Acerbi

di SABRINA96_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - O Fortuna ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Travaglio d'Inverno ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Esposto ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - Racconto della Buonanotte | Parte 1 - Il Principe dei Venti ***
Capitolo 5: *** Capitolo V - Racconto della Buonanotte | Parte 2 - Il Re Oscuro ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI - Discorsi | Parte 1 - Un patto col Diavolo ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII - Discorsi | Parte 2 - Melancholia ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - O Fortuna ***


Ciao a tutti.
Benvenuti in questi mia primissima Fanfiction. Si tratta di una storia che ho in cantiere da ben cinque anni, circa. Finalmente, eccola qui. Prima di iniziare, premetto che non sono una grande scrittrice, questo racconto è stato scritto durante il tempo libero e per divertimento. Quindi mi scuso anticipatamente per eventuali errori di battitura, punteggiatura, grammaticali, ecc. Comunque ho fatto del mio meglio per dare una buona forma a questa storia.
Tra le varie avvertenze vi dico che principalmente la Fanfiction è legata al film ma ha alcuni, seppur pochi, riferimenti ai libri di William Joyce.
In più, è importante che sappiate che la Fanfiction tratta di temi quali depressione, malattia mentale e tutto ciò che è legato a questa tematica. Per piacere, se siete sensibili a questi argomenti, non andate avanti con la lettura.
 
Questo è tutto!
 
Buona Lettura!

-



Acerbi


 
 

I


 

O Fortuna


 


 
 
Pitch ne aveva abbastanza di quelle pareti soffocanti.
Ne aveva abbastanza di quel posto.
Ma non poteva che aspettare il fatidico giorno, da solo, seduto sul letto cigolante e a meditare a occhi chiusi.
Dopotutto non c’era niente che potesse fare nella tetra prigione ma il solo vagar nella mente gli era concessa.
Niente e nessuno possedeva il potere di privargli l’unico modo di evadere da lì.
 
Sospirò.
 
La sua quiete vacillava facilmente al ricordo dell’ultimo giudizio sputatogli addosso dai suoi accusatori, l’attimo che sancì la fine di ogni cosa.
 
Schiuse le palpebre e sospirò di nuovo.  
 
Era ovvio dopotutto. Non si costruì mai delle stupide aspettative da quando fu pugnalato alle spalle da chi lo aveva sempre servito. E poi sapeva bene che i suoi acerrimi nemici non gliel’avrebbero mai fatta passare liscia. Dopo tutte quelle battaglie sanguinarie, dopo tutte quelle morti.
 
Un dolore lancinante divampò nel suo petto.  
 
Al che la sua bocca, spesso stretta in una sottile linea scura, esibì di nuovo i denti aguzzi arricciando il proprio naso. Era quel solito ma inconscio tic nervoso sviluppato in quegli ultimi mesi passati nell’oscurità.
Non sapeva cosa volessero significare quei ghigni involontari sul suo viso appuntito.
Forse era il simbolo del desiderio di un’atroce vendetta riservata ai suoi rivali, ma più i giorni scorrevano così svogliati, più interpretò quelle curve alte come una sorta di autodifesa al solo ricordo della sua imminente disfatta.  
Era schifoso, per lui, come man mano marcì il bruciore della sua ira ma almeno l’alto monolite del suo saldo ego gli impedì di piangere su sé stesso e su tutte le sfortune. Odiava commiserarsi sebbene l’amara fine a cui andava incontro. Sebbene che, nel profondo, si sentisse tremendamente triste e solo.   
Il fantasma di un giovane ragazzo malizioso girava la sua arma in quella piaga ma ecco che il ricordo delle risa di una bambina aiutavano a placare l’anima funesta.
 
Qualcuno ad un tratto parlò al di là delle sbarre.
 
Il cambio della guardia era il suo unico modo di intuire che giorno e che ora fosse.
Quanto tempo fosse passato da quando fu recluso lì e il momento in cui giurò a sé stesso di non rivolgere la parola a chi si prendeva la libertà di diffamarlo.    
Era comunque interessante come i soldati lo trovassero terrificante, come quei due ufficiali che lo osservavano e commentavano disgustati la sua figura slanciata.
Beh, la sua immagine spaventosa lo era. Lo ritrovavano immobile ogni singolo dì, con le mani intrecciate sulle cosce, capo chino, iridi che brillavano nel buio, avvolto dalle tenebre fuse nelle sue nere vesti.
 
“La superiorità del silenzio disturba l’orgoglio dei nemici.” Si ripeteva il prigioniero ossessivamente quando il capitano dei soldati, amico fidato del Re, veniva a fargli visita.
 
Scendeva giù nelle prigioni solo per irritare la sua suscettibilità.
In fondo era quello che desiderava ogni singolo ed onorevole soldato, un loro sporco gioco sadico per trascorrere lunghi e noiosi secondi a sorvegliare il temibile detenuto.
“Allora! Cominciano a girare voci su di te.” Disse il superiore all’ennesima ispezione derisoria “Pitchiner è già morto. Ora esiste ‘L’Uomo degli Incubi’, ‘Il Re della Paura’; stiamo lì. Beh, direi banale. Però dovresti esserne felice, no? Sembrano titoli che ti trasformeranno in una leggenda del terrore.”
Pitch restò con la schiena retta, nel tediante silenzio, il mento fieramente alzato ma con i pugni ben serrati.
L’ufficiale notò il piccolo dettaglio e parve pensieroso. Socchiuse le palpebre, cercò di leggere le sue forme indefinite dalle ombre.
“Noioso. Davvero noioso. Sai, l’altro è diverso.”
Pitch lottò per non sussultare.
 “Non fa altro che infierire su noi ufficiali. Comunque lo trovo molto più soddisfacente di te, lui sì che sa come farmi divertire.” Rise compiaciuto “Ma è al quanto fastidioso. Ha rischiato ripetute volte di restarci secco sotto le mani dei miei uomini. Ma se lo merita, quel bastardo traditore. Però… però è davvero un peccato. Un ragazzo così bello. La sua pelle ora è del tutto macchiata da orrendi lividi. Ma, ehi! Alla tua piccola famigliola le spetta tutto questo. Anche la tua bambina!”
Il prigioniero balzò in piedi apparendo alla luce. Sbatté alle sbarre allungando attraverso loro un braccio sperando di afferrare l’ufficiale.
Un lamento mostruoso scivolò sulla lingua ma non ci volle molto per tramutarsi nel ghigno perfido.  
Il capitano indietreggiò come un coniglio e un brivido gli corse veloce lungo la schiena. Credette per un momento che, quell’essere terrificante, gli avesse mangiato la faccia, di esser morto nelle macabre note di quell’inquietante ringhio.
Accertatosi che il suo volto fosse ancora integro, il suo sguardo impaurito si posò sulla minacciosa forma rantolante nella penombra.
Lo trovò raccapricciante fino alla fine, così come son state le sue gesta.
 
“Bene! Bene!” rise tra i baffi “Ora so come divertirmi per davvero.”
 
Pitch se ne rese conto troppo tardi di cosa aveva fatto.
Si maledisse per il resto dei suoi giorni.
 
 

-


 
Il suono di una gabbia che si spalanca, segno della sua sorte che si compie.
 
Vigile. Doveva restare vigile. Non poteva mostrare a quella gente priva di buone maniere quanto il suo corpo fosse indebolito.
Un uomo armato piombò nel buio e gli afferrò i polsi ammanettandoli. Lo spintonarono via per trascinarlo fuori dalla sua cella.
Camminò lentamente, ascoltando l’anomala quiete dell’immenso carcere disturbata dalle voci del disprezzo. Percorse le interminabili gallerie, studiò l’ambiente, superò numerose celle prive di anima viva pur di mantenere il suo stoicismo regale.
Ma ad un tratto delle grida ribelli picchiarono l’aria e la dimora delle pene divenne più gelida.
“Muoviti! Cammina!” Urlò un soldato spazientito dietro alle pareti che Pitch avrebbe attraversato in quell’istante.
 
Fermò i suoi passi quando lo vide.
 
 
Il ragazzo si dimenava ferocemente tra le mani di due enormi uomini in divisa. Non poteva dar vinta a loro, forse non aveva nemmeno accettato la sconfitta.
Sapeva che non trovò mai scuse per non lottare per una giusta causa, lo conosceva molto bene, troppo testardo ma in quel momento era così inutile perseverare.
Lo si notava da un miglio quanto fosse fragile. Il suo corpo era pericolosamente magro mentre le sue ossa sembravano quasi bucargli la pelle da quanto parve sottile.
Pitch ipotizzò che un solo colpo lo avrebbe messo a tacere una volta per tutte, ottenendo così un essere inerme e molle, adatto per gettarlo nelle braccia della morte senza che lui se ne fosse nemmeno accorto. Ma quello non era l’obiettivo primo di quegli uomini. Giustiziò molte persone, ed era a conoscenza della bellezza dell’umiliazione del nemico.
 
Pitch stirò un angolo delle labbra.
 
Deglutì cercando di sciogliere il nodo alla gola e girare la chiave nella serratura della sua voce.
 
 
“Jack…”
 
Pitch parlò.
 
Spezzò il suo voto al silenzio lasciando sbigottiti gli uomini armati.
La luce fioca delle torce modellò il viso del giovane mentre i capelli castani e sporchi di polvere scoprirono gli occhi. Si accorse che le parole beffeggianti del capitano, in quel lontano giorno dietro le sbarre, corrisposero alla verità.
Il suo volto, un tempo col suo bel colorito roseo, era pallido, scavato alle guance e, come il suo corpo scheletrico, coperto da macchie paonazze e graffi probabilmente infetti. Jack mise a fuoco l’uomo che lo chiamò.
Non proferì alcuna parola.
Il suo sguardo s’indurì.
 
Pitch rabbrividì.
 
Non poteva dir niente.
Poteva solo starlo a guardare.
 
 

-


 
 

“Non è giusto. Non è per niente giusto!”


 
 
Venne così l’ora.
 
Jack fu congiunto a Pitch una volta scesi gli scalini della carrozza, fatta di solo legno marcio e privo di tettuccio.
Intanto tutt’intorno a loro vi era festa e si udivano canti tipici della sua terra, come quelli che profetizzavano l’arrivo di una nuova era sempreverde.
Tra i vocalizzi distingueva la diffamazione:  
“A morte! A morte Jack, ‘il Sognatore’!” Lo urlavano troppo forte da stordire i sensi di Jack.
Qualcuno se ne approfittò, lo spintonò dietro le spalle gettandolo a terra. Il dolore abbagliante lo costrinse a stare giù, per un attimo non percepì nemmeno un lato del suo corpo e né i suoni. Solo uno stridulo fischio disturbò le sue orecchie.
Aprì lentamente i suoi occhi, lanciando poi un’occhiata a Pitch che gli fece ombra nell’attesa di riaverlo a suo fianco.
Gli porse un gomito e Jack si aiutò a rialzarsi tra i gemiti.
Era così difficile camminare, le gambe logore non potevano tenerlo in piedi ancora per molto.
Era arduo, soprattutto, stare con le palpebre aperte dopo giorni e giorni di reclusione nell’ombrosa prigione. Nemmeno la luce del sole gli diede tregua nel suo ultimo giorno di vita.
 
“Non è affatto giusto …”
 
Avanzò a testa bassa ma tenne conto dei passi oscillanti eppure dignitosi di Pitch che procedeva al suo canto.
“Pitch. Pitch.”
 Non faceva altro che giudicare quel nome mentre la rabbia aguzzò il suo sguardo.
Quell’uomo non deturpò mai al pubblico il suo orgoglio, né la sua immagine. Non disse nemmeno una parola e né mise in discussione la situazione in cui si ritrovarono. Cosa fosse meglio fare per quell’uomo? Oh, beh, Jack lo conosceva abbastanza da saperlo. Canzonò descrivendolo:
“La cosa migliore da fare è stare con le spalle alte e tenere gli occhi aperti davanti ad un unico punto innanzi a sé. Proprio come se stessi andando a sederti sul proprio trono, anche se quello che ti aspetta è ben altro che un rassicurante podio su cui regnare. Non importa quanto bruceranno alla luce le iridi. Quello che è stato, è stato. Dimostra il tuo potere interpretando la recita dell’uomo maledetto, misterioso e silenzioso. L’importante e morire con dignità quando non c’è più niente da fare. La gente si ricorderà di te.”
Si chiese come potesse farlo. Andare più in là dell’euforico popolo senza alcun supplizio e né un grido di ribellione, ad essere così inscalfibile, senza mostrare le sue molteplici sfumature.
L’ha odiata molte volte quella faccia tesa, i muscoli rigidi che appuntivano maggiormente il mento e i già affilati zigomi. Tratteneva una fredda apatia nelle iridi nonostante il loro colore caldo. Non lo sopportava.  
 
“Hai mai pianto?” Una volta gli chiese con le lacrime agli occhi.  
Era notte e dietro alla porta rossa degli appartamenti privati, entrambi erano stesi sul letto di Pitch. Lui lo guardava con fare confuso.
 “Sei sempre stato così emotivo?”.
Al ché Jack scoppiò in una risata col pianto che inumidì la pelle.
“Mi stai facendo quasi paura.” Disse ironico Pitch lasciandosi scappare una lieve risata beffarda mentre, con uno slancio, si mise su un fianco. Poggiò il capo su una mano mentre l’altra cinse la vita del più giovane portandoselo gelosamente a sé.
 
“Porgi i miei saluti a North, Sandy e a Toothiana. E anche al mio caro vecchio amico Manny.” Improvvisamente sentì dire da Pitch con sarcasmo, risvegliandolo dal ricordo.
Si rivolse al capitano dei soldati che li attendeva ai gradini del patibolo. Il superiore, dal canto suo, sorrise deliziato mostrando i suoi incisivi sporgenti. Poi li lasciò passare senza dire una parola.
 
Fu allora che, con scorse fugaci, Jack si accorse di alcuni dettagli fondamentali intorno a lui.
Come l’assenza di quella che chiamava la sua famiglia. Forse non avrebbero avuto il coraggio di veder morire una macchia disonorevole della splendente dinastia. In fine, non era altro che un “traditore”.
Un’etichetta che si porterà per sempre nella propria fossa.
Questa fu la prova in più per capire che non lo conoscevano affatto. Nessuno di loro. Nemmeno l’uomo che gli stava affianco.
 
“Se solo mi avessero ascoltato, se solo non m’avessero zittito. Se solo avessero provato a capire, se solo non m’avessero mandato al patibolo…”
 
Poi vide il suo cappio alla forca e fu in quell’angosciante attimo che realizzò che giunse davvero la sua ora.
Affianco al suo, vi era quello pronto per Pitch.
Furono allineati ognuno al proprio posto.
La ruvida corda cinse i loro colli.
Il boia marciò spensierato dietro i loro corpi indeboliti e, quando l’ufficiale iniziò a urlare al popolo le loro accuse, Jack inorridì.
Abbassò il capo ormai sconfitto.
 
Era la fine.
 
“Tieni alto lo sguardo, Jack. Sii forte.” Disse Pitch.
Alcuna risposta e né una protesta da Jack lo raggiunse. Pitch era abituato ad accesi riscontri spesso contradittori alle sue opinioni. Affrontarsi fu sempre stata una dura prova per entrambi. Perciò, con risolutezza, girò il volto stanco verso Jack e contemplò il terrore che contorse orribilmente il suo viso.
Era una quantità di paura che non vide mai in tutta la sua vita, nemmeno in faccia ai suoi nemici al suo solo passaggio. Ciò gli riportò alla mente i suoi giorni in prigione chiedendosi per mesi come tutto questo sarebbe arrivato al termine.  
 
Fissò così Jack per un po’.
Rimuginò.
 
“Jack.”
Non reagì ma Pitch imparò che egli era sempre in ascolto anche se preferì ignorarlo. Il suo silenzio lo ferì, lo faceva sempre, ma proprio in quel momento doveva insistere.
“Jack, devo parlarti.”
Allora la bocca di Jack si dispiegò in una sorta di risatina nevrotica e disturbante. L’altro sussultò stranito.
“Proprio ora, Pitch? Sai, sei leggermente, ma giusto poco poco, in ritardo.”
“Mi odi?” Domandò Pitch con freddezza.
“Per piacere, Pitch, stai- “
Non dovresti trovarti qui.” Disse Pitch in un solo fiato, forzando uno sguardo distaccato.
Jack finalmente lo guardò confuso.
Restò in attesa in quel poco tempo che fu rimasto, cercò di comprendere quell’uomo nei suoi ultimi minuti, non che potesse cambiare qualcosa.  
“Mi dispiace.”
“No. Non è vero.” Disse Jack, affilato, pungente.
Lo sguardo critico e sgranato del giovane su di lui non accennò a cadere e Pitch tremò alle parole accusatorie che non accolsero le sue. Jack lo vide balbettare ma la sua lingua fu priva di forze per parlare e di cercare una scusa. Ma le scuse non sarebbero servite. Così, preso alla sprovvista, il mento dell’uomo scese ad appoggiarsi al petto, schiuse la bocca e ricercò aria per poter respirare. Ma a un tratto qualcosa illuminò la sua memoria, Jack lo intuì dal suo volto rallegrato. Il gelo in viso evaporò grazie ad un sorriso e ritornò a Jack “Sai cosa mi sta tornando alla mente? I tuoi maledetti libri di favole. O fiabe. Quello che erano.” Gli occhi di Jack rotearono ma continuò “Ti ricordi quanto mi facevano incazzare?” rise. “Tu e mia figlia così fissati a leggerle. Ah... chissà dov’è lei.” Si trattenne in un attimo di silenzio per non vacillare.
“Non sono mai riuscito a credere per davvero alla tua visione delle cose, Jack. Ho sempre mentito.” Lo guardò “Non sono così diverso dalla tua famiglia, in fondo. Le favole non fanno per noi, tutti quei lieti fine… Niente può farmele piacere. Nemmeno in un’altra vita sarà possibile.” Pensò alle sue parole mentre il suo sorriso precipitò in rughe turbate. “Jack. E se fosse davvero così? Vivrò per sempre solo nell’oscurità, perseguitato dalla crudeltà del mondo!”
 
La folla urlò pronta per l’esecuzione.
 
“T-tu…tu non sei-” Jack cercò di dire rotto dal pianto “-tu non sei mai… stato libero…”
 
L’ultima cosa che Pitch vide fu il volto di Jack e le ciglia nere bagnarsi nelle sue lacrime. Con la bocca perseguitata dai singhiozzi.  
 
La botola sotto i loro piedi nudi si spalancò.
 
E il raggelante schiocco di ossa rotte li giustiziò.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Travaglio d'Inverno ***


II


 

Travaglio d’Inverno


 


 
In ogni Inverno gelido, un Re detronizzato sarebbe risalito in superficie dal vortice dell’oblio.
Per giorni avrebbe vagato di soppiatto in solitudine sulla neve e poi, come un morto campante, sarebbe ritornato sottoterra ingabbiato nella sua tomba.
 
Qualcosa glielo diceva di farlo.
 
Quel dì venne di nuovo il 21 Dicembre.
Il suo atteso solstizio d’Inverno giunse anche quell’anno, il segno indiscutibile che gli ricordava che egli era in vita ma ancora seppellito nell’ombra.
L’Uomo Nero così aprì di soprassalto i suoi occhi argentei, svegliandosi da quello strano incubo. Si guardò attorno e vide l’oscurità.
Ormai era parte integrante e succube di quelle tenebre. Non poteva vedere chiaramente come fosse ridotto il suo aspetto. Ebbe il dubbio che forse non possedeva nemmeno più un corpo tutto suo ma, ad un lieve gesto delle dita intorpidite e al calore del suo respiro sulle labbra, fu finalmente sicuro che il suo sé fosse tutt’ora intero seppur debole.
La sensazione lo rassicurò solo per un po’. Ritornò di colpo alla cruda realtà alzando la testa in un altro esasperato sospiro. Le ciglia sbatterono tra loro non capendo dove puntare il proprio sguardo.  
Era come se fosse stato accecato.  
Tuttavia, fu certo che era seduto sul suo trono, nonché la sua scomoda sedia e il suo freddo letto.
Non sapeva quanto tempo avesse passato a dormire su quella pietra. L’unico posto confortante dove l’oscurità, dopo ogni breve risveglio e lunghe camminate insensate, preferì spesso adagiarlo una volta che per loro fosse arrivato un nuovo momento di coricarsi.
 
Assaporò giusto qualche secondo l’effimera tranquillità fin quando, uno dei suoi Turbamenti, si materializzò nell’attimo in cui si rese conto in che condizioni egli viveva.
Non poteva vederlo ma era sempre lì, sentiva il suo fiato sul collo ogni volta che sarebbe arrivato il giorno dell’Inverno.
 
Gli Incubi ottennero anche la sua mente, non aveva tempo di fantasticare per sfuggire alla loro disturbante presenza.
Rabbrividì al sol pensiero.
 
 
Paura.
 
Vuoto incolmabile.
 
Questo lo assaliva.
Qualcosa di differente da quella paura che sbuffava nei sogni dei bambini nelle dolci notti.
Cos’erano quelle paure fuori controllo che appartenevano proprio al loro Re?
Ciò che ebbe dalla sua parte da quando fu intrappolato nella sua stessa tana, fu il tempo per studiare la natura di quelle entità mostruose per cercare almeno un solo significato in loro. Non furono però rare le volte che giunse alla stessa conclusione: era inutile ragionare su suoi timori e all’ovvio eterno abbraccio degli Incubi, inane guardarli in faccia.
 
Issò il proprio sguardo come se potesse vedere ciò che vi era oltre all’oscurità. Ma era sicuro che al di là di quel buio, l’Inverno arrivò anche sulla sua tana, modificandone i paesaggi autunnali attorno alle entrate.
Lo destò dal suo lungo sonno.
 
Ebbene, sarebbe salito su ma aveva timore.
 
Avrebbe sentito il freddo che da sempre ferì la sua pelle grigia.
Salire su per un attimo e vedere la meraviglia del cielo, far sì che la luce gli ritornasse la propria ombra e fronteggiare la vista della Luna.
Ma cosa voleva dimostrare uscendo da quella che chiamava casa?
Egli si sentiva stanco, si sentiva debole. Trovare significati nascosti dietro ai suoi risvegli e ai suoi inutili desideri ed incubi, lo sapeva, lo avrebbero destabilizzato sia se li avessero avuti o no.
  Non poteva darsi una reale risposta ma solo di un fatto era certo. Quando i fiocchi bianchi sarebbero scesi sopra la terra, la brama di vedere la neve e avvertire addosso il detestato gelo, lo costringerebbero ad aprire gli occhi.
 
  Così doveva andare almeno su.
 
   Qualcosa, dentro di lui, glielo comandava.
 
 
 
  Passeggiava nelle tenebre della sua cara amica Notte.
Come al solito la solennità del bosco, in cui poteva udire i suoni dell’aria fitta e il fischiettare del venticello, infastidiva le sue orecchie, ribadendo che, fino a poche ore fa, avevano solo ascoltato l’inquietante fischio del silenzio della sua dimora.
E per quanto sembrasse solo, fu cosciente che gli Incubi erano lontani al suo seguito a perseguitarlo.
 
Era rassegnato, non lo avrebbero mai lasciato in pace.
 
Sebbene odiasse ammetterlo nei pensieri, gli piacque l’idea di illudersi che nulla di spaventoso lo avrebbe costretto a tremare di paura in quel momento.
 
Voleva solo tremare di freddo.
 
Ignorava quindi tutto ciò che poteva ostacolarlo, così come quanto avrebbe camminato e dove i suoi piedi lo avrebbero portato nelle tarde ore di un dì.
Soprattutto questo, non gli importava. Se Pitch ha dormito così a lungo, non c’era un vero motivo per rincasare presto.
“Per mezzanotte ritorna a casa. Capito?” prese in giro il solito ordine di un noioso genitore qualsiasi che obbligava un figlio di rientrare a casa puntuale.
Riconsiderando il luogo in cui viaggiava a passo lento, fu piacevolmente attratto dai colori sgargianti delle cose che vi erano attorno, tra le varie, non ricordava quanto fosse bianca la neve e quanto la sua figura sembrasse una macchia sporca sulle collinette candide.
Sospirò fermandosi a guardare verso il sinistro orizzonte, dove riusciva a scorgere in lontananza le luci artificiali di una piccola cittadina. Gli adulti e i bambini dormivano già nei loro comodi e caldi letti, rassicurati dai bei sogni dorati, senza un tormento ad angosciarli, solo e sempre i benvenuti teneri miraggi.
Distrattamente, afferrò una mela verdastra strappandola dalle foglie dell’albero al suo canto e la morse.
La sua bocca masticò pacatamente, gli aguzzi denti triturarono il suo spuntino gustandosi la polpa. Lo stomaco si contorse all’improvviso insapore disgustoso del frutto ma non gli impedì di dissuadere il suo sguardo ipnotizzato dall’abbagliante centro abitato.
Quella città gli parve familiare.
Sembrava uno di quei paesi magici descritti negli utopici libri delle favole, esasperata dai lampeggianti addobbi natalizi.
 
“C’era una volta l’ombra dell’Uomo Nero che, passeggiando nei pressi di un Paese molto, molto lontano, fu così riluttante dal suo splendore tanto da desiderare di sprofondarla nel buio in eterno, proprio come lo era la sua casa e il suo animo.” Recitò.
 
Qualcosa turbò i suoi sensi guardando quell’incanto fiabesco, non amava di certo osservarlo, anzi, lo odiava. Non capiva da dove potesse arrivare quell’astio che gli fece digrignare i denti.
Come se non bastasse, i fasci pallidi dell’ineffabile Luna attraversarono le nubi per benedire ogni tetto innevato. Gli parse come se avesse percepito il suo oscuro giudizio e corse a proteggere gli umani da ogni suo rancore.
Ringhiò nella collera.
Maledisse la Luna. Maledisse tutto ciò che nacque dalle sue tenebrose voragini primordiali, in lui, che per primo si animò e, dal suo nero del nulla, mosse il suo tartaro per dare vita alla vita. Dove ogni essenza che non era mai esistita prese posto per prosperare. Ed ora. Non era altro che un relitto del suo immenso potere. Un misero giocattolo per quel grandioso potere.
Si costrinse a distogliere l’attenzione mentre una sensazione frustrante pizzicava fastidiosamente il suo umore. Così, si inoltrò di nuovo nel bosco lasciandosi guidare senza meta dalle curve dei viottoli.
Stava per divorare l’altra parte della mela quando un forte ed insolente vento gelido frustò la sua faccia. I brividi gli punzecchiarono la pelle e animò i suoi pensieri.
 
“Vento?”
 
Un Vento curioso ed anomalo si dilettava a scuotere la neve da terra e a tediare la quiete col suo passaggio sbarazzino. La bizzarria delle folate spazzò via la sua noia costruendo man mano in lui un limpido interesse.
Con i pochi poteri che gli furono rimasti, Pitch corse imbevuto nelle ombre nere del bosco inseguendo la strana ventata invernale. Ritornò sulle sue gambe nell’esatto punto in cui il vento si dissolse in una gentile brezza fresca. Il che lo disorientò, fin quando una voce cristallina si perpetuò tra gli alberi.
 
“Un'altra giornata fantastica, Vento! I bambini non hanno fatto altro che divertirsi oggi. Un giorno di ‘Chiuso per neve’ ci voleva proprio!” La voce rise soddisfatta.
Il suo petto vibrò al suono genuino e alla chiamata di un sentimento di rabbia che si accese dentro di lui.
Perseguì il sentiero davanti a sé, verso le ridacchiate, nascosto bene nelle tenebre.
Quel posto non gli era nuovo. Nemmeno le risate.
Pitch, a passo felpato, fu abile a non emettere alcun scricchiolio e, più si avvicinava alla fonte delle risa, più l’ira e i ricordi nella mente riaffiorarono violenti in lui. Per tutto questo tempo offuscato dagli Incubi, che non avevano fatto altro che mostrargli l’oscurità dentro e intorno a sé e tutto ciò che temeva, finalmente si risvegliò e lo riconobbe.
Colui che lo gettò nel baratro delle sue paure. Quel maledetto spiritello malizioso. La colpa di ogni sua rovina. Lui che si era messo in mezzo, lui che non volle seguirlo. Gli avrebbe strappato quelle risate divertite sulle sue labbra una volta per tutte.
“Non sarà tuo questo Inverno! Ma mio! Solo mio!” Minacciò l’Uomo Nero nei pensieri, pronto a riempire spietatamente i propri temuti vuoti. Odiava vederli!
Ma prima che potesse avventarsi sullo spirito, un enorme peso lo schiacciò. Lo inchiodò obbligandolo a stare fermo, come se fosse diventato di pietra o si fosse trasformato in uno di quegli alberi denudati delle loro foglie. Forse le sue nuove radici lo avevano incastrato nelle profondità della terra? Forse era per questo che sentiva i suoi arti formicolare?
Intontito dall’orribile sensazione, guardò di sott’occhio le proprie mani tremanti. Il suo corpo era paralizzato, gli sembrò che gli mancasse l’aria, il petto si strinse causandogli dei dolorosi crampi.
 
Non poté fare almeno di gettare uno sguardo furioso sulla figura svolazzante di Jack.
 
Un essere che parve trovare rifugio e conforto in un fascio di luce notturna mentre sfrecciava con veemenza nell’aria. La tagliò come solo una lama ben affilata può tranciare in due le parti di un corpo.
 
In breve, il ragazzo senza ali, era praticamente il suo opposto: Jack era luminoso come la sua neve. Ora scivolava spedito con piedi nudi sul suo stagno ghiacciato. Festeggiò con serenità i suoi successi giornalieri concedendosi il tempo per pattinare e provare gioia nel sentirsi così leggero.
Non lo preoccupava perdere l’equilibrio. Lo spazio magico lo aiutava a non cadere.
Divertirsi era la prima cosa da fare dopo tanto lavoro di “Chiuso per Neve”.  
Le risa di Jack lo scossero ancora una volta. Incominciò davvero ad irritarlo.
Pitch strinse lo sguardo, la sua mente si offuscò mentre fra le sue caviglie la sabbia nera prese a danzare in un lento girotondo.
 
“Cosa hai, Pitch? Provi invidia.”
 
Pitch sussultò.
La sua mela cadde con un tonfo sordo ai suoi piedi.
 
 “Hai paura, caro Uomo Nero, noi lo sappiamo. Hai paura delle persone. Rifiutano ciò che sei. Non lo vogliono vedere e non vedranno mai di cosa sei fatto.
Sei quella disperazione che gli stessi umani cercano sempre di reprimere. Guai se la mostrano agli altri!”
 
Le ombre sobbalzarono al tempo di risate.
 
“Non è accettabile in questo mondo che stiano male… neanche tu vuoi esserlo. Cosa importano le emozioni negative? Tutti le vogliono esorcizzare e nessuno vuole accettarle. Ma questo sei. Qualcosa da non accettare e dimenticare. Qualcosa da cui starne alla larga. Sei un’insopportabile malattia da estirpare. Reprimi! Reprimi le tue angosce, Pitch. Non è permesso stare male! Mettiamo tutti il dolore sotto al tappeto delle meraviglie.”
 
In lontananza, Jack si bloccò. Era inorridito.
 
“E tu! Si chiedono perché sei così, si domandano perché non riesci a vedere queste fantomatiche meraviglie, se mai hai nutrito un po’ di speranza, vivere i sogni e ricordi, perché esisti. Non sei il benvenuto, Pitch. Avere paura fa paura.”
 
Jack sguainò in fretta la sua arma.
 
Pitch deglutì un groppo alla gola.
 
“Ti ami. Ma ti odi molto di più. Vuoi l’amore degli altri ma non l’avrai mai!  Ah no, no, no. Cosa dico? Tu vuoi il loro terrore. Tu odi gli altri. Gli altri odiano te! Tu sei Chaos. Tu sei Vuoto.
 E lui non è altro che l’insieme delle tue Paure. Quella realtà che tutti sono bravi a guardare. Basta ridere, no? Distrarsi un po' per cancellare il male. Pensare a chi sta peggio di te… un po’ di volontà, su, su! Dai, sorridi, Pitch! Sorridi! Ghigna! Non guarderanno l’altra faccia della medaglia. Sorridi, miseria del mondo! Sorridi! Riempiti degli Umani! Risucchiali! Sorridi a noi, guscio vuoto! Sorridi!”
 
Pitch restò senza fiato con le parole che gli vorticavano nella mente. Scagliò le mani sul proprio viso scoprendolo umido.
“Cosa?” Domandò a sé stesso nel panico.
 
“Farà lo stesso che tu hai fatto a lui. Lui ti odia! Ti ucciderà! Lui ti ha rifiutato! Tu hai tentato di farlo fuori. Non ti ama! Lui ti odia! Ti odia! Ti Odia!”
 
“Tu!”
 
La voce giovane esclamò.
 

-


 
 
Ok, ok. Eccolo, lo aveva visto. Se lo aspettava.
Una stretta di disagio lo portò a buttare il capo verso il cielo, cacciando un respiro fragoroso.
Per quanto poteva lamentarsi però fu sempre consapevole, come d’altronde tutti i Guardiani, che l’Uomo Nero un giorno sarebbe ritornato. Lì per lì lo maledisse, desiderava così tanto godere la pace della Notte dopo una lunga giornata di duro lavoro a prendersi cura dei bambini. Insomma, voleva divertirsi un po’, concedersi una breve pausa.
Ma no, lui è ritornato pronto a mettere altri guai su guai, come se non ci fossero già.
 
All’istante però si schiaffeggiò mentalmente. Si ricordò, purtroppo, che non poteva permettersi di riposare.
“Non ci pensare neanche. Egoista. Sei sempre il solito, Jack. Sei un Guardiano! Ricordatelo.” Si rimproverò massaggiandosi la fronte frustrato.
No, non poteva, non dopo che gli spiriti hanno appreso delle numerose tragedie che stavano avvenendo nel mondo. Stavano passando un periodo davvero duro e triste da affrontare. Jack non arrivò nemmeno a vincere veramente l’amarezza per divertirsi, divertire e a rassicurare i suoi amici piccoletti. A volte gli sembrò di mentire ai bambini, e tale impressione non lo faceva certo stare tranquillo.
 
“Jamie…” Sussurrò osservando tristemente la neve.
 
Oscillò le proprie braccia corrucciando le sopracciglia.
 
Quella sera non poteva dire da dove Jack avesse trovato uno spiraglio di spensieratezza.
La presenza dell’anima nera, però, lo colpì duramente tanto da schiantarlo contro al muro delle verità.
Certo, voleva un po’ di pace per riordinare i pensieri, ma non poteva ignorare le numerose disgrazie.
 
Ma c’era dell’altro.
 
Tutti e cinque i Guardiani già da un po’ tenevano d’occhio lo spirito oscuro. Jack fu il primo ad avvistare in giro la sua ombra circondata dalla sabbia nera. La cosa che saltò immediatamente all’occhio a tutti loro era che, quello schizzo di oscurità, si manifestava in una nube viandante, soprattutto nei periodi invernali. Appariva e spariva in un attimo senza neanche lasciare tracce. Altre volte, i Guardiani videro l’uomo camminare in giro nel vuoto o restava seduto da qualche parte, immobile e con sguardo vitreo. Era come se non fosse mai cosciente davvero.
Jack però mantenne un segreto ai suoi compagni. Ebbe un solo desiderio.
Andare a parlare con lui. Da solo.
Perciò si avvicinò diverse volte agli inquietanti ingressi che portavano alla tana di Pitch ma ad ogni occasione non prese mai la fermezza di una convinta decisione per giungere all’uomo. Di saltare ed essere inghiottito dal buio. Si fermava a fissare per minuti interi i varchi rannicchiato sulle sue ginocchia a pensare sul da farsi. Forse era diffidenza, collera, che lo frenava. Forse il non sapere cosa dovesse aspettarsi lo pietrificava. I sentimenti erano contrastanti e complessi. Voleva così tanto gettarsi nei cunicoli e affrontare la questione ma l’ignoto lo destabilizzava.
Ma un nuovo solstizio d’Inverno arrivò e, Pitch Black, arrivò per primo allo stagno.
Si grattò furiosamente i capelli cercando di scacciare pensieri confusionari dalla testa.
Poi issò l’attenzione e lo guardò di nuovo sbuffando.
Pitch non si mosse da lì, né si prese la briga di corromperlo col suo solito sarcasmo offuscargli i propri propositi.
Il che era strano, ma sorvolò per il momento il piccolo dettaglio.  
Fece ruotare la propria arma a mezz’aria afferrandola nell’altra mano. Puntò il suo bastone contro il malvagio. Decise di stare sulla difensiva, trattenendo uno sguardo determinato a combattere se fosse stato il caso.
Notò che Pitch seguì apaticamente la punta del bastone, così strinse di più le mani sulla sua arma e sollevò i gomiti. Questa volta lo spirito d’Inverno non era impreparato. Lo fissò prudentemente, cercando di prevedere ogni sua mossa. Esaminò prima il suo avversario, ogni singolo movimento e possibile ghigno perfido. Chinò le proprie ginocchia e spinse in avanti il labbro inferiore attendendo un segno.
Ma fu del tutto vano.
 
Passarono secondi taciturni.
 
Bene, qualcosa non andava.
C’era qualcosa di veramente sbagliato nel suo volto stirato, privo di emozioni. Espirava ed inspirava rumorosamente mentre le sue braccia caddero diritte lungo i suoi fianchi.
L’ansia in Jack aumentò quando si accorse che le pupille di Pitch si fecero sempre più piccole e le palpebre sempre più spalancate. Trattenne il suo bastone, stringendo gli avambracci al petto.
Prese un respiro profondo poi lo lasciò andare piano tra le labbra.
Fece un passo in avanti rilasciando una forte carica emotiva che disegnò sul ghiaccio la perfetta geometria di un fiocco di neve. Il suono secco sotto ai suoi piedi però lo preoccupò e attese un movimento che avesse risvegliato Pitch. Ma nulla.
“Oook…” Sussurrò Jack a sé stesso serrando la bocca “Pitch…” Lo chiamò. Non ebbe risposta ma le spalle dell’uomo fecero solo un lieve sobbalzo.
Jack non fu soddisfatto.
Fece altri passi lenti mentre un particolare apparve chiaro sul viso di Pitch.
Questa volta Jack trattenne l’aria, dallo stupore abbassò la guardia e non prestò attenzione alle iridi di Pitch che osservarono l’arma cadere poco a poco verso il basso. Con un cipiglio, alzò di scatto lo sguardo sulla faccia confusa del giovane e, nello sgomento, affrontò il volto pallido e sconvolto di Jack.
Presto l’ira riscaldò il suo corpo.
 
“Non guardarmi in quel modo!” Esclamò improvvisamente.
 
Jack lanciò un grido nell’attimo in cui Pitch agitò in avanti le braccia e la sabbia nera rispose immediatamente al suo comando. Il tempo sospeso si spezzò con un suono simile allo schiocco di una frusta, che scelse di colpire Jack in pieno petto. Volle scagliarlo via e il più lontano possibile. Jack però fu rapido a proteggersi con uno scudo di ghiaccio, riuscendo ad evitare il colpo. L’attacco ebbe comunque la forza di lanciarlo all’indietro, portando in frantumi la sua difesa e batté a terra. Perse dalle proprie mani l’arma mentre l’urto del suo corpo creò delle crepe sul ghiaccio. Ci fu un altro attacco improvviso di sabbia che Jack, in una scorsa, capì che non fu ordinato dal Re degli Incubi. Pitch si trovava nuovamente in uno stato catatonico. Così Jack scattò in piedi rischiando di inciampare e non proteggersi in tempo.
Fortunatamente, riuscì ad afferrare il proprio bastone, prese la rincorsa, e volò verso l’Incubo sguainando l’arma.  Distrusse il braccio di sabbia ancora una volta con un solo fascio di brina luminosa. Ma subito dopo, un colpo più debole lo prese in volto scagliandolo ancora giù.
 
Jack non demorse e si rimise immediatamente in guardia attendendo che la sabbia si fosse mossa da sola per colpirlo.
Ma Pitch si sciolse nelle ombre, trascinato dagli Incubi dietro di lui.
Andò via.
Chissà dove.
 
 

-


 
 
“Credetemi! Dico la verità!”
 
Giunsero i Guardiani alla dimora di Jack poco dopo l’accaduto.
Bunny non poteva credere alle affermazioni del ragazzo. Delle grasse risate sorpassarono i suoi denti. L’idea che si costruì nella sua mente grazie alle parole di Jack, si dimostrava troppo esilarante per lui per poterlo accettare.
“Pitch è un essere malvagio, Jack. Non ha lacrime da versare, né tanto meno prova emozioni.”
“Sono abbastanza sicuro che questo non possiamo dirlo con certezza. Nessuno di noi qui conosce davvero Pitch Black. Eppure, voi quattro avete combattuto contro di lui per secoli.” Ribadì Jack sbattendo il suo bastone verso terra, sottolineando la sua impazienza di esser sempre contraddetto e non creduto. Soprattutto da Bunny.
“Pitch non è stato mai incline al dialogo. È inutile! Smettila di provare a cercare un punto d’incontro o di difenderlo.” esclamò nervoso Bunny e chinandosi su Jack.
“Non difendo proprio nessuno, Bunny. Sto solo riportando tutto quello che ho visto prima che voi arrivaste.” Jack lo spintonò via punzecchiando l’arco della propria arma sul petto del coniglio. I due si lanciarono delle occhiatacce ostili segno di un imminente litigio.
“Dobbiamo comunque indagare.” North interruppe immediatamente l’aria tesa “Se Pitch è ritornato su dall’oceano degl’incubi, non ci attende niente di buono. Hai detto che ti ha attaccato?” North strofinava la sua lunga barba bianca per rimuginare sul racconto del ragazzo.
Jack scosse la testa negando “All’inizio Pitch ha comandato i suoi poteri ma, subito dopo, la sabbia nera ha fatto tutto di sua volontà. Ad un tratto era come se fosse stato di nuovo assente. È evidente che gli Incubi hanno preso sopravvento. E… c’è qualcosa che non va in lui.” Ribadì poggiando il bastone su una spalla.
I quattro Guardiani si scrutarono tra di loro pensierosi.
“Comunque, North ha ragione.” Thoot volò accanto a Jack “Se ha ottenuto i suoi poteri o meno, la nostra responsabilità è quello di analizzare ogni singola possibilità. Dobbiamo assolutamente trovare Pitch Black. Se non capiamo l’origine del problema non potremmo capire quanto siano diventati forti gli Incubi. Anche senza il dominio di Pitch, sono altrettanto pericolosi. Sono liberi di andare e fare quello che vogliono. E non vogliamo che la storia si ripeta…” Sandy annuì ascoltando la compagna. Jack si accigliò.
“Di quale storia parli?”
“Te la racconteremo quando sarà il momento giusto.” rispose “Sai bene cosa sta succedendo ora ai bambini, agli umani. Non dimenticarti cosa è accaduto a Jamie, Jack.”
“Come potrei dimenticarlo?” mormorò Jack addolorato. Thoot gli mise una mano sulla spalla confortandolo. “È chiaro che Pitch c’entri qualcosa in tutta questa faccenda. Dobbiamo occuparci di questo. Stai tranquillo, Jack. Capiremo cosa sta succedendo.”
Le labbra di Jack si strinsero abbassando lo sguardo.
Scosse la testa comprensivo osservando Thoot sfarfallante al suo canto.
 
Ogni Guardiano partì verso la propria direzione una volta discusso sui piani da attuare.
Ma prima che Jack si fosse lasciato andare dal Vento, una mela morsa sulla neve, da un verde incredibilmente luminoso, attirò la sua attenzione.
Si guardò intorno prima di prenderla, fissò incuriosito il grande morso nel frutto.
Mangiò con non curanza l’altra metà.
 
Il sapore seccamente acerbo aprì i suoi pensieri.
 
Prese una decisione.
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Esposto ***


III


 

Esposto


 


 
 
Fu Sandy a trovare uno dei passaggi che lo avrebbe portato nelle profondità nere di Pitch. Si trovava nei pressi di una spiaggia di sassolini di un lago ghiacciato accarezzato dal Vento.
 
Sandy diede un piccolo sorriso quando il Vento fischiò al suo orecchio.
 
Seguì il suo andamento che lo portò ad alzare piano lo sguardo, lo perse per un momento nel cielo limpido e poi lo lasciò alla Luna che lo illuminò con i suoi raggi.
Il lieve sorriso si tramutò in un volto pensieroso mentre osservava ancora per un po' le stelle. Davanti a lui vi era il pertugio che lo avrebbe immerso nel girone delle oscurità, assomigliava ad una profonda gola affamata, e non sapeva affatto cosa gli aspettasse.
Quello forse sarebbe stato il suo vero ultimo sguardo che dava alle bellezze dell’Universo.
 
“Sei pronto, Sandy?”
Sandy si girò verso North al suo fianco.
Viaggiò in sua compagnia sulla slitta, non si sarebbe mai fatto scappare questa occasione ogni volta che si fosse presentata.
Pensando alla slitta però, Sandy gettò un’occhiata alle renne dietro le loro spalle, poi guardò di nuovo North.
“Non preoccuparti. Se non torneremo, sapranno cosa fare.” Disse North con calma.
Al ché, l’ometto dei Sogni annuì lievemente scivolando così nella cavità. Fu seguito subito dopo da North non prima però di aver dato un altro sguardo intorno a sé.
 
Nella loro infinita discesa nelle tenebre, inghiottiti dalla gola, i due avvertirono l’inquietudine strappare via le loro confortevoli sicurezze e spensieratezze.  
Si doveva dire che non erano abituati, né nati, a sopportare un tale peso. I Guardiani vissero nelle luci delle bontà, nelle magie dei sogni; la tana dell’Uomo Nero fu tutt’altro luogo che posto di rassicurazioni.
Erano comunque preparati a tale rischio. Attraversarono i secoli con l’essere che trasformò il mondo nel palcoscenico del suo teatro orrifico. Forse diventò prevedibile, sembrava che seguisse lo stesso copione ma, ovviamente, non avrebbero mai abbassato la testa contro colui che aveva a che fare con l’Ignoto.
Dopotutto la sua presunta ed attuale impresa era leggermente diversa dal solito.
Era macabra e senza scrupoli.
 
Grazie alla luce propria, Sandman cercò di illuminare almeno un po’ la casa di Pitch, da cui non si poteva vedere niente al di là dei loro nasi. I due non sapevano affatto dove stessero mettendo i piedi o se effettivamente avessero raggiunto le camere segrete dell’Uomo Nero. I passi divennero sempre più incerti e si domandarono se stessero proseguendo sulla strada giusta.
La tensione cominciò a far dolere le loro spalle e le proprie nuche, si chiesero quali mostri potevano nascondersi dentro a tutta quella oscurità. Quali Incubi potrebbero nascere.
 
Il buio pose resistenza alla luce, cercò in qualsiasi modo di sopraffare l'albore caldo per impedirgli di vederci chiaro e scoprire il nascondiglio di Pitch.
 
“Ha già avvertito la nostra presenza? Ci sta seguendo? È dietro le nostre spalle?” Si chiese Sandy.
Domande, sintomi di terribili ansie dovute alla mancanza di una guida sicura.
Sandy non poteva non paragonarsi ai bambini che andava a trovare ogni Notte per dar loro i sogni d’oro. Ne incontrava alcuni rannicchiati e tremanti sui loro letti a fissare angoli in penombra o armadi dalle ante socchiuse, oppure schiacciati contro un muro con il terrore del fantomatico mostro sotto ai loro lettucci.
Era quello di cui si divertiva il Re della Paura. Probabilmente in quell’attimo se ne stava in qualche estremità tenebrosa a godere delle loro fobie irrazionali, le avrebbe poi risucchiate assicurandosi un buon pasto del giorno.
 
Scostando le immagini inopportune, Sandy fu attratto da qualcosa che mosse ai suoi piedi, scoprendo pezzi di pietra e grossi detriti sparsi dovunque per terra.
 
I due si lanciarono un’occhiata confusa, uno strano presentimento li turbò. Quella casa disordinata non sembrava la Tana di Pitch.
 
Sandy guardò di sott’occhio il suo amico barbuto e poté leggere sul suo viso, nei suoi occhi grandi capaci di vedere le meraviglie del mondo, lo stesso sentimento, la disperazione, il terrore.
“Voglio andare via di qui, sembra che qualcuno di invisibile ci stia osservando!” Esclamò.
 
Sandy sussultò.
 
Invisibile…” 
Il pensiero disturbante si prolungò.
 
Esisteva qualcosa di ulteriormente invisibile nella dimensione degli oscillanti visibili e invisibili?
E se, tra le parole di North, l’impercettibile ai loro occhi provò ad esprimersi?
 
L’oscurità stava parlando con loro?
 
D’un tratto fu certo che sul serio ci fosse un ché di sospetto e che non andasse in Pitch, poteva immaginarselo. Ipotizzò che l’uomo si trovasse nell’uragano dei propri Incubi da quando questi ultimi gli si ritorsero contro.
Sandman si voltò verso North che, ancora una volta, ebbe lo stesso sentore allarmante.
Mosse le proprie dita aiutandosi con le espressioni del suo viso tondo e parlò.
Gli fece notare che probabilmente quelle orribili sensazioni riflettevano i turbamenti del Re dell’Incubo. Come se l’essenza delle sue paure si fossero impregnate nell’aria gelida fondendosi con essa. Come se i Terrori fossero diventati incorporei ai loro occhi e i due ci sguazzavano dentro a loro insaputa.
“Questo non è affatto un bene...” Bisbigliò North preoccupato.
Sandy piegò le labbra pensieroso poi espresse un’opinione che North interruppe contrariato.
“Non dire sciocchezze, Sandy! È quello che si è meritato e ora ne pagherà le conseguenze.”
Lo spirito dei sogni corrucciò il volto e sbuffò.
Certamente non prediligeva esser interrotto ma in quel momento non era concesso discutere.
 
Dovevano trovare Pitch.
 
Seppur salirono e scesero interminabili scale, attraversarono lunghi cunicoli e controllarono le numerose stanze del luogo, dell’Uomo Nero non vi era alcuna traccia, nemmeno della sua ombra.
Lo sconforto cominciò a farsi sentire.
“Il mio potere è inutile. Improvvisamente pensò Sandy, biasimandosi. Al che trasalì. “Se solo fossi più forte. E se facessi qualcosa di sbagliato? Cosa possono fare adesso i Sogni? E se improvvisamente questo posto ci crollasse addosso? E se Pitch ci ucciderà? Moriremo. Morirò.”
Sandy scosse di scatto la testa sbattendo le palpebre. Perplesso da quelle parole estranee, come se non gli appartenessero, rallentò i passi mentre si trattenne la fronte e abbassò lo sguardo.
“Cosa ti prende, Sandy?”
Chiese North guardando il compagno oscillare. Sandy diede piccoli colpetti alla tempia riferendosi alla propria mente.
“Non succederà niente. Non succederà niente. Non succederà niente! 
Le sue labbra tremarono e North si preoccupò.
“Ei! Sandy!”  
In quell’istante, il suono di un pesante respiro raggiunse le loro orecchie. I due si guardarono intorno.
 
North impugnò  in avanti le sue spade mettendosi sulla difensiva.
 
Sandy restò cauto, strinse le palpebre degli occhi seguendo i fiati.
 
Lentamente un essere prese forma grazie alla luce di Sandy.
 
Trovato!
 
North abbassò le armi stupefatto da quello che si presentò davanti ai suoi occhi.
L’Uomo Nero sedeva su un trono in rovina, le braccia erano posate ai lati dei bracciali di pietra, la sua testa cadeva in avanti ed era immobile.
Sandy si avvicinò abbastanza per poterlo guardare ma accorto a non fare rumore per ottenere più informazioni possibili.
La figura inquietante era tesa, i muscoli del collo e delle spalle erano marcatamente in mostra. Non era sicuro se stesse dormendo ma poi si accorse degli occhi socchiusi e rivolti verso il basso.  Sandy sventolò una manina davanti al viso di Pitch ma non reagì.
Era come un guscio vuoto.
 
“È… è morto?” Chiese North bisbigliando.
 
Lo osservarono minuziosamente accorgendosi del suo respiro talmente debole che parve quasi nullo.
Sandy si spostò e, grazie alla sua luce, scoprì nuovi dettagli, come un oggetto in oro che si illuminò tra le dita salde di Pitch. Non riusciva a capire cosa fosse ma sembrava un manufatto prezioso, tenendo conto delle decorazioni e delle piccole pietre incastrate nel metallo.
C’erano altri elementi strani, come il terriccio, l’erba fresca e fiori da sgargianti colori nati dalla pietra e le svolazzanti farfalle che circondavano il Re della Paura.
Scosso, Sandy strappò un fiore ma in un lampo appassì nella sua mano.
Lanciò uno sguardo d’intesa a North formando un simbolo di una donna sulla sua testa con la propria sabbia.
 
“Sarà stata lei?” North cerchiò la bocca sbigottito.
 
Alla domanda, Sandman ritornò sull’Uomo Nero studiando ogni particolare.
Il sonno di Pitch non era beato, il volto non comunicava un calmo riposo.
 
Sandy poi diede un’ultima scorsa all’oggetto dorato stretto gelosamente nel palmo di Pitch.
 
“Dobbiamo dirlo agli altri. Questo deve essere quello di cui ci parlava Jack. Sarà il motivo di tutti quei disastri! Forse in questo stato emana frammenti nebulosi di sé in superficie. Dobbiamo capire il perché.” North cercò di non gridare.
Sandy fu d’accordo.
Gli fece cenno di attendere evocando su un suo palmo la Sabbia dei Sogni.
Allibito, North protestò.
“Sei sicuro, Sandy? Potrebbe essere pericoloso!”
Il piccoletto esitò un momento.
Sapeva che Pitch fu sempre abile a nascondere i suoi sogni a Sandy. Sicuramente quel tentativo sarebbe stato inutile. Pitch trovò i Sogni come segni di debolezza, in cui rincasarsi una volta che la realtà diviene l’Incubo da cui fuggire. Non si lasciò mai abbandonare in essi.
Comunque, tra le varie ipotesi che a Sandy frullavano nella propria mente, seppe che una vera e propria pericolosità non esisteva in quel momento. Pitch era in condizioni fin troppo critiche per usare un piccolo pugno di Sabbia dei Sogni contro il suo creatore.
Perciò annuì a sé stesso convinto delle sue azioni.
 
Soffiò la Sabbia dalle minute dita verso Pitch.
 
Attesero con ansia una qualsiasi reazione ma, come Sandy si aspettava, non successe nulla che potesse danneggiarli oppure alleviare il sonno tortuoso di Pitch.
Decisero così di riunire i compagni al palazzo di North per discutere sui provvedimenti da prendere.
North sentiva nella sua pancia che impicci erano in vista, gli Incubi avrebbero provato a prendere di nuovo il sopravvento se non fossero stati in grado di contrattaccare la minaccia.
L’obiettivo sarà di prevenire tale rischio.
 
I Secoli Bui ci sono stati una volta.
 
E non ci saranno stati mai più.
 
 
Andando via però, un suono squillò e chiamò la loro attenzione. Parvero dei sogghigni rallegrati e incuranti dell’autoritario buio.
Il dettaglio impossibile da non notare fu uno solo: lo conoscevano bene quel modo di ridere.
 
“Jack?”
Domandò North nel luogo fosco.
 
I due si voltarono e guardarono Pitch bloccato col suo corpo quasi senz’anima, ma circondato con piccolissimi ma scintillanti granelli di Sabbia dorata volteggianti intorno al trono.
Anche un’altra piccola vocina si poté ascoltare tra le risatine gioiose dal Sogno uditivo, poi ci furono altri suoni confusi che non riuscirono a distinguere.
“Cosa? È impossibile, non può essere vero!” North andò avanti e indietro intensificando i suoi gesti “Questo è un Sogno! Cosa può significare, Sandy?” Di nuovo North faticò ad abbassare la voce.
Sandy non seppe cosa dire perché sorpreso quanto l’amico.
Si accorse dei lineamenti ammorbiditi di Pitch. Le sue mani scesero piano sul suo ventre aggraziando il corpo dalla rigidità. Il petto sillabò adagi e regolari respiri trapassando fra le labbra socchiuse.
 
“Voi! Non dovreste stare qui.”
 
Disse qualcuno dietro le loro spalle.
 
In preda al panico, i due si voltarono scoprendo un essere slanciato dagli abiti insoliti e regali. Quell’uomo assomigliava a Pitch ma il suo portamento era differente dal consueto Uomo Nero. Li fissava con occhi gelidi, austeri e penetranti. Li squadrò senza batter ciglio mantenendo alto il mento, il busto fieramente gonfio. Nessun ghigno beffardo decorò il suo volto, nemmeno il solito fare altezzoso e sarcastico di Pitch. Come un sovrano temibile ma sempre composto e silenziosamente calcolatore, esaminò la situazione e gli intrusi. In una mano trattenne una spada e guardò le armi di North che gli puntò contro. Pareva pronto ad attaccare.
“Vi trovate in un momento delicato e pericoloso. Questo posto non fa per voi. La vostra presenza non è nemmeno gradita.”
Con sorpresa dei due Guardiani, l’uomo superbo posò la propria spada nella fondina ad un suo fianco.
“Andate via.” Disse senza giri di parole.  
Dando loro le spalle, camminò contro l’apparente vuoto innanzi a loro.
“Dicci cosa sta succedendo, Pitch?” Strillò North risvegliandosi dallo shock. Quell’uomo gli diede un’occhiata impassibile prima di avanzare sul suo cammino.
“Lo saprete solo quando Pitch Black parlerà a sé stesso.” Alzò le spalle riferendosi a loro come se fosse tutto ovvio. 
“Ora andatevene.”
“Ei, aspetta un attimo! Cosa vuoi dire? Non abbiamo ancora capito nulla! Spiegaci!” North batté un piede per terra.
Sandy all’urlo di North invocò le fruste fatte della sua sabbia afferrando quell’uomo da un polso. Gli occhi di costui s’inondarono di impazienza. Li fulminò duramente con la sua collera stampata sul volto.
“Non è proprio il modo giusto per affrontare la questione.” Disse a denti stretti estraendo la sua spada. Spezzò senza alcuna fatica la frusta lasciando esplodere i singoli granelli brillanti nel buio, poi sparì in un battito di ciglia nell’ombra.
 
Non ebbero un momento per capire cosa fosse appena successo perché presto altri suoni di passi li fecero rabbrividire.
 
Il portamento morbido e malinconico di quest’altro uomo era in contrasto con la sua armatura, così come i suoi passi decisi ma sinuosi non meritavano quei suoni metallici, gracchianti e freddi. Si avvicinò al corpo seduto sul trono in dormiveglia, gli dischiuse la mano stretta sull’oggetto prezioso.
Lo prese con cura e lo aprì.
L’oscurità impedì di veder la sua identità ma erano chiari i lamenti e i singhiozzi strozzati nella gola, le spalle tremanti dai sobbalzi del pianto trattenuto in sé, il segno premonitore di uno straziante scoppio di lacrime, il bisogno di chiedere aiuto e sfuggire dal dolore mantenuto segreto per troppo tempo.
 
Così è stato.
 
Le lacrime colarono sulla faccia in ombra. L’uomo le asciugò ossessivamente ma queste tornarono a cascare su di lui. Divennero sempre più dense, scure, fino a sporcarlo da una sostanza nera dalle palpebre. Era costretto a cibarsene e a cadere in essa.
 
“…Voleva solo tornare dalla sua bambina…
Voleva qualcuno al suo fianco. Non era degno d’amore? Era stanco di star solo.
Ma lo inghiottirono. Lo uccisero.” Si sentì sussurrare dalle sue labbra a corto di fiato. La roba nera lo stava soffocando.
 
“Il suo cuore d’odio fu riempito.
Non tornò mai più indietro…
Chiese: Perché? Perché? Perché?
Chiese, fino alla morte: Perdonami. Perché? Perché? Perché?”
 
Lentamente, l’essere si tramutò in sabbia nera, la stessa che corrose senza pietà il Sogno di Pitch.
 
La luce di Sandy si mosse al tremolio del suo corpo e illuminò a terra qualcos’altro di orrendo. Cadaveri.
Morti in putrefazione che possedevano ognuno la stessa faccia di Pitch. Era un Incubo.
 
“Sandy! Andiamo via. Subito!” Gridò North preoccupato. Sandman annuì incredulo.
 
Procedendo verso l’uscita, i Guardiani diedero solo un ultimo sguardo all’abisso notando il corpo di Pitch contorcersi sul suo trono e le ombre degli Incubi viaggiare con loro. Li rincorsero fino a quando furono lontani da quell’inferno.
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - Racconto della Buonanotte | Parte 1 - Il Principe dei Venti ***


IV

 

Racconto della Buonanotte

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Parte 1

Il Principe dei Venti


 
C’era una volta un grande Regno Oscuro governato da un Re spietato assetato di potere. Si diceva in giro che possedesse immense capacità soprannaturali, incuteva timore a chiunque lo incontrasse. I suoi nemici desideravano la morte invece di incrociare il suo sguardo intimidatorio.
 
Era il Signore delle Tenebre. Conosceva i loschi segreti di tutti e poteva farne buon uso per sé stesso pur di raggiungere i suoi sanguinari obiettivi.
 
Ma chi poteva ipotizzare cosa nascondesse dentro di sé? Perché neanche uno spiraglio di luce ebbe il coraggio di avvicinarsi a lui e si azzardò ad amarlo. Ma anch’egli non ha mai amato, diceva che nessuno aveva diritto di sognare visto che, a quanto pare, nessuno gli diede la libertà di accedere alle dolcezze dei sogni.
 
Infuriato di ciò, dichiarò guerra e perseguitò per tutta la sua intera vita il Sovrano dei Sogni e i suoi abitanti, precipitandoli man mano nelle oscurità, e disseminò terrore nei Regni Celesti. Quegli stessi Regni che in tempi antichi gli privarono di ogni suo possedimento, della sua felicità.
 
Per lui, se lo meritavano quegli Spiriti leggiadri la sua tremenda rabbia. Giurò che avrebbe ricostruito la felicità nel suo Regno distruggendo chiunque lo odiò e lo sotterrò nelle miserie.
 
Accadde però, che nelle sale tetre del suo palazzo si fece largo una luce bianca, che quasi lo accecò.
 
In quel bagno splendente, un bellissimo ragazzo esile, dalla pelle azzurrina e capelli immacolati, si difese con la propria magia allontanando le Tenebre che furono pronte ad attaccarlo.
 
Se il Prodigio di una natura oscura avesse detto che nella sua vita non gli siano mai capitate stramberie, beh, avrebbe mentito.
Per essere quello che era, di cose bizzarre, ne aveva viste eccome.
 
Ma non si sarebbe mai aspettato che Il Principe dei Regni Celesti si fosse presentato alla stanza del suo trono di sua spontanea volontà.
Il Re credette che il mondo si stesse improvvisamente ribaltando.
 
 
Aveva sentito parlare di quel Principe.
 
 
Giunsero alle sue orecchie le storie de “Le marachelle dello Spirito del Caos”. Così descrivevano le avventure, o gli innocenti dispetti, di un Principe semplicemente incompreso.  
 
Beh, questo era, un giovane adulto che la sua gente non gli dava la giusta considerazione.
 
Sicuramente era ignorato dalla sua stessa famiglia.
 
Vide il rancore nei suoi occhi.
 
 
Vide un traditore.
 
 
“Sta’ zitto!” Gli urlò lo Spirito quando il Re lo derise chiamandolo come una macchia sporca del Regno della purezza e della perfezione. Il Sovrano Oscuro sorrise sedotto da tanta tenacia e al suo modo originale di affrontare i pericoli.
 
“Sono qui per tentare un’ultima possibilità.” Spiegò gravando la voce e con sguardo ricolmo di rabbia combattiva, tipica di un Principe pronto a tutto.
 
  “Non so nulla delle mie sorti. Se non morirò, potrai ascoltare la mia proposta. Ma se ora è arrivata la fine dei miei giorni, allora vorrò dirti solo una cosa. Tutto ciò che i nostri Regni stanno raccogliendo è odio, incomprensione e distruzione. Anche la nostra gente non crede più in noi. Lascia che io ti aiuti, per far sì che i nostri Regni esistano in armonia fra di loro.”
 
Il Re lo derise e lo respinse di nuovo, ma intrigato da tanta perseveranza lo sfidò a riuscire nella sua impresa in pochissimo tempo. Il ragazzo accettò, ma ahimè, quell’uomo losco non ebbe altro che il desiderio per usarlo alle sue spalle per i suoi sporchi comodi.
 
Fortunatamente, il Principe era un giovane sveglio, lesse tra le parole del Sovrano e capì che non aveva un reale interesse per l’ambito equilibrio.
 
Lo Spirito era anche un sognatore, e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di mediare e far sì che il mondo dei suoi sogni si realizzasse. Approfittò della sua permanenza sul Regno Oscuro stando però accorto ai pericoli e coi suoi occhi blu vide proprio ciò che si aspettava.
 
“Conosci il tuo popolo, Altezza?” Gli chiese nel giorno della sua udienza.
Ovvio che il Re lo conosce. Lo amava e lo temeva, non avrebbe mai messo in discussione il suo potere.
Ma questo è sempre quello che pensava il Re.
“Lo sai cosa pensa la maggior parte della tua gente di questa guerra? Mi sa proprio di no.”
“Tu che ne sai?”
“Ho fatto una cosa davvero difficile, ha portato via tante energie. Sono stato in giro.”
Il sarcasmo del Principe punzecchiò malamente la pazienza della Tenebra.
“In questo periodo in cui sono stato qui, non ho potuto non visitare le città, le campagne e le strade di questo Regno. Ho parlato con molti della tua gente. Credo che dovresti ascoltarli. Capirai che sono stanchi da morire del loro Re e dei suoi nemici.”
 Il Re lo fissò intensamente. 
“E i loro pensieri non sono diversi da quelli nati e cresciuti da sempre nel mio Regno. Molti di loro non conoscono le vere realtà di entrambi i popoli. Immagino che mai siano usciti dai loro confini. Ci sono tanti altri problemi che questo conflitto ignora. Sfiducia, discriminazioni, povertà, violenze e tante altre cose belle.”
 Spiegò il giovane senza neanche dimostrare un filo di timore per le conseguenze dei suoi disappunti. A meno che fosse un impeccabile attore.
“Cosa stai insinuando?” Domandò il Re irritato dalla bocca dello Spirito.
“Che questa guerra non è di nessuno, se non dei loro Re. Stai attento, che potrebbero esserci delle rivolte. Starei attento anche ai suoi alti ufficiali.” Gettò una scorsa veloce sulla Generale e Consigliera del Re che si trovava lì ad assistere alla conversazione.
“Il popolo e i miei fidati soldati stanno al loro Re. Ascolteranno solo il loro Re. Nessuno più.”
“Amico mio, il benessere della tua gente è la prima cosa che dovresti pensare e non credere che loro non abbiano volontà proprie. Se potessero, la maggior parte scapperebbe dai tuoi confini. E questo sai perché? Perché non ti conoscono, non ti stimano. Porti ovunque distruzione. E il tuo stesso Regno non ne è immune.”
“Mi fa ridere che hai la presunzione di presentarti nel mio Regno e dare lezioni su come lo si governa.”
“Sai della famiglia Mansnoozie. Ti ha dato sempre del filo da torcere!”
Il Sovrano s’irrigidì.
“Se molti li stanno ad ascoltare dovresti farti due domande.”
“Ma lo sente, Maestà? Praticamente ci sta dicendo che dovremmo piegarci a questi sporchi dissidenti.” Contestò la Generale.
 “Sicuramente la vostra brillante spedizione di truppe per perseguitare loro e i loro seguaci sta dando i suoi frutti.” Disse lo Spirito ironico “Ho già visto qualche testa mozzata qua e là.”
La donna ringhiò “Credo che la persona a cui deve stare più attento, Maestà, sia proprio lui! Racconta un po’, quali sono i tuoi rapporti con la famiglia Mansnoozie?”
Il ragazzo del Regno Bianco fece spallucce.
“Mi hanno raccontato che uno dei loro capifamiglia è riuscito a fuggire portandosi con sé alcuni dei suoi seguaci. Eppure, mi hanno detto, che stava sempre sulle nuvole, sognava nuove avventure. Beh, i sogni non possono essere messi in una gabbia.”
Lo Spirito fissò il Re diritto nelle ristrette pupille. Era visibilmente nervoso.
“Mi sa comunque che lo risentirai molto presto.”
Ci fu un lungo silenzio fatto di soli sguardi spinosi e scrutatori, come se il Re e il Principe volessero leggersi e superarsi a vicenda. Il Re odiava con tutto sé stesso quella parlantina petulante.
La guardata mortale del Sovrano si posò nelle iridi vigili del ragazzo, pronto a difendersi se il sanguinario Sovrano avesse ammutolito per sempre la sua vita.
Ma un ghigno arrivò a squarciagli la faccia e lo sbeffeggiò.
Immagino che, qualsiasi cosa riguarda quel tuo obiettivo di cui parli tanto, ci sia anche tu nel mondo dei sogni.”
Il Principe non rispose, il silenzio quel giorno fece da padrona in quella stanza. Ma inspiegabilmente la sua bocca parve muoversi da sola.
“Pensi a tua figlia?”
Fu abbastanza. La collera sulla faccia del Re lo decorò di rosso.
 “Andate via!” Urlò il Re con un gesto veloce della sua mano.
 
 “Subito!”
 
Tutti mossero i propri passi verso la porta. La Generale ruggì stizzita dando le spalle al Re dopo un rapido inchino. Prima che la porta si fosse chiusa, la donna sentì lo Spirito fare una domanda al Sovrano, rimanendo solo con lui.
 
“Perché tu e mio Padre state mandando avanti questa guerra?”
Il Re si alzò adirato dal suo posto.
“Ho detto che voglio restare solo.”
“Una risposta, caro Re, questo chiedo.”
Il Sovrano grugnì, si avvicinò alla grande vetrata della Sala Riunioni portando le sue braccia dietro la schiena. Guardò l’orizzonte e tutto ciò che al momento gli apparteneva.  
“Dominio. Potere. Antiche ingiustizie. Prezzi non pagati. Possedimenti derubati. Occupazioni e saccheggi. Questo è quello che muove me.” Fissò il ragazzo mortalmente “Voglio riprendermi ciò che mi hanno tolto. E divorarli. Devono pagare dolorosamente i torti e i mali che hanno fatto a me, non tenendo conto delle mie prospettive. Degli affetti che mi sono stati danneggiati per sempre.”
Si avvicinò intimidatorio al giovane Principe, quest’ultimo mantenne fermo lo sguardo alto. Non si lasciò paventare.
“Se è il perdono quello che cerchi per mettere in salvo la tua famiglia, sappilo che non lo contemplo nemmeno per un secondo. Se non capisci le ragioni di questa guerra, e cosa sia la guerra, non è certo affare mio. Sei solo un ragazzino, in fondo. Sconfiggerò il Regno Bianco. Se non vogliono essere spazzati via, dovranno chiedermi pietà in ginocchio.”
Il ragazzo lo rispose con un angolo delle labbra alzate.
 “Non mi hai mai chiesto qual è la mia proposta.”
“Dimmela adesso.”
“Richiedo una tregua.”
“Che cosa?”
“Esatto. Richiedo una tregua per avere il tempo necessario per commerciare e confrontarci in maniere diplomatiche. Farò da mediatore per entrambi i Regni. La mia idea è quello di costruire rapporti di equità. Ascolteremo cosa hanno da dire i rivoltosi. Nessuno prevarrà sull’altro. Ognuno avrà quello che gli spetta. E tu potrai ricostruire quello che hai perso.”
“Smettila di dire idiozie.”
“E solo una prova, Maestà. Vedremo poi dove porterà.”
“Non mi fido affatto di te, Principino. Ti ho sempre tenuto d’occhio.”
 “Certo.” Gli diede ragione “Sembrerà un po’ come hai fatto tu in questi mesi con me. Solo che io non bramerò alle spalle delle persone, e manipolarle, per raggiungere degli scopi egoistici e bastardi.” Il Re sobbalzò sui suoi piedi ancora più sorpreso dall’acutezza del giovane.
“Sarà molto dura.”
“L’ho sottovalutato.” Si crucciava nei pensieri il Sovrano oscuro.
“Bisogna perseverare e stringere i denti. Cioè, io dovrò tenere duro, visto che ho avuto modo di vedere come siete fatti tu e mio Padre. Diamine, se accettassi, dovrò prepararmi a farmi un culo enorme!”
Guardandolo contorcersi nella disperazione in un modo così giocoso ed innocente, il Re ebbe una strana scossa nelle sue carni, un terremoto che fece sprofondare e dimenticare le sue maledizioni sul giovane e il pensiero di cercare nuovi modi di raggirarlo. Cominciò a sentire le sue labbra sollevarsi inopportunamente.
L’attimo esilarante fu il momento in cui l’altro si buttò le mani nei capelli spalancando i propri occhi e la bocca, simulando un urlo di terrore.
 
Il Re rise.
 
Rise così sonoramente liberando tutto il suo divertimento.
Da quanto non rideva così per una cosa così stupida e futile? Accidenti a lui.
Per fortuna non c’era nessuno a vederlo oltre al ragazzo.
Anche l’altro ridacchiò portandosi una mano sul volto per nascondere l’evidente imbarazzo.
Cercò di calmarsi asciugandosi le lacrime dagli occhi.
 
“Non credo che dovrei dare peso alle tue chiacchiere.”
Disse massaggiandosi gli zigomi.  
 
Ascoltò quello che il giovane aveva da dire, e allo stesso tempo pensò che in qualsiasi momento avrebbe potuto voltare i suoi ideali al suo solo vantaggio, tradendo la sua fiducia.
Sarebbe stato facile.
 
Un dubbio però lo colpì.
 
E se davvero lo Spirito dei Venti fingesse di costruire una fiducia nei suoi confronti per chissà quale pericoloso attacco nemico?
 
E se si trovasse lì solo per ingannarlo?
 
 
 
Il pensiero, curiosamente, lo rattristò.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo V - Racconto della Buonanotte | Parte 2 - Il Re Oscuro ***


V


 

Racconto della Buonanotte


-


Parte 2


Il Re Oscuro



 
Il Re si sentiva in conflitto dentro di sé.
 
Da quando il Principe dei Venti arrivò a palazzo l’aria cambiò.
 
I giorni divennero più allegri, tra tutti c’era maggior dialogo e, grazie al suo amore per i giochi e alla lettura, riuscì a legare con la sua scontrosa figlioletta, dal quale aveva un teso rapporto.
 
La Principessa era molto arrabbiata con suo padre, non sopportava che fosse negligente e fuggitivo nei suoi confronti. Desiderò tanto passare più tempo con lui e il problema che non ci fosse quasi mai al suo canto la feriva nel cuore. Era altrettanto doloroso per il Re vederla allontanarsi dalle sue mani, nelle brevi visite, senza saluti e affettuosi abbracci. Non c’era niente di tutto ciò.
 
Ma il Principe la riavvicinò all’uomo prima che fosse stato troppo tardi per riappacificare un legame già frantumato. Tale impresa fu ardua ma pian piano il Re riuscì a sentire i piccoli passi della sua bambina a palazzo sempre di più.
 
Una volta la vide giocare nei suoi giardini privati e rimase meravigliato dalla sua vivacità ritrovata.
 
“Sorride.”
 
Sussurrò un giorno il Sovrano confidandosi col Principe che sonnecchiava sotto un albero a godersi l’aria fresca, durante una sessione di allenamento a tiro con l’arco. Il Re guardò per un attimo sua figlia sfogliare le pagine di un nuovo libro illustrato, poi preparò la sua prossima freccia, la corda dell’arco si tese.
“Mm? Cosa hai detto?” Domandò l’altro.
L’uomo tenebroso lo fissò con un tocco di invidia.
 
“Mia figlia. Sta sorridendo.”
La freccia scoccò. Fece centro.
 
Altre frecce però mancarono la loro meta. Molti ideali dei due si accendevano in tempeste nere.
 
Diplomazia? Mediazione?
A cosa servivano quando il proprio rivale era comunque ostinato a voler prevalere?
Quello che desiderava il Principe sembrava affidarsi troppo ai Sogni. Anche quando guardava la sua bambina leggere i suoi adorati libri di favole, che lo Spiritello le regalò, lo irritava non poco.
“Di cosa ti preoccupi?” Allora gli domandò lo Spirito.
Il Re lo fissò per un momento.
“Che la sua mente si riempia di menzogne.”
Il giovane Principe così strinse i propri occhi accavallando le gambe.
“Perché non provi a leggere anche tu quei libri?” Gli consigliò.
“Potresti capire perché le storie vengono tramandate, perché scritte da chi osserva il mondo e ciò che ci circonda. Se ne ricavano universi alternativi per parlare di verità, ideali, sogni. Capirai che fantasia e realtà, seppur indipendenti, allo stesso tempo camminano di pari passo.”
“Non penso che c’è bisogno di spiegare il mondo attraverso immagini fittizie, ragazzo. Per conoscere il mondo, devi viverlo. Le storie, le leggende, le favole, qualsiasi cosa vuoi, distorcono la realtà dei fatti.”
“E se invece da loro si può cercare l’ispirazione per trovare la soluzione ad un problema?”
“Ragazzo.” Lo chiamò duramente, infastidito “Stai cercando di dirmi che questa guerra complessa che stiamo vivendo, difficile da risolvere, potrebbe essere dissolta solo leggendo delle favole?”
Il giovane alzò le spalle.
“Non farmi ridere, Principe. Vuoi il bacio per il risveglio dal lungo sonno?”
 
Tempo dopo, un’altra battaglia contro il regno nemico sterminò tantissime vite.
 
Il Principe dei Venti combatté contro tutti e il Re Oscuro odiò la sua presenza, la sua ostinazione a fermare ogni suo colpo di spada verso i suoi rivali.
“Ora basta!”
Gli gridò ma quell’essere di luce non lo ascoltò.
Fermò anche la sua stessa gente, nella mischia parlò con una delle sue amiche fidate, cercando di convincerla a discutere con suo Padre per provare, ancora una volta, di decidere le sorti del mondo con utopie.
 
Cosa voleva ottenere? Cosa?
Si sentiva così in conflitto.
Il Re lo odiava, ma lo ammirava tremendamente. Guai se avesse ammesso quel segreto facendoselo cadere dalla lingua.
Quel giorno poi, dopo una resistenza ammirevole in battaglia, il Principe venne gravemente ferito al petto e, la Tenebra, sentì una profonda angoscia quando vide quelle sue belle labbra aprirsi in un grido soffocato, i suoi occhi chiudersi e cadere al suolo, sul fango, tra il sangue e i cadaveri.
 
 
 
Una notte il Sovrano Oscuro aprì la porta rossa della stanza del Principe. Giaceva sul suo letto e la sua espressione non dava segno di un sereno riposo.
Lo guardò da lontano, in disparte.
Il suo petto e le spalle furono appena ripulite e medicate. Respirava in un modo affannoso, seccato del dolore. Fece alcuni passi all’interno della stanza portando entrambe le mani indietro la schiena e, proprio con quel piccolo movimento, il ragazzo poté udire la sua inquietante presenza. Aprì piano gli occhi e vide l’uomo nella penombra, il volto oscurato, con gli occhi illuminare il buio.
Lo fissava altezzosamente, rigido.
 
“Ehi, Ehi, Guarda un po’ chi si rivede.” Disse in un fil di voce, indebolito “Mi sa che questo sia un buon momento per farmi fuori.” Cercò di ridere ma il suo male lo mise a tacere.
“Mi servi più da vivo che da morto.”
“Ah, sì, tu e i tuoi piani malvagi.” Il Re lo ignorò categoricamente.
“Colpito da una freccia di un Coniglio. Che novità.” Bisbigliò avvicinandosi al comodino accanto al letto del giovane, afferrando la freccia di uno dei suoi più acerrimi nemici.
“Già. Quel bastardo.” Il Sovrano la riposò.
“Credi davvero che la tua amichetta parlerà con tuo Padre?” Il giovane voltò di scatto il capo.
“Oh, hai sentito?” Domandò retoricamente.
“Chissà. C’è una possibilità che mi ascolteranno una volta per tutte.”
Lentamente incrociò gli avambracci al ventre tenendo puntati le iridi sui dipinti sul soffitto.
“Beh, per tutto questo tempo non è che ti abbia aiutato.”
Il Principe gli gettò un’occhiataccia di rimprovero.
“Perché devi sempre guardare i lati negativi? Magari questa volta sarà diverso, no?”
“Sei uno solo contro tutti, Ragazzo mio. Quali speranze nutri?”
Il ragazzo non rispose, ritornò a guardare fuori dalla finestra, ipnotizzato dall’albero di melo che si affacciava sull’elegante balconata.
Il Re sospirò ormai inutile lottare contro gli ideali del sognatore. Si avvicinò al letto apparendo alla luce dei lumi della stanza e si sedette al canto del Principe.
“Ti ostini a perseverare.”
“Senza perseveranza non si va da nessuna parte, Vostra Altezza.”
Il Principe si mise lentamente sul fianco contorcendo la faccia in smorfie di dolore.
“Ma non ti nascondo quello che sento... Mi sento davvero triste. Perso. Solo. E voi altri, non fate altro che complicare le cose, quando le soluzioni ai problemi sono semplici.”
Il giovane si toccò il petto, come se volesse controllare i battiti del proprio cuore ormai ricolmo di amarezze.
“Credo che mia figlia s’infurierebbe se ti vedesse in queste condizioni.” Bisbigliò piano quando le palpebre del Principe si socchiusero. Ma rise lievemente.
“Ne sono sicuro. E cosa pensa suo padre?”
Il Re aspettò un attimo per rispondere. Corrugò la fronte sperdendo lo sguardo nella stanza.
“Che sei un ragazzo al quanto sciocco ed ingenuo.”
Un’altra debole risata nella gola del Principe borbottò.
“Si, me l’hanno già detto una cosa del genere.”
“Principe, mi chiedevo, cosa farai se riuscirai nel tuo intento?” Il giovane era confuso.
“Deciderai di restare da tuo Padre?” Lo Spirito si accorse che mordicchiava il labbro inferiore dentro la sua bocca e lo fissava in attesa.
“Di cosa hai paura?”
Il Re Oscuro guardò intensamente negli occhi l’altro.
“Io...”
Sospirò e gli prese una mano, gli sfiorò il dorso con un pollice.
“Cosa provi quando pensi al Vuoto?”
“Timore. Vorrei riempirlo.”
Le dita affusolate del Re allora accarezzarono il volto giovane davanti a lui, si sporse piano in avanti, strozzò il vuoto fra di loro e lo baciò.
Fu presto ricambiato.
Le braccia del Re cinsero i fianchi del Principe, quest’ultimo lo tirò più vicino a sé per sentir il suo calore e i respiri sul suo corpo mentre quel bacio appassionato pareva quasi divorarlo.
 Solo quando le loro bocche si toccarono il Re capì quanto meravigliosi potrebbero essere una volta uniti insieme. Desiderava quell’enorme potere. E voleva sentire tutti i giorni quella sensuale sensazione che bruciava nel suo petto. Lo voleva con tutto sé stesso.
 
 
“Allora resta con me. Per sempre.”
 
 
Fu l’inizio della tanta ricercata tregua dove il Principe poté mettere in atto tutte le sue idee. Purtroppo però quella realtà idilliaca durò poco.
Il regno rivale non temette più il Re delle Ombre, lo presero per un rammollito solo perché finalmente apprezzò le delicatezze che poteva donargli la vita. Così inglobarono in modo subdolo il mondo che era suo. Ingannarono chiunque, anche il loro ‘amato’ Principino.
 
Il Re era furioso!
 
“Perché lo hai fatto?”
Strillò lo Spirito dopo il giorno dell’orrore, una battaglia che richiamò a sé un forte temporale.
Il Re spezzò per primo la presunta e fragilissima pace, che mai era esistita. Fu seguito dai suoi fedelissimi soldati, uccidendo prima di tutto i membri della famiglia Sognatrice che stava prendendo piede sul suo Regno. La guida di quella famiglia era proprio lì, sanguinante, sotto alle sue mani prive di speranze.
 
Non ci sarà spazio per sciocchi idealismi. Né per i sogni. Promise il Re urlando vendetta.
 
“Non posso più stare qui fermo a non fare nulla, sperando in ipocriti, tristi, accordi pacifici!” Dichiarò il Re.
“Pensi davvero che la tua famiglia abbia davvero creduto a tutto questo? Pensi davvero che le belle parole possano tenere tutto nella tranquillità a lungo termine? Pensi che sia tutto rose e fiori? Non abbiamo risolto nulla! Non abbiamo altra scelta!”
“E tu credi che ogni cosa che esiste su questo mondo sia completamente crudele?” Contrattaccò lo Spirito veramente disgustato.
Il Re si raddrizzò, s’irrigidì, strinse i pugni sperando di trattenere in sé le sue paure più grandi.
“Non si tratta di credere ad un ideale, qui. Si tratta di guardare in faccia la realtà!”
Alzò in alto la sua spada e uccise, in un ringhio spaventoso, l’ultimo uomo dei Sognatori.
Un urlo inorridito fuoriuscì dalla bocca dello Spirito in preda alla disperazione.
 
Il Re ebbe un sussulto che gli tolse il fiato.
 
Un peso schiacciò il suo petto ansimante. Poi lo sentì stringere in una morsa, si sentì soffocare. Il dolore indebolì la presa della sua mano che lasciò cadere la sua arma sporca di sangue innocente.
Una voragine s’aprì nella sua carne e una profonda inquietudine lo assalì.
Logoro dal panico, chiamò il nome dello Spirito cercando di toccarlo con le proprie mani insanguinate ma questo lo spintonò via schifato da quelle dita.
 
Una sensazione gelida percosse la nuca del Re.
 
“Ragazzo mio.” Disse raccogliendo un’apparente calma.
“Lo sai. Sai che puoi lasciarti chiunque alle tue spalle. Resta con me, sii il mio Principe. Questo Regno sarà anche tuo. Desideralo adesso e tutto questo ti apparterrà.”
“Allora tu non mi hai mai capito, Pitch.” E in quell’istante il Principe dei Venti cominciò a dissolversi nell’aria.
“Aspetta. ASPETTA!” Urlò l’Oscuro Re, ma ormai era tutto inutile. Lo Spirito lo aveva abbandonato per l’eternità.
 
“Vuoto...Vuoto...”
 
Solo questo calò nella stanza del Re, e s’innalzarono i singhiozzi di una bambina in pena che tanto aveva sperato nella felicità.
La voragine allo stomaco del Sovrano si fece più grande. Dal dolore si ritrovò seduto sul suo letto, con la bocca spalancata da cui non uscì nessun grido, né un lamento strozzato.
Uno strepito muto.
 Fu come se si fosse appena risvegliato da un orrendo incantesimo.
Si guardò i palmi delle proprie mani sporche di un liquido nero, come la pece, dall’odore putrefatto, che fuoriusciva copiosa dalla grande ferita. Realizzò quanto fosse stato uno stupido, il come sia stato lui stesso abbindolato da una bellissima favola.
Proprio lui, che nei sogni non credeva affatto. Come aveva potuto lasciarsi ingannare dall’accecamento dell’amore, che mai tapperà i vuoti degli amanti?
 
Mai!
 
 Un riflesso involontario scosse i muscoli delle sue spalle, contorse quelle della sua faccia. Le carni al suo ventre si stracciarono ancor di più. Sua figlia lo vide in quello stato penoso.
Nessuno avrebbe mai dovuto vederlo in quelle condizioni.
Nessuno doveva permettersi di fargli questo!
Il buco nel suo corpo s’ingrandì mentre le sue mani si chiusero in due stretti pugni.
La bambina ebbe paura di quella stretta.
Sapeva bene cosa stava passando nella testa di suo padre.
S’alzò di scatto dal suo posto di rimugino e tormento. Chiamò con un urlo inspiegabilmente freddo e cinico, un servitore ordinandogli di convocare la Generale del suo Esercito.
 
Una finale battaglia massacrante presto si sarebbe compiuta.
 
La bambina, consapevole del disastro vicino, fermò suo padre cingendogli le gambe.
“Papà, no! Ti prego. Non farlo! Papà!!!” Era infuriata.
Ce l’aveva con lui.
Lo odiava a morte.
L’uomo la guardò dall’alto ascoltando le sue prediche.
La lasciò sfogare fino a quando un altro pianto non le permise più di protestare.
A ciò, il padre s’inginocchiò, asciugò con sorprendente delicatezza le lacrime sul volto bollente della piccola e le parlò.
“Sei libera di scegliere la tua via, figlia mia.” Disse.
“Sei libera di credere in quello che vuoi. Ma ricordati solo di una cosa, bambina mia. Il mondo, l’umanità, è crudele. Per quanto le dolcezze esistano, per quanto l’amore unirà i cuori di molti, la realtà è che non sempre i sogni e le speranze staranno lì ad aiutarci. E non saranno mai abbastanza. Ci saranno giorni solamente bui che desidereresti morire. Tutto è molto più complicato di così. Dovrai imparare a guardarti sempre le spalle, imparare a capire che niente è facile da guadagnarsi e che non tutto ciò che sogni, si realizzerà proprio come lo hai immaginato. Non importa quanto tu abbia amato, quanto tu abbia dato il massimo o quanto l’abbia desiderato. Farai i conti con la durezza dell’esistenza, della stupidità e dell’egoismo che è insito in ognuno di noi. Anche in me. Ricordatelo. La tua strada è aperta. Fai quello che tu ritieni più giusto. Ti auguro il meglio.”
Così, il Re indossò la sua armatura, nascose per bene la voragine nera nel suo corpo e partì.  
Ma il fato per lui, se fosse già stato scritto, sarebbe presto sceso nel disastro assoluto.
 
Se un uomo non è mai stato capito, ed egli stesso non capiva davvero gli altri, niente poteva presagire qualcosa di buono.
 
Arrivato alle porte delle fortificazioni del Regno delle Dune Bianche, il Re ed il suo esercito riuscirono ad abbatterle, dando così il via all’opera d’arte più macabra che possa esistere. Entrambe le fazioni degli eserciti dipinsero di rosso la città grazie ai lampi di spade. Ogni cosa fu splendente di scarlatto quella notte, l’odore del sangue si avvertì in ogni singolo vicolo.
 
Il Sovrano Oscuro era ormai ad un passo dalla vittoria e fece irruzione nella Stanza del Trono nel castello dei suoi più grandi nemici. Fu accolto dalle tre figure celesti di cui il Re rivale si fidava cecamente. Quest’ultimo però non si presentò ad affrontare l’Oscurità.
Fuggì. Come sempre aveva fatto.
 
“Attaccate!” Gridò al suo esercito.
 
 
 
  Alle sue orecchie però non giunsero suoni di strazio.
Guardò i suoi fidati soldati e non si mossero dal loro posto, se non la Generale. Si gettò improvvisamente in avanti e lottò contro il suo stesso Re con una forza disumana. Nei suoi occhi c’era il fuoco della rivalsa, allargò di più la sua voragine nel suo busto.
Una fitta lo colse e la Donna prese a balzo l’occasione colpendolo e gettandolo al suolo.
Mentre cadeva, la realizzazione dell’accaduto lo travolse.
Tradito e solo, non poteva fare nulla.
Non c’erano scuse.
 
Ha perso.
 
Fu schiacciato dagli incubi, lo trattennero per bene sotto lo sguardo distaccato della Montagna. Si dimenò invano lasciandosi scappare dei ringhi furiosi sapendo, comunque, che non sarebbero serviti a nulla.
 
Ad un tratto vide qualcosa rotolare accanto a sé
 
Una testa.
 
Una testa che, in vita, apparteneva ad un libero e splendido ragazzo, al suo Principe, da cui al taglio netto al collo sgorgò il suo sangue argentato.
Un rigurgito salì veloce nella gola del Re, ogni cosa dentro di lui si contorse provocando strani suoni agghiaccianti.
Sputò poi bile nera sotto lo sguardo inorridito di quella gente. Tossì senza fiato non riuscendo a fermare ogni conato di vomito. Le forze mancarono sempre di più ad ogni sforzo commesso.
Chiunque rimase impressionato da quella scena orripilante, tranne la fredda Generale.
 
“Prendetevelo.” Disse la voce della Donna nauseata “È un debole e uno stolto, di lui ne abbiamo abbastanza. Soprattutto della sua instabilità. Fategli pure quello che volete. Da oggi in poi comanderò io sul Regno Oscuro. Godetevi questi giorni di calma prima di un’altra tempesta. Ci risentiremo presto.”
Furono le ultime parole che il Sovrano Oscuro udì durante la sua pena.
Piombò nel buio.
Era tutto solo.
 
Solo.
 
 
 
 

Fine


 
 

Emily Jane Pitchiner


 
 
 

-


 

“Non riesci ad affrontare le tue debolezze. I tuoi vuoti. Mancanze.
Li riempi con l’acqua delle inutilità.
Ora crei effimere vie d’uscita, l’unica cosa che puoi fare.
Ne creerai a migliaia. Tutte fallimentari. Tutte con la stessa fine.
Illuditi pure di risolvere i tuoi demoni in queste Fiabe.
Hai fame di loro. Te ne daremo sempre, sempre di più!
Ci servi così. E forse a te fanno comodo. Non è vero?”


 

-


 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI - Discorsi | Parte 1 - Un patto col Diavolo ***


VI


Discorsi

-

Parte 1


Un Patto col Diavolo




Pitch Black ebbe un brusco risveglio. 

Un nuovo Incubo gli disturbò il sonno. Ma sebbene fosse sveglio, come al solito non trovò un desiderato attimo di pace per poter finalmente riprendersi dai suoi Terrori.

Anche se i suoi occhi argentei furono ormai aperti, la realtà che lo circondava fu sempre la stessa. Era buia e raggelante.  

Dopodiché, una volta che l’oscurità si fece più pesante sulle sue spalle, qualcosa dalla sabbia nera si modellò fino a affibbiarsi il viso di qualcuno che riconobbe in un istante.

 Era una sagoma cupa di Jack Frost.

In cuor suo provò sempre timore a incrociarlo in casa propria e il dispettoso Incubo se ne approfittò di quei sentimenti tristi. Gli apparì ogni volta che le sue palpebre si fossero alzate dopo una lunga dormita a cercar di fronteggiare le sue Paure. 

La sua nemesi si tramutò in una sua principale ossessione. 

“Patetico.”

L’Uomo Nero si giudicò nei pensieri mentre l’altro si riposò mantenendosi su di un lato del bastone e una sua mano si rilassò nella tasca della felpa.  

Sospirò stanco delle marachelle dell’Incubo. 

Passò la maggior parte del tempo a osservarlo svolazzare in giro nella sua Tana. Spesso sentiva le sue orrende risa gelide propagarsi tra le pareti cavernose. Poi portava con sé quel suo dannato freddo, quasi lo paragonò alle atmosfere tetre e alle scie glaciali lasciate dal desolato passaggio dei respiri della Morte. 
Che orrendo presagio sentirseli addosso. 

Quando rabbrividì a quel pensiero, l’Incubo si sedette innanzi al suo trono, incrociò le gambe e lo fissò. L’illusione del tempo negli occhi di quell’essere immondo trascorse troppo lento. Le sue iridi nere, da cui calava la sabbia dalle folte ciglia, parevano due piccole clessidre puntate su di lui per generargli altro spauracchio. Puntualmente gli volle rimembrare quanto tempo gli fosse rimasto prima che il titolo glorioso “Re della Paura e degli Incubi” non gli fosse mai più appartenuto e la sua esistenza dimenticata per sempre.

Ad un tratto però il suono di dolci campanelle ne scandì uno nuovo. Pitch guardò in alto, ascoltò la novità degli scampanellii attentamente e poi capì. 

Era il 25 Dicembre, North era appena passato con la sua slitta sopra la sua Tana, ed era giunta la magnifica ora di portare i doni ai bambini pieni di sogni e desiderosi di ricevere quello che gli chiesero per Natale. 

“Presuntuosi.” Li giudicò l’Uomo Nero.  

Si alzò piano dal trono e si avvicinò ad uno dei cunicoli stretti che portavano in superficie. I campanelli si fecero più forti, l’Incubo che lo seguì non sopportava il suono zuccheroso. Sinceramente non gli diede tanto torto.

 Ad un medesimo scampanellio però la sua reazione fu al quanto esagerata. Si dimenò portandosi le mani alle orecchie, emanò grida stridule e tentò di allontanarlo dall’uscita. 

Pitch quasi cedette alle dita insistenti dell’Incubo che impetuosamente gli strattonava le sue vesti nere. Ma qualcosa che cadde sul suo lungo abito attirò la sua attenzione.


Un venticello fresco ma gentile gli sfiorò l’animo e con sé portò della candida neve.


Pitch seguì con curiosità la nevicata e si affacciò abbastanza nel pertugio tanto da essere sorpreso dalla luce della Luna. 

L’Incubo lo tirò ancora indietro, scuotendo l’indice destro in segno di dissenso. Pitch ringhiò contrariato e diede un’altra occhiata al cunicolo tetro ed infinito toccandone i bordi umidi.

Fece un passo in avanti ma si ritrasse subito dopo.

“Devo andare su? Perché dovrei?” Pensò “Andrò su, e poi? Cosa succederà?  Nessuno crede in me. I Guardiani potrebbero uccidermi facilmente. Eppure… Eppure…”  
“Eppure, voglio salire su.” Disse ad un tratto sorprendendosi. Quasi gli parve strano udire la propria voce.

Strinse un pugno frustrato. 

La neve continuò a cadere con la sua grazia che da sempre ammirò. 

Portò una mano in avanti, lasciò che essa si posasse sulle dita e sciogliersi soavemente in acqua, poi ebbe la rivelazione.
Pitch sorrise. 
“Jack, Jack. Sei cresciuto, Jack. Sei prudente. Bravo, ragazzo. Ahi, Ahi, ora sarà difficile ingannarti.” Ridacchiò. 
Un passo in avanti si decise a compiersi. L’Incubo ancora una volta però lo tirò indietro. Lo fece ancora e ancora e Pitch si spazientì. 


“Lasciami in pace!” In piena ira gli urlò.



Alzò il braccio e lo gettò contro la testa della sabbia degli Incubi. L’essere emise un ennesimo agghiacciante strillo prima di essere colpito, grido d’orrore che finì nella sua distruzione in tanti piccoli frammenti sabbiosi. 
Ogni parte svolazzava via nell’aria come tante particelle di polvere capace di seccare il respiro. 
Ma contrariamente, Pitch sentì il suo respiro libero per la prima volta dopo anni rinchiuso in una morsa. 
Dentro di sé ci fu una scossa liberatoria che lo stordì, barcollò nel buio in cerca di un sostegno. 
Per fortuna la neve lo chiamò di nuovo e i suoi sensi ritornarono a lui. 



Fece un passo. 




Esitò un attimo. 




Poi salì in superfice. 


-





Jack Frost si trovava proprio lì ad attenderlo pazientemente. 
Si era seduto sotto ad un albero innevato, con le labbra poggiate sulle proprie ginocchia e i piedi scalzi che strofinava fra di loro. 
Una volta incrociato lo sguardo con l’Uomo Nero, il suo capo si alzò e prese il suo bastone per aiutarsi a mettersi insù. Scosse il proprio corpo per liberarsi della neve sui suoi indumenti e poi una propria mano scivolò nella tasca della sua felpa blu. 
Ci fu un attimo taciturno, entrambi pensavano cosa dire delle loro presenze ma, dopo aver dondolato sui propri talloni, Jack parlò per primo.

“Ciao, Pitch.” 

Pitch strinse il suo sguardo al suono delle due semplici parole. Si allontanò dal cunicolo da cui era appena uscito, scostandosi da un lato senza togliere gli occhi da dosso al ragazzo. 
Era insospettito. 
“Stai calmo, Pitch. Non ti ho chiamato per combattere.” Jack si accorse delle scorse inquietanti incollate su di lui. Pitch allora osservò la neve, scendeva beatamente. 
“Vedo.” Finalmente lo spirito oscuro rispose. 
“Hai dimenticato che momento speciale è oggi, Frost? Non è da te. È la Notte di Natale.” 
Jack portò il suo bastone magico su una spalla. 
“Sono qui proprio per questo.” Stranamente, c’era un tono ansioso nel suo parlato. Cercava di tenerlo nascosto, ma l’Uomo Nero ne fu sicuro quando il ragazzo saltellò su sé stesso per calmarsi. 
Pitch sbuffò contrariato e visibilmente nervoso. 
“Che cosa vuoi, Jack?”
Il giovane Jack prese un lungo sospiro nasale, mordicchiandosi l’interno delle guance. Il pugno della sua mano riposta nella tasca si strinse. 
“Cosa stai facendo ai bambini?”
“Che cosa?”
“Lo sai bene, Pitch.” 
Pitch abbassò un attimo lo sguardo per considerare l’accusa riferitogli. 
“Non so di cosa stai parlando, Jack.” 
“Stai cercando di ingannarmi di nuovo?”
“Dimmi perché dovrei, ora?” Si difese immediatamente.  
“Davvero non sai niente di tutti i guai che stanno capitando ultimamente?” Il ragazzo si fece più scuro in viso. 
“Non so minimamente di cosa tu mi stia accusando.”
“I bambini, Pitch!” Jack alzò la voce, portò in un attimo in frantumi la sua calma illusoria.
“Non fanno altro che morire! Non fanno altro che compiere gesti estremi!” 
La forte emotività in Jack esplose dal petto e prese forma nelle lacrime tristi che calarono veloci sulle sue guance. 
“Cosa stai combinando, Pitch? Perché sei così... Disperazione e Vuoto!?” 
Jack lanciò sulla neve la sua amata arma e si sedette gettandosi le mani sul volto. 

“Jamie... Jamie...” I suoi singhiozzi non accennarono a placarsi. 

L’Uomo Nero fissò quella figura appallottolata in sé in pena, e percepì la sua fortissima Paura. Si accarezzò il petto sentendosela bruciare nella pelle. 
Al ché si avvicinò al giovane e prese posto al suo fianco intrecciando le mani sulle cosce. 
“Cosa sta succedendo?” Chiese, sebbene avesse già capito ogni cosa dal pianto che chiedeva aiuto.
Jack tirò su col naso asciugandosi le lacrime con le maniche della felpa. 
“Era da un po’ di tempo che Jamie si comportava in un modo strano. Abbiamo giocato tante volte insieme a farci la guerra con palle di neve e corse sullo slittino.” Fece una risata malinconica “Ma poi, quando rientrava in casa, lui non era felice. Non gioiva delle bellissime giornate passate con i suoi amici. Non riuscivo più a farlo ridere. Ebbi il timore che avessi perso i miei poteri. Ma ovviamente non era quello il problema. Ora lui non riesce nemmeno più ad avere le forze per uscire almeno dalla porta di casa. Poi una sera... Jamie non fu più in grado di vedermi.” 
Jack contemplò quelle ultime parole poggiando il suo mento sulle braccia posate sulle ginocchia. 
Pitch lo osservò silenzioso. 
“Fu la stessa sera che provò a togliersi la vita...” 
Non riuscì ad andare avanti col suo discorso.
“Capisco...” Bisbigliò Pitch. 
Lo sguardo di Jack era perso oltre gli alberi che disegnavano la strada di un’oscura via infinita e malata. L’immagine lo addolorò, soprattutto quando le ultime foglie caddero da quei rami secchi e spogli. 
“Dopo Jamie, molti altri ragazzini e adolescenti hanno incominciato a compiere lo stesso gesto.” Balbettò mentre lo disse “Io e i Guardiani, non riusciamo a fare nulla per aiutarli.”
“Devi impegnarti. Pensa positivo. Non pensarci... bla bla bla. Tutte cazzate. Credete proprio che le vostre belle parole, il divertirsi e qualche risata possa risolvere davvero questo problema. Che ingenui.” Disse Pitch troppo duramente. 
“Per questo sono venuto da te.” Jack accettò senza negare l’evidenza nella critica dell’altro. 
“E cosa vuoi che io faccia, Frost? Sono la Paura, potrei nutrirmi di questi animi.” 
“Anche di questo vorrei discutere con te.”
Pitch sbatté veloci le palpebre fra di loro. 
“Cosa? Ho sentito bene?”
Jack sbuffò “Si, hai sentito bene.”
“Perché mai?” Chiese.
“Una cosa voglio da te, Pitch. Voglio conoscere chi sei. Voglio capire cosa si prova ad essere te. Vedrò il tuo mondo e tu vedrai il mio. Desidero che questi ragazzi stiano bene e sono pronto a tutto pur di aiutarli. Sono la Gioia, ma sento che io debba capire molte cose, più oscure, per poter ridare vera serenità a loro. Non un sorriso apparente.” 
“Sei pazzo, Jack? Non immagini cosa possa fare la Paura.” 
“Lo faccio per i Bambini, Pitch!” Ripeté con un tono di rabbia. Tutti, sempre a sottovalutarlo.
Pitch invece sentì quanto in realtà il giovane spirito fosse spaventato dall’idea di precipitare nelle sue voragini. Ma, proprio ciò che aveva sempre amato di Jack Frost, era proprio il fatto di essere impavido, capace di vedere nuove soluzioni invece di restare fisso sulle proprie convinzioni.
Un punto di forza al suo immenso potere.  
Pitch allora contemplò la richiesta dello spirito dell’Inverno alzandosi e camminando avanti e indietro pensando, tra le tante cose, dove fosse la fregatura. 
“I Guardiani lo sanno?”
“No. Andiamo, loro non avrebbero mai preso in considerazione questa mia follia.”
Si alzò anche Jack dal suo posto dondolando su sé stesso pensieroso.
“Avrò modo di unirvi.”
“Oh no, Frost!” Pitch protestò improvvisamente “Non farò mai parte della gioiosa combriccola.” 
“Si, sarebbe impossibile.” Ridacchiò debolmente il ragazzo “Credono che sia direttamente tu a far del male i bambini, come lo credevo io...” 
L’Uomo Nero fece spallucce ragionando. 
“Gli Incubi hanno preso il sopravvento, ormai fanno quello che vogliono.”
“Ti hanno governato.” Jack lo sussurrò con una punta di senso di colpa tra le parole.
“Riotterrai il loro controllo.” 
Lo disse con una certa determinazione che fece scuotere le carni di Pitch. 
“Quindi sarà questo che avrò in cambio?”
“Riavrai i tuoi poteri, Pitch. Ma a una condizione. Quella che ci sia equilibrio tra te e i Guardiani. Lo stesso varrà per le altre Leggende nei tuoi confronti.”
“Eh, eh, eh. Difficile e pericoloso. La mia sete di potere potrebbe schiacciarvi.” 
Jack così volò contro l’Uomo Nero, in una velocità che Pitch lo perse d’occhio per un attimo. Tirò il suo collo con la parte concava dell’arco del suo bastone, lo costrinse a guardarlo dritto negli occhi e poi lo minacciò con la punta dell’arma, pestandola sul suo sottile petto. 
“Io ancora non mi fido di te, Pitch.” 
Lo strattonò ancora di più. 
Pitch cercò di scostare l’arma con le proprie dita ma Jack le picchiò col proprio bastone.
 “Ho risentimento per te. Ma ho scelto comunque di buttarmi in questa impresa. Prova solo una volta a distruggere il nostro patto, o sarò io a congelarti per sempre. Ti terrò d’occhio. Sta’ attento o te ne pentirai.” 
Oh, Pitch gli credeva eccome. Sghignazzò divertito.
“Piccolo Diavolo.” Lo prese in giro. 
“Bene! Tieni presente però, caro Frost, che probabilmente le cose non torneranno come prima.”
Jack ebbe una fitta al cuore sebbene avesse messo in conto anche questo punto. 
Ma doveva farsi forza per il bene dei bambini. 
“Ok. Lo affronterò.” E poi sottolineò “Impareremo, Tu, Io e i Guardiani a vivere in questo mondo contemporaneamente. Mi impegnerò fino all’ultimo che questo accada.”
“Ne dubito.” 
“Vedremo.”
“Come al solito sei un sognatore, Jack.” Premise “Ma... accetto.” 
Jack sobbalzò sorpreso, aspettandosi in realtà un altro tipo di scenario prima di arrivare all’accordo conclusivo. Che si fossero combattuti pur di prevalere l’uno sull’altro. Invece il giovane spirito rimase piacevolmente colpito da tanta compostezza. 
“Davvero? O stai giocando ancora con me?” 
“Dico la verità.” 
L’accordo fu firmato quando le mani dei due si unirono caute in una stretta salda. 
Ad un tratto però la presa di Pitch s’allentò, massaggiò la mano di Jack, come se avesse paura che non fosse lì. 
“Cosa ti prende, Pitch?” Gli chiese stranito ma incuriosito da quel tocco.
“Niente, sto...” Sembrava ipnotizzato “...cerco di capire se mi trovo ancora in un Incubo.”
“Mmh? No, sono qui.”
Pitch si guardò intorno come se si sentisse perseguitato da qualcosa che Jack non poteva vedere, alzò un sopracciglio confuso quando lo sguardo dell’Uomo Nero si fece tagliente e scrutatore.
“C’è qualcosa che non va?” Richiese ma l’altro negò nuovamente. 
“Ok... Allora, forza, Pitch. È il momento di incominciare.” E volò via per assistere i bambini nella notte di Natale. 


Prima che avesse seguito lo Spirito dell’Inverno, Pitch aspettò che quei strani bisbigli, che presero a vorticare alle sue orecchie appena toccò la mano di Jack, avessero ottenuto le loro forme. Si preparò mentalmente ad inciampare nella disperazione e ad essere divorato in essa. 
L’unica forma però che prese la sabbia nera alle sue caviglie, era quella di una giumenta che rimase ferma a guardare le iridi dorate di Pitch. 
L’Uomo Nero sospirò.
“Andiamo.” 
Appena le toccò il dorso però, l’intero animale si sciolse nel nulla lasciandolo del tutto incredulo. 
Mentre la materia oscura si disperse nell’aria, passò la mano sul suo petto che per la prima volta formicolò per un momento di leggerezza, voltando lo sguardo verso la Luna abbagliante e nella direzione presa da Jack. 
Si accorse poi che qualcosa rotolò vicino ai suoi piedi. Una mela colorata di verde, giallo e rosso aspettava di essere colta da lui. 
La prese e la osservò attentamente. 
Poi perse di nuovo lo sguardo tra gli alberi cercando chi gliel’avesse lanciata e, con suo sgomento, vide una bellissima chioma di lunghi capelli neri sparire tra i rami innevati.

“Emily?” bisbigliò.

Conservò per l’eternità quella mela. Non marcì mai. Ma divenne sempre più rossa fino a brillare.  





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Capitolo 7
*** Capitolo VII - Discorsi | Parte 2 - Melancholia ***


VII


 

Discorsi


-


Parte 2


 

Melancholia


 


 
 
Nella stanza buia di un ragazzino le ombre parevano incombere sulla sua triste figura tremante.
Il suo pianto strozzato lo innervosiva troppo e desiderava così tanto poter stare bene, invece di passare le sue giornate a letto. Il vuoto che però sentiva dentro di lui non lo aiutava ad alzarsi e scoprirsi delle sue coperte. La forza nelle braccia gli mancava, una singola azione da compiere gli pesava non poco. Aveva timore di restare in quello stato per sempre. Vedeva i suoi coetanei giocare e divertirsi, si chiedevano cosa non andasse in lui. Ma non riusciva a spiegarselo, le sensazioni lo avevano inglobato. Era tutto così ovattato e confuso.
Quanto gli pesava andare a scuola. Quanto gli pesava stare tra i suoi compagni. Doveva costringersi a mettere un sorriso sulle labbra, a crearsi delle stupide maschere.
Non ce la faceva né a vivere quei momenti di profondo vuoto e né di sorreggere quelle maschere, indossate per sopravvivere in una società che lo voleva sempre attivo e pimpante. Ma lui proprio non c'è la faceva ad essere come gli altri se lo aspettavano. I suoi genitori soffrivano a vederlo in quello stato. Aveva bisogno di aiuto ma non riusciva a chiederlo.
 
Nella stanza del ragazzino le ombre si mossero, presero vita. E nell'angolino infondo, vicino all'armadio degli abiti, una figura si staccò ed ebbe una faccia che riconobbe in un istante.
Occhi gialli, volto allungato e appuntito, un sorriso sarcastico appena accennato, corpo esile e slanciato.
Pitch Black si avvicinò ai piedi del letto del giovane che spaventato si portò le coperte alle labbra.
"Ciao, Jamie." Lo salutò cingendo le mani alla schiena.
"Io...io ti vedo." Riuscì a balbettare l'ormai quattordicenne Jamie.
"Mi vedi." Lo constatò l'Uomo Nero.
"Dov'è Jack?"
Pitch gettò uno sguardo verso la finestra dai vetri congelati. 
"Perché non vedo lui?"
"Probabilmente non lo vedrai mai più, caro Jamie."
La bocca del ragazzo tremò a quel pensiero.
"Allora che farai? Mi ucciderai?"
"Questo non dipende da me, ragazzo." Jamie capì subito cosa intendesse "E vedo che ci hai già provato." Pitch ebbe il tempo breve per scorgere i polsi feriti del ragazzino, che lui li nascose immediatamente sotto le coperte.
"Cosa mi sta succedendo?"
"Stai cambiando, Jamie, ed è giusto così." Sussurrò.
"Ma perché soffro così? Cosa ho fatto di male per meritarmi questo vuoto che sento qui?" Si portò una mano allo stomaco. L’ansia lo stava mangiando dall’interno.
"Non lo voglio più!" La frustrazione dipinse di collera i suoi occhietti infantili. “Non ha proprio senso! Non ha senso!”
Le ultime parole si ruppero in lievi singhiozzi.
"Quando un male arriva a mangiarti dentro ha sempre un motivo, Jamie. C’è qualcosa che richiede un cambiamento? Qualcosa ti disturba? Qualunque sia l’origine del tuo male, hai bisogno di capirlo. Ci vuole il suo tempo. Dovrai rispettare il tuo." Gli rispose l’Oscurità avvicinandosi di più al giovane "Ed io ti accompagnerò in questo cammino."
"Che vuoi dire?"
"Se tu lo vorrai, potrai fronteggiare le tue Paure, Jamie. Sarà un lavoraccio arduo. Se desideri la pace nella tua mente è la strada da percorrere...oppure resterai nel buio... altrimenti..." L'ombra della mano dell'Uomo Nero puntò verso le mani nascoste dalle coperte del giovane.
Jamie accarezzò piano le ferite pensando alle parole dure ma sincere dell'Uomo Nero. Aveva una paura matta di scavare nella sua mente, ma se andava fatto pur di stare bene e vivere nuovi giorni sereni doveva farlo.
"Va bene." Disse in un sussurro fievolissimo, come se non fosse convinto di farcela.
Pitch Black sorrise compiaciuto della scelta del ragazzino.
"Ottima scelta, ragazzo. La pace per te, un buon pasto per me."
Pitch si sedette accanto a Jamie e prima di parlare diede una scorsa oltre la finestra.
"Non sarai solo, Jamie. So che vuoi chiedere l’aiuto a mamma e a papà. Avrai una mano anche in questo e lo farai quando sarai pronto. A volte si è troppo orgogliosi per chiederlo, oppure abbiamo sempre avuto la strana prospettiva che avere un aiuto ci renda deboli, ma non è così."
“Ma quanto può aiutare che gli altri sappiano che io sto male?”
“Bhe, non guariranno il tuo dolore ma se saranno le persone giuste a cui parlerai saranno in grado di ascoltarti. È questo l’importante.”
Jamie annuì debolmente con la testa nascondendo nuovamente metà volto sotto le sue coperte.
“Ti sei mai aperto con qualcuno?”
“Strana domanda da fare all’Uomo degli Incubi.”
“Non credo. Io lo so che anche tu hai paura.”
Pitch scostò lo sguardo ancora troppo chiuso nella sua intimità per condividere appieno i suoi timori.
“Bhe... chi non ha paura, ragazzo.” Alla fine gli rispose. “Anche la paura ci comunica qualcosa di noi, solo che è molto più difficile da capire, da decifrare. È enigmatica.”
“Per questo fa paura.”
“Esattamente.”
“Sei migliorato, Pitch Black.
“Oh, grazie.” Ghignò emulando un inchino.
“Qualcuno allora ti avrà ascoltato.”
“Si.” Sussurrò l’uomo pensando la sua strada che stava ancora percorrendo per dar forma al suo nuovo sé.
“Ricorda Jamie, essere ascoltati e capiti è il primo passo. Da lì inizierà poi il lungo cammino.”
Jamie sospirò. Desiderava così tanto che magicamente il suo vuoto sparisse nel nulla ma era cosciente che le cose non funzionavano così.
"Bene. Ora dormi Jamie. Hai bisogno del sostegno del sonno."
 Bastò che l'uomo posasse le sue dita sulla fronte di Jamie che questo si addormentò in pochi secondi.
Lo fissò ancora per un po' prima di alzarsi e guardare verso la finestra.
Jack non era più lì da un pezzo.
Si dissolse nelle ombre seguendo il suono dei singhiozzi dello Spirito dell'Inverno, che stava appollaiato su un ramo di un albero spoglio.
L'uomo si sedette al suo fianco e aspettò che il pianto rotto si fosse placato. Il Vento di Jack mosse gli alberi per un'ora intera, il tempo necessario per il giovane spirito per ricomporsi.
“Non sei riuscito ad ascoltare tutto ciò che ci siamo detti.”
"Ti odio." Disse però Jack dopo un attimo di raccoglimento.
"Lo so." Rispose Pitch.
“Scusa, è difficile con Jamie.”
Jack sbuffò.
"Quindi bisogna essere pazienti.”
L’Uomo Nero annuì.
“Crescerà e sarà più forte.”
“Cosa farò quando i suoi pensieri diventeranno oscuri e invadenti? Io non voglio vederlo soffrire.”
“So che hai paura, Jack. Cerca di ascoltarlo. Abbracciate il dolore, comprendetelo. Se lo farai anche tu, forse percepirà la tua vicinanza.”
“Lo spero.” 
Jack si asciugò le lacrime.
“E i suoi genitori?”
“Ho dato loro degli Incubi. Sono molto angosciati per Jamie, ma saranno pronti ad ascoltarlo. Gli si avvicineranno e prenderanno provvedimenti.”
Ad un tratto il suono di una porta che si spalanca attirò la loro attenzione.
Erano le cinque di pomeriggio, il sole già stava tramontando dal cielo scuro e nuvoloso. Jamie decise di uscire, si guardò intorno prima di mettere un piede sulla neve e sedersi sulla panchina del giardinetto di casa.
Stava lì, tutto solo.
Dondolava le gambe incrociate tra loro, chiuse le braccia al petto e si restrinse nelle spalle coprendo il viso con la sua sciarpa di lana.
Fissava insistentemente la neve e una strana malinconia lo pervase.
I propri occhi divennero lucidi e se li asciugò velocemente con una mano gelida e arrossata dal freddo. Dopo un po’ a rimuginare sulla calda ma triste sensazione, si alzò e prese a giocare in solitudine a palle di neve lanciandole contro il tronco di un albero.
Sbuffò.
Fare quel gioco da soli non era poi così divertente.
Si sedette a terra frustrato.
Toccando la neve però gli venne l’idea di crearsi un pupazzo. Cominciò dalla base e proseguì con molta calma, meditando.
Pitch e Jack in quell’attimo percepirono entrambi in sé qualcosa di nuovo.
“Lo senti anche tu?” Domandò Jack quando vide Pitch sfregare tra di loro le dita delle proprie mani incredulo.
“Si... questa sensazione... una dolce Nostalgia...è molto flebile, ma è lì.”
“Possiamo lavorare su questo.” Disse Jack, alzando in alto la sua arma. La scosse da destra verso sinistra e dopo un po’ cominciò a nevicare. Pian piano toccò la pelle di Jamie che pieno di meraviglia la fissò cadere sulle proprie mani.
 
Dopo di che aprì le braccia nell’aria e volteggiò su sé stesso con una serenità che aveva ormai perso.
 
Per la prima volta dopo anni di buio, Jamie, malinconicamente, sorrise, e disse addio alla sua infanzia.
Il legame di Pitch e Jack, invece, divenne più inevitabilmente stretto e, consapevolmente, segreto.
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 

Fine






Ebbene, ecco l'ultimo capitolo. Volevo ringraziarvi per aver letto questa semplice storia e spero che vi sia piaciuta. 
A presto e Felice Anno Nuovo!
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