Season of rain, pumpkins, sighs and falling leaves

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wearing long scarves to keep warm ***
Capitolo 2: *** The smell of buttery yams ***
Capitolo 3: *** Collecting pretty leaves for later ***
Capitolo 4: *** The ever-growing chill as each night goes by ***
Capitolo 5: *** Making your favorite apple-based dessert ***
Capitolo 6: *** The smell of nutmeg and cloves around every corner ***
Capitolo 7: *** Making caramel-dipped apples ***
Capitolo 8: *** The crunching of leaves beneath your shoes ***
Capitolo 9: *** Decorating the interior of your living space with pine cones, leaves, and small squash ***
Capitolo 10: *** Shopping for new fall attire ***
Capitolo 11: *** Planting flower bulbs that will bloom in the spring ***
Capitolo 12: *** Wearing argyle-patterned clothing ***
Capitolo 13: *** Breaking out the flannel sheets ***
Capitolo 14: *** Drinking cinnamon-spiced tea ***
Capitolo 15: *** Snacking on seasoned pumpkin seeds ***
Capitolo 16: *** The chilly bite in the morning air ***
Capitolo 17: *** Taking hikes in the colorful forest ***
Capitolo 18: *** Carving funny faces in pumpkins ***
Capitolo 19: *** Starting to wear thick, woolen socks ***
Capitolo 20: *** Lighting fall-scented candles ***
Capitolo 21: *** The smell of freshly-baked squash bread ***
Capitolo 22: *** Taking family photos ***
Capitolo 23: *** Drowning in oversized sweaters ***
Capitolo 24: *** Feeling the loss of time as the nights get longer and days get shorter ***
Capitolo 25: *** Eating a dozen different kinds of pies ***
Capitolo 26: *** Decorating the front door with autumn wreaths ***
Capitolo 27: *** First frost of the season ***
Capitolo 28: *** Making lots and lots of soup ***
Capitolo 29: *** Having a large family dinner involving turkey or ham ***
Capitolo 30: *** Drinking spiced cider ***
Capitolo 31: *** Making homemade cider ***



Capitolo 1
*** Wearing long scarves to keep warm ***


Essendo l’autunno la mia stagione prediletta quest’anno ho deciso di cimentarmi nel Writober, anche se ci tengo a sottolineare che non seguirò la lista di prompt ufficiale della challenge, bensì una da me redatta, quindi non si tratta di un vero e proprio Writober ma di una versione un po’ più personale. Ringrazio in anticipo le persone che mi hanno proposto i personaggi su cui scrivere, si tratta per la maggior parte di OC “recenti” ma nel corso del mese ci sarà qualche tuffo nel passato che personalmente ho gradito davvero moltissimo.
La Raccolta comprenderà sia OS che flash, tutte a tema autunno naturalmente🧡.
Buona lettura

 

SEASON OF RAIN, PUMPKINS, SIGHS AND FALLING LEAVES
 
 
Prompt: 9 - Wearing long scarves to keep warm
Personaggi: Michael Hoax e Natalia Novak 


 
Wearing long scarves to keep warm


 1

 
Praga in autunno si faceva grigia, piovosa e gelida, oramai Michael lo sapeva e ogniqualvolta in cui si recava nella città natale della sua fidanzata nelle stagioni fredde lo faceva in modo da affrontare il gelo con la giusta preparazione: portando con sé abiti pesanti e sopra ad ogni cosa parte della sua nutrita collezione di sciarpe. Aveva sempre avuto, da che aveva memoria, una particolare predilezione per quel capo di abbigliamento invernale. Certo durante l’infanzia non aveva avuto modo di possederne più di una, all’orfanotrofio non ci si poteva permettere di riempirsi di beni materiali, ma una volta trasferitosi da Oz le cose erano cambiate significativamente e si era ritrovato a possedere più cose di quante da piccolo non sarebbe stato in grado di immaginare.  
C’era qualcosa di profondamente rassicurante nei caldi indumenti invernali, così comodi e morbidi, un vero e proprio abbraccio da portare con sé ovunque. Michael aveva sempre amato le sciarpe ma non gli era difficile indicare la sua preferita in assoluto, ovvero quella viola che Natalia gli aveva personalmente confezionato e regalato in occasione del Natale del loro ultimo anno a Durmstrang, la sciarpa di lana di cui più di ogni altra era geloso e che non avrebbe mai potuto prestare o condividere con chiunque. Negli anni Natalia gliene aveva regalate altre due, era vero, una rossa e una verde, ma Michael provava un attaccamento particolare nei confronti di quello che rappresentava uno dei regali più graditi e significativi che ricordava di aver ricevuto in tutta la sua vita, il regalo che per lui aveva cambiato ogni cosa e che gli aveva permesso di iniziare a realizzare quanto potesse effettivamente essere speciale per lei. Non si era mai permesso di illudersi su quanto Natalia potesse tenere a lui, prima di quella sciarpa.
Si stavano godendo il loro consueto giro in battello sul fiume Moldava, momento che si ritagliavano durante ogni visita nella capitale cecoslovacca(1), e Michael sedeva sul sedile più esterno, gli occhi chiari che osservavano l’acqua gelida solcata dalle imbarcazioni e illuminata dalle luci della città. La sciarpa viola stretta attorno al collo, il braccio sinistro del mago stringeva delicatamente le spalle di Natalia, che gli si era seduta accanto appoggiando il capo sulla sua spalla e rannicchiandosi contro di lui come faceva sempre.
Il viso leggermente arrossato dal freddo e parzialmente coperto dalla spessa sciarpa rossa che indossava, Natalia gli cinse il petto con un braccio mentre con gli occhi castani scrutava lui invece degli edifici che si affacciavano sul fiume, sistemandosi più comodamente contro il petto del fidanzato mentre il braccio di Michael scivolava dalle sue spalle per cingerle la schiena.
“Sicuro di non avere freddo?”
“Sicurissimo Orsetta, non ti preoccupare.”
Michael tornò a concentrarsi sulla fidanzata sfoggiando un sorriso allegro che la ragazza non emulò, borbottando qualcosa su quanto detestasse quell’orribile nomignolo mentre il mago le sistemava affettuosamente i lembi della sciarpa.
“Ho ancora perfettamente impressa nella mente l’immagine di te in ipotermia, penso che non riuscirò mai a non preoccuparmi. È stato terrificante vederti in quello stato.”
Il borbottio cupo di Natalia, pur evocando ricordi a dir poco spiacevoli, destò un sorriso sulle labbra sottili del ragazzo, che si strine nelle spalle prima di chinarsi e depositarle un bacio sulla fronte mentre stringeva la piccola mano guantata di lei nella propria: accarezzò il dorso della mano della fidanzata con il pollice mentre appoggiava la fronte contro la sua, gli occhi chiusi e un sussurro a librarsi dalle sue labbra dischiuse mentre il ricordo di Natalia stretta tra le braccia gli scaldava il cuore.
Talvolta anche i migliori fanno cose stupide. Per fortuna la mia Orsetta venne a salvarmi.”
“Finiscila con questa Orsetta, ci siamo diplomati quattro anni fa! E comunque tu fai continuamente cose stupide, Hoax.”
“Forse hai ragione. Motivo in più che rende la tua perenne presenza al mio fianco semplicemente fondamentale.”





(1): Questa OS si colloca nel 1967, quindi quando ancora esisteva la Cecoslovacchia e molto prima della divisione che esiste oggi. 




Essendo oggi il compleanno della mia carissima Phoebe, a cui naturalmente dedico questa prima flash, non ho avuto il minimo dubbio su chi avrebbe inaugurato la Raccolta. Phoebs, spero che questo piccolo ritorno al passato sia stato di tuo gradimento, ti mando un abbraccio e un mare di auguri, grazie ancora una volta per avermi mandato Michael, nonché tutti gli altri, come grazie anche a Sesy per la nostra cara Orsetta, non smetterò mai di ribadire come insieme formino una delle coppie più belle di cui io abbia scritto.
Ed ecco la mia personalissima lista:

 
  1. The first frost of the season
  2. Making your favorite apple-based dessert
  3. Drowning in oversized sweaters.                 
  4. The chilly bite in the morning air                  
  5. Decorating the front door with autumn wreaths 
  6. The smell of nutmeg and cloves around every corner    
  7. Taking family photos                     
  8. Drinking spiced cider
  9. Wearing long scarves to keep warm
  10. Starting to wear thick, woolen socks             
  11. Snacking on seasoned pumpkin seeds.           
  12. The crunching of leaves beneath your shoes
  13. The ever-growing chill as each night goes by
  14. Shopping for new fall attire    
  15. Drinking cinnamon-spiced tea
  16. Collecting pretty leaves for later
  17. Eating a dozen different kinds of pies
  18. Carving funny faces in pumpkins
  19. The smell of buttery yams       
  20. Making lots and lots of soup
  21. Taking hikes in the colorful forest                   
  22. Wearing argyle-patterned clothing     
  23. Having a large family dinner involving turkey or ham
  24. Breaking out the flannel sheets
  25. Making homemade cider
  26. Feeling the loss of time as the nights get longer and days get shorter.
  27. Making caramel-dipped apples
  28. Planting flower bulbs that will bloom in the spring
  29. The smell of freshly-baked squash bread
  30. Lighting fall-scented candles
  31. Decorating the interior of your living space with pine cones, leaves, and small squash

A domani 🧡
Signorina Granger 

 

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Capitolo 2
*** The smell of buttery yams ***


Prompt: 19 - The smell of buttery yams 
Personaggi: May e Pearl Hennings 

 
The smell of buttery yams


2  

 
Pearl Hennings stava giocando alla Veterinaria sul tappeto del salotto insieme a Brutus, il suo fido compagno di giochi prediletto, nonché occasionale paziente. La bambina stava appoggiando il suo stetoscopio rosa giocattolo qua e là sul folto pelo nero, bianco e marroncino del Bovaro del Bernese, che come sempre la lasciava fare limitandosi ad agitare piano la lunga coda di tanto in tanto. Disteso sul tappeto, Brutus si stava chiedendo quando sarebbe arrivata la pappa quando Pearl annunciò solennemente che “il paziente era guarito e poteva tornare a giocare”, sfilandosi lo stetoscopio dalle orecchie per riporlo con cura nella sua valigetta giocattolo. La bimba stava accarezzando dolcemente la grossa testa e il collo dell’amato cane quando entrambi sentirono il rumore del forno che veniva aperto, seguito dal fruscio della carta che veniva strappata e dall’inconfondibile suono di un coltello che affettava qualcosa su un tagliere di legno.
Gli indizi erano chiari: May stava preparando il pranzo, ed entrambi si affrettarono ad alzarsi per correre in cucina e dare una sbirciata.
“Che cosa prepari zia?!”
Mentre Brutus si avvicinava alla padrona con la lingua di fuori per cercare di impietosirla e farsi allungare qualcosa Pearl corse ad arrampicarsi su uno degli alti sgabelli dell’isola sulla quale May stava lavorando, impegnata a tagliare delle patate dalla forma e dal colore diversi dal solito.
“Patate dolci al forno. Facciamo sempre quelle normali, ho deciso di provare a cambiare… queste qui le mangiano sempre in America, a quanto pare.”
“E sono buone?!”
“Beh, sempre patate sono, quindi sono certa di sì. E poi, come dico sempre, con il burro…”
“… Tutto viene buono. Io lo metto nella ciotola!”
Pearl sorrise allegra mentre prendeva il delizioso portaburro in ceramica che la zia aveva precedentemente tirato fuori dal frigo, attirandolo a sé insieme al coltellino apposito per poi sollevare il coperchio e tagliarne un pezzo da mettere in una ciotolina per farlo sciogliere.
“Pearl, così non è troppo?”
“Ma così è più buono!”
May sospirò, consapevole che la nipotina avesse ragione ma che di quel passo sarebbero arrivate al pranzo di Natale successivo rotolando attraverso la porta d’ingresso della casa dei suoi genitori. Pearl saltò giù dalla sgabello per raggiungere il microonde e infilarci la ciotola con il burro grazie al panchetto di legno che May lasciava sempre in cucina per lei, aspettando che il panetto si sciogliesse per poi tirarlo fuori e riportarlo con un sorriso alla zia:
“Brava assistente. Adesso le spennelliamo con il burro, poi ci mettiamo sale, pepe e un po’ di paprika…”
La bambina si alzò in punta di piedi e appoggiò le braccine sul ripiano del mobile per guardare la zia spennellare le patate disposte sulla leccarda da forno con il pennello e poi cospargerle con un po’ di sale, pepe e paprika. Il profumo del burro iniziò ad aleggiare in tutta la cucina, facendo venire l’acquolina in bocca alla bimba che già pregustava il suo gustosissimo pranzo.
“Però insieme a queste ci mangi anche i broccoli, sia chiaro.”
Uffa…”
 
Le patate dovevano cuocere in forno per 35 minuti che, come sempre quando si trattava di dover aspettare prima di mangiare, sembrarono infiniti per entrambe – non tanto per Brutus invece, che finalmente si vide riempire la sua enorme ciotola dall’amata padrona –: quando il timer risuonò in tutta la cucina zia e nipote corsero davanti al forno, sbirciando le patate dorate e croccanti in maniera particolarmente invitante mentre il loro profumo dolce e speziato stuzzicava i loro nasi.
“Secondo te sono pronte zia?”
“Lo spero, perché sto morendo di fame e il profumo è troppo buono per aspettare ancora.”
May spense il forno, intimò gentilmente alla nipotina di spostarsi di lato e dopo essersi infilata il suo guanto preferito con i girasoli aprì lo sportello, permettendo ad una nube di calore e di profumo di fuoriuscire dall’elettrodomestico. La strega tirò fuori la leccarda e la sistemò sull’isola dopo aver fatto volare un sottopentola di sughero sul ripiano, osservando le patate insieme a Pearl, il cui visino spuntava dal bordo del mobile:
“Direi che sono pronte, sì.”
“Ho una fame!”
“Non dirlo a me. Penso che possiamo ufficialmente promuovere le patate dolci, assistente.”






Grazie a Fran per la coppia zia-nipote più adorabile di sempre 🌻💛
A domani 🧡
Signorina Granger 

 

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Capitolo 3
*** Collecting pretty leaves for later ***


Prompt: 16 - Collecting pretty leaves for later
Personaggi: Sabrina e Silas St John


 
Collecting pretty leaves for later


3

 
A Sabrina Marie St John l’Inghilterra non piaceva: mal sopportava l’umidità che la impregnava, la pioggia, l’aria fredda più o meno perenne e il cielo quasi costantemente grigio. Quando poi le capitava di andare a trovare suo padre a Londra nelle stagioni fredde, la sua antipatia nei confronti di quel Paese così diverso dal luogo in cui viveva con sua madre non poteva che farsi ancor più prepotente.
Sabrina detestava il freddo e quella mattina non era stato facile per suo padre convincerla ad uscire, ma la bambina aveva infine ceduto visto che il cielo londinese sembrava aver deciso di risparmiare un’ennesima mattinata piovosa agli abitanti della città. E poi, le aveva solennemente promesso Gideon, se fossero andati ad Hyde Park poi si sarebbero fermati a fare merenda in una sala da tè, dove avrebbe potuto scegliere la fetta di torta che voleva. I dolci per lei erano cosa proibita, in Francia, e l’idea di poter gustare una di quelle altissime e gigantesche fette di torta che vedeva nelle vetrine fece subito gola alla bambina.
Giunti nel celebre e vasto parco della capitale, dopo una breve passeggiata Sabrina era andata a sedersi su una panchina mentre Gideon e Silas giocavano a calcio, per niente interessata ad unirsi a loro: l’unico sport che le piaceva era il nuoto, ma con quel clima gelido persino l’idea di tuffarsi in acqua la faceva rabbrividire. La bambina, forse anche fin troppo vestita rispetto agli abitanti della città, di gran lunga abituati alla temperatura, aveva appoggiato il suo zainetto rosso accanto a sé e dopo averlo aperto aveva tirato fuori un libro, mettendosi a leggere stringendolo tra le piccole mani guantate mentre Gideon, ad una decina di metri di distanza, palleggiava abilmente destando l’ammirazione del secondogenito.
Trascorsa una decina di minuti, Gideon gettò un’occhiata in direzione della figlia, ancora immobile sulla panchina, e fece cenno a Silas di avvicinarglisi. Subito il bambino obbedì, trotterellando verso di lui con la folta chioma di ricci che gli dondolavano attorno al viso ad ogni passo, dirigendosi poi verso la sorella maggiore quando il padre gli suggerì di andare a chiederle cosa stesse facendo.
“Cosa leggi Sabs?”
Quando Silas si fermò davanti alla panchina, guardando la sorella con la giacca a vento verde militare chiusa fino al mento, Sabrina rispose senza nemmeno alzare la testa, girando la pagina per continuare a leggere:
“Anna dai capelli rossi.”
“Di cosa parla?”
Invece di rispondere questa volta Sabrina sollevò lo sguardo sul fratellino, osservandolo brevemente con i grandi occhi color cioccolato che spuntavano sotto alla frangetta spettinata, il viso incorniciato dai corti capelli castani e dal berretto rosso calato sulla testa che li copriva parzialmente. A Silas leggere non interessava e i libri non gli piaceva, questo Sabrina lo sapeva bene, pertanto gettò un’occhiata dubbiosa in direzione del padre prima di tornare a concentrarsi sul fratello e stringersi nelle spalle:
“Di una bambina orfana che viene adottata da due fratelli, in Canada.”
“Dov’è il Canada?!”
“Penso che sia sopra gli Stati Uniti. Fa molto freddo là.”
E infatti lei non ci avrebbe mai messo piede, stabilì la bambina mentre Silas, dopo essersi grattato debolmente i capelli ricci chiedendosi dove fossero di preciso gli Stati Uniti, le sorrideva allegro:
“Andiamo a cercare delle foglie belle tra quelle cadute?”
“Ma se sono cadute saranno sporche!”
“Io con papà lo faccio sempre.”
Sua madre non le avrebbe mai permesso di portare a casa delle foglie sporchissime, ma Sabrina sapeva bene quanto i suoi genitori fossero diversi, divergenza che si rifletteva chiaramente anche nel loro stesso modo di educare, nonché nel suo carattere e in quello del fratellino. La bambina esitò, dubbiosa, ma poi le tornarono in mente le parole con cui la madre l’aveva salutata all’aeroporto di Nizza una settimana prima, chiedendole di essere gentile con Silas e di cercare di passare del tempo con lui, portandola ad annuire e a sospirare piano prima di chiudere il libro e infilarlo nuovamente all’interno dello zaino.
“Ok.”
“Papà, andiamo a cercare le foglie!”
Silas si voltò allegro verso il padre, che accese ulteriormente l’interesse del figlio dichiarando che se fossero stati bravi avrebbero potuto prendere una seconda fetta di torta da portare a casa. Sabrina scese dalla panchina e si sistemò lo zaino sulle spalle per avventurarsi insieme al fratellino lungo il viale alberato coperto da foglie secche di tutte le sfumature dell’arancione e del marrone, chinando un po’ accigliata lo sguardo sulla propria mano destra quando sentì che Silas l’aveva stretta nella propria.
“Una volta ne ho trovata una a forma di stella, era proprio bella.”
“Non ci credo che in Inghilterra avete le foglie a forma di stella.”
“Invece sì! Ora ne trovo una e te la faccio vedere.”





Grazie a neardja per avermi chiesto di scrivere dei miei cucciolini e a tutte le persone che hanno commentato le prime due flash. A domani 🧡
Signorina Granger 

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Capitolo 4
*** The ever-growing chill as each night goes by ***


Prompt: 13 -The ever-growing chill as each night goes by 
Personaggi: Adela Quested e Hector Grayfall

 

The ever-growing chill as each night goes by


4
 
 
 Le fiamme che ardevano scoppiettando nel camino illuminavano fiocamente l’ampio salotto insieme alle candele accese che galleggiavano a mezz’aria, tutte di dimensioni diverse e disseminate in diversi angoli della stanza. Adela Grayfall aveva occupato una delle due poltrone rivolte verso il camino e sedeva tenendo un libro in mano, stringendosi nella vestaglia rosa chiaro che indossava mentre le fiamme del camino illuminavano la carta stampata e allo stesso tempo contribuivano a scaldarla. Anche se le finestre erano chiuse e il camino acceso non si poteva dire che il salotto fosse particolarmente caldo – o almeno non per gli standard della strega –, e la giovane distolse brevemente lo sguardo dalle pagine del libro per scoccare un’occhiata infastidita e allo stesso tempo rassegnata alla finestra più vicina mentre il vento ne colpiva le serrande, provocando tremolii persistenti. L’autunno era arrivato in Inghilterra e con lui la pioggia, il vento, il maltempo quasi costante e soprattutto il freddo, doveva rassegnarsi alla venuta di quelli che per lei erano a tutti gli effetti i mesi più insidiosi dell’anno.
La strega sospirò piano prima di tornare a concentrarsi sul suo libro, rabbrividendo un poco mentre udiva dei passi regolari scandire l’incedere calmo ed elegante di suo marito che, a giudicare dal rumore sempre più ravvicinato, si stava dirigendo esattamente nella stanza in cui si trovava. La porta era aperta e Adela sentì Hector fermarsi sulla soglia, guardarla per un istante e infine entrare nel salotto per attraversarlo – superando i due divani situati al centro dove erano soliti bere il tè e un ampio tavolo di legno circolare occupato da foto, un set di Gobbiglie d’oro e un mappamondo magico che ruotava lentamente da sé, illuminato in base all’orario dei diversi fusi orari – e raggiungere la moglie.
Hector si avvicinò alla poltrona e dopo aver messo una mano sull’alto schienale imbottito si chinò leggermente sulla moglie, depositandole un bacio sulla fronte prima di parlare e guardarla con una leggera punta di apprensione nei grandi occhi blu:
“Scusami, ho finito ora di scrivere delle lettere. Hai freddo?”
Adela non sapeva che cosa trovare più adorabile, se il fatto che Hector si premurasse sempre di chiederglielo o se, dopo anni passati da amici, poi da fidanzati e adesso da qualche mese come marito e moglie, ancora le facesse quella domanda quando la risposta era sempre ed inevitabilmente positiva.
“Giusto un po’, ma non preoccuparti.”
Adela alzò la testa per guardarlo e rivolgergli un sorriso affettuoso, facendogli cenno di sedersi a sua volta sulla poltrona accanto – che l’una fosse di uno e l’una dell’altra era una specie di regola non scritta stabilita fin dai primissimi giorni di convivenza – mentre Hector, chino su di lei e sulla poltrona, la osservava brevemente. Dopo averle depositato un rapido bacio sulla tempia il mago si allontanò per raggiungere la cassapanca sistemata al di sotto della finestra centrale della stanza, aprendola per prendere una coperta beige fatta a maglia e infine ritornare dalla moglie, sistemandogliela con cura attorno alle spalle prima di sorridere:
“Ecco. Se ne vuoi un’altra basta chiedere.”
Talvolta Adela si chiedeva perché l’uomo più perfetto al mondo si fosse innamorato proprio di lei, e ringraziò il marito afferrandogli dolcemente la mano mentre guardava Hector sedersi finalmente sulla poltrona accanto alla sua e distendere le lunghe gambe appoggiando le caviglie sulla soffice ottomana foderata. La strega osservò il bel profilo di Hector illuminato dalle fiamme mentre il marito fissava assorto il focolare, preda di chissà quali riflessioni mentre con la mano libera si slacciava con gesti rapidi e abitudinari i bottoni del panciotto marrone a doppio petto che indossava.
Il suo Hector non era solo molto bello, era anche la persona più affettuosa, gentile e premurosa nei suoi confronti che avesse mai conosciuto. Charlotte lo definiva “il suo Mr Darcy, il suo eroe romantico, solo dotato di buon carattere” e Adela non poteva che trovarsi d’accordo. Quando aveva provato il vestito da sposa per la prima volta, mesi prima, e aveva chiesto assorta alla sua migliore amica perché Hector si fosse innamorato proprio di lei Charlotte aveva sbuffato, armeggiando con impazienza con i lacci del suo abito bianco maledicendo gli oneri di damigella prima di intimarle di non perdere tempo a pensarci e di invece “godersi la sua fortuna”.
Charlotte con il suo modo di fare diretto e spigliato diceva sempre la verità e aveva anche molto spesso ragione, perciò Adela aveva deciso di darle retta e di godersi la sua immensa fortuna e basta. Sorrise, Adela, mentre guardava il bel profilo del marito, stringendo la presa sulla mano che li univa mormorando che lo amava e sentendosi la donna più fortunata al mondo. Hector tornò a guardarla e sorrise, accarezzandole il dorso della piccola mano con il pollice
“Anche io ti amo Adela.”
Adela mal sopportava la pioggia, detestava la nebbia e il grigiore del cielo e poco tollerava il freddo, ma finchè ci sarebbe stato Hector con lei avrebbe affrontato più che volentieri molti autunni e molti inverni.





Se si parla di freddo la protagonista non poteva che essere Adela, grazie a Bea e Phoebe per questa coppia meravigliosa ✨
A domani🧡
Signorina Granger 

 

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Capitolo 5
*** Making your favorite apple-based dessert ***


Prompt: 2 - Making your favorite apple-based dessert
Personaggi: Carter Cross, Orion Parrish e Niki

Making your favorite apple-based dessert


5


Il bancone nero dell’immensa isola della cucina del 13E non era mai stato così ingombro da quando James Carter Cross si era trasferito nell’appartamento ormai ben sette anni prima: pacchi di farina, zucchero semolato, zucchero di canna, ben due panetti di burro, un cartone di uova, il barattolo del sale e un sacchetto di carta pieno di mele verdi avevano occupato buona parte della superficie del ripiano – che fino a quel momento non era praticamente mai stato utilizzato per cucinare – insieme a ciotole di diverse dimensioni, cucchiai e un mestolo di legno.
“La ricetta che mi ha mandato Meemaw(1) dice che serve anche un limone… acqua e cannella in polvere.”
Il padrone di casa stava in piedi dietro al bancone mentre il suo cane gironzolava incuriosito attorno alla cucina – forse chiedendosi cosa stesse succedendo e perché ci fosse tutta quella roba mai vista prima in giro – osservando con attenzione lo schermo del telefono e le foto che sua nonna gli aveva mandato il giorno prima.
“La cannella l’abbiamo presa.”
Orion vuotò l’ultima busta di carta della spesa tirando fuori il barattolo della cannella, sorridendo mentre appoggiava la piccola confezione vicino alle uova e Niki, che aveva aperto il frigo poco prima, faceva lo stesso con una bottiglia di vetro piena d’acqua e un limone:
“Non so come sia possibile, ma hai anche il limone. Ah, certo, probabilmente per i drink.”
“Donna saggia. Bene, abbiamo tutto. Possiamo cominciare.”
Carter parlò sfoggiando un sorriso allegro, entusiasta all’idea di preparare il suo dolce preferito. Certo la versione di sua nonna sarebbe comunque rimasta inarrivabile e di gran lunga la migliore che avesse mai assaggiato, ma in fondo quanto poteva essere difficile?

“Allora… Tua nonna ha scritto di iniziare con l’impasto. Dovete unire farina, sale, zucchero e burro freddo a pezzi.”
Orion aveva occupato uno degli sgabelli neri di Carter tenendo Isla sulle ginocchia, e la gatta si stava godendo soddisfatta le dolci carezze dell’Astronomo che si era auto-assegnato l’incarico di leggere la ricetta e di fornire le istruzioni ai due vicini, un modo come un altro per starsene a guardare mentre Carter e Niki facevano il lavoro. E lo facevano, come Orion ebbe modo di appurare mentre li guardava litigare perché nessuno dei due riusciva ad accendere la bilancia da alimenti, molto male.
“320 gr di farina, cretino, grammi, non millilitri!”
“Fallo tu visto che sei una sapientona!”
Niki sbuffò, mollò malamente il pacco di farina tra le braccia del ragazzo e poi prese lei stessa ad armeggiare con i tasti della bilancia, maledicendo il touch screen che non voleva saperne di percepire il tocco dei suoi polpastrelli:
“Questa invenzione dovrebbe renderci la vita più facile, invece fa perdere tempo e basta.”
Sembri letteralmente mia nonna che inveisce contro la cucina a induzione…”
Niki scoccò un’occhiata torva in direzione di Carter mentre metteva la ciotola di legno vuota sopra alla bilancia, colpendo il dorso della mano del padrone di casa con la propria quando lo vide cercare di versarci dentro un po’ di farina:
“Ahia! Stronza.”
“Prima bisogna fare la tara, ma dove vivi?! … Ecco, ora puoi andare, fermati a 320.”
So leggere.”
“Non si sa mai.”
Orion guardò in silenzio i due chiedendosi se fosse stata una scelta saggia quella di auto-invitarsi quando li aveva sentiti parlare di una torta: certo vederli bisticciare era sempre molto divertente, ma sperò ardentemente che la ricetta non prevedesse uso di coltelli affilati che avrebbero potuto scatenare una seconda tragedia nel palazzo.
Fu con una punta di apprensione che Orion studiò Niki tagliare il burro mentre Carter aggiungeva un cucchiaino di sale alla farina e allo zucchero, ma per fortuna nessun arto venne amputato e nessuna goccia di sangue versato. Seguendo le indicazioni di sua nonna fornitagli da Orion Carter prese a mescolare, dubbioso, gli ingredienti con il cucchiaio di legno, accigliandosi quando non vide una palla di impasto formarsi praticamente da sé e nel giro di pochissimo come quando era sua nonna a preparare il dolce.
“Ma perché non funziona?!”
“Forse perché non stai mescolando, stai praticamente colpendo le cose.”
“E allora come si fa?!”
Carter si voltò a guardare Niki senza smettere di picchiettare il mestolo sugli ingredienti e la strega, esasperata, alzava gli occhi al cielo: proprio non capiva perché avesse accettato di preparare un’Apple Pie insieme a Carter. E dire che a lei i dolci con le mele neanche piacevano particolarmente. Si stava innegabilmente rammollendo, e la cosa non le piacque affatto, tanto che scosse la testa e agitò spazientita una mano per indicare la ciotola di legno mentre Orion si chiedeva dove avrebbe potuto trovare qualcosa da sgranocchiare per godersi lo show.
“E io che cazzo ne so, tu prendi una forchetta che Orion ha detto che bisogna schiacciare il burro per ottenere la “sabbiatura”…”
Niki pronunciò “sabbiatura” come se si fosse trattato di un termine scientifico di cui non conosceva origine e significato, ma qualche minuto dopo lei e Carter riuscirono miracolosamente ad ottenere il risultato sperato – o qualcosa di molto simile – prima di fissare accigliati la sabbiatura, come a chiedersi cosa avrebbero dovuto fare a quel punto.
E ora?”
“Orion, e ora?!”
“Dovete fare una palla.”
“Una palla?! Ma è assolutamente impossibile che venga fuori una palla da questa roba!”
Ci vollero diversi minuti, un tutorial su YouTube, insulti, imprecazioni e ditate di farina ovunque, ma alla fine Carter e Niki riuscirono ad impastare e a formare una palla semi-decente sotto lo sguardo sinceramente ammirato di Orion, che nel frattempo aveva recuperato un pacco di biscotti al burro dalla dispensa e li stava sgranocchiando con grande dedizione.
Cavolo, non pensavo che davvero ce l’avreste fatta… mettetelo in frigo per mezz’ora, adesso bisogna preparare le mele.”
Carter aveva seguito scrupolosamente le indicazioni di sua nonna e aveva comprato esattamente le mele che lei gli aveva suggerito, conscio che se avesse sbagliato la sua dolce Meemaw sarebbe arrivata di corsa dall’Indiana per maledirlo dopo aver deturpato la sacra ricetta di famiglia. La parte difficile naturalmente era costituita dal doverle tagliare e sbucciare, ma dopo diversi tentativi fallimentari lui e Niki riuscirono finalmente a concordare su qualcosa e le tagliarono aiutandosi con la magia. Per sbucciarle impiegarono più di mezz’ora, un record di lentezza a detta di Orion, ma alla fine riuscirono a gettare finalmente i pezzettini di mela in un’ampia ciotola di vetro. Niki stava per unire alle mele il succo di limone quando Carter, guardando i pezzi di frutta, spalancò inorridito gli occhi chiari:
“Merda!”
“Cosa?!”
“Ci siamo scordati di lavarle!”
“Lo dico sempre che dovremmo mangiare più frutta e verdura, scommetto che questo non succede alla gente che mangia sano!”

Carter giurò a se stesso che mai avrebbe raccontato a sua nonna di essersi dimenticato di lavare le mele prima di sbucciarle, era sicuro che la cosa avrebbe procurato un duro colpo alla sua povera nonnina, e anche se non era sicuro che andasse bene non gli restò che lavarle dopo averle già tagliate mentre Orion alle sue spalle rideva e Niki lanciava contro all’Astronomo un canovaccio, intimandogli di finirla di ridere delle loro disavventure culinarie.
Ultimare la preparazione della torta preferita di Carter non fu affatto un’impresa facile: lui e Niki discussero quando fu il momento di versare la cannella sulle mele e invece di cinque cucchiai la strega ne versò ben otto, e per stendere l’impasto impiegarono più di dieci minuti. Alla fine, quando Carter bucherellò l’impasto disposto sulla teglia con una forchetta e Niki ci versò sopra il ripieno a base di mele e cannella, era passato talmente tanto tempo che Orion non aveva nemmeno più biscotti da sgranocchiare.
“Niki, il cordone smerlato è il marchio di fabbrica della Apple Pie e tu lo stai facendo malissimo, vergognati!”
“Mi hai preso per la cazzo di Martha Stewart?! Non rompere!”

“Dai ragazzi, l’importante è che sia buona, non come viene esteticamente… Non ci sono altri biscotti?!”
“Taci tu, scroccone!”

Prima di poterla infornare la torta doveva riposare in frigo per un’ora che i tre trascorsero sull’enorme divano di pelle di Carter a guardare Netflix gustando un caffè – due nel caso di Orion e Niki –, l’Astronomo tenendo Isla sempre sulla ginocchia mentre Sarge si faceva coccolare amorevolmente da Niki e Carter, sistematosi tra i due.
I tre stavano discutendo a proposito della trama di Dark – nessuno ci stava capendo nulla ma tutti volevano fingere che fosse il contrario davanti agli altri, stupendosi di come tre ottimi cervelli come i loro non riuscissero a districare la complessa trama della serie – quando finalmente la sveglia impostata sul telefono di Carter suonò e le note di American Idiot risuonarono per tutto l’appartamento. I tre si alzarono di scatto, correndo a recuperare la torta dal frigo mentre Niki sghignazzava per l’accuratezza della suoneria e per una volta Carter non replicò, troppo felice per l’essere vicinissimo ad ultimare la preparazione della torta.
Riuscirono a rischiare di fare danni persino per spennellare la torta con l’uovo, rompendone ben due sul pavimento prima di riuscire a dividere correttamente il tuorlo dall’albume, ma dopo diversi tentativi fallimentari e aver apportato le tradizionali incisioni sulla superficie della pasta la torta finì finalmente nel forno acceso.
Mentre il dolce cuoceva Carter si propose di preparare la panna – concepire di gustare un’Apple Pie senza la panna gli era impossibile – e questa volta Niki si unì ad Orion nel suo dolce far niente, sedendo accanto all’Astronomo su uno sgabello tenendo Isla in braccio e mangiando insieme a lui delle patatine rinvenute nella dispensa del padrone di casa: ci stavano mettendo così tanto a preparare quella dannata torta che ormai il Sole era tramontato da un po’ e l’ora di cena si faceva sempre più vicina, aumentando esponenzialmente la fame di entrambi.
“Dite che per quando riusciremo ad assaggiare questa dannata torta avremo lo stesso Presidente, o nel frattempo sarà finito il mandato?”
Il tono visibilmente sarcastico di Niki le fece guadagnare un’ennesima occhiataccia da parte di Carter, che non si unì alla lieve risata di Orion mentre cercava di montare la panna, un ennesimo esempio di operazione che se fatta da sua nonna appariva molto più semplice di quanto in realtà non fosse.
“Non mi sembra che tu sia una pasticcera provetta.”
“Mi chiedo a che cosa ti serva passare tutto quel tempo in palestra se poi non sei in grado di fare la panna.”
“I veri uomini non passano mica le giornate a preparare tenere pies e ciotole di panna montata!”
Niki moriva dalla voglia di chiedergli in che modo secondo lui passassero dunque le giornate i veri uomini, ma il timer del forno catturò l’attenzione di tutti e tre quando prese a risuonare fastidiosamente per tutto l’appartamento. Carter, che non udiva quel suono da almeno due d’anni visto e considerato che aveva usato il forno giusto un paio di volte da quando si era trasferito, si fermò di scatto e si guardò brevemente attorno con aria allarmata, rilassandosi quando vide Orion dirigersi verso il forno, spegnere il timer e aprire lo sportello dell’elettrodomestico:
“Meno male, pensavo fosse una bomba!”
“Questo la dice lunga sulle tue abilità culinarie. Ti prego Orion, dimmi che ha un aspetto decente e che non abbiamo buttato tutto il pomeriggio per niente!”
Niki seguì Orion verso il forno con un sospiro e continuando a tenere Isla in braccio, sperando vivamente di non aver dovuto trascorrere un intero pomeriggio a giocare a MasterChef insieme a Carter Cross senza un valido motivo
“Mi sembra che abbia un bell’aspetto invece. Serve un guanto da forno.”
Dopo essersi chinato davanti al forno Orion si voltò verso Carter, in attesa che gli passasse il guanto per tirare fuori la tortiera, ma prima che il giornalista potesse aprire bocca Niki scosse la testa e agitò la bacchetta per farne apparire uno e porgerlo al vicino:
“Lascia perdere, di certo il vero uomo qui presente non ne avrà uno.”


“Tutto sommato, non so come, è buona. Meemaw sarebbe fiera di me! Peccato che un’acidona rompicoglioni ci abbia messo troppa cannella.”
“A me piace così, quindi non rompere e passami la panna, vero uomo.”
“Comunque è ora di cena. Ordiniamo qualcosa?”
Benchè avesse ancora metà della sua enorme fetta di torta con panna sul piatto Orion, dopo aver gettato un’occhiata all’ora sullo schermo del suo telefono, si rivolse ai due vicini con un sorriso allegro, guardandoli voltarsi verso di lui e osservarlo come se avesse appena formulato la domanda con la risposta più ovvia del mondo:
Ovviamente, io non cucinerò altro per dieci anni almeno!”
“E io per venti!”






(1): “Nonnina”




Ho un po’ tremato nel leggere la richiesta di riunire i tre più grandi casi umani di OMITB nella stessa stanza, ma per fortuna direi che tutti ne sono usciti indenni, animali e casa di Carter inclusi.
Grazie di nuovo per le recensioni, sono felice che la Raccolta vi stia piacendo.
A domani🧡
Signorina Granger

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Capitolo 6
*** The smell of nutmeg and cloves around every corner ***


Prompt: 6 - The smell of nutmeg and cloves around every corner
Personaggi: Rose Williams e Hooland Magnus

The smell of nutmeg and cloves around every corner


6


Quando Hooland Magnus aprì la porta del suo studio, dove si era rinchiuso a lavorare per praticamente tutto il pomeriggio, un insieme di pungenti aromi speziati gli solleticò piacevolmente l'olfatto. Anche se non riuscì a ricondurre immediatamente ciò che il suo naso sentiva ad una preparazione specificia c'era comunque qualcosa di piacevolmente f
amiliare in quel mix di profumi che aveva avvolto tutto il pian terreno e con quel pensiero il mago sorrise mentre si chiudeva la porta alle spalle prima di dirigersi verso la cucina dove sapeva che avrebbe trovato la sua fidanzata, di certo impegnata a preparare qualcosa davanti ai fornelli. Hooland non si stupì affatto quando nella stanza semi-buia scorse la figura minuta di Rose stagliata contro la luce calda della cappa e impegnata a mescolare lentamente qualcosa con un cucchiaio di legno, e una volta avvicinato a sufficienza per poterle circondare la vita con le braccia e appoggiare il mento sulla sua spalla il ragazzo poté scorgere una casseruola piena di un liquido color sangue, scorze d’agrumi, stecche di cannella, chiodi di garofano, bacche di ginepro e anice stellato.
“Che cosa prepari?”
Hooland parlò in un sussurro prima di depositarle un bacio sul collo mentre la lunga trecca di Rose gli solleticava una guancia e la strega, sorridendo, parlava senza distogliere lo sguardo dalla casseruola:
“Vin brûlé.”
“Adoro il vin brûlé.”
Hooland sospirò piano, impaziente di poter assaporare quella deliziosa bevanda calda mentre la fidanzata gli assicurava che fosse quasi pronto: lo zucchero si era quasi completamente sciolto e presto avrebbe potuto bruciare il vino per poi poterlo versare nelle tazze.
“Perché sei così terribilmente perfetta? A volte penso di non meritarti.”
Un altro sospiro e un altro bacio sul collo ma questa volta Rose ruotò la testa per guardarlo, le sopracciglia leggermente aggrottate quasi a mo’ di rimprovero:
“Non essere ridicolo. Io non sono perfetta e tu sei il miglior fidanzato del mondo.”
Hooland sorrise, guardandola con occhi adoranti e pieni d’affetto mentre accarezzava il tessuto morbido della sua felpa arancione che Rose indossava e che le stava troppo larga. Mormorò quanto la trovasse irresistibile quando indossava i suoi vestiti e la baciò, ridendo quando la ragazza cercò pigramente di divincolarsi dalla sua stretta e mugugnò qualcosa a proposito del vin brûlé che doveva finire di preparare. Pur di malavoglia Hooland la lasciò andare, depositandole un ultimo bacio su una tempia prima di sorriderle malizioso e strizzarle l’occhio:
“Hai ragione, il vin brûlé è sacro in questa casa e non va trascurato. Finisci pure, poi riprenderemo il discorso.”

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Capitolo 7
*** Making caramel-dipped apples ***


Prompt: 27 - Making caramel-dipped apples
Personaggi: Philip e Radcliff MacMillan


Making caramel-dipped apples


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Mesi prima, in occasione del suo compleanno, il suo fratellone gli aveva fatto una promessa: avrebbero preparato insieme le mele caramellate, uno dei dolci che il piccolo Radcliff MacMillan preferiva al mondo, dopo il suo Diploma, quando avrebbero finalmente avuto modo di vivere un autunno sotto lo stesso tetto.
“Quanto manca?”
Radcliff, fremendo per l’impazienza, guardò prima la casseruola piena di acqua, zucchero, miele e cannella e poi il fratello maggiore in piedi davanti al fornello e impegnato a mescolare lentamente lo sciroppo, attendendo con ansia il momento in cui avrebbero finalmente potuto immergere le mele nel caramello e poi ricoprirle di granella.
“Non è ancora abbastanza caldo. Quante volte devo dirti di spostarti, se per caso ti bruci la mamma mi uccide.”
Phil distolse brevemente lo sguardo dallo sciroppo per gettare un’occhiata in tralice al fratellino, che non ne voleva sapere di restare seduto e continuava ad avvicinarglisi per chiedergli se il caramello fosse pronto o meno. Radcliff sfoggiò un adorabile sorriso di scuse e mosse un passo indietro mentre il fratello tornava a concentrarsi sulla casseruola, continuando ininterrottamente a mescolare con il mestolo di legno mentre il bambino di sette anni osservava pensoso la sua schiena, le piccole sopracciglia bionde aggrottate.
“Sai che è la prima volta che stiamo insieme ad Halloween e tu non sei ad Hogwarts, Phil?”
“Sì Cliff, lo so.”
Phil annuì, parlando con tono paziente mentre cercava di capire se il caramello avesse raggiunto la temperatura giusta osservandolo dubbioso e il fratellino, alle sue spalle, sfoggiava il più adorabile e speranzoso dei suoi sorrisi:
“Mi accompagni a fare Dolcetto o Scherzetto?”
Phil ne era stato certo, che una volta diplomatosi ad Hogwarts si sarebbe ritrovato a lavorare come baby-sitter a tempo pieno, e sapeva da giorni che il fratellino meditasse di rivolgergli quella richiesta, ma alzò comunque gli occhi verdi al cielo prima di scuotere la testa e rispondere seccamente:
“Neanche morto.”
“Dai Phil ti prego!”
Convincere suo fratello non sarebbe stato facile, Radcliff lo sapeva, ma non aveva proprio altra scelta dato che quell’anno sua madre non sembrava avere nessuna intenzione di accompagnarlo. Avrebbe forse potuto sottolineare come quello sarebbe stato il loro primo Halloween insieme, ma sapeva che difficilmente avrebbe funzionato e che Phil gli avrebbe intimato di non fare lo sdolcinato. Fortunatamente, benchè fino a quel momento avessero trascorso quasi tutti i mesi dell’anno separati, il piccolo Radcliff già sapeva quale fosse la più grande debolezza del suo serioso fratello maggiore:
“Ti darò un po’ dei miei dolci.”
Una piccola speranza si accese nell’animo del bambino quando scorse il maggiore smettere di mescolare, osservare accigliato ed immobile il caramello per un istante e infine volgere lentamente lo sguardo su di lui, un sopracciglio inarcato:
“Scommetto che te ne danno a vagonate, visto quanto sei carino.”
“Me ne danno tantissimi!”
Un sorriso illuminò il bel viso del bambino, che si fece ancor più simile in tutto e per tutto ad un tenero angioletto mentre Phil, dopo aver spento il fornello, lo studiava pensoso con la fronte aggrottata: certo di Halloween non gliene fregava un bel niente e trascorrere due ore a portare suo fratello a farsi regalare dei dolci non costituiva la sua idea di serata ideale, ma montagne di mucchi di dolci gratis erano pur sempre montagne di dolci gratis. Senza contare gli anni di arretrati che aveva alle spalle, visto e considerato che quei simpaticoni dei loro genitori lui non lo avevano mai portato, a fare Dolcetto o Scherzetto.
“… Va bene, ci sto. Ma voglio metà delle cose a base di cioccolato, le caramelle te le puoi tenere. Ma se frigni ti riporto a casa, capito?”
“Capito. A Natale cosa facciamo invece?”
“Senti Nanetto, non cominciare, siamo ancora ad ottobre! Spostati, che scotta.”
Phil sollevò la casseruola con un paio di presine per dirigersi verso il tavolo dove avevano lasciato il piatto con le mele e la granella, intimando al fratellino di spostarsi di lato con uno sbrigativo cenno del capo mentre Radcliff obbediva senza smettere di sorridere allegro. Il bambino seguì il fratello maggiore fino all’enorme tavolo di legno che occupava il centro della cucina, di norma usata solo dagli Elfi, guardandolo sistemare la casseruola su un sottopentola di sughero prima di appoggiare le piccole mani sul bordo di legno e rivolgergli un sorriso sognante:
“Se non ci danno i dolci possiamo fare scherzi cattivi?”
Phil sollevò una delle mele che avevano infilzato con dei lunghi stecchi da spiedo per intingerla nel caramello ma si fermò quando udì la domanda del fratellino, chinando lo sguardo su di lui e osservandolo per qualche istante – eccoli, quegli sporadici momenti in cui sembravano parenti – prima di allargare a sua volta le labbra in un sorriso:
Naturalmente.”


 
 


Scrivere questa flash senza infilare degli ananas in giro è stata un’ardua impresa, ma attendi figliolo, torneranno, abbi fiducia, nel mentre goditi le mele con il tuo dolce fratellino🍎❤️

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Capitolo 8
*** The crunching of leaves beneath your shoes ***


Prompt: 12 - The crunching of leaves beneath your shoes
Personaggi: Jane Bones, Iphigenia Ashworth e Timothy Russell 



The crunching of leaves beneath your shoes


8  
 
 
Il piccolo viso di Tim era talmente coperto che le uniche cose che si riuscivano a scorgere erano i suoi grandi occhi azzurri e la punta del naso, tutto il resto era celato alla vista, eccetto per qualche ciuffo di capelli biondi, da un berretto blu e dalla sciarpa abbinata.
Il bambino stava facendo una passeggiata con sua madre e sua zia e camminava tenendosi un paio di metri davanti alle due streghe, sentendole chiacchierare mentre procedevano con calma alle sue spalle. Il bambino di tre anni e mezzo camminava tenendo il capo chino, gli occhi blu che osservavano il suolo coperto da una coltre di foglie secche del lungo sentiero alberato che stavano percorrendo. Incuriosito dallo strano suono che sentiva quando calpestava le foglie colorate Tim si fermò e si chinò per sfiorarne una con la punta delle dita fasciate dalle manopole rosse che sua madre gli aveva fatto mettere prima di uscire, quando zia Iphe era arrivata a casa loro.
“Con quegli occhi e quei capelli sembra davvero figlio tuo. La prima volta in cui l’ho visto sono rimasta senza parole.”
Alle parole di Iphigenia, che le camminava accanto tenendo a sua volta le mani infilate nelle tasche del cappotto, Jade annuì con un cenno del capo senza smettere di osservare Tim, che si era chinato per osservare le foglie e sfiorarne qualcuna con la punta della manopola di lana rossa.
“Lo so. Lo penso sempre anche io. Fin da quando ho iniziato a portarlo fuori con me la gente si complimenta per “il mio bel bambino”, e onestamente non mi sono mai presa la briga di correggerli.”
Jade aveva conosciuto Tim esattamente due anni prima, ventiquattro mesi che erano passati paurosamente in fretta, e lei stessa si ritrovata talvolta a guardarlo giocare e a studiare i suoi grandi occhi così simili ai propri, trovando ironico come il bambino somigliasse molto più a lei rispetto al padre. Era da qualche mese che Timothy aveva iniziato a chiamarla “Mamma”, con una naturalezza tale da lasciarla spesso ancora spiazzata, e ogni volta in cui si sentiva chiamare in quel modo dalla sua voce provava il desiderio di stritolarlo in un abbraccio, ripensando al primo momento in cui i suoi occhi avevano indugiato su quel bellissimo bambino biondo che giocava con un trenino.
La foglia era così secca e delicata che quasi rischiò di spezzarsi sotto il tocco del bambino, che decise di non cercare di prenderne altre in mano per non rischiare di romperle prima di rimettersi in piedi, voltarsi verso madre e zia e poi raggiungerle:
“Mamma, le foglie se le pesti fanno rumore che sembra che stai mangiando le patatine.”
Il bambino si fermò davanti alle due streghe, entrambe con i capelli biondi infilati all’interno delle sciarpe, e guardò la madre mentre allungava una mano verso di lei, osservandola ridere e annuire prima di stringere la sua minuscola mano:
“Non ci avevo mai pensato, ma hai ragione Timmy.”
Il bambino si voltò verso la zia, sollevando la mano destra in direzione di Iphigenia in un muto invito a prenderla, cosa che la strega fece stringendosi nelle spalle e guardandosi attorno con aria pensosa:
“A me andrebbero, delle patatine. Tu non hai fame, piccolo?”
“Un po’.”
“Tu sei peggio di lui, Iphe.”
Jade scosse la testa mentre con la mano libera si sistemava la sciarpa di lana attorno al collo prima di rimetterla nella tasca del cappotto blu, Tim pregustava mentalmente il momento in cui sarebbero tornati a casa e avrebbe potuto mangiare qualcosa e Iphigenia, accanto a lui, volgeva lo sguardo sull’amica con gli occhi spalancati:
“Beh, che c’è? È ora della merenda! Diglielo Tim.”
“È ora della merenda!”
Jade alzò gli occhi al cielo, per loro era sempre ora della merenda, ma di fronte ai sorrisi di Timothy e di Iphigenia non le restò che assentire e dichiarare che potevano incamminarsi verso casa. Il bambino sorrise allegro, circondato da due delle persone a cui più voleva bene al mondo, prima di chiedere ad Iphigenia se poteva mangiare la crema al cioccolato invece della marmellata. Tanto zia Iphe gli diceva sempre di sì, non importava cosa dicesse la mamma.

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Capitolo 9
*** Decorating the interior of your living space with pine cones, leaves, and small squash ***


Prompt: 31 - Decorating the interior of your living space with pine cones, leaves, and small squash
Personaggi: Beaumont Hawkes 



Decorating the interior of your living space with pine cones, leaves, and small squash


9
 
 
Beaumont Hawkes aveva tentennato quando sua madre aveva indetto un pranzo di famiglia – o, per dirla come Delphine, un repas de famille – in occasione della seconda domenica di ottobre, conscio non solo di quanto quelle ricorrenze  potessero rivelarsi a dir poco sfiancanti ma soprattutto di come la donna, a giudicare dalla scelta della data, avesse di certo intenzione di approfittare di quella piccola riunione di famiglia per assoldarli per decorare casa: Delphine adorava agghindare la propria enorme e splendida dimora in base ai diversi periodi dell’anno ma ancor di più adorava chiedere ai suoi due figli e al marito di aiutarla per poi criticare qualsiasi cosa facessero, Beau lo sapeva bene, ma poiché di domenica ad Hogwarts non si tenevano lezioni non era riuscito a trovare una scusa valida per non presentarsi. Aveva tentato di menzionare una partita di Quidditch fasulla, ma sua madre aveva fermamente dichiarato che lo sport non era una scusante valida. Se non altro, si era detto l’insegnante di Aritmanzia mentre, giunta la data fatidica, trascinava i piedi verso il camino della propria stanza per usufruire della Metropolvere, avrebbe avuto l’occasione per passare un po’ di tempo con la sua adorata nipotina.
Era proprio vicino a Dove che Beau aveva preso posto una volta giunto a casa dei genitori, desideroso di chiacchierare con la bambina più che con il fratello maggiore, ed erano persino riusciti ad arrivare all’ultima portata senza che Benedict riuscisse ad irritarlo, il che costituiva un evento più unico che raro. Beau aveva come sempre declinato con garbo la sua porzione di Mille-feuille che Dove si era generosamente offerta di mangiare al suo posto mentre suo padre, accanto a lui, si lamentava sommessamente per la mania della moglie di rifilargli sempre e solo dolci francesi, venendo prontamente ignorato da Delphine che invece aveva chiacchierato per tutto il tempo con il primogenito e la nuora. Beau si era quasi illuso di essersi sbagliato e che l’invito di sua madre fosse stato del tutto innocente, o almeno finchè non aveva adocchiato con rassegnazione i due enormi scatoloni delle decorazioni autunnali fare casualmente capolino in un angolo del salotto. Benedict alla loro vista era impallidito, ma i tentativi di fuga non erano serviti a nulla e dopo pranzo si erano tutti ritrovati a contribuire, o meglio seguire le precisissime direttive della padrona di casa.
 
 
“Zio, ma perché la Nonna ci chiede di aiutarla se poi non le va bene niente?”
“Non ne ho idea Dove, fa così da quando io e papà eravamo piccoli. Aveva da ridire persino su come sistemavo la stella in cima all’albero di Natale.”
Beau roteò gli occhi celesti mentre, inginocchiato accanto alla nipotina davanti al tavolino da caffè del salotto, la aiutava a riempire degli enormi barattoli di cristallo con delle piccole zucche decorative di più che dubbia utilità. Se non altro, si disse tetro l’insegnante mentre scoccava un’occhiata al fratello maggiore, gli era andata meglio che a Benedict, che stava subendo i rimproveri della madre per come aveva disposto le pigne sul caminetto. Suo padre invece era stato spedito a decorare il portico con le zucche, le lanterne e la ghirlanda da appendere alla porta, ma Beau era sicuro che se avessero messo il naso fuori di casa lo avrebbero trovato comodamente spaparanzato su una poltroncina di vimini a leggere la Gazzetta del Profeta, ignorando a suo rischio e pericolo le direttive della moglie.
“Ti piace come le ho messe?”
Dove gli sorrise mentre indicava il suo lavoro e Beau non poté far altro che ricambiare, asserendo che fosse stata bravissima per poi suggerirle in un sussurro di non prendersela qualora la nonna avesse affermato il contrario.
“Ma a che cosa servono tutte queste zucche finte alla Nonna?”
“Alla Nonna piace che tutto sia in tema…”
Beau Bon-Bon, per favore vai a raccogliere le foglie.”
Beau non aveva sprecato fiato per pregare la madre di smetterla di chiamarlo in quel modo, limitandosi a scoccare un’occhiataccia al fratello maggiore quando aveva visto Benedict sghignazzare, e nemmeno per far notare a Delphine che fuori si congelasse; dicendosi che se non altro, gelo o meno, fuori dalla porta nessuno lo avrebbe rimproverato di continuo Beau non si era lamentato ed era andato a recuperare il suo cappotto più che volentieri insieme a Dove, che si era offerta di accompagnarlo. Dopo aver aiutato la bambina a infilarsi il suo cappottino celeste e la sciarpa Beau aveva spalancato la porta di casa stringendo la mano della nipote, non provando il benchè minimo stupore quando il suo sguardo era indugiato su suo padre che, seduto in veranda con il giornale in mano, stava ignorando l’incarico assegnatogli dalla moglie poco prima. All’udire la porta aprirsi tuttavia Theo era quasi sobbalzato sulla poltroncina, affrettandosi a gettare il giornale sul tavolino prima di scattare in piedi per tentare di fingersi affaccendato:
“Sì Delphine, sto lavorand- ah, siete voi. Dove andate? Non penserai di fuggire e di lasciarmi qui con tua madre Beau!”
“Io e lo zio andiamo a cercare le foglie per la Nonna. Vuoi venire anche tu?”
Dove aveva sorriso allegra al nonno, l’unica in tutta la famiglia a cui decorare ancora non pesava, e Theo non aveva avuto bisogno di riflettere a lungo per annuire e accettare di buon grado l’invito, Appellando il suo cappotto per affrontare l’aria fredda mentre Delphine, dentro casa, sfruttava Benedict per sistemare in giro la sua collezione di candele autunnali che non si potevano mai accendere, ma solo ammirare.
“Certo, perché no, lasciamo che a lei ci pensino Benedict e Lauren. Potremmo fare un giro molto molto lungo e nel frattempo andare a berci qualcosa, vero Beau?”
“Per trovare le foglie migliori bisogna cercare a lungo, è ovvio.”
 
Dove non aveva ben chiaro il motivo per cui lo zio e il nonno avevano fatto tutto il tragitto camminando con inesorabile lentezza, o perché prima di rientrare avessero tanto insistito per fare una sosta in pasticceria: a suo zio i dolci non piacevano, Dove lo sapeva perché le concedeva sempre le sue porzioni di dessert, ma i suoi sette anni le avevano insegnato che a una cioccolata calda con la panna non si dice mai di no, perciò li aveva seguiti senza fare troppe domande e promettendo solennemente sulla sua Barbie di Elsa di non far parola di quella sosta con i genitori o con la nonna. Soprattutto con la nonna.
“Come mai ci avete messo tanto, voi tre?”
Quando all’incirca un’ora e mezza dopo avevano fatto ritorno Delphine aveva rivolto un’occhiata stranita a figlio, marito e nipote mentre Benedict, alle sue spalle, sibilava alla moglie che avrebbero dovuto pensarci loro, a darsi alla macchia con la scusante delle foglie. Beau, Theo e Dove avevano risposto prontamente senza battere ciglio, dichiarando all’unisono di aver cercato le foglie migliori mentre Delphine, in piedi davanti a loro nell’ampio ingresso della villa, li studiava uno ad uno sospettosa:
“Com’è che avete risposto tutti insieme?”
Forse la preparazione sulla via del ritorno in vista delle domande di Delphine era stata fin troppa, ma Beau, conscio che il giorno seguente lo aspettasse un’intensissima giornata di una lezione dietro l’altra, decise che non aveva le forze necessarie per affrontare un interrogatorio e che per una volta avrebbe lasciato che a ripulire i danni ci pensasse suo padre:
Maman, temo proprio di dover andare. Merci pour le repas.”
In un lampo Beau aveva colmato la breve distanza che lo divideva da Delphine per scoccarle un doppio bacio sulle guance, dopodiché aveva abbracciato Dove promettendole di mandarle dei dolci di Mielandia al più presto e dopo aver salutato rapidamente padre, fratello e cognata era sfrecciato più in fretta che poteva verso il camino per tornare ad Hogwarts per mezzo della Polvere Volante. L’ultimo scorcio che ebbe dell’enorme soggiorno decorato, mentre Dove lo salutava sorridendo e agitando la mano, fu Delphine affacciarsi sul portico e chiedere indispettita al marito perché non avesse fatto ciò che gli aveva chiesto.
 
 
 
 
 
 
Grazie a Fran per avermi chiesto di scrivere di Beau e della sua famiglia, è stato spassosissimo.
Buona domenica e a domani 🧡
Signorina Granger

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Capitolo 10
*** Shopping for new fall attire ***


Prompt: 14 - Shopping for new fall attire
Personaggi: Alphard Vostokoff e Anjali Kumar
 

Shopping for new fall attire


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I marciapiedi della Bahnhofstrasse erano parzialmente ricoperti dalle foglie secche giallastre e aranciate cadute dagli alberi che adornavano i bordi di una delle strade più celebri di tutta Zurigo, calpestate dal via vai di passanti, residenti e turisti, che percorrevano il lungo viale con le braccia cariche di borsette. L’autunno era definitivamente arrivato nella città svizzera portando con sé frequenti piogge, l’appassire delle foglie e soprattutto un vertiginoso calo delle temperature, e sembrava che moltissimi zurighesi avessero deciso di trascorrere quel grigio sabato pomeriggio, il primo senza pioggia dall’inizio della settimana, facendo acquisti per la stagione.
Una di loro, una bellissima donna di media statura dai brillanti e grandi occhi grigio-azzurri, camminava con calma stringendo un bicchiere di carta pieno di vin brûlé bollente appena acquistato con la mano destra, fasciata da un guanto di pelle nero firmato Ralph Lauren, mentre la sinistra stringeva quella dell’uomo che le camminava a fianco.
Quando Alphard, che reggeva tre borsette di carta, due di Prada e una di Chanel, si fermò nel bel mezzo del largo marciapiede Anjali fu costretta a fare altrettanto, voltandosi incuriosita verso il fidanzato mentre sentiva la sua mano scivolare dalla propria: il braccio del mago, fasciato dalla manica del suo Milford Belstaff nero a doppio petto, andò a stringere delicatamente la vita della strega mentre si chinava leggermente su di lei per depositarle un lungo bacio sulle labbra carnose.
“Ti va di andare da Bulgari? Voglio farti un regalo.”
Alphard parlò restando ad un soffio dalle labbra di Anjali, che sorrise mentre gli stringeva dolcemente una spalla con la mano guantata e il fidanzato le ammirava il viso incorniciato dai lisci capelli scuri e da un delizioso baschetto color cammello abbinato al cappotto di Burberry quasi avesse avuto davanti una splendida opera d’arte.
“Non dico mai di no ad una visita da Bulgari, ma non ce n’è alcun bisogno. Il mio compleanno è passato da poco e tra un paio di mesi è Natale.”
“È bene non avere sempre un motivo preciso per fare un regalo… Soprattutto se si ha la fidanzata più bella e meravigliosa del mondo.”
Alphard la baciò di nuovo, stringendola a sé con maggiore energia mentre i passanti che li circondavano scoccavano un’occhiate intenerite – e forse un po’ invidiose – alla coppia. Quando le loro labbra si staccarono Anjali allargò le proprie in un sorriso entusiasta, spalancando leggermente gli occhi chiari come se avesse appena avuto una splendida idea:
“Potremmo farci un regalo a vicenda. Non dicevi di volere un orologio nuovo?”
“Sì, l’ho detto. Se ci tieni…”
“Certo, io adoro fare regali e non mi piace essere sempre quella che ne riceve, specie se si parla del mio Alphy.”
Anjali sapeva quanto il fidanzato detestasse che il proprio nome venisse storpiato, ma entrambi sapevano anche che non avrebbe mai smesso di chiamarlo in quel modo e per questo l’uomo non disse nulla, limitandosi ad alzare brevemente gli occhi al cielo mentre la svizzera gli depositava un bacio sulla punta del naso con una leggera risatina prima di riprenderlo per mano e avanzare di qualche passo con gli stivali col tacco neri di Prada alti fino al ginocchio abbinati alla Birkin dello stesso colore che reggeva nell’incavo del gomito destro.
Anjali si avvicinò alle strisce pedonali più vicine portandosi il bicchiere di carta alle labbra, assaporando una delle sue bevande calde preferite in assoluto mentre Alphard la seguiva per poter attraversare la strada insieme. Aspettarono che il tram che stava scendendo lungo la via li superasse per poi incamminarsi verso il marciapiede opposto e le vetrine scintillanti della loro destinazione senza smettere di tenersi per mano, mentre Anjali, appoggiando la testa sulla spalla del fidanzato, gli sorrideva felice:
“Non pensi che l’autunno sia la miglior stagione che esista? I colori, i cappotti, il vin brûlé… Dopo andiamo da Ralph Lauren, voglio regalarti un mucchio di maglioni nuovi. Ti stanno così bene.”
Anjali accarezzò in un gesto di puro affetto il braccio del fidanzato mentre gli sorrideva, ridendo quando Alphard, ricambiando il sorriso, accostò la testa alla sua per mormorare come lui, al contrario, i maglioni preferisse sfilarglieli.
“Sai dove potremmo andare, prima di tornare a casa dei tuoi genitori per cena? Un bel giretto da La Perla. Dopo la nostra prima notte insieme è un brand che apprezzo particolarmente.”
“Alphy, sei sempre il solito!”







Di nuovo grazie a tutte per le recensioni, e oggi un grazie speciale a Bea per avermi chiesto e dato l'occasione di scrivere di Alphy e di Anji, così belli e perfetti che quasi quasi potremmo odiarli, se non li amassimo🧡
A domani🧡
Signorina Granger 

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Capitolo 11
*** Planting flower bulbs that will bloom in the spring ***


Prompt: 28 - Planting flower bulbs that will bloom in the spring
Personaggi: Artemisia Strong




Planting flower bulbs that will bloom in the spring


11


L’aria autunnale che pervade il bosco e le sponde del lago è fredda e la terra ancora di più, ma Artemisia non demorde: china su un angolo del giardino impugna il manico del trapiantatore con la mano fasciata da uno spesso guanto bianco sporco di terra e conficca con decisione la lama nel terreno, creando una buca sempre più profonda. Mentre si sente scuotere da un leggero brivido stringe le labbra rese screpolate dal freddo, decisa a finire il lavoro prima che faccia buio mentre Atlas, accanto a lei, guarda la padrona forse chiedendosi perché ci tenga tanto a starsene fuori, al freddo, quando potrebbe invece sedersi davanti al camino acceso.
“I tulipani si piantano a novembre. Se vuoi i tulipani devi prima patire il freddo.”
La voce della strega si leva quasi in risposta allo sguardo del grosso cane, che la osserva conficcare ancora e ancora la lama del trapiantatore nel terreno indurito dal freddo mentre le sue dita si fanno sempre più intorpidite sotto ai guanti. Finito di scavare Artemisia ripone il trapiantatore accanto a sé con il braccio ormai indolenzito per prendere con delicatezza alcuni dei bulbi che ha riposto in un secchio, sistemandoli uno ad uno nell’ampia buca mentre Atlas la osserva muovendo la coda e girandole attorno, impaziente di vederla finire per poter godere delle sue attenzioni.
Se i tulipani non fossero così belli Artemisia potrebbe anche odiarli, si dice la strega mentre sistema con tutta la delicatezza di cui è capace i bulbi nella buca, uno accanto all’altro, e si sente rabbrividire nella camicia di flanella a scacchi bianchi e marroni che indossa. Poco male, si dice quando il secchio è ormai vuoto e più di 20 bulbi aspettano di essere ricoperti da una soffice coltre di terra, che cos’è una mezz’ora di gelo rispetto ad una primavera piena di colori? Quando sbocceranno il freddo sarà solo un lontanissimo ricordo.
Inginocchiata sul terreno gelido, Artemisia osserva il suo lavoro compiuto a metà mentre riprende in mano il trapiantatore e si scosta dagli occhi una ciocca di capelli neri che, sfuggita dalla sua lunga treccia, le è finita davanti al viso; sistemati i capelli dietro l’orecchio solleva la testa per gettare un’occhiata critica al cielo grigio sopra di lei che si fa sempre più annuvolato, sperando vivamente che la pioggia le dia il tempo di finire mentre Atlas, sempre scodinzolano, infila curioso il naso nel secchio ormai vuoto.
“Non c’era niente che ti interessasse, lì dentro, mi dispiace.”
Artemisia sorride affettuosamente al cane e allunga una mano verso di lui per accarezzargli la testa prima di iniziare a ricoprire la buca, rimettendosi in piedi solo una volta ricoperta completamente, quando il cielo sopra di lei è quasi buio: osserva il suo lavoro sfilandosi i guanti, gettandoli insieme al trapiantatore nel secchio prima spolverarsi la terra dalle ginocchia e sollevarlo per il manico per rientrare finalmente in casa: ad innaffiare i suoi futuri fiori ci penserà la pioggia.
“Vieni piccolo.”
Artemisia fa cenno ad Atlas di seguirla con una tenera grattatina sul collo e un sorriso, dirigendosi verso casa con il cane a precederla ma indugia davanti alla porta aperta, esitando prima di potersi andare a rifugiare vicino al camino acceso mentre il suo sguardo si posa un’ultima volta sul giardino che entro quattro mesi sarà un tripudio di colori: l’autunno è sempre così triste, piovoso, freddo e grigio ai suoi occhi, ma presto o tardi finirà e tornerà la primavera.






Artemisia è una mia OC che ho preso in prestito per questa piccola flash da “Bastardi senza Gloria” di Bri, che ringrazio ancora una volta per aver preso la mia piccola fiorellina e averla sempre resa così bene🏵️
A domani🧡
Signorina Granger

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Capitolo 12
*** Wearing argyle-patterned clothing ***


Prompt: 22 - Wearing argyle-patterned clothing 
Personaggi: Joshua e Meadow Wellick

 
Wearing argyle-patterned clothing


12

 
 
“Ma che razza di maglione ti sei messa?”
Per quanto i loro caratteri potessero definirsi agli antipodi sotto molteplici punti di vista, Joshua e Meadow Wellick avevano notoriamente qualcosa in comune: un pessimo senso dello stile, qualcosa di cui zio e nipote stessi erano perfettamente consapevoli e che non mancavano mai di farsi notare reciprocamente.
Joshua sedeva sulla sua poltrona prediletta, le lunghe gambe accavallate e un libro in mano, quando aveva visto la nipote entrare nella stanza vestita per uscire e con una borsa di tela in spalla, riservando un’occhiata accigliata a lei e al maglione nero coperto da un motivo a rombi marroni che indossava. La giovane strega per tutta risposta si era fermata nel bel mezzo del salotto, chinando egli stessa lo sguardo sul maglione prima di stringersi nelle spalle e sistemarsi distrattamente il colletto bianco della camicia che spuntava dall’orlo:
“Questo motivo a rombi si chiama Argyle. Pare che vada di moda.”
“Ah sì? Ma perché la gente vorrebbe mettersi addosso roba con sopra delle forme geometriche quando tutti sanno che la geometria è la materia più odiata nella storia dell’umanità?”
“Che vuoi che ne sappia io, l’ho comprato perché mi piaceva e poi me l’ha detto Silas quando l’ha visto, che va di moda! Comunque peccato che non ti piaccia, volevo prenderne uno anche a te. Li fanno di tutti i colori, che ne pensi di verde, blu e giallo?”
Preferirei ficcarmi una bacchetta in un occhio.”
“Ti dico che va di moda, sei tu che non capisci un fico secco! Bah, vado a fare la spesa, il frigo è ridotto peggio della carestia irlandese.”
Dopo aver scosso la testa con rassegnazione Meadow si era diretta verso l’ingresso per uscire e potersi Smaterializzare nei pressi del supermercato più vicino, ignorando la voce dello zio quando Joshua si girò sulla poltrona per rivolgerle un’ultima raccomandazione:
“Mettiti la giacca, fa freddo. E non tornare con nessun maglione a rombi Meadow. Capito?!”
“Come dici zietto caro? Ne vuoi uno? Meraviglioso!”
Meadow aprì la porta d’ingresso e uscì con un largo sorriso, ridacchiando quando chiudendosela alle spalle udì i borbottii cupi ed indistinti di Joshua.







Giungo molto più tardi del solito, purtroppo stamani Efp non ne voleva sapere di collaborare, mpf. 
Quest'oggi abbiamo un'altra meravigliosissima coppia zio-nipote, forse la più atipica di cui mi sia capitato di scrivere e allo stesso tempo una delle più affiatate in assoluto. Se vi state chiedendo se Joshua ha poi effettivamente indossato un maglione a rombi la risposta è sì, ovvio, perchè contrariare Meadow è difficile per chiunque e per suo zio quasi impossibile🧡Grazie a neardja per questa famiglia meravigliosa, non potevo non inserirla in questa Raccolta🍂
A domani 🧡
Signorina Granger 

 

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Capitolo 13
*** Breaking out the flannel sheets ***


Prompt: 24 – Breaking out the flannel sheets
Personaggi: Jane Prewett e Dante Julius


Breaking out the flannel sheets



13


Il sabato mattina era sempre stato sacro per Dante Julius. Durante gli anni scolastici aveva rappresentato il primo giorno senza lezioni, perfetto per dormire fino a tardi, e una volta lasciata Hogwarts le cose non erano poi cambiate, quando allo stesso modo dopo una settimana lavorativa ci si poteva concedere il lusso di attardarsi a letto. Dante sapeva di doversi godere al massimo quegli ultimi weekend di libertà e di relax visto che entro qualche mese un piccolo Julius avrebbe stravolto la sua vita, quella di Jane e soprattutto il loro equilibrio, ragion per cui un sommesso gemito scivolò dalle labbra dischiuse del giovane mago quando si sentì strappare con malagrazia le lenzuola di dosso:
“Jane, perché fai così… oggi non sei di turno, dovresti riposarti anche tu.”
Dante mugugnò senza aprire gli occhi, allungando le mani alla cieca per cercare di riappropriarsi del lenzuolo e poter quindi tornare a dormire mentre la moglie, in piedi davanti al letto e già vestita da un paio d’ore, raccoglieva le coperte ai piedi del materasso con uno sbuffo sommesso:
“Dan, proprio perché oggi non sono di turno devo approfittarne per fare le pulizie. E poi devo cambiare le lenzuola e mettere quelle più pesanti, inizia a fare freddo… in poche parole, ti devi alzare.”
“Ma è sabato, ed è prestissimo!”
“Sono le 10 passate, e voglio finire qui prima di dover preparare il pranzo!”
Dante seppellì il viso contro il cuscino borbottando qualcosa a proposito di come la moglie non fosse più la delicata creatura dolcissima dai grandi occhi color zaffiro che aveva incontrato anni prima, portando la strega ad alzare gli occhi al cielo mentre raggirava il letto: Jane sedette sul bordo del materasso, accanto al marito, accarezzandogli dolcemente i lisci capelli scuri prima di parlargli con lo stesso tono gentile con cui gli si rivolgeva sempre da che si erano conosciuti sull’Espresso per Hogwarts molti anni prima.
“Dan, sai che mi dispiace terribilmente darti fastidio, ma è tardi e sono piena di cose da fare oggi… E le lenzuola vanno cambiate, ieri notte stavo congelando.”
“A che ti servono le lenzuola pesanti se hai me a scaldarti?”
Dante si girò sul fianco per mettersi supino sul materasso e guardare finalmente la moglie, che sorrise dolcemente senza smettere di sfiorargli i capelli castani e guardandolo sfoderare il suo sguardo da adorabile cucciolo in cerca di attenzioni. Era un peccato che Jane lo conoscesse da più di dieci anni, troppi per potersi lasciare soggiogare dai suoi teneri occhioni:
“Sei adorabile. Lo saresti se i tuoi non fossero solo tentativi volti al poter continuare a poltrire.”
“Mi conosci troppo bene.”
“Se ti dicessi che ho preparato i pancake alla zucca, la cosa ti aiuterebbe ad alzarti e a permettermi di finire di fare le pulizie?”
Un sorriso animò finalmente le labbra di Dante, che alle parole della moglie si sollevò immediatamente per mettersi a sedere sul materasso, prendendo subito dopo il viso di Jane tra le mani per stamparle un bacio sulle labbra:
“Piccola Jane. Questo avresti dovuto dirlo un’ora fa.”
Jane sorrise mentre guardava il marito balzare giù dal letto, alzandosi subito dopo a sua volta per poterlo finalmente disfare. Stava sfilando la federa da un cuscino quando, un paio di minuti dopo, Dante fece ritorno nella loro camera tenendo un pancake in mano, asserendo che non avrebbe mai potuto fare colazione serenamente sapendola impegnata nelle faccende domestiche: si infilò la soffice frittella alla zucca tra i denti prima di adoperarsi per aiutare la moglie, sfilando la federa dal suo cuscino impiegandoci all’incirca il doppio del tempo rispetto a Jane, che comunque non smise mai di sorridere pazientemente e di sentirsi grata per la sua volontà di esserle d’aiuto. Come facesse, lei, ad essere sempre così rapida ed efficiente in tutto Dante non riusciva proprio a capacitarsene anche dopo tutti quegli anni.
La sua Piccola Jane faceva turni lunghissimi ed estenuanti al San Mungo giorno dopo giorno, portava il loro bambino in grembo e in più cucinava e svolgeva le faccende domestiche. Quei grandi, timidi occhi cerulei e quel delizioso viso di porcellana celavano uno degli animi più forti che Dante avesse mai conosciuto. Sua moglie era decisamente la sua supereroina.
Quando il letto fu finalmente rifatto con le lenzuola pesanti un sorriso soddisfatto sollevò gli angoli delle labbra di Jane, che asserì di dover andare in cucina per iniziare a preparare il pranzo prima che Dante, dopo averle stretto delicatamente le piccole mani nelle proprie, le sorridesse gentilmente:
“Lascia stare, ti dovresti riposare anche tu, non pulire tutto il giorno. Mangiamo fuori, così non dovrai né cucinare né lavare niente.”
Dante sollevò le mani della strega per depositare un bacio sul dorso di entrambe prima di abbracciarla e appoggiare il mento sulla sua testa, chiudendo gli occhi per godersi al meglio la piacevole sensazione di stringerla tra le braccia mentre il profumo alla vaniglia dei suoi capelli gli solleticava l’olfatto.
“Grazie per tutto quello che fai per me. E per sopportarmi sempre.”
“Beh, Dan, lo faccio da quando abbiamo undici anni. Nulla di nuovo.”






Grazie Sesy per avermi chiesto di scrivere di loro, tornare da Dan e dalla nostra Piccola Jane, in arte Jante, è sempre un piacere immenso.
A domani🧡
Signorina Granger

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Capitolo 14
*** Drinking cinnamon-spiced tea ***


Prompt: 15 – Drinking cinnamon spiced tea
Personaggi: Medea Winters

Drinking cinnamon-spiced tea


14


“Nonna, ma è vero che le tazze di tè risolvono tutti i problemi?”
La piccola Medea Winters chinò il capo per gettare un’occhiata dubbiosa alla tazza di porcellana che sua nonna le aveva messo davanti poco prima, quella che la nipotina preferiva e che le chiedeva sempre, bianca con il bordo dorato e un delizioso motivo a fiori celesti e rosa pallido. Medea studiò il caldo e profumato liquido ambrato contenuto nella tazza, il cui aroma speziato le solleticava il piccolo naso, mentre sua nonna, seduta di fronte a lei dall’altro lato del tavolo, la guardava sollevando con grazia la propria e accennando un sorriso divertito con gli angoli delle labbra:
“Perché Meddy, che problemi devi risolvere?”
Chissà perché gli adulti la guardavano sempre con quel sorriso, un po’ intenerito e un po’ divertito, quando sosteneva di avere qualche problema. Medea arricciò il piccolo naso con leggera stizza, astenendosi dal far sapere a sua nonna che anche se era una bambina questo non significava che non potesse avere dei problemi. Senza contare che ormai andava in terza, non era certo più una bambina piccola.
“Ho preso B in matematica, oggi.”
La bambina sospirò affranta mentre immergeva il cucchiaino nel tè, preparata alla ramanzina che sua madre le avrebbe impartito quando sarebbe andata a prenderla a casa di sua nonna. Hestia invece inarcò un sopracciglio senza smettere di continuare a stringere la tazza, lasciando che il suo tepore le scaldasse piacevolmente le mani:
“Beh, non mi sembra una tragedia.”
“Ma la mamma si arrabbia!”
“Con la mamma ci parlo io, pensi che lei prendesse tutte A in matematica? Bevi il tuo tè, se si raffredda non è così buono.”
La mamma non glielo aveva mai detto, che a scuola aveva preso delle B in matematica anche lei. Ai suoi occhi la mamma era la Professoressa universitaria di Letteratura inglese che sapeva sempre tutto e Medea sguardò la nonna spalancando i grandi ed espressivi occhi scuri, sorpresa, prima di affrettarsi a darle ascolto e a sorseggiare il suo tè: la mamma aveva sempre ragione, ma la nonna ancora di più.
“Buono. A che cos’è?”
“Arancia e cannella, è il mio preferito. Vuoi degli altri biscotti?”
“Sì grazie!”
Medea non avrebbe mai rifiutato dei teneri biscottini al burro per nulla al mondo e si affrettò a sorridere e ad annuire prima di guardare sua nonna alzarsi e recuperare il largo piatto dove li aveva disposti, portandolo direttamente sul tavolo per metterlo davanti alla nipotina.
“E comunque, se vuoi migliorare in matematica devi solo chiedere e ti darò una mano, sciocchina.”
Hestia tornò a sedersi prendendo un biscotto a sua volta, addentandolo mentre scoccava una placida occhiata a mo’ di rimprovero alla bambina, che la guardò masticando un biscotto e tenendone un altro in mano, gli occhi scuri di nuovo spalancati pieni di genuina perplessità:
“Perché Nonna, tu sei brava in matematica?”
“Meddy, io insegnavo, certo che sono brava!”
“Ma tu non hai insegnato Fisica, Nonna?”
Ad averlo saputo prima, che Nonna Hestia era esperta di matematica, le avrebbe chiesto di aiutarla con le tabelline molto tempo prima. Ma era pur vero che agli occhi di Medea sua nonna era la donna più intelligente del mondo, pertanto si disse che probabilmente avrebbe dovuto intuirlo, che fosse brava in tutto. Hestia che sospirò e la guardò scuotendo la testa prima di spingere verso di lei il piattino con i biscotti, invitandola a finire in fretta la sua tazza di tè e a mangiarne degli altri:
“Cielo cara, quante cose devo spiegarti. Finisci il tè, poi mi farai vedere in cosa hai preso B.”




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Capitolo 15
*** Snacking on seasoned pumpkin seeds ***


Prompt: 11 - Snacking on seasoned pumpkin seeds
Personaggi: Oliver Miller e Ingrid Braun
 

Snacking on seasoned pumpkin seeds


15
 
 
Fu un immenso sollievo, per Ingrid Braun, aprire la porta di casa e lasciarsi alle spalle l’aria gelida che ogni sera dopo il crepuscolo si impossessava di Londra e dintorni. La strega entrò nell’ingresso stringendo il guinzaglio della sua cagnolina e sfilandosi il berretto di lana con la mano libera, lasciandosi avvolgere piacevolmente dal tepore che dai camini del salotto e della cucina scaldava tutto il pian terreno mentre si voltava verso Lilli, che ancora la guardava fuori dalla porta con i grandi e dolci occhi castani.
“Vieni dentro, Lilli.”
Ingrid strattonò dolcemente il guinzaglio e il Cocker dal pelo fulvo subito obbedì, accettando che la loro passeggiatina fosse giunta al termine mentre trotterellava nell’ingresso per consentire alla padrona di chiudere la porta. Ingrid si chinò sul cane per slegarla e accarezzarle affettuosamente la testa e le lunghe e morbidissime orecchie pelose, mormorando quanto fosse carina e brava a quella che era solita definire “la sua primogenita”. Lilli restituì l’affetto della sua amatissima padrona con qualche leccatina sulla mano prima che Ingrid, dopo averle rivolto un ultimo sorriso, si rimettesse in piedi per riporre il guinzaglio sulla credenza dell’ingresso e dirigersi verso il soggiorni in cerca di marito e figli con la cagnolina scodinzolante subito dietro.
La strega trovò il resto della famiglia esattamente come e dove l’aveva lasciato, ovvero spaparanzato sul divano davanti al camino acceso, e anche se non provò il benchè minimo stupore roteò comunque rassegnata gli occhi celesti prima di piazzarsi davanti al divano incrociando le braccia al petto. L’aria severa non era il suo forte, ma fece comunque del suo meglio per sembrare il più contrariata possibile mentre Oliver le sorrideva allegro e Jonathan e Lucy facevano altrettanto prima di accogliere Lilli, che corse verso i bambini per farsi coccolare anche da loro.
“Olly, quante volte devo dirti di non dargli da mangiare prima di cena?! Vi state ingozzando da quando sono uscita, immagino.”
Mentre Jonathan e Lucy accarezzavano Lilli, che si era issata sul divano con le zampe anteriori per raggiungerli, Ingrid indicò i figli e soprattutto la ciotola piena di semi di zucca tostati che faceva capolino sul divano rosso, portando Oliver a sfoderare il miglior sorriso colpevole di tutto il suo repertorio:
“No Ingrid, giuro, solo da cinque, dieci minuti… Non da molto, insomma.”
Oliver intese di dover tacere quando scorse l’espressione a dir poco amareggiata fare capolino sul bellissimo viso della moglie, che probabilmente aveva perso un paio d’ore per preparare la cena per tutti prima di portare Lilli a spasso, portando l’ex Grifondoro a scusarsi con la sua espressione più adorabile.
“Prometto che mangeremo tutto quello che hai preparato.”
“Ne sono assolutamente sicura. Voi due, lavatevi le mani e venite a tavola.”
Ingrid si avvicinò al divano per prelevare la ciotola contenente i semi di zucca tostati prima di girare sui tacchi e dirigersi verso la cucina, fingendo di non sentire quando Oliver, alle sue spalle, si alzò intimando in un sussurro a Jonathan e a Lucy di non fare storie e di ripulire i loro piatti.





Santa, santissima Ingrid 🍂
A domani🧡
Signorina Granger 

 

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Capitolo 16
*** The chilly bite in the morning air ***


Prompt: 4 - The chilly bite in the morning air 
Personaggi: 
Joël Moyal e Sabrina St John
 


 
The chilly bite in the morning air


16

 
Sabrina St John era ormai talmente abituata ad alzarsi presto da non riuscire ad aprire gli occhi più tardi delle otto anche quando non c’era nessuna sveglia a destarla dall’abbraccio di Morfeo, tanto che anche quella domenica mattina, quando si svegliò e allungò una mano verso il comodino per controllare l’ora sul telefono, scoprì che erano appena le 7:30. Sabrina ripose il telefono sul comodino prima di strofinarsi gli occhi e gettare un’occhiata al lato destro del letto matrimoniale, trovandolo vuoto e con le lenzuola disfatte. Chiedendosi perché il suo fidanzato si fosse già alzato la strega scivolò fuori dal suo comodo e caldo giaciglio, rabbrividendo quando sentì il freddo penetrare al di sotto del suo pigiama rosso; recuperato il morbidissimo cardigan di lana bianco che la sera prima aveva piegato sul bracciolo della poltrona a conchiglia del medesimo colore sistemata nell’angolo della stanza la strega se lo infilò e si diresse verso l’uscio della camera camminando a piedi nudi sul parquet, chiedendosi perché la porta fosse chiusa: non dormivano mai con la porta chiusa, appurò Sabrina aggrottando le sopracciglia mentre abbassava la maniglia dorata.
La risposta al suo dubbio giunse tuttavia subito dopo, non appena la strega aprì la porta per affacciarsi nel lungo corridoio dalle pareti candide e l’inconfondibile suono delle note di un pianoforte giunse alle sue orecchie: compreso il motivo del letto vuoto un accenno di sorriso balenò sulle labbra carnose di Sabrina, che si lasciò la porta aperta alle spalle prima di seguire la direzione del suono, camminando sul parquet del corridoio fino a ritrovarsi sulla soglia dell’ampio soggiorno. Le finestre erano chiuse ma dalle tende tirate grigio tortora si scorgeva un accenno della timida e fredda luce del sole autunnale e del Mediterraneo, di gran lunga la vista che Sabrina St John prediligeva al mondo. Salem se ne stava acciambellato sulla sua soffice cuccia color crema e di tanto in tanto gettava occhiate leggermente seccate a colui che gli impediva di dormire, mentre Pascal, il cui sonno era del tutto immune a qualsiasi fonte di disturbo, se ne stava comodamente disteso a sonnecchiare vicino al divano beige.
Dopo aver indugiato sui suoi amati animali gli occhi color cioccolato di Sabrina scivolarono infine sul pianoforte a coda nero sistemato in un angolo della stanza, davanti alla prima delle due finestre, e su Joël, che sedeva sull’ottomana dandole le spalle e aveva momentaneamente smesso di suonare per scrivere qualcosa su uno dei tanti spartiti che aveva sparso sul piano. Invece di parlare Sabrina attraversò la stanza per raggiungere il fidanzato, chinandosi per circondargli il collo con le braccia e scoccargli un paio di baci sulla guancia sinistra prima di appoggiare il capo sulla sua spalla:
Bonjour.”
Joël smise di scrivere e volse la testa per guardarla, sorridendole prima di ricambiare il saluto con un mormorio e depositarle un bacio sulla punta del naso mentre le sfiorava delicatamente un braccio con la mano libera.
“Perché sei già in piedi, ti avevo detto di dormire fino a tardi oggi… Ti ho svegliata io?”
“No, è solo l’abitudine, non preoccuparti. Tu perché sei già in piedi? Fa freddo, non preferiresti restare a letto?”
Sabrina fece rapidamente sparire la traccia di senso di colpa che aveva fatto capolino sul bel viso del fidanzato e nei suoi grandi occhi blu scuotendo la testa e scoccandogli un altro bacio sulla guancia, quasi rimpiangendo la sua decisione di alzarsi così presto per averla privata della possibilità di attardarsi sotto al piumone. Gli occhi castani di Sabrina indugiarono sulle braccia di Joël lasciate nude dalla maglietta a maniche corte che il mago indossava, ritrovandosi per l’ennesima volta a chiedersi come facesse a non congelare mentre il musicista le sorrideva sornione scuotendo debolmente la testa:
“Di norma non c’è nulla che agognerei di più, ma non si frena l’ispirazione, quando arriva.”
“Ti porto un caffè?”
“Merci, ma chérie.”
Joël si allungò leggermente verso di lei per colmare la breve distanza che li separava e depositarle un rapido bacio sulle labbra, ricambiando il suo sorriso quando i loro visi si allontanarono e Sabrina si raddrizzò per uscire dalla stanza e andare in cucina.
Quando tornò, pochi minuti dopo, Sabrina depositò con cura la tazza fumante su un sottobicchiere di sughero per proteggere il prezioso ripiano dello strumento e sedette accanto a Joël sull’ottomana, stringendosi nel suo cardigan e appoggiando la testa sulla spalla del fidanzato ancora impegnato a scrivere.
“Non preferiresti tornare a letto? Sono gli unici giorni della settimana in cui puoi riposarti.”
Di nuovo Joël ruotò la testa per guardarla, scostandole una ciocca di corti capelli castani dal viso mentre Sabrina, decisa a non muoversi da lì, chiudeva gli occhi scuotendo debolmente la testa.
“Per me riposarmi è stare con te, non importano le circostanze.”







Grazie a Sesy e a neardja per avermi chiesto di scrivere di loro, accogliere la vostra richiesta è stato un vero piacere.
A domani e buona domenica🧡
Signorina Granger 

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Capitolo 17
*** Taking hikes in the colorful forest ***


Prompt: 21 – Taking hikes in the colorfoul forest
Personaggi: I Cavendish

 
Taking hikes in the colorful forest


17  


 
“Ecco, lo sapevo, ci siamo persi.”
“Non ci siamo persi…”
Dopo essersi fermato nel bel mezzo del sentiero Edward ruotò su se stesso per fronteggiare la moglie –  che lo aveva raggiunto e si stava togliendo con disinvoltura una foglia secca dalla spalla del cappotto – e scoccarle un’occhiata eloquente mentre indicava la vecchissima quercia che si trovava poco distante:
“Allora hai una spiegazione sul perché è la terza volta che vedo quell’albero, Estelle?”
“… In effetti no. Ma non possiamo davvero esserci persi nella tenuta dei tuoi genitori, Ed.”
L’idea che potessero essersi persi nel bosco della tenuta dei Cavendish era così ridicola che Estelle proprio non voleva crederci, e scosse la testa con un lieve movimento del capo mentre Edward, spazientito, si sporgeva leggermente oltre la moglie per potersi rivolgere al maggiore dei suoi figli, che nel frattempo li aveva raggiunti nella piccola radura e si guardava attorno con le mani nelle tasche e la fronte aggrottata: tra i suoi parenti nessuno gli dava mai retta, ma forse Estelle avrebbe creduto alla sua versione se l’avesse confermata una delle menti più brillanti della famiglia.
“Neit, ci siamo persi?”
Sicuramente.”
Il ragazzo annuì dopo essersi fermato a qualche metro di distanza dai genitori, assolutamente certo che si fossero persi già da parecchio mentre Edward si rivolgeva alla moglie indicandolo con un cenno spazientito, come a volerla invitare a dare ascolto al primogenito, se proprio non voleva ascoltare lui:
“Lo vedi!”
“Papà, ma tu non vieni qui da sempre? Come puoi non sapere dove siamo?”
Neit guardò il padre aggrottando le sopracciglia, perplesso, ma da Edward non ottenne che un borbottio cupo e indefinito dal quale riuscì a carpire solo qualcosa a proposito di come alla fine tutti dessero sempre la colpa a lui mentre suo fratello minore li raggiungeva procedendo allegro e con un larghissimo sorriso sulle labbra:
“Non capisco perché avete tutti quelle facce così lugubri, io sono felicissimo di essere qui!”
“Lo dici solo perché stiamo perdendo un giorno di scuola per il compleanno della Nonna.”
Egan si fermò accanto al fratello senza smorzare il suo sorriso, anche quando il maggiore si voltò verso di lui per guardarlo in tralice mentre i genitori discutevano a proposito di quale direzione prendere per cercare di tornare indietro.
“Certo, essere i nipoti del Ministro è fantastico. Ma Clio dov’è?!”
All’improvviso Egan aggrottò le sopracciglia ramate e dopo essersi scambiato una rapida, allarmata occhiata con il fratello entrambi si voltarono verso il bosco, sperando di vedere la sorella e la sua lunga chioma color grano fare capolino da dietro un albero mentre Edward ed Estelle, udite le parole del figlio minore, smettevano improvvisamente di parlare per voltarsi a loro volta:
“Meraviglioso, ora abbiamo perso anche vostra sorella. Arriveremo in ritardo, quasi posso sentire mia madre che mi dà dell’incompetente!”
Edward parlò scuotendo la testa mentre si avvicinava ai figli per cercare tracce di Clio, maledicendo mentalmente il momento in cui aveva dato ascolto a sua madre e aveva accettato di andare a fare una passeggiata prima che il pranzo venisse servito. Naturalmente, anche se l’idea era stata di Gwendoline, lei avrebbe comunque trovato il modo di addossare la colpa a lui.
 
 
“Vorrei proprio sapere dov’è finito quell’incompetente di tuo figlio con i miei nipoti.”
Gwendoline Cavendish sbuffò con piccata amarezza mentre, in piedi al di sotto del portico della villa di campagna di famiglia, scrutava l’orizzonte con l’ausilio di un binocolo cercando traccia di qualcuno dei suoi parenti più stretti. George, ormai stanco di chiederle perché spesso e volentieri Edward diventasse magicamente solo figlio suo, si limitò a posizionarsi alle spalle della moglie per scrutare torvo il limitare del boschetto a sua volta stringendo le braccia al petto, chinandosi leggermente verso di lei a causa dei venti centimetri che li dividevano:
“Li vedi?”
“Certo caro, li ho visti, e sto continuando a guardare con il binocolo perché ho improvvisamente deciso di darmi all’ornitologia. Certo che non li ho visti! Di questo passo mangeremo tardissimo e io stasera devo andare a cena da Theseus per festeggiare il mio compleanno con loro, tutto perché gli uomini di questa famiglia non sono altro che delle zucche vuote che non possono stare insieme nella stessa stanza…”
L’amarezza nella voce della donna si fece ancora più evidente mentre Gwendoline scuoteva la testa con un lieve cenno risentito del capo senza smettere di scrutare il bosco con il vecchio binocolo da caccia del marito, che alzò gli occhi azzurri al cielo mentre una seconda voce femminile giungeva alle loro orecchie da poco distante:
Io vado ripetendolo da anni, che Edward non serve a nulla.”
“Mamma, non dire così, dovreste sforzarvi di andare più d’accordo. Ma perché ti fai aria con il ventaglio, fa freddo!”
Mentre attendeva il ritorno del resto della famiglia Penelope si era accomodata su una delle sedie bianche disseminate attorno al lungo tavolo esterno che erano soliti usare in estate, facendosi pigramente aria con il suo solito ventaglio e la figlia accanto, tanto che Caroline rivolse un’occhiata sinceramente perplessa a lei e all’oggetto.
“Probabilmente tua madre è entrata in un certo periodo della sua vita...”
Caroline ringraziò che a dividere i suoi genitori ci fosse l’intera superficie del tavolo, anche se dovette strappare prontamente il ventaglio dalle mani di Penelope per impedire alla madre di conficcarlo nell’occhio di Robert mentre la donna lo informava seccamente di non avere nemmeno cinquant’anni. Fortunatamente Ezra scelse quel preciso istante per uscire di casa attraverso l’ingresso principale, accorrendo verso di loro con un bicchiere in mano mentre la sorella maggiore ringraziava mentalmente il suo tempismo:
Ecco mamma, tieni, bevi qualcosa.”
Quando si fermò accanto alla madre Ezra porse nervosamente a Penny il calice di vino che era andato a recuperare in cucina poco prima, conscio che fosse l’unico modo per poter tenere i suoi genitori nella stessa stanza per più di un’ora filata mentre Gwendoline e George, poco distanti, ancora discutevano e si contendevano il binocolo.
“Mi servirà proprio, grazie caro. Chissà come è possibile siano figli tuoi.”
Penelope scoccò un’occhiata risentita al marito mentre si portava il calice alle labbra, sorseggiando un po’ di vino mentre Ezra si posizionava alle spalle della sedia che aveva occupato Caroline, stringendo le spalle della sorella con le mani e tenendosi a pronto a dividere i genitori se la madre avesse lanciato qualcosa contro suo padre. Fortunatamente Penny non sembrò interessata a scagliare il bicchiere – sarebbe stato uno spreco buttare il vino –, ma in compenso dopo averne bevuto un sorso guardò il marito allargando le labbra in un sorrisetto e con un pericoloso luccichio negli occhi azzurri.
“Oh, aspetta. Magari non lo sono.”
“Mamma!”
Il viso pallido di Caroline avvampò mentre la ragazza spalancava gli occhi blu, guardando incredula e inorridita la madre riportarsi con nonchalance il bicchiere alle labbra mentre Ezra chinava allarmato lo sguardo sulla sorella maggiore:
“Non dice sul serio, vero?”
“Certo Ezra, sto scherzando, rilassati. Magari non lo foste, in quel caso avrei già levato le tende da un bel pezzo…”
 

 
“Clio, tesoro, dov’eri finita? E perché hai i capelli pieni di fogliame?”
Estelle sospirò mentre colmava con lunghe falcate la distanza che la divideva dalla figlia, iniziando a sfilarle le foglie dai capelli una volta raggiunta mentre Clio sospirava mesta e mormorava di essere caduta nel foliage poco prima, mentre li cercava.
“Come hai fatto a perderci di vista?”
Egan, che insieme a Neit aveva appena finito di subire il lungo rimprovero di Edward per non aver tenuto d’occhio la sorella, guardò Clio sospirare e guardarsi le punte dei piedi aggrottando le folte sopracciglia ramate e facendo di tutto per non pensare a quanta fame stesse iniziando a provare.
“Mi era sembrato di scorgere un piccolo di cervo e volevo vederlo da vicino…”
“Non importa, per fortuna ci hai trovati in fretta. Ora dovremmo capire come tornare indietro dai nonni.”
Neit strinse il braccio attorno alle spalle della sorella gemella, rivolgendole un tiepido sorriso mentre Edward, le braccia strette al petto, fissava assorto il tronco di un albero vicino mentre scenari mortiferi ad opera di sua madre prendevano rapidamente forma nella sua mente:
“Io non sono così sicuro di voler tornare indietro, insomma, mia madre ci ucciderà per aver tardato, forse potremmo restare qui e farci mangiare dagli orsi…”
Orsi?”
Alle parole del padre Clio spalancò preoccupata gli occhi azzurri, fissandolo spaventata mentre Estelle si affrettava a scuotere la testa e ad indirizzarle un sorriso rassicurante mentre le sfiorava una ciocca di capelli color grano sfuggita all’acconciatura:
“Tuo padre fa della pessima ironia tesoro, qui non ci sono orsi. Vero Edward?”
“Ma certo che non ci sono, sono terrorizzati da mia madre.”

“Papà, esageri, la nonna è adorabile.”
“Con te forse, Egan.”
 
 
 
“Prima o poi capirò perché ogni volta in cui ci riuniamo succede qualcosa di bizzarro…”
Un sospiro pregno di placida rassegnazione scivolò fuori dalle labbra di Gwendoline mentre la strega, che sedeva a destra del marito come sempre, fissava assorta l’orologio a pendolo senza smettere di tamburellare le dita sulla tovaglia candida e immacolata. George si lamentava di star morendo di fame da almeno dieci minuti, ma la buona educazione era una delle cose a cui sua moglie più teneva al mondo e Gwendoline non avrebbe mai permesso a nessuno dei presenti di toccare cibo finchè tutti i commensali non avessero preso posto. George sedeva a capotavola proteso in avanti per parlare con Robert mentre Penelope, dall’altro capo del lungo tavolo rettangolare, si interrogava pensosa su quale fine potesse aver conosciuto il reasto della famiglia:
“Che siano stati attaccati da un orso?”
“Qui non ci sono orsi, mamma.”
Caroline, che per ammazzare il tempo stava cercando di trasformare il suo tovagliolo di lino in un cigno, parlò senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro mentre Ezra di fronte a lei si passava esasperato le mani tra i lisci capelli scuri: non credeva che l’avrebbe mai pensato, ma stava sinceramente sentendo la mancanza di Egan.
George si sforzò di non fare alcuna battuta sulla correlazione tra l’assenza degli orsi e la presenza di sua moglie, chiedendosi invece a voce alta se non fosse il caso di andare a cercare il resto della famiglia. Gwendoline scosse il capo in cenno di diniego, asserendo che da quella sala lei non si sarebbe mossa, e Penelope la seguì facendo cenno a se stessa e poi alla figlia:
“Io non vado, ho le scarpe nuove, né tantomeno ci andrà Caroline. Può andare Robert. Magari c’è qualche orso superstite.”
Caroline si era limitata a sospirare mentre osservava sconsolata il suo cigno, preparandosi allo scoccare dell’ennesima lite tra i genitori mentre Ezra gettava un’occhiata altrettanto rassegnata in direzione del padre. Tuttavia, per un fortuito caso del destino, Robert non ebbe tempo di dire nulla, perché la porta a doppia anta venne spalancata e finalmente Edward fece il suo ingresso nell’enorme sala da pranzo con Estelle e figli al seguito.
“Finalmente, stavamo per mandare qualcuno a cercarvi. Dove eravate finiti? Edward, sei sempre il solito!”
“Una magnifica idea quella di mettere gli incantesimi di protezione nel bosco per non potercisi Smaterializzare papà, davvero una magnifica idea.”
Edward prese posto come suo solito alla sinistra di George, che ignorò deliberatamente il suo commento mentre sorseggiava in tutta calma un po’ di vino mentre Egan, che si era accomodato accanto a Gwendoline, cercava invano di ritrarsi mentre la nonna cercava di sistemargli i capelli borbottando qualcosa a proposito del suo vergognoso stato di disordine.
“Mio dio Egan, sei tutto in disordine, ti sei rotolato nelle foglie?”
“Non proprio, ma sono caduto quando Clio è scivolata e mi ha trascinato con sé…”
Clio, che nel frattempo si era seduta tra sua madre e Caroline, arrossì copiosamente e chinò imbarazzata lo sguardo sul piatto vuoto mormorando delle scuse mentre la cugina cercava di sistemarle come poteva i capelli biondi.
“Poco male cara, l’importante è che finalmente ci siamo tutti…”
Gwendoline smise finalmente di rassettare i capelli e la giacca di Egan per tornare a sedere composta al suo posto con la grazia che da sempre la contraddistingueva, sfoggiando un sorriso compiaciuto mentre sollevava leggermente il suo calice di cristallo: finalmente i festeggiamenti in suo onore potevano avere inizio.
“A questo punto posso dirlo. Buon compleanno a me.”
 
 
 
 
 
Questo prompt aveva tutte le carte in tavola per dare vita ad una flash/OS dolce, delicata e romantica, ma non potevo esimermi dal scrivere di una delle famiglie più disagiate di tutte le mie storie e si sa che difficilmente se si parla dei Cavendish si può ottenere un risultato con le caratteristiche sopracitate.  Che dire, buon compleanno Gwen cara🍂🧡
A domani🧡
Signorina Granger
 

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Capitolo 18
*** Carving funny faces in pumpkins ***


Prompt: 18 - Carving faces in pumpkins
Personaggi: Asher Reynolds, Meadow Wellick e Silas St John

Carving funny faces in pumpkins


18

La tradizione di intagliare le zucche è un po’ bizzarra agli occhi di Meadow Wellick, che non può fare a meno di pensare alla quantità di delizioso e preziosissimo cibo che così facendo va sprecato, ma tutto sommato anche divertente. Per lei è la prima volta in assoluto, mentre Silas non si cimenta nell’intaglio da quando non era che un bambino e la scarsa maestria di entrambi viene resa ancor più palese dalla rapidità e dalla bravura di Asher, che li ha accolti e gli ha messo una zucca davanti ciascuno con l’aria di chi non aspetta altro da settimane intere.
“L’occhio destro è più grande del sinistro, fantastico, mi tocca ingrandire l’altro… Asher, ma come cavolo fai a fare così in fretta?!”
Meadow sbuffa spazientita mentre la gamba sinistra le tremola leggermente e Asher, seduto di fronte a lei, smette momentaneamente di concentrarsi sulla sua zucca per rivolgerle il suo sorriso più radioso:
“Anni di pratica. Io adoro intagliare le zucche, se potessi lo farei tutto l’anno!”
“Io mangerei zucche tutto l’anno se potessi, invece. Meadow, il mio è innegabilmente più carino del tuo.”
Silas, seduto accanto ad Asher al tavolo di legno della cucina, ruota la sua zucca per mostrare compiaciuto il suo lavoro all’amica, che per tutta risposta gli rivolge un’occhiata torva e gli mostra la lingua. Mentre i due discutono su chi dei due sia un intagliatore di zucche migliore Asher li guarda sorridendo, immensamente felice e quasi incredulo di averli lì, a casa sua, in Massachusetts, per di più in prossimità di Halloween. La spooky season è di gran lunga il suo periodo dell’anno prediletto e poterlo condividere con loro la rende ancora più speciale.
“Sapete, sono davvero felice di avervi qui. E mia madre e i miei nonni già vi adorano, mia nonna è andata a sfornare interi chli di biscotti alla zucca. Chi realizza la zucca migliore avrà anche quelli ripieni di crema al cioccolato.”
“Ma non vale, è ovvio che sarà la tua! Silas, l’anno prossimo dobbiamo arrivare preparati, ci dobbiamo allenare in vista dei biscotti della nonna di Asher.”
Asher sorride, assicurando loro che saranno i benvenuti anche l'anno successivo, anzi, in qualsiasi momento dell'anno. Un po' invidia Meadow e Silas, loro che vivono molto vicino e possono vedersi spesso, ma per il momento preferisce non pensare a quando dovranno salutarsi di nuovo e tornare a concentrarsi sulla sua zucca per ultimare il suo splendido lavoro. Certo vuole bene ai suoi amici, ma non cederà i deliziosi biscotti ripieni al cioccolato di sua nonna per nulla al mondo.





Grazie a Bea per avermi chiesto di scrivere di questi 3 e dell’intaglio delle zucche, Asher è felicissimo🎃🧡
A domani
Signorina Granger

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Capitolo 19
*** Starting to wear thick, woolen socks ***


Prompt: 10 - Starting to wear thick, woolen socks
Personaggi: Clodagh Garvey e Asriel Morgenstern



Starting to wear thick, woolen socks


19


Clodagh Garvey uscì dall’ascensore quando le porte di metallo dorate si aprirono davanti a lei al Secondo Livello, stringendosi nelle giacca di camoscio sentendosi sollevata di essersi lasciata alle spalle il rigido freddo londinese e sperando di abituarsi in fretta alla ben diversa temperatura ospitata all’interno delle solide mura del Ministero della Magia.
La strega avanzò nell’ampio atrio circolare disseminando sorrisi e saluti cordiali ai colleghi Auror e a quelli degli altri dipartimenti dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia che incrociò lungo la strada, sfilandosi il berretto di lana color ruggine per darsi una rapida ravvivata ai corti capelli ramati che le incorniciavano il viso pallido e adornato da leggere spruzzate di lentiggini chiare mentre si dirigeva a passi svelti verso il Quartier Generale degli Auror. C’era un gran via vai di maghi e streghe nel consueto caos del lunedì mattina, quando tutti erano costretti a riprendere in mano ciò che avevano lasciato in sospeso durante il weekend, ma quando varcò la soglia dell’ampia porta di vetro che si spalancò da sola per farla passare lo sguardo cristallino di Clodagh indugiò su un punto ben preciso: dal suo ufficio, anzi, il loro ufficio, l’ingresso era ben visibile ed era sicura che il suo collega preferito e più brontolone fosse arrivato prima di lei come ogni mattina. Per questo motivo la strega non si stupì affatto quando scorse l’imponente figura di Asriel Morgenstern attraverso la parete di vetro, seduto davanti alla sua scrivania sempre perfettamente ordinata e chino su un rapporto. Asriel si era sfilato la giacca di tweed beige che ora giaceva sullo schienale della sua sedia, sfoggiando il panciotto abbinato allacciato sopra ad una camicia bianca dalle maniche arrotolate fin sotto i gomiti, rendendo visibili gli avambracci muscolosi.
La strega si diresse immediatamente verso l’ufficio, lasciando che la porta si aprisse da sola davanti a lei per entrare e avvicinarsi con un sorrisetto al collega:
“Bongiorno tesoruccio. Oggi mi sembri in vena di compiere eroiche imprese.”
“Non so a che cosa tu ti riferisca, ma sappi che ho permesso ad una vecchietta di passarmi davanti in fila giù alla caffetteria. Non so se questo faccia di me un eroe, ma avendo permesso a qualcuno di frapporsi tra me e il mio caffè ritengo di aver esaurito le buone azioni quotidiane. Hanno sbagliato a scrivere il tuo nome, come al solito.”
Asriel allungò la mano sinistra alla cieca per prendere uno dei due bicchieri di carta che giacevano sulla scrivania, porgendolo alla collega senza smettere di scrivere sul foglio che aveva davanti mentre la strega, preso con delicatezza il bicchiere pieno di tè bollente dalla mano del mago, scuoteva la testa senza smettere di sorridere:
“Non mi riferivo a quello, ma al fatto che quando ti arrotoli le maniche della camicia qui succedono cose strane. Rapporti dimenticati, gente in ritardo e più sbadata del solito, appostamenti davanti alla porta… Non mi sorprenderebbe se qualcuno prima o poi ti seguisse fino a casa.”
Clodagh parve deliziata da quella prospettiva, sogghignando mentre si portava il bicchiere alle labbra – incurante del fatto che avessero sbagliato a scrivere il suo nome, fatto che si verificava fin dai tempi di Hogwarts – e Asriel smetteva di compilare il rapporto sul loro ultimo incarico, concluso la settimana precedente, per alzare finalmente lo sguardo su di lei, fissandola più serio che mai:
“Tu sei l’unica a sapere dove vivo e così deve continuare ad essere, chiaro?”
“Prima o poi qualcuno cercherà di corrompermi per ottenere questa succosa informazione, rassegnati.”
“Ma tu non dovrai cedere.”
“Dipende, la vita è imprevedibile! Insomma, non so se potrei resistere di fronte ad una maxi-confezione regalo di tisane, o ad una deliziosa candela profumata, o a delle piccole e adorabili piante grasse… O peggio, a dei maglioni colorati. Sai che quelli mi toccano nel profondo.”
Clodagh scosse la testa con aria grave mentre stringeva il bicchiere con entrambe le mani pallide e arrossate dal freddo che sempre facevano storcere il naso al collega – da anni Asriel andava rimproverandola a causa della sua ostinazione nel non indossare i guanti, ma Clodagh era irremovibile nel suo astio verso di essi –, che la guardò assottigliando gli occhi chiari prima di sibilare che se avesse osato divulgare il suo indirizzo glie l’avrebbe fatta pagare molto cara.
“Attenta Garvey, so dove tieni i tuoi amati calzini di lana.”
Clodagh ridacchiò, scoccandogli un bacio aereo con la punta delle dita prima di voltarsi per raggiungere la sua scrivania. Asriel la guardò allontanarsi e il suo sguardo scivolò sulla sua figura fino a soffermarsi sui piedi della collega, ritrovandosi ad aggrottare con visibile scetticismo fronte e sopracciglia quando scorse gli stivaletti marroni infilati sopra ad un paio di spessi e alti calzettoni a motivi verdi, rossi, neri e blu notte. Asriel non riusciva a concepire come si potesse produrre e vendere qualcosa del genere, ma col tempo osservando Clodagh si era reso conto che finchè ci sarebbe stata qualche pazza come lei in giro il mondo avrebbe continuato a disporre di calzini, sciarpe, berretti e maglioni di lana di tutti i colori e le fantasie più assurde.
“Ti piacciono? Me li ha fatti mia nonna.”
Clodagh adorava sentire i commenti di Asriel sul suo vestiario e sorrise compiaciuta mentre si indicava i piedi – quella mattina si era infilata quei morbidissimi e caldissimi calzettoni già pregustando la reazione sgomenta di Grumpy –, battendo un paio di volte le punte degli stivaletti tra loro mentre cercava di non ridere di fronte allo sguardo visibilmente critico del collega, che a quelle parole annuì prima di tornare a concentrarsi sul suo rapporto:
“Ah, ecco.”
“Che vuol dire “Ah, ecco”?!”
Asriel non rispose mentre Clodagh sedeva dietro alla sua scrivania sforzandosi di mostrarsi offesa e sfilandosi la giacca di camoscio per sistemarla con cura sullo schienale della propria sedia, accusando con aria sostenuta l’amico di “non capire un bel niente di stile” mentre le segretarie dei loro superiori passavano con finta nonchalance di fronte al loro ufficio per la seconda volta da quando la donna aveva messo piede al Quartier Generale meno di cinque minuti prima.
“Davvero non capisco perché adori metterti quei calzini caldissimi e poi ti rifiuti di indossare i guanti. È un controsenso.”
“Sarà, ma che ci posso fare, preferisco tenere caldi i piedi.”
Clodagh si strinse nelle spalle mentre si rimboccava leggermente le maniche un po’ troppo lunghe del maglione a righe colorate che indossava, pronta ad iniziare una nuova settimana e mettersi al lavoro, ma mentre assaporava un secondo sorso di tè caldo scorse qualcosa di diverso sulla sua scrivania, qualcosa che non era stata lei a lasciare lì due giorni prima.
“Asriel, penso che una delle tue stalker si sia dimenticata qui un flacone di crema per le mani quando è venuta a perlustrare l’ufficio cercando informazioni su di te.”
La strega sollevò accigliata il flacone di Floris Cefiro per leggere l’etichetta del packaging mentre Asriel, di fronte a lei, sospirava alzando esasperato gli occhi al cielo:
“Te l’ho presa io, così forse non ti si staccherà la pelle dalle mani entro l’arrivo della primavera. Non me ne faccio niente, di una partner senza le dita.”
“Davvero?! Grazie! Il nostro Grumpy deve aver avuto un bel weekend per avere un pensiero così gentile.”
Clodagh rivolse un sorriso radioso al collega, indirizzandogli un bacio aereo con la punta delle dita screpolate mentre Asriel chinava la testa borbottando qualcosa di indistinguibile.





Grazie infinite a Em per avermi chiesto di scrivere di questa curiosa coppia di Auror, aka Brontolo e l'Evidenziatore Umano, li amo🧡
A domani🧡
Signorina Granger

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Capitolo 20
*** Lighting fall-scented candles ***


Prompt: 30 – Lighting fall-scented candles
Personaggi: Charlotte Selwyn e William Cavendish

Lighting fall-scented candles


20

Quando la fiamma color smeraldo generata dalla Polvere Volante si fu estinta Charlotte Selwyn tossicchiò, uscendo dal camino scrollandosi la cenere di dosso prima di far scivolare stancamente la sua sacca di cuoio sul pavimento del salotto. La mezzanotte era da poco scoccata e la strega aveva fatto ritorno a casa dopo una trasferta di una settimana in Galles per una missione certa di trovarla silenziosa, buia e deserta, per questo si sentì pervadere da un’ondata di piacevole stupore quando un suono di passi affrettati anticipò l’apparizione dell’alta figura di William nell’ingresso. Il marito, che l’aveva aspettata restando seduto in cucina fino a quel momento, sorrise mentre attraversava il soggiorno per raggiungerla, chinandosi per abbracciarla non appena le fu abbastanza vicino per farlo.
“Will, sono davvero felice che tu mi abbia aspettato sveglio ma sono impolverata, sudata, piena di fuliggine… sono orribile, nemmeno io mi abbraccerei.”
“Non importa, mi sei mancata. Stai bene, vero?”
Will si allontanò leggermente dalla moglie tenendola stretta per le spalle, scrutandola con sguardo attento in cerca di ferite evidenti o tracce di sangue nella fioca luce concessa dal camino alle spalle della strega, le cui fiamme erano tornate normali e avevano ripreso a scaldare e ad illuminare il salotto. Un tiepido e stanco sorriso sollevò gli angoli delle labbra di Charlotte mentre annuiva, assicurandogli di stare bene prima di sospirare e sfiorarsi i capelli castani che le ricadevano disordinatamente sulle spalle.
“Vorrei mettermi a dormire più di ogni altra cosa, ma temo che le mie condizioni richiedano necessariamente un bagno.”
Per tutta risposta Will le assicurò che ci avrebbe pensato lui, spingendola gentilmente verso il divano più vicino per costringerla a sedersi mentre un vassoio con sopra tazza e teiera fumante giungeva fluttuando dalla cucina per planare delicatamente sul tavolino da caffè. Dopo che William fu sparito al piano di sopra per riempire la vasca da bagno Charlotte si gustò un po’ di tè caldo allo zenzero con più di un sospiro di sollievo, benedicendo il ritorno a casa e sentendosi piacevolmente sorpresa dall’inconsueta gentilezza di Will, che forse in qualsiasi altra circostanza non avrebbe esitato a deridere il suo aspetto trasandato, perfettino com’era.
Quando poco dopo il marito si affacciò dalla rampa di scale per dirle che il bagno era pronto Charlotte lasciò la tazza e il tè rimasto sul vassoio e si alzò, dirigendosi un tantino dolorante verso l’ingresso per seguire Will al piano superiore. La vista del bagno privato della loro camera da letto la lasciò, se possibile, ancora più senza parole – William andava ripetendo da quando si erano rivisti ad Hogwarts che presto o tardi sarebbe riuscito a toglierle le parole di bocca, e un sorriso compiaciuto gli allargò le labbra carnose quando vide la moglie fissare la stanza a bocca aperta –, e all’Auror non restò che osservare sconcertata la vasca piena di bolle e le candele disseminate ovunque, alcune addirittura fluttuando.
Will, si può sapere che cosa hai combinato mentre non c’ero? Devi farti perdonare qualcosa?”
Quando Charlotte si voltò sospettosa verso di lui Will rise, circondandole le spalle con le braccia per depositarle un bacio su una guancia prima di giurarle di non aver fatto proprio nulla, di aver semplicemente voluto fare qualcosa di carino per lei. Anche se la strega non era del tutto convinta fu un vero sollievo immergersi poco dopo nell’acqua calda e profumata, sospirando mentre appoggiava la testa sull’asciugamano che Will aveva piegato sul bordo della vasca e respirava il dolce e speziato aroma emanato dalle candele.
“Cannella e vaniglia, zenzero, legno… Hai acceso tutte le mie candele preferite in una volta sola?”
Charlotte accennò un sorriso mentre ruotava leggermente il capo in direzione di Will, che sedette su uno sgabellino accanto alla vasca e annuì mentre si arrotolava le maniche del maglione sugli avambracci:
“Precisamente.”
Charlotte mormorò un ringraziamento mentre chiudeva gli occhi verdi e tornava a rivolgersi verso il soffitto, certa che avrebbe anche potuto restare in quella vasca in eterno mentre Will immergeva una spugna nella schiuma candida e vaporosa per strofinarle delicatamente il braccio e la spalla destra. Si fermò all’altezza della clavicola per sporgersi verso la moglie e depositarle un bacio su una guancia, mormorando che gli fosse mancata e che fosse felice di riaverla a casa.
“So a cosa andavo incontro quanto ti ho chiesto di sposarmi, ma ammetto che è difficile vederti andare via senza sapere di preciso quando tornerai.”
“Non ti devi preoccupare per me. Sono indistruttibile.” Charlotte tornò a guardarlo accennando un sorriso mentre allungava la mano destra umida per prendere quella del marito, che la guardò malinconico mentre le sfiorava una guancia con l’indice. Un tempo si sarebbe quasi vergognato nel realizzare quanto quel viso e quegli occhi verdi gli fossero mancati.
“Vorrei tanto che fosse vero, CeCe.”
“Non importa cosa succeda, non importa quale guerra ci sia da combattere… Per la prima volta ho qualcuno che aspetta il mio ritorno, tornerò sempre a casa da te Will, è questo che mi spinge a farlo. E poi lui ha dato la vita affinché io potessi vivere. Non renderò vano il suo sacrificio sprecando la mia.”
Ogni volta in cui la sentiva accennare a suo fratello William si rammaricava di non aver avuto modo di conoscere quel cognato sul cui conto udiva sempre e solo cose meravigliose, non solo dalla moglie ma anche da parte di chiunque avesse avuto modo di incontrarlo. Sean era stata la persona più importante nella vita di Charlotte per i suoi primi 27 anni di vita e il vuoto che aveva lasciato non avrebbe mai potuto essere colmato da nessun altro, neanche da lui. William serbava ricordi vaghi di quel ragazzo più grande di lui di un anno che percorreva i suoi stessi corridoi e viveva nella sua stessa Sala Comune, e anche se avrebbe voluto avere modo di conoscerlo meglio non poteva che sentirsi infinitamente grato per il suo sacrificio: ormai non riusciva più ad immaginare come sarebbe stato vivere il resto della sua vita senza Charlotte.
“Anche se mi preoccupo non potrei essere più fiero di te. E potrai metterci tutto il tempo del mondo per tornare, io continuerò ad aspettare.”
“A volte non pensi che avresti preferito una vita coniugale più semplice, più normale?” Charlotte lo guardò inclinando leggermente la testa e accarezzandogli il dorso della mano con il pollice, accennando un sorriso quando vide il marito scuotere la testa e strizzarle l’occhio sfoggiando il sorrisetto che per anni e anni, quando le capitava di scorgerlo dentro le mura di Hogwarts, le aveva provocato piccoli accenni di crisi di nervi. William si sporse verso di lei per depositarle un lieve bacio sulle labbra, restando a pochi centimetri di distanza dal suo viso prima di sorridere e sussurrare qualcosa:
“CeCe, tu mi conosci. Le cose semplici non mi sono mai piaciute. Ci voleva qualcosa di assurdamente imprevedibile per stimolare la mia attenzione.”





Con loro ho letteralmente anni di arretrati, perciò grazie Bea per la richiesta🕯️
A domani🧡
Signorina Granger

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Capitolo 21
*** The smell of freshly-baked squash bread ***


Prompt: 29 - The smell of freshly-baked squash bread
Personaggi: Magdalena Dabrowski


The smell of freshly-baked squash bread

 
21


Sua nonna Helena era, agli occhi infantili di Magdalena Dabrowski, senza alcun dubbio la cuoca migliore del mondo. La bambina adorava sedersi su una delle sedie che circondavano il grande e robusto tavolo di legno che occupava buona parte della cucina della casa dei nonni ed osservarla affettare, cuocere, condire ed impastare, talvolta finendo con l’aiutarla fin dove le sue piccole mani inesperte glielo consentivano.
La bambina trascorreva in quel modo intere ore della sua vita, specialmente quando il freddo gelido che s’impossessava della campagna polacca le impediva di uscire a giocare all’aperto, ma guardando sua nonna cucinare e aiutandola non si annoiava mai. Proprio durante un freddo pomeriggio di ottobre Magdalena si era rannicchiata sulla poltrona di solito occupata da suo nonno, davanti al camino acceso con un libro in mano, quando aveva sentito sua nonna rientrare in casa stringendo qualcosa che aveva attirato immediatamente la sua attenzione: un’enorme, bellissima zucca proveniente dal gigantesco orto che si trovava dietro l’edificio e che suo nonno curava con una dedizione che Magdalena non gli aveva mai visto riversare in nient’altro.
Benchè l’idea di non poter uscire a giocare per interi pomeriggi e di poter passare meno tempo con gli animali della fattoria non le piacesse, la bambina riusciva comunque a scorgere un considerevole lato positivo quando le giornate iniziavano ad accorciarsi e il freddo a farsi più pungente: autunno, per lei, significava anche poter finalmente gustare tutto ciò che sua nonna realizzava a base di zucca.
Dopo averla sistemata sul tavolo, Helena aveva iniziato a tagliarla con il coltello più grande che Magdalena avesse mai visto quando la nipote scivolò giù dalla poltrona e si affrettò a raggiungerla, sedendo in silenzio su una sedia davanti a lei prima di sistemare le braccia sul tavolo e poggiare il mento sui palmi delle mani, osservando la nonna all’opera mentre i lunghi capelli castano chiaro le circondavano disordinatamente il viso piccolo e pallido.
“Che cosa prepari Nonna?”
Quando Helena le sorrise dichiarando che avrebbe preparato il pane alla zucca, Magdalena allargò le labbra in un enorme sorriso entusiasta, fremendo sulla sedia per l’improvviso appetito che l’aveva colta: quello era di gran lunga il pane che preferiva al mondo e proprio non capiva perché non si potesse mangiare la zucca 12 mesi all’anno, cosa che ai suoi occhi rappresentava un’enorme ingiustizia.
Mentre guardava con i grandi occhi celesti sua nonna impastare abilmente, Magdalena si disse che un giorno sarebbe diventata brava quanto lei, o che almeno ci avrebbe provato. Un giorno quello stesso pane sarebbe stata lei a prepararlo per sua nonna.
 


Quando aprì lo sportello del forno il dolce profumo della zucca invase con ancor più prepotenza la cucina e il salotto dell’appartamento, destando un lieve sospiro nella giovane strega che lo abitava. Fu con un sorriso sulle labbra che Magdalena tirò fuori dal forno un’enorme pagnotta calda, arancione e deliziosamente profumata, trasferendola subito dopo su un sottopentola di sughero per evitare che la teglia bruciasse il tavolo di legno.
Soddisfatta, la strega si chinò per appoggiare i gomiti sul tavolo, reggendosi il mento con le mani mentre osservava prima la sua ultima creazione e poi la finestra della cucina, scorgendo le grosse gocce di pioggia che ormai da un’ora stavano bagnando Danzica. Chopin, il suo gatto, sembrò sperare che il profumino appartenesse a qualcosa a lui destinato perché iniziò a strusciarsi contro le gambe esili della padrona, che chinò lo sguardo per gettargli una rapida occhiata divertita, chinandosi brevemente per accarezzargli la testa coperta di pelo e informarlo che, sfortunatamente per lui, quel delizioso pane intendesse gustarselo fino all’ultima briciola.
Pioveva, faceva freddo e la cucina profumava di zucca, era una perfetta domenica d’autunno. L’unica cosa che mancava, si disse con malinconia Magdalena, era Nonna Helena che cucinava insieme a lei.  




Magdalena è una mia OC presa in prestito da "A Professors' Story" di franweasley, che ringrazio per aver accolto la mia bambina nella sua storia e anche per avermi chiesto di scrivere di lei e del suo folle amore per le zucche 🎃🍂
A domani🧡
Signorina Granger 

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Capitolo 22
*** Taking family photos ***


Prompt: 7 - Taking family photos 
Personaggi: Carter Cross e Niki
Nota: il contenuto di questa flash si colloca verso la fine di novembre, poco prima del Thanksgiving, ovvero in una fase molto avanzata di OMITB, quando Carter e Niki continueranno a insultarsi e a sfottersi costantemente ma saranno anche ormai diventati molto amici🧡. 


 

Taking family photos


22
 
 
Sul frigo di Carter spicca una sola foto, circondata da magneti dalle forme e colori più svariati (piccoli dischi, minuscole motociclette di diverso tipo e tavole da surf popolano la superficie del costoso elettrodomestico) e da liste della spesa mai completate e dimenticate da tempo. Niki vede quella foto ogni volta in cui si trova nella cucina del suo vicino – ovvero più spesso di quanto non sarebbe disposta ad ammettere – e l’adora: le trasmette un senso di pace e serenità che non riesce a spiegarsi. Mentre la osserva tenendo le mani allacciate dietro la schiena un piccolo sorriso si fa largo sul bel volto della strega, che studia l’immagine del suo vicino mentre sorride, seduto sul bracciolo di una poltrona rossa, e tiene la testa appoggiata contro quella di sua nonna, circondando l’anziana donna con le braccia. Carter adora sua nonna e l’affetto che lega le due persone ritratte è talmente forte e impresso nell’immagine da toccare persino lei, quasi coinvolgendola in un caldo abbraccio. Forse è questo il potere delle foto di famiglia: ricordano a noi stessi le persone che amiamo e al tempo stesso mostrano loro e quell’amore, permettendo di percepirlo, a chiunque altro le guardi.
“C’è qualcosa di profondamente rassicurante in questa foto.”
“Adoro quella foto, Meemaw l’ha persino incorniciata e la tiene in camera sua… Comprensibile, del resto il suo bellissimo nipote prediletto è venuto benissimo.”
Carter si sta infilando la sua affezionatissima giacca di pelle nera mentre un sorriso compiaciuto gli allarga le labbra giusto in tempo perché Niki si volti, lo veda e possa scoccargli un’eloquente occhiata che tradisce però una punta di divertimento.
“Era il Thanksgiving? Indossate vestiti pesanti e tua nonna ha l’aria soddisfatta di chi ha appena sfamato tutta la famiglia e sta ricevendo le lusinghe che il suo duro lavoro ha meritato.”
“Sì, e quello fu un gran Thanksgiving… Lincoln si versò addosso la spuma di mirtilli. Meemaw si infuriò, ma per me fu un momento meraviglioso.”
Lo sguardo di Carter si fa improvvisamente sognante mentre i ricordi lo riportano indietro di due anni e Niki alza gli occhi al cielo prima di tornare ad osservare la foto, faticando a comprendere quell’assurda competitività tra fratelli che lei non ha mai vissuto sulla sua pelle.
“Tua nonna sembra adorabile.”
“Certo che lo è, ma non frapporti mai tra lei e i fornelli, non ne usciresti illesa. Soprattutto per il Thanksgiving, sai, lei è una di quelle nonne che inizia a cucinare una settimana prima.”
Carter Appella il guinzaglio di Sarge per legare il cane e portarlo alla passeggiata che lui e Niki hanno in programma per il pomeriggio – che naturalmente prevede una lunga sosta in libreria e poi da Magnolia Bakery – mentre l’amica, ancora impegnata a studiare la foto, mormora parole che mai il giornalista si sarebbe aspettato di udire:
“Dev’essere una bella festa.”
“Cosa?!”
“Insomma… l’autunno è la stagione in cui la East Coast si mostra nel suo splendore più che in ogni altro periodo dell’anno. Cibo a volontà. Tacchino, torta di zucca, purea di patate… Sembra una bella festa, non mi sorprende che in questo Paese rappresenti una sorta di culto.”
“Tu non hai mai festeggiato il Thanksgiving?!”
Nella famiglia di Carter il Thanksgiving è un culto, una giornata sacra che tutti aspettano con trepidazione e che la sua Meemaw non tollera che nessuno salti: febbre, allucinazioni, arti rotti, nessuna scusa è abbastanza valida per potersi permettere di saltare il loro appuntamento annuale nell’Indiana, tutti seduti attorno ad un tavolo a rimpinzarsi e, nel caso di Carter, a ignorare le domande dei suoi genitori su una possibile fidanzata.
“Oh, no. Tutto quello che so su questa festa l’ho imparato a scuola e dalle serie Tv.”
“E… E quindi come trascorri la festa?”
“Di solito mangiando tutto quello che mi va e facendo una maratona di tutte le puntate del Thanksgiving di Friends. A mio parere sono le più belle della serie.”
Niki accenna un sorriso mentre tiene ancora le mani allacciate dietro la schiena, il busto ruotato per poter guardare Carter che la sta fissando stralunato stringendo mollemente il guinzaglio di Sarge, l’aria di chi non riesce a credere a ciò che sta udendo.
“Quindi tu non hai nessuna foto di famiglia del Thanksgiving.”
“Onestamente, ti sembro il tipo che avrebbe decine e decine di foto di famiglia da incorniciare?”
Quelle dichiarazioni sul Thanksgiving hanno, per Carter, un suono straziante e semplicemente inaccettabile, ragion per cui invece di legare il guinzaglio alla pettorina di Sarge il ragazzo lo abbandona sul bracciolo del divano per poi intimare all’amica di aspettare e dirigersi verso le scale che conducono al soppalco:
“Ma non dovremmo andare?”
Niki lo guarda accigliata salire le scale finchè ben presto Carter non scompare dal suo campo visivo, riuscendo comunque ad udire la sua voce intimarle nuovamente di aspettare seguita dal suono di cassetti che vengono aperti e richiusi con urgenza. Meno di un minuto dopo il padrone di casa scende nuovamente le scale e Niki lo guarda, accigliata, avvicinarlesi porgendole quello che ha tutta l’aria di essere un maglione beige coperto da ricami a forma di foglie arancioni e gialle.
“Mettiti questo, ho le spalle molto più larghe di te ma sei altissima, ti starà. Io mi metto questo.”
Carter accenna un sorriso mentre solleva il secondo maglione che tiene in mano, identico al primo solo che color petrolio mentre Sarge li guarda scodinzolando in attesa di essere portato fuori e Niki osserva prima il maglione e poi l’amico con perplessità crescente: quello è un gran bel maglione e sicuramente molto costoso, ma non capisce perché dovrebbe indossarlo. 
“Perché?!”
“Non passerò con te il Thanksgiving perché, beh, Meemaw arriverebbe con la velocità di una furia ad amputarmi un braccio. Perciò la foto te la farai in anticipo.”
Cinque minuti dopo Niki esce dal bagno di Carter con il maglione un po’ troppo largo addosso e scoppia a ridere quando vede Sarge indossare non più la pettorina, ma un collare color zucca con tanto di papillon.
“Come sei elegante, Sargent Tenderness. Sei veramente, veramente un bel ragazzo.”
Niki si inginocchia sul parquet mentre Sarge trotta verso di lei, fermandolesi davanti per farsi accarezzare dolcemente mentre Carter, indossato a sua volta il maglione, assiste alla scena mettendosi le mani sui fianchi: gli dispiace interrompere il loro idillio d’amore, ma devono sbrigarsi prima che qualche ragazzina finisca tutti i Cupcake alla Red Velvet di Magnolia Bakery.
“Forza, vai a prendere le ragazze.”
“Chi?!”
“Le gatte, idiota! Altrimenti che razza di foto di famiglia è?!”
 
 
È una gran bella foto quella che Niki stringe delicatamente tra le dita. Durante il suo primo giorno all’Arconia, mesi e mesi prima, ha sistemato un’unica foto nella sua immensa e destinata a restare eternamente inutilizzata cucina, una foto che tempo dopo ha finito col togliere dalla circolazione. La cosa più simile ad un ritratto di famiglia che ha avuto in tutta la sua vita relegato al di sotto del cuscino con cui dorme, nascosto alla sua vista e a quella altrui.
Come quello che ritrae Carter e sua nonna anche quel bizzarro scatto finisce appeso ad un frigo, sostenuto dal magnete a forma di hamburger che il suo vicino le ha donato. Niki non ha mai avuto una foto attaccata al proprio frigo e le sembra strano, ma mentre la guarda e finisce col sorridere si dice che in fondo è dolce. Sa un po’ di casa.







Grazie Bea per avermi chiesto di scrivere qualcosa su questi due strani soggetti a proposito della festa più autunnale che ci sia, nonchè quella americana in assoluto🍂. Il Thanksgiving ovviamente arriverà presto all'Arconia per tutti, nel frattempo una versione un po' più affettuosa di Carter e Niki non può guastare. 
A domani🧡
Signorina Granger 

 

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Capitolo 23
*** Drowning in oversized sweaters ***


Prompt: 3 – Drowning in oversized sweathers
Personaggi: Margot Campbell e Håkon Jørgen

 
Drowning in oversized sweaters


23
 
 
È una grigia ed uggiosa domenica di fine ottobre e a Fort William, nelle Highlands scozzesi, piove ininterrottamente da ormai diverse ore. In una delle case della cittadina il dolcissimo profumo dei Danish biscuits ha invaso tutto il pian terreno, ma di questo Håkon Jørgen non può certo lamentarsi dal momento che è stato proprio lui a richiedere espressamente i dolci che ama di più al mondo, i burrosissimi biscotti danesi che ad ogni morso si sciolgono in bocca e sono in grado di riportarlo alla sua infanzia come nient’altro. Probabilmente avrebbe preferito trascorrere la domenica passeggiando a riva del Loch Linnhe, ma tutto sommato nonostante il maltempo che imperversa quasi perennemente da un paio di settimane, con a disposizione un camino acceso, una tazza di caffè e una montagna di biscotti Håkon non può certo lamentarsi.
Per cuocersi i biscotti devono stare in forno per appena venti minuti, ma quel breve lasso di tempo non gli è mai parso tanto lungo: da più di un quarto d’ora Håkon vaga senza meta, incapace di stare seduto sul divano come gli è stato ordinato e facendo invece avanti e indietro tra la cucina e il soggiorno mentre attende con trepidazione di poter addentare uno di quei morbidissimi biscotti.
“Manca ancora molto?”
Nell’arco degli ultimi venti minuti Margot Campbell si è sentita rivolgere quella domanda più frequentemente che in tutto il suo ultimo anno di vita, e quando Håkon si affaccia in cucina e la vede voltarsi verso di lui sa per certo che se non fosse per la presenza di sua figlia si sarebbe già premurata di insultarlo e di intimargli di smetterla di disturbarla. Un sorriso colpevole fa capolino sulle labbra dell’astronomo quando scorge l’occhiata torva che la strega gli rivolge mentre Freya, in piedi davanti allo sportello chiuso del forno, studia con interesse i biscotti che come il padre non vede l’ora di poter gustare insieme ad una tazza di tè fumante – o caffè, nel caso di Håkon –.
“Papino, ti piacciono? Quelli a forma di fiore li ho fatti io.”
Quando Freya si volta verso di lui con un sorriso Håkon si addentra nella piccola cucina per raggiungerla, sorridendole di rimando mentre si ferma davanti al forno a sua volta prima di inginocchiarsi per avere la testa ad un’altezza simile a quella della bambina.
“Sono bellissimi Freya, bravissima. Bravissima come la sua insegnante.”
Håkon stampa un bacio sulla guancia della figlia prima di sollevare la testa per guardare Margot con un sorriso divertito, sorriso che è destinato ad allargarsi quando il danese scorge divertito l’espressione decisamente seccata sul bel viso della strega:
“Le moine non cancelleranno il fatto che stai rompendo tu sai cosa per questi biscotti da stamattina.”
“Beh, è domenica, piove, fa freddo, è autunno inoltrato… Che cosa si può fare, se non accendere il forno e fare i biscotti?”
Tutto sommato Håkon ha anche ragione, si ritrova suo malgrado a constatare Margi mentre rotea i grandi occhi blu e si sistema distrattamente le maniche arrotolate sulle braccia dell’ampio maglione color zucca che indossa mentre Freya torna a studiare attenta i biscotti, temendo che brucino.
“Cerca solo di non sbafarteli tutti, così Freya domani se ne può portare qualcuno a scuola per fare merenda.”
Portarsene un po’ a scuola per fare merenda l’indomani era esattamente ciò che aveva in programma di fare lui, e Håkon si premura di tenerne da parte abbastanza per entrambi prima di focalizzare, accigliato, la propria attenzione sul maglione visibilmente troppo grande per lei che Margot sta indossando. In effetti, ora che ci riflette, quel maglione ha un che di familiare.
“Ma quello non è mio?”
“Sì, te l’ho regalato io.”
“E perché ce l’hai tu?!”
“Beh, tu non lo metti mai visto che sei un bambinone che fa i capricci se non può indossare abiti solo ed esclusivamente del suo colore preferito. Quindi lo metto io.”
Comprargli vestiti non neri che di conseguenza lui non indosserà mai è terribilmente da Margi, si ritrova a considerare Håkon mentre guarda la strega fare spallucce con disinvoltura e stringere al petto le braccia fasciate dalle morbidissime maniche troppo lunghe e large del maglione. Per quanto lo riguarda, non indosserà qualcosa color zucca neanche se dovesse rimanergli solo quello in tutto l’armadio.
“Beh, in fondo quel colore sta molto meglio a te di quanto non starebbe a me.”
Di fronte alle parole e al sorriso indubbiamente ruffiani di Håkon Margot sospira, asserendo che probabilmente lo vedrà indossare qualcosa di non nero solo quando lei inizierà a fare sport mentre il timer del forno inizia a risuonare fastidiosamente per tutta la cucina e la strega s’infila rapida un guanto da forno arancione coperto da piccole zucche.
“Ora spostatevi, così posso aprire il forno e tirarli fuori… E aspettate che si raffreddino, prima di mangiarli!”
Margot spalanca lo sportello del forno quando Håkon si è rialzato in piedi e si è spostato da parte trascinando gentilmente con sé Freya: entrambi guardano Margot tirare fuori la leccarda dal forno con due larghissimi sorrisi sulle labbra, tanto che la strega getta un’occhiata rassegnata a padre e figlia chiedendosi chi dei due sarà costretta a rimproverare per evitargli di rimpinzarsi solo ed esclusivamente di biscotti per il resto della giornata.
 
 





Non c'è momento migliore per sfornare biscotti che le domeniche d'autunno, specie se vivi in Scozia e piove un giorno sì e uno anche, io sono con te Håk Bello🧡🍂 

Grazie Bea, di nuovo, per la richiesta e in generale a tutte le persone che hanno commentato alcune di queste flash negli ultimi giorni. A domani🧡
Signorina Granger


 

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Capitolo 24
*** Feeling the loss of time as the nights get longer and days get shorter ***


Prompt: 26 – Feeling the loss of time as the nights get longer and days get shorter
Personaggi: Jude Verräter e Isabelle Van Acker

 
Feeling the loss of time as the nights get longer and days get shorter


24
 
 
Isabelle siede su una poltroncina davanti ad una delle finestre della camera da letto, in quello che è di gran lunga il suo angolo preferito dell’ampia stanza, quello dove quando ne ha la possibilità si rannicchia sempre a leggere. La poltroncina color sabbia, sprovvista di braccioli, è leggermente ruotata verso l’esterno, permettendo alla strega di osservare i tetti delle case che la circondano mentre stringe tra le mani una tazza bollente di caffelatte, seduta con le gambe leggermente raccolte verso il corpo e avvolta da un largo maglione di lana color ruggine. Fuori piove, grosse gocce di pioggia si abbattono sul vetro della finestra da quasi un’ora, e benchè non siano nemmeno le cinque del pomeriggio la luce sta già iniziando ad essere inghiottita dall’oscurità della sera.
Un libro giace abbandonato da alcuni minuti sul tavolino circolare sistemato accanto alla poltrona, dimenticato da quando Isabelle ha smesso di concentrarsi sulla lettura per limitarsi a sorseggiare il suo caffè scrutando il cielo grigio incupirsi sempre di più fuori dalla finestra: ormai è abituata al clima inglese, del resto vive in Inghilterra da quando ha compiuto undici anni, e trova che ci sia qualcosa di profondamente rilassante nella pioggerella autunnale e nel lieve rumore delle gocce che si scontrano con il vetro delle finestre.
Certo è facile pensarla così quando ci si trova sotto al riparo delle mura domestiche, si dice Isabelle con un accenno di sorriso mentre si porta la tazza alle labbra per prendere un piccolo sorso di caffè, sentendo la bevanda calda scivolarle piacevolmente lungo la gola prima che la voce di Jude le solletichi l’udito:
“Stai pensando a quando eravamo costretti a farci infiniti giri di corsa sotto la pioggia?”
“Non proprio, ma ora che me lo ricordi mi rendo conto di non aver sempre nutrito una particolare simpatia per la pioggia.”
Isabelle sorride mentre si volta verso la soglia della stanza incontrando il viso e gli occhi eterocromi di Jude, che accenna un sorriso divertito di rimando prima di attraversare lentamente la stanza fino a fermarsi accanto alla poltrona color sabbia per far cenno alla fidanzata di alzarsi e farlo sedere. Isabelle obbedisce, lasciandogli il posto prima di sistemarsi sulle sue ginocchia stringendo la tazza ormai semi-vuota, sorridendogli mentre con la mano libera gli sistema i capelli neri.
“Ricordi quando ci prendemmo tutti l’influenza?”
“L’Infermeria non è mai stata così affollata nella storia della Cimmeria, credo. Ma era prevedibile, quando fai correre un branco di poveri adolescenti con il bello e il cattivo tempo.”
“E in inverno, quando si gelava e il sole ancora doveva sorgere… dicevo sempre ad Al e a Steb che un giorno o l’altro avrei finito col non vedere una buca e caderci dentro.”
Jude ridacchia, asserendo che in quel caso probabilmente lui invece di aiutarla sarebbe accorso per non perdersi la scena e ridere alle sue spalle fino al Diploma. E Isabelle, mentre lo colpisce giocosamente sulla spalla con un lieve buffetto, non ha alcun dubbio se credergli o meno.
“Phoebe una volta non inciampò in un ramo che era caduto finendo di faccia nel fango? Una scena memorabile.”
Jude sorride e nei suoi occhi, uno verde e uno nero, riappare quell’immagine che fino a quel momento ha creduto di aver dimenticato, sopita dal tempo e dal corso degli eventi, mentre Isabelle annuisce seria dopo essersi riportata la tazza alle labbra e averla vuotata. La strega si sporge leggermente per posarla sul tavolino, accanto al libro, parlando con tono pacato mentre Jude si appunta mentalmente di scrivere al più presto alla sua car
a amica Phoebe per ricordarle quel momento idilliaco che tempo addietro hanno condiviso.
“Sì, tu dimostrasti di possedere la tua solita dose di tatto rotolandoti a terra dal ridere… Fu un miracolo che Phoebe non ti ricoprì di fango a tua volta.”
“Cara Phoebe. Mi adora.”
“Adorerebbe prenderti a schiaffi, semmai. Ma ammetto che col tempo siete migliorati.”
Un sorriso si fa largo anche sulle labbra di Isabelle mentre la strega guarda divertita il fidanzato senza smettere di accarezzargli i capelli, scoccandogli un bacio su una guancia prima di appoggiare la testa contro la sua, circondargli il collo con le braccia e tornare a guardare fuori dalla finestra appannata dalla pioggia.
“Non è un po’ triste, quando le giornate si accorciano?”
“A me non dispiace. L’unica cosa di cui mi importa è che non diminuisca il numero di ore che posso passare con te.”
Jude si stringe nelle spalle, parlando senza smettere di guardare fuori dalla finestra a sua volta mentre sfiora i lunghi e lisci capelli castani che ricoprono la schiena di Isabelle, che all’udire quelle parole invece si allontana leggermente da lui per potergli scoccare un’occhiata stranita:
“Ti sei mangiato una scodella di miele? O devi dirmi che hai combinato qualcosa?”
“Pensate sempre tutti male quando si parla di me! Tu, Steb e Phoebe, siete così prevenuti. Non posso dirti una cosa carina senza che pensi che io abbia distrutto casa.”
“Chissà perché.”


 
 
 
 
Grazie a Sesy per avermi chiesto di scrivere questa piccola flash, tornare da Jude e Isabelle è sempre magico✨✨
A domani🧡
Signorina Granger

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Capitolo 25
*** Eating a dozen different kinds of pies ***


Prompt: 17 – Eating a dozen different kinds of pies
Personaggi: Piper Naidoo, Jackson Salmon e Nia Van Dyk

 
Eating a dozen different kinds of pies


25

 
“Beh, ammetto che non è stato facile come pensavo… Però ci siamo riusciti. E ne è valsa la pena.”
Nia Van Dyk, comodamente seduta sull’ampio divano lilla del soggiorno di sua cugina, infilzò un pezzo della generosa fetta di pumpkin pie che si era servita poco prima su un piattino per portarselo alle labbra, gustandosi piacevolmente il dolcissimo sapore della zucca e la cremosità del dolce mentre Piper e Jackson, seduti accanto a lei e impegnati nella medesima operazione, si voltavano in sincro per scoccarle due occhiate un po’ perplesse e un po’ profondamente scettiche:
Non è stato facile come pensavi? Abbiamo quasi bruciato casa.”
Jackson faceva il veterinario e in aggiunta a ciò viveva con un paio di genitori impossibili, dunque riteneva di possedere una quantità di pazienza pressoché illimitata messa duramente alla prova giorno dopo giorno, ma quando si era ritrovato a cucinare in compagnia di Piper e Nia era stato costretto a ricredersi: la sua pazienza sembrava avere un limite, dopotutto. Ma poteva almeno ritenersi fortunato di essere sopravvissuto a quell’esperienza e ancor di più considerando che, incredibile a dirsi, ciò che avevano preparato si era persino rivelato essere commestibile.
“Dai Jackie, non essere drammatico, non è andata poi così male… Comunque io preferisco la pumpkin pie.”
“A me piace di più quella alle noci.”
Piper, seduta tra Jackson e il bracciolo del divano con un piattino giallo in mano e Bizet acciambellato sulle ginocchia, addentò un boccone di pecan pie osservando il risultato del loro duro lavoro mentre Jackson, stretto tra le due cugine con una fetta di torta davanti a sua volta, spostava lo sguardo da una strega all’altra chiedendosi se non fossero state colpite da un’improvvisa amnesia che le aveva portate a dimenticare la disastrosa esperienza di cui erano reduci.
“Quindi soltanto io ho ancora impressa l’immagine di Nia che apre la pagina della ricetta sbagliata e sta per mettere della carne dentro la torta?”
“Cose che capitano, non è certo colpa mia se Piper ha comprato un libro riservato esclusivamente alle pies e le ricette hanno tutte nomi simili! Perché dare lo stesso nome a cibi che possono essere sia dolci che salati? Voi americani siete proprio strani, mi manca il Sudafrica.”
Nia agitò pigramente la forchetta per liquidare il discorso prima di raccogliere un altro pezzo di torta, tutto sommato soddisfatta del suo lavoro – sua madre Zahara e sua zia Winnie, la madre di Piper, non ci avrebbero mai creduto nemmeno vedendo le foto che lei e la cugina avevano mandato loro poco prima – mentre Jackson, accanto a lei, infilzava la sua fetta di pecan pie scuotendo debolmente la testa:
“Noi saremo anche strani, ma dopo aver cucinato con voi due mi chiedo come sia possibile che siate ancora vive, dopo aver appurato quanto siete disastrose in cucina.”
“Non a caso ordiniamo sempre su SmartOwl, ormai i gufi sono nostri amici, vero Nia?”
Piper sorrise e ruotò la testa in direzione della cugina mentre con una mano accarezzava Bizet, con l’altra appoggiava il piattino ormai vuoto sul tavolino accanto al divano e Nia sorrideva di rimando, annuendo con entusiasmo e i grandi occhi scuri scintillanti:
“Sìì, sono così carini! Bizet non apprezza, ma pazienza. Jackie, quando possiamo venire a trovarti allo zoo?”
“Ve l’ho detto, dovete avvisarmi con una settimana di anticipo, così mi preparo psicologicamente.”
 
 
 



 
Questi tre sono a dir poco spassosissimi, grazie a Fran per avermi chiesto di scriverne🥧🧡
A domani e come sempre grazie per i commenti🧡
Signorina Granger
 

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Capitolo 26
*** Decorating the front door with autumn wreaths ***


Prompt: 5 – Decorating the front door with autumn wreaths
Personaggi: Iphigenia Ashworth e Andrew Maguire  

 
Decorating the front door with autumn wreaths


26


 
“A sinistra. Più a sinistra. Un po’ meno…”
Iphigenia Ashworth, in piedi sotto al portico tenendo le braccia strette al petto e avvolta dalla sua vestaglia color ruggine, inclinò leggermente la testa di lato mentre teneva i grandi occhi puntati sul marito e soprattutto sulla porta d’ingresso della loro casa, alla quale Andrew stava tentando di appendere un’enorme ghirlanda seguendo le sue scrupolosissime direttive.
“Inclinala un po’ più a destra.”
“Iphe, ti puoi decidere? Siamo qui fuori da dieci minuti per fare qualcosa che ne avrebbe richiesti due!”
Ma Iphigenia la fretta non l’aveva mai conosciuta, anzi, secondo la sua filosofia le cose per essere fatte come si doveva dovevano essere affrontate con la giusta pazienza e con la giusta quantità di tempo, pertanto ignorò la supplica del marito e lo invitò nuovamente ad inclinare la splendida ghirlanda costituita da bacche rosse e foglie secche. Iphigenia non era una ferma sostenitrice della filosofia adottata da quasi tutte le donne di sua conoscenza, ovvero il lasciare che fossero i rispettivi mariti ad occuparsi di qualsiasi mansione manuale, anche la più piccola e insignificante: ci avrebbe pensato lei stessa, ad appenderla sulla facciata esterna della porta, ma disgraziatamente era troppo minuta per poterlo fare e ogni anno si vedeva costretta a richiedere l’aiuto di Andrew, che per sua fortuna compensava ampiamente la sua statura ridotta.
Era sabato mattina, faceva abbastanza freddo e cosa più importante moriva dalla voglia di fare colazione e di potersi successivamente rilassare insieme a lei sul divano leggendo il giornale, pertanto Andrew si costrinse a trarre un profondo sospiro e ad assecondare Iphigenia come suo solito, raddrizzando la ghirlanda secondo le sue direttive prima di voltarsi verso di lei in cerca di un cenno d’approvazione. Mentre gli attenti occhi della donna scrutavano la porta Andrew temette sinceramente che avrebbe trovato qualcos’altro su cui ridire e che non sarebbero rientrati in casa per altri dieci minuti, ma fortunatamente la nuova posizione della ghirlanda sembrò soddisfare Iphigenia, che annuì e gli donò un sorriso grato:
“Perfetta. Grazie Andrew.”
“Di nulla. Qualsiasi cosa per te, basta che ora io possa bere una tazza di caffè bollente.”
Profondamente sollevato, Andrew ricambiò il sorriso della moglie mentre guardava Iphigenia avvicinarglisi nuovamente, circondandole affettuosamente le spalle fasciate dalla vestaglia con un braccio mentre la strega faceva lo stesso stringendogli la vita. I due rientrarono in casa insieme, mentre la strega rassicurava la sua dolce metà di poter bere tutto il caffè che voleva e la ghirlanda dondolava dolcemente all’aprirsi e richiudersi della porta alle loro spalle.  

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Capitolo 27
*** First frost of the season ***


Prompt: 1 – First frost of the season
Personaggi: Penelope, Ezra e Caroline Cavendish

First frost of the season


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Di mettersi il berrettino di lana Ezra Cavendish proprio non ne vuole sapere: gli dà fastidio, gli prude, gli pizzica le orecchie, eppure sua madre insiste affinché lo indossi, dichiarando che faccia troppo freddo per poter uscire poco coperti.
“Ezra, non usciremo finchè non te lo sarai messo.”
Penelope getta un’occhiata severa al figlio minore mentre indica il berretto che tiene sollevato nella mano destra ma il bambino di quattro anni, già vestito di tutto punto, dichiara per l’ennesima volta di non volerlo prima di incrociare le piccole braccia al petto e mettere il broncio, i grandi occhi azzurri puntati con decisione sul pavimento ai suoi piedi.
Suo figlio è il bambino più testardo di tutta Londra, su questo Penelope non ha alcun dubbio, e maledice i geni di suo marito dato che la cocciutaggine di certo non può in alcun modo venire da lei e dal suo ramo della famiglia. La strega si volta per lanciare un’occhiata alla sua primogenita, che è rimasta in disparte durante il litigio tra madre e fratello, in piedi davanti alla porta d’ingresso. Caroline, che il berretto lo ha indossato senza storie e ora la lana le copre quasi completamente i capelli color grano, si sta annodando con cura la sua sciarpa bianca attorno al collo e Penelope sbuffa spazientita prima di indicare la sorella maggiore ad Ezra, intimandogli di prendere esempio da lei:
“Guarda tua sorella come è brava, lei si veste anche da sola!”
Di nuovo Ezra dichiara di non voler mettere il berretto e di come non gli importi che sua sorella sia più brava di lui, costringendo la madre a raggiungerlo spazientita, a prenderlo per un braccio e ad ignorare le sue proteste e i suoi strilli mentre gli infila a forza il berretto sulla testa, coprendogli i lisci capelli scuri.
Naturalmente il piccolo Ezra, tastandosi furioso la testa mentre la lana inizia già a pizzicargli, ha già in mente di togliersi quell’impiccio non appena la madre gli darà le spalle, ma Penelope sembra leggergli spaventosamente nel pensiero, perché riduce gli occhi azzurri a due fessure e gli comunica che se solo si azzarderà a toglierlo lo manderà a letto senza cena. Quando Egan combina un pasticcio Zia Estelle minaccia di chiamare Zio Edward, ma a sua madre quelle minacce non servono, Ezra lo sa bene: lei fa già abbastanza paura da sola, senza dover minacciare di doversi rivolgere a qualcun altro per impartire una punizione.
Ezra è quindi costretto a seguire la madre verso la porta, a capo chino e trascinando volutamente i piedi sul pavimento, sbuffando mesto e riprendendo a camminare normalmente quando Penelope gli intima seccata di non farlo. Mentre la madre apre la porta nera dell’ingresso Ezra si ferma, livido, accanto alla sorella maggiore, che lo osserva brevemente prima di sorridergli e allungargli la manina fasciata da una minuscola manopola bianca:
“La mamma ha detto che se facciamo i bravi ci porta da Hamleys(1).”
“Tanto lei dice che sei brava solo tu.”
Ezra accetta la mano della sorella, ma continua a fissare torvo un punto delle piastrelle bianche che ricoprono il pavimento mentre Caroline, stringendosi nelle spalle, gli consiglia di tenersi il berretto e di comportarsi bene. La loro mamma si arrabbia spesso, ma di solito le passa in fretta.
Quando lui e la sorella raggiungono mano nella mano la madre sui gradini che conducono al marciapiede Ezra si sente rabbrividire un poco e si ritrova, suo malgrado, a concordare con lei sul fatto che faccia improvvisamente molto più freddo rispetto ai giorni precedenti. Giunti sul marciapiede Penny ordina con tono ancora velatamente seccato ai figli di darle la mano, e questa volta Ezra non se lo fa ripetere due volte prima di obbedire e stringerle la sinistra mentre Caroline si è posizionata alla sua destra; stanno camminando da qualche minuto quando Ezra, rimasto in silenzio fino a quel momento, solleva la testa per guardare la madre:
“Mamma, sono bravo?”
“Adesso sì.”
“Mi compri un trenino da Hamleys?”
Penny china lo sguardo sul figlio minore e gli scocca un’occhiata in tralice mentre sente Caroline ridacchiare, scontrandosi con i grandi e limpidi occhi azzurri di Ezra e con il suo sorriso furbetto. Non riesce a non ricambiare divertita il sorriso del figlio mentre sente il nervosismo iniziare a scivolarle via dal corpo, riportando lo sguardo davanti a sé prima di parlare con il tono più sostenuto che le riesce:
“Dipende dal tuo continuare a comportarti bene o meno. Ma prima è vostra madre che deve fare compere.”
Quando sente i figli gemere sommessamente Penelope guarda sbigottita prima uno e poi l’altra, chiedendo ad entrambi che cosa abbiano da lamentarsi prima che Caroline le ricordi, con il candore tipico della sua età, quanto sia lenta quando si tratta di dover fare acquisti.
“Certo che a voi due non aggrada mai nulla. Merito dei geni di vostro padre.”



(1): Storico negozio di giocattoli londinese


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Capitolo 28
*** Making lots and lots of soup ***


Prompt: 20 – Making lots and lots of soup
Personaggi: Naomi Broussard e Bartimeus Thomas
 

 
Making lots and lots of soup


28  

 
Moos conosce Naomi da quando condividevano non solo la Sala Comune ma anche i banchi di scuola, e anni dopo si sono persino ritrovati a vivere nello stesso palazzo, a pochi piani di distanza, quando lei si è trasferita nell’appartamento di sua zia.
Moos conosce Naomi da molti anni e anche se la loro amicizia ci ha messo del tempo per sbocciare può affermare tranquillamente che non esista più alcun lato di quella brillante, caparbia ed indipendente strega con cui non abbia avuto modo di scontrarsi. Naomi è forse la persona più organizzata in cui si sia mai imbattuto e la ammira per questo, anche se a volte la vena perfezionista della sua amica lo porta e chiedersi se non sia un po’ troppo, esattamente quanto l’ammontare di cibo che la strega prepara durante ogni finesettimana: Naomi ha deciso di inaugurare il mese di novembre con un weekend interamente a base di zuppe, e Moos siede di fronte a lei su uno degli sgabelli della cucina della sua amica mentre la guarda assaggiare, autocritica quanto solo lei sa essere, la sua ultima preparazione.
“Come ti sembra?”
Moos spera ardentemente che Naomi si dica soddisfatta, perché lui e Sundance muoiono dalla voglia di uscire a fare una passeggiata, ma quando vede l’amica aggrottare leggermente le sopracciglia sospira, rassegnato: Naomi è una cuoca straordinaria, eppure riesce comunque a non sentirsi mai pienamente soddisfatta.
“Non lo so, di solito mi riesce meglio…”
“Fammi assaggiare, sono sicuro che sei solo esagerata come al solito.”
Naomi non se lo fa ripetere e mentre Moos scivola dallo sgabello per raggiungerla dall’altra parte dell’isola apre il cassetto delle posate per passargli un cucchiaio, guardandolo immergerlo nell’enorme pentola piena di Corn Chowder per portarsi un po’ di zuppa alle labbra. Moos non criticherebbe mai il suo cibo e Naomi sa che il suo amico non può essere un critico sincero al 100%, ma lo guarda comunque in fremente attesa, temendo di poter udire un parere negativo mentre qualche ricciolo castano le è scivolato davanti al viso e si tormenta i lembi del grembiule bianco con le dita.
“La mia è più saporita, ma è buonissima.”
“Certo che la tua è più saporita, non mi vuoi dare la ricetta segreta di tua nonna. Ma prima o poi cederai.”
Le ricette segrete di famiglia costituiscono l’unico, immenso tasto dolente della loro amicizia, e Moos ride mentre Naomi lo colpisce giocosamente su una spalla con uno strofinaccio senza però riuscire a trattenere un sorriso divertito a sua volta.
“Beh, peggio per te, tu la ricetta dell’anatra di mia zia te la sogni, bello.”
“E tu la mia ricetta del pane di mais.”
Moos fa spallucce e sfoggia di rimando un sorriso innocente che è destinato ad allargarsi quando il mago scorge lo sgomento fare capolino sul bel viso dell’amica, che lo guarda sgranando indignata gli occhi verdi prima di colpirlo di nuovo con il suo strofinaccio:
“Non ci provare, hai promesso di condividerla per il mio compleanno! Quanti anni di agonia devi farmi vivere ancora?!”
“Ok, prometto che te la darò, ma ti prego adesso usciamo da qui, ovunque mi volti vedo tracce di zuppa alla zucca o di Corn Chowder… Hai intenzione di vendere zuppa nell’atrio?”
Naomi sembra sul punto di replicare, ma una rapida occhiata attraverso la cucina – di solito immacolata, in quel momento coperta da stoviglie sporche e tracce di zuppa – la costringe a convenire con l’amico e ad arrendersi, annuendo prima di portarsi le mani dietro la schiena per sciogliere il nodo del grembiule:
“No, ma potremmo iniziare a fare seriamente qualcosa del genere per un guadagno extra, dovremmo pensarci tu, io, te e Gabri… Ho idea che qui sia pieno di gente incapace ai fornelli che per le nostre prelibatezze pagherebbe. E io, si sa, ho sempre ragione.”

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Capitolo 29
*** Having a large family dinner involving turkey or ham ***


Prompt: 23 – Having a large family dinner involving turkey or ham
Personaggi: Adela Quested, Aurora Temple, Hector Grayfall, Charlotte Selwyn, William Cavendish, Sean Cavendish, Silvy Grayfall e John Carrington
 
 

 
Having a large family dinner involving turkey or ham


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“Ed ecco il tacchino!”
Aurora Temple, coniugata Carrington, è quasi del tutto certa di non aver mai avuto tanti ospiti a cena in tutta la sua vita, ma mentre fa planare il vassoio d’argento che regge l’enorme tacchino attorno al quale ben due Elfi Domestici si sono affannati per tutto il pomeriggio non potrebbe sentirsi più felice ed orgogliosa: Aurora adora il Thanksgiving, e il poter condividere e far conoscere quella ricorrenza ai suoi amici britannici la riempie di soddisfazione.
“Santo cielo, è enorme!”
Adela, seduta di fronte a Charlotte alla lunga tavola rettangolare elegantemente apparecchiata e cosparsa da candele profumate e piccole zucche decorative, sgrana gli occhi castani alla vista del tacchino che si è posizionato esattamente tra lei e la sua migliore amica sulla tovaglia candida mentre la minore delle sue quattro figlie, seduta alla sua sinistra, studia a sua volta la portata principale e tipica della festa con sguardo critico:
“Per fortuna Mamma, quelli lì sono dei pozzi senza fondo.”
Silvy accenna con un gesto vago in direzione dell’altro lato del tavolo, dove siedono, uno accanto all’altro, suo fratello maggiore Richard e i suoi due migliori amici, John e Sean; quest’ultimo vorrebbe replicare per le rime, ma disgraziatamente ha scelto di sedersi proprio accanto a sua madre, pertanto è costretto a subire in silenzio, limitandosi a scoccare un'occhiata torva alla sua migliore amica che al contrario indirizza a lui e a John un adorabile sorriso angelico.
Mentre Hector si alza dal suo posto proponendosi di tagliarlo per tutti John guarda preoccupato il tacchino, chiedendosi in che condizioni arriverà alla sera precedente: adora il Thanksgiving, ma due pasti del genere di fila forse sono un po’ troppi.
“Mamma, come pensi che faremo ad arrivare a dopodomani con un tacchino stasera a cena e uno domani a pranzo dai nonni?”
John si sporge oltre Sean per gettare un’occhiata dubbiosa in direzione della madre, che è tornata a sedersi a capotavola e sfoggia un sorriso rilassato e profondamente soddisfatto, del resto l’idea di replicare un pasto tipico del Thanksgiving con un giorno di anticipo è stata sua e due settimane prima, quando l’ha condivisa con i figli, non ha voluto stare a sentire le loro remore nemmeno per un istante. Aurora ha stabilito di aver avuto un’idea meravigliosa fin dal primo istante, e difficilmente cambia idea con troppa facilità.
“Potresti considerare l’idea di ingozzarti meno del solito, Johnny caro.”
Aurora sorride gentilmente al primogenito mentre si liscia con aggraziata disinvoltura le pieghe delle maniche a tre quarti del suo elegante vestito blu notte, ignorando l’occhiata torva che il ragazzo le rivolge mentre la figlia, seduta alla sua sinistra, ridacchia divertita mentre attende che tutti abbiano ricevuto la loro razione di tacchino per iniziare a cenare:
“Impossibile Mamma.”
“Taci, Edith.”
“Ma davvero si mangia questa marmellata con il tacchino?”
Mentre Hector sistema porzioni di tacchino sui piatti che si librano da soli verso i vari commensali e Aurora intima piccata al primogenito di non rivolgersi in quel modo alla sorella minore Charlotte sfoggia una smorfia schifata mentre guarda prima l’enorme terrina che contiene la spuma di mirtilli e poi il tacchino, roteando con studiata teatralità gli occhi verdi quando Adela le ricorda pacata di come non si tratti di una marmellata, ma di una mousse.
“Merlino Adela, sei sempre la solita perfettina…”
“Zia CeCe ha ragione Mamma, è più forte di te.”
Quando Silvy fa spallucce e supporta le parole della sua migliore amica – ben presto imitata da India, Queen e Dalia – Adela fa scorrere indignata lo sguardo su tutte e quattro le sue figlie, replicando offesa di non essere affatto una perfettina mentre Sean e John, impegnati a studiarle, si servono di dosi molto massicce di purea di patate:
“Ottimo, speriamo si critichino tra di loro e ci lascino in pace… Passami il pane di mais.”
Sean e John sono così terribilmente ingordi e magri al tempo stesso che le loro due sorelle minori e la loro migliore amica non possono far altro che odiarli e invidiarli in silenzio: Edith, Camille e soprattutto Silvu li guardano tetre riempirsi i piatti prima che quest’ultima, spazientita, allunghi il braccio sopra al tavolo per farsi finalmente passare la zuppiera che contiene la purea di patate:
“Sean, maledetto ingordo, passa il purè anche agli altri prima di finirlo!”
Quando l’amico obbedisce suggerendole con un sorriso angelico di non esagerare per salvaguardare la linea Silvy non esita ad assestargli un calcio sotto al tavolo, sogghignando soddisfatta quando il ragazzo si fa sfuggire una sonora imprecazione per il dolore e Charlotte si volta immediatamente verso di lui per ammonirlo con tono aspro.
“Ma Mamma, è Silvy…”
Sean accenna in direzione dell’amica, che ignora volutamente lo sguardo eloquente della madre mentre John nasconde il viso dietro al suo bicchiere per celare un improvviso attacco di risa, ma Charlotte scuote la testa spazientita e non lo sta a sentire, interrompendolo bruscamente:
“Finiscila di darle sempre la colpa, non avete più dieci anni da un pezzo. E tu che hai da ridere Will? Non assecondarlo!”
 
Dieci minuti dopo tutti hanno miracolosamente i piatti pieni, e Aurora può dare il via alla tradizione di condividere con i commensali ciò per cui ci si sente grati. Quando William, giunto il suo turno, tralascia casualmente di ringraziare per la sua adorata moglie e Charlotte, offesa, minaccia di “lasciarlo per uno più giovane” destando l’ilarità collettiva un sorriso si fa largo sulle labbra sottili della padrona di casa, che siede comodamente contro lo schienale della sedia con le gambe accavallate. Aurora si porta il suo calice di vino alle labbra studiando divertita le persone che le siedono davanti, assolutamente certa che non potrà mai scordare quel finto Thanksgiving tanto facilmente.
“Potremmo anche farla diventare una tradizione, dopotutto.”
“Non saprei, Aurora, forse passiamo già troppo tempo insieme durante tutto il resto dell’anno.”
 
 
 

Questa flash sarebbe dovuta arrivare ieri, ma disgraziatamente il sito era impazzito e proprio non sono riuscita a pubblicare.
In una Raccolta a tema autunno qualche riferimento al Thanksgiving proprio non poteva amancare, ma ho deciso di declinarlo in modo un po’ diverso per includere degli OC british, per fortuna c’è Aurora che amplia gli orizzonti culturali e culinari di questa strampalata combriccola.
A prestissimo con la prossima flash🧡🍂
Signorina Granger

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Capitolo 30
*** Drinking spiced cider ***


Prompt: 8 – Drinking spiced cider                                     
Personaggi: Esteban Powell, Orion Parrish, Kei Nakajima, Gabriel Mendoza, Mathieu Levesque-Simard, Jackson Salmon
 

 
Drinking spiced cider


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Essere il figlio del proprietario di un locale – nel suo caso anche di più – aveva innumerevoli vantaggi, primo tra tutti il poter bere gratis a fiumi e offrire un po’ quello che gli pareva, nessuno lo sapeva meglio di Esteban Powell, che tornò al tavolo dove poco prima aveva lasciato alcuni dei suoi vicini con un largo sorriso ad increspargli le labbra carnose e con un vassoio pieno di bicchieri rumble che lo seguiva galleggiando a mezz’aria.
“Ecco qui… come promesso, sidro speziato per voi. Alcolico, s’intende.”
Esteban si fermò accanto al tavolo circolare situato in una angolo della sala fiocamente illuminata da lanterne e candele galleggianti, guardando i bicchieri pieni di liquido ambrato e ghiaccio disporsi autonomamente davanti ad ognuno dei suoi vicini prima di occupare la sedia rimasta libera tra Orion e Jackson, che strinse il suo bicchiere esalando un leggero sbuffo:
“Spero molto alcolico, dopo due ore passate a sentire alcune delle teorie su un omicidio più idiote mai concepite dall’uomo…”
“Non erano idiote, Jackie!”
Orion fece per portarsi il bicchiere alle labbra, ma la sua mano si bloccò a mezz’aria quando udì le parole di Jackson e istintivamente ruotò la testa verso di lui, guardando il vicino spalancando leggermente gli occhi castani pieni di indignazione mentre Jackson al contrario scuoteva lentamente la testa senza smettere di osservare pensoso il sidro che stava facendo roteare leggermente all’interno del bicchiere:
“Dai Orion, quando siamo arrivati a quella dell’assassino che si trasforma in piccione e vola via dopo il delitto quasi ho rimpianto le serate di gossip di mia madre e delle sue amiche cameriere dell’Arconia…”
“Se dici così forse ti sei perso il momento in cui Carte e Niki si sono messi a discutere a proposito dell’eventualità che la Signora Turner abbia una sorella gemella segreta ancora più cattiva di lei…”
Mathieu, accanto a lui, parlò ad un soffio dal bordo del bicchiere con un basso mormorio cupo e vagamente esasperato prima di assaggiare un sorso di sidro di mele chiedendosi quali altri stronzate avrebbe dovuto udire di lì alla fine della settimana, ma nessuno sembrò sentire le sue parole mentre Orion sbuffava guardando Jackson con viva disapprovazione: l’astronomo avrebbe pagato fiumi di monete d’oro per sedersi e farsi raccontare tutti i sordidi segreti dei suoi vicini, e invece lui osava lamentarsi.
Sei una lagna, io ci parteciperei volentieri, a quella riunioni…”
“Anche io, non sai quanto. Pensi che potresti farci invitare?”
Kei si sporse leggermente oltre l’amico per gettare un’occhiata speranzosa a Jackson, che per la gioia dei due vicini promise con un sospiro di fare qualcosa a riguardo: tutto pur di non farsi perseguitare dalla sete di gossip dei suoi vicini. 
“Io continuo a ripetervelo, è ovviamente stata l’odiatrice del caffè.”
Gabriel si strinse nelle spalle e parlò con il tono pacato e sostenuto di chi è certo di essere nel giusto prima di portarsi il bicchiere alle labbra, per nulla interessato a cosa i vicini potevano avere da ridire nei confronti della sua inattacabile teoria mentre Mathieu, al contrario, lo guardava scuotendo leggermente la testa e aggrottando le sopracciglia color grano:
“Non c’è niente di ovvio, non puoi accusarla solo perché odia il caffè.”
“Sapete che c’è, forse prima o poi verrò fuori che io avevo ragione e voi torto, e allora dovrete riconoscere il mio genio.”
Gabriel fece spallucce con noncuranza, il gomito piantato sul tavolo e il bicchiere in mano, ma quando stava per bere un altro sorso di sidro l’espressione sostenuta sparì dal bel volto del mago, lasciando il posto ad una vaga traccia di sgomento mentre prendeva rapidamente consapevolezza delle parole appena pronunciate: il ragazzo spalancò inorridito i grandi occhi scuri e aggrottò le sopracciglia, sussurrando qualcosa con un filo di voce senza rivolgersi a nessuno in particolare mentre fissava assorto un punto del tavolo.
"Sto iniziando a parlare come Naomi…”
Gabriel aveva appena pronunciato il nome dell’amica quando, prima che alcuno dei presenti potesse parlare, su tutti e sei i loro telefono apparve la medesima notifica. Kei fu il primo a chinare lo sguardo sullo schermo per vedere di cosa si trattasse, sbattendo le palpebre un paio di volte con leggera incredulità prima di deglutire a fatica e condividere con gli altri il messaggio appena letto con tono titubane:
“Ragazzi. Naomi ha scritto sul gruppo che dobbiamo smetterla di cazzeggiare e dirle subito che pizze vogliamo.”
“Non… Non pensate che lei possa sentirci, vero?”
Dopo qualche lunghissimo istante di silenzio Mathieu parlò con una punta di apprensione, il bicchiere mezzo pieno in mano e gli occhi chiari che scivolavano da un vicino all’altro mentre Gabriel, sulla sedia accanto alla sua, si guardava attorno con circospezione, quasi aspettandosi di vedere una chioma riccia e un tacco a spillo spuntare da un angolo della sala. Per qualche breve istante nessuno proferì parola, tutti impegnati a riflettere sulla domanda di Mathieu, finchè Orion non ruppe il silenzio sollevando la testa verso il soffitto e sbraitando qualcosa con tono preoccupato:
Naomi sei bellissima, ti adoriamo!”
Esteban, che aveva malauguratamente scelto quel preciso istante per bere un sorso di sidro, al grido del vicino sobbalzò e quasi si fece andare di traverso la bevanda, tossicchiando brevemente prima di voltarsi verso Orion e guardarlo stralunato mentre Jackson si affrettava a bere a sua volta per non rischiare di ridergli in faccia:
“Orion, che cazzo urli?!”
Magari ci ascolta! Cazzo, ieri ho detto a Kei che a volte fa la capetta, mi ammazzerà!”
Mentre il terrore si faceva rapidamente largo sul viso di Orion Gabriel, sedutogli di fronte, non riuscì e contraddirlo e anzi annuì serio prima di sollevare leggermente il bicchiere verso di lui, facendo mentalmente gli auguri a lui e alla sua incolumità:
“Orion, è stato bello conoscerti. Brindiamo a te. Ma poi ce ne andiamo, prima che Naomi arrivi davvero."
“Sarebbe un problema se Naomi mi ammazzasse, è troppo sveglia e conosce la legge, non trovereste mai le prove della sua colpevolezza.”






 
Se per caso vi state chiedendo perché manchino due signorinelli all’appello, Moos stava probabilmente facendo teorie con una maschera idratante sul viso bevendo Earl Grey con Naomi e Piper, mentre Carter era quasi di certo impegnato in una scazzottata accesa discussione con Niki. Cosa certa è che i presenti dopo il brindisi alla memoria di Orion sono corsi via, altrimenti Naomi si sarebbe palesata con un lazo per acchiapparli uno ad uno minacciando di lasciarli senza pizza🧡
A tal proposito, giuro che non me lo sono dimenticata il prossimo capitolo di OMITB, la prima parte l’ho quasi finita T.T Scusate immensamente per il ritardo, se non altro saranno due capitoli lunghissimi e forse un pochino mi farò perdonare. Intanto grazie a Pulsatilla per avermi chiesto di scrivere di questi bei signorini🥂
A domani con l'ultima OS🧡
Signorina Granger


 

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Capitolo 31
*** Making homemade cider ***


Prompt: 25 – Making homemade cider
Personaggi: Asriel Morgenstern, James Hampton e Clodagh Garvey

 
Making homemade cider


31
 
 
C’è qualcosa di profondamente ridicolo in un gruppo di adulti che si traveste per Halloween, soprattutto se lo si fa al lavoro e soprattutto se quella stessa manica di adulti sono nientemeno che degli Auror che, in teoria, dovrebbero apparire come persone del tutto rispettabili.
Il poco interesse che nella sua vita Asriel Morgenstern ha nutrito nei confronti di quella ricorrenza è scemato molti anni prima, prima ancora di salire per la prima volta sull’Espresso per Hogwarts, ma se in fondo trova carini i bambini che si travestono e bussano alle porte della gente per avere dei dolcetti ciò che proprio non riesce a concepire è di vedere i suoi colleghi aggirarsi per il Quartier Generale conciati nei modi più assurdi, per non dire ridicoli. Nessuno si è sorpreso particolarmente quando è stato visto arrivare vestito da persona normale, e Asriel non si è stupito quando guardandosi intorno ha scorto travestimenti di ogni genere, ma coloro da cui si aspetta il peggio sono la sua partner e James Hampton, che si conciano in modo ridicolo a prescindere ogni giorno dell’anno. Asriel ha raggiunto l’ufficio che condivide con Clodagh trovandolo vuoto e si è seduto dietro alla scrivania dopo averla controllata con circospezione, pronto a martoriare chiunque dovesse azzardarsi a fargli uno scherzo e chiedendosi accigliato dove si sia cacciata la sua collega.
Quando dieci minuti dopo sente la porta di vetro dell’ufficio aprirsi Asriel solleva lo sguardo sperando ardentemente che nessuno sia venuto a chiedergli perché non si sia travestito, ed è un sollievo appurare che si tratti solo di Clodagh, seppur conciata nel modo più assurdo che gli sia capitato di vedere. E conoscendola da molti anni, di mise allucinanti ne ha viste parecchie.
“Buon compleanno Asrieluccio!”
Clodagh indossa un cappello da cowgirl, una camicia bianca con i polsini gialli e dei pantaloni che sembrano essere stati direttamente prelevati dal corpo di una mucca e che, Asriel lo sa, probabilmente affolleranno i suoi peggiori incubi, ma la strega non sembra curarsi affatto della sua espressione sgomenta perché sorride allegra mentre si avvicina alla sua scrivania.
“Parla piano Clo, non voglio che gli altri lo sappiano! Ma come ti sei vestita?!”
“Che domande, sono Jessie di Toy Story!”
Asriel non ha idea di che cosa l’amica stia parlando, ma la guarda comunque con sguardo stralunato e gli occhi azzurri spalancati mentre la collega invece fruga all’interno del suo immancabile zainetto colorato alla ricerca di qualcosa. Mentre la strega estrae dallo zaino una piccola scatola di carta sotto lo sguardo apprensivo del collega – che teme possa iniziare a sparare coriandoli o cose del genere per festeggiarlo – una terza persona si avvicina alla porta aperta dell’ufficio, fermandosi sulla soglia con lo stesso sorriso allegro ed entusiasta sfoggiato da Clodagh poco prima:
“Auguri Asriel!”
“Parla piano, e chiudi la porta! Glielo hai detto tu?”
Il costume da zucca così arancione da essere visibile dallo spazio di James Asriel non vuole neanche commentarlo – né osservarlo troppo a lungo, o rischierebbe di perdere vista –, perciò l’Auror torna a concentrarsi su Clodagh mentre il più giovane si chiude la porta di vetro alle spalle e poi si avvicina a sua volta alla scrivania del collega.
“Ovviamente. Non capisco perché non vuoi che la gente sappia del tuo compleanno, rompipalle che non sei altro. Ecco, ti ho preso un cupcake al cioccolato, magari ti addolcirà un po’.”
Dopo aver estratto dalla scatolina un delizioso cupcake coperto da una nuvola di frosting al cioccolato decorato da minuscoli pipistrelli e fantasmini e averlo appoggiato sulla scrivania davanti al collega Clodagh tira fuori dallo zaino una candelina e la infila con precisione al centro del dolcetto sotto lo sguardo rassegnato di Asriel, che ormai da anni la prega di fare finta che il suo compleanno non esista. Clodagh accende la candelina con la bacchetta mentre James appoggia sulla scrivania di Asriel un thermos arancione – del resto c’è qualcosa che il ragazzo possieda che non sia in tema con qualche ricorrenza o periodo dell’anno? –, informandolo con un sorriso allegro di come lui e l’amica gli abbiano preparato del sidro di mele, una delle sue bevande preferite in assoluto.
“Grazie, non dovevate. Ma non posso bere al lavoro.”
“Tranquillo, lo abbiamo fatto analcolico visto che ti conosciamo e sappiamo che sei un noiosone. Assaggia e poi soffia la candelina.”
Dopo aver fatto apparire un bicchiere di carta e aver svitato il tappo del thermos Clodagh versa un po’ di sidro ghiacciato per il collega, che guarda prima la candelina accesa che aspetta di essere spenta e poi i costumi che i due indossano.
“Posso desiderare che i vostri costumi spariscano?”
Mentre Clodagh gli intima piccata di non insultare il suo meraviglioso costume Asriel prende il bicchiere dalla sua mano osservandone dubbioso il contenuto, sperando che i colleghi non lo facciano finire al San Mungo per avvelenamento prima di assaggiare un sorso di sidro sotto lo sguardo speranzoso di James:
“Buono? Ci siamo impegnati molto.”
L’espressione di James è talmente speranzosa che probabilmente Asriel non avrebbe il coraggio di essere brutalmente onesto nemmeno se il sidro fosse rivoltante, ma per fortuna non ha alcun bisogno di mentire mentre annuisce, sistema i gomiti sui braccioli della sua sedia girevole per stare più comodo e abbozza un placido sorriso:
“Sì, grazie. Prendetene anche voi, se volete.”
“Ti prenderò in parola, ma prima, a proposito di costumi…”
Asriel sta per soffiare sulla candelina del cupcake quando vede Clodagh riprendere a frugare all’interno del suo zaino e di conseguenza si blocca, sentendo il panico montargli dentro quando la collega, sorridendo beffarda, gli mostra un orribile maglione pieno di zucche.
“Non puoi certo essere l’unico non vestito a tema! Proprio tu che sei nato ad Halloween, che vergogna!”
Io quello non lo metto nemmeno sotto tortura.”
“Allora io e JJ potremmo far accidentalmente trapelare la data del tuo compleanno in tutto l’ufficio, che ne pensi? Ti potrebbero persino organizzare una festa a sorpresa.”
La sola idea lo fa rabbrividire, perciò dopo aver scoccato un’occhiataccia a Clodagh che invece lo guarda beffarda Asriel accetta suo malgrado di indossare quell’orrore. Al massimo per un’ora, s’intende, e rifiutando categoricamente la proposta di James di farsi una foto tutti e tre insieme.
“Quella di adorabile Tassorosso è tutta una copertura, in realtà sei perfida, Clodagh Garvey.”
 Mentre Clodagh e James si scambiano un sorriso soddisfatto lo sguardo dell’Auror scivola mesto sulla candelina accesa, chiedendosi perché il suo compleanno debba cadere proprio in quel giorno che tanto detesta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ed eccoci infine alla trentunesima flash e di conseguenza alla fine di questa raccolta. Mi rendo conto che il contenuto di quest’ultima non sia particolarmente “halloweenoso”, ma il 31 ottobre è il compleanno del mio amato Asriel, proprio non potevo esimermi dal dedicargliela e come si può evincere dal testo lui non è particolarmente fan di questa ricorrenza.
Grazie di nuovo a tutte le persone che mi hanno dato gli spunti su cui scrivere, nonché a chi ha commentato una o più di queste 31 flash e OS, è stato un progetto impegnativo ma sono molto felice del risultato e spero che seguirlo vi abbia fatto compagnia durante il corso del mese.
A presto e buon Halloween a chi, al contrario del mio bambino, è fan di questa festa🎃🍂🧡
(Da notare la gioia sul suo volto mentre indossa il maglione a tema)
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Signorina Granger

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