Shadows in the Dark 1 - La Volpe, l'Asino e il Serpente

di michaelgosling
(/viewuser.php?uid=182536)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** C'era una Volta - Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 1 ***
Capitolo 4: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 1 ***
Capitolo 5: *** C'era una Volta - Capitolo 2 ***
Capitolo 6: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 2 ***
Capitolo 7: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 2 ***
Capitolo 8: *** C'era una Volta - Capitolo 3 ***
Capitolo 9: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 3 ***
Capitolo 10: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 3 ***
Capitolo 11: *** C'era una Volta - Capitolo 4 ***
Capitolo 12: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 4 ***
Capitolo 13: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 4 ***
Capitolo 14: *** C'era una Volta - Capitolo 5 ***
Capitolo 15: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 5 ***
Capitolo 16: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 5 ***
Capitolo 17: *** C'era una Volta - Capitolo 6 ***
Capitolo 18: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 6 ***
Capitolo 19: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 6 ***
Capitolo 20: *** C'era una Volta - Capitolo 7 ***
Capitolo 21: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 7 ***
Capitolo 22: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 7 ***
Capitolo 23: *** C'era una Volta - Capitolo 8 ***
Capitolo 24: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 8 ***
Capitolo 25: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 8 ***
Capitolo 26: *** C'era una Volta - Capitolo 9 ***
Capitolo 27: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 9 ***
Capitolo 28: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 9 ***
Capitolo 29: *** C'era una Volta - Capitolo 10 ***
Capitolo 30: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 10 ***
Capitolo 31: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 10 ***
Capitolo 32: *** C'era una Volta - Capitolo 11 ***
Capitolo 33: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 11 ***
Capitolo 34: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 11 ***
Capitolo 35: *** C'era una Volta - Capitolo 12 ***
Capitolo 36: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 12 ***
Capitolo 37: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 12 ***
Capitolo 38: *** C'era una Volta - Capitolo 13 ***
Capitolo 39: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 13 ***
Capitolo 40: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 13 ***
Capitolo 41: *** C'era una Volta - Capitolo 14 ***
Capitolo 42: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 14 ***
Capitolo 43: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 14 ***
Capitolo 44: *** C'era una Volta - Capitolo 15 ***
Capitolo 45: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 15 ***
Capitolo 46: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 15 ***
Capitolo 47: *** C'era una Volta - Capitolo 16 ***
Capitolo 48: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 16 ***
Capitolo 49: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 16 ***
Capitolo 50: *** C'era una Volta - Capitolo 17 ***
Capitolo 51: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 17 ***
Capitolo 52: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 17 ***
Capitolo 53: *** C'era una Volta - Capitolo 18 ***
Capitolo 54: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 18 ***
Capitolo 55: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 18 ***
Capitolo 56: *** C'era una Volta - Capitolo 19 ***
Capitolo 57: *** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 19 ***
Capitolo 58: *** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 19 ***
Capitolo 59: *** C'era una Volta - Capitolo 20 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SHADOWS IN THE DARK

 

1.       La Volpe, l’Asino e il Serpente.

 

PROLOGO

 

 

“Il passato è attaccato alle nostre spalle. Non possiamo vederlo, ma possiamo sempre sentirlo.”

(Mignon McLaughlin)

 

 

Una volpe.

 

C’era una volpe sul calendario da tavolo del suo ufficio. Ma non per davvero. Lo sapeva che non c’era, ma la vedeva.

Le lettere dei mesi e degli anni e i numeri dei giorni si erano mescolati, le linee che separavano le date allungate e i quadretti allargati ed eccola lì, la volpe, frutto di tutti quei movimenti neri sulla carta.

Ma non per davvero.

Le lettere e i numeri erano a posto e le linee dritte e tese come una corda. La volpe? Se si trovava da qualche parte era nella sua testa, e certamente non su quel pezzo di carta, e tutto quello che Nolwenn capì da quella strana illusione ottica era che aveva decisamente bisogno di una vacanza, soprattutto lontana da luoghi come quello, il cui tempo passava così inesorabilmente lento che la sua mente era arrivata a distorcere un noioso calendario e a vederci dentro una volpe, che non era gran cosa, ma evidentemente migliore. Non che ci volesse molto.

 

Ma chi gliel’aveva fatto fare di ridursi così? Sapeva benissimo che la sua unica possibilità di vivere senza dover lavorare era vincere alla lotteria, ma questo?!?

Era questo il suo futuro? La sua vita? Era davvero questo che l’aspettava? Non aveva neanche trent’anni, e già non ne poteva di più. Ma cos’altro poteva fare? A cos’altro poteva aspirare?

 

“Poteva andarti peggio. Potevi trovare un lavoro manuale. Un lavoro fisicamente faticoso. Un lavoro sottopagato. Un lavoro che superava le otto ore giornaliere. Oppure nessun lavoro.” Le diceva sempre sua madre, e per quanto ne fosse infastidita, Nolwenn sapeva che le sue parole non avevano lo scopo di offenderla, ma di riportarla alla realtà.

 

“Sii grata per quello che hai.” E lo era.

Non si era mai lamentata. Non aveva mai preteso di avere una vita migliore di quella che le era stata offerta. Dava tutto quello che guadagnava ai suoi genitori spontaneamente perché sapeva che erano poveri e vecchi. Quando c’era da fare la spesa, da portarli dal medico o qualsiasi incombenza di tipo burocratica era sempre stata lei ad occuparsene. Era diventata un’adulta molto prima del compimento dei suoi diciotto anni, e ora che di anni ne aveva ventiquattro, si sentiva una quarantenne schiacciata dalle responsabilità. Ma a volte, solo a volte, avrebbe preferito qualcosa di più. Non voleva una vita più ricca, più famosa o più facile, ma solo.. più emozionante.

 

“.. voglio dire, ho fatto richiesta dei documenti più di una settimana fa, oggi è il 15 aprile e ancora non sono arrivati? Quando dovrò..”

 

Né le parole di sua madre né una volpe mai esistita riuscirono a riportarla alla realtà, ma la voce ancora squillante di Fournier che da due ore la teneva impegnata in quella che era più un ascoltare e basta da parte di Nolwenn che in una conversazione ci riuscì. Incredibile.

Che due palle.

“Capisco perfettamente, signore. Riferirò ai miei superiori affinché i nostri settori lavorino più in fretta per farle avere quei docum-“ Nolwenn non riuscì a terminare la frase che un brusco rumore la interruppe. Il rumore di una telefonata interrotta.

 

Il fetente ha riagganciato! Due ore ad ascoltare le sue patetiche ciarle e per una volta che parlavo io, e con molta più cortesia di quanto meritasse, mi sbatte il telefono in faccia?!?


Nolwenn non fece in tempo a riagganciare la cornetta che Tomlison, il suo capo, apparve sulla soglia del suo ufficio, l’espressione infastidita come se fosse stato lui ad aver avuto a che fare con quel cliente, ma Nolwenn sapeva che il fastidio che provava era causato esclusivamente da lei.

“Domani ci sono i controlli.”

 

“Sì, ne sono consapevole.” E’ da una settimana che se ne parla. Sarebbe stato strano non saperlo.

“Quindi, ecco.. puoi prenderti un giorno di riposo.”

 

La conversazione stava prendendo esattamente la piega che Nolwenn si aspettava, ma questo non la rendeva meno irritante.

“Posso o devo?”

 

Se Tomlison aveva voglia di fare lo stronzo, lei non aveva nessuna intenzione di renderglielo più facile.

“Lo sai come funziona.” La stava guardando dritto negli occhi, rigido come se guardarla fosse per lui uno sforzo enorme.

 “E come funziona?” sapeva già la risposta, ma voleva che Tomlison lo dicesse a voce alta, così forse si sarebbe reso conto di quanto stupido fosse il suo ragionamento. Forse.

“Sono i controlli. Valuteranno ogni cosa. Deve essere tutto perfetto.”

 

“Anche la mia faccia?” forse Tomlison non aveva le palle di dire le cose come stavano veramente, ma lei sì.

 

Sempre lo stesso problema. Quel problema che i più audaci le dicevano in faccia mentre i più timidi si limitavano a fissarla come se avessero visto un alieno: i brufoli.

Lei ne era sempre stata costellata, di brufoli. Dall’infanzia all’adolescenza, e anche ora che era diventata un’adulta non l’avevano ancora abbandonata. Fortunatamente le molte lentiggini aiutavano a mascherarne alcuni, ma quelli più grandi e visibili erano difficili da nascondere, e ovviamente i più erano sul viso: tre sulla fronte, due sulla guancia sinistra, altri tre sulla destra e cinque sul mento, di cui due abbastanza piccoli e gli altri tre grandi quanto un dente, ma era quello nella schiena il più grande e il più fastidioso, trovandosi esattamente nella zona in cui la pelle toccava il tessuto del reggiseno, causandole di tanto in tanto un leggero dolore.

 

Nolwenn sapeva che non era poi così comune per una giovane donna adulta averne tanti, o averne anche solo qualcuno, e per quanto lei stessa avrebbe preferito liberarsene, non se ne vergognava al punto di sentire di doversi giustificare o nascondere per averli, tanto meno per questioni in cui il suo aspetto non aveva nessuna rilevanza. Come il lavoro.

“Non è niente di personale, Nolwenn..” continuò imperterrito Tomlison, pur sapendo che lei non avrebbe creduto ad un sola parola “.. è una questione di reputazione. E di prime impressioni.”

 

“Controlleranno il mio lavoro, non la mia pelle.” e la mia pelle non è in alcun modo affar loro, come non è tuo.

“Non hai nessuna idea di cosa controlleranno. E io non posso rischiare che si facciano una brutta idea.”

 

“Però a Natale dell’anno scorso qualche rischio te lo sei voluto prendere, eh? Quando mancava dello staff e io ho dovuto lavorare dodici ore al giorno per due settimane perché senza il lavoro si sarebbe fermato. Allora ti andava bene di vedere la mia faccia brufolosa, eh?”

“Hai detto anche troppo, Laurent. Sono io il capo. Sono io che decido. La discussione è chiusa, fine della storia. Domani non voglio vederti in ufficio.”

E non mi vedrai. Stanne certo.

 

-    - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

 

“L’avvenire è la porta. Il passato ne è la chiave.”
(Victor Hugo)

 

Le risate infantili dei bambini che si correvano a vicenda nel grande giardino erano talmente forti e vivaci da aver raggiunto Arielle dal momento in cui erano nate, nonostante la distanza e le finestre chiuse. Così come le chiacchiere degli adulti e il profumo del banchetto esterno.

 

Arielle diede un’ultima, fugace occhiata a ciò di cui era privata dalla sua stanza chiusa e lontana, per poi allontanarsi dalla finestra e sedersi sul suo letto, prima che qualcuno da fuori, magari alzando lo sguardo, la vedesse.

La sua attenzione si spostò sull’elegante orologio a pendolo, le cui lancette si muovevano con una tale lentezza da averle dato l’impressione di essere finita in un mondo parallelo in cui tutto si muove a rallentatore. Fu allora che ebbe l’impressione che una delle lancette avesse un aspetto diverso dal solito. La lancetta che segnava i minuti.

Era più gialla di quanto ricordasse. Era sempre stata così gialla? E sembrava più ondeggiante del solito. Si stava muovendo per caso? Impossibile. Sembrava.. sembrava quasi un minuscolo serpente giallo che si agitava per uscire.

Devo aver dormito peggio del solito questa notte. La mente mi fa brutti scherzi.


Poco meno di un minuto dopo, la porta della sua camera si aprì ed entrò una donna che non poteva avere meno di sessant’anni. Le sue mani erano rovinate e i suoi lineamenti duri e invecchiati più del dovuto, ma i suoi occhi erano gentili.

“Perdonate il disturbo, signorina Marchand.. avete fame? Ho preso dalla cucina dei croissant alla marmellata appena sfornati, i vostri preferiti.”

Per la prima volta nel giro di qualche ora, nel volto di Arielle si formò un sorriso grato e timido.

“Colette.. non dovevi, io.. non ho molta fame. Mangiali tu.”

 

“Signorina, io ho mangiato più recentemente di voi. Ve li lascio qui, nel caso cambiaste idea.”

 

Arielle si limitò a sorridere, e il volto della cameriera si fece preoccupato.

“State bene, signorina? Avete bisogno di qualcosa?”

 

Il sorriso di Arielle si spense lentamente, e tornò a guardare l’orologio a pendolo. Le lancette ora sembravano muoversi ancora più lentamente di prima, e la lancetta dei minuti sembrava ancora un serpente giallo.

 

“Ho bisogno che il tempo passi più in fretta, ma temo che questo nessuno possa cambiarlo.” Continuava a guardare l’orologio a pendolo mentre parlava, e la sua voce era talmente melodica e dolce da sembrare quella di un angelo.

 

“Nessuno vi obbliga a stare qui, signorina. Lo sapete. Se solo voleste, potreste scendere e partecipare alla festa della vostra famiglia.”

 

Era vero. Nessuno la obbligava. Non era una prigioniera. Però sapeva che la sua famiglia lo avrebbe preferito, e lei non voleva ferire la sua famiglia. No. Quando la festa sarebbe finita e gli ospiti fossero tornati a casa loro, sarebbe scesa. Ma non prima.

 

“Potreste mettervi uno dei vostri meravigliosi vestiti.. sareste la più bella di tutti.”

La più osservata di sicuro, ma di certo non per la sua bellezza. I suoi occhi erano ancora rivolti all’orologio a pendolo, ma non osservava più le lancette. Nell’orologio riuscì a vedere la propria immagine riflessa, ed eccole lì, le sua chiazze non pigmentate, sul viso, sul collo, sulle spalle e sul resto del corpo.

“La vitiligine colpisce lo 0,5 – 2 % della popolazione mondiale..” e Arielle faceva parte di quel numero fortunato.

 


- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

 

 

 

“Il presente è il punto in cui il tempo tocca l’eternità.”

(C.S. Lewis)

 

Vide Arielle e Nolwenn non appena arrivò nella maestosa piazza di Notre Dame, ma non fu la sola: sua madre, che l’aveva accompagnata in macchina, gettò un’occhiata alle due ragazze, prima di riportare la propria attenzione su sua figlia.

 

“Te l’avevo detto che era meglio indossare gli abiti che ti avevo preparato, Yvonne. E anche pettinarti i capelli non sarebbe stato male.”

Tombola.

“Mamma ti prego, non cominciare.”

 

Arielle indossava un meraviglioso abito raffinato ed elegante come si addiceva alla ricca e facoltosa famiglia a cui apparteneva, ma anche molto femminile. I suoi meravigliosi riccioli dorati le cadevano sulle spalle e i suoi occhi azzurri spiccavano nonostante fosse quasi sera.

Accanto a lei, seduta sul muretto davanti alla cattedrale di Notre Dame c’era Nolwenn, con una gamba davanti appoggiata alla pavimentazione della piazza e l’altra distesa su una parte del muretto. Aveva i capelli rossi raccolti in una coda frettolosa ma ben fatta, e gli occhi verdi sorridevano all’amica. Indossava jeans, scarpe da ginnastica e una maglietta comoda, ma elegante. Non era femminile e curata come Arielle, ma a modo suo lo era anche lei.

 

Tutt’altra faccenda era Yvonne. Capelli scuri, spettinati e poco curati, occhiali appannati dalla montatura spessa che nascondevano due grandi occhi, dello stesso colore dei capelli, spesso annoiati, dei ben visibili baffetti sopra il labbro superiore e una grande T-shirt raffigurante i Pokémon, fin troppo grande per lei e chiaramente ideata per essere indossata da un uomo.

Yvonne di anni ne aveva ventiquattro, esattamente come Nolwenn e Arielle, ma mentre le due amiche li dimostravano, lei sembrava ancora una ragazzina di tredici anni.

Salutò rapidamente la madre con la mano e uscì dalla vettura. Si incamminò verso le due ragazze, ma dato che loro l’avevano già vista, finirono con l’incontrarsi a metà strada.

 

Come facevano ogni volta che si incontravano, Arielle la salutò calorosamente nei gesti, abbracciandola delicatamente, con la sua voce piena di affetto e accarezzando le sue braccia in modo rassicurante, mentre Nolwenn la salutò calorosamente con la sua voce carica di energia e di battute e con la gioia negli occhi.

E come tutte le altre volte, Yvonne si limitò ad un sorriso che sfoggiava di rado e un “ciao” molto sussurrato, che non era mai all’altezza di come invece veniva accolta da loro due.

Erano amiche da tanto, dai tempi dell’asilo, ad unirle era stata la loro reciproca solitudine. Allora Nolwenn aveva già i brufoli e Arielle già la vitiligine, ma Yvonne non aveva ancora le unghie mangiate e la caduta dei capelli, ma era comunque sola per via della sua timidezza.

Le unghie iniziarono a rovinarsi con l’inizio della scuola e di tutto quello che ne era derivato, tra cui l’ansia che l’aveva portata a mangiarsi costantemente le unghie e che ancora non l’aveva abbondonata.

Poi era subentrata la perdita dei capelli causata da un problema nel sangue. Non era così grave da essere definita alopecia, ma fu costretta a smettere di portare la riga al centro e passare a quella laterale per fare in modo che non si notasse e ciò nonostante, se ti avvicinavi abbastanza, riuscivi a vedere la cute.

Sua madre aveva provato qualsiasi tipo di cura per anni e per la maggior parte delle volte Yvonne acconsentì, ma quando le propose dei farmaci, si rifiutò. Non era vanitosa fino a quel punto, e se avesse dovuto prendere dei farmaci quotidianamente per arginare il problema, si sarebbe tenuta le sue cadute di capelli, e al diavolo tutti quanti.

Iniziarono a chiacchierare del più e del meno, camminando per la piazza di Notre Dame che rimaneva comunque bellissima a discapito della sera che si stava avvicinando, ma la compagnia era ancora più bella.

Yvonne parlò poco come al solito, si limitava più che altro ad ascoltare Nolwenn e Arielle, le cui vite ed episodi da riferire erano sicuramente più incisivi e più interessanti dei suoi, ma le due coetanee parvero apprezzare ognuna delle cose che Yvonne disse, l’ascoltarono con attenzione, e risero quando se ne usciva con una battuta.

Qualche ora più tardi, tutte e tre si diressero di comune accordo dentro la Cattedrale di Notre Dame: nessuna delle tre era religiosa, ma l’amavano tutte quel luogo, per ragioni diverse.

Nolwenn ne era attratta per essere sempre stato un luogo di pace e tranquillità, laddove il resto della sua vita era frenetica.

Arielle ne amava l’ottimismo e la speranza che diffondeva quel luogo, il desiderio di un futuro migliore.

Yvonne, invece, ne amava lo stile gotico nell’architettura interna ed esterna, dandole l’impressione di essere in quei film un po’ cupi che amava così tanto.

Se ne stettero in una delle panchine della cattedrale, in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri. Ognuna immersa nelle loro preghiere. Preghiere a chi? A Dio? Al futuro? Alla speranza? Difficile dirlo.

Poi, Yvonne sentì dei rumori. Erano scarpe. Piedi. Che si muovevano frettolosamente e con agitazione. Strano, considerando il luogo in cui si trovava.

Decise di aprire gli occhi.

Nolwenn e Arielle li avevano ancora chiusi, evidentemente non avevano sentito nulla, ma Yvonne aveva sempre avuto un udito fuori dal comune.

Una delle guardie di sicurezza della cattedrale si muoveva tra le persone sussurrandogli qualcosa e tutte, poco dopo, si avviano all’uscita. La stessa guardia poi si avvicinò a loro: si rivolse a Yvonne, dato che era l’unica con gli occhi aperti.

“Scusate signorine, ma devo chiedervi di uscire per ragioni di sicurezza. Mi scuso per il disagio.”

 

A quel punto anche Nolwenn e Arielle aprirono gli occhi.

“Perché? Non abbiamo fatto niente.” Mormorò Nolwenn. Non era irritata, voleva solo capire la ragione.

Credeva forse che fossimo turiste? Siamo nate a Parigi. Ci siamo cresciute. Abbiamo visto Notre Dame da prima di capire cosa fosse, e mai, mai ci avevano chiesto di uscire.

La guardia non fece in tempo a rispondere che una voce lontana raggiunse Yvonne. Era agitata, ma le sue parole chiare e limpide come l’acqua di un ruscello.

 

“Notre Dame .. la cattedrale .. va a fuoco!”

 

Evidentemente quella voce non raggiunse solo Yvonne, ma anche tutte le persone intente ad uscire, perché in una frazione di secondo si spintonavano a vicenda per essere i primi ad uscire, come se fossero rincorsi da un leopardo affamato. Anche Nolwenn e Arielle avevano sentito. Riusciva a capirlo dai loro occhi.

Poi accadde tutto in fretta.

La frenesia, le grida, l’agitazione. Le ragazze presero frettolosamente le loro borse nere che avevano messo sopra i piedi mentre erano sedute e si guardarono intorno: non c’erano fiamme in vista, ma questo non significava nulla. La cattedrale era immensa e forse le fiamme erano in un luogo non visibile, magari più in alto.

 

Yvonne diede una fugace occhiata, ma poi venne scossa alle spalle da Arielle, forzandola a voltarsi.

Nolwenn! Dov’è? L’hai vista?!?” era la prima volta che vide Arielle agitata.

Yvonne si guardò nuovamente intorno, tanto velocemente da avere come l’impressione di rischiare di rompersi il collo, ma di Nolwenn nessuna traccia.

Com’è possibile? Dov’era andata?!? Era qui. Un attimo fa era qui! Non può essere andata via. Non ci avrebbe mai lasciate, lei che è la più coraggiosa. E anche se fosse andata via, l’avrebbero vista, accalcata alla folla che cercava di uscire. Non può dissolversi nell’aria come se niente fosse.

Fece per prendere Arielle per un braccio per restare uniti, ma tutto quello che sentì fu le sue dita si scontravano con l’aria.

Anche Arielle. Sparita. Dissolta.

Yvonne sentì il panico crescergli, non tanto per l’incendio a Notre Dame e le urla, ma per la sparizione improvvisa delle coetanee. Il suo corpo stava tremando come una foglia: avrebbe voluto correre, scappare, ma non riusciva a muovere un muscolo.

Cercò con lo sguardo la guardia o chiunque potesse aiutarla, ma tutte le persone presenti apparivano così distanti, così sfuocate.

I miei occhiali! Forse si sono appannati con l’agitazione e il caos.

 

Se li tolse cercando di aguzzare la vista e se li mise in tasca, ma vedeva come prima. Poi, in mezzo a quelle ombre imperfette e lontane, una figura sembrava più visibile.

Un asino. Era un asino.

Un asino grigio, rivolto verso di lei, che la fissava dritto negli occhi, come se stesse scrutando la sua anima. Non un asino disegnato. Non un asino di peluche. Non un asino di legno per bellezza. Un asino vero.

Non. E’. Possibile.

Tutto questo non è reale. E’ un incubo. Un’allucinazione. Forse sono stata drogata? Ma quando? Come?

Ebbe la conferma che quell’asino era vivo quando vide che chinò la testa, come ad indicarle qualcosa.

 

Poi non sentì più il contatto con il pavimento. Non seppe cosa stesse succedendo, ma i suoi piedi non toccavano più terra.

Non fece in tempo a guardare giù, che si sentì cadere, come se stesse sprofondando nei più profondi degli abissi.

Vide il soffitto allontanarsi sempre di più, sentiva di urlare, ma dalla sua bocca non usciva un suono.

Poi, l’oblio.

 



 

Ciao a chiunque sia arrivato fin qui! Erano secoli che non pubblicavo qualcosa su EFP, è passato così tanto tempo che ho fatto fatica a capire come pubblicare il testo e non è stato per niente facile >.< Avevo preparato anche un'immagine da mettere all'inizio ma non riuscivo a capire come fare. Spero di avere più fortuna con il prossimo capitolo e primo capitolo ufficiale! Questa storia.. ha iniziato ad entrare nella mia mente più di due anni fa ormai.. all'inizio era solo una bozza, poi via via qualcosa di sempre più concreto. Sfortunatamente alcune delle mie storie pubblicate qui sono rimaste incompiute e me ne vergogno tanto, quindi per questa ho voluto riflettere bene e capire dove sarei andata a parare per non rischiare di fare la stessa fine. Fatemi sapere cosa ne pensate, ogni commento sarà più che gradito! Spero vi abbia intrigato. Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** C'era una Volta - Capitolo 1 ***







C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 1



 
 
 
 

Quando Nolwenn riprese conoscenza, la prima cosa che sentì fu la fredda pietra contro la sua pelle.
 
Poi udì tanti suoni diversi.

Suoni di risate di uomini e bambini, suoni di bastoni che colpivano ritmicamente dei tamburi tribali, suoni di musica, di vita, di festa, di città, di movimento, suoni di tanti piedi che sbattevano in quello stesso pavimento che sentiva attaccato alla faccia.

E i ricordi iniziarono a tornare.

Arielle.. e Yvonne.. Notre Dame..

“Notre Dame.. la cattedrale… va a fuoco!”

Quella voce agonizzante e il significato di quelle parole la raggiunsero con la stessa ferocia con cui una lancia trafiggeva un cinghiale, e il panico la travolse di nuovo, ma fortunatamente quella sensazione fu molto breve, perché i suoi occhi trovarono il suo obbiettivo in un lampo.

Le bastò alzare lo sguardo ed eccola lì, Notre Dame, in tutta la sua gloria, senza la benché minima traccia di fiamma.

Quell’imbecille! Un accidente mi ha fatto prendere! Notre Dame a fuoco un paio di palle. La gente davvero non sa più cosa inventarsi.

Fece per alzarsi, ma fu più difficile di quanto si aspettasse. Il suo corpo e le sue gambe, di solito scattanti ed energici, sembravano deboli e stanchi, e un dolore lancinante alla testa la prese alla sprovvista: forse lo aveva fin dal suo risveglio, ma l’euforia e il panico per la cattedrale l’aveva assorbita completamente, e ora che erano svanite, tutto quello che rimaneva era quel fastidioso picchiettare nel cranio.

Quando fu quasi in piedi, le gambe cedettero e cadde, finendo con i piedi in una sporca pozzanghera lì vicino.

Ma che mi succede?!? Sembro una neonata che deve fare i primi passi. Riprenditi, Nolwenn! Queste cagate alla tua età potresti anche evitarle.

La testa continuava a pulsare sempre di più, o almeno questa fu la sua impressione, ciò nonostante, in un modo o nell’altro, iniziò a fare due più due, il tutto rimanendo seduta: non sarebbe caduta un’altra volta, avrebbe riprovato a rialzarsi una volta che si fosse sentita pronta.
 
Notre Dame è salva e senza pericolo e mi fa davvero piacere, ma come sono finita fuori? Non ricordo di essere uscita prima di perdere i sensi. L’ultima cosa che ricordo è quell’idiota che urla quella cretinata gettando il panico.. E Arielle? E Yvonne? Dove sono?
 
Era stato forse un contorto sogno? Forse non erano mai entrate a Notre Dame e non c’era mai stato nessuno che proclamasse quella ridicola minaccia alla cattedrale. Forse era svenuta prima di entrare e quello che credeva fosse successo dentro era stato un sogno? Forse era svenuta per qualche ragione prima che entrassero? Questo spiegherebbe perché al risveglio si è trovata fuori da Notre Dame, e non dentro.

E Yvonne e Arielle? Anche loro facevano parte del sogno? Forse non c’erano mai state. No, no. C’erano. Dovevano esserci. Avevano programmato quella giornata da settimane. L’aveva segnato sul calendario. Quindici aprile 2019.

Ma se loro c’erano.. ora dove sono?

 
Per la prima volta dal suo risveglio, si concentrò sulla folla che rendeva la piazza viva.

Vecchi, uomini, donne e bambini, tutti che cantavano e ridevano e ballavano, e tutti con colori sgargianti in netto contrasto con il grigio intorno.

Cos’è? Carnevale? Ma perché questi vanno in giro conciati così? E cosa hanno da ridere tanto? Sono sotto l’effetto di LSD per caso? E da dove accidenti arriva questa musica?

Sentì un coro di voci, lento come una marcia, poi una voce che spiccava rispetto a qualsiasi altra. Una voce che stava.. cantando? Una voce che si faceva sempre più vicina..

“.. noi buttiamo…. Tutta la città..”

Era sempre più vicina… riusciva quasi a sentire tutte le parole..

“.. oggi comandiamo solo noi .. Oggi la follia diventa un ordine, e possiamo fare l’impossibile .. Benvenuto ad ogni pazzo, questo è il giorno suo!”

Quella canzone le sembrava terribilmente familiare, ma non riusciva a capire dove l’avesse sentita prima d’ora. La musica.. il ritmo.. il testo.. l’aveva già sentita.. ma dove?

“Tutti sembrano impazziti. Resti a casa chi non ce la fa, … A buttare all'aria la città!”

Nolwenn era così concentrata a pensare dove avesse già sentito quella canzone che si accorse della posizione del cantante solo quando se lo trovò davanti.

Aveva un grande cappello bluette a falda larga con una piuma gialla che ondeggiava ad ogni suo movimento, una maschera violacea che gli copriva la parte superiore del viso dietro la quale si nascondevano due piccoli ma vispi occhi scuri e un grande orecchino ad anello nell’orecchio sinistro, dorato come un copricapo che aveva sulle spalle alle cui estremità erano appese tante campanelline del medesimo colore, che non la smettevano di tintinnare.
Il resto del suo abbigliamento era uno strano miscuglio di un pagliaccio e di un giullare, colori talmente sgargianti e numerosi che era impossibile focalizzarli tutti.
Aveva capelli lisci e neri come il suo pizzetto che per poco non toccavano le spalle, ma quando faceva uno scatto si muovevano nell’aria, sembrando più corti. Era parecchio magrolino per essere un uomo adulto, ma quello era. Quegli occhi non potevano appartenere a qualcuno che avesse meno di quarant’anni, sebbene la sua agitazione e la sua energia lo facesse apparire un adolescente iperattivo.
 
Per quanto assurdo, il suo aspetto era anche familiare, e fu solo quando scavò nei suoi ricordi più lontani che il suo cervello associò un nome a quel volto, e le sue labbra si mossero per dirlo ad alta voce prima che potesse rendersene conto.

“.. Clopin?”
 
Un sussurro quasi impercettibile, ma fu chiaro per quell’uomo, che nonostante si stesse allontanando, nel momento in cui Nolwenn pronunciò quelle parole, si voltò e la fissò curioso.

“Ci conosciamo, tesoro?”
 
Seguirono secondi che parvero durare un’eternità. Nolwenn se ne stava lì, rigida come una statua, senza spiaccicare parola, con un’espressione molto simile a quella che si doveva avere dopo aver visto un fantasma.
 
C- Clopin? Quello è Clopin?? Il Clopin del Gobbo di Notre Dame?!? Lo zingaro?? Non.. non è possibile.. è.. è ridicolo. Quello.. quello è un cartone animato.. No no.. non può essere.. deve essere un cosplayer.. molto ben riuscito.. così in parte da cantare la canzone perfettamente… così in parte da essere in tutto per tutto identico a lui.. un suo clone praticamente..

Voleva parlare. Voleva dire qualcosa. Qualunque cosa. Ma non riuscì a dire nulla. Tutto quello che le uscì fu una breve risata nervosa.
Vide Clopin.. o chiunque fosse.. guardarla dall’alto in basso. Le osservava le scarpe da ginnastica, i jeans.. il suo aspetto… da ventunesimo secolo.. non proprio in linea con la favola di Quasimodo.

Attese con paura, ma con sua enorme sorpresa, Clopin parve approvare il suo abbigliamento: le fece un occhiolino amichevole accompagnato da un largo sorriso e un pollice in su, poi si dileguò nella folla come se nulla fosse successo.

Rimase lì, immobile, come in trance, per.. due secondi? Quattro minuti? Un’ora? Difficile dirlo.

Si sentiva bloccata, incatenata, impossibilitata a muoversi, come se fosse legata a delle catene con una tale forza da impedirle il più piccolo movimento.

Il mondo intorno a lei sembrava in perenne movimento, esattamente quello che ci si aspetterebbe dalla Festa dei Folli, agitato, caotico, eppure le voci e i rumori si fecero più lontani, come se lentamente si stesse allontanando, ma Nolwenn non si stava allontanando, non fisicamente almeno.

La sua mente invece era lontana anni luce, come diretta in un altro tempo e spazio, il suo tempo e spazio. Ciò nonostante, se qualcuno le avesse chiesto a cosa stesse pensando, non avrebbe saputo rispondere. La sua mente era vuota e lontana, e il suo corpo inchiodato ad un luogo che non riconosceva come reale.

Sentì il dolore alla testa aumentare ulteriormente, così come un’improvvisa sonnolenza. Sentì il suo corpo vacillare, gli occhi chiudersi e la forza alle gambe cedere. Sapeva che sarebbe svenuta a breve, ma non tentò di fare nulla per impedirlo perché non le importava.

E sarebbe successo esattamente quello, se una folla urlante non le fosse passata addosso in quel momento, svegliandola definitivamente da quello stato vegetativo in cui si trovava: le loro urla e le loro braccia che la spingevano a destra e sinistra per passare ebbero su di lei lo stesso effetto di una sirena della polizia che le suonava a cinque centimetri dall’orecchio: il mal di testa era aumentato, ma di certo non si sarebbe addormentata in piedi da lì a poco.

La seguì, inizialmente a passo incerto e poi quasi correndo, e si accorse che erano diretti verso una sorta di palco nel bel mezzo della piazza. Quando iniziò a correre, afferrò con la mano destra una delle bretelle della borsa, mentre con l’altra toccava la parte inferiore, per paura che qualcuno gliela rubasse: era da sola in un mondo sconosciuto e quella borsa era tutto quello che aveva.

Forse sono impazzita. Forse mi sto immaginando tutto. Anzi, è molto probabile. Anche se tutto questo fosse finto, è reale per me. Le persone che mi sono venute addosso erano reali. Quello che sta succedendo è reale. E fino a quando non avrò una prova tangibile del contrario, io lo riterrò reale.
 
Proprio quando il suo passo iniziò a rallentare perché arrivata a destinazione, percepì con la mano sinistra qualcosa di insolito sulla sua borsa. Inizialmente pensò si trattasse di un animale come un ragno, così abbassò lo sguardo ad osservarla per la prima volta da quando si era svegliata, e si accorse che quella non era la sua borsa.
 
Lei, Arielle e Yvonne avevano le borse uguali. Tutte nere e a tracolla, che avevano preso qualche anno prima per festeggiare i quindici anni di amicizia che le aveva legate e per affrontare gli anni che sarebbero seguiti, ma per quanto fossero inseparabili e simili in certi aspetti, in altri erano agli antipodi.
 
“Ed è meglio così. Sai che noia se fossimo troppo simili! Che gusto ci sarebbe altrimenti?” aveva detto Yvonne.
 
Yvonne.. era sempre quella silenziosa, quella timida, ma quando parlava diceva sempre le cose migliori, le più sagge, e Nolwenn sentì un brivido inquietante e spaventoso lungo la schiena al pensiero che non l’avrebbe più rivista e che non avrebbe più avuto l’occasione di dirglielo.

“Vorrà dire che metteremo in ciascuna borsa un elemento che ci contraddistingue”

Fu di Arielle l’idea.

Arielle.. quella delicata come un fiore, raffinata e capace di placare gli animi più inquieti. Yvonne era spesso pessimista e Nolwenn facilmente irritabile, ma Arielle era come la calma dopo una tempesta.

Avevano tutte passioni diverse.

Yvonne amava i videogiochi: aveva ogni genere di console, videogiochi di ogni genere, dai Pokémon a Resident Evil. Riusciva a stare ore e ore a videogiocare senza stancarsi.

Arielle amava i libri: i romanzi erano i suoi preferiti, di qualsiasi genere, ma leggeva anche molti saggi e testi biografici. Diceva sempre che le parole aprono tutte le porte del mondo.

Nolwenn amava i film e le serie TV: aveva più di mille DVD e conosceva più attori di quanti molti ne avrebbero conosciuti in due vite. Aveva anche un’eccellente memoria fotografica. Le bastava vedere un nuovo attore una sola volta in una scena per poi essere in grado di riconoscerlo in qualsiasi altro ruolo, non importa quanto truccato o diverso fosse.
 
Non solo questo però.

Avevano tutte un brand preferito diverso, una saga, una storia che avevano nel cuore, non importa quanto tempo passasse. Quella costante passione che con gli anni non era mai passata.
 
E fu questo che ricamarono sulle borse. E quando Nolwenn si passò le dita su quella che riteneva fosse la sua, si aspettava di sentire il familiare stemma delle quattro casate di Hogwarts, e invece vi trovò una riproduzione del castello azzurro della Walt Disney.
 
Aveva la borsa di Arielle.

Quando eravamo dentro Notre Dame… avevamo appoggiato le borse a terra.. nella fretta dobbiamo aver preso la prima che abbiamo trovato senza guardarci troppo..
Ma la gente di Parigi, o meglio, la gente di Parigi della storia del Gobbo di Notre Dame, non ne voleva sapere di lasciarla da sola con i suoi pensieri, e Nolwenn si ritrovò nuovamente e forzatamente nel mondo che la circondava: tutta la confusione che c’era stata fino a quel momento si interruppe e sentì solo qualche mormorio.
 
Nolwenn guardò sul palco e non riuscì a trattenere un gemito di orrore: un uomo, o quello che doveva essere un uomo.
 
Aveva un viso raccapricciante: un naso enorme e grosso quasi quanto una pallina da golf, un viso tondo e innaturale con al proprio interno dei piccoli occhi verdi distanti e storti, di cui il destro era più grande e più vicino alla fronte e il sinistro più piccolo e più vicino al naso, in parte coperto da una protuberanza. Le orecchie erano grandi e a sventola e la bocca conteneva una serie di denti storti e malconci. Il suo viso era talmente disgustoso da guardare che Nolwenn si accorse solo in un secondo momento del resto del suo corpo, come un ciuffo di capelli ramati, le braccia muscolose e un abito verde fatto di stracci.
 
Il silenzio e i mormorii durarono poco, interrotti da Clopin.
 
“Madames e messeri, non abbiate paura! Stavamo cercando la faccia più brutta di Parigi, ed eccola qua! Quasimodo, il gobbo di Notre Dame!”
 
Mentre la gente di Parigi passò dall’orrore al festeggiamento del nuovo re, Nolwenn si vergognò come mai non si era vergognata in vita sua.
 
Lo aveva guardato, e lo aveva disprezzato, unicamente per il suo aspetto. Lei. Con che coraggio si sarebbe di nuovo guardata allo specchio? Lei che non era mai stata la più bella, che aveva quei brufoli in ogni parte del suo corpo. Con che coraggio lei si era permessa di gettare a lui tutta quella paura?? Era davvero questa la donna che era diventata? Un’ipocrita? Una che prova disprezzo per un titolare che provava ribrezzo per i suoi brufoli, ma che al tempo stesso aveva provato orrore per un ragazzo, pur sapendo quanto fosse buono.
Lui era Quasimodo. Il protagonista del Gobbo di Notre Dame. Un eroe. L’eroe. Un ragazzo dalla vita difficile, colpevole solo di non aver avuto la fortuna di essere come gli altri. Capace di sconfiggere abusi psicologici ricevuti fin da quando era in fasce. Lei tutto questo lo sapeva. Sapeva chi era. L’aveva visto con i suoi occhi ogni volta che aveva visto il film.
 
Eppure, la sua bruttezza la raggiunse prima del suo eroismo. E si sentiva di meritare ogni fetta di vergogna che stava provando.
 
Cosa ci faccio qui? Perché sono qui? Io.. non dovrei essere qui. Non sono adatta a questo posto. Non ne sono degna, se sono davvero dove penso. Questo è un luogo di sogni, di magia, di speranza, di lieto fine. Di eroi. Di persone giuste e valorose. Di persone che non provano repulsione per qualcuno dopo una sola occhiata.
 
Arielle.. Dovrebbe esserci lei qui. Lei avrebbe saputo cosa fare. Lei non avrebbe reagito così nel vedere Quasimodo. Avrebbe sorriso, o alla peggio lo avrebbe guardato tristemente, ma non si sarebbe mai spaventata. Non avrebbe mai indietreggiato. Lei sarebbe stata perfetta, non solo perché la Disney è la sua passione. No. Lei sarebbe stata perfetta perché tutti i valori della Disney sono incarnati in lei. Lei sarebbe salita su, e avrebbe abbracciato Quasimodo. Lei era una protagonista.
 
Anche Yvonne sarebbe stata più adatta. Magari si sarebbe sentita più fuori luogo di Arielle, ma avrebbe fatto la cosa giusta. Lei che non riusciva mai a dare un giudizio affrettato. Lei che non giudicava mai qualcuno in base alle apparenze. Quasimodo era stato anche la sua prima cotta. A tutte le altre bambine piacevano i principi, ma già da bambina Yvonne aveva dimostrato di andare oltre, e ogni volta che qualcuno le chiedeva perché Quasimodo, lei rispondeva sempre “è così buono”, e in fondo era quella l’unica cosa che contava.
 
“Quanto sarebbe delusa da me se mi vedesse adesso.” Pensò cupamente Nolwenn.
 
Poi, sentì in lontananza il rumore di qualcosa di morbido che si rompeva, producendo una specie di “splash”. Poi un altro. E un altro ancora.
 
Seguì con il volto l’origine di quel rumore e si ritrovò a voltare il corpo e la testa quasi del tutto. Il palco ormai era vuoto, e tutta la folla si era spostata al centro della piazza: con orrore capì a cosa era dovuto quel rumore.
 
Vide Quasimodo coperto di pomodori marci: sul viso, sui vestiti, uno lo pestò accidentalmente e finì con l’inciampare e cadere. Lui cercò di andare via, ma qualcuno gli lanciò una corda e gli impedì di andare via. E tante, tante risate. Nolwenn non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva provato tanta rabbia per delle risate.
 
Si sarebbe data della stupida per non averlo previsto dato che conosceva perfettamente la storia, ma non ne aveva il tempo: non avrebbe fatto un’altra cosa di cui vergognarsi. Già prima aveva sbagliato. Questa volta avrebbe fatto la scelta giusta.
 
Corse verso Quasimodo, pensando a cosa fare, ma lo raggiunse prima di trovare una soluzione. Tagliare la corda? Pulirlo dai pomodori? Mettersi davanti a lui e fargli da scudo? Urlare alla gente di fermarsi?
 
Una parte di lei temeva per sé stessa: alcuni degli assalitori di Quasimodo erano soldati armati. Cosa le avrebbero fatto se si fosse opposta? Ma non si fermò. Non si sarebbe vergognata di nuovo.
 
Era quasi arrivata, era la più vicina a Quasimodo. Se allungava le mani riusciva addirittura a toccare la superficie sulla quale si trovava. Vide gli occhi del ragazzo guardarla per un’istante. Occhi pieni di paura. Occhi che gridavano “aiutami, ti prego”, ma le sue dita non riuscirono mai a toccare la superficie.

In un lampo, una figura rossa si frappose tra lei e Quasimodo. Quando atterrò sul pavimento, Nolwenn fece appena in tempo ad accorgersi che era un cucciolo di volpe rossa che questa le saltò addosso mostrando gli artigli.
 
Nolwenn urlò dalla paura, e la gente intorno a lei rise ancora più forte, deridendo anche lei ora.
 
La volpe si attaccò con la bocca alla sua borsa, per strappargliela via. Nolwenn aveva ancora molta paura, ma non rese le cose facili all’animale: tirò la borsa verso di sé e al contempo la mosse, per cercare di scacciare l’animale.
 
Quella borsa era tutto ciò che le rimaneva delle sue amiche. Del suo mondo. Non se ne sarebbe separata.
 
Alla fine accadde l’inevitabile: la tracolla si ruppe, permettendo alla volpe di portarsi via il contenuto della borsa.
 
Dimenticandosi completamente di Quasimodo e di tutti gli altri, Nolwenn partì all’inseguimento.
 
Dopo qualche lunghissimo minuto di corsa passato ad inciampare e ad andare a sbattere contro persone e bancarelle, la resistenza di Nolwenn iniziò a calare, così come la velocità della volpe. Alla fine, camminarono tutte e due.

E’ impossibile che una volpe sia già stanca. Se corresse adesso la perderei sicuramente. Perché non lo fa? E perché ogni tanto si gira a guardarmi? Che voglia che la segua? E’ questo che vuole?
 
L’animale si fermò davanti ad un enorme carro con dentro alimenti di ogni genere all’entrata di un fornaio. C’erano degli uomini che parlavano, uno dei quali doveva essere il proprietario del negozio. Quando tutti entrarono dentro lasciando il carro senza guardie o protezioni, la volpe fece un piccolo salto e si infilò nel carro, e mise ciò che restava della sua borsa in un angolo a sinistra, in una zona in cui era impossibile vedere da dove si trovava Nolwenn, perché circondata da casse di frutta e verdura che coprivano la visuale.
 
Una volta posizionata, la volpe guardò la ragazza dritto negli occhi come se stesse scrutando nella sua anima, e lei inevitabilmente rabbrividì. Poi afferrò una grande mela rossa con la bocca e corse verso di lei.

Nolwenn fece per allontanarsi per paura che le venisse di nuovo addosso, ma la volpe fu più veloce e fece un enorme balzo, saltando sopra la sua testa e sparendo tra i vicoli di Parigi.
 
Dopo qualche secondo passato a riprendere il controllo del suo corpo e passata la paura provata, Nolwenn si addentrò nell’enorme carro per prendere ciò che era suo, anzi, di Arielle.

Dovette infilarsi nel buco che le era impossibile vedere dalla sua posizione precedente, e quando si chinò per prenderla sentì il rumore metallico di un portone. Uno dei due portoni del carro che prima erano aperti e dai quali era entrata era stato chiuso, e prima che se ne rendesse conto, anche l’altro si chiuse, e cadde di nuovo l’oscurità.
 
Aveva raggiunto quel mondo nell’oscurità dopo uno svenimento, e l’oscurità l’aveva trovata di nuovo, portandola semplicemente in una trappola più piccola, un carro invece di un mondo, ma sempre una trappola.
 
Era finita nel mondo delle favole, del giusto, della luce.

Eppure, non aveva visto altro che oscurità.


 
 
  



 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 1 ***









QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 1






 
 
Quando Yvonne riprese conoscenza, si sentiva come se avesse un martello pneumatico nel suo cranio, tale era il dolore che sentiva, e per aggiungere il danno alla beffa, non riusciva nemmeno a trovare i suoi occhiali: senza era più cieca di Geordi La Forge senza il suo apparecchio visivo.

Ogni mattina raggiungeva gli occhiali ancora prima di essere completamente sveglia. Li teneva sempre rigorosamente alla sua sinistra, sopra una scrivania di legno, sempre nello stesso punto. Era un’abitudinaria in quasi tutti gli aspetti della sua vita, e se una mattina avesse trovato i suoi occhiali a qualche millimetro di distanza dalla loro solita posizione, sapeva già che quella che si prospettava sarebbe stata una giornata nera.
 
Ma ora non era in camera sua.
 
Invece del comodo materasso, sotto di sé sentiva la pavimentazione irregolare tipica dei marciapiedi: in un attimo arrivò la realizzazione di trovarsi per strada, e la vergogna la assalì con la stessa velocità con cui una tigre azzanna la sua preda.
 
Sforzò la vista in un tentativo disperato che sapeva non sarebbe andato a buon fine: inutile per l’appunto, le ombre intorno a lei rimanevano ombre. Poteva trovarsi ovunque. Poi, un colpo di fortuna: le sue mani, che non avevano mai smesso di tastare il pavimento, trovarono degli occhiali con la montatura.. scura? Erano i suoi.
 
Li aprì e se li mise più velocemente di quanto avesse mai fatto in vita sua, ma la sua fortuna durò poco: una lente era talmente appannata da peggiorare la sua vista e l’altra era scheggiata. Il risultato fu che non vedeva nulla da una parte e dall’altra aveva la vista di un carcerato, che guardava il mondo da dietro le sbarre, solo che le sue sbarre invece che essere grosse e dritte, erano ondulate e sottili.
Per quanto limitata, almeno la sua vista era nitida al punto da rendersi conto di cosa stesse accadendo, ma il fatto che trovò qualcosa di insolito in sé stessa invece del mondo intorno a lei la sorprese non poco.

Abbassando lo sguardo, vide il suo petto improvvisamente minuto, più piccolo, e.. piatto? Com’era possibile?
 
Dove cazzo sono le mie tette?!? Qualcuno le ha asportate mentre dormivo?!? Ho sempre avuto un seno abbastanza abbondante, e ora niente??? Non è che al loro posto ora ho un cetriolo in mezzo alle gambe, vero? Ma che cazz—
 
I suoi pensieri si fermarono di colpo nel momento stesso in cui percepì quanto si sentisse a disagio. Non per la sua mancanza di seno. Non per il suo corpo piatto. No. Erano i suoi pensieri a renderla nervosa e.. disgustata? E sporca.
 
Non riusciva davvero a capire cosa l’avesse turbata tanto.
 
Eppure, più guardava il suo corpo, più si sentiva a suo agio, e più pensava a ciò che inspiegabilmente le mancava, più il disgusto cresceva. Non le ci volle molto per capire cosa la turbava.
 
Tette.
 
Per qualche assurdo motivo, si sentiva notevolmente di più a disagio a pensare a normali parti del corpo, che fino a poco tempo fa facevano parte di lei da anni, che alla loro mancanza improvvisa senza una spiegazione logica.
 
D’istinto, si passò le mani sul petto piatto e lì ci fu un’altra rivelazione sconcertante: anche le mani si erano fatte più piccole.

Le sue dita un tempo grosse, ora erano piccole e sottili, le unghie che mangiava sempre erano nuove come se fosse appena uscita dall’estetista e il palmo della mano più piccolo: quelle non erano mani di una giovane adulta tra i venti e i trent’anni. No. Quelle erano le mani di una bambina. Una bambina non più piccolissima, ma pur sempre una bambina.
 
Come il petto, piccolo e piatto e minuto, come quello di una bambina.
 
Come il disagio nel pensare a parti del corpo che si sviluppano con la pubertà come le tette, quello stesso disagio che un bambino proverebbe nel parlare di quelle cose.
 
Era assurdo. Troppo assurdo.
 
Deve essere un sogno, non c’è altra spiegazione. Quando mi sveglierò, andrò dritta a parlare con qualcuno perché non è normale.
 
Alla sua sinistra trovò un muro mal messo, ma alla sua destra doveva esserci la via principale, non larghissima, eppure piena di persone che girovagavano e indicavano tutto attorno a loro.
 
Piegò le esili ginocchia per alzarsi, ma ancora prima di mettersi completamente in piedi, sentì qualcosa alle gambe: erano i suoi pantaloni, troppo larghi per quella vita diventata troppo piccola per essere in grado di reggerli.
 
Il rumore fece girare qualcuno che si trovava per la via principale verso la sua direzione, che indicò e rise. Altri la guardarono imbarazzati: i pantaloni ricoprivano le scarpe, anch’esse troppo grandi, e le sue gambe nude e le sue mutande erano ben visibili a tutti. Per la prima volta da quando era precipitata in quello strano sogno, Yvonne fu grata di avere il corpo di una bambina. Sarebbe stato molto più imbarazzante se l’avessero vista in quelle condizioni quando era una donna adulta, con le sue gambe pelose e l’inguine non depilato.
 
Si vergognò profondamente, ma non quanto si sarebbe immaginata.
 
Yvonne era sempre stata un’anticonformista. Non si vergognava mai di quello che era. Di come si vestiva. Di come parlava. Di come ragionava o di come si esprimeva. Di quali erano i suoi gusti o di quanto strana potesse apparire davanti ad un estraneo. Avrebbe potuto trovarsi in un enorme salone pieno di persone attive in una discussione e se lei avesse pensato che era corretto A sarebbe continuata con A e non avrebbe avuto remore a dirlo, anche se tutti gli altri fossero stati dei sostenitori incalliti di B. Se per lei era A continuava ad essere A. La sua capacità di ragionare sempre con la sua testa e di non lasciarsi influenzare dagli altri era il tratto distintivo di cui era più orgogliosa.
 
Però era anche molto insicura, con poca autostima. Non era brava a socializzare o rapportarsi in modo normale con gli altri, per quanto si sforzasse. Quando faceva una figuraccia in pubblico, come scivolare per strada, si sentiva sprofondare e ci rimuginava su per giorni e giorni, incapace di dimenticarsene o di pensare ad altro. Era una parte del suo carattere che detestava enormemente, ma dovette abituarsi arrivando alla consapevolezza che la situazione non sarebbe cambiata.
Eppure, alla figuraccia appena fatta, ci pensò qualche secondo e poi non degnò gli altri dello sguardo, come se fosse già andata oltre.

Come una bambina. Una bambina sarebbe già andata oltre.
 
Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarla, e solo allora la vide. La borsa. C’era solo un piccolo problema.

Non era la sua borsa.
 
Su di essa, vide lo stemma delle quattro casate di Hogwarts: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde.
 
Cazzo. Ho la borsa di Nolwenn. Avrei preferito avere la mia, ma una borsa è meglio di niente.
 
E guardandola, le venne anche in mente un’idea per risolvere il problema dei pantaloni, ma non avrebbe avuto la forza necessaria per metterla in atto: le serviva un coltellino, o meglio ancora delle forbici.
 
Aprì la borsa nella speranza di trovare uno di questi oggetti: una parte di lei si sentì in colpa a frugare tra le cose di Nolwenn, ma non aveva molta scelta.
 
L’amica aveva il mondo nella sua borsa, ma dopo vari tentativi trovò un astuccio in una tasca interna, dentro il quale c’era un piccolo coltellino. Non aveva idea del perché Nolwenn ritenesse di dover avere un oggetto simile, ma era esattamente quello di cui aveva bisogno in quel momento quindi qualunque fosse la ragione, ne fu grata.
 
Fu più faticoso del previsto, soprattutto considerando la sua forza era diminuita a causa del suo cambiamento fisico, e lo sforzo le causò un rossore non poco evidente sulle mani, ma alla fine riuscì a tagliare la tracolla, che poi usò come cintura per tenere su i pantaloni, legandola con un fiocco davanti simile a come legava i lacci delle scarpe.
 
Diede una rapida occhiata alla via centrale per vedere se era ancora molto affollata prima di alzarsi di nuovo, e tutto quello che trovò fu una coppia che guardava nella direzione opposta, probabilmente nella vetrina di un negozio, e.. un asino.
 
Un asino grigio piccolo, probabilmente un cucciolo. Che la guardava. Era forse lo stesso asino che aveva visto a Notre Dame, quando era ancora “sé stessa”?
 
L’ultima volta che l’aveva visto era successo il finimondo, così voltò velocemente lo sguardo, quasi spaventata da quell’animale, ma la curiosità la tradì: con la coda dell’occhio, continuava a guardarlo, e vide che si spostava per la via principale.
 
Non riusciva a capire perché le persone intorno non facessero niente nonostante un asino girovagasse tra loro indisturbato, ma decise di non pensarci più. Era stanca di quel cunicolo e doveva muoversi, anche se non sapeva dove andare. Per saperlo doveva prima capire dove si trovava.
 
Si alzò, e i pantaloni non caddero. Sorrise. Finalmente qualcosa andava per il verso giusto, ma si accorse comunque di avere un aspetto strano. La maglietta dei Pokémon che indossava, che già le stava grande da adulta, sembrava un lungo vestito: le arrivava alle ginocchia.
 
E in un lampo, finì nella via principale.
C’erano edifici stretti e alti ammassati ai lati della via, la quale sembrava piuttosto stretta per essere così affollata. C’erano tantissime persone, ma nessuna di loro parve notare la sua presenza, tanto erano impegnate nei loro affari, indicando negozi e guardando pezzi di carta che stringevano in mano.
 
Cosa ancora più strana era il loro inusuale abbigliamento: tuniche scure lunghe simili a mantelli, vestiti particolari.. alcuni avevano addirittura il cappello a punta.
 
Yvonne trovò tutto quanto estremamente divertente. C’era forse una fiera e lei ci era capitata dentro? Qualcosa che celebrava le figure del mago e della strega?
 
Iniziò a dare una veloce occhiata ai negozi, ma ciascuno era più assurdo del precedente: alcuni vendevano dolciumi mai visti prima, altre scope particolarmente antiche. Perché uno dovrebbe comprare una scopa vecchia? Gente strana questa.
 
Yvonne era sempre più divertita, ma smise improvvisamente di ridere quando vide due bambini che avranno avuto dodici anni con l’uniforme di Harry Potter: uno era un Tassorosso, l’altro un Corvonero.
 
Pff. Figurati. E’ una fiera su Harry Potter. Giusto questa ci mancava.
 
Fece per girarsi e tornare indietro, ovunque indietro fosse, ma nel farlo sentì qualcosa nella sua tasca destra. Un biglietto forse.
 
Cercò con la mano e tirò fuori quello che appunto sembrava un biglietto. C’era scritto qualcosa sopra.
 
“Da Londra a Hogwarts. Binario 9 e ¾.”
 
Tutto questo non aveva senso. Il biglietto era chiaramente scritto in inglese. London to Hogwarts. Platform 9 ¾. Eppure lei lo lesse nella sua lingua madre, come se fosse scritto in francese. Come se fosse diventata un traduttore universale automatico. Era talmente elettrizzata da questa capacità da non rendersi conto che aveva un biglietto per andare a Hogwarts, e nemmeno si accorse dell’uomo che si era avvicinato a lei.
 
“Serve aiuto?”
 
La paura fu tale che balzò all’indietro come una lepre.
 
Alzò lo sguardo e vide un signore anziano alto e molto magro. Il viso talmente magro e scavato che riusciva a vedere le ossa, gli occhi piccoli e scuri come due puntini neri e due spessi occhiali non molto diversi dai suoi. Lo riconobbe subito, ma si rifiutò di credere che fosse chi pensava.
 
Nonno?
 
Era in tutto e per tutto uguale a suo nonno, il padre di suo padre. Anche nell’abbigliamento ci somigliava. Camicia bianca ordinata, pantaloni beige.
 
C’era soltanto un piccolo, minuscolo inconveniente: suo nonno era morto da anni.
 
Aveva l’Alzheimer. Yvonne ricordava ancora quando dopo la scuola lo andava a trovare con suo padre nella casa di cura in cui si trovava. Era diventato ancora più magro a causa della malattia, e sulla sedia a rotelle. Lei era l’unica nipote che lo era andata a trovare: gli altri non ce la facevano a vederlo in quello stato, e Yvonne non poteva biasimarli.
 
Aveva pianto al suo funerale, e riusciva ancora a ricordare sua nonna che cercava di consolarla dicendo che lui non avrebbe voluto vederla così, il tutto mentre piangeva anche lei.
 
“Sembra che qualcuno stia per andare ad Hogwarts.” Continuò il vecchio, guardando il suo biglietto “hai già preso quanto ti occorre?”.
 
Quel sogno l’aveva divertita all’inizio, ma ora la stava irritando. E il fatto che quel vecchio somigliasse a suo nonno non avrebbe cambiato le cose. Yvonne era molto razionale, lo era sempre stata, e per quanto parte di lei avrebbe voluto abbracciarlo, sapeva che niente di tutto questo era reale. Suo nonno, il suo vero nonno, era sottoterra, e lei non aveva intenzione né di fare amicizia con un suo clone né di fingere di essere contenta di frequentare una scuola di magia nemmeno per finzione, perché non lo era.
 
“Non io.” Disse seccamente, dando il biglietto al vecchio e allontanandosi, rispondendo solo alla prima domanda dell’uomo.
 
“Se non hai ancora il necessario, posso aiutarti io.” Insistette il vecchio.
 
“Questo non è il mio posto” pensò Yvonne, ignorando l’uomo, tenendo stretti i resti della borsa di Nolwenn senza tracolla.
 
“Albus Silente sarà molto deluso se uno dei suoi studenti non si presenta.”
 
Vogliamo continuare con questa assurdità del sogno eh? Con questo giochino stupido? Okay allora, giochiamo.
 
“Silente non è reale, come non lo è Hogwarts. E se anche fossero reali, io sarei sicuramente più babbana dei Dursley.”
 
“Questo biglietto che avevi tra le mani dice altrimenti.” Fece l’anziano, agitando con la mano il biglietto per farglielo vedere.
 
“Vacci tu ad Hogwarts se ci tieni tanto.”
 
Fanculo.

Sono sicura che i miliardi di fan in tutto il mondo sarebbero estasiati di andare ad Hogwarts, ma non io.

 
Lei aveva sempre odiato Harry Potter, sempre.
 
Non aveva mai capito né compreso l’hype che tutta la gente aveva per quella storia. Lei la trovava noiosa, ripetitiva e banale.
 
Nolwenn amava Harry Potter. Doveva esserci lei lì. Dov’era?

Anche Arielle sarebbe stata contenta. Non era fan tanto quanto Nolwenn, ma a modo suo amava anche lei Harry Potter.

 
Ma Yvonne? No.
 
“Sai in quanti vorrebbero essere al tuo posto?”
 
“Allora che ci vadano loro. Io non voglio.”
 
“Non loro. Tu.”
 
“Ma perché? Perché io? Io non andrò in quella scuola di merda, mi hai capito?!?”
 
“Scuola di merda? Molti direbbero che è la scuola dei sogni. Potrai imparare a fare gli incantesimi.”
 
“Tu gli incantesimi ce li hai nella testa” pensò fra sé Yvonne.
 
“Non mi interessano i trucchetti di magia. Non ho neanche una bacchetta!”
 
“Questo perché non l’hai ancora comprata! Andiamo, ti accompagno. Ollivander è qui vicino. Avrà sicuramente la bacchetta giusta per t—”
 
“No.” La voce di Yvonne era quella di una bambina, ma il tono era freddo e risoluto, lo era al punto che l’uomo parve sinceramente sorpreso.
 
“Voglio solo aiutarti.”
 
“Sto bene.”
 
“Davvero?”
 
“Sto alla grande.”
 
“Capisco. E quali sono i tuoi piani esattamente, se posso chiedere?”
 
Piani? Ma di che diavolo sta parlando?
 
L’uomo parve leggerle nella mente.
 
“Mettiamo che io me ne vado e che tu non prendi niente e non vai ad Hogwarts. Cosa farai? Intendi passare la tua vita in quel cunicolo in cui ti sei svegliata o intendi recarti ad un orfanotrofio in cui avrai un tetto sulla testa e un letto ma al contempo sarai costretta a frequentare una scuola babbana? Ora dimmi, preferisci frequentare una scuola babbana o la scuola di magia e di stregoneria più famosa al mondo?”
 
Yvonne fu in silenzio, come se stesse valutando le sue opzioni.
 
“Ci stai seriamente pensando su?” ribatté il vecchio.
 
“Sto valutando i pro e i contro.” Sbottò Yvonne, come se stesse dicendo una cosa ovvia.
 
“In quale universo una scuola babbana sarebbe migliore di una scuola di magia?”
 
“In quello in cui voglio vivere.”
 
Probabilmente tutti quei ragazzini che vorrebbero essere al mio posto e frequentare Hogwarts sono stati così inebriati da tutti quegli incantesimi del cazzo da aver completamente rimosso tutti i pericoli che si corrono.
 
La Umbridge che abusa dei minorenni? Il Torneo Tremaghi in cui un ragazzino di quattordici anni viene costretto suo malgrado a partecipare ad una specie di Hunger Games? Il cazzo di cane a Tre Teste nascosto nella fottuta scuola? Il ragno gigante nella foresta proibita? Il basilisco nella camera dei segreti? Per non parlare di Voldemort e di una fottuta guerra che si svolge nella fottuta scuola.
 
Hogwarts non è una scuola. E’ una zona di guerra. Un invito alla morte. E io non intendo farne parte solo per imparare un paio di incantesimi inutili.
 
“E quanto conti di vivere da sola, in un mondo estraneo e senza niente?” poi l’uomo le si avvicinò “la verità è che c’è un mondo pericoloso là fuori, ovunque tu sia. La differenza è che ad Hogwarts, non saresti sola.”
 
Yvonne rimase in silenzio per una manciata di minuti, e sentì per la prima volta la paura.
 
L’uomo sorrise.
 
“Andiamo. C’è una bacchetta che sta aspettando di essere impugnata dalla sua padrona.”

 







 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 1 ***






LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 1
 
 
 
Non aveva ancora aperto gli occhi, eppure sapeva di essere sveglia.
 
Sentiva i suoi capelli ondeggiare, il movimento causato da un fresco venticello: per un attimo, ebbe l’impressione di trovarsi in camera sua in un’afosa giornata estiva. Quell’aria fresca che sentiva le fece tornare alla mente il condizionatore attaccato sopra alla porta d’ingresso della sua stanza, che accendeva per combattere il caldo.
 
Per quanto quel venticello fosse gradevole, i tanti, piccoli e minuscoli sassolini attaccati alle sue gambe non lo erano. Era stesa su una sorta di ghiaia, e l’aver deciso di mettersi un vestito quel giorno si rivelò una pessima decisione. Non seppe dire da quanto tempo era lì, ma fu abbastanza da sentire la ghiaia che premeva sulla sua pelle nuda.
 
Aprì gli occhi di colpo, un po’ come Aurora e Biancaneve nelle rispettive favole subito dopo aver ricevuto il bacio del vero amore, ma a differenza loro non trovò un bel principe chino su di lei, il che sarebbe stato alquanto inquietante in effetti.
 
Alzò il busto, e mentre toglieva i sassolini che si erano incastonati nella sua pelle, si accorse con fastidio che alcuni avevano lasciato dei piccoli segni rossi sulla sua pelle.
 
Il venticello che aveva percepito non era causato da un condizionatore, ma dall’aria stessa della zona: si trovava all’aperto, in una zona desolata nel bel mezzo del nulla. C’era una strana luce color arancione, eppure del Sole non c’era traccia, nonostante fosse chiaramente giorno.
 
Nel momento in cui si mise in piedi, sentì un leggero senso di vertigini e anche una sorta di sonnolenza, come se avesse dormito poco e male.
Poi sentì qualcosa ai suoi piedi. Abbassò lo sguardo terrorizzata pensando che fosse un animale, e invece era stoffa. La stoffa della borsa, ma non della sua borsa.
 
Si chinò a raccoglierla e vide l’inconfondibile “A” dorata, con al proprio interno una stella cadente nera come il contorno dell’immagine.
 
La borsa di Yvonne.
 
Dov’erano? Cos’era successo?
 
Eravamo nella Cattedrale. E poi c’è stato il caos. Ricordo qualcuno che alludeva ad un incendio. E poi tanta, tanta confusione. E.. E.. e poi?
 
Inutile.
 
Arielle non riusciva a ricordare altro, non importava quanto si sforzasse, ma per quanto quel buco di memoria fosse inquietante, non la preoccupava nemmeno la metà di quanto la preoccupava stare da sola in un luogo desolato e sconosciuto.
 
Guardò davanti a sé, ma non vide altro che lo spazio incontaminato. Stessa cosa dietro. E stessa cosa a destra e a sinistra.
 
Per qualche ragione a lei sconosciuta, la zona alla destra sembrava leggermente più illuminata, ma si trattava di qualcosa di impercettibile, e Arielle stessa non sarebbe stata sorpresa se avesse scoperto in seguito che in realtà era tutto nella sua stessa e che tutte le zone erano effettivamente illuminate nello stesso modo, ma doveva comunque iniziare da qualche parte e perché non partire dalla zona più luminosa? Fece un passo verso la luce, poi un altro, e poi un altro..
 
Camminò a lungo, anche se le fu difficile tenere conto del tempo che passava.
 
Era stanca, e quel venticello che all’inizio era piacevole stava iniziando a causarle freddo.
 
Poi arrivarono i morsi della fame. Quanto tempo era passato? Un minuto? Un’ora? Una settimana? Un mese?
 
Teneva stretta a sé la borsa di Yvonne come se fosse un neonato, ma all’improvviso si fermò e l’aprì frettolosamente.
 
Sono una stupida. Una. Stupida. Ho girovagato come un’imbecille per chissà quanto tempo, quando avrei potuto non muovere nemmeno un passo e limitarmi a chiamare aiuto.
 
Una volta preso il telefono di Yvonne, fece cadere la borsa come se tanto l’oggetto più importante fosse quello.
 
Il telefono di Yvonne era uno Xiaomi, interamente touch screen e molto grande.
 
“E’ perché ho delle enormi, schifose dita grosse. Se avessi uno schermo piccolo o una tastiera piccola non riuscirei a digitare nemmeno il mio nome.” Le aveva detto un giorno Yvonne, che come al solito si buttava giù per delle sciocchezze. Le sue dita non avevano niente di male.
 
Il telefono era acceso e aveva più della metà della batteria, ma era, naturalmente, bloccato e Arielle si ritrovò i nove punti, tre in ogni riga, mentre il telefono attendeva la sequenza corretta affinché si sbloccasse, sequenza che Arielle, naturalmente, non conosceva.
 
Fece vari tentativi.
 
Provò a formare una “L”. No, una “I”. Una “C” forse? Una “S”?
 
Niente da fare.
 
Ogni tentativo andò in fumo e alla fine il telefono si stancò, facendo apparire la scritta che diceva che il telefono era bloccato e che era necessario aspettare trenta secondi prima di tentare di nuovo, ma in fondo allo schermo vide la possibilità di fare una chiamata di emergenza.
 
Bingo!
 
Sfortunatamente la sua gioia ebbe breve durata: solo in un secondo momento si accorse che non c’era campo. Non per Internet. Per niente.
 
Stava valutando se valeva comunque la pena fare un tentativo, magari chiamare il Pronto Soccorso, quando sentì un rumore.
 
Era la ghiaia. Si stava muovendo.
 
Ovviamente la ghiaia non può muoversi, il che poteva solo significare che era qualcuno, o qualcosa, che la stava muovendo.
 
Non voleva guardare, ma i suoi occhi decisero per conto loro e seguirono il rumore.
 
Ci vollero almeno un paio di secondi perché Arielle si rendesse conto che una striscia gialla ondeggiante si stava muovendo, spostando la ghiaia al suo passaggio. Era di un giallo molto chiaro, e la ghiaia bianca aveva reso difficile identificarla istantaneamente.
 
E ci volle un altro secondo prima che si rendesse conto che non era una striscia, e quel secondo fu il più lungo della sua vita.
Un serpente.
 
Un cazzo di serpente.
 
Un cazzo di serpente giallo.
 
Un serpente piccolo, ma indubbiamente un serpente, che già tirava fuori la sua lingua biforcuta.
 
Arielle urlò terrorizzata con una tale intensità che il serpente parve addirittura più spaventato di lei.
 
Si allungò delicatamente verso di lei, ma l’unico risultato che ottenne fu quello di far urlare Arielle ancora di più, la quale iniziò a muovere agitatamente le gambe come se stesse facendo ginnastica.
 
Il serpente le schizzò velocemente addosso spalancando la bocca e questo fu la goccia che fece traboccare il vaso, già fin troppo precario.
 
Svenne di nuovo.
 
 
          
 
 
*
 
 
 
 
Non era affatto piacevole svenire due volte consecutivamente, ma Arielle fu comunque grata che questa volta, il suo risveglio fu più piacevole.
 
Niente ghiaia. Niente freddo.
 
Questa volta si sentiva avvolta da delle soffici lenzuola, stesa su un comodo materasso e il clima era perfettamente temperato.
 
C’era solo un piccolo problema: non riusciva ad aprire gli occhi.
 
Era sveglia, lo era indubbiamente. Sentiva il caldo, la comodità del letto. Era cosciente, ma non riusciva ad aprire gli occhi.
 
Il serpente.. forse l’aveva morsa? Per questo era svenuta? Il suo veleno aveva avuto effetto sul suo corpo e ora non aveva più il controllo dei suoi occhi?
 
Era tutto così strano, così caotico. Ricordava il serpente che era scattato su di lei, ma non ricordava la sensazione di un morso, né il dolore. Poteva benissimo essere svenuta dalla paura, e magari quel serpente non le aveva fatto niente.
 
Ma tutto questo non spiegava perché non riuscisse ad aprire gli occhi.
 
E in un attimo, un terribile pensiero la assalì: e se fosse diventata cieca? Se avesse effettivamente gli occhi aperti, ma non potesse comunque vedere nulla perché aveva perso la vista?
 
No, vi prego no! Non fatemi questo! Ho già la vitiligine, e ora sono anche cieca? Quanto devo essere punita in questa vita?!?
 
Cercò di mantenere la calma arrivando alla conclusione che agitandosi non avrebbe risolto un bel niente, ma non era per niente facile.
 
Quando iniziò a sentire delle voci, anche i suoi pensieri cessarono. Cieca o no, avrebbe impiegato tutte le sue energie ad ascoltare quelle voci.
 
Erano due voci maschili. Una più matura e seria, l’altra più giovane e serena.
 
“Le analisi confermano che è cosciente, che è mentalmente sveglia, ma non riesco a capire perché non apre gli occhi..” questa era la voce seria e matura “.. ma sta bene. In effetti, ha una salute di ferro. Resistenza, organi, flusso del sangue, vista.. tutto ottimale.”
 
Oh grazie al Cielo!
Allora posso vedere!
 
Poi l’altra voce parlò.
 
“Una caratteristica della sua specie, forse?”
 
Specie? Scusami? Per chi mi avete preso? Per un animale?
 
Fu non poco irritata che dei due era proprio quello con la voce che sembrava più calorosa a dire una cosa del genere.
 
“Specie? Jim, questa ragazza è umana.” Riprese la prima voce, diventando d’un tratto più dolce.
 
Grazie mille tizio sconosciuto! Se potessi te lo direi con la mia, di voce.
 
“Quelle macchie..”
 
“Vitiligine. E’ una condizione della pelle che causa la comparsa di chiazze non pigmentate sulla pelle.”
 
“Avevi detto che stava bene.”
 
“E sta bene. E’ solo un fattore estetico. La sua salute non ne risente in alcun modo.”
 
Queste voci mi sembrano terribilmente familiari, devo averle già sentite. Ma dove?
 
“Non ne avevo mai sentito parlare.”
 
“E probabilmente non ne sentirai parlare più. E’ stata trovata una cura più di centocinquanta anni fa. Nella maggior parte dei casi la cura viene data alle donne in gravidanza che in seguito ad esami hanno appreso che il nascituro l’avrebbe sviluppata, in tal modo al momento della nascita il bambino è già curato, ma ci sono stati rari casi in cui è stata somministrata ad un adulto e in entrambi i casi l’esito è positivo.”
 
C-cosa?
 
Una cura?
 
Ma siete seri?
 
E da quando?
 
Pff, impossibile. I miei genitori sono benestanti. Hanno accesso ai medici migliori del paese, e non abbiamo mai sentito di una cura.
 
Sconsiderati.
 
Poi sentì un rumore. Le porte di un ascensore? Un meccanismo che si attivava. E un Bip.
 
Qualcuno entrò, sentì i passi.
 
“Capitano, non c’è nessun riscontro.”
 
Era una terza voce, quella appartenuta a chi era appena entrato, un uomo dalla voce talmente fredda ed impassibile da far apparire la prima voce che inizialmente le sembrava seria come quella di un cantante per bambini.
 
“Chiunque sia, la sua nascita non è mai stata documentata sulla Terra.” Continuò.
 
“Com’è possibile? E cosa ci faceva in questa parte dello spazio?” disse quello dalla voce rilassata.
 
“Che sia rimasta su quel pianeta tutto questo tempo?” era la prima voce.
 
“Impossibile, dottore. Secondo le mie analisi, il pianeta non dispone né di cibo né di acqua, né flora né fauna. Non avrebbe mai potuto sopravvivere tanto a lungo. Nessuno di noi avrebbe potuto.” Fece l’ultima voce.
 
“Glielo chiederemo quando si sveglierà. Ora lasciamola riposare.”
 
Sentì quel Bip di nuovo e altri passi. Le voci cessarono. Poi sentì degli altri passi, erano due piedi che si muovevano uno dopo l’altro verso di lei. Evidentemente due di loro erano usciti, e quello che rimaneva si era avvicinato a lei.
 
Sentì un altro rumore. Un altro bip, ma diverso da quelli che aveva sentito prima, e provenivano da sopra la sua testa.
 
“Che resti tra te e me..” era la prima voce, quello che sapeva tutte quelle cose sulla vitiligine e che sosteneva esserci una cura “.. spero che resterai con noi a lungo. Se Spock continuerà ad essere così confuso dal non riuscire a trovare una spiegazione logica per la tua presenza qui, non avrà il tempo di essere irritante con me come al suo solito.”
 
 Un momento.
 
Spock? Ha detto Spock?
 
E quell’altro.. l’aveva chiamato Jim?
 
Non.. non.. non è possibile..
 
Non possono essere chi penso..
 
Lo stupore era tale che finì con l’aprire gli occhi, e si trovò davanti esattamente chi pensava.
 
Leonard McCoy.. o DeForest Kelley… insomma lui, quel viso familiare che tante volte aveva visto in TV, ma mai quanto lo aveva visto Yvonne, era in piedi accanto a lei, che le sorrideva in modo rassicurante.
 
“Non avere paura. Ti trovi a bordo della nave stellare USS Enterprise. Io sono..”
 
“Bones.” Mormorò Arielle con stupore.
 
E gli enormi occhi azzurri di McCoy, che da soli erano già molto grandi, si spalancarono ancora di più.
 
 
 
 
 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** C'era una Volta - Capitolo 2 ***


 
 
 
 
 
 
C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 2




 
 
Nolwenn rimase in quel carro così a lungo che aveva avuto il tempo di dormire e di pensare.
 
Pensare a tutto. Pensare alla sua famiglia, ad Arielle e a Yvonne. A cosa diavolo le era successo. Dove si trovava. E soprattutto, come uscire da quella situazione.
 
I portoni del carro erano sempre stati chiusi, e lei non poteva fare assolutamente niente per aprirli. Qualche giorno prima avevano attraversato quello che doveva essere un paesino nel pieno di una festa, considerando i rumori di voci e di musica. Nolwenn ne aveva approfittato per cercare di aprire i portoni andandoci addosso con tutto il suo corpo, ma l’unico risultato che aveva ottenuto era un dolore lancinante nella schiena e nelle gambe. Quello fu il suo ultimo tentativo di fuga.
 
Aveva fatto quanto poteva per trattenersi nel mangiare i cibi intorno a lei, ma i morsi della fame erano terribili, e senza probabilmente sarebbe morta, ma nonostante questo si sentiva in colpa per ogni morso, dato che quel cibo non era il suo. Mangiarlo l’avrebbe messa ancora di più nei guai.
 
Quella cazzo di volpe! Per quale motivo aveva afferrato la sua borsa?
 
La borsa era riuscita a recuperarla, quello che ne rimaneva almeno, ma ne era davvero valsa la pena? 
 
Aveva fatto l’impossibile per recuperarla, e per cosa? Per ragioni futili, stupide, emotive. Era la borsa di Arielle, e allora? Lei non c’era. Lei era lontana. Come Yvonne. Avere la sua borsa non le avrebbe indicato né la via per ritrovarle né la via per tornare a casa.
 
Sono partita con il piede sbagliato. Completamente. Devo smetterla di fare la stupida.
Ovunque io mi trovi ora, si tratta di un luogo sconosciuto e in cui sono sola. Non ho soldi. Non ho abiti tranne quelli che indosso. Non conosco nessuno.
Devo smetterla di farmi trascinare dalle cose o di rimanere imbambolata senza fare nulla perché troppo impegnata a guardarmi intorno. Cosa importa cosa c’è intorno a me? Devo avere la mente lucida.
Se davvero fossi finita, per quanto assurdo oltre ogni immaginazione, in un altro mondo, in un altro universo, e a giudicare da quello che ho visto finora un mondo proiettato nel passato anziché nel futuro, non posso più permettermi di perdermi in stupidi giochetti.
Quel tizio nella piazza di Notre Dame.. Quello che assomigliava spaventosamente a Clopin e a che a tutti gli effetti sembrava uno zingaro.. che ha cantato alla perfezione quella canzone che ho ascoltato da bambina guardando la videocassetta a casa mia.. se fosse davvero Clopin? Il vero Clopin? Quello del cartone?
E poi c’era Quasimodo. Era quel Quasimodo? Doveva esserlo.
Quante persone al mondo ci sono in grado di essere la copia perfetta di Quasimodo? Quante? E quelle poche passano la loro vita a far finta di essere Quasimodo, con gli stessi abiti, lo stesso comportamento, gli stessi eventi?
 
Guardò di nuovo lo stemma della Disney che era inciso nella borsa.
 
E se..?
 
“Ehy, tu! Chi diavolo sei? Come sei entrata?”
 
Cazzo.
 
Com’era possibile che non avessi sentito i portoni aprirsi?? Ero immersa nei miei pensieri fino a questo punto? Giorni e giorni in questo cazzo di carro rinchiusa e quando finalmente lo aprono non mi accorgo di nulla?
 
Che imbecille.
 
“Posso.. posso spiegare.” Balbettò.
 
In realtà non poteva spiegare un bel cazzo di niente, ma quelle parole furono le uniche che le uscirono.
 
Si trovò davanti un uomo, uno di quelli che aveva visto a Parigi prima di finire in quella trappola. I suoi occhi scuri erano pieni di rabbia e scherno. Aveva i capelli corti e.. grigi? Non seppe dirlo con certezza, era troppo terrorizzata per guardargli qualsiasi cosa che non fossero quegli occhi tenebrosi. 
 
“Lo racconterai alle guardie.” Tuonò l’uomo, entrando nel carro e afferrandola per un braccio con l’intento di tirarla fuori.
 
La presa su di lei era forte e dolorosa, con le dita che premevano forti sulle sue braccia, ma Nolwenn non emise un suono.
 
Quando l’ebbe tirata fuori dal carro, la guardò dall’alto in basso senza mai lasciare la presa, e lo scherno che vedeva in lui passò dai suoi occhi alla sua voce.
 
“Bene bene bene, cosa abbiamo qui? Una zingara, eh?”
 
“Non sono una zingara!” ribatté Nolwenn, che all’improvviso aveva ritrovato la voce.
 
“Solo una zingara si vestirebbe così.” rise di nuovo “Sembra che mi sarai utile, dopotutto. Ho sentito dire che c’è un giudice a Parigi che offre una lauta ricompensa a chiunque gli consegni una come te.”
 
Cazzo no, non Frollo, tutto ma non Frollo! Con lui muoio per le atrocità che mi farà o peggio… muoio dopo aver visto quanto è brutto.
 
In preda al panico, Nolwenn iniziò a cercare di scrollarsi di dosso l’uomo, ma la presa era più forte di prima e l’unica cosa che ottenne fu quella di far crescere la sua ira.
 
Esasperato, stava per colpirla, ma prima qualcos’altro colpì lui.
 
Una volpe rossa.
 
Anzi no, quella volpe rossa.
 
I suoi artigli scavarono sul viso dell’uomo, al punto che lui fu costretto a lasciare Nolwenn, la quale, questa volta, non ebbe un attimo di esitazione.
 
Non appena libera, iniziò a correre. Non sapeva nemmeno dove, l’importante era fuggire lontana da lui.
 
Seguiva il sentiero principale, e solo quando sentì i passi dell’uomo dietro di sé che capì la stupidità della sua scelta. L’uomo era ancora lontano, ma presto sarebbe stato in grado di vederla, ma prima che accadesse la ragazza scattò a destra verso il bosco, lontano dalla strada.
 
Dopo una decina di minuti passati a correre, iniziò a sentire il fiatone. Era sempre stata molto energica, e fu demoralizzata nel realizzare che le bastava così poco per stancarsi, ma sentirsi demoralizzati al momento era l’ultimo dei suoi problemi.
 
Il Sole non era ancora tramontato, ma le tenebre iniziavano a calare velocemente. Forse era.. tardo pomeriggio? Difficile dirlo, considerando che il bosco stesso sembrava molto oscuro, così oscuro che forse la stava ingannando.
 
Guardò indietro per un attimo, ma non fermò i piedi. Quel piccolo attimo di distrazione fu sufficiente.
 
Qualcosa la fece inciampare, qualcosa di grosso e lungo per terra, magari un grosso bastone o la radice di un albero? Nolwenn se ne accorse troppo tardi, e non riuscì a fermare la caduta con le mani. Come se non bastasse, cadde in una zona in discesa, e finì con il rotolare verso il basso come un pallone.
 
La discesa fu fermata da una grossa quercia, e l’impatto fu alquanto doloroso e impreparato, e un urlò di dolore lasciò la sua bocca prima che potesse pensare di reprimerlo.
 
Sulla sua gamba destra, poco più in basso del ginocchio, c’era una ferita lunga all’incirca sette centimetri e larga meno di due, ormai diventata rossa per il sangue che usciva.
 
Il dolore si fece ancora più lancinante. Nolwenn urlò di nuovo, questa volta più piano. Sentì in lontananza quel tizio dal quale era scappata gridare qualcosa, su come l’avrebbe trovata e altre minacce che lei non riuscì a sentire, che risultavano insignificanti rispetto al male che sentiva.
 
Guardò di nuovo. Usciva più sangue ora, non troppo, ma ne usciva. Aguzzando la vista, riuscì a notare qualcosa di bianco.
 
Che cazzo?!? Un osso? Non dirmi che è il bianco dell’osso? Oh cazzo. Oh merda. Perderò la gamba, non è vero?
 
E questa non era il mondo Disney? Il mondo delle favole? Quello sul vero amore. Quello con la magia. Quello con il lieto fine. A me non sembra di avere niente di tutto questo. Da quando sono arrivata qui, non ho altro che sfortuna.
 
Questo conferma quello che ho sempre pensato. Io non sono fatta per favole, principi e magia.
 
Dopo qualche ora, il dolore iniziò a calare, ma non sparì mai del tutto.
 
A notte fonda, Nolwenn ricevette la visita dell’unico amico, forse, che aveva in quel luogo.
 
Quella dannatissima volpe si era avvicinata ed era rimasta lì, a fissarla.
 
Non si era nemmeno seduta né spostava lo sguardo. Si limitava a stare lì. Quegli occhi penetranti permanentemente fissi su di lei. Era così immobile che se non l’avesse vista arrivare, Nolwenn avrebbe pensato che fosse una statua molto elaborata e realistica, e nulla di più.
 
Provò a parlarle. Le chiese cosa volesse. Chi fosse. Perché se la trovava dappertutto. Le domandò anche del perché si trovasse lì, che quello non era il suo posto, che voleva tornare a casa sua, come se fosse quell’animale il responsabile del suo arrivo.
 
Le parlava come se stesse parlando con un adulto, poi provò con la vocina che si usa quando si parla con un cane o con un neonato, poi urlò, esasperata dalla mancanza di qualsiasi reazione da parte della volpe.
 
Gli occhi di quella creatura sembravano tristi, preoccupati. Poi si fecero fiduciosi, come se guardando la ragazza avesse avuto una visione sul futuro, un futuro migliore. Poi si girò, e se ne andò silenziosamente, esattamente come era stata per tutto il tempo in cui era stata in sua compagnia.
 
La volpe se ne era andata da un pezzo, ma era ancora buio.
 
Era stanchissima, fisicamente e mentalmente, ma dormire era fuori discussione. Non ci sarebbe riuscita comunque, con quel dolore alla gamba e soprattutto con la consapevolezza di trovarsi in un fitto bosco che non conosceva da sola. E se ci fossero stati degli animali, magari molto più pericolosi di una volpe? E se l’avessero attaccata mentre dormiva? Beh, anche se l’avessero attaccata da sveglia non avrebbe fatto molta differenza. Con la gamba in quello stato, non avrebbe fatto molta strada. C’era di buono che il tizio che voleva venderla al più cattivo dei cattivi della Disney era sparito. Magari un orso lo aveva mangiato.
 
Speriamo.
 
E alla fine anche la mattina arrivò.
 
Nolwenn se ne stava seduta con la schiena contro il tronco della quercia che l’aveva ferita, ferita che almeno aveva smesso di sanguinare. Il dolore era sopportabile dopo quasi un giorno dall’accaduto, ma non osava muovere la gamba, temeva ancora che la ferita fosse più grave di quanto sembrasse.
 
Proprio mentre la stava guardando, le tenebre calarono di nuovo con la stessa velocità con cui si sbattono le palpebre, e Nolwenn sentì un’aria gelida percorrerle la schiena e.. delle grandi ali che sbattevano. Sembravano provenire all’alto.
 
Alzò lo sguardo, e vide l’uccello più grande che avesse mai visto. No, non poteva essere un uccello. Aveva delle ali enormi attaccate ad un corpo troppo distante perché lei potesse vederlo con più attenzione.
 
Sembrava.. sembrava..
 
“Un drago.”
 
Non volle neanche perdere tempo a chiedersi come fosse possibile. Era stanca di farlo, e non ne aveva più la forza. Era troppo tempo che accadevano cose strane, e lei doveva imparare ad avere una mente più aperta. Forse era per quello che le cose le stavano andando male? Aveva affrontato le cose nel modo sbagliato? In fondo, cos’è che diceva Walt Disney..?
 
“Se puoi sognarlo, puoi farlo.”
 
Ecco il perché delle tenebre improvvise.
Quel drago, sempre se di drago si trattava, aveva momentaneamente oscurato il Sole con il suo corpo. Infatti, non appena proseguì oltre, il Sole riapparve, così come la luce.
 
E quel drago nero, così come era arrivato, se ne andò.
 
Dopo quella visione, Nolwenn non abbassò più lo sguardo, riuscì persino a dimenticarsi della ferita alla gamba. Continuò a guardare in alto, forse nella speranza di rivederlo, lui o un’altra qualsiasi creatura magica che prima di allora aveva visto solo nei racconti fantasy, e che magari potesse guidarla.
 
Il tutto ebbe una fine molto presto. Il collo iniziava a fare male, e così non poté fare altro che tornare a guardare la ferita, aspettando.
 
Poi si stufò anche di aspettare. Cosa avrebbe fatto? Sarebbe rimasta lì ad aspettare cosa? Un principe azzurro che venisse a salvarla?
 
I principi azzurri salvano le ragazze bellissime, con la pelle delicata e liscia come seta e dai modi delicati, e non perdono certo tempo con tizie qualunque come lei, piena di brufoli antiestetici, e che sono così stupide da finire in un carro pieno di provviste rischiando la vita.
 
Decise di aspettare fino all’indomani, poi si sarebbe alzata. Per andare dove? Non si sa. Forse avrebbe seguito la direzione che aveva preso il drago, chissà dove sarebbe finita. Magari avrebbe trovato altri draghi e sarebbe diventata la Daenerys Targaryen di questo mondo.
 
Quel lampo di speranza e ottimismo riuscì a farla addormentare, anche se i suoi sogni furono tutt’altro che tranquilli e pacifici.
 
Poi sentì una voce.
Una voce infantile. Proveniva dal suo sogno? Probabilmente sì.
 
Era tutto bianco, ma in lontananza una figura si muoveva, verso di lei.
 
Era una bambina.
 
Non poteva avere più di sette anni, e le somigliava così tanto da essere quasi inquietante, ma era molto più bella.
 
Indossava un meraviglioso abito azzurro con un fiocco bianco, ricamato a mano. Quelli erano abiti regali. Abiti da nobile, ma antichi. Di certo era di questo mondo.
 
Aveva la pelle liscia e graziosa tipica dei bambini, con nessun accenno di imperfezione, e un gruppetto di lentiggini sul viso, concentrate nella zona del naso. Tra i suoi capelli rossi, uguali a quelli di Nolwenn, vide un fiocco molto simile a quello dell’abito, ma era difficile dire come e se erano stati legati, ma ebbe la conferma decisiva che non si trattava di lei quando vide i suoi occhi, di un azzurro splendido, mentre lei li aveva verdi.
 
Non seppe nemmeno dire che genere di azzurro fosse. Chiaro? Scuro? Sembrava strano capire che fossero azzurri ma non saper definire la tonalità, ma si trattava pur sempre di un sogno, e in un sogno tutto piò accadere, e l’impossibile diventa possibile.
 
La bambina teneva con le mani la gonna del vestito per poter correre più velocemente senza rischiare di inciampare e cadere, ma poi smise di correre.
 
“Mamma, non vieni?”
 
Nolwenn sentì il suo cuore fermarsi.
 
Mamma?
 
“Io non.. non sono la tua mamma, tesoro.” Fece gentilmente Nolwenn, sentendosi terribilmente in colpa.
 
“Sì che lo sei, solo che ancora non lo sai.”
 
La bambina le corse incontro, e l’abbracciò forte.
 
Nolwenn si sentiva enormemente a disagio, ma non riuscì a non ricambiare l’abbraccio. Nel farlo, si accorse di quanto quella bambina la stesse stringendo. Non con forza, ma con enorme affetto.
 
Poi si sciolse dall’abbraccio, e si mise sulle ginocchia per essere all’altezza della bambina. La guardò intensamente negli occhi, come se cercasse di riconoscere qualcuno in lei.
 
“I tuoi occhi.. sono..” erano davanti a lei, eppure non riusciva ancora a capirne il colore specifico.
 
“Azzurri..” rispose la bambina, dicendo a Nolwenn l’unica cosa che già sapeva “.. come papà.”
 
Papà? E chi era suo padre? E se lei era sua madre, significa che il padre della bambina era.. il suo compagno? Suo marito? Era single da un paio d’anni ormai, e sicuramente non era mai stata con un uomo che avesse gli occhi azzurri.
 
Ma quella bambina aveva abiti antichi.. significa che suo padre era.. di questo posto? Significava che lo avrebbe incontrato presto? Che sarebbe rimasta tanto a lungo qui da incontrare un uomo e farci una figlia di sette anni? Significava forse che non sarebbe mai più tornata a casa? E che sarebbe rimasta qui.. per sempre?
 
“Papà..” mormorò Nolwenn, più a sé stessa che alla bambina.
 
“Non avere paura, mamma. Lui ti troverà. O tu troverai lui. O tutti e due vi troverete. Il vero amore trova sempre la strada.”
 
Nolwenn non aveva la più pallida idea di cosa stesse provando. Paura? Confusione? Sollievo? Amore? Speranza? Curiosità?
 
Alla fine, fu la curiosità a prendere il sopravvento. C’era un uomo nel suo futuro. Un uomo importante dato che quella bambina parla di vero amore. L’uomo con cui l’avrà. O forse era solo uno stupido sogno che non aveva nessun significato.
 
“Come?” fu tutto quello che riuscì a chiedere.
 
“Non qui. Svegliati, mamma. Inizia il tuo viaggio. Papà ti sta aspettando, ma non lo incontrerai nascondendoti. Ha bisogno di te. Questo mondo ha bisogno di te. Salva la mia casa, per favore mamma..”
 
La bambina iniziò a dissolversi, come se fosse un ologramma elaborato il cui programma stava dando dei problemi tecnici.
 
“Aspetta.. cosa succede.. devi dirmi altro.. cosa devo fare? Io non.. non so cosa fare..”
 
Nolwenn non si era mai sentita tanto impotente in vita sua.
 
“Lo saprai. E’ il tuo destino.”
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 2 ***







QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 2
 
 
 
 
C’erano tanti aspetti bizzarri nel tornare fisicamente piccola e ai quali era terribilmente difficile abituarsi.
 
Il primo che aveva notato era il cambiamento anche della sua mente. Manteneva tutti i suoi ricordi, ma il suo modo di ragionare, parlare e comportarsi era quello di una bambina di undici anni. Si sentiva come una fenice morta e risorta dalle ceneri.
 
Come se una vita non fosse già abbastanza. Ora mi aspetta una seconda vita? Sicuramente sarà miserabile come la precedente e l’essere in un mondo magico non cambierà le cose. Il problema non è il mondo. Il problema sono io, che non mi saprò mai adattare.
 
Se solo…
 
Se solo fosse finita in Star Trek.
 
Lì sì che sarebbe stata bene.
 
Star Trek è pieno di outsider come lei. Alieni di fatto e di carattere. Persone che fanno fatica a trovare il loro posto, come lei. Indubbiamente avrebbe comunque faticato, ma almeno ci sarebbe stata con lei la consapevolezza di non essere sola.
 
Nella sua mente apparvero immagini impresse nella sua memoria, legate a Star Trek. Scene dalle serie, i personaggi, momenti che l’avevano emozionata, tutte le specie aliene che ricordava. Iniziò a ripeterle mentalmente, un po’ come faceva Arya in Game of Thrones con la sua lista di persone da uccidere.
 
Vulcaniani. Andoriani. Klingoniani. Tellariti. Bajoriani. Cambianti. Cardassiani. Romulani. Borg. Tr—
 
Trill.
 
E ad un tratto, il tempo si fermò di nuovo.
 
Trill! Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima?!?
 
Ancora una volta, Star Trek l’aveva aiutata e non solo nello spirito.
 
I Trill erano una specie aliena di Star Trek esteticamente simile agli umani fatta eccezione per delle piccole macchioline scure che partono dal viso e continuano per tutto il corpo, ma è ciò che avevano dentro il loro corpo che li rendeva interessanti.
 
I Trill danno particolare importanza al simbionte, una specie di grande verme che hanno dentro la pancia. Alla morte del loro ospite, il simbionte viene rimosso e integrato ad un nuovo ospite, il quale manterrà tutti i ricordi degli ospiti precedenti. Una nuova persona, ma con tutti i ricordi delle vite precedenti.
 
Come una giovane donna tra i venti e i trent’anni che diventa sotto ogni aspetto una bambina, ma con i ricordi della vita passata.
 
Yvonne sorrise stupidamente, ma in cuor suo si sentiva leggermente meglio. Star Trek era sempre stato il suo rimedio principale per affrontare le brutte giornate e i momenti pieni di dubbi, e ora aveva davvero bisogno di sentirsi meglio e di sentirsi più.. sé stessa.
 
Non si era nemmeno resa conto di aver camminato tutto il tempo, fino a quando quel vecchietto con le fattezze di suo nonno non si era fermato, e lei fece altrettanto.
 
“Ecco. Siamo arrivati.”
 
Ollivader. Si era anche dimenticata che erano diretti lì, per prendere una bacchetta.
 
“Vai pure. Io intanto vado a prenderti l’uniforme.”
 
“Ma—"
 
Inutile. L’uomo si era già volatilizzato. Yvonne guardò il negozio dall’esterno ancora per qualche secondo, poi sospirò ed entrò.
 
L’interno del negozio era più antico di quanto ricordasse di aver visto nei film. C’erano un paio di scrivanie fatte di legno al centro, una più grande dell’altra, e attorno alle pareti custodie accalcate tra loro per la mancanza di posto, custodie di bacchette.
 
Non appena chiuse la porta, un uomo anziano apparve dietro la scrivania principale. Probabilmente era chino dietro la scrivania, e il rumore gli aveva fatto capire che qualcuno era entrato. Somigliava spaventosamente ad un anziano visconte dell’Inghilterra dell’ottocento, con quei capelli arruffati e bianchi e le basette più lunghe del normale.
 
Era Ollivander.
 
“Buongiorno. Sei qui per la tua prima bacchetta, vero?”
 
No, sono qui per tagliarmi i capelli.
Certo che sono qui per una bacchetta, è un negozio di bacchette questo!
Io non ce la posso fare.
 
Inspirò, e si limitò ad annuire.
 
Ollivander la fissò come se la stesse studiando, poi si diresse verso la sua destra, vicino all’entrata del negozio. Prese una custodia bianca e la aprì.
 
La bacchetta che teneva tra le mani era chiarissima, forse addirittura bianca. L’unica cosa che Yvonne riusciva a vedere all’infuori di quel bianco eccessivamente chiaro era una leggera riga grigia che separava il manico dal resto della bacchetta.
Gliela porse, e Yvonne la prese come se fosse un gioco stupido.
 
Sono una babbana, non una strega. Nessuna di queste bacchette funzionerà mai con me.
 
Senza accorgersene, la agitò, facendo cadere un cestino dei rifiuti vicino ad una delle scrivanie.
 
“No, non va bene.”
 
L’anziano andò poi nel retro, e tornò con una seconda bacchetta: se quella precedente era bianca come un pezzo di carta, questa era nera come le tenebre, e Yvonne non riuscì nemmeno a vedere il segno che distingueva il manico dal resto, a differenza dell’altra.
 
Yvonne la agitò di nuovo, e il movimento fece roteare il lampadario così velocemente che per un momento ebbe seriamente paura che sarebbe caduto.
 
L’uomo la guardò di nuovo con interesse, poi andò nuovamente alla sua destra vicino al luogo in cui aveva preso la prima bacchetta, quella bianchissima, ma questa volta andò vicino alla scala e non all’entrata.
 
Prese una custodia dai colori insoliti che si trovava in mezzo a tante altre più simili tra loro. La aprì ed estrasse una lunga e dritta bacchetta, che porse a Yvonne.
 
Era di un marrone così chiaro da sembrare quasi giallo, e la bacchetta era avvolta da una specie di linea delicata e dall’aspetto fiabesco, con altre piccole linee che si intersecavano a quella principale, dandole un aspetto più elaborato.
Quella linea sinuosa partiva dal manico con un colore più scuro, ma non nero come la seconda bacchetta, e man mano che si avviava verso la punta, il colore diventava sempre più chiaro, ma mai bianco come la prima.
 
Quando Yvonne la prese, sentì come una scossa elettrica sulle dita, e ne fu così sorpresa da non notare le scintille che uscirono dalla punta, ma Ollivander le notò.
 
“Abbiamo trovato la sua bacchetta, signorina.” Disse compiaciuto, più a sé stesso che a lei.
 
“La mia bacchetta?” balbettò Yvonne.
 
“Legno di acero, crine di Thestral e zoccolo di asino.”
 
Cos—
 
Asino?
 
Cosa c’entrano gli asini con il mondo di Harry Potter?
 
Ollivander si accorse che Yvonne si era fatta dubbiosa all’improvviso, così le mise le mani sulle spalle e si chinò per mettersi al suo livello.
 
Per Yvonne fu ancora più strano. Uno degli aspetti più strani dell’essere tornata bambina era l’altezza sua e degli adulti. Prima avrebbe potuto conversare con un adulto guardandolo negli occhi, mentre ora quello stesso adulto doveva guardare in basso per guardarla.
 
“E’ la bacchetta a scegliere la strega, e questa bacchetta ti ha scelto. Ti condurrà a grandi cose, ne sono convinto.”
 
Lieta di constatare che almeno uno di noi è convinto.
 
Yvonne si limitò a dargli le monete per pagare e uscì senza aggiungere una parola.
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Una decina di minuti dopo, incontrò nuovamente l’anziano che somigliava tanto a suo nonno.
 
Aveva in mano una valigia, e la guardava fiducioso.
 
“Ti ho preso l’uniforme. E’ già qui dentro, insieme a qualche ricambio. Immagino che non vorrai indossare l’uniforme tutto il tempo.”
 
Yvonne continuò a fissarlo.
 
Quell’uomo appariva vecchio e magrolino, eppure sembrava avere più energia di lei. In più era pur sempre uno sconosciuto, e benché per un attimo le sembrava di parlare con suo nonno, il secondo dopo la sua razionalità tornava a prendere il sopravvento, ricordando a sé stessa che quello poteva essere chiunque, ma sicuramente non era suo nonno.
 
“Perché lo fai?”
 
“Fare cosa?”
 
“Aiutarmi. Hai pagato tutto, e non mi conosci neanche. Perché è così importante per te che vada ad Hogwarts?”
 
L’uomo si fece serio all’improvviso e la guardò incerto, come se non riuscisse a trovare le parole giuste.
 
“Perché il mio destino è legato al tuo. Il tuo successo sarà il mio successo.”
 
Yvonne sentiva la rabbia crescere.
 
Tutto quello che voleva era un po’ di chiarezza, e questo non faceva altro che tirare fuori altri enigmi che complicavano ancora di più la situazione.
 
Tuttavia inspirò, e cercò di mantenere la calma.
 
“.. come? In che modo?”
 
L’uomo parve leggere la sua frustrazione, ma invece che seccarsi sembrò dispiaciuto e comprensivo.
 
“Un giorno ti spiegherò tutto. Un giorno, te lo prometto, capirai.”
 
Già. Esattamente come Ned Stark aveva promesso a Jon Snow di parlargli di sua madre, ma non è mai successo perché è schiattato.
 
Perché ho la sensazione che finirà nello stesso modo?
 
“Perché non adesso?” cercava di stare calma, ma il tono della sua voce la tradì.
 
“Non posso..” sospirò l’uomo, poi spostò lo sguardo “.. non sei ancora pronta.”
 
L’uomo lo disse con una tale malinconia e tristezza negli occhi e nella voce che Yvonne non riuscì a conservare la rabbia.
 
Abbassò lo sguardo, e aprì la valigia per vedere la sua uniforme, che era esattamente come le uniformi per gli allievi del primo anno nel primo film: maglione grigio, camicia bianca, cravatta, gonna e mantello neri.
 
“Vuoi vestirti già?”
 
Yvonne annuì, ma prima di andare a cambiarsi notò, con la coda dell’occhio, qualcosa che sicuramente non avrebbe voluto vedere e che mai si sarebbe messa.
 
“E quelle cosa sono, di grazia?”
 
L’uomo seguì il dito della bambina e vide cosa indicava.
 
“Le scarpe da indossare con l’uniforme.”
 
“Io quelle non me le metto.”
 
Erano delle scarpette da ballerina nere troppo femminili per lei, e per giunta, apparivano anche scomode.
 
Già dover mettere la gonna era per Yvonne una tortura, ma quelle scarpette da principessina erano davvero troppo.
 
“Tutte le studentesse di Hogwarts le portano.”
 
Yvonne si guardò intorno, e in lontananza vide un paio di studenti di Hogwarts, dei Serpeverde, a giudicare dai colori dell’uniforme. Ai piedi avevano le classiche scarpe nere per i studenti maschili: eleganti e con i lacci.
 
“Quelle andranno meglio.”
 
“Quelle sono per i maschi.”
 
“I piedi di un maschio e i piedi di una femmina sono esattamente uguali. E con quelle scarpe, mi troverei molto più a mio agio.”
 
“Non è questo il costume..”
 
“Ascoltami, non mi metterò quelle scarpette ridicole. Non ci sono mai stata, ma credo che il castello di Hogwarts sia enorme. Immagino che mi capiterà spesso di correre per arrivare puntuale a lezione, e le possibilità che cada con quelle scarpette sono alquanto elevate, soprattutto se sto correndo. Inoltre, quanto pensi riuscirò a dare il meglio, se durante le classi sono troppo impegnata a sentire il fastidio ai piedi per imparare ciò che gli insegnanti cercano di insegnarmi? Tu hai detto che il mio successo sarà il tuo successo. Che successo vuoi che mi aspetti, se verrò bocciata?”
 
Yvonne deglutì nervosamente.
 
Ogni volta che si dimostrava sicura di sé, bleffava. Non era mai sicura di sé. Non era il tipo che rispondeva a tono o ricattava o minacciava. Era troppo spaventata. Da tutto e tutti.
 
Ma quel tizio le stava deliberatamente nascondendo qualcosa, e in quell’attimo di follia arrivò alla conclusione che si meritava di avere ai piedi quello che voleva.
 
Poi l’attimo passò, e si sentì morire dentro.
 
Guardò verso il basso piena di vergogna e imbarazzo, e stava per balbettare qualcosa quando..
 
 
“Va bene. In fondo entrambe le scarpe sono nere.”
 
Yvonne lo guardò prima stupita, e poi felice. Sorrise spontaneamente, per la prima volta da quando lo aveva conosciuto.
 
L’anziano ricambiò il sorriso, e la lasciò per andare a cambiare le scarpe.
 
Mentre aspettava, Yvonne prese la bacchetta e si mise ad osservarla da vicino. Avrebbe potuto vederla meglio, se solo i suoi occhiali non fossero rotti.
 
La sua mente andò al primo film di Harry Potter, la Pietra Filosofale, quando Hermione incontrò Harry e Ron sul treno e riparò gli occhiali di Harry con un incantesimo, anche se i suoi non erano neanche lontanamente mal messi come i suoi.
 
Che incantesimo aveva usato?

E se lo provasse su sé stessa?

 
Si concentrò, si sforzò con tutta sé stessa, ma proprio non riusciva a ricordare. Pensò allora ai videogiochi di Harry Potter, che conosceva nettamente meglio. Nel Prigioniero di Azkaban, Hermione aveva imparato un incantesimo in grado di riparare oggetti.
 
Reparo.
 
Quello riusciva a ricordarlo, eppure non fece nemmeno un tentativo. Era piuttosto sicura che quell’incantesimo venisse utilizzato per riparare oggetti certo, ma per gli occhiali doveva esserci un incantesimo particolare, diverso.
 
Maledizione.
 
Riesco a ricordarmi i nomi degli attori e le battute dei personaggi, ma non un fottutissimo incantesimo? Che, guarda caso, mi serve proprio adesso? Scommetto che se non ne avevo bisogno me lo ricordavo. Va sempre a finire così.
 
Fanculo. Prima o poi me lo ricorderò, e fino ad allora mi terrò questi occhiali a pezzi, tanto li ho tenuti finora, posso tenerli ancora.
 
Inoltre, se avessi tentato, avrei dovuto puntarmi la bacchetta contro. Anche se mi ricordassi l’incantesimo, dubito di riuscire a lanciarlo. E se come risultato ne lanciassi un altro contro me stessa facendomi male?
 
Anche togliere gli occhiali e tenerli davanti a sé per poter muovere la bacchetta con più sicurezza non le sembrava la migliore delle idee. Se gli occhiali fossero caduti sarebbero definitivamente andati in mille pezzi, e lei sarebbe diventata più cieca che mai.
 
No, meglio aspettare di arrivare ad Hogwarts, cosa che, purtroppo sarebbe accaduta molto presto.
 
Quel tizio enigmatico sarebbe tornato a breve con delle scarpe accettabili, e poi l’avrebbe accompagnata alla stazione a prendere il treno.
 
Mancava davvero poco. Non poteva più scamparla.
 
Sarebbe andata ad Hogwarts, che lo volesse o meno.
 
Che le danze abbiano inizio.
 
 
 

 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 2 ***


 
 
 
 
 
 
LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 2




 
 
 
Quelle parole le erano uscite senza che se ne fosse resa conto. Nel momento stesso in cui le diceva, le sembrava più di sentire un pensiero nella sua testa, invece di un nome detto a voce alta. Solo quando vide gli occhi allucinati di McCoy capì che non era andata così.
 
Oddio, e adesso?
 
Cosa faccio?


Dico di essermi sbagliata? Confusa? E a che pro?
 
Sarebbe una scusa plausibile se fosse stato un nome a caso, ma non Bones.
 
Bones era il modo in cui McCoy veniva chiamato da Jim, quindi non c’era modo di convincere il dottore di averlo confuso con qualcun altro.
 
E allora che fare? Dire la verità?
 
E quale sarebbe la verità?
 
Che in realtà è tutta una finzione? Che questa è una serie TV? Nemmeno un pazzo di crederebbe. Se la situazione non fosse già abbastanza tragica, ci sarebbe da ridere al pensiero di raccontare una simile storia all’equipaggio dell’Enterprise, soprattutto a Spock.
 
Vide McCoy trattenersi dal dire qualcosa, poi deglutì. Si allontanò dal letto e andò in un’altra stanza, che faceva sempre parte dell’infermeria. Arielle riuscì a sentire il rumore del suo dito e un piccolo bip.
 
“McCoy a ponte.”
 
Sentì una risposta, ma non riuscì a capire una sola parola. Poi McCoy parlò di nuovo.
 
“E’ sveglia.”
 
Fantastico.
 
Ora Kirk e Spock verranno qui, mi faranno mille domande e io non ho la più pallida idea di cosa dire.
 
E non posso neanche scappare, perché pur essendomi svegliata sono ancora piuttosto debole, e anche se non lo fossi stata, dove sarei scappata? Sono in una nave stellare che viaggia nello spazio!
 
Sentiva il sangue gelarsi dalla paura e dall’ansia, lo era al punto da non sentire le gambe e per un secondo ebbe la convinzione di essere diventata paralizzata. Cercò di calmare i nervi esaminando dove si trovava usando qualcosa che fino a poco prima non poteva utilizzare: la vista.
 
Il materasso del letto e le lenzuola che la coprivano fino al torso erano di un particolare arancione scuro, quasi un rosso sbiadito, e c’erano tanti piccoli cerchi dorati che gli davano l’idea di essere un tessuto molto vecchio e antiquato e il color grigio della struttura del letto aumentava di più questa sensazione.
 
Davanti a lei c’erano altri cinque letti singoli esattamente uguali, uno davanti a lei, due alla sua destra e due alla sua sinistra.
 
Le pareti erano color turchese, e le uniche altre cose che riusciva a vedere erano qualche comodino e naturalmente dei televisori sopra ad ogni letto, con probabilmente i segni vitali, a giudicare dai bip che sentiva dietro di lei. Cercò di girarsi per vedere il proprio televisore visto che era l’unica paziente, ma il suo corpo era a pezzi e non appena fece per girarsi, sentì una fitta nei fianchi e un leggero fastidio al collo, così lasciò perdere. Non le interessava così tanto vedere i suoi segni vitali, dopotutto. Tanto era viva, no?
 
Non fece in tempo ad osservare altro, perché sentì una porta aprirsi e quattro piedi che entravano in infermeria, dove probabilmente McCoy si trovava.
 
Kirk e Spock.
 
Sono qui.
 
L’ansia crebbe di nuovo, e non fu in grado di pensare ad altro. Non si sarebbe accorta della differenza neanche se il letto fosse diventato improvvisamente verde e le pareti viola.
 
Si sforzava di avere un’espressione rilassata e di guardare un punto fisso davanti a lei come se non avesse idea di cosa sarebbe successo, ma era davvero difficile, e quando quei tre entrarono nella stanza, divenne impossibile. Inevitabilmente, spostò lentamente il viso e li guardò.
 
Erano tutti alla sinistra del letto, essendo appunto entrati da sinistra. Per primo c’era Spock, impassibile come sempre, e molto più alto di quanto ricordasse. Teneva le braccia dietro la schiena come era solito fare, e la guardava con tanta serietà da metterle soggezione.
Accanto a lui c’era Jim, più basso e più rilassato. Sul suo volto c’era un sorriso confortante che diede ad Arielle un accenno di sollievo. Era difficile dire cosa splendesse di più in lui, se i suoi occhi o i suoi capelli dorati.
 
E infine c’era McCoy, basso anche lui e chino con la testa. Non aveva un sorriso incoraggiante come Jim, ma non era freddo come Spock. Era come una via di mezzo tra i due.
 
Kirk aprì la bocca, ma fu Arielle la prima a parlare, con grande sorpresa di quest’ultima.
 
“Grazie.”
 
Spock non mosse un muscolo, McCoy la guardò più dolcemente e Jim parve incuriosito.
 
“Per cosa?” chiese il capitano.
 
“Per avermi salvata. Io non..” spostò lo sguardo, quasi per vergogna “.. non penso sarei sopravvissuta a lungo.”
 
“Come ti chiami?” chiese gentilmente Jim.
 
Rimase in silenzio per qualche secondo, ma poi rispose.
 
“Arielle.”
 
“Non hai nulla di cui preoccuparti, Arielle. Non ti faremo del male.”
 
Lo so.
 
“Io son—”
 
“Il capitano James Tiberius Kirk. Il primo ufficiale Spock. E il capo medico Leonard McCoy.”
 
I giochi erano finiti.
 
Arielle aveva usato quei pochi secondi che aveva tra una frase e l’altra per mettere ordine nella sua testa e decidere cosa fare, anche se la risposta era piuttosto ovvia.
 
Optò per dire la verità. Essere del tutto onesta. Avrebbero riso di lei. L’avrebbero presa per pazza, e come biasimarli? Lei stessa si sarebbe presa per pazza.
 
Ma le bugie non l’avrebbero portata a niente di buono. Non era mai stata in grado di dirle, presto o tardi avrebbero capito che erano solo menzogne, non si sarebbero mai più fidati di lei, e di certo non l’avrebbero aiutata. E cosa ben più importante, se fosse stata sincera avrebbe avuto la coscienza a posto.
 
E se davvero aveva intenzione di dirgli che conosceva loro e quell’universo sotto forma di serie TV, doveva usare tutte le carte che aveva per dimostrare che non stava mentendo, che sapeva cose che non avrebbe potuto conoscere in altri modi, come i loro nomi. E dirli prima che fossero loro stessi a dirlo era necessario. Fu quasi contenta di aver chiamato McCoy Bones. Un ulteriore prova a sostegno della storia assurda che avrebbe raccontato.
 
Spock inarcò un sopracciglio in stile Leonard Nimoy mentre Jim guardò McCoy come se cercasse una spiegazione in lui, ma quest’ultimo sembrava altrettanto sorpreso.
 
“Come conosce i nostri nomi?”
 
Oddio. Spock mi ha appena dato del lei? Che emozione!
 
Arielle aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo, rendendosi conto di non avere idea di cosa dire.
 
Sapeva che voleva essere sincera, ma il punto era.. come spiegarlo? Come iniziare il discorso? Aveva passato tutta la sua vita sui libri, scolastici e non, eppure nessuna delle parolone che aveva imparato le era d’aiuto in quel momento.
 
“Siete nella vostra missione quinquennale, giusto?”
 
Era quella la via. Continuare a dimostrare di conoscere molto.. troppo. Solo così sarebbero aumentate le possibilità che le avrebbero creduto, seppure fossero ancora molto remote.
 
Spock rimase impassibile, ma qualcosa fece pensare ad Arielle che era leggermente irritato. Forse perché aveva risposto alla sua domanda con un’altra domanda?
 
Jim continuava a guardarla sinceramente incuriosito, mentre McCoy iniziò ad insospettirsi.
 
Non posso continuare ad eludere le loro domande. Spock è già irritato lo sento, e persino McCoy inizia ad avere dubbi. Presto si stancherà anche Jim.
 
“Vorrei dire la verità, tutta la verità..” deglutì, abbassando lo sguardo “.. non sapete quanto. Ma io..” sospirò “.. so che mi non crederete. Faccio fatica a crederci anche io.”
 
Jim fece un sorriso talmente radioso da illuminare la stanza, e anche McCoy accennò un sorriso, anche se decisamente più piccolo di quello del capitano. Spock rimase lo stesso di prima.
 
“Come ti chiami?” chiese infine Jim.
 
“Arielle. Arielle Marchand.”
 
Jim si sedette sul suo letto, senza però avvicinarsi troppo. McCoy e Spock rimasero in piedi dietro di lui.
 
“Arielle..” cominciò Kirk, come se fosse sul punto di raccontare una fiaba epica “.. tu hai appena chiesto se siamo nella nostra missione quinquennale. Ebbene sì, lo siamo. Il nostro scopo è esplorare strani, nuovi mondi, alla ricerca di nuove forme di vita e di civiltà—”
 
“Arrivando là, dove nessun uomo è mai giunto prima.” Completò Arielle.
 
Non seppe dire come reagirono Spock e McCoy, che apparivano distanti. Riusciva a vedere solo Jim, che dopo un attimo di sorpresa, tornò a sorridere.
 
“Esatto..” spostò lo sguardo, come a cercare le parole giuste “.. e se c’è una cosa che ho imparato esplorando lo spazio ed entrando in contatto con nuove culture e nuovi popoli, è che la cosa più importante nel nostro lavoro è avere una mente aperta.”
 
Arielle non seppe dire se fosse stato il discorso o la voce rassicurante di Jim o entrambe le cose, ma si sentì decisamente meglio. Si grattò nervosamente la testa per qualche secondo, poi si decise.
 
“Io ecco..” sospirò “.. non sono di qui. Provengo da.. un altro universo. Molto lontano.”
 
“Un’altra galassia?” chiese McCoy.
 
“No. Non un’altra galassia. Non esiste la galassia dalla quale provengo qui. Io appartengo.. ad un’altra realtà.”
 
McCoy parve sinceramente confuso e preoccupato, mentre Spock dubbioso. Jim stava semplicemente aspettando che continuasse.
 
Arielle si sentì sollevata. Non si aspettava certo che le avrebbero creduto, soprattutto Spock. Ma il fatto che il vulcaniano la stesse guardando con solo qualche perplessità invece di ritenerla pazza era già una conquista.
 
Sempre che non pensi davvero che sia pazza. Aveva sempre la stessa faccia! Certo, era un vulcaniano e come tale reprimeva le emozioni, ma capire cosa stesse pensando era molto più difficile di quanto ricordasse. Anche nella serie tv era sempre serio, ma ogni tanto riuscivi a cogliere cosa gli passasse per la testa, ma questo qui era un enigma. Forse perché questa non è una serie tv…
 
“E non appartengo neanche a questo tempo. Io.. io vengo dal ventunesimo secolo. Dalla Terra del ventunesimo secolo, dalla Francia per la precisione.”
 
Esiste ancora la Francia nel mondo di Star Trek? O ha assunto un altro nome?
 
“Questo è altamente improbabile. Nel ventunesimo secolo i terrestri non erano nemmeno in grado di lasciare la Terra, è quindi da escludere che disponessero di una tecnologia che permettesse loro non solo di viaggiare tra diverse realtà, ma anche tra diversi tempi.” Spiegò Spock con tono freddo.
 
“Altamente improbabile, ma non impossibile, giusto?”
 
Bones scoppiò a ridere e Jim lo seguì, anche se in modo più controllato. Spock inarcò nuovamente un sopracciglio, più sorpreso che irritato, ma solo quando le risate del capitano e del dottore cessarono, Arielle si rese conto di cosa avesse appena detto.
 
Oh mamma.
Ho appena contraddetto Spock.
Come era potuto succedere? Non era da lei! Lei pensava sempre prima di parlare, non diceva mai le cose di getto in quel modo! Cosa le stava succedendo? E’ lo spazio a farle questo effetto?
Ricorse a tutti i santi che le vennero in mente nella speranza di non aver alterato Spock con quella risposta. Adorava Spock, come tutti, e non voleva che avesse una brutta opinione di lei.
 
“Mi piace questa ragazza, Jim.” Fece orgoglioso Bones, sorridendo apertamente.
 
Ah beh. Almeno piaccio a qualcuno dai.
 
Spock spostò lo sguardo verso McCoy, e in quel momento Arielle vide con chiarezza le sue orecchie o meglio, il suo orecchio destro. Naturalmente anche prima le aveva notate, ma in misura minore, probabilmente perché Spock l’aveva sempre guardata e non si era mai girato, almeno fino a quel momento.
 
Erano grandi, e naturalmente a punta. Molto simili a quelle dello Spock che era impresso nella sua memoria.

E sexy.
 
Arrossì immediatamente, tanto da essere costretta a distogliere lo sguardo. Quando si riprese ed ebbe di nuovo il coraggio di guardarlo, non riusciva a pensare ad altro. Solo alle sue orecchie. E non perché fossero sexy.
 
Erano a punta. Erano davvero a punta. Ora basta Arielle! Contieniti! Non puoi continuare a fissarlo in questo modo!
 
“Continua pure..” fece Jim, ricordandole di cosa stavano parlando.
 
“Quello che voglio dire è.. non è stato intenzionale. Io.. ero con delle mie amiche… poi ho perso i sensi.. credo di essere svenuta. E poi..” deglutì di nuovo “.. mi sono svegliata in quel luogo desolato. Quel posto in cui mi avete trovato. Era un pianeta?”
 
Jim annuì. Arielle continuò.
 
“Hai delle prove a supporto della tua versione?”
 
Cavolo Spock. Saresti stato un ottimo detective.
 
“Falla finita, Spock.” Intervenne McCoy, prima che Arielle potesse anche solo pensare a cosa dire “per quale ragione dovrebbe inventare una storia simile?”
 
“Questo continua a non spiegare come conosci i nostri nomi.” Fece Jim.
 
“Nella mia realtà.. tutto questo è.. un racconto. L’Enterprise. Voi. Un futuro in cui si viaggia nello spazio per approfondire le proprie conoscenze e rendere l’universo un posto migliore, unito e pacifico. Senza razzismo, senza odio. E’ come se.. avessi letto di voi in un romanzo. E’ così che conosco i vostri nomi. E vedendovi qui.. davanti a me.. come persone reali.. è come.. è come se fossi finita in quel racconto.”
 
Mentre parlava aveva fatto diverse pause.
 
Era stata tentata di aggiungere parole come “finzione” e “serie tv dove voi venite interpretati da persone umane reali”, ma pensò non fosse il caso. La prima sembrava crudele, la seconda rendeva ancora più assurda la sua storia.
 
Seguirono attimi di panico. Arielle stringeva i pugni dall’ansia, poi si fece coraggio e guardò Jim.
 
Lesse nei suoi occhi la comprensione, ma anche l’incredulità. Non osava guardare Bones e Spock.
 
“Oppure..” iniziò Spock, incrociando le braccia “.. hai avuto accesso ai nostri database per quelle informazioni.”
 
“E quando avrei avuto accesso a questi dati? Mentre ero svenuta?”
 
Oddio! L’ho fatto di nuovo!
Ho risposto di nuovo a Spock!
E l’ho fatto anche con una discreta dose di sarcasmo! Qualcuno mi fermi!
 
Bones rise di nuovo, chinando la testa. Spock si limitava a guardarla.
 
Pff, cosa darei per riuscire a capire cosa sta pensando, ma non ci riesco, non importa quanto a lungo lo osservo.
 
Sospirò di nuovo.
 
“Il capo ingegnere è Montgomery Scott, ma tutti lo chiamate Scotty. Poi c’è il tenente Nyota Uhura, che si occupa delle comunicazioni..”
 
Man mano che parlava, vedeva i loro volti sempre più increduli.
 
“.. Hikaru Sulu, il timoniere, e Pavel Chekov..”
 
“Chekov?” chiese Kirk.
 
“Non c’è nessun Chekov sull’Enterprise.” Puntualizzò Spock.
 
Ad Arielle ci volle un attimo per capire.
 
“Ma ci sarà, un giorno.”
 
Avrebbe dovuto pensarci prima.
 
Pavel Chekov faceva la sua apparizione nella seconda stagione, e se loro non avevano idea di chi fosse poteva solo significare che erano ancora nel tempo della prima stagione.
 
Ancora meglio. Questo avrebbe dato maggiore credito alla mia storia. Forse Spock aveva sinceramente pensato che avessi appreso i loro nomi dai database, ma come avrei potuto conoscere un evento che doveva ancora verificarsi?
 
“Non mi aspetto che mi crediate..” Si fece coraggio e li guardò intensamente negli occhi “.. ma ho delle informazioni che possono tornarvi molto utili, e non mi riferisco ai vostri nomi. So cosa accadrà prima che accada. L’esito delle vostre future missioni, missioni che nemmeno conoscete ancora. E questo mi permette di aiutarvi ad affrontarle al meglio, e magari di evitare quelle spiacevoli. Voi mi avete aiutata, ora lasciate che sia io ad aiutare voi. Tutto quello che chiedo è l’occasione.. di dimostrarlo.”
 
Parlò tutto d’un fiato, quasi tenendo gli occhi chiusi per evitare che la paura le impedisse di continuare. Quando ebbe finito, tutti e tre rimasero in silenzio.
 
Spock e Bones stavano guardando Jim, come se aspettassero la decisione del capitano, il quale chinò leggermente il capo e sorrise.
 
“Ora pensa a riposarti. Ne riparleremo tra qualche giorno, quando lascerai l’infermeria. Mi.. ci hai dato molto a cui pensare.”
 
Sorrise di nuovo, poi si alzò e lasciò la stanza, e l’infermeria. Spock lo seguì a ruota senza aggiungere altro. Rimasero solo lei e Bones, il quale le mise amichevolmente una mano sulla spalla sinistra.
 
Arielle lo guardò come se si aspettasse che dicesse qualcosa, ma il dottore si limitò a farle l’occhiolino in modo fraterno, poi lasciò la stanza.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** C'era una Volta - Capitolo 3 ***








C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 3








 
 
“Ehy..”
 
Una voce lontana.. era ancora quella bambina? Non si era dissolta? E perché non riusciva a vederla?
 
“Ehy..”
 
La voce era più chiara. No, non era quella bambina. Era la voce di un bambino, un maschio questa volta, che però non riusciva a vedere. Sentiva solo la voce. Nolwenn continuava a muoversi, ma non riusciva a vedere nessuno.
“Ehy!”
 
Nolwenn sentì il suo corpo muoversi a scatti, eppure non si era mosso, era solo una sensazione, ma le sembrò terribilmente reale. Aprì gli occhi di colpo, e si trovò davanti un bambino chino su di lei.
 
Il bianco era sparito. La bambina sparita. Il sogno.. sparito. Era tornata nella foresta, e riusciva a sentire di nuovo il tronco dell’albero dietro la sua schiena e il dolore della ferita alla gamba.
 
Se quel ragazzino ebbe un attimo di paura dal suo risveglio improvviso, non lo diede a vedere: una mano teneva una vecchia lanterna, mentre l’altra l’aveva appoggiata sulle spalle di Nolwenn. Che fosse stato quel contatto a provocarle la sensazione che il suo corpo si era mosso? Quasi percependo i suoi pensieri, il bambino allontanò la mano dalla sua spalla e fece un passo indietro, rimettendosi eretto.
 
Aveva abiti vecchi e logorati fatti da qualcuno di inesperto, ma che comunque lo ricoprivano dalla testa ai piedi impedendogli di sentire freddo. I suoi capelli, dorati e lisci, erano così splendenti da riuscire quasi a fare più luce della lanterna, e i suoi occhi chiari la guardarono dalla testa ai piedi, più per preoccupazione che per scherno. Le mani e le dita erano sporche di terriccio, Nolwenn riusciva a vederne qualche minuscolo pezzettino anche sotto le unghie. Era evidentemente povero, ma ben curato e ben lontano dalla malnutrizione: era magro ma non in modo eccessivo, il viso leggermente paffuto e i capelli corti e curati. Non poteva avere meno di dieci anni.
 
“Ti senti bene? Hai bisogno di aiuto?” chiese, sinceramente in pensiero.
 
“Certo io..” Nolwenn spostò lo sguardo, cercando disperatamente le parole “.. stavo semplicemente facendo una pausa.”
 
Certo che aveva bisogno di aiuto e quel bambino sembrava un vero tesoro, ma sicuramente ha già i suoi di problemi e lei era una donna adulta che aveva superato la maggiore età da un pezzo.
 
“Non si direbbe.” Mormorò lui, indicando con la testa la ferita alla gamba “l’hai già medicata?”
 
Nolwenn guardò quel bambino per una manciata di secondi come se stesse per tirare fuori una risposta arguta, ma tutto quello che le uscì fu un imbarazzante “no”.
 
Il ragazzino si mise in ginocchio per osservare meglio la ferita. Quando si avvicinò, Nolwenn si accorse che somigliava spaventosamente al bambino di Room.
 
“Io ho delle bende con me, ma sono piccole e non riuscirebbero a coprire la ferita. Riesci a camminare?”
 
“Non lo so.” Rispose con imbarazzo Nolwenn.
 
Il bambino si rimise in piedi.
 
“Perché non vieni con me? Abito a mezz’ora da qui, e là dovrei avere le bende che ti servono.”
 
Nolwenn sorrise nervosamente.
 
“Sei un vero tesoro..” sospirò “ma non penso di riuscire a camminare per mezz’ora.”
 
“Chi ha parlato di camminare?”
 
Si spostò da un lato, e Nolwenn vide dietro di lui un vecchio carro di legno trainato da due cavalli. Al suo interno, c’erano dei secchi pieni d’acqua, sempre di legno.
 
“Io non.. non posso accettare. Grazie, davvero, ma non posso.”
 
Il bambino, che nel frattempo si era avviato verso il carretto, si fermò e la guardò.
 
“Stai aspettando qualcuno?”
 
Ovviamente no, ma Nolwenn questo non lo disse.
Si limitò ad abbassare la testa.
 
“In tal caso, non penso tu abbia molta scelta.”
 
Il bambino appoggiò la lanterna sul carro, poi tornò verso Nolwenn. La aiutò ad alzarsi e la accompagnò verso il loro mezzo di trasporto. Quando arrivarono a meno di un metro dai cavalli, la ragazza non riuscì a fare a meno di guardare gli animali, quasi emozionata.
 
“Cosa c’è?”
 
“Niente è che..” si sentiva tremendamente a disagio, ma non riusciva a trattenersi “i cavalli. Sono dei cavalli veri.”
 
Il bambino parve divertito.
“Non.. non avevi mai visto dei cavalli?!?”
 
“Non spesso, e non così da vicino.”
 
Si rendeva perfettamente conto di quanto stupida potesse apparire in quel momento, soprattutto considerando che se era davvero in un mondo del passato, era palese che i cavalli fossero la norma, ma non le importava. Lei era una ragazza di città, e gli unici cavalli che avesse mai visto erano o lontani o in TV.
 
Il bambino sembrò sul punto di ridere, ma non disse nulla. Quando furono sul carretto, prese le redini dei cavalli e con un piccolo movimento li fece partire.
 
“Come ti chiami?” chiese Nolwenn, mentre stendeva la gamba ferita.
 
“Mathieu.” Fece una pausa poi continuò “tu invece come ti chiami?”
 
“Nolwenn. I tuoi genitori non ti hanno detto di non fidarti degli sconosciuti, Mathieu?” non voleva che sembrasse come una ramanzina, così usò un tono scherzoso, che riuscì.
 
“Chi ha detto che mi fido di te?” rispose Mathieu trionfante, sorridendole.
 
“Beh, mi stai aiutando. Mi stai portando a casa tua. E se fossi cattiva? Se ti facessi del male?”
 
“E cosa potresti mai farmi? A mala pena cammini!”
 
“Ouch!” fece Nolwenn fingendosi offesa, dando un amichevole e gentile pugnetto sul braccio al bambino, il quale rise.
 
Calò di nuovo il silenzio, così Nolwenn decise di chiedere ciò a cui pensava da quando l’aveva visto.
 
“Che ci facevi da queste parti?”
 
“C’è un fiume a dieci minuti a piedi da dov’eri. Sono venuto a prendere dell’acqua.”
 
Già. Il carro è pieno di secchi con dentro l’acqua. Era ovvio. Che domanda stupida. Dovevo arrivarci.
 
“Tutto da solo? Non hai paura?”
 
“Ehy, ho undici anni!” fece Mathieu, come se fosse un uomo fatto ormai “lo faccio da quando ne avevo otto. Anche prima lo facevo, ma allora mi accompagnava mio padre.”
 
Deve essere davvero molto fiero di te. Undici anni e fai tutto questo. Io a undici anni pensavo solo a giocare, e credevo ancora a Babbo Natale.
 
Passarono il resto del tragitto in silenzio. Nolwenn vide che ogni tanto Mathieu le lanciava qualche fugace occhiata, un po’ divertito e un po’ incuriosito, e ogni tanto le guardava gli abiti che indossava e si tratteneva dal ridere. Prima o poi le avrebbe chiesto perché fosse conciata così, e Nolwenn doveva ancora decidere se essere onesta o inventare una stupidaggine che sembrasse più realistica.
 
Poi, arrivarono.
 
Un gruppo di alberi pieni di grandi mele gialle circondavano una minuscola casetta, fatta eccezione per un piccolo sentiero che conduceva all’ingresso. Solo in secondo momento Nolwenn notò che alla destra dell’abitazione, dopo un notevole numero di alberi, sorgeva un piccolo capannone.
 
Mathieu fermò il carro, scese e fece il giro per aiutare Nolwenn a scendere. Seguirono il sentiero che portavano alla porta d’ingresso, che pareva molto grossa e pesante, ma Mathieu non ebbe comunque difficoltà ad aprirla.
 
La casa all’interno era ancora più piccola di quanto apparisse dall’esterno. La sala d’ingresso era così piccola che Nolwenn avrebbe potuto fare solo venti passi, cinque ad ogni lato, per percorrere il perimetro, e oltre ad essere piccola, era anche spoglia: un vecchio e malconcio divano, qualche banco, qualche cassa e vari oggetti negli angoli. C’erano anche tre porte chiuse. Probabilmente conducevano alla camera di Mathieu, quella dei suoi genitori e il bagno. L’unica cosa che stonava rispetto a tutto il resto era un grosso e rettangolare tavolo di legno al centro, con due sedie ai lati opposti, le quali erano particolarmente curate e raffinate, quasi regali, contrariamente al resto della stanza.
 
Perché avere un tavolo così grande per poi metterci solo due sedie?
 
Non ci pensò troppo, anche perché il suo interesse per la risposta era quasi a zero. Mathieu la accompagnò al divano e la fece sedere, mormorò un “torno subito” e uscì.
 
Nolwenn vide dalla finestra dietro di sé che Mathieu stava conducendo il carro e i cavalli nel capannone. Lo vide poi uscire con un secchio d’acqua, che portò dentro casa e appoggiò vicino alla porta. Andò poi verso uno dei banconi, e aprì un cassetto, dal quale estrasse un rotolo di garza.
 
“Ma vivi tutto da solo?” chiese Nolwenn, quasi senza pensarci.
 
Non riteneva possibile che un bambino potesse vivere da solo, ma la casa era deserta e lui sembrava molto, troppo maturo per la sua età, come se fosse abituato a cavarsela da solo.
 
“Vivo con mio padre. Lui è in città adesso, dovrebbe tornare stasera. A volte sta via per un po’ per lavoro quindi capita di stare da solo, ma mai più di tre giorni.” Fece Mathieu, iniziando a medicare la ferita.
 
“E tua madre?”
 
Mathieu fu in silenzio per qualche secondo. Si morse il labbro superiore nervosamente.
 
“Siamo solo io e mio padre. Mia madre..” fece una pausa “.. se ne è andata quando ero molto piccolo.”
 
Nolwenn si sentì improvvisamente una merda. Ora fu lei ad essere nervosa.
 
“Oh io..” deglutì “.. mi dispiace tanto.”
 
“E’ okay. Io neanche me la ricordo. Mio padre non parla mai di lei. Tutto quello che mi ha detto è che aveva i capelli scuri e ricci.”
 
“Forse perché la sua morte lo ha rattristato al punto che parlarne gli fa troppo male?”
 
Nolwenn fu sul punto di dirlo, ma si trattenne. Era un argomento delicato, lei non conosceva Mathieu fino a quel punto, e le sembrava di intromettersi in una faccenda che non la riguardava.
 
Dopo qualche minuto, Mathieu finì di mettere la garza, e si alzò.
 
“Prova a tenerla ferma ancora per un paio d’ore, poi prova a muoverla. Dovrebbe andare meglio.”
 
“Grazie. Di tutto. Sei un ragazzino davvero adorabile.”
 
Mathieu parve offendersi in un primo momento probabilmente perché si sentiva più grande, ma si limitò ad annuire con la testa intuendo le buone intenzioni di Nolwenn.
 
“Hai degli abiti davvero strani.. i più strani che abbia mai visto. Te li sei messi per la festa dei folli?”
 
Quella era una ragione plausibile in effetti, la più plausibile a cui Nolwenn riuscì a pensare, ma non riusciva proprio a mentire a qualcuno che l’aveva aiutata tanto, e senza pretendere niente in cambio.
 
“In realtà—”
 
La sua voce si interruppe quando sentì il rumore degli zoccoli di un cavallo che si avvicinava sempre di più e sempre più forte.
 
“Deve essere mio padre.” Fece Mathieu.
 
Aveva ragione.
 
Il rumore degli zoccoli cessò, e Nolwenn sentì dei passi veloci. Poi la porta d’ingresso si aprì cigolando, e sulla soglia apparve un uomo alto che non poteva avere meno di quaranta anni.
 
Aveva i lineamenti duri, rigidi e scavati, due piccoli occhi chiari freddi e distaccati e un naso piuttosto grande e appuntito. I capelli, lunghi quasi fino alle spalle, dovevano essere dorati come quelli del figlio, ma apparivano più scuri perché sporchi, e la stessa poca cura si poteva trovare nella barba che nascondeva due piccole labbra sottili, e i vestiti sembravano degli stracci. Non doveva essere un brutto uomo, ma conciato così sembrava un barbone.
 
Mi sembra di averlo già visto.
E’ uguale spiaccicato a qualcuno che ho già visto, in un film o in una serie TV, ma non qualcosa legato alla Disney mi sa.
Ma chi?
 
“E tu chi ca..” gettò un’occhiata al figlio “.. chi diavolo sei?!?” sbottò infastidito.
 
Voleva aggiungere cazzo tra “e tu chi” e “sei?!?”, ma si è trattenuto perché non voleva dire quella parola davanti al figlio.
 
“Mi dispiace io.. mi sono fatta male, e Mathieu si è gentilmente offerto di aiutarmi. Non avevo cattive intenzioni. Io mi chiam—”
 
“Non mi interessa. Alzati dal mio divano, SUBITO.”
 
Nolwenn riusciva a sentire nella sua voce sia il distacco sia un fastidio che man mano si stava tramutando in ira. Con l’aiuto delle braccia si rimise in piedi, continuando a tenere la gamba con la ferita tesa.
 
“E’ stata colpa mia, papà..” fece Mathieu, timoroso ma risoluto “.. era vicino al fiume e aveva una ferita alla gamba. Cosa avrei dovuto fare? Lasciarla lì e non aiutarla?”
 
“Sì, è esattamente quello che avresti dovuto fare.” Fece severamente il padre, con tono di rimprovero.
 
“Mi dispiace, signor..?” iniziò Nolwenn, per poi fare una pausa aspettando che il padre dicesse il suo nome, ma lui si limitò a gettarle occhiate di fuoco come se volesse incenerirla, e dopo qualche secondo imbarazzante, Nolwenn continuò “.. Mathieu voleva solo aiutarmi, e ha fatto anche troppo. Non volevo creare problemi. Me ne vado subito.” Fece per andare verso la porta, ma l’uomo si mise in mezzo.
 
Ma che problemi ha questo?!? Tutte quelle scene dopo avermi trovata qui e ora non mi fa uscire?!?
 
“Sono le mie garze quelle?” sbottò, indicando con la testa le bende intorno alla ferita. Non urlava come prima, ma la rabbia era ben lontana dall’essere andata via.
 
“Beh..” mormorò Nolwenn, quasi senza accorgersene.
 
“Era una domanda retorica.” La interruppe bruscamente lui, come fa un insegnante intollerante e poco paziente con un alunno impacciato “certo che lo sono. Dammi cinque monete d’oro e la chiudiamo qui.”
 
Come? Cosa ha detto?!?
 
“Sono stato io ad offrirmi di aiutarla—” tentò suo figlio, ma venne interrotto subito dal padre.
 
“Mathieu, vai subito in camera tua. Parleremo dopo. E a lungo.”
 
Mathieu fece per parlare di nuovo, ma il padre gli lanciò un’occhiataccia, e il bambino scrollò le spalle rassegnato. Aprì una porta, e poi se la chiuse dietro. Ora Nolwenn e quell’uomo erano rimasti soli.
 
“Pensi che non abbia capito il tuo gioco?”
 
Nolwenn lo guardò confusa.
 
Quale gioco? Ma di che cosa stava parlando?
 
“Non fare la finta tonta con me. Non so da quale ghetto o buco provieni, ma è esattamente là che ritornerai.”
 
Nolwenn aveva cercato di essere gentile fino a quel momento considerando le circostanze, ma ora stava iniziando a stancarsi, e a breve sarebbero stati in due ad avere l’ira che cresceva.
 
Va in giro con degli stracci e dei capelli che probabilmente non lava da mesi, ma la barbona sarei io?
Stai calma, Nolwenn. Calma.
Fai un respiro profondo.
 
“Non sono una barbona.” Fece Nolwenn in tono più seccato di quanto avrebbe voluto.
 
L’uomo la guardò con scherno e disprezzo.
 
“O sei una barbona o una strega, considerando gli indumenti ridicoli che porti. In entrambi i casi non ti voglio a casa mia, e tanto meno vicino a mio figlio.”
 
Nolwenn era allibita.
 
“Infatti stavo per andarmene!”
 
“E le mie cinque monete d’oro? Cosa credi, che le bende crescano sugli alberi?”
 
“NON LE HO!” urlò Nolwenn, un po’ per l’ira e un po’ per la stanchezza.
 
Si infilò le mani nelle tasche agitatamente, mostrandogli che erano vuote.
 
Se quel tizio fu sorpreso da quell’urlo improvviso, di certo non lo diede a vedere. Rimase impassibile e anzi, sembrava addirittura.. annoiato?
 
Chiamerà qualcuno.
I soldati, o chiunque sia il fautore della legge.
Li chiamerà e mi farà arrestare perché ero a casa sua, perché mi ritiene una strega, una mendicante o una truffatrice, o tutte e tre le cose.
Perché non ho quelle cazzo di cinque monete.
Lo farà.
Glielo leggo negli occhi.
Vedo l’astio che ha per me, il disprezzo.
E per cosa? Cosa gli ho fatto? Cosa ho fatto a ciascuno di loro?
 
Nolwenn poteva sentire le sue dita tremare, poi tutta la mano, poi tutto il corpo. Sentiva il battito del suo cuore farsi sempre più accelerato, passando da leggero sussurro ad una tromba assordante che suonava ogni secondo sovrastando ogni suo pensiero.
 
Cercò di calmarsi, di respirare, ma il suo corpo non parve collaborare. Sentiva l’agitazione crescere, il panico, sentiva la terra che le mancava sotto i piedi. Quell’uomo, quella casa, il dolore alla gamba, tutto parve scomparire.
 
Tutto quello che riusciva a sentire era la paura. Il panico. No no, il terrore. Poi ebbe l’impressione di cadere in un buco profondissimo, e si sentì sprofondare nelle viscere della terra. Voleva urlare, chiamare aiuto, ma dalla sua bocca non uscì un suono. E vide di nuovo tutto davanti agli occhi.
 
La separazione forzata da Arielle e Yvonne. Un mondo che era apparso il suo ma diverso, spaventoso, sconosciuto. Un mondo pericoloso. Il carro buio e oscuro in cui era stata rinchiusa per giorni, se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentirsi soffocare. Le minacce. Quel tizio che l’aveva afferrata. Che le aveva fatto male, e che intendeva fargliene dell’altro. La corsa nei boschi oscuri, con chissà quali animali feroci. La caduta e la ferita. Il drago.
 
Nolwenn voleva muoversi, scappare, ma non riusciva a muoversi. Quelle immagini continuavano a venirle addosso, come un treno in corsa. I battiti del suo cuore erano incessanti, quasi un tormento. Sentì la sua forza mancare, come risucchiata da quei ricordi.
 
Man mano che si sentiva più debole, le immagini si fecero più distanti, quasi sullo sfondo. Si ritrovò nuovamente nella casa di Mathieu, e vide davanti a sé suo padre.
I soldati. Adesso li chiamerà. Mi porteranno via. Mi arresteranno. MI STUPRERANNO. MI UCCIDERANNO. No, no. Non voglio. Ho paura. Arielle? Yvonne? Mamma.. ho paura..
 
Sentì un rumore. No, no. Era più qualcuno che si era mosso. Un cigolio di una porta?
 
Sono qui. E’ finita. Sono qui per me. E faranno di me ciò che vogliono. Morirò qui. Sola. Sola. Sola..
 
Alla fine non ce la fece più, era troppo.
 
“Mi dispiace! Mi dispiace! MI DISPIACE!” urlò di getto Nolwenn quasi senza accorgersene, vomitando tutto quello che aveva sopportato e represso fino a quel momento “Non ho le tue monete! Non ho nemmeno una moneta! Non ho una casa! Non ho nessuno a cui importi UN CAZZO se vivo o muoio! Non ho.. non ho niente. Assolutamente niente..” iniziò a piangere, la voce che iniziava a mancarle “sono sola, completamente sola spedita in un luogo che non conosco e nel quale non sono in grado di sopravvivere. Voglio solo tornare a casa..” ora piangeva a dirotto e basta, le parole che si facevano meno chiare man mano che continuava “e non ho la più pallida idea di come fare! E tutto quello che avevo di casa mia l’ho perduto.”
 
Sono perduta anch’io.
 
Si portò d’istinto le mani sul viso per nascondersi dalla vergogna che stava provando, dimenticando che una delle mani era appoggiata sul tavolo aiutandola a stare in piedi. Cadde.
 
Continuava a piangere, ma sentì il panico e la paura devastante che l’avevano assalita come una febbre improvvisa farsi più lievi, e anche il battito del cuore iniziò a rallentare fino a tornare alla norma. Il dolore alla gamba tornò, così come tutta la realtà in cui si trovava che si era come dissolta in quegli attimi terribili.
 
Si tolse le mani dal viso, e vide il padre di Mathieu ancora in piedi davanti a lei. Guardandolo dal pavimento in cui era caduta, sembrava ancora più minaccioso e incombente. Iniziando a rendersi conto della situazione e di quanto fosse appena accaduto, cercò di calmarsi: respirò a fondo, e smise a poco a poco di piangere, anche se fu più difficile del previsto. Sentiva ancora gli occhi lucidi, il mal di testa dovuto a quello scatto improvviso, e non riusciva proprio ad evitare qualche singhiozzo.
 
Che stupida. Ho sclerato come una mocciosa viziata a cui sono state negate le caramelle. Cosa mi è preso?
 
Non voleva alzare lo sguardo e vedere la reazione del padre di Mathieu. Non voleva scoprire le conseguenze di quell’attacco di panico appena avuto. Ma doveva.
 
Lentamente e a fatica, alzò lo sguardo, era ancora seduta a terra e il volto dell’uomo appariva così lontano, impossibile capire cosa stesse provando, ma con sua sorpresa si accorse che per un fugace attimo, la sua attenzione non era rivolta a lei, ma a qualcosa, o qualcuno, dietro di lei. Ma solo per un attimo, poi voltò lo sguardo.
 
I suoi occhi erano più calmi questa volta, e apparirono anche più chiari. C’era anche una sorta di tristezza? O era pietà? Pietà per lei? Poi si abbassarono per fissare il pavimento, come se Nolwenn non ci fosse.
 
Sospirò. Poi guardò nuovamente dietro la ragazza, esattamente come fece prima.
 
“Mathieu..” fece l’uomo, facendogli cenno di avvicinarsi.
Mentre il bambino si avvicinava, Nolwenn si chiese come fosse possibile che non si era accorta della sua presenza, soprattutto considerando che aveva sentito la sua porta chiudersi quando era andato in camera, ma non l’aveva sentita aprirsi.
 
Che abbia aperto la porta mentre avevo l’attacco di panico? Per questo non me ne sono accorta?
 
“Portala..”
 
Nolwenn respirò a fondo cercando di restare calma, preparandosi a quello che sarebbe venuto dopo.
 
“.. nel capanno. Dormirà lì stanotte.”
 
Eh? Cosa?
 
Nolwenn lo guardò stupefatta e sollevata, ma lui la guardava come se non ci fosse. Le gettò un’ultima occhiata di disprezzo poi andò in camera sua, chiudendo la porta. Mathieu si avvicinò e la aiutò ad alzarsi.
 
“Vieni.” Le disse dolcemente, facendo un sorriso incoraggiante.
 
Ci misero più di quanto Nolwenn avrebbe pensato. Forse era il buio. O forse era l’imbarazzo. O forse perché rimasero in silenzio. Mathieu ogni tanto si voltava verso di lei come ad assicurarsi che stesse bene, e la ragazza gli sorrideva debolmente ogni volta, anche se dentro si sentiva sprofondare dalla vergogna.
 
Arrivati davanti al capanno, Mathieu fu costretto ad appoggiare a terra la lanterna per riuscire a spostare le due grosse travi di regno orizzontali che impedivano l’accesso. Una volta fatto, un enorme portone di legno si aprì: il bambino si fece da parte per permettere a Nolwenn di passare.
 
Il capannone era più grande della casa, ma non troppo. In fondo vide tre cavalli, due dei quali erano quelli che aveva usato Mathieu per il carro. Il terzo, nero come la notte, doveva essere il cavallo che aveva usato suo padre.
 
Oltre ai tre animali, non c’era molto altro. Fieno ovunque, e attaccati al muro alla sua destra tante casse di legno che contenevano un notevole numero di mele: ce n’erano minimo un centinaio.
 
Mathieu fece per andarsene, ma poi si voltò nuovamente verso di lei.
 
“Mi dispiace.. per quello che ti è successo.”
 
Da una parte Nolwenn ne fu grata, dall’altra si vergognò all’idea che un bambino l’avesse vista in quello stato, quando dei due era lei l’adulta.
 
“E a me dispiace che tu l’abbia saputo così. Non volevo.. spaventarti.”
 
“Non mi hai spaventato.”
 
“Avrai pensato che sono pazza.”
 
Mathieu abbassò lo sguardo.
 
“Ho pensato che tu avessi bisogno di un attimo per respirare. Tutti ne hanno bisogno, qualche volta.”
 
Nolwenn lo guardò quasi con affetto e commozione. Si sentì capita e vista per la prima volta da quando era arrivata in quello strano universo.
 
“Sono sicuro che riuscirai a tornare a casa.” Aggiunse poi in tono incoraggiante.
 
“Davvero?”
 
“Tu no?”
 
Nolwenn non rispose, ma abbassò tristemente lo sguardo, e quella fu una risposta sufficiente.
 
“Se da casa tua sei arrivata qui, deve esserci anche un modo per partire da qui e tornare a casa tua. Basta fare il viaggio al contrario.”
 
Vorrei fosse così semplice, ma qualcosa mi dice che non sarà così.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 3 ***







QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 3
 
 
 




Sparito.
Quel vecchio maledetto che la stava obbligando ad andare nella scuola della morte l’aveva accompagnata alla stazione di King’s Cross e poi si era dileguato.
Come Arielle e Nolwenn..
 
Quando il suo pensiero tornò a loro, Yvonne sentì gli occhi umidi e se li strofinò frettolosamente per farli tornare alla normalità, stando però ben attenta a non far cadere gli occhiali. Non era da lei reagire così, ma era arrivato il momento di accettare che non era più un’adulta. Ora era tornata ad essere una bambina, e il suo corpo agiva di conseguenza.
 
Iniziò a spingere il carrello sopra il quale aveva la sua unica grande valigia, mentre il resto del contenuto era solo materiale scolastico. Non sapeva esattamente dove stesse andando, non ci vedeva molto con gli occhiali messi così, ma anche se la sua vista fosse stata ottimale, la visuale sarebbe stata limitata: lo spazio per passare era poco e un sacco di persone facevano avanti e indietro, limitando i suoi movimenti di molto. Sia a destra sia a sinistra sentiva il rumore di due treni che arrivavano, ma dubitava fortemente che uno di quelli fosse l’espresso per Hogwarts.
 
Iniziò a camminare più lentamente, e più al centro. Faceva un passo alla volta e teneva un braccio allungato, per poter toccare qualunque cosa le si ponesse davanti.
 
A qualche passo davanti a lei, vide qualcosa. Non riusciva a capire cosa fosse esattamente, per lei era solo una sfumatura informe in mezzo a tutte le altre sfumature, ma era ferma. Una costruzione forse? No, un muro. Un muro tondeggiante? Un muro di un grigio opaco, quasi marroncino, come se fosse molto antico. In alto, c’erano due piccoli cartelli ai lati. Due lettere? No, due numeri.
 
10 e 9.
 
Si ricordava benissimo che nel primo film per raggiungere il treno per Hogwarts, Harry aveva attraversato un muro, ma non ricordava nient’altro, se non che aveva incontrato per la prima volta i Weasley chiedendo indicazioni a Molly. Era fatto così quel muro che aveva attraversato? C’erano quei numeri?
 
Io non mi ricordo quei cartellini con i numeri laterali… però nel biglietto c’è scritto 9 e ¾. E se quei numeri sono effettivamente nove e dieci, il muro deve essere questo.
 
Ma non aveva nessuna intenzione di fidarsi dell’istinto così ciecamente, e questo era qualcosa che non sarebbe mai cambiato, nemmeno se fosse tornata bambina, perché se si sbagliava si sarebbe fatta non poco male e i suoi occhiali sarebbero esplosi come fuochi d’artificio.
 
Lasciò momentaneamente il carrello, poi si avvicinò lentamente, tenendo questa volta entrambe le braccia tese. Quando finalmente le mani raggiunsero la superficie, sentì sul palmo della mano la fredda pietra, ma fu solo un attimo: subito dopo, le sue mani ci affondarono dentro, come se le avesse immerse in una crema per i dolci, senza però sentire l’odore e le dita appiccicose. Spaventata, indietreggiò di scatto e le mani fuoriuscirono.
 
L’aveva trovato. Il passaggio.
 
E’ stato abbastanza figo, lo ammetto. Un po’ schifoso, ma figo.
 
Riprese il proprio carrello. Sospirò. Guardò a destra e a sinistra con circospezione, come se temesse che qualche babbano potesse vederla. Impossibile, erano tutti impegnati a correre con i giornali in mano e le loro valigette da ufficio.
 
“Forza, Yvonne. E’ solo un attimo. Come quando ti fanno una puntura al braccio per gli esami del sangue.”
 
Per un attimo pensò di chiudere gli occhi per farsi più coraggio, ma tanto vedeva poco o niente quindi non avrebbe fatto molta differenza.
 
Sospirò nuovamente, più forte, e corse più velocemente che poteva, anche se le sembrava di andare lentissima.
 
Un passo, poi un altro, poi un terzo e..
 
Fu dall’altra parte. Neanche se ne accorse. Era stato come attraversare uno specchio d’acqua in verticale.
 
Una volta ripreso il controllo di sé stessa, vide davanti a sé un’altra sagoma compatta e marrone, un altro muro. Girò verso destra per evitarlo ed eccolo là.
 
L’espresso per Hogwarts.
 
Continuava vedere a sfumature, ma era indubbiamente lui. Un cerchio nero, e tutto il resto color rosso metallico. Una grande marea di fumo sembrava fuoriuscire dal pavimento, dai lati del treno, per poi unirsi con la locomotiva.
 
Sulla destra, attaccato al muro, un altro cartellino con un altro numero. 9 e ¾. C’era anche un grande e rettangolare cartello rosso, con delle parole scritte sopra, che Yvonne non riuscì a leggere.
 
Sentiva tante voci e tanti passi. Sagome a forma di ragazzi che si muovevano avanti e indietro. Alcuni di loro avevano le uniformi colorate, verdi, rosse, gialle o blu, e in base al colore Yvonne capì a quale casa appartenessero, ma nulla più di quello.
 
Continuava ad avvicinarsi a tentoni, quando vide una sagoma di un adulto, vicino al treno, avvicinarsi. Le poggiò una mano sulla spalla sinistra, e a quel contatto, Yvonne ebbe un leggero fremito.
 
“Serve una mano?”
 
Si sforzò di ascoltare con attenzione la voce, pensando che potesse essere lo strano vecchio che l’aveva abbandonata alla stazione, ma chiaramente non era lui. Questo qui era decisamente più giovane. Sulla quarantina forse.
 
Yvonne non fece in tempo a rispondere, che l’uomo parve infilare il braccio sinistro all’interno di quella che doveva essere la sua giacca. Stava prendendo la sua bacchetta. Gliela puntò contro, all’altezza della fronte, e per un attimo il panico crebbe.
 
“Oculus Reparo.”
 
Una piccola, striscia argentata le passò davanti le occhiali, e la vista tornò come un miracolo inatteso. Yvonne non poté fare a meno di sorridere, e si sentì quasi stupida ad aver avuto paura un secondo prima.
 
“Grazie mille.”
 
Il suo salvatore era, come aveva immaginato dalla voce, sulla quarantina. Era nero, alto e con la corporatura robusta. I suoi occhi erano scuri come la notte come dovevano esserli stati un tempo i capelli corti e la barba, che ora erano grigi con l’avanzare dell’età.
 
Le guardò l’uniforme e annuì.
 
“Prima volta ad Hogwarts? Non ti preoccupare. Anche per Beverly è la prima volta.”
 
Solo allora Yvonne si accorse che accanto a lui c’era una bambina alta quanto lei, con indosso l’uniforme nera classica degli studenti del primo anno che devono ancora essere smistati nelle rispettive case. Aveva la carnagione scura, occhi castani e neri capelli ricci che le arrivavano alle spalle. Indossava anche degli occhiali che apparivano molto più datati dei suoi.
 
Come accidenti ho fatto a non averla vista prima??
E comunque ecco spiegato perché il padre conosce bene quell’incantesimo per riparare gli occhiali..
 
“Ciao. Come ti chiami?” le chiese Beverly, timidamente ma anche con estrema gentilezza.
 
“Yvonne.”
 
Si sentì un suono. Proveniva dal treno. Una specie di tromba.
 
“E’ meglio andare, o perderete il treno..” l’uomo abbracciò forte sua figlia, dandole un piccolo bacio tra i capelli ricci “.. ciao tesoro. Stai attenta, e scrivimi spesso!”
Yvonne abbassò lo sguardo imbarazzata, come se si sentisse di troppo in quella scena che era solo tra loro due. Poi sentì che quella bambina le mise dolcemente la mano sulla manica.
 
“Andiamo..?”
 
Suo padre si era fatto da parte, sorridendo alle ragazze.
 
“Aspetta.. le valigie.. dove..”
 
“Non ti preoccupare. C’è un fattorino che se ne occupa.”
 
Yvonne annuì, e si limitò a seguirla, anche se non le fu troppo vicina. Le ritornò alla mente un ricordo che aveva dimenticato: alle elementari, in un momento di pausa in cui non sapeva dove andare, si era messa a seguire una compagna di classe, ma questa l’aveva aggredita e ci era rimasta malissimo.
 
Cavolo, sembra passato un secolo.
 
Così com’era venuto, quel ricordo se ne tornò nel dimenticatoio, ma bastò a darle un attimo di tristezza, impedendole di godersi il suo primo ingresso nell’espresso per Hogwarts.
 
Poco dopo, Beverly trovò uno scompartimento vuoto, ed entrarono. Si sentì un’altra tromba, e mentre il treno iniziava a partire, salutò dal finestrino suo padre. Quando fu ormai lontano, si sedette davanti a Yvonne, la quale si accorse che Beverly si allungava nervosamente le maniche della camicia.
 
“In quale casa pensi di finire?” chiese ad un certo punto Yvonne, che non voleva apparire troppo distante.
 
Quando ero molto piccola, non parlavo mai con nessuno. Se parlavo era perché qualcuno era venuto a parlare con me e io mi limitavo a rispondere, ragione per cui non riuscivo mai a farmi tanti amici. Gli altri pensavano fossi distaccata, quando in realtà ero solo timida e timorosa.
 
Anche Beverly sembra timida, ma sembra anche un tesoro, e ha fatto più di quanto avrei fatto io al suo posto. E io ho davvero bisogno di un’amica.
 
“Non lo so.. mio fratello è Corvonero, quindi forse finirò anch’io lì?”
 
“Oh, ecco perché sapevi delle valigie. A che anno è?”
 
“Terzo. E tu invece? Dove vorresti finire?”
 
Corvonero o Tassorosso voglio sperare. Non voglio essere né una Serpeverde né tanto meno una Grifondoro, soprattutto una Grifondoro. Il che è un bene, perché tanto non finirò mai in una di quelle case.
 
Spero Tassorosso.”
 
In Corvonero ci vanno gli intelligenti, quindi no.
 
Calò il silenzio, e quasi senza accorgersene, Yvonne iniziò a sentire la gamba destra tremare, come se avesse freddo.
 
Ma non era freddo. Era paura. E ansia.
 
“Va tutto bene?”
 
“Sì, certo.” Mentì Yvonne.
 
“Sei.. sei sicura?” chiese timorosamente Beverly.
 
Glielo leggevo negli occhi che voleva sinceramente aiutarmi, ma per qualche ragione la sua voce sembrava incerta, come se temesse che le rispondessi male o che non mi interessasse il suo aiuto. Era adorabile. Si meritava la verità.
 
“No.. è che.. ho un po’ di paura.. forse tutto questo è troppo per me.. lo so, sembra stupido..”
 
“No, non lo è!” si affrettò a dire Beverly “anch’io ho un po’ di paura.”
 
“Il fatto è che..” continuò Yvonne “.. io sono timorosa di natura. Ho paura di tutto..”
 
“Anch’io!” esclamò Beverly con sorpresa.
 
“Davvero?”
 
Annuì.
 
“Degli insetti. Delle altezze. Del buio. Mio fratello era così eccitato quando ha ricevuto la lettera per Hogwarts, non vedeva l’ora di partire. Non voleva neanche che lo accompagnassimo! Io invece, da quando ho ricevuto la lettera, dormo male. Sento.. sento di non essere all’altezza. Di non essere abbastanza brava. Di non farcela.”
 
Yvonne si sentì quasi in colpa a sentirsi tanto sollevata nel vederla aprirsi così e raccontarle le sue parole, ma non riusciva a trattenersi. Non si era mai sentita così capita in vita sua. Nemmeno dai suoi genitori. Senza rendersene conto, allungò la mano e la posò dolcemente sul braccio destro di Beverly.
 
“Per me è esattamente lo stesso. Anch’io temo il buio. Non riuscire a vedere cosa c’è intorno a me, soprattutto se è un posto che non conosco.. è brutto.”
 
Era talmente timorosa che quando era estate, continuava comunque a dormire sotto una grossa coperta, come se il stare lì sotto la proteggesse da pericoli inesistenti. Senza, faceva sogni inquieti.
 
“E’ esattamente lo stesso per me!” fece Beverly, questa volta fu il suo torno di essere eccitata, e mise una mano sul braccio di Yvonne, come aveva fatto lei un attimo prima.
 
“Non so in quale casa verrò smistata, ma.. sperò sarà la tua.”
 
Quelle parole le lasciarono la bocca prima che potesse fermarle, cosa che avrebbe fatto se avesse potuto. Yvonne si sentiva sempre molto in imbarazzo nel dire cose del genere, soprattutto a qualcuno che aveva appena conosciuto. Sentì le sue gote arrossirsi.
 
Ma Beverly le elargì un sorriso meraviglioso.
“Anch’io.”
 
E non restarono più in silenzio.
Parlarono, parlarono e parlarono.
Delle loro paure, delle loro insicurezze, del cercare di farsi forti insieme.
Yvonne ci metteva anni luce a fidarsi delle persone, e ancora di più a considerarle “amiche”, ma ebbe la sensazione che quella fosse l’inizio di una bella amicizia. In fondo lei era tornata bambina, e i bambini stringono amicizia in fretta.
 
Più parlavano, più la preoccupazione e la paura si allontanavano. Quando iniziò a sentirsi meglio, Yvonne realizzò che Beverly non era presente nei film di Harry Potter. Forse lo era nei libri, ma di certo non ricordava nessuna studentessa nera e con gli occhiali nei film. Questa realizzazione le fece aprire la porta a qualcosa che non aveva ancora avuto da quando era stata separata da Arielle e Nolwenn: la speranza.
 
Se Beverly non era presente nella saga di Harry Potter, allora forse, forse, non erano nello stesso anno del maghetto con la cicatrice a forma di saetta sulla fronte.
 
Forse erano indietro, quando magari Harry Potter doveva ancora nascere. O forse erano avanti, quando Harry Potter aveva già sconfitto Voldermot e la guerra era conclusa.
 
In fondo non aveva mai controllato in quale anno si trovasse. Incrociò le dita.
 
“Ti prego. Ti prego, fa che abbia ragione. Che non sono dello stesso anno di Harry Potter. Che avrò degli anni scolastici tranquilli. Che dovrò preoccuparmi solo di superare gli esami. Ti prego.”
Non sapeva nemmeno a chi stesse pregando. Dio? La fortuna? Il destino?
 
Sentì un rumore, e interruppe immediatamente quella preghiera. Qualcuno aprì la porta dello scompartimento. Yvonne si voltò, ma se ne pentì subito. Un volto famigliare, disgraziatamente e sfortunatamente famigliare, frantumò tutte le sue speranze.
 
“Avete visto un rospo? Un ragazzo di nome Neville l’ha perso.”
 
Beverly fece no con la testa. Yvonne era troppo stordita e distrutta nel profondo per reagire in qualunque modo.
 
Emma Watson in miniatura chiuse la porta dello scompartimento e uscì, continuando per la sua strada andando a chiedere ad altri studenti probabilmente.
 
Finita. E’ finita.
Quella è Hermione Granger.
Una Hermione Granger del primo anno, come noi.
Il che significa che probabilmente in questo momento, sempre se non l’ha già fatto, raggiungerà lo scompartimento di Harry Potter e Ronald Weasley, facendo la loro conoscenza e riparando gli occhiali del primo con lo stesso incantesimo con cui il padre di Beverly aveva riparato i suoi.
Il che significa che in questo treno ci sono anche Draco Malfoy. Seamus Finnigan. Fred e George Weasley. Percy.. Neville.
Tutti al primo anno come loro.
Se li sarebbe trovati in tutte le lezioni, così come si sarebbe trovata tutto il resto.
La Umbridge. Voldermot. La guerra.

“Va tutto bene? Sembra tu abbia visto un fantasma.”
 
E l’ho visto. Sono io. Sarò io, quel fantasma.
 





 

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 3 ***


LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 3






 
 
 
 
Arielle passò i due giorni successivi in infermeria. Già dal secondo giorno si era ripresa del tutto, ma McCoy non voleva correre rischi e ne approfittò per tenerla sotto attenta osservazione e farle qualche test, per assicurarsi che non avesse niente. Durante quel breve periodo, ebbe anche modo di conoscere Christine Chapel, l’infermiera assistente di McCoy. Le sorrideva sempre ed era gentilissima.
 
Jim venne a trovarla due volte, una volta al giorno. Si fermava davvero poco e Arielle sospettava che venisse più per vedere Bones che lei, ma era molto garbato e le chiedeva sempre come si sentiva. Non aveva più accennato in alcun modo alla loro ultima conversazione, e in qualche modo Arielle ne fu lieta.
 
Il terzo giorno lasciò l’infermeria, e quando il dottore le diede la notizia, fu molto sorpresa di realizzare che una parte di lei ne era triste. Si diede della stupida per non aver sfruttato quei giorni per chiacchierare con McCoy invece che annoiarsi a morte come aveva fatto, per provare ad avvicinarsi a lui e permettere a lui di conoscerla meglio, ma era troppo timida, ancora troppo spaventata, e forse avrebbe finito col dire qualcosa che non avrebbe dovuto.
 
Anche quel giorno il capitano arrivò. Quando entrò in infermeria, Arielle si era appena messa a sedere ed era pronta ad alzarsi.
 
“Buongiorno. Come ti senti oggi?” le chiese per la terza volta in tre giorni.
 
“Pronta per tornare a camminare.” Disse Arielle, con tono fiero ma evitando il suo sguardo.
 
Indossava un delicato e grazioso abito verde, che McCoy le aveva portato il giorno prima, e un paio di stivali. Non aveva idea di che fine avessero fatto gli abiti che indossava quando era stata trovata, ma non le importava più di tanto.
 
“Ti faccio fare un giro, se te la senti.” Propose gentilmente Jim, offrendole il braccio.
 
E Arielle non se lo fece ripetere due volte.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Il capitano fu di parola.
 
Camminarono a lungo, esplorando ogni parte dell’Enterprise, o quasi. Arielle si sforzava di memorizzare ogni luogo e come arrivarci, ma era davvero difficile: i corridoi e molte stanze erano simili tra loro, e l’astronave immensa. Finivano spesso in una sorta di ascensore, anch’esso tutto grigio come la maggior parte della nave, fatta eccezione per qualche striscia che oscillava tra il giallo e il marrone al centro. C’era una specie di maniglia attaccata al muro, e quando Jim la stringeva con una mano una luce al suo interno si illuminava. Subito dopo il capitano diceva il luogo in cui erano diretti, e l’ascensore si muoveva in automatico.
 
Stupefacente.
 
L’unico luogo che riuscì a focalizzare bene nella sua mente fu la sala mensa, perché era diverso da tutti gli altri luoghi.
 
C’erano dei grandi tavoli con attorno delle sedie. Sopra alcune superfici c’erano quelli che dovevano essere degli scacchi, ma su tre diversi piani fatti di un materiale trasparente, e altri giochi da tavolo. Diversi membri dell’equipaggio erano lì seduti. O a giocare. O a mangiare. O a chiacchierare. O a ridere. Sembrava una piccola area ristoro, e Arielle capì subito che quella era la sua zona preferita. Così diversa, unica. Non solo perché era la zona che più somigliava a ciò che ricordava di casa sua, ma anche perché era la stanza relax. In qualsiasi altro luogo della nave, vedeva ufficiali compiere il loro lavoro con un sistema e uno schema al di là della sua comprensione, ma in quel luogo smettevano di essere ufficiali della Flotta Stellare. Lì erano sono uomini e donne. A svagarsi.
 
Jim si avvicinò a quello che sembrava un grosso televisore, ma al proprio interno, invece di esserci lo schermo, c’era una superficie gialla. Meno di dieci centimetri più in basso c’era una fessura, molto simile a quella nei bancomat in cui devi infilare la carta per ritirare i soldi. Ce n’erano altri lì accanto, sempre attaccati al muro.
 
“Dovresti mangiare qualcosa.. cosa ti va?” le chiese.
 
“Non so.. cosa avete..?”
“Tu dimmi cosa vorresti mangiare. Poi vediamo se ce l’abbiamo.”
 
Arielle ci pensò su un attimo.
 
“Mm.. un crossaint alla marmellata..? Forse..?”
 
Vide Jim raccogliere da un tavolo vicino all’ingresso una superficie. Era compatta e gialla, e schiacciata al punto giusto per entrare nella fessura. Il capitano doveva aver fatto qualcosa prima di prenderla e infilarla dentro, ma Arielle non capì bene cosa. Era stato troppo veloce e lei era troppo intenta a guardarsi intorno.
 
Una volta infilata, quella sorta di televisore emise delle luci alla sinistra della fessura, e l’interno del televisore, quella zona arancione che aveva preso il posto dello schermo, sparì: al suo posto, Arielle trovò un piatto grigio con un coperchio sopra. Jim lo prese e sollevò il coperchio, mostrando ad Arielle il contenuto, ossia uno splendido crossaint avvolto in un tovagliolo azzurro. La ragazza si limitò a sorridere stupefatta, mentre si avviarono ad un tavolo.
 
Jim mise il piatto davanti ad Arielle, e si sedette nella parte opposta dal tavolo, perché potessero guardarsi mentre mangiava.
 
“Lei.. lei non ha fame..?”
 
“Ho già mangiato.” Fece Jim “stai tranquilla, non è avvelenato.”
 
“Lo so.” Sorrise Arielle, prendendo il crossaint con entrambe le mani e iniziando a mangiarlo.
 
Non era buono come quello di casa mia, ma è buono.
 
“Ti piace?”
Arielle si limitò ad annuire energicamente, non potendo rispondere con la bocca. Diede un secondo morso, poi appoggiò il crossaint sul piatto.
 
“Riguardo a quella nostra conversazione..”
 
“Non dobbiamo parlarne adesso.” Si affrettò a dire Jim, intuendo il disagio di Arielle.
 
“So che non mi credi..”
 
“Non ho detto questo.”
 
“Fai bene. Nemmeno io mi crederei, io..”
 
Arielle iniziò a tremare, e Jim se ne accorse prima di lei. Preoccupato, allungò una mano e la posò sulla sua in modo rassicurante.
 
“Stai tranquilla, va tutto bene.” Sussurrò, come si tranquillizza un bambino durante un temporale.
 
“Io non.. non voglio essere un peso..” mormorò
 
“Non lo sei.” Fece Jim, senza un minimo di esitazione.
 
“Voglio solo aiutare.”
 
Jim fece per rispondere, ma venne subito interrotto. Si sentiva una voce provenire dal muro, la voce di Spock.
 
“Spock a capitano.”
“Scusami.” Fece dolcemente Jim ad Arielle, per poi alzarsi ed andare a rispondere.
 
“Qui Kirk.”
 
“Capitano, ci stiamo avvicinando all’orbita Psi 2000 del pianeta.”
 
“Grazie, signor Spock. Arrivo subito.”
 
Interrotta la comunicazione, Jim si girò verso Arielle, ma fu lei la prima a parlare.
 
“Vada pure. Io starò bene. Più che bene.”
 
“Di qualunque cosa tu abbia bisogno, ti basta premere questo pulsante..” Jim indicò con il dito un bottone attaccato all’apparecchio al muro che aveva usato per parlare con Spock “.. e chiedi di parlare con il ponte, o con me.” Spiegò, per poi uscire dalla mensa.
 
Arielle guardò le porte dietro di lui chiudersi al suo passaggio, poi iniziò a toccarsi nervosamente le dita. Iniziò a fare un lento giro per tutta la mensa esplorandola meglio, anche se nei fatti si stava semplicemente annoiando e non sapeva cosa fare. Gli ufficiali lì presenti avrebbero potuto fissarla per il suo comportamento e farla sentire ulteriormente a disagio, ma non lo fecero, e Arielle ne fu estremamente grata. In qualsiasi altro caso si sarebbe sentita triste, come se gli altri neanche si accorgessero della sua presenza, come se fosse invisibile, ma non questa volta. Questa volta era un’estranea diversa da tutti nell’aspetto e anche negli indumenti, comportandosi stranamente come una malvagia entità che girovagava lentamente intorno ad una stanza: avevano tutte le ragioni del mondo per fissarla con preoccupazione, ma non lo fecero. Poteva fare cose strane e non riceveva alcun tipo di giudizio. Si sentiva.. rispettata. Ed era bello. Era dannatamente bello.
 
Al quinto lento giro per la mensa, si fermò davanti ad una grande finestra, grande quanto una porta ma distesa in modo orizzontale. Fuori, lo spazio.
 
Vedeva tanti piccoli puntini in un’immensa oscurità. Quei pallini in realtà erano stelle. Arielle lo sapeva. Eppure trovava spaventosamente affascinante quanto lo spazio apparisse diverso così da vicino, rispetto a quando lo osservava da casa sua. Là era così lontano, e invece ora, così vicino.
 
Ad un certo punto sentì le porte della mensa aprirsi. Guardò per un attimo forse pensando, sperando, si trattasse di Jim. Ma non fu così.
 
E’ il capitano della nave. Di una nave stellare. Ha il suo da fare. Il fatto che sia stato con te prima è stata solo gentilezza. Riprenditi, Arielle.
 
Al suo posto, entrò un giovane dai capelli scuri che doveva essere un ufficiale scientifico, a giudicare dal colore azzurro della sua uniforme. Prese qualcosa da mangiare e andò a sedersi, poi le porte si aprirono di nuovo.
 
Questa volta ad entrare fu Sulu e un altro ufficiale di comando. Arielle fissò Sulu per una manciata di secondi di troppo, lieta che fosse qualcuno che ricordava, poi tornò alle stelle, che però occuparono solo la sua vista. Il suo udito era tutto concentrato su quello che avveniva alle sue spalle.
 
Sulu e quell’altro andarono a sedersi insieme al primo che era entrato. Stavano parlando di scherma e.. botanica?
 
“.. ho scoperto quanto sia affascinante lo studio della botanica. Trovo piacevole raccogliere foglie, esemplari di piante..”
 
“Secondo me non serve a niente..” questo era Sulu “.. la scherma tonifica i muscoli, aguzza la vista, rende pronti i riflessi. Diglielo tu Joe, spiegaglielo..” pausa “ehy.. Joe..” un’altra pausa “.. ti senti male?”
Come colta da un terribile presentimento, Arielle lasciò definitivamente perdere le stelle nello spazio e si voltò. Il primo che era entrato, l’ufficiale scientifico, aveva gli occhi spalancati.
 
“Non mi toccare.. e cerca di non rompermi le scatole con le tue chiacchiere..” sbottò.
 
Arielle lo guardò sconvolta non sapendo come reagire, quando questo arrivò ad urlare che era stufo.
 
Cosa?? Cosa sta succedendo?
 
Ora tutti lo stavano guardando, non solo Arielle. Poi, l’aggeggio dal quale Jim aveva ricevuto la chiamata di Spock si illuminò.
 
“Attenzione..” cominciò una voce femminile “.. la sala macchina in stato di allarme. Tutto il personale sul ponte per ricevere ordini.”
 
Spinta da un’energia che non sapeva da dove arrivasse, Arielle lasciò immediatamente la mensa non appena il messaggio si concluse, realizzando solo quando fu fuori che non aveva una meta precisa. Si era completamente dimenticata del suo crossaint da tempo ormai.
 
Sta succedendo qualcosa. Lo sento.
 
Iniziò a girovagare, come se le sue gambe si muovessero da sole. La sua mente era lontana.
 
Pensò a Nolwenn e a Yvonne. Soprattutto a Yvonne. Era lei la fan di Star Trek.
 
Se solo fosse qui. Se fosse qui, saprebbe cosa fare. Lei sapeva tutto su Star Trek.
Conosceva tutti i personaggi, tutte le specie, i titoli degli episodi, persino il Klingon. Se ci fosse stata lei qui, avrebbe capito in che episodio sono dal momento della discussione tra Sulu e quell’ufficiale. No, no. Lo avrebbe capito da quando Spock aveva chiamato Jim, descrivendo l’orbita in cui si trovavano. Un’orbita di cui Arielle si era già dimenticata.
 
Perché tutto questo era successo in un episodio. Sì, ne era certa. E lei lo aveva visto. Yvonne gliel’aveva mostrato. Ma non riusciva.. non riusciva a ricordare nulla. Se solo.. se solo potessi ricordare qualcosa, la più piccola cosa..
 
Fu molto sorpresa quando realizzò che stava continuando a camminare, perché tutte le sue energie erano focalizzate nella sua testa. Sapeva di ricordare questo episodio. Lo sapeva. Ma non riusciva.. non riusciva..
 
Si sforzava, ma era totalmente inutile. Sapeva di conoscere tutte le informazioni che le servivano. Magari non i dettagli, ma una vaga idea di quello che stava succedendo doveva saperlo, ricordava di aver visto un episodio che iniziava con Sulu che veniva aggredito da un altro ufficiale senza una ragione.. lo sapeva..
 
Sapeva che quell’informazione era dentro di lei, da qualche parte nella sua testa, ma non riusciva a raggiungerla. A trovarla.
 
Non capì quanto tempo passò, ma doveva essere un po’. Era ancora concentrata nella sua memoria, quando..
 
“Argh!”
 
Arielle cadde a terra dallo spavento.
 
Hikaru Sulu a torso nudo era apparso dal nulla davanti a lei, puntandole una.. spada.. contro. Una spada.
Se fossero stati appena un po’ più vicini, avrebbe potuto colpirla.
 
La ragazza non perse neanche un attimo. Si alzò in fretta e corse via spaventata. Sentì che Sulu la rincorse per qualche passo, ma poi andò da un’altra parte.
 
Corse per un’altra manciata di minuti giusto per sicurezza, poi si accasciò contro il muro di un corridoio. Mentre stava riprendendo fiato, cercò di fare mente locale.
 
Cosa.. cosa accidenti è successo? Cosa faccio? Cosa devo fare? Devo.. devo dirlo a qualcuno. Chiamare Jim. Spock. Qualcuno.
E dire cosa?
Che stava succedendo qualcosa ma non sapeva cosa?
 
Sentì la frustrazione crescere. Prima che se ne rendesse conto, diede un piccolo pugno contro il muro, ottenendo solo di farsi del male.
 
Maledizione! Perché? Perché non ricordo?? Avrei detto che sarei stata d’aiuto, ma non lo sono affatto! Come posso esserlo? Come posso esserlo se non riesco nemmeno a ricordarmi nulla?
 
Non importa. Ora chiamo qualcuno. Non posso stare con le mani in mano.
 
Fece qualche passo, ma pochi secondi prima di premere il pulsante per poter comunicare con il ponte, sentì una voce provenire dall’apparecchio. Una voce maschile.
 
Chiunque fosse, affermava di essere il capitano, ma sicuramente non era Kirk. Aveva una voce più giovane, più.. infantile. Più immatura, come le cose che diceva.
 
Fu solo quando si mise a cantare, sì cantare, che Arielle riconobbe la sua voce.
 
L’ufficiale di comando. Quello che era entrato con Sulu in mensa. L’appassionato di botanica. E’ lui! Cosa sta facendo? Perché sostiene di essere il capitano? Io.. io devo trovare Jim. O Spock. Subito.
 
Premette il pulsante del comunicatore, ma fu tutto inutile. Quel tizio continuava a cantare ininterrottamente, e lei non aveva possibilità di comunicare con Kirk o con chiunque altro.
 
Se voglio parlare con Jim, devo raggiungere il ponte. Non ho alternative.
 
Tornò a correre per i corridoi, scegliendo la strada da prendere ad intuito. Sperava prima o poi di raggiungere un ascensore, tramite il quale avrebbe potuto raggiungere il ponte.
 
Correrei con più facilità se non avessi questo vestito. Dovrei proprio iniziare a portare i pantaloni più spesso.
 
Quando iniziò a stancarsi della corsa, cominciò a camminare, ma velocemente. Non si sarebbe fermata. Prima o poi avrebbe raggiunto un ascensore. Dopo dieci minuti di andatura veloce, vide in lontananza una grande scritta su un muro alla destra del corridoio. Affrettò il passo quanto bastò per capire cosa ci fosse scritto.
 
“Love Mankind.”
 
“Ama l’Umanità” doveva significare? Qualcosa del genere?
 
La lettera E di “Love” era la più sfuocata, ma tutte le altre lettere erano ben marcate, dipinte di un rosso scuro e acceso.
Rimase a fissare quella scritta come bloccata da una forza superiore. Come se dietro quelle parole ci fosse la soluzione di un enigma.. le sembrava tutto.. tutto così familiare.
 
Chiuse gli occhi, e di nuovo scavò nei suoi ricordi più profondi, cercando i pomeriggi passati a casa di Yvonne a guardare Star Trek. Tante immagini le apparirono davanti, ma lei ne cercava una nello specifico.
 
Poi, la soluzione si palesò con la stessa rapidità con cui un tuono colpisce la terra.
 
Vide Spock accanto a quella scritta. Non lo Spock che aveva incontrato, lo Spock della nave. No, lo Spock della serie TV. Vide sé stessa e Yvonne guardare Star Trek e vedere sullo schermo della TV un’immagine di Spock che camminava per i corridoi e si fermava davanti ad un muro con la scritta rossa “Love Mankind”.
 
Improvvisamente, ricordò tutto. L’episodio. Cosa era successo. Cosa sarebbe successo. Perché stava succedendo.
 
Tornò a correre più velocemente che mai, come se alle calcagna avesse una belva pronta a divorarla viva.
 
Devo trovare subito l’ascensore.
Devo avvertire Jim, Spock..
Oddio ti prego, dimmi che ho visto questa scritta prima di Spock, che lui è ancora sul ponte. Se l’ha già vista.. se è già uscito.. è finita.. Non farò mai in tempo..
 
I minuti che seguirono passarono lenti ed inesorabili, ma quando Arielle vide in lontananza le porte di un ascensore, sentì un sollievo tale che le parve di aver riacquistato d’un tratto tutta l’energia che aveva perso.
 
Si infilò con foga dentro l’ascensore, e afferrò la maniglia con una velocità tale che le sue dita sbatterono contro il metallo, facendole male. Ma non le importava. Non le importava niente.
 
“Ponte.”
 
L’ascensore iniziò con il muoversi, ma una volta fermato le porte non si aprirono. Arielle andò nel panico.
 
Riusciva a sentire delle voci davanti a sé. Riconobbe la voce di Uhura. Era il ponte. Era sicuramente il ponte, ma le porte non si aprivano.
 
Urlò. Sbatté forte le mani contro le porte. Poi usò le braccia. Poi anche le gambe. Poi tutto il corpo, come se sfondare le porte fosse una questione di vita o di morte.
 
Sapeva, ovviamente, che non ci sarebbe riuscita. Che l’uomo più muscoloso della Terra non ci sarebbe riuscito, men che meno una ragazzina come lei, ma il punto non era sfondare le porte. Era farsi sentire. E ci riuscì.
 
Sentì Kirk ordinare ad Uhura di aprire. Dopo una manciata di minuti, le porte sparirono, e Arielle entrò sul ponte come se l’aria stessa l’avesse spinta dentro.
 
Era la sua prima volta sul ponte, ma non perse neanche un attimo per guardare chi ci fosse o l’aspetto del luogo più importante dell’Enterprise. Trovò Kirk sulla poltrona da capitano, e null’altro parve importare, non in quel momento. Lui fece per parlare, ma lei lo interruppe. Tutto avvenne in un attimo.
 
“E’ un virus!” ad Arielle sembrò di urlare, ma forse era solo un impressione perché sentiva il fiatone “.. uno degli ufficiali scesi sul pianeta lo ha contratto, e poi ha iniziato a passarlo contro la sua volontà ad altri come Sulu, il quale l’ha passato ad altri e..”
 
Sentì Kirk afferrarla, per paura che stesse per cadere. Uhura si alzò, e Kirk aiutò Arielle a sedersi al suo posto.
 
“E’ un virus che fa perdere il controllo.. per questo.. per questo Sulu e gli altri si comportano in modo strano.” Voleva parlare più velocemente di così, ma non ci riusciva. Se non faceva una pausa ogni tanto si sentiva mancare la voce.
 
“Come lo sai?” chiese Jim.
 
“Tu sai come lo so.” Ansimò Arielle, l’euforia così alta da non accorgersi di aver dato del tu al capitano.
 
“Spock..” fece Jim, voltandosi verso il suo primo ufficiale.
 
“Vado subito, capitano.”
 
“No!” urlò Arielle prima che Spock raggiungesse l’ascensore, poi si voltò verso Kirk “se Spock lascia il ponte e va da McCoy.. in infermeria.. contrarrà il virus.. e poi lo passerà a lei.” Fece Arielle, guardando Jim negli occhi.
 
“Come si trasmette?” chiese Jim.
 
“Il contatto.. toccando qualcuno.. con le mani.. o le dita.. mi sembra.. tutti quelli che hanno toccato con le mani o le dita qualcuno infetto.. sono stati infettati. Anche Christine Chapel è infetta, l’ha preso da Sulu. E lo passerà a Spock.”
 
“Mi lasci andare, capitano. Non mi farò toccare da nessuno.” Propose Spock.
 
“No, signor Spock. Vado io. Per nessuna ragione lasci il ponte. Se uscendo verrò contagiato, almeno lei rimarrà immune. Le affido il comando.” Fece Jim, andando verso l’ascensore.
 
“E’ lei il capitano, dovrebbe essere lei a—”
 
“E’ un ordine, signor Spock.”
 
“Vado io.” Fece Arielle, che nel frattempo si era ripresa “.. so chi è stato contagiato, so chi devo evitare e dove devo andare. E se verrò contagiata, non potrò provocare danni perché non conosco niente di questa nave e anche volendo non sarei in grado nemmeno di spegnere i motori.”
 
“E’ troppo—” cominciò Jim.
 
Ma era troppo tardi. Arielle era già sull’ascensore. Sapeva che Jim non le avrebbe mai permesso di correre un simile rischio, soprattutto considerando che non era nemmeno un ufficiale della Flotta Stellare, ma doveva essere lei ad andare.
 
Quando raggiunse l’infermeria, vide McCoy intento ad esaminare Sulu. Christine Chapel se ne stava con la schiena contro il muro quasi assente, persa nel suo mondo.
 
E’ già stata infettata.
 
“Dottore—”
 
“Cosa ci fai qui? Scusa ma ora non è proprio il momento. Vai nel tuo alloggio prima che—”
 
“E’ un virus. Si trasmette tramite contatto e fa perdere il controllo. Anche la sua infermiera ne è affetta. Bisogna trovare un antidoto—”
 
BOOM!
 
Si sentì un forte scossone, tanto forte che la nave tremò e girò vorticosamente da una parte. McCoy era accanto al letto di Sulu e si strinse ad esso per restare in piedi, ma Arielle non fece in tempo. Cadendo, sbatté la testa contro un computer e svenne.
 
 
 
*
 
 
 
Si svegliò dopo qualche ora in infermeria. Per un attimo, un solo attimo, pensò che tutto fosse stato un sogno e che lei dovesse ancora lasciare l’infermeria da quando era stata salvata dall’Enterprise. E per aggiungere il danno alla beffa, era nello stesso letto dell’altra volta.
 
Non era stanca come l’ultima volta che si era svegliata in quel luogo, ma sentiva un leggero stordimento alla testa. Si passò le dita sulla testa e sentì tra i capelli il bernoccolo.
 
Davanti a lei, c’erano Kirk, Spock e McCoy, proprio come l’altra volta.
 
Perché ho una strana sensazione di deja vu?
 
“Come ti senti?” chiese Jim.
 
“Stanca di trovarmi sempre in infermeria.”
 
Kirk e McCoy risero. Spock si limitò a guardarla.
 
“A quanto pare avevi ragione. Su tutto.” Disse Kirk quando smisero di ridere “.. ti devo fare le mie scuse.”
 
“Sì, anche io.” Intervenne McCoy sorridendole dolcemente.
 
Spock non disse nulla, ma quella leggera sfumatura di astio che leggeva nei suoi occhi quando la guardava era sparita. Ora.. ora la stava guardando come se la vedesse per la prima volta.
 
Arielle voleva dire che non c’era bisogno di scusarsi. Che avevano ogni ragione di non crederle. Anzi, voleva essere lei a scusarsi per averci messo tanto a capire cosa stava succedendo. Si sentiva ancora triste per averci messo tanto, ma in fondo era andata bene, no?
 
“Ma questo non toglie il fatto che hai disubbidito ad un mio ordine.” Fece Jim, gentilmente ma anche seriamente.
 
“Quale ordine? Io non sono un membro dell’equipaggio. Non sono un ufficiale della Flotta Stellare.”
 
“E che ne dici di cambiare le cose?” propose Jim, con un radioso sorriso.


















Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** C'era una Volta - Capitolo 4 ***


C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 4










 
 
 
 
 
 
Il portone di legno del capanno si aprì così velocemente che quanto toccò il muro l’intero edificio parve vibrare. Nolwenn, che fino ad un secondo prima dormiva serenamente, si svegliò sentendo i battiti del suo cuore accelerare tale era stato lo spavento.
 
“E’ ora.” Era il padre di Mathieu, riconobbe la voce.
 
“E’ ancora buio!” sbottò Nolwenn quasi senza pensarci, ancora tremante per il risveglio improvviso.
 
Non aveva idea di che ora fosse, ma sicuramente era notte. Non riusciva a vedere assolutamente nulla intorno a sé, e se non avesse sentito la sua voce non avrebbe neanche saputo che lui era lì.

Sforzando la vista, riuscì a vedere la soglia, il contorno del padre di Mathieu e la natura alle sue spalle, ma nulla più di questo.
 
L’uomo la ignorò e fece per andarsene, ma proprio quando non era più visibile perché se ne era andato, sentì di nuovo la sua voce, questa volta più forte. Non sapeva quanto si fosse allontanato, ma non doveva essere troppo.
 
“Hai altri venti secondi per alzarti. Poi vieni immediatamente in casa.”
 
“Come? Come faccio a venire se non vedo niente?!? E’ tutto buio!”
 
L’uomo riapparve improvvisamente sulla soglia e quella rapidità, accompagnata al brusco risveglio e a tutto il suo atteggiamento ostile e perennemente arrabbiato, fu sufficiente a spaventarla di nuovo.
 
E’ riapparso sulla soglia furtivo come un serial killer.
In più è buio. Sembra di stare un film horror in cui lui è lo psicopatico che vuole seccarmi e io devo riuscire a scamparla.
 
Solo allora Nolwenn si rese conto di non essere stata spaventata da lui prima di quel momento. Perché? In fondo non lo conosceva, ed era stato freddo tutto il tempo. E ostile.
 
Forse per via di Mathieu. Forse.. inconsciamente.. sono meno propensa a credere che un uomo che abbia cresciuto da solo un bambino tanto adorabile e maturo possa essere cattivo.
 
“Beh?!?” sbottò lui irritato, come se stesse aspettando qualcosa da lei.
 
“Cosa?” chiese lei, confusa.
 
L’uomo sospirò irritato, la poca pazienza che aveva per lei stava già svanendo.
 
“Seguimi. Così riuscirai nella missione impossibile di raggiungere l’unico altro edificio in zona che si trova esattamente davanti all’entrata del capanno.”
 
Nolwenn avrebbe voluto che la luce tornasse un attimo, solo per un momento, quanto bastava perché lui potesse guardarla e vedere che stava fingendo di ridere alla sua battuta.
 
Lo seguì lentamente per qualche passo, accorgendosi solo in un secondo momento che non gli camminava esattamente dietro, ma stava leggermente sulla destra. Fece per rimettersi esattamente dietro di lui, ma ci mise troppo: sentì un grosso tronco di un albero sbatterle addosso.
 
Il suo naso si piegò leggermente, ma fu al busto che sentì più male.
 
Stai letteralmente seguendo il padrone di casa, ma sei riuscita comunque ad andare a sbattere contro un albero. Uno dei tanti alberi che neanche dodici ore prima hai visto quando hai fatto il percorso al contrario, dalla casa al capannone, con Mathieu. Complimenti davvero.
 
Che imbecille.
 
La luce ancora mancava, eppure Nolwenn sapeva che l’uomo l’aveva notato, e che con disappunto aveva messo le mani sul viso quasi per la vergogna di conoscerla. Lo percepiva.
 
“Quale parte di seguimi non ti è chiara?”
 
“Non c’è assolutamente niente di chiaro qui.”
 
Nolwenn si sforzò di reprimere il sorriso che le era venuto alla sua stessa battuta.
 
Andiamo, Nolwenn. Ridere alla propria battuta è davvero patetico.
 
Sentì che anche quell’uomo reagì in qualche modo a quanto aveva detto. Non era una parola, era un.. un leggerissimo suono? Un movimento della testa? Aveva gradito la battuta o era semplicemente più irritato? Probabilmente la seconda. Era stato un suono talmente impercettibile che fu sorpresa di averlo percepito.
 
Perché è buio.. è proprio vero che quando ti manca uno dei sensi, come la vista, tutti gli altri di colpo diventano più sviluppati.
 
Quell’attimo di spensieratezza si volatizzò quando sentì l’uomo toccarla. Aveva allungato la mano destra, toccando l’avambraccio destro di Nolwenn, appena sopra il polso, poi riprese a camminare.
 
I pensieri della ragazza tornarono all’ultima volta che un uomo sconosciuto l’aveva afferrata per un braccio. Ricordi spiacevoli.
 
Il tizio di quel carro pieno di alimenti, quello che voleva venderla a Frollo. Solo a pensarci, le sembrò di risentire di nuovo il dolore delle sue dita calcate sulla pelle, ma questa volta era diverso.
 
La presa del padre di Mathieu era forte quanto bastava per non mollare la presa, ma nulla di più, e le sue dita erano più appoggiate che strette al suo braccio.
 
Non stringeva con tanta forza da farle male. Non stringeva in modo viscido o inquietante. Non stringeva con prepotenza, ma neanche in modo amichevole. La stringeva come lei avrebbe stretto uno sconosciuto che aiutava ad attraversare la strada. E andava bene così, perché con quella presa Nolwenn capì esattamente quello che doveva capire.
 
Non è un cattivo. Non è pericoloso.
Non è un mio amico, questo indubbiamente, e non si fida di me, e non posso biasimarlo per questo, ma non mi farà del male.
E’ brusco a parole e forse poco paziente, ma non è manesco e non mi metterà le mani addosso.
Non mi farà del male.
 
Solo quando capì che non era in pericolo con lui, Nolwenn sentì che mollò la presa e il motivo fu immediatamente chiaro: l’alba si stava avvicinando.
 
Era ancora buio, ma non lo era al punto da non sapere dove stesse andando. Riusciva addirittura a vedere i suoi capelli dorati sotto lo sporco che li faceva apparire più scuri.
 
Affrettò il passo per mettersi accanto a lui, ma quando capì che erano quasi arrivati alla casa, si mise davanti a lui, forzandolo a fermarsi.
 
“Credo che siamo partiti con il piede sbagliato.”
 
“Oh, davvero?” sbottò sarcastico lui, guardandola irritato.
 
La ragazza lo ignorò e sfoderandogli un amichevole sorriso, gli porse la mano.
 
“Ciao. Io sono Nolwenn.”
 
“Lo so. Lo hai detto ieri sera appena prima di sclerare come una psicopatica.”
 
Glielo aveva detto davvero? Non riusciva a ricordarlo.
 
“Ora dovresti dire il tuo nome.” Fece lei, ignorando le sue continue frecciatine.
 
“Non sono qui per fare amicizia. Tanto meno con te.”
 
Nolwenn continuava a fare di tutto per apparire gentile, ma dentro di sé sentiva che l’aveva infastidita parecchio che avesse marcato così tanto quel “te”, come se lei valesse meno di niente.
 
L’uomo passò alla sua destra per passare, ignorandola nuovamente. Quando stava per poggiare la mano sulla maniglia della porta dell’abitazione per entrare, Nolwenn parlò di nuovo.
 
“E va bene..” sospirò, ritirando la mano “.. vorrà dire che continuerò a chiamarti “ehy tu”, non c’è problema.”
 
Lui appoggiò la mano sulla maniglia, ma non la mosse.
 
“Edmond.” Sussurrò sospirando, poi aprì la porta ed entrò in casa. Nolwenn lo seguì a ruota.
 
“Fai piano..” fece poco dopo, quando lei toccò la porta per entrare “.. Mathieu ancora dorme.”
 
Certo che dorme.
Perché questo è un orario per dormire.
Ma a che ora sei venuto a svegliarmi?? Alle cinque della mattina? Ora capisco perché ha l’aspetto di un barbone. Se non dorme, non dorme.
 
“Cosa ci faccio qui?” chiese Nolwenn.
 
“Ti guadagni l’alloggio..” Disse lui, come se stesse affermando l’ovvio “..pensavi davvero che ti avrei dato un tetto sulla testa senza che facessi niente solo per qualche scenata infantile? E se la qualità del tuo lavoro non dovesse soddisfarmi, sappi che non mi farò problemi a sbatterti fuori..”
 
Carino.
 
“.. e che sia chiaro che continui ad essere in debito con me per quelle monete d’oro che mi devi per le garze. Il tuo lavoro qui coprirà solo le tue notti nel capanno, nulla di più.”
 
Oh Cristo.
Mi rinfaccerà quelle cazzo di garze per tutta la vita, già lo so.
 
“Qualcosa da dire?” chiese poi lui, dopo aver visto che Nolwenn aveva l’espressione perplessa.
 
“No. Niente. Assolutamente niente.”
 
“E’ quello che pensavo..” chiuse la porta d’ingresso, poi si avviò verso gli stessi banconi da cui Mathieu aveva preso la garza per lei il giorno prima “.. dato che dubito fortemente tu sappia fare qualcosa..”
 
“Ehy, io so fare qualcosa! Non sono un’incapace!”
 
Era in debito con lui e lo sapeva, ma non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa. Lei gli aveva portato rispetto, mentre tutto quello che era uscito dalla sua bocca erano mezzi insulti e frecciatine.
 
“E’ così che parli con tuo figlio?”
 
Nolwenn si pentì di quell’ultima domanda nel momento stesso in cui le uscì dalle labbra, ma era troppo tardi. Vide Edmond guardarla con uno sguardo talmente gelido da mettere soggezione.
 
Fanculo. Se l’è cercata.
 
Edmond si avvicinò lentamente a Nolween, era così vicino che lei riuscì a notare due piccoli minuscoli nei che aveva tra il collo e le spalle.
 
“Se solo discuterai di nuovo di come cresco mio figlio, te lo giuro sugli Dei, non uscirai mai più da qui..” ora capì perché si era avvicinato tanto, sussurrava appena “.. se non da morta. Mi sono spiegato sufficientemente bene?”
 
Quando Nolwenn annuì silenziosamente quasi pietrificata, l’uomo le lanciò un’occhiataccia e si allontanò.
 
Forse.. forse mi sono sbagliata. Forse non è innocuo come pensavo.
Ma in fondo.. considerando quello che ho detto e considerando che non ha questa alta opinione di me.. mi è andata anche bene. Un altro al suo posto non si sarebbe limitato a minacciarmi.. avrebbe agito e basta.
 
“Stavo dicendo..” riprese Edmond dopo qualche attimo di silenzio imbarazzante “.. dato che non credo tu abbia mai lavorato veramente in vita tua..” Nolwenn si morse le labbra per impedire di rispondere a tono a quell’ulteriore frecciatina, ora proprio non era il momento di controbattere “.. cominciamo con qualcosa che sanno fare tutti e se tu non ne sei in grado siamo veramente nella merda. Vediamo come scopi.”
 
C-cosa?
Cosa ha detto?
COSA CAZZO HA DETTO?
 
“Scusami?” mormorò Nolwenn talmente piano che Edmond non la sentì nemmeno, era così sotto shock che a fatica le usciva la voce.
 
Io non.. ew… non voglio fare sesso con questo tizio, ma che cazzo?!?
Ma per chi mi ha preso?? Per una puttana?!?
Con che coraggio aveva proposto una cosa del genere?? Ma si aspettava davvero che avrei acconsentito?? Dopo tutti quegli insulti poi, minaccia di morte compresa?
Non può parlare sul serio.
 
Lo vide andare verso la sua camera, dove presumibilmente c’era il suo letto.
 
Parla sul serio.
Cazzo.
Merda.
Gli mollo un ceffone se prova ad avvicinarsi.
 
“Te lo puoi scordare.”
 
Edmond si fermò di colpo e la guardò.
 
“Prego?”
 
Ha anche il coraggio di irritarsi, lo stronzo!
 
“Non sono quel genere di ragazza!” disse Nolwenn in tono tremante, non per paura ma per la rabbia.
 
Era assurdo che solo ci pensasse, figuriamoci proporlo.
Il fatto che forse, forse, non fosse un brutto uomo non significava un bel cazzo di nulla. Non era il suo tipo. Ma proprio per niente. I lineamenti del viso erano troppo marcati ed era biondo. Non le erano mai piaciuti i biondi! Inoltre, puzzava come la merda, e i capelli erano talmente lerci da essere diventati di un altro colore. Non osava neanche immaginare quanto il resto del suo corpo fosse sporco se i capelli da soli erano quelli di un barbone.
E poi quanti anni aveva?? Almeno quaranta. Il che significava che era di almeno quindici anni più vecchio di lei. La sola idea di andare a letto con un uomo così vecchio la metteva sinceramente a disagio.  
E la barba. Pure la barba aveva. Non aveva mai baciato un ragazzo con la barba e non ci teneva a farlo, mai nella vita. Chissà che fastidio alla bocca.
E in più il suo carattere era tale e quale alla puzza che emanava: di merda.
 
“Quale genere di ragazza? Che lavora? Sì, sì vede.”
 
“Non quel genere di lavoro, no!”
 
“Oh, dunque la principessina non vuole neanche sporcarsi le mani, eh?”
 
“Preferisco tornare nel bosco rischiando di farmi mangiare viva da un animale o morire io stessa di fame piuttosto che venire a letto con te!”
 
Edmond stava per rispondere qualcosa mentre Nolwenn ancora stava parlando, ma quando completò la frase roteò gli occhi confuso. Poi puntò nuovamente gli occhi su Nolwenn che lo stava guardando furiosa, ancora incapace di credere cosa fosse appena successo.
Non appena la consapevolezza lo raggiunse, Edmond scoppiò sonoramente a ridere. Rise tanto che fu costretto a tenere una mano appoggiata al muro per evitare di cadere. Rise tanto che si piegò in due tenendo l’altra mano sulla pancia, che iniziava a far male per tutte quelle risate.
 
Quando iniziò a calmarsi e a smettere a poco a poco di ridere, mise la mano che aveva tenuto sulla pancia davanti al viso.
 
“Tu davvero credevi.. credevi veramente..” prese fiato per respirare “.. no ma dico, pensavi sul serio che volessi.. con te.. Con te?!?” sospirò, e ora non aveva più voglia di ridere “.. mi fa schifo solo il pensiero. Piuttosto infilo il cazzo in un cactus, sarebbe un’esperienza nettamente più piacevole.”
 
“Tu hai detto “vediamo come scopi” e poi ti sei diretto verso la tua camera!”
 
“Sì..” annuì “.. a prendere la scopa!” sbottò alzando la voce, infastidito più che mai, e per provarlo, mise un piede dentro la sua stanza mentre con l’altro e il resto del corpo era ancora fuori, e si allungò all’interno della camera con il braccio sinistro. Quando lo ritirò, teneva una scopa nella mano.
 
Oh.
OH.
 
“Scusami.. io.. io avevo capito..” abbassò lo sguardo imbarazzata, sentendo il suo viso diventare rosso come un pomodoro, tanto che le lentiggini e i brufoli erano spariti.
 
“Sì, so cosa avevi capito. Mi dispiace deluderti, ma non accadrà mai. Anzi no, non mi dispiace deluderti in effetti. Io non vado a letto con ragazzine brufolose e ben pochi uomini sarebbero tanto coraggiosi da farlo.” Sbottò con scherno Edmond, porgendole la scopa.
 
Nolwenn fece per prenderla, ma poi ritirò la mano e lo guardò.
 
“E questo cosa vorrebbe dire?”
 
“Cosa?”
 
“Non sono così repellente!”
 
“Immagino che tutto dipenda dalla tua definizione di repellente.”
 
“E poi non sono una ragazzina. Ho ventiquattro anni!”
 
Edmond alzò le sopracciglia e allargò gli occhi dalla sorpresa, sorpresa che Nolwenn parve non capire. Sapeva di dimostrare gli anni che aveva, e non riusciva a capire la sua reazione.
 
“Ventiquattro anni? E perché allora ti comporti come una quattordicenne? Mai vista una donna che ha ancora così tanti brufoli anche dopo aver superato la pubertà. Io mi farei vedere da un qualche dottore, perché non è normale.”
 
“Non penso che tu abbia visto molte donne..” fece una pausa, poi continuò “.. un discorso davvero audace da uno che probabilmente non si lava da sei mesi.”
 
Era stanca. Stanca di farsi trattare male. Avrebbe continuato a rispettarlo e non avrebbe più detto una parola sulle sue capacità genitoriali perché non spettava a lei, ma se lui si permetteva di giudicare il suo aspetto, lei si sentiva di dover fare altrettanto.
 
“Tu mi hai chiesto cosa intendessi con quello che ho detto e io ti ho risposto..” Edmond fece un passo, irritato per quella conversazione che a quell’ora sarebbe già dovuta finire, non appariva minimamente offeso o dispiaciuto per quello che Nolwenn aveva detto, se lo era lo nascondeva molto bene “.. la prossima volta non chiedere se non sei preparata ad ascoltare la verità. E comunque mi è sembrato di aver capito che avresti preferito morire di fame che venire a letto con me, quindi cosa ti importa di quello che penso?”
 
“Non mi importa..” Fece Nolwenn, prendendo la scopa “.. è una questione di rispetto. Ho un debito con te questo è vero, e intendo rispettarlo, ma non mi farò trattare come spazzatura.”
 
“Pensi che avrei acconsentito a della spazzatura di stare nel mio capanno?” incrociò le braccia “.. dici che intendi rispettare il debito, ma finora hai fatto solo chiacchiere e nient’altro. Parli di rispetto.. il rispetto non si pretende, si guadagna, e non hai fatto niente per avere il mio. Per quanto mi piacerebbe continuare a rinfacciarti la figura di merda che hai fatto, una delle tante che hai fatto nell’arco di ventiquattro ore, direi di passare oltre considerando che ne abbiamo parlato anche troppo. Limitiamoci a rallegrarci di essere entrambi reciprocamente disgustati dall’idea di andare a letto insieme evitando così qualsiasi tipo di disguido futuro. Ora, vuoi perdere altro tempo in stupide chiacchiere, o vuoi avere un tetto sopra la testa stasera?”
 
Nolwenn lo guardò a lungo, ma qualsiasi ira avesse nei suoi confronti ormai si era dissipata del tutto. Prese la scopa con entrambe le mani ed iniziò a spazzare. Sentì Edmond fare qualche altro tipo di commento denigratorio, qualcosa come “siamo veramente nella merda non sai neanche spazzare è un’atrocità il modo in cui pulisci”, ma lei smise di ascoltarlo.
 
Poco dopo lui smise di prestarle attenzione, anche se era difficile dire quanto tempo fosse passato: il Sole non era ancora sorto del tutto.
 
Con la coda dell’occhio, vide che si era seduto e stava preparando la colazione per Mathieu. Prese un bicchiere che riempì di acqua, la stessa acqua del fiume che il bambino aveva portato a casa il giorno prima probabilmente.
 
Prese anche un paio di mele gialle, simili a quelle del capanno e che crescevano sugli alberi, e un vecchio pezzo di pane.
 
E’ identico.. identico a qualcuno che ho già visto.. ma chi.. chi..
 
Se lo chiedeva da quando l’aveva visto la prima volta. All’inizio era divertente cercare di capire chi fosse, ma ora era diventato solo un fastidioso tarlo che era decisa a risolvere.
 
Poi, quando iniziò a tagliare un paio di fette di pane, le sembrò di avere una sorta di deja vu, come se stesse vedendo qualcosa che aveva già visto.
 
Edmond continua a ricordarmi qualcuno che ho già visto.. se questa sensazione che provo adesso significa che sono vicina a realizzare di chi si tratta? La risposta era vicina.. riesco a sentirlo..
 
Era seduto ad un tavolo da pranzo.. a tagliare un pezzo di pane..
 
Nolwenn cercò di concentrarsi sui suoi ricordi, per raggiungere la fonte. Sì, riusciva a vederlo. Qualcuno uguale a lui seduto ad un tavolo a tagliare qualcosa. Solo.. solo c’era più oscurità. Meno luce. E non era solo..
 
Davanti a lui c’era un altro uomo, più vecchio, e accanto a lui.. una donna.. una donna bionda.. e con i capelli corti, solo che quest’uomo non tagliava del pane.. no.. tagliava un pezzo di carne.. usava solo una mano.. ci provava.. faticava parecchio a tagliarla, quando la donna bionda lo aiutò infilando una posata nella carne, e lui riuscì a tagliarla.. gli mancava una mano..
 
Qualcosa dentro di lei si accese, rivelando la risposta come se qualcuno le avesse passato un foglietto con la soluzione e lei non avesse fatto altro che leggerlo.
 
Lannister!
Jaime Lannister!
Il Jaime Lannister di Game of Thrones! E’ uguale! Uguale! E’ lui!
E con quegli abiti.. quei capelli trasandati e sporchi..
Stessi identici lineamenti, stessi occhi piccoli e chiari, persino i minuscoli nei che aveva visto nella zona intorno al collo e alle spalle.. anche l’attore che interpretava Jaime Lannister nella serie li aveva.
Era una copia perfetta di Jaime Lannister, il Jaime Lannister della terza stagione di Game of Thrones per essere precisi, quando stava tornando ad Approdo del Re dopo la prigionia presso gli Stark con l’aiuto di Brienne, che guarda caso era quella donna bionda.
 
Nolwenn trattenne a fatica una risata.
 
C’era qualcosa di spaventosamente divertente e comico nell’ aver trovato in uno scorbutico contadino che vive nel bel mezzo del nulla con il figlio nel mondo Disney la fotocopia di un personaggio appartenente ad una delle famiglie più ricche, nobili e famose di Game of Thrones, un mondo che non potrebbe essere più diverso dalla Disney.
 
Nolwenn venne colta dall’improvvisa voglia di saperne di più su Edmond, per scoprire se davvero erano tanto diversi nella vita che conducevano e nel carattere quanto simili fossero nell’aspetto fisico, o se in effetti quelle differenze erano solo superficiali e in realtà erano la stessa persona in diversi universi, ma per farlo doveva lavorare sodo altrimenti non c’erano possibilità che Edmond avrebbe risposto alle sue domande.
 
Iniziò a spazzare con più foga e più energia che mai, e Edmond se ne accorse. Annuì soddisfatto, ma non disse nulla, ignaro di quello che stava passando per la testa a Nolwenn, la quale continuava a sopprimere la risata che sentiva sulle labbra.
 
Questo soggiorno è appena diventato molto più interessante.
 










Ciao a tutti e grazie per continuare a leggere la mia storia! Il fatto che ci siano delle persone là fuori che apprezzano la mia storia al punto da metterla tra le seguite e recensirla mi riempie il cuore di gioia!! Ma.. non è per questo che faccio questa piccola nota. Volevo solo specificare che Edmond che è fisicamente identico ad un altro personaggio di un altro universo (in questo caso Jaime Lannister) non è "random", ma avrà rilevanza molto molto molto più avanti nella storia, ma ora non posso dire di più. Sappiate solo che se è identico a Jaime Lannister una ragione c'è e non è casuale. Detto questo grazie ancora, e alla prossima!  

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 4 ***








QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 4
 
 
 
 
 
 
“Primo anno! Primo anno! Da questa parte! Su dai, non siate timidi, coraggio!”
 
Il vocione alto e profondo di Hagrid era così alto che Yvonne riusciva a sentirlo con chiarezza nonostante fosse ancora dentro il treno. Nemmeno il rumore del mezzo che si stava fermando né le rotaie sembravano bloccare la sua voce.
 
In realtà fu una sorpresa sentirlo. Da quando aveva capito che era condannata a frequentare gli stessi sette lunghissimi anni di Harry Potter e compagnia bella di sventure e disastri, era finita in uno stato catatonico dal quale era difficile uscire. Tutto quello che riusciva a vedere e a pensare erano le tragedie che l’aspettavano, tutte le cose brutte che sarebbero successe e che lei non avrebbe potuto evitare, neanche con la magia. Nemmeno si era accorta di quando il treno aveva iniziato a rallentare per segnalare che erano vicini all’arrivo. Fortunatamente aveva deciso di indossare l’uniforme ancora prima di salire sull’espresso, altrimenti sarebbe scesa senza, non avendo avuto il tempo di cambiarsi.
 
Non sapeva bene cosa fare, così decise di seguire Beverly. Anche lei sembrava incerta, ma sicuramente era più vigile e sveglia in quel momento. Afferrò dolcemente la sua manica sotto il mantello nero dell’uniforme, per paura di perderla. Non voleva stare da sola. Non adesso.
 
Seguirono degli studenti più grandi che sapevano già il fatto loro, fino ad arrivare ad una studentessa che scese dal treno e si fece da parte lasciando la portiera aperta per farle passare: aveva i capelli castani, lisci e lunghi, che le coprivano la cravatta e lo stemma, impedendo a Yvonne di capire a quale casata appartenesse.
 
Una volta scese, si avviarono verso Hagrid, come tutti gli altri studenti del primo anno che stavano uscendo da ogni parte del treno, alcuni davanti a loro, altri dietro.
 
Beverly aveva iniziato guardare ovunque da quando era scesa, persino verso l’alto, arrivando a mettersi sulla punta dei piedi nel tentativo di allungarsi. Yvonne no. Era troppo tesa. Troppo preoccupata. Se fosse caduto un asteroide alle sue spalle, non l’avrebbe nemmeno notato. Si limitava a seguire Beverly verso Hagrid, come stavano facendo gli altri studenti senza ancora una casata, che presumibilmente sarebbero stati i suoi compagni di classe.
 
L’amica, e di conseguenza anche Yvonne dato che continuava a tenerla stretta alla manica e la seguiva a ruota, arrivò vicinissima ad Hagrid, ma non gli arrivò davanti, perché c’erano già due studenti.
 
Riusciva a vederli solo da dietro, ma dovevano essere entrambi maschi, a giudicare dai capelli corti, tipico taglio da maschietto undicenne. Uno aveva i capelli scuri come la notte e l’altro li aveva arancioni. Il moro indossava gli occhiali come lei: riusciva a vedere le aste che aveva sopra le orecchie per sorreggere gli occhiali. Entrambi erano alti più o meno quanto lei e Beverly.
 
Non le ci volle molto per capire chi fossero.
 
Harry Fottuto Potter e Ron Fottuto Weasley.
Perfetto.
Non poteva andare peggio.
 
Invece poteva. E così fu.
 
La consapevolezza di averli davanti fu quello che convinse definitivamente Yvonne a voltare lo sguardo.
 
Vide una vecchia panchina color rosso scuro piena di ruggine con scritto “Hogsmeade” alla destra di Harry Potter, dietro alla quale si trovava una pianta che sembrava.. stranamente babbana?
 
Ma l’osservazione dell’ambiente si concluse in fretta, perché subito dopo aver avvistato la pianta, vide con la coda dell’occhio Hermione Granger dietro di lei.
 
Alzò gli occhi al cielo, quasi per disperazione.
 
Una cosa.
Una sola cosa ti ho chiesto, universo.
Di farmi stare lontana da Potter e i suoi amichetti di sventure.
Pensavo mi avessi ascoltata.. facendomi incontrare Beverly che non era presente nella storia.. continuiamo su questa linea, per favore??
Non voglio avere nulla a che fare con i protagonisti di questa storia, li voglio lontani da me.
Loro passano sette anni a correre verso i guai, e io di guai ne ho già più che abbastanza.
Non me ne servono degli altri.
 
Okay, calma.
Sono appena arrivata.
Devo solo resistere fino allo smistamento.
Dopodiché, loro andranno a Grifondoro e io.. non so dove andrò ma sicuramente non a Grifondoro.
E tutto questo sarà solo un lontano e bruttissimo ricordo.
 
Si promise di non guardarsi più intorno, ma il suo viso si mosse da solo.
 
Aveva visto davanti a sé dove aveva trovato Harry Potter e Ronald Weasley, aveva guardato a destra doveva aveva trovato la panchina e la pianta, e dietro aveva trovato Hermione Granger.
 
Sarebbe stato logico smetterla di guardare intorno visto che ogni volta che lo faceva le cose peggioravano, ma la tentazione di guardare nell’unico lato che le mancava fu troppo forte per resistere, così cedette.
 
E non fu affatto una buona idea. Per niente.
 
Quello che trovò furono Seamus Finnigan, Dean Thomas e in mezzo a loro.. Neville Paciock.
 
Cazzo. Oh cazzo. Cazzo.
 
Nel vedere quest’ultimo, Yvonne sentì un brivido terrificante nella nuca, che doveva essere molto simile a quello che provava Will Byers in Stranger Things ogni volta che c’era qualcosa di oscuro e malvagio che dal Sottosopra si stava avvicinando a Hawkins.
 
Si sforzò di non tremare di paura, ma fu più difficile di quanto avesse immaginato. Le sue gambe si mossero da sole venendole in soccorso, e in un attimo cambiò posto con Beverly, che d’un tratto si trovava tra lei e Neville, facendole inconsapevolmente da scudo. Fortunatamente, quando tutto questo avvenne, Neville stava guardando indietro e non si accorse di nulla, probabilmente non notò nemmeno la sua presenza.
 
Seamus e Dean la videro, ma solo nell’attimo in cui si mosse. Non colsero in alcun modo la sua paura, e tutto quello che notarono fu una studentessa che si era spostata.
 
“Guarda dove metti i piedi!”
 
A parlare era stato un bambino, un altro studente del primo anno, ma la sua voce appariva già snob e altezzosa, per non dire infastidita.
 
Guarda guarda guarda, abbiamo un altro stronzo eh? Malfoy non bastava, ne occorreva un altro?!?
 
Yvonne si voltò e vide che chi aveva parlato era accanto a lei. Aveva i capelli ricci e dorati come una luce splendente e due piccoli occhi blu scuro. La sua uniforme era impeccabile e sistemata alla perfezione, come quegli uomini d’affari che girano sempre con la giacca e la camicia chiusa fino all’ultimo bottone con la cravatta ben stretta al collo. Era tanto bello all’esterno quanto sgradevole e paziente all’interno, sembrerebbe. Era del primo anno, eppure era parecchio alto, forse il più alto tra i studenti senza ancora una Casa. Probabilmente si stava avvicinando mentre Yvonne si era spostata in fretta per allontanarsi da Neville, tagliandogli la strada, altrimenti si sarebbe messo accanto a Beverly.
 
“Mi dispiace.” Mormorò Yvonne in un sussurro, quasi spaventata, anche se non seppe dirlo se lo era per il disagio di aver infastidito un suo nuovo compagno di classe che avrebbe visto per sette anni o se era ancora per il suo terrore di Neville.
 
Il ragazzino non parve minimamente soddisfatto di quelle scuse, ma non aggiunse altro. La guardò per un’altra manciata di secondi con scherno, poi voltò lo sguardo.
 
Dio, pure il modo in cui volta lo sguardo è da stronzi.
 
Nel momento stesso in cui anche lei tornò a guardare davanti a sé, sentì Hagrid salutare Potter.
 
“Ciao, Harry.”
 
“Ciao, Hagrid.”
 
“Woooo.” Esclamò Ron.
 
Yvonne roteò gli occhi senza accorgersene, già infastidita.
 
Sette anni con questi tizi.
Sette.
Che il Cielo mi assista. Avrò bisogno di tutto l’aiuto possibile.
 
“Bene, da questa parte per le barche! Avanti, seguitemi!” fece in tono solenne Hagrid, dando le spalle agli studenti e iniziando a camminare, tenendo con la mano destra la lanterna più grossa che Yvonne avesse mai visto in vita sua.
 
Potter e Weasley lo seguirono, e insieme a loro anche Beverly, Yvonne e presumibilmente tutti gli studenti dietro di loro.
 
Yvonne non aveva la più pallida idea di dove stessero andando.
 
O meglio, sapeva che stavano andando verso le barche perché è quanto Hagrid aveva detto, ma non riusciva a vedere niente davanti a sé: un po’ per il buio e un po’ per avere davanti Hagrid, che da solo rendeva impossibile vedere cosa ci fosse davanti a lui. Una piccolissima parte di lei pensò di sporgere la testa per guardare meglio, ma continuò a rimanere dritta, rigida come un palo della luce: lo shock era ancora forte dentro di lei, e voleva solo che finisse tutto alla svelta.
 
Camminarono per quelli che dovevano essere una decina di minuti all’incirca, e Yvonne non aveva ancora lasciato la manica di Beverly. Fino ad un mese prima aveva il doppio degli anni di quei ragazzini, eppure lì in mezzo sembrava la più piccola, come una neonata che si teneva aggrappata alla mamma per paura di quello che c’era intorno a lei.
 
Fu tentata di scusarsi con Beverly per quel comportamento, ma si morse le labbra e tacque per tutto il tragitto.
 
Quando Hagrid si fermò, Yvonne riuscì a sentire il rumore dell’acqua. Dovevano essere in una costa, o vicini ad un lago. La fila che si era creata dietro al gigante si disperse allargandosi dietro di lui, ora che c’era lo spazio per farlo.
 
Era ancora molto buio e in più c’era parecchia nebbia, ma Yvonne riuscì a vedere delle barche di legno attaccate al molo. Hagrid borbottò qualcosa sul salire sulle barche e gli studenti iniziarono a dividersi per scegliere come dividersi e in quale barca salire, ma Yvonne non aveva la minima intenzione di trovarsi di nuovo circondata dal gruppetto di Harry Potter: localizzò immediatamente il maghetto e soprattutto Paciock dato che era lui quello da cui doveva assolutamente stare alla larga, e quando li vide, camminò frettolosamente verso la barca più lontana da loro.
 
Si diresse all’ultima barca a sinistra, dove un’altra ragazza stava salendo. Le andò incontro e sentì Beverly seguirla.
 
La ragazza aveva un lungo bastone di legno con appesa in cima una piccola lanterna per fare luce: ce n’era uno appoggiato ad ogni barca, evidentemente destinato a ciascuna di esse. Grazie alla luce che emanava la lanterna, Yvonne riuscì a vedere la studentessa con chiarezza.
 
Aveva lunghi capelli castani e lisci che le cadevano delicatamente sulle spalle, e portava un grazioso cerchietto nero sulla testa, perfettamente in linea con il nero dell’uniforme. I suoi occhi erano grandi e color verde smeraldo, e quasi avevano più luce della lanterna. Il suo visto era dolce e delicato, così bello da sembrare quello di una piccola principessa: era indubbiamente la più bella delle ragazze del primo anno. Era così femminile, così graziosa.
 
“Ciao. Possiamo..?” mormorò timidamente Yvonne.
 
In altri tempi e in altre occasioni sarebbe morta pur di non andare da una perfetta sconosciuta e dire qualcosa, ma la paura di finire nella stessa barca di Neville era peggiore, e per evitare quel destino era disposta a fare qualsiasi cosa.
 
Speriamo che questa sia più gentile di quell’altro biondino.
 
“Ciao. Sì certo, venite pure. Io sono Andrea.” Rispose gentilmente lei, sorridendo.
 
Dio. Ha anche la voce di una principessa.
 
Quando Beverly e Yvonne poggiarono le mani sulla barca per salire, quest’ultima si accorse che Andrea le guardava i piedi: solo in un secondo momento si accorse che i suoi piedi erano del tutto visibili con l’aiuto della lanterna.  Aveva visto che portava le scarpe maschili, e non quelle femminili.
 
Per Yvonne fu davvero difficile capire cosa passasse per la testa ad Andrea. Era sconvolta? In negativo o in positivo? Era orripilata che una studentessa portasse delle scarpe maschili o l’ammirava per il coraggio di sfidare le regole dell’uniforme?
 
Ma chi vuoi prendere in giro, Yvonne?!?
E’ ovvio che non approva.
Lei è così femminile, così delicata.
Tu.. no.
 
Qualunque cosa stesse pensando, Andrea cercò di farselo passare e sorrise a Yvonne, anche se quel sorriso nascondeva chiaramente una sorta di disagio.
 
Salì anche lei, mettendosi a prua visto che era lei a tenere in mano il bastone con la lanterna, mentre Yvonne e Beverly sedettero vicine al centro della barca. Proprio quando furono tutte sedute, sentirono qualcun altro salire. Yvonne voltò lo sguardo e vide il biondino spocchioso di prima che era seduto a poppa. Quando la vide fece una smorfia, e Yvonne tornò a guardare davanti a sé.
 
Beh.. poteva andare peggio.
Meglio lui che uno dei protagonisti della storia.
 
La loro barca partì poco dopo le altre, ma fu abbastanza perché non fosse tra le prime, e per Yvonne fu meglio così. Man mano che proseguivano, la nebbia si faceva da parte, come per farli passare.
 
Non appena il castello fu del tutto visibile, imponente ed illuminato, gli studenti non riuscivano a vedere altro: se ne stavano lì, con la testa alzata, a guardare quel vecchio edificio che sorgeva su quella che sembrava un’enorme roccia, come se fosse la cosa più maestosa mai vista. Ma non Yvonne.
 
Yvonne non osava alzare lo sguardo, ma riusciva a sentire i mormorii degli studenti accanto a lei come incantati da quella che sarebbe stata la loro casa per i prossimi sette anni, il che la fece sentire ulteriormente a disagio. Teneva lo sguardo basso, cercando di occupare la mente con qualsiasi altra cosa. Anche la più stupida e la più insignificante. Come le barche.
 
Le barche si muovono da sole, senza l’aiuto di remi. Com’è possibile? E’ per la corrente o per una sorta di magia?
 
Guardò l’acqua sotto la barca, come alla ricerca di qualche magia, qualcosa di inspiegabile, qualcosa di diverso, che le provasse che quella non era comune acqua di lago, dato che ai suoi occhi appariva normale a qualsiasi tipo di acqua di qualsiasi tipo di lago di qualsiasi luogo della Terra non magico.
 
L’acqua appariva nera come la notte nonostante la luce della lanterna, ma Yvonne non si lasciò demordere e continuò a guardarla, alla ricerca di qualcosa all’infuori dell’ordinario.
 
Poi, la vide.
 
Era una lunga, ondeggiante linea azzurra, quasi illuminata da una luce interna. La vide ondeggiare vicino alla barca, e per paura che in qualche modo uscisse dall’acqua e l’attaccasse, Yvonne finì con il muovere la barca, ma nessuno se ne accorse, né Beverly né Andrea né quel ragazzino snob. Erano tutti troppo impegnati e concentrati nell’ammirare il castello e inoltre, la sua paura si rivelò infondata. Quella cosa si allontanò invece che avvicinarsi, e scese nelle profondità del lago fino a quando non scomparve del tutto.
 
Cosa diavolo era quella cosa? Forse.. forse una specie di allucinazione che ho avuto? Sembrava quasi una medusa, una medusa azzurra.. E questo lago.. è per caso lo stesso in cui Harry Potter affronterà la seconda prova nel torneo Tremaghi?
 
Tutte quelle creature pericolose che incontra nuotando.. sono qui sotto.. sotto di me..
 
Sentì il suo sangue raggelarsi dalla paura, tanto che ebbe un sussulto quando sentì la mano di Beverly sul braccio.
 
“Hai visto?” fece entusiasta, indicando il castello.
 
Yvonne fu costretta a guardarlo, e fu anche peggio. Il castello appariva antico e maestoso come lo ricordava e stranamente le fece provare una sensazione di pace e calore, ma fu solo per un attimo. Sentì un flash, come se qualcuno l’avesse momentaneamente accecata per scattare una foto e d’istinto si coprì gli occhi con il braccio. Quando risollevò lo sguardo, fu un altro il castello che vide. Era il castello dell’ultimo film. Della battaglia contro Voldermot. Un castello distrutto, logorato, in fiamme. Se chiudeva gli occhi, riusciva addirittura a sentire in lontananza grida di orrore e sofferenza. Di morte. Se li riapriva, riusciva a vedere i cadaveri di coloro che erano periti. E in mezzo a tutti quei cadaveri, lo sapeva, lo sentiva, c’era anche il suo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Cosa accadde dopo, fu difficile dirlo.
 
Avevano attraversato il lago? Avevano iniziato a camminare e a camminare? Ricordava Hagrid che ad un certo punto era andato via..
 
Tutto quello che Yvonne riusciva a vedere era il castello in fiamme. Tutto quello a cui riusciva a pensare era la sua morte. Sentiva freddo, tanto freddo.. era la paura?
 
Continuava a seguire gli studenti davanti a lei come un essere senza coscienza guidato da qualcosa di superiore, ma sentiva la presenza di Beverly alla sua destra. Alla sua sinistra c’era Andrea.
 
Dopo aver percorso quella che le sembrò la più lunga scalinata della sua vita, vide la McGranitt in cima ad una di esse che li aspettava, e il suo sguardo severo la intimorì al punto da svegliarla.
 
“Benvenuti a Hogwarts.” Il suo tono era stranamente gentile “..dunque, tra qualche minuto varcherete questa soglia e vi unirete ai vostri compagni, ma prima che prendiate posto, verrete smistati nelle vostre case.”
 
Oh sì, vi prego.
Facciamolo.
Così andrò in una casata in cui non c’è mai un cazzo di problema e potrò stare in pace, lontana dai Grifondoro e dai loro drammi. Soprattutto lontano dai protagonisti.
 
“Sono Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Per il tempo che starete qui, la vostra Casa sarà la vostra famiglia. I trionfi che otterrete le faranno guadagnare punti, e ogni violazione delle regole le farà perdere punti.”
 
Yvonne si sforzò di reprimere una risata.
 
Eh già.
I famigerati punti.
Quelli che il trio delle meraviglie perde costantemente per le loro continue violazioni e per il voler fare quello che vogliono, ma tanto non ha nessuna importanza, perché puntualmente ogni anno Grifondoro vincerà sempre grazie a Silente che da preside equo quale è, ogni anno dà 347535783 punti a Grifondoro a cazzum senza ragione alcuna perché sono i più fighi.
 
Già.
 
“Alla fine dell’anno, alla Casa con più punti verrà assegnata la Coppa delle Case—”
 
“Oscar!”
 
Yvonne sentì qualcuno spingerla da una parte per passare. Chiunque fosse, era uscito dall’insieme di studenti per poi chinarsi davanti alla McGranitt come per raccogliere qualcosa. Solo quando lo vide da dietro capì dai capelli chi era.
 
Sentì la sua faccia farsi improvvisamente rossa. Chinò la testa guardandosi i piedi, imbarazzata, sentendosi sudare per paura di farsi notare da Neville. Riusciva a sentire quegli stronzi di Weasley e Potter reprimere una risata e sentì la rabbia crescere, ma non si fece mai tanto grande quanto era il suo imbarazzo.
 
“Mi scusi..” mormorò Neville in tono gentile e imbarazzato.
 
Quando si voltò per tornare insieme agli studenti, Yvonne si girò dall’altra parte, grattandosi le mani nervosamente, aspettando che finisse. Sentì Neville strisciare la sua spalla destra contro la sinistra di lei per passare, ed ebbe un sussulto. Fortunatamente fu un attimo, e nel momento stesso in cui percepì che Neville era tornato al suo posto dietro di lei, ricominciò a respirare normalmente.
 
“La cerimonia dello smistamento inizierà tra pochissimo.” continuò la McGranitt, per poi andarsene da qualche parte.
 
Yvonne non fece in tempo a capire dove fosse andata che sentì una voce alla sua sinistra.
 
“E’ vero allora.. quello che dicevano sul treno. Harry Potter è venuto a Hogwarts.”
 
Sentì tutti gli studenti iniziare a bisbigliare tra loro emozionati. Yvonne sospirò infastidita.
 
Gli volete chiedere un autografo?
 
Persino Beverly e Andrea avevano iniziato a bisbigliare, e quando la prima si rivolse a Yvonne eccitata dall’idea di essere dello stesso anno del maghetto più famoso del mondo, Yvonne sfoderò il sorriso più falso che avesse mai fatto, spalancando gli occhi e annuendo fingendosi contenta quanto lei, mordendosi le labbra per impedire di dire quello che stava realmente pensando.
 
Non era mai stata in grado di mentire, nemmeno con l’espressione del viso, ma fortunatamente quelli erano bambini e per di più erano troppo impegnati a fangirlare su Harry Potter. Nessuno le prestò sufficiente attenzione da capire che stava fingendo.
 
“Loro sono Tiger e Goyle.” Continuò un piccolo Tom Felton, indicando con la testa Panco e Pinco “e io sono Malfoy..” si mise davanti a Harry “Draco Malfoy.”
 
Ron soffiò pesantemente, indicando che stava ridendo ma con la bocca chiusa, e questa volta fu chiaro a tutti, nonostante avesse cercato di reprimerlo.
 
Yvonne ne fu seccata forse anche più di Malfoy, che si voltò immediatamente verso Ron.
 
“Il mio nome ti fa ridere, eh? Non c’è bisogno che ti chieda il tuo. Capelli rossi, una vecchia toga di seconda mano.. Devi essere un Weasley.”
 
Sapeva che in quel momento avrebbe dovuto dispiacersi per Ron, ma tutto quello che Yvonne riusciva a sentire era soddisfazione.
 
Se l’è cercata. Ha cominciato lui.
 
“Scoprirai che alcune famiglie di maghi sono migliori di altre Potter. Non vorrai fare amicizia con le persone sbagliate. Posso aiutarti io.” Fece in tono solenne, porgendo la mano a Harry, il quale guardò la mano e poi di nuovo Malfoy.
 
“So riconoscerle da solo le persone sbagliate, grazie.”
 
Pochi attimi dopo, la McGranitt riapparve, e colpì Malfoy alle spalle un paio di volte con quella che doveva essere una vecchia pergamena. Malfoy guardò la professoressa, poi Harry di nuovo, poi ritornò al suo posto.
 
“Siamo pronti per ricevervi. Seguitemi.”
 
Camminarono ancora, salendo sempre più in alto. Quando le scale finirono, arrivarono davanti ad un enorme e ricamato portone color bronzo, e ai suoi lati c’erano due colonne dall’aspetto antico alla cui cima sorgeva una piccola fiamma, appena sopra a dei gufi che erano raffigurati sulle colonne, quattro per ogni colonna.
 
Quando la McGranitt si avvicinò, il portone si aprì da solo.
 
La Sala Grande era esattamente come Yvonne la ricordava dai film: quattro enormi, lunghissimi tavoli di legno perfettamente apparecchiati con quattro lunghe panche su cui sedevano gli studenti. In fondo, un altro tavolo meno lungo in cui si trovavano gli insegnanti e il preside, anche se ancora troppo lontani perché Yvonne potesse distinguerli: l’unico che riusciva a distinguere era Silente, per via della barba lunga, della grande sedia dorata su cui sedeva e per il fatto che fosse perfettamente centrale.
 
Guardati intorno, brava. Così non ti senti morire per l’imbarazzo di avere tutti quegli studenti che ti guardano.
 
“Il soffitto non è vero..” sentì dire Hermione, guardando le candele sopra le loro teste, alla ragazza accanto a lei, che aveva i capelli scuri “sembra un cielo stellato, ma è una magia. E’ nel libro Storia di Hogwarts. Io l’ho letto.”
 
Incredibile che sia la più simpatica del trio. Non che ci voglia tanto.
 
Quando arrivarono in fondo, la McGranitt salì su una specie di soppalco di legno, e si mise accanto ad uno sgabello sopra il quale si trovava il Cappello Parlante che se ne stava inerme, sembrando ancora, appunto, un normalissimo cappello.
 
“Bene, aspettate qui per favore.” Fece la McGranitt, indicando con la mano in cui teneva la pergamena di non salire “dunque, prima di cominciare, il professor Silente dovrebbe dirvi alcune parole.” Continuò, mentre Silente si stava alzando.
 
“Desidero dare a voi tutti alcuni annunci di inizio anno. Il primo anno prendo nota, l’accesso alla foresta è severamente proibito a tutti gli studenti. Inoltre il nostro guardiano, il signor Gazza,..”
 
Yvonne si voltò indietro e vide in lontananza quel grandissimo pezzo di merda di Walder Frey—ehm Gazza, starsene inquietamente sulla soglia del portone, con vicino il suo micio.
 
“.. mi ha chiesto di rammentarvi che la parte destra del corridoio del terzo piano è zona preclusa, a tutti coloro che non desiderano fare una fine molto dolorosa. Grazie.”
 
Tradotto, vietata a tutti tranne a Harry Potter che tutto può.
 
E poi cosa vuol dire “fine molto dolorosa”? Ma è una minaccia? Ma è una scuola o un lager questo? Io boh.
 
“Quando chiamerò il vostro nome..” riprese la McGranitt aprendo la pergamena “..verrete avanti. Io vi metterò il Cappello Parlante sulla testa..” prese il cappello con l’altra mano “e sarete smistati nelle vostre Case. Hermione Granger!”
 
“Oh no.. coraggio.. sta’ calma.” Sussurrò a sé stessa Hermione, venendo avanti.
 
“E’ matta quella là, te lo dico io.” Mormorò Ron a Harry a bassa voce, ma Yvonne sentì comunque.
 
Com’è possibile che ogni volta che Ron apre bocca mi fa incazzare?!? Come ci riesce?
 
Quando Hermione si sedette e le venne appoggiato il Cappello Parlante sulla testa, quest’ultimo prese vita.
 
“Ah.. molto bene.. mh.. bene.. ci sono.. Grifondoro!”
 
Arrivarono delle esultazioni e applausi dal tavolo dei Grifondoro, e Hermione gli andò incontro sedendosi con loro.
 
“Draco Malfoy.”
 
Il Cappello Parlante non fece in tempo a poggiarsi sulla sua testa che urlò “Serpeverde!”.
 
“Tutte le streghe e i maghi diventati cattivi erano Serpeverde.” Sussurrò Ron a Harry.
 
Cazzo Ron, perché continui ad aprire bocca per sparare una stronzata dopo l’altra?!?
 
Aveva sempre odiato quella frase.
Quel generalizzare tutti i Serpeverde come cattivi, era una delle ragioni per cui non aveva mai particolarmente amato Harry Potter come saga.
 
Tutte le streghe e i maghi diventati cattivi erano Serpeverde, eh?!? Perché non provi a dirlo al tuo cazzo di topo, un Grifondoro, più cattivo di tutti i Serperverde presenti ora.
 
Nemmeno Malfoy si era mai abbassato a generalizzare tutti i Grifondoro, ma per qualche ragione dovrei pensare che lui è il cattivo e Ron il migliore amico che si potesse desiderare.
 
Yvonne fece ricorso a tutta la sua buona volontà per non controbattere a tono: c’erano un paio di studenti tra loro e non era il caso di iniziare una discussione in quel momento. Non si sarebbe beccata una ramanzina dalla McGranitt per colpa di Ronald Weasley.
 
Cosa Hermione trovi in questo tizio è al di là della mia comprensione.
 
Dopo Malfoy, toccò ad una studentessa che venne smistata a Tassorosso. Dopo di lei, venne chiamato Ron che venne prontamente smistato a Grifondoro.
 
Almeno si è levato dai coglioni, e grazie al cielo non dovrò più averci a che fare né sentire le cazzate che gli escono dalla bocca. Mai più.
 
Dopodiché toccò a Harry Potter. Calò il silenzio e tutta l’attenzione si spostò su di lui. Yvonne colse la palla al balzo e ne approfittò per guardare gli insegnanti. Riconobbe molti di loro, ma alcuni le erano sconosciuti. Quando vide Piton, si sentì meno a disagio di quanto avrebbe immaginato.
 
E dopo tutte le manipolazioni mentali di pel di carota, Potter iniziò a implorare al Cappello Parlante di non metterlo a Serpeverde. Yvonne si sentì a disagio per tutti i Serpeverde presenti, e se avesse potuto si sarebbe scusata per ciascuno di loro per l’atteggiamento stupido e superficiale di quella piccola celebrità. Quando finalmente lo misero a Grifondoro, un’esplosione di gioia arrivò dal tavolo della casata, che iniziò ad esultare.
 
Poveri stolti.
 
Dopo Harry, toccò a Neville. E poi a Seamus. E poi a Dean. Grifondoro Grifondoro e Grifondoro. E dopo Dean..
 
“Beverly Sutton.”
 
Beverly afferrò la manica di Yvonne con le dita per qualche fugace secondo, poi si diresse incerta verso lo sgabello. Yvonne ascoltò con attenzione, sperando di finire nella sua stessa Casa.
 
“Ah sì.. sì capisco.. Serpeverde!”
 
Okay, devo ammettere che questa proprio non me l’aspettavo.
 
Si sentirono gli applausi dal tavolo della Casa Serpeverde. Lei sorrise e andò verso di loro e si sedette vicino a Malfoy.
 
“Emmett Davenport.”
 
Il biondino arrogante contro cui aveva sbattuto fuori dal treno e con cui aveva condiviso la barca si fece avanti. Camminava a testa alta, come se si sentisse superiore a chiunque altro, persino agli insegnanti. Anche con lui il Cappello Parlante non ci mise molto a decidere.
 
“Corvonero!”
 
Il tavolo di Corvonero esultò, ma lui non lasciava trasparire nulla dal suo volto.
 
“Andrea Walton.”
 
Andrea poggiò delicatamente una mano sulla spalla di Yvonne, anche se quest’ultima non seppe dire se lo fece per passare o per conforto. Si sedette sullo sgabello con delicatezza e grazia, come una vera principessa delle favole. E ancora una volta, il Cappello Parlante sapeva immediatamente dove sarebbe andata.
 
“Tassorosso!”
 
“Forse non finirò nella stessa casata di Beverly, ma almeno finirò, forse, in quella di Andrea, e lei sembra fantastica. Speriamo bene.” Pensò fra sé Yvonne, mentre guardava la ragazza andare verso il suo tavolo.
 
Poi fu il turno di altri studenti, molti dei quali non conosceva, tranne Hannah Abbott che ovviamente ricordava essere una Tassorosso nella storia, e infatti finì esattamente lì.
 
Alla fine rimasero solo in quattro, lei e altri tre studenti.
 
Ma ovviamente devo essere tra gli ultimi. Quanto deve durare questa sofferenza?
 
Chiamarono uno dei tre rimasti con lei.
 
Forse non mi chiameranno? Forse io non sono in quella lista? Forse si sono sbagliati? Pff tanto la figura di merda la farebbero loro e io potrei andarmene da questo postaccio pieno di squilibrati mentali. Così vinciamo tutti e—
 
“Yvonne Rolland.”
 
Addio per sempre speranza di restare viva.
 
I passi che la dividevano dallo sgabello in cui si sarebbe dovuta sedere sembravano i più lunghi della sua vita, ma in qualche modo riuscì a percorrerli. Notò che la McGranitt le gettò una rapida occhiata ai piedi e quando notò che scarpe aveva, la guardò con disappunto.
 
Fanculo. Tanto tu non sarai il capo della Casa in cui finirò, dato che non finirò mai a Grifondoro. E poi scusa, leggendo il mio nome non si è resa conto che è francese?? Che ci faccio qui?? Non dovrei essere nella scuola di Fleur, che non ricordo assolutamente come si chiama??
 
Si sedette sullo sgabello con estrema lentezza per paura di cadere o di farlo cadere o entrambi, e mise una mano sopra l’altra, aspettando il suo destino. Iniziò a sudare freddo quando si accorse che tutti la stavano guardando, tanto che finì con l’abbassare la testa, guardando il maglione e la gonna grigia dell’uniforme che aveva sotto il mantello, che presto avrebbe avuto i colori della sua Casa.
 
Poi, sentì il Cappello Parlante sulla sua testa.
 
“Mh.. Oh.. Oh.. cosa vedo..”
 
Oh Santissimo Cielo.
 
“Questa è difficile.. molto difficile..”
 
No, non è vero! Non è vero un cazzo! E’ facilissimo. Dì Tassorosso e siamo a posto.
 
“Vedo qualcosa di Tassorosso.. qualcosa di Corvonero.. un pizzico di Serpeverde.. e anche Grifondoro..”
 
Yvonne avrebbe riso se non la stessero guardando tutti, ma senza accorgersene finì con alzare la testa.
 
Senti amico, tu stai fuori. Non ho niente, assolutamente niente, né di Grifondoro né di Serpeverde, quindi mettimi in una delle altre due Case e chiudiamola qui.
 
“Come posso prendere una decisione..”
 
Nessun problema, la prendo io per te. Tassorosso. Abbiamo finito? Posso andare adesso?
 
“Sì.. oh sì.. lo vedo.. Grifondoro!”
 
Ho sentito male.
Ho sicuramente sentito male.
DEVO aver sentito male.
 
E invece no. Si sentirono dei forti applausi dal tavolo dei Grifondoro. Anche Harry, Ron e Hermione stavano applaudendo.
 
La McGranitt sollevò il Cappello Parlante, e Yvonne iniziò a muoversi tremante verso il tavolo dei Grifondoro, in che modo non seppe dirlo, come se le sue gambe si mossero da sole, e mentre si avvicinava, sperava di veder apparire ai suoi piedi un enorme buco nero in cui cadere, piuttosto che dover accettare che sarebbe stata una Grifondoro. Ma non ci fu nessun buco nero.
 
Arrivata al tavolo, la scelta era tra il sedere vicino a Neville o a Dean Thomas. Mai si sarebbe seduta vicino a Neville, per nessuna ragione al mondo, quindi si mise vicina a Dean, ma così facendo si ritrovò Neville davanti.
 
Dio. Dio Santissimo.
Quel Cappello. Quel fottuto Cappello di merda.
 
Harry, Ron e Hermione stavano parlando con qualcuno, ma Yvonne non riusciva a sentire le loro voci. Riusciva a sentire una sola voce, la sua.
 
Sono spacciata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 4 ***


LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 4




 


 
 
 
 
 
Arielle non aveva mai considerato di entrare nella Flotta Stellare: non che fosse qualcosa che escludesse a priori, semplicemente non ci aveva nemmeno pensato.
 
Pensava solo a tornare a casa, ma quella casa sembrava sempre più lontana e irraggiungibile, e se nemmeno Kirk o Spock o McCoy o chiunque altro dell’equipaggio aveva la benché minima idea di come aiutarla, sempre se le avevano creduto, allora le serviva un piano B per sopravvivere da sola. Certamente non avrebbe potuto stare sull’Enterprise per il resto dei suoi giorni a gratis, perché sebbene fosse di piccolissima utilità al momento per la conoscenza base che aveva della serie grazie a Yvonne, c’è anche da tener conto che la serie è lunga solo tre stagioni. Presto sarebbe finita, così come la sua unica utilità in quella grande nuova galassia.
 
Quando Arielle iniziò a considerare seriamente quella strada, fu sorpresa di realizzare che non le sarebbe dispiaciuto affatto: studiare era una delle poche cose che le riusciva bene, e la ragione per cui leggeva tanto nel suo tempo libero era proprio perché voleva apprendere il più possibile di tutto: della natura, della vita, della morte.
 
Ma per quanto leggesse e studiasse, ogni volta che interagiva con il resto del mondo appariva sempre un pesce fuori dall’acqua. Conosceva parole di cui la maggior parte delle persone ignorava addirittura il significato ed era in grado di capire saggi filosofici scritti in alcune lingue straniere, ciò nonostante la sua interazione con le persone all’infuori del suo nucleo famigliare, dei domestici e di Yvonne e Nolwenn era pari a zero. Il risultato è che le rare volte in cui accadeva, non sapeva come comportarsi. Tartagliava qualche parola che messa una dopo l’altra molte volte non aveva senso compiuto, e il suo francese orale era pessimo. Il più delle volte la gente non la capiva e doveva ripetere, sbagliando di nuovo. Tutti pensavano che fosse stupida o più piccola della sua età o più immatura, perché si tende a pensare che una persona adulta che non sa esprimersi correttamente sia ignorante, quando in realtà era esattamente l’opposto, ma non aveva importanza. Questa era l’impressione che dava. L’impressione che aveva dato sempre e che avrebbe dato sempre. Anche in un eventuale esame per entrare nell’Accademia della Flotta Stellare.
 
Ma questo a Kirk non lo disse: appariva così entusiasta di vederla all’Accademia e una volta uscita da lì come ufficiale a bordo di una nave stellare della Federazione, che Arielle non aveva il cuore di dirgli che temeva.. sapeva.. che non ce l’avrebbe fatta, che non si sarebbe mai integrata, che nessuno, guardandola, avrebbe pensato a lei come ad un promettente ufficiale della Flotta.
 
Le organizzò le giornate in modo così preciso che Arielle fu sorpresa che ci fu Kirk dietro e non Spock. Ogni giorno, avrebbe passato del tempo con un ufficiale Capo dell’Enterprise, che aveva il compito di istruirla su tutto quello che c’era da sapere e anche le forme basi di convivenza, considerando che lei era nuova non solo all’ambiente delle navi stellari, ma alla vita stessa che si conduceva in questo universo: come si mangiava, com’erano i letti, come ci si comportava, dove e che fine avevano fatto i soldi, come si ottenevano, come si spendevano, la burocrazia, e tutto il resto. Quello e le sue scarse capacità di interazione segnavano la sua fine ancora prima che avesse un inizio, o almeno questo era quello di cui era fermamente convinta Arielle.
 
Le lezioni con Uhura erano le più semplici. Nyota era disponibilissima e sempre pronta a ripetersi non importa quante volte, e studiare le lingue aliene era qualcosa che ad Arielle interessava sinceramente.
 
Peccato che anche se imparassi il Klingon o qualsiasi altra lingua di qualsiasi specie aliena, nel momento stesso in cui c’è da comunicare, sarei un disastro. Brava nella teoria, terribile nella pratica. Questa sono io.
 
Anche stare con Sulu non era affatto male. Era molto socievole e sorridente, ma essere il timoniere non era affatto facile. Due settimane dopo Arielle aveva iniziato a capirci qualcosa, quando avrebbe già dovuto essere ad un livello nettamente più alto. Tutto quello che Sulu le spiegava era teoria ovviamente, non era ancora pronta a provare a pilotare l’Enterprise.
 
Di questo passo, diventerò vecchia e l’Enterprise verrà messa a riposo prima che riesca a fare un tentativo.
 
Anche le lezioni con Scotty erano tutta teoria. Il primo giorno, quando era andata da lui, lo aveva chiamato “Scotty” senza rendersi conto che era il Capo Ingegnere, e avrebbe dovuto essere più formale, ma lui non parve offendersi. Fece un appena impercettibile sorriso e mormorò qualcosa su come tanto tutti lo chiamassero così, e che tecnicamente Arielle non era un ufficiale dell’Enterprise ma un’ospite, quindi non era tenuta a rivolgersi a lui come se fosse una sua subordinata. Dopodiché fece un discorso su come i motori fossero indispensabili per una nave stellare, e che conoscerli può fare la differenza tra la vita e la morte, e Arielle non poté fare a meno di ammirare quanto amasse il suo lavoro e quanto orgoglioso fosse dei motori dell’Enterprise, come se fossero i suoi figli.
 
La lasciava stare con lui nella Sala Motori, e ogni giorno preparava qualcosa da farle leggere o meglio, studiare, sull’iPad. La prima cosa che lesse era una sorta di introduzione, che spiegava come l’Enterprise, e tutte le altre astronavi della Flotta Stellare di quegli anni, avesse la propulsione di curvatura. A quanto pare il primo prototipo fu realizzato dal Dottore Zefram Cochrane, il cui nome sembrò immediatamente familiare ad Arielle, sentendolo con la voce di Yvonne. Grazie al suo viaggio fuori dalla Terra, si sarebbe verificato il primo contatto con una specie aliena, quella vulcaniana, avvenuto all’incirca negli anni sessanta del ventunesimo secolo. 
 
Non ci sto capendo niente..
 
McCoy appariva a primo impatto severo a causa dei lineamenti del suo viso e dei suoi enormi occhi azzurri vitrei, ma era tutta un’impressione. Era sempre molto gentile con lei, e quando la vedeva incerta le posava le mani sulle spalle come per tranquillizzarla. Sapeva che non era molto paziente per natura, ma ogni volta che l’aveva visto alzare la voce o indispettirsi era contro Spock o qualcun altro, mai contro di lei. Soprattutto Spock.
Contrariamente a Scotty, non le dava niente da leggere. La teoria che le insegnava veniva dalla sua voce, e tra una lezione e l’altra le dava qualche piccolo compito, come prendere un flacone. Arielle aveva iniziato a distinguere i vari strumenti medici, e spesso assisteva il dottore nelle analisi di ruotine ai membri dell’equipaggio, mentre per i casi più delicati e complessi si affidava a Christine Chapel, il che non dispiaceva affatto ad Arielle, dato che non si sentiva affatto pronta.
 
Avere la responsabilità di una vita.. lei non riuscirebbe a gestirla. La pressione.
 
E infine c’era Spock.
 
Spock era il personaggio più amato di Star Trek. Non di quella serie di Star Trek, di tutto Star Trek. Aveva un suo fandom. Una sua cultura.
 
Ma qui non era un personaggio della cultura moderna. Qui era un uomo, metà vulcaniano e metà umano, in carne ed ossa. Qui non era un pezzo di carta, una fotografia o un’immagine piatta dietro uno schermo.
 
Come personaggio di fantasia, tutti amavano Spock. Gli uomini lo volevano come amico, le donne ne erano innamorate. Leonard Nimoy, l’attore che lo aveva interpretato nella serie e di cui aveva le fattezze, non era brutto, ma nemmeno era una tale bellezza esplosiva da spiegare tutti i cuori infranti che si è lasciato dietro il personaggio: era alto e snello, ma i lineamenti del viso erano molto severi e marcati, due strette labbra sottili e due occhi scuri minuscoli. Eppure, era difficile trovare una ragazza che amasse Star Trek, ma che non fosse mai stata infatuata di Spock.
 
Stava tutto nella sua personalità. Spock era buono, coraggioso, straordinariamente intelligente. Logico, ma anche dotato di un’incredibile empatia verso ogni essere vivente, umanoide e non, ed era sempre stato giusto, corretto e imparziale: anche quando una situazione andava a mettere o lui o qualcuno a cui teneva in cattiva luce, non saltava mai alle conclusioni e accettava sempre le conseguenze, anche se avrebbe potuto usare il suo potere di Primo Ufficiale per modificare la situazione.
Tutti questi lati di Spock erano però, nascosti in profondità. Spock era per metà umano in quanto sua madre era un’umana, ma è nato e cresciuto su Vulcano, seguendo le regole vulcaniane per tutta la sua vita, studiando insieme ad altri vulcaniani. Vivendo, nei fatti, da vulcaniano, ed esserlo era qualcosa di più di semplici orecchie a punta.
 
Ma non sempre amare un personaggio in una storia guardandolo attraverso uno schermo significherebbe amarlo anche nella vita reale.
 
Le lezioni con Spock non erano terribili, di più. Il vulcaniano non solo era l’ufficiale scientifico, ma era anche il Primo Ufficiale, quindi spettava a lui avere la funzione di Capitano nel caso Kirk fosse indisposto o non disponibile al momento, il che significava che doveva cavarsela in ogni settore, e per Spock cavarsela significava essere al cento per cento efficiente ad ogni secondo e su ogni argomento.
 
Spock non intendeva accettare risposte o dati “generali”. Tutto doveva essere curato perfettamente, e un piccolo errore di calcolo era inaccettabile.
 
Non era scortese con Arielle, ma nemmeno cortese. Era come la voce di una macchina. Rivelava una serie di informazioni una dopo l’altra, spiegando come in un libro avanzato di testo. Un libro avanzato che Arielle non riusciva a capire, non importa quanto ci provasse. Inoltre, il suo eterno sguardo freddo ed impassibile la metteva enormemente in soggezione.
 
In due settimane, aveva capito poco o niente delle sue lezioni con Spock, e le poche volte che credeva di aver capito come calcolare un dato questo poi non era mai abbastanza preciso per Spock, e quindi diventava solo un’ulteriore sconfitta.
 
Dalla terza settimana, Spock aveva iniziato a tempestarla di domande. Tutte le loro lezioni erano una raffica di quesiti dell’ufficiale a cui Arielle doveva dare una risposta tramite i dati dei computer, che lei ancora non riusciva a decifrare correttamente. Spock era notevolmente bravo a reprimere le emozioni, ma Arielle riusciva a capire quanto lo stesse infastidendo. Quanto stesse fallendo ai suoi occhi. E man mano che i giorni passavano, le cose parevano andare sempre peggio.
 
Il culmine venne raggiunto a metà della quinta settimana, quando davanti all’ennesima risposta sbagliata, Spock non fu più in grado di nascondere la sua insoddisfazione in merito al rendimento di Arielle. Le aveva detto che così non andava, che glielo aveva spiegato già tante volte come fare e che non era ancora riuscita a dargli una risposta soddisfacente, e che con questo tasso di apprendimento non ce l’avrebbe fatta ad affrontare l’Accademia della Flotta Stellare e che se fosse stata un’ufficiale al servizio di una nave stellare in quel momento le sue risposte sbagliate avrebbero potuto significare la perdita di alcune vite e un provvedimento disciplinare.
 
Arielle sapeva che Spock non aveva detto altro che la verità, ma sentiva la rabbia e al tempo stesso la frustrazione crescergli dentro. In un attimo, vide davanti a sé tutti quei lunghissimi interminabili giorni passati con Spock, lei che si sforzava e che sbagliava. Lui che non mancava di farglielo notare. Il tutto davanti a vari membri dell’equipaggio, perché non potevano mai restare da soli in plancia naturalmente, la nave doveva essere pur controllata in qualche modo: Arielle aveva sempre le sue lezioni con Spock al turno di notte, sfruttando la mancanza di pericolo e lo scarso bisogno del vulcaniano di dormire, eppure qualcuno c’era sempre anche se di meno. Quel giorno c’erano altri tre membri dell’equipaggio, e il tenente Uhura. Arielle riusciva a sentire i loro occhi su di lei.
 
Che vergogna.
Mi stanno guardando tutti.
Pensano che sono un’incapace.
Sono un’incapace.
 
“Sto facendo del mio meglio.” Sussurrò appena cercando di controllarsi, ma dal suo tono era ben chiaro che era sul punto di scoppiare. A piangere? A urlare? Ad avere una crisi di panico? Non lo sapeva. Sapeva solo che stava per scoppiare.
 
Ma Spock parve non notarlo. O non gli importava. Ma a Uhura sì.
 
Si alzò e fece qualche passo proprio mentre Spock stava per rispondere, indubbiamente qualcosa tipo “se questo è il massimo che riesci a fare, allora è inutile che continuiamo”.
 
“Forse è il caso di fare una pausa. Che ne dici, Arielle?” propose gentilmente Uhura, mettendole una mano sulla spalla.
 
“La nostra prelezione finirà tra quarantadue minuti e ventisette secondi, tenente Uhura, esattamente come è stato prestabilito in precedenza.”
 
“Signor Spock..” tentò lei.
 
“Se siamo di disturbo al suo lavoro, ci sposteremo altro—”
 
“Non è questo il punto. Ha bisogno di una pausa.”
 
“La prelezione è appena iniziata e fare delle sospensioni rallenterebbe drasticamente il suo apprendimento, il quale è già estremamente lento.”
 
Quella fu l’ultima goccia.
Spock era logico e razionale, e Arielle era sempre stata molto emotiva e aveva sempre avuto difficoltà a contenere le sue emozioni.
Era inevitabile che succedesse prima o poi.
 
“Allora possiamo finirla qui.” Fece Arielle, sull’orlo delle lacrime.
 
Spock la guardò sorpreso, mentre Nyota appariva invece preoccupata. Gli altri membri dell’equipaggio presenti distolsero lo sguardo e tornarono al loro lavoro.
 
“Signorina Marchand, non è sufficiente avere la conoscenza per entrare all’Accademia della Flotta Stellare. Occorre anche disciplina e avere la forza di alzarsi dopo una caduta e non di lasciarsi andare ad inutili dimostrazioni emotive alla prima difficoltà.” Disse freddamente Spock, e anche se il suo discorso avrebbe dovuto apparire motivatorio, il suo tono lo rese più come una ramanzina.
 
“Allora com..” fece una pausa “..mi dica..” una seconda pausa, respirò a fondo e continuò “.. non faccia finta di vedere delle potenzialità in me. Lo so che lo sta facendo solo perché gliel’ha chiesto il capitano e che lo ritiene una perdita di tempo.”
 
“Non ho mai detto questo. E lei non mi conosce al punto da sapere cosa penso.”
 
“Forse no. Ma so quello che ha detto. Quello che dice tutto il tempo. E cioè che non ho speranze all’Accademia.”
 
“Quello che ho detto è che la Flotta Stellare ha standard che lei è ben lontana da raggiungere, e che non raggiungerà se la sua linea di pensiero è questa.” Spock stava per riaprire la bocca per aggiungere qualcosa, ma la richiuse senza dire nulla.
 
Voleva controbattere tante cose, che era stanca, che ci stava provando, che si sentiva sola, voleva ricordargli che aveva visto un computer di un’astronave stellare per la prima volta due mesi prima, che era in una galassia sconosciuta, ma la rabbia era tale che dimenticò che nei fatti Spock era empatico, tutto quello che riusciva a vedere era un uomo che la giudicava e la denigrava. Ovviamente Spock non aveva fatto realmente tutto questo era semplicemente stato un po’ severo, era la sua natura, ma Arielle era particolarmente sensibile e la pressione che aveva addosso a causa di tutto quello che aveva passato era troppa, ed esplose.
 
Le lacrime uscirono a dirotto e ogni tentativo di trattenerle fu vano, tanto che arrivarono anche i singhiozzi.
 
Spock fece per dire qualcosa, e forse disse effettivamente qualcosa, ma Arielle non riuscì a sentirlo. Non voleva sentirlo. Corse verso l’ascensore senza guardare né lui né Nyota né chiunque altro presente e si precipitò nel suo alloggio.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
Non seppe dire quanto a lungo ci rimase.
 
Non aveva cognizione del tempo che passava.
 
Aveva passato tutto il tempo nell’angolo più remoto della stanza, stringendosi le gambe piegate con le braccia. Pianse fino a quando non aveva più lacrime, e anche dopo non si mosse. Rimase nel suo angolino, con gli occhi non più umidi e bagnati ma ancora tristi e sconfitti. Sconfitti come si sentiva lei.
 
Come ogni volta che aveva una forte reazione emotiva e piangeva in seguito a qualcosa di negativo, se ne vergognò enormemente, rendendosi conto a mente lucida che quello che era successo non giustificava un pianto. Non il pianto di una donna adulta tra i venti e i trent’anni.
 
Cosa mi è preso? Perché mi sono comportata così?
Spock ha ragione.
Spock ha ragione su tutto.
Ogni cosa che ha detto è giusta, io non.. non ho il carattere giusto per la Flotta Stellare. Non sono coraggiosa. Non sono forte. Io sono.. sono quella che piange. Che deve essere sempre salvata dagli altri. Che viene aiutata, ma che non aiuta. Che fallisce. Io non.. non combinerò mai niente da sola nella mia vita. Perché.. perché sono così fragile? Perché sono così infantile? Perché sono così sensibile?
 
I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore. Per un momento pensò fosse qualcuno che aveva chiesto di entrare nel suo alloggio, ma in realtà era un messaggio dalla plancia.
 
“Attenzione, è il capitano che parla..” la voce di Jim sembrava piuttosto sottotono, Arielle riusciva a sentirlo “.. abbiamo un impostore a bordo. Un uomo che sembra e si comporta come me. E’ pericoloso. Sarà necessaria la massima prudenza. Tutti i membri dell’equipaggio dovranno essere armati, l’impostore potrà essere identificato da alcuni graffi sulla sua faccia. Ripeto: l’impostore può essere riconosciuto da alcuni graffi sulla sua faccia. Tutti gli ufficiali si impegneranno nella ricerca. Le squadre operative verranno coordinate personalmente dal signor Spock.”
 
Nel sentire nominare Spock, Arielle tremò per un secondo, ripensando a quello che era successo tra loro.
 
“Tutte le armi dovranno essere rigorosamente tenute in modo da stordirlo. L’impostore non deve essere ucciso, e ove possibile incolume. L’impostore non dovrà essere ferito.”
 
Quando il messaggio venne interrotto, Arielle sollevò la testa che aveva tenuto poggiata sulle braccia fino a quel momento. Questa volta, non le ci volle molto per capire in quale episodio fossero.
 
Si alzò e andò verso la porta intenzionata a raccontare tutto quello che ricordava per aiutarli, ma poi realizzò che avrebbe visto Spock. E non era pronta per vedere Spock.
 
Nella serie se la caveranno comunque. Se la caveranno anche senza il mio aiuto, questa volta.
 
Arielle sentì una parte sé sentirsi soddisfatta al pensiero di poterli aiutare, ma di non farlo, come se la sua assenza li avrebbe portati ad apprezzarla maggiormente in futuro. Fu talmente disgustata da sé stessa per averlo pensato che guardò il pavimento e iniziò a camminare avanti e indietro per il suo alloggio, come se si stesse autopunendo.
 
Ma cosa mi prende? Perché l’ho pensato?
Perché ho anche solo per un secondo considerato a non aiutarli apposta? “Per farmi apprezzare di più?”.
 
Mi hanno sempre trattata bene. Non ero nessuno e ho raccontato loro la storia più assurda di sempre, eppure mi hanno accolta. Mi hanno dato dei vestiti. Un alloggio. Un tetto sulla testa. Mi hanno trattato bene. Mi hanno rispettata, molto più di quanto mi abbia mai rispettato la mia famiglia, probabilmente.
 
Jim, Bones, Scotty, Nyota, Sulu.. erano sempre stati così gentili con lei, così pazienti, così disponibili. E nonostante quanto avvenuto con Spock, sapeva che anche lui era una brava persona. Ma lei no. Non lo era.
 
“Sì che lo sei.”
 
Arielle iniziò a guardarsi intorno all’improvviso, alla ricerca di quella voce. Era una voce sottile e lenta, e anche.. viscida in un certo senso? Eppure non c’era nessuno nella stanza.
 
“E’ inutile che mi cerchi. Non mi troverai. Non sei ancora pronta.”
 
Sono impazzita. O sono impazzita o sto impazzendo.
Ora anche le voci inizio a sentire.
 
“Chi sei?”
 
“Non puoi capire cosa sono io..” fece una pausa estremamente lunga “.. se ancora non sai chi sei tu.”
 
“Io so chi sono!” fece Arielle sforzandosi di apparire sicura di sé, ma risultava solo spaventata.
 
“No, non ancora.. ma sai cosa sta accadendo là fuori, non è vero?”
 
Arielle non aveva nessuna intenzione di dirlo ad alta voce, ma inconsciamente ci pensò.
 
Siamo nell’episodio in cui Jim in seguito ad un guasto al teletrasporto è stato diviso. Ora ci sono due Jim Kirk sull’astronave. Uno è quello “buono”. Quello empatico, sensibile, gentile. Il secondo è quello “cattivo”. Arrogante, forte, incontrollabile. Sebbene il primo sia quello “positivo”, non riesce a svolgere in maniera ottimale il ruolo di capitano. Non ha la stessa determinazione, lo stesso carattere, la stessa audacia. E’ incerto, e teme per ogni decisione che deve prendere. Questo perché quel lato del suo carattere è finito nel secondo. L’arroganza, la determinazione, la forza. Sebbene al suo estremo lo rendono malvagio, controllandosi quella era esattamente la parte del suo carattere che lo rendeva un ottimo capitano e un eccellente comandante.
 
“Esattamente.” Mormorò la voce.
 
Ma cosa—
Non ho- non ho detto niente.
L’ho solo pensato!
Riesce a leggermi la mente?!?
 
“Ricordi come risolveranno tutto, non è vero? Eri pronta ad uscire per andare da loro a comunicarlo, quindi lo sai.”
 
Qualunque creatura fosse quella con cui stava comunicando, era in grado di leggerle nella mente, questo Arielle lo sapeva, eppure non poté fare a meno di pensare nuovamente alla risposta.
 
Il Jim sensibile e buono finisce con il dare conforto e coraggio al Jim malvagio e determinato in un momento in cui aveva paura. Ritornano alla sala teletrasporto e, tenendo stretto a sé la sua copia malvagia, il Jim buono si mette in posizione e in seguito riescono a tornare uno solo.
 
“Bene e male esistono in qualunque uomo. Esistono entrambi in James Tiberius Kirk, e lui è oggi l’uomo che conosci perché è in grado di trarre il meglio da entrambi. Lui non è scappato dal suo lato oscuro. Lo ha consolato. Abbracciato. Stretto a sé. Devi imparare a fare lo stesso, se vuoi arrivare a scoprire chi sei davvero.”
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** C'era una Volta - Capitolo 5 ***


C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 5








 
 
 
 
 


Erano passate quasi due settimane da quando Nolwenn aveva iniziato a vivere nel capanno, e sebbene fosse stato difficile abituarsi all’inizio, le cose stavano lentamente migliorando.
 
La sua salute mentale era nettamente migliorata, questo era certo. Non aveva avuto più crisi né attacchi di panico, e quella costante ansia che l’aveva accompagnata a lungo dovuta alla paura di morire da sola nel mezzo del nulla stava a poco a poco svanendo, come un raffreddore che una volta superati i giorni peggiori, iniziava a farsi sempre meno fastidioso fino a scomparire del tutto, ma il suo miglioramento psicologico e mentale era direttamente proporzionale al suo peggioramento sul piano fisico.
 
L’ultima volta che si era lavata e che era andata di corpo, era ancora nel suo mondo, il che sembrava essere un’eternità fa. Probabilmente non aveva sentito prima l’esigenza di farlo perché mentalmente era troppo preoccupata e ansiosa, ma ora che stava cominciando a stare meglio dentro, si rendeva conto di quanto si sentisse distrutta e sporca fuori.
 
Si sentiva gonfia, e la puzza che emanava era così tanta che le rendeva impossibile addormentarsi. I suoi capelli erano un disastro: pieni di nodi, sempre più lunghi e così unti che a confronto quelli di Severus Piton erano secchi come la sabbia. In più era chiaro come il Sole che Edmond non si fidasse ancora di lei né che avesse migliorato l’opinione che aveva sul suo conto, per cui la faceva ammazzare di lavoro dalla mattina alla sera con qualche piccola breve pausa in cambio di una pagnotta e un posto nel capanno per dormire, così il suo corpo non era solo sporco, ma anche a pezzi: persino alzare le braccia verso l’alto era diventato faticoso, e a mala pena sentiva le gambe. Le unghie ormai non le vedeva più: erano così nere e sporche che sembrava impossibile ripulirle.  
 
Ma arrivò ad un punto in cui non ce la faceva più.
 
Approfittando di un giorno in cui Edmond non c’era, decise di affrontare l’argomento con Mathieu, che era rimasto a casa con lei mentre il padre era uscito per delle commissioni.
 
“Perché non fai una pausa? Lo vedo che sei stanca. Non dirò nulla a mio padre.”
 
Che amore.
 
“In verità.. c’è una cosa che dovrei chiederti.”
 
Edmond le metteva ancora parecchia soggezione, e sembrava che con lui qualunque cosa facesse, sbagliasse. Stava in silenzio mentre lavorava? Non era contento. Provava a fare conversazione mentre lavorava? Non era contento. Si offriva di aiutare per qualcosa? Non era contento. Faceva solo quanto le veniva chiesto? Non era contento. Quell’uomo era un vero e proprio enigma che Nolwenn era ancora curiosa di decifrare, ma non era affatto facile. Sembrava sempre perennemente arrabbiato o infelice.
 
“Cosa?”
 
“Io ecco.. dovrei..”
 
Come posso dire?
Cagare? Andare di corpo? Defecare?
“Fare i miei bisogni.”
 
Ma che cazzo.
Perché ho detto così?
Bisogni?? Che sono un cane? Cielo, fortuna che Edmond non è qui.
 
Mathieu sorrise e aprì una delle porte, quella che solitamente restava sempre chiusa. Nolwenn si sporse e vide la stanza più piccola che avesse mai visto: c’era a mala pena lo spazio per entrare, e tutto quello che si trovava al proprio interno era una minuscola trave di legno che sembrava una panchina, con un grosso buco al centro. Sotto il buco c’era un secchio di legno che puzzava di merda, letteralmente.
 
Quando Nolwenn entrò, Mathieu uscì e chiuse la porta, lasciandole un po’ di privacy. La ragazza inspirò e si sedette.
 
Ma che.. cosa??
E’ così scomodo, come fa qualcuno a cagare in questo modo?!?
 
Sentiva qualcosa di appuntito che premeva contro il suo sedere, probabilmente schegge di legno che si stavano staccando dalla trave. Iniziò a muovere leggermente il suo didietro per trovare una posizione più comoda, ma non c’era molto da fare. Passò cinque minuti di agonia, ma alla fine ce la fece. Quando si alzò, si sentì come se si fosse liberata di un fardello enorme.
 
Non sapeva ancora che lavarsi sarebbe stato ancora più difficile.
 
Quel giorno fu il contrario di quando andò di corpo. Era Mathieu che non c’era, mentre Edmond era da solo in casa con lei.
 
Voleva resistere, aspettare che tornasse Mathieu o di rimanere da sola con lui, ma la puzza era diventata intollerabile persino per lei. Riusciva a sentire i peli sotto le ascelle che erano cresciuti e che insieme al sudore delle fatiche fisiche producevano un tale odore che doveva essere tossico.
 
Non aveva scelta. Doveva chiedere a Edmond, il quale non la stava degnando di uno sguardo. Era seduto su una sedia a lavorare il legno, costruendo delle casse in cui poter mettere le sue mele in modo tale da venderle.
 
“Dov’è Mathieu?” gli chiese con nonchalance.
 
“A prendere l’acqua. Speriamo che torni con soltanto quella, e non con una vagabonda come l’ultima volta.”
 
Ah. Ah. Che ridere.
 
Quando Nolwenn si avvicinò lentamente a lui dopo aver smesso di spazzare fece scricchiolare il legno del pavimento, e Edmond alzò lo sguardo puntandole contro due piccoli occhi sospettosi.
 
“Sì?” chiese, mentre la fissava come se pensasse che volesse imbrogliarlo.
 
“Io ecco.. dovrei lavarmi..”
 
“Si, dovresti.” Sbottò lui ancora prima che lei continuasse, indicandola con la testa.
 
Nolwenn lo ignorò. Le lanciava talmente tante frecciatine che aveva perso il conto.
 
“Io non.. non so come vi lavate da queste parti.. Avete una vasca per caso..? Dove?”
 
Perché sicuramente non è in bagno.
 
“Ma certamente..” fece in tono stranamente gentile lui, alzandosi e inclinando la testa come quando si parla con un bambino piccolo “e ditemi, la vasca la preferite fatta d’oro o di diamanti, vostra altezza?”
 
Nolwenn corrugò la fronte.
 
Ecco perché ha usato quel tono strano. Non era gentile. Era sarcastico. Ma ce la fa a rispondermi normalmente ad una domanda? Una volta!
 
“Ma dove pensi di essere, in un castello?!? Sai quanto costa?? Perché dovrei spendere fior di quattrini che non ho per qualcosa che si può fare anche senza?”
 
Nolwenn stava per chiedere come si potesse fare senza, ma lui la anticipò.
 
“C’è un lago a quindici minuti a piedi da qui. Uscendo e inoltrandoti nel bosco vai dritto per una decina di minuti, fino a quando non arriverai ad una grossa quercia. Poi giri a destra e andando sempre dritto te lo ritroverai davanti.”
 
Ma.. ma..
Un.. un lago..
Non può essere serio..
Ma ci sono gli animali in un lago! Pesci, e chissà che altro! E alghe.. e.. tante altre cose di cui non voglio sapere niente!
Come.. come può pensare che possa entrarci nuda?? In un luogo pubblico poi.. e se mi vede qualcuno?
 
Edmond si accorse che se ne stava immobile come in una sorta di trance.
 
“Beh? Il pavimento non si spazza da solo.” Disse, per poi darle le spalle e continuare la sua costruzione di casse di legno.
 
“Io devo lavarmi.”
 
Edmond sospirò.
 
“Sarai libera di lavarti quanto vuoi, una volta che avrai finito di lavorare.” Disse in tono seccato, senza neanche degnarsi di guardarla.
 
“Vuoi dire a notte fonda?”
 
Lui non rispose. E quella fu comunque una risposta, dopotutto.
 
“Non intendo addentrarmi in un bosco che non conosco seguendo una strada che non ho mai preso per fare il bagno in un lago senza sapere cosa c’è al suo interno a notte fonda.”
 
Nolwenn era sempre stata un’avventurosa. Tra lei, Yvonne e Arielle era lei a fare le cose più adrenaliniche, assurde, improbabili, coraggiose. Ma questo? Questo era troppo. C’é una sottile linea tra temerarietà e stupidità, e lei non intendeva superarla.
 
“Intendi tenerti la tua puzza, dunque.” Fece in tono indifferente lui, continuando a non guardarla.
 
“E se un maniaco tentasse di stuprarmi?”
 
“Nessuno tenterà di stuprarti.” Fece lui in tono denigratorio, come se quella non fosse nemmeno un’opzione plausibile.
 
Nolwenn posò la scopa al muro e si diresse verso l’uscita.
 
“Dove pensi di andare?” chiese lui, girandosi a guardarla, finalmente.
 
“A lavarmi.”
 
“Dopo che avrai finito il tuo lavoro.”
 
“Non ci arrivo a stanotte, ho bisogno di lavarmi adesso. E tu ed io sappiamo che farlo in piena notte ha i suoi rischi, che io non voglio correre..” fece una pausa, poi continuò “.. per favore. Ho fatto tutto quello che mi hai chiesto. Sono stanca e puzzo da far schifo. Vienimi incontro.”
 
Edmond non rispose, ma Nolwenn vide nei suoi occhi tolleranza e.. un pizzico di comprensione? La ragazza non intendeva dargli tempo di cambiare idea. Schizzò dalla casa veloce come un fulmine.
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
Nolwenn aveva un ottimo senso d’orientamento, ma una pessima memoria quando si trattava di indicazioni: ebbe fortuna all’inizio del tragitto e arrivò facilmente alla quercia di cui aveva parlato Edmond, ma si era già dimenticata dove avrebbe dovuto girare una volta raggiunta.
 
C’erano tre possibilità: ancora dritto, destra o sinistra.
 
Era quasi certa che non fosse dritto, questo le sembrava di ricordarlo, ma i risultati degli sforzi alla sua memoria erano finiti lì.
 
Posso provare in una direzione e se non trovo niente torno indietro e percorro l’altra.. dalla quercia il tragitto al lago era breve, giusto?
Ma era già tanto se Edmond l’aveva lasciata andare. Non poteva perdere troppo tempo. Se ci avesse messo molto a tornare, non l’avrebbe più lasciata uscire prima di notte, questo era poco ma sicuro.. oppure l’avrebbe fatta uscire, ma per sempre, e lei si sarebbe trovata come era all’inizio: senza cibo, senza sicurezza e senza un tetto.
 
In quel momento, sentì qualcosa, qualcosa di peloso per la precisione, strusciarsi contro la sua gamba destra. Abbassò lo sguardo di colpo.
 
“Tu.”
 
Era lei.
O lui.
 
Quella volpe rossa che le aveva dato tutti quei problemi.
 
Potrebbe anche essere una comunissima altra volpe e non la stessa che ho già visto, ma andiamo.. quante probabilità ci sono che incontri due diversi esemplari di volpi rosse in così poco tempo?!?
 
Gli enormi occhi marroni della volpe la scrutarono intensamente come ad ogni loro incontro, quasi fosse una sorta di rituale tra loro. Poi iniziò a correre verso destra. Nolwenn la seguì.
 
Il viaggio non durò a lungo. Dopo poco tempo la volpe si fermò, e solo quando accadde, Nolwenn si rese conto che davanti a lei sorgeva un grande e limpido lago. L’aveva trovato.
 
O la volpe l’ha trovato.
 
Abbassò lo sguardo alla ricerca dell’animale, ma non lo trovò. Era.. sparito. Di nuovo.
 
Chi sei.. e cosa vuoi da me?
Sei il mio spirito guida? Il mio custode?
Oppure mi stai portando verso un futuro nero e tenebroso?
Dove mi stai conducendo.. cosa mi stai mostrando..
La via per tornare a casa.. o la via per la mia fine?
 
Ma non aveva importanza adesso: l’animale era sparito e vedere l’acqua così vicina procurò al suo corpo una strana sensazione piacevole.
 
Guardò in ogni possibile direzione. Guardò avanti, indietro, a destra e sinistra. Guardò più lontano le fosse possibile vedere. Guardò tra gli alberi che circondavano il lago e popolavano la foresta. Non c’era nessuno. Nessuno all’orizzonte.
 
Al diavolo.
Ho bisogno di lavarmi.
E se qualcuno dovesse vedermi.. beh non sarà la fine del mondo.
E’ il mio corpo, questa sono io e non sto facendo niente di male.
Non ho nulla di cui vergognarmi.
 
Iniziò a togliersi frettolosamente i vestiti. Il sopra, poi i jeans. I calzini che erano letteralmente impregnati di sudore, le scarpe da ginnastica ormai logorate e distrutte. Mutande e reggiseno. Quando fu completamente nuda chiuse gli occhi e inspirò, sentendo un leggero e piacevole venticello alle sue spalle che le scompigliava i capelli. Riaprì gli occhi, e si diresse verso l’acqua.
 
La prima parte del suo corpo a bagnarsi fu il piede destro, e subito la sensazione fu così piacevole e gratificante che era difficile pensare che fosse soltanto acqua nel suo corpo, e nulla di più. Poi toccò al piede sinistro, e man mano che avanzava l’acqua bagnava sempre di più la sua pelle, fino a quando l’unica parte fuori dall’acqua era la sua testa, che di tanto in tanto immergeva sott’acqua per dare anche ai capelli una sorta di sollievo. Fu così gradevole lavarsi che si dimenticò completamente sia degli animali sott’acqua sia della possibilità di essere vista da qualcuno fare il bagno nuda.
 
Perse il senso del tempo, e solo quando sentì i polpastrelli delle dita assorbire l’acqua, capì che era bagnata da davvero troppo tempo e si decise ad uscire. Prima di rivestirsi, lavò anche i suoi vestiti, e quando se li rimise ancora bagnati fu come tornare in acqua.
 
Si sdraiò nell’erba con il sorriso sulle labbra e sognò.
 
Sognò di nuovo quella bambina. Sua figlia.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
“Mamma!”
 
Le venne incontro, ma si fermò prima di raggiungerla. Nolwenn allungò le braccia per poterla toccare, ma non era abbastanza vicina. La bambina era in piedi davanti a lei, mentre Nolwenn era seduta. Avrebbe potuto alzarsi, ma preferì non farlo: in questo modo potevano guardarsi negli occhi essendo alla stessa altezza.
 
“Dimmi, ti prego.”
 
“Che cosa?”
 
“L’ultima volta.. l’ultima volta sei sparita prima di dirmi di più. Io.. io devo sapere..”
 
“Lo saprai. Non avere fretta. Il tuo viaggio è ancora all’inizio. E non sei ancora pronta a ricevere le risposte che cerchi.”
 
Ad ogni risposta della bambina, Nolwenn era sempre più angosciata.
Perché diceva che non era pronta?
Cosa doveva fare per poter essere pronta?
 
“Io non..” Nolwenn respirò a fondo, non era mai stata così tesa in un sogno “.. io voglio aiutarti, davvero. Lo voglio. Ma non penso di poterlo fare. Vedo.. sento che mi stai dicendo qualcosa di molto importante, ma non riesco a capire cosa. Come posso salvare il tuo mondo, se a mala pena riesco a salvare me stessa??”
 
Una parte di Nolwenn pensò di dire alla bambina a cosa si stava riferendo, tutto quello che aveva passato. Tutti i pericoli, le disavventure. Le fatiche. I pochi alti e i molti bassi. Ma qualcosa.. qualcosa dentro di lei le faceva credere che non ce n’era bisogno. Che quella bambina sapesse già tutto quanto, come un angelo custode che la stava osservando dall’alto.
 
“Tutti cadiamo prima o poi mamma, nessuno escluso. Quello che conta è come ci rialziamo.”
 
La voce, l’espressione e l’aspetto era ancora quello di una bambina, eppure le sue parole erano troppo enigmatiche e mature per venir pensate da una ragazzina così piccola, ma a Nolwenn non importava. Quello era un sogno dopotutto, e i sogni hanno sempre qualcosa di folle e fuori dal normale, eppure.. sentiva di provare un forte attaccamento per quella bambina, come se davvero fosse sua figlia. Una parte di lei capì che se non si fosse rivelata tale, ne sarebbe stata molto dispiaciuta e delusa.
 
“Farò il possibile.” Mormorò infine Nolwenn, dopo un lungo silenzio.
 
“Lo so.”
 
Il tempo stava per scadere, come l’altra volta. Nolwenn riusciva a sentirlo. Lo sfondo bianco intorno a loro stava già iniziando a scomparire e presto sarebbe tornata alla realtà, e chissà quando l’avrebbe rivista.
 
A questo punto aveva capito che se avesse insistito riguardo a cosa dovesse fare e il suo destino, non avrebbe ottenuto nessuna risposta, quindi occorreva usare quel poco tempo rimasto per provare ad ottenere un altro tipo di risposta.
 
“Tuo padre..” Nolwenn bisbigliò, come se parte di lei temesse quanto avrebbe sentito “.. dimmi di più su di lui. Se proprio non puoi dirmi nulla sulla strada che devo intraprendere, dimmi qualcosa di lui. Come farò a riconoscerlo?”
 
Era quella la sua paura più grande.
Non riconoscerlo.
 
Né Yvonne né Arielle avevano mai avuto una relazione, la prima per scelta e la seconda perché non si è mai presentata l’occasione, ma Nolwenn sì. Aveva avuto qualche storia, alcune erano storie importanti, altre avventure.
 
Se con quest’uomo avrebbe avuto una figlia, significava che doveva essere importante, diamine, forse il più importante della sua vita. E lei non poteva permettere che gli sfuggisse tra le dita perché si era sbagliata o perché non era stata in grado di riconoscerlo una volta incontrato.
 
“Capirai chi è, quando verrà il momento. Non temere, quando quel momento arriverà.. non avrai dubbio alcuno.”
 
“Qual è il suo nome? Come lo incontrerò? Avverrà presto? E’ un principe? Com’è lui? Timido o estroverso? Sicuro o impacciato?”
 
La bambina scostò lo sguardo, come se stesse leggendo in una lavagna invisibile dietro Nolwenn la risposta a quelle domande.
 
“Non mi è dato saperlo. Ma riesco a vedere parte del vostro viaggio. Vedo..” una pausa “..un taglio, un luogo lontano e oscuro..” un’altra pausa “.. un albero, una rottura, un castello.”
 
Un castello? E’ un principe quindi??
 
“Cosa.. cosa significa..?”
 
“Tutto comincerà con un taglio, e il vostro amore sarà così splendente da brillare anche nel luogo più lontano e oscuro, sbocciando tra un albero e un luogo già visto e al contempo nuovo. Vedo i vostri cuori spezzarsi l’uno per l’altra ad una rottura, tanto dolorosa quando piena di felicità sarà il vostro ricongiungimento. E vedo il vostro futuro in un castello, insieme a me.”
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 5 ***


QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 5
 
 
 
 
 
 


Yvonne affogò nel cibo tutta la sua disperazione.
 
Non appena era apparso sul tavolo con tanto di posate e piatti, aveva iniziato a prendere un po’ di tutto senza neanche stare a guardare bene cosa metteva nel piatto, e questo la fece preoccupare ancora di più: era sempre stata pignola e schizzinosa riguardo al cibo e di rado provava qualcosa di nuovo. Se andava in un ristorante nuovo in cui le portate venivano scelte in precedenza da altri, finiva quasi sempre per non toccare nulla, e a cena conclusa il suo piatto sembrava appena uscito dalla lavastoviglie e fin da bambina, quando un’amica la invitava a cenare da lei, cercava sempre delle scuse per rifiutare, come se sapesse già che non le sarebbe piaciuto nulla, ma non voleva apparire scortese. Ma ora aveva ben altri problemi.
 
Pollo. Patate. Uva. Ingoiava un alimento dopo l’altro con la testa china sul piatto, perché alzandola avrebbe dovuto affrontare la realtà, quella realtà che ancora non si sentiva di accettare del tutto: che era a Hogwarts, circondata da personaggi da cui voleva stare alla larga. L’illusione di essere altrove rimase con lei per qualche momento, per poi disintegrarsi del tutto quando le riconoscibilissime voci di quei suddetti personaggi iniziarono ad essere troppe per poterle ignorare.
 
Sentiva Fred e George parlare tra loro, probabilmente di uno scherzo che stavano mettendo in atto, poi Seamus che diceva qualcosa sui suoi genitori e infine anche lui.. Harry Potter.
 
“Dimmi Percy, chi è che parla con il professor Raptor?”
 
“Ah è il professor Piton. Il Capo della Casa Serpeverde.”
 
“Cosa insegna?”
 
“Pozioni. Ma tutti sanno che ha un debole per le Arti Oscure, sono anni che aspira al posto di Raptor.”
 
E continuerà ad aspettare. Per ancora un po’ di tempo, ma abbastanza da vedere altri, più imbecilli e psicopatici di lui tranne uno, forse, arrivarci prima di lui.
 
Poi arrivarono i fantasmi. Nicholas Quasi Senza Testa era sbucato dal tavolo dei Grifondoro, e Yvonne per poco non gli vomitò addosso quello che stava mangiando, anche se in quel caso essendo un fantasma il vomito lo avrebbe attraversato e poi avrebbe raggiunto qualcos’altro.. o qualcun altro. Fortunatamente Yvonne ricordava quella scena dal film, così almeno quella figuraccia poté risparmiarsela, ma le passò comunque la fame.
 
Portò il busto e il viso più lontano possibile dal tavolo come per paura di altri improvvisi spaventi, tanto che quasi cadde all’indietro. Afferrò il tavolo con le dita, e iniziò a muovere impercettibilmente il suo didietro: non era abituata né a quel lungo mantello né alla gonna, e trovare una posizione comoda sembrava impossibile.
 
Vide Beverly in lontananza seduta al tavolo dei Serpeverde, proprio accanto a Malfoy. Quando anche lei la vide, sorrise e la salutò amichevolmente con la mano, con tanta foga che riuscì a strappare a Yvonne il primo sorriso da quando era stata smistata a Grifondoro. Malfoy si accorse della loro interazione e guardò Yvonne negli occhi con un’espressione raggelante. Yvonne chinò la testa imbarazzata, non per lo sguardo di Malfoy, ma perché l’aveva fissata talmente a lungo che ormai l’aveva notata. Era il primo personaggio del mondo di Harry Potter ad averla davvero notata, e lei non sapeva se esserne contenta o spaventata.
 
Non seppe dire quanto tempo passò, ma ad un certo punto la Sala Grande iniziò a svuotarsi. Lei e tutti gli altri studenti del primo anno smistati a Grifondoro iniziarono a seguire Percy, che li avrebbe condotti nella Sala Comune. Passarono per larghi corridoi e le famose scale che si muovevano. Tutti gli altri a bocca aperta davanti al paesaggio intorno a loro, ma Yvonne era troppo spaventata dai soggetti dei quadri che si muovevano e la guardavano passare, e non appena si allontanava da uno di loro, eccone un altro. Sembrava che non ci fosse un pezzo di muro in cui non ci fosse attaccato un quadro.
 
Ma che è sta roba?
Sembra la casa di mia nonna, con tutto questo arredamento antico stile ottocento. E i quadri? Neanche nei musei ce ne sono così tanti. Che luogo inquietante.
 
Quando arrivarono nel Dormitorio, Yvonne era convinta di crollare nel letto tanto quanto era stanca, ma fu l’unica a non addormentarsi.
 
Il pigiama che le aveva preso il clone di suo nonno era largo e comodo, proprio il genere che preferiva, ma il letto era piccolo, troppo vecchio, caldo e polveroso, come se non venisse usato da cinquant’anni. Per un momento pensò di essere stata sfortunata e di aver preso l’unico difettoso, ma ad occhio anche tutti gli altri letti in cui dormivano le sue compagne apparivano esattamente uguali. Dopo quasi un’ora sentì il sonno arrivare, ma proprio non riusciva ad addormentarsi: di tanto in tanto si alzava e camminava silenziosamente per la stanza attenta a non fare rumore, per liberare momentaneamente il letto dal suo calore nella speranza che, trovandolo più fresco, sarebbe scivolata nel sonno molto più facilmente. Ma non fu così.
 
Rassegnata, si mise accanto alla finestra vicina al suo letto, che dava sul grande prato verde vicino al lago. Quello e le stelle luminose nel cielo erano uno spettacolo meraviglioso, ma lei era ancora troppo arrabbiata di dover essere lì per ammetterlo, anche se sapeva che, una parte di lei molto in profondità, amava quel paesaggio. Ogni tanto si voltava indietro come a controllare di non aver svegliato nessuno, e la terza volta che lo fece si accorse che la sua uniforme, che aveva appoggiato sul letto, aveva cambiato colore. La parte in basso del suo maglione aveva sviluppato una striscia arancione così come nelle maniche, la sua cravatta che prima era nera ora era a strisce color arancione chiaro e marrone e nel suo mantello, la parte che doveva stare sul suo petto, era apparso lo stemma di Grifondoro, dagli stessi colori apparsi nel resto dell’uniforme. Stessa cosa era successa alle uniformi di tutte le sue compagne addormentate.
 
Magia.
 
Quando voltò lo sguardo nuovamente verso l’esterno, vide che c’era qualcuno nell’immensità di quel prato verde che ora sembrava grigio scuro per via della notte.
 
Era troppo lontano per capire chi fosse, ma sentì un improvviso gelo dentro di sé, diverso da tutti i brividi di terrore e freddo che aveva sentito fino a quel momento.
 
E’ lui.
Il clone di mio nonno.
Lo so che è lui.
Lo sento.
Non può essere che lui.
 
Iniziò ad inspirare nervosamente senza mai distogliere lo sguardo, come se temesse che se l’avesse fatto qualcosa di terribile sarebbe successo.
 
Poi arrivò una nebbia. Una fitta nebbia che si frappose tra lei e lui, come un ostacolo da sorpassare per raggiungerlo. Yvonne ebbe la tentazione di sporgersi, ma pensò saggiamente di non farlo considerando che avrebbe potuto cadere. Rimase ferma con il corpo, ma allungò la testa quanto più le fu possibile.
 
Quando la nebbia si dileguò velocemente così com’era venuta, al posto di quell’anziano trovò qualcos’altro.
 
Un animale. Un animale a quattro zampe. Il colore era impossibile da vedere così come gran parte del suo aspetto a causa del buio e della distanza, ma doveva essere più o meno grande quanto un pastore tedesco adulto, solo che quello non era un pastore tedesco. Aveva lunghe orecchie dritte verso l’alto come quelle di un coniglio, ma il resto del corpo non era un coniglio.
 
Era un..
 
Asino.
Lo stesso asino che aveva visto a Diagon Alley.
Lo stesso asino che aveva visto a Notre Dame, quando ancora era a casa sua.
Non aveva nessuna prova che fosse lo stesso asino, ma doveva essere così. Lo sentiva nelle ossa.
Anche perché non avrebbe avuto senso che un normalissimo e comunissimo esemplare di asino si trovasse a Hogwarts. Che qualsiasi animale non magico si trovasse a Hogwarts. Men che meno un asino.
 
E se fosse un’allucinazione?
Se non ci fosse mai stato un asino? Se tutte e tre le volte l’asino era stato solo nella sua testa? Era possibile, ma perché proprio un asino? Tra tutti gli animali.. perché un asino?
 
Eppure eccolo là.
Che la fissava.
Che la osservava.
Che la controllava.
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
Yvonne non ci provò nemmeno più a tornare nel letto. Non riusciva a dormire prima, quindi era piuttosto certa che non ci sarebbe riuscita ora, dopo quelle inquietanti visioni provenienti dall’esterno di Hogwarts.
 
Non appena i primi spiragli di luce iniziarono ad illuminare il mondo intorno a sé, decise di uscire.
 
Si mise l’uniforme. L’uniforme di Grifondoro per la prima volta, e mise la bacchetta in una taschina all’interno del mantello. Si guardò allo specchio cercando una sorta di accettazione, ma trovò solo altre insicurezze. Non si sentiva di appartenere a Grifondoro. Non riusciva a capire perché il Cappello Parlante avesse pensato altrimenti. Ma Grifondoro a parte, le piaceva l’uniforme, le era sempre piaciuta, più della storia stessa di Harry Potter. Se fosse stata assegnata ad un’altra casa, l’uniforme sarebbe stata esattamente identica fatta eccezione per i colori dello stemma e della cravatta, ma almeno si sarebbe sentita di far parte di qualcosa, mentre ora si sentiva solo smarrita.
 
Tutte le sue compagne dormivano ancora e a quanto parte anche i maschi, perché quando raggiunse la Sala Comune la trovò deserta. Sentiva le sue gambe tremare, le sue braccia a volte si muovevano da sole come colte da tic nervosi e incontrollabili, tale era la paura che sentiva. Ma non aveva importanza. Prese la valigetta che conteneva i suoi libri di testo e lasciò la Sala Comune dei Grifondoro.
 
Raggiungere di nuovo la Sala Grande fu più difficile di quanto avrebbe pensato, considerando che c’era stata nemmeno ventiquattro ore prima. Ci mise mezzora a trovarla, e dovette chiedere indicazioni ad almeno tre studenti diversi, due Tassorosso e un Corvonero.
 
Una volta trovata, si sedette al tavolo dei Grifondoro inquietamente vuoto, e mangiò un paio di paste immergendole in una tazza di latte caldo, accompagnati da biscotti piccoli ma dolci. In tutta la Sala ci saranno stati al massimo venti studenti, tutti più grandi, dal quarto anno in su almeno, che di numero potevano sembrare un po’, ma in quella stanza così pericolosamente grande sembravano piccole zanzare nell’immensità del campo di un contadino. Nemmeno gli insegnanti c’erano.
 
Quando si sentì piena, si alzò per andare a lezione. Solo quando fu vicina ai grandi portoni aperti della Sala Grande, si accorse che aveva dimenticato la valigetta. Tornò indietro a riprenderla a passo svelto e spedito, mentre sentiva un paio di Corvonero riderle dietro.
 
Che stupida.
Iniziamo bene.
 
Ma non aveva tempo di autocommiserarsi.
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
La prima lezione era con la McGranitt, e naturalmente anche per raggiungere la sua aula dovette chiedere aiuto a mille studenti più grandi. Ci mise tanto a raggiungerla che arrivò a temere che fosse già iniziata la lezione, nonostante si fosse svegliata prima di tutti, ma non fu così.
 
In fondo ci saranno già Potter e Weasley che arriveranno a lezione in ritardo. Non mi metterò al loro livello.
 
Doveva essere ancora molto presto invece, perché nemmeno la McGranitt era presente. Tutto quello che vide fu una gigantesca aula vuota con una sola persona, seduta in uno dei banchi più vicini alla cattedra, sulla destra. Aveva capelli castani, lunghi e arruffati.
 
Hermione.
 
Yvonne si sedette nell’ultimo banco a sinistra, quello più lontano da lei. Poggiando la valigetta sul banco fece un rumore che fece girare Hermione, che si limitò a guardarla un secondo poi si rigirò verso la cattedra.
 
E Yvonne si sentì improvvisamente in colpa.
 
Sapeva che Hermione avrebbe avuto un inizio difficile ad Hogwarts in fatto di amicizie, almeno fino al momento del Troll nei bagni, e sebbene fosse dipeso da lei e dalla sua abitudine di fare la saccente, sapeva che lo faceva solo perché voleva dimostrare di meritare di essere lì essendo nata Babbana, e in verità Yvonne la preferiva enormemente sia a Harry Potter sia a Ron Weasley.
 
Ma non si mosse.
 
Non devo interferire.
Devo stare lontana da tutti i personaggi principali. La mia presenza potrebbe peggiorare la situazione. Devo tenermi negli angoli. Devo essere invisibile. Non posso rischiare di cambiare qualcosa. Non posso. Lei avrà degli amici. Tanti. Molti di più di quanti sarò in grado di averne io. Non devo preoccuparmi per lei. Starà bene.
Eppure, continuava a sentire una morsa nello stomaco che poteva essere solo senso di colpa.
 
Starà bene. Infatti. Lei starà bene. Forse.. forse potrei sedermi accanto a lei.. solo questa volta..
Lei sa così tante cose di magia e io non so niente, averla come vicina di banco mi aiuterà sicuramente ad avviare al meglio il mio primo anno ad Hogwarts, e io potrei farla sentire un po’ meno sola, per tutto il tempo che sarà necessario.
Non occorre che faccia nulla. Tutto quello che devo fare è stare un po’ con lei, e ascoltare quello che ha da dire. Devo solo.. esserci, fino a quando non ci saranno Harry, Ron e gli altri per lei. E quando avverrà quel momento, lei si dimenticherà della strana taciturna ragazzina che la ascoltava nel primo mese di scuola e io, si spera, sarò in grado di affrontare la scuola senza dover contare sull’aiuto di qualcun altro.
 
Sospirò, riprese la valigetta e si avvicinò a Hermione.
 
“Ciao. Posso sedermi?”
 
Hermione si girò e Yvonne vide nei suoi occhi marroni la sorpresa per un secondo.
 
“Sì, certamente.” Hermione spostò la sua sedia avvicinandola al banco, così Yvonne le passò dietro e si sedette accanto a lei.
 
Notò subito che il libro di testo di Hermione era già aperto. Probabilmente, nell’attesa che la lezione iniziasse, Hermione aveva iniziato a studiarlo per conto suo.
 
Questo è tipico di Hermione.
Yvonne prese anche il suo libro di testo che mise sul banco, ma non lo aprì. Hermione continuò a leggere un paio di pagine per conto suo, poi alzò nuovamente lo sguardo su Yvonne.
 
E iniziò.
 
Iniziò a parlare. Parlare. Parlare.
 
Disse cosa aveva letto nel libro fino a quel momento, cosa di ciò che aveva letto sapeva già, perché lo sapeva già, e degli altri libri che aveva letto sull’argomento.
 
Parlò dei Fondatori di Hogwarts. Della storia della McGranitt, come se avesse studiato a memoria la sua pagina di Wikipedia. Yvonne cercava di seguirla, non tanto perché le interessasse ma perché poteva esserle utile sapere di più di quel mondo se voleva sopravvivere e riuscire a tornare a casa, ma stava diventando difficile. La mancata dormita si fece sentire, e non seppe dire se fosse perché parlava di argomenti complicati o per la velocità con cui parlava, ma arrivò ad un punto in cui non riusciva a capire una sola parola di quello che Hermione stesse dicendo, ma si sforzò di guardarla con uno sguardo attento, dandole l’illusione che stava seguendo ogni cosa.
 
Quando finalmente si fermò, guardò Yvonne aspettandosi qualcosa, un commento probabilmente, ma Yvonne era troppo impegnata a capire come avrebbe fatto ad affrontare la giornata piena di lezioni per trovare un commento complesso e astuto da fare.
 
“Sai davvero un sacco di cose.” Disse alla fine, non trovando un’altra cosa più intelligente da dire.
 
Hermione parve apprezzare, ma rimase comunque in silenzio per un po’.
 
“Non abbastanza.” Mormorò più a sé stessa che a Yvonne, con un tono talmente malinconico che quest’ultima riuscì a vedere tutta l’ansia di fallire che aveva quella bambina di undici anni.
 
Si sentì ancora più triste per lei.
 
“Non devi dimostrare niente a nessuno, lo sai vero?”
 
Parlò quasi senza pensarci, ma era troppo tardi per ritirare tutto.
 
“Cosa vuoi dire?” chiese Hermione, anche se lo chiese in un modo da far pensare a Yvonne che in fondo, molto in fondo, conoscesse già la risposta.
 
“Nessuno ti manderà via.”
 
“Perché.. perché dovrebbero mandarmi via?”
 
Cazzo. Dovevo stare zitta.
 
“Beh.. lo sai.. perché sei.. hai.. hai genitori Babbani.”
 
Hermione la guardò ferita e mortificata, come se l’avesse appena chiamata Mezzosangue, ma Yvonne mantenne lo sguardo. Ormai aveva lanciato il sasso, ed era troppo tardi per nascondere la mano. Ne avrebbe approfittato per far capire a Hermione cosa davvero intendeva.  
 
“Come.. come lo sai?”
 
Oh io so tutto di te.
Sono dentisti. Hai un gatto di nome Grattastinchi.
So anche quello che ancora non sai nemmeno tu.
Ma certamente non poteva dire nulla del genere, quindi pensò alla prima cosa plausibile che le venne in mente.
 
“Le voci girano.”
 
“Pensi che mi manderanno via da Hogwarts per questo?”
 
“No, non lo penso. Tu lo pensi.” Ed era proprio lì che Yvonne voleva arrivare, e lo disse con una tale risolutezza che fu certa di essersi fatta capire fin troppo bene.
 
Non le era affatto piaciuto sbattere in faccia a Hermione che era nata Babbana o che pensasse che aveva una sorta di pregiudizio nei suoi confronti per questo, ma era necessario per farle capire il punto. E cioè che valeva tanto quanto qualsiasi altro studente con una discendenza di purosangue da secoli.
 
“Non sei meno maga di qualsiasi altro studente purosangue della scuola. Sei qui esattamente come loro. Sono le nostre azioni a decidere chi siamo, non il nostro sangue.”
 
A Yvonne non piacque come le uscì quel discorso, ma pensò comunque che andasse bene.
 
“Continua a dare il massimo e anche di più se è quello che vuoi, ma non pensare mai di doverlo fare per dover dimostrare di avere il diritto di essere qui. Tu quel diritto ce l’hai dal giorno in cui sei nata, e niente e nessuno potrà mai togliertelo.”
 
Hermione sembrò sul punto di piangere. I suoi occhi erano lucidi e la sua bocca era piegata come dal trattenersi, ma alla fine le sue labbra formarono un piccolissimo, incoraggiante sorriso.
 
“Grazie.” Mormorò lei, passandosi le mani sugli occhi cercando di fermare le lacrime, la sua voce piena di commozione, come se fosse davvero grata a Yvonne, come se quelle parole fossero esattamente quello di cui aveva bisogno.
 
E forse era così.






 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 5 ***


LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 5


















 
 
 
 
Lasciò il suo alloggio dopo quattro giorni.
 
Non voleva davvero lasciarlo, voleva stare lì a nascondersi per sempre per l’imbarazzo di quella scenata che ancora la tormentava, ma non era più una bambina ormai, ed era arrivato il momento di comportarsi da giovane adulta quale era.
 
E poi c’era quella voce.
 
Quella voce che aveva sentito. E che non era riuscita ad identificare. Quando aveva cessato di sentirla, aveva messo a soqquadro la stanza, alla ricerca della cosa con cui aveva parlato, ma tutto quello che aveva ottenuto era di fare disordine.
 
Chi era? Com’è possibile che non ci sia nessuno qui?
Ho sentito una voce ma non vedo nessuno??
Sono impazzita?
O sto impazzendo?
Aveva qualche correlazione con la mia crisi in seguito alla discussione con Spock?
Era il mio subconscio che cercava di dirmi qualcosa? E che cosa?
E cosa doveva significare quell’ultima cosa che aveva detto?
 
Concentrandosi, riusciva a sentire di nuovo quelle parole nella sua testa.
 
“Bene e male esistono in qualunque uomo. Esistono entrambi in James Tiberius Kirk, e lui è oggi l’uomo che conosci perché è in grado di trarre il meglio da entrambi. Lui non è scappato dal suo lato oscuro. Lo ha consolato. Abbracciato. Stretto a sé. Devi imparare a fare lo stesso, se vuoi arrivare a scoprire chi sei davvero.”
 
Ho forse un lato oscuro di cui non sono a conoscenza?
E quanto è oscuro?
 
Sentì una scia gelida lungo il collo, così smise di pensarci e lasciò il suo alloggio velocemente, per impedire a sé stessa di cambiare idea.
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
Non sapeva nemmeno dove stesse andando, ma l’unica cosa che le interessava al momento era evitare Spock. Era bloccata in una nave stellare nel mezzo dello spazio quindi non avrebbe potuto evitarlo per sempre, ma saperla così grande e con così tante altre persone oltre a loro due la fece sentire leggermente meglio.
 
Girovagò per ore, fino a quando la fame non si fece sentire, così raggiunse la sala mensa più vicina. Quando la trovò velocemente, per un fugace momento fu sollevata: stava iniziando a ricordare meglio i luoghi dell’astronave e dove trovarli.
 
Quando entrò tutti si voltarono a guardarla, e Arielle si sentì morire dentro.
 
Perché? Perché mi fissano tutti?
Non può essere per la mia vitiligine, dato che l’ho sempre avuta e prima non mi guardavano in questo modo?
O forse mi sbaglio? Forse prima pensavano che fossi un’aliena e ora sanno che non sono altro che un’umana con una vecchia e curabile malattia degenerativa della pelle?
O è per il mio litigio con Spock? Si è saputo?
 
Il susseguirsi di domande si interruppe improvvisamente quando Arielle si accorse che avevano smesso di fissarla, e qualunque fosse la ragione per cui un secondo prima facevano altrimenti, non l’avrebbe scoperta adesso. Notò un tavolo nell’angolo della stanza completamente vuoto e andò a sedersi per mangiare il suo solito crossaint.
 
Mentre mangiava, teneva la testa bassa sul piatto, come per paura di alzare lo sguardo. Si vergognava ancora terribilmente sia per quello che era successo con Spock sia per il suo comportamento generale da bambina e stava facendo di tutto per dare a vedere che effettivamente non le importava. Fallendo miseramente.
 
Poi sentì una voce. Una intonata, dolce voce femminile.
 
“Ciao, ti dispiace se mi siedo?”
Era Uhura.
 
Arielle sentì qualche goccia di sudore tra i capelli.
 
Oddio.
Lei era presente quando è successo quello che è successo con Spock.
E’ qui per parlarne?
E cosa le dico?
 
Senza rendersene conto, Arielle annuì leggermente con il capo, continuando però ad essere ansiosa.
 
“Come ti senti?”
 
Una parte di Arielle sentiva di essere ancora ansiosa, ma la voce di Uhura era così melodica e dolce e comprensiva e il suo sorriso così genuino che l’altra parte di Arielle si sentiva di potersi confidare come se avesse davanti una vecchia amica.
 
“Non.. non lo so.” Sussurrò tristemente, in preda allo sconforto.
 
Nyota allungò la mano destra e la usò per accarezzare dolcemente il braccio di Arielle, la quale posò il crossaint per strofinarsi gli occhi.
 
Come mi sento..
Stupida. Emotiva. Infantile. E sola.
Terribilmente sola.
Pensavo di essere sempre stata sola, con la vita da reclusa che facevo, fatta eccezione per Yvonne e Nolwenn, con la mia famiglia che si vergognava della mia vitiligine e i domestici a cui facevo compassione.
Ma mi sbagliavo.
Dio, quanto mi sbagliavo.
Non ero sola.
Ora lo sono.
 
Evitò lo sguardo di Nyota senza dire nulla, ma ebbe come l’impressione che era come se l’avesse fatto. Come se Uhura avesse sentito tutto. Quando ebbe la forza di guardarla, vide che Uhura stava pensando a cosa dire e dopo un lungo silenzio si decise.
 
“Quello che è successo con il signor Spock non è stata colpa tua.”
 
“Sì che lo è stata.” fece una pausa “Spock ha ragione. Su tutto. Non ho la.. stoffa per la Flotta Stellare. Non ce la farò mai. La Flotta Stellare è per persone forti, valorose e intelligenti, e io..” un’altra paura “.. io sono debole.”
 
“Sei una ragazza il cui mondo è stato stravolto, catapultata in un universo che non conosce, sola e spaventata. Pensi che una persona debole sarebbe riuscita ad affrontarlo?”
 
“E cosa ho fatto io per affrontarlo? Cosa ho fatto in questi mesi? Avevo detto, avevo promesso, che avrei aiutato..”
 
“E lo hai fatto! Hai identificato quel virus che stava contagiando l’intero equipaggio limitandone i danni e permettendoci di arrivare prima ad una soluzione.”
 
“E poi? Che altro ho fatto? Anche senza di me, avreste trovato una soluzione a quel virus e ve la sareste cavata. Ma io senza qualcuno che mi aiuti? Non posso. Non posso fare nulla. Voi tutti mi state dando un gran da fare per me. Mi insegnate tutto quello che potete e io non.. non sono all’altezza. Non lo sarò mai.”
 
Ripensò a quando aveva detto a Kirk che sarebbe stata utile, che avrebbe aiutato. Pensò a quanto fosse stato stupido. Che aiuto avrebbe mai potuto dare lei.. a loro?
Loro erano degli eroi, i protagonisti, e lei era nessuno, nulla di più di una comparsa di cui nessuno si ricorda.
Non voleva fare la vittima o piangersi addosso, ma era tutto buio intorno a lei e non riusciva a capire dove stesse andando.
L’aveva persa.
La speranza.
 
Uhura si alzò e si mise a sedere accanto ad Arielle, posandole un braccio intorno alle spalle in modo rassicurante.
 
“Pensi che avremmo deciso di insegnarti tutto quello che c’è da sapere per entrare nella Flotta Stellare se avessimo pensato anche solo per un secondo che non ce l’avresti fatta? Scotty dice che sei vigile, il signor Sulu che sei precisa, e il dottor McCoy afferma che tu non hai sbagliato uno solo dei compiti che ti ha dato. Anche Spock ha fiducia in te, ne sono sicura. Un vulcaniano non avrebbe mai usato tanto del suo tempo per insegnare a qualcuno che non riteneva potesse farcela, e se pretende un livello alto da te, significa che sa che puoi raggiungerlo.”
 
Arielle si sentiva ancora molto triste e amareggiata, ma riusciva a sentire fin dentro le ossa che quel discorso aveva avuto molto effetto su di lei. Approfittando della vicinanza di Uhura, agì d’istinto e l’abbracciò forte, abbraccio che Uhura ricambiò con forza.
 
“E’ solo che..” singhiozzò Arielle “tu e tutti gli altri. Il Capitano Kirk, il signor Spock, il dottor McCoy, il signor Sulu.. siete delle leggende, e io sento di non meritare di stare qui con voi. Mi sento come.. un insetto tra gli Dei. Le vostre ombre sono così grandi e la mia.. così piccola.”
 
Uhura sciolse l’abbraccio per guardare Arielle negli occhi.
 
“Siamo stati piccoli anche noi, tesoro. Nessuno nasce imparato..” pulì con le dita le lacrime che stavano scendendo sulle guance di Arielle “.. non puoi diventare grande se non cadi. Ricorda sempre: tanto più faticosa è la salita, tanto più luminoso sarà il traguardo.”
 
E se non dovessi raggiungerlo, il traguardo?
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
Uhura non la lasciò sola un attimo per il resto della giornata.
 
A volte si muovevano e altre volte stavano ferme, ma non la smettevano mai di parlare. Erano andate anche nell’alloggio di Uhura, piena di oggetti africani provenienti dal paese in cui era nata.
 
Non appena notò che portavano più o meno la stessa taglia sia di seno che di vita, Uhura arrivò persino a prestarle degli abiti. Arielle rifiutava cortesemente, ma Uhura non voleva sentire ragioni. I vestiti erano pieni di righe e simboli dai colori sgargianti e vivaci, non esattamente il genere di abito che era abituata a portare Arielle, ma per la ragazza erano quanto di più prezioso avesse visto da tanto tempo. Qualcosa di raro. Il dono di un’amica.
 
Uhura le parlò della sua vita prima dell’Enterprise. Le parlò del paesino africano in cui era nata, piccolo ma prospero. Le parlò della sua infanzia, della prima volta che alzò lo sguardo per guardare le stelle e cosa la spinse a volerle raggiungere a tutti i costi, quelle stelle.
 
Le parlò dei suoi anni all’Accademia. Degli amici che si era fatta. Degli amori che aveva vissuto. L’incontro con Pike. E con Kirk.
 
Arielle era più timida, ma iniziava ad aprirsi. Anche lei le raccontò della sua vita. Di Yvonne. Di Nolwenn. Soprattutto della prima, di quanto avrebbe amato essere lì, in quel momento.
 
E poi, arrivano alla questione che aleggiava nell’aria da tutto il giorno.
 
“Il Capitano Kirk dice che nell’universo dal quale provieni tutto questo.. l’Enterprise.. persino noi.. siamo un racconto.”
 
“E’ così.” Disse semplicemente Arielle guardando fisso nei grandi occhi scuri di Nyota, per farle capire che era assolutamente seria e che non si trattava affatto di storielle inventate o voci di corridoio.
 
“E che è per questo che sai cosa accadrà ancora prima che accada.”
 
Arielle annuì.
 
“Un racconto olografico?”
“Non esattamente..” Arielle iniziò a muoversi avanti e indietro per la stanza, cercando le parole giuste “.. io vengo da un tempo che potrebbe essere.. diciamo.. il vostro ventunesimo secolo, solo di una realtà parallela alla vostra, penso. A quell’epoca non esistevano ancora ologrammi, figuriamoci racconti olografici.”
 
“E dove potevi trovare questo.. racconto?”
 
“In televisione. Come i televisori che avete sull’Enterprise per vedere con chi state comunicando. Noi.. ci sediamo.. guardiamo lo schermo e lo vediamo.”
 
“Cosa?”
 
“Il racconto. Che prende vita. Davanti ai nostri occhi.”
 
“Com’è possibile?” la voce di Uhura appariva curiosa e interessata come mai Arielle l’aveva sentita.
 
“Ci sono ehm.. attori. Sono persone identiche a voi, che vi interpretano..” Arielle si grattò la testa irritata, stava cercando di spiegarsi, ma man mano che parlava sentiva di non essere abbastanza chiara e che avrebbe potuto fare di meglio “sono persone del mio mondo, del mio universo, di un tempo più vicino al mio che al vostro, esattamente identiche a voi, che fanno del loro meglio per darvi vita. Dar vita ai vostri sogni, alle vostre parole, ai vostri sentimenti, a.. voi.”
 
Uhura sembrava iniziasse a capire, ma la guardava stupefatta. Arielle ricambiò il suo stupore e scoppiò nervosamente a ridere.
 
“Lo so. Lo so. Sembra assurdo. Ridicolo. Ma è quello che so. E quello che so di voi lo so grazie a questo racconto.”
 
Vide che Uhura la fissava con una tale intensità che Arielle quasi si sentì nuda, ma poi sorrise.
 
“Lo è. Ma sembra una bella storia. Esistere in un’altra realtà sottoforma di racconto.” Mormorò Uhura e per quanto si sforzasse, Arielle non riusciva a capire se le stesse credendo o se avesse semplicemente pensato che fosse uno scherzo e volesse stare al gioco “.. anche se.. non esistiamo davvero.”
 
Arielle percepì immediatamente una sorta di tristezza nella sua voce.
 
“Cosa vuoi dire?”
 
“Un racconto. Un racconto di finzione, non è così? Se siete tecnologicamente e storicamente indietro rispetto a noi, non può essere un racconto tratta da una storia vera che avete vissuto, quindi.. è finzione. Siamo.. finzione.”
 
“Non siete mai stati solo finzione.”
 
“Ma hai detto..”
 
“Che siete personaggi di un racconto, sì è vero. Ma siete molto di più. Forse non eravate persone reali, ma chi ha narrato le vostre storie lo era. Chi vi ha interpretato e ha messo anima e cuore nel rendervi giustizia era reale. Chi vi guardava e vi ammirava era reale. Siete entrati nel cuore di così tante persone vere che passavano intere giornate a seguire le vostre storie, per vedere dove il vostro percorso vi avrebbe portato perché eravate un racconto. Tutte quelle persone che avete ispirato con la vostra storia, tutte quelle donne che hanno scelto di intraprendere la carriera spaziale diventando le prime donne a viaggiare nello spazio ispirate dal tuo personaggio, da te. Voi avete dato speranza ad intere generazioni. Forse siete nati come finzione, ma siete diventati molto di più. Siete diventato il simbolo di un mondo migliore. Siete la speranza di cui il mio mondo aveva bisogno.”
 
Arielle aveva parlato piano per tutto il tempo, ma appariva risoluta come non lo era da anni. Voleva che Uhura capisse. L’impatto che avevano avuto e che continuavano ad avere. Quando finalmente la guardò, Uhura la fissava quasi sconvolta, come se stesse ancora elaborando quanto le aveva detto.
 
“Se foste stati reali nel mio universo, non avreste cambiato così tante vite, ma essendo stati personaggi di un racconto, siete arrivati in ogni casa, in ogni famiglia, in ogni persona del pianeta. Forse non avete effettivamente esplorato lo spazio e fatto la differenza nella scoperta di nuovi pianeti, ma avete fatto la differenza nella vita delle persone e nel modo in cui vedevano loro stesse. Avete trasmesso fiducia. Coraggio. Pace. Avete letteralmente cambiato il mondo, nonostante foste finzione, tale era il vostro potere.”
 
Uhura rimase perplessa ancora per una manciata di secondi, ma poi fece un radioso sorriso, così intenso che sembrava in grado di illuminare la stanza.
 
“Sembra bellissimo.” Disse infine Uhura, più contenta che mai.
 
“Lo è davvero.”
 
Ripensò a tutte quelle storie meravigliose che Yvonne le aveva raccontato al riguardo.
Tutte quelle persone che avevano scritto agli interpreti di Leonard McCoy e Montgomery Scott dicendo che avevano deciso di diventare medici e ingegneri grazie a loro e tutti quegli emarginati che si sono sentiti di appartenere a qualcosa di grande grazie a Spock.
E naturalmente c’era Uhura.
Uhura che era stata la prima donna di colore in TV che non fosse una cameriera o una domestica, e anzi veniva trattata al pari non sono delle donne bianche ma anche degli uomini. Una donna che veniva rispettata, che era indipendente e forte.
Tutte quelle giovani donne di colore che si erano sentite rappresentate, ispirate.
 
“E la donna che mi ha interpretata? Come si chiama?”
 
Arielle sorrise senza accorgersene.
 
“Nichelle. Nichelle Nichols.”
 
Uhura sorrise.
 
“Ha un nome meraviglioso.”
 
“E una persona meravigliosa. Io non l’ho mai conosciuta, ma.. ho sentito storie sul suo conto. Ha reso il mio mondo un posto migliore. Non avresti… non avresti potuto essere in mani migliori, puoi credermi. Verrà ricordata per sempre, come te.”
 
Uhura guardò Arielle come se fosse orgogliosa di lei, come se all’improvviso Arielle fosse rinata e si fosse fatta più grande, poi si avvicinò alla finestra del suo alloggio che dava sullo spazio. Arielle le si avvicinò silenziosamente e guardarono insieme le stelle.
 
“Mi sarebbe piaciuto conoscerla, anche se dubito accadrà mai, se siamo di due realtà diverse e se in quella in cui non esisto lei è me. Ma spero che ovunque sia stia bene.”
 
“Lo spero anch’io.”
 
“Dove pensi si trovi adesso?”
 
Arielle guardò Uhura, ma lei aveva ancora lo sguardò fisso nello spazio. Nei suoi enormi e dolci occhi scuri, vide il riflesso della luce proveniente dallo spazio.
 
E la risposta le uscì di bocca prima che avesse tempo di pensarci, come presa da una volontà propria.
 
“Tra le stelle.”

 

 
 
 
 
 
 
 
  Note: Lo scorso 30 luglio, quasi un mese fa, ci ha lasciati Nichelle Nichols, la straordinaria Nyota Uhura di Star Trek ed è difficile esprimere a parole l'effetto devastante della sua perdita. Io comunque ci ho provato tramite questo capitolo, che è interamente dedicato a lei. Grazie per tutto Nichelle, vola tra le stelle come ci hai insegnato a fare.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** C'era una Volta - Capitolo 6 ***









C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 6
 
 
 
 
 
 




Si svegliò sentendo il canto degli uccelli. Il vento che le scompigliava leggermente i capelli. L’erba sulle sue guance che si muoveva delicatamente, come ad accarezzarle la pelle e.. qualcosa di irritante. Di fastidioso.
 
Si era addormentata a pancia in giù, con il viso voltato verso il lago, ma che comunque toccava il suolo. Abbassò e alzò lentamente la testa strisciandola contro la terra, ma il fastidio rimaneva. Era come avere un sassolino minuscolo premuto contro la sua pelle.
 
Quando aprì gli occhi e alzò il busto, iniziò a toccarsi la zona sotto la bocca nonostante sapesse già da prima, in cuor suo, che non era affatto un sassolino. Era un brufolo.
Non uno solo naturalmente. Ne aveva così tanti che era impossibile contarli, ma a volte capitava che uno di essi diventasse particolarmente grande e irritante, oppure era uno nuovo che era saltato fuori da chissà dove. Come in questo caso.
 
Strisciò verso il lago distante pochi metri da dove si era risvegliata, senza neanche alzarsi in piedi, e usò il riflesso dell’acqua come specchio.
 
Ed eccolo là.
 
Un brufolo enorme sul punto di scoppiare, proprio nel mento dove l’aveva percepito. Sapeva di doverlo lasciare stare. E’ una delle prime cose che si insegna ai bambini, ma non riuscì a trattenersi: sapere che era lì la urtava troppo ed esattamente come tutte le altre volte, iniziò ad usare le dita per schiacciarlo, e mentre lo faceva finì con l’alzarsi in piedi, smettendo di guardare la propria immagine riflessa.
 
Andiamo.
Andiamo.

Vai via.
 
Sentiva la pellicina che si stava staccando, e poi se la ritrovò tra le dita. Sorrise soddisfatta.
 
Finalmente.
 
Sentì un sollievo istantaneo, ma non sapeva che la sua pelle era in uno stato peggiore ora. Quando ripassò le dita nel punto del brufolo sentì la pelle notevolmente più liscia, ma quando si riguardò le dita vide il sangue.
 
Ma che due—
Iniziò a toccare ripetutamente il mento con le dita in un tentativo disperato di fermare il sangue, ma quando si stancò di vedere la sua mano con piccole gocce rosse usò il braccio, e nel frattempo si era alzata per allontanarsi dal lago, per tornare nell’abitazione di Edmond e Mathieu.
 
Edmond mi ucciderà.
E’ da troppo tempo che sono lontana.
E mo’ chi lo sente?
 
Stanca di usare solo il braccio destro per pulirsi dal sangue iniziò col sinistro, senza guardare dove stava andando, ed era talmente immersa nei suoi pensieri da non sentire neanche un rumore che si faceva sempre più veloce e più forte, il rumore degli zoccoli.
 
Cosa faccio se mi sbatte fuori?
Dove posso andare?
Devo iniziare a rifletterci su.
Anche se per qualche bontà divina avesse pietà di me, non è che posso restare lì per sempre..
 
“Attenzione!” sentì qualcuno urlare.
 
Nolwenn guardò davanti a sé e vide un cavallo argentato fermarsi all’improvviso ad un palmo dal suo naso, era così vicino che poteva sentire l’animale respirare, il quale si era alzato su due zampe per riuscire a fermarsi in tempo e tale fu lo spavento che Nolwenn cadde all’indietro, sebbene non fosse stata colpita in alcun modo.
 
Sentì un senso di vertigine probabilmente dovuto dalla paura, ma poi vide una figura scendere dal cavallo. Era un uomo.
 
Aveva dei fluenti, ondulati e corti capelli neri perfettamente curati, la pelle chiara e liscia come un manto immacolato di neve, un viso così perfetto da sembrare essere stato scolpito a mano da un angelo, dentro al quale si trovavano un piccolo e grazioso nasino e due enormi occhi blu come le profondità del mare più pulito del pianeta.
 
L’uomo più bello che abbia mai visto.
 
Vide che si mise davanti a lei in ginocchio, porgendole una mano. Disse qualcosa, ma Nolwenn non capì una parola. Era troppo impegnata a guardarlo, probabilmente con un po’ di bava alla bocca.
 
Passarono un’altra manciata di secondi prima che realizzò che aveva parlato e che stava aspettando una risposta da lei.
 
“Scusi.. come..?”
 
Fu grata di non poter vedere la propria espressione in quel momento, perché doveva essere quella di una deficiente.
 
“Vi siete fatta male? Siete ferita? Lasciate che vi aiuti, vi prego.”
 
La sua voce era così dolce e raffinata che Nolwenn sentì un fremito.
 
“Sto benissimo, vi ringrazio.” Prese la sua mano cercando di non tremare troppo dall’emozione e lui la aiutò ad alzarsi, e quando entrambi furono in piedi Nolwenn realizzò che era più alto di quanto sembrasse inizialmente.
 
“Le mie più sentite scuse signorina, non vi ho vista arrivare..” fece un piccolo inchino, posando una mano sul suo petto.
Nolwenn notò solo allora il resto del suo corpo. Aveva una tunica di un verde leggermente scuro, con uno stemma ricamato su di essa, un animale che appariva scuro dentro un cerchio dorato con sfondo verde. Portava una cintola di cuoio ben ricamata, con annessa una spada lunga e argentata. Persino Nolwenn che era ancora nuova a questo ambiente capì che non poteva che essere un nobile, e doveva appartenere ad una casata importante, non solo per i suoi indumenti e la cura del suo aspetto, ma anche per i suoi modi estremamente garbati.
 
“No è..” i suoi occhi passarono sul suo petto, e in base a come gli stava addosso la tunica era intuibile che sotto quegli strati di stoffa era altrettanto bello e piacente, voltò lo sguardo quando sentì le sue guance arrossire “.. è stata colpa mia. Non stavo guardando dove stavo andando.. avevo la testa tra le nuvole.. mi dispiace signore..”
 
Lui sorrise dolcemente, e in quel momento Nolwenn realizzò che somigliava spaventosamente a Matt Bomer, solo più giovane.
 
Non può essere vero.
E’ troppo bello per essere vero.
 
Il giovane abbassò lo sguardo guardandole i vestiti e apparve improvvisamente allarmato. Nolwenn pensò che la sua reazione fosse dovuta ai suoi assurdi abiti moderni, e quel pensiero la intristì un po’.
 
“La vostra tunica..”
 
Nolwenn abbassò lo sguardo e vide che la sua maglietta era leggermente strappata. Doveva essere successo quando era caduta.
 
“Oh, non è niente..” si affrettò a dire Nolwenn, per tranquillizzare il giovane “.. non mi sono fatta male, davvero. Solo la mia maglia, in effetti, si è fatta male..” rise fra sé e sé “.. è solo un taglio.”
 
Poi il cuore di Nolwenn sembrò fermarsi in un colpo solo.
 
Un.. un taglio.
 
“Tutto comincerà con un taglio..”.
 
Così aveva detto la bambina del suo sogno, nemmeno ventiquattro ore prima.
 
Che il suo vero amore con il padre di quella bambina che ancora non aveva sarebbe nato con un taglio.
 
E che aveva gli occhi azzurri o blu.
 
E lui li aveva del blu più blu che avesse mai visto.
 
Nolwenn alzò lentamente lo sguardo quasi a rallentatore, e guardò l’uomo come se lo vedesse per la prima volta, incredula.
 
Oddio.
Oddio.
E’ lui.
E’ lui l’uomo.
Mi state dicendo che mi scoperò questo fig—
 
“State bene?” chiese lui, quasi più preoccupato di prima.
 
Nolwenn si passò una mano sul viso come per svegliarsi e trovare qualcosa di sensato da dire, ma quando la allontanò vide nuovamente del sangue sulle dita e l’ansia la travolse come un fiume in piena.
 
Cazzo.
Oh cazzo.
Mi ero dimenticata del brufolo schiacciato e del sangue.
Chissà in che stato penoso è la mia faccia.
Che vergogna.
 
“Perdonatemi io..” disse Nolwenn piena di vergogna, mettendosi una mano davanti al mento in un tentativo disperato.
 
“Per cosa?”
 
Allontanò leggermente la mano e vide che era ancora sporca di sangue. Sentì la frustrazione crescere.
 
Dovevo proprio incontrare l’uomo più attraente e galante della Terra in questo stato??? Mezza bagnata, con uno dei tantissimi brufoli schiacciati e anche il sangue??? Come poteva andare peggio di così??
 
E poi dicono che la sfortuna non esiste.
 
“Ho un aspetto orrendo.. io.. oh cazzo..” si tappò la bocca veloce come un fulmine, ma era troppo tardi, ormai quella parola gli era uscita.
 
Ho appena detto “cazzo” davanti ad un nobile.
 
Nolwenn avrebbe voluto sprofondare per la vergogna, ma l’uomo non parve offeso. Dopo un attimo in cui era apparso stupefatto, era scoppiato a ridere dolcemente.
 
E’ bello anche quando ride.
I suoi denti sono perfetti?? Sembra un modello?
Così bianchi e così dritti??
Come è possibile per un uomo essere così tanto bello??
 
Sembrò sul punto di dire qualcosa, ma guardò dietro Nolwenn come se qualcun altro avesse attirato la sua attenzione.
 
“Credo che il tuo fratellino ti stia chiamando, mia signora.” Disse gentilmente a Nolwenn, una volta che tornò a concentrarsi su di lei.
 
Il mio fratellino??
 
Nolwenn si voltò e vide Mathieu che si stava avvicinando. Sorrise, e poi si rivolse nuovamente al nobile.
 
“Oh lui.. lui non è il mio fratellino..”
 
“Perdonatemi, vi chiamava per nome e ho pensato..”
 
Nel frattempo Mathieu li aveva raggiunti e, dopo aver rispettosamente salutato il nobile con un breve inchino, si rivolse a Nolwenn.
 
“Stai bene? E’ da un po’ che non tornavi e mio padre mi ha mandato a cercarti.”
 
Nolwenn dubitava enormemente che Edmond fosse preoccupato per lei ed era nettamente più probabile che fosse Mathieu stesso ad essere preoccupato e avesse convinto suo padre ad avere il permesso di andare a cercarla, ma Nolwenn non se ne curò troppo: se uno dei due doveva uscire per cercarla, era grata che fosse Mathieu.
 
“Perdonami, mi devo essere addormentata, per questo non ero ancora tornata.”
 
Mathieu annuì poi guardò il nobile, il quale ne approfittò per salutare il bambino con un inchino, esattamente come quello che gli aveva fatto lui pochi secondi prima, solo più regale, ma subito dopo voltò lo sguardo dietro di sé, seguendo il rumore di tanti, tantissimi zoccoli che picchiavano il suolo.
 
Nell’arco di meno di due minuti, arrivarono diverse decine di uomini a cavallo. Nessuno di loro indossava l’armatura, ma i loro indumenti e la quantità di armi che portavano rendeva comunque chiaro che fossero soldati. La stoffa della loro tunica non era pregiata come quella del nobile, ma i colori erano molto simili, solo di un verde più sbiadito.
 
Dovevano essere i cavalieri che avevano giurato fedeltà alla sua nobile casa e sebbene fossero di rango inferiore in titolo e ricchezze, erano comunque curati e le loro armi non dovevano avere più di qualche anno. Nolwenn provò a capire quanti fossero ma era difficile, e alcuni erano evidentemente fuori dalla sua portata visiva.
 
“Sono dolente di recarvi disturbo, vostra maestà, ma dobbiamo ripartire subito per raggiungere le truppe di vostro fratello prima che il Sole tramonti. Non possiamo attendere oltre.” a parlare era stato un uomo della cinquantina, che chinava rispettosamente il capo.

“Vostra maestà? Siete.. siete un Re?” chiese Mathieu eccitato.
 
“Non proprio..” fece il nobile, poi sorrise “.. solo un principe. Mi dispiace deludere le tue aspettative.”
 
Un principe.
E’.. è un principe.
Un principe azzurro, letteralmente. O quasi.
 
Mathieu scosse la testa, troppo eccitato per notare le strane reazioni di Nolwenn.
 
“Ma se sei un principe diventerai Re, un giorno.”
 
“Forse, ma tutto può succedere. Il tempo lo dirà.”
 
Mathieu abbassò lo sguardo e notò la sua scintillante spada. Il principe lo notò e sorrise.
 
“Hai ucciso molte persone con quella?”
 
“Solo quelle cattive. Ti piace?”
 
“E’ la spada più brillante che abbia mai visto.”
 
“Vuoi stringerla? E’ parecchio pesante.”
 
“Posso farcela!”
 
Il principe la estrasse dal fodero e la porse al bambino tenendola per la lama, in modo tale che Mathieu nel prenderla non si ferisse.
 
Il bambino la tenne per qualche secondo con entrambe le mani, ma poi finì per terra. Mathieu parve deluso, ma Nolwenn non seppe dire se fosse per la caduta della spada o per il suo timore di aver arrecato un danno ad un oggetto tanto caro per un nobile.
 
“Mi dispiace di averla fatta cadere, vostra maestà. E’ davvero troppo pesante per me..”
 
“Sciocchezze. Non hai nulla di cui dispiacerti. Io alla tua età non sarei stato in grado di tenerla per nemmeno un attimo.” Dopo averla raccolta e rimessa al tuo posto, fece un occhiolino amichevole al bambino.
 
“Vostra maestà..”
 
“Sì. Sì, lo so.” Il principe sospirò “.. perdonatemi, ma devo andare. Impegni familiari che non possono attendere oltre, e temo che a Ser Ranier verrà un mancamento se arriveremo in ritardo.” Disse scherzosamente, indicando con la testa il cavaliere che aveva parlato, il quale non riuscì a reprimere un sorriso nonostante si sforzasse di apparire serio.
 
Quando smise di ridere e tornò ad essere serio, guardò Nolwenn.
 
“Signorina.. voi.. se posso chiedere.. abitate qui vicino?”
 
Nolwenn balbettò qualcosa, così Mathieu venne in suo soccorso.
 
“Molto vicino in effetti. Quindici minuti da qui, vostra maestà.”
 
“In tal caso, vorrei rivedervi, se è possibile. Sempre se voi desiderate altrett—”
 
“Sì! Sì certo!” esclamò Nolwenn, riuscendo, questa volta, a trattenersi dal dire nuovamente “cazzo” davanti al sì.
 
Il principe sorrise quasi sollevato, poi abbassò lo sguardo.
 
“I miei impegni attuali mi portano lontano da qui purtroppo, ma sarò nuovamente sulla strada verso casa molto presto. Tra sette giorni esatti tornerò qui nella speranza di incontrarvi nuovamente.”
 
“Ci sarò.” Sospirò Nolwenn ancora incredula, sforzandosi di apparire sicura di sé e per niente sull’orlo dello svenimento, fallendo miseramente.
 
Il principe le sorrise nuovamente, poi guardò Mathieu. Gli porse la mano in modo che il bambino potesse dargli il cinque, cosa che Mathieu fece.
 
“Ci si vede, ragazzo. Scommetto che la prossima volta che ci rivedremo saprai stringere la spada più a lungo di me.”
 
Mathieu non disse nulla, ma fece un altro inchino, inchino che il principe ripeté e, dopo aver lanciato una rapida, ultima occhiata a Nolwenn, si girò e rimontò sul suo meraviglioso stallone argentato. Non appena fu in sella, partì al galoppo e tutti i suoi uomini lo seguirono.
 
Nolwenn e Mathieu rimasero a guardare il principe e i soldati diventare sempre più piccoli fino a quando non sparirono in lontananza. Il bambino esultò nel vedere tutti quei cavalieri verso un’unica meta, ma Nolwenn quasi non ci fece caso, non aveva occhi per altro se non per quel bel principe.
 

Il suo meraviglioso e scintillante principe azzurro.











 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 6 ***








QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 6




 
 
 
 
 
 
 


“Ti sta bene l’arancione!”.
 
Yvonne quasi sobbalzò dallo spavento quando si sentì abbracciare da dietro, ma finì con il rilassarsi in pochi secondi ricambiando il gesto poggiando una mano sul braccio di Beverly. Quando l’abbraccio venne sciolto, Yvonne fece per girarsi per guardarla.
 
“E a te sta bene il ver.. grigio.”
 
Aveva iniziato a rispondere senza pensare, e solo quando si era voltata per guardarla si era ricordata che effettivamente l’uniforme dei Serpeverde, almeno nei primi due film, aveva le tonalità del grigio anziché del verde.
 
E perché?
Non l’ho mai capita questa cosa.
Grifondoro? Arancione.
Tassorosso? Giallo.
Corvonero? Azzurro.
Serpeverde?
Grigio.
 
Per quale santissima ragione hanno deciso così? Era così anche nei libri? No perché io non li ho letti. E perché allora si chiama Serpeverde e non Serpegrigio?
 
E perché l’uniforme di ogni casata nei primi due film è in un modo, e dal terzo film in un altro? Perché certamente non cambia per via del passaggio degli studenti dal secondo al terzo anno, dato che tutti gli studenti, anche quelli più grandi, hanno attualmente l’uniforme dei primi due film. E non cambiavano solo i colori. Anche il mantello e altre parti. Boh. Io non capisco.
 
Beverly interruppe bruscamente i suoi pensieri, e Yvonne ne fu stranamente lieta.
 
“E tu che dicevi che non saresti mai finita a Grifondoro!”
 
“Già, lo dicevo..” risposte tristemente, mentre dentro di sé sentiva di morire “.. devo ancora abituarmici, in effetti.”
 
Iniziarono a camminare fianco a fianco dirette alla prossima lezione, la prima che avrebbero condiviso insieme. Beverly mise un braccio intorno al suo.
“E tu? Come va a Serpeverde?”
 
“Bene..” Yvonne non poté fare a meno di notare che Beverly sussultò nel rispondere, come se non stesse dicendo tutto “.. ma non so se sono degna di essere una Serpeverde.”
 
“Di cosa stai parlando?”
 
“Io non so molte cose, ma so che i Serpeverde sono orgogliosi e ambiziosi e indipendenti. Sicuri di sé. E io.. non so nemmeno se riuscirò a passare l’anno e ho bisogno di continue conferme e rassicurazioni..” fece un’altra pausa, come se ci fosse dell’altro che all’ultimo momento aveva deciso di non dire.
 
“I Serpeverde sono molto fortunati ad averti. Presto o tardi se ne accorgeranno.”
 
Beverly sorrise e strinse ancora di più il suo braccio. Lei non fece in tempo a reagire che sentì qualcun altro che faceva lo stesso con l’altro suo braccio.
 
“Posso sedere vicino a voi a lezione? Il professor Piton mi fa un po’ paura.”
 
Era Andrea. Le stava molto bene il giallo dei Tassorosso nella sua uniforme, dello stesso giallo del cerchietto che portava in quel momento, ma lei era talmente bella che qualunque colore sarebbe stato perfetto su di lei.
 
“Anche a me.. ed è il capo della mia Casa..” Sussurrò Beverly, come se temesse che qualcuno la stesse ascoltando “.. l’ho incontrato questa mattina quando ho lasciato il dormitorio, e mi ha guardata con un tale sguardo.. come se mi stesse giudicando male, ma non sapevo per cosa..”.
 
Quando entrarono, Yvonne sentì il classico odore che si sente quando entri in un vecchio castello disabitato che ormai esiste solo per i turisti: c’erano antiche e rovinate colonne di marmo un tempo bianche e le ampolle che si trovavano negli armadietti ai lati della stanza erano così polverose che la ragazza realizzò che per mandarla via una soffiata non sarebbe stata sufficiente. Mentre Andrea e Beverly erano più spaventate dal professore, Yvonne lo era dall’aula.
 
Quando il pesante portone di legno dal quale erano entrate si chiuse, la luce quasi sparì del tutto, rimanendo solo quella che serviva per rendere visibile l’area.
 
Yvonne fu improvvisamente grata di essere tra Beverly e Andrea. Si sedette tra loro, iniziando a fissare il calderone nero davanti a lei.
 
Andrea e Beverly iniziarono a parlare nuovamente tra loro ed Yvonne tentò di seguire i loro discorsi per un po’, ma poi iniziò a concentrarsi sulle voci degli altri studenti, più sussurrate ma in gran numero, e alla fine non riuscì a seguire nessun discorso. Vide con la coda dell’occhio che c’era quel biondino sbruffone qualche banco dietro di loro da solo, che quando si accorse di essere osservato rispose con due piccoli occhi pieni di irritazione. Alla sua sinistra, invece, riconobbe il trio delle meraviglie e Malfoy. Continuò a guardarsi intorno ma..
 
SBAM!
 
Il portone di legno si spalancò all’improvviso andando a sbattere contro il muro, e sentì Beverly sobbalzare dallo spavento. Persino Yvonne ebbe bisogno di un momento per tranquillizzarsi.
 
“Non ci saranno sventolii di bacchette o stupidi incantesimi in questo corso.”
 
Piton era entrato come un marine mentre marcia, e la sua voce era volutamente irritata.
 
“Come tale.. non mi aspetto che molti di voi apprezzino la sottile scienza ed esatta arte del preparare pozioni, comunque ai pochi scelti dal fato, che possiedono la predisposizione.. Io posso insegnare come stregare la mente e irretire i sensi, posso dire come imbottigliare la fama, approntare la gloria e finanche mettere un fermo.. alla morte.”
 
Beverly e Andrea erano terrorizzate, e come loro molti altri studenti, ma non Yvonne.
 
E’ entrato a passo svelto parlando a voce alta e in fretta come un cliente insoddisfatto di un negozio e ora parla e si muove a rallentatore come un vecchio ma saggio stregone delle fiabe.
 
E poi la gente mi chiede perché adoro Piton.
 
“Tuttavia.. magari alcuni di voi sono venuti ad Hogwarts in possesso di abilità così formidabili da sentirsi completi abbastanza..”
 
Parla di Potter, vero? Certo che parla di Potter.
 
“.. da non prestare attenzione.”
 
Il principino a cui tutto è dovuto smise di scrivere qualsiasi stronzata stesse scrivendo solo quando Hermione glielo fece notare. Posò la penna ad oca e guardò Piton come se non avesse fatto assolutamente niente male.
 
Imbecille.
 
“Signor Potter.. la nostra.. nuova.. celebrità.”
 
Yvonne si sentì sorridere soddisfatta.
Finalmente quel moccioso si sarebbe beccato una ramanzina dall’unica persona in tutto il castello che non gli lecca il culo.
 
Godo.
Ohhh come godo.
 
“Dimmi, cosa ottengo se verso della radice di asfodelo in un rinfuso di artemisia?”
 
Hermione alzò il braccio destro più in fretta di una freccia che si muove quando viene incoccata.
 
Potter scosse la testa.
 
“Non lo sai? Bene, riproviamo. Dove guarderesti, Potter, se ti chiedessi di trovarmi un Bezoar?”
 
Hermione alzò il braccio di nuovo.
 
“Non.. non lo so, signore.”
 
“E qual è la differenza tra l’aconito e luparia?”
 
“Non lo so, signore.”
 
Nel frattempo Hermione ormai si stacca il braccio a forza di tenerlo alzato.
 
“Peccato. E’ chiaro che la fama non è tutto, vero, signor Potter?”
 
Yvonne sentiva tutti gli studenti mormorare e sussurrare quasi in imbarazzo o dispiaciuti per lui, ma lei non lo era. Lei sentiva solo il suo sorriso farsi sempre più grande.
 
Forse Piton ci è andato giù un po’ troppo pesante, ma Potter se lo meritava. Cazzo se se lo meritava.
 
“E’ chiaro che Hermione lo sa. E’ un peccato non chiederglielo.”
 
Cristo ragazzino, lo insegnano ai bambini piccoli di non rispondere ai professori, soprattutto quando hanno, come in questo caso, ragione??
 
Ma perché sono finita nella stessa casata di questo?

Perché?
 
Qualcuno iniziò a ridere, ma a Yvonne non interessò sapere altro. Le interessava solo vedere Potter smerdato da Piton.
 
“Silenzio.”
 
Piton si avvicinò estremamente velocemente, per i suoi standard, al banco di Potter.
 
“Abbassa la mano, sciocchina.” Disse a Hermione, poi prese uno sgabello e si sedette davanti a Potter. Yvonne avrebbe dato qualsiasi cosa per essere più vicina a godersi la scena.
 
“Per tua informazione, Potter, la.. artemisia.. pozione.. potentissima.. distillato della morte vivente.. bezoar.. capra..”
 
Yvonne allungò il collo, ma riusciva a sentire solo qualche parola. Strinse i pugni dalla frustrazione, immaginando dalle poche parole che aveva sentito che Piton gli stesse dando le risposte alle domande che aveva fatto poco fa. Verso la fine, alzò leggermente la voce, quanto bastò perché Yvonne, e il resto della classe, potesse sentire cosa stava dicendo.
 
“Ebbene.. perché voi tutti non prendete appunti..?”
 
Tutti iniziarono a prendere la penna d’oca e a scrivere ossessivamente, anche se Yvonne non sapeva cosa visto che non si era capito niente delle ultime cose che aveva detto, ma non aveva intenzione di far arrabbiare Piton: scrisse sulla pergamena le poche parole che era riuscita a sentire, anche se non avevano senso una dopo l’altra.
 
Quando il professore si allontanò da Potter per tornare alla sua scrivania, Yvonne smise di scrivere e lo guardò con attenzione.
 
“Quelli di Grifondoro annotino che cinque punti verranno tolti alla loro Casa. Il loro compagno è irriverente.”
 
Yvonne guardò Potter seccata anche se molto probabilmente lui non la vide, ma poté vedere che anche Malfoy lo guardava, ridendogli silenziosamente dietro.
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo la lezione di Piton ci fu la pausa prima del rientro delle lezioni del pomeriggio, e Yvonne non aveva la più pallida idea di come passarla. Beverly e Andrea si erano dileguate dopo la lezione, e Yvonne si sentì stupida e infantile nel sentirsi in parte triste solo per questo, come se si sentisse abbandonata da due ragazzine che conosceva appena.
L’idea di andare nella Sala Grande le balenò nella testa per una manciata di secondi, ma aveva troppa paura di incontrare qualcuno che non voleva assolutamente vedere, in più aveva bisogno di stare da sola, e certamente non lo sarebbe stata in uno dei luoghi più frequentati del castello.
 
Alla fine optò per il cortile della Torre dell’Orologio. Era uno dei luoghi che preferiva in tutta Hogwarts, tranquillo ma al tempo stesso vicino alla Sala Grande, non correndo così il rischio di perdersi. Al centro c’era una meravigliosa fontana con un’acqua verdastra, e quattro volatili ai lati a farne la guardia. Era un luogo antico e in parte distrutto e logorato, ma Yvonne lo trovava bellissimo.
 
Si sedette al centro vicino alla fontana, poggiando la schiena contro una delle colonne. Non aveva portato libri o altro da fare e in parte se ne rammaricò, dato che avrebbe potuto usare quel tempo per studiare, ma in fondo non ne aveva bisogno. Le sarebbe bastato stare vicina a Hermione nella prossima lezione, subito dopo il pranzo.
 
C’era un gradevole venticello nonostante il tempo soleggiato, e Yvonne passò diversi minuti a goderselo.
 
Finalmente.. sola.
Finalmente posso tirare un sospiro e riflettere.
 
Era da davvero troppo tempo che non stava per conto suo, e ne aveva decisamente bisogno. Non era mai riuscita a capire come alcune persone sentissero sempre il bisogno di stare in compagnia, come se temessero la solitudine. Lei amava la solitudine. Stare sola con in suoi pensieri.
 
Solo le persone che hanno la coscienza sporca o che non riescono a convivere con loro stesse temono la solitudine, perché stando da soli non si può fare altro che riflettere sulle nostre azioni e pensieri. Chi non riesce a stare da solo, non riuscirà mai a stare nemmeno con gli altri, per quanto ci provi. Bisogna prima essere in pace con sé stessi, per esserlo anche con gli altri.
 
Gli era stata detta questa frase tanto tempo prima ma diamine, non riusciva a ricordare da chi. Un parente? Un amico? Oppure era un personaggio di finzione? Era passato tanto tempo da quando l’aveva sentita per la prima volta, eppure rimaneva inchiodata nella sua testa, per qualche ragione.
 
Tic Tac. Tic Tac.
 
L’orologio iniziò a suonare, e Yvonne sussultò. Poi sentì il rumore di zoccoli contro la terra, molto in lontananza, alle sue spalle. Si voltò e vide qualcosa, subito dopo il lungo ponte coperto che portava agli esterni di Hogwarts.
 
Un asino.
 
Senza neanche rifletterci, Yvonne si alzò e iniziò a camminare a passo svelto verso l’animale, motivata dalla possibilità che forse avrebbe ricevuto le risposte che stava cercando, o almeno qualcuna.
 
Man mano che si avvicinava, l’asino si faceva sempre più visibile, sempre più chiaro, fino a quando non fu a qualche metro da lei. Era color grigio chiaro, più chiaro di quanto si aspettasse fosse un asino, ma aveva subito dopo il collo una sorta di linea nera appuntita che si allungava verso il basso fino a raggiungere l’inizio delle zampe anteriori. Yvonne allungò la mano come per toccarlo, ma..
 
L’animale svanì improvvisamente.
Le sembrò di perdere l’equilibrio o inciampare, e con una mano tentò di appoggiarsi al ponte. Lo superò una volta riacquistato l’equilibrio, e..
 
SBAM!
 
Andò a sbattere contro qualcuno, qualcuno che doveva essere un altro studente a giudicare dalla grandezza della sagoma, ma non seppe dire chi. L’impatto le fece cadere gli occhiali, e Yvonne tornò a vedere sfuocato. Quando gli occhiali caddero, non sentì quasi alcun rumore, indicando che erano finiti nell’erba del prato di Hogwarts. Yvonne rimase immobile senza muoversi, per paura di calpestarli e romperli.
 
“Mi.. mi dispiace tanto..”
 
Yvonne riconobbe istantaneamente la voce, e d’un tratto gli occhiali non erano poi così importanti. Voleva solo urlare. O correre via. O entrambe le cose.
 
“Scusami io.. mi dispiace tanto..”
 
Yvonne era tesa come una corda, ma sentì i suoi occhi addolcirsi ai goffi tentativi di Neville di scusarsi.
 
Vide la sagoma che si chinò, e poi si avvicinò. Lei voleva solo allontanarsi, ma la paura la tenne rigida come una statua. Quando Neville le rimise gli occhiali, la vista tornò del tutto indicando che non si erano rotti, probabilmente nemmeno sporcati, ma la paura rimase lì, a legarla al suolo come per l’eternità.
 
Era tale che le ci volle un po’ per capire che Neville stava aspettando una risposta da lei, qualsiasi risposta. Appariva incerto e spaventato come per paura che lei si sarebbe arrabbiata, e Yvonne avrebbe trovato quella reazione adorabile, se non fosse stata tanto terrorizzata.
 
Deglutì nervosamente ed inspirò.
 
“E’.. è colpa mia. Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Ti ho fatto male?” Iniziò a balbettare nervosamente lei, come se avesse arrecato a Neville un affronto imperdonabile.
 
“No, sto bene.” Mormorò Neville, apparendo per un attimo confuso da quella domanda e tutta quella preoccupazione “.. e tu? Stai bene? E’ stata colpa mia, io non volevo..”
 
“Lo so.” Rispose di getto Yvonne.
 
Neville parve titubante per qualche secondo, come se stesse pensando se dire o no a Yvonne una certa cosa, sembrò decidersi, ma proprio mentre stava per farlo, la bocca di Yvonne si mosse più velocemente della sua.
 
“Devo andare.”
 
Neville parve dispiaciuto, e Yvonne vide che la sua mano, che a quanto pare aveva avvicinato, si era ritirata bruscamente.
 
Voleva presentarsi.
Stava per presentarsi.
Ecco cosa voleva fare.

Il suo sguardo triste era troppo per Yvonne, così, con una forza che non sapeva di avere e che fu una vera manna dal cielo, voltò le spalle e tornò indietro, camminando lentamente verso il cortile della Torre dell’Orologio, e allontanandosi da Neville il più possibile.
 
 

 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 6 ***












LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 6










 
 
 
 
 
“Avanti.”
 
Arielle respirò a fondo, premette il pulsante alla destra delle porte per aprirle ed entrò.
 
Dopo tutta quella conversazione con Uhura, si era sentita rinata e al tempo stesso aveva acquistato un coraggio che non sentiva di avere da tempo.
 
Da quando aveva “litigato” con Spock, non aveva fatto altro che evitare tutto e tutti, soprattutto lui, per la vergogna, ma ora era pronta a voltare pagina. Certo, avrebbe preferito metterci di più a trovare l’alloggio di Spock per guadagnare tempo, ma quando sei il Primo Ufficiale hai una targhetta appena fuori dalla tua stanza che indica che lì risiede il braccio destro del Capitano.
 
Coraggio, Arielle.
Nuovo Universo. Nuova te.
 
Eppure sentiva il cuore che le batteva all’impazzata, e quella vergogna se la sentiva ancora addosso, non importa quante volte si fosse lavata nella speranza di levarsela via come sporcizia.
 
L’alloggio di Spock era ordinato e complesso, esattamente come lui. C’era una piccola scrivania di legno sopra alla quale, in un angolo, risiedeva un minuscolo televisore. Dietro di essa si trovava una parete sulla quale si trovavano alcuni oggetti, tra cui gli scacchi tridimensionali. Dietro quella stanza c’era la zona notte, dai colori molto più scuri e vivaci, dove dominava il rosso. Sul letto, Arielle vide una specie di piccola coperta nera con dei simboli dorati sopra, che dovevano avere un rimando vulcaniano, come quasi tutti gli altri oggetti presenti nell’alloggio.
 
Ma Spock non si trovava né sul letto né sulla scrivania. Quando Arielle entrò, se lo ritrovò in piedi al centro della stanza, con le braccia dietro la schiena, come se la stesse aspettando. Come se fosse stato lui stesso a chiamarla e si fosse preparato al suo arrivo.
 
Non appena sentì gli occhi del vulcaniano su di lei, Arielle si sentì profondamente spaventata, intimorita. Senza accorgersene, finì con il mettere anche lei le braccia dietro la schiena.
 
“Signor.. Comandante Spock..” si guardava i piedi, ma poi si fece coraggio e, non si sa dove, trovò la forza di guardarlo dritto negli occhi “.. mi permetto di disturbarla perché ci tengo a farle sapere quanto sia estremamente dispiaciuta per il nostro ultimo incontro. Il mio comportamento è stato inaccettabile e.. illogico.”
 
Spock alzò un sopracciglio come solo lui sapeva fare quando Arielle disse “illogico”. La ragazza non seppe dire se era un segno di approvazione o disapprovazione.
 
“So che voleva solo aiutarmi. Mi dispiace se l’ho offesa in qualche modo.”
 
“L’offesa è un emozione umana.” Commentò prontamente Spock.
 
Ahia.
Dovevo ricordarmene.
Andiamo Arielle, puoi fare meglio di così.
 
“Voi avete scelto di usare il vostro tempo prezioso per darmi un profondo aiuto e io avrei dovuto..” Arielle pensò a lungo a quale parola usare “.. essere più rispettosa. E paziente.”
 
Deglutì nervosamente. Spock non lasciava trasparire nulla.
 
“Mi piacerebbe riprendere le nostre lezioni. Sempre se voi siete d’accordo e se.. ritenete che ne valga la pena. Non voglio che perdiate il vostro tempo solo per fare un favore a me o al Capitano Kirk.”
 
“Signorina Marchand..” cominciò Spock, facendo un paio di passi verso di lei “.. non ho mai ritenuto che fosse una perdita di tempo. Siete stata voi a pensarlo.”
 
“Mi dispiace..”
 
Stupida. Perché ti stai scusando così tanto?
Non riesci a dire altro?
 
Aveva preparato il discorso da dire a Spock numerose volte prima di avere il coraggio di andare nel suo alloggio e farglielo di persona, eppure stava andando male comunque.
 
Spock abbassò la testa per qualche secondo, e Arielle riuscì a vedere che le sue braccia, nonostante fossero ancora nascoste dietro la schiena, si mossero impercettibilmente. Se non fosse stato Spock, avrebbe quasi pensato che fosse.. nervoso?
 
“Vi manca molto casa vostra?”
 
Arielle rimase sul momento spiazzata da quella domanda personale che si sarebbe aspettata da Jim, da Bones, ma di certo non da Spock.
 
E fu ancora più spiazzata quando capì che non sapeva cosa rispondere.
 
Le mancava? Certo che le mancava. Era casa sua.
Ma quanto le mancava?
Le mancava l’enorme villa in cui era nata e cresciuta che, per quanto grande, non rendeva migliore la solitudine in cui era rinchiusa per via della sua vitiligine?
Le mancava stare alla finestra della sua camera a guardare i suoi genitori e sua sorella divertirsi con amici e feste mentre lei non poteva nemmeno uscire dalla sua stanza?
 
Ma Yvonne e Nolwenn.
I domestici che si preoccupavano sempre per lei.
I suoi libri.
 
Quelli sì che gli mancavano.
 
“Molto.. ma credo che a mancarmi di più fosse la sicurezza che avevo, a cui ero abituata. La quotidianità.”
 
Rispose quasi senza pensarci, ma Spock parve approvare.
 
Con la coda dell’occhio, Arielle vide di nuovo alcuni degli oggetti vulcaniani di Spock. Di getto, ebbe la forte tentazione di chiedergli se per lui era lo stesso, se anche lui sentiva la mancanza di Vulcano, ma pensò fosse troppo personale e che non erano ancora pronti a quel livello di confidenza, così si morse le labbra e tacque.
 
“Sarò sincero con lei, signorina Marchand..”
 
Arielle annuì incoraggiandolo ad andare avanti, ma dentro sentiva una certa dose di ansia, come se non le sarebbe piaciuto quello che avrebbe sentito.
 
“Le probabilità che lei riesca a tornare nell’universo dal quale proviene sono alquanto remote..”
 
“Lo so..”
 
“0,015 su 938457264,68986 secondo i miei calcoli..”
 
Oh.
 
“Sono.. sono davvero pochissime..”
 
Ora mi sento triste.
 
“Vuole davvero entrare nell’Accademia della Flotta Stellare?”
 
Spock la guardava dritto negli occhi mentre aspettava una risposta, e Arielle intuì che avrebbe capito se gli avesse mentito. Ma tanto lei non avrebbe mentito, ragione per cui non si mostrò timorosa. Ricambiò lo sguardo a testa alta.
 
“Lo voglio.”
 
“Non sarà facile, signorina Marchand, soprattutto per qualcuno come lei, non abituato alla Terra di questo secolo, alla storia di questo secolo, alla vita di questo secolo. Oltre agli sforzi accademici che dovrà fare, ci vorrà anche un’apertura mentale notevole da parte sua. Ne è consapevole?”
 
“Sì.”
 
Arielle iniziava ad avere difficoltà a controllare il suo nervosismo, ma fece di tutto per non farlo vedere a Spock. Se lui avesse anche solo sentito l’ombra di una paura in lei, non l’avrebbe più aiutata perché avrebbe ritenuto che fosse del tutto superfluo.
 
Dopo un lunghissimo silenzioso momento che passarono a studiarsi, Spock smise di tenere le braccia dietro la schiena.
 
“Mi segua.”
 
Arielle obbedì ed entrambi lasciarono l’alloggio.
 
Spock camminava relativamente piano, ma il suo passo era sicuro, e meno rigido di quanto Arielle si aspettasse. Camminarono attraverso un lungo corridoio fino al raggiungimento di un turbo ascensore. Lì, Spock disse una zona della nave con l’accompagnamento di un numero e il turbo ascensore eseguì. Arielle non sapeva molto dell’Enterprise, ma riuscì a capire che stavano andando nella parte Sud della nave.
 
Lasciato il turbo ascensore, camminarono ancora per una decina di minuti, e Arielle non aveva ancora capito dove stessero andando. Inizialmente aveva pensato che Spock l’avrebbe portata sul ponte di comando per riprendere le lezioni, ma più si muovevano e più si allontanavano da quel luogo, quindi stavano chiaramente andando da tutt’altra parte.
 
“Signor Spock.. scusi.. dove.. dove stiamo andando? Non.. non riprendiamo la lezione?”
 
“E’ così.”
 
“Ma.. il ponte di comando..”
 
“Non siamo diretti al ponte di comando.”
 
Quando Spock si fermò, si trovavano in quello che sembrava un normalissimo corridoio, ma non lo era. C’erano due enormi porte chiuse su una parete quasi invisibili alla vista, le più grandi che Arielle avesse visto sull’Enterprise, e Spock si mise accanto ad esse, iniziando a muovere le dita su un riquadro scuro che emetteva tante piccole luci ad intermittenza, come le luci natalizie. Arielle fu molto tentata di chiedergli qualcosa, ma Spock sembrava molto concentrato e non voleva disturbarlo: vide però che ad un certo punto teneva, tra le lunghe dita affusolate, un piccolo riquadro azzurro, simile a quello che si inseriva nella macchina della sala mensa per mangiare, ma di un colore diverso. Spock lo inserì, e continuò con le sue manovre. Dopo all’incirca dieci minuti, le porte si aprirono.
 
Spock si voltò verso di lei mettendo nuovamente le braccia dietro la schiena, poi spostò un braccio per indicare ad Arielle di entrare. Lei obbedì.
 
Era una stanza vuota e bianca, grande ma non grande quanto Arielle si sarebbe aspettata. Il pavimento era nero, ma pieno di righe verdi e luminose come se fossero una sorta di laser, che a volte arrivavano a formare dei rombi. Aveva quasi paura a muoversi per paura che uno di quei raggi verdi la ferisse.
 
Sentì qualche passo dietro di sé. Era Spock che era entrato e che si era fermato appena dietro di lei. Quando le porte si chiusero, si sentì una sorta di flash, forte ma non fastidioso, come se provenisse da lontano. Arielle non seppe dire se era lei che non stava bene e che aveva le visioni o se stesse accadendo davvero, ma la stanza che aveva visto fino a quel momento parve dissolversi e al suo posto apparve l’immagine di una città, una città sfuocata.
 
Si mise una mano davanti agli occhi come per proteggersi dai raggi di un Sole inesistente, e quando la tolse non poté credere a ciò che stava vedendo.
 
Parigi.
La sua Parigi.
Vide Notre Dame.
Vide il bar che aveva quei Crossaint che amava tanto.
Vide la piazza in cui correva e giocava con Yvonne e Nolwenn quando erano bambine.
Vide i negozi.
Vide le banche. Le poste. Gli alberghi.
Vide casa sua.
 
Se chiudeva gli occhi, poteva rivedere quel pomeriggio con le sue amiche. Erano in piazza. Lei e Nolwenn erano vicine ad un muretto, e poi riconobbero la macchina della madre di Yvonne, e lei che usciva e le andava incontro.
 
Se chiudeva gli occhi, poteva sentire i loro sorrisi, i loro abbracci..
 
Ebbe un improvviso sussulto quando sentì Spock muoversi e avvicinarsi, la sua camminata inconfondibile. E così tutto finì.
 
Le immagini di Yvonne e Nolwenn si dissolsero come si erano dissolte quel giorno maledetto a Notre Dame, così come quella fantasia che era sembrata così vera.. per poco.
 
“Cosa..”
 
“E’ il Simulatore Ambientale Olografico dell’Enterprise.”
 
“Una Sala Ologrammi?”
 
“Si potrebbe dire così.”
 
Arielle ricordava bene alcuni episodi di Star Trek ambientati in parte nella Sala Ologrammi, ma si trattava di altre serie mai dell’originale, serie ambientate un secolo dopo. Non c’erano mai stati riferimenti ad esso nella serie originale, quindi aveva dato per scontato che fosse stato inventato dopo e che non esistesse ancora nell’Enterprise di Kirk. Evidentemente si sbagliava.
 
Ora che guardava meglio, vedeva che non era la vera Parigi. O meglio, era un’immagine perfetta della sua Parigi, ma pur sempre un’immagine.
 
Non c’erano persone. Non tirava vento. Era tutto fermo. Tutto immobile. Tutto bloccato.
 
Ma era comunque un’immagine di casa sua.
E questo le bastava.
 
“E’ questa casa tua?” le chiese Spock.
 
Arielle annuì senza emettere un suono, ancora sotto shock.
 
Spock le passò davanti, e Arielle dovette sforzarsi per trattenere un sorriso. Vedere Spock muoversi nella Parigi del ventunesimo secolo, la sua Parigi, era uno spettacolo a dir poco esilarante.
 
Il vulcaniano entrò nel bar in cui Arielle prendeva sempre le sue paste, e si sedette ad un tavolo. Lei si avvicinò incerta.
 
“Siediti. Così iniziamo.”
 
“Iniziamo?”
 
“La prelezione.”
 
Arielle sgranò gli occhi incredula.
 
Aveva avuto un tale shock emotivo nel rivedere la sua casa che si era completamente dimenticata di quello che avrebbero dovuto fare.
 
“Qui?”
 
“Preferisci il ponte di comando?”
 
“No! E’ che.. perché qui?”
 
Spock sospirò come se la risposta avrebbe dovuto essere ovvia, ma rispose comunque.
 
“Ho ritenuto che potessi essere più a tuo agio in un luogo che conosci. Confido che il tuo apprendimento ne trarrà beneficio.”
 
Arielle sentì i suoi occhi bagnarsi, e le riuscì impossibile reprimere del tutto un sorriso.
 
Per lei.
Lo stava facendo per lei.
Spock si era messo lì a creare un’immagine olografica perfetta della sua casa per farla sentire meglio e aiutarla a studiare.
 
Si sentì ancora più stupida ricordando la discussione che aveva avuto con lui.
 
“Grazie.”
 
Le fu molto difficile limitarsi a quello, avrebbe voluto essere più esaustiva. Abbracciarlo. Ringraziarlo con più enfasi. Ma Spock era un vulcaniano. Avrebbe approvato di più una reazione logica, e quella lei avrebbe avuto.
 
“Gliel’ho appena spiegato, signorina Marchand, lo sto facendo a beneficio del suo apprendimento, affinché la prelezione possa procedere senza troppi intoppi.”
 
“Lo so. Comunque. Grazie.”
 
Spock non ribatté nulla questa volta, ma chinò leggermente il capo in segno di accettazione.
 
Arielle guardò la sedia in cui avrebbe dovuto sedersi, ma sembrava incerta. Tutto intorno a loro, compreso le sedie, sembrava un’immagine, e aveva quasi paura che toccandola non avrebbe sentito niente. Che se avesse provato a sedersi sarebbe caduta. Ma Spock non era caduto. E stava aspettando.
 
Inspirò, e tirò indietro la sedia con la mano in un attimo, causando un rumore notevole. Fu sorpresa anche di quello.
 
E alla fine, si sedette.
 
A quel punto, Spock tirò fuori due tricorder, e uno lo porse ad Arielle, iniziando la lezione.
 
E Arielle capì di più in quelle tre ore che in tre settimane sul ponte di comando.
 
 






 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** C'era una Volta - Capitolo 7 ***


 
 
 
 
 
 
 
 
C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 7
 
 
 
 
 









“Ma guarda un po’ chi si vede..” Nolwenn e Mathieu avevano appena varcato la soglia, ma Edmond non poteva aspettare che fossero dentro casa per dare inizio alla ramanzina rivolta alla ragazza “..Miss vienimi incontro.”
 
Ma Nolwenn non lo ascoltava.
Non gli interessava ascoltarlo.
Aveva ancora la testa tra le nuvole.
 
Sorrideva beatamente, incurante delle parole di Edmond. Non seppe nemmeno dire se avesse smesso o se stesse continuando a sgridarla. Non le importava.
 
Quel principe.
Quanto era bello.
E’ successo davvero?
Mathieu era lì, no? Posso chiedere a lui?
 
“OH!” sbottò Edmond infastidito “..mi stai ascoltando?!?”
 
Il suo tono di voce non era tanto alto da arrivare all’urlo, ma lo era abbastanza da far riprendere Nolwenn, almeno momentaneamente. Era ancora sorridente ed euforica per l’incontro con il principe, ma almeno aveva ripreso coscienza di quello che stava realmente accadendo intorno a lei in quel momento.
 
“Eh? Scusa, hai detto qualcosa?”
 
“Ma sei ubriaca?”
 
“Meglio! Molto meglio!”
 
“Meglio per chi? Per me o per te?”
 
Nolwenn gli corse incontro fermandosi ad un passo di lui, talmente euforica da dimenticarsi che non avevano quel tipo di confidenza. Quando le fu davanti, Edmond allontanò rapidamente il viso come se vederla così da vicino l’avesse spaventato. Persino Mathieu sussultò.
 
“Non riuscirai mai ad indovinare chi ho incontrato al lago.”
 
“Altri brufoli che si sono attaccati spontaneamente alla tua faccia?”
Nolwenn rise, e appoggiò amichevolmente le mani sulle braccia di Edmond, toccandogli gli abiti luridi e vecchi. Nemmeno se ne rese conto, ma Edmond sì.
 
“Non toccarmi.” Disse seriamente, anche se nella sua voce non c’era traccia di rabbia, solo un leggero fastidio.
 
Nolwenn obbedì lasciando la presa, ma continuava a sorridere.
 
“Un principe.”
 
“Un principe?”
 
“Un principe bellissimo.”
 
“Un principe bellissimo?”
 
Nolwenn colpì amichevolmente Edmond in un braccio, fingendosi offesa.
 
“Smettila di ripetere tutto quello che dico!”
 
“E’ così che si fa con i matti.”
 
“Non sto mentendo.”
 
“Ti aspetti che creda davvero che hai incontrato un principe.. ah no aspetta, perdonami..” fece le virgolette con le dita “… un principe bellissimo..” chiuse le virgolette, poi riprese con il suo solito tono sarcastico “..nel bosco?”
“Guarda che è vero, papà.. l’ho visto anche io!” intervenne il bambino, e Nolwenn allargò le braccia verso di lui come per dire all’uomo “te l’avevo detto io”.
 
“Mathieu, te l’ho già detto tante volte..” Edmond si rivolse al figlio “..la gente mente. Il fatto che uno sconosciuto ti dica che è qualcuno, non significa che lo sia.”
 
“Era vestito elegantemente. E aveva un esercito.”
 
“Questo dice solo che è un vanitoso, superficiale comandante, un soldato che è semplicemente salito di grado.” Il modo in cui aveva detto la parola “soldato” fece intuire a Nolwenn che Edmond non avesse un’alta opinione di loro e che anzi, provasse un profondo disprezzo.
 
“Era un principe.” Ripeté la ragazza, questa volta con assoluta convinzione, tanto che Edmond lo trovò quasi divertente.
 
“Sì, come no.” Tagliò corto Edmond, evidentemente stanco di quella conversazione che stava continuando più del necessario “..quando hai finito con questi viaggi mentali immaginari, c’è un capanno da pulire e delle mele da mettere nelle casse. Hai molto lavoro da recuperare.”
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
Nolwenn ci mise più di dieci ore a svolgere tutti i lavori che le aveva affidato Edmond. Quando aveva iniziato non era ancora calato il Sole, ma quando finì era già buio, eppure il tempo volò, come se il passaggio dal giorno alla notte fosse avvenuto nell’arco di un battito di ciglia.
 
Tutto per quel principe.
Non aveva fatto altro che pensare a lui.
 
Quando si era stesa nel capanno per addormentarsi, si rese conto di non voler davvero dormire. Chiudeva gli occhi e riusciva a vederlo. I suoi fluenti capelli neri. I suoi splendidi occhi blu. Troppo blu per essere veri.
 
“I miei impegni attuali mi portano lontano da qui purtroppo, ma sarò nuovamente sulla strada verso casa molto presto. Tra sette giorni esatti tornerò qui nella speranza di incontrarvi nuovamente.”
 
Sette giorni.
Sette giorni e lo avrebbe rivisto.
 
E se non fosse stato così?
Se Edmond avesse avuto ragione?
Se era solo un imbroglione che si era fatto passare per principe? Che aveva finto di essere interessato a lei?
Perché un uomo così bello dovrebbe essere interessato a lei?
E se fosse un principe destinato ad un’altra principessa, e non a lei? E se stesse interferendo con una storia d’amore senza saperlo?
In fondo erano nel mondo Disney, no?
 
Nolwenn iniziò a cercare nella sua memoria tutti i principi delle favole che riuscisse a ricordare, ma l’unico che rammentava che avesse i capelli scuri e gli occhi blu era Eric della Sirenetta, ma non doveva essere lui.
 
No, non può essere lui.
Eric non era un marinaio danese?
Il principe che ho incontrato io era più un soldato, e sembrava più uno che monta sul proprio cavallo che uno che viaggia per gli oceani a bordo di una nave.
 
Iniziò a sentire la tensione crescere, e d’un tratto sperò di addormentarsi, ma era più facile a dirsi che a farsi. Provò diverse posizioni, ma fu del tutto inutile.
 
Sei ridicola, Nolwenn.
Manco dovessi incontrarlo di nuovo l’indomani.
Manca ancora una settimana.
 
Soffiò frustrata, e nel farlo vide che c’era un ragno non molto distante da lei che si avvicinava. Sbatté le palpebre e si irrigidì. Non aveva paura dei ragni, ma avrebbe preferito averli lontano. La presenza di quell’animale fu esattamente ciò che le serviva per autoconvincersi che non avrebbe chiuso occhio quella notte.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
Era una notte buia, ma anche luminosa. Quando uscì dal capanno, riusciva a vedere qualcosa intorno a sé, contrariamente alla notte in cui era arrivata lì. Non avrebbe sbattuto in nessun albero questa volta, e non avrebbe avuto bisogno di aiuto per raggiungere l’abitazione.
 
Fece qualche passo tra gli alberi, finendo con il poggiare la schiena contro il tronco di uno di essi. Gettò un’occhiata verso la casa, e vide del movimento. C’era una piccolissima luce, e riusciva a percepire qualcuno che si muoveva furtivamente.
 
C’è qualcuno?
Un intruso?

Impossibile, uno come Edmond l’avrebbe sentito e si sarebbe svegliato.
 
Era logico pensarla così, eppure Nolwenn sentì la preoccupazione crescere.
 
Non voglio che accada qualcosa a Mathieu e al Jaime Lannister dei poveri.
 
Okay, soprattutto Mathieu. Edmond era un brav’uomo, ma non è che ci fosse chissà quale legame tra loro. Non erano nemmeno amici. Riuscivano a mala pena ad essere civili. Ma era il padre di Mathieu. E Mathieu era il bambino più adorabile che avesse mai conosciuto. E questo significava che il clone di Jaime Lannister faceva parte del pacchetto.
 
Tastò la terra sotto di lei alla ricerca di un bastone, ma sentì qualcosa di viscido. Aguzzò la vista e..
 
“Ah!”
 
Dei piccoli e lunghi vermiciattoli marroni erano tra le sue dita, e Nolwenn non riuscì a fare a meno di urlare dallo schifo e la sensazione di viscido che sentiva nelle mani, ma muovendo agitatamente le braccia riuscì a farli cadere. Fece qualche rapido passo probabilmente schiacciandone alcuni, e poi sentì con il piede un pezzo di legno. Per paura di entrare in contatto con altri vermi, afferrò rapidamente il bastone di legno tenendolo come una spada, ed entrò in casa.
 
Aprì lentamente la porta, ma non fece in tempo a vedere chi o cosa ci fosse dentro che si sentì afferrare per la maglia e tirare dentro. D’istinto, colpì intorno a sé con il bastone, senza però fare granché. Perse il bastone e finì con il cadere a terra.
 
“Ma che cazzo stai facendo? Oltre a renderti ridicola come al solito, ovviamente.”
 
Guardò davanti a sé e vide Edmond in piedi che la guardava come se non sapesse cosa pensare. Indossava pantaloni scuri e una larga tunica da notte, bianca ma sporca. In una mano teneva il bastone di legno che un istante prima aveva Nolwenn, e nell’altra una piccola candela, dalla quale proveniva la poca luce presente nella stanza.
 
“Ho visto qualcuno muoversi da fuori..” mormorò Nolwenn piena di imbarazzo, mentre si rialzava “..pensavo fossi un malintenzionato.”
 
“E se lo fossi stato il tuo piano era dargli due colpetti con questo?” sbottò Edmond, indicando il bastone e gettandolo a terra ai piedi di Nolwenn “..non avresti spaventato neanche un bambino con la non forza che hai usato.”
 
Nolwenn stava per rispondere che voleva solo aiutarli, proteggerli, ma si morse le labbra. Pensò che Edmond l’avrebbe schernita ancora di più e ridicolizzata, e non intendeva dargli altre ragioni per farlo.
 
“Non riuscivo a dormire. Per questo ero fuori dal capanno.” Spiegò lei, immaginando che tanto lui le avrebbe chiesto come mai era fuori, quindi tanto valeva dirlo subito.
 
“Hai avuto un’altra visione celestiale del tuo “principe bellissimo”?”
 
Nolwenn sorrise leggermente alle sue prese in giro, ma trovò il suo sarcasmo quasi divertente.
 
“Non ci credi ancora, vero? Vivi in un mondo dove esistono la magia e i draghi, ma non credi che abbia visto un principe?”
 
Quelle ultime parole lasciarono la sua bocca prima che potesse fermarle.
 
Non era pronta a dire ad Edmond tutta la verità. Non era pronta a raccontargli quella storia folle, la sua storia. Di come era giunta lì. Non le avrebbe mai creduto. Ma ormai era tardi per ritirare tutto, e comunque era piuttosto sicura che l’opinione che avesse di lei non fosse la migliore.
 
Massì. Cosa aveva da perdere?
 
Ma quando Edmond si limitò a fare spallucce invece di controbattere, Nolwenn capì che ai draghi e alla magia ci credeva. A quello sì, ai principi no.
 
“Tu credi nella magia e nei draghi?”
 
“Non ha alcun senso non credere in qualcosa di reale. I draghi abitano questa Terra da molto tempo, e probabilmente ci saranno anche dopo che degli uomini non sarà più rimasto nulla.”
 
Nolwenn non poté fare a meno di notare che aveva parlato solo dei draghi, e non aveva accennato nulla sulla magia. Ma ci credeva. Ci doveva credere, altrimenti avrebbe detto qualcosa.
 
“Insomma..” mormorò Nolwenn, trattenendosi dal ridere “credi ai draghi ma non ai principi.”
 
“I principi esistono ed esisteranno ancora a lungo temo.” Sbottò lui, come se lei lo avesse offeso dandogli dello stupido “..ma non se ne vanno in giro nei boschi, e di sicuro non soccorrono vagabonde fuori di testa.”
 
La ragazza sorrise di nuovo, accorgendosi che le sue frecciatine non gli arrecavano il benché minimo disturbo ormai, come se si fosse abituata a lui e ai suoi modi.
 
“Quando sono arrivata qui.. prima di incontrare Mathieu.. ne ho visto uno. Di drago. Volava lontano, su nei cieli. Ma l’ho visto. E tu invece?”
 
“Io cosa?”
 
“Quando l’hai visto, un drago? Quante volte? E l’hai visto da vicino?”
 
“Chi ha mai detto che ho visto un drago?”
 
“Hai detto che non ha senso non credere in qualcosa di reale. Tu sei troppo razionale per credere che una tale creatura esista senza averla mai vista con i tuoi occhi.”
 
A Edmond piaceva fare il misterioso e parlare poco e con scarsa emotività, ma una delle poche cose che Nolwenn aveva capito di lui è che le poche volte in cui parlava, quelle parole dicevano molto di più sul suo conto di quanto credesse. Quindi aveva imparato ad ascoltare più attentamente ogni frase che gli usciva dalla bocca.
 
Edmond la osservò per un attimo, come se stesse cercando di capire se stava bleffando oppure no, tanto che Nolwenn iniziò a temere che avesse sbagliato e che forse lui credeva nei draghi solo perché era una di quelle cose che “si sapevano”. In fondo lei non aveva vissuto in quel luogo, ci era appena arrivata.
 
“E’ stato tanto tempo fa..” disse infine lui, proprio quando Nolwenn stava per cedere “..quando ero un bambino.”
 
“Oh, quindi è stato davvero tantissimo tempo fa, un secolo quasi..” scherzò Nolwenn, quasi senza pensarci.
 
“Ah ah.” Fece finta di ridere Edmond, ma lei riuscì a vedere l’accenno di un sorriso sulle sue labbra, anche se cercava di reprimerlo.
 
“Dunque sei un Lannister nell’aspetto, ma un Targaryen nell’animo, eh?”
 
“Scusami?”
 
Oh cazzo.
Oh merda.

 
Era successo di nuovo. Avevo nuovamente parlato senza riflettere. Perché mi sta succedendo così spesso? Prima con il principe, e oggi con Edmond quante volte è successo? Che mi prende? E mo’ cosa mi invento?
 
“Niente.”
 
“Voglio sapere cosa significano quei nomi che hai appena detto.”
 
“Niente, davvero. E’ una sciocchezza.”
 
“Parla.”
 
Nolwenn inclinò la testa sconfitta, e senza accorgersene si sedette sul divano, lo stesso divano in cui si sedette quando vide Edmond per la prima volta e lui la fece alzare. Ma questa volta non fece o disse niente.
 
“Dalle mie parti c’è questo.. ehm.. racconto diciamo così.. che narra di alcune famiglie nobili che si fanno la guerra per avere la corona..”
 
Oddio.
Che cringe.
 
Deglutì e continuò.
 
“I Lannister e i Targaryen sono due di queste famiglie. E tu..” Nolwenn dovette guardare per terra per avere il coraggio di dire quello che stava per dire senza sentirsi una mocciosa “..sei esteticamente identico ad un Lannister. E i Targaryen hanno come simbolo della loro Casa i draghi. Per questo ehm.. ho detto.. quella cosa lì.”
 
Nolwenn sentì il suo viso farsi rosso come un pomodoro.
 
“Come fai a sapere che sono identico a questo tizio? Lo conosci di persona?” chiese Edmond, ancora dubbioso.
 
So com’è grazie ad una cosa chiamata televisione.
Ma non penso tu sia pronto per questo.
Io di sicuro non sono pronta a spiegartelo, questa conversazione è già stata troppo per me.
 
“E’ complicato.”
 
Dio ti prego, fatti bastare questa risposta.
Non chiedermi altro.
Perché fidati, non vuoi sapere altro.
 
Edmond la fissò per una manciata di secondi che parvero un’eternità, ma infine scosse la testa e riprese a guardarla sconvolto.
 
“Tu sei davvero tutta matta.” Le diede le spalle e si diresse in camera sua, mentre Nolwenn esultava mentalmente per la fine di quella conversazione “torna nel capanno e dormi, che alla mattina ti aspetta molto lavoro.”
 
La ragazza sentì che chiuse la porta dietro di sé, e poi si adagiò sul divano. Edmond le aveva detto di tornare nel capanno e non sarebbe stato contento se l’avesse trovata addormentata nel divano, ma era così comodo e Nolwenn non aveva assolutamente la benché minima voglia di alzarsi. Si addormentò nel momento stesso in cui si sdraiò.
 
Dormì per un’ora, massimo due se era stata fortunata. Poi venne svegliata bruscamente dalla voce tonante di Edmond, che le diceva di andare a pulire i cavalli.
 
E un’altra giornata di lavoro iniziò.
 
Una giornata in meno che la separava dall’incontro con il suo bel principe.
 
 

 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 7 ***


QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 7
 
 
 
 
 
 


Le mancavano i suoi videogames.
 
Le mancava giocare a Pokémon con la sua Nintendo al caldo sotto le coperte del suo letto, alla ricerca di mostriciattoli tascabili trovandone anche di cromatici, di tanto in tanto.
 
Le mancava giocare a Resident Evil nel salotto di casa sua, alla ricerca di strumenti utili cercando di non farsi ammazzare.
 
Le mancavano i pomeriggi passati a guardare Star Trek, un episodio dopo l’altro, una stagione dopo l’altra, una serie dopo l’altra.
 
Ma soprattutto, le mancava comportarsi e muoversi come voleva. Le mancava andarsi a letto quando voleva e svegliarsi quando voleva, le mancava avere la casa tutta per sé, le mancava la privacy.
 
E le mancava mangiare quando voleva, e dove voleva.
 
Quel pomeriggio era andata nella Sala Grande proprio perché voleva mangiare, ma l’aveva trovata più piena del solito, manco fosse ora di pranzo o di cena, e non ne capiva la ragione.
 
Molti studenti parlavano fra loro, altri mangiavano come voleva fare lei, altri addirittura stavano facendo i compiti, e Yvonne sentì una punta di invidia per gli studenti che appartenevano a quest’ultima categoria, perché come riuscissero a rimanere concentrati con tutto quel rumore era al di là della sua comprensione.
 
Gli unici posti al tavolo dei Grifondoro non occupati che Yvonne notò erano o vicino a Ron o vicino a Neville. Il primo stava parlando con Harry, mentre il secondo stava facendo i compiti evidentemente, oppure stava scrivendo una lettera. Le veniva l’orticaria a pensare di sedersi vicino a Ron, ma era comunque meglio che sedersi vicino a Neville.
 
Dopo il loro fugace incontro all’esterno di Hogwarts, non si erano più visti, né parlati. O meglio, Yvonne lo aveva visto, ma lo aveva sempre accuratamente evitato, stando molto attenta a sparire dalla sua area visiva prima che la notasse. Quando si sedette accanto a Ron, quest’ultimo appena la notò, ma Neville la guardò. La guardò per una manciata di secondi, e per Yvonne fu così traumatico che non riusciva a mantenere lo sguardo. Prese un pezzo di pane ed iniziò a mangiare.
 
Quando arrivò al quarto pezzo di pane, Seamus iniziò con il suo penoso tentativo di fare qualunque cosa volesse fare, e Yvonne si sentì imbarazzata per lui.
 
“Occhio di coniglio, rumore di fischi, trasforma quest’acqua, in whisky.” Pausa, poi riprese con il solito ritornello.
 
Perché un bambino di undici anni dovrebbe voler provare il whisky?!?
 
“C- cosa vuole fare Seamus con quel bicchiere d’acqua?” chiese Harry al suo compare.
 
“Trasformarlo in whisky. Ha ottenuto un leggerissimo tè ieri. Qui—”
 
Si sentì una piccolissima esplosione, e per poco a Yvonne andò di traverso il pane che aveva mangiato. Ma vedere Seamus con i capelli dritti e la faccia nera la fece lievemente sorridere. Ne era valsa la pena.
 
“Ah..” mormorò ad un certo punto Ron, alzando la testa “.. posta in arrivo!”
 
Tutti alzarono la testa per guardare i gufi che volarono nella Sala Grande per le loro consegne. Yvonne si limitò a guardarli con la coda dell’occhio, e solo quando iniziarono a far cadere gli oggetti che erano venuti a portare, si decise ad alzare lo sguardo per paura che qualcosa le cadesse addosso.
 
Non mi cadrà niente addosso. Perché mi preoccupo?
Non c’è niente per me.
Chi vuoi che mi mandi qualcosa qui?
 
Riabbassò lo sguardo, ma proprio quando lo fece qualcosa atterrò davanti a sé, finendo sul piatto con le briciole di pane che aveva mangiato poco prima. Era una busta.
 
Yvonne la guardò per un po’, quasi timorosa che toccandola si sarebbe fatta male, come se fosse una trappola, ma le persone intorno a lei iniziarono a guardarla, così la afferrò e la aprì. C’era una lettera.
 
“Cara Yvonne,
 
come stai? Spero che tutto stia andando bene ad Hogwarts. Ho saputo che sei stata smistata a Grifondoro, congratulazioni! Lo sapevi che si dice che Grifondoro è la casata degli impavidi? Ho sentito che anche Harry Potter è stato smistato lì, spero tu possa fartelo amico, ne avrai bisogno. Di amici dico, se poi si tratta di amici che possono anche darti una grossa mano come Harry Potter, beh, tanto meglio no? Fossi in te, ci farei un pensierino. So che non ti sta molto simpatico, ma gli darei un’occasione. A lui e a molti altri intorno a te. E chissà, forse riusciresti ad aiutarlo anche tu, a modo tuo. Ricorda, tutti abbiamo bisogno di qualcuno, anche l’uomo più forte e potente del mondo ha bisogno di un appoggio.
 
Perdonami se questa lettera ti sembra strana, ma non ne scrivo molte e questo è il mio unico modo per contattarti, almeno fino a quando l’anno scolastico non sarà concluso.
 
E come va con l’uniforme? Hai avuto problemi disciplinari per le scarpe maschili? Spero proprio di no.
 
Attendo con ansia una tua risposta.
Firmato,
un vecchio amico.”
 
Yvonne chiuse la lettera e sospirò.
 
Un vecchio amico un paio di palle.
 
Avrebbe dovuto immaginare che si sarebbe fatto risentire, ma ciò nonostante non seppe dire se quella lettera l’aveva resa felice o triste. Il suo contenuto non le era nemmeno lontanamente piaciuto, con tutte quelle fesserie sul farsi amico Harry Potter, ma una parte di sé si sentì meno patetica ad aver ricevuto qualcosa.
“Ehy, guardate..” era Dean Thomas “.. Neville ha avuto una Ricordella.”
 
“So tutto sull’argomento..” iniziò Hermione “.. quando il fumo diventa rosso significa che hai dimenticato qualcosa.”
 
“Ma il problema è..” mormorò Neville, girandosi verso Hermione, e quindi anche verso Yvonne visto che Hermione era seduta davanti a lei, per risponderle “..che non ricordo cosa ho dimenticato.”
 
Yvonne non fece in tempo ad abbassare lo sguardo imbarazzata che sentì Harry parlare.
 
“Ehy Ron..” cominciò, leggendo da quello che sembrava un giornale “..qualcuno ha scassinato la Gringott. Ascolta..”
 
No.
No no no no.
Qui si va nella trama principale che non mi compete.
 
Solo allora Yvonne realizzò che era vicina al trio delle meraviglie. Sapeva di essere vicino a Harry e Ron, e sapeva che Hermione era davanti, ma era come se fino a quel momento avesse pensato a loro solo singolarmente. Come se non fossero un gruppo. Ma lo erano. E lei ne faceva parte.
 
Ma lei non voleva assolutamente farne parte. Quella fu l’ultima goccia.
 
Si alzò e se ne andò, alzando gli occhi al cielo infastidita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Per smaltire tutto quel pane che aveva mangiato, Yvonne iniziò a muoversi per il castello senza una meta precisa, come faceva sempre quando non sapeva cosa fare o voleva restare sola con i suoi pensieri.
 
Non riusciva a togliersi dalla testa quella lettera.
 
“..Ho sentito che anche Harry Potter è stato smistato lì, spero tu possa fartelo amico, ne avrai bisogno..” “..E chissà, forse riusciresti ad aiutarlo anche tu, a modo tuo..”
Quel passaggio le aveva dato da pensare.
 
Non era minimamente intenzionata a diventare amica di Harry Potter, c’è già tutta la scuola che non desidera altro, ma aiutarlo? Forse quello avrebbe potuto farlo.
 
Non doveva niente a Harry Potter e di certo non aveva voglia di fargli dei favori, ma aiutarlo significava fare in modo che la storia prendesse una piega migliore. Il che significava meno dolore e meno morte alla Guerra finale contro Voldemort. Il che significava più possibilità per lei di sopravvivere e riuscire a tornare a casa, che era il suo obbiettivo finale.
 
Ma come posso aiutarlo, senza esserci amica? Semplice. Posso aiutarlo senza che lui lo sappia.
 
Forse non poteva andare da lui e rivelargli ogni cosa ancora prima che accadesse, ma poteva agire nell’ombra cambiando piccole cose qua e là.
 
E quando realizzò che l’indomani ci sarebbe stata la prima lezione di volo, capì cosa fare.
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
Ritornò nella Sala Grande qualche ora più tardi. Era tardo pomeriggio, ma non era ancora ora di cena, quindi la trovò quasi deserta. Nemmeno gli insegnati erano presenti. Ma chi le interessava lo era, e non contava altro.
 
Draco Malfoy se ne stava al tavolo dei Serpeverde tra Tiger e Goyle, parlando di chissà cosa.
 
Probabilmente si sta vantando del successo della sua famiglia, e se ne uscirà con un “mio padre lo verrà a sapere” tra una frase e l’altra. Tipico.
 
Yvonne non si premurò neanche di andarsi a sedere tra i pochi Grifondoro presenti. Sentiva il cuore che le batteva all’impazzata.
 
Sto per giocare d’azzardo.
Non so come andrà.
Ma non mi capiterà più un’occasione così, beccare Malfoy in un luogo con così pochi presenti.
Respira, Yvonne.
Ricorda, è per il tuo bene.
Avrai più possibilità di tornare a casa. Dai tuoi genitori. Dalla tua privacy. Dai tuoi videogames. Dal tuo Star Trek.
 
Fece un ultimo respiro, poi si avvicinò al tavolo dei Serpeverde. Quando Malfoy e i suoi due schiavetti la notarono, smisero di parlare e la guardarono. Si fermò davanti a Malfoy ad un passo da lui, restando in piedi.
 
“Ti sei persa, quattrocchi?” sbeffeggiò Malfoy in tono di sfida. I suoi scagnozzi e altri Serpeverde scoppiarono a ridere “..il tavolo della tua Casa da perdenti é dietro di te. Anche con gli occhiali non ci vedi molto, eh?”.
 
Altre risate.
 
Yvonne fece un sorriso forzato, ma si sentì più coraggiosa di quanto avrebbe immaginato.
 
“Ti devo parlare.”
 
Malfoy e altri Serpeverde risero ancora, come se Yvonne si stesse comportando in modo ridicolo. Sentì qualche movimento. Si voltò e vide qualche studente del tavolo dei Grifondoro che si alzava e allungava il collo, quasi preoccupato, come se temessero che la stessero bullizzando e dovessero intervenire. Vide anche Harry e Ron, che dovevano essere entrati dopo perché quando aveva varcato la soglia non li aveva visti. Non si erano alzati come gli altri, ma anche loro sembravano preoccupati e assistevano alla scena.
 
“Parla allora.” Fece Malfoy, con un perenne sorriso da bulletto sul viso.
 
“Da soli.”
 
Malfoy rise ancora più forte.
 
“Non vado da nessuna parte con te, mezzosangue. Se hai qualcosa da dire dilla se hai coraggio, e poi vedi di non disturbarmi più.”
 
Qualche altro Serpeverde rise, ma quando le risate cessarono, Yvonne non sentì volare una mosca. Nessun altro in tutta la Sala Grande stava parlando. Tutti stavano assistendo la scena.
 
Sapere di essere osservata fece sudare Yvonne molto di più che la conversazione con Malfoy, ma al suo rifiuto di stare da solo con lei per sentire cosa doveva dire era proprio quello che le serviva. Sfortunatamente per lui, Yvonne conosceva Malfoy molto bene grazie ai film, mentre lui di lei non sapeva assolutamente nulla. E sapeva qual’era una delle sue debolezze. Forse la sua più grande debolezza. L’orgoglio.
 
Sorrise.
 
“Oh..” mormorò più a sé stessa che a lui “..hai paura di restare da solo con una lurida mezzosangue come me? Paura che possa farti la bua?”
 
E a quel punto la Sala Grande fu tutto tranne silenziosa. Yvonne sentì così tante risate che fu costretta a girarsi. Molti, se non tutti, i Grifondoro, Corvonero e Tassorosso presenti risero, chi più chi meno. Persino qualche Serpeverde non riuscì a trattenersi, ma smisero subito quando Malfoy gli gettò un’occhiataccia.
E Malfoy.
 
Malfoy era furioso. Yvonne riusciva a leggerglielo negli occhi.
 
Si mordeva le labbra dall’ira, mente le sue guance iniziarono a colorarsi di un rosso molto vivido. Serrò i pugni e si alzò, lasciando la Sala Grande e facendo segno a Yvonne di seguirlo. Non smise di lanciargli sguardi di fuoco fino a quando non furono fuori.
 
Quando Yvonne lasciò la Sala Grande per incontrarlo, trovò Malfoy in piedi fuori con ancora le mani strette a pugni, che la guardava in pieno stile Norman Bates.
 
“Se pensi che una lurida mezzosangue come te possa permettersi di umiliare un purosangue come me, un Malfoy,..”
 
“Ti sei umiliato da solo. Se mi avessi seguito subito senza sfottermi non avrei detto nulla” avrebbe voluto dire Yvonne, ma si limitò ad ascoltare Malfoy che continuava la sua, ehm, sfuriata chiamiamola così.
 
“.. senza conseguenze, ti sbagli. Aspetta solo che mio padre-”
 
“Lo venga a sapere?” Yvonne avrebbe voluto ridere ma ancora una volta si trattenne “..in questo mondo ci sono cose e persone ben più pericolose di tuo padre, te lo garantisco.”
 
Malfoy sembrava ancora più furioso.
 
“Come osi-”
 
“Puoi per un solo secondo tacere ed ascoltarmi?!?” sbottò Yvonne, stanca di reprimersi “..sono qui per farti un favore, però me lo stai rendendo davvero difficile.”
 
“Un favore? Non voglio nessun favore da te.”
 
“Potter.”
 
Malfoy annuì con la testa come se avesse capito ogni cosa, ma Yvonne intuì subito che invece non aveva capito un bel cazzo di niente.
 
“Ora tutto è chiaro. E’ stato lui a mandarti? Quel vigliaccio di Potter non riesce nemmeno ad affrontarmi da solo? Deve nascondersi dietro una mezzosangue?”
 
Era la terza volta che Malfoy chiamava Yvonne mezzosangue nell’arco di cinque, dieci minuti. Ed era la terza volta che Yvonne non aveva nessuna reazione, non sbatteva nemmeno le palpebre. Questo fece arrabbiare il Serpeverde ancora di più, e questa volta il suo dispiacere dovuto al fatto che quegli insulti non la toccassero furono notati anche da Yvonne.
 
“Fidati, non hai la minima idea di cosa stai parlando. Se Harry avesse qualcosa da dirti, te lo direbbe in faccia, come ha fatto quando ti sei chinato al suo cospetto.”
 
“Non mi sono mai chinato al suo cospetto!” sbottò Malfoy, sembrando un bambino piccolo che faceva i capricci.
 
“Oh, per favore!” ribatté subito Yvonne “..ma se al nostro arrivo ad Hogwarts gli hai anche offerto la tua splendida manina dorata. Che lui ha rifiutato, ma sono sicura che questo te lo ricordi meglio di me.”
 
“Volevo offrirgli il mio aiuto, e quello sfigato di Potter ci ha sputato sopra. Peggio per lui.”
 
“Io direi peggio per te. Perché mi sembra che sia tu quello che voleva entrare nelle sue grazie e fartelo amico del cuore.”
 
“Io non voglio essere suo amico. Volevo solo..” Malfoy lottò per trovare le parole, si sentiva alle strette “..essere gentile.”
 
“Tu non sei gentile con nessuno. Hai mai fatto una cosa del genere con qualcun altro, chiunque altro? Diciamolo. Volevi diventare suo amico perché è Harry Potter. Ma non è troppo tardi. E’ per questo che sono qui.”
 
“Di cosa stai parlando?” mormorò Malfoy, anche se aveva un’espressione stranamente infastidita e disgustata.
 
“Se vuoi diventare amico di Harry puoi ancora farlo, ma devi cambiare atteggiamento. Ti garantisco che non entrerai nei suoi favori insultando i suoi amici.”
 
Sapeva che Draco Malfoy non era cattivo, non lo era mai stato davvero. E sapeva che tutti gli anni di insulti e prese in giro contro Harry che sarebbero seguiti erano dovuti ad una “vendetta” per come Harry lo aveva rifiutato pubblicamente quel giorno. Tutto perché Malfoy era troppo orgoglioso. Tutto perché Malfoy non aveva mai avuto il coraggio di dire “mi dispiace” e di cambiare approccio. Tutto perché Malfoy non aveva mai provato ad essere una persona migliore, prima che fosse troppo tardi.
 
Yvonne non si illudeva che l’avrebbe ascoltata. Non pensava sarebbe riuscita a fargli cambiare idea. Ma un tentativo doveva essere fatto, altrimenti sapeva che se ne sarebbe pentita per sempre.
 
Malfoy era destinato a seguire le orme dei suoi genitori. A seguire una strada oscura. Che l’avrebbe portato a lavorare per Voldemort, ad avere quell’orrenda macchia d’infamia sul braccio. O almeno, ci era destinato secondo la storia. Yvonne voleva dargli un’occasione, ma non poteva fare più di questo. Se Malfoy voleva cambiare il suo futuro, doveva prima cambiare sé stesso. E questo dipendeva solo da lui.
 
“Io sono un Malfoy. Non ho bisogno di nessuno. E il mio atteggiamento è perfetto così com’è.”
 
Yvonne si sentì un po’ rattristata, ma in fin dei conti se l’aspettava. Sarebbe stato OOC da parte di Malfoy crederle e ammetterlo. Poi le venne un’idea, e sorrise. Guardò Malfoy con aria di sfida.
 
“Ne riparleremo domani, quando grazie a te Harry diventerà Cercatore della squadra di Quidditch di Grifondoro. E sarà tutto merito tuo.”
 
Malfoy rise.
 
“Potter? Cercatore? E’ al primo anno, non accadrà mai.”
 
Yvonne rise nuovamente.
 
“Lo scopriremo presto, immagino.” Poi lanciò un’ultima occhiata di sfida a Malfoy e se ne andò.
 
 
 





 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 7 ***


LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 7


 
 
 
 
 
 
 
Quando Arielle mise piede nell’Infermeria dell’Enterprise non si aspettava certamente di vedere James Tiberius Kirk a torso nudo, ma quella fu una sorpresa tutt’altro che spiacevole.
 
Aveva la schiena contro un lettino, e muoveva le gambe energicamente, con i piedi appoggiati su una macchina al muro per fare esercizio, con Bones che guardava con attenzione sia lui sia i risultati di quel movimento.
 
C’era poco da dire, Jim era veramente bello.
 
Non solo i muscoli non gli mancavano, ma la pelle era liscia e di un colore marmoreo che gli faceva risaltare il torso, e il sudore che aveva non faceva altro che farlo sembrare ancora più perfetto, rendendo il suo petto ancora più luminoso.
 
“Scommetto che lei ci prova gusto.” Ansimò Kirk a McCoy.
 
Quest’ultimo fece un ulteriore giro intorno al lettino dopo aver esaminato dei risultati, e fu allora che si accorse di Arielle, e le sorrise annuendo leggermente con la testa. Lei arrossì di colpo, come se temesse che fosse stato in grado di leggere i suoi pensieri e che sapesse che stava fantasticando sul Capitano. Davvero imbarazzante.
 
“Stop.” Fece McCoy, interrompendo il macchinario “..è stanco?”
 
“Lei è l’ultimo a cui lo direi.” Mormorò Jim, mettendosi seduto, e fu così che notò anche lui Arielle. Le fece un rapido sorriso e nulla di più, perché subito dopo qualcos’altro attirò la sua attenzione. Qualcosa che doveva essere appena più in alto. Gettò un’occhiata che parve leggermente infastidita a McCoy, poi si alzò e prese un asciugamano.
 
“Qui Kirk, che succede.” Disse, non appena arrivò ad una piccola scrivania con un minuscolo televisore, che puntò verso di sé.
 
“Dia un’occhiata, capitano.”
 
Era la voce di Spock.
 
Arielle rimase immobile, pensando che non fosse opportuno avvicinarsi. Pensò però fosse una buona idea capire quale fosse il problema, così si girò e guardò in alto. E capì.
 
“Lei poteva vedere l’allarme da qui..” disse appunto Jim a McCoy, una volta che la conversazione con Spock finì “..perché non mi ha avvertito?”
 
“Doveva finire la visita prima. E poi che sono io.. un dottore o un astronomo di bordo?!?” Arielle sogghignò fra sé “..mi dovessi allarmare tutte le volte che si accende quella luce finirei per ricoverarmi.” Jim era già uscito da un pezzo quando Bones aveva terminato la seconda frase dopo la breve pausa, ma il dottore parve esserne consapevole, dato che sembrava avesse parlato più fra sé che con qualcuno.
 
Ci fu un altro breve silenzio poi si voltò verso Arielle, come se si fosse ricordato solo in un secondo momento della sua presenza.
 
“Perdona il linguaggio di questo vecchio medico di campagna. Dimmi, hai bisogno di qualcosa?”
 
Arielle si accarezzò le dita nervosamente, guardandosi i piedi. Aveva provato il discorso mille volte nel suo alloggio, ma ora sembrava non trovare le parole.
 
“Quando mi avete trovata.. hai parlato con il Capitano Kirk di una cura per la vitiligine.”
 
“Lo ricordo.” Confermò lui.
 
“Beh ecco.. non è che potresti.. insomma.. curarmi?”
 
McCoy abbassò lo sguardo e sembrava.. triste?
 
“Mi dispiace Arielle, ma non ho quelle cure qui. L’Enterprise dispone solo di medicine per disturbi più nocivi e pericolosi. Ma una volta che faremo ritorno sulla Terra potrai trovarle presso qualsiasi studio medico, o alla sede della Flotta Stellare.”
 
“Grazie, dottore.”
Beh, non era la risposta che sperava, ma non era nemmeno un no, dopotutto.
 
Si girò per uscire, ma poi sentì McCoy parlare di nuovo.
 
“Tuttavia.. ti suggerisco di usare questo tempo per rifletterci davvero. Una volta curata, non potrai più tornare ad avere la vitiligine.”
 
Arielle lo guardò come se temesse di non aver capito bene.
 
“Perché dovrei voler tornare ad avere la vitiligine?”
 
“E’ un cambiamento radicale. E può essere traumatico per te, considerando che sei stata così per tutta la tua vita. Vederti diversa, all’improvviso.. può essere destabilizzante. Non ti sto sconsigliando di non farlo, ti suggerisco solo di.. pensarci su.”
 
Oh, dottor McCoy.
Quello che tu chiami essere diversa, io lo chiamo essere libera.
Quello che ti chiami cambiamento radicale, io lo chiamo l’inizio di una nuova vita.
Non avrò più nulla di cui vergognarmi.
Non avrò più paura di uscire, o di sentirmi addosso gli occhi di tutti.
Mai più.
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Continuava a pensare alle parole di McCoy.
Continuava a pensare a quanto fosse serio mentre diceva quelle cose.
Si sentì leggermente infastidita.
 
Lui non sa com’è essere diversi.
Non sa com’è avere la vitiligine.
Non è un semplice fattore estetico.
Ti condiziona.
A vita.
 
Che vita avrebbe avuto lei se non avesse mai avuto la vitiligine? Avrebbe avuto l’affetto della sua famiglia? L’amore di un ragazzo? Sarebbe sposata adesso? Vivrebbe.. di più?
Un forte scossone interruppe i suoi pensieri. Fu così forte che cadde, nonostante fosse seduta sul suo letto. Era come se la nave avesse tremato all’improvviso.
 
E poco dopo, un altro scossone. Questa volta Arielle si era preparata, e non cadde. Poi sentì un messaggio.
 
Era quasi una voce mormorata, sussurrata. Ma le parole.. chiarissime.
 
“Abbiamo cancellato il vostro messaggio.”
 
Quale messaggio? Cosa stava accadendo sul ponte? Forse dovrebbe andare a vedere.
 
“Siete stati esaminati. L’astronave deve essere distrutta. Sappiamo che avete un Dio o delle divinità, in ogni caso trascendenze che possono confortarvi. Pertanto vi concediamo dieci periodi di tempo terrestri che voi chiamate minuti in modo che possiate prepararvi.”
 
Arielle sospirò.
 
Giusto questa ci mancava.
L’apocalisse.
Di nuovo.
 
Arielle iniziava davvero a capire come si sentisse McCoy. Perché brontolasse sempre. Perché diceva che lo spazio era un luogo pericoloso. Aveva capito tutto. E Arielle lo realizzava solo allora.
 
Ogni giorno. Ogni missione. Ce n’era una.
 
La luce rossa dell’allarme che si accendeva. L’annuncio di morte imminente, e poi, come ogni serie che si rispetti, la soluzione negli ultimi secondi.
 
Arielle ricordava bene com’era all’inizio. Ricordava il terrore che provava. Ricordava che in un’occasione aveva urlato. In un’altra pianto. In un’altra si era nascosta sotto il letto come se un demone sarebbe entrato dalla porta. La paura ha un effetto strano sulle persone. Pensi che sei vicina alla morte, eppure non ti comporti razionalmente. Sai che hai i tuoi ultimi istanti, ma non li sfrutti.
 
Ma ora? Ora.. ci aveva fatto l’abitudine.
 
Sì. Perché sull’Enterprise di Kirk, ad ogni missione andava così. Arielle aveva perso il conto di tutte le minacce di morte che aveva udito. E ad ogni nuova minaccia, la paura si faceva sempre più insignificante. Più lontana. Più inesistente. Era come se, svegliandosi la mattina, se lo aspettasse.
 
Ad Arielle piaceva pensare che era diventata più coraggiosa, più impavida. Le piaceva guardarsi allo specchio e ripetersi che era cresciuta e maturata, che anche se fino a qualche mese prima aveva paura anche del buio o di relazionarsi con le persone, ora affrontava il pericolo della morte senza neanche sbattere le palpebre. Ma in cuor suo sapeva.. sapeva di essere semplicemente più razionale, per la gioia del signor Spock.
 
La missione quinquennale si sarebbe conclusa. L’Enterprise sarebbe tornata a casa, così come il suo equipaggio. Kirk, Spock, McCoy e tutti gli altri. Sarebbero invecchiati. E più di vent’anni dopo, avrebbero nuovamente affrontato lo spazio insieme, sopravvivendo nuovamente. Ogni cosa che Arielle ricordava della serie era successa, o sarebbe successa presto perché non erano ancora arrivati a quel punto della storia. Sarebbero tutti tornati a casa. E anche lei.
 
Non mi succederà niente.
Assolutamente niente.
 
 
Si susseguirono altri messaggi.
 
Alcuni erano di Kirk. Altri dell’alieno con cui stavano comunicando. Poi qualche pausa. Poi nuovamente Kirk. Poi l’alieno. Era come ascoltare qualcuno che stava facendo il gioco del telefono, per quanto poco lei lo ricordasse.
 
Non ascoltò ogni frase detta, ma quelle che udì furono abbastanza per darle un’idea di quanto era successo. A quanto pare l’Enterprise aveva violato senza volerlo una zona dello spazio riservata, e l’alieno in questione voleva distruggerla perché reputava le azioni dell’astronave violente. Ciò che ne era seguito erano i continui tentativi di Kirk di salvare in extremis la situazione.
 
A quel punto Arielle era troppo annoiata per continuare ad ascoltare. Non era sveglia da tanto, eppure si sentiva stanca. Era lo stress? Il fastidio per i continui pericoli che non avrebbero mai portato a niente di concreto? O il fastidio per McCoy, che aveva parlato come se sapesse cosa significava vivere con un segno indelebile sulla pelle per tutta la vita?
 
Si guardò allo specchio, immaginandosi senza macchie. Immaginandosi senza vitiligine. Immaginandosi una ragazza normale, come tutte le altre. Quella ragazza che aveva disperatamente provato ad essere per tutta la vita.
 
E si vide bella.
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dormì solo per qualche ora, era più un pisolino pomeridiano che una vera e propria dormita.
 
Fortunatamente non avevo lezioni oggi, perché non sarei stata in forma. E anche se le avessi avute, immagino sarebbero saltate.. con la minaccia di morte imminente.
 
Quando lasciò l’alloggio, tutto sembrava normale. Gli ufficiali che passeggiavano e parlavano tra loro e svolgevano i loro compiti. Come se fosse una giornata qualunque. Come se poche ore prima non ci fosse stato il rischio di morire tutti quanti nelle profondità dello spazio.
 
Lo sapevo.
Lo sapevo che sarebbe andato tutto bene.
Dio, per fortuna che sono in una serie tv.
 
Andò in una grande sala all’interno della nave. Non aveva idea di come si chiamasse quella stanza, ma era molto grande e vuota, con qualche panchina. Era più una strada più grande che una stanza vera e propria, un punto di passaggio per altre strade. Ma ad Arielle piaceva, perché le finestre ai lati erano gigantesche e affacciandosi avevi una vista spettacolare delle stelle.
Fu allora che notò che vicino ad una di esse c’erano Kirk e Spock. Il primo aveva le braccia lungo i fianchi mentre il secondo teneva le braccia dietro la schiena, come erano soliti fare. Ogni tanto guardavano lo spazio, ma sembravano più presi dalla loro conversazione che dalla vista.
 
Vide che Spock ogni tanto abbassava lo sguardo, e in quei momenti Kirk si avvicinava e lo guardava. E sembrava.. sorridergli? Quei sorrisi radiosi che solo Jim Kirk sa fare.
 
Poi Spock alzava lo sguardo e incrociava quello del Capitano, e pur rimanendo serio, c’era una luce nei suoi occhi che fece scaldare il cuore ad Arielle.
 
Più tempo passava a guardarli, e più sembrano più di un Capitano e il suo Primo Ufficiale, e forse, anche più di due amici..
 
Si accorsero di lei. Entrambi fecero un passo indietro allontanandosi l’uno dall’altro come se Arielle li avesse visti a fare cose indecenti. Jim disse qualcosa a Spock, il quale gli fece un breve cenno con il capo, e si allontanò. Quando uscì, Jim si diresse verso Arielle.
 
“Stai bene? E’ un po’ che non ti vedo sul ponte di comando.”
 
Arielle stava per rispondere che effettivamente quel giorno non era al massimo della forma, ma era più una sensazione che un malessere vero e proprio e non voleva farlo preoccupare. Fece spallucce.
 
“Avevo bisogno di un po’ di tempo per me. E poi mi sembra di capire che tecnicamente non potrei stare sul ponte, non essendo un ufficiale della Flotta Stellare.”
 
“Te l’ha detto Spock?”
 
“Potrebbe averlo accennato un paio di volte.” Fece Arielle con aria misteriosa, accennando un sorriso.
 
“Hai sentito quel messaggio immagino..”
 
“E’ così.”
 
“Non hai avuto paura? Per un momento ho pensato di mandare qualcuno a controllare che stessi bene.”
 
“Neanche per un momento. Confidavo che avreste risolto tutto. E così è stato.”
 
“Perché avevi fiducia in noi o perché sapevi che ce la saremmo cavata?”
 
“Entrambe le cose immagino.” Arielle sorrise timidamente “..come hai fatto a convincerli a risparmiarci? Temo di non aver ascoltato tutto.”
 
Jim sorrise.
 
“Un bluff. Gli ho fatto credere che eravamo più noi una minaccia per loro che il contrario.”
 
“Hai mentito?” chiese sconvolta Arielle, con una punta di ammirazione che non riuscì a nascondere.
 
“Io lo chiamerei.. esagerare.”
 
Iniziarono a camminare fianco a fianco, parlando prima nei dettagli della missione e poi del più e del meno, finendo con il lasciare la grande sala in cui si trovavano.
 
Era sempre bello parlare con Jim. Arielle sapeva che era istintivo e alle volte parlava e agiva senza riflettere e che a volte poteva essere severo con i suoi sottoposti, ma con lei era sempre stato un perfetto gentiluomo e in quanto ad essere severo.. lei non era una sua sottoposta, quindi il problema non sussisteva.
 
Le chiese delle lezioni. Come stavano andando. Alle quali era più interessata, ma Arielle smise improvvisamente di dargli la sua attenzione. Sentì una presenza. Una presenza alle sue spalle.
 
Vide una striscia ondeggiante e gialla con macchie bianche per terra, qualche metro dietro Jim. Per un momento parve titubante, ma quando quella striscia.. beh.. strisciò.. Arielle sobbalzò.
 
“Ehy. Tutto bene?” chiese Kirk, preoccupato.
 
“Un.. un.. un serp.. un serpente.”
 
No, non di nuovo.
Era lo stesso serpente che aveva visto sul pianeta in cui si era trovata quando era stata teletrasportata sull’Enterprise.
Come ha fatto a salire?
A trovarla?
No, è impossibile.
L’Enterprise si sarebbe accorta della presenza di un animale, no?
 
Jim parve sorpreso, ma si girò comunque. Guardò per qualche secondo dietro di sé, cercando qualcosa ma senza trovarlo.
 
“Non c’è nessun serpente, Arielle.”
Arielle allungò un braccio per indicarlo, tremando come una foglia. Jim si voltò nuovamente mettendosi al suo fianco per seguire il suo dito, ma quando lo fece il serpente sparì anche dalla vista della ragazza.
 
Jim la guardò nuovamente sembrando preoccupato, ma non disse nulla.
 
“C’era. L’ho visto. Ti giuro che c’era-”
 
“E’ okay.” Fece Jim, posando delicatamente una mano sul braccio di Arielle, abbassandolo “forse sei solo un po’ stanca. Vieni, ti accompagno dal dottor McCoy.”
 
“Non sono pazza.” Insistette Arielle, pur capendo che Jim voleva solo aiutarla, e decise comunque di seguirlo in Infermeria.
 
C’era.
Io l’ho visto.








 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** C'era una Volta - Capitolo 8 ***






C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 8











 
 
 
 


Doveva assolutamente sbrigarsi, non c’era più tempo.
Maledizione, perché si era ridotta all’ultimo momento?
 
Le sue mani si muovevano a scatti veloci, per l’emozione e per la fretta, fino a quando non furono eccessive.
 
Sentì male ai capelli.
 
“Argh!”
 
Guardò il pettine che teneva in mano e vide che c’era una piccola ciocca dei suoi capelli rossi. Erano settimane che erano pieni di nodi e quello, aggiunto alla rapidità e la preoccupazione con cui agitava il pettine, portò inevitabilmente allo strappo.
 
“Maledizione!”
 
Si guardò alla testa e ai capelli per tentare di capire quanto fosse grave il danno, ma sembravano non esserci grandi differenze: o si era strappata meno capelli di quanto pensasse o aveva così tanti capelli da non notare la differenza.
 
Per un momento, la sua mente e i suoi pensieri andarono a Yvonne, che aveva una leggerissima forma di alopecia e che ci conviveva da anni.
 
“Cosa dovrei dire io, allora?” sentiva la sua voce risuonare nella sua testa.
Beh, lei forse non stava per incontrare l’uomo dei suoi sogni.
 
“Stai bene. Non ti preoccupare.” Disse Mathieu.
 
Nolwenn stava per rispondere, ma venne interrotta.
 
“Mathieu..” era Edmond “..te l’ho detto tante volte. Non si dicono le bugie. Se ne dici troppe finisci con il non capire più la differenza tra bugia e verità.”
 
Nolwenn si voltò per guardare Edmond. Se ne stava appoggiato al muro, braccia incrociate.
 
“Sai Edmond.. un vecchio detto dice che se non si ha niente di intelligente o carino da dire.. si tace!”
 
Edmond sorrise scherzosamente.
 
“Interessante. E perché tu non lo segui, questo detto? Se l’avessi fatto, io ancora non saprei com’è la tua voce, e saresti stata una compagnia ben più piacevole.”
 
Nolwenn sorrise fra sé e sé.
 
“Come ti pare. Non ho tempo per questo adesso.”
 
Non ce l’aveva davvero.
 
Per quanto trovasse le sue frecciatine reciproche con Edmond stimolanti e a volte divertenti, ora non era proprio il momento.
 
Edmond poteva dire quello che voleva, per quanto la riguardava. Intanto lei aveva un appuntamento con un uomo così bello da sembrare finto, mentre lui chissà da quanto tempo non tocca una donna. Se non fosse per l’esistenza di Mathieu, Nolwenn arriverebbe addirittura a dubitare che l’avesse mai toccata nella vita, una donna.
 
Gettò un’occhiata fuori, e vide che il Sole stava sorgendo.
Doveva andare.
Subito.
 
“E’ ora. E’ ora. Vado. Ciao.” E scattò via fuori dall’abitazione.
 
Una volta fuori pensò di correre, ma non lo fece. Ci mancava solo che una volta incontrato il principe stesse sudando. Ma non riusciva nemmeno a camminare normalmente. Camminò velocemente. Era così concentrata a come muoversi da non vedere nemmeno dove stesse andando.
 
“Dall’altra parte.” Grugnì Edmond alle sue spalle, che probabilmente stava sulla soglia della porta.
 
Nolwenn si accorse rapidamente dello sbaglio e cambiò direzione senza nemmeno voltarsi a guardare Edmond, aspettandosi comunque di trovarlo con una mano davanti alla faccia, mentre scuoteva la testa esasperato.
 
“Vedi di farti mettere un anello al dito, così smetti di essere una mia responsabilità.”
 
Nolwenn non riuscì a non ridere. A quella frase si sentì costretta a voltarsi, e quando lo fece vide che Edmond si era già girato per rientrare in casa.
 
Se fossero stati più vicini fisicamente o se lei non avesse tutta quella fretta di arrivare altrove, avrebbe risposto con qualche battuta tipo “oh mi vedi come una tua responsabilità? Allora mi vuoi bene, come se fossi la tua sorellina?” e Edmond probabilmente avrebbe inclinato la testa infastidito da quell’allusione, ma poi Nolwenn ricordò quanto Edmond fosse esteticamente identico a Jaime Lannister, e quella battuta che inizialmente aveva trovato divertente assunse tutt’altro significato e divenne.. cringe?
 
Ma Edmond non era importante, soprattutto adesso.
 
Quando arrivò al lago, dove aveva incontrato il principe per la prima volta, non seppe cosa fare. Inizialmente aveva guardato la propria immagine nel riflesso dell’acqua, ma vedendo in che stato era si demoralizzò. I capelli erano arruffati, i brufoli più visibili del solito e indossava ancora gli stessi abiti da ventunesimo secolo che aveva quando era venuta in quel mondo, che con il tempo si erano rovinati e ora sembravano niente di più di stracci. Ciliegina sulla torta, delle profonde occhiaie sotto gli occhi, dato che per l’emozione erano notti intere che non dormiva.
 
No, meglio non guardarsi.
 
Appoggiò la schiena contro un albero lì vicino, godendosi l’ombra. Sentì nuovamente il cinguettio degli uccelli, anche se non seppe dire se erano lontani o vicini.
 
Poi, sentì qualcosa che tirava. Erano i suoi pantaloni. Guardò verso il basso e vide la volpe, sì quella stessa volpe di sempre, ormai era assolutamente certa che fosse la stessa, che mordeva i suoi pantaloni, tirandoli.
 
Non le stava facendo male, non stava mordendo la carne, se la prendeva solo con il tessuto dei pantaloni, come se volesse convincerla a seguirla, ma per lo spavento, Nolwenn senza volerlo finì con il muovere la gamba fino a quando la volpe non lasciò la presa. L’animale parve dispiaciuto in un primo momento come se Nolwenn l’avesse picchiata, ma fu solo per un attimo. Si rimise a quattro zampe e mosse agitatamente la testa. Prima verso Nolwenn, poi verso il bosco, poi nuovamente verso Nolwenn. Voleva davvero che Nolwenn la seguisse.
 
Beh, Nolwenn non voleva seguirla.
Non ora.
 
Non posso, okay?
Sono occupata.
Devo vedermi con qualcuno.
Se vado via e lui non mi vede poi pensa che gli ho dato buca, come se una come me potesse permettersi di dare buca ad uno così.
 
Ma la volpe insisteva.
Iniziò anche a sbattere le zampe contro la terra, facendo dei piccoli salti.
Nolwenn iniziò a scuotere la testa dandosi della stupida, realizzando che stava seriamente considerando di seguirla.
 
E se dovessi seguirla?
In fin dei conti, sono state più le volte che mi ha aiutato.
Farla finire in quel carro di alimenti che l’ha seriamente messa nei guai era stato un colpo basso, ma poi aveva avuto l’occasione di svignarsela sempre per merito suo.
 
E’ merito di quella volpe se poi è finita in quel bosco in cui ha incontrato Mathieu, il che l’ha portata ad avere un minimo di sicurezza e un tetto sulla testa. Il che l’ha portata a Edmond e alle sue indicazioni su dove si trovasse il lago, il che ha portato al principe.
 
Ha incontrato quel principe grazie alla volpe.
 
E se fosse il suo angelo custode, e non una volpe qualsiasi?
 
Controvoglia, si staccò dal tronco e iniziò a seguire la volpe, e ad ogni passo si guardava indietro nel caso apparisse il principe, ma di lui ancora nessuna traccia.
 
E se fosse lui a dare buca a me?
 
Seguendo la volpe, si addentrò nel cuore della foresta, e dopo qualche minuto si accorse che gli animali intorno a loro aumentavano man mano che procedevano.
 
All’inizio si era trattato solo di un paio di conigli vicini al sentiero che stava percorrendo, uno grigio e uno nero, poi un paio di cani e qualche grazioso uccellino sui rami degli alberi che canticchiava. Infine arrivarono sempre più animali e di stazza sempre maggiore, fino ad arrivare ad un gruppo di cervi che corsero nella sua stessa direzione, ancora nel bosco ma abbastanza vicini al sentiero perché lei riuscisse a vederli.
 
Quando la volpe iniziò a rallentare, Nolwenn si accorse che erano arrivati. C’era un grande spazio aperto, con una roccia al centro, sulla quale era presente una piccola dose di muschio. Era una zona particolarmente luminosa, forse dovuta al fatto che i primi alberi si trovavano a venti metri dalla roccia, e alla sua destra c’era un piccolo stagno.
 
Non erano soli.
 
Animali, animali ovunque.
 
Nolwenn non ne aveva mai visti così tanti e così diversi, tutti insieme. Conigli, cani, gatti, cervi, rane, lontre, scoiattoli. Vide anche qualche serpente in cima agli alberi, e rimase pietrificata per qualche istante dalla paura.
 
“Cos..”
 
La volpe richiamò nuovamente la sua attenzione, e Nolwenn la guardò severamente.
 
Non dovevo seguirti.
 
Sentì un rumore. Guardò in lontananza e vide tanti, piccoli uccellini volare uno vicino all’altro, andare verso di lei. Quando si avvicinarono, vide che tra le piccole zampe tenevano qualcosa. Era..
 
Un vestito.
 
Un vestito?
 
Era di un vivace azzurro celeste, con qualche striscia bianca intorno alle spalle e alla vita. Non era troppo scollato né troppo elaborato, piuttosto semplice a dire il vero, ma era il classico vestito da principessa Disney.
 
Era bellissimo.
 
Gli uccellini avanzarono fino a quando non furono davanti a Nolwenn e lo fecero cadere, e senza pensarci la ragazza lo prese per impedire che si sporcasse cadendo per terra.
 
Cosa..
Cosa succede..?
 
Mentre esaminava il vestito e cercava di trovare una spiegazione logica, aprì le dita della mano destra senza neanche accorgersene, e un uccellino, uno di quelli che aveva portato il vestito, ci appoggiò le piccole zampe. Nolwenn sussultò aspettandosi di provare fastidio o dolore, ma la sensazione fu piuttosto piacevole. Guardò l’uccellino, e questo iniziò a canticchiare una dolce melodia.
 
A quel punto un altro animale si avvicinò. Era un cerbiatto. Sembrava un cucciolo, ma era già abbastanza grande per essere piccolo.
 
Bambi?
 
Si alzò sulle zampe posteriori, mettendo quelle anteriori sulla pancia di Nolwenn, al che lei sentì un leggero fastidio, ma si morse le labbra per non far uscire nemmeno un lamento, perché quell’animale era troppo adorabile. Il cerbiatto nel frattempo avvicinò il vestito a lei usando la testa, suggerendole chiaramente di indossarlo.
 
“Io.. io non so cosa dire.”
 
Gli animali continuarono a guardarla, i loro occhi confusi, ma non potevano mai esserlo tanto quanto lo era lei.
 
“Questa è la cosa più Disney che mi sia mai capitata.”
 
Mai come allora realizzò che quello era davvero il mondo Disney, ma Nolwenn aveva ancora parecchi dubbi sul fatto che sarebbe stata in grado di essere una vera principessa delle favole. Ma poteva provarci, e questa era la sua occasione.
 
C’era un principe che la stava aspettando.
 
Era pronta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il vestito era davvero bellissimo e, sebbene forse fosse magico dato che dei fottuti animali gliel’avevano dato, non poteva fare miracoli. Nolwenn aveva ancora i capelli spettinati, le occhiaie e i brufoli, ma era comunque un miglioramento.
 
E’ anche comodo. Come fa ad essere comodo un vestito del genere?
 
Quando tornò al lago, vide che il principe era là. Aveva legato il suo cavallo vicino ad un albero, e stava camminando avanti e indietro molto elegantemente, tenendo le braccia dietro la schiena. Il suo aspetto era molto più regale dell’altra volta. Il suo abito aveva delle decorazioni dorate, e lo stemma della sua famiglia era più presente che mai, ma il colore della stoffa era lo stesso dell’altra volta.
 
E’ venuto. E’ venuto davvero.
Alla faccia tua, Edmond!
 
Nolwenn fece qualche altro passo e uscì definitivamente dal bosco. Finì con il calpestare una foglia secca, e il rumore fece voltare il principe. Quando la vide rimase a bocca aperta per qualche istante, ma poi le fece un sorriso tanto radioso che Nolwenn si sentì come fluttuare nell’aria. Abbassò lo sguardo, imbarazzata.
 
“Perdonatemi signore, aspettate da tanto?” lottò più di quanto avrebbe creduto per parlare correttamente nel modo in cui si dovrebbe parlare ad un principe, apparendo composta e delicata, apparendo esattamente il contrario di com’era davvero.
 
“Fosse stata anche un’attesa di decenni, ne sarebbe valsa la pena.”
 
Allungò con lentezza la sua mano per prendere quella di Nolwenn, e quando lei lo lasciò fare, si chinò e la baciò delicatamente.
 
“Siete meravigliosa. Il vostro vestito è meraviglioso.”
 
“Vi ringrazio.”
 
“Io..” mormorò lui, abbassando la testa. Sembrava.. nervoso? “..vi ho portato qualcosa.”
 
Tornò indietro, e si avvicinò al suo cavallo. Dietro la sella, c’era una specie di sacco? Telo? Coperta? Nolwenn non seppe dire come si chiamava.
 
Quando lo prese, tolse quella specie di custodia e rivelò un luminoso abito. Era sempre femminile e legato a quel mondo e a quell’epoca, ma era nettamente più regale e dettagliato di quello che Nolwenn stava indossando. Era di un verde acceso, con dei ricami dorati che fuoriuscivano dalle maniche, e gli stessi ricami erano presenti anche nel centro della gonna, una linea verticale che partiva dalla vita fino alla fine del vestito.
 
“Mi sono sentito in colpa ad aver rovinato l’abito che indossavate quando ci siamo incontrati, quindi vi ho portato questo.” Continuava a guardare il vestito, come se temesse la reazione di Nolwenn “..avete già un abito meraviglioso vedo, ma se volete farmi l’onore di accettarlo, io ve ne sarei eternamente grato..” alzò lo sguardo.
 
Nolwenn corse così in fretta verso di lui per la gioia e per ringraziarlo che, non abituata all’abito lungo, finì con l’inciampare.
 
Che figura di merda.
 
Il principe riappoggiò il vestito che le aveva portato sul cavallo, e corse da lei, aiutandola ad alzarsi.
 
“Vi siete fatta male?”
 
“Solo nell’orgoglio.” Rispose lei, sforzandosi di sorridere. “sembra che ogni volta che ci incontriamo, io debba cadere.” un senso di tristezza si impadronì in lei “..mi dispiace. Non sono molto portata per indossare questi abiti eleganti.”
 
Non sono molto portata come principessa Disney.
Questo perché non lo sono.
 
“Il vostro abito è stupendo, ma non credo di essere degna di portarlo. Dovreste donarlo ad una fanciulla che gli renda giustizia.”
 
“Io l’ho fatto fare per voi, mia signora. Questo abito non esisterebbe se non fosse stato per voi.”
 
Nolwenn avrebbe dovuto sentirsi sollevata e lusingata, ma la tristezza non l’aveva ancora abbandonata. Arrivò persino a vergognarsi dell’abito che stava portando, che a letteralmente chiunque altro sarebbe stato meglio che a lei. Ad Arielle sarebbe stato da Dio. Indossato da lei.. era ridicolo.
 
Una mucca che indossa seta rimane una mucca.
 
Si vergognò di tutta quella patetica farsa. Non aveva idea del perché quel principe fosse interessato a lei o chissà, magari Edmond aveva ragione. Magari stava solo “giocando” con lei.
 
A prescindere da cosa lo spingesse a cercare la sua compagnia, Nolwenn non sarebbe andata da nessuna parte fingendo di essere quello che non era.
 
Lei non era così.
 
Non faceva inchini, non sapeva cosa dire e cosa fare davanti ad un nobile, non camminava elegantemente in un vestito raffinato, e sicuramente non era la bella della città.
 
Lei era quella che correndo con un abito lungo cadeva. Era quella che quando faceva una figuraccia, cosa che capitava spesso, urlava oscenità e parolacce. Lei era quella che mangiava tanto e con le mani, concludendo la degustazione con qualche rutto. Lei era quella che parlava senza pensare, che sclerava, che diceva cose che altri non avrebbero mai detto.
 
Era così accecata dalla bellezza di quel principe, da arrivare a comportarsi come una stupida adolescente che, davanti al ragazzo che le piaceva, fingeva di essere quello che non era pur di piacergli.
 
Ricordò di tutte le volte che Yvonne le aveva detto quanto detestasse chi faceva così. Oh Yvonne, come mi odieresti se mi vedessi adesso.
 
“Vi sentite bene?”
 
La domanda del principe la fece tornare alla realtà.
 
Era davvero bellissimo, ma Nolwenn non poteva continuare così. Stava fingendo di essere qualcuno che non era da meno di dieci minuti e già non ne poteva più. E quanto a lungo sarebbe durata la recita? Prima o poi, avrebbe scoperto com’era davvero.
 
“Non sono quello che credete.” C’era una grossa tonalità di tristezza nella sua voce, dovuta alla consapevolezza che probabilmente l’avrebbe perso e che poi si sarebbe pentita, ma non poteva vivere con sé stessa continuando quella menzogna “..ricordate quando ci siamo incontrati? Ricordate quella ragazza che non sapeva parlare, impacciata, che diceva oscenità? Io sono così. Sempre. Non sarò mai una lady che cammina con eleganza, dai modi raffinati che sa sempre come rapportarsi con gli altri. E non voglio fingere di esserlo. Non più.”
 
Seguirono momenti di puro terrore per Nolwenn. Sul momento le era sembrato di fare la cosa giusta, che quel principe non era stupido e avrebbe capito prima o poi com’era davvero, ma sentiva anche di aver gettato nel cesso la sua unica possibilità di avere una vita da favola. Ma sarebbe stata davvero da favola, se avesse finto di essere quello che non era?
 
Il principe abbassò lo sguardo come se faticasse a trovare le parole, ma poi la guardò nuovamente. I suoi occhi apparivano dolci ma al tempo stesso malinconici.
 
“Meglio così, perché a me piaceva davvero tanto quella ragazza. Sono tornato qui apposta per rivederla.” Nolwenn si sentì soffocare, le farfalle nello stomaco che si agitavano le rendevano davvero difficile respirare normalmente “se fossi stato interessato a lady dai modi raffinati ed eleganti, sarei rimasto nel mio palazzo.”
 
Nolwenn iniziò a sorridere, quasi istericamente. Non aveva idea del perché fosse così fortunata, ma era arrivato il momento di godersela quella fortuna, invece che averne dei dubbi.





 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 8 ***


QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 8
 





 
 
“Benvenuti alla prima lezione di Volo! Allora, cosa aspettate? Mettetevi alla sinistra della vostra scopa. Avanti, su, fate presto.”
 
Yvonne sospirò.
 
Che ansia.
Ma la Bumb metteva così ansia anche nei film? Me la ricordo a mala pena, sinceramente.
 
“Stendete la mano destra sulla scopa, e dite su!”
 
Come da copione, la scopa schizzò prontamente non appena Potter mormorò il primo “su”, perché non sia mai che al protagonista non riesca qualcosa. Subito dopo di lui, toccò a Malfoy. Quando anche altri tre o quattro studenti sconosciuti a Yvonne ci riuscirono, anche lei iniziò a tentare.
 
“Su.”
 
Il suo primo su fu quasi un sussurro, piatto come una pozzanghera, un su fatto controvoglia. E infatti la scopa non si mosse neanche, non che Yvonne ci contasse.
 
“Su!”
 
Il suo secondo fu più preoccupato, più timoroso. La scopa si mosse di qualche centimetro, ma non lasciò mai la terra.
 
“Su!”
 
Il terzo su fu come infastidito, con una leggerissima nota di rabbia. E fu anche quello decisivo. La scopa si alzò di scatto, e nell’afferrarla Yvonne si fece quasi male alla mano, non aspettandosi di doverlo fare.
 
Si guardò intorno e vide che alcune sue conoscenze ci erano riusciti come lei, altri ancora no. E Weasley ancora implorava alla sua scopa di alzarsi.
 
Ci sono riuscita prima di Weasley??
Finalmente una soddisfazione.
 
“Dunque, una volta afferrata la scopa, voglio che ci montiate. E aggrappatevi bene, non vorrete scivolare a terra.”
 
Tutti gli studenti seguirono le indicazioni, ma Yvonne ebbe un po’ di paura. I movimenti che fece furono così lenti e delicati da non causare neanche un rumore, e una volta fatti spingeva con forza i piedi per terra. Non voleva assolutamente alzarsi accidentalmente in volo come avrebbe fatto Neville da lì a poco.
 
“Quando soffio nel fischietto, con i piedi vi darete una spinta, forte, tenete la scopa ben salda, sollevatevi un momento, inclinatevi leggermente in avanti, e ritoccate terra.”
 
Te lo scordi.
Io non faccio un numero del genere.
 
“Al mio fischio, tre, due,..”
 
Quando Yvonne sentì il fischio, strinse le mani intorno alla scopa e guardò verso il basso, un po’ per paura di vedere i suoi piedi lasciare la terra e un po’ perché sapeva cosa stava per accadere.
 
Sentì qualche mormorio, qualche sussurro, e l’ansimare preoccupato di Neville.
 
“Signor Paciock!”
 
Yvonne sentì le spalle irrigidirsi, come se ci fosse lei al posto di Neville. I mormorii divennero parole chiare e definite, ma non furono forti tanto quanto il rumore della scopa di Neville che iniziò a muoversi velocemente e ad alzarsi in cielo.
 
Sentiva le chiacchiere. Le prese in giro della maggior parte degli studenti e le preoccupazioni dei pochi che non trovavano la cosa divertente. Sentiva il rumore della scopa di Neville che sbatteva contro le mura del castello. Ma non osava alzare lo sguardo.
 
Ma poi sentì qualcosa afferrarla, e dalla paura smise di sedere sulla scopa e la spostò, tenendola con la mano sinistra, e allora non poteva fare altro che alzare lo sguardo, suo malgrado.
 
Non le ci volle molto per capire che ad averla afferrata era stata Hermione. Aveva la mano sul suo braccio destro e l’aveva come tirata da parte, e quando si guardò intorno capì che l’aveva fatto perché Neville e la sua scopa posseduta stavano andando dritto verso di lei, e se Hermione non l’avesse spostata, l’avrebbero certamente colpita. Tutti gli altri studenti si erano già accuratamente spostati, lei era l’unica in mezzo.
 
L’unica imbecille.
 
Cazzo Yvonne, ripigliati.
 
Era pronta a ricevere una sonora sgridata e ramanzina da Hermione, che però non arrivò. Una volta che l’aveva spostata e che si era assicurata che stesse bene, era tornata a rivolgere la sua attenzione a Neville.
 
Nel frattempo, il volo di quest’ultimo si era concluso. La scopa era volata chissà dove, e Neville era rimasto impigliato con il mantello in una scultura, per poi cadere a terra. Yvonne sentì il suo corpo rabbrividire come se fosse stata lei a farsi male.
 
“Fatemi passare!” urlò la Bumb, che si affrettò a raggiungerlo.
 
“Oh. Oh oh oh. Santo Cielo, il polso si è rotto. Poverino. Su coraggio, in piedi.” La Bumb aiutò Neville ad alzarsi, mentre con una mano gli teneva il braccio in modo da non fargli male “dovete tenere tutti i piedi saldamente a terra mentre accompagno il signor Paciock in Infermeria, intesi? Se vedo una sola scopa per aria, la monta si ritroverà espulso da Hogwarts prima che riesca a dire Quidditch.”
 
“Avete visto che faccia?” sbuffò Malfoy non appena la Bumb e Neville furono fuori portata di ascolto, con una mano teneva la scopa e con l’altra la Ricordella di Neville “se avesse stretto questa, si sarebbe ricordato di cadere sulle chiappone.”
 
Alcuni risero, altri no. Yvonne sentì la rabbia che gli cresceva dentro.
 
Cosa mi è preso quando ho provato ad aiutarlo?
Non se lo merita.
 
La sua rabbia doveva essere ben visibile sul suo volto, ma quando incrociò lo sguardo dello spocchioso biondino Corvonero, anche lui a lezione, la sua rabbia si trasformò in sorpresa. Avrebbe scommesso che lui sarebbe stato uno dei primi a ridere, e invece sembrava infastidito quasi quanto lei.
 
“Dammi qua, Malfoy.” Intervenne in tono determinato Harry, mettendosi davanti al Serpeverde.
 
Quando Malfoy si voltò per guardarlo, i suoi occhi si posarono momentaneamente su Yvonne, e lei ricambiò. Lo vide titubante per un attimo.
 
Sta pensando a quello che gli ho detto.
Che Harry sarebbe diventato Cercatore dei Grifondoro per merito suo.
Era così sicuro che stessi mentendo, eppure ora sembra.. dubbioso?
 
Ma Yvonne era ancora troppo adirata per quella battuta di merda su Neville, così lo guardò con sfida. Quasi con scherno. Il Serpeverde reagì con un’espressione molto simile, e tutti i dubbi che aveva avuto per un breve istante sparirono nel nulla. Riportò la sua attenzione a Harry.
 
“No. La metterò dove Paciock dovrà cercarsela.” Salì sulla scopa rimanendo ancora in piedi, quasi aggrappandosi alla scopa invece che montarla “che ne dici del tetto?” e schizzò in alto “cosa c’è, Potter? Pensi di non arrivarci?”
 
Harry non fece in tempo a montare sulla scopa che Hermione intervenì, o almeno, ci provò “Harry, non se ne parla. Madama Bumb l’ha vietato, e per di più non sai nemmeno volare.” Harry la ignorò completamente, e si avvicinò a Malfoy.
 
“Che razza di idiota.” Commentò Hermione fra sé, e Yvonne sorrise.
 
Quando Potter e Malfoy furono uno davanti all’altro si scambiarono un altro paio di frasi, ma Yvonne non riuscì a capire una parola perché erano troppo lontani e troppo in alto, e le loro voci erano oscurate da quelle più chiare degli studenti a terra.
 
Non che gli importasse più di tanto sapere cosa si stessero dicendo.
 
“Grazie. Per prima.” Disse a Hermione.
 
Hermione sorrise.
 
“Figurati.” Nonostante lo disse con quel modo di fare da saputella, Yvonne non riuscì a trovarla irritante “stavi bene? Ho visto che guardavi in basso.”
 
Benissimo.
Avevo solo paura di alzarmi in volo come Neville e magari spezzarmi l’osso del collo.
 
Ma era troppo patetico dirlo.
 
“Sì, sì.”
 
La loro conversazione doveva essere durata più di quanto Yvonne avesse inizialmente pensato, perché vennero interrotte dalle urla di esaltazione degli studenti.
 
Harry stava scendendo a terra, e nella mano stringeva vittorioso la Ricordella. Quando raggiunse terra, tutti gli corsero incontro complimentandolo. Persino Hermione lo fece.
 
E di nuovo, Yvonne si sentì la stramba della situazione. Letteralmente ogni singolo studente gli era corso incontro. Yvonne non voleva farlo, ma si sentiva stupida ad essere l’unica in disparte mentre l’intera classe lo stava acclamando. O almeno, così credeva.
 
Alla sua destra, vide che anche il biondino Corvonero se ne stava in disparte, ben lontano da voler unirsi alla massa. Si guardarono, e per un momento ad Yvonne parve che il Corvonero avesse per lei.. rispetto? Almeno più rispetto di quanto ne avesse prima.
 
“Harry Potter?”
 
Le esultazioni si conclusero. La McGranitt guardò severamente Harry.
 
“Seguimi.”
 
Yvonne si voltò prontamente verso Malfoy, il quale rideva silenziosamente convinto di aver vinto questo match.
 
Ridi. Ridi.
Coglione.
Vedremo se riderai ancora domani.
 
Gli sorrise, e si assicurò che con quel sorriso potesse comunicargli tutto quello che non poteva dirgli a parole.
 
Spero solo di esserci quando ti giungerà voce che Harry diventerà il Cercatore dei Grifondoro, e allora saprai che avevo ragione.
 
In verità, una parte di Yvonne era stata preoccupata dopo la conversazione con Malfoy e prima della lezione di Volo. Preoccupata che, informando Malfoy di qualcosa che doveva ancora succedere, aveva in qualche modo alterato il corso degli eventi e che quindi qualcosa sarebbe andato storto. Magari Neville non si sarebbe mai fatto male? Magari la McGranitt non avrebbe guardato fuori dalla finestra proprio in quel momento?
 
Ma tutto era andato perfettamente, esattamente come doveva andare. La storia sarebbe proceduta nel modo che conosceva, e la sua presenza non avrebbe peggiorato o alterato la situaz..
 
I suoi pensieri, per una volta piacevoli, vennero bruscamente interrotti quando si accorse che Harry si era avvicinato.
 
Ma che cazzo..?
Non doveva seguire la McGranitt?
Cosa vuole?
 
Yvonne era troppo sorpresa da reagire, e si accorse troppo tardi che Harry le aveva messo qualcosa nella mano. La Ricordella.
 
“Puoi portarla tu a Neville, per favore? Grazie.” Mormorò Harry, poi si apprestò a seguire la McGranitt, non dando a Yvonne il tempo di rispondere o reagire.
 
Cos-
 
Se non ci fosse stata la McGranitt avrebbe urlato.
 
No.
No no no no.
 
Yvonne si sentì presa dal panico, come quando in un film il protagonista riceveva una notizia così brutta e terribile che rifiutava di crederci o di accettarla.
 
Non posso incontrare Neville.
Ma che cazzo, tutta questa scena c’era nei film?
Non poteva dargliela Harry la Ricordella, visto che dopotutto, l’aveva recuperata lui?
E se proprio voleva affidare il compito a qualcuno, perché proprio a lei? Non a Ron? Non a Hermione? Non ad uno qualsiasi degli studenti che lo aveva acclamato pochi istanti prima?
Potter di merda.
Non mi serviva un’altra scusa per odiarlo, non mi serviva davvero, eppure me l’ha data.
 
Doveva agire.
E in fretta.
 
Si guardò intorno alla ricerca di qualcuno a cui passare quell’ingrato compito.
 
Dean e Seamus!
Neville gira spesso con loro, no?
E’ plausibile che siano loro a restituirgli la Ricordella.
 
Ma non li trovò.
 
Classico.
Quando ti serve qualcuno non lo trovi mai.
Pensa, forza.
Pensa a qualcos’altro.
A qualcun altro.
 
“Ehy Hermione..” tentò “..potresti portare tu la Ricordella a Neville? Io..” pensò ad una scusa plausibile sul perché lei non potesse farlo “io dopo le lezioni ho un impegno.”
 
“Dopo le lezioni devo studiare.” E riecco il tono da saputella “..e poi Harry l’ha chiesto a te.”
 
A quella risposta, Yvonne si rabbuiò.
 
Non me l’ha chiesto.
Me l’ha detto ed è sparito.
Se me l’avesse chiesto avrei detto no.
Cazzo se avrei detto di no.
 
“Ma io non so dov’è l’Infermeria.” Tentò nuovamente Yvonne, non volendo cedere, usando un tono di voce patetico per far pena.
 
“E’ al primo piano.” Rispose prontamente Hermione, come se bastasse quello per trovarla, come se Hogwarts non fosse un castello gigantesco.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Sfortunatamente, l’Infermeria si trovò più facilmente del previsto, ci riuscì persino Yvonne, nonostante lo stato di confusione in cui si trovava.
 
Non poteva vedere Neville.
Lui non doveva neanche accorgersi della sua presenza, e ora sarebbe dovuta andare in Infermeria a riportargli quella fottutissima Ricordella.
 
Tutta colpa di Potter. E di Malfoy.
 
Passò il resto delle lezioni a pensare ad un modo per evitarlo. Portarla nella Sala Comune dei Grifondoro così una volta tornato, Neville l’avrebbe trovata là? No, se fosse andata persa sarebbe stata lei la responsabile, dato che il maledetto Potter aveva affidato a lei quel compito. Chiedere ad uno dei Grifondoro maschi di portarla nel Dormitorio, e metterla accanto al letto di Neville? Di nuovo, poteva andar persa comunque. La situazione era talmente disperata ai suoi occhi, che arrivò persino a considerare di distruggerla, ma dopo sarebbero subentrati i sensi di colpa.
 
Alla fine, capì che non c’era via di scampo, e mentre percorreva il corridoio che portava all’Infermeria, le tornò alla mente quando lei, Nolwenn e Arielle, anni prima, guardavano insieme i film di Harry Potter, in particolar modo quelle scene in cui era presente Neville.
 
Arielle e Nolwenn che, ogni volta che Neville veniva inquadrato, la prendevano in giro scherzosamente.
 
Per la sua cotta. La sua cotta per Neville.
 
Che alla fine, anche crescendo, non era mai passata davvero.
 
 
 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 8 ***


LONTANO, OLTRE LE STELLE - CAPITOLO 8








 
 
 
 
Quelle che erano seguite erano state delle settimane folli, almeno per lo standard a cui era abituata Arielle, lo erano state al punto che la ragazza aveva serie difficoltà a ricordare l’ordine in cui erano successe le cose, e lei non aveva nemmeno partecipato attivamente a tutte.
 
Ricordò che l’Enterprise aveva anche raggiunto una Base Astrale – o era una Base Stellare? Sinceramente Arielle non lo ricordava. Però sapeva più o meno di cosa si trattava. Nessuno l’aveva informata al riguardo, ma giorni prima Spock le aveva detto che avrebbero dovuto rimandare le loro lezioni perché lui e il Capitano Kirk avrebbero avuto una missione, ancora prima che Jim stesso sapesse di doverci andare. Sembrava strano in effetti, ma Arielle non ci pensò troppo, né a quello né al fatto che non le dicessero di più. In effetti pensò fu meglio così, considerando che non aveva alcuna memoria al riguardo e non avrebbe potuto aiutarli.
 
Iniziò però a pensarci quando venne a sapere il perché. Pike aveva chiesto loro tramite un messaggio di incontrarli. E allora sì che fu infastidita di dover rimanere sull’astronave.
 
Persino lei sapeva chi era Christopher Pike. E sapeva anche che probabilmente questa sarebbe stata la sua unica occasione di incontrarlo, eppure rimase bloccata sull’astronave. Insistette più di quanto avrebbe dovuto per poter scendere, ma Kirk era irremovibile, e quando vide che stava iniziando a stressarsi per le sue insistenze, smise. Forse si era spinta troppo in là.
 
Ma maledizione, era Pike!
 
A parte il fatto che era davvero un uomo bello e affascinante, anzi era straordinariamente bello e affascinante, era anche un grande ufficiale. Grande nel vero senso della parola. Eroico, coraggioso, giusto. Come Kirk, ma più bello, e ce ne voleva per essere più bello di Kirk.
 
Era Capitano dell’Enterprise prima di Kirk in effetti e, se la sua memoria non le stava giocando brutti scherzi, aveva anche Spock come Primo Ufficiale, che poi deve essere passato a Kirk quando aveva ottenuto il comando della nave. Questo significava che Spock prestava servizio sull’Enterprise da più tempo di Kirk.
 
Ricordava anche che gli era successo qualcosa, ma non ricordava esattamente cosa. Qualcosa di brutto. Doveva essere morto per proteggere i suoi uomini o quasi morto per la stessa ragione. E questa era esattamente la ragione per cui non le sarebbe più capitata un’occasione del genere.
 
“Mi dispiace Arielle, ma non puoi scendere. Ci saranno ufficiali della Flotta Stellare. Se ti vedono, ti riporteranno sulla Terra, perché non puoi stare sull’Enterprise se non sei un membro della Flotta. Dovrai restare nascosta sulla nave. Non capirebbero la tua situazione.”
 
Così aveva detto Kirk. O McCoy. O entrambi l’avevano detto, cambiando leggermente qualche parola.
 
In effetti sembrava una spiegazione plausibile, Pike era un pezzo grosso, ma non valeva la pena di rischiare una cosa del genere solo per vederlo.
 
Ma poi venne a sapere che, mentre lei era in Sala Ologrammi e non si era accorta di niente, Pike era effettivamente salito a bordo dell’Enterprise, ma quando se ne era accorta era già troppo tardi. Passò i due giorni successivi a mangiarsi le mani dal fastidio e fu più in disparte del solito non essendo in vena di parlare con nessuno, ma poi le passò.
 
Quello che accadde dopo fu forse ancora più folle, ma non fu qualcosa che le fece aumentare il malumore.
 
Era un periodo in cui lei era particolarmente concentrata sui suoi studi, che si facevano sempre più complicati man mano che andava avanti, e non poté fare a meno di notare che, proprio in quei giorni, Spock era diventato straordinariamente.. infastidito?
 
All’inizio, Arielle pensò sinceramente che fosse infastidito per il suo rendimento e la sua mancanza di progressi, ma i progressi li faceva e lui appariva scontento anche quando rispondeva correttamente ad una domanda, anche se a trabocchetto.
 
Non le ci volle molto per capire la vera causa del problema.
 
A quanto pare l’Enterprise aveva temporaneamente ospitato un gruppo di persone, il cui lavoro le era stato detto, ma che Arielle aveva totalmente rimosso, tra le quali una giovane donna, che sembrava avesse attirato le attenzioni di Kirk, e Spock aveva iniziato a comportarsi come se fosse obbligato a controllare con più attenzione il Capitano, tenerlo d’occhio. Per “la sicurezza dell’astronave” diceva Spock. Per gelosia diceva chiunque avesse gli occhi per vedere.
 
In effetti, Spock non aveva fatto niente di esagerato, nessuna crisi di gelosia o altro. Perché era un Vulcaniano. Arielle non conosceva altri Vulcaniani al di fuori di lui, ma era piuttosto certa che per gli standard vulcaniani, era come se Spock avesse urlato e pianto in preda al dolore pungente che si sente a causa della gelosia.
 
Arielle aveva trovato la cosa estremamente divertente. E si sentiva soddisfatta nel sapere che sarebbe successo di nuovo.
 
E poi c’era stato il quasi incontro con i Romulani, e probabilmente altro che non ricordava.
 
Quindi sì, erano state delle settimane assurde a dir poco.
 
E poi c’era quel serpente.
 
Dal giorno in cui l’aveva visto quando era con Kirk, ci si era imbattuta in almeno un’altra decina di volte, e più passava il tempo, più i loro incontri diventavano persistenti e costanti, ma non aveva detto nulla a nessuno. Quando l’aveva detto a Kirk, il serpente era sparito, come se solo lei potesse vederlo. Come se quel serpente non fosse realmente lì, ma solo il frutto della sua immaginazione. Come se fosse lei ad avere una connessione di qualche sorta con l’animale.
 
Ma perché proprio un serpente?
Non poteva essere un animale carino, bello, affettuoso?
No.
Un serpente.
Ovviamente.
 
In compenso, vederlo così spesso la aiutava ad allenare, e aumentare se possibile, il suo coraggio. Continuava a sussultare e a tremare quando lo incontrava, ma se prima restava pietrificata dalla paura, ora era abbastanza in sé da muoversi. Ma era ben lontana da non averne più paura, e forse andava bene così. Se c’era una cosa che aveva imparato da quando era sull’Enterprise, era che non poteva pretendere troppo da sé stessa.
 
In effetti la sua autostima, che era sempre stata estremamente bassa, era salita non tanto, ma notevolmente. Un po’ per i progressi che stava facendo, un po’ per la fiducia e il rispetto che stava a poco a poco sentendo da parte dell’equipaggio dell’Enterprise, e magari anche per altre ragioni che al momento lei non comprendeva.
 
Un’altra cosa che aiutò certamente la sua autostima fu l’invito di Kirk di scendere ed esplorare un pianeta che avevano trovato mentre l’Enterprise si trovava nella regione Omicron Delta. Secondo le analisi di Spock, si trattava di un pianeta straordinariamente simile alla Terra, con una vasta vegetazione e grandi spazi aperti, completamente disabitato a quanto pare, quindi non si correvano rischi di sorta.
 
In effetti, Jim aveva anche pensato di dare una licenza di sbarco al suo equipaggio. Erano stati giorni difficili, persino per Arielle, che non era neanche una sua sottoposta, quindi non osava immaginare quanto fossero stanchi gli altri. Ci voleva un meritato riposo per tutti quanti, e quel pianeta capitava a fagiolo, ma a prescindere dalla decisione finale di Kirk, Arielle era intenzionata a godersi ogni momento passato lì.
 
Non seppe dire in quanti scesero sul pianeta, ma lei scese insieme a McCoy e Sulu, e si sentì piuttosto soddisfatta, visto che erano entrambi delle ottime compagnie, anche se non prestò loro particolari attenzioni in quella circostanza. Arielle era così entusiasta dall’idea di esplorare il suo primo pianeta ufficiale da non rendersi conto che per arrivarci avrebbe usato il teletrasporto, e che l’ultima volta che l’aveva usato era quando era stata soccorsa dall’Enterprise quando era arrivata in quell’universo ed era finita in quello strano pianeta monocolore.
 
Il pianeta era quello che Spock aveva descritto e molto di più. Sembrava un parco naturale, quelle zone in cui si andava per diventare un tutt’uno con la natura. Arielle arrivò persino a considerare che non fosse reale, così si accovacciò e toccò con le dita la terra che aveva sotto i piedi e i verdi filamenti d’erba che la circondava. Utilizzò anche il tricorder, che ormai aveva imparato ad utilizzare e a capire, e tutto sembrava nella norma.
 
Quando si rialzò, vide che McCoy e Sulu non si erano accorti che si era fermata, e continuavano a passeggiare lentamente elogiando quel pianeta che appariva come la luce alla fine di un tunnel. Arielle era sinceramente affezionata a loro, ma non fu troppo dispiaciuta, anche perché questo le diede la possibilità di allontanarsi ed esplorare in autonomia. Sapeva che Kirk non sarebbe stato contento, ma non la riteneva una decisione così irresponsabile. In fin dei conti, oltre al tricorder aveva con sé un comunicatore, e avrebbe sempre potuto chiamare qualcuno se si fosse persa.
 
Andò nella direzione opposta a quella di Sulu e McCoy, e iniziò a guardarsi intorno. Non trovò niente di particolarmente interessante nei primi cinque, dieci minuti forse, ma il paesaggio da solo valeva la camminata. Si fermò quando sentì dei brontolii provenire dalla sua pancia. Se la accarezzò con la mano sinistra.
 
“Ouch.. mi è venuta fame.. proprio adesso?” mormorò a sé stessa “cosa darei per sentire quei crossaint alla marmellata di casa mia. Oh, quanto mi mancano. La sofficità della pasta, la cremosità della marmellata di albicocche..”
 
Ma non sarebbe stata un po’ di fame a fermarla. Smise di accarezzarsi la pancia e continuò, ma si fermò nuovamente qualche minuto dopo, quando le parve di sentire qualcosa.
 
Si avvicinò, cercando di seguire il rumore.
 
Qualcuno stava chiamando qualcuno.
 
Qualcuno stava chiamando.. lei?
 
E doveva essere qualcuno che conosceva, perché la voce le sembrava terribilmente familiare. Per un attimo sentì l’ansia travolgerla, come se fosse successo qualcosa di terribile, ma decise di ignorare quella vocina nella sua testa.
 
Scostò con le mani delle enormi foglie che le ostruivano la via, e quando passò dall’altra parte quasi cadde dallo shock.
 
“Arielle!”
 
In lontananza, vide una donna anziana con in mano un piatto, e sopra il piatto qualcosa. E la donna era..
 
Colette?
 
Colette?
La sua Colette?
La dolce e affettuosa cameriera che la consolava quando nessun altro lo faceva? Che le portava di nascosto un crossaint da mangiare qualche volta per regalarle il sorriso, anche se solo per un momento?
Non.
Può.
Essere.
 
Arielle corse verso di lei come un vagabondo che non mangiava da giorni avrebbe corso verso un buffet. Non seppe dire se la raggiunse in fretta per paura che scomparisse o per paura che fosse solo un’allucinazione, e più a lungo quell’allucinazione sarebbe durata, più ne avrebbe sofferto.
 
Quando le arrivò davanti, rimase a guardarla come se fosse un enigma impossibile da risolvere.
 
“E’ bello rivederla, signorina.” Le sorrise dolcemente, esattamente come avrebbe fatto la vera Colette “Ha fame? Le ho portato un crossaint.” Le porse il piatto.
 
Arielle non sbatté nemmeno le palpebre.
 
“Colette..” sussurrò, più a sé stessa che a lei “..non è possibile. Tu non.. non puoi essere qui.”
 
La donna spostò il piatto che mise di lato per potersi avvicinare. Le accarezzò il braccio con una mano.
 
“Cara, tutto bene? Sembri così agitata.”
 
“Io.. Io non..”
 
Come.. come potrei non esserlo?
Cosa.. cosa sta succedendo?
 
Arielle avrebbe voluto urlare, ma non riusciva ad emettere nemmeno un suono.
 
Colette usò la sua mano libera, la stessa che aveva usato per toccarle il braccio un momento prima, per accarezzarle la mano, cosa che faceva spesso quando Arielle era una bambina e necessitava rassicurazioni dopo un brutto incubo.
 
Più il tempo passava, più Arielle si sentiva al contempo felice e nervosa. Non poteva essere Colette quella. Non poteva. Eppure era uguale a lei. Si comportava come lei. Parlava come lei. E le sue carezze le facevano lo stesso identico effetto che ricordava. Spostò lo sguardo sul crossaint nel piatto, e la donna se ne accorse.
 
“Prendilo, cara. E’ tuo.” Disse, avvicinando il piatto.
 
Arielle sentiva il fiato mancare. Fu come se il resto del mondo, no, della galassia, non esistesse. Avrebbero potuto esserci esplosioni a pochi metri da lei, e non se ne sarebbe accorta.
 
Voleva quel crossaint. Lo voleva. Sentiva che stava iniziando a credere a quello che stava vedendo, sentendo, per quanto assurdo fosse. Poteva essere una trappola, lo sapeva, eppure era comunque difficile riuscire a resistere.
 
“No!” disse a voce più alta di quanto si sarebbe aspettata, chiudendo gli occhi e scappando via.
 
Non le importava se si sarebbe fatta male, correndo dove non poteva vedere, ma il buio le sembrò essere la sua unica salvezza. Se non avesse visto Colette e quel crossaint, se non avesse sentito le sue amorevoli carezze, sarebbe stato più facile uscirne.
 
Vorrei che Nolwenn e Yvonne fossero qui con me.
Loro saprebbero certamente cosa fare.
 
La sua corsa non durò a lungo, però.
 
Dopo meno di cinque minuti, cadde. Doveva essere inciampata su una liana o una radice di un albero particolarmente grande che aveva accanto, perché un attimo prima di ritrovarsi con il corpo contro la terra, aveva sentito un ostacolo che le aveva toccato il piede.
 
Si sbucciò il ginocchio, ma non le importò più di tanto. Aprì gli occhi e non c’era più nessuna traccia di Colette, ma non fece in tempo ad alzarsi che sentì qualcosa che le aveva toccato una gamba.
 
Un pallone.
 
Un pallone bianco e nero, da calcio apparentemente, ma non troppo duro. Un pallone per ragazzini, non per professionisti.
 
Sentì dei passi, e vide una bambina avvicinarsi. Aveva i capelli scuri legati in una coda trasandata, una larga maglietta a mezze maniche e pantaloni corti.
 
Quando fu abbastanza vicina da poterla vedere in volto, Arielle sentì un tuffo al cuore.
 
Yvonne.
Era Yvonne.
 
E no, non era una bambina che somigliava particolarmente a come doveva essere la sua amica da bambina. Era davvero Yvonne da bambina. Conosceva Yvonne dai tempi dell’asilo, e si ricordava bene che aspetto avesse quando era piccola.
 
Era lei. Ma al contempo non era lei.
 
La Yvonne che conosceva, anche da bambina, era molto solitaria. Molto timida. Seria. Usciva di casa solo se costretta, e preferiva le attività al chiuso, esattamente come la Yvonne adulta, soprattutto dopo quello che le era successo..
 
Ma questa ragazzina.. questa ragazzina aveva un sorriso smagliante sul volto, era esuberante, allegra.. era.. diversa. Aveva le ginocchia sbucciate ed era anche leggermente sudata, come se stesse giocando all’aperto da ore, a calcio considerando la presenza della palla. Ansimava per la stanchezza della corsa. Ma sembrava felice.
 
“Arielle.” Le sorrise, e poi la abbracciò forte.
 
Un’altra cosa che Yvonne non avrebbe mai fatto.
La vera Yvonne, almeno.
 
“E’ bello vederti.” Fece Yvonne, quando sciolse l’abbraccio.
 
Arielle fece per rispondere, ma sentì un’altra voce familiare alle sue spalle.
 
“Non potrei essere più d’accordo.”
 
Arielle si sentì morire nuovamente. Voltò lo sguardo, pur sapendo benissimo a chi apparteneva quella voce.
 
Nolwenn le andò incontro, senza correre ma a braccia aperte. Contrariamente a Yvonne, era ancora adulta come Arielle, ma anche lei appariva diversa, in qualche modo. Indossava abiti sporchi e vecchi, quel genere di abiti che vedresti addosso ad un barbone. Indossava una giacca con un paio di buchi ad ogni manica, e dei pantaloni in parte strappati. Nelle mani portava dei guanti neri. La temperatura era mite, eppure era vestita come se fosse pronta a partire per la Barriera.
 
Nonostante gli stracci che aveva addosso e la pelle sporca, Nolwenn appariva.. più radiosa che mai, anche se Arielle non riusciva a capire come fosse possibile. Sembrava più felice. Come non lo era mai stata.
 
Arielle non fece in tempo a reagire in alcun modo, che si ritrovò abbracciata anche da lei.
 
“Che succede..” mormorò Yvonne, quando notò che Arielle appariva come in trance “..non sei felice di vederci?”
 
“Lo sono. Certo che lo sono..” Arielle parlò a voce talmente bassa che si sarebbe stupita se avessero capito una sola parola, anche se erano a pochi centimetri da lei “..ma non capisco cosa stia succedendo.”
 
Quando aveva visto Colette e quel crossaint aveva pensato ad una trappola, e che se ci fosse cascata avrebbe fatto una fine terribile, come quella che ebbe Pike. Non c’era motivo di pensare che con Yvonne e Nolwenn sarebbe stato diverso, eppure non si sentiva in pericolo. Non poteva. Non con loro. Era solo spaventata. Che tutto questo significasse che era pazza. Che tutto sarebbe finito troppo presto.
 
“Non avere paura.. né per noi né per te.” Fece Yvonne, stringendole la mano.
 
“Io.. sto.. sto impazzendo..? Sto perdendo il senno? Voi non.. non siete davvero qui..”
 
Era folle.
Completamente folle.
 
Anche se esteticamente uguali alle ragazze che conosceva, erano così diverse dalle amiche che ricordava. E tanto. Eppure.. eppure per quanto Arielle si sforzasse di essere razionale, non riusciva a fare a meno di essere sicura che fossero davvero loro.
 
“Oh, Arielle..” mormorò Nolwenn, la sua voce piena di dolcezza come quella di una sorella maggiore “..non capisci? Non siamo mai andate via.” E appoggiò la mano sul petto di Arielle, là dove doveva trovarsi il suo cuore.
 
Era un cliché ridicolo e melenso, e non era da Nolwenn, ma Arielle, da romantica quale era, non riuscì a non sentire un brivido piacevole lungo la schiena nel sentire quella frase.
 
“Non essere in pensiero per noi, Arielle. Staremo bene. E anche tu.” Continuò Nolwenn.
 
“Siete..” mormorò Arielle, non sapendo neanche lei cosa dire “..così diverse.”
 
“Siamo felici. E anche tu lo sarai. Concediti la felicità che meriti.”
 
Proprio quando stava per rispondere, Arielle si sentì accecata da una luce brillante e luminosa provenire dalle spalle delle due amiche. Si coprì gli occhi con le mani, e quando la luce sparì, vide in lontananza un pitone grande e grosso, giallo e con dei cerchi bianchi sul corpo, quasi delle macchie. Aveva due gemme rosse al posto degli occhi. E Arielle sapeva.. sapeva che era la versione adulta di quel serpente che vedeva ovunque.
 
Ai suoi lati, sorgevano altri due animali, entrambi adulti. Alla sua destra c’era un asino grigio, mentre alla sua sinistra una volpe rossa. Arielle indietreggiò per allontanarsi dagli animali senza accorgersene, e così facendo tornò a vedere meglio le amiche, che avevano cambiato aspetto.
 
Yvonne era ancora una bambina e appariva ancora affaticata e sudata, ma non indossava più una maglietta e i pantaloncini. Ora indossava.. l’uniforme di Grifondoro del primo film di Harry Potter.
 
Nolwenn era ancora sporca e trasandata, ma non aveva più stracci addosso. Indossava un mantello color azzurro chiaro con dei filamenti raffinati, sotto al quale sorgeva un vestito color marrone chiaro dall’aspetto fiabesco, la cui gonna le arrivava però fino alle ginocchia. Ai piedi aveva degli scarponi fatti di metallo come parte di un’armatura, e intorno alla vita un fodero con una spada argentata al suo interno.
 
Ma Arielle non fece nemmeno in tempo a realizzare l’assurdità di quel cambiamento improvviso.
 
Entrambe indietreggiarono all’indietro senza smettere di guardare Arielle, avvicinandosi senza volerlo agli animali. Dietro Yvonne c’era l’asino, dietro Nolwenn la volpe, che aspettavano in lontananza come se andassero dove andavano loro.
 
“Cosa.. dove..” Arielle era terrorizzata, spaventata, voleva dire mille cose ma dalla bocca non le usciva una sola parola “..cosa vi è successo..?”
 
“Abbiamo trovato il nostro posto.”
 
E sparirono come in un flash inatteso, tanto luminoso quanto enigmatico.
 
 
 





 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** C'era una Volta - Capitolo 9 ***




C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 9
 
 
 
 
 
 
Nolwenn dovette darsi dei pizzicotti in più occasioni, per essere sicura di non star sognando ad occhi aperti, ma a quanto pare era tutto vero. Il loro incontro era iniziato come un disastro, non avrebbe potuto iniziare in modo peggiore, eppure ora stava andando a gonfie vele, e come fosse possibile era al di là della comprensione di Nolwenn.
 
Stephane, così si chiamava quel bel principe che pareva uscito dal racconto più fiabesco della Disney, era stato un gentiluomo per tutto il tempo. Ascoltava con interesse ogni parola che usciva dalla bocca di Nolwenn, non importa quanto stupida o inutile potesse sembrare, e quando gli veniva chiesto qualcosa rispondeva sempre in modo ponderato e cortese. Era anche molto rispettoso nei suoi riguardi. Non soltanto era galante nelle parole, ma anche nei gesti, senza allungare mai le mani più del dovuto: il massimo che si era permesso di fare era baciarle la mano, dopo averle chiesto il permesso, ovviamente. E a dire la verità, a Nolwenn non sarebbe affatto dispiaciuto se lui avesse osato fare di più. Ne sarebbe stata addirittura contenta, tanto che una parte di lei sperava che lo facesse. Ma non lo fece.
 
Non seppe dire quanto tempo passarono insieme. Un’ora? Un giorno? Una settimana? Un mese? Tutto quello che sapeva era che la parte del tempo che non aveva passato a guardarlo come il gran figo che era, l’aveva passata ad esaminarlo con attenzione nei gesti e nelle espressioni e nelle parole, come se dovesse valutarlo per qualche test.
 
Il problema era che lui era troppo bello, troppo paziente, troppo.. tutto. Nolwenn aveva ormai accettato di essere finita nel mondo Disney, e se non era Disney era un mondo straordinariamente simile di genere fiabesco magari un universo alternativo a quello Disney, eppure si sentiva enormemente a disagio nel trovarlo così perfetto. Nella sua esperienza, non esistevano persone perfette, non importa in quale mondo ci si trovava. Tutti hanno dei pregi e dei difetti. Tutti quanti. Nessuna eccezione. E chi appariva perfetto in superficie, doveva semplicemente essere molto bravo a nasconderli, ma c’erano, questo era fuori discussione.
 
Notò infatti qualcosa in Stephane che inizialmente non aveva notato. Notò che prima di parlare rimaneva per qualche secondo in silenzio, ma l’impressione che ebbe non era che non sapesse cosa dire, ma piuttosto come dirlo, come se faticasse a trovare le parole. Insicurezza? Nah, impossibile. Uno come lui non può essere insicuro. Non lui.
 
Muoveva anche le dita in modo particolare. Come erano soliti fare i nobili, era molto posato nei movimenti e non gesticolava più di tanto, ma quando lo faceva il mignolo se ne stava come per conto suo. Se le altre quattro dita della mano si piegavano, il mignolo rimaneva dritto. Se le altre quattro dita della mano erano distese, il mignolo era piegato.
 
Questi non erano quelli che Nolwenn avrebbe classificato come dei difetti, ma la ragazza si sentì comunque sollevata, perché nonostante non lo fossero, lo rendevano.. più umano. Reale. Erano stranezze? Quelle stranezze che non fanno alcun male e non sono nulla di più di quelle che sembrano, stranezze per l’appunto, ma che tutti noi abbiamo. E’ ciò che ci rende unici. E in tutta onestà, Nolwenn ora era ancora più attratta da lui ora che li conosceva, per quanto possibile. Perché ora non si stava infatuando di una macchietta, di una figura. Ma di un uomo. Vero quanto lei.
 
“..e questo è più o meno tutto.” Concluse Nolwenn, quando finalmente finì di raccontare a Stephane di come fosse arrivata lì, in quel mondo, e cosa le era successo da quando era avvenuto fino a quel momento.
 
Era la prima volta che si sentiva completamente a suo agio a parlarne con qualcuno. Ma Stephane la guardava con quegli enormi occhi blu, così comprensivi e curiosi. E lei sapeva.. sapeva che poteva confidarsi davvero con lui.
 
“Oh..” ancora una volta parve indeciso su cosa dire “..questo sembra..”
 
“Folle oltre ogni misura?” lo interruppe Nolwenn quasi senza accorgersene, mettendosi poi la mano davanti alla bocca preoccupata, temendo di avergli mancato di rispetto interrompendolo.
 
Lui si accorse delle sue paure, così sorrise dolcemente e scosse la testa. Per un attimo, sembrò seriamente intenzionato ad avvicinare una mano per posarla sulla sua per allontanarla dal viso, ma forse pensò fu troppo e non lo fece. Nolwenn ne fu profondamente rattristata.
 
“..un’avventura. Molto più bella di qualsiasi avventura che abbia letto nei libri quando ero un bambino.” Parve triste per un attimo, come pentendosi di quelle parole “..però mi dispiace che tu sia lontana da casa.”
 
La ragazza fu sul punto di dire qualcosa del tipo “a me no. Non adesso” o un’altra frase sdolcinata simile per flirtare, ma poi pensò non fu il caso. Stephane non sembrava essere pronto a quella fase, non ancora almeno, e non voleva spaventarlo, per quanto parte di lei fosse ancora un po’ confusa sul perché lei gli dovrebbe piacere. Inoltre, non voleva che pensasse che non dava peso alla famiglia, e dicendo che non le mancava casa sua beh.. forse non sarebbe suonata romantica come nella sua testa.
 
Alla fine si limitò a fare spallucce. “Almeno sono viva e sto bene. Relativamente.”
 
Scoppiarono a ridere. I denti di lui scintillavano sotto la luce del Sole. Quando le loro risate si spensero, Nolwenn notò che qualcosa alle sue spalle aveva catturato l’attenzione di Stephane. Seguendo il suo sguardo, guardò dietro di sé, su in alto nei cieli.
 
E la vide.
 
“Una cometa.” Mormorò Nolwenn più a sé stessa che al principe.
 
La cometa appariva lontana in mezzo alle nuvole, ma al tempo stesso era straordinariamente visibile, tale era la sua grandezza. Era di un rosso acceso ma al tempo stesso caldo, e Nolwenn non seppe dire se si sentiva ottimista o pessimista dopo averla vista.
 
Tornò a voltarsi verso Stephane, e si accorse che lui la stava già guardando. La ragazza abbassò lo sguardo in fretta, improvvisamente nervosa.
 
“Io..” mormorò il principe, in tono leggermente dispiaciuto “..sono mortificato mia signora..” scosse la testa “..voglio dire, Nolwenn..”
 
Nolwenn continuava a tenere lo sguardo basso. Non poteva vedere il volto di Stephane mentre sussurrava, ma poteva vedergli le mani. Notò che le dita si agitavano nervosamente, e di tanto in tanto le usava per grattarsi il palmo della mano.
 
E’ così adorabile.
 
“..devo andare.”
 
Solo allora Nolwenn si decise a guardarlo di nuovo negli occhi. “Come? Di già?”.
 
Si sentiva davvero una stupida a dire quelle cose, soprattutto il “di già”, che suonava particolarmente stupido, considerando che avevano passato una ragionevole quantità di tempo insieme, non è che Stephane fosse appena arrivato.
 
Ed è un principe, Nolwenn.
Un principe.
E’ ovvio che sia pieno di impegni.
Dovresti considerarti fortunata che abbia passato anche solo dieci minuti con te.
E’ lui il principe.
Non tu.
 
“Vorrei non doverlo fare..” se era stato infastidito dalle parole appena dette da Nolwenn, non lo dava affatto a vedere “..ma devo. Le comete hanno sempre avuto un forte valore per queste terre, e devo assolutamente..” gettò un’occhiata a Nolwenn pieno di vergogna, come se volesse dirle di più ma non potesse, e che con lo sguardo cercasse disperatamente la sua comprensione per questo “..devo andare.”
 
Stephane si alzò dall’erba in cui erano seduti da ore ormai, e Nolwenn fece lo stesso. Nell’alzarsi, sentì che le gambe erano intorpidite, da quanto erano state nella stessa posizione.
 
“Ma prima..” Stephane andò verso il suo cavallo, e aprì un borsello vicino alla sella “..ho qualcosa per te.”
 
Tornò da lei tenendo tra le mani una piccola scatolina di legno a forma quadrata, con un regale ornamento disegnato sopra di essa. Per un folle, stupido, irrazionale secondo, Nolwenn pensò sinceramente che fosse un anello di fidanzamento e che gli avrebbe chiesto di sposarlo.
 
Ehy ehy ehy.
Aspetta un attimo.
Io non..
Non sono pronta per questo.
Non sono pronta per sposarmi..? Non so neanche se vorrò mai sposarmi.
Tu mi piaci tanto, ma davvero tanto, ma non ti amo ancora al punto da voler passare il resto della mia vita con te, soprattutto considerando che in questo posto non esiste il divorzio! Qui un matrimonio è per sempre.
 
 
Fu un attimo inatteso e sconvolgente, che sparì tanto velocemente quanto era arrivato, ma fu abbastanza per gettare Nolwenn nel panico più totale per quel brevissimo tempo che a lei parve durare un’eternità.
 
Si sentì subito una sciocca, quando la ragione tornò a farsi sentire.
 
Nel frattempo Stephane, che non si era accorto di nulla, aveva aperto la confezione di legno per mostrarle il contenuto.
 
Era una spilla, una forcina di capelli dall’aspetto floreale ed elegante, di un color verde smeraldo e una luce sempre verde ma più brillante e chiara che brillava al proprio interno.
 
“Posso?” chiese timidamente il principe.
 
Nolwenn annuì, e Stephane la prese e la mise tra i capelli della ragazza, appena sopra l’orecchio sinistro. Nel farlo spostò una ciocca di capelli, e a quel contatto Nolwenn sentì un fremito, e le farfalle nello stomaco che si agitavano più del solito.
 
“Siete incantevole, mia signora.”
 
Nolwenn rispose sorridendo, toccandosi la forcina con le dita. “E’ molto bella.”
 
“E’ magica.”
 
Lei lo guardò dubbiosa. “Con magica intendi..?”
 
“Che ha della magia dentro di sé.”
 
Nolwenn roteò gli occhi, riflettendo. “..Quella luce più chiara al suo interno..”
 
“Esatto.” Lui parve impressionato dalla deduzione di Nolwenn “..più quella luce brillerà, più saremo vicini. In questo modo ci troveremo, sempre se è questo quello che il tuo cuore desidera.”
 
“Un navigatore.”
 
“Un.. scusatemi, cosa?”
 
Ma perché parlo senza parlare?
Sempre.
Tutte le volte.
 
“Oh.. um—” Nolwenn agitò una mano facendogli segno di lasciar perdere quanto aveva appena detto “..si tratta di un oggetto del mio mondo. Ti aiuta a trovare la strada giusta per raggiungere determinati luoghi.. o persone. E’ una sciocchezza, dav—”
 
Nolween pensò di deglutire per dare fiato alla bocca, ma nel farlo finì soltanto con l’emettere un sonoro rutto del tutto imprevedibile. Si mise la mano davanti al viso, sperando in parte di morire lì e in quel preciso momento, pur di non dover avere a che fare con l’imbarazzo che provava. Eppure, sentiva Stephane ridere dolcemente.
 
“Sono mortificata.” Disse dopo un lunghissimo silenzio.
 
“Non avete ragioni di esserlo.” Rispose prontamente lui, quando smise di ridere.
 
Le prese delicatamente la mano e le diede un piccolo bacio “ci vediamo presto, mia signora. E ricordate, se avete bisogno di qualcosa..”
 
“..cercherò la luce.” Nolwenn sentiva il cuore che le batteva a mille, ma inspirò a fondo per cercare di darsi un contegno.
 
Stephane fece poi un breve inchino e rimontò sul suo cavallo, ma prima di sparire nel bosco si avvicinò nuovamente a Nolwenn.
 
“La prossima volta che ci vedremo, vi mostrerò il castello della mia famiglia, se lo desiderate.” Sorrise timidamente “..non siete più sola, Nolwenn. Non lo siete.”
 
Lei avrebbe voluto ringraziarlo, inchinarsi elegantemente, o fare qualsiasi cosa una principessa avrebbe fatto al suo posto. Eppure non reagì né a gesti né a parole.
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
“Non vedo nessun anello al dito.” Fece Edmond non appena la vide “..deduco che il tuo principe ha riacquistato la ragione.”
 
Nolwenn non ribatté, ma gli sorrise in maniera palesemente forzata “lui mi piace molto, ma il matrimonio mi sembra un passo troppo grande per il momento. Non mi sposerò con qualcuno che conosco da così poco.”
 
Edmond fu sul punto di dire qualcosa, una battuta su come lei “dovrebbe accettare di sposarlo subito invece perché non ne troverà un altro disposto a farlo”, ma parve ripensarci.
 
“Ma penso di piacergli.” Sorrise lei, indicando a grandi gesti la forcina luminosa e il vestito elegante che portava sottobraccio.
 
“Un vestito piuttosto misero per essere il dono di un principe. Sicura che non ti voglia come sguattera, invece?” borbottò indicando ciò che Nolwenn stava indossando, ignorando totalmente gli effettivi doni del principe.
 
Solo allora Nolwenn si ricordò che indossava ancora il vestito ricevuto dagli animali della foresta prima del suo incontro galante.
 
“Oh, questo..” si toccò la stoffa “..questo non è da parte sua. L’ho trovato.”
 
“L’hai trovato?”
 
“E’ una storia relativamente folle, in effetti..”
 
Edmond sogghignò. “e cosa con te non lo è?”
 
“Se proprio ci tieni a saperlo..”
 
“Non ci tengo.”
 
“Me l’hanno donato degli animali.”
 
Edmond per poco non fece cadere la cassa di mele che aveva tra le mani. La guardò seriamente per una manciata di secondi, ma poi le diede di nuovo le spalle. “Ma vai a cagare, vai.”
 
Nolwenn rise, ma quando fu alla soglia, Edmond parlò di nuovo.
 
“Se qualcuno dovesse accusarti di furto per quel vestito.. sappi che non avrò alcuna remora a consegnarti alla giustizia.”
 
Lei non si scompose neanche. Fece spallucce e basta. “Non mi aspetto niente di meno.”
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
Mathieu la accolse ben diversamente dal padre. Non appena entrò, le corse incontro e la abbracciò, e lei ancora si sorprese di quanto quel ragazzino fosse dolce, rendendosi anche conto che le era davvero affezionata. Forse addirittura più affezionata di quanto lo fosse dei suoi nipoti che conosceva da quando erano nati. Questo la rendeva una persona orribile forse?
 
Ma tutto sommato, quella sera Nolwenn capì che anche il rapporto con Edmond, seppure ancora particolare e spinoso, era nettamente migliorato. Quando fu ora di cena, Mathieu la invitò a sedere a tavola insieme a loro, e Edmond non commentò né obbiettò. Era passata dal dormire nel capanno in mezzo ai cavalli e mangiare una mela quasi marcia come cena al sedere al loro stesso tavolo, e una cena ben più soddisfacente, seppure fosse ancora misera, che consisteva in qualche mela, dell’acqua e un brodo di cipolle insipido. In effetti era stato stupido da parte sua aspettarsi che avessero chissà quale cena, in fin dei conti Edmond era un contadino e chiaramente non vivevano nel lusso. E questo dava ancora più valore al fatto che le avessero concesso un posto a tavola. Almeno secondo lei.
 
“..e così mi ha donato anche questa luminosa forcina. Così potremo trovarci. Devo solo seguire la luce.”
 
“Disgustosamente romantico.” Borbottò Edmond con voce priva di emozioni.
 
“Vuoi dirmi che tu non sei un romantico?” esclamò Nolwenn fingendosi sorpresa “sono sconvolta. Non me lo sarei mai aspettato.”
 
“Prendi in giro quanto vuoi.” Disse lui, tra un morso e l’altro “intanto io sono ancora qui, mentre la maggior parte della gente che si lascia guidare ciecamente da quelle fesserie è sottoterra.”
 
“Quali fesserie? L’amore? L’amore è una fesseria?”
 
E poi scusa.. quali persone che si sono lasciate guidare dall’amore sono sottoterra?
Questo è il mondo Disney. Il 90% di chi ha seguito l’amore ha avuto il suo lieto fine.
 
Per cui.. di cosa diavolo sta parlando?
Forse si confonde con il mondo del suo clone storpio.
 
“Per alcuni dovrebbe esserlo.” Mormorò Edmond più a sé stesso che a lei, mentre continuava a guardare il piatto.
 
Nolwenn capì subito che c’era qualcosa di grosso che non stava dicendo, che stava scegliendo di non dire. Qualcosa di legato all’argomento.
 
Sentì che la curiosità la divorava, moriva dalla voglia di saperne di più, ma era palese che Edmond non avrebbe detto altro. Non adesso. E certamente non davanti a Mathieu, considerando che probabilmente aveva a che fare con sua madre.
 
Tuttavia trovava esilarante che proprio lui, il sosia di Jaime Lannister, il quale ha compiuto gli atti più atroci in nome dell’amore, che aveva fatto dell’amore l’orbita della sua vita e della sua esistenza, aveva una visione così cinica e fredda di quel sentimento. Nolwenn dovette mordersi le labbra per resistere alla tentazione di non chiedere di più, tale era la sua voglia di curiosità.
 
“Hai visto anche tu la cometa?” le chiese dal nulla Mathieu, dopo un lunghissimo silenzio che né Nolwenn né Edmond parvero interessati a far cessare.
 
“La cometa rossa? In effetti sì.” Ripensò al fatto che Stephane fosse andato via proprio per quella ragione, e ripensare a lui le fece accelerare i battiti del cuore “voi sapete cosa può significare..?”
 
“Non lo sai?” Mathieu parve sorpreso “significa salvezza! Le comete ci mostrano la via da seguire per raggiungere la salvezza e allontanarsi dall’oscurità.”






 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 9 ***


QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 9
 
 
 
 
 
 


 
Neville era seduto in uno dei letti in fondo all’Infermeria, con la schiena rivolta verso la porta. Il suo mantello era appoggiato sul letto proprio accanto a lui, mentre Madama Chips gli metteva una garza intorno al polso dove presumibilmente si era fatto male.
 
Yvonne era rimasta sulla soglia più del dovuto, tanto che si stupì che nessuno si accorse della sua presenza, ed era rigida come un palo della luce.
 
Aveva dei brividi incessanti in ogni parte del suo corpo, dalla punta delle dita a quella dei piedi, che le rendevano difficile non solo muoversi ma anche formulare il più piccolo pensiero. Ai brividi, si aggiunsero presto sia il caldo sia il freddo.
 
Sì. Li sentiva entrambi.
 
Si sentiva soffocare, sentiva gli indumenti che le stavano attaccati alla pelle come incollati, come se fosse entrata in una sauna, e le mani erano così sudate che le sentiva bagnate. Ma al tempo stesso, sentiva un gelo intorno a sé così forte da sentire male ai piedi.
 
Ma come poteva soffrire sia il caldo sia il freddo nello stesso momento?
 
“Posso aiutarti, cara?”
 
Yvonne sbatté le palpebre così forte che temette per un momento di essersi fatta male agli occhi. Era così immersa nella sua paura e nel suo disagio da non essersi accorta che la Chips aveva finito la medicazione e si era avvicinata a lei.
 
Guardò frettolosamente dietro di lei, e vide che Neville era nella stessa posizione di prima, dandogli ancora le spalle.
 
E’ la mia occasione.
La mia unica occasione.
E Neville non sembra essersi accorto di me.
Forse posso ancora uscirne.
Forse posso ancora cavarmela.
 
“In effetti sì..” sussurrò Yvonne, strisciò la Ricordella sul suo mantello nel tentativo di pulirla dal sudore che doveva avergli passato dalle mani, per poi porgerla alla Chips “..a Neville è caduta questa quando è caduto.” Si fermò come intenzionata a non parlare più, poi però all’ultimo aggiunse “..gliela può consegnare?”
 
La Chips sorrise.
 
“Oh tesoro, dovresti portargliela tu, dato che hai fatto tutta questa strada perché la avesse. A Neville farà piacere un po’ di compagnia.”
 
Dio Santiss-
 
La Chips le sorrise di nuovo e si allontanò, ma Yvonne non seppe dire in che direzione andò. Non che le importasse più di tanto.
 
Era finita.
Non aveva più modo di uscirne.
 
Coraggio, Yvonne.
E’ facile. Facile e veloce.
Vai da lui.
Gli dici “ciao Neville, ti ho portato la tua Ricordella. Non c’è di che. Ciao.” E te ne vai.
Ed è finita.
Puoi farcela.
Devi.
 
Iniziò ad inspirare forte e lentamente, come se faticasse ad assumere ossigeno. Strinse la Ricordella in un pugno, come se dovesse romperla in mille pezzi, come se fosse quella la causa di tutti i suoi problemi.
 
Il che lo era, in parte almeno.
 
Iniziò a camminare verso Neville, e ogni passo era più difficile e pesante del precedente. Lui ancora non si era accorto di lei, ed era un sollievo.
 
Quando, finalmente o sfortunatamente in base ai punti di vista, raggiunse il letto di Neville, quest’ultimo finalmente si accorse della sua presenza e girò la testa, quanto bastava per guardarla.
 
“Io..” balbettò Yvonne, trovandosi gli enormi occhi di Neville che la guardavano, e quando capì che non riusciva ad emettere nemmeno un suono sotto il suo sguardo, abbassò la testa per guardarsi i piedi e la voce ritornò, anche se con fatica “..la Ricordella. Ho la tua Ricordella. Cioè.. ti deve essere caduta la Ricordella e te l’ho portata.” Allungò il braccio per porgergli l’oggetto, senza però smettere di guardarsi le scarpe.
 
Oddio.
Perché non era in grado di parlare normalmente?
Ma che problema aveva?
 
“Grazie.” Sentì Neville dire, e nel prendere la Ricordella con la mano un millimetro del suo dito toccò quello di Yvonne.
 
Yvonne sentì nuovamente un brivido, ma non era spiacevole quanto il precedente. La faceva sempre sentire a disagio naturalmente, eppure le dava anche una certa euforia. Una certa.. gioia? Non riuscì a reprimere un sorriso.
 
Quando quel contatto si interruppe, Yvonne alzò nuovamente lo sguardo e guardò Neville per un’altra manciata di secondi. Poi fece dietro front e si diresse verso l’uscita.
 
Okay, non è andata come speravo ma siamo realisti, quando mai qualcosa va come speravo?
La cosa importante è che ora è finita.
Non devo fare altro che varcare quella soglia e questo sarà solo un lontano ricordo.
Ci sono quasi.
Ci sono qua—
 
“Sono patetico, lo so.”
 
Neville pronunciò quelle parole a bassa voce, ma a voce abbastanza alta perché Yvonne sentisse nonostante non gli fosse più vicina.
 
“No.” Yvonne rimase dov’era, ad un passo dalle porte, ma si voltò verso Neville “..non lo sei.”
 
Maledizione.
C’era quasi.
Era così dannatamente vicina.
Doveva ignorare Neville.
Doveva ignorare quell’affermazione o far finta di non aver sentito.
Anche adesso, perché si era fermata?
 
Ma non riusciva ad andarsene. Non ora.
 
Aveva giurato a sé stessa che non avrebbe mai fatto parte della vita di Neville, che doveva stargli lontano, che non doveva interferire, per il suo bene, perché ci teneva a lui. Ma non poteva—non poteva lasciare che lui credesse di essere uno sfigato. Ne era fisicamente incapace.
 
“Era la nostra prima lezione di Volo. Nessuno sapeva bene come fare. Poteva capitare a chiunque.” Continuò Yvonne.
 
“Ma non è capitato a nessun altro.” Yvonne sentiva i battiti del suo cuore accelerare ogni volta che sentiva la dolce, innocente voce di Neville “..solo a me.”
 
Yvonne sentì un enorme tristezza addosso. Vederlo così giù, con così poca autostima, così demoralizzato, le faceva male. Tanto male. Ora andarsene non era più nemmeno lontanamente una possibilità. Non se ne sarebbe andata neanche se ci fosse stata la fine del mondo.
 
Voleva consolarlo, farlo sentire meglio, ma lei era terribile a consolare le persone.
 
Una volta, Nolwenn aveva affrontato un momento orribile ed era a pezzi. In seguito ad un esaurimento nervoso causato da una miscela esplosiva di problemi al lavoro, problemi in famiglia, il ragazzo di allora che l’aveva lasciata. Aveva pianto, urlato, continuava a singhiozzare che non ce la faceva più, che qualunque cosa facesse non era mai abbastanza, che lei non era abbastanza. Yvonne era con lei in quell’occasione, e fu straziante vederla in quel modo. Nolwenn era, ed è ancora, la persona più forte che Yvonne avesse mai conosciuto, e quel giorno non solo l’aveva vista distrutta, ma aveva raggiunto anche la consapevolezza che non sapeva come fare per aiutarla. Chiunque altro al suo posto, Arielle, o Nolwenn stessa come aveva fatto con lei in altre occasioni quando era lei a stare male e a piangere e ad avere una crisi, l’avrebbe abbracciata forte come se nient’altro contasse nel mondo, le avrebbe sussurrato parole confortanti e le avrebbe massaggiato la schiena.
 
Ma Yvonne non sapeva farlo. Non abbracciava mai nessuno. Mai.
 
Così si era grattata le mani nervosamente, per poi avvicinarsi altrettanto nervosamente. Il suo abbraccio fu breve e strano evidentemente fatto da qualcuno che non sapeva bene cosa stesse facendo, le sue parole di conforto non erano niente di più di un banalissimo seppur sinceramente sentito “mi dispiace tanto” e “per qualunque cosa avessi bisogno, chiedi a me, io sono qui” e le sue carezze sulla schiena erano più delle pacche amichevoli. In quei momenti, Yvonne realizzava che pessima amica, e che pessima persona, fosse. Quando era lei ad aver bisogno di conforto Arielle e Nolwenn erano calorose e affettuose e presenti, mentre lei si comportava con loro come se fossero delle sconosciute e che facesse quello che facesse perché si sentiva a disagio. Arielle e Nolwenn non avevano mai detto nulla al riguardo, non l’avevano mai accusata di essere una pessima amica per questo né glielo avevano mai rinfacciato, ma Yvonne sapeva, sapeva che lo pensavano. Certo che lo pensavano. Lei stessa lo pensava. Perché non dovrebbero pensarlo gli altri?
 
E ora Neville era lì, che aveva bisogno di un conforto che fosse o nelle parole o nei gesti, ed esattamente come quando era successo a Nolwenn, Yvonne non sapeva darglielo. Se se ne fosse andata adesso di certo lui non l’avrebbe più cercata, ed era quello il suo obbiettivo finale, ma non poteva. Non poteva.
 
Senza neanche rendersene conto, Yvonne si avvicinò a Neville sedendosi sul suo letto accanto a lui. La sua spalla sinistra e la destra di Neville potevano sfiorarsi. Quello era il momento perfetto per un abbraccio, ma di nuovo, Yvonne non ci riusciva. Le sue dita ripresero ad agitarsi e le sue mani si muovevano a scatti, come se fosse un androide. Alla fine, a tentoni, strinse con un paio delle dita la manica del maglione dell’uniforme di Neville, ma quel gesto fu così strano e forzato che Yvonne si sentì costretta ad allargare il resto della dita e finì con l’appoggiare tutta la mano sulla spalla di Neville. Nessuna carezza. Solo la sua mano posata sulla spalla. Per Yvonne, era già troppo.
 
“Non preoccuparti.” Balbettò timidamente Yvonne, rendendosi conto di essersi completamente dimenticata di quale fosse l’ultima cosa che Neville le avesse detto “io..” guardò verso il basso “io non penso che tu sia patetico.”
 
Per quanto strana fosse tutta quella interazione, Neville forzò un sorriso incoraggiante, annuendo anche con la testa.
 
Temendo di averlo messo ancora più a disagio, Yvonne si morse le labbra cercando di trovare qualcos’altro da dire.
 
“Io faccio continuamente figuracce.”
 
“Tu?” Neville parve sorpreso.
 
“Sì, io.” Disse con naturalezza Yvonne, non capendo perché Neville ne fosse tanto sorpreso. Lei sapeva bene che anche dall’esterno dava l’impressione di qualcuno che non sa come comportarsi nella quotidianità “Mi dispiace, faccio abbastanza pena a confortare gli altri.” Mormorò sinceramente, dicendo per una volta quello che effettivamente pensava.
 
Deglutì.
 
“Ma tu..”
 
“Sei buono e gentile e questo è molto più importante e di valore. Dovresti essere fiero di quello che sei.”
 
Stava per dirlo, ma fortunatamente riuscì a fermarsi in tempo. Era troppo intimo, troppo personale, e lui si sarebbe insospettito su come lei lo conoscesse fino a quel punto, quando nei fatti non erano più che sconosciuti, semplici compagni di scuola e di Casa.
 
Decisamente no.
 
“Tutti cadiamo prima o poi, e chi lo nega è un bugiardo. E non ha nessuna importanza quante volte o quanto spesso cadiamo. L’importante è come ci rialziamo.”
 
Neville la guardò come se la vedesse per la prima volta, e Yvonne fu così imbarazzata che si sentì costretta ad abbassare lo sguardo.
 
“Grazie.” Ripeté nuovamente Neville, ma questa volta quel “grazie” sembrava fosse molto più significativo del grazie precedente, quello collegato alla consegna della Ricordella.
 
Yvonne percepì come un tremolio in tutto il corpo, come se avesse preso la scossa, e tornò nuovamente in sé. L’imbarazzo crebbe a proporzioni gigantesche, ma riuscì comunque ad alzarsi.
 
“Io.. devo.. dovrei andare.” Bisbigliò, più a sé stessa che a Neville.
 
“Aspetta.. io..” il Grifondoro fece una pausa “..io sono Neville.”
 
Lo so.
Dio se lo so.
 
Ma ovviamente non poteva dirlo.
Una delle mille cose che non poteva dire, che non avrebbe mai potuto dire.
 
“Yvonne.”
 
Dopodiché schizzò fuori dall’Infermeria prima che Neville potesse aggiungere altro. Corse via come se avesse commesso un crimine, un atto illegale. E Yvonne si sentiva come se fosse effettivamente quello che aveva appena fatto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era difficile affrontare la giornata con la mente lucida dopo quanto era successo con Neville, ma fortunatamente non aveva altre lezioni quel giorno.
 
Inizialmente si rifugiò nel Dormitorio femminile dei Grifondoro perché voleva solo stare da sola ad autocommiserarsi, ed essendo tardo pomeriggio, nessun altro ci sarebbe stato.
 
Si sdraiò sul letto sotto le coperte, con ancora l’uniforme addosso. Si coprì per tutto il corpo tranne che per la testa, ma questo non le impedì di tremare.
 
Si sentiva una stupida. Per come aveva gestito il suo incontro con Neville, ma sembrava non riuscisse a decidersi su come avrebbe dovuto comportarsi. Come se, anche tornando indietro nel tempo per rifare tutto, non avesse saputo cosa fare di diverso. Passava dall’odiarsi perché non era stata in grado di confortarlo quanto avrebbe dovuto e per non essere rimasta lì con lui quando evidentemente avrebbe preferito un po’ di compagnia, all’odiarsi perché aveva permesso che quell’incontro durasse troppo, che non avrebbe mai dovuto avvicinarsi tanto a lui.
 
In entrambi i casi, si odiava. E quella era una cosa che faceva spesso. Non pianse, ma ci andò molto vicino e in fin dei conti fu come se l’avesse fatto.
 
Quando si fece sera però, strinse i denti e si alzò. Le veniva sempre una gran fame quando passava troppo tempo a lasciarsi andare ai suoi pensieri paranoici, e di certo non avrebbe trovato del cibo nel suo letto.
 
Lasciò la Sala Comune senza curarsi di controllare l’uniforme, che magari si era stropicciata per via di quelle ore che aveva passato stesa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
Quando entrò nella Sala Grande Yvonne non era nera, di più.
 
Al malumore che aveva a causa di Neville, si aggiunse il malumore che provava nel dover camminare così tanto per avere qualcosa da mettere sotto i denti. Lei era pigra e meno movimento fisico faceva e più era soddisfatta, e non riusciva davvero a comprendere come a tutti gli altri stesse bene dover camminare in lungo e in largo per un vecchio castello gigantesco per semplici funzioni necessarie alla sopravvivenza umana.
 
Si sedette nel tavolo dei Grifondoro senza neanche guardare vicino a chi si stava sedendo, e francamente non le interessava granché.
 
Quella sera da mangiare c’era carne impanata, spinaci e arance. Yvonne decise di mangiare fino a quando non si sarebbe sentita piena, poi si sarebbe alzata e sarebbe tornata in fretta nel Dormitorio. Per dormire. Non aveva voglia di fare nient’altro.
 
Ma le cose presero una piega inaspettatamente piacevole.
 
Tanto per cominciare, né il trio di sventura né Neville erano presenti, il che era un fatto positivo tutt’altro da sottovalutare.
 
Ma furono Fred e George a trasformare quella giornata da merdosa a trionfante.
 
Erano seduti accanto a lei a parlare con altri Grifondoro del loro anno dell’ultima notizia.
 
“Harry Potter è il nuovo Cercatore di Grifondoro. La prima partita Quidditch dell’anno sarà indimenticabile!”
 
Yvonne iniziò ad ascoltare le conversazioni un po’ di tutti per quanto poteva, anche degli studenti di altre Case. E tutti, tranne qualche piccola minuscola eccezione, parlavano dello stesso argomento. Ormai la notizia doveva aver raggiunto ogni angolo di Hogwarts, magari persino Hogsmeade.
 
Guardò dritto davanti a sé, con gli occhi sul tavolo dei Serpeverde, fino a quando non trovarono gli occhi di Malfoy. Il signorino Mio Padre Lo Verrà A Sapere la stava già guardando prima che lei lo trovasse, il che fu ancora più appagante. Aveva le labbra serrate, gli occhi ridotti a due fessure e una tale rabbia in corpo che sembrava che stesse per esplodere.
 
L’ha saputo anche lui.
 
Yvonne alzò la testa con fare altezzoso intenzionalmente, e lo guardò quasi con scherno.
 
Se quella era una partita, lei stava vincendo.
Alla grande.
 
 
 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 9 ***






LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 9
 
 
 
 
 
 
“Arielle… Arielle..” una voce viscida e strisciante proveniva dalle profondità della sua mente.
 
“Arielle.. non potrai ignorarmi per sempre, Arielle.. Arielle..”
 
“Arielle!”
 
Respirare le era diventato improvvisamente difficile e i battiti del suo cuore erano accelerati, come se si fosse appena svegliata da un incubo. O forse era davvero andata così?
 
Ma il risveglio aveva peggiorato le cose. Continuava a far così fatica a respirare che riusciva a sentire i suoi affanni. Alla sua destra c’era McCoy, alla sinistra Kirk e in mezzo a loro proprio davanti a lei, seppur più lontano, c’era Spock.
 
Il dottore prese poi il suo tricorder medico ed iniziò ad esaminarla, mentre Kirk aveva le mani delicatamente sul suo braccio, come ad aiutarla.
 
“Respiro affannoso, battito cardiaco accelerato, sudorazione, tremore..” fece McCoy, non appena ebbe finito di esaminarla.
 
“Sto bene..” balbettò Arielle, cercando di rimettersi in piedi a fatica.
 
In verità non stava bene.
 
Aveva appena visto le sue amiche. Le sue amiche. Che le avevano sorriso. Che le avevano parlato. Che l’avevano confortata.
 
Si sentiva come se avesse visto la fine del mondo, come se le avesse viste soffrire tra atroci sofferenze, come se avesse visto qualcosa di estremamente negativo, un futuro oscuro e senza speranza, eppure aveva visto altro.
 
Le aveva viste in pace. Libere. Felici. Come non le aveva mai viste prima.
 
Ma allora.. perché aveva questa sensazione di angoscia e disperazione? Perché si sentiva come se tutto fosse perduto?
 
E quel serpente gigantesco e spaventoso.. e quell’asino.. e quella volpe.. cosa significavano.. ma il serpente.. soprattutto il serpente..
 
“Deve essermi sfuggito il momento in cui sei diventata un medico..” disse McCoy in tono pungente, ma anche preoccupato e apprensivo “..un attacco di panico non è da sottovalutare.”
 
“Sto bene.” Ripeté Arielle, come se non avesse sentito una sola parola di quanto aveva detto McCoy.
 
Era ridicolo il numero delle volte in cui aveva avuto una crisi, o era svenuta, o aveva avuto un crollo emotivo o, per l’appunto, un attacco di panico. Doveva darsi una regolata, o avrebbero pensato che fosse una debole. Non era più una bambina. Non poteva apparire nuovamente in quello stato. Non davanti a loro.
 
“E’ meglio che ritorni sull’astronave e ti riposi. E’ stato un periodo molto movimentato, e questo pianeta non penso abbia aiutato.” Arielle si sentì improvvisamente morire di vergogna, come se Kirk sapesse esattamente cosa le era successo “..ordini del Capitano.”
 
Kirk fece per prendere il suo comunicatore, ma Arielle lo fermò con una mano.
 
“Questo posso farlo io.”
 
Sapeva che non avrebbe potuto convincere Kirk di stare bene una volta che lui aveva detto le paroline magiche “ordini del Capitano”, ma Arielle non aveva nessuna intenzione di ritornare sull’Enterprise senza aver fatto niente da sola, nemmeno una semplice chiamata.
 
Prese il suo comunicatore.
 
“Arielle Machand a signor Scott.. uno da teletrasportare.” Guardò dritto negli occhi il trio più famoso di Star Trek mentre lo diceva, come a voler dimostrare loro che era più forte e resistente di quanto sembrasse, anche se lei stessa ne stava dubitando fortemente.
 
“Energia.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo cinque minuti passati seduta sul letto del suo alloggio, era tornata come nuova. Era solo un attacco di panico in effetti, e non era nemmeno svenuta. Il che era un gran passo in avanti.
 
Ma continuava a pensare a Yvonne. E a Nolwenn. E a quel serpente.
 
Cosa aveva visto?
Perché lo aveva visto?
Aveva forse qualcosa a che fare con quel pianeta?
Aveva avuto delle allucinazioni?
 
Qualche ora più tardi, sentì un suono provenire da fuori. Un rumore che conosceva molto bene ormai. Qualcuno aveva fatto richiesta di entrare nel suo alloggio.
 
“Avanti.”
 
Non ebbe bisogno di voltarsi per vedere chi era. Dai passi che sentiva, non poteva essere che Kirk.
 
“Come ti senti?”
 
“Non più in preda al panico.” Rispose Arielle in un soffio, quasi senza pensarci.
 
“Arielle, quello che è successo.. non è stata colpa tua.” Kirk scosse la testa “mi dispiace, non avrei dovuto permettere che scendessi su quel pianeta..”
 
Non è colpa tua se non so fare niente e non ho alcun autocontrollo.
 
“..era il pianeta sbagliato, per essere la tua prima volta.”
 
“Capitano..” sussurrò lei, rendendosi conto solo in un secondo momento che gli aveva dato del lei e non lo faceva da tanto tempo “..io..”
 
Stava per dirgli che non doveva spiegare nulla, che era lei a non essere pronta e che forse non lo sarebbe mai stata, e un’altra serie di frasi in pieno stile Arielle, simili a tante altre che aveva detto, tante, troppe volte.
 
Ma fu altro quello che le uscì dalla bocca.
 
“..le ho viste.”
 
“Cosa?”
 
“Le mie amiche… quelle che ho perduto quando sono arrivata in questo universo..”
 
“Ah.” Disse malinconicamente Jim, come se d’un tratto si sentisse ancora più in colpa “..capisco ora.”
 
“Le ho viste. Ti giuro che le ho viste.”
 
“Lo so.” Jim sospirò “..anch’io ho visto.. qualcuno che non vedevo da tanto tempo..” Kirk si lasciò trasportare un attimo dai ricordi e da quel qualcuno di cui stava parlando, Arielle se ne accorse, ma tornò in sé dopo pochi istanti, guardandola nuovamente “..è un effetto del pianeta, Arielle.”
 
Arielle scrollò le spalle.
 
Era la spiegazione più plausibile in effetti e anche lei ci aveva pensato, eppure, in qualche modo, si rattristò nello scoprire che era effettivamente la verità.
 
“Quindi.. non c’era niente di reale.”
 
“Sì e no.” Mormorò Jim “..dimmi, hai forse pensato a loro prima che le vedessi?”
 
“Sì! No.. non mi ricordo. Io..” Arielle si morse le labbra “io penso spesso a loro.”
 
“Gli altri membri dell’equipaggio che sono scesi sul pianeta hanno visto qualunque persona a cui stavano pensando pochi istanti prima. A dire la verità, sembra che l’esperienza avrebbe dovuto essere piacevole.. e forse lo sarebbe stata fin dall’inizio se avessimo saputo a cosa andavamo incontro.”
 
Arielle era più confusa di prima.
 
Di cosa diavolo stava parlando?
Piacevole?
Doveva essere piacevole?
Per chi?
Non lei.
Pe lei non era stato affatto piacevole.
 
“Mi dispiace che la cosa ti abbia turbata tanto.. e che ti abbia provocato quell’attacco di panico.” Mormorò Jim, come se le stesse leggendo la mente “..ma non darti colpe. E’ ancora un universo nuovo per te. Ci vuole tempo per queste cose. Per aprire la mente al punto da accettare, comprendere, eventi del genere.”
 
Arielle scosse la testa “..non c’erano solo loro. Io ho visto.. ho visto degli animali.”
 
“Animali?”
 
“Sì. Insieme a loro, c’erano degli animali. E non avevo pensato a quegli animali.”
 
Okay, forse il serpente le era passato per la mente, ma la volpe e l’asino? Che attinenza avevano?
 
“Quali animali erano?”
 
Arielle si morse nuovamente le labbra. Voleva essere sincera con Jim, ma non si sentiva di tirare nuovamente in ballo il serpente, non con lui. Non era passato molto tempo da quando gli aveva detto di averne visto uno, che però lui non aveva trovato. No, meglio ometterlo per il momento.
 
“Una volpe rossa, un asino e..” fece una pausa “..un altro animale che non ricordo.”
 
Omettere qualcosa era sempre meglio di mentire.
 
“E tu sei sicura di non aver pensato a loro? Magari senza volerlo?”
 
“Sono sicura.” Disse con convinzione Arielle, sorprendendosi della sicurezza che ebbe in quel momento.
 
“Questo è strano..” fece fra sé e sé Kirk “..ma sicuramente c’è una ragione. Erano minacciosi? Ti hanno aggredito? Per questo hai avuto l’attacco di panico?”
 
“No.” Arielle scosse la testa con la stessa convinzione che aveva avuto un momento prima “..erano semplicemente là, dietro le mie amiche, che mi fissavano. Erano come statue, ma io sapevo che erano veri.” Sospirò “..per quanto vere possano essere delle illusioni.”
 
Jim la guardò, aspettando che continuasse.
 
“In verità, non so perché mi sono spaventata tanto. Yvonne e Nolwenn, apparivano felici. Erano felici. Riuscivo a sentirlo. E’ solo che.. non capivo.. non sapevo..”
 
Il Capitano poggiò amichevolmente una mano sulla sua spalla.
 
“E’ una buona cosa, sai?”
 
“Cosa? Che mi sia spaventata per qualcosa che avrebbe dovuto farmi sentire meglio, invece?”
 
“La paura in una circostanza simile, è la reazione migliore che qualcuno potesse avere. L’hai detto tu, no? Non capivi. Eri confusa sul perché stava succedendo quello che stava succedendo. E la confusione genera paura. Immagino che sia uno dei tanti aspetti di noi essere umani.. di qualunque universo.”
 
“Continuo a non capire come faccia ad essere una buona cosa.”
 
“Quando ci si imbatte in qualcosa di straordinariamente bello, o in qualcuno che ci rende straordinariamente felici, si tende a lasciarsi trasportare. A seguire quell’emozione positiva che ci genera quell’incontro. Non importa quanto sia improbabile o raro o inspiegabile. L’istinto ci porta a lasciarci trasportare, ignorando la ragione. Ma tu non hai ignorato la ragione. Tu non ti sei lasciata trasportare perché sapevi che qualcosa non andava, che doveva esserci dell’altro sotto. Perché non racconti questo episodio al signor Spock? Sono sicuro che ti direbbe le stesse cose che ti sto dicendo io, e ammirerebbe anche la tua.. “razionalità umana”, come la chiamerebbe lui.”
 
“Immagino sia un modo di vederla.”
 
“Alla fine, si è scoperto che l’intento del pianeta che abbiamo visitato era divertire, e non c’era nessun pericolo reale, ma tu prova ad immaginare se ci fosse stato. Se quelle persone legate a noi che abbiamo incontrato fossero state una trappola? Un modo per farci abbassare la guardia mentre qualcosa di peggio stava realmente accadendo? In tal caso, tu in quella trappola non ci saresti cascata. Hai avuto.. più sangue freddo di me.”
 
Ad Arielle scoppiò una risata. “Sì, certo.” Scosse la testa “non esageriamo, adesso.”
 
“E’ vero. Sii orgogliosa di come ti sei comportata oggi. Non è da tutti condurre con tale efficienza la prima missione.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quando Jim se ne fu andato, Arielle si sentì meglio riguardo a quanto fosse successo, ma non riusciva a togliersi dalla testa quegli animali che aveva visto e che non dovevano c’entrare nulla.
 
Cosa farebbe Spock se fosse al mio posto?
Avrebbe fatto delle ricerche.
 
Si sedette sulla scrivania del suo alloggio, e si mise davanti alla versione futuristica e spaziale del computer. Non era dettagliato e approfondito quanto il computer che si trovava sulla plancia dell’Enterprise, ma forse avrebbe potuto comunque trovare qualcosa.
 
“Computer.”
 
Sentì la macchina che si attivò.
 
“Forniscimi tutte le informazioni possibili sugli asini.”
 
“Affermativo.” Cominciò la voce robotica “Gli asini, conosciuti anche come  Equus africanus asinus, sono dei mammiferi perissodattili della famiglia Equi—”
 
Okay, non era questo che stava cercando.
Sapere di che famiglia fossero gli asini o tutti i dati relativi all’animale non le sarebbe servito a molto, avrebbe solo perso tempo.
 
“Computer, annulla ricerca presente. Nuova ricerca..” balbettò, ancora incerta su come si comunicava verbalmente con i computer dell’Enterprise “cosa simboleggiano gli asini.”
 
“Gli asini rappresentano simbolicamente molte cose. Per gli indoeuropei rappresentavano sapienza e regalità. Nelle antiche fiabe e racconti terresti, l’asino veniva spesso utilizzato come simbolo di una metamorfosi dagli abissi alla luce. In passato veniva comunemente usato il loro nome in modo dispregiativo per descrivere individui con scarso intelletto, sebbene gli asini siano animali particolarmente intelligenti. Questo li ha portati a simboleggiare anche l’andare oltre le apparenze e ad essere molto più di quello che sembra.”
 
Arielle cercò di ricordare ogni parola.
 
Tentò di nuovo.
 
“Computer.. ricerca cosa simboleggiano le volpi.”
 
“In alcuni paesi della Terra del passato si credeva che se accanto ad una volpe c’era un fantasma, questa avesse il compito di accompagnare e guidare i morti nell’aldilà. E’ un animale che veniva visto sia come portatore di ricchezza, fortuna e prosperità sia come portatore di desiderio e peccato. Essa rappresenta inoltre l’intuito e la capacità di utilizzare ogni risorsa per raggiungere i propri obbiettivi.”
 
Arielle strinse i pugni così forte che sentiva le unghie ferirle la pelle.
 
Aveva lasciato il serpente per ultimo perché non era certa di voler sentire cosa rappresentasse. L’asino e la volpe li aveva visti quell’unica volta sul pianeta, ma il serpente ormai era una costante fissa nella sua vita, quasi più dello spazio, e di certo era un animale meno grazioso dei primi due.
 
No, non era grazioso.
 
Era spaventoso.
 
Come faceva un animale così spaventoso ad essere di buon auspicio?
 
Ma non poteva tirarsi indietro.
Se non l’avesse fatto, il tarlo le sarebbe rimasto per sempre.
 
“Computer..” inspirò a fondo “..ricerca cosa simboleggia.. il serpente.”
 
Deglutì, attendendo con ansia la risposta.
 
“La simbologia del serpente varia in base a diverse credenze di diversi luoghi della Terra del passato. Il serpente rappresenta in primo luogo la conoscenza e la connessione con la natura, e in alcune culture orientali simboleggia il rinnovamento, trasformazione, rigenerazione e cambiamento. In alcune religioni, il serpente veniva considerato l’animale più intelligente mai esistito, tanto da essere paragonato ad una o più creature malvagie conosciute con vari nomi tra cui Satana. In—”
 
“Computer..” Arielle tremava come una foglia, aveva il visto nascosto tra le gambe e le mani ancora strette in dei pungi “..basta così.”
 
E quando il Computer smise di parlare, Arielle poté sentire solo la paura. La sua paura.
 
Si mise sul letto , rannicchiata, continuando a guardare in ogni angolo della stanza come alla ricerca di un mostro che sarebbe venuta ad ucciderla.
 
Ma era lei il mostro.
 
  
 





 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** C'era una Volta - Capitolo 10 ***





C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 10
 
 
 




 
 
 
“Alzati.” Mormorò Edmond in tono annoiato, toccando le gambe di Nolwenn con lo stivale come per controllare che non fosse morta “..dobbiamo andare.”
 
Lei sobbalzò indietreggiando velocemente mettendo le braccia davanti al torso, come se lui l’avesse sorpresa a fare cose indecenti.
 
“Come sei entrato? E dove dobbiamo andare?!? Io non ho fatto niente.”
 
Edmond roteò gli occhi.
 
“Smettila di lagnarti, non ti sto buttando fuori se è questo che ti preoccupa, anche se avrei già dovuto farlo da un bel pezzo. E perché ti stai coprendo? Non sei mica nuda. Se lo fossi stata, ti assicuro che mi avresti sentito urlare. Come sono entrato..” Edmond sbuffò “..devo ricordarti che questa è, come dire, casa mia?”
 
“Non c’è bisogno.” Nolwenn si stropicciò gli occhi per svegliarsi e si alzò.
 
Come se potesse dimenticarsi anche solo per un momento che quella fosse casa sua.
Come se lui non glielo ricordasse ad ogni interazione che avevano.
Si era assicurato che lei non lo dimenticasse mai.
 
“Prepara i cavalli. Traineranno il carro quindi non mettergli la sella da cavalcatura. Partiremo tra dieci minuti.”
 
E fu così.
 
Nolwenn pensava che si sarebbe svegliata per bene una volta che si fosse messa seduta sul carro, ma si sbagliava di grosso. L’abbiocco che sentiva sembrava non volersene andare. Edmond anche appariva stanco, ma lui appariva sempre stanco, come se fosse morto dentro e ancora non lo sapeva. Mathieu, che se ne stava in mezzo ai due nel carro, sembrava l’unico sveglio, ma durò poco. Si addormentò dopo poco più di mezzora, poggiando la testa sulla spalla di Nolwenn.
 
Dopo un’ora passata in religioso silenzio, la ragazza provò ad avviare una conversazione, altrimenti da lì a poco si sarebbe addormentata anche lei, ma a differenza di Mathieu, non aveva una spalla su cui appoggiare la testa, e la sola idea di poggiarla sulla spalla di Edmond fu abbastanza da spronarla a restare sveglia.
 
“Quindi.. dov’è che andiamo?”
 
“Bourec. E’ un borgo molto piccolo che sorge in mezzo alle colline.” Edmond non si degnò neanche di guardarla mentre le rispondeva.
 
Nolwenn attese qualche attimo aspettandosi che lui proseguisse con la spiegazione, ma quando non lo fece si ritrovò costretta a spronarlo con un’altra domanda.
 
“E.. perché ci andiamo?”
 
“Secondo te?”
 
Nolwenn si girò e vide le casse di mele presenti nel loro carro, che lei stessa aveva messo con estrema fatica dopo che ebbe finito di preparare i cavalli.
 
“C’è una fiera della frutta e conti di vendere qualcuna delle tue mele dorate?”
 
“Quasi. Non una fiera, ma un matrimonio. Bernac, il cuoco del borgo, è specializzato in dolci a base di frutta e si è rivolto a me per le mele. Per cui vedi di non toccare niente e non farmi fare figuracce.”
 
“Quindi cosa devo fare?”
 
“Niente. Assolutamente niente.” Disse Edmond in un tono che non ammetteva repliche.
 
“Potevi lasciarmi a casa, allora. Almeno dormivo.”
 
Edmond scoppiò a ridere per una manciata di secondi, scuotendo la testa nel mentre come se ridesse più per sé stesso che per lei. “Certo, come se lasciarti a casa mia da sola dandoti la possibilità di distruggerla fosse una possibilità.”
 
Nolwenn sbuffò e incrociò le braccia, ma non aggiunse altro.
 
Le prime luci del Sole iniziarono ad illuminare la zona proprio quando arrivarono al borgo, permettendo a Nolwenn di ammirarlo. Era molto piccolo, come fosse nato da davvero poco tempo, ed era completamente immerso nella natura, persino le abitazioni e i pochi edifici sembravano essere naturali tanto erano immersi nel bianco della neve che copriva le colline.
 
La pasticceria di Bernac sorgeva nel centro del paesello, e il suo proprietario era esattamente cosa ti aspetteresti da un pasticcere francese di campagna: un viso gioviale e allegro sotto diverse rughe dovute all’età, due piccoli occhi scuri, dei baffi lunghi e arrotondati bianchi come la neve soffice e una pancia prominente. Gli mancava solo la tuta rossa e poteva benissimo passare per Babbo Natale.
 
Edmond fece un gesto frettoloso con la mano a Nolwenn, così lei prese dal carro una delle casse di mele ed entrò con lui in negozio. La cassa era pesante, ma per orgoglio lei non disse una sola parola.
 
“Buongiorno, Edmond!”
 
“Bernac.” I loro modi di fare erano così opposti da essere quasi esilaranti da vedere “..ti ho portato dieci casse di mele, come concordato. Questa è una..” mise la mano sulla cassa che aveva portato Nolwenn e che ora era sul bancone del negozio del vecchio “..le altre sono nel carro qui fuori. Ora te le porto tutte.”
 
“Con calma, Edmond, con calma.” Disse sinceramente Bernac, iniziando a porgere a Edmond le monete d’oro che gli spettavano.
 
Mentre Edmond le contava, Bernac alzò lo sguardo e si accorse finalmente della presenza di Nolwenn. Lei gli sorrise, non sapendo cos’altro fare. Lui, in tutta risposta, guardò Edmond stupefatto, il quale però era ancora chino a contare le monete.
 
“Edmond, perché non me l’hai detto? Ti sei sposato, finalmente! Congratulazioni!” questo fece alzare il viso ad Edmond, ma prima che potesse reagire in qualsiasi modo, il pasticcere si rivolse a Nolwenn “..piacere di conoscerti, cara. Io sono Bernac. Benvenuta a Bourec.”
 
“Non è mia moglie.” Disse Edmond in tono così freddo che avrebbe potuto uccidere qualcuno con quel gelo.
 
Nolwenn rise nervosamente, anche lei divertita da quell’ipotesi assurda “no, decisamente no.”
 
Ma si beccò comunque un’occhiataccia da Edmond. Poi però il contadino tornò a rivolgersi a Bernac “..è solo un enorme e fastidiosa spina nel fianco di cui non riesco a liberarmi.” Poi guardò Nolwenn “e tu.. ti avevo detto di non fare niente, o sbaglio? Parlare non mi sembra niente.”
 
“Ma..” tentò Nolwenn.
 
“Aspettami fuori. Torna al carro e vedi se Mathieu si è svegliato.” Il suo tono era pacato, ma deciso.
 
Nolwenn fece quanto gli aveva chiesto e si avviò all’uscita, ma riuscì comunque a sentire qualcosa della conversazione tra loro due.
 
“Non era mia intenzione offendere, Edmond. E’ solo che.. è la prima volta che ti vedo con una donna dopo quasi un decennio, cos’altro avrei dovuto pensare?”
 
“Lo sai che non mi interessa, Bernac. Lo sai.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
I due promessi sposi erano due giovani di nome Louis e Amelie, un pastore e una cameriera, e si erano sposati a mezzogiorno, sotto il sole che illuminava tutto il borgo, rendendolo più luminoso che mai e sciogliendo anche la neve rendendo visibile l’erba nascosta sotto. Nolwenn pensò a lungo se quei due giovani erano qualcuno di una favola Disney, ma né il loro aspetto né i loro nomi le dissero niente e così lasciò perdere. In fondo, la maggior parte delle coppie romantiche della Disney erano formate da principi, che lo fossero entrambi o solo uno dei due. E loro evidentemente erano due giovani poveri, ma comunque pieni d’amore.
 
Nolwenn si sentiva molto stanca fisicamente un po’ per il viaggio e un po’ per aver dormito poco, ma era troppo affascinata dall’assistere al suo primo matrimonio Disney per desiderare di andare a dormire. Lei non era neanche tra gli invitati, ma il matrimonio si celebrò all’aperto, e questo le permise di assistere comunque, sebbene ad una notevole distanza, perdendosi quindi diverse cose.
 
Alcuni aspetti della cerimonia erano effettivamente identici a come veniva celebrato il matrimonio nel suo mondo, ma altri erano completamente diversi. Quello che le rimase più impresso fu la mancanza di fedi nuziali. I giovani non si scambiarono anelli. Non era nemmeno sicura se si fossero scambiati qualcosa, ma quando avevano dichiarato i loro “sì” e avevano iniziato a ballare alla festa, Nolwenn aveva notato che nessuno dei due aveva anelli alle dita.
 
Alla festa ballò anche lei. Un giovane del posto, Jacques si chiamava, la invitò a ballare e danzarono per tre balli consecutivi. Lui era molto carino, ma Nolwenn aveva nella testa e nel cuore Stephane, ma lui fu comunque un galantuomo e quei balli accompagnati da quella musica allegra e da suoni di risate e piedi che sbattevano contro la terra la fecero divertire come mai si era divertita da quando era in quel mondo.
 
Quando smise di ballare, Nolwenn si ritirò dalla piazza principale e finì con l’incontrarsi con Bernac, o meglio, quasi si scontrarono.
 
“Oh! Scusi!”
 
“Non c’è problema. Ti stai divertendo, cara?”
 
“Molto. Molto in effetti.”
 
“Mi fa piacere che almeno tu ti diverti.” Mormorò l’anziano, indicando con la testa Edmond, il quale se ne stava vicino ad un campo agricolo a toccare la terra con Mathieu, e presumibilmente gli stava spiegando qualcosa.
 
“Non penso che lui sappia cosa sia il divertimento.” Disse Nolwenn, pentendosi di quelle parole dal momento stesso in cui gli uscirono dalla bocca.
 
Bernac rise.
 
“Non te la prendere se è rude con te. Non è niente di personale, fa così con tutti, anche con me che lo pago.”
 
Nolwenn scosse la testa. “Già, me ne sono accorta. E onestamente, può dirmi tutto quello che vuole. Mi ha accolto in casa sua e mi ha dato un tetto sulla testa. Lui e Mathieu.. sono state le prime persone ad aiutarmi..”
 
..da quando sono arrivata qui.
 
In effetti, quelle parole le uscirono nuovamente senza che lei se ne accorgesse. Spesso dalla bocca le uscivano parole che era meglio evitare, frecciatine ed insulti, ma questa volta erano parole scaturite da una gratitudine nei confronti di Edmond che non sapeva nemmeno di avere. Non fino a quel momento. Si sentì quasi imbarazzata ad accorgersene solo ora.
 
Quando spostò lo sguardo, vide qualcosa in lontananza. Era un.. castello? Una roccaforte? Era difficile dirlo, ma se si trattava di un castello, doveva essere o abbandonato o appartenente alla famiglia Addams: era nero come la pece, e appariva gotico e sinistro. Si chiese come avesse fatto a non vederlo prima. Probabilmente perché quando era arrivata al borgo era ancora buio, ma ora che era mezzogiorno e c’era una luce luminosa, un castello nero come l’oscurità spiccava ancora di più.
 
“Signor Bernac..?”
 
“Sì?”
 
“Quello laggiù..” indicò con un dito l’edificio “..è un castello?”
 
Bernac capì immediatamente di quale edificio stava parlando. Sospirò.
 
“Lo è. O meglio.. lo era. Ma dovreste starci lontano signorina, si dice che sia maledetto.”
 
“Maledetto?”
 
“Un tempo era un castello luminoso e bellissimo, tanto che potevi percepirne la bellezza anche da qui. E ci viveva un giovane principe. Poi, un giorno, ha assunto questo aspetto. Si dice che sia abitato da spettri, e uno di loro deve essere lo spettro del principe, dato che probabilmente è morto.”
 
Nolwenn sorrise senza accorgersene, e Bernac la guardò preoccupato.
 
“Non è morto, signor Bernac.”
 
E’ solo diventato una Bestia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si fece notte e la festa era ancora attiva e piena di partecipanti. Probabilmente sarebbe durata fino all’alba.
 
Nolwenn fece qualche altro ballo, qualcuno con Jacques e qualcuno con qualche altro giovane di cui non chiese neanche il nome. Voleva solo continuare a divertirsi. Ora era troppo stanca per ballare, ma non voleva proprio abbandonare i festeggiamenti, il perché non sapeva dirlo nemmeno lei.
 
Mathieu non si vedeva da ore, era tornato nel carro a dormire nel tardo pomeriggio, e da quando era avvenuto Edmond se ne stava seduto ad un tavolo a guardarsi le scarpe annoiato, come se fosse fisicamente costretto a stare lì nonostante lo detestasse. In verità, Nolwenn non capiva il suo atteggiamento. Sapeva che non avrebbe voluto essere lì, quindi si sarebbe aspettata che sarebbe andato a dormire o che si sarebbe preparato per tornare a casa, eppure stava lì.
 
Ma perché?
Perché resta qui se non vuole?
Bernac l’ha già pagato no? Quindi non è che sta aspettando una ricompensa.
 
Nel corso della serata un paio di donne si erano avvicinate a lui proponendogli di ballare o qualche altra scusa per iniziare una conversazione. Una era intorno all’età di Nolwenn e una sulla trentina, entrambe bionde ed entrambe molto più attraenti e femminili di lei, e gli avevano proposto di ballare. Altre lo avevano guardato da lontano interessate e gli avevano sorriso. Di quest’ultime lui non si era nemmeno accorto, mentre delle due che lo avevano avvicinato aveva risposto con un gentile ma distante “non interessato”. Più o meno la stessa cosa che avevano detto a Bernac quando lui aveva alluso al fatto che Nolwenn potesse essere sua moglie.
 
Magari è gay? Magari è per questo che non è interessato?
Perché gli interessano gli uomini invece che le donne?
 
“Perché non provi a ballare con qualcuna? Le due che ti hanno approcciato erano molto carine.”
 
Edmond la guardò con due piccoli occhi severi.
 
“Non. Interessato.” Sibilò tra i denti, come se l’avesse detto fin troppe volte, il che, effettivamente, era vero “..non mi piacciono le bionde.”
 
Nolwenn non riuscì a trattenere una risata isterica. “Davvero?”
 
“Sì. Davvero.” Sbottò Edmond, come se si fosse arrabbiato, anche se Nolwenn non seppe dire se era per la risata o per quello che aveva detto.
 
Nolwenn tentò di smettere di ridere, ma fu davvero difficile.
 
Non ce la faccio.
Il sosia di Jaime Lannister.. che si sbatte la sua sorella gemella bionda da cui è ossessionato e che l’unica altra donna da cui sia mai stato attratto è un’altra bionda.. che dice che non gli piacciono le bionde..
 
Quando Edmond si alzò, Nolwenn stava ancora ridendo.
 
“Stai attenta a non strozzarti. O magari strozzati.” E poi se ne andò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Qualche ora più tardi, i più erano andati a dormire. Rimanevano solo gli sposi e un’altra decina di paesani. Persino Edmond era sparito dalla circolazione.
 
Magari se ne era andato con una di quelle donne? Mh, improbabile.
 
E anche quando la musica era cessata del tutto, Nolwenn si era decisa di andare a dormire, dove ancora non lo sapeva. Ma sapeva che avrebbe dormito anche per terra, tale era la sua stanchezza.
 
“Nolwenn! Nolwenn!”
 
Era Mathieu.
 
“Devi vedere una cosa.”
 
“Adesso?” Adesso voglio solo dormire.
 
“E’ qui vicino, facciamo presto. Ti prego.”
 
Nolwenn sospirò e annuì, iniziando a seguire Mathieu, ma quando vide che stavano lasciando il borgo, iniziò a preoccuparsi.
 
“Mathieu.. ma lo sai dove stiamo andando?” guardò indietro, cercando di ricordare la strada per il viaggio di ritorno, non aveva nessuna voglia di perdersi.
 
“Ci siamo quasi.”
 
“Spero tu sappia come tornare indietro, perché io sono troppo stanca per farlo da sola.”
 
Mathieu la prese per un braccio e la tirò giù, costringendola ad abbassarsi. Erano nel bosco più fitto, ma Nolwenn era troppo stanca per guardarsi intorno. Era troppo stanca anche per avere paura, in effetti.
 
“Stai giù.” Fecero qualche altro passo, e all’improvviso sembrò esserci più luce “ecco.”
 
Erano ancora all’interno del bosco, ma davanti a loro c’era un sentiero, un sentiero che in quel momento era percorso da una fila di uomini che avanzavano uno dietro l’altro, o al massimo due, uno accanto all’altro. Erano tutti a piedi, tranne il primo che si trovava su un cavallo più nero di quella notte. Nelle mani avevano varie torce, ed erano quelle a rendere la zona più luminosa.
 
“Cosa.. cosa stanno dicendo?” Nolwenn sentiva che stavano dicendo qualcosa, ma a quanto pare anche le sue orecchie erano stanche e non volevano collaborare.
 
“Non so.. qualcosa su uccidere una Bestia.”
 
Nolwenn spalancò gli occhi, e strisciò sulla terra per avvicinarsi ancora di più per guardare meglio. Sentiva ancora la stanchezza come non mai e anche il suo corpo si stava come indebolendo, ma ora tutto quello che sentiva era l’euforia di essere così vicina, così vicina ad una favola Disney, da sentirsi quasi una parte di quella suddetta favola. In effetti lo era stata anche a Notre Dame e aveva visto Quasimodo e Clopin, ma allora non se ne era resa conto, non aveva avuto il tempo di accorgersene, dato che era appena arrivata in quel mondo.
 
Ma ora, ora sì.
 
Scrutò con attenzione l’uomo a cavallo.
 
Era vestito di un rosso acceso che spiccava in mezzo a tutti gli altri con capi dai colori più scuri, ma i pantaloni e gli stivali erano scuri, anche se gli stivali lo sembravano meno dei pantaloni. Aveva una faretra dietro la schiena, e un mantello scuro e dalle maniche della tunica e dentro due guanti arancioni c’erano due braccia incredibilmente muscolose e possenti, come tutto il suo corpo appariva muscoloso e possente, nonostante la distanza. Somigliava molto a Henry Cavill, ma i lineamenti del visto erano più duri e i capelli lungi legati da un elastico rosso, rosso come la sua tunica.
 
“Gaston..” sussurrò Nolwenn, quasi senza rendersene conto.
 
“Lo conosci?” chiese Mathieu.
 
Nolwenn lo guardò come se si ricordasse solo in quel momento della presenza del bambino.
 
“Non.. non esattamente.”
 
“Dicono.. dicono che stanno andando ad uccidere una Bestia, ma a me.. fanno un po’ paura. E’ stupido..”
 
“No.” Nolwenn abbracciò Mathieu con un braccio “..non lo è. Tu Mathieu, sei un ragazzino straordinariamente perspicace e intelligente, lo sai?”
 
“Perché?”
 
“Perché sono loro i cattivi. Soprattutto quello a cavallo. E non stanno andando ad uccidere una Bestia. Stanno andando ad uccidere un uomo.”
 
“Ma.. ma allora dobbiamo fare qualcosa! Fermarli! Svegliare la gente di Bourec. Loro ci aiuteranno!”
 
“Mathieu..”
 
“Non possiamo stare qui senza fare niente! Se non facciamo qualcosa..”
 
“Non ti preoccupare, Mathieu. Andrà tutto bene. Qualcun altro giungerà a salvarlo.”
 
“Chi? E come sai queste cose?”
 
Nolwenn sentiva un formicolio alle mani e ai piedi. La tentazione di prendere un cavallo di Edmond e andare al castello a guardare dal vivo con i suoi occhi il finale di uno dei migliori cartoni Disney mai creati era così forte da farle male, ma non voleva rischiare che la sua presenza alterasse qualcosa, e avrebbe potuto comunque averne uno spiraglio anche senza rischiare di farsi ammazzare. E poi c’era Mathieu con lei, e qualunque cosa avrebbe fatto, l’avrebbe seguita. Non poteva rischiare che gli accadesse qualcosa.
 
“Vieni.” Fece Nolwenn, alzandosi in piedi e aiutandolo ad alzarsi, dato che ormai Gaston e gli altri avevano oltrepassato la loro zona ed erano ormai lontani “..voglio mostrarti quanto è potente e bella la magia del mondo in cui vivi.”
 
Quando tornarono al borgo, non c’era anima viva. Tutti erano andati a dormire. Nolwenn cercò il luogo del borgo in cui si aveva una visione migliore del castello. Quando lo trovò, indicò a Mathieu di seguirla, gesto alquanto superfluo dato che lui l’avrebbe seguita comunque.
 
Si appoggiarono ad una ringhiera di legno con i gomiti, e guardarono il castello. Iniziò a piovere.
 
“Quel castello è maledetto, Nolwenn. Perché lo stiamo guardando?”
 
“Ti fidi di me?”
 
Mathieu ci pensò su. “Sì.”
 
“Allora guardalo. Qualcosa sta per cambiare.”
 
Dopo una buona mezz’ora, il castello si illuminò debolmente. Nolwenn era entusiasta.
 
E’ illuminato, ma non così illuminato. Significa che in questo momento la gente del castello sta combattendo contro la gente del paese. Siamo in quel punto del film. Che emozione.
 
Mathieu, dal canto suo, non era così impressionato. “E’ leggermente più illuminato e basta. Magari un bandito ci è entrato per passarci la notte e ha acceso qualche candelabro.”
 
“Pensavo avessi fiducia in me?” fece Nolwenn in tono divertito.
 
“E’ così.”
 
“Allora sii paziente. Qualcosa di grande sta per cambiare.”
 
Questo convinse Mathieu ad aspettare ancora un po’, ma dopo un paio d’ore era molto scoraggiato e annoiato.
 
“Nol—”
 
La sua voce venne interrotta da dei fuochi d’artificio. Dei fuochi d’artificio che provenivano proprio da quel castello. Nolwenn stava ridendo, ma non era una delle sue solite risate. Non era isterica e non era una risata divertita. Era una risata.. felice.
 
I fuochi d’artificio fecero svegliare anche gli abitanti del borgo. Nolwenn sentì alle sue spalle delle luci accendersi e la gente che usciva dalle case per vedere cosa stava succedendo.
 
Mathieu andò incontro alla gente e indicò il castello. Nolwenn non osò voltarsi. Nulla l’avrebbe convinta a distogliere lo sguardo in quel momento.
 
Quando i fuochi d’artificio cessarono, il castello si illuminò davvero. No, si trasformò. L’oscurità di cui era impregnato e la sua architettura inquietante e dall’aspetto spaventoso si dissolse nell’aria, e al suo posto apparve un castello meraviglioso, più luminoso del Sole che stava sorgendo in quel preciso momento. Persino a quella distanza, Nolwenn poteva vedere la bellezza e la raffinatezza della costruzione, con dei fiori eleganti che la circondavano. Era come se qualcuno avesse cancellato con una gomma il castello di prima, e avesse ridisegnato il castello che c’era ora.
 
Sentì la gente del borgo urlare di gioia e gridare e congratularsi tra di loro. Qualcuno ringraziò anche gli Dei.
 
“Il castello! Il castello non è più maledetto!” urlarono dieci, cento, mille voci.
 
Anche Bernac si unì al coro, ma quando vide Nolwenn le andò incontro entusiasta “Signorina, cosa avete fatto? Avete rotto la maledizione del castello!”
 
“Non sono stata io, signor Bernac.” Sorrise lei “..è stata un’altra giovane fanciulla a riuscirci. Il suo nome è Belle.”
 






 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 10 ***


QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 10
 
 
 
 
 
 
“Penso.. penso di aver sbagliato qualcosa.. non dovrebbe essere di questo colore.. vero?” balbettò Beverly a bassa voce, stando bene attenta a non farsi sentire da Piton.
 
Yvonne lasciò per un momento la sua postazione per poter guardare dentro il calderone della Serpeverde.
 
Il liquido al suo interno era rosso.
 
“Hai seguito le istruzioni alla lettera?”
 
“Sì. Penso. Credo..?”
 
Yvonne gettò una rapida occhiata dietro di sé. Malfoy continuava a fulminarla con lo sguardo, cosa che aveva fatto più o meno da quel giorno in Sala Grande in cui la notizia di Harry Potter nuovo Cercatore di Grifondoro aveva fatto il giro della scuola. Dal canto suo lei si era sempre assicurata di essere con qualcuno ogni volta che era in giro per la scuola, per far sì che per Malfoy fosse ancora più difficile beccarla da sola.
 
Se vorrà parlarmi di nuovo di quella faccenda, dovrà farlo quando saremo soli. E per farlo dovrà essere lui a sudare, questa volta.
 
Per fare questo, si era attaccata a Beverly e ad Andrea come una cozza: si sedeva sempre accanto ad una delle due a lezione, e quando girava per il castello era sempre con loro, il che era tutt’altro che spiacevole, essendo entrambi dolci e gentili.
 
Si stava anche allontanando a poco a poco da Hermione: non ricordava gli eventi del primo film con esattezza, ma era piuttosto sicura che l’evento del Troll ad Halloween era vicino, e così lei sarebbe passata a diventare la migliore amica di Harry e Ron, e si sarebbe totalmente dimenticata di lei.
 
Ma nulla era importante come evitare Neville.
 
Se evitarlo prima del loro incontro in Infermeria era importante, ora era diventato fondamentale, quasi la cosa più indispensabile. E tutto sommato, ci stava riuscendo bene. Forse si stava facendo dei problemi per niente. Forse lui si era già dimenticato di lei, come Hermione del resto.
 
Ma quando voltò lo sguardo quel giorno a lezione di Pozioni, non vide solo Malfoy, ma anche Piton, che si stava avvicinando al suo tavolo. Tornò in fretta alla sua postazione, e dopo aver lanciato un’occhiata al suo calderone, prese il mestolo e iniziò mescolare.
 
“Cosa sto guardando, Sutton?” fece in tono annoiato Piton, alludendo al calderone di Beverly.
 
Lei sussultò dallo spavento. Deve non essersi accorta che si stava avvicinando.
 
Beverly guardò l’insegnante come se stesse per dire che l’aveva spaventata e che non l’aveva sentito arrivare, ma si morse le labbra “La.. la pozione..?”
 
“Un pessimo tentativo per una pozione direi..”
 
Si sentirono delle risate. Yvonne fu seriamente tentata di girarsi per vedere chi avesse riso per guardarlo male, ma si trattenne.
 
“Io..”
 
“Ha seguito le istruzioni della ricetta?”
 
“Sì..?”
 
“Glielo chiedo di nuovo, Sutton. E questa volta mi risponda onestamente. Ha seguito le istruzioni della ricetta?”
 
“Io.. io..” Beverly era nel panico, ma sapeva quello che Piton voleva sentirsi dire, e alla fine cedette “..no.”
 
“Perché non sono sorpreso, Sutton?” brontolò Piton, poi si avvicinò al calderone di Yvonne, e dalla faccia che aveva si capiva che si aspettava lo stesso disastro.
 
Mentre guardava al suo interno, Yvonne si stringeva le dita. Non era terrorizzata da Piton quanto gli altri studenti, ma effettivamente le faceva un po’ di soggezione, soprattutto perché le tornavano alla mente tutti quegli insegnanti che aveva avuto e che l’avevano trattata ingiustamente, come faceva Piton con la maggior parte degli studenti, e la Casa alla quale apparteneva non avrebbe certamente aiutato.
 
Quando Piton sollevò lo sguardo per guardare Yvonne, appariva dubbioso e sospettoso, ma al contempo leggermente infastidito “Non male, Rolland. Cinque punti a Grifondoro.”
 
Yvonne non aveva nessuna idea di quale espressione doveva avere sul viso in quel momento, ma quello che sentiva era di essere rimasta con la bocca spalancata per lo stupore.
 
Ho fatto bene qualcosa??
Piton che ha dato dei punti a Grifondoro??
Piton che ha dato dei punti a Grifondoro grazie a lei??
 
Senza neanche accorgersene si voltò, e vide Hermione che le sorrideva entusiasta, mentre qualche altro Grifondoro le davano segno di apprezzamento, tra i quali Ron e Harry. Malfoy era più irritato di prima. Si voltò nuovamente prima di dover incrociare Neville.
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
L’essere sempre o con Beverly o con Andrea si era rivelato un buon piano all’inizio, ma era impossibile da attuare a lungo termine. La privacy non esisteva ad Hogwarts, e Yvonne era obbligata a convivere con il resto degli studenti in ogni momento tranne che per la notte e quando andava in bagno, e stare sempre nella Sala Comune non era assolutamente fattibile.
 
E infatti, dopo qualche giorno, accadde l’inevitabile.
 
Era un martedì, e le lezioni della giornata si erano appena concluse. Yvonne aveva raccolto i suoi libri ed era diretta nel cortile della Torre dell’Orologio per fare i suoi compiti in pace.
 
I libri erano pesanti e Yvonne li reggeva a fatica, ma quando vide in lontananza una panchina tirò un sospiro di sollievo. Varcò la soglia del cortile e..
 
..si trovò Neville davanti.
 
Ma porca..
Perché?
Perché ogni volta che spero che non accada qualcosa, accade?
Perché ogni volta che spero di non imbattermi in qualcuno nello specifico, mi imbatto proprio in quel qualcuno?
In quanti siamo in questo fottuto castello? Perché devo sempre imbattermi in quelle due tre persone che voglio che siano distanti anni luce da me?
Io odio questo posto.
E questo posto odia me, evidentemente.
 
“Ciao.” Disse timidamente Neville, toccandosi nervosamente le dita, cosa che farebbe anche Yvonne se non avesse le mani occupate con quei fottutissimi libri.
 
“Ciao.” Sussurrò lei a fatica, come se anche parlare fosse diventato difficile.
 
“Volevo..” Neville distolse lo sguardo “..volevo ringraziarti.. per la Ricordella.. e per le cose che mi hai detto.. quando me l’hai riportata.”
 
“L’hai già fatto.” Disse Yvonne senza neanche pensarci, rendendosi conto solo in un secondo momento che il modo in cui l’aveva detto poteva apparire rude e seccato.
 
“Oh devi studiare?” come se Neville notasse solo in quel momento che Yvonne aveva dei libri tra le mani “…scusa, non volevo disturbarti..”
 
“S—sì. Che devo studiare, voglio dire. Ma non.. non mi disturbi. Affatto.” Fece Yvonne, mettendoci una enorme pausa tra una parola e un’altra, come se a parlare fosse un robot.
 
Oddio.
Non so più parlare adesso?
 
“Sei stata grande a Pozioni. Non avevo mai visto il professor Pit—Piton..” Neville balbettò nel dire il nome dell’insegnante, poi deglutì “..dare dei punti a Grifondoro.”
 
“In effetti, non so perché l’abbia fatto. La mia pozione non era niente di che. Quella che ha fatto Hermione era migliore.”
 
Eppure aveva dato dei punti a Grifondoro grazie a lei, non a Hermione? Perché? Non riusciva ancora a comprenderlo.
 
“Io sono negato in Pozioni, come in tante altre cose.. e il professor Pi-Piton mi fa davvero paura. Non è che.. se hai tempo.. potresti.. potresti aiutarmi con Pozioni..?”
 
Yvonne non aveva la minima idea di come stesse riuscendo a restare in piedi con un espressione decente sulla faccia, e a non aver ancora fatto cadere i libri.
 
Quello era.. il realizzarsi di uno dei suoi peggiori incubi.
 
No.
No no no no.
Ma.. perché sta succedendo tutto questo?
Non era giusto!
Lei si era preparata!
Aveva fatto di tutto per stare lontana da Neville il più possibile, eppure l’universo continuava a metterla in queste situazioni scomode.
Se solo fosse in grado di dirgli di no.
Di urlargli contro.
Di bullizzarlo come faceva Malfoy.
Così Neville l’avrebbe odiata, o sarebbe stato spaventato da lei, e non si sarebbe mai più avvicinato.
Ma come faceva?
Come poteva?
Non riusciva neanche a dirgli di no a quella proposta di studiare insieme, come fare a dirgli di no guardandolo negli occhi?
Solo il pensiero le faceva male.
 
“Io.. io..”
 
E adesso?
Cosa faccio?
Cosa dico?
Come ne esco?
 
“Io..”
 
“Sparisci, Paciock.” Una voce alta e tonante interruppe i balbettii imbarazzanti di Yvonne.
 
In verità la sua voce non era stata così alta e tonante, ma così era parsa a Yvonne, perché non si era minimamente accorta della presenza di Malfoy prima di quel momento, e a giudicare dal salto fatto da Neville, neanche lui.
 
Non sono mai stata così felice di vedere Malfoy.
 
“Sei ancora qui?” sbottò nuovamente Malfoy, quando Neville non si era ancora mosso.
 
Neville guardò Yvonne.
 
“Ci vediamo dopo, Neville.” Sussurrò lei, cercando di apparire il più naturale possibile, il che per una volta, le riuscì bene. Era sempre difficile per lei parlare con Neville senza dare di matto, ma il fatto che non fossero più da soli aveva aiutato notevolmente.
 
Neville le sorrise di nuovo e poi si dileguò.
 
Ora erano solo lei e Malfoy.
E lei si sentiva pronta.
Pronta per il secondo round con lui.
Ed era intenzionata a vincerlo.
 
“Posso aiutarti?” chiese lei con nonchalance e un’espressione volutamente annoiata, come se non avesse idea del perché Malfoy volesse parlare con lei.
 
“Voglio sapere come facevi a saperlo.”
 
“Sapere cosa, esattamente?”
 
“Lo sai benissimo, non fare la finta stupida con me.”
 
Certo che lo sapeva, ma ci teneva ad umiliare Malfoy per bene, per fargli capire come lui faceva sentire gli altri.
 
In fondo, lei lo aveva avvertito e lo aveva avvicinato con le migliori delle intenzioni, e lui l’aveva schernita ed ignorata. Non c’era nessuna ragione per cui ora lei dovesse aiutarlo.
 
“Non ho la minima idea di quello di cui tu stai parlando. Temo che dovrai essere più preciso di così.”
 
Da come la stava guardando, Yvonne sapeva che Malfoy aveva capito molto bene che lei sapesse esattamente quello di cui stava parlando, ma aveva anche capito che non l’avrebbe mai ammesso. Il Serpeverde fumava di rabbia, ma alla fine cedette.
 
“Parlo di Potter. Che sapevi che sarebbe entrato nella squadra di Quidditch della vostra ridicola Casa.”
 
“Ah, quello!” sorrise Yvonne, fingendo di aver finalmente compreso e ricordato “..già. Una storia davvero interessante.”
 
“Voglio sapere come facevi a saperlo! Dimmelo!”
 
“E perché dovrei, di grazia?”
 
“Dimmelo o..”
 
“O cosa? Tuo padre lo verrà a sapere?”
 
Malfoy aprì la bocca per parlare, ma venne bruscamente interrotto.
 
“Stai bene, Yvonne?” chiese all’improvviso una terza voce.
 
Yvonne e Malfoy si girarono e videro Harry e Ron pochi distanti da loro che li guardavano. A parlare dei due era stato Harry.
 
Potter conosce il mio nome?
E da quando?
Come fa a conoscerlo?
 
“Si chiama conversazione privata, Potter. Ne hai mai sentito parlare?” sbottò Malfoy.
 
Harry e Ron ignorarono Malfoy e si girarono verso Yvonne. Lei fece loro segno che andava tutto bene, così si allontanarono. Appena furono fuori portata d’ascolto, Malfoy ritornò all’attacco.
 
“Tu hai fatto qualcosa! Non so cosa, ma hai fatto qualcosa! Hai fatto sì che accadesse!”
 
Yvonne spalancò gli occhi così tanto che fu pienamente visibile anche se portava gli occhiali. “Io ho fatto qualcosa? Io? Una lurida Mezzosangue? E io che pensavo che tu disprezzassi i nati Babbani! A quanto pare no, pensi che i nati Babbani, come me, abbiano più capacità dei purosangue, come te. Ah, non vedo l’ora di dirlo a Hermione.. e a Potter!”
 
“Tu.. tu non..” Malfoy era così furioso che non riusciva nemmeno ad articolare le parole “..andrò dalla McGranitt! Le dirò tutto! Le dirò che hai architettato tutto tu con lo zampino di Potter, e che per questo la sua ammissione alla squadra di Quidditch non è regolare!”
 
Yvonne smise di ridere, ma continuava a trovare il tutto molto divertente.
 
“Sì, immagino che ci crederà. Esattamente come tu ci hai creduto quando te l’ho raccontato prima che accadesse.”
 
“La pagherai per questo!”
 
“Per cosa? Cos’è questo per cui dovrei pagare, esattamente? Io quel giorno volevo darti il mio aiuto Malfoy, perché come hai avuto modo di constatare, so cosa accadrà, il come lo so non ha nessuna importanza. Cosa accadrà anche a te, tra le altre cose. Ma tu mi hai riso in faccia, cosa che mi aspettavo avresti fatto onestamente. Quindi adesso ti arrangi.”
 
“Non mi serve il tuo aiuto!”
 
“Bene. Allora ciao.” Disse tranquillamente Yvonne, girandosi ed allontanandosi.
 
Ma dopo un paio di passi sentì nuovamente la voce di Malfoy.
 
“Cosa vuoi?” sbottò lui, ancora irritato, ma sconfitto.
 
Yvonne sorrise orgogliosa di sé stessa come non lo era stata da molto tempo. Gli andò incontro.
 
“Qui non si tratta di quello che voglio io.” Sospirò “..io non ci guadagno niente a dirti queste cose. Voglio solo aiutarti a rendere la tua vita meno miserabile.”
 
“Miserabile?!? Ma con chi credi di parlare? Io sono..”
 
Yvonne lo interruppe subito.
 
“Sì, non mi interessa.” Disse seccamente lei “…non è la purezza del sangue o il tuo cognome a renderti una persona migliore. Sono i gesti, il modo di fare e soprattutto le azioni. E ti assicuro che non andrai lontano da solo, senza amici perché ritieni che gli altri siano inferiori a te.”
 
“Io ho degli amici!”
 
“No. Non ne hai.”
 
Malfoy parve arrabbiarsi notevolmente per la sicurezza che aveva Yvonne in quel momento riguardo faccende che riguardavano lui.
 
“Tiger e Goyle..”
 
“Non sono tuoi amici, lo so io, lo sai tu, lo sanno loro e lo sanno tutti. Sono due pupazzetti che ti seguono ovunque solo per il tuo cognome. Ora dimmi. Preferisci avere al tuo fianco qualcuno che tiene sinceramente a te o qualcuno che ti fa da schiavo solo perché ha paura del potere di tuo padre? Io non sono una grande ammiratrice di Potter, ma lui sarebbe un amico nettamente migliore di quei due. Un amico leale, pronto a gettarsi nella fossa dei lupi per i suoi amici. Pensi che Tiger e Goyle lo farebbero per te?”
 
Malfoy rimase in silenzio. Yvonne non seppe dire se stesse sinceramente valutando quello che gli aveva detto o se molto più semplicemente non sapesse cosa dire.
 
“Ma se vuoi avere degli amici che siano leali con te, e gentili con te e che si preoccupino per te.. anche tu devi essere quel genere di amico per loro. Perché se continuerai a pensare solo alla purezza del sangue e all’onore e a te stesso, ti circonderai solo di persone che pensano solo alla purezza del sangue, all’onore.. e a loro stessi. Nessuno si girerà ad aiutarti quando avrai bisogno, se tu non lo farai con gli altri.”
 
“Io..” fece una pausa “..io non ho bisogno di nessuno.”
 
Fu più o meno la stessa cosa che gli aveva detto la prima volta, quando lo aveva avvertito di Harry. Eppure.. c’era qualcosa di diverso, questa volta. La voce di Malfoy era più debole.. più incerta? I suoi occhi pieni di dubbi, tutt’altro che sicuri.
 
Forse.. forse c’era uno spiraglio.
 
“Pensaci.” Disse Yvonne, rendendosi conto che forzandolo a prendere una decisione in quel momento sarebbe stato peggio.
 
Malfoy si voltò e fece per andarsene, ma poi Yvonne parlò nuovamente.
 
“Se cambierai idea.. sai dove trovarmi.”
 
Il Serpeverde non si era voltato a guardarla quando aveva parlato, ma si era fermato. Yvonne sapeva che l’aveva sentita. E che aveva capito.
 
Ora non restava che aspettare.
Aspettare e pregare che prendesse la decisione giusta.
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Yvonne si assicurò di passare la notte di Halloween nel Dormitorio. In mattinata, quando c’era stata la lezione di Incantesimi e l’apprendimento di Wingardium Leviosa, sapeva già cosa sarebbe accaduto quella sera.
 
Riusciva quasi a sentire i passi del Troll.
 
Quella notte, andò a dormire presto e serenamente, con la certezza che da quel momento in avanti, Hermione non sarebbe più stato un problema suo.






 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 10 ***







LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 10
 
 
 
 
 
 
 
Non riusciva a ricordare l’ultima volta che si era alzata.
 
Passava tutto il tempo nel suo letto, nascosta sotto le coperte più che poteva come per proteggersi da un mostro che sarebbe uscito dall’armadio, e sentiva la sua bocca strana e intorpidita, come se non si fosse lavata i denti prima di fare un breve e più dannoso che altro pisolino.
 
E quel serpente.
 
Chiudeva gli occhi e lo vedeva.
 
Apriva gli occhi e lo vedeva.
 
Poteva persino sentire il suo verso, il suo lungo e viscido corpo strisciarle contro le gambe come se fosse nascosto con lei sotto le coperte. Lo sentiva anche dentro di sé, sentiva che stava creando un enorme buco dentro la sua pancia, un buco che si faceva sempre più grande e le rendeva difficile respirare.
 
Kirk era venuto a visitarla, più volte di quanto lei avrebbe meritato. La terza volta era venuto accompagnato da McCoy, che le aveva fatto una breve visita medica, senza alcun riscontro.
 
“Fisicamente sta bene, Jim.”
 
Peccato che il suo problema non fosse affatto fisico, ma mentale.
 
Era passato anche Spock, e aveva detto qualcosa su come fosse passato troppo tempo dall’ultima lezione e che era cruciale ricominciare, ma Arielle si era limitata a mugugnare che non se la sentiva, che aveva bisogno di stare sola, quando in realtà non lo sapeva neanche lei di cosa aveva bisogno. Ma fu abbastanza per far andare via Spock.
 
Poi passarono anche Scotty e Uhura. Persino Sulu. E come erano passati, erano usciti.
 
Arielle stessa non capiva bene cosa le stesse succedendo.
 
Era iniziato tutto quando aveva sentito tutte quelle cose orribili sui serpenti, cose che lei stessa aveva chiesto di sapere, e in fin dei conti, come faceva ad esserne sorpresa? Persino i bambini sanno che i serpenti sono animali che simboleggiano qualcosa di negativo. Nei film e nelle storie sono sempre ritratti come un qualcosa di negativo. Un serpente aveva ipnotizzato Mowgli ne Il Libro della Giungla. Un serpente era il compagno fidato di Lord Voldemort, il cattivo di Harry Potter. Ogni volta che c’era un serpente in un racconto, qualsiasi racconto fosse, non era mai ritratto positivamente.
 
No, non ne era sorpresa.
 
In cuor suo lo sapeva, se lo sentiva, ma molto probabilmente una piccola, ingenua e speranzosa parte di lei sperava di sbagliarsi, e ciò che era avvenuto dopo non era stato altro che il manifestarsi della sua delusione.
 
Sssssss…
 
Lo sentiva sibilare di continuo, ogni giorno sempre più vicino. Una volta l’aveva sentito così vicino.. come se fosse ad un centimetro dal suo orecchio.
 
Lo senti sempre più vicino perché è dentro di te.
Sei tu il mostro.
Ma per quale motivo si sentiva un mostro?
 
Si era sempre comportata bene, fin da piccola. Non aveva mai fatto del male a nessuno. Era sempre gentile con tutti, anche con chi certamente non se lo meritava, sempre incline alle scuse, anche quando era lei a meritarle. Era una figlia obbediente sempre con la testa bassa, mai ribelle. Non riusciva a ricordare una sola volta in cui aveva alzato la voce. Diavolo, quelle rare volte in cui usciva di casa si faceva anche mancare di rispetto, lasciando che altri si mettessero davanti a lei nelle file, senza battere ciglio. Ma allora.. perché si sentiva un mostro?
 
Nessuno venne più a trovarla, ma un giorno sentì un messaggio, a cui prestò davvero poca attenzione. Ci sarebbe stata una festa per celebrare il compleanno di Scotty, e lei era stata invitata. Beh, probabilmente tutti erano invitati. Il messaggio spiegava dove e quando sarebbe iniziato questo fantomatico party, ma anche a quello prestò scarsa attenzione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il sibilo era sempre più forte, così tanto che stava iniziando a diventare intollerabile, e Arielle iniziava seriamente a preoccuparsi della propria salute mentale, e sentire nuovamente qualcosa di viscido strisciare contro la sua pelle nuda, fu l’ultima goccia. In uno scatto, sollevò le coperte e si alzò. A scatti si vestì e uscì, senza neanche voltarsi a guardare il letto, per paura di trovarci il serpente.
 
Non aveva idea di dove si trovasse la festa per Scotty, ma non se ne preoccupò più di tanto. Iniziò a girare a zonzo per l’astronave, e se non l’avesse trovata non sarebbe stata la fine del mondo, non è che avesse tutta questa voglia di festeggiare, dopotutto.
 
Ma la trovò.
 
Quando entrò molti, se non tutti, si voltarono a guardarla, più per vedere chi fosse entrato che per lei, e infatti si limitarono ad un’occhiata veloce, cosa di cui fu molto grata.
 
C’erano un discreto numero di persone, che però sembravano poche perché la stanza era davvero enorme, si trattava più di un grande salone futuristico che una semplice stanza. C’erano cibo a volontà, bibite, e soprattutto.. scotch, che non poteva assolutamente mancare in qualsiasi celebrazione legata a Scotty.
 
Uhura le fece cenno di avvicinarsi con la mano, mentre stava chiacchierando con Kirk, McCoy e Scotty. C’era anche Spock con loro, ma non è che stesse chiacchierando. Era lì in piedi, a braccia incrociate e sopracciglio alzato.. impegnato ad essere Spock.
 
“Arielle, che bello vederti. Stavo appunto raccontando agli altri quella bella storia che mi hai raccontato.”
 
La ragazza si fermò di colpo non appena Uhura finì di parlare, anche se in effetti non avrebbe avuto senso continuare a camminare visto che le era arrivata accanto.
 
“Storia? Quale storia?”
 
Naturalmente sapeva benissimo quale storia, ma sperava di sbagliarsi.
 
“Lo sai! Quel racconto di cui siamo protagonisti nel tuo universo!”
 
Non si sbagliava.
 
“Oh.” Fu tutto quello che le uscì dalla bocca.
 
Non era pronto per questo.
Non oggi.
Non ora.
 
“Nyota ce lo stava accennando proprio ora..” Fece Scotty, alzando una bottiglietta di scotch che teneva orgogliosamente in mano come se fosse un trofeo di qualche tipo “..essere in un racconto conosciuto tra così tante persone un paio di secoli prima che nascessi, è davvero gratificante.”
 
“Io..” d’un tratto, Arielle sentì nuovamente la presenza del serpente, anche se quella presenza non era forte tanto quanto lo era nel suo alloggio “..non me lo sono inventato!” la sua voce suonò più seccata di quanto Arielle volesse, ma non sbatté nemmeno le palpebre.
 
Nessuno parve irritato. Kirk parve addirittura.. orgoglioso?
 
“E’ davvero una storia assurda.. ma non più assurda di certe cose che ho visto con i miei occhi in questo spazio infernale. Cose che si sono rivelate reali. Quindi.. perché no?” McCoy sollevò il bicchiere, brindando con Scotty.
 
“Vera o no..” mormorò Jim, alzandosi come se fosse stato seduto per ore e dovesse sgranchirsi le gambe “..mi ha portato un sorriso sulle labbra, e so che ricordarla mi aiuterà anche in futuro, per affrontare i momenti più bui, massì, ci vuole la speranza. E questa storia ne è pregna.”
 
Arielle li guardava con occhi sbarrati.
Non riusciva a capire se ci stessero davvero credendo, se la prendevano in giro o semplicemente se erano troppo ubriachi. Scotty di sicuro lo era. Era rosso come la sua maglia.
 
“Dai, vieni.” Fece McCoy, prendendo una sedia e incoraggiando Arielle a sedersi “..devo saperne di più.”
 
Arielle sorrise timidamente e obbedì.
 
“Veniamo a cose importanti. Chi di noi era il più amato? Il buon vecchio Leonard McCoy, non è così? Ma certo che è così.” Borbottò McCoy, divertito.
 
“E’ la possibilità più logica, dottore.” Disse Spock.
 
Bones lo guardò insospettito, ma annuì comunque. “Grazie, Spock.”
 
“Gli umani del ventunesimo secolo erano estremamente illogici ed emotivi, non ho alcun dubbio sul fatto che la apprezzassero.”
 
Bones sollevò gli occhi al cielo irritato, ma non aggiunse altro.
 
“Eravate tutti amati, ma in verità il più amato di tutti era..” balbettò Arielle, che iniziava a divertirsi “..il signor Spock.”
 
L’intero gruppo si voltò a guardare Spock, stupefatto. Persino Sulu, della cui presenza Arielle si rese conto solo ora. Il vulcaniano, invece, si limitò ad alzare un sopracciglio.
 
“Bene bene, signor Spock. Sembra che sia lei il più popolare tra di noi.” Fece Kirk, con quel suo solito modo di fare flirtante.
 
“Non posso biasimare il loro buon gusto.” Si limitò a ribattere il vulcaniano.
 
“Buon gusto, eh? Pensavo fossero.. com’è che ha detto.. “illogici ed emotivi”?” intervenne prontamente Bones, con un sorriso sulle labbra. Il vulcaniano non ribatté, ma si limitò a guardare il dottore.
 
“Estremamente popolare..” Aggiunse Arielle “..ammirato dagli uomini e amato dalle donne. Beh, molto amato dalle donne.”
 
McCoy sbatté un paio di volte le palpebre, poi fece segno a Scotty di riempirgli il bicchiere con dello scotch “Versa versa, non sono abbastanza ubriaco per tutto questo.”
 
“Deve essere il fascino delle orecchie a punta, suppongo.” Fece Sulu.
 
“Già.” Disse in tono suadente Kirk, guardando Spock “..lo penso anche io.”
 
Spock chinò relativamente in fretta la testa, e un attimo prima che lo facesse, ad Arielle sembrò che il suo viso si fosse fatto leggermente più verde.
 
Stava.. arrossendo?
Sono ubriaca anche io?
Ma non ho bevuto niente!
 
“Senti un po’..” fece McCoy ad Arielle, attirando la sua attenzione “..il tenente Uhura ha parlato anche di attori che ci intrepretano. Che sono identici a noi.”
 
“E’ così.”
 
“Per caso ricordi il nome di chi intrepreta me? Un autentico gentiluomo, senza alcun dubbio.”
 
Arielle sorrise. “DeForest Kelley. E sì, un autentico gentiluomo.”
 
“Ah, lo sapevo!” McCoy bevve un sorso “..DeForest Kelley, eh? Mi piace. Sembra proprio il nome di qualcuno di piacevole compagnia.”
 
Arielle non fece in tempo a rispondere, che Scotty le porse la stessa domanda. Lei rise, ma rispose comunque. “James Doohan.”
 
Scotty non fece commenti di alcun genere sul nome del suo interprete, ma Arielle sapeva che gli era piaciuto perché aveva sorriso tanto che riuscì a vedergli quasi tutti i denti.
 
“Miglior. Compleanno. Di. Sempre.” Annunciò, bevendo dell’altro scotch.
 
Per qualche ragione, Arielle si era aspettata che il prossimo a chiedere sarebbe stato Sulu, ma notò che era sparito. Lo vide chiacchierare con un altro membro dell’equipaggio a lei sconosciuto, un giovane dai capelli castani e gli occhi azzurri, con l’uniforme rossa.
 
Poi incrociò lo sguardo di Kirk, e capì che lui sarebbe stato il prossimo. “Andiamo, sono proprio curioso.”
 
“William Shatner.”
 
Kirk sorrise, ma non mostrò i denti al contrario del suo Capo Ingegnere “Bello. Un nome antico e un cognome moderno. Suonano bene accostati l’uno all’altro.”
 
“E il signor Spock?” fece McCoy.
 
“Dottore..” cominciò Spock, tenendo le braccia dietro la schiena come era solito fare “..non è necessario.”
 
“E’ stato intrepretato da un umano, non è così?” sorrise McCoy, ignorando totalmente il Primo Ufficiale.
 
“Beh, sì. I vulcaniani non esistono nel mio universo, quindi..”
 
“Ah.” McCoy rise ancora più forte “Spock interpretato da un umano! Mi piacerebbe proprio vederlo.”
 
“Un umano di grande intelletto e logica, senza dubbio.” Disse Spock.
 
“Lo era.” Fece Arielle con orgoglio, come se stessero parlando di lei “Leonard Nimoy.”
 
Spock alzò lo sguardo come se dovesse pensarci su se quel nome gli piacesse o no. Alla fine non disse nulla, ma Arielle ebbe il sentore che ne fosse soddisfatto.
 
Ma Kirk a quanto pare voleva che Spock lo dicesse.
 
“Dunque, signor Spock.. cosa ne pensa?”
 
Spock sospirò e spostò le braccia, incrociandole davanti al petto.
 
“Capitano, è un nome. Un semplice nome. Niente di più, niente di meno.”
 
“Ma le piace..?”
 
Spock spostò nuovamente la braccia, e questa volta mise le mani a pugno poggiandole sui fianchi.
 
“Immagino che sia un nome soddisfacente, per un umano.” Dopodiché alzò nuovamente le sopracciglia, esattamente come quel suddetto umano sapeva fare, e lasciò la festa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Arielle non seppe dire cosa ne pensasse il festeggiato, ma per lei quella festa era stata un successo. Quando l’aveva raggiunta era quasi un cadavere, ma quando l’aveva lasciata si sentiva rinata.
 
Certo, continuava a pensare a quel serpente, ma non solo a quello.
 
“Vera o no, mi ha portato un sorriso sulle labbra, e so che ricordarla mi aiuterà anche in futuro, per affrontare i momenti più bui, massì, ci vuole la speranza. E questa storia ne è pregna.”
 
Jim aveva ragione.
 
E quella era la storia di Arielle, la sua storia, e non era armata solo di quella.
 
Aveva un intero equipaggio al suo fianco che nonostante la sua scarsa utilità era sempre rimasto al suo fianco, aveva la sua conoscenza, aveva Nolwenn e Yvonne che, seppur lontane, le sentiva vicine.
 
Non si sarebbe più nascosta.
 
Qualunque cosa volesse quel serpente, lei era pronta.
 
Non sarebbe scappata.
 
Era pronta.
 
 





 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** C'era una Volta - Capitolo 11 ***







C’ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 11
 
 
 
 
 




Sognò Yvonne e Arielle quella notte.
 
Quando le vide, il suo primo istinto fu sorridere, andarle incontro e chiamarle, ma il sorriso si spense tanto in fretta quanto era apparso, un ostacolo invisibile le impediva di raggiungerle e la voce era come persa, bloccata in gola.
 
Allungò una mano e sentì quell’ostacolo invisibile. Sentì il palmo della mano toccarne la superficie fredda. Doveva essere vetro, o qualcosa del genere.
 
Dietro quel vetro, Yvonne ed Arielle apparivano vicine, distanti tra loro meno di due passi, ma c’era un altro ostacolo tra loro, tutt’altro che invisibile questa volta. Quasi un muro che le divideva, come se fossero in due stanze diverse ma nella stessa casa. O come sembrava ancora di più, due prigioniere in due celle diverse, ma attaccate tra loro.
 
Ma non erano celle spaziose quelle in cui si trovavano. Sembrano più delle grosse scatole resistenti, nelle quali loro erano sprofondate, e non erano molto più grandi di loro: se fossero state un pochino più alte, avrebbero potuto toccarne il soffitto con la testa.
 
Nolwenn provò nuovamente a chiamarle, ma nulla. Sentiva la sua bocca aprirsi, cercare di urlare, ma nessun suono le riusciva. L’unico rumore che sentiva era la sua bocca che continuava ad aprirsi e a chiudersi nel tentativo di riuscire a parlare prima o poi.
 
Iniziò ad agitare le braccia allora, usandole per distruggere quell’ostacolo invisibile, ma l’ostacolo persisteva, e man mano che insisteva, il dolore agli arti aumentava.
 
Quando si fermò, notò qualcosa in Yvonne e Arielle. La prima appariva seria e dallo sguardo impenetrabile, la seconda era rannicchiata su sé stessa e sembrava terrorizzata. Ed entrambe erano infelici, così terribilmente infelici da non riuscire neanche a vedere Nolwenn, come se fossero perse nell’oscurità di quelle loro celle soffocanti.
 
Poi sentì un botto. Urla disperate. Pianti logoranti. Come se quell’oscurità che stava inghiottendo le due ragazze stesse raggiungendo anche lei.
 
E avvenne tutto in un attimo.
 
Delle punte appuntite come coltelli affilati apparirono nella cella di Arielle, come tante frecce dirette verso di lei, frecce che la colpirono. Le lacerarono la pelle, sangue ovunque. Su di lei e sulle punte. Due di quelle punte erano così grandi e affilate che le attraversarono il corpo, andando a scontrarsi l’una contro l’altra producendo un rumore metallico. Il corpo di Arielle, ormai senza vita, era così ricoperto di sangue che la vitiligine era del tutto scomparsa, nascosta sotto quel liquido rosso che come un fiume in piena l’aveva ricoperta.
 
Nessuna punta uccise Yvonne, ma anche lei trovò la morte, e fu rapida come quella di Arielle. La sua espressione si era sempre fatta meno seria, più incerta, più paranoica, più preoccupata, i suoi occhi che guardavano ovunque. Poi la testa iniziò ad oscillare in modo robotico, fino a quando del sangue iniziò ad uscirle ovunque: dalle orecchie, dal naso, dalla bocca, persino dal corpo. Non aveva ricevuto nessuna ferita fisica, eppure il sangue le stava uscendo dappertutto. Causandole, infine, la morte.
 
 
Si svegliò di soprassalto, sudando così tanto che sentiva la pelle bagnata e i capelli umidi, e un respiro affannoso che non la abbandonò per almeno una decina di minuti. Dopo altri cinque minuti iniziò lentamente a respirare normalmente, ma quel senso di paura e angoscia non l’avrebbe abbandonata con altrettanta facilità.
 
Yvonne..
Arielle..
 
Che significato aveva quel sogno..? Anzi, quell’incubo?
Non stavano bene per caso?
Erano morte?
Erano.. in pericolo?
 
Fino a quel momento, Nolwenn non aveva mai seriamente pensato che fossero morte, sebbene logicamente fosse una opzione del tutto plausibile. Non le vedeva da quel terribile giorno a Notre Dame, quel giorno in cui lei era giunta in un mondo fantastico e magico dal quale non sapeva uscire, e non aveva nessuna garanzia che stessero bene.
 
Eppure.. eppure l’aveva sempre sentito, dentro di sé, che erano vive. Come se ne avesse la conferma. Come se fosse bastata quella consapevolezza a farla andare avanti, a darle la forza e il coraggio di tentare di adattarsi in quel nuovo mondo, invece che soccombere alla disperazione.
 
Ma ora.. dopo ciò che aveva visto in quel sogno, non era più certa di niente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Incontrò Edmond qualche ora più tardi. Lui arrivò nel capanno quando il Sole stava sorgendo sopra le loro teste, aspettandosi di trovarla addormentata. Sbatté le palpebre un paio di volte sorpreso, quando entrò e la vide seduta a terra con la schiena contro la parete di legno, come se lo stesse aspettando.
 
“Vieni.”
 
Nolwenn abbassò tristemente gli occhi e obbedì. Mentre camminava dietro di lui, si accorse che Edmond si voltò un paio di volte, confuso dal suo strano comportamento, ma lui non poteva capire. Non avrebbe mai capito.
 
Arrivarono davanti all’abitazione, ma non entrarono. La porta era già chiusa, e Mathieu era lì fuori ad aspettarli.
 
“Io e Mathieu andiamo via adesso. Torneremo stasera tardi.”
 
“Okay?”
 
Nolwenn non capiva dove volesse andare a parare, ma poi ricordò che quando Edmond era venuto al capanno e dopo che lei era uscita, l’aveva chiuso.
 
Sperò davvero di sbagliarsi.
Lo sperava davvero.
 
“Mi stai buttando fuori?” voleva apparire sconvolta e indignata, ma suonò timorosa e stanca, quel maledetto sogno l’aveva prosciugata di ogni energia positiva, non le aveva tolto solo la speranza.
 
“Pensavi davvero che mi sarei fidato a lasciarti da sola in casa mia per un intero giorno?” disse in tono neutrale Edmond, come se fosse un robot.
 
“Ma stasera torniamo! E potrai rientrare con noi!” si affrettò a dire Mathieu, per paura che lei si offendesse o che la situazione peggiorasse o entrambe le cose.
 
“Sì beh, questo è ancora da vedere.” Sbottò seccamente il padre.
 
Se Nolwenn fosse stata in grado di essere sé stessa in quel momento avrebbe fatto qualche battuta e si sarebbe mostrata entusiasta di avere un intero giorno libero per i suoi comodi ed esplorare i dintorni, ma lei non era quella Nolwenn ora. Era sola e smarrita. E non voleva stare da sola. Per quanto la compagnia di Edmond fosse sgradevole il più delle volte era pur sempre compagnia, e ormai lo conosceva abbastanza da sapere che non le avrebbe fatto del male, non fisicamente almeno.
 
“Non.. non posso venire con v--”
 
“NO.” La voce di Edmond era stata gelida e affilata come un’arma in grado di uccidere, ed era stato così risoluto che anche Mathieu per un attimo si era spaventato. Dopo una pausa, Edmond stesso sembrò rendersi conto di aver esagerato, così ritentò “no, non puoi. E’ una faccenda di famiglia, e tu non ne fai parte.”
 
Nolwenn sentì di restarci male molto più di quanto si sarebbe aspettata, ma forse era il suo stato attuale che la rendeva più sensibile. Non che si aspettasse che Edmond la ritenesse parte della famiglia. Mathieu si girò un paio di volte a guardarla mentre si allontanava con il padre, come se avesse intuito che non era in sé e appariva preoccupato nel lasciarla sola, fino a quando non raggiunsero i cavalli e fu costretto a riportare tutta la sua attenzione al padre.
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Edmond e Mathieu se ne erano andati da almeno un paio d’ore, ma Nolwenn non si era mossa. Era seduta davanti alla porta d’ingresso, come un bambino che si era chiuso fuori e stesse aspettando che i genitori venissero ad aiutarlo. Ma nessuno sarebbe arrivato per aiutare lei. O forse sì?
 
Vide una piccola figura rossa sbucare tra gli alberi della foresta. Una figura familiare.
 
La volpe.
 
L’animale la guardò intensamente come faceva ad ogni singolo incontro che avevano avuto, poi le voltò le spalle e tornò nella foresta.
 
Nolwenn la seguì, ma quando entrò nel bosco non c’era alcuna traccia di lei, eppure.. sentiva qualcosa dentro di sé.. una voce che le diceva dove andare, e la seguì.
 
Dritto. Poi a sinistra. Dritto. Desta. Ancora dritto. Parte di lei avrebbe voluto correre, ma non era così convinta di volerla raggiungere, così finì con il camminare velocemente, che comunque fu sufficiente per raggiungerla in una manciata di minuti.
 
Si guardarono negli occhi, anche se la luce pareva essere improvvisamente scomparsa, come se si fosse fatta notte all’improvviso.
 
“Cosa vuoi da me?” chiese in un soffio Nolwenn all’animale, senza nascondere tutta la frustrazione e lo sconforto che provava.
 
La volpe le andò incontro e si mise davanti, mettendosi a sedere sulla terra. Nolwenn si chinò e allungò la mano senza sapere cosa fare, così la volpe mosse la testa in modo che la sua mano si posasse sul pelo dell’animale, finendo con accarezzarlo.
 
“Stanno bene.”
 
Nolwenn si alzò di scatto, spaventata. Si guardò intorno, ma non vide nessuno all’orizzonte. Nessuno che poteva aver parlato. Ma qualcuno l’aveva appena fatto.
 
Non era una voce dentro di me.
Era vera.
 
“Chi—chi ha parlato?” urlò, continuando a guardarsi intorno disperatamente.
 
“Penso che tu lo sappia.”
 
Nolwenn smise di agitarsi fisicamente, ma era tutt’altro che tranquilla nella testa, che le faceva male, ma il caos sembrava.. meno caotico?
 
Abbassò lo sguardo e guardò la volpe. Si era alzata, ma era sempre lì davanti a lei.
 
“Esatto.”
 
Deglutì nervosamente.
 
La volpe-
Era stata la volpe.
La volpe.. le aveva parlato?
Ma.. ma.. non aveva mosso la bocca?
E poi.. è un animale, cazzo! Non può parlare!
 
“No..” balbettò Nolwenn, come se si trovasse davanti ad una verità che non voleva ammettere “..non è vero.”
 
“Lo è. Tu sai che lo è.”
 
“Tu.. tu sei.. una volpe.. una cazzo di volpe.. le volpi.. non parlano, cazzo!” la Nolwenn di sempre stava tornando, riusciva a sentirlo.
 
“So che sei preoccupata per loro.” Continuò la voce, ignorando l’ultima frase di Nolwenn “ma non devi. Stanno bene. Per il momento.”
 
Quel “per il momento” fu la goccia che fece traboccare il vaso, il vaso che conteneva tutta la sua ira.
 
“Per il momento? Cosa vuol dire per il momento? Perché la loro sicurezza dovrebbe essere solo temporanea? Dove sono! Portami da loro! Le voglio vedere! Subito!”
 
“Non posso.”
 
“Stronzate! Se sai che stanno bene significa che sai dove sono! Portami da loro, adesso!”
 
Nolwenn aveva finito con i giochetti.
Voleva delle risposte, subito.
 
“Sono dove sei tu.” La voce fece una pausa e poi riprese “in un mondo sconosciuto e conosciuto, in un mondo vicino e lontano. Una di loro è in un mondo a te famigliare, l’altra in un mondo che è stato una seconda casa per te, come tu sei nel mondo che è stato una seconda casa per una di loro.”
 
Nolwenn rimase in silenzio per una manciata di secondi, cercando di capire quanto aveva sentito e di non dimenticarne neanche una parola. L’unica cosa che riuscì a capire da quel discorso era che non si trovavano nel mondo Disney con lei, ma non erano nemmeno a casa. Erano.. altrove.
 
“E stanno bene.” Nolwenn parlava più a sé stessa che alla volpe, come se volesse rassicurarsi.
 
“Sì.”
 
“Sì per il momento, vuoi dire?”
 
Non aveva nessuna intenzione di lasciar perdere.
 
“Non puoi salvarle. Non questa volta.”
 
“Salvarle da cosa?”
 
“Il loro futuro dipenderà esclusivamente da loro, e dalle scelte che faranno per loro stesse e per ciò che le circonda. Ma non potrai rivederle se prima non salverai te stessa.”
 
“Salvarmi? Da cosa? Anche io sono in pericolo?”
 
“Siamo tutti in pericolo. L’ombra è dietro l’angolo, sempre. Ma anche la luce lo è. Non sempre è visibile perché le ombre la nascondono, ma non lasciare che si spegni. Se si spegne, è finita. Per te. Per me. Per le tue amiche. Per tutti. Tu devi impedirlo.”
 
“Ma io non.. so come fare. Io non.. non ho niente. Non ho nessuno. Sono da sola.”
 
“Non sei sola.”
 
La volpe si mise accanto a Nolwenn, come se fosse il suo animaletto domestico.
 
“E tu.. chi saresti? Uno stregone? Una specie di divinità? Una semplice volpe?”
 
“Una guida. Ti indicherò la strada, ma dovrai essere tu a percorrerla. Ti mostrerò la luce, ma dovrai essere tu a raccoglierla.”
 
E d’un tratto, il buio scomparve e la foresta si fece luminosa e splendente, lo era al punto che nemmeno gli alberi riuscivano a trattenerla.
 
“E se non ci dovessi riuscire?”
 
“Sarà la fine. Per tutti. Soprattutto per coloro a cui tieni di più.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 11 ***







QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 11
 










 
 
 
 
“Oh oh oh guarda chi c’è, la piccola Rolland.”
 
“Cosa hai fatto? Sembri un po’ giù.”
 
Yvonne sospirò.
 
Fred e George l’avevano raggiunta uno da destra e uno da sinistra, canticchiando come fossero dei personaggi buffi in una favola per bambini.
 
Qualcuno forse avrebbe trovato carino e divertente il fatto che si completassero le frasi a vicenda, ma non lei. E non in quel momento.
 
Giusto i gemellini ci mancavano.
 
Forzò un sorriso sperando che bastasse per farli andare via, ma ovviamente, non bastò.
 
“Un dolcetto per tirarti su?” propose uno di loro, porgendole una mano sulla quale teneva quello che sembrava un piccolo pasticcino.
 
“No. Grazie.” Rispose lentamente lei guardandolo, come se guardarlo più a lungo l’avrebbe aiutata a capire se si trattava di Fred o di George.
 
“Insisto.”
 
“Insistiamo.”
 
Yvonne guardò prima l’uno poi l’altro, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fossero più alti rispetto a lei, nonostante due soli anni di differenza.
 
Senza dire una parola, prese il dolcetto e li guardò andare via, mentre continuavano a borbottare e canticchiare qualcosa. Quando furono fuori vista guardò il dolcetto dall’aspetto raffinato e gustoso, poi lo buttò nel primo cestino che trovò: i suoi incontri con i gemelli Weasley erano sempre stati brevi e fugaci, ma lei li conosceva abbastanza da sapere che quel dolcetto nascondeva uno scherzo e lei di certo non ci sarebbe cascata.
 
In verità non sapeva nemmeno lei perché fosse di cattivo umore, non è che ci fosse una ragione specifica. Era più una sensazione, come se qualcosa di molto spiacevole le stesse accadendo sotto il naso, e lei non potesse fare nulla per impedirlo.
 
Andò nella Sala Grande per mangiare qualcosa, del cibo vero questa volta, non come quello che i Weasley le avevano offerto, e dopo una decina di minuti arrivarono Harry, Ron e Hermione che si sedettero vicino a lei, cosa che non le diede particolarmente fastidio, ormai ci aveva fatto l’abitudine, purché la ignorassero.
 
In verità, era piuttosto tranquilla al riguardo.
 
Come da copione, i tre erano diventati inseparabili dalla notte di Halloween, e avendo formato il loro trio ormai lei era salva.
 
Almeno una cosa che va per il verso giusto.
 
Ora Hermione era un capitolo definitivamente chiuso dato che non avrebbe più interagito con lei, così come Harry e Ron del resto, anche se effettivamente con loro due non era mai stato neanche aperto un capitolo ed era meglio così.
 
Ora non avrebbe più dovuto preoccuparsi di averli troppo intorno perché sarebbe stata poco più di una sconosciuta per loro, e po—
 
“Ciao, Yvonne.” Disse Hermione con naturalezza girandosi verso Yvonne, la quale rischiò di soffocare dallo stupore.
 
“Ehm.. ciao..?” borbottò in risposta, faticando a respirare.
 
“Noi domani pomeriggio andiamo in Biblioteca a studiare, perché non vieni anche tu?”
 
Se Yvonne avesse avuto ancora qualcosa tra i denti in quel momento, lo avrebbe usato per strozzarsi intenzionalmente.
 
Perché Hermione le stava parlando? E soprattutto, perché la stava invitando ad unirsi a loro?
Non aveva alcun senso!
Era andato tutto come previsto, no?
Ora aveva Harry! E Ron! Non aveva più bisogno di lei. Perché le rivolgeva ancora la parola?
 
La mente di Yvonne era nel caos e nella confusione più totale, ma riuscì comunque a pensare a qualche scusa per declinare, una scusa che risultasse credibile, almeno.
 
“Io.. ehm.. non voglio imporre la mia presenza. Sono sicura che studierete meglio senza che io vi disturbi.”
 
“Non disturbi affatto.” Fece Hermione.
 
“Vieni pure.” Concordò Potter.
 
Fecero per prendere le loro cose e alzarsi.
 
“Ci vediamo domani. Alle 15. Biblioteca.” Fece Ron, mentre si affrettava ad andare via con Harry e Hermione, lasciando una stupefatta Yvonne a bocca aperta.
 
“Ma.. ma.. ma io..”
 
Troppo tardi.
Loro erano già usciti, e lei ancora faticava a capire cosa fosse appena successo.
E perché.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Erano passate un paio d’ore e il Sole aveva iniziato a tramontare, eppure Yvonne non aveva ancora trovato una risposta. L’ora del coprifuoco si stava avvicinando e sarebbe stato saggio da parte sua tornare al Dormitorio, ma la sua mente le impediva di pensare razionalmente e si era trovata senza volerlo nei giardini di Hogwarts, ma quando se ne era resa conto aveva continuato comunque ad allontanarsi dal castello.
 
Quando è entrata nel ponte coperto che conduceva sempre più lontano dal suo Dormitorio, si imbatté in Malfoy.
 
Lui la guardò per una manciata di secondi, sembrava sia arrabbiato che combattuto, ma le passò oltre senza neanche un mezzo insulto.
 
Malfoy.
Solo un’altra delle mille cose che sono andate male.
 
Quando il Serpeverde la superò, Yvonne affrettò il passo e finì con il ritrovarsi al di là del ponte coperto. Vide una figura in mezzo all’immenso prato verde, una figura familiare. Un asino.
 
Dal cielo, una luce accecante la travolse, il che era logicamente inspiegabile dato che il Sole ormai era tramontato. Alzò il braccio sinistro per coprirsi, ma quando lo riabbassò l’asino, così come la luce, sparirono.
 
Al suo posto trovò un uomo.
 
Quell’uomo.
 
“Tu?!?”
 
“Ciao Yvonne.” L’anziano dalle sembianze di suo nonno teneva entrambe le mani appoggiate al suo bastone, come fosse stanco e bastasse un filo di vento per farlo cadere.
 
Ciao Yvonne un cazzo.
 
“Cosa fai qui? Tu non puoi essere qui! Ci sono delle regole! Non puoi venire qui!”
 
Oddio, ora sembro Hermione.
 
“Sono preoccupato per te. Non rispondi alle mie lettere e volevo vedere come te la passavi.”
 
“Male.” Sbottò seccamente lei “..e se non rispondo alle tue lettere, cosa ti fa credere che voglia parlarti di persona?”
 
D’un tratto, comprese di avere tanta rabbia nei confronti di quell’uomo.
 
E’ stato lui a mandarmi qui.
E’ colpa sua se mi sta succedendo tutto questo.
E scommetto che è responsabile anche della mia separazione forzata da Arielle e Nolwenn.
E come se tutto questo non bastasse, ha anche la faccia tosta di assumere le sembianze di una persona a me cara nella speranza che mi faccia abbindolare, non è così?
 
“Voglio solo aiutarti.” Rispose lui normalmente, come se quella fosse una conversazione ordinaria.
 
“Vuoi aiutarmi? Allora rimandami a casa! Rimandami da Yvonne e Arielle! Questo non è il mio posto!”
 
“Spiacente, non posso.”
 
“Perché? Perché no??” ora la rabbia di Yvonne si stava trasformando in stanchezza e disperazione.
 
“Hai seguito il mio suggerimento?” chiese bruscamente l’uomo, ignorando deliberatamente quello che gli aveva appena chiesto Yvonne.
 
Yvonne sospirò. “Quale suggerimento?”
 
“Quello di farti degli amici.”
 
“Io degli amici ce li ho già! E tu mi stai tenendo lontana da loro! Come puoi pensare che io possa.. possa aprirmi con delle altre persone, quando quelle a cui tengo di più sono lontano da me e non..” respirò a fatica “..non so se stanno bene. Se sono vive.”
 
L’uomo deglutì nervosamente, apparendo visibilmente a disagio.
 
“Loro stanno bene. Ma non posso portarti da loro.”
 
“Non mi basta.”
 
“Non ti basta?”
 
“No. Non mi basta. Perché dovrei credere alla tua parola?? Le voglio vedere!”
 
“Capisco la tua rabbia..” il vecchio guardò il proprio bastone, come se d’un tratto si vergognasse “..e capisco che ti senti persa senza di loro. Ma davvero ti manca casa tua?”
 
“Che vuoi dire?”
 
“Perdonami.. ma a me è sembrato che fossi estremamente infelice nel tuo mondo.”
 
“Tu non sai un cazzo.”
 
“Ti sto dando una seconda possibilità.”
 
“Non la voglio. Non l’ho mai voluta.”
 
“Puoi vivere una seconda infanzia e una seconda adolescenza. Migliori di quelle che hai avuto.”
 
Ora fu Yvonne a deglutire nervosamente.
 
“La mia infanzia e la mia adolescenza sono state quelle che sono state. Mi hanno reso quella che sono. E non me ne vergogno.”
 
Yvonne sentiva i battiti del cuore accelerare e la voce le tremava, cosa che le succedeva sempre quando parlava e pensava al suo passato, ma era orgogliosa di come fosse riuscita ad arrivare alla consapevolezza che non era stata colpa sua. E non avrebbe mai permesso a nessuno di farle credere il contrario.
 
 
“Non dovresti infatti. Quello che ti è successo non è stata colpa tua, ma forse, questa volta, le cose potrebbero andare diversamente.”
 
Yvonne voleva solo piangere e urlare, ma si mise a ridere istericamente.
 
Forse sto davvero impazzendo.
 
Era davvero strana la vita, era come un unico grande scherzo di cattivo gusto, decisamente peggiore degli stupidi dolcetti dei Weasley.
 
Quando era bambina, nel suo mondo, tutto quello che voleva era la compagnia. Tanti amici, tante persone accanto a lei da aiutare nel momento del bisogno, e che facessero altrettanto con lei. Era tremendamente timida, anche più di Arielle, ma il suo desiderio di fare amicizia la spingeva a sforzarsi, ed era sempre così gentile e amichevole. E sorridente. Ma nessuno la voleva. Tutti la ritenevano strana, tutti la guardavano e la additavano, e non ne aveva mai capito il motivo. E in adolescenza era subentrato anche il bullismo, e anche di quello non aveva mai capito il motivo. Poi lo capì. Non era lei il problema, ma il mondo intorno a sé, ma ormai era troppo rotta, troppo spezzata per tornare ad essere quella che era stata.
 
E quella consapevolezza ce l’aveva ancora, anche se tornata bambina in un altro universo. Era tornata bambina, ma non era più quella bambina. E ora, ora che voleva starsene per conto suo, che aveva imparato a convivere con la solitudine, ora che non voleva avere amici e teneva tutti lontani, tutti improvvisamente la volevano vicina. Neville che cercava di parlarle ogni volta che si vedevano nonostante lei avesse fatto tutto quanto in suo potere per tenerlo lontano, Hermione che continuava a parlarle anche se si sarebbe dovuta dimenticare di lei. Beverly e Andrea che erano sempre state splendide, che erano le amiche che avrebbe sempre voluto avere, che erano le sue Arielle e Nolwenn.
 
Quando smise di ridere, arrivarono le lacrime.
 
“Ho paura.” Mormorò, più a sé stessa che al vecchio.
 
“Lo so.” Lo sentì avvicinarsi “ma andrà meglio.”
 
“A me non sembra. A me sembra che le cose vadano sempre peggio. E non so cosa devo fare.”
 
“Hai bisogno di riposare. Torna al Dormitorio. Non conosco alla perfezione le regole di Hogwarts, ma sono piuttosto sicuro che agli studenti del primo anno non sia permesso gironzolare fuori dal castello quando è già buio. E domani, puoi andare in Biblioteca. Alle quindici, dico bene?”
 
Yvonne guardò l’uomo dritto negli occhi. “Perché? Perché Hermione mi ha invitato? Perché sta succedendo?”
 
“Penso che tu conosca la risposta a queste domande, ma che non sia ancora pronta per ammetterla a te stessa. Quando lo sarai, parleremo di nuovo.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Yvonne tornò al castello frettolosamente, per paura che qualcuno la scoprisse e la mettesse in punizione e lei stessa sentiva un po’ di paura, come se il castello si fosse fatto più inquietante di notte.
 
Era quasi arrivata alla Torre di Grifondoro, ma quando vide un’ombra avvicinarsi andò nel panico. Era così spaventata che non pensò neanche di nascondersi, nel caso si trattasse di un professore o di un prefetto.
 
Ma si trovò davanti l’ultima persona che si sarebbe aspettata.
 
Qualcuno che sembrava perso e smarrito, come lei.
 
“Cosa devo fare?” soffiò in un sussurro Malfoy.
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 11 ***




 

LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 11










Arielle trovò effettivamente il serpente nel suo alloggio esattamente come si era aspettata, ma fu comunque notevomente sorpresa dalla sua posizione.


Se ne stava in una angolo della stanza, tutto attorcigliato nel proprio corpo, tanto che da lontano poteva sembrare della crema sopra un cupcake. Sembrava..


..spaventato?


Ma da cosa?


Ciò nonostante, Arielle continuava a guardarlo piena di dubbi e incertezze, avvicinandosi lentamente e silenziosamente, come se il suo apparire spaventato fosse una tattica per farla avvicinare.


“Cosa.. cosa vuoi da me..” sussurrò Arielle così piano che probabilmente l'animale non aveva neanche sentito “..perché sei ovunque? Perché solo io ti posso vedere..?”


Il serpente alzò la testa e la guardò, ma stranamente Arielle non si sentì più spaventata. Gli occhi dell'animale brillavano come due gemme rosse, in forte contrapposizione con il corpo giallo e bianco. Quando gli fu ancora più vicina, si accorse che tremava impercettibilmente.


Pericolo..”


La ragazza indietreggiò così in fretta che per poco non cadde.


Aveva sentito quella parola dentro la testa, come se fosse una voce interna dentro di lei, come se fosse il suo subconscio. Ma non era la sua voce.


Era la voce del serpente.


Non aveva prove per esserne sicura, eppure ne era convinta.


So che sei spaventata da me.. ma sta per arrivare qualcosa di peggio. Un vero cattivo, qualcuno di cui avere davvero paura..”


“Un cattivo? Chi? Chi sta arrivando?” questa volta Arielle non aveva perso tempo a chiedersi da dove arrivasse quella voce e aveva risposto in fretta, quasi in preda dell'adrenalina.


Stai attenta..”


Arielle non fece in tempo a rispondere che il serpente sparì. Con la coda dell'occhio, le sembrò di vederlo fuori. Fuori fuori. Nello spazio.


Ma era impossibile.


Non poteva essere finito nello spazio.


Non così dal nulla.


Non aveva senso.


Ma cosa aveva senso in tutta quella storia?



































 

*



































Arielle aveva passato i giorni a seguire con gli occhi più aperti che mai.


Il serpente non si era più visto, ma ora non era più l'animale ad essere la fonte delle sue preoccupazioni.


Cercava di prestare attenzione a qualunque cosa intorno a lei, guardava oggetti di cui prima non sapeva neppure l'esistenza. Aveva persino visto Kirk e Spock flirtare di tanto in tanto, cosa che l'avrebbe fatta sorridere se non fosse stata così tesa. Per la prima volta da quando era arrivata in quell'universo, era sempre in giro. Ora tornava nel suo alloggio solo per dormire.


Aveva anche cercato di accedere al ponte qualche volta per avere un'idea più precisa di quello che stava succedendo, ma ogni volta che lo faceva Kirk o Spock o qualunque ufficiale di alto grado le chiedeva se avesse bisogno di qualcosa, un modo gentile per dirle che “la sua presenza sul ponte non era necessaria”.


Quando passarono un paio di settimane ancora non era accaduto niente, ma qualcosa dentro Arielle non la faceva dormire la notte. Esasperata, un pomeriggio si recò nell'alloggio del Capitano. Aveva anche considerato Spock e McCoy, ma il primo era troppo logico e avrebbe trovato la sua paura infondata e il secondo l'avrebbe tranquillizzata pensando magari che era solo una sua preoccupazione. Jim era l'unico fattibile.


“Ho sentito che stai facendo grandi progressi nelle lezioni. Persino Spock è impressionato.” commentò Jim non appena lei entrò.


“Mi fa molto piacere, ma non sono qui per questo.” disse tutto d'un fiato lei. Deglutì, poi riprese “Capitano.. Jim.. io.. Non sono stata molto sul ponte ultimamente e..”


“Lo so.” fece Jim, alzandosi alla sedia alla scrivania su cui era seduto “..mi dispiace. Abbiamo compiuto qualche missione delicata ultimamente e non volevamo turbarti.”


Quella risposta la lasciò perplessa.


“Turbarmi?”


“Sono passati mesi ormai, ma sei ancora in un universo relativamente nuovo. E poi con le tue lezioni.. hai già tanto di cui occuparti..”


Arielle non sapeva se sentirsi lusingata dall'affetto e la preoccupazione che Jim nutriva per lei o se sentirsi offesa dal fatto che lui la ritenesse tanto debole e.. inutile.


“Ho tanto di cui occuparmi? Jim io.. io non sto facendo niente se non studiare. Io voglio esservi utile.. davvero utile.. ma non posso esserlo se non so cosa sta succedendo.”


Jim la guardò come se la vedesse per la prima volta “..va tutto bene, Arielle? Mi sembri preoccupata.”


“Lo sono. Ho.. ho un brutto presentimento. E' successo qualcosa? C'è qualcuno di nuovo a bordo?”


Kirk parve sorpreso. “..in effetti sì, c'è qualcuno di nuovo, ma non hai ragione di preoccuparti tanto. Abbiamo avuto spesso ospiti a bordo. Tu sei un ospite.”


Arielle sentì il suo sangue gelare. “Chi? Chi è?”


Jim deglutì e spostò lo sguardo, come se d'un tratto anche lui nutrisse qualche dubbio o forse li aveva sempre avuti ma si era controllato per non farla preoccupare. Cosa che fece agitare Arielle ancora di più.


“Facciamo una cosa. Perché non lo incontri. Stasera. Abbiamo organizzato una cena. Sono sicuro che il tenente Uhura ha qualcosa che tu possa indossare.”





































 

*

































Alla cena erano presenti tutti gli ufficiali con le loro uniformi formali, come se stessero accogliendo un politico importante.


Il vestito che Uhura le aveva prestato era molto bello, ma era anche tremendamente scomodo, eppure Arielle fece di tutto per non darlo a vedere per non offendere nessuno, in particolare l'amica.


O magari il vestito era comodo, e il disagio che sentiva era dovuto alla paura?


La stanza era perfettamente temperata eppure, quando il suddetto ospite varcò la soglia e Arielle lo vide, tutto intorno a lei sembrò gelare, come se si trovasse sulla Barriera con Jon Snow: sentiva le dita rigide, come se muoverle spesso avrebbe portato a spezzarle. Si dimenticò anche come si respirava normalmente.


Khan.


Era Khan.































 

*





































“..sulla Terra non ci era rimasto altro.”


La voce di Khan era calda, seducente, affabile. Eppure, ad ogni parola che gli usciva dalla bocca, Arielle si sentiva sempre peggio.


“C'era la guerra per mettere fine alla tirrannia. Molti la consideravano una prova nobile.” spiegò Spock.


“Tirrannia, signore? O il tentativo di unificare una metà?”


“Unificare, signore? Come un branco di animali sotto una frusta?”


Il battibecco tra Spock e Khan era molto più ansioso di quanto Arielle lo ricordasse, ma era lieta che Spock non avesse abbassato la guardia. Si sentì stupida anche solo per averlo pensato. Spock era un vulcaniano, non si sarebbe lasciato incantare dai modi di Khan. Fu lieta di essere seduta vicino a lui. Era anche seduta vicino ad Uhura, ma senza volerlo spostò leggermente la sedia per avvicinarsi a Spock, come per dargli il suo sostegno morale. La parte negativa dell'essere seduta vicino a Spock era che aveva Khan proprio davanti a sé.


“Io ho vissuto personalmente quegli anni, non lo dimentichi. Era un periodo di grandi sogni, di grosse aspirazioni.”


Quasi tutti sembravano incantati da Khan e Arielle stessa fu costretta ad ammettere a sé stessa che aveva carisma. Come tutti i più grandi cattivi della storia umana.


“Sotto dozzine di insignificanti dittatori.”


Spock non intendeva lasciar correre.


“Un solo uomo infine avrebbe governato. Come Roma sotto Cesare. Pensi alla fase finale.”


“Allora le sue simpatie andavano--”


“Lei ha una tattica eccellente e raffinata, capitano.” lo interruppe Khan rivolgendosi a Jim, portando Arielle a disprezzarlo ancora di più “..lascia che il suo Secondo attacchi, mentre lei seduto osserva quali sono i punti deboli.”


Approffitando del fatto che l'attenzione di Khan era rivolta a Kirk, Arielle pensò di comunicare la sua paura a Spock. Non avrebbe potuto farlo verbalmente, ma Spock era un vulcaniano e i vulcaniani erano eccellenti nel capire le emozioni umane. Detestavano anche essere toccati, così per attirare silenziosamente la sua attenzione, gli tirò piano la manica dell'uniforme. Spock la guardò e Arielle seppe che aveva capito.


Pericolo.


“Ha la tendenza ad esprimere le sue idee in termini militari, signor Khan.” rispose sorridendo Jim “..questa è una riunione amichevole.”


Khan si lasciò andare in una fugace risata, risata dalla quale Arielle riuscì a percepire tutto il male possibile.


“E' stato detto se ben ricordo che le riunioni amichevoli sono delle guerre mascherate. Molti preferiscono essere più onesti. Più aperti.”


Effettivamente su questo punto aveva ragione. Per un fugace momento, ad Arielle venne in mente le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di Martin, in cui tutti i personaggi passavano molto tempo a parlare con finti sorrisi e falsi complimenti, quando in realtà si usavano a vicenda e complottavano l'uno contro l'altro per il potere.


“Lei è scappato. Aveva paura?” la voce di Jim si era fatta improvvisamente dura e distaccata.


“Io non ho mai avuto paura.”


“Lei è mancato quando l'umanità voleva coraggio.”


“Noi offrimmo al mondo l'ordine!”


Nel pronunciare l'ultima parola, Khan aveva urlato. Arielle si spaventò tanto che si era allontanata dal tavolo usando le mani e aveva iniziato a sussultare. Si ricompose in fretta riavvicinandosi sperando con tutta sé stessa che Khan non se ne fosse accorto visto che era rivolto verso Kirk.


“Noi?” Kirk non aveva nemmeno sbattuto le palpebre.


Khan aggiunse poco altro, ma poi si voltò per guardare davanti a sé, e vide Arielle. Come se la vedesse per la prima volta. Lei fece di tutto per sostenere il suo sguardo e apparire disinvolta, ma non seppe dire quanto ci riuscì, visto che dentro si sentiva morire dalla paura. Non seppe dire quanto durò, ma per lei fu come un'eternità.


Poi si accorse che Spock aveva messo un braccio sul tavolo proprio davanti a lei e Kirk richiamò nuovamente l'attenzione di Khan. Quando questi distolse finalmente lo sguardo, Spock ritirò il braccio. Arielle non aveva mai amato Kirk e Spock come in quel momento.

































 

*













































Khan si ritirò poco dopo dicendo di voler tornare nel suo alloggio, e altri ufficiali lasciarono la stanza.


Arielle stava per fare altrettanto nonostante il freddo e la paura che ancora sentiva dentro le vene, ma la voce di Kirk la fece fermare.


“Arielle. Spock. Nel mio alloggio. Anche lei Bones.”


Quando raggiunsero il turbo ascensore diretti nell'alloggio di Kirk, Arielle deglutì e capì di avere ancora paura. Non avrebbe mai smesso di avere paura fino a quando Khan sarebbe stato vivo e sull'Enterprise.


Iniziò a rimpiangere i tempi in cui aveva paura di un piccolo serpente.


Ora sarebbe stata disposta ad avere quel serpente intorno al collo se questo avrebbe significato mandare via Khan.







 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** C'era una Volta - Capitolo 12 ***


C'ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 12

 

 

 

 

 

 

 

 

“Allora? Che si fa adesso?”

 

La volpe voltò la testa per guardarla, ma non disse nulla.

 

“Avevi detto che mi avresti indicato la strada? Indica allora.” quando vide che l'animale ancora non rispondeva, Nolwenn sospirò sbigottita “..Pensavo fossi il mio spirito guida o angelo custode o come diavolo ti sei chiamato.. o chiamata? Sei un maschio o una femmina?”

 

E' così importante per te saperlo?”

 

“Beh.. sì? Per sapere come rivolgermi a te?”

 

La volpe guardò la strada davanti a loro, ma rispose comunque. “Maschio.”

 

“Allora spirito guida maschio, fai le tue magie. Mostrami questa luce che devo prendere per salvarci tutti dall'oscurità.”

 

L'animale si fermò e guardò seriamente Nolwenn “..so che pensi che sia uno scherzo, ma non lo è.”

 

“Beh sai com'è.. mi è difficile ritenerlo reale se so poco e niente al riguardo. Se solo tu potessi aprire la tua boccuccia per dirmi le cose come stanno.. cosa che avresti dovuto fare fin dall'inizio, invece di stalkerarmi come hai fatto finora.”

 

Ora l'animale sembrava genuinamente confuso. “Stalkerarti? Termine interessante. Qual'è il suo significato?”

 

“Seguirmi ovunque vada. Starmi addosso come un avvoltoio senza darmi modo di respirare.”

 

L'animale sembrava più confuso di prima. “A me sembra che respiri normalmente, anche se confesso di averti seguito, quello sì. Ma era solo per assicurarmi che stessi bene. Per guidarti. Quella stessa guida che mi stai chiedendo ora.”

 

“Come quando mi hai fregato la borsa della mia amica portandomi a venire quasi arrestata?”

 

Ma non è successo.”

 

“Ma poteva. Se non fossi scappata..”

 

Ma sei scappata.”

 

“Me la sono vista brutta, okay?” sbottò Nolwenn all'improvviso, il modo in cui la volpe parlava di quell'episodio la fece arrabbiare, come se i pericoli che aveva passato fossero di poco conto “..Dio sa cosa avrebbero potuto farmi? Stuprarmi? Impiccarmi?” ricordò a sé stessa che a Parigi come Ministro di Giustizia c'era Frollo, e solo quel pensiero la fece rabbrividire.

 

Dovevi lasciare la città. Tu non te ne volevi andare, così io ho fatto in modo che te ne andassi.”

 

“Perché? Perché dovevo lasciare Parigi?”

 

“Non avresti trovato quello che stavi cercando, e avresti trovato cose ben più spiacevoli se fossi rimasta. Sono tempi bui e difficili a Parigi. So che sai di cosa sto parlando.”

 

Nolwenn deglutì.

 

Di nuovo, Frollo le tornò alla mente. E con lui alcune scene del film. Lui che distruggeva la città per una stupida guerra contro gli zingari e più precisamente contro una zingara in particolare.

 

Voleva allontanarmi dal pericolo.

 

Non lo disse a voce alta, ma seppe che la volpe aveva capito comunque.

 

Ci tornerai. A Parigi. E prima che tu possa immaginare. Lo farai nel momento giusto.”

 

“Momento che immagino non sia ancora arrivato.” sussurrò Nolwenn fra sé e sé “..quindi cosa devo fare?”.

 

D'un tratto, si ricordò della forcina magica che le aveva donato Stephane. Si tastò i capelli con le dita e quando la trovò, la prese. Smise di camminare per far sì che la volpe facesse altrettanto e che vedesse il fermaglio.

 

“Devo andare.. devo cercare Stephane, non è così? Per questo mi hai condotto in questi boschi quando mi hai allontanata dalla città. Così avrei incontrato Stephane.. è questo che devo fare? Lui mi aiuterà.”

 

E' quello che vuoi?”

 

Nolwenn si sentì infastidita da quella domanda, ma non seppe spiegarne il motivo.

 

“D'un tratto ti importa di quello che voglio? Pensavo ci fosse una strada precisa che dovessi seguire e che tu fossi qui per indicarmela?”

 

Certo che mi importa di quello che desideri. E se il tuo desiderio è cercare il tuo principe, io non te lo impedirò.” la voce dell'animale sembrava strana ora.

 

“Ma..?”

 

Ma? Non c'è nessun ma.”

 

“Sì, che c'è. Tu non pensi che sia la decisione giusta?”

“Non ho detto questo.”

 

“E quali altre alternative ho? Tornare dal Jaime Lannister dei poveri fino a quando non si stuferà e mi butterà fuori? Cosa che accadrà molto presto, sicuramente. Ho passato tutti questi mesi in quella casa e cosa ho ottenuto? Cosa mi serve continuare a rimanere lì?”

 

La volpe rimase in silenzio per una manciata di secondi, poi mosse la testa “forse c'è una terza opzione. E una quarta. E una quinta. Devi solo riuscire a vederle.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oh, guarda. Sembra proprio che siamo tornati al momento giusto.”

 

Nolwenn guardò davanti a sé e vide la casa e il capanno in cui risiedeva temporaneamente, e proprio in quel momento un cavallo si era avvicinato alla zona. Il Sole era tramontato, ma la luce non era ancora andata via del tutto.

 

“Quando potrò cavalcare da solo un cavallo? Posso farlo.” mormorò Mathieu, mentre Edmond lo aiutava a scendere.

 

“Tra qualche anno, non prima. Lo sai.”

 

Poi si accorsero della presenza di Nolwenn.

 

Mathieu la salutò con la mano, Edmond la ignorò come era solito fare. Mentre il bambino entrava in casa, il padre accompagnava il cavallo nel capanno.

 

Ci salutiamo per il momento, non penso che mi sarà concesso entrare.”

 

“Non sono nemmeno sicura che sia concesso a me di entrare.”

 

In tal caso, sarò qui.” dopodiché l'animale si allontanò.

 

Nel frattempo Edmond era uscito dal capanno e si stava avviando verso casa. Nolwenn aveva disperatamente cercato il suo sguardo per capire se le sarebbe stato concesso di entrare, ma lui era ben attento ad ignorarla. Quando lo vide entrare e chiudere la porta alle sue spalle, sospirò sconfitta.

 

Fece qualche passo per cercare la volpe, ma spostandosi la sua visuale cambiò e si accorse che la porta era socchiusa, non chiusa.

Non diede tempo a Edmond di cambiare idea e si affrettò ad entrare, senza dire una parola. Una volta dentro Edmond continuava ad ignorarla, il che una volta tanto era un buon segno.

 

Chiuse la porta, questa volta chiusa per davvero, il più silenziosamente possibile e solo in un secondo momento si accorse che Mathieu non era in soggiorno e la porta della sua camera era chiusa. Doveva già essere andato a dormire.

 

Edmond si sedette a tavola e iniziò a.. beh in verità Nolwenn non sapeva bene cosa stesse facendo, ma sembrava che stesse lavorando il legno, forse per costruire qualcosa?

 

La ragazza si sedette al suo stesso tavolo davanti a lui, ma non disse una parola. Iniziò a puntellare con le dita il massiccio legno della superficie, come se stesse aspettando che Edmond finisse qualunque cosa stesse facendo per parlare con lui, quando in realtà non sapeva cosa dire.

 

Lui la guardò con la coda dell'occhio. “..ti dispiace?” sbuffò, alludendo al rumore che stava facendo con le dita. Quando lei ritirò le braccia e se le mise sulle gambe, Edmond ritornò al suo lavoro.

 

“Com'è andata oggi?”

 

“Bene.” disse Edmond, come se la risposta fosse ovvia.

 

“Mi fa piacere.”

 

Edmond sbuffò e appoggiò il coltellino che stava usando per lavorare il legno. Mise le mani sul tavolo e la guardò. Sembrava stanco.

 

“Cosa vuoi?”

 

“Niente.”

 

“Dimmi. Cosa. Vuoi.”

 

Nolwenn si massaggiò le braccia “..so di non aver lavorato oggi e quindi di non aver diritto ad un pasto, ma.. ho fame.. non è che potrei.. potrei avere qualcosa..?”

 

Edmond allungò un braccio dietro di sé e prese una mela dal cesto alle sue spalle. La appoggiò sul tavolo con forza proprio davanti a Nolwenn e tornò al suo lavoro.

 

“Grazie.” mormorò Nolwenn, non riuscendo a nascondere la sorpresa. Si era già preparata un discorso su cosa dire e come convincerlo aspettandosi un no, eppure lui le aveva dato la mela subito. Forse era solo troppo stanco per discutere.

 

Passarono qualche minuto in religioso silenzioso, l'unico rumore che si sentiva era il coltellino di Edmond sul legno e il vento che tirava fuori. Poi l'uomo alzò nuovamente lo sguardo.

 

“C'è altro?”

 

Nolwenn abbassò lo sguardo e deglutì. Quella mattina quando si era svegliata era a pezzi, distrutta psicologicamente da quell'orribile incubo che riguardava Arielle e Yvonne, poi c'era stato il panico di essere stata buttata fuori, poi la volpe. E poi c'era Edmond. Non sapeva se fosse per gli eventi di quel giorno o se semplicemente si stesse abituando a lui, ma gli sembrava più.. tollerante? Forse era il momento giusto per chiedergli aiuto. Se c'era una cosa che aveva capito da quella strana volpe era che non c'era niente di male a chiedere aiuto. Probabilmente sarebbe stato l'ennesimo buco nell'acqua, ma valeva la pena fare un tentativo.

 

“So di essere un fastidio per te..” Edmond alzò le sopracciglia ma non disse nulla, non che Nolwenn si aspettasse che lo negasse, sapevano entrambi che era la verità “..è solo che.. io voglio tornare a casa.. a casa mia.. e non so come fare.” nella sua voce c'era più tristezza di quanto Nolwenn avrebbe voluto, ma forse quel tono avrebbe fatto leva sull'empatia di Edmond.

 

“Cosa vuol dire che non sai come fare?” se Edmond era triste o preoccupato per lei, di certo non lo dava a vedere “..vai a casa tua e basta.”

 

“Non.. non posso.”

 

“Qual'è il problema?” ora Edmond aveva smesso di lavorare e la guardava dritto negli occhi “..hai litigato con mamma e papà e ora non vuoi tornare da loro? O si tratta di un fidanzato? Debiti? Problemi con la legge? C'è qualche taglia sulla tua testa?”

 

“No!”

 

“Allora non vedo quale sia l'impedimento.”

 

“Io non sono di qui, Edmond! Non sono di questo luogo, di questo mondo! Vengo da un'altra parte!”

 

“Sì, come no.” Edmond si alzò bruscamente, intenzionato a fermare quella conversazione “..vai a dormire, Nolwenn. Sei ubriaca.”

 

L'uomo si avviò verso la sua camera da letto, ma Nolwenn non era intenzionata a lasciar perdere. Non pensava che avrebbe mai ritrovato il coraggio di parlare di quello con lui, quindi tutto andava detto seduta stante. Probabilmente non avrebbe mai creduto alla sua storia, non aveva ragioni di farlo, ma doveva tentare il tutto per tutto.

 

“Ricordi quando ci siamo incontrati? Quando pensavi che fossi una strega o una zingara o una barbona?”

 

Edmond si voltò a guardarla, ma sembrava molto annoiato dalla piega che aveva preso la conversazione.

 

“Chiedo scusa, pensavo?”

 

Sì perché pensi ancora tutte queste cose di me, Edmond.

Molto divertente.

Esilarante.

 

“Ricordi i vestiti che indossavo? Ricordi quanto ti erano sembrati assurdi? Li hai trovati assurdi perché non avevi mai visto niente del genere. Perché qui non esistono. Ma esistono da dove arrivo io.”

 

“Oppure li indossavi perché sei pazza.”

 

“Ah sì? E se sono pazza allora perché non ho continuato a portarli?”

 

“Perché erano in uno stato indecoroso. Ho stracci che uso per pulire che hanno più anni di me, ma che comunque sono in condizioni migliori.”

 

“Una persona pazza avrebbe continuato a portarli lo stesso, no?”

 

“Stiamo davvero perdendo tempo a parlare dei vestiti che avevi addosso?” Edmond agitò le braccia, come se non riuscisse a credere alla situazione “..cosa stai cercando di ottenere? Pietà? Compassione? Un'altra mela?”

 

“Che mi credi. Questo voglio ottenere. Che apri la tua mente quel tanto che basta perché tu possa anche solo considerare che quello che ti sto dicendo è vero.”

 

“Cosa? Che vieni da un altro mondo? Ti aspetti davvero che creda ad una cosa del genere?”

 

Vivi in un mondo dove esiste la magia e i draghi e le favole e il bacio del vero amore ma non riesci a credere che io venga da un altro mondo?

 

Fu molto tentata di dirglielo, ma già in passato gli aveva detto una cosa simile e sapeva che non era la cosa giusta da dire. Non per com'era fatto Edmond.

 

“Perché dovrei mentire?” questa volta era Nolwenn ad apparire stanca.

 

“Non lo so. Certe persone mentono tutta la vita, non riescono a farne a meno. Alcune mentono così tanto che finiscono col credere alle loro stesse menzogne, e a non riuscire più a distinguere cosa è vero e cosa non lo è. Forse tu sei una di quelle persone.”

 

“No. No che non lo sono. E tu lo sai.” Edmond era ancora una sorta di enigma per Nolwenn, ma lo conosceva al punto da sapere che se lui l'avesse ritenuta una bugiarda, non l'avrebbe fatta restare in casa sua nemmeno per qualche ora.

 

Edmond sospirò quasi esausto, e scosse la testa. Gli scoppiò anche una breve risata vuota. “Sai una cosa, tutta questa conversazione ha raggiunto picchi talmente comici che riderei, se non fossi troppo vecchio per queste stronzate. E' stata una giornata lunga, e non ho né l'energia né la voglia di starmene qui ad ascoltare le cagate che ti escono dalla bocca. Vai a dormire.”

 

“Aspetta..”

 

Edmond rimase, ma aveva tirato un sospiro lungo, molto lungo. Stava per perdere la pazienza. Non la guardava nemmeno.

 

“..e se accadesse a te? Se fosse vero.. e se accadesse a te di trovarti in un mondo sconosciuto, solo, senza sapere cosa fare o dove andare o come tornare indietro. Senza sapere come sopravvivere. Senza un appoggio. Senza niente. Senza nessuna possibilità di tornare all'unico luogo che ti era familiare e in cui sei stato tutta la vita. Tu.. cosa faresti?”

 

“E' ridicolo. Non esiste che possa acc-”

 

“Ma se accadesse..” Nolwenn gli si avvicinò, come se temesse che lui sarebbe andato via prima che potesse risponderle “..cosa faresti?”

 

Edmond continuava a non guardarla, i suoi occhi fissi sul pavimento. Ma Nolwenn poteva vedere che ci stava pensando su. Poi spostò lo sguardo e la fissò.

 

“Sopravviverei.”

 

Nolwenn rimase in silenzio per qualche secondo, come per far sì che quella parola rimanesse ben memorizzata nella sua testa per sempre.

 

“E se non ci dovessi riuscire?”

 

“In tal caso accadrebbe l'unica cosa cosa che può succedere se non si riesce a sopravvivere.. soccombi.”

 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 12 ***


QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 12

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le ci vollero più secondi di quanto si sarebbe aspettata per capire cosa intendesse dire Malfoy. All'improvviso si vergognò dello stato in cui era: i suoi occhi erano umidi, gli occhiali appannati e la sua uniforme disordinata. Era piuttosto certa che anche i suoi capelli fossero un disastro. In verità non le era mai importato tanto di come apparisse davanti agli altri, ma in quel caso, non si sa come, fu diverso.

 

Iniziò a sperare che con il buio Malfoy non si fosse accorto dello stato pietoso in cui si trovava, e a fatica deglutì mentre pensava a cosa dire. Deglutire le fu facile, capire cosa rispondere e soprattutto non lasciar trasparire le emozioni che provava lo erano molto meno.

 

Mentre lottava per trovare le parole, si ricordò che era stata lei ad incoraggiare Malfoy a trovarla se avesse cambiato idea. Ed era sincera. Non si aspettava però che lo avrebbe fatto davvero.

 

“Immagino..” deglutì una seconda volta “..tu non sia disposto a scusarti con loro..”

 

Persino nel buio, riuscì a vedere come gli occhi di Malfoy si fecero piccoli a quell'ipotesi. Il serpeverde si girò per andarsene, ma quando Yvonne lo chiamò, tornò indietro.

 

Yvonne inspirò a fondo.

 

E adesso?

Cosa faccio?

Cosa gli dico?

 

Era così sicura che Malfoy non si sarebbe fatto convincere a cambiare idea così presto che non aveva pensato o considerato cosa dire e fare nel caso fosse successo.

 

Malfoy se ne stava in silenzio, ma Yvonne sapeva che quell'attesa lo stava infastidendo. Doveva trovare qualcosa da dire in fretta, o se ne sarebbe andato.

 

Domani mi vedo con loro in Biblioteca, ma non posso presentarmi là con Malfoy. Diventerebbero sospettosi, e poi, diciamolo, sarebbe proprio una mossa da stronzi presentarsi ad un appuntamento con qualcuno che non era stato invitato.

 

E se mi vedessero arrivare con Malfoy mi riempirebbero di domande.

 

Tuttavia, se mi vedessero andare via con lui..

 

“Domani passa alle.. ehm.. 17.. in Biblioteca. Mi troverai lì con loro. Dirai che ore sono come se io non mi fossi accorta del tempo che è passato, e che dovevamo fare qualcosa. Poi usciremo dalla Biblioteca e ci allontaneremo abbastanza perché non ci trovino, anche se dubito si metteranno a seguirci.”

 

Malfoy non sembrava affatto convinto, ma ebbe il buon gusto di tacere, soprattutto considerando che Yvonne non aveva proprio la voglia di spiegargli il ragionamento che ci stava dietro.

 

“Ora veniamo a quello che dovrai dire. Ci serve qualcosa di plausibile, che non desti sospetti..” ci pensò un po' su “..ci sono. Dirai che mi devi parlare della storia magica, in particolare di famiglie magiche famose. Come ti piace tanto rimarcare io sono una mezzosangue, ed essendo tu un purosangue beh.. non penso che troveremo una scusa più plausibile.” fece un'altra pausa, sospirò “..e non dire altro. Non rivolgerti a loro in nessun modo. Nessuna battutina sui mezzosangue o sui Weasley, mi sono spiegata?”

 

“Perché?”

 

“Per non peggiorare la situazione? Non migliorerai le cose continuando ad insultarli. O parli della scusa? Ne hai in mente una migliore? Sentiamo.”

 

“No, perché.. perché tutto questo dovrebbe aiutarmi? A me sembra che danneggi solo la mia reputazione.. e aumenti la tua.”

 

Sigh.

Lo sapevo.

Lo sapevo che non avrebbe resistito nel fare domande.

 

“Sono stati loro ad invitarmi. Per ragioni a me sconosciute, devono avere una buona opinione di me. Se vedranno che noi due siamo..” conoscenti? Amici? “..in buoni rapporti, potrebbero iniziare a cambiare idea sul tuo conto. Se davvero non sei intenzionato a scusarti, non vedo altre alternative.” sospirò Yvonne, rifiutandosi categoricamente di perdere tempo a rispondere alla frecciatina sulla “reputazione”.

 

“Cosa ne sai che hanno una buona opinione di te? Magari gli fai solo pena.”

 

“Tu preoccupati della tua parte del piano, che alla mia ci penso io.”

 

Clock.

 

Se Yvonne fosse stata più vecchia, quel rumore sarebbe stato sufficiente per spaventarla al punto da ucciderla.

 

Lei e Malfoy guardarono davanti a loro con il respiro accelerato, e si accorsero entrambi che quel rumore era causato da una porta che si apriva. A giudicare dall'ombra della persona che stava uscendo, non poteva che essere la McGranitt.

 

Senza pensarci due volte, i due voltarono l'angolo ma videro che era presente solo un lungo corridoio, quindi non avevano possibilità di nascondersi. Nel spostarsi velocemente fecero un minimo di rumore, allertando maggiormente la McGranitt che iniziò a camminare verso la loro direzione.

 

“Dobbiamo andare via. Se aspettiamo qui la McGranitt ci troverà!” sussurrò Malfoy.

 

“Ma se con solo qualche passo l'abbiamo già allertata! Se ci spostiamo di nuovo ci sentirà!”

 

“Non se corriamo. Non credo che ci raggiungerebbe. Non ho mai visto la McGranitt correre.”

 

Yvonne stava per rispondere, ma sentì un'altra voce.

 

“Minerva. Che sorpresa trovarti ancora sveglia. Saresti così gentile da seguirmi? Avrei bisogno di parlare con te.”

 

Era Silente.

 

“Certamente, Albus. Andiamo nel suo ufficio?”

 

“Oh meglio di no, è una questione delicata e preferirei farlo altrove.” si sentì un'altra porta aprirsi “..dopo di lei.”

 

Yvonne sentì qualche passo e una porta che si chiudeva. Quando lei e Malfoy ebbero il coraggio di sporgersi, non trovarono nessuno. Solo le loro ombre.

 

Silente.. Silente ci ha appena salvati..

 

Lei e Malfoy si separarono senza dire una parola per non fare altro rumore che avrebbe allertato nuovamente la McGranitt che seppure in un'altra stanza era comunque vicina, e si diressero nelle loro rispettive Sale Comuni.

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

Yvonne arrivò in Biblioteca nervosa come se l'aspettasse un esame universitario.

 

Trovò i tre seduti ad un tavolo da quattro, Ron vicino a Hermione, quindi lei sarebbe stata costretta a sedersi vicino a Potter.

 

La futura coppia e i due quattrocchi.

 

“Ciao..?” bofonchiò quasi imbarazzata quando raggiunse il tavolo, il suo saluto che suonava più come una domanda.

 

Solo Hermione ricambiò il saluto, in modo decisamente più convincente. Harry e Ron la salutarono con un cenno del capo. Non appena si sedette, calò un silenzio imbarazzante.

 

Come succede sempre quando interagisco con qualcuno.

E' l'effetto che faccio.

Silenzio imbarazzante.

Forse è un bene.

Forse così capiranno che non sono adatta ad unirmi al loro gruppo.

E questo sarà il primo, e ultimo, incontro che avrò avuto con loro.

Forse dopo mi lasceranno in pace.

 

Con la coda dell'occhio osservò le loro reazioni e vide che anche loro iniziavano a sentirsi a disagio per quel silenzio. Ron roteava gli occhi e Harry si grattava le dita.

 

Ma cosa si aspettavano? Che attaccassi bottone?

Sono stati loro ad invitarmi!

Io non mi sono mai rivolta direttamente a loro, mai.

Beh.. tranne Hermione, ma è stato solo per poco e non doveva essere a lungo termine!

 

“Nella Sala Comune dei Grifondoro si parla spesso di te, sai?” disse dal nulla Potter.

 

Yvonne lo guardò come se lui l'avesse presa per il culo.

 

Davvero? E io che pensavo che passassero tutto il tempo a tessere le tue lodi.

 

Ma questo evitò di dirlo.

 

Si limitò a fare un'espressione confusa.

 

“A me non risulta proprio.” disse infine, anche se avrebbe voluto rispondere con un più secco “no, non è vero, non lo fanno”, ma sembrava troppo scortese e non voleva esagerare. Era stata Hermione ad invitarla, e non voleva che facesse brutte figure per colpa sua.

 

“Oh sì, invece!” rincarò Ron.

 

“E' vero.” fece Hermione “Non sei mai nella Sala Comune, per questo non lo sai. Altrimenti lo sapresti.”

 

“Perché dovrebbero parlare di me?”

 

Yvonne non capiva davvero.

Lei non era nessuno.

Non era mai stata nessuno.

E di certo non sarebbe stata qualcuno qui, dove cercava di restare intenzionalmente nelle ombre.

 

“Beh.. per la tua interazione con Malfoy nella Sala Grande!”

 

Quale interaz--

Oh.

OH.

Quella.

Ma io..

Io non volevo..

Non volevo attirare l'attenzione, volevo solo parlare con lui e..

Che diamine!

 

“E' stata davvero fantastica.” fece Ron.

 

“Tutta la scuola ne è venuta a conoscenza.” continuò Harry.

 

Yvonne non sapeva se ridere istericamente o urlare in preda allo sconforto.

 

Che.. cosa??

Come..? Come fa a saperlo tutta la scuola??

Io volevo solo..

Oh maledizione..

 

“Non è stato niente di che. E di certo non è qualcosa di cui vale la pena parlare.” disse sinceramente Yvonne abbassando lo sguardo imbarazzata, come se tutta quell'attenzione la stesse mettendo a disagio.

 

“Stai scherzando? Sei stata l'unica capace di zittire Malfoy.” disse Ron.

 

“Malfoy non è difficile da gestire. Basta capire come è fatto e come ragiona e agire di conseguenza.” disse Yvonne senza accorgersene, pentendosi solo dopo di quello che le era uscita dalla bocca.

 

Perché l'aveva detto?

Aveva parlato più del previsto.

 

E inoltre, sentì un senso di colpa non indifferente nell'aver parlato in quel modo di Malfoy, come fosse un cane da “gestire”, soprattutto considerando che era l'unico in quella maledetta scuola che stava facendo esattamente quello che lei sperava.

 

Ma c'era un lato positivo però.

 

Ora l'argomento era lui.

 

Malfoy.

 

Se stava aspettando il momento giusto per mettere una buona parola su di lui, beh quel momento era arrivato.

 

Era stupido non sfruttarlo.

 

“E..” ora però mentre stava per farlo si sentiva piena di dubbi, ben consapevole che quello che le sarebbe uscito dalla bocca non sarebbe piaciuto a nessuno dei tre “..e Malfoy non è cattivo. Ha solo la testa piena di stupidaggini e cavolate che la sua famiglia gli ha inculcato.”

 

Inizialmente aveva pensato di dire che “Malfoy non era così male”, ma sembrava fuori luogo e avrebbe fatto più danni che altro vista l'opinione che avevano di lui.

 

Harry, Ron e Hermione non sembravano entusiasti della risposta che aveva dato, ma non dissero nulla. Ora però l'aria era nuovamente tesa, e questa volta toccava a lei torgliela. Si morse le labbra e pensò a lungo su cosa dire e..

 

“Harry.. ho saputo che sei il nuovo Cercatore dei Grifondoro.”

 

Si dovette sforzare fisicamente per tessere le sue lodi senza sprofondare di vergogna, ma almeno riuscì nel suo intento: l'atmosfera tesa di prima sparì in un soffio.

 

Harry sorrise. “E' così.”

 

“Sapete quando ci sarà la prima partita dell'anno?” chiese rivolgendosi anche a Ron e Hermione, per non tenerli fuori dalla conversazione.

 

“Settimana prossima.” rispose prontamente Ron, informatissimo sull'argomento.

 

“Verrai anche tu, vero?” le chiese Hermione.

 

Yvonne si sentì tre paia di occhi puntati addosso.

 

Il Quidditch mi fa altamente schifo, come tutto in questa scuola, quindi no, non volevo venire, ma dato che l'universo continua a spingermi a fare cose che odio e dato che sono qui per soffrire..

 

“Ci sarò, ma voi dovrete dirmi il giorno e l'ora precisa e come raggiungere lo stadio perché altrimenti non ne ho idea.”

 

Risero. Ma non.. non era una risata di scherno.

Era semplicemente.. una risata.


 

 

 

*

 

 

 

 

 

Studiarono per poco effettive materie scolastiche. Dopo dieci minuti scarsi passati a studiare Incantesimi, minuti nei quali solo Hermione sembrava prestarvi particolare attenzione, si passò a parlare del Quidditch, in preparazione della imminente partita di Harry. Yvonne fu molto sorpresa di scoprire che parlare di quello sport la annoiava nettamente di più dello studiare un effettiva materia scolastica, seppur magica. La cosa positiva del parlare del Quidditch era che si trattava di una conversazione per lo più tra Harry e Ron. Hermione interveniva solo ogni tanto, il più delle volte per correggere Ron su qualche inesattezza o per qualche curiosità legata all'argomento, mentre Yvonne se ne stava lì, con la mano sul mento a pensare ai fatti suoi, aspettando che il tempo passasse.

 

Gettò un'occhiata all'orologio sul muro.

 

Sigh.

Sono ancora le sedici.

Un'altra ora ancora prima che Malfoy mi salvi.

Forse se fisso l'ora con più determinazione il tempo passerà più in fretta? Posso sempr--

 

“Ciao, Neville.”

 

Yvonne per poco non cadette.

 

Voltò lo sguardo e vide Neville che si era avvicinato al loro tavolo.

 

No no no no.

No, non può essere.

No, ti prego.

Ti prego.

No.

 

“Ciao.” disse timidamente Neville alludendo a tutti, ma guardando Yvonne.

 

Oddio mi sta guardando.

Sto arrossendo per caso?

No dai.

 

Yvonne mosse la mano per salutarlo, cercando di sorridere. Non sapeva che espressione avesse sul volto in quel momento, ma doveva apparire come una mezza matta.

 

Non sederti.

Ti prego non sederti.

No no no.

Ti prego.

Per favore, vai via.

 

Neville sembrava voler aggiungere qualcosa, ma fece spallucce e se ne andò.

 

Ad ogni passo che lo portava sempre più lontano, il respiro di Yvonne si fece sempre più tranquillo.

 

Quando uscì del tutto dalla Biblioteca, Harry, Ron e Hermione la guardarono e sorrisero.

 

Perché mi guardate?

Perché sorridete in quel modo?

Cosa ho fatto?

Qualcosa di imbarazzante mentre Neville era qui?

Sono rossa?
Ho qualcosa sulla faccia?

Sono i miei capelli?

 

“Sei davvero strana..” disse Ron “..non hai problemi ad approcciarti a Malfoy da sola ma ti fa paura Neville.”

 

Se non ci fossero stati presenti, Yvonne era piuttosto certa che avrebbe strangolato Ron seduta stante, ma purtroppo non era il caso e lei non sarebbe andata in prigione per Weasley.

 

“Neville non mi fa paura.” sbottò Yvonne, nella voce si poteva sentire tutta la frustrazione che stava provando in quel momento.

 

“Sei quasi caduta quando ci ha salutato.”

 

Senti Weasley--

 

“E' che.. ero immersa nei miei pensieri e non mi ero accorta della sua presenza!” esclamò Yvonne, come se si stesse difendendo dall'accusa di un crimine.

 

Ron fece per parlare ancora, ma non disse nulla. Yvonne non fece in tempo a chiedersi la ragione che vide Hermione che lo guardava seriamente facendo no con la testa.

 

Ho sempre saputo che sei la migliore, Hermione.

Questi due non ti meritano, e nemmeno io.

 

 

 

 

*

 

 

 

Le sedici e cinquantanove.

Mancava un minuto alle diciasette.

 

Yvonne iniziò ad agitare le dita sul tavolo, guardando prima l'orologio e poi l'entrata della Biblioteca, poi ancora l'orologio, poi ancora l'entrata della Biblioteca..

 

Diciasette.

 

Malfoy????

Dove sei??

 

“Crosta!” esclamò dal nulla Ron, tenendo tra le mani il suo.. ehm.. “topo”.. “dov'eri finito? Come mai sei scappato?”

 

Yvonne deglutì.

 

Sentì un brivido percorrerle la schiena.. e non era uno di quei brividi piacevoli.

 

Lo so io perché è scappato, il maledetto..

 

Dopo aver deglutito una seconda volta, Yvonne guardò l'animale. Lo guardò per davvero. Lo guardò come se lo stesse scrutando.

 

Ricordava ancora come si sentiva ogni volta che si imbatteva in quell'asino. Come quell'asino la fissasse negli occhi con tale intensità che sembrava riuscisse a vedere il suo animo, il suo abisso, ogni suo piccolo segreto.

 

Voleva che quel Mangiamorte maledetto provasse lo stesso. E anche se obbiettivamente un Mangiamorte è più pericoloso di una studentessa del primo anno, soprattutto se la studentessa in questione era lei, ora lui era solo un topo. E lei avrebbe potuto schiacciarlo semplicemente calpestandolo. E voleva che Minus ne fosse pienamente consapevole.

 

Quello sguardo penetrante si interruppe nel momento in cui Harry iniziò ad accarezzare l'animale. Yvonne ne fu così disgustata che sentiva di essere sul punto di vomitare.

 

Harry sta.. sta accarezzando il responsabile della morte dei suoi genitori.

Harry sta accarezzando il responsabile della morte dei suoi genitori.

Harry sta accarezzando il responsabile della morte dei suoi genitori.

 

Yvonne iniziò a muoversi come a cercare qualcosa, qualsiasi altra cosa che potesse attirare la sua attenzione.

 

La trovò.

 

Malfoy.

 

Malfoy era sulla soglia.

 

Yvonne gli fece rapidamente un cenno con il capo mentre Harry, Ron e Hermione erano distratti per farlo procedere.

 

Malfoy avanzò lentamente, e Yvonne riusciva a vedere che si trovava a disagio esattamente come lo era stata lei in quelle ultime due ore. Era stato così silenzioso che quando raggiunse il tavolo, il trio non si era ancora accorto della sua presenza.

 

Passò un secondo. Poi un altro. Poi un altro. Poi..

 

Malfoy aprì la bocca, ma dell'espressione che aveva si capiva che avrebbe detto la cosa sbagliata. Yvonne mosse le labbra per parlare senza effettivamente parlare, per comunicare con lui senza farlo sapere agli altri.

 

Sii gentile.”

 

Malfoy la guardò. Poi guardò il trio. Poi di nuovo Yvonne. Aprì nuovamente la bocca, e la sua espressione questa volta era più annoiata, ma anche più tranquilla.

 

“Sei ancora qui, Rolland? Abbiamo quella.. cosa.. da fare. Non ho tutto il giorno.”

 

Eh.

Poteva andare meglio, ma anche peggio.

E poi “quella cosa”.. abbiamo concordato una scusa per niente?

 

Harry, Ron e Hermione si accorsero finalmente del Serpeverde e lo guardarono. Ron e Hermione avevano un espressione che era un misto tra infastidita e disgustata, mentre Harry era serio come un insegnante.

 

“Lasciala stare, Malfoy.” disse quest'ultimo.

 

“La cosa non ti riguarda, Potter.” sbottò in risposta Malfoy.

 

Merda.

Qui devo intervenire o le cose peggiorano.

 

“E' okay, Harry.” disse Yvonne, muovendo le mani come per calmare gli animi “..abbiamo effettivamente una.. cosa.. da fare.” continuò, adeguandosi a quello che aveva detto Malfoy. Dopo che si fu alzata, si rivolse nuovamente al trio “grazie, per oggi. Fatemi sapere per la partita, allora!” d'un tratto Yvonne si sentiva più gentile del solito.

 

“Lo faremo.” continuò Harry, ma poi lui e gli altri due continuarono a fissare Malfoy con sospetto.

 

Yvonne e Malfoy si avviarono all'uscita, e non ebbero bisogno di voltarsi indietro nemmeno una volta per sapere che li stavano fissando. Una volta fuori continuarono a camminare e ad allontanarsi come da copione, nel caso qualcuno li stesse seguendo.

 

""La cosa non ti riguarda, Potter."? Era davvero necessario?”

 

“Cosa ti aspettavi che dicessi? Ti aspettavi che me ne stessi lì in silenzio mentre mi provocava?”

 

“Ma quale provocava? Mi stava solo difendendo.”

 

“Difendendo da cosa? Non ho fatto niente!”

 

“Ma lui non lo sa. Ma noi faremo in modo che un giorno lo sappia.” sospirò “..è andata meglio di quanto mi aspettassi. Sei stato bravo.”

 

“Non me ne faccio niente dei tuoi complimenti.”

 

Ma Yvonne sapeva che li aveva apprezzati. Riusciva a leggerlo nei suoi occhi.

 

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 12 ***






LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 12

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sai chi è, vero?” esordì Jim un secondo dopo che furono entrati nel suo alloggio e la porta dietro di loro si era chiusa.

 

Ad Arielle le ci volle un momento per capire che si stava rivolgendo a lei. Sentiva di avere anche gli occhi di Spock e McCoy addosso, ma si concentrò solo su quelli di Kirk.

 

Voleva rispondergli con un fiume di parole, ma sentiva un nodo alla gola. Annuì.

 

Ma Jim non era soddisfatto. Le fece un cenno, per convincerla a proseguire.

 

Arielle sentì che la voce stava tornando, e così anche la paura. Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa.. o qualcuno. Come se si aspettasse di trovare Khan in un angolo della stanza che ascoltava, e che non aspettava altro che il momento giusto per attaccare.

 

“Lui non è qui, Arielle. Non può ascoltarci. Parla.” il tono di Kirk era rassicurante, soprattutto perché con le parole non poteva esserlo. Non ne aveva il tempo, e lei non poteva biasimarlo.

 

“Lui.. lui.. non avremmo mai dovuto svegliarlo.. lui..” sentiva il respiro mancare così iniziò a fare qualche esercizio respiratiorio, e nel farlo commise l'errore di incrociare lo sguardo di Spock.

 

E la rivide, davanti a sé.

La sua morte.

La morte di Spock, che sarebbe avvenuta vent'anni dopo.. per colpa di Khan.

Vide ciò che aveva provocato quella morte, il dolore dell'equipaggio, le lacrime di Kirk, lo sconforto, la disperazione, il rimpianto.

Dolore, lacrime, sconforto, disperazione e rimpianto.. che avrebbe provato anche lei.

Non poteva permetterlo.

Spock era buono e l'aveva aiutata molto, nonostante il loro inizio e le loro personalità.. incompatibili.

Voleva bene a Spock.

Non avrebbe permesso che accadesse.

Non di nuovo.

 

Sentiva i suoi occhi riempirsi di lacrime, fino a quando non ce la fece più.

Doveva fare qualcosa.

Doveva dire qualcosa.

 

“Signor Spock.. lui.. lui.. lui vi u--”

 

La voce le si fermò all'improvviso, e non fu per un attacco di ansia o un crollo psicologico o la paura o qualsiasi fattore emotivo. Sentiva di avere la voce, sapeva di averla, eppure.. eppure non riusciva a continuare la frase.

 

Riprovò. Ancora. E ancora. E ancora.

 

Ma niente.

 

E fu quando guardò alle spalle di Spock e vide quel serpente giallo che le era tanto familiare.. che capì.

 

Non farlo, Arielle.”

 

Era il serpente. Il serpente, in qualche modo, le stava impedendo di parlare.

 

“Cosa stai facendo? Mi hai tolto la voce??”

 

Non puoi dire quello che stavi per dire. E sappiamo entrambi cosa stavi per dire.”

 

“Ma io devo!”

 

No. Non devi. E non puoi.” l'animale inclinò leggermente la testa, come se Arielle fosse una bambina e il serpente dovesse spiegarle qualcosa di elementare “Sei troppo intelligente per non sapere che non si possono rivelare eventi chiave e futuri. Anche se si tratta di eventi spiacevoli e lo scopo è impedirli. Soprattutto se si tratta di eventi spiacevoli e lo scopo è impedirli. Rischi di alterare il futuro, e renderlo peggiore.”

 

“Beh, cosa ti aspetti da me? Che non dica niente? Che me ne stia qui a far finta di nulla, come se non sapessi che Khan causerà la morte di Spock?!?”

 

E' esattamente quello che mi aspetto.”

 

“E allora tutte le altre volte in cui ho rivelato qualcosa che stava per accadere? Anche allora ho alterato il corso degli eventi. Perché non mi hai impedito di parlare, allora?”

 

Si trattava sempre di piccole cose, che alteravano di poco il corso degli eventi. Rivelare la morte di qualcuno che ti è vicino, vent'anni prima, è tutt'altra cosa, lo sai anche tu. Anche il signor Spock concorderebbe. Lui sarebbe il primo a dirlo.”

 

“Ma..”

 

Se la memoria non mi inganna, andrà tutto per il meglio no? Sì Spock è destinato a morire, ma tornerà.. non è così?”

 

“Sì, ma..”

 

Se alteri il corso degli eventi potrebbe accadere qualcosa di peggio, Spock potrebbe ancora morire, ma forse non ci sarebbe la possibilità di farlo tornare. Te la senti di correre questo rischio?”

 

“..no.”

 

Bene.”

 

“Ma allora io.. io non posso dire nulla.. non posso fare nulla per aiutarli?”

 

Puoi. Ma senza rivelare troppo.”

 

“Come.. come faccio a sapere quanto posso dire?”

 

Lo sai. So che lo sai.”

 

“Signorina Marchand..?” le chiese Spock, apparendo perplesso “..cosa stava per dire? Lui..?”

 

Arielle guardò Spock. Poi il serpente di lui. Poi di nuovo Spock. Sospirò.

 

“Lui.. è molto pericoloso. Farà del male a tante persone, se non lo fermiamo.”

 

“Questo è chiaro..” confermò Kirk “..che stia chiuso nel suo alloggio senza la possibilità di uscire. E che una guardia stia sempre fuori a controllarlo.”

 

Spock fece per muoversi, probabilmente per attuare l'ordine di Kirk, ma la voce di Arielle lo fece fermare “..non basterà. E' geneticamente superiore.. ricorda?”

 

“Essia. Tre guardie allora.”

 

Arielle non si sentiva affatto più sicura. Sarebbe stato meglio lasciarlo in un pianeta sconosciuto, o rimetterlo nello stato di stasi in cui si trovava, o ucciderlo.. ma sapeva che Kirk non lo avrebbe mai fatto. Per quanto fosse pericoloso, non l'avrebbe ucciso, perché era un uomo onorevole.

 

Sfortunatamente, Khan non lo era.

 



 

*

 



 

Passarono delle ore, ma Arielle non si sentiva affatto meglio. Sapeva di dover fare qualcosa, ma non sapeva cosa.

 

Una parte di lei avrebbe voluto essere più coraggiosa, per poter essere audace abbastanza da diventare una quarta guardia di Khan, per seguirlo furtivamente senza perderlo di vista, per impedirgli di fare qualsiasi orribile cosa avesse in mente di fare, ma aveva troppo paura. Lui era geneticamente superiore agli umani, e quindi anche a lei. Era più intelligente. Più forte. Più resistente. Avrebbe potuto ucciderla con una spinta.

 

Ma avrebbe potuto tenere d'occhio quella tenente di storia che era affascinata da Khan, e che con ogni probabilità avrebbe tradito Kirk per seguirlo. Ricordava bene gli occhi dolci che aveva per Khan durante la cena.

 

Il problema però rimaneva: tenere d'occhio qualcuno, qualcosa in cui non era molto brava. Ed essendo l'unica ragazza in tutta la nave con la vitiligine, beh, sarebbe stata notata facilmente.

 

No, non poteva seguire nessuno dei due. Ma poteva nascondersi. Non aveva idea di quale sarebbe stato il piano di Khan, ma doveva valutare quale stanza gli sarebbe stata utile.

 

O il ponte o la sala macchine o la sala teletrasporti.

Mh.. la vedo dura che sia il ponte.. Khan non rischierà andando nella parte più importante dell'Enterprise con all'interno il Capitano e tutti gli ufficiali superiori..

La scelta era tra la sala macchine e la sala teletrasporti.

Mh.. anche se andasse in sala macchine, io non potrei fare molto.. non sono ancora in grado di stare lì.. però mi è capitato di dover trasportare qualcosa o qualcuno..

 

 

 

 

*

 




 

“Signorina Marchand? Cosa ci fai qui?” le chiese l'addetto alla sala teletrasporti, un uomo sulla trentina dai capelli biondi e gli occhi chiari vestito in azzurro.

 

“Io..” Arielle si guardò intorno alla ricerca di una scusa “..ho perso una cosa l'ultima volta che sono stata qui. La prendo e me ne vado.” spiegò, non appena vide nell'angolo una serie di casse color blu.

 

L'uomo annuì e Arielle si affrettò ad entrare in mezzo a tutte quelle casse chinandosi per bene come se guardasse per terra: se qualcuno fosse entrato, nessuno l'avrebbe vista. Ma dopo una decina di minuti, l'uomo iniziò ad essere infastidito.

 

“Allora?”

 

“Ho quasi fatto!”

 

“Ti serve una ma--”

 

Si sentirono le porte aprirsi. Arielle si inginocchiò e vide grazie ad un buco tra le casse che era entrata quella studiosa di storia che puntava un phaser verso di lui.

 

Lo sapevo che era implicata.

Lo sapevo, dannazione!

 

“Spostati!”

 

L'uomo obbedì, e Arielle sentì il cuore che le batteva forte. Gli occhi della donna erano fissi su di lui e Arielle si trovava alle sue spalle: quello era il momento giusto per coglierla di sorpresa e toglierle l'arma. Ma aveva paura..

 

Coraggio, Arielle.

Coraggio.

 

Quando vide che l'uomo era quasi vicino alle porte, Arielle seppe di non aver più tempo e agì senza pensarci. Fece un balzo e saltò fuori dalle casse, ma la gamba sinistra non si alzò in tempo e il suo ginocchio finì con il colpire le casse. Il dolore non fu indifferente, ma Arielle resse il colpo senza dire una parola e riuscì a saltare addosso alla donna proprio quando questa si stava girando. In un momento le fu sopra e le tolse l'arma, e con la coda dell'occhio vide l'addetto della sala teletrasporti avvicinarsi per aiutarla.

 

Tutto stava andando per il meglio, ma poi..

 

Le porte si aprirono di nuovo.

 

Era Khan.

 

In un attimo, percosse l'uomo facendogli perdere i sensi. Arielle fece di tutto per riuscire a colpirlo in tempo, ma le uscì solo un colpo che non lo centrò nemmeno lontanamente. Khan fu su di lei in un attimo, la afferrò per un braccio e, con la forza di quel solo braccio, la scaraventò via facendola sbattere forte sul pavimento.

 

Arielle inspirò a fatica dal dolore, stringendosi il petto con le braccia, causando altro dolore. Le bastava toccarsi con un dito, e un'esplosione di altro dolore la circondava, come se fosse piena di lividi dalla testa ai piedi.

 

Khan le si avvicinò a passi furiosi. Lei strisciò cercando di allontanarsi, ben conscia che non sarebbe stata in grado di alzarsi.

 

“Questa volta non ci sono i tuoi preziosi capitano e primo ufficiale a proteggerti, ragazzina.” le disse in tono minaccioso.

 

Arielle non fece in tempo a metabolizzare quanto gli aveva appena detto che Khan alzò la sua gamba destra e con il piede colpì, forte, sulla gamba destra di Arielle, scoperta di ogni protezione dato che aveva un vestito, e nulla al mondo l'aveva preparata al lancinante dolore che l'aspettava. Senza poter fare niente per impedirlo urlò, forte, come non aveva mai urlato in vita sua, così forte che le sembrava di sentire male alle orecchie, oltre a tutto il resto. Si sentiva come se qualcuno avesse infilato la sua gamba in un tritacarne, e la parte peggiore era che nonostante il dolore infinito, non si sentiva più la gamba. Ne sentiva solo il dolore.

 

Con la coda dell'occhio guardò la sua gamba. Era tutta rossa, sporca del suo sangue, con una parte bianca.. era l'osso che le era uscito? In più, le sembrava fosse in una posizione strana e innaturale, come se fosse.. spezzata.

 

E poi, o per quella visione o per il dolore o per la paura o per tutte queste cose messe insieme, perse i sensi.

 

 


 

*

 

 


 

Arielle si sentiva ancora addormentata, eppure le voci che sentiva intorno a sé e il dolore lancinante alla gamba provavano che non lo era.

 

Piano!”

 

Bones?

 

Aveva riconosciuto la voce immediatamente.

Provò a parlare, a chiamarlo, ma le uscì solo qualche grugnito.

 

Qualcuno la prese in braccio. Si spaventò, ma era troppo debole e troppo dolorante per controbattere. Poi arrivò la parte peggiore. Quel qualcuno, chiunque fosse, la scaraventò con violenza su una sedia con l'intento di farla stare seduta, e nel fare ciò la sua gamba dolorante toccò il pavimento. Fu un semplice tocco, ma l'agonia che provò fu atroce. Non urlò, ma non riuscì a non emettere un sospiro di sofferenza.

 

“Ho detto piano, dannazione!”

 

La testa le girava, ma dopo vari sforzi e tentativi riuscì ad aprire gli occhi: era seduta in una stanza insieme ad altri membri dell'equipaggio. Alla sua sinistra c'era McCoy e alla sua destra Uhura, ma dopo Uhura le sembrò di vedere anche Scotty e Spock e.. un altro ufficiale di cui non aveva memoria.. o forse lo conosceva ma la sua vista era offuscata dalla sofferenza che provava?

 

Davanti a loro c'erano altri membri dell'equipaggio sempre seduti in delle sedie, e intorno a loro degli uomini vestiti in rosso come Khan, che gli puntavano contro dei phaser. Non aveva la forza di girarsi, ma sapeva che ce n'erano anche dietro di lei. Riusciva a vedere le loro ombre.

 

Khan aveva iniziato a blaterare su come l'uomo fosse rimasto indietro e su come lui fosse superiore o qualcosa del genere, ma Arielle non ci provava neanche a capire cosa stesse dicendo. Non le interessava. Riusciva solo a sentire il dolore alla gamba.

 

“Dov'è il Capitano Kirk?” lo interruppe Scotty di botto, la sua voce chiara e limpida e impavida.

 

E' vero!

Jim!

Non è qui!

 

“Capisco ora di aver fatto un grave errore..” si mise davanti ad Arielle e sollevò il braccio verso di lei, ma la ragazza non fece in tempo a provare paura che si rese conto che in realtà stava indicando Uhura, alla sua destra “..lei è l'ufficiale delle comunicazioni? Accenda lo schermo, per favore.”

 

Arielle non doveva girarsi per sapere che Uhura non aveva mosso un muscolo e stava guardando Khan con fierezza. Riusciva a sentirlo. Ce l'aveva troppo vicina per non saperlo.

 

Khan fece poi un cenno e uno dei suoi scagnozzi arrivò e trascinò Uhura in un'altra postazione con davanti un monitor. Nel prenderla aveva finito con il toccare anche Arielle, ma Bones mise un braccio tra lui e la sua gamba, per impedirgli di toccarla.

 

Quando Uhura si rifiutò nuovamente di muoversi, quell'infame che l'aveva trascinata la colpì forte, e mai come allora Arielle odiò il non riuscire a muoversi. Fece per colpirla di nuovo, ma la studiosa di storia che lei aveva attaccato nella sala teletrasporto lo impedì. Arielle ne sarebbe stata sorpresa, se non fosse stata troppo dolorante per pensare.

 

“Avrei dovuto rendermi conto che farvi soffocare insieme sul ponte..” ricominciò Khan, poi guardò Arielle per un attimo “..o spezzarvi solo un arto invece che due..” cambiò nuovamente lo sguardo “..avrebbe creato tra di voi un cameratismo eroico.. ma è una cosa diversa rimanere seduti e vedere che succede ad un altro..” sorrise “..accenda lo schermo.”

 

Si sentì un beep beep che ebbe su di lei l'effetto di una martellata nella testa. Sentì che lo schermo principale si era acceso, ma lei non riusciva a girare la testa per guardare. Poteva solo vedere con la coda dell'occhio.

 

“Sono sicuro che lei riconosce la camera medica di decompressione, dottore.. il vostro Capitano morirà..”

 

Arielle sentì un brivido lungo la schiena, ma non seppe dire se era la paura o la rabbia.

 

“Se si unisce a me, signor Spock, gli risparmierò la vita. La mia astronave era inservibile e ho bisogno di lei e dell'Enterprise per scegliere un pianeta con una popolazione disposta ad essere guidata da noi.”

 

Arielle avrebbe riso se ne avesse avuto la forza.

 

Caschi male, Khan.

Spock non ti aiuterà mai.

Mai.

 

“Ad essere conquistata da voi. E una astronave renderebbe la cosa molto semplice.” puntualizzò Bones, dicendo a parole quello che tutti stavano pensando.

 

“Ognuno di voi a turno entrerà lì dentro!” sbottò Khan alzando notevolmente la voce, ma questa volta Arielle non si lasciò spaventare “..a morire! Mentre gli altri guarderanno!”

 

A quel punto la studiosa di storia disse qualcosa con Khan e poi uscì, ma Arielle non riuscì a registrare cosa si dissero. Non aveva importanza. Il dolore alla gamba era ancora forte, ma a poco a poco si rese conto che i suoi sensi e la sua mente stavano tornando ad essere operativi. Era istinto di sopravvivenza? O la rabbia che aveva per Khan era tale che il suo corpo si stava sforzando di apparire più forte di quanto fosse in realtà per non dargliela vinta?

 

“Se uno di voi si unisce a me.. chiunque, gli risparmierò la vita.”

 

Nessuno emise un suono. Nessuno deglutì. Non si sentiva nemmeno respirare. Nessuno che sbatteva le palpebre. Il nulla. Arielle si sentiva molto orgogliosa di essere in mezzo ad un equipaggio tanto eroico, senza però rendersi conto che nemmeno lei emetteva un suono. Aveva paura.. era terrorizzata.. ma la rabbia e il dolore offuscava la paura che, sebbene la minaccia di morte e la consapevolezza che Khan l'avrebbe messa in atto, si faceva sempre più insignificante.

 

Khan la guardò. Arielle era stanca, dolorante e confusa, confusa dal non sentirsi spaventata tanto quanto si sarebbe aspettata, ma ciò nonostante non diede segni di cedimento. Mise le mani sulla sedia come per sorreggersi, come per farsi più alta, senza smettere di guardare Khan. Nel farlo mosse accidentalmente la gamba causando una nuova ondata di dolore, ma si morse le labbra per impedire che dalla bocca le uscisse il più piccolo suono.

 

“Non ci tenete alla vita?!?” urlò Khan, in preda al furore.

 

Arielle mantenne lo sguardo, resistendo persino ala tentazione di sbattere le palpebre.

 

Seguirono altre parole, quasi vuote e prive di significato, finché non arrivarono quelle temute da tutti “il Capitano è morto”.

 

Sentì la mano di Bones sul suo braccio, come per confortarla.

 

“Sarà il signor Spock, il prossimo.”

 

Spock si alzò e seguì uno degli uomini di Khan, mentre Arielle lo seguiva silenziosamente con gli occhi per quanto le fu possibile.

 

Passò qualche minuto. Arielle si sentiva sempre più vuota e quando i suoi occhi iniziarono a lacrimare, la presa di McCoy si fece sempre più salda e forte. Sentiva ancora qualcuno parlare, probabilmente Khan, ma si trattava di voci che sembravano così lontane.. così distanti..

 

Poi.. un rumore. Da un piccolo condotto, entrò del gas nella stanza. Sembrava.. vapore? Alcuni ufficiali si ribellarono. Vide Scotty che riuscì a colpire uno degli uomini di Khan.

 

Poi Arielle si sentì presa in braccio da qualcuno. Una presa familiare, questa volta. Era.. Bones?

 

Poi chiuse gli occhi.

 

 



 

*

 

 

 

 

Al suo risveglio sentiva ancora dolore alla gamba, ma confronto a quello che provava prima era il paradiso: era su uno dei letti dell'Infermeria, con il corpo ben sdraiato sul comodo materasso e la testa sul soffice cuscino.

 

Sono sempre stati così comodi i letti dell'Infermeria?

C'ero già stata, eppure.. sembravano molto più comodi di quanto li ricordassi.

 

A vegliare su di lei, come sempre, c'erano Kirk, Spock e McCoy.

 

Jim? Jim?

Sei vivo?

Sei--

 

Notò il serpente dietro di loro, accovacciato su uno dei letti vuoti dell'Infermeria.

 

Mh.

Ma certo.

Certo che è vivo.

 

“Khan?” chiese di getto, prima che chiunque altro parlasse.

 

“Esiliato.”

 

Esiliato..

 

Ormai conosceva bene Kirk, eppure si sorprendeva ancora del suo buon cuore, per poi vergognarsi del suo.

 

Esiliato.. io l'avrei ucciso per quello che ha fatto..

 

“Non potrà più farti del male.”

 

Non è di me che ho paura” fu sul punto di dire la ragazza, guardando Spock senza neanche accorgersene.

 

“Quando eravamo nella mia stanza..” fece Kirk “..sembrava fossi sul punto di dire qualcosa. Qualcosa che non hai detto. Sai altro su Khan?”

 

Arielle si morse le labbra piena di dubbi. Guardò nuovamente dietro di loro alla ricerca del serpente, ma l'animale era sparito. Di nuovo, senza accorgersene, guardò Spock. Lo guardò piena di timori e sensi di colpa.

 

“Mi dispiace, signor Spock.”

 

Il vulcaniano parve confuso “..per cosa, signorina Marchand?”

 

Continuò a guardare il vulcaniano fino a quando non sentì i suoi occhi inumidirsi di nuovo. Poi si rivolse a Kirk. “No. No, non so altro su Khan.”

 

 




 














Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** C'era una Volta - Capitolo 13 ***









C'ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 13

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopravviverei.”

 

Era stato questo il consiglio di Edmond. Consiglio che in un primo momento era sembrato saggio e ponderato a Nolwenn, ma man mano che il tempo passava e più a lungo ci pensava, meno le piaceva.

 

Sicuramente Edmond aveva seguito quel consiglio, questo senza alcun dubbio, e questa era una delle ragioni principali per cui Nolwenn non era propensa a seguirlo.

 

Forse Edmond era un sopravvissuto, da cosa solo lui lo sapeva, ma non era altro. A volte le capitava di osservarlo, e la sera quando cercava di addormentarsi ripensava a quanto vedeva ogni giorno. Edmond si alzava, lavorava tutto il giorno spaccandosi le ossa per far sì che suo figlio, e a volte anche lei, avessero qualcosa da mettere sotto i denti. Qualcosa che era o una delle mele che crescevano sui suoi alberi o una zuppa inspida perché non poteva permettersi altro. Tutto il giorno. Tutti i giorni.

 

Non c'era altro nella sua vita.

 

Il suo rapporto con Mathieu sembrava, almeno secondo Nolwenn, freddo e distaccato. Non aveva alcun dubbio che tenesse a suo figlio, ma non è che lo dimostrasse particolarmente. Di rado era affettuoso con lui, e non li aveva mai visti giocare o scherzare insieme. Qualche volta lo abbracciava, ma erano sempre abbracci rigidi, strani,.. forzati.

 

Nolwenn era lì da mesi ormai, eppure non aveva mai visto nessuno che fosse venuto a trovarli. Quando andavano in paese e lei li accompagnava, nessuno li salutava con particolare affetto, e le uniche conversazioni che Edmond aveva con qualcuno erano puramente professionali. A volte Mathieu si metteva a giocare con qualche bambino della zona, ma se Edmond non stava lavorando in quel momento, tutto quello che faceva era guardarlo da lontano e aspettare.. aspettare cosa? Che Mathieu avesse finito di giocare? Che quello che l'aveva portato lì si fosse concluso? Un miracolo?

 

Non aveva mai riso. Non l'aveva mai visto ridere, tranne quelle volte in cui rideva di lei.. ma quelle erano risate di scherno, non di gioia.

 

La verità era che Edmond era solo. Solissimo. E triste. E morto dentro. E spesso quando lo guardava, Nolwenn si chiedeva se lui ne fosse consapevole. Non voleva finire come lui.

 

Io non voglio sopravvivere.

Io voglio vivere.

 

Davvero la scelta era tra questo e la morte?

Davvero non c'era una terza opzione?

Nolwenn si rifiutava di crederlo.

 

E poi c'era Stephane..

 

Iniziò ad accarezzare la forcina che aveva tra i capelli, riuscendo a sentire attraverso le dita la debole luce.. che si faceva sempre più debole.

 

“Stai pensando al tuo principe?” le chiese Mathieu, sporgendosi verso di lei dal divano in cui era sdraiato.

 

“Qualche volta.” sorrise lei, smettendo di toccare l'oggetto sentendosi improvvisamente una stupida e ricominciando a spazzare per terra.

 

Quando ebbe finito con il piccolissimo salotto, iniziò a pulire la zona cucina con i banconi e tutto il resto. Fortunatamente Edmond non c'era al momento, quindi avrebbe potuto pulire con calma, anche se probabilmente al suo ritorno si sarebbe lamentato della sua velocità o della qualità del lavoro. Si chinò leggermente in avanti per passare un vecchio straccio su uno dei banconi, quando..

 

..sentì di perdere improvvisamente l'equilibrio.

 

Nel panico, si aggrappò al bancone davanti a sé per paura di cadere, e quando fu chiaro che non sarebbe caduta, lasciò la presa e guardò verso il basso.

 

Il suo piede destro, quello più vicino al bancone, era andato a sbattere contro una piccola superficie di legno, che bloccava il piede dall'avanzare. Si chinò per spostarlo, e fu allora che capì da dove era spuntato fuori quel pezzo di legno.

 

Era il legno del pavimento che, vecchio e mal ridotto, doveva essersi rovinato con il tempo e il movimento del suo piede lo aveva fatto quasi staccare e mettere verticalmente.

 

Oh no.

Oh no.

Oh no.

Ti prego, dimmi che era così anche prima.

Che non sono stata io.

Edmond mi ammazza.

Questa volta mi butta fuori per davvero.

 

Allungò le dita per metterlo a posto il più delicatamente possibile cercando di non fare altri danni, ma prima che potesse anche solo toccarlo si accorse che sotto il pavimento, visibile ai suoi occhi grazie a quel piccolo pezzo di legno che si era spostato, c'era qualcosa. Nolwenn sapeva che non erano affari suoi, che non doveva ficcare il naso e rimettere le cose esattamente come erano prima, ma la tentazione di guardare dentro per capire cosa ci fosse fu troppo grande per riuscire a resistere.

 

Lo spazio che le permetteva di vedere cosa ci fosse al suo interno era molto piccolo, ma riuscì comunque a capire che sotto c'era un altro pezzo di legno. Un legno più scuro, molto più rigido e antico, rovinato da quella che sembrava ruggine. Un legno che appariva grosso di spessore, almeno cinque centimetri. Sopra doveva esserci scritta una parola, perché riuscì a vedere qualche lettera scolpita sul legno. La prima e la terza lettera erano impossibili da decifrare, ma quella centrale era sicuramente una “M”.

 

Sotto a quella tavoletta di legno, c'era qualcos altro. Avvicinò il volto e sforzò gli occhi. Era.. qualcosa di grigio,... erano.. pagine?? Pagine di un libro forse?

 

Ma perché nascondere una tavoletta di legno e un vecchio libro sotto il pavimento? E cosa ci fa un contadino?

 

“Va tutto bene?” le chiese d'un tratto Mathieu.

 

Dallo spavento, la ragazza scattò in piedi come un marine “sì.. io..” si chinò nuovamente e rimise a posto la superficie di legno così come doveva essere, nascondendo nuovamente ciò che c'era sotto “..tutto bene”.

 

Mathieu non sembrava convintissimo della sua risposta, ma non aggiunse altro.

 

Successivamente Nolwenn riprese il suo lavoro di pulizia, ma continuava a pensare a quegli strani oggetti che aveva trovato sotto il pavimento. Dopo un paio d'ore circa, decise di approcciare Mathieu al riguardo. Sapeva che non era la migliore delle idee, ma quel piccolo mistero era la cosa più interessante che fosse successa ultimamente, e chiedere a Mathieu era pur sempre preferibile a chiedere a Edmond, come per tutte le altre cose, del resto.

 

“Mathieu..” il bambino alzò la testa per guardarla non appena lei fece il suo nome “..tu sai per caso.. se c'è qualcosa sotto il pavimento?”

 

Va bene la curiosità, ma Nolwenn non era stupida. Meglio restare sul vago, come se fosse una sensazione, piuttosto che ammettere di aver, probabilmente, danneggiato in modo permanente la casa.

 

“Sotto il pavimento?”

 

“Sì, io..” pensa Nolwenn pensa “..mentre pulivo i banconi, ho sentito sotto ai piedi qualcosa, come se la superficie fosse diversa..”

 

Speriamo che sia una scusa convincente.

 

Evientemente lo era, perché Mathieu si morse la labbra, come se non sapesse se parlare.. e quanto parlare.

 

“Sì.”

 

“Sì?”

 

“Sì, c'è qualcosa.” fece timidamente Mathieu, accarezzandosi le dita nervosamente.

 

Nolwenn aspettò qualche secondo pensando che avrebbe continuato, ma quando non lo fece provò ad incalzarlo.

 

“C'è qualcosa? Che cosa?”

 

“Io.. io non lo so..”

 

Quella era una risposta che Nolwenn decisamente non si aspettava.

 

“Come non lo sai?”

 

“Io non..” tentò nuovamente il bambino “..non so cosa ci sia. Mio padre non mi ha mai permesso di guardare. Però so che c'è qualcosa.”

 

Oh cazzo.

Se non ha mai permesso a suo figlio, al suo stesso figlio, di guardare o sapere cosa ci fosse lì dentro, cosa farebbe se sapesse che io l'ho visto e saputo??

 

“Mi ha detto che lì c'è il suo tesoro.”

 

“Il suo.. tesoro?” Quando Nolwenn pensava ad un tesoro, si immaginava uno scrigno colmo di monete d'oro, non un pezzo di legno rovinato e un vecchio libro. A meno che..

 

..non fossero oggetti magici.

 

“Gli oggetti più importanti per lui al mondo. Il suo bene più prezioso. Ciò che tiene di più al mondo.”

 

Voglio sperare che ciò a cui tiene di più al mondo è suo figlio, non due vecchi oggetti sepolti nella polvere.

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

Per la sorpresa di assolutamente nessuno, quella sera a cena ci fu una zuppa di cipolle. A Nolwenn iniziava davvero ad andare di traverso quella robaccia che stava ingoiando tutte le sere, peggio di quello c'era solo il non mangiare, e non seppe dire se fu più difficile mangiarla o fingere che le piacesse. Probabilmente la seconda.

 

Quando Nolwenn stava per ingoiare la quarta cucchiaiata, vide alla finestra qualcosa che attirò la sua attenzione. Ad una prima occhiata parve una semplice ombra, ma dopo averci prestato più attenzione, si accorse che si trattava della volpe. Si vergognò quasi di non averla individuata immediatamente, ma la stanchezza per il lavoro eseguito quel giorno non sufficientemente ricompensato da quel misero pasto aggiunto alla notte che si stava avvicinando le aveva impedito di capire subito di cosa si trattasse.

 

Si scrutarono a lungo, fino a quando..

 

“Brilla!” esclamò Mathieu.

 

Nolwenn riportò la sua attenzione ai due con cui stava cenando.

 

“Come?”

 

“Il tuo fermaglio! Brilla!”

 

“Davvero?”

 

Nolwenn fece cadere il cucchiaio al che Edmond la sgridò dicendole di fare attenzione e di non danneggiare il tavolo, ma Nolwenn lo ignorò come era solita fare e si affrettò a prendere il fermaglio. Quando riuscì a staccarlo dai capelli e a guardarlo, notò che effettivamente brillava come non aveva mai brillato fino a quel momento. Sembrava che avrebbe potuto brillare di più, come se non fosse ancora al massimo, ma era comunque più brillante di quanto fosse mai stato.

 

“Significa che il tuo principe è vicino?”

 

Nolwenn sorrise senza accorgersene “Sì.. sì può darsi.” iniziò a guardarsi intorno quasi in preda all'esaltazione, come se si aspettasse che Stephane avrebbe bussato alla porta da un momento all'altro “Forse.. forse dovrei andare a cercarlo.”

 

Edmond sbuffò. “Vai, vai.” borbottò, con tanto di gesto con la mano.

 

“Pensi che non riuscirò a trovarlo?”

 

“Penso che non riuscirai a restare viva abbastanza a lungo da capire dove si trova.”

 

Il tono di Edmond riuscì a smorzare l'entusiasmo di Nolwenn, non in modo eccessivo, ma comunque abbastanza da irritarla.

 

“Ci riuscirò.”

 

“Davvero?” fece in tono divertito Edmond, quasi con scherno.

 

“Pensi che non riuscirei a farcela da sola?” si pentì di quelle parole nel momento stesso in cui le uscirono dalla bocca, ma ormai era troppo tardi.

 

“Vuoi davvero che ti risponda?”

 

Nolwenn sentiva che stava per controbattere, ma sapeva che se l'avesse fatto non sarebbe mai finita bene. Sospirò, cercando di trattenersi, e parlò nuovamente solo quando fu sicura che si trattasse di qualcosa di tranquillo.

 

“Sai una cosa? Non importa.” guardò nuovamente alla finestra e, sebbene non vedesse più la volpe, sapeva che c'era, ne sentiva la presenza “..non ho paura.”

 

“Dovresti.” disse Edmond, per nulla impressionato dal discorso della ragazza.

 

Nolwenn scosse la testa.

 

Edmond le ricordava sé stessa.

Le ricordava ciò che era quando era arrivata in questo mondo. Persa, smarrita, che vedeva sempre il lato negativo, che viveva nella paura, che non riusciva a trovare.. la luce.

 

Ma ora la luce l'aveva trovata. Poteva toccarla. Vederla. Poteva addirittura percepirla.

 

Non era certa che fosse la luce di cui parlava la volpe, quella che avrebbe salvato quel mondo, ma era luce. La sua luce.

 

Non sono una principessa Disney.

Diavolo, probabilmente non sarò mai una principessa Disney.

Ma sono un personaggio Disney.. sì lo sono.

Non sono sola.

Smarrita? Forse, ma non spaventata.

Ho degli amici.

Ho qualcuno che tiene a me.

Ho un principe che mi sta aspettando.

Ho la luce.

E un vecchio e brontoloso contadino non me la toglierà, perché anche se lui non ha avuto il suo lieto fine, non significa che sarà lo stesso per me.

 

“Io non sono sola.” ripeté più a sé stessa che a Edmond, poi lo guardò dritto negli occhi “..non ho bisogno di sopravvivere. Io posso vivere. Ho un principe che tiene a me, non dovrò più occuparmi di nulla.” chiuse gli occhi, immaginandosi la sua futura vita con quel bellissimo uomo in un castello favoloso, circondata di comodità, di abiti vistosi, di un pasto delizioso e abbondante due volte al giorno, il tutto senza dover più muovere un dito “..non dovrò più lavorare, quello che mi aspetta è un castello e zero preoccupazioni. Sono a posto.” quasi quasi le venne da ridere, ma era una risata gioiosa.

 

Ma Edmond non rise. “Una donna con sani principi morali.”

 

Nolwenn fece una risatina in risposta, ma solo in un secondo momento temette che lui l'avesse presa seriamente. Che pensasse veramente che lei era interessata a Stephane solo perché era un principe. Pensò di puntualizzare che stava scherzando, ma poi si limitò a scrollare le spalle.

 

Che vuoi che mi importi di cosa pensa Edmond?

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

Qualche ora più tardi, dopo che Mathieu era andato a letto e Edmond era andato fuori a prepare qualche mela che avrebbe venduto l'indomani al mercato del paese, Nolwenn si trovò nuovamente nella zona cucina a pulire i piatti, e quando gettò una rapida occhiata al pavimento, la sua mente ritornò a quegli strani oggetti. In effetti fu sorpresa di non averci pensato tanto a lungo.

 

Va bene la tavoletta di legno.. ma un libro? Cosa ci fa un contadino con un libro? Edmond sa leggere? Ne dubito. Hanno a mala pena abbastanza monete per mangiare, non penso che da bambino sia mai andato a scuola.

 

Inizialmente aveva pensato che quegli oggetti fossero tanto preziosi per lui perché erano magici, ma non le sembrava più tanto probabile. Anche se li aveva visti per poco e solo in parte, non aveva visto tracce di magia in essi, e per quanto ne sapesse poco o niente di magia, si era sempre immaginata che la magia fosse ben visibile all'occhio umano. Sicuramente lo era nel mondo Disney.

 

Poi ebbe l'illuminazione.

 

Sua moglie!

La madre di Mathieu!

Forse quegli oggetti appartenevano a lei, o comunque erano legati a ricordi che aveva con lei!

Come ho fatto a non pensarci prima?!?

La tavoletta di legno..

C'era una “M”.

Forse era scolpito il nome di sua moglie?

Oppure erano scolpiti entrambi i loro nomi, e quella “M” era la “M” di Edmond?

 

“Non hai ancora finito?” la voce di Edmond, che nel frattempo era rientrato, l'aveva fatta sobbalzare “quanto sei lenta, maledizione.”

 

“Ho.. ho finito proprio adesso.”

 

“Allora vai. Nel capanno.”

 

“Nel capanno?” ma ultimamente avevo dormito sul divano, ritornare al capanno era un gran passo indietro “..credevo..”

 

“Credevi male. Capanno.”

 

Nolwenn non riuscì a trovare una ragione valida per insistere ulteriormente, così si asciugò le mani con l'intenzione di fare quanto aveva detto, ma d'un tratto si sentì coraggiosa.

 

Non ho paura di andare a cercare Stephane da sola, perché dovrei avere paura a fare una semplice domanda?

Ma non posso chiedere e basta.

Devo iniziare nel modo giusto.

O non avrò mai una risposta, e la mia sete di curiosità non verrà mai soddisfatta.

 

“Cosa stai aspettando?” sbottò Edmond.

 

Lei si girò per guardarlo. Era incerta, ma anche risoluta. “C'è una cosa che non ho mai avuto occasione di dirti..”

 

“Davvero? Tu? Tu che non sei riuscita a dire qualcosa? Lo ritengo altamente improbabile.”

 

Nolwenn lo ignorò “..mi dispiace..” fece una pausa “..per tua moglie.”

 

Edmond la guardò come se pensasse di non aver capito bene. Non appariva triste o sconvolto o arrabbiato, solo.. confuso.

 

“Come?”

 

“Non deve essere stato facile crescere Mathieu da solo.”

 

“No, in effetti no, non lo è stato. Ma non per quello che pensi tu.” ora fu lui a fare una pausa “..non sprecare i tuoi dispiaceri per mia moglie."

 

Il modo in cui Edmond aveva detto “mia moglie” mise a disagio Nolwenn e non poco. Aveva detto quelle parole come se si trattasse di uno scarafaggio disgustoso e subdolo. Fu come se si sentisse offesa da parte della donna, come se fosse lei “la moglie”. Non seppe però dire se il suo dispiacere improvviso fu dovuto per la sensazione strana che provava nel vedere il sosia di Jaime Lannister che era sempre stato un romantico parlare in modo così dispregiativo della donna che aveva sposato e della madre di suo figlio o se invece era dovuto dal fatto che questo andava a distruggere il delizioso filmino romantico che si era fatta da sola nella sua testa immaginandosi chissà quale amore che era stato distrutto dalla morte di quella donna.

 

“Scusa io.. ma..” Nolwenn non sapeva nemmeno cosa dire, non sapeva nemmeno cosa pensare “..era la madre di tuo figlio.”

 

“Lo era.” Edmond si guardò intorno e gettò una rapida occhiata alla camera di Mathieu, come per assicurarsi che stesse dormendo e che non stesse sentendo una sola parola di quello che si stavano dicendo “..ma era anche una stronza.”

 

“Tu non l'amavi.”

 

“No.” disse schiettamente “..e ti assicuro che neanche lei amava me.”

 

Nolwenn era senza parole.

 

Ci credo che Edmond non ha avuto il suo lieto fine!

Ha sposato qualcuno che non amava e che non l'amava.

 

“Io.. scusa ma io non capisco.. perché vi siete sposati allora?”

 

“Era l'unica cosa che potessi fare.”

 

D'un tratto, Nolwenn provò un'immensa pena per lui.

Pena e compassione.

 

“Non ti è dispiaciuto neanche un po' quando è morta?”

 

Edmond la guardò perplessa. “Morta? Non è morta.”

 

Ora era Nolwenn ad essere perplessa. “Ma.. Mathieu.. Mathieu aveva detto che se ne era andata quando era piccolo..”

 

“E infatti è proprio quello che ha fatto. Se ne è andata. Nel senso che ha preso le sue cose, è uscita da quella porta e se ne è andata.”

 

“Oh..”

 

“Ha poca importanza, comunque. Tanto ora è probabilmente morta.”

 

“Ma.. ma perché avete avuto un figlio? Se neanche vi amavate, perché avete deciso di avere Mathieu..?” Nolwenn adorava Mathieu, ma persino lei che non era una madre sapeva che non si dovrebbe mai mettere al mondo un figlio se c'è solo odio e disprezzo tra i genitori.

 

Per la prima volta da quando era iniziata quella conversazione, Edmond appariva turbato. Sembrava passare dalla rabbia alla tristezza al rimpianto e alla confusione. Aprì la bocca per parlare, ma..

 

“E quello da dove è entrato?”

 

A qualche metro da loro, proprio nel punto in cui sotto il pavimento il contadino nascondeva il suo prezioso tesoro, c'era la volpe.

 

Edmond prese una scopa per scacciarla, ma Nolwenn si mise in mezzo.

 

E poi accadde tutto in fretta.

 

Edmond aggirò velocemente Nolwenn e cercò di allontanare l'animale, ma questo finì con il salire sulla ragazza, posandosi sulla sua spalla. Quando il contadino si avvicinò di nuovo con la scopa, la volpe schizzò fuori dalla casa passando per la finestra, e nel fare ciò Nolwenn sentì il piede destro che si era ficcato in qualcosa, ma questa volta non riuscì ad aggrapparsi al bancone. Cadde e...

 

..cadde proprio in quel punto. La superficie di legno del pavimento che si staccò, questa volta del tutto, fu grande almeno otto volte quanto lo era stata ore prima.

 

Ormai il danno era fatto.

 

Calò il silenzio, ma Nolwenn sapeva che Edmond era furioso come non lo era mai stato. Non stava urlando. La guardava e basta. Ma lo sapeva. Era impossibile non vederlo. Sembrava sul punto di esplodere. Nolween arrivò addirittura ad averne paura.

 

“Mi dispiace.. oddio mi dispiace tanto! Io.. rimetterò tutto a posto.. lo giuro..”

 

“No.”

 

“No?”

 

“No. Basta compromessi. Basta ritardi. Basta tutto. Fuori.” sussurrò Edmond.

 

“Fuori.. nel capanno?”

 

“No. Ti voglio fuori dalla mia proprietà.”

 

Edmond continuava a sussurrare, ma Nolwenn sapeva che lo stava facendo solo per contenere l'immensa ira che stava provando, riusciva a vederlo dallo sguardo che aveva negli occhi, dalla mascella rigida e dal modo in cui ancora stringeva la scopa.

 

“Non.. non stai dicendo sul serio..” parlava più a sé stessa che a Edmond.

 

“E invece sì. La pacchia è finita.”

 

“Posso.. posso almeno salutare M--”

 

“FUORI!”

 

L'ira era esplosa.

 

Edmond urlò tanto che a Nolwenn fecero male le orecchie. L'uomo fece per prenderla per un braccio, probabilmente per trascinarla fuori, ma Nolwenn si allontanò per impedirgli di toccarla. Non avrebbe permesso che accadesse di nuovo.

 

“Hai cinque secondi per uscire da casa mia. Altrimenti sappi che ho una spada che so usare. Se ti rivedo anche solo vicina alla mia proprietà, ti faccio arrestare. Te lo giuro sugli Dei.”

 

Da sola, lasciò l'abitazione. Probabilmente per sempre.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 13 ***







QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 13












Yvonne si trovava nello stadio durante la prima partita di Quidditch di Harry ma, onestamente, era come se fosse altrove.


Sicuramente lei lo avrebbe preferito.


Noia.
Noia assoluta.
Ma cosa ci trovano tutti quanti nel Quidditch?
Ma soprattutto.. cosa accidenti mi è preso quando ho detto che ci sarei stata?
Ora sono costretta a sorbirmi questo strazio.. vicino a Weasley per di più!


Era arrivata quella mattina insieme a Hermione in effetti ed era vicino a lei che aveva intenzione di sedersi, ma poi la folla si era fatta notevole, con tanto di Weasley e Neville. Non appena vide quest'ultimo mettersi accanto a Hermione, Yvonne slittò in fretta accanto a Ron, in modo che ci fossero sia lui sia Hermione a dividerla da Neville.


La partita era iniziata e... purtroppo non era ancora terminata.


Yvonne non ne poteva più: non faceva altro che guardare l'ora, attività che la rendeva ancora più irritata perché le lancette sembravano non muoversi. E come se tutto questo non bastasse, c'era una calca infinita di gente e urla e fischi e tutti i rumori più fastidiosi e assordanti possibili.


E per cosa poi? Per dei tizi che volano sulle scope? Essendo il campo gigantesco, a mala pena poteva vederli. Riusciva a riconoscere Harry quando volava davanti al suo raggio visivo solo ed esclusivamene perché era l'unico membro della squadra ad essere del primo anno, quindi era facilmente riconoscibile.


Perché sono tutti così esaltati?
Perché urlano tutti in questo modo?
Io davvero non capisco.
Che sport sopravvalutato.


Ad un certo punto si era stancata anche di stare in piedi, così si era messa a sedere mentre tutti gli altri erano in piedi, ma Ron e Hermione si erano preoccupati e le avevano chiesto se stava bene, e anche qualche altro studente a lei sconosciuto la guardava male per il semplice fatto che era seduta, così si trovò costretta ad alzarsi.


A quanto pare stare seduti durante una partita di Quidditch non era ritenuto accettabile.


Poi..


“Che gli è preso alla scopa di Harry?”


Yvonne alzò lo sguardo e vide Harry che faticava ad avere il controllo della scopa, come se venisse spintonato da una forza esterna a cadere e si sentì subito meglio. Non perché Harry rischiava di cadere, sapeva che non sarebbe successo, e poi, per quanto non gli piacesse Potter, non era una psicopatica che godeva nel vedere gli altri soffrire, ma perché sapeva che poco dopo Harry avrebbe catturato il Boccino e la partita sarebbe finalmente finita.


Ma c'era il risvolto della medaglia, ovviamente..


“E' Piton! Getta il Malocchio sulla scopa!”


Yvonne si morse le labbra così forte che sentì qualche goccia di sangue tra i denti. Fece ricorso a tutta la sua buona volontà per non arrabbiarsi con Hermione perché aveva dato per scontato che era stato Piton, quando era un altro l'insegnante responsabile.


“Il Malocchio sulla scopa? Che cosa facciamo?”


“Ci penso io.” Hermione passò il binocolo a Ron e si allontanò per andare esattamente dove era previsto.


Cazzo, Hermione.
Raptor.
E' Raptor.


Yvonne si morse nuovamente le labbra, questa volta più piano perché non voleva sentire altro del proprio sangue dentro la bocca. Avrebbe voluto dire a Hermione che si sbagliava, che non era Piton, voleva incoraggiarla ad usare il suo fottutissimo binocolo per controllare Raptor, così avrebbe visto che anche lui bisbigliava qualcosa. Che era lui il responsabile. Ma tutto ciò avrebbe comportato una perdita di tempo, tempo durante il quale Harry sarebbe potuto cadere, e in fin dei conti, anche se Hermione riteneva Piton il colpevole, con l'escamotage che aveva in mente avrebbe distratto anche Raptor, quindi..


..tutto sarebbe andato come sarebbe dovuto andare.



















 
*




















“Sciocchezze.. perché Piton avrebbe fatto il Malocchio alla scopa?”


Grazie, Hagrid.
Uno sano di mente allora c'è.


Dopo la partita, quella cagata del “Piton è il cattivo” era continuata, soprattutto quando Hermione aveva raccontato a Harry dei suoi sospetti che però dava per certi, facendo irritare Yvonne ancora di più.


In verità, Yvonne davvero non stava capendo perché era ancora in mezzo a loro. Aveva in mente di sparire non appena la partita si fosse conclusa, ma sembrava fuori luogo dato che lei era apparteneva alla casata che aveva vinto. Così aveva aspettato una decina di minuti, tempo durante il quale aveva finto di essere al settimo cielo per la vittoria quando di fatto le importava meno di niente, ma poi Hermione le aveva proposto di andare a trovare Harry e vedere come stava. Bene, andiamo a trovare Harry. E poi, per un motivo o per un altro non era più riuscita ad andare via e ora si ritrovavano a parlare con Hagrid, alias l'unica voce della ragione.


“Chi lo sa? Perché cercava di superare il cane a tre teste a Halloween?” chiese in risposta Harry.


“Chi vi ha parlato di Fuffi?”


“Fuffi?”


“Quel coso ha un nome?”


Sì, Hermione.
Quell'animale ha un nome.
Come tutte le creature senzienti in questo mondo.


“Ma certo che ha un nome. E' mio. L'ho comprato da un irlandese che ho conosciuto al pub l'anno scorso. L'ho prestato a Silente così sorvegliava..”


“Sì?”


“Non dovevo dirlo.. niente più domande! Non mi fare più domande! E' una cosa segretissima.”


“Ma Hagrid.. quello che Fuffi sorveglia.. Piton sta cercando di rubarla!”


Yvonne sospirò.


Stai calma, Yvonne.
Calma.


“Sono baggianate. Il professor Piton è un insegnante di Hogwarts.”


“Oh, sarà pure quello che vuoi, ma riconosco un incantesimo quando lo vedo. So tutto sull'argomento: devi mantere il contatto visivo e lui non sbatteva le palpebre!”


“Esatto!”


Per Yvonne fu davvero troppo.


“Non è stato Piton.”


Tutti e quattro si girarono a guardarla. Hagrid sembrava soddisfatto, mentre gli altri tre confusi. Yvonne sentì qualcosa alla sua spalla destra, come se ci fosse qualcuno accanto a lei, ma lo ignorò completamente.


“Lui..” tentò Hermione.


“Non sbatteva le palpebre, okay. Ma era forse l'unico in tutto lo stadio? Hai controllato tutti gli altri? Hai controllato gli altri insegnanti? Poteva essere chiunque altro.”


“Ma lui era anche..” tentò Harry, e Yvonne sapeva benissimo a cosa stava alludendo.


“Non sai cosa stesse facendo lì. Nessuno di noi lo sa. So che Piton appare sospetto e non ispira grandi simpatie, ma non dovreste accusare qualcuno senza avere prove inconfutabili, e queste non lo sono.”


Harry, Ron e Hermione non risposero, ma sembrava stessero valutando quello che lei aveva detto.


“Brava, Yvonne.” si congratulò Hagrid “dovreste ascoltarla più spesso.” aggiunse, rivolgendosi al trio.


Oh, Hagrid.
Sei il migliore.
Vorrei avere te come miglior amico, non questi tre.


Seguì una pausa durante la quale Hagrid sospirò, poi parlò di nuovo.


“Ora statemi a sentire.. tutti e cinque voi..”


Yvonne sgranò gli occhi così tanto che quasi le fecero male.


Aspetta.. cosa?
Cosa?
Cinque?
Come cinque?
Chi è il quinto?
C'è una quinta persona?


Solo allora si ricordò della presenza che aveva sentito al suo fianco un istante prima.


Si girò e vide..


..Neville??


Neville?
Neville era qui? E' stato qui tutto il tempo??
Come ho fatto a non accorgermene?
Perché non ha detto niente?
Ma perché è qui??
Non avrebbe dovuto essere qui?

Non c'era nella storia originale!
Di sicuro non nei film.


Nel frattempo anche Neville si era accorto che si era girata, così voltò lo sguardo anche lui e la guardò. Yvonne si sentì sprofondare perché molto probabilmente aveva un espressione allucinata e stupida sul volto. Si voltò di nuovo e vide che Hagrid era già sparito.


Oh cavolo, mi sono persa qualcosa che ha detto.
E ora Neville sa di Fuffi?
Perché sta andando tutto storto?



















 
*




















Yvonne si era aspettata che dopo tutte le volte in cui era stata brusca e scortese con Harry, Ron e Hermione, questi si sarebbero stufati e non l'avrebbero voluta più intorno, eppure continuavano a coinvolgerla nei loro affari. Ormai era diventato così naturale averli intorno che era arrivata ad aspettarsi di sentirli chiamare il suo nome e invitarla a fare qualcosa con loro, che fosse indagare sulla pietra filosofale o fare cose da studenti, come fare i compiti.


Anche con Neville le cose si erano rilassate, almeno un po'. Era sempre nervosa quando lo aveva vicino, ma era comunque qualcosa di più gestibile, e si comportava più da essere umano quando doveva interagire con lui.


Una volta era tornata nella Sala Comune per stare un po' per conto suo, dato che la solitudine le mancava davvero tanto in quel periodo ed era un lusso che a quanto pare non poteva più permettersi. Tanto il trio delle meraviglie non sarebbe venuto a cercarla, dato che Harry aveva le prove per la prossima partita di Quidditch e Ron e Hermione erano andati con lui, ben consapevoli che invece a lei non interessava.


Ma nella Sala Comune trovò Neville.


C'era solo lui, ed era seduto per terra al centro del salotto, con un calderone davanti a sé intento a provare qualche pozione. A giudicare dallo sporco che aveva sulla faccia, non stava andando molto bene.


“Tutto bene?” chiese Yvonne senza neanche accorgersene, porgendo a Neville un tovagliolo che aveva raccolto.


“N-no...”


Il tono di voce afflito di Neville fu tale che riuscì ad influenzare l'umore di Yvonne. D'istinto, si mise davanti a Neville e al suo calderone. Fortunatamente indossava abiti normali e non l'uniforme, perché sedersi in quel modo con la gonna, soprattutto davanti a Neville, sarebbe stato molto imbarazzante.


“Vuoi una mano?”


Neville la guardò speranzoso e timoroso allo stesso tempo. Yvonne non seppe davvero dire se era positivo o negativo.


“Non devi farlo se non ti va..”


Yvonne lo guardò confusa.


“Pensavo.. pensavo non ti andasse di.. aiutarmi con pozioni.. pensavo di metterti a disagio.. pensavo che mi evitassi.. pensavo di non piacerti..”


Yvonne sospirò, ricordando solo allora di quando lui aveva alluso una volta se lei potesse aiutarlo con pozioni, e tutte le altre volte che era andato vicino a dirle qualcosa.. probabilmente la stessa cosa.. e come lei fosse sempre scappata via o evitato la domanda.


Che stupida.
E che stronza sono stata.
E' che.. non.. non voglio avvicinarmi troppo a lui.. e non voglio che lui si avvicini troppo a me..
Sono un disastro con le persone, e Neville è così buono, non voglio trascinarlo nel fango con me...
..ma non voglio neanche che pensi che lo detesti.
Pensavo di non piacerti” oh Neville, cazzo Neville, quanto ti sbagli. E' proprio l'opposto.
E' perché mi piaci troppo, che ti evito.


“Certo che mi piaci!” sbottò Yvonne di getto, quasi d'istinto, come se quella fosse la cosa più importante del mondo “..è solo che non sono brava con le persone.. e non pensavo di essere la persona più adatta ad aiutarti in pozioni.. non sono molto brava a spiegare.. con le parole..”


“Neanche io sono bravo con le parole..” disse Neville, quasi ridendo dal sollievo.


Yvonne sorrise.


“Sarò felice di aiutarti.. ma sappi che ci sono buone possibilità che dopo tu sia più confuso di prima!”


“La vedo dura.” disse Neville, ridendo.



















 
*




















Il Natale arrivò presto ad Hogwarts, e con esso anche le vacanze. Il castello si svuotò del 95% dei suoi studenti.


Anche Yvonne aveva la possibilità di far parte di quella percentuale. Quel vecchio le aveva proposto di andare da qualche parte durante quel periodo per riposarsi in una delle sue ultime lettere, ma c'era un solo posto in cui Yvonne era interessata ad andare, e lui non ce l'avrebbe portata. Inoltre, ora si sentiva molto meglio psicologicamente, e sentiva che rivederlo avrebbe riaperto ferite che era un po' che erano rimaste chiuse. Meglio non svegliare il cane che dorme.


E non appena iniziarono le vacanze, sapeva di aver fatto la scelta giusta: poteva starsene un po' in pace, e se aveva bisogno della compagnia di un essere umano c'erano Harry e Ron, gli unici Grifondoro oltre a lei ad essere rimasti al castello sotto Natale, che per qualche strana ragione, forse le feste, erano meno irritanti del solito.


La mattina di Natale, Yvonne si svegliò più tardi di quanto si sarebbe aspettata, come se fosse una giornata di festa qualunque. Raggiunse la Sala Comune ancora in pigiama giusto per sgranchirsi le gambe aspettandosi di trovarla vuota, ma c'erano Harry e Ron. Si sentì subito imbarazzata dall'essere in pigiama, ma le passò in fretta quando si accorse che anche loro lo erano. Le augurarono buon Natale parlando dei regali che avevano ricevuto, concentrandosi particolarmente sul regalo di Harry, il mantello dell'invisibilità. Yvonne si finse sorpresa e meravigliata, come se non sapesse che sarebbe successo. Quando quella conversazione di circostanza finì, Yvonne si sedette sul divano e iniziò a mangiare qualche stuzzichino, beccandosi un'occhiata confusa da Ron.


“Non vuoi aprire il tuo regalo?”


Yvonne sorrise, ma era più una risata breve e silenziosa che un sorriso “quale regalo? Non ho ricevuto nessun regalo.”


“Sì invece.” continuò Ron mentre si avvicinava all'albero, lo vide frugare da qualche parte e poi si rialzò “eccolo.” disse infine, porgendole un piccolo oggetto rettangolare, che al tatto sembrava una cornice.


Yvonne lo prese con esitazione. C'era un biglietto.


Un piccolo dono più che meritato per tutti i sacrifici che hai fatto e che stai continuando a fare. Spero che questo ti ricordi perché li stai facendo, e che ti dia coraggio quando il coraggio ti manca.”


Non era firmato, ma Yvonne sapeva benissimo da parte di chi era. Tolse in fretta la carta regalo, e scoprì che la sua iniziale supposizione era corretta: una cornice, una cornice argentata.


La voltò e il suo cuore si fermò.


C'era un'immagine. C'erano lei.. e Arielle e Nolwenn. Lei al centro, Arielle a destra e Nolwenn a sinistra.


Ricordava bene quando era stata scattata quella foto. Erano nel suo giardino, e avevano giocato a pallone tutto il pomeriggio. Erano sudate, con i vestiti sporchi e i capelli disordinati, ma felici. Dovevano aver avuto intorno agli undici anni.


Gli stessi anni che dovrei avere adesso.
Che strano.
Sembrava un'altra vita.
Era un'altra vita.


D'un tratto, si accorse che l'immagine, o meglio le Arielle, Nolwenn e Yvonne dell'immagine si muovevano.


Ma certo.
Come tutte le immagini nel mondo di Harry Potter.


D'un tratto, si ritrovò ad amare quel mondo molto più di quanto lo avesse mai amato in più di vent'anni. Tutto per un'immagine. Tutto per Arielle e Nolwenn.


Vide qualcosa muoversi sull'immagine. Qualcos'altro. Vide riflessa sulla fotografia Harry e Ron, che dovevano essersi seduti vicino a lei uno a destra e uno a sinistra per vedere la foto quindi ora il loro riflesso appariva di striscio sulla fotografia.


“Chi sono?” chiese Harry.


“Loro..” Yvonne faticò a parlare, come se non deglutisse da cent'anni “..loro sono molto importanti per me.” fu tutto quello che riuscì a dire.


Strizzando gli occhi per impedire che le uscissero le lacrime, le sembrò che il riflesso di Ron e i suoi capelli rossi andasse a mischiarsi con i capelli rossi di Nolwenn, e che la cicatrice di Harry fosse più simile alla vitiligine di Arielle di quanto fosse in realtà.


E il suo riflesso era diventato un tutt'uno con la Yvonne della fotografia, come se la Yvonne della fotografia altri non era che l'attuale Yvonne, che si stava guardando allo specchio.


Così uguali, eppure.. così diverse.








 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 13 ***







LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 13
















“Su questo sito, verrà costruito un motore potentissimo, un motore che ci farà viaggiare cento volte più veloce di quanto possiamo fare oggi. Immaginate, migliaia di pianeti abitati a portata di mano, potremo esplorare quegli strani nuovi mondi, cercare nuove forme di vita e nuove civiltà. Questo motore ci porterà coraggiosamente là dove nessun uomo è mai giunto prima.”


Arielle mise una mano dietro la testa per mettersi più comoda, mentre con l'altra teneva il pad sul quale stava vedendo uno dei tanti discorsi di Cochrane ad essere entrati nella storia. Nella storia di Star Trek per lo meno, quindi ora quella era anche la sua, di storia.


“Ti piace molto ascoltare Cochrane, non è così? E' il terzo giorno che lo ascolti.” le disse la Chapel mentre eseguiva qualche test poco distante da lei.


“La sua voce mi rilassa.” mormorò Arielle, ma poi mise via il pad come se ne avesse avuto abbastanza “..ed è comunque meglio della noia. A tal proposito.. quando potrò lasciare l'Infermeria?”


“La tua gamba..”


“Sta bene.” disse di getto Arielle come se si fosse preparata quella risposta “guarda.” aggiunse, agitando la gamba che Khan le aveva rotto muovendo senza problemi l'arto compreso il piede.


“Faticheresti a camminare, e sentiresti dolore ad ogni passo che faresti.”


“Meglio. Il dolore fortifica la mente e il corpo così forse non finirò in Infermeria anche al prossimo scontro.” disse di getto Arielle, senza rendersi conto che non era da lei parlare così.


Ma diavolo, era così stanca di stare sempre in Infermeria.
C'era stata un imbarazzante numero di volte, e ogni sua permanenza in quel luogo la convinceva sempre di più che Kirk e McCoy e persino Spock la trattassero con i guanti, come se fosse una bambola di porcellana, come se un graffio potesse distruggerla.


Maledetto Khan!


“Il dottor McCoy ha detto..”


“Il dottor McCoy si preoccupa troppo per me. Sappiamo entrambe che se fossi stata un regolare membro dell'equipaggio mi avrebbe già lasciato andare.” la Chapel fece per rispondere, ma senza accorgersene Arielle la interruppe “..a proposito.. dov'è?”


“In missione con il Capitano e altri ufficiali.”


“Dove?”


“Omicron Ceti III.”


Arielle sforzò la mente, ma non ricordò nulla. E man mano che passava il tempo, si ricordava sempre meno.


Avrei dovuto prestare più attenzione a Yvonne quando mi parlava di Star Trek e mi faceva vedere la serie.
Sarei stata più preparata.
Ma come avrei fatto a sapere.. che mi sarebbe stato così utile? Che ci sarei finita dentro?


“Ora faresti meglio a dormire. Probabilmente al tuo risveglio il dottore sarà tornato e potrai chiedergli nuovamente di lasciare l'Infermeria, ma non ti garantisco che avrai successo.”


Arielle decise di seguire quel suggerimento. D'altra parte, qual'era l'alternativa? La noia? Se fosse stata più riposata, avrebbe avuto più chances di convincere Bones.















 
*
















Al di Qua del Paradiso. Un classico. Guardiamo questo.”


Yvonne era sempre allegra e vivace quando si trattava di Star Trek. Anche per i videogiochi era così, ma con Star Trek era diverso. Era come se si trasformasse. Come un fiore che sboccia dopo la tempesta.


Arielle la invidiava un po' per questo. E invidiava anche Nolwenn perché anche lei era così, con Harry Potter.


Anche Arielle aveva le sue passioni, ma erano più generali, e sapeva che non avevano per lei lo stesso impatto che Star Trek e Harry Potter avevano per le amiche. Quello che si avvicinava di più a quello erano i cartoni Disney, ma si vergognava a credere ancora nelle favole. Favole che non avrebbe mai vissuto. Anche Star Trek e Harry Potter erano finzione, ma erano comunque una finzione più realistica e matura: per quanto fantastiche, quelle avventure non contenevano animali parlanti e lieti fini che mai sarebbero accaduti nel mondo reale.


Un classico, eh? Lo dici per ogni puntata di Star Trek!” scherzò Nolwenn.


Questo è diverso. E' un classico tra i classici.”


Non è quello in cui Spock è fatto e innamorato e picchia Kirk?”


E' esattamente questo che lo rende un classico!”


Fatto?” intervenne Arielle, che con i suoi pensieri non aveva prestato attenzione alla parte iniziale della conversazione.


Sì! Non ricordi?”


In effetti, no.”


Un motivo in più per vederlo!”


E così lo guardarono. Lo riguardarono, per essere esatti, dato che l'avevano visto varie volte.


L'equipaggio dell'Enterprise era giunto su un pianeta per spostare un gruppo di persone che risiedevano sul pianeta perché era a rischio la loro salute. Avrebbero già dovuto essere morti a dire il vero, e la cosa assurda era che non solo erano vivi e vegeti, ma che tutti avevano una salute impeccabile, una salute che l'atleta più equilibrato e sano del mondo gli avrebbe invidiato..


..ma era solo un illusione, come quella che vivevano quelle persone.


Erano stati contagiati da delle spore presenti in una tipologia di fiore che cresceva sul pianeta che aveva donato loro salute, felicità, benessere, paradiso.. ma avevano perso sé stessi. Non avevano più obbiettivi, né scopi. I giorni, i mesi, gli anni passavano senza che loro se ne accorgessero, perché troppo persi in una felicità fittizia, non reale.


Poi le spore avevano contagiato Spock, che si era trasformato in un hippie tutto pace e amore, trasformandolo al tal punto da fargli iniziare una relazione romantica con una donna, una biologa. Poi, proprio come un vero e proprio virus, aveva contagiato uno ad uno tutti quanti, fino a quando era rimasto solo Kirk incapace di fare qualsiasi cosa perchè l'intero equipaggio aveva lasciato l'Enterprise per quel “paradiso”, e quando persino Kirk è stato contagiato, la sua forza di volontà come capitano dell'Enterprise è stata tale che è riuscito a contrastarne l'effetto con un sentimento violento, come la rabbia. Aveva poi insultato intenzionalmente Spock per liberarlo dall'effetto delle piante, e da lì a poco avevano salvato tutti.


Era effettivamente uno degli episodi più iconici di Star Trek, e Arielle ricordava ancora le risate che lei, Yvonne e Nolwenn si erano fatte nel vedere Spock drogato e innamorato, vedere Kirk che lo provocava e il loro scontro.


Senza dubbio era un episodio divertente, così divertente che ad Arielle ci volle qualche minuto per realizzare quanto fossero vicini alla tragedia. L'equipaggio dell'Enterprise non era mai stato così vicino alla distruzione senza un effettiva guerra o attacco nemico. Nessuna astronave li aveva attaccati. Nessun danno all'Enterprise. Eppure si erano quasi sconfitti da soli, tutto a causa di una maledetta pianta. Tutto a causa di una droga che gli aveva dato l'illusione del paradiso, quando di fatto avrebbero esistito senza vivere davvero.


Aspetta.. mi è sfuggito il nome del pianeta. Com'è che si chiama?” chiese d'un tratto Nolwenn.


Omicron.” rispose prontamente Yvonne “Omicron Ceti III.”















 
*
















Arielle si svegliò così velocemente che ancora prima di aprire gli occhi aveva alzato il busto e ora era a sedere sul letto.


Omicron!
Omicron Ceti III!
E' dove sono adesso!
E' dov'è Spock!
Devo fare qualcosa!
Devo avvisarli!
Devo uscire di qui!
Subito!


Gettò una rapida occhiata attorno a sé e vide che la Chapel non c'era. Probabilmente era finito il suo turno ed era andata a dormire.


Un colpo di fortuna.
Devo sbrigarmi ad uscire di qui, prima che ritorni o che arrivi qualcun altro al suo posto a sostituirla.


Ma non aveva fatto i conti con il dolore della gamba. Non appena si alzò, dovette far ricorso a tutta la sua volontà per non cadere o urlare. Sentiva come se ci fossero mille pugnali conficcati nella sua gamba che le laceravano la carne, ma si morse le labbra e non emise un suono.


Devo farcela.
Come ho potuto essere così stupida?
Avrei dovuto prevederlo!
Impedirlo!
Maledetto Khan.


Man mano che cammiava il dolore si faceva sempre meno fastidioso, ma anche sforzandosi non poteva correre. Aiutandosi con le braccia che teneva appoggiate al muro, cercò di raggiungere la sala teletrasporto. Durante il viaggio si imbatte in alcuni sguardi increduli degli ufficiali, ma lei non solo li ignorò, ma lanciò loro un'occhiataccia, facendogli capire con lo sguardo di farsi gli affari loro.


Ma loro avrebbero avvisato la Chapel.


Doveva fare in fretta.















 
*
















Era stata il più veloce possibile, eppure le sembrò di averci messo troppo a raggiungere la sala teletrasporto. Sfortunatamente al suo interno ci trovò la Chapel ad aspettarla.


“Cosa stai facendo? Devi tornare in Infermeria, immediatamente!” non aveva mai visto la Chapel così nervosa, ma non si sarebbe fermata.


“No.” disse in tono sicuro Arielle.


“Andiamo. E' per il tuo bene.” fece la Chapel avvicinandosi e prendendole il braccio, questa volta con un tono più tranquillo.


“Ho detto no! Non ora! Tu non capisci! Devo andare! C'è troppo in gioco!”


La Chapel stava per ribattere, ma poi si mise ad urlare all'improvviso e nel farlo le lasciò il braccio. Arielle seguì il suo sguardo e vide il serpente davanti a lei.


Aspetta.. la Chapel.. la Chapel.. può vederlo?
O è il serpente che si sta facendo vedere da lei?


Non aveva importanza il perchè è il per come, perché Arielle non si sarebbe lasciata sfuggire questa occasione. Prima che la Chapel potesse rendersi conto di quello che stava succedendo, Arielle riuscì a teletrasportarsi sul pianeta.















 
*
















Non seppe dire se fu la stanchezza per gli sforzi fisici o la paura che cresceva o la mancanza di muri ai quali non avrebbe potuto appoggiarsi, ma arrivata al pianeta fu ancora più difficile.


Non posso mollare.
Non ora.
Nella serie si sono salvati solo perché Kirk è riuscito all'ultimo a vincere grazie alla sua volontà.
Si sono salvati per un soffio.
Non posso permettermi di stare ad aspettare sperando che tutto andrà per il meglio.
Non questa volta.
Se tutti venissero contagiati.. sarei contagiata anche io..
No...
Non lascerò che delle piante abbiano la meglio su di me!


Afferrò trepidamente il tricorder che aveva preso prima di uscire dall'Infermeria e cercò segni vitali di vulcaniani. Spock era l'unico vulcaniano, quindi il tricorder l'avrebbe portata a lui come una bussola.


Tutto è partito da Spock.
Se riuscirò ad impedire che venga contagiato e farò in tempo a spiegargli la minaccia, tutto andrà per il meglio.


Ogni passo era una tortura, ma Arielle non la smetteva di pensare a cosa sarebbe successo se avesse fallito. Quello fu abbastanza da farla andare avanti.


Grazie al cielo Kirk ha proposto l'accademia così ho avuto le mie lezioni che mi hanno permesso di imparare ad usare il teletrasporto e il tricorder. Posso farcela.
Devo farcela.


Il fiato cominciava a mancarle come se avesse fatto la maratona, quando di fatto aveva solo camminato, e neanche tanto velocemente. Aveva anche iniziato a farle male la pancia e anche l'altra gamba, così tanto che cominciava ad avere dei dubbi su quale fosse la gamba che era stata la causa della sua permanenza di Infermeria.


Poi in lontananza, vide Spock e quella biologa.. Jill si chiamava? Quasi si sentì sollevata, ma le passò in fretta quando vide che erano proprio vicino a quei dannatissimi fiori.


No.
No.
No.


“..non ti basta sapere che dà la vita, la pace, l'amore.”


“Stai descrivendo qualcosa che una volta veniva chiamata credo, pillola della felicità. Tu, come scienziata, dovresti sapere che non esiste.” disse Spock.


Jill mise una mano sul suo braccio. “Avvicinati.”


“NO!”


Arielle cacciò un urlo così forte che sentì male alla bocca. Spock e Jill si voltarono d'improvviso, e Spock era il più sorpreso dei due.


“Signorina Marchand, cosa ci fa qui? Come ha fatto a scendere sul pianeta? Deve restare in Infermeria. Il dottor McCoy ne è informato?” per gli standard umani Spock era freddo e distante, ma per gli standard vulcaniani era sconvolto.


“Si allontani da quelle piante! Sono pericolose!” continuò ad urlare Arielle, anche se in maniera più contenuta.


“Pericolose? Come possono essere pericolose?” fece Jill.


“Non tutti i pericoli sono visibili all'occhio umano!”


Arielle aveva risposto senza neanche pensarci, ma fu la risposta giusta, o almeno lo fu per Spock. Vide il vulcaniano allontanarsi dalla biologa e avvicinarsi a lei. La aiutò a stare in piedi, ma Arielle non fece in tempo a reagire che sentì un getto di tanti piccoli minuscoli pallini bianchi fatti come di cotone arrivarle alla testa.


Il dolore alla gamba sparì. Ad entrambe le sue gambe sparì. E alla pancia. Stava bene, così bene. Non era mai stata meglio.


Che meraviglia. Che luogo meraviglioso. Che piante meravigliose. Che felicità, tanta, troppa felicità. Che paradiso.


Sarebbe rimasta lì, si, sarebbe rimasta lì, per sempre. Lì c'era bellezza, felicità e gioia. Perché dovrebbe andarsene? No, non se ne sarebbe andata. Nulla poteva reggere il confronto.


Chi era stata prima di allora? Non aveva nessuna importanza. Ora aveva compreso. Non si sarebbe privata più da quella felicità. Ora tutto aveva senso. Iniziò a sorridere beatamente.


Signorina Marchand? Signorina Marchand, mi sente?”


Chi era? Era.. Spock?
Sentiva la sua voce distante, ovattata. Lui non aveva ancora compreso la bellezza di quel luogo, ma presto avrebbe compreso. Sì, avrebbe capito.


E' bellissimo.. è bellissimo qui..”


Ma cosa sta dicendo?” ribatté Spock.


La mia gamba.. sta bene.. io sto bene.. starò sempre bene qui.. e anche lei vedrà..”


Un altro fiore spruzzò nuovamente delle spore, questa volta verso Spock, ma quest'ultimo spostò prontamente la testa ed evitò il contatto.


Lei ha ragione..” disse Arielle riferendosi a Jill “..non possiamo lasciare questo luogo..”


Possiamo e lo faremo.”


Ma signor Spock.. lei non ha visto..” fece Jill.


Ho visto abbastanza.” fece Spock in tono risoluto, allontanandosi dai fiori e da Jill e trascinando Arielle con sé, la quale però si divincolava.


No! Mi lasci! Non lascerò questo posto! Io voglio restare qui!”


Perché Spock non capisce??
Perché non vuole essere felice?


Le faccio le mie scuse per quanto sto per fare signorina Marchand, ma sappia che non ho scelta.” disse d'un tratto Spock.


Arielle non fece in tempo a chiedere cosa che vide con la coda dell'occhio la mano di Spock avvicinarsi velocemente al suo collo.


Poi, svenne.















 
*
















Quando Arielle si risvegliò era nuovamente in Infermeria, libera dalle spore.. ma non dalla vergogna. Ricordava ogni singola cosa detta o fatta mentre era sotto il loro effetto, ma avrebbe preferito di gran lunga che non fosse così.


Tutte quelle stupidaggini che ho detto davanti a Spock.. quei sorrisi ebeti che ho fatto.. Spock mi ha vista mentre deliravo sotto una droga..


Per fortuna che Spock mi ha fatto svenire prima che potessi rendermi ridicola più del dovuto.


Sapeva che non aveva motivi logici per vergognarsene. In fondo non era stata colpa sua, non era in sé e non è stato intenzionale, ma ciò non rendeva più facile accettare la sua penosa performance. L'unica cosa a confortarla era che essendo andate così le cose, era riuscita ad avvertire Spock in tempo evitando che le cose peggiorassero.


Si sentì anche come se fosse sfuggita ad un pericolo mortale. La sua vita non era mai stata in pericolo, ma era come se lo fosse stata. Da quando era salita sull'Enterprise aveva provato spesso paura. Prima si trattava di avere paura ad ogni missione, poi quando le missioni erano diventate ripetitive la paura si era dissipata, ma si era poi ripresentata con il serpente e Khan.. ma nulla era lontanamente equiparabile a quello che provava ora, pensando a cosa aveva rischiato, a quanto avesse avuto paura ora.. paura di sé stessa.


Quella sensazione di gioia e felicità che aveva provato in quei momenti era quasi un lontano ricordo ormai, come se si trattasse di qualcosa provato da altri e non da lei, ma la sua totale dimenticanza di ogni altra cosa importante della sua vita le era rimasta impressa.


Sotto l'effetto delle spore, aveva totalmente dimenticato chi era. Cosa voleva. I suoi obbiettivi. La sua casa. Yvonne e Nolwenn. Aveva dimenticato le sue amiche. Come aveva potuto dimenticarle? E' bastato davvero così poco perché accadesse? Era davvero un mostro?


“Come ti senti?”


Sussultò. Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si era nemmeno accorta che Jim e Spock erano entrati. C'era anche McCoy, che si era messo accanto a loro.


“Libera dalle spore.” “ma non dalla vergogna” avrebbe voluto aggiungere, ma non voleva passare per vittima che deve essere confortata per qualsiasi cosa.


“Hai fatto un ottimo lavoro oggi. Grazie a te, nessuno di noi è stato contagiato e siamo riusciti a risolvere il problema prima che potesse accadere.” spiegò Kirk.


“..ragione per cui passerò oltre il fatto che hai disobbedito al tuo medico e sei uscita dall'Infermeria prima del dovuto..” lo interruppe McCoy, con un tono comprensivo, ma che al tempo stesso suonava come una ramanzina.


“Bones..” Fece Kirk.


“Mi dispiace, dottor McCoy.” disse sinceramente Arielle.


Bones agitò una mano, alludendo chiaramente che era tutto a posto.


“Dunque.. cosa è successo dopo che sono.. svenuta?”


“Il signor Spock si è riunito al nostro gruppo e ci ha spiegato la situazione. Siamo poi ritornati sull'Enterprise dove tu sei tornata in Infermeria con il dottor McCoy, mentre noi abbiamo preso delle maschere protettive e abbiamo svolto altri test sul pianeta. Dopodiché abbiamo seguito la tua indicazione..”


“Indicazione?” Arielle non capiva “quale indicazione?”


Aveva dato loro un'altra indicazione? Non era svenuta? Ma soprattutto.. non era sotto l'effetto delle spore?


“Siamo andati nel tuo alloggio per vedere se scoprivamo qualcosa, e abbiamo trovato la scritta “rabbia” sul muro. Non solo sei riuscita ad avvertirci del pericolo, ma ci hai anche detto come risolverlo per chi ne era già affetto.” spiegò Kirk.


“Come tu abbia avuto il tempo di fare tutto questo con una gamba in quelle condizioni e da sola senza che nessuno ti fermasse è al di là della mia comprensione.” fece Bones.


Ma Arielle era più confusa di prima.


“Non ho fatto niente del genere.”


“Come?”


“Non passo nel mio alloggio da settimane. Una volta lasciata l'Infermeria sono scesa direttamente sul pianeta.”


“E allora chi altro è stato?”


“Io.. io non lo so..”


“Non è possibile che l'abbia fatto tu ma te ne sei dimenticata?” ipotizzò Spock, che fino a quel momento non aveva parlato.


“Io.. credo di no.. può essere? Non lo so..”


Davvero l'aveva fatto?
Come poteva averlo dimenticato?


“Non importa chi sia stato. Ciò che conta è che tutto sia andato bene. Chissà cosa sarebbe potuto accadere se non fossi intervenuta.” disse Kirk.


“Ve la sareste cavata. Per un soffio.. ma ve la sareste cavata.”


“Dunque ricordi cosa sarebbe successo. Venivamo contagiati tutti? Avremmo fatto cose assurde? Cosa avremmo fatto?” fece Bones.


Arielle guardò con la coda dell'occhio Spock, quasi incosciamente. Sentiva ancora nelle ossa la vergogna che provava per come si era comportata sotto l'effetto delle spore, ed essendo Spock un vulcaniano se avesse saputo cosa lui avrebbe fatto si sarebbe vergognato ancora di più. Non aveva senso esporlo alla vergogna solo per due risate.


“Non ha importanza cosa avreste fatto. Non sareste stati davvero voi.” tagliò corto Arielle.


“Sagge parole. Un ulteriore ragione per cui penso che meriti questo.”


I tre si fecero da parte permettendo ad Arielle di vedere cosa c'era sulla sedia dietro di loro, accanto al suo letto. Si trattava di un uniforme femminile della Flotta Stellare per un ufficiale che presta servizio sull'Enterprise. Era blu, quindi settore scientifico.


“Quello..?”


“E' tuo. Basta vestiti civili per te. Te lo sei guadagnato.”


Arielle era senza parole. “Ma..” fece una pausa “..sono sicura che il signor Spock è contrario a questa decisione..”


“Al contrario, tuttavia..” intervenì Spock “..ciò non ti renderà un ufficiale della Flotta Stellare di fatto. Dovrai sempre proseguire con le lezioni ed entrare nell'Accademia per quello.”


“Non rovinare il momento, Spock.” brontolò Bones.


“Sto semplicemente ricordando alla signorina Marchand cose che sicuramente già sa, dottore.” fece Spock, guardandola in attesa di una conferma.


“Sì.” annuì Arielle con determinazione.


Spock rispose con un cenno del capo.







 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** C'era una Volta - Capitolo 14 ***






C'ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 14

 

 

 

 

 

 

Nolwenn non aveva la minima idea di dove stesse andando, ma non è che avesse molta scelta comunque.

 

Che si fotta Edmond.

 

Mi ha buttato fuori per un incidente di cui non ho avuto colpa e non mi ha neanche permesso di salutare Mathieu, e ora probabilmente non potrò più farlo perché non lo rivedrò mai più.

 

La verità è che mi ha sempre odiata e non aspettava altro che una scusa per mandarmi via e quando l'ha vista l'ha colta al volo.

 

Che stronzo.

 

Fortunatamente non dovrò mai più vedere lui e la sua faccia puzzolente di merda.. si spera almeno.

 

Erano settimane ormai che vagava senza sapere dove stava andando. A volte girava a destra o a sinistra, ma per lo più seguiva la strada principale.. che avrebbe condotto a dove? Ma pur non conoscendo la sua destinazione finale, sapeva che dall'altra parte ci sarebbe stato Stephane.

 

Ogni tanto si imbatteva in qualche carro che passava accanto a lei o qualche signore a cavallo. Alcuni di loro sembravano galanti e gentili e le facevano addirittura un breve inchino con il capo, prendendo il cappello tra le mani nel farlo, sempre se lo stavano indossando. Un paio si erano anche offerti di accompagnarla ovunque stesse andando, ma lei aveva sempre rifiutato: sebbene fosse il mondo Disney, una delle prime cose che aveva imparato in quel luogo era che ci fossero anche i malintenzionati, e non se la sentiva davvero di fidarsi di uno sconosciuto, ed è anche per questo che se vedeva qualcuno avvicinarsi nascondeva prontamente il fermaglio di Stephane, la cui luce le stava conducendo la via da seguire.

 

Di notte si addormentava poggiando la schiena contro il tronco di uno dei grossi alberi intorno a lei, vicino alla strada principale ma non troppo, e quando era vicina ad un corso d'acqua si lavava.

 

Mangiare era la parte più difficile: se aveva fortuna si imbatteva in una pianta con frutta e verdura, ma se trovava un grosso albero il cui cibo era troppo alto per essere raggiungibile, si metteva a lanciare sassi contro alcuni rami nella speranza di romperli e farli credere, sperando che il frutto ne valesse la pena. Una volta aveva impiegato un paio d'ore per riuscirci, e la mela che aveva guadagnato non era nemmeno così buona.

 

Ma ora era libera.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo qualche altra settimana, in un pomeriggio in cui Nolwenn stava ancora camminando verso la sua meta sconosciuta, sentì una presenza dietro di sé. Non era una presenza pericolosa, anche se quasi quasi lo avrebbe preferito. Sapeva esattamente di cosa si trattava.

 

La volpe.

 

Sentì l'ira travolgerla, forte quasi quanto l'ira di Edmond quando l'aveva cacciata.

 

Quella cazzo di volpe.

E' tutta colpa sua.

E' colpa sua se non ho più un tetto sulla testa.

E' colpa sua se non ho potuto dire addio a Mathieu.

..ed è colpa sua se sono in questo posto, da sola, lontana da chi amo di più al mondo e senza avere un modo per tornare a casa.

 

Decise di ignorarla e continuare a camminare. Non aveva né la pazienza né la voglia di interagirci.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Smettila di seguirmi!”

 

Al terzo giorno consecutivo in cui la seguiva, Nolwenn ne aveva avuto abbastanza. Aveva rallentato il passo, poi quando aveva sentito l'animale a mezzo metro dietro di lei, si era girata di scatto e le aveva urlato contro.

 

Dove stai andando?” chiese la volpe, ignorando del tutto ciò che aveva detto Nolwenn.

 

“La cosa non ti riguarda.”

 

Sei arrabbiata..”

 

“Puoi giurarci. Ora sparisci.”

 

Quella sera.. volevo aiutarti.”

 

Nolwenn sentì l'ira crescerle ulteriormente dopo quelle parole “..aiutarmi?!?”

 

Non pensavo che ti avrebbe cacciato. Non doveva succedere questo..”

 

“E cosa pensavi sarebbe successo? Cosa altro sarebbe mai potuto succedere, secondo te??”

 

La volpe rimase in silenzio per qualche secondo. Era come se fosse sinceramente confusa, e come se sapesse molto più di quanto stesse dicendo, ma naturalmente, come tutte le altre volte, evitò di spiegarsi.

 

Nolwenn la ignorò e riprese a camminare, ma si accorse molto in fretta che la volpe aveva ripreso a seguirla. Sbuffò.

 

“Forse non sono stata abbastanza chiara. Sparisci. Smettila di starmi attaccata al culo.”

 

Non è un buon momento per andare dove stai andando.”

 

“Tu non sai dove sto andando.”

 

Calò un altro silenzio.

 

Invece sì.” disse infine l'animale.

 

Nolwenn sentiva che era sul punto di scoppiare. Era così arrabbiata che era pericolosamente vicina a prendere a calci l'animale, pur avendo sempre provato ribrezzo per chi maltratta gli animali.

 

..ma questo animale sta maltrattando me.

 

“Non te lo ripeterò un'altra volta. Lasciami in pace. Non ti voglio intorno. Dimenticati che esisto.” non stava urlando questa volta, ma la sua voce lasciava intendere molto bene quale era il suo umore.

 

Andrò via, se è questo che desideri.”

 

“Fantastico. Addio.” sbuffò Nolwenn, forzando un sorriso e riprendendo a camminare.

 

Ma non dimenticherò mai che esisti.”

 

A quella frase, Nolwenn si girò di scatto senza neanche accorgersene, ma la volpe era già sparita. Alzò gli occhi al cielo sollevata, riprendendo il suo viaggio con la convinzione di essersi liberata del più grande problema che aveva.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Passò qualche altro giorno e la volpe non si era più palesata. In verità Nolwenn si era completamente dimenticata della sua esistenza.

 

Ora tutta la sua attenzione era rivolta alla forcina magica, che era sempre più luminosa, così luminosa da risultare quasi accecante quando nel cielo c'era anche il Sole.

 

Era vicina.

 

Era una sensazione la sua in effetti, una sensazione che però si trasformò in realtà quando, raggiunta la cima di una piccola collina, riuscì a vedere in lontananza dei grandi edifici alti e maestosi, uno che spiccava tra tutti gli altri.

 

Notre Dame.

 

Sto andando a Parigi?

Perché la forcina mi sta conducendo a Parigi?

Non so molto sui principi, ma sono piuttosto sicura che il castello di Stephane non si trovi nella capitale della Francia.

 

Eppure la forcina era chiara, era sempre stata molto chiara da quando aveva iniziato quel viaggio. Non aveva mai avuto dubbi su quale strada prendere proprio perché quel piccolo oggetto magico dava segnali ben precisi.

 

E certamente non può essersi rotto.

Gli oggetti magici non si rompono.

Non lo fanno.

 

Forse Stephane si trova a Parigi in questo momento? E' per questo che la forcina mi sta conducendo lì?

 

Era fattibile, ma il suo istinto continuava a dirle che qualcosa non andava. Che qualcosa non quadrava. Che qualcosa le sfuggiva.. ma decise comunque di proseguire.

 

Una volta scesa la collina verso la città e dopo aver camminato un paio di giorni circa, vide qualcos'altro di strano, che però questa volta accese la sua curiosità.

 

Essendo vicina alla grande città e allontanandosi sempre di più dal bosco, il sentiero principale si era fatto sempre più grande, raggiungendo quasi le dimensioni di una strada di città, eppure.. era pieno di gente. Dieci, venti persone una accanto all'altra occupavano tutta la strada in larghezza, al punto tale che qualcuno di loro era anche fuori dal sentiero perché non c'era posto al loro interno. Erano così tante che Nolwenn non riusciva a vedere fino a dove arrivassero, come un'interminabile fila che si allungava a dismisura.

 

Si trattava di gente povera, vestita con abiti dai colori vivaci, ma vecchi. La maggior parte di loro viaggiavano con niente, tranne i vestiti che indossavano e i loro figli che, se piccoli, portavano in braccio. I più “fortunati” avevano un piccolo carretto trainato o da un cavallo o da un asino, ma era tutto lì. Nessuno possedeva più di un carro o più di un animale. Molte donne avevano dei bracciali intorno alle caviglie e alcuni uomini portavano gli orecchini.

 

Ma non tutti.

 

C'erano anche popolani dall'aspetto più monotono ma comunque provato, ma la stanchezza era sul volto di tutti. Come se avessero sulle spalle tutto il peso del mondo.

 

Nolwenn rimase ferma a guardarli, un po' per riposarsi, un po' per cercare di capire cosa stesse succedendo e un po' per curiosità. Quando ne ebbe abbastanza di guardare e basta, si fece coraggio e si avvicinò ad una donna sulla cinquantina che stava aiutando un vecchio, probabilmente un parente, a camminare perché questo zoppicava.

 

“Mi scusi..”

 

“Sì, cara..?” la donna appariva a pezzi, ma trovò comunque la forza di farle un sorriso.

 

“Dove.. dove state andando tutti? Cosa succede?”

 

La donna guardò Nolwenn come se fosse un'aliena. Come se venisse da un altro mondo. Il che, tecnicamente, corrispondeva al vero.

 

“Non lo sai? Non sai cosa sta succedendo a Parigi?”

 

“In effetti no..”

 

“E' diventato un luogo pericoloso. Stiamo scappando.”
 

“Scappando.. ma.. per andare dove?”

 

“Ovunque.”

 

Nolwenn si morse le labbra e, non sapendo cos'altro aggiungere, si allontanò, ma la donna parlò nuovamente “..dovresti fare lo stesso, cara.”

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando calò il Sole il sentiero era occupato ancora da tutti quei cittadini in fuga. Nolwenn si era messa a sedere sull'erba poco più in là per non ostacolare il loro cammino, ma quando fu notte sentì la stanchezza raggiungerla e finì con l'addormentarsi con facilità.

 

Il mattino seguente, quando i raggi del Sole la svegliarono, sentì un non indifferente dolore alla schiena e al collo, causati dalla posizione scorretta nella quale aveva dormito. Prima di alzarsi mosse un po' le articolazioni nella speranza di diminuire il fastidio, mentre al contempo rifletteva sul da farsi.

 

Quella donna sembrava sinceramente spaventata da quello da cui stava scappando.. e poi erano così tanti.. così tanti a fuggire.. non poteva che essere qualcosa di grosso..

 

Quelle persone stavano lasciando alle spalle le loro abitazioni, le loro case, per nascondersi nei boschi.. perché mai avrebbero dovuto farlo, se non per scappare da qualcosa di terribile?

 

Osservò nuovamente il fermaglio e lo puntò verso la città, e nel farlo si illuminò tanto che a Nolwenn sembrò di essere colpita in viso dal flash improvviso di una torcia.

 

Sì, sarebbe stato saggio non andare a Parigi in quel momento.

 

Sì, sarebbe stato saggio ascoltare il consiglio di quella donna che di sicuro al momento ne sapeva molto più di lei.

 

Sì, sarebbe stato saggio.

 

Ma Nolwenn era cocciuta, testarda e istintiva e capitava spesso che agisse prima di pensare. E non voleva nemmeno accettare che tutta quella strada che aveva fatto non fosse servita a niente. Non poteva essere stata vana.

 

E poi c'era il fermaglio, che senza alcun dubbio le indicava di andare a Parigi.

 

Le indicava che era in quella direzione che avrebbe raggiunto ciò che la rendeva più felice.

 

E lei voleva davvero essere felice. Ne aveva bisogno, dopo quello che aveva passato.

 

Si alzò di scatto e riprese a camminare verso la città, quasi senza alcun ripensamento, convinta della decisione che aveva preso, così sicura che neanche si era accorta del fumo che fuoriusciva dal cuore della città.

 

Quel fumo che era causato dalle fiamme, dalla distruzione, dalla morte..

 

..e da Frollo.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 14 ***









QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 14

 

 

 

 

 

 

 

Volavano sguardi tesi, ma una volta tanto Yvonne non si sentiva in colpa, neanche lontamente.

 

Era successo pochi giorni dopo Natale, ma a Hogwarts era ancora periodo di festa e tutti gli studenti che avevano lasciato il castello per le festività invernali non erano ancora tornati.

 

E tutto era successo, per la sorpresa di assolutamente nessuno, sempre per colpa sua.

 

Potter.

 

Quella notte Yvonne dormiva serenamente nel suo letto, ma poi venne svegliata bruscamente dalle voci di Harry e Ron che la chiamavano. Non potevano entrare nel dormitorio, essendo maschi e lei femmina, quindi avevano urlato a squarciagola per farsi sentire. Yvonne aveva avuto un brutto presentimento fin dall'inizio, ragione per cui li aveva inizialmente ignorati con l'intenzione di riaddormentarsi, ma era ben consapevole che non ci sarebbe riuscita in condizioni normali, figuriamoci con quei due che gridano come dei matti.

 

Ma sarebbe andata di male in peggio.

 

Quei due avevano osato svegliarla nel cuore della notte per portarla in un posto proibito (loro ovviamente non l'avevano detto, ma si erano fatti tutto il viaggio appiccicati come sardine sotto quel polveroso mantello dell'invisibilità, quindi non ci voleva un genio per fare due più due), e solo a metà strada Yvonne aveva fatto mente locale e aveva capito dove la stavano portando. Sperò con tutta sé stessa di sbagliarsi, ma quando Harry tolse il mantello ogni sua speranza andò in fumo.

 

Di quello che accadde dopo, complice l'ansia, la frustrazione, la rabbia e soprattutto la stanchezza, ricordò molto poco.

 

Lo Specchio delle Brame appariva vecchio e puzzava anche di vecchio, come quando entri nella casa della tua vecchia nonna con tutte le stanze ornate di oggetti risalenti al secolo scorso, ma la nausea che Yvonne sentiva non era legata all'odore.

 

Guardava Harry invogliare Ron a mettersi davanti e si dissero qualcosa che lei non volle perdere tempo ad ascoltare. Era troppo arrabbiata.

 

Arrabbiata perché l'avevano svegliata nel cuore della notte.

Arrabbiata perché ancora assonnata si era ritrovata in una zona proibita, il che significava che se qualcuno li avesse scoperti ci sarebbe andata di mezzo anche lei.

Arrabbiata perché aveva passato tutto questo per qualcosa da cui voleva stare alla larga.

 

Il suo umore doveva essere ben visibile sul suo volto, perché quando Harry si voltò verso di lei, sembrò preoccupato. Lasciò perdere Ron e le andò incontro.

 

“Vieni. Voglio mostrarlo anche a te.”

 

Probabilmente aveva scambiato la rabbia di Yvonne per una tristezza che l'aveva fatta sentire esclusa, e quindi stava cercando di fargliela passare coinvolgendola, ma non avrebbe potuto essere più in errore di così. Quello che ottenne fu far arrabbiare Yvonne ancora di più.

 

“No.” biascicò lei, mentre si sforzava di contenere la rabbia che lottava per esplodere.

 

Non c'era nulla... assolutamente nulla che in quel momento avrebbe voluto meno di specchiarsi in quel dannato affare. Forse Harry e Ron trovavano la cosa divertente, ma lei no. Affatto.

 

Ricordava bene cosa faceva quello specchio.. mostrava ciò che desideravi di più al mondo. Ciò che ti avrebbe reso più felice. Il desiderio più oscuro e profondo che avevi dentro. Cosa ci avrebbe visto lei?

 

Sperò con tutta sé stessa che la risposta fossero Nolwenn e Arielle. Voleva trovare loro due in quello specchio. Sì, dovevano essere loro. Lo desiderava.. e lo specchio ti mostra ciò che desideri.

 

Ma desiderava trovarle nello specchio perché effettivamente erano ciò che la rendeva felice come sperava o semplicemente desiderava di trovarle perché temeva che trovandoci altro avrebbe avuto la conferma di ciò che temeva da tempo?

 

E se guardandosi allo specchio avrebbe visto qualcosa di futile, di superficiale, di egoistico? Confermando che lei di fatto era una persona futile, superficiale ed egoista? Se ci avesse visto sé stessa ricca? O popolare? O famosa? O potente? Se avesse visto qualcosa che non le sarebbe piaciuto?

 

Sentiva l'angoscia crescere, così come Harry e Ron che la avvicinavano sempre di più allo specchio. Harry parve meno entusiasta ora, ma di contro Ron lo era molto di più.

 

Quando fu ad un passo da specchiarsi, si strattonò con violenza.

 

“Ho detto no!” urlò, frustrata.

 

Harry e Ron la guardarono sorpresi, come se solo allora compresero quanto fosse arrabbiata. Parvero anche un po' dispiaciuti, cosa che l'avrebbe fatta sentire minimamente in colpa se non fosse stata così stanca.

 

Voleva andare via. Voleva piangere. Voleva urlare. Voleva nascondersi. Voleva non essere costretta a rimanere lì con loro, ma purtroppo lo era. Fuori da quella porta c'era la zona proibita, e Gazza l'avrebbe certamente vista senza il mantello dell'invisibilità e il mantello era di Harry..

 

Si sedette in un angolo della stanza, con il volto nascosto tra le braccia e le ginocchia. Stette lì per quella che sembrò un'eternità, poi Ron si avvicinò cauto come se avesse paura di disturbarla e sussurrò un “andiamo” mogio e imbarazzante.

 

Imbarazzante esattamente come il loro viaggio di ritorno, in tre sotto quel mantello, vicini come lo erano stati all'andata.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo quell'episodio, Yvonne era stata ben attenta ad evitarli, e aveva anche fatto in modo di non girare troppo intorno neanche a Hermione, perché girare intorno a lei avrebbe significato rivederli. Ma non aveva bisogno di loro.

 

“Ciao.”

 

Yvonne alzò lo sguardo e si sorprese di trovarsi davanti Beverly. Ultimamente si erano viste meno, ma ora la Serpeverde sembrava molto più a suo agio nella sua uniforme.

 

Yvonne sorrise e annuì per rispondere al saluto, come se anche parlare fosse diventato difficile.

 

“Va tutto bene?” chiese la Serpeverde, sedendosi accanto a lei.

 

No, certo che no.

Niente andava bene.

Ma quand'è che andava bene qualcosa?

 

“Perché lo chiedi?”

 

“Non so.. mi sembri.. giù.. più del solito. E' successo qualcosa con Harry Potter e Ron Weasley?”

 

Yvonne alzò la testa di scatto.

 

“Cosa? Chi te l'ha detto?”

 

Se quei due sono andati in giro a raccontare quello che è successo e quello che ho detto e fatto li ammazzo.

 

“Nessuno!” rispose di getto Beverly, come se quella domanda l'avesse colta di sorpresa “..è solo che prima eri sempre con loro e Hermione Granger, e ho notato che li eviti adesso, mentre con Hermione ogni tanto ci parli.”

 

Beverly aveva la fama di essere una stupida. Molti l'avevano additata come stupida, e Yvonne non ne aveva mai capito il motivo. In verità Beverly era dotata di una intelligenza e di una sensibilità fuori dal comune, anche se si trattava di un'intelligenza e di una sensibilità particolare. Ma tutto quello che gli altri vedevano era una stupida solo perché era timida e non portata per le materie scolastiche. Qualcosa che Yvonne conosceva molto bene.

 

“In effetti è successo qualcosa, ma non ne voglio parlare. Scusa.”

 

Beverly rimase in silenzio per un po'. Yvonne non la guardava, ma sapeva che si stava puntellando l'uniforme con le dita. Dopo un po', sentì le sue braccia avvolgerla in un caldo abbraccio. Yvonne rimase rigida come un tronco di albero all'inizio per la sorpresa, ma dopo poco, seppur con riluttanza, ricambiò l'abbraccio, poggiando la testa sulla spalla dell'amica.

 

Non era mai stata brava a dare calorosi abbracci, eppure qualcuno lassù continuava a metterle intorno persone che lo erano.

 

Per fortuna.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ma quanti cerchietti hai esattamente? Ogni volta ne hai uno di colore diverso. Oppure è uno solo e usi la magia per cambiargli colore?” chiese Yvonne ad Andrea, un pomeriggio in cui loro due e Beverly erano nella Sala Grande a “studiare”, quando in verità non avevano neppure aperto i libri.

 

“Dieci. E se esiste una magia in grado di farlo, io non ne sono a conoscenza.”

 

A Yvonne sembrava che fossero molti di più. Ogni volta che vedeva Andrea sembrava che avesse un cerchietto di un colore diverso. E ogni colore le stava sempre bene. In fondo, quando si è belli, ti sta bene tutto.

 

Beh, se anche fosse davvero così, io non lo saprò mai.

 

Con la coda dell'occhio, Yvonne vide che poco distante da loro, c'era ancora quel Corvonero spocchioso del primo anno. Era davvero strano. Ogni volta che era con Andrea o Beverly lui era sempre in zona, e non è che cercasse di inserirsi nel loro gruppo. Se ne stava sempre là, in silenzio, come se le osservasse. Se fossero stati più grandi, Yvonne avrebbe pensato che le seguiva, ma dubitava che un bambino di undici anni comprendesse qualcosa del genere, anche se quel bambino era un Corvonero.

 

Si guardarono per una manciata di secondi, dopodiché lui fece una smorfia come se volesse dire “cos'hai da guardare” e lei fu sinceramente dispiaciuta che non l'avesse detto a voce alta, perché era già pronta a rispondergli “e tu invece? Cos'hai da guardare?”.

 

Poi prese i suoi libri e se ne andò.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Yvonne era ancora nella Sala Grande con Beverly e Andrea quando sentì uno strano rumore. Alzò lo sguardo e guardando dietro di sé vide Neville che entrava nella Sala Grande.. saltellando? Era come se avesse i piedi legati, ma non erano legati.

 

Magia.

 

Una magia di merda, almeno.

 

“Povero Neville.. forse dovremmo aiutarlo.” mormorò Beverly.

 

Andrea fece per dire qualcosa, ma Yvonne raccolse in fretta i suoi libri e si alzò.

 

“Dove vai?” chiese Andrea.

 

“Scusate, ma devo fare una cosa.”

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci mise più del previsto per trovare Malfoy, ma in fin dei conti ne fu lieta. Aveva avuto più tempo per pensare a come affrontarlo.

 

Lo trovò nei Sotterranei, che si stava dirigendo nella sua Sala Comune. Yvonne si sentì una stupida a correre verso di lui, ma temeva che se non l'avesse fatto lui sarebbe entrato e una volta dentro lei non avrebbe più potuto raggiungerlo.

 

Era da solo fortunatamente, senza quei due leccaculo tra i piedi, ma c'erano altri Serpeverde in zona, anche più grandi.

 

Malfoy parve sorpreso quando la vide, ma fece un sorrisino ironico quando capì che lei aveva corso per arrivare a lui.

 

“Ti sono mancato così tanto, Rolland? Ormai non puoi più vivere senza di me?”

 

“Lascia stare Neville, Malfoy.” tagliò corto Yvonne, che davvero non aveva voglia di perdere tempo in stupide chiacchiere.

 

“Paciock? Sei venuta fin qui per parlarmi di Paciock?” sbottò Malfoy, quasi offeso, come se Yvonne gli stesse facendo perdere tempo.

 

“Sei stato tu a lanciargli quell'incantesimo ai piedi?”

 

“E se anche fosse?”

 

“Non farlo più. O te la vedrai con me.”

 

“Ooohh che paura.”

 

“Sono seria, Malfoy.”

 

“Ma guarda con quale foga difendi quell'idiota.. è il tuo ragazzo per caso?”

 

Quella era esattamente il genere di frase che avrebbe messo Yvonne in difficoltà, ma fortunatamente era preparata a quell'evenienza. Si aspettava un' uscita del genere da Malfoy, soprattutto considerando che dice esattamente la stessa cosa a Ginny quando nel secondo film difende Harry a Diagon Alley.

 

“No Malfoy, non lo è, ma questo è esattamente il genere di azione che ti impedirà di avere amici veri, il che significa vanificare tutti gli sforzi che stai facendo.” fortunatamente aveva provato quella frase abbastanza a lungo da riuscire a sembrare convincente.

 

“Rilassati, l'effetto non è permanente ed era solo per farsi due risate.” cercò di minimizzare il Serpeverde.

 

“Non penso proprio che Neville si sia fatto due risate. Tu ti saresti fatto due risate se qualcuno l'avesse fatto a te?”

 

“Nessuno l'ha fatto a me perché io non sono uno sfigato.”

 

“Lo sei eccome invece. E non ti aiuterò più se non la smetterai di esserlo. Ci rivediamo quando svilupperai una coscienza e un'empatia.” sbottò Yvonne senza pensarci, pentendosi subito dopo di come le erano uscite le parole, ma ingoiò il bottone e fece qualche passo, per poi girarsi nuovamente verso il Serpeverde “ah e un'altra cosa, se vengo a sapere che hai fatto un altro scherzetto del genere a Neville per farti “due risate”, ci penserò io a farti passare la voglia di ridere.” e poi se ne andò prima che Malfoy potesse ribattere.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Yvonne tornò nella Sala Comune dei Grifondoro quando stava calando il Sole, circa un'ora dopo l'incontro con Malfoy nei Sotterranei. Quando entrò, non poté fare a meno di notare Neville seduto da solo sul divano, con i piedi liberi da ogni magia. Era davanti al fuoco e stava accarezzando Oscar, assorto nei suoi pensieri.

 

Lei lo fissò per un po', incerta se andargli a parlare o no. Una parte di lei voleva allontanarsi, ma l'altra voleva sedersi accanto a lui e dirgli che Malfoy non gli avrebbe più dato fastidio, e magari un abbraccio consolatore.. ma lei dava abbracci terribili, e si era ripromessa di stare alla larga da Neville il più possibile per il suo bene, così finì con il dirigersi verso il Dormitorio, pur mantenendo lo sguardo fisso su di lui. Una pessima idea, perché dopo appena qualche passo andò a sbattere contro qualcuno. Harry e Ron.

 

Maledizione.

 

Fece per sorpassarli, ma all'ultimo non lo fece perché aveva come la sensazione che anche se lei si era imbattuta in loro per sbaglio, loro la stavano cercando. Sembravano imbarazzati, ma non potevano esserlo più di lei. Yvonne tenne gli occhi bassi, incapace di guardarli negli occhi.

 

“Ci dispiace, Yvonne.” cominciò Harry.

 

Lei li guardò, sorpresa, non aspettandosi delle scuse.

 

“E' tutta colpa mia. Non avrei dovuto svegliarti nel cuore della notte per portarti in un posto di cui non sapevi nulla..” continuò Harry.

 

“Ci dispiace anche di aver insistito anche dopo che hai detto di non voler guardare lo specchio. Non volevamo farti stare male..” continuò Ron.

 

D'improvviso, Yvonne si sentì in colpa della reazione che aveva avuto e anche di tutto quello che aveva pensato di loro dal primo momento in cui li aveva visti di persona. Per una volta, Yvonne decise di parlare senza pensare, dicendo forse più del dovuto.

 

“E' okay. E' solo che.. conoscevo già l'effetto di quello specchio, e non volevo averci niente a che fare.”

 

“Neanche a noi piace più quello specchio. Non ci siamo più andati, non l'abbiamo neanche mostrato a Hermione, giusto Harry?”

 

Harry parve un minimo titubante, ma annuì comunque.

 

Potete andarci tutte le volte che volete, basta che non costringete me, non intendo impedirvi di fare nulla” stava per dire Yvonne, ma si limitò a sorridere timidamente.

 

“E' okay. Davvero.”

 

“Noi andiamo in Biblioteca con Hermione. Vieni anche tu?”

 

Yvonne annuì e li seguì, sorridendo.

 

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 14 ***





LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 14

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando la sua gamba fu completamente guarita, Arielle lasciò l'Infermeria più carica che mai, come un soldato che era stato a lungo in congedo ed era finalmente tornato in campo pronto a darsi da fare.

 

Ma la verità era che quella carica celava qualcos'altro.

 

Si era lasciata alle spalle Khan e i dolori fisici e psicologici da lui causati, insieme a quello che le sembrava un grosso peso sulle spalle, come se il peggio fosse passato. Eppure...

 

..non si sentiva bene e in pace quanto avrebbe sperato, quanto avrebbe voluto, quanto si sarebbe aspettata.

 

Aveva passato giorni davvero difficili in effetti, tanto che quei giorni e le preoccupazioni legate agli avvenimenti successi avevano assorbito ogni energia e pensiero, schiacciando e riducendo gli altri problemi che aveva. Ora che se li era lasciati le spalle, i problemi di prima erano ritornati di prepotenza. Parte di lei sperava davvero che l'avrebbero preoccupata meno, avendo vissuto un male peggiore, un male minore dovrebbe risultare più sostenibile e gestibile, no? Forse era così e lei neanche se ne rendeva conto, ma non tanto da essere possibile ignorarli.

 

E la sua mente ritornò a Nolwenn e Yvonne, naturalmente. Loro che erano sempre state un punto saldo della sua vita, saldo e positivo, ora le procuravano angoscia e paura. Paura che non stessero bene. Che non fossero vive. Che fossero da qualche parte là fuori, senza che qualcuno potesse aiutarle. Che qualcosa che aveva fatto lei le aveva in qualche modo ferite. E sentiva la loro mancanza. La mancanza delle loro stranezze, più di ogni altra cosa. A volte la loro lontananza e il non sapere era così doloroso che cercava di non pensare a loro, ma subito dopo si sentiva in colpa, come se non pensare a loro fosse una sorta di tradimento nei loro confronti. Non c'era via d'uscita.

 

E poi c'era il serpente.

 

Lo vedeva ancora qualche volta, anche se in lontananza. Se ne stava sempre in un angolo, ma era sempre con lei, ovunque andasse. L'aveva aiutata certo, non c'erano dubbi in merito, eppure Arielle non si sentiva ancora a suo agio in sua presenza. A prescindere dall'aiuto che le aveva dato, rimaneva un serpente. E i serpenti sono sempre stati un presagio negativo.. e mai positivo, e il fatto che l'avesse aiutata non cambiava le cose. E se fosse solo uno stratagemma per convincerla a fidarsi? In fondo anche Ditocorto ha aiutato Sansa in un paio di occasioni, ma non per questo era meritevole di fiducia.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Era da qualche giorno che non vedeva il Capitano o un ufficiale superiore, ma le voci corrono su una nave, soprattutto se sei un'astronave spaziale lontano da casa. Ad Arielle arrivarono molte voci, per lo più stupidaggini, tranne una. Una nuova missione. In effetti non sapeva altro, nemmeno il nome del pianeta, ma decise comunque di essere pronta nel caso avessero bisogno di lei.

 

E si mise per la prima volta l'uniforme.

 

Neanche ci fece caso in effetti. Sapeva di mettersi quella ovviamente, ma mentre si vestiva non aveva davvero realizzato che era la prima volta che lo faceva. Aveva sempre indossato dei vestiti sull'Enterprise, vestiti prestati da Uhura il più delle volte, e in fondo l'uniforme femminile degli ufficiali dell'Enterprise era un altro vestito. Solo quando si infilò anche gli stivali e si guardò allo specchio se ne rese conto. L'uniforme era un vestito più corto degli abiti che aveva portato fino a quel momento, inclusi gli abiti che indossava a casa sua, a Parigi, quindi la sua pelle, e di conseguenza anche la sua vitiligine, era più visibile.. ma quelle macchie di cui si vergognava tanto sembravano.. più piccole? Meno visibili? Non aveva il minimo senso, le macchie erano quelle di sempre, non avevano cambiato né forma né posizione, eppure era così che si sentiva.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

E invece si era preparata per niente.

Si era messa l'uniforme per la prima volta per niente.

 

Kirk era stato risoluto. La missione era troppo pericolosa. A quanto pare si trattava di un pianeta in cui vari uomini erano stati uccisi da un “mostro” e loro sarebbero scesi per indagare. Ad Arielle bastò parlare per due minuti con Kirk per rendersi conto che mai, mai avrebbe cambiato idea al riguardo. Se erano Spock e Bones a ritenere che non fosse pronta ma Jim era nel dubbio aveva ancora una possibilità, ma se era Jim quello risoluto e deciso nulla l'avrebbe convinto del contrario. Arielle non seppe dire se era più frustrata per il non poter partecipare alla missione o se era più imbarazzata perché si era già preparata con l'uniforme per scendere in un luogo in cui non sarebbe potuta andare.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

La sua intenzione era di passare il tempo studiando, ma non riuscì a combinare molto. Sentiva lo sguardo del serpente su di sé. Aveva preso l'abitudine di ricambiare guardandolo con la coda dell'occhio, e ogni volta che lo faceva, finiva per concentrarsi sui suoi occhi: a volte erano di un giallo scuro, altre volte arancioni, altre volte rossi. Occhi inquietanti, eppure non riusciva a smettere di farlo.

 

L'animale sembrava essere diventato anche più grande. Sicuramente era più lungo. Non era ancora un esemplare adulto, ma non era più nemmeno com'era all'inizio. Non era più una biscia gialla. Ora stava assumendo sempre di più le sembianze di un pitone.

 

Non stava più in un angolo della stanza. Si era avvicinato, ma non troppo: come se percepisse la paura che Arielle continuava a nutrire nei suoi confronti.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

La missione durò più del previsto o semplicemente il tempo ad Arielle era sembrato tremendamente lento, perché le sembrò di aspettare per una vita il loro ritorno. Era arrivata persino a temere che qualcosa fosse andato storto, il che sarebbe stato strano dato che lei non aveva contribuito in alcun modo.

 

Ormai passava molto del suo tempo con Kirk, Spock e McCoy, e aveva imparato a conoscere le zone della nave in cui stavano quando non erano sul ponte di comando, così come a raggiungerle. Non appena seppe che erano ritornati sull'Enterprise, non le ci volle molto per trovarli.

 

Quando finalmente li vide, aspettò prima di andargli incontro, mettendosi addirittura nascosta, come per ascoltare le loro conversazioni. Fu qualcosa di totalmente istintivo di cui lei stessa si stupì, e in parte si sentì in colpa.

 

Tuttavia fu del tutto inutile, perché non era abbastanza vicina da sapere cosa si stessero dicendo, poteva solo vedere i gesti e i movimenti che facevano. McCoy sembrava particolarmente rosso in faccia, come se avesse affrontato la sfida più impegnativa della sua carriera di medico, e dopo poco si dileguò. Una volta rimasti soli, Kirk si avvicinò a Spock, ma senza toccarlo. Lo guardava con estrema dolcezza e comprensione, mentre Spock sembrava.. imbarazzato? Per gli standard vulcaniani almeno. Arielle si sentì orgogliosa del conoscerlo al punto da sapere cosa stesse provando, nonostante reprimesse le emozioni come era solito fare.

 

Una volta che si stufò di osservarli e basta da lontano pensò di andargli incontro, ma c'era una strana atmosfera tra il Capitano e il Primo Ufficiale, un'atmosfera quasi romantica, ed era davvero di pessimo gusto da parte sua interferire. Non è che avesse tutta questa fretta di parlare con loro.

 

Si girò e fece per andarsene il più silenziosamente possibile, ma..

 

..si scontrò contro Sulu.

 

“Oh, scusami Arielle!” fece lui con un sorriso.

 

“Scusami tu.” disse timidamente lei.

 

“Tutto bene?”

 

Lei annuì. Sulu ricambiò con un cenno del capo e corse via, probabilmente a svolgere un compito. Non avevano parlato a lungo, ma era stato abbastanza perché Kirk e Spock si rendessero conto della sua presenza.

 

Maledizione a me.

Devo sempre rovinare i loro momenti romantici.

Finirò con il farmi odiare.

Avrebbero le loro buone ragioni.

 

Kirk arrivò a salutarla, ma solo Kirk. Spock se ne era andato.

 

“Ti sta bene.” le disse soddisfatto, guardandola dall'alto in basso e alludendo all'uniforme “..non ho mai avuto dubbi in merito.”

 

“Mi dispiace, non volevo disturbare lei e il signor Spock..” mormorò Arielle, evitando di avere reazioni sul complimento di Kirk.

 

Jim parve un po' sorpreso dal fatto che Arielle gli avesse dato del lei, ma non commentò nulla al riguardo. “Disturbato? Non ci hai disturbato. Stavamo semplicemente facendo il riepilogo dell'ultima missione.”

 

“Ah, okay.” balbettò Arielle, non sapendo come altro rispondere.

 

“Senti, Arielle..” sospirò Kirk, come se stesse per dire qualcosa che non le sarebbe piaciuto “..so che avresti voluto venire, ma era troppo pericoloso. Uno dei miei uomini è morto..”

 

“Morto?” Arielle ebbe un sussulto “allora.. allora c'era davvero un mostro?”

 

Kirk inclinò leggermente la testa, come se stesse valutando come rispondere “..non esattamente.”

 

Risposta che Arielle non sentì. Poco dietro Kirk, nascosto e attorcigliato tra le sedie della sala mensa in cui si trovavano, vide nuovamente il serpente. I suoi occhi erano rossi. Kirk si accorse rapidamente che Arielle aveva la sua attenzione altrove, così seguì il suo sguardo fino alle sedie, dove apparentemente non trovò niente.

 

“Va tutto bene?” le chiese, una volta che tornò a guardarla.

 

Arielle si fidava ciecamente di Kirk. Gli avrebbe affidato la sua stessa vita. Ma.. non era pronta per parlare nuovamente del serpente. Aveva già provato a parlargliene in un'altra occasione in cui erano soli e l'aveva visto di nuovo alle sue spalle, e nel farlo si era resa conto che non era pronta. Kirk l'avrebbe portata da McCoy per l'ennesima visita medica, e avrebbe iniziato a pensare che c'era qualcosa che non andava in lei, sempre se già non lo pensava. Se avesse pensato che Arielle avesse avuto qualche allucinazione o problema mentale non le avrebbe più permesso di stare a bordo dell'Enterprise, e tanto meno di portarne l'uniforme. E Arielle non poteva biasimarlo per questo. Lui era il Capitano. Il suo primo compito era proteggere la nave e il suo equipaggio.

 

“Quando incontri qualcuno per la prima volta.. anche un animale o una creatura che non sapevi esistesse.. hai mai paura?”

 

“Naturalmente.” rispose Kirk, quasi senza nemmeno pensarci.

 

“Davvero? Sempre?” non era la risposta che Arielle si aspettava.

 

“Non devi vergognarti della paura, Arielle. Fa parte dell'essere umano, e anche di molte altre specie in realtà. E in alcune occasioni, è un emozione positiva.”

 

“Positiva? Come può la paura essere positiva?”

 

“Dimmi una cosa..” fece Kirk, iniziando a camminare accanto a lei “..quando sei arrivata in questo universo, quando ti sei trovata in quel pianeta in cui ti abbiamo trovata.. hai avuto paura, non è così?”

 

Arielle non rispose, ma non serviva che lo facesse. Kirk aveva già la sua risposta.

 

“E ti sei vergognata di provare paura, non è così?”

 

Arielle annuì.

 

“Beh, non avresti dovuto. Non avresti dovuto vergognartene. Quella che tu hai avuto in quella circostanza è paura dell'ignoto. E' una reazione umana. E ti ha aiutata. Avere paura non è solo spaventarsi o urlare. Avere paura è anche essere vigili. Vigili e attenti. Se non avessimo mai paura, né dei luoghi né degli esseri viventi che non conosciamo, saremmo sempre in uno stato rilassato e tranquillo, e più restii ad avere una reazione instantanea di autodifesa se le cose per qualsiasi motivo dovessero peggiorare. Al contrario, con la paura, siamo vigili e attenti, ai luoghi e a chi abbiamo appena incontrato, e più pronti a reagire nel caso di una minaccia. La paura è uno scudo di protezione, ne abbiamo bisogno. Tutti abbiamo paura, Arielle. Chi lo nega o è un bugiardo o uno stolto.”

 

“Ma tu aiuti sempre chiunque lo chieda. Ogni volta che riceviamo una richiesta di soccorso, rispondiamo.”

 

“Ovviamente. Protocollo della Flotta Stellare. Ed è anche la cosa giusta da fare.”

 

“Ma se chi chiede aiuto avesse intenzioni negative? Se fosse solo una trappola? Ogni volta che incontri qualcuno, come fai a valutare qual'è la cosa giusta da fare? Come fai a sapere di chi fidarti?”

 

“C'è questa possibilità, sì.” rispose Kirk “..ma il fatto che io aiuti qualcuno, non significa che mi fido. Non ciecamente, almeno. Sì, potrebbe essere la decisione sbagliata. Potrei aiutare chi non dovrei. Non posso saperlo. Ma posso scegliere. Scegliere di credere che chi aiuto merita di essere aiutato. Scegliere di credere che chi incontrerò è motivato dal bene invece che dal male. L'apparenza inganna, Arielle. Non sempre le cose, così come le persone, gli esseri viventi e i luoghi, sono come appaiono. Come esploratori, il nostro compito è avere una mente aperta. Senza quella, non possiamo andare molto lontani, e soprattutto non possiamo fare la differenza.”

 

“Ho capito.”

 

“Comunque è molto interessante che tu mi abbia fatto questa domanda proprio oggi, al ritorno dalla nostra missione. Anche quella non si è conclusa come ci aspettavamo. Forse riuscirai a capire meglio quello che ti ho detto. Lascia che ti racconti cosa è successo.”

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando quella sera tornò nel suo alloggio, Arielle si sentiva una persona migliore di quella che era stata quando l'aveva lasciato ore prima.

 

Kirk le aveva raccontato cosa era successo sul pianeta nei minimi dettagli, dal loro arrivo alla conclusione, e in effetti quella storia era esattamente quello che aveva bisogno di sentire.

 

Il serpente se ne stava raggomitolato su sé stesso in angolo della stanza, quasi triste. Arielle lo fissò intensamente accarezzandosi le dita con nervosismo, ma l'animale, una volta tanto non la guardava.

 

Sii coraggiosa, Arielle.

I serpenti hanno un aspetto inquietante e spaventoso.. ma hai sentito Kirk, no?

 

Non sempre le cose, così come le persone, gli esseri viventi e i luoghi, sono come appaiono.”

 

Questo serpente mi ha aiutato. Mi è stato sempre vicino per tutto questo tempo, senza mai farmi del male.

Se avesse voluto uccidermi, l'avrebbe già fatto.

 

Fece qualche passo verso l'animale, fino a quando non ci fu davanti. Poi si chinò, e lo guardò nuovamente. Si sentiva tremare dalla paura, come se sarebbe svenuta da un momento all'altro, e per farsi forza non faceva altro che ripetersi le parole di Kirk.

 

Non sempre le cose, così come le persone, gli esseri viventi e i luoghi, sono come appaiono.”

 

Pur continuando a tremare, allungò lentamente il braccio verso serpente, fino a quando la mano non fu a pochi millimetri di distanza dal suo muso. L'animale, quasi sorpreso, alzò la testa per guardarla negli occhi, poi nuovamente nella mano. Poi si avvicinò, facendo passare il suo lungo corpo sulla mano che Arielle aveva offerto, finendo per farsi accarezzare.

 

Arielle rise, ancora nervosa ma più rilassata. Toccarlo le faceva uno strano effetto, ma non era spiacevole come aveva inizialmente pensato. Il serpente la avvolse lentamente con il suo corpo, ma senza stringere.

 

La stava abbracciando.

 

“Mi dispiace di aver avuto paura di te.”

 

Il serpente la guardò, poi poggiò la testa sulla sua mano. Ora i suoi occhi si erano fatti più chiari.

 

E a me dispiace di averti fatto paura. Ma non fa niente, è tutto a posto adesso. Non sei sola, ti aiuterò io. Ti guarderò le spalle.”

 

E Arielle capì che l'aveva sempre fatto, fin dall'inizio. Era semplicemente stata troppo stupida, e superficiale, per capirlo.

 

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** C'era una Volta - Capitolo 15 ***







C'ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 15

 

 

 

 

 

 

 

 

Parigi non era affatto come la ricordava.

 

Era come se fosse diventata una città diversa, piena di tenebre e oscurità. I palazzi e le vie erano uguali, nessun dubbio su questo, ma tutto appariva più sinistro, come se quella fosse la Parigi del Sottosopra.

 

C'era gente ovunque. Non importava dove Nolwenn andasse o guardasse, non vedeva altro. C'erano sempre state molte persone a Parigi, essendo la città più grande della Francia, ma non era come adesso. Ad ogni passo che faceva, le persone sembravano aumentare, e gli spazi diminuire. Nolwenn arrivò a non vedere dove stesse andando e si sentiva soffocare, tanto era la folla, folla che inoltre era anche agitata tra le altre cose. Si sentivano grida, urla, armi che venivano usate le une contro le altre, come se fosse scoppiata una guerra civile all'interno della città.

 

Tutti questi campanelli di allarme avrebbero dovuto essere più che sufficienti per far capire a Nolwenn che non era stata una saggia idea tornare a Parigi, ma la ragazza era troppo sicura di essere sulla via giusta, e non sempre agiva in modo saggio. E invece di provare paura, provò frustrazione.

 

Ma da dove arriva tutta questa gente?

Perché sono tutti così agitati?

Sono arrivata fin qui, non mi fermerò adesso!

 

La tentazione di prendere il suo fermaglio ed osservarlo, quello stesso fermaglio che l'aveva convinta oltre ogni ragionevole dubbio che Parigi fosse la sua destinazione finale, era molto forte, ma neanche lei era così stupida. Le persone intorno a lei parevano infinite e troppo agitate, non avrebbe corso il rischio di perderlo.

 

Chiuse gli occhi e poi iniziò a camminare davanti a sé, ignorando tutti quegli ostacoli umani. Sentiva le spalle che le facevano male nello scontrarsi con uomini più grossi e muscolosi di lei che fortunatamente non pensarono ad aggredirla, e cadde anche un paio di volte. Ma continuò, fino a quando non sentì più nessuno intorno a sé: aprì gli occhi e vide che era finita in una viuzza oscura, piccola e sporca, ma almeno era da sola. Riprese il fermaglio e tornò a seguirne la luce.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Nolwenn percorse la viuzza fino alla sua conclusione, quando andava ad unirsi con una strada più grande, ma non tanto da essere una delle principali del centro della città. Nel frattempo il Sole era anche tramontato, e questo non facilitava di certo le cose, anche se c'era comunque il risvolto della medaglia: maggiore era l'oscurità, maggiore era chiara la luce che stava seguendo.

 

Proprio quando stava per imboccare questa nuova strada, Nolwenn sentì delle voci e si attaccò al muro per non farsi vedere. Quando si fece coraggio, si sporse leggermente per vedere cosa stesse succedendo, anche perché le voci erano troppo lontane perchè potesse capire cosa stesse sentendo di preciso.

 

C'era una fila di soldati, vestiti così di nero che apparivano più scuri della notte, fare da guardia e controllare l'accesso. Nessuno poteva passare, né da una parte né dall'altra. Nessuno poteva entrare nella piazza di Notre Dame, e nessuno poteva uscirne. Le povere persone che volevano fare una delle due cose, per rincongiurgersi con qualcuno che era dall'altra parte forse, venivano pesantemente aggredite e picchiate da quei “soldati”, anche se il loro lavoro era proteggere i cittadini, in teoria almeno. Nolwenn si sentì profondamente disgustata, ma quello non era il momento di agire d'istinto. Era ancora sicura che il fermaglio la stesse conducendo nella giusta direzione, e non si sarebbe fermata adesso. Ripercorse nuovamente la viuzza facendo la strada al contrario, guardando le mura alla ricerca di qualcosa. Poi, finalmente, la trovò. Una vecchia scala di legno a pioli, tanto vecchia da non avere più nemmeno il colore del legno. Non era molto grande, ma lo era abbastanza da permetterle di raggiugere la finestra del primo piano dell'abitazione. Nolwenn inspirò e pregò mentalmente, e quando ebbe finito iniziò ad arrampicarsi, ben consapevole che una caduta le sarebbe costata cara.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Una volta tanto, le cose andarono per il verso giusto.

 

Nolwenn aveva rischiato la caduta un paio di volte, e in certi punti quella scala le era parsa più distrutta di quanto avesse pensato all'inizio, ma riuscì comunque a raggiungere il tetto, protetta chiaramente da qualche entità divina o dalla semplice fortuna.

 

Ma non era pronta per quello che vide lassù.

 

Quasi trent'anni vissuti a Parigi, eppure non aveva mai visto Notre Dame così piena. Al centro della piazza vide una sorta di piattaforma, sopra alla quale una donna dai lunghi capelli neri era legata, mentre ai suoi piedi c'era qualcosa. Davanti a lei, due uomini. Uno era robusto e massiccio e l'altro, decisamente più vecchio, era alto e snello. Si stavano passando una torcia. Vide delle enormi gabbie.. quando a Nolwenn sembrò che al loro interno ci fossero delle persone, sperò di aver visto male.

 

Sentì la paura farsi più forte, ma anche la determinazione.

 

Non posso mollare adesso.
Non quando sono così vicina.

Non posso.

Devo farlo.

Per Arielle e per Yvonne.

 

Attraversò il tetto e una volta resosi conto che scendendo dall'altra parte avrebbe potuto raggiungere Notre Dame, non ci pensò due volte. Riuscì a raggiungere la finestra subito sotto il tetto senza farsi male nonostante la tensione e i suoi arti che iniziavano ad essere stanchi. Non c'erano scale a pioli purtroppo, ma la fortuna non l'aveva ancora abbandonata. Nella strada poco più in là, vide un materasso distrutto e malconcio. Cercò di calcolare le tempistiche pensandoci meno di quanto avrebbe dovuto, ma poi si buttò. Riuscì ad atterrare sul materasso, ma nel farlo aveva sbattutto il gomito destro contro il muro, causando un dolore notevole e una scia rossa sulla manica del suo vestito, ma era ancora in grado di camminare.. e aveva raggiunto la piazza di Notre Dame.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“..rispedire questo empio demone, dall'inferno da cui proviene.”

 

Frollo pronunciò quelle parole nell'esatto momento in cui Nolwenn aveva passato tutta l'immensa folla, trovandosi solo di due file più indietro rispetto ai soldati che contenevano i popolani. Non fece in tempo a realizzare quanto fosse immensamente più brutto e viscido il Frollo in carne ed ossa che quello del cartone, il che era tutto dire, e a sentire il magone nello stomaco dovuto a quelle parole, che l'uomo usò la torcia per cospargere di fuoco la paglia ai piedi di Esmeralda, che nonostante si trovasse in punto di morte e con una veste distrutta e sporca, appariva bella e impavida come una dea.

 

Senza pensare, Nolwenn tentò un balzo in avanti d'istinto, senza avere un piano o sapere cosa fare, ma una delle guardie usò un lungo bastone per colpirla nella pancia e spingerla a terra, urlandole volgarità. Un popolano l'aiutò ad alzarsi, ma questa volta Nolwenn rimase indietro senza muoversi.

 

Il fumo iniziò a cospargersi per la piazza, inizialmente piccolo e solo intorno ad Esmeralda, ma poi si fece sempre più grande fino a quando non sembrò raggiungere persino Notre Dame. Seguendone la scia, Nolwenn passò lo sguardo sulla cattedrale, notando in lontananza quella che sembrava.. una lunga corda? Con appeso qualcuno, di basso e massiccio?

 

No.. impossibile.

Doveva essere un allucinazione dovuta al fumo.

 

Ma non lo era.

 

Quella corda robusta si avvicinò sempre di più alla piazza, fino a quando l'uomo che la manovrava atterrò al fianco di Esmeralda. E solo allora Nolwenn lo riconobbe.

 

Era Quasimodo.

 

Prima che Nolwenn potesse rendersene conto, Quasimodo liberò Esmeralda, colpì con un bastone con la punta piena di fiamme qualche guardia che si era avvicinata per tentare di fermarlo, poi aveva ripreso la corda ed era tornato da dove era venuto. Si muoveva con una tale maestria che sembrava di ammirare Tarzan in mezzo alla giungla, che si spostava tra una liana e l'altra.

 

Fu difficile continuare a seguirlo con lo sguardo quando arrivò alle mura di Notre Dame, con la notte e il fumo e la confusione e la distanza, ma sforzandosi Nolwenn riuscì a notare quale minuscolo punto della cattedrale era diverso dal solito, e così riuscì a localizzarlo.

 

Quando poi si mise davanti ad una delle bellissime e maestose vetrate colorate di Notre Dame, e alzò Esmeralda ancora svenuta con le braccia, fu impossibile non notarlo.

 

“Diritto di asilo!”

 

La gente urlò in risposta. Nolwenn era ancora parecchio scossa, doveva ancora metabolizzare tutto quello che era successo a distanza di poco tempo. Da Esmeralda quasi uccisa al rogo, a Frollo, ai civili bloccati e gli altri zingari in delle enormi celle per animali, ai pericoli intorno a sé, a Quasimodo che è arrivato come se non avesse fatto altro nella vita, ad una delle scene più epiche del film che stava avvenendo davanti ai suoi occhi. Non sapeva nemmeno come sentirsi o cosa provare. Paura? Emozione? Coraggio? Disperazione? Speranza? Euforia?

 

“Diritto di asilo!”

 

La gente urlò nuovamente. Nolwenn si sentiva più sicura e carica, ma non emise un suono, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo dal campanaro di Notre Dame.

 

“Diritto di asilo!”

 

Sì sentì un terzo urlo causato dalla folla, che questa volta poteva contare anche della voce di Nolwenn, che aveva urlato a squarciagola senza neanche accorgersene.

 

E quando poco dopo vide Frollo e i soldati allontanarsi dalla piattaforma in cui si trovava Esmeralda, ormai completamente in fiamme, per avvicinarsi alla cattedrale, la rabbia di Nolwenn crebbe ancora di più.

 

No.

Che non tocchino Notre Dame!

So che stanno andando ad attaccarla, non posso permetterlo!

L'ultima volta che la cattedrale ha subito dei danni, io sono finita qui! Sola! E ho perso Arielle e Yvonne!

 

Rivide davanti a sé i loro volti, quelle persone care che le erano state strappate a forza di cui non sapeva più nulla.. da mesi.

 

Iniziò a pensare mentre lottava per rimanere calma, quando sentì un rumore non tanto distante, un rumore che sembrava qualcosa di antico e metallico che si apriva. Si voltò immediatamente verso quel suono, e vide una delle gabbie aprirsi, e un uomo biondo salirci sopra. Esteticamente sembrava Denis Leary più giovane, ma non appena iniziò a parlare capì che si trattava di Febo.

 

“Cittadini di Parigi! Frollo ha perseguitato la nostra gente, saccheggiato la nostra città, e ora..” era calato il silenzio mentre parlava, come se tutti lo stessero ascoltando “..ha dichiarato guerra persino a Notre Dame! Glielo permetteremo?”

 

La folla urlò in coro “no”, e Nolwenn si sentì molto orgogliosa di far parte di quel coro. Iniziarono a scaraventarsi tutti contro le guardie, ormai poche dato che molte per ordine di Frollo stavano cercando di raggiungere la cattedrale, che non poterono fare nulla contro tutta quella gente inferocita. Nolwenn non aveva né armi né protezioni dato che portava un normalissimo vestito femminile da campagna, eppure non si sentì minimamente spaventata. Con quella differenza numerica impressionante tra guardie e popolani, lei e altre tre donne, più anziane di lei, riuscirono ad abbattere una guardia senza grandi difficoltà, e mentre alcuni popolani sfruttarono la confusione delle guardie per liberare gli zingari rinchiusi nelle celle, Nolwenn sentì qualcuno che le diede una lunga lancia appuntita. L'arma era rozza, e soprattutto pesante, ma Nolwenn era troppo euforica e arrabbiata per realizzarlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Il combattimento proseguì senza sosta e così anche Nolwenn, sebbene i primi segnali della stanchezza iniziarono a farsi sentire. Nonostante la differenza numerica e il fatto che lei e i popolani fossero in netto vantaggio rispetto ai soldati, non faceva sì che la situazione fosse meno pericolosa di quanto sembrasse, perché lo era, eccome se lo era.

 

Quando a scuola gli insegnanti le avevano parlato delle guerre che c'erano state, lei se le era sempre immaginate diversamente. Nella sua testa erano battaglie epiche in grandi spazi aperti con musiche suggestive e uomini valorosi che erano pronti a dare il tutto per tutto per la loro patria, o per qualunque cosa stessero combattendo. Perché era così che erano le guerre nei film, e lei le guerre, le aveva sempre viste solo nei film. E anche questo era un film in effetti, Il Gobbo di Notre Dame, un film per famiglie tra l'altro, per bambini, ma quella guerra non aveva niente di fiabesco.

 

Era brutale.

 

Piena di urla. Urla di gente che stava morendo, urla di gente che era stata ferita gravemente, urla di gente che aveva trovato un proprio caro morto, urla di paura. Non c'erano uomini valorosi e senza paura, ma uomini disperati, che erano terribilmente spaventati ma che non si fermavano, e che non avevano la minima intenzione di farlo.

 

Nei film, anche dopo una guerra durata giorni e giorni, gli eroi ne uscivano sempre vittoriosi nonostante le difficoltà, e sempre freschi come delle rose, con i capelli curati e il volto perfetto, unica differenza un minimo di sporcizia sulla pelle.

 

Qui no.

 

Qui la gente aveva ferite ovunque, alcuni ne avevano tante che Nolwenn si chiese come riuscissero ancora a reggersi in piedi. Aveva visto una donna che aveva perso la metà dei capelli, l'altra metà probabilmente persa per un colpo di spada, e neanche sembrava se ne fosse accorta da quanto era presa in quello scontro. Un uomo, invece, era completamente nudo: aveva perso gli abiti perché gli erano stati strappati, eppure continuava a lottare.

 

Nolwenn dovette considerarsi molto fortunata, perché molti dei soldati che si ritrovava ad affrontare erano alle prese con altri popolani oltre a lei, tutti contro di lui, ciò nonostante, si ritrovò in difficoltà numerose volte. Il suo vestito ricevette diversi tagli scoprendole le gambe, dove subì diverse ferite di striscio dovuti ad una spada, non profondi ma abbastanza fastidiosi da provocarle dolore per tutto il tempo. Un soldato tentò anche di colpirla in un momento in cui era distratta, ma fortunatamente Febo era lì vicino e riuscì ad ucciderlo un secondo prima che le aprisse la testa con la spada: quando venne colpito e cadde a terra, la sua spada finì comunque per colpire Nolwenn alla guancia, ma la paura che provò in quel momento realizzando che era andata tremendamente vicina alla morte fu nettamente superiore al dolore che la ferita le causò.

 

Sentiva anche molto dolore alle mani. Le aprì e vide che i palmi, così come le dita, erano pieni di graffi e di sangue che era fuoriuscito da tante piccole ferite. Aveva tenuto così ben salda quella lancia che aveva ricevuto per paura di perderla e rimanere senza armi che le mani si erano ferite e alcune schegge di legno si erano staccate ferendole la pelle.

 

E quella non era neanche una guerra. Era una battaglia civile.

 

Poi da Notre Dame iniziò ad uscire della lava incandescente. Nolwenn sapeva che era Quasimodo che stava proteggendo Notre Dame da Frollo e dai soldati, ma vedere quella scena le causò una morsa nello stomaco così forte da oscurare ogni altra ferita.

 

Le sembrava di vedere nuovamente Notre Dame in fiamme, come quando aveva smarrito Yvonne e Arielle.

 

E si ricordò per cosa stesse combattendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scontro finì quando sorse il Sole.

 

Nolwenn sentì la gente esultare, ma la ragazza sentiva le loro voci ovattate, come se fossero lontani.

 

Si guardò intorno come per essere assolutamente certa di essere fuori pericolo e che non ci fossero altri soldati, poi lasciò cadere la lancia e si mise sulle ginocchia dimenticando momentaneamente le ferite alle gambe, che nel toccare la pavimentazione a terra causarono una nuova ondata di dolore.

 

Provò ad alzarsi, giusto per spostarsi in un luogo isolato prima di svenire, ma la piazza era enorme e quando capì che non ne valeva davvero la pena, crollò a terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando Nolwenn si svegliò era tramonto: aveva dormito quasi per tutto il giorno. Fortunatamente nessuno aveva abusato di lei e nessuno le aveva rubato niente, sfruttando il fatto che era priva di sensi. La piazza era quasi vuota, e tutto sembrava essere tornato alla normalità, come se fosse una giornata come tante altre. I negozi erano aperti, la gente girava tranquillamente ed erano già iniziati i lavori per sistemare i palazzi che erano stati distrutti nella battaglia che c'era appena stata, ma che nessuno sembrava ricordare.

 

Sebbene sentisse ancora una notevole stanchezza, Nolwenn si alzò e riprese il fermaglio, intenzionata a riprendere il suo viaggio, che comunque doveva essersi ormai concluso.

 

Nel momento in cui aveva lasciato la casa di Edmond e Mathieu e si era affidata totalmente al fermaglio, aveva pensato a lungo a dove l'avrebbe condotta e c'erano solo due possibilità: o da Stephane o da Arielle e Yvonne.

 

Inizialmente aveva optato per Stephane. In fondo il fermaglio era un suo regalo, ma quando si era accorta che l'oggetto la stava conducendo a Parigi quell'ipotesi si era fatta sempre più lontana. Era improbabile che un principe si trovasse nella capitale della Francia, soprattutto a quell'epoca in quel mondo, e quando, raggiunta la città, la luce si era fatta così intensa da farle capire che la meta era vicina, ogni suo dubbio si era dissipato.

 

Ed era arrivata la gioia.

 

La gioia e la speranza di essere vicina di tornare a casa, di rivedere le sue amiche.

 

Riprese a camminare, la luce del fermaglio così luminosa da risultare acceccante, luce che la condusse all'ingresso di Notre Dame.

 

Entrò nella cattedrale, ma al suo interno fu delusa, come se si aspettasse di trovarci Arielle e Yvonne visto che era lì, che le aveva viste l'ultima volta.

 

Ma loro non c'erano.

 

Perché quella non era la sua Notre Dame, quella con cui era cresciuta.

 

E la notte prima aveva combattuto per niente.

 

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 15 ***






QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 15

 

 

 

 

 

 

 

“Te l'ho già spiegato, Malfoy..” disse Yvonne, cercando di trattenere la frustrazione “..non devi più chiamare Hermione mezzosangue, mai più, o tutti i tuoi sforzi, i nostri sforzi, saranno stati vani..” sospirò “..in effetti, dovresti evitare di chiamare chiunque così. Anzi, sai cosa ti dico? Dimenticati dell'esistenza di quella parola.”

 

Yvonne faceva di tutto per essere gentile e paziente con Malfoy, non tanto perché lo meritasse ma perché se lui fosse diventato una persona migliore ne avrebbero beneficiato tutti, compreso lei. Ma alle volte era davvero difficile.

 

“Ma lei è una mezzosangue!”

 

“Cosa ti importa del suo sangue? Hai in programma una trasfusione?”

 

Malfoy fece un'espressione che era un miscuglio di confusione e ribrezzo, anche se lei lo conosceva abbastanza da sapere che in questo caso provava più che altro confusione “Cosa? Trasfusione? Cosa dovrebbe significare?”

 

“Lascia perdere.” tagliò corto Yvonne, voltando lo sguardo per guardare davanti a sé.

 

Ma Malfoy non era intenzionato a chiudere la conversazione.

 

“A te non dà fastidio quando ti chiamo mezzosangue!”

 

“Qui non si tratta di me!”

 

“Mh mh.”

 

Calò un silenzio imbarazzante.

 

Yvonne e Malfoy alzarono lo sguardo e incrociarono quello severo della McGranitt. L'insegnante teneva le braccia dietro la schiena, e né la Grifondoro né il Serpeverde ebbero bisogno di guardarsi intorno per capire che tutti li stavano guardando.

 

“Oggi è la seconda volta che parlate tra voi invece che seguire la lezione. Se dovesse ricapitare, sarò costretta a togliere ad entrambi punti della vostra Casa.”

 

“Scusi..” mormorò in tono sottomesso Yvonne.

 

Malfoy non disse nulla, ma abbassò la testa in segno di dispiacere.

 

Perfetto.

Ora sono nella lista nera della McGranitt.

Ma io dico, proprio adesso Malfoy aveva voglia di parlare?

Proprio durante la lezione di Trasfigurazione?

Proprio a lezione della direttrice della mia casata?

 

Fortunatamente, né lei né Malfoy ricevettero altre ramanzine visto che passarono il resto della lezione in religioso silenzio. Yvonne si sforzò addirittura di prestare attenzione alla lezione, anche se non fu affatto facile: un po' per la materia che poco le interessava e un po' per le occhiate che qualche Grifondoro le lanciava. Inizialmente non ne capiva davvero il motivo, poi però guardandosi intorno si rese conto che era circondata da altre casate.

 

Al suo fianco c'era Malfoy, che si era seduto senza dire una parola come se quello fosse il suo posto da tempo immemorabile, ma anche intorno a loro c'era qualche Serpeverde, e un paio di Tassorosso e Corvonero. Ma nessun Grifondoro.

 

Tutti gli altri Grifondoro erano seduti dall'altra parte dell'aula, e guardavano Yvonne come se non riuscissero a decifrarla. Quando le accadeva prima, nella sua vera vita, nel mondo reale, era sempre preoccupata come se sentisse di aver fatto qualcosa di male, ma questa volta no.

 

Questa volta si sentiva quasi orgogliosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“E' solo una parola.” continuò Malfoy con Yvonne nel momento stesso in cui furono fuori dall'aula a lezione conclusa, insistente come una zanzara in piena estate “vera tra l'altro.”

 

“Se è solo una parola, allora non dovrebbe costarti tanto evitarla.”

 

“Se la Granger non riesce ad accettare la verità non è un mio problema.”

 

“Quale verità? Che sei un ignorante?”

 

Malfoy si fece d'un tratto tutto rosso in faccia “..come osi..”

 

“Perché è esattamente questo quello che sei, se continui con quella parola. Pensi di sembrare simpatico quando la dici? Superiore? Migliore? Ti assicuro che non lo sei. Risulti essere solo antipatico ed ignorante.”

Yvonne sospirò, un po' per l'irritazione e un po' per riprendere fiato “..come Hermione reagisce a quella parola, o chiunque altro, è irrilevante. Come per qualsiasi altro insulto, è chi lo dice a fare una brutta figura, e nessun altro. Vuoi continuare a fare altre brutte figure?”

 

Malfoy la guardò con sfida, come se cercasse di capire se stesse bleffando o meno. Yvonne sfruttò l'occasione per cogliere la palla al balzo.

 

“Se qualcuno ti insultasse per qualcosa che non hai scelto, tu penseresti che hai ragione di essere insultato o che chiunque ha parlato è un idiota?”

 

Il Serpeverde stette fermo a guardarla, ma muoveva impercettibilmente le labbra, pensandoci. Alla fine, guardò Yvonne con un'espressione meno arrabbiata, ma ancora tesa. “E come dovrei chiamarla allora?”

 

Yvonne scosse le spalle e agitò le braccia “..con il suo nome immagino? O per il cognome, se solo il nome è troppo informale per te. Io Harry e Ron li chiamo spesso Potter e Weasley.”

 

Malfoy la guardò sorpreso, quasi dubbioso. Poi scoppiò a ridere. “..davvero li chiami Potter e Weasley?”

 

“Tu che dici?” rispose Yvonne seria come non mai per fargli capire che non stava scherzando, lottando con tutta sé stessa per non ridere a sua volta.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Yvonne aveva sempre pensato, fin da quando aveva deciso di provare a “spingere” Malfoy verso la giusta via e il giusto futuro, che fargli capire quanto fosse sbagliato quello che diceva e faceva fosse la parte più difficile.

 

Si sbagliava.

 

La parte più difficile era far sì che quella consapevolezza fosse permanente e che le sue vecchie, pessime abitudini morissero per sempre.

 

Forse Malfoy non era ancora del tutto convinto quanto dannosa e crudele potesse essere quella parola, ma aveva sicuramente capito che rimuoverla dal suo vocabolario lo conduceva ad un passo più vicino a Harry. Era come un bambino piccolo che, dopo essere stato punito per un comportamento sbagliato, aveva deciso di non farlo più non tanto perché aveva capito che fosse sbagliato, ma perché sapeva che evitarlo gli avrebbe portato molti più benefici.

 

Questo Yvonne lo sapeva molto bene, come sapeva che Malfoy stesse passando del tempo con lei e la ascoltasse solo per arrivare a Harry e non è che gli importasse più di tanto di lei, ma le stava bene così. Cambiamento o meno era sempre Malfoy, e aspettarsi troppo era pura fantascienza.

 

Ma avevano ancora molta strada da fare.

 

Iniziò a parlargli di Hermione, tutto il tempo. Gli raccontava di quello che faceva, quello che le diceva, di quanto fosse sveglia, intelligente, nonostante le sue origini. Voleva che Malfoy capisse che persona fantastica era, ma voleva anche metterlo alla prova: parlare in maniera costante di lei avrebbe comportato che anche lui la nominasse, e doveva abituarsi a farlo sempre in modo rispettoso, evitando a tutti i costi quella parola con la “m”.

 

Il primo giorno resistette per dieci minuti senza dirla. Il giorno successivo due ore. Poi arrivò a quattro giorni. Fino a quando riuscì a resistere all'impulso di dirla per ben due settimane, in presenza di Yvonne naturalmente, non è che lei potesse seguirlo ovunque.

 

Parlò anche di Harry e Ron. Loro non erano nati babbani, ma nei film Malfoy trovava sempre il modo di dargli fastidio con le parole o con le azioni. C'era da lavorare anche su di loro.

 

E naturalmente c'era Neville, Yvonne non si era certamente dimenticata di lui. Non è che fossero previsti chissà quali interazioni tra i due, ma la Grifondoro fu nuovamente molto chiara. Se Malfoy avesse fatto la più piccola cosa a Neville, lei non lo avrebbe più aiutato. Il Serpeverde le aveva riso dietro in risposta, alludendo ad altre battutine su come fosse il suo ragazzo, ma Yvonne sapeva che aveva capito molto bene che era seria.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sei pronto, Malfoy. Se Harry ancora non volesse avere a che fare con te, lo stupido sarebbe lui.” disse Yvonne, sorprendendosi di avere una tale familiarità con il Serpeverde da avere il coraggio di dirlo ad alta voce.

 

“L'ho sempre saputo io.” rispose con un finto tono altezzoso Malfoy.

 

Yvonne lo guardò di striscio. “Non ti allargare.”

 

Calò il silenzio.

 

I due si guardarono a lungo, non sapendo cosa dirsi. Alla fine fu Malfoy a rompere il ghiaccio.

 

“Dunque abbiamo finito?” disse, alludendo alla collaborazione tra i due.

 

Sì, avevano finito.

Avevano passato gli ultimi due mesi a vedersi di continuo, perché lui fosse pronto.

E lo era.

Non aveva più senso che si frequentassero.

Tutta quell'agonia era finita.

 

Ma allora.. perché Yvonne si sentiva vagamente triste?

 

“Immagino di sì.”

 

Malfoy la guardò nuovamente, sembrando quasi malinconico. Fece per allontanarsi, ma poi Yvonne lo chiamò nuovamente, quasi senza accorgersene “aspetta..”

 

“Cosa?”

 

“Ci sarebbe.. ci sarebbe un'ultima cosa.. è un favore..”

 

Malfoy sospirò, già preparato a sentire qualcosa che non gli sarebbe piaciuto. “..non mi scuserò con Potter o Weasley o la Granger!”

 

“Non è questo.. non ha nulla a che fare con la nostra collaborazione.. è per me..”

 

“Cosa vuoi.” sbottò Malfoy, senza neanche guardarla.

 

“Si tratta di Beverly.”

 

A quel punto il Serpeverde la guardò di nuovo. “..la Sutton?”

 

“E' una mia amica.. e sono preoccupata per lei. Non credo si trovi molto bene tra i Serpeverde, ma io non posso aiutarla molto. Non è che potresti buttare un occhio su di lei ogni tanto? Assicurarti che nessuno le dia fastidio?”

 

Malfoy sbuffò “..pensi che non abbia niente di meglio da fare che essere il babysitter dei tuoi amichetti?!?”

 

“E' una persona buona, ed è stata la mia prima amica da quando..” sono tornata bambina? Sono arrivata in questo mondo? “..sono a Hogwarts. Ti prego. Se lo farai, sarò in debito con te e potrai chiedermi qualcosa quando avrai bisogno.”

 

“Io non ho bisogno di nessuno, tanto meno di una me-- ehm.. nata babbana.”

 

Yvonne lo guardò con occhi supplicanti, e Malfoy roteò gli occhi.

 

“Va bene! Ci penserò!”

 

La Grifondoro era tremendamente vicina ad abbracciarlo dal sollievo.

 

Beverly..

non mi dice niente, ma è dall'inizio dell'anno che sento che non si trova bene nella sua casata.

E con Harry e Ron e Hermione e Neville e ora Malfoy.. non sono stata con lei quanto avrei voluto.. quanto avrei dovuto.

Che pessima amica che sono stata con lei.. quando lei è stata la prima vera amica, quando ero ancora invisibile.

Speriamo che Andrea sia stata al suo fianco.

 

I suoi pensieri vennero interrotti da un'altra voce.

 

“Ehy Malfoy, ora frequenti i mezzosangue?”

 

Era un Serpeverde del secondo anno che era passato vicino a loro. I tre con lui ridevano. Erano tutti Serpeverde.

 

Yvonne guardò Malfoy, non avendo assolutamente idea di come avrebbe reagito.

 

“E tu invece Dallsbury quando inizierai a frequentare un cervello?”

 

Si sentirono altri Serpeverde che risero. Quel bulletto fece dei gestacci a Malfoy, ai quali quest'ultimo rispose con delle smorfie. Se si dissero qualcos'altro, Yvonne non seppe dirlo.

 

Non importa se Harry vedrà mai Malfoy in modo diverso o migliore rispetto a come lo vede ora.

Non importa se Malfoy non si farà nessun nuovo amico.

Lui era già una persona migliore.

Aveva davvero ragione.

Non aveva bisogno di nessuno.

 

“Perché hai quella faccia imbambolata?” le chiese Malfoy, svegliandola dai suoi pensieri.

 

“Niente, niente.” fece lei scuotendo la testa, sforzandosi di reprimere la gioia che stava provando.

 

“Ecco quello che succede ad incontrarsi nei Sotterannei! Si incontrano più Serpeverde perché la Sala Comune è vicina e addio alla mia reputazione. Te l'avevo detto io. Ma tu mi hai ascoltato? Ovviamente no. L'hai scelto apposta, non è così?”

 

“Ho scelto i Sotterannei perché mi piacciono.”

 

“Ti piacciono? Sono bui e freddi.”

 

“E' proprio per questo che mi piacciono.”

 

Malfoy la guardò come se fosse pazza, ma alla fine accennò un sorriso. “..sei una Serpeverde mancata.”

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Per qualche giorno, lei e Malfoy non si videro più, e onestamente ne avevano bisogno entrambi. Yvonne sfruttò tutto quel nuovo tempo libero che si ritrovava con Beverly e Andrea, soprattutto Beverly, come se tra tutti gli amici che aveva ignorato in quel periodo, lei fosse la più importante e la più meritevole delle sue attenzioni.

 

Rivide anche Neville, anche se le era ancora difficile rilassarsi del tutto quando era con lui. Doveva farsi passare quella cotta in fretta, altrimenti tra qualche anno si sarebbe fatta molto male nel vederlo sviluppare sentimenti romantici per quella ragazza a cui era destinato, ragazza che sicuramente non era lei.

 

Harry, Ron e Hermione erano ancora molto occupati con le ricerche su Flamel e la Pietra Filosofale, com'era previsto del resto, ma sembrarono contenti di vederla e cercavano sempre di coinvolgerla. A volte si sentiva in colpa, soprattutto quando li vedeva concentrarsi per trovare quelle risposte che lei conosceva molto bene.

 

Ma doveva stare al suo posto.

 

Per non destare sospetti, si limitava ad ascoltare quello che dicevano e ad annuire ogni tanto, e andava bene il più delle volte, ma poi..

 

“..ti abbiamo visto girare spesso con Malfoy, va tutto bene?” chiese Harry un giorno.

 

Yvonne spalancò gli occhi non aspettandosi un così repentino cambio di argomento, ma si riprese in fretta “..sì, perché non dovrebbe?”

 

“Non ti dà fastidio, vero?” fece Ron.

 

Mille possibili risposte le vennero in mente.

 

Pensate che lo frequenterei se così fosse?”

E' più probabile che sia io a dare fastidio a lui.”

Non è così terribile come pensate.”

Ci stiamo aiutando a vicenda per un compito.”

 

Ma tra tutte quelle possibili risposte, quella che le uscì dalla bocca fu la più assurda ed improbabile. Quella a cui lei stessa non aveva neanche pensato. Se qualcuno le avesse detto che avrebbe risposto così, lei gli avrebbe riso in faccia.

 

“E' un mio amico.”

 

Harry, Ron e Hermione apparvero notevolmente sorpresi, ma mai quanto lo fu Yvonne nel sentire le sue stesse parole.

 

Amico..

Davvero considerava Malfoy un suo amico?

No, non era suo amico.

Perché aveva detto così?

Cosa le era preso?

 

“Ha preso in giro me e la mia famiglia quando siamo arrivati a Hogwarts.” spiegò Ron in tono preoccupato, come se temesse che Yvonne stesse frequentando le persone sbagliate.

 

Yvonne sentì una punta di rabbia crescerle nello stomaco.

 

Ricordo molto bene quella sera, Ron.

Ma tu evidentemente non la ricordo così bene.

 

“E' stato prima o dopo che tu hai riso del suo nome?” finse di pensarci su per poi fingere dopo pochi secondi di esserselo ricordato improvvisamente “..ah già ora ricordo, è stato dopo.”

 

Ron abbassò la testa, così triste e dispiaciuto che Yvonne quasi si sentì in colpa, nonostante un secondo prima fosse irritata con lui.

 

Calò un lungo silenzio pieno di tensione, che nessuno riusciva a rompere. Yvonne allora decise di alzarsi e andarsene, ma dopo qualche passo tornò indietro. Non si sedette di nuovo con loro, ma rimase in piedi, abbastanza vicina a loro per parlare senza che nessun altro li sentisse.

 

“Ci sono persone di valore anche nelle altre casate, non solo in Grifondoro. Se volete risolvere i misteri e i segreti di Hogwarts, avrete bisogno anche di amicizie al di fuori della nostra casata. Hogwarts ha quattro fondatori, non è stata fondata solo da Godric Grifondoro. Tu Hermione lo sai meglio di me.”

 

Poi se ne andò.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Passò una settimana da quell'incontro con Harry, Ron e Hermione, e Yvonne era arrivata ormai alla conclusione che non volevano più saperne di lei, e neanche di Malfoy.

 

Era riuscita a cambiare Malfoy.. per niente.

 

E' stato tutto uno sbaglio.

Un enorme grosso sbaglio.

Perché si era messa a socializzare con così tante persone?

Lei non era fatta per queste cose.

Beverly e Andrea erano più che sufficienti.

Ma lei ha preferito complicarsi la vita..

..per niente.

 

“Come mai ogni volta che ti vedo hai la faccia imbambolata?”

 

Yvonne alzò lo sguardo e si trovò davanti Malfoy. Gli sorrise tristemente, vergognandosi di dirgli come stavano realmente le cose. Sperò che Malfoy fosse ancora troppo orgoglioso ed egoista per chiederglielo.

 

“Forse è solo la mia faccia.”

 

Malfoy la guardò come se capisse che qualcosa non andava, e Yvonne si sentì ancora peggio.

 

Datti una regolata, Yvonne.

Se persino Malfoy riesce a capire quando hai qualcosa che non va, siamo messi male.

Controllati.

 

“La Sutton sta bene.”

 

L'espressione di Yvonne cambiò radicalmente. Ora vedeva Beverly regolarmente e sapeva che stava bene, meglio di prima almeno, sembrava più rilassata. Ciò nonostante, sapere che Malfoy aveva tenuto un occhio su di lei come gli aveva chiesto la fece sentire meglio.

 

Stava per ringraziarlo, quando..

 

“Noi andiamo in Biblioteca, Yvonne. Vieni anche tu?”

 

Era stato Harry a parlare. Ron e Hermione erano insieme a lui. Yvonne lanciò una rapida occhiata a Ron nello specifico, come per assicurarsi che a lui stesse bene, considerando cosa era successo l'ultima volta. Ma Ron le sorrise timidamente annuendo con il capo, e lei fece altrettanto.

 

Si alzò per segurli, poi..

 

“Vuoi venire anche tu, Malfoy?”

 

Yvonne sentì che le mancava il respuro. Quando aveva visto il trio, si era completamente dimenticata del Serpeverde. Si girò a guardarlo, trovandolo sorpreso quanto lei. Lo incoraggiò annuendo.

 

“Va bene.” sbottò Malfoy fingendosi leggermente scocciato, quando in realtà provava ben altro.

 

Da quando era arrivata in quel mondo, Yvonne aveva visto magie ed incantesimi..

 

..ma non pensava che avrebbe assistito anche ad un miracolo.







 

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 15 ***







LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 15

 

 

 

 

La memoria umana funzionava davvero in modo strano, o almeno era strano il funzionamento della memoria di Arielle.

 

Quando era arrivata in quell'universo e aveva realizzato dove si trovava, quasi un anno prima anche se le sembrava molto di più, si era rassicurata continuando a ripetersi che sapeva cosa sarebbe successo e saperlo l'avrebbe protetta da qualunque cosa, ma si era resa conto molto presto che ricordava meno di quanto credesse.

 

Ricordava l'Enterprise, certo. E Kirk, e Spock, e McCoy, e tutti gli altri. Ricordava a grandi linee l'andazzo della trama, le relazioni che avevano tra loro e certe scene chiave, ma null'altro.

 

Gli episodi nello specifico, i dettagli, la sequenza di avvenimenti che avevano portato ad un evento importante.. il vuoto. Eppure l'aveva vista la serie.

 

Ma era Yvonne la Trekker. Non lei. Ed era convinta che le cose sarebbero andate sempre peggio. Come poteva essere altrimenti?

 

Se una cosa te la ricordi già poco, e chiaro che andando avanti avresti dimenticato sempre di più. E lei non è che potesse riguardarsi la serie, non adesso che ci viveva.

 

Eppure..

 

Eppure ricordava sempre di più. Non sapeva come fosse possibile.

 

Era perché era più esperta di quel mondo, di come funzionava sia nella vita quotidiana sia su una nave stellare? Era per le lezioni che stava prendendo per entrare nella Flotta Stellare? Era la vicinanza costante a quell'equipaggio che prima erano solo personaggi di finzione?

 

O era Yvonne?

 

La sognava spesso ultimamente. Anche Nolwenn era sempre presente, ma era come se Yvonne fosse il centro delle sue attenzioni. La incontrava di notte, e sebbene fosse consapevole che si trattava solo di un sogno, riusciva a sentire la sua presenza. Non parlavano mai di Star Trek quando si incontravano, ma era come se lo facessero: ogni volta che si svegliava, ricordava sempre di più.

 

E fu esattamente così che arrivò il senso di colpa.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Sembrava un giorno come tutti gli altri, una missione come tutte le altre.

 

L'Enterprise si trovava in una zona piena di turbolenze, che provocava forti scossoni all'astronave. Arielle era sul ponte di comando con loro all'inizio, ma poi se ne era andata intenzionalmente, con il permesso del capitano. Avrebbe preferito affrontare quegli scossoni nel suo alloggio. Ma non ci arrivò mai.

 

Dopo aver azionato il turboascensore, pensò alla serie e se si trattava di qualcosa di familiare, qualcosa che era effettivamente avvenuto. Qualcosa che poteva conoscere.

 

Ma non era sola.

 

“Tu sai cosa sta per succedere, non è vero? E' qualcosa di importante?” chiese Arielle senza nemmeno girarsi, ben consapevole che il serpente era lì.

 

Non si era neanche girata a guardarlo. Non l'aveva nemmeno visto con la coda dell'occhio. Ma sapeva che c'era. Lo sentiva.

 

Tu pensi che lo sia?”

 

Arielle sospirò.

 

“Può darsi che lo sia. Può darsi che non lo sia. Una missione che parte con degli scossoni dovuti a delle turbolenze.. sai quante missioni sono iniziate così? Alcune si sono rivelate importanti, altre no. Come faccio a sapere in quale gruppo rientra questa?” si girò finalmente verso l'animale “..non è che potresti aiutarmi?”

 

Non è questo il genere di aiuto che posso darti.”

 

“Allora dammi questo tipo di aiuto di cui parli.”

 

Sono qui per guidarti. E proteggerti, nel meglio delle mie capacità. Ma il percorso che hai davanti a te.. dovrai essere tu a costruirtelo.”

 

Arrivò uno scossone. Arielle si aggrappò alla manopola per non cadere.

 

“Lo apprezzo molto, ma non è questo quello di cui ho bisogno adesso.” sospirò nuovamente “..puoi almeno dirmi se si tratta di qualcosa che ho visto nella serie? Non voglio perdere tempo a sforzarmi di ricordare qualcosa che non posso conoscere.”

 

L'animale parve in contemplazione, con lo sguardo fisso in un punto del muro. Come se stesse guardando un film in uno schermo invisibile. Un film che gli stava dando risposte ai suoi dubbi.

 

Puoi arrivarci anche da sola. Usa la logica. Usa la memoria. E valuta bene qual'è la decisione da prendere, una volta appreso a cosa andrai incontro.”

 

L'animale sparì subito dopo, come se fosse apparso solo perché loro due potessero avere quella conversazione.

 

Arielle sorrise. Senza volerlo, il serpente le aveva già dato un indizio.

 

..e valuta bene qual'è la decisione da prendere, una volta appreso a cosa andrai incontro.”

 

Questo significava che era qualcosa di importante.

Qualcosa che era avvenuto nella serie.

Qualcosa che lei avrebbe potuto ricordare.

Che doveva ricordare.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Lasciò il turboascensore poco dopo, continuando a pensarci su, ma ormai era arrivata al suo alloggio.

 

C'è stato l'episodio delle spore.

C'è stato l'episodio dell'animale che viveva nelle miniere.

Cosa c'è subito dopo?

Dovremmo essere alla fine della prima stagione.. ma prima dell'inizio della seconda c'era stato un altro episodio importante..

Uno degli ultimi..

Era..

Era..

 

Girò l'angolo, e quasi andò a sbattere contro due membri dell'equipaggio che si stavano baciando teneramente. Due donne. Una bionda con l'uniforme gialla e una mora con l'uniforme rossa. Arielle balbettò qualcosa imbarazzata, ma qualunque cosa fosse le due innamorate trovarono la cosa divertente. Si presero per mano e lasciarono il corridoio, probabilmente per andare in un alloggio dove non sarebbero state disturbate.

 

Certo che quelle due sono proprio carine.

Chissà da quanto stanno insieme.

Magari sono sposate?

Sembravano proprio..

..innamorate.

 

Arielle sgranò gli occhi di colpo.

 

Innamorate.

Amore..

Edith!

 

Ricordò l'episodio così in fretta che sembrava le avessero iniettato qualcosa nel braccio perché accadesse. E con la stessa velocità iniziarono i suoi ragionamenti.

 

Jim.. Jim sarebbe tornato indietro nel tempo e avrebbe incontrato una certa Edith, di cui si sarebbe innamorato perdutamente.

Ma qualcosa era andato storto..

Era stato costretto.. Oddio.. era stato costretto a lasciarla morire.

Perché era destinata a morire.

Perché se avesse vissuto il futuro stesso sarebbe cambiato. Quel futuro che era il suo presente.

..e la ragione per cui era stato costretto ad andare indietro nel tempo era proprio perché qualcun altro l'aveva raggiunta e l'aveva salvata, alterando gli eventi.. e avrebbe dovuto impedirlo.. a costo di veder morire la donna che amava.

Ma chi--

 

Ennesimo scossone.

 

Arielle questa volta cadde, ma mentre si rialzava la sua memoria decise di aiutarla ancora una volta.

 

Bones..

Bones!

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Una volta realizzato cosa sarebbe successo, era entrata nella modalità in cui entrava sempre in questi casi, ovvero sbrigarsi ad avvertire chi doveva e fermare quello che sarebbe potuto succedere e che avrebbe reso peggiore la situazione, ma questa volta era diverso.

 

Si ritrovò nel ponte ancora prima di aver preso una decisione.

 

Non posso permettere che succeda.

Bones si farebbe male, ci sarebbe caos nell'Enterprise, Jim e Spock dovrebbero combattere contro il tempo e non lasciare nulla al caso, se anche solo una piccola cosa sarebbe andata diversamente dal previsto, sarebbe stata la fine.

 

Per non parlare dell'ovvio. Jim si sarebbe innamorato inutilmente per poi essere costretto a lasciarla morire. Si sarebbe innamorato solo per perderla. Si sarebbe innamorato solo per soffrire..

 

Anche Spock, solo poco tempo prima, avrebbe potuto essere in una relazione romantica e poi perderla, ma era comunque un'altra cosa, ragione per cui in quel caso Arielle non aveva mai avuto alcun dubbio. Spock era drogato, Leila non è morta e le spore avrebbero contagiato tutto l'equipaggio. Certo, se Kirk e Spock avessero fallito nella missione il finale non sarebbe stato molto migliore, però..

 

Ma sentiva anche un'altra vocina nella sua testa. Una vocina fastidiosa che non le dava pace.

 

Non spetta a te decidere, Arielle.

Non spetta a te decidere cosa Kirk può o non può passare.

Non spetta a te decidere se preferisce amare ma soffrire o nessuna delle due, continuando a vivere nell'ignoranza di quello che avrebbe potuto avere e che poi avrebbe perduto.

 

Arielle era incapace di muoversi, non riusciva nemmeno a respirare normalmente. Nel frattempo regnava il caos sulla plancia, un tale caos che nessuno si era accorto di lei.

 

Sentì la presenza del serpente.

 

Qualunque sia la tua decisione, ti conviene prenderla in fretta. Non hai più molto tempo.”

 

Aveva ragione.

 

C'era già McCoy sulla plancia, e stava curando Sulu. Al prossimo scossone, Bones si sarebbe accidentalmente colpito con la stessa cura che aveva usato su Sulu. Era questione di secondi.

 

“Non lo so..” Arielle si sentiva sul punto di piangere “..non lo so.. Cosa faccio? Cosa devo fare?”

 

Il serpente si limitò a fissarla, quasi con comprensione. Come se ammirasse il fatto che Arielle fosse così indecisa, ma quello sguardo la rese ancora più frustrata.

 

“Avevi detto che mi avresti guidato! Guidami allora!”

 

Te l'ho già detto. E' il tuo percorso, non il mio.”

 

“E qui si parla della vita di Jim, non della mia!”

 

Se tu fossi al suo posto?”

 

“Al suo posto?!?”

 

Di Kirk. Se fossi al suo posto, e sapessi cosa potrebbe succedere.. cosa sceglieresti? Cosa preferiresti? Cosa è meglio per te? Aver amato e perso, o non aver amato?”

 

“Io.. io..” come diavolo faceva a prendere una decisione del genere in pochi secondi? Qui non si trattava di scegliere quale abito indossare! E come faceva a mettersi nei panni di Jim? Lei non era Jim “..io non lo so!”

 

Immagino lo scopriremo presto.”

 

Vide Bones avvicinare la cura a sé. E prima che potesse realizzare cosa stesse facendo e cosa comportasse quell'azione, Arielle si gettò sul medico e glielo cavò dalle mani, gettandolo a terra. McCoy non fece in tempo a reagire che arrivò un altro scossone e caddero sia lei sia il medico.

 

“Bones..? Arielle..? Tutto bene?”

 

McCoy la aiutò ad alzarsi.

 

“Sto bene, grazie a lei. Con uno scossone come quello, chissà dove avrei potuto iniettare quella medicina.” le fece uno sfavillante sorriso, ma Arielle non aveva nessuna voglia di sorridere.

 

“Come sempre, hai evitato un disastro.” concordò Jim, sorridendole dolcemente.

 

Sorriso che Arielle non ricambiò. A mala pena riusciva a guardare Kirk in faccia, tant'è che dopo qualche secondo non riuscì più a sostenere il suo sguardo. Si sentiva come se lo avesse tradito. Come se lo avesse manipolato. Come se lo avesse pugnalato alle spalle.

 

“Tutto bene?” le chiese nuovamente Kirk.

 

“Sì.. sì.. io..” si avviò al turboascensore per uscire dalla plancia evitando gli sguardi di tutti, non solo di Kirk. Un secondo prima di entrarci, vide il serpente sulla soglia.

 

La seconda, dunque.”

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Arielle non riuscì a chiudere occhio per una settimana. Non si sentiva così male emotivamente da quando si era sentita un mostro dopo aver cercato informazioni dietro il significato dei serpenti.

 

La colpa continuava a restarle addosso.

 

Continuava a chiedersi se fosse dovuta alla realizzazione di aver preso la decisione sbagliata.. o l'aver preso una decisione. Qualunque decisione che fosse. Una decisione che sentiva non spettasse a lei.

 

Aveva scelto per qualcun altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“C-capitano..”

 

“Arielle.” Jim sembrava andare di fretta, camminava più velocemente di quanto facesse di solito “..qualche problema?”

 

“Sì beh.. ecco..” Arielle fu costretta a stare al suo passo, perché Kirk non dava segno né di fermarsi né di rallentare “..io c'è.. c'è una cosa che devo dirle, signore.”

 

“Signore?” Jim la guardò quasi sconvolto “..oh cielo, siamo passati a signore adesso? Mi devo preoccupare?”

 

Sapeva che Jim stava scherzando, ma sentì comunque una morsa allo stomaco quando le rispose così “..c'è una cosa che devo dirle. Che.. che deve sapere. Riguarda la missione di una settimana fa..” Arielle era così in ansia che non riusciva nemmeno a ricordare la zona dello spazio in cui si trovavano per essere più precisa, nonostante non avesse pensato ad altro negli ultimi sette giorni.

 

“Può aspettare?” chiese velocemente, iniziando a rallentare quando entrarono in una sala teletrasporto.

 

“E'.. è successo qualcosa?” chiese Arielle, rendendosi conto solo in quel momento che Jim aveva la mente occupata da altro, e che probabilmente non avrebbe compreso quanto voleva dirgli. Era talmente preoccupata dal segreto che si era tenuta dentro e che voleva rivelargli da non averlo capito prima.

 

“Niente di grave, tranquilla.” la rassicurò Jim, posando le mani sulle sue braccia “..un nuovo membro dell'equipaggio.”

 

Un nuovo..

 

“Chekov?”

 

“Guardiamarina Pavel Chekov.” disse entusiasta il russo, che si era appena teletrasportato “..al vostro servizio.”

 

“Capitano James Tiberius Kirk, benvenuto sull'Enterprise, guardiamarina. Questa è Arielle Marchand, lei è.. la nostra consigliera.”

 

Consigliera..

 

Le piaceva quella parola, un grado che neppure esisteva, ma che la faceva sentire speciale.

 

Jim iniziò a parlare con Chekov delle esperienze passate del nuovo arrivato e poi iniziò a tessere le lodi di Arielle, ma lei non riusciva nemmeno a imbarazzarsi per quei complimenti perché le entravano da un orecchio e le uscivano dall'altro.

 

Non riusciva a fare altro che guardare Kirk sentendo un grande vuoto dentro.

 

Pensando a ciò di cui l'aveva privato.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** C'era una Volta - Capitolo 16 ***







 

C'ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 16

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La vita a Parigi era ripresa per tutti, ormai lo scontro con Frollo sembrava così lontano da apparire un miraggio. Il popolo parigino era più radioso che mai, e c'erano grandi feste e sorrisi, come se tutto il male del mondo fosse morto insieme a Frollo, ed ora era rimasto solo cose positive.

 

..o per quasi tutti, almeno.

 

Nolwenn non aveva ancora lasciato l'entrata principale a Notre Dame. Se ne stava seduta lì per terra con lo sguardo perso, come un cane che era stato abbandonato dal padrone che stava ancora aspettando. Se ne stava così ferma che qualcuno arrivò persino a scambiarla per una statua, quando senza volerlo si scontravano con lei per entrare nella cattedrale. Lei si limitava a scostarsi un minimo per lasciarli passare, esattamente come faceva con chi usciva, ma non aveva mai una vera reazione.

 

Non tornerò mai più a casa, non è così?

 

Una domanda di cui aveva sempre avuto la risposta, ma che fino a quel momento non era riuscita ad accettare, riempiendo la sua testa con così tanti pensieri da soffocare quella vocina che glielo suggeriva. Pensieri sulla bellezza di Stephane. Sull'innocenza di Mathieu. Sulla stronzaggine di Edmond. Pensieri sulla sua stanchezza fisica e mentale, pensieri sulla volpe, pensieri sulla magia, pensieri pensieri pensieri.

 

Si scostò di nuovo per far passare una coppia e i suoi due figli che entravano nella cattedrale proprio in quel momento, e nel farlo si guardò le gambe. Piene di dolore. Piene di ferite. Piene di ricordi di quella guerra che aveva vissuto.

 

Continuava a vederla, nella sua testa. Tutto quello che aveva vissuto quella notte, quello che aveva visto, quello che aveva sentito. Sentiva ancora sulla sua pelle la paura, l'estasi, le lame che le laceravano la carne, il sudore che le colava ovunque, l'odore di sangue non solo dei morti, ma anche quello che proveniva da lei.

 

E quando era quasi morta.

 

Morta..

 

Le faceva uno strano effetto quella parola, come se per la prima volta ne comprendesse appieno il significato, il che era assolutamente inesatto considerando che non lo era mai stata nei fatti.

 

Sono.. sono quasi morta.

Se non fosse stato per Febo.. se non ci fosse stato lui.. ora sarei morta.

Se fosse successo, ora di me non resterebbe che un cadavere che inizia a decomporsi, e da lì a poco neanche quello.

E a nessuno sarebbe importato.

Nessuno se ne sarebbe accorto.

Sarei stata una Jane Doe qualunque, buttata in una fosse comune.

 

Gettò uno sguardo sulla piazza, e neanche a farlo apposta, riconobbe Febo in mezzo a quella folla. Non era la prima volta che lo rivedeva da quella notte, e ogni volta si ripeteva di dover andare da lui e ringraziarlo per averle salvato la vita. Ma come avrebbe potuto ringraziarlo per una cosa del genere? Mettendosi in ginocchio? Lei respirava ancora, era ancora viva, solo ed unicamente grazie a lui.

 

Ma non si era mai mossa. Lo aveva solo visto in lontananza, guardare dolcemente Esmeralda e scherzare con Quasimodo, che non era più ritornato a Notre Dame dalla notte in cui Frollo era stato ucciso.

 

Avrebbe voluto parlare anche con lui. Si sentiva ancora in colpa per essersi spaventata del suo aspetto quando l'aveva visto, quel lontano giorno in cui era arrivata in quel mondo, ma si vergognava a dirglielo. Forse poteva semplicemente essere gentile con lui per rimediare, lui di certo l'avrebbe apprezzato e sarebbe stato gentile a sua volta, probabilmente molto di più di quanto lo sarebbe stata lei. Ma anche stavolta, non fece nulla. Si limitò a fissarlo in silenzio, esattamente come aveva fatto per Febo.

 

Ma poi si accorse che Quasimodo ricambiò il suo sguardo. Erano notevolmente lontani l'uno dall'altra, ma Nolwenn sapeva che stava guardando lei. Se lo sentiva nelle viscere.

 

Si ricorda di me.

Si ricorda di quando ho avuto paura di lui.

Si ricorda.

 

Nolwenn non riuscì più a trattenere lo sguardo, e scappò dentro Notre Dame. Aveva combattuto una guerra, eppure non riusciva a sostenere lo sguardo di uno dei personaggi più puri, gentili e buoni dell'universo Disney.

 

E mentre lui aveva lasciato Notre Dame per il mondo là fuori, lei aveva lasciato il mondo là fuori per Notre Dame.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Non seppe dire cosa sperava di trovare dentro Notre Dame, ma comunque restò delusa.

 

Nolwenn e Arielle? Forse per una frazione di secondo aveva sperato di trovarle lì dentro, ma anche per quella frazione di secondo era ben consapevole che si trattava di un sogno e nulla più. Tuttavia, avrebbe volentieri continuato a cercarle esplorando, magari raggiungendo anche la cima dove viveva Quasimodo quando ancora era recluso nella cattedrale, ma c'erano delle guardie, questa volta buone si spera, a bloccarne l'accesso ai civili. La chiesa aveva subito dei danni durante la guerra civile e alcune zone dovevano essere restaurate, e ai civili era permesso accedere solo nell'atrio principale, quella che aveva l'aspetto di molte altre chiese.

 

Speranza? Ne aveva bisogno in effetti, ma sebbene credesse in Dio, non era mai stata molto religiosa e non aveva mai fatto tanto affidamento sul potere delle preghiere. Ma forse era l'unica a pensarla così.

 

Tutte le altre persone presenti all'interno della chiesa erano immerse in preghiere piene di gratitudine, in cui ringraziavano Dio. Lo ringraziavano per aver salvato loro e le loro famiglie, per aver fatto ritornare la pace, per la cessazione delle ostilità, per la vita, il cibo, il tetto che avevano sulla testa. Persone che avevano molto meno di Nolwenn. Persone che avevano perso molto di più di lei. Persone che avevano abiti stracciati e piedi nudi. Persone che avevano perso un arto in battaglia. Eppure avevano il sorriso sul volto e lacrime di gioia gli lavavano il viso altrimenti sporco.

 

Nolwenn aveva ancora tutti gli arti e il vestito e le scarpe e i capelli, eppure non riusciva a condividere il loro entusiasmo. Tutto quello che riusciva a pensare era che aveva avuto priorità sbagliate per tutta la vita, che era un'ingrata considerando quello che aveva avuto e che aveva ancora, sentendosi ancora peggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando uscì nuovamente da Notre Dame, la piazza appariva notevolmente più vuota rispetto a prima, e non vide più né Quasimodo né Febo, che era la sua speranza principale.

 

Fece qualche passo, ma sentì nuovamente dolore alle gambe. Essere stata circondata da tutti quei popolani pieni di speranza non era stato il massimo, ma almeno all'interno della chiesa era stata seduta. Si sollevò leggermente la gonna del vestito e avvicinandosi con la testa e sforzando gli occhi riuscì a vedere qualche minuscolo filamento di stoffa che si trovava nei pressi delle ferite, che erano ben lontane dall'essere cicatrizzate. Sospirò per qualche secondo come sorta di addio all'abito, poi iniziò a strapparlo fino a che la gonna non le arrivò alle ginocchia. Amava quell'abito ed era un peccato distruggerlo, ma se non l'avesse fatto altri pezzi di stoffa avrebbero potuto finire nelle ferite causandole un'infezione.

 

Il risultato non fu bello e ora sì che sembrava una zingara, ma non appena riprese a camminare si accorse del miglioramento. Qualcuno la ignorava del tutto, qualcun altro la guardava storto per il suo aspetto. Non le importava. Era sopravvissuta ad una guerra, alla sua prima guerra, senza avere nessuna preparazione. Si era guadagnata il diritto di andare in giro come voleva.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Non l'avrebbe mai detto, ma camminare le faceva davvero bene. Le teneva la mente libera, e aveva come l'impressione che le desse anche maggiore forza fisica.

 

Girò per Parigi, forse per la prima volta da quando era lì. Aveva vissuto tutta la vita a Parigi, ma la sua era un'altra Parigi, quindi era come visitare una città nuova per la prima volta, ma quando passava davanti ad un luogo che esisteva ancora nel suo mondo, le capitava di sorridere a sé stessa, come se avesse compreso qualcosa di incomprensibile ai più.

 

Ciò nonostante, si sentiva ancora persa. Persa e smarrita.

 

Frollo è stato sconfitto. Quasimodo è libero. I buoni hanno vinto e i cattivi hanno perso. Il tanto atteso lieto fine è arrivato. Per gli altri.

 

Ma per lei?

 

Lei non era un personaggio di una storia. Lei era lì per errore. Cosa avrebbe fatto adesso? Che ne sarebbe stato di lei? Dove sarebbe andata? Doveva rimettersi a cercare Stephane?

 

Guardò il fermaglio, ma niente. Appariva un qualsiasi altro fermaglio, tanto che per un momento temette che avesse perso la sua magia. Non sarebbe mai stata in grado di trovare Stephane.. sempre se poteva essere trovato.

 

Sentì un improvviso vento d'aria vicino alle gambe, come se qualcuno le avesse corso accanto. Non fece in tempo a vedere di cosa si trattasse, ma riuscì ad inviduarne il percorso quando un cancellino che conduceva in una piccola viuzza andò a sbattere contro il muro. Al di là della viuzza, trovò niente di meno della Biblioteca Nazionale. Forse era un segno.

 

La girò in tondo per raggiungere l'ingresso principale, e fu molto sorpresa di trovarci un gruppetto di ragazzini, per lo più bambini, che guardavano una splendida carrozza dorata parcheggiata proprio all'ingresso. Era trainata da due splendidi purosangue, uno rossiccio e l'altro marrone scuro, che si stavano riposando brucando l'erba per terra. I bambini sembravano fare mille domande sulla carrozza, e i due cocchieri cercavano gentilmente di rispondere a tutte. Con tutta quella confusione, Nolwenn riuscì ad entrare nella biblioteca senza che né i bambini né i cocchieri potessero accorgersi di lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Inizialmente Nolwenn girò la biblioteca in un lungo e in largo senza una meta precisa, poi decise di concedergli un occasione. Tutto quello che le era successo, tutto quello che aveva vissuto da quando era arrivata in quel mondo, era successo perché era stata “spinta” in quella direzione, come se ci fosse un sentiero preciso che dovesse seguire. Non è che tutto fosse sempre filato liscio come l'olio, ma poteva andare notevolmente peggio. Lei era viva. Viva da mesi in un luogo a lei estraneo. Dubitava fortemente che lo sarebbe stata se non avesse seguito tutti quei segnali in cui si era imbattuta.

 

Continuò a girare, questa volta guardando le zone per trovare quello che stava cercando, anche se nemmeno lei sapeva cosa stesse cercando. Seguire oggetti magici per trovare principi sperduti? Tornare nel mondo dal quale si è venuti? Come creare un portale magico?

 

Aveva passato l'ennesima sezione che conteneva romanzi drammatici, ma non fece in tempo a mettere piede nella sezione successiva, romanzi d'avventura, che vide una bellissima ragazza seduta su una poltrona a leggere. Avrà avuto più o meno la sua stessa età, ma molto più bella: aveva splendidi capelli castani raccolti con un grazioso fiocco lilla, dello stesso colore dell'abito, semplice ma regale. La sua pelle era liscia come quella di un bambino e aveva due grandi occhi scuri abbassati, intenti a leggere un libro. Sembrava una principessa. Era palesemente nobile, eppure non portava gioielli di alcun genere. Somigliava straordinariamente ad Alicia Vikander.

 

Nolwenn era rimasta così incantata a vederla che mise tutto il peso del suo corpo su un unico piede, che al contatto con il pavimento fece un rumore che fece sollevare il volto alla principessa. Imbarazzata da morire, Nolwenn fece un inchino che voleva essere galante, ma risultò solo ridicolo. La principessa le sorrise, ma poi il suo sorriso si spense improvvisamente quando le guardò le gambe.

 

Ah già.. dimenticavo che ho un aspetto orribile.

 

“Vostra m-- ehm.. scusate..”

 

“Oh cielo.. le tue gambe..”

 

Nolwenn abbassò lo sguardo e se le guardò, come se non avesse idea dello stato in cui fossero “..oh sì, scusate, sono sp--”

 

“Quelle ferite sembrano profonde..”

 

Nolwenn sorrise quasi titubante “..oh beh.. avrebbero potuto esserlo di più.”

 

Ma che razza di risposta è?

Non si parla così con una principessa, cazzo!

 

La principessa sorrise in modo incoraggiante e non aggiunse altro, ma Nolwenn poteva sentire il suo sguardo su di lei, come se la stesse studiando. Si sentiva così osservata che si era anche dimenticata che era lì per cercare dei libri che contenessero qualcosa in grado di aiutarla, o almeno di farle capire quale era il suo prossimo passo. Quando se ne ricordò di nuovo, decise di continuare a cercare in un'altra sezione. Prima di farlo, fece però un altro breve inchino alla principessa.

 

“Buona giornata.”

 

“Anche a te.” rispose dolcemente lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Niente.

 

Niente niente niente.

 

Aveva aperto e sfogliato ogni singolo libro che aveva trovato nella sezione “portali magici”, ma nulla sembrava aiutarla. Aveva passato ogni singola sezione della biblioteca, e quella le sembrava la più attinente al suo problema, eppure nessun libro sembrava avere le risposte che stava cercando. Tutto quello che aveva trovato erano libri su luoghi che contenevano della magia, luoghi dove abitavano fate e nani e strane creature magiche secondo le leggende, ma niente su veri portali magici che permettono il passaggio da un mondo all'altro.

 

Sezione portali magici 'sto cazzo.

 

Sentì lo sconforto crescere, fino a quando lo sconforto non si trasformò in rabbia, e la rabbia si trasformò poi in tristezza. Dopo aver fatto cadere a terra un antico libro con fin troppa forza, Nolwenn cadde a terra a sua volta e scoppiò a piangere. Non perché aveva paura. Non perché era stanca.

 

Ma perché era persa. Persa per davvero. Perché non sapeva cosa fare e dove andare, e non c'era nessuno, assolutamente nessuno che l'avrebbe aiutata.

 

Poi sentì una voce.

 

“Ehi.. tutto bene?”

 

Alzò lo sguardo e si trovò davanti la principessa di prima. Nolwenn si asciugò in fretta le lacrime, ma rimase seduta a terra. Sentiva una punta di vergogna nel piangere in un luogo pubblico alla sua età, ma il fatto che una principessa l'avesse vista era ancora peggio.

 

Cosa dovrei rispondere ad una simile domanda? Fatta da una principessa tra l'altro?

Mentire e dire che sto bene? Cosa vuoi che importi ad una principessa di come sto realmente? La gente quando chiede ad uno sconosciuto se sta bene si aspetta un “sì, certo, grazie” in risposta, non certo la verità.

Dire la verità? E se sì poi cosa?

 

“Scusate..” fu tutto quello che le uscì dalla bocca, lo sguardo basso senza guardare la nobildonna.

 

“Di cosa ti stai scusando?” rispose lei, avvicinandosi.

 

Non seppe dire se erano i suoi modi, i suoi occhi che trasmettevano gentilezza o se era la sua voce melodiosa e comprensiva, ma Nolwenn crollò. “..non lo so.. non so che fare..”

 

Parlava più a sé stessa che alla principessa, o almeno questo era quello che si ripeteva per sentirsi meno stupida.

 

Ma il sentirsi stupida non fu abbastanza da fermare il fiume in piena.

 

“Sono sola.. e lontana da casa..” borbottò Nolwenn tra un singhiozzo e l'altro “..e non so come tornarci.. e.. e non penso di riuscire a sopravvivere tanto a lungo da sola..”

 

Edmond aveva ragione.

 

La principessa si mise in ginocchio davanti a lei, e la abbracciò. Nolwenn non riusciva a credere che una ragazza così nobile si fosse abbassata perché potessero essere alla stessa altezza e la stesse abbracciando, sporcando il suo meraviglioso abito lilla. Lei odorava di fresco e pulito, mentre Nolwenn odorava di sangue e sporcizia. Eppure la stava abbracciando.

 

“Mi dispiace..” borbottò nuovamente Nolwenn non appena l'abbraccio finì, riaquistando uno spiraglio di lucidità, quella che bastava per farle capire che stava piangendo tra le braccia di una sconosciuta e raccontandole tutti i suoi problemi. Lo stava facendo un po' troppo spesso ultimamente.

 

“Non hai motivo di scusarti. Perché non mi racconti cosa è successo? Forse posso aiutarti.”

 

Una frase del genere detta da uno sconosciuto sarebbe stata sospetta, qualcuno che finge di volerti aiutare, ma poi sfrutta la situazione a proprio interesse. Ma non lei. Era come se Nolwenn riuscisse a vederle l'anima, solo guardandola negli occhi. E la sua anima era compassionevole.

 

“E' una storia lunga.. e assurda..”

 

La principessa sorrise. “Fantastico. Adoro le storie. Quelle lunghe e assurde sono le mie preferite.”

 

“Non mi crederai mai.. è troppo strana...”

 

“Credimi, ne ho viste di cose strane, cose che non credevo fossero possibili, mai nella vita. Eppure le ho viste accadere davanti ai miei occhi. Sono quelle le storie migliori. Ma ogni storia ha il suo protagonista, dunque qual'è il tuo nome?”

 

“Nolwenn.. mi chiamo Nolwenn..” balbettò in risposta, imbarazzata e lusingata di aver sentito qualcuno che parlava di lei come di una protagonista “..il tuo nome, invece?”

 

“Belle.”

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 16 ***






QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 16

 

 

 

 

 

 

 

“Perché devono correre? Perché devono sempre correre?” brontolò Malfoy, vedendo davanti a sé Harry, Ron e Hermione che correvano verso l'abitazione di Hagrid, che sembrava più grigia del solito a causa del buio della notte.

 

Il Serpeverde gli andava dietro, ma non aveva intenzione di correre e camminava normalmente, come se stesse camminando per le mure di Hogwarts in una qualsiasi mattinata. Allo stesso modo la pensavano Yvonne e Neville, che come lui seguivano i tre protagonisti. Arrivarono dove erano arrivati Harry, Ron e Hermione proprio nel momento in cui Hagrid aprì la porta, il quale si trovò davanti cinque Grifondoro e un Serpeverde tutti appicciati sulla soglia.

 

“Hagrid!”

 

“Oh, ciao. Scusate, non per essere scortese, ma non ho voglia di vedere gente oggi.” disse in tono amichevole, iniziando a chiudere la porta.

 

“Sappiamo della pietra filosofale!” disse il trio protagonista in un coro talmente perfetto e sincronizzato che sembarava fosse preparato.. coro al quale gli altri tre non avevano partecipato.

 

Yvonne sembrava frustrata, come se avesse preferito essere nel suo letto a dormire invece che proseguire con altre avventure pazze che quei tre sembravano attirare, Malfoy sembrava giudicare, negativamente a quanto pare considerando l'espressione che aveva sul volto in quel momento, l'abitazione di Hagrid e Neville sembrava teso, un po' per l'ora notturna un po' per l'andare contro le regole e un po' per la vicinanza a Malfoy, il quale al momento lo ignorava, ma il Grifondoro continuava ad essere intimorito in sua presenza, come se si aspettasse da un momento all'altro un altro insulto o un altro scherzo di cattivo gusto. Yvonne lo sapeva, per questo era in mezzo a loro due, per impedire che si avvicinassero troppo.

 

“Oh..” mormorò Hagrid quasi preoccupato, riaprendo la porta e facendoli entrare.

 

Harry, Ron e Hermione si tolsero il mantello non appena entrarono e si misero comodi, rivelando che il mantello era l'unica cosa che indossavano dell'uniforme. Anche Yvonne, Neville e Malfoy avevano solo il mantello e sotto abiti normali, eppure loro non se lo tolsero. Yvonne trovò un posto a sedere vicino a Ron e Neville si sedette subito accanto a lei. Malfoy addocchiò un altro posto a sedere poco più in là e sembrò considerare di andare a sedersi, ma poi fece un'altra faccia disgustata quando vide in che stato era la sedia, così si appoggiò con la schiena contro il muro esattamente dietro Yvonne, non prima di aver usato un braccio per pulirlo per non sporcarsi troppo.

 

“Per noi Pi--” cominciò Harry, ma poi cambiò prontamente le parole non appena incrociò lo sguardo di Yvonne “..qualcuno sta cercando di rubarla.”

 

Ma lei non si lasciò incantare.

 

“Se vuoi dire le cose Potter, dille fino in fondo.” lo fissò dritto negli occhi “..Piton? Ancora?”

 

Non aveva bisogno di girarsi per sapere che Malfoy stava sorridendo soddisfatto. Un po' perché aveva risposto a tono a Harry, e un po' perché l'aveva chiamato Potter.

 

“Sappiamo come la pensi, e forse hai ragione..” ammise Harry “..ma al momento tutto conduce a lui.”

 

“Tutto cosa?”

 

“Come al solito non sapete di cosa state parlando.” intervenne Malfoy “..Piton non perde tempo in queste stupidaggini.”

 

“Yvonne ha ragione, e anche.. ehm...”

 

“Malfoy.” sbottò il Serpeverde stringendo i denti, apparendo sconvolto e notevolmente irritato dal fatto che Hagrid non conoscesse lui e soprattutto il suo nome “Draco Malfoy.”

 

“Oh ciao. Comunque hanno ragione. Piton è uno degli insegnanti che protegge la pietra. Non ci pensa nemmeno a rubarla.”

 

“Che cosa?” chiese Harry, sorpreso. Yvonne non perse tempo e lo guardò come se gli stesse urlando “te l'avevo detto”.

 

“Mi hai sentito. Beh.. adesso andate, si è fatto tardi e sono piuttosto sicuro che non dovreste essere fuori dal castello a quest'ora.”

 

“Infatti.” sbottò nuovamente Malfoy con decisione “..non dovremmo.” guardò severamente Harry, Ron e Hermione, come se fosse tutta colpa loro.

 

“Se vuoi andartene Malfoy, sei libero di farlo.” rispose in fretta Harry, così in fretta che Yvonne arrivò a pensare che si era preparato quella frase, come se si fosse aspettato di doverla usare.

 

Yvonne non riusciva ancora a credere che Harry, Ron e Hermione si fossero fidati di Malfoy al punto da rivelargli della pietra filosofale e coinvolgerlo nelle loro avventure. Non è che lo trattassero come se fosse il loro migliore amico, ma il solo fatto che avessero scelto deliberatamente di dirgli tutto era.. sorprendente? Naturalmente subito dopo averlo fatto si erano raccomandati che tenesse la bocca chiusa e che non dicesse niente a nessuno. Malfoy si era limitato e roteare gli occhi e sospirare, ma quando glielo ricordarono una seconda volta, il Serpeverde non si fece il minimo problema a rispondere. “Ho capito. Non sono un idiota.” aveva detto.

 

Ma se temevano tanto che li avrebbe traditi, allora perché dirgli tutto e rischiare? Yvonne aveva difeso Malfoy e non lo riteneva male, eppure persino lei aveva i suoi dubbi.

 

Mentre era persa nei suoi pensieri, Hagrid aveva estratto dal calderone sotto il fuoco quello che, se ricordava bene, era un uovo di drago. L'uovo si schiuse e ne uscì, per l'appunto, un piccolo draghetto, dello stesso colore del guscio dell'uovo in cui si trovava poco prima.

 

Non è che ora fosse ritornata ad essere concentrata su quello che stesse accadendo, ma Yvonne decise comunque di avvicinarsi a vederlo meglio, seppur titubante. Persino Malfoy lo fece, ma come lei non si avvicinò troppo, e dalla sua espressione Yvonne non riusciva a capire se fosse più incuriosito o più disgustato da quel drago. Neville rimase dov'era e si limitò a sporgere la testa, apparendo quasi spaventato.

 

Yvonne ne fu delusa, a dire il vero, e di certo non si sarebbe aspettata di essere delusa da un drago. Lo era indubbiamente, un drago, eppure più lo guardava più a Yvonne sembrava un rettile: il colore verde, il muso, la pelle che sembrava viscida come quella di un serpente. Eppure le ali non lasciavano spazi a dubbi. Era un drago.

 

Ma poi..

 

Yvonne..”

 

La ragazza quasi cadde dallo stupore. Era Arielle. Sentiva la voce di Arielle. Arielle che la chiamava, la stava chiamando. Era lei.

 

Si guardò intorno freneticamente, disperatamente, a vuoto.

 

Niente.

 

Yvonne..”

 

Nolwenn. Ora era Nolwenn a chiamarla. Guardò di nuovo. Di nuovo senza risultato.

 

Qui.. siamo qui...”

 

Yvonne girò il volto verso quella che credeva essere la fonte delle voci. E si trovò davanti il draghetto, che in quel momento la stava quasi guardando. Sentì un brivido di paura lungo la schiena, ma poi, nei suoi occhi, vide qualcosa di familiare.

 

Qualcuno di familiare.

 

Arielle e Nolwenn. Una in un occhio e una nell'altro del drago, come riflesse.

 

Nemmeno lei seppe dire come potesse essere così convinta che fossero loro. Ma lo erano. Lo erano.

 

Non fece in tempo a pensare e a reagire quando sentì quella che sembrò una fiammata, piccola ma improvvisa e vide Hagrid che stava cercando di spegnere del fuoco che era finito sulla sua barba.

 

“Ha bisogno di un po' di addestramento.” borbottò scherzosamente Hagrid, che poi si mise a guardare fuori dalla finestra, come se avesse visto qualcosa di importante.

 

Tutti si girarono a guardare di cosa si trattasse, ma non trovarono niente.

 

“Hagrid, cosa c'è?” chiese Harry.

 

“Niente, niente, avrei giurato di aver visto.. non importa. Ma è ora che andiate, è tardi. Forza! Avete delle lezioni domani mattina o sbaglio?”

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Che serata inutile.” sbottò Malfoy non appena furono fuori dalla casa di Hagrid, pronti per tornare al castello “..e tutto per visitare il vostro amico gigante che vive in quella catapecchia puzzolente.”

 

Yvonne gli lanciò uno sguardo carico di tensione per fargli capire di non calcare troppo la mano, ma era talmente buio che Malfoy neanche se ne accorse.

 

“Io non ho sentito nessuna puzza. Solo le tue lamentele.” rispose Harry, senza neanche girarsi a guardarlo.

 

“Tu non capisci, Potter.” continuò Malfoy “..è vietato lasciare il castello di notte. Saremmo stati in punizione se qualcuno l'avesse scoperto. Tutto per vedere quel bifolco.”

 

“Ma non è successo, e non succederà se tieni un po' la bocca chiusa!”

 

“Ma avrebbe potuto!”

 

Quella conversazione le stava provocando un effetto strano, come se stesse vivendo una sorta di deja vu. Non ne capiva il motivo però.

 

“Non ti facevo così fifone, Malfoy.” continuò Harry.

 

“Ugh.. fifone, Potter?”

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Yvonne tornò nel Dormitorio ancora piena di pensieri. Hermione si era messa velocemente il pigiama e non appena si era sdraiata nel letto si era addormentata mentre Yvonne, che era ancora più stanca di lei, non riuscì a chiudere occhio, almeno per un po'.

 

Pensava a quel drago di Hagrid. E ad Arielle. E a Nolwenn. E qualcos' altro che le teneva la mente occupata, qualcosa che la preoccupava. Non sapeva cosa, ma qualcosa c'era. Come quando dimentichi qualcosa di importante, e lo sai, ma non riesci a ricordare cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao, Yvonne.”

 

Sospirò. Sapeva chi aveva parlato.

 

Si trovava in una enorme stanza bianca, quasi immensa. Non vedeva altro che sé stessa e il bianco intorno a lei. Quella voce che sentiva era quasi un eco perché nessuno era fisicamente lì a parlare con lei, eppure sapeva a chi apparteneva quella voce.

 

Tu. Cosa vuoi.”

 

Come vanno le cose?”

 

Potrebbero andare meglio, ma anche peggio. Ah no aspetta, dimenticavo che con la mia fortuna nulla potrebbe andare meglio. Allora direi bene, visto che avrebbe potuto andare peggio.”

 

Sempre molto ottimista vedo.”

 

Ugh non ho voglia di affrontare una conversazione con te adesso, ovunque essa porti. Lasciami dormire.”

 

Ma tu stai dormendo.”

 

Lo so.” rispose scocciata lei, come se venisse trattata come una bambina piccola a cui dovevano spiegare tutto “..ma io voglio dormire in pace. E non posso farlo con te che invadi i miei sogni.”

 

Le aveva già rovinato la vita mandandola lì, e ora aveva anche la faccia tosta di mettere il naso nei suoi sogni? Ma non era mai libera da lui?

 

Devo ammetterlo. Mi hai stupito con Malfoy. Non mi aspettavo che avresti messo tanto impegno in questa piccola missione, tutto per dare un futuro migliore a questa storia.”

 

E tu che ne sai di quello che sto facendo con Malfoy? Cosa fai, mi spii anche adesso?”

 

Ti stavo complimentando.”

 

Si beh, non mi interessa.”

 

Quello che volevo dire è che.. è lodevole che tu voglia migliorare il finale, ma cerca di non alterare troppo la storia nel farlo. Potresti creare danni ben peggiori.”

 

Di cosa accidenti stai parlando? Non ho alterato un bel niente!”

 

Davvero?”

 

Sì!”

 

Dunque è andato tutto come previsto stasera?”

 

Beh--” Yvonne iniziava a sentirsi preoccupata, soprattutto per quella sensazione di malessere che aveva, ma non voleva mostrarsi insicura davanti a quello lì.

 

Ripercorse gli eventi, quelli del film paralleli a quelli che aveva vissuto sulla sua pelle, ma era difficile, più del previsto. Era come dover imparare a memoria due film quasi uguali, ma in parte diversi, e distinguerli non era così semplice come credeva. Non ricordava granché del film originale ormai, ma fece un ulteriore tentativo.

 

Il tizio parlava di qualcosa avvenuto stasera, quindi doveva essere successo stasera. Harry, Ron e Hermione devono essere andati da Hagrid anche nel film, anche perché ricordava del drago che nasceva. E poi erano.. erano finiti.. nella Foresta Proibita..

 

Ma perché erano finiti nella Foresta Proibita? Per quale motivo avrebbero dovuto andarci? Harry avrebbe scoperto qualcosa, non ricordava cosa ma qualcosa lo scopriva, qualcosa legato ad un unicorno morto, ma perché era lì? Perché c'era andato in primo luogo? Era.. era una punizione?

 

Qualcuno li aveva visti andare da Hagrid dopo che era calato il Sole?

Qualcuno che sapeva che era vietato.

Qualcuno che non sopportava Harry.

 

Qualcuno che, questa volta, era dentro casa di Hagrid con Harry. Per colpa sua.

 

Niente punizione.

Niente incontro con l'unciorno morto.

Niente scoperta legata alla trama.

Niente.

 

Per colpa sua.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Yvonne si svegliò di soprassalto, sudando tanto che le sembrava di essere bagnata, il pigiama attaccato alla pelle.

 

Persino respirare era diventato faticoso.

 

Oddio..

Oddio..

Cosa... cosa ho fatto?

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 16 ***






LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 16










“Come sta il Capitano?” chiese Arielle a Scotty, mentre stava svolgendo un lavoro di manutenzione nella sala macchine, in modo impacciato ma preciso.


“Perché non glielo chiedi di persona?” rispose il capo ingegnere, mentre teneva gli occhi fissi sulla revisione che stava conducendo su un macchinario lì vicino, senza però smettere di prestare attenzione al lavoro che stava conducendo Arielle.


“Ultimamente è molto occupato, non voglio disturbarlo..”


Lo era davvero. Ogni volta che lo si incrociava sull'astronave sembrava avesse sempre qualcosa di importante di fare, mentre si spostava da una zona all'altra camminando velocemente, perché evidentemente qualunque cosa fosse non poteva aspettare.


Ma rimaneva comunque una mezza verità.


Non è che Arielle avesse tentato più di tanto a parlare con lui. Era complicato, a dire il vero. Voleva parlare con lui. Doveva ancora avere con lui “quella” conversazione, che le stava logorando lo stomaco da settimane. Quella conversazione su Edith, su come lei avesse deciso per lui. Su quella storia d'amore che, per colpa sua, non c'era mai stata. E non ci sarebbe più stata.


Una parte di lei però aveva paura. Paura della reazione di Jim, paura che quella conversazione avrebbe incrinato il loro rapporto per sempre, che Jim si sarebbe arrabbiato con lei. Che l'avrebbe buttata fuori dalla nave.


E poi era morto suo fratello.


Arielle non aveva partecipato minimamente a quella missione e non sapeva bene cosa fosse successo. Avrebbe potuto leggere il diario di bordo per scoprirlo, ma non se la sentiva proprio, come se farlo significasse ficcare il naso in cose che non la riguardavano. E quel fastidio così incessante allo stomaco le impediva di essere particolarmente interessata a saperne di più.


Ma sapeva che il fratello di Jim era morto. Aveva sentito membri dell'equipaggio bisbigliare cose sul suo conto, su come fosse già morto quando Kirk era arrivato, su come somigliasse spaventosamente a Jim, quasi come se fosse più suo gemello che suo fratello.


Jim era stressato per il lavoro, e in più aveva avuto un grave lutto in famiglia. Non era il momento giusto per dirgli qualcosa che con ogni probabilità lo avrebbe innervosito ancora di più.


Ma Arielle sapeva che non aveva scelta.


Avrebbe dovuto avere quella conversazione prima o poi, o quel dolore allo stomaco che continuava a sentire l'avrebbe uccisa.















 
*
















Dopo la lezione pratica con Scotty, toccava alla lezione con Spock. Avevano appuntamento nella Sala Ologrammi, ma quando Arielle la raggiunse, la trovò vuota.


Guardò l'ora.


Mh.. strano.. di solito Spock è sempre in anticipo. Avrà avuto un imprevisto, dopottutto è il Primo Ufficiale, molti compiti spettano a lui.
Aspetterò.


Passò un'ora, ma di Spock neanche l'ombra.


Forse.. forse se ne è dimenticato..?
Sciocchezze! Ma cosa sto dicendo?!?
E' di Spock che stiamo parlando. Non dimentica mai niente.
Starà arrivando sicuramente.


Ma quando passò un'altra ora e il vulcaniano raggiunse le due ore di ritardo senza palesarsi né lasciare un messaggio, Arielle iniziò sinceramente a preoccuparsi.


Non è da Spock.
Gli è forse successo qualcosa?
In effetti sono giorni che non lo vedo.. ma se il Capitano è occupato, è logico pensare che anche il suo Primo Ufficiale lo sia.


“Arielle a signor Spock.” disse, non appena si avvicinò al comunicatore.


“Qui Spock.”


Almeno so che è sulla nave.
Ma sembra strano.. ha una voce diversa?


Arielle rimase davanti al muro aspettandosi che Spock aggiungesse altro, magari spiegando il perché del ritardo, ma quando calò il silenzio iniziò a sentirsi a disagio.


“Rimandiamo..? La lezione?”


“Quale lezione?”


Arielle spalancò gli occhi, sconvolta da quella conversazione sempre più surreale.


Era davvero Spock? Oppure era qualcuno che si stava spacciando per lui? Ma non ricordava niente del genere dalla serie tv..


“Avevamo in programma una lezione.. in Sala Ologrammi.. due ore fa..”


Calò il silenzio nuovamente, ma questa volta era diverso. Le sembrava quasi di sentire il respiro di Spock, come se non sapesse cosa rispondere.


Spock che non sa cosa rispondere?
Impossibile, deve essere la mia immaginazione.


“La Sala Ologrammi è in manutenzione, non può essere utilizzata. Venga nel mio alloggio. Svolgeremo lì la lezione.”


Il vulcaniano parlò così velocemente che Arielle quasi non riuscì a riconoscere la sua voce, e prima che potesse metabolizzare quello che stava ascoltando, Spock aveva già interrotto la comunicazione. Quando finalmente si rese conto di quello che era successo, Arielle rimase per pochi secondi come in trance, sentendosi come se qualcuno le avesse sbattuto il telefono in faccia.


In manutenzione?
Ma.. ma io sono entrata senza problemi, e non c'erano addetti alla manutenzione..


Arielle lasciò la Sala Ologrammi come stordita, come se si fosse immaginata tutto. Quella conversazione con Spock, e persino l'appuntamento stesso che avevano preso.


Era troppo strano.















 
*
















Arielle si pentì molto in fretta di aver contattato Spock. Si accorse che il vulcaniano era nervoso e irritato non appena aveva messo piede nel suo alloggio, anche se la ragione la ignorava. Il risultato fu una lezione infernale. Lezione che non ci sarebbe stata se solo lei avesse tenuto la bocca chiusa.


Si era ritrovata ad affrontare domande a raffica, quasi come un interrogatorio. Lei aveva prontamente ribattuto con quelle che sapeva fossero le risposte giuste, ma a quanto pare non lo erano abbastanza per Spock. All'inizio si sentiva fiduciosa sentendosi ben preparata, ma man mano che il tempo passava, la fiducia spariva e al suo posto subentrava la frustrazione.


Le ritornò alla mente le loro prime lezioni, specificatamente quella in cui lei era scoppiata e aveva fatto una scenata, mesi prima.


Ma questa volta non avrebbe fatto una scenata. Non lo avrebbe permesso.


Allora era un pesce fuori dall'acqua, e non capiva la maggior parte delle cose che le venivano spiegate. Era spaventata, e sempre con gli occhi lucidi pronta ad un crollo nervoso, che fosse per Spock o per qualcos altro. Ora lei era diversa. Sapeva più cose. Era preparata. La paura c'era ancora, ma non la dominava più come prima.


Aveva abbracciato un serpente. Aveva affrontato delle missioni. Aveva affrontato Khan. Khan.


Era diversa.


Non sapeva cosa fosse diventata ora, ma di sicuro non era più quella timida ragazzina che l'Enterprise aveva trovato.


Era arrivato il momento di dimostrarlo.


“Di nuovo.”


“Di nuovo? L'ho già fatto sette volte!”


“Lo farai fino a quando non sarà perfetto.” Spock sembrava sempre più irascibile, Arielle non l'aveva mai visto così.. umano.


“E' una cosa che ho appena imparato a fare! Mi ci vorrà del tempo per riuscirci alla perfezione!”


“Vorrà dire che resterai qui a provarci fino a quando non ci riuscirai!”


Arielle fece un balzo all'indietro dallo spavento, fissandolo come se avesse visto un fantasma. Non seppe dire se a spaventarla di più fu la risposta di Spock e il tono che aveva usato o la sua espressione, che si era fatta dura e severa come non lo era mai stata.


Spock aveva.. aveva alzato la voce.
Aveva quasi urlato.
Spock.
Spock!


Mentre continuava a guardarlo, Arielle deglutì con difficoltà. Anche deglutire le era diventato difficile. Il vulcaniano parve accorgersi del suo disagio, e dopo qualche secondo cambiò espressione, ritornando l'impassibile di un tempo.. o quasi. Nei suoi occhi riusciva a leggere un velo di tristezza.


“Le mie più sentite scuse, signorina Marchand.” disse cautamente, tornando a parlare come suo solito “..non volevo spaventarvi.”


Arielle pensò che si sarebbe sentita meglio, ma non fu così. Passò semplicemente dalla paura alla preoccupazione “..si sente bene, signor Spock? Cosa è successo?”


Avrebbe giurato di vedere le labbra di Spock muoversi per rispondere “no”, ma non fu quello che gli uscì dalla bocca “..è sufficiente per oggi. Le farò sapere quando ci sarà la prossima lezione.”


Sapeva che c'era qualcosa non andava, ma qualunque cosa fosse Spock non ne avrebbe parlato. Non con lei, almeno. Soprattutto considerando che la stava incoraggiando, seppur in modo garbato, ad andarsene.


E così fece.















 
*
















Nel giro di un paio di giorni lo strano comportamento di Spock era diventato il principale argomento dell'equipaggio dell'Enterprise. Arielle aveva persino sentito qualcuno dire che aveva lanciato via una minestra che Christine Chapel aveva fatto per lui.


Ma lei sentì e basta.


Qualcuno le chiese se sapesse qualcosa in proposito naturalmente, ma lei aveva accuratamente evitato di rispondere. Non sapeva cosa avesse Spock, ma non avrebbe raccontato in giro qualcosa che lo avrebbe fatto vergognare. Qualunque fosse il suo problema, l'avrebbe risolto. Era Spock, era chiaro che l'avrebbe risolto. Sapeva bene cosa si prova quando la gente parla di te alle tue spalle, e per quanto cerchi di essere superiore a certi atteggiamenti, una parte continuerebbe inevitabilmente a starci male.


Lo sapeva bene.


“Arielle! Dove vai così di corsa?”


Era Chekov. Lo vide poco distante che camminava con Sulu.


“Sto cercando il capitano. Sai dov'è?”


“Non sull'Enterprise. E' sceso su Vulcano, con il signor Spock e il dottor McCoy.”


Su Vulcano? Il pianeta di Spock?
Cosa ci fanno su Vulcano? C'entra forse con lo strano comportamento di Spock?















 
*
















Ne aveva avuto abbastanza. Non poteva più aspettare, ne andava della sua sanità mentale.


Doveva parlare con Jim.


Di quella cosa.


Non sapeva quando sarebbe tornato da Vulcano, così decise di mettersi appena fuori dal suo alloggio, così non appena fosse tornato lo avrebbe incrociato. E così fu, ma non sembrava neanche lui.


Sembrava ondeggiare, sorridendo fra sé e sé e con le gote rosse, come un ragazzino che aveva appena dato il suo primo bacio. Era ben diverso dal Kirk che aveva imparato a conoscere.


Ma perché sono tutti strani ultimamente?
C'è qualche virus sull'Enterprise e non ne sono al corrente?


“Arielle!” esclamò Jim, quando finalmente la vide si ricompose in fretta, tenendo la testa bassa come se si fosse reso ridicolo.


La ragazza iniziò a grattarsi le dita nervosamente, ma poi scosse la testa e mise le braccia dietro la schiena, come era solito fare Spock. Alzò anche la testa, nell'illusione di sembrare più alta.


“Jim, dobbiamo parlare. So che sei molto occupato in questo momento, ma non posso più aspettare. C'è una cosa che devo dirti, e se non lo faccio al più presto rischio di impazzire.”


Parlò così in fretta che si stupì di sé stessa. Per tutto il tempo aveva tenuto la testa rivolta verso Jim, ma con gli occhi guardava dietro di lui, più precisamente in una parte del muro del corridoio, ben consapevole che altrimenti si sarebbe fatta prendere dal panico e avrebbe finito con il rimandare ancora.


Kirk la guardò per una manciata di secondi, e Arielle lo conosceva abbastanza da sapere che stava valutando se fare una battuta o rassicurarla. Alla fine scelse una terza opzione.


“Vieni pure.” mormorò, aprendo la porta del suo alloggio ed entrando con lei.






 

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** C'era una Volta - Capitolo 17 ***






C'ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 17

 

 

 

 

 

 

 

Erano uscite dalla Biblioteca dall'ingresso principale e si stavano avvicinando alla carrozza, ma Nolwenn doveva ancora realizzare chi aveva appena incontrato.

 

Belle..

Quella Belle?

 

I due cocchieri si misero immediatamente sull'attenti non appena si accorsero di Belle. Uno cercò di allontanare i bambini per farla passare e allontanarli da lei, mentre l'altro aprì la carrozza. Nolwenn li fissò a lungo sperando di riconoscerli in qualche modo visto che ora sapeva per chi lavoravano, ma nessuno dei due le diceva niente. Li aveva sicuramente visti quando erano oggetti, ma ora in forma umana erano due perfetti sconosciuti.

 

Belle salutò caldamente tutti quei bambini. Alcuni riuscirono ad avvicinarsi a lei e uno dei cocchieri era pronto a rimediare, ma Belle gli fece un breve gesto con la mano per fargli capire di non intervenire. Alcuni la abbracciarono, e Belle ricambiò senza nemmeno sussultare. Erano bambini poveri, sporchi, alcuni non avevano nemmeno le scarpe, ma li stringeva comunque come se ne dipendesse la sua vita. I due cocchieri sorrisero brevemente a quella scena, probabilmente pensando di non essere visti.

 

“Sei davvero una principessa?” chiese una bambina bionda. Faceva parte del gruppo di bambini che sono stati allontanati dal cocchiere, e guardava Belle con un'espressione timida ma sognante.

 

Belle le sorrise e allungò un braccio verso di lei. “E' così. Ma se vieni qui ti rivelo un segreto.”

 

La bambina sorrise istantaneamente mostrando dei denti bianchissimi, ma leggermente storti. Le corso incontro. Belle si inginocchiò, incurante del fatto che così facendo il suo vestito si sarebbe inevitabilmente sporcato. Mise la sua bocca attaccata all'orecchia sinistra della bambina.

 

“Anche tu sei una principessa, sai?” sussurrava appena, ma Nolwenn riuscì comunque a sentire perché era vicinissima a Belle “..tutte le ragazze sono principesse, e tutti i ragazzi sono principi. Il modo per esserlo sempre è continuare a sognare.”

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Belle rimase per dieci minuti abbondanti a fare compagnia a quei bambini. Nolwenn aveva sempre saputo che Belle fosse gentile e paziente, ma non aveva mai immaginato che lo fosse fino a quel punto.. o semplicemente doveva ancora accettare chi fosse realmente, ma a indipendentemente dal fatto che quella principessa fosse la Belle de “La Bella e la Bestia” o un'altra principessa che casualmente aveva il suo stesso nome e il suo stesso aspetto, quella era davvero una scena gradevole. Nolwenn non era un tipo sentimentale, ma dopo tutto quello che aveva passato, dopo la guerra, le ferite dentro e fuori, la solitudine e le incertezze.. vedere una principessa che passava parte del suo tempo con dei bambini poveri arrivando anche a sporcarsi lei stessa solo per portare loro un po' di magia e speranza.. era proprio quello di cui aveva bisogno.

 

Dopo poco, Belle voltò rapidamente lo sguardo verso di lei e cambiò rapidamente espressione, e Nolwenn andò nel panico, pensando di averla offesa in qualche modo o di aver fatto qualcosa. Era troppo stanca per sapere che espressione doveva aver avuto quando Belle l'aveva guardata, il che purtroppo peggiorava il suo panico, quando in realtà aveva altro di cui si sarebbe dovuta preoccupare.

 

Belle salutò nuovamente i bambini con un sorriso, e quando questi si furono allontanati si avvicinò a Nolwenn, la quale si accorse solo in quel momento che era più lontana da Belle di quanto pensasse, come se si fosse allontanata da lei senza accorgersene. La principessa le posò dolcemente una mano dietro la schiena per invogliarla ad avvicinarsi alla carrozza. I due cocchieri guardarono Nolwenn dall'alto in basso, come se si trovassero davanti ad una vagabonda. E non poteva biasimarli.

 

“Lei viene con me.” spiegò Belle, e nel sentire quelle parole, Nolwenn si sentì come se, dopo aver avuto freddo tanto a lungo, qualcuno le avesse coperto le spalle con una coperta per tenerla al caldo.

 

“Certamente. Dove vi portiamo?” chiese uno di loro.

 

“A casa. Torniamo al castello.”

 

I cocchieri annuirono e si fecero da parte. Aiutarono Belle a salire sulla carrozza e poi Nolwenn. Fu mentre il cocchiere la aiutava a salire che quest'ultima realizzò che non aveva nemmeno prestato attenzione alla carrozza. Non riusciva a ricordare com'era fatta, neanche i colori che aveva, neanche lontanamente. Eppure era davanti a lei.

 

Ma quei pensieri sparirono via come un getto d'acqua nel momento in cui si mise a sedere davanti a Belle dentro la carrozza. Si stava così comodi che per poco non scoppiò a piangere.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Allora.. sono tutta orecchie.” disse Belle non appena la carrozza partì.

 

Nolwenn la guardò confusa.

 

“La tua storia. In Biblioteca hai detto qualcosa sul non riuscire a tornare a casa?”

 

Mille possibili risposte apparsero nella testa di Nolwenn, ma nessuna le sembrava abbastanza accettabile da dirla ad alta voce. Si guardò le mani, ma ci trovò le ferite che si era fatta nella battaglia a Parigi, e nel vederle le sembrò di sentire ancora più dolore.

 

“Forse posso aiutarti se ne so di più.” continuò Belle.

 

“E'..” Nolwenn roteò gli occhi, come se da qualche parte avrebbe trovato scritta la parola giusta da usare “..è difficile da spiegare. Io stessa sto ancora cercando di capire.”

 

“Prova.”

 

La guardò a lungo, poi le cadde l'occhio su una pila di libri vicino alla principessa. Sorrise amaramente. “Hai mai letto di libri in cui sono presenti.. gli universi alternativi?”

 

Le sopracciglia di Belle si avvicinarono agli occhi, che d'un tratto si erano fatti più piccoli e Nolwenn ebbe una strana sensazione, come se fosse qualcosa di già visto. Che avesse fatto quella stessa identica espressione anche nel cartone?

 

“No.” rispose infine, apparendo più frustrata di quanto si aspettasse “..cosa sono?”

 

Avrebbe dovuto pensare molto bene a cosa risponderle per farle capire il concetto senza risultare fuori di testa, ma Nolwenn era troppo stanca, mentalmente e fisicamente, per pensare. Non riusciva neanche a prestare attenzione a cosa accadeva attorno a lei. Riusciva a concentrarsi su cosa alla volta, e al momento quella cosa era Belle.

 

“Io ti conosco, Belle.” era così stanca che neanche si rese conto che aveva cambiato radicalmente argomento e che aveva del tutto ignorato la domanda che Belle le aveva appena fatto “..tu non mi conosci, o meglio, mi hai appena conosciuto, ma io ti conosco da molto tempo..”

 

Fin da quando ero bambina..

 

“Io.. io non capisco..” Belle la guardò con più attenzione, come se Nolwenn fosse qualcuno che conosceva ma di cui non si ricordava.

 

“Non sei sempre stata una principessa, vero? Un tempo non così lontano, vivevi in paese, non è così? Con tuo padre. Lui è un inventore.”

 

“Come.. come sai..”

 

“Te l'ho detto. Io ti conosco.”

 

Nolwenn allungò un braccio e afferrò uno dei libri che aveva visto prima, Belle la guardò un po' confusa, ma attenta.

 

“Questo.” disse con sicurezza Nolwenn, mostrando il libro che aveva appena preso “questo è come ti conosco. Da dove vengo, tu sei un racconto, la protagonista di un racconto. Di una storia. Una storia che ho letto e visto fin da quando ero bambina.”

 

“Non.. come..”

 

“Te l'avevo detto che non ci avresti creduto.” disse Nolwenn con un mezzo sorriso, rimettendo il libro al suo posto dove l'aveva trovato “..ma come farei a sapere queste cose altrimenti?”

 

Belle sembrava dubbiosa, e Nolwenn non poteva biasimarla. Vedeva come stesse valutando tutte le possibilità, come cercasse delle altre plausibili spiegazioni per cui Nolwenn potesse conoscere quelle cose senza dover per forza accettare quello che aveva appena sentito.

 

Poi, la principessa la fissò intensamente. “Cos'altro sai?”

 

Sono così felice che tu l'abbia chiesto.

 

“Tuo padre era andato disperso e l'hai trovato in un vecchio castello dove hai scambiato la sua vita per la tua libertà. Ti sei accorta molto presto che il castello era incantato, e che il suo padrone era una b--”

 

Ferma, Nolwenn.

E' dell'uomo di cui è innamorata che stai parlando.

Nonché suo marito, con ogni probabilità.

Meglio evitare di chiamarlo “bestia”.

Ma come poteva chiamarlo allora?

 

“..diverso.”

 

Belle guardò Nolwenn con occhi pieni di sogni e speranze, come se non conoscesse il finale, come se quella non fosse la sua storia. Aveva anche fatto un brevissimo sorriso quando Nolwenn aveva quasi detto “bestia” e un secondo sorriso quando aveva modificato quella parola in “diverso”, come se avesse capito esattamente quello che voleva dirle. Giunta a questo punto, Nolwenn aveva capito che avrebbe già potuto fermarsi, che Belle le avrebbe creduto, ma non le piaceva lasciare le cose a metà e voleva dimostrarle fino in fondo di non avere nulla da nascondere.

 

“..lui.. lui era molto scorbutico e scontroso all'inizio e non ti piaceva tanto, ma poi ti ha salvato da un branco di lupi e ha iniziato a mostrare un altro lato di sé, tanto da lasciarti andare quando hai visto che tuo padre era in difficoltà, non eri più sua prigioniera. Ma tu sei tornata da lui comunque. Perché lo amavi, e lui amava te. E questo gli permise di tornare ad essere un uomo, e l'incatesimo che affligeva non solo lui ma tutto il castello e i suoi abitanti si spezzò. E vissero. Per sempre. Felici. E contenti.” spiegò tutto d'un fiato, mettendo particolare enfasi sulle ultime, sette, disneyane parole.

 

Aveva intenzionalmente lasciato fuori Gaston. Non intendeva tirarlo in ballo davanti a Belle, non quando le aveva causato tanto dolore. Non c'era motivo.

 

La principessa sorrise scuotendo la testa, incredula, ma convinta. Non c'era neanche bisogno che Nolwenn le chiedesse se ora le credeva. La risposta era palese.

 

“Io e Adam.. siamo in un racconto.. non vedo l'ora di dirglielo!”

 

“Oh beh, ci sono anche Lumiere, Tockins e Mrs Bric!” rispose prontamente Nolwenn, rendendosi conto solo in un secondo momento che non li aveva nominati.

 

“Vorrà dire che lo dirò anche a loro.” Sorrise Belle “..mi dispiace solo di non poterlo leggere.”

 

“Tu l'hai vissuto! So che ami leggere, ma vivere una storia sulla proprio pelle è molto meglio di leggerla.”

 

Scoppiarono a ridere, ma il ridere troppo causò a Nolwenn una fitta di dolore improvvisa, difficile dire se era per le ferite che aveva o per la preoccupazione che a poco a poco era tornata in superficie. Belle la seguì a ruota poco dopo.

 

“Io sono finita dentro la tua storia, Belle. E in tante altre storie parallele alla tua, che sono accadute qui, in questo mondo. Ma non nel mio.”

 

“Sì. Ora capisco.” fece Belle piena di comprensione, allungando una mano e posandola delicatamente sul braccio di Nolwenn.

 

“Io non dovrei essere qui. Questo non è il mio posto. Ma come faccio ad uscire da un racconto non mio, Belle?”

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando arrivarono al castello era già buio, il che fu quasi un sollievo per Nolwenn perché conoscendosi si sarebbe guardata intorno per avere ben fissi nella sua mente più dettagli possibili per rimediare allo stato catatonico in cui era stata per gran parte della giornata, ma il fatto che il Sole fosse calato rendeva superfluo tutto questo, anche se fosse stata riposata abbastanza per farlo.

 

Mentre i cocchieri la aiutavano a scendere, Nolwenn vide che le porte del castello si aprirono e uscì un uomo basso e grassoccio, il buio non le permise di vedere altro di lui, nemmeno il colore dei capelli o altri dettagli fisici. O forse era anche la stanchezza.

 

“Belle! Siete tornata prima del previsto!” l'uomo sembrava quasi ansimare “..se lo avessi saputo, avrei fatto preparare la cena. Datemi una decina di minuti per svegliare il cuoco e..”

 

“Non è necessario, Tockins. Abbiamo già mangiato e non intendo interrompere il meritato riposo di Jacques per preparare una cena a quest'ora.”

 

Nolwenn sentì un fremito quando sentì il nome di Tockins, ma non si sentì emozionata quanto si sarebbe aspettata. Probabilmente un altro effetto della sua immensa stanchezza. Come riuscisse ancora a stare in piedi e a non delirare, non più del solito almeno, era al di là della sua comprensione e ne era anche un po' orgogliosa in effetti.

 

“Lei è Nolwenn.” fece Belle dopo un breve silenzio, durante il quale aveva fatto un passo indietro per avvicinarsi a lei, solo in quel momento Tockins parve accorgersi della sua presenza “..sarà mia ospite al castello.”

 

“N-naturalmente.” Tockins fece un breve inchino a Nolwenn “..benvenuta, mademoiselle. Il mio nome è Tockins, il maggiordomo del castello. Al suo servizio, per qualunque cosa di cui potesse aver bisogno.”

 

Solo Tockins?

Un nome? Un cognome?

Aspetta...

Tockins è il nome o il cognome?

 

“Oh ehm.. grazie, signor Tockins.”

 

“Stavo pensando che potrebbe avere le mie vecchie stanze. Quelle che avevo quando sono giunta qui per la prima volta. O meglio, le mie seconde stanze..”

 

Nolwenn non riuscì a fare a meno di soffocare un sorriso.

 

Sì, meglio non andare nelle segrete.

 

“Stavo pensando esattamente la stessa cosa.” confermò Tockins “..prego, mademoiselle. Se volete seguirmi.”

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 17 ***






QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 17

 

 

 

 

 

 

 

 

Nebbia e gelo. Questo era tutto quello che vedeva.

 

Yvonne camminava in un lungo, tenebroso sentiero, andando verso tenebre sempre più fitte. Intorno a lei alti alberi neri, così alti che sembravano grattacieli. Non voleva continuare a camminare. Aveva paura. Aveva paura ad ogni passo che faceva, come se un mostro l'avrebbe assalita all'improvviso, magari alto e snello come quegli alberi, e altrettanto tenebroso.

 

Ma non riusciva a smettere di camminare. Come se quella scelta non dipendesse da lei. Come se qualcun altro stesse decidendo per lei.

 

Poi, sentì un rumore.

 

Un cespuglio, no un'ombra, sul bordo sinistro del sentiero che stava percorrendo.

 

Ma non era un'ombra.

 

Era Ron.

 

Non il Ron che aveva conosciuto, il bambino dai capelli rossi che l'aveva infastidita tanto. No. Era un Ron adolescente, più un uomo che un bambino, il Ron dell'ultimo film. Aveva le ginocchia a terra, e le mani gli coprivano il volto, mentre piangeva rumorosamente. Quando Yvonne gli fu vicino, vide che era sporco di sangue nel viso e nelle mani.

 

Perché mi odi tanto? Cosa ho fatto di male?”

 

Yvonne sentì un enorme vento gelido abbattersi sul suo corpo con una tale ferocia che sembrava che il suo obbiettivo fosse attaccarla. E ci riuscì. Arrivando al cuore.

 

Yvonne voleva fermarsi. Dire a Ron che non lo odiava e chiedergli scusa, anche se non sapeva cosa fosse successo. Ma le sue gambe continuavano a muoversi.

 

Un'altra ombra la attendeva, sul lato opposto del sentiero.

 

Harry.

 

Come Ron, era l'Harry dell'ultimo film. Come Ron, era sporco di sangue nelle mani e nel viso. Come Ron era inginocchiato a terra. Come Ron, fargugliava cose quasi incomprensibili, rotte dal pianto.

 

Io non capisco.. perché.. perché mi hai fatto questo? Io sono sempre stato gentile con te.. perché mi hai tradito? Perché non mi hai aiutato? Perché mi hai pugnalato alle spalle?”

 

Un altro vento gelido si abbatté su di lei, proprio nel momento in cui aveva cercato di interrompere la camminata per chinarsi su Harry, ma ovviamente non era servito a nulla. Aveva proseguito contro la sua volontà, fino a quando Harry non fu altro che un puntino, ma anche se non lo vedeva più, il peso che sentiva per averlo visto in quello stato era rimasto con lei.

 

Ma un altro peso la stava aspettando.

 

Anche Hermione era china su sé stessa. Non piangeva, eppure si vedeva che il suo animo era spezzato, i suoi occhi persi nel vuoto. Aveva meno sangue sul viso rispetto a Harry e Ron, ma ne aveva anche nel resto del corpo, anche sulle gambe.

 

Come hai potuto.. io mi fidavo di te.. ci fidavamo tutti di te.. e tu.. tu hai aiutato loro.. a distruggerci.”

 

Nel dirlo, Hermione la guardò dritto negli occhi, con rabbia, con sfida, piena di giudizio. Yvonne non riuscì a mantenere lo sguardo, e fece un altro, stupido, sciocco, debole tentativo di fermarsi, ma senza successo.

 

Quando superò Hermione, vide il prossimo, seduto a terra non per scelta ma per necessità. Avrebbe riconosciuto i suoi capelli biondi ovunque.

 

Malfoy.

 

Aveva sangue sulle mani, sulle braccia, ma soprattutto sulle gambe, ce n'era tanto che Yvonne non fu in grado di vedere le gambe nude di Malfoy sotto quel rosso che sapeva di morte e sofferenza, nonostante i pantaloni strappati. Malfoy aveva lo sguardo basso, fisso sulle sue gambe rovinate. Yvonne provò a chiamarlo, come se il suo ignorarla fosse peggio di qualsiasi altra cosa, ma nessun suono le uscì dalla bocca. E anche se fosse uscito qualcosa.. aveva la netta sensazione che non sarebbe servito a niente.

 

Avevi detto che mi avresti aiutato. Che avresti reso la mia vita migliore.. e invece guarda.. guarda cosa mi hai fatto.”

 

Yvonne non ci provò neanche a cercare di fermarsi, sapeva che non avrebbe funzionato. Ma le sue gambe iniziavano a farsi stanche e doloranti. O forse era tutto quel male che aleggiava intorno a lei?

 

Dopo Malfoy, poco più in là, sia lontano sia vicino, vide qualcuno steso a terra che ansimava, e sentì i battiti del suo cuore accelerare, ma non era un qualcosa di piacevole come quando hai le farfalle nello stomaco e sei vicina a qualcuno per cui hai una cotta, no, si trattava più di battiti del cuore che rischiavano di fermarlo definitivamente, il cuore.

 

Neville.

 

Per la prima volta da quando aveva iniziato quella orribile, infernale camminata, Yvonne cercò disperatamente di affrettare il passo, nella speranza, o paura, di raggiungerlo prima. Ma invano. Il passo rimaneva lo stesso, a prescindere se volesse fermarsi o correre. E quei passi che la separavano da Neville furono agghiaccianti, ma quando fu abbastanza vicina a lui per capire cosa stesse succedendo.. fu molto peggio.

 

Neville era steso a terra, inerme come un bambolotto. C'era sangue ovunque. Tra i capelli, sotto le orecchie, nel viso, nelle mani, nelle braccia, nelle gambe, persino nei piedi.. e un enorme chiazza di sangue sul petto, proprio dove risiedeva il suo cuore. Era ancora vivo, ma non lo sarebbe stato a lungo.

 

Dicevi di tenere a me.. dicevi che non mi avresti mai lasciato.. ma l'hai fatto.. è stato tutto un gioco per te.. non c'è mai stato niente di vero..?”

 

Ogni parola era come ricevere mille pugnalate che premevano forte contro il suo corpo, e il fatto che Neville fosse morente e di conseguenza parlasse lentamente e a fatica fu mille volte peggio “..Neville.. io.. io.. oddio.. perdonami.. non volevo.. io non..”

 

Yvonne voleva inginocchiarsi davanti a lui, ma anche gettarsi da lui ad abbracciarlo, proteggerlo inutilmente da una morte che comunque sarebbe arrivata. Voleva urlare, piangere, supplicare il suo perdono. Ma nulla di tutto questo accadde.

 

Non smise di camminare. E non emise un suono. Ma non importava, perché dagli occhi di Neville seppe che lui, in qualche modo, aveva capito, come se fosse in grado di guardare dentro la sua testa.

 

Avresti dovuto lasciarmi in pace.. io.. io avrei avuto una vita lunga e felice se tu non ci fossi mai stata.. perché hai interferito nella mia vita? Perché me l'hai rovinata?”

 

Le sue gambe cedettero e Yvonne cadde al suolo. Le ginocchia urtarono il cemento della strada, ma il dolore che provava dentro di sé le rendeva impossibile sentire quello fisico. Voltò lo sguardo, e incrociò gli occhi verdi di Neville.. aperti, ma senza vita.

 

Urlò. A squarciagola. Urlò tanto che la bocca le faceva male. Aveva le dita che affondavano sulle sue braccia, le unghie che lasciavano segni rossi sulla pelle. Si accasciò a terra, pronta a qualunque cosa l'aspettasse.

 

Era la morte?

L'Inferno?

 

Prima di chiudere gli occhi, vide le ombre di due figure allontanarsi.

 

Erano due figure femminili.

Familiari.

 

Yvonne allungò il braccio, in un ultimo, disperato tentativo “..no.. vi prego.. non lasciatemi.. non anche voi..”

 

Non fu in grado di sapere se era riuscita a dirlo o se l'aveva solo pensato, ma l'aria gelida che non l'aveva mai lasciata, quel male che l'aveva accompagnata per quella camminata, era sparita.

 

Perché era lei il male.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Non avrebbe più dormito per molto tempo, non dopo quell'incubo che ancora rimaneva ben impresso nella sua mente, nonostante tutti i suoi tentativi di scacciarlo via.

 

Le immagini che aveva visto continuavano a tormentarla, e ogni volta che incrociava Harry, Ron, Hermione, Malfoy o Neville era anche peggio. Loro la cercavano per qualsiasi motivo, che fosse un semplice saluto o l'inizio di una conversazione, ma tutto quello che vedeva quando si avvicinavano a lei era la loro morte. Loro le parlavano, ma non riusciva neanche a sentirli, perché tutto quello che riusciva a sentire erano i loro lamenti, la loro disperazione, e più loro cercavano di parlarle, più quelle immagini si facevano pressanti e gigantesche, fino a quando i suoi interlocutori non sparivano, fino a quando i loro stessi del futuro non li avevano coperti del tutto, facendoli dissolvere, loro e l'ambiente intorno, e non rimaneva altro se non le loro vite distrutte. Da lei.

 

Sono stata una stupida.. una stupida!

Cosa stavo pensando?

Cosa mi è saltato in mente?

Come ho potuto davvero pensare anche solo per un momento che entrando nelle loro vite le avrei migliorate?

Come ho fatto a non rendermi conto dei danni che avrei causato?

Anche i bambini lo sanno!

Ogni racconto che giri intorno ad un viaggio del tempo in cui la salvezza del protagonista dipende dal fatto che la storia segua quel specifico percorso a cui è destinata insegna esattamente questo!

E invece io, da perfetta idiota quale sono, ho pensato che sarebbe stata una saggia idea rendere Malfoy un amico di Harry, tanto, cosa potrebbe andare storto?

Tutto!

E ora ho alterato gli eventi, perché Malfoy era con Harry quella dannata sera, quindi niente punizione, niente unicorno, niente di niente.

Li ho rovinati. Li ho distrutti.

Cinque persone che avrebbero avuto una vita lunga e felice ora l'avranno breve e dolorosa.

La loro unica colpa?

L'avermi conosciuta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Stava iniziando ad essere difficile ignorarli. E stancante. Ogni volta che li vedeva avvicinarsi, era come se qualcuno la trafigesse con una spada, così a fondo che la punta dell'arma sbucava dalla schiena. Ogni volta che li vedeva avvicinarsi, la colpa che sentiva era così forte da soffocarla, come un soffitto che si abbassava sempre di più portandola alla morte.

 

E faceva male.

 

Dannatamente, fottutamente male.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Yvonne!”

 

Era Neville.

 

No.

No no no no no.

Ti prego no.

 

Voleva andare avanti, ignorarlo, ma finì con il girarsi verso quella voce. E si ritrovò davanti a tutti e cinque.

 

“Stai bene?” chiese Hermione in tono preoccupato.

 

“Certo. Certo che sto bene. Perché. Perché non dovrei.” risposte Yvonne parlando a scatti come quando si parla al telefono con qualcuno ma c'è qualche problema di connessione, senza neanche sforzarsi troppo nel cercare di rendere sincera la sua bugia.

 

Era troppo stanca per quello. Non ne aveva le energie.

Affatto.

 

“Fai davvero pena a mentire. Dì qual'è il problema e basta.” disse schiettamente Malfoy, l'unico dei cinque che sembrava più infastidito che preoccupato.

 

“Malfoy!” sbottò Harry, ma il Serpeverde si limitò a roteare gli occhi.

 

Le immagini iniziarono ad arrivare. Così come il dolore. E la sensazione di soffocamento. Yvonne si girò nuovamente e iniziò ad andarsene, senza nemmeno una parola, ma riuscì a fare solo due passi prima che la voce di Malfoy la raggiunse di nuovo.

 

“Ma sei seria?”

 

Eccolo.

Il tono accusatorio, pieno di confusione e frustrazione e.. rabbia. Una rabbia che accese qualcosa in lei.

 

“Cosa c'è?” sbottò Yvonne, tornando verso di loro senza togliere gli occhi di dosso da Malfoy “..cosa?”

 

Nonostante le immagini dell'incubo che occupavano sempre più spazio, riuscì a vedere la sorpresa negli occhi di quei cinque ragazzini, che si trovavano davanti a qualcosa che non potevano comprendere, e che Yvonne non voleva che comprendessero.

 

“Si può sapere cos'hai?” insistette il Serpeverde.

 

“Non so di cosa tu stia parlando!” Yvonne era sull'orlo del crollo, riusciva a sentire bene come la sua stessa voce stesse tremando.

 

“Sappiamo che ci stai evitando.” intervenne Harry in tono ben più pacato, ma deciso.

 

Ma perché..

perché--

Perché non volete lasciarmi in pace?!?

 

Le immagini si ingradirono.

E ancora.

E ancora.

L'ambiente, quei cinque undicenni, tutto quanto, sparì in un turbinio oscuro.

 

Rimanevano solo quelle immagini profetiche.

Di morte.

 

Yvonne iniziò a inspirare, facendo sempre più fatica. Riusciva a sentire il suo respiro, eppure le sembrava di annegare in un vortice nero.

 

E buio.

Sempre più buio.

 

Sentiva la forza che mancava, le gambe che cedevano, proprio come in quell'incubo. Ci era immersa con una tale profondità che non era nemmeno più certa che fosse la realtà e non quello stesso incubo vissuto una seconda volta.

 

Colpa sua.

Era colpa sua.

Sarebbero morti per colpa sua.

Tutto quel mondo sarebbe morto per colpa sua.

Cinque vite spezzate.

Cinque fiori destinati a sbocciare, ma che lei stava facendo appassire.

Sempre di più, sempre di più, sempre di p--

 

“Yvonne..”

 

La voce di Neville era un sussurro, quasi un mormorio impercettibile, ma che riuscì comunque a perforare l'oscurità con un raggio di luce. L'immagine del Neville dell'incubo si fece più sfuocata e lo divenne sempre di più, come se si trattasse di una foto distrutta dalle fiamme.

 

E si trovò davanti il Neville che aveva effettivamente davanti, quello stesso Neville che la guardava con preoccupazione e comprensione e con qualcos altro che sembrava paura. Nel giro di qualche secondo, la visione di Yvonne si fece più nitidita, permettendole di tornare a vedere anche gli altri quattro, facendo sparire le loro ombre, ritrovandosi nuovamente dentro le mura del castello.

 

Sentì i suoi occhi inumidirsi. Era vicina al crollo “..io..io.. fareste meglio a stare lontani da me..” ormai non pensava nemmeno più, non aveva il minimo controllo delle sue reazioni e parole, a mala pena riusciva ad elaborare che stesse accadendo realmente e che non fosse solo nella sua immaginazione “..vi farò del male..”

 

Non fece in tempo a vedere la loro reazione che Hermione le arrivò davanti, così vicino che non riuscì a vedere altri se non lei, i suoi occhi marroni apparivano risoluti come non mai “..questo non è vero e lo sai. Chi ti ha messo in testa queste stupidaggini?” era così seria che non sembrava nemmeno lei, o forse era solo un'illusione ottica.

 

“Tu non capisci..” singhiozzò Yvonne, ormai in preda al pianto “..io non voglio farvi male.. state lontanti da me.. per favore..” uscirono altre lacrime a dirotto, che sporcarono le lenti dei suoi occhiali, rendendole la visione ancora più incerta.

 

Nonostante questo, vide tutti quanti avvicinarsi a lei, persino Malfoy sebbene fosse l'ultimo.

 

Volevano abbracciarla.

 

Un gesto dolce, pieno di comprensione e tenerezza. Un qualcosa di cui lei stessa pensava di aver bisogno.

 

Eppure.. su di lei ebbe l'effetto contrario. E sganciò la bomba.

 

“Io vengo da un altro universo.”

 

 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 17 ***








LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 17

 

 

 

 

 

Jim se ne stava comodamente seduto sulla sedia della scrivania del suo alloggio, aspettando pazientemente che Arielle continuasse. Sembrava più rilassato del solito, e la guardava con la testa leggermente inclinata verso destra e con un mezzo sorriso sulle labbra.

 

Contrariamente ad Arielle, che era tesa come la corda di un violino. Sentiva le mani che sudavano e i battiti del cuore si fecero più veloci. Le passò per la mente di fare un passo verso Jim pensando che questo l'avrebbe aiutata a trovare più coraggio, ma sembrava che i suoi piedi fossero attaccati al pavimento.

 

“C'è qualcosa che volevi dirmi?” la incalzò Jim.

 

Arielle deglutì. “S-sì. Sì, è così.” dovette lottare per non far tremare la sua voce.

 

“Vuoi sederti?” chiese nuovamente Jim, indicando la sedia davanti a lui.

 

“N-no. Sto in piedi.”

 

“Okay.”

 

Passarono altri secondi pieni di un silenzio imbarazzante che sembrava crescere a dismisura.

 

Arielle si sentiva davvero una stupida. Aveva insistito tanto per parlare con lui, e ora non riusciva a dire una sola parola. Chissà cosa starà pensando Jim di lei.. “..è.. è difficile..” balbettò, sentendosi piccola come una bambina.

 

“Tranquilla.” rispose prontamente e con dolcezza Jim “..prenditi il tempo che ti serve.”

 

Riusciva a sentire che Jim la stava guardando con più attenzione, ma pur mantenendo il suo sguardo caloroso. Aveva anche spostato leggermente la sedia in avanti con il proprio corpo per avvicinarsi a lei.

 

“Io.. prima voglio che lei sappia che è stato un onore e un privilegio conoscerla, capitano..”

 

“Grazie..” fece con perplessità Jim, non capendo il filo del discorso ma continuando comunque ad aspettare in religioso silenzio senza chiederle altro, sperando che proseguisse da sola.

 

“E.. e capirei se lei.. dopo che le avrò detto cosa ho fatto.. non volesse più avere niente a che fare con me e non mi volesse più sulla sua astronave..”

 

“Oh cielo..” fece Jim in tono allegro, quasi divertito “..cosa hai fatto? Hai preso in giro il signor Spock? Non hai nulla da temere. Bones lo fa dieci volte al giorno.. se va bene.”

 

Il suo tono scherzoso sembrò innervosire ulteriormente Arielle, e Jim se ne accorse rapidamente. Abbassò la testa, poi si sporse sulla scrivania, poggiandosi sopra le braccia e le mani “..andiamo, Arielle. L'ultima persona che ho allontanato dall'Enterprise e esiliato su un pianeta è stato Khan, e persino a lui ho dato la possibilità di scelta tra quello e un processo. Tu non sei Khan. Lo sai tu e lo so io. Dimmi cosa tanto ti preoccupa, e vedrai che non è grave quanto pensi.”

 

Arielle smise di sudare freddo, non come prima almeno, ma era ancora preoccupata. Si sedette nella sedia davanti a Kirk, dimenticandosi completamente che poco prima lui glielo aveva proposto ma lei aveva rifiutato “..si tratta di quella missione di qualche tempo fa..” ormai non ricordava neanche quanto tempo prima con precisione, tanto si sentiva soffocare “..c'erano delle forti turbolenze e Sulu si è fatto male e McCoy è arrivato sul ponte per aiutarlo..”

 

“Mi ricordo.”

 

“E.. io tolsi a McCoy la cura che aveva usato su Sulu..”

 

“Ricordo anche questo. Hai fatto bene. Le turbolenze non erano affatto fin--”

 

“Aspetti a dirlo.” disse d'un fiato lei, senza neanche rendersi conto che lo aveva interrotto.

 

Kirk appariva nuovamente perplesso. “Cosa dovrei aspettare? E' andato tutto bene, no? Se così non fosse stato, a quest'ora l'avremmo già saputo. E se hai agito così significa che sapevi che qualcosa di peggio sarebbe potuto succedere.”

 

“Immagino dipenda dai punti di vista..”

 

“Arielle..” la voce di Kirk ora aveva una punta di irritazione, e lei non poteva di certo biasimarlo. Tutti quei giri di parole si stavano allungando oltremisura.

 

Ma forse fu meglio così. Perché saperlo irritato era proprio la spinta di cui lei aveva bisogno per arrivare al punto.

 

“Non avrei dovuto interferire.”

 

“Perché? Cosa la rende diversa da qualsiasi altra volta in cui hai interferito con una missione rendendola più facile e di più semplice soluzione?”

 

“Che ho interferito anche con la sua vita!” urlò di getto Arielle.

 

Tutto quel tempo passato a pensare a cosa dire a Jim, tutti quei mormorii, quel rimandare, quelle incertezze.. ma quando si era trattato di arrivare al punto, aveva urlato.

 

Urlato.

 

Neanche Arielle riuscì a capirne il motivo, ma sapeva che in quel momento si starebbe scavando una fossa, se solo avesse potuto.

 

“La mia?”

 

E dalla bocca di Arielle uscirono nuovamente sussurri e mormorii, parole dette ad intermittenza, come se fisicamente non potesse dire due parole insieme senza fare una piccola pausa. E gli raccontò tutto.

 

Gli disse che McCoy si sarebbe fatto male senza il suo intervento, entrando in una sorta di trance delirante. Gli disse di come fosse riuscito a scendere dall'astronave e attraversare un varco che lo avrebbe portato nel passato, e a come tutto il mondo di Kirk fosse scomparso, Enterprise inclusa, tutto perché McCoy aveva in qualche modo cambiato qualcosa del passato, alterando il futuro. Gli disse di come lui e Spock sarebbero tornati nel passato a loro volta per fermare qualcunque cosa McCoy avesse cambiato. E gli parlò di Edith.

 

Parlò di lei come se fosse una sua amica, un membro della sua famiglia che ammirava tanto. La descrisse fisicamente come una dea, e caratterialmente come una figura storica valorosa e onorevole. Parlò di lei più di quanto avrebbe dovuto, come se volesse accertarsi che Kirk non l'avrebbe dimenticata, nonostante non l'avesse mai conosciuta.

 

Poi arrivò la parte peggiore. Dovette dirgli dell'amore che era sbocciato tra loro due, e di come lei fosse tragicamente quella cosa che McCoy aveva alterato. Gli raccontò del tragico finale con le lacrime agli occhi, come se fosse stata lei a soffrirne le conseguenze.

 

Raccontò tutto quanto con una voce debole e affranta, senza mai avere il coraggio di guardarlo negli occhi. Ogni tanto mentre gli spiegava si chiedeva che espressione potesse avere Jim nell'ascoltare. Tristezza? Delusione? Rabbia? Ma non ebbe mai il coraggio di guardarlo.

 

Quando il racconto finì, continuava ad evitare il suo sguardo. “..mi dispiace. Oddio, mi dispiace così tanto Jim. Io non.. non riesco a smettere di pensare a quello che le ho fatto. Io non riesco più a dormire, io..” singhiozzò, continuando a non guardarlo.

 

Ci fu silenzio dall'altra parte, e Arielle andò ulteriormente nel panico.

 

Oddio.. starà cercando di controllare la rabbia che prova nei miei confronti?

Ho perso la sua fiducia? Il suo rispetto?

 

Dopo quello che parve l'istante più lungo della sua vita, sentì finalmente il capitano parlare.

 

“...tutto qui?”

 

Arielle spostò lentamente lo sguardo, terrorizzata di incrociare quello di Jim, ma quando lo trovò non ci lesse rabbia. In realtà non seppe dire cosa c'era in quello sguardo, forse tante cose, ma sicuramente non quello che temeva.

 

“Ma..” Arielle non capiva “..ha sentito quello che ho detto?”

 

“Sì, ho sentito. O almeno, in parte. Se devo essere sincero, ho smesso di essere preoccupato per quello che stavi dicendo dalla parte in cui McCoy aveva alterato il passato modificando il futuro. Quello che è successo dopo, ha poca importanza.”

 

Arielle era ancora più confusa. “Come..? Come poca importanza? Ma..? Ha capito quello che sarebbe successo dopo?”

 

“Quello che ho capito, Arielle..” la voce di Kirk si era fatta seria all'improvviso, preoccupando la ragazza “..è che tu hai impedito che dovessimo.. dovessi, affrontare una situazione difficile, rischiosa e, a giudicare dalle lacrime che hai versato, dolorosa.”

 

“Ma.. ma tu e Edith..”

 

“A giudicare da quello che mi hai raccontato, non sarebbe finita bene.”

 

“Però vi sareste amati.. e conosce quel detto.. è meglio aver amato e perso, che non aver mai amato.”

 

“E tu sei d'accordo con questo detto?”

 

“Io.. io..” Arielle si ritrovava in difficoltà, ma in modo diverso rispetto a com'era prima che quella conversazione avesse luogo “..io non penso di poter rispondere. Non ho mai amato, romanticamente almeno.. e di conseguenza non ho nemmeno perso.” si vergognò un po' ad ammetterlo, soprattutto davanti a Jim, ma non era nella condizione mentale di essere in grado di mentire.

 

“Beh io sì, invece. Ho già amato in passato, e perso. E non ho nessun dubbio sul fatto che anche in futuro.. amerò e perderò. E ti posso confermare che è relativo. C'è chi preferirebbe evitarlo sapendo che non finirà bene, e chi invece vuole viverlo comunque. Come la penso io, non è importante. Quello che è importante è che ci sarebbe stata la possibilità di perdere il nostro presente e che avrebbe avuto ripercussioni inimmaginabili. Quello che è importante è che tu hai impedito che una situazione di grave pericolo per tutti noi si verificasse.”

 

“Ma io ho scelto per lei. Le ho tolto la conoscenza di una persona che avrebbe significato molto per lei. Le ho privato di un'esperienza che..”

 

Jim scosse la testa, apparendo quasi frustrato “..quindi se potessi tornare indietro, agiresti diversamente? Se tornassi indietro, lasceresti che l'Enterprise, il suo equipaggio, gli abitanti della Terra e una buona parte della Galassia corresse un tale rischio per concedermi di vivere un'esperienza? E' questo quello che stai dicendo?”

 

“No!” Arielle rispose prima di rifletterci su, quasi d'istinto.

 

“Quindi rifaresti la stessa cosa che hai fatto?”

 

“Io.. io..” deglutì nervosamente “..io cercherei una terza opzione. L'opzione ideale.”

 

“Che sarebbe?”

 

“Ne parlerei con lei. Prima che accadesse, ne parlerei con lei. Per sapere cosa preferirebbe. Così non dovrei scegliere per lei.”

 

“E quando lo avresti fatto? Quando me ne avresti parlato? Mentre McCoy si drogava? Così poi magari lo tenevamo fermo e una volta che io avrei deciso avremmo saputo se continuare a tenerlo fermo o lasciarlo libero di fare quello che poi avrebbe fatto? E se decidevo la seconda e poi McCoy si ritrovava in un' altra epoca e alterava qualcos'altro perché era passato del tempo? E se io e Spock nel seguirlo avremmo fallito? Avremmo perso tutto quanto per un'esperienza che non avrei neanche vissuto?”

 

Arielle non riusciva davvero a capire se Kirk la stesse prendendo in giro o era irritato o semplicemente voleva assicurarsi che lei capisse qualcosa. Qualunque cosa fosse, si sentiva incatenata, e al tempo stesso stupida.. rendendosi conto che Kirk non stava dicendo altro se non l'ovvio, qualcosa che poteva capire da sola.

 

Jim sospirò, come se d'un tratto si calmò. “Cosa ti aspetti che dica, Arielle? Cosa speri di ottenere da me?”

 

“Il tuo perdono.. se possibile.”

 

Jim scosse la testa, apparendo ancora frustrato. “Per cosa dovrei perdonarti? Per averci salvato? Per averci impedito di dover affrontare una situazione difficile?”

 

“Per averle tolto una storia d'amore.. una delle più importanti che abbia mai vissuto..”

 

“E se anche fosse?” la incalzò Jim, apparendo particolarmente deciso “..anche fosse stata la relazione più importante della mia vita, anche se fosse stata bellissima e piacevole e a lieto fine, anche fosse stata quel genere di relazione che capita una volta sola nella vita.. conta infinitamente poco, se paragonata a tutte le vite che sarebbero state in pericolo, se tu non l'avessi impedita.”

 

Arielle trovò il coraggio di guardare nuovamente Kirk, e nei suoi occhi ci trovò comprensione, e anche una punta di orgoglio. Annuì. “Le esigenze di molti.. contano più di quelle dei pochi.”

 

Jim sorrise e annuì a sua volta “Esattamente”.

 

“Sono stata molto combattuta.. sono stata vicina a prendere la decisione opposta..”

 

“Ma non l'hai fatto.”

 

“Ma stavo per farlo..”

 

“Non si vive con i se, Arielle. Non importa quanto tu sia stata vicina a scegliere l'altra opzione. Conta solo quello che hai fatto. E quello che hai fatto è stato prendere la decisione corretta.”

 

“Non sembrava la decisione corretta.. non lo è sembrata tutto questo tempo. Avrei voluto che ci fosse stata un'altra opzione, migliore..”

 

“Ma non c'era. Non sempre c'è. Se mai dovessi andare fino in fondo con l'Accademia e un giorno dovessi far parte dell'equipaggio di un'astronave, le decisioni che prenderai avranno un impatto sui tuoi compagni e sulle persone che ti stanno accanto. Il più delle volte, anche la decisione migliore comporta delle perdite e dei danni. Fa parte del pacchetto. E non puoi davvero permetterti di rimuginarci su perché una decisione che hai preso ha avuto degli effetti collaterali a cui non eri preparata. Non se sei un ufficiale, e hai le vite di altre persone sulle tue spalle. E questo vale anche per le volte in cui prenderai la decisione sbagliata. Perché accadrà, ti garantisco che accadrà. Fa parte dell'essere umano. E non puoi scoraggiarti ogni volta, continuando a pensare ad un passato che non puoi cambiare. Sbagliare, fallire, è umano. Non ti rende una persona cattiva, o un incapace. Per quanto tu sia preparata e con le migliori intenzioni, a volte si fallisce e si cade. E quando succede tu devi tirare un sospiro e rialzarti, più forte di prima e con un nuovo bagaglio di esperienza, perché lo devi a te stessa e alle persone che dipendono da te. Se invece resti a terra a maledirti per tutte le scelte sbagliate che hai fatto nella tua vita, allora quel fallimento avrà avuto la meglio su di te. Ricordalo sempre Arielle, è molto importante.”

 

La ragazza annuì con decisione. “Lo farò.”

 

“Sei una brava ragazza. Sei intelligente, sveglia, straordinariamente empatica. Caratteristiche fondamentali per essere un buon membro della Flotta e arrivare lontano, ma devi tirare fuori la grinta. Hai coraggio nell'affrontare pericoli, hai affrontato Khan, ma il coraggio non è solo questo. E' anche portare avanti con convinzione i propri ideali, le proprie scelte, a prescindere da quali siano. Il coraggio è anche essere decisi, mostrare di non avere paura di una decisione difficile, dell'opinione di qualcun altro. Tu sai chi sei, e non devi dimostrare niente a nessuno. Le incertezze e i momenti di dubbi fanno parte della vita, ma non lasciare che ti dominino.”

 

Arielle annuì nuovamente, poi vide che Kirk si alzò e le andò incontro, così si alzò a sua volta. Jim le posò un dito sotto il mento, alzandole leggermente la testa “..quindi testa alta, e mostra all'universo di cosa sei capace. Senza se e senza ma.”

 

 

 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** C'era una Volta - Capitolo 18 ***








C'ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 18

 

 

 

 

 

 

 

 

Non sapeva con precisione per quanto tempo avesse dormito. Ore? Giorni? Settimane? Mesi? Potevano essere anche anni, poteva alzarsi e guardarsi allo specchio e vedere il riflesso di una donna anziana scoprendo di aver passato tutta la vita a dormire.. ma ne sarebbe comunque valsa la pena, vista la comodità che sentiva sulla pelle e sulle ossa, merito di un materasso così comodo da sembrare più una soffice nuvola che sorvolava i cieli.

 

Si ritrovò a sorridere ancora prima di aprire gli occhi e rendersi conto di dove si trovasse, dato che la sua memoria era oscurata da quella stanchezza che in passato aveva provato, una stanchezza che ora sembrava più lontana che mai, come se l'avesse vissuta qualcun altro. Si stiracchiò più che poté, con braccia e gambe. Era quasi certa di trovarsi in un letto comunque, anche perché sentiva la liscia e soffice seta delle coperte sopra di lei, ma doveva essere un letto gigantesco: allungò le braccia e le gambe il più possibile, ma ciò nonostante non riuscì a raggiungere la fine del materasso con le dita delle mani e dei piedi: o si era rimpicciolita all'improvviso senza accorgersene o si trovava in un letto costruito per contenere sei persone come minimo.

 

Nello stiracchiarsi, si accorse anche di un'altra cosa. Qualcosa che tirava sul suo petto e nella zona delle spalle, come se qualcosa spingesse contro la sua pelle. Non era così spiacevole considerando la perfezione di qualsiasi altra cosa, ma fu abbastanza per invogliarla ad aprire gli occhi.

 

La camera era buia, ma non abbastanza da impedirle di vedere cosa c'era intorno a lei e quello che vedeva intorno a lei era la stanza da letto più grande che avesse mai visto, era così grande che doveva sforzarsi per vedere i muri davanti a lei che chiudevano la stanza. Quella stanza da sola era più grande di tutta la casa di Edmond e Mathieu. Sui muri c'erano delle ondeggianti linee che si univano tra loro fornendo una decorazione graziosa e raffinata, e il pavimento doveva essere in marmo di alta qualità. C'era anche un enorme tappetto, che doveva essere più o meno dello stesso colore del pavimento, solo più chiaro.

 

Alzò lo sguardo sopra di sé aspettandosi di trovare il soffitto, ma vide solo le tende del letto a baldacchino che sembravano.. viola. Sollevò il busto aiutandosi con le braccia, e fu allora che sentì nuovamente quella fitta. Lasciò immediatamente perdere la stanza e si concentrò su sé stessa: non indossava più quel vecchio e logorato vestito distrutto che ricordava, ma quella che doveva essere una veste da notte per le donne di quei tempi, molto largo e morbido, probabilmente pensato per essere comodo e leggero. Si guardò sotto aspettandosi di vedersi nuda, e effettivamente lo era in maggior parte, fatta eccezione per il busto, più precisamente nei punti che sentiva quelle fitte, fitte delle quali ora comprendeva il motivo. Aveva delle garze mediche, garze nuove e di qualità non come quelle di Edmond, in tutto il petto che le passavano anche nella schiena, e una doppia dose di garza sulla spalla sinistra. Non ricordava di aver ricevuto ferite sulla spalla quindi non ne comprendeva il motivo, così senza pensare usò le dita per spingere sulla spalla. Inizialmente trovò solo l'abbondante garza, ma spingendo maggiormente sentì il dolore aumentare, così lasciò perdere immediatamente. Quando spostò anche le gambe con l'intenzione di alzarsi, iniziò a fare mente locale.

 

Come ci sono arrivata qui?

Di sicuro non ho mai dormito in un posto del genere prima d'ora.

Ero..

ero andata in biblioteca in cerca di risposte e..

Belle!

 

Non appena il nome della principessa le ritornò alla mente, scattò in piedi senza neanche accorgersene.

 

Esaminò nuovamente la stanza. Una stanza che ora sapeva esserle familiare.

 

Sono.. sono nel castello de La Bella e la Bestia!

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Quella camera era davvero da re e una parte di lei avrebbe voluto ammirarla più a lungo, ma non esisteva nel modo più assoluto che Nolwenn continuasse a restare lì una volta capito in quale castello si trovasse. Si tolse la veste da notte con grande fretta come se avesse paura che qualcuno l'avesse vista nuda, il che era del tutto insensato considerando che sia porte sia finestre erano chiuse. In effetti, il fatto che fosse così buio all'interno della stanza non significava affatto che fosse notte. Nolwenn ci sperava, non si sentiva molto a suo agio a curiosare in un castello nel cuore della notte mentre tutti dormivano, e a dire il vero l'idea di farlo le metteva un pelo d'ansia, ma l'avrebbe fatto comunque, lo sapeva. Riconobbe il suo vecchio vestito malconcio accasciato su una sedia vicino alla scrivania della stanza, e lo prese al volo. Probabilmente l'armadio era pieno di vestiti ben migliori, ma quello era il suo vestito, e non le sembrava affatto giusto prenderne un altro senza permesso dopo tutto quello che avevano fatto per lei.

 

Le garze strette che aveva addosso le impedirono di mettersi il vestito alla velocità che avrebbe voluto, ma alla fine ci riuscì comunque. Si diede una rapida occhiata allo specchio giusto per assicurarsi di esserselo messo nel verso giusto e una volta visto mise la mano sulla grande maniglia dorata della porte verdi che davano sul corridoio, e uscì.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Una volta tanto le cose andarono nel verso giusto.

 

Era giorno, Nolwenn se ne accorse nel momento stesso in cui mise il piede fuori dalla stanza. Non solo perché alla sua destra c'era un'enorme vetrata che dava sul giardino, ma anche perché sentiva rumori di ogni genere, rumori che non si sarebbero mai sentiti nel cuore della notte. Si affacciò alla grande vetrata che aveva ai lati delle tende rosse, poggiando le mani sul lungo divano appena davanti, e vide che fuori nevicava. Quell'immerso giardino bianco sembrava deserto, fino a quando vide qualcuno: Belle. Stava camminando accanto ad un uomo più alto di lei, vestito in azzurro e che appariva avere dei lunghi capelli biondi legati in un fiocco, proprio come lei.

 

La Bestia! Oh meglio, l'ex bestia? Cavolo, non posso chiamarlo così. Qual'era già il suo nome?

Cazzo, non me lo ricordo.

 

Si erano avvicinati ad una piccola fontana ora ghiacciata, sulla quale comunque si trovavano degli uccellini e vide che iniziarono a dargli da mangiare e quei simpatici animaletti si misero su di loro. Uno sulla testa del principe. Belle rise, ma Nolwenn non riuscì a vedere la reazione di lui. Accanto a loro c'era un cane. Li guardò ancora per qualche secondo sorridendo, poi si voltò del tutto, tornando all'esplorazione.

 

Davanti a lei, vide un enorme e lungo corridoio, nel quale c'era un lungo tappeto rosso ornato ai lati con splendide decorazioni dorate. Il tappetto continuava per tutto il corridoio fino a due alti ma sottili porte di legno, ma a metà corridoio Nolwenn vide che alla sua destra c'era un altro sentiero, che si apriva con una ondeggiante arcata, e ai suoi lati c'erano anche delle splendide colonne di marmo, presenti anche in qualsiasi altra vetrata che dava sul giardino. Per quanto quel tappeto rosso fosse bello, optò per l'arcata.

 

Nel raggiungerla, vide i muri blu pieni di decorazioni. Alla sua sinistra c'erano vasi di ogni dimensione e colore, e alla sua destra quadri, che per lo più raffiguravano quelli che dovevano essere dei nobiluomini e nobildonne del passato. Che si trattasse dei precedenti abitanti del castello e antenati della Bestia? O semplicemente dei nobili importanti? Smise di chiederselo quando raggiunse l'arcata.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Vagò nel castello ancora per un po', lasciandosi trasportare dall'istinto. Ogni tanto le capitava anche di imbattersi in qualche servitore, ma nessuno che ricordasse dal film. Molti le facevano l'inchino quando passava, altri annuivano. Tutti la guardavano confusi per come era vestita, ma Nolwenn ci era abituata e a dire il vero si sarebbe sorpresa del contrario.

 

Poi, sentì delle voci familiari. Voltò l'angolo e le seguì, trovando due uomini discutere tra loro. Il primo, quello dall'espressione annoiata, era tanto alto quanto snello, con due piccoli occhi scuri e lunghi capelli color biondo cenere, legati nobilmente. Il secondo, quello che invece appariva più infastidito, era nettamente più basso e in carne, con baffi alla francese e ondeggianti occhi verdi. Anche lui aveva i capelli legati come l'altro, ma i suoi erano color rame.

 

Erano indubbiamente dei servitori, ma il loro aspetto e gli abiti indossati, rendeva molto chiaro che si trattava di servitori di alto rango.

 

“Lo sai, questa è esattamente la ragione per cui non ti chiedo mai niente! Non si può mai fare affidamento su di te! Ti si dice a, ma tu capisci b. E' sempre la stessa stor--” brontolava quello in carne, come un genitore che fa la ramanzina al figlio.

 

Quello alto, in tutta risposta, si limitava a roteare gli occhi annoiato, muovendo anche la mano destra verso l'altro per prenderlo in giro, cosa che lo fece ancora più infuriare “..e smettila di farmi il verso, dannazione!”

 

Man mano che si avvicinava, Nolwenn non potè fare a meno di notare che quello alto somigliava spaventosamente a Doug Jones, e quello basso a Sean Astin. Quei due erano così presi dalla loro discussione che nemmeno si accorsero della sua presenza.

 

“Continuo a non capire quale sia il problema.” disse infine l'alto, con una voce ben meno pignola e più allegra dell'altro.

 

“Certo che non capisci quale sia il problema, non mi ascolti! Non ascolti mai!”

 

“Tu mi hai chiesto i tovaglioli rossi e io te li ho portati. Ugh, devi sempre fare delle storie, Tockins! Manco te li avessi portati a pois!”

 

“Rosso rubino, Lumiere! Te li ho chiesti rosso rubino!” quello basso, che a questo punto era indubbiamente l'ex orologio animato della bella e la bestia, mise una mano dentro la sua giacca e tirò fuori il famoso fazzoletto rosso che doveva essere al centro della discussione, e lo scosse davanti al visto di Lumiere come per sbatterglielo in faccia “..questo è rosso papavero!”

 

“E c'è un enorme differenza di colori tra l'uno e l'altro, eh.” rispose sarcasticamente Lumiere, e Nolwenn non poté fare a meno di sorridere.

 

“Se usassi metà dell'energia che usi a fare queste battute fantastiche nell'ascoltarmi, non staremmo avendo questa conversazione!”

 

“Sono fazzoletti, Tockins! Fazzoletti! Si usano per pulirsi la bocca! Credi davvero che a qualcuno importi qualcosa se si puliscono la bocca su un tovagliolo rosso rubino o su un tovagliolo rosso papavero?”

 

“Il copritavola sarà rosso rubino, e i tovaglioli devono essere abbinati di conseguenza! Hai una vaga idea di quanto sia brutta da vedere una tavola perfettamente coordinata rovinata dai tovaglioli che sono di una tonalità diversa rispetto al copritavola?”

 

“Letteralmente nessuno si accorgerà della differenza tranne te! Perché devi sempre crearti dei problemi che non esistono?”

 

“Oh no, Lumiere. Quello lo fai tu.” Tockins si fermò un attimo, fingendo di aver avuto una illuminazione “..oh guarda, ho fatto una battuta, e al tempo stesso ho svolto con successo tutti i miei compiti. Vedi? Non è difficile riuscire a fare entrambi. Perché non provi, ogni tanto?”

 

Lumiere gli sorrise forzatamente puntandogli l'indice contro, probabilmente pensando a come rispondere. Iniziò a muovere gli occhi alla ricerca di qualcosa da dire, ma i suoi occhi trovarono Nolwenn, che teneva una mano davanti alla bocca per nascondere le risate silenziose che si stava facendo.

 

“Oh, mademoiselle! Quale visione celestiale siete!” esclamò in fretta Lumiere, facendo un breve inchino e dandole un piccolissimo bacio sulla mano.

 

Nolwenn, continuava a sorridere. Sapeva di non essere una visione, men che meno celestiale, soprattutto in quel momento e con quell'abito distrutto e lacerato e con tutti quei tagli e ferite che aveva, ma Lumiere l'aveva detto con una tale convinzione che non si era neanche sentita offesa da quella palese bugia. Era proprio un donniaolo nato.

 

Lumiere stava per dire altro, ma Tockins lo spinse da parte con il gomito, mettendosi davanti a Nolwenn. “..felicissimo di vedervi in piedi e in salute! Spero abbiate dormito bene.” disse, inchinandosi e baciandole la mano esattamente come aveva fatto Lumiere un secondo prima.

 

“Se ho dormito bene? Non credo di aver mai dormito così bene in vita mia!”

 

“Lieto di sentirlo, lieto di sentirlo. Immagino siate affamata. Non temete, la cena è quasi pronta.”

 

“La cena con il copritavolo rosso rubino e i tovaglioli rosso papavero?” chiese scherzosamente lei.

 

Lumiere e Tockins si guardarono imbarazzati, realizzando solo in quel momento che Nolwenn aveva ascoltato tutta la loro discussione.

 

“Il vostro segreto è al sicuro con me..” si affrettò ad aggiungere, non pensando che li avrebbe imbarazzati tanto “..in tutta onestà, non sapevo neanche che ci fossero due tonalità di rosso diverse. La differenza è così evidente?”

 

“Oh oh, beh, sì.” fece Tockins dopo una breve risata, preparando la sua voce da spiegazione “..in verità ne esistono più di due. Il rosso rub--”

 

“La ragazza voleva solo essere gentile, Tockins. Non le interessa ascoltare il tuo papiro sulle mille tonalità appena impercittibilmente diverse di un singolo colore.” lo interruppe subito Lumiere.

 

“No, no, mi interessa. La prego, signor Tockins, mi illumini.” disse Nolwenn.

 

Lumiere capì immediatamente che aveva mentito, ma sorrise comunque e fece un breve inchino con la testa in segno di rispetto, come se la stesse ringraziando, mentre Tockins era troppo soddisfatto per rendersene conto. Iniziò a parlare di tutte quelle varie tonalità e nel mentre avevano ripreso a camminare, permettendo a Nolwenn di continuare ad esplorare il castello. Quando avevano ripreso a camminare, Lumiere stava alla sua sinistra e Tockins alla sua destra. Nolwenn sentiva il cuore battere all'impazzata, ma non per paura come aveva fatto durante la battaglia nella piazza di Notre Dame. No, questa volta.. era diverso.

 

Era un battito dovuto all'emozione? Alla magia? Alla serenità? Al calore? A quel senso di sicurezza che finalmente sentiva intorno a sé?

 

Ad un certo punto, entrambi accelerarono il passo senza accorgersene, finendo con l'essere qualche metro davanti, ma a lei andava bene, così li avrebbe seguiti senza domandarsi mille volte dove sarebbe potuta andare e dove invece no.

 

Quando Lumiere e Tockins passarono accanto ad una vetrata, Nolwenn vide le loro ombre per terra, proprio dietro di loro e prima di lei. O non lo erano? Erano indubbiamente le loro, ma non erano le ombre di due uomini. Erano le ombre.. di un candelabro alla sua sinistra, e di un orologio a pendolo alla sua destra.

 

Nolwenn non capiva. Che significato poteva avere? Lumiere e Tockins erano nati uomini, crescuti uomini e tornati uomini. Quel candelabro e quell'orologio a pendolo era solo il loro passato, un passato transitorio dovuto ad una maledizione che era stata spezzata. Quel candelabro e quell'orologio a pendolo era stata solo una fase della loro vita, e di certo non ciò che erano davvero. Non erano nati come oggetti. Erano nati come uomini.

 

Una strana magia? Forse.

 

Tuttavia, Nolwenn smise di pensarci quando, passando accanto ad un'altra grande vetrata, vide la sua ombra, che di nuovo non corrispondeva alla realtà.

 

Un'ombra di sé stessa, ma non di com'era ora. Un'ombra di quella ragazza che lavorava in ufficio nella Parigi del ventunesimo secolo, e che era sparita nel nulla. Una ragazza che non esisteva più.

 

E probabilmente era per questo che non sarebbe mai più tornata a casa.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 18 ***






QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 18

 

 

 

 

 

 

 

 

Io vengo da un altro universo.

 

Era fatta. L'aveva detto. Era finita. Finita.

 

Niente più urla di disperazione. Niente più rantoli di morte. Niente più presagi drammatici. Niente vortici oscuri. Niente voci soffocanti.

 

Era sparito tutto.

 

Ma il prezzo che aveva pagato era stato alto, un'altezza da montagne russe.

 

I suoi cinque ex amici se ne stavano immobili davanti a lei, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Cosa gli stava passando per la testa? Erano delusi? Arrabbiati? Confusi? Spaventati? Volevano urlarle contro? Volevano insultarla? Volevano raccontare tutto al preside? La credevano pazza e stavano pensando a come rinchiuderla permanentemente al San Mungo?

 

Non poteva biasimarli.

 

“In.. in che senso?” chiese titubante Ron.

 

“Questo non è possibile” fece in tono saccente Hermione, prima che Yvonne potesse anche solo pensare a come rispondere a Ron “nessuna magia è tanto potente.” scosse la testa frustrata, come se quella rivelazione non fosse altro che un indovinello per lei e al quale dovesse trovare una risposta “..a meno che..” deglutì “..vieni da un altro tempo? Non ho mai letto di autentici viaggi nel tempo, ma..”

 

“No! Cioé.. sì.. anche?”

 

“Anche?!?” esclamò Ron spaventato, come se Yvonne avesse preso improvvisamente le sembianze di un ragno gigante.

 

“E'.. è complicato..”

 

“Più di quanto non sia già?!?” borbottò Ron.

 

“E' tutto sbagliato..” ora era Yvonne a scuotere la testa, neanche si era resa conto che Harry, Malfoy e Neville non avevano ancora aperto bocca “..io non dovrei essere qui! Non è il mio posto! Da dove vengo io, tutto questo..” agitò le braccia, indicando le mura intorno a loro, gli altri studenti che la guardavano con occhi allucinati e il castello stesso “..non è reale. Non esiste davvero. E' finzione! Un romanzo! Un film!” aveva quasi urlato nello spiegarsi, ma i cinque la guardavano ancora più confusi e preoccupati.

 

Esasperata, si rivolse a Hermione “..tu sei nata babbana, Hermione. Lo sai cosa sono i film, no? Spiegaglielo!”

 

La Grifondoro la guardava più confusa di prima, ma non riusciva a distogliere lo sguardo “..non vedo come possa essere rilevante in questo momento..”

 

Yvonne iniziò ad inspirare con il suo intero diaframma. Ora era lei a non sapere cosa stesse provando. Era arrabbiata perché non capivano? Era amareggiata perché, stupidamente, sperava che l'avrebbero confortata comunque, anche dopo quella rivelazione? Era preoccupata delle conseguenze di quello che aveva appena fatto, sulle quali ancora non aveva riflettuto ma che comunque riusciva a sentire sulla propria pelle?

 

“Io non faccio parte di questo mondo, del vostro mondo!” marcò con forza il “vostro” intenzionalmente, per far sì che capissero che era fuori luogo con tutta la scuola e il mondo magico, contrariamente a loro “..da dove vengo io non esiste la magia, se non nei racconti di fantasia per i bambini. Da dove vengo io..” fece una pausa per riprendere fiato e al contempo pensò alle sue prossime parole, che le uscirono dalla bocca nel momento in cui passarono per il suo cervello “..siamo tutti babbani! Non esistono maghi o streghe, siamo tutti babbani! Io sono una babbana!”

 

“Yvonne..” Hermione sembrava d'un tratto più attenta a quello che stava dicendo o era la sua voce che suonava stranamente più comprensiva di un secondo fa? “..tu non sei una babbana. Non potresti essere qui se fossi una babbana. Non potresti neanche vedere il castello se lo fossi. Hai una bacchetta, dalla quale escono magie quando fai un incantesimo. E che mi dici dei professori? Pensi che non si sarebbero accorti di una babbana che frequenta le lezioni?!? Pensi che non avrebbero fatto qualcosa? E come avrebbero fatto a chiamarti per lo smistamento se non avessero saputo che saresti venuta?”

 

“E' proprio questo il punto!” Yvonne quasi urlava e neanche ci fece caso “..io non capisco.. non capisco come mai nessuno faccia niente! Nulla di tutto questo ha senso?” d'un tratto iniziò a ridere, quasi istericamente, sapeva di apparire del tutto fuori di testa, ma ormai era troppo tardi per fermarsi e provare ad uscirne salva da quella situazione limitando i danni “..non sono neanche inglese! Sono francese! Yvonne Rolland! Vi sembra un nome inglese?!? Se davvero fossi una strega, e non lo sono, perché sono qui e non a Beauxbatons!”

 

Calò il silenzio. Ormai si era formata una folla di studenti accanto a loro, godendosi la sua crisi isterica. Alcuni sghignazzavano e indicavano, altri ridevano, altri ancora tenevano gli occhi bassi imbarazzati per lei, pur continuando a restare lì. Yvonne era troppo irrazionale in quel momento per vergognarsi della più grande figuraccia della sua vita, ma si sentì comunque male quando ogni tanto quegli stessi studenti guardavano anche Harry, Ron, Hermione, Malfoy e Neville, come se loro facessero parte del siparietto comico. Sapere che ci stavano andando di mezzo anche loro quando di fatto non avevano fatto niente di male se non cercarla e volere la sua compagnia, era doloroso.

 

“Tu.. sei completamente pazza! Non posso credere che ho buttato il mio tempo ad ascoltarti!” sbottò Malfoy in tono sprezzante, ritrovando improvvisamente la parola.

 

“Posso provare quello che dico!” ribatté Yvonne, che ormai neanche rifletteva più, rispondeva semplicemente con la prima cosa che le passava per la testa “..tu dovresti saperlo più di tutti!”

 

Malfoy sgranò gli occhi e si guardò intorno, preoccupato come non mai, per la sua reputazione probabilmente “..io più di tutti?!?”

 

“Come altro avrei potuto sapere che Harry sarebbe diventato Cercatore della squadra di Quidditch di Grifondoro prima che accadesse? Non lo sapevo perché ho visto il futuro o letto una profezia. Lo sapevo perché sapevo che sarebbe successo! Perché l'avevo già visto succedere!”

 

“Cosa hai detto?” chiese Harry confuso, passando lo sguardo da Yvonne a Malfoy.

 

“Avevo detto a Malfoy che saresti diventato Cercatore dei Grifondoro grazie alle sue azioni alla nostra prima lezione di volo prima della suddetta lezione!” lo urlò con una tale foga che le sue risatine si trasformarono in un pianto senza fine.

 

Tutti gli occhi erano puntati sul Serpeverde, che inspirava con rabbia tenendo la bocca chiusa. Non negò né la accusò di essere una bugiarda, ma il suo sguardo e il suo silenzio fu comunque una risposta.

 

“E dato che siamo in vena di confessioni..” singhiozzò Yvonne, ormai incontrollabile “..io non ho neanche undici anni! Ne ho ventiquattro! O almeno.. l'altra me, la me del mio universo, ne ha ventiquattro. Io.. io non so più chi sono..” ora i pianti erano disperati e lei arrivò ad essere contenta di piangere tanto, un po' per lo sfogo, e un po' per gli occhiali appannati che le impedivano di vedere la scia di distruzione che si stava lasciando dietro.

 

Calò nuovamente il silenzio. Nessuno degli studenti che stava assistendo alla scena emise un suono, come se aspettassero con trepidazione la scena finale dello spettacolo.

 

“Voi che avete da guardare?” urlò Malfoy rivolto a quella folla.

 

Qualcuno se ne andò, ma i più rimasero lì, indifferenti all'esclamazione del Serpeverde, il quale nel frattempo si era avvicinato a Yvonne “..tu hai dei seri problemi.” le disse in tono glaciale.

 

Yvonne tenne gli occhi bassi non avendo il coraggio di guardarlo, anche se effettivamente sarebbe stato difficile guardarlo con le lenti così sporche. Il Serpeverde si allontanò poi in fretta, andando verso gli studenti intorno a loro. Alcuni di loro si fecero da parte per farlo passare, mentre quelli che non lo fecero si ritrovarono ad essere spintonati da lui.

 

Harry, Ron e Hermione si allontanarono poco dopo. Non dissero nulla a Yvonne e non si avvicinarono neanche a lei per andare via, optando per la direzione opposta, che li avrebbe portati lontanto senza che dovessero avvicinarsi a lei.

 

Rimase solo Neville.

 

Yvonne sentì che si grattava le mani nervosamente, e sapeva che la stava guardando, ma che espressione avesse sul volto, non avrebbe mai potuto saperlo. E fu quasi un sollievo. Notò che una delle sue gambe si mosse impercettibilmente, così impercettibilmente che le fu impossibile capire se l'avesse mossa in avanti o in indietro. Indietro sicuramente.

 

Infine abbassò la testa, e prese la stessa direzione di Harry, Ron e Hermione.

 

La strada che conduceva lontano da lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Le settimane che seguirono furono forse le peggiori mai vissute per Yvonne, almeno da quando era al castello.

 

Harry, Ron, Hermione, Malfoy e Neville non li aveva praticamente più visti. Capitava che li incrociasse per i corridoi della scuola o che li vedesse a lezione, ma tutti loro stavano a debita distanza da lei, ignorandola del tutto. Persino nelle occasioni in cui la vedevano chiaramente, come quando in classe erano costretti a provare un incantesimo uno davanti all'altro, era come se non la vedessero davvero. Come se guardassero il muro dietro di lei. Come se non fosse mai esistita.

 

Era quello che voleva fin dall'inizio, no? Che stessero lontani da lei. Aveva passato i primi mesi ad Hogwarts maledicendosi per ogni volta che aveva parlato con loro, continuando a chiedersi perché continuassero a frequentarla, in modo che lei potesse starsene per fatti suoi lontana dai riflettori, lontana da tutto e tutti.

 

Già. Era proprio quello che voleva.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Sebbene i quattro Grifondoro e il Serpeverde non volessero più avere niente a che fare con lei, Yvonne non fece in tempo ad assaggiare il morso della solitudine perché ricevette prontamente un altro tipo di compagnia, ben più sgradita dell'isolamento.

 

Avevano iniziato con battutine sempre meno divertenti e sempre più offensive, accompagnate da risatine e dita puntate. Poi erano arrivati anche gli spintoni, e gli sgambetti, e gli insulti. Erano sempre in gruppo, mai meno di tre, e sembravano trovarla ovunque, non importava dove andasse. A volte le strappavano dalle braccia i libri che portava in mano mentre andava a lezione, facendoli levitare o cadere anche con l'utilizzo della magia. Altre volte la spingevano improvvisamente mentre voltava l'angolo, facendola sbattere contro il muro, sia con le mani sia con la magia. Qualcuno era arrivato addirittura a lanciarle incantesimi alle spalle, mai offensivi ma che comunque le creavano dei grossi problemi, alle volte impendendole di camminare.

 

Le dicevano che era una stupida, una pazza, che tutta la scuola le rideva dietro, e che l'unica cosa che avrebbe ottenuto nella vita era una posto permanente al San Mungo.

 

Erano studenti di tutte le età, di tutte le case. Ricordava di aver visto tutti e quattro i colori di Hogwarts nelle loro uniformi mentre subiva le loro angherie. Che fossero sempre le stesse persone o studenti sempre diversi, questo lo ignorava. Le loro facce sembravano tutte uguali comunque.

 

Quando un professore o un prefetto li coglieva sul fatto, sorridevano beati sostenendo che stessero solo scherzando. Ma Yvonne sapeva che non scherzavano, che sapevano quello che facevano. E sapeva anche cos'erano.

 

Ci aveva avuto a che fare tutta la vita, in entrambe le sue vite.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ehy Rolland, da quanti anni sei a Hogwarts? Devono essere tanti se a vent'anni sei ancora al primo anno.”

 

“Ho sentito che al San Mungo stanno studiando il tuo caso! Ci sarà la fila di medici che non vedono l'ora di esaminarti.”

 

“Adesso basta, andate via!” tuonò Andrea, che era seduta accanto a Yvonne e aveva messo un braccio sulle sue spalle.

 

Yvonne non reagiva. Non li guardava nemmeno, ma riusciva comunque a vedere il loro riflesso sul piatto argentato che aveva davanti. Erano un Grifondoro e un Tassorosso. C'era anche un Corvonero biondo più piccolo, che anche se faceva parte del gruppetto non aveva ancora parlato. Era come se fosse lì solo per assistere alla scena, senza avere nessuna posizione.

 

“Andiamo, stavamo solo scherzando.” sorrise il Grifondoro.

 

“Se non vi allontanate subito, lo riferirò ai professori.”

 

I due bulli risero di nuovo come per farsi beffe delle sue minacce, ma andarono via comunque. Rimase solo il Corvonero, che si decise a parlare “..come ci si sente ad essere lo zimbello della scuola?”

 

Yvonne lo riconobbe subito dalla voce. Emmett Davenport. Quel Corvonero del primo anno che ogni tanto vedeva in giro. Quando le prese in giro e le voci su di lei erano iniziate, si era aspettata di trovarselo come bullo, soprattutto considerando che anche prima di quell'episodio era solito fare sempre commenti non richiesti pieni di giudizio e superiorità, ma non era mai successo. In verità, non sapeva perché se lo era aspettato, non lo aveva mai visto prendere in giro qualcuno per il gusto di farlo. Era arrogante e antipatico.. ma un bullo?

 

“Vai via!” sbottò Beverly questa volta.

 

Yvonne fu così sorpresa che alzò la testa dal piatto e la guardò. Beverly era sempre stata così timida e gentile ed era sempre stata Yvonne a doverla difendere il più delle volte.. e guarda invece adesso.

 

Anche Emmett parve sorpreso. Lo aveva visto granare gli occhi e tenere la bocca aperta. Era in assoluto la prima volta che Yvonne lo vedeva con un espressione diversa dalla sua solita faccia annoiata a spocchiosa.

 

Il Corvonero aprì e chiuse la bocca balbettando qualcosa, cosa lo sapeva solo lui. Sembrava.. imbarazzato? Poi incrociò le braccia e si dileguò senza dire altro.

 

“Grazie..” mormorò Yvonne alle due amiche, non appena furono nuovamente sole.

 

Beverly e Andrea ci avevano messo un po' per accorgersi che qualcosa non andava, ma da quando l'avevano capito non l'avevano più lasciata sola, come due guardie del corpo in servizio ventiquattro ore su ventiquattro. Se avessero potuto, l'avrebbero seguita persino nel Dormitorio.

 

“Che ti prende, Yvonne? Perché non dici nulla? Non hai mai avuto problemi a rispondere agli altri. Hai affrontato Malfoy pubblicamente. E invece ora non controbatti neanche contro qualche idiota?” disse Andrea in tono comprensivo e preoccupato.

 

“Forse.. forse hanno ragione..” balbettò in risposta la Grifondoro, più a sé stessa che in risposta ad Andrea.

 

“No, e lo sai.” rispose prontamente Andrea.

 

“Cosa è successo? Tu non sei così.” intervenne Beverly.

 

Ma Yvonne le ascoltava appena. Era come si trovasse in una bolla che teneva lontano tutto e tutti, e non importava quanto Beverly e Andrea tentassero, non l'avrebbero mai rotta per avvicinarsi.

 

Tutto quello che la Grifondoro sentiva erano voci lontane e ovattate, che con il tempo sarebbero diventate sempre più lontane, fino a diventare sussurri, e infine silenzio.

 

Ma ci teneva a loro, e non poteva permettere che venissero trascinate nel fango a causa sua. Andrea poco prima aveva risposto male ad uno studente più grande di lei della sua stessa casa.. e se questo avrebbe avuto delle conseguenze all'interno della sua casata? Per causa sua? Per difenderla da qualcosa da cui non meritava di essere difesa?

 

Meritavano la verità, esattamente come la meritavano Harry, Ron, Hermione, Malfoy e Neville. Ma non avrebbe gettato altra carne sul fuoco, non avrebbe dato nuovamente spettacolo. Il finale sarebbe stato lo stesso, ma intendeva avere quella conversazione senza distruggere l'ultimo rantolo di dignità che le rimaneva.

 

“Devo parlarvi. In privato.”

 

 

 





 

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 18 ***







LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 18

 

 

 

 

 

 

 

I mesi passarono e le lezioni progredirono, quasi ad una velocità supersonica. Arielle non sapeva se fosse per il fatto che la sua testa ora era libera dalle preoccupazioni che aveva su Edith o se era stato il discorso motivazionale di Kirk, ma le sembrava di aver fatto progressi da giganti: ciò che prima non riusciva nemmeno a comprendere, ora lo faceva ad occhi chiusi.

 

Fortuna. Solo fortuna.

 

Anche Spock era tornato quello di sempre e né lui né Arielle avevano mai più parlato di quello che era successo. Non ce n'era affatto bisogno.

 

Era persino più serena accanto al serpente. Non parlavano molto, ma spesso passavano le ore uno accanto all'altro, prima che si addormentasse. Si sentiva ancora un po' strana ad averlo vicino, ma era un tipo di stranezza diversa, non più legata alla paura come una volta.

 

Tutto stava andando bene. Tutto stava procedendo nel migliore dei modi.

 

Se non fosse.. per Nolwenn e Yvonne.

 

Ogni volta che Arielle aveva la mente sgombera da pensieri, pensava a loro. Pensava a loro in quei brevi minuti tra una lezione e l'altra, quando camminava per la nave per spostarsi da un luogo all'altro, quando assisteva ad una riunione in cui il suo contributo non era necessario, quando si stava per addormentare e quando si svegliava. Non importava quanto sarebbe stata fantastica la sua vita, non importava che tutto fosse perfetto, finché loro non ci sarebbero state.. finché non avesse saputo cosa ne era stato di loro.. quel vuoto sarebbe rimasto, e nulla di ciò che esisteva nell'universo, qualsiasi universo, sarebbe stato in grado di colmarlo.

 

Era arrivata persino a chiedere a Scotty se c'era un modo di creare la loro immagine nella Sala Ologrammi. Sapeva che non avrebbe mai potuto creare una perfetta immagine olografica dato che persino gli ambienti di Parigi erano palesemente finti e sfuocati eppure.. eppure le sarebbe bastato qualsiasi cosa, un'ombra, un'immagine lontana, ma pur sempre un'immagine.

 

Ma era stato un buco nell'acqua.

 

Scotty le aveva spiegato che era impossibile, sia per l'energia che la Sala Ologrammi avrebbe dovuto utilizzare sia per la mancanza di foto o immagini delle due ragazze. Il fatto che servissero entrambe per la loro realizzazione fece sentire Arielle un filo meglio: se l'unico ostacolo fosse stato la mancanza di foto, si sarebbe sentita enormemente peggio, maledicendosi per non averle con sé, ma dato che c'era anche l'energia da dover utilizzare e che l'Enterprise non poteva permettersi, beh.. rendeva la non riuscita della sua idea più.. accettabile.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Non era tardi e non era nemmeno stanca, ma decise comunque di togliersi l'uniforme e indossare il pigiama sapendo che non sarebbe più dovuta uscire per ore. Si sdraiò sul letto coprendosi con le coperte più che poté, come se avesse freddo. Ma non dormì.

 

Aveva gli occhi fissi sul muro, ma i pensieri erano lontani anni luce. Pensava nuovamente a loro. A cosa le avrebbero detto se fossero lì con lei, a come avrebbe reagito se le vedesse entrare lì, proprio ora. Pensava a tutto quello che avevano passato. A quando giocavano da bambine, a calcio, con le bambole, nei parco giochi. A quando ad una di loro era successo qualcosa di brutto e le altre due la confortavano. A tutto e molto altro ancora.

 

Il serpente se ne stava in un angolo a fissarla, ma ad un certo punto alzò la testa, come se avesse sentito qualcosa avvicinarsi. Nel giro di poco, anche Arielle lo sentì. Uno scossone. Poi un altro. Si alzò in fretta per poter chiamare il ponte e chiedere cosa stesse succedendo, ma non ci riuscì. Il serpente fece un verso e quando lei si voltò per guardare qualcosa.. o qualcuno la colpì da dietro prima che potesse rendersene conto.

 

E perse i sensi.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando riprese conoscenza era seduta per terra, legata con i polsi ad un palo metallico dietro di lei che non poteva vedere perché le era impossibile muoversi. Sentì anche un dolore non indifferente alla testa: dovevano averla colpita lì quando è svenuta.

 

Si trovava in quella che poteva essere un'altra astronave, ma sicuramente non si trattava dell'Enterprise. Appariva molto più moderna e sofisticata, più spaziosa e con molte luci che si accendevano e si spegnevano da sole. Aveva un aspetto gradevole alla vista, ma non poteva davvero goderselo quanto avrebbe potuto a causa dello stato in cui si trovava.

 

Stai bene?”

 

Era il serpente. Arielle cercò di muovere la testa e guardare intorno a sé il più possibile per quanto le era concesso alla ricerca dell'animale, ma non lo trovò da nessuna parte.

 

“Dove sei?”

 

Nascosto.”

 

“Cosa è successo? Dove siamo?”

 

Shh non adesso. Arriva qualcuno.”

 

Arielle si zittì improvvisamente ed effettivamente sentì dei passi pesanti farsi sempre più forti. A giudicare dal rumore che facevano, chiunque camminasse doveva avere piedi e scarpe giganteschi.

 

Due romulani alti e massicci entrarono, da dove lei proprio non lo sapeva. Non c'erano porte in quella stanza eppure loro erano davanti a lei, minacciosi più che mai e sicuramente non si erano teletrasportati, perché alle loro spalle aveva sentito il rumore di porte che si aprivano, porte miracolosamente scomparse.

 

I romulani erano simili nell'aspetto ai vulcaniani, stesse orecchie a punta, con qualche piccola differenza come la cresta che avevano sul fronte e lo sguardo violento e pericoloso, contrariamente a quello distaccato e indifferente che caratterizzava l'altra specie.

 

Uno di loro aveva una pistola puntata contro di lei, ma Arielle si sentiva stranamente calma, come se fosse in una sorta di sogno. Un secondo prima era nel suo alloggio sull'Enterprise e ora in un luogo sconosciuto con due individui appartenenti ad una razza aliena che non aveva mai visto finora con i suoi occhi. L'ipotesi che fosse un sogno non era poi così assurda.

 

Quello che non aveva la pistola le si avvicinò e la slegò. Appena libera, Arielle si sfregò i polsi quasi aspettandosi di trovarci delle ferite lasciate dalle corde, ma non ci trovò niente di niente. Non sentiva nemmeno dolore.

 

Quello con la pistola le fece un cenno che era difficile da non capire. Sospirò e si alzò, pronta a seguirli come richiesto. Ora anche quello che l'aveva slegata le puntava una pistola contro e solo quando ne ebbe due contro di lei, realizzò che si trattava di pistole molto diverse da quelle della Federazione.

 

Uscirono da dove i due erano entrati. Alle loro spalle, da dove Arielle aveva sentito provenire quel rumore, vide il muro trasformarsi in porte che si aprirono, come per magia.

 

Dunque c'era una via d'uscita. Non me lo sono immaginato.

 

Camminarono verso un lungo corridoio, e durante il tragitto non volò una mosca. La via era così bianca che sembrava di stare dentro un ospedale e solo giunti alla fine trovarono una specie di ascensore nero, che stonava parecchio intorno a tutto quel bianco luminoso.

 

Una volta dentro, uno dei due toccò una spilla che aveva sul petto che ritraeva un pugno che usciva da un cerchio, e iniziò a parlare in romulano. Una volta che finì di dire quello che doveva, si toccò nuovamente la spilla.

 

Un comunicatore. In alcune serie di Star Trek lo stemma della Flotta Stellare che i personaggi indossavano veniva usato come comunicatore nello stesso modo.

Ma si trattava di serie ambientate cento anni dopo la Serie Classica, e lei in teoria, in teoria, doveva trovarsi nella Serie Classica..

 

Arielle avrebbe voluto parlare, avrebbe voluto avere il coraggio di chiedere chi fossero, dove stavano andando. Ma aveva non una, ma due pistole contro, e sebbene non si rendesse ancora davvero conto di cosa stesse succedendo sapeva di avere paura, anche se si trattava solo di qualcosa di non reale. Così tacque.

 

Quando l'ascensore smise di muoversi i due si misero dietro di lei continuando a puntarle le pistole contro, come ad incoraggiarla a lasciare l'ascensore. Le porte si aprirono, ma lei rimase immobili a guardarli, così uno dei due avvicinò la pistola e fece un cenno con il capo di avanzare se non voleva che usassero quelle armi, e lei non lo voleva davvero, così eseguì. Si ritrovò in una stanza grande quasi quella in cui si trovava poco prima, ma aveva più l'aspetto di un.. trono? C'era una grande scrivania e tanti altri oggetti che lo rendevano simile ad un ufficio, ma dietro quella scrivania, dopo una breve scalinata, svettava in alto quello che sembrava a tutti gli effetti un trono. Non era un trono fatto di spade come quello di Game of Thrones, ma non per questo appariva meno minaccioso: aveva uno stile futuristico come tutto quel posto d'altronde, e un qualcosa di tenebroso, nero come la notte. Nero che era presente in ogni elemento della stanza. Accanto a quel trono, che le dava le spalle, c'era una donna bionda.

 

Arielle deglutì e fece qualche altro passo. Sentì che le porte dell'ascensore alle sue spalle si richiusero. Si voltò e vide che i due romulani erano spariti.

 

“Vieni pure, cara.”

 

La donna le dava ancora le spalle, ma la sua voce aveva un non so che di familiare. Arielle fece comunque quanto richiesto “..chi sei?” mormorò alla fine, non aspettandosi che la sentisse, sbagliando.

 

“Ma come.. non mi riconosci?” rispose la donna in tono di scherno, quasi per prenderla in giro.

 

Finalmente si voltò, e Arielle quasi cadde. Quella donna era lei. Era lei. O quasi.

 

Indossava un top nero per coprirle il seno, e lunghi pantaloni neri in pelle che si univano a lunghi stivali neri. I capelli biondi e la pelle bianca e pallida del viso, delle braccia e della pancia scoperta dal top all'inizio dei pantaloni facevano spiccare ancora di più il nero di cui era ricoperta lei e la stanza. La donna avanzò verso di lei con fare sicuro, e Arielle si ritrovò a combattere con un nodo alla gola che le si era formato non appena aveva avuto modo di vederla, nodo che si era fatto ancora più stretto non appena resosi conto che non aveva la vitiligine.

 

D'un tratto, Arielle avrebbe voluto sprofondare.

 

E' me ma al tempo stesso non lo è.

E' più bella. Più sicura. Più affascinante. Più potente. E senza vitiligine.

E' la versione migliore di me.

..mentre io sono quella peggiore.

 

“Cosa significa tutto questo?” chiese, incapace di trovare qualcos altro da dire.

 

“Volevo parlarti. E offrirti un accordo di cui beneficeremo entrambe.”

 

“Dunque sei stata tu a portarmi qui.”

 

“Certo che non ti sfugge nulla, eh?”

 

Arielle era sempre più perplessa. Continuava a sentirsi inferiore davanti a lei, ad invidiarla quasi, a sentirsi piccola ed insignificante.. ma d'un tratto una goccia di paura tornò a farsi sentire.

 

“Cosa ti fa credere che sia interessata ad un accordo con te, dopo che mi hai minacciata?” si sentiva morire dentro, ma non avrebbe permesso che quella, chiunque fosse, lo capisse. O era finita.

 

La sua sosia rise, quasi come se le avesse raccontato una barzeletta “..minacciata? Non potrei mai minacciarti!”

 

“E i due romulani?”

 

“Ti hanno scortato da me.”

 

“Con delle pistole contro? Non è piacevole essere scortati in quel modo, e di certo non mi spingeranno ad essere interessata a quello che hai da dirmi.”

 

Stava facendo di tutto per apparire più sicura e impavida di quanto non fosse in realtà. Non poteva cambiare il suo aspetto e le era impossibile apparire migliore sotto quell'aspetto, ma avrebbe potuto apparire meno insignificante dal punto di vista caratteriale, almeno un pochino.

 

La donna sorrise enigmatica. Le fu impossibile dire se fosse sorpresa da quella reazione o se avesse capito che Arielle stesse solo recitando.

 

“Ti piace quello che vedi?”

 

Arielle rimase spiazzata. La sua facciata iniziò ad incrinarsi. “..cosa?”

 

“So che hai capito. Non farmelo ripetere.”

 

Ecco, quella suonava come una minaccia a tutti gli effetti.

 

Arielle deglutì. “No.” mentì.

 

La donna rise di nuovo. “..stai mentendo. So che stai mentendo. Io ti conosco meglio di quanto ti conosca tu, non puoi ingannarmi.”

 

Arielle sentì i suoi occhi inumidirsi.

 

“Io posso dartelo, sai.” continuò la donna “..quello che desideri.”

 

“E che cos'è che desidero?”

 

“Beh, non è chiaro? Diventare me. Io posso farlo, sai? Posso renderlo possibile. Posso far sì che questo..” indicò Arielle con disprezzo, quasi con disgusto “..diventi questo.” indicando poi sé stessa “..il potere, la bellezza, posso toglierti anche la vitiligine. Dì solo una parola, e sarà fatto.”

 

Il cuore di Arielle iniziò a pulsare con più forza. Sapeva che era pericolosa, sapeva che si stava cacciando in un affare losco, eppure.. eppure.. sentiva che una parte di lei voleva davvero quello che le stava offrendo, ed era difficile trovare una ragione valida per rifiutare tutto questo.

 

“Che cosa vuoi?” chiese infine.

 

La donna sorrise, come se l'accordo fosse già concluso “..quella bestiola che ti porti appresso. Quella biscia gialla che ti disgustava tanto. Consegnamela, e tutto questo sarà tuo prima che tu abbia il tempo di sbattere le palpebre.”

 

Il cuore le pulsava sempre più forte. Non poteva negare di avere una sorta di connessione con quell'animale, eppure.. eppure..

 

“Io non so dov'è adesso.”

 

“Sì che lo sai.”

 

Arielle non fece in tempo a chiedere di cosa stesse parlando che sentì qualcosa dentro la sua testa. Sì, sì lo sapeva. Il serpente era lì, in quella stanza. Dietro di lei, sul soffitto, nascosto. Riusciva a vederlo, senza neanche girarsi.

 

“Allora? Che mi dici? Ci liberiamo di queste macchie?” fece la donna, posando un dito su una delle zone in cui Arielle aveva la vitiligine, appena sotto il collo.

 

L'unghia del dito era affilata, permettendo ad Arielle di sentire qualcosa a quel contatto. D'un tratto la vide, sé stessa. Vedeva che le consegnava il serpente e che diventava come lei. Più bella. Più potente. Più sicura. Senza vitiligine.

 

Senza vitiligine.

 

Era tutto quello che aveva sempre desiderato.. eppure.. iniziò a sentire qualcosa di strano, qualcosa di oscuro, qualcosa che la spaventava.. vide in lontananza il serpente morto. Vide..

 

“No.” rispose, quasi senza accorgersene.

 

Lesse l'ira negli occhi di quella donna. E la furia.

 

“Vorrà dire che ne resterà una sola di noi. E sarà quella che entrambe sappiamo essere migliore.” prese un'arma lunga e affilata che Arielle era certa di aver già visto, ma aveva troppa paura per stare a pensarci.

 

Non fece in tempo a muoversi che vide con la coda dell'occhio qualcosa scattare. Era il serpente. Aveva fatto cadere qualcosa di grosso e pesante dal soffitto distruggendo il pavimento, creando un grosso buco, sotto il quale c'era un vortice viola.

 

Presto, salta!”

 

Arielle non se lo fece ripetere due volte. Sentì il serpente attaccarsi con il suo corpo al suo braccio destro, e saltarono. La caduta parve durare un solo secondo, ma riuscì comunque a sentire altre minacce provenire dal suo alter ego.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Al suo risveglio si ritrovò su una superficie liscia e piatta, il pavimento del suo alloggio sull'Enterprise. Il serpente era con lei al suo fianco.

 

“Cosa è appena successo?” chiese Arielle, sperando con tutta sé stessa di scoprire che era stato tutto un sogno.

 

L'inizio di qualcosa di grosso. Ci è andata bene, ma la prossima volta non potremo essere così fortunati. Dovrai essere pronta.”

 

“Ci sarà una prossima volta?!?”

 

L'animale non rispose e quella, sfortunatamente, era già una risposta.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** C'era una Volta - Capitolo 19 ***







C'ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 19

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sei davvero un incanto, tesoro!”

 

Sapeva che quella frase doveva essere un complimento, ma sentirla le fece più male che bene.

 

I domestici avevano fatto di tutto per farla sentire a suo agio, producendo l'effetto contrario. L'avevano persino lavata, mostrando per lei il massimo riguardo, usando quasi la stessa delicatezza di una madre. Inizialmente Nolwenn era sul punto di rifiutare offrendosi di lavarsi da sola, ma una parte di lei era consapevole che avrebbe riscontrato qualche difficoltà. Con le bende e le ferite i suoi movimenti erano più limitati del solito, e non si sentì in imbarazzo quanto si sarebbe aspettata quando era nella vasca, ferma e nuda senza fare nulla mentre persone che non aveva mai visto prima la lavavano.

 

Una volta che l'asciugarono, presero delle nuove garze così bianche da sembrare appena fatte, per poi mettergliele di nuovo prima che indossasse la veste. Lei aveva provato a fare qualche domanda, ma dal modo in cui gliele mettevano capì che sapevano quello che stavano facendo, molto più di lei.

 

Poi c'era stato la scelta del vestito, e i domestici le avevano mostrato più di venti vestiti diversi, sia nel colore sia nello stile, come se si trovasse in una boutique di alta moda. Tutti bellissimi ovviamente. Li aveva guardati a lungo e intensamente cercando di immaginarsi mentre li indossava, ma non ci riusciva proprio. Avrebbe voluto avere il coraggio di dire di voler indossare l'abito stracciato che aveva indossato fino a quel momento, ma non l'aveva. Alla fine ne scelse uno di color marrone scuro, forse il meno scollato tra tutti quegli abiti, perché sembrava essere il più comodo. Le chiesero anche se fosse interessata ad indossare qualche gioiello come una collana o degli orecchini, ma lei rifiutò prontamente. Non si sarebbe resa ridicola più del necessario.

 

Procedettero a vestirla, e poi la pettinarono. Non aveva nessuna idea di come fecero, ma sistemarono i suoi capelli con un'acconciatura elegante e raffinata, quasi riuscendo a dargli un aspetto decente.

 

Poi le dissero che era un incanto, e Nolwenn sarebbe scoppiata a ridere se questo non le avrebbe fatto male alla pancia. Non lo era. Sapeva che non lo era. L'avevano lavata con attenzione, pettinata, l'avevano vestita con un abito il cui tessuto costava più di quanto lei guadagnasse in un mese, avevano trasformato quel groviglio ribelle che aveva in testa in capelli che sembravano seta, avevano fatto l'impossibile e di più per trasformarla in una principessa a tutti gli effetti, eppure.. eppure tutto quello che riusciva a vedere allo specchio era una ragazza stralunata, brufolosa e fuori posto, con dei capelli non suoi, un vestito che non sapeva indossare, delle scarpe con cui non sapeva camminare e ferite e garze nel corpo che le causavano un non indifferente fastidio. E questo non sarebbe mai cambiato.

 

Anche se una scimmia si veste di seta, resta una scimmia.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualcuno bussò alla porta e subito dopo entrò. Era Tockins.

 

“La cena è pronta, madame. Lasciate che vi accompagni.”

 

Nolwenn lo seguì impacciatamente e a scatti. Era da tanto tempo che non indossava i tacchi, e sicuramente non li aveva mai indossati con un abito lungo come quello che le copriva tutte le gambe. Ogni passo era un tormento e invece che guardare Tockins, non la smetteva di guardarsi i piedi nel terrore di inciampare sul vestito, fino a quando non si trovò il maggiordomo al suo fianco, che le offriva un braccio e un sorriso. Nolwenn non fece in tempo a sentirsi meglio che lasciarono la stanza in cui si trovava e vide delle scale coperte da un lungo tappeto rosso davanti a sé. Le scale scendevano verso il basso fino ad una grande vetrata in parte coperta da delle enormi tende blu che scendevano dal soffitto, vetrata che si trovava a sinistra, proprio dove c'era anche un bivio: andando dritto, sarebbe salita per raggiungere una porta che doveva condurre ad una stanza che si trovava alla stessa altezza del luogo in cui si trovava poco prima, mentre a destra le scale continuavano a scendere. Nolwenn sperò con tutta sé stessa che avrebbero dovuto andare a destra e continuare a scendere, perché così facendo dove non poteva sorreggersi a Tockins avrebbe potuto sorreggersi alla ringhiera delle scale, dorata e con decorazioni eleganti e ondeggianti.

 

“Se posso, siete incatevole stasera.” tentò Tockins, mentre fortunatamente girarono proprio dove Nolwenn sperava.

 

Lei si limitò ad annuire guardando avanti, continuando a sentirsi inadeguata ad ogni complimento che le veniva fatto. Vide che in fondo alle scale c'era un enorme atrio e alla fine della discesa, proprio ai lati della scalinata, c'erano due meravigliose sculture di due angeli che le davano le spalle.

 

Tockins parve accorgersi che qualcosa non andava e fu quasi sul punto di chiedere qualcosa, ma non lo fece. E Nolwenn ne fu davvero grata, perché non aveva idea di come rispondere.

 

Una vola raggiunto l'atrio voltarono a destra, dove dietro due grandi porte trovarono un'altra stanza di cui Nolwenn non riuscì a cogliere alcun dettaglio, perché la sua attenzione fu immediatamente catturata dai presenti.

 

Davanti a lei c'era un lungo tavolo. Alla sua sinistra c'era Belle, con uno splendido abito azzurro e radiosa come al solito, mentre al lato opposto sulla destra un uomo vestito elegantemente con un abito blu scuro e stivali neri. Era biondo, con i capelli lunghi e legati. Nolwenn lo riconobbe immediatamente, lo aveva già visto da una delle vetrate del castello quando aveva lasciato la sua stanza dopo aver dormito per giorni. Lui la guardava con indifferenza, e pensare a chi era e com'era il suo temperamento la fece sentire immediatamente nervosa, più di quanto fosse prima. Aveva visto la Bella e la Bestia tantissime volte e sapeva che lui era cambiato ed era buono e gentile.. con Belle. Ma Belle era la donna che amava, e sicuramente non avrebbe avuto lo stesso riguardo nei suoi confronti. Come si sarebbe comportato con lei?

 

In mezzo a loro, proprio davanti a lei, c'era un uomo anziano, basso e in carne, con dei baffi bianchi che sbucavano sotto il suo grosso naso che gli copriva la bocca, ma dallo sguardo gioviale e simpatico.

 

Tockins la avvicinò al tavolo, e spostò l'unica sedia vuota, proprio davanti al vecchio, incoraggiandola a sedersi. Non appena Nolwenn lo fece, il maggiordomo lasciò la stanza chiudendosi le porte alle sue spalle.

 

Ora erano solo loro quattro.

 

“Nolwenn, lascia che ti presenti mio marito, Adam.” disse subito Belle.

 

“Um.. salve?” balbettò Nolwenn, non sapendo bene qual'era l'etichetta reale e come doveva rivolgersi a lui.

 

“Incantato.” ribatté il principe, in tono particolarmente serio e freddo.

 

“..e mio padre, Maurice.”

 

“Buonasera..”

 

“Ma buonasera a lei, cara!” rispose in tono allegro lui.

 

“Come ti senti? Spero meglio.” continuò Belle.

 

“Oh sì. Tremendamente meglio. Così meglio rispetto a prima che la differenza tra prima e adesso mi ha scombussolato!”

 

Aspetta.. Ho appena detto due volte prima nella stessa frase?

 

Non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi per sapere che l'ex best-- ehm Adam la stava guardando come se non stesse capendo una sola parola di quello che stava dicendo.

 

“Mi fa piacere.” sorrise Belle “..e le ferite..?”

 

“Meglio anche quelle. Credo. A proposito.. queste garze..?”

 

“Oh giusto. Abbiamo chiamato un medico perché ti visitasse. E' venuto mentre dormivi, circa dodici ore dopo che siamo tornate al castello. E' stato lui a metterti le garze. Ha detto che dovrai portarle per almeno un altro mese prima che le ferite si rimargino del tutto, ma ci ha assicurato che tornerai come nuova!”

 

“Oh! Fantastico! Grazie!” ora che sapeva che servivano a guarirla del tutto, quella fasciature si erano fatte molto meno fastidiose “..ma io.. non ho niente. Non posso ripagarvi.”

 

“Non ci devi dare assolutamente niente!” fece Belle, quasi offesa dal fatto che Nolwenn avesse pensato altrimenti “per così poco!”.

 

Per un fugace momento, i pensieri di Nolwenn andarono ad Edmond e a come lui fosse di tutt'altra scuola di pensiero. Come ad incoraggiarla a scacciare quel pensiero, le porte si aprirono ed entrò Tockins con un paio di altri servitori che non conosceva, con in mano dei piatti che posarono davanti a loro quattro.

 

Aragosta. C'era una enorme aragosta dall'aspetto luccicante e gustoso davanti a lei, accompagnata da ostriche e insalata. Nolwenn la guardava come se fosse il paradiso sceso in terra. Voleva scatenarsi su di essa con la stessa velocità con cui un lupo attacca la sua preda, ma nel momento in cui notò le posate la sua mente fu occupata da altro.

 

C'erano tre forchette e tre cucchiai alla sua sinistra e sei coltelli alla sua destra, di un argento così vivido che potevi vedere il lampadario riflesso su di essi.

 

Perché?

Perché tre forchette, tre cucchiai e sei coltelli?

Perché ci sono così tante posate?

E io quali dovrei prendere? Quali dovrei usare? C'è una specie di codice?

 

La tentazione di chiedere quali usare era forte, ma si sentiva già troppo in imbarazzo. Cercò di guardare quali stessero usando Belle e Adam, ma era troppo tardi: avevano già preso due posate e avevano nascosto le altre sotto il tovagliolo, e come se tutto questo non fosse abbastanza, inizò a sentire un prurito insopportabile alle gambe. D'istinto, allungò le mani per strisciare con le dita, ma quando queste toccarono la stoffa si ricordò che stava indossando un abito lungo.

 

Cazzo!

 

Si sporse ancora di più, riuscendo a raggiungere dove iniziava la sua gamba destra, appena sopra il piede, e iniziò a grattare furiosamente. Nel farlo, sentì i brufoli e per la frustrazione grattò ancora più forte.

 

“Cosa stai facendo?”

 

La voce di Adam la fece sobbalzare tanto che le ginocchia cozzarono con il tavolo. Cercò di reprimere il fastidio, e guardò ovunque tranne il principe, stava provando troppa vergogna per riuscire a farlo. Non gli rispose neanche. Si rimise di nuovo eretta e tornò a guardare il suo piatto, rendendosi conto solo dopo che il non rispondere poteva essere visto come una mancanza di rispetto.

 

Pff tanto questo mi odia.

Già lo so.

 

Guardò nuovamente Belle e a come riuscisse a pulire l'aragosta senza l'utilizzo delle mani, anzi, senza nemmeno sporcarsi. Nolwenn non aveva idea di come facesse, sapeva che lei non ci sarebbe mai riuscita.

 

Ma Belle era una principessa. E non solo perché aveva sposato un principe.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ho accennato il tuo problema ad Adam e a mio padre.” esordì Belle dopo dieci minuti abbondanti di silenzio “..abbiamo un'idea.”

 

Per una frazione di secondo, Nolwenn ebbe l'impulso di salire sul tavolo e mettersi a ballare, tale era la gioia che provava per la possibilità di poter tornare a casa, e fu sorpresa di sé stessa, e anche un po' preoccupata, quando realizzò che ciò che le impediva di farlo non era tanto la vergogna che avrebbe provato nel fare davanti a dei principi che la ospitavano un gesto tanto infantile, ma il sapere che forse, anzi probabilmente, non sarebbe stato abbastanza.

 

“Cioé?” mormorò, come se le mancasse la voce.

 

“Deve essere stata la magia a creare il passaggio che ti ha portato qui.” spiegò Belle “..quindi se la magia ha creato il tuo problema, allora è sempre la magia la chiave per risolverlo.”

 

“E voi.. voi sareste in grado di usare la magia per creare un altro passaggio? Per portarmi a casa?” Nolwenn a mala pena riusciva a respirare dall'emozione.

 

“Possiamo provarci.” fece Belle in tono incoraggiante “..mio padre è un inventore, lo sai..”

 

Maurice quasi sputò quello che stava mangiando “..Belle sopravvaluta le mie capacità, come sempre.” sorrise alla figlia, poi si rivolse a Nolwenn “..ma posso provarci. Non ti prometto nulla, però. Non ho mai creato niente con l'aiuto della magia, e un passaggio tra due mondi sembra tutto tranne semplice. Ma che gusto c'è nel fare ciò che è semplice?”

 

“E la magia.. voi ne avete?”

 

“Di sicuro non ci manca..” intervenne Adam, con una voce sempre distaccata, ma in qualche modo più cordiale, poi guardò Belle e fece un piccolo, quasi impercettibile sorriso “..e a noi non serve più.”

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 57
*** Quel Castello Della Scozia - Capitolo 19 ***








QUEL CASTELLO DELLA SCOZIA – CAPITOLO 19

 

 

 

 

 

 

 

Stava allungando il collo più che poteva, cercando di guardare ovunque intorno a loro, muovendo la testa a scatti come se temesse di essere spiata da qualcuno.

 

“Non c'è nessuno, Yvonne.” la tranquilizzò Andrea “siamo sole.”

 

Effettivamente sembrava che lo fossero davvero, ma lei voleva esserne assolutamente certa. Erano fuori dal castello proprio per questo, per essere sicura di non avere nelle vicinanze orecchie indiscrete.

 

Ci aveva pensato per giorni, per settimane. Nonostante tutto quello che era successo con Harry, Ron, Hermione, Neville e Malfoy, non si era pentita di aver detto loro la verità. Nonostante fosse diventata lo zimbello della scuola, nonostante morisse di vergogna ogni volta che qualcuno la vedeva e rideva di lei, nonostante quel bullismo lacerante che era tornato a perseguitarla, nonostante loro l'avessero completamente cancellata dalla loro esistenza, sapeva di aver fatto bene. Non era stata una scelta consapevole a dirla tutta, ma si era comunque rivelata la cosa giusta da fare, anche se avrebbe preferito che fosse successo in modo diverso, sarebbe stato molto meglio se fosse accaduto prima.. e in luogo discreto dove solo i diretti interessati potevano sentire quello che aveva da dire. Non avrebbe commesso lo stesso errore due volte.

 

Andrea e Beverly erano sempre state così gentili con lei, così pazienti, e anche loro si meritavano la verità, ma non avrebbe permesso che accadesse nello stesso modo in cui era accaduto la prima volta. Non che si aspettasse che accettassero la verità senza battere ciglio, ma almeno sarebbe uscita da quella situazione con quel poco di dignità che le rimaneva.

 

“C'è una cosa che devo dirvi.. io.. non sono stata del tutto sincera con voi.. e meritate di sapere. Tutte e due.”

 

Le due la guardarono con attenzione senza proferire parola, incoraggiandola a continuare.

 

“Io.. io..”

 

Il suo respiro si fece più pesante, ma poi sentì Beverly posare la mano sulla sua, e le sembrò di calmarsi un poco. “..tranquilla.” le sussurrò.

 

“Io.. non sono di qui. Vengo da un altro posto.”

 

“Un altro posto? Cioé fuori dalla Gran Bretagna?”

 

“No. Cioé sì, anche. Fuori da questo universo. Io.. è difficile da spiegare, ma.. vengo da un mondo che è come parallelo a questo. Un mondo dove non esiste la magia. Un mondo dove io conducevo una vita diversa.”

 

“Non credo di capire..” disse titubante Andrea.

 

“Nemmeno io..” aggiunse Beverly, continuando però a toccare la mano di Yvonne.

 

“Neanche io capisco perfettamente cosa mi sia successo. E' tutto così confuso.. io... ero una ragazza di ventiquattro anni in un mondo non magico e poi il giorno dopo mi sono trovata qui, undicenne, in un mondo magico che non dovrebbe esistere, in una scuola di magia che non dovrei frequentare.. che non potrei frequentare!”

 

“Chiedo scusa.. hai forse detto.. ventiquattro..?” mormorò sconvolta Andrea.

 

Beverly si limitava a guardarla sconvolta, ma sentì comunque che la sua mano si allontana, e per quanto Yvonne se lo aspettasse, beh, fece comunque male.

 

“Ma non mi sento una ragazza di ventiquattro anni adesso! E' proprio questo il punto! Io so che quella era la mia vita una volta, che avevo quegli anni, ma non me li sento adesso. Non sento di averli! Io so di averla vissuta quella vita, ne sono assolutamente certa perché ne ho i ricordi, ricordo cosa ho provato e vissuto, ma la sento così lontana adesso.. come se fosse successo a qualcun altro, ma io so che non è così.” sentiva gli occhi pieni di lacrime, ma non erano lacrime che sgorgavano a dirotto come l'ultima volta che aveva detto ad alta voce quella verità.

 

No.

 

Queste lacrime contenevano più paura, solitudine, insicurezza,.. e confusione.

 

“Tutto quello che so è che sono sola, che nessuno mi conosce davvero perché se lo facessero.. penserebbero che c'è qualcosa che non va in me. E forse è così. Forse c'è qualcosa di rotto in me, qualcosa che è sempre stato rotto e che né io né nessun altro al mondo sarà in grado di aggiustare. E ho paura.. perché non so cosa fare.. non posso parlarne con nessuno perché nessuno mi crederebbe e..” le lacrime si fecero più incontrollabili, fino a quando non sfociarono in un pianto “..io voglio solo tornare a casa mia..”

 

Iniziò a singhiozzare, e mise entrambe le mani davanti al viso, persino davanti agli occhi, pur sapendo che così facendo avrebbe sporcato gli occhiali e la vista si sarebbe fatta più difficile.

 

Pianse ancora per qualche minuto, poi riaprì gli occhi. Per un momento pensò che Andrea e Beverly se ne fossero andate perché non avevano detto una sola parola da quando aveva iniziato a piangere, ma poi vide le loro ombre. Erano ancora lì.

 

“Ora sapete la verità. E la ragione per cui sono diventata lo zimbello della scuola è che.. non siete le prime a cui l'ho detto, ma sono stata così stupida da farlo in un luogo pubblico, ed è per questo che tutti mi credono pazza.” fece spallucce “..come biasimarli? Io stessa non crederei a questa storia se non l'avessi vissuta. Se ora non volete più avere a che fare con me, io lo capirei.”

 

Continuava a guardare le loro ombre, invece che loro. Non aveva proprio il coraggio di guardarle dritto negli occhi.

 

“Perché dircelo? Perché dircelo sapendo che non ti avremmo creduto? Che sarebbe stato troppo folle?” chiese Andrea, apparendo confusa, ma gentile.

 

“Perché siete delle brave persone.. perché meritate di meglio.. perché..” lottò a lungo contro sé stessa tra il dire la vera ragione per la quale aveva agito in quel modo e il tacere perché si sentiva stupida nel dirlo a voce alta, ma alla fine la bambina che era dentro di lei ebbe la meglio, come accadeva sempre ultimamente “..vi voglio bene.”

 

Era certa che si sarebbe sentita stupida nel dirlo, che fosse una cosa ingenua ed infantile da dire, e in parte fu così, ma si sentì anche come se il fardello che stava portando si era fatto tutto d'un tratto meno pesante, come se si fosse liberata di un sassolino nella scarpa che la perseguitava da giorni.

 

Sentì nuovamente la mano di Beverly sulla sua. Abbassò lo sguardo e vide che la stringeva.

 

“..ti voglio bene anche io.”

 

Yvonne guardò Beverly con la bocca spalancata e gli occhi aperti come non mai, non sapendo neanche come reagire a qualcosa che non si sarebbe mai aspettata.

 

“Tu.. tu credi alla mia storia?” balbettò in risposta, sentendo il cuore nel petto che batteva all'impazzata.

 

“Io credo in te.”

 

Dall'altra parte, anche Andrea si avvicinò a lei, mettendo una mano sul suo braccio “..e io anche.”

 

“..davvero?”

 

“Non credo di aver capito bene cosa ti sia successo, ma.. ti conosco abbastanza da sapere che non sai mentire. E tu non l'hai fatto.” spiegò Andrea.

 

“Non sei sola. Non lo sarai più.” continuò Beverly.

 

E furono di parola.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Non aveva nessuna idea di cosa avesse fatto di così speciale nella sua vita o anche in quella passata, per meritare due amiche come Beverly e Andrea. Erano passate settimane ormai, ma ancora stentava a credere che ora la conoscessero davvero, che poteva davvero essere sé stessa con loro, che sapeva che c'erano delle persone, in quel mondo sconosciuto, a cui poteva dire tutto. A cui poteva confidare paure, incertezze, con cui poteva parlare della sua vita passata, di ciò che faceva nel suo mondo. Qualcuno con cui potesse essere sé stessa tutto il giorno, tutti i giorni. Senza filtri.

 

Sono Arielle e Nolwenn.

In qualche modo, sono state loro a mandarle da me, per vegliare su di me.

 

Persino il bullismo si era fatto meno fastidioso, come se fosse diminuito notevolmente rispetto a prima.

 

Ma...

 

Non era ancora tutto perfetto. C'era ancora qualcosa.. qualcosa che la rendeva vagamente triste, quasi malinconica.

 

Non sapeva cosa fosse, ma c'era.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Un pomeriggio stava studiando Pozioni nel cortile della Torre dell'Orologio, quando sentì un verso lontano provenire dai giardini di Hogwarts. Un verso che aveva già sentito. Incuriosita, chiuse il libro e lo seguì. Alcune volte le sembrava di essere certa da quale direzione provenisse il suono, mentre altre volte dovette stare ferma per diversi minuti per poterlo riascoltare prima di poter decidere con assoluta sicurezza. Le tornò alla mente un vecchio videogioco, uno dei primi ai quali avesse mai giocato, in cui il suo personaggio si trovava in un labirinto e doveva capire come uscirne semplicemente lasciandosi seguire dalle voci che sentiva. Non ricordava nemmeno il titolo, ma sapeva di essere stata in grado di superare quel livello, e se ci era già riuscita una volta, poteva riuscirci ancora.

 

Attraversò tutti i giardini di Hogwarts fino ad arrivare all'inizio della Foresta Proibita, non lontano dalla casa di Hagrid. L'idea di entrare in quel luogo pericoloso e proibito non la entusiasmava e aveva quasi lasciato perdere pensando che non ne valesse davvero la pena, ma proprio quando fece per andarsene, vide in lontananza la causa di quel rumore. Un asino. Quell'asino.

 

Si trovava all'inizio della Foresta Proibita, ma sempre della Foresta Proibita si trattava. Ciò nonostante, Yvonne si avvicinò, attratta come falene dalla luce.

 

Ad ogni passo, l'asino continuava a guardarla, quasi immobile. Per un secondo, le era sembrato che l'animale avesse mosso leggermente la testa dall'alto verso il basso, come se facesse un cenno di approvazione. Ma probabilmente se lo era immaginato.

 

Quando solo pochi passi li separavano, l'asino corse via nel cuore della Foresta, con una velocità che Yvonne non sapeva che potesse avere, ma anche se fosse andato più piano lei di certo non lo avrebbe seguito.

 

Scoraggiata, si preparò a tornare indietro, ma qualcos'altro attirò la sua attenzione. Per terra, proprio accanto ai suoi piedi, c'era un piccolo filamento azzurro, che brillava di una luce quasi accecante. Yvonne si chinò per guardarlo meglio, forse anche con l'intenzione di toccarlo, ma proprio quando fu sul punto di farlo, quella luce azzurrina sparì dentro una piccola custodia fatta di legno, apparsa come all'improvviso per contenere quella fonte di luce.

 

Yvonne la raccolse, la nascose sotto il mantello e andò via.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Aveva nascosto la confezione, e presumibilmente ciò che c'era al suo interno, in un cassetto dell'armadio del suo Dormitorio, proprio accanto al letto in cui dormiva, ma non si sentiva affatto tranquilla. Sentiva che non era un luogo abbastanza sicuro per qualcosa che non sapeva cosa fosse ma che sentiva si trattasse di qualcosa di molto importante, ma non aveva idea di dove altro metterla. Non aveva nemmeno provato ad aprirla, per paura che quel filamento scappasse via.

 

Le sembrava di aver già visto qualcosa del genere, eppure non riusciva a collegarla a niente.

 

E quell'asino.. cosa poteva significare? Perché continuava a vederlo?

 

Era così immersa nei suoi pensieri che neanche si era resa conto che qualcuno era davanti a lei. Andrea, seduta accanto a lei nella Sala Grande, la fece tornare alla realtà con una amichevole gomitata, indicando con la testa davanti a loro, incoraggiandola ad alzare lo sguardo dal piatto e vedere chi aveva davanti.

 

E davanti aveva Harry, Ron, Hermione, Neville e Malfoy. Sembravano agitati e nervosi, ma sicuramente non potevano esserlo più di lei, che a fatica riusciva a deglutire.

 

“Ciao..” sussurrò Hermione, come se avesse paura di qualcosa, probabilmente di lei.. “..possiamo parlare?”

 

E d'un tratto quel filamento azzurro fu l'ultimo dei suoi pensieri.

 

 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 58
*** Lontano, Oltre le Stelle - Capitolo 19 ***


LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 19

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pensò a lungo all'incontro ben poco piacevole con l'altra sé stessa o meglio, la sé stessa che avrebbe potuto essere ma che non era.

 

Pensava a come fosse seriamente tentata di accettare la sua proposta. A come avesse sinceramente considerato di consegnarle uno dei migliori amici che avesse per diventare.. qualcun altro.

 

E più ci pensava e più ci stava male. Più ci pensava e più si vergognava. Più ci pensava e più si sentiva un mostro.

 

Non si trattava neanche della vitiligine e dell'esserne libera per sempre. Lei lo sapeva, non lo voleva ammettere, ma lo sapeva. Non era la mancanza di macchie a rendere quella donna così superiore a lei, ma il suo modo di fare.

 

La sua sicurezza, il suo carisma, la sua determinazione, il suo coraggio, il suo potere, persino la sua sensualità.. era esteticamente identica a lei, eppure.. eppure era tutto, mentre lei non era niente.

 

La vitiligine l'aveva colpita fin da quando ne avesse memoria, e lei l'aveva classificata come una condanna, dandole incosapevolmente tutte le colpe di quello che le succedeva, ma dopo quell'incontro non poteva più farlo, nemmeno con tutta la buona volontà del mondo.

 

La vitiligine non era dipesa da lei, ma il suo comportamento sì invece, e vedere dove quel comportamento la stava portando non le piaceva affatto.

 

Non ne era nemmeno tanto sorpresa, e questa era la parte peggiore.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Non aveva più visto il serpente da quel giorno, da quando l'aveva portata via salvandola.

 

..salvandola.

 

Era pronta a venderlo.. eppure l'aveva ancora salvata. Perché lo aveva fatto? Forse perché sentiva di doverglielo? E subito dopo averlo fatto non si era fatto più vedere perché era deluso e l'aveva abbandonata per sempre?

 

Non era pronta a vederlo di nuovo, non se la sentiva proprio, se l'avesse incontrato avrebbe voltato lo sguardo cercando di non farsi vedere, ma il suo dileguarsi improvviso la faceva sentire ancora più esposta e spaventata.

 

Era come se niente le andasse bene.

 

Niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

“Cosa ci fai qui?” le chiese Scotty, non appena lei mise piede nella sala macchine.

 

Lei era più confusa di lui “..non abbiamo una lezione?”

 

“E' rimandata considerando i nostri ospiti. Pensavo che il capitano Kirk te l'avesse detto.”

 

“Ospiti?” Arielle iniziò a sudare, ripensando alle ultime missioni vissute e alle persone poco piacevoli in cui si erano imbattuti, soprattutto uno nello specifico che cicciava fuori un po' troppo spesso “..Mudd?”

 

Scotty sorrise forzatamente “..ho detto ospiti Arielle, non incubi.”

 

Non riuscì a trattenere un sorriso, ma tornò seria subito dopo, merito del suo umore stellare “..dunque quali ospiti?”

 

“Non lo sai?” il capo ingegnere appariva sconvolto.

 

“Io.. sono stata un po' distratta ultimamente..” mentì lei, preferendo di gran lunga che Scotty credesse fosse poco attenta piuttosto che ammettere di avere l'ennesimo dubbio esistenziale su sé stessa.

 

“Siamo attualmente in rotta verso Babel per accompagnare gli ambasciatori dei pianeti della Federazione ad un importante congresso politico.”

 

“Oh.”

 

“Io davvero non ho idea di come tu abbia fatto a non accorgertene! Non hai notato il trambusto che c'è stato?”

 

Sapeva che Scotty lo diceva in tono scherzoso, ma lei sentì comunque una critica, ma d'altra parte, era distratta, non è vero?

 

“A tal proposito, stasera c'è una piccola celebrazione per onorare gli ospiti, in cui verrà servito ogni tipo di cucina. Perché non ci vai?”

 

Arielle non riusciva a pensare a niente di più sbagliato per lei in quel momento. Non riusciva a guardarsi allo specchio, però doveva andare ad una festa nella quale erano presenti ospiti molto importanti? Sentiva di non poter stare con delle persone normali e comuni, figuriamoci con gli ambasciatori di pianeti che non aveva mai visto.

 

“Tu ci vai?” chiese, cercando di cavarsela in quel modo.

 

“Non posso.” grugnì Scotty, tutt'altro che contento “..dovrò fare le veci del capitano. Sia lui sia il signor Spock saranno alla festa e l'Enterprise ha bisogno di qualcuno al suo comando.. spero solo non ci sia scotch, perché in tal caso il non poterci andare farà ancora più male. Ma tu vai, mi raccomando. Divertiti anche per me.”

 

“Lo farò.” risposte Arielle, perfettamente consapevolmente che avrebbe provato tutto tranne divertimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Indossò l'uniforme con l'intenzione di andarci davvero, ma quando si trovò proprio davanti alla sala della festa non riuscì a varcare la soglia, come se i suoi piedi si fossero fatti improvvisamente più pesanti.

 

Le porte della sala restavano aperte, permettendole di dare un'occhiata a quello che stava succedendo senza dover entrare. Arielle ricordava bene quella sala, c'era stata molte volte in passato, ma stentava a riconoscerla e vederla, questo perché era piena di persone di ogni genere: vide qualcuno molto basso quasi fosse affetto da nanismo, ma aveva la pelle color oro, qualcun altro invece aveva la pelle azzurra, le antenne e i capelli bianchi, e c'era persino qualcuno dalle fattezze facciali simili ai suini, molto pelosi. C'erano anche altri ambasciatori molto più simili nell'aspetto agli umani, ma che palesemente non lo erano, a giudicare dal vestiario particolare e le pettinature stravaganti.

 

C'era persino un vulcaniano, e accanto a lui una bellissima donna dall'aspetto umano.

 

I genitori di Spock.

 

Non ci aveva neanche riflettuto fino a quel momento, eppure aveva visto quell'episodio non poche volte grazie a Yvonne. Non appena Scotty l'aveva informata di Babel e della missione avrebbe dovuto fare due più due e collegare subito i puntini, ma non ci aveva neanche pensato. Non ci aveva nemmeno provato. Anche ora, che aveva realizzato che c'erano i genitori di Spock a qualche passo da lei, anche ora che li aveva visti di persona seppur in lontananza, si sentiva vuota. Come se non fosse importante. Come se non fosse nulla di che. Come se non riuscisse ad emozionarsi per quello. Neanche tentando.

 

Ora aveva ancora meno voglia di entrare.

 

Vide una panchina vicino a lei e si sedette.

 

E iniziò a pensare. Di nuovo. E ad aspettare. Anche se non sapeva cosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo un tempo indefinito, vide Kirk e Spock uscire dalla sala e dirigersi in tutta fretta verso il corridoio parallelo alla panchina in cui era seduta. Quando passarono vicino a lei, Arielle abbassò la testa in fretta nella speranza che non la vedessero, ma i due ufficiali erano troppo di fretta per anche solo rendersi conto che qualcuno fosse lì vicino. Dopo che se ne furono andati, si alzò e si avvicinò alla grande finestra davanti a lei che dava sullo spazio. Era intenzionata a guardare le stelle con la speranza che si sarebbe calmata un po', ma finì con il prestare tutta la sua attenzione al suo riflesso sulla finestra, a come apparisse triste, malinconica, stanca. Persino i suoi capelli, che solitamente erano ben curati, sembravano gli stessi che hai appena ti svegli la mattina. Quasi spaventata dalla sua stessa immagine, Arielle si allontanò di scatto dalla finestra iniziando a indietreggiare, e quando finalmente voltò lo sguardo per vedere dove stava andando, si accorse di qualcuno che si stava avvicinando.

 

Qualcuno che conosceva.

 

La madre di Spock.

 

“Salve, cara. Va tutto bene?”

 

Ad Arielle sembrò di sentire un'onda scaldarle il sangue.

 

Considerando che era sposata con un vulcaniano, e che aveva avuto un figlio vulcaniano, era straordinariamente umana. Dipenderà anche dal fatto che lei era effettivamente e biologicamente umana, ma nonostante abbia trascorso la maggior parte della sua vita tra i vulcaniani e si fosse abituata agli usi e ai costumi dei vulcaniani, noti per essere freddi e logici, aveva mantenuto un grandissima dose di umanità, e forse era anche per questo che il padre di Spock la amava così tanto.

 

Era anche straordinariamente bella. Non era più giovane, ma i suoi occhi sembravano due gemme splendenti in cui potevi trovare un infinita dolcezza, e il suo modo di sorridere trasmetteva serenità. Sembrava una principessa, di quelle forti ma anche dal cuore dolce. Il suo vestito, dai colori accesi, quasi accecava Arielle dalla luminosità che trasmetteva, sempre se si trattava del vestito.

 

“Sì, sì. Scusate.”

 

“Sei Arielle Marchand, giusto?”

 

“Sì..?” il fatto che la madre di Spock la conoscesse la mise immediatamente a disagio.

 

“Il Capitano Kirk mi ha parlato di te. Mi ha detto che conosci situazioni che devono ancora verificarsi e che questa tua conoscenza l'ha aiutato molto.”

 

“Il Capitano Kirk ha omesso di dire che sono state più le volte in cui lui ha aiutato me, piuttosto che il contrario. E le conoscenze che ho, non sempre le ho utilizzate nel modo più saggio possibile.”

 

Lei sorrise come se pensasse di dire qualcosa nello specifico e fosse sul punto di farlo, ma alla fine non lo fece. Arielle aspettò che la donna continuasse, ma quando non aggiunse altro e continuava a guardarla, la ragazza fu costretta a trovare qualcosa da dire “..e lei è la madre di Spock, ehm, del signor Spock?”

 

Lei la guardò nuovamente come se fosse sul punto di aggiungere qualcosa esattamente come un istante prima, ma nuovamente rimase in silenzio “è così.” disse infine.

 

“Com'era Spock da bambino? Come gli altri bambini vulcaniani immagino.”

 

“Sì e no.” Amanda fece qualche passo, mettendosi al fianco di Arielle “ci ha provato, ha fatto tutto il possibile, fino a quando non ha capito. E così riuscì a trovare il suo posto nel mondo.”

 

“Cosa ha capito?” chiese Arielle quasi con disperazione, come se il suo futuro dipendesse da quella risposta.

 

Amanda sorrise nuovamente, come una nonna sorriderebbe con la propria nipotina “..che non si può vivere a metà, se si nasce completi.”

 

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 59
*** C'era una Volta - Capitolo 20 ***






C'ERA UNA VOLTA – CAPITOLO 20

 

 

 

 

 

 

Per la prima volta dopo tanto tempo, Nolwenn poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo. Per la prima volta dopo tanto tempo, si sentiva come se non dovesse pensare constantemente a quale dovesse essere il suo prossimo passo, a come restare in vita, a dove andare, cosa fare, cosa dire.

 

Il giardino che circondava il castello era così grande da aver avuto quasi paura di perdersi, ma al tempo stesso era bello, con grazi spazi aperti e splendide sculture di angeli e ricca vegetazione che circondavano il sentiero ben delineato che stava percorrendo. La neve di cui era circondato gli dava un tocco regale in più, e Nolwenn riuscì ad apprezzarla ancora di più, ricoperta a dovere da abiti che le avevano fornito i domestici, senza doversi preoccupare del freddo.

 

Guardare la neve la fece tornare indietro con i ricordi. Improvvisamente, si ricordò di Bourec, quel borgo in cui era stata con Edmond e Mathieu e in cui aveva presenziato a quel matrimonio tra due paesani.. di cui ora non ricordava nemmeno il nome. Ricordò di quanto si era divertita alla festa che si era tenuta in loro onore, di quando avesse ballato e di quanto fosse stata spensierata, senza pensieri o preoccupazioni imminenti. Anche ora era senza pensieri o preoccupazioni imminenti, eppure non si sentiva nemmeno lontanamente così, e una parte di lei temeva che non sarebbe mai più stata in grado di esserlo. Non era più la stessa persona di allora.

 

Ricordò anche di quando, sempre in quell'occasione, vide il castello, quello stesso castello in cui si trovava ora, in lontananza. Ricordò di quanto apparisse tetro e cupo e abbandonato, e di come era rinato il mattino seguente. Per un attimo, ebbe il desiderio di iniziare a correre per tutto il giardino alla ricerca di un punto che le permettesse di ritrovare il borgo, per poterlo vedere dal castello, proprio come molto tempo prima aveva visto il castello dal borgo. O forse sperava solo di trovare la ragazza che non era più?

 

Ad un tratto, sentì qualcuno leccarle le dita in modo affettuoso. Abbassò lo sguardo e trovò il cane del castello. Non riusciva ancora a ricordare che razza fosse nonostante fosse certa di saperlo, ma aveva passato molto tempo a giocare con lui nelle ultime settimane.

 

Settimane..

 

Aveva passato settimane in quella beatitudine. A farsi coccolare, riscaldare. In un luogo dove aveva ogni comfort, ogni sicurezza, ogni lusso. Viveva nel castello di una principessa, dove le era stato dato, e le stavano ancora dando, tutto il tempo per curarsi le ferite. Dove le davano cure, cibo, riposo senza pretendere nulla in cambio. Indossava abiti costosi, passava le giornate a fare quello che voleva, anche senza fare nulla. Non aveva nemmeno più quella fastidiosa fasciatura perché era guarita.. fisicamente.

 

Ma aveva altre ferite che dovevano ancora guarire, e non sapeva se quelle si sarebbero mai risanate.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo aver girato per tutto il giardino, trovò una panchina di pietra. Spostò con la mano un po' di neve nella zona in cui era intenzionata a sedersi, e nel farlo sentì come la neve si stesse sciogliendo e stesse a poco a poco diventando acqua. Era il segno dell'avvicinarsi della primavera.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Rimase tutto il pomeriggio in quella panchina, concentrandosi su pensieri felici, sperando di ritrovare quella parte di sé stessa che aveva perso, ma era più difficile di quanto si sarebbe aspettata, e non riusciva a spiegarsene il motivo. Ogni tanto, scene risalenti alla battaglia a Notre Dame continuavano a travolgerla, sempre contro la sua volontà, come se fosse segnata a vita da una maledizione con cui avrebbe dovuto imparare a convivere d'ora in avanti.

 

Poi sentì un fruscio dal cespuglio alla sua destra. Poi qualche passo. Era palesemente un animale, ma aveva un passo troppo leggero per essere il cane. No. Sapeva chi era.

 

La volpe.

 

“Sei tornato.” disse all'animale senza nemmeno voltarsi, sforzandosi di mantenere un tono neutrale.

 

Andrò via di nuovo, se è quello che desideri.”

 

“No!” disse d'impeto Nolwenn, quasi senza accorgersene “..ti prego.”

 

La volpe non disse nulla, ma con la coda dell'occhio la ragazza vide che si era seduta accanto a lei. Passò un lungo silenzio, fino a quando non divenne insopportabile, almeno per lei.

 

“..mi dispiace per quello che ti ho detto. Per averti mandato via.”

 

Non dispiacerti per aver espresso quello che sentivi. Avevi bisogno di stare da sola, e io avrei dovuto capirlo.”

 

“Non penso avessi bisogno di stare da sola..” mormorò Nolwenn più a sé stessa che alla volpe “..penso.. penso di essermi spaventata, quando mi sono trovata di nuovo in mezzo alla strada. E me la sono presa così tanto con te perché non c'era nessun altro con cui prendersela.. se non me stessa.”

 

“Posso assicurarti che non era mia intenzione far accadere tutto questo. Non credevo che le cose sarebbero andate così. Volevo solo aiutarti.”

 

Nolwenn guardò l'animale dritto negli occhi, una volta tanto era lei a scrutare nell'anima di lui, e non il contrario “..lo so.”

 

Lo sai?”

 

“..sì. Riesco a sentirlo.” si sentiva un po' imbarazzata a parlare in quel modo, lasciandosi trasportare completamente dalle emozioni, ma era come se non riuscisse a trattenersi, come se non avesse altro modo di comunicare in quel momento “..e andare via da casa di Edmond e Mathieu è stato un bene, in effetti.”

 

Davvero?” la volpe appariva dubbiosa e non poco.

 

“Non sarei qui altrimenti. Se non fossi intervenuto, sarei ancora in quella casa a farsi maltrattare da quel vecchio frustrato, mentre ora sono qui.. in un castello.. al sicuro, senza aver paura che una parola sbagliata mi riporti di nuovo nel mezzo di una strada.”

 

E che mi dici di quello che è successo nel mezzo?”

 

Gli occhi di Nolwenn si fecero improvvisamente umidi, passando dall'essere gioiosi e pieni di sogni all'essere tristi e pieni di incubi “..quello che è successo nel mezzo è stata colpa mia, e colpa mia soltanto. Tu me l'avevi detto. Mi avevi avvertita di non tornare a Parigi, che era un brutto momento, e non sei stato l'unico. Ma io l'ho fatto comunque.”

 

Chi è causa del suo mal, pianga sé stesso.

 

Quello che hai passato ti ha aiutato. So che non credi sia così, ma è così.”

 

“In cosa mi ha aiutato? A non riuscire più a ridere? A non riuscire più a stare bene come una volta? A perdere una parte di me?”

 

A crescere.” la volpe fece una pausa e indicò con la testa tutta l'area del castello “..e questo è il tuo meritato riposo. Che purtroppo non durerà in eterno, sappilo.”

 

“Chissà perché lo immaginavo.”

 

Goditelo fino in fondo, mi raccomando.” continuò la volpe, ignorando il sarcasmo “..perché la salita è appena iniziata.”

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Al calar del tramonto Nolwenn era ancora lì, ma quando iniziò a farsi buio si decise a ritornare dentro il castello. Non fece però in tempo a raggiungerlo che vide Lumiere e Tockins avvicinarsi a lei a passo svelto, borbottando tra loro come facevano sempre. Nolwenn si ritrovò a ridere senza aver bisogno di sentire cosa si stessero dicendo.

 

“Madame, i padroni chiedono di voi. Se volete seguirmi.” fece in tono elegante Tockins, spingendo con un gomito Lumiere da parte, come se fosse un enorme fastidio averlo vicino.

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

 

Non appena rientrata dentro il castello, dei domestici le tolsero il mantello e i guanti, che erano indumenti adatti per l'esterno ma lo erano molto meno per l'interno, con il calore che emergeva dai camini. Seguì poi Tockins a passo svelto, senza neanche far più caso a ciò che le stava intorno, avendoci ormai fatto l'abitudine, ragione per cui le ci volle più tempo del previsto per rendersi conto che stavano andando in una zona del castello in cui non era mai stata, ma che conosceva bene.

 

La famosa ala ovest. Quella zona in cui neanche Belle poteva mettere piede, prima che lei e Adam si innamorassero. Quella zona in cui c'era la stanza della Bestia, quella camera in cui c'era.. la rosa.

 

Nolwenn si sentiva molto a disagio sapendo dove si stava dirigendo, come se stesse andando in un luogo che non le era concesso, ma cercò di tranquillizzarsi ripetendosi che erano stati Adam e Belle a volere che andasse lì.

 

Quando entrò nella famosa stanza, si sentì strana. Era indubbiamente la stessa stanza che ricordava, i colori delle pareti e del pavimento invariati, ma era così diversa. Non c'erano mobili rotti e distrutti, non c'era oscurità e nemmeno un'aria tenebrosa. Era una stanza luminosa e gigantesca, grande quasi un salotto. Appena prima di uscire dalla stanza per accedere al grande terrazzo, c'era un tavolino nero piccolo ma ben decorato, con sopra una teca trasparente, sotto la quale c'erano tanti petali rosa.

 

I petali della rosa.

 

La rosa dell'incantesimo. La rosa simbolo dell'amore di Adam e Belle.

 

Nolwenn passava dal guardare Adam e Belle e la rosa, e poi di nuovo ad Adam e Belle. Adam sembrava incerto e dubbioso, quasi spaventato, ma parve subito più risoluto quando Belle lo incoraggiò con un cenno del capo.

 

“Cosa.. cosa succede?” chiese ai due novelli sposi.

 

“Sei venuta qui con la magia. E' logico pensare che ci serva dell'altra magia per riportarti indietro.” spiegò Belle.

 

Adam allungò le braccia per sollevare la teca, ma senza nemmeno renderse conto, Nolwenn lo fermò con un gesto “..No!”.

 

Lui e Belle la guardarono confusi.

 

“E' la vostra magia questa, e io non ho alcun diritto di privarvene.”

 

“Non ce ne facciamo niente, Nolwenn.” spiegò Belle.

 

“Non siamo nemmeno certi che ci sia ancora della magia dentro. La magia di cui era piena potrebbe essersi dissolta quando..” Adam fu titubante un attimo, poi continuò “..quando l'incantesimo si è spezzato.”

 

“Ma se può aiutarti a tornare a casa, vale la pena provare.” completò Belle.

 

“Ma è molto importante per voi. So che lo è. Non voglio che ci rinunciate..”

 

La stavano già aiutanto tanto.. troppo.

Non poteva permettere che dicessero addio a qualcosa di così tanto importante per loro, per lei.. che era poco più di una sconosciuta..e che non meritava tutto l'aiuto che stava ricevendo.

 

“E' l'unica magia che abbiamo.” spiegò Belle con comprensione.

 

“No. Non lo è.”

 

Adam e Belle la guardarono ancora più confusi.

 

Nolwenn si massaggiò i capelli e si morse le labbra. Le sue dita toccarono la forcina. La forcina che Stephane le aveva dato per ritrovarlo. La forcina che le aveva fatto da seconda guida dopo la volpe fino a quel momento. La forcina piena di magia.

 

Sentì una morsa allo stomaco.

 

Distruggerla significava dire addio per sempre a Stephane, a quel ragazzo meraviglioso che le piaceva e che forse era la sua unica possibilità per essere felice in quel luogo. Non voleva distruggerla.

 

Ma quello era il suo viaggio. Tornare a casa il suo problema. Perché doveva toccare ad Adam e Belle rinunciare al loro pegno d'amore per risolvere un suo problema?

 

No, toccava a lei.

 

E per quanto tenesse a Stephane, erano Yvonne e Arielle il suo vero lieto fine.

 

Prese la forcina e la porse alla coppia “..prendetela. E' piena di magia. Useremo questa.” cercò di trattenere la tristezza che sentiva nel dire addio a quell'oggetto così importante per lei, sperando di risultare credibile.

 

Adam e Belle si guardarono dubbiosi. Lui fece per prenderla, ma Belle lo fermò.

 

“Adam, posso parlarti un momento da soli?”.

 

Lui annuì e i due uscirono dalla stanza per tornare al corridoio e chiusero le porte, così Nolwenn rimase da sola con la forcina e la rosa.

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4010169