanza di intento, ma di potere?

E se aggiustare il tridente avesse dato a Caligula i poteri di cui necessitava per spargere distruzione nel mare? E se Tuyet le stesse consegnando le chiavi del palazzo, della propria cosa?

“Guarda cos’hai fatto.” Disse Caligula, e la sua presenza era fredda al suo fianco. “Non potrai più tornare a casa ora. Guarda che disastro hai combinato.”

Le lacrime di Tuyet non erano dense quanto l’acqua che la circondava e galleggiarono verso la superficie, piccole sacche di acqua dolce che trasportavano la sua tristezza dove desiderava così tanto andare. Crepe si diramavano nel terreno, espandendosi più lontano di quanto potesse vedere.

La distruzione che aveva causato… era immensa. Era più che un qualcosa di potente. Era pericoloso e sarebbero morte delle persone, la sua gente sarebbe morta. Gli abitanti del suo oceano, che avrebbe dovuto proteggere, sarebbero stati colpiti da quello che aveva fatto. Caligula aveva ragione.

Non poteva più tornare a casa.

 


 

Note dell’autrice:

Spero che vi sia piaciuto! Sentitevi liberi di seguirmi/tormentarmi su Tumblr: ShanaStoryteller.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ormai il tridente brillava d’argento per metà, mezzo pieno della magia di Tuyet. Era appoggiato in un angolo della caverna, in attesa di ogni goccia di magia che ci stava riversando dentro. La ruggine si sfaldava mentre lo inondava ulteriormente di magia e, ormai, il tridente non la smetteva di brillare.  Inizialmente, Tuyet aveva trovato quella luce confortante, ma ora le sembrava solo sinistra, un ricordo del suo debito con Caligula, della vita a cui aveva rinunciato per sempre solo per poter camminare sulla sabbia invece che trascinarcisi sopra.

Tuyet lo aggirò nuotando e si diresse verso l’imboccatura della caverna, allungando il suo percorso quanto poteva per evitarlo.

“Vai da qualche parte?” Le chiese pigramente Caligula, seduta nel bel mezzo della stanza. Fino a poco prima, lì non c’era. Non alzò lo sguardo dalle pergamene che stava leggendo.

Tuyet fece del suo meglio per non tremare. “Stavo- stavo solo andando-”

“Andando a vedere il tuo principe?” Terminò la strega del mare. “D’accordo. Ma ritorna prima del tramonto.”

Come avrebbe fatto a capire quando il sole sarebbe tramontato? Erano talmente in profondità che i raggi del sole non le raggiungevano, ma Tuyet sapeva che era meglio non discutere. “Va bene.”

Attese per vedere se Caligula avesse altro da dirle, se avesse tentato di fermarla, ma quando quella non si curò nemmeno di guardarla, sfrecciò fuori dalla grotta.

Da quando aveva causato accidentalmente uno tsunami e un terremoto, Caligula la teneva sotto stretta sorveglianza. O forse l’aveva sempre tenuta sotto stretta sorveglianza, se sapeva dei suoi frequenti viaggi per vedere il principe, ma ora non più, o forse sì, ma non le importava che Tuyet lo sapesse.

Ora che non aveva più un posto dove andare, era come se la stretta di Caligula su di lei si fosse rafforzata e allentata al tempo stesso. Decise di non pensarci, di non rimuginare su qualcosa per cui non poteva fare niente. Il tridente era quasi carico per metà, il che significava che era a metà strada verso la sua libertà, le sue gambe e il suo principe e la sua isola.

Era su quello che si doveva concentrare. Non sulla sua situazione attuale, non sulle sue sorelle e sua nonna e il regno che aveva perduto, ma su un futuro promettente.

Solo che, quando affiorò in superficie per sbirciare Elias durante la sua ronda settimanale, vide qualcosa che distrusse quel promettente futuro.

C’era una nuova nave diretta verso quella di Elias, circondata da quella che era praticamente un’armata. Erano navi straniere, ma non erano pirati perché non si erano lanciate all’attacco come le molte altre navi che si avvicinavano alle coste dell’isola.

Al timone della nave c’era una ragazza. Aveva la pelle chiara ed era bella, indossava un vestito delle stesse sfumature delle nuvole nel cielo, e i capelli, raccolti, erano di un rosso fulvo. Portava sui capelli una corona d’oro e gemme scintillanti.

Una principessa. Una principessa straniera, arrivata nella terra del suo principe.

Con il cuore che le martellava nel petto, si avvicinò, ma non era ancora abbastanza, quindi si aggrappò alla fiancata della nave, infilando le mani tra i cirripedi aguzzi, non badando a come le laceravano la pelle. Non era ancora abbastanza, poteva sentire il chiacchiericcio delle persone ma non riusciva a comprendere le parole. “Audite.” Sussurrò, e la magia nel suo sangue sispinse in avanti, fino a quando non riuscì ad ascoltare le chiacchiere dei marinai come se fossero di fianco a lei. Guidò la sua magia, dirigendola oltre le conversazioni sul tempo e sul lavoro e su quello che non le interessava, fino a quando non trovò quella che voleva.

“-sicuro che debba farlo.”

“Cos’altro dovrebbe fare? Abbiamo bisogno di un re, non di un principe. E poi, guarda, questa ragazza ha portato in dote una flotta.”

“E pensi che non ci sia niente sotto? Che vogliano in cambio solo un matrimonio e un trono per la principessa Felicity? Il loro regno inghiottirà la nostra isola in un boccone. Il principe Elias sarebbe un re solo di titolo se accettasse.”

L’altro uomo fece un verso di scherno. “Non vinceremo questa guerra. Lui non può vincere e loro sì. È questo quello che conta.”

“E che mi dici del dopo?” Lo sfidò.

Ci fu un momento di silenzio, teso, e poi: “Se la sposasse, almeno ci sarebbe un dopo. Se vincono i pirati non ci sarà più un’isola da proteggere quando avranno finito con noi.”

Tuyet aveva ascoltato abbastanza, aveva sentito più che abbastanza. Lasciò la presa e si rituffò in acqua, sentendo il suo corpo aumentare di dimensione, non per la pressione ma perché in quel modo avrebbe raggiunto più in fretta la sua destinazione.

Ritornò alle sue dimensioni quando vide la caverna ed entrò con irruenza, urlando: “Caligula, ti prego, ho bisogno delle mie gambe, adesso!”

“Cosa urli a fare?” Le chiese la strega del mare alle sue spalle, e Tuyet non ebbe le forze di andare in panico per la sua apparizione improvvisa. “Non c’è bisogno di fare l’isterica.”

“Ho bisogno delle mie gambe, adesso!” Ripeté, troppo disperata per provare paura.

Caligula inarcò un sopracciglio. “Termina di aggiustare il mio tridente e ti darò il più bel paio di gambe che il tuo principe abbia mai visto.”

Tuyet lanciò un’occhiata al tridente; le ci erano voluti mesi per arrivare anche solo a metà. Poteva anche essere più forte di quanto non fosse mai stata, avere più controllo sulla sua magia di quanto ne avesse mai avuto, ma era tutto relativo. Non poteva riportare il tridente a com’era prima in una volta sola. “Non posso, e non ha importanza, non se non avrò le mie gambe adesso. Sarà troppo tardi!”

Caligula non si arrabbiò né la ferì, cosa che Tuyet aveva imparato ad aspettarsi. Anzi, sembrava divertita, e la ragazza non sapeva se esserne felice. Preferiva la rabbia alla sua condiscendenza. “Niente tridente, niente gambe. Perché tutta questa fretta?”

“Si sta per sposare!” Disse, quasi scoppiando a quelle parole. “Con una- una qualche principessa che ha un sacco di navi e so che ne ha bisogno,” era egoista, così egoista a volere il principe per sé, a volere che la scegliesse anche se scegliere lei significava voltare le spalle alla sicurezza del suo paese, ma non poteva farne a meno, “ma lo voglio e se non farò niente la sposerà e io non avrò più alcuna possibilità.” Forse non aveva bisogno del principe: contava di tenersi le gambe anche se non l’avesse scelta, se non l’avesse amata. Ma voleva comunque quella possibilità, almeno.

“Fammi vedere.” Disse, e una scintilla di speranza prese a bruciare nel petto di Tuyet. Forse Caligula le avrebbe concesso una possibilità. Poteva tornare al mare di notte, certo, e allenarsi per riparare il tridente. Lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto davvero, e Caligula conosceva il tipo di magia che l’avrebbe costretta a mantenere la sua promessa. Avrebbe accettato di buon grado un incantesimo che l’avrebbe legata alla strega se avesse potuto stare vicino al suo principe.

Condusse Caligula alla nave. Probabilmente avevano usato una scialuppa o un ponte tra le navi quando se n’era andata perché ora la principessa Felicity dai capelli rossi si trovava sulla barca di Elias, in piedi sulla prua con le sue mani in quelle del principe, e nessuno dei due sorrideva.

Tra loro c’era un capitano e sulla nave del suo principe c’erano anche dei nobili. Non lo aveva notato prima, non pensava che il vestito bianco della principessa significasse qualcosa, ma a quanto pareva sì, con tutti quei nobili sulla nave e il capitano tra loro, tutti con vestiti fin troppo belli da indossare per la navigazione.

“È troppo tardi.” Disse, e la disperazione la fece sentire pesante, come se l’unica cosa che potesse fare fosse sprofondare sul fondo dell’oceano e rimanere lì, aspettando che la sua pelle diventasse corallo e che i pesci facessero il nido tra le sue costole.

Caligula schioccò la lingua. “Beh, non possiamo lasciare che accada, non è vero?”

Tuyet non comprese. “Non c’è niente che-”

“Exanimis.” Pronunciò l’incantesimo come se non le importasse, come se non significasse niente per lei.

“No!” Urlò, ma era troppo tardi.

La principessa spalanco i suoi begli occhi, schiuse le labbra e cadde all’indietro in mare. Si sentirono delle urla e il principe si tuffò dietro alla sua futura sposa senza esitare.

Tuyet cercò di raggiungerla, sapeva che poteva raggiungerla più velocemente di qualunque umano, ma Caligula la afferrò per un braccio, affondando le unghie nel muscolo molle. Non sentì neanche il dolore e diede uno strattone, resistendole, aggravando ancora di più la sua ferita perfino quando il suo sangue colò denso e viscoso nell’acqua. “Non darti troppa pena, è già morta.”

Chiuse gli occhi a quelle parole perché sapeva che era vero. Exanimis rubava l’aria dai polmoni. Si usava per cacciare le balene.

Una minuta donna umana non aveva speranze contro quell’incantesimo. “Perché.” Esordì, e sentì la gola bloccata dai singhiozzi che aveva tentato di soffocare. Si tuffarono molti altri uomini per cercare Felicity, ma sapeva che era troppo tardi. Se non avevano già trovato il suo corpo, non ci sarebbero riusciti mai più; era già andato troppo a fondo perché potessero raggiungerlo a nuoto.

“Ora il tuo principe è celibe e tu hai il tempo per finire di riparare il mio tridente.” Ritrasse i suoi artigli dal braccio della ragazza. “Era quello che volevi, no?”

Non a quel prezzo. Mai. Perché quello che voleva andava sempre a finire male, contorto e doloroso e non all’altezza del prezzo che aveva pagato?

Caligula le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse e forse Tuyet l’avrebbe trovato confortante se solo non si fosse sentita così istupidita. “Non fare tardi.”

“Va bene.” Disse, in mancanza di altro da fare. Rimase a guardar risalire coloro che si erano tuffati, e il principe fu l’ultimo, anzi, non si era affatto arreso. I suoi uomini dovettero trascinarlo fuori dall’acqua e issarlo su una barca, costringendolo a ritornare sulla nave a forza. Ci furono litigi e urla e per un momento Tuyet ebbe paura di star per assistere all’inizio di un’altra guerra, che il popolo della principessa avrebbe dichiarato guerra all’isola per vendicare la morte di Felicity.

Non sentiva quello che si dicevano e non ebbe la forza di usare la magia per comprendere. A volte, conoscere la verità può esser peggio dell’ignoranza.

La discussione andò avanti per ore e il sole aveva già iniziato a tramontare quando la flotta si ritirò, navigando verso qualunque fosse la terra da cui era salpata, e la barca del principe tornò verso casa.

Almeno non ci sarebbe stata una guerra. Ma quello che era accaduto non aiutava la guerra in cui si trovava ora il principe Elias, fatta da attacchi casuali da parte di quelli che sembravano essere ogni singolo pirata del mare.

Era ancora seduta lì quando la luna comparve in cielo, senza sapere dove andare. Doveva tornare alla grotta di Caligula, certo, ma non ci riusciva.

Non ancora.

Si immerse sotto le onde, nuotando sempre più a fondo, seguendo le correnti e attraversandole.

Il corpo della principessa Felicity non era sul fondo dell’oceano; il suo vestito si era impigliato in una roccia e lei galleggiava con i suoi capelli rossi che ondeggiavano intorno al suo volto e gli occhi verdi spalancati, le labbra bluastre aperte in un grido afono, un grido che non era riuscita a fare quando l’aria le era stata completamente rubata dai polmoni.

“Mi dispiace.” Sussurrò Tuyet. “Non volevo- non ho mai voluto che ti accadesse qualcosa. Se l’avessi saputo, non avrei detto niente. Se- se fosse rimasta aria nei tuoi polmoni, avrei potuto sostituirla con dell’acqua e ti avrei salvata da tutto questo, almeno. Ti avrei salvata. A qualunque costo.”

La principessa, ovviamente, non rispose. Non importava se Tuyet avesse detto o meno la verità. Non importava se Felicity le avrebbe creduto o meno. Non c’era niente che la rendesse meno morta.

Tuyet le chiuse delicatamente le palpebre ed esitò, non sapendo cosa fare a quel punto. L’aveva trovata. E ora che cos’avrebbe fatto con il suo corpo? Se l’avesse lasciata lì sarebbe stata divorata o si sarebbe decomposta in un modo che Tuyet non avrebbe propriamente definito dignitoso. Il corpo degli umani non si tramutava in corallo o in caverne o niente del genere. Marciva e basta. E poteva essere una buona cosa sulla terraferma, nel terreno, ma lì non era altro che cibo. Avrebbe potuto riportare il corpo a riva e sperare che qualcuno lo trovasse prima che diventasse cibo o che si decomponesse oltre il limite della decenza, ma non sapeva se avrebbe funzionato. E cosa ne avrebbero fatto, poi, del corpo in decomposizione di una principessa straniera?

Tuyet si passò i denti sul labbro inferiore e nuotò vicina abbastanza da poter incorniciare il volto di Felicity con le mani, accarezzando le guance fredde con i pollici. “Mi dispiace.” Disse di nuovo, come se avesse potuto giovare alla ragazza. “Mi dispiace tanto. Spero che tu possa trovare la pace nella morte e felicità ovunque sia la tua anima.” Disse, e le parole le sembrarono strane nella sua bocca.

La sua gente non usava celebrare riti funebri, aveva solo canzoni per il lutto, e l’unica designata per essere cantata da una persona sola era il Pianto della Vedova e cantarla avrebbe significato più un insulto che un tributo. Si sforzò di trovare qualcos’altro da dire, altre parole che gli umani dicevano ai loro morti, ma non le venne in mente niente.

Sospirò e premette la fronte contro quella della principessa morta, concentrando la magia del suo sangue di fronte a lei, e sussurrò: “Calamochnus.”

Il corpo di Felicity si dissolse tra le sue mani, separandosi e galleggiando verso la superficie dell’oceano. Aveva trasformato il su corpo in schiuma di mare e rimase a guardare fino a quando anche l’ultima parte della principessa non fu portata via dalla corrente.

Il vestito bianco si liberò dalla roccia e galleggiò lontano, ma la corona che era poggiata sul capo di Felicity ora giaceva mezza sepolta dalla sabbia. Tuyet avrebbe potuto lasciarla lì, lasciare che diventasse un tesoro sommerso; avrebbe potuto riportarla sulle spiagge del principe o perfino tentare di raggiungere la flotta della principessa perché potessero riportare a casa almeno quella piccola parte di lei.

Invece la raccolse e lasciò che la magia le scorresse nelle dita. La corona non perse neanche un po’ della sua lucentezza, nessuna delle sue pietre preziose, ma divenne più piccola e flessibile al tempo stesso.

Tuyet si assicurò la corona intorno al collo come una collana, accoccolata sulla sua pelle e impossibile da ignorare, da dimenticare.

Non avrebbe lasciato che una cosa simile accadesse ancora.

Prima lo tsunami che doveva aver colpito la sua gente, poi quella principessa, la cui morte non aveva colpito solo la povera ragazza, ma anche il suo principe e la sua isola. Non si sarebbe lasciata usare di nuovo a quel modo. A qualunque costo. E se significava stringersi un nodo intorno al collo per ricordarsi di stare in riga…

Che così fosse.

***

Caligula non disse niente a proposito della collana che indossava come un choker, ma non si aspettava che lo facesse. I metalli preziosi e le gemme non le interessavano, come nemmeno le perle né niente di fisico che teoricamente aveva un qualche valore.

La strega del mare si curava solo del valore del potere e del potere soltanto.

Le cose si placarono e Tuyet arrivò quasi a domandarsi se la sua reazione fosse stata esagerata, se Caligula fosse davvero il mostro in cui la distorceva la sua memoria.

Si sbagliava, ovviamente, ed era colpa sua per essersene dimenticata.

Una nave pirata passò vicino all’isola del suo principe, ma non attaccò, non sembrava voler far altro che girare intorno ai suoi estremi per poi navigare verso l’orizzonte.

Era strano solo perché era normale e le cose erano state decisamente anormali in quegli ultimi tempi. Una famosa ciurma pirata e il suo capitano non avevano motivo di creare scompiglio attaccando un regno-isola, che poteva anche essere prospero per le sue dimensioni, ma che non aveva grandi riserve d’oro o di preziosi. Soprattutto un regno che aveva la lunga tradizione di chiudere un occhio quando le navi pirata ormeggiavano nei suoi porti, fintantoché non causavano danni.

 Ma avevano causato danni per mesi e Tuyet non capiva. Forse, se fosse stata umana, l’avrebbe capito; se avesse potuto camminare per il mercato e ascoltare i pettegolezzi e le risate avrebbe capito, avrebbe saputo perché i pirati ora cambiavano rotta per attaccare un’isola che era sempre stata per loro come un faro nella tempesta.

A parte quella nave, a quanto pareva, dato che continuava a navigare come se non avesse alcuna intenzione di ingaggiare battaglia.

Ovviamente, Tuyet la seguì.

Era curiosa.

Vide la ciurma sul ponte e un uomo che vestiva una giacca dai colori sgargianti e un cappello con una piuma, in piedi vicino al timone. Ma sembrava che non stesse facendo granché: era rilassato e rideva e parlava con la sua ciurma, il che non coincideva affatto con quello che Tuyet aveva visto fare ad altri capitani.

Calò la notte e il silenzio sulla nave, e fu allora che si issò strisciando, scalando la fiancata della nave fino a quando non riuscì a sbirciare oltre il parapetto. Il capitano sedeva sul bordo della nave, mentre il resto della ciurma, tranne coloro strettamente necessari, dormivano nelle loro cuccette.

E quei tre. Il capitano con due marinai che, a un’occhiata più attenta, erano chiaramente due donne. Sembravano meno sofisticate del loro capitano e vestivano vestiti più semplici e pratici piuttosto che belli. Una aveva i capelli rosso fuoco, come quelli di Felicity, e l’altra aveva la pelle più scura perfino di quella del suo principe; sedevano ai lati del loro capitano. Lui rideva e sorridevae ma loro no, anche se non sembravano scontente della sua compagnia.

Le sembrarono familiari, come se li avesse già visti, ma non poteva essere. Giusto? Si arrischiava molto di rado vicino agli umani per osservarli, se ne sarebbe sicuramente ricordata.

“Audite.” Evocò, perché non voleva scegliere tra il guardare o il sentire, voleva entrambi.

“-fino a Creta, ne sei sicura? È lontana.”

“Devi andare da qualche parte?” Gli chiese la donna dalla pelle scura, dandogli un colpetto al fianco.

Lui alzò gli occhi al cielo. “Penso solo che non ne valga la pena per una taglia simile, Maria.”

L’espressione della rossa non cambiò. “Io penso di sì.”

“Sì, cara, lo so.” Disse ironico, scuotendo la testa. “Vi ricordate entrambe che sono io il capitano, vero?”

“Sì, caro.” Risposero le donne all’unisono, e finalmente un tono scherzoso trapelò dalle loro maschere prive di emozioni.

“Ho sentito uno degli uomini scherzare sul fatto che almeno non avresti sbagliato a chiamarci per nome a letto.” Disse Maria, affondando le dita nei capelli del suo capitano.

“Maria e Ana non sono lo stesso nome,” disse, seguendo il suo tocco, “e ho detto alla ciurma che chiamarvi entrambe Ana Maria sarebbe stato un suicidio, quindi sono stati coraggiosi. Sono ancora vivi? Di solito non siete molto gentili con le persone che sparlano di voi.”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Di solito non sono molto gentile con le persone che sparlano di te.”

Ci fu una risata e la conversazione continuò più piano, ma Tuyet non stava più prestando attenzione a loro. Le due donne erano Ana Darling e Maria Freeman e questo significava che…

…che quell’uomo era il capitano John Darling.

Tuyet li aveva già visti prima.

Ne aveva sentito parlare, certo, aveva sentito che John se l’era filata con la moglie di un altro, che John era il capitano ma che era Ana quella da cui ci si doveva guardare, che non prendeva prigionieri e non aveva pietà per nessuno.

Che era anche il motivo per il quale John era riuscito a far entrare la temuta Maria Freeman nella sua ciurma. Tuyet e le sue sorelle avevano visto quella battaglia, avevano visto la ciurma di John scontrarsi con quella di Maria, avevano visto Ana sollevare il mento di Maria con la spada e avevano visto la donna arrendersi. La nave di John era stata gravemente danneggiata, quindi l’avevano affondata e avevano preso quella di Maria; e Tuyet e le sue sorelle avevano guardato e aspettato, ma né il corpo di Maria né i cadaveri della sua ciurma erano sprofondati nell’oceano.

Dopo quel fatto, le chiacchiere erano dilagate così tanto che le avevano sentite anche loro, perfino sul fondo del mare. O forse le aveva sentite solo lei perché era sempre smaniosa e interessata alla vita degli umani e quella storia la affascinava come nient’altro.

Se prima John e Ana Darling sembravano appartenere a una favola, se Maria Freeman sembrava temibile e potente da sola, non fu niente rispetto a quando si unirono tutti e tre. Sembrava che regnassero sul mare, come se potessero sfruttare a loro vantaggio ogni sua parte.

Ma aveva sentito anche un’altra cosa.

Aveva sentito che erano stati catturati, che li avevano impiccati tutti e tre per i loro crimini e che avevano lasciato i loro corpi a penzolare all’entrata della baia come monito.

Tuyet li aveva visti, aveva visto i loro cadaveri ondeggiare al vento, solo che ora erano lì, proprio di fronte ai suoi occhi. Non potevano essere fantasmi, no? Poteva toccare quella nave, li vedeva, li sentiva, non le sembravano traslucidi né bloccati in un loop temporale. Erano corporei, reali, vivi.

Non capiva e dunque rimase e osservò. Ana non toccò John, ma Maria sì; piccoli momenti di pelle su pelle che potevano significare molto o niente. Da come parlavano prima… stavano insieme? Ana non sembrava disturbata dalle mani dell’altra donna su suo marito e Tuyet non riusciva a immaginarsi Ana come una che avrebbe messo da parte l’orgoglio o la rabbia se le avesse dato fastidio, non se si basava su quello che aveva sentito su di lei.

Gli uomini della ciurma sorridevano a John, ma giravano al largo dalle donne. O John era completamente rilassato o molto bravo a fingere, e perché non dovrebbe? Erano soli nel bel mezzo dal mare e anche se fossero pirati in fuga con tutte le navi del mondo alle calcagna, erano soli nel bel mezzo di un oceano calmo e potevano guardarsi intorno per miglia. Avrebbero dovuto essere tutti rilassati. Avrebbe avuto senso per loro. John era rilassato.

Maria e Ana invece no.

Maria fingeva bene, ma più Tuyet li guardava e meno le piccole carezze di Maria le sembravano maliziose, quanto più ansiose, come se dovesse toccare John per rassicurare se stessa della sua presenza. Ana continuava a scandagliare il mare, come a cercare qualcosa. Che avessero distanziato qualcuno da poco?

“Andiamo a letto, cara?” Le chiese John, muovendosi infine per carezzare con un dito la guancia di Ana. Tuyet si rese conto che Darling nella loro lingua era sia un vezzeggiativo che un modo di chiamarla, dato che era un cognome che condividevano.

Ana sorrise, ma i suoi occhi no. “Voi andate. Monto io di guardia.”

“Siamo al sicuro qui.” Disse John e, per come era voltato, non vide il modo in cui Maria sussultò. “Vieni a letto.”

Ana fece saettare lo sguardo su di lui e si sporse abbastanza da premere la sua fronte contro quella di lui per poi ritirarsi. “Non stanotte, caro.”

John sospirò, ma si mise in piedi, stiracchiandosi volutamente la schiena dando le spalle alla balaustra.

Maria inarcò un sopracciglio. Ana sussurrò, talmente piano che Tuyet riuscì a sentirla solo grazie al suo incantesimo: “Ho la sensazione che qualcuno ci stia osservando.”

Tuyet si abbassò, anche se non l’avevano ancora notata ed era quasi impossibile che accadesse, e non avrebbero potuto fare niente anche se l’avessero scoperta. Sentì qualcosa simile a colpevolezza strizzarle il basso ventre e si arrischiò a dare un’altra occhiata. Ana teneva le braccia incrociate e lanciava occhiate dappertutto intorno a lei, mentre Maria e John si stavano incamminando sottocoperta insieme.

Aveva spiato abbastanza per quella notte, anche se ora aveva più domande che risposte, e si immerse sotto le onde diretta verso la grotta di Caligula.

Solo che, nel momento in cui entrò nella grotta, sentì che qualcosa non andava. Caligula aveva gli occhi spalancati e selvaggi come non lo erano mai stati in settimane e Tuyet sentì la paura annidarsi alla base della schiena prima ancora che potesse capire cosa stava succedendo. Caligula la afferrò per i capelli a la tirò a sé, passandole il naso lungo il collo, inspirando profondamente. “Dove sei stata?”

“Ho- ho fatto tardi?” Le chiese, tremante. “Mi dispiace, non volevo.”

“Taci e rispondi alla domanda.” Sbottò la strega del mare.

“Stavo, uhm, stavo solo guardando degli umani, su una barca.” Disse, e voleva staccarsi da lei ma sapeva bene che avrebbe solo peggiorato la situazione se avesse opposto resistenza.

Caligula le strinse i capelli con più forza, a tal punto che Tuyet sentì le sue unghie pungerle il capo. Non l’aveva fatto volutamente, quindi non disse nulla per non far sì che diventasse intenzionale. “Che nave era?”

“Grande?” Tentò lei, e deglutì quando Caligula assottigliò lo sguardo. “Non lo so, non ho guardato, scusami.”

“Non importa.” Finalmente la lasciò andare e Tuyet resistette all’impulso di sentire se aveva del sangue appiccicoso tra i capelli. “Portami lì.”

“È solo una nave degli umani.” Protestò lei.

Caligula ghignò e le andò vicino, viso a viso, così insopportabilmente vicino che le avrebbe fatto meno paura essere intrappolata tra le sue grinfie. “Te l’ho forse chiesto? Non sono arrabbiata con te, ragazzina, ma continua così e lo sarò.”

Tuyet si irrigidì. Gran parte della crudeltà della strega del mare era insensata, casuale, qualcosa che faceva senza pensare. La sua ira era spaventosa in modi che la metteva a disagio immaginare. “Va bene.”

Guidò Caligula fino alla nave. Si aspettava che sarebbe stata una perdita di tempo, che Caligula avrebbe visto che non era niente più che l’ennesima di molte navi pirata che solcavano il loro mare e che poi se ne sarebbero andate. Caligula forse ne sarebbe stata frustrata, ma entrambe non ne sarebbero uscite peggio di quando tutto era iniziato.

Non fu quello che successe.

“Finalmente.” Esalò Caligula e, prima che Tuyet potesse avere modo di farle una domanda, l’acqua che circondava la strega del mare la depositò sul ponte e, nel ritirarsi, lasciò la donna perfettamente asciutta, con i suoi capelli bianchissimi che le incorniciavano dolcemente il volto. Il suo vestito di reti da pesca, però, continuava a coprirla come se si trovasse ancora in mare.

La ciurma urlò, alcuni di loro corsero sottocoperta e altri si buttarono addirittura fuoribordo; Tuyet pensò che non fosse un gran piano. Erano distanti dalla terraferma, non sarebbero riusciti a nuotare verso la salvezza. Avrebbero almeno potuto prendere una scialuppa.

Ana non si alzò in piedi, era ancora seduta, ma non riuscì a nascondere del tutto la sua reazione. Era diventata pallida in modo innaturale, un colorito che nessuno che passa molto tempo sotto il sole avrebbe. Maria e John uscirono in fretta da sottocoperta e si fecero strada tra la gente che cercava di nascondersi dentro la nave; si erano palesemente vestiti in tutta fretta.

“Strega del mare.” Latrò John, spingendo Maria dietro di lui, e si parò di fronte a sua moglie. “Lascia la nostra nave, non hai motivo per essere qui. Non ti dobbiamo niente.”

Ana si mise in piedi e toccò la spalla di John, tirandolo indietro. Disse piano: “Non è vero, non del tutto.”

Lui si zittì, poi si voltò verso di lei. C’era paura e orrore nella sua voce, ma non rabbia, quando le domandò: “Che cosa avete fatto?”

“Ti hanno salvato la vita, ovviamente,” miagolò Caligula, strisciando verso di loro, “e la loro. Ma ad un prezzo. Non faccio niente per niente.”

“Caligula.” Disse Maria, fredda, e Tuyet non riuscì a nascondere la sua sorpresa. Gli umani che la conoscevano ne avevano troppa paura per chiamarla per nome, solo per paura di poterla invocare, solo per paura che la strega potesse sentirne il sussurro anche quando era sola nella sua grotta sul fondo dell’oceano. “Abbiamo pagato il prezzo che hai chiesto. Un bambino hai chiesto e un bambino Ana ha perso. Ora vattene.”

Per la prima volta, il volto di John divenne impassibile e freddo. Lanciò un’occhiata a Ana, alle sue spalle, ma lei non lo guardò, non distolse lo sguardo da Caligula.

“Dovevano essere gemelli,” sibilò lei, “mi avevate promesso dei gemelli. Mi dovete dei gemelli. Però,” concesse loro, “le mie circostanze sono cambiate dall’ultima volta che abbiamo parlato. Immagino di potermi ritenere soddisfatta anche solo con un altro bambino.”

Il respiro di Tuyet le si impigliò in gola. Sapeva che cos’era successo, che cosa doveva essere successo.

Il potenziale di una vita prima della sua nascita era qualcosa di potente. Ancora di più se si trattava di gemelli. Caligula doveva aver prosciugato quella vita dal corpo di Ana prima che il bambino nascesse, l’aveva imbottigliata e conservata o forse aveva provato e fallito a usarla per riparare il suo tridente.

“Non abbiamo più bambini.” Disse Ana, e suonava sicura, ma dovette aver fatto trapelare qualcosa perché John e Maria la guardarono, la preoccupazione visibile nelle loro sopracciglia aggrottate.

Caligula sorrise e i suoi denti aguzzi sembrarono ancora più innaturali fuori dall’acqua. “Tu no. Ma lei sì.”

Ci volle un momento prima che capissero che stava guardando Maria.

“No.” Disse John, e Maria si premette le mani sullo stomaco con occhi spalancati. Ana sembrava nauseata.

Non sapevano nemmeno che fosse incinta, fino a quel momento.

La corona di Felicity era pesante e stretta intorno alla sua gola e Tuyet non poteva restare a guardare, non poteva rimanere in silenzio, complice di tutto quello. Una principessa morta era abbastanza, era troppo. Si era fatta una promessa e se mantenerla le sarebbe costata la vita, allora che così fosse.

“Basta!” Urlò Tuyet, e l’acqua si sollevò depositandola sulla nave, frapponendola tra i pirati e Caligula. Solo che lei non aveva delle gambe, quindi fu costretta a sedersi sulle assi, sollevandosi quanto poteva e ignorando il dolore delle scaglie che grattavano contro il legno della nave.

Maria e Ana fecero un passo indietro, sorprese, ma John non sembrò molto impressionato dalla sua entrata in scena e ancora meno dalla sua esistenza. Probabilmente non era la prima sirena che vedeva.

Caligula inarcò un sopracciglio, la guardò e poi distolse lo sguardo, sminuendo la sua presenza in meno di un secondo. “Vattene. Non mi servi più.”

“No.” Disse lei, e si dovette sforzare per non farsi piccola sotto lo sguardo gelato che le lanciò la strega. “No, non me ne andrò e non lascerò che tu gli faccia del male o che gli prenda nient’altro.”


 

Note dell’autrice: Spero che vi sia piaciuto!

Ana, Maria e John sono forse un palese prestito delle figure storiche di Anne Bonney, Mary Read e Jack Rackham? Sì. Certo che lo sono.

Note della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: Mi rendo conto che la pubblicazione dei capitoli per questa storia sia finita un po' nel dimenticatoio, ma pian piano conto di caricare il materiale che ho a disposizione anche e soprattutto grazie a Nereisi, che mi fa da super beta <3

Speriamo che questo secondo capitolo vi abbia lasciato con la voglia di continuare la lettura! Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Tuyet non aveva idea di quello che stava facendo.

“Non hai bisogno di loro.” Tentò. “Hai me. Quanta magia ti può dare in più una vita non nata a confronto di quello che ti posso dare io?”

Caligula ghignò. “Stupida ragazza, non l’hai ancora capito? Non si tratta del potere che possiedo.”

Tuyet la fissò a bocca aperta e tutti i suoi argomenti e le sue suppliche la abbandonarono. “Cosa? Tu ami il potere. Lo brami.” È per questo che vuoi me, ma non lo aggiunse.

“No,” disse lei, scivolandole vicino, “non mi hai ascoltata, bambina. Non si tratta del potere che posseggo. Ma del potere che prendo.”

Oh.

Caligula avrebbe potuto avere tutto il potere del mondo e non le sarebbe comunque bastato. Perché non si trattava di quello che possedeva. Si trattava di quello che riusciva a prendere e rubare dalle persone, non si trattava di quello che poteva guadagnare, ma di quello che faceva perdere agli altri. Non sarebbe mai stata soddisfatta fino a quando non avrebbe tolto tutto agli altri, fino a quando non ci sarebbe stato più nulla da prendere.

Tuyet sollevò una mano, concentrando la magia nel palmo. Caligula inclinò la testa all’indietro e rise: “Pensi di poterti scontrare con me? Conosci solo trucchetti da quattro soldi. Non c’è potere che possa rimediare alla tua mancanza di talento.”

Non era del tutto vero, ma valeva per lei. Poteva anche essere più forte di Caligula, con il suo sangue reale ricco di magia e il suo potenziale emerso grazie agli abusi della strega del mare, ma Caligula usava la magia da molto tempo e aveva combattuto numerose battaglie, uscendone vincitrice. Non esisteva un incantesimo abbastanza potente o veloce da poterla distruggere prima che Caligula la superasse in astuzia.

Ma non era quello che pensava di fare.

“Invenient.” Evocò, e si soffiò sulla mano, spargendo l’incantesimo di localizzazione inversa in ogni anfratto del mare.

Caligula non rideva più. “Che stai facendo?” Sibilò, e si avvicinò con fare minaccioso.

Tuyet cercò di arretrare, ma non sapeva dove andare. Trasalì quando Caligula la afferrò per i capelli, tirandola verso l’alto, avvicinandola al suo volto e costringendola così a stare dritta. “Mio padre seguirà quell’incantesimo e verrà qui. Hai ragione. Io non posso sconfiggerti. Ma lui sì.”

Suo padre non si era mai curato di Caligula prima di allora, si era limitato ad ammonire Tuyet e le sue sorelle di non andarle vicino e a dire loro che a chiunque cercasse la strega del mare capitava quello che meritava. Si sarebbe arrabbiato terribilmente con lei per essere una di quelle persone, per quello che aveva fatto, per le bugie e il suo tradimento e la sofferenza che aveva inferto alla sua gente. Ma era comunque meglio dell’alternativa che aveva.

Non avrebbe amato il suo principe se avesse abbandonato il suo popolo. Come poteva sperare che lui l’amasse se lei abbandonava il suo? Rimaneva una principessa, di sangue reale e con doveri reali. Doveva proteggere la sua gente.

“Stupida ragazza!” Urlò Caligula. “Ti rinchiuderà dopo quello che hai fatto, se sei fortunata, e non vedrai mai più il tuo principe! È questo che vuoi?”

“No.” Ripose lei. Piangere sottacqua era molto meglio, meno problematico, più dignitoso. C’era determinazione nel suo diniego, ma non dignità. Aveva il volto gonfio e doveva tenersi sollevata su quella nave, con le scaglie doloranti; nonostante tutto il potere nel suo sangue, non riusciva nemmeno a tenersi dritta. “Ma il prezzo per la mia felicità è troppo alto. Non posso pagarlo.”

Avrebbe dovuto farlo prima, avrebbe dovuto farlo quando la principessa Felicity era morta, ma era disperata e una codarda. Se fosse stata più furba, l’avrebbe capito molto prima di quanto successo con Felicity e avrebbe chiamato suo padre per far rinchiudere Caligula mesi prima. E allora, Felicity sarebbe viva, si sarebbe sposata ed Elias e la sua isola sarebbero salvi.

Invece era tutto un caos, morte e paura perché era stata stupida, e si rifiutava di lasciare che continuasse a quel modo.

Caligula ringhiò. “Quell’incantesimo di localizzazione non funzionerà sul tuo cadavere, ragazza.”

Vide gli artigli di Caligula sfrecciare verso di lei e si coprì il volto, sapendo che non sarebbe servito a nulla, che Caligula poteva rubarle il respiro dai polmoni con una maledizione senza bisogno di toccarla, come aveva fatto con Felicity.

Poi, sentì delle gambe alle sue spalle, a sostenerla, e Caligula si fermò bruscamente.

“Ehi ehi.” Disse John, pacato. Tuyet inclinò la testa e vide il suo braccio teso e una pistola puntata tra gli occhi di Caligula.

Una pistola non avrebbe dovuto significare niente per lei, avrebbe dovuto essere un gioco da ragazzi, ma la strega del mare non rise. Si congelò sul posto e, per la prima, Tuyet la vide spaventata. “Dove l’ha presa quella?”

“Non ha importanza.” Disse lui, completamente rilassato, con un sorriso che aleggiava agli angoli della bocca, perfino in quel momento. “Se fai un altro passo verso questa signorina, sparo.”

Tuyet si voltò e vide che anche Ana e Maria lo guardavano sorprese; evidentemente era qualcosa che non avevano mai visto prima, qualcosa che non si aspettavano.

A quanto pareva, non si diventava un famigerato capitano pirata solo per avere due mogli temibili.

“Ti ucciderà.” Lo ammonì Caligula. “Tutto quello che le tue donne hanno fatto per salvarvi la vita, il bambino che hanno scambiato… Butteresti via la tua vita proprio di fronte a loro?”

Era un gioco mentale quello insito nelle parole di Caligula, un incantesimo che non lo era davvero. Tuyet tentò di aprire la bocca per avvertirlo, per dire qualcosa, ma non le uscì niente.

“Per proteggerle?” Le chiese, immobile, del tutto immune e intoccato dalla voce di Caligula. Tuyet non capiva come riuscisse a farlo. Era solo un umano. Non era forse così? “Certo che lo farei. Fai un solo movimento verso questa signorina o una delle mie mogli o me e premerò questo grilletto per assicurarmi che sia l’ultima cosa che farai.”

“Allora premere quel grilletto sarà l’ultima cosa che farai.” Disse Caligula, ma non lo disse come una minaccia.

Lui fece un’alzata di spalle, sollevandole e abbassandole sotto la sua bella giacca.

Si fissarono per un po’ e Tuyet non poté fare altro che aspettare, sperando che suo padre arrivasse prima che accadesse qualcosa di terribile.

Caligula ebbe un fremito.

Guardò l’oceano, aggrottando le sopracciglia e poi le sollevò di scatto. “Il mio tridente!” Urlò. “Stupida ragazza, l’hai portato dal mio tridente!”

Tuyet non riuscì a reagire perché Caligula si voltò e si tuffò nell’oceano, seminandoli.

John rinfoderò la pistola e si piegò per poggiarle una mano sulla spalla. “Tutto bene?”

“John.” Esordì Maria, ma non disse altro.

“Sonno arrabbiato con tutte e due.” Disse, ma non sembrava che lo fosse; la sua voce non era severa o cattiva né tantomeno alta. Lo disse con semplicità, come se la sua rabbia fosse qualcosa di semplice. “Non so in che guaio ti sia cacciata, ma Caligula non è la persona che te ne tirerà fuori. Non dovresti tornare da lei. Rimani qui.”

Le ci volle un momento per capire che John stava parlando con lei e non con le sue mogli.

“No.” Disse, infine, e fu la prima volta che si sentiva la bocca secca. “No, non posso. Devo tornare in acqua.”

“No che non devi.” Riprese John, ma Tuyet non rimase ad ascoltarlo ed evocò un’onda che si infranse sulla nave. Non per rovesciarla o ferire qualcuno, ma per farsi trascinare nell’oceano.

Avrebbe voluto rimanere, o almeno non andarsene, ma in che posto poteva andare dove suo padre non l’avrebbe trovata? Prima, sarebbe scappata sulla terraferma, dove la sua famiglia non avrebbe potuto seguirla anche se avessero voluto, ma ora era diverso.

Aveva fatto la cosa gusta, ma le era costato tutto quello che aveva sempre voluto con così tanta intensità. Non avrebbe mai seppellito i piedi nella sabbia calda e asciutta. Non avrebbe mai camminato per un mercato. Non avrebbe più avuto la possibilità di rivedere il suo principe.

Ma la sua gente era al sicuro da Caligula. Suo padre avrebbe imprigionato la strega del mare, e anche lei probabilmente, per essere scappata, per tutto. Forse, se era particolarmente arrabbiato, avrebbe fatto condividere loro la cella in modo che Caligula continuasse a torturarla e, quando suo padre l’avrebbe fatta uscire, le ossa di Elias sarebbero state polvere.

Non la stupiva che la gente scegliesse di rado di fare la cosa giusta se faceva sempre così male.

Forse si sarebbe potuta nascondere da suo padre per un po’, l’oceano era vasto. Ma gli sarebbe bastato soffiare una volta nella conchiglia e ogni creatura marina l’avrebbe cercata e non c’era luogo in cui potesse stare completamente sola, dove nessuna creatura vivente avrebbe potuto trovarla. Quindi, non aveva molto senso. Nascondersi non l’avrebbe salvata, avrebbe solo reso suo padre più furioso e la sua punizione peggiore di quello che già era.

Dunque, non si nascose e non scappò.

Ritornò alla grotta di Caligula per affrontare le conseguenze, usando la sua magia come propellente per attraversare l’oceano. Era meglio incontrare suo padre nella grotta piuttosto che a palazzo. Almeno a quel modo sarebbe esploso lì e le avrebbe urlato di tutto senza che altri lo vedessero.

L’odore fu quello che la colpì prima di ogni altra cosa, un che di marcio e turpe e bruciato, acre perfino. Non c’era fumo nell’oceano, ma poteva sentirne il sapore nell’acqua che la circondava. Si avvicinò lentamente alla grotta, cauta. Era certa che Caligula non fosse così stupida da opporre resistenza al re del mare. Era potente, certo, ma lui era re Proteus, nato da Pallas. Caligula era molte cose, ma non stupida.

“Abscondium.” Sussurrò, aspettando che l’ondata di magia la coprisse, celandola alla vista. Poi, si addentrò nella caverna, aggrappandosi alle pareti per non andare addosso a qualcosa per sbaglio, allertandoli così della sua presenza.

Non si aspettava quello che vide.

Suo padre era furioso, più arrabbiato di quanto lo avesse mai visto, e la sua furia sembrava renderlo più grande, anche se non poteva ingrandirsi molto nello spazio angusto di quella grotta. I suoi occhi blu elettrico erano freddi e duri e i suoi capelli scuri, striati d’argento, gli turbinavano attorno al capo, mentre la conchiglia appesa al suo fianco dondolava e la fine della sua coda, di un argento scuro, si muoveva avanti e indietro per l’agitazione.

Caligula era aggrappata al suo tridente riparato per metà, rimpicciolita su se stessa. Era la prima volta ad essere lei la più piccola. “Ti prego, no- non è quello che sembra-”

“Mia figlia,” tuonò, “per il tuo tridente? Cos’avevi in mente?”

Caligula stava forse cercando di usarla come moneta di scambio? Che suo padre pensasse che era prigioniera o rinchiusa da qualche parte? Aprì la bocca, preparandosi a dire qualcosa, per far sapere a suo padre che Caligula non l’aveva catturata e che quindi non aveva il coltello dalla parte del manico.

Ma non ne ebbe l’occasione.

Proteus aprì i pugni e una dozzina di lumache marine galleggiarono fuori dalle sue mani. Tuyet spalancò gli occhi.

Da piccole, sua nonna acconciava loro i capelli con le lumache di mare. Tuyet le trovava bellissime e non capiva che erano una protezione, come gli antichi squali goblin che le accompagnavano costantemente. In quanto reali, erano immuni al veleno delle lumache di mare.

Ma Caligula non lo era.

Le barbe le affondarono nella pelle prima ancora che avesse la possibilità di urlare, sufficienti a uccidere più volte un capodoglio, ma forse non sarebbe bastato contro Caligula perché lei non era nata con la magia nel sangue ma se ne era iniettata abbastanza nelle vene, trasformandosi completamente per controllare la magia come sapeva fare. Forse, questo l’avrebbe salvata.

Ma quello non era un attacco magico e non ebbe il tempo di innalzare nessun tipo di difesa prima che il veleno la uccidesse. Il suo corpo cadde a terra e le lumache galleggiarono verso la volta della grotta.

Tuyet era talmente sorpresa che si dimenticò di respirare. Proteus guardò il corpo di Caligula, immobile come lui, poi si abbassò, afferrò il tridente da terra e glielo conficcò nel petto con una forza tale da spezzarle le costole e trafiggerle il cuore. Il sangue fluì attorno al tridente, rivestendolo e asciugandosi più velocemente del normale, per poi staccarsi, lasciando l’arma lucente e argentata.

Era ritornato al suo potere originario.

“Ne è valsa la pena?” Le chiese Proteus, e la sua voce era insopportabilmente alta nell’immobilità della grotta. “Prima il terremoto e poi questo? Pensavi che ti avrei perdonata?”

Tuyet ebbe un fremito e si appiattì contro la parete, incassando la testa fin quando le spalle non toccarono le orecchie.

Il terremoto non era colpa della strega.

Suo padre fece per prendere il tridente, ma si bloccò. Corrugò le sopracciglia e fece per prenderlo nuovamente ma si fermò ed emise un verso disgustato e gutturale. Quell’oggetto era potente, Tuyet lo sapeva, ma sua padre doveva odiarlo così tanto da non volerne reclamare il potere o perlomeno sottrarlo alle mani di qualcun altro e chiuderlo nella sala del tesoro. Uscì dalla grotta e Tuyet lo osservò mentre si allontanava, senza dire nulla. Se non aveva percepito la sua presenza, se l’incantesimo di tracciamento l’aveva condotto alla magia che aveva infuso nel tridente invece che a lei, se si era adirato per il terremoto a tal punto da uccidere Caligula, allora non aveva motivo di rivelarsi a lui.

Forse quella era la giusta soluzione. Suo padre non sapeva come trovarla, forse non la stava neanche cercando, forse quella era la cosa più simile alla libertà di cui avrebbe mai potuto godere. Non avrebbe ottenuto le gambe, non sarebbe mai stata veramente libera né avrebbe mai vagato per i mercati né avrebbe vissuto tra gli umani. Ma non era stata esiliata né imprigionata nel palazzo, né costretta a rimanere in una cella per anni a guardare il mondo che le scorreva davanti.

Sciolse l’incantesimo di invisibilità e nuotò fino al cadavere di Caligula, sedendosi a terra vicino a lei, osservando i suoi occhi spalancati e il suo corpo che sanguinava ancora, col sangue che le si dissipava attorno. Tese una mano e le lumache di mare atterrarono dolcemente sul suo palmo, piccole e belle; non sembravano affatto mortali. Fece come usava fare sua nonna e se le acconciò nei capelli, per precauzione.

Il suo futuro non le era mai sembrato così incerto e sentiva di avere bisogno di tutta la protezione possibile.

Il tridente brillava d’argento perfino nella luce fioca della grotta; Tuyet aveva versato il suo sangue per lui, aveva imparato la magia per quel tridente e non si rese conto di essersi sporta per prenderlo fino a quando non lo ebbe in mano.

Era freddo e pesante. Pensava che sarebbe stato diverso ora che era completo, pensava che sarebbe stato elettrico, vivo, ma ovviamente non era così.

Il tridente non era una persona. Era un oggetto. Suo padre poteva anche non essere riuscito a prenderlo, ma a quanto pareva lei non aveva lo stesso problema. Forse il tempo che aveva passato con Caligula l’aveva corrotta più di quanto pensava se aveva fatto con così tanta noncuranza qualcosa che suo padre non avrebbe fatto.

“Um, mi scusi.” Chiese piano una vocina, e Tuyet si voltò, posizionando il tridente davanti a lei con fare difensivo, ma si trattava solo di un tritone che sbriciava dentro la grotta. “È lei la strega del mare?”

Dalla sua prospettiva non poteva vedere il cadavere insanguinato a terra.

Guardò a terra e lanciò silenziosamente lo stesso incantesimo che aveva fatto al corpo di Felicity, in modo che Caligula si trasformasse in niente più che schiuma di mare. Nel caso di Felicity, l’aveva fatto per gentilezza, ma in quel momento era solo per liberarsi del cadavere. Non riusciva neanche a sentirsi in colpa. Tanto nessuno avrebbe mai cantato a lutto per lei.

Era quella la risposta, dunque? Cos’altro avrebbe potuto fare con quella flebile libertà? Conosceva la magia. Non tanto quanto Caligula, ma abbastanza, e ora che poteva leggere le sue pergamene forse avrebbe imparato anche di più, diventando qualcuno con quel suo potere, usandolo per sé.

Avrebbe potuto prendere il posto di Caligula e forse l’avrebbe fatto anche meglio, in modo diverso.

“Sì.” Rispose, stringendo la presa sul tridente. “Sono io. Cosa vuoi?”

Il tritone le rivolse un ghigno e nuotò più vicino, sicuro di sé. “Ho bisogno di aiuto per uccidere mia madre. Non mi lascia fare niente, continua a dirmi di migliorare e non sprecare i suoi soldi, che vivrà per sempre e si terrà tutto il denaro per sé per ripicca, potresti-”

Le ci volle più tempo del dovuto per collegare il tridente che vibrò nella sua mano, la rabbia che montava come bile nella sua gola e il tritone rannicchiato e terrorizzato contro la parete della grotta con delle brutte bruciature ad arco sul petto.

Avrebbe potuto guarirlo. Non lo fece.

“Vattene.” Disse, guardandolo con occhi placidi mentre saettava lontano da lei.

Forse no.

***

Tuyet si domandò se Caligula fosse già malvagia, se fosse sempre stata orribile e fosse incappata in quella vita e nella magia perché malvagia o se fosse stata la vita a renderla così.

La gente le chiedeva cose orribili. Morte, in molti modi e varianti, e raramente le sembrava anche solo lontanamente giustificabile. Il punto era che far morire qualcuno era facile, torturare era facile, così tante cose orribili erano facili da fare, erano magie semplici.

Dopo due settimane a studiare tutte le pergamene che non aveva avuto il permesso di toccare, comprese perché Caligula non faceva mai niente per niente.

Il costo per gli altri tipi di magia era veramente alto. Non era un prezzo calcolabile economicamente, altrimenti sarebbe stato facile perché aveva ancora la fortuna in perle che aveva rubato dal tesoro reale. A meno che non avesse tentato di ricreare lo stile di vita lussuoso che le era garantito a palazzo, non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente per lungo tempo.

Curare malattie era quasi impossibile e, ovviamente, non venivano da lei con ossa rotte o ferite da taglio, che avrebbe potuto risolvere con una ciocca di capelli o una manciata di scaglie. Nessuno era così disperato da chiamare una strega del mare per cose simili. Venivano da lei per malattie interne, ossa in putrefazione e cuori che non battevano come dovrebbero.

Sulle pergamene si diceva che erano richiesti l’ultimo respiro di un ragazzo, i cuori ancora pulsanti di svariate dozzine di delfini e primogeniti.

La vera magia, quella che poteva fare quel tipo di cose, veniva a caro prezzo.

Non le ci volle molto per trovare l’incantesimo che le avrebbe donato le gambe, un tentativo verso la libertà, e scoprì che Caligula non le aveva detto tutta la verità, tralasciando la parte più importante.

Era una sirena con un freddo cuore marino e non sarebbe sopravvissuta in superficie, non per sempre. Per un po’, forse, ma poi il suo cuore di ghiaccio si sarebbe sciolto, uccidendola. L’unico modo per evitarlo, per mantenere le sue gambe e stare sotto la luce del sole, era di sostituire il suo cuore con quello di un umano, un cuore donatole spontaneamente.

Anche se fosse riuscita a raggiungere il suo principe, se il principe Elias si fosse innamorato di lei, avrebbe dovuto convincerlo a uccidersi oppure lasciarlo perché il tipo di magia che le avrebbe concesso di tenere la sua felicità era un tipo di magia che non poteva permettersi.

Poteva distruggere e incanalare la sua magia nella terra fino a squarciarla, spezzare il mondo in due, e non avrebbe dovuto pagare molto. Ma guarire un cuore spezzato veniva a un prezzo troppo caro – otto vergini dalle lacrime prosciugate – e non riusciva a immaginarsi qualcuno che potesse farlo.

Quindi, decise di fare quello che poteva.

A coloro dal cuore spezzato e in lutto cancellava i ricordi dei cari perduti, in modo che non soffrissero più. Per i malati, doveva arrangiarsi con quello che aveva. Poteva sostituire un fegato malfunzionante se ne aveva un altro disponibile e fin troppi cari venivano da lei, supplicandola di passare la malattia su di loro per lasciar vivere coloro a cui tenevano, anche se significava morte certa per loro.

Quando, per la prima volta, venne da lei una donna con gli occhi arrossati, stringendo un fagotto immobile, le si spezzò il cuore.

“Non posso riportare in vita i morti.” Disse. Negli ultimi tempi non era molto gentile perché la gente scambiava spesso la sua gentilezza per debolezza.

“Ti prego,” disse piano, “ti prego, non riesco a nasconderlo e sua madre tornerà presto.”

Tuyet gelò.

“È che mi sono arrabbiata così tanto.” Disse, e girò il fagotto. Tuyet sentì lo stomaco rivoltarsi alla vista del volto tumefatto del bambino, al modo in cui il suo collo era piegato in un angolo strano. “Puoi aggiustarlo? Di solito non si rompono così.”

“Di solito?” Ripeté, intorpidita.

La donna annuì, storcendo la bocca. “Fanno così tanto rumore e io voglio che stiano tranquilli. Si zittiscono sempre prima o poi e allora dico che si sono girati nel sonno o che erano malati. Ma con questo qui non posso. Puoi aggiustargli il collo?”

Non voleva che Tuyet riportasse in vita il bambino. Voleva che la aiutasse a insabbiare un omicidio, uno dei tanti che sembrava aver commesso.

“Sì.” Disse, e stese la mano in modo che il tridente galleggiasse verso il suo palmo. “Sì, posso farlo.”

L’incantesimo per aggiustare il collo e guarire i lividi era facile, anche se lo si eseguiva su un cadavere. Fu più difficile evocare quello per cancellare i ricordi della donna, ma le venne facile dopo aver sacrificato un braccio della donna e un quarto della sua coda per l’incantesimo. Ci vollero entrambi gli occhi e la lingua della donna per far funzionare quello per accelerare i battiti del cuore e riuscì a completare il tutto strizzando il sangue dal suo cuore.

Ovviamente, il trasferimento dell’anima era la parte più difficile, soprattutto con il poco tempo che aveva a disposizione. Dovette usare un incantesimo per separare la carne della donna dalle sue ossa, riducendo queste ultime in polvere e inserendo quanto ottenuto nei polmoni del bambino, calcificandoli centimetro per centimetro, e un incanto che le bruciò le labbra mentre lo recitava.

Non ci mise molto e le venne più facile di quello che credeva, ma le sembrò di averci messo un niente a ridurre la donna a un mucchio di carne sanguinolenta e ottenere un incuriosito bambino vivo tra le sue braccia.

Non poteva riportare indietro il bambino che la donna aveva ucciso. Ma, fortunatamente, a quell’età la maggior parte dei bambini si assomigliava.

“Mi auguro che la tua malvagità fosse un’abitudine perversa e non qualcosa di inevitabile.” Disse al bambino, all’anima della donna costretta in quella forma. “Sarebbe un peccato se tua madre crescesse un mostro.”

Poi le si presentò il problema di come restituirlo. Era sufficiente un incantesimo di localizzazione per trovare la madre, ma non poteva arrivare a nuoto nel bel mezzo di una città.

Fino a quel momento non era mai stata riconosciuta, nessuno aveva mai avuto motivo di riconoscerla dato che lei e la sua famiglia trascorrevano la maggior parte del tempo in fondo all’oceano, al contrario dei suoi sudditi. Le voci su una nuova strega del mare si erano diffuse in fretta e, se suo padre le aveva sentite non ci aveva badato per non causare problemi sottolineando che era stato lui a uccidere la prima. Avrebbe reso nervosa la loro gente sapere che il loro re se ne andava in giro a uccidere i suoi sudditi, anche se si trattava di quelli che tutti sapevano essere malvagi. Forse soprattutto quelli, dato che Tuyet aveva scoperto che molta della sua gente lo era.

Non poteva entrare in città, non per quel motivo, non ne valeva la pena. Ma se non fosse riuscita a restituir il bambino a sua madre, si sarebbe data tutta quella pena per creare qualcosa di simile a un figlio per niente.

La conchiglia con la quale poteva dominare le creature che la circondavano era appesa al fianco di suo padre. Ma questo non significava che non poteva chiedere loro un favore.

Significava, però, che se si fosse trovata un aiutante, avrebbe fatto meglio a essere qualcuno che suo padre non poteva comandare. Il che implicava tutti gli esseri marini. Dunque, aveva bisogno di qualcuno che non appartenesse al mare.

Fischiò e il suono lasciò le sue labbra, trasportato oltre la grotta, fin nelle profondità dell’oceano. Sperò che suo padre non lo sentisse. Non avrebbe capito che era lei, certo, non era qualcosa che le aveva insegnato; ma avrebbe capito cosa stava facendo e poteva essere sufficiente a incuriosirlo abbastanza sulla nuova strega del mare. E, ovviamente, non era quello che Tuyet voleva.

Per alcuni lunghi minuti non accadde niente e lei lo interpretò per un no. Si disse che avrebbe dovuto trovare un’altra soluzione, magari avrebbe potuto costruire una culla e incantarla in modo che arrivasse in citta. Solo che avrebbe reso il bambino vulnerabile, avrebbe potuto essere mangiato o peggio. Il che, come già detto, mandava a monte tutti i suoi sforzi.

Il terreno tremò e, inizialmente, Tuyet pensò che si trattasse di un altro terremoto, a differenza che quello non era opera sua. Solo che si faceva sempre più intenso e vicino e la ragazza sorrise, uscendo dalla caverna con il bambino contro il petto.

La gigantesca testa di un serpente marino emerse dal terreno morbido, e questi scivolò nell’acqua, circondandola con il suo corpo immenso, guardandola dall’alto.

Cetus viveva nella terra, era stato creato dalle mani di Oceano prima che ci fosse un oceano e, anche se viveva nel mare, non ricadeva nel dominio di suo padre; era un qualcosa di diverso che viveva nelle profondità del mare e che suo padre e sua nonna le avevano sempre detto di non cercare.

Ma non aveva cercato nessuno. Era stato Cetus a venire da lei.

“Ho bisogno che tu restituisca questo.” Disse, porgendogli il bambino.

Cetus si avvicinò, crescendo di stazza fino a che i suoi occhi non furono grandi quanto lei, fino a quando Tuyet non poté vedere distintamente che l’argento del suo occhio e niente più. Poi, ebbe un tremito e rimpicciolì, prendendo la forma di un polipo argento scuro. Poi, pese il bambino dalle sue mani con i suoi tentacoli.

“Grazie.” Disse lei, e un tentacolo scivolò lungo il suo volto prima che Cetus si lanciasse verso la città.

Pensava che sarebbe finita lì, che gli avesse chiesto un favore che lui aveva esaudito e che poi se ne sarebbe tornato a fare qualunque cosa facessero nel loro tempo libero i mostri marini più vecchi dell’oceano in cui abitavano.

Solo che il giorno dopo un serpente dalle belle scaglie argentate scivolò vicino all’entrata della grotta e la spiegazione poteva essere solo una. “Ciao,” disse lei, “posso aiutarti?”

Cetus non disse nulla, anche se era sicura che avrebbe voluto. Tuyet poteva parlare con molte creature marine, ma lui era molto di più; era sicura che avrebbe potuto trasformarsi in qualunque forma avesse voluto se avesse sentito il bisogno di parlarle direttamente. Strisciò intorno al tridente, e Tuyet un po’ si aspettava che ci si sarebbe avvinghiato, ma non lo toccò, e scelse di attorcigliarsi attorno alla sua coda, poco prima della pinna.

“Rimani quanto vuoi.” Disse, perché non avrebbe potuto impedirglielo in ogni caso. Era la strega del mare ora, una principessa e figlia di re Proteus, ma non una sciocca. Non più, almeno. Se Cetus avesse voluto mangiarla, inghiottendola in un boccone, l’avrebbe fatto e nessun tipo di magia o protezione che Tuyet aveva a disposizione avrebbe potuto fermarlo.

La sua presenza era una buona cosa. La aiutava a sentirsi meno sola, le dava qualcosa su cui concentrarsi che non fosse la sua stessa rabbia, tristezza o dolore. Aiutava, ma non guariva, e se qualcosa dentro di lei non si era spezzato prima, ora era sicura di essere a pezzi.

La donna che aveva ucciso il bambino era stata la prima persona che aveva ucciso con le sue stesse mani. Felicity l’aveva uccisa con la sua stupidità e non si era mai fatta troppe domande su come qualcuno della gente disperata che veniva da lei si fosse procurato gli ingredienti che richiedeva. Ma era sempre riuscita a dominare la sua rabbia e il suo disgusto, a smussare gli impulsi violenti che non ricordava di avere mai avuto prima. Non con quella donna, non quella volta.

Che fosse sempre stata così, nel profondo? Non pensava. E non credeva neanche che fosse opera della magia. I pensieri e i sentimenti che provava erano i suoi. Non erano altro che il risultato di aver visto il peggio delle persone, ancora e ancora, o forse il meglio, a volte, ma nel peggiore dei modi. Era stata ingenua. Non lo era più e le mancava, in un certo modo astratto. Nessuno si sarebbe mai sognato di approfittare di lei ora, né di farle del male. Ma le mancava la ragazza che era prima di aver raccolto il tridente e il titolo di Caligula, la ragazza che non sapeva di cosa fosse capace la gente, nel bene e nel male.

Si era trasformata nel tipo di persona che uccideva una donna e non ci dava peso. Certo, si era trattato di un’assassina, un’infanticida seriale. Ma rimaneva il tipo di persona che lavorava l’anima di un’assassina in una forma che poteva adattarsi al corpo di un infante e non era certa di quale delle due trasgressioni fosse la peggiore.

Qualunque cosa fosse diventata, non era la persona che era prima, quello che era prima, e non capiva se era una buona cosa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Tuyet era diventata la strega del mare da quasi un anno ormai e non era propriamente felice. Anzi, pensava di essere triste in quel dimenticato lembo di oceano, facendo cose orribili per persone orribili o, a volte, per persone buone, il che la addolorava ancora di più. Almeno aveva Cetus, ma era il suo unico compagno e non le parlava mai.

Non capiva perché un antico mostro marino fosse felice di stare al suo fianco a fare quello che gli chiedeva quando avrebbe potuto inghiottire il mare intero se solo l’avesse voluto. Ma non inghiottiva il mare, anzi. Spesso e volentieri era una piccola medusa che fluttuava vicino alla testa di Tuyet e la ragazza non voleva insistere sulla questione.

Senza di lui sarebbe rimasta completamente sola.

Era il plenilunio e cercava ossa di anca di balena. Se fosse riuscita a trovarle entrambe e a tritarle quella notte, la polvere che ne avrebbe ricavato sarebbe stata particolarmente potente. Forse abbastanza da sostituire il midollo osseo di bambino in un paio degli incantesimi che le venivano richiesti più spesso.

Almeno aveva quel pensiero a confortarla. Per quanto spossata e amareggiata e crudele temesse di diventare, almeno cercava di ridurre gli effetti collaterali dei suoi incantesimi, una cosa che Caligula non aveva mai fatto.

Era un conforto freddo, perfino per sé, ma nessun altro gliel’avrebbe mai rinfacciato.

Tutto questo significava che, quando sentì un leggero strattone alla base della spina dorsale - la sensazione familiare di qualcuno che la evocava -  quasi lo ignorò. Era occupata, ma sapeva che la stavano evocando in superficie, il che significava che si trattava di un umano. Gli umani non la evocavano a meno che non fossero disperati o stupidi e, se non altro, solitamente la questione si rivelava perlomeno interessante.

La notte era giovane, decise, e seguì quella sensazione fino al suo evocatore. Avrebbe avuto tempo a sufficienza per trovare l’osso d’anca dopo aver risolto quella faccenda.

Si trovava vicino alla riva, piuttosto che su una barca, il che le diede un attimo di difficoltà fino a quando non trovò uno scoglio abbastanza vicino alla spiaggia su cui issarsi, stendendosi sul fianco con la coda lungo la roccia.

“Chi mi chiama?” Domandò, voltando il capo per guardare l’umano, e sentì il suo cuore freddo sprofondarle nello stomaco.

Il principe Elias era inginocchiato nella sabbia, il sangue che gli colava dalla mano in una conchiglia e lacrime che gli rigavano il volto. “Sei- sei la strega del mare?”

Non gli era mai stata così vicina da quando gli aveva salvato la vita. Era ancora più bello di quanto ricordasse. Tentò di rispondergli, ma sentiva la bocca asciutta.

“Certo che lo sei. S-scusami. Ho,” il suo volto si contorse, “ti prego, ho bisogno del tuo aiuto. Sono- il mio regno è nel mezzo di una guerra e i miei genitori – loro – non posso salire al trono da solo e la situazione è già abbastanza difficile, non posso trovare alleati se non posso a parlare con i regni vicini in qualità di re e nessuno di loro si arrischia a inviarmi una sposa, non quando siamo così in pericolo, non dopo quello che è successo all’ultima, e il mio consiglio non mi permette di sposare una popolana e,” fece una pausa, prendendo un respiro irregolare, “ti prego. Aiutami. Siamo in guerra e ho bisogno di una regina per avere una possibilità di uscirne. Il mio popolo ha bisogno di una regina.”

In quel momento, la mente di Tuyet venne attraversata da una moltitudine di pensieri. Avrebbe potuto strisciare nell’oceano e fingere che non fosse successo niente. Avrebbe potuto concedere un passaggio sicuro a una principessa di sua scelta. Avrebbe potuto rovesciare i suoi nemici.

Ma una parte di lei era ancora la sciocca e ignorante ragazza che aveva supplicato Caligula. Non poteva negare che una parte di lei fosse ancora egoista e troppo bramosa, a dispetto delle conseguenze.

“A cosa sei disposto a rinunciare?” Gli domandò.

“A tutto.” Rispose, e sembrò che gli uscisse dal profondo, schietto e disperato e primordiale. “A qualunque cosa. Ti prego. Non posso aiutare la mia gente così. Non gli servo a niente come principe.”

Evocare il tridente nella sua mano fu facile e scivolò nell’acqua, usando un po’ del terribile potere che conteneva. La sua coda si divise in due e mutò, trasformandosi in qualcos’altro e, quando camminò sulla spiaggia, completamente nuda, Elias continuò a guardarla negli occhi. Gli tese una mano e lo fece alzare, la sua mano era ruvida in quella di lei, e dovette costringersi a lasciarla andare.

“Una regina in cambio del tuo regno, dunque.” Disse, e si alzò in punta di piedi, premendosi contro di lui, ma si fermò appena in tempo, le labbra quasi sulle sue.

Doveva essere lui a scegliere. Non poteva prenderlo. Doveva essere lui a volerlo.

Sembrò che Elias lo avesse capito perché annullò i pochi centimetri che li separavano, cingendole le spalle, e la baciò, riversandoci tutta la sua disperazione. Tuyet lo baciò con passione e tagliò la sua lingua con i denti, bevendo quelle poche gocce di sangue.

Quel tipo di cose non potevano essere suggellate solo con un bacio, dopotutto. Il sangue era l’unica moneta che aveva valore.

***

Elias le diede la sua camicia per tornare a palazzo. La occhieggiava con diffidenza, com’era giusto che fosse, e parlò per la prima volta dopo il loro bacio quando stavano per lasciare la spiaggia e incamminarsi verso il palazzo. “Tu – non – mi aiuterai, non è vero?”

“Avresti dovuto assicurarti della salvezza del tuo popolo prima di suggellare il nostro patto.” Disse lei, ma si limitò a sorridere alla sua paura.

Non era sempre stata così. Ma la persona che era non sarebbe riuscita ad aiutarlo come poteva fare lei.

“Farò di te un re e salverò la tua isola.” Disse. “Mi prendo cura delle mie cose e ora la tua isola è mia.”

Sarebbe stata disposta a rinunciare alla sua libertà e alla sua felicità per la sua gente e ora anche gli abitanti di quell’isola lo erano.

Il loro patto era chiaro, dopotutto. Gli avrebbe dato una regina in cambio del regno. Sarebbe stata la sua regina se lui le avesse dato il suo regno.

Non sarebbe riuscita a tenerlo, certo, ma lui questo non poteva saperlo e lei non era intenzionata a dirglielo.

***

Si inventarono una storia e Tuyet intrecciò così tanto potere nelle sue parole che, quando la raccontò, la gente ci credette, le credette.

Era una principessa inviata da una delle isole meridionali, la più giovane di sette figlie. La speranza era quella di assicurare un’alleanza con l’isola, ma la sua nave era stata attaccata e distrutta dai pirati. Era a malapena riuscita a nuotare fino a riva su un relitto galleggiante.

Era una storia ridicola ma, perfino senza il suo incanto, Tuyet pensava che a loro non sarebbe importato. Era intenzionata a onorare le intenzioni della sua sedicente isola, a sposare il principe e farne un re e, dopotutto, beh, a loro serviva una principessa. Ne avevano bisogno per rendere il loro principe un re grazie a un matrimonio.

Avevano bisogno di una regina.

Se la occhieggiavano sospettosi, se il chiacchiericcio si azzittiva quando camminava per un corridoio, beh.

Avevano più diritto a diffidare di lei di quanto pensassero. Non avrebbe certo punito il loro buon istinto.

Il matrimonio venne fissato per il giorno seguente, visto che Elias che fremeva dalla voglia di diventare re, di fare qualcosa di concreto per la sua isola. Lo avrebbe trovato carino se non fosse stato così inutile.

Beh, non era più inutile, suppose. Ora avevano lei. Si trasferì nella stanza accanto a quella di Elias e la mancanza di vestiario avrebbe potuto essere un problema, solo che, ovviamente, non lo era.

C’era un intero guardaroba ad attenderla, pieno di vestiti degni di una regina.

Tuyet si infilò uno dei vestiti della donna morta, sentendo la pelle pizzicare. Fingeva di essere umana, ma finiva lì, non avrebbe mentito su nient’altro. Non avrebbe indossato una pelle che non le apparteneva quando la sua le andava ancora bene.

“Ho bisogno di filo.” Disse alla guardia vicino alla porta, facendo capolino con la testa. La sua presenza era una precauzione inutile, ovviamente, perché lei era più forte di qualunque uomo mortale, ma nessuno avrebbe dovuto saperlo. “Molto filo. Un ago. Delle forbici, magari.”

Avrebbe potuto evocarle, solo che non poteva perché anche se nessuno le avesse chiesto da dove le aveva tirate fuori, non poteva più permettersi certe sciocchezze con la sua magia. Più la usava e più si accorciava il tempo a sua disposizione prima che l’incantesimo che aveva lanciato su di sé diventasse impossibile da mantenere.

Lui la fissò, immoto, e Tuyet emise un verso frustrato e gutturale, desiderando di poterlo folgorare fino a fargli sputare una risposta e poi andarsene.

Quel pensiero la sorprese così tanto che si fermò, aprì la bocca e la richiuse di nuovo.

Non era la prima volta che si trovava in un palazzo. Era cresciuta in uno molto più grande di quello, era stata cresciuta come una principessa di un regno molto più vasto, e non aveva mai voluto neanche una volta fare del male alla sua gente. Non voler fare del male alla sua gente era quello che l’aveva portata a diventare la seconda strega del mare, tanto per cominciare, quando avrebbe semplicemente potuto lasciare che Caligula distruggesse pezzo per pezzo lei e il suo regno.

Si era abituata troppo al tipo di persone che la cercava, che erano solo di due tipi. Persone orribili che volevano cose orribili o disperate e, proprio questo, molto più pericolose.

Ma quell’uomo non era niente del genere. Era la sua guardia, l’uomo che Elias aveva scelto personalmente per montare la guardia alla sua porta e proteggerla da ogni pericolo. O almeno, per dare l’impressione che dovesse proteggerla da ogni pericolo. Non che ne avesse bisogno, magia o meno.

“Qual è il tuo nome?” Gli domandò.

Quello si ostinò a non dire niente e Tuyet poteva già sentire il tremore dell’irritazione anche se cercava di contenerlo. Aveva molta più pazienza un tempo; se non per se stessa, almeno per gli altri. Ma, di recente, si era esaurita anche quella, come se l’avesse finita tutta mentre aspettava che Caligula le donasse delle gambe, e ora non ne fosse rimasta più.

“C’è una sarta a palazzo.” Disse la guardia, infine. “Vi potrà modificare i vestiti.”

“Non è quello che ho chiesto.” Disse, fin troppo tagliente, e, anche se l’uomo non fece niente di indecoroso come sussultare, Tuyet notò per la prima volta che era nervoso. Forse perfino spaventato. Di lei.

Non era altro che una fragile donna umana, da quanto ne poteva sapere. Di cosa poteva aver paura?

La guardia ritornò al silenzio e Tuyet si strinse il ponte del naso. “Senti, se ho fatto qualcosa che ti ha offeso, mi dispiace,” non proprio, “quindi ora potresti parlarmi per frasi intere?”

Gli occhi della guardia saettarono tutt’intorno, poi si fissarono dritti nello spazio vuoto oltre la spalla di Tuyet. “Non dovrei parlarvi e voi non dovreste parlarmi. Dovreste fingere che io non esista. Se qualcuno mi vedesse parlare, finirei nei guai.”

Per un attimo, Tuyet pensò che la stesse prendendo in giro, ma non percepì alcun tipo di raggiro da parte sua. “Ma non ha senso!”

La guardia si guardò nuovamente in giro.

Tuyet si stancò di quel giochetto. “Io sono Tuyet, principessa di sangue reale, tua futura regina, e ti ordino di parlarmi.”

L’uomo esitò comunque, ripassando le parole nella sua mente, cercando palesemente di capire se gli avrebbero dato la colpa se li avessero visti.

“Per il becco del kraken,” imprecò, “preferisci forse entrare? Così potremmo parlare e non dovresti preoccuparti che qualcuno ti veda.”

Si voltò verso di lei facendo trasparire qualcosa di simile a genuina irritazione. “Vuole che entri nelle stanze della fidanzata del principe, non accompagnato, con suddetta fidanzata?”

“Non saprei come riuscirei a parlarti da stanze separate.” Rispose. Niente di tutto quello che era accaduto le sembrava complicato, ma la guardia si comportava come se gli avesse chiesto di spostare le montagne quando l’unica cosa che voleva era che le parlasse. “Il principe Elias è forse una persona crudele? Ti mozzerà le dita e darà fuoco alla tua lingua per aver parlato quando non dovevi?”

Sembrò che quello fosse riuscito a sconvolgerlo abbastanza da parlare. “No! Affatto!”

“Allora di cosa hai paura?” Gli domandò.

Riportò lo sguardo lontano da lei. “Avrebbero dovuto affidarvi a una donna, non a un uomo.”

Oh.

Non era spaventato, allora.

Tuyet sentì un’ondata di calore risalirle il collo. Era – quello – era la più giovane delle sue sorelle e una principessa e nessuno avrebbe mai osato dire che era bella nel mare, dove le orecchie di suo padre erano ovunque, e successivamente, in qualità di strega del mare, chiunque la trovasse bella voleva qualcosa da lei in primis e, in ogni caso, lei non si sarebbe prestata a qualcosa del genere.

“Non ha importanza chi mi sorveglia.” Dichiarò. “Il tuo principe ha scelto te e immagino che l’abbia fatto per un motivo. Mi aiuterai oppure no?”

Lui sospirò, come se la trovasse irritante, e quel gesto la irritò meno di quanto avrebbe fatto un momento prima. “Posso recuperare dalla sarta quello che chiedete quando finirà il mio turno.”

“Puoi dirmi dove si trova in modo che possa prendere tutto da sola? Magnifico! Fammi strada.” Indicò di fronte a lei.

Lui le rivolse un’occhiataccia. “Non mi ascoltate affatto.”

“Sono una principessa,” gli ricordò, “e la tua futura regina. Il tuo lavoro è quello di ascoltarmi e non il contrario.” Lui non si mosse e Tuyet alzò gli occhi al cielo. “Bene, allora cercherò fino a quando non troverò qualcuno in questo castello che mi sia utile.”

Era arrivata a metà corridoio quando la guardia la raggiunse di corsa con le sopracciglia aggrottate. “State andando dalla parte sbagliata.”

Tuyet piroettò sui talloni e si diresse nella direzione opposta. “Visto? Non era così difficile, no?” Lui si limitò a guardarla in cagnesco. “Mi dici il tuo nome o devo tirare a indovinare?”

Lui ebbe un attimo di esitazione, ma infine si arrese. “Darius. Vostra altezza.” Tuyet ne rimase quasi delusa, aveva pensato a molti nomi divertenti con cui chiamarlo.

Forse era per quello che si era arreso. Imparava in fretta.

“Grazie, Darius.” Disse, e le labbra di lui si sollevarono agli angoli.

La condusse all’ala della servitù ma, arrivato alla porta, esitò. “Se entrate, renderete nervosa molta gente.”

“Rendo sempre la gente nervosa a dispetto della loro posizione,” lo informò, “quindi faresti bene a portarmi dove dico.”

Lui alzò gli occhi al cielo – il che, pensò Tuyet, era un meraviglioso passo avanti – e le aprì la porta.

Una cameriera con in mano un servizio di porcellana la vide, cacciò uno strillo e lasciò subito cadere il suo carico per farle una reverenza. “Oh no!” Disse con occhi spalancati, accovacciandosi per raccogliere quel disastro. “Sono terribilmente spiacente, vostra altezza!” Si tagliò la mano con i cocci, paonazza in volto, e continuò a raccogliere i frammenti.

Tuyet la prese per il polso, facendola alzare. La cameriera teneva ancora il capo chino. Che problemi avevano tutti per non guardarla negli occhi? “Non farti del male, è stata colpa mia.” Disse, e sollevò la mano della ragazza. Il taglio era superficiale e desiderò di poterla guarire, ma anche se avesse avuto abbastanza energia per farlo, la sua vera natura era ancora un segreto. Prese l’orlo del suo vestito e ne strappò un lembo, cosa che forse non avrebbe dovuto avere la forza di fare con tanta facilità, ma fortunatamente la ragazza era troppo distratta per farglielo notare. “Tieni.”

“Mia signora!” Sussultò lei. “No, il vostro vestito- vado a chiamare mia madre, lei è sarta.” Disse, ed ebbe un fremito quando Tuyet le avvolse il tessuto sul palmo per fermare il sangue.

“Magnifico, proprio la persona che stavo cercando.” Disse, e si guardò dietro la spalla. La sua guardia le rivolse un sorrisino, e va bene, l’aveva avvertita, ma non serviva che ne andasse così fiero. “Darius, potresti sistemare tu mentre vado a parlare con la madre di questa ragazza?”

La cameriera squittì di nuovo. Darius si passò una mano sul volto. “Non dovreste usare il mio nome di fronte ad altri. Si faranno un’idea sbagliata.”

“Tipo quale? Che hai un nome?” Lanciò uno sguardo ai piatti in pezzi. “Sono certa che avrai risolto tutto al mio ritorno.” Passò un braccio intorno alla vita della ragazza e la guidò verso il corridoio.

“Uhm, mia signora,” sussurrò la ragazza, “è dall’altra parte.”

“Non una parola.” Ammonì Darius quando gli passarono di fianco, e l’uomo fece segno di sigillarsi la bocca. Un gesto che l’avrebbe rassicurata molto di più se non stesse ridendo.

La sarta, una donna dal naso delicato e la stazza di una montagna, le fornì gli oggetti che aveva richiesto limitandosi a inarcare un sopracciglio e non esitò a dirle il suo nome quando interpellata. Tuyet decise che Fiona era la sua nuova persona preferita anche se forse l’aveva assecondata perché era avvolta fino agli occhi in seta bianca. Il suo vestito da sposa, si rese conto Tuyet di soprassalto, e il suo pensiero venne confermato da Fiona, che le prese le misure prima che se ne andasse per evitare di rintracciarla quella sera. “Lo cucirai da zero?” Le chiese.

Fiona scosse il capo. “Non c’è tempo. Unirò due vestiti. Lavorerò tutta la notte.”

“Oh.” Si morse il labbro. “Non è necessario, posso sposarmi con un vestito qualunque, davvero.”

“Sarà anche un matrimonio politico, ma rimane pur sempre il matrimonio del nostro principe, vostra altezza.” Disse Fiona. “Non c’è motivo di trattarlo come una cosa da meno.”

“Ah, giusto.” Disse flebilmente. Si era dimenticata che anche Elias si sarebbe sposato e, per quanto ne poteva sapere il suo popolo, il loro matrimonio sarebbe durato per sempre.

Non era così. Lei sarebbe tornata nell’oceano e lui si sarebbe potuto risposare e scegliere per davvero una regina, senza la minaccia di una guerra incombente.

La figlia della sarta, Riley, si offrì di riaccompagnarla alle sue stanze e ora che era sicura che Tuyet non si sarebbe arrabbiata con lei, chiacchierava normalmente.

“È molto bello in estate qui.” Disse entusiasta. “Anche l’inverno è bellissimo, basta che nevichi un poco e sembra che tutto sia ricoperto di diamanti. Avete mai visto la neve? Venite dalle isole meridionali, non credo che nevichi lì.”

“No, infatti.” Rispose. Aveva già visto la neve perché aveva nuotato fino a entrambi i poli con le sue sorelle ma, ovviamente, non poteva dirlo. Un viaggio simile via nave richiedeva molti mesi, se si riusciva a compierlo.

“Vi piacerà moltissimo,” disse Riley calorosamente, “e il mercato è bellissimo e i nostri artigiani sono molto abili, vedrete!”

Tuyet sbatté le palpebre. “Non sono- sono qui. Domani sposerò il principe Elias e lui diventerà re. Non devi vendermi il tuo paese.”

Riley arrossì e chinò il capo, arricciando una ciocca di capelli attorno al dito. “È solo che – non vorrei che rimpiangeste di essere venuta qui. Avete perso molto con il fatto che avete lasciato la vostra isola e poi avete perso il vostro seguito e ora siete qui, sola, e – l’avete fatto principalmente per noi. Sono certa che il principe aiuterà la vostra isola in ogni modo possibile, ma ora come ora, con tutti gli attacchi dei pirati, è un po’ a senso unico, capite. Avete perso tutto per diventare la nostra regina e non ne ottenete niente in cambio.”

Quelle parole la colpirono con forza. Perché era tutto vero, no? Aveva perso il suo regno nella sua brama per Elias, il suo titolo di principessa e la sua casa e ora era lì, più lontana da tutto di quanto lo fosse mai stata.

“Sarò regina.” Disse con gentilezza, ignorando quei pensieri.

Riley si torse le mani. “Se i pirati vincono, sarete regina del nulla.”

Tuyet si fermò e Riley dovette fare dietro front. “Ascolta,” disse Tuyet con fermezza, “i pirati non vinceranno. Non ho attraversato l’oceano per diventare regina di un regno conquistato, dunque non accadrà. Mi hai capita?”

Quella ragazza non aveva motivo di crederle, di pensare che potesse fare qualcosa oltre a sedersi al fianco di Elias mentre tutto bruciava. Riley, però, le rivolse un sorriso piccolo, ma onesto, e le apparve una fossetta sulla guancia sinistra. “Sì, vostra altezza.”

La rabbia e l’amarezza che le erano state fedeli compagne sembravano così lontane in quel momento, con Riley che le sorrideva, che credeva in lei.

Non erano scomparse, lo sapeva. Sarebbero tornate quando si sarebbe sentita irritata o spaventata o arrabbiata. Ma in quel preciso istante, si sentì quasi come prima di nuotare alla ricerca della grotta di Caligula.

“Principessa Tuyet.” Disse Darius da troppo vicino. Non si era resa conto che l’aveva aspettata davanti all’ingresso dell’ala della servitù. Le rivolse una strana occhiata, ma tutto quello che le chiese fu: “Avete preso ciò che cercavate?”

“Sì.” Disse, e strinse la mano di Railey per poi incamminarsi con Darius verso le sue stanze con il cesto contenente i suoi oggetti al fianco. “Grazie per aver ripulito i piatti.”

Lui sollevò un sopracciglio e lanciò un’occhiata in giro per poi sussurrare: “Siete sicura di essere una principessa?” Lei assottigliò lo sguardo, prese uno degli aghi che le aveva prestato Fiona e lo punse nel fianco. “Ow!”

“Cosa dicevi a proposito della servitù che si vede ma non si sente?” Gli domandò con voce melensa. Darius alzò gli occhi al cielo e le prese il cesto dalle mani, portandolo fino alle sue stanze. Sarebbe stato un bel gesto se solo Tuyet non fosse stata sicura al cento per cento che l’aveva fatto per tenere gli aghi fuori dalla sua portata.

Riprese il carico quando arrivarono alla porta. “Rimarrai qui in piedi per tutta la notte, dunque?”

“Fino a quando non arriverà Louis.” Disse. “Vi prego di non provare a parlargli. Gli verrebbe un infarto e morirebbe sul colpo a tanta indecenza.”

“Sembra divertente.” Disse allegra, poi si chiuse la porta alle spalle. Ci appoggiò l’orecchio e non riuscì a trattenere un sorriso quando lo sentì ridere.

Non appena si voltò, si accorse di non essere sola. Un piccolo uccellino si era posato sulla sua finestra, con le ali d’argento nel chiarore della luna. Il cesto le cadde dalle mani e corse verso di lui, crollando in ginocchio di fronte alla finestra. “Cetus!” Sussurrò. “Mi hai seguita!”

Quello cinguettò, e Tuyet tese una mano. L’uccellino ci si posò sopra, arruffò un poco le piume e si accoccolò nel palmo.

“Grazie.” Sussurrò lei. Cetus non aveva lasciato la crosta terrestre per migliaia di anni prima che lei lo chiamasse e ora era lì, all’aria aperta che tanto odiava, solo per seguirla. “Scusa se non ti ho detto nulla, è successo tutto così in fretta.”

Cetus starnutì, poi mutò forma, sciogliendosi in una lucida e argentea serpe del grano, grande abbastanza da potersi avvinghiare attorno al suo polso come un bracciale.

“Capito,” gli disse dolcemente, “non ti lascerò più.”

Cetus rimase in quella posizione, accoccolato contro il suo battito, e Tuyet tirò fuori dall’armadio tutti i vestiti della regina deceduta, mettendosi al lavoro.

Fiona avrà anche potuto farle il vestito che avrebbe indossato l’indomani, ma doveva pur far qualcosa per quelli che avrebbe indossato per i giorni che le rimanevano.

***

Tuyet venne svegliata fin troppo presto da un bussare alla porta.

“Entra pure.” Mugugnò, e si tirò su a sedere. Si rese conto che uno dei motivi per cui si sentiva così poco riposata era che si era addormentata sul pavimento con ancora indosso gli abiti del giorno prima.

“Vostra altezza!” Disse Riley, chiudendo la porta alle spalle e poggiando le mani sui fianchi. “Mia madre mi ha chiesto di prepararvi. Non può vestirvi in questo stato!”

“Nemmeno io ne sono entusiasta.” Ammise, torcendo la schiena e facendo una smorfia alla sensazione dei muscoli che tiravano. Aveva finito di modificare una mezza dozzina di abiti, il che era fantastico, ma forse avrebbe dovuto fermarsi prima di addormentarsi con l’ago in mano.

Riley schioccò la lingua e sembrò quasi la nonna di Tuyet; il pensiero di comparare quella ragazza umana alla sua veneranda nonna, la regina madre del mare, era talmente assurdo che non poté fare a meno di fare una risatina.

“Forza.” Disse Riley sbrigativa, afferrando Tuyet per il braccio e tirandola in piedi. “Andiamo, dobbiamo lavarvi.”

“Lavarmi?” Domandò. “Non ho le mie spazzole.”

“Per i capelli? Non vi preoccupate, non li laveremo. Così sarà più facile che mantengano l’acconciatura.” Tuyet era preoccupata, però, perché non sarebbe riuscita a sfregarsi per bene il corpo senza una spazzola. Riley la trascinò in una stanza attigua collegata alla sua con dentro un ampio catino. Aprì il rubinetto, facendo scendere l’acqua e riempiendolo in fretta.

Un piccolo oceano in miniatura, proprio lì nella sua stanza. Ma certo. Gli umani si lavavano con acqua dolce, non con le spazzole. Dovette resistere all’impulso di interrompere l’incantesimo anche solo per un momento e mettere a mollo la sua coda. Un'altra volta, forse.

Riley le tirò leggermente il vestito e Tuyet alzò gli occhi al cielo per poi spogliarsi. Riley la aiutò a lavarsi e, fortunatamente, sembrava che non si aspettasse che facesse altro che rilassarsi e lasciarle fare il suo lavoro perché Tuyet non avrebbe saputo da che parte cominciare con tutte quelle lozioni e creme da spalmare sul corpo. “Non preoccupatevi.” Disse Riley. La sensazione delle sue unghie corte sulla sua testa mentre le raccoglieva i capelli in una coda frettolosa per non bagnarli era una delizia. “Il principe Elias è molto gentile, quindi sono sicura che stanotte andrà, um, tutto bene.”

“Va bene.” Disse, dopo un momento di silenzio imbarazzato, con la sensazione di essersi persa qualcosa. “Uh, grazie.”

Riley non aggiunse altro e incitò Tuyet ad alzarsi, avvolgendola in un asciugamano. “Forza, se mi sbrigo riesco ad acconciarvi i capelli prima che arrivi mia madre.”

“Va bene.” Disse, e chissà perché sentì nostalgia delle sue lumache marine. Aveva dovuto lasciarle nell’oceano, ovviamente, ma pulita e avvolta com’era in quel bell’asciugamano morbido ebbe la sensazione che una difesa in più non avrebbe guastato.

Riley le raccolse i capelli in uno chignon alto, infilandovi bastoncini impreziositi di perle; poi, prese un piccolo bastoncino dalla tasca e lo usò per truccarle gli occhi di nero. Sembrava che i suoi occhi fossero ancora più marroni. Aveva appena finito quando Fiona entrò con foga nella stanza con delle occhiaie scure sotto gli occhi e un vestito bianco sottobraccio.

“Spogliatevi.” Le ordinò, e Tuyet lasciò cadere il suo asciugamano con un sopracciglio inarcato. Fiona sbuffò, ma Tuyet pensò che quello all’angolo della sua bocca fosse un sorriso.

Dovettero sollevare il vestito in due per farglielo indossare e per chiudere il retro, stringendo i lacci fino a quando Tuyet riuscì a malapena a respirare. “È pesante.” Esalò mentre Riley le infilava un velo di pizzo finemente lavorato sui capelli in modo che le cadesse oltre le spalle fino a terra.

“Già.” Disse Fiona senza particolare enfasi e fece qualche passo indietro, guardandola con occhio critico. Tuyet si voltò per guardarsi allo specchio e, beh, aveva sicuramente l’aspetto di una sposa. Il corpetto era riccamente decorato di perle e l’abito non aveva le spalline in modo che la sua collana, la corona da lei modificata della defunta principessa Felicity, fosse bene in mostra. La gonna era di seta bianchissima tenuta in forma da quelli che sembravano essere centinaia di strati di chiffon e sarebbe stata più lunga di qualche centimetro se non fosse stato per i tacchi mostruosi che le fecero indossare. Il velo di pizzo completava il tutto, aggiungendo struttura all’abito in modo che non risultasse solo un mare di bianco .

Era bellissima, ma il vestito era pesante e costrittivo. Non sarebbe riuscita a correre neanche se avesse voluto e si chiese se fosse quello l’intento che stava dietro a quel design. “Hai fatto un magnifico lavoro, è stupendo.”

“Può andare.” Disse Fiona fuori dai denti, e Tuyet sentì una fitta di rimorso per non essersi mostrata più entusiasta, per non averle detto che lo adorava, quando la sarta ci aveva impiegato così tanto tempo e fatica per cucirlo.

“Ci sarai anche tu?” Le chiese.

Riley rise e Fiona le fece un sorriso. “Ci saranno tutti, vostra altezza.”

Che cosa? Avrebbe voluto domandare loro di più, ma qualcuno bussò alla porta. “Entrate!”

Darius aprì la porta. “È quasi l’ora, dobbiamo andare se-” Si bloccò, fissandola con occhi sgranati.

Tuyet poggiò le mai sui fianchi e si accigliò. “Se cosa?”

“Uh.” Si schiarì la gola e, chissà perché, Riley fece un risolino. “Se non vogliamo fare tardi, vostra altezza.”

“Ebbene.” Mosse qualche passo in avanti, barcollando sulle scarpe, e Riley la seguì per reggerle il velo. Sembrava che Darius stesse trattenendo una risata al suo incedere vacillante, ma le porse il braccio, dunque Tuyet decise di non ammonirlo. Si tenne a lui, cercando di non mettere troppa forza nella stretta per non fargli del male, e drizzò la schiena nonostante quelle ridicole scarpe ai piedi. “Fammi strada.”

Dopo il matrimonio, dopo che sarebbe diventata regina; sarebbe iniziato allora il suo vero lavoro.


 

Note dell’autrice: Devo partire per prendere un volo tra quattro ore.

Note della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: Pensavate che avessimo abbandonato questo progetto, eh? E invece, eccovi il quarto capitolo dopo un'attesa biblica...! Speriamo che sia stata una piacevole lettura <3

Grazie millissime a Nereisi per l'ottimo servizio di betatura <3

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Tuyet si era dimenticata di essersi innamorata del principe Elias quando l’aveva salvato dai flutti, si era dimenticata di quel tenero sentimento affatto materno che aveva provato quando aveva guardato le sue labbra morsicate, sentendo il peso della sua testa sulla spalla.

Ora che lo vedeva vestito con la divisa cerimoniale da capitano, spada al fianco e una corona sul capo, che la aspettava in uno dei tanti salottini, si ricordò, improvvisamente, che un tempo non voleva solo possederlo, ma essere posseduta a sua volta. “Mantenete l’equilibrio.” Borbottò Darius alle sue spalle, e lei gli lanciò un’occhiataccia, ma l’uomo non guardava lei, teneva lo sguardo fisso davanti a sé, conducendola al fianco di Elias.

“Principessa Tuyet.” La salutò Elias, porgendole il braccio. “Va tutto bene? Come state?”

Quella domanda la confuse, ma Darius rispose: “Non è abituata alle scarpe, vostra altezza.”

“Ah,” disse lui, facendo scivolare lo sguardo verso il basso, “non ci si può fare niente, immagino.”

Ora era Darius quello confuso, e Tuyet desiderò di poter pestare il piede di Elias senza che nessuno la notasse. Il principe sapeva che era una sirena, che fino a poco tempo prima non aveva mai camminato su due gambe, senza contare con scarpe complesse come quelle, ma gli altri no e Tuyet intendeva mantenere tale la situazione. “Dove sono tutti?” Domandò, prendendo il braccio di Elias per tenersi salda. “Avremo bisogno di testimoni.”

Elias rise e Darius si incamminò verso una grande porta a vetri che dava sul terrazzo. Notò una donna lì in piedi vestita interamente di nero col capo coperto e Tuyet si domandò se sarebbero andati tutti insieme alla cerimonia. Darius aprì la porta e Elias la incoraggiò ad avanzare; e Tuyet per poco non inciampò alla cacofonia di urla e grida che entrò dalle porte aperte. Si avvicinarono al bordo della terrazza. Nel cortile del palazzo sembrava che si fosse radunata ogni persona dell’isola, sventolando bandiere ed esultando, nobili schiacciati contro popolani, tirandosi gomitate a vicenda nell’emozione generale.

“Un matrimonio a cui non assiste anche il popolo non è un matrimonio.” Le mormorò Elias. “Immagino che i miei antenati abbiano celebrato fin troppi matrimoni segreti ai danni del regno.”

“Oh.” Disse, guardando il mare di gente, la sua gente ora, che aveva giurato di proteggere e di cui si sarebbe presa cura a ogni costo.

Era giusto. Aveva abbastanza esperienza quando si trattava di prezzi da pagare.

La donna in nero fece un passo avanti e, quando parlò, quello sciame di persone si acquietò, anche se non del tutto. Perfino così, la sua voce si levò chiara e forte perché la sentissero tutti, trasportata più lontano di quello che Tuyet pensava fosse possibile, e non riuscì a trattenere una fitta di sospetto. La magia non esisteva esclusivamente al di sotto del mare, dopotutto, ma se i poteri di quella donna si limitavano a rendere la sua voce squillante come una campana, allora si trattava di un tipo di magia che rientrava nei poteri di un praticante occasionale. O forse i suoi poteri era conosciuta ed era per quello che officiava il matrimonio del suo principe.

“Volete voi prendere questa donna come vostra moglie?” Chiese ad Elias, e Tuyet smise di rimuginare per concentrarsi su quello che stava accadendo.

“Lo voglio.” Disse Elias con convinzione. La sua voce non squillò nello stesso modo di quella di lei.

“Volete voi prendere quest’uomo come vostro marito?” Le chiese.

Era un uso molto superficiale della sua magia, ma infuse un po’ di chiarezza e volume nella sua voce quando rispose: “Lo voglio.”

Se la donna si era accorta di qualcosa di strano, non lo mostrò. “Allora per il potere conferitomi dalla luna e dal mare, vi dichiaro marito e moglie.”

Se aveva detto qualcosa sul baciare la sposa, Tuyet non riuscì a sentirla sopra il fragore della sua gente e, anche se l’avesse detto, non c’era tempo. Darius si fece avanti di nuovo, solo che quella volta reggeva un vassoio cesellato con sopra due corone, più grandi e decorate di qualunque corona avesse mai portato un principe o una principessa, incastonate di grandi e pesanti gemme su tutta la superficie disponibile.

Darius rimosse il cerchio dal capo di Elias e lo sostituì con la corona da re. Poi, prese la corona da regina e la posò sul capo di Tuyet. Era pesante e la impacciava, ma lo ignorò e si voltò con Elias per salutare e guardare il suo popolo, sforzandosi per scorgere Riley o Fiona tra la folla, ma incapace di riconoscerle.

Incontrò lo sguardo frastornato di Elias e, insieme, fecero il loro primo passo come re Elias e regina Tuyet.

***

I festeggiamenti durarono fino a notte fonda, sia fuori che dentro il castello. Tuyet non riusciva a ubriacarsi a meno di volerlo; dunque, bevve tanto quanto suo marito per tutta la notte e rise allo stupore o ai commenti genuinamente sorpresi su quanto reggesse bene l’alcol.

Finirono per stuzzicarli a lasciare il banchetto ed Elias inciampò, rovinando addosso a Tuyet. Sarebbe riuscita a prenderlo senza problemi se non avesse avuto addosso quelle ridicole scarpe, ma le indossava; quindi, si rassegnò a cadere in uno spiacevole cumulo sul pavimento.

Darius, che era rimasto alle loro spalle per tutta la serata, li afferrò entrambi per la vita, tenendoli in piedi. “Ti ringrazio.” Disse lei, sistemandosi la corona sul capo.

Lui si limitò ad annuire e si allontanò. Tuyet si era ricomposta, ma Elias no e ondeggiò pericolosamente finché Darius non tornò per mantenerlo fermo in piedi.

“Tutto questo è ridicolo.” Sospirò lei, e si chinò per tirare su il vestito con uno strattone, calciando via i tacchi. Li prese con una mano e tenne sollevato il vestito poco sopra i piedi per non inciampare. “Darius, portalo nelle sue stanze, ti dispiace?”

Lui si pietrificò, comunicandole in modo molto chiaro con il volto che non voleva farlo. Quando lei si limitò a inarcare un sopracciglio, le rivolse un’occhiataccia e disse a denti stretti: “Vostra maestà, sarebbe inappropriato.”

Lei sollevò le scarpe. “Bene. Allora portami queste e io porterò mio marito.”

L’assemblea di nobili proruppe in una risata generale. Il solo pensiero di quella scena doveva sembrargli terribilmente divertente dato che era una ragazza minuta ma, forma mortale o meno, era abbastanza forte da portare Elias a letto da sola. Darius aggrottò la fronte, come se sapesse che l’avrebbe fatto davvero, e poi disse: “Certo, vostra maestà.”

Esitò, ma quando lei inarcò un sopracciglio prese Elias tra le braccia come una sposa. Il re era fin troppo ubriaco per biascicare qualunque tipo di protesta e la risata roboante dei loro ospiti, altrettanto ubriachi, fu quasi assordante. Lei annuì con eleganza e si incamminò lungo il corridoio. Darius la seguiva a qualche passo di distanza, ma quando presero le scale per allontanarsi dal salone principale, Tuyet disse: “Finalmente! Aspetta.” E si tolse la corona per poi sporgersi senza pensarci troppo e togliere con delicatezza anche la corona di Elias. Non aveva idea di come fosse ancora al suo posto visto come si era dimenato, ma forse era solo perché la sua corona era stata fatta su misura mentre non c’era stato tempo per fare lo stesso con la sua. Sperava che fosse quello il motivo, altrimenti avrebbe finito per usare un po’ della sua preziosa magia per tenere quella maledetta trappola sulla testa. “È andata bene, no?”

Darius la guardò storto.

“Oh, suvvia, non ti aspetterai davvero che segua tutte quelle stupide regole, no?” Gli domandò.

Lui continuò a guardare Elias, piccato. Il tutto sarebbe stato più suggestivo se il re non si fosse addormentato per davvero nel poco tempo in cui avevano lasciato il salone principale, accoccolandosi contro il petto di Darius come un bambino.

“Ti ho già detto che voglio sbarazzarmi di questa stupida etichetta.” Lo informò. “Come possono pretendere che non parli con chi mi circonda? Sii ragionevole.”

Lui sospirò, arrendendosi, e la sconfitta era l’espressione che Tuyet più preferiva su di lui. “Regina Tuyet, ve ne prego. Se aveste bisogno di qualcosa da un servitore, chiedete alle vostre dame.”

“Le mie cosa?” Gli domandò atona, continuando a camminare verso le stanze di Elias ora che Darius le parlava di nuovo.

“Un gruppo ristretto di nobildonne che vi assista e sostenga.” Spiegò lui. “Dato che non avete ancora alcun tipo di conoscenza qui, dovreste fare particolare attenzione nella vostra scelta. Innanzitutto, ne parlerei con il re per chiedere una sua opinione.”

Tuyet fece del suo meglio per non fare una smorfia. Sembrava solo un gruppo di donne che le avrebbe messo i bastoni tra le ruote. “Bene. Scelgo Riley, allora.”

“Nobildonne.” Ripeté lui. “Riley è la figlia di una sarta.”

Oh, maledizione. Era così difficile tenerlo a mente. Nell’oceano, la famiglia reale era l’unica forte abbastanza da nuotare abbastanza in profondità da raggiungere il palazzo, dunque tutti i suoi servitori erano anche suoi cugini e cugine. Il che significava che, nonostante le servissero i pasti e le spazzolassero i capelli, la disparità che c’era tra loro non era poi così grande. Erano la sua famiglia, dopotutto, e, anche se lei era una principessa, erano tutti di sangue reale. Lassù, però, le cose erano diverse e non tutti coloro che si trovavano a palazzo erano suoi eguali, ma era difficile ricordarselo. Fuori da palazzo lei rappresentava suo padre e, dunque, c’era un limite ai guai che poteva causare e la violenza era fuori questione, anche se si considerava talmente superiore ai propri sudditi che simili cose le erano sembrate accettabili; mentre il resto del suo tempo lo trascorreva nel castello, con persone che quasi la eguagliavano in potere e sangue. Eppure, nel mondo dei mortali era diverso; lì la classe aveva un’importanza che nel suo regno non aveva e, anche se poteva adeguarsi all’idea, non era sicura di volerlo. “Ebbene, mi sembra ridicolo. Ci sono nobildonne che sanno combattere?”

Per poco lui non inciampò, il che la preoccupò più del solito perché stava trasportando suo marito. “Intendete prendere parte a molti combattimenti, vostra maestà?”

Ovviamente. Era quello che Elias aveva comprato con il suo bacio, con il suo regno. “Forse. Dunque?”

Lui rimase in silenzio fino a quando non furono quasi di fronte alla porta delle stanze di Elias e poi: “Chiederò.” Per poi ritornare stoico e ridicolo una volta che furono vicini alle guardie appostate fuori dalle stanze del re.

I volti delle guardie rimasero impassibili anche di fronte al quadretto ridicolo che dovettero trovarsi di fronte e si limitarono a fare un inchino col capo, aprendo loro le porte per poi richiuderle una volta che furono entrati. Darius depose con delicatezza Elias sul letto, dopodiché sembrò abbastanza confuso sul da farsi. “Mi accompagni alle mie stanze?” Gli domandò lei, anche solo per offrirgli qualcosa da fare.

Lui sbatté le palpebre. “Alle vostre- non intendete rimanere qui?”

Cosa. “Cosa?”

“Con il re- per, uh,” arrossì, “consumare il vostro matrimonio.”

Oh.

Giusto.

Se ne era dimenticata.

Si schiarì la gola e indicò il letto. “Ti sembra che sia in grado di consumare alcunché questa notte?”

Darius fece una smorfia. “No, però, vostra maestà, non darete una bella impressione se non trascorrerete la notte insieme.”

“Immagino di poter dormire qui.” Disse lei, guardandosi meglio intorno ora che suo marito era arrivato a destinazione. Era una stanza pulita e ordinata, eccezion fatta per una vera e propria torre di libri e contenitori di pergamene che era cresciuta a tal punto da strabordare da una grande scrivania decorata, spandendosi sul pavimento. “Non con questo vestito, però.”

Lui rise e disse: “Buonanotte, regina Tuyet.”

“Buonanotte.” Disse lei. Si diresse a passo di marcia verso l’armadio di suo marito e le ci volle mezzo secondo per tirarne fuori una lunga tunica, perfetta da usare per la notte. Le sembrò un’idea geniale fino a quando non cercò di sgusciare fuori dal suo vestito e questo non si mosse di un millimetro. Sbirciò da dietro la spalla e vide Darius con la porta aperta che faceva per andarsene. “Darius, aspetta! Aiutami a togliere questo vestito!”

Lui si fermò, il che era un bene, ma nemmeno rientrò nella stanza, il che non era poi così bene.

“Darius!” Ripeté lei, sentendo un lampo di irritazione che soffocò alacremente. Era una regina, non avrebbe dovuto ripetersi.

Le spalle di Darius si alzarono fino a toccare le orecchie, ma l’uomo arretrò di un passo e richiuse lentamente la porta. Il suo volto era di un rosso acceso quando si voltò. “Vostra maestà. Era davvero necessario?”

“Non posso dormire con questo addosso.” Disse lei con quello che riteneva essere un tono di voce ragionevole. Poi si voltò. “Come si toglie?”

Lui non accennò a muoversi e mancò poco che Tuyet non sbottasse di nuovo, ma Darius sospirò e le si avvicinò. Sentì le dita di lui sfiorarle il collo mentre l’uomo iniziava a sbottonare i numerosi bottoni del retro del vestito. Cetus strisciò lungo il tavolino da toilette del principe in forma di un cobra argentato e si accoccolò vicino alla brocca d’acqua. L’aveva lasciato nella sua stanza quella mattina, ma non era sorpresa del fatto che non ci fosse rimasto. Darius si fermò, ma non disse nulla in merito; come se fosse perfettamente normale per una regina tenere un animale simile nelle stanze di suo marito. Forse lo era. Non sapeva poi molto su come si comportassero le regine umane. Forse tutte avevano un serpente che adornava la loro toilette. Finalmente il vestito si afflosciò, scivolandole lungo i fianchi, e Darius premette una mano sul retro del corsetto. “Questo riuscite a toglierlo da sola, giusto?” Lei gli lanciò un’occhiataccia da dietro la spalla. Lui annuì, evitando il suo sguardo. “D’accordo. Va bene.”

“Sono solo vestiti.” Disse lei, costringendosi a pronunciare quelle parole con calma e pazienza. “E poi non dovresti essere la mia guardia del corpo?”

“Qualcosa del genere.” Disse lui, e lei alzò gli occhi al cielo. Comunque, Darius tirò e strattonò i lunghi lacci del corpetto che le correvano lungo la schiena fino a quando non li allentò, permettendole di tornare respirare con facilità. Tuyet espanse la cassa toracica per ingoiare una lunga boccata d’aria.

Sganciò le chiusure sul davanti in modo che il corpetto le scivolasse via di dosso e sgusciò fuori dal resto del vestito, scostandolo da lei. Quando si voltò, Darius stava sia guardando il soffitto che coprendosi gli occhi con una mano. Sarebbe stato carino se non fosse stato ridicolo. Tuyet alzò gli occhi al cielo e si infilò la tunica di Elias. “Adesso puoi guardare.”

Lui sbirciò da dietro le dita e le richiuse di nuovo. “Non dovrei proprio vedervi in questo stato, vostra maestà.”

Il suo matrimonio ne avrebbe risentito se avesse picchiato la sua guardia del corpo per averla fatta innervosire. “Ti ringrazio per il tuo aiuto, Darius. Sei congedato.”

“Vi ringrazio, regina Tuyet.” Rispose lui, e lei si sentì leggermente insultata da quanto sembrasse sollevato.

Però era anche vero che Darius finì a sbattere contro un muro mentre se ne andava perché si rifiutava di aprire gli occhi; quindi, Tuyet finì col ridere mentre lui apriva la porta e sguisciava fuori dalla stanza.

Quando la porta si richiuse alle sue spalle, rimasero solo lei ed Elias e la quiete della stanza. Si sedette alla toilette e Cetus chiuse pigramente gli occhi. Per quella parte poteva cavarsela da sola, dopotutto. Ripulì il carbone che le rifiniva gli occhi e sfilò gli spilloni dall’acconciatura per sciogliere lo chignon che le aveva fatto Riley, sentendo sorgere una leggera emicrania ora che non era più concentrata sui capelli così tirati da tenderle la pelle del volto.  Elias non aveva un pettine nella sua toilette, quindi Tuyet si passò le dita tra i capelli, sciogliendo i pochi nodi che si erano subdolamente formati da quella mattina.

Ora non aveva altro da fare se non andare a dormire.

Si avvicinò al letto e, osservando suo marito addormentato, la colpì il pensiero che forse nemmeno lui avrebbe voluto dormire con quei vestiti addosso, con la giacca riccamente decorata e tutto il resto. Per prima cosa gli sfilò le scarpe, poi la giacca, tirandolo su a sedere per togliergliela con facilità, spogliandolo lentamente degli strati del suo rango fino a quando non fu in mutande e sottoveste. Ci mancò poco che si svegliasse più di una volta nel mentre, borbottando e aprendo a malapena gli occhi per poi abbassare di nuovo le palpebre. Tuyet scostò le coperte, sollevando Elias quanto bastava per sfilare le coperte da sotto di lui, e si infilò nel letto, rimboccando le coperte a entrambi. Il letto era grande più che abbastanza per due persone, avrebbe potuto invitare Darius a dormire con loro e ci sarebbe stato ancora posto, quindi si aspettava che non avrebbe notato la sua presenza più di tanto.

Era raggomitolata lontano da lui e stava per addormentarsi, ma sentì il suo braccio cingerle il fianco e all’improvviso era sveglia. Elias sapeva che lei era una strega del mare, non era certo così stupido da-

“Ehi,” disse lui, in quello che sembrava pensasse essere un sussurro, ma che non lo era affatto, “ehi! Noi- sei- il mio regno è tuo, ora.”

“Sì.” Disse lei, e non si mosse per guardarlo né fece alcunché per impedirgli di avvicinarsi a lei quanto bastava da poggiarle il mento sulla spalla.

“Lo salverai, non è vero?” Le domandò. “Me l’hai promesso. Se te l’avessi dato, l’avresti tenuto al sicuro.”

“Sì,” concordò lei, sentendosi a disagio per quella conversazione senza sapere bene il perché, “certo. Hai pagato il tributo.”

“Giusto.” Asserì lui, più piano. Poi: “Sarà- stanotte? Lo farai stanotte?”

Come se sbrogliare il suo regno da quel ginepraio di guerra fosse semplice quanto schioccare le dita. Ma Elias era ubriaco e disperato e talmente caldo contro la sua schiena che non l’avrebbe sgridato per quello. “Non questa notte, no.”

“Oh.” Rimase in silenzio per un momento. “Va bene.”

Tuyet avrebbe voluto fargli altre domande, ma lui affondò il volto nei suoi capelli e prese a russare piano vicino al suo orecchio. Lei gli scostò il capo in modo che non le stesse troppo vicino, ma la presa di lui era così salda sulla sua vita che avrebbe dovuto svegliarlo per smuoverlo e, dopotutto, non stava così scomoda. Quindi optò per chiudere gli occhi, ascoltando le onde dell’oceano al di fuori della sua finestra, e scivolò nel sonno.

***

Se Elias fu sorpreso di ritrovarsela nel letto il mattino seguente non lo diede a vedere, e aprì lentamente gli occhi, sorridendole quando la scoprì a fissarlo invece di renderle le cose difficili come Tuyet si aspettava che facesse.

“Bene.” Disse lei, scendendo dal letto e mettendosi in piedi. “Mostrami la tua flotta.”

Lui si mise a sedere e si strofinò gli occhi. “Possiamo fare colazione prima?”

“Sei un re,” gli rispose lei, “sono certa che sai mangiare e camminare insieme.”

Lui si trascinò fuori dal letto e si tolse la maglia, lasciandola cadere a terra, per poi frugare nel suo armadio. Tuyet si godette la vista della sua schiena nuda e tonica. “Va bene. Ma dovremmo vestirci, almeno.”

Stava dedicando fin troppa attenzione a due camicie dello stesso identico colore e la cosa la turbava. Non l’aveva mai visto incline a quelle vanità prima di allora, sebbene il tempo che avesse trascorso con lui poteva essere misurato più in ore che in giorni. Portò il braccio vicino al pavimento in modo che Cetus potesse arrotolarsi attorno al suo polso, ancora una volta così piccolo da sembrare niente più che un braccialetto a un occhio poco attento. “Se non sei vestito al mio ritorno ti trascinerò mezzo nudo di fronte a tutti i tuoi sudditi.”

“I nostri sudditi.” La corresse lui, e Tuyet sentì una vampata di calore risalirle la schiena. “È la prima volta che mi vedranno come re e non vestito per il mio matrimonio.”

Non capiva perché mai gli sarebbe dovuto importare cosa indossasse il loro re fintantoché non gironzolasse vestito di stracci, ma era lungi dall’essere un’esperta di costumi sociali degli umani, quindi si limitò a dire: “Non cambia quello che ho detto.” Per poi aprire la porta e dirigersi verso le sue stanze. “Darius.” Disse, sorpresa, chiudendo la porta. “Cosa ci fai qui?”

C’era due guardie fuori dalle stanze di Elias, diverse da quelle che c’erano la scorsa notte, ma c’era anche Darius, in piedi e in silenzio come gli altri. Non cambiò espressione in alcun modo e Tuyet recepì il messaggio forte e chiaro, dicendo: “Va bene, vieni con me e rimani fuori dalle mie stanze mentre mi vesto, poi io e Elias andremo al cantiere navale.”

Fece quanto gli aveva chiesto senza che dovesse ripetersi due volte, il che sarebbe stata una piacevole novità se, appena fuori dalla portata di orecchie indiscrete, non avesse detto: “Non dovreste vagare per i corridoi senza vestiti.”

“Sto indossando dei vestiti.” Disse lei, tirando un pochino il bordo della tunica che aveva preso in prestito. “E perché questi corridoi sono sempre così vuoti? E perché i quartieri del re e della regina sono così distanti tra loro? Camminare da un’ala all’altra del castello ogni volta che voglio vedere mio marito non mi sembra molto pratico.”

“I servitori non devono essere visti né sentiti.” Disse, il che non era altro che un’altra regola irritante e inutile. Le sembrava anche improbabile. Che i servitori avessero le loro porte e corridoi? “Sua maestà al momento risiede nelle stanze adibite agli eredi della corona, mentre al vostro arrivo ha richiesto che veniste sistemata nelle stanze della regina. Gli alloggi del re si trovano di fronte ai vostri.  Gli averi del re verranno trasferiti e le sue precedenti stanze pulite e chiuse a chiave fino a quando non ne avrete bisogno.”

Le ci volle un momento per comprendere che Darius si riferiva a un ipotetico bambino che lei ed Elias avrebbero avuto e scacciò quel pensiero prima ancora di iniziare a fantasticare. Anche se, per dirla senza mezzi termini, dividevano il letto, se ne sarebbe andata molto prima di poter generare un erede. Ma non avrebbe comunque voluto tenere i suoi figli in un’ala separata del castello. “Oh. Capisco. Mi aspetterai fuori dalla porta o mi vuoi svestire di nuovo?”

Gli ci volle un secondo, fissandola a bocca aperta, per capire che lo stava prendendo in giro. “Vostra maestà,” disse con aria di disapprovazione, “non è affatto gentile da parte sua.”

“Non ho mai detto di esserlo.” Disse lei, allegra, per poi chiudergli la porta in faccia.

Desiderava molto farsi un bagno, mettersi in ammollo nell’acqua calda e sonnecchiare nella luce del sole che filtrava dalla finestra, ma per quanto idillico fosse quel pensiero, aveva del lavoro da fare. Dunque, si strofinò in fretta con un panno giusto per rendersi presentabile e si raccolse i capelli in uno chignon raffazzonato, che non le venne bene quanto quello che le aveva fatto Riley il giorno prima.

Si mise uno dei vestiti che aveva modificato il giorno prima. Il bustino era rigido ma non la stritolava, e la gonna aveva degli spacchi fino alla coscia. Si infilò un paio di leggings leggeri e degli stivali di pelle senza tacco. Il risultato era un abbigliamento bello, con cui poteva anche correre e combattere. Anche solo le gambe erano qualcosa di abbastanza nuovo e confusionario per lei senza doverci aggiungere eventuali costrizioni. Il corpetto era rimasto quasi lo stesso, ma senza alcuni dei ricami concentrati sulle spalle che le impedivano i movimenti.

Bussarono alla porta e Tuyet aprì, ritrovandosi davanti Elias, che indossava un completo perfettamente abbinato di velluto blu e la corona del re sul capo. Teneva la corona di lei tra le mani. “Buongiorno, Tuyet.” Disse, ma non la guardò in volto, concentrato com’era sul suo abbigliamento, sul modo in cui aveva modificato i vestiti della sua defunta madre. Per un momento, Tuyet pensò di aver commesso uno sbaglio, che forse avrebbe dovuto sprecare energia per evocare dei nuovi abiti o mendicare da Fiona dei vestiti inutilizzati sui cui sperimentare. Poi, però, Elias sorrise e Tuyet pensò che fosse addirittura sollevato. “Hai dimenticato la tua corona.”

Lei fece una smorfia, prendendola dalle sue mani. “C’è qualcuno a cui possiamo farla regolare? Non mi sta molto bene.” Sarebbe stato molto, molto più semplice per lei aggiustarsela da sola, ma dovette nuovamente ricordare a se stessa che sarebbe stato più saggio conservare i suoi poteri per cose di cui avrebbe avuto davvero bisogno e non per cose come assicurarsi che la propria corona le calzasse bene.

“Certo.” Disse lui. “Andiamo.”

Darius e una guardia che non riconobbe li seguirono per gli anfratti del castello, e Tuyet fece del suo meglio per ignorare gli sguardi che la seguivano ovunque. Era un volto nuovo e la loro regina, il che era interessante abbastanza da far sì che i loro sguardi l’avrebbero seguita per molto tempo, dunque avrebbe fatto bene ad abituarcisi. Elias la presentò a una donna con gli occhi sporgenti e un’indomabile chioma argentea di nome Priya, che prese in carico la corona e le disse: “Sì, certo, guardatela, non può andarle bene.” Con uno strattone aprì un mobiletto pieno di gioielli inestimabili, ficcandoci dentro la corona come se fosse stata un piatto di poco conto, e aprì una serie di cassetti altrettanto pieni di diamanti e rubini luccicanti per poi voltarsi con aria trionfante con una corona d’argento senza guglie aguzze né pietre giganti, bensì incastonata di gruppi di minuscoli diamanti.

“Non credo che sia appropriata al suo rango.” Esordì Elias.

Tuyet sventolò una mano, interrompendolo, e fece un passo avanti. Laggiù vedeva solo a lume di candela, ma sembrava che la corona brillasse anche solo grazie a quella luce. “È bellissima.”

Priya le sorrise e sollevò la corona, aspettando che Tuyet si chinasse a sufficienza per posargliela sul capo. A differenza dell’altra, quella le stava alla perfezione. L’argento si scaldò subito a contatto con la pelle ed era talmente leggera che notava appena la sua presenza.

“Speravo che potessi fare qualcosa per aggiustare l’altra.” Disse Elias.

Priya scosse il capo. Qualunque remora avessero tutti in quel castello di offendere un reale, sembrava che lei non la condividesse. “Questa è più adatta. C’è altro, vostre maestà?”

“No.” Disse Tuyet, passando il braccio attorno a quello di Elias prima che lui potesse smentirla. “Ti ringrazio.”

Priya fece loro un inchino distratto e tornò a lavoro, sedendosi a un tavolo zeppo di smeraldi e portando una lente di ingrandimento all’occhio. Sembrava che fossero spariti per lei.

Elias teneva le sopracciglia aggrottate, ma Tuyet lo trascinò via. “Il cantiere navale.” Gli ricordò, perché era lì per un motivo.

“Giusto.” Disse lui. “Perché ci vuoi andare?”

“Per vederne lo stato, ovviamente.” Disse lei. “Siamo in guerra. Di quante navi disponiamo? Di quanti uomini e donne per governarle? In che stato è la nostra armeria? Si tratta di navi da guerra che possono sopportare un paio di scontri oppure di navi mercantili armate alla buona con poche possibilità di ritorno? Immagino che qualcuno abbia tenuto un registro degli attacchi, inclusa la loro frequenza e il danno che hanno causato.”

Elias sembrava sconvolto, come le guardie, anche se pensò che non lo fossero per lo stesso motivo. Darius e l’altra guardia erano sconvolti perché si aspettavano che lei fosse niente più che una semplice sposa ed Elias perché probabilmente non si aspettava che lei volesse vincere quella guerra con la strategia. Ma non aveva altra scelta. Non poteva vincere quella guerra con un incantesimo, non possedeva quel tipo di magia. Avrebbe potuto evocare una tempesta per affondare future incursioni, ma se non avessero combattuto la radice del problema, se non avessero dato mostra di una forte potenza militare, non importava quante navi avrebbe affondato. Non poteva rimanere per sempre, dunque aveva bisogno che quel regno diventasse forte abbastanza da non necessitare i miracoli di una strega del mare. Soprattutto perché la prossima che avrebbero potuto evocare non sarebbe stata gentile quanto lei.

“Circa trecento navi,” rispose lui, “un misto di quanto hai detto prima. La nostra marina militare consta di poco più di ventimila soldati pronti a combattere, e altrettanti in ruoli di sostegno, come cuochi ad esempio. Anche loro sono addestrati a combattere, ma non conterei sul fatto che possano durare a lungo in battaglia.”

Non una forza considerevole, da quanto aveva osservato nuotando lungo le coste, ma neppure un niente. Avrebbe dovuto essere sufficiente contro gli attacchi pirata, anche se sembrava che ogni pirata della zona avesse deciso di prendersela con un’isola di cui non gli era importato nulla fino a quel momento. Capire la causa di quanto accadeva le avrebbe permesso di capire come fermarli con più facilità, ma non poteva semplicemente afferrare un pirata e chiederglielo.

Beh. A dirla tutta…

Avrebbe potuto, certo, non era particolarmente difficile trovare pirati nell’oceano e usare la magia quando era nella sua forma originaria le veniva più semplice che farlo quando cercava di mantenere una forma umana. Gli incantesimi della verità non le costavano molto, erano uno dei pochi servizi che offriva come strega del mare che non richiedevano qualche atrocità per essere eseguiti e non c’era motivo di non usarli su un paio di pirati.

“Tuyet?” La spronò Elias quando lei rimase in silenzio.

Lei rispose anche se era per metà concentrata sul suo piano di sgattaiolare via nel mare quella notte per cercare qualcuno di utile. “E quante di queste navi ti sono state fornite dai tuoi alleati?”

“Nessuna.” Rispose lui, e l’occhiataccia che gli rivolse lei in risposta fu sufficiente a far indietreggiare di mezzo passo la guardia di Elias, che si sbrigò a rimettersi al passo, ricordandosi dei suoi doveri. Elias non se ne accorse e Tuyet non gliel’avrebbe certo fatto notare, ma Darius rivolse all’uomo uno sguardo di disapprovazione. “I miei genitori non ne avevano fatto richiesta e, in seguito, io non ero ancora re, mentre i trattati dispongono che questi siano validi solo tra monarchi, non tra regni.”

Tuyet non voleva metterlo in imbarazzo davanti ai suoi sudditi, non quando avrebbe continuato a regnare su di loro anche dopo che lei sarebbe ritornata nel mare; quindi si limitò ad annuire, senza fargli notare che se quei monarchi fossero stati veramente interessati a onorare i trattati, se avessero davvero voluto aiutarli, non avrebbero lasciato che il testo del loro accordo ne ostacolasse lo spirito.

Ma avrebbero avuto tempo per parlare più tardi ed era sicura che non fosse niente che i consiglieri di Elias non sapessero già. Dunque, per il momento, lasciò che le mostrasse il cantiere navale, presentandola a ogni capitano che incontravano.

Quella notte avrebbe scoperto che cosa stava succedendo sulla sua isola.

 


 

Note dell’autrice:

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Da un lato, a Tuyet sembrava ridicolo che persone destinate a passare il resto della loro vita insieme vivessero separate, anche solo da un corridoio. Anche se immaginava che i matrimoni politici fossero un problema maggiore quando non si esercitava il proprio dominio con qualcosa di misurabile, come la magia. Il mondo degli umani aveva moltissimi monarchi, ma il mare ne aveva uno solo. I re e le regine del mare non si sposavano con coloro che odiavano.

Dall’altro lato, il fatto che suo marito non fosse lì a farle domande andava a suo vantaggio.

Indossava lo stesso vestito di quella mattina, nonostante avesse cenato ore prima e la luna fosse alta nel cielo. Le sembrava inutile sporcarne un altro, visto che avrebbe lasciato i suoi sulla riva sperando di trovarli ancora lì al suo ritorno. Doveva investigare, doveva capire chi era il responsabile, e il modo più facile per farlo era trovare un pirata e tirargli fuori la verità a suon di magia, e il modo più facile per farlo era ritornare sirena per una notte.

Al momento, il suo problema era come poter, di preciso, raggiungere il mare. C’erano guardie fuori dalla sua stanza, e non per impedirle di uscire, in realtà, ma l’avrebbero di certo notata se fosse passata loro davanti, e poi qualcuno avrebbe potuto chiedersi perché spariva nel bel mezzo della notte, cosa che avrebbe solo portato ad altre domande a cui non aveva interesse a rispondere. Aprì la finestra e salì sul davanzale, guardando l’orizzonte. Era un peccato che fosse così in alto. Certo, era forte abbastanza da scalare il muro. L’unica pecca era che ci avrebbe messo un po’ e se qualcuno avesse dato un’occhiata fuori dalla propria finestra avrebbe visto uno spettacolo molto strano. Cos’avrebbe messo più in allarme gli umani? Una regina che scala le mura del castello o una che sparisce nuda nel bel mezzo della notte per poi tornare il mattino dopo come se nulla fosse successo? Qualcosa le diceva che nessuna delle due sarebbe stata particolarmente ben accetta.

“Vostra maestà, non fatelo!”

Sbatté le palpebre e si guardò alle spalle, ma non vide nessuno.

“Non ne vale la pena! Vi prego!”

Tuyet guardò in basso. Due piani più sotto c’era una nobildonna in camicia da notte sul balcone che stringeva un fazzoletto con occhi spalancati e umidi. “Va bene.” Disse lei, perché la donna le sembrava parecchio scossa. “Cosa non vuoi che faccia?”

“Non saltate.” Disse lei, in lacrime. “Comprendo che questa terra vi possa sembrare strana, e che Re Elias sia strano, ma ve ne prego – non di nuovo, la sua precedente sposa ha già saltato verso la sua morte!” La corona della Principessa Felicity che portava al collo le sembrò all’improvviso un cappio, ma non ci fece caso. “Non lo sopporterebbe una seconda volta. Vi prego, non fatelo.”

“Non lo stavo facendo.” Esordì, poi si interruppe e sospirò, premendosi il ponte del naso. “Solo, aspetta lì. Non muoverti.”

Si voltò, afferrò la base del davanzale e scese coi piedi così da rimanere appesa.

La donna urlò.

“Fa silenzio, per favore.” Disse Tuyet, cercando di non sembrare arrabbiata. Fu più facile di quello che pensava. Era perlopiù esasperata. Lasciò la presa, cadendo e atterrando sul balcone di fianco alla donna. Se fosse stata umana, si sarebbe perlomeno rotta una caviglia, ma non lo era. La donna si era coperta la bocca con le mani, cosa che Tuyet apprezzò. “Grazie.”

Lei abbassò lentamente le mani. “Vostra – vostra maestà. Se posso chiedere, uhm, cosa – perché – se voi, in realtà, quel che voglio dire è. Cosa state facendo?”

La prima parte era abbastanza confusa, ma la seconda era decisamente facile. “Non stavo saltando. Volevo solo andare a fare una passeggiata.”

“E non potevate usare la vostra porta?” Le domandò, con un tono così gentile e attento da far trasparire che la credeva senza dubbio pazza e che avrebbe voluto davvero tanto dirglielo.

“Volevo fare una passeggiata da sola.” Le disse. “Ci sono guardie fuori dalle mie stanze. Volevo vedere se potevo sgattaiolare fuori dalla finestra. Non volevo spaventarti.” Le offrì la mano. “Ovviamente, tu sai chi sono, ma non credo che ci siamo mai incontrate. Oppure sì e me ne sono dimenticata. Mi dispiace.”

“Non ci siamo incontrate.” Disse lei, facendo una profonda reverenza. Tuyet abbassò la mano, impacciata. “Sono Lady Isobel. Conoscete mio fratello, immagino.”

Tuyet non ricordava i nomi di nessuno dei lord che aveva incontrato. Ce n’erano così tanti e indossavano tutti gli stessi abiti blu e bianchi. Perlomeno, le lady avevano vestiti diversi. “Scusa, chi è tuo fratello?”

Isobel aggrottò le sopracciglia, e fantastico, era riuscita a offenderla. Avrebbe voluto poter spostare i capitani della marina a palazzo, con loro andava d’accordo. “Darius, vostra maestà.”

“Chiamami Tuyet.” Disse. “Darius è tuo fratello?” Fece una pausa; non voleva dire la cosa sbagliata, ma era ancora confusa. “Le guardie qui sono nobili?” Se lo erano, allora tutta quella cosa del non parlare era ancora più ridicola di quanto pensasse.

“Non lo sono.” Isobel abbassò lo sguardo. “È figlio di mio padre, ma non di mia madre. Le mie scuse, non è appropriato riferirmi a lui come fratello.”

Quel posto l’avrebbe fatta impazzire, e così il modo in cui la vedeva la sua gente e la realtà sarebbero andate perfettamente a braccetto. “Perché? Avete lo stesso padre, dunque siete fratelli. Non riuscirei a definirvi in altro modo. Forse tua madre è nobile e tuo padre un popolano ed è per questo che tu sei una lady e lui non un lord?”

Isobel la fissò per un momento, poi scosse il capo. “Vostra maestà, entrambi i miei genitori sono di nobile lignaggio. I miei genitori, però, sono sposati. La madre di Darius era una cuoca. Mio padre non l’ha sposata.”

“Giusto.” Disse, fingendo che per lei avesse senso. “E il fatto che i suoi genitori non siano sposati lo rende meno figlio di suo padre?”

Isobel la guardò con attenzione per un momento, poi disse: “Sì.”

Quel posto era assurdo.

“Giusto.” Disse. “Va bene. Beh, tuo fratello mi piace molto, si rende molto utile e a volte mi ascolta, il che è molto gentile da parte sua. Hai una guardia davanti alle tue stanze? Potrei andarmene da qui? Oppure potrei saltare dal balcone, immagino.” Rifletté, sporgendosi per vedere dove fosse il balcone più vicino.

Isobel la afferrò per il braccio e la tirò indietro. “Vostra maestà!” Tuyet sbatté le palpebre, guardando la mano stretta intorno al suo avambraccio. Isobel abbassò il braccio e fece parecchi passi indietro, inchinandosi profondamente. “Vostra maestà, sono costernata, vi prego di perdonarmi!”

“Va bene.” Disse. Isobel sussultò e per poco non sollevò il capo, ma lo tenne chinato. “Non è niente. E ti ho detto di chiamarmi Tuyet, questa cosa del vostra maestà è troppo lungo. Posso usare la tua porta? A meno che non ci siano guardie fuori, in tal caso forse la tua finestra.”

“Non sono così importante da avere una guardia.” Disse lei, alzando lentamente lo sguardo su Tuyet, che cercò di sorriderle per incoraggiarla. “La vostra maestà può ovviamente usare la mia porta, se è ciò che desidera.”

Oh, fantastico, era molto meglio che scalare le mura del castello. “Ti ringrazio.” Disse, e le toccò la spalla passandole di fianco.

Isobel le chiese: “State andando solo a fare una passeggiata, vostra maestà?” Tuyet si fermò, girandosi per guardarla. Isobel si abbracciava stretta, e il modo in cui si costringeva a sorridere era terribile. “È solo che, se doveste andarvene e non fare ritorno, non credo che il nostro Re riuscirebbe a riprendersi.” Poi, ancora più piano: “O mio fratello.”

Era lì solo da un paio di giorni, era certa che se la sarebbero cavata. Un Re vedovo era pur sempre un Re. Ma non disse niente di tutto questo e promise: “Tornerò.” Isobel annuì, non del tutto convinta, ma Tuyet non poteva sprecare altro tempo per cercare di convincerla.

I corridoi erano più vuoti a quel piano, e fu molto più facile sgattaiolare fuori rispetto alla sua camera. Si era quasi dimenticata delle guardie all’esterno del castello e per poco non si fece beccare. Fare il giro dal retro le prese più tempo, ma fu probabilmente più facile che cercare di oltrepassare le guardie senza farsi notare. Una di quelle notti sarebbe dovuta tornare alla sua grotta e prendere qualcuno dei suoi incantesimi su pergamena. Una conteneva una sorta di pozione dell’invisibilità, ma non ci aveva mai dato peso perché non aveva mai pensato che le sarebbe servita. O forse avrebbe semplicemente chiesto a Cetus di andarla a prendere per lei. Sapeva leggere di sicuro, aveva vissuto migliaia di anni.

Beh. Probabilmente sapeva leggere, ma se nella sua lingua, quella era tutta un’altra storia.

Raggiunse la spiaggia senza farsi scoprire e si guardò intorno finché non trovò un paio di rocce alte il doppio di lei. Si svestì, piegando i vestiti e posandoli sulla sabbia insieme ai suoi stivali. Era in un punto abbastanza alto, così non doveva preoccuparsi che la marea se li portasse via. O perlomeno, non se ne doveva preoccupare se fosse tornata prima del mattino, cosa che avrebbe fatto. Non sapeva per quanto Elias poteva tenere segrete le sue sparizioni, e non voleva far preoccupare Isobel.

Corse sulla sabbia, i polpacci che le dolevano, e non poté trattenere un sorriso quando si immerse sotto le onde. Sciolse l’incantesimo che la costringeva in forma umana e le sue gambe si intrecciarono per fondersi e formare la sua coda.

Erano passati solo pochi giorni, ma le era mancata. Forse era un errore. Lanciare e rilanciare l’incantesimo per le gambe richiedeva più del suo limitato controllo di quanto ne valeva la pena, incideva nettamente sulla magia a sua disposizione e, sul serio, non avrebbe dovuto arrischiarsi a farlo di nuovo, perlomeno non se usava solo la sua magia e non qualche tipo di sacrificio per rendere la trasformazione più facile. Oppure, beh, immaginò che avrebbe potuto usare il suo tridente, ma la magia legata alla perdita di solito richiedeva troppo sforzo agli oggetti direzionali e non ne valeva la pena. Fu facile per lei evocare il tridente nella sua mano, prendendolo da quel posto che era e non era lì al tempo stesso, ma ora aveva un secondo problema.

Gli incantesimi di tracciamento e viaggio erano facili già di per sé, figurarsi con il tridente. Doveva solo decidere chi tracciare.

Conosceva il nome di moltissimi pirati. Avrebbe potuto sceglierne uno qualsiasi, e di certo tutti sapevano rispondere alle sue domande, e non importava che le rispondessero volontariamente o meno perché aveva i suoi mezzi. L’unica cosa di cui aveva bisogno era il nome. Poteva essere chiunque.

Ma conosceva un paio di pirati che aveva incontrato di persona. Intelligenti e forti, che erano già diventati leggenda a pieno titolo, che non avevano attaccato la sua isola, dunque non c’era neanche motivo di ucciderli dopo.

Non era così ingenua da credere che avrebbe vinto quella guerra per la sua gente ed Elias senza sporcarsi le mani. Non si preoccupava di quel tipo di sporco da tempo, da quando Caligula era morta e lei aveva preso il suo posto facendo cose ben peggiori di uccidere. Ma il fatto di non dover iniziare a quel modo era un bel pensiero, che potesse andare a cercare – beh, non un amico, per l’esattezza, ma neanche un nemico.

Il tridente brillava nella sua mano, e in un angolo della sua mente c’era ancora del dubbio, buoni motivi per non farlo, ma li ignorò e disse: “Capitano John Darling.”

Sentì uno strattone all’ombelico che la tirava nella direzione in cui si trovava il Capitano, e non era troppo tardi, poteva ancora terminare l’incantesimo e cercare un altro pirata da poter torturare senza sensi di colpa. Invece aggiunse l’incantesimo di trasporto a quello di tracciamento e lasciò che la trascinasse dove doveva arrivare.

Si aspettava che l’incantesimo l’avrebbe fatta sbucare da qualche parte vicino alla riva, pensando che se era fortunata si erano sistemati su una città costiera, perché di certo dopo essere stati attaccati da Caligula, e più di una volta a quanto sembrava, si erano lasciati il mare alle spalle.

Invece l’incantesimo la portò nel mezzo dell’oceano, a sud da dove veniva a giudicare dai dintorni tropicali. Era la stessa nave con la stessa ciurma della scorsa volta, e il Capitano John Darling era sul ponte, urlando ordini con una bambina sul fianco.

Usò lo stesso incantesimo che aveva già usato per farsi portare sul ponte dalle acque, solo che questa volta aveva il controllo per evitare di farsi catapultare a bordo come un pesce boccheggiante. La ciurma urlò e si fece indietro, e Tuyet guardò John, dunque vide il momento in cui lui sentì le urla e vide l’acqua che si muoveva con la coda dell’occhio. Estrasse una pistola dalla cintola, la stessa dell’ultima volta, ma quando gliela puntò il suo volto si era già illuminato per averla riconosciuta.

Le acque la deposero in modo che fosse seduta su uno dei forzieri a bordo, la coda srotolata sulle assi. Usò il tridente per tenersi in equilibrio per non cadere sul ponte. “Sei viva.” Disse John, rinfoderando la pistola. “Ci speravo.”

Lei sorrise senza volerlo e non riuscì a pentirsene. “Ciao, Capitano Darling.”

“Per favore, chiamami John.” Disse, proprio quando la porta che portava sottocoperta venne aperta di botto. Ana e Maria si lanciarono fuori mezze vestite con la spada in mano, palesemente attirate dalle urla della ciurma. Sembravano confuse dal non trovarsi sotto attacco da parte di una nave nemica, ma la loro confusione si dissipò quando posarono lo sguardo su di lei. Alzarono le spade all’unisono. Ana riusciva a essere decisamente intimidatoria anche per essere una donna senza mutande. “Ricorderai le mie mogli, immagino?”

“Tesoro.” Disse Maria a denti stretti. “Cosa succede?”

Lui fecce spallucce. La bimba che teneva in braccio iniziò a masticare il bordo della sua giacca. “Non ne ho idea. Abbiamo ospiti a quanto pare.”

“Ospiti.” Disse Ana, monocorde.

John lanciò un’occhiata a Tuyet e poi annuì con decisione. “Sì, sembra proprio di sì.” Indicò la ciurma, intenta ad accalcarsi contro il fianco della nave per allontanarsi da lei il più possibile senza dover saltare in acqua. “Forse sarebbe meglio continuare il discorso nei nostri alloggi? Sembra che la sua presenza metta alcuni a disagio.”

A Tuyet non interessava granché dove parlare, ma: “Se usassi l’oceano per spostarmi nella tua stanza, la inonderei.” Non era una minaccia, era solo che non poteva rendere l’acqua asciutta. Beh, avrebbe potuto, ma non ne sarebbe valsa affatto la pena.

“Nessun problema. Ti ci può portare Ana.” Disse lui.

Ana alzò gli occhi al cielo. “Oh, ma davvero?”

“Mi rincresce,” disse John, ma dalla sua voce non gli rincresceva affatto, “ma ho le mani piene.”

“Oh, so io di cosa sei pieno tu.” Disse Ana, ma si stava già avvicinando a Tuyet. “Ti dispiace?”

Tuyet scosse il capo, ma la avvertì: “La coda pesa più di quanto sembra.” Avrebbe potuto lanciare un incantesimo per rendersi più leggera ma, ancora una volta, stava cercando di preservare la sua magia. Se proprio doveva lanciare incantesimi di alterazione del peso, tanto valeva lanciarne uno di levitazione su di sé e risparmiare agli altri la fatica di trasportarla.

Ana si limitò a sollevare gli occhi al cielo. Tuyet si rassegnò a spiattellarsi a terra con un tonfo sgraziato, ma Ana le passò un braccio dietro la schiena, l’altro all’altezza della piega naturale della sua coda, e la sollevò, tenendola contro il suo petto per distribuire il suo peso, tenendola sollevata al tempo stesso.

“Tornate al lavoro.” Berciò Ana alla ciurma, e poi si diresse sottocoperta. Maria le tenne aperta la porta, e Tuyet non poté evitare di sentirsi nervosa mentre facevano le scale, anche se sapeva che non sarebbero state delle scale a ucciderla, ma Ana la portò senza fiatare fino agli alloggi del capitano, depositandola con cura su una sedia decorata dietro a una grande e imponente scrivania. L’effetto sarebbe stato molto più intimidatorio se non fosse stato per la vezzosa culla di vimini rosa nell’angolo della stanza.

John le seguì, chiudendo la porta con un colpo d’anca. “Ho sentito che Caligula è morta.”

“Non l’ho uccisa io.” Disse lei. “Non sono venuta per parlare di Caligula.”

“Beh, io sì.” Disse lui, sedendosi sul bordo della scrivania. Maria si fece avanti per prendere la bambina – figlia sua e di John, a quanto pareva – e ritornò al suo posto di fianco ad Ana. Maria con una bambina in braccio, proprio come Ana senza mutande, riusciva comunque a trasmettere la sua totale capacità di trucidare qualcuno e la sua mancanza di rimorso nel farlo. “Se non l’hai uccisa tu come fai a essere sicura che sia morta? Chi l’ha uccisa?”

Carezzò l’idea di non rispondere, di lanciare l’incantesimo di verità e andarsene. Ma Ana si era occupata di trasportarla lì sotto e c’era una buona possibilità che sarebbe morta se John non fosse intervenuto per difenderla da Caligula quando si erano incontrati. Non pensava di essere in cattivi rapporti con quegli umani e non c’era alcun motivo di cambiare le cose. “Ho visto il suo cadavere. L’ho trasformato in spuma di mare io stessa.” Poi, in parte per vedere come John avrebbe reagito, aggiunse: “Nessuno ha cantato per lei.”

John sorrise, un che di soddisfatto nelle linee intorno alle labbra. “Bene.” Poi: “E hai preso il suo posto, quindi. Avevo sentito che c’era ancora qualcuno con cui fare un patto, se lo si desiderava.”

“Sì.” Disse lei.

“Sei qui per riscuotere il suo debito?” Chiese Ana, mentre Maria teneva la bimba ancora più stretta al petto.

Tuyet non aveva ancora deciso se sentirsi offesa o rassicurarle, quando John disse: “No, non lo farà. Guardate il suo tridente. Non ha alcun bisogno di coltivare la magia potenziale.”

“La sua magia non è infinita.” Disse lei, ma in parte ci aveva preso. I suoi limiti non erano di potenziale, bensì di controllo. Tra la sua magia naturale e quella che aveva riversato nel tridente, ne era piena. Il suo problema era la forza, di cui Caligula si era così tanto preoccupata. Poteva usare solo una parte della sua magia prima che questa le si ritorcesse contro ferendola, prima di perderne il controllo. Mantenere la sua forma umana non era sostenibile, non senza un cuore umano, e visto che non prevedeva di prenderne uno, le uniche cose che la tenevano sulla terra erano il suo potere e il controllo. Ogni incantesimo che lanciava e oncia di magia che usava le richiedeva uno sforzo sempre maggiore e infieriva su quanta ne poteva controllare. Più magia usava, più si avvicinava velocemente al limite degli incantesimi che le permettevano di camminare sulla terraferma.

John inarcò un sopracciglio, come se non le credesse davvero, ma non sarebbe stata lì a spiegarglielo. Dirgli che i suoi unici limiti erano la sua morale e la sua forza, non il suo potere, non le pareva una buona mossa da nessun punto di vista. Ma lui la sorprese e disse: “Imparerai a controllarlo usandolo più spesso. Non preoccupartene troppo.”

“Chi sei? Sai fin troppo.” Scattò lei, presa in contropiede.

“È questo che sei venuta a chiedermi dopo tutta la strada che hai fatto? Chi sono?” Aprì le braccia. “Sono il Capitano John Darling.”

“Cosa sei, allora.” Si corresse lei con freddezza, e iniziò a pensare che forse era stato un errore, che estorcere informazioni da un pirata qualunque sarebbe stata la scelta più ovvia e corretta da fare e che aveva solo incasinato tutto.

Lui guardò le sue mogli, sospirò, e prese a sbottonarsi la camicia.

“John!” Urlò Ana, frapponendosi tra loro. “Che stai facendo? Non hai imparato la lezione con Caligula?”

“E tu?” Le domandò lui, non in maniera sgarbata, ma le spalle di lei si ingobbirono comunque. “Tesoro, te ne prego.”

Ana rimase tra loro, la schiena tesa, e poi esalò un respiro brusco, facendo un paio di passi indietro. John finì di sbottonarsi la parte alta della camicia e la aprì.

Sullo sterno, campeggiava una spessa cicatrice pallida.

“È terribile,” sussurrò lui, “essere amati così tanto, ma non abbastanza, e vedere come del tuo amore non rimanga altro che una cicatrice.”

Non era impossibile, ma era improbabile. Eppure, era proprio lì di fronte ai suoi occhi. “Sei- sei come me?”

Lui rise e scosse il capo. “Non proprio.” Si mise in piedi e le fece un inchino, piegando del tutto il busto. “Onorato di fare ufficialmente la tua conoscenza, Principessa. Non ero altro che un semplice tritone senza nemmeno una briciola del potere che possiedi tu come membro della famiglia reale.”

“Sai chi sono?” Chiese lei con un filo di voce. Ana e Maria la fissavano, come se stessero cercando di capire cosa faceva di lei una di sangue reale senza però raccapezzarsene.

Si rimise dritto e tornò ad appoggiarsi alla scrivania. “Non proprio, no. Sei una delle figlie di Re Proteus, immagino, ma non sono mai riuscito a stare dietro al gossip di corte dunque non saprei dire quale. Non mi preoccuperei troppo di venire scoperta, ti ho conosciuta prima che prendessi il soprannome di strega. Solo un reale avrebbe potuto avere il potere che avevi allora, e solo un membro del ramo principale della famiglia avrebbe potuto domare il tridente di una come Caligula.”

Tuyet non disse nulla. Avrebbe dovuto scappare, perché la conosceva, avrebbe potuto trovare il modo di dirlo a qualcuno del mare, e la tenue esistenza che era riuscita a rimettere insieme dalle ceneri di chi era stata in passato sarebbe andata in pezzi. Suo padre l’avrebbe rinchiusa per sempre, se non giustiziata per ciò che aveva fatto. “Potrei cancellarti la memoria.” Disse. Le sarebbe costato molto, l’incantesimo era abbastanza complicato da accorciare il tempo che avrebbe potuto passare sulla terraferma. Ma per preservare la sua sicurezza ne sarebbe valsa la pena, giusto?

Ana e Maria erano tese, ma John non sembrava preoccupato. “Potresti.” Concordò. “Quindi potresti anche dirmi il vero motivo per cui sei qui. Non che tu abbia niente da perdere visto che puoi semplicemente cancellarci la memoria, se è ciò che sceglierai di fare.”

Era un discorso perfettamente ragionevole. La irritò comunque. “Prima finisci di raccontarmi di te. Le tue due mogli sono qui. Entrambe hanno ancora il loro cuore. Che ti è successo?” L’incantesimo per consumare e assorbire il cuore di un umano che ama il recipiente non avrebbe dovuto lasciare cicatrici.

“È successo molto tempo fa.” Disse, sprezzante. Lei si limitò a inarcare un sopracciglio. Lui sospirò. “È ingiusto, Principessa. Tu puoi costringerci a dimenticare i tuoi segreti, ma i miei segreti, una volta tuoi, lo saranno per sempre.” Lei incrociò le braccia. Lui cedette, ma Tuyet ebbe l’impressione che la stesse canzonando. “Amavo un uomo. Si chiamava Diego. Era molto bello e molto povero, e io ero molto stupido, quindi sono andato da Caligula e ho stretto un patto. In cambio del mio cuore, avrei avuto una stagione per far innamorare Diego di me. Mi disse che se Diego mi avesse dato il suo cuore, non avrei avuto bisogno del mio. Altrimenti, darle il mio cuore mi avrebbe ucciso.” Sorrise, con un certo disprezzo per se stesso. “Credevo che fosse una metafora. Ma non lo era, ovviamente. Quando l’ho scoperto, mi sono rassegnato a morire. Amavo Diego e non l’avrei mai ucciso. Ma quando lo scoprì, lui- cercò di trovare un altro modo, ma non funzionò.”

Oh. Il contesto aiutava, in parte. “Ha cercato di darti il cuore di qualcun altro. Qualcuno che non ti amava.” Quello spiegava la cicatrice, perlomeno.

“Non ho mai scoperto chi avesse ucciso.” Disse, quasi più a se stesso che a lei. “Immagino che non importasse. Pensava che la mia vita fosse più importante di quella di un altro. Ma non pensava che valesse quanto la sua.”

“Ma sei qui.” Disse lei piano, quasi desiderando di avere le gambe per raggiungerlo e cullarlo un poco, per ascoltare il suo cuore assassinato e sentire a che ritmo batteva. “Non ti ha ucciso?” Pensava che lo avrebbe ucciso, non salvato da Caligula.

Lui sbuffò. “Evidentemente no. Ma non mi ha lasciato proprio illeso.” Tuyet ebbe l’impressione che non parlasse della cicatrice sul petto. “Dunque, Principessa, cosa posso fare per te?”

“Cosa c’è che non va?” Gli domandò lei. Non era quello il motivo per cui era venuta lì, ma ora era lì, e lui era parte del suo popolo, qualcuno a cui Caligula aveva fatto del male come aveva cercato di farne a lei, che aveva perso tra le sue grinfie non solo un cuore ma anche un figlio. “Se posso aiutarti, lo farò.”

Maria la guardò con una smorfia. “Perché? A che prezzo?”

“Io sono la Principessa Tuyet del mare, figlia di Re Proteus.” Disse lei, parlando a Maria, ma guardando John. “Tu sei uno del mio popolo. Ti aiuterò, se posso.”

John la guardava, ma Tuyet non riuscì a comprendere l’espressione sul suo viso. “Sei anche una strega del mare.” Poi, più piano: “Non pensavo che fossi la principessa più giovane.”

“Dimmi cosa c’è che non va.” Disse lei. “Se avessi voluto farvi del male l’avrei già fatto, e non è successo, quindi non lo farò.”

John si limitò a continuare a guardarla senza parlare. Forse avrebbe finito per usare davvero un incantesimo della verità, solo che sarebbe stato per capire cosa attaccava l’isola e cosa non andava in John Darling.

“Non può stare a lungo sulla terraferma.” Disse Ana. Maria e John si girarono verso di lei, Maria furiosa e John sorpreso, ma nessuno dei due provò a fermarla. “Il suo cuore inizia a battere troppo velocemente e in modo troppo irregolare se sta lontano dall’acqua per troppo tempo. Lo ucciderebbe. Perché credi che siamo su questa nave, anche dopo aver saputo che Caligula ci inseguiva? Non possiamo stabilirci in una città costiera perché ci conoscono, e non possiamo stabilirci nell’entroterra perché morirebbe. Non invecchia normalmente, parla di questa storia come se fosse successa dieci anni fa, ma è passato quasi un secolo. A volte, i suoi polmoni smettono di funzionare, e a volte per minuti interi devo guardarlo soffocare con la testa fuori dall’acqua. Ha perso il suo freddo cuore marino e quello umano non ha attecchito del tutto, quindi è entrambe le cose e nessuna delle due al tempo stesso e questo un giorno lo ucciderà. Puoi fare qualcosa?”

L’ultima parte la disse con una disperazione che era in parte sfida e supplica.

“A dire il vero,” disse Tuyet lentamente, “credo sì. Prima ho un altro problema da risolvere, e credo che mi possiate aiutare, ma conoscono una città costiera dove potreste stabilirvi finché non ci riesco. Vi aiuterò anche se non mi aiuterete, ma prima sistemo questo casino e prima potrò sistemare te.”

“Ci conoscono dappertutto.” Disse Maria.

“Oh, non dovrete nascondervi,” disse lei, “al contrario. I pirati attaccano la mia isola e voglio che mi diciate perché, e poi voglio che mi aiutiate a fermarli.” Sembravano sempre più confusi. Avrebbe comunque dovuto prendere la strada lunga per tornare a casa con loro, quindi lanciò l’incantesimo di trasformazione e il tridente si scaldò nella sua mano mentre la sua coda si divideva in due, permettendole di accavallare con grazia le gambe. Ana e Maria arretrarono allarmate, ma l’unica reazione di John fu, per la prima volta, di genuina sorpresa. “Non sono solo la Principessa Tuyet del mare, figlia di Re Proteus. Sono anche la Regina Tuyet, moglie di Elias, e desidero il vostro aiuto.”

C’era un modo di dire umano sul combattere il fuoco col fuoco.

Lei avrebbe combattuto i pirati coi pirati.

***

Note dell’autrice:

Spero che vi sia piaciuto!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ana e Maria le prestarono dei vestiti, visto che non era di certo pratico per lei aggirarsi nuda per la nave.

Tuyet li adorava.

Pantaloni blu scuro spessi e attillati, una frusciante camicetta bianca con un gilet turchese e un paio di robusti e pratici stivali di cuoio per camminare con facilità. Ana le intrecciò addirittura i capelli, arrotolando la treccia in uno chignon alto in modo che non le desse fastidio. Magari potesse vestirsi così a palazzo, comoda e pratica senza scarpe complicate o vestiti svolazzanti che la intralciassero.

La ciurma sembrava meno terrorizzata da lei ora che avevano capito che non era lì per torturali né ucciderli. Non era l’essere sirena il problema, a quanto pareva, ma una strega del mare che li aveva preoccupati così tanto, anche se non credeva che ciò che stava per fare avrebbe aiutato in questo senso. Era quasi l’alba ormai, e ci sarebbero volute settimane per tornare veleggiando alla sua isola da dove si trovavano. Non poteva sparire per settimane né tornare da sola per poi aspettare che la nave di Darling la raggiungesse, sprecando tutto il suo prezioso tempo. Non poteva permetterselo.

Dunque, avrebbe dovuto trasportarli tutti da sola.

Poteva spostarli in acqua a velocità tali da raggiungere la meta in un paio d’ore manipolando lo spazio che la circondava, barando un poco con la manipolazione fisica e temporale, proprio come faceva per viaggiare per lunghe distanze, ma in scala più grande. Ma non poteva farlo se circondata dall’aria, e anche se potesse, probabilmente non dovrebbe. Sarebbe stato alquanto impossibile per chiunque li avesse visti viaggiare comprendere o ignorare quello che avevano visto, dopotutto.

Era al timone della nave, con John e Ana Darling al suo fianco. Maria e sua figlia, Ariana, erano al sicuro sottocoperta con la ciurma. Sarebbe stato più sicuro quando l’incantesimo avrebbe attecchito, ma il procedimento poteva rivelarsi difficile e non l’aveva mai fatto prima.

“Sicuri di non voler aspettare in un luogo più sicuro?” Domandò loro Tuyet, il tridente in mano.

“Non me lo perderei neanche se mi pagassi.” Disse John, e Ana annuì in assenso, gli occhi illuminati dalla curiosità.

Tuyet sospirò. “Solo. Va bene.” Schioccò le dita e una cima si animò, arrotolandosi attorno alla vita di Ana e John per assicurarli insieme, per poi avvilupparsi attorno alla sua. “Non muovetevi.”

“Dove dovremmo andare?” Borbottò Ana, sistemandosi abbastanza da accoccolarsi conto il petto di John invece di essere malamente spiaccicati insieme.

Tuyet li ignorò, sollevando il tridente sopra la testa. Valutò di fare un movimento scorrevole, da poppa a prua, che sarebbe stato più facile fisicamente e magicamente parlando, ma c’era una probabilità fin troppo alta che affondasse la nave. Che non sarebbe stato un problema per lei, ma sicuramente lo sarebbe stato per il resto degli umani a bordo.

Dunque, fece roteare il tridente sopra la testa, mantenendo un ritmo costante e bilanciato, e lasciò che il suo potere crescesse attorno alla nave gradualmente. L’acqua ribollì attorno a loro, piroettando verso il tridente mentre Tuyet manteneva calma l’acqua sotto la nave. Quando l’acqua si sollevò piano, fino quasi a riversarsi sul ponte, Tuyet usò la mano libera per direzionare un altro flusso di magia attorno alla nave, erigendo una barriera tutt’intorno per repellere l’acqua a una dozzina di piedi di distanza.

La nave affondò.

Lentamente, sprofondò sempre di più, e un piccolo tsunami si sollevò attorno a loro trascinando la nave al disotto della superficie delle onde nell’occhio della tempesta, così che potessero ancora vedere il cielo notturno sopra di loro. La barriera resse, l’acqua che gorgogliava tutto intorno, finché non si furono immersi completamente, sospesi da una sacca d’aria, ma il piccolo tsunami imperversava ancora sopra di loro.

Ora veniva la parte difficile.

Smise di controllare lo tsunami e afferrò il tridente piantandone l’impugnatura a terra.

L’acqua si riversò dentro, abbattendosi sulla barriera e rovesciando la nave. Tuyet rimise la nave dritta prima che potesse rovesciarsi, ma la forza dell’impatto fu sufficiente da sentire il morso bruciante della corda sulla pelle e John e Ana vennero sbalzati via; non finirono addosso al parapetto della nave solo perché erano ancora legati a lei, quindi incespicarono e caddero a terra.

Tuyet non si curò di loro, troppo concentrata a eseguire bene la parte successiva. Erano a malapena al disotto della superficie e se voleva che funzionasse, dovevano essere molto più in profondità. Il problema era che gli umani erano delicati, e se fosse andata troppo in profondità la pressione li avrebbe uccisi anche se avessero avuto ancora ossigeno. Dunque, doveva mantenere la pressione attuale all’interno della barriera anche a miglia di profondità nell’oceano, a profondità che avrebbero ucciso anche alcune sirene.

Quel tipo di magia di trasporto funzionava meglio a pressioni elevate e per questo era complicata anche per coloro che praticavano magie avanzate. Doveva gestire quello e quanta magia poteva risparmiare per mantenere la pressione interna così diversa da quella esterna.

Alla fine, raggiunsero il punto perfetto, abbastanza in profondità da permetterle di governare l’incantesimo di trasporto ma non troppo da impedirle di mantenere la barriera. A quel punto, le fu facile finire di lanciare l’incantesimo e mantenere stabile la barriera. Le richiedeva comunque magia, certo, ma ora che non doveva cambiarla e plasmarla attivamente, era più facile da mantenere.

“Tutto bene?” Chiese loro, finalmente capace di dividere la sua concentrazione in modo da non essere troppo presa dall’incantesimo.

Ana si guardava attorno meravigliata, un sorriso luminoso in volto mentre girava la testa, cercando di guardare ciò che la circondava tutto in una volta, come una bambina emozionata. Era stranamente tenero vedere una piratessa temuta e sanguinaria così ammaliata.

John la fissava.

Tuyet non poté evitare di sentire il disagio strisciarle sottopelle mentre la guardava con occhi spalancati e la bocca aperta. Schioccò le dita e la cima si allentò e cadde. Ana corse verso il fianco della nave ma esitò e cambiò meta, dirigendosi sottocoperta per chiamare gli altri.

“Stai bene?” Ripeté Tuyet, non capendo se doveva sentirsi offesa o preoccupata, o beh, qualcosa visto il modo in cui John la guardava.

Lui scosse il capo. “Principessa, so che – era solo che non me lo aspettavo. È stato incredibile.”

“Beh, ho imparato tutto da Caligula.” Rispose lei, e cercò di non suonare amareggiata come si sentiva. Perfino ciò che non aveva imparato da Caligula in persona l’aveva appreso dalle sue pergamene dopo la sua morte.

“No.” Disse lui lentamente. “No, non credo.”

Voleva chiedergli cosa intendeva, ma venne distratta dagli altri che uscivano sul ponte e correvano alle fiancate della nave, tutti meravigliati tanto quanto Ana, e sorrise senza pensarci. Amava l’oceano. Era la sua casa, anche se era affascinata dal mondo degli umani, anche se era rimasta affascinata da Elias prima ancora di conoscerlo, si trattava di voler andare altrove piuttosto che lasciare il suo posto. Era bello vedere persone che lo apprezzavano, così deliziate di vedere anche solo un oceano buio, di trovarsi nel mare e innamorarsene all’istante.

Conosceva quella sensazione.

“Dovrai parlargli.” Disse lei, raccogliendo l’incantesimo di trasporto tra le mani, preparandosi ad applicarlo alla barriera per portarli tutti alla sua isola. “Il mio popolo non sa cosa sono. Mi credono una principessa di un piccolo regno meridionale.”

John sbatté le palpebre. “Tu – come pensi di spiegare la nostra presenza? Come sei riuscita a creare un trattato tra un principe e una nazione inesistente?”

Le ci vollero alcuni secondi di confusione per capire di cosa parlava. “Oh, Elias lo sa. Mi ha evocata e ha stretto un patto per salvare il suo regno. Nessun’altro lo sa, però, solo il re. Non dovete mentire a lui. Ma tutti gli altri mi credono umana. Beh, a dire il vero, non credo che Elias sappia che sono una principessa, non era un’informazione così pertinente.” Si prese un momento per riflettere sulla sua prima domanda. “Dirò semplicemente che ho preso una nave ma ne ho perso il controllo e sono naufragata nell’oceano, ma fortunatamente mi avete salvata.”

Si prese un momento per lanciare l’incantesimo di trasporto e rise alle urla allarmate ed entusiaste della ciurma quando la nave si mosse nel mare a velocità che nessun vascello normale poteva sostenere, figuriamoci viaggiare. L’acqua sembrava pulsare attorno a loro, un effetto dell’incantesimo di trasporto che saltava molti spazi fisici per portarli alla meta il più velocemente possibile.

“Mi sembra abbastanza assurdo.” Disse lui, e lei fece spallucce. Che altro potrebbero pensare? Che era una strega del mare? Improbabile. “Cosa ti ha dato il re in cambio del tuo aiuto?”

Lei fece un sorrisino. “Tutto e niente.” John aggrottò le sopracciglia. Non doveva giustificarsi con lui, ma era ciò di più vicino a un sirenide che avesse incontrato dopo così tanto tempo, qualcuno che aveva fatto le sue stesse scelte, qualcuno che non era venuto da lei chiedendole cose impossibili, cose che o la facevano infuriare e annerivano il suo cuore o minacciavano di romperlo. Sentiva che forse poteva parlargli ed essere capita. Lui conosceva sia il mondo del mare che quello dell’aria, dopotutto. “Gli ho chiesto il suo regno, ma non posso tenerlo. Lui non lo sa ed è importante che questo non cambi. L’intento e il desiderio di sacrificio non sono così potenti come un vero sacrificio, ma sono comunque potenti.”

“Perché dovresti salvare un regno che non puoi tenere, per un prezzo che poi devi restituire?” Chiese lui.

Lei fece spallucce, spostando la sua attenzione sul guidare la nave con l’incantesimo. Non era così veloce come quando trasportava se stessa e doveva prestarci un po’ di attenzione. La nave e le persone che trasportava non erano resistenti come lei, rendendo il tutto più complicato. “Si sta bene qui, con gli umani, non credi?”

Erano strani e un poco diffidenti, ma anche interessanti e gentili. Sarebbe dovuta tornare nell’oceano, visto che era la temuta strega del mare, ma fino ad allora poteva godersi tutto quello, essere la strana e nuova regina, colei che avrebbe salvato l’isola di Elias per lui.

John non la guardava più. Guardava le sue due mogli, invece, Ana che teneva Ariana sul fianco, Maria seduta a prua. “Già.”

Tuyet lo punzecchiò sul fianco. “Va bene, dimmi che succede alla mia isola. Il re precedente era rimasto in buoni rapporti coi pirati per anni. Che è successo?”

Glielo disse.

Era peggio e meglio di quanto avesse temuto.

***

Tuyet non poteva portare la nave al porto, anche se avrebbe potuto, perché far emergere una nave pirata dall’oceano di fronte a tutti sarebbe stato leggermente difficile da spiegare; dunque dovette farlo più al largo nella speranza che nessuno stesse guardando verso di loro con un telescopio e, anche se fosse, sarebbe stato molto più semplice dire che una o due persone avevano le traveggole piuttosto che centinaia al porto.

C’era quel minuscolo problema dell’essere su una nave pirata quando la sua isola era sotto costante attacco dai pirati, dunque avvicinarsi sarebbe stata una piccola sfida in ogni caso. Dovette incantare le vele per renderle bianche in modo che la marina non li attaccasse prima di avvicinarsi abbastanza. “Perché non avete bandiere bianche?”

“Perché dovremmo?” Chiese Maria. “Arrendersi è da codardi.”

Pirati. Insomma.

“Questo è lo spirito.” Disse lei, leggermente sarcastica.

Parecchie navi della marina vennero loro incontro, e Tuyet fu felice di aver avuto il tempo di presentarsi a tutti. “Capitano Roberts!” Urlò da una nave all’altra. “Come state questa mattina?”

Il sole era alto nel cielo, ma era ancora abbastanza presto per poter sperare che nessuno avesse notato la sua assenza. Era possibile che qualcuno fosse entrato nelle sue stanze per una colazione mattiniera, ma non ne sapeva abbastanza sulle abitudini umane per esserne sicura.

Lui aprì la bocca, la richiuse, si stropicciò gli occhi, poi rispose cautamente: “Vostra maestà?”

“Sono così felice che lei sia qui, potrebbe fornirci una scorta fino al porto?” Gli domandò lei. “Ho delle persone da far incontrare a mio marito.”

Lui si girò verso il suo primo ufficiale, che fece spallucce, poi disse: “Uh. Sì, certamente, vostra maestà.”

“Eccellente!” Continuò lei, sorridendo speranzosa, e due navi si affiancarono alla loro per scortarli fino alla costa.

John le affidò Ariana per poter incrociare le braccia al petto e aggrottare la fronte. Lui e le sue mogli sembravano un set coordinato, tutti di cattivo umore. “La marina militare.” Disse Ana con derisione. “Come ci siamo ridotti?”

A Tuyet ci volle un momento per capire come tenere la bambina senza farle del male, e finì col tenere il suo peso caldo sull’anca e contro il fianco. “Ehi, bada a come parli, è la mia marina militare.”

Le rivolsero tutti e tre un’occhiata per niente colpita, e Tuyet si girò principalmente per nascondere la sua risata.

***

La cattiva notizia era che avevano decisamente notato che era scomparsa.

La buona notizia era che entrò nella sala del trono mentre stavano ancora discutendo sul da farsi, il che significava che perlomeno era riuscita a rientrare in tempo per evitare che mettessero in allarme tutta l’isola.

Elias la vide e le scoccò un’occhiataccia, probabilmente perché era stato costretto a convincere i consiglieri e le guardie che era perfettamente normale e accettabile che nessuno riuscisse a trovare la sua regina e moglie. I suddetti consiglieri, che credeva fossero Peter e Godfrey ma ce n’erano così tanti che era difficile per lei ricordarli, sembravano orripilati, ma pensò che fosse dovuto più ai pirati che camminavano dietro di lei. Darius le sorrise in automatico, guardandola dritta in volto prima di ricordarsi che probabilmente non avrebbe dovuto farlo. Distolse lo sguardo, ma si soffermò sulle persone che la seguivano e inarcò un sopracciglio.

C’era anche Isobel, cosa che Tuyet non si aspettava, che stringeva un fazzoletto al petto, gli occhi arrossati e cerchiati e la faccia chiazzata. Tuyet allungò un braccio e la fece stare diritta, tenendola per gli avambracci. “Stai bene?”

Isobel tirò su col naso poi scoppiò in lacrime. Tuyet lanciò uno sguardo disorientato a Elias, ma suo marito sembrava più che felice di lasciare che fosse lei a occuparsene. “Ero così preoccupata, credevo che aveste fatto qualcosa di terribile e che fosse tutta colpa mia!”

“Oh, uhm, non è vero, va tutto bene.” Disse lei, e tirò Isobel più vicina a sé per abbracciarla, perché l’altra opzione era rimanere lì in piedi mentre piangeva, cosa che sembrava imbarazzante per tutti.

Lei si irrigidì un momento, poi la abbracciò a sua volta, afferrando i bordi del suo gilet e poggiando la fronte sulla sua spalla per un lungo momento, facendo alcuni respiri profondi prima di tirarsi su e farle un sorriso tremolante, asciugandosi gli occhi col fazzoletto.

“Ecco perché la regina ha bisogno delle sue dame.” Disse il consigliere che Tuyet era abbastanza sicura fosse Godfret. “Non conosce le nostre usanze. Non può uscirsene a passeggiare nel bel mezzo della notte!” Peter emise un suono di disapprovazione in assenso, gli occhi assottigliati sotto alle fitte sopracciglia cespugliose.

Elias annuì e adottò un terribile sorriso educato e vacuo che sembrava avesse praticato apposta per quelle occasioni.

Tuyet era certa che si fosse abituato a farlo da quando era ancora un principe sottomesso ai suoi consiglieri, quando era un ragazzo cresciuto a palazzo dove il suo potere era solo teorico, dove si misurava il potere che avrebbe avuto un giorno e non quello che aveva allora.

Sembrava che alcuni non avessero capito che quel giorno era arrivato e passato.

“È usanza che la gente di qui manchi di rispetto al proprio re?” Domandò con calma, e i consiglieri sobbalzarono come se non si fossero aspettati di sentirla parlare. “Credo che fareste bene a ricordare il posto che avete in questa corte.” Se le persone avessero potuto uccidere con lo sguardo, Peter e Godfrey sarebbero stati messi a giudizio per il crimine di aver ucciso la loro regina. “Però, non sopporterei che il mio popolo pensi che non sono attenta a loro e alla loro cultura.” Si rivolse a Elias. “Di quante dame ho bisogno?”

Il suo sorriso si intenerì in qualcosa che sembrava meno artificiale. “Almeno quattro.”

“Bene.” Disse lei. “Scelgo Isobel.”

Lei sussultò, spalancando gli occhi, e le fece subito una reverenza.

Peter arricciò le labbra in un ringhio indefinito. “Accettabile, suppongo, anche se dovrebbero essere di rango più elevato e stirpe meno promiscua.”

Il volto di Isobel si accese di un rosso vivo e Darius si erse ancora più dritto, e non sembrava una posizione comoda.

Oh, gliel’avrebbe fatta pagare. Era stata gentile, ma se il consigliere non lo era a sua volta, allora stava solo sprecando il suo tempo a fingere che lui avesse davvero il diritto di mettere il becco in ciò che faceva.

Era una principessa dell’oceano e la sua regina. Non doveva rispondergli di niente.

“Prenderò anche Riley.” Annunciò.

Godfrey si accigliò. “Non conosco nessuna Lady Riley.”

“È la figlia della sarta.” Disse lei. “Mi piace.”

“È inaccettabile! Abbiate un po’ di decoro!” Urlò Peter, il volto diventato di una sgradevole sfumatura rossastra.

Tuyet sorrise. “Urla ancora una volta e ordinerò che ti strappino la lingua e me la servano per cena.” Avrebbe voluto farlo lei stessa, ma era quasi del tutto certa che non era qualcosa che avrebbe fatto una regina umana.

Aveva lavorato duramente per smussare tutti i suoi angoli duri e acuminati. Ma non aveva l’energia per riesumare la sua gentilezza per persone che non erano gentili con lei, per persone che sembravano interessate a ostacolarla e a dirle cosa fare. Le persone nel e dell’oceano erano terrorizzate da lei, e anche se preferiva che non fosse così, non significava che non avevano una ragione per esserlo.

Peter richiuse la bocca con uno schiocco.

“Prenderò anche Ana Darling e Maria Freeman.” Aggiunse, indicando alle sue spalle.

“Le piratesse?” Chiese Godfrey, confuso, e si schiarì con cautela la voce ma Tuyet inarcò un sopracciglio. “Ah, vostra maestà, intendevo solo che non ci avevate ancora presentato i vostri. Amici.”

“Io sono il Capitano John Darling.” Esordì John, e il fatto che tutti impallidirono e indietreggiarono di un paio di passi la diceva lunga sulla sua reputazione, anche se poteva essere intimidatorio fino a un certo punto con sua figlia in braccio.

“Sì, Godfrey.” Disse Tuyet, ghignando. “Le piratesse.”

***

Le ci volle più tempo di quanto avrebbe voluto per rimanere da sola con suo marito e i pirati, invece di dover sopportare altri consiglieri che arrivavano per cercare di dirle cosa fare, il che era sfiancante e inutile.

Inviò Isobel a preparare le camere per i suoi ospiti, e disse a uno dei consiglieri meno irritanti, Frederick, che c’era una nave piena di pirati che avevano bisogno di alloggio in città e che al momento erano in attesa al porto, e inviò Darius da Riley per dirle della sua promozione, anche se ci mise più di quanto pensasse perché dovette scrivere una serie di pompose lettere ufficiali per dichiarare lo status di ognuno. Le affidò a Isobel, Maria e Ana con l’inchiostro ancora fresco, ma passò circa un minuto a soffiare su quella di Riley per asciugarla a sufficienza per poi piegarla e consegnarla a Darius.

Elias li portò in una stanza secondaria vicino alla biblioteca, una che Tuyet non aveva mai visto prima. C’era una grande scrivania di quercia coperta di libri e pergamene e carte varie, e parecchi scaffali pieni zeppi di tomi alla rinfusa e delicate lampade a olio.

Chissà perché, ma non Elias non le aveva mai dato l’impressione di avere un ufficio separato dalle sue stanze o che sarebbe stato così in disordine, eppure eccolo lì.

“Bene.” Disse lui, chiudendo a chiave la porta per poi girarsi verso di loro. Strinse le labbra e inarcò un sopracciglio.

Ci volle un momento perché Tuyet capisse che era diretto a lei e che non era solo un’espressione facciale generica. “Oh, sanno che sono una strega del mare. Li ho già incontrati.”

Elias non sembrava rassicurato. Anzi, sembrava più a disagio. “È – hai.” Si fermò. Tuyet non aveva idea di cosa stesse per chiederle. “Ho sentito che erano stati giustiziati. Conosco persone che li hanno visti morire.”

Anche Tuyet credeva di averli visti morire, ma si era chiaramente sbagliata. Oppure, beh, aveva visto dei morti che gli assomigliavano. Ciò che pensava fosse successo era che Ana avesse ceduto suo figlio mai nato a Caligula in cambio di stregare altre persone in modo che assomigliassero a loro e venissero uccise al loro posto, ma Tuyet non gliel’aveva mai chiesto. “Beh, non sono morti.”

“No.” Disse Elias, guardandola in un modo intenso che lei non riuscì a capire. Avrebbe voluto che parlasse chiaramente.

“Non ci ha fatti risorgere.” Disse John.

John rilassò le spalle per il sollievo e Tuyet non seppe se sentirsi insultata o lusingata. “Serio?”

“Non saprei, cosa non puoi fare?” Le domandò, ma non si aspettava una risposta. “Sparisci nel bel mezzo della notte – se me lo accenni, la prossima volta sarebbe molto più facile coprirti – e poi torni con tre pirati, che potevo giurare essere morti, e una bambina.”

“La bambina è dei pirati.” Disse lei.

John porse Ariana a Elias, le labbra arricciate. “Vostra altezza.”

Lui fece un passo indietro, mettendo le mani avanti. “Oh no, grazie, ma non ho mai, non so davvero come, beh, mi capite.”

“Non proprio, no.” Disse Ana, e Maria le diede un colpetto al fianco.

Tuyet alzò gli occhi al cielo e prese Ariana dalle mani di John. La piccola non sembrava turbata, come non lo era stata per nient’altro. Tuyet immaginò che crescere su una nave e passare tra le mani di tutta la ciurma rendesse un bambino o molto felice o molto turbato. “Sei un re, non puoi avere paura di una bambina.”

“Non vedo perché no.” Disse lui, ma perlomeno non cercò di scappare quando Tuyet gli posizionò le braccia affidandogli Ariana con delicatezza, e gli sollevò il gomito perché le sostenesse la testa.

Era visibilmente terrorizzato e forse non era gentile da parte sua trovarlo così divertente. Ariana guardò Elias con i suoi grandi occhi marroni e dovette considerarlo accettabile perché non iniziò a piangere. Lui le rivolse un sorriso incerto.

A dirla tutta, aveva cambiato idea, era adorabile.

“Prima volta che tiene un bambino?” Gli domandò Ana benevolmente. “Basta che non la fate cadere, se non vi dispiace.”

“È bellissima.” Disse lui con sincerità, rivolgendosi a tutti e tre.

Maria si illuminò. “Grazie, è fatta a mano. Ci sono voluti nove mesi ed era la mia prima volta, ma penso che sia venuta bene.”

Elias rise, poi sembrò preoccupato, come se non avrebbe dovuto.

Accidenti, nessuno aveva insegnato a quel ragazzo a essere re? A quanto pareva, quella era un’altra cosa che Tuyet doveva fare prima di andarsene, oltre a salvare la sua isola.

Tuyet gli prese delicatamente Ariana dalle braccia e la restituì a suo padre. Fece finta di non vedere il disappunto che balenò sul volto di Elias e il modo in cui flesse le mani subito dopo.

“Ora che ci conosciamo meglio,” disse spostando alcuni libri di lato per potersi sedere sulla scrivania, “raccontate a mio marito ciò che avete detto a me.”

John sospirò e Maria si fece dura in volto.

“Voi credete di avere un problema di pirati,” disse Ana, “ma in realtà è un problema di vicini. I pirati non vi hanno preso di mira per qualcosa che è successo con loro. Vi prendono di mira perché sono pirati, e perché possono diventare mercenari per abbastanza oro.”

Elias scosse il capo, anche se teneva le mani strette a pugno. “No, non ha alcun senso. Chi farebbe una cosa simile?”

Ana lo guardava nervosa, come se non si fidasse dei pugni di Elias. Tuyet non credeva che fosse il tipo che diventava violento, ma quello non era il momento di rassicurare Ana in merito. Si portò di fronte a Elias e disse: “Sarebbe più facile dire chi non lo farebbe. Tutti gli alleati che non ti hanno aiutato perché non eri re? Non ti avrebbero mai aiutato, e non risponderanno alle richieste di aiuto che hai spedito dopo il nostro matrimonio. Coloro che vorrebbero aiutarti davvero non possono perché costretti da coloro che ti vogliono colpire.” Era altamente probabile che molti di quegli alleati fossero dei veri alleati che cercavano solo di non scatenare le ire di un potere più grande che credevano pedante e lento a rispondere piuttosto che davvero malevolo, ma Tuyet non voleva dare a Eias false speranze nel caso in cui si fosse sbagliata.

“Se fosse vero,” disse lui, e Tuyet immaginò che dovesse essere un grande shock per lui quindi non alzò gli occhi al cielo, “allora cosa dovremmo fare? Se decidessero di dichiararci guerra formalmente, non riusciremmo mai a resistere contro i loro eserciti. Riusciamo a malapena a respingere i pirati.”

“Se ti può far sentire meglio, probabilmente non lo faranno perché così facendo violerebbero formalmente i trattati, cosa che darebbe agli altri un motivo per annullare i trattati con loro.” Disse John. “Un conto è fare qualcosa del genere, sottobanco e negabile, un altro è mettere in discussione la loro credibilità e rispettabilità.”

Non sembrava che Elias si sentisse meglio.

Tuyet gli posò una mano sul braccio, e voleva confortarlo, ma lui trasalì. Fece per toglierla, ma lui si appoggiò al suo tocco, dunque si fermò, chiudendo le dita attorno al suo bicipite e strizzandolo un poco dicendo: “Non preoccuparti, ho un piano.”

Sembrava ancora preoccupato, ma le sorrise comunque. Non era un sorriso di repertorio ed educato, anzi era un poco nervoso, e per questo gli sorrise a sua volta.

Avrebbe salvato la loro isola e gli avrebbe insegnato a comportarsi da re e avrebbe aggiustato il cuore di John Darling già che c’era.

Sarebbe stato molto difficile ritornare alla sua grotta dopo tutto questo, dopo aver avuto tutto questo. 

***

Note dell’autrice:

Spero che vi sia piaciuto!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Quando uscì dalle sue stanze il mattino seguente, Cetus era tornato nella sua forma di serpente argentato attorno al suo collo come una collana. Darius era lì ad aspettarla, e non ne fu sorpresa.

Fiona era lì, e ne fu sorpresa.

“Ciao.” Disse Tuyet, sorridendo.

Fiona non ricambiò il saluto e si limitò a fissarla stringendo le labbra, con gli occhi assottigliati agli angoli. “Ho visto la lettera per mia figlia.”

“Oh.” Che Fiona non volesse che Riley diventasse una dama di Tuyet? Avrebbe forse dovuto chiedere prima a lei? Non conoscere le usanze del posto era davvero sfibrante. Uno dei benefici di avere quelle dame al suo seguito tutto il tempo sarebbe stato quello di poter chiedere loro spiegazioni su ciò che per lei non aveva senso. “È un problema?”

Fiona si limitò a rimanere lì in piedi, e Tuyet si sentiva sempre più confusa. Alla fine, la sarta si chinò per saggiare i lembi della sua gonna. “È questo lo stile che desiderate?”

“Mi piace potermi muovere.” Disse lei. Indossava un vestito di seta grigio, solo che lo aveva modificato come gli altri, aprendo le spalle e tagliando degli spacchi lungo le cosce, portando un paio di leggings e stivali sotto. Le mancavano i pratici vestiti da pirata, ma così poteva muoversi, poteva combattere se necessario. Se non altro, la corona sulla sua testa era un’ottima arma contundente.

Fiona annuì e disse: “Bene.” Per poi allontanarsi.

Tuyet non era meno confusa di prima. Si voltò verso Darius e inarcò un sopracciglio.

Lui guardò il corridoio, controllando che Fiona avesse girato l’angolo prima di dire: “È molto, ciò che state facendo per Riley. L’hanno spostata nell’ala dei nobili la scorsa notte.”

“Sua madre è forse preoccupata perché non vive più con lei?” Gli domandò. “Anche Fiona può trasferirsi.” Non le era neanche passato per la testa che Riley si sarebbe dovuta spostare. Avrebbe dovuto ringraziare Isobel per aver gestito il tutto. Forse avere delle dame era una buona cosa; oltre che spiegarle cose, potevano occuparsi delle questioni da regina che a lei non importavano. Beh, Isobel e Riley potevano, ovviamente aveva altri piani per Maria e Ana.

“Fiona vi è molto grata per ciò che avete fatto.” Disse Darius. “In quanto dama della regina, non ha più importanza che Riley non sia nobile di nascita. Riuscirà a sposare un buon partito, qualche nobile minore.”

Se ciò che Riley poteva sperare di meglio era un matrimonio vantaggioso, Tuyet era sicura che ci fossero altre questioni in mezzo. Ma prese mentalmente nota di combinarglielo, se era ciò che Riley voleva, prima di andarsene. O perlomeno di chiedere a Elias di farlo in sua vece. Non voleva che la sua assenza rendesse le cose difficili per Riley, finendo per declassarla a servitù.

Darius spostò il peso da un piede all’altro. “Anch’io ve ne sono grato. Vi ringrazio per aver scelto Isobel.”

“Lei è già una nobile.” Sottolineò Tuyet. Non aveva bisogno anche lei di un buon partito, no?

Lui fece una smorfia. “Sì, ma nostro padre ha una certa reputazione, e i suoi genitori non sono di rango così elevato. È un bene per lei essere vista come parte della vostra casata.”

Tuyet fu quasi sul punto di domandargli com’era possibile che alcuni nobili fossero più importanti di altri, visto che nell’oceano il rango si basava su quanto in profondità un sirenide poteva nuotare prima che gli venisse un’embolia, ed era abbastanza certa che gli umani non aveva proprio questo metro di paragone, ma era certa che la risposta l’avrebbe o confusa o fatta infuriare, quindi tenne questo pensiero per sé. “Beh, è proprio dolce, e sono contenta di poter aiutare tua sorella. Anche se lei perlomeno mi ascolta, dunque in questo non vi assomigliate.”

Darius si limitò ad alzare gli occhi al cielo.

“Hai visto Elias?” Gli domandò. Uno dei vantaggi di avere la sua camera di fronte a quella di Elias era che le guardie lo vedevano andare e venire. Il fatto che al momento non ci fossero guardie fuori dalle stanze del re significava che se n’era già andato.

“Ha detto che andava nella sala riunioni dell’ala occidentale con i vostri,” Darius esitò, “ospiti.”

Oh, c’era già stata in quella stanza. Si incamminò e Darius rimase a mezzo passo di distanza da lei, il che era irritante ma le parlava senza alzare un polverone sul decoro, dunque decise di non farglielo notare. “Hai domande sui pirati.”

Rimase in silenzio, e Tuyet fu sul punto di sbottare quando lui disse: “Non riesco a capire come li avete trovati, figuriamoci convincerli ad aiutarci. Dovrebbero essere morti, e sono bellamente riusciti a convincere tutti, ma poi vi imbattete in loro per caso? E poi vengono in un posto dove potrebbero venire giustiziati o imprigionati? Non sono convinto che siano qui per aiutarci e che non stiano progettando di ucciderci e derubarci nel sonno.”

“Qualcosa del genere.” Disse lei. “Ho dato loro la mia parola che non sarebbero stati né giustiziati né imprigionati. Se non posso proteggere un paio di pirati, allora tutta questa questione della regina non ha molto senso, non ne convieni?”

Darius non sembrava ancora convinto, ma erano arrivati alla sala riunioni dell’ala occidentale, dunque si limitò a scuotere il capo. Avevano incontrato parecchie persone nei corridoi, e tutte lo avevano guardato con occhi sgranati e increduli. Anche se non potevano sentire cosa diceva, vedevano che parlava, il che a quanto pare era uno scandalo a sufficienza, anche se non sentivano le domande che le poneva.

La guardia di Elias li occhieggiava con un’espressione in volto che oscillava tra l’incredulo e il sospettoso. Tuyet gli rivolse un sorriso radioso e poi si rivolse a Darius. “Fa in modo che nessuno ci disturbi.”

Lui annuì e lei gli strinse il braccio con gratitudine prima di entrare.

Forse era meglio che le guardie dovessero rimanere fuori perché avrebbero dato di matto.

Elias si era tolto la sua giubba e la sua corona e stava combattendo contro Maria. Tiravano di spada mentre Ana e John facevano da spettatori, con Ariana che dormiva in una culla di vimini che qualcuno aveva recuperato chissà dove. Per un momento, Tuyet si domandò se avrebbe dovuto preoccuparsi visto che combattevano con spade vere, ma entrambi sapevano il fatto loro, e non le sarebbe costato poi molto ricucire un arto o due se necessario.

“Ho interrotto un incontro molto serio, vedo.” Disse lei, mettendosi vicino a John.

Ana la salutò con la mano. “Il vostro re ha insistito per aspettarvi prima di discutere seriamente, ma era uno spreco di tempo rimanere seduti a parlare. Dopo tocca a me.”

Tuyet ignorò il modo in cui le parole di Ana le avevano fatto fiorire un calore nel petto. “Aspettate da molto?”

Ana scosse il capo. John disse: “Ci svegliamo col sole, ma Re Elias ci ha convocati circa un’ora fa. Io ero in città per controllare la ciurma.”

“C’è bisogno che punisca qualcuno?” Domandò lei. Forse avrebbe dovuto capire come funzionavano le pene lì. Oppure avrebbe potuto lasciare che se ne occupasse Elias, solo che non sembrava che avrebbe punito qualcuno con il tipo di autorità che lei avrebbe approvato. Forse poteva allenarlo in tal senso? Avrebbe potuto prendergli un cane o qualcosa a cui potesse dire cosa fare senza testimoni che vedessero quanto fosse pessimo a farlo.

John scosse il capo. “Sono stati sistemati in una delle locande. Si sono rivelati un grattacapo al mercato, ma era da molto che non scendevano a terra. Si stanno crogiolando nella loro reputazione di temibili pirati.”

Tuyet inarcò un sopracciglio. Voleva che la ciurma fosse la benvenuta, ma non a costo della sicurezza della sua gente. Se doveva legare l’intera ciurma e sbatterla nelle segrete per evitare che venissero tormentati o che tormentassero, l’avrebbe fatto.

“Sono disperati e flirtano in modo patetico.” Chiarificò Ana. “Credo che abbiano imbastito una gara su quanta gente del posto riescono a portarsi a letto. Immagino che pensino che le storie di guerra facciano colpo su ragazze e ragazzi carini.”

“Ma davvero?” Domandò Tuyet. Parlare della distruzione che aveva causato non sarebbe certo stata la sua prima scelta per attaccare bottone, ma non era un’esperta su quel fronte.

“Dipende.” Disse John. “A volte. Con me ha sempre funzionato.”

Ana gli diede una pacca sulla coscia e lasciò la mano lì. “E sei molto carino, tesoro.”

Ci fu un urlo e un tintinnio, e Tuyet alzò lo sguardo vedendo Elias con le mani in alto e Maria con la punta della spada alla sua gola. Ana e John applaudirono e Tuyet poggiò le mani ai fianchi. “Elias, davvero?”

“È molto brava!” Disse lui mentre Maria abbassava la spada, con un ghigno sulle labbra passandosi il braccio sulla fronte. “Sei molto brava.”

“Ho fatto molta pratica.” Disse lei compiaciuta, poi si accucciò per recuperare la spada di Elias e rendergliela. “Sei abbastanza bravo per non aver avuto molta esperienza in combattimento.”

Tuyet conosceva un sacco di persone che si sarebbero offese per un commento simile. “Immagino che, rispetto a te, io non abbia molta esperienza.” Disse lui con grazia.

“Tocca a me!” Disse Ana, saltando in piedi con foga per dare il cambio a Maria.

Elias sollevò la spada, ma John disse: “Non mi sembra giusto nei suoi confronti, visto che ha appena combattuto con Maria.”

Ana ci pensò su e cambiò presa della spada dalla sinistra alla destra, portando la sinistra dietro la schiena. “Meglio?”

“Temo che mi farà fare solo una pessima figura quando mi batterai comunque, ma apprezzo la cortesia.” Disse Elias, poi le loro spade danzarono nell’aria, riempita dal suono ovattato del metallo contro metallo.

“Vuoi imparare?” Le chiese John, e le ci volle un momento per distogliere lo sguardo dallo sparring per capire che parlava con lei. “O non è il combattimento che guardi?”

Elias era bello così, ma era bello tutto il tempo. Parlò piano, cosicché non la potesse sentire: “Non rimarrò a lungo, credo.”

“Potresti.” Disse lui.

“Non ho un cuore umano, nemmeno uno difettato.” Disse lei. “La mia magia raggiungerà il suo limite e dovrò tornare nell’oceano.”

Lui si limitò a fare un verso di assenso, ma non sembrava molto convinto. La sua magia doveva sembrargli immensa, soprattutto se era stato un normale tritone, ma perfino le zone più profonde dell’oceano avevano un fondo.

Maria si sporse, posando la mano sulla spalla di John per tenersi in equilibrio. “Se vuoi imparare, posso insegnarti. Hai un corpo veloce e forte. Penso che impareresti in fretta.”

Sembrava uno spreco passare il poco tempo che aveva così, a imparare un’abilità che non avrebbe potuto usare nel mare, ma disse comunque: “Va bene.”

Un altro tintinnio e Tuyet sollevò lo sguardo vedendo Elias nella stessa posizione di prima, mani alzate e spada alla gola. Non sembrava turbato dalla sconfitta, ma sospettoso. Ana abbassò la spada e lui si rivolse a Maria: “Stavi giocando con me!”

“Un poco.” Ammise lei. “Ma solo perché mi piaceva combattere con voi. Abbiamo cercato di mantenere un basso profilo per un po’ e la ciurma non vuole più allenarsi con me, quindi i miei compagni di sparring sono o John o Ana.”

Elias si rabbonì e disse: “Mi farebbe piacere allenarmi con lei quando lo desidera, Miss Freeman.”

“Rimpiangerete quest’offerta.” Disse lei, ma era evidente che fosse emozionata all’idea.

“Non credo.” Disse lui. “Ma in ogni caso, credo che abbiamo rimandato a sufficienza. Avete la lista?”

John allungò il braccio dietro di sé e sollevo una pergamena. La srotolò poggiandola sul tavolo, e tutti si raggrupparono lì intorno. Era una lunga lista di nomi; Tuyet ne riconobbe alcuni, ma molti no. Erano tutti i capitani pirata che lui e le sue mogli pensavano che navigassero di frequente nelle acque vicine. Era una lista lunga.

“Mi ci vorrà almeno una settimana.” Sospirò lei.

“Solo una settimana?” Le domandò John, con un livello di incredulità che non era sicura le piacesse. “Ci sono circa un centinaio di nomi qui sopra.”

Lei fece spallucce, anche se Cetus si mosse sulla sua gola, toccandole il lato del collo in un modo che Tuyet interpretò essere assenso con John, quindi lo ignorò. “L’incantesimo di trasporto è molto più semplice quando devo usarlo solo su di me e non su una nave. Inoltre, posso lanciare un incantesimo di tracciamento prima di partire per raggrupparli in gruppi invece di andare da una parte all’altra dell’oceano, e questo renderebbe gli spostamenti più semplici.”

“Ne sei sicura?” Le domandò Elias. “Mi sembra faticoso per te.”

“Sembra qualcosa di impossibile se non ti avessi vista spostare la mia nave.” Aggiunse John.

Non alzò gli occhi al cielo, ma quasi. “Sentite, toglierci i pirati di torno è la parte più facile. Sono la strega del mare, sono terrorizzati da me, come dovrebbero esserlo. Spaventarli con minacce non è una soluzione a lungo termine, ed è per questo che non l’avevo fatto, ma li terrà lontani per un po’. Visto che non dovremo preoccuparci di difendere l’isola dai loro attacchi, saremo in una posizione migliore per colpire chi sta attaccando davvero la nostra isola. Sei certo che Kia organizzerà il ballo come richiesto? E che parteciperanno tutti?” A dire il vero, stava più chiedendo se Elias era sicuro di potersi fidare del fatto che quel regno isola non cospirasse contro di loro.

Lui dovette capirlo perché sospirò. “È stato uno dei pochi alleati a mandarci provviste, come da trattato. Inoltre, siamo sempre stati in rapporti amichevoli, e il loro attuale Re è un mio cugino, per quanto lontano. Non che questo fermerebbe chiunque, ma non ho motivo di dubitare né di lui né della sua isola.”

“E tutti gli altri verranno?” Ripeté Maria. “Kia non è molto grande. È possibile che gli altri regni snobbino il loro invito.”

Elias scosse il capo. “Non succederà. L’isola è piena di raffinerie, molti regni esportano lì le loro materie prime per trattarle. Non avrebbe senso fare storie per qualcosa di così poco importante come un ballo. Anche se non sono certo che fare questa cosa a una festa, tra tutti i momenti, sia l’idea migliore.”

“È l’unica idea che si adatta ai nostri scopi.” Disse Tuyet. “Devono essere tutti nello stesso posto per capire chi fa parte di questa storia e chi no, e i regni che ti sostengono devono condannare quelli che hanno agito contro di te, pubblicamente e in fretta. Non può funzionare se sono ognuno nel proprio paese, e non viaggerebbero mai per negoziare la pace sapendo che è per te. Farli partecipare a una festa con l’inganno è il modo migliore per raggrupparli, con il bonus aggiuntivo di coglierli di sorpresa, quando invece parteciperebbero a dei negoziati già con la guardia ben alta.”

Elias aveva ancora le sopracciglia aggrottate. “Sembra comunque un poco subdolo.”

Quella volta Tuyet non riuscì a non sollevare gli occhi al cielo. “Perché lo è. Sei un re ora, a volte devi essere meno che onesto per far funzionare le cose. Non puoi pensare di regnare tutto il tempo con onestà e rettitudine in tutto, non farai mai niente così.”

“Giusto.” Disse lui lentamente, rivolgendole una strana occhiata che Tuyet non comprese del tutto. Non la stava contraddicendo, dunque non capiva dove fosse il problema.

“Ma non così disonesto e falso da comprare tutti i pirati di questa parte di oceano per fargli attaccare i tuoi nemici per poter violare i trattati senza farsi beccare.” Aggiunse Ana.

Tuyet annuì. “Giusto. C’è un equilibrio.”

“Un equilibrio.” Ripeté lui lentamente. “Va bene.”

Capiva che fosse difficile per lui, forzato nel ruolo di re prima del tempo, ma non capiva come pensasse di governare un regno senza comportarsi da re. Lei era la più giovane delle sue sorelle, dunque pensava che non avrebbe mai dovuto regnare, ma era stata cresciuta per quello, cresciuta per sedersi sul trono se necessario, cresciuta con un senso di diritto nei confronti dell’oceano e del posto che vi occupava.

Non capiva come mai non fosse così per Elias né come insegnarli a cambiare, insegnarli che quella gente era sua, che quel regno era suo. Suo da proteggere, suo da custodire, ma che gli apparteneva al tempo stesso.

“Inizierò questa notte.” Disse. “Posso fare ora la chiaroveggenza e poi pensare a un piano di attacco.”

“Quindi sgattaiolerai via anche stanotte?” Le domandò Elias.

“Devo, no?” Domandò lei. “Tutti si innervosiscono quando me ne vado, e penso che sarebbe strano se stessi fuori tutta la notte. Perlomeno ora so come uscire.” Forse avrebbe dovuto dare istruzioni a Isobel così che non le venisse un infarto quando si calava sul suo balcone.

John incrociò le braccia. “Va bene, ma quando pensi di dormire? Anche tu ne hai bisogno ogni tanto.”

Era vero, anche se avrebbe desiderato il contrario. Soprattutto in quel momento, quando si costringeva in forma umana, e quella forma aveva bisogni umani da assecondare se voleva conservare la sua magia in modo efficace. “Ci penserò. Non ho bisogno di dormire quanto un umano.” Un paio di ore a notte erano sufficienti, se non l’ideale. “Le regine fanno pisolini?”

“Le regine fanno ciò che vogliono.” Disse Maria, il che era un ottimo punto. “Però non fareste una bella figura ad addormentarvi nel bel mezzo della giornata. Fortunatamente, avete una scusa pronta per sparire un paio d’ore nel bel mezzo della giornata che non è affatto male. È per il bene del regno, dopotutto.”

Il sorrisino di Maria era pericolosamente vicino al diventare lascivo. Ana e John risero ed Elias arrossì. “Quale?”

Ana si sporse per dare un colpetto allo stomaco di Tuyet e lei ne fu così confusa che non la fermò neppure. “Uno dei doveri più importanti di una nuova regina è di dare un principe al regno. Dopotutto, guardatevi, nessuno penserebbe che il loro neo-maritato re abbia problemi a tenere giù le mani da sua moglie.”

Oh, adesso capiva. “Non è brutto sparire nel bel mezzo del giorno, nel bel mezzo di una guerra, per fare sesso?”

Maria fece spallucce. “Vogliono un re felice e una linea di successione assicurata. I consiglieri ne saranno entusiasti.”

Odiava i consiglieri. Se non avesse reso la vita di Elias più difficile quando se ne sarebbe andata, li avrebbe licenziati tutti. Beh, un paio erano utili e seguivano i suoi ordini senza protestare, ma in generale causavano tutti più problemi di quanti ne risolvevano.

“Va bene.” Concordò lei. “C’è un orario prestabilito per questo genere di cose?” Gli umani erano così strani. Avrebbe potuto passare lì il resto della sua vita e non pensava che li avrebbe mai capiti.

“Prestabilito non direi.” Disse John, e lei gli lanciò un’occhiataccia perché era chiaro che si stesse trattenendo dal ridere. Non capiva cosa c’era di così divertente, ma non le piaceva non saperlo. “Ma dopo pranzo forse si noterebbe meno.”

“Può andar bene per te?” Chiese Tuyet a Elias. “Dovrai stare nelle tue stanze con me, altrimenti la bugia verrà smascherata prima o poi.”

Si dovette schiarire la voce prima di dire: “Nessun problema.”

Ana sbuffò col naso ed Elias le lanciò un’occhiataccia ma lei gli rispose con un sorriso radioso.

Umani.

***

Riley le era così riconoscente da metterla un poco a disagio, cosa che lei dovette notare perché la smise, continuando a sorriderle con un sorrisino soddisfatto, il che non era così male. Vestita un abito diverso, complicato, opulento e rigido per i ricami, che riusciva a risultare vistoso senza essere eccessivo. Essere la figlia della sarta aveva dei lati positivi, dopotutto.

Isobel lo nascondeva meglio, ma aveva preso il suo ruolo di dama molto seriamente, e quando passano vicino ad altri nobili, li guardava a stento in un modo che doveva essere intenzionale, soprattutto considerate le occhiate inviperite e gelose che le lanciavano alle spalle.

A quanto pareva, essere una delle dame della regina era un grande onore nonché status symbol. Tuyet pensò che per qualcuno che era stato guardato dall’alto in basso a corte per le azioni di suo padre, quella vittoria fosse ancora più dolce.

Bene. Avere qualcuno che partecipava alla politica di corte significava avere qualcuno che gliela poteva spiegare.

Sembrava che gran parte del loro lavoro fosse seguirla nel caso in cui decidesse di aver bisogno di qualcosa e non ci fossero dei servitori nei dintorni, il che era un poco ridicolo. Solo che averle con lei era perfetto perché Riley conosceva tutta la servitù e Isobel la nobiltà, dunque unendole conoscevano tutti, ed era proprio ciò di cui Tuyet aveva bisogno perché lei non conosceva nessuno. Passava la maggior parte della giornata girovagando per il palazzo, cercando di capire dove fossero le cose e facendosi presentare più persone possibili dalle sue dame, anche se ciò rendeva la servitù molto nervosa. Non sarebbe rimasta a lungo, ma fino ad allora, quel posto era la sua casa e doveva sapere dov’erano stanze come la sala da ballo e il ripostiglio delle scope.

Quella notte, srotolò la mappa, vagliando le sue opzioni. Era pregna della sua magia e brillava dell’incantesimo di locazione nell’oscurità della stanza. Cetus era accoccolato vicino alla mappa, saggiando l’aria con rapidi e curiosi schiocchi di lingua.

Aveva usato una mappa datata di un paio d’anni visto che usare l’incantesimo di locazione l’avrebbe resa comunque utilizzabile anche dopo aver interrotto l’incantesimo, dunque i luoghi erano sbagliati solo di poco. Fortunatamente, conosceva il mare e poteva sopperire ai punti non del tutto corretti sulla mappa.

A dire il vero, nessuna delle loro mappe era completamente giusta. Aggiunse il disegnargliene una nuova alla lista onnicrescente di cose da fare prima di andarsene.

“Cosa ne pensi, Cetus?” Mormorò, passando le mani sulla mappa e sui piccoli puntini che simboleggiavano i pirati che doveva intimidire. “Dal più lontano al più vicino?” Più rimaneva sulla terraferma e più si indeboliva. L’incantesimo di trasporto non la drenava troppo, ma non che darsi qualunque vantaggio riuscisse a mettere insieme potesse nuocere.

Cetus toccò col naso un punto in particolare, non uno che lei avrebbe scelto, poi strisciò lungo la mappa come se stesse solcando le onde e aprì le fauci snudando i denti alla mappa.

“Vuoi aiutarmi?” Gli chiese. “Ne sei sicuro? Non devi.”

Lui si limitò a sbattere le palpebre.

“Giusto, sei molto vecchio e molto potente, e puoi decidere da solo.” Disse lei. Le avrebbe reso il lavoro più semplice, e pensò che forse era per questo che lo faceva. “Grazie. Sei pronto a partire?”

Cetus sibilò piano e lei gli porse la mano per farlo arrotolare intorno al polso.

Aprì la finestra, lanciò una veloce occhiata ai dintorni per assicurarsi che nessuno la stesse guardando, poi saltò fuori e atterrò piano sul balcone di Isobel.

La portafinestra non era chiusa a chiave e Isobel era ancora sveglia quando Tuyet entrò. Era seduta a letto a leggere e si finse stupendamente non spaventata, anche se Tuyet l’aveva avvertita. “Vostra altezza.” La salutò, scendendo dal letto per farle una reverenza o qualcosa di altrettanto innecessario.

“Non preoccuparti, non serve che ti alzi.” Le disse Tuyet. “Buona notte.”

Isobel sospirò e riaffondò nei cuscini, riprendendo in mano il libro. “Anche a voi, vostra altezza.”

E così fu.

Era molto più facile spaventare pirati a dorso di un gigantesco mostro marino argentato, e quasi non dovette usare la magia con quelle sue zanne gocciolanti che incombevano sui capitani terrorizzati.

Anche Cetus si divertì, quindi vincevano proprio tutti.

***

Note dell’autrice:

Spero che vi sia piaciuto!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Dopo una settimana passata a terrorizzare pirati e ad attraversare quello che sembrava essere l’oceano intero, Tuyet era esausta.

Si era specializzata nel tornare subito dopo il cambio della guardia per fingere di essere appena tornata da una passeggiata mattutina, e non da un’intera nottata fuori. Sgattaiolava nelle sue stanze, schiacciava un veloce pisolino e poi si alzava per un altro giorno da regina, che comprendeva principalmente dire alle persone che erano degli idioti che non sapevano gestire le risorse in maniera adeguata. Sì alle scorte mediche per i marinai feriti, no alla richiesta dei nobili per una sessione estiva più lunga, sì al nuovo tetto per il granaio, no a qualunque cosa uscisse dalla bocca di Godfrey. I consiglieri continuavano a guardare Elias, come se l’avrebbe fermata o detto qualcosa per contraddirla, ma lui si limitava a stare lì con quel sorriso che si faceva sempre meno tirato ogni volta che lei bocciava le loro pessime idee.

Isobel le aveva detto che si stava facendo molti nemici, ma non ne sembrava preoccupata, mentre Riley ne era deliziata. Alcuni membri della servitù addirittura le sorridevano e la salutavano quando la vedevano nei corridoi, il che era piacevole.

Infilò le lezioni di spada con Maria tra la cena e il trovare il modo di aggiustare il cuore di John. Le erano venute in mente diverse soluzioni a breve termine, ma niente di particolarmente promettente. Non era una questione che doveva preoccuparsi di risolvere troppo in fretta, perlomeno. I pirati sapevano chi e cosa fosse, e avrebbe potuto incontrarli nella laguna per aiutarli dopo che avrebbe smesso di fingere di essere una regina umana, e le sue soluzioni a breve termine avrebbero impedito che a John accadesse qualcosa di terribile mentre ci lavorava.

Ma farsi solo un paio d’ore di sonno dovendo affrontare tutto questo le pesava più di quanto pensava. Lo aveva ignorato perché avevano del lavoro importante da fare, soprattutto in vista della partenza per il ballo a Kia in un paio di giorni. Anzi, a dirla tutta avrebbero dovuto partire quel giorno, tecnicamente, ma non dovevano preoccuparsi dei venti o del mare mosso. Usare l’incantesimo di trasporto per arrivare a Kia sarebbe stato eccessivo, ma volgere venti e acque a loro favore era una magia semplice, quindi avevano ancora un po’ di tempo.

Però, aveva terminato il suo lavoro in quell’area. Ogni capitano pirata della lista di Darling era stato opportunamente domato, e si sentiva i muscoli di gelatina. Era talmente sfinita che sbatteva perfino gli occhi a rallentatore, le palpebre che si rifiutavano di sollevarsi di nuovo ogni volta che si abbassavano. Se avesse provato a vivere quella giornata come al solito, avrebbe finito per scuoiare vivi i consiglieri o perlomeno mozzare un paio di lingue. Che sarebbe stato soddisfacente, ma leggermente controproducente, forse.

Tuyet superò le sue stanze e le occhiate rassegnate delle sue guardie al vederla arrivare dal corridoio invece che uscire dalla sua porta. Sapevano che sgattaiolava via, ma non come, e non erano autorizzate ad aprire la porta per controllare, quindi si limitavano a fare smorfie quando lei tornava. E sapeva che lo facevano perché confidavano nel fatto che lei non li avrebbe fatti giustiziare per quello. Di solito, Darius non era di turno davanti alle sue stanze che in tarda mattinata, poco prima che Tuyet iniziasse la sua giornata, visto che tutti sapevano che era il suo favorito e che preferiva passare la giornata con lui attorno, ma dovevano averglielo detto perché le aveva chiesto come aveva fatto. Lei non aveva risposto e aveva cambiato argomento, ma era contenta che gliel’avesse chiesto, che Isobel non avesse detto a suo fratello che Tuyet si calava sulla sua terrazza ogni notte e sgattaiolava via dalla sua stanza non sorvegliata.

Le guardie di Elias si scambiarono uno sguardo quando lei aprì la porta delle stanze del re, ma non accennarono a fermarla. Era la loro regina e la moglie del re, dopotutto.

Stava ancora dormendo. Lei prese a spogliarsi, togliendosi i vestiti incrostati di sale che aveva indossato per un giorno intero. Lasciarli sulla spiaggia era un buon modo per non farsi beccare, ma implicava che indossarli fosse leggermente più scomodo del solito. Avrebbe dovuto trovare il tempo per scusarsi con le lavandaie, prima o poi. Frugò nell’armadio finché non trovò una delle morbide tuniche di Elias e la indossò, così stanca che ondeggiava in piedi, e scostò le coperte scivolando nell’altro lato del letto.

“Cosa?” Borbottò lui, aprendo gli occhi. Aveva delle ciglia così belle. Voleva contarle. Lui si bloccò quando la vide. “Uh.”

“Voglio dormire.” Disse lei, tirandosi le coperte fin sopra le spalle. “Rimani qui oggi, salteremo qualunque incontro mattutino abbiamo in programma. Lascia che la corte pensi che sia più irresponsabile andarmene di nascosto, non mi interessa.”

Si aspettava qualche rimostranza. Non sapeva perché. “Va bene.” Disse lui. “Lavorerò alla scrivania.”

Fece per uscire dal letto, ma lei allungò un braccio, prendendogli il polso e affondando la testa nel cuscino. “Non devi, se non vuoi. Non mi dispiace.” Si accorse della sensazione dei capelli irrigiditi sul collo e disse: “Puzzo di mare. Scusa.” Si asciugava sempre prima di tornare, ma di solito non si curava di sprecare la sua magia per un incantesimo di pulizia, non quando aveva una vasca da bagno nelle sue stanze che aveva finalmente imparato a usare.

“Mi piace il tuo profumo.” Disse Elias, rilassandosi a letto. Rigirò il polso nella sua stretta e lei lo lasciò andare, ritraendo il braccio dalla sua parte del letto con colpevolezza. Ma lui cercò la sua mano, intrecciando le dita a quelle di lei e riposando la mano nello spazio tra loro. “Posso chiederti una cosa?”

“Certo.” Disse lei, assonnata. Le mani di Elias erano callose, e le piaceva, tutto di lui sembrava morbido e liscio tranne la sua mano nella sua.

“Mi ucciderai?”

Lei aprì gli occhi e lo fissò. Forse era più stanca di quanto pensasse. “Cosa?”

“Mi ucciderai?” Ripeté lui. “Lo pensavo, credevo che fosse questo il patto, che avresti preso il mio posto a regnare per salvare il mio regno, e mi andava bene. L’avevo accettato. Ma non mi hai ucciso la notte di nozze e continui a parlare di me come re e sei gentile con me, quindi me lo stavo semplicemente chiedendo.” Lei si limitò a fissarlo e lui aggiunse: “Non è un problema se lo farai. Sei una brava regina e non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno.” Il suo sorriso era leggermente amaro. “Anche se quando sei così potente immagino che non importi se i nobili ti si rivoltano contro.”

Potevano farlo? Ecco perché Elias si faceva remore a comportarsi come lei credeva che un re dovesse fare se era un titolo che gli poteva essere sottratto.

“Non ti ucciderò.” Disse lei. Di certo le faceva vedere in una luce diversa la loro notte di nozze, perché avesse bevuto così tanto anche se poi non l’aveva più fatto, le sue domande strane per tutta la notte e gli sguardi che le aveva lanciato quando lei non aveva capito. “Non l’ho mai voluto fare.”

Le strinse la mano, gli occhi scuri dolci e grandi. “Va bene.” Disse lui, parlando piano nello spazio tra loro. “Perché sei qui, allora? Perché lo fai? Perché sei disposta a farmi stare al tuo fianco quando non ti servo per regnare questa nazione?”

Non poteva dirgli la verità, dirgli che il suo regno era temporaneo. Lui pensava che le stesse scarificando la sua vita, ma la magia non avrebbe retto se avesse scoperto che non intendeva tenere quello che aveva preso, se scopriva che il prezzo di quello scambio era un’illusione. La magia di patti, la magia di sacrifici, avevano il proprio tipo di potere. C’era un motivo per cui Caligula c’era particolarmente affezionata, e non solo perché era crudele. Quel tipo di magia rendeva possibile estendere i normali limiti del potere, e Tuyet aveva bisogno di tutto il tipo di potere e magia possibile perché era ciò che impediva al suo cuore marino di sgretolarsi in sale se passava troppo tempo sulla terraferma in forma umana.

Non poteva dirgli la verità, ma una verità le sfuggì dalle labbra prima che potesse fermarla. “Forse volevo qualcosa che non poteva essere comprata e venduta, dunque mi sono accontentata di qualcosa che poteva esserlo.”

E così, era ritornata a essere una stupida e patetica ragazzina, la ragazzina che aveva infranto le leggi di suo padre per salvare la vita di Elias dietro l’insistenza di sua madre, la ragazzina così desiderosa di avere una possibilità per poterlo amare da essere così sciocca da fidarsi di Caligula. Era ritornata la ragazzina che aveva visto un ragazzo dal viso gentile e pensato che poteva amarlo, se solo avesse potuto conoscerlo.

“Parli di me?” Domandò lui. “Cosa potresti volere da me? Sono solo un principe umano. È pieno di quelli come me.”

“Sono solo una strega del mare.” Disse lei, e fu come se il suo cuore marino le si sgretolasse nel petto. “Vogliamo sempre ciò che non possiamo avere.”

Lui aggrottò le sopracciglia, una piccola ruga si formò nello spazio che le separava. “Chi dice che non puoi?”

Lei sbatté le palpebre, non capendo, e lui la tirò vicino a sé, incorniciandole il volto con la mano libera. Si fece più vicino, e lei gli premette il palmo sul petto. “Fermati. Non ha valore se è forzato. Non voglio avere ciò che non vuoi darmi.” Non voleva che le mentisse, non voleva che si costringesse a fingere di tenere a lei. Aveva comunque quello, una possibilità di fingere di essere sua moglie e la sua regina, e le bastava. Era più di quanto pensava di poter avere quando aveva preso il posto di Caligula.

“Questo non è molto strega del mare da parte tua.” Disse lui, ma sorrideva. Perché sorrideva? “Tutti parlavano di come li terrorizzavi. Nessuno mi aveva detto che eri bella. Non me l’aspettavo.” Chinò il capo, e lei fu così sorpresa da non pensare neanche di fermarlo. La mano le si chiuse a pugno contro il suo petto, stringendo la stoffa della sua camicia. “Non mi aspettavo neanche la tua gentilezza.”

Il suo naso tracciò la curva del suo, e se voleva fermarlo quella era la sua ultima occasione, ma non lo fece. La baciò con l’alito del mattino e labbra morbide, e lei lo strinse a sé, schiudendo le labbra mentre lui si spostava sopra di lei, le ginocchia ai lati delle sue anche.

Non era più sfinita, non era mai stata così sveglia in tutta la sua vita. Era come se le stesse saettando elettricità sottopelle, come se stesse nuotando nella parte più profonda dell’oceano, come se avesse il potere di muovere un migliaio di navi. La baciò lentamente e bene e quando si scostò lei rincorse le sue labbra con le sue, bisognosa di sentirle di nuovo, e lui riuscì a fare una mezza risata prima che lei lo baciasse di nuovo, le mani nei suoi capelli e grande e caldo sopra di lei.

“Scusa.” Biascicò lui, baciandole il collo, l’orecchio, la linea dello zigomo. “So che sei stanca.”

Non lo era, e anche se lo fosse stata, non le sarebbe importato.

Si tolse da sopra di lei, e per un attimo la delusione che provò fu schiacciante prima che lui le scuotesse la spalla, incitandola a girarsi quanto bastava per posarsi sopra di lui, il capo sul suo petto e il braccio di lui che le cingeva le spalle. “Riposa.”

Tuyet per poco non si rifiutò, tentata da inchiodarlo sul posto per poterlo baciare ancora, voleva divorarlo, ma aveva appena detto che non voleva prendere ciò che lui non voleva darle, quindi inclinò il capo quanto bastava per baciarlo sotto il mento e disse: “Va bene.”

Cercò di addormentarsi a quel modo, lasciando che il suo corpo si facesse molle e pesante su di lui, ma non era più così stanca. Lui dovette crederla addormentata perché le baciò il capo e con voce bassa e sognante disse: “Non posso credere di poterti avere con me.”

Oh.

Ecco perché.

La magia del sacrificio era potente. Si domandò se fosse il futuro di Elias ad alimentare l’incantesimo o quello che stava facendo lei ora. Si domandò se importasse.

Non sarebbero rimasti insieme.

Lei era una sirena. Non poteva vivere sulla terraferma, non senza strappargli il cuore dal petto, e non gli avrebbe mai fatto una cosa simile. Teneva troppo a lui, al suo re dolce e forte che amava moltissimo la sua gente, che avrebbe potuto amare anche lei così tanto se solo fosse riuscita a rimanere lì abbastanza a lungo da dargliene la possibilità.

Ma non l’avrebbe mai scoperto. Non importava ciò che avrebbero potuto essere perché era impossibile.

Era un mistero come non avesse il potere di mettere il mondo sottosopra col peso di quel sacrificio, col modo in cui il cuore le si stava spezzando nel petto.

***

Tuyet credette di averlo nascosto bene, di sicuro né Riley né Isobel avevano notato niente perché credeva che avrebbero detto qualcosa altrimenti, e nemmeno Darius perché avrebbe di certo detto qualcosa in merito. Ma dopo circa cinque minuti di lezione con Maria, lei le fece cadere la spada di mano con un veloce gioco di polso e le domandò: “Cosa c’è che non va?”

“Cosa ti fa pensare che ci sia qualcosa che non va?” Le chiese, andando a riprendere di nuovo la sua spada.

Maria la bloccò con la lama e Tuyet le lanciò un’occhiataccia, ma non si mosse. “Non perdere tempo a mentirmi. Dimmi cosa c’è che non va.”

“Sai, molti hanno paura di me.” Sottolineò lei, incrociando le braccia al petto.

“Molti non ti conoscono.” Disse Maria, rinfoderando la spada e riponendo quella che aveva usato Tuyet. “Sei distratta. Non ha senso allenarsi se sei distratta, e non ha senso sporcare di sangue questi bei pavimenti puliti solo perché probabilmente potresti farti ricrescere un paio di dita. Hai avuto qualche problema coi capitani pirata?”

Lei scosse il capo. Anche se era stato stancante, era anche stato divertente. Per poco non mentì, quasi pensò a che scusa rifilarle, ma c’erano solo tre persone che conoscevano gran parte dei suoi segreti, John e le sue mogli, quindi se non avesse parlato con loro non l’avrebbe fatto con nessuno. “Elias mi ha baciata.”

“E sarebbe un problema?” Le domandò Maria quando fu chiaro che Tuyet non avrebbe aggiunto altro. “Pensavo che il re ti piacesse. Non siamo riusciti a pensare a nessun altro motivo per cui ti saresti data pena per le questioni degli umani. Ed è ovvio che a lui piaci.”

“Non ci conosciamo.” Insistette lei.

Lei fece spallucce. “E importa? Pensi che conoscessi John quando ha attaccato la mia nave? Certo che no. Non l’avevo mai visto prima. Ma era bello e violento e il mio sangue cantava al solo vederlo. Sapevo di volerlo. Sapevo che era il tipo di pirata che mi piaceva, sapevo che Ana era l’unica pirata che aveva ucciso più persone di me. Erano il tipo di persona che mi piaceva, e lo volevo come non ho mai voluto nessuno dei tesori che ho trovato, e lui mi ha vista e ha provato lo stesso. Quindi mi sono unita a lui invece di combatterlo, invece di ucciderlo o farmi uccidere. Conosci le parti di Elias che contano. Sai che ama la sua gente e che è gentile con coloro con cui potrebbe non esserlo. Sai che era disposto a cederti il suo regno, se significava proteggerlo. Sai che vuole baciarti. Non puoi scoprire il resto nel mentre? A meno che lui non ti piaccia, certo.”

Oh, se solo avesse potuto vivere nel mondo di Maria Freeman, affrontando i problemi come faceva lei. “Non è così semplice. Non importa se mi piace.”

“Ma ti piace?” Insistette lei.

Tuyet desiderò di avere ancora in mano la sua spada, di poter rompere qualcosa, ma l’unica cosa vicina a lei era Maria e ovviamente non voleva romperla. “Ricordi la prima volta che ci siamo incontrate? Quando Caligula vi ha attaccati?”

“Non l’ho di certo dimenticato.” Disse lei, arida.

“È stata colpa mia.” Disse Tuyet. “Vi stavo osservando e l’ho portata da voi senza volerlo. È per questo che non sono riuscita a rimanere in disparte e lasciare che vi facesse del male, non quando era colpa mia, non quando avrei potuto evitarlo.” Portò la mano alla collana che aveva al collo, alla corona della principessa Felicity sulla sua pelle. “Ma non ero ancora una strega del mare. Ero solo una principessa che aveva fatto molte scelte sbagliate. Ricordi cosa mi ha chiesto Caligula quando ho lanciato l’incantesimo per evocare mio padre?”

Maria aggrottò le sopracciglia, ma non sembrava turbata dall’aver scoperto che il motivo per cui avevano dovuto affrontare di nuovo Caligula era Tuyet. “Io- qualcosa sul fatto che ne valeva la pena? A dirla tutta, non ero così presa dai particolari di qualunque cosa steste discutendo.”

“Comprensibile.” Disse Tuyet, le labbra arricciate agli angoli. “Mi aveva detto che quando mio padre avrebbe scoperto ciò che avevo fatto, mi avrebbe rinchiusa per sempre e non avrei mai più rivisto il mio principe.”

Se possibile, Maria sembrò ancora più confusa. “Il problema è che eri fidanzata? Perché non penso che il tuo fidanzato tritone riuscirebbe a trovarti qui.”

“Il mio principe era Elias.” Disse lei con semplicità. “L’ho salvato dall’affogare e volevo un’occasione per conoscere lui e la sua terra. Il mio patto con Caligula era il mio potere per un paio di gambe, per una possibilità di conoscere il mondo degli umani.”

Maria fece qualcosa che Tuyet non si aspettava.

Si portò una mano al petto ed esclamò: “È così romantico!” A dire il vero, forse non avrebbe dovuto esserne sorpresa visto che Maria le aveva appena detto che aveva legato la sua vita a quella di John e Ana con la mera premessa di una possibilità. Pensava che fosse John quello romantico dei tre, ma a quanto pare si era sbagliata. “Ne hai passate così tante per salvarlo, devi averlo, niente esitazioni! Te lo sei meritato!”

“Non funziona così.” Disse lei. Forse avrebbe dovuto parlarne con Ana, era probabilmente quella pragmatica dei tre. O forse nessuno di loro era pragmatico ed era per quello che erano tutti pirati. “Sai che non posso rimanere. Anche se mi amasse, l’unico modo in cui potrei rimanere prevede la sua morte, e non ne vale la pena. A quel punto, non avrei alcun motivo per restare.”

“Non è vero.” Disse Maria. Aveva ragione, certo. C’erano la sua gente e i suoi amici, Riley e Isobel e Darius e i Darling. Dopotutto, si stava divertendo lì, in un posto dove non doveva essere crudele, dove non tutte le persone con cui aveva a che fare erano disperate o tormentate, e voleva restare. Ma niente avrebbe avuto valore, niente su quell’isola le sarebbe appartenuto davvero se avesse dovuto ucciderne il re per averlo. “Non dico che dovresti, certo, ma non è vero. Non potresti portarlo con te?”

“E costringerlo a vivere con me, una strega del mare, in una grotta e dover subire ciò che ho subito io?” Le domandò e scosse il capo. “Potrei, ma non posso. Non sarebbe giusto nei suoi confronti. Non gli piacerebbe e ha la sua gente a cui pensare. L’hai detto anche tu che la ama. Come potrebbe abbandonarli? Chi regnerebbe al suo posto? I consiglieri? L’isola sarebbe cenere entro la fine della settimana.

L’entusiasmo di Maria si stava ridimensionando. “Beh, potresti fargli visita, no? Anche quando questo patto sarà terminato e non ci sarà più magia a tenerti qui, rimarresti una strega del mare. Puoi permetterti una notte su gambe, di tanto in tanto.”

Avrebbe potuto. “Non sarei una moglie, ma una puttana.” Elias si sarebbe risposato dopo la sua partenza, doveva, e non avrebbe rovinato la sua felicità più di quanto aveva già fatto, non avrebbe rovinato un altro dei suoi matrimoni, anche se quella volta non sarebbe finita con una sposa morta.

“Beh,” esitò Maria, “va bene, d’accordo, non puoi tenerlo con te per sempre. Ma puoi averlo ora. Non ne vale forse la pena?”

“Non è giusto nei suoi confronti.” Ripeté Tuyet.

Maria si iscurì e poggiò le mani sui fianchi. “E cosa ti sembra giusto in questa storia? Davvero, Tuyet, sei una strega del mare, una principessa e una regina, non una martire! Ti piangerà quando te ne sarai andata, ma succederà in ogni caso! Accidenti, lascia che ti ami, tanto non puoi impedirglielo!”

Lei aprì la bocca, poi la richiuse, così presa in contropiede da non sapere cosa dire. Non cercava di essere una martire. Voleva solo fare la cosa giusta. Maria aveva ragione? Elias poteva davvero amarla? L’avrebbe amata comunque?

“Bene.” Disse Maria, apparentemente soddisfatta di qualunque emozione avesse Tuyet in faccia. “Ora pensi di poterti concentrare abbastanza a lungo da allenarti sul serio, oggi?”

“A quanto pare devo cogliere le occasioni quando posso.” Disse lei, e Maria rispose con un ghigno che le rimase sulle labbra per tutta la lezione.

***

Tuyet uscì dalla biblioteca dopo aver passato un paio d’ore a fare ricerche dopo la sua lezione con Maria, e Darius la guardò sorpreso. “Avete già finito?”

Di solito rimaneva lì fin quasi mezzanotte, a volte così tardi che Darius doveva pungolarle il capo per farle sapere che si stava per dare il cambio con un altro e che l’avrebbe rivista al mattino, ma erano appena le nove.

Non gli rispose, avviandosi verso le sue stanze, e chiese: “Rendo le cose più difficili a Elias col modo in cui tratto i consiglieri?”

Lui le camminava affianco, che era un bene, ma sospirò e si massaggiò la nuca, che non lo era. “Dovreste domandarlo a Isobel.”

Era certa che Isobel non vedesse l’ora che arrivasse la prima notte in una settimana in cui Tuyet non avrebbe saltato giù sul suo terrazzo sgattaiolando nella sua stanza, e cercarla per farle domande le pareva quasi che rovinasse quella parte. “Lo sto chiedendo a te. Conosci la corte tanto quanto Isobel.”

“Solo perché lei ama il chiacchiericcio.” Disse lui, che era vero. Isobel sapeva tutto. “Credo che trattiate i consiglieri come il re avrebbe sempre voluto trattarli. Credo che il vostro atteggiamento e i vostri ordini rendano più difficile la relazione con loro, ma essendo voi una regina straniera, nessuno si aspetta che il re vi fermi, il che è un bene perché non penso che il re voglia fermarvi in ogni caso.” Ci fu una pausa, poi aggiunse: “Vostra altezza, so che per voi è tutto nuovo,” molto più di quanto pensasse, “ma credo che stiate facendo un ottimo lavoro.”

Lei gli strinse il braccio, e lui non si irrigidì neppure, limitandosi a sorriderle. “Ti ringrazio, Darius.”

Erano di fronte alle sue stanze, e avrebbe potuto entrare e andare a letto, la prima volta che sarebbe riuscita a farlo per bene, avrebbe potuto mettere da parte qualunque cosa stesse accadendo tra lei ed Elias, avrebbe potuto mettere Elias da parte.

Invece, attraversò il corridoio ed esitò di fronte alla porta di Elias, e fu la bassa risata di Darius che la spinse a farsi avanti, ad aprire la porta ed entrare.

Era seduto alla finestra, ancora vestito da giorno ma senza giacca, e leggeva alla luce di una candela vicina. Era così bello che le strinse il petto solo a guardarlo. “Tuyet.” Disse lui, sorpreso, e c’era un sorriso che aleggiava all’angolo delle sue labbra.

“Non voglio prendere ciò che non vuoi darmi.” Disse lei piano.

Lui poggiò il libro e si alzò, aprendo le braccia. “Voglio darti tutto, qualunque cosa tu voglia prendere.”

Dovette aver usato la magia perché un attimo prima era sulla porta e l’attimo dopo lo stava baciando, strattonando la sua camicia mentre lui si affaccendava coi bottoni del retro del suo vestito, e lei non aveva pazienza di aspettare e schioccò le dita e le loro vesti si scucirono all’improvviso.

Elias rise e premette i loro corpi insieme, il suo petto ampio e muscoloso e la sua pelle calda su quella di lei, e disse: “Dovrai spiegarlo tu a Fiona.”

“Non parlare di Fiona adesso.” Ordinò lei, e caddero insieme nel letto, la sua bocca e le sue mani su di lei, ed era ciò che voleva, il suo sorriso e la sua gentilezza e le sue grandi mani sui fianchi.

Averlo valeva la pena di perderlo.

Doveva essere così.

***

Note dell’autrice:

Spero che vi sia piaciuto!

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


La mattina della partenza per Kia, Tuyet uscì dalla camera di Elias e per poco non sbatté addosso a Fiona. “Ecco a voi.” Disse lei, mettendole in mano una cesta piena di vestiti.

Tuyet li guardò, sbattendo le palpebre. “Grazie?”

“Il vestito sul fondo è per il ballo.” Disse lei. “Gli altri sono normali.”

Tuyet posò a terra la cesta e prese il primo vestito, dandoci una sbattuta. La parte superiore era di un materiale spesso e flessibile con una gonna attaccata, separata sul davanti con una serie di bottoni discreti sul retro per poterla staccare a piacimento, e poi sotto c’erano un paio di morbidi leggings di pelle in tinta col corpetto e altrettanto flessibili. Non erano solo pratici, ma belli, di un blu scuro con dei ricami intricati. “Fiona.” Disse lei, stupita. “Non so cosa dire.” Con quei vestiti poteva combattere e muoversi, erano comodi e pratici e meravigliosi. Erano stati fatti per lei, diversi da qualunque vestito che indossavano i nobili, il che significava che Fiona doveva aver cucito ogni capo a mano, e anche se si fosse fatta aiutare con taglio e cucito, il design era chiaramente suo.

Lei incrociò le braccia al petto e guardò oltre la spalla di Tuyet. “Vi ringrazio per aver trattato bene mia figlia.”

“Ti ringrazio per aver cresciuto una figlia che tratta bene me.” Disse lei, e diceva sul serio. Riley era così gentile e paziente con lei, a dispetto di quante cose Tuyet non sapesse o capisse.

Infine, Fiona la guardò, un sorriso che le illuminava il volto. Si inchinò e disse: “Fate buon viaggio, vostra altezza.”

***

Tuyet era potente, ma perfino lei ebbe difficoltà a lanciare incantesimi di nascosto sulla nave per aiutarli ad arrivare in tempo. Quando aveva deciso di ritardare la partenza per Kia, non aveva pensato che sarebbe stata su una nave piena di persone che non sapevano che era una strega del mare. Finì per sporgersi per metà dalla nave con Elias che faceva del suo meglio per nasconderla alla vista, la mano poggiata sulla parte bassa della sua schiena, come se avesse paura che cadesse fuori bordo. Che uno, non sarebbe successo, e due, anche se fosse, non sarebbe stato un problema. Anche se spiegarlo a tutti lo sarebbe stato di certo, quindi forse Elias aveva ragione. Sarebbe stato tutto molto più semplice se avessero potuto sfruttare John e la sua ciurma, ma chissà perché un re e una regina che navigavano verso una terra straniera senza le proprie guardie o servitù su una nave pirata era considerato inaccettabile, o così le aveva detto Elias. I Darling erano perfino rimasti a terra, qualcosa sul fatto che portare dei famigerati pirati in un altro paese solitamente non era ben accetto o qualcosa del genere.

Quello che voleva dire era che sarebbe stato più semplice. Era felice che ci fossero Riley e Isobel con lei, però. A quanto pareva, lei ed Elias avrebbero dovuto sostituire le loro guardie personali con degli ufficiali della marina, ma lei aveva insistito a portare Darius. Al momento, era in piedi vicino a Riley, sorridendole mentre lei gli diceva qualcosa che implicava un sacco di gesti.

La sua magia avvolse la chiglia e le onde si alzarono attorno a loro, spingendo in avanti la nave poco più veloce di quanto avrebbe fatto normalmente. Con la coda dell’occhio, vide qualcosa di rosa nel mare e temette di aver preso un delfino o un banco di meduse nel suo incantesimo, ma quando guardò meglio non vide niente.

Strano.

La ciurma proruppe in un coro di sorpresa e ammirazione quando i venti cambiarono in loro favore e Tuyet nascose il sorriso dietro la spalla di Elias. Lui rise e le baciò il collo, cingendole la vita per tirarla ancora più a sé.

Un’esplosione di delizia le proruppe nel petto. Si girò quanto bastava per baciarlo, storcendogli la corona quando gli affondò le mani nei capelli.

Se la felicità avesse potuto alimentare la sua magia, il mondo intero sarebbe stato ai suoi piedi.

***

Re Coriolanus di Kia era molto vecchio e molto alto.

“Diventerai anche tu così alto?” Sussurrò Tuyet a Elias, a braccetto con lui. Cetus stava facendo un ottimo lavoro a fingere di essere un braccialetto. “Quand’è che gli umani smettono di crescere? Non voglio iniziare a mettere quei maledetti tacchi solo per poterti baciare quando voglio.” La regina Orla non era né così vecchia né così alta, e Tuyet pensò che doveva venirle il torcicollo ogni volta che cercava di baciare suo marito.

Sapeva che Elias era adulto e che lei non sarebbe rimasta abbastanza a lungo perché la cosa diventasse un problema, ma lui dovette mordersi la guancia per evitare di sorridere, che era ciò che lei stava cercando di ottenere in primis. Li stavano guardando tutti nella sala del trono, e rendevano Elias nervoso. I re non si innervosivano. O non lo mostravano, perlomeno.

“Cugino.” Disse Elias, chinando il capo.

“Cugino.” Rispose Coriolanus. Indicò una delle porte dietro di sé. “Credo che abbiamo cose importanti da discutere prima dei festeggiamenti di questa sera. Forse mia moglie potrebbe cogliere quest’occasione per mostrare l’isola a vostra moglie?”

Orla le sorrise, e non le sembrò un sorriso falso o sgradevole, ma allenato sì. Le ricordò il sorriso di Elias quando i consiglieri gli parlavano troppo a lungo.

Tuyet inarcò un sopracciglio. Aprì la bocca, ma Elias le posò una mano sulla schiena. “Mia moglie ci accompagnerà.”

Coriolanus strinse le labbra prima di dire: “Per quanto sia lieto di vedere che vai d’accordo con tua moglie, ci sono cose che vanno discusse solo tra noi, cugino.”

“Io sono la regina Tuyet di Tizile, moglie di re Elias di Tizile.” Disse lei, perché nonostante apprezzasse che Elias la stesse aiutando o le stesse impedendo di irritare uno dei loro alleati, non aveva la pazienza per nessuna delle due. “Se desiderate parlare di affari di famiglia, devo esserci perché sono famiglia. Se desiderate parlare di questioni di stato, devo esserci perché sono regina.”

Tuyet si aspettava sdegno o rabbia, invece Coriolanus le sorrise. Apparve per un momento prima che il suo volto ritornasse intonso come prima, poi disse: “Ma certo, regina Tuyet.”

Vedeva Darius con la coda dell’occhio. Sembrava orripilato. Prese mentalmente nota di prenderlo in girio per quello più tardi.

La porta conduceva a un corridoio che portava a una stanza con un grande tavolo e numerose sedie, una stanza riunioni pensata per ben più di tre persone. “Ti ringrazio per ciò che stai facendo.” Disse Elias non appena la porta si chiuse dietro di loro.

“Cosa starei facendo?” Domandò Coriolanus. “Non volevo fare troppe domande durante il nostro continuo scambio via falco, ma ora sei qui e voglio sapere cosa sta succedendo. Perché ho organizzato un ballo? Perché ti preoccupi di un ballo nel bel mezzo di una guerra con i pirati? Pensavo che prendere moglie fosse una sorta di strategia, però.” Indicò Tuyet. Fece una pausa, poi si rivolse direttamente a lei: “Vogliate scusarmi se vi ho offesa poco fa. Mia moglie è stata scelta per il suo comportamento piacevole e gli accordi commerciali che comportava il nostro matrimonio, non per le sue abilità al comando. Pensavo che mio cugino vi avesse sposata per gli stessi motivi. Mi sbagliavo, a quanto pare.”

Tuyet avrebbe dovuto accettare le sue scuse e lasciar perdere. Era più di quanto si aspettava, dopotutto, e di certo più di quanto molti re avrebbero fatto. Ma. “Dubito molto che un comportamento piacevole impedisca di essere atti al comando.” Elias la guardò, ma lei era sicura che non fosse tanto per aver iniziato una discussione quanto perché lei gli diceva sempre di essere un poco meno accondiscendente.

Si aspettava la rabbia di Coriolanus. Invece, lui sorrise di nuovo. Non cercò di nasconderlo quella volta. “Le abilità di Orla sono più discrete.”

Cosa voleva dire? La sua confusione doveva essere palese perché Elias disse: “Orla è il capo delle spie di Kia. È anche adorabile, ma il suo ruolo principale è di conoscere tutto ciò che c’è da sapere.”

“Sarei stato felice di una moglie che mi ascolta e mi da un figlio.” Disse Coriolanus.

“Ed è ciò che avete avuto?” Gli domandò Tuyet.

“Beh, mi ha dato tre figli.” Disse, ancora sorridendo. Non si espresse su quanto lo ascoltasse o meno, il che la diceva lunga.

Tuyet sorrise a sua volta, dissipando ciò che rimaneva dei suoi dubbi. “Mi piacete.”

“Anche voi.” Disse lui. “Ora. Potreste dirmi cosa diavolo sta succedendo?”

Elias e Tuyet si scambiarono uno sguardo. Lei inclinò il capo verso di lui, e suo marito iniziò: “Dunque, a proposito della guerra contro i pirati. A quanto pare, i pirati non hanno fatto niente di male, per una volta.”

Coriolanus alzò le sopracciglia pericolosamente vicino all’attaccatura dei capelli, ma non lo interruppe.

Le piaceva davvero.

***

Riley e Isobel la aiutarono a prepararsi, e le ricordò il giorno del suo matrimonio. Riley le stava acconciando di nuovo i capelli e stava per fermarli con un fermaglio quando Tuyet le disse “Aspetta” e fece finta di cercare qualcosa in un cassetto della sua toeletta, mentre evocava qualcosa nella mano.

Era il suo tridente, ma rimpicciolito, quindi non più grande di un fermaglio per capelli. “Usa questo.” Non aveva pensato di farlo, ma aveva visto ciò che avrebbe indossato e sapeva che quella sarebbe stata l’unica cosa adatta.

Riley lo prese con gioia, ma Isobel aggrottò la fronte. “Siete sicura di non voler usare le perle? Potrebbe sembrare strano assieme alla sua corona.”

“Sembrerà parte della corona,” disse Riley, “e si intona al vestito.”

Isobel era scettica, e lo rimase finché non aiuto Tuyet a indossare l’abito. Riley si inginocchiò e le mise le scarpe ai piedi, comode babbucce con cui poter camminare senza temere di inciampare. “Wow. Riley, tua madre si è proprio superata.”

“Lo so.” Disse lei con orgoglio. “Il conciatore avrebbe voluto ammazzarla alla fine, ma penso che ne sia valsa la pena.”

L’abito aveva due strati. Il primo era di cuoio fino e flessibile. Aveva il collo alto e lasciava le spalle e la schiena scoperti per poi continuare fin sopra le ginocchia. Era aderente senza risultare costrittivo, e il cuoio era stato tinto di grigio e lavorato in un intricato disegno a onde, e quelle onde erano state dipinte in diverse sfumature di grigio-blu, così il vestito dava l’impressione di brillare quando si muoveva. Il secondo erano lunghe fasce di tessuto vaporoso blu cucite ogni 15 centimetri attorno alle anche. Era stretto in alto e si allargava in basso, dando l’impressione di una gonna tutta d’un pezzo quando stava ferma ma che si apriva a strascico quando camminava, così da non intralciarla mai.

Era il tipo di vestito che le regine indossavano in battaglia nelle favole.

“Non voglio che sia nessun altro a vestirmi.” Dichiarò Tuyet, facendo una piroetta sul posto e osservando le parti della gonna turbinare e volteggiarle attorno.

Isobel annuì in assenso e Riley sorrise. “Sarà felice di sapere che vi è piaciuto. Voleva farvi un vestito che avrebbe subito fatto capire a chiunque chi eravate senza dovervi parlare.”

Fiona era un genio. Tuyet le avrebbe assegnato un titolo nobiliare o un castello al suo ritorno.

Non c’era posto per Cetus tra i suoi capelli o al collo, dunque ritornò nel suo posto al polso. Gli aveva detto prima che non doveva venire con lei se non voleva, ma era felice che ci fosse. Trovava rassicurante il suo peso freddo sul polso.

Quando lasciarono la stanza, Darius disse: “Siete tutte bellissime. Vostra altezza, sembrate pronta a combinare guai.”

“Di certo la cosa non dovrebbe più sorprenderti.” Gli disse, e Darius sospirò senza contraddirla.

Elias reagì a scoppio ritardato quando la vide, chinandosi per baciarle la mano, e l’avrebbe sbattuto contro il muro per baciarlo se solo non avesse rovinato tutto il duro lavoro di Isobel nel metterle olii e ciprie sul volto. Considerato quante guardie e nobili c’erano lì attorno, anche se erano i loro, forse era meglio se non lo faceva.

“Farai scoppiare una guerra vestita così.” Mormorò lui.

“No,” disse lei, “la farò finire.”

***

All’inizio, andò tutto bene. Tutti li guardavano, ma c’era da aspettarselo. Erano giovani monarchi, lei era una regina sconosciuta e, pensò con orgoglio, erano una bellissima coppia, soprattutto ora che indossava quel vestito. Era normale che tutti li stessero guardando.

Ballarono e incontrarono più persone possibili. Sarebbe stato tutto molto più semplice se i pirati avessero saputo chi li aveva assoldati, ma non lo sapevano, ovviamente. Sapevano solo che gli ordini venivano da qualcuno vestito in normali abiti neri, e viste le descrizioni sempre diverse, o avevano tutti una pessima memoria o erano state diverse le persone inviate da parte del loro re.

La guerra era un argomento ricorrente, e lei osservava tutto, cercando di capire chi era il responsabile. Avrebbe potuto lanciare un incantesimo di verità sul vino da servire per la cena, se proprio doveva, ma preferiva scoprire il colpevole prima. Anche se avrebbe di certo portato a galla la verità su chi stava attaccando la sua isola, e chi aveva infranto il trattato, una volta compreso che si trovava in una stanza piena di alleati che non potevano né mentire né essere ingannati, la situazione sarebbe degenerata molto in fretta.

Avrebbe preferito evitarlo, ma non avrebbe lasciato quel ballo con la sua isola ancora in pericolo, quindi se doveva andare così, pace. Orla le aveva fatto una serie di domande vaghe sul suo incantesimo di verità finché Tuyet non le aveva promesso di incantarle una bottiglia di vino prima di andarsene, in caso le dovesse servire.

Il sorriso di Orla in risposta alla sua proposta non era stato cortese. Era stato spietato.

Stava andando tutto bene, se non estremamente, finché non si trovarono davanti al re di Fell. Era pallido, con capelli di un rosso brillante e occhi blu e arrabbiati. “Re Elias.” Lo salutò con formalità. “Vedo che non avete avuto problemi a rimpiazzare mia figlia.”

Elias rispose qualcosa, ma Tuyet non lo sentì, col vento che le fischiava nelle orecchie e l’incapacità di concentrarsi su altro che non fosse la sfumatura di rosso dei capelli di re William.

Era il padre della principessa Felicity.

Era da molto che non sentiva l’impulso di scappare, ma ora sì, di allontanarsi il più possibile da quell’uomo.

“-uyet? Stai bene?”

“Scusami.” Disse, costringendosi a distogliere lo sguardo, a guardare suo marito. “Cos’hai detto?”

“Re William ti ha fatto una domanda.” Disse, ma studiò il suo volto, cercando di capire cosa l’aveva turbata.

Gli aveva raccontato com’era stata la sua vita, del suo ruolo nella morte di Felicity, ma non era entrata nel dettaglio. Non gli aveva detto che era andata a cercare il suo corpo, che aveva cercato e fallito nel trovare le parole giuste da dire sul suo cadavere e che l’aveva trasformato in spuma di mare perché non sapeva che altro fare. Non gli aveva detto che l’inutile morte di Felicity l’aveva straziata, di come le facesse male il petto e le si seccava la bocca perfino allora.

Voleva vomitare, ma non lo fece. Inspirò e si voltò verso William. “Sì?”

“Dove avete preso quella collana?” Le domandò lui.

Resistette alla tentazione di toccarla, di sentire la corona di Felicity lì dov’era poggiata sulla sua gola, dov’era stata da quando l’aveva presa dal suo corpo. “Non ricordo.”

“Davvero?” Domandò lui, le labbra storte in una smorfia. “Mi è familiare.”

“Quanto possono essere simili le collane tra loro?” Domandò lei. Avrebbe dovuto parlare della guerra, fare quei commenti arguti che aveva fatto per tutta la serata per vedere come avrebbe reagito, per vedere se era lui che minacciava la sua isola, ma non riusciva neanche a guardarlo. Voleva andarsene.

Stava per inventarsi una scusa per svicolare, per evitare di continuare a guardare i capelli di Felicity, ma in quel momento le porte del salone si aprirono di scatto, con vento e fulmini che fecero urlare e allontanare i presenti. Fuori pioveva a dirotto, erano nel bel mezzo di una tempesta tremenda, il che era strano perché l’ultima volta che aveva guardato fuori dalla finestra non l’aveva notato.

Poi vide chi c’era all’ingresso.

Almeno aveva i pantaloni.

“LEI DOV’È?” Ruggì re Proteus.

“Padre?” Le sfuggì dalle labbra prima di potersi fermare. Forse sarebbe riuscita a gestire meglio la situazione se re William non l’avesse colta alla sprovvista, ma era successo, e non sapeva cosa sarebbe successo, come suo padre sapeva dove si trovava, come sapeva che era ancora viva.

Poi intravide qualcuno dietro la figura di suo padre mentre le porte si chiudevano di scatto, ed era la sua sorella maggiore. Mai indossava un vestito semplice, era chiaro che suo padre non si era curato troppo dei loro abiti quando si erano fatto spuntare le gambe per andare a riva. Non era un incantesimo che poteva mantenere a lungo, ma di certo abbastanza da rovinare tutto.

Perlomeno, questo spiegava ciò che aveva visto in acqua e perché suo padre l’aveva trovata. La coda di Mai era rosa.

Proteus guardò nella loro direzione e, quando la vide, socchiuse gli occhi per la rabbia. Non era più la ragazzina di un tempo, ma si sentì così quando la guardò a quel modo. “Tu le hai fatto questo.” Sibilò, correndo verso di loro, ed evocò il suo tridente d’oro tra le mani.

Ebbe solo un paio di secondi per capire che il suo sguardo non era diretto a lei, ma a suo marito, e che suo padre lo stava per uccidere.

Reagì senza pensare, estraendo il suo tridente dai capelli. Nel farlo, fece cadere la corona e i capelli le ricaddero attorno al viso. Il tridente ritornò alle sue dimensioni nelle sue mani, e Tuyet sfruttò le poche lezioni di Maria per bloccare il tridente di suo padre, argento contro oro, e rivolse un’occhiata truce alla sua espressione stupita. Lo respinse, usando una combinazione di magia e forza fisica per costringerlo ad arretrare lontano da lei, da Elias. Tenne il tridente di fronte a sé, la punta contro di lui, e disse: “Cetus, proteggi Elias.”

Cetus sibilò, lasciandole il polso, e crebbe fino a diventare un enorme serpente argentato, parandosi di fronte a Elias con le fauci spalancate.

“Cosa- come.” Suo padre portò lo sguardo dal suo tridente a lei. “Perché lo proteggi?”

“Perché lo attacchi?” Domandò lei. “Se sei qui per rinchiudermi è un conto, ma non c’è motivo di coinvolgerlo!”

“Rinchiuderti?” Disse Elias, superando Cetus e mettendosi al suo fianco. “Perché dovrebbe rinchiuderti? Non può farlo!”

Non alzò gli occhi al cielo, ma solo perché avrebbe significato distoglierli da suo padre. “È il re dell’oceano e mio padre. Non è che possa impedirglielo.”

“Ci potresti provare.” Supplicò lui. “Non lasciarmi.”

Voleva baciarlo così tanto, era un bisogno fisico. Pensò che c’era la possibilità che non l’avrebbe baciato mai più.

“Come osi fare questo a mia figlia.” Ruggì Proteus, facendo un passo avanti, il tridente in pugno.

Cetus li avvolse, sibilando a suo padre. Era un antico mostro marino. Proteus era molto potente, ma Tuyet dubitava che sarebbe riuscito a superare Cetus. Il serpente marino poteva anche essere fuori dal suo elemento, ma anche suo padre lo era.

“Di che stai parlando?” Gli chiese lei. “Non mi ha fatto niente!”

Proteus sbatté il tridente a terra, affondandolo parecchio nel marmo. Avrebbe dovuto ripararlo più tardi. “Ha usato un incantesimo per scambiarvi i cuori e ti ha intrappolata qui! Dovrei forse ignorare il fatto che ha rapito mia figlia? Costringendola a essere qualcosa che non è? Usando i suoi poteri per i suoi fini?”

“Un incantesimo per scambiare i cuori.” Ripeté lei piano. In tutte le sue letture, non aveva mai visto un incantesimo simile.

Elias fece un passo avanti, furbo abbastanza da rimanere dietro a Cetus, per fortuna. “Non ho usato nessun incantesimo! Sono un uomo mortale, non ho magia, e non le farei del male neanche se potessi. Io la amo!”

“Tu menti.” Sibilò Proteus, fulmini che gli percorrevano le braccia.

“Scambio di cuori.” Disse lei, e per un momento non le importò di ciò che la circondava, dei monarchi o della sua famiglia. Aveva occhi solo per Elias. “Mi ami? Mi daresti il tuo cuore?”

Lui si voltò verso di lei, le guance arrossate. “Ti ho già dato il mio regno. Cos’era il mio cuore a confronto? Li hai trattati entrambi con così tanta cura.”

Mai si fece avanti, posando con cautela una mano sul braccio di Proteus. “Padre, fermati. Credo che ci siamo sbagliati.”

Di colpo, capì molte cose. Il bacio di Elias, l’ondata di potere e energia che aveva sentito subito dopo, il fatto che non si era più sentita così stanca. Aveva pensato che fosse perché finalmente riusciva a dormire bene, ma se non fosse stato per quello, se fosse-

E se ci fosse stato più di un modo per ottenere un cuore mortale? Un modo che qualcuno come Caligula non si sarebbe curato di annotare, un modo che qualcuno come lei forse non conosceva? Ma questo non spiegava come John e il suo amato – o beh, forse sì. Come John aveva ammesso, il suo amato lo amava, ma non abbastanza.

“Questo significa che potrò restare?” Domandò a suo padre. Se fosse stato vero, allora si sarebbe battuta. Non sarebbe andata in una prigione scelta da suo padre senza combattere, non quando Elias era lì, non quando la amava, non quando avrebbe potuto averlo.

La rabbia di Proteus si era dissipata. Ora la guardava come se non la riconoscesse, ma non necessariamente in senso negativo, non nel modo in cui temeva che l’avrebbe guardata. “È ciò che vuoi?”

“Io.” Si fermò, confusa. Certo che era ciò che voleva. Ma perché glielo aveva chiesto? Significava che l’avrebbe lasciata andare? “Aspetta, ero- stavo facendo una cosa, prima di tutto questo.” Osservò i nobili terrorizzati che si nascondevano da loro. Coriolanus teneva la moglie tra le braccia, ma entrambi sembravano più interessati che impauriti. Non c’era motivo di essere discreti, a questo punto. Ogni possibilità di discrezione era sfumata quando suo padre aveva sfondato le porte con fulmini al seguito. Concentrò la magia nelle mani e lanciò un: “Veritus!”.

Suo padre sbatté le palpebre. Perfino Mai sembrò presa in contropiede. “Non hai usato il tridente!”

Perché avrebbe dovuto usarlo per un incantesimo minore? Le sembrava decisamente uno spreco. Ma ignorò sua sorella, avrebbero parlato dopo aver risolto quella questione. Aspettò un momento di più per assicurarsi per l’incantesimo di verità avesse attecchito prima di domandare: “Chi di voi ha organizzato gli attacchi pirata contro la mia isola?”

“Sono stato io.”

Tutti si voltarono. Era proprio l’ultima persona che si sarebbe aspettata. “Perché? Come?”

Re William era mortificato, gli occhi che quasi gli schizzavano fuori dalle orbite per lo sforzo di non rispondere, ma ci voleva qualcuno un poco più potente di un re mortale per resistere al suo incantesimo. “Volevo controllarla. È un’isola così piccola, non ha senso che si governi da sola. Ho pagato i pirati perché continuassero ad attaccarla, poi ho offerto al re la mia marina militare e mia figlia come mezzi per finire la guerra e controllarla. Ma mia figlia si è suicidata, quindi volevo aspettare che i pirati distruggessero l’isola per poi raccogliere ciò che ne sarebbe rimasto.”

Mormorii sconvolti si levarono tutt’intorno, e le persone si allontanarono da William, anche se significava avvicinarsi a lei e suo padre. “Quando re Coriolanus te lo chiederà, digli i nomi di coloro che ti hanno aiutato, e di coloro che hai ingannato.” Guardò Coriolanus. “Potete continuare voi? E potrei usare la vostra sala riunioni?” Forse avrebbe dovuto lasciare che fosse suo marito a occuparsene, ma non voleva che lo facesse da solo, e sembrava che il minimo che potessero fare fosse lasciare il comando a Coriolanus, visto che l’avevano trascinato loro in quella situazione e il disastro che avevano fatto nella sua sala da ballo.

Coriolanus e Orla avevano la stessa espressione disgustata in volto, ma guardavano William, non lei.

“Fate pure, cara.” Disse Orla. “Ce ne occuperemo noi.”

“Vi ringrazio. Padre, Mai, venite con me.” Ordinò lei.

“Aspettate!” Urlò Isobel.

Tuyet si girò, confusa. Riley sfrecciò in avanti da dove si era nascosta dietro Darius. Raccolse la corona di Tuyet che le era caduta quando aveva preso il tridente e se la strinse al petto, esitando di fronte a Cetus. Non riusciva a costringersi a superarlo, e Cetus emise un sibilo basso e divertito per poi rimpicciolirsi, non così piccolo come quando fingeva di essere un braccialetto, ma abbastanza da potersi avvolgere attorno al tridente, poggiando la testa nell’avvallamento tra due rebbi.

Riley continuò a guardarlo, nervosa, ma fece quegli ultimi due passi, tenendo la corona di Tuyet con entrambe le mani. “Vostra maestà.”

Darius si fece avanti e si inchinò, e poco dopo tutta la sua gente fece lo stesso. Tutti coloro che erano venuti con loro da Tizile si inchinarono a lei.

Sapevano cos’era, avevano appena visto cosa poteva fare e comunque la riconoscevano come loro regina. Erano confusi e spaventati ma, chissà perché, non da lei.

Tuyet si mise in ginocchio di fronte a Riley, e lei le posò con cura la corona sul capo. “Ti ringrazio.” Disse lei, guardandola.

Riley sorrise e sussurrò “Grazie a voi” per poi farle un profondo inchino.

Dovette schiarirsi la voce prima di parlare: “Elias, dammi un momento. Torno subito.”

“No.” Disse lui, e lei non capì finché lui non le prese la mano. “Ovunque tu vada, vengo con te.”

Era decisamente il momento peggiore per baciarlo, quindi non lo fece, ma ci pensò davvero molto.

***

Le ci volle più di quanto avrebbe voluto per districare ciò che era successo.

“Quindi non vuoi rinchiudermi?” Domandò lei, giusto per essere chiari.

“Voglio uccidere di nuovo Caligula.” Tuonò Proteus. “Che cosa ti ha fatto-”

“Sono stata io ad andare da lei.” Sottolineò Tuyet, e non per la prima volta. “Ho infranto le tue regole e rubato dal tesoro reale e sono andata da lei per cercare aiuto. Sono stata io a causare lo tsunami e poi ho preso il suo posto, anche se non ero obbligata a farlo. Tutte le voci terribili che hai sentito da allora su una strega del mare riguardavano me.”

“Sei una bambina!” Scattò Proteus, a metà tra il risentimento e la tristezza. “Eri una bambina.”

Mai scosse il capo. “Non ci hai ascoltate. Abbiamo sentito voci su una strega del mare più buona, più giusta. Perché pensi che non abbiamo mai fatto niente in merito? Anche se, col senno di poi, avremmo dovuto.”

Tuyet fece spallucce. “Non avete fatto niente con Caligula.”

“No,” disse suo padre, “è vero. Ho sbagliato. Avrei dovuto rinchiuderla quando ne avevo la possibilità. Avrei dovuto prendermi meglio cura di te. Ma pensavamo che fossi morta, Tuyet. Hai idea di cos’abbia significato per tua nonna? Per le tue sorelle?”

Non lo sapeva. Non voleva saperlo, ma anche se sentiva una fitta di rimpianto non si fece distrarre. “Mi costringerai a tornare?” Anche se non l’avrebbe rinchiusa, se avesse provato ad allontanarla da Elias, dalla sua isola, sarebbe stato lo stesso.

Lui scosse il capo, ma sembrò che fosse più per rassegnazione che per diniego. “Non credo che potrei. Guardati. Brandisci il tridente di Pallas, che io non riesco neanche a sollevare. La tua conoscenza sulla tua magia è tale da non dover usare il tridente per incantesimi complessi. L’antico mostro marino Cetus ti obbedisce. Come puoi pensare che ti costringerei a tornare a casa?”

“Sei mio padre.” Disse lei, ignorando il resto, che sembrava più notevole di quando lo fosse.

Lui sospirò, e sembrò molto vecchio, e Mai gli posò una mano sulla spalla. “Tuyet, ti vogliamo bene. Torna a casa.”

“Lei è a casa.” Disse Elias, parlando per la prima volta. “È mia moglie e la mia regina. Il suo posto è qui.”

 Proteus aggrottò la fronte, ma Tuyet disse: “Lo voglio. Ho scelto lui. Voglio tenerlo.”

“Bene,” sbottò suo padre, “ma vuoi davvero vivere sulla terraferma e governare la sua isola per sempre?”

Sembrava terribile pensarci adesso, ma: “Quando il regno di Elias finirà,” quando lui morirà, “tornerò a casa.” Erano sirenidi, erano straordinariamente longevi. Rimanere separati per la durata di una vita umana era molto tempo, ma non il tempo di una vita, non per loro.

Mai e Proteus sembravano confusi. Infine, Mai disse: “Tuyet, credo che tu non abbia capito. Finché ti amerà davvero e appieno, finché avrai il suo cuore, potrai vivere e camminare liberamente tra i mortali senza che questo ti tocchi. Ma finché tu lo amerai davvero e appieno, finché lui avrà il tuo cuore, proprio come tu non sarai come le altre sirene, lui non sarà come gli altri mortali. Avrà una vita lunga tanto quanto la tua. Finché vivrai, finché vivrà.”

Per un momento, fu così sorpresa da non riuscire a parlare.

“Davvero?” Chiese lei, trepidante. “Ne sei sicura?”

Mai guardò Proteus, poi annuirono entrambi.

Si voltò verso Elias, che le stava sorridendo con un sorriso sbilenco. “Non ti perderò.” Disse lei, e non si accorse che stava piangendo finché Elias non le fu abbastanza vicino da asciugarle le lacrime dalle guance.

“E io non perderò te.” Sussurrò lui, posandole un veloce bacio sulle palpebre. La strinse a sé per la vita, girandosi verso il padre e la sorella di Tuyet. “Re Proteus, principessa ereditaria Mai, la nostra isola ha bisogni di entrambi in questo momento. Ma in futuro, quando i nostri figli saranno cresciuti e pronti a prendere il nostro posto, potremo tornare al mare.” Fece una pausa, poi guardò Tuyet. “Puoi farlo, giusto? Darmi una coda come tu ti sei fatta spuntare le gambe?”

“Sì.” Disse lei. “Ma Elias, ne sei sicuro? Non devi farlo.”

“Non sono mai stato così sicuro in tutta la mia vita.” Disse lui. “Ovunque tu vada, vengo con te.” Non riuscì più a trattenersi e lo baciò perché se non l’avesse fatto sarebbe morta, ne era sicura.

Quando si separarono, Mai sorrideva e suo padre sembrava solo rassegnato quando disse: “Mi sembra accettabile.”

“Vi ringrazio, re Proteus.” Disse Elias, formale.

Lui incrociò le braccia. “Immagino che potresti anche chiamarmi Padre. Sembra che dovremo conoscerci.”

Tuyet rise e lasciò il fianco di suo marito per abbracciare suo padre, per abbracciare sia lui che sua sorella, e farsi abbracciare a sua volta.

***

Sulla via del ritorno, non dovette nascondere la sua magia. Rimase al timone della nave e avvolse la sua magia intorno a loro, dove la ciurma poteva vederla, ed esultarono quando le correnti e i venti cambiarono in loro favore.

“Dovremmo inviare un qualche tipo di regalo di scuse a Coriolanus e Orla.” Disse lei, accoccolata al fianco di Elias.

“Scherzi? Era da anni che non si divertivano così.” Disse lui. “Negoziare i termini delle riparazioni di guerra di Fell e le modifiche ai tratti è il regalo migliore che potessero ricevere. William non gli è mai stato molto simpatico.”

“E a ragione, sembra.” Borbottò lei.

La ciurma cacciò qualche urlo e Tuyet sentì una fitta di preoccupazione, ma poi vide il grido di emozione di Darius.

Tutti si accalcavano ai bordi della nave, indicando e salutando con la mano, e quando vide perché non riuscì a trattenere le risate.

Tutte e cinque le sue sorelle nuotavano ai lati della nave, con Mai in testa, chiamandola e muovendo la coda in saluto.

“Vuoi andare con loro?” Le chiese Elias.

“Non ti dispiace?” Gli domandò, anche se moriva dalla voglia di farlo.

Lui sorrise. “Mi vuoi. Hai scelto me. Mi terrai. Di cosa dovrei preoccuparmi?”

Lo baciò per poi togliersi corpetto e pantaloni, correre dall’altro lato della nave e tuffarsi.

Le sue sorelle e la sua gente esultarono quando riemerse, la sua coda che brillava nel caldo sole di pomeriggio.

Tuyet nuotò con le sue sorelle fino a Tizile. Promise loro di andarle a trovare presto e tornò a riva, dritta tra le braccia frementi di Elias.

Non doveva scegliere.

Non doveva continuare a sacrificarsi.

Poteva avere tutto, suo marito e la sua isola, e la sua famiglia e il mare.

***

Note dell’autrice:

Tuyet curò il cuore di John e i Darling rimasero sull’isola a capo della marina militare. Darius divenne consigliere e sposò Riley. Isobel divenne il capo delle spie. E vissero tutti felici e contenti.

Mi sono divertita COSÌ TANTO a scrivere questa storia, e spero che anche voi vi siate divertiti a leggerla!

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